ST. BASIUS SEMINARY

TORONTO, CANADA

LIBRARY

GIFT OF

Pontificai Institute of Mediaeval Studies.

fLiBRARYJ !%^ -O^

Digitized by the Internet Archive

in 2009 with funding from

Ontario CounciI of University Libraries

Iittp://www.archive.org/details/lebellezzedellaf02vent

OPERE COMPLETE

DRL RB?. PADRE

GIOACCHINO VENTURA

proprietà' letteraria.

LE

BELLEZZE DELLA FEDE

*' NE' MISTERI DELL' EPIFANIA

lA FELICITÀ DI CREDERE l.\ (ÌESÌ CRISTO

E DI APPÀRTENFRK ALLA VERA CHIKSA

Voi,. II.

MILANO,

STAMPERIA REALE 1867.

§IP 1 6 1958

7/

cr ;

7936

LETTURA V.

LA lAClLITA' E L' l NlVERSALITA' DE LL'l^iEG^A MENTO DELLA FEDE

ìenerunt H'eroiolymam dìcenlcs: Ibi est qui vatus est rex Jud(B)rum? Vidimiis eniin siellam ejus et veni- mus adorare eum.... At UH dixe- runt: In Bethlehem Jv.da.

( >IaUh. 2.)

IINTRODUZIOrsE.

§ I. - Che cosa è la verilà. Beila doUrina di S. Tomaso intorno acjV inconvenienti del metodo dell' inquisizione umana j ed olla necessità della rivelazione divina per conoscere la vera religione. Quattro caratteri dell'inse- gnamento della vera fede, la facilità ^ V universalità^ la verità j la certezza. 1 primi due solamente si propon- gono a sj)iegare velia presente lettura. Divisione ed importanza delle materie che vi saranno trattate.

ìjà verità si deruiisce comunemente da' moderni : La co- gnizione degli esseri e de' loro rapporti. Ma siccome, quando si conosce una cosa come è realmente, vi è con- formità, armonia, ordine, fra l'intelletto e la cosa da esso conosciuta: così assai più filosofica, più luminosa e più bella si è l'antica definizione che S. Tomaso ci ha lasciala della verità, dicendo: La verità' è i/ eouazioe tra l'in- telletto E LA cosa: /E'jualio rei et intellectus (I). Th., De vcritale, qu.est. disput.).

Uuando dunque luomo conosce realmente Dìo e i su(ù attributi, l'anima e le sue facoltà, tutto stesso e la sua

Felle::: e della fede. H. ì

6 LETTURA QUINTA

origìnej la sua condizione, il suo fine e i doveri che gli cor- rono con Lio e co.,» li altri uomini; vi é allora tra il suo intelletto e le accennate cose conformi tà, armonia, ordine, equazione; in una parola, possiede egli allora la verità.

Ora due vie si conoscono per giungere al possesso delle morali verità: L' itKjiiisiziune uiikuki e la livflaziune di- vina. Poiché l'uomo non può avere cognizione degli esseri spirituali e dei loro rapporti, se non o procurandosela col suo raziocinio, co'suoi sforzi e co'suoi lumi; o ricevendola sia immediatamente, sia mediatamente da Dio. iMa é essa poi veramente conforme ai bisogni ed alla condizione del genere umano? é essa praticabile e sicura la via del privato raziocinio e deW inquisizione privata per arrivare alla co- gnizione delle verità che devono servire all'uomo di guida?

S. Tomaso sostiene e prova invincibilmente che no. Im- perciocché, prendendo principalmente di mira la prima ve- rità, Iddio, fondamento di tutta la religione; e distinguendo, intorno a 1 io, le nozioni che superane la ragione e che non possono perciò mai ottenersi colla ragione, come: « che i io è IrinOj » e le nozioni cui la ragione può giungere, come: « l'esistenza e l'unità di rio, » allérma che le une e le altro conveniva alla sapienza ed ulla bontà di Dio di manifestare esso stesso all'uomo, ed istruirnelo per via di rivelazione e fede: Duplici Ujilur verilale divinoruìu intelliijibilium exiótenle^ una ad quani rnlionis inquisilio (jertiiujere jw- teat, altera qua onute ingtniuni hunuinoi raliuni^ exceditj ntraque couvenienter dioinilus homini credenda propani- tur (Summ. contr. gent. lib. i, cap. 4).

Se Dio avesse lasciato alla inquisizione ed alle indagini della sola ragione di ogni uomo l' incarico di ritrovarsi le nozioni divine per altro accessibili alla ragione, tre incon- venienti gravissimi ne seguirebbero: Stiquerentur Iriu ui- convtnienliay ni hujus verilus sulainniodo ralioni inqui- renda relinquertlur.

Il primo inconveniente sarebbe, che pochissimi uomini avrebbero cognizione di Dio: Unum est, quod paucis ho- minibus Dei axjniiio innssel. Imperciocché tre cause impe- diàcono la maggior parte degli uomini dal ritrovare la ve-

LETTURA QUI>TA 7

rità per mezzo dei loro studi e delle loro ricerche: A fru" ctìi eniìu sludìosce ifKjuisiliunis, qui asl verilalis inrenlio, plurimi inipfdiuntur trihus causis. Va prima causa si è la mancanza in cui la maggior parte degli uomini si ritrova di quell'apertura di mente, di quella sottigliezza d'ingegno che é necessaria per acquistar la scienza. Per quanto adun- que studiassero, non potrebbero giun;?er mai per via di ra- ziocinio alla cognizione di Dio, che è l'ultimo e più sublime grado della scienza: Quidam impediunlur pntpfer compie' xionis iudisposilionem, ex qua multi nnturaliler sunt iw- diaposili ad scif^ndumj nude nullo studio ad hoc perlinfjere possenl ut summum gradum humauce cognitionis attinge' reni, qui in cognoscendu Diium cnnsistit.

La seconda causa si é il modo come è formata e sussiste l'umana società, in cui la massima parte degli uomini é ob- bligata, per vivere, ad attendere alla coltura della terra, alle arti, ai mestieri, alle professioni civili, e solo pochis- simi sono liberi allatto dalie cure domestiche ed han tem- po e mezzi da applicarsi tranquillamente alla ricerca delle intellettuali verità in modo da poter giungere all'ultimo apice delle umane cognizioni , cioè a dire sino alla cogni- zione di Dio: (J.iidum imptaiuiitur necessitale rei familia' vis : oporlet e nini esse Inter liomines alijuos qui tempora' libus administrandis iuòi'itant j qui tantum tempus in olio conlemplali.'os inquisii iotiis non possa nt expenttere ut ad suììimuìu fasligium humance cagni. ionis pertingant , sci i- cet Dfi cognitionem.

la terza causa, infine, si è la pigrizia onde gli stessi po- chi che ne hanno la possibilità, come sono i grandi, i ric- chi, i celibi e le persone di una mente aperta e di una con- dizione civile ed agiata, sono distolti dall' applicarsi a studi lunghi e severi. Per giungere anche solamente alla nozione di un Dio unico, incorporeo, santo, provvido, sapiente, im- mortale, onnipotente, immenso ed eterno, bisognerebbe avere percorso quasi tutto lo scibile; giacché quasi tutto lo studio della flloaoiìa é ordinato alla cognizione di Dio. Sicché lun- ghe e serie applicazioni e grandi fatiche sarebbero neces- sarie non solo per conoscere ^ ma solamente per incomin»

8 LliTTL'KA QU^Tk

ciare la ricerca di importanti verità. Ora si troverebbero poi molti fra coloro che abbondano di lutti i comodi della vita e di tutti i mezzi da attendere alla scienza che voles- sero assoggettarsi a queste fatiche^, a questi stenti? Quidam iinpediiintur piyrilia. Ad cognilionem eniin eonim qua de Deo ratio investigare poteste multa prcecognoscere opor- let : xum fere iolius pliilosophios consìderalio ad Dei co- (jnitionem ordinetur. Sic ergo non itisi magno labore stU' dii ad prcedictw veritatis inquisitionem prevenire potest : quem laborem pauci quidem subire volunt.

Il secondo inconveniente del metodo inquisitorio per l'ac- quisto della cognizione di Dio, e che discende necessaria- mente dal primo, si é, che gli stessi pochi che hanno tutti i comodi e tutti i mezzi di applicarsi allo scoprimento di siffatta verità, appena in età assai avanzata e dopo un tempo lunghissimo potrebbero raggiungerlo. perché la cogni- zione di Dio è una verità profonda che l'umano intel- letto non è capace apprenderlo per la via di raziocinio, se non dopo un lungo ed ostinato esercizio nelle cose intel- lettuali; sì perché le cognizioni preliminari ed indispensa- bili, di cui si é detto, esigono gran tempo per acquistarsi; e finalmente perchè nella giovine età l'anima, agitata e distratta fra i moti delle passioni, non è adatta ad applicarsi seriamente ed elevarsi a si alta verità: Secundum incon- venicns est, quod illi qui ad prwdictw veritatis cognitionem pervenireni, vix post longum iempus perlingerent. Tum propter hujusmodi veritatis profundilalem ; ad quam ca^ piendam per viam rationis non nisi post longa exercitia intellectus humanus idoneus inveniri potest ; tum etiam propter multa quw prwexiguntur, ut dictum est: tum pro- pter hoc quodj tempore juventutis . dum diversis motibus passionum anima fluctuat , non est apla ad tam altee ve- ri fa ti s cognitionem.

E si osservi ancora che la cognizione di Dio non é per l'uomo, come qualunque altra cognizione umana, una cogni- zione accidentale, indifferente e di sterile ornamento pel suo spirito, ma una cognizione essenziale, necessaria e di wn soccorso efficace pel suo cuore: giacché da essa trae prin-

LETTURA QUI>TA 0

cipalmente l'uomo la sua bontà e la sua perfezione. Ne'lun- ghi anni adunque che l'uomo dovrebbe spendere per arri- vare a conoscere Dio, sarebbe senza idea, o fede alcuna di Dio. senza relig^ione, senza leg^ge. miserando trastullo di tutti gli errori e* tutte le passioni. Se non vi fosse, perciò prosiegue a dire l'Angelico, altro mezzo per gli uo- mini da conoscere Dio fuor solamente quello dell' Inquui- zione e del raziocinio privato (pochissimi eccettuati che dopo uno stento lunghissimo arriverebbero ad indovinare alcuna cosa intorno a Dio), l' intero genere umano rimarrebbe , intorno a questa prima ed importante verità, nelle più fitte tenebre sepolto: Jlemanerel Ujitur humanum (jenus , si sola ralionis via ad Deiun cognosceìidum palerei j in majcimis ignoraìilice tenebrisi cuni Dei cofjtiilioj quce hO" mines maxime perfeclos el bonus facil , non nisi qHibns" dam paucis, eliani post temporis longiliidinem, perueniret. Il terzo inconveniente infine sarebbe la facilità di cadere in errore e l'incertezza di possedere la verità. Imperciocché l'intelletto umano è debole, la forza della fantasia è grande, le immagini delle cose materiali facili a mescolarsi colle idee intellettuali, che, il più sovente la ragione del- l'uomo, mentre si sforza di scoprire la verità non incontra che errore: Terliuìii inconceniens esl, quod investigaiioni ralionis huniance plerunique falsilas adiniscelnr j propler debilitatem i?iteileclus nostri in jadicando et phantasmii' Inni permixtioneìn. E difatti che si vede tutto giorno ac- cadere nelle argomentazioni e nelle dispute che han luogo fra gli uomini? Yedonsi quelli stessi che si dicono sapienti farsi la guerra fra loro ed insegnare con egual impegno e calore dottrine assolutamente diverse e opposte. Yedonsi i più belli ingegni cadere in deplorabili errori. Poiché con molti principii veri ne adottano dei falsi, che essi allu- cinati prendon per veri, e vi fondan sopra una dimostra- zione che loro sembra legittima e giusta, mentre é falsa ed assurda , perché stabilita sopra vaghe probabilità o certi soGsmi. Da ciò ne avviene che la ragione non ha più fiducia nella ragione : che le dimostrazioni più vere lasciano un segreto timore che possano esser false; e quindi

10 LETTURA OUIIHTA

le stesse verità per tal mezzo scoperte si riguardano come dubbiose ed incerte e si accolgono non come donimi, ma come opinioni: El ideo in diih lui ione remnnerenl ea quce sunt va rissi ma dcmonstrula ; dum vini demonslraliitnis ignorata et prcBcipue cuni vidcant a dinersis , qui sapien- ts dicuntur 3 diversa doceri. Inlcr iniilla etiam vera quce deinonsinmlur inuniscetur aìiqxuindo faìsitm qtiod non dcjnonstratur, sed aliqua probabili , vel sopitisi ica ralione assf^riliir y quce inlerdum demonsl rafia repulatur. Perché adunque gli uomini arrivassero a conoscere Dio con una certezza immutabile e perfetta, fu assolutamente necessario che questa g^rande ed importante verità fosse loro insegnata per via di rivelazione e di fede: El idf^o oporiuit per riani fide! y fixa certiludine y ipsain veritalein de rebus diviniSj hoìn I n ibus e.ch iberi.

Fd ecco anparir chiaro il diseg^no amoroso di'lla divina clem 'nza ndl'aver voluto rivelarci e pro])orci a credere per via di f/d % non pure le verità divine, cui la ragione non po- trebbe mn giungere, ma qu. IK^ ancora che sono ovvie ed acc*'S:iibili alla ragione; perchè in queslo modo solamente tutti gli uomini, tanto solo che il vogliano, in pochissimo tempo e sjnza alcuno stento, o fatica, e s.'uza pericolo errore, e con una piena sicurezza possano partecipare alla cognizione di Dio e di tutte Ij verità che ne derivano; in una parola, d. Ila vera religione: Salubriler erijo divina providit chinenlia ul ea eliain (jnce rafia inresfiqare pafesf fide te- nen<fti prcecipercf, uf sic nM>ES ac de FA<a».i possenf <lirince coqtiifiitnis parlicipes fieri ef absqiie DUBlTATlo.>E et ERR RK. Secondo adunque questa argomentazione di S. Tomaso egualmente solida e bill i, il metodo del privato raziocinio e deir nnui\iziinte privata, è insuMciente per condurre gli uomini alla cognizione d.lle verità morali, anche le più sem- plici e le più ovvie alla ragione umana- non che di quelle che la superano . cioè alla cognizione d; Ila vera religione. Giacché é un metodo: 1." lungo, laborioso e diilicile (vix posi loinjuìu tempus perii nqeri'ul)','^. é particolare e privato, e praticabile solo da pochissimi (non nisi paucis); 3. é peri- coloso e soggetto ad errore {verilali plerunique falsitus ad-

LETTURA QUINTA ìl

mìxcefur)', 4.*' é vario e discorde, e perciò dubbioso ed in- certo {(I 'ilivcrsìs dirersa doceri. rerisaima deinonslrala in diihllah'one ììinnftrent).

Al contrario però, per S. Tomaso, l'insegnamento della vera fede deve essere; 1. facile e breve (de facili); 2.° uni- versale ed accessibile a tu ti (sic omnes): S.'^ sincero e ve- ridico (nlìsijuf^ errore); 4." in fine, certo e sicuro, e però co- stante ed uniforme (nbsfjue dubitalione, jixa cerliludiiie).

Or ecco l'ar^^^omenlo gravissimo che^, ad edificazione e conforto de' tigli defila cattolica Chiesa, a confusione de* suoi nemici imprendiamo ora a sviluppare, cioè che le quattro grandi ed importantissime quhlità teste indicate che costi tuiicono il vero insegnamento della religione nel solo insegnamento proprio della Chiesa cattolica si trovano mi- rabilmente riunite, e perciò che esso solamente é l'inse- gnamento legittimo della fede.

Abbiamo è vero nelle passate Le//ure accennata alcuna cosa di questo insegnamento divino: ora però dobbiamo occupar- cene di proposito: perché, come cattolici, dobbiamo a noi stessi di andarci sovente ritemperando nello spirito djlla vera fede; e dobbiamo a Dio considerare spesso con un cuore pio e riconoicente la grandezza e l' importanza del benefìcio che ci ha compartito nellaverci fatto nascere nella vera Chiesa, 1/ai'gomento é, più che non si pensa , utile, necessario ancora a tratlar^i nelle contrade cattoliche: perché anche in molti luoghi dell' Italia nostra la pntpfujaudd ereticale si studia, colla diiuisionc delle sue massime e dflle sue bibbie (e non senza successo presso gli uomini idioti, o leggeri ), di allontanare i fedeli dalla sommissione e dal- l' obbedienza della vera Chiesa e gittarli nei sentieri della più intemperante licenza di pensare e di vivere, o nell'as- soluta indiiferenza in materia di religione.

Poiché però troppo vasto si é questo argomento dell'in- segnamento divino della fede per potersi esaurire in una sola ìatlura, tratteremo ora solamente della sua fucilila e della sua univHrsiililù, e ci riserveremo a parlare della sua verilà e della sua cerf/^zza nella Irllura seguente: tenendo sempre dietro alla storia de' santi re .Magi, che, primizie in-

'i2 LETTI RV Oi'INTA

sieme e figura del popolo cristiano, nella maniera onde fu- rono da Gesù Cristo istruiti predissero la maniera onde un giorno saremmo stati istruiti anche noi.

Prendendo adunque a spiegare queste parola dell'Evan- gelista: « 1 lilafji fjiunsero in Gerusalemme dicendo: De- v'è il re de' Giudei che è ìtalo? poiché abbiamo vedala la sua stella e siamo remiti ad adorarlo. Quelli dissero: In Betlemme di Giuda; » vedremo nella presente lettura: I." che l'istruzione de' Alagi fu rapida e comune anche ai Giudei, perché non fu il frutto della inquisizione umana, ma della rivelazione divina; 2.'^ che. per la stessa ragione, nell'insegnamento della Chiesa cattolica si trovano altresì i vantaggi medesimi di essere, cioè, facile e comune a tutti, e però che questo insegnamento solo é legittimo e vero; '^.^ che come i Magi ebbero bisogno dell'autorità della si- nagoga , così ogni cristiano ha bisogno dell' autorità della Chiesa per ben conoscere la rivelazione divina contenuta nelle sacre Scritture; 4." che nelle sole missioni della Chiesa cattolica si rende facile ed accessibile agl'infedeli d'ogni specie la cognizione della vera religione. Aoi avremo perciò occasione di penetrare nel vero spirito dell'insegnamento cattolico, d'indicarne gli obblighi che impone, gli effetti am- mirabili che produce, e, colla varietà e l' importanza delle osservazioni che ci accaderà di fare, procurare al pio leg- gitore (osiamo sperarlo) nuovi motivi di cristiana edifica- zione e di santo diletto.

PARTE PRIMA.

ESPOSI7I(a%'E DEI. >:iSTIUO.

§ ir. - iSecessiià che avean gli uomini che la rivelazione divina fosse facile e pronta. La stella di Betlemme non fu un segno naturale , ma un prodigio celeste ^ scelto a bella posta da Dio per facilitare la rivelazione de' Magi. E proprio della divina bontà lo scegliere le vie più facili per farsi conoscere ed amare.

La verità secondo le idee evangeliche è per l'anima ciò che il cibo é pel corpo. Come il corpo senza cibo s'indebo- lisce e muore , così l' anima senza la verità travia . si de-

LETTURA QUIETA d3

prava, si corrompe, cade sotto il dominio de' sensi, e divien come morta nell'ordine spirituale. Perciò se Iddio non avesse dal bel principio manifestato esso stesso ai primi uomini la verità cibo dell'anima, ma avesse aspettato ch'essi la ritro- vassero a forza di studj e di raziocinj, e chi sa quando, e clii sa mai se avrebbero essi conosciuto Dio e la reli^iion primitiva? Chi sa che non sarebbero discesi sino ai bruti pei loro vizj pria di elevarsi colla lor fede sino a Dio? In quella guisa appunto onde , se Iddio non avesse loro indicato il cibo materiale per alimento necessario del corpo, ma avesse aspettato ch'essi indovinassero col tempo l'uso del cibo per sostenersi, sarebbero morti di estenuazione e di fame, prima di ritrovare il mezzo da conservarsi in vita.

Perciò dal primo istante rivelò loro l'amoroso Sig^nore le verità da credere per vivere la vita intellettuale, come indicò loro il cibo da mangiare per sostenere la vita corporea: Pì'ìb- cepit eis dicens: Ex omni ÌKjno paradisi comedile (Gen. 2).

Ora questa provvidenza amorosa del Dio creatore co'primi uomini , nostri padri secondo la natura , il Dio redentore l'ha rinnovata colle primizie del popolo cristiano, co*3Iagi, nostri padri secondo la fede.

Non aspetta egli che questi primi gentili giungessero per via di studio e di raziocinio a conoscer colui che è la verità' e la vita; ma per via di rivelazione si manifestò loro come vi(a e come verilà , e di ogni verità gì' istruì , e li colmò d'ogni grazia onde aver vita. Sicché il vero figliuolo della luce, nel momento stesso in cui nacque, fece risplendere agli occhi degli uomini, che era venuto a redimere, la luce della sua grazia, e fece del giorno stesso del suo nascimento un giorno di rivelazione e di luce : Hodie yraliam liicis , in die luciSj filiiis lucis irradiai (S. Leo, de Epiph.).

Imperocché ecco brillar tutt'ad un tratto nell'alto dei cieli una stella: non però, dice eloquentemente S. Pier Cri- sologo, non però spontanea, ma comandata: non in forza della nota legge degli astri, ma in forza della legge scono- sciuta de' prodigi; non per un fenomeno del cielo, ma per virtù di colui che di recente è nato; non per effetto di ar- tifìcj di una potenza cn^ata, ma per volere di Dio: ed i 3{agi

1

I^ LETTLRl QUATA

la discoprono e la riconoscono non già coll'ajuto della scienza dell'astrologo, ma in forza della fede loro infusa dal Creatore; non coi calcoli dell'aritmetica, ma per ispirazione divina : non colla curiosità propria de'Caldei, ma colla grazia superna che si agii umili ; non per la perizia dell'arte magica, ma per la cognizione dell'antica profezia fatta al popolo giudeo: Jjjpdruil slella non voknSj sed jus.ui ; non h-fje si.krum, ned novìtote siynorum : non cceli cUìnate . sed cirlute nO" scenlis j non ab arte, sed a Dcoj non asfrolayi scientia, sed p*'(Escienlia condì t or is ^ non arilhmetica rat io ne , sed sanctione divina: superna procuratione, non ciiriositate cai' dcea; non arte ma(}icaj sedjudaica prophelia (Serm.l Epiph.). E questa stella, soggiunge ancora lo stesso Padre contro gli eretici priscillianisti , questa stella é detta « la stella Gesù Cristo» non già perchè ne ha regolata la nascita, ma perchè Gesù Cristo ne è l'autore; non già perchè ne indica il fato, ma perchè ne adempie il comandamento: non già perchè leggi alla sua volontà, ma perchè serve d' insegna alla sua gloria ; non perchè traccia le serie dei suoi giorni, ma perchè serve a spargere la sua luce divina sulla notte degli uomini; non perchè a luì la vita, ma perchè indica a'Vagi la via di andare da lui ; non perchè comanda al padrone del tutto, ma perchè come umile an- cella serve a coloro che lo servono : SlcHa f'jns, cnjus or- ium tenebal auctor. non qua; ortuni tencbat auctoris ; ve- nientem mandalo, non fato. Slellam non leyiferaìn, sed si- gniferam; ferenteni non dìerum ordinem, sud noctium lu' raen. Stella hac ministra via', non vitw : non doniinantis domina, sed ancilla srrvulorum (Semi. 2 Epiph.).

Ma perchè mai Gesù Cristo, per rivelarsi a'.Uagi, ha vo- luto servirsi del ministero di una stella ? Primieramente . dice il citato santo Dottore, perchè i Magi professavano l'a- strologia, scienza vana, supcrslizìosi ed assurda , che pre- tende di congetturare e decidere dal corso dAh^ stelle i de- stini e gli avvenimenti umani. Pvivi-landosi adunque loro il Signore per mezzo di una stella . converti p^-r loro in un mezzo di fede e di salute la stessa scienza che era stata per loro materia di errore , di empietà e di morte , come

LLTTLRA QIIMA 15

più tarili ha fallo sci-vire lo stesso delitto coniniesso dai Giudei nel farlo morire per dare agli uoiiiini la vita; poi- ché é prova di j^ran potenza il ^iifarsi di un nemico colla stessa sua spada. Quure sltilln ? al p-r Christuiii if/sa imi' li'rid tirroris a/c (icrcl sdlulis occnsio fpif'inadnujiìuni per Chrnluin inarlls causa, causa facla esl cilcc. Hoslein pro- prio mucrone turbare, .sinyulare e! ///.v/V;//p vlrtulis (ibid.).

In secondo luo^^o. Gesù Tristo scelse nel rivelarsi a' t a^i la strila per facilitare loro questa stessa rivelazione divina. Poiché, ess. 'ndo ^ssi astrologi, o conteniplalori d.lle strile, qual mezzo più adatto p.r attirarli a quanto il prodigio di una stela, cioè un prodigio nell'ordine delle cose che loro erano più familiaii? Servissi dunque della stella ptr la conversione de' Ma^^i, dice Teo lato, per la stessa rajone orde poscia rii-mp' di slu-ìore ed aitilo alla ^uu s: qu la l'ietro eoi prodigio dv-lhi nìolliplicazione de'pesei,i:iu^ta per- ché ' ietro era pescatore: Quun'unn Ma'ji eraul aslrol (ji , fantiliari eos iJ.ìiitìuus sijno aildujcil sicul P> Iruui plsca- torfììì n mulìliutllne pìscia m ad Clì rislum vena'us esl rf sluprscre fedi (in 2 Matth.j.

la stessa osservazione fa S. •'"iovanni Crisostomo: se, in- vece d Ha stella. Dio aves-se inviato ai Vagì un profeta, uo- mini scienziati e goni com'erano d.lla propria scienza non gli avrebbero dato ascolto: ìSnine upinluil prupihla.s mini piliiis? sed fìf -ua-i'idn il > /is prap/n^lis cr-didissf'n'. Se invece avesse loro fatto udire una voce del ciclo, non se ne sarebbero curati ^-ran fatto: -ini rocr alijua d.-sufifr iu- san 're? ut. hmir qui l » I mhtp -rr curassenl Se in 'neavesse loro sp. dito un angiolo, come fece ai pastori, forse anche questo mezzo avrebbero trascura'o: Ani Anij lum mitfere? /•rum /lune (juoquf' forsilmi pnèh-riissi'ìiL Perciò, trala- sciati tutti questi mezzi, scelse quello d^lla stella per illu- minare uomiiìi usi a contemplare il cielo: e nella scelta di questo prodigio diede un segno delieconomia maravigliosa della su:\ misericordia, ond per s'.lvar l'uomo, incomincia in certo modo d.J condiàcendjrgli: l'roplerea inilur, oinnia ÌIUJUSUIO..Ì derfilin jui-ns, ptr ea illos vocal (juce familiaria eis coìisueludu faciebal y inira quadain dispensuliuiie pie-

16 LETTURA QtirstA

iafis ad hominum saìulem condescendens (Homìl. 6 in Matth.). Oh industrie amorose del Dio di bontà per attirare gli uomini alla sua cognizione ed al suo amore! li pastori di Betlemme si manifesta per mezzo di un angiolo, perchè, il- letterati ed incolti, non potevano essere istruiti se non ner mezzo della palmola parìa la. Ai dotti di Gerusalemme, av- vezzi alla lettura de' Libri Santi, si rivelò, come più tardi vc- drassi, per l'oracolo di 3Hchea, ossia per mezzo della parola scrina. Ai i\fagi infine, occupati dello studio dei segni del zodiaco, si scoprì per mezzo del segno di una stella, ossia per la parola significata. Così la divina bontà prende sem- pre le vie più facili, le più naturali, le più ovvie per farsi conoscere, e discende alle miserie, ai gusti di ugnuno per istruirci. Perciò, dice S. Agostino, la divina grazia si chiama limili forme da S. Pietro, che tale l'avea esso stesso sperimen- tata: MìiUiformis gralia Dei (I Petr. 4), ciò è a dire che essa spiega attrattive diverse secondo le diverse inclinazioni cui l'uomo è più soggetto; s'insinua nel cuore per la parte onde esso è più accessibile: gli parla il suo linguaggio; gli si pre- senta sotto aspetto capace di far sopra di lui maggiore im- pressione; incomincia dal cedergli e finisce col trionfarne, e divenirne padrona: Mulliformis gralia Dei.... J'ocat quO' modo scit cougruere.

§ III. - / Magi furono islrniti da Gesù Cristo a cercare Gesù Cristo. Meravigliosa facilità e chiarezza ende per questa via conobbero i più grandi misteri. Prove che la loro cognizione j più che della scienza umana, fu r ef- fetto della rivelazione divina e dell'umiltà con cui vi si disposero. Tenero e sublime discorso di Gesù Cristo sullo spirilo della fede cristiana.

rVon contentossi però Iddio di fare risplendere agli occhi de' Magi un prodigio capace di attirare tutfa la loro atten- zione, ma concedette loro la grazia della fede, rivelando alle loro menti il mistero di questo prodigio, che la stella non avea potuto loro che confusamente indicare. E fu in forza di questa rivelazione che poterono nella stella leggere, come in un libro, la nascita del Messia e se ne niiseio in traccia:

LETTURA QUIETA 17

Jlia ìiìminnn est rereìalione indicatum qttod luce side- vis tacite sìynifìcahdtur. Christum in stella qucerebantj quem dirina inspiralione sicjìiifìcari intcUicjebant (S. Aiig-., Ser. I. lib. 27 lloriiil.). E perciò ancora si dice che i Magi vennero dall'Oriente, perchè di già il sole di giustizia nato di recente, li avea della sua luce illuminati: Quare ab Orien- te? Quia jani sol justitice eoruni mentes illustraverat (Eus. Emiss, in 2 3Iatth ). E S. Pier Crisologo dice pure: i 3Iagi dall'Oriente vengono all'Oriente, da Gesù Cristo che li chia- ma a Gesù Cristo che gli accoglie. E quando mai poteva ri- solversi a cercare Dio un mago, se non era prevenuto dal comando di Dio.^ Quando mai. senza che Dio stesso si fosse dal cielo rivelato, avrebbe potuto l'astrologo indovinare il re del cielo? E quando mai, senza soccorso di Dio, il Caldeo avrebbe potuto risolversi ad adorare in terra un Dio solo, ^'gli che era avvezzo a riconoscere ed adorare altrettanti dèi quante vi sono stelle nei cieli: Jb Oriente ad Orientem vc- niunt Magi, ut susciperet venientes ipse qui jusserat ut venirent. Quando eniin Deuni magus, nisi Deo jubcnte, perquireret? Quando regem cceli^ nisi revelante Deo, astro- lofjus invenissel? Quando unum Deum^ sine Deo Chahkeus adoraret in terra^ qui in cceìo diis totidem^ qvot sideribus^ serriebal? (Ser. Ì56.)

I^'é è dire che essi furono istruiti quando giunsero alla grotta fortunata di Betlemme: giacché prima d'arrivarvi essi conoscevano di già chiaramente che il bambino di cui la stella avea loro annunziato il nascimento era uomo, era Dio e re dei Giudei, ovvero Alessia e Salvatore del mondo. One- sta lor fede si deduce da questo loro discorso : « Dov'è il re dei Giudei che testé è nato di certo? poiché ne abbiam ve- duto la stella, siamo venuti ad adorarlo;» parole che, come si è di sopra notato (Lett. Ili, § 5), significano chiaramente che essi nel nato pargoletto riconoscevano un uomo, un ])io e un re. Lo stesso diedero ancora a conoscere coi donativi che arrecarono; giacché, dice S. Fulgenzio, i donativi della loro mano sono una bella confessione della fede dei loro cuori: Attende quid obtulerintj et aqnosce quid crediderint (in fest. Epiph.).

18 LE ITU 111 OLIATA

E di fatti che rucarono essi mai? Oro, incenso e mirra; e nell'oro lo confessarono re, nell'incenso Iddio, nella mirra uomo passibile e mortai •. Ed ois.rviamo che questi donativi non li comj)rarono essi ^jià in Betlemme, ma seco li porta- rono dair.irahia: Rj^a ÀriiÒAin djtiu aJluceni, D- Sbu Vf-nitni, (lur.un >l lima lUpirrtU-s. Perciò, dice S. Leone, bi- sogna cred.Te che una viva fede, una sincera pietà prece- dette alle disposizioni del loi*o viax^io, menare si provvidero di tali donalivi, che fanno conoscere die essi /\à credevano e conoscevano tre grandi qualità n.'lla stessa ed unica persona che andavano ad adorare: Ojlcuim suum cum rchji.jtie dìspjuunl; al his an lìi^lruunt dui.i-j ni, <id<H aitiri intimi^ trid sa siiiiiti crudhlìsaii il,jni()Hòtr<:iii (^erni. 3 i^plph.).

Or co.ne mai, prosie^ue a dire ^^ J.eono, qu.sli j^entilì, senza avere ancora veduto uesù tristo, sonza aver |)Oiuio imparare ancora dalla di lui vista e dalla conversa ione con lui il culto le^ìittimo e sinc ro che gli si deve, poterono in- dovinare, pria di partire dalla loro pa'ria, la scelta di si atti doni misteriosi di cui si pi'ovvidero? Se non perehè, oltre la stella miracolosa che balenò ai loro oeciii cor;)orei, una st Ha ancora più risplendente, la stella d.lla f. de, sfolgorò nei loro cuori: sicché prima ancora di mettersi in viaggio, conobbero di già chi era colui che loro era stato da ila stella indicato, cioè un personaggio tale cui si doveva coll'omag- gio d 1 cuore e dpjl.i lingua qu'lio an-ora delle opere, e che dovea essere onoralo colToro come re, adoralo come Dio coU'incen^o e colla mirra confessato mortale: Uni':: enim ii v>ri cum jjrollciscr rC'ilnr da fxilridj (jiii noiulnm vidtrdiit Jcsuui , ììcc alijuo canluilu ejns , (juinl fitm lam ordinalo vanerarcutìtr , (idcet IrrnnI , /itine d-feniìidonun miinurum s:rv(i»Kre ralionani? Nisi (juia, prci'lar illdìii alellce spacmni quce corpoream incilduil ohlulum , faUjanlioi' vritulis ra- dius eoriifii curii pardacnil: ut j j)rins (jinnn laboras ili- w/'/v inchnarr'.nt j euui .siguari sihi inle'licji'i'ent , cui in auro ri'jjìus Ihinnr^ in Unire dirina vancr ìIìk in ìinjrrha mirldliidfis c()>ifs.sid de'ff^riil ir (>^erm. 4 Epiph.).

S. alassimo dice esso pure: non fu a caso, o per una id<'a venuta naturalmente loro ai pensiero che i Magi scelsero sif-

tatti doni da ol^rire al nato Messia, ma per una segreta ispi- ra-i-ine d ir onnipotente Dio. La stessa luce adunque che rivelò loro (^esii Cristo, scopri loro il modo di adorarlo: liane atitein nflmi C/hi^tn ({(niarid nnit ^l(i(i(tnnn nrhihi.ntt fuily sed inspir/illi) 0 nnlpolenlis chujil (Ilomil. 5 Kpiiih.).

Oh mirabile e.Ticacia, esclama perciò S. Leone, oh mirabile efficacia d.-l magistero della f .de per illuminar l'uomo nella scienza d Ila salute! Oh stupenda facilità con cui s'impara quando, come in questa circostanza, non é l'umana sapienza che cerca, ma è lo Spirito Santo che istruisce: O parp^cke scienlice mirabihni futcìn, (junni non U'i'rejui saiì-nlia f^iU' divìl y sed SpiritHS Sanctus inslihiil ( Serm. I Epiph. ) Ecco i Magi, per questa rivelazione, in pochissimi istanti e senza slento o fatica ammaestrati n.'lle verità più importanti. e disi gran lun/a superiori alla ragione umana! Eccoli co- noscere il Dio Padre ed il Figliuolo da esso inviato, (k^sù Cristo; e questo Gesù Cristo conoscerlo Dio, uomo e reden- tore degli uomini, che bisogna adorare e s-rvire, cred rne i misteri e praticarne le leggi: e che queste leggi riduconsì ad esser pio con Dio, giusto col prossimo, pudico e casto con medesimo: quanto dire, conoscere in compendio in pochi istanti il simbolo, il decalogo, la regola del credere e quella del vivere cristiano, in una parola tutto il cristianesimo. Eccoli ancora che riconoscono i loro errori e li a' jurano, ì loro vizii e li corr'ggono. i dcmimi della fede e li credono, le pratiche e i sacri'ìcii che impone e li compiono: :\(//«.5 est rf^x Jiidneorum. f'idiniis et vnninins.

Ed afTinchè non potesse dirsi che i Magi, perchè appunto erano sapienti, più facilmente compresero e più prontamente accolsero questa rivelazione divina; perchè non potesse dirsi che la perfetta intelligenza che essi mostrarono di avere di grandi mi ieri sia stata l'eOfetto della coltura del loro ingegno, d Ha forza d i loro raziocinii e dell'ampiezza delle loro cognizioni, e eh * la scienza umana in cui eran si grandi fosse stata per loro del m 'nomo vantaggio per meglio pro- fittare a questa senili divina. Gesù Cristo prima de'Magi, si era rivelato ai pastori, i quali, benché rozzi, ignoranti, in- colti, avoan di frìà conosciuto gli stessi misteri colla stessa

^0 LETTURA OUIINTA

chiarezza e colla stessa prontezza de' Magi, che pure eran dotti e filosofi. I pastori li conobbero per mezzo dell'An- giolo, i Mag-i per mezzo della stella; ma per vie diverse lo stesso Dio, dice S. Agostino, fu il maestro che gì' istruì: UH J rigeli y islis antem stella nuriciavit ; ulrique de ccbIo didicerunt.

INon cessa perciò questo Padre d'insistere sull'umiltà onde i Magi piacquero a ])io, e ne ottennero le benedizioni della fede. Se i pastori, dice, furono i primi a credere, i Magi però ebbero un maggior merito dell'essersi umiliati: In illis cjra- tia priory in islis humililas amplior (Serm. 6i de divers.). Forse i pastori, come anime semplici, e perciò men colpevoli e rei. provarono una gioja più grande per la nascita del Sal- vatore: i Magi però, come astrologi e pagani, e perciò gra- vati di molti errori e di molti vizj, si abbassarono di più nel chiedere a Dio misericordia: Fo riasse pasloves, miniis rei, de salute alacrius exultabantj Ma(ji aulem, mullis peccatis onerali y siibmissìiis indiihjenliam reqiiirebant. Questa è, soggiunge ancora S. Agostino, quella preziosa umiltà che le sacre Scritture cotanto esaltano e dicono che si è trovata più grande e più bella presso i gentili che presso i Giudei: Hoìc est aia hiimililas quam plus in iis qui ex gentibus erantj quam in Judwis dioina Scriptura commendai. Impercioc- ché, gentile era di religione e di nascita quel buon centurione il quale si chiamava indegno di ricevere Gesù Cristo nella propria casa, quando per la sua gran fede, per la sua grande umiltà e pel suo grande amore, lo aveva di già accolto nel proprio cuore , e del quale perciò disse il signore : « Non lio ancora ritrovala una fede più grande e più perfetta in Israello: Ex genlibus erat ille cenlurio, qui cum Dominum loto pectore suscepisset , se tamen dixit indignum ut in domum ejns intraretj de quo Dominus inquii: Non invi;ni tanlam fidem in Israel. » Finalmente, gentile era pur essa quella Cananea che essendosi sentita, come per disprezzo, chiamare cagna e dichiarare indegna di ricevere il pane dei miracoli destinato solo a' figliuoli, solln pazientemente l'af- fronto e. nulla scoraggiata da si dura ripulsa, si die cosi a ]>regare: « Si, o Signore, voi dite il vero: io sono una cagno-

LETTVRA oriNTA 21

lina; ma non sapete che i cagnolini mangiano pur essi delle bricciole che cadono dalla mensa de' loro padroni? Un qual- che bocconcino adunque, una bi'iccioletta di pane vi sarà anche per me. « Kd appunto perchè si confessò umilmente cagna, cessò di esserlo e divenne llgliuola: poiché udì fiìrsi dalla bocca stessa di Gesù ("risto questo beli" encomio: « 0 donna, la tua fede è veramente grande. » Oh bell'umiltà onde la Cananea, perché si fece piccola nel merito, divenne grande nella fede! Illa etiani Chananiea ex (jentibus erat: qiice cum se (indir issel canein vocari^ et cui panis fiUonnn mi!- tr-rehir 'unìignam, micas tamquam canis elegil ^ et ideo non esse meruitj quia quod fuerat non negavitj nani audivit a Domino: Magna est fides tua. Humilitas in ea fecerai fidein magnam , quia se ipsani fecerat parvani (ibid.).

?Son fu adunque l'istruzione de'Magi il frutto deìla loro scienza, ma della loro umiltà; non delle loro speculazioni, ma delle loro orazioni: giacché appena ebbero essi veduto il fenomeno della stella, noa ne cliicsero la spiegazione alla ra- gione umana, ma alla luce divina; non s'innalzarono al di sopra degli altri, come filosoiì, ma si abbassarono cogli altri come ignoranti; non incominciarono a discutere, ma a pre- gare; e il Dio di bontà che nulla ricusa all'umile preghiera, e che mai non si niega, mai non si nasconde all'uomo che sinceramente lo cerca, come pel prodigio della stella erasi manifestato ai loro occhi, così, dice S. Bernardo, andò in- contro e si rivelò in segreto al loro cuore, impaziente di conoscerlo per mezzo della grazia della fede; e la stessa mi- sericordia che li chiamò fu ancora la loro guida, la loro maestra: Qui illos addujcit, illos et instnijcit; qui per stel- lani foris adinonuif, ipse in occulto cordis edocuit (Serm. i Fpiph.). Così questi uomini fortunati non co' raziocinj, ma colla sommissione della mente; non colla presunzione, ma colla docilità del cuore; non colle dispute, ma colle preci della lingua, impararono assai più in un istante alla scuola della divina rivelazione di quello che in tutto il corso della loro vita aveano imparato alle scuole dell'umana iilosofia; divennero più dotti per la loro fede di quello che lo erano divenuti già pe' loro studj; divennero assai più magi, che

22 LETTURA QUiMA

vuol dir sapienti: giacché conolibero ^esìi Cristo, che è allo stesso tempo la virtù e la sapienza di Dio, D^'i inrius el Dei snijìentìa. La sapienza di Dio, in cui é riposta la vita eterna, la sapienza sola vera, sola pura, sola necessaria, sola santa, sola perfetta; la sapienza che sola, mentre c'istruisce, ci ri- forma; mentre ci ammaestra, ci santi ìca; mentre ci correg-ge, ci consola: mentre ciHiimina, c'infiamma; mentre ci guida, ci corona: la sapienza in somma che sola fa veramente ricco e felice chi Li possìi^d.'; e perciò S. Paolo protestava di non volerne conoscere, di non volerne professare alcun' altra: ISon .arbilralus suìii me scire aHjiiil nini Jisiitn Cluìstum

IVulla osta adunque che l'uomo sia incollo e ignorante come i pastori; poiché nulla giova l'essre, come i ìMagi, coLo ed illuminato. 4nzi siccome gli uomini del volgo ci ve- dono meglio, sebbene non sappiano la fìsica della luce; così gl'idioti credono meglio, sebbene non sappiano la teologia de' cristiani misleri. \\ lungi dall'essere l'ignoranza un osta- colo, e la profana sapienza un vantaggio alla scuola della vera fede, S. Paolo dichiara che i dotti non possono profit- tarvi, se non discend.ndo per umiltà allo stato di apparente stoltezza in cui gl'ignoranti si trovano per condizione: Si quis .sdjniiis iiili'r lOSj shilhis fini , ul sii sapitna (I (or. 3).

La sapienza divina non comincia a brillare nella mente se non quando si é rinunziato all'umana. Dove cessa la ragione di discutere, incomincia la fede ad illuminare, la grazia co- mincia dov'è spento l'orgoglio; e quando l'uomo si è vuo- tato di stesso, incomincia ad essere riempito di Ila sapienza di Dio 1 iMagi per condizione erano monarchi, per profes- sione filoso^, per sapere umano maestri: pure alla grotta, nella cognizione d 'misteri di Gesù Cristo, furono prevenuti da uomini per condizione plebei, per professione pastori, per sapere ignoranti. K se vi giungono ancor essi i .Vlagi, ciò ac- cade perché, rinunziando per umiltà a ciò che erano, disce- sero alla sem])liciUi di pastori; batterono la stessa strada e si accomunarono e si confusero con loro nell' adorare il Sal- vatore del mondo: cioè a dire che, prevenendo il grande insegnamento di S. Paolo, col farsi stolti coi pastori, di- vennero come essi sapienti nella scienza dell'eterna salute: Sliilti facli sani ni fiercnt sapiantes.

Ll.TTL'I'.A «JLIMA 2u

Ma taccia il discepolo ove ha parlato il maestro. Gesù Tri- sto stesso ha dimostrato che tutta la sua predilezione amo- rosa è per li piccoli, avendo detto a^'^li Apostoli: « Lasciate che i piccolini si avvicinino a me: perchè ad essi appartiene il regno de' cieli: Sìniln pnrvulos vtiìiie od me; fiilium est enim reynuiiì ccelorum {Yianh. \9). Non già che i soli fan- ciulli possano conoscere Gesù Cristo e salvarsi, ma che alla sua sequela bisog^na che il grande divenga piccolo; il dotto ignorante: Io scaltro semplice; l'adulto fanciullo: ossia al fanciullo si rassomigli per l'ingenuo candore nel credere, per r innocenza nell' operare.

Anzi, al modo come Hesù Cristo medesimo ha parlato del suo celste insegnamento, pare che i semplici, gl'ignoranti, i fanciulli, gl'idioti, come i pastori, vi siano meglio disposti, e vi a!)biano un diritto particolare; ed al contrario i dotti e 1 sapienti, come i Magi, vi sieno meno adatti. Imperciocché levando egli un giorno i suoi occhi divini verso del ( ielo, fu udilo esprimersi cos- : « Anche a questo segno io .i rico- nosco Padre mio. e vi confesso padre degli uomini e Si- gnore del ciclo e d.'lla terra, perchè avete nascosto i vostri misteri ai sapienti, ai saggi, oracoli del mondo, e li avete scoperti ai piccoli, agl'idioti che il mondo ignora e non cura: Confiteor l'ibi , Pah-r, Domine cceli et lence. quid iihscon' disfi lìCBC n s<ti>ienlihu<f fi pnidenlihus , et r^relasfi eo pur- t"/*//.v (Matlh. il) Sì, o Padre, poiché è a voi piaciuto di dis- porre la vostra rivelazione cos», così sia sempre, e cosi sem- pre sarà: //a, Pnler , (fiioniam .sic fini jjlarilum ante le (ibid.) » E quindi, dal cielo riportando in t('rra. e da Dio rivolgendo agli uomini il suo sguardo amoroso e la voce d Ha sua bontà, sog^iuns^: o [| mio Tadre celeste mi ha dato tutto in potere. Colla sua natura partecipo alla sua sapienza, di modo che come il Figliuolo non è conosciuto che da que- sto Padre divino, cosi ques'o divin Padre è conosciuto solo dal Fi^riiuolo, e da coloro solamente a' quali il Figliuolo vorrà rivelarlo: O.nui ì inilii Inidila su ni a Pnire meo: et n^mo novit Filinm ni.\i Poler, ne'iue Palrnn qiu's ìiovìI ìiìsì FI' tiiSj et rni rolneril Filins rerelore (ibid.). Or che voglio ben io fare questa rivelazione preziosa a tutti. Venite dun-

2'l LETTURV OriNTA

que da me, tutti voi poverini particolarmente che con tanti ■e si inutili stenti cercate la verità lungi da colui che solo può manifestarvela. e che gemete sotto il peso di tante su- perstizioni e di tanti errori; poiché la mia dottrina., illumi- nando la vostra mente, ristorerà altresì il vostro cuore: Fé» lìild ad me, omnes qui laboralis el onerali estis, et ego ?'e- ftciam vos (ibid.). Sottomettete il vostro intelletto al giogo della mia fede, e la vostra volontà al peso della mìa legge: soltoponetevici colla mansuetudine di spirito. coU'umiltà di cuore, di cui non solo vi do la lezione, ma ancora l'esempio: e la vostra mente, non meno che il cuor vostro, alla mia scuola ed alla mia sequela troverà in me e con me quel ri- poso e quella pace che lungi da me si cerca invano; ed una esperienza felice vi convincerà che soavissimo è il giogo al quale v'invito, e leggerissimo il peso che voglio imporvi: Tol- lite jugum metim super vos et discile a me quia mitis sum et humilis corde j el invenietis requiem animabus vestris. Jugum enim meum suore est, et onus meum leve (ibid.). Oh dottrina! oh parole! quando mai erasi udita da bocca d'uomo uscire una sublime dottrina? Quando mai da umane labbra discesero parole di tanta soavità, di tanta dol- cezza, di tanta bontà? Voi avevate ben rasione, o turbe di- vote quando, rapite in estasi di stupore ineifabile, di celeste incanto, all'ascoltare cotai discorsi, esclamavate: «nessun uomo ha mai parlato così : ^unquam sic loculus est homo (Joan. 7). » E qual meraviglia di ciò se quegli è il sol uomo che allo stesso tempo è Dio? Voi fortunati che il vedeste e l'udiste parlare così. iMa più fortunati slam noi, che, senza averlo veduto, crediamo eh' egli così parla ancora a noi pure per la sua Chiesa: Beali qui non viderunt et crediderunl !

§ IV. - La facilità con cui furono istruiti i Magi, figura della facililà con cui sarebbero istruiti i crisi ioni docili all' insegnaìiiento della fede. La sapienza profana di- manda lunghi studj ; pochi istanti bastano all'anima umile per profittare della sapienza divina. Istoria del ministro della regina Candace.

Ma ricordiamo anche qui quello che più volte si è di già notalo nel corso di quest'opera: cioè che Gesù Cristo, come

LLTTL'RA (JLIMA 25

osserva S. Ambrogio. iicU'essersi. nella maniera che abbiamo esposta, rivelato a' Magi, non ebbe solo in mira i presenti, ma noi tutti ancora che saremmo a lui venuti dopo di loro; e se essi ci hanno preceduto nel tempo, non sono però a noi superiori nell'abbondanza de'prodigi ricevuti: Christus non islis tantum operatus est. (juos habebat tunc prwsentesj sed et nobis postea seqiiutuiis : ut Hcet major es nostri teni' pore nos prcecederent, tamen siijnoriuìi gralia non prcei' rrnt (Semi. oj. O'iPsta rivelazione miracolosa e pronta fatta a'.Magi non è dunque registrata solo a gloria della loro fede, ma a gloria ancora della nostra, che dalla loro non è disso- migliante: Qiiod factum non ideo tantum scriptum est nt illorum fidei glorice monslraretur : sed et propter nos qui eodem decoli jnis oenipìo . creduìilatis gloria prorocamur (ibid.). Kd il dotto Aimone dice pure: nel ]>rodigìo della stella che illumina i 3Iagi è tracciato anticipatamente il ])rodigio della grazia della fede che previene gli nomini e. istruitili colla stessa facilità e colla stessa prontezza, li conduce ai piedi di Gesù Cristo: Stella isla significat (jratictm Dei, (juce pra'venit liomines et a se iìluininatos perducil ad Christum (in 2 Matth.). Poiché, ecco indicatoci come in fi- gura il primo carattere, il primo vantaggio dell'insegna- mento della vera fede: l'essere cioè a tutti facile e pronto. Siccome esso, a somiglianza del Dio salvatore da cui emana, non parla e non }>roL'ede per >ia di argomenti, ma di au- torità. Quasi poleslatcìii ìiabens (.Marc. 1 ); siccome non disputa, ma comanda: e, confidato ad uomini che non pos- sono alterarlo, dice a nome del Dio che ne è l'autore: Così È. credete: fides ex audilu: così non ricerca grande eleva- zione di mente, ma grande docilità di cuore; pochi istanti gli bastano per illuminare l'anima fedele ed istruirla d'ogni verità. A rigore basta conoscere ed intendere bene il sim- bolo degli Apostoli e volerlo credere: i sacramenti e vo- lerli ricevere; il decalogo e volerlo praticare, per essere subito ammesso al Battesimo ed entrare a jiarte della ricca eredità della dottrina e della grazia di Gesù Cristo. Ed il conoscere e l'imparar queste cose. ])er mezzo del ministero della Chiesa che ne ha il 'J 'posito, é l' affare di pochi giorni

■26 LETTURA QLI>TA

e spesso ancora pochi istanti, anche per la età più tene- ra, pel sesso più debole, per la condizione più povera, per la mente più rozza e la più ignorante.

E questa é la ragione onde, come si é altrove notato (Lett. Ili, § 6). r insegnamento della fede è sempre nelle Scrit- ture rappresentato sotto il simbolo della luce; per indicar- cisi cioè che il benefizio della fede, luce delle anime, si può godere, come si gode il benefizio della luce materiale e cor- porea, colla più grande facilità, senza indugio, senza studio e senza stento. Anzi siccome il naturalista, il quale si sforza d'intendere il mistero e i fenomeni djlla luce, l'unico van- taggio che trae dai suoi lunghi studj è quello di poterne discorrere, ma non già di poterci meglio vedere; e siccome, al contrario, se, a forza di studiare e di leggere, s'indebo- lisce^'organo della vista, con tutta la sua scienza ci vedrà anzi meno dell'uomo ignorante; cosi il teologo, che passa la sua vita a penetrare i misteri dell'ordine soprannaturale, altro vantaggio non ricava dalle sue profonde applicazioni che quello di poter meglio parlare della vera religione, di poterla meglio spiegare e difendere, ma non già quello di crederne di più di ciò che ne crede il semplice fedele. E se anzi, a forza di ragionare e di discutere si compiace di stesso, si gonfia e contrae il vizio dell'orgoglio nella sua mente, che è. dirò cosi, l'organo della fede, crederà anzi di meno, secondo l'osservazione di Lattanzio, che dice che spesso gli uomini di lettere quanto hanno maggiore coltura d'ingegno, tanto hanno minor fede nel cuore, o almeno cre- dono con minor semplicità, o con minor perfezione: Honii- nts lilterali miniis crtduiit.

Ascoltiamo ancora le ammirabili parole di S. Leone, che dice: per giungere alla più grande altezza della sapienza cri- stiana non si ricerca l'eloquenza del dire, la perizia del disputare, la smania di acquistar gloria e nome, ma quella sincera e volontaria umiltà di spirito e di cuore di cui Gesù Cristo, dal seno della sua madre sino al patibolo della croce, non cessò mai di darci le lezioni e l'esempio: Tota chrisliatKB s(tpieìiti(B disciplina non in ahiinilaniia oerbi^ non in astulia disputandij nctjue in appMu laudis

LETTURA QUliNTA 27

rt (jìorlce, sed in cera et volunlarin humilHale consisiit ^ qtiam Dominns Jusus, ab utero malris usque ad suppllcimn crucis . ftt elf()il et docuit. Gesù Cristo ama la scinplicità dell'intanzia, e perciò nacque pria di tutto bambino non solo di corpo, ma ancora di cuore Gesù Cristo dell'infanzia si delizia, poiché essa è la redola dell'innocenza, il modello della mansuetudine e la maestra deirumillà. E perciò S. Paolo diceva: procurate di divenire fanciulli, non già per la pic- colezza delle membra, ma per la semplicità dell'anima: Amai Chiiòlus infaììtiam , (juain pt iuium òuòcey>// et annuo et corde. Amai Chrislus infantiamo humilitaìis ma(jistram, innocenlice reijuìaìu , mansuttuilinis fonnain. Rine Paulus: D'olitfij inquit , pueri efjìci seuòibus j sed maliiia pannili eslot H (Serni. 7 Épiph.).

Perciò, ripetiamolo pure, giacché non si potrà mai ab- bastanza ripetere: la scienza umana, lun^i dall'essere un requisito necessario per partecipare alla luce divina della fede, è sovente ancora un ostacolo, che bisogna togliere, un vantaggio cui bisogna rinunziare, callìjando tulio l iiiel- ìello in osse(jUÌo dtlla fede: come sull'esempio de' Magi, di- scesi sino alla semplicità de' pastori, han praticato i Padri della chiesa: i Dionigi, i Cipriani. gl'lrenei, gl'ilari,, ì Ba- sii], i Gregorj, gli Ambrogi, i Girolami, CU Agostini, i Cri- sostomi, ì J.eoni, i Tomasi: i più grandi ingegni senza dub- bio che abbia veduti la terra, e che nella perfezione del cre- dere si sono abbassati sino alla semplicità de'fanciull. ; e che, grandi pel prodigio della loro sapienza, sono divenuti più grandi pel prodigio della lor fede. Deh! che alla scuola di Gesù Cristo l'anima avanza coli' arrestarsi alla cognizione della propria miseria; intende col pregare, s'innalza coli' ab- bassarsi, s'ingrandisce coli' impiccolirsi, studia senza leg- gere, s'istruisce senza discutere, prolitta senza disputare, ed impara tanto di più, quanto è più umile: e tanto più presto, quanto è più obbediente.

Abbiamo di ciò ancora un bellissimo e consolantissimo esempio negli Atti apostolici. Quanti anni erano che quel buon Etioje, ministro della real casa della regina Candace, si andava stemperando il cervello per intendere le promesse

28 LLTTLRA C»Ul>TA

e le profezie coiUenule ne'Librì Santi? INon era egli Giudeo^ ma pro^^elite, cioè di quei gentili che riconoscevano Tiinico e vero Dio de'Giudei: e però ogni anno veniva dal fondo dell'Etiopia a Gerusalemme per farvi nel tempio la sua ado- razione. Non era un povero^ o uno sfaccendato; ma era un gran ministro, che pari alla riccliezza. avea le occupazioni^ la potenza e l'autorità: I ir /ElhiopSj cunuchuSj potens Cari- dacis regime A^lhiopum^ qui crai super omues gazas ejus, venerai adorare in Jerusaleni (Act. 8). Pure avea di contì- nuo in. mano e studiava i libri profetici de'Giudei, e la sua costanza, e la sua assiduità a siflatti studi, si può arguire da ciò,, che anche viaggiando, nel suo cocchio stesso, andava leg- gendo e meditando sulle Sacre Carte : Reverlebalur sedens super currum suurn^ ìegensque Jsaiam prophelam. Or questo desiderio ferma o sincero di conoscere la verità onde era animato questo fortunato gentile, gli tenne luogo di pre- ghiera umile ed afl'ettuosa agli occhi del Dio pietoso, che non chiede se non di essere ricercato per farsi trovare, e di essere desiderato per darsi a conoscere, ad amare, a j)Osse- dere. Kcco pertanto che lo Spirito Santo, spirito di luce in- sieme e di amore, avverte S. Filippo diacono, che viaggiava a piedi per la stessa strada, di avvicinarsi al cocchio di quel gran signore , e di accom])agnarsi con lui per istruirlo ed illuminarla: />/>// auleni Spirilus Philippo : Accede^ el ad- junye le ad currum islam. All'avvicinarsi S. Filippo al coc- chio deireunuco, senti che esso leggeva ad alta voce Isaia pro- feta; ed interrompendolo dalla sua lettura: « Buon uomo, gli dice I^'ilippo, credi tu d'intendere ])0Ì veramente quello che leggi? yiccurrens Philippus^ audicil eum ìegcìilem Isaiam prophelam^ el dixil : Fulasne inleìligis qucn /e<yù? » Ah signore, ripigliò l'Etiope, e come posso io mai cai)ire questo libro divino, se non vi é qualcuno che me lo spieghi? Quu- modo possum^ si non aìiquis oslenderil mihi? Di grazia, monta qua su, gli soggiunge, vieni con me, te ne prego; siedi al mio fianco, istruiscimi: Hoqavilque P/rilippum ut ascenderei el sederei secum. Dio buono, quale ardente de- siderio di conoscere il vero! Quale umiltà di spìrito, quale purezza di affetto traspirano da queste parole! INon si ver-

LETTURA QUIETA 29

gogna di confessarsi ignorante e di darsi a discepolo ad uno sconosciuto: non arrossisce, il grande e distinto personag- gio che egli è, di dar luogo nel suo ricco cocchio ad un Giu- deo in poveri arnesi, incontralo a caso per istrada e di la- sciarsi pubblicamente vedere a viaggiare in sua compagnia! Ah! era impossibile che una si bell'anima, con disposizioni belle, non ottenesse, dal Dio di misericordia la luce della vera fede di Gesù Cristo, che sollecitava con tanta brama! Il passo del pi'ofeta Isaia, al ([uale l'eunuco erasi fermato, non intendendone il senso, era questo : « Egli é stato stra- scinato, come una pecorella, ad essere immolato, e come ap- punto un agnello mansueto rimane mutolo sotto il ferro del pastore che recide l'inutile ingombro delle sue lane, così egli durante la sua immolazione non apri mai bocca: Locus aulem Script une qucm lefjebat erat liie : Tcimquam ovis ad occisionem , daclus et sicul agnus coram tondente se non aperuit os suudì.ìì Toltosi adunque a S. Filippo l'E- tiope. Deh per pietà, gli dice, spiegami questo passo, dimmi di chi mai intende qui parlare il Profeta? di medesimo o di qualche altro personaggio? Respondes auteni eunitchiis Philippou dixil: Obsecro te de (ino Propheta dicit hoc? de se, an de alio aliquo ? Allora S. Filippo, incominciando da (juesto passo appunto d'Isaia, prese a fargli conoscere che questa profezia, come tutte lo ali re contenute nella sacra Scrittura, riguardavano Gesù Cristo, vei'o Messia e Salvatore del mondo, e come non era che poco tempo, che tutte si erano in lui adempite in Gerusalemme. Gli parlò della sua vita e della sua morte, della sua risurrezione e della sua gio- ita, della sua divinità, della sua legge, de'suoi sacramenti: insomma lo istruì di tutta la religione cristiana: Jperiens autem Phiìippus os smini et ìncipiens a Scripiura isM, evanfjelizavìt illi Jesiiin. Stavasi il buon eunuco ad ascoltare le lezioni e gli oracoli dell' inviato di Dio, con una attenzione indicibile di raccoglimento pi-ofondo. con un contento infì- niio; e la grazia del divino maestro Gesù Cristo operando nel segreto della sua anima mentre che il discepolo parlava ai suo orecchio, sentiva quel brav'uomo a poco a poco illu- minarsi la mente ed accendersi nel cuore un ardentissimo desiderio di divenir cristiano.

Bellezze detta fede. II. J

30 LETTURA OLirsTA

E poiché il vero amor di Dio, ed il vero desiderio della eterna salute non ammette indugi, non soITre dimora, come giunse presso ad un fiume. « Se così è, prese a dire l'eu- nuco con un tuono di santa impazienza, che tutto scopri il santo entusiamo del suo cuore e la forza della sua fede, se cosi é, ecco qui l'acqua é pronta; perchè non mi battezzi? che cosa t'impedisce di farmi presto cristiano? Dum irent per vianij venerunt ad quandam aquanij et ait eunnchus^ Ecce acqua; quid prohibet me baptizari? Se tu, ripiglia S. Fi- lippo, se tu credi di vero cuore quanto ti ho predicato, la cosa é subito fatta : Si credis ex iolo corde ^ ììcet. Sì, rispose subito l'Etiope con un sentimento di profondo convincimento, e con tenero e vivo trasporto, di fede, sì, credo tutto, ed in particolar modo credo che Gesù Cristo è vero figliuolo di Dio: Et respondens ail: Credo filiuni Dei esse Jesum Chri- stiim. E in così dire, fa esso medesimo fermare subito il coc- chio, si precipita nell'acqua, traendo seco per mano Filippo, e riceve da lui il Battesimo: Et jussit stare curruui^ et de- scenderunl iiterque in aquam Philippus et eunuchus ^ et baptizavil eum. Ed essendogli scomparso dal fianco S. Fi- lippo, rapito dallo spìrito di Dio per andare ad evangeliz- zare altrove, il fortunato eunuco proseguì il suo viaggio, non capendo in stesso per l'allegrezza dalla gran grazia rice- vuta di aver conosciuto Gesù Cristo e di essersi fatto cri- stiano: Ibat autem per viam suain (jaudens.

Ecco dunque un uomo che in pochi momenti di colloquio con un ministro di Dio, ha imparato di più di quello che col suo proprio ingegno avea appreso in tutto il tempo di sua vita; e che, alla scuola della religione, si trova tutto ad un tratto istruito, illuminalo e credente. Così per formare il filo- sofo, il sapiente secondo il mondo, ci vogliono lunghi anni di studio e di fatiche, ove die pochi momenti bastano per formare il cristiano, il vero saggio secondo Dio.

§ 5. - Quanto è luìicja e di/Jìcih hi via cicli' inquisiziont umana per conoscere la verità. Si conferma ciò coli' e- sempio degli antichi filosofi, e de' moderni eretici. Diffi- coltà di trovar da solo il vero cristianesimo nella Scrit- tura. Quanto dobhiaìno essere riconoscenti a Dio per averci fatto nascere nella vera Chiesa^ in cui, senza stu- dio 0 stento, abbiamo imparale sin dall' infanzia le più sublimi ed importanti verità.

Ma non abbiamo noi nulla da invidiare a questo Etiope avventuroso. Abbiamo ricevuta anche noi la medesima gra- zia; e di più siamo stati con maggior facilità e prontezza ri- generati in Gesù Cristo ed istruiti ne' suoi santi misteri. Col nascer uomini siamo divenuti cristiani. Il santo lume della vera fede ha prevenuto *ìn noi lo sviluppo dell'intelletto. Abbiamo pronunziato colla nostra lingua i nomi dolcissimi di Gesù e 31nria. prima ancora di averne in mente l'idea, ed abbiamo invocato il Dio vero, anche prima di conoscerlo. Per eccitare però in noi i sensi di vera ed affettuosa ricono- scenza a Dio dovuta per gran beneficio, consideriamo al- cun poco che sarebbe stato di noi, se l'insegnamento divino non avesse in noi anticipata l'età della ragione ed avessimo dovuto colla ragione cercarci le grandi ed importanti verità che abbiam la sorte di conoscere, di credere, di amare, e che formano la nostra ricchezza, la nostra gloria ed il fondainento delle nostre speranze per arrivare ad una beata eternità.

L'Angiolo delle scuole ha dimostrato l )^ che jmpresa lunga e difficile sarebbe l'arrivare, per via di nuioCinj je di speculazioni, alla sola verità prima, I'esisteinza di Dio. Oh che sarebbe mai stata, se per la stessa via fossimo stati ob- bligati di andare ripescando a grandissimo stento nel vasto pelago degli errori e delle stravaganze umane, anche le ve- rità prime: la spiritualità e l'immortalità dell'anima, l'eter- nila delle ricompense e de' gastighi nella vita futura, la legge morale e le obbligazioni che impone : verità che sono il fon- damento di tutta la religione e che perciò lo stesso santo chiama i preldii>ari della vede, preambula fidel Per giun- gere a conoscerle tutte senza nuvole e senza confusione ;, quale non si ricercherebbe acutezza d'ingegno, apertura di

32 LETTURA (jL'lMTA

meiitC; suppellettile di cognizioni? Avremmo prima di tutto dovuto avere imparata più di una lingua^ appresa la logi- ca, rendutacì famigliare l'argomentazione, percorsa la meta- fisica , studiata la natura , meditato sulla cognizione degli esseri e dei loro rapporti; e perciò quanti anni si dovreb- bero aver consumati negli studi, negli esami, nelle dispu- te! quanto avere speso danaro! quanti avertetti libri, in- trapresi viaggi, consultati maestri, frequentate scuole!

E difatti gli antichi filosofi della Grecia e di Roma, per- chè disprezzate le tradizioni antiche ed universali del ge- nere umano , si misero da stessi nella dura condizione di non poter giungere alla verità che per la via appunto del raziocinio e del giudizio privato, dovettero impiegare in queste licerche tutta la loro vita , il loro ingegno , i loro averi : e solo dopo moltissimi anni di studi , di viaggi, di argomentazioni e di dispute giunsero a balbettare alcuna cosa di Dio, dell' anima, delle leggi morali.

E come possono leggersi, senza sentirsi spezzare il cuore per compassione, le lagnanze che alcun di loro, ad esempio, di Teofrasio presso Cicerone, faceva della natura, dicendole: « 0 natura ingiusta e crudele, che, accordando una vita quat- tro o sette volte più lunga di quella dell'uomo ai cervi ed alle cornacchie che non sanno che farsene,, ne hai conceduta una corta air uomo, che può bene adoperarla, e che solo una lunga vita e lunghi studi possono perfezionare nelle arti emetterlo in istato di conoscere ogni verità! Siamo noi uo- mini i più infelici degli esseri viventi : perchè appena la vita intera ci basta per trovare alcuna cosa di vero e non ce ne riman poi adatto per godere e profittare di questa in- venzione , ma bisogna chiuder gli occhi nelle tenebre di morte, appena che si sono aperti alla luce della verità : Theo- phrastus moriens accusasse naturam dìcitur quod cervis et cornicibus vitam diulurnam^ quorum id niliil interest^ ho- ininibus_. quorum maxime ìiUcrfuisstl, tam e,riguam vitam dedisse: quorum si a>tas potvissel esse lotKjinquior, futu- rum fuisse ut , omnibus perfectis artibus ^ omni doctrina hominum vita erudirclur. Querebatur iijitar se, tum cum ììlrtm ridere ctepisscf^ ejctimjui (Qu-cst. tuscul.. lib. III.

LKTURA nll.MA ?iò

Cornici bus Ilesioiìus novcin liominis wlales ultribuil ci qua- diupluni ccrvis. Manulius hic).

Or tàlt: sarebbe stata altresì la nostra condizione se, privi del santo lume deUa fede, non avessimo avuto altro mezzo che quello de' nostri studi pt'r conoscere le prime verità. Che sa- rebbe poi delle verità che si dicono ricalale^ che l'umano in- lelk'tto non può per verun modo raggiungere e clie non posso- no perciò conoscersi se non pel mezzo d'una rivelazione divina?

j\è giova il dire che il deposito di questa rivelazione trovasi di già nelle sacre Scritture, che oggi più che mai sono sparse pel mondo e van per le mani di tutti. Aon è raen diificile, coli" esanie e col raziocinio privato, il distin- guere e determinare le verità cristiane, leggendo la Scrit- tura, di quello che lo sia cogli stessi mezzi il distinguere, il determinare le verità primitive, studiando la natura.

Bisogna assicurarsi dapprima che queste Scritture sono veramente divine. Or per imprendere questa sola ricerca sarebbe mestieri conoscere le lingue originali, la storia, la critica, l'antichità sacra e profana, avere approfondite tutte le scienze , aver fatti studi lunghi ed ostinati. Gli stessi studi e le stesse cognizioni sarebbero ancora necessarie per determinare il vero senso di tutti i passi delle sacre Scrit- ture, dopo di essersi assicurato della loro autenticità. La do- lente confessione che, intorno airintelligenza de'Libri Santi, abbiamo udita farsi dalleunuco d'Ftiopia a S. Filippo: « E come posso io mai intendere ciò che vado leggendo, se non vi é qualcuno che me lo spieghi? El quomodo possimi nisi quis ostendtril miìii? » questa dolente confessione, dico, esprime fedelmente la condizione in cui si trova ogni uomo rispetto alla sacra Scrittura , cioè che questo libro divino non ben s intende senza il soccorso di un magistero divino ciie lo interpreti. E non s'incontrano, in ogni pagina dei due Testamenti, passi eguali a quello a cui era intoppato il po- vero Etiope? passi, cioè in cui non è chiaro abbastanza se il sacro scrittore parli di o degli altri, se la faccia da sto- rico o da profeta; passi in cui non si distingue il precetto dal consigho, e che non si sa se si devono intendere secondo lo spirito 0 secondo la lettera? Ora, se ogni leggitore della Scrit-

:\'l LETTUr.A OllNTA

(lira dovesse decìdersi da in tante oscurità che presenta (luesto codice augusto^ correrebbe riscliìo di spendervi at- torno la vita intera, pria di arrivare a determinare con cer- tezza la trinità delle persone divine in unità di natura, l'in- carnazione del Verbo, la divinità ed umanità di Gesù Cristo in unità di persona, i suoi misteri e i suoi sacramenti, i suoi precetti e i suoi consigli, le sue promesse e le sue ricompense.

Infatti, dacché ad imitazione della scuola di Platone che aveva insegnato che « ogni uomo deve tenere per vero ciò che gli sembra esser vero studiando la natura: lei veruni qnod unicaique venuìi viclealnr (Cic, Acad. I) » la scuola di Lutero, trasportando questa dottrina platonica dalla filosofia nella religione, ha insegnato anch'essa che quello é cristia- namente vero che ad ogni cristiano sembra vero studiando la Scrittura^ cioè a dire: da che questa scuola funesta, ri- pudiata l'autorità della Chiesa ed il suo insegnamento, non lasciò al cristiano altro mezzo da scoprire le verità rivelate fuorché lo studio e l'esame privato, che la filoso 'ìa pag-ana avea indicato all'uomo per iscoprire le verità primitive, che è egli mai avvenuto? iXoi lo vedremo ben presto. Per ora osserviamo che coloro fra' seguaci di quel turpe eresiarca che prendono alla lettera questo principio rovinoso e pre- tendono di ritrovare nella sacra Scrittura e di formarsi da sé, a forza di meditazione e di studio, il simbolo o la re- gola del credere, ed il decalogo o la norma dell'operare, quante imparano scienze! quante studiano lingue! quanti svolgono autori! quanti odon maestri! quanti consultano dotti ! quante intavolano dispute ! quanti intraprendono viaggi! Infelici però spendono tutta la loro vita in sififatte ricerche, e sovente la morte, venendoli a sorprendere in mezzo a sterilì studi, li porta via dal mondo pria di essere giunti a conoscere con certezza qual é la vera re- ligione che Dio ha stabilito nel mondo!

E poiché ciò che si cerca non si possiede, intanto che si cerca Dio e la sua rivelazione. Gesù Cristo e la sua legge, é chiaro che non si conosce nulla di certo da credere, nulla di preciso da praticare. Ora vi ha forse miseria da potersi paragonare a questa miseria, di passare la vita senza Dio,

LETTURA QUINTA 35

senza Gesù Cristo, senza religione, senza legge, e perciò ancora senza fede, senza speranza e senza amore?

Oh noi felici, che abbiamo avnto la sorte di nascere nella vera Chiesa, che sola possiede ed amministra con una gene- rosità affatto materna a' suoi figliuoli il vero insegnamento della fede! 0 vanto inestimabile di questo insegnamento di- vino, si santo, nobile, si prezioso, sublime ed allo stesso tempo facile, corto e spedito! J^a cognizione della vera religione è il negozio dei negozj, il negozio unico e solo necessario all'uomo: il suo beato o infelice destino per l'e- ternità ne dipende. Se voi adunque aveste, o Signore, posto r acquisto di questa cognizione importante per me alla condizione di dovere studiare e spendere tutta la vita per impararla, io avrei dovuto adattarmi ad una condizione dura, io avrei dovuto sottomettermi a questi studi, a questi stenti, per quanto lunghi e diflìcili. Ogni fatica, ogni pena, ogni sacrificio del tempo è un nulla quando trattasi di as- sicurarsi una beata eternità. Quanto adunque vi debbo rin- graziare, 0 mio Dio, di. avermi risparmiato tante sollecitu- dini, tante ricerche, tanti studj e tante fotiche! e di avermi fiitto nascere da parenti cristiani, nel seno della Chiesa: dove il piccolo catechismo e poche lezioni gratuite ricevute nel" r infanzia sono state bastanti ad istruirmi delle grandi verità che mi sono necessarie a conoscere, delle verità sublimi di cui nemmeno una sola il filosofo, straniero al magistero della vera Chiesa, può conoscere senza lungo studio e molto stento! Oh disegno di profonda sapienza insieme e d* insigne bontà!

§ VI. - La sleìla dei Mmji fu veduta da tutti, benché pochi ne abbiano profiUato. 1 Giudei^, che non la videro, ricevettero però essi pure, pel ministero dei Magi, la rivelazione della nascita di Gesù Cristo. Così il Salvatore del mondo indicò sin dal suo nascere che /' insegnamento della sua fede sarebbe slato universale. Lo slesso volle significare coli' aver voluto nascere all'aperto, come coli' aver voluto all'aperto morire. La grotta accessibile a tutti, bella fi- gura della Chiesa, che tutti ammette alla sua scuola.

Ma la rivelazione di Betlemme non solo fu facile e pronla, ma ancora universale e comune a tutti coloro che vollero profittarne.

36 LETilRA \jVìSTA

Il Dio creatore, secondo la bella espressione di Gesù Cristo nel Vangelo, fa spuntare egualmente sopra i buoni e sopra i malvagi il sole materiale che illumina gli oggetti corporei e visibili: Sofuin snuni oriri facil super bonos el inaìos (Matth. 5). Or così il Dio redentore, dice S. Giovanni Cri- sostomo, essendo venuto al mondo per metter fine all' an- tico Testamento e chiamare il mondo intero a riconoscer lui ed adorarlo ; nato appena, fece spuntare una stella onde aprire ai gentili la porta della Chiesa, ed istruì i suoi do- mestici, mentre chiamò gli stranieri: Cur igilur aparuit stella'^ quia Chrislus celeri Testamento erat finein daturus universum vero ìniindum ad adorandum vocalurus ab ipsis statini initiis nativilatis j ostium fjentibus reserat, et sic (juoque domeslicos cuUores erudit. dum invilat al ienos (Ho- mil. 6 in Matth.). Ciò é a dire che Gesù Cristo fece spun- tare egualmente per li dotti e per glignoranti, per li Giu- dei e pei gentili, pei giusti e pei peccatori la sua stella miracolosa, perchè servisse loro di guida a ritrovare e ri- conoscere il vero sole di giustizia, il sole spirituale e di- vino^ il Alessia, il Salvatore degli uomini, la sola vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, intor- no alle cose divine, spirituali ed invisibili.

Perciocché se i 3Idgi furono ì soli a profittare dell' appa- rizione della stella, non furono però i soli a vederla. Onesta straordinaria e portentosa meteora fece il suo corso e pas- seggiò maestosa nella più bassa regione dell'aria, alla vista di tutti, l iMagi ne furono anche interiormente illuminati, perchè avertili da questo insolito fenomeno, ne chiesero a Dio l'intelligenza. Gli altri poi che si contentarono di va- gheggiarlo, ma che sopirono nell'interno del loro cuore l'idea salutare destatavi dallo stesso prodigio che potesse esser nato il Messia, e resistettero e rendettero vana questa prima gra- . zia della fede, rimasero nelle loro tenebre e nel loro accie- camento. Se non tutti però ne trassero profitto, tutti lo vi- dero; e se non tutti parteciparono alla sua luce divina, ciò non fu per difetto della stella ma per l'orgoglio della loro mente e per rindill'erenza e freddezza de' loro cuori. Kd in quella guisa appunto onde il sole spunta per tutti, e tutti

LETTURA QUIETA 37

possono faeilinenU' .aoderne. eccettuali i cicchi, così il Sal- vatore del mondo, benché sia nato per lutti, non da tutti è stato riconosciuto ed accolto, ma, ricevuto dalla Chiesa, è stato rigettato dalla sinagoga: Hcbc slella ah Oìtinibus videhatur seti non ab omnibus inleìligebahir. Sicut Salvator nosier, omnibus quidcm naius est, sed non ab omnibus intellectus est. Aijnitus est ab Ecclesia, et non est agnilus a sijnagoya (Chrysosl.. loc. cit.). Sicché può dirsi che la stella spuntò per tutti, benché non tutti ne abbiano voluto intendere il significato, e fu, secondo che la chiama S. alassimo, il gran luminare e come l'occhio dell'universo, che al suo apparire cambiò in nn istante l'aspetto tenebroso del mondo spiri- tuale, come il sole spuntando fa cangiare la faccia oscura del mondo corporeo: Stella, veluti totius orbis oculos, caU- (jandis mundi vcterem novauit adspeclum (Uomìì. ì Epiph.). È vero elle, all'avvicinarsi de' xìlag^i alla Giudea, la stella occnltossi e disparve, ma ciò stesso, dice S. Giovanni Cri- sostomo, fu da Dio disposto perché i Magi, in mancanza di quella guida celeste, obbligati di cercarne una terrena, in- terrogassero i Giudei intorno al 3Iessia. e cosi ne pubblicas- sero per tutta la Giudea, come ne pubblicarono di fatti, il nascimento: Propterea enini aliquandiu fuerat abscondita ut, amiltenles subito itineris sui duccm . interrogare Ju- dwos de puero cogerentur, remque in notitiaìu omnium jjublicarent (Homil. 7 in Maltli.). Se dunque i Giudei non goderono perciò della vista della stella, ne udirono però dai gentili l'apparizion.? e il significato, il prodigio che fu mostrato a costoro fu a quelli annunziato. Gli uni e gli altri lo videro: i 3[agi cogli occhi del corpo, i Giudei con quelli della mente. Poiché quei confessori generosi, entrati appena in città, incominciarono a predicarvi anche a chi non , si curava di saperlo il prodigio della stella ed il mistero da essa indicato, cioè la nascita del Alessia, dicendo: Dov'è il re dei Giudei, o il Alessia, che deve certamente esser nato? giacché noi abbiam veduto nell'Oriente, da cui siam venuti, la stella indicio del suo nascimento: Ubi est qui natus est re:c Judcvorum? vidimus enim stelhim ejus in Oriente et reninuis. Anzi S. Pier Crisologo in questo discorso dei Magi,

■i

38 LETTURA OLÌ^TA

più che la dimanda d'ignoranti che interrogano;» ravvisa la censura di dottori che riprendono e che sanno assai bene ciò che mostrano d'ignorare. Neil' interrogare i Giudei ne incolpano la negligenza, ne rimproverano la infingardaggine, ne discuoprono la malizia , ne condannano pubblicamente l'ostinazione, e ne manifestano alla faccia del mondo il de- litto di servi infedeli che sdegnano di andare incontro al vero loro padrone: Scientes interrocjant: nescientes non vjnorant; sed ìiecjìigenles arcjuunl, increpant desides^ ma- ìos prodiini. contiunaces verherajil, sercuììi domino non occurrisse causanlnr.

Inoltre l'annunzio che i Magi recarono a Gerusalemme dell'apparizione della stella e della nascita del Messia, diede occasione a'savj d'Israello di consultar le scritture, di tro- varvi chiaramente indicato il luogo in cui questo Alessia do- veva esser nato e di tenerne discorso co' Magi , che di ciò appunto li avevano interrogati. Or qual cosa più facile, più naturale, più giusta, dice S. Leone, quanto che gli stessi dottori giudei fossero i primi a profittar per slessi della notizia importantissima che davano agli stranieri; e credes- sero essi medesimi quello che come certo insegnavano agli altri? Quani facile el qnam constquens fall ut Ilebrcponan. proceres credereni quod dociieranl'ì (Serm. 4. Epiph.)

Tutte queste circostanze doveano dunque scuotere i Giu- dei dal sonno dell' indifferenza in cui erano caduti intorno al liberatore loro promesso, ed eccitare il loro zelo di an- darne in traccia ; ora che avevano saputo dai Magi che era nato di già, natiis est; e dal profeta Michea, da essi consul- tato sul proposito, avean suputo il luogo in cui doveva esser accaduto un tal nascimento, cioè in Betlemme: In Bplhh" hem Judce: sic tnim scripliun est per prophtkun.

Che più? l'evangelista S. lAica riferisce pure che i pastoii> ritornando dalla grotta di Betlemme, ebbri di santo giubilo e ringraziando e lodando Iddio della grazia loro accordata di aver loro rivelato per mezzo degli Angioli la nascita del Salvatore del mondo- e di averli chiamati i primi a ricono- scerlo, raccontavano a quanti venivano loro incontro tutto ciò che avevano udito dagli angioli e che aveano co' proprj

LETTURA allMA 39

occhi veduto: siichè la meraviglia e lo si U[)ore fu universale in tutta la contrada: El rr.vcrsi sunl paslores (j lo ri/ira ntes el Idudanics Dauìii in uninibiis quce (tudi/irant et videratU, Et oinncs (jui (tndlurunl mirali situi, et de his (juce dieta entnt a paslorihìis ad illos (Lue. 2). Gran cosa adunque ! dice sopra di ciò Eutimio. Avvertiti i Giudei da tanti avvisi, istruiti da tante voci, assicurati da tanti testimoni, nou tol- lero credere, non vollero fare pochi passi, quanti ve ne erano da Gerosolinia a Betlemme per andare a vedere il Messia; mentre i Magi g^entili erano venuti dai confini del mondo per venerarlo: Pers(t a jinihus terree usque Betlìtehein ve- ìierunt: llebrai vero Belliìeliem eireumadjacentem ingredi noìueruut: neque ea ridere qua* ab iis qui viderant fuerunt diriilqala. ]\ani paslores oiìittibus sibi occurrenlibus nuri- ciarum quce viderant, sicut Lucas dieit (in 2 3Iatth ) Ag- giunge ancora lo stesso interprete, citando il Crisostomo, che Gesù Cristo rimase con Maria e S. Giuseppe nella grotta di Betlemme sino al giorno della purificazione della santissima Vergine: modo che, se i Giudei non avessero chiuso vo- lontariamente gli occhi, se non si fossero indurati a fronte di tante testimonianze e di tanti prodigi , ehbero tutto il tempo da venire a Betlemme. ISon han potuto adunque dire : noi non abbiam saputo quando e dove nacque Gesù per ri- conoscerlo. Ed ecco giustiiìcata cosi la provvidenza, ed essi divenuti inescusabili : Hcec omnia completa sunt, ut non possent in poslerum dicere Judcei: nos quando natus est non cognouimus. ISatìi, ni a il Crysostonius, usque od inipìe^ tionem dierum pu rificai io nis , mnnsit puer in Bethlehem j ut, nin voluntarie obsurduissent, ocuhsque clausisseni ad ea qufc dieta vel risa sunt. venissenl uli(}ue Belhlehem (ibid.). Fu dunque Tannunzio dei Magi eia testimonianza de' pastori una vera e nuova rivelazione fatta dalla divina misericordia a' Giudei : rivelazione chiara, precisa, certa, facile ad esser da tutti intesa, e propagatasi in breve presso di tutti, e da cui tutti, se volevano, potevano trarre profitto.

Cosi i Giudei e i gentili, per diverse vie e in modi diversi, nello stesso tempo furono dallo stesso Dio illuminali della stessa luce a conoscere lo stesso mistero , e chiamati dalla

40 LETTURA QUIKTA

stessa grazia a rendoivi omaggio. E siccome il genere umano intero nelle Scritture non è distinto che sotto le due grandi denominazioni di Giudeo e di gentile, così essendosi Gesù Cristo manifestato per diversi modi a' Magi gentili ed a' dot- tori giudei, significò fin dal suo nascere di esser venuto ad illuminar tutti gli uomini, e che l'insegnamento della sua fede sarehbe stalo non solo facile e pronto, ma comune an- cora ed universale.

Lo stesso volle il nato Salvatore indicarci ancora per mezzo del luogo in cui nacque. L'apostolo S. Paolo riconosce un grande mistero nella circostanza notata dagli evangelisti, che il Salvatore del mondo fu strascinato fuori della città per essere crocifisso : Eduxerunt eum ut crucififjerent: e dice che Gesù Cristo perciò appunto volle morire fuori le porte ed alla aperta campagna, per indicare, cioè, che gli elfetti della sua morte non sarebbero ristretti nel recinto di una sola città, o di un sol popolo, ed i Giudei nel condurlo a morire all'aperto, distruggevano essi stessi la funesta mace- rie, abbattevano il muro di divisione che esisteva tra loro stessi e i gentili, e concorrevano a compiere, senza saperlo, i disegni della divina misericordia di formare un sol popolo di tutti i popoli: Propltr quodJasns, ut sancìificnret popu' ìum, extra portam pnssus est. E S. Leone , interpretando questo passo di S. Paolo, con pari grazia, eloquenza e mae- stà soggiunge: oh quanto é bello questo mistero di Gesù Cristo che muore fuori dell'abitato ! Per un tal sacrificio ci voleva altro santuario che il tempio, il cui ministero, ri- stretto solo alle figure, era di già terminato: altro luogo che Gerusalemme, che in pena del suo deicidio fra non molto dovea essere devastata e distrutta INon conveniva un parti- colare recinto all'ostia universale offerta per tutti i tempi, per tutti i luoghi e per tutti gli uomini. Poiché era non l'al- tare privalo di un tempio, ma il pubblico altare del mondo, la croce di Gesù Cristo doveva essere esposta in luogo ])ub- blico allo sguardo di tutti: ì\ou in tempio, cu jus jam finita, erat riiverentia ; nec intra septa civitatìs , ob meritum sui sc(ilG4(^sSJi^^tuìa' : sed foris et extra castra cruci fixus est; ut/fttìta ho^fw^iùvo iniponetur altari, et crux Clirisli non r^l tlèìfS'Rrl^'l ^''^^ ^''""'^'' ^^^ ^^^^- semi.).

LETTURA QL'I>TA 41

Or per questa ragione medesima onde Gesù Cristo volle morire all'aperto, all'aperto altresì volle nascere: cioè a dire per illuminar tutti colla sua luce, come è morto per redi- mer tutti, e tutti santificar col suo sangue. Cosi dice S Gio- vanni Crisostomo, fece esso stesso, sin dal principio della pre- ziosa sua vita, quello che alla line di essa ordinò agli Apostoli di fare; d'istruire cioè tutte le genti, poiché i misteri della sua nascita furono una vera figura ed una magnifica pro- fezia di quelli che si dovean compiere dopo sua morte: Di- cens: quomoclo ab itùtio'i ciim ipse in jìiit dìxtril: euntes (locete omnes gcntes? Quìa ùì qiiod tane acc'uUi, figura erat et quanlani pranìictio futuroruni (Homil. 7 in 3Iatth.).

Trasportiamoci di fatti col pensiero al luogo del suo na- scimento : che ci vediamo noi mai ? Un vasto campo nella re- gione di Betlemme: ed il campo, come lo ha detto lo stesso Gesù Cristo, significa il mondo, Jcjer est mundus (Matth. 13). In mezzo a questo campo una povera e solitaria capanna senza porte, senza recinto, senza haluardi , senza guardie , senza difesa, aperta da tutti i lati, sicché vi si può da tutti i lati accorrere senza trovare ostacolo alcuno nel cammino. ISon è dunque solo la grotta il vero tempio di Dio in cui tutti pos- sono adorarlo, ma ancora la scuola della sua sapienza acces- sibile a tutti, in cui tutti possono conoscerlo. Qual figura più bella della chiesa, che, stabilita nel mondo, è aperta a tutti, e vi si può, senza che nulla lo impedisca, accorrere da' quat- tro punti cardinali del mondo? Sopra questa capanna brilla di una luce misteriosa una stella che non si eclissa, non si nasconde a nessuno ; ma, come il sole, può per lunghissimo tratto all'intorno esser veduta e vagheggiata da tutti. Oual tipo più fedele dell'insegnamento della vera fede, che, ri- spliudendo mai sempre maestoso e chiaro sopra la vera Be- tlemme, la Chiesa, dillonde per mezzo dei predicatori i suoi raggi sino all'estremità del mondo? Sicché non vi é genera- zione o popolo a cui sia conteso di profittar del suo lume: ì\'()n est qui se abscondat a calore ejus (Psal. 18j. K perché quest'importantissimo pregio dell'insegnamento divino, di essere unioersate ed alla portata di tutti, fosse in Betlemme non solo annunziato in figura, ma posto ancora, dirò così, in

4^ LETTURA OUIINtA

azione ed in pratica: ecco dentro la medesima grotta, in com- pagnia de' Magi dotti e filosofi, anche i pastori ignoranti ed incolti, e che ciò non ostante, partecipano per diversi mezzi della stessa rivelazione, credono e confessano le stesse verità: che Gesù Cristo è Dio ed uomo e Salvatore degli uomini.

§ VII. - Presso i popoli idoìatri la verità cosi rara come la civile libertà. La filosofia pagana mantenne studio- samente l ignoranza del popolo come la schiavitù. L e- resia protestante cogli stessi principi ha risuscitate le stesse conseguenze. L'errore è ingiusto e crudele. Op- pressione e miseria de' popoli che vi sono soggetti.

Oh bella prerogativa e vanto inestimabile delf insegna- mento della vera fede! che appunto perchè non dimanda studi e raziocini, ma desiderj e preghiere; perchè non esige grande coltura della mente, ma grande umiltà e docilità di cuore: non solo è facile e breve , ma comune, universale ed accessi- bile ad ogni età, ad ogni sesso, ad ogni slato, ad ogni con- dizione; e non è il privilegio de' dotti, ma l'eredità di tutti.

Onesto tratto basterebbe esso solo a provare che l'inse- gnamento della fede è divino. Imperciocché l'insegnamento puramente umano ha proceduto, e procede di una maniera ben di (ferente.

Presso i popoli idolatri, in cui la dottrina dell' utile ha sempre prevalso a quella del giusto, la moltitudine è stata abbandonata all'ignoranza nell'ordine intellettuale, e nell'or- dine civile alla schiavitù. Atene stessa e Roma, si stolida- mente ammirate come le città più illuminate e più libere dell'antichità, in verità però non erano che vaiti depositi d'ignoranti e di schiavi; e fra molti milioni d'abitanti che contenevano, scarsissimo vi fu mai sempre il numero degli uomini che conoscevano qualche verità morale, come degli uomini liberi. Psè vi erano luoghi sulla terra dove l'idola- tria del popolo fosse più stravagante e più dissoluta, e la domestica schiavitù, più comune e più dura. Vi erano è vero scuole di filosofia; ma gran cosa, per verità gran cosa! non si udì mai un solo filosofo levar alto la voce contro questa

LtTTURA OLIATA 4:i

doppia dei^radazione della specie umana. iNon si conosce al- cuno di quei prele.>i saggi che abbia pur da lontano sospet- tato quell'ammirabile ordine di cose che il solo cristianesimo ha ispirato e compiuto ne' paesi cristiani, in cui la verità o la cognizione del Dio veroj come la libertà civile, è il patri- monio di tutti. Anzi, tutto al contrario, la filosofia pagana considerò sempre quelle due orribili piaghe dell'umanità, Vì(jìiora)iz(i e la schiavilù, come leggi della natura, come condizioni essenziali all' esistenza della società. E la stessa setta stoica, la meno immorale per altro fra tutte le sette filosofiche deirantichità, questa stessa setta, dico, che con un orribile sangue freddo aveva insegnato che la verità non è fatta per la moltitudine, l'erilas mulliludinem consulto fiKjU (Cic, De natura deor.), udissi insegnare ancora colla stessa crudele indifferenza che il genere umano esiste solo pel comodo e per la delizia di pochi: Ilumanum paucis vioii fjenus (Seneca). Quindi questa filosofìa dell'orgoglio e del- l'idolatria di stesso, lungi dall'aver mai fatto il minimo tentativo per distruggere l'errore ed abolire la schiavitù, nascose anzi gelosamente sotto l'ombra del mistero la verità di cui si credeva in possesso, non impiegò mai l'eloquenza ed il sofisma che per rendere più indissolubili le catene del più turpe servaggio, e nella sua barbara insensibilità, riguardando la moltitudine con un insultante disprezzo, la vedeva, senza rammaiico e col sentimento di una compia- cenza ferina, divenuta il miserando trastullo di tutti gli er- rori della superstizione idolatra, e la vittima infelice della libidine e della brutalità del dispotismo domestico.

11 medesimo principio ha prodotto in questi ultimi [em\n e produce ancora ai nostri e quasi sotto gli occhi nostri presso a poco le medesime conseguenze. Mirate ciò che suc- cede presso gli eretici che si dicono prolesland. Queaio ti- tolo, di cui essi s'inorgogliscono, forma il loro delitto e la loro condanna. Ksso signiiica che hanno protestalo, cioè a dire si sono rivoìtdti contro le tradizioni cattoliche e universali, contro l'autorità delia Chiesa d'insegnare, contro la sua in- fallibilità di decidere intorno alla vera rivelazione cristiana; e che hanno risuscitato per lo scoprimento delle verità cri-

44 LETTURA QUIETA

stiane il principio funesto del libero esame e dell' inquisi- zione privata che i filosoiì pagani avevano adottato per ritrovare le verità primitive. E difatti i protestanti dottori non cessano di ripetere ne' loro libri che il protestantismo non è già la conf^.ssione di JiKjusla^ i Irentanove ar- ticoli della chiesa anglicana, ma consiste nella libertà di coscienza e dell'esame privato; ed uno di loro^ meno scru- poloso, ma più conseguente e più sincero degli altri ha detto: il protestantismo consiste nel credere ciò che si vuole e nel fare ciò che si crede.

Or con questo principio che forma il fondamento della dottrina protestante, non parrebbe che i capi del protestan- tismo dovessero lasciare fra loro ognuno arbitro e giudice delle verità che deve credere e de' doveri che deve prati- care? Pure non è cosi. Luso libero del giudizio privato in materia di fede è solo il privilegio di pochi. Il rimanente, la moltitudine, il popolo si crede che non è fatto per ragionare e discutere, ma per sottomettersi a chi lo regge e ciecumenle ubbidire. Quindi i sedicenti ministri delle diverse sette in cui il protestantismo è diviso e coloro che fra essi sono alla testa dell' insegnamento religioso hanno per lo più due dot- trine: runa di capriccio, l'altra di oITicio: l'una per la casa, l'altra pel tempio: l'una pel comodo di medesimi, l'altra per tenere il popolo sotto il peso della più turpe delle ser- vitù, la servitù dell'errore. Ad esempio de' primi riformatori. che con una intrepidezza in cui l'empietà contrastava col ri- dicolo, dopo di avere proclamato che i santi Padri, i conci- Ij, la Chiesa universale hanno lalhito e non erano più guide sicure, si diedero essi stessi per infallibili, si misero nel luogo della Chiesa universale, e alla parola della Chiesa sostitui- rono la propria per farne la base della legislazione cristiana; ad esempio loro, dico, gli eretici dottori del protestantismo dei nostri giorni, rigettando ogni autorità per se stessi, im- pongono al popolo come legge la privata loro autorità; con- servando per stessi il principio, che in materia di reli- gione non si deve credere all'altrui parola, ma alla Scrittura sola, interpretata col lume privato, danno agli altri per leggi inviolabili i loro giudizj, le loro opinioni e le loro parole;

e riserbando per stessi la dottrina del libero esame, vo- ^^liono che il popolo accolga e rispetti i loro insegnamenti senza esame. Simili in ciò ai rivoluzionar] moderni che,, ge- losissimi della privata loro autorità. do}>o di aver combat- tuto la pubblica, con in bocca si*mpr^* la parola libarla, ((uando giungono a mettersi alla testa di uno stato procurano di tenere in servitù tutti gli altri. K come nei paesi domi- nati dalla rivoluzione guai a chi. prendendo in serio la li- ]>ertà politica proclamata e promessa, pensasse di farne uso in favore di ciò che è giusto: così ne" paesi dominati dall'e- rr'sia guai a coloro che, prendendo in serio la libertà di co- scienza, pretendono di usarne per far ritorno alla vera re- ligione: sono riguardati con disprezzo, soggiogati colla forza e perseguitati con furore. Così quei bravi uomini pei quali non fu un delilto l'abusare delle Scritture per rigettare l'au- torità della vera Chiesa, riguardano e puniscono come delitto l'usare della Scrittura per riconoscerla. Fu lecito ad essi di ritrovare nella Scrittura l'errore, non é ad altri lecito di trovarvi la verità. Fu lecito ad essi colla Scrittura alla mano il farsi luterani, zuingliani, calvinisti, anglicani, pre- sbiteriani, non è lecito però ad alcuno, sull'autorità della stessa Scrittura, il divenire cattolico. Fu lecito ad essi il ri- conoscere la supremazia religiosa anche in una donna che abbia il potere politico, non è lecito agli altri l'ammetterla nel papa che ha la pienezza del potere religioso. Fu lecito ad essi di separarsi dalla Chiesa universale , non é lecito agli altri di separarsi da una Chiesa particolare.

Perciò odio, persecuzione, intolleranza verso tutte le sette de' così detti dissidenti ^ principalmente però contro i se- guaci della cattolica religione. In quanto poi al popolo infe- lice dominato dall'eresia, in contraccambio della stolida do- cilità, onde ne accoglie e ne conserva le velenose dottrine, non ottiene che oppressione e disprezzo. Poiché Terrore; é essenzialmente crudele; la carità e la compassione non ap- partiene che alla verità. Dove la coscienza é sotto il dispoti- smo dell errore, sarà sotto il dispotismo dell' ingiustizia l'in- tera società, e l'oppressione politica e un eiletto necessario t'd insieme un sicuro indicio dell'oppressione religiosa.

46 LETTURA «Jl IMA

Ah! noi cattolici non conosciamo abbastanza di quanto siamo debitori al cattolìcisnio anche nell'ordine temporale. Bisog^nerebbe vedere co' proprj occhi lo stato di miseria e di abbrutimento di molli popoli dominali dal protestantismo per intendere quanto, generalmente parlando, i popoli cat- tolici sono più felici. Il guadagno di un giorno del lavo- rante inglese é di soli sette baj occhi : del nostro è di qua- ranta. La giornata del lavoro fra noi non eccede dieci ore, fra quelli é di diciolto. Ad eccezione di pochi, l'universalità del popolo ha fra noi un nutrimento abbondante, solido e salubre : i lavoranti inglesi non hanno che un nutrimento scarso, debole, dannoso, che obbliga quei mìseri a cercare nell'uso funesto di liquori spiritosi un accrescimento di forze effimere, per prestare un lavoro che ne' tempi antichi non si esigeva nemmen dagli schiavi, e nei moderni non sim- pone nemmeno al mulo ed al cavallo. La vita perciò si lo- gora pel mezzo medesimo onde si cerca di rinvigorirla; e quindi quelle meschine esistenze che presto si estinguono: quelle turbe di spettri umani più che di uomini che s'in- contrano nelle città ìnanifaUnriert , e che non fanno che apparire, penare, spirare d'inedia e di stento, e discendere a popolare i sepolcri. Fra noi insomma l'agiatezza è più co- mune. Nei paesi dominati dall' eresia il pauperisìito è più universale , e tutti i ritrovati della politica , inefìlcaci per estinguerlo, non gli impediranno un giorno di far crollare dalle fondamenta queste società fittizie che non hanno che l'errore per fondamento, e l'interesse materiale per appog- gio. Fra noi vi sono individui poveri; fra quelli i poveri formano intere popolazioni. Chi non sa delle sollevazioni di i\ìanchester accadute sol pochi anni addietro. Nessun paese cattolico ha mai veduto, vedrà mai l'orribile spettacolo che vide allora l'Inghilterra, di duecentomila persone di una sola città squallide, desolate, coperte appena di logori cenci, levatesi come un sol uomo e percorrere le vie pubbliche gridando pane . ed a cui l'eresia dominante, nell'eccesso della sua compassione, non rispose che colla mitraglia. Oh infelici ! non vi lascia l'eresia la libertà di emigrare, di ub- briacarvi, di abbrutirvi in tutti i vizj , di uccidervi? che

volete (li più? non side contonti? ali voi siete troppo esi- genti! È forse giusto che dia a voi ciò che serve a lei stessa?... Così r errore , dopo di aver tolto ad intere nazioni 1' ali- mento dell'intelligenza, la vera fede, disputa loro anche il pane, l'alimento del corpo. Deh che l'uomo rihelle alla ve- rità è harbaro. é crudele per l'uomo! gì' invidia la più pic- cola porzione di bene, si sforza di formare del bene un mo- nopolio ristretto a proprio profitto e di rendersi felice col- raltrui infelicità! Ecco ciò che l'uomo sa fare per l'uomo I

§ \IU.- jy inse(jnamFnto divino ha uhoìilo ira i popoli vera- munte crislianil ignoranza, cowe la schiavitù. Bel mandafo iti Gesù Cristo (Ujli Apostoìi, di aniniaestrar lutti in tutto. La Chiesa lo adempie fedelmente insegnando senza restri- zione a tutti tutto quello cìie ha imparato da Gesù Cristo. Il sommo pontefice. Profezia di Salomone sulla universalità delV insegnamento cristiano: solo nella Chiesa si compie. Bel monumento eretto di ciò in San Pietro da S. Leone III. Non v'è che il Creatore dell'uomo che ne ha misericordia, e coloro cui lo stesso Creatore la ispira. Che ha fatto egli dunque ? Ha fatto conoscere « che gli uomini sono simili a lui, e molto più simili fra loro : che un uomo può bensì, a nome e per volere delio stesso Dio, avere autorità vera o diritto d' impero, ma non già diritto di proprietà sopra gli uomini, come sopra gli armenti : che un uomo rivestito di quest'autorità può comandare l'azione dell'uomo, disporre del suo lavoro e dell'opera sua, ma non già della sua per- sona, come di una cosa o come di un mobile vivente , da servire a'suoi capricci e alle sue più turpi passioni : e che gli uomini rigenerati nel suo battesimo , gli sono tutti fi- gliuoli, ai quali egli dispensa, senza eccezion di persona, il pane quotidiano della sua graz/a e della sua verità. » E per cotal mezzo Dio ha distrutta fra i cristiani la servitù e l'igno- ranza. Sicché, ove anche al presente, ne'luoghi in cui non vi è cristianesimo, vi è ignoranza profonda di Dio ed oppres- sione deiruomo, e nessun saggio in quelle infelici contrade deplora questa doppia calamità; al contrario nelle contrade veramente cristiane non vi sono veri ignoranti veri schiavi, nel senso orribile che i popoli idolatri o maomet-

48 LETTURA OlINTA

talli attaccano a questa parola. Poiché fra veri cristiani la vera scienza di Dio e della sua legg-e è offerta a tutti, é nella mente di tutti, come tutti sono ammessi al benefìcio della civile libertà! Ah! il Dio di misericordia, lunsi dal- l'aver fatto della sua verità e della sua g-razia il privilegio di pochi, ha stabilito nella sua Chiesa in modo il magistero della sua fede che in pochi istanti, come si è veduto, tutti con un poco di buona volontà, possono parteciparvi.

Come al principio della creazione comandò che dalle te- nebre uscisse la luce ad illuminare tutti i corpi, cosi, se- condo che dice S. Paolo, al principio della redenzione co- mandò che dagli errori uscisse la verità ad illuminare tutte le menti: Dq\18 qui jussit da tenebris lumen splendescere ìpse iììuccil in cordibns nostris. Poiché disse ai suoi inviali: Andate per tutto il mondo e predicate il mio Vangelo ad ogni creatura: Euntes in mundum universum j prwilicnie Econ- (jelìum omni creaturcB (Marc. 16). INon fate un monopolio, una privativa per voi di quanto vi ho insegnato: ma tutto quello che avete appreso alla mia scuola insegnatelo agli al- tri, senza distinzione di età, di condizione, di sesso: Docen- tes eos servare omnia quacumque mandavi vobis (Matth. 28). La sola condizione che dovete ricercare si é la sommissione dello spirito e la docilità del cuore. Chiunque sinceramente si risolve a hen credere e a viver bene, battezzatelo senza al- tro e lalelo cristiano e salvo : Qui credideril et baplizatus fuerii, saìvus eril (Mure, 16). La sola ostinazione dell'orgo- glio, la sola ripugnanza a credere la vostra parola, che è la mia, é un ostacolo a ricevere la mia grazia, la mia luce, la mia verità, ed attira sopra colui che ne é reo condanna e castigo: Qui vero non credideril ^ condemnubilur (ibid.).

Con queste magnifiche ed amorose parole, due cose or- dinò Gesù Cristo agli Apostoli: la prima d'insegnar taf lo ciò che avevano udito da lui. Omnia quxecumque mandavi vo- bis -• la seconda d' insegnarlo indistintamente a tutti, Docele omnes qentes. V, fedeli gli Apostoli a questa grande e pre- ziosa missione, ricevuta dallo stesso Figliuolo di Dio, futla infatti la verità evangelica, senza ritenerne nascosta alcuna parte, annunziarono a tulli ^ e senza eccezion di persone, e

in tutto il mondo: UH cnitcm proftdi, pncdicarenuit ubi- quc (Marc. 16).

Ma facciamo allenzionc alle misteriose parole collo quali Gesù Cristo couchiu^e il ^Tan mandato fatto agli Apostoli di evangelizzare il mondo^ poiché finì col dir loro : « Ed ecco che io sono con voi sino alla fine del mondo. Ecce erjo vnhi- scum siim usque ad cousuinmafioneìn scecuri (Matth. 28). » E poiché è certo che gli Apostoli non doveano personal- mente stare in questo mondo sino alla sua fine, è chiaris- simo che con queste helle parole, piene di speranza e di amore. Gesù Cristo promise di rimanere sulla terra anche co'successori legittimi degli Apostoli e co' cristiani pastori, colla sua Chiesa e nella sua Chiesa, per rinnovare sempre lo stesso mandato e mantenervi lo stesso spirito del suo insegnamento doppiamente catlolico che vuol dire unlversaìc cioè d' insegnar tulio a Unti. Egli é perciò che la Chiesa cattolica, e la sola cattolica Chiesa, vi é nel mondo che insegna tutto a tulli ; e questa sola particolarità, tutta sua })ropria, hasterehbe a protare eh' essa è la sola Chiesa in cui è Gesù Cristo, la vera depositaria fedele come della sua grazia, così della sua verità.

In fatti la santa Chiesa cattolica, differente in ciò da tutte le sette ereticali antiche e moderne, è la sola che non ha due dottrine: una occulla e l'altra palese. Vuna pei pastori l'altra pel greggi\, l'una per li dotti l'altra per il popolo: ma una sola e medesima dottrina propone con eguale autorità, insegna con eguale candore , discopre con eguale disinte- resse, offre con eguali condizioni, dispensa con eguale amore. ì\on tiene nulla celato di ciò che può interessare T eterna salute del più piccolo de' suoi figliuoli. Tutto quello che crede, lo insegna, distribuisce tutto quello che ha ricevuto, comunica lutto ciò che ha udito da Gesù Cristo: come Gesù Cristo comunicò agli Apostoli tutto ciò che aveva udito dal divino suo Padre, avendo loro detto: Omnia qucecumque audivi a Patre meo nota feci vobis.

Ed oh gran carattere, grande singolarità della cattolica Chiesa! Lo stesso sommo pontefice, il vicario di Gesù Cristo in terra, che colla pienrz :^ del sacerdozio possiede la pie-

50 LEITIRA yt'ìMA

nezza dell' autorità; quell'uomo unico la cui fede mai non manca, il cui giudizio mai non falla, la cui bocca mai non inganna: il padre, il maestro, il pastore universale, non ha per alcuna verità in materia di rivelazione e di fede, non ha alcun secreto per , non crede nulla di più di quello che crede l'ultimo de' suoi figliuoli, il più indotto de' suoi discepoli, la più debole delle sue pecorelle; e la fede della pecora, del discepolo, del figliuolo non è perfetta se non in quanto è in tutto e per tutto conforme a quella del pastore, del maestro e del padre, sicché una e la stessa é di entrambi la dottrina, una la scienza dell'eterna salute, una la rivelazione, una la fede, come uno il Dio che ne è l'autore: Unus Deus, una fides; e tutti lo conoscono egual- mente, perchè tutti eguahnente lo credono.

In secondo luogo, a somiglianza degli Apostoli, la Chiesa non solo insegna tutto, ma lo insegna a tuffi. La sapienza umana degli antichi filosofi era solo ristretta nelle scuole, e non ammetteva alle sue lezioni che poche anime privile- giate, che avevano oro per pagarle ed acutezza per inten- derle. MsL la sapienza divina, sin da quando, nella figura della stella, si manifestò per la prima volta ai Magi, ha brillato, come il sole nel cielo, indistintamente per tutti; e secondo la bella espressione onde Salomone ha predetto (|uesto mi- stero della divina bontà, la sapienza non si occulta, non si nasconde sotto l'ombra del mistero, ma si mostra al pubblico, e nelle pubbliche piazze fa a tutti udire la sua cara voce; non disdegna la moltitudine, al contrario se ne mette alla testa, ed alto grida per ammaestrarla; nella città solamente o in luoghi ristretti, ma all'aperta campagna manifesta i suoi oracoli, ed oTre a tutti le sue preziose lezioni: Sapientia foris prcpcHcaty in plateis dai vocem suam. In copile tur- baritm clamifat^ in foribus portarum urbis proferì verba sua (Prov. i).

Or questa magnifica e gioconda profezia si compie nella Chiesa. Il suo insegnamento, che non è altro se non la ri- velazione dello stesso Verbo, della stessa sapienza di Dio , che in lei risiede, è pubblico e solenne, cattolico, ossia uni- versale. Essa non esclude alcuno dalla sua udienz^j non dis-

LETTUr.A «JIIMA 51

caccia alcuno dalla sua scuola, non respinge alcuno dal suo magistero di vita, ('ome la grotta di Betlemme fu aperta a tutti, e tutti, e gli stessi Giudei protervi, e lo stesso perfido Erode potevano andarvi, e ne el)bero anch' essi 1' amoroso invito, la divina chiamata . cui resistettero : così la (Chiesa tiene mai sempre spalancate a tutti le sue porte, non ne é conteso ad alcuno il passo, non è attraversato ad alcuno il cammino. Essa tien sempre aperta la sua bocca, pronta la sua voce per ammaestrar tutti. E tutti anzi per mezzo de' suoi inviati, invita a venire ad ascoltarne le lezioni del- l'eterna salute: fenile^ filii^ audite me; tiììiorem domini docebo vos (Psal. 33). E vengano pure dalla perfidia giu- daica, 0 dalla corruzione musulmana, o dalla superstizione idolatra, o dall'orgoglio dell'eresia; tanto solo che vogliano prestarle docile orecchio, nessuno essa rigetta come indegno, nessuno esclude come incapace.

Un monumento visibile di questo bel carattere della vera Chiesa lo aveva stabilito in Roma il pontefice S. Leone IH, avendo fatto sospendere all'altare della confessione in S. Pie- tro due grandi tavole di argento del peso di novantaquattro libbre, in cui avea fatto scrivere il simbolo degli Apostoli, nell'una in greco e nell'altra in latino. Oh bel pensiero di questo santo ponlcfice! Il tempio di San Pietro, depositario delle ossa di questo piincipe degli Apostoli, lo è perciò stesso della pietra sulla quale è piaciuto al Signore di erigere l'edi- ficio della sua Chiesa, e perciò rappresenta la Chiesa nel suo capo. Il simbolo degli Apostoli é il coMipendìo della dottrina evangelica, della rivelazione, della gran parola di Gesù Cri- sto. Questo simbolo adunque sospeso all'altare di San Pietro significava che la Chiesa romana, la vera Chiesa, poiché é quella in cui si è senza interruzione perpetuato, ne' suoi successori, il primato apostolico di Pietro e l'indefettibilità nella fede , che questa Chiesa dico , é la depositaria della parola, della rivelazione, della dottrina di Gesù Cristo, ed essa ne conosce bene il senso, come ne ha lo spirito. Col- l'essere j)oi scritto questo simbolo nelle due lingue allora più conosciuta e più comuni,, nelle due lingue che domina- i vano l'una all'oriente, l'altra all'occaso, ed essere esposte al

o2 LETTURA «jLl^iTA

pubblico, alld lettura^ alla ineditazioue di tutti, dimostrava chfe la Chiesa offre d'insegnare, di spiegare a tutti questa dot- ti'ina di cui è depositaria fedele, fermo appoggio ed infallibil maestra, e ch'essa nessuno rigetta dal suo insegnamento. E siccome, per profittare di questo insegnamento e di questo magistero di vita, non si domanda, come si è veduto, che una sola condizione, che dipende da tutti l'adempiere, la volontà sincera di credere e di ubbidire : così questo insegnamento divino è adattato a tutti e stabilito per tutti. Oh bontà ineffa- bile, oh generosa misericordia, oh liberalità infinita del Dio redentore nell'aver messo così a disposizione di tutti i tesori preziosi della sua sapienza, i secreti ineffabili della sua carità !

§ W.- Altra considerazione da fare sulla rivelazione che ebbero i Mafji. Essi perdon di vista la stella. Uso che vi era in tutto V Oriente di ricorrere a Gerusalemme per avere la spiegazione de' grandi portenti. Coli' avere Iddio falla scomparire la stella^ obbliga i 3Iagi ad in- terrogare la sinagoga; e questa interrogazione serve a confermarli nella lor fede. Mistero importante che con ciò ci si scopre della necessità di un tribunale divino, interprete della parola di Dio^ perchè si renda sempre più facile ed universale l'insegnamento della fede. Prove che questo tribunale risiede in Roma, e che il privilegio d' interpretare infallibilmente la Scrittura, come già si concentrava presso il gran sacerdote degli Ebrei, ora si concentra nella persona del sommo pontefice de cristiani.

3Ia la maniera onde furono istruii i i Magi ci presenta al- tre lezioni ancora, e non meno preziose ed importanti, per finir di conoscere il vero spirito dell' insegnamento della fede. Poiché, oltre di averci mostrate le due grandi qualità di (juesto insegnamento divino, cioè che <"• facile e pronto, e che è a tutti comune ed universale, ci ha indicato ancora che r insegnamento della fede non ha queste due grandi qualità di tanto interesse per gli uomini, se non per la ma-, niera ondo la CJiiesa lo adopera. E ([uesto è appunto ciò che entriamo ora a considerare : argomento gravissimo, poiché trattasi delle fondamenta stesse di tutta la religione, e conso- lantissimo insieme per noi cattolici, perchè ci prova sempre ywi che :<iamo nel vero, e che nel vero non siamo che noi.

LETTURA oUl>rA 53

Ritornando dunque a'Mt-ìgi, una circostanza tanto dolo- rosa quanto inaspettata viene tutto ad un tratto ad arre- starli, presso al termine del loro cammino, ed a scoraggiarli nel più bello delle loro speranze. La stella che avea loro servito di guida fedele fin dal più rimoto Oriente, scompa- risce all'improvviso e si dilegua al loro sguardo appena che e.ssi metlon piede nelle contrade della Giudea; e per lungo e attentamente cercarla attorno sull'orizzonte coli' occhio, e molto più col cuore, non ne discuoprono più alcuna trac- cia. Che fare adunque? ritornare addietro noi consente loro la fede e il desiderio vivissimo che li accende di trovare e di veder Gesù Cristo. Spingersi innanzi? ma dove, ma co- me, senza alcuna notizia almen probabile del luogo del suo nascimento? Oh miseri Magi! oh situazione penosa! oh de- solante incertezza ! Ma non temiamo per questi servi di Dio, che Dio ha già presi sotto la sua protezione , che dirige colla sua sapienza e vuol consolare colla sua bontà. Questo incidente medesimo, che sembra indebolire ed attraversare la rivelazione che hanno ricevuta, è pur quello che la fa- cilita ancora più, la conferma e la compie.

Gerusalemme, città regina della religione, come dell'im- pero giudaico, non solo presso i Giudei, ma presso i gen- tili ancora e per tutto l'Oriente, passava per la città depo- sitaria degli oracoli di Dio e. come è chiamata nelle Scrit- ture , per la sede e V interprete della verità . perchè ivi trovavasi la cognizione del vero Dio: f'ocabitur Jerusalem civilas veiilalis (Zach. 8). Perciò, come nota Aimone, al- loraquando si vedeva un qualche insolito fenomeno nel cielo, gli stessi gentili solevano recarsi o scrivere a Gerusalemme per averne la spiegazione. E di fatti si ha dal libro quarto dei Re che al tempo di Ezechia, essendo accaduto il gran prodigio che il sole ritirossi in dietro di alcune linee, Me- rodico figlio di Raladamo e re di Babilonia , sebbene gen- tile, mandò lettere e regali al re Ezechia, pregandolo a far- gli conoscere la ragione di strano portento : Consueluclo crai exterarum (jentium vt, quando vidissent aliquod por- tenlum in ccbìo Jerosolijmain pelerent ani transmitlerenl , uhi eral Dei cognitio ^ sicut fecerunt tempore Ezccliice , qua rio sol reversus est decem lineis (Haim. in Matth.). Bc:Lzze della feJe. If. 3

54 LETTURA QUINTA

Ora i Magi^ uomini dottissimi in tutto TOriente, non potevano ignorare questo privilegio insigne ed unico che godeva Gerusalemme di esser fra gli uomini la maestra e l'interprete degli oracoli di Dio. Ritorcendo adunque il cammino, giunsero in questa città, e, dopo lungo interro- gare ed insistere, sono dai sacerdoti della sinagoga giudaica istruiti che il 3Iessia, di cui essi vanno in cerca, dovea es- ser nato in Betlemme di Giuda: In Bethlehem Judaj sic enim scriptum est per prophetam.

Ma come mai? Il Dio che avea, come si è veduto, da medesimo ammaestrati i Magi di tante e si suhlimi verità non poteva ancora indicar loro il luogo della nascita del Messia, di cui avea lor rivelato i misteri ? 0 non poteva dis- porre che la stella continuasse con loro, anche nella terra giudaica, l'ufficio di guida fedele, che avea bene eseguito dal principio del loro viaggio, e che riprese poco dopo ed esercitò sino alla fine, senza obbligarli a divergere in Ge- rusalemme? senza dubbio, Dio poteva far tutto ciò; ma noi volle fare, per obbligar appunto i Magi a consultare la si- nagoga: Poteratsane^ non tamen factum est: ut hoc a Ju- dcBÌs inquirerent{ìmi^(irL). Oh novello tratto amoroso adun- que della divina bontà con queste anime elette! ripiglia S. Leone. Questa disparizione della stella, che parca dover rendere dubbiosa la prima testimonianza, serve a procurare ai Magi una testimonianza novella della verità della rivela- zione che aveano ricevuta. Alla luce divina, sparsa nelle loro menti pel miracolo della stella, si aggiunse l'autorità della parola profetica delle Scritture, spiegata loro dalla si- nagoga. La loro fede nascente divenne più vigorosa e più viva per questa stessa circostanza, che parca dovesse spe- gnei la 0 indebolirla; e quando parca loro di averla perduta afl'atto, incontrarono più facile e più sicura la via di ritro- vare Gesù: Ut gemino testimonio confìrmatiy arclentiori fide expeterent, quem et stell(e claritas et propheticB mani' festabat aucioritas (Serm. 4 Epiph.).

Or questo nuovo tratto della divina bontà co' Magi ci dis- cuopre, dice l'A-Lapide, un grande ed importante mistero. Collo aver voluto Iddio che 1 Magi, dopo di essere stati istruiti

LKTTURA QUINTA ^O

immediatamente da lui, venissero a ricevere ancora lezioni da' sacerdoti Giudei, suoi ministri, per giungere alla cogni- zione perfetta di Gesù Cristo: coli' aver voluto che assog- gettassero la stessa testimonianza divina al giudizio della si- nagoga, e che un'autorità animata e parlante, sulla terra, fosse il giudice e l'interprete infallibile della rivelazione rice- vuta per mezzo di un muto ed inanimato segno celeste: volle fin d'allora manifestare il disegno adottato dalla sua sa- pienza, che gli uomini, per mezzo d'altri uomini, ossia dei dottori e dei ministri della Chiesa, che egli stesso ha per- ciò stabiliti, sieno ammaestrati e diretti ne' sentieri del- l'eterna salute: Ideo stella inanimala ibi sese siibduxil , ut cogerct Magos adire scribas animatos Dei inlerpretes: vnlt enini Deus homines, per doctores a ss statatosi viani salulis edoceri (in Matth. 2). Oh disegno pieno di sapienza insieme, di sollecitudine e di amore! Un lai mezzo era ne- cessario perchè l' insegnamento della fede fosse veramente facile ed universale.

Ma come mai ciò? ripiglian gli eretici. La sacra Scrittura non è ispirata da Dio? rSon contiene la parola di Dio? INon è un corso completo d'istruzione, un ricco repertorio di tutte le verità rivelate da Dio? Non basta dunque a stessa? rVon possono tutti leggerla, tutti ascoltarla, e tutti appren- dervi con facilità e senza stento ciò che si deve credere, ciò che si deve praticare per servire, per piacere a Dio e salvarsi? Che bisogno vi è dunque del magistero umano della Chiesa, postoché nelle Scritture è aperto ed accessi- bile a tutti il magistero divino? Non potrebbe dirsi per- tanto che il sistema d'insegnamento della Chiesa romana sia una sua invenzione, una usurpazione ideata e compiuta da questa Chiesa a suo profitto?

Ma oh stolidi che siete! Come lo ha potuto inventare la Chiesa, se esso ha esistito prima della Chiesa? Se da esso è nata, con esso é cresciuta, si è propagata e stabilita la Chiesa in tutto il mondo? Come lo ha mai potuto inventar Roma, se prima che Roma ne avesse la cognizione era stato rivelato, stabilito e messo in opera in Betlemme? giacché i Magi , primizie della Chiesa, non giunsero a Gesù Cristo che pel ministero della sinagx)ga.

50 LETTURA OLIMA

IVon vi é dubbio die la rivelazione immediata deMIagi sia stata divina; poiché una luce divina solamente potè istruire in pochi istanti uomini gentili ne' grandi misteri del Messia.

Ma non meno divina era l'autorità della sinagoga, cui Iddio avea fatta la depositaria e l'interprete infallibile della sua parola. E però Dio non dispensa i Magi, fortunati disce- poli ch'egli stesso avea formati alla sua scuola, di andare alla scuola dei Giudei; e vuole, come osserva S. Agostino, che per finir di conoscere l'alta dignità di Gesù Cristo e il luogo della sua nascita, abbiano per maestri i più grandi nemici Gesù Cristo: Jpsos pueri inimicos ad cognoscen- dam dignitatem ejiis habuerunt magislros.

Così la sacra Scrittura è divina, e non può essere che di- vina; poiché solo lo Spirito di Dìo potè dettarne tutto quello che vi é scrìtto. 3Ia non é men divina l' autorità della Chiesa vera, che Dìo ha sostituita alla sinagoga nel geloso ed au- gusto incarico fedelmente custodire ed infallibilmente spiegare le sue Scritture. E però la lettura della Bibbia sa- cra, in cui Dio stesso ci parla e ci ammaestra, non ci dis- pensa dal sentir parlare, dal forci ammaestrare dalla Chiesa, e di ricevere come oracoli le lezioni di coloro che essa invia, sebben non sempre sia purissima la bocca che le pronunzia.

La rivelazione divina scrìtta non basta adunque per ri- trovai'e Gesù Cristo, è necessario unirvi la divina rivela- zione tradizionale, di cui é depositaria la Chiesa: l'una serve a spiegare e facilitare l'altra; e secondo la bella espressione dei Salmi, questa spiegazione della parola di Dio, fatta da un'autorità stabilita da Dio, è quella che un lume sin- cero e sicuro, e porge anche a' più piccoli, a' più ignoranti, a' più rozzi la vera intelligenza della parola di Dio: Decla- ratio sermonum luorum illuminata ei inlellecliuii dat par- vulis (Psal. 46).

Perciò é che nella Scrittura dice, « Da Sionne uscirà la legge, e la parola di Dio da Gerusalemme: Ex Sion exi- bil lex , ei verham Domini de Jerusaìem {lsà.'2). n Or per la ìegge s'intende la rivelazione scritta, che di fatti in cento luoghi della stessa Scrittura é indicata sotto il nome gene- rico di legge; e per la parola di Dio s'intende la rivela-

LKTTURA Ol'lNTA 57

zìone tradizionale, coH'ajuto della quale s' interpreta la ri- velazione scritta. Ed osservate che la rivelazione scritta si dice semplicemente lc(j(jej ma la tradizionale si chiama pa- rola di Dio. Perchè non vi è,, vi può essere dubbio che la legge evangelica sia da Dio: e perciò basta nominare la le(j(je di Sionne per istiraarla divina. Ma siccome vi sareb- bero stati de' temerari che avrebbero ricusato di credere di- vina pure la rivelazione tradizionale, così questa si nomina chiaramente: la parola di Dio, ferbuni Domini.

Si dice insieme che la ìeijge evangelica sarebbe uscita da Sionìie e non dal Calvario (collina essa pure dello stesso monte yVo/irt in cui era quella di Sionne), per indicare che la nuova legge non distruggeva, ma perfezionava l'antica rivelazione depositata in Sionne ed ampliata dai lumi del (Calvario; e che la rivelazione scritta sarebbe composta dai due testamenti, di cui lo scopo principale^ e la pietra ango- lare che tutti e due gli unisce,, è Gesù Cristo: Finis legis ChristHS est (Rom. 40). In quanto poi alla tradizione, che si chiama pure Parola di Dio^ essa si dice che sarebbe uscita da Gerusalemme, Et verbiini Domini de Jeì'usalemj poiché in fatti in Gerusalemme, in cui risiedeva la sinagoga, si de- cidevano tutte le questioni in materia di religione e di fede. Così la legge di Sionne o la rivelazione scritta era da per tutto, dovunque trovavasi, per sino in Egitto, dove Tolomeo fattala tradurre dall' ebraico in greco da'settanta interpreti, ne avea sparsa la cognizione. Ma la rivelazione tradizionale, ma l'autorità d'interpretare infallibilmente questo libro di- vino non si ritrovava che in Gerusalemme, dove risiedeva la sinagoga, che rappresentava la vera chiesa giudaica.

Ora il Dio che aveva costituito in terra un tribunale su- premo per interpretare infallibilmente la rivelazione scritta dell'antico Testamento, non ha potuto privare il nuovo di questo privilegio, essendo necessario che la legge di Dio e la sua religione abbia un interprete sicuro ed infallibile, che tutti possono volendo facilmente conoscere e facilmente consultare sopra la terra.

Poiché dunque bisogna di tutta necessità che questo tri- bunale supremo e permanente della fede in qualche parte

58 LETTURA QUirsTA

si trovi, è così ragionevole e giusto il riconoscere che esso risiede in Roma ; che gli stessi eretici hanno amato meglio di negarne la necessità e l'esistenza, di quello che ammet- terlo altrove fuori di Roma.

A buon conto avendo S. Paolo detto apertamente a'Giu- dei: « Poiché voi disprezzate la parola di Dio, ecco che noi ci rivolgiamo ai gentili, » chiaramente significò- da pri- ma che da queir istante i gentili prendevano il luogo dei Giudei. Quindi, dopo questa dichiarazione solenne^ lo stesso S. Paolo ed il principe di tutti gli Apostoli S. Pietro, ab- bandonata Gerusalemme, essendo venuti di fatti a stabilirsi a Roma, con ciò pure manifestamente indicarono che d'al- lora in poi i privilegi della città, sede del giudaismo, erano trasferiti alla città sede del gentilesimo; chea Gerusalemme era sostituita Roma per essere la depositaria principale delle tradizioni cristiane ed il luogo del sommo magistero della vera fede: da cui, come dalla vera Gerusalemme, sarebbero da quindi in poi partite le interpretazioni sincere della pa- rola di Dio: De Sion exihil ìex^ et ver bum Domini de Jc rusaleìti. E poi, come osserva l'A-Lapide interpretando que- sto passo d'Isaia, la storia ecclesiastica non ci dice che dal- l'istante in cui gli Apostoli cambiarono Sionne con Roma, e stabilirono quest'ultima città per capo e per centro della religione di Gesù Cristo, da Roma sono usciti gl'inviati dai romani pontefici alla conversione di tutte le genti , e così Roma è stata la vera Sionne. e la Sionne cristiana da cui, dopo i tempi degli Apostoli, la divina parola si è propagata pel mondo : Ubi Apostoli j i^eìicla Siotij caput Eccìesice con- slituerunt RomcBj deinceps de Roma ea-ierunt prcedicatores missi a romano pontifice in omnes cjentes. Sion enini diri' stiana est Roma (in 2 Isa.).

Osserviamo ancora però che il privilegio della sinagoga di profetare^ ossia d'interpretare infallibilmente la legge di- vina (giacché la parola profetare nella divina Scrittura si- gnifica non solo predire le cose a evenire , o discuoprire le occulte^ ma ancora interpretare la reVujione). osserviamo, dico , che questo privilegio della sinagoga si concentrava principalmente nella persona del sommo sacerdote de'Giu-

LETTURA QUINTA 53

dei, come chiaramente deducesì da queste parole del Van- gelo ; essendo (Caifasso) pontefice in quell'anno, profetò che Gesù Cristo doveva morire pel popolo: Ciirn esset ponti fex anni illiuSj prophetavit quia Jesus nwriturus esset prò (jente (Joan. il). Or con molto più di ragione lo stesso privile- gio della Chiesa, di spiegare infallibilmente la legge evan- gelica, è concentrata principalmente nella persona del suo capo visibile, nel sommo pontefice dei cristiani. Sicché esso e quel gran sacerdote supremo, il sacerdote per eccellenza, in cui si compie questa splendida profezia di Malachia: «Le labbra del sacerdote saranno i fedeli custodi della scienza (de'Iiibri Santi), e gli uomini verranno a cercare dalla sua bocca l'interpretazione della legge : giacché esso è l'Angiolo inviato dal Dio degli eserciti : Labia sacerdotis ciistodient scientiam et lecjem reqnirent ex ore ejus : quia Àngelus Domini exerciluum est (Malach. 2).

L'ultimo a godere del gran privilegio dell'infallibilità pro- fetica presso i Giudei fu Caifasso, e S. Pietro fu il primo ad esserne rivestito presso i cristiani. Caifasso, come nota S. Leone, perdette il suo privilegio quando ispirato dal dia- volo e ribelle alla rivelazione solenne fattagli da Gesù Cri- sto della propria divinità, non solo ricusò di riconoscerlo per Figliuolo di Dio, ma lo trattò da empio bestemmiatore, e lo dichiarò reo di morte. Sicché, colla sua sacrilega pan- tomima di stracciarsi addosso le vesti, Caifasso compì esso stesso un tremendo mistero; si privò da stesso allora del suo sacerdozio coli' essersi, colle stesse sue mani, tolte e strappate le insegne; si dissacrò da stesso e fu esso stesso reo e carnefice, vittima ed esecutore del suo obbro- brioso castigo: ISescius quid hcec siynificaret insania^ sa^ cerdotaìi se honore privavitj ipse se expoliat, et^propriis manibus pontificalia indumenta discerpenSyipsi sibi est sui exequutor opprobrii (De Pass. serm.). Per la opposta ra- gione, come osserva S. Ilario, S. Pietro acquistò il suo pri- vilegio quando, ispirato dal divin Padre, e docile e fedele alla voce che gli si fece udire nell'interno del cuore intorno alla divinità del Figliuolo, confessò pubblicamente che Gesù Cri- sto è Figlio di Dio vivo, venuto al mondo a salvarlo. Poiché

00 LETTURA QUINTA

fa immediatamente dopo questa bella confessione che fu chiamato beato e fu costituito capo e pietra fondamentale della Chiesa. Sicché questa fede gli assicurò che la Chiesa in lui sarebbe stata invincibile ed eterna: gli ottenne, colle chiavi del paradiso, l'insigne prerogativa che i giudizj pro- nunziati da lui in terra sono sempre ratificati e confermati da Dio ne' cieli : Filiuin Dei coiiftssiis eslj et ab fioc beatus est. HcBC recelatio Palris est; luec Ecclesue fondamentum est; hcBc securiias aternitatis est; hiiic regni cceloruiìi. habel ctcìvet; Itine terrena ejiis judicia ccehstia sunt (in Matth.).

FiBalmente , il privilegio dell' infallibilità , come Caifasso lo ebbe comune coi sommi sacerdoti che lo aveano prece- duto, così S. Pietro lo ha avuto comune ancora con tutti i sommi pontefici che lo han seguito e lo seguiranno sino alla fine del mondo. Poiché come Caifasso, secondo le citate parole di S. Giovanni, non avea la profezia in quanto era Caifasso, ma in quanto era sommo sacerdote, Ciim esset pon- tij'ex anni illius , prop/ietavil , sicché il privilegio che finì in lui era cominciato prima di lui, così Pietro non rice- vette in modo più ampio e più perfetto, lo stesso privile- gio in quanto era Pietro, ma in quanto primo tra gli Apo- stoli nel grado, priinus iSinion, in quanto sommo pontefice e pietra fondamentale della Chiesa, Tu es Petrus, et super liane PETRAN cedifìcabo Eccksiam meam: sicché il privi- legio che in una nuova foggia in lui cominciò non é ces- sato con lui. Così ancora non di Pietro solo, fratello di An- drea, ma di Pietro sommo pontefice, e perciò ancora di cia- scuno de' suoi legittimi successori, fu detto da Gesù Cristo che non sarebbe venuta mai meno la sua fede, e che ha il sublime incarico di pascere colla dottrina celeste e reggere colla pienezza dell' autorità le pecore e gli agnelli , cioè i vescovi e i sacerdoti e tutti i loro spirituali figliuoli.

Pertanto essendosi S. Pietro trasferito in Roma, e pian- tatavi la sua sede, vi ha trasportato, col merito della sua ge- nerosa confessione di che abbiam detto, i privilegi che ne fu- rono la ricompensa: l'intelligenza de' Libri Santi, che insieme cogli Apostoli ricevette immediatamente da Gesù Cristo; Àperuit itìis sensus ut inteìli(jerenl Scripturas (ÌAic. 24):

LETTURA OUIINTA 61

la fermezza della fede, la purezza della dottrina, rinfallibilità dei g^iudizj^ come il primato dell' onore e la pienezza della giurisdizione. E tutto ciò, per istituzione divina, è divenuto il retaggio prezioso e sublime di tutti i suoi successori.

Perciò siccome sono presso a duemila anni dacché il sommo pontellce, sulla tomba stessa di Pietro, ne rinnova la confessio- ne: così sono pure duemila anni che ne ottiene la ricompensa.

Dall'altare della confessione il sommo pontefice non ces- sando di dire a Gesù Cristo al cospetto del mondo; Tu sei Messia, figlio del Dio vivente, questa g-ran parola, che con- tiene tutta la religione, s' innalza al più alto de' cieli, sino al trono di Dio; ed una voce misteriosa del trono di Dio, spiccandosi dall' alto de' cieli, viene a risuonare di continuo sopra la terra e ripete : Tu sei Pietro e sopra questa pie- tra sussisterà' la mia Chiesa. E per indicare questo com'- mercio di confessione e di premio tra la terr* e il cielo, tra Gesù Cristo e il suo rappresentante e vicario, nella gran cupola che ricuopre l'altare della confessione in San Pietro stanno scritte queste misteriose parole : Tu es Petrus et sii^ per hanc pelrani cedificabo Ecclesiam mecun, come un eco della parola celeste che, risuonando sotto quella volta pro- digiosa, si ripete per la città e pel mondo, urbi et orbi. E quanto è bello il vedere la più grande opera del genio del- l'uomo esibire e predicare all'universo, in questa iscrizione la più importante, la più magnifica delle promesse di Dio!

§ X. - La rivelazione dei Magi sebbene divina^ insufficiente però, senza il magistero della sinagoga j per ritrovar Gesù Cristo, figura della riualazioìie divina contenuta nelle Scrii' turcj e che senza il magistero della Chiesa è insufficiente essa pure a far conoscere le verità cristiane. Questo magi- stero solamente rende facile e sicura V intelligenza de' Libri Santi. Dove vanno per lo più a terminare le ri- cerche bibliche dei protestanti. Profezia di Giobbe^ spie- gata da S. Gregorio, intorno alla trista condizione degli eretici, che si pascono della Scrittura fuor della Chiesa.

Ma la necessità del magistero della Chiesa, per la facile e sicura intelligenza della Bibbia, è un punto troppo im- portante, perchè possiamo tralasciare altre prove che la

62 LETTURA OUIKTA

rivelazione dei Magi ci fornisce, per metterlo in maggior lume.

Osserviamo adunque che la rivelazione dei Magi fa ma- gnìfica e splendida, ma non fu intera. Vi mancò la notizia più necessaria per adorare Gesù Cristo, quella, cioè^ del luogo in cui poterlo trovare, e questa notizia, così volendolo Id- dio, i Magi non poterono averla che dalla sinagoga. Così la sacra Scrittura é un tesoro di verità, di rivelazioni, ma non vi è scritto poi tutto ciò che é stato rivelato. Molte cose im- portanti, rivelate esse pure da Gesù Cristo, furono da esso lasciate per tradizione, di cui è depositaria la Chiesa, e noi sol dalla Chiesa possiamo impararle. Che anzi non solo que- sto libro divino non ben s' intende, ma non possiamo nem- meno esser certi che esso è veramente divino, senza la te- stimonianza o l'autorità della Chiesa, secondo il celebre detto di S. Agostino: Io non potrei credere alla divinità del Van- gelo, se l'autorità della Chiesa cattolica non mi dicesse che esso é veramente autentico e divino : Evangeìio non credi' rem nisiy me calhoficxe EcclesicB commoverei auctorilas.

Appunto però perchè la rivelazione dei Magi non fu in- tera, nen fu neppur sufficiente. E che avrebbe loro giovato il sapere che era nato il Messia, ignorando il luogo del suo nascimento? Senza il ministero della sinagoga non avreb- bero essi adunque raggiunto lo scopo del loro viaggio.

Infatti Betlemme, quando si viene dall'Oriente, s' incontra prima di Gerosolima. I Magi adunque passarono vicino alla fortunatissima grotta, depositaria del tesoro di cui andavano in cerca, senza sospettare nemmeno che erano dappresso alla loro felicità. L'incontrarono forse nel loro cammino que- sto albergo beato senza distinguerlo! lo ebbero forse sotto degli occhi, senza conoscerlo; e non lo avrebbero distinto conosciuto giammai, se la voce del sacerdote non l'a- vesse loro indicato. Così, sebbene la Scrittura contenga la splendida dottrina dell'unità e trinità di Dio, della divinità e dell'umanità di Gesù Cristo, delle sue leggi, de'suoi consigli e de'suoi sacramenti; pure, senza la Chiesa che spieghi que- sto libro divino, esso è un libro inintelligibile per l'uomo non cristiano, che non i)uò attingervi se non idee confuse, va-

LETTURA OUiNTA G^i

glie, indeterminatL' ed incerte, un libro che gli reca più oscu- rità che luce, più fastidio che diletto. ìNel leggerlo passa egli vicino a Gesù Cristo; lo ha sotto degli occhi e noi ravvisa per quello che è. vero Dio e vero uomo ed umco salvatore DEGLI UOMiiM. 11 solo tVutto chc, a Somiglianza dell' ennuco della regina Candace, ritrarrà da questa lettura si é la con- vinzione dell' impossibilità in cui é da solo d'intenderlo; ed interrogato a dire che gliene pare, risponderà sempre colle parole dello stesso ennuco: E come posso intenderlo se non vi è chi me lo spieghi? parole della Scrittura, come si è notato 4), le più chiare, le più proprie e le più de- cisive per provare la necessità del magistero della Chiesa per ben intendere la Scrittura.

Finalmente, la rivelazione dei Magi fu tutta verità ma essi non vi si confermarono che per l'oracolo della chiesa giu- daica. Quando questa chiesa per l'organo de'suoi pontefici, depositai'ii fedeli e legittimi interpreti delle profezie, pro- nunziò, come si esprime S, Leone, l'oracolo divino: quando la voce dello Spirito Santo si manifestò per la loro bocca di- cendo: Betlemme di Giuda é il luogo della nascita del Messia; Prolalo divino oracuìo per responsa poiitificnin ^ et decìci" vaia Spirilus Sancii voce, quce dicii in Btllileliein Judce: allora rimasero i Magi assicurati e tranquilli che divino era stato il segno della stella apparsa a'ioro occhi, che le voci sentite allo stesso tempo nei loro cuori erano state divine, e che la luce che aveva illuminate le loro menti era da Dio. Fu pertanto pel magistero della sinagoga che divenne ai Magi facile e sicura la rivelazione divina.

Ma se al contrario Iddio avesse lasciato al loro raziocinio, alla loro scienza, alla loro filosofìa l' indovinare il luogo della nascita di Gesù Cristo; chi sa quanti avrebbero istituiti cal- coli, fatte congetture, imaginate ipotesi, intavolate dispute, ordinate ricerche , intrapresi viaggi all' orto , all'occaso : e quanti anni avrebbero essi speso discutendo e fiintasti- cando colla loro mente e sulla realtà del prodigio della itella che aveano veduta e sulla verità delle voci anteriori che aveano intese? Chi sa perciò se, lungi dal continuare il loro viaggio in cerca di Gesù Cristo, non si sarebbero ac-

64 LETTURA QUINTA

cusati leggerezza nell' averlo intrapreso? Chi sa se, sco- raggiati dalla inutilità delle loro ricerche, per ritrovare co- lui che dalla stella era stato loro indicato, non avrebbero finito col dubitare che Dio avesse veramente parlato al loro cuore: e che, prendendo per un fenomeno naturale e ter- restre quello che avean creduto un segno celeste e divino, non si sarebbero vieppiù confermati nelle antiche loro su- perstizioni, invece di giungere alla cognizione perfetta di Gesù Cristo?

Così r uomo che . leggendo la Scrittura collo spirito di umile confessione che deve accompagnare questa santa let- tura vien confrontando i pensieri che essa gli desta, le opi- nioni che vi si forma, colla dottrina della Chiesa, e li sotto- pone al suo giudizio; evita l'errore, si conferma nelle verità conosciute e cammina sicuro. È dunque pel magistero della Chiesa che gli si rende facile e piana la cognizione delle verità divine contenute nelle Scritture. Ma se al contrario, cedendo alla tentazione dell'orgoglio, che perdette il primo uomo: e prescìndendo dall'insegnamento della Chiesa, al- tra guida, altro giudice, altro oracolo non vuol riconoscere, nella lettura della Bibbia, che la propria ragione, tutto gli diviene confuso, incerto, oscuro. Un velo densissimo scende a coprirgli le verità che vi si contengono. Il conoscerle con chiarezza, il determinarle con precisione, diviene non solo dìITicìle, ma direi quasi impossibile, non solo agl'i- dioti, ma a' più dotti. E non vediamo ogni giorno quei fra i protestanti che coerenti al principio fondamentale del protestantismo, battono questo stesso pericoloso sentiero dell'interpretazione privata dei Libri Santi, giungere ad un termine funesto? Imperciocché costoro alla lunga si anno- jano de' seri studi, de' duri stenti, dell' ingrato lavoro che, come si è notato 5), devono sostenere nell'andare così a tentone ripescando nel profondo pelago delle Scritture le verità cristiane, senza potere arrivare giammai a formar- visi un simbolo determinato e preciso. Disperano di toccare ad una meta che lor pareva al principio facile e vicina e che quanto più avanzano, tanto più si scosta da loro, fin- ché la vedono perdersi nelle profonde oscurità di una di-

LETTURA QtlNTA. 65

Stanza ìnflnita. Rinunziano alle loro inquisizioni bibliche, in cui aveano fidato con tanta sicurezza e con tanto orgo- glio, e finiscono per conchiudere non esser poi che un li- bro umano come tutti gli altri quella stessa Scrittura che avean cominciato a credere un codice divino. Lungi dal trovarvi il vero cristianesimo, non vi trovano nemmeno la divinità di Gesù Cristo , che ne è la base , e si abbando- nano e si perdono in un freddo e disperato deismo. Così senza l'ajuto della Chiesa, senza la luce che si riflette dal suo insegnamento, la Scrittura diviene un libro di enimmi impenetrabili , e V albero salutifero di vita si cambia in pianta velenosa di morte.

Il santo Giobbe avea di già predetta, tante migliaja d'anni prima, questa insuflicienza della Scrittura a fornire un solido alimento spirituale, quando è intei-pretata col privato giudizio di ognuno, come gli eretici son usi di fare. Ascoltiamo S. Gregorio il grande che, commentando queste misteriose parole di Giobbe: Mandebanl herbas et arhoruni cortices (Job 30), dice: quando un pane é troppo duro sicché non si può masticare, si va rodendo attorno co' denti: Rodi solet qxiod comedi non potest. Perciò in queste parole di Giobbe : « coloro che rodevano » sono profetizzati e descritti gli eretici. Pretendono essi di comprendere la sacra Scrittura coi loro soli lumi particolari: ma privi perciò del soccorso divino, non potendo in nessuna guisa conoscerne il legittimo senso; per questo stesso che non bene la intendono, può dirsi che non mangiano poi vera- mente di questo pane divino, ma vi fan sopra vani sforzi, e solo di fuori lo rodono: Hceredci aiilemj quia Scripturam sacrain inleììirjere sua uirtule moìiunturj eam procul dubio apprehendere nequaquani possuntj quani duiu non inlelli- (junt j quasi non edunt j et quia ^ per supernam graliani non adjuti hanc comedere nequeunt , quasi quibusdam illam nisibus rodunt.

Aggiunge pure il santo Giobbe che questi roditori infelici trovansi nella miseria, nello squallore e nella solitudine: Rodebant in solitudine ^ sfjualentes calamitate et miseria; e questa circostanza ancora indica gli eretici i quali essen-

66 LETTURA OUlISTà

dosi distaccati dalla società della Chiesa universale,, sono come esuli dalla gran famiglia, dalla vera città dei fedeli : stanno in luoghi solitarj e deserti, in cui domina la deso- lazione e l'indigenza: ed ivi altro sussidio non hanno che quello di andar rosicchiando la Scrittura, poiché non se ne posson cibare: Qui, quia ab universalis EcclesicB socielale clisjuncti suìitj non (juolibel rodere^ scd in soliludine ine- inoranlur, E siccome, di falsi interpreti divenuti predica- tori peggiori, tentano di attirar gente a popolare questa trista solitudine in cui si trovano, perciò Gesù Cristo, ve- rità incarnata, molto tempo prima ci ha avvertito, dicendo: Se vi dicono che la verità si trova fuori dell'abitato con essi nel deserto, o nelle caverne, guardatevi di prestar loro la menoma fede e di seguirli dove essi v' invitano : Ad (juam niiniriuìi soHludinem quia prcedlcalores falsi snqna- ces suos Iraherenly longe aule ueritas prceìuonuil diccus: si dixerint vobisj ecce in deserio est, nolite exirej in pe- neiraìibus eslj nolite credere (Matth. 2'4).

Finalmente degli uomini di Giobbe si dice che mangia- vano erbe e scorze di alberi nella lor fame: e tale è ap- punto la condizione degli eretici, i quali dalla sacra Scrit- tura, di cui menan gran vanto, appena conoscono la scorza esteriore e le cose più lievi, ma non possono però penetrarne il senso inlimo, sublime, gl'intimi e sublimi misteri che vi si ascondono: Qui herbas quoque et arborum corlices man- dunt ; quia in sacro eloquio magna et intima percipere nequeunt sed vix in ilio tenera et exteriora cocjnoscunt. Che anzi questi famelici che rosicchiano le scorze degli al- beri possono indicare ancora quei cattolici i quali nello studio dei Libri Santi si fermano a venerare l'esterna super- ficie del senso litterale; e non sanno ricavarne nulla pel senso spirituale; non sospettando nemmeno che nella Scrit- tura vi è un altro senso, oltre a quello che materialmente presentano le parole: Qui arboruìii quoque corlices man- duntj quia sunl nonnulli qui in sacris rohuninibus solain litterce superficieui veìierantur, nec quidquam de spirituali intellectu custodiunlj cum nihil in verbis Dei ampHus,nisi hoc quod exterius audierinl , esse suspicanlur (S. Greg. Moral., lib. t>0. cap. 11).

LETTURA QULNT.V (57

La Scrittura adunque separata dall' insegnamento della Chiesa e lasciata aHinterpretazione del senso privato, cessa di essere una luce che rischiari, una guida che accompagni, un cibo che sostenti nel gran viaggio dal tempo all'eternità.

§ \I. Siegue lo stesso argomento intorno alla necessità dell' insegnamento ecclesiastico per la facile e sicvra in- telligenza delle Scritture. Bella dottrina sopra di ciò di S.Basilio e di S. Pier Crisologo, confermata dalla storia delle eresie. Eseìnpio particolare di Lutero; e confessione importante di Calvino sul proposito. Teologia di S. Paolo intorno alla fine delle sacre Scritture: la fede nell'inse- gnamento della Chiesa serve loro di lume sicuro, e ne facilita r intelligenza. Come i santi Padri e la Chiesa intera hanno usato della Scrittura; come ne usano le anime pie, e frutti preziosi che ne ritraggono. Diversa maniera onde il cattolico e l'eretico leggono la Scrittura, ed effetti diversi che ne risentono.

Prima però di S. Gregorio, altri de' Padri aveano con pari forza ed eloquenza, insistito sulla necessità del magistero della Chiesa per la facile e sicura intelligenza dei Libri Santi.

S. Basilio paragona questi libri divini ad una farmacia for- nita a dovizia di tutti i rimedj per guarire dall' infermità del corpo; poiché infatti nella Scrittura sacra son riposte tutte le verità, ordinati tutti i mezzi per guarire da tutte le infermità dell'anima e trovare tutti gli ajuti e tutti i conforti: Instruclissima officina est quce omnia omnis ge- neris quibusvis morbis pharmaca suppeditat (Xi^nd A-Lap., Encom. sac Script.). S. Giovanni Crisostomo ha riprodotta esso pure la stessa idea, e ci esorta a cercare nella lettura de' Libri Santi, come in una spezìeria, i medicamenti per le malattie dello spirito: Comparate vobis biblica animce phar- maca (Homil. 29 in gen.). Bella è senza dubbio questa idea, e bella perché vera: perchè come ogni vero é bello, così ogni bello é vero. IMa non men bella e vera si é la rifles- sione che sopra la medesima idea fa S. Pier Crisologo. Os- servate, dice egli, che non basta ad un infermo, per gua- rire, l'avere a sua disposizione una ricchissima farmacia, or- dinata e disposta dietro le più dotte prescrizioni dell'arte

68 LETTURA QUlKtA

salutare. Pria di tutto ha egli mestieri di un medico che g-r indichi i rimedj che gli convengono ed il modo da farne uso. Se questo ajuto gli manca^ la farmacia, con tutta l'im- mensa suppellettile de'suoi antidoti, lungi dall'essere di al- cuna utihtà air infermo , può divenirgli pericolosa. Poiché in tal caso, obbligato egli, che nulla sa di medicina, a sce- gliersi da stesso e combinarsi insieme i rimedj che crede convenirgli, nulla di più facile quanto che prenda un ve- leno per un antidoto, che finisca di rovinarsi la salute men- tre pensa di ristabilirla, e ritrovi la morte in una officina in cui si contengono i rimedj per prolungare la vita : Quo- lies conlra lethales morbos anlìdotum lemperat peritici mt- dicorunij si prcefer artenij prcaler medici naìtiy prceler lem- pus accipere proisuìnal (Pfjrolus , fu pericuìi causa (juod procisum est ad salalem. Or non altrimenti accade della parola di Dio contenuta nella Scrittura: se l'uomo teme- rario si mette a leggerla per impararvi la scienza dell'e- terna salute, prima di essersi assoggettato al magistero della Chiesa, prima di averne bene imparata la dottrina, prima di aver conosciuto per questa via i dommi della vera fede; i rimedj di vita contenuti in questo libro prezioso si can- giano in veleno di perdizione e di morie: Sic Dei verbum, si prceler magisterium^ prceler doclrinam, prceler dogma jU deij, scire temerarius prcesumal auditor; quod est materia vitce j fil perditioìiis occasio. Bisogna adunque, conchiude S. Pier Crisologo, avere udita la fede prima di leggerla; poiché , se, senza averla udita dalla Chiesa, si presume di trovarla bella e fatta leggendo la Scrittura, questo libro, che Dio stesso ha dettato pel bene e pel prolìtto delle ani- me, si volgerà a loro detrimento e mina spirituale: Qua- rendum est igilur^ ne^ per audiendi imperiliam, cjuod ad profeclum nobis divinilus scriptum est ad animarum ve- rnai delrimentum (Serm. Epiph.).

Se queste riflessioni giuste e solide avessero biso- gno ulteriormenle di prove , basterebbe dare un' occhiata alla storia di tutte le eresie. Essa dimostra che tutte le sette degli eretici che dal principio della Chiesa sino a' giorni no- stri sono sorte successivamente, come piante velenose, ad

LF.TTIRA Ot'IMA 0)0

appestare la salubrità, ad alterar la bellezza del giardino della Chiesa , hanno appoggiato alla Scrittura tutti i loro errori, tutti i loro delirj, tutte le loro stravaganze, tutte le loro turpitudini^ tutte le loro bestemmie, contro il doni- ma, contro la morah-, contro il culto della vera fede, con- tro la Trinità, contro Gesù Cristo, contro Dio stesso.

Non intendo con ciò negare che gli eretici mentiscono sfacciatamente, (|uando dicono di aver trovato nella Scrit- tura le loro dottrine sovversive della stessa Scrittura. I.e eresie non sono cominciate da un passo delle sacre Scrit- ture sacrilegamente interpretato, ma bene spesso da una passione del cuore sul principio non bene repressa. Prima è inventato l'errore, e poi si è cercata nella Scrittura un' autorità per accreditarlo e far passare per rivelazione divina il parto mostruoso dell' ignoranza e dell' orgoglio o della libidine umana. E come sarebbe mai possibile il ne- gare questa verità confermata dall'esempio di Lutero e dalla confessione di Calvino? Poiché in quanto a Lutero, prima si ribellò all' autorità della Chiesa e poi cercò di provare colla Scrittura che la Chiesa non ha alcuna autorità: prima concedette all' elettore di Brandeburgo di sposare un' altra moglie, vìvente la prima, per cattivarsene il favore, e poi col Vangelo alla mano proclamò lecito il divorzio; prima sposò egli stesso, religioso e sacerdote, una vergine a Dio consacrata, e poi cercò ne'due Testamenti dei passi con cui legittimare il suo incesto e il suo sacrilegio. In quanto poi a Calvino, il quale, se non m'inganno, do- vea conoscere l'indole egregia degli eretici e lo spirito delle eresie, ha detto esso pure queste notabili parole : « Final- mente la causa principale del male si è questa che, una volta che si è inconsideratamente avanzata una dottrina qualun- que, si vuole ostinatamente e per tutte le vie mantenerla e difenderla. Allora si ricorre al libro degli oracoli divini per trovarvi l'apologia de'proprj errori, ed a forza di torturarne tutti i passi, di violentarne e di stiracchiarne tutti i significati, di adulterarne tutto lo spirito, e di farli parlare nel proprio senso riprovato, non vi è. Dio buono ! cosa che non si trovi e non si faccia dire alla Scrìi tura. Sicché ecco oggi la vìa

70 LETTURA QUIISTA

da divenir dotto: leggere e rileggere la Scrittura, ma per assoggettarla al proprio giudizio e farla servire a pro- teggere la propria seostumatezza. Or qual cosa può imma- ginarsi di questa più stolida? (e potea senza scrupolo ag- giungere: « più sacrilega e più empia.) » Tandem (quod est mali caput) dam olìstinate tueri percjunt , quod semel temere effutìveruìit ^ dnm oracuìa Dei consulunt , ex qui' bus errorum suorum palrocinia qmeravJ ^ ibi. Deus bone! quid non inveniunt? quid non depravant atque corrumpunl ut ad sensum snum, non dico, inflectant, sed et vi incur- vent'i hceccine est discendi via: versare et valutare Scri- pturas, ut libidini nosfrcB serviant, ut sensui nostro subji'- ciantur , quo nihii est stolidius (Apud Beerlinkium, Thea- trum vit. hum.j art. H/ERetici). » Oh parole! oh confes- sione! oh stolido ed infelice Calvino! e come non accorgerti che^ così scrivendo, hai fatto la tua turpe istoria, e sotto- scritta la tua condanna!

Senza dunque pretendere negare che il più delle volte gli eretici hanno invocata la Scrittura più nell'interesse dei loro errori e delle loro passioni che nell' interesse della ve- rità, non è men vero però, secondo l'osservazione S. Ireneo (che conosceva bene gli eretici, avendo scritto e combat- tuto sì bene contro tutte le eresie), non é men vero, dico, che il diavolo, per allucinare gl'incauti, si è studiato sempre di coprire le sue menzogne col velo della verità della Scrit- tura, e che, per una diabolica ispirazione, gli eretici di tutti i tempi han fatto sempre lo stesso: Diabolus mendacium abscondit per Scripturaìu j quod omnes lueretici faciunt (S. Irenams, Ilan-es., § 21), e che il libro divino cangiasi nelle loro mani sacrileghe, di rimedio di vita, in veleno di morte per le loro e per le altrui anime che con tal presti- gio seducono e traggono in perdizione.

La sacra Scrittura, come la tradizione, è stala da Dio la- sciata alla Chiesa in deposito per decidere col suo ajiito tutte le questioni e mantener pure le dottrine della vera fede. Essa ha fornito materiali preziosi ed opportunissimi ai Padri per ispiegare queste stesse dottrine, ai teologi per insegnarle, agli apologisti per difenderle, ai predicatori evangelici, agli

LETTURA OUIMA 71

scrittori ecclesiastici per trarne amniae'stramenti ed esempi atti a risvegliare la religione, a correggere i vizj, ad incul- care le virtù, a guidare i fedeli nei sentieri della vita inte- riore e perfetta; ed a ciò, secondo S. Paolo, si restringe l'im- portanza e l'utilità della Scrittura: Omnis Scriplura. divi- iiìlus inspirata j utiìis est ad doctndum , ad arguendum ^ ad corripiendum j ad erudiendnm in justilia (II Tira. 5).

Essa, dice ancora lo stesso apostolo, é una lettura egual- mente vantaggiosa e gioconda all'anima fedele, che già cre- de, che già spera; perché vi trova esempi pazienza, mo- tivi di consolazione, onde sempre più rinvigorir la sua fede ed animare le sue speranze: QiKPcumque scripla sunt, ad nostrani doclrinam scripta snnl, ut per piitientiam et coìiso- lali;)tieni Scripturarum spem habeamus (Rom. 13). xMa questo libro divino non ci è stato lasciato perchè ogni uomo, indi- pendentemente dal magistero e dalla predicazione della Chie- sa, vi trovi da la regola da credere e da operare, e vi si formi a ?uo talento la religione. Questo metodo, che rende- rebbe difficile a tutti, ed impossibile al maggior numero la cognizione della vera religione, non é certamente uscito dalla mente di Dio, che nella sua misericordia ha voluto che questa cognizione fosse facile a tutti.

È vero che il linguaggio del sacro codice, che in nulla so- miglia ai libri usciti dalla mente degli uomini, è semplice ed accessibile a tutti : ma, come avverte S. Agostino, i suoi sensi sono profondi e nascosti, e pochissimi sono in istato di pe- netrarli: Modus ipse dicendi quo sacra Scriptura contexi- tur, quamquam omnibus accessibiUs ^ paucissimis tamen penetrabilìs est (Epist. 8 ad Volus.). Come è dunque possi- bile che ogni uomo, non dico idiota ed incolto, ma dotto ed illuminato, possa, co' soli suoi lumi . trovare in un libro si grande e misterioso, ed in moltissime partì oscuro, iin senso chiaro, preciso, determinato dei dommi essenziali a credere e de'doveri necessarj a praticare?

Lungi però dal potere la Scrittura sola bastare perchè ognuno vi trovi con facilità la vera fede, la professione della vera fede deve precedere per intendere facilmente, per gustare la Scrittura e farne il nutrimento salutare del-

T-2 LETTiT.A QUyrx

l'anima. Divino è il lume che viene dalla Scrittura, perchè essa è parola di Dio^ ma non men divino è il lume che viene dall'insegnamento della Chiesa, perchè la Chiesa è opera di Dio ed assistita da Dio. Or la fede nella dottrina della Chiesa è il vero lume che deve seguirci di guida a ritrovare il lume che si contiene nei Libri Santi, e così si adempie la profezia di Davidde. che un giorno i veri fedeli coU'ajuto di un divino lume avrebbero conosciuto un lume divino: Jn lumìne tuo videbimus lumen (Psal. 35).

Questo è dunque l'unico lume certo e sicuro, come è splendido e costante, per non errare nella lettura de' Libri Santi. Quando l'anima fedele incomincia dal conoscere e dal credere certo ed infallibile l' insegnamento della Chiesa ; qualunque idea, qualunque significato, qualunque interpre- tazione, che nella lettura della Bibbia possa venirle in mente,, contraria a questo insegnamento divino, la rigetta come falsa. Perciò come chi cammina in un laberinto colla mano sempre ferma al filo che gli serve di guida può a suo pia- cere percorrerlo senza pericolo di smarrirsi ; così l' anima cristiana, col lume e colla guida della dottrina della Chiesa nella mente, può percorrere a suo bell'agio il gran libro degli oracoli divini e delle verità eterne, vagheggiarne la bellezza, sentirne la forza, riceverne la luce che ingrandisce e rischiara la mente, provarne la dolcezza che inebbria e solleva il cuore senza pericolo d'impegnarsi nelle inestri- cabili giravolte dell' eresia in cui la ragione scoraggiata travia e si perde.

Così hanno praticalo tutti i santi padri, tutti i dottori, tutti i solitari dei deserti, tutti i grandi teologi, i pii scrit- tori, tutti i santi e tutte le anime sublimi e perfette che da diciotto secoli sono comparse ad abbellire il mistico cielo della Chiesa o colla sublimità della loro dottrina, o coU'e- roismo delle loro virtù. Molti di loro, senza avere presso di altro libro che la Scrittura, colla lettura incessante, colla meditazione continua di questo codice divino, sono divenuti prodigi di cristiano sapere; e vi hanno trovati bastanti sus- sidj per ispiegare tutte le verità e distruggere tutti gli er- rori, per persuadere tutte le virtù e combattere i vizj. Que-

LETTLilA yL'l>TA 73

sto libro divino nelle loro mani era una miniera inesausta, una fontana perenne di lumi, di dottrine, di verità, di af- fetti, di cui dopo di essersi arricchiti e dissetati essi stessi, hanno arricchito e dissetato anche gli altri.

Ciò é a dire che, come lo avea ancora predetto il Profeta, perché profondamente si umiliarono e credettero da piccoli, compresero direi quasi da angioli e parlaron da apostoli: e l'umile fede diedi loro un'intelligenza celeste, una eloquenza divina: Credidi propter ((iiod locutiis sudìj ecjo autein hn- miìlatxis sum niviis (Psal. i45).

Così pure ogni anima veramente cristiana che si mette a leggere le Sacre Carte con uno spirito pieno di fede nei mi- steri e nella dottrina di Gesù Cristo, che in una maniera chia- ra, determinata e precisa ha imparato dal magistero della Chiesa in ogni pagina dell'antico Testamento non che del nuovo, vi trova facilmente Gesù Cristo e i suoi misteri e la sua dottrina. Lo ravvisa in tutte le istorie, lo riconosce in tutte le profezie, lo indovina sotto il velo di tutte le figure, poiché la vera fede che la guida é amore: e l'amore é in- dovino: e a grandi distanze e nella confusione molti og- g-etti distingue la cara voce, il desiato sembiante dell'og- getto amato: e se i sensi vi s'ingannano, non vi s'inganna il cuore, che con un palpito soave avverte la presenza del diletto. Perciò l'anima fedele nella lettura dei Libri Santi trova argomenti da confermarsi sempre più nella fede, che le serve guida; motivi da crescere sempre più nell'amore di Dio, che le fa d'interprete; fiducia nelle divine promesse, che sono il suo appoggio; e quanto più legge questo libro divino, tanto più lo gusta; quanto più lo gusta, tanto più lo ama: quanto più lo ama, tanto più l'ammira; quanto più l'ammira, tanto più l'intende. Ti trova ad ogni pagina in- terpretazioni infelici, spiegazioni chiare, applicazioni esatte, dottrine importanti, insegnamenti salutari, pratiche divote, esempi efiTicaci, ed acquista un giudizio più retto, una in- telligenza più chiara, idee più elevate, sentimenti più no- bili, un gusto più squisito, un amore più puro e più fer- vente delle cose divine; penetra nel loro midollo, entra nel loro interno, e di^ns-pre la manna incirubile the la

74 LETTURA OUIISTA

bontà di Dio ha nascosto in questo libro divino, come in un' arca novella ; manna celeste che fornisce ogni rimedio alle piaghe dell' anima , che contiene ogni sapere ^ che su- pera ogni diletto, che appresta ogni conforto, e prova tutta la verità della predicazione davidica. Che la parola di Dio spiega una soavità, una dolcezza più che melliflua nel pa- lato spirituale dell'anima veramente umile, amante e fedele: Quani (lulcia faucibus nieis eloquia tua! super mei ori meo (Psal. il8).

Ecco dunque una delle tante differenze clìe passano tra il cattolico e l'eretico. Tutti e due leggono la Scrittura, ma il cattolico vi cerca Y alimeìtlOj l'eretico il principio della sua fede. Il cattolico incomincia dal credere per intendere, l'eretico incomincia dal volere intendere per arrivare a cre- dere. E poiché sta scritto: se volete intendere, incominciate dal credere: Fide iulelliyimus (Hebr. di), e chi non comin- cia dal credere non arriva nemmeno ad intendere: ISisi cre- diderilis, non intelliijelis (Isa. Jux. Sept.); che accade egli mai? Il cattolico, che comincia dal credere e cerca d'inten- dere, arriva ad intendere senza cessare di credere. L' ere- tico, al contrario, che incomincia dal volere intendere per giungere a credere non ritrova mai una norma determi- nata e precisa per credere, e finisce col non intendere più nulla. Chi ha l'umiltà della fede, ne ha ancora per premio, per quanto qui in terra é possibile, l'intelligenza. Chi pre- sume di averne l'intelligenza che non ha; e la fede gli è interdetta, e viene di più spogliato della sua pretesa intel- ligenza per divenire il trastullo miserando di tutti i dubbj, di tutti i delirj , di tutti gli errori ; adempiendosi così in lui l'oracolo tremendo di Gesù Cristo: chi lia, avrà ancora di vantaggio, e viverà nell' abbondanza; chi non ha, non troverà nulla ; e se pure alcuna cosa gli rimane del pro- prio, questa pure gli verrà tolta: Qui habet dabitur eij et (dmndabit; qui autem non habetj et quod habet, auferelur ab eo (3Iatth. 13). Oh felice ignoranza della fede! Oh mi- sera scienza dell'orgoglio!

LETTURA 0UI>TA 75

8 XII. - Si dimostra col fallo delle missioni degli ereticij comparate colle missioni cattoliche^ che il solo insegiia- menlo della caltolica Chiesa è facile ed acconcio a con- vcrlire ogni sprcir- di infedeli. Il missionario dell'eresia è un inviato-non-inviato. La prima condizione essenziale per predicare con successo il Vangelo y la legittima mis- sione, il solo missionario cattolico può vantarla. Si con- siderano questi due missionarj nella loro partenza, nel loro viaggio, nel loro arrivo. Grandezza e nobiltà del missionario cattolico, non ostante la sua povertà. Occu- pazione de' due missionarj. Le missioni protestanti in- vece di attirare al cristianesimo gl'infedeli, sempre più ne li allontanano.

Ma dalle teoriche discendiamo alla pratica , e vediamo r insegnamento dell' eresia e quello della Chiesa cattolica applicati all'opera della conversione delle genti. Impercioc- ché la presunzione dell'eresia si é spinta ancora più oltre (e che non osò essa mai per darsi un'aria di verità, accre- ditarsi e farsi vedere?) e, non contenta di fare della Scrit- tura lasciata alla libera interpretazione di ognuno la regola del credere pe' cristiani , ha pensato di farne il mezzo di conversione pe' gentili. Sono perciò circa cent' anni che la propaganda protestante, volendo fere la scimia alla propa- ganda cattolica, sparge in gran copia pel mondo maomet- tano e idolatra gli esemplari della Bibbia fra'popoli che in- tende di convertire. Giacché, quando il mondo meno se lo aspettava o potea o dovea aspettarselo, 1' eresia si é fatta tutta ad un tratto coìiverlitrice, e si é vista presa dalla prurigine di dilatare il cristianesimo tra gì' infedeli ( essa che ha fatto e fe di tutto per distruggerlo fra'cristiani)/e di rigenerare a Gesù Cristo pel battesimo le anime ( essa che, per lo scisma che ha introdotto, ha fotto e fa perire ogni giorno tanti milioni di anime tolte a Gesù Cristo ). Così alcune volte il lupo si ricuopre della pelle della pe- cora, il mercenario si trasforma in pastore, il traditore in amico, il ladro che vive rubando l'altrui, affetta di mostrarsi generoso del proprio ; e il masnadiero , la cui professione si é quella di togliere la vita, parla di filantropia e si mo- stra zelante di salvar qualcuno da morte ! ! !

76 LETTURA [iXÌÌMX

Diam pertanto un'occhiata alle folli intraprese de'prote- stanli, che loro piace di appellar missioni j e che non sono che derisioni sacrileghe insieme e ridicole, del più santo e più au- gusto ministero, l'apostolato cristiano; e vediamo come il me- todo adottato dall'eresia per far conoscere agl'infedeli la reli- gione cristiana è dìflicile, vano ed infruttuoso; e solo l'insegna- mento degli inviati della vera Chiesa è facile, solido e fecondo.

Primieramente, secondo S. Paolo, per predicare con suc- cesso, hisogna essere inviato da chi ha legittima autorità di inviare : Quomodo prcedicabiint ìiisi iniUantur? (Rom. iO) Ora chi è che invia i missionarj protestanti? Molti fra loro come i metodisti, si danno essi medesimi la missione di pre- dicare il Vangelo, ed in mancanza di qualcuno che // invii, s' inviano da stessi. Singolari missionarj o inviati che nessun invia, e che si possono perciò chiamare inviati non inviati!!! Altri sono mandati dalle società bibliche, o dalle società della propagazione del cristianesimo di Londra, o dal re d'Inghilterra nella sua qualità di sommo pontefice della chiesa anglicana. Ma le società particolari, le partico- lari chiese possono inviare gente di loro fiducia per fare scoperte e promuovere affari, ma non già per piantar mis- sioni e propagare il Vangelo. I re della terra possono man- dare eserciti per conquistare, non missionarj per convertire. K siccome non possono dare una missione che non hanno, così i loro missionarj sono altresì missionarj senza missione, o inviati non inviali. A meno che non vogliamo dire che una missione ahhiano essi pure, ma dalla politica, dalla cu- riosità, dalla cupidigia, dall'orgoglio.

Deh che, come Gesù Cristo potè inviare gli Apostoli, poi- che esso stesso fu inviato dal suo Padre che è Dio vivente in lui: Pater in me est et ego in Patre (Joan. 10): siciil viisit me vivens Pater, et ego mitto ro5 (Joan. 6), così solo la Chiesa può inviare i predicatori, perché essa stessa è ?w- viala da Gesù Cristo che vive in lei e con lei: Ecce ego ro- biscnm sum iisque al consummationern sccculi. Perché a lei, e non ai gahinetti dei politici, alle accademie dei dotti, alle società degli speculatori, alle borse de' com- mercianti, é stato consegnato il mondo per essere evangc-

LETTURA OLIATA 77

lizzato, tulio II* nazioni per essere istruite, ballezzate e con- dotte nelle vie della vera fede e dell'eterna salute: Eiinles in mundum iiniversìim, prcedicate Evangelium omni crea^ farce. Docete omnes (jentts, bdplizate cos... Qui creditlerit et baplizatus fueril saìnis erit.

Il solo missionario cattolico adunque, che riceve il suo mandato dal vicario di Gesù Cristo, come il pontefice dal suo divino principale ha ricevuto il suo, il solo missionario catto- lico, che, appunto perchè mandato dal sommo gerarca capo e rappresentante legittimo della Chiesa universale, è mandato in sostanza dalla stessa Chiesa, può parlare a nome della Chiesa^ come legato della Chiesa e rappresentante esso stesso dell'au- gusto rappresentante della Chiesa che lo manda. 11 solo missio- nario cattolico ha una missione tanto reale e legittima, quanto augusta e sublime, e questo invialo è veramente inviato.

Che che sia però degli uomini di buona fede e de' gonzi che fra protestanti in gran numero si trovano, e che per uno scopo morale ed evangelico contribuiscono coi loro averi a mantenere le missioni delle società bibliche o del governo reale, non è più un arcano pel mondo che lo scopo di que- ste strane ìnissioìii, in apparenza religioso, in sostanza però é politico e finanziario. Si pretende con esse dilatare più il nome olandese, russo e britannico che il nome cristiano; di attirare più sudditi al re che discepoli a Gesù Cristo: di stabilire ])iù depositi di commercio che cattedre di predi- cazione: di estendere }>iù lo spaccio delle mercanzie che l'impero della fede. Ma la calunnia più intrepida può mai osare di attribuire intenzioni si interessate e meschine alle cattoliche missioni? l*er quanto cristiano sia un gover- no . le sue spedizioni religiose faranno sempre sospettare che vi ha parte e ne è la molla principale Tinteresse e la politica. Le sole missioni del sommo pontefice hanno uno scopo manifestamente spirituale e cristiano che non é possibile il pur sospettare che i missionarj cattolici abbiano altra mira fuori di quella di predicare il Tangelo, di con- vertire anime e incivilire il mondo.

Mirateli, tutti e due, il missionario protestante e il mis- sionario cattolico; e dalla maniera onde s'incamminano alla

Beììezz* delia, fede. II. l

78 LETTURA QUINTA

rispettiva loro missione chiaro vedrete chi ne ha dato loro r incarico , quale ne é Ix) scopo^ e quali i frutti che se ne devono attendere.

Già son tutti e due saliti sulla stessa nave che deve tras- portarli nell'Oceanica o alla Cina. Quel damerino spirante ' vezzi e lusinghe, che passa il suo tempo a trastullarsi colla sua femmina e coi suoi piccoli^ o a giuocare a carte coi marina], o a tracannare liquori spiritosi, o a confondere il fumo della sua pipa con quello del vapore che fa volare il naviglio; questo uomo, interamente profano nel suo abito, ne' suoi discorsi, nelle sue maniere, questi è il missioìiario protestante, che dicesi incaricato di una sacra missione! esaminate il suo bagaglio; che vi trovate voi mai? Con al- cune casse di Bibbie tradotte in una lingua che esso stesso non parla e non intende, balle di mercanzie che è incari- cato di vendere; fasci di campioni di nuove manifatture, che gli si è raccomandato di accreditare; cambiali che ha la procura di esigere; libri di conti ed arnesi per un negozio che deve stabilire; macchine per una nuova industria che ha da piantare; infine un guardaroba ricco di abiti e di ogni oggetto di comodo e di lusso e di tutto ciò che può contribuire a procurare un' esistenza cotifortabiìe^ come di- cono, ossia ricca, agiata e deliziosa a lui ed alla sua famiglia (giacché i più probi di questi singolari missionarj vanno a convertire anime portando seco moglie e figliuoli). Ed è un tal uomo che deve predicare il mistero della croce e la virtù d(d Vangelo? Quale derisione ! quale impostura! quale follia ! Mirate al contrario il missionario cattolico. Esso è un po- vero prete, o un povero religioso, modesto negli abiti, umile nel portamento, affabile nelle maniere, che in tutto il suo esteriore annunzia gravità, riserbo, pudore. Tolto il tempo dato ad un breve riposo, ad una scarsa refezione, é sempre in sante letture, in fervide preghiere; e se si mescola coi passaggeri, o colla ciurma, ciò non è che per istruirla co' suoi discorsi, 0 edificarla col suo esempio; e dove il primo, non ostante il suo lusso, la sua bizzarria, la sua politezza, non ispira che indifferenza di o disprezzo; l'altro, non ostante il suo severo contegno e la sua povertà, finisce con attirar

LETTURA C»1'I:NTA 79

sopra di gli sguardi, la venerazione e l'amore tutti. è raro che lo stesso protestante , sentendo l' immensa sua inferiorità ed il suo nulla in faccia al cattolico, alla mensa, al circolo gli cede il primo posto, ed onori in quello un carattere ed una dignità che sente di non avere in stesso. La malevolenza non è sempre padrona di negare alla vera grandezza, alla vera virtù l'omaggio dovutole. È veroj il nostro missionario non ha altra ricchezza che la sua fede, il suo zelo e la sua virtù. I sacri arredi pel divin sacrifizio, un breviario, un crocifisso, un Vangelo e l'abito che porta indosso, formano tutta la sua suppellettile. Pure non vi fermate alle apparenze: quanto più é egli privo delle ricchezze della terra, tanto é più ricco dei tesori del cielo: quanto é più spregevole agli occhi del mondo, tanto è più grande agli occhi di Dio. Egli ha la missione di predicare il Van- gelo, datagli da chi solo può darla sopra la terra; ha la facoltà di consacrare il corpo e il sangue di Gesù Cristo e di santificare col sangue di questa vittima divina le contrade della superstizione e della barbarie; egli ha la potestà di con- vertire, di battezzare, di assolvere, di formare un nuovo popolo a Gesù Cristo. Quest'uomo solo, povero, inerme, vale un'armata... m'inganno: vale più d'un' armata, più di tutte le armate del mondo. Tutte le armate del mondo possono conquistarlo: questo povero prete ha il potere di convertirlo. Egli é solo, ma rivestito del carattere di legit- timo inviato di Dio , porta in stesso i destini eterni di un popolo, di molti popoli forse: a' quali, strumento della misericordia e della predestinazione divina, angelo esecutore del più impenetrabile dei divini consigli, va ad aprire le porte del cielo. La sua stessa povertà, il meschino abito che lo ricuopre è la prova della sua dignità e della gran- dezza della sua missione. Quel Vangelo, quel crocifisso, quella pietra da celebrare, sono armi d'una immensa po- tenza e le insegne di un nobilissimo principato.

E debole, é infermo, non vai nulla secondo il mondo: po- tete dunque essere certo che finirà per confonderlo; perchè sono diciotto secoli che l'uomo all'ultimo grado della debo- lezza è lo strumento della potenza e il ministro dei grandi

811 LETTURA (jLirSTA

disegni di Dio; e che questo Dio non accorda che alla stol- tezza, aH'ignobilitàj all'essere dispregevole, al nulla secondo il mondo, il privilegio di umiliarlo, di distruggerne i vizj e gli errori, di convertirlo, di santificarlo: Quce stilila siuil ìiìiindi elegit Deus ut confundat forila: el iyìwbilia mundi et conlemptìbUia elegit Deus et ea quce non sunt^ ut ea quce sunt desirueret (I Cor. 1).

Oh sublime incarico! oh magnifico e nobile ministero del cattolico missionario, di cui nulla intende e che non divide per nulla il missionario eretico! Questi non ha che un ca- rattere civile ad una commissione umana; quegli ha un carattere soprannaturale ed una missione divina. Questi va a prostituire un titolo sacro di missionario Gesù Cristo ad interessi profani, quegli va a sacrificare ogni profano in- teresse per far trionfare il santissimo nome di Gesù Cristo. Questi va a lusingare le passioni, quegli a correggerle. Que- sti va a scandalizzare le anime, quegli a convertirle. L'uno è l'agente dell'interesse, l'altro é il ministro della carità; l'uno va a dilatare il commercio, l'altro il Vangelo, l'uno va a formare schiavi al potere terreno, l'altro a rigenerare figliuoli al Padre celeste. In una parola, l'eretico missiona- rio non é in realtà che un commesso-viaqgiatorfj il catto- lico solamente é un apostolo cristiano, un dispensatore dei misteri di Gp,sù Cristo (I Cor. 4). Oh quanto dunque son belli i suoi passi, preziosi i suoi disegni, nobili e magnifiche le sue imprese ! Égli é il canale onde i beni del cielo discen- dono sopra la terra; egli é T evangelista e il mediatore di pace tra l'uomo e Dio; Qucun speciosi pedes èva n geli zcui- tium pacem, evangelizantium bonal (Rom. -10.)

Quindi il missionario cattolico, dovunque arriva, può con santa alterigia e con piena sicurezza dar ragione di e dire ai popoli: Sono un servo, un legato del Dio creatore dell'universo e del suo unigenito figliuolo Gesù Cristo, man- dato da clii tiene le sue veci in terra , per istruirvi della religione, proporvi le condizioni vere di riconciliazione e di pace tra voi e Dio, e mettervi nel cammino dell'eterna sa- lute. La mia povertà, le privazioni cui mi condanno, i peri- coli cui mi espongo, le fatiche cui mi destino, e la morte

LETTURA QUINTA 81

stessa cui mi assoggetto, dimostrandovi chiaro che non cerco i vostri heni. ma le vostre anime, sono le credenziali auten- tiche della mia ambasciata: Pro Christo lecjafione fuìujimur^ obsecranlcs vos : reconciliamim Beo (II Cor. 3). Al contra- rio, non è lieve imbarazzo pel sedicente missionario dell'ere- sia il rispondere con precisione e chiarezza, senza confon- dersi, senza arrossire, all'infedele che gli chiede: Chi e: e voi? chi vi ci mauLÌa? che siain venuto qui a fare? L'unica risposta plausibile che potrebbe fare a tali domande sa- rebbe questa : « Io sono un mistero, un essere indefinibile a' miei propri occhi. Che cosa son venuto a far qua, i fatti vel mostreranno. »

Ed i fatti in realtà non tardano a dimostrare la qualità del suo personaggio, e l'indole della sua missione. Non vi aspettate già che. giunto egli appena in una contrada ido- latra, incominci ad impararne penosamente la lingua, a stu- diarne le abitudini, ad informarsi dove vi è più speranza di distruggere superstizioni, d'infranger idoli, di abbatter de- lubri, di convertir anime, di stabilir chiese, di spargere il conoscimento e l'amore di Gesù Cristo. Non vi aspettate che, in seguito di queste indagini, trascinato dal suo zelo, forte della sua confidenza in Dio e della sua speranza di recare ad altri la vita eterna , e di trovarvi per nobil cagione egli stesso la morte, abbandoni la famiglia, esca dall'abitato, penetri nell'interno di terre che divorano i loro stessi abi- tatori, si aggiri per boschi e per selve, per balze e dirupi, a cielo ruinoso, a climi pestilenziali, a scompigliati elementi, in cerca delle famiglie dei selvaggi, che colle fiere hanno comuni le tane, come la vita; e che con pazienza invinci- bile in mezzo ad orribili patimenti, con un coraggio sublime in faccia a pericoli sempre rinascenti sotto i suoi passi, con una longanime costanza in un terreno che non risponde che colle spine di persecuzioni di ogni genere alla coltura in- stancabile dello zelo, si adoperi a mansuefare quei mostri a forme umane, e colla forza della parola e molto più dell'e- sempio di un'industriosa ed eroica carità, incominci a ren- derli uomini per poi farli cristiani. Nulla di tutto ciò: que- sta condotta è quella del missionario cattolico, che di già si

82 LÈtftJRA OUI-^TA

è messo all' opera e comincia a sperimentarne il fruttò; Questo sacrificio sublime e intero che l' uomo fa di se stesso alla gloria di Dio, alla salute degli uomimi, l'in- viato dell'eresia non è capace nemmeno d' intenderlo, molto men di eseguirlo.

L'errore, anche elevato sino al fanatismo, non può ispi- rare sentimenti cotanto superiori alla condizione umana, e che la sola verità divina può suggerire; perchè essa sola ap- presta ancora l'ajuto soprannaturale, la grazia di compierli. Pertanto: che un solo de' comici missionarj dell'eresia abbia mai fatto nulla di tutto quello che pure ogni giorno fanno i missionarj cattolici per la propagazione del cristianesimo, il mondo lo ignora, e lo ignorerà certamente per sempre. A buon conto il missionario protestante non isceglie la contrada più bisognosa di ajuto spirituale, ma quella capace di fornire in maggior copia vantaggi corporei. Il suo zelo biblico preferisce sempre i luoghi che forniscono numero maggiore prodotti da negoziare, a quelli che presentano maggior numero di anime da convertire. I\on s' interna nel paese, ma si sofferma in vicinanza del mare; ed ivi vicino ad un forte della nazione cui appartiene, del governo che lo manda; nella posizione più comoda, più ridente e più salu- bre si pianta colla sua consorte e co' suoi figliuoli, fabbrica casa, acquista terre, compra schiavi, stabilisce fabbriche, fonda manifatture, annoda commerci. Che queste sieno ve- ramente le opere del minislero di questi apostoli che non han nulla di apostolico, lo sappiamo da loro medesimi. Nei loro (jioniaHj a ciò destinati, essi non lasciano di pubblicare, ad edificazione del mondo, le imprese e i successi delle loro missioni, che chiamano evangeìiche, perchè i poverini non possono dirle cattoliche o universali. Ne volete un piccolo saggio? eccolo nuovo e recente. Nel suo fascicolo di agosto del decorso anno 18^1, il giornale protestante intitolato. Journal des inissions évanyeliques , contiene il seguente rapporto sottoscritto dal signor J. Lanca, protestante mis- sionario in Africa: « iO agosto, si è lavorato alla ferriera, e si sono terminati dei telari da finestre: 12, si sono semi- nati legumi: i3, si è atteso a fabbricare: 14, è racco-

LETTURA QUINTA 83

modato un carrettino; si sono piantati alberi^ potate al- cune viti: 15, domenica, abbiamo avuto una buona con- gregazione. Vi é udito attentamente un sermone sopra le parole: Bnali coloro che piangono, (jiacchò saranno consolali. Possa la tristezza, di cui uomo giammai non si l)ente, divenire più universale fra i nostri: i7, si è racco- modata una ruota di ^vagone cbe stava per cadere in pezzi. » Oh imprese apostoliche veramente degne dell'ammirazione del mondo!!! 3Ia ecco la più edificante novella con cui il zelante missionario conchiude questo di già edificantissimo rapporlOj e che al sapersi in Europa ha dovuto far tripu- diare di santa gioja, tutte le chiese protestanti: « Ho il contento, egli dice, di annunziarvi che il 19 di questo mese la mia cara consorte ha messo felicemente al mondo un bambino, che sarà chiamato EiKjenio al battesimo. La madre e il figlio stanno bene, grazie al nostro Dio e Pa- dre. »

Oh missione veramente evangelica e benedetta dal cielo! Oh caso veramente strano e degno di eterna memoria! La moglie del missionario Lauca ha partorito un bambino! Oh zelo veramente portentoso di questo egregio ministro eua«- (jelico! non potendo convertire anime, s'adopera a far na- scere almeno figliuoli, ed a moltiplicar sudditi al re, se noh può attirare infedeli a Gesù Cristo! La calunnia non oserà, almen questa volta, di accusare le missioni evangeliche di sterilità!!! 0 lettore cattolico, voi da una parte riderete, e fremerete dall'altra a ridicola e impudente profanazione dell'apostolico ministero, e ne avete ragione. Ma vi sovvenga che non per altro siffatte cose vi destano le risa e l'orrore, se non perchè la religione di verità che professate vi ha dato le vere idee, idee sublimi e magnifiche dell'apostolato cristiano; ed al contrario, perchè l'uomo fuori della Chiesa non ne intende nulla, molto meno può ftirne nulla: perciò lo vedete pubblicare con una bonomia perfetta e senza arrossire e sotto il titolo d' imprese evangeliche^ grosso- lane inezie, che provano la perdita del senso comune e ogni idea del cristiano ministero, non meno in chi è de- stinato a leggerle che in chi le scrive I

84 LETTURA OUIISTA

Ma in fine^ a quando a quando l'inviato dell* eresìa ram- menta che, per una combinazione felice, riunisce in stesso la qualità di missionario anglicano con quella di trafficante; e che se ha vistosi appuntamenti per commerciare, ha an- cora una pensione non dispregevole per evamjeìizzare. Ec- colo però mettere la mano alla santa impresa, e cominciare a spargere Bibbie nel contado, senza curarsi gran fatto di sapere se coloro cui si un tal libro sieno in caso di leg- gerlo, non che d'intenderlo: poiché ne' /Y/ppor/i annuali bisogna poter dire che si sono distribuite tante migliaja di esemplari della Bibbia. Ma siccome bisogna pure poter rife- rire, col numero dei leggitori del libro, quello de convertiti alla religione della Scrittura; ecco il buon missionario ga- reggiare di zelo colla buona missionaria sua moglie per crislianizzare almeno la famìglia, ed insistere con promesse danaro e con minacce di gastìgo presso grinfedeli poveri presso i proprj schiavi per indurli a forsì cristiani, senza per altro istruirli delle verità e dei doveri del cristianesimo: poiché tutto ciò deve farlo ognuno da colla Bibbia. Ora, come diceva uno di questi falsi convertiti, « è una cosa co- moda il ricevere venti ghinee ed evitare il bastone, col consentire farsi bagnare con un poco d'acqua (il bat- tesimo) e il dirsi cristiano senza che ciò imponga alcuna nuova credenza, o alcuna nuova obbligazione. »

Perciò non é raro il vedere questi cristiani, fatti a tanto a testa, convinti dagli argomenti ad hominem del bastone, e sotto la protezione della mitraglia, dirsi cristiani, e rima- nere idolatri, continuando a vivere nelle loro superstizioni e ne' loro vizj , e poi, cessando la speranza dell' utile e il timor della pena ritornare infedeli. Anche questi risultati meravigliosi delle missioni de' protestanti son noti al mondo da' loro libri e dai loro giornali.

Ciò però non impedisce questi intrepidi millantatori d'ine- zie e di stravaganze, quando possono contare un certo nu- mero di queste facili conversioni (che non oltrepassa mai la decina) di mandarne un pomposo rapporto in Europa, di- cendo: » Dio si è degnato di benedire quest'anno la nostra missione. » Oh miserabili ipocriti del vero apostolato! NO;,

LETTURA Ul'IìNTA 85

non è altrimenti a Dio^ ma al diavolo; non all'eflìcacia della ^^azia^ ma alla aspettativa della temporale mercede, che voi dovete queste ridicole conversioni che in fondo non sono che perversioni funeste. Non è Dio, ma il diavolo che si è servito del vostro orribile ministero per inoculare in questi fmti neofiti i vizj della civiltà con quelli della barbarie, per farli passare dall'errore nel dubbio, dalla superstizione nella indiilerenza per allontanarli sempre più lunjjà dalle vie della salute; poiché non riuscite in fondo che a far loro odiare e disprezzare profondamente il cristianesimo. Invano dunque vi dite missionari evangelici voi che non siete che profanatori sacrileghi dell' evan(jeHco ministero. Perciò la vostra ricompensa sarà quella che Gesù Cristo vi ha minac- ciata in queste terribili parole, con cui ha predetto la vostra storia e fatto il vostro ritratto: « Guai, guai a voi, scribi e farisei , che non avete che l' ipocrisia dello zelo e la ma- schera della religione, e che viaggiate per mare e per terra per fare un qualche proselito delle vostre dottrine; e, pel mezzo medesimo con cui dite di averlo convertito, lo avete renduto al doppio di voi stessi peggiore, e di vittima del demonio ne lo avete fiUto figliuolo: Ice vobis scriba^ et [ìharisrei hijpocritcej quia circuitis mare et aridam ut fa- ciatis unum proselytum j et cuni fuerit faclus, facilis cum filium (jehenncò duplo qiiam vosi (Matth. 23.)

§ XIII. - Siegue io slesso argomento delle missioni, per far conoscere l'indole del cattolico insegnamento. Stoli- dità del missionario protestante, che pretende di conver- tire al cristianesimo l'infedele col dargli solo a leggere la Bibbia. La vera fede non si riceve leggendo libri j ma ascoltandone i veri predicatori. Una missione catto- lica alle isole Gambier. L'errore si stabilisce colla forza; la verità non lia bisogno che di slessa. Sterilità e scandalo delle missioni protestanti nelle Indie. Il pro- testantismo ha impedito che il monda divenisse cristiano. Speranze che di se l'Inghilterra di dilatare nn giorno la fede cattolica in tutto il inondo.

r>ia fra la turba di questi missioìiarj spcculalorijZaVdniì più de' propri interessi che dell'altrui spirituale salute, ve

4

86 LETTURA QUIETA

ne sono di quelli che colla più grande semplicità di cuore si danno il titolo di missionari ^ e colla Bibbia alla mano si lusingano di adempirne le funzioni. 3Ia oh stolidi figli dell'errore! E che? basta forse prendere il titolo di lìiis- sionarj per esserlo? darsi il vanto di predicare il Vangelo per persuaderlo? dare a leggere ad un infedele la Scrit- tura per farne un cristiano? Per far credere che è divina la dottrina contenuta nei Libri Santi, non bisogna comin- ciare dal farne credere divino l'autore? Kd é questa forse una facile impresa? Il missionario cattolico, mandato dalla Chiesa , che parla a nome della Chiesa , che predica colla forza della Chiesa, che Gesù Cristo eleva e rende poderosa ed efficace colla sua grazia; il missionario cattolico, cui la pudicizia più severa, il distacco più universale, la pazienza più costante , la più eroica carità ed una vita più celeste che t(^rrena accredita e sublima in faccia agli infedeli a se- gno di farlo credere alcuna volta un essere soprannaturale e divino: il missionario cattolico, ripeto, fornito di questi immensi sussidj non sempre vi riesce; poiché sta scritto che non tutti si mostrano docili alla grazia del Vangelo : Non omnes ohtdiunl Ecangelio (Rom. IO). Quale temerità, quale follia si è dunque il sol pensare che possa riuscirvi un missionario protestante, senza missione, senza grazia, senza autorità; e che, marito e padre, intento pria di tutto a procurare i terreni vantaggi alla propria famiglia, non presenta nulla nella sua persona, nelle sue opere, nella sua vita che lo distingua dagli altri uomini , molto meno che lo sollevi al di sopra dell' umanità!

Poiché dunque questi eroici evangelisti non sono della Chiesa, non é la Chiesa che li manda, non é la Chiesa che ])resenta all' infedele per le loro mani la Bibbia, poiché la loro voce, le loro opere, la loro vita ha nulla di soprannaturale che sia capace di accreditarle agli occhi del cieco idolatra e persuadergli che la Scrittura che essi gli danno in mano é un libro divino, degno di esser venerato e creduto; così nello spargere ch'essi fauno a milioni gli esenq)lari del sacro codice non ottengono dagl'infedeli nem- lin-no l.i misera soddisfazione di veder»» eh' essi il leuaano.

LETTURA OUI.NTA 87

r. , tolto un qualche indiirerente che vi gìtta dentro uno sguardo curioso, i più riguardano la Bibhia, con tanta pro- fusione loro dispensata dall'eresia, o come un libro perico- loso e lo stracciano o lo rimandano a chi loro lo ha dato; o come un libro inutile , se ne servono per avvolgervi le merci, o accendere la pipa. Perciò un vescovo cattolico ulti- mamente giunto qui in Roma dalle missioni delle Indie si è oll'erto di raccogliere e di restituire alle società bibliche di liOndra quanti cassoni vogliono delle Bibbie che essi han fatto dispensare fra gl'infedeli: e di mostrar loro con questo argo- mento senza replica che, colle somme immense che esse spen- dono per far tradurre, stampare e spargere gratuitamente il codice divino fra le genti, non giungono che a farlo divenire odioso e spregevole, e rendere più diffìcile la conversione di coloro che per un tal mezzo pretendono di convertii'e.

Uuale cecità non è però quella degli eretici , che pur si danno il vanto di grandi conoscitori e maestri delle Scrit- ture, e che ignorano o mostrano di non intendere i passi in cui la Scrittura ci discuopre chiaramente l'economia de'di- segni di Dio nella conversione degli uomini? Imperciocché S. Paolo, nello stesso luogo in cui ha stabilito la necessità della legittima missione per predicare, ha stabilito altrt^sì la necessità della predicazione per convertire, poiché ha detto: La santa parola di Gesù Cristo, la vera fede non s'impara leggendo, ma si riceve ascoltando : Fides ex audilUj audilus iiutem per verbum Chrisli (Rom. 10); ed ascoltando non re- tori che declamano, o sofìstiche dispute, ma apostoli che pre- dicano : Quomodo audient sìne prcBdicanlel (ibid.) Sicché la conversione alla fede non comincia dallo studio della Scrit- tura, ma dallo ascoltare con docilità e credere con fermezza la parola, stolta in apparenza, del predicatore evangelico : poiché questo si é il mezzo che é piaciuto a Dio di adottare nella sua sapienza per salvar gli uomini: Placidi Deo per stulliliam prwdicalìonis siiloos facere credeulcs (I Cor. I).

Infatti la Chiesa ha esistito prima del libro degli evan- geli. I fedeli prima che avessero potuto leggerla scritta dalla penna degli evangelisti la buona novella l'avean creduta, parlata loro dalla lingua degli Apostoli. Vi erano cristiani

88 LETTURA. QUl?iTA

in gran numero in Palestina^ in Alessandria, in Roma ed in Efeso prima che per loro istruzione e conforto^, e per confu- sione degli eretici presenti e futuri. S. Matteo. S. Marco, S. Luca e S. Giovanni avessero scritta, sotto la dettatura dello Spirito Santo, la vita di Gesù Cristo.

Ora ciò che fecero i primi Apostoli, lo hanno ripetuto, e lo ripetono sino a' nostri i loro successori nell'aposto- lato del mondo. INon invitano già essi gl'infedeli a leyyerc ma ad udire. ìNon abbandonano alla loro curiosità la Scrit- tura, ma con una vit:^ celeste e divina e, quando è neces- sario, coi miracoli, che Dio non manca mai di operare, cat- tivano la loro fede alla santa parola. Così in breve tempo un solo missionario cattolico giunge a convertire tutto un popolo ove che, un popolo di missionarj eretici non giunge bene spesso a form^ire un sol cristiano. Ed è certo, dice il bravo conte De-Maistre, che se la propaganda protestante avesse messo a disposizione della propaganda cattolica i molti milioni erogati fin ora per divulgare la Bibbia in tutto il mondo, la cattolica propaganda, con questo pode- roso sussidio, avrebbe eretto collegi, formati e spediti a sue spese varj missionarj che a quest' ora avrebbero fatto un numero di cristiani maggiore di quello delle pagine di tanti milioni di Bibbie buttate in vano.

Ed infatti, nel momento stesso in cui scrivo, migliaja di questi inviati della vera Chiesa e di questi eroi della vera fede, dispersi pel mondo, non rinnovano ogni giorno, e colla vita e colle imprese, fra nazioni infedeli, fra barbare genti, sotto climi crudeli, i prodigi di conversione de'primi Apo- stoli? iMirate quel gruppo d'isole all'estremità orientale del- Varcipeìago della socielà, dette Gambier. Sino al 1836 non erano che covaccioli di belve , anzi di uomini delle stesse belve più sfrenati, più indomabili e più feroci. L'idolatria la più abbietta, gl'incesti più contro natura, l'antropofagia la più rabbiosa, l'ozio, la guerra continua per avere cada- veri umani da divorare, linfanticidio, il ratto non solo delle donne, ma ancora degli uomini onde farne pascolo alla fa- me, dopo averne fatto gì' istrumenti e le vittime della più sozza libidine, aveano fÌ\tto discendere questi esseri infelici

LETTURA OULNTA 81)

air ultimo grado della brutalità e della barbarie. Or tutta questa popolazione è cattolica. Degli anticbi costumi non rimane più traccia. Essi sono scomparsi per cedere il luogo all'amore della fotica, alla pudicizia, alla temperanza, al ri- serbo, alla carità, allo spirito di pace, alla delicatezza di coscienza, al fervore degno delle prime età del cristianesi- mo. È impossibile il farsi un'idea della venerazione, del- l'ubbidienza, dell'amor che nutrono per i santi missionarj che li hanno rigenerati prima all'umanità, poscia alla fede. Piangono di tenerezza al pensare alla carità, allo zelo dei cristiani di Europa che è venuto in loro soccorso. I nomi di Gesù e della santissima Vergine, che hanno di continuo in bocca e che pronunziano con un gusto e un rispetto in- sieme da intenerir chi li ascolta, ben danno a vedere che essi ne hanno la fede più viva , la più tenera carità nel loro cuore. Un testimonio oculare assicura che questa è la cristianità più pura e più santa, e perciò ancora la più pa- cifica e la più felice di tutta la terra.

Or questo prodigio, che ha cambiato bruti in ang-eli, que- sta creazione stupenda ( poiché è più difficile uscire dalla barbarie che dal nulla) è stata l'opera della predicazione evangelica, e soli cinque anni, e soli quattro poveri sacer- doti cattolici sono stati bastanti per compierla. Ecco una nuova prova, una prova recente, incontrastabile, che l' in- segnamento della vera fede, in mano della vera Chiesa, è facile e si adatta ad ogni condizione e ad ogni stato di per- sone ; e eh' esso non dimanda che docilità di spirito e sin- cerità e prontezza di cuore per trasformare gli uomini più materiali e più corrotti in esseri spirituali e direi quasi celesti.

E notate che questa importante conquista non cominciò che all'antica maniera, cioè non dai grandi, ma dal popolo. Come ne'primi tempi del cristianesimo l'impero fu cristiano prima degl'imperatori, cosi nell'isola Gamhier il re fu l'ul- timo a convertirsi; e colui che era il primo nell'autorità è stato l'ultimo discepolo della fede. Perchè è proprio dell'er- rore l'attaccarsi ai re per istrascinare il popolo. La verità comincia per lo più dal popolo e finisce col soggiogare anche

90 LETTURA QUINTA

i re. L'errore, come un tiranno usurpatore, ha bisogno di mendicare appoggi dalla politica, e comincia dall'attirare i potenti nelle sue vie. Tutte le false religioni si sono stabi- lite e sussistono per questo mezzo. E la storia antica e la mo- derna ci mostra che tutte le sette che non hanno trovato favore e patrocinio nella forza materiale dei grandi sono perite nel nascere. La verità, regina legittima nel mondo delle intelligenze, non ha bisogno che di stessa. Co' suoi diritti divini, colla divina sua forza sullo spirilo umano, non ha bisogno che di una bocca fedele che l'annunzi per con- quistare e regnare. Gittate due missionarj cattolici nella re- gione più barbara e più feroce, assicurate loro la libertà del santo ministero: e senza alcun umano soccorso finiranno con farla cristiana. Perciò la Chiesa non richiede a Dio le ric- chezze, il potere: non è sollecita de' temporali sussidj, degli ajuti umani. Appoggiata alla promessa divina , sa di certo che, cercando a stabilire la verità e la giustizia, il vero regno di Dio sopra la terra, ciò che le è necessario per vivere nel tempo le sarà aggiunto al di del bisogno. Oneste belle parole del Signore: Qucerite primuni recjnum Dei et ju' sliliaiìi ejiiSj et liceo omìiia adjicienlur vobis (Mattli. 5), le risuonano sempre all'orecchio e le stanno nel fondo del cuore. Ciò che la Chiesa dimanda ogni giorno a Dio si é che ces- sino gli ostacoli che l'errore, armato della forza del potere umano, oppone alla sua azione convertitrice. IS'on chiede la potenza, ma la libertà: e con questa sola è sicura della sua conquista e del suo trionfo: Ut j destruclis erroribus ti adversìlatibuSj Ecclesia tua secura tibi serviat libertate.

Ma date pure la libertà all'eresia, aggiungetele pure la ricchezza e il potere: qual successo otterrà essa mai nella propagazione del Vangelo ? IVessuno. Ah! che nelle mani del- l'errore r insegnamento anche di quelle verità eh' esso ri- spetta diviene difficile, inaccessibile, sterile ed infecondo.

Considerate le Indie inglesi: vasto teatro in cui l'eresia, sostenuta da immense ricchezze e da un immenso potere, ha potuto liberamente far la prova di ciò che vale, di ciò che può per convertire gl'infedeli al cristianesimo. Sono più di cento anni che essa manda colà in Lnan numero vescovi ,

LETTURA OUliNTA 91

preti e niissionarj anglicani, ed a milioni vi fa spargere gli esemplari della Bib])ia. Quali conquiste vi ha fatto per tali mezzi il Vangelo? Presso a cento milioni di anime sono sempre immerse nelle tenebre del maomettanismo e del- l'idolatria. Quale, non dico già regno o provincia, ma città o villaggio indiano^ soggetto alla dominazione anglicana, si è mai convertito a Gesù Cristo? QuaVi chiese vi sono fon- date? Quali superstizioni vi sono state abolite? Quali errori distrutti? ì/d poligamia, l'incesto, il culto del demonio e degli idoli vi sono nello stesso tristo vigore in cui l'eresia ve li trovò. Lo zelo anglicano, unito all'anglicano potere, non è riuscito in più d'un secolo ad ottenere di vedere nemmen mitigato un solo di questi orribili riti infernali che un' as- surda superstizione spietata ha colà stabiliti, e che fan fre- mere la natura e disonorano 1' umanità. Sotto gli occhi me- desimi de' comandanti e de' vescovi anglicani, l'uomo è ancora nefando cibo dell' uomo, lo schiavo è strumento d' infame libidine di uno snaturato padrone. Il bonzo si stritola vivo sotto le ruote del carro in cui è portato in trionfo il suo pagodo. Vivo pure si brucia il bambino fra le braccia di un idolo di bronzo arroventato. La vedova è strascinata ad arder viva essa pure sullo stesso rogo che consuma il cada- vere dell'estinto marito; ed in mille altre barbare guise, in- nanzi alle immagini della lussuria, o sopra altari di fuoco ogni giorno si fanno al diavolo ecatombe crudeli di vittime umane. E l'eresia, che ivi domina da sovrana, che fa ? che dice essa mai ? L' eresia che è stata abile ad assoggettare i re più potenti, non ha saputo reprimere una sola super- stizione. L'eresia, che con un zelo infernale ha per due cento anni ricoperta di patiboli, ed allagata di sangue 1' Irlanda, per isradicarne la vera religione, non si é data alcuna pena in Asia per distruggervi il culto infame di Brama e di Sciaca. Purché la contrada consenta ad essere spogliata delle sue ricchezze, le lascia intatti i suoi abominevoli riti, ed assiste essa stessa a queste scene di orrore con una impassibile in- differenza.

Un saggio magistrato protestante, che ha risieduto per quaranrauni nelle Indie inglesi neiresercizio «ielle più Aie

92 LETTURA OUINTA

funzioni, ha detto e scritto queste notabili parole: «Paghe- remo cara la nostra condotta in questa infelice contrada (nelle Indie). Non si è fatto nulla per gli abitanti., ma tutto per arricchire l'Inghilterra. L'avvenire sarà terribile. » Galan- tuomo! voi dite il vero; ma vi lagnate a torto. Se l'eresia an- glicana non ha fatto mai nulla di bene nell'Indie, ciò é stato perchè di bene l' eresia non sa e non può fare mai nulla. L'errore non è buono che a distruggere, a spogliare, a fare degli infelici, a sostenere l'oppressione e la barbarie. Edificare, rivestire, consolare, incivilire e rendere gli uomini umani e felici, questa è missione solo della verità. 3Iirate infatti altre contrade dello stesso continente indiano. Collo stesso linguaggio, cogli stessi costumi, colla stessa bramina superstizione, vi regnavano già le stesse abominazioni contro natura, gli stessi riti esecrandi e spietati; ma ora non ve ne rimane più traccia. Vi hanno, è vero, comandato sovrani cat- tolici; ma questi prodigiosi cangiamenti li hanno ottenuti per mezzo non de' viceré, ma de' vescovi; non de' soldati, ma de' missionarj; non de' magistrati, ma de' sacerdoti; non delle cittadelle, ma dei tempj; non dei teatri, ma de' conventi; non del codice criminale, ma della predicazione evangelica; non della mannaja o del cannone, ma della croce. Intendetelo bene però: dei vescovi cattolici, de' missionarj cattolici, de' cattolici sacerdoti, dei religiosi cattolici, della predicazione annunziata dalla bocca cattolica, del tempio ufliziato con cat- tolico rito, della croce inalberata da mani cattoliche. Oh in- gannata Inghilterra! se invece dunque de' tuoi vescovi da burla, poveri cadetti dell'aristocrazia, che, non trovando col- locamento nel suolo natio, tu mandi col titolo e coWcisse- (jnamenlo di vescovi a vivere nell' India; se invece de' tuoi preti ammogliati, ministri mercenarj e degni di tali pastori, il cui ministero non va più in della funzione di fare a quando a quando un freddo sermone morale alla guarni- gione, o leggere la sera in casa di qualche ricco nego- ziante un capitolo della Bibbia; se invece di missionarj da commedia, fatti per iscreditare, piuttosto che per persuadere, il cristianesimo; se invece di questo clero in parùlnis, poi- ché nelle sue stesse diocesi, nelle sue parocchie, non avendo

LKTTURA QUANTA 03

individui sopra cui esercitare il suo zelo, passa il suo tempo occupandosi deg-l' interessi temporali delle sue famiglie, offerendo ag-l' indigeni scandalezzati lo spettacolo derisorio di ministri della religione che non han nulla di religioso; se invece in fine di queste piante parassite, quando non sono velenose ,. avessi mandali in que' tuoi vasti dominj i veri religiosi, i veri sacerdoti, i veri missionarj della vera Chiesa; essi a quest'ora vi avrebbero fatto più cristiani quello che tu non hai guadagnato ghinee: tutta questa parte del mondo forse a quest'ora sarebbe cristiana e in- civilita, i popoli felici e tu più tranquilla.

Oh l'immenso danno che han fatto all'universo Lutero, Calvino e Arrigo VIIT! L'Europa tutta cattolica, avrebbe a quest'ora ne' paesi di sua conquista piantata la cattolica re- ligione. La messa si celebrerebbe dalla Cina sino alla Persia, dal capo Buona Speranza sino all'Egitto, dall'una all'allra estremità delle Americhe, dal mar Pacifico sino all'Atlantico. Il cattolìcismo poderoso e trionfante dell'Europa, avanzan- dosi verso l'oriente, discendendo verso l'occidente dell'Asia orientale, e salendo dal mezzogiorno dell'Africa, avrebbe preso di fronte, ai fianchi ed alle spalle, lo scisma greco e il maomettanismo, che dominano alle estremità interne delle tre antiche parti del mondo e quasi nel loro centro, ed assediatili così e ristrettili da ogni lato, a qiiest' ora li avrebbe fatti soccombere. Senza lo scandalo del protestan- tismo, il mondo quasi tutto a quest'ora sarebbe cristiano! Oh di quale responsabilità tremenda si gravano innanzi al cielo ed alla terra coloro che, per meschini interessi, o per fri- voli puntìgli amor proprio, ritardando la riunione cotanto desiderata dell'Inghilterra alla vera Chiesa, e comprìmono lo slancio dello spirito cattolico in Francia! Essi ritardano la conversione del mondo. La Francia e l'Inghilterra, cat- toliche, strascinerebbero colla loro potente influenza nel circolo della cattolica unità tutta la terra.

Mi\ che potranno alla lunga le passioni, quando sarà giunto il momento della misericordia divina suH'Inghìllerra. per la quale tutto prepara con un accordo maravìglioso ? Più centinaja de' membri più dotti, più influenti della chiesa an-

94 LETTURA QUiiNTA

glicana si sono già accordati col dottore INewman dell'uni- versità protestante di Oxford nell'accettar tutte le dottrine dommatiche e morali del santo ed ammirabile concilio di Trento. Il vescovo anglicano Hamilton G^^ai^ in una sola let- tera scritta air arcivescovo cattolico d' Ungheria, deplora a nome della sua chiesa la calamità dello scisma; fa voti per la riunione delle due chiese; non muove dubbio sulle dot- trine cattoliche : e l'unico ostacolo alla riunione lo trova nel riconoscimento della supremazia del papa! Cioè a dire che la divisione j nata dalla scostumatezza e dalla rapina, non tiene più che all'orgoglio. La fede cattolica è vendicata. Or l'Inghilterra estende i suoi domìnj in tutte le cinque parti del mondo. E come mai? E non vedete che, al momento, che non può esser lontano, in cui l'Inghilterra ritornerà fra le braccia della Chiesa cattolica, tutti i suoi vasti dominj vi saranno con essa riuniti? e che questi punti importanti, che il genio mercantile ha scelli come i più opportuni al commer- cio, sono altresì i più adatti alla propagazione del Vangelo? Oh providenza di Dio ammirabile nelle tue vie ! Oh giorni felici, oh maravigliosi trionfi che si preparano alla vera fede, che è pur la nostra! Beati coloro che vi goderanno e vi prenderanno parte coll'opera o colla preghiera. Ma se non ci sarà accordato di vederli sulla terra, viviamo almeno in modo che possiamo un giorno contemplarli, goderne e be- nedirne Dio per sempre nei cieli.

Ma passiamo a considerare nel prodigio della colonna che servì di guida al popolo d'Israello nel suo viaggio alla terra promessa, e del quale si parla nei capi XII e XIV dell'Esodo, e IX de' Numeri, una magnifica figura profetica delle grandi ed importanti verità che abbiamo spiegate.

LETTURA OUinTÀ 95

PARTE SECONDA.

ISTORIA BIBLICA. LA colok:V/\ che guiuo gli errei all.i terra pro:»iess,%,

FIOURA E l*UOFEXIA UEGLl ESPU.STI IHISTFRI.

§ XIV. - Interpretazione litterale delia storia deiV uscita del popolo di Israeìlo dall'Eyilto. Apparizione delia co- lonna di fuoco. Poca fede in Dio deyli Ebrei al vedersi vicini a cadere di nuovo nelle mani di Faraone venuto a sorprenderli. Miracolo della divisione del mare. La colonna^ propizia agli Ehreij a(jli E(jiziani funesta. De- scrizione della loro intera disfatta e del portentoso pas- saggio degli Ebrei pel mar Rosso.

Il cuore umaiio^ troppo sovente insensibile e duro agli an- nunzj della futura vendetta di Dio , non sempre poi tìen fermo quando difatti giungono a colpirlo i divini gastighi: e la ragione e il senno^ che spesso si perdono nella prospe- rità, nella tribolazione si ritrovano: J'exatio dat intellectum. Perciò quel Faraone che alle severe intimazioni^ alle minacce terribili, fattegli a nome di Dio da Mosé e da Aronne, avea opposta una resistenza ostinata, una invincibile durezza: col- pito poi da tanti flagelli e da tante piaghe nel suo popolo, nella sua reggia, nel suo primogenito figliuolo, e temendo di esserlo ben presto ancora nella propria persona, piegossi infine a lasciare partir libero dall'Egitto il popolo d'Israello, che da quattrocento trent' anni avea ivi gemuto sotto il peso di una oppressione crudele, di una durissima servitù. Ecco adunque questo popolo, ricco di un immenso bottino (avendo, per un compenso giustamente dovutogli, tolto agli Egizj quanto aveano di più prezioso), ma molto più ricco e lieto della ricuperata sua libertà, mettersi in viaggio per la terra di Canaan, terra di riposo e di felicità, le gran volte ai suoi padri promessa.

Or da Ramesse , città interna dell' alto Egitto fabbricata dagli stessi Ebrei, e dove eransi tutti riuniti per la partenza.

90 LETTURA gtllJiTA

due sole strade vi erano per andare nella Cananea o Pale- stina, così detta dai Filistini o Filistei, che in gran parte la possedevano. La prima strada era quella che radeva il lato destro del ISilo sino a Damietta sul Mediterraneo, d'onde co- steggiando sempre questo mare e traversando la parte set- tentrionale dell'istmo di Suez, che unisce l'Africa all'Asia, metteva subito in Palestina. L'altra strada era quella che da Ramesse conduceva dritto a Maddala sulla spiaggia orientale di Egitto, bagnata dal mar Rosso, o golfo Arabico. Ivi tor- cendo verso settentrione e passando pel deserto, lungo sem- pre il detto mare sino alla sommità del golfo, percorreva la parte meridionale dell' indicato istmo in vicinanza della città che gli il nome, penetrava nell'Arabia Petrea, e quindi dal lato di oriente conduceva in Palestina.

La prima di queste due strade era senza dubbio più breve e più agiata. La seconda più lunga, più tortuosa e molto più incomoda. Pure, siccome per la prima strada, varcato che si era il confine dell'Egitto, si trovavano subito i Filistini, popoli bellicosi e feroci, non volle Iddio, come avverte la Scrittura, che il popolo, uscito appena dall'oppressione, si trovasse inpegnalo ne' disagi e ne' pericoli della guerra; af- finché, disanimato e impaurito per avventura al principio del cammino, non si pentisse di aver lasciato l'Egitto e non pen- sasse a farvi ritorno: Ciun emisisset Pharao populumj non ediixit Dominus per vìani terree Phìlislinoriuìiy qucB vicina est, repiitanSj ne forte pceniteret eum^ si vidissel adversum se bella consurgere^ et reverteretur in JEgyptiini. Sed cir- cumduxit per viam deserti, qiicB est jiixta mare rubrum.

INon erano però usciti da Ramesse gli Ebrei che Dio volle dar loro una nuova prova della protezione miracolosa che ne prendeva e delle tenere sollecitudini della sua bontà verso di loro. Poiché ecco formarsi ed apparire nel cielo una gran nuvola, della figura di una colonna, la quale, dilatan- dosi nel giorno a guisa di vastissima tenda, proteggeva il popolo pellegrino dalla sferza del sole cocentissimo dell'Egit- to : e la notte, voltasi in un masso di luce e di fuoco, o in un gruppo di stelle, in luce stellarum (Sap. lU), serviva ad il- luminar tutto il campo. E di giorno e di notte, precedendo

LKTTtT.A oinTA 97

1p schiere ebree e sofTermandosì sopra di esse, ne additava e ne regolava il cammino: o, a meglio dire, secondo l'espres- sione del Sacro Testo, col mezzo di questa prodigiosa me- teora. Dio stesso di notte e di giorno faceva da guida e da condottiero del suo popolo: Dominus auteni prcBccdebat eos ad ostendendam viain per diftm in coìumna iiubis, et per noctem in coìumna ignis . ut dux esset ilineris ulroquc tempore. Errano perciò gì' interpreti giudei che affermano la nuvola che smorzava i rai del sole nel giorno, e la co- lonna di fuoco che a guisa di un gran canale illuminava il campo la notte essere stati due distinti fenomeni, mentre dal citato testo chiaro apparisce essere stato un solo e me- desimo fenomeno miracoloso, che, come nota il De-Lira, ebbe un doppio nome perchè adempiva un doppio officio: Vv- catur auteni duplici nomine proptcr duplex offìcium (in Kxod.).

All'ombra di questa miracolosa protezione, dopo tre giorni di tranquillo cammino , eran giunti gli Ebrei ed avevano soffermato in Etan, al confine dell'Egitto abitato e sul co- minciare della via marittima del deserto, castrametati sunt in EtaUj in extremis finibus soìitudinis; quando, per or- dine espresso di Dio a 3Iosè , torcendo alquanto a destra verso mezzogiorno, andarono ad accamparsi in una tristis- sima posizione. Giacché a fronte e a destra aveano Fiairot, l^eelsefon e Maddalo. luoghi scoscesi ed inaccessìbili : a si- nistra il mare, alle spalle la via dell'Egitto; dimodoché se il nemico piombava loro addosso da questo lato, non vi era scampo alcuno a fuggire : Locutus est ad Moysen : Castra- metentur e regione Pliihahirotfi, quoi est inter Magdalum, et mare cantra Beelseplwn. Frattanto come é costume di certi peccatori che colpiti da' flagelli di Dio, o in vicinanza di morte, si mostrano pentiti, ma, venendo a cessare la tri- bolazione, 0 ricuperata la salute, gettano la maschera pe- nitenti e ritornano più baldanzosi di pria agli antichi dis- ordini, così Faraone, non prima vide riposarsi la destra di Dio dal punirlo che, ripigliando la sua ostinazione e la sua durezza , si dolse del suo dolore, e pentissi del suo penti- mento onde aveva lasciato partire da' suoi stati un popolo

98 LETTURA QUINTA

laborioso e utile. Ed eccolo con gran sussiego di coc- chi falcati, di fanti e di cavalli venire inseguendo Israello per arrestarlo nel cammino e ricondurlo prigioniero. Con- tavano gl'Israeliti fra loro seicentomila uomini atti alle armi ed armati di fatti : ma. colti all' improvviso in un luogo così angusto. Faraone credeva che non avrebbero neppur pen- sato a resistere al suo formidabil esercito, e si tenea certo della sua preda. 3Ia , appunto per lusingar Faraone colla speranza di facil vittoria ed immolarlo alla gloria .della sua giusta vendetta, aveva Iddio ordinato a Mosè di fare ac- campare il popolo in un luogo svantaggioso: Dicturus est Pliarao: eoa retali suìit in terra, conclusit eos (ksertum. Et coìiseqiietar vos^ et gìoriabor in Pharaone, Perciò esclama qui S. Agostino : Oh infelicità della felicità terrena de'pec- catori! Essa non serve che a fomentare la lusinga dell'im- punità, che è essa stessa un castigo; poiché rende la volontà più perversa, come un nemico già padrone della piazza più insolentisce: ISìliH infeìicius est felicitate peccantium qua pcenaìis nutrilur impiniitaSj et mala voìuntas , veìiiti hostisj interius roboratur !

Gl'Israeliti però, popolo duro e carnale, lungi dall' aver fiducia nella sapienza e nella bontà divina, che lor preparava un grande trionfo, e che tanti e grandi prodigi avea fino allora operati per sottrarli al giogo della tirannia e della servitù, al vedere l'oste formidabile di Faraone che muove contro di loro e che già sta loro dappresso, già piomba sopra di loro per farne strage, impallidiscono, si disanimano, palpitano, tremano: Cumque appropinquare! PharaOj levantes ocuìos fiiii Israel viderunt /Eqijptios per- sequenteSj et timuerunt valde. Ed invece di rivolgersi cogli accenti dell'umile e confidente preghiera a colui da cui deve aspettarsi ogni soccorso, e che lo avea loro preparato pos- sente, magnifico e glorioso, si mettono a rimproverare Mosè e Dio stesso coi clamori della disperazione e del dispetto: Claniaveruntque ad Dominum ci Moysen. Ed oh la folle idea, dicono a Mosè, oh l' imprudente consiglio che é stato quello che ti venne in capo di trarci fuori dall'Egitto! Oh non ti avessimo mai dato ascolto! Non avea forse l'Eìritto

LETTURA QUIETA 90

terreni bastevoli per seppellirci , che ci hai condotto qua a perir nel deserto ? Oh il bel servizio che ci hai réso I oh il bel cambio che abbiam fatto ! oh il bel vantaggio che abbiani ottenuto ! E non era meglio il gemere sotto il giogo di Faraone tiranno che morire sotto la spada di Fa- raone vincitore? Forsilan non erant sepulchra in /E(jyptOy ideo tnìislì 7ios ut moreremur in soìiludine? multo me- ìius est servire /Eyijpliis quam mori in solitudine ! Inso- lente linguaggio! Pure il santo Mosè, miracolo di mansue- tudine e di dolcezza (vir mitissimus)^ non se ne offende, non se ne adonta, non se ne sdegna; e dissimulando l'in- sulto, cerca calmare le paure del popolo, e fargli nascere nel cuore quella confidenza in Dio che tutto ottiene e trionfa di tutto. E, non abbiate timore, lor dice, state tranquilli quando l'uomo non può nulla., sottentra Iddio che può tutto. Voi non avete coraggio, forza di combattere ; ebbene. Dìo stesso combatterà per voi, senza che voi abbiate a scom- modarvi per nulla. Ancora un istante^ e vedrete le meravi- glie che egli saprà fare oggi in vostro soccorso. Questi Egizii numerosi e tremendi, la cui vista vi agghiaccia di or- rore, scompariranno, saran distrutti e dispersi, io vel pro- metto, e voi non mai più li vedrete se non estinti: Nolite timere. State et videie magnalia Domini quce facturus est hodie. Dominus pxKjnabit prò vobis^ et vos tacehitis ; -^(jy- ptioSj quos nunc videtisj nunquam ultra videbitis in sem- piternum. Mosé però confida, ma non presume; arringa il popolo^ ma nel fondo del suo cuore solleva il grido della sua preghiera verso Dio. E questo Dio di bontà, dissimulando esso pure l'offesa che gli avean fatto gli Ebrei col diffidare della sua protezione e del suo potere : Che stai più a lungo a pregarmi? dice a Mosé, la grazia é fatta. Intima subito al popolo che marci verso del mare; Quid clamos ad me? Io- quere JiHis Israel^ ut proficiscantur. E tu frattanto stendi con confidenza la mano, alza la tua verga sul mobile ele- mento e dividi in due le acque : in mezzo ad esse passerà Israello a piede asciutto: Tu autem eleva virgam luam et extende manum tuain super mare et divide illuda ut (jra- diantur fìlii Isrcpf in Wf'dio mari p^r' siccum. Io lascerò

lOU LETTURA UUIINTA

giungere sino al eolmo la durezza degli Egiziani, siecliè non avvertano al loro pericolo e v' inseguano e trovin la morte dove sperano raccoglier vittorie. Faraone e il suo esercito intero sono cieche vittime che è ormai tempo che siano alla mia gloria immolate; e saprà fra poco a suo gran costo l'E- gitto, saprà il mondo, che cosa vale, come va a finire uom che s'indura, e che cosa é Dio che punisce: Erjo auitm in- durabo cor M(jypliorum ul perseqiianlur vos. Et fjlorifi- cabor in Pharaone el onini eocercitu ejiis. Et seleni /Eyypiiì (lìiia e(jo Dominus.

Non avea finito ancora di così parlare il Signore che uno strano sconvolgimento vedesi accadere nel cielo, seguito da immenso fragore. È l' arcangelo S. Michele, custode del po- polo d'Israello; Michele, che si trova sempre pronto quando trattasi di distruggere i nemici di Dio e vendicarne la gloria e il nome. Poiché apparteneva a iMichele il punire l'orgoglio di Faraone, che avea rinnovato l' antica bestemmia di Lu- cifero contro Dio, avendo detto a Mosè : Chi é mai questo Dio vostro? io noi conosco e noi voglio conoscere, e non lascerò mai andar libero Israello: Qais est Dominus ut au- (Uam vocem ejus? nescio Dominunij et Israel non dimitlam. È dunque Michele che voltosi in angelo della vendetta, è la miracolosa colonna che, seguendone il volere e l' impulso, insieme con lui cangia posizione, e dalla testa del campo ebreo si trasporta rapidamente alle sue spalle, e viene a stabilirsi precisamente in mezzo tra il popolo d' Israello e l'oste egiziana: ToUensque se Angelus Deij qui prcecedebat castra Israel ^ abìit post eos ^ et cum eo pariter columna ìiubis y priora diniiltens y post tergum stelli inter castra /Efjypliorum et castra Isrcel. Era già sopraggiunta la notte, e la colonna raddoppiando l' usato prodigio, riserba la sua luce miracolosa nella sua parte onde guardava gli Ebrei e ne illumina le fila come di pieno giorno: nella parte opposta però, onde mirava gli Egiziani, si ammanta di una spa- ventosa negredine e crea sopra di loro una notte densa, tenebrosa e h^ij<rTlVFTssi più non si discernon fra loro, e l'uno \\OJ/^^^^^^i^i:h\'^^<^ùl:^]'à^ ^U sta dappresso: Et crai iiubes trifbfij/ftijUnminans nocfe^.'Sita ut se invicem

LETTURA UUII^TA ^0l

tulo Hoclìs teinpofc accedere non vakrenL lìlosè frattanto, obbediente al comandamento di Dio e pieno di fiducia nella forza di Ini, per cui Aolere è lo stesso che operare, coman- dare la natura è lo stesso che averla obbediente, aveva ap- pena sleso sul mare la mano e toccatane colla verga la su- perficie che in un istante i volubili flutti,, correndo a desila ed a sinistra, ed accavallandosi gli uni sopra degli altri, si sollevarono in moli altissime, tratte e sospese in aria dalla stessii voce die da duemila anni le tiene entro certi con- tini imbrigliate e strette, Leijem ponebat aquis ne transireuL pnes siws (Prov. 8). e formano come due catene parallele di monti della distanza Tuna dall'altra di dieci miglia e della lunghezza di diciotto, quante ne corrono dalle sponde di Kgitto all'opposto lido dell'Arabia, nel punto in cui a-- venne il miracoloso passaggio. Al medesimo tempo, facendo Dio spirare un vento estremamente secco e violento su que- st'amplissima strada, formatasi all' improvviso in mezzo al mare, in brevi istanti ne fu asciugato l'algoso fondo. Sicché le dodici tribù d' [sraello, di cui la prima a mettere corag- gioso il piede nel prodigioso sentiero fu, secondo la tradi- zione ebraica, quella di Giuda, con RIosè alla loro testa, in- cominciarono a lunghe fila a marciare al secco in mezzo ai flutti assodati, come in mezzo a due salde muraglie erette a destra ed a sinistra per lor difesa: Cum extendissel Moy- ses mamini super mure, nbslulil illud Domimis^ flanlc renio re/irnniili' t'I ìiienli' (old norie, ei rertil in aiccuui. Diri- saque est aqua. Et imjressi sunt filii Isrcel per medium ìiiaris siccij ercint eniui aqucv quasi inurus ad dea-ferani illoruin et Uerauì.

Oh grande prodigio! oh magniUco spettacolo! oh (juadio unico! La notte cambiata in giorno per la luce che la co- lonna tramanda, il mare rivolto in terra, le acque in ma- cigni, i pericoli in sicurezze; ed in mezzo a' prodigi trapas- sare tranquillo e lieto tutto un popolo di tre milioni di anime, sotto lo scudo della protezione divina!

Tutl'aliramenle accade dalla parte degli Egiziani. Avvolti essi in tenebre profonde, più non dislingiKino dove sono, dove vanno. Solo al calp'^tio dÌH|«*iiif,»g(4ite, al rumore

}>eìlezze dilla fede. IJ. o< ^'*- ^ •' * ^

i02 LETTURA QUINTA

di tante carra^ al belare di tanti armenti avvertendo la mar- cia di tanti Ebrei che fuggivano loro di mano, si mettono alla cieca sulle loro tracce, gì' inseguono per dove odono ch'essi s'involano, e mettono anch'essi il piede nel sentiero miracoloso, aperto a salute d'Israello, a lor mina: Perse- quenlesque MpyplUj ingressi sunt post eos per medium maris. 0 stolide vittime dell'ira di Dio, dove ne ite voi mai? Era già in sul fare dell'alba, Jamque advenercil vi- gilia ìualutinaj e poiché da ambi le parti si era marciato tutta la notte, tutto l'esercito di Faraone, col suo immenso ingombro di cavalli e di fanti e di trecento carri armati in battaglia, era di già senza accorgersene disceso ancor esso in mezzo alle acque. Quando all'mprovviso gitta Dio dalla misteriosa colonna sull' oste egizia uno di quegli sguardi pu- nitori che disciolgon in molle cera le montagne, e fanno so- pra i suoi cardini tremare incerta e palpitante la terra; Monies jliijceriuit sicut cera a facie Domini (Psal. 95). Re- spicil ierranij et facit eam /remfn'e (Psal. 103). Ed ecco la colonna stessa volgersi in nugolo di fulmini pregno, scop- piare orrendamente in lampi, in tuoni, in saette, in globi di fuoco, che, rotolandosi sull'esercito egiziano, ne sconvolgon le fila, ne rovesciano le carra, ne atterrano le insegne, ne scom- pigliano, ne confondono, ne mescolano ih uno spaventoso disordine uomini ed animali, armi ed armati, e vi fan re- gnare lo spavento e la morte: Et ecce respiciens Dominns super castra ^Egyptiorum per coìumnam ignis et nubis interfecit exercitum eorum^ et subverlit rotas curruum^ fa- rehanlurque in profundum. Al funesto chiarore de' lampi, che non dlradan le tenebre se non per accrescere, disco- prendolo, tutto r orrore di quella notte ferale, si accorgono e riconoscono la nuvola che tuona, l'angelo che fulmina, il fuoco celeste che divora, e costernati ed abbattuti mettono grida da disperati e « Fuggiamo, fuggiamo, si dicon l'un l'altro , fuggiamo da Israello. E che ftire contro di Dio che combatte esso stesso contro. di noi e in favore di lui? Dixe- runl ergo /Egijplii: Fugiamus hraelem , Dominns enim pugnai prò eis contra nos. » Insensati! che dite voi mai, fuggiamo? ISon siete più in tempo. I giorni della longani-

LBTTIRA <Jl.'l>'rA I0;>

mità, della pazienza di Dio sono trascorsi j questo è il giorno della sua giusta vendetta, che tarda a giungere^ ma che> quando giunge, non vi si scappa! Mosè di fatti, ad un nuovo cenno fattogliene da Dio, ha di già steso un'altra volta sul mare la mano rivestita del potere cui tutto obbedisce; ha ordinato alle acque ammonticchiate di disciogliersi, di ri- prendere il loro natio livello, di piombare con tutto il loro peso sopra gli Egizj. Eccole adunque queste acque intelli- genti, queste acque vendicatrici rimanere ancor aggruppate in aria pel tratto di mare in cui erano tuttavia impegnati gli Ebrei, e discendere con ìmpeto e riunirsi lunghesso il lido di Egitto e chiudere a' fuggitivi Egizj lo scampo, e poi muovere, avventarsi loro incontro, avvolgerli ne' loro vor- tici procellosi, seppellirli nel profondo, sicché un solo purt^ di tante schiere scampa illeso da tanta strage: Cum exlendissel Dloijses manum cantra mare ^ reversiuii est ad priorem ìocumj fufjieìitibusque /E(j\jpliÌ!i occurreriuit aquWj et involvìl eos Dominus in mcdiis fìuclibuSj nec nnus qui^ de in superfuit ex eis.

Intanto Israello, continuando lieto e tranquillo il suo cam- mino pel mare asciutto, giunge sano e salvo all'opposto lido: dove i flutti venendo a deporre a' suoi piedi come trofei di vittoria, i cadaveri e le spoglie degli estinti Egizj, riconosce la tremenda vendetta da Dio presa contro degli empj inso- lenti ed ostinati persecutori della giustizia; ammira la sa- pienza, la potenza, la bontà onde Iddio avealo liberato dal giogo un'oppressione lunga e crudele, impara ìnsie- memente a temere il Signore ed aver fede e confidenza nella sua parola e nella parola di 3Iosè, servo e ministro de' suoi disegni sopra la terra, Filii aiileni Israel perrcjce- runt per medhun sicci maris. Liberacitque eos Dominus in die illa de marni .E(jijptiorum , et vide runt ^Efjyptios mortuos super ìiius maris, et manum mafjnam quam exer- cuerat Deus cantra eos. Tìmuilque populus Dominum ^ et crediderunl Domino et Moijsi serro ejus.

ìi)'^ LETTURA UUl?yTA

§ XV. - La colonna continuò sempre a dirigere il cam- mino deijìi Ebrei sino ni loro arrivo alla terra promessa. Perchè ora si chiama « il Signore » ora « l'angelo del Signore. » Questa colonna fu un vero miracolo magni- fico e permanente. Stolidità degli interpreti razionalisti nel volerla far passare per un naturale fenomeno.

Seiionché la colonna miracolosa non si eclissò, non dis- parve do})o questo strepitoso avvenimento, ma continuò sempre a dirigere e proteggere nel giorno gli Ebrei e ad illuminarli la notte per tutto il tempo del loro viaggio, sino al loro arrivo nella terra promessa: Nunquam defedi co- ìumna nubis per diem^ nec columna ignis p'dr noctem co- rani pepalo. Quando poi da Mosè fu, nello stesso viaggio, eretto il tabernacolo, ossia una specie di cappella portatile, ove esso si raccoglieva a consultare Iddio e riceverne gli oracoli, e attorno a cui il popolo faceva la sua preghiera; la colonna taumaturga, come è detto ne'lNumeri, venne a collocarsi sullo stesso tabernacolo e tutto lo ricoprì della sua ombra misteriosa, come per santificarlo e proteggerlo, mai più lo abbandonò: Die qua erectum est labernaculum : operuit illud nubes (INum. 9). Perciò, durante il giorno, la nuvola si stendeva sul tabernacolo a guisa di un gran bal- dacchino, e la notte sopra di esso brillava di una vivissima luce: Sic fie bai j agite r: per diem operiebat illud nubes ^ et per norjem quasi species ignis. E siccome, nel marciare che faceva il popolo, il tabernacolo portato a spalle dai sacerdoti andava sempre innanzi; così la nuvola che gii stava sopra a fargli ombra faceva ombra altresì a tutto il popolo, che, come si esprime l'A-Lapide, sotto di questa nuvola marciava come sotto di un immenso ombrello o baldacchino esso stes- so: Ambulabant omnes Ilebrcei sub hac nube, quasi sub velamine vel umbrella. E di fatti il viaggio degli Ebrei, sem- pre a cielo scoperto, a traverso i deserti, nel clima cocen- tissimo dell'Arabia, sotto la sferza di un ardentissimo sole, sarebbe stato molestissimo e micidiale, se la divina bontà non avesse temperato gran calore, frapponendo sempre questa nuvola fra il sole e il popolo viaggiatore: Cam Tlebrod iter fdcennt per Jrabiam^ quce radiis et caluf ibus solis tor-

Ll'TTL'RA QUOTA iOù

ìclur 3 li(.ibiiÌ6scnl iter nioleslissiniuìii, ni.si Deus ìius calores iemperasselj radiis solis opponendo Itunc nubem (A-Lap,).

(^losì pure, sopravvenendo la notte, non lieve imbarazzo sarebbe stato il procurare e mantenere lume per tre mi- lioni di persone accampate in un deserto. 3ìa come, quando il popolo soilermava, il tabernacolo si collocava nel mezzo; .così la colonna che gli soprastava ed appariva, durante la notte,, tutta di fuoco, serviva ad illuminare tutto il campo. Di più, come prima del passaggio dell'Eritreo, così dopo an- cora, la stessa colonna servì ad additare agli Ebrei il cam- mino a traverso deserti pei quali di cammino non eravi traccia alcuna, ed a regolarne le ore della marcia e il luogo e il tempo delle fermate e del riposo. Poiché sul fare del mattino la colonna, ripigliando l' opacità di nuvola, si movea la prima; e nella direzione che essa prendeva si avviavano i primi i leviti portando il tabernacolo; e quindi seguiva lutto il popolo, secondo l'ordine delle tribù. Ove poi la co- lonna si fermava, Israello si fermava ancor esso: piantava indi le sue tende e vi rimaneva sino a che la stessa colonna col suo moto non l'avvertiva di ripigliare la marcia. Tutto ciò é chiaro dalla Scrittura : Cinngue abìala fuisset iiubes (jiics Uibernaciilum protegebat, fune profitìscebanlur fi'iì hratl: al in loco ubi slelissfU nubes ^ ibi castramelabanlur. Quindi s'intende ciò che soggiunge la Scrittura: che nulla nel campo ebreo si faceva ad arbitrio degli uomini, ma la parola di Dio ne regolava le stazioni e le marcie: ed Israello stavasi con confidenza ad aspettare i comandi di Dio sotto la guida e l'ubbidienza a I\Iosè: Per verbuiu Domini firj'ihaìit tentoriiìj ti per vcrbum iJìius proficiscebanlur ; eranUjue in eacubiis Doinini ju.cla iniperium ejns per nianuin Moxjsi. Cioè a dire, come nota Faiperto, che Dio, per mezzo del moto e della quiete della nuvola, significava la sua volontà; sicché la nuvola era come la sua parola, secondo la quale Mosé dava l'ordine di partire, o di fermare: Per verbum Domini , idest sicjnifìcatione nubis^ quce erat signum diri' tue colunUiliSj sicul vox loquentis.

Osserviamo ancora che questa nuvola portentosa si no- mina nella Scrittura l angelo del Signore; perché, come

ÌOG LETTURA QVlTiTA

dicono gl'interpreti, nel precedere che essa fiiceva il campo ebreo, camminando maestosa nella più bassa regione del- l'aria, non movea essa già in forza del moto circolare de" cieli, poiché in tal caso avrebbe dovuto girare intorno ancor essa^ col soffiare de' venti, ma un Angiolo entro di essa nascosto, intus deìitescenSj la regolava come un coc- chiere il suo carro: Prcncedebal castra HebrcBorum molaj non molli circiilari cceìorum , ila eniin in orbeni raplata fuissetj non eliam ventonim flalUj sed ducenlo eam Amjelo, qui erat (piasi auriga coliimnce (A-Lap.). Era dunque l'An- giolo che, all'ora della partenza, spingeva la nuvola sulle prime fila del campo viaggiatore per precederlo ; e la teneva sospesa in aria sul campo stesso quando essa dovea fermarsi: Angelus ergo impellebat eam ut primam aciem proficiscen- fem prceiret quando castra crani mulanda; quando vero crani agenda, Angelus eam super castra quasi de/ìxam deli neh' J.

D' più questa colonna si chiama ancora dalla Scrittura il SiGivoRE, Dominus prceccdebat eosj ed i suoi prodigi ora si attribuiscono all'Angiolo ora a Dio: non già, dice S. Ago- stino, perché Dio vi si trovasse nella sua divina sostanza, non essendo essa nulla più che una creatura corporea, Per subjectam crealuram eandemque corpoream^ non per suam subslantianij Deus /tic ocuìis morlalium apparuitj ma per indicare, dice Ugone da San Vittore, che vi si trovava l'An- giolo ministro del Signore, e che in esso e per esso ope- rava Iddio: e che questo prodigio era un effetto straordi- nario e miracoloso della sua potenza e della sua bontà pel suo popolo: Aliquando Domino^ aliquando Angelo factum tribuiturj quia revera Angelus Domini minister aderalj et Dominus in ipso et per ipsum operans (in Exod.): come chiaro lo manifestano i termini con cui se ne parla in di- versi luoghi della sacra Scrittura.

Imperciocché nel salmo dU4 si dice: Dio stesso spiegò nel cielo un'amplissima nuvola per loro protezione e difesa: Expandil nubem in prolectionem eorum. INel salmo 120 si aggiunge: Il Signore ti ha custodito., o Israello. 11 Signore è stato la tua protezione, affinché il difetto della luna non

LETTURA QUIINTA i07

ti pregiudicasse nella notte, e nel giorno non fossi scottato dai rai del sole: Dominus protectio tua. Per dìem sol non urei tCj neqne luna per nocteni. INel libro della Sapienza pure sta scritto: la nuvola serviva di ombrosa tenda al loro campo; e voi,, o Signore, avendo provveduto che il sole non venisse ad ofTenderli . avete misericordiosamente loro pro- curate stazioni buone ed agiate: Castra obumbral nubes.... Sokiìi sine ìcesura j bono hospifii tribìiisti eis ( Sap. iS). Ed altrove Dio apprestò loro l'ombra di un ampio velame contro i calori del giorno^ e la luce delle stelle contro l'o- scurità della notte: sicché li condusse mai sempre per la via dei prodigi: Decìuxil iJlos in via mirabili, et fiiil illis in veìamcnlo dici et luce stellarum per nocteni {ibid. ^0). Finalmente, lo stesso Mosé dicendo ne' Numeri: « (j"ando camminavano, la nuvola del Signore era sempre sopra di loro e con loro, Nubes auteni DoMim super eos erat, cum incedcrent (Num. dO); » e pregando Iddio così ogni giorno per la continuazione del prodigio: « La vostra nuvola li protegga,, o Signore; nella colonna della nuvola dovete voi sempre precederli: Nubes tua protegat illos, et in columna nubes pra^cedes eos (ibid. 44); che altro ha voluto indicare se non un prodigio? giacché nuvola di Dio per eccellenza non è che una nuvola opera straordinaria della potenza di Dio. Cosi lo Spirito Santo ha voluto, più di tremila anni prima, confondere la temerità impudente de' moderni neo- logi, che hanno osato di negare questo con tutti gli altri miracoli registrati ne' Sacri Libri, interpretandolo per una aurora boreale, o per altro fenomeno della luce o dell'e- lettricismo: fenomeno, dicono essi, divinizzato dal senti- mento del meraviglioso, e da Mosé accreditato come un prodigio presso un popolo superstizioso e rozzo> Oh eroi- che teste, in cui non so se sia più grande la stolidezza o l'empietà! E in verità, per credere aurora boreale o feno- meno elettrico la nuvola degli Ebrei che per quarant'anni continui senza interruzione gì' illuminò la notte, li guidò, li protesse nel giorno, con loro si movea e soffermava con loro; per credere che Mosé abbia voluto o potuto ingannare tre milioni d'uomini, presentando loro nella storia come

108 LETTURA OUnXA

veduto per qiiarant' anni da loro un prodigio che nessuno di essi avea veduto; per credere insomma che l'ignoranza e l'impostura ahhiano potuto mai fìngere, persuadere e per- ])etuare la memoria d'un prodigio straordinario e ma- gnifico, sì pubblico e permanente, non bisogna rinun- ziare all'evidenza della ragione, al senso comune? non bi- sogna discendere al disotto della credulità de' fanciulli, della stupidità de'gonzi? ?»Ia nulla di ciò è capace di spaventare la robusta credulità de'neologi. Purché non siano obbligati ad ammettere come miracoloso un fatto della Scrittura, non vi é somiglianza che non credano, non vi è delirio che non ammettano, non vi è assurdità grossolana che non in- gozzino. E questi critici superbi, che si danno per uomini superiori, incapaci di piegarsi ad accordare il loro assenso alla testimonianza unita della sinagoga e della Chiesa in favore dei miracoli della lìibbia, non si vergognano di ri- cevere come oracoli i dubbi dell'incredulità e le arguzie dei sofisti. Tanto è vero che il cristiano che rinunzia la fede, abiura il buon senso, e diviene credulo col cessare di esser credente !

i\ìa lasciamo questi falsi dotti pascersi de'delirii della im- maginazione e della assurdità dell'orgoglio: e ad edifica- zione del lettore cattolico, per cui principalmente scriviamo, passiamo a spiegare nel senso spirituale ed allegorico la sto- l'ia miracolosa che abbiamo narrata, e scopriamo i grandi misteri che vi si contengono.

§ XVI. - La colonna che (juidò gli Ebrei alla ferra prò- ìiiessUj, figura della stella che condusse i Magi a Be- tlemme. Tratti di somiglianza fra i due prodigi.

1/apostolo S. Paolo scrivendo ai Corintii, dice: « I nostri padri furono tutti sotto la protezione della nuvola miraco- losa,: tutti passarono l'Eritreo; tutti sotto la condotta di 3Iosé furono (in figura) battezzati nella nuvola e nel mare; tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale (cioè il cibo che spiritualmente significava l'Eucaristia); tutti bevettero della stessa acqua, spirituale, che è Gesù (tristo : il quab' dnpper-

LETTURA QUIETA \ 17

Chiesa adunque e Roma é nei tempi moderni ciò che fn la sinajjo^a mosaica. ciò che fu» Gerusalemme ne'tempi an- tichi: l'unico pic,'deslallo della lucerna della fede e della verità. LìiccnKi in cdliginnso loco.

r.a colonna, nell' illuminare il popolo d' Israello, spandeva la sua luce a grandi distanze; sicché anche i luoghi in cui essa non poteva vedersi secondo la maggiore o minore di- stanza in cui eran da lei, .partecipavano più o meno al suo miracoloso chiarore. Alla guisa stessa onde gli abitatori dei poli, anche ne' sei mesi dell'anno in cui non vedono affatto il sole, sono più o meno illuminati dalla sua luce riflessa, hanno interi mesi di crepuscoli che impediscono che stiano per la metà dell'anno sepolti in una notte profonda. Or que- ste son figure dell'insegnamento della Chiesa veramente cat- tolica 0 universale, che, mentre illumina e dirige il vero Tsraello, il popolo cristiano, di'fonde ancora a grandi distanze per tutta quanta la terra, anche presso dei popoli infelici che non lo conoscono, le grandi verità che lo compongono. Infatti come, prima della venuta di Gesù Cristo, la sinagoga degli Ebrei (figurata nella nuvola che li trasse dall'Egitto) colle sue peregrinazioni, colla sua convivenza fra popoli ido- latri, colle sue Scritture, spargeva e manteneva nel mondo le verità primitive, l'idea di un Dio che essa sola conosceva senza errore, Nolus in Judcea Deus, così la Chiesa catto- lica, che da Roma, in cui ha la sede, si estende per tutto il mondo, colle sue dottrine, coi suoi libri, co' suoi esempi sparge e mantiene pel mondo, con tutte le verità primitive, tutte le verità cristiane, la vera idea, la vera cognizione di Gesù Cristo, che essa sola possiede nella sua purezza. Per in- tendere ciò anche meglio, ricorriamo ad un'altra similitu- dine. Un fiume reale sebbene visibilmente innaffii solo le terre che traversa, pure invisibilmente fa col suo peso fil- trare le sue acque nelle viscere della terra che gli serve di letto e di sponda, ed estende segretamente a grandi distanze nel suolo la sua influenza benefica. Così la vera Chiesa col suo celeste insegnamento, sebbene visibilmente esista solo in questa o quell'altra cattolica contrada, invisibilmente però fa penetrare le sue dottrine di verità anche ne' paesi degli

ì\8 LETTURA QUfNTA

eretici, degli scismatici, de' maomettani, degl'idolatri. Il suo spirito , essenzialmente espansivo , efficace e fecondo , per mezzo de' viaggiatori dove non giungono i missionarjj per mezzo degli esempi dove non echeggia la predicazione^ per mezzo delle corrispondenze commerciali o politiche dove non si estendono le comunicazioni religiose, filtra e si estende segretamente a grandi distanze, e diffonde e mantiene sem- pre vive nelle più remote contrade le idee di Dio, dell'a- nima , della legge divina , della vita futura , della caduta originale , della redenzione ; che , sebbene tenute cattive e corrotte da' delìrj della ragione o dal disordine delle pas- sioni, pure servono a mantenere in quelle terre infelici un pallido chiarore, un qualche crepuscolo di verità, che im- pedisce che vi si faccia intera la notte dell' errore , e vi mantengono un'ombra di civile società.

Perciò tutte le nazioni che sono fuori della vera Chiesa, separate da lei a maggiori o minori distanze, senza che la veggano, partecipano al suo spirito. Il misero avanzo di vita intellettuale onde ancora contano nella gran famiglia degli esseri intelligenti socievoli lo devono, senza saperlo, alla secreta fecondità di questa Chiesa che perseguitano, o igno- rano. Da lei e per lei ricevono le poche verità che manten- gono^, e di cui si abusano per star lontani da lei; e senza accorgersene, e anche loro malgrado, ne sono discepoli men- tre che, lungi dall'esserle figliuoli, le sono nemici. Come il sole feconda la terra tutta, anche dove non cade diretta- mente il suo raggio, e vivifica ed illumina gli uomini che ne apprezzano i beneficj, e i bruti e le piante che non gli intendono ; così l'insegnamento della Chiesa non solo presso i popoli che lo conoscono e lo credono nella sua purezza, ma ancora presso coloro che lo ignorano e vi sono ribelli, fa germogliare qualche verità; ed esso è che mantiene ciò che vi è di verità in tutta quanta la terra. È più vero perciò della luce spLi'ituale della rivelazione divina quello che la Scrittura ha detto litteralmente della luce del sole. Poiché, meglio che il sole, la rivelazione divina guarda per tutto, é l'anima e la vita dell'universo: e non vi è intel- ligenza creata che resti intieramente estranea , e che in

LKTtl'R4 QUIETA \\Ò

qualche modo non partecipi al suo raggio animatore: Sol illuniìiians per omnia i-espexil (Eccli. 42); non est qui se ubscondal a caìore ejus (Psal. 18).

Che sarebbe mai adunque del mondo^ se, per caso impos- sibile, arrivasse ad estinguersi la divina lucerna della rivela- zione, di cui è depositaria fedele la Chiesa? Quello che sa- rebbe stato degli Israeliti, se. mentre si trovavano impegnati tra ignote arene, negl'immensi deserti dell'Arabia, tutto ad un tratto si fosse estinta e dileguatasi la colonna, sola guida sicura del loro cammino. 0 anche meglio: sarebbe del mondo morale ciò che sarebbe del mondo fisico, se un bel mattino arrivasse ad estinguersi e scomparisse per sempre il sole.

Imperciocché come il mondo corporeo, privato affatto della luce del sole, cadrebbe nella confusione primitiva, nel disor- dine, nel caos; così il mondo spirituale, se venisse a man- care l'insegnamento della vera fede , perderebbe a poco a poco ogni idea di Dio, dell'anima, della legge morale. Il ge- nere umano ,. rotolandosi di errore in errore , di vizio in vizio, cadrebbe nell'abisso della depravazione e della bar- barie: e lungi dal più fornire al cielo degli eletti, non da- rebbe che dei mostri alla terra, dei riprovati all'inferno.

Siccome però il mondo corporeo non esiste che in or- dine al mondo spirituale, e la vita temporale non è accor- data agli uomini che come mezzo da giungere all'eterna; dal momento in cui ogni traccia di verità e di virtù si scan- cellasse dalla superficie della terra, e l'umana famiglia non fornisse più conquiste alla grazia , più discepoli alla ve- rità, più eredi alla gloria, un cataclismo più spaventevole di quello de'tempi di INoé verrebbe di necessità a piombare sull'intero genere umano ed a distruggerlo.

È vero adunque che degli ottocento milioni di uomini che abitano la superfìcie della terra , appena duecento milioni sono cattolici e formano la vera Chiesa. Ma non solamente i cattolici, che le sono figliuoli, le sono debitori della luce che gl'illumina, della grazia che li santifica, dell'autorità che li regge, della forza che li mantiene, dell'ombra tutelare che li difende; ma i seicento milioni ancora che ne son fuori, chi più chi meno, secondo la maggiore o minore diversità

i20 LETTURA QUIÌNTA

di costumi e di opinioni che da -lei li divide , tutti più o meno hanno una qualche particella della sua luce , da lei si alimentano , a lei si appoggiano e sussistono per lei : Sicìit lucerna in caliginoso loco. 0 santa Chiesa romana, veramente cattolica, cioè universale, perchè estendi all'uni- verso la misteriosa luce del tuo insegnamento, oh quanto è preziosa e nobile la tua missione di far sussistere il mondo, mantenendovi lo spirito di verità ! Oh vanto inestimabile , oh mistero divino !

§ XVIII. - // prodigio della colonna^ inutile senza il mi- nisiero di Mosè, fupira deJla necessità del ministero della Chiesa per V intelligenza e per V uso delle rivelazioni divine. Dio, nelVaversi associato Mosè per compiere la liberazione del suo popolo , ha indicato il piano della sua provvidenza di associarsi la Chiesa alla grand' opera di salvare gli uoìiiini.

Ma la colonna degl'Israeliti non solo ha figurato la faci- lità e l'universalità dell'insegnamento della fede, ma ancora la necessità del concorso della vera Chiesa, perché quest'in- segnamento divenga facile ed universale. Infatti la colonna fu da tutti veduta starsi da prima immobile nell'aria, poi moversi nella direzione del mare. Ma nessuno al principio comprese nulla di questo fenomeno. Fu necessario che Mosé ne spiegasse il mistero, che la indicasse come il mezzo da Dio scelto per condurre e salvare il suo popolo. Fu neces- sario che Mosè dichiarasse agli Ebrei che bisognava cammi- nare sulle sue tracce ed aver fiducia in lei. E fu questa spiegazione di Mosè che rassicurò Israello, gli fece vedere nella colonna il pegno della protezione divina, e lo impegnò a mettere senza tema il piede nel mare diviso , e marciar tranquillo e beato fra le acque a destra e a sinistra sospese in aria. Senza il ministero di 3Iosè adunque il prodigio della colonna sarebbe stato inutile. Esso sarebbe stato un enimma oscuro ed impenetrabile. La sua luce e il suo moto miraco- loso avrebbe lasciato il popolo timido, incerto o indifferente. E perciò la Scrittura, dopo di aver detto che il campo ebreo non si moveva e non si fermava se non alla parola di Dio, che si manifestava col muoversi o col fermarsi della nuvola,

LtTTlKA OUI.NTA 121

Per ver bum Domini fìgebanl tenloria, el per ver bum il li un proflciscebanlur, ag-giung^e ancora che, non ostante che la colonna si arrestasse o si mettesse in cammino, il popolo però , per fare lo slesso , attendeva V ordine e il se;,^no di iMosé. Sicché era 31osè che interpretava sempre' la parola di Dio; e questa parola e questa guida celeste era chiara pel popolo quando vi si aggiungeva la parola del duce ter- reno : Eranlque in excubiis Domini, juxla imperium ejiis

PER MAM'M ìMoYSI (^Um. 9).

Ora chi non intende a primo colpo d'occhio l'importante significato di queste circostanze ? Clome la luce della colonna signilìcò la rivelazione divina contenuta nelle Scritture, l'in- segnamento della fede e tutte le illustrazioni immediate die la grazia spande nella mente degli uomini; così l'Angiolo in- visibile, non meno che l'Angiolo visibile . cioè, Mosé, nella cui persona si compendiava la sinagoga, fu figura del sommo pontefice , nella cui persona si compendia tutta la Chiesa. (Juesta circostanza adunque della necessità del ministero dell'Angiolo terrestre, 31 osé, per ispiegare e rendere utile il prodigio della colonna, fu una vera profezia della necessità del ministero della sinagoga per ispiegare ai Magi il prodi- gio della stella, e della necessità del ministero della Chiesa e del suo capo per ispiegare, determinare, decidere il senso delle rivelazioni divine contenute ne' Libri Santi, e la verità delle ispirazioni, dei lumi, delle visioni che ogni privato cri- stiano può ricevere immediatamente da Dio. Poiché, dice il Fuldense, angelo, vuol dir nunzio, e perciò significa i pa- stori e i dottori della Chiesa che ci annunziano e ci spie- gano i precetti della vita eterna. Essi in compagnia della nu- vola, cioè colla scienza delle Scritture, precedono il campo del vero Israello, la Chiesa; perché sono essi che vi presie- dono, armati della vera scienza e del vero senso delle Scrit- ture : JmjeJus qui inlerprelatur nuntius si(jnificai, doclo- res qui nobis prcecepta vitce annuntiant. Et cum nube iclesl scientia Scripturarunij castra Israel, idest Ecclesiam prcece- dunt; quia cum scientia Scripturarum prcBsident (in Exod.). Come dunque la sola colonna, senza Mosé, non bastò a gui- dare il popolo ebreo pel mare, pel deserto, e conduilo alla

122 LETTURA QUIISTA

terra promessa^ così il Vangelo stesso non basta per guidare il popolo cristiano ne' deserti del mondo e condurlo all'e- terna salute , senza il ministero della Chiesa. Deh ! che il Vangelo stesso, senza l'autorità divina visibile che lo spieghi, é un libro suggellato con sette sigilli; un enimma, un mi- stero, in cui non s'intende nulla di preciso, ed in cui l'or- goglio del senso privato ritrova spesso una pietra d'in- ciampo e di errore. E la confidenza nelle ispirazioni private, sottratte dal giudizio della Chiesa, é la via più sicura per errare e cadere in illusioni funeste. Guai adunque a voi che volete separare ciò che Dio ha unito, la colonna da 3Iosé, la Scrittura dall'interpretazione della Chiesa! Come gl'Israe- liti, non ostante la luce miracolosa della colonna che a tutti apparve, senza 3Iosé però, lungi dall'arrivare alla terra pro- messa , non avrebbero fatto nemmeno un passo fuori del- l'Egitto; così voi, non ostante la rivelazione divina conte- nuta nelle Scritture che vanno per le mani di tutti, senza il sommo pontefice, lungi dall'arrivare al cielo, non farete neppure un passo per uscir dall'errore. Credete a me: ri- tornate sotto l'ubbidienza e la verga pastorale di Mosé: al- lora solamente la rivelazione divina delle Scritture , colla quale ora correte il sentiero della perdizione, diverrà per voi una legge sincera, una guida sicura.

Si noti ancora che la nuvola si chiama I'Angelo del Si- gnore: per indicarci che non ogni Angiolo può servirci di guida sicura nell' ammaestramento e nell' intelligenza delle cose divine; perché S. Paolo ci dice che l'Angiolo delle te- nebre si cangia sovente in angelo di luce; e perciò previene i fedeli che stiano bene attenti a non ammettere dottrine diverse o contrarie a quelle che aveano udite predicarsi da lui , nemmeno se un cuujiolo venisse loro ad annunziarle. 1/ Angiolo buono é solo l'Angiolo del Signore, mandato da lui, che ci parla in suo nome e ci manifesta la sua parola, che ci serva di guida, Amjthis Domini; Per varbum Domini l>rofici}ictbanlur; e questo Angiojo è quello che per tale è riconosciuto ed additato da 3Iosé, per inanum Moysi. Così pure della luce, che nel primo giorno della creazione brillò col vergin suo raggio nell'universo, sta scritto che Dio la

LETTURA QUIETA 123

vide, e vedutala, l'approvò come buona: f^idìl Deus lucem qxiod essel bona (Geii. 1). Ora, come si è più volle notato nel corso della presente opera, questa luce materiale che il- lumina i corpi, secondo S. Paolo, è la fi^^ura della luce della fede che rischiara le anime. Collo aver detto adunque la Scrittura che Dio vide che la luce da creata era buona; ha voluto indicarci che non ogni luce é buona, che ve ne è di quella che della luce ha sol l'apparenza; ma che quella è buona che é veramente creata da lui e che riceve la sua approvazione. Cioè a dire che non tutti i modi d'intendere la Scrittura sono sinceri ; non tutte le idee che ci sorgon in mente e che ci sembrano buone , vengono da Dio. Che non é sempre Dio che ci parla quando crediamo di sentire la sua parola; non é sempre lo Spirito Santo che ci muove quando crediamo di provare il suo impulso; non é sempre l'Angiolo che ci illumina quando crediamo di vedere la sua luce. Che il parerci che una cosa sia così non è sempre se- gno certo che la cosa è così certamente. Che non ogni pri- vata ispirazione é buona, non ogni dottrina è celeste^ non ogni rivelazione è divina; che possiamo ingannarci ed es- sere ingannati; che vi sono dei falsi angioli, de' falsi pro- feti, che si arrogano una missione divina, mentre Dio pro- testa di non averli mandati; eh' è necessario perciò che le nostre dottrine, le nostre opinioni, le nostre idee, le nostre ispirazioni, la nostra luce sia spiegata da Mosè, cioè assog- gettata al giudizio della Chiesa e de' suoi ministri. E che quella luce è veramente buona , quella verità è sincera , quella dottrina è pura, quell'insegnamento è santo che viene veramente da Dio ; e da Dio viene veramente ciò che ha l'approvazione dei legittimi ministri di Dio.

Mì\ come? e perchè mai Iddio vuole che ariose alzi la ver- ga, stenda la mano e divida le acque dell'Eritreo, e poi di nuovo le ricomponga nell'antico lor luogo? Iddio, che avea stabilito una guida miracolosa nel cielo, non poteva da solo aprire una strada in mezzo al mare ? 11 Dio che dalla colonna ha tuonalo contro gli Egizj, ne ha confuso e rove- sciato l'esercilo, ha dunque bisogno di 3Iosé per compirne la strage? Ed in seguito poi, perchè mai nel deserto bisogna

i2-l LLTTLT.i OUIATA

che Mosé tocchi colla sua verga il sasso per farne scaturire le acque; bisogna che 3!osè preghi perché piova dal cielo la manna; bisogna che 3Iosé innalzi il serpente di bronzo su d' una pertica perché il popolo sia guarito dalle sue ferite? La nuvola miracolosa, ed in essa iddio^ è presente in mezzo ad Israello. dappertutto lo accompagna e lo pro- tegge: pure, non ostante questa protezione e questa guida divina, pare che Dio non possa senza 31osè compiere il mistero di misericordia della salute temporale del suo po- polo. Che uomo misterioso é dunque questo Mosé, senza del quale israello non isfugge alcun male, non riceve alcun bene? Or chi non vede in tutto ciò vaticinata e descritta anticipatamente 1' economia che la divina provvidenza ha stabilito^ di non illuminare^ non santificare gli uomini che pel ministero della sua Chiesa?

11 passaggio degl' Israeliti per V Eritreo é figura del Bat- tesimo : poiché S. Paolo lo ha detto , e la Chiesa lo con- ferma mentre fa leggere, sotto il titolo di profezia ^ la storia di questo miracoloso passaggio nel sabbato santo quando si battezzano i catecumeni: ed otto giorni dopo dice a questi battezzati: « Ora che abbiamo passalo il mar RossOj vestiti di bianche vesti , accostiamoci al regio con- ^ito dell'agnello, e cantiamo inni gloria a Gesù Cristo nostro liberatore e duce: Jd reyias acjni dapes - stolis amidi candidis , - posi Iransilum maris Rubri - Chrislo canamus principi (Ifymn. sabb. in alb.).

La slessa interpretazione ci é confermata dalla circostanza notata nella Scrittura, cioè che Dio fece asciuttare il fondo algoso del mar diviso per mezzo di un vento veemente e secco che fece spirare in tutta quella notte miracolosa: Fiatile velilo vaìiemenli ti urenlt per lolain noclcm^ cerili in sic- cum. E come da prima si possono leggere queste parole del- l'Esodo senza risovvenirsi di quest'altre degli Atti apostolici: « Compiendosi i giorni di Pentecoste, si udì all'improvviso un insolito rumore e come un soffio veemente, che partendo dal cielo sccnde\a sopra la terra: Cum complerenlur dics Penlecosles... faclus esl repenle de cado sonus , lamqiiam udvtìiienlis spirilus veliemenlisì (Act. 2) » ISelle parole del-

LKTTUPiA OL'I^TA i25

l'Ksodo adunque lo Spirito Santo lia dipinto, quindici se- coli prima, stesso. Quel ventc^ che diseccò in una notte il fondo deirj^^rilreo fu la' figura^, dice la Glossa, dello Spi- rito Santo, che colla luce della sua sapienza e col fuoco del suo amore ha diseccato il fango dei vizj ond'era ripieno il mondo, sicché non vi era dove mettere il piede senza imbrattarsi, e lo ha renduto praticabile al vero popolo di Dio, e dal g^iorno in cui spirò sopra gli Apostoli non cessa mai di spirare sopra la Chiesa viaggiatrice nella notte di questo secolo, tempo d'ignoranza e di avversità: Vento vehemenli , idesl Spirila Sditelo imindum sapienlia sita essiccante. Totam noctem , idest adversilatis vel prcBsentis ifjnorantice (Gloss. in Exod.).

3Ia osserviamo ancora che questo vento spira in mezzo e sopra le acque e quando 3Iosè ha alzata la verga. Oual più bella figura dunque del Battesimo? in cui e per cui 1' anima non é liberata dalla schiavitù del demonio e non passa sul lido della grazia, se non quando lo Spirito Santo peF mezzo della forma che vi si pronunzia, si mescola e sanlirica le acque, e il sacerdote l'accompagna col segno della croce. Lo stesso mistero, secondo l'unanime sentimento de' Padri e deliri stessa Chiesa, fu figurato nel luogo del Genesi in cui si ri- ferisce che, essendo la terra sterile e vuota, avvolta in te- nebre profonde, lo spirito del Signore si aggirava sopra le acque: Terra auiem eroi inaìiis et vacua j et spirilus Do- mini ferebatur super aquas (Gen. 1). Oh grande mistero! Come il mondo materiale, la creazione non comincia che dallo Spirito Santo e dalle acque, cosi dalle acque e dallo Si)irito Santo si forma il primo de' sacramenti onde ha prin- cij>io la nuo^a creazione. Nora creatura (il Cor. 5), cioè il mondo spirituale, il mondo della redenzione; così la terra infeconda e oscura, e l'Eritreo impraticabile afFatto, prima che un soffio misterioso scorrendo sull'acque o in mezzo alle acque non avesse fecondata e illuminata l' una e diseccato l'altro, furono splendidi' profezie della necessità del batte- simo, perchè la terra tenebrosa e sterile del cuore umano abbia la luce e il calore clie la fecondi, ed il mai*e del secolo presenti una strada facile e sicura all'uomo viatore: e fu-

Btilezze della fede II. ^i

426 LETTURA OUnTA

rono come gli emblemi di questa grande sentenza del Sal- vatore : « Se l'uomo non rinasce dallo Spirito Santo e dalle acque, non può entrare nel regno de'cieli : ISisi quis rena' ius fuerit ex aqua et Spiriiu Scindo , non intrabit in re- gnum ccelovum (Joan. 2).

Ed infatti, dice S, Isidoro, nulla .esprime tanto bene il Battesimo quanto il passaggio degl'Israeliti pel mar Rosso: poiché come ivi i nemici, che gl'inseguivano alle spalle col loro capo, rimasero estinti nelle acque ; così nel Battesimo sono scancellati i peccati trascorsi, e il demonio riman sof- focato nel sangue di Gesù Cristo: Mare Rubriim Baplismum Chrisli sanguine consecralum significai. Hosies a tergo se- quenfes ciun rege Dioriuntiir : quia peccata prceterita dc- ìentur in Baplismate, et diaboìus suffocatur (in Exod.). 3Ia S. Paolo ha notato espressamente che gllsraeliti non aveano ricevuto il battesimo figurato nel mare e sotto la nuvola , se non pel mi?ìistero di .Mosè: Sub nube fuerunt, baplizati sunt vs MoYSi et in mari; e con queste parole , sebbene , secondo alcuni, abbia voluto indicare la colonna misteriosa come simbolo della forma : il mare, della materia; Mosé, del ministro del Battesimo , e far vedere come in tutte le sue circostanze la figura calza al figurato ; pure sembra che abbia voluto ancora avvertire che il Battesimo non si riceve che per le sollecitudini , per lo zelo , per la preghiera del vero 3Iosè, che è la Chiesa: In Moysi baptizati sunt.

Perciò, dice S. Agostino, riconoscete, o fratelli, nella verga di 3Iosé la figura del mistero della croce. Poiché come l'an- tico popolo di Dio non potè esser liberato dalla schiavitù di Faraone, se 3Iosé non alzava la sua verga sopra del mare; così, se non si fosse (nella Chiesa e dalla Chiesa) levata in alto la croce, il popolo cristiano sarebbe perito in eterno: In virga mysterium sanctce crucis agnoscitej nisi virga su- pra mare elevetuVj popuJus Dei a Pharaonis potestate non iolhtur. Sicj, si sancla crux elevata non esset, christianus populus in (sternum periisset.

Così ancora, é per la gran preghiera, per la consecrazione della Chiesa che sempre sotto la nuvola dell'insegnamento divino, sempre colla professione della vera fede, il vero pò-

IJ:TTir.A ODLMA ì'-ll

polo di DiOj il popolo cristiano si è cibato della vera manna dell'Eucaristia, si è dissetato alle limpide acque che scatu- riscono dalla pietra de'sacramenti. ha adorato il misterioso serpente di bronzo sopra del legno, che, come lo stesso Gesù Cristo r ha detto (Joan. 3 ), era figura del suo santissimo corpo elevato in croce, ha messo in lui la sua confidenza, ed è stato risanato dalle mortali ferite che avea ricevuto da'serpenti infernali, e sottratto alla morte del peccato.

§ XIX. -I/rt disfaUa della potenza egiziana e la miraco- losa vittoria degli Israeliti nel!' Eritreo j figura della di-

. struzione della potenza idolatra e del trionfo memorando della fede cristiana in Roma. Monumenti tuttavia super- stiti di questo trionfo.

Ma dell'ampiezza e dell'eflicacia del ministero della Chiesa cadrà in acconcio dt parlare nell'ottava lettura. Fermiamoci per ora ancor un istante a considerare un altro stupendo prodigio che l'insegnamento della vera fede ha operato nel mondo ; figurato esso pure nel prodigio onde la colonna mi- steriosa degli Ebrei li liberò dall'oste egiziana, e ne conce- dette loro un completo trionfo.

Usciti appena gli Ebrei dall'Egitto, si trovarono impe- gnati in una terribile posizione. Faraone col suo esercito stava per piombare loro sopra; ed il mare da una parte ed i monti dall'altra, rendendo impossibile ogni scampo, la loro caduta in mano al tiranno era inevitabile, la loro di- struzione sicura. Pure non fu così. La potenza divina sol- tentrando alla difesa del popolo eletto, che più non poteva contare sopra alcun umano soccorso, con un gruppo di mi- racoli ne convertì i pericoli in sicurezza, e lo fece uscire lieto e glorioso da un cimento in bui aveva palpitato sulla sua sconfitta intera ed inevitabile. Tante e formidabili forze di tutto l' Egitto congiurato contro Israello si dissi- parono come polvere al vento. Faraone vi perì coli' intero suo esercito, e i loro cadaveri e le loro spoglie servirono di sgabello e di trastullo allo stesso popolo israelitico , da loro già destinato alla distruzione ed all'obbrobrio.

128 IETTERÀ <,»l*I^TA

Oh bella figura di ciò che è avvenuto al vero popolo di Dio, il popolo cristiano! Uscito esso appena dal vero Egitto, dal culto degli idoli, dalle turpitudini dell'idolatria per cammi- nare, sotto la condotta del vero Mosé, la Chiesa, sotto la pro- tezione della vera colonna, la dottrina della fede e della ve- rità nel sentiero della vera terra promessa, dell'eterna salute, trovossi tra le alture d'una orgogliosa filosofia da una parte, il mare di tutti i vizj dall'altra, ed alle spalle perseguitato a morte da tutte le forze dell'impero romano, concentrate nelle mani dei pagani imperatori. J^a distruzione intera adun- que del cristianesimo nascente, nello stato di apparente de- bolezza e di vera angustia in cui si trovava, parca cotanto certa ed inevitabile, quanto già parve inevitabile e certa quella degT Israeliti nella posizione diflfìcile in cui Faraone era venuto a sorprenderli. Che anzi gl'imperatori se la te- neano per cosa facile e sicura che, prendendola per un fatto già consumato mentre ancora non era che un sogno crudele, un voto spietato del loro orgoglio e della loro barbarie, già si aveano fatte fare dai loro abbietti satelliti congratulazioni pubbliche, lapidi e statue colla iscrizione fastosa: « Al divo J)iocleziano per avere distrutta per sin la memoria della cri- stiana superstizione in tutto il mondo: D. Diocìeliano, diri- òliana superstilione ubique delela. » Oh Faraoni, oh tiranni tanto stolidi quanto inumani! 0 Fgizj, o mostri di tirannia tanto insensati quanto fanatici e vili ! troppo presto vi date buone feste e cantate vittoria!..,. Ma con chi parlo? Sono già quattordici secoli che sono scomparsi dalla scena del mondo ed han cessato colle loro superstizioni, coi loro vizj, colle loro ingiustizie di più insultare il cielo e disonorare la terra. Da quella stessa misteriosa colonna, da quella stessa religione cristiana, che essi ebbero a vile e con costante furore vollero annientare ne' suoi seguaci sono usciti gli anatemi, le maledizioni, le condanne onde la potenza divina ha dissipato l'immenso apparato, della potenza umana. Un solo suo sguardo, è bastato per grande impresa: Respexit Dominus super castra /Eyijpiiorum. A questo sguardo di- sino le orde barbariche del settentrione, come fulmini inaspet- tati, sono piombate sul mezzogiorno. Nel percorrere che esse

fecero colla rapidità del lampo le provincie dell'impero ro- mano non vi lasciarono altre tracce che quelle della distru- zione e della morte. si spiega l'entusiasmo della devasta- zione da cui parvero allora trasportati i barbari, se non ri- correndo all'influenza di una forza superiore che li aveva scelti a ministri delle sue vendette. Essi rovesciarono le carra del vero Faraone, conquisero l'orgoglio e punirono la sto- lida barbarie dei mostri coronati che gavazzavano nel sangue cristiano. Annientarono le forze e distrussero dalle fonda- menta l'impero romano padrone del mondo. Ogni altezza fu abbattuta, ogni resistenza fu vinta, ogni gloria si dissipò per sempre nella profondità delloblio e del disprezzo; Interftcil exercitus eoruia, subverlit rolas curruum , ferebanlurque in prò fu udii m. vero Mosè allora, la Chiesa unita al suo capo, colla sua verga misteriosa, la croce, sotto la protezione della nuvola, nel nome di Dio trino ed uno, toccò, riunì le acque, battezzando gli stessi barbari ministri fedeli della ven- detta di Dio, e riunendoli nell'unità della medesima fedf^. E, gran cosa! nello stesso Eritreo, nella stessa Roma, già san- guinoso teatro della barbarie idolatra contro il cristianesimo, nella stessa Roma, dove l'idolatria, che vi regnava da so- vrana, sognava di annegare la fede cristiana in un mare di sangue, in un mare pure di sangue fu annegata essa stessa. Gl'imperatori e i loro palagi, i falsi sacerdoti e i loro tempj, i filosofi e le loro scuole, il popolo idolatra ed il suo senato, tutto è stato abbattuto e distrutto. Edi tanti eserciti, di tante ricchezze, di tante dinastie imperiali, di tanti milioni d'ido- latri, che per tre secoli si succedettero nell' esecuzione del l'infernal disegno di distruggere il vero popolo di Dio, non è restato pur uno, in cui sussista il sangue macchiato dalla romana idolatria: Nec unus qiiidein superfuit ex eis.

Al contrario però come la colonna nel tempo del gran ci- mento divenne la più splendida e più luminosa per gli Ebrei, e per gli Egizj più tetra e più oscura, così nel tempo della persecuzione pagana la dottrina celeste della cristiana fede, che sembrò più irragionevole più assurda e più vile a' per- versi, agli occhi delle anime umili e rette apparve più cre- dibile, più sublime, più bella^ più divina. Il popolo cristiano.

430 LETTURA OUINTA

come già l'ebreo^, uscendo da questa lotta più forte e più glorioso,, divenne più confidente in Dio e più docile e più obbediente al vei'O Mosè ,. alla Chiesa : El crediderunl jilii Israel Domino et Moysi servo ejus. Mosé infine, dopo il pas- saggio dell'Eritreo, sempre sotto la protezione della nuvola miracolosa e coi prodigi di cui Dio gli aveva data la chiave, continuò per quarant'anni a condurre Israello a traverso i de- serti; attento a pascerlo famelico, a ristorarlo assetato, a sa- narlo ferito; e, combattuto, farlo trionfare di quanti nemici tentarono di attraversarne il cammino, finché lo introdusse nella terra promessa. Così la Chiesa dopo la prova della per- secuzione de' tiranni, sempre all'ombra della fede divina e della promessa di Gesù Cristo che é con lei, e colla podestà de' prodigi nell'ordine spirituale di cui Iddio le ha confidato i tesori, ha continuato da quindici secoli a guidare i popoli cristiani a traverso le vie incerte e tortuose del mondo; ve- gliando sempre ad illuminarli colle sue dottrine, a nutrirli co' suoi sacramenti, a ristorarli colle sue grazie, a guarirli co'rimedj, a difenderli col suo zelo e colle sue preghiere. Sicché quante sette di eretici colla perversità delle loro dot- tiine. quanti monarchi persecutori colla forza del loro po- tere han tentato di turbare la marcia pacifica del popolo di Gesù Cristo, sono stati successivamente conquisi e vinti; ed in mezzo alle vicende continue delle dinastie, degli imperi, che attorno a questo popolo sorgono e si distruggono, esso solo, sempre vincitore ed immortale, ha continuato sicuro e continuerà sino alla fine del mondo il suo pellegrinaggio ter- restre, fino a che entrerà al possesso della vera terra pro- messa, nel regno de' cieli.

Che più? persino la i»articolarìtà notata dalla Scrittura, che Israello, già salvo e sicuro sul lido arabico, vide ivi a* suoi piedi i cadaveri e le spoglie degli Egiziani, anche questa ])articolarità profetica, dico, ha avuto il suo compimento nel vero Israello, ne' cristiani di Roma. Poiché non é principal- mente in Roma che il cristiano vede a' suoi piedi e calpesta gli avanzi superbi della grandezza di Roma gentile? Non è in Roma che. nel luogo stesso in cui il vero Faraone (ìXerone) e i suoi successori infierirono con tanta barbarie contro il vero

LETTURA QUINTA «131

Israello (il popolo cristiano), il vero Mosè (Pietro) ha reggia e tempio? iNon è in Roma che i resti dei tempii degl'idolatri servono di gradini, di fondamento e di ornato ai tempii cri- stiani: e le colonne e gii obelischi, prostituiti già alle tur- pitudini della superstizione j, veggonsi convertiti in piede- stalli della croce ed in trofei de' cristiani misteri? Udite di- ritti una di queste colonne^ quella che, eretta dal pontefice Paolo V, con in cima la cara immagine di Maria, slancia svelta e gloriosa verso del cielo innanzi alla più graziosa Chiesa del mondo. Santa Maria Maggiore ; uditela questa co- lonna, nelle belle iscrizioni che l'adornano, narrare all'uni- verso le sue grandezze, dicendo : « Io che una volta per or- dine di Cesare (Vespasiano) sosteneva umiliata e mesta l'im- puro delubro di un falso nume (il tempio della Pace), ora lieta e superba di portare la Madre del vero Dio, o Paolo (quinto), non cesserò di parlare di te a tutti i secoli. « 7m- pura falsi f empia quondam ìiuitiiìiis Jubente mcesta sustinebam Ccesare. ISunCy ìceta veri perferens Matrem Dei, te PaUle, nuìlis oblicelo scecuìis. » E al lato op- posto visilegge: «L'antica colonna di fuoco portò innanzi il lume ai pii (Ebrei), affinché potessero di notte tempo tra- versare sicuri i deserti dove non vi era cammino; questa colonna però schiude il sentiero alla magione del fuoco ce- leste, presentando nell'alta sua cima il mistero della Ver- gine; — Ignis collimila prceiulii lumen piis deserta nocte ut permanerenl invia securi. Ad arces Iicbc reclu- dil igneaSj monstrante , ah alta sede, callem Vir(jine.y> Udiamo pure 1' umile obelisco, collocato dietro la tribuna della stessa basilica nella quale si conserva la culla del Si- gnor nostro che dice; « Quell'io che già dolente serviva al sepolcro di Augusto estinto, ora glorioso e lieto me ne sto qui a venerare la culla di Gesù Cristo Signore, che eterna- mente vive: Chrisli Domini, in CBlernum viventis cuna- Inda lietissime colo; (jui mortui sepulcro Angusti tristis ser vie barn. »

Oh gloria! oh trionfo eternamente memorabile di nostra fede sopra tutti gli sforzi del mondo e dell'inferno per di- struggerlo: H(ec est Victoria quce vicit mundum , fules no^ stra (I. Joan. 5).

432 LETTURA QUINTA

§ XX. - Spiegazione tropologica dei la slessa figura^ con- dizione del cristiano in questa vita. Gesù Cristo è la vera nuvola che lo protegge^ lo illumina^ lo fortifica e lo difende. Anclie sui peccatori si estende la divina mi- sericordia, faille e colpa di chi nella tentazione diffida^ (i castigo che lo attende. Necessità ed efficacia della pre- ghiera in mezzo ai pericoli di perderci. I cocchi di Fa- raone e il loro morale significato. In Gesù Cristo il cri- stiano trionfa. Sua consolazione e gloria (piando sarà arrivato vincitore al cielo.

Nel prodigio della colonna, non solo è stata figurata la storia della Chiesa, ma quella ancora di ogni anima fedele che viaggia in questa terra d'esilio e di slento. Consideria- molo adunque ancora un poco sotto quest' altro punto di vista, e dopo di esserci cotanto trattenuti nella spiegazione del senso litterale e del senso allegorico , non trascuriamo d'interpretare anche nel senso tropologico o morale, si gran figura : giacché tale si è la prodigiosa fecondità della parola di Dio contenuta ne'J.ihri Santi ch'essa ha allo stesso tempo diverse significazioni , sensi diversi e tutti voluti dal suo divino autore : sicché le stesse istorie che han servito a pro- fetizzare i misteri della nostra fede, servono ancora d'istru- zione e di esempi per la riforma di nostra vita.

Non volle Iddio condurre gllsraeliti per la via superiore del Mediterraneo, perché non volle esporli ai disagi della guerra coi Filistei al principio del loro viaggio ; ciò che , come la stessa Scrittura lo avverte, avrebbe potuto farli pentire di avere abbandonato l'Egitto. Or questa è una fi- gura, dice S. Gregorio, della discrezione amorosa che Dio usa co' novellamente convertiti alla luce della fede e alla santità della grazia, e de' tre stati per cui li conduce. Di- spone egli che queste anime deboli ancora ed incerte nel proponimento generoso di abbandonare il vero Egitto , il mondo, le sue tenebre e la sua corruzione, trovino sul prin- cipio facile e sicura la nuova via in cui si sono impegnate, dolce il servizio divino, piacevole la pratica delle virtù. Non è che quando si sono inoltrate alquanto innanzi nella via della salute, che le espone, per meglio provarle, a'contrasti

LETTURA QUINTA i33

(Ielle tentazioni : ed alla line poi le ricolma della pienezza delle grazie e dei carismi superni : Tres modi siint homi' ììiun coìiversonuìì : in incohalione invtniunl bìandiìntnta (lulcedinisj in medio tempore cerlamina tenlaiionis^ ad ejctre- lììiim vero pleniliiditiem perfectionis (Homil. 21).

Israello adunque che , dopo alcuni giorni di pacifico e tranquillo cammino dalla sua uscita dall'Egitto, protetto dalla colonna e guidato da Mosè, si trova d'improvviso fra il mare da un lato e gioghi alpestri dall' altro e con alle spalle Faraone che lo perseguita, significa, secondo Orige- ne , il cristiano che . dopo fatti i primi passi nelle vie di Dio. alla luce della fede, dietro la guida della legge divina interpretata dalla Chiesa, si trova esposto alle tentazioni de'tre grandi nemici dell'uomo: 1." al mare de'cattivi esempi e delle massime peggiori del mondo; 2.° ai gioghi alpestri e difficili delle pretensioni della carne, che bisogna che sor- monti colui che vuol sollevarsi dai vizj alle virtù, dalla terra al cielo; ^.^ alle persecuzioni del demonio e de'suoi seguaci, perchè sta scritto : tutti coloro che vogliono seguire Gesù Cristo per le vie d'una sincera pietà devono attendersi di essere perseguitati: Si /Egyptum fugias, idest ignorantiam tenebras si sequaris Moysenj idest legem Dei, occurret libi mare, idest conlradiciionem fìuclus, venis ad Belieìpììeson et Mafjdaliim; quia a vitiis ad virtutes, a terra ad ccelum venieu' tibiis ardua caìcanda via est. Persequetur /EgyptiiiSj idest potestas dcemoniinìj quia scriptum est: Omnes qui pie voIuìU vivere in Christo JesUj persecutionem palientur (in Exod.).

INon bisogna perciò perdersi d' animo. La colonna degli Ebrei era nuvola che li copriva e li difendeva colla sua ombra e dagli ardoi'i del cielo e dalle insidie e da'pericoli della terra. Ora qual più bella figura di Gesù Cristo, dice TA-Lapide, che collombra divina de'suoi meriti, della sua ])0tenza, della sua bontà, cuopre e protegge i fedeli suoi servi dagli assalti delle tentazioni , dallo sdegno di Dio e dalla malizia degli uomini? Clirislus, instar hujus coìumnce, fideles suos obumbral et proteqit. Infatti esso medesimo si è comparato nel Vangelo al domestico augello che rac- co^2^1ie e l'ioopre i suoi pulcini sotto le ali della sua lene-

ìM lettura quinta

rezza: Quemadmoduni gaììhia congregai puììos suos sub alas (Matth. 23). Ed a questo mistero di amore, onde un giorno Gesù Cristo ci avrebbe, come sotto due ali, raccolti e difesi soUto le braccia della sua croce, e ci avrebbe fatto ombra colle sue spalle divine solcate dai flagelli, alludeva il Profeta quando diceva a Dio: « Proteg-getemi, o Signore, sotto l'ombra delle vostre ali: Sub umbra alarum tuaruni prolege me (Psal. 16): » ed all'uomo: «Egli ti farà ombra colle sue spalle, e sotto le sue penne spererai soccorso: Scapiilìs siiis obumbrabit libij et sub pennis ejus sperabis (Psal. 90). »

.Ma la nuvola avea la forma di una colonna: e perciò an- cora, dice l'A-Lapide, fu una bella figura di Gesù Cristo, vera colonna che serve di sostegno alla sua Chiesa e, facendole parte della sua fermezza, la fa divenire la colonna ed il ba- luardo della verità: Chrislus est columna, quia ipse f'utcit Ecclesiaììij et facit ut ipsa sit columna et firmamentum veritatis (in Exod.). Gesù Cristo però comunica la sua virtù e la sua fermezza non solo alla Chiesa in generale, ma in particolare ancora a tutte le membra che lo compongono. Perciò S. Girolamo dice che Gesù Cristo è colonna a causa della sua croce, che è il sostegno del genere umano: Crux C/iristi est Immani generis columna (in Psal. 95). E S. Isi- doro dice pure: Gesù Cristo fu benissimo simboleggiato nella colonna; perché retto e fermo egli stesso, sostenendo la nostra debolezza, ci rende retti e costanti nella pratica del bene: Christus est columna, quia rectus et fìrmuSy ful- ciens ììifìrmitatem nostram (in Exod.). E siccome in lui e con lui diventiamo anche noi sacerdoti pel suo sacrificio, luce per la sua dottrina, vita per la sua fecondità, pecorella per la sua mansuetudine, leoni per la sua fortezza; così, per la virtù e la stabilità che ci comunica, di fragili canne che siamo, esposti a piegare ad ogni più leggera aura di ten- tazione, diventiamo, come ce lo ha promesso, con lui ed in lui colonne anche noi, di cui si adornerà un giorno il tempio di Dio suo padre: Qui vicerit^ faciam eum cotumnam in tempio Dei mei (\poc. 3). Perciò, in fine, ne' Cantici l'anima fedele ci si rappresenta appoggiata al suo diletto nel salire

LETTURA OHNTA ^35

.il cielo: Profjreditur inniwa siipra dileclum simìii

(Cant. 6). Deh! che non si sale al cielo, alla vera terra pro- messa, sul fragile appoggio delle opinioni o dello virtù pu- ramente umane, ma sull'appoggio della fede e della grazia divina di Gesù (Iristo . unica colonna che mai non cede.

Anche il ministero dell'umanità e della divinità di Gesù Cristo é stato figurato dal doppio prodigio della colonna israelitica, come un mistero di speranza e di conforto per ogni cristiano. Imperciocché, dice il l)e-Lira, per la colonna nuvolosa si deve intendere, l'umanità in cui Gesù Cristo diede grandi esempi di pazienza. Poiché dalla meditazione di questi esempi l' uomo prende vigore , costanza e fermezza in mezzo alle tribolazioni che lo affliggono e alle tentazioni che lo combattono: Per coliimnam mibis , intellicjilur hu^ manitas Christi: in qua dedil esempla patientice; ex qiiO' rum cousìderatione accìpit homo in tribuìatione et lenta- tìone virtntcm constanticp (in Exod.). La colonna di fuoco poi signilìca la divinità onde Gesù Cristo, illuminando i suoi fedeli colla luce della sua grazia, li conduce a tra- verso il mare della vita presente, senza che inciampino nel peccato: Per columnam ignis vero divinitos Christi ^ iìtu- minans hominem luce graticB suce ^ et sic fideles transeunt mare prcBsentis vitce sine peccato. Le tribolazioni poi della vita (come dalle acque dell' Eritreo è detto che can- giaronsi in muro per Israello) si volgono per li veri fedeli in argomento di gaudio, avendo detto. 8. Paolo: « A mi- sura che le mie tribolazioni si moltiplicano, si accresce la mia allegrezza: e quando sembrerebbe che dovessi cadere sotto il peso della mia debolezza, egli è allora che mi sento più vigoroso e più forte: Seguitar : aquw erant eis quasi prò muro; quia tribulationes concitata fiunt materia gau- dìi. Hinc Pauìus: superabundo gaudio in omni tributa- tione. Cum infirmor^, tunc potens sum. » E notate come la Scrittura si compiace a ripetere che era sempre Iddio che serviva agli Israeliti guida, tanto nella nuvola che li gui- dava nel giorno, quanto nella colonna che li illuminava nella notte; e che egli questo Dio bontà, in questi due tempi diversi come lo sono il giorno e la notte, è stato sempre

i36 LETTURA QUUSTA

il condottiero del suo popolo: Dominus prcecedebal ad ostendendam viam per diem in columna niibis et per no- ciem in columna iynisj ut dnx esset ilineris utroque tem- pore. Oh bella figura della protezione amorosa di Dio pel vero Israello, per l'anima cristiana! Sia essa nella oscurità e nella notte delle tentazioni, sia nel giorno della tranquil- lità e della pace. Dio colla luce della sua fede gli serve di guida e di conforto, di difesa e di sostegno; e questa luce divina che non conosce tramonto, non mancherà giammai; Nuìn^uam defiiit colunma nubis per diem j ìteque columna igfiis per noctem.

questi tratti di misericordia sono solamente per le aniir 8 giuste e fedeli. Imperciocché della colonna sta scritto che tV'd blanda, opaca e confortante nel giorno, e risplen- dente nella notte. Ora nella Scrittura, osserva qui S. Gre- gorio, il giorno significa la vita dei giusti, la notte quella de' pece tori; avendo detto S. Paolo: voi che una volta era- vate tenebre, ora siete divenuti luce del Signore: Dies, vita jusii, nox peccatoris : unde (Ephes. 3): Fuistis aliquando tenebrie y mine autem lux in Domino (Greg., Homil. 21). La colonna adunque che conforta il giorno, e nella notte risplende è Gesù Cristo che ristora e consola i giusti e non esclude nella Chiesa della sua misericordia i poveri peccatori, ma gì' illumina, li riscalda; finché come si espri- me l'apostolo S. Pietro, spunti e brilli nei loro cuori tene- brosi la stella mattutina della grazia e della verità: Donec lucìfer oriatur in cordibiis vestris (II Petr. i).

Oh cuori però duri ed ingrati degli Ebrei! Prevenuti essi con tante dimostrazioni della divina bontà, nella posizione diflTicile in cui si trovano, mancano di fiducia, non invocano Dio; ma si lagnano con lui e con Mosè di averli tratti dal- l'Egitto, dicendo: Quanto meglio sarebbe stato il continuare a servire gli Egizj che venire a morire qui nella solitu- dine! Or questo tratto d'ingratitudine e di durezza degli Ebrei anche fra noi ogni giorno si rinnova. Gli Ebrei , che così operano e parlano così, furono, dice il Fuldense, la figura di quei cristiani stupidi di mente e vili di cuore, che ai jM'inii assalti della tentazione della carne, alle prime con-

LETTURA On>TA 437

tradizioni del mondo e del rispetto umano, alle prime sug- gestioni maligne del demonio che provano dopo la loro con- versione, si perdono di coraggio, disperano del divino ajuto che hanno già le tante volle sperimentato pronto e si possente. j)entono di avere abbracciato il partito della virtù e deHa devozione. Fanno quasi rimprovero a Dio ed a' suoi predicatori che li hanno tratti dalla servitù dei loro? vizj. Si rivolgono indietro, sospirano le antiche catene', le^ delizie velenose e la sicurezza funesta del peccato, e dicono: Sarebbe stalo meglio il non coìicerlirsi (jianimai che do- ver essere strascinati ali' antica vita dalla forza delle ten- tazioni. Sarebbe stato meglio il dannarsi servendo il mon- do che ritirarsi dal mondo alla solitudine austera della vita cristiana, senza poter giungere al cielo! Sarebbe stato me- glio il continuare nel peccato che averlo lasciato senza po- tt^r praticare la virtù! Massima falsa e detestabile: perchè è sempre meglio il cominciare il bene, benché non si giunga alla sua perfezione, di quello che protrarre senza interru- zione la catena del male: è sempre meglio far alto nella via del disordine che correrla senza fermarsi giammai; è sem- pre meglio uno stato in cui poco si avanza nelle virtù di quello che uno stato in cui . colle mani e piedi legati , marcisce ne' ceppi delle abitudini voluttuose sotto la ser- vitù del diavolo: Clamaverunt ad Dominum et dixerunt Moxjsiy etc. Jera desperantiuni siiiit et in tentatione languenlium. Verbo alioqnin falsa. Multo inelius est enim boniim incipere etiamsi perficere non possiSj qiiam a dia- bolo non recedere (Glossa in Exod.).

Che a^'^enne però agli Ebrei? Iddìo stesso ce lo ha rive- lalo per mezzo del suo profeta: Quarant'anni continui, dice il Signore, io vegliai sempre colla mìa protezione e co' miei beneficj attorno il popolo d'Israello: Quadraginfa annis prò- ximus fui generationi liuic. Ma egli mi oppose un cuore ri- troso e duro; non volle mai mostrare ne fiducia nella mia potenza fedeltà a mìei comandamenti, gratitudine ai disegni della mia bontà sopra di luì: Et dixi: Semper hi errant corde. Ipsi vero non cognoverunt vias ineas. Or bene, ecco il castigo che incorse: io giurai nella mia collera, ed

138 LETTURA QUINTA

egli fu escluso dalla terra del riposo che io gli avea prepa- rato : Quibus juravit in ira mea, si introibunt in requieia meam. Ed infatti (o Dio, quanto grande nelle sue miseri- cordie altrettanto nelle sue vendette terribile!) i tre milioni di uomini che sotto la guida di 3!osé uscirono dall'Egitto, ad eccezione di due soli, tutti perirono nel deserto. 1 loro figliuoli, nati durante il viaggio, e, de'loro padri, i soli Gio- suè e Caleb entrarono nella terra promessa. Tremiamo an- che noi d'imitare l'ingratitudine de'Giudei, se non vogliamo essere avvolti nello stesso castigo. INon abusiamo del divino beneficio onde, a preferenza di tanti 'popoli . sepolti nelle tenebre dell'errore del vizio, siamo stati scelti a formare il vero popolo di Dio. La nostra ingratitudine, la nostra dif- fidenza potrebbe renderci vano gran privilegio; e seb- bene condotti per la via de'prodigi dalla divina bontà, seb- bene vissuti sotto la nuvola della vera fede, dietro la scorta del vero Mosè, la Chiesa, pasciuti della vera manna, l'Eu- caristia, e confortati della vera acqua del miracolo, la g-ra- zia, potremmo alla fine della nostra mortale carriera rima- nere esclusi dall' eterna terra di promissione, per la quale la divina misericordia ci avea trascelti : Quibus juravi in ira mea, si introibunt in requiem meam.

Al contrario Mosé, che, come vede crescere il pericolo, raddoppia la sua fiducia, e come vede approssimarsi il ne- mico, moltiplica le sue preghiere, é figura dell'anima fedele che in mezzo al contrasto delle tentazioni , invece di cer- care ajuto e sollievo dalle creature, alza lo sguardo del suo cuore al Creatore e ne implora il soccorso e, forte della fiducia in Colui cui nulla resiste, sfida tutte le falang-i in- fernali col sentimento d' intrepidezza e di coraggio di cui fu interprete e profeta Da^idde quando diceva : ancorché un'oste formidabile di nemici si spieghi in battaglia a me d'innanzi per combattermi, il mio cuore rimarrà senza paura e non cesserà di sperare nel suo ])io : Si consistant adrer- sum me castra, non timebit cor meum; si consurgat ad- versum me prcBlium, in hoc ego sperabo. E notate che Dio disse a Mosè: «Che stai qui più a gridare innanzi a me?» quando nella Scrittura non si riferisce che Mosé abbia prò-

LETTURA OUIISTA i39

niinzìata a Dio una sola parola. Ma se Mosè, dice S. Ber- nardo, non articolò parola colla lingua, il suo cuore si volse a J)io in quel frangente difficile con un accesissimo deside- rio , con un immenso trasporto di fiducia e di amore ; e questi sentimenti dell'anima equivalgono ad altissime grida all'orecchio divino: Clamor enim Dei auribus est deside' riunì vehemens (in Psal. 9, serm. i6). E perciò S. Agostino avea detto : quando ti metti a pregare , alza pure grandi grida innanzi a Dio : grida però non della lingua, ma del cuore : poiché ciò che ottiene ogni grazia da Dio non è già un gran clamore sensibile, ma un grande amore: Cum oras clama: non voce std mente. Jpud Deum valet non magniis clamor, sed mac/nus amor.

Or ecco il modello che dobbiamo imitare, ecco l'ajuto a cui dobbiamo ricorrere, quando, sul principio della nostra \ita spirituale, ci pare di essere abbandonati alla nostra de- bolezza, in preda al genio del male, senza scampo e senza difesa. Fermi allora nella fede dei grandi misteri dell' au- gusta Trinità e della morte di Gesù Cristo risuscitato dopo tre giorni : misteri che abbiam la sorte conoscere e di credere: misteri, dice Origene, figurati ne'primi tre giorni del viaggio degli Israeliti : fermi, dico, nella fede in questi misteri, dobbiamo con confidenza verso Dio levare la voce del nostro affanno e il gemito del nostro dolore. Poiché é Dio stesso che, come fu detto agli Ebrei dallo stesso ì>José, mette allora a prova la nostra fedeltà e il nostro amore: Tentat vos DominuSj Deus vester, ut palam fìat utrum diligatis eum (Deuter. '13). Ma mentre questo Dio ci prova, non ci abban- dona; mentre ci percuote, ci guida; mentre c'impegna nel contrasto, veglia alla nostra difesa; mentre noi tremiamo quasi sotto la mano dal nemico infernale, da cui siamo scam- pati e che sta per piombarci di nuovo addosso con tutte le sue forze, in mezzo ai contrasti della propria carne che sem- brano insormontabili, a fronte delle dicerie e delle calunnie di un mondo congiurato a nostro danno, il cui aspetto, come la vista di un mare di cui non si scorge il confine, ci stringe il cuore, lo costerna, lo desola e minaccia di gettarlo nel- l'abisso della disperazione. Dio è sempre con noi. Sotto la

Ì40 LETTURA QUIISTA

protezione della nuvola della vera fede^ sotto la guida della Chiesa, Dio ci appiana le vie della salute. INella miracolosa protezione che spiegò in favore d'israello ci ha dato un pe- gno de' possenti soccorsi che ci prepara. Le stesse acque delle tentazioni, in cui temiamo di restare assorhiti e avvolti, si cangeranno in occasione di merito, in motivo di vigilan- za, in muro di sicurezza: purché abbiam fiducia nella forza del Dio che, avendoci tratti miracolosamente dalle tenebre dell'errore all'ammirabil suo lume, potrà e vorrà darci il soccorso di correrne con sicurezza le vie; Ciun a te tertice (liei mysterimn fuerit rtceptum , vide quanta tibi prwpa- rantur auailia : aquce erunl tibi prò muro: iucipiet el Deus ducere et viam sahitis ostendere, dummodo in fide fortis pennaneas (Orig. in Exod.).

Faraone però non mise tanta paura ad Israello colla mol- titudine delle sue genti, ma coli' apparato de" suoi trecento cocchi falcati, a quei tempi tremende macchine da guerra. Or questi carri, che, nella presente narrazione, la Scrittura rammenta per ben cinque volte, non sono senza mistero: ma significano, dice fra molti altri interpreti S. Bernardo, i tre rami de' vizj, la superbia, la lussuria e l'avarizia, coi quali il vero Faraone muove a combatterci, e con cui più che colle schiere de' suoi infernali satelliti ci mette paura : Currus Pìiaraonis, currus vitiorum (Semi. 37 in Cant. ). Le quattro ruote (siegue a dire il Santo nello stesso sermo- ne, in cui non si sa che ammirare di più se il gran mora- lista o il poeta), le quattro ruote del carro della superbia sono l'impazienza, l'audacia, la sfacciataggine e la sevizie; le bestie che lo traggono colla rapidità del lampo, e che hanno più della fiera che del cavallo, sono l'ambizione della potenza terrena, la cupidìtà delle pompe del secolo: l'alte- rigia poi che va dietro alle pompe, e il livore che anela al potere, sono come due cocchieri che non guidano i destrieri, ma li lanciano al corso. Oh quanto corre veloce questo carro funesto a versare il sangue e fare strage dei popoli soggio- gati e oppressi! la loro innocenza lo contiene, la loro pazienza lo ritarda, alcun timore di Dio o degli uomini lo frena, alcun sentimento di pudore lo arresta! Tutto

LETTURA QUINTA -144

atterra, tutto calpesta e non lascia dietro di che desola- zione e Tuìne: Quatuor superbice rotce sunt scBvitia , iin^ palienliaj audacia ^ impudentia. Falde velox est currus iste ad effundendum saìujuinem , qui nec innocentia sisti' tuì'y nec patienlia vetardalur, nec timore frcenatur, nec in- hihelur pudore. Trahitur duobus pernicibus equis et ad omnium perniciem efferatis: terrena potentia et scBculari pompa. Pnesident auriqcs duo: tiimor et livorj tumor pompamj licor poleuliam agii. Le ruote del carro della lus- suria sono l'ozio della vita, la mollezza degli abiti, la vo- racità dei cibi e la libidine del corpo. I cavalli che lo stra- scinano sono la prosperità della condizione e l'abbondanza delle cose terrene. I cocchieri sono il torpore dell'infingar- dag-gine e la sicurezza fallace nella indulgenza divina : Lu- xurice rotai qualuor: otium ^ moUilies vestium , inqìuvies et libido. Equi: prosperitas vitce^ et rerum abundantia. Auriga: torpor ignavice et infida securilas. Le ruote fi- nalmente del carro dell' avarizia sono la pusillanimità del- l'animo, l'inumanità dei sentimenti l'oblio funesto della morie ed il disprezzo di Dio. La tenacità nel ritenere e la rapacità nell' acquistare ne sono i destrieri che lo menano; e l'ardore insaziabile di possedere ne è il cocchiere che Io dirige: Avarilia rotct pusilìanimilas , inhumanitas , obìi- vio niorlis et conlemptus Dei. Equi: lenacilas et rapacitas, cum suo auriga, qui est habendi ardor.

Oh carri poderosi e terribili alle nostre povere anime, onde il demonio prende tutta la sua forza per sorprenderci, ab- batterci e perderci! Giacché questo vero Faraone non è forte che per la nostra debolezza, non prende le armi da com- batterci che dai nostri vizj. 3Ia se noi reclameremo il soc- corso divino colla preghiera continua, umile, fervente, come ce la inculca il Vangelo , trionferemo del nostro nemico e delle armi formidabili che lo rendono confidente e al- tiero. L'uomo che non prega è l'uomo senaa l'ajuto celeste, è l'uomo abbandonato alla sua debolezza, è l'uomo solo: e a Guai all'uomo solo» dice la Scrittura, a vcd soli!» Esso diviene il trastullo delle passioni, la preda del nemico; esso è vinto, è morto. L'uomo al contrario che prega sempre, che

442 LETTURA QUINTA

prega bene^ è Fuomo forte, l'uoiiio superiore a stesso, l'aomo salvo: giacché la finale perseveranza, il dono onde Dio corona gli altri suoi doni, e che egli non deve a nes- suno, non lo niega però, ne può negarlo (poiché lo ha promesso) al merito della preghiera: Hoc donum Dei sup- pliciter emereri potesl. L'uomo che prega, vede in un or- dine di gran lunga più nobile rinnovarsi a suo prò i pro- digi di cui furono o la figura o il pegno quelli che Dio operò a prò degli Ebrei. Poiché, come siegue a dir S. Ber- nardo, gli Ebrei furono liberali dalla servitù dell'Egitto: il vero cristiano, dalla corruzione del secolo. Allora fu disfatto Faraone; ora il diavolo. Allora i carri di Faraone furono ro- vesciati e distrutti; ora vengono dalla forza della grazia re- presse le inclinazioni carnali e i desiderj profani che fanno ostinata guerra allo spirito. I nemici visibili degli Ebrei fu- rono sommersi ne' salsi flutti del mare; i nostri invisibili nemici vengono soffocati nel pianto amaro della penitenza: Ibi populus editctus est de /Egypto^ Iiic homo de scbcuìo. Ibi prosteruilur Phavao, hic diaboliis. Ibi subverlunlur cur- ras Pharaonis; hic carnalia et scecularia desiderio y quce itiilitanti adversiis cameni, siibjiKjanlur. lìti in jluctibus , isti in fleti bus. Marini il li, amari isti.

Oh noi felici adunque, se saremo grati al Dio di bontà che ci ha incorporati al suo popolo, che ci ha insigniti del suo battesimo, che ci ha messi sotto la guida e la tutela della sua Chiesa, che ci ha illuminati , senza nostro merito e senza nostra fatica, colla luce misteriosa del suo insegna- mento! Oh noi felici, se di questo insegnamento divino ap- l)rezziamo il vanto, conosciamo il pregio, e ne adempiamo i doveri! INe otterremo ancora le ricompense. Il demonio, nostro mortale nemico, lungi dal trionfare di noi, fuggirà confuso e costernato da noi, rinunzierà alla temeraria lu- singa di render sua schiava un' anima che ha messa in Dio la sua fiducia, e che Dio cuopre e corona collo scudo della sua bontà (Psal 5): dirà esso pure, aggiunge ancora S. Ber- nardo: fuggiamo da questo vero Israello, in favor del quale combatte lo stesso Dio: Fato et mine clamare dcemonia^ si forte eis conlinyat in talem animam incidere: fugiamus

LETTURA OIIIIHTA 443

Jsraeleììij quia Domimis pugnai prò eo. E S. Paolo ci as- sicura che come gli Ebrei sul lido arabico poterono calpe- stare co' loro piedi i cadaveri de' loro nemici crudeli, così noi pure, condotti sul lido della beata eternità in seno alla pace e alla gioja che Dio ci avrà accordato dopo i giorni de' timori e del contrasto,, avremo la soddisfazione di poter insultare satanasso, che la divina potenza avrà conquiso e messo sotto de' nostri piedi : Et Deus pacis conterei sala- vam sub pedìbus veslris (Rom. i6). Come gl'Israeliti in fine, che, usciti miracolosamente sani e salvi dalle mani de' ne- mici, dalla voracità dei flutti, mescolando la voce della loro riconoscenza in un inno di ringraziamento: Cantiamo, can- tiamo, dissero, al Signor nostro inno di lode, che si è de- gnato di spiegare in favor nostro la magnificenza del suo jiotere e della sua bontà; Cantemus Doniiìio; gloriose enim niagnificatus est nobis : così noi pure, ci dice la Chiesa, trionfanti di più possenti nemici, delle falangi infernali; di più terribili marosi, dei nostri vizj e delle nostre passioni: tranquilli, sicuri e felici sulle soglie della beata eternità, diremo al Sig^nore: o Dio misericordioso ed onnipotente, di quanto vi siamo debitori! Ia\ vostra destra ha umiliato ed immerso nell'inferno gli spiriti delle tenebre che persegui- tavano l'anima giusta a voi fedele. E sotto la protezione e l'insegna della vera colonna, la croce, voi ci avete guidato all' eterna salute: Qui persequebanlur juslum , demersisti eosj Domine^ in inferno^, et in Ugno crucis^ dux justi fuìsti (in Olì". S. Andr. Ap.). Grazie vi sien dunque rese, grazie cordiali, afl'ettuose ed eterne, che per li meriti infiniti di Gesù Cristo ci avete conceduta gran vittoria: Gralias aulem Deo, qui dedil nobis vicloriam per Jesuui Chrislum (I Cor. 5). Così sia.

LETTURA VI.

Li CREDENZA DEI MAGI

OVVERO

LA VERITÀ' E LA CERTEZZA DELL' I.^SEG!SAME^TO DELLA FEDE.

Ubi est qui natus est rex Judaorum ? Vidimus enim stellam ejusj et veni- mus adorare eum.

(«atth. 2.1

INTRODUZIONE.

§ I. - Luomo non ha da inventata la verità, ma l'ha ricevuta da Dio per via di rivelazione e di fede. Due bei passi della Scrittura che lo attestano, ed argomen- tazione di S. Tomaso che lo dimostra. Al medesimo modo furono istruiti i Magi che avendo perciò conosciuti senza errore e con un'intera certezza i misteri di Gesù Cristo, figurarono gli altri due caratteri dell'insegnamento della fede : la sua verità' e la sua certezza. Argomento e di- visione della presente lettura.

Uno de' più turpi delirj , spacciato con una intrepidezza di spropositare senza esempio da filosofi materialisti,, e che avendo menato gran rumore nello scorso secolo, ha un eco debole sì, ma pur reale ancora nel nostro, si è questo ap- punto: che l'uomo non é debitore che a stesso della co- gnizione e del possesso della verità. Poiché, gittato, dicono, dalla natura sopra la terra, ovvero dalle viscere della terra uscito non si sa come , non fu in origine che un bruto , anzi il più ignobile e il più vile de' bruti, senza altro linguaggio che il grugnire, senza altra intelligenza che l'istinto di dis-

i.i:ttl'ra sesia \'4'6

pulaiv al suo siinilo la \ita corj)orea, senz'allrn dimora che un covacciolo, senz'altrc armi che le unghie, senz'altro ali- mento che le ghiande ; e coi soli suoi sforzi seppe quindi uscire da cfuesto slato di degradazione e di avvilimento, tro- vare i principj generali e formare la sua intelligenza . in- ventare il linguaggio e parlare, indovinare il diritto e le leggi, e soitomettervisi , e dalla condizione di muta bestia elevarsi all'altezza ed alla dignità d'uomo. Cioè a dire che seppe ragionare prima di aver l'uso della ragione, e parlare prima di aver l'uso della parola; j)oichè la ragione era ne- cessaria per inventar la ragione, come Rousseau ha osser- vato che la parola era necessaria all'uomo per potere com- binarsi coi suoi simili ad inventare la parola.

Ma gli epicurei moderni non hanno nemmeno il tristo vanto dell' invenzione di queste sconcie ed orribili strava- ganze , 'avendole servilmente copiate dagli antichi. Giacché Orazio, che non arrossiva di chiamarsi porgo del gregge di EPICURO, Epicuri de (jrecje porcume erano già diciotto secoli che avea detto: Cum prorepseriint priìnis animalia ler- ris Mutavi et turpe pecus (jlandem atque cubilia pro- pter iJnguibus et pmjnis... pu(jnabant... Donec verba (juibus voces , sensusque notarenl Noininaque invenere; dehinc absistere bello Oppida ccBperunt munire^ et po- nere lecjes Ne quis fur esset neu latro, neu quis adul' ter . . . Jura inventa meta injusti fateare necesse est (Sat. 3, lib. 1).

In faccia a queste ignobili bestemmie di uomini degradati, discesi per la lascivia sino al bruto in pena di essersi voluti sollevare sino a Dio per l'orgoglio, quanto è bello l'udire gli oracoli santi delle Scritture, in cui il Dio creatore del- l'uomo ne ha egli stesso descritta e rivelata la nobile istoria! Perché vi si dice: Dio ha creato l'uomo dalla terra, ed ha tratta dal suo stesso corpo la donna, perché gli fosse com- pagna della vita, come gli era simile nella natura. Deus de terra creavit liouiinem^ et crcavit ex ipso adjutorium simile sibi. Dio diede ad entrambi l'uso perfetto de' sensi : sicché poterono subito e pensare e volere e intendere ed amare: e manifestò loro il male per fuggirlo, ed il bene per abbrac-

i46 LETTURA SESTA

ciarlo: Et linguam el aures et cor dedìl illis excogitandi, et disciplina intellectus l'eplevil illos, Creacit illis scietitiàm spirilus; sensu implevit cor illorumj et mala et bona osteU" dit illis. Degnossi ancora questo Dio di ammirare amorosa- mente il loro cuore, per sollevarlo sino a lui; rivelò loro la magnificenza divina delle sue opere , e loro insegnò a render culto al suo nome, non solo perché potente, ma an- cora perchè santo, e a non gloriarsi in loro stessi, ma in lui, come fattura maravigliosa delle sue mani, ed a trasmet- tere ai loro figliuoli i prodigi della creazione del mondo : Po- siiit oculum suuin super corda illerum, ostendere illis ma' gnalia operum suorunij ut nomen significationis collaiident et gloriari in mirabilibus illius^ et magnalia enarrent ope- rum ejus. Finalmente gli ammaestrò nella maniera di con- dursi, dando loro la legge della vita ch'essi dovean^traman- dare ai loro discendenti come in eredità. Strinse Ton loro, mediante la sua grazia, un'alleanza eterna, fece loro cono- scere la santità de' suoi comandamenti e la severità de'suoi giudizj: Addidit illis disciplinam, et legem vitcB hmredilavit illos. Testamentum ceternum constituit cum illis , et justi' tiam et judicia ostendit illis (Eccli. 17).

Quanto dire che Dio stesso è stato non solo il primo pa- dre, ma altresì il primo maestro dell'uomo ; e dopo avergli data la vita corporea coll'avergli 1' anima infusa, gli diede ancor la vita intellettuale^ rivelandogli ogni verità: vita no- bile, preziosa, divina. Imperciocché siccome noi non amiamo il bene se non j)er un riflesso della divina volontà nel no- stro cuore, così non conosciamo il vero che per un j'iflesso dell'intelligenza di Dio nella nostra mente; il quale, come dice leggiadramente S. Tomaso , rimirando noi , che ha creato a sua imagine , in ciascun di noi in certo modo si ripete, come uno stesso volto vedesi ripetuto in tutti i pezzi d' uno specchio infranto : Sicut apparent multai facies in speculo fracto.

Quando dunque la Scrittura ci dice che l'uomo uscì dalle mani del Creatore anima vivente. Et faclus est in animam vìventcm (Gen. 2), é chiarissimo che- intende avvertirci che l'uomo da quell'istante incominciò' -4 'Vivere non solo della

LETTURA SESTA \h7

vita naturale per l'unione del corpo coll'animu, ma ancora della vita intellettuale per l'unione dell'anima colla verità. Giacché come un corpo senz'anima non è un essere vivente nell'ordine fisico, così nell'ordine intellettuale, non. può dirsi anima vivente uno spirito tenebroso ed oscuro privo d'ogni verità. Come dunque l'artefice divino infuse l'anima nel corpo del primo uomo, così la verità altresì rivelò ed infuse nella sua anima; sicché sin dal primo momento l'uomo incominciò a vivere della doppia vita che gli é propria, e divenne tra i corpi animati un corpo vivente ed un'anima vivente tra gli esseri intelligenti: Et facfus est in animam viventem.

questo gran fatto della rivelazione primitiva , di cui la Scrittura ci attesta la verità, il gran S. Tomaso ci ha data la ragione e le prove; poiché ecco come si esprime nel suo egregio trattato o questione della scienza del primo UOMO (Quast. disp.).

Adamo, nell'istante medesimo in cui fu creato , dovette avere la scienza delle cose naturali non solo nel suo prin- cipio , ma ancora nel suo termine : perché fu formalo da Dio per esser padre di tutto il genere umano; ed i figliuoli devono ricevere dal padre non solo l'essere per mezzo della generazione, ma ancora la norma del vivere per mezzo del- l'istruzione: Adam, in principio sucb conditionis, non solum oportuit ut haberet ìiaturalium cognitionem quantum ad suum principiunij sed quantum ad terminum^ eo quod ipse condebatur ut pater totius generis humani, A patre fiìii accipere debent non solum esse per generationenij sed di- sciplinam per inslruclionem. Dovette adunque trovarsi per ogni parte perfetto; e rispetto al corpo in modo da poter subito generare, e rispetto alla mente in modo da potere ancora subito insegnare come primo e grande institutore di tutti gli uomini: Oportuit in ipsa sui conditione constitui in termino perfectionis , et quantum ad corpus , ut essct conveniens principium (jenerationis, et quantum ad cagni- lionem, ut esset su/pciens cognitionis principinm, in quan- tum erat totius generis huuumi inslructor. Perciò siccome rispetto al corpo, iK>rf^i|ctf)be la debolezza dell'infanzia, così non provò le tenGor^^SiMf ignoranza rispetto , alla mente: ma

'^'- ARV

148 LETTURA SKSTA

ottenne egli in un istante ciò che noi acquistiamo col cre- scer degli anni, ricevette dall'operazione divina ciò che noi riceviamo dall'educazione umana; un corpo perfetto ed una mente rivestita dell'intero uso della ragione e mirabilmente illuminata: Siciit in corpore ejus nihil erat non explicilum in aclu quod pertinerel ad perfectionem corporis.... hoc eliam oportuit quod intellectus ejus non essel in sui prin- cipio òicul tabula non scripia , sed haberel plenam noti- tiam ex divina operatione.

Imperocché sarebbe stato contro la perfezione che doveva avere il primo degli uomini, se fosse stato creato senza la pie- nezza della scienza, ma avesse dovuto andare a grande stento imparandola per mezzo de' sensi: Erat confra perfectionem qu(B primo homini debebatur, ut conderelur sine pìenitu- dine scienticsy solummodo a sensibus scientiam accepturus.

3Ia, oltre ia cognizione naturale, soggiunge pure S. To- maso, Adamo ricevette ancora la cognizione della grazia : In Adam duplex fuit coijnilio, naluralis et (jralice; in quanto che , non solo conobbe subito tutte le cose naturali , alle quali si può estendere l'intelletto umano coll'ajuto de'primi principj, ma ancora conobbe per una graziosa rivelazione di Dio molte cose soprannaturali, cui sola non può giungere la ragione umana : Scivit etiani multa ad quw vis primo- rum principiorum non se extenditj sed ad ìkjbc aliqualiter cognoscendo adjuvabatiiralia cognitione, quce est cognitio gratice. Con questa differenza però che le cose naturali le conosceva in tutta la loro ampiezza e in tutte le loro più remote conseguenze , come collocato nel termine della co- gnizione naturale perfetta ; ma siccome questo termine di cognizione perfetta riguardo alle cose soprannaturali e di- vine non si può ottenere che nella visione della gloria, alla quale Adamo non era per anco arrivato, così non conosceva di queste cose se non quel tanto che Dio si degnava di rivelargliene: Sed in ìiac cognitione (gratice) non institue- batur quasi in termino perfectionis ipsius existens : quia lerminus gratuite^ cognilionis non est nisi in visione glo- ricBy ad quam ipse ìiondum per venerai, et ideo hujusmodi omnia non cognoscebat, sed quantum d'i bis sibi divinitus revelabatur-.

LKTTLT.A SESTA i49

Siccome per ciò solo per rivelazione conosceva Adamo le cose soprannaturali e divine, e non le credeva che sull'au- torità della parola di Dio, cosi Adamo sin dal primo momento ebbe ancora infusa ed esercitò la fede : Adam in primo stata /idem habuit. E poiché la fede si riceve in due maniere di- verse, 0 per mezzo dell'udito interiore per quelli che la ri- cevono i primi onde trasmetterla agli altri, come furono i Profeti e gli Apostoli, o per mezzo dell'udito corporeo per quelli che la ricevono in seguito, come sono stati tutti quanti i fedeli che furono istruiti dagli Apostoli e dai loro succes- sori; così Adamo, avendo ricevuto la fede in qualità di prin- cipale, per poterla agli altri insegnare, ed essendone stato ammaestrato dallo stesso Dio, ebbe la divina rivelazione per mezzo dell'interna elocuzione, onde Dio parlò direttamente al suo cuore : Per auditum interiorem in bis quid fidem primo accepenini et docuerunt, sicut in Apostolis et Pro- phetìsj per secundiim vero auditum fìdes oritur in cor di- bus aliorum fidelium. Adam autem primo fidem habuit^ et primo est fidem edoctus a Deoj et ideo per internam eìo- cutionem fidem Imbere debuit.

Ecco adunque sin dal princìpio del mondo praticata e sta- bilita da Dio col primo uomo la maniera propria onde gli uomini devono conoscere con certezza la verità, alimento e vita dell'intelligenza, cioè per via di rivelazione e di fede.

E poiché gli uomini, pel loro orgoglio e per la loro corru- zione, avean col tempo smarrita la certezza e la verità. Quo- niam diminutw sunl verilales a filiis liominum (Psal. Il), così Iddio , dopo avere per quattromila anni in tanti e varj modi parlato al mondo per mezzo de'patriarchi e dei Profeti, cui della verità avea confidato il deposito, e che perciò la Scrittura chiama i banditori della giustizia. Ju- stitiw prcecones (II Petr. 2), finalmente nella pienezza dei tempi si é degnato di manifestare la sua verità per la bocca del suo stesso Figliuolo: Multi fariam multisque modis olini loquens Deus patribus in Profetis^ novissime autcm loculus est in Fiìio (Hebr. \).

Ma collavere Iddio cambiato il personaggio che c'istruisce non ha cambiato,, ma rinnovato e perfezionato il mezzo del-

Beììezzp della fede II. 7

i50 LETTURA SESTA

l'istruzione. Come dunque Adamo ed Eva, primizie dell'u- manità, furono per via di fede ammaestrati dal Dio crea- tore, così per via di fede ancora furono dal Dio redentore ammestrati i santi re Magi , primizie del cristianesimo. E come Adamo ed Eva, per mezzo della rivelazione conobbero senza errore e senza dubbiezza la religione primitiva, così i Magi, per lo stesso mezzo conobbero essi pure senza er- rore e senza dubbiezza la religione cristiana; giacché la bella confessione che fecero in Gerosolima dicendo: « È nato ii re de' Giudei, o il Messia, e noi siamo venuti ad adorarlo, I\atus esl rex Judceorum, et venimus adorare eum^ » e i doni ch'essi offrirono in Betlemme, l'oro, l'incenso e la mirra, Obiuìerunt ei mimerà^ auriim, tlius et myhrram, indicano chiaramente non solo la prontezza e l'uniformità della loro istruzione, ma ancora la purezza e la solidità della lor fede ne' misteri del Dio Salvatore. Ma noi l'abbiamo veduto: i Magi furono i nostri precursori e i nostri rappresentanti nella religione del Messia; perciò i pregi e i caratteri della loro istruzione e della loro fede furono pegno e figura de'pregi e de' caratteri della nostra: cioè a dire ch'essi, coli' averli sperimentati in stessi, annunziarono e predissero a noi loro successori quattro grandi vantaggi; i quattro grandi caratteri, cioè, la facililà ^ Vuniversulilà ^ la veracità e la certezza dell'insegnamento della fede.

E poiché dei primi due caratteri di questo insegnamento si é trattato nella passata lettura, tratteremo degli altri due nella presente. A tale effetto vedremo da prima che la fede de'Magi fu pura e sincera senza mescolanza di errore, perche frutto non delle loro private ricerche ma della rivelazione divina, e che, per mezzo dell'insegnamento della vera Chiesa, pura e sincera e senza mescolanza di errore, absque errore, è ancora la nostra fede. In secondo luogo cogli esempi degli antichi filosofi e de'principali eretici dimostreremo come, al contrario, la via del privato giudizio conduce a turpissimi errori, e quanto noi saremmo infelici se fossimo privi del- l'insegnamento della Chiesa. In terzo luogo, passando a par- lare della certezza della fede de' Magi e indicatine i tre mo- tivi che la produssero. 1." un'autorità divina: 2.° una rive-

LETTI' l\ A SESTA ' 15 ì

lazione uniforme; o." una grazia superiore, dimostreremo che il cattolico, trovando i medesimi motivi nell'insegnamento della Chiesa, la sua fede é altresì certa, solida e costante; Ahs(iue diibilalìonny fixa ceriitndinc. In quarto luogo final- mente proveremo come la via dell'inquisizione particolare, escludendo i tre indicati motivi di certezza, fuori della vera Chiesa non produce certezza alcuna di fede; ma una varietà infinita, un'anarchia di opinioni, che conduce all'indilferenza, al disprezzo di ogni verità, di ogni culto, di ogni virtù, che degrada e rende l'uomo infelice nel tempo e nell'eternità. Cioè a dire che procureremo di penetrare nella profondila del cuore, e ne'secreti della mente tanto del cattolico quanto deireretico: opporremo l'uno all'altro; ne noteremo le di- sposizioni contrarie rispetto alla fede, alla virtù, alla vera fe- licità; e senza stare a discutere sopra i donimi, col quadro solamente delle bellezze della fede, opposte alle deformità della eresia, ne faremo col divino ajuto risultare la verità. Questa è dunque la parte più importante del nostro libro, che dimanda maggiore attenzione.

PARTE PRI31A.

§ II.- S' incomincia a trattare dei terzo carattere dell'inse- gnamento della fede, la sua verità'. 1 Magi conobbero e credettero Dio uno e trino. Gesù Cristo vero Dio, vero uomo e salvatore degli uomini _, e i principali doveri del cri- stiano. La loro fede fu pura, sincera, scevra di errore, perchè frutto non dellK ricerche della loro ragione, ma della rivelazione divina. 1 veri figli della Chiesa conoscono e credono colla stessa sincerità e purezza le medesime venta.

Il terzo carattere adunque proprio dell'insegnamento della vera fede si è, come si è veduto (Lett. V, § 1), di essere puro, sincero, veridico, senza mescolanza alcuna di errore, absque errore, come parla S. Tomaso; e di contenere tutta la verità, e di essere esso stesso tutto verità.

Or tale appunto si fu l'ammaestramento de'3Iagi: e però la loro fede fu pura e sincera, senza la menoma ombra di fallacia e di errore. Tutto ciò che essi conobbero per la ri- velazione divina che ricevettero fu verità ; ed essi ebbero.

152 LETTURA SESTA

come si é più volte osservato, le idee più chiare, più precise e più giuste di tutte le verità che formano la base del cri- stianesimo. La prima di queste verità, fondamento e sor- gente di tutte le altre, è il gran mistero di un Dio, un Dio uno nella natura e trino nelle persone. Or questa grande, sublime ed incomprensibile verità i Magi, dice S. Ilario are- la tense, la conobbero, come quindi noi tutti l'abbiamo cono- sciuta. Giacché nell'aver voluto offrire tre doni, oro, incenso e mirra, indicarono di conoscere la trinità delle persone ; e l'unità della natura nella trinità delle persone mostrarono di credere col volere questi doni offrire ad un solo: Quid aViud Magi expresserutit mvneribus , nisi fidem nostrani? In eo enim qnod tria offcrcnliir Iriniias intelligitiir : in co vero (juod Ires im in Irinilate unitas declaralur (Epiph., Homil. l). E per sempre meglio dichiarare la cognizione che aveano di questo grande mistero, il dottissimo Drutmaro sull'appoggio della tradizione, afferma che i Magi non divi- sero i doni da offrire in modo che uno presentasse V oro, l'altro l'incenso e il terzo la mirra, ma ciascun di loro recò l'oro, l'incenso e la mirra da offrire; manifestando così cia- scuno in stesso, con un segno visibile, la fede della Tri- nità nell'unità, che avean ricevuta nel cuore: Credimus quia^ quod corde crediderunl^ muneribus o s tende ru ni j et uiius- quisque tria oblulerit (in 2 Matth.). Lo stesso afferma l'Emis- seno: i Magi, coli' avere ciascuno offerto tre doni, chiaris- simamente dimostrarono la loro fede nella Trinità; Qnod unnsquisque tria munera obliti it^ fidem Trinitalis (H)crlif;- sinie demonslrarunl (in 2 3Jailh.). Aggiunge anzi che, se avessero voluto ciascuno offrire doni più o meno di tre, non avrebbero mostrato esteriormente di conoscere l'unità e la trinità di Dio e di avere la vera fede cattolica di grande mistero: Quod unusquisque tria ninnerà oblulil. Trinilalia fuleni apertissime demoìislrarunl: si enim vel plus vai mi- nus Ojfcrrenij fidem calliolicam non tenerenl (ibid.).

Il secondo mistero principale della cristiana religione si è l'incarnazione e la morte di Gesù Cristo Salvatore degli uo- mnì. Or questo mistero ancora conobbero i Magi colla s lessa precisione e chiarezza con cui noi lo conosciamo.

LI. TUR A SKSTA ^5-1

A buon conio, entrati appena in Gerusalemme, si mettono a gridare per tutte le vie, a domandare a tutte le persone: « Dov'è il re de' Giudei che di già è nato? rencrunt Jliti' rosoìyinam dictnles: UOi est qui luitus est rex Judaornmì » Non si contentano di chiederne ai laici, ma si rivolgono an- cora ai sacerdoti; si limitano ad interrogare il popolo, ne ricercano ancora dal monarca. E notate, dice S. Pier Criso- logo, che questo re de' Giudei o Messia noi cercano i 3Iagi in un personaggio di età matura, collocato in un magnifico trono, circondato dagli omaggi del popolo, terribile per le sue armi, potente pe'suoi eserciti, rispettabile per la sua por- pora, risplendente per la sua corona: Requìrehani aulem non (jramìcecuin hiunanis oculis , in exceìsa seda conspi' caunij exercilìbiis pontenlem, (irmis terrenlem, purpura ni- tcnlcìiij diademate refulgenlem. INol ricercano nemmeno dopoché crocifisso trionfò colla sua croce, risorse da morte a vita, salì glorioso al più alto de' cieli: Pel de cruce sihi exsuìtanteuìy vel ab inferis ì'esunjentcm, aut in ccelos ascen- denteni. Cercano il re de' Giudei in un bambino nato di fre- sco, qui naiiis est; che trema in una culla ; che pende dalle poppe materne; che non ha nulla che gli concilii l'ammira- zione e il rispetto degli uomini, non ornamento alcuno della persona, non alcuna forza nelle sue membra: ma debole e meschino, senza titoli, senza autorità, non solo per la picco- lezza della sua età, ma per la povertà ancora de' suoi parenti: Sed recens natmn, in cunis jacentein, iiberibus inhianlem, nullo ornatu corporis, nxillis membronun viribus, nullis parcnlum opibus , non sua (etale ^ non stioruin poteslate prcestantem, E questo re de' Giudei lo cercano o lo diman- dano ad un altro re de' Giudei, ad Erode, che allora sulla Giudea regnava: Et qucerunt re(jeìn JudcBoruni a rege Ju- diBorum, Segno evidente adunque che il re de' Giudei di cui essi vanno in traccia è un re sopra gli altri re, un re che ha l'impero non solo de' popoli, ma ancora de' secoli un re che è uomo, ma uomo-Dio; dall'uomo-Erode cercano adun- que Gesù Cristo uomo-Dio, dall'uomo-re terreno cercano il re del cielo che avea creato l'uomo: Ab Jlerode liomìne Chrisfuni Deuni el hominem; a terreno reye hominem re-

ÌM LETTURA SESTA

geni cceìorum qui condiderat hominem. Cercano, è vero, un Piccolino da un grande, come era Erode; dall'uomo pub- hlicamente onorato un bambino nascosto; da un eccelso per- sonaggio un umile pargoletto; un infante da colui eh'! parla; un povero da un ricco ; da un potente un essere debole e infermo. INuUa ciò ostante però, e sebbene sia esso persegui- tato da Erode, i Magi non dubitano punto che esso sia il vero Messia, il loro salvatore, il padrone del mondo, degno di essere adorato, sebbene Erode il disprezzi; perchè seb- bene privo di ogni regia pompa umana, credono che in esso risiede l'adorabile maestà divina: A grandi paroulum, a iato laientemj ah txctìso huinilem j a loqueiiie infantem , ab opulento inopeìUj a forti infinmim. Et tameng quamvis ah Herode persequente. sibi et aliis Christum dominantem, a conlemnente adorandum profecto: in quo nulla pompa reqia videbalur, sed vera Dei niajestas adorabatur (Serm. Epiph.). Ma non solo però coi discorsi, ma coi donativi an- cora, che erano impazienti d'oflVire a'suoi piedi, manifesta- rono, dice S. JiCone, di riconoscere e di credere nella stessa persona di Gesù Cristo e la maestà di un Dio e la dignità di un re e la mortalità dell'uomo. Giacché l'incenso si ado- pera ne' sacrifici , che solo a Dio si competono ; l'oro è la materia dei tributi, che si pagano al re: la mirra era l'aro- ma allora adoperato nell'imbalsamare i corpi de'morti : Per ista tria munerum genera in uno eodemque Christo et di- vina majestaSy et regia potestas, et fiumana mortalitas in- timatiir. Tlius enim ad sacriftchinij anrum pertinet ad tri- butum, myrrha ad sepulfurarn mortuorum (Epiph. 4).

Oh quanto è bello poi, siegue a dire lo stesso Padre, il ve- dere da questi primi discepoli della fede confutati anticipa- tamente i più grandi maestri dell'errore e determinata in- torno ai misteri di Gesù Cristo la cattolica verità ! Col vo- lere i Magi oflerir dell' incenso al figliuolo siccome a Dio, confondono l'eretico ariano, che sostiene che solo al Padre Eterno si deve un culto di latria e il sagrificio che ne è l'espressione. Col volergli presentare, come ad uomo mor- tale, della mirra, confondono il manicheo, il quale ricusa di credere che Gesù Cristo è realmente morto per la nostra

LETTURA SESTA \o^

salute. Col recargli infine dell'oro, come a re celeste e ter- reno, confondono luna e l'altra eresia insieme : giacché il manicheo, negandolo vero discendente di Davide, gli con- tende la regalia terrena; e l'ariano gli niega la regalia e l'indipendenza celeste, osando di chiamar servo di Dio l'U- nigenito dello stesso Dio: In oblatione thnris confundiiiir arianus, qui soli Patri sacrificiiim o/ferri (kbere contendit. In oblatione inyrrhce confunditur manic/KeuSj qui Clirisliim vere niorliiuni prò nostra salute non credit. In auro simul ulerque confunditur : et manichcBuSj qui de semine David secundum cameni natum non credit regemj et arianus^ qui Dei Vniqenito assignare nititur servitutem.

Che più? l'offerta che i re Magi si dispongono a fare di- strugge r eresia di ISestorio, il quale tenta di dividere in due Gesù Cristo, ammettendo in lui due persone. Giacché al vedere che i 3Iagì offrono con tanta religione e pietà non già una cosa al Dio ed un'altra all'uomo, ma gli stessi doni air unico e solo uomo-Dio, chi non intende che non si deve credere in due persone diviso colui che si vede ri- conosciuto uno ed indiviso nei donativi che gli si vogliono fare ? Finalmente, come questi donativi indicano due nature in Gesù Cristo, anche la stolida eresia di Eutiche rimane schiacciata, che niega esservi in Gesù Cristo, in una stessa persona, una doppia natura: Confunditur eliani NestoriuSj (fui nititur Christum in duas personas dividere j oun vi- deal Maijos non alia Deo^ alia hominiy sed uni Deo-ho- iuini eadem viunera oblulisse suppìiciter. Non ergo dividi- tur in personis qui non invenilur divisus in donis. Con- funditur Eutichetis insania, qui non vult in Christo utruni' que veram prcedicare naturam.

I Magi adunque nelle loro offerte han data a divedere di avere avuta una intelligenza perfetta di tutte le qualità su- blimi, di tutti i caratteri unici del Messia, prima ancora di averlo veduto: in una parola, hanno conosciuta, creduta ed annunziata i primi al mondo la fede intera, la fede perfetta del gran mistero dell'incarnazione: poiché come uomo, ne crederon la morte; come Dio, ne aspettarono la risurrezione, come re, ne temettero l'universale giudizio : Denique obla-

i5G LETTURA SESTA

tio mìinerum intelligentiam in eo loliiis quaìitatis express silj alqiie ila per veneralionem eonun sacramenti omnis est consummala cognitio: in hoinine niortis, in Deo resur- rectionisj in rege judìcìi.

Oh fede ammirabile de' Magi ! con quale esattezza , con quale precisione , con quale chiarezza e nei loro discorsi e nelle loro azioni esprimono le più grandi verità del Van- gelo priachè sia predicato il Vangelo! quali idee giuste ma- nifestano della natura di Dio e dell'incarnazione del Verbo! Come i misteri che sembrano contradittorj fra loro ben conciliano nella loro mente, si armonizzano nel loro cuore, e r una verità non esclude, ma sussiste insieme coli' altra senza confusione di termini, senza equivoco di espressioni, senza ombra alcuna di errore; Jbsque errore? Poiché essi confessano che Dio é uno nella natura e trino nelle per- sone; che Gesù Cristo, di cui vanno in traccia, benché po- verello, è pure re ; benché debole, é onnipotente; benché in- fante, é legislatore; benché figliuolo di donna, é figliuolo di Dio: celeste insieme e terreno, Dio ed uomo; uomo passibile. Dio impassibile; uomo mortale. Dio trionfator della morte; Dio ed uomo. Messia o Salvatore degli uomini. Confessano che bisogna credergli ed adorarlo, obbedirgli e servirlo, sa- crificargli i tre rami della concupiscenza umana, l'orgoglio, la cupidigia, la sensualità, per mezzo della pratica di un'u- mile pietà, di una generosa giustizia, di una mortificazione severa. E queste verità, senza la menoma mescolanza di er- rore, ma nella loro purezza, come le hanno nella mente, le manifestano al di fuori colla lingua e coH'opera.

E come, dice S. Giovanni Crisostomo, potevano mai errare uomini che non aveano implorato a loro guida il lume fioco e ingannevole della ragione umana, ma l'ammaestramento divino? che non ebbero a maestra la sapienza terrena, ma l'illustrazione celeste? Come potevan mai traviare, quando non cercarono per loro duce che lo stesso Gesù Cristo, che si avevano proposto a termine del loro viaggio ; quel Gesù Cristo che ha detto : « Io sono insiememente la verità e la vita, e la vera ed unica strada per giungere alla vita ed alla verità? Noìi qHcesierunt dncatum liominis , quia ducatum

LETTURA SESTA i57

stellce de ccbÌo accepenint. Sed nec errare poleranl qui ve" rum vianìj Cìiristiim Doininiun, rcquirebanl: illuni ulique qui ail: Eijo suìn via^ verilas et vita (Homil. 1 ex var. in jMalth.). (juanlo dire: come potevano mai errare nella scienza (li Dio, essendo stali ammaestrati da Dio, avendola, come poscia S. Paolo, imparata, non già per la via dell'inquisi- zione e del raziocinio, ma per via di rivelazione e di fede? La sola >ia onde si giunjje a conoscere la verità senza alte- razione , senza mescolanza di difetto e di errore : Absque errore.

E noi altresì cristiani cattolici, noi conosciamo le stesse verità e al medesimo modo, perché siamo stati istruiti con Io stesso metodo: e la maniera onde furono ammaestrati i Magi per mezzo della stella fu una promessa ed una figura della maniera onde noi saremmo stati ammaestrati per mezzo della vera fede.

Infatti lo stesso Dio che loro si rivelò per mezzo della stella si è per mezzo della fede rivelato anche a noi. Lo stesso Dio che parlò loro per mezzo della sinagoga, ha parlato e parla a noi per mezzo della Chiesa. E come ogni uomo è mendace. Omnis homo mendax (Psal. 115), e Gesù Cristo solo è verità, pura e sola verità: Cliristus est veritas {I Joan 5): come l'uomo alla sua propria scuola o a quella di un altro uo- mo é esposto al pericolo di non imparare che errori, così alla scuola di Gesù Cristo é sicuro di non apprendere che verità. E siccome questa scuola visibile, di cui Gesù Cristo è l'invisibile maestro, si é la cattolica Chiesa: così l' insegnamento della Chiesa cattolica è il solo adorno della qualità divina di essere esente da errore, absque errore; ed in esso tutto è verità, e \\ é tutta la verità; verità vergine, verità pudica, verità intera, verità incorrotta, verità santa, come il Dio che ne è l'au- tore. Perciò come gli Apostoli, o la Chiesa, docile al magi- stero dello Spirito Santo, impararono da esso secondo la pro- messa di Gesù Cristo, ogni verità, Ipse docebit ros Oìimeìii veritatem (Joan. i6): cosi il vero cristiano, docile al magi- stero degli Apostoli 0 della Chiesa, e che si è formato alla sua scuola, che ha appreso la sua dottrina e che è al suo ìnsi'-iiauu'ulu fedele, conosce tutte le verità che più impor-

4

458 LETTURA SESTA

tano di conoscere. Conosce Dio e i suoi attributi, gli angioli e il loro ministero, il mondo e la sua origine, l'anima e le sue facoltà, l'uomo ed il suo fine, la trinità e le sue per- sone, la redenzione ed i suoi effetti. Gesù Cristo e i suoi mi- steri, la legge evangelica e le sue obbligazioni, i sacramenti e la loro efficacia, le pratiche di religione e il loro uso, la vera santità ed il suo pregio, il vizio e i suoi gastighi, la virtù e le sue ricompense. E queste verità sublimi, verità profonde, verità necessarie, verità eterne, ancorché non le intenda, possa intenderle, le conosce però, le possiede e le crede senza alterazione, senza ambiguità, senza errore, ma pure, intatte, semplici, chiare, precise, come sono in stesse ; giacché quello che il discepolo della Chiesa ha dalla Chiesa imparato e conosce e crede sulle lezioni della Chie- sa, così é precisamente, così é esattamente, così é vera- mente né più meno di come e di quanto esso lo co- nosce e lo crede.

si può temere che l' ignoranza che accieca, la debolezza dell'ingegno che istupidisce, i pregiudizj che strascinano, r autorità che impone, la fantasia che illude, il prestigio che affascina, la falsa evidenza che abbaglia, il sofisma che in- ganna, la stessa erudizione che confonde, la stessa scienza che gonfia e l'interesse delle passioni che seduce, non si può, dico, temere che queste moltìplici e possenti cause di errore abbiano potuto influire nella mente del vero di- scepolo della Chiesa e fargli creder vero ciò che vero non é. Questo pericolo si teme e si deve ragionevolmente te- mere solo quando l'uomo pretende d'istruire stesso, o ad essere istruito ad un altro uomo: e perciò alle scuole puramente umane le verità sono difficili e scarse, gli errori ovvj e frequenti. Ma non si teme, si può temere alla scuola della Chiesa, dove colui che insegna é Dio : e però, nel passo d' Isaia che abbiamo citato di sopra e che Gesù Cristo ha spiegato nel Vangelo, i veri fedeli sono leggiadramente chiamati « scolari di Dio, Doclos a Domino (Isa. 54): docibiles Dei (Joan. 6). »

LETTURA SESTA ioO

§ IH. - La ragione umana abbandonata a sola incon- tra più facilmente. V errore che la verità. I filosofi an- tichi non conobbero che pochissime verità; e queste non le scuoprirono, non le inventarono colla loro ra- gione, ma, attintele dalle tradizioni generali, non fecero che oscurarle con motti errori. Si dimostra ciò colla storia delle orribili stravaganze con cui alterarono la prima e somma verità dell' esistenza di un Dio e quella del- l' immortalità dell'anima. 1 filosofi, fanciulli ignomnti in confronto anche de' più rozzi cristiaìii, che, istruiti alla scuola della fede, sono sapientissimi nelle cose divine.

Infiliti che accade egli mai ove l' uomo, lasciata la luce ce- leste, che mai non manca a chi con umiltà la implora, non prende per guida, nella ricerca del vero, che la luce terrena?

S. Tomaso lo da detto: il terzo disordine, o l'effetto il più ordinario e il più comune delle investigazioni della privata ragione, si è che in unione di una qualche verità dell'ordine morale ed invisibile che si giunga a scuoprire per questa via si adottano per lo più molti errori, e che spesso per que- sto mezzo si trovano più errori che verità: Investigationi rationis humancB plerumque falsitas admiscelur. Mirate gli antichi filosofi: giunsero ben essi, é vero, a conoscere molte verità col solo lume della ragione. Ma primieramente queste verità sono state scarsissime e rare. Leggendo i loro libri, vi sembra viaggiare pei deserti dell'Arabia, nei quali bisogna camminare più giorni pria d'incontrare un sol ve- getabile, un sol fiore, un sol filo d' erba che vi richiami alla mente l'idea della natura animata; ed altro non vedesi che un cielo sempre ardente al di sopra di un pelago di sterili e volubili arene. E chi può mai leggere senza una noja im- mensa, per esempio, i tre libri di Cicerone, dei fini, i cinque delle Quistioni tusculane? Che fecondità di parole, ma che sterilità di cose! Che copia di erudizione, ma che mancanza di certezza! Che eleganza di stile, ma che scarsezza di ve- rità! Non siamo estranei alle fastidiose letture: abbiamo di- vorati, nel corso de' nostri studi, non pochi volumi in foglio, la cui vista scoraggia gli animi più fermi: pure confessiamo che nessuna lettura ci è stata più tediosa e più pesante di

i60 LETTURA SESTA

quella degl' indicati trattati; e senza l'eleganza del linguag- gio con cui sono scritti (tristo e misero compenso a chi cerca le idee), ci sarebbe stato impossibile il venirne a capo.

In secondo luogo, queste medesime verità, già scarse e rare, alcuni, dice Tertulliano, le conobbero per un puro caso; come un naviglio sorpreso di notte dalla tempesta, ab- bandonandosi in balia del mare e dei venti, nella stessa oscu- rità e nello stesso scompiglio degli elementi, giunge alcuna volta per caso ad afferrare un porto; o come chi si trova in una stanza oscura, a forza di girarvi intorno a tentone, per un caso felice pure trova alcuna volta la parte da uscirne: Piane non neyabimiis aìiqiumdo pliiìosophos juxia nostra sensissej non numqiiam cnim et in procella j confusis ve- stigiis cceli ti freli , alkpiis porlùs oslendiliir j non nun- quam et in tunebris acHlus quidam et exitus deprehendun- tiir caca feìicilate (De anima 2). Altri poi trovarono certo verità perchè suggerite loro dal senso intimo di cui Dio si è degnato di dotare l' anima umana, e dal senso comune della natura divenuto pubblico in tutti gli uomini; Sedei natura pleraque suygerunlur , quasi de publico sensu, quo ani- mam Deus donare dignatus est (ibid). Cioè a dire che la pagana filosofia non ha fatto che prendere le verità univer- salmente conosciute (perchè leggi della natura morale), ap- propriarsele e spacciarle enfaticamente come suoi ritrovati: Phiìosopliia leges uaturce opiniones suas fecit (ibid.). I.o stesso afferma S. Agostino: le belle e vere cose, dice egli, che i filosofi han detto intorno al culto Dio, non le hanno altrimenti inventate; ma come l'oro e l'argento si cava dalle miniere, così queste verità le hanno essi ricavate dalle mi- niera delle tradizioni e de' sentimenti universali, che la prov- videnza divina ha sparso dappertutto: Jpnd philosoi)lios j de Deo colendo^ multa vera inveniuntur; tamquam aurum et anjentum quod non ipsi inslituerunt, sed de quibusdam quasi metallis divince providenlicB, qua ubique infusa est, eruerunl (De docir. Christi, cap. 30). E Cristiano Drutmaro aggiunge: Tutte le parti della greca filosofia si trovano nella sacra Scrittura; e tutti i più belli pensieri nella stessa Scrit- tura erano stali esposti pria che i sofisti del secolo pensas-

LETTURA SESTA i6\

sero a farne il vanto della loro eloquenza. I filosofi non hanno nulla del proprio. Il poco di vero che han detto lo hanno ricevuto dalla liberalità di Dio: Omnes jnirl^s philo- soplìke (jracorum clinin in divina Scrij)tiira inveniuniur. Et omnes modi lociilionum ante fuerunl in Scriptura qmim ad sophislas secu/arcs perveuirenl. Qui si quid habuerunty Dei dono liabucrunt (in Matth. 2). Un Dio supremo, crea- tore e regolatore dell'universo; un'anima che nell'iromo so- pravviva al corpo per ricevere l'eterna pena o il guiderdone eterno che in vita si ha meritato; una legge morale che ha Dio stessovper autore, che obbliga tutti gli uomini e la cui violazione ed osservanza costituisce il peccato o la virtù; queste ed altre simili verità, più o meno deturpate dalle fa- vole, erano conosciute ed ammesse in tutto il mondo pria che Platone avesse cominciato a disputarne in Atene, e Tullio in Roma. Poste adunque queste idee primitive ed univer- sali che S. Paolo chiama « rivelazione divina, Deus enim illis manifestavil (Rom. 1), » fu facile ai filosofi, come ag- giunge lo stesso Apostolo, dalla considerazione del mondo visibile elevarsi a conoscere qualcuno degli attributi del Dio invisibile: Invisibilia Dei per ea quce facta sunt intellecla conspiciuntnr (ibid.). E perciò S. Tomaso, le cui espressioni sono precise e esatte, nel famoso passo che di sopra ab- biamo riportato 2), delle stesse verità accessibili alla ra- gione umana non dice che i filosofi colla ragione le han trovate^ ma che, essendo di già note, le han ditnostraie colla ragione: Philosophi de Deo multa demo?ìstrative probave- runt , ducti luituraìis lamine ralionis.

Lo stesso S. Tomaso poi intorno alle verità conosciute da' filosofi, fa una osservazione che per moltissimi è passata inosservata, cioè a dire che c'inganniamo col credere che i filosolì, ammettendo un Dio, ne abbiano avuto l'idea che noi ne abbiam ricevuta dalla fede di un essere cioè adorno di tutte le perfezioni e del quale non si può pensar nulla di più perfetto: Non omnibus, ttiam concedenlibus Deum esse, notum est quod Deus sit id quo majus coqitari non possìt (Contr. gentil, lib. I, cap. 2). Lo stesso può dirsi delle opinioni dei filosofi sull'anima. Quei moltissimi fra loro che

i62 LETTURA SESTA

ne han riconosciuta l'esistenza e la durata, sono stati lonta- nissimi dal crederne la spiritualità e l'immortalità come noi la crediamo. L'immortalità dell'anima, per quelli che l'am* mettevano, era solo la sola permanenza dopo la soluzione del corpo: Permanere animos pulamus (Cic); ma non ave- vano alcuna idea o molto oscura ed erronea intorno al suo stato di perfetta felicità, se é ammessa alla visione ed al consorzio di Dio e di profonda miseria eterna, se ne é se- parata. E sopra i premj e le ricompense della vita futura, non ostante le favole che le deturpano, si trovano idee più giuste e più vere presso i poeti che presso i filosofij perché i primi hanno consultato più la tradizione universale, i se- condi più han seguita la privata loro ragione. Che se per tutto ciò non vi è alcuna verità dell'ordine morale di cui si possa dire che, essendo ignota affatto nel mondo, il tal filosofo l'abbia scoperta: non vi è al contrario alcuna assur- dità 0 errore di cui, come dice lo stesso Cicerone, non si possa indicare un qualche filosofo che ne è stato inventore e maestro: Nifi il est tam absurdum quod non dica tur ah aliqua philosophorum. Per un passo che fanno i filosofi nel- sentiero del vero, si veggon fare mille cadute nell' errore , e, simili a' cagnolini, che si addestrano a camminare su due piedi e che nel più bello del piacer che vi fanno di vederli ritti all'umana, ritornano al naturale, ricadendo colle zampe e col muso verso la terra: i filosofi, mentre si fanno ammi- rare in atto di professare alcune verità, si veggono subito riprendere la direzione erronea, propria della ragione ab- bandonata a sola, e ricadere in miserabili errori.

Sicché S. Paolo potè benissimo compendiare tutta la sto- ria della filosofia de' gentili in queste due gravi e senten- ziose parole : « i Greci, cercando sapienza, stoltezza rinven- nero: Gneci sapienliam qucBiunl ^ et staiti fatti sunt. » Non vi é nulla di più vero di questa decisione S. Paolo poiché, ad eccezione di poche verità tradizionali e comuni che non hanno aspettato i filosofi per essere conosciute, tutta la filosofia gentile intorno a Dio, all'anima, ai doveri, alla vita futura, non é che stoltezza, come se questo ne fosse il luogo, ci sarebbe facilissimo il dimostrarlo. Per dirne però

LETTURA SESTA 463

alcuna cosa capace di farci sempre meglio sentire il pregio altissimo dell' insegnamento divino in faccia alle miserie del- l'insegnamento umano non ci rincresca di osservare qui il tremendo quadro che nelle opinioni dei filosofi gentili in- torno a Dio ci ha lasciato Cicerone filosofo gentile esso stesso, e i cui libri filosofici sono come la somma e il manuale di tuttala gentile filosofia. Ora i tre grandi libri che Tullio con- sacra alla trattazione di grave argomento possono consi- derarsi come un monumento compassionevole della impo- tenza della ragione abbandonata a sola per giungere alla rivelazione di Dio, per giungere alla verità senza miscela di errore, e della necessità della rivelazione di Dio per co- noscere veramente Dio.

già aspetta Cicerone che la forza de'principj ed il calor della disputa lo strascini ad attaccare la presunzione della ragione umana, che crede di bastar sempre ed in tutto a stessa; ma dal bel principio della discussione solenne- mente dichiara che la quistione che imprende a trattare è essa sola un argomento senza replica, per provare che il prin- cipio della filosofia pagana è l'ignoranza, ed il risultato più sicuro ne è l'errore e il dubbio; poiché dice; « Fra le moltis- sime quistioni che la filosofia ha agitate sovente senza ter- minarle giammai, una delle più difllcili a definirsi e delle più oscure ad intendersi si é appunto la questione della natura degli dei; poiché tante sono intorno ad essa é si va- rie e ripugnanti fra loro le opinioni degli uomini più dotti che questa sola prova é più che bastevole a farsi conchiu- dere che il principio di ogni filosofia é la stoltezza: Cum multcB res in philosophia nequaquam satis expUcake sunl , tiim per di/pciìis et perobscura qmestio est de natura deo- rum j de qua tam inirice sunt doctìssimonun hominum tamque discrepantes sententice ut magno arqumento esse debeai , causavi idest princìpium philosophice esse in- scientiam (De nat. deor., lib. 4). » Così, oh cosa veramente singolare e strana! l'introduzione ad una disputa filosofica, da un filosofo intrapresa, in un' assemblea di filosofi è un pubblico e solenne anatema contro la filosofia. Fa quindi Tullio, in persona dell'interlocutore Yellejo, un osservazione

<Ì65[ LETTURA SESTA

importante, cioè, che se vi è una certa concordia fra la mag- gior parte de'filosolì nell'affermare che vi è un Dio, ciò ac- cade perchè, nell'ammettere questa sentenza, si è consultata la tradizione e il sentimento della natura, che insegna che un Dio esiste: ma che quando si è voluto ragionare sulla sua na- tura, la ragione di questi stessi filosofi, unanimi nell'ammet- tere Dio, si è trovata dehole, e le loro opinioni con- tradittorie e stravaganti che non si possono solamente riferire senza sentirsi muovere la bile e sconcertarsi lo sto- maco. Poiché, avendo negato tutto e tutto combattuto, non è certamente colpa de'filosofì, se tuttavia rimane nel mondo alcun vestigio di religione, di pietà e di virtù, mentre dal canto loro han fatto di tutto per distruggerle coll'avere in- segnato che gli dei non si danno alcun pensiero delle cose umane: Pleriqiie qnij qiiod maxime vero simile est, et quo OMrsiiS, DUCE NATURA, vehimurj deos esse dixenint) tanla siuit in varietale et dissensione constiluti ut eoniin molesluni sit enumerare senlentias. Suiti qui omnino nnìtam habere cen- senl humanarum rerum procuralionem deos j quorum si vera senleulia est, quw palesi esse pietas ^ qua» sanctilus , qiue ì-eligio? E poi continua così: « Udite, o amici, non già portenti e miracoli di filosofi che ragionano, ma stravaganze; di febl)ricitanti che delirano: Audìle porlenta et miracuìa non disserenlium phiìosophorumj sed somnianlium. La stu- pidità de'platonici ha del prodigioso. Per essi Dio è e deve essere di figura rotonda; perchè, secondo Platone, questa figura è la più bella, e Dio deve avere la figura più bella e più perfetta. Or che mi potrà rispondere Platone se io asse- risco che Dio è di figui*a piramidale o conica, perchè a me queste figure sembrano più perfette e più belle? Per Talete, Dio è quell'intelligenza che coll'acqua ha raffazzonato ogni cosa; e mentre vuole che Dio sia incorporeo, lo unisce all'ac- qua come ad un corpo, per poter con esso operare. Anassiman- dro opina che gli d-i a diversi intervalli nascono e muojono siccome gli uomini. Anassimene stabilisce che l'aria è ])io; ch'esso è stalo generato ed ha avuto principio, e non per- tanto è immenso e non avrà mai fine. Crotoniate ha fatto altrettanti dei del sole, della luna e delle anime umane. Pi-

LETTURA SESTA i65

lavora dice che Dio è una grand'aninia infusa e mista nel- l' intera natura corporea: e che da quest'anima una, come parti divelle dal loro tutto, hanno origine le anime nostre, sicché questo povero Dio è costretto a vedersi fare a hrani tutti i momenti. Senofane sostiene che Dio è un composto di una intelligenza e di tutto ciò che è inlìnito nella natura. Parmenide ha sognato un non so che di poetico che chiama Stefano (parola greca che vuol dire corona); questo Stefano per esso è l'orbita adorna di luce e di calore che cinge l'uni- verso, e quest'orbita è Dio. Empedocle dice che gli dei sono quattro, e sono i quattro elementi primi onde si forman le cose. In quanto a Protagora, lo metto fuori di questione; perché coU'aver detto che non sa di certo se vi è o no Id- dio, né quale ne sia la natura, abbastanza a conoscere che non ammette alcuna divinità. Lo stesso farò di Demo- crito, il quale negando che siavi nulla di eterno ( poiché per esso ogni cosa é a cangiamento soggetta), toglie in modo Dio dall'universo che non ve ne lascia traccia veruna (ibid.). Indicate così le principali stravaganze dei tilosofi intorno a Dio, Tullio passa a farne notare l'incostanza e la legge- rezza onde gli stessi filosofi sulla stessa quistione hanno in diversi tempi insegnate opinioni diverse ; poiché dice : « Se io volessi provare l'incostanza di Platone nell'opinare, non la finirei giammai. Nel Timeo stesso e nello stesso libro delle Leggio ora dice che Dio é innominabile, e che non si deve tentar di indagare che cosa sia; ora, che Dio si può be- nissimo nominare e decidere che cosa é, giacché decide che l'universo tutto, il cielo e la terra, gli astri e le anime umane sono Dio. In quanto a me, altro non trovo di evidente, in queste contrarie evidenze, che l'errore e l'assurdità. Egual- mente incostante e varia é la evidenza di Senofonte : poiché ora sostiene che non si deve rintracciare di Dio la forma, ora che il sole, la cui forma si conosce, e l'anima dell' uomo é Dio : ora dice che Dio é un solo, ora che sono molti gli dei. Nessuno però, nel cambiare spesso d'opinione intorno a Dio, ha sorpassato Aristotele : tante sono le diverse sen- tenze contradittorie fra loro che ammassa nei suoi libri, dan- dole tutte per certe. Per esso ora la divinità é una intelli-

Ì6C) LETTURA SKSTA

genza incorporea, ora il suo Dio è il mondo; ora, oltre l'in- tellìgenza-lJio ed il Dio-mondo; vi é un altro Dio che pre- siede all'intelligenza ed al mondo; ora Iddio altro non è che il fuoco celeste, più non ricordandosi che il cielo è una parte del mondo e che del mondo aveva di già fatto un solo Dio. Senocrate, condiscepolo di Aristotele, senza essere nel suo opinare più fermo, é però nelle sue stravaganze più ri- dicolo. Fu già per lui certissimo che otto soli sono gli dei: cinque ne sommano i cinque conosciuti pianeti, il sesto lo formano le stelle fisse, che altro non sono che le membra di questo sesto, uno e semplice Dio; il settimo Dio è il sole, e la luna la costituisce per ottavo. Ma Eraclito, allievo della stessa scuola di Platone, alla seria commedia di Senocrate aggiunge favole ridicole da fanciullo. Per esso ora Dio è il mondo, ora l'intelligenza, ora i pianeti: e mentre fa corporeo Iddio, gli niega ogni senso; e mentre lo fa una intelligenza, gli una mutabile figura; e ricordandosi nello stesso libro di aver lasciato indietro la terra e il cielo, anche del cielo della terra fa due altri dei. »

ttt Parrebbe che, in materia di leggerezza e di stravaganza sopra questo argomento, non fossevi dove arrivare più oltre di quello cui sono giunti i citati filosofi. Eppure non é così. Teofrasto è andato ancora al di e si è renduto affatto in- tollerabile. Ora attribuisce ad una intelligenza il principato e l'essere di Dio, ora dal cielo, ora ai segni del zodiaco, ora alle stelle fisse. Zenone solamente gli può stare vicino, quel Ze- "^^iTOne vostro (parla agli stoici) che, dopo di essersi vantato f he era proprio de' filosofi suoi pari l'avere un'opinione de- terminata e certa intorno a Dio, e però più degli altri an- cora fluttuante ed incerto. Ora l'aria é il suo Dio; ora è una certa ragione che circonda e investe e penetra tutta la na- tura; ora gli astri sono dei, ora persino gli anni stessi e le stagioni; e dopo avere ammessi tanti dei, interpretando la teogonia di Esiodo, linisce col dire che non vi è idea innata, si ha percezione alcuna chiara e distinta intorno a Dio. (ileante anch'esso ora fa del mondo il Dio vero, ora fa di Dio l'intelligenza e l'anima della natura, ed ora dice che il fuoco, che chiama etere, è infallibilmente il Dio vero. E spin-

LETTURA SESTA i67

gendo ancora più innanzi il delirio, ora finge una certa forma 0 immagine di divinità separata d^ ogni altra cosa ; ora stabi- lisce che solo negli astri, ora che solo nella ragione bisogna >/}ercare e riconoscere la divinità (ibid.). ^, E qui Tullio non sa contenersi dal prorompere in questo Mestissimo epifonema : « Così quel Dio che diciam di cono- scere evidentemente colla nostra mente, e di cui pretendiamo •che nella chiara percezione dell'anima esista l'idea come nel proprio vestigio, in fatti poi non sappiamo decidere se vi sia, chi mai sia: una nuvola densissima lo nasconde al »jno3tro sguardo: Ila fit ni Deus iste, quem mente noscimus atque in animi notione lamquam in vesliqio voìumus re- ponere, nusquam prorsus appareal ( ibid. ). » Dopo avere .quindi esposte le empietà di Perseo, scolare di Zenone, per vfui Dio altro non è che un vocabolo che la riconoscenza pub- ^Wica ha attribuito agli autori delle utili invenzioni ed alle invenzioni medesime; dopo di avere ampiamente annove- ijrata la ignobile turba nomi sconosciuti e chimerici che immaginò Crisìppo, l'interprete più maligno delle stoiche stravaganze, Tullio conchiude così, come Tavea cominciato, il quadro spaventevole degli errori e delle insanie de' filosofi, intorno a Dio : « Io vi ho messo sotto degli occhi non dirò i giudizj de' filosofi, che fatte cose un tal nome non meritano, .,ma i sogni d' immaginazioni in delirio, ma i delirj di uomini ...mentecatti; ed in verità che le stesse favole de' poeti, che .tanto male han fatto ai costumi colla loro artificiosa dolcezza, .non sono certamente più sconce, più assurde di queste -filosofiche dottrine: Exposui non philosopliomm judicia, sed deìirantia soniniaj nec enim multo absurdiora sunt ea (juce, poftaruin vocibus fusa, ipsa suavitate nocueninl (ibid.). » ^, L'opinione poi dello stesso Tullio intorno a Dio, che in questa importantissima disputa esso manifesta sotto il per- sonaggio di Cotta, si è quello dell'antico filosofo Simonide, cioè che gli sembra che, se ci è Iddio, e qual sia la sua na- tura, è una cosa quanto più vi si pensa, tanto più oscura i:ed incerta: Rofjas me quid aut quatìs sii Deust auctore ìlntar Simonide, qui, quanto, inquii, diutius considero, tanto -mihi res videlur obscurior (ibid.). Protesta però di volere

iC8 LETTURA SESTA

sempre difendere in pubblico la superstizione introdotta in Roma, salvo il diritto di ridersene in privato: Opiniones quas a majoribus accepimus de diis immortali bus j sacra, ccerimonias religioìiesqtie defendam Jurarem per Jo~ vemj nisi ineptum videretur. Cioè a dire che il sentimento di Cicerone, intorno a ciò che vi è di più grave, si era che bisogna rispettare e mantenere in pubblico la religione del popolo, perchè al popolo è necessaria una qualunque religione, e pensare poi come si vuole in privato. La re- ligione di Cicerone era adunque una specie d'indifferenti- smo politico, quale lo vediamo professato ai nostri da molti, non so se io dica più empj o più imbecilli, che non essendo uomini di alcuna scienza e di alcuna coscienza, si danno il titolo di uomini di stato, indifferentismo che il romano oratore restringeva a quest'orribile massima: che bisogna pensare da filosofo ed operar da politico, cioè a dire: nulla credere e mostrar di creder tutto: Sentiendmn philosophice, vivendum polilice.

L'insufficienza però, la debolezza, la miseria della ragione privata nell'acquisto del vero è un principio si profonda- mente scolpito nell'animo di Cicerone che noi perde giam- mai di vista, e da esso incomincia sempre le sue filosofiche discussioni. Pertanto, come ha fatto nella disputa sulla na- tura di Dio, così trattando dell'anima, entra in argomento col rammentare i risultati infelici della filosofia anche in questa materia, ed osserva che i filosofi non sono meno discordi e meno contradittorj fra loro nel fissare il destino e la natura dell'anima di quello che lo sono stati nel deci- dere alcuna cosa di Dio; poiché dice: credono alcuni che la morte altro non sia che la partenza dell'anima dal corpo; altri, che partenza non vi è di sorta alcuna, che anima e corpo finiscono al tempo stesso, che nulla dell'uomo so- pravvive alla morte. Quelli poi che la morte attribuiscono alla partenza dell'anima, sono ancor essi fra loro discordi. Poiché vi è chi pensa che l' anima uscita dal corpo poco dopo si dilegua nel nulla; altri, che sopravviva lungo tem- po; ed altri, che mai non muore. Più grande è poi la dis- parità delle opinioni dei filosofi intorno alla natura ed alla

l::ttlka sesta iG9

sede dell'anima. Per alcuni l'anima non é altro che il cuore. Per Empedocle non è il cuore/ma il sangue che intorno al cuore s'aggira. Costoro afTerniano che una parte del cervello é quella che esercita le funzioni dell'anima. Quelli negano assolutamente che l'anima sia cuore o cervello; ma fra loro stessi, alcuni nel cerebro, come in propria sede, la collo- cano, altri nel cuore. A Zenone stoico parve che l'anima non fosse altro che fuoco. Ad Arislosseno poi, che era allo stesso tempo filosofo e musico, la sua ragione dimostrò che l'anima non è allro che un certo mmimento permanente nelle fibre del cuore, simile a quello die si osserva nel canto e nelle corde da cui risulta l'armonia. Per Senocrate l'anima non è che un numero. L'immaginazione Platone non si con- tentò di ammettere un'anima sola, ma ne foggiò tre ben dÌA erse; la ragione che collocò nel corpo, l'ira nel petto, e la cupidità sotto ai precordj. Ma ove la liberalità di Platone ci ha regalate tre anime, l'avarizia di Dicearconon ce ne lascia nem- meno una sola: la sua ragione avendogli rivelato che lanima é una parola vuota di senso, e che l'uomo non è che materia che la natura ha organizzata in modo che sussista e senta. Aristotele deduce l'anima da un quinto elemento da lui rico- nosciuto in natura, e chiama l'anima cnltlechia, quasi fosse un movimento continuato e perenne. Democrito dice che l'a- nima é formata, come il mondo, di leggerissimi atomi che il caso nel corpo umano ha insieme riuniti. Or, dopo di avere indicate queste diverse opinioni stolide e stravaganti che i filosofi si erano eolla loro ragione fabbricate intorno all'anin'a, Tullio esclama; di queste diverse opinioni, pre- sentate tutte siccome vere, quale però sia fra tutte la veraj solo un qualche dio può saperlo: Harum scììlfìitiartnii i]u(c vera sit, ihus ali jids uldcrit (Quéest. tusc.j.

(juale spettacolo di umiliazione e di dolore adunque per la povera ragione umana, il vedere uomini che il mondo ha stimato grandi, e in cui la ragione era certamente elevata e possente, divenuti si piccoli allorché colla sola loro ra- gione han voluto rintracciare la prima e la più importante di tutte le verità, l'esistenza e la natura di Dio; e non sa- pere, sopra un argomento grave, che balbettar da fanciulli

i70 LETTURA SESTA

o delirare da matti! Questo quadro basta solo a giustificare l'argomentazione di S. Tomaso, che di sopra abbiamo recaW^- intorno alla imbecillità ed all'impotenza della ragione ad ele- varsi alla pura e semplice cognizione di Dio.

Al contrario, da questo spettacolo tristo e doloroso volgiamo lo sguardo ad uno spettacolo il più stupendo per chi sa considerarlo, ed insieme per noi il più giocondo e ih più lieto: lo spettacolo cioè dalle nazioni cristiane, pressò' le quali quelle stesse verità che i filosofi untichi o non co- nobbero affatto , 0 le conobbero confusamente e miste alla scoria di turpissimi errori, si trovano chiare, pure e pre- cise fino sulla bocca del povero artigianello, del rozzo bifolco, della donnicciuola ignorante e persino del fanciullo che ap- pena balbetta, sulle cui labbra innocenti hanno una dol- cezza ed una grazia che incanta per la stessa debolezza della lingua che intoppa ad ogni tratto nel ripeterle e che non articola che per metà le parole : Ipso offansantis lingua fra- (jmine dulciorcs, come direbbe Minuzio Felice. Che bella cosa si è il sentire ai fanciulli recitare il Credo^ questo meravi- glioso compendio di tutte le verità, questo tesoro di sapienza celeste, magnifica professione di fede dettata dagli Apostoli, ispirata da Dio: Le labbra dei sapienti d'Atene e di Roma quando mai udirono articolare parole tanto sublimi e im- portanti quanto quelle che articolano le labbra del fanciullo cristiano che recita il Credo? Ah! esso con ciò solo è più il- luminato del più grande degli antichi filosofi in materia di religione. Fra i gentili gli stessi filosofi, gli stessi oratori più insigni non facevano che balbettare; fra noi cristiani, secondo la bella espressione dei Libri Santi, gli stessi fanciulli sono eloquenti e filosofi : L'uujnas infanlium facil esse diserUis. Grande Dìo! che direbbero essi mai adunque Socrate e Pla- tone, Zenone ed Aristotele, Arcesilla e Cicerone e tutti i pa- gani filosofi dell' antichità, se risorgessero dalle loro ceneri? che direbbero al vedere la verità che essi dissero collocata al di sopra dei cieli, o ascosa nella profondità della terra, divenuta fra i cristiani comune e popolare? Che direb- bero essi, che lunghi anni spesero invano, e tanti durarono stenti e fatiche per giungere ad assicurarsi di due o tre mo-

LETTURA tJESTA 17!

rali verità senza esservi potuto riuscire, al vedere non solo queste verità medesime, intorno alle quali si lambiccarono invano il cervello, ma ancora le più sublimi dottrine intorno a Dio e all'uomo, i più giocondi ed inefTabili misteri del Sal- vatore degli uomini, le leggi più elevate e più perfette, co- nosciute, professate e credute dall'età la più tenera, dagli uo- mini più incolti e più rozzi? Che direbbero essi mai al vedere il bambinello cristiano avere idee più giuste, più precise, più elevate intorno a Dio, all'anima, ai doveri, alla vita futura, di quello che mai non ebbero tutti i filosofi, tutte le scuole filo- sofiche di Atene e di Roma insieme riunite? Che sorpresa per loro! che maraviglia! che incanto. 0 come invidierebbero la nostra sorte! o come esalterebbero l'eccesso della degna- zione di Dio a nostro riguardo nell'aver messo così a dispo- sizione di tutti i tesori della sua sapienza, di cui essi con tanti viaggi e tanti stenti non ottennero nemmeno un obolo, a causa, dice S. Paolo, della loro vanità e del loro orgoglio! Oh bel vanto deirinsegnaraento della fede! L'inquisizione umana presso i gentili ha fatto divenire gli uomini, fanciulli; i filosofi, idioti j i saggi, ignoranti; gl'inquisitori della ve- rità, il trastullo miserando di tutti gli errori. Ma la rivelar zione divina presso i cristiani ha fatto al contrario divenire gli stessi fanciulli veri uomini; gl'ignoranti, veri filosofi; i rozzi, veri sapienti : e coloro che per la loro età, per la loro rozzezza o per la loro condizione, sembra che sieno da una dura necessità condannati ad essere il trastullo dell'errore, divenuti possessori e maestri di verità. Oh miseria dell'uomo che non ha che l'uomo per maestro: Oh felicità del cristiano che per maestro ha avuto lo stesso Dio!

§ IV. - Si dimostra la facililà di errare della raijione umana, che si fida di sola, colla storia dei principali errori onde (jli antichi eretici, lungi di avere coi loro privali lumi scoperta alcuna nuova verità crislianOf hanno, per (juanto da loro dipendeva, distrutte tutte ({uellt ch<' la rivelazione divina area fatto conoscere.

Mi\ l'insegnqmento cattolico, che apparisce prezioso, si bello, nobile, magnifico, confrontato coU'insegnamento della filosofia, confrontato coU'insegnamento dell'eresia, ap-

172 LETTURA SESTA

parisce ancor più magnifico, più nobile, più bello e più pre- zioso.

A buon conto, come i filosofi non attinsero dalla loro pri- vata ragione, ma dalle credenze e dai sentimenti universali le poche verità di cui nei loro libri menaron gran vanto, così gli eretici non hanno essi scoperto coi loro lumi le po- che verità cristiane di cui fan pompa nei loro simboli o nelle loro cojiftssionij fabbricate all'ombra del potere civi- le, airofiicina dell'interesse, della voluttà e dell'orgoglio; e, come S. Gregorio lo ha avvertito, non hanno essi conosciuto per privata ispirazione divina ciò che ritengono di vero e dicono di grande e di sublime intorno alla cristiana dot- trina, ina per mezzo delle tradizioni universali della Chie- sa, e da lei ricevono tutto il bene, essi che combattono con- tra di lei : non nunquam hcerelici cera qncedam et su- blimia loqnuniurj non luec ipsi lìlvinitus percipiunl , std qnod ex Ecclcsice contcntione didiccrunt (Moral.). Del re- sto , come si è notato degli antichi filosofi , così può dirsi ancora degli eretici , ^he essi non hanno per stessi co- nosciuto nulla di vero e di buono che nella Chiesa non si conosca prima di loro; non essendovi alcuna verità cristiana di cui si possa dire che, ignota nella Chiesa, é stata da tale eretico ritrovata e scoperta. Ma come la filosofia pagana , così l'eresia, se non ha inventata e scoperta alcuna verità, ha però inventati tutti gli errori. E la Scrittura, abbando- nata al giudizio privalo degli eretici, non é riuscita regola più sicura di fede di quello che lo fu la natura abbando- nata al privato giudizio dei filosofi. Come la filosofia pa- gana non lasciò intatta alcuna verità primitiva, così l'ere- sia non ha lasciato illesa alcuna verità cristiana. E questi inventori orgogliosi di verità non sono stati che fabbri fu- nesti di tutti gli errori: sicché se rimane tuttavia nel mondo la rivelazione cristiana nella sua integrità e nella sua pu- rezza, ciò non é merito degli eretici, che han fiitto di tutto per distruggerla; ma è l'efietto della potenza di Dio, che l'ha mantenuta e la mantiene nella sua Chiesa.

rS'on rincresca perciò al lettore di vedere 'qui indicati al- cuni dei parti mostruosi nati dall' orgoglio ereticale unito

LiyrrUKA sjcsta -173

alla voluttà. Non ai soli teologi, ma a tulli i fedeli è utile il conoscere in quali orribili stravaganze, in quali sacrile- ghe follie è le si gran volte caduta la ragion cristiana che ha voluto formarsi la regola del credere sotto l'ispirazione deir/o solamente, il più fallace di tutti i consiglieri : dap- poiché nulla è più capace di far sentire il pregio dell'inse- gnamento e dell'autorità tutelare della Chiesa e di confer- mare il vero cattolico nella sua fede.

Simone, che S. Ireneo chiama il padre di tutti gli ere- tici (anno 43 dell'era cristiana), appena si eresse in giudice dell' insegnamento cattolico , che col Battesimo avea dagli stessi Apostoli ricevuto, con un eccesso di orgoglio, che solo Lucifero potè inspirargli, spacciò di essere egli stèsso Dio uno e trino: che, come Padre era apparso in Samaria: come Figliuolo ^ nella Giudea ; come Spirito Santo in Roma ; e che in qualità di Figliuolo, solo apparentemente e per bur- la, avea patito ed era morto in croce per man dei Giudei. Ebione e Cerinto (an. i03) bestemmiarono che Gesù Cri- sto, nato da Maria e da Giuseppe alla foggia degli altri uo- mini, non era nulla più che uomo e che solo pel battesimo era divenuto un Cristo spirituale. Il mondo é però obbli- gato a siffatta eresia. Essa ci ha procurato il Vangelo di S. Giovanni , che questo grande Apostolo scrisse appunto per confutarla ; il S'angelo di S. Giovanni, dico, il capo d"o- pera dell'ispirazione divina, di cui ogni tratto, ogni parola ò una prova luminosa della divinità del Signore nostro.

Saturnio, Basilìde e Carpocrate (an. i58), non paghi di avere rinnovalo la eresia di (À-rinto, vi aggiunsero altre enormi sti'avaganze-. ('arpoerate in particolare, di mostro di lussuria ne divenne maestro , proscrivendo il matrimonio tra i suoi seguaci ed adermando che l'anima, solo per po- ter gustare ogni genere di voluttà, si unisce al corpo. Per- ciò volle che tra i suoi fossero comuni le donne e che, dopo la cena, smorzatisi i lumi, ognuno si avvici Jiasse alla donna in cui si fosse alla cieca imbattuto; e questa orribile promi- scuità dei sessi, da cui abborrono gli stessi bruti, chiamò la comunioiw mistica; e cosi gittò le fondanienla della setta ab- bominevole degli gnostici (parola che significa i < onosctnii).

Beile z:t della fede. II. S

174 LETTURA SESTA

che si é in questi ultimi tempi riprodolla sotto il vocabolo di setta degli illuminali.

Valentino (an. 203) insegnò essere più dèi; Gesù Cristo aver portato la sua carne dal cielo; non aver fatto che pas- sare, come per un canale, pel ventre di Maria; dalle lacrime del creatore esser nate tutte le sostanze create, e dal suo riso la luce. Volle comuni anch'esso le mogli: giacché la lussuria è stata la salsa più ordinaria di tutte le eresie. Pro- scrisse la verginità; e perchè non ne rimanesse alcun esem- pio, bestemmiò che anche Gesù Cristo, anche gli Angioli hanno avute spose carnali.

Cardone, uno dei discepoli di Valentino, e Marcione, disce- polo di Cardone, superarono nell' intrepidezza della bestem- mia e della stravaganza i loro turpi maestri. Cardone si era contentato di ammettere due dèi, uno buono e l' altro cat- tivo. Marcione ne volle tre: uno visibile, l'altro invisibile, il terzo medio. Negò che il corpo di Gesù Cristo fosse un vero corpo umano. Insegnò che tutte le azioni sono indiffe- renti, e che la loro bontà o malvagità non dipende che dal- l'opinione degli uomini; e come era naturale ad aspettarsi, fece virtù del vizio, e del vizio virtù e poi disse che i sodo- miti 0 Giuda son salvi, e tutti i patriarchi dannati. Questi è quel Marcione che, come narra S. Girolamo^ avendo un giorno incontrato in Roma S. Policarpo, vescovo di Smirne e poi martire, ed avendogli detto: Policarpo, mi conosci? S. Policar- po gli rispose: Ti riconosco pel primogenito del diavolo.

Taziano (an. 219) capo degli encratiti ossia astinenti ^ avendo ammesso egli pure, come Cardone. due principj crea- tori. Dio e il demonio, disse che la donna e la vite sono state create dal demonio. Condannò adunque l'uso delle nozze e del vino: il perchè i suoi scolari pretesero consa- crare coir acqua l'Eucaristia. Ma Dioscoro, uno di loro, per calmare in alcun modo la collera delle donne, insegnò che anche il corpo dell'uomo dall' ombilico in giù è stato crealo dal demonio, e solo la parte dall' ombilico in su è stata creala da Dio: Jniqiioi mentis asellus.

Mvi se Taziano avea abbassato la donna sino all' inferno, Montano (an. 220), capo dei catafrigi, la sollevò fino al ciclo

LETTI R A SESTA l7o

nelle persone delle sue feniinetle Priscilla e Massimilla, di eui fece due profetesse: e perchè il loro esaltamento non pregiudicasse alla propria dignità, nel tempo stesso che pro- clamò profetessa la donna,, ebhe la modestia di proclamar>i esso stesso lo Spirito Santo. Disse Gesù Cristo s^lo uomo per natura, ma per virtù superiore ai Profeti. (3ve molti eretici han negato il Battesimo pei vivi, Montano battezzava anche i morti. Proclamò illecite al cristiano le nozze; e portò a tanto la crudeltà ed il sacrilegio che formava il pane da consacrarsi di farina impastata col sangue di un bambino di un anno, estortogli a forza di punture di ago. Kd è un esempio tremendo della miseria dell' uomo quando a stesso si abbandona, che anche il grande Tertulliano sia>i lasciato sedurre da turpe e stravagante eresia!

Origene (an. 227), avendo perduto il cervello colla filosofìa di Platone (chiamato dai Padri il pairiarca di tiitli gii ere- liei e il condimenio di tutte l'eresie), disse ineguali le tre Persone divine, eterna l'origine dell'anima, temporanea la pena dei reprobi, possibile la salute eterna dei dejiionj.

INovato (an. 25^), negando esistere nella Chiesa la potestà di .rimettere i peccati commessi dopo il Battesimo, tolse ogni speranza al pentimento e non lasciò ai peccatori che la disperazione per conforto.

Elexeo (an.267) .immise un Dio e due Cristi, uno super- no, l'altro terrestre. Lo Spirito Santo, secondo questo matto bestemmiatore, non è stato che la sorella di Gesù Cristo e della stessa forma e statura, avendo tutti e due sei miglia d'altezza e ventiquattro di larghezza. Oh ragione umana! siffatte follie han trovato seguaci.

Sabellio (an. 261). ritenendo la parola trinità, ne negò il domma, dicendo che il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo non son che tre nomi, o vocaboli diversi di una sola e me- desima persona. Da esso ebbero origine i patripassiani , os- sia coloro che hanno insegnato che il Padre Eterno ha pa- tito ed p morto in croce sili Calvario. Prassea ed Ermogene furono di questa scuola; ma quest'ultimo aggiunse: il corpo di Gesù Cristo essere ora collocato nel sole, la materia eterna, e la promiscuità dellp donne, domma prediletto di quasi tutti gli eretici

176 LICTTIRA SKSTA

Paolo SamosatenO; che volle farsi adorare come un angelo (an. 269)j fu però nelle dottrine e ne' costumi un demonio. INon ammise in Dio che una sola persona; disse che Gesù Cristo non é stato che puro uomo, e che,, pel solo profìtto che fece nella virtù, conseguì la figliuolanza divina; fìglìuo- lanza di grazia però e non di natura, simile a quella onde tutti i giusti si chiamano figli di Dio.

Manete (an. 278) rinnovò la dottrina dei due prìncipj coe- lerni e dei due dèi, l'uno buono e l'altro cattivo, che chia- mò Sacla 0 il principe della materia, e da esso disse creato il corpo dell' uomo. Perciò asserì esso pure, come 3Iarcione, che Gesù Cristo non ebbe un vero corpo umano, ma appa- rente: ammise con Origene le anime coeterne a Dio: negò il libero arbitrio. Rigettò l'antico Testamento, come opera del Dio cattivo, ritenendo solo il nuovo, come opera del Dio buono. Abolì il Battesimo, ritenendo l'Eucaristia, ma da pren- dersi in un modo che il pudore e l'orrore non ci permet- tono d'indicare. Negò la risurrezione dei corpi; stabili il paradiso de' suoi nella luna; e disse che il plenilunio ac- cade quando le anime accorrono alla luna in gran moltitu- dine, e che cessa quando una barchetta viene a sollevar la luna dal peso di tanta gente per iscaricarla nel sole. E per- chè sapesse ognuno che egli avea imparate grandi e belle cose a buona scuola, non mancò di proclamarsi per quello spirito paracleto che Gesù Cristo avea promesso di mandare sulla terra per farla felice: ciò che per altro non impedì al re di Persia di fare scorticar vivo Manete. 1 suoi seguaci adoravano gli elementi ed il demonio: ammisero i.i metempsicosi; si astenevano dal mangiar carne; condanna- vano l'agricoltura ed il matrimonio, affermando che l'ani- ma di chi pianta un albero, dopo morte, rimane a questo stesso albero legata, e di chi prende moglie passa in corpo di donna. ÌNon condannavano però l'uso legittimo del ma- trimonio che per abbandonarsi a sfoghi contro natura: per- chè sia vero che degli eretici anahe l'astinenza e la castità sono sempre sospette.

Ario (an. 314) imparò da questi maestri, che lo avevano preceduto nel cammino della bestemmia contro Gesù Cristo.

LKTTimA SKSTA 477

a negarne la divinità, dicendolo pura creatura, come disse lo Spirito Santo, creatura di Gesù Cristo. Eunomio ed Ezio, furono di questa setta; ma agli errori del maestro aggiun- sero ancora queste altre bestemmie: in Dio esservi tre so- stanze o nature diverse, come l'oro^ l'argento e il bronzo; non esser necessarie le buone opere, ma bastare la sola fede per andar salvo; i vescovi e i semplici sacerdoti esser eguali. Esser vani i sacrificj pe' defunti , doversi osservare i di- giuni, né le feste della Cbiesa. Lutero rinnovò mille anni dopo gli stessi errori. Tra le sette innumerabili in cui si di- vise l'arianesimo (an. 361) vi fu quella ancora dei duliani, dalla parola greca dui io n, che significa servo; perchè, per disprezzo, così questi scellerati chiamarono Gesù Cristo.

Apollinare (an. 375), senza negare le divine persone, le disse, come Origene, ineguali, chiamando grande lo Spirito Santo, maggiore il Figliuolo, massimo il Padre. E volendo alterare il domma dell'incarnazione, come avea fatto di quello della Trinità, insegnò che il Verbo, nel farsi uomo, prese un corpo senz'anima; che la carne stessa che prese da Maria era increata e dell'essenza della stessa Trinità: dal che fu strascinato a dire che Gesù Cristo anche nella divinità avea patito e che il Verbo nell' incarnarsi erasi trasmutato in corpo ed avea cambiata natura.

Mentre però gli apollinaristi negavano, siccome il mae- stro, al Figliuolo un corpo umano e terreno, gli antropo- mortiti (an. 393), uomini al pari di Vadio loro maestro, gros- solani di mente, turpi di cuore, uman corpo attribuivano ancora al Padre, affermando che la divina natura ha figura e forma umana come abbiam noi.

La storia delle eresie presenta un fenomeno singolare, ed è, che le sette che sembrano essersi meno delle altre al- lontanate dalle dottrine del cattolicismo sono però quelle che più delle altre hanno odiato e perseguitato i cattolici. Tali sono oggi i Greci scismatici e i giansenisti, che dete- stano la Chiesa cattolica più degli stessi Turchi e Giudei. E tali furono già i donatisti (an. 408), le cui persecuzioni atroci contro al clero cattolico dell'Africa richiamarono la memo- ria dì quelle di Nerone e Diocleziano. Onesti settaij, am-

478 LETTURA SESTA

mettendo il Figlio al Padre consustanziale, lo fecero però minore del Padre. Ma non essendo giusto che i bestemmia- tori di Gesù Cristo risparmiassero la Chiesa sua sposa, so- stennero ancora che la vera Chiesa non esisteva che nel loro partito; che i sacramenti sono santi ed efficaci quando sono amministrati dai santi della loro tempra. Si legge di alcuni di loro che, avendo buttata ai cani la divina Kuca- ristia consacrata da un sacerdote cattolico , furono dagli stessi cani divorati. In fine, chiamavano ìiiartirio il suici- dio , 0 la morte violenta che si davan da o si faeevan dare da altri : bene inteso però che vi si preparavano san- tamente coU'essersi saziati di ogni genere di lascivia, pri- ma di andarvi ; dimostrando così il nesso misterioso che vi è tra il contentare la carne ed odiare stesso, tra la vita del bruto e la morte del disperato.

Nessuno però, in fatto di stravaganza e di empietà, andò in quest'epoca (an. 408) tantoltre quanto Priscilliano. La sua dottrina fu un impasto mostruoso delle assurde e turpi bestemmie de'manicheì e degli gnostici. Disse il mondo creato dal demonio : le anime, della stessa sostanza di Dio : la Tri- nità essere solo nei vocaboli; il corpo umano composto se- condo i dodici segni dello zodiaco : il mondo reggersi dal fato. Vietò il cibarsi delle carni degli animali, ma non fu nemico di altre carni, perchè permise il divorzio ed osò di pregare tutto nudo in mezzo ad un branco di femmine, senza dubbio per rendere la sua preghiera più santa, più raccolta, più efficace e sopratutto più pura.

i\on bisogna separare da questi entusiasti della lascivia i messaliani, entusiasti dell'orgoglio, detti ancora salaniani, perchè, ammettendo più dèi, ma non adorandone che un solo, rendevano però culto a Satanasso per non riceverne nocumento. Si chiamarono ancora cuchid o precjalori, per- chè sostenevano che il Battesimo non toglie i peccati , se non come il rasojo recide i peli della barl)a. lasciandone la radice, e che la preghiera è il solo mezzo di estirparh ; e perciò pregavano buona parte del giorno. Spacciavano di ricevere, nel tempo della quiete o del sonno, rivelazioni dalla Trinità; delle quali og-nuno faceva parte a'compagnì:

LETTURA SESTA il 9

poi tutto ad un tratto rizzatisi in piedi, incominciavano a cantar salmi, detti perciò ancora psaUian : poi vedevansi tremare, danzare e saltare, diceano essi, sopra i demonj. (juesti matti sono stati i maestri ed i modelli dei quaccheri moderni.

Dopo essere stato cotanto bestemmiato il Figlio di Dìo, non poteva essere dagli eretici risparmiata la madre ( an. 409-425): ed ecco INestorio che, partendo dall'errore di Ana- stasio, che in Gesù Cristo vi erano due persone, l'una di- vina e l'altra umana, e che non fu egli sempre Dio, ma che la persona divina a lui si aggiunse per merito dopo la na- scita, negò che la SS. Tergine si dovesse dire madre di Dio: degno però di morire colla lingua rosa de'vermi. Ecco El- >idio negare a Maria la verginità dopo il divino suo parto. Tacendola "Madre di quegli Apostoli che nel Vangelo sono detti fralelìi dei Signore^ perchè ne eran cugini. Ecco Gio- viniano insegnare esso pure che Maria non restò vergine dopo aver dato alla luce Gesù Cristo; e poi aggiungere: uguale essere il merito della verginità e del matrimonio: uguali i peccati in malizia ; uguali per tutti nel cielo le ri- compense; e l'uomo che ha ricevuto con vera fede il Bat- tesimo divenire impeccabile. Ed ecco infine Vigilanzìo, uomo corrottissimo, che, pensando che tutti i corpi dei cristiani e dei santi fossero così impuri ed immondi siccome il suo, ilopo avere proscritto il celibato e derisa la verginità, negò il culto delle reliquie dei martiri, abolì come vana l'invo- cazione dei santi e della loro regina. A questa scuola hanno attinta la loro fede, nelle stesse materie, i luterani, i calvinisti, uli anglicani, degni discepoli di un edificante maestro !

Ma a completare l'istruzione de'moderni eretici contribui- rono anche altri antichi maestri. Tale si fu Pelagio (an.402), che negò la trasfusione del peccato originale e però la ne- cessità del Battesimo pei bambini affin di conseguire la vita «'terna. Perciò asserì ancora che la concupiscenza, come pure la morte dell'uomo, è opera di Dio e non l'effetto del pec- cato : che la grazia altro non è che il libero arbitrio, e per- ciò può l'uomo adempire la legge di Dio senza quel soccorso soprannaturale che si dice propriamente grazia j in fine,

l'*0 LETTURA SESTA

che è inulile la preghiera, ed impossibile che un eletto pec- chi anche volendo.

Mentre i pelagiani combattevan la grazia, Eiitiche sorse ad attaccare di nuovo Tincarnazione. Disse che Gesù Cristo non ebbe carne simile alla nostra,, ma carne portala dal cielo e fatta solo passare pel seno di Maria; che non fu egli altri- menti vero uomo, ma uomo in cui di due nature si formò una sola natura ed una sola persona; e perciò che in lui anche la divinità fu crocifissa.

J/eresia di Eoliche però, come è proprio di tutte l'eresie, degenerò ben presto in molte altre. Poiché Giulio di Alicar- nasso (an. 553) insegnò l'unica natura, sognata da Eutiche, essere stata in Gesù Cristo, sin dalla concezione, impassibile. Temisto, capo degli agnoiti, sostenne (an. 5GG) che a que- st'unica natura di Cristo molte cose furon dal Padre velate e nascoste. Gli armeni (an. 600) vi aggiunsero che la carne di Gesù Cristo era la carne della divinità, e che il corpo della divinità si consacra nella Eucaristia. In conseguenza ciò adorano la croce con un sol chiodo fisso nel mezzo per indicare che la sola divinità fu crocifissa. I monoteliti final- mente, sull'autorità di Ciro vescovo e di Sergio monaco, dall'errore di una sola natura in Gesù Cristo tirarono la con- seguenza che non vi era in lui che una sola volontà ed una sola operazione.

Agli attacchi però contro l' incarnazione vennero subito appresso nuovi attacchi contro la Trinità e Dio stesso; per- chè nella religione cristiana tutti i misteri sono insieme le- gati come i fondamenti di uno stesso edificio. Filippo (an. GOG), capo dei triteiti, insegnò che le tre divine persone sono tre dri. Anastasio imperatore alle tre persone ne aggiunse una quarta, dicendo non doversi ammettere trinità, ma quater- nità in Dio; e i venusiani, discepoli di Paterno, rinnovando le turpi assurdità di Dioscoro. insegnarono che Dio non ha ci-eato l'uomo che dalla testa sino airoml)elico, e che il resto dt'l corpo umano è opera del demonio; e che però basta con- servarsi puro dal capo sino allo stomaco, e che, pel rimanente del corpo, abbandonare ad ogni libidine l'opera del demo- nio non è alcun male; dottrina comoda alla voluttà e che,

LETTURA SESTA Ì8Ì

come era naturale a succedere, non tardò ad avere tra la sentina dei voluttuosi molti seguaci.

Queste orribili dottrine fog^giate dagli eretici intorno alla Trinità, a Gesù Cristo, alla pudicizia, divulgatesi per tutto l'Oriente, prepararono al maomettanismo la via, che, secondo l'osservazione giustissima di Leibnizìo, è nato dall'ariane- simo. Imperciocché dalla bestemmia di Ario, che Gesù Cri- sto non era Dio, avendo concluso Maometto (an. 626) che il figlio di Maria avea fallata la divina missione, si disse da Dio incaricato esso stesso per compierla, e si diede per un altro messia e pel maggiore dei profeti. Rimonta perciò ad Ario e suoi consorti nell'empietà il tristo vanto di avere nel maomettanismo, cui gittarono il seme, partorita la più sporca, la più stupida, la più assurda, la più crudele di tutte le eresie. Comprese Maometto che una dottrina che lusinga la carne non può mancare di essere accolta con favore dalle passioni, principalmenle se é sostenuta dalla spada. Perciò questo solenne impostore, colla spada in una mano e col co- dice della voluttà nell'altra, minacciando la morte e dando la impurità per morale in questa vita ed un luogo di pro- stituzione per paradiso nell' altra, si trasse dietro molti po- poli dell'Asia, che le dottrine profondamente lascive, de' ma- nichei aveano bene iniziati per una religione voluttuosa; e riuscì fLicilmente a stabilire e propagare una setta che é stata il flagello e l'obbrobrio dell'umanità.

Nemmeno gì' imperatori cristiani d'Oriente, andarono af- fatto immuni dal contagio maomettano, e senza dichiararsi apertamente per Maometto adottarono non poche delle sue funeste dottrine. In fatti Leone isaurico imperatore (an. 715) fece coi maomettani a gara per distruggere in tutto l'impero il culto de' santi, le immagini sacre e i cattolici che le ve- neravano; detto perciò icononiaco ed iconoclasta, ossia di- struUore delle sacre immacjiniy e riguardato come padre le- gittimo dell'eresia dello stesso nome, che modernamente i calvinisti hanno rinnovata.

Ma un secolo dopo (anno 821) Michele Balbo, imperatore esso pure d'Oriente, fece dimenticare gli scandali con cui Leone avea macchiato la santità dell'impero, dando degli

s

182 LETTURA SESTA

scandali ancora maggiori , insegnando , dall' alto del trono vana la dottrina delle pene eterne, fanatici i profeti, favolosi i demonj, Giuda il traditore essersi salvalo; e per farsi più facilmente perdonare dalle passioni tantd bestemmie, cam- minando sulle tracce di 3Iaometto, insegnò ancora la for- nicazione essere un atto indifferente.

Il secolo decimo fu un secolo d'ignoranza e di tenebre» Il sapere ristretto fra cherici e fra monaci, fra loro ancora contava pochi seguaci. Ma, come avverte il Bellarmino, la providenza divina dispose che non nascessero allora novelle eresie; e nella barbarie de' tempi il deposito della fede ri- mase puro ed intatto nel mondo cristiano. Gli scandali però di cui l'impero greco fu per più secoli il teatro aveano rallentato da un pezzo i legami della chiesa di oriente con quella d'occidente; e il clero greco, non meno che gl'im- peratori, smanioso di sottrarsi da ogni censura, da ogni freno del sommo pontefice, consumò nel secolo undecimo (an. 40^8) quello scisma sciagurato di cui Fozio avea get- tato le fondamenta nel nono, e che quattro secoli di tirannia musulmana, che dal i452 gravitano su questo popolo in- felice, par che non abbiano fatto espiare abbastanza.

3Ientre questi errori accadevano in Oriente, in Occi- dente erano, come si è già notato, scorsi quasi tre secoli senza novelle eresie, e fu riservato a Berengario (an. 1058) il turbare questa pace della Chiesa. Insegnò egli da prima che neir Eucaristia non vi è il vero corpo e sangue di Gesù Cristo, ciò che poi hanno insegnato i calvinisti più tardi; che nell'Eucaristia col corpo del Signore rimane la sostanza del pane, dottrina rinnovata quindi dai luterani; infine, che il Battesimo non si deve anmiinistrare che agli adulti, errore disotterrato quindi dagli anabattisti; e cosi quest' infelice eresiai'ca gittò le fondamenta del protestan- tismo moderno.

Ma altri duci ancora più funesti e più audaci fornirono armi al protestantismo, e ne apersero e ne facili taron la via. I principali furono i valdensi che, uniti agli albigesi, inse- gnarono: la sola Scrittura sacra avere autorità in materia di fede, e ((uello solo doversi ammettere delle dottrine dei Pa-

LETTURA SESTA i83

dri e delle decisioni dei ooncilj che è alla Scrittura conforme; come se la Chiesa cattolica abbia mai insegnato o preteso d'insegnare cosa contraria alla Scrittura! I sacramenti essere solamente due: il Battesimo e la Cena; l'Eucaristia doversi anche ai laici amministrare sotto ambe le specie, ed essi pure poterla consacrare. Le indulgenze essere inefficaci: i sacri- llcj, per le anime dei defunti, inutili; le dedicazioni delle chiese, le memorie dei santi, le feste,, i digiuni, le cerimo- nie sacre, ritrovati del diavolo: di più dissero lo stato reli- gioso un cadavere: i voti di castità un incentivo al vizio; ai preti doversi dar moglie; al sommo pontefice non doversi alcuna obbedienza, (juesti medesimi errori Giovanni M'i- cleffo li rinnovò in Inghilterra; Giovanni Uss e Girolamo di Praga in Boemia ed in gran parte della Germania; Ruisol in Olanda: aggiungendovi di più, l'anima morire col corpo, ed il cristianesimo intero essere una follia. Ma i Fraticelli in Italia e Riccardo in Francia li condirono colla solita salsa del libertinaggio, agli eretici gradita, usando delle donne in comune dopo la cena e V invocazione deli' almo spirito. Se non che Riccardo, aggiungendo alla bestemmia il delirio, si disse il Figlio di Dio per nome Adamo: d'onde gli Adamili, che, a somiglianza di Adamo innocente, anda- van nudi; e che, vantandosi figli di Dio, vivevan da bruti: salvo che, pria di servirsi di una donna, ne chiedevano ad Adamo licenza. Delirj, adunque, turpitudini, infamie, em- pietà di ogni genere: ecco le sole scoperte che in quindici secoli ha fatte, ecco le sole dottrine che ha insegnate 1' e- resia, ed ecco a che è stata buona la ragione umana quando si è separata dall' autorità della Chiesa e dall' in- segnamento della vera fede!

§ V. - Si dimostra la slessa verità colla storia delle ;/?o- derne eresie, ovvero del protestantismo die tutte le con- tiene. Lutero e i suoi errori. Le sue prime tre prosapie

dei SACRAMENTARJ, de(jH A>ABATTISTr e dei C0>FESSI0IMSTI,

e loro principali diramazioni , che producono V iindif- FKREiNTiSMO e la dìsperazione di conoscere alcuna verità.

Or, come era naturale ad accadere, queste dottrine te- merarie, sì licenziose, empie, corruppero i costumi prin-

18 '4 LETTURA. SESTA.

cipalmente dei grandi; alienarono i popoli dalle vie della dipendenza all' autorità ecclesiastica , rallentarono i legami dell'unità cattolica., e prepararono le mentì e i cuori al più grande,, al più scandaloso, al più funesto di tutti gli scismi; che si disse proteslanlisino o riforma, e che nel secolo decimosesto strappò tante nazioni dal seno della Chiesa cattolica per darle in preda a tutti gli errori e a tutti i vizj.

Il protagonista di questo dramma infernale fu 3Iartino Lutero, già religioso e sacerdote, e poi, perchè credutosi offeso ne' suoi ambiziosi disegni dal sommo pontefice, apo- stata infame della fede e della pudicizia, essendosi unito in incestuoso e sacrilego matrimonio con Anna Bore, moniale professa da lui sedotta. Quest' uomo, il più turbolento, il più audace, il più dissoluto che fosse mai, poiché non in- terrompeva le sue tresche lascive che per immergersi nella erapola e nella ubbriachezza, osò, come Riccardo, di attri- buirsi una ispirazione ed una missione soprannaturale, colla sola differenza che, più modesto di Riccardo che si era detto figlio di DiOj contentossi Lutero di passare per /a- migliare del diavolo, asserendo di averlo sempre avuto a sua guida ed a suo consigliero. Fu dunque sotto l' ispira- zione infernale che Lutero pose sossopra la Chiesa e gli stati, ingannò i principi, sedusse il clero, corruppe i popoli, calpestò le leggi umane e divine, e insultò il cielo e la terra, gli uomini e Dio: finché, non reggendo al rimorso destatogli dalla memoria di tante scelleratezze e di tanti scandali, con un capestro si strozzò da medesfmo, non potendo certo perire per più degne mani.

Questo discepolo del diavolo insegnò con Valentino e Ma- nete che il libero arbitrio si è dall'uomo perduto affatto per lo peccato; con Eunomio, che la fede sola giustifica, e le buone opere non servono a nulla; e con Berengario infine, che nella Eucaristia il corpo del Signore si trova colla so- stanza del pane. Negò di più coi valdesi l' infallibilità della Chiesa, l'autorità del sommo pontefice, le indulgenze e il purgatorio. Abolì coi novaziani la confessione, e cogli ussiti la messa e l'Estrema-Unzione. Tolse di mezzo le tradizioni

LETTURA SESTA -185

come uvea fatto Nestorio, Dioscoro , Eutiche. Disse, come già i donatisti, la Chiesa essere perita e risorta in lui e ne' suoi seguaci. Condannò la verginità e i voti religiosi, come Gioviniano. E colla massima che avea di continuo in bocca « Venga la serva se non é pronta la moglie, aclsit uncilliiy si nolil uxot'j » avendo, a somiglianza di Carpocrate e di Yalentino, permesso l'adulterio e il divorzio, fece del sacra- mento del matrimonio un contratto di affitto temporaneo a comodo e capriccio della voluttà.

In compagnia però di questi errori Lutero sparse il seme di moltissimi altri, che i suoi discepoli non mancarono di far germogliare : di modo che il proteslantisinOj preso nel complesso di tutte le sette che lo compongono, è stato la restaurazione di tutte le eresie che lo avevano preceduto ; e perciò rimonta a Lutero il delitto e 1' obbrobrio di es- sere stato nei tempi moderni ciò che Lucifero fu dal prin- cipio del mondo: l'omicida delle anime, il patriarca di tutti gli empj ed il dottore di ogni empietà.

ìNon sarà discaro però al lettore il vedere, qui, come in un quadro, le sette principali e i principali errori cui diede il natale questo turpe eresiarca; poiché io lo ripeto, nulla vi é di più istruttivo di questa vasta figliazione dell'errore, di queste divisioni degli eretici; per far conoscere di che è capace la ragione quando si sottrae dall' autorità della Chiesa, e per convincerci sempre di più che. in questa Chiesa, in cui abbiam la sorte di vivere, solo si trova col- r unità dell'insegnamento, la verità della fede.

Dai tre primogeniti figli o discepoli di Lutero nacquero da prima tre prosapie di eretici; i. quella dei sacnunen- iarjj che ebbe Carlos tadio; 2, quella degli anabullìsti, che ebbe Bernardo Rotmano; 3. quella dei confessionisti, che ebbe Filippo 3Ielantone per padre ; ed una quarta ancora ne venne alla luce dei sacramentarj , che ebbe Giovanni Calvino per fondatore. Poiché però la divisione è la legge inevitabile dell'errore, come l'unità é il carattere proprio della verità; nate appena queste quattro prosapie, si sud- divisero in cento altre: ed ecco qui le principali dirama- zioni di ognuna.

i86 LETTURA SESTA

PRIMA PROSAPI» Iti LlTf.RO

I SACRA1IE.\TA1IJ.

Carlostadio, il primo dei discepoli di Lutero che,, ad imita- zione del maestro, prendesse sfacciatamente moglie, essendo sacerdote, veduto che Lutero avea negata la messa, volle an- dare ancora più innanzi. Ed associandosi Zwinglio ed Eco- lampadio, rinnovò la prima eresia di Berengario, negando arditamente la reale presenza di Gesù Cristo nell' Euca- ristia, e fermò la prosapia dei sacramentarj. Di costui dice Erasmo che morì strozzato dal suo Dìo, cioè dal Demonio. I capi principali però della sua setta essendo, non meno di Carlostadio, smaniosi di divenire anch'essi fondatori e mae- stri di eresie, si divisero, e quindi ne vennero:

\. I c«'m7/mni, daZ^^inglio, uomo facinoroso e fanatico, che, come avea abbandonato Lutero di cui fu discepolo, si staccò ancora da Carlostadio con cui fu complice nell' im- pugnare i sacramenti. Formò perciò una nuova setta con dottrine sue proprie: che volendo propagar colle armi, ne fu vittima, giacché fu scannato in una mischia e buttato alle fiamme. I suoi seguaci furono detti significati ri da ciò che Zwinglio avea insegnato, che nell'Eucaristia non vi è altri- menti il colpo ma il sf^cjno dei corpo del Signore; e perciò coU'autorità che disse di avere ricevuto dallo Spirito Santo, avea anche cambiato le parole della consacrazione ordinando che nella cena sacramentaria, invece di a hoc est corpus ìiieum » si dicesse « lioc sigivificat corpus nteiiin. »

2. I 7ieuli:ali; che come era naturale ad aspettarsi, ri- dendosi di questo segno . sostennero non esser necessaria Vnna ì'alira spiccie, molto meno tutte e due: aggiun- gendo, il sacramento non servire a nulla; la grazia ottenersi solo colla fede in esso, non col suo uso, che perciò fu abo- lito in questa sezione de' sacramentarj.

3. Gli Hnp.rgiaci: che nell'Eucaristia ammisero la presenza non del corpo, ma MVeìtcrgiii o virtù di Gesù Cristo.

LETTURA SKSTA 187

k. Gli arrabouarj: che vi riconobbero solo il peijno e la promessa del soccorso e della «j^razia da ricevere.

5. Gli adesseìiarjj che al contrario vi confessarono la presenza reale del corpo, ma gli uni nel pane, gli altri intorno al pane, i terzi col pane, gli ultimi sotto il pane: che però si sminuzzarono in quattro altre sette diverse.

C. GVisca riotti; che negarono che Giuda nell'ultima cena abbia ricevuto il vero corpo di Gesù Cristo.

7. I metanwrfisti pei quali, come già per gli armeni, il corpo del Signore asceso al cielo si è metamorfosizzato in Dio; e perciò per costoro vi è nell' ostia un corpo divino ^ehe non ha nulla di carnale e di umano, cioè vi è un corpo <che non è corpo: errore manifestamente condannato dalle stesse parole di Gesù Cristo, che ha chiamata l' Eucaristia il suo corpo e la sua carne.

SF.r.ONDA FKO^APIA UI LI FERO

GLI AiNARATTISTI.

Rotmano, avendo letto in una lettera di Lutero non do- versi dare il Battesimo ai fanciulli, ma convenire aspettare perciò la maturità della ragione e della fede, incominciò ad insegnare doversi ribattezzare coloro che aveano ricevuto il Battesimo nell'infanzia; e fondò la setta degli anabattisti o dei ribattezzanti. Di questa setta furono Baldassare Paci- montano, Giorgio Davide, Tomaso 3lonetario, e Giovanni di Leida, uomini di un fanatismo e di una crudeltà al di di ogni idea: che non avendo potuto meglio accordarsi fra loro di quello che avevan fatto con Lutero, da cui eraii divenuti apostati, e di cui aveano sfigurate le dottrine, si suddivisero pure fra loro e crearono:

1. Gli adamiti; che, rinnovando le orgìe invereconde e dissolute di Riccardo, si unirono a vivere ignudi nelle selve, come Adamo ed Eva, vantando di avere acquistato V inte- grità e l'innocenza originale.

2. Gli stebleri; che condannarono assolatamente nei cri- stiani l'uso delle armi, anche del caso di una giusta difesa.

i88 LETTURi vSESTA

3. I sabbularjj che, imitando gli Ebrei, si diedero a san- tilicare il sabbaio, invece della domenica ; ed adorando solo il Dio creatore, proscrissero il culto e il nome di Gesù Cri- sto e dello Spirito Santo, cioè a dire abjiirarono il cristia- nesimo.

4. I clancuìarj ;, che sostennero la sola fede interna e nascosta bastare per l'acquisto dell'eterna salute, l'esterno culto nei tempii e l'esterna confessione della fede non ser- vire a nulla; e però richiesti se erano anaballìsiij poterlo impunemente negare.

5. I manifestar] ; che insegnavano tutto il contrario, e che dalla confessione di essere anaballìsìì facean dipendere la salute eterna.

6. I demoniaci; che, come gli antichi origenisti, credono la salvazione dei demonj.

7. I condonnienti j che, per soverchio amore del nuovo evangelio , dormivano alla rinfusa nomini e donne in una stessa sala : ed al segno dato dal capo, colle parole crescile el miiliipìicamini y rinnovavano la comunione mistica dei seguaci di Carpocrate.

8. I cotnnnisli; che fecero comuni non solo le donne e i figliuoli, ma ancora i beni, volendo realizzare la repub- blica di Platone. Questa setta è rinata ai nostri collo stesso nome. Fourier, che ne è stato il ristauratore, ha or- ganizzato in modo le simpatie dett' amore che, a capo di un dato tempo, ogni uomo si sarà trovato con tutte le donne; ed ogni donna con tutti gli uomini di questa sublime so- cietà; in cui perciò al matrimonio cristiano è sostituita la j)romiscuità dei bruti. Or queste belve a due piedi che hanno abjurata l'umanità osano dirsi uomini e cristiani!

9. I (jementi : che, simili agli antichi euchiti, dicevano la divozione e il culto più accetto a Dio essere il piangere e il gemere.

10. Gli sleinbakiani: da jMartino Steinbak. Costui disse di essere esso pure lo Spirito Santo, che si era alla sua volta incarnato, come erasi di già incarnato il Figliuolo. Questo matto bestemmiatore , che sembra impossibile come abbia polulo avere seguaci, corresse ancora il Pater noster, lo-

LETTURA SKSTA ^89

glientlone lo parole, qui es in ccpììs : poiché diceva Dio pa- dre non essere altrimenti in cielo, ma fuori del cielo , ed attendere l'incarnato Spirito Santo Martino venisse ad aprir- gli le porte. È però già un pezzo che non Martino a Dio, ma Dio a Martino ha aperte le porte.... ma dell'inferno!

11. I (jeoryianij che negarono la risurrezione della carne: detti davidici j perchè Giorgio lor capo si era chiamato il se- condo Davide^ come Lutero si era detto il terzo Elia, ed il secondo Enoch. Oh egregia copia di profeti.... del diavolo !

1:2. I poliijaniisti: che sostenevano esser lecito ad un uo- mo di potere , allo stesso tempo avere più mogli , a guisa dei Turchi; come ne diede l'esempio Giovanni di Leida, che si fece re di Munster. e poi Arrigo YIII in Inghilterra, am- bedue di crudele e impudica rimembranza.

TERZA PROSAPIA DI LUTERO

^o^FESSlOMST^.

Melantone, autore della celebre confessione di Augusta. avendo in essa parte accresciuti e parte modificati gli errori di Lutero suo padre e maestro, divenne patriarca di eretici esso stesso e il più fecondo di tutti i suoi fratelli. Giacché i confessionisti j che lo riconoscono per fondatore, formarono subito quattro altre distinte prosapie, che si ripartirono an- cora in moltissime altre sette. Le quattro prosapie subalterne furono quelle i. dei confessionisti rigidi; 2. dei confessioni- sti molli ; 3. dei confessionisti stravaganti : 4. dei confessio- nisti indifjerenti, delle quali eccole principali diramazioni:

1. Confessionisti rigidi, delti stoici.

Loro capo fu Mattia Illirico, autore principale dell'empia Storia Maddeburgense. e che, tra le altre pazzie, disse che il peccato originale è sostanza. I suoi discepoli furono de- signati col nome di rigidi^ perché pria di tutto accolsero, come un secondo evangelio, tutte e singole le stravaganze, le turpitudini e le empietà di Lutero, senza ometterne una

490 LETTURA SESTA

sola sillaba. Ma siccome sopraccaricarono quest'infernale evangelio con molti altri errori, così si divisero in

i. Antinom] o nemici della legge ^ che dicono l'osser- vanza della legge divina non essere necessaria utile ai seguaci del Vangelo.

2. Samosaleni (nuovi), che trassero origine da Francesco David e da altri ministri transilvani: essi niegano che la pa- rola VERBO nella Trinità significa figliuolo e persona: e perciò niegano l'augustissima Trinità e la divinità di Gesù Cristo.

3. T r ideili : che al contrario ammettono in Dio. come già i discepoli di Filopono, non solo tre persone, ma tre na- ture distinte ; e perciò ammettono tre dei.

4. Infernali; che niegano la discesa di Gesù Cristo al limbo; e, per far corto, niegano ogni inferno.

5. Infernali-eterogenei ; che, al contrario, non solo am- mettono che vi è l'inferno e che Gesù Cristo vi è disceso, ma ancora che ne ha subite tutte le pene.

6. Antidemoniaci : che niegano l'esistenza del demonio, dei mali spiriti e delle loro operazioni.

7. Àmbsderffiani ; che, andando più in degli antinomj, riguardano le opere buone come perniciose all'eterna sa- lute, e però le abborrono.

8. Antidiaforisti; che non riconoscono nella Chiesa al- cuna giurisdizione episcopale, alcuna antica cerimonia o rito.

9. Antiosiandrini ; che atiermano la giustificazione del- l'uomo, per mezzo della grazia, essere sol di parole, e non vera o reale.

40. Anticalviniani ; che ammettono bensì la presenza reale di Gesù Cristo nell'Eucaristia, ma colla sostanza del pane e transitoria, cioè durante solo il tempo della cena: e perciò niegano l'adorazione del Santissimo Sacramento.

il. Impositori delle inani; che riguardano come sagra- mento l'imposizione delle mani, anche dei laici.

i2. Bisacrameìilarj; che ammettono solo due sacramenti; il Battesimo e la Cena.

43. Sacerdotali; che rigettano T'ordine. affermando tutti i cristiani, uomini e donne, essere egualmente sacerdoti per poter predicare, amministrare la cena ed assolvere.

LETTURA SESTA 491

14. Invisibili j che, per liberarsi dall'impaccio di decidere qua! sia la vera Chiesa tra la confessione di tante sette fra loro contrarie, anziché riconoscere la Chiesa vera nella cat- lolica comunione, amarono di dire che la vera Chiesa é in- risibile, e che non si può affatto riconoscere.

i5. Ubiquisti; da Giovanni Benzio, che, volendo ritenere da una parte la presenza reale coi melantonj, ed evitare la fransuslanzazione in j?razia dei calvinisti, sognarono l'in- sulso errore dell' i//;?fy?/f/(/^ o della presenza reale del corpo del Signore in tutti i luoghi ed in tutte le creature.

2. Confessionisti molli.

I^rmarono questa prosapia tutti i seguaci di ÌMelantone (he procurarono d'interpretare la confessioue d'Auguslit e la dottrina di I.utero in un senso più prossimo a quello della Chiesa cattolica; ma che, non essendo d'accordo fra loro in queste benigne interpretazioni, si diviseiY) in

1. Biblisti, che sostennero dal cristiailo non doversi leg- gere altro libro fuorché la Bibbia senza interpretazioni o co- menti, giacché lo Spirito Santo ne a tutti l'intelligenza. In- terdissero perciò ogni altro studio: ed in Vittemberga fecero chiudere tutte le scuole, bruciare tutti i libri: affermando do\ere tutti i figli di Adamo, secondo la primitiva condan- na, vivere del lavoro delle loro mani. Carlostadio e Melan- tone diedero da prima di ciò l' esempio, prendendo quegli a lavorare la terra, questi a molire il grano. Ma ben presto persuadendosi che, a conto fatto, il mestiere di dottore è più comodo di quello di molinaro è di bifolco, posero essi medesimi fine a queste stolide stravaganze per ispacciarne delle altre senza tanto loro disagio.

2. Adiaforisti o indifferenti ; che affermarono non peccare chi viola, non meritare chi osserva le decisioni e le leggi della Chiesa, essendo queste cose affatto indifferenti.

3. Trisacramentiirjj che ritennero tre soli sacramenti, il Battesimo, la Cena e l'Assoluzione. Melantone non seppe mai perdonare a Lutero l'avere abolita la confessione.

i92 LETTURA SESTA

4. Quadnsacramentarj j che ai tre indicati sacramenti aggiunsero per quarto il Sacerdozio.

5. Lutero-calvinisti : che pretesero conciliare la dottrina di Lutero con quella di Zwinglio intorno ai sacramenti^ af- fermando la differenza fra questi due luminari della riforma essere solo di parole. E dicean vero; giacché in fondo ciò che afferma Lutero colle parole, lo niega col fatto; ed in fondo è d' accordo con Zwinglio per distruggere ogni sacra- mento.

6. Semiosianclrini ; che, volendo conciliare Osiandrio, che sosteneva la giustificazione reale, e gli anliosiandrini , che l'ammettevano solo di parole, dissero la giustificazione del- l'uomo per mezzo della grazia esser solo di parole in que- sta vita, e reale nell'altra.

7. Magcjioristij da Giorgio Maggiore, che insegnarono l'uomo esser giustificato solo dalle proprie sue opere pre- cedenti, perciò il Battesimo non giiistificai'e i fanciulh'.

8. Penitenziari ; che all'errore di 3Ielantone, che soste- neva la jfenitenza consistere nel rimordo del peccato e nella fede del perdono, ne aggiunsero altri sette ancora e più grossolani.

9. Sincretizzantij che persuadono a tutte le sette di simu- lare una finta pace fra loro, non potendo averne una vera affine di riunire di sforzi comuni contro la cattolica Chiesa.

O"

3. Confessionisti stravaganti.

La confessione di Augusta, come di poi avvenne dei tren- tanove articoli del protestantismo inglese, non tardò a di- venire, in molte parti della Germania, legge di stato, che i governi imposero alle coscienze colla forza, non potendo per- suaderla colla ragione. Per quieto vivere adunque coi prin- cipi, moltissimi discepoli di ^lelantone si adattarono a rice- vere esteriormente questa confessione per regola di fede, mentre che neW interno del loro cuore la detestavano e fa- cevano sforzi comuni per distruggerla. Costoro furono di tutti i confessionisti quei che andarono più lungi dalle dot- trine di Lutero: e costituirono perciò la prosapia dei ro/j-

urnunA .sjìsta 103

fcssiuìiish slravaijdìili. Ma siccome al solito, all' uscire dalla comunione confessionista ^ presero diverse vie, così forma- rono diverse sette, sotto il nome di

i. Sc/iitccnltfeldiaìiij da Gaspare Schuvenkfeldio , che, avendo per domma comune che l'umanità di Gesù Cristo era stata generata dallo Spirito Santo, e che il Battesimo (la pena rifugge di scrivere questa bestemmia) è un bagno porcino (balneum suilluìu), si suddivisero in quattro altre sette.

2. Osiandrianij che opinarono che Gesù Cristo solamente colla sua divinità, escluso ogni soccorso della sua umanità ha compiuta la giustificazione del genere umano.

3. Stancarianij che sostenevano tutto il contrario: la giu- stilìcazione del genere umano essere stata opera della sola umanità di Gesù Cristo, e che la divinità sua non vi Ini avuta alcuna parte.

'4. Antìstancariani; che, opponendosi a tutte e due le sette precedenti, rinnovarono l'orribile bestemmia degli ar- lìieni j dicendo la giustificazione degli uomini essere stata si fattamente l'opera delle due nature insieme che anche la divinità fu morta in Gesù Cristo in croce.

5. Nuoci pelagianij che dissero il peccato originale es- sere una malattia, non una colpa; e perciò posero in pa- radiso IVuma Pompilio, Catone, Scipione e tutti i gentili che hanno lasciato un nome nella storia; riprovati perciò da Lutero e da ZNvinglio.

6. Nuovi manichei j, che insegnarono tutti i mali accadere per una assoluta necessità e che Dio é l'autor del peccato, concorrendovi non solo (ìcrmissicdmetilc ma cfjlnivinnefilc ancora. Sicché nessun furto, omicidio, adulterio si commette dall'uomo contro il volere di Dio; ma tutti i peccati si com- mettono da Dio nell'uomo, e. più che l'uomo il vero pec- catore é Dio. E perciò il peccato di Davide e il tradimento di Giuda essere stala opera di Dio tanto quanto la conver- sione di S. Paolo. Altri di loro poi portarono si lungi la be- stemmia che dissero che Dio ispira a bella posta pensieri rei all' uomo. Poiché però i semi di queste empie dottrine si trovano sparsi nelle opere di liUtero e di Calvino, non si può senza ingiustizia disputarne loro il primo magi:itero.

194 LETTURA SKSTA

4. / Confessionisti indifferenti.

Onesta orribile confusione d'idee, di giudizj, di credenze contradittorie, nate dalla stessa confessione cV Auijnsla , non erano certo una buona raccomandazione per farla credere il vero simbolo cristiano , la forraola vera e sicura di ciò che bisogna credere e fare per piacere a Dio e salvarsi : ma tutto al contrario, era un argomento infallibile, un motivo possente per disperare di trovar nulla di certo e di vero nella luterana riforma , o in alcuna^delle sette infinite in cui si era trasformata. Or la conseguenza che si avrebbe dovuto tirare da questo gran fatto pubblico e solenne del- l' impossibilità di trovare una forma certa e vera di reli- gione fuori della cattolica Chiesa era questa: Dunque biso- (jna ritornar nella Chiesa che abbiamo abbandonala , ed in cui solo si trova una dottrina uniforme ^ stabile e cO' stante e perciò vera e sicura. Ma questo ritorno sarebbe costato molto all'orgoglio ed alle passioni, che nell' apostasia della Chiesa aveano trovato tutto il loro conto. Perciò l'argo- mento che era stato buono a discuoprire la grande decezio- ne, l'orribile scherno, il nulla della riforma j non fu più buono per conchiuderne la necessità del ritorno alla vera Chiesa.

La logica dell'errore, forte contro l'errore, disanimata si arr-esta in faccia ai sacrilìcj che imporrebbe la verità; e perciò procura non vederla, di non accorgersene , per non es- sere obbligata a seguirla, come appunto un debitore fugge l'incontro di un creditore severo; e se lo vede da lungi, torce altrove il volto e cambia cammino. Perciò moltissimi confessionisti, che, da ciò che vedevano accadere, non po- tevano credere che nella confessione d'Juyustaj seminario di tanti errori , di tanti scismi, di tanta rivalità, vi fosse il vero cristianesimo; anziché ridursi a cercarlo, a riconoscerlo nella Chiesa cattolica, in cui era visibile e facile a ritro- varlo, amaron meglio dire che il vero cristianesimo non si trova in nessun luogo; e quindi i confessionisti scettici e indi/ferentij che, mentre erano ancor calde le ceneri di Lu- tero, si formarono in diverse sette, onde ebbero origine:

LETTURA SESTA 105

1. Gli anfidossi; che, per un avanzo di pudore, volendo conservare un'ombra di cristianesimo, dissero che tutte le religioni sono buone per salvarsi, purché si creda che Gesù Cristo é morto per tutti.

2. I teodossi : che , più empj , ma almeno più franchi e più consentanei ai principj della riforma, rigettando senza tanti complimenti ogni verità cristiana , ritennero che per salvarsi bastava credere in un solo Dio creatore del cielo e della terra ; e perciò, che il maomettanismo, il giudaismo e il cristianesimo sono religioni ugualmente buone per an- dar salvo.

3. Gli eterodossi; che, avendo rinunziato ad ogni comu- nione cristiana e rigettando con eguale indifTerenza il ma- gistero di Lutero e di Melantone, di Z>ùnglio e di Calvi- no, di tutte le dottrine di bravi maestri ritennero quello solamente che ad ognuno parve bene di ritenere; e rima- nendovi pertinacemente attaccati, con ciò solo credevano di potere salvarsi.

4. Gli autodossi; che facendo un passo di più di lutti i settarj precedenti, professarono che non era affatto neces- sario l'ammettere e ritenere alcuna dottrina di alcuna co- munione cristiana ', ma che vera e bastante per conseguir la salute era quella religione che ognuno si formerebbe col suo giudizio, esservi alcun obbligo di restare immobile in questa religione, ma potersi variare secondo il proprio capriccio ; in una parola, che bisogna render culto a Iddio come e quando ognuno l' intende.

5. Gli epicurei novelli; che. ancora più espliciti, dissero che non vi è alcun bisogno di render culto a Dio; giacché l'anima muore col corpo, come quella dei bruti, di cui però imitavan la vita.

6. I fratelli di Rosa Croce; nati da ciò che la setta de- gli anabattisti avea prodotto più empio e più impu- ro: che. fingendosi confessionisti in apparenza, furono atei in sostanza : e promettendo d'insegnare ralchimia o l'ari»* di convertire in oro i metalli , attiravano alla loro sofia gl'incauti; e fermatìvili per mezzo di orribili giuramenti, iniziavano a lutti i misteri d' empietà.

106 LlVtTDWk SESTA

7. I libtrlinij che ammisero che non vi é altro che un solo spirito immortale, e non solamente le anime umane, ma ancora gli angioli essere soggetti alla morte; che la morte di Gesù Cristo sulla croce fu solo apparente; che é lecito di dissimulare la propria religione e prendere alla circo- stanza quella delle persone con cui si tratta, per avere pace con tutti. Di questa setta parlando lo stesso Calvino, dice che era numerosa di molte migliaja fino mentr' esso vivea.

8. Gli atei j che, più empj , ma più progressisti e più conseguenti di tutti, insegnarono che non vi è alcun Dio, e che la religione è invenzione degli uomini.

9. I machiavellisti; che, convenendo intieramente cogli atei nel negare ogni verità ed ogni religione, dissero però che una qualche religione bisogna ritenerla , come mezzo di politica, per contenere in dovere il popolo.

Sicché Vateismo puro è stata l'ultima conseguenza e l'ul- tima orribil parola del protestantismo. Così quando si ab- bandona la fede e l'autorità della Chiesa , sola depositaria sicura del vero, l'uomo che ragiona, di conseguenza in con- seguenza, di errore in errore, è strascinato a non creder più nulla a negar tutto fino Dio stesso; ciò che fece dire a Fénélon che « tra la religione cattolica e l'ateismo non vi è alcun mezzo ragionevole, e la storia di tutte le eresie é una prova costante di questa verità. »

Beerlinkio, dopo aver tessuto il catalogo di queste sette di indifferenti o di atei (questi due vocaboli sono sinonimi) assicura che essi nel secolo XYIl. in cui egli scriveva, erano sparse negli angoli più rimoti d* Un Germania, sebbene non cosi pubbliche che si potessero da tutti riconoscere: Ini'e- nianliir hne omnes et sin(jul:e seclcB in omnibus Geriua- ìiice anfjnlisy licct non usque ndeo apcrtce ut ab omnibus (licjnosci queant. Aggiunge però che esse aspettavano l'oc- casione opportuna per prodursi alla luce dt'l giorno e, come un fiume accresciuto dalle piene di torrenti devasta- tori, rompere in ogni luogo; Sed parum abest (juin^ ut in- gens Jlumen torrentibus auctum, hae sectWj data occasione in lucem aperlissimam prorumpant (Theatr. vit. hum., art. ILerepicus). e di fatti questa profezia ebbe nel secolo de- cimottavo tutto il suo compimento.

LKTTir.A .SESTA 107

§ VI. - Siayue la .sloria dtUejttodcrnc eresie. Quarta pro- sapia di Lutero. Calvino, suoi errori e sua indole. Selle principali nate dal calcitiismo. Il prolealantismo inglese e suoi effetti. Scuola anticristiana del secolo decimottavo, e panteistica del nostro. La ragione lunanOj negando la vera fede, finisce col negare se stessa.

or'.RTA PROSAVIA DI LTTHEO I CALViMSTI.

M(\ la più maligna e la più infamemente feconda e feroce delle prosapie di Lutero, fu quella che questo eresiarca ot- tenne per mezzo di Calvino. Costui figlio negli errori e di- scepolo di Z>YÌnglio, e nipote perciò di Lutero, superò co- tanto il padre e l'avolo nell'abominazione dei costumi e nella intrepidezza della bestemmia che il suo nome ebbe il tristo vanto di essere associato a quello di Lutero nel patriarcato infernale delle moderne eresie. Imperciocché, cacciato dalla Francia per le sue scelleratezze, e nella Svizzera battuto con verghe e bollato alle spalle con ferro rovente per delitto pro- vato di sodomia, abbracciò da prima l'eresia per prender moglie, ecclesiastico che esso era: e poi. erettosi in capo- scuola egli pure, oltre di aver con Z\>ingiio negati i sacra- menti, 0 ridottili a pura cerimonia, e con Lutero negato il libero arbitrio e la necessità delle buone opere, disse che i figli dei battezzati rtascono santi: che la grazia divina, una volta ricevuta, non si ])uò più perdeie: che Gesù Cristo mori disperato sulla croce: che il papa i vescovi i sa- cerdoti hanno alcun carattere sacro; che l'unica regola di fede pel cristiano é la Scrittura sacra, del cui senso ognuno é le- gittimo interprete. Quello però che non é stato notato ab- bastanza si é l'odio profondo onde quest'uomo indiavolato era animato contro la persona adorabile di Gesù Cristo, e che, non ostante la sua ipocrisia, traspira da tutti i suoi scritti. Dimodoché, se fosse vera la trasmigrazione dello anime, bisognerebbe dire che l'anima di Caino, dopo essere passata in Giuda, sia rinata in Calvino: e che più tardi la- nciata nel sepolcro la maschera, >ia ricomparsa in Voltaire

Bellezze della fede. II. 9

198 LETTURA SESTA

più invereconda e più empia. Finalmente Calvino strazialo per quattro continui anni^ come già Erode e iNestorio, da malattia pediculare e da vermini, che gli divorarono, vi- vente ancora, tutte le carni, spirò, come era vissuto, be- stemmiando Iddio ed invocando il diavolo. Tale fu il fon- datore e padre della setta dei calvinisti, la più assurda, la più audace, la più spietata, la più dissoluta di tutte le sette moderne; che col favore di tutte le passioni, cui accordò la più grande licenza e la più grande impunità, si estese non solo in molti paesi della Germania, ma ancor nella Svizzera, nell'Olanda e più tardi in Inghilterra.

Essa pure, come le precedenti, si suddivise e formò due ampie prosapie: una sul continante^ l'altra nelle isole bri- tanniche; che, prive di un capo comune, la cui autorità fosse da tutti riconosciuta, si sminuzzarono esse ancora in sette infinite. Le principali furono:

(Calvinisti d£l continente.

I. I nuovi iconoclasti. Il vero spirito del calvinismo es- sendo quello dell'odio contro Gesù Cristo, la santissima Ver- gine e i santi, dovea farne necessariamente detestare le im- magini. Tutti i calvinisti perciò sono iconoclaali o distrut- tori delle sacre iìnagini. Ciò non ostante però questo nome rimase a' più fanatici fra loro, che formarono una setta par- ticolare, il cui scopo fu di abbattere col ferro e col fuoco i sacri templi, le croci, le statue, le pitture sacre ed ogni sensibile emblema del cristianesimo. Nulla dìfatti eguagliò il furore di questa setta infernale in questa guerra sacrilega a tutto ciò che è oggetto di venerazione, e risveglia le più care memorie al cristiano. Ma ciò che distinse ancora di più questa dalle altre sette calviniste si fu che i nuovi icono- clasti non isbandirono dai sacri templi le imagini sacre che per sostituirvi le profane: poiché nel luogo delle ima- gini di Gesù Cristo e dei santi vi posero le loro e quelle delle loro donne e dei loro figliuoli negli atteggiamenti i più lascivi. Così già Simon mago, patriarca di tutti gli ere- tici, fece porre in chiesa il suo ritratto e quello della sua

LETTUKA 8KSTA 10:)

amica 8ilene; e così pure, nel tempo della rivoluzione francese del 1793, furono i calvinisti puri quelli che po- sero sul tabernacolo della cattedrale di Parigi viva una prostituta ignuda. Questi orrori in diversi tempi furono dettati dallo stesso spirito.

2. Gli ugonotti y che a tutto il furore degli iconoclasti contro le sacre imagini aggiunsero l'odio contro ogni po- testà anche civile. Perciò in Francia, ove particolarmente si stabilirono, eccitarono non solo scismi religiosi ma ancora rivoluzioni politiche, onde quel bel paese fu per più di cento anni straziato e ricoperto di stragi e di sangue.

3. I nuovi ariani. Tutti i libri di Calvino contengono i germi dell'arianesimo e sono una orribile congiura contro la divinità di Gesù Cristo, ma occulta e nascosta. Ora quello che Calvino avea solo secretamente insinuato, 31i- chele Serveto e Valentino Gentile lo insegnarono pubblica- mente, e formarono in Isvizzera la setta de' nuoci ariani. Ma siccome non era giunto peranco il tempo in cui si potesse proclamare quest'orribile conseguenza della dottrina di Calvino, così Serveto fu fatto bruciar vivo da Calvino medesimo in Ginevra, e a Gentile fu mozzato il capo dagli stessi eretici in Berna.

4. I sociniani y da Lelio Socino senese, che passato in Isvizzera, vi si dichiarò ariano. Ma consigliato da Calvino e molto più istruito dal supplicio di Serveto, usò prudenza finché non fu libero di in Polonia; dove i grandi signori accoglievano tutti gli eretici che vi accorrevano da tutte le parti, ed assicuravano loro la più grande impunità. Il suo nipote però Fausto Socino recatosi in Zurigo per prendere l'eredità dello zio, coi beni e gli scritti di lui adottò anche gli errori, anzi li portò ancora più innanzi, dicendo che gli ariani erano stati molto discreti, (jiacchè accano mollo ac- cordato a Gesù Cristo. Perciò fondò una nuova setta, che propagò nella Svizzera, in Polonia ed in Olanda; e fu impudente nel negare tutto ciò che prima di lui si era cre- duto dai cristiani che ebbe il tristo vanto che il suo nome sia stato associato a quello di Lutero e di Calvino nella gloria infernale di a>er voluto distruggere il cristianesimo, come

200 LKiTUUA St:STA

appare da quest'empia iscrizione posta sul suo sepolcro: « j.utcro ha levato il tetto di Babilonia, Calvino ne ha at- terrate le pareti; ma Socino ne ha distrutte le fondamenta. »

5. I ìueìinonìstij sul principio non furono essi che avanzi della sentina degli anabattisti, che, fuggendo da Munster dopo la caduta del preteso regno di Giovanni Leida, furono da Mennone raccolti nella Frisia. Conservarono essi alcun tempo le dottrine di Rotmano, ma poi avendo adottate anche quelle di Calvino, e non essendo al solito più fra loro d'ac- cordo, si divisero in trenta novelle sette.

6. r (joniniaranij dall'olandese Gommaro, che avendo estratto da Calvino i dommi più spietati e più disperati in- torno alla predestinazione, alla grazia, al peccato originale, li insegnò pubblicamente e si fece molti seguaci. Dai gom- marani nacquero più tardi in Olanda pure

7. I (jiannenisli; che ritenendo le stesse dottrine, vi ag- giunsero la maschera dell'ipocrisia, pretendendo di passare per buoni cattolici e membri della Chiesa, mentre abbattono le fondamenta del cattolicismo e negano l' autorità della Chiesa. Coll'ajuto però della simulazione e della perfidia si sono insinuati in tutte le contrade cattoliche e vi hanno ca- gionato un immenso danno non solo alla religione ma an- cora alla politica. A sentire questi impostori, non vogliono essi che la dollrina sana e la moraìt pura. In fatti però colle loro atroci dottrine ispirando un secreto odio di Dio e la disperazione salvarsi, per una via contraria a quella che tengono gli atei manifesti, conducono l'uomo al mede- simo termine, ad abbandonarsi, cioè, a tutti i vizj e non credere alcuna >erità.

8. Gli arminiani; da Giacomo Arminio, acerrimo avversario di Gommaro e dei suoi dommi ingiuriosi alla bontà di Dio e distruttori di ogni sentimento di fiducia e di cristiana ca- rità nell'uomo. Fermissimo egli però nell'errore calviniano, chu ad uijnuiio è lecito d'inlerprelare a suo modo la Scrii- In ra^ ed obbligato a soffrire le interpretazioni delle altre sette per avere perdonate le proprie, proclamò in Olanda la dottrina della tolleranza universale di tutte le sette e /tutti gli errori, cioè l'inditferenza e lo scetticismo assoluto

Lr.TTIT.A SESTA 201

in materia di religione; che formò poi tutta la filosofia e la religione che Bayle ha professata nel suo Diziotiario. Perciò gli arminiani. detti ancora rimostranti piT una rimostranza da essi fatta agli stati generali, furono ragionevolmente so- spetti di socinianìsmo.

9. I worstiani, da M'orstio professore di Leida, uno dei più arditi ])estemmiatori di Dio, cui negò la trinità, l'immu- tabilità, riiinuensità, e fece ad accidenti materiali soggetto. Oneste bestemmie prepararono la via a Benedetto Spinoza per fabbricarvi il suo orribile sistema del panteismo; onde, a forza di sostenere che tutto è Dio. si viene a distruggere ogni idea della divinità.

40. I cantra-rimostranti o riyidi calvinisti; che, per op- porsi agli arminiani^ si posero a difendere fino alle sillabe la dottrina di Calvino: ma non essendo d'accordo nell'in- tenderla, si di>isero subito in tre sette diverse.

41. I pi'scatoriani, da Gio\anni Pescatore, che con una rara modestia disse che Dio avea a lui conceduto il suo spì- rito in maggiore abbondanza che a qualunque altro uomo per intendere bene la Scrittura. Quest'uomo, })ieno dello spirito di Dio, però bestemmiò come un demonio; asserendo che Gesù non meritò nulla colla sua vita, ma solo colla sua morte e pei soli eletti; che la dannazione, o la salvazione è l'effetto della necessità. Ma siccome pose per cerimonia essenziale la frazione del pane nella cena, ed alterò in altri punti la purezza della dottrina di Calvino, dai calvinisti di Francia e di Germania fu colla sua setta scomunicato come eretico.

Ca Iri II i s t i 'In ghil terra.

Arrigo Vili, di cui è stato detto che non risparmiò mai l'onore di alcuna donna alla sua lascivia, ne la vita di al- cun uomo al suo orgoglio, marito inverecondo e crudele di diciannove mogli, che fece quasi tutte decapitare pel delitto di avere amato in lui un mostro a ' forme umane; volendo ripudiare la sua prima legittima moglie per isposare una prostituta, ed opponendovisi, come era di ragione, il sommo

202 LETTURA SESTA

pontefice^ fece scisma dalla Chiesa ed abbracciò la riforma luterana^ la quale, per raccomandarsi al favore e alle pas- sioni dei grandij avea per primo articolo conceduto il di- vorzio, 0 l'adulterio legale. Chiamò Arrigo varj eresiarchi dalla Germania e dall' Olanda , e col loro ajuto formò la nuova religione anglicana, di cui egli si costituì capo e pon- tefice. 3Ja una religione non si forma così facilmente dal- l'uomo come un impero. Gli eresiarchi di tutte le comunioni e di tutte le sette, principalmente calviniste, venuti in In- ghilterra dal continente, e tutti d'accordo in ripudiar^' la Chiesa cattolica, non convennero però nel riconoscere la religione d'Arrigo e dei suoi degni successori: e però si scissero da prima in due grandi divisioni , quella dei cal^ vinisti protesi (in li e quella dei puritani.

1. I calvinisti-protestanti professarono una dottrina mista di luteranismo e di calvinistiio. Questa setta formossi d'in- dividui di tutte le opinioni delle innumerabili sette lute- rane e calviniste del continente. Ad essa unìronsi

2. Gli angìo-papistij ossia l'ammasso di ecclesiastici apo- stati e di nobili dilapidatori e loro degni aderenti, che, per godersi gl'immensi beni tolti al clero cattolico, conservarono una specie di gerarchia ecclesiastica, e molte cerimonie della Chiesa cattolica affine d'ingannare più facilmente il popolo. Queste due sette , per partecipare alla protezione ed alle largizioni ecclesiastiche, di cui si fece arbitro assoluto e di- spensatore il monarca , si rassegnarono a riconoscerlo per pontefice e capo legittimo della religione . protestando con giuramento di credere « che al principe secolare si deve ubbidienza cieca in materia di fede. » Una certa restri- zione a questo giuramento degradante ed assurdo, partico- larmente per uomini che avevano rigettata l'autorità del pontefice della Chiesa universale, ve l'apposero

3. I formalisti , che sostennero che formalmente la po- destà ecclesiastica risiede nel ministero della parola, e solo protestantivamente ed in quanto all' esteriore esercizio si deve riconoscere nel principe. Ma siccome essi ancora pre- stavano in pubblico il giuramento di supremazia religiosa al potere civile, salvo il diritto di ridersene in privato, così

LETTURA SESTA 203

tutte e tre queste grandi sette, con tutte quelle in cui si suddivisero all'infinito, esteriormente non ne formarono che una sola. Lo stesso avvenne dei

4. Purikuiij essi in principio non furono che calvinisti puri, che con una cieca ostinazione sostennero tutti e sin- goli i dommi di Calvino, e particolarmente quello di un'as- soluta libertà di coscienza e di non riconoscere alcuna au- torità in materia di fede. Più tardi vi si unirono

5. I preshilcriani , che sostengono che ogni cristiano è presbitero. Ouindi ancora vi aggiunsero

6. Gli arniinianij 7. i pescatoriani, 8. i worsliani, 9. i •iociniani inglesi e scozzesi, e tutte quante le sette dette dei dissidenti perché non riconoscevano ne in privato ne in pubblico la religione legale del parlamento e la supremaziif spirituale del re. Tutti costoro , facendo causa comune coi puritani, formarono come una setta comune.

Questa orribile riunione di tutte le sette le più fanatiche e le più turbolenti sosteneva essere dalla natura del pro^ testantisniOj come la stessa parola abbastanza lo indica, il protestare contro ogni autorità in materia di religione per attenersi alla pura parola delle Scritture . interpretate se- condo il privato senso di ognuno , come i patriarchi della riforma lo avevano insegnato ; perciò i protestanti-ancjìi- cani essere contradittorj a medesimi nel pretendere che si riconoscesse da tutti per vera la chiesa anglicana, dopo che essi pure aveano rigettata la Chiesa cattolica, e che si accettasse per capo della religione il re da uomini che ri- cusavano di riconoscerne il papa.

?»ulla eravi di più ragionevole di questo discorso. Ma il re-pontefice rispondendo col cannone e colle forche ai razio- cini ^^* teologi,, si venne alle armi^ e le due grandi divisioni d^i protestanti-anglicani e dei puritani si fecero una guerra ostinata e crudele. ^lentre adunque i veri cattolici,, perse- guitati e cerchi a morte come bestie feroci, rinnovarono, colla loro costanza nella vera fede, gli esempi di eroismo dei primi martiri, in faccia ad Arrigo, ad Elisabetta, a Giacomo,, a Oomwel, che rinnovai'ono gli orrori degli antichi tiranni: ì dissidenti ricoprirono il paese di stragi e di sangue; fin-

■lO'l LETTURA SESTA

che, dopo più di cento anni di scismi, di ribellioni, di guerre in cui il sangue dei re bagnò i patiboli, dopo tante l'i forme di una religione non mai formala , la rei iy ione anglicana j ridotta ai famosi trentanove articoli e sostenuta dalla forza delle baionette, del potere e dell'oro, trionfò della forza dei raziocinj, la sola che ert\ rimasta ai dissi- (lenii; e sopra fondamenta di fango insanguinato sorse ad insultare il pubblico buon senso e la verità quell'impasto mostruoso clie si disse chie&a-ancjlicana-slabilila, opera di tante usurpazioni, di tante rapine, di tante apostasie, di tanti sacrilegi e di tanto sangue.

j\Ia la forza, che mantenne una forma esteriore di religio- ne, non potè produrre il convincimento interiore . la con- cordia e la fede. Le dissidenze adunque si manifestarono nella stessa comunione anglicana e presero a lacerarne il seno, come le vipere si rivolgono a mordere la loro madre, hi tutte le quattro funeste prosapie di Lutero con tutte le loro molliplici discendenze vi ebber seguaci^ che crearono mille altre sette più libere, più stravaganti e più bizzarre, come in particolare quelle dei quaccheri e dei metodisti. (juelle però che vi si moltiplicaron di più furono le diverse sezioni dei confessionisti indifi'erenti, di cui si é parlato. Una gran parte di coloro che, per potere essere ammessi alla rappresentanza nazionale o ai pubblici impieghi, prestavan giuramento di supremazia al re e di fedeltà ai trentanove articoli erano allo stesso tempo notoriamente anti-trinilar], sociniani, inateriaìisli o atei. Il giuramento divenne un af- fare di pura cerimonia, che non impose alla coscienza alcun dovere; e col favore della libertà della stampa si venne a tal licenza di opinare e di credere che fra gli stessi angli- cani, nella stessa famiglia, fu diiTicile trovare due individui che avessero le stesse credenze in materia di religione.

La chiesa anglicana perciò, restata come slabilimento politico y fu a poco a poco demolita dai suoi stessi figli come dottrina teologica e come comunione religiosa; e sulle sue rovine sorse la scuola o setta anti-cristiana dei liber- tini, che numerò tra i suoi padri i Collins, i Bolinbroke, gli Ifume, i Gibbon, i quali negarono ed attaccarono tutto il cristianesimo.

LETTURA SESTA 205

Tali furono e sono tuttavia i discendenti di Lutero ;, di un padre malvagio figli peggiori, che con nomi comuni si chiamano protcstanli perché protestano contro la vera fede ddla Chiesa: evaiKjoìici perché dicono di professare il puro Vangelo, essi che T un dopo l'altro hanno distrutto tutti i dommi e tutti i precetti del Vangelo: e finalmente ri- formati perché spacciano di avere riformata la Chiesa, essi che per dottrine o per costumi nioUiformi , difformi ^ in- formi e deformi Tavrebbero dalle fondamenta distrutta, se le porte deir inferno avessero potuto prevalere contro di essa, e non fosse essa l'opera che Dio sostiene, come Dio è che l'ha stabilita.

Infatti la scuola di empietà di cui si é detto, ultimo parto ed espressione ultima del protestantismo inglese, tra- piantala in Francia da Voltaire, il Lutero della filosofia, par- torì un Rousseau, che ne fu come il Calvino, e quindi i D'Alembert, i Diderot, i D'Argens, i La-Metrie, i D'Holbach, ali Elvezi. Costoro discordanti di opinioni fra loro, e solo uniti da un odio comune contro la religione cristiana, anzi contro ogni sorta di religione, associandosi a tutti quelli che avean di già abbracciate le empietà dei confessionisti indif- ferenti, degli illuminali di Germania e dei libertini della Svizzera, formarono la setta filosofica del secolo decimottavo, di sempre turpe ed esecranda memoria: che, non contenta di avere negata la Trinità, Gesù Cristo, il cristianesimo, rin- novò con una intrepidezza infernale, quasi nei medesimi ter- mini, tutti gli errori, tutte le turpitudini, tutti i delirj, tutte le assurdità della filosofia pagana. Imperciocché negò ogni culto, ogni divinità, ogni legge morale, l'immortalità dell'a- nima, anzi l'anima assolutamente e perfino la ragione del- l'uomo, asserendo l'uomo non difl'erire dai bruti se non per- ché ha le mani. Oh prova tremenda, oh lugubre monumento dell'impotenza di edificare, della funesta energia di distrug- gere della ragione umana , allora quando , abbandonate le vie dell'autorità e della fede, pretende colle sole sue forze crearsi la religione e la verità.

Che avvenne però da questa orribile apostasia della fedi*? Gibbon, autor non sospetto, dimostra eli»' rindill'erentismo n

9

206 LETTURA SESTA

l'ateismo pratico in cui sotto gl'imperatori degenerò in Roma la filosofia pagana^, terminando di corrompere i costumi, fece discendere il popolo romano sino al fondo della turpitudine e della barbarie, e partorì quei portenti di lascivia e di cru- deltà di cui parla con orrore la storia augusta e che. più che le armi dei barbari, fecero crollare dalle fondamenta l'impero romano e vendicarono il mondo. Ora le stesse cause produssero gli stessi effetti nel secolo decimottavo. L'indiffe- rentismo 0 l'ateismo, nato dalla filosofia ereticale del prote- stantismo moderno, e propagato in Francia da empi sofisti, vi produsse quella orribile licenza di pensare e di vivere che andò a terminare colle turpi e sanguinose orgie del 1793, collo sconvolgimento e la mina della società.

I filosofi pagani però, spaventati dalle orribili conseguenze dell'ateismo, per salvare un avanzo di credenza onde soste- nere la società pagana caduta in dissoluzione e in ruina, fabbricarono, sotto il nome di neoplatonismo, nelle scuole filosofiche di Roma e di Alessandria, un certo misticismo })anteista che fu l'ultimo errore che la ragion pagana op- pose al cristianesimo. Ora così pure i filosofi anti-cristiani di oggidì, atterriti dai tremendi effetti dell'ateismo, in cui è finita la filosofia degli eretici, volendo mantenere un'om- bra di ordine sociale senza il cristianesimo, hanno sognato anch' essi il panteismo, lo hanno eretto in iscuola ed in re- ligione; orribile religione! che non è se non il composto del sacrilegio e dell'assurdità: e in cui l'orgoglio e la voluttà, all' ombra del domma « che tutto é Dio, » divinizzando la ragione e la carne umana, credono di poter delirare e sca- pricciarsi senza rimorso. E questo pure è l'ultimo errore che la ragione ereticale oppone al cattolicismo.

Ma poiché questa orribile dottrina «che l'universo con tutti gli esseri che lo compongono non sono che una sola e medesima sostanza, un solo e medesimo Dio » é distruttiva d'ogni idea vera di Dio; il dire che tutto ciò che esiste è Dio equivale a dire che Dio non esiste in alcun modo. Il panteismo adunque -dei sofisti anti-cristiani dei nostri giorni non è in fondo 'clit. l'ateismo mascherato dello scorso se- colo. Sono essi sanili agli antichi epicurei, ai quali Tullio

LETTURA SESTA 207

rimproverava che, ammettendo Dio colle parole, lo toglie- vano col fatto: Verlìis quìdem ponunt deos^ re toflunl. la sola dilFerenza che passa tra ì sofisti atei del secolo decimot- tavo e quelli del decimonono si è, che quelli erano atei e Io confessavano, questi lo son niente meno e non osano di comparirlo. Quelli, negando Dio, aveano finito col ne- gare l'uomo, facendone un bruto; questi, dicendo che tutto é Dio, niegano nientemeno anche l'uomo, facendone un Dio. Perciò, tolta la circostanza, che i moderni panteisti all'orribile dell'ateismo aggiungono la maschera dell'ipo- crisia ed il delirio di un immenso orgoglio, in tutto il resto la loro dottrina, non meno che quella dei loro padri funesta, finisce al medesimo termine di negare il sentimen- to, la coscienza, l'intelletto, la ragione, ì' individualità , la persona propria dell'uomo. Ciò è a dire che la ragione umana, a forza di ragionare, di negazione in negazione, ha finito col negare se medesima; che, pretendendo indo- vinare coi soli suoi lumi ogni verità, non ha trovato che tutti gli errori, giacche l'ateismo tutti li comprende: che, essendosi alzata come un gigante verso del cielo, ha finito collo stramazzare in terra nel fango come un vìlissimo in- setto; che, ripromettendosi d'intendei-e i misteri di Dio, è divenuta a medesimo un mistero affatto incomprensibile; che in luogo della luce, cui si augurava di giungere, non ha fatto che addensare sopra di tenebre sopra a tenebre e perdersi nella loro oscurità; che, vantandosi di ergere colle sole sue forze l'edificio del vero, non ha ammassate che mine che l'hanno oppressa; e finalmente che, sognando di crear poco meno che tutto, la religione, la società. Dio stesso, ha esaurita tutta la sua attività funesta nel distrug- gere, e non ha terminato questo suo tremendo lavorio di demolizione che distruggendo per sin stessa. Ecco a che é buona la ra<?ione senza la fede!

208 LETTURA SESTA

§ VII. - Bello spellacolo che presenta ìa Chiesa cattolica^ mantenendo essa sola nella loro purezza tutte le cristiane verità in faccia a tulle le sette degli eretici^ che non hanno insegnato che errori. Fuori della vera Chiesa non si tro- vano verità pure e semplici. Gli eretici ^ anche In quelle che han conservate^ vi han mescolato l'errore; e colla vera fede han perduto persino il vero linguaggio delle cose divine. Il discepolo della fede è l'allievo della ragione.

A fronte però di queste orrìbili davastazioni di tutte le verità rivelate, di tutte le credenze dell'umanità, di tutti i sentimenti della natura, che la ragione, gelosa di comandar sola nell'impero dell'intelligenza, ha ammassate da circa due mila anni nel mondo cristiano: a fronte di tanti errori, di tanti delirj, di tante assurdità, di tante stravaganze sognate dall'orgoglio e spacciate con un imperturbabile sangue freddo dalle cattedre di pestilenza dell'eresie; a fronte delle dottrine turpi,, licenziose, libertine, degradanti, omicide, in- ventate e predicate dalle passioni per iscancellar dalla terra, coir ultima traccia del vero^ l'ultimo avanzo di giustizia, di probità, di pudore: quanto è bello per noi il mirare il ma- gnifico edificio della verità cattolica ergere immobile e si- cura la maestosa sua fronte sulla pietra che lo stesso Gesù Cristo gli ha dato per fondamento nella persona di S. Pie- tro e de' suoi successori (Matth. i6), cui ha commesso il de- posito di una fede indefettìbile (Lue. 22); ed ha costituiti maestri ed interpreti infallibili della verità! Quanto è bello, in faccia alle migliaja di sette che si son chiamate o si chia- mano cristiane^ il mirare la sola Chiesa cattolica conservare pure ed intatte, senza mescolanza di errore, sine errar is mi- scela ^ tutte le verità primitive del genere umano e tutte le verità del cristianesimo,, senza che la malizia umana possa mai corrompere la sorgente divina da cui scorrono nel giar- dino della Chiesa a rinfrescare le nostre intelligenze, a con- fortare e ricercare il nostro cuore! Quanto è bello il vederla insegnare con tutte le verità tutte le virtù! poiché come nulla nei suoi dommi sente l'errore, così nulla nelle sue leggi favorisce il vizio: ma come in essa tutto è vero, così lutto è santo e tutto tende a reprimere le passioni, a sol-

LKITURA SKSTA 209

levar l'uomo alla virtù più perfetta. Questo pregio singo- lare ed unico della Cliiesa cattolica è stato finalmente cono- sciuto, con un sentimento di santa invidia, anche dalla più dotta scuola delle chiese protestanti. .Mentre noi andiamo scrivendo queste pagine, risuona altamente per tutta l'Eu- ropa l'importante confessione clie la forza della verità ha strappata dal cuore dei più famosi professori dell' università protestante di Oxford, il più fermo baluardo della chiesa anglicana, che, per la bocca del dottor INcna man, han detto: « la Chiesa romana è la sola che ha conservate intatte le dottrine del cristianesimo. » Oh beli' omaggio degli stessi maestri dell'errore renduto alla sola religione di verità, e che mentre è di un augurio prezioso per loro, indicandone il facile e non lontano ritorno, è ancora un argomento di gran consolazione per noi!

0 anime veramente cattoliche, che sentite il pregio della vera fede, perché" in essa solamente si trovan le vere con- solazioni del tempo e le legittime speranze dell'eternità, aprite il cuore alla riconoscenza verso Iddio che, avendovi fatto nascere in questa Chiesa, unica depositaria del vero, vi ci ha conservato. Miseri noi ! che saremmo noi fuori di que- sta Chiesa ed estranei al suo insegnamento? Che sapremmo noi di Dio e dell'uomo, se non fossimo cristiani? Che cosa ce ne potrebbe dire di vero, di sicuro la filosofia pagana, se noi non avessimo altra scuola che la sua per sapere che cosa Siam noi. a che siam venuti in questo mondo, chi è il Dio che ha diritto alla nostra servitù, al nostro amore? Che cosa ce ne potrebbe dire essa, che, dopo aver impiegati dieci secoli a discifrar questi onimmi, ed aver promesso al mondo (li scuoprire la vera sapienza, ai tempi di S. Paolo non avea ancora, dopo tante ricerche, trovato che l' errore, il dubbio e la stoltezza? Sapìcnlìain qumnlnl , et stuJii facii siuil. Senza la scuola della Chiesa, che sapremmo noi di vero e sicuro intorno alla Trinità, a Gesù Cristo, alla sua religione? Ouello che ne han saputo gli eretici, che, sdegnando il cat- tolico insegnamento, hanno coi proprj lumi interpretato la Scrittura. Ma a quale scuola andremmo noi? V quella di Lu- tero 0 a quella di Calvino? Consulteremmo i puritani o gli

210 LEtTl'R4 SESTA

anglicani? ì quaccheri o i metodisti? i riformatori o gli evangelici? gli scismatici d'Occidente o le servili sette del- l'Oriente? i libertini inglesi o i panteisti francesi? Dove troveremmo noi meschini la verità che è una. che tutte le sette si arrogano , e perciò stesso provano che non é in alcuna di loro?

Vi sono é vero delle nozioni di Dio^ della Trinità, di Gesù Cristo in tutte le sette che si dicono cristiane. Ma come le più belle piante, trasportate in cattivo terreno e sotto un clima malsano, presto degenerano e si disseccano: così le stesse verità cattoliche, trapiantate, sul terreno limaccioso e palustre, esposte all'alito pestilenziale dell'eresia, si sono presto alterate e corrotte. Sicché quelle stesse verità che gli eretici han rubate a noi. han portato via nel separarsi da noi, non le conservano e non le credono come noi. Tante sono le idee erronee che vi mescolano, le false conseguenze che ne deducono, le detestabili applicazioni che ne fanno! Come un insetto velenoso, passando sopra d'un vaghissimo fiore, lo appesta, e ne altera l'odore e la natia bellezza: così l'eresia altera e guasta tutte le verità che discute, tutte le virtù che raccomanda. Svolgete i libri dei teologi dell'ere- sia; considerate come parlano dei donimi, che pur dicono di aver comuni con noi: è impossibile, eoirajulo di questi li- bri, il formarsi un' idea chiara e precisa di quello che si deve credere intorno ai più grandi misteri della religione cristia- na. I termini ne sono vaghi, le frasi tortuose, le espres- sioni sì ambigue, i sensi varj, le esposizioni oscure e incoerenti, che la teologia protestante intorno ai misteri sembra fatta per imbrogliare la mente, confonderla o disgu- starla della fede nei cristiani misteri. ]\o, un teologo prote- stante, un eretico, richiesto a rispondere sopra una verità ciistiana, non mai ne darà un'idea chiara e precisa che possa farne conoscere l'errore contrario. Quando Osìandro, vi- vente ancora Lutero, pubblicò la sua orribile dottrina in- torno alla giustificazione, quattordici chiese ereticali, fon- date da Lutero medesimo, trattarono Osiandro da eretico. Ma volendo far conoscere in che la dottrina di Osiandro era er- ronea f stabilire intorno a questo domraa la verità catto-

LETTURA SESTA 211

lìca, non presentarono che quaktordici dottrine divefse sulla stessa materia: ciò che, lungi dal definire la questione, non servì che ad imbrogliarla di più ; il perché le quattordici chiese che pretesero di combattere Osiandro e trattarlo come un eretico, non intendendosi più fra di loro, si divi- sero tosto in quattordici sette diverse e, trattandosi 1' una e r altra da eretica , presero a combattersi anche fra loro. Al contrario, appena la vera Chiesa, nel concilio di Trento, parlò su questo stesso argomento, essa lo fece con tanta precisione, con tanta uniformità, con tanta chiarezza, che la verità cattolica intorno al domma della giustificazione brillò di nuova luce agli occhi dei veri fedeli, e tutti gli errori contrarj furono scoperti, confutati e distrutti. Ma non è dato all'errore il parlare il linguaggio schietto, sin- cero , chiaro e sicuro della verità. Come chi vive lontano dalla propria patria finisce col perderne ancora il natio linguaggio: così gli eretici, coli' essere usciti dalla Chiesa, la vera patria dei fedeli qui in terra, ne han perduto il linguaggio, e non sanno più parlare cattolicamente delle stesse cattoliche verità che han ritenute.

Ma, ripetiamolo ancora: in faccia a questa impotenza de- gli eretici di parlare la verità, quanto è bello il vedere nella Chiesa cattolica i dotti e i teologi proporre, dimostrare tutti i dommi rivelati con una precisione di linguaggio, con una esattezza di espressione, con una uniformità di senso, che è impossibile il non riconoscervi alla prima lettura la cattolica verità cosi pura e scevra di errore come fu da Dio stesso rivelata! che anzi è ancora più bello il sentire i laici stessi, le donne, i giovanetti, tanto solo che siano stati istruiti nel catechismo, formati alla scuola della predicazione cattolica e delle cattoliche letture, il sentirli, dico, enunciare idee giuste, chiare, precise intorno alla trinità di Dio, all'incarnazione del Verbo, al numero ed alla eflicacia dei sacramenti, all'esten- sione ed alla forza della legge divina, alla pratica ed ai pregi della vera virtù, all'origine, alla condizione dell'uomo, allo stato dell'anima nella vita presente e nella vita futura! Che cosa diviene la scienza orgogliosa del teologo protestante, a che vale la sua pretesa erudizione bìblica, scienza solo nega-

212 LETTURA SESTA

tiva^ scienza di confusione e d'incertezza, in faccia alla fede umile, ma positiva: chiara, certa, precisa di un vero figlio della Chiesa? Messi a confronto, questi due allievi, l'uno della scuola dell'inquisizione umana, l'altro della rivelazione divina, l'uno non sa che negare, mentre l'altro aflerma; l'uno discorre, l'altro crede. E perchè il parlare la verità non è dato all' erudizione , ma alla fede j l' uno , con tutta la sua dottrina, balbetta da fanciullo; l' altro ;, coll'ajuto della sua fede, parla da uomo; e la vera scienza trova in fondo dalla parte dov'è la verità.

§ VII. - Si passa a discorrere del quarlo ed ultimo ca- ratiere dell' insegnamento della fede, la sua certezza. I Magi, istruiti alla scuola della rivelazione divina, co- nohbero i piii grandi misteri non solo senza errore, ina ancora senza dubbiezza. Prove della fermezza e della costanza della loro fede.

Il quarto ed ultimo carattere dell'insegnamento della vera fede , del quale ci rimane ora a trattare , si è, secondo hi dottrina di S. Tomaso, d'ingerire negli animi una somma fiducia ed una somma certezza delle cose che s'imparano a questa scuola divina, e di essere perciò non solo, come si è veduto, esente di errore e veridico, ma ancora fermo e co- stante da escludere ogni incertezza, ogni dubbio, fixa cer- TiTUDiiNE, ABsgUE DiiBiTATioivE ET ERRORE. Or queslo SUO ma- gnifico carattere, questo privilegio meraviglioso, questa ef- ficacia tutta divina spiegò l'insegnamento della fede la prima volta che da Dio stesso fu messo in opera coi gentili nella jiersonadei Magi. Onesti fortunatissimi uomini, perchè istruiti appunto per via di rivelazione e di fede, non solo conob- ]>ero, non solo crederono neUa loro integrità, nella loro pu- rezza, le più grandi verità, i più sublimi misteri, ma ebbero altresì ciò che crederono e di ciò che conobbero una cer- tezza piena, assoluta e perfetta. Tutto ciò chiaramente de- ducesi dalla confidenza, dalla vivezza, dalla generosità, dalla costanza e dalla tranquilla sicurezza della lor fede.

Qualcosa difatti , se non una persuasione , un convinci- mento profondo, potè da prima ispirare a tre uomini,

LETTURA SESTA 2 1 :>

professione filosoli, di condizione monarchi, tanto coraggio e tanta fiducia da abbandonare senza indugio i loro regni, i loro popoli, le loro patrie, le loro famiglie, le loro ric- chezze , i loro agi , le loro delizie , ed intraprendere nel cuore dell'inverno, in contrade straniere e nemiche, un dif- ficile e disastroso viaggio, di cui era indefinita la lunghezza, perchè ne era il termine ignoto? Imperciocché, veduta ap- pena la stella, docili e pronti alla voce del prodigio e molto più all'interior movimento della grazia, eccoli mettersi in cammino come all'azzardo, giacché sul principio non sape- vano se la stella che loro avea fatto da apostolo, lor ser- virebbe ancora di guida; ma pure con una ferma credenza che era veramente nato il Messia, e con una fiducia inalte- rabile che lo avrebbero in fine trovato.

Ma non abbiamo noi bisogno di argomentare la fermezza della fede de'Magi, mentre Iddio stesso ce l'ha fatta cono- scere, mettendola ad una prova diflicile e delicata. Appena essi metton piede nelle contrade della Giudea, ecco tutto ad un tratto scomparire al loro sguardo la stella miracolosa che era stata fino allora guida fedele e motivo di tanta conso- lazione nel loro cammino. Ora, altri uomini che i xMagi, al vedersi all'improvviso abbandonati dal segno celeste in lon- tano paese, senza sapere se doveano battere a destra o vol- gere a sinistra, se andare innanzi, o ritornare addietro, si sarebbero perduti di animo, si sarebbero stimati illusi, avreb- bero accusato stessi dicendo: « Oh stoltezza che é stata la nostra! Come mai, re e filosofi, abbiamo potuto con tanta precipitanza cedere ad un' illusione ottica , prendere uno scherzo di luce, un fenomeno naturale per un portento ce- leste, ed uno scaldamento di fantasia per una rivelazione divina? Che re? che xMessia? che Dio é quello di cui ci siamo impegnati di andare in cerca? Eccoci, dopo avere in tredici giorni coi nostri dromedarj percorsa la distanza di mille miglia., e sostenuti i disagi di un penoso cammino a traverso i deserti, eccoci in un paese straniero, nei dominj di un re barbaro, senza scorta, senza guida, senza difesa. Ah! siamo stati troppo insensati e troppo ciechi. La trista comparsa che faremo nel ritornare fra i nostri popoli, senza avere rag-

244 LETTURA SESTA

giunto lo scopo del nostro viaggio, e le scerete beffe dei saggi con cui vi saremo accolti, non ci puniranno mai ab- bastanza della nostra leggerezza e della nostra imprudenza. » Così avrebbero, senza dubbio, giudicato e parlato uomini in cui la fede nella nascita del Messia non fosse stata fermissima. ÌMa i Magi non giudicarono, non parlarono così. Col cessare di balenare ai loro occhi la stella, non è un solo istante scossa la loro fede. Non vedono più il segno, ma non per- ciò credono men di pria il suo significato. Una volta che han conosciuto Gesù Cristo, più noi dimenticano. Quanto più si vedono abbandonati tanto confidan di più; e quanto più si sentono desolati, tanto più amano. I\on temono di es- sersi ingannati sulla natura della stella e sullo scopo della sua apparizione; non dubitano un sol momento che divina fu la luce che aveva illuminata la loro mente, e divine pur le voci che avevano sentite nel loro cuore. INon si accusano di leggerezza nell'aver fatta, senza bastevoli indizj, una mossa straordinaria e solenne. IVon si scoraggiano, non si pentono, non danno addietro, non rimangono un solo istante incerti sul partito da prendere: ma pieni di confi- denza entrano in Gerusalemme e pubblicano per tutte le vie come certissima la nascita del Messia, e cercano e chieg- gono, con una pia importunità a quanti incontrano, il luogo ove poterlo trovare: Fenerunt Hierosolymani dicentes: Ubi esf qui ìHìiìis est rex Judcnorumt

Oh belle parolel oh confessione preziosa, che annunzia una fede non men viva che ferma e immobile! iNon dicono già : « Secondo i nostri calcoli ci sembra che dovrebbe esser nato il Messia. J-a stella che abbiamo veduto ci è parsa esser quella che Balaam nostro antenato ha predetto che doveva spuntar col Messia ed indicarne il nascimento. « ^la coll'ac- cento una persuasione intera e perfetta dicono : » Il Mes- sia è nato: ISatiis est rex Juda'orurn. La stella che abbiamo veduta è certamente la sua, J'idimus stellain ejusj e lo scopo della nostra venuta non é già di chiarirci coi proprj occhi della verità del mistero, ma di rendergli omaggio e di ado- rare il Dio che è nato uomo per la salute degli uomini: Natus est ver Judceoriim, et venimus adorare euin. 0 Giù-

LETTURA SESTA 215

dei, non vi cerchiamo noi adunque se sia o no veramente nato questo salvatore divino. INoi lo sappiamo di certo. In- torno a ciò la nostra fede non ci ha in<5^ini>ati. Miracolosa veramente è stata la stella che ahbiam veduta, divina vera- mente é stata la rivelazione che abbiam avula: ìidimus sleìlam ejus, nalu^ est. Ma la stella che ce ne ha manifestata la nascita non ci ha però indicato il luogo dove ritrovarlo. Ouesto luogo vogliamo solo da voi conoscerlo qiial sia. Per- ciò siamo venuti tra voi. Voi avete tra le mani le Scritture, gli oracoli, le profezie che parlan di lui, non potete ignorare quest'angolo fortunato della terra in cui è nato il re del cielo. Voi lo sapete con certezza, voi soli potete istruircene; e noi non possiamo conoscerlo se non da voi. Deh ditecelo per pietà, dov'è? dove è esso mai? uhi est? ubi est? Deh un indizio che cel discuopra, una parola che ce lo mostri, un segno che ce lo additi! Noi siamo premurosi, se noi sa- pete, di offrirgli, coi donativi che gli abbiamo recati, tutti noi stessi. TI cuore ci balza in seno di santa impazienza di darci a lui per suoi servi e suoi adoratori: f'enìinus {cum muneribus) adorare eum. »

Ma la fede dei Magi quanto è ferma e vìva, tanto è gene- rosa: ed oh il bel coraggio che loro ispira! Imperciocché dove inai levan essi la voce e predicano la nascita del re de'Giu- dei: ìiatus est rex Judiporum? In Gerusalemme, nella me- tropoli stessa della Giudea, sotto gli occhi di Erode, che per la via degli intrighi i più tenebrosi e dei più grandi delitti si era usurpata col titolo l'autorità di re dei Giudei. Dire dunque, in tal luogo ed in faccia ad un tal re: «Dov'è il re dei Giudei che è nato?» poteva sembrare lo stesso che dire: « Colui che qui regna, non è di questo popolo il legittimo re. IXoi sappiamo che è nato il re teyittinio dei Giudei^ e cerchiamo sapere dov'è, pronti a riconoscerlo ed adorarlo. » Ora ci voleva egli di più per risvegliar le paure, per accen- dere il furore della politica usurpatrice dei regni, assai più furibonda e crudele dello stesso fanatismo di religione? Come mai adunque, dice Vlmperfetto, tenere un siffatto linguag- gio? INon sanno i Magi chi è Erode che regna in quella con- trada? Non intendono che chi ha immolato il proprio fratello

21G LETTURA SESTA

air ambizione del regno )ion la perdonerebbe ad uomini estranei, nell'impegno di conservarlo? Sono re essi stessi: non conoscono adunque la legge conservatrice della pace e dfeir ordine di ogni impero, che chiunque, vivente ancora il re d'uno stato, si mette a proclamare e si protesta pronto a riconoscere un altro re dello stato medesimo è punito del- l'ultimo supplicio, come complice e ministro di un tiranno ? Sì, uomini in cui il vanto della sapienza è in proporzione della nobiltà della nascita, dell'elevatezza del rango, sanno ed intendono tutto ciò molto bene. Si sono pure accorti che questa novella della nascita di un nuovo re^ portata da essi re forestieri, venuti con gran pompa da remote contrade, e da essi pubblicata nella città regina con un tuono di tanta as- severanza e di tanta certezza, ha messo in timore Erode e la città tutta in iscompiglio: Turbatus est Herodcs et omnis Hìjerosoìima cnm ilio. Veggono bene il pericolo che il co- raggio e la franchezza del loro parlai-e può attirar sopra di loro dalla parte di un monarca geloso e crudele, di un sinedrio in- vidioso, di una città tumultuante e inquieta. Intendono bene che, stranieri, soli, senza forza, senza eserciti, entrati di già nella città capitale, si sono essi stessi messi a discrezione di un re che nella sua brutalità non conobbe mai discrezione, e che nulla avrebbe potuto garantirli dal furore di colui di cui, colla libertà del loro parlare, parevano accusare l'in- giustizia, l'usurpazione, la tirannia. ]\Ia i Magi intendono al- tresì che Iddio non per altro gli ha condotti in Gerusalemme se non perchè vi pubblichino la nascita del Messia e, gen- tili che sono, facciano da predicatori ai Giudei. Sentono di avere una missione da Dio, e tutti i pericoli che possono lor venire dagli uomini non li arrestano dal compirla. Intenti a secondare i disegni del re del cielo, la loro fede dimen- tica i riguardi suggeriti dalla politica verso un re della terra. Tema e si agiti quanto e come vuole Erode e gli abitanti di Gerosolima, divenuti pei loro vizj un popolo degno di un tal monarca ; i Magi non temono la gelosia del tiranno usurpatore, la malignità degli scribi, ne il furore del po- polo. La solitudine in cui si trovano non li disanima , la presenza del pericolo non li conturba, il timor della morte

non li arresiti ; e non cessano, ripetere per le pubbliche vie la nascita del nuovo re de Giudei ; non ristanno dal chiedere, dall'insistere che lor si dica dove trovarlo^ per po- terlo riconoscere ed adorare : Dicentes, Uhi est rex Judceo- ruin ? veniinus adorare. Oh fede generosa, fede magnanima, fede sublime! non hanno ancora veduto questo re Messia, e già lo confessano ! non sanno ancora bene di lui , e son pronti a morire per lui ! non ne sono ancora discepoli , e se ne fanno i primi apostoli, i primi evangelisti; felici se la crudeltà del tiranno vorrà farne altresì i primi martiri! Trionfatrice dei pericoli, la fede dei 3Iagi si tenne ferma all'urto ancora più potente degli scandali. INoi considereremo a parte nella seguente lettura il delitto e l'infame condotta de' Giudei in questa circostanza solenne. Per ora ci giova osservare che il loro iniquo procedere fu una terribile pie- tra d'inciampo alla fede dei Magi. Imperciocché, dopo di aver loro indicato il luogo della nascita del Messia, la sinagoga giudaica non si diede alcun pensiero di cercarlo, di render- gli omaggio, come ne aveva il dovere ; essa che non esisteva che per lui, per prepararne le vie , per isperimentarne la prima i beneficj , come era stata la prima a riceverne le promesse. Quale scandalo adunque per questi poveri gen- tili r indifferenza che mostran pel Messia i suoi stessi Giu- dei ! Quale scandalo per questi stranieri la noncuranza che pel Messia mostrò lo stesso suo popolo ! Quale scandalo per questi laici il disprezzo che pel Messia mostrarono i suoi sacerdoti ! Parca che a tal vista i Magi avessero dovuto dire fra loro: « Come può mai essere veramente il Messia, il re de'Giudei colui di cui andiamo in cerca, se i Giudei stessi, che da tanti secoli lo attendono, non ftinno alcuna attenzione alle paroFe con cui ne abbiamo loro annunziato la nascita, e nessun si muove, nessun si pensiero di verificarla ? Essi ci han detto il luogo in cui il Messia deve nascere secondo le ])rofezie. Come sanno il luogo, così ancora sanno senza dubbio il tempo questo nascimento. Poiché dunque punto non badano alle nostre parole, bisogna dire ch'essi non cre- dono venuto il tempo in cui il Messia deve nascere, e che quello di cui noi cerchiamo, non e altrimenti il 'lessia. E

^218 LETTERA SESTA

poi é possibile che il Messia, il re de Giudei^ come si e ri- velato a noi stranieri e gentili, non si sia prima rivelato a' suoi Giudei, Qui é stato promesso? Eppure qui nessuno sa nulla di un nascimento che deve cangiare la condizione di tutto un popolo, ed il primo avviso vi si riceve da noi. Pos- sibile che noi, idolatri, intendiamo i misteri del vero Dio meglio di coloro che ne sono i soli adoratori veraci, che ne hanno in deposito le profezie e gli oracoli, e ne sono legit- timi interpreti? Non é più facile il credere che noi ci siamo lasciati illudere dal fenomeno della stella , di quello che i Giudei si siano ingannati intorno al mistero del Messia di cui trovansi solamente fra loro i veri sacerdoti e i veri pro- feti? » Ma no; i Magi la discorron ben altramente, e nel Giudeo che addita loro il luogo della nascita del Messia senza darsi alcuna premura di ritrovarlo egli stesso, e che resta volontariamente nelle tenebre nel momento che presenta agli altri la luce, in questo Giudeo, dico, i Magi distinguono il sacerdote dall'uomo; il sacerdote depositario della rive- lazione divina dall'uomo soggetto alle passioni umane; il sacerdote che parla sotto la ispirazione celeste dall'uomo che opera sotto l'influenza infernale; il sacerdote organo dello Spirito Santo che per la bocca di lui manifesta la ve- rità che illumina, dall'uomo organo del demonio che per la di lui condotta presenta uno scandalo che sednce. Ascoltano adunque docili ciò che loro si dice, ma non si lasciano punto scuotere da ciò che alla loro presenza si fa. Praticano ciò che odono, e non badano a quel che vedono. Profittano della preziosa lezione che ascoltano, ma non si fermano all'esem- pio funesto che ricevono. La parola del Giudeo li illumina, ma la sua condotta non li perverte. Lasciano il Giudeo oc- cupato a leggere curiosamente la Scrittura, e si aflrettano di andare a tributare al Dio della Scrittura un'adorazione umile e fedele. E questo scandalo, il maggiore di quanti i Magi ne hanno finora ricevuto, lungi dal render loro sospetta la rivelazione della stella, ve li conferma; lungi dal far va- cillare la loro fede bambina, la corrobora ; lungi dallo spe- gnere il loro fervore, lo accende. Oh forza, oh efficacia della certezza che la fede ispira!

LKTTUK4 SKSTA 2IJ)

Finalmente, l'ultimo etietto e l'ultima prova insieme della eertezza della fede dei Magi si é la calma, la pace perfetta con cui vi si riposano. Una sola cosa rimaneva loro a sape- re : il luogo della nascita del Messia; e questa sola dimandano: Ubi est qui nulus est? Sul rimanente delle verità sante, dei sublimi misteri che sono stati ben rivelati, la loro mente é perfettamente tranquilla, il loro cuore é sicuro. Perciò non muovono dubbj, non raddoppiano interrogazioni, non inta- volano dispute, non istanno ad argomentar coi Giudei, e discutere con Erode, ma si abbandonano con una immensa fiducia alle manifestazioni ineffabili che Dio si è degnato loro di fare certissimi che tutto ciò che essi sanno, tutto ciò che essi credono, è vero. Ricevuta adunque la sola risposta, il solo oracolo che erano venuti a cercare in Gerosolima, abbando- nano senza indugio questa città infedele in preda al suo ac- ciecamento ed al suo orgoglio, e si avviano a Betlemme, senza alcuna sollecitudine, senza alcun dubbio sull'esito for- tunato del loro viaggio: Qui cum audissent regem abierunl.

Ma se la fede dei 3Iagi non ha più bisogno di ammaestra- menti, di lezioni, di guide per ritrovare Gesù Cristo, e per- ciò essi non le cercano, non le dimandano; il loro cuore però puro e retto ben é degno di ricevere dalla bontà di Ì)io consolazione e conforto. Ecco dunque, usciti appena da Gerusalemme, mostrarsi loro più brillante di pria la stella miracolosa che li avea guidati nella Giudea. Nel vederla, i loro cuori balzarono di una tenerissima gioja. L'espressione dell'evangelista indica un'allegrezza immensa, un trasporto, un eccesso di allegrezza: Videntts slellam qavisi sunt (jan- dio magno valde. Li precede la stella; ed essi, pieni di sor- presa, di fiducia e di amore, l'ammirano e la lodano, la va- gheggiano e la sieguono : ed essa li illumina e li consola, li guida e li sostiene, stella anlecedebal eos, e fa loro sentire che sono presso alla meta del loro cammino, all'oggetto de' santi loro trasporti. Affrettano adunque il passo, raddoppian gli sforzi; e tale si é il piacere che si ripromettono di ritro- varsi nell'abitazione ed alla presenza del Salvatore che son venuti di lontano a cercare, tale la gioja di cui questa speranza li colma che quasi più non distinguono tra l'es-

220 LÈTTI' HA .SENTA

sere di già alia grotta e l'andarvi: Gavisi svnl (jandio ma- (jno valile.

§ IX. - / Magi crederono con certezza ^ perchè la loro fede ebbe per fondamento: 1.^ l'autorità divina; 2." una rivelazione uniforme; 3.° il soccorso della grazia. Questi stessi tre motivi di credere trova il cattolico neW inse- gnamento della Chiesa^ che lo rendono certissimo nella sua fede. Bel prodigio che la grazia della fede opera nel vero cattolico j, la cui credenza j a somiglianza di quella dei Magi, è ferma nelle sue prove e vivissima nei suoi trasporti. L' uomo carnale , il freddo razionalista non intendono nulla di guestn prodigio. Lo deridono^ ma saranno un giorno derisi essi stessi.

Ma non ha nulla di strano tanta certezza nei Magi, che si manifesta con una fede confidente, viva., generosa, costante, tranquilla e lieta. I Magi da prima riconob- bero la voce e la parola di Dio tanto nella luce della stella che parlò ai loro occhi quanto nel discorso della sinagoga che parlò alle loro orecchie. In tutte e due queste testimo- nianze,, tutte e due miracolose (giacché non era meno mi- racolosa l'esistenza della sinagoga, sola posseditrice del vero in mezzo alle tenebre degli errori del mondo spirituale, di quello che l'apparizione della stella nella oscurità della notte del mondo corporeo), in tutte e due. dico, queste testimo- nianze venerarono una autorità divina che a nome di Dio lor parlava di Dio. Credettero adunque a Dio ed alla sua parola; e la parola di Dio, infallibilmente verace, cattiva l'in- telletlo che illumina . ingerisce una fiducia <d una somma certezza. In secondo luogo e?si ricevettero una rivelazione uniforme: giacché come tutti videro egualmente il prodigio della stella ed udirono egualmente l'oracolo della sinagoga, cosi egualmente intendettero l'uno e l'altro linguaggio, gli diedero il medesimo senso, lo crederono al medesimo modo, presero le stesse risoluzioni, si assoggettarono agli stessi sa- crificj, alle stesse pratiche; e sebbene fossero essi filosofi, ed i pastori ignoranti, pure in Betlemme si trovarono a cre- dere le stesse verità, ed in uno stesso luogo si trovarono riuniti nello stesso spirito e nella stessa fede. Cr quest'ac-

li: ITI! Il \ .SESTA 221

cordo niaraviglioso e pertetto, onde i Magi ed i pastori, di patria^ linguaggio, d' ingegno, di costumi e di religione diversi, tutti in un punto si trovarono della stessa opinione e dello stesso sentimento sulle verità che aveano conosciute, toglieva a ciascuno in particolare qualunque dubbio o ti- more che i suoi sensi , la sua fantasia , o il suo giudizio avesse potuto ingannarlo , e lo rendeva certo che ciò che avea conosciuto era la verità. Così la fede comune ed uni- forme di tutti corroborava la fede di ciascuno in partico- lare ; e ciascuno in particolare si sentiva ancora più forte e credeva ancora colla fede di tutti. Terzo finalmente, come é più volte notato nel corso di questo libro, i 3Iagì, al- l' apparire del segno , ne chiesero la spiegazione non alla umana scienza, ma all'illustrazione divina. Lo stesso amo- roso Signore, da cui l'umile preghiera è sicura di ottenere ancora più che non chiede^ non contento di averli per di- verse guise illuminati colla sua luce, li rendette ancora certi colla sua grazia; e nel dare alla loro mente la cognizione dei suoi misteri , ne diede loro ancora nel cuore la fede , la fede teologica, la fede divina.

Ora questi stessi tre motivi che rendettero certi i Magi nella lor fede son quelli che rendono il cattolico certissimo nella sua. Poiché come il cattolico ha comune coi 3Iagi la stessa fede, così ne ha con essi comuni i motivi e gli ajuti. E Iddio, nell'avere stabilita la fede dei Magi su questi fon- damenti, volle fin d'allora figurare, predire ed indicare le fondamenta della credenza cattolica, dell' insegnamento della vera fede.

Infatti il cattolico, nel credere che fa alla Chiesa, crede primieramente ad una autorità divina che Dio stesso ha fatta depositaria delle sue dottrine ed ha incaricata d'inse- gnarle. La Chiesa non foggia altrimenti a suo capriccio i dommi da credere, ì doveri da praticare; ma ci ripete esattamente quello che Dio le ha rivelato. Il Dio che pose la sua divina parola sulla bocca profana e sacrilega di un Balaam, un indovino impostore; che ve la conservò santa e pura, e ne la fece uscire sincera ed intatta; molto più conserva p>ira e santa la sua parola nella bocca del suo

Beile- z^ (feUa feie II. IO

222 LETTURA SESTA

legittimo sicario e nel corpo dei pastori ch'esso ha stahiliti pel governo della sua Chiesa {Act. 22) ed ha rivestiti di un carattere sacro ed augusto, come sono auguste e sante le funzioni cui li destina.

Che cosa infatti, ci attesta mai la storia del cattolico in- segnamento ? Ci attesta che dalla bocca di uomini d'indole, d'ingegno, di studi, di costumi, di nazione diversi, che per diciannove secoli si sono succeduti sulla cattedra di 8. Pietro e sulle sedi delle chiese particolari, e che uniti al lor capo, han parlato ai popoli per istruirli nella scienza di Dio, non è caduta mai alcuna parola profana ed erronea, ma al con- trario da essi tutte le verità han ricevuto la loro spiega- zione, la loro conferma, tutte le virtù il loro incoraggia- mento, tutti gli errori la loro censura, tutti i vizj la loro condanna. Or questo fatto unico, che uomim sofjyelli ai moti delle passioni^ (igll allucinamentì della ragione, co- me tutti gli altri j non atìbiano in tanti secoli , in mezzo all'urto di tante dottrine, insegnato inai nulla di contra- rio alla virtù ed alla verità; questo prodigio del I/io re- dentore, che conserva sempre pura la fede nella sua Chiesa, assai più grande, agli occhi di chi sa comprenderlo, del pro- digio onde il Dio creatore conserva sempre viva la luce nel- l'universo, è una prova visibile e palpabile che l'autorità della Chiesa insegnante è divina. Credere adunque all'inse- gnamento della Chiesa cattolica non è credere all'uomo, ma allo stesso Dio. che parla in questa Chiesa, e di cui questa Chiesa non è che l' ineffabile interprete e l'organo fedeb-. Ouel beato fanciullo cristiano adunque di cui parlano le ee- clcsiastiche istorie, che, nulla spaventato dalle minacce di essere arso vivo nello stesso rogo in cui viva già sotto ai suoi occhi ardeva la sua propria madre, mostrossi come un prodigio di sapienza insieme e di coraggio; poiché confessò costantenienle da una parte Gesù Cristo per vero Dio, e dal- l'altra. ìnUrrogato dal tiranno come sapesse che Gesù Cri- sto era Dio, franco rispose: « Io lo so perchè me lo ha detto mia madre, a mia madre lo ha detto la Chiesa, alla Chiesa lo ha detto lo stesso Iddio. » Or ecco dove si risolve in line la fede cattolica: io credo in Dio e per Iddio; io credo a

LETTURA SESTA 22->

Dio sulla testimonianze della stessa sua parola infinita, ma- nifestatami per l'organo di una autorità infallibile; e la ve- rità di Dio é l'ultimo motivo della mia fede.

Ora Iddio è verità infinita, e però degno di una fede in- finita, come é degno di un infinito amore, essendo bene in- finito. 3Ia finito, come io sono, non essendo capace di cosa alcuna infinita, faccio ciò cbe mi è possibile; gli rendo ciò che solo è in mia facoltà di rendergli e di che la sua bontà è paga a segno che non esige nulla di ))iù dalla mia debo- lezza; lo credo al di sopra di tutte le verità, come lo amo al di sopra di tutti i beni. Presto una fede somma alla sua parola; come una somma ubbidienza alla sua legge; cioè una fede che mi fa credere il simbolo al di sopra di tutto ciò che vi è di più certo; ed una ubbidienza che mi fa amare il decalogo al di sopra di tutto ciò che é più degno di amore.

In secondo luogo, credere airinsegnamento della Chiesa è credere ad un insegnamento uniforme, costante, invariabile.

Come cattolico, io so che la mia fede é precisamente la stessa di quella che per quattromila anni fu professata in figura e in aspettazione da tutti i patriarchi, da tutti gli uomini del mondo antico, veri adoratori del Dio vero, da Ada- mo, cui fu la prima volta rivelata, sino a Gesù Cristo, che questa stessa rivelazione si degnò di rinnovare, di perfezio- nare, di compiere; che la mia fede è precisame/jte la stessa di quella che dalla venuta di Gesù Cristo nel mondo, per circa duemila anni, han sempre tenuta e insegnata tutti i pontefici, tutti i concilj, tutti i santissimi Padri, tutti i dot- tori, tutti i vescovi, tutti i sacerdoti, tutti i fedeli che sono vissuti e sono morti nel grembo della vera Chiesa; che se io potessi interrogale le loro ceneri, ed essi mi potessero rispondere, io vedrei attestata e confermata la mia fede da centinaja di migliaja di milioni di testimoni , quanti sono tutti coloro che han professata la fede cattolica e si sono riposati in seno alle sue dolci speranze; ed essi tutti mi as- sicurerebbero che io non credo più meno di quello che han creduto essi stessi, e di quello che per duemila anni si è creduto da tutti, in tutti i tempi e in tutti i luo- ghi: Qiiod stmper, qiiod nhiiw^j quod ab omnibus.

22x LETTURA SESTA

E gran cosa! Nessun protestante, come più innanzi ve- drassi, è sicuro che quello che esso crede sia da altri allo stesso modo creduto. Ma io, come cattolico, so ancora che quello che io credo, così appunto come lo credo io, lo cre- dono ultresì duecento milioni di cattolici sparsi sulla super- ficie del globo. Sono essi di patria, di nazione, d'indole, di costumi, d'ingegno e di linguaggio diversi; pure io so di certo che essi, in comune ed in particolare, professano pre- cisamente i medesimi dommi e la medesima legge che pro- fesso io stesso. Io so, che nella Chiesa cattolica, quello che insegna un vescovo lo insegnano ancora tutti i vescovi ; quello che predica un sacerdote lo predicano tutti i sacer- doti; quello che un cristiano professa di credere Io credono e lo professano al modo istesso tutti gli altri cristiani, per- chè tutti hanno studiato alla medesima scuola. Divìsi essi in tanti popoli e nazioni div(?rse , separati da enormi di- stanze di terra e di mare, credon tutti precisamente lo stesso. Dall' orto e dall'occaso, dal settentrione come dal mezzogior- no, da tutti i punti dello spazio come in tutti i momenti del tempo dal seno dell' immensa comunione cattolica o UNIVERSALE sollcva verso il cielo lo stesso omaggio degl'in- telletti che ripetono in diverse lingue lo stesso simbolo , come si offre da tutti, in diversi riti, lo stesso ed unico sa- criricìo. Pertanto, portando il mio pensiero nel passato, ri- volgendolo al presente, so di certo che quello che credo io è stato sempre così creduto e così ancora si crede. Come il soldato in battaglia è coraggioso e forte non solo per la sua privata forza e pel suo privato coraggio, ma ancora pel co- raggio e per la forza dell'esercito di cui fa parte, ossia per la forza del tutto; così come cattolico, io credo, non solo per la grazia della fede che ho ricevuta io stesso, ma an- cora per la grazia della fede sparsa nel cuore di tutti gli altri fedeli. Credo colla fede di tutta la Chiesa di cui sono figliuolo. Ciò è a dire che la fede di sessanta secoli, di mol- tissime migliaja di milioni di uomini, la fede di tutta la terra, la fede della Chiesa passata e presente cui apparten- gono, si riunisce nella mia mente, e la solleva; nel mio cuore, e lo ingrandisce : aggiunge alla forza della parte quella del

LKTTURA 5;es;ta 225

tutto; corrobora sempre più il mio assenso, e lo colloca so- pra una base di una infinita certezza e lo conferma e lo so- stiene e lo nobilita e lo perfeziona.

Finalmente, Dio è fedele, provvido e pietoso; non abban- dona alla sua natia miseria l'uomo cbe cerca di elevarsi a lui, di unirsi a lui per mezzo di una fede e di un amore soprannaturale e perfetto. Si piega verso dell' uomo con bontà, gli stende dal cielo una mano amorosa, e come for- tifica il nostro cuore disposto ad amarlo, così solleva il no- stro intelletto desideroso di riconoscerlo. Grande al certo e sorprendente si è lo sforzo dell'intelligenza umana! che a verità soprannaturali, misteriose, profonde, incomprensibili, che non si vedono, presta un assenso più vigoroso, più in- timo, più costante, più perfetto di quello che è possibile di prestare alle verità naturali le più semplici, le più ovvie, le più facili ad intendersi e che vedono. 3Ia come può es- sere altrimenti? subito che l'insegnamento della vera fede, che produce il miracolo un assenso maraviglioso, ap- poggia ad una autorità divina. Dio stesso, fortifica dall'u- niformità dell'assenso della Chiesa universale, e, quello che è più si sostiene per un soccorso, gratuito sì, ma sopran- naturale e divino. Sicché il prodigio di un intelletto debole che crede alla parola infinita al di sopra di ogni altra ve- rità è l'effetto della grazia e dell' abito della fede divina ; come il prodigio di un cuore corrotto che ama la infinita bontà al di sopra di tutti i beni é l' effetto della grazia o dell'abito della divina carità, grazie ed abiti che nel Batte- simo sì ricevono. È dunque Dio, onde l'uomo, secondo una frase del Profeta, si solleva come ad un cuore alto, così ad un'alta intelligenza, sino a Dio stesso; afiìne che questo Dio, per quest'atto della sua potenza e del suo amore, sìa sem- pre meglio conosciuto e glorificato: Accedei homo ad cor allniiij et exdllahitur Deus (Psal. 63). E se 1' uomo crede con tanta disinvoltura, come fanno ì veri fedeli, misteri co- tanto superiori all'intelligenza umana; come, se pratica con tanta felicità, alla maniera dei veri giusti, virtù cotanto superiori all'umana debolezza, ciò accade perchè è corro- borato da una forza tutta divina e perchè è forte, direi

226 LETTURA SESTA

quasi della stessa forza di Dio ed amante del suo medesimo amore.

Fondata però la certezza cattolica sulle stesse basi di quella dei Magi , eccola produrre i medesimi effetti e ma- nifestarsi per gli stessi prodigi di una fede somma, viva, generosa, costante e tranquilla.

-Mirate il vero cattolico : allevato egli alla scuola della ri- velazione . di cui Gesù Cristo è 1' autore, e depositaria ed interprete la Chiesa, è più certo della verità di ciò che crede che della verità di ciò che sente , di ciò che tocca , di ciò che vede. La testimonianza della Chiesa non solo esclude ogni dubbio dal suo animo, sine dubitai ione _, ma vi pro- duce una certezza fermissima, immutabile intorno alle ve- rità rivelate, jlj-a cerfiludincj una certezza mille volte più piena, più completa, più perfetta di quella che vi produce la testimonianza dei proprj sensi intorno alle cose sensibili, la testimonianza del proprio intelletto intorno ai primi prin- cipi ^^1^6 t'O^^ intellettuali , la testimonianza dell* intimo senso intorno ai tatti interni. ISessun dubbio seriamente tale, che lasci l'anima nella tema che l'oppjsto di ciò che crede possa esser vero, si solleva mai dal fondo della sua ragione. H vero cattolico crede in Dio, come il vero giusto lo ama: con tutto il proposito di un cuore fedele, eu- foto corde; con tutta l' energia di un' anima generosa , ex tota anima; con tutta la pienezza di un assenso di un intelletto soggiogato dalla forza dell'evidenza, ex tota mente; con tutte le forze che è possibile riunire per prestare un' adesione somma, intima, profonda e perfetta, ej- totis riribus. Di- rebbesi in certo modo che la fede, per 1' anima veramente fedele , perde le sue tenebre misteriose. Quello che crede per effetto della grazia, lo tiene per così certo e reale come quello che potrebbe Dio fargli vedere per un raggio anti- cipato della sua gloria.

Narrasi S. Enrico imperadore che. invitato a vagheg- giar Gesù apparso in forma di bambino al di sopra di una ostia consagrata, ricusò di andarvi, dicendo che la sua fede non avea bisogno di questa sensibile testimonianza per cre- deie alla presenza reale di Gesù Cristo nell' Kucariilia . e

LETTUftA SESTA 227

che la vista di questo miracolo non avrebbe in lui accre- sciuta una lede incapace di accrescimento. Or questi senti- menti i,^enerosi , queste nobili disposizioni del cuore di santo personaggio, esprimono presso a poco i sentimenti e le disposizioni del cuore dei veri figli della Chiesa. Hanno essi tale certezza della verità di ciò che credono che non ne possono avere una maggiore, e che la grazia può bensì accrescere e perfezionare la loro fede, ma gli esterni argo- menti non possono aggiungervi nulla di più; e perciò vi prestano tutta l'adesione, tutto l'assenso di che sono capaci : Jhsque iliibiialìone , fura cerliludine.

Alcune volle Iddio, per accrescere il merito e purificar la ^irtù degli uomini veramente fedeli, permette che soffrano orribili tentazioni contro la fede. Onesta luce divina, come la stella dei Magi e pel medesimo fine . si ecclissa . si na- sconde , non brilla più del suo usato splendore nelle loro menti, non appresta l'usato conforto ai loro cuori. In preda a mille dubbi, a mille agitazioni, a mille incertezze, in cui non sanno abbastanza distinguere tra il soffrire la tenta- zione e l'acconsentirvi, tra il combatterla e il soccombervi, sembra loro di aver poco meno che perduta la fede, di es- sere stati abbandonati da Dio, come i 3Iagi al vedersi ab- bandonati dalla stella. Ma queste tentazioni e questi dubbj siccome sono senza colpa, così sono per lo più senza peri- colo. La luce della fede si é allora occultata sotto del moggio (Matth. 5), si é riconcentrata nel fondo della loro anima, si è nascosta, ma non si è estinta. ISon la veggono essi più, non la sentono : eppure è la sua forza che li sostiene, è il suo calore che li infervora. Gli assalti del tentatore, simili a quelli che un nemico impotente agli esterni ridotti di una fortezza, e che lasciano la cittadella in sicuro, gli assalti del tentatore, dico, rimangono al di fuori del recinto del loro cuo- re: e la pena che sentono nel provarli, e gli sforzi che rad- doppiano per respingerli, e la preghiera e l'ajuto celeste che implorano per trionfarne, mentre sono una prova della fer- mezza della loro fede, l'accrescono, la fortificano e la perfe- zionano: giacché come lo lia detto Gesù Cristo a S. Paolo, la virtù in mozzo ai pericoli del combattimento si fortifica,

228 LETTURA SESTA

si perfeziona e trionfa: ISaui virlus in infirniilale perficì- fiir (II Cor. 12).

E difiitli, oh come allora è più umile lo spirito, il cuore più raccolto, la preghiera più fervente! Ed è una cosa vera- mente ammirabile per chi ha occasion di osservarla e lume per intenderla il vedere queste anime vt-ramente cristiane, in mezzo alle angustie, alle pene, ai timori del loro cuore, lungi dal cercare nei trastulli del mondo un compenso o un sollievo, distaccarsene ancor di vantaggio; e quanto sono più desolate di spirito, tanto più abhorrire le lusinghe della carne, attaccarsi di più alla pratica del bene in un tempo che sem- bra fotto per disgustamele, e per quella strada, onde par- rebbe che dovessero allontanarsi da Dio, stringersi sempre più a Dio. e mostrarsi quanto più desolate, tanto più fervo- rose e fedeli. La ragione di ciò si è, perchè queste anime non desiderano già, ma temono che la fede, che loro è si cara, possa loro divenire sospetta. Paventano adunque per- ché amano; e le loro grandi paure e le loro grandi agita- zioni sono grandi atti di amore; e l'amore di Dio é ciò che solleva ed unisce di più l'anima a Dio. 11 filosofo profano, vero animale di gloria, che si applaudisce nel secreto del suo orgoglio di saper tutto, e non sa poi nulla di ciò che più è necessario a sapersi, il frAldo razionaìiòtOj l'inetto so- fista, che non sa che cosa sia credere e perciò ignora an- cora che cosa sia amare; costoro non intendono nemmeno i termini di questo linguaggio di fede: molto meno inten- dono il fenomeno , il mistero di un' anima interiore che ama di più la sua fede e vi si fortifica; Dio che ne è l'au- tore, e vi si abbandona, a misura che vede questa fede più combattuta nella sua mente, e questo Dio più severo e che par che più si allontani dal suo cuore. Phou intendono il prodigio di una fede, tormento insieme e delizia dell'anima in cui risiede ; 1' eroismo della stessa anima che questo stato medesimo di tanta ambascia preferisce a tutto ciò che il mondo può offrirle di più piacevole e di -più lusinghiero. 3Ia che cosa la carne ha mai capito e potrà mai capire giam- mai dei secreti dello spirito, e l'orgoglio delle meraviglie della fede?

LÈTTlRA SESTA 229

]>Ieiitre però è fermissimo nella sua adesione e nelle sue prove, la fede dell'anima veramente cristiana è ancora vi- vissima ne' suoi trasporti. Quello che crede misterioso e lon- tano par che lo vegga chiaro e presente, come quello che spera pare che lo possegga, l^^ntrate in una chiesa cattolica nel tempo dell'adorazione delle quarant'orej mirate la calca di gente di tutte le età, di tutte le condizioni, di tutti i sessi, e perciò si varia agli occhi degli uomini, e di cui frattanto la professione della medesima fede forma un sol cuore in^ nanzi a Dio. Consideratene la compostezza nel portamentOj il raccoglimento profondo, l'atteggiamento divoto; uditene le fervide preci, i colloqui confidenti, le aspirazioni amorose, i santi trasporti: e resterete indeciso se costoro credono {ì\ gran mistero che adorano o non piuttosto lo veggano; se essi s'intertengono col Dio nascosto sotto il velo del sagra- mento, o col Dio svelato nella sua gloria: se questo sia il ìnish-ro di fede per eccellenza, o non piuttosto quello della visione; e se questo mistero fa esercitare eroicamente o piut- tosto mirabilmente corrobori ed avvivi la loro fede. Certo, che, se Gesù Cristo, invece di essere nell'Eucaristia velalo sotto le specie del pane allo sguardo corporeo, e noto solo all' occhio della mente illuminato dalla fede, si trovasse as- siso sull'altare in una maniera visibile e manifesta : il rac- coglimento ed insieme la famigliarità, la confidenza e il ri- spetto, l'amore e la tenerezza del suo popolo a stento po- trebbero essere maggiori.

La stessa vivezza di fede si scorge nei veri cattolici ri- spetto agli altri misteri della religione. ìNe parlano non come di cose misteriose, lontane e celesti, ma come di cose chiare, manifeste, visibili e presenti sopra la terra. Quindi quel lin- guaggio ammirabile proprio dei veri cattolici, in cui Dio e i suoi attributi. Gesù Cristo e i suoi misteri, la Vergine e i santi, gli angioli e la loro protezione, i domml del para- diso, del purgatorio, dell'inferno, ritornano in ogni istante: linguaggio in cui chi lo sa intendere ravvisa tradotta e ma- nifestata al difuori nella sua integrità e nella sua purezza la fede del cuore: ma una fede facile, spontanea, sicura, dis- involta, passata, dirò cosi, in natura; ma viva che s'av-

10

230 LETTURA SESTA

vicina gii oggetti lontani , che toglie quasi il loro velo ai misteri, e considera come presenti, visibili, popolari, comu- ni, terrestri, i più grandi segreti del cielo.

Oh grande, oh prodigioso eifetto della certezza delia-fede cattolica, degno dell'ammirazione del vero filosofo! Ma in questo ancora gli uomini che pensan col ventre o vivon di orgoglio non intendono nulla. E perchè non l'intendono e disperano d" intenderlo, si appigliano all'insensato e comodo partito di deriderlo; chiamano imbecillità, superstizione uno dei più certi miracoli dello spirito di fede ; ed attribuiscono alia debolezza dell'uomo ciò che è l'opera della potenza Dio. Ma che importa a noi ciò che essi dicono? Sappiamo noi ciò che crediamo , e come lo, crediamo ; ed un giorno la nostra semplicità , al presente derisa , comparirà quello che è veramente, sublime sapienza J ed al contrario, la sa- pienza orgogliosa dei nostri censori sarà ridotta al silenzio e data all' universo in ispettacolo di obbrobrio ; convinta rea di volontaria follia, di profonda impostura, e come tale tremendamente punita!

§ X. -- .^ somìcjìianza pure dei Magi , il calloìico , sosle^ nulo dall' insegnamento della Chiesa, manifesta la cer- tezza della sua fede colV efficacia delle sue opere, e col resistere agli scandali che lo circondano. Felicità e pace di un figlio della vera Chiesa.

Ma la certezza che ottiene dall'insegnamento cattolico, ancora meglio che da una fede nel suo linguaggio vivissima, rende fra ì cattolici manifesta da una fede, come quella dei iMagi, eflìcace o generosa nelle sue opere. E che cosa difatti, se non la certezza che abbiamo della verità dei misteri della fede, delia forza delle sue grazie, dell' ampiezza delle sue ri- compense, persuade tra noi quel disprezzo dei beni tempo- rali e della vita presente, quelle virtù eroiche, quei sacri- fìci sublimi, quei prodigi di santità che fuori della Chiesa cattolica cercherebbero invano, e che l'idolatria, il mao- mettano, l'eretico nei momenti un qualche lucido inter- vallo della loro ragione e' invidiano ed ammirano, senza pò-

LETTURA SESTA 231

torli intendere, mollo meno imitare? E una ^^n'ande e pro- fonda parola quella in cui la sacra Scrittura fa dire a Dio: Il mio giusto vive di fede: JhsIks aulem incus ex fide vivil (Hebr. 10). Imperciocché è appunto la certezza che la fede inspira, unita ai soccorsi soprannaturali che ottiene, che fa vivere sulla terra ad uomini ricoperti di una carne inferma e corrotta una vita angelica , celeste e divina. Essa è che doma le passioni più rivoltose, che contiene i trasporti più violenti , che sana le piaghe più inveterate e più profonde dell'umanità, e persuade la penitenza alla mollezza, Tanne- gazione all'amor proprio,, la carità all'avarizia, la clemenza all'odio, l'umiltà all'orgoglio. Essa è che persuade al sacer- dote, al religioso, alla verginella di soggiogare la più vio- lenta delle inclinazioni della natura corrotta, ed immolarsi col sacrifizio continuo della castità più severa, alla gloria di Dio, al bene delle anime, al desiderio di una vita più per- fetta in terra e più gloriosa nel cielo. Essa è che spinge il missionario cattolico ad abbandonare patria, parenti, amici, agi, onori, ricchezze; ed a traverso oceani tempestosi ed or- ridi deserti penetrare nelle contrade più barbare e più cru- deli, in cerca di mostri a forme umane, per farli prima uo- mini e quindi cristiani, senza altra speranza che quella di coronare una vita di apostolo, una vita di stenti, di priva- zioni, di croci, di sacrificj di ogni specie, colla morte di un martire. Essa è che anima tante illustri verginelle a fare un sagrificio della loro gioventù, delle loro comodità, della loro bellezza, per dedicarsi all'istruzione delle figlie del povero : ad apprestare nelle prigioni, negli ospedali, nei campi di bat- taglia, all'umanità inferma, colle lezioni della fede, tutti i soccorsi della carità. Essa é che ispira tante virtù modeste, ma grandi; ignote al mondo, ma note a Dio; virtù che nei paesi cattolici santificano l'interno delle famiglie e vi man- tengono colla fede la santità, e coll'ordine la concordia, la pace e la felicità. Essa é infine che incoraggia tanta gente di ogni età, sesso e condizione, a non temere i sarcasmi degli empj, il disdegno dei mondani, la persecuzione dei parenti, la perdita dei beni, i pericoli della vita per conservare la fede, per non violare il pudore, per prò-

232 LETTURA SESTA

fessar la pietà. In somma è questa fede certa che rifonde tutto l'uomo e lo trasforma; fortifica l'anima e la solleva sopra stessa e le ispira nobili idee , sublimi sentimenti, sacrificj g-enerosi ed eroici; e riproduce in ogni tempo, in ogni luogo, all'ammirazione del cielo e della terra, lo spet- tacolo unico e proprio solo della Chiesa cattolica, lo spet- tacolo grandioso e stupendo di tanti uomini che, circondati dalla seduzione o dall' ingiustizia di tutte le passioni , son giusti ed in mezzo a tanti esempi di una vita voluttuosa e da bruto, novelli Lot, menano una vita che imita la pu- rezza degli Angioli e manifesta la santità di Dio: Jusfus aulem mens ex fide viril.

Che più ? simile a quella dei 3Iagi, la certezza che viene dall'insegnamento cattolico si produce ancora per mezzo di una fede costante in faccia ai più grandi scandali capaci scuoterla e di abbatterla. Tede l'anima veramente cristiana la sua fede combattuta da tanti miscredenti , sfigurata da tanti eretici, disonorata da tanti delitti , oppressa da tanti tiranni. Vede i confidenti non meno che i nemici, i figliuoli stessi non meno che gli estranei, i protettori non meno che i persecutori, con una infernale energia lavorare, dove di nascosto, dove in palese, a metterla in discredito ai dotti, in diffidenza ai governi, in odio al popolo; e disputarsi l'empio vanto di darle l'ultimo crollo o co' tenebrosi maneggi della loro politica, o col veleno delle loro dottrine, o coll'obbro- brio dei loro costumi. Tutto ciò essa vede, e come si gloria in Dio delle nuove conquiste e della gloria della fede, così geme in silenzio innanzi a Dio e versa lagrime dolore sulle sue perdite e su i suoi obbrobrj. Ma, al pari degli ob- brobrj di Gesù Cristo suo capo, che, rivelati a !\Iosè, come dice S. Paolo, servirono a corroborar la sua fede, invece d'in- debolirla, gli obbrobrj e le sconfitte della fede rattristano ma non iscandalizzano e non fan vacillare la fermezza della credenza dell'anima veramente cattolica. Questa fede, oscu- rata, annerita dai vapori dell'errore e delle passioni, come la sposa dei Cantici, non le sembra men bella: Nigra sum sed formosa : e quanto la vede più combattuta, tanto le sem- bra più solida e più verace. Sa essa l'anima fedele, e lo sa

LEtTURA SESTA 233

di certo che quello che crede è vero al di sopra di tutto ciò che è vero.

Come dunque un nuovo vang:elo annunziatole dai demonj convertili in an-ioli di luce non basterebbe a sedurla, così non bastano a scuoterla, ad intimorirla tutti gli scandali pre- sentatili da uomini convertiti in demonj. Onesti scandali , al contrario, facendole sempre meglio conoscere la miseria di chi mal crede e peggio opera ed il vanto di ben credere e operar bene, le rendono sempre più cara la stessa fede e ve la confermano. Non importa che lo scandalo le venga dalla parte da cui dovrebbe venire l'edificazione e il sostegno: la sua fede rimane costante a fronte delle apostasie degli stessi cattolici, come quella dei ìlagi a fronte del disprezzo che mo- strarono per Gesù Cristo i suoi stessi Giudei. Al principio della rivoluzione francese , un ulTìziale in IJone essendosi presentato ad un parroco per confessarsi, questo miserabile, che aveva fatto naufragio nella fede , guardando 1' uflfìziale alto in basso con una sardonica maraviglia, se ne fece beffe, dicendo di non comprendere come mai un graduato e colto militare potesse essere pregiudicato e cieco da credere ancora alla confessione. « Tutto ciò, ripigliò l'uffiziale, nulla da un tanto scandalo scosso nella sua fede, tutto ciò, signore, non vi riguarda. Ditemi, siete voi sacerdote? avete dal vo- stro legittimo vescovo la necessaria facoltà d'assolvere? » E rispondendo il parroco: « Sicuramente, » « Or bene, sog- giunse l'uflìziale, compiacetevi di ascoltare la mia confessione e promettetemi da uomo d'onore di assolvermi, se me ne credete capace, coli' intenzione di fore ciò che fanno i mi- nistri della vera Chiesa, e non v'imbarazzate del resto. Se voi lo avete dimenticato, io però ho la sorte di ricordarmi ancora, e so quello che vale 1" assoluzione di un legittimo sacerdote, fornito della legittima potestà, qualunque sia per altro la sua opinione e la sua condotta : » Promise il par- roco di fi\re, e fece quanto e come rufìiziale desiderava. E questi, confessatosi coi sensi della più grande pietà, ritirossi lasciando il parroco non saprebbe dirsi se più confuso della propria miscredenza , o meravigliato di trovare in questo novello centurione una fede solida e sublime.

2S^1 LETTURA SESTA

Questo bello sempìo di fede, che ci è stato raccontato da un degnissimo ecclesiastico francese il quale lo avea sa- puto dallo stesso militare, questo esempio, dico, nei tempi di libertinaggio, di apostasia e di errore, ad ogni istante si rinnova.

Ma le anime veramente cattoliche, che in tali tempi, come ha detto S. Paolo, meglio si manifestano, sanno che la vera fede è soggetta a quando a quando a simili vicende per parte dell' errore e delle passioni ; ma sanno ancora che, si- mili al sole che non abbandona un emisfero se non per il- luminare un altro, e non tramonta la sera se non per tor- nare a spuntare il appresso, la stella miracolosa della fede, vera luce del mondo, non perde una porzione del suo splen- dore visibile e della sua esterna testimonianza in certi tempi ed in certi luoghi, se non per tornare in altro tempo e in altro luogo a brillare di un nuovo lustro e riscuotere omaggi novelli, e che, dopo essersi nascosta per qualche tempo da profuga, tornerà a mostrarsi per regnare da regina. Perciò i libertini che la discreditano, gl'indiirerenti che non la curano, i rei costumi che la disonorano, gli anti- chi fratelli che cadono, gli stessi ecclesiastici che preva- ricano, scuotono punto i veri cattolici nella loro fede. De- plorano siffatti scandali, ma non li imitano; compiangono tanta cecità, e, lungi dal divenir ciechi essi pure, impaiano a vederci anche meglio; studiandosi di mantenere la pu- rezza della lor fede colla purezza della lor anima; per non essere ancor essi strascinati dalla licenza del vivere alla turpe e vergognosa necessità di non credere.

Non solo però questi tempi di pubblici scandali, ma i giorni ancora di prova, di tentazioni e di combattimenti pri- vati ai quali Iddio sottopone alle volte le anime di tempra forte e robusta, e dei quali si è poc'anzi fatta parola, questi giorni altresì non duran sempre: passano essi più o meno rapidamente, per dar luogo ai giorni più sereni e più lieti, ai giorni di ricompensa e di conforto, che la divina bontà concede ancora in questa vita alle anime elette, dopo che la tentazione, coli' averne purificata la virtù e provata la fedeltà, le ha fatte troviU'e degne di Dio.

LETTURA SESTA 235

La stella dei Magi: dopo essersi occultata per provare la fermezza della lor fede ed accrescerla, tornò a brillare più splendida ai loro occhi; così la luce divina, dopo di essersi per qualche tempo ecclissata per provare pure ad accrescere la fede delle anime veramente cristiane, ricomparisce nella lor mente più brillante e più chiara. I venti delle tentazioni cessando di agitare questa preziosa fiammella, essa gitta un lume immobile, costante e sicuro. E poiché nelle cose di Dio la mente tanto vede di più quanto il cuore é più puro, avendo detto il Signore: Beati inumìo corde quoniam ipsi Deum vitlcbunl (Matth. 5); così dopo che il cuore, per la prova sofl'erta, è stato purificato da quelle resine carnali da cui si sollevano i vapori delle passioni, la mente, dive- nuta più sgombra e più chiara, ci vede meglio di prima.

E chi può mai intendere , non che spiegare o descrivere con parole lo stato di pace, di quiete, di secreta gioja in cui entrata l'anima, si abbandona a vagheggiare le bellezze della vera fede? T'idenies steìlaui fjavisi sìitit gaudio magno valde. Anche questo è un gran prodigio, è un gran mistero di fede, che moltissimi tra gli stessi cattolici intendono poco, e gli eretici e i miscredenti non lo intendono affatto come gli uo- mini carnali, perduti nelle delizie dei sensi ed intenti a sod- disfare il ventre che si hanno eretto in divinità. Quorum Deus venter est (Philip. 3), non intendono come mai possa esser felice un cuore che assoggetta tutte le sue inclina- zioni all' annegazione evangelica: così gli eretici e i'miscre- denti, tutti occupati a ragionare e discutere, e cìie si sono fatti un idolo della loro ragione, non comprendono, pos- son comprendere come esser possa tranquilla e felice una mente che ha rinunziato ai propri lumi, al proprio giudizio per cattivarlo in ossequio della vera fede. Ma che questo doppio mistero della grazia e della fede s'intenda, o non s'in- tenda, ciò nulla importa; il fatto sta che. tra i veri cattolici, è certo e visibile. Poiché è certo e visibile presso di loro che siccome le anime veramente pure, lungi dall' essere in- felici perchè si privano degli sfoghi dei sensi, questi sfoghi anzi lor fanno orrore, e il sacrificio stesso della loro carne le consola, e l'incanto della purezza le rapisce e forma parte

236 LETTURA SESTA

della loro interna felicità, così le anime veramente fedeli, lungi dal soffrire perchè s'interdicono og^ni raziocinio, ogni indagine in opposizione alla fede, ogni delirio della ragio- ne, questo stesso sacrifizio della loro mente e del loro giu- dizio le appaga, le trasporta, e, facendole tranquille, le rende felici.

Imperciocché la felicità della mente consiste nell' ordine e nel riposo dei pensieri, come nell'ordine e nel riposo de- gli affetti consiste quella del cuore ; ed opera della grazia divina si é Yordinare la credenza, come sua opera è l'or- dinare la carità: Ordinavit in me charitalem ( Cantic. 2). Perciò la stessa grazia che rende facili i precetti di Dio, ne rende credibili i donimi \ la stessa grazia che rende leggiero il peso della legge rende ancora soave e delizioso il giogo della fede. Ora siccome questa grazia ordinatrice non si di- spensa che nella Chiesa, così solo nella Chiesa può trovarsi questo doppio ordine, questo doppio riposo, questa doppia fe- licità. Solo del popolo della vera Chiesa si ademj)ie la gran profezìa: « Il mio popolo si assiderà nelle bellezze della pace, nei tabernacoli della fiducia, in seno ad un ricco ed abbon- dante riposo: Sedcbii popuUis ineus in piilchriludine pacisj in iabernacnìis fidiicice, in requie opulenta (Isa. 32).

Mirate quel tenero bambinello che ha preso sonno nelle braccia materne. Oh come è placido il suo respiro, perchè nulla teme il suo cuore ! con quale abbandono di , con quale fiducia, con quale tranquillità e pace prolunga il suo riposo! oh come è bella la condizione dell' innocenza che dorme in seno all'amore ! Or questa non è che un'imagine assai debole della intera sicurezza dell'anima cattolica nella verità della sua fede ; dell'immensa fiducia con cui, intorno a ciò che crede , si abbandona nelle braccia della Chiesa , che a nome di Dio le parla de'misteri di Dio : e vi si ri- posa con una pace profonda, con una tranquillità perfetta, sapendo che non può ingannarla , perchè è sposa di Gesù Cristo, e non vuole ingannarla, perchè è madre dei cristia- ni ; sicché il cattolico solo può ripetere col Profeta: In pace in idipsam dormiani et requiescanij quoniani tu. Domine, sinijuìariter in spe constituisfi me (Psal. 4).

LETTURA SESTA 237

La vera religione, a ben riflettervi, non é in fondo che amore. La fede è l'amore che docile ascolta, la speranza è l'amore che attende, la contrizione é 1' amor che si duole, la preghiera é l'amor che desidera, la pratica del bene è l'amor che s'immola, la pietà e la divozione è l'amore che si trattiene con fiimigliarità e con confidenza coli' oggetto amato che è Dio, e tutto il culto cattolico non è che 1' e- spressione dell'amore di Dio verso dell'uomo diretta ad ec- citare, a mantenere, a cattivare l'amore dell' uomo verso Dio. Perciò il principale effetto della grazia della fede è d'infondere nell' anima una forza segreta , onde la volontà vuole ed ama di credere quello che crede; e dimandando all'intelletto il sacrificio di acconsentire a ciò che esso non intende e supera la sua capacità , 1' ottiene ; e l' intelletto , sotto il peso di questo amore soprannaturale, si piega e si sottomette ai misteri rivelati con maggior fermezza di quello che se li avesse veduti. Perciò S. Paolo non solo il senti- mento che ci solleva ad amare Iddio come sommo bene, ma quello pure che ci fa credere e sperare in lui come somma verità, attribuisce alla secreta operazione dello Spirito Santo mediante la carità divina che, venendo egli in noi pel Bat- tesimo, ha diffusa nei nostri cuori; Habemus accessuìn per fulem in (jraliam islanij el ijloriamiir in spe (jìorice fiìio- rum Dei.... Spcs autem non confundil: quia charilas Dei diffusa est in cordibus veslris per Spirilum Sanctum qui datus est tiobis (Rom. 5). La vera fede adunque è più nel cuore che nell'intelletto; oppure è nell'intelletto insieme e nel cuore: nell'intelletto per farlo credere amando, nel cuore per farlo amare credendo ; e se il principio ne è la gi-azia, la forma e l'alimento ne è l'amore.

Una fede siffatta salvò ]Maddalena : giacche lo stesso dol- cissimo Gesù, che la assicurò della sua salute pel merito della sua fede, Fides tua le sahum fecit (Lue. 8), dichiarò altamente che questa fede grande di Maddalena avea preso da un grande e tenerissimo amore la sua forza, il suo ab- bellimento 0 la sua perfezione: Dilejcit imillum (ibid.).

Ora dall'amore nasce la fiducia, dalla fiducia il riposo nel- l'oggetto amato. Egli è adunque perciò ancora che il catto-

538 LETTIERA SESTA

lieo i in cui la fede non è ell'etto del convincimento di un freddo raziocinio umano, ma del sacro fuoco dell'amore di- vino ;, va incontro con vero trasporto alla parola di Dio, all'insegnamento divino manifestatogli per mezzo della Chiesa; lo riceve con una immensa fiducia e vi si adagia e vi si riposa coll'intelletto e colla volontà, colla mente e col cuore, come in un tabernacolo di sicurezza e di pace: Sedebil in labeinacuìis fidìicicB, in pulchriludine pacis.

Oh condizione felice! oh sorte avventurosa della co- scienza cattolica ! 3Ia per sempre meglio intenderne i van- taggi e il pregio, procuriamo di confrontarla colla condi- zione infelice, colla sorte deplorabile delle coscienze di co- loro che sono fuori della vera Chiesa; giacché, come le tenebre fan meglio risaltare il pregio della luce . così le miserie dell' errore fan meglio apprezzare il vanto di co- noscere e di professare la verità.

§ \I. - Si entra a (ìimoslrart' che. fuori (Iella Chiesa catti)' lica, non vi è certezza alcuna di fede Da prima perchè manca un'autorità divina. L'autorità politica, chr fuori (Iella Chiesa dispone della relicfionc , noìi è. altriìnenti divina nel decretare i simboli di f"Ab-^ ma umana o dia- bolica. Conlradizione e uasticjo deyli eretici, obbliifati a far dipendere la loro fede dall'autorità secolare, essi che non vogliono riconoscere /' autorità di-Ila Chiesa. Assur- dità die vi sarebbe a riconoscere divina l'autorità degli eresiarchij i loro stessi discepoli I' hanno ripudiata. La stessa Scrittura cessa di essere ?/??' autorità divina pel cristiano che crede di doverla interpretare a suo modo. Il vero eretico noìi riconosce alcuna autorità divina, ma inette la propria nnjione al di sopra di Dio stesso. Que- sto orribile peccato lo ha comune con Lucifero.

Abbiamo veduto che la certezza onde noi cattolici siamo perfettamente tranquilli e sicuri nella nostra fede sopra tre motivi principalmente si fonda: l." sull'autorità divina, in- t.-rprele infaliii)ile della divina parola; '2.' sull'interno ajuto dtdia g-razia disila fede: 3." sull'esterna testimonianza del- l'unità delle catloliclie credenze. Ora, poiché nessuno di questi tre motivi si trova nel sistema dell'insegnamento del-

LETTURA SESTA 239

l'eresìa, egli è chiarissimo che T eretico, veramente tale, non é e non può mai esser certo di quello che crede, e che fuori della cattolica Chiesa non vi é, può esservi, in materia di religione, vera certezza, vera fede.

INon vi è da prima presso gli eretici un'autorità divina, interprete infallibile della divina parola. Accade nell'ordine religioso ciò che accade nell'ordine politico; giacché le stesse ne sono le leggi fondamentali, come lo stesso Dio ne è r autore. Come la mancanza dell' autorità politica produce l'anarchia dei poteri nello stato, così la mancanza dell'au- torità religiosa produce in religione la confusione delle credenze E rame l' anarchia dei poteri distrugge lo stato, così la confusione delle credenze alla lunga finisce col di- struggere ogni religione. Come dunque la forza o il dispo- lismo politico pwò solamente mantenere un' apparenza di ordine in un popolo caduto nell'anarchìa dei poteri, così la sola forza o il dispotismo religioso può, presso di un popolo caduto nella confusione delle credenze, mantenere un'appa- renza di religione. Perciò non solo nei paesi maomettani e idolatri, ma ancora ne" paesi cristiani, ma scismatici o eretici, H la podestà secolare, è la forza, è la spada che domina la re- ligione. Vi sono, é vero, vescovi ed arcivescovi nella chiesa anglicana, come vi è il santo sinodo nella così detta chiesa ortodossa. Ma quelli riconoscon per pontefice il re, o la regina col suo parlamento, questo l'imperatrice o l'impera- tore col suo senato. Le stesse confessioni, gli stessi simboli legali , nei quali 1' eresia e lo scisma han ridotto a certe formole l'errore, sebben foggiati da uomini di chiesa, è sem- pre l'autorità secolare che gli impone a tutti come leggi, che ne riclama l'esecuzione, e che al bisogno gli interpreta a seconda del suo interesse o del suo capriccio. Che anzi negli stessi stati, come la Prussia, l'Olanda, la Svizzera, in cui la supremazìa religiosa della podestà politica non è un domma di religione, e perciò non è un diritto, è però ammessa ed esercitata di fatto; poiché infatti é il potere politico che decide nelle materie religiose, come nelle civili: che ordina le preghiere e i digiuni, come le imposte 5 che dispensa dai precetti del Vangelo, come dalle prescrizioni

240 LETTURA SESTA

del codice civile^ che regola le coscienze come le dogane, e dirìge il culto come la polizia.

Qui due riflessioni si presentano naturalmente alla mente: la prima si é, la contradizione manifesta in cui l'eresia si trova con medesima. Poiché qual maggiore contradizione di questa di rigettare l'autorità della Chiesa universale ed ammettere e sottoporsi all' autorità politica di un governo particolare in materia di religione? e di dire che l'autorità della Chiesa non è necessaria . mentre che 1' eresia stessa altro mezzo non trova di perpetuare i suoi scismi e i suoi errori che quello d'insegnarli e d' imporli, coll'autorità so- stenuta dalla forza? Qual contradizione più rivoltante di questa, di sostenere che Roma, che la Chiesa universale, riunita, per esempio,, in Trento (in cui i più grande talenti uniti a tutte le virtù fecero di quel concilio l'assemblea la più santa, la più dotta^ la più augusta, la più memorabile di quante mai ne abbia vedute la terra), non ha capito il cri- stianesimo e vi si è ingannata: e che hanno ben capito e ci hanno solamente indovinato Costantinopoli, Pietroburgo, Vittemberga, Augusta, Londra, Ginevra ed i conciliaboli ivi raccoltisi sotto la protezione del soldato o del carnefice, e composti di frati apostati, di ecclesiastici incestuosi, d'in- giusti usurpatori, di fanatici sanguinar], di artigiani falliti, di soldati rivoltosi, di femmine invereconde; in cui tutte le follie unite a tutte le turpitudini, e tutte le assurdità in- nestate a tutti i vizj, ne fecero le orgie le più comiche in- sieme e le più scandalose di quante ne rammenti la storia delle umane ingiustizie e delle umane stravaganze?

La seconda riflessione si è, che il gastigo di Dio è visibile sopra questi popoli e sopra queste chiese ereticali o scisma- tiche, ribelli alla vera Chiesa. li'orgoglio che ha ricusato di sottomettersi al vescovo dei vescovi si vede ivi curvato in- nanzi ad un militare fortunato o alla sovranità religiosa in gonnella, e palparne le passioni e adorarne i capricci e su- bire dalla loro bocca profana la regola del credere e del- l'operare, che ha sdegnato di ricever dalia bocca del vica- rio di Gesù Cristo. Non hall voluto sapere queste chiese de- gradate di esser guid^to>^^s!feÌl-p»*foriiley /C ^onp cadute sotto

LKTTLIJA M:8TA 2M

il reó^ime dello scettro e delia spada. La seta della romana tiara è sembrata lor troppo grave, e sono obbligati a gemere sotto il peso di una corona di fnio. Rigettarono lo bolle del Vaticano, ed invece devon piegare la fronte innanzi ai decreti di gabinetto, e ricevere dai parlamenti, invece dei concilj , dai tribunali laicali , invece delle sacre congrega- zioni, ed invece del concistoro romano, dal consiglio di stato la soluzione dei casi di coscienza e l'interpretazione del Vangelo. Sicché come la fede del cattolico si riduce in fondo a questo semplice articolo, die comprende tutte le verità: « Io credo tutto ciò che crede la Chiesa; » così la fede del cristiano, nei paesi in cui lo scisma e l'eresia è la religion dello stato, si riduce a quest'articolo, che com- prende tutti gli errori, non escluso l'ateismo: «Io credo a ciò che ordina di credere il re, o l' imperatore. »

Di più. una delle prove più luminose, come si è di già veduto, che l'autorità pontificia insegnante è manifestamente divina si é che gli uomini d'ingegno, d'indole, di nazioni diverse, che per circa duemila anni l'hanno esercitata, ap- pena si sono messi a sedere sulla cattedra di verità, dimen- ticando tutte le loro idee e le loro passioni, han parlato tutti lo stesso linguaggio. Poiché, senza un'assistenza divina sem- pre la stessa, era impossibile in tanta diversità di tempi, d'interessi, di opinioni, un accordo costante, uniforme, contrario alle condizioni dell' umanità e però ancora si prodigioso. ì\Ia immaginate che i sommi pontefici avessero insegnato il contrario gli uni dagli altri in materia di fede: non potendosi allora decidere chi di loro avesse insegnato il vero e chi il falso, non si potrebbe con sicurezza credere a nessuno. Or con molto più di ragione non si può credere ad alcuna delle autorità civili che si hanno usurpato il di- ritto di spiegare il Vangelo, e che si vedono interpretare questo Vangelo unico In ìnìlle maniere differenti e contra- rie; giacché il cristianesimo di Londra non è quello di Pie- troburgo, il cristianesimo di Berlino é condannato di eresia all'Aja, e quello di Ginevra in Atene é tacciato di empietà. Ma siccome sotto un Dio unico non vi é, vi può essere che una stessa e medesima fede : una stessa e medesima

242 LETTURA SESTA

legge,, uno stesso e medesimo modo d'intenderla e di pra- ticarla; e lo stesso Dio non può ispirare interpretazioni differenti e contrarie della sua stessa parola divina, uni- forme ed immutabile; cosi é cliiarissimo che queste autorità civili, che si hanno arrogato la supreiiuizia reìi(jiosa, non >ono ispirate dal Dio di verità, di pace e di concordia, ma dallo spirito di menzogna, di confusione e di disordine; e che non sono organi divini che insegnano le vie della salute, ma strumenti diabolici che strascinano le anime alla perdizione.

E poi , dopo che si é negato al sommo pontefice, capo della Chiesa universale, l'autorità divina di spiegare agli uomini il Vangelo, come é possibile il riconoscere investito di questa stessa autorità divina un fcinciullo, od una donnetta, per diritto di nascita o per intrigo di rivoluzione, saliti al trono? o un ri- baldo 0 uno straniero che vi si é latta strada con una guerra ingiusta, 0 con una usurpazione felice? 11 buon senso più volgare non ripugna di ammettere si enorme stravaganza?

Credo perciò che quelli stessi cui la ribellione alla Chiesa ha conferito un diritto esorbitante e assurdo sulla reli- gione dei loro popoli non prendano già in serio questa loro dignità; o che, come degli antichi auguri ci narra Cicerone, che incontrandosi tra via non potevano contenersi dal ridere e volgere essi stessi in burla l'assurdità del loro ministero, così questi pontefici di fabbrica umana non jjossono non farsi beffe del loro ridicolo pontificato. Checché sia però di loro é certissimo che ciii ha fior di senno in capo fra i loro sudditi non crede che essi abbiano autorità in materia di fede, più di quella che un semplic privato ne ha in mate- ria politica, e che l'una autorità è tanto poco divina quanto l'altra é poco sovrana. Perciò gl'Inglesi protestanti, come varj di loro più sinceri ce lo han confessato, non ricono- scono nel loro re-pontefice che la sola estenvi rapprcwn" tanza della supremazia reìUjiosa ^ cioè un'autorità pura- mente politica per mantenere ì' (■sterna unità di una politica religione, qual è la chiesa anglicana, non mai però una vera autorità religiosa, molto meno divina, che abbia diritto di comandare la fede e legar le coscienze. Ciò che, in altri ter- mini, significa che il rt d Inghilterra colla sua prerogativa

LETTURA SESTA 24o

di capo della reUcjionc anylicana e con tutti jili oma^^^i che a tal titolo riceAe, non è più pontefice di quello che sia re un re da teatro; salvo la difFerenza che un re da teatro fa ridere, e questi pontefici di politica creazione, a cominciar da Nerone che fu pontefice a questo modo, han fallo più di una volta scorrere piogg^ie di lagrime e torrenti di sangue.

iVé minor violenza bisognerebbe fare all'intimo senso pei* riconoscere come ifiriati di Dio ^ ripieni del suo spìrito e rivestiti di un'autorità divina gli eresiarchi . dalla cui viltà sacrilega i principi secolari han ricevuta la loro religiosa autorità. È mai credibile che Iddio . per illuminar la sua Chiesa e rimetterla sulla strada della verità, da cui gli ere- tici pretendono che si sia allontanata, tralasciate quelle ani- me sublimi ed eroiche che in tutti i tempi e precisamente nel secolo XTI suscitò nel cristianesimo , un S. Gaetano Tiene, un S. Girolamo Emiliani, un S. Ignazio Lojola, un S. Filippo Neri , un S. Carlo Borromeo , un S. Francesco Saverio, un S. Camillo di Lellis, un S. Francesco Carrac- ciolo, un S. Francesco di Sales, un S. Giuseppe Calusanzio, un S. Francesco Borgia, un S. Andrea Avellino, un S. Fe- lice da Cantalice , un S. Pio V, un S. Pietro d'Alcantara , un S. Giovanni della Croce, un Sisto Y, un Luigi da Gra- nata, un Bartolomeo de'.Martiri, un Roberto Bellarmino, un Cesare Baronie, un Tomaso Moro, un Pietro Canisio e milb- altri santi o venerabili uomini, di un zelo si disinteressalo, di una vita pura, di una carità si eroica, di un ingegno si vasto, e degnissimi perciò di ricevere in abbondanza lo spi- rito di Dio e di servire ai disegni della sua misericordia ; che, tralasciati, dico, costoro, abbia voluto comunicarsi ad un Fozio l'ipocrita, ad un Giovanni Lss l'indiavolalo, ad un Lutero l'incestuoso, ad un Calvino il sodomita, ad un Rolmano il crudele, ad un Vrrigo Vili il poligamo, e ad al- tri uomini di simil tempra, autori di lutti gli scandali, rei di tutti i delitti, ed abbia voluto costituirli apostoli della verità, lucfi (If'l mondo ? In \ erità che la cosa è troppo assurd i per potersi credere , troppo ridicola per potersi afi'ermai-e.

E poi, se essi stessi questi eresiarchi si sono l'un l'altro scomunicati, anatematizzati, maledi-tli come apostoli di er-

i>V4 LliTTCRA Si:.STA

rore e corruttori della verità, e si sono a vicenda regalati i titoli di asinij di porci^ di diavoìi in carne; come si farebbe a decidere chi fra loro ha avuto ragione e chi torto nel parlare cosi, chi é stato da Dio ispirato e chi dal demonio? non avendo potuto a tutti lo stesso Dio ispirare dottrine contradittorie da meritar l'una l'anatema dell'altra. Non è dunque più ragionevole e giusto il credere che, eccet- tuata la sentenza onde si sono a vicenda condannati siccome eretici ., poiché si sono in ciò renduti giustizia e si sono dati il nome che loro spetta, in tutto il r-jsto l'inferno e non il cielo li ha ispirati?

Perciò i loro discendenti si vergognarono ben presto di tali antenati, e per fare obbliare al mondo di avere essi avuto questi mostri per loro guide e maestri, lasciati i nomi dclh» persone che ricordavano tanti delitti e tante infamie, chie- sero a41e cose il titolo onde distinguersi, e non si chiama- rono più luterani y calvinisti ^ zivimjliani , ma riformali , confessionisti, evanfjelicij protestanti , ortodossi. E con ciò han dato a conoscere al mondo che nemmeno essi stessi gli eretici riconoscono nei loro turpi patriarchi ombra di spi- rito di Dio, di missione divina, di divina autorità.

Ma la sacra Scrittura non contiene la parola di Dio? Cre- dendo adunque, come gli eretici dicono credere alla Scrit- tura, non vengono essi a credere alla parola di Dio e sulla sua autorità? Sì, se col credere alla divina Scrittura credes- sero, essi o potessero credere ad una autorità pure divina che inAdlibilmente la interpreti. Ma dove trovarla questa au- torità fuori di quella della Chiesa cattolica, che hanno ri- gettata? IaI logica dell'errore è così forte come quella della verità. Dopo che si è detto che la Chiesa cattolica o univer- sale si é ingannata, non si può, senza contradizione, am- mettere come infallibile l' autorità d' una chiesa particolare. Nessuna chiesa particolare adunque che ha fatto scisma dalla Chiesa universale si può essa stessa imporre come autorità divina ed infallibile ai membri che la compongono: ed è ob- bligata a lasciare ad t)gnuno la più ampia latitudine d'in- tendere la Scrittura come gli pare. 11 principio protestante adunque: Che. in materia di reìi(jione criìtiana, quello

LKJTL.r.A SEUJk 2'4'ò

(hnc ritenere per vero die aeiiìbrerà vero ad oijnuno leg^ (jendo la Scrillura, è la conseguenza legittima, inevitabile, necessaria di ogni eresia che niega l'autorità della Chiesa cattolica, ed in questa conseguenza ogni eresia si risolve. Perciò ogni eresia, come la stessa parola lo indica, non è in fondo che opinione pjrlieolare e privala.

Gli eretici veramente tali non hanno dunque fede che nell'infallibilità loro personale, non ammettono altra auto- rità che la propria ragione. Ed egualmente impudenti e ridi- coli che orgogliosi ed empj non arrossiscono di sostenere che può errare il sommo ponte lìce, il testimonio sincero della credenza cattolica, il custode del deposito della rivelazione, il dottore universale, principio e centro della cattolica uni- tà; ma che non erra poi mai l'uomo privato, il zerbino^ il militare, il bifolco> la donnicciuola: che può ingannarsi co- lui che Gesù Cristo ha rivestito del ministero d insegnare: ma non s'inganna però mói colui che ha solo l'obbligazione di credere: che può traviare e addormentarsi il pastore, che ha l'incarico di guidare e di pascere: ma che cammina sem- pre dritta e sicura e che è sempre vigilante sopra stessa la pecora, che ha un incessante bisogno di essere guidata e pasciuta: che il maestro alle volte non intende bene la di- vina parola, ma che bene sempre la intende il discepolo: che è fallibile colui cui é stato detto da Gesù Cristo, la tua fede non fallirà (jiaittìnai (Lue. 22); ma è infallibile colui cui il Signore ha detto, bada h'-ne che quello che la credi un hune in le ,slr.sso può benissimo non essere allro che tenebre (ibid.li). Oiianto dire che osano di attribuir.^i , ognuno in particolare, quella infallibilità che niegano al capo dei fedeli, al corpo dei pastori, alla Chiesa uni\ersal«', e con una stolida contidenza si appoggiano ad una fragile canna, dopo di avere abbandonata la quercia come non abbastanza solida e sicura.

Pertanto se, ammettendo la divinità delle Scritture rico- noscessero la divina autorità che ha la Chiesa d'interpre- tarla, allora la loro fede, come la nostra, andrebbe a risol- versi a terminare in Dio. Ma poiché, rigettata l'autorità della Chiesa, hanno adottato il principio di non ùuiìAtUere

Bellizzs de: la fen'e. II. 11

246 LETTURA. SESTA

per vcrOy se non ciò che a ciascuno parrà vero leggendo la Bibbia y come gli antichi filosofi han detto: Quello dolersi tener per vero che sembra vero ad ognuno studiando la na- tura; ognuno di loro si é messo nella disposizione di non credere delle verità primitive o evangeliche più meno di quello che gli piacerà e come gli piacerà di crederlo, e di rigettar come falso, o disprezzare come indifi'erente, tutto ciò che nella rivelazione cristiana rimane al di fuori del cir- colo delle sue concezioni, de'suoi giudizj, de' suoi gusti, dei suoi capricci. In questo orribile sistema adunque, come lo ha benissimo avvertito Tertulliano, sebben l'uomo protesti di credere alla parola di Dio depositata nella Scrittura, pure non é la rivelazione divina che serve di regola alla ragione umana, ma la ragione umana che allarga o restringe, accetta o rigetta, e decide sulla rivelazione divina. Non é l'uomo che si assoggetta alla parola di Dio, ma é la parola di Dio che riman sottoposta al giudizio dell'uomo, Umisquisfjue arhitratu suo modulatur quod accepit (De priescr.). L'ultimo motivo Alla sua credenza non é già Dio che ha parlato alla Chiesa, ma la propria ragione che ha deciso della parola di Dio, ed ove la fede del cattolico, nella sua analisi, si risolve in quest'ultimo articolo: Io credo a Dio, la fede dell'ere- tico finisce in quest' altro : lo credo a me stesso. Quanto dire che 1' uomo si erige e si forma un Dio di stesso. L'eretico adunque, coerente a' suoi principj, non solo non fonda la sua credenza sopra alcuna autorità divina, ma la stabilisce sopra il più grande dei delitti di cui l' umana intelligenza può farsi rea innanzi a Dio, sopra l'idolatria di stesso.

(juest'orrendo delitto della ragione, che si fa un Dio di stessa, l'eresia lo ha comune colla filosofia pagana. Degli antichi filosofi Cicerone, in persona di Balbo, alFerma che, disprezzando sdegnosamente ogni autorità, tutto pretende- van decidere al tribunale della propria ragione, ed altro ora- colo non ammettevano che il proprio giudizio : Tu auctori-

tates omnes conlemnis , ratione pugnas Suo unicuigue

niendum est judicio (De nat. dcor.). E Seneca pure, alunno ed interprete della stessa scuola, il filosofo, dicea , abban-

LETTURA SESTA 247

donato ai proprj pensieri, non acconsente, non crede che a stesso, P/iilosojìhus, coynilionihus stiis tradilus^ aaiuic- scil sibi. Lungi adunque dal credere a Dio, non ammette- vano Dio se non come ad ognuno sembrava bene di ammet- terlo, o piuttosto se lo creava ciascuno a seconda del pro- prio capriccio, o delle proprie passioni. E siccome il creatore é al di sopra della creatura, così questi stolidi e sacrileghi creatori di Dio non mancano di preferirsi a Dio stesso e di costituirsi dii dello stesso Dio. Poiché lo stesso Seneca in più luoghi ha bestemmiato « che il filosofo, pel merito della sua sapienza, é a Dio superiore; » benché, in quanto a lui stesso, per eccesso senza dubbio di modestia, contentossi di dirsi a Dio solamente eguale: Hoc mi/ii philosophin pro- miilily ut me Deo partm faciat. E per dirlo qui di passag- gio, chi non ravvisa in questa sacrilega parola del pagano filosofo ^n eco fedele della parola sacrilega che Lucifero pronunziò di stesso dicendo: « io mi farò somigliante al- l'altissimo Iddio, Si ni ilio ero Altissimo (Isa. 14), » e che ri- petè quindi all'orecchio dei nostri progenitori, promettendo loro che sarebbero divenuti nmili a Dio disubbidendo a Dio, Ncquaquum ino ri t mini , sed eritis sicut dii (Gen. 2). Ora questa stessa orribile parola che, uscita dal fondo dell'a- bisso, risuonò prima nell'empireo, poi nell'Eden e infine nel mondo pagano con funesto rimbombo, si é ripetuta e si ripete ancora, con non minor danno, in quelle parti del mondo cristiano ove ha dominato e domina ancora l'eresia. Simon 3Iago, 3Ianete. Montano, Maometto fra gli antichi, Lu- tero, Martino. Giorgio, Diderot e Rousseau, fra i moderni si sono apertamente attribuita Fispirazione e l'infallibilità di- vina e si sono preferiti. Io dirò io? al medesimo Gesù

Cristo. I loro discendenti non osano più altrettanto colle parole, ma l'osano coi fatti. Giacché che cosa é mai il prin- cipio protestante ammesso ed enunciato dai protestanti me- desimi : Il protesiantismo consiste nel credere come più piace e nel vivere come si crede? se non prendersi scherno di ogni rivelazione divina, opporre il proprio capriccio alla divina parola; é lo stesso che dire: « Che Dio abbia o no parlato, poco m'importa. Se ha parlato, non ha diritto d'im-

248 LETTURA SKSTA

pormi la sua parola per regola della mia intelligenza e della mia condotla. Che cosa poi abbia detto,, non mi curo saperlo, giacché ho sempre diritto di far dipendere la mia credenza dal mio capriccio e la mia vita dalla mia credenza. « E non é questo un considerarsi eguale, anzi superiore a Dio stesso? 1^] dunque la stessa parola di Lucifero, che collo stesso ac- cento del sacrilegio ripercossa in faccia alla montagna del- l'orgoglio ha un eco nel cuor dell'eretico. È Io stesso spi- rito di superbia luciferina che lo anima, che lo ispira, che lo regge, che lo accieca, che lo perde. Oh misera condizione dell'uomo alla scuola di un tal maestro, sotto il regime di un tal padróne, sotto l'ispirazione di siffatta divinità!

§ XIF. - A somi(jUanza (ìccjU auliclii filosofi) fjli ertiici hanno ripudiata, come inutile, la preghiera a Dio per ottenere la fede. Non solo perciò manca loro il motivo di ?/?t* autorità' uivi?iA, ma ancora il soccorso df^la mviM GRAZIA perchè credano con certezza. Spiegazione dei detto di Tertulliano^ che il vero eretico non è più cristiano. Che cosa significa credere? L'eretico opina, ma veramente non CREDE nulla e non crede a nessuno. Difficoltà che ri è perciò di convertirlo alla vera fede. La gente idiota presso gli eretici crede e può appartenere alla Chiesa. Il vero eretico però le stesse verità cristiane che professa le ritiene come opinioni nmane^ non come dommi divini; e però la sua fede non ha nulla di cristiano.

Uipieni gli antichi filosofi di questo orgoglio infernale, onde si credevano illuminati quanto Dio stesso, imaginate se j»oterono mai pensare a chiedere lume a Dio. Kra nnzi donima comune alle due graVidi sette in cui si era divisa la filosofia, la setta stoica e la setta epicurea, che l'uomo, per l'acquisto della verità come per la pratica della virtù, non avea bisogno alcuno di Dio, e che non avea perciò a chiedere a Dio alcun soccorso. Poiché la filosofia stoica dice presso Tullio: « Agli dei si deve domandar la ricchezza; ma la sa- j)ienza bisogna ripeterla dalla propria intelligenza, e l'uomo non è per nulla a Dio debitore di sue virtù: Quis^ quod bon- nus cir esset gralias diis gessil? Fortuna a Dea, a semetipso potenda est sapitntia (Le nat. deor. , lib. 2). L la filosofia

LF-TTIRA SESTA 2W

epicurea ripetè la stessa tlottiina, per la bocca di Orazio die ne era alunno, in queste orgogliose parole: « .'Mi dia pur Giove le ricchezze e la vita. In quanto al lume della mente, all'equità del cuore non ho di lui alcun bisogno, ma basto io solo a me stesso, Det vilanij dei opes, animum (pqmim mi ipse parabo^

Ora questa orribile dottrina, che l'uomo non ha bisogno che di medesimo per esser sapiente come per esser vir- tuoso , dottrina che mette nelle tenebre il principio della luce ed il principio della santità nella corruzione : questa dottrina, dico, professata già dai pagani filosofi, è stata quindi l'innovata ed anche al presente è più o meno esplicitamente seguita dagli eretici cristiani. INon chieggono essi mai a Dio la luce che gl'illumini. la grazia che gli taccia migliori. E questi fedeli sefiuaci della Bibbia hanno con un orribile sangue freddo proscritto l'uso della preghiera, che pure, nei termini più chiari è raccomandato ad ogni pagina della Bib- bia. Bisogna però confessarlo: così facendo, sono essi coe- renti alle dottrine dei loro maestri; ed a che può essere mai utile la preghiera, se, come ha delirato Lutero, il libero arbitrio dell' uomo, pel peccato di Adamo, fece irrepara- bilmente navfra(jio. e non e iipcessario il ben vivere, ma basta sol credere per andar salvi? o. come ha bestemmiato Calvino, ] figli dei battezzati nascono tutti santi, ta gra- zia è inammissibile, tulli i fedali sono predestinati! Or queste dottrine infernali una volta ammesse, non vi è più, come ognun vede, alcuna necessità di pregare : e perciò, chec- ché sia della preghiera pubblica , che in alcune chiese da noi separate è restata come un esterior cerimonia cui non prendono alcuna parte la mente ne il cuore, la preghiera privata però della sera e del mattino, questa espressione della indigenza dell'anima, questa sorgente di tutti i suoi beni , questo pane di tutti i giorni, questo riposo di tutte le ore, questa speranza di tutti gl'istanti più non si pratica, più non si conosce. Io ho veduto una volta, in persona di un calvinista moribondo nel grande ospedale degli Incurabili di ISapoli, il tremendo efietto dell'avversione profonda che l'eresia ispira alle sue vittime per la preghiera. Kssendosi costui ricusato

550 LETTURA SESTA

ostinatamente di entrare in discorso di religione, sino a tu- rarsi colle mani le orecchie per non sentirne , non potei , per quanto mi fossi adoperato . ottenere che almeno pre- gasse! «La preghiera, dicea. non mi serve a nulla e non mi renderà migliore. » Ed in questo parosisma di orgoglio l'infelice spirò. Tutto al contrario però mi é accaduto con un luterano qui in Roma. Mi si presentò egli dicendomi : « Sono luterano, ma di nome; in realtà però, come quasi tutti coloro che fra noi hanno qualche coltura, non credo nulla, ma desidero sinceramente di credere. Ed oh sapeste quanta invidia mi fa, quando entro nelle vostre chiese , il vedere tanta gente che óra, perché crede! » E qui, dando un profondo sospiro e con un accento di tristezza da cavar dagli occhi le lagrime, soggiungeva: « Ah quanto sono essi felici ! io, misero me, non credo e non posso credere! » Que- sto desiderio però sincero e ardente di credere era già una preghiera incominciata: mi fu dunque facilissimo l'impegnarlo a continuare a pregare Iddio d' illuminarlo. Ogni sera si recava egli adunque alla chiesa della Maddalena che dalla parte della porteria rimane aperta sino a notte avanzata per comodo dei soli uomini, che in gran numero vi si recano infatti a pregare , e per ore intere chiedeva a Dio lume affin di conoscere la vera religione, pronto a sacrificar tutto, anche la vita, per abbracciarla dopo averla conosciuta. Non occorre il dire che coh disposizioni pure, beile e si generose, questo brav'uomo finì col credere e si fece cattolico. Deh che chi dimanda a Dio la luce è illuminato, chi gli chiede la grazia è guarito! in una parola l'uomo che prega con umiltà di spirito con sincerità d'affetto, per quanto sia cieco e corrotto, è salvo; giacché -ottiene il lume e la grazia necessaria per vederci, correggersi e salvarsi. Perciò la di- vina bontà anche agli idolatri, non che ai maomettani, anche agli eretici concede la grazia della preghiera. Questi novelli Giobbi, cui l'errore e il vizio hanno spogliato di tutto e ri- dotto da capo a piedi una pia^a, pure, nell'immensa loro sventura, conservano sane le labbra per pregare: Derelicla sunt ianlummodo labin circa denles meos (Job 19); e nella preghiera hanno ancora riserbato un mezzo efficacissimo di

LETTURA SESTA 25i

salute. Ma lo spirito delle tenebre, che li tiene schiavi, per toglier loro questo unico mezzo di salute che lor rimane fra le pratiche del cattolicismo che ha rendute odiose agli eretici ha ispirato loro una profonda antipatia per la pre- ghiera, e persuadendo loro a cercare in terra il lume e la forza che non iscendono se non dal cielo e ad attendere da loro stessi ciò che non può venir che da Dìo, li conferma sempre di più nel culto della propria ragione e del proprio cuore.

Òuindi mancherà ancora all'eretico il secondo motivo credere con certezza divina, cioè il dwino soccorso, E come è possibile che Dio venga colla sua misericordia e col suo lume a rischiarare le tenebre di una intelligenza idolatra di se medesima e che, senza avere con Lucifero comune la natura, ne ha comune l'audacia, l'orgoglio e il sacrilegio ? non deve anzi Iddio alla sua gloria il lasciarla sempre più ottenebrarsi nelle sue tenebre ed acciecarsi nel suo accie- camento? infatti questo Dio stesso, che ha dichiarato che si lascerà subito trovare dall' uomo il quale lo dimanda e lo cerca e discende alla semplicità dei fanciulli (in ì\Iatth. il), protesta però altamente che si avvolgerà in un velo impe- netrabile e si renderà un oscurissimo enimma a colui che si crede sapiente e scienziato per se stesso (ibid.); e che, come l'umiltà è sicura di ottener grazia al trono della sua bontà, così l'orgoglio non deve aspettarsi dalla sua giustizia che resistenza, odio, guerra e disprezzo, Deus superbis re- sistita humUHms autem dal yratiam (Jac. 4).

Prima però di passar oltre a vedere come alla pretesa fede dell'eretico manca ancora il terzo ed ultimo appoggio per credere cioè V uni formila delle credenze de' suoi complici nella ribellione alla Chiesa, fermiamoci qui un poco a con- siderare come appunto perchè la fede dell' eretico riduce a queste parole: « io credo a me stesso, » e manca del divino soccorso, essa non è più fede; e che la grande e terribile parola di Tertulliano: « l'eretico non è più cristiano, si Iìcb- retici sunt, christiani non sunt, » che è sembrata a taluni un esagerazione oratoria, è una trista e rigorosa verità.

Imperciocché Gesù Cristo non ha ordinato ai suoi Apo- stoli e ai loro successori di presentare alle nazioni le sue

:^52 LETTURA SESTA

dottrine come indovinelli onde s' intertiene una riunione di oziosi per esservi discusse, ma come un cii)o divino alle intelligenze fameliche della verità per essere credute. Non ha detto ragioate, ma credete. Non è dunque l'inquisi- zione, l'esame, il raziocinio umano, ma la fede divida clie forma il cristiano, lustus autem nieus ex fide viviL

Ora credere significa accettar come vera una proposizione, una dottrina di cosa ignota, lontana, invisibile, sulla testi- monianza di un'autorità che non falla. Se l'autorità è umana, umana pure si dice la fede. Si dice però fede divina, se è divina l'autorità che le serve di motivo e di appoggio.

Due cose adunque costituiscono la fede. La prima, eh' essa non ha luogo nelle cose di cui si ha una scienza immediala, come sono le cose che si vedono, si sentono e s'intendono, o per mezzo dei sensi, o per mezzo del raziocinio: e perciò non è un atto di fede il credei'e che esiste il sole e li luna, e che il tulio è maggiore della sua parte. Perciò pure non vi sarà fede in cielo quando tutti i misteri di Dio. che qui avremo creduli j ivi li vedremo in Dio, che conosceremo. come é in stesso, Ftdebhmis eur.i sicAiti est (I Joan. 3). Perciò infine S. Paolo chiama la fede diviina « argomento delle cose che ancora non appariscono alla ragione ai sensi. Anjiirnenlnìn non apparentium (Hebr. 11).»

Ma ciò non è tutto : per seconda condizione la fede sup- pone ancora un'autorità divina od umana fuori di noi che ci attesti la cosa ignota, invisibile o lontana: e questa auto- rità ci serve di motivo più o meno possente, secondo che più 0 meno veridica, per determinare l'assenso e riscuoter la fede. Sicché credere é acconsentire alla testimonianza di un altro che parla; c/v,Y/ere importa soggezione, ubbidienza del nostro intelletto all'altrui parola. Colui adunque che tiene una cosa per vera sulla testimonianza della propria ragione o dei proprj sensi; colui che acconsente, ma pel motivo che vede la cosa, o la intende; colui che intorno alla verità della cosa si riporta intieramente a stesso, si fonda, si riposa in stesso: costui (jiudìca , opina , ma non crede; «'d il suo assenso é il risultato necessario dell'evidenza in- tuitiva o discorsiva della cosa, che forza l'intelletto, e non già un atto libero di fede della volontà.

LETTURA SESTA 253

Ora tale appunto, come lo abbiamo veduto, si è la condi- zione dell'eretico rispetto alle verità cristiane che esso (//c6' di crudcrc. Poiché sebbene dica di ammetterle sulla testi- monianza di Dio che le ha rivelate nelle Scritture, pure, siccome queste Scritture se le interpreta da sé, e ne am- mette solo quello che yli sembra più ragionevole; non è sulla testimonianza Dio che sottomette la propria ragione, ma è alla propria ra^'-ione che sottomette la testimonianza di .Dio; e dove la tede del cattolico si riduce alla parola: « io credo a Dio. » al contrario la fede dell' eretico si risohe in quest'altra: « io credo a me stesso. » E poiché il credere é l'adesione dell' intelletto mosso da un motivo distinto dallo stesso intelletto, giacché non può l'intelletto essere allo stesso tempo soggetto e motivo della fede; cosi l'eretico appoggiandosi al proprio intelletto, e chiedendo allo stesso intelletto il motivo da piegar l'intelletto non ha più il mo- tivo della fede: (j indica, opina ^ decide, ma non crede j e non ha fede alcuna, nel senso filosofico e teologico che si attacca a questa parola.

E questa, per dirlo qui di passaggio, si é la ragione onde è più facile il persuadere la vera religione ai maomettani ed agli idolatri che agli eretici. Il maomettano e l'idolatra crede a 3Iaometto, a Sciaca, a Brama, sull'autorità del Co- rano 0 del Vegas, libri stimati da lui sacri ed interpretati dai muftì o dai bramini, che crede investiti dalla divina au- torità d'interpretarli, e di deciderne. Il suo inganno si ènei credere divini quei libri e f/ti'j'/irt l'autorità che li interpreta. Il suo inganno é intorno a\Vo(j(jetto della sua credenza: in quanto che quello che crede é falso, superstizioso, assurdo, ma non s'inganna intorno al principio (jenende: che la reli- gione si deve ammellere sulla testiìuonianza divina a f testa fa da lina sacra e divina autorità: cioè a dire che crede »Jrt/e^ ma crede. E quando il missionario gli fa conoscere l'assur- dità, l'orrore e la turpitudine di ciò che crede, è fatto tutto: giacché pel rimanente trova in lui un intelletto abituato a sottomettersi ad una autorità esterna ed a credere, sulla sua testimonianza, la religione. Cioè a dire che col maoniettr.no e coir idol.ìh'a >1 Irntta di rettificare V oijijetto della fede.

Jl

2^4 LETTURA SESTA

ossia ie còse ci'eclute, ma non già il soggetto della fede, os- sia r intelletto che erede, che si trova di già formato al- l' abitudine del credere. Ma coli' eretico vi sono a vincere due dillicoltà : la prima è quella di persuadergli che le cose che esso ritiene per vere sòn false, e quelle che come false rigetta son vere. La seconda difficoltà, ancora più grande da superare , è quella di far piegare a credere suU' altrui testimonianza un intelletto assuefatto a non credere che sulla propria. Cioè a dire di far credere chi in verità non ha mai creduto. Ora il sottomettere un siffatto intelletto al giogo della fede è cosa più malagevole di quella che il per- suadere la continenza a chi ha passata la vita in tutte le sregolatezze del senso. E più facile persuadere la castità alla lascivia che l'umiltà all'orgoglio.

Yi sono però delle verità cristiane che le diverse sette de- gli eretici han ritenuto, come il mistero della unità e della trinità di Dio, dell'umanità e della divinità di Gesù Cristo e della sua incarnazione e morte per la salute degli uomi- ni, del peccato originale e della vita futura. Ma che per- ciò? Da prima queste stesse verità fondamentali del cristia- nesimo, che l'eresia si vanta di mantenere, le ha talmente sfigurate e malconce che, come lo abbiamo di già notato, é impossibile il ritrovar ne' suoi libri il senso in cui si de- vono intendere. Ma abbia pur V eresia conservate queste grandi e sublimi verità nella purezza : e lo schifoso insetto che ella è, che colla velenosa sua bava attossica e fa ap- passire ì fiori più gentili cui si attacca, sia pur passato sul bianco giglio della dottrina cattolica senza corromperlo alterarne il divino candore. Dall'avere gli eretici alcune ve- rità comuni con noi non ne segue che le credono come noi. Poiché altro si é credere con fede umana j altro credere con fede teologica una cristiana verità.

Che il Vangelo di Gesù Cristo contiene una rivelazione divina, é un fatto evidente e certo che per negarlo bi- sognerebbe negare con molto più di ragione che le orazioni di Demostene e di Tullio siano capolavori di eloquenza, e i versi di Omero e di Virgilio capolavori di poesia; giacché il carattere divino del Vangelo è di gran lunga più splen-

LETTURA SESTA 255

dìdo quello che lo sia, negli indicati libri, il merito ora- torio o poetico. Ma il complesso dei grandi motivi di cre- dibilità che basta a far credere divino il Vangelo e Dio il gran personaggio che ne è l'autore e il soggetto, non ba- sta però a far credere con una completa e perfetta acquie- scenza della mente, determinata da una volontà libera, tutti e singoli i misteri contenuti nel Vangelo, e farvi assogget- tare la ragione che non gli intende. Questo atto sublime è l'opera dell'impulso dello Spirito Santo liberamente accet- tato : é l'opera della grazia della fede. Or egli é certo che ad una tal grazia non ha parte lo eretico. J^'avea egli ri- cevuta al Battesimo , se fu debitamente battezzato , ma la perdette in seguito quando, giunto all'età della ragione, in- cominciò liberamente a professare l'errore ed ostinai*si nello scisma e nell'eresia, che é il peccato onde la grazia della fede fa naufragio. Perciò nella classe idiota ed incolta, come sono per la più parte i contadini, le donne della plebe, il popolo, anche presso le nazioni da noi divise per la ei*esia o lo scisma . si conserva un qualche avanzo di fede nelle <jristiane verità che vi sono restate superstiti ; perché que- sta classe di uomini, non potendo far uso del principio del libero esame per trovare, per formarsi la propria religione colla Scrittura a dispetto di questo principio, che forma la base dell' eresia e il distintivo degli eretici , non riceve la religione da questi grandi apostoli della ragione se non per via di aiitorilàj ancora perchè la maggior parte di fatti uomini rimangono nell'eresia e nello scisma non per una volontà pertinacemente ribelle alla verità conosciuta , ma per una ignoranza più o meno invincibile di cui solo Dio è il conoscitore ed il giudice. Entrati pertanto nella Chiesa per mezzo del Battesimo, e non essendone usciti per mezzo dell' ostinazione nell'errore conosciuto , la quale sol forma l'eretico, ne conservan la fede. Divisi dal corpo della Chiesa, appartengono al suo spirito. La Chiesa, in mezzo a queste nazioni ribelli e nemiche alla sua autorità, conta a milioni dei figliuoli, che se osservano i divini comandamen- ti , si salvano , ma salvano per la vera Chiesa e nella vera Chiesa. E così sempre si verifica la gran verità: Che

256 LETTURA SESTA

solamente nella vera Chiesa si trova la salale^ e fuori eh (jìiesta^ come fuori dell' arca noetica, non si scampa dal- l'eterno naufragio.

3Ia in quanto alle persone istruite e colte, come sono principalmente i dottori, i maestri dell'eresia, ed in gene- rale in quanto a tutti coloro in cui non ha, può aver luog-o l'ignoranza invincibile della vera dottrina e della vera (Chiesa, e che ad occhi veggenti combattono 1' una e ripu- diano l'altra; queste vittime sciagurate dell'orgoglio infer- nale sono estranee non solo al corpo, ma allo spirito an- cora della vera Chiesa ; e col perderne la comunione . ne han perduto ancora la fede. Imperciocché , noi 1' abbiamo veduto, privo dell'autorità della Chiesa, ridotto a non cre- dere che a stesso, Teretico veramente tale non ammette una qualche verità cristiana che sulla testimonianza della propria ragione: perchè la sua ragione, e non altri , gli persuade che tale verità si contiene nella Scrittura. li'am- mette come fra i varj sistemi di fisica o di medicina si am- mette da ognuno quello che gli sembra più fondato e più ragionevole. L'ammette come frutto delle ricerche, dei con- fronti, dei calcoli della scienza, in una parola sull'autorità del proprio giudizio. T;a sua credenza è tutta umana e fi- losofica, non già teologica e divina; è una credenza inetta, sterile, derisoria: che non ha nulla di comune colla vera fede che giustifica e salva : e l'uomo che sopra una tale cre- denza unicamente si fonda non può con verità dirsi più cristiano : Si hceretici sunt, christiani non sunt.

§ XII[. - Siegue lo stesso argomento della mancanza di una FEDE CERTA presso gli eretici. I buoni cattolici s'in- gannano nel prnsaì^e che il cero eretico, ammettendo certe verità cristiane con loro, le credit come loro. L'eretico giudica, il solo cattolico crede. Jlfra prova della perdita della fede presso gli eretici: la loro ripugnanza ad ammet- tere i cristiani misteri. La setta razionalista, che rigetta i misteri cristiani, è figlia legittima di Lutero e di Calvino.

INoi cattolici., grazie all'educazione veramente cristiana, grazie all'abitudine al credere, prima eredità, appannaggio prezioso che abbiamo ricevuto dai nostri padri, spesso c'in-

LETTURA SESTA 257

ganniamo intorno alla condizione morale in cui si trovan gli eretici relativamente alle verità rivelate. E perché, richiesti da noi « se omintUono un Dio uno e trino, un Salvatore uomo e Dio» rispondon che sì. ci pensiamo che essi almeno credono queste verità come noi. Or nulla vi é di più falso. Gli eretici, non si può abbastanza ripeterlo, (jiudicano sol- tanto, noi cattolici solamente e veramente crediamo, e tra il giudicare e il credere la distanza è immensa; e solo la conoscono coloro che. vittime già dell'errore e docili quindi all'impulso della grazia, sono venuti alla verità, poiché essi sanno per prova l' immenso stadio che perciò han dovuto percorrere. Le belle parole, per esempio, di Santa iMarta : Sì, o Signore, io credo che voi siete il Alessia Figliuolo di Dio vivente, che siete venuto in questo mondo. Credo, Domi- ve, (fida 1\t es Chrishts Filius Dei viri, qui in hunc uìiui- duìiì renisfi (Joan. Il); queste belle parole, dico, in bocca al vero cattolico, che crede a questa ed alle altre cristiane verità come insegnategli dalla Chiesa, fedele depositaria ed interprete infallibile della parola di Dio, importano, come lo abbiamo di già veduto, un assenso pieno, intero e perfetto, un sacrificio completo deHintelletto, che, ajutato dalla gra- zia, volontariamente si piega, si sottomette, s'immola a ri- conoscere come verità certissima, immutabile un mistero che non intende. Nella bocca però dell'eretico, che non si é in- dotto ad ammettere la divinità di Gesù Cristo, se non per- ché, ìe(j(jendo il I^angelo, gli è sembrato di aver trovato questo mistero nel Vangelo: le stesse parole signiticano ben altra cosa. Esse esprimono un assenso condizionale, provvi- sorio, fondato sul solo motivo che così ne è parso alla sua ragione. Sono una concessione orgogliosa dell/o individuale che piega la palpebra dell'occhio senza abbassare il capo: che degna di ammettere questo mistero perché lo giu- dica ammissibile : che fa che la ragione consenta, ma senza nulla sacrificare della sua indipendenza e del suo orgoglio. Ove dunque la parola lo credo che Gesù Cristo e Dio, nella bocca del cattolico é sinonimo di quest'altra, Jo tengo per infinitamente certo che Gesù Cristo è Dio, e lo credo con ima certezza che esclude ogni dubbio, e son pronto a con-

258 LETTURA SESTA

fessiirlo in faccia ad ogni specie di sacrificio; nella bocca però dell'eretico equivale a quest'altra: Jo (jiudico , mi pare, potrebbe essere che Gesù Cristo sia Dio. In somma, noi ammettiamo questa verità come un domina della Chiesa universale divinamente rivelato; l'eretico, come nn privato (jiudizio umanamente stabilito. E siccome non è il privato g^iudizio dell'uomo, ma la fede di Dio che forma il cristiano: così l'eresia, rendendo, nell'anima in cui regna, impossibile questa fede, vi distrug'g:e la base stessa della rivelazione cri- stiana. Il cristianesimo non vi rimane che come un sistema filosofico, una teoria più o meno ragionevole, che l'intelletto è libero di ammettere o di rigettare in tutto o in parte. Fra gli eretici adunque, che che sia delle parole, non vi é più in fatti certezza teologica, non vi è più fede comune, non vi è donima obbligatorio. J^a religione vi si è diseccata nella sua radice, vi si é annullata nel suo costitutivo essenziale, che è la FEDE. E questi grandi riformatori del cristianesimo, di cristiano non avendo conservato clivj il nome, profanato da mille turpitudini, da mille errori, col divenire eretici han cessato in tutta la forza del termine di essere cristiani. Si hceretici sunt , christiani non sunt.

Un'altra conseguenza e prova insieme della perdita totale della fede cristiana, presso questi distruttori del cristiane- simo, si è la loro repugnanza ad ammetterne i misteri. Noi lo abbiamo di già avvertito: gli eretici, o gli scismatici, che dicono di annnettcre le stesse verità cristiane che noi, sono lontanissimi dal crederle, al par di noi. Siccome queste ve- rità non le ammettono se non perché é sembrato evidente alla loro privata ragioni' che esse si trovano nelle scrit- ture: così la loro credenza ha la sua radice nella ragione e non nella fede. Credono, per esempio, che Gesù Cristo é Dio come credono che furono oratori Tullio e Demostene, ed Omero e Virgilio poeti. Lo credono come un fatto incontra- stabile, che non può negarsi senza far violenza alla ragione. Lo credono con una certezza umana, non già con una fede divina. Lo, credono come gli scribi e farisei credevano ai miracoli di Gesù Cristo, perchè avendoli veduti cogli occhi loro ed avendoli essi stessi severamente esaminali e discussi.

LETTCR-V SESTA 259

era loro impossìbile il negarli; e perciò in un loro concilia- bolo confessarono pubblicamente che Gesù Cristo faceva gran copia di miracoli: Ilic homo miilla sì(jna facil (Ioan. il). Ma come questa credenza dei giudici nei miracoli del Si- gnore, credenza puramente umana, forzata, violenta, non sollevava sino a credere altresì te celesti dottrine e la missione divina, così la credenza umana degli eretici nella sua divinità non gì' innalza sino a credere gli altri misteri che non trovano nel Vangelo colla stessa evidenza da forzar la ragione.

Dall'abisso del loro cuore, in cui fermenta l'orgoglio, si sollevano densissimi vapori, tenebre immense, che oscurano la chiarezza soprannaturale, impediscono la cognizione di questi misteri. Quindi queati misteri medesimi, che la do- cilità e la rettitudine della coscienza cattolica, rinvigorita dall' ajuto soprannaturale della grazia, ammette e crede senza pena e senza sforzo, diventano agli occhi dell'eretico enìmmi oscurissìmi. proposizioni inammissibili. Chi l'uno ne niega, e chi l'altro. Chi a suo capriccio spiega, e chi se- condo la sua capacità li restrìnge. Chi qualcuno ne ritiene come probabile, chi tutti affatto rigetta siccome assurdi. E i dommi tra noi più popolari e più consolanti, come per esempio la confessione, la Eucaristìa, il culto della santis- sima Vergine e dei Santi, le indulgenze, il purgatorio, si volgono, agli occhi di questi ciechi volontarj, in pratiche superstiziose, in occasione di stolide bestemmie e sacrì- leghi insulti.

Rousseau ha pronunziato una gran verità dicendo : Ci vo- gliono buone ragioni per far sottomettere la ragione. Or, quando trattasi dei misteri della religione queste buone ro" giani non possono essere motivi intrinseci, perchè, se un mistero si potesse con motivi intrinseci dimostrare, cesse- rebbe di essere un mistero; devono essere adunque argo- menti estrìnseci, il primo e il più poderoso dei quali si è una autorità divina, infallibile che dichiari Che un tal mi' stero veramente è rivelato da Dio , e lo proponga alla ra- gione perchè lo accolga e lo creda. Togliete questa autorità e non vi rimarrà più mezzo da esigere la sottomissione della ragione ad un mistero che essa non intende.

260 LETTURA SESTA

Invano direte che basta che un tal mistero sia chiara- mente contenuto nella Scrittura, perchè la ragione lo am- metta. Poiché, tolta l'autorità della Chiesa, la ragione, che riman sola a giudicare e decidere Se un tal mislero si con- tiene vtranifinte nella Scrittura ^ farà tutti gli sforzi per escluderlo. Yi é egli mai mistero più chiarauiente annun- ziato nel Vangelo di quello della presenza reale di Gesù Cristo nell'Eucaristia? Eppure appena Lutero tolse di mezzo l'autorità delia Chiesa, e rimase alla ragione d'ognuno l'in- terpretazione del Vangelo, la prima cosa che fecero i suoi primi discepoli Zwinglio e Calvino fu quella di eliminare questo mistero; e dove Gesù Cristo ha detto nei termini più chiari e più precisi: Questo è il mio corpo, non hanno avuto dillicoltà di asserire che nell'Eucaristia non è vera- mente il corpo del Signore, ma, secondo uno, ve n'è solo il spijno: secondo altri . la ^(jura: per questi ve n'è solo la memoria; per quelli solamente la promessa e il peynoj ed hanno amato meglio sostenere ed ingoiarsi mille assurdità egualmente empie che ridicole, di quello di sottomettere docilmente la loro ragione alle saci^e profondità del mistero.

J.o stesso accadde del mistero della Trinità. Vivente Lu- tero e Calvino, 3Iichele Serveto scrisse sette libri per di- struggerlo. Distrutto però il mistero della Trinità svanisce anche quello dell'incarnazione, crolla tutto il cristianesimo, »' la religione di Gesù Cristo si riduce ad un puro deismo. Or siccome il passaggio, tutto di un salto, dalla religione cattolica al deismo era una cosa per quei tempi troppo forte, ed avrebbe troppo chiaro fatto conoscere che la riforma del cristianesimo ne era la vera distruzione; così il buono e ze- lante Calvino condannò a morte e fece bruciar vivo in Gi- nevra Serveto, che non aveva altro torto che quello di es- sersi prevalso con maggiore licenza, contro Calvino e Lu- tero, dello stesso dritto e dello stesso privilegio della privata ragione, che Lutero e Calvino aveano proclamato in mate- ria di religione, e di cui essi medesimi i primi aveano usato con tanta licenza e audacia contro la Chiesa universale.

JiO stesso, e per la stessa ragione, e nello stesso secolo avvenne, come si è veduto, a Valentino Gentile, che appog-

LETTURA SESTA 2G l

gialo allo stesso principio di Lutero e prevalendosi dello stesso dritto, rinnovò in Berna l'eresia di Ario, negando la coìisuslanziaìilù del Padre e del Figliuolo, e però ancora la Trinità delle persone in unità di natura e la divinità di Gesù Cristo, fondamento di tutto il cristianesimo. Sebbene questi errori si contengano tutti nel principio protestante, come l'intera pianta si contiene nel suo seme, pure, per- ché Gentile li volle fare troppo presto dischiudere, dagli stessi eretici bernesi fu fatto decapitare.

i>Ia il rogo e la mannaja non sono buoni argomenti per impedire che i principi una volta adottati producano tutte le loro conseguenze. Perciò come cominciò a declinare la fi^bbre di un ingiusto fanatismo e di un zelo bugiardo e ipo- crita, la ragione incominciò la sua guerra contro i misteri. Fu libero ad ognuno di negarli in privato; purché, per ri- spetto ai preyiudìzj popolari, usasse politica in pubblico. Da ciò la scuola razionaUsta, che in questi ultimi anni si é prodotta in Germania alla luce del giorno,, ma che era nata già al tempo della dottrina di Lutero: Che ìa privata ra- gione è l'interprete della Scrittura. Questa scuola si studia d'interpretare i Ijibri Santi in un modo, dice essa, tutto ra- (jionevole. In fondo però, spiegando in un senso figurato o iperbolico i passi della Scrittura, pei quali litteralmente è annunziato un mistero; ed attribuendo i miracoli che vi sono narrati a cause puramente naturali, od alla scienza fisica, o all'impostura di chi li operò, toglie dalla Scrittura tutti i misteri e tutti i prodigi. Fa un poema umano di un' opera tutta divina, e trasforma l'augusto deposito della rivelazione cristiana in codice di un meschino deismo.

Deh che la ragione, abbandonata a sola, declina sem- pre le sublimità dei misteri che la umiliano: come il cuore non soffre il giogo delle leggi severe che lo crocifiggono ! Perciò nessuna religione di fabbrica umana troviamo che ab- bia imposto agli uomini misteri incomprensibili e leggi rigorose. Perciò, ritrovando l'eresia questi misteri incom- prensibili, queste leggi rigorose nell'unica religione di ori- gine divina, nella cattolica religione, quando le é stato per- messo, ha fatto e fai-à sempre tutti gli sforzi per distrug-

262 LKTTURA SESTA

gerii e dispensare, il più che si è possibile, la mente dal sottomettersi, il cuore dal mortificarsi; ed a questa licenza accordata alla sensualità e all'orgoglio^ deve principalmente l'eresia la sua forza e i suoi successi.

Questa maniera di considerare il cristianesimo , che la scuola razionalista professa ne' suoi libri e nelle sue lezioni è pur quella che i protestanti , coerenti ai loro principj , hanno nel cuore. E, tolto il popolo, presso il quale tre se- coli di eresia non hanno potuto smantellare e disperdere del tutto le verità cristiane che l'insegnamento cattolico vi avea lasciate : tolti quei savj, di cui il numero diviene ogni giorno più grande e più imponente, che, conoscendo la va- nità ridicola unita all'empietà infernale della riforma, ne deplorano l'avvenimento e riguardano con occhio di tene- rezza la sede romana, centro e sostegno della verità j del ri- manente la maggior parte dei protestanti istruiti e dei preti anglicani non sono nulla più che framassoni , materialisti, pagani che nulla credono e non isperano nulla nell' altra vita. Per tali almeno li ha ultimamente denunziati al mondo uno dei loro stessi confratelli, che ha obbligo di conoscerli; confermandoci sempre più l'osservazione di Tertulliano, che fra gli eretici vi sono più deisti che cristiani : Si ìiwrelici siintj christiani non sunt.

§ XIV. - Si assegna l'ultima causa della mancanza di una fede CERTA presso yli eretici: cioè la discordia delle opi- nioni e delle credenze. Jinpossibilità di unire gli uomini in una slessa sentenza quando manca un' autorità co- mune. Tentativo vano e ridicolo di un proconsolo romano per metter fra loro d'accordo i filosofi, rinnovalo in questo secolo per metter fra loro d'accordo i protestanti.

Ma non si tratta qui di certezza puramente scientifica, di fede puramente umana. Piacesse al cielo che 1' eretico che ragiona potesse almeno levare sino a questa altezza la cer- tezza della sua fede intorno alle verità cristiane I Ma nem- meno può lusingarsi di giungere a questo meschino risul- tato, onde pur crederebbe alcuna cosa da ìiomo, non cre- dendola da cristiano. Imperciocché, coli' interno soccorso

LETTURA SESTA 263

della grazia della fede, gli manca ancora il soccorso esterno proveniente dalla concordia, dall' uniformità delle credenze degli altri colla sua.

La società è la concordia decjli esseri inteììicjenti uniti fra loro per mezzo dell' obbedienza alla stessa autorità. L'obbedienza alla stessa autorità fa che gl'individui che vi sono soggetti professino le stesse credenze sociali , adem- piano le stessi leggi; e così induce fra loro somiglianza di relazioni onde si accordan fra Uro. Dove dunque non vi è autorità, non vi è obbedienza; non vi é professione delle stesse dottrine, soggezione alle stessi leggi; non vi è per- ciò concordia tra gl'individui, non vi è società. La chiave, ovvero la pietra situata alla sommità dell'arco di un edifi- cio, mentre pare che opprima col suo peso le altre pietre che vi sono sottoposte, è pur quella cui queste pietre si ap- poggiano e per cui esse stan ferme al loro posto, sono in armonia fra loro e costituiscono l'arco. Togliete la chiave, e l'ordine architettonico scomparisce, l'arco crolla, e più non si vedono che mine. Così l'autorità, mentre pare che pesi sopra gl'individui che le sono soggetti, è pur quella cui questi individui devono la loro sicurezza; ed essa è che li tiene in relazione, in armonia fra loro, sicché formino so- cietà. Distruggete l'autorità; ogni ordine sociale si dilegua, la società si discioglie, e più non si trovano che individui fra loro discordi. Questa dottrina è applicabile egualmente all'ordine politico ed all'ordine morale e religioso. Come non vi è unità società politica senza una politica auto- rità, così senza una autorità morale e religiosa non vi è unità o società religiosa, morale. Perciò siccome gli antichi filosofi non riconoscevano alcuna autorità intellet- tuale cui sottoporre i loro giudizj e le loro opinioni, così non vi fu mai fra loro unità od uniformità di opinioni e di giudizj comuni, ma solo opinioni e giudizj privati, fra loro contrarj e discordi.

Da prima, poiché nell' uomo privato si riconobbero tre mezzi di conoscere la ragione , il senso intimo e i sensi esterni; così la dottrina deW individualismo o del privato giudizio o della opinione privata j che la filosofia pagana

264 LETTURA SESTA

stabili come criterio unico della verità e fondamento della certezza, produsse tre sistemi: il primo, che stabiliva la sola ragione; il secondo, che dava il solo intimo senso: il terzo, che i soli sensi esterni di ognuno costituiva come l'ultimo giudice del vero. E quindi le tre grandi scuole o sette: la setta spintuaìisla o italica di Pitagora, e rinnovata quindi da Pla- tone; la setta enlusiasta o elealìca di Senofane e di Parmeni- de, ristaurata poi dai cirenaici: e la setta ?>if//eri«/i*/ao ionica di Talete, riformata a suo n^do da Epicuro. Ma che? ben pre- sto quanti furon membri di queste diverse sette, viventi an- cora i loro rispettivi maestri, si costituirono maestri e capi altrettante sette diverse; che non più felici delle prime, si suddivisero esse ancora in altrettante diverse scuole quanti contavano scolari, che essi pure stabilirono ciascuno scuole novelle. Anzi può dirsi che in breve non vi furono più sette, perchè ogni individuo di esse avea un suo particolare si- stema. Così sulla sola quistione del sommo bene si conta- rono più di ottanta opinioni diverse, altrettante intorno a Dio, e più di quaranta intorno all'uomo; e sopra ciascuna delle grandi verità, fondamento della religione e dell'or- dine, vi erano quante teste tante opinioni diverse: Quod capila j tot sententice.

Ma questi gladiatori audaci della filosofia, di cui nemmeu due soli potevano esser d'accordo sopra una sola cosa, si univano a molti insieme per fare a' nemici comuni la guerra, che poi, simili agli spiu-ziati. rinnovavano fra loro più osti- nata e più cruda fino a distruggersi. Così, nel corso degli ottocento anni che durò questo orribile conflitto delle opi- nioni private in Grecia e in Roma, nessuna disputa fu mai terminata, nessuna questione decisa, nessuna verità assicu- rata, nessun errore distrutto. Ma i sistemi nascendo dai si- stemi, gli errori dagli errori, in questo vasto pelago di con- dizioni, di dubbj , d'incertezze, di assurdità, di delirj, di turpitudini, nessuna verità rimase in piedi: e si finì collo scetticismo, ossia colla disperazione di trovare con certezza una sola verità.

Gli eretici moderni, partendo dallo stesso principio. Che ogni crifiliano <t (jindice legillinio delle verità rii^plate, sono

LMTIRA SEMA Uhi

giunti alle stesse couseguenae, ed Iwinno ofTerlo al mondo, in materia di religione, lo stesso spettacolo compassionevole, la stessa swmdalosa anarchia , che i cosi detti savj antichi offrirono di in lìlosofia.

Il prolesfaniismo, ovvero la negazione della legittima au- torità della Chiesa, appena nato si trasformò, sotto gli oc- chi stessi di Lutero, in Ire grandi sette, generate dai suoi tre primi figliuoli che si ribellarono al padre comune e da lui si divisero per punirlo del delitto onde egli si era ri- bellato e diviso dal sommo pontefice, padre di tutti i fedeli. Queste tre grandi sette religiose che, a somiglianza delle tre grandi sette dell'antica filosofia, inclinarono una più allo sjiirituahsnio (i confessionisti), un'altra iìWenlusiosnio e al fanalisino (gli anabattisti), e lultima al sansuaìistno (i sagramentari-calvinisti), queste tre grandi sette, dico, non si erano ancora costituite, che si scissero e ne formarono ciascuna cento altre, ognuna delle quali ne produsse altre cento; come si è osservato nel quadro funesto che abbiamo presentato al lettore della genealogia delle sette protestanti (Lett. VI, § 5).

Eppure non ne abbiamo indicate che le principali. E chi può, per esempio, numerare le sette diverse che il prote- stantismo ha prodotto nella sola Inghilterra? Abbiamo sotto gli occhi la storia del signor Gregoire, Dalle selle naie ed esistenl'ì solo nello scorso secolo; e quelle dell'Inghilterra, entrano per più centinaja in questo orrendo catalogo. Come il corpo umano, da cui l'anima é partita, si corrompe e ge- nera vei'mini, che morendo lasciano altri vermini da essi generati e che finiscono col divorarsi il cadavere che li ha prodotti; così le infelici nazioni protestanti, appena si sono staccate dalla Chiesa , ed hanno perciò perduto lo spirito vero di Gesù Cristo che le animava, si sono cominciate a di- sciogliere in putredine. Mille sette si sono formate nel loro seno; e queste nel perire ne han lasciate mille altre super- stiti, che vi hanno l' una dopo l'altra divorate e distrutte tutte le verità cristiane. Sicché senza l' inlluenza segreta della Chiesa cattolica, più non rimarrebbe fra questi popoli sventurati traccia veruna di cristiana verità.

266 LETTURA SESTA

Osserviamo però che siccome nello stato, così nella Chiesa, non ogni autorità, ma la sola autorità legittima, mantiene un legittimo ordine. Ora la sola autorità legittima in ma- teria di religione é un' autorità divinamente stabilita , di- vinamente assistita, divinamente ispirata. Essa sola può far piegare l'intelletto e comandare l'obbedienza del cuore; ed al contrario una autorità puramente umana, che s'impone arbitra della religione, come ogni autorità usurpatrice e illegittima, riscuote tanta ubbidienza quanta gliene concilia la forza, e, mantenendo un' ombra esteriore di unità reli- giosa, lascia sussistere nell' interno dei cuori la più grande discordia ed una vera anarchia di rehgiose opinioni. Così gli antichi filosofi aveano anzi per massima di dover pro- fessare in pubblico il cullo deyl' idoli imposto dall' aulo- rilà politica^ mentre se ne beffavano in privato ; e , d' ac- cordo nelle apparenze, non ve ne erano poi due soli che sentissero lo stesso intorno alla sostanza della religione. Lo stesso accadde presso i popoli idolatri o maomettani a' tempi nostri. I buddisti della Cina, i bramini delle Indie, i dervis della Persia, i muftì, gli ulemas de' Turchi, tutti d'accordo nel praticare le cerimonie esteriori della religione dell'im- pero, sono però in privato divisi in infinite sette diverse, di cui ognuna intende a suo modo Confucio, il Zend-avesta, il Yedas ed il Corano.

Lo stesso interviene infine nei paesi cristiani in cui lo scisma e l'eresia, innestata colla costituzione dello stato, forma la religione pubblica che lo stato alimenta colle sue ricchezze e mantiene colla sua forza. Ma i castighi che l'e- resia minaccia ai dissidenti, le ricompense che olire ai do- cili, se riescono a mantenere una uniformità esterna di culto, non arrivano a produrre però nell' interno delle co- scienze la stessa unità di opinioni. Quindi tra gli uomini di Chiesa, non che tra i laici, non si trovano nemmen due soli che intendano al medesimo modo la dottrina di Fozio in Gre- cia, quella di Lutero in Germania, quella di Zwinglio in Olanda, quella di Calvino in Ginevra, quella dei trentanove articoli in Inghilterra, in quest'ultimo paese in particolare, tra fxli stessi bigotti della chiesa anglicana, che professano

LETTURA SESTA 267

in pubblico la stessa dottrina, non si trovano due soli in- dividui che abbiano in fondo la stessa religione e la stessa credenza. INella famig-lia dello stesso vescovo che vive delle pingui rendite deWaìKjlicaìiismo diffìcilmente si trovano due sinceri anglicani. Il padre alle volte trovasi che è sociniano, la madre quacchercssa, i figli e le figlie chi presbìlerianoy chi unitario, chi anabattista. Sicché, indipendentemente dalle infinite sette dei così detti pubblici dissidenti della chiesa stabilila, questa stessa chiesa, simile ad un mare, di cui tanto é più turbato da contrarie correnti il fondo, quanto sembra più in calma la superficie, sotto le appa- renze di una unità derisoria, nasconde la ])iù vasta anar- chia delle opinioni che ne discuoprono l'ignominia, l'im- potenza e il nulla.

Varie volte presso gli antichi come presso i moderni, si è tentato di mettere d'accordo le diverse opinioni private, ma sempre invano. Senza un'autorità divina insegnante, è tanto possibile il riunire le menti degli uomini in una stessii credenza, quanto é possibile il tenere ferme e compatte le volubili arene del deserto quando spirano contrarj e im- petuosi i venti, ed ergervi sopra un solido edificio.

Riferisce Cicerone (De leg., lib. i) che un certo Lucio Gel- ilo, proconsole romano in Grecia, scandalizzato dal vedere le infinite sette fra loro contrarie che facevano misero stra- zio della filosofia e della verità, riunì un giorno tutti in un luogo i filosofi della provincia e fece loro una patetica esortazione: « che mettessero una volta un termine allo scandalo delle eterne ed ostinate loro controversie, onde vedevansi consumare la vita intera in vani litigi; che cer- cassero d' intendersi fra loro e di convenire insieme in qualche cosa: » e promise loro la sua cooperazione ed il suo concorso per quest'opera di riconciliazione e di pace: Mcmini Gelliuni , cum procoìisul in Greciam venìsset , Alììenis philosup/ios qui funi eranl, in unum locuin convo- casse, ipsisque niaynopere auctorem fuisse ut aliquando controversiaruni aliqueni jìneni faccrenl; quod si essent co animo ut nollenl wlatcm in lilibus conlcrcre posse rem convenire j et siìnul operam suaw illis esse poUicitum.

268 LI TTIUA SESTA

Gelilo però , nel pensare , nel parlare cosi , diniostrossi quanto buon proconsole, altrettanto cattivo filosofo ; giacché credette così facile il riunire le menti in materia di opi- nioni come spesso é facile una transazione in materia à' in- teressi, e che sia possibile l'ottenere che la ragione degli uomini nei giudizj liberi si accordi a giudicare e credere al medesimo modo sopra una sola cosa, senza un'autorità che abbia il diritto di comandare alla ragione. Perciò sog- giunse Cicerone che il tentativo di quest'uomo dabbene fu reputato un giuoco, e da molti posto meritamente in ridi- colo: Jocuìare iììud quidem ti a multis scepc derisimi.

]jO stesso e per le stesse ragioni é precisamente accaduto in questo nostro secolo , e poco meno che sotto gli occhi nostri presso i protestanti in Germania. Le loro variazioni, che sempre variano;, le divisioni loro, che sempre più si di- vidono e si fanno fra loro la guerra, sono il lato debole, sono uno dei più grandi scandali del protestantismo, che ogni più lo scredita, lo perde e conduce ogni più in gran numero a picchiare alle porte della cattolica Chiesa co- loro che cercano una dottrina vera e stabile in materia di religione, onde assicurare la salute delle loro anime. Per far cessare adunque questo scandalo, il governo di un grande stato protestante di Germania riunì i sedicenti teoJofji delle diverse sette che lacerano quella misera contrada, ed esor- tolli « a comporre le loro discordanti opinioni reìicjiose in una formola o simbolo comune, chi* fosse ricevuto da tutte le sette e togliesse dagli occhi del mondo lo spettacolo dis- gustevole di tante divisioni fra piotestanti. clie b<*n presto finirebbero..., ma colla morte del protestantismo. » Stolido ed insensato consiglio però, sogno vano e ridicolo! così al- meno ne giudicarono anticipatamente gli stessi protestanti e ne fecero un argomento di risa: Juciilare iHud quidem et a multis scepe d'irisum. Ed il fatto venne ben presto a confermare la verità di questo giudizio. li' assemblea ebhe veramente luogo nel 1817, terzo anniversario secolare del- l'apostasia di Lutero, epoca scelta ed annunziata con fastosi proclami come quella che dovea riunire in un sol corpo tutte le sette protestanti , che sebbene ribelli alle dottrine

ij,rrir.,\ sksta 209

di qiieslo eresiarca, non lo riconoscono però meno pel loro legittimo padre e maestro. Ma con qual prò? Questo strano coìicilio^ in cui non vi erano due soli padri che sentissero allo stesso modo, {ini col dichiararsi inconciliabile. Ognuno rimase nelle sue antiche opinioni. Sólo si convenne che ognuno perdonasse agli altri le loro stravaganze per avere perdonate le proprie. Perciò, senza essersi punto accordati nella stessa fede intorno all'Eucaristia, si videro luterani e calvinisti accostarsi in uno stesso tempio, ad una stessa men- sa, a ricevere la comunione da uno stesso ministro, che non era calvinista luterano. E perchè il calvinista , ne- gando la presenza reale, non riconosce che una memoria della passione del Signore, ed al contrario il luterano, ne- gando la transustansazione, ammette nella Eucaristia la so- stanza del pane insieme con quella del corpo di Gesù Cri- sto; così quel bravo ministro, volgendo in derisione ed in commedia l'azione la più santa e la più augusta della reli- gione , nel comunicare un calvinista diceva : « Prendi la memoria del corpo del Signore; » e nell' avvicinarsi poi ad un luterano ripigliava: « E tu prendi colla sostanza del pane la sostanza ancora del corpo del Signore; » dichiarando con questo fatto unico, in cui il sacrilegio contrastava sin- golarmente col ridicolo, che rimanea ognuno libero di opi- nare come più gli piaceva ; e che questa diversità o con- tradizione di opinioni in materia di domma era una cosa affatto indifferente.

Così in questa grande riunione , in cui si dovea metter fine allo scandalo delle di\isioni del protestantismo, non potè nulla essere riunito: le divisioni divennero sempre più visibili e più profonde, e questo conciliabolo altro non fu che una professione pubblica e solenne d'indilferentismo in materia di religione , ed uno scandalo novello e di gran lunga maggiore di quello che, con questa pantomima sacri- lega, si pretese distruggere. Deh ! che senza 1' autorità le- gittima della Chiesa si può bensì, come testé si è fatto in Germania, riunire diversi stati nello stesso sistema di do- (jane e farne un sol corpo commerciante; ma non si pos- sono riunire diverse chi<^se in una fede comune e formarne

Beìezze della fede II. 12

270 LETTURA SESTA

lina sola chiesa! I>a discordia é sempre il carattere del- l'errore; la concordia, l'unità non può trovarsi che nella religione di verità.

Queste osservazioni però dan luogo ad altre osservazioni non meno importanti, e che ci é mestieri di esporre nella seconda parte: omettendo perciò la storia biblica, aflìne di non prolungare oltre misura la presente lettura.

PARTE SECOINDA.

I>F,M.E ESPOSTE OOTTUIXE

§ XV. - L effetto che deve necessariamente produrre la di- scordia delle opinioni si è di renderle tulle incerte. 0«- servazione sopra di ciò di Cicerone applicabile a lutti (jli eretici. Quale è il loro più ordinario modo di avere una opinione. Senza V autorità o il consenso non si può esser certo della verità dei proprj raziocini . Testimo- nianze di Cicerone sopra questa materia. Col leggere solo la Scì'iltura y l'eretico si forma opinioni e non cre- denze intorno alla religioìie. Perciò tra i protestanti non vi sono dommi, ma sterili e vane opinioni»

Or qual sarà mai T effetto di questa infinita discrepanza di opinioni, onde fra gli eretici le sette sono ostili alle sette, e gl'individui in guerra cogl' individui? 1/incertezza e il dubbio. S. Tomaso lo ha detto: « Quando si vede che diversi fra coloro che si stimano sapienti opinano diversamente fra loro sopra di una cosa stessa, per altro dimostrata come verissima, e diversamente la insegnano, questa stessa cosa diviene dubbiosa ed incerta: Jpud multos in dubitatione per- ntanent ea (>u(e sunt verissime dcmonstratOj cum videanl a diversisj qui sapientes dicuntur , diversa doceri. Cicerone aveva fatto di già tanti secoli prima la stessa osservazione, e citava l'esempio dei filosofi per prova della sua verità. Im- perciocché., nel secondo degli Accademici, dopo di avere enu- merate le diverse opinioni dei filosofi intorno a Dio, e messi in conlradìzione fra loro Zenone e Cleante, il maestro e il discepolo: dei quali il primo sosteneva che l'etere é il sommo

MOTTrRA SESTA 27 f

DÌO, e l'altro che il Dio supremo regolatore dell' universo si è il sole: Tullio conchiude appunto così: « Questa dis- sensione che vediamo regnare tra i capiscuola della filosofia intorno a Dio ci obbliga ad ignorare il Signor nostro; ed ormai non possiamo più saper con certezza se dobbiamo prestare l'omaggio della nostra servitù all'etere, ovvero al sole: Itaque co(jiniurj dissensione sapienlum, dominuni no- strum ignorare: quippc qui nesciamus^ soli cui elheri ser- viamus. Così pure, dopo aver fatto il quadro delle sentenze contradittorie dei filosofi, sull'anima umana, dice: « Di que- ste contrarie sentenze, presentate tutte come vere, quale però sia la vera in realtà, ormai non può altri saperlo fuor- ché un Dio. In quanto a noi uomini, i filosofi colle loro dissensioni ci lasciano nell'incertezza: e nemmen ci per- mettono di decidere quale sia la più verosimile, non che la vera: Hurum sentenliarum quce vera sif ^ Deus aìiquis rider it: quce vcrosiniilisj uiaqua quceslio est.»

Ora allo stesso modo è obbligato a discorrerla V eretico intorno alle verità cristiane. Le opinioni diverse, i contrarj sistemi, che tante migliaja di sette professano intorno a que- ste medesime verità, devono rendergliele necessariamente dubbiose ed incerte. Ed incerto pure diverrà per lui se il vero cristianesimo sia fra i ruteni o fra i Greci, fra i lute- rani 0 fra i calvinisti, fra i metodisti o fra i quaccheri, fra presbiteriani o fra gli anglicani, fra i sociniani o fra gli ana- battisti. Né la testimonianza della sacra Scrittura, in cui queste sette si vantano di aver trovata la loro fede, può rassicurarlo: perchè é impossibile che la stessa Scrittura contenga, sopra uno stesso articolo, opinioni cosi contradit- torie come sono quelle onde una setta dall'altra discorda.

Imaginate ancora che le sette nate dalla ribellione alla vera Chiesa non siano più di cento (quando si contano per migliaja). L'individuo di una di queste sette, per poco che ragioni, come potrà mai essere certo che la dottrina della sua setta sia la vera quando vede che le altre novantanove la condannano come eretica e come falsa? Con qual drillo dirà che tutte queste sette (che pur assicurano di aver se- guite le stesse guide, la Scrittura e la ragione) sono nel

272 LETTURA SE?TA

falso^ e la sua sola setta è nel vero? Sopra qual titolo ac- corderà il privilegio dell'infallibilità alla setta propria, e lo negherà a tutte le altre?

Che sarà poi se, come si è notato, consideri l'infelice set- l ario che anche nella setta propria degl' individui che la com- pongono non intendono poi allo stesso modo le dottrine che vi si professano? INon può dunque 1' eretico appoggiarsi fuori di sé, sopra una fede comune, dove comun fede non vi è. rS'on può prendere almeno come in imprestito la certezza degli altri, se gli manca la propria; e lungi dal ritrovare fuori di quell'appoggio possente alla sua credenza che i cattolici, per sempre meglio confermarsi nella loro, ritrovan nella perfetta conformità del credere di tutta la Chiesa; non trova nella varietà delle opinioni di tante sette contra- rie alla sua e degli stessi individui della sua medesima setta che motivi di dubbio e d'incertezza. Privo adunque ad un tempo e del sostegno dell' autorità della Chiesa, che non ri- conosce, e del soccorso della grazia della fede, che non im- plora, e dell' appoggio della conformità delle altrui credenze colle sue, che non ritrova, rimane l'eretico perfettamente isolato dal cielo e dalla terra, dagli uomini e da Dio. Ri- mane abbandonato unicamente ai suoi lumi individuali e privati, in mano del suo consiglio e del suo giudizio, e non può contare che sopra stesso per indovinare la vera religione. Ora è egli facile che un viandante, lasciato solo in un immenso deserto, dove non vi è sentiero guida, rilro>i la sua strada per arrivare alla patria?

Perciò la maggior parte degli eretici che ragionano, evi- imo di ragionare per accertarsi della vera religione. INon han coraggio d'intraprendere un lavoro, cui l'immensa difTìcoltà è certa, incertissimo il risultato.

Accade dei settarj della r»'ligione ciò che Cicerone dice dei settarj della filosofìa: nella età ancor tenera, o per com- piacenza verso di un parente e di un amico, o abbagliati dall'eloquenza di un maestro da cui hanno ricevute le prime lezioni, pronunziano giudizio di cose che ancora non ìnten- iiono, e si attaccano tenacemente al primo sistema che loro £.1 è offerto, come chi ha fatto naufragio ed è sbattuto dalla

LETTURA SESTA - 273

tempesta afferra al primo sasso che gli viene incontro: Jnfinnissiììio tempore celalìs ^ ani obstculi amico cuidam^ cut una alien inSj quam primum aiulierinlj oralione capii ^ de rebus inco(jiiilis judicanl j el ad qaamcumfjiie suìil di- scipììnam lamquam iempeslate delalij ad eam laìiiquam ad saxum ad/icerescunt. Ilanno poi un bel dire che hanno dato a tal sistema la preferenza perché insegnato da uomo di maggior sapienza e di maggiore dottrina degli altri. Essi mentiscono a stessi. E come mai uomini ancora rozzi ed ignoranti potevano da per stessi sopra ciò formare giu- dizio? E non si ricerca di fatti una consumata sapienza per decidere chi è più sapiente? ."Sam qitod diclini , se credere ei quem indicanl fiiisse sapienlem ^ probarem si idipsum rudes el indocli indicare poluissent. Stalliere enim qnis sii sapiens j vel maxime r ideiti r esse sapientis. I più dei lilo- sofi adunque non é già che credan vere le loro dottrine; ne conoscono anzi la falsità e l'errore. Ma siccome, per una incomprensibile frenesia, quest' errore, adottato da essi una volta, è loro amabile e caro: così ostinatamente lo dif- fondono, amando meglio di errare di quello che ricercare con animo imparziale la verità, che consiste in quello che SEMPRE E DA TUTTI crede, e si dice: Sed nescio ipiomodo pìerique errare ìtialunty eamqiie senlentianìj quam adama- veruntj pucjnacissime di.fandcre quam sine pertinacia quid co>:sTA>"TissiME dìcalur exquirere (Acad., lib. 1).

Or ecco la storia altresì di quasi tutti gli eretici; sono essi pure lontanissimi dal credere, in faccia a tante con- trarie testimonianze, che la loro setta o la loro dottrina è certamente la vera. Ma, o perché l'adottarono una volta neir interesse di qualche passione, o perché vi sono nati e cresciuti, vi si ostinano; e preferiscono le stravagenze e le turpitudini di un eresiarca privato alle credenze della Chiesa universale.

Molto più dopo che l'eresia, rivoltasi ad arrestare, per le vie del rispetto umano, le continue conversioni alla fede cat- tolica, che non può più arrestare per le vie della discussione 0 della tirannia, è giunta ad accreditare in Europa la mas- sima che un uomo onesto non caml/ia mai relijione; mas-

274 LETTURA SESTA

sima orribile, infernale, perchè significa o che tutte le re- lij-ioni sono egualmente buone per salvarsi, ciò che, come qui appresso vedrassi, è un'assurdità ed una bestemmia ; o ohe, non essendovene se non una sola che conduca alla sa- lute, l'uomo onesto che se ne trova fuori non deve abbrac- ciarla, ma sacrificare ad un misero puntiglio Dio, l'anima, l'eternità, ciò che è il cumulo del delirio.

Non sono però mancati , mancano pur tuttavia degli eretici che, colla Scrittura alla mano, che leggono e rileg- gono di continuo, cercano di formarsi una religione. Infelici però! essi coi privati loro sforzi non arrivano, possono mai arrivare a nulla di certo e di sicuro. Imperciocché egli è fuor di dubbio che l'uomo isolato e ridotto ai mezzi indi- viduali di conoscere non è certo se non delle verità per note e immediatamente evidenti, cioè delle verità di sem- ])liee percezione: sia che le conosca immediatamente coU'in- ttdletto (Inlelleclus siinpiicllcr percipiens semper esl re- rufi, S. Thomas); sia che le riceva per mezzo dei sensi, il cui giudizio, circa le cose di loro particolar competenza, è certo e sicuro ( Sensus circa sensibile proprium sempre est veruSj idem). E la ragione di ciò si é che, fino a tanto che si tratta di semplici percezioni, l'intelletto come il senso è sempre passivo, e quindi , dice Io stesso S. Tomaso , ri- porta fedelmente l'impronta della verità da cui é stato in- formato, come la cera riceve e ritiene l'impronta del sigillo che vi si è impresso. Ma quando trattasi di verità, di dedu- zione e di raziocinio, in cui lintelletto divide e compone e diviene attivo e vi mette qualche cosa del proprio, nulla di più facile che l' ingannarsi (Error esl in inlellecin compu- nente vel dividente, idem). E perciò ha detto pure S. Toma- so: « Troppo sovente accade che la ragione umana, cammi- nando per la via dell'inquisizione privala, incontri l'errore mentre crede di abbracciai'e la verità; attesa la debolezza del nostro intelletto nel ben giudicar delle cose, e la faci- lità che vi è da prendere per una verità un'illusione della fantasia (Investicjationi ralionis humance plerumque falsi- tas admiscttur , propler dehilitaleni inlelleclus nostri et phaulasmatum admixtionem). » E perciò accade che anche

LETTURA SESTA 275

le cose di cui la privata ragione è riuscita a persuadersi sulla ti'sliinonianza di una dimostrazione ben fatta rimangono in- certe per l'uomo isolato: perchè non può mai, finché è solo; assicurarsi di avere tutti evitati i tredici scogli delle falla- cie; un solo dei quali in cui s'intoppi basta a distruggere la rettitudine della dimostrazione: Et ideo apud muìtos in- dubitalionn pcnuaneìil ea (juce sunt verissime demonstratd duni vini demoustrulionis ignoranl. Inter inulta eliam vera (jtup demonslranlurj immiscetiir aìiquaìido aìiquid falsum, (juod }ion demonslralnrj sed aliqna probabili veì sopìiistica ratioììc asseritur. Se dunque l'autorità di persona che non \n\^^ e non vuole ingannarlo , o il senso comune dei periti 0 iìA dotti nella materia di che si tratta, non viene ad as- sicurar l'uomo che ha ragionalo della rettitudine dei suoi raziocinj, egli è obbligato a diffidarne, a temei' sempre che l'opposto di ciò che gli sembra vero sia falso: e la propria esperienza e quella dei più grandi ingegni che, ingannali da false evidenze, sono caduti in turpissimi errori, non può che confermarlo in questo timore. Quanto dire che l'uomo che conta solo, che solo ragiona, discute, dimostra, e che si fonda sul terreno vacillante della sua privata ragione , non può formarsi che opinioni più o meno probabili, più 0 meno vaghe, ma non già donuni certi ed immutabili; può giungere ad una certezza provvisoria , che altro non é se non la probabilità : ma non già ad una certezza assoluta, che comandi un'adesione dell'intelletto ferma, intera, co- stante, immutabile.

J^a storia della filosofia antica e moderna conferma la ve- rità di questa dottrina. Gli antichi filosofi, con tutti i loro studi, con tutti i loro sforzi, con tutte le loro dispute sulle più importanti verità, sopra Dio e l'anima, non arrivarono a formarsi, come si é veduto, che opinioni più o meno incom- plete, incerte, assurde, turpi, inette e ridicole: ma non po- terono mai stabilire nulla come assolutamente certo e sicuro. Udiamo per tutti Cicerone idoneo testimonio di tutta la pa- gana antichità. INei tre libri Sulla natura dajH deij intro- ducendo egli Vellejo a sostenere la dottrina epicurea, Balbo la stoica, Cotta Taccademica intorno a Dio; nell'esame prò-

27G LETTURA SESTA

fondo che fa di queste tre dottrine delle tre scuole o sette principali della filosofia, passa in rivista, mette a fronte e pesa con pari eloquenza ed erudizione tutte le opinioni dei lilosoii sopra Dio. Or ecco come conchiude egli questo lungo ed interessante trattato sopra la prima e la più im- portante di tutte le verità: « Dopo questa discussione ci separammo^ ritenendo presso a poco ciascuno la sua antica opinione: giacche a Vellejo parve più vera l'argomenta- zione di Cotta; a me poi puree più verosimile quella di Balbo: Hcec ciim essent dieta j ita discessiniiis ut rtlìejo Coiloe disputalio verioVj inilii Balbi ^ ad veritatis simiUtu- dinem videretur esse propinquior. »

Oh parole! oh confessione! Chi non si sente stringere il cuore? chi non arrossisce della debolezza della ragione umana al vedere un ingegno grande, anzi i più grandi ingegni dell'anticliità altro frutto non ritrarre da lunghe discussioni che quello di concetti vaghi, di opinioni più o meno probabili, più o meno incerte intorno a Dio? oh miseria! disputare tanto per ottenere poco!

meno debole, vacillante ed incerta era 1' opinione di Tullio suW inintorlalità dell anima: verità la più impor- tante dopo quella dell'esistenza di Dio. colla quale è legata e dalla quale discende. E vero che in diversi luoghi delle sue opere dichiara di ammetterla e volerla sempre ritenere, ma senza esserne certo sicuro; e il suo linguaggio pro- blematico sopra questa materia indica più la sua inclinazione e il suo gusto di quello che il suo convincimento di essere immortale. Poiché dice: « Se erro nel credere all'immorta- lità dell'anima, erro volontieri; e finché vivo, non soffro che nessuno mi levi dalla mente questo errore che tanto mi piace. Se poi, come poveri e meschini niosoil opinano, la mia anima morrà col corpo, non ho a temere che le anime di questi filosofi, che periranno come la mia, mi befferanno per questo mio errore: Qnod si in /toe trroj libenter erro, uec mi/li lume errorenij quo dclcetor^ extorqueri volo. Sin nwr- tuuSj ut quidam minuti pìiilosophi censente niliil senliamj non vercor ne hnnc errorem ineum pìiilosophi mortai irri" deant. » Altrove poi, avendo esortato il suo uditore a leggere

LETTURA SESTA 277

ìi celebre libro di Platone, in cui Tallio dice trovarsi ciò che può desiderarsi di più eloquente e di più solido in favore dell'immortalità, introduce lo stesso uditore a fare una do- lentissima confessione intorno all' insufficienza dei razio- cinj degli uomini più grandi per far credere con ferma certezza una qualunque verità. Poiché gli fa dire: « Ilo fatto più volte, tei giuro, ciò che mi suggerisci (di leggere il citato libro di Platone): ma, non so come, mentre leggo un tal libro mi pare di rimanere convinto: quando poi lo chiudo e comincio a ripensar meco stesso sull'immortalità, tutta la mia persuasione svanisce , e mi trovo incerto sic- come pria: Marh. Vin/i elorjuentia Pldtoneìu superare />os- suìinis? Evolve (ìiligenfur ejus ìibrum de animo. Jinplius (jiiod des'ìdercs niJiil eril. AUDIT. Feci mehercule scepins j sed nescio qiiomodo j diini ìecjo , assentior : ciim posili /i- brum et mecum ipse de inutìortalilaie ccepi cogilare , as- seniio onuiis ilìa dilabilur. »

Or, se ciò accade delle verità primitive, cui pur la ragione può giungere; che sarà mai delle verità cristiane, che di gran lunga superano la ragione? Se l'uomo isolato non può generalmente elevarsi che a concetti più o meno probabili nelle cose che può a stesso dimostrare ed intendere; come può mai inalzarsi a domìni certi ed indubitabili di cose che non può intendere dimostrare? Il simbolo adunque che l'eretico, usando del principio del libero esame e del giudizio privato, é ito accozzandosi con sommo stento leg- gendo la Scrittura, non sarà che una fiiragine rozza e scon- nessa d'incerte nozioni, di vaghe congetture, di mal fondati giudizj sulla religione cristiana: parto mostruoso sovente, più che della ragione, dell'immaginazione, della passione, del capriccio, e che non avendo infatti altra autorità, altra forza che quella della ragione che se li ha formati, non potranno trasformarsi in verità certe che riscuotano un'a- desione completa dell'intelletto e comandin la fede. Potrà opinare più o meno leggermente, ma non già credere nel senso che noi cattolici attribuiamo a questa parola.

F>gli è perciò che questi infelici, che l'eresia ha trascinali lungi dalle > ie delia certezza della fede, non si odono mai

il

278 LETTURA SESTA

parlar iìommij ma di opinioni- E di opinioni religiose^ e non già di dommi parlano i genitori nelle fomiglie, i mae- stri nelle scuole, e perfino i teologi nelle cattedre e i pre- dicanti nei templi. Ora il linguaggio è l'interprete fedele dei giudizj e delle idee di un popolo. Come dunque noi catto- lici colle parole domini sacri, arlicoli di fede, che abbiamo sempre in bocca nel nostro linguaggio religioso, diamo chia- ramente a conoscere che per la conoscenza cattolica, il cri- stianesimo è un affare di domma e di certezza; così gli ere- tici colle parole opinione propria, opinione religiosa, che pui'e ripetono ad ogni istante nei loro discorsi e nei loro scritti quando trattasi di religione, danno evidentemente a vedere, loro malgrado che nelle loro menti il cristianesimo è un affare di probabilità e di opinione.

Badino perciò certi cattolici che, come ho avuto occasione di notarlo io stesso, chiamano la religione V opinione reli- giosa. Sebbene questa espressione, che ripetono con aria di grande pretensione e di grande importanza, come per farsi credere all'altezza del linguaggio del tempo, l'abbiano impa- rata da qualche libro anticristiano e la ripetano senza inten- derla: badino però, io lo ripeto, che potrebbero farsi prende- re, così parlando, per empj, quando i poverini non sono più che leggieri, stolidi e ridicoli. Poiché questa espressione, « opinione religiosa, ty che, trattandosi del cristianesimo quale il protestantismo lo ha ridotto, e sotto una penna ed in una bocca protestante , ha un senso rigorosamente filosofico e vero, nella bocca però di un cattolico, trattandosi della cat- tolica religione dommaticamenle ed immulabilnienle cerla e sicura, é insieme un' assurdità ed una bestemmia.

Ritornando però al proposito, osserviamo che solamente il damma (parola greca che vuol dire decreto) può riscuo- ti^re l'assenso della mente e imporre e comandare alle affe- zioni del cuore: poiché esso solo si annunzia come necessa- rio e circondato della forza , della certezza e dell' autorità. Ma in quanto all' opinione, non essendo nulla più che un concepimento vago, indeterminato, ed incerto della privata ragione, non può ottenere alcun assenso fermo ed immuta- bile, molto meno può esigere il menomo sacrificio dalle pas-

LETTURA SESTA 270

sìoni. L'individuo perciò, come la società, si dirige co' cìonnni e non g^ià colle opinioni; e le opinioni allora comandano l'azione quando sono passati in domìni j o in certe ed im- portanti credenze. Ogni religione che non può presentarsi come (loinnuiticcij ma sol come opinabile, non può riscuo- tere che un'adesione momentanea, incostante, interessata, ovvero una completa indiilerenza. E le opinioni religiose che, appunto perchè opinioni, non giovano per la vita pre- sente e non presentano alcuna sicurezza per la vita avve- nire, non hanno maggiore importanza di quello che le opi- nioni di filosofia, di politica e di letteratura. Quando perciò nello scoi'so secolo il protestante Neker, ministro dell'infe- lice Luigi XVI, intitolò un suo lihro Dtìi'iìnporianza delle opinioni religiose, fu come se avesse detto: dell'importanza delle cose che non importano ne all'individuo ne alla so- cielo; perciò il libro suH' Importanza delle opinioni reli- giose non fece il menomo senso nella opinione e non pro- dusse il menomo vantaggio alla religione.

Lo stesso è accaduto di tutti i libri apologetici del cristia- nesimo scritti contro gli increduli da penne protestanti. Si- mili a chi per combattere non ha che armi logore, senza punta e senza taglio nelle mani, ed un terreno vacillante sotto dei piedi, e che, lungi dall' oflTendere il suo avversario, non deve sudar poco per difendersi e tenersi fermo in piedi esso stesso ; simil. dico, a questo misero guerriero, gli ere- liei apologisti del cristianesimo, incertissimi essi stessi di ciò che difendono, non potendo opporre che opinioni ad opinioni, non fanno il menomo timore ai loro avversar]; non recano il menomo danno al vizio o all'errore; e il più sovente non ne riscuotono che risa, disprezzo ed urti terri- bili che li fanno vacillare nella trista posizione in cui si tro- vano collocati. 11 dottor protestante Beatty combattè il mate- rialismo di Lokio. I grandi atei inglesi ITume, Bollìnbroke, C'ollins, Gibbon trovarono dei confutatori in molti devoti dot- tori dello scisma anglicano. 3Ia chi fece mai attenzione a sif- fatte confutazioni? Gli scrittori contro di cui erano dirette se ne fecero beffe; il pubblico vi rimase così indid'erente come se si fosse trattato di una controversia grammaticale: ed esse

280 LETTURA SESTA

non impedirono che la storia di Hume in particolare, che contiene una chiara confessione di ateismo, non fosse dedi- cata al re d'Inghilterra, che pure porta ancóra il titolo di difensor della fede. Perciò é un pezzo che questi inermi combattenti han deposto ogni pensiero di combattere l'incre- dulità ed han preso il saygio partito di lasciare in pace il deismo, l'idealismo, il materialismo, l'ateismo stesso che rompe ai loro fianchi da tutte le parti; affinchè queste opinioni filosofiche li lascino in pace nelle loro opinioni cristiane commode e sopra tutto lucrose!

Deh che non è dato all' eresìa il combattere l'incredulità con successo! I ribelli del senso comune della Chiesa uni- versale non faranno mai paura ai ribelli del senso comune degli uomini, ma, rei del medesimo delitto, sono obbligati a perdonarselo a vicenda. Quindi la vantata tolleranza degli eretici per tutti gli errori non è se non l'effetto e l'in- dizio insieme della perdita intiera di ogni fede e di ogni ve- rità. Non è adunque fuori del nostro proposito che ne di- ciamo qui due parole.

§ XYI. - Diijressione sulla tolleranza. Nessuno eretico lia dirillu di accusare yti altri di eresia. La sola Chiesa cattolica può e deve condannare tutti gli errori , perchè essa è verità; e compatisce (jli erranti^ perchè è carità. La tolleranza che gli eretici vantano di avere per tutte le altrui opinioni è una conseguenza necessaria dell'in- certezza in cui sono della verità delle proprie. Questa tolleranza sono costretti ad estenderla persino all'ateismo. Uniti lutti coloro che sono fuori della Chiesa^ qualunque ì'eìigione professino^ sono figli dello stesso padre, il de- monio; formano una stessa famiglia; e l'istinto che hanno di ciò, li porta a tollerarsi a vicenda e ad essere intol- leranti pei soli cattolici. Questa coalizione di tutti gli erranti contro la Chiesa cattolica è una bella prova che essa sola è vera e divina.

Ammesso una volta il principio del libero esame e del giudizio privato in materia di religione, ognuno rimane af- fatto indipendente in faccia all'altro nella sua religiosa opi- nione. Nessuno ha il diritto di dire all'altro: « La vostra opi- nione è falsa; la mia è la vera. » Nessuno ha autorità di ob-

LETTURA SESTA 28Ì

bligar l'altro ad opinare come esso opina, ad operare come esso opera. Chi osasse di arrogarsi una tale autorità e un tale diritto, sarebbe giustamente reo in faccia alla ragione protestante, di usurpazione e di tirannia; sarebbe anzi il più iniquo degli usurpatori, il più odioso dei tiranni, poiché di tutte le usurpazioni e di tutte le tirannie la più ingiusta e la più oppressiva é quella che si esercita sulle coscienze e che dispone a capriccio della religione. Perciò il prote- stante é dai suoi stessi principi condotto a rispettare in tutti gli altri non solo il diritto di formarsi ciascuno la propria opinione, ma ancora l'opinione stessa che si è formata. E per quanto questa opinione sia evidentemente sconcia ed assurda, nessuno può farne ragionevolmente all' altro rim- provero, subito che a questi così ne pare; ed ognuno ha egual diritto di ammettere ciò che gli pare e come gli pare. Perciò se un protestante dicesse all'altro: «Voi errate; voi siete eretico ammettendo tal e tal altra opinione^ negando, per esempio, la divinità di Gesù Cristo, » questi potrebbe benissimo rispondere, come presso Cicerone Cotta rispon- deva a Balbo che lo accusava di negare Dio : « Amico mio, ricordatevi che voi, al par di me, avete rigettata ogni spe- cie di autorità, e che avete fissato per principio che ognuno deve appoggiarsi sulla propria ragione. INon abbiate dunque a male eh' io opponga la mia ragione alla vostra, e che usi dello stesso diritto che reclamate per voi stesso, di ritenere per vero ciò che alla mia ragione sembra vero : Tu aneto- rilate omnes contemnis, raìione pu(jnas. Patere igilur ra- tionem meani cum tua conferre (De nat. Deor.). INon vi è che il domma o decreto che, supponendo un'autorità legitti- ma che lo pubblica é obbligatorio. In quanto sàVopinione pri- vata di uno, esso non ha diritto che all'esame e non si può imporre alla credenza degli altri. Ora dovunque non vi è un'autorità comune, che ha diritto all'udienza comune, e per- ciò non vi sono clonimi comuni^ ma private opinioni; ognuno come ha diritto di tenere e di aver perdonata la propria , così ha un dovere di perdonare, di rispettare quella degli altri. Da ciò si scorge quanto è assurdo ed ingiusto il rimpro- vero che gli eretici fanno a noi cattolici di essere intolle-

282 LETTURA SESTA

ranti verso loro. JngiiislOj perchè i cattolici, generalmente parlando, compiang-endo la miseria e la cecità degli eretici e degli infedeli non hanno alcun odio contro le loro per- sone. E difatti ove i cattolici, soggetti politicamente ai pro- testanti 0 agli scismatici;, sono più o meno palesemente ti- ranneggiati ed oppressi; al contrario gli eretici e gl'infe- deli, soggetti politicamente pure ai cattolici, godono di tutte le libertà che loro assicura la legge politica degli stati , e non soffrono alcuna oppressione. Di più la Chiesa cattolica, lungi dal nutrire odio per le vittime infelici dell'errore, spedisce ogni giorno i più generosi dei suoi figli, perchè a costo ancora della propria vita del corpo , assicurino loro la vita dell'anima, portando loro la grazia colla verità.

Aggiungo che il rimprovero d'intolleranza che si fa alla Chiesa cattolica è assurdo j perchè l'errore può e deve es- sere tollerante per l'errore, ma non può e non deve essere tollerante la verità. Ora la religione cattolica è verità, è sola verità, è certa di essere tutta la verità. Come dunque la luce non può accomunarsi colle tenehre, Gesù Cristo con Ce- liai, non può la cattolica religione e non deve affratellarsi coir errore , vederne con occhio freddamente tranquillo gli orribili guasti che cagiona fra i popoli, e le tante anime che accieca nel tempo e perde per l'eternità. Se essa imi- tasse in ciò la condotta dell' eresia e si mostrasse indiffe- rente per le dottrine che le son contrarie, darebbe a cre- dere che errore è essa pure e che non è certa della sua ve- rità. Tutta compassione per gli eretici e per gli infedeli, non può aver che odio e orrore per le dottrine dell'eresia e del- l'infedeltà. E come 1' odio infinito di Dio verso il peccato è una necessaria conseguenza ed una prova insieme che esso è santità, così quest'odio implacabile, quest'orrore costante della Chiesa cattolica verso ogni sorta di errore, è una con- seguenza necessaria ed insieme uno de' più splendidi argo- menti estrinseci che essa è verità, e che la verità in essa sola si ritrova, mentre è la sola che condanna tutti gli er- rori. Ija divisa dunque della Chiesa cattolica è in queste belle parole di S. Agostino: « Guerra a morte all'errore, e per- dono e carità verso gli erranti : DìI'kjìIc homincs, inlerjìcitp

LETIURA SESTA 283

errores, » Cioè a dire che la Chiesa cattolica è e deve essere teologicamente intollerante verso le false dottrine; ma è tollerantissima verso gl'infelici che ne sono le vittime.

ìNon così però l'eresia. Siccome la diversità delle opinioni religiose nuoce agl'interessi della sua poìilicaj quando ne ha il potere, perseguita ed opprime poìiticamente gli uo- mini che le professano. Ma siccome non può decidere con certezza quale sia la vera religione , ieoloyiccnnente è ob- hligata a scusarle e tollerarle tutte: cioè a dire che,, intol- lerante per le persone, è, e deve essere tollerantissima per tutti gli errori; e questa tolleranza teoìofjica di tutti gii errori è una legge, dalla quale l'eresia, non può sottrarsi senza smentirsi, senza contraddirsi, senza distruggersi.

Ecco dunque il fondamento , la ragione, la necessità lo- gica della tolleranza recii)roca dei protestanti,, della quale essi menano gran vanto, e di cui invece dovrebbero ar- rossire e confondersi : giacché essa é la conseguenza e la prova insieme dell' assenza di ogni certezza, di ogni fede, di ogni religione fra loro.

Siccome però il principio protestante , Che non bisogna riconoscere altra autorità che la Scrittura interpretata dalla ragione , non ammette restrizione e non può ammetterne alcuna, così non solo questa tolleranza si deve estendere e si estende difatti a tutti gii eretici, ma a quelli ancora fra gli eretici che negano la Trinità, la divinità di Gesù Cristo, r eternità delle pene; perché essi ancora appoggiano queste negazioni sulla Scrittura. Si deve estendere e si estende di- fatti a tutti i maomettani, a tutti gl'idolatri fra i quali si è dai protestanti disseminata la Scrittura perché ognuno se la spieghi a suo modo, ed ai quali però non si può fare alcun rimprovero, se non vi trovano nemmeno un solo dei donimi cristiani che 1' eretico dice loro di avervi trovati. Si deve estendere e si estende difatti a tutti i deisti, i quali, affer- mando che la ragione non ha loro dimostrata con bastevole chiarezza l'ispirazione divina delle Scritture si credono in diritto di negarla, e con essa di negare tutto il cristianesimo. Si deve estendere infine anche agli atei ; giacché anche l'ateo dice di usare della sua ragione per negare Dio, che la sua

28Ì LETTURA SESTÀ

ragione non comprende. E poiché la ragione^ stabilita come unico giudice della Scrittura, diviene, come si é veduto, l'ultimo fondamento della credenza religiosa; sarebbe^ dice un autore tristamente celebre non meno pe' suoi talenti che per la sua caduta, sarebbe assurdo^ contradittorio, empio^ r obbligarlo a credere ciò che ripugna alla sua ragione. L'ateo ha comune coU'eretico il principio di non riconoscere alcuna autorità, di non ammettere che ciò che sembra am- missibile alla propria ragione, rigettando tutto il rimanente. Or collo stesso diritto onde il luterano rigetta le buone opere, il zwingliano la presenza reale, il calvinista il purgatorio, il sociniano la Trinità, il deista la rivelazione tutta intera, perché questi misteri sembrano inammissibili alla loro ra- gione, l'ateo potrà in faccia al protestante negare Dio stesso, affermando che l'esistenza di un Dio, puro spirito, immenso, eterno, immutabile, creatore del tutto, é il più impenetra- bile dei misteri, è il più inammissibile alla sua ragione. dirà che esso abusa della sua ragione? Verissimo: ma non è Teretico che ha diritto di fargli un tal rimprovero. Subito che per esso pure tutto si riduce alla ragione, si deve am- mettere come egualmente legittimo ogni parto della ra- gione. INon può dunque l'eretico negare all'ateo la tolle- ranza. Sicché la tolleranza degli eretici non è che la con- fessione, il riconoscimento di tutti gli errori, fondato sopra la distruzione di tutte le verità.

Una sola eccezione iniqua fanno gli eretici dalla legge della tolleranza che estendono a tutti gli uomini di tutte le sette e di tutte le religioni, e questa eccezione è contro i figli della Chiesa cattolica. In oriente i greci scismatici, i nestoriani, gli eutichiani tollerano e la perfidia giudaica e il sensualismo maomettano, e la superstizione idolatra. In oc- cidente i luterani, i calvinisti, gli anglicani, tollerano an- ch'essi il socinianismo che non riconosce la Trinità, il deismo che rigetta ogni rivelazione, e perfino l'ateismo che niega ogni divinità. Chi mai oggi più tra gli eretici alza una voce, muove un dito, per impugnare questi errori che perdono le anime e degradano l'umana società? Solo contro i cattolici armano di uno zelo diabolico, invocano una crociata infernale

LETTURA SESTA 285

riuniscono i loro sforzi, il loro odio, il loro furore: e de- clamano e scrivono ed intrigano. Solo contro ì cattolici l'impostura e la calunnia^ l'ingiustizia e l'oppressione^ l'a- narchia e il dispotismo, tutte le vie insomma sono buone, tutti 1 mezzi sono legittimi, tutti i delitti sono permessi. Che anzi non arrossiscono di far causa comune coi più dichiarati nemici del cristianesimo per abbattere e distrug- gere dappertutto il cattolicismo. Così questi generosi filan- tropi, che si perdonano fra loro e perdonano a tutti gli altri settarj le opinioni le più empie, le più assurde e più scandalose, non perdonano al cattolico la sua fede costante, ragionevole, santa e pia. Mentre riconoscono in ognuno il diritto funesto di delirare, seguendo le dottrine di qualunque impostore o le stravaganze della propria ra- gione ispirata dalle passioni: puniscono, come un delitto, il diritto che il cattolico crede d' avere e d* esercitare, di umiliare, cioè, la propria ragione e di credere al cristia- nesimo come lo intende e lo insegna la Chiesa; segno ma- nifesto che la verità nella sala Chiesa cattolica si trova, e che fuori di essa, sotto forme variate all'infinito, vi è l'errore più o meno esplicito, più o meno esteso, più o meno assurdo: giacché la religione contro la quale si coa- lizzano in una fratellanza, in un odio comune tutti gli errori, non può essere che verità.

§ XYII. - / protestanti sono pure obbligati dai loro prin- cipi a riguardare , come riguardano difalti^ ogni re- ligione buona per salvarsi. Quanto questa opinione è empia ed assurda. Devono altresì essere j come sono ^ indifferenti per la pretesa loro religione. Questa loro indifferenza è manifesta dal loro sistema di educazione, di predicazione e d' insegnamento : più che mai però apparisce chiara dal loro culto pubblico e dal disprezzo in che lo tengono. I protestanti di Amburgo.

Parto mostruoso di questa tolleranza dottrinale e teolo- gica degli eretici sono le due orribili massime uscite dal- l'abisso del protestantismo cioè: 1." Ogni uomo si può sal- var nella sua religione. 2." Un uomo onesto non cambia mai religione; quanto dire che, a giudizio dei protestanti.

28G LETTURA SESTA

tutte le religioni sono egualmente buone. Ed in verità che l'eretico infatti non può pensare altrimenti. Subito che non vi è. per lui per gli altri, alcuna certezza di essere nel vero, subito che parte egli dalla dottrina che fa dipendere dalla privata ragione di ognuno l'esame e la decisione della bontà di una setta o di una religione; è di tutta necessità logica obbligato a riconoscere per buona ogni religione che ognuno sulla testimonianza della propria ragione tiene per buona, come egli stesso sulla stessa testimonianza tiene per buona la propria. INè ha il diritto di dire che nella propria religione si trova la salute e la dannazione in quella degli altri. Forse dirà che gli altri per mancanza d'ingegno non ragionano bene? ma la mancanza d'ingegno è una disgrazia e non già una colpa; non può dunque egli ragionevolmente escludere dall'eterna salute colui che si è arrestato ad una religione che la scarsezza del suo ingegno non gli ha per- messo di conoscere che è cattiva. Quindi l'eresia sotto pena di contradizione e d'ingiustizia, è obbligata ad allargare le vie della salute agli uomini di tutte le religioni, di tutte le sette: è obbligata a proclamare che oijìiì religione è buona per andar salvo. E poiché in quanlunque religione in cui l'uomo si trova si può salvare, e non vi è alcuna necessità di cambiar religione per assicurare l'eterna salute, ha do- vuto altresì proclamare quest'altra massima, di cui abbiamo di già notata e l'empietà e la follìa, cioè che un uomo one- sto non cambia mai religione. E di fatti i libri dei prote- stanti inglesi sono ripieni di queste massime; fanno un mistero di questa loro opinione, che discende come una con- seguenza necessaria dei loro principj: Che non solo gli ere- liei (li tulle le comuìiioni e eli tulle le selle, ma anche i maomettani e gl'idolatri si salvano, restando nelle rispet- tive loro religioni. E mirate generosità di questi eretici : spingono essi la loro carità, onde abbracciano i popoli e le nazioni, sino a noi cattolici; e concedono pure a noi, di po- tere, nella nostra religione, conseguir la salute!!!

Ma se queste strane massime non sono contrarie alla lo- gica degli eretici, lo sono però al senso comune degli uo- mini; e di più sono tanto orribihnente empie quanto ma-

LETTI' R\ SESTA ^87

nifestamente assurde. Imperciocché dire che ogni nomo si })uò sahuire nella propria religione è lo stesso die dire che ogni religione è egualmente buona. Dire che ogni religione è egualmente buona è lo stesso che dire che or/ /u* religione è egualmente vera; giacché non può essere buona una reli- gione che non é vera. Ma la maggior parte delle religioni sono non solo diverse, ma ancora contradittorie fra loro. Il giu- daismo è contrario dell'idolatria, il cristianesimo del giu- daismo e del maomettanismo; lo scisma greco del protestan- tismo; il cattolicismo, di tutte l'eresie. Dire adunque che tutte queste religioni sono egualmente vero è lo stesso che dire che è vero che vi é un Dio, è vero che vi sono più dei; che é vero che Gesù Cristo é Dio, e vero che non é se non uomo: che è vero che il cristianesimo è una religione divina, e vero che é una religione umana; che é vero che l'autorità legittima di spiegar la Scrittura appartiene alla Chiesa, e vero che quest' autorità appartiene solo alla ra- gione. È insomma lo stesso che ammettere che una stessa cosa è allo stesso tempo vera e non vera; è un ammettere la più manifesta assurdità.

Che se si dice che, senza esser tutte vere le religioni, sono però tutte egualmente buone per la salute , non si sfugge l'assurdità che per cadere nella bestemmia. Perché ciò vuol dire che Dio, avendo fatta una rivelazione, avendo pubbli- cata una legge, avendo compiuta una redenzione, é poi in- differente che l'uomo creda a questa rivelazione, o la im- pugni: abbia fede a questa redenzione, o lametta in ridi- colo; adempia a questa legge, o la calpesti; che Dio riceve un culto degno di lui tanto dalle superstizioni idolatre, dalle turpitudini maomettane, dalla perfidia giudaica e dall'orgo- glio dell'eresia, quanto dalla fede santa e pura della Chiesa cattolica; in una parola, che Dio apre le porte del suo pa- radiso egualmente alla santità e al delitto, e ricompensa egual- mente la virtù e il vizio, chi l' onora e chi lo bestemmia.

Ora non è più ragionevole il non ammettere alcuna rive- lazione celeste di quello che ammetterne una che non é af- fatto necessaria il credere? Non è più ragionevole il non am- mettere alcuna legge, alcuna religione divina, di quello che

288 LETTURA SÉStA

ammetterne una che non é necessario affatto il praticare, ed a cui senza alcun inconveniente, senza alcun pericolo per l'eterna salute si può sostituirne un' altra ispirata dal ca- priccio e dalle passioni umane? iNon é più ragionevole il non ammettere alcun paradiso di quello che ammetterne uno aperto egualmente all'errore e alla verità, al vizio ed alla virtù? Finalmente, lo dirò io?... INon é più ragionevole il non ammettere alcun Dio di quello che ammetterne uno, alla foggia di quello di Epicuro, che non si cura affatto degli uomini ; che gradisce i loro omaggi sinceri, si oiTende dei loro oltraggi; e che guarda collo stesso occhio d'indiffe- renza ogni specie di sacrificio ed ogni specie di delitto, e l'anima generosa che per lui s'immola e l'anima idolatra di stessa che si ride di lui? Perciò tollerare teologicamenle come fanno i protestanti, tutte le religioni, ammetterne in- distintamente tutti i seguaci a partecipare all'eterna salute è lo stesso che negare l'esistenza di ogni rivelazione divina di ogni religione vera, di ogni legge, di ogni culto, di ogni ricompensa, di ogni divinità. Avea dunque hen ragione Fé- nélon di dire che « tra la religione cattolica, unica, vera, e l'ateismo puro, non vi è alcun mezzo ragionevole. « Impercioc- ché, disprezzando l'autorità divina, su cui la vera religione é fondata, e riportandosi alla sola ragion privata in materia di religione, uno spirito veramente logico di conseguenza in conseguenza si vedrà trascinato a negar tutto lino Dio stesso. Quindi ancora la fredda indifferenza in cui sono caduti i . protestanti di Germania e d' Inghilterra intorno al prote- stantismo considerato come dottrina religiosa, mentre che sono tenaci sino all'ostinazione, zelanti sino al fanatismo del protestantismo in quanto è istituzione politica e religione dello stato. La ragione di ciò si é che, in quanto é religione dello stato, l'eresia assicura a quelli che ne hanno il mono- polio grandi dignità, grandi ricchezze e grandi privilegi. Il clero ammogliato dell'Inghilterra non é infatti esso solo più riccamente retribuito del clero cattolico, preso insieme, di tutto l'universo? Ma in quanto é dottrina teologica, non es- sendo l'eresia che un affare di pura opinione, che non ap- porta nulla di utile per la vita presente e non promette

J

IKTTIIRN >i>r\ 989

nulla di sicuro per hi fuluru. non può destare e non desta che indifferenza.

Perciò, eccettuato il popolo, che anche nei paesi prote- stanti o scismatici è sempre più o meno religioso, giacché non può e non sa formarsi un' opiniwìc sulla religione, ma la riceve dagli egregi apostoli della ragione che gliela im- pongono per le vie della /b/-f/ e deHV/?//o/i.'fl; i grandi poi, i ricchi, gli scienziati non hanno per lo più altra religione fuorché la inditferenza sulla religione, che non é in sostanza che un ateismo mascherato. E sebbene questo spirito d' a- teismo pratico, che si trova nel fondo di tutti i sistemi di errore, per un avanzo ben piccolo di verecondia, non osa che tremando di prodursi alla luce del giorno colle parole , si manifesta abbastanza però nel linguaggio ancora più elo- quente dei fatti e della condotta.

Penetrate nell'interno delle famiglie protestanti, e vedrete la poca e nessuna importanza che vi si attacca alla religione cristiana. Lo zelo e la premura che le madri veramente cri- stiane hanno fra noi che i loro figliuoletti consacrino a Dio, che li ha creati, le primizie della loro intelligenza, del loro cuore, della loro lingua; e perciò additano loro Iddio nel cielo, li avvezzano a pronunziare pria di tutto i nomi dol- cissimi di Gesù e di Maria, ed insegnano loro VÀve, Maria, il Pater, il Credo e gli atti cristiani: queste sante industrie della vera fede sono ignote affatto nel seno delle famiglie protestanti. J.e prime lezioni che vi si danno ai fanciulli riguardano il corpo, la terra, il tempo: nulla desta nella loro mente bambina idef di Dio. dell'anima, del cielo, dell'eter- nità. Tutta l'istruzione morale che si alle fanciulle in par- ticolare si riduce al precetto di essere saijcje , colla Glossa che essere sa(j(je significa non mentire, non nominare la coscia, e dire (jani'xi di polla e non mai coscia di pollo, e sapersi tener ritte colla vita e mantenersi pulite nella per- sona!... I pagani insegnano qualche cosa di più alle loro figliuole Quando poi il fanciullo é giunto all'età della ra- gione e sa sufficientemente leggere, gli si in mano la Bibbia tradotta in volgare e si lascia che la intenda come gli part'j rh<" ne creda quanto e come gli pare; onde più

200 LFyrriRA sesta

tardi, tra le tante sette da cui si vedrà circoudato al metter piede fuori di casa o nella casa sua propria, si determini per quella che più gli pare confacente ai suoi gusti e ai suoi capricci, o non si determini per nessuna, salvo il giu- rare 0 più presto spergiurare la confessione di AikiusUi o i trenlanooe articoli , e il dirsi prolestanle o anylicano. Oh educazione che non è se non indifferenza assoluta ed il più profondo disprezzo del cristianesimo! Ora siffatti uomini chiamateli . se vi 1' animo, cristiani.

Ma qual maraviglia che i laici sieno indifferenti quando e molto più lo sono i sacerdoti, i pontefici dell'eresia? Con- siderate la predicazione protestante. I domini ne sono sban- diti. Ed a che parlarne, subito che essi non sono più che semplici opinioni per chi parla non meno che per chi ascolta? ed opinioni intorno alle quali chi parla non è d'accordo con chi ascolta, e sulle quali, tra quei due che ascoltano, non si trovano nemmen due soli che opinino allo stesso modo? Le prediche protestanti non sono adunque sermoni cristiani, ma dissertazioni accademiche, fredde e fastidiose dicerie sopra un qualche punto di morale evangelica, esposto colla stessa indifferenza, colla stessa freddezza, come se si trattasse di una morale puramente filosofica ed umana , e che non distruggono alcun vizio, non persuadono alcuna virtù e non migliorano alcuno. INè é raro l' udire dalla bocca di questi egregi cristiani lo stesso Gesù Cristo messo a con- fronto e trattato collo stesso rispetto o piuttosto collo stesso disprezzo di Socrate e di 3Iarco Aurelio.

J.o stesso sintomo d'indifferenza si manifesta nell'insegna- mento teologico delle università. A questo insegnamento si concorre da prima per ispirilo di mero interesse, per acqui- starvi un requisito, un titolo onde fare il ministro o il pa- store evangelicOj come si studia la medicina per fare il me- dico, e la legge per fare l'avvocato: giacché in questi paesi il ministro ecclesiastico non é altrimenti una vocazione, ma una professione , un mestiero come ogni altro, e men no- bile di ogni altro. In quanto poi alla scienza teologica, vi si attacca minore importanza che alla scienza della chimica o della medicina. Simili agli antichi accademici che, formali

LETTURA SIvSTA 291

alla dottrina di Socrate e di Platone^ proponevano ai loro uditori il prò ed il contra sopra ciascuna delle grandi tesi della religione primitiva, i professori della teologia prote- stante non fanno per lo più altro che mettere sotto gli oc- chi dei loro uditori il prò ed il contra sulle grandi tesi della religione cristiana, lasciando ad ognuno la libertà di ritenere ciò che gli sembra più ragionevole. INon insegnano a cre- dere, ma a dubitare. iNon ispiegano misteri, ma propongono enimmi. Maestri senza convincimento formano discepoli senza scienza. Ed é singolare il contrasto che offrono, V indifferenza che traspira da tutte le parole del maestro e la noja che si manifesta da tutti i movimenti de' suoi discepoli.

Quest'indifferenza si manifesta più chiaramente ancora nel culto protestante. Il culto religioso é l'espressione o la manifestazione pubblica e solenne delle credenze di un po- polo. Ora dove non vi sono credenze comuni, ma tante opi- nioni religiose quanti sono individui, non vi può esser un culto comune; e volendolo assolutamente stabilire, per dare ad intendere alla moltitudine che un culto comune sussiste, deve essere un culto negativo, non già che esprima l'orri- bile anarchia di tutte le opinioni, ma che tutte le tolleri, le approvi, le sanzioni, e che non ne offenda veruna; cioè a dire un culto che non è culto; un culto che annunzj la di- struzione di ogni culto, come la opinione indica la distru- zione di ogni fede. Ora tale appunto è il culto protestante. Nessuna cerimonia vi é in esso, nessun segno che esprima un domma qualunque. 3Ia tutto vi si riduce ad un freddo sermone, pronunciato senza convincimento ed ascoltato con indifferenza, o alla lettura di un qualche capitolo della Bib- bia, che ognuno intende a suo modo, ed alla recita di pre- ghiere e di cantici senza unzione, senza sentimento, in cui nulla si chiede, e con cui non si spera di ottener nulla.

I luterani ammettono è vero la presenza reale; siccome però chi l'ammette col pane, chi nel pane e chi sollo il pane, e le opinioni anche su questo punto variano all'inlì- nito; così hanno esse lo slesso valore di'Wopinione dei cal- vinisti e degli anglicani, che presenza reale non ammettono affatto: e l'affermazione degli uni e la negazione degli altri

202 LETTI RA SE-^TA

non essendo un ilonunoj ma un'opinionej e questa, a giu- dizio comune, fondamentale importante; la verità si è che é spenta egualmente tra tutti ogni credenza effettiva, ogni fede formale teologica nella presenza di Gesù Cristo nell'Eucaristia. Or senza l'Eucaristia non vi é sacrifìcio, senza sacrifìcio non vi é culto, senza culto non vi é religione. Di- fatti ciò che colpisce di più il cristiano che crede e che sente si è l'assenza assoluta di ogni segno di religione nei templi dei protestanti e nelle loro cerimonie religiose. Poiché un magazzino non è una Chiesa; un tavolino non è un altare; il mangiare un pezzetto di azimo insieme non é un sacri- ficio ; un discorso accademico non è una predica ; un pover uomo togato non è un sacerdote. Oual di.Terenza tra que- sto culto, freddo come la ragione di cui é l'espressione, e la maestà e il sentimento sublime del culto cattolico, espres- sione della vera fede, che parla altamente all'intelligenza, che commuove profondamente il cuore e Io solleva e lo in- nalza e lo divinizza? Perciò gli stessi protestanti, in cui il filosofismo e il raziocinio non hanno estinto ogni sentimento religioso, assistono con piacere e con maraviglia alle nostre feste , e moltissimi ogni giorno ritornano alla nostra fede soggiogati dalla grandezza del nostro culto. In quanto al cullo loro, non vi attaccano la menoma importanza.

Perciò nessuno di quelli cui ciò incumherebbe si il menomo pensiero per promuoverne la frequenza. In molte città deiringhiltei'ra di nuova data, per una popolazione di sessanta o ottantamila anime, non vi è che uno o due tem- pli incapaci tutti e due di contenere più di tremila posti; e questi tremila posti sono affittati alle ricche famiglie, e nes- suno può occuparli. Or siccome il così detto .srrrizio reli- (jioso non si fa che una volta sola nelle domeniche, così è chiaro che la totalità dei cittadini é fisicamente esclusa dal- l'assistere al culto della sua religione; e le autorità prote- stanti, ecclesiastiche e civili, vedono con indifferenza questo disordine che allontana la massa del popolo da ogni pratica religiosa. E l'eresia, che si è arricchita delle opime spoglie del cattolicismo, e che retribuisce i suoi ministri straboc- chevolmente che ce n^^ hanno per mantenere pala7.zi spiranti

LEilLKA SESTA 29lS

lusso e mollezza profana, copiosa servitù, ricche carrozze, cacce clamorose , deliziose campagne . non solo per ma per le loro mogli e per i loro figliuoli^ per le loro nuore, per i loro generi, per le loro sorelle, pei loro nipoti ; l'e- resia, dico, che profonde tante ricchezze a ricompensare la servitù abbietta de' suoi ministri , non trova poi un obolo per edificare templi dove il popolo possa raccogliersi e ri- cordarsi almeno una volta la settimana che vi è Iddio. Ah! questi bravi uomini rendono essi stessi giustizia al loro ctUlo e alla loro fede. Sanno pur troppo che un povero culto, figlio di una povera fede, non é grato a Dio, ne- cessario, né utile agli uomini. Il denaro che s'impiegasse a dilatarlo, a promuoverlo, sarebbe buttato ; ed è meglio ado- perarlo a fabbricare oflicine mercantili che almeno rendono, o teatri che almeno divertono. Intervengono, è vero, i pro- testanti a questo culto meschino, vi assistono : ma più come ad una cerimonia umana che come ad una funzione divina; la riguardano più come un affare di mera conve- nienza sociale che come un obbligo morale di religione.

Questo sentimento di noncuranza e di disprezzo del culto protestante, i protestanti di Amburgo lo manifestano in una maniera pubblica e solenne, e che sarebbe ridicola, se non fosse sacrilega. Un testimonio oculare ci ha riferito che, di passaggio neir indicata città, in giorno di domenica, vide ingombra di carrozze tutta la gran piazza dirimpetto allan- tica cattedrale cattolica, cambiata dall'eresia in tempio pro- testante. Credendo adunque che i padroni di quelle carrozze fossero in Chiesa ad assistere il servizio divino , qual fu per- ciò la sua sorpresa allorché, entrato nel tempio, lo trovò af- fatto deserto ? ed avendo ricercato « che stavano dunque a fare sulla piazza quelle carrozze? » ne ebbe in risposta: « Che i ricchi ed i signori protestanti, non usando più di andare in chiesa nei festivi, vi mandavano le loro carrozze ad onorarne la piazza. « Oh uomini veramente religiosi e pii ! che, non potendo andare di persona in chiesa a render culto al Signore, ed essendo troppo lusso di religione il farsi rap- presentare in chiesa dai loro domestici, si fanno rappresen- tare sulla piazza dai loro cavalli ! Ora può mai immaginarsi, Peìlegg^ dtìla fede. II. 43

294 LETTURi SESTA

dalla parte dei protestanti medesimi, atto non dico di maggiore indifferenza, ma di maggior insulto e di maggior disprezzo pel culto protestante? Ecco frattanto a che miseria, a che degra- dazione il protestantismo ha fatto discendere la religione !

§ ^y/' - applicazione delle esposte dotlrine alla morale cristiana. Che cosa sotto i Saisti; essi nella Chiesa cat- tolica solo si trovano, 1 principj del protestantismo di- struttori di ogni virtù. Orribile corruzione di costumi ch'essi hanno prodotta. L'abolizione del celibato eccle- siastico vi ha potentemente contribuito. ISecessità ed im- portanza di questa sublime istituzione pel sacramento della confessione. Che cosa è divenuto questo sacramento presso gli scismatici? 1 vizj che regnano fra i cattolici, effetto della secreta influenza dell'eresie, come un avanzo di pro- bità che si trova presso gli eretici è dovuto all' influenza secreta della cattolica verità, che sola genera la virtù.

Colla fede però e col culto l' eresia ha distrutto ancora e Fenduta impossibile la santità e la virtù. Uomo veracemente santo vuol dire uomo che quasi più non ritien nulla delle debolezze della corrotta umanità; che per la pratica dell'an- negazione continua di tutto stesso ha soggiogata intera- mente la concupiscenza corporea, i sintomi della cupidigia e la febbre dell'orgoglio: che ha dato, dirò così, un nuovo corso, una nuova direzione alle sue inclinazioni carnali e terrestri per non averne altre che celesti e spirituali: ha rifuso intieramente stesso, e per mèzzo della carità più disinteressata, più generosa, più pura e più perfetta non vive che in Dio, di Dio e con Dio. Ora questo prodigio, più grande , più splendido di quello della risurrezione di un morto, giacché è più difficile , é più al disopra di tutte le leggi naturali che un uomo corrotto e terrestre viva una vita tutta spirituale, angelica, celeste e divina, di quello che un cadavere umano ritorni alla vita dell'umanità; questo prodigio, dico, non può essere l'opera delie fredde teoriche della ragione, ma dei sublimi sentimenti della fede: non può essere l'opera del fanatismo, ma della grazia; non può es- sere l'opera degli sforzi dell'uomo, ma dell'onnipotenza di Dio: giacché solamente il Dio che formò l'uomo può rifor-;

LKTTL'RA SESTA 20o

marlo, e sulle raine dell'uomo, vecchio, che si confonde con Adamo peccatore, ristabilir l'uomo nuovo, che si confonde, si identifica e diventa una cosa sola con Gesù Cristo.

Ora Iddio non può contradire a stesso; non opera per- ciò e non può operare miracoli se non in conferma della sua religione, della sua parola, far servire la sua onni- potenza se non in difesa della sua verità. Perciò nella sola Chiesa cattolica si sono perpetuati i miracoli, non solo nel- l'ordine della natura, ma ancora nell'ordine della grazia, ed in essa sola coi taumaturghi si trovano i santi. Dimodoché, quando anche ogni altro argomento mancasse, dal vedere eh* essa sola forma i veri santi, che i santi in essa sola si trovano, e perciò dal vedere ch'essa sola é santa non pure nel suo capo invisibile e nelle sue leggi, ma ancora in mol- tissime delle sue membra, questa unica testimonianza ba- sterebbe a dimostrare invincibilmente eh' essa sola é vera.

Al contrario dove sono i santi che ha formati il protestan- tismo? Ci si nominino, ci si mostrino. Sul principio della riforma^ turpi discepoli di maestri peggiori non arrossirono (e di che mai arrossì l'eresia?) d' inserire nelle litanie dei santi i nomi di mostri di libidine, di orgoglio e di crudeltà; e i templi profanati eccheggiarono dell'invocazione sacrilega di S. Lutero, S. Calvino , S. Swiìnjìio , S, Jrricjo Vili e Santa Elisabetta! Ma non é dato lungamente all'orgoglio d'insultare sfacciatamente al pudor pubblico e prendersi, a questo segno, scherno del senso comune ; oltrediché la come- dia era non solo empia, ma ancora ridicola. Si rinunziò dun- que a questa invocazione, e non mai più gli eretici delle di- verse sette hanno avuta la stolida pretensione di vantarci dei SANTI, contentandosi solo d'indicarci degli onesti ugmiinf. INoi al contrario mostriamo agli eretici con confidenza l'im- menso catalogo de' santi che fino ai nostri ha formati hi grazia della vera fede. Noi ne abbandoniamo con sicurezza la vita all'esame il più rigoroso dei nostri nemici, l^a consi- derino pure coH'attenzione di un occhio anatomico, che >a spiando i più reconditi recessi, le fibre più sottili dui corpo umano. Ci additino, se loro riesce, in questi eroi della vera virtù, in questi prodigi della grazia, una sola azione, un sol

29G LETTURA SESTA

sentimento, un solo pensiero, un solo afletto che non sia in armonia perfetta colla sublime perfezione del Vangelo. 3Ia gli eretici si guarderebbero bene di farci la stessa esibi- zione e la stessa disfida intorno ai loro onesti nomini. Se noi ci mettiamo, col Vangelo alla mano, ad esaminarne la vita, troveremo che molti di questi santi della royionc sa- rebbero stati men degni dell'altare che del capestro. Sono sepolcri imbiancati, che, scoperti all'occhio puro della vera fede, non esibiscono che tutta la miseria, l'egoismo, l'or- goglio dell' uomo corrotto, sotto il velo ben trasparente per altro, di una probità bugiarda.

Del rimanente, mirate bene come in questa materia l'er- lore é conseguente, e come dalla sua bocca esce la verità. Citandoci solo onesti iioìninij gli eretici si dan per vinti e confessano di non poterci esibire dei santi. Deh ! che la san- tità cristiana non si ritrova che nel terreno della cristiana verità. Essa é un fiore che non germoglia che dalla vera fede; non spunta che colla rugiada della grazia dei sacra- menti ; non viene a perfezione che all'ombra della cattedra di S. Pietro; non ispiega l'incanto della sua bellezza che sotto il clima del cattolicismo ; non si raccoglie che nel- l'or/o chiuso della vera Chiesa. In quanto poi alle persone notabili dell'eresia, S. Giuda apostolo le ha ben dipinte di- cendole « alberi infruttuosi, senza radice, morti due volte, alla verità del credere ed alla santità dell'operare; stelle fa- lue che non hanno luce durevole vivificante calore : JrOorcs infiucluosce, lìis mortila ^ eradicatce: sidcnt tnan- iia (Jud. 12). » Aon può fare un intero saciifizio del cuore alla pratica del bene chi non comincia dal sacrificar 1* in- telletto alla credenza del oero. La matta indipendenza, l'or- goglio insensato della ragione é un mezzo efiìcace , come insegna S. Paolo, da corrompere, tutto l'uomo anziché san- tificarlo. La santità non può adunque nascere nel terreno dell'errore che non produce che spine. Umane op//Mo/iJ non possono produrre virtù divine. Come le credenze degli ere- liei non si sollevano alla dignità di dammi, così non mai all'eroismo della santità s'innalzano le loro azioni. Il filoso- fismo e r ecesia sono egualmente impotenti a formare un

LF.TTl'P.A SKSTA 297

vero credente ed un uomo veramente virtuoso. Essi han formato una volta tutto al più dei savj in apparenza se- condo il mondo; non vi è che la vera fede che forma i santi secondo Dio.

Ma che dico io mai? La santità? Anche la virtù cristiana la più volgare si è diseccata ed é quasi interamente scom- parsa sotto l'aura pestilenziale dello scisma e dell' eresia. Quando si è scosso il giogo della fede , quello della legge diviene affatto insopportabile ed odioso. Perciò Lutero, men- tre con una mano abbatteva i donimi più sacri, fu visto di- struggere coU'altra i più gravi precetti, autorizzando il lan- gravio di Assia a sposare altra moglie , vivente ancora la prima, e concedendo licenze ad ogni marito di servirsi an- cor dell'ancella: accordando in una parola, non solo il di- vorzio ma r adulterio ancora , ma la pluralità delle donne, ed introducendo in Europa i costumi dell'Asia. E tutto ciò, non ostante che V unità e l' indissolubilità delle nozze sia chiaramente stabilita, e l'adulterio chiaramente condannato nella Scrittura, che pure, per Lutero, é l'unica regola di morale e di fede che bisogna seguire.

Ma la muta Bibbia , senza un'autorità che la interpreti, come luogo a diverse interpretazioni dommatiche , cosi luogo a diverse interpretazioni morali, e rende la regola dei costumi così arbitraria ed incerta come quella della fede. Subito che si è ammesso che ognuno deve formarsi da il suo simbolo, leggendo la Scrittura; si è dovuto pure am- mettere che ognuno, leggendo pure la Scrittura, deve for- marsi il suo decalogo, e tutti i nuovi decaloghi devono es- sere tollerati, come tutti ì simboli novelli. La tolleranza di tutti gli errori rende necessaria quella di tutti i vizj. Non si può negar la licenza di tutto fare a chi si è conceduta quella di tutto credere.

Ma siccome ogni principio morale deve in un principio dommatico avere il suo appoggio, così i capi della riforma, come se avessero temuto che la logica delle passioni non sa- rebbe stata abbastanza forte per dedurre la più intempe- rante licenza del vivere dalla più sfrenata licenza dell'o/^/- nure, vollero dare una garanzia dommatiea al vizio. Calvino

LETTURA SESTA

coir avere insegnato che la grazia del Battesimo, per qualun- que eccesso che si comuietta, non si perde giammai, eresse in domma rindiiFerenza di tutti i vizj : e Lutero avendo in- segnato che la sola fede é più che bastevole, che le opere buone, lungi dall'essere necessarie, sono anzi un ostacolo per conseguire l'eterna salute, fece un articolo di fede che talli i vizj sono virili. \ìì\ però senza dirlo che i buoni disce- poli di si buoni maestri si affrettarono di levare tulli gii osta- coli delle opere buone che potevano contrastar loro l'acqui- sto dell'eterna salute; e si cominciarono a fare scrupolo viver bene per non indebolire il merito e l'efiìcacia della fede. Perciò alla voce dell'eresia un torrente di vizj videsi venire appresso ad un torrente di errori. La vera probità cristiana scomparve colla vera fede, e ad eccezione del po- polo particolarmente delle campagne, in cui le tradizioni cattoliche, con un avanzo di verità cristiana, mantennero tuttavia un'ombra cristiana virtù, in generale però, nei paesi tiranneggiati dall'eresie e dallo scisma, la depravazione d«n costumi divenne profonda e universale che in al- cuni luoghi parve che la morale di Epicuro e Petronio fosse sottentrata alla morale di Gesù Cristo.

Ma qual meravìglia ciò? la morale cristiana si man- tiene tra i popoli per l'azione, e l'ascendente del clero. Ora quale azione, qual ascendente può mai avere sui popoli il clero eterodosso, i cui membri, prima di prendere una chiesa ossìa avere una sposa spirituale, ne prendono una car- nale, e non si fan sacerdoti se non dopo esser divenuti ma- riti? La consacrazione, di cui è conservato l'uso in Rus- sia ed in Inghilterra, non obbligando alla continenza, non al sacerdote alcun carattere esteriore e visibile che gli concini la venerazione e il rispetto. IS'on vi è che la castità, virtù sublime, caratteristica augusta del cattolico clero, che, sollevando l'uomo al sopra dell'umanità, lo fa riguardare come un essere angelico e divino, e gli quella superio- rità di grado, quella' forza morale sui cuori, che gode il sacerdote cattolico. Tolto il celibato, è difficilissimo l'otte- nere che il popolo riguardi come divina la parola di colui di cui lo stato del matrimonio rende umana e simile a quella

LETTURA SF.STA 299

degli altri la persona e la vita. Una toga nera ed un ber- retto rotondo forma,, fuori della vera Chiesa, tutto il distin- tivo esteriore tra il laico ed il sacerdote. 3Ia il proverbio dice: Abilo non fa il monaco. Ci vuole qualche cosa di più del semplice abito per dare all'uomo l'impero sul cuore umano. Oltre a che, quali sollecitudini può avere per gì' in- teressi della religione chi pria di tutto è obbligato a fare gl'interessi della sua famiglia? Quale affezione, qual zelo pastorale può avere pel suo gregge chi é posseduto dalle affezioni della consorte e dei figli?

Che diremo poi di quei prebendati ricchissimi dell' eresia che si dicono vescovi anylicani, che, affittando, per mezzo dei pubblici avvisi, al miglior oflerente le cure subalterne, consumano immense rendite ecclesiastiche ad ingrassare fi- gli e nipoti, cani e cavalli, e menano nel lusso, nella mol- lezza, nella dissipazione, nel libertinaggio del mondo, sotto un titolo ecclesiastico, una vita tutta profana? che diremo del papas greco e del ministro protestante? quegli che dal- l'altare e dal confessionale, dove ha venduta a tanto a te- sta l'assoluzione, passa alla bottega o alla bettola ad eserci- tare per vivere esso e la famiglia, i più vili mestieri, i traf- fici più vergognosi: questi che, come ha osservato il conte de Maistre, avendo spesso in casa visite di nobili lordi, men- tre forse parla in chiesa contro l'adulterio, non arrossisce l'indomani, alla fine di una vergognosa querela, di ricevere per decisione del magistrato il prezzo del suo disonore. ?s'ulla perciò eguaglia la disistima, il disprezzo che circon- dano un sifliitto clero. ISulla l'impotenza e la nullità della sua azione sui costumi dei popoli. Lord Fitz M illiams, scrit- tore protestante, in un' opera famosa pubblicata al principio di questo secolo (Luttere ad Jtlico) e che fu- come un tardo omaggio solenne del protestantismo ai dommi consolatori della Chiesa, che esso ha tentato di distruggere ha dimo- strato che é impossibile di stabilire la virtù, la giustizia, la morale fra gli uomini sopra una base alquanto solida, senza il tribunale della Penitenza, come é impossibile lo stabilire il tribunale della Penitenza senza la fede della presenza reale Gesù Cristo nell' Eucaristia. Ora la confessione, dice

SOO LETTURA SESTA

benissimo il citato de Maistre, la confessione dimanda il ce- libato. Non mai un marito^ e molto meno una moglie aprirà lullo intero il suo cuore ad un sacerdote ammogliato.

0 venerabili colleghi nel grande ministero della riconci- liazione e del perdono dei peccatori, quando voi con tanta vostra edificazione udite l'uomo, e molto più la donna, sve- larvi profondi misteri di un cuore corrotto, falli che la co- scienza appena osò di affidar palpitando alle tenebre,, cadute le più umilianti, disegni, intrighi i più tenebrosi, affetti, pensieri i più turpi; quando insomma voi vedete un'anima che si a voi ad essere giudicata come Dio la giudicherà, e che perciò, senza nasconder nulla, senza nulla scusare, si scopre a voi in tutto l'aspetto della sua turpitudine com'è innanzi agli occhi di Dio che tutto penetra e tutto cono- sce; ricordatevi che ciò che ispira ai penitenti una siffatta sincerità, una siffatta fiducia, cotanto al disopra delle abitu- dini umane, si è principalmente perchè il celibato vi fa riguar- dare uomini al disopra degli altri uomini. 0 castità, o virtù sublime , o ornamento magnifico , o giojello prezioso della Chiesa cattolica, sei tu che ci sollevi, che ci divinizzi, che ci rendi venerabili agli occhi dei popoli, che c'imprimi sulla fronte un segno divino e ci dai quella superiorità in faccia a cui tremano umiliate e si arrendono vinte le passioni.

Per la ragione contraria però la confessione, tra gli sci- smatici, si riduce ad un affare di pura cerimonia : Ho bestem- miato, ho rubalo. Ito fornicato; ed il prete risponde: e(jo te absolvo; ed ecco tutto. Perciò in poche ore un solo prete greco ascolta la confessione di un intero reggimento. E se qualche centinajo di uomini rimangono non confessati nel tempo che é al sacerdote dalia ordinanza prescritto sotto pena della bastonata, il buon uomo li fa confessare ad alta voce tutti insieme, e tutti insieme li assolve. Ora dov'è in questi confessori il giudice che decide con una perfetta co- gnizione di causa, il maestro che insegna, il direttore che guida, il medico che suggerisce gli opportuni rimedj a sa- nare le piaghe del cuore, uffici di cui Gesù Cristo stesso ha incaricato il ministro del sacramento, e che solo si eserci- tano dai sacerdoti della vera Chiesa? Kssi soli perciò rie-

LETTURA SESTA 301

scono a distruggere i peccati, a riformare i peccatori, a gui- dare le anime nelle vie della più sincera pietà e della più aita perfezione: cose tutte ignote ed, oso dirlo, impossibili ad ottenersi nello scisma e nell'eresia, in cui la più pro- fonda ignoranza delle cose dell'anima, unita alla privazione assoluta dei costumi ecclesiastici, degrada il ministro ed an- nulla l'azione del ministero. E che sa e che può dire agli altri uomini un uomo che non ha nulla che lo sollevi al di- sopra dell'umano? Immerso in tutte le cure della terra, come parlerà il linguaggio dei cieli! Il sacerdote scismatico é dunque una specie di macchina animata dal vapore dell'in- teresse, destinata ad assolvere, come la macchina di Pascal era stata inventata per fare le quattro operazioni aritmeti- che ; incapace di correggere i passati eccessi e di garantire l'anima dai nuovi. INulla perciò vi si richiede di quella scienza della teologia morale, di quella cognizione profonda del cuore umano, di quella prudenza, di quel discernimento, di quel vanto spirituale che nella Chiesa cattolica si domandano in un idoneo ministro di gran sacramento. Il confessare, fuori della vera Chiesa, è un mestiere come tutti gli altri e che si può esercitare con minori talenti che si ricercano per gli altri; é un'usanza di convenienza, una conferenza pura- mente umana, che ha perduto ogni carattere, ogni azione, ogni effetto divino. Oh amara derisione, oh profanazione sa- crilega del più importante dei sacramenti dopo il Battesimo !

Quindi fra questi cristiani il cui ministero ecclesiastico è impotente, in cui perciò esercita un'azione me- schina il cristianesimo , i costumi particolarmente nelle città, sono detestabili. Lo spirito di avarizia, di tralììco e di furto nei privati; il libertinaggio nei grandi, la invere- condia e la facilità del divorzio, nelle donne, ed i più turpi delitti che, per sentenza di S. Paolo, escludono dal regno di Dio sono divenuti cose all'atto indifferenti presso questi popoli, che lo scisma ha sottratti alla vigilanza, all'autorità del supremo gerarca della vera Chiesa, il custode efficace della vera morale, come l'interprete infallibile della vera fede.

Che se tali sono i costumi degli scismatici, dove i)ure una larva di confessione e molte pratiche religiose, benché gros-

1?,

^0^ LETTURA SESTÀ

solane, sono piir buone a qualche cosa presso popoli natii-i ralmente huonl; quali saranno presso i protestanti^, dove Lu- tero e Calvino, per facilitare la propagazione della loro teo- logia per mezzo del rilassamento della morale, abjurarono ia sola base solida della virtù della giustizia, la confessione, disapprovati perciò dallo stesso Melantone ; che da questa abolizione previde la mina intera dei costumi ? La lettura di un qualche capitolo della Bibbia, che ognuno spiega a suo modo, e la presenza ad un qualche insipido discorso di mo- rale vaga ed inconcludente, cui pochissimi credono, a cui nessuno fa attenzione : ecco i soli soccorsi che il protestan- tismo ha lasciato all'uomo per correggere le sue abitudini, per riformare i suoi vizj , per domare V impeto delle pas- sioni, per acquistare la giustizia che forma il cristiano in terra e il candidato dei cieli. Perciò, eccettuate le campagne, dove un avanzo di religione conserva un avanzo di mora- lità, nelle grandi città, particolarmente dedite all'industria ed alle manifatture, la plebaglia in materia di morale sem- bra discesa alla dissolutezza, al cinismo, alia degradazione, alla brutalità dei costumi pagani. I grandi, i ricchi, gl'i/t- diislrialìj intenti a moltiplicare i vantaggi del trafTico e tutte le delizie della vita , pare che altro Dio non abbiano che Toro e il piacere. Li diresti uomini che, avendo perduta l'in- telligenza, coltivano ciò che loro rimane, la «arne. Il materia- lismo più abbietto e più inverecondo traspira dalle loro ma- niere e dalla loro condotta. Hanno diviso il giorno in modo che una terza parte ne danno agli affari, ed il rimanente alla crapola, al sonno, ai giuochi, agli spettacoli, al libertinaggio. Queste cose si avvicendano e si succedono in modo che non lasciano il più piccolo spazio da pensare alla religione, all'a- nima, all'eternità. Tutto l'essere morale ed intelligente di questi cristiani degradati rimane interamente assorbito dalle cure temporali e dalle delizie corporee. Così essi riescono ad evitare le noje della vita, a reprimere il rimorso, ad istu- pidirsi , ad assonnarsi intorno al loro eterno destino , cui vanno intrepidamente incontro dopo una vita che poco ha dell'uomo, nulla del cristiano. 0 cieche vittime di tutti i >izj e di tutti gli errori, coronate dal demonio di fiori, e

LEtTURA SEStk 303

che per un sentiero di delizie siete strascinate all' altare della eterna giustizia per esservi in eterno sacrificate 1

Ma che? forse che le contrade cattoliche sono incorrotte? forse che l'oblio sistematico abituale di ogni pensiero e di ogni sentimento, non che di ogni pratica religiosa; forse che lo studio di accrescere i godimenti della vita e di pro- cacciarci r oro anche per le vie più turpi, perchè coli' oro ogni cosa si compra; forse con la smania di tormentare la natura corporea per obbligarla a fornire ai sensi nuove lu- singhe e nuove delìzie; forse che il furore per gli spetta- coli voluttuosi, per li piaceri sensuali, per le oscene letture, pel lusso il più imraoderato e il più inverecondo : in una parola, forse che il materialismo, ultima conseguenza del- l'errore e primo preludio infallibile della mina degli stati e delle nazioni, non regna ancora in qualche paese cattolico coir infame corteggio di tutti i vizj? non vi ha quasi di- strutto ogni traccia esteriore di catlolicisiiSo? non vi si gon- fia ogni più, non vi si dilata siccome un torrente, mi- nacciando di assorbire nelle fangose sue acque ogni prin- cipio di onore, di probità, di fede, e di far retrocedere il popolo cristiano sino alla corruzione idolatra? Tutto ciò è vero pur troppo. Se Africa piange, Roma non ride. I di- sordini di Gerusalemme eguagliano qualche volta quelli di Samaria; e il fedele Giuda sembra divenuto tanto colpevole quanto lo scismatico Israello! Si osservi però che questa corruzione di costumi , che si ha pur troppo a deplorare anche in molte contrade cattoliche, vi è venuta da fuori. Essa é cresciuta all'ombra e sotto l'alito dell'eresia, come l'eresia ne prese i germi funesti dalle contrade idolatre; e dai paesi degli eretici, coi loro libri, coi loro costumi, coi loro usi, colle lor mode, col loro linguaggio si è ita filtrando e si è segretamente propagata in varie cattoliche nazioni.

La civiltà é cosa sacra; giacché la civiltà vera è una pianta che non germoglia, non fruttifica che nel terreno della vera religione. Oggi però il sacro vocabolo di civiltà si è profa- nato e si fa servir di velo al materialismo più abbietto, come si è fatto servire di velo alla più malta anarchia e al dispo- tismo più crudele il vocabolo di libertà. E non è egli vero

304 LETTURA SESTA

che nell'idea, come nel linguaggio di certi stupidi econo- misti, di certi politici da collegio e da caffè, una città passa per incivilita se ha profumieri e modiste, sale di ballo e sale di giuoco, accademie e teatri, romanzi e giornali, la borsa mercantile ed un luogo di prostituzione ? Cioè a dire che la civiltà, che consiste nella verità della religione, nella giustizia delle leggìi nella probità e nella mansuetudine dei costumi, si fa oggi consistere in tutto ciò che può depra- vare i costumi, rendere inique le leggi e nulla la religio- ne; in tutto ciò che serve ad ingentilire e variare il vizio, a procurargli nuovi incentivi ed un' ampia impunità ; in tutto ciò, insomma, che tende a ristabilire sulle mine delle dottrine dello spirito il regno della materia , e 1' idolatria del corpo e la religione del piacere sulla speranza del nulla. Ora questo abuso detestabile di idee e di vocaboli, che ben presto si è riprodotto nei costumi, è venuto esso pure dalle contrade ereticali; ed ecco, fra tante altre, la bella merce di che l'Europa cristiana va debitrice all'eresia!

Non dico io già che, prima della riforma luterana, non vi fossero scandali in Europa. Sì, ve ne erano e ben grandi e in quella parte onde si aveva meno motivo d'aspettarli. Fu anzi la depravazione dei costumi di Germania e d'In- ghilterra che apri le vìe e formò il letto al torrente del- l'errore. Ma il vizio allora era vizio; l'eresia luterana ne ha fatto un dovere e io ha eretto in virtù. Quindi, ove in quei secoli fede con una lunga penitenza «spiava per lo più l'età matura i disordini della gioventù , ed a questo spìrito di penitenza si devono i grandi monumenti consa- crati alla gloria della religione ed al sollievo dell'umanità che abbelliscono la superficie dell'Europa ; oggi poi si ve- dono uomini che si dicono cristiani prolungare sino nel gelo della vecchiaja la licenza di corrotti costumi, e lungi dal fondare nuovi stabilimenti religione e di carità, la Cicilia moderna non fa che distruggere gli antichi.

Neppure intendo dire che tutti gli eretici siano viziosi e che tutti i cattolici son santi. Vi hanno fra i protestanti uomini da bene, a ciascuno dei quali potrebbe dirsi : Talis cuiit sis ulinam nosler esses ! come trovan dei pessimi

LETTURA SESTA 305

uomini fra i cattolici, di cui siamo obbligati ad arrossire. Vi é però anche qui questa immensa differenza,, che l'eresia conducendo per una necessità logica alla estinzione di ogni rirtù perché distrugge ogni fede, l'eretico per operar bene bisogna che dimentichi stesso, che si sollevi al di sopra e si metta in opposizione de' suoi stessi principj di errore. Al contrario, la fede cattolica conducendo, pure per una necessità logica, alla vera virtù, il cattolico, per operar male, bisogna che dimentichi medesimo, che si metta al di sotto ed in opposizione della sua religione di verità: e V una, e l'altra cosa accade di frequente; giacché l'uomo non é sem- pre conseguente a stesso. Ma come il cattolico che con- forma esattamente la sua condotta colla sua fede é santo, giacché la santità non é che la verità della fede posta in azione col soccorso della divina carità, così l'eretico che con- formasse esattamente la sua vita alla sua dottrina, per esem- pio luterana o calvinista, diventerebbe un mostro; giacché la perversità non é che 1' errore ereticale realizzato nelle opere coU'ajuto dell'ispirazione diabolica.

Di più, coloro fra gli eretici che conservano alcun che di cristiana probità lo devono alle tradizioni cattoliche che in molte contrade, in molte famiglie sono rimaste superstiti alle cattoliche istituzioni che vi sono state distrutte. Lo de- vono al nostro esempio, al nostro tratto, ai nostri scrittori; giacché sappiamo che in molte famiglie protestanti in In- ghilterra non si leggono che Bourdaloue e Massillon e i grandi ascetici ed i grandi maestri della morale cattolica. Al contrario, il rilassamento nei costumi, l'indifferenza per la fede, che si scorge in molte contrade cattoliche, vi sono stati trasportati dai lidi protestanti; e tutto questo é il ri- sultato funesto dei loro esempj, del loro tratto, dei loro li- bri, come accade al presente in Ispagna. Perciò come non si é virtuoso fra gli eretici se non per una partecipazione segreta dello spirito cattolico, e non si è pessimo fra i cat- tolici se non per l'influenza segreta dello spirito ereticale; così le stesse virtù degli eretici, come gli stessi vizj dei cat- tolici servono a provare che è sempre l'errore che fa ger- mogliare il vizio, che la virtù nasce dalla verità, e che la

SOÒ LÈtTURA SESf A

sola Chiesa cattolica, colla vera luce che forma i credenti, conserva e porge la grazia che forma i santi.

§ XIX. - 4^/ i ralla in fine degli e/felli funesti del Sistema deiri?nj\j\sizioyE privata in materia di religione per ri- spetto alla pace dell' intelligenza. Come il cattolico che ìiqn ama il sommo beine, ma stesso j non ha pace del cuore; cosi non ha pace nelT intelligenza l'eretico che non crede al sommo vero, ma a stesso. Condizione degli eretici iinouisitori. Quadro spaventevole della miseria e dell' infelicità di una intelligenza priva della fede di- vina comparata alla miseria ed alla infelicità del cuore jìrivo della divina carità. Quest'infelicità è la causa più possente della demenza e del suicidio si frequenti presso gli eretici. Conclusione delle due precedenti letture.

Dal sistema però vita epicurea che abbiamo descritto, e che vedesi posto in azione per lo più presso dei grandi e dei ricchi protestanti, bisogna fare moltissime eccezioni in favor di coloro che, non avendo abjurato sifTattamente al- l'essere di uomini che non si ricordino a quando a quando di essere immortali, consacrano una parte della loro vita a ritrovare, a forza d' inquisizioni e d' indagini, un sistema certo, un' opinione sicura in materia di religione, che, con- tentando la loro ragione, metta in calma il loro cuore sulle apprensioni del loro eterno avvenire. *

Ma l'uomo, creato da Dio per Iddio, non può trovare che in Dio la tranquillità e la pace: Creatis noSj Domine, ad te, diceva S. Agostino, et inquietum est cor nostruìu donec re- quiescat in te (Confess.). Accade perciò all' intelligenza ciò che accade al cuore : poiché la fede è l'amor dell'intelligenza, come l'amore è la fede del cuore. Come dunque non vi é calma pel cuore se non nel partecipare al sommo beine per mezzo della divina carità; così non vi è tranquillità per la intelligenza, se non nel participare al sommo vero per mezzo della fede divina. Nessuno che non ha la fede divina può, in materia di religione, dire con sicurezza: soìio istruito; come nessuno che non ha la divina carità può dire senza mentire a stesso: sono felice. Ora, noi lo abbiamo di già

LETTURA SEStA 307

dimostrato lo), l'eretico, l'incredulo che si prende per guida i proprj pensieri e non crede che a stesso, non ha fede divina; come non ha la divina carità il peccatori; che si abbandona alle proprie passioni e non ama che stesso. Ogni bene creato che non si è ancora goduto si presenta al cuore come un non so che d'infinitamente buono, capace di tenergli luogo del bene increato; e quindi la smania, il furore del cuore che non ama Dio a variare i piaceri e i diletti, a cercarne sempre dei nuovi , sulla lusinga di tro- varvi quella felicità che non gli hanno apprestata gli arì- tichi. Così ogni opinione umana , in materia di religione , che non si è ancora apprezzata si presenta all'intelligenza come un non so che d' infinitamente vero, capace di tenerle luogo della verità infinita; e quindi l'impegno, lo sforzo di chi non crede alla parola di Dio di variare opinioni e si- stemi, di cercarsene dei nuovi a forza di letture, di dispute, di confronti, sulla lusinga di trovarvi quella sicurezza, quella certezza che negli antichi non ha trovata giammai.

Oh di quanto siam noi obbligati all'insegnamento della cattolica fede ! Possediamo le verità divine come certissimi dommi, non come incerte opinioni. Il cattolico adunque con un accento di sicurezza dice : io credo; e la sua intel- ligenza è perfettamente tranquilla e soddisfatta della sua fede. Il catechismo che la Chiesa , depositaria della parola divina, gli ha messo nelle mani gli basta. INon cerca di più, perché di più non ha bisogno. Quindi quando mai noi cat- tolici ci mettiamo a studiare, a disputare, a far ricerche sulla religione, se non è per conoscerne sempra meglio la gran- dezza, la bellezza e le obbligazioni, onde edificare noi stessi, e le fondamenta e le prove per farla conoscere od amare da- gli altri? Ma noil è lo stesso dei protestanti, degli eretici, che pur non sono ancora caduti nel baratro dell'indifierenza per ogni religiosa verità. Come colla loro letttura della Bib- bia non bau potuto formarsi sopra alcuna cosa un convin- cimento profondo e non hanno raccolte ed accozzate me- schinamente insieme che opinioni più o meno probabili, che altre opinioni ben presto distruggono, o scoperte provviso- rie, che nuove scoperte rendono vane ed insussistenti; così

308 LETTURA SESTA

non possono esser certi di nulla^ appagarsi di nulla, in nulla riposarsi. E quindi studj, dispute e ricerche continue e sempre nuòve sulla religione. Simili agli antichi filosoli in- qnisiloi'i, non istudiano, non leggono e non viaggiano che per discoprire una religione certa e sicura; e, come ho avuto occasione di osservarlo io stesso, tutti i loro discorsi si rag- girano sempre sulla religione. Felici quelli fra loro che, in queste ricerche, hanno veramente la buona fede per prin- cipio, la verità per iscopo, l'umiltà per compagna! Onesti iiiquisiloì'i sinceri della vera religione finiscono sempre per conoscerla ed abbracciarla. INegli stati protestanti d'America, come testimonj oculari ci han riferito, frequentissimo si è il vedere di questi inquisilorì, che fanno il giro di tutte le sette religiose, onde é lacerata la religione in quelle con- trade, ma senza arrestarsi che mesi o giorni in ciascuna; perchè mutar setta non è che mutare opinione j e ciascuna opinione non vai più dell'altra per produrre certezza. E come mai opinioni umane, che sono di ogni setta la base, possono contentare chi cerca una fede divina? Sicché, mal- contenti di tutte, perché nessuna li appaga, finiscono col farsi cattolici, ed in seno alla fede cattolica confessano di aver trovata solamente quella certezza, quella tranquillità di mente e di cuore, che fuori di essa, per anni molti e con istenti e studj immensi, cercarono invano.

Ma coloro che non hanno il cuore così sincero e così generoso da abbracciare la verità dovunque si ritrova, e che, dominati dai pregiudicii anticattolici e da un odio cieco e ir- ragionevole contro il cattolicismo, lo mettono fuori di legge, lo escludono dalle loro vedute, e ristringono le loro ricerche nel circolo delle sette fuori della vera Chiesa, invano mu- tano opinioni e sistemi: poiché chieggono essi sempre alla ragione la certezza e la fede che la ragion non può dare; ed i nuovi sistemi e le opinioni novelle, nulla delle antiche più solide e più ellìcaci, lungi dall' appagare la loro intelli- genza, non fanno che svegliare più viva la brama e il biso- gno di conoscere e di credere. Come invano, dice S. Ber- nardo, l'anima che non ha la carità divina varia i piaceri e i diletti; poiché chiedendo sempre alla passione la felicità

LETTURA SESTA ^>09

e il bene che la passione non può dare, i nuovi piaceri e i diletti novelli, lungi dal confortare il cuore, vi eccitano sem- pre più violenta la fame e il bisogno che esso ha di godere e di amare: Famem magis excitant qiiani extiìKjuunt.

Ma a forza di ragionarvi sopra a siffatti sistemi, a siffatte opinioni, se ne conosce infine l'incoerenza, la contradizione, la bizzarria, e si finisce per riguardarle con indifferenza e con disprezzo; come appunto il cuore, a forza di gustare nuovi beni e nuovi diletti, scoprendone il vuoto, la fralezza, il nulla, li prende a vile: Possessa vilescunt.

Ah! S. Paolo lo ha detto: l'inquisizione umana non trova che stoltezza e follia, invece di certe e solide verità: Sa- pientiam qucprunt , et siulli factì sunf. E mentre l'orgo- gliosa scienza si applaude di avere raggiunta la verità e di averla già conquistata, la verità è scostata in modo da non farsi trovare giammai: Semper dicentes et nunquam (uì scientiam veritatis pervenientes^ come Salomone ha detto di coloro che cercano il riposo e la pace fuori di Dio che non trovano nel loro penoso cammino che l'infelicità e l'amarezza: Conti ilio et infclicitas in viis eorum ; e la pa- ce, che si credevano di avere già stretta in pugno, è ita lungi da loro, ed essi ne hanno smarrita per sempre per sin la via: Pax pax, et non erat pax; et viam pacis non co- gnoverunt! *

Or quali colori, quali espressioni possono mai rappresen- tare al vivo l'alta miseria di queste intelligenze che cercando la verità nelle tenebre dell'intelletto, come i viziosi cercano nella corruzione del cuore la felicità, cioè fuori del solo paese che la possiede, non incontrano che il dubbio e l'errore? Come il vizio nel cuore, così Terrore e il dubbio porta il dis- ordine e lo scompiglio nella mente e la rende profonda- mente infelice; giacché ogni intelligenza, come ogni cuore in disordine, dice S. Agostino, é pena e carnefice di se stessa: P(Pìia sua sihi est omnis aìiinius inordinatus. Se non che i rimorsi della mente sono più angosciosi di quelli del cuore, le agitazioni della ragione più tormentose di quelle della coscienza; e se è insopportabile la pena interiore di chi non ama Iddio, più insopportabile si è quella di chi non lo co-

310 LETTURA SESTA

iiosce e non gli crede come egli vuol essere conosciuto e creduto; e se sta scritto che non vi è pace per colui che gli resiste, Quiò reaislil ei ti pacem habuìl't (Job. 9) siccome più resiste a Dio chi oppone il suo giudizio alla parola di Dio e ne ripudia la fede che chi oppone la sua passione alla volontà di Dio e ne viola la legge, così una ribellione più colpevole deve aspettarsi un più grande gastigo; e se non vi é pace pel peccatore, molto meno ve ne sarà per l'eretico, per l'incredulo, per l'empio: JSon csl pax iìnpiis.

Grande perciò é senza dubbio l'infelicità di un cuore in preda al vizio: e chi può mai contarne le interne noje, le amarezze, i disgusti, i rimorsi, i palpiti secreti in cui passa tristi giorni e notti peggiori ? Ma quando si ha il vantaggio di essere nella vera fede , questa infelicità non é separata dalla speranza, e perciò non é senza conforto. Il peccatore, che ha la vera fede, spera un giorno di riconciliarsi col suo Dio e di trovare in seno al pentimento la pace della vita, la tranquillità della morte e l'eterna salute, di cui la vera fede lo rende sicuro: e benché questa speranza spesso sia renduta vana da una morte prematura, improvvisa, che pre- viene il momento di una penitenza sincera , pure non è lieve compenso per un cuore che il peccato ha separato da Dio il sapere che nella vera fede ha sicuro il mezzo di riu- nirsi con Dio. Il rimorso stesso che lo cruccia, lo consola: perché sa che il rimorso è una delle voci onde Iddio chiama; è una delle industrie della divina misericordia , che ama- reggia le vie del disordine per obbligar l' uomo ad abban- donarle , e che dal peccato stesso fa nascere le spine che uccidono il peccato e salvano il peccatore. Perciò il rimorso stesso lo avvalora nella speranza del ritorno e della sicu- rezza del perdono.

Ma non si può però dire altrettanto dell' eretico , che é privo allo stesso tempo dei tranquilli splendori della fede divina e degli incanii soavi della divina carità; che, non credendo nulla come parola di Dio, nulla amando in or- dine a Dio, non può appagarsi di quello che ama, di quello che crede ; e le cui pene , pene del cuore che non trova la felicità nei beni creati, sono accresciute dalle agita-

LETTURA SESTA 311

zioni della mente che nelle opinioni umane non trova cer- tezza. Quindi un continuo flusso e riflusso di desiderj sem- pre sterili, di tentativi sempre infruttuosi, d'idee sempre strane , di sentimenti sempre molesti .. di opinioni sempre vaghe, di noje sempre fastidiose, di giudizj sempre incerti, di illusioni sempre funeste , di trasporti sempre ciechi , di sistemi sempre incoerenti , di dubbj sempre angosciosi , di rimorsi sempre pungenti, che nascono e muojono per rina- scere di nuovo, e s' urtano e si mescolano e si confondono e finiscono per creare in questa intelligenza senza lume , in questo cuore senza dilezione, una notte profonda ed una profonda infelicità.

Ora questo stato dell'anima è troppo penoso, questo acu- leo è troppo crudele, perché possa sostenersi a lungo, dissi- mularsi in silenzio, solfrire con tranquillità. L'umana debo- lezza non può reggere a gran peso, e vi rimane schiacciata e oppressa. Che accaderà adunque a queste anime doppiamente infelici? La ragione e l'esperienza abbastanza cel dicono. Una gran parte di queste intelligenze, così scompigliate dal- l' incredulità o dall' eresia , cadono in demenza ; poiché é impossibile che alla lunga il cerebro non si risenta dall'or- rendo disordine dell' intelletto di cui é l' organo. Per poco adunque che quest'organo vi è disposto , lo sconcerto , il contrasto delle idee, di una mente vedova di fede, alteran- done le disposizioni fisiologiche, vi produce di necessità la pazzia. E perché non resti alcun dubbio che questa orribile malattia della nostra specie é in moltissimi l'effetto funesto 'dell'assenza della fede, le statistiche di questa degradante infermità ei attestano che il numero dei mentecatti nei paesi dominati dall'eresia, rispetto al numero dei mentecatti delle contrade cattoliche, é nella proporzione di cento a dieci; e nelle stesse contrade il numero dei matti é ito crescendo a misura che vi si é introdotto lo spirito d'incredulità e vi si è indebolita la fede. Oltreché non é giusto e corrispondente gastigo che nella ragione sia punito chi più peccò colla ra- gione, e che la perdita della religione faccia discendere sino al bruto colui che colla ragione osò di farsi giudice della parola di Dio?

342 LETTURA SESTA

Nulla perciò di più naturale quanto che, a misura che cresce il numero degli increduli, si slarghino, come oggi si fa, gli ospedali de' matti: e lo zelo dei moderni filan- tropi a migliorare il trattamento di siffatti infermi non è puro da ogni calcolo egoista. È interesse loro il rendere più confortativa una condizione in cui essi pure possono facilmente trovarsi: giacché dal delirio delle religiose opi- nioni al delirio degli organi corporei non vi è che un passo, e questo molto sdruccioloso.

In altri moltissimi però la situazione che ahbiamo de- scritta, nata dalla licenza di opinare e dall' incertezza di credere, produce effetti ben differenti. Vedonsi ogni giorno, anche fra noi, uomini i quali (poiché il vizio é in essi pas- sato in natura, e le ree abitudini son divenute troppo forti e troppo debole il coraggio e la volontà di trionfarne) si riducono ad una morale impossibilità di correggersi, e che, spinti perciò alla disperazione di salvarsi, ne depongono ogni pensiero dicendo: « Per me è finita. Andrà come deve andare; seppure alla morte un qualche santo non ajuterà. » Intanto però, per sottrarsi ai latrati della coscienza, evitano di trovarsi un solo istante da solo a solo con stessi; ne escon fuori e vanno negli oggetti esteriori vagando sempre lungi dal proprio cuore, come un marito intollerante, dice S. Agostino, se la passa sempre fuori di casa per sottrarsi alle furie di una consorte inquieta: Muìier rixosa con- scientia mala. Ora se ciò accade al cattolico, che dalla li- cenza de' suor vizj è stato condotto alla disperazione di amare, molto più accade agli eretici, condotti ancora dalla licenza delle loro opinioni alla disperazione di credere. Ad esempio adunque di Lutero che orrendamente straziato dalla memoria delle sue turpitudini e delle sue. bestemmie, s'in- volava allo sguardo minaccioso della sua anima, avvol- gendosi nel fango della lascivia e seppelliva i rimorsi nel- l'ubbriachezza, degni figliuoli di egregio padre, gli eretici inquisitori cercano essi pure di dissipare le agitazioni della loro mente coD'abbandonarsi a tutte le delizie dei sensi, e di obbliare le apprensioni funeste della vita avvenire coU'u- scire fuori di stessi e spandersi o perdersi nel più turpe

ppicureisiiio della vita presente. (Jiiindi lo studio di fuggire tutto ciò che può richiamare alla loro mente ogni idea di religione, di virtù, dell'anima, di Dio, della morte, d(4- r eternità; ed al contrario la smania di trastullarsi coi bruti, colle scimie, coi pappagalli, coi cani, coi cavalli; di prenderli a compagni, di preferirli agli uomini nelle loro affezioni, sino a procurar loro, a costo di grandi spese, ogni specie di comodità e di delizie, e farli eredi della propria fortuna; sicché direbbesi che ne invidiano la con- dizione, tanto procurano d'imitarne la natura!

Ma questa smania orribile, in uomini orgogliosi della ragione, di degradarsi fin sotto agli t-sseri irragionevoli e di far vita comune con loro, questo studio funesto di appa- gare l'intelligenza, creato pel sommo bene e per la somma verità^ coi miseri avanzi della felicità dei bruti, non sempre riesce. L'invincibile natura ripiglia a quando a quando il suo impero, e dall'abisso tenebroso del vizio in cui si é chiuso il cuore, e da sotto alle orribili ruine degli errori in cui l'intelligenza si è sepolta, escono voci tremende, minaccevoli grida, che gli strepiti di tutte le passioni in delirio non pos- sono estinguere. Allora l'uomo si sveglia adirato, perché gli si rompe il sonno di una vita tutta corporea; perchè l'eb- brezza del piacere non dura; perché il mondo esteriore si dilegua, perché, abbassandosi un istante il velo delle volon- tarie illusioni, si trova a viso scoperto in faccia all'orrendo spettro della sua anima senza fede, senza sperauza, senza amore. Allora, simili a quegli umori bizzarri che, oppressi dalla malinconia, negli spettacoli malinconici cercan conforto, povere d'ogni bene, cei'ca di farsi un vanto della sua po- Aerlà; avvilito agli occhi propri, si sprofonda sempre più nel suo avvilimento e nella sua ignominia; addolorato e in- felice, si pasce della sua infelicità e del suo dolore: finché, divenendo odioso a stesso ed impotente al peso della vita, corre a cercare nel suicidio la fine di una esistenza che dis- pera di rendere migliore e che non ha coraggio di soppor- tare. E difatti presso gli antichi filosofi di Atene e di Roma (veri eretici del genere umano) il suicidio, il più orribile attentato contro la natura, era riputato un dovere ed una

31 i LKTTURA SESTA

virtù per Tuomo saggio nelle ambasce che gli rendevano la vita più amara della morte. E nei tempi moderni questo stesso delitto, quasi ignoto afTatto in Europa nei secoli fede, ed anche oggi, che la fede si é illanguidita, rarissimo nei paesi cattolici, é rinato col rinascer dell'antica scienza del dubbio, che 1' eresia luterana ha sostituito alla fede.

Quindi nei paesi protestanti e presso gli allievi dell'orgo- glio, che altra religione non hanno che quella di un vago ed assurdo filosofismo, sono frequentissimi gli esempi, non solo di uomini ma ancora di donne e di fanciulli che attentano alla loro vita con un orribile sangue freddo, e quest'atto di disperazione e di foUia si reputa eroismo o una cosa affatto indifferente. Deh che la fredda ragione non apporta alcun solido conforto contro le noje della vita, i dolori delle infer- mità, le perdite della fortuna, le miserie della famiglia, i di- spetti della gelosia, il peso del disonore, e molto meno con- tro i rimorsi del cuore e le angosce dell'intelligenza deso- lata dal dubbio! L'uomo abbandonato alle sole sue forze e senza appoggio per parte della fede che non ha. della grazia che non implora, della provvidenza che non crede, della vita futura che non attende, é troppo debole per rassegnarsi a prolungare un'esistenza che per qualcuna delle indicate cause gli é divenuta pesante ed amara, ed il suicidio diviene per lui una specie di necessità ftitale ed una conseguenza, fu- nesta sì ma naturale, della sua morale indigenza e del suo desolamento. Oh profonda miseria! oh condizione orribile dell'uomo ribelle alla Chiesa ed alla vera fede ! Tutto é per lui tenebre, dubbio, incertezza, rimorso, aff'anno, dolore, disperazione, delitto: e la sua profonda infelicità nel tempo non é che il funesto preludio di quella dell'eternità.

Concludiamo adunque rimportantissima e per noi catto- lici consolantissima discussione che ci ha occupati in queste due ultime lunghe letture. Noi abbiamo veduto che l'inse- gnamento della cattolica Chiesa é fticile, accessibile a tutti, veridico, certo, uniforme, immutabile: che solo contiene tutte le verità, solo ispira tutte le virtù, solo appresta tutte le consolazioni , solo fornisce tutte le speranze , solo sollieva l'uomo e lo santifica e lo perfeziona e lo salva; e però che

LETTURA SEvSTA 31 0

esso é il solo insegnamento sincero^ legittimo, santo, cele- ste, divino. Abbiamo pure veduto, al contrario, che il me- todo iìKjuisitorio ossia della ragione privata che, disprez- zando l'autorità della Chiesa, pretende di formarsi da la religione, consultando, come essa dice, la natura e la Scrit- tura, in verità però non seguendo che il proprio orgoglio, il proprio capriccio; che questo metodo, dico, che é il fon- damento comune di tutte le false religioni, di tutti gli scismi, di tutte le eresie, oltre che domanda molto tempo, molti studi e molti sforzi, non conduce in fine che all'errore, al dubbio assoluto, alla indifferenza, al disprezzo, alla distru- zione completa, di ogni religione, cioè alla degradazione della intelligenza, alla depravazione dei cuori , alla disperazione dell'individuo, alla ruina della società; e perciò é un me- todo vizioso, erroneo, detestabile, diabolico, infernale.

Oh se, con un occhio all'orribile quadro di miserie, di devastazioni, di mine di tutti i donimi e di tutte le leggi, di tutte le verità e di tutte le virtù, di tutte le credenze e di tutti i sentimenti, di tutte le speranze e di tutte le conso- lazioni del cristianesimo , miserie , devastazioni , ruine cui vanno di necessità a terminare tutti i sistemi errore; oh se, con un occhio, dico, a quest'orribile quadro che noi ab- biam tracciato, il miscredente e l'eretico volessero coll'altro occhio contemplare i grandi e giocondi prodigi che pur hanno di continuo presenti, e che la grazia della fede opera nelle coscienze cattoliche; oh come apprezzerebbero la condizione dei figli della vera Chiesa, che, dispensali dall'ingrato e ste- rile lavoro di ricercare, di esaminare, di disputare, di dis- cutere, trovano nell'insegnamento della cattolica fede una dottrina pura, santa, uniforme, costante, bella, preparata e ridotta a formole chiare, precise, certe, immutabili, ed ac- cessibili a tutti! Oh come rimarrebbero sorpresi e incantati dal bello spettacolo delle virtù solide, dei sentimenti sublimi della vera santità, che questa dottrina divinamente feconda fa germogliare nel cuore che le è fedele ! Oh come non si sazierebbero mai di ammirare la perfetta tranquillità con cui la cattolica intelligenza si riposa in seno alla sua fede, l'adesione fermissima con cui ne ritiene le verità sante, il

316 Li; I TURA SESTA

gaudio segreto, l'immensa gioja con cui ne vagheggia la chiara luce! Oh come invidierebbero la sorte avventurosa deir anima veramente cattolica che, confermando la sua con- dotta con la sua credenza e senza tema alcuna d'ingannarsi nella sua fede presente, di essere delusa nelle sue spe- ranze dell'avvenire, tenendo fedelmente dietro alla vera stella miracolosa della fede che, come la stella dei Magi, la precede e l'accompagna, la guida e la sostiene, la illumina e la conforta, la istruisce e la colma di gioja: traversa questa terra d'esilio, colla sicurezza di giungere alla patria del- l'eterno riposo e dell'eterna felicità! .Ma se i miscredenti e gli eretici non vogliono e non possono conoscere questa con- dizione felice, invidiabile di noi cattolici, procuriamo di sempre meglio conoscerla noi stessi che, per un tratto della divina misericordia, ne siamo in possesso; aflìne di conser- vare in noi con maggior gelosia il prezioso deposito della vera fede, di riconoscerne con sensi di gratitudine sempie maggiore dalla bontà di Dio l'immenso beneficio, di amarne con maggiori trasporti le bellezze, di compierne con mag- gior diligenza le opere sante; unica condizione per goderne più copioso qui in terra il fruito ed ottenerne più ricco il guiderdone nei cieli.

LETTURA VII.

I GILDEI El> ERODE

OVVERO

L\ V()LO>TARU OPPOSIZIONE ALLA FEDE

Àirllenx autem Herodes turbatus est, et omnis H'erosniyma rum iVo... Kt mittens iUo% in Bethìehem dixh: If, et interronote diìigentcr de piicm , et cum inveneriiis, reruntìate mihi: ut et ego veniens adorem etim. (Matth. 2.)

IINTRODUZIOINE.

§ I. - Storia (lei cieco-nato e sua interpretazione litteraìe ed allegorica. Il giudizio che Gesù Cristo dichiarò allora di essere venuto ad esercitare nel mondo si è la cecità onde ha punito i Giudei , e ,la luce della fede che ha accordata ai gentili. Questo giudizio incominciò ad eser- citarlo fino dal suo nascere j illuminando i Magi e la- sciando nella loro cecità i Giudei ed Erode. Argomento della presente lettura.

L'uomo creato per la verità, il più sovente però noQ solo non si alcun pensiero di andarne in cerca quando gli è nascosta o lontana; ma ancora quando essa stessa amorosa- mente lo previene, gli va incontro e chiaramente gli si sco- pre e gli si manifesta, torce altrove il sembiante per non vederla, le volta le spalle, la disprezza; ovvero le si ribella, la impugna, la perseguila, e nelle persone che gliela fanno conoscere, la punisce perfino della bontà onde ha roluto illuminarlo.

Bellezze dello fede. If. ^\

3i8 LETTURA SETTIMA

Di questo orribile eccesso, uno dei più grandi di quanti se ne possano commetter dall'uomo (delitto insieme e ca- tigo di chi lo commette) abbiamo un esempio tremendo nella storia evangelica del cieco-nato per nome Sidonio ( Joan. 9).

Il prodigio onde il Figliuolo di Dio rese a quest' uomo la vista fu fatto con un medicamento che, lungi dal sanare xm cieco dalla natività, dovea renderlo sempre più cieco ; poiché il Signore altro non fece che ungergli li occhi coiì un poco di loto ed ordinargli di lavarseli nella vicina fon- tana di Siloe, che vuol dire del Messia : Lutiim fedi ti //- n'wil oculos ejus el dixil et : Fade el ìiwa in nalalorìa Si- he quod interprelalur Missus.

Il giudizio fu istantaneo e perfetto; giacché ricevere l'un- «ione dalla mano del Salvatore, lavarsi gli occhi e vederci !ome chi ha sempre avuto la vista fu per Sidonio un punto jolo; e l'Evangelista colla maravigliosa rapidità della nar- razione del fatto , che restringe in tre parole : Andai , mi lavai, ci veggo, abii^ lavi et vìdeo ha voluto significare la prontezza e l'istantaneità della operazione divina.

Il prodigio fu un complesso di prodigi, poiché i ciechi- nati non hanno solamente offeso l'organo della vista, ma il più sovente ne mancano affatto. Di più l'uomo che nasce cogli occhi sani e perfetti non perciò vede subito gli og- getti alla dovuta distanza e l'uno dall'altro distinti, ma li vede lutti confusi , gli sembra di averli tutti sopra degli occhi, e solo coH'uso del tatto e dopo il lasso di molti mesi impara a fissarne le rispettive distanze ed a discernerli di- stinti e divisi. Gesù Cristo adunque, nel fare che il cieco- nato ci vedesse subito e colla distinzione di chi ci ha sem- pre veduto, non solo gli dovette creare gli occhi della per- fezione e della grandezza proporzionata all'età di un uomo fatto, collocarglieli nella loro orbita, ma, come già fece con Adamo dargli in un istante l'esercizio del vedere, che non ottiene che coli' uso e col tempo.

Il prodigio fu operato in un luogo pubblico, alla presenza dei discepoli e di tutto un popolo, ed ebbe per testimoni quanti prima aveano conosciuto il cieco Sidonio, che eran moltissimi , attesoché il misero slava ad un posto fisso a mendicare sulla pubbUca via: Sedebat in via viendicans.

LKTTUr.A SKTTIM4 311)

I farisei stessi, interessati ad oscurare un grande mi- racolo, con tutti i dubbj che mossero ;, con tutte le prove che ne cercarono, con tutti i testimoni che udirono, con tutti gli esami che fecero del sanato stesso, de'suoi genitori 0 di quanti lo conoscevano, non riuscirono che a metterne nel maggior lume i due estremi: la cecità dalla nascita di Sidonio e la sua guarigione pronta e perfetta ; e col loro mal animo non fecero, come osserva l'A-Lapìde, che servire ciecamente al disegno di Dio , che volle che gli stessi ne- mici di Gesù Cristo, cogli stessi mezzi onde tentarono di screditare il portento, lo rendessero certissimo, pubblico, solenne, famoso, e fossero essi stessi loro malgrado obbli- gati a convenirne, a conoscerlo, a confessarlo; Consilio Dei factum est ut miraculum fieret testatissimuni et ceìeberri- mum : et Judcei ilìud ìiegare non possenf.

Difatti nello stesso sinedrio dei principi de'sacerdoti, dei seniori e degli interpreti della legge, che ben presto si riunì numerosissimo per giudicare di un fatto che avea dentro e fuori la città destato un grande rumore , alcuni dissero : « I\on può essere costui un uomo di Dio, poiché non os- serva la legge del sabato (essendo stato sabato il giorno in cui il Signore fece il miracolo): i>^on e*^ hic homo a Deo, qui sabhatum non custodii. Altri poi, ne' quali l'odio non avea ancora spento interamente la sincerità ed il pudore, rispo- sero : E come mai un peccatore potrebbe operare grandi prodigi? Jlii autem dicebant: Quomodo polesl homo pcc- caiov hcec siijna facere ? » Sicché la diversità dei giudizj, lo scisma manifesto che ne nacque nell'assemblea,^/ schisma eral inier eosj non fu già intorno alla verità del fatto, che nessuno osò di negare , ma intorno alla santità del suo autore.

Finalmente questo miracolo, che non era stato mai ope- rato nel mondo , e che Isaia avea predetto che si sarebbe veduto solo a tempo del Messia, Tunc aperientur acuii cce- coruni (Isa. 35), era una nuova testimonianza chiarissima che Gesù Cristo stesso era il Messia da tanti secoli promes-^ so. Gesù Cristo stesso, avendolo operato subito dopo il ce-^ lebre suo discorso in cui avea rivelato ni Giudei nel tem-

320 LETTURA SETTIMA

pio la sua filiazione divina e la sua origine eterna , volle provare coi fatti la verità delle sue parole, alle quali i Giu- dei aveano opposta una orribile resistenza, volendo lapidare il Signore che le avea pronunziate ; volle provare che esso era veramente Dio : Ut ccBcum illuminando^ et per eum quid imjeneris fiumani ccscilate esset faclurus significando , seFi- lium Dei declararef (Gloss.). E perciò, dice S. Agostino, si servì del loto per guarire il cieco; per manifestare, cioè, che egli era il Creatore, che si era servito del loto nella creazione del primo uomo : Voluil docere se ipsum esse Crealoremj qui in principio usus est luto ad ìwminis far- mationem (Tract. in Joan.).

Ora come accolgono i Giudei questa nuova rivelazione della divinità del Salvatore e della verità della sua missio- ne ? colla ostinazione la più cieca, colla malafede la più ini- qua, colla ribellione la più ostinata, col più cieco furore. Discordi in. segreto fra loro questi insigni ribaldi intorno alla santità del Signore, divengono unanimi nello screditarlo in pubblico. Adoperano tutte le arti per istrascinare il sa- nato nella loro opinione, e gli propongono come un atto di religione il convenire con loro che colui che lo ha guarito non è che un peccatore ; e peccatore tutta 1' assemblea lo proclama a voti unanimi alla presenza del popolo: Da (jlo- riam Dcoj nos scimus quia hic homo peccaior est. Quando Sidonio dice loro: Sarebbe mai venuto anche a voi il desi- derio, che ho io, di farvi suoi discepoli: Numquid vultus el vos discipuli ejus fieri? si mostrano scandalezzati da questa parola, maledicono colui che l'ha pronunziata, malcdixeruni erqo ci rimandano, come una imprecazione, sulla testa dui sanato la condizione di essere discepolo di Gesù Cristo, Tu discipulus ejus sis. Parlano del Signore col più gran di- sprezzo, dicendo: « A ?tIosè sappiamo che ha parlato Iddio; costui non sappiamo ehi sia, ne donde venga: Scimus quia Moijsi loquulus est Deus; hunc aulcm nescimus undc sii. »

Ouando poi Sidonio si volse, secondo l'espressione di S. Agostino, in predicatore della grazia, in evangelista della verità, Ecce annunliafvr facfus est (jratiKjCcce evancjelixat: quando, sebbene idiota, difese con tal calore e con tal forza

LETTCRA SETTIMA 321

la santità del Signore che i farisii confusi non trovarono più che rispondere, costoro, invece di ammirarne la gene- rosa confessione , chiamarono il confessore un impasto di peccato : In peccatìs nalus est totusj invece accoglierne con gratitudine le parole preziose onde Iddio faceva nuo- vamente brillare ai loro occhi la verità, le condannano di insolenza: El clocct nos? e, montati in furore, i iigliuoli della menzogna scancellano dal libro dei Giudei, scomuni- cano dalla sinagoga, e si caccian via dinanzi, come un ri- baldo, r intrepido difensore della verità : Et ejeceran! euin extra sijnciy()(j(Uìi.

Ma se i Giudei lo cacciano. Gesù Cristo lo accoglie. Im- perciocché, avendolo il appresso incontrato nel tempio , « Buon uomo, gli dice, credi tu nel Figliuolo di Dio : Crc- dis in Filium Dei? E chi è mai, riprende Sidonio , chi è mai, o Signore, e dove é mai? che io son pronto, desidero anzi di crederlo questo Figlio di Dio sulla testimonianza della vostra parola: Quis est. Domine^ Fiìius Dei, ut cre- dam in eiun ? Allora Gesù Cristo in aria della più grande famigliarità e della più grande dolcezza. Uomo fortunato, gli dice, tu già lo conosci, tu lo vedi, tu l'hai presente questo Figlio di Dìo : sono io che parlo con teco : Et vidi- sti eiim, et qui ìoquitur teciim ipse est, A queste parole un raggio sfolgorante di luce divina balena a Sidonio nell'u- mile mente, un sentimento di fede vivissima e di accesa ca- rità gli si desta nel cuor fedele; ed in un trasporto di fede abbellita dal più tenero amore. Sì, esclamò, vi credo, o Si- gnore , per Figlio di Dio ; » e prostratosi a terra ai suoi piedi, profondamente lo adorò: Jt ilJe dixit : Credo, Do- mine ; et procidens adoravit eum. E poiché tutto questo fatto accadde nel tempio, così il Redentore, come Figlio di Dio e Dio vero esso stesso, ricevette per la prima volta nel tempio, secondo le profezie, il culto di latria, l'adorazione pubblica, che gli era dovuta come Dio e Signore del tempio.

Quindi il Salvatore, recatosi in aria da padrone, da mae- stro, da Dio, alla presenza del popolo e dei farisei che lo circondavano e che avevano veduto cogli occhi proprj que- st'atto solenne di umile e sincera adorazione, pronunziò que-

322 LETTURA SETTIMA

ste parole consolanti insieme e terribili: Imparate da ciò che io sono venuto in questo mondo ad esercitarvi un giu- dizio onde i ciechi acquistino la vista, e coloro che ci veg- gono divengan ciechi: In judiciuni. veni in hiuic mundum^ ni qui non videnl viduiinl ^ ei (jui uidenl cceci fiant. Allora i farisei, che gli stavano attorno e che ben capirono che il Signore intendeva parlare di una vista e di una cecità tutta spirituale, ripresero a dirgli: Con chi e di chi parli tu mai? Siamo noi forse costoro che di veggenti sono divenuti cie- chi? Numquid el nos cieci siinius? Sì, rispose il Signore, parlo con voi e di voi. Oh quanto sareste meno infelici, se essendo veramente ciechi, conosceste di esserlo I la vostra cecità sarebbe senza peccato. Ma poiché essendo ciechi, vi date il vanto di vederci, la vostra cecità è colpevole, ed in questa colpa vi rimarrete sepolti: Si cceci esselisj peccaiiun non haberetis. I\unc auteni dicilis quia uidenius: peccatum veslriim manel.

Ora con queste gravi e maestose parole, onde il Signore sollevò tutto ad un tratto il discorso e le idee dall'ordine sensibile all'ordine spirituale, dalla cecità del corpo a quella dell'anima, ha dato esso medesimo l'interpretazione allego- rica del suo miracolo; ha indicato chiaramente di averlo operato non solo per dare una novella prova della sua di- vinità, ma ancora, dice l'A-Lapide, per dare come un sag- gio ed una figura del prodigio ancora più grande onde un giorno avrebbe dato agli uomini la vita dell' anima per mezzo della sua grazia e della sua dottrina: V( siqnìficaret se si- mili homines illuminai arum per suam doclrinani et «y/vi- liamj e che questo, come tutti gli altri miracoli del Signor nostro, é allo stesso tempo, secondo l'osservazione di S. Gre- gorio, ed una prova della sua potenza da Dio ed un mistero, una profezia una figura di ciò che, in un ordine più nobile nell'ordine spirituale della grazia e dell'eterna salute, avreb- be operato cogli uomini: Miracula Doìnini nostri Jesu Chri- sti aliud ostendunt per potentiam et aliud per mijsteriutn loquuntur (Homil. 2). Se noi dunque, siegue a dire lo stesso grande dottore, non sappiamo nulla della vita antecedente di questo cieco, sappiamo però molto bene il mislero che in

LKTTURÀ SETTniA 3-23

esso ci viene rappresentato: Quis jiixia hisloriam cceciis iste fuerilj ignoranius; sed timicn quid pei- mysteriiwi «/- gnifìccl , noviniHs. Il cieco é figura del genere umano, che, avendo nel suo primo padre smarrita la luce celeste, si giace avvolto nelle tenebre del peccato, che lo strascinano alla dannazione e alla morte, e che viene miracolosamente illu- minato per la presenza del divin Redentore: Ccecus quippe est gemis humanuiiìj quod in parente primo cìaritatem su- perncB ìucis iijnoravs ^ damnationis suce tenebras patiturj sed taìnen per Redemptoris sui prcBsentiam illuminatur. E S. Agostino pure avea detto che nulla meglio del cieco- nato ha figurata la trista condizione del genere umano, in cui il peccato del primo uomo essendo passato in natura, la cecità dell'anima é divenuta altresì naturale; ed infatti ogni uomo é cieco-nato, giacché nasce cieco secondo la men- te: Ccecus si(jni/ìcal humanum (jenus, in quo ccBcilas est naturatisi quia, peccante primo homine, vitium propler naturam induit, unde secundum mentem omnis homo cce- cus natus est (Tract. in Joan.).

E poiché presso i Giudei, essendoci la cognizione del vero Dio e la fede nel mediatore futuro, si era già incominciato a far giorno, e la cecità e le tenebre non erano tanto fitte e profonde quanto presso i gentili nati nell' idolatria e nel- l'infedeltà; il cieco-nato fu in particolar modo la figura es- pressiva e fedele dei gentili: Hic ccecus a nativitale denotai (jentites in cosca infidelitate naios (A-Lap.). E perciò, dice IJeda, Gesù Cristo che, cacciato dal tempio, va a dare ad un cieco mendicante la vista significa Gesù Cristo che, cacciato dal cuore dei Giudei, passa ad illuminare i gentili che sta- vano da tanti secoli a mendicare il pane della parola di Dio e la luce della verità: Poslquam expuìsus est ex cor- dilìus Judceorum, trans ivi t ad populum cjentium.

Da tutto ciò s'intende bene il discorso che il Signore fece ai Giudei subito dopo ricevuto l'omaggio dell'adorazione e della fede del cieco che avea guarito; poiché fu lo stesso che dire: « Io sono venuto nel mondo a discernere i credenti dagli increduli, i buoni dai cattivi, i pii dagli empj: In ju- dicium veni in hunc mundum, » Io sono venuto a dare la

324 LETTURA SETTIMA

luce della vera fede a coloro che, conoscendo essere nelle tenebre dell'errore , la cercano con umiltà di spirito , con sincerità di affetto; ed essi per mezzo della credenza e del Battesimo riceveranno in pochi istanti la vista dell'anima, come Sidonio, che ne è la figura, per mezzo dell'unzione e della lavanda al fonte del Messia, ha in pochi istanti rice- vuta la vista del corpo. Essi infine, come Sidonio pure, che avete veduto prostrato ai miei piedi, si prostreranno innanzi a me per riconoscermi ed adorarmi come loro Dio e Salva- tore: IJl qui non vident videanl. Al contrario però di quelli che, pieni di presunzione e di orgoglio, credono di bastare a stessi e di vederci meglio degli altri nelle cose divine senza bisogno del mio spirituale soccorso; questi falsi veg- genti, dico, rimarranno in tenebre profonde: Ul qui videnl cceci fianf. E voi, o farisei, o scribi, siete di questo numero. Quanto sarebbe meglio per voi l'essere interamente ciechi secondo la mente, il non avere la legge e i Profeti, il non avere idee del Dio vero e del riparatore promesso ! il vostro peccato sarebbe men grave nel non riconoscermi pel vero Messia. Che se anzi, conoscendo la vostra cecità, ne solleci- taste il rimedio, la mia grazia vi guarirebbe, come guarirà gli altri gentili: e voi davvero non avreste allora alcun pec- cato; Si cceci essetis _, peccatimi non haberilis. Ma poiché vi credete saggi ed illuminati; poiché, con tutto il soccorso delle Scritture, vi ostinate a rigettarle colui che vi si é chia- ramente indicato e vi date il vanto di vederci meglio colla vostra mente, mentre non fate che cedere alla malizia, al- l'arroganza del vostro cuore; voi siete ciechi veramente, e da questa cecità volontaria voi non sarete guariti, ma ci re- sterete immersi come in grave peccato, ed essa rimarrà in voi come tremendo castigo: Nunc aulcin dicilis quia vide- 1ÌIUS j peccatum vestrum manct. In somma, dice S. Ago- stino, il discorso del Signore si riduce a questo; che l'u- miltà avrebbe illuminato nella fede di Gesù Cristo i gen- tili ignoranti delle cose di Dio; e la superbia al contrario avrebbe acciecato gli scribi sapienti e li avrebbe lasciati sepolti nelle tenebre dell'infedeltà: Iliimililas yenles insi- pienles Chrisli fide ilhiminacit j superbia scribas sapientes iìifidelilate exccecavit»

LETTURA SETTIMA 325

^e non che questo misterioso giudizio, ali' umiltà con* solante, terribile per 1' orgoglio, giudizio che il Signore in questa circostanza solenne ha dichiarato di essere venuto a coHìpire nel mondo, lo avea di già incomincialo ad eser- citare iin dal suo nascere. E perciò nei misteri della nascita del Signore si recita sempre il magnifico salmo che comin- cia cosi: 0 Dio date il vostro giudizio al re, eia vostra giu- stizia al figliuolo del re : DeuSj jiidiciiim tuuin re(ji da, ci jusliliain tmim fillo re(jis. Imperciocché questo figliuolo del re Davide, Il Salomone verace, non é che Gesù Cristo; che, secondo queste parole del Profeta, nato appena, avrebbe eser- citata nel mondo la giustizia di Dio. Infatti nella stessa grotta di Betlemme, in cui il Signore fece la sua prima appari' zionc. nel mondo, e dove si rendette accessibile alla sempli- cità, alla buona fede, al pio desiderio dei pastori e dei Magi; si ecclissò, si nascose, si rendette impenetrabile al superbo disdegno, alla falsa sapienza, alla perfidia dei Giudei e di Erode. Quelli, già ciechi, perchè privi della cognizione del vero Dio, furono illuminati dalla luce de' suoi misteri e delja sua fede: questi, circondati dalla luce delle Scritture della stessa rivelazione de' Magi, non ci videro nulla, nulla ne compresero, non ne trassero alcun profitto, e più ciechi di prima si rimasero nella loro corruzione e nel loro aceìeca- mento. E così si compirono fin d'allora le parole del Signore: Ut qui non vident videantj et qui videant caci fiant.

Or come queste parole siansi compiute nel mistero del- l'Epitiinia, è ciò che dobbiamo vedere nella presente lettura, spiegando la storia evangelica dal punto della venuta dei Magi in Gerosolima sino a quello della loro partenza per Betlemme; punti compresi in queste parole: Audiens icul- (em Herodes, lurbalus est et omnis Hierosoljjina citm ilio. Et conqreqans omnes principes sacerdoiinn et scribas po- puìij sciscilabatiir ab eis ubi Christus ìiascerelur. Al illi dixerunt ei: in Belliìehcm Judaj sic enim scriptum est pei prophetam: Et tu, Belhìehem terra Juda , nequaquam minima es in princìpil)us Juda: ex te enìin exiel dux qui reqat popuìum meum Israel. Tu ne Jlerodts, ciani voca- iis Maqis j iìirnjenter didicit ah eis tenipus stella' quie ap-

i4

\'

326 LETTURA SETTIMA

paruii eis. Et mitlens illos in Belliìthem^ dixil: Ile el inler- rofjale diJifjenler de jyucro; el cuin invenerills , reiiunliaie ìniliìj ut et effo veniens adorem eiini (3!altli. 2). E poiché del mistero di misericordia della elezione, della rivelazione e della fede dei Magi si è già detto abbastanzaj ora ci fer- meremo particolarmente a penetrare il mistero di (jiiistizia della riprovazione, dell' acciecamento e della infedeltà de' Giudei e di Erode; ne vedremo le cause e gli elletti, il peccato e il castigo, non solo in Erode e nei Giudei, ma in quegli infelici ancora di cui i Giudei ed Erode furono il tipo e la figura, e che per le stesse vie consumano lo stesso peccato e vanno incontro allo stesso castigo. L' ar- gomento è istruttivo insieme ed importante. La miseria e l'orrore dell'anima che volontariamente si ribella alla ve- rità e si ostina a non credere ci farà meglio sentire la condizione felice dell' anima docile all' insegnamento divino e le Bellezze della fede.

PARTE PRIMA.

ESI*e.«IZ10\'F DEI. MISTERO.

§ II. - / Mcuji condotti da Dio a Gerusalcmmp. per pirla da eiutnyf listi della nascila di Gesù Cristo e da maestri ai Giudei. Non vi è dutìbio die essi sotto il titolo di RK dk" Giudei, abbiano cercato del Messia per adorarlo come Dio. Bestemmia sopra di ciò di Co I vi no j confutata anticipatamente dai Padri. Quanto sia stato (jlorioso per Gesù Cristo che i 31a(ji di lui solo, nato nella mi- seria, abbian cercato , disprezzando Erode t'd il suo fujlio Archelao nato nella grandezza. L'inquisizione dei Macji fu una vera rivelazione fatta ai Giudei. Erode e i Giudei se ne turbano invece di goderne. Anche questa turbazione è gloriosa per Gesù Cristo.

I\on fu certamente senza mistero che la stella che era comparsa in Oriente ai Magi, e ciie avea loro servito di guida in tutto il corso del loro cammino, tutto ad un tratto dis- parve ai loro occhi, appena che posero essi il piede nella terra giudaica. Gesù Cristo, dice Teofilatto, per un tratto

LETTURA -SETTIMA 327

singolare della sua misericordia, volle con ciò obbligare i Magi a far ricerca del jMessia in Gerusalemme^ e per tal mezzo rendere solenne e pubblica nella capitale della Giudea la verità del suo nascimento: Occullald ad j)aruiini lempu.s stella e*7j simjulari Dei dispensatione j ul Jiidwos infer- rocjarenlj et manifeslior flartt verilas (in 2 lìlatth.). S. Gi- rolamo pure dice che tutto ciò fu da Dio disposto affinchè i Giudei, istruiti., da questa interrogazione dei Magi^ della nascita del Salvatore, non potessero un giorno dire, a dis- colpa del loro delitto: IVoi non sapemmo nulla, noi non avem- mo alcun segno, alcun avviso della sua nascita: Deferuntur Magi stellai indicio in Jiidcmm , ut .sacerdotes , a Magis interrogati uhi Christus nasceretur , inexcusabiles fierent de adventu ejus (in 2 Matth.). Così, soggiungono ancora S. Agostino e Teofìlatto, mentre Gesù Cristo usava co' Giu- dei misericordia, preparava contro di loro il tremendo giu- dizio di giustizia che era venuto ad esercitare nel mondo. Volle che, interrogati dai Magi, riconoscessero e rispondes- sero il vero: affinchè questo nuovo tratto della sua bontà divenisse un giorno, per quelli fra loro che lo avrebbero volontariamente sprezzato, un motivo di giusta condanna per non aver voluto credere essi stessi il Messia che aveano indicato agli estranei, e per aver crocifisso colui che prima aveano confessato: Fatui t Deus a Judceis iuquiri^ ut, duni ostendunt in queìii non credunt , ipsa sua dentonst rat ione damnentur (Aug. , Serm. 67 de divers.j. Ut confìteantur veritatem et ex ea damnentur , guod illuin crucifixerint (pieni prius confessi sunt (Theoph. in 2 Matth.). Poiché per l'uomo indocile e duro la misericordia divina si cambia in giustizia; la verità che non lo illumina, lo accieca; e la grazia che non lo converte, lo condanna.

Frattanto però non è men vero, dice S. Giovanni Crisosto- mo 0 chiunque sia il dottissimo interprete detto Vautore del- l'Imperfetto, non è men vero che i Magi furono miracolo- samente condotti a Gerusalemme non solo come discepoli, ma ancora come apostoli e come evangelisti; non solo per saper essi dai Giudei dove trovare il Messia, ma ancora per annunziare essi ai Giudei che il Messia era nato: Prope Je-

S28 LETTURA SETTIMA

rusalem abscondita est ah eis stella ni in Jerusalem coye- rtnliir interrogare de Christo simili et manifestare de ilio Imperf.. Ilomil. 2 in 3Iatth.). Così, soggiunge ancora il Pa- dre citato, il Dio di bontà, mentre chiama al suo conosci- mento gli estranei, illumina i domestici; mentre attira i gen- tili, istruisce per mezzo loro i Giudei: Sic domesticos casto- des eriiditj diim invitat alienos (Ilomil. 6 in Matth.). In fatti mentre i Magi chieggono^ dov'è il Alessia, ubi est? ne pre- dicano la nascita, natus est, e la predicano essi, uomini gen- tili, magi, idolatri, così disponendo la sapienza di Dio; poi- ché conveniva alla maggior sua gloria, dice pure il Criso- stomo, che i principi, i maestri dell'idolatria, gli adoratori di falsi dèi venissero a riconoscere e confessare fra i Giudei e coi Giudei i miracoli, la potenza e l'impero del vero Dio: Ad majorem Dei (jloriam pcrtinebatj si ipsi quoque yen- tililatis mayistri consonam ferrent de Dei potestale sen- tcnliam (ibid.). La predicano questa nascita senza enimmi, senza misteri, con una immensa fiducia, con una impertur- babile sicurezza: Natus est. La predicano, appoggiandola alla testimonianza del prodigio della stella, notato nelle Scritture come il segno della nascita del Messia: ridimus enim stel- lam ejus. La predicano infine a tutta la città, a tutto il po- polo; giacché, secondo l'espressione dell' Evangelista, pare che i Magi siano andati per tutte le vie di Gerosolima, ri- petendo a quanti incontravano la stessa dimanda ed annun- ziando l'istesso mistero: Venerunt Jerosolymam diccntes : Ubi est qui ìiatus est rex Judceorum ?

vi è dubbio che con questa dimanda abbiano i magi inteso parlar del Messia, poiché non solo il titolo di re de' Giudtij con cui lo indicarono, significava, conie si è veduto (f.ett. Ili, § 5), il iMessia; ma la loro stessa venuta di lon- tano per adorarlo^ com'essi dissero: Venimus adorare, diede chiaramente a divedere che essi erano venuti in cerca di un re de' Giudei che era allo stesso tempo Messia e salvatore anche dei gentili come essi erano, anzi di tutti gli uomini.

Calvino, inteso sempre ad avvilire i misteri di Gesù Cri- sto, a mettere in dubbio tutte le prore della sua divi)iità, perché ariano nel fondo del suo cuore, benché non osasse

LETTURA SETTIMA 329

comparirlo; Calvino, dico, ha sognato che i Magi non par- lassero che di una (idorazione di puro rispetto, di un omag- gio civile, che i Giudei solevano rendere ai personaggi di distinzione e particolarmente ai re: e sostiene che tale sia stata di ÌììUì Vado razione che i 3Iagi, secondo il Vangelo, tri- butarono al bambino di Betlemme. Ma questa opinione , mentre che é una bestemmia, é ancora un' assurdità, con- tradetta dal fatto stesso della venuta dei Magi dall'Oriente, e che i santi Padri aveano anticipatamente confutata.

S. Giovanni Crisostomo dice che se i Magi nel fanciullo di cui una stella miracolosa avea loro annunziato il nasci- mento non credevano di trovare nulla più che un re ter- reno, sarebbero stati enormemente stolidi e dementi ad ab- bandonare le loro patrie, le loro famiglie le loro case, i loro parenti ed amici per venire a riconoscere, a rendere omag- gio ed assoggettarsi ad un re straniero: essi persiani e bar- bari e separati da ogni consorzio colla nazione giudaica non solo per distanza di luoghi, ma molto più ancora per diffe- renza di religione: Dementia fuisset ni Persa aìiqnis ani barbarus nuìlamqne habatis cum judaica (jente consor- //«;/<_, veliti a domo sua patrUique discedere, relitiqucre aitn- cos et propinqnos. re(jno<iiie se aìlerius subjuqare (Homil. G in 3latth.). S. Agostino dice ancora: Molti altri re de' Giudei erano nati prima di Gesù Cristo; che vuol dire adunque che nessuno dei Magi rie sia venuto mai in cerca per ado- rarli: Citili rnuirt nati essent recjes Judceorum iiumqnid queìiiquaiii eoriim adorandiun 31agi qiKBsierunl? (Serm. 35 de temp.) Nulla perciò vi é di più chiaro quanto che i Magi coH'essere venuti di lontano a rendere un omaggio lu- minoso e solenne ad un bambino straniero, credettero che questo nuovo re dei Giudei, nato di recente, era molto di- verso da tutti quelli che lo aveano preceduto nel trono di Giuda, e che, adorandolo, sebbene bambino, ne avrebbero certamente ottenuta la salute delle loro anime: iVo/t ilaque regi Judceorum, qualts iìlic esse solebantj liunc lam ma- gnum honoretn ìosiginqui aìienigeno a se deberi arbilra- banlur. Sed laìem nalum esse didiceranl quo adorando se salulem conseculores minime dubilarenl (ibid.). Infatti non

àBO * LETTURA SETTIMA

era questo re de' Giudei in una età in cui poteva gustare l'adulazione e ricompensarla; non sedeva sopra di un trono, non era vestito di porpora, o coronato il capo di gemme. INon fu dunque lo splendor della corte, il terror delle armate, la fama gloriosa delle battaglie che trasse ai piedi del nuovo re de' Giudei, da si lontani paesi, personaggi distinti a ve- nerarlo con sensi di tanta divozione. INon contava esso che pochi giorni di vita : giaceva in un vile presepio, quanto pic- colo di corpo altrettanto povero di arnesi. Ma i Magi, pri- mizie dei popoli gentili, ed istruiti non da terrena testimo- nianza, ma da rivelazione celeste, credettero che in quelle pìccole membra si nascondesse alcun che di grande e divino: ISefjue cniin celas sallem eroi, cui aduìal'io huinana ser- virei: non sul) popììte sleìla recjaìiSj non de ìnembris pur- pura, non in capile diadema fuìgebat; non pompa famu- lanliiim, non terror exercilus, non gloriosa fama prcelio- vnm hos ad eum viros ex remotis terris ciim lanlo volo supplicalionis ali raxe nini. lacebal in prcesepio puer, orln recens, exignus corpore, contcmplibilis pauptrlale. Sed ma- gnum aliquid lalebal in parvo: guod illi primilice genlium^ 7ìon terra portante y sed cesio narrante didiceYant (ibid.). S. Fulgenzio argomenta al medesimo modo; ed ecco il suo bel discorso (Semi, de Epiph.): che vuol dire egli mai che questi Magi, non essendo Giudei, siano venuti in cerca del ì'e de' Giuda per adorarlo? K qual re essi cercano? INon Krode, che avea il titolo ed era difatti re de' Giudei, ma Gesù Cristo: Quid esl, ut isti Magi regem Judfporum adorandum (jucererentj cum ipsi Judcei non essenl? Et guem regem? I\on Herodenij sed C/iristum. Ouanlo dire che essi vogliono adorare un re nato da pochi giorni ; e non si curano di ren- dere omaggio ad Krode che era re da molti anni. Vogliono adorare un re pargoletto, che ancora pende dalle poppe della sua madre, e non badano ad Erode, re che comanda ad un gran popolo: rohuit adorare nuper nalum^ nec adoranl ve' gem popnlis imperanlem. Che anzi, se erano vaghi di ado- rare non il re presente, ma colui che dovea esserlo in av- venire; perchè non cercare del figlio del re Erode, che era nato di già e che dovea succedere al padre nel regno ? l'I

LETTURA SETTIMA 331

difattì morto questo Erode. Archelao suo fig^lio occupò il trono della Giudea: ^Unn et ile Ilerode rtcje Judworuni filii jain fuerant nati, qui crani, paire inorino rttjnaluri. Mor- ino enini islo Ilerode, Archdaiis in Judea reynauil. Gran cosa per verità, gran cosa! Archelao era nato in uno splen- dido palagio; Gesù Cristo in un umile casolare. Archelao, ve- nuto appena alla luce, fu collocato in una magnifica culla d'argento; Gesù Cristo fu posto al suo nascere in una pic- colissima mangiatoja. (Juegli fu avvolto in preziosissime sete; questi ricoperto alla meglio di poverissimi pannicelli. E frat- tanto Archelao dai iMagi neppure si nomina; e Gesù Cristo al contrario é umilmente adorato. I Magi disprezzano il pri- mogenito del monarca regnante, e non vanno ad onorare che il primogenito di una povera verginella: Jrc/ielaus nei- tus esl in palalioj Chrisliis in diuersorio. Archelaus nalu.s esl in argenteo ledo posìins; C/uistiun aulem nalus, in prcesepio est brevissimo coìtocatus. lite pretiosis, iste vilis- sitnis involutus esl pannis. Et tamen ille naliis in palatio contemniturj iste nalus in diuersorio qiueritur. lite a Ma- gis nullatenus nominatiirj iste invenlus suppliciter ado- ralur. Omnino spernilur primogenitns regis; et niunerUtus hotioralur priinogenitus paìipercuhp nmlieris. Oh giocondo spettacolo! Oh suhlime mistero! Oh re de' Giudei, re miste- rioso ed unico, perchè solo siete allo stesso tempo povero e ricco, umile ed eccelso! Oh re de' Giudei, re d'una foggia novella; che, mentre ancora piccolo bambino siete portato in braccio della madre, siete adorato come Dio, pargoletto nel presepio. Dio immenso nei cieli: vile nei panni che >i circondano, prezioso nelle stelle che vi annunziano: Quis est iste rex Judceorum? pauper et dives_, Ininiilis et subii- mis? Quis est iste rex Judceorum , qui portatur ut parvu- luSj adoratur ut Deus; parvulus in prcesepio , immeìisus in cceloj vilis in pannis, pretiosis in slelìis?

È dunque chiarissimo che i Magi, nel cercare per tutta Ge- rusalemme dove potevan trovare il re de' Giudei, che secondo non i loro calcoli umani, ma la rivelazione divina era nato di già, Uln est qui natus est rex Judaorum? f idimus enim siellam ejus, non cercarono del re terreno de' Giudei, eh»'

332 LETTUllA SETTÌMA

in Erode, o nel figlio poco prima nato ad Erode avean pre- sente, ma del re celeste, del Messia, del Salvatore del mondo.

Perciò ancora il discorso dei Magi fu una nuova rivela- zione amorosa fatta ai Giudei da personaggi stranieri ad ogni interesse politico e terreno ed in conseguenza per niun modo sospetti; fu una rivelazione confermata dal miracolo della stella, che i Magi non potevano essersi inventato. Fu una rivelazione chiara, precisa, circondata da tutte le prove e da tutti i caratteri della verità. Con qual sentimento adunque, con qual trasporto di riconoscenza e di gioja dovea Geru- salemme e la nazione tutta accogliere una rivelazione sif- fatta? Onal tripudio, quale allegrezza non doveano tutti mo- strare al sentire nato pur finalmente una volta il Messia aspettato? Pure chi il crederebbe? L'annunzio dei Magi, in- vece di destare in Gerusalemme la gioja, vi destò il tumulto e lo spavento. Temette, dice l'Evangelista, Erode; e tuttala metropoli temette in lui e con lui: Auditns autem Ilero- des recCj turhaliis est, et oinnis Jerosoìtjma cum ilio.

0 Gesù caro, o dolce, o amoroso Gesù, quanto é bello da prima per noi vostri seguaci e discepoli, che in voi povero pargoletto ci facciamo un vanto di riconoscere, di credere, di adorare il vero Dio e salvatore del mondo! quanto é bello il vedere che , tenero bambinello , dal fondo della misera grotta in cui giacete, dal seno dell'umile culla in cui vagite, come da un trono di grandezza e di maestà, fate tremare tutto un impero; e col solo annunzio della vostra nascita mettete un re ed un popolo tutto in costernazione ed in ìscompiglio! Ah! chi di noi, dice S. Giovanni Crisostomo, non si sente ricolmare di gioja. al vedere fi Signor nostro nello stato di un grande avvilimento, spiegare tanto potere e tanta gloria? Tremi pure e si turbi Erode; si turbi e tremi essa pure Gerosolima. In quanto a noi. noi godiamo di questo loro turbamento e ci sentiamo mirabilmente confortati nella nostra fede da questo loro timore; Qui.s non keletut-j duni ])iier nosler adhuc in cnnabuli.s vayil, et rex terree cum tota suo regno timore dissohitar (Imperf., Ilomil. 2 in Matth.). Benché però Erode e i Giudei abbiano temuto allo «tesso annunzio, non temettero l'uno e gli altri per le stesse cau^e^

LETTURA SETTI3U 333

cerchiamo adunque queste cause diverse; trattiamone sepa- ratamente. Consideriamo prima Erode; e poi diremo dei Giudei, rispetto a questo loro timore. Il timore della verità di tutti costoro ben può servirci di nuovo stimolo ad amarla, a confessarla, a praticarla.

§ III. - Delle cause della lurbazione di Erode. Pittura della rea aìtiina di questo tiranno. Anche i Magi si tur- bano al vedere la stella. Differenza , tra la turbazione dei buoni che li saha^ e la turbazione dei tristi^ che li dispera. Erode si turba perchè empio. Esortazione ai grandi della terra a temere Gesù Cristo giudice. Quando nacque Gesù Cristo in Betlemme, la gran profezia di Giacobbe, di cui si é altrove fatta menzione (Lett. I, § 8), « che il Messia non sarebbe venuto, se non quando lo scet- tro giudaico fosse passato dalla casa di Giuda a mani stra- niere » avea avuto di già il pieno suo compimento in una maniera pei Giudei umiliante insieme e funesta, Erode, che da trent'anni dominava, o a dir meglio tiranneggiava la Giu- dea, come oriundo dall' Idumea, era straniero non solo al sangue, ma ancora ai costumi ed alla pietà d'israello (benché per politica facesse mostra di professarne la religione); anzi era straniero alla stessa umanità. Questi è quell'Erode figlio di Antipatro, nato l'anno 65 avanti 1' era cristiana e detto il grande, non già per la gloria delle sue imprese, ma per l'orrore de' suoi misfatti, della sua bassezza, della sua ipo- crisia e della sua crudeltà, che gli hanno meritato un posto distinto fra i più insigni scellerati che rammenta la storia. Vile egli di nascita come di animo, povero di fortuna come di virtù; pure a forza di intrighi, di turpitudini, di delitti, riuscì ad elevarsi dalla sua bassezza e trarsi dalla sua natia oscurità. Imperciocché da prima, cattivatasi colla sua adu- lazione l'amicizia di Sesto Cesare governatore della Siria, si fece nominare governatore della Celesiria. Poi, sposata Ma- rianna nipote d'Ircano, l'ultimo dei Maccabei, che unì nella sua persona la dignità di sommo sacerdote a quella di re: ed ucciso colla più nera barbarie questo suo parente e suo in- signe benefattore; col favore che già lo stesso Ircano gli avea procurato in Roma coU'averlo mandato suo legato a Pompeo

33^ LETTURA SETTIMA

e sulla raccomandazione del triumviro Antonio^ di cui Erode con ricchi presenti si era comprata la protezione^ riuscì a farsi nominare prima tetrarca, poi re della Giudea, ed ad oc- cupare un trono divenuto vacante per la sua perfidia e per la sua crudeltà. Dopo la g^iornata di Azio, in cui, disfatto An- nonio, Cesare Augusto rimase solo padrone dell'impero. Erode si credette perduto. Ma essendo andato a trovarlo a Rodi, seppe colla sua ipocrisia e colla sua bassezza riguadagnarne bene la grazia che fu confermato nel regno. D'allora in poi la sua crudeltà non conobbe freno o confine. Uccise da prima Seome suo confidente e amico: poi il marito di sua sorella Salome; poi la stessa sua consorte 3Iarìana; la di lei madre e il di lei fratello Aristobolo; poi tutti i suoi amici; poi i principali signori della sua corte, sotto i più frivoli pretesti e senza alcuna forma di giudizio; e infine due de'suoi pro- prj figliuoli, Alessandro ed Aristobolo, che fece strangolare l'uno dopo l'altro sotto degli occhi suoi. Il che avendo sa- puto Augusto, esclamò, al dire di Macrobio: « In casa di Erode vorrei essere più presto porco che figliuolo: » giac- ché i Giudei non immolavano i porci : « Malùn in domo Herodis porcus esse qiunii fUiiisj » <juia Judcsi porcus non maclabunt. ìNulla perciò di più credibile quanto l'orrenda strage che quest'uomo di sangue fece, poco dopo la venuta dei 3Iagi, di tutti i fanciuUi di Betlemme per assicurarsi il trono. E qual meraviglia che abbia sacrificato all'ambizione del regno gli altrui figliuoli, dopo di avervi sacrificati i suoi proprj? Questi era l'uomo, o a meglio dire il mostro a forme umane che regnava in Gerusalemme quando vi giunsero i 3Iagi e vi pubblicarono la nascita del re dei Giudei. Or fu a questo annunzio che Erode agghiacciò di paura, ne fu lurbato e sconvolto: sicché da quell'istante non conobbe più pace: Audiens aiilem Herodes rex, lurbatus est.

Ma di chi mai e perché mai teme Erode al sentir nato il re de Giudei? S. Gregorio dice che, al nascere del re del cielo, dovette di necessità turbarsi quel re della terra: giac- ché, ogni volta elle la grandezza celeste in qualunque ma- niera si manifesta, una forza secreta, un istinto misterioso fa umiliare, fa confondere, fa tremare la grandezza terrena:

LETTURA SETTIMA 339

Cceli re<je ìtalo rcj- Icrrie lurbdlus est; (juia nimirum ter- restris aìlUudo confundilnr j cum cehiludo ccelcòlìs operi- tur (Homil. 10 in Evang.).

Ma non tutte le grandezze umane,, dice S. Ilario arela-* tense, si turbano al medesimo modo quando si annunzia loro la grandezza divina. I 3Iagi eran re e grandi della terra ancor essi. J/apparizione della stella, che annunziò loro la nascita del Messia, pose pure il loro cuore in iscompiglio. 3Ia il loro turbamento fu quel turbamento salutare che si desta nel cuore del peccatore che geme sotto il peso delle sue colpe, che é impaziente di liberarsene, che ascolta cori docilità la divina chiamata ed è pronto a rispondervi. Fu quel tur- ])amento prezioso, figlio della grazia, che prepara ad una <jTazia novella, che cambia il cuore e lo riforma, che comin- cia la conversione e la compie. Fu quel turbamento più de- lizioso di ogni calma, che fa nascere il disgusto del male, il desiderio del bene, la nausea del vizio, l'amore della virtù; che apre la porta alla speranza, che infonde il coraggio. Fu quel turbamento infine che riordina gli afletti eh' esso scon- volge, che raddolcisce l' amarezza che arreca, che rende de- lizioso il dolore che desta, che si volge in balsamo della fe- rita che ha aperta, che rende soavi e dolci le lagrime che fa versare, che conduce nelle vie della semplicità della fede, dell'umiltà del pentimento, della fiducia del perdono, del- l' incanto dell' amore, e fa provare la consolazione, la calma, la pace promessa ai poveri di spinto, agli umili di cuore.

Perciò i Magi, vera figura, dice S. Agostino, dell'anima cristiana che cammina nei sentieri della fede, ma col cuore sempre fiso nella speranza della gloria e del desiderio della visione superna, mentre interrogano per sapere dov'è Gesù Cristo, lo predicano; mentre lo cercano, lo credono; e senza averlo veduto ancora, sono tranquilli e felici come se di già fossero giunti a possederlo: Annuntiant et interrogante credimi et qiicerunl: taniquam siynificanles eos qui am- Intìant per (idem el desidcrant speciem (Serm. 43 de temp.). Mirate, dice S. Giovanni Crisostomo, la semplicità, il can- dore, la fiducia, la libertà, la calma con cui i 31agi trattano con Erode. Aflinché non possa pur sospettare che siano

S36 LETTURA SETTIMA

stati per frode da qualcuno mandati a ordire congiure ed intrighi, manifestano con ingenuità di cuore la rivelazione divina che hanno ricevuta, la stella che li ha guidati, la distanza del luogo da cui sono venuti, senza mostrare la me- noma apprensione, il menomo timore del popolo che tu- multua, né del tiranno che freme: Considera eorum virlu^ lem qui tam simpliciter et libere egere cum rege. Eleninij ne subdole missi ab aliquo putarenlurj et ducem sui itineris produnt j et longinquitatem regionis fatentur ^ et fiduciam mentis ostenduntj neque tumuUum populij neque poteslatem formidant ty ranni (Homil. 4 in 3Iatth.).

Ma Erode si turba ben d'altro modo. Egli è un empio; nulla, dice S. Ilario di Arles, è più naturale quanto che si turbi l'empietà umana all'aspetto, all' annunzio della divina pietà: Quid mirum si j pittale nascente ^ perturbatur ini- pielast (Homil. 4 de Epiph.) Si turba adunque della turba- zione del reo, il quale paventa il testimonio che lo accusa, il giudice che lo condanna, il carnefice che lo punisce. Si turba della turbazione del peccatore, che l' orrore di una co- scienza scellerata confonde, che il rimorso lacera, che l'osti- nazione indura, che l'emendazione scoraggia, che la diffi- denza dispera. Si turba del timore, colpa insieme e gastigo del cuore che lo prova, e che, nato dal delitto, genera, infe- licità e dolore. iMa questa rea turbazione di Erode, turba- zione di dispetto, di rabbia,, di disperazione, di furore, non meno che la santa turbazione dei Magi, turbazione di fede, di confidenza, di pace, di amore, fu, dice il dottore testé ci- tato, un omaggio solenne che suo malgrado quel vile nemico di Gesù Cristo rendette alla verità del suo regno, albi po- testà del suo impero. Poiché col temere che Gesù Cristo nato lo privi del regno riconosce in lui la forza di privamelo. Quale spettacolo adunque! Un re orgoglioso e superbo, ve- stito di porpora, cinto d'armi e d'armati, trema, paventa in faccia ad umile bambinello di pochi giorni che vagisce avvolto fra poveri panni e giace solitario in una aperta ca- panna: Felil 3 ìiolitj Chrisfum regeni faletur quando se, ab 60 j regno putat esse pellenduni. Ecce jaccnteni in prtesepio perliniescit armatus j contremiscit humilem rex superbuSj

LETTIRA StTTDIA 337

el nbiectani infanliam ne vagienteni expnvescil (Blalem , obcoludim ììi pannis mefuii purpuratus (ibid.).

0 grandi, o felici del secolo, di cui il grande orgoglio, le grandi miserie, i grandi delitti traspirano al di fuori delle grandi ricchezze, del gran lusso, del gran potere con cui vi avvisale di ricoprirli, pensate, vi dice S. Agostino, che anche voi dovrete un giorno trovarvi a faccia a faccia con Gesù Cristo, spiriti solitarii, salvo che la turba funesta dei vostri vizj vi sarà compagna! Ora che farete voi allora? che direte? Come terrete fermo innanzi al maestoso tribunale di questo Dio, di cui é stata tremenda ai re orgogliosi V umile na- scita? Come sosterrete il volto minaccioso, il sopracciglio severo di questo Dio, quando la farà con voi da giudice; di questo Dio che fece palpitare il delitto, quando apparve in terra in qualità di Salvatore? Deh temete, credete a me, te- mete con umiltà di spirito, con sincerità di cuore, lui che siede ora re religioso alla destra del padre, e che fece ge- lare di orrore l' empietà sul trono quando pendeva tuttavia bambino dal seno di sua madre: Quid autem eril tribunal judicantisj quando superbos reges liniere faciebat nativitas infantift? Pertimeant reges ad Patrix dexteram jam seden- tem^quem rex inipìus timuil adhuc malris ubera lanibentem l (Serm. 30 de temp.) 0 re potente insieme e pietoso, dalla cui spada, colla pratica sincera della religione, si campa, non col- r eccesso d'una crudele empietà; A gladio hujus regis nemo crii crudtìilale, sed pietale securus ! (Serm. 35 de temp.)

§ IV. - Segue lo slesso argomento della turbazione di Erode, Si turba egli ancora perchè ^ usurpatore del trono di Giuda y in Gesù Cristo teme un competitore nel regno. Belle invettire dui Padri ad Erode sulla slot id ita di (jucsto suo timore. Stolido è pure il timore j che alcuni politici ìianno del vicario di Gesù Cristo.

^la Erode, all'annunzio della nascita di Gesù Cristo, si turbò non solo come empio, ma ancora come re; non solo per religione, ma ancora per politica. Da prima perchè, come osserva qui S. Gio. Crisostomo, le guardie che respingono il volgo dai palagi dei grandi, non riescono a tenerne lontani i timori; che anzi si trovano più frequenti e più angosciosi

338 LETTURA SETTIMA

sotto le volte dorate che sotto i tngurj ricoperti di paglia. Ove dunque gli umili per condizione, simili agli alberi pian- tati nelle valli, in mezzo alle agitazioni della politica riman- gono tranquilli e sicuri; i grandi al contrario, gli uomini di stato, ad ogni più piccolo rumore, ad ogni più frivola novità, temono pel loro potere, come gli alberi collocati sulle cime dei monti ad ogni aura più leggiera sono agitati e scossi : Semper (jrandis poteslas majori fiiìiori siihjccta esfj siciit rami arhorum in eccelso positarunìj etiamsi levis aura /fa- verit j commoventnr. Sic ei subìimes homines in culmine (ìignitatum existenles ^ edam ìevis nuncii fama conturbai. Humiles aiitem, sicut in convalle^ pìerumque in tranquiì- aiate Constant (Imperf. in 2 Matth.).

Ma oltre a questa cagione comune a tutti quelli che se- condo l'espressione di un re martire, hanno la disgrazia di regnarcj Erode, dice il Drutmaro, aveva una ragione parti- colare per turbarsi all'annunzio dei Magi. Sapeva ben egli di non essere della regia stirpe Davide, alla quale per diritto apparteneva il regno di Giuda. Rammentava che il cadavere insanguinato del suo benefattore Ircano gli aveva servito di gradino, ed una serie orribile di frodi, di crudeltà e d'in- famie era stato il solo suo dritto pel trono. La coscienza di questo suo latrocinio lo teneva in continua agitazione; e per calmarla ebbe anche il pensiero di far bruciare tutti gli esem- plari dello sacre Scritture, tutte le carte pubbliche, tutti i monumenti legali in cui si contenevano gli alberi genealo- gici degli antichi patriarchi e degli antichi proseliti, e con cui la famiglia davidica, tuttavia superstite, poteva provare la legittimità della sua discendenza e disputare ad Erode ed a' suoi successori il dritto al regno di Giuda. Oual fu per- tanto la sorpresa di Erode al sentirsi annunziare dai Magi che non ostante la strage che egli aveva fatto d'Ircano, del di lui figlio e di tutti i suoi congiunti per estinguere ogni germe della legittima dinastia, il vero, il legittimo re dei Giudei era pur nato a contrastargli il trono usurpato e di cui credevasi pacifico possessore?' Eccolo pertanto cadere in abbattimento e in iscompiglio: Ilerodes ideo lurbalus est quia ipse sciebat quod non essel de regali prorjeuie Davida

LETTURA SETTIMA 339

et quia per fraudem reynum qmesiisset j etiamsi ipse ali- quando jam Scrìpturas adurere jussisset, ne qua posleris suis ve! de prcBScripto veteri qucBstio movereturj exìslimans quodj si indicia pubìica sustullissetj ìiullis aliis leslimoniis clarere potuisset qui de pairiarcharum , vel proselytorum velenim genere dimaneret (in 2 3Iatth.).

È vero che i Magi parlarono di un re Messia; giacché,, come si è veduto (r.ett. III. § 5), le parole re de Giudei significa- vano il Messìa. IWa Erode, sebbene professasse la religione giudaica, non essendo più spirituale de'Giudei, si era come essi formata del Messìa l' idea un re terreno che colla forza delle armi dovea sottrarre il suo popolo dal giogo della dominazione straniera, ristaurare il trono di Davide e re- gnare sulle mine dei re della terra. INon badò adunque alle altre qualità che poteva avere il Messia: si fermò solo alla parola di re de' Giudei. Questa parola, dice S. Agostino, ri- chiamò tutta la sua attenzione e gli fece paventare in Gesù Cristo un emulo, un competitore^ un rivale: Herodes audilOj rerjis nomine j tamquam cemulus coniremiscil (Serni. 67 de diver.). Mao stolide idee, oh vane paure! dice ad Erode S. Ila- rio di Arles. Gesù Cristo non è venuto per rapire l'altrui glo- ria, ma per conceder la sua; non per ispogliare alcuno del re- gno della terra, ma per dare il regno de'cieli: non per acqui- starsi dignità e potere, ma per sofTrire ingiurie ed alTronti : non per adornarsi il capo di un diadema di gemme, ma per sottoporlo ad una corona di spine; non per innalzarsi glo- rioso sopra gli avanzi degli scettri infranti, ma per essere elevato fra mille insulti sopra una croce : ISon ad hoc vene- rai Christus al aìienam invaderai (jìoriam , sed ul suam donarelj nec ul reqnum lerreslre prceeriperet, sed ut ccBÌeste conferretj non inquam^ venerai ad polestaleSj dignitalesque rapiendaSj sed ad conlumeìias el injurias perferendas. Non ad hoc venerai . vi sacrum ilìud capul ad diademaluia (jemmam , sed ut ad coronam spineni pro'pararel. Non inquam , ad hoc venerai ^ ul consliluerelur super sceptra magnificuSj sed ul crocifigcrelur iìlusus (Homil. i Epiph).

S. Leone pure così parla ad Erode: il Messia é più grande de' tuoi dominj. Il padrone del mondo non può essere pago

3 io LKTTUK-V SETTI.M.V

dei limiti ristretti del tuo regno. Questo Messia, che tu temi di veder regnare in tua vece da re nella Giudea, regna di già in tutto il mondo da Dio : Superflue Herodes timore tur- baris. Non capii Chrislum refjio tua, nec mundi Dominus potestatis luce potesl esse conlentus angustiìs. Ubique re- gnai quem in Judea regnare non vis (Homil. 4 Epiph.).

S. Fulgenzio in fine fa questa tenera apostrofe allo stesso stupido e crudele tiranno; 0 Erode insensato, perché ti turbi, di che temi, di che paventi? Queste tue paure sono chime- riche e vane. Questo re di cui i 3Iagi ti hanno annunziata la nascita non è venuto a fare colle armi la guerra ai re, ma ad attirarli miracolosamente collo sua morte allo spiri- tuale suo impero. INon è nato per succedere a te nel regno, ma perchè il mondo entri nella eredità della sua fede. Non é venuto per combatter vivendo, ma per trionfare morendo non é venuto per formarsi fra le genti, a forza di oro, un esercito, ma per versare il suo sangue per la salute delle genti. Quid est quod sic lurbarisj Herodis? Inanis est tur- balio tua! rex iste qui nalus est non venil reges pugnatido superare^ sed moriendo mirabililer subjugare. Nec ideo na- lus est ut libi succedati sed ut in eum mundus fideliler credal. Non ut pugnet vivuSj sed ut Iriumphet occisus, Nec ut sibi de gcntibus auro exercilum quadrai; sed ut prò sai' vandis' genlibus sanguinem suum /ì/nr^a/ (Semi, de Epiph). Stolido che sei a temere per invidia un successore in colui nel quale dovresti cercare colla fede il tuo Salvatore! Se credessi in lui regneresti un giorno con lui; e siccome da esso hai rice- vuto il regno temporale, riceveresti da esso pure l'eterno. Giacché sebbene il regno di questo ftinciullo non sia di questo mondo, da esso però solamente discende ogni potestà per cui si regna nel mondo. Poiché esso è la sapienza di Dio, che dice di medesima nelle Scritture: « Egli è per me che sulla terra regnano i re: » Jnaniler invidendo liniuisli snc- cessorum, quem credendo debuisli querere sairatorem. Si in eum crederes, cum eo regnares. Et sicut ab ilio accepisti temporaleìn regnum ^ acciperes etiam sempiternum. Huius enim pueri regnum non est de hoc mundOj sed per ipsum rtgnatur in mundo. ìpse eniìii sapientia Deij quce dicit

LKITIIRA SKTIUIA 341

in proverbiis: per ine re(jes re(jnant (ibid.). Questo bambino é il Verbo di Dio. Se ti é mai possibile cozzare con Dio, giu- dicalo da te stesso. Tu vai macchinando la tua ruina, e non le ne avvedi. Questo pargoletto, che i Magi dicono re dei Giudei^ é allo stesso tempo il creatore e il Signore degli an- geli. Quanto meglio perciò faresti , invece di temerlo fan- ciullo nascente, a temerlo giudice onnipotente! INo, noi te- mere, tei ripeto, successor del tuo regno; temilo bensì ven- dicator severissimo della tua perfidia. Oh quanto saresti fortunato, se, invece di mandare da lui i Magi con animo fraudolento per sorprenderlo, ti accompagnassi cogli stessi 3Iagi per adorarlo ! Piier iste Ferbum Dei est. Si poles con- ini Dei sapientianij cogita. In tiiam perniciem versarisj el nescis, Puer qui nunc a 3I(i(jis dicitur rex JudcBoriim idem creator est et Dominus anyeìorum. Qiiapropter cujits times infantiam nascenlisy riìagis tivtere debes omnipolentiam ja- dicunlis. Noli ergo euvi tiineie regni tui successorenij sed lime infidelitaiis luce justissimum damnatorem, Utinain cum Magis adorantibus etiam tu pariter adoraresj et non ma- gos ad eum fraudolenta caìiiditate mandares! (ibid.)

Simile linguaggio potrebbe anche dirigersi a molti poli- tici dei nostri giorni, nei quali le ingiuste diffidenze, le vane e chimeriche paure di Erode verso di Gesù Cristo sembrano essersi rinnovate verso del suo vicario e della sua Chiesa. Indifferenti, tranquilli , in faccia ai progressi , ogni giorno più ampi e più spaventevoli, del libertinaggio, del filosofismo, dell'empietà, i veri, i soli nemici della sicurezza degli stati e della stabilità dei troni- di cui sordamente svelgono le fon- damenta ; il solo nome del pontefice romano , della Chiesa cattolica eccita tutte le loro apprensioni, e li fa tremare. Oh stolidi, 0 insensati che siete, a temere che voglia spogliarvi della vostra autorità colui la cui parola ve la conserva 1 che voglia togliervi la corona colui senza la cui influenza nes- suna corona é sicura, e che voglia scompigliar il vostro stato quella Chiesa le cui dottrine di moralità, di sacrificj di giu- stizia, di concordia, di pace, sono l'unica garanzia dell'or- dine e della felicità degli stati ! Eppure una trista esperienza vi ha insegnato o avrebbe dovuto insegnarvi abbastanza, che

Bellesie della fede. II. 15

342 LETTURA SETTIMA

cosa valete, che cosa siete senza la Chiesa, senza Dio: come vi siete separati, più o meno apertamente,, dall'unico potere conservatore che esiste sopra la terra, perché è il solo che ha la sua ragione immedialaj la sua radice direttamente nel cielo, e le cui prerogative sublimi sono registrate nel depo- sito della rivelazione, siete stati obbligati a cercarvi alleati nei vostri stessi nemici; e mentre vi applaudivate di esservi sottratti alla influenza tutelare della Chiesa, da una terribile necessità, da una giustizia severa siete stati condotti sotto la dipendenza, ben altrimenti grave, umiliante e funesta, del vostro popolo. Oh poveri Erodi, doppiamente infelici, e per- ché il male vi minaccia, e perché ne abborrite il rimedio! Deh! aprite gli occhi una volta e non siate più di quei sto- lidi che temono chi li difende, e non chi li combatte; chi li ama, e non chi li tradisce; chi li sana, e non chi li percuote; chi li salva^ e non chi li perde: Illic Irepidavenmt timore ubi non eral timor (Psal. 52).

§ V. - Si passa a discorrere della turhazione de' Giudei. Essa sembra a prima vista incomprensibile. Cause di- verse che ne assegnano i Padri, La più vera pare clt^ sia slata questa: che essendo i Giudei malvagi ^ temet- tero nel Alessia il riformatore o il vindice dei loro vizj. La teo fobia o la parola di Dio, segno dell'anima in pec- cato; il desiderio di Dio^ segno dell' anima in grazia. Il nome di Dio e tutto ciò che ne richiama l'idea, spa- venta gli empij consola ì giusti in vita ed in morte. Bel discorso sopra di ciò di S. Pier Crisclogo.

Aggiunge però l'Evangelista che, al discorso dei Magi, Erode non fu solo a turbarsi, ma che tutta Gerusalemme ancora si turbò con lui e come lui: Auditns autem Herodes rex, turbalus est, et omnis Jerosolyma cum ilio.

Or che vuol dir mai che con Erode si turba e trema Ge- rosolima ancora? Che tremi e si turbi Erode, al sentirsi an- nunziare la nascita del re de' Giudei, nulla di più naturale. Il nome solo del re legittimo suole portare la costernazione e il rimorso nell'animo dell'ingiusto usurpatore. Si turba adunque a ragione Erode, dice Eutimio, a funesto avviso, perchè teme di veder sorgere chi venga a spogliar lui e i

LETTLUA SETTIMA 3'4o

suoi figliuoli di un regno che si era acquistalo col delitto e coir infamia: Herodes quidem jure turbatus est: ncmpe ti' ìiiet de regno suo filiorumque suorum (in 2 Mattli.). 3Ia la città intera di Gerusalemme, chiede lo stesso interprete che, ragione ha mai di turbarsi per una nuova che dovea anzi col- marla di gioja? E quale annunzio più felice per un popolo op- presso sotto il giogo un tiranno, sotto il peso di una domi- nazione straniera, quanto quello delia nascita del re legittimo, del re cittadino,, che deve liberarlo? Per li Giudei poi vi era una ragione di un ordine ancora più nobile onde tripudiare all'annunzio della nascita del re de Giudei. Equalnuova più lieta pel popolo eletto, depositario ed erede della promessa del Messia, quanto quella di sapere che questo Alessia lunga- mente aspettato, spesso predetto e sollecitato da quattro- mila anni con tante lacrime e con tanti prieghi, era nato pur finalmente una volta a redimere, e consolare il suo popolo? duale spettacolo più giocondo per i fedeli Giudei, quale avve- nimento più glorioso per la loro nazione di questo,, di vedere il re consanguineo, il re parente, il re pietoso mostrarsi, grande sino dal nascere da attirare dalle più rimole contrade principi e re stranieri a riconoscerlo e a rendergli omaggio? Tota autem civilas quare turbatur? Jtqui gaudcre ipsam magis oportuil quod ipsi rex nalus essel quem oìim prò- phelfB saJvatoreìii et redewptorem Israel prcenunciaverunl j et gloriari quod statini a cunabuìis Persas ad sui adora- lionem attraheret {ìhìd.). Pure no, tutto anzi al contrario; Gerusalemme e il popolo lutto, al sentir nato di già colui da cui nessun Giudeo fedele avea nulla a temere, da cui all'opposto tutti avean tutto a sperare; in vece di godere , come Erode si turba; invece di sperare, come Erode paventa. Che strano timore è dunque questo? e qual potè esserne mai la cagione?

Vi è chi pensa che Gerosolima all'avviso della nascita del l^Iessia si turbò, perchè temette che Erode, punto da gelo- sìa e montato in furore contro di questo nuovo re' ile' Gin- dei che sorgeva a disputargli l'impero, non ne opprimesse di più il popolo, già sotto il suo giogo tirannico abbastanzit: infelice. Poiché sicionie il contrasto dei venti mette il mart

344 LETTURA SETTHU

in tempesta^ così tornano sempre a danno dei popoli i litigi dei re: Quia rex Judceus surfjere dicebaturj ne forte Hero- iksj iratus judaico regij genus ejus vexaret. Nani queitiad' viodnm, certantibus venlisy mare concutiturj sic j regibus adversdtilibus sibi^ populus regni vexalur (Apud Imperi'., Homil. 2 in 3Iatth.). I\Ia questo motivo non sembra plausibile: giacché sapevano e credevano i Giudei (e gli stolidi lo cre- dono, 0 almeno dicono di crederlo ancora) che il iMessia do- vea liberare il popolo eletto da ogni schiavitù, da ogni op- pressione, e ristabilire il trono di Davide con un nuovo splen- dore. 11 vero motivo adunque della turbazione dei Giudei fu la perversità del loro cuore. L'Evangelista nel dire che lulla Gerusalemme si turbò con Erode^ parve averla voluta far vedere associata allo stesso peccato e allo stesso gastigo. Cosi opinano i Padri. S. Giovanni Crisostomo dice: Erode sta bene che tema. Egli é re de' Giudei di fatto, e dovea naturalmente temere per e pei suoi ligli al sentir nato il re de Giudei di diritto. 3Ia Gerusalemme qual cagione ebbe di temere, sen- tendo venuto di già colui che i Profeti aveano vaticinato do- ver essere il suo salvatore benefico, il suo possente libera- tore? Sapete però perché temono i Giudei? perchè sono que- gli stessi Giudei di animo degeneri, ingrati, duri e si perversi che si ribellarono altre volte contro Dio stesso mentre li ricolmava di bene, sino a preferire la turpe e dura servitù che aveano sostenuta in Egitto alla libertà gloriosa die aveano miracolosamente da Dio ricevuta: Consequenter IlerodeSy nipote rex, sibi pariter et lìbcris suis formidal. Hierosofyma vero quam tandem habuil causam timoris , cum certe illum adesse audieril quem saluatorem ejus be- neficum et liberatorem ProphetcB priedixerant? Quanam igitur ratione turbati sunl Judcei? De ipsa nimirum pra- vitate sententice qua prius adversabantur Dominnm bene- ficia conferenteiìij et lam gloriosa;, quam consecuti ab eo fueranl, libertati prceferebant miserabililer illam quam in /Egijplo sustinuerant servilulem (Homil. 0 in Matth.). Così pure dei cristiani che vivono nella servitù dei vizj e del pec- cato si turbano all'udire annunziarsi vicina una solennità, una predicazione, un mezzo qualunque di conversione e di

LETTURA SETTIMA 3^5

salate: perchè troppo amano la turpitudine dei loro attac- chi e delle loro catene. Questi vili cristiani se alcuna volta pregano Dio che li chiami a e li converta, temono,, come accadeva a S. Agostino peccatore, di essere troppo presto esauditi: Timeham ne cito exandires me (Confess.): temono di passar troppo presto dalla schiavitù del demonio alla dolce libertà dei figli di Dio.

L' Emisseno dice pure che come la luce del sole offende e incomoda chi ha gli occhi deboli e infermi, così i Giudei, avendo deboli e infermi gli occhi della mente, si turbarono e non poterono sostenere la vista dello splendore divino di Gesù Cristo venuto ad illuminarli; ed é perciò che dai Profeti sono stati paragonati alle nottole, che nell'oscurità della sera solo ci veggono alcun poco e non possono sop- portare la luce e divengono cieche nel giorno: Sic infirmi ocuìi, viso lumine, perlurbari soìenl. Bene aiitem isli tales in Prophetarum libris per ilhis avcs siynificantur quas dies exccBcat, nox illuminai (in 2 Matth.). In una parola, ripiglia S. Giovanni Crisostomo,, i Giudei erano divenuti iniqui e ingiusti. Si turbarono adunque alla nascita di Gesù Cristo, perchè non può godere della vicinanza della giu- stizia l'iniquità: Turlnintur, quia de advenia jusli non poferanl (jaudere iniqui (Imperf., Homil. 2 in Matth.).

Ascoltiamo in fine S. Pier Crisologo che, insistendo sulla medesima idea, colla sua veramente aurea eloquenza dice : Che si turbi il re Erode, che ravvolga nell'animo rei disegni per timore del successore, non é da sorprenderne; ma Ge- rosolima, ma i principi dei sacerdoti, ma gli scribi qual po- terono aver motivo per associarsi a questo timore e a questi disegni? Esto quod Herodes rex amore regni j successoris ti- more, coaclus sit talia moliri. Quare Hierosolyma, qiiare principes, quare scribce? (Serm. 3 Epiph.) Il motivo eccolo: perché ad un popolo divenuto di già profano ed empio non pot»iva piacere di sentire nato in terra lo stesso Dio. Perché il servo infedele paventa il padrone, il reo il giudice, il de- linquente l'accusatore, il ribelle il monarca da cui si è ribel- lato: Quare? Quia nasci non vull profanus Deum, servus dominum, judicem reus, ribellis principem, perfidus coyni-

346 LETTURA SETTIMA

iorem (ibid.). Gerusalemme era giunta all'ultimo grado corruzione e di peccato. Il dispotismo, la tirannia di Erode erano ancora frutto e castigo insieme dell'iniquità de'Giudei. Un tal monarca era degno di un tal popolo. Ad un popolo cattivo tocca d'ordinario un re peggiore : Hierosolyma varia se coìUam'ìnalione perfuderol (ibid.). I sacerdoti^aveano pro- fanato le cose sante. Il sommo sacerdozio, di vitalizio che dov»'a essere secondo l'istituzione divina, era divenuto temporaneo ed annuale, affinchè tutti i ventiquattro capi delle sacerdotali famiglie potessero a vicenda goderne; il governatore romano, di religione gentile, ne dava al migliore offerente l'investi- tura. La simonia del capo si producea più scandalosa e più invereconda nelle membra. Gl'inferiori sacerdoti mettevano a prezzo l'assoluzione dai peccati e facevano un mercimonio sacrilego della pietà e del perdono: Sacerdofes profanave- ranl saucta^ e/, peccala vendentes, in qucestum veniam pie- tatemqiie converterant (ibid.). Gli scribi, ossia i dottori e gì' interpreti della legge, ne aveano alterato il senso , am- pliate e ristrette a piacere le obbligazioni, ed avevano volta in occasione di nuove perfidie, in mortale vaniloquio la dot- trina del cielo, la scienza della salute, il magistero della vita : ScribcB docirinam ccelestem, scientiani saìalarem, vitale ma- (jislerium in siium sensum, in perfidice lapsam, in lelhale vaniloquium coniinulaverant (ibid.). Ecco dunque la vera cagione onde questi bravi uomini si turbano al sentire che è nato Gesù Cristo, e temono che viva ; poiché se non ne aveano il pensiero , aveano però il presentimento confuso che il reo ha sempre del castigo; udivano nel più intimo del cuore come una voce secreta che minacciavali che sa- rebbero stati fra non molto presentati all'ignominia del mon- do, sottoposti all'obbrobrio, cacciati dal temp/o, privati del sacerdozio, spogliati delle ricche entrate provenienti dalle oblazioni dei pii; e che il .Messia, venuto per la loro salute, non avrebbe, per colpa loro, consumata che la loro ruina: Hinc est quod Chrisluni nolani nascij vivere tinienlj quia noveranl se inox ignoninice dandos , trahendos opprohriis tiiciendos tempio, privandos sacerdolio , oblationum mu- iiere vacuandos (ibid.). Imperciocché, divorati com? erano

LETTURA SETTIMA 347

dal fuoco della voluttà e della cupidigia, posseduti dall'or- j5'^oglio, perduti nel lusso, ebbri di vanità, degradati e mal- conci da tutti i vizj ; siccome non credevano possibile l' e- menda, non isperavan perdono: Seìncl eniin ciipiditate in- fiammati ^ capti pompa, vitiis sauciati, vanìtate ebrii, itia- (hfacti ÌHxu, quia de correclionf^ nihil cogitare potcrant, de venia nihil sperabant (ibid.).

Questo terribile mistero d' iniquità anche tra i cristiani ogni giorno si rinnova. 31irate i miseri, vittime infelici del disordine delle passioni, dell'abitudine ai vizj, cangiatasi in essi come in una seconda orribile natura, con cui, non pos- sono vivere e di cui sembra loro impossibile lo spogliarsi ; non rimane in essi tanto di libertà che quanto basta a ren- derli colpevoli, tanto di fede che quanto basta a far loro credere in Dio; ma odiandone le leggi, paventandone i giu- dizj e disperandone la misericordia e il perdono: Sic Cliri- stum venire non vuH qui 3 superatus illecebris sceculi, de penna trepidati de venia nihil prcesumit (ibid.).

Ahi! che come vi è pel corpo una terribile malattia, l'i- drofobia o l'orrore per l'acqua, che sola potrebbe guarirla ; così vi è per l'anima una malattia ancora più terribile, la teofobia 0 l'orrore di Dio, che sola potrebbe farla cessare. Di questa malattia dello spirito erano affetti i Giudei a causa della loro profonda corruzione e dei loro vizj, quando si tur- barono all' annunzio della nascita del 3Iessia: e di questa malattia sono pure travagliati i filosofi materialisti, gl'in- creduli, i voluttuosi dei nostri giorni : mentre ogni parola, ogni cosa che richiami alla loro mente l'idea di Dio, della sua religione, della sua legge, dell' anima , dell' eternità, li turba, li scompiglia, li fa cangiar di colore, li fa tremare, o eccita in loro una specie d'irritazione indefinibile, di ac- cesso nervoso, simile a quelli che gli acuti odori risvegliano nei temperamenti delicati, e quindi il riguardar con ribrezzo, il fuggire con dispetto i sacri templi, i sacri ministri, le sa- cre cerimonie, i sacri discorsi, le sacre solennità: e quindi ancora l'orrore della morte, giacché è impossibile il non sentirsi gelare il sangue al pensiero del momento in cui Dio picchia alla porta del cuore per mezzo dell' ultima infermità.

358 LETTURA SETTIMA

ed obbliga l'anima a comparire al suo tribunale. Ed infatti, quando giunge questo istante fatale, questi uomini che avean collocato il loro vanto nel disprezzare Iddio, il loro paradiso nelle delizie dei sensi , oh lo spalancare degli occhi , dice S. Gregorio, oh il convellersi, il tremare della persona che fanno per ritenere ancora un avanzo di vita fuggitiva, e ri- tardare il loro contatto immediato coli' essere infinito, col Giudice eterno! Jperire judici pulsanti non vuìl qui exire de carpare trepidai ^ et videre eum^ qucm contempsisse se meniinitj judicem formidat (Homil. 13 in Evang.)

Al contrario però le anime pie e fedeli provano un gu- sto, un diletto particolare negli esercizj di religione, nelle pratiche di pietà, nell'usare spesso ai sacramenti, nel pre- gare innanzi alla santissima Eucaristìa, nell'assistere al di- vin sacrifìcio, nell' ascoltare la divina parola, nel leggere i Libri Santi, nel trattenersi in esercizj divoti; in tutte le cose insomma, con tutte le persone, che ricordino Dio, che par- lino di Dio al loro pensiero e al loro amore. Il nome santis- simo di Dio, i nomi dolcissimi di Gesù e di Maria sono una musica soavissima alle loro orecchie, un balsamo delizioso al loro cuore, che vi risveglia tutta la fiducia e tutta la tene- rezza. Beate le anime che provano questi sentimenti ! perchè questo è l'aver fame e sete della grazia, della virtù e di tutto ciò che ad essa conduce; fame e sete cui Gesù Cristo ha pro- messa la beatitudine e la sazietà eterna: Beati qui esu riunì et siliunt juslitianij quoniam ipse saluralninlur (Matth. 5). E sebbene, senza una espressa rivelazione divina, nessuno può essere certissimo di trovarsi in istato di grazia o di pec- cato, Nescil homo iitruìn amore an odio diqnus sii (Eccli.9); pure vi sono, secondo S. Bernardo, degl'indizi, dei segni, dai quali si può concludere con una somma probabilità dello stato morale dell'anima. Or siccome uno dei segni meno equi- voci della malattia e della morte spirituale dell'anima si è la ripugnanza, il tedio delle cose spirituali, e molto più la paura, l' avversione da Dio e da lutto ciò che può richia- marne l'idea, giacché la nausea e il disgusto dei cibi sani è segno di stomaco sconcertato e guasto, e così al contrario uno degli indizj più consolanti e più certi che l'anima è sana

LETTURA SETTIMA 349

V viva della sanità e della vita spirituale della grazia si é appunto la fame ed il 15'usto che essa ha delle cose divine, il santo diletto che prova nel sentir parlare e nel pensare essa stessa a Dio, ai suoi santi misteri, alle sante sue leggi; giacché l'appetito e il gusto degli alimenti salubri è segno di stomaco robusto e sano. Queste anime felici in unione del santo timore di offendere Dio e di perderlo, che le tiene agitate e non permette che si addormentino in seno ad una sicurezza funesta, sperimentano però una dolce fiducia che le sostiene e le consola. Dal fondo del loro cuore solleva a quando a quando quella voce secreta dello Spirito Santo di cui parla S. Paolo, e che le assicura di godere della fi- gliuolanza di Dio: Jpse Spirifus leslimomum reddil spiri- tui nostro (juod sunius fìlii Dei (Rom. 8). Sicché, tranquilli per la grazia di questa testimonianza, sicuri pel tenore cri- stiano della lor vita e pieni di speranza nella misericordia che non ha limiti, quando giunge l'ultima infermità, e Dio con essa li invita alla gloria eterna, gli vanno incontro^ dice S. Gregorio, collo spirito rassegnato, col cuore pronto, col lieto viso, colla fronte serena; perchè conscii di andare non al tribunale di un giudice che li condanni, ma fra le brac- cia di un padre che colmandoli di benedizioni, li mette in possesso dell'eredità del cielo: Qui autem de suo spe et ope- ratione secunis estj pulsanti confeslim, aperit, quia Icflus judiccm SHStinetj et cum tempus propinquce mortis adcc' ìieritj de gloria retributionis liilarescit (ibid.). Così, dice ancora eloquentemente S. Pier Crisologo nel bel sermone testé riportato, così il fedele castaido intento ad accrescere colla sua assidua fatica il frutto del terreno allldatogli, de- sidera che giunga presto il suo padrone a goderne, sicuro di riportarne lode e mercede: Bonus vilìicuSj quando co- piosum fructum continuo labore conquirit^ venire domi- ìiuni suuin ad lucrum suum cupitj suiim concupiscit ad (jaudium. Così il diligente operajo che ha già compiuto il lavoro che gli é stato commesso brama che presto venga a vederlo il padre di famiglia per riceverne il prezzo pattuito: Diligens operarius, quando opus suscepil laboris rjplcverìl, ut ììifrr<'drtn p^ ni piai, patreni familias desiderai adrenirt^,

i5

3oO LETTURk SETTIMA

Còsi il soldato, al suo principe sinceramente devoto, dopo di averne sostenuto il nome col coraggio nei conflitti e coU'onore della vittoria, ne attende con impazienza la cara presenza che gli arrechi il premio ed il riposo che si ha me- ritato co' suoi sudori e colle sue ferite: Deuolus miles post confìicliini , post lictorioin , prcesentiam recjis exoptat , ut prceiniis sndores et vulnera remiineralione compenset, E cosi appunto il cristiano che colla pratica continua di tutte le virtù ha trionfato dell' orgoglio e della corruzione del mondo sospira la venuta di Gesù Cristo, che lo faccia par- tecipe dell' eterna sua palma : Sic od palniam suciììi ciipit venire Cliristuin qui bella mundio indefessa virtule^ proster- nil. Facciamo adunque il bene , conchiude con questo suo discorso S. Pier Crisologo : facciamo il bene , evitiamo il male, fuggiamo il vizio, attendiamo all'esercizio della vera virtù, dimentichiamo i beni e gl'interessi presenti, pensiamo seriamente ai futuri, e con tutti i trasporti del nostro cuore incamminiamoci al regno celeste per cui siamo stati creati, alla palma che ci è stata promessa, alla gloria che ci attende, alla corona che dee renderci sempre felici: FratreSj faciamus bonaj declinemus a maliSj fucjiatnns vitia, virtutes sequamur, dissimulemus prcesentia^ futura cogilemus, nostrum petamus ad re(jnum, nostrum veniamus ad pohnanij optemns ad ylo- rianij tendamus volis omnibus ad coronam (ibid.).

§ VI. - Disegno crudele di Erode nelV aver radunato il sinedrio ed averlo interrogato del luogo in cui dovea esser nato il Messia. Perchè chiamò a occultamente i Magi : e profonda e scellerata finzione onde trattò con loro. Erode vero tipo degli ipocriti. L'ipocrisia vizio co- mune a tutti i peccatori j a tutti gli eretici ^ a tutti gli empj. Sua inali zia e suo castigo.

Figlia e compagna delia viltà siede d'ordinario nel trono del tiranno la fredda barbarie. Non sa egli d'altro modo spe- gnere le inquietudini e i timori che lo crucciano che nel sangue di coloro che glieli destano. Perciò il primo pensiero di Erode, nello scompiglio che provò al sentirsi parlare della nascita del nuovo re de' Giudei , fu d' immolarlo , appena

LETTURA SETTIMA 351

nato, alla sua sicurezza, alla sua quiete, al suo farore. Ma dove trovarlo per punirlo dell' innocente delitto di avere colla sua nascita turbato il cuore d'un usurpatore empio ed ingiusto? « So che la venuta del Messia (dicea Erode fra sé) é predetta nelle Scritture con tutte le sue circostanze. Col tempo vi sarà senza dubbio indicato anche il luogo del suo nascimento. I sacerdoti, i dottori e gli anziani del popolo che leggono, che hanno queste Scritture ognor fra le mani e ne sono i maestri e gl'interpreti, devon saperlo. » Eccolo dunque ordinare che si riunisca tosto il sinedrio, e che non vi manchi un solo dei principi dei sacerdoti, un solo de- gli scribi ossia dottori che interpretavan la legge e la spie- gavano al popolo: Et congregaìis ontìies principes sacerdo' tiun et scribas popuìi. Dal che si vede che Erode disponeva del sacro consiglio , che vi comandava da desposta , e che questo primo e venerabile corpo della nazione era in ginoc- chio ai suoi piedi come tutto il resto. Dominare la religione, tormentar le coscienze, fu sempre l'ambizion dei tiranni, e il cumulo e la perfezione della tirannia.

Dal sacro testo sembra chiaro che a questa sessione stra- ordinaria del gran consiglio dei sacerdoti e dei dottori giu- dei Erode abbia voluto intervenir di persona; senza dubbio per fare esso medesimo le domande opportune, e sentirne colle sue orecchie le risposte. ISascondendo difatti sotto la maschera della più profonda ipocrisia il suo turbamento ed i suoi disegni di strage e di sangue, e mostrandosi animato da un sentimento e da un interesse religioso, esso che altri sentimenti, altri interessi non avea che da politico empio e crudele, si fa ad interrogare il sinedrio se a qual tempo e dove poteva esser nato il Cristo ossia Messia secondo i va- ticinj e le tradizioni: Sciscitabatur ab eis ubi Christiis na- scerelur.

I sacerdoti e gli scribi de' Giudei, se non nel loro cuore, sulla loro lingua almeno aveano, dice Eutìmio, famigliurissimi gli oracoli dei Profeti, relativi al Messia, oggetto dei loro studj, della loro aspettazione e delle loro preghiere: Dicla prop/ietica librosque in ore habebanl (in 2 Matth.). Poterono dunque subito e senza ambiguità ad Erode rispondere: « Il

352 LETTURA SETTIMA

Messia deve essere nato in Betlemme di Giuda, mentre il profeta iMichea dice così: E tii, o Betlemme, terra di Giuda, non sei già l'ultima tra le principali città di Giuda, giacché uscirà da te il duce che governerà il mio popolo d'Israello: Al UH (lixenuit: In Bethlehem Judaj sic eniin scriptum est per prophetam: Et tu^ Bethlehem terra Jada , neqmi^ (jnam minima est in principibus Jiida j ex te enim exiet dux qui regal popuìum meum Israel.

Questa risposta, dice TEmisseno, onde i sacerdoti e gli scribi parvero confermare il discorso dei Magi,, che il Messia poteva, in quel tempo, benissimo esser nato in Betlemme, invece di calmare il turbamento di Erode, lo accrebbe. Anzi il turbamento si cangiò in timore, il timore in ispavento: Timor additur timori; et qui Maijorum verbis perturbatus fuerat iterum scribaruìn et sacerdotum responsione terre- tur. Quomodo enim terreri non poterai qui suo tempore Christum natum audiebal (in 2 Matth.).

Ma, dissimulando anche questo nuovo accesso di turbazione e di timore, fa venire i Magi al suo palazzo per discorrere con loro, ma occultamente e di nascosto: Tunc Herodes cium vocatis Maqis. E perchè mai di nascosto? Primieramente dice S. Pier Crisologo, perchè l'anima ipocrita, la coscienza fraudolenta e malvagia detesta ogni pubblicità di azione, e tutto ama condurre per occulti intrighi; e poi Erode voleva farlo da ladro e da assassino, ed il ladro cerca la notte, e l'assassino trama insidie di nascosto: Occulte vocat, quia pa- ìam nihii audet simulata mens, conscentia dolosa. Occulte vocal Magos; quia fur amai noctem, latro in occulto tendi t insidias (Serm. 158). In secondo luogo, i tiranni temono sempre il popolo che opprimono: ed Erode sapeva di essere detestato dai Giudei non solo come tiranno ma ancora come straniero; non volle dunque, dice Eutimio, dare importanza al suo colloquio coi Magi intorno alla nascita del Messia per non destare con simili discorsi nell'anima del popolo l'idea della possibilità di cambiare sovrano: Quia timebat Judceos, ne ipsi puerum sibi subiicerent. Nani sciebat quod Judcei eum odio haberenty quia ipse de alìeniqenis erat(\iì 2 Mat- Ih.). Che anzi, soggiunge Aimone, i Giudei, avvezzi di già alle

LÌETTUR A. SETTIMA 35-^

rivolte, non solo potevano concepire il desiderio di un can* g^iaiuento , ma levarsi ancora in un improvviso tumulto e correre in massa sulle tracce dei !Magi in cerca del bambino che aveano udito già nato, e, trovatolo, cacciare Erode dal regno, per sostituirvi il re della propria nazione da tanti secoli promesso. Perciò prende Erode dai Magi, il più secre- tamente possibile, tutte le indagini su di un affare deli- cato: Quìa iimebal ne farle Jiidcei \mjerercnt se ilio puero qui nunticibalur natus, ut haberenl regem ^ hominem sucp (jentisj et Herodem de refjno deiicerenl (in 2 Matth.). Final- mente, se i tiranni, dice Eutimio, sono sempre sospettosi, molto più Erode avea in sospetto 1 Giudei come quelli che erano congiunti del Messia per parentela e per sangue. INon volle adunque trattare pubblicamente coi Magi, affinché dalle sue domande e dalle loro risposte, non che dalle istruzioni che esso voleva dare agli stessi Magi, non venissero i Giudei a capire che Erode macchinava la morte del Messia, e non lo prevenissero per conservare il loro re legittimo in vita, sottraendolo ai suoi crudeli disegni: Quid suspectos habe- bal Judceos j nempe Chrisli coynatos ; nec rolebal ut ipsi audireut (jU(p interro(jaturus aut prceceplunts erat: ne forle, infe1li(jenles Judcpi quod ei insidiarefur , senmrent ipsum tamquam propriuìii regem (in 2 Matth.). Ma deh che Erode conosceva poco , dice il Crisostomo , i vili suoi schiavi , ì (ìiudei! rV'o, non vi era alcun pericolo che questi degeneri figli di Abramo facessero il menomo movimento in favor del Messia, che detestavano di già appena nato, più dello stesso Erode; avendo finito per poi crocifiggerlo, dopo d'averlo chia- ramente conosciuto per Figliuolo di Dio: -\escieiis Herodes quia majores inimici erant C/iristi Judcei quam ipse. Posi- quam enim manifeste cognoverunl evm esse Filiuìn Dei , lune ci'ocifixernnl eum (Imperf. Homil. 2 in Matth.).

Chiuso adunque in secreto colloquio coi Magi, incominciò Erode, colla più squisita minutezza ad informarsi da loro dell'apparizione della stella miracolosa, dei segni ai quali da questa apparizione aveano conchiuso esser nato il Alessia, e principalmente del tempo in cui incominciarono a vederla, per argomentarne quindi egli stesso il tempo in cui dovea

3o4 LETTURA SETTIMA

esser nato il fanciullo che essa annunziava: Tunc Heroiles, clam vocaiis Magis, diligenter didicit ab eis lempus stella qìtcB apparuit eis. Poiché, risoluto di prendere tutte le vie per disfarsene, volle accertarsi, dice un interprete del luogo e del tempo della sua nascita; affinchè se non arrivasse a scoprirlo ed a potere uccider lui solo, trucidando tutti i fan- ciulli nati nello stesso luogo e circa il tempo medesimo, po- tesse almeno comprenderlo nella loro strage ; Ut si Chrislum invenire non posset, sallem, nalivilatis tempore cognito, qui solus eccidi, non poterai , simuì ciim ccBleris ejiisdein cetatis pueris necaretur (in Cat. aur.).

Pertanto, come ebbe saputo dai Magi ciò che desiderava sapere per compiere i calcoli della sua crudeltà, « Avete dunque inteso, disse loro, che il Messia di che cercate deve esser nato in Betlemme? Andate perciò a questa città; in- terrogatene, cercatene colà con tutta la possibile diligenza, e certamente che vel ritroverete; e come lo avrete ritrovato ed avrete adempiuto con esso gli atti della vostra religione e della vostra pietà, v'impegno, al vostro ritorno, a ripassare di qua, a venire da me, ed indicarmi dove poterlo anch'io ritrovare; giacché desidero anch'io di andare a riconoscerlo: El mittens iilos in Bet /licheni dixit: Ite et interrogate di- ligenter de piiero: et, ciun invcnerilis, rennntiale miìii, ut et ego veniens adorem euin. » Oh infame impostore, dice a questo discorso di Erode S. Giovanni Crisostomo, oh ipocrita inverecondo ! Affetta sollecitudine e zelo per nasconder la frode ; dice di volere adorare il Alessia, che è impaziente di uccidere: Siuiulavit soUiciludinem ut celaret deceptionemj neque enim adorare, sed perimere Dominum cogitavit (Ho- mi 1. 1 ex variis). E S. Fulgenzio, trasportato anch'egli dallo stesso sentimento d'indignazione, dice pure di Erode: Oh em- pia incredulità! oh nequizia fraudolenta! oh scellerata scal- trezza! 11 sangue innocente di tante migliaja di bambini che poi versasti ha dimostrato abbastanza il fiero disegno che nu- trivi in petto contro questo bambino, per cui affettasti gran pietà: 0 callidità s fida ! o incredulitas impia! o nequitia fraudolenta ! Sanguis innocentium, quem fudisti, iestatur quid de hoc piiero face re rotuisti (Homil. 5). Ed osservate,

LETTURA SETTIMA 855

soggiunge il Crisostomo, profondo artificio di consumata ma- lizia! Da tutto il contegno e dal parlare dei Magi si accorse Erode che questi santi uomini erano animati dai sentimenti della più sincera pietà, del più tenero amore per Gesù Cri- sto, e ch'era impossibile per mezzo di promesse e di lusin- ghe r indurli a cospirare col re usurpatore contro la vita del re Messia che erano venuti a cercare da lontano, a traverso tanti disagi e tanti pericoli. Che fa dunque lo scel- lerato? Vedendo che era impossibile il sedurli, si adopera ad ingannarli; ed affetta divozione verso Gesù Crjsto, mentre faceva affilare la spada con cui voleva traffiggerlo; e coH'u- miltà ipocrita delle parole colorisce la infernale perversità del suo cuore : Fidit Herodes mcigmim devoiioìiem Macjo^ riinj circa Christum: quia non poterai eos nec bìandi- mentis jleclertj ut cousenlirent internectioni regis futuri , propter quem tanti ilineris laborem susciperanl. Cum vi- dit ergo quod atiud facere non posset iìlos ipsos decipere voijitavil. Devotionem promittebat qui yìadium acuebat , et maìitiam cordis sui humanitalis colore depingebat (Im- perf., Homil. 2 in Matth.).

Così usan di fare ì maligni impostori quando vogliono perdere di nascosto qualcuno cui vedono di non poter nuo- cere in palese: se ne mo^rano ossequiosi ammiratori ed amici , per carpirne la confidenza , addormentarne la vigi- lanza ed abusarne a suo danno: Talis est enim consuetudo omnium maìignorum^ quando atiquem in occuìto gravius Icedere volunt; humiìitattm itti et amicitias fungunt (ibid.). E notate ancora, dice un interprete, che Erode, per sempre più cattivarsi la fiducia dei Magi e sorprendere la loro cre- dulità, non solo affetta in generale verso Gesù Cristo pietà e divozione, ma affetta ancora precisamente la stessa pietà e la stessa divozione dei Magi. Perciò, come i Magi gli avean fatto conoscere che si recavano a gloria di essere seguaci del Messia di cui andavano in cerca, seguace del Messia dichiara Erode di voler divenire esso ancora : Ut et ego. Come i Magi si eran protestati di voler adorare il re de' Giudei , e che perciò solamente erano da lontano venuti : J'enimus ado- rare; Erode ripete ch'esso pure intende di adorarlo, e che

356 LETTURA SÈTTIMA

perciò solo desidera di conoscere ove sia: Vi ego veniens lido rem cumj inteìlexil Ilerodes quia Magi fideìes jam eriinl ejus quem qucerebanl: proplerea dicit , se velie enm ado' rare (In Cat.). Oh scellerata ipocrisia! l'empio, il crudele finge i sentimenti degli amanti, dei pii: parla il loro lin- guaggio , usa le loro espressioni , lascia traspirare dal suo volto, composto a mentita umiltà, come un religioso desi- derio, come una brama di trovarsi ai piedi di Gesù Cristo, sulle tracce dei Magi ; egli che nel suo barbaro cuore de- testava Gesù Cristo e si rideva de' Magi.

Ecco dunque in Erode il vero tipo degl' ipocriti , dice S. Gregorio: Cnjus persona qui airi qiiam hijpocrike desi- (jìianlur? ( Homil. 10 in Evang.) GÌ' ipocriti che , quando trattano colle persone religiose e pie, simulano carità e re- ligione, imitano esteriormente la loro condotta, allettano di avere con loro una stessa anima , un medesimo cuore , lo stesso interessamento, lo stesso zelo per la religione e per la carità, e tutto ciò per cattivarsene la stima ed ottenerne la protezione. E quanti vi ha di costoro che si servono del favore delle persone dabbene per abbandonarsi impunemente a tutti i vizj, 0 per conseguire dignità, impieghi, pei quali altro merito non hanno che una immensa ambizione unita ad una immensa bassezza! Appartengono ancora alla gran famiglia degl'ipocriti e sono ipocriti veraci ancor essi tutti i maestri di eresie, che si dicono mossi da zelo per la ve- rità, quando in fondo, nell' insegnare nuove dottrine, non consultano per lo più che il loro zelo per la voluttà. Sono ipocriti ancor essi tutti i falsi filosofi, tutti gl'increduli che vogliono passare per uomini superiori , che non si sanno risolvere a piegare la loro sublime ragione ai dommi cri- stiani, quando non sono che anime degradate e vili che non si sentono coraggio di sottomettere il loro cuore ai cristiani doveri. Sono infine ancor essi ipocriti tutti i politici fab- bricatori di scismi e di religioni, che mettono avanti il do- vere di rendere i loro popoli indipendenti dal giogo di un sacerdote straniero, mentre la molla che li fa operare si é la smania intemperante di rendersi essi stessi indipendenti da ogni ecclesiastica censura e di estendere senza ostacolo sino

LETTURA SETTIMA 357

alle coscieiìzo la loro tirannia. Ma guai, guai agl'ipocriti, dice Gesù Cristo nel suo Vangelo, V(b, v(b vobisj hypocritcB! (in Evang. passim ). Questi sono i soli tra i peccatori che questo Dio della mansuetudine trattò in sua vita coi modi più aspri e più duri. Questi sono i soli peccatori sopra dei quali questo Dio di misericordia non gittò che sguardi d'ira e di sdegno: Circumspiciens eos cum ira. Questi sono i soli peccatori di cui questo Dio salvatore non convertì un solo, sopra di cui pronunziò ogni sorta di maledizioni e di anatemi , e che chiamò « razza viperina , cui ogni scampo è tolto contro la severità dell'eterno castigo : Gemina vipe- raninij quomodo fitcjietis a judìcio (/eAen/jtf ? (Matth. 23) » Deh che tutti i grandi errori , tutti i grandi scandali del cristianesimo hanno sempre l' ipocrisia per principio e per appoggio; questo è il peccato che produce tutti i peccati, e che deve perciò attendersi tutti i castighi. Guai adunque agl'ipocriti, guai grandissimi, guai irreparabili, guai sem- piterni! Fce vobis^ ipocrilce!

§ VII. - Orribile delitto di Erode nell'aver voluto uccidere Gesù Cristo j che seppe essere il Messia al inondo promesso, ì Muiji trattano col tiranno con semplicità di cuore: ed f-fjli (jiuncjf ad ingannarli, iìnpegnandoli a scoprirgli il luo- go dove avrebtìero trovato Gesù Cristo. Come Dio scompi- glia il disegno orribile di Erode^ e lo fa diveìiire il trastullo deiMagiy che esso si applaudiva in segreto di avere burlati.

Merita ancora riflessione che, ove i Magi non chiesero che del re de' Giudei, Ubi est... rex Judcsorum^ Erode poi neir interrogare il sinedrio, disse : Dov'è che deve nascere IL Cristo? Sciscifabatur ab eis ubi Christus nasceretur. Che vuol dire adunque, chiede Eutimio, che Erode cerca del Cri- sto, mentre i 3Iagi non han parlato di Cristo, ma del re de' Giudei ? Atqui Magi non dixerunt se Christum qucere- re: cur igilur Herode de Christo interrogai? Perchè sapea Erode che il Cristo ( parola che vuol dire il Alessia ) era già per venire. Avendo sentito adunque dai Magi che era nato il re de* Giudei, e che una stella miracolosa lo avea loro indicato, capì bene che questo re de Giudei che annun- ziavano i Magi non era che il Messia, che si chiamava dai

358 LETTURA SETTIMA

GiL'DEi IL Cristo, e che allora era ad ogni istante aspettato: Quia juniiliuluni audiebat in proximo ìtasciliirum esse Chrisluin. Statimque audiens in Judea natntn esse re(jem Ju' dceonuiìj et quod hanc sleìla Persis buUcdsstt j ìnieììaxil eum esse qui dici^hatur Christus (Euthym. in 2 ÌMatth. ). Ecco dunque da ciò stesso crescer 1' orrore del peccato di Erode nell'aver deciso di uccidere il bambino di Betlemme; perché decise ad occhi aperti di uccidere non un uomo o un re qualunque, ma un uomo, un re che egli stesso già cono- sceva certamente essere il 3Iessia di Israello; un re ed un uomo di una origine, di una dignità non comune, mentre avea udito che un profeta ne avea cinque secoli prima pre- detto il luogo , ed una stella miracolosa ne avea indicato il tempo della nascita e gli avea dal più remoto oriente tratto ai piedi re adoratori. Di lui adunque e dei principi dei sa- cerdoti, che di Erode furono complici nel grande eccesso, profetizzò particolarmente Davide quando disse: i re della terra si porranno in islato di ribellione e cospireranno in- sieme contro il Signore e contro il suo Cristo: Jstilenuit reijes terree: priticipes convenerunt in unum adversus Do- minum^ adversus Chrisluìn tjus (Psal. 2).

Siccome i Magi aveano il cuore scevro di malizia e d'in- ganno, così, dice Teofilatto, non sospettarono inganno malizia nel discorso di Erode: Jpsi^ cuni dolo carerent pw- tabant et illuni absque dolo loqui (in 2 Matth.). Pare anzi da tutto il contesto che i 3Iagi abbiano promesso ad Erode di ripassare per Gerusalemme, di scoprirgli il luogo dove avreb- bero ritrovato il Messia; e che per questa promessa si astenne Erode dal mandare esso emissarj in cerca del nuovo re de' Giudei: molto più che tali emissarj inviati da un altro re ambizioso e crudele, avrebbero potuto eccitare dei sosj)etti e suggerire l'occultazione del bambino, ove che i Magi, come stranieri, non desterebbero alcun sospetto colle loro ricer- che. Erode adunque riposò tranquillo sulla diligenza dei Magi nel trovare il Signore, e sulla loro promessa di denun- ziarglielo al loro ritorno. Ed intanto gioiva in suo cuore di essere riuscito ad ingannare la semplicità di que' santi uo- mini ed avere impegnata la loro parola, figlia della buona

LETTUrtA SETTIMA 3o9

fede, dello zelo e della pietà, per compiere il suo disegno di sangue, di cui già si anticipava col pensiero la soddis- fazione spietata, e gustava il frutto.

3Ia 0 uomo tanto stolido quanto crudele , di che ti ap- ])laudisci tu mai? INon hai letto nelle Scritture che pru- denza, astuzia, disegno umano il più abilmente condotto a nulla vale contro la sapienza, contro la provvidenza, con- tro il consiglio Dio? Non est sapientiaj non est priiden- tiii , non est consiUuìn contra Doniinuin (Prov. 21). 0 tu che ti pensi di avere ingannati i 3Iagi e di averli accapar- rati alla tua scelleratezza (dice ad Erode S. Ilario di Arles), oh come hai fatto male i tuoi conti ! 11 Mago gentile é stato da Gesù Cristo chiamato per adorarlo, non già per disco- ])rirlo a chi non merita di conoscerlo. Il Mago è venuto a jìredicarlo , non a tradirlo. Esso avrà la sorte di vagheg- giarlo, tu non avrai il piacere di sapere dov' è. 0 Erodfs! jìlayus adorare jiissiis est, non deferre; testari renit illet non prodere; videre illi datum est, tibi non est datuni in- venire (loc. cit.). E S. Fulgenzio dice pure eloquentemente ad Erode: Di che ti lusinghi tu mai? Questo fanciullo cer- tissimamente morrà, perchè non sarebbe nato se non avesse voluto morire. Morrà però non per saziare la tua brutalità, ma per mostrare la sua mansuetudine. Morrà non per gli artificj dell'altrui malizia, ma per eccesso della sua carità. Morrà non per lasciare pacifico regnatore un infedele sulla terra, ma per far regnare seco i fedeli nel cielo. Morrà e morendo non sarà privo del regno, ma acquisterà a dei re- gnanti. Morrà e non perderà esso questa vita di pochi giorni che per conferire agli altri la vita eterna. Morrà non come servo del peccato, ma come signor della gloria. Morrà non per legge della comune necessità, ma per libero decreto della volontà sua. Morrà in una maniera ammirabile, in una maniera pietosa, in una maniera unica e singolare; morrà per proprio potere e per compiere in tutti il suo dì- vino volere. Poiché perciò misericordiosamente morrà fra \ tormenti, per risorger poi e regnar glorioso sopra tutte le genti. Se non conosci la vera divinità di questo bambino, fa attenzione alla stella che rìsplende nel cielo, che precede i

360 LETTURA SÈTTIMA

Magì^ che addita loro la via. Questa stella non era per l' in- nanzi mai comparsa; perchè non prima di ora questo stesso bambino l' ha creata e data ai Magi per guida onde condurli ai suoi piedi. Così mentre questo bambino è collocato come pargoletto in un presepio, opera grandi maraviglie nel cielo. Permette in terra di essere portato fra le mani come uomo, ma fa servire delle cose celesti come Dio. Come mai dunque, cieco che sei, ti fermi a considerarne l'età va- giente, e non ti sollevi ad ammirarne la potestà onnipo- tente? Et iste quìdem puer certissime morietnr ; quia , si mori noli et j nullatenus nasceretur. Morietur autem non ut impìeat scevitiam tuam j sed ut impìeat mansuetudi- nem suam. Faciet enim eum mori beni(jnitas propria, non maìitia aliena. Morietur non ut infìdeiis regnet in sce- culo, sed ut secum faciat regnare fideles in cesio. Morie- tnr non ut regnum amittat, sed ut regnaturos acquirat. Morietur non ut perdat brevem vitam , sed ut conferai sempiternam. Morietur non ut servus iniquitatis , sed ut dominus majestatis. Morietur non rinculo necessitatisi sed proposito voluntatis. Morietur mirabiliter , morietur mi- sericorditer 3 morietur singnlariter , morietur per propriam potestatem y ut suam in omìiibus adimpleat voluntatem. Ad hoc enim misericorditer morietur j ut resurgens cun- ctis gentibus dominetur. Si nescis veram hujus pueri dei' tatem j attende stellam in ccelo fulgentem , Magos prce- cedentem et iter ignorantibus ostendentem. Hcbc stella numquam ante apparuit , quia mine eam puer iste crea- vitj et Magis ad se venientibus praviatn deputavit. Iste puer in prcpsepe quìdem parvulus collocatur j sed ma- gtius in ccelo mirabiliter operatur. Permittit se manibus in terra portari, sed prcecipit sihi calestia famulari. Quid est ergo quod infantilem atfendis cetatem^ et ejus divi- nam non inlHltigis potestalem^ Invano adunque, conchiude il citato S. Ilario, invano Erode finge di volere adorare colui che ha giurato di uccidere; la verità di Dio non teme le insidie della malizia degli uomini: Simulabat adorare quem conabatur occidere; sed non timet veritas falsitatis insidias (loc. cit.).

LETTURA SETTIMA 361

Iddio difutti discopre ai Magi ed a S. Giuseppe gli orribili disegni di Erode; ed a quelli vieta di ritornare a Gerusa- lemme, a questi comanda di portare il bambino colla sua madre in Egitto. Così mentre Erode, spensierato sulla pa- rola estorta malignamente ai Magi di denunziargli Gesù Cristo, perde un tempo prezioso che meglio avrebbe potuto impiegare a discoprirlo egli stesso^ la santa famiglia da Be- tlemme si avvia tranquillamente a straniere contrade e si mette dal regio furore in sicuro. Oh provvidenza del mio Dio, quanto siete ammirabile nelle vostre vie; e come mal si appone chi, contro di voi, alla menzogna ed all'imposturasi atlìda! Ancorché Erode fosse giunto a conoscere con certezza il luogo ove trovavasi il Messia , Iddio poteva acciecare i satelliti del nuovo Acabbo, di cui il primo fu la figura, sic- ché non riconoscessero il verace Eliseo, avendolo sotto gli occhi (IT Reg. 6). Poteva per altri mezzi più strepitosi an- cora eludere la smania crudele di Erode. 3Ia no; colui che è uso di arrivare al compimento de' suoi alti disegni per le vie più semplici e che sembrano le più naturali, Jtlinyit CI fine uòque ad finem forlitcr , disponil omnia suaviler (Sap. 8), volle, secondo la frase profetica, che Erode fosse ingannato dal suo medesimo inganno: Comprehendunlur in considis qiiibus cofjilanl (Psal. 10). Gesù Cristo gli è tolto di mano pel mezzo medesimo onde lo scellerato si teneva per sicuro di averlo in potere. Si credeva Erode di aver burlato i Magi; e dopo due anni passali in timori e in agitazioni ebbe il crepacuore di accorgersi che dai Magi era stato burlato esso stesso: f'idcìis Ilerodcs quia illuaus eò- òtl a Marjis (Mattli. 2). Anche questa burla, questa confu- sione di Erode e dei princiipali Giudei, congiurali contro il Messia, contro il Cristo del Signore, avea predetto Davide, aggiungendo alla profezia testé citata: « Colui però che abita nei cieli si riderà di loro, ed il Signore si prenderà scherno della loro malignità, finché poi giungerà il momento in cui, trattili ai suoi piedi, farà loro ascollare le voci di vrndrlta del suo giudizio, e li opprimerà con tutto il furore del suo gastigo: Qui habilal in cceìis ìrridebi( cos, el Dominus sub- sannaiil eos. Tane ìoqutlur ad eos in ira sua . et in fu- rore suo conturbabit eos.

362 LETTUP.A setti:ìia

§ vili. - Slrmje de<jV innocenti ordinala da Erode j delitto orribile nella sua esecuzione, vano nel suo scopo. Quat- tordicimila bamlìini sono trucidati perchè si arrivi n far morire Gesù Cristo; e solo Gesù Cristo campa il- leso da tanta carni ficina j e da ciò nuova prova della sua divinità. 1 Magi e i pastori ritrovano Gesù Cristo, che Erode cerca invano. Chi con animo perverso si co- munica, imita Erode. Con quali disposizioni si deve cer- care Iddio per poterlo sicuramente trovare.

Come però una molla violentemente da lungo tempo com- pressa, al togliersele l'ostacolo si dilata e scoppia con gran fragore; così lo sdegno crudele ed ambizioso di Erode ri- tenuto per due interi anni inoperoso sulla lusinga del ri- torno dei Magi^ proruppe infine in un eccesso unico negli annali della umana barbarie. Imperciocché il mostro, indi- spettito per l'alTronto ricevuto dai Magi, e furibondo per aver lasciato passare, sopra una vana parola, un lungo tratto di tempo in cui il Messia poteva essergli fuggilo di mano, depose ogni pudore, rigettò ogni freno, ed acceso di una rabbia infinita, manda i suoi crudi satelliti per tutto il paese Betlemme muniti di note tratte dai registri delle nascile (Lue. 2), e vi fa trucidare senza distinzione o pietà tutti i bambini nati dentro il biennio, dei quali gì' inter- preti fanno ascendere il numero a quattordici mila (A-Lap. in 2 Matth.).

Noi avremo altrove occasione di spiegare più ampiamente il mistero di questa strage; per ora ci contenteremo farvi sopra coi Padri qualche riflessione analoga all' argomento che andiamo trattando.

E primieramente, oh stolida audacia, esclama ?. Hai io di Arles su questo disegno di Erode di trucidar grìuuocenti, oli stolida audacia di feroce empietà! invano mediti reo con- siglio, invan lo eseguisci: potrai fare bensì dei martiri, ma non già trovare ed immolar Gesù Cristo: MhiI profécis, f'e- )0('issiin(V impietatis audacia; poteris martyrrs /licere , Chrisluiii non poteris invenire (loc. ciL). Infatti, aggiunge S. Fulgenzio, il bambino nato di recente non può trovarsi avvolto nella strage di tanti innocenti che muojono perché

i

LETTURA SETTIMA 363

esso é l'aspettazione di tutte le jjenli che sperano. 11 suo sangue non può essere mescolato e confuso col sangue de- gli altri nati, perché deve essere versato per la remissione di tutti i peccati. E questi stessi bambini indarno sarebbero trucidati, se dal sangue di lui non venìsser salvati: Iste ita- qiie puer qui natus est ideo non invenilur in numero par- vuloruiu ìiiorientiuni j quia ipse est expeclutio fientium. Sanfjuis hujus pueri propterea non cum istorum sanguine funditur puerorunij quia solus in remissioncm fundendus est peccatoruni. Et UH omnis pueri inaniler morcrentur , ni^i liujus sanquine salva rentur.

I Magi ed Erode cercan adunque al medesimo tempo Gesù Cristo, ma ahi,, dice S. Agostino, quanto sono però di- verse le disposizioni dell'animo onde queste due specie di persone desiderano e sono sollecite di ritrovare il medesimo oggetto ! I 3Iagi cercano in Gesù Cristo il redentore in cui sperano; Erode lo cerca per disfarsi in lui di un successore che paventa. 1 Maglio cercano per riceverne la vita; Erode per arrecargli la morte. I Magi lo cercano perchè egli loro tutti i peccati rimetta; Erode perché sopra di lui commetta il maggiore di tutti i peccati: Herodes iiuiet successorem , Maqi desiderant redemplorcvì. Ulrique quwrunt: Maqi per queni possint vivere. Herodes queni cupit occidere. Iste in quem peccatum grande comrnitlal j idi qui omnia coruni peccata dimittat (Semi. 66 de div.). Mirate però diverso esito di queste disposizioni diverse. I 3Iagi ritrovano Gesù Cristo che cercano con cuor fedele; e la stella e la profe- zia, i Giudei ed Erode, i nemici slessi di Gesù Cristo tutto loro lo addita, lo fa loro trovare. Erode però coll'empielà nel cuore lo cerca invano; e la stessa astuzia, lo stesso inganno teso alla semplicità dei Magi, e dal quale si augura un sicuro successo alle sue inquisizioni, non serve che a metterlo nella impossibilità di trovare colui di cui va in traccia. Oh stolido Erode! gli dice perciò S. Agostino, uccidi quattordici mila bambini per odio un solo; e tra tanti morti il solo bambino che tu cerchi rimane in vita e campa illeso dalla strage che per lui hai fatta: Unum qucfrilis, ei multos occiditisj et ad unum qui unns est pertingere non potestis (Serm. 1 de Innoc.)

364 LETTURA SETTIMA

Ascoltiamo pure S. Pier Crisologo, che cosi parla: i .Magi che hanno interrogato con animo sincero e puro, ricevono la risposta che li consola, li salva e li fa felici. Sono istruiti, dagli stessi nemici di Gesù Cristo, del luogo in cui trovar Gesù Cristo, e lo trovan difatti. Erode, che interroga con animo empio, non riceve la risposta della pietà; e l'avviso, il messaggio dell'eterna salute, che Dio gì' inviò per mezzo dei Magi, accolto da lui con animo maligno e perverso, si cambiò in sua condanna e in sua ruina. 11 servo contumace e protervo ascolta che é nato il suo signore e padrone; ma, invece di andare ad onorarlo, macchina ucciderlo, e col prezzo di questa morte pensa di acquistare la sua libertà. Ma, oh falsi calcoli! oh stolidi disegni! Come non poteva Dio finire, perir la salute, la vita morire: così il Signore é onorato coU'adorazione dei iMagi, ed il servo rimane nell'i- gnominia e nella reità del suo macchinato delitto. Lo scel- lerato che ricusò di venire a rendergli omaggio é strasci- nato a riceverne il supplicio; e colui che ripudiò la grazia che lo avrebbe salvato vien colpito dalla sentenza che lo danna e lo perde: hiterrotjanlihus non pie clalnin est sine pìciate responsuvi: sahilis ^luncius male audienlibus con- versus est in riiinam. Conliuiiax servus audit natum do- minunij sed domino nascenti parai laqueoSj non honorem; niortem prcuparat ut careat seruilute. Sed, quia nec finire DeuSy nec perire saìus, nec vita poterai inlerire; perma- nel in lionore dominus, servus remansil in crimine, ti ad piEnam Iraliilur <]ui ad obsequium venire coìittmpsil , ca- pilur ad senlcntiam qui ad (jratium noluif pervenire.

Questo gran fatto però somministra ai Padri ampio ar- gomento di morali riflessioni molto importanti: sceglia- mone almeno due sole. S. Cipriano da prima dice: Sono simili ad Erode coloro che col peccato nell'anima si avvici- nano alla santissima Eucaristia. Come Erode essi mostrano di andare a ricevere Gesù Cristo per adorarlo nel proprio cuore, mentre ci vanno strascinativi dal timore degli anatemi o dall'impero del rispetto umano: e non fanno che insul- tarlo, profanarlo e, come si esprime S. Paolo, ucciderlo in certo modo nel proprio cuore. Ed invece di ritrovare nella

LKTTUr.A SETTIMA 365

partecipazione al santo mistero l'aumento della grazia che li perfezioni, non vi trovano che il delitto che li perde, di aver profanato il corpo santissimo del Signore : Sed cave ne Herodi effìciaiis similifi et dicasi Vi et ego veniem adorem eum; cuinque venerisj coneris. Hujus cnim siiniles siint qui indi- ane abutuntur coinmunione mtjslerii. Reus est cnim, in- (juanij ile corporis ci samjuinis domini (De steli, et Mag.). S. Ilario di Arles poi ricava un' altra istruzione morale dallo stesso avvenimento: poiché, gran cosa, dice egli, gran cosa! il cielo e la terra aveano annunziato all'universo la nascita di Gesù Cristo. I pastori lo ritrovano, non ostante la loro semplicità, la loro rozzezza. Lo ritrovano pure i Magi, sebbene lontani non solo dal luogo della sua nascita, ma ancora dalla verità della sua religione. Solo Erode, re astuto e potente, Erode, che lo ha non più che alla distanza di sette miglia dalla sua regia. Erode, che può disporre di tanti mezzi, di tante armi, di tanta gente, solo Erode noi trova. II tiranno rimase deluso nei disegni del suo stolto fu- rore. E perché? Perché i 3Iagi sono religiosi e pii; Erode é un sacrilego, un empio; l' insincerità, la doppiezza, la perfi- dia non possono ritrovare Gesù Cristo. Dio non si deve cer- care col sentimento di un odio segreto nel cuore, ma col pio desiderio della fede. L'umile preghiera spiana le vie per andare a lui: il sacrificio e 1' ofi'erta di medesimo é il mezzo di scoprirlo e di godere di lui. Bisogna adunque che imitiamo anche noi la fede, la pietà, il candore dei Magi, se vogliamo come i Magi ritrovare il Dio nostro: Ecce cujus terra et ccJBÌum ostendebanl aduentum , qui paslorum sim- plicitatem non latebatj quem Magi de extrema /Elhiopice venientes parte cognoscunt, solus ad illum non potest rex sacrilegus pervenire, Fallilur ergo siulli furor ty ranni: Ch rislum non potesl invenire perfidia. Deus non crudeli- tate, sed credulitate qucerendus est, muncribus promeren- duSj orationibus inquirendus. Nos ergo imitemur Magos , si Deum nostrum volumus invenire (Serm. de Epiph. et in- fimt. occ). Tant' é: chi vuole ritrovare Gesù Cristo bisogna che, ad imitazione dei Magi, risponda subito con docilità di cuore alla sua divina chiamata; bisogna che voglia vera-

Btìlezze dello f*-de U. 16

366 LETTURA SETTIMA

mente essere illuminato dalla sua fede e santificato dalla sua grazia. Con queste disposizioni Gesù Cristo si trova veramente, si trova subito, si trova sempre. Dio é buono, amoroso, pio a chi ha umile lo spirito, retto e sincero l'af- fetto: Quam bonus, Israel , Deus iis qui recto sunt corde! (Psal. 72). Chi così lo cerca, lo trova, chi così lo trova, vive della sua vita divina ed è felice in lui e con lui per l'eternità: Laudahunt Domìnum qui requirunt eum, vivenl corda eorum in sceculum saculi (Psal. 21). Ma guai ai nuovi Erodi che, coU'amore della verità nella bocca e colla dop- piezza nel cuore, studiano la religione, non per crederla, ma per impugnarla; che sofisticano sulla legge divina non per adempierla , ma per eluderne le obbligazioni : Vcb du- plici corde! (Eccl. 2). No, dice S. Gregorio, no, che non ritrovano essi il Dio che fingono di cercare, mentre sem- pre più da lui si allontanano. E se un giorno lo trovano, sarà esso il Dio severo, il Dio giudice che li condanni, non il Dio pietoso e clemente che li salva e li renda felici : Qui dum fiele qucerunt, invenire Dominum numquam merentur (Homil. iO in Evang.).

§ IX. - La strage degli innocenti fece nota al mondo la nascita di Gesù Cristo. Furie di Erode dopo questo ec- cesso e sua disperatissima morte. Perchè Gesù Cristo permise la strage di tanti pargoletti. Essi sono stati veri martiri e primizie e figura di tutti i martiri cristiani, come Erode lo fu di tutti i persecutori del cristianesi- mo. Avvertimento di Gesù Cristo a non temere l'uomo, che può farci male solo nel corpo ; ma Dio , che solo può dannar l'anima per V eternità.

rVon solamente però Erode colla strage atroce di tanti innocenti, non potè trovare Gesù Cristo, ma, senza volerlo, concorse a propagarne la gloria e il nome. Imperciocché dalla Giudea giunse tosto a Roma, e da Roma si propagò tosto per tutto il mondo, colla nuova dt'llo scempio unico, brutale, spietato, compiuto da Erode, anche la ragione che ve lo spinse; la nascita, cioè del nuovo re de' Giudei, o del Messia, che, secondo ci attestano autori anche profani, circa quel tempo era aspettato nel mondo. Oh profondi con^

LETTURA SETTIMA 367

sigli delK-» sapienza infinita , che ha convertito 1' atto della più atroce barbarie dell' uomo , in un mezzo da far cono- scere al mondo la venuta del Messia, l'atto della più grande degnazione di Dio ; che ha legata ad una novella luttuosa di strage e di sangue la Vieta novella della misericordia e dell'amore: che si è servito di Erode, il più grande nemico di Gesù Cristo, per farne,direi quasi, il suo primo evangelista! Mentre però Erode colla sua crudeltà servì a glorificare Gesù Cristo, si coprì egli stesso obbrobrio, divenne un oggetto orrore e esecrazione agli occhi dell'universo. Ma che dico io mai, agli occhi dell'universo? Ai suoi me- desimi occhi -divenne ancora un oggetto esecrazione e di orrore. La memoria funesta tanta strage , fissa sempre nella ribalda sua mente, gli tolse agli occhi il sonno, il ri- poso agli affetti, amareggiò tutte le sue delìzie, gli rese odioso il suo stesso potere. Da quell'istante tutte le furie dell'in- ferno presero a possederlo, a tiranneggiarlo, a lacerarlo, a renderlo profondamente infelice. Alle ambasce, al rimorso, alla disperazione nel cuore la divina giustizia aggiunse una orribile infermità che cominciò a distruggerne il corpo. Quella carne sacrilega pullulò da tutte le parti vermini schifosissi- mi, che, figure del verme divoratore della coscienza, ne pre- sero a rodere tutte le membra, sicché vide lo snaturato ca- dérgli a brani le carni snaturate, ricettacolo impuro di un'a- nima rea. Due interi anni passò in quest' orrendo strazio del suo corpo e del suo cuore ; finché, non reggendo a tanto cruccio, a tanto dolore, chi dice veleno, chi colla spada si tolse egli stesso il mìsero avanzo di vita odiosa che gli restava, perché solo Erode era il più acconcio carnefice di Erode. INell'eccesso del suo furore, pria di morire, avea dato ordine che, lui appena spirato, fossero trucidati tutti i grandi della Giudea, che perciò avea messi in catene; affinché il lutto che questa strage novella avrebbe sparso nelle princi- pali famiglie ed in lutto il popolo temperasse la gìoja con cui il popolo accoglierebbe la nuova della morte del suo. tiranno. Ma quest' ultimo disegno, quest'ultimo respiro di crudeltà di un cuor feroce, non avendo avuto esecuzione» il barbaro mori solo, acnompagnato dall'universale tripudia

368 LETTURA SETTIMA

degli uomini al sepolcro e dalla divina giustizia negli abissi: primo spaventevole esempio dei tiranni persecutori di Gesù Cristo e della sua religione, che nel suo nascere tentarono di spegnere nel sangue, e che come hanno imitata la bar- barie di Erode . ne han diviso anche in questo mondo il castigo, non vivendo nella memoria degli uomini che per un nome esecrato e ricoperto d' infamia.

In quanto poi agl'innocenti da questo mostro immolati, oh gloria, oh grandezza,, esclama S. Agostino, oh potenza del nostro re e Signore Gesù Cristo, del Verbo di Dio, del Dio infante! Erode colla strage spietata di tante vittime al- tro non ottenne che gravarsi di un enorme misfatto, e, pria di togliere loro la vita del corpo, uccidersi nell'anima esso stesso, mentre a suo dispetto Gesù Cristo, adorato dai Magi, confessato dai fanciulli , come seppe trovarsi dei credenti prima di cominciare a parlare, così, prima di cominciare a patire seppe formarsi dei martiri : Herodes cum cruenlissi- mam cceclein fucilj seipsiun tanta inìquitate primitns inter- fecil.lnterea rex nosler Christus^ Ferbum Dei^ infans DeuSj Mafj'ìs illuni adoraniibus , parvulis prò ipso morienlibiis , nonduìii locutus credentes inocniebat, nonduin pasaus inar- tyrcs f'aciebat (Sgrm. 66 de divers.).

Ma come mai, siegue a dire lo stesso santo Dottore, co- lui che, nato appena, fece suoi predicatori gli angioli, suoi evangelisti i cieli, suoi adoratori i Magi, non potè impedire che tanti bambini innocenti fossero trucidati per lui ? Lo potè senza dubbio e lo avrebbe fatto, se la strage di que- sti fanciulli fosse stata una morte deplorabile per loro , e non piuttosto un passaggio ad una vita immortale e felice. Poiché non si può pensare, senza offendere la divina bon- tà, che Gesù Cristo, venuto a liberare gli uomini, non ab- bia fatto nulla per premiare quei bambini che furono uc- cisi per cagion sua, quando sulla croce pregò per la salute di coloro da cui fu ucciso egli stesso : ISani qui potuit na- tus ìiabere prcedicatores antjeìoSj narratorcs cceloò, adora- tores Mafjosj potuit et illisj ne prò to inorirtntur prxstarc^ si scirel iìla morte perituros ti non polius majore felici- tate victuros. Jbsil ul, ad libeiandvs ìwinines Cluistns ve-

LETTURA SETTIMA 309

niens, de illorum prunnio qui jpro eo inler/icierenlur, nihil egeril qui, pendens in U(jno ^ prò eis a quibus interficAe- batur oravit (ibid.).

Oh beati pargoletti perciò, continua lo stesso Padre, oh beati pargoletti, nati di fresco, non ancora tentati e pria di combattere già coronati! colui solo può dubitare che siete stati veri martiri per Gesù Cristo che non crede che possa giovare ai bambini il battesimo di Gesù Cristo. I\on ave- vate, è vero, l'età necessaria per credere in Gesù Cristo che dovea per voi patire, ma avevate però la carne in cui po- tevate patire per lui che dovea patire per voi : 0 beali par- Villi, modo nati, numquam tentati, nondum Juctati, javi co- ronati! ille de vestra corona dubitavit in passione prò Cliri- sfo, qui etiam baptisnium parvulis prodesse non exifJiinut Cliristi. Nani habebatis quidem wtatem qua in Christum passurum crederetis, sed habebatis quidem cameni in qua prò Christo passuro passione sustineretis (ibid.).

S. Fulgenzio pure, sopra i motivi onde Gesù Cristo per- mise la strage degl'innocenti, apostrofando Erode parla così: Oh stolido Erode I non ostante una strage ampia e cru- dele , non solo non aggrappasti il bambino di cui andavi in cerca, ma ancora, senza volerlo, giovasti agli altri bambini che credesti di spegnere. Erano essi innocenti per la loro età, e sono divenuti martiri per la tua crudeltà. Il bambino di Betlemme che regge il mondo ch'esso ha creato, e che tutto fa ciò che vuole e come lo vuole, servissi della tua in- vidia furiosa per concedere a quelle anime felici una vita gloriosa ; e dispose che tu, loro spietato nemico, a tua dan- nazione procurassi loro una sorte che loro non potea pro- curare il più insigne benefattore ed amico. Perciò dunque permise a te di trucidarli per farli trionfare di te , e . la- sciando a te l'odiosità del delitto, apprestar loro la gloria della palma. Questo bambino che vagisce é esso stesso Si- gnore onnipotente ; questo bambino che si è degnato di fug- gire la tua crudeltà è esso stesso il Dio di cui tu non po- trai sfuggire la maestà. Imperciocché non fuggì per timore da uomo, ma per disposizione da Dio; non fuggì per neces- sità di difesa, ma per autorità d'impero. Pei'ciò si é com-

^10 LElTtRA SETTIMA

piaciuto di ritirarsi in Egitto per riserbarsi poi con maggior degnazione a salir sulla croce. Questo bambino, che è ve- nuto ad incontrare la morte, é esso stesso colui che dispensa la vita. Lo stesso bambino è al medesimo tempo immortale perchè ha Dio per padre, e mortale perché ha per madre Maria; ed esso stesso come morrà per suo proprio volere, così risusciterà per suo proprio potere: Et icimen non soìum istum pueriim non invenisti , imo insciiis ^ quod ilìis prò- desset j hoc egisti. Per scevitiam quippe tuam facli sunt mar ty ras qui per infanliam suam fuerant innocentes. Iste itaque puer qui mundum crecwit^ qui mundum regilj qui omnia qucecumque vuìt facil , hoc egil , ut per tuam invi' diam furiosam illi pueri mortem susciperent gloriosam j et qiiDd eis j ad salutem suam, prcestare non posstt ami- cuSj hoc, ad damnationem tuam, faceres inimictis. Ad hoc ergo permisit te infanles occidere , ut illos de te faceret Iriumphare. Unus enim idemque est Dominus omnipotens qui parvuìus vagiens; unus idemque est qui tuam crudeli- tatem dignatus est fugere, cujus majestatem non poles ef- fugerc. Fugit enim non formidine humana, sed dispensa- tione divina: fugit non necessitate, sed polestate. Ideo au- iem dignatus est in /Egyptum fugere, ut postea crucem di- gnareiur ascendere^ unus enim idemque est inortis susce- pior , vitoique ìargitor , unus idemque est immortaìis ex pafre , mortaìis ex matrej propria voìuntate moriens , propria polestate resurgens (Serm. de Epiph.).

S. Leone fa sullo stesso proposito un' altra bella rifles- sione. Gesù Cristo, dice egli, aflinché nessuno dei tempi della preziosa sua vita fosse senza un qualche grande mira- colo, prima ancora di cominciare ad usare la lingua, tacendo ancora manifestava la potenza del Verbo di Dio che esso era: e come se sin d'allora avesse voluto dire ciò che disse di- poi nel Vangelo: « Lasciate che i fanciulli vengano da me giacché il regno dei cieli é loro proprietà; » nato appena, coronava i pargoletti, morti per lui, di una gloria novella: e consacrava le primizie dell'umanità, per dimostrare che non vi è alcuna età dell' uomo incapace di partecipare ai suoi divini misteri, posto che ha renduta anche l'infanzia

LETTURA SETTIMA 87Ì

capace ed atta al martìrio: Chrislus, ne ultum ei tempiis esse! absque niiraciilOj ante usum litujuce poteslatem verbi tacihis cxercebalj ut ([luisi jam dicerel: « Sinile parvulus venire ad ine ^ ialiuiìi est eìiim reijnum ccBlorum j » nova (jloria coronabat infanles , et de initiis suis parvuloruni primordia consecrabat j nt disceretiir neminem homimnn divini non capacein esse sacramenti j quando etiam Uhi celas esset apta martyrio.

Ascoltiamo in fine il più volte citato S. Ilario cantare le L'iorie di queste primizie dei martiri. Oh mistero! dice egli; i pargoletti sono trucidati per Gesù pargoletto/ l'innocenza muore per la giustizia. Oh felice età che, non potendo ancora confessar Gesù Cristo, ha avuta la sorte di essere per Gesù Cristo immolata! INon sembrava ancora capace di ricevere i tormenti, ed è fatta idonea a sostenere il martirio! Oh bambini fortunatissimi nell'esser nati in tal tempo e in tal luogo ! Suir aurora della vita temporale venne loro subito incontro la vita eterna! Sembravano immaturi per morire, e muojono felicemente per vivere, appena collocati nella culla sono elevati alla corona; e dagli amplessi delle loro madri terrene sono rapiti nel consorzio degli angeli del cielo: Occidimtur prò Christo parvuli, prò jiistilia moritur innocentia. Quam beata celasi Necdum Chrislus polesteloquij nt jaìn prò Christo meretiir interfici. Nonduin opportuna vulneri et jam idoìiea passioni. Quam feliciler nati quibus in primo nascendi limine alterna vita obviam venitì Imma" turi quidem videnlur ad mortem , sed feliciler moriuntur ad vitam; nondum ingressi infantice cunas, jam rapiunlur ad coronaSj rapiunlur quidem a compìexibus matrum, sed reddunlur (jremiis angelorum.

Ma nella vita di Gesù Cristo è stata figurata e descritta la vita, come pure i privilegi, le grazie, le virtù, le vicende, le glorie di tutti i veri cristiani. Perciò, dice un santo Pa- dre, come la chiamata dei Magi figurò la vocazione dei gen- tili, e la barbara empietà di Erode fu la profezia della cru- deltà dei tiranni pagani contro i fedeli di Gesù Cristo; cosi gl'innocenti uccisi per lui figurarono tutti i martiri che per lui pure colla semplicità e coll'innocenza dei fanciulli avreb-

372 LETTURA SETTIMA

bero sostenuta la morte : Dei gratin^ el in tribus viris va- catìo genlium et in recje impio crediililas pagatioìiim et in occasione infanliiun ciuictorum marlyruiìi forma prce- cessit.

Quindi, (lice ancora S. Cipriano questi fortunati fanciulli che Erode, l'obbrobrio della specie umana, il nemico della pietà, il tipo di una bestiale sevizia, il mostro di una cru- deltà senza esempio, tolse di vita, divennero tosto veri mar- tiri; e mentre, strappati dal seno delle loro madri, erano barbaramente trucidati in luogo di Gesù Cristo, rendevano a lui colla loro morte quella testimonianza che non pote- vano ancora rendergli colla lingua. Ora tuttociò fu un pre- ludio di quello che dovea più tardi accadere. Come Erode fu vinto dalla debolezza degl'innocenti, così i tiranni per- secutori rimangon delusi dalla costanza dei martiri cristiani. Mentre credono essi i tiranni di spegner per sempre i fe- deli, altro non fanno gl'insensati che procurar loro una vita migliore; e formano la loro sorte, mentre credono di ordiie la loro rovina. E qual sorte più bella, qual lucro più certo e più copioso di quello di sofl'rire per pochi momenti e tro- varsi poi tutto ad un tratto al possesso della vita beata ed eterna! Ecce parvuli isti, quos hoslis naturai, pielalis ini- micns, bestiaìis scevitìcej inaudita^ crudelilatis monslrum , Herodes occidìt, subito fiunt martyres. Et dum vive CUri" sii et prò Christo avulsi a matrum uberibus detruncantur, teslìmonium , quod nondum poterant sermone, perhibent passione. Sic sanctorum persecutionibus tyrannns crudeìis illiiditur j qui dum piitat perdere quos occidit , meìioris vitw statum eis procurat et quod iììe in perdilionem moli- tur, hi uluntur prò beneficio; quibus lucra vita perpetuce^ per hwc momentanea domna, celeri compendio acquiruntur (De steli, et Mag.). Perciò ci dice il Signore nel Vangelo : « Non vogliate no aver paura di coloro il cui potere, ri- stretto a toglier la vita del corpo, non si estende al di del sepolcro; ma colui temete sohmente che solo comanda nella region degli estinti, e il cui tremendo potere è sopra il corpo insieme e sopra l'anima, e l'anima ed il corpo può condannare al fuoco eterno. Un'altra volta vel dico: supe-

LETTURA SETTiJlA 37e1

rìori, colla vostra costanza e col vostr*o coraggio, a tutto ciò che alla morte lìnisce. solo questo Dio onnipotente ed eternò temete ed i suoi jj^udiz] ed i suoi gastighi : Nolitc iiniere eus qui occidiinl corpus^ aniniain aultni non posaunl occidtre; sed tìniale ciini qui polest et aniinam et corpus perdere in gehennainj iterum dico vobis, hunc tiniete (Màtth; IO). »

§ X; - Certi delitti non si commettono che per una straor- dinnria partecipazione dello spirito diabolico. A tale in- fluensa funesta ascrivono i Padri l' eccesso di Erode. Prova che era il diOvolo che lo dominava , risultante dalla sua lui'bazione e dallUiuere (tifo stesso tempo cre- duto e non credulo alle sacre Scritture, Come si con- ciiia questa contraddizione; e come ogni (jiorno si ri- pelCj per la slessa diabolica influenzaj in tutti gii empj in tutti gli eretici e in tutti i peccatori.

K pur troppo verissimo che l'uomo che dimentica Iddio, l'a- nima, la morte, il giudizio, l'eternità, e che, a forza di secon- dare le passioni, se ne è reso il trastullo e lo schiavo, può dive- nire, e non di rado diviene difatti un bruto, un mostro, un portento d'iniquità; e non vi é legge che non violi, non vi è sentimento che non calpesti, non vi é limite che non tras- corra, non vi è eccesso che non commetta. Pure vi sono certi delitti (come per esempio, l'odio costante, implacabile, sma- nioso, furibondo, maniaco di Voltaire e dei suoi compagni e dei suoi successori contro la persona adorabile di Gesù Cristo e la sua santissima religione), che non s'intendono, per quanto voglia supporsi grande la cecità in cui si avvolge, la debolezza in cui cade, la brutalità in cui degenera l'uo- mo di delitto e di passione. Siccome adunque per ispiegare certi atti sublimi, certi eroismi di virtù, che escono dalle leggi della moralità umana, bisogna ricorrere ad una ispi- razione possente, ad una grazia trionfatrice. ad una comu- nicazione straordinaria dello spirito di Dio che abita nel cuore del giusto; così per ispiegare certi misteri profondi d'iniquità, certi errori che escono dalle leggi dell' umana perversità , bisogna ricorrere ad un tremendo impulso , ad una energia infernale, ad una specie d'invasione dello spì- rito del diavolo che risiede nel cuore del peccatore. Inva- io

'òl'i LETTURA SETTIMA

sione di tutte le potenze dell' anima ( ben diversa dall' in- vasione diabolica del corpo, cbe può essere senza peccato), invasione che non distrugge in essa, ma corrobora orrenda- mente la libertà del male e glie ne lascia intera la reità; come la effusione ineffabile dello spirito di Dio nell'anima giusta non distrugge, ma innalza in essa la libertà del bene e glie ne lascia il merito intero. Sicché come l'uomo vera- mente santo, che sorprende, che incanta coli' eroismo delle sue virtù, é una prova vivente, visibile dell'azione divina nell'anima umana che la ispira, la conduce, la ingrandisce, la fortifica, la eleva, la divinizza; così l'uomo veramente per- verso, che spaventa, che fa inorridire coll'abbominazione dei suoi vizj, è una prova vivente, visibile dell'azione dia- bolica sullo spirito umano, che lo informa, lo anima, lo stra- scina, l'opprime, lo degrada e lo fii divenire non so se io dica un diavolo umanato o un uomo indiavolato.

Ora, se vi furon mai uomini di questa tempra, uno ne fu certamente Erode. E come mai può comprendersi che un uomo, per ambizione e gelosia di un regno, di cui non po- tea a lungo gofiere egli stesso essendo di già settuagenario, e che non intendeva di assicurare ai 'suoi figli che non amava, abbia potuto pur solamente pensare a scannare quattordi- cimila fanciulli innocenti nel seno delle loro madri, se non si suppone effatto indiavolato? Cosi ne han pensato gravis- simi Padri. S. Leone chiama il diavolo V occulto istigatore, il consigliere secreto di ciò che allora fece Erode nel suo fu- rore: Herodis dialìohis tunc fuit o e cu I tus incenlor (Serm. 6 Epiph.). S. Massimo dice pure che i pensieri, i disegni, i misfatti di Erode, in questa circostanza furono ispirati, or- dinati, compiuti dal diavolo, che era in lui, in lui operava e che di lui servissi come di un idoneo ministro ed esecu- tore fedele delle infernali sue volontà, per uccidere Gesù Cristo, 0 per contristarne il lietissimo nascimento colla strage di tanti innocenti, x\Ia rimase nell'uno e nell'altro disegno deluso: giacché Gesù Cristo gli fuggì di mano; e presso i fedeli l'uccisione di tanti fanciulli non è un argomento di tristezza, ma di gaudio; e Gesù Cristo rimuneratore giustis- simo, siccome fece partecipi del merito della sua passione.

LETTURA SETTIMA 375

questi pargoletti che patiron per lui, li fece ancora partecipi della sua gloria, e soffri pazientemente ch'essi perdessero la vita temporale, perchè nella sua misericordia avea loro preparata l'eterna: Hcec omnia acjehat per Herodem dia- bolus j iamqnam per voluntatis sme ministrum , ut aut Christma perimeret , aut parvulorum nece ìcelissimum Chrisli contrislaref inyressumj sed nulìa fit apud fideìes de innocenlium morte^ trislìlia. Quia Christus justissimus relrihutor, propter se passos sme fecit pariicipes passio- iiis; aique eos guibus vilam ìibenter parabnt (eiernam , patienter permisit occidi (Serm. 5 Epiph.).

Si ascolti in fine sopra la stessa materia un bel discorso di S. Giovanni Crisostomo, o di chiunque siasi VJmperfetto. In quanto a me, dice egli, credo che, all'annunzio dei Magi di essere già nato il Messia, non fu tanto Erode che turbossi in stesso, quanto il diavolo in Erode: Puto quod non tan- tum Herodes turbatus est , quantum diaboìus in Herode (loc. cit.). Il timore di Erode non potè avere che un sospetto per fondamento: quel del diavolo però avea una specie di certezza. Erode non credeva che uomo il fanciullo di Bet- lemme : il diavolo lo conosceva anche Dio, giacché avea udito gli Angeli cantare in aria attorno alla sua culla : « Gloria a Dio nei cieli, e pace sulla terra agli uomini di buona vo- lontà. » E come, per la venuta dei Magi in Gerusalemme, si andarono moltiplicando le testimonianze in favore della mis- sione divina di Gesù Cristo: così il diavolo temette allora anche di più che la nascita di questo bambino potesse di- struggere il suo impero: Herodes enim timebat qucB sus' picabalurj diaboìus autem timebat quod vere sciebat. He- rodes hominem astimabat , diaboìus Deum cognoscebat. Àudierat enim jam Angeìos in cere cìamantes: Gloria in excetsis Deo j et in terra pax hominibus bonce voluntatis. Ideo quanto magis testes addebantur prò Christo, tanto ma- gis destructionem potestatis suce diaboìus timebat (ibid.). « Si turbarono adunque tutti e due, e l'uno nell'altro per proprio interesse, e temettero di avere entrambi in Gesù Cristo un rivale. Erode nel suo regno politico sopra i Giu- dei, il demonio nel suo regno spirituale sopra tutti gli uo-

Èfé LETTURA SETTIMA

mini. Erode temeva un re terreno, il diavolo un re celeste. l\è Erode si sarebbe atterrito se avesse potuto persuadersi che il regno di Gesù Cristo era solamente spirituale e ce- leste sulle anime; ne il demonio se avesse potuto credere che Gesù Cristo veniva a regnare temporalmente sui corpi : Unusqiu'sque ergo eorum zelo proprio turba tur ^ et secun- (lutn suam naturam sui regni successorum timebat, Hero- (ies terrenum^ diaboìus autem coelestem. Nani nec Herodes ierreretur, si cceìestem regem nasci suspicatus fuissel, nec diaboluSj si terrenum (ibid.). » E poco dopo lo stesso Dot- tore continua ancora così : « un'altra prova che il diavolo, da cui era posseduto Erode, in lui si turbava, si è che Erode interrogò i depositar] delle sacre Scritture, cosa che, sic- come non credeva per nulla alle sacre Scritture non avrebbe mai fatto, se non fosse stato a ciò istigato dal diavolo, che ben sapeva che* le Scritture non mentiscono. Giacché il dia- volo conosce molto bene la verità anche mentre trascina gli altri all'errore: Ex hoc apparet maxima quia diaboìus tur- babatur in Herode, quoniam doclores legis interrogai. Ut quid enim interrogai Herodes, qui non credebat Scripturis? Sed insiigabat diaboìus qui credebat quod Scrii)lur(e non mentiretur. Nam diaboìus alias in errorem induciti ipse aniem veritatem bene cognoscit (ibìd.). »

Ma se è vero, come è verissimo, che la libera volontà di Erode entrò ancora in questa interrogazione per qualche cosa, non è evidente che Erode si pose in contraddizione con medesimo ? Imperciocché, se, empio com'era, non credeva alla divina autorità delle Scritture, a che fine consultare un libro di cui metteva in ridicolo, come vani, gli oracoli ? Si non credebat j ad quid interrogabat Scripluras, quas pula- bai esse vaniloquast (ibid.) Se poi credeva che le Scrit- ture contengono la parola di Dio, come potè mai lusingarsi di giungere a trucidare un re che Dio stesso avea predetto nelle Scritture che regnerebbe sopra i Giudei? può forse l'uomo, anche un re o imperatore, impedire quello che Dio stesso ha disposto che accada? Aul si credebat, quomodo sperabat illum se posse inlerfìcere quem regem fulurum Scriplune esse dicebanl? numquid poterai homo cor rigore

Lf:TTUft4 SKTTIMA 377

ut ne fieret ({uod Deus ordinavil ni fiereH (ibid.) L' una e l'altra cosa è vera. Erode avea fede bastante per trarne oc- casione da commettere il male ; non ne avea però per tro- varvi il motivo da operare il bene : Credtbal Herodes in maìoj sed non credchal in hono ( ibid. ). Credette che le Scritture dicessero il vero nell' indicare che faceano Bet- lemme come il luogo della nascita del Messia; non cre- dette però impossibile di potere egli , pure uomo , perse- guitare ed uccidere l'inviato stesso di Dio. Giacché non si conduceva solo col proprio consiglio , ma coli' ispirazione ancora del diavolo, che lo teneva come suo prigioniero e suo schiavo: Qiiod indft filerai nascitiirus rex unde Seri' pturce dicebanl j credebai; quonìam autcm adversus illum (igere non poterai queni Deus millebatj non credebai. Quia non suo Consilio (jubernabaturj sed vinculo diabuli Iralic- batur ìi(jatus (ibid.).

Eccovi adunque uno degli orribili misteri del cuore umano che ogni giorno, anzi in ogni istante si rinnova. Tutti gl'in- creduli, tutti gli eresiarchi si conducono al medesimo modo. Pensate voi che essi veramente non credono quello che dì- cono di non credere; o che credano veramente con pieno convincimento, con una adesione tranquilla e perfetta i loro dommi funesti e i loro errori ? Pensate voi,, per esempio, che l'aieo non crede veramente Dio., che il deista non crede il cristianesimo, che l'eretico non crede alla cattolica Chiesa? No, non è così ; ci credon assai bene, e nei lucidi intervalli che loro lascia il parossismo dell'orgoglio, quasi non volendo, rendono testimonianza alla verità o colle parole, o collo scritto. Tutti i loro libri sono di queste testimonianze ri- pieni; mista alla bestemmia vi si trova la lode; all'insegna- mento dell'errore vi è unita la confessione della verità. Cre- dono adunque e non credono. Credono Dio per negarlo, non credono a Dio e in Dio per adorarlo e per amarlo. Credono il cristianesimo per impugnarlo, non lo credono per seguirlo. Credono alla Chiesa per calunniarla, non le credono per ascol- tarla. Come Erode, credono per convertire la loro credenza in laccio di morte, non credono per attingervi un principio di vita; anzi, come i demonj , credono tremando, ma non

378 LETTURA SETTIMA

credono amando ì hanno in orrore la verità che conoscono, non han consolazione nell'errore che predicano. Impercioc- ché non solo l'ipocrisia, ma la contradizìone ancora è il costitutivo di ogni errore, e tutte e due si trovano nel fondo della mente e del cuore di quanti lo professano.

Il citato autore estende questo mistero di contradizione a tutti i peccatori che, per l'eccesso dei loro vizj, sono in una particolar maniera caduti sotto l'assoluto impero del diavolo, e per cui mezzo esso opera, come per mezzo de' suoi satel- liti opera ogni vile tiranno: Sic sunt omnes homines pec- cato res ^ in qiiibus diabolus operaiur. Credono essi e non credono allo stesso tempo alle verità contenute nelle sacre Scritture e dalla Chiesa insegnate: perchè il demonio, cui so- nosi dati volontariamente in potere, non permette loro di credere come si deve , cioè di compiere coli' opera quello stesso che credono col cuore: Crecìiinl Scripluris et non ere- dnnl; quia hoc ipsuni quod credunlj perftcte credere non permillìintur (ibid.). Credono adunque per la forza della ve- rità che conoscono, non credono per la tirannia del demonio che li accieca: Quod credunl, veritatis est virlusj quod non credunlj exccscatio est inimici. Così, per esempio, quanti siamo cristiani e leggiamo la Scrittura sappiamo che il mondo perirà un giorno distrutto dal fuoco e che, pria del mondo, periremo alla morte noi stessi. Queste stesse verità però che professiamo colla lingua e col cuore, non bene le crediamo; mentre le sentiamo coli' opere. Ah che , se credessimo con fede viva e perfetta la morte che da per tutto e' insegue, il giudizio che ci attende, l' inferno che ci minaccia , noi vi- vremmo nel mondo come passeggieri , come estranei , non come abitatori perpetui e come pacilici cittadini del mondo! ÌNoi vivremmo come chi pu«^ ad ogni istante morire ; non come se la vita non avesse fine, e l'eternità non dovesse mai cominciare : Ulpote omnes qui christiani suuius et le' tjimus^ scimus quia mundus consumendus est, et quia mo- rituri sumus ; et hoc ipsum tamen perfecte non credimus. Si enim perfecte crederemus, sic viveremus quasi post mo- dicuìiì transiluri de hoc mundo , non quasi in (tternum viansuri (ibid.).

LETTURA SETTIMA 379

§ XI» - Il (ìeìillo de' Giudei più (jrande di queìlo di Erode. Ad onla dell' esempio dei Magi non si dan pensiero di andare a Gesù che sapevano con certezza essere Mes- sia. Noncuranza che mostrarono di ritrovare il Signore per adorarlo j mentre Erode mostra tanto zelo di tro- varlo per ucciderlo. Solo mostrarono zelo quando trat- tassi di farlo crocifìggere. Profezia intera di Michea e sua spiegazione. 1 Giudei maliziosamente ne scoprirono ad Erode la parte che poteva accenderlo in furore, tac- quero quella che poteva calmarlo. Così congiurarono con Erode alla morte del Messia , e furono la causa della strage degV innocenti. Eccitarono contro Gesù Cristo ìa politica di Erode per la stessa ragione onde più tardi eccitarono quella di Pilato. Loro imitatori , i ministri dell' eresia eccitano la gelosia dei principi contro la Chiesa; e con ciò provano la sua verità.

Ma la condotta de' Giudei in questa memorabile circo- stanza ha,, dice S. Cipriano, qualche cosa di più strano e di più odioso, ed il loro sacrilegio è ancora più orribile della stessa empietà di Erode. Poiché abusarono del privilegio di essere i depositar], gl'interpreti delle Scritture e della gra- zia che Dio avea loro fatta di visitarli di persona, per far causa comune con Erode, per incominciare con esso una gara infernale: per superare la scelleratezza di lui colla propria infedeltà, per fremere e accendersi di un comune odio con- tro di Gesù Cristo, cioè a dire che, anche in parità di de- litto, i Giudei furono tanto più rei di Erode quanto più erano stati da Dio distinti e beneficati: l\ec minus horren- dum scribarum sacrilegium quam Herodis impietas , quia proprio Judcei abutentes privilegio, cum visitationis divincp invenirentur ingrati, causam sibi cum Herode fecere com- munem , cum hinc et inde impietas et infìdelitas adversus dominum et Christum ejus fremerei, et pariter in odio con- sentirent (De steli, et Mag). Procuriamo di studiarla alcun poco questa condotta, per vedere a quali eccessi trascorre Tuorao che abborre ed odia la verità.

A buon conto i pastori, ricevuta appena dall'Angiolo la ri- velazione della nascita del Salvatore, abbandonato il ^ve^^e^ Andiamo, dicono fra loro, andiamo subito a Betlemme, a ri-

MO LkTTÙiiA SETtiMÀ

conoscervi, a venerarvi questo Verbo di Dio fatto uomo che Dio nella sua misericordia si é degnato di manifestarci: Et pastores loquebantur ad invicem: Transeamus iisqtw ad BeUile/iem ci videamus hoc verbiim quod facUim est et quod Deus oslendit nohis (Lue. 2). 1 Magi pure, avuta la stessa rivelazione pel ministero della stella, abbandonano i loro re- gni, le loro famiglie, ed a traverso lunghi cammini e im- mensi pericoli vengono dal più rimoto Oriente in cerca del Messia per adorarlo: Fidinius stellam ejnSj et veiiimus ado'^ rare. I Giudei però, che ricevono la stessa rivelazione per mezzo dei Magi, che la verificano, che la trasmettono e la confermano ad Erode coli' autorità delle Scritture, non si danno alcun pensiero di cercare essi stessi del iMessia, del liberatore loro promesso. Si turbano bensì come Erode e con Erode; non solo però, come osserva S. Giovanni Crisostomo, non mostrano alcuna religione, non curandosi di associarsi con i Magi per andare all'adorazione del iMessia, ma non mo- strano nemmeno alcuna curiosità, trattandosi di un fatto si ammirabile, importante, grave e che dovea cangiare lo stato della nazione e la faccia del mondo. Tale si era l'acci- dia che gli avea presi, tale si era il languore spirituale e l'indifferenza per le cose della religione in cui eran caduti: Quamquam turbali nequaquam iamen student videre quod factum csl ; ncque ad adoraudum enntes Maqos sequuìitur, neqxie in tanta re tainque mirabili aliquid curiositatis ostendunl. Tantus illos torvo r obsederal! tanlus illos lan- (juor invaserai ! (Homil. 6 in Matth.). Ed oh eccesso di non- curanza e di freddezza! dice l'Imperfetto. I Magi, di nazione gentili, di religione idolatri, sulla sola testimonianza della stella, si mettono in cerca di Gesù Crisi o per tutte le Pro- vincie straniere; e i Giudei non si curano di farne ricerca nella propria provincia in cui è nato, sebbene per nazione fossero compatrioti di Gesù Cristo, e per religione istruiti fin dall'infanzia nelle sue profezie e ne' suoi misteri: Gen^ tiles , stelke tantummodo visione con firmati ^ Christum etiam per alienas provincias requirebunlj et Judmi ab in- fantia prophetas legentes de Christo et in suis finibus na- tum noìt susceperunt! (loc. cit.).

LETTURA SETTIMA 3S1

Eppure non potevano dubitare che il re de Giudei , di cui i Magi aveano annunziata la nascita : iVa/M« esl rex Ju- d(eorum, fosse veramente il Messia; poiché^ come si é ve- duto, non ne dubitò nemmeno Erode. E poi lo scettro di Giuda era di già passato a mani straniere, ed essi i Giudei ne provavano da tanti anni l' orribile peso. Il tempo era dun- que quello che Giacobbe avea duemila anni prima fissato per la nascita del Messia. La stella era un'altra circostanza predetta dalle Scritture come quella che dovea segnalare al mondo questa nascita sospirata; e questa circostanza an- cora sapevano, per la testimonianza dei Magi , che si era com- piuta: ridimus stelloni ejus in Oriente, Di più, aggiunge S. Giovanni Crisostomo che alla venuta dei Magi in Geru- salemme ed alla lieta ed importante novella che vi divul- garono, tutto il popolo levossi in tumulto pel desiderio di conoscere che cosa vi era di positivo nel discorso dei Magi; e fu questo movimento popolare di curiosità inquieta che obbligò Erode a radunare il sinedrio e sentire se l'asser- zione dei Magi era conforme alla predizion dei Profeti . Si fece però una specie di giudizio pubblico e solenne (e ben lo meritava la cosa), nel quale il profeta Michea fu prodotto come testimonio e fu messo a confronto della deposizione dei Magi; e da esso si conchiuse con certezza che il Messia dovea essere veramente nato: Siquidem, venientibus prò- pter illiun ab extremo Oriente Maqis, totiis omnino popu- lus in adniiratione suspensus est j sed etiam rex ipse cuni popuìo; et propheta in medium quasi testis adductus est , factaque est magna cujusdam pompa judicii (Homil. 7 in Matth.). I Giudei adunque, conchiude lo stesso santo Dottore, più ancora dello stesso Erode, seppero con certezza la nascita del Messia; e perciò con piena cognizione, con perfetta scienza e ad occhi veggenti disprezzarono nel suo nascere Gesù Cri- sto Signor nostro, nato principalmente per loro: Herodcs ergo et Hierosoìijma Christuni Dominuni nostrum non icjno- rantes contempserunt (Homil. 8). Perciò ancora ebbe ragione l'evangelista S. Giovanni di pronunziare de' Giudei, con un sentimento di maraviglia insieme e di dolore, il terribile epifonema che comprende in tre parole la lugubre istoria

382 LETTURA SETTIMA

della loro ingratitudine mostruosa e della loro infernale per- lidia, e che, annunziando il loro delitto, spiega la severità del loro castigo: avendo detto, gran cosa! il Verbo di Dio venne nella propria casa ed i suoi stessi noi vollero rice- vere: 7/1 propria cenila et sui eum non receperiinl (Joan.4).

Ma a che maravigliarci di ciò? dice S. Massimo. Questo popolo che ricusa di ricevere Gesù Cristo nato appena alla vita é lo stesso giudaico popolo protervo che lo disprezzò poi quando risuscitava gli estinti. Questo popolo che non cura Gesù Cristo giacente in una culla è quello stesso po- polo ingrato che lo ha denigrato colle più atroci calunnie di una lingua infernale, quando esso creava gli occhi a'suoì ciechi, 0 ne riparava la vista perduta, ne curava tutte le infermità, lo istruiva nelle dottrine dell'eterna salute e lo ricolmava di tutti i beneficj di un redentore pietoso. Que- sto popolo che si accieca in faccia al segno miracoloso della stella che risplende al suo nascere è lo stesso popolo che più tardi vide con gioja feroce il pianto del sole al suo morire, Scd quid miruin^ si turba illa jadaica CItrisli ìion suscepit infanlianìj qme etiam mortuos suscilantem contu- maciler abusa conlempsil? Quid tniruìii, si in cunis jaceìi- tein Chrislum sprevere Judcei , qutm cum ccecis vel nova darei lumina, vel repararel amissa, lamjuoresque varios salutifero sermone curarci, ad omnia beneficia Domini re- dimenlis inarati, mendacis lincjucB calumniis incusabanl? Quid mirum, si in ejus nalivitale slelhe splendentis indi- eia neijlexerunty in cujus passione etiam sole hujente he- tali sunt ? (Homil. 5.)

Ma l'indiflerenza e l'accidia de'Giudei intorno al Messia, già si mostruosa in faccia alla religiosa sollecitudine , alla pia impazienza dei Magi di adorarlo, apparisce più mostruosa ancora in faccia alla sollecitudine crudele , all' impazienza scellerata di Erode di ucciderlo. Al sentire dai Magi che il Messia era nato di già, e che essi medesimi, personaggi egual- mente cospicui, per altezza di rango e per vanto di sapere, aveano veduta in Oriente la stella miracolosa, indizio e prova certa del suo nascimento, non parca che il sommo sacerdote, senza attendere l'ordine di Erode, avesse dovuto

LETTURA SETTIMA 383

intimare consiglio, convocare i grandi della nazione, chia- mare il popolo e di concerto stabilire le indagini da fare, le risoluzioni da prendere per verificare un avvenimento di tanta importanza per la religione e per la libertà di tutto Israello? Pure no. Questi bravi uomini si raduneranno un giorno in congresso in casa di Caifasso per prendere mi- sure efficaci affine di arrestare la fede e la venerazione che il popolo mostrerà pel Messia già adulto alla vista de'suoi miracoli. Diranno fra loro: « Che stiamo a fare senza far nulla? Quest'uomo fa prodigi ogni giorno più grandi. Tutto il mondo gli corre d'appresso; ed in vista di questo disor- dine e di questo pericolo continueremo a rimanerci inope- rosi? Lo lasceremo adunque fare liberamente ? Aspetteremo che egli si sia reso padrone di tutto, e che poi Roma in- gelosita ci spogli del posto e dell' autorità che ci resta e compia la ruina del nostro popolo? Quid faci inus^ quia hic homo niulla sìcjìia facil , et lolus mundus abil posi eunt? Si dimiUijiiHS euni siCj veui-ml Romani et tollent lociim no- strum et (jentem (.Toan. 11). » Al che Caifasso risponderà con una decisione, brutale per parte di lui che la pronunzia, profetica per parte dello Spirito Santo che glie la ispira , dicendo: «Conviene mettere a morte costui: é meglio che muoja un solo anziché esporre tutti a perire : Expedit ut unus morialur homo prò populoj el non tota gens pereal. » Pochi giorni dopo, questi uomini zelanti raccoglieranno ancora in consiglio, passeranno lunghe ore a cercare falsi testimoni , a foggiare accuse , a ordire calunnie e intrighi per condannare il Messia; e dopo averlo essi stessi dichia- rato reo di morte, faranno violenza al preside romano, ed otterranno dalla sua politica e dalla sua debolezza che lo sospenda alla croce. Ecco ciò che faranno quando tratterassi di mettere a morte il Messia ; allora non risparmieranno a consigli, profonderanno dell'oro, veglieranno la notte, tu- multueranno il giorno, ecciteranno la gelosia dei grandi, il fanatismo del popolo. Ma ora che trattasi di sapere se é veramente nato e dove sia per riceverlo cogli onori dovuti, non se ne danno alcun pensiero. 11 sinedrio si riunisce, si consultano le Scritture , ma per pensiero e per ordine di

384 LETTURA SETTIMA

Erode. Ed egli, laicO;, straniero, tiranno, mostra maggiore impegno di trovare il Messia, nell'interesse della sua ambi- zione e della sua crudeltà^ di quello che ne mostrano i Giu- dei, i sacerdoti, i depositar] della legge, nell'interesse della religione e della felicità del popolo. Così fin d'allora i Giu- dei meritarono il rimprovero che loro più tardi fece Gesù Cristo, e che in loro intese fare a tutti i cattivi cristiani, dicendo: I figli di questo secolo mostrano tante volte mag- giore zelo ed astuzia, per assicurarsi gl'interessi temporali e terreni, di quello che mostrino i figli della luce, della vera religione, per assicurarsi gl'interessi spirituali ed eterni: Filii htijus scBculi prudentiores sunt filiis ìucis (Lue. 46). Oh quanto sarebbero felici gli uomini, se per salvarsi fa- cessero anche solo la metà dei sacrìficjche fanno per perdersi! ]\Ia, neghittosi al dovere, i sacerdoti Giudei si mostrano però desti e pronti al delitto ; e se non si curano di cercare coi Magi il Messia per adorarlo, ben cospirano però con Erode per ucciderlo. Infatti sapeano essi troppo bene, per una lunga esperienza funesta, che uomo o a meglio dire che mostro era Erode e di che capace quando trattavasi di gelosia di regno. Sapevano troppo bene che per la sua ambizione e la sua crudeltà non dava addietro in faccia a qualsifosse ec- cesso, e che i più atroci delitti erano il mezzo ordinario onde egli conservava un trono ottenuto per la via dei più sordidi intrighi. Doveano perciò ragionevolmente sospettare che quel- l'ipocrita spietato non cercava da loro di saper del Messia che per immolarlo subito alla sua sospettosa politica e al suo cieco furore. Il loro dovere era dunque di nascondere ad un empio il prezioso segreto del re de' cieli, poiché sapevano dalla Scrittura essere un dovere il nascondere al pubblico il segreto del re della terra: Sacrameììtuin refjis ahscondere honnm est (Toh. 12). E forse, con queste parole dette a To- bia, l'arcangelo S. Ralìiiele intese di parlare, non di un re qualunque, ma del RE per eccellenza, dell'unico re che solo ha in medesimo il diritto, il principio della sua regalia, di Gesù Cristo, vero re de' Giudei , di cui cercavano i Magi, e che avrebbe finito per regnare sopra tutte le genti ; e volle forse dir l'angiolo che il dovere dei depositar] della Scrit-

l-ETTir.A SKTTIMA 38o

tura era d'interpretarne la parola divina, l'opera divina ai pii Magi che volevano crederla e forne l'alimento della loro fede, non già di scoprire l'alto segreto del loro re e Messia all'empio Erode, che voleva farlo servire al delitto, al sa- crilegio, alla crudeltà: 5r/c/7///ic/j//n/i recjis abscondcre ho- num cslj Dei (nilem opera nunciare honorificiun est (ibid.). Ma no, dice l'Imperfetto; quanto orgogliosi innanzi a Dio, tanto vili in faccia ad Erode, gli scribi e i farisei, rispon- dono subito, poiché aveano famigliare l'uso delle Scritture e l'intelligenza delle profezie, rispondono senza ambiguità: In Bufleinme di Giuda: rispondono, appoggiando la loro risposta all'oracolo del Profeta, e così discoprono il gran segreto del re, da Uio loro inviato, che essi doveano tenere nascosto alla persona di un re straniero e di un tal re qual era Erode; e cambiano l'augusto ministero che aveano di predicalori delle opere divine^ nel mestiero infame di tra- ditori dei divini misteri, e di maestri che esser dovean di Erode divengono vili satelliti e fautori della sua malizia: Cum debiiissenl celare mislerinm regis prcefinili a Deo, in y^conspectu alieìiicjence regis, facti sunt non prcedicatores ope- rum Deij sed prodilores mijsterioram ejiiSj et non doclorcs flerodi.Sj sed irrilalores mal ilio; ejus (In 2 .Matt.).

INé solo per viltà di animo e per imprudenza di mente, ma per un eccesso di profonda perversità scoprirono i Giu- dei ad Erode questo geloso segreto, coirintenzione espressa cioè, di abbandonare il Alessia alla crudeltà del tiranno: che tiovatolo non avrebbe mancato d'immolarlo e cosi liberare stesso e loro dalla turbazione, dal timore, dal palpito che il Messia avea in tutti destato col 5U0 nascimento. Infatti^ ri- chiesti da Erode a dire il luogo in cui, secondo le Scritture, dovea nascere il Messia, risposero franchi: « In Betlemme Giuda; giacché ecco ciò che di questa nascita, a nome di Dio, dice il profeta : E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sarai già sempre la minima tra le principali città di Giuda: poiché nascerà da te il duce che governerà il mio popolo d'Israello : Jt UH dixerunt : In Bethlehem Juda ; sic enim scriphtin est per Prophetam : Et tu, Bethlehem, terra Juda, nequaquam mifìima es in principibus Judo; ex te enim exiet dur qui

386 LETTURA SETTIMA

reyat popuìum meum Israel. Ma queste parole che i Giu- dei recitarono ad Erode non sono tutta la profezia di Mi- chea; essa contiene ancora queste altre: « E la sua nascita é da principio sin dai giorni dell'eternità: Et ecjressus ejus ah initio a diebus (eternitalis. » Ora queste parole chiara- mente indicano che il Messia, pria di nascere in Betlemme, avea avuta un'altra nascita, un'altra vita divina ed eterna, precedente ogni tempo; e la parola da principio, usata qui dal Profeta, ha lo stesso significato che più tardi le ha dato S. Giovanni dicendo: Nei principio, era il Verbo, ed il Verbo era appresso Dio: In principio erat Verhum , et Verhum erat apud Deum (Joan. 1). Cioè a dire, come spiegano S. Gi- rolamo e Teofilatto, che il profeta Michea riconobbe e pre- disse in Gesù Cristo due uscite, due nascite, due nature; la natura umana, che prese nel nascere nel tempo da madre senza padre qui in terra: e la natura divina, che ha attinta sin da tutta l'eternità dal seno del Padre senza madre nei cieli: e che Gesù Cristo sarebbe stato vero uomo e vero Dio: Cujus antem allerius egressus sunt ab iniiio et a diebus (eternitatis qnam Christil qui duos egressus habnit , hoc est nativitates. IVam prima ejus yiativitas ab iniiio fuit a Patrej secunda autem fuit a diebus scecuìi , principium su- mens a maire Dei: quw in tempore fuit (Teoph.). Se dun- que i dottori Giudei, ripiglia qui l' Imperfetto, avessero re- citata e spiegata ad Erode la profezia nella sua integrità; avrebbe compreso chiaramente quel barbaro che il I^Iessia non era altrimenti un re terreno come gli altri re, che ve- nisse a spogliarlo del regno: ma un re Dio e Signore la cui origine precedeva quella del mondo e si perdeva nell' eter- nità; e quindi non sarebbe certamente montato in tanto fu- rore contro di lui . ma lo avrebbe forse temuto, forse ado- rato. Mirate adunque diabolica malignità dei Giudei: svelano ad Erode la prima parte soltanto della profezia, capace di ec- citarne la gelosia ed irritarne l'ambizione; e gli nascondono r altra parte, che avrebbe potuto cfilmarlo. Dal che ne av- venne che Erode, credendo che il .Messia verrebbe a stabi- lire un regno terreno e distruggere quello di lui, ordinò la strage di tutti i bambini di Betlemme sulla lusinga di avvoi-

LETTURA SETTIMA o87

gervi ancora Gesù Cristo: Si ergo inlecjram prophetiam pro- tulissenty sicnt fiierat dieta, considerayis Herodes quia dies nascihiri retjis illins a diebus sceculi eranl, ti inttllifjens antiqttitatem honoris ejus , quia non eralille lalis rex ter- renus , in tantum furorem non exarsisset adversus eunij nunc autem prcecisa line parte prophetice, quce compe- scere poterai zeUim ipsius j priniam partem soluni protu- leruntj qu(f cum poterai irritare, linde, ita exponenlibus iìlis putans Herodes simile cceteris regibus ex ea nasci regimen j parvuìos interfecilj cum illis cBStimans occidere etiam Christum.

Perciò al delitto d'infedeltà di avere scoperto ad un re profano ed empio il mistero di Dio, un altro ne aggiunsero i Giudei, quello cioè di sacrilegio, di avere ad arte e di co- mune consenso interpolata la profezia e non avere prodotta tutta intera la rivelazione divina. Furono essi adunque la causa prima della strage di tante migliaja d'innocenti, e so- pra di loro ne ricade innanzi a Dio e agli uomini tutta la responsabilità e tutto l'orrore: Et non soìum propfietice mysterium prodiderunl regi iniquo j sed ad/iuc ipsam pro- phetiam prcecidentes ex uno consensu suo omnes, et non exponenles omnem Scripturam dicinitus inspiratavi , inter- ficiendorum parvuìorum facli sunt causa. Fecero adunque i Giudei, alla nascita di Gesù Cristo, quello stesso che tren- tatré anni dopo tornarono a fare per affrettarne la morte. Pre- tesero di armare contro di lui le gelosie e i sospetti della politica. Lo fecero presso di Erode passar per rivale del suo regno, come più tardi vollero farlo passar per rivale del- l'impero di Cesare presso Pilato. Non potendo perderlo come profanatore della religione, vollero in amendue i casi farlo uccidere come usurpatore della regia dignità o come ribelle. Perciò, ripiglia ancora S. Giovanni Crisostomo, troncarono la profezia e fecero credere Gesù Cristo un re terreno con- tro di cui era giusto che un terreno re prendesse le misure più pronte e più efficaci. Così, carezzando l'ambizione irri- tabile dì Erode per la conservazione del suo potere, trova- rono il mezzo da disfarsi del Messia, la cui nascita importuna era venuta a turbare le delizie della lor vita voluttuosa ed

388 LETTURA SETTIMA

infame. Adularono il tiranno, ma per giungere a tranquil- lare sé stessi; mostraronsi zelanti della stabilità del suo trono, quando in fondo non tendevano che a sfogare l'odio loro contro Gesù Cristo ed a guadagnare sempre più la grazia umana del re col tradire la verità di Dio: Nequaquam id quod seqvitur addideruìit in adahtionem profecto recjis ; ut ad humame graticB ìucnim veritatis damna profìcerent ( Homil. 7 in Matth.). Così più tardi i sacerdoti fanatici dell'idolatria aizza- rono la politica degl'imperatori idolatri contro dei cristiani. Così anche ai nostri i ministri delle religioni protestanti o scismatiche usano di eccitare la ragione di stato contro i cattolici : e non potendo attaccarne i costumi, ne dan per sospette le intenzioni; non potendo renderli odiosi al po- polo^ li rendono sospetti ai governi: non potendo loro nuo- cere col fanatismo religioso, si studiano di perderli per le vie della politica; non potendo farli passare per cattivi cri- stiani, li fanno passare per turbolenti e pericolosi cittadini. Si mostrano zelanti dell'interesse pubblico e della quiete degli stati, mentre la molla che li fa operare si è lo zelo di godersi tranquilli il sacrilego monopolio delle coscienze che l'errore ha loro acquistato, e che é seriamente funestato e compromesso dai progressi ogni più grandi della cattolica verità. Deh ! che la religione cattolica é la vera religione, il vero cristianesimo, mentre da diciotto secoli é combattuta colle stesse armi, perseguitata colla stessa ingiustizia, colle stesse calunnie, onde per tutta la sua vita fu combattuto e perseguitato Gesù Cristo!

§ XII. - hicredulilà oslbiala dei Giudei a fronte della docilità della fede dei Maqi. Gli stolidi non profittano per slessi degli oracoli delle Scritture onde istruiscono i Magi ed il medesimo Erode. Danno ai gentili la luce, ed essi si ri- mangon nelle tenebre. Così spesso gli stessi eretici concor- rono al trionfo della cattolica verità ed a far conoscere la vera Chiesa. Partecipe dei privilegi del suo sposo divino, la Chiesa vera è sola iminancabile ed eterna, ed anche i suoi nemici servono alla sua gloria e le rendono omaggio.

Ma in faccia a questa perfidia insolente, a questa vile bar- barie de'Giudei , quanto apparisce più bella e più commo-

LETTURA SETTnU 389

\ci\lG la semplicità della fede, il tpaiiquillo coraprjìio dei 3ia>^i! Così disponendolo Iddio, dice il Crisostomo, dall'interroga- zione che fanno i ÌMagi ai Giudei, questi ultimi sono, senza averne il desiderio, condotti a fare un esame più diligente sulle Scritture. Questi nemici della verità sono costretti a leggere i Sacri Libri per servire alla verità, per interpretare le profezie a coloro che ignoravano do> e trovare Gesù Cristo, ma che bramavano ardentemente di conoscerlo : Hcuc inler- rogalio fit causa dilujenlions doctvime. Jpsi verilatls ini- mici prò verilale cocjuntur lileras lefjere, et propheliam de C/tristo ncscieulibus inlerprelari (ìlomìì. 7 in Matth.). I 3Iagi e i Giudei si ammaestrano perciò scambievolmente, si tras- mettono , si comunicano gli uni gli altri ciò che sanno di Gesù Cristo. I Giudei imparano dai Magi che la stella mi- racolosa, predetta da Balaam, Io ha di già annunziato nella Persia. 1 Magi poi sanno dai Giudei che quel Gesù che loro é stato annunziato dalla stella si doveva trovare in Be- tlemme secondo la predizione di Michea: ricissim se do- cciti et mutuo a se ciliquid addiscunl : Judcei sciUcet et PcrscB. Judcei ci Mckjìs oudicuU quoniani stella eum a re- (jione Persidis prcedicavil j Ma(ji vero a Judcei ediscunt (juoniam ipsuin Jesum stella monstraverit , ut Prophetce luitcd pnedixerant (ibid.). Pure, mirate diverso profitto che da queste lezioni divine trassero , secondo la diversa disposizione dei loro cuori, coloro che le ricevettero. I Magi credettero alla testimonianza dei Giudei che il Messia dovea trovarsi in Betlemme, perché appoggiata al detto del profeta; i Giudei noji vollero credere alla testimonianza dei 3iagi che questo Messia era nato , sebbene confermata dal miracolo profetico della stella. INon bisogna però meravigliarsene: poi- ché come diversamente si conducono, così diversamente in- contrano la verità quelli che sinceramente l'amano e quelli che nel loro cuore la detestano: sebbene protestino colla lin- gua di volerla conoscere. Agli uni basta un raggio solo di questa luce divina per illuminarli; agli altri non basta che essa brilli, come un sole nel più chiaro meriggio, perché ci veggano. Gli uni ad una semplice sua manifestazione docili si arrendono, gli altri in faccia alle piove più convincenti e

Beììetze dt-iìa pOe li. M

390 LETTURA SETTniA

più palpabili rimangono inflessibili ed ostinati. Cosi, dice il Crisostomo, basta ai Magi la stella; appena la vedono la se- guono ; ai Giudei però non bastano i Profeti j li odon parlare di Gesù Cristo con un accordo meraviglioso e non vi cre- dono; Magìs steìlam prceìucetitein sectiii siml; Judei aii- tem nec Prophelis qaidem insonaniibus crediderunt (Ho- mil. 6). S. Massimo dice pure : la stella che videro i Magi era un muto segno misterioso, il Profeta che parlò presso i Giu- dei era una chiara ed eloquente autorità: eppure la stella persuade i Magi, il Profeta non è neppure dai Giudei ascol- tato! Allora perciò compissi l'oracolo di Isaia: coloro cui esso (il Messia) non fu annunziato lo vedranno; e coloro che l'udirono predicare non lo avranno conosciuto: Apud Jii- dcBOs Propheta ìoquitur^ et non auditiir apud (jentiles stella tacetj et suadet. Vere, sicut scriptum est (Isa. 52): Quibus non est annuntiatum de eo, videbunt; et qui au- dievunt, 7ion intelligent (Homìl. 5). E perciò il xMago ritrova per mezzo della stella colui che il Giudeo non vuol credere sull'autorità de' suoi Profeti: Macjus per steìlam reperit qiiem JudcBus credere noìuit per Prophetas. Che gran cosa sarebbe stat<i pei Giudei, ripiglia S. Agostino, l'accompa- gnarsi coi Magi nella ricerca di Gesù Cristo, dopo di avere inteso da loro che ne avean veduta la stella e che da essa erano stati determinati a venire da lontano con tanto desi- derio di rendergli omaggio? Che gran cosa sarebbe stata che, dopo di avere i Giudei sull'autorità delle Scritture in- dicato ai 3Iagi Betlemme di Giuda, ve li avessero essi stessi condotti, per riconoscervi insieme il Messia ed insieme ado- rarlo? Quantum enim erat ut ilìis quwrentibus Christum comites fierent^ cum ab eis audissent quia, visa stella ejuSj venerinij eum adorare cupientesj et ipsi eos ad Beth- le/iem Judce^ quam de libris divinis indicaverant, duce- rent, pariter viderent, par iter adorarent? Ma i Magi cre- dettero alla testimonianza profetica dei Giudei che il Messia dovea trovarsi in Betlemme: i Giudei infelicissimi però non credettero alla testimonianza miracolosa dei Magi che ne avean veduta la stella. Oh sciagurati! Non avendo profittato per stessi della importante notizia che diedero ai 3Iagi

LETTLTxÀ SETTIMA 391

del luogo ove ritrovare il Sìjjnore, rinnovarono l'esemitio funesto di quella moltitudine immensa di operai di cui Ser- vissi Noè nella fabbricazione dell'arca; che. dopo di aver co- struita quella nave misteriosa onde quel patriarca e la sua famiglia camparono dal diluvio, essi rimasero a jierire nel- l'universale naufragio. Rinnovarono l'esempio delle pietre miliarie che si piantano lungo le vie pubbliche, che, mentre indicano ai viandaati il cammino, esse rimangono sempre immobili nel medesimo luogo. Ora così i Giudei: dopo di avere indicata ai Magi Betlemme, la vera- arca della salute; dopo di avere additata loro la vera e l'unica strada per an- dare a Dio, Gesù Cristo, essi rimasero stupidamente immo- bili nella loro ostinazione e nella loro infedeltà; e dopo di avere additato agli altri il vero fonte della vita, essi pe- rirono di sete: Quid diccim de infelicilale Judceoriun, qui, Chi'islum qucereìilibus Macjisj etiam prophetiam iiidiceni protulerunt j Belhìtlieiìi civiUiltm desiynaverunl , quain ipsi non invenerunt? Similes facti fabris arcw Aoe^ aliis ubi evaderent prcBsiiterunfj et ipsi diluvio perierunt. Si' niiles lapidibus niiliariisj viam oslenderunt^ nec ambulare potuerunt : quia stolidi in via remanserunt. Osteìiderunl aliis fontein vilce, ti ipsi mortui sunl siccitate (Semi. (iCi de div.). I 3Iagi adunque, che cercano sinceramente la>e- rità, ascoltano e partono; i Giudei, che loro la indicano, ma la detestano, rimangono. Protìttano i discepoli, diven- gono ignoranti i maestri: Audicruiil ti abitrunt inqui- òitoresj dijcerunl ti rtmanstrunl doclores. I Magi lasciano i Giudei occupati a leggere le Scritture senza profitto ed essi si affrettano a compiere con fedeltà; e mentre quelli disputano, essi adorano: Jslos dimillunl inaniler leclilartj ipsi perqunl fideliltr adurare (ibid.). Così i veri cristiani, le anime pie e fedeli lasciano ai falsi dotti, agli eretici, agl'in- creduli l'inutile occupazione di stemprarsi il cervello per in- tendere le verità della fede ; ed essi si contentano di crederle; ed impiegano meglio, a praticare la religione, il tempo che altri perdono a disputarne.

Ma vi è ancora di più: i Giudei si rimasero nella loro volontaria ignoranza di Gesù Cristo . dopo averne istruito

392 LETTURA SETTIMA

non solo i 3Iagi, ma ancora Erode, Qui Ilerodeni docuerant (le Chrislo. ipsi ujnorabanl de ilio. Oh infelici Giudei adun- que, che ammaestrarono Erode nella scienza di Gesù Cristo per farlo trucidare, e non seppero ammaestrare stessi per esserne salvati! E difatti Erode credette vera la parola pro- nunziata dai Giudei, ed i Giudei non credettero vera la pa- rola che essi stessi pronunziarono; Erode credette ai Giudei per perseguitare il Alessia: i Giudei non vollero credere nem- meno a stessi per accoglierlo: 0 iufeìices Judtxi! Hero- ddììi dociiei'unl quia in Bcthlehem iiasceretur (Chrislus) ^ el non se docuerunl ut credcreni ei. Herodes illis credidit (juasi vera diccniibus ut perseqneretur Chrisluinj el ipsi silfi non crediderunt ut susciperent eum (Imperf.).

Separati, dice S. Massimo, i Giudei ed i lllagi dalla di- stanza che vi è tra la santità e il delitto, tra la fede e l'infe- deltà, diversi di animo come di opere; i 3Iagi si cambiano in adoratori, i Giudei divengono persecutori: Conlrariis offectibus separali, UH facli sunl adoratores^ isti persecu^ lores. Sicché si vede al nascere del Signore destarsi un contrasto, una gara bella insieme e terribile, edificante e scandalosa, di perfidia e di pietà tra i Giudei e i gentili. J.a Caldea giubila di santa allegrezza: freme di rabbia con tutti i suoi principi Gerosolima. Il Giudeo perseguita, il Mago gentile adora, prepara splendidi donativi al iMessia, mentre Erode aguzza contro di lui una spada crudele : Factum est inter Judceos atque (jenliles quoddani [idei per- fidiceque certamen. Nato Cli risto, exultat ChaldceUj et Iota cuni suis principibus Jlierosolyina torquetur. Jnseclalur JudcBus, Maqus adorai. Herodes acuebat (jìadium, Chaidceus ntunera prceparabat (3Jax., Ilomil. 5).

Ma la cecità de" Giudei è, dice S. Bernardo, loro colpa in- sieme e loro gastigo. Perchè odiano la vera luce, allo sfolgo- rare di un nuovo splendore per la nascita del Signore, si sprofondano sempre più nelle tenebre; ed il raggio del sole eterno che brilla di una luce novella rende i loro occhi, di già infermi, sempre più ciechi: Infelix Judcea! quia lucem oderai el fuUjorem novce claritatis, obtenebralur, et caligan- tes acuii ejusj coruscante radio soHs ceterni, magis excce-

LF.TTUR.V SETTIMA 393

canliir (Serm. 3 Kpipli.). E S. Leone dice: mentre la verità illumina i 3Ia^i, l'infetleltà accieca sempre più i Giudei loro maestri. Il carnale Israello legge la Scrittura e non la intende, mostra ad altri la salute e non la riconosce^, ha in mano i Sacri Libri e non ne crede gli oracoli: Verilas illuminai McKjos, infìdelilas obccecat mcKjisfros. Carnaìis Israel non inlelli(jit qiiod ìegitj non videi (juod ostendil, ulitiir pafji- 7iis ([uarum non credit eloquiis (Serm. 3 Fpipli. ). In un altro discorso aggiunge lo stesso santo Dottore: Grande mi- stero! non intendono i Giudei la profezia, e non possono ne- garla; e non entra nella loro mente ciò che la narrazione della Scrittura mette sotto degli occhi loro. La verità, salute degli umili discepoli, si volge in iscandalo per gl'insensati maestri; e ciò che è lume per gì' ignoranti che voglion ve- derci, per li dottori acciecati dai vizj si cangia in tenebre! Eccoli difatti i Giudei, interrogati dai jlagi e da Erode, ri- sponder franchi « che Gesù Cristo è nato in Betlemme » e non profittar per stessi di questa notizia che ad altri dis- pensano. Perciò han perduto i miseri il sacrificio onde ono- rare Dio e placarlo, la successione dei loro re, la gerarchia del loro sacerdozio, il luogo della loro preghiera; e mentre che veggono che tutte le vie sono chiuse per loro, mentre che una funesta esperienza li avverte che tutto per loro è finito, non si accorgono che tutto ciò che aveano di sacro e di grande è passato a Gesù Cristo e al suo popolo: Sed non- dum inleìligunt qiiod negare non possimi ^ et mente non capiunl qiiod Scriplurariini narralione noverimi. Quoniam insanis maqistris veritas scandaìum est, et ccecis doctori- bus fu caligo qiiod ìumcn est. Respondent ilaque inter- rogali, qiiod in Bet/ilefiem nascitur Chrislus, et scientiam suam qua alios instrmmt , non sequunlur. Perdiderunl igitur placationeni hosliarum, siiccessiotieni regum, ìocum sìippìicalionmn et ordinem sacerdolum j et quum omnia siOi clausa, omnia experiantar sibi esse finita, non videnl ea in Chrislum esse translata (Serm. 0). Si ascolti in fine l'Emisseno: Per cumulo di loro pena i Giudei non solo sa- peano che dovea nascere e ch'era nato di già questo Gesù Cristo che nato disprezzano, ma seppero ancora il luogo in

394 LETTURA SETTIMA

cui nacque. Giacché interrogati da Erode dichiararon essi stessi il luogo della sua nascita, che aveano appreso dalla Scrittura e lo confermarono coll'oracolo del Profeta; e così la doppia loro scienza servì di nuovo motivo per la loro con- danna e di nuovo appoggio alla nostra fede: Qui tt'uiin, ad ((amnationìs sucn cumulum , eum ^ (juein nalinn despiciiuit, ìiasciluruìn ìoiKje aule prcssciennil; et non soluin quia nasceretur noverant, sed eliam ubi nasceretnr. Nam ab Herode requisiti tocum nativitatis ejus exprimunl j quem Scripturoi auctoritate didicerunt; et testimonìum proferunl, ut ipsa eorum (jemina scientia et illis fieret ad test imo- niuin damnationis, et nobis ad adjutorium credutitatis.

E perciò gli scribi e i farisei, dice Teolilatlo, figurano in questa circostanza i seguaci del diavolo, le membra del suo corpo infernale, gli eretici; i quali tante Aolte, senza averne certamente 1' intenzione, ci ajutano a meglio conoscere Gesù Cristo e ci mandano a lui per quei medesimi mezzi onde tentano di allontanarci da lui. Ed infatti, passando in rivista le loro sette e considerandone i molti vizj e le perverse dot- trine, impariamo ad apprezzare di più la vera dottrina di Gesù Cristo, la sola che tutti i vizj condanna e persuade tutte le virtù, e siamo anche noi, come i 3Iagi, invitati a Betlem- me, cioè a dire conosciamo sempre meglio che Gesù Cristo e la sua vera legge e la sua vera dottrina solo nella vera Betlemme, nella Chiesa cattolica si ritrova: Scribcp et phari- sceij sequaces diaboli et mcìubra ejus, siue lueretici, qui no- bis insinuant Christuinj quia istigantibus pìerumque bw- reticiSj de Christo coqnosciinus quod nos latebat; si enim circuinimus alias sectas , ex abundantia vitioruni qua; in eis drprehendiìiìus j Doìninuni intelliijimus , qui vilia odil et virtiites diliguntj coqnoscimus tunc. quia in Bethielieìu, hoc est in Ecclesia catholica , qucerendus est.

S. Agostino avea fatto di già la stessa osservazione, dicendo che la impudenza degli eretici nel professare gli errori serve a mettere in tutto il suo lume ed a far brillare di uno splendore novello la cattolica verità: Jinprobalio biereticorum oslen- dit quid hal)eat sana doclrina. INon già che le eresie facciano discoprire nuovi dommi e nuove verità non prima note e

LETTURA SETTIMA 395

non prima credute dalla vera Chiesa; poiché, appunto per- chè erano di già noie e credute, hanno potuto essere dal- l'orgoglio negate. Non si niega una cosa di cui non si ha al- cuna idea. La negazione della cosa suppone che essa era co- nosciuta. La yerità ha preceduto sempre l'errore, come l'in- nocenza il delitto, la sanità la malattia, la vita la morte. Tutte le verità adunque che oggi conosce e crede la Chiesa, essa le ha sin dal suo nascere conosciute e credute precisamente come oggi le conosce e le crede. 3Ia sul principio sono state queste sante verità credute senza dubitazione, senza contra- sto, colla bella semplicità, col sentimento dolcissimo dell'a- more proprio della vera fede, che si compiace più di prati- eai'e la religione che di discuterla. A misura però che l'or- goglio ereticale ha osato di combatterle, la Chiesa con le solenne decisioni, i dottori colla loro scienza, gli apologisti colle loro magnifiche e trionfanti difese, ne hanno mostrato a tutte le ragioni « le fondamenta, le hanno circondate di nuove prove e di nuovi argomenti, vi hanno scoperte nuove relazioni colla natura dell'uomo e colla umana società, e le hanno sempre meglio stabilite. Così il Dio che sa trarre il bene anche dal male, come servissi già della viltà dei Giu- dei e della Ijarbarie di Erode per render celebre nel mondo la nascita del Verbo incarnato, si è poi servito e si serve tuttavia della malizia degli eretici nell'inventar sempre nuove negazioni e nuovi errori, per moltiplicare le testimonianze e far sempre meglio trionfare la cattolica verità.

Che più? la giustizia dell'osservazione di Teofilatto, ehe 1 vizj degli eretici servono alia gloria della vera fede, è provata dall'esperienza dei nostri giorni. Una grandissima parte di coloro che al presente in Inghilterra, in Iscozia, ne- gli Stati uniti di America, ritornano in folla nel seno della vera Chiesa, più che dalle predicazioni dei cattolici, vi sono condotti dal profondo disgusto, dall'errore che loro ispira la dottrina e la morale degli eretici. Tutto fra loro è arbitra- rio, tutto è incerto : la regola del credere non meno che quella dell'operare. ISoi lo abbiamo altrove notato (Lett. YI), non si trovano due soli individui nella medesima setta che ne intendano, che ne pratichino la dottrina allo stesso modo.

396 LETTURA SETTIMA

Le divisioni nascono dalle divisioni; le opinioni e i dubbj par- toriscono nuovi dubbj e nuove opinioni. Il solo domma co- mune a tante sette diverse fra loro, assurde, turpi, stravaganti e ridicole, il solo legame che le unisce, si è un sentimento di odio comune verso la Chiesa cattolica, che si manifesta colle calunnie più invereconde, colle ingiu- stizie più manifeste onde cospirano a perseguitarla. Del ri- manente non fede certa, non morale sicura, non culto ragio- nevole e degno di Dio, ed al contrario nno spirito di assoluta inditTerenza per la vita avvenire, e di furore per raccogliere i godimenti fuggitivi della vita presente. Questo spettacolo lungi dal tranquillar le coscienze, vi eccita dei dubbj. delle terribili apprensioni: almeno negli uomini che riflettono e che non vogliono avventurare alla cieca la sorte della loro anima e della eternità. Quindi quello che sulla fede di te- stimonj oculari abbiamo altrove narrato, cioè che questi uomini che sinceramente vogliono la religione fanno il giro di tutte le sette, e non trovando nella nuova setta nulla di più e di meglio di ciò che loro esibiva l'antica, finiscono col venire alla Chiesa cattolica, ed in essa sola confessano di trovare la pace del cuore e la loro felicità. Oh bel vanto della cattolica Chiesa: che ogni giorno di più si accresce e si pro- paga non meno per lo zelo dei suoi apostoli che per la ti- rannia di nuovi Erodi persecutori, non meno per l'umile fede dei nuovi magi, i veri fedeli che la confessano, che per la malignità dei nuovi Giudei, degli eretici e degli incre- duli che la negano e la combattono; non meno perla virtù dei suoi figliuoli che pei vizj dei suoi nemici. Vera figlia di Dio, la Chiesa cattolica partecipa del privilegio della im- mutabilità e della immortalità del suo Padre divino: sicché anche di lei può dirsi che, mentre tutte le sette, che l'at- taccano, si mutano ogni l'n peggio, si logorano, si con- sumano come le vestimenta e periscono nel nulla, essa sola è sempre la stessa, la sua gioventù misteriosa, mai non in- vecchia, e nulla altera la robustezza immortale della sua età; Jpsi peribiinl; tu aiitem permanebisj ci omnes sicul vesli- menlunij velerascenl; et velai amiclum mutabis eos, et mu- tabinilur; tu auteni idem jpse es, et cniìii lui non cleficient

LETTURA SETTIMA 397

(Hebr. ! ). Ma sposa diletta del Verbo di Dìo incarnato, re- gina fortunata che il vero Salomone, il vero re dei secoli, ha fatto sedere alla sua destra sul trono dell'universo. Aslilil rcijina a dcxlris inis (Psal 44), partecipa ancora agli onori, agli omaggi di adorazione e di servitù che il suo sposo, se- condo le profezie, avrebbe ricevuto. Sicché anche di lei si verifica che, vogliano o non vogliano, tutti i re l'onorano, tutti i potenti la temono, tutti i popoli la rispettano, tutti i suoi nemici , veri Etiopi degradati dai loro errori e dai loro vizj, tutti i malvagi, tutti gli eretici, tutti gFincreduli e gli stessi demoni, fremendone invano di rabbia impotente, sono costretti a piegare innanzi a lei la loro fronte orgo- gliosa, a mordere per -dispetto la terra: e mentre si lusin- gano di discreditarla, d'indel)olirla, di deformarla, di ab- batterla, servono senza accorgersene, alla sua propagazione, alla sua gloria , ai suoi trionfi: El adorahunl e\im omues vpcjes terra'. Corcim ilio procident ^liopes^ el ininiicì ejus ter rum limjent.... El adorabunt eiim omnes reges terree^ omnes tjentes servienl el (Psal. 71).

PAPvTE SECOINDA.

ISTORIA BIBLICA. c;m f.splouatoki bb-i.la TEun*. processa ,

FICLSIA r PilOFEZI*^ DrLI>'ESPCSTO SIISTEHO.

§ XIIF. - Ad istanza del popolo d'israello, Mosè, cambialo ad Osea l antico suo nome in quello di Giosuè ^ manda sotto la sua condotta dodici messaggeri ad esplorare la terra promessa. Loro ritorno nel campo ebreo con nn enorme grappolo d' uca e con altre frutta raccolte in (juella terra che rappresentano come un paese fertile bensì j ma impossibile a conquistarsi. Tumulto eccitato nel popolo da un tal discorso , e che Giosuè e Caleb tentano invano di sedare. Ribellione del popolo contro Mosè, e sua risoluzione di ritornare in Egitto j, Giosuè e Caleb sul punto di perire per avernelo voluto distogliere.

Dopo due anni di pellegrinaggio, mirabilmente variato e rendulo facile e sicuro dai continui prodigi onde la divina

17

398 LETTURA SETTIJIA

bontà accompagnò costantemente il suo popolo, giunse final- mente Israello presso la città di Pietuia, nel vasto deserto di Faran, in vicinanza della terra dei Cananei, che Dio gli avea le grandi volte promessa. Or mentre prendeva ivi sta- zione (che fu la decimaquinla dalla sua uscita dall'Egitto), si fece attorno a 31osè, pregandolo di mandare esploratori in quel paese sospirato, perchè ne spiassero la natura del suolo e l'indole degli abitanti, e ne indicassero il più corto e più agevole cammino, onde muovere ad occuparlo: JcceS' sistis ad ine omnes alane dixislìs : iVillanius viros qui considerenf lerram ti renunlient per qiiod iler debeamus ascendere (Deut. i). Questa dimanda del popolo fu nn vero e grande peccato di diffidenza contro I\Iosè e contro Dio stesso, che lo avea dato ad Israello per unico suo condol- tiere, e d'incredulità alle promesse divine intorno ai sin- golari pregi della terra di Canaan ed alla facilità onde l'io l'avrebbe data agli israeliti in potere. Pure il santo Mosè, dis- simulando l'afiVonto, consultò il Signore (come usò sempre in tali incontri di fare), intorno a questa nuova importuna dimanda dei figli d' Israello; ed il Signore, dissimulando egli pure ciò che essa aveva di ofTensivo per lui, ordinò a IMosè di contentarli; perchè anche in questa occasione, dice Pro- copio, divenisse palese a tutte le età future l'indole proterva e vile di quel popolo, e con quanta ragione Io abbia Iddio severamente- punito : Hoc jussil DeAir,^ ul ìcjnaviam popitli sibi comperlam in lucem producerel , ul ìmmorìijeri a(jnn- scerenlur (in 13 Num.). Scelti adunque dodici uomini tra i principali, tra i più coraggiosi ed accorti, uno di ciaselie- duna delle dodici tribù, pria di tutto Mosè, dice la Scrittu- ra, cangiò il nome di Osea figlio di INun e duce degli esplo- ratori, chiamandolo Giosuè^ parola che vuol dire Salralore: Vocavìlque, Osee, fiìium ISan, Josue (ibid.)

Poi raccolti innanzi a quei dodici rappresentanti di tutte le tribù, Orsù, loro disse, andate pure ad esplorare la lena di Canaan incominciando dalla parte meridionale e via sa- lendo su per le montagne. Spiatela attentamente, e poi sap- piateci dire che popoli sono quelli che vi abitano, se deboli o forti, se scarsi o numerosi, se guerrieri o pacifici; che clima

i

LETTURA SETTIMA. 390

è quello che vi si gode, se cattivo o salubre; clie città la ri- coprouo, se sono murate, aperte, rare o frequenti; finalmente esaminatene ben la natura del suolo, se piano o montuoso, nudo o ricoperto di alberi, sterile o fecondo. Fate adunque da bravi e, per darci un'idea esatta della vegetazione di quel suolo, recateci a vedere qualcuno dei frutti eh' esso pro- duce: Misil er(jo Moyscs ad considerandum terram Cita- iiaoìì . et d'ìxil ad eos : Ascendile ad meridianam pìafjam. Cumqiie venerilis ad monles, considerale terram quali sii , et popnliim qui habilalor est ejus ; niruni fortis sii , an infirmus, pauci numero, an plures; ipsa terra bona, an mala; urbes quaìes , muratcB, an absque inurisj humus pin(juis, an sleriìis, nemorosa, an absque arboribus. Con- l'orla mini, et offerte nobis de fruclibus terree (ibid.).

Con queste istruzioni, giunti i messaggeri d'Israello nella Cananea, presero ad esplorarla in tutta la sua lunghezza, dal deserto di Sin sino a Rahob, dove incomincia la regione di Emat, che serve di limite alla Palestina, senza avere avuto alcun incontro sinistro. Solo, venendo verso il mezzogiorno sino ad Ebron, si avvennero in tre robusti giganti, che per' altro non fecero loro alcun male. Era sul principiare di giugno, stagione in cui nel clima calido della Palestina in- cominciano a maturarsi le uve: Eroi autem tempus quando jam prcBcoqme uvee vesci possunt (ibid ). Avvicinatisi adun- que ad una magnifica vite che venne loro incontrata nel cam- mino, ne recisero un tralcio col suo grappolo di smisurata grandezza, meravigliosa beltà: poiché, come attesta Pli- nio autore profiuio, le uve crescono ad una grandezza stra- ordinaria in quella fertile contrada E per non alterare bel prodotto, lo legarono penzolone ad una stanga che due di loro presero a portare per le estremità sulle lor teste. Ti ap- pesero pure dei rami di melogranato e di fico adorni delle loro frutta, che svelsero dagli alberi nel medesimo luogo, eliiamato fin d'allora il torrente del grappolo, \ìerchè quinci gli esploratori presero e portarono quel magnifico grappolo di uva nel campo ebreo: Absciderunl palmilem cum uva sua ; quon portaverunt in vede duo viri. De malis quoque (jranatis et de ficis loci illius tulerunt ; qui appellatùs est lorrens botri, eo quod bolrum portassent inde filii Israel.

400 LETTURA SETTIMA

Oiiaranla giorni spesero gli esploratori, senza darsi tregua riposo, ad esaminare dalle alture dei monti la terra di Canaan; e di ritorno neJla pianura di Faran, presentatisi a Mosé ed Aronne, mostrarono alla moltitudine d'Israella, impaziente di vederle, le belle frutte che vi aveano raccolte: Beversiqiie expìontlores terrcB post quadraginla dies oinni ìegìone circuita^ venerunt ad Moyseii et Aaron et omnem ca'luni fiìiorum Israel in desertum Pharan , et omni mul- titudìni ostenderunt fruclus terree. Ma siccome i timidi Israe- liti, più che della ubertà del suolo, erano curiosi o solleciti di sapere dell'indole degli abitanti., e di ciò incominciarono ad interrogare gli esploratori, costoro presero a dire appunto così: « La terra che siamo stati mandati ad esplorare é ve- ramente fertilissima, a segno che può dirsi che le fontane zampillano latte, i fiumi e i torrenti che la irrigano menano mele: ed una prova evidente di ciò voi l'avete nei frutti si grossi, squisiti e belli che ve ne abbiamo arrecati: Lo- cutique eis , narraverunt dicentes: f'en'ìtnus in terrani ad qìiani ìnisisti nos , quce recera fluii lacle et melle/ut tw his frucfibus cognosci potest (ibid.). Ma fortissimi, prose- guirono a dire, bellicosi e feroci ne sono gli abitatori, e le città grandi e affatto inespugnabili: Sed cullores forlissiuios habet. et urhes grandts alque inunitas. Abbiamo ivi incon- trata la stirpe gigantesca di Enac. Dalla parte di mezzogiorno vi é il popolo amalecita che ne contende l'ingresso. I luoghi montuosi e le alture ne sono occupate e difese dagli Etei, dai Gebusei e dagli Amorrei. Il piano e le valli bagnale dal Gior- dano, e che si estendono sino al mare, sono in unno dei Cana- nei: Slirpcm Enac vidimus ibi Amalec'n habital in meridie; Hethesus et J^biisceus ci Amorrìuens in monta nis; C/iana- iiceiis vero morahir juj-la mare et circa fluenta Jordanis. »

A questo discorso lo sbigottimento e la paura destatasi in tutti i cuori ben presto manifestossi in tutte le lingue con un sordo mormorio di lagnanza contro Mosè. Allora Caleb, il fedele Caleb. uomo di tìducia e di zelo, a reprimere il na- scente tumulto. « ?son vi taccia specie, prese a dire, ciò che avete inteso dai miei colleghi intorno ai popoli e alle città della terra promessa. Io pure ho veduta ed esaminata atten-

LETTURA SETTIMA 40 1

tamente ogni cosa; e vi assicuro che noi non abbiamo che a marciare verso questo paese per rendercene padroni: tanto facile e sicuro ne è per noi l'acquisto: Jiiler Imx Caìeb , coinpescens murmur populi qui oriehalur contra Moysen ^ aiti Ascendamiis et possedcanius terroni ^ quoniam poteri- mus ohliìiere eam. »

Volea più dire il generoso Calebbo; ma gli altri esplora- tori gli diedero subito sulla ^ oce, tutti insieme gridando: NO;, non è ciò vero altrimenti : il popolo che abita la Cananea é insuperabile, e di gran lunga di noi più forte^ ed è impos- sibile che noi possiamo riuscire a domarlo: Alii vero qui fueranl cuin eo dicebanl: Nequaquain ad hunc populum va- lenius ascendere quia fortior nobis est. E qui questi esplora- tori infedeli al delitto di diffidare della parola e della pro- lezione di Dio, che nei termini più chiari avea promesso di dar quella terra in eredità al suo popolo, il delitto aggiun- sero ancora dell'impostura e dell'inganno; incominciarono a dire della terra che avevan veduta tutto il male che ne poterono, esagerando il vero, aggiungendovi il falso per at- terrire il popolo dal volerne tentare T acquisto: Detraxeruut qu(u terree quani inspexeranl apud filios Israel. Impercioc- ché dalla mortalità che videro regnare tra i Cananei, e che Iddio stesso aveva loro mandata per diminuire il numero e fiaccare la forza dei nemici d'Israello, trassero argomento di dire che quella terra divorava i suoi stessi abitatori, cioè il clima ne era pestilenziale e insalu])re: Terra quam lustra- viinus decorai hahilatores suos. Erano i Cananei, di una statura comune e simile a quella degli Ebrei e degli Egizi di cui erano confinanti; e gli esploratori sfacciatamente men- tendo, li diisero un popolo di una statura smisurata e di una forza straordinaria. PopuJus quem aspejinius procerw staturcB est. Finalmente, non avevano veduto in Ebron che tre soli giganti, dai quali, protetti essi da J)io, non avevan ricevuto alcun male; e fecero credere che vi fosse tutta una contrada abitata da uomini mostruosi, da giganti della stirpe Enac: e noi, dissero, Israeliti al loro confronto parevamo meschine locuste: Ibi vidinuis monstra filioruin Enac de cje- nerc (jifjaìiteo, quibns comparali quasi ìucuslcp. videbauiur.

402 LETTURA. SETTIMA

Air udir tali cose il popolo incominciò a tiimuUarc, a pian- gere^ a dare orribili grida; e per tutta la notte seguente pro- rompendo in lagnanze ed invettive contro Mosè ed Aronne, oh stolidi, tutti diceano, oh stolidi che siamo stati a dar retta a costoro! O^finto era meglio morire di stento in Egitto che venire a perderci in questa vasta solitudine! Ma poiché già vi siamo, è meglio, è meglio che tutti qui rimaniamo estinti. Noi rinunciamo di cuore al favore che Dio vuol farci di con- durci in un paese dove noi non abbiamo ad aspettarci che una morte crudele , e i nostri figli e le nostri mogli una turpe e durissima schiavitù: J(jilnr vocifcraiis oninis turba jìevit ìwcte ilici, et murmurati stuil cantra Moysen et Aron cìincti filli Israel j dicenles: Ulinam mortili essemiis in /E(jì)pto! el in hac vasta solitudine ntinam pereanius , et non inducat nos Dominus in ierram islam, ne cadamus (jladio, el nxores oc liberi nostri ducantur captivi! (ibid. 14) Altri poi più risoluti dicean lun l'aìtro: 3ia siamo ancora in tempo da riparare al malfatto. E chi ci vieta di ritornare addietro e riguadagnare l'Egitto? Via, via, abbandoniamo Mosè, scegliamoci un altro duce, che ci riconduca nel paese che troppo stolti siamo stati ad abbandonare: Nonne melius est reverti in Etjyptum? Dixerunt alter ad allerum: con- stituamus nobis ducem el revertamur in /Egijptum (ibid.).

Mosè ed Aronne, compresi da orrore al vedere questa attitu- dine del popolo tumultuante, all'udire tante mormorazioni e tante bestemmie, invece di parlare al popolo, pensaron meglio di parlare con Dio e di placarlo coU'umiUà e colla preghiera l'>coli perciò alla vista di tutti prostrarsi innanzi l'arca colla faccia sul suolo: Quo audito, Moijses et Aron ceciderunt prout in terram coram omni mulliludine filiorum Israel (ibid.).

Ma Giosuè e Caleb, che, come esploratori anch' essi, erano soli nel caso ed aveano il dovere di smentire le menzogne dei loro colleghi, stracciatesi indosso le vesti in segno di scandalo ricevuto: INo, non vogliate, dissero al popolo, non vogliate mostrarvi a Dio ribelli e ingrati. La terra che egli vi ha promessa, e che noi abbiamo esaminata, è fertile e sana: e se ci renderemo propizio Iddio, ce la darà sicura- mente in potere, e noi saremo ricchi e felici della sua prò-

LETTURA.. SETTIMA 403

digiosa fertilità. 'Son abbiate timore alcuno dei popoli che vi aliitano: noi siamo con Dio forti abl)astanza per distrug- g^erli, per divorarli colla stessa facilità onde mangiasi il pane. Forti essi all'apparenza, Dio li ha spogliati d'ogni forza reale. Egli è con noi e combatterà per noi; ed allora di che possiamo noi mai aver paura? À( vero Josuc et Caleb qui et ìpsi lìistraveranl terram . scìderant vestimenta sua et ad omnem multìludìnem filionim Israel ìocuti sunt: Terra qiiam circuivìmus vaìde bona est. Si propitius fnerit Do- minus inducei nos in eam et tradel liumum ìacte et melle manantem. JSoìite rebeììes esse contra Dominum, neqne ti- rneatis popnìuìn terree hujus : quia sicut pancm , ita eos possuìuus decorare. Recessil ab illis omne prcesidiuni: Do- minus nobiscum est, notile metuere.

Ma quando trattasi di moltitudine^ è più facile agrimpostori d'ingannarla clic agli uomini sinceramente al suo bene devoti di ricondurla all'ordine e alla ragione. Perciò, lungi dal la- sciarsi persuadere grisraeliti dal linguaggio religioso e fedele di Giosuè e di Caleb, levarono alto le grida per farli tacere, accusarono di tradimento, presero in mano i sassi per lapi- darli, ed avrebbero fatto scempio di quegli uomini zelanti e sinceri, se Dio non li avesse visibilmente protetti, estendendo sopra di loro la nuvola misteriosa che copriva il tabernacolo e che, sfolgorando di una insolita luce atterrì e contenne nel dovere il popolo furibondo: Cnmque cìamaret omnis multi- ludo et lapidibus velici eos opprimere j apparuit (jloria Do- mini super tec'um fcederis cunctis filiìs Israel.

§ XIV. - Castigo intimato da Dio a Mosè di distruggere tutto IsraellOy temperato dalle preghiere dello stesso Mosè e ristretto alla morte nel deserto di tulli coloro che aveano più di reni' anni di età. Morte improvvisa dei dieci esploratori autori della ribellione, lana penitenza del popolo^ e suo nuovo peccalo nelVaver voluto lanciarsi nella Cananea contro il divieto di Mosè. Come le dure minacce pronunziale da Dio in questa circostanza si sono adeìupiute: terribile esempio della giustizia di Dio.

jNon dovea però andare impunita tanta perversità. Parlando dunque Dio allora a Mosè, « Via su, gli disse, sono oramai

404 LETTURA SETTIMA

Stanco di più soffrire che questo tuo popolo così di me dif- fidi, così m'insulti, a fronte di tanti strepitosi prodigi che ho operati alla sua presenza e per suo vantaggio. Lo punirò colla peste; lo distruggerò in modo che non camperanno neppure un solo. In quanto a te, ti darò altro popolo a reg- gere, più grande ancora, più forte di questo e più degno del tuo governo : Et dixit Deus ad Moijsen: Usquequo de- irahei inilii populus iste? Feriam igilur eos peslìleniia atque consumam. Te miteni faciam principem super (jen- ietti magnain et forlioreiti quatti Iicec est. (ibid.). »

Mosé però non era egoista. Lungi adunque dal gradire la promessa che Dio gli faceva di costituirlo principe di un po- polo più grande, più docile e più fedele, ne fu anzi profon- damente accorato ed afflitto. Ad un tenero padre qual era Mosé, non può riuscire che dolorosa una dignità che deve essere accompagnata dalla distruzione intera de' suoi amati ligliuoli. Rinunziando adunque 3Iosè, all'onore che Dio gli preparava, e dimentico affatto di sé, si a pregare ed a pian- gere per impedire la mina del suo popolo. Dio accetta que- sto tratto di generosità del suo servo fedele, ed in grazia di lui tempera il rigore delle sue minacce, ed » In quanto alhi ])eslilenza, gli dice, a riguardo della tua preghiera, non la manderò, e non distruggerò interamente Israello; Dixitque Domiiius: Diiìiisi juxia verltutn tuum (ibid.). ì^f a poiché que- sta tua gente, a fronte di aver veduta la maestà del mio no- me e la potenza del mio braccio in tanti e strepitosi portenti che ho per essa operati in Egitto e lungo il suo viaggio nel deserto, per ben dieci volte ha diffidato della mia protezione, ha disubbidito alle mie voci, ha insultato la mia bontà, non potrà andare e non andrà esente da un esemplare gastigo, ed eccolo quale esso sarà : nessuno di costoro che ha mor- morato della terra che io aveva ai loro padi'i con giura- mento promessa vi metterà il piede, anzi non giungerà pure a vederla: Atlattieti omties homities qui vidfrunt majesta- tem itieain et signa qu(F ffci iti /Egifplo et solitudine, et tenlaverutit me jatn per decetn vices , nec obedierunt voci inece, noti videltutit terratn prò qua juravì patriltus eorutn: nec quispiain ex iìtis qui defraxit inihi itUuebitur eain.

LETTURA SETTIMA 405

Caleb però, il mio servo fedele Cale!), che^ animato da ben altro spirito, ha voluto ad ogni costo eseguire i miei ordini e compiere i miei disegni, esso che entrerà in questa terra di benedizione che ha già esplorata con tanto impegno e con tanto amore, e i suoi discendenti ne saranno padroni : Ser- vìiin menni Caleb, qui pleiiius alius spiritus sequutus est me, inducam in terram liane quani cìrcuivily el semen ejiis pos- sidebit eaìii (ihid.). Intima adunque a mio nome ai figli d"f- sraello che Timprecazione che qui haniìo pronunziata alla tua presenza sopra stessi si compirà sopra di loro. Ifan detto che è meglio il morire nel deserto; ebbene nel deserto lutti morranno, e i loro cadaveri rimarranno ad infracidar nel deserto. Die ergo ei: Siciit loculi estisj audiente me sic faciam vobisj in solitudine hac jacebunt cadavera vestìgi. In pena delle vostre insolenti lagnanze contro la mia prov- videnza, ad eccezione di Giosuè e di Caleb, nessuno di quelli che tra voi contano più di venti anni di età entrerà nella terra che io vi avea destinata per abitazione e riposo : Omnes qui numerati eslis a vigenti annis et supera et murmura- slis contraine non iììlrahitis terram super quam levavi ma- num meanì, ut habilare vos face rem j, prwter Caleb et Josue, « In quanto ai vostri pargoletti figliuoli, che voi dicevate che sarebbero restati preda dei nemici, essi entreranno al possesso di questa terra che voi avete ripudiata e di cui vi siete renduti immeritevoli e indegni: Parvulos autem vestroSj de quibus dixistis quod prceda hostibus forent in- troducam ut videant terram quce vobis displicuit (ibid.). Come figliuoli però di uomini perversi , porteranno essi pure la pena del peccato onde vi siete da Dio allontanati, come una moglie infedele del suo legittimo consorte; perchè questa pena dei loro padri serva di avvertimento a' figliuoli ad evitarne la colpa. Per quaranta continui giorni, quanti ne impiegarono gli esploratori ad esaminare la Cananea, voi foste in istalo difìldenza e di ribellione permanente contro di me; poiché sospendeste la vostra determinazione di an- dare innanzi alla conquista, o di recedere indietro, fino al ritorno degli esploratori, e faceste dipendere le vostre riso- luzioni dalla loro relazione; contando ])er nulla le mie ri-

406 LETTURA SETTIMA

velazioni, le mie promesse^ le mie profezie e il mio ajuto; disposti sempre a preferire la parola dell'uomo a quella del vostro Dio. Ora io cambierò i giorni in anni. Per quaran- t' anni i vostri figli andranno vagando pel deserto, finche voi, loro padri, sarete estinti,, e così quanti furono i giorni del vostro peccato, tanti saranno gli anni del loro gastigo: Fiììì vesiri eriinl vagì in deserlo annis quadraginfa, et por- tabunt fornicatioìiem vesirom , doìiec consumentur cada- vera patrum ^ jiisia numerum (juadrcnfinta dierum quibus coiìsideraslìs terram. Jnniis prò die impufabilKr (ibid.), »

Non avea però finito Iddio di pronunziare questa sen- tenza severa che incominciò ad eseguirsi. T dieci esploratori infedeli, che coli' avere dipinta la Cananea coi più falsi e più odiosi colori aveano indotto il popolo a diflTidare di Dio, a ribellarsi a Alosè, colpiti improvvisamente di morte, al cospetto del tabernacolo, alla presenza dello stesso po- polo, come aveano avuta la più gran parte nella colpa, così furono i primi a provarne la j)unizione: Omnes viri quos miserai Moyses ad contemplandam larram , et qui reversi murmurare feceruvt cantra cum omnem muìdlu^ dinem detrahentes terree quod esset mala, mortili sunt atque percussi in conspectu Domini (ibid.). Quando dun- que Mosè, dopo il suo lungo e misterioso colloquio con Dio, prese ad annunziare al popolo lo sdegno divino e il divino gasiigo, il pallore era dipinto in tutti i volti, la costernazione e la paura era in tutti i cuori.

Ma lo sdegno di Dio era ancora placabile: la sua sentenza era condizionale: il castigo era solo una minaccia, che una pronta penitenza avrebbe potuto arrestare. Ed il discorso di Mosé al popolo non fu che un nuovo invito al ravvedimento e al perdono, fsraello però non volle trarne profitto. È vero che alle parole di Mosè scoppiò in dirottissimo pianto: è vei'o che si ollerse pronto ad intraprendere la conquista della terra promessa; è vero infine che pubblicamente confessò di aver peccato: Locutns est Moijsts universa verba Ikfc , ft luail omnis popuìus nimisj et ecce mane primo sur- (jentes diwerunt: Parati sumus ascendere ad ìocum de quo locutns est Dominus, quia peccavimus (ìNum, i4). Ma invece

LETTURA SETTIMA 40t

(li provare gV Israeliti la sincerità del loro ravvedimento col volere dipendere e col dipender difatti dai cenni di iMosé, eccoli, di proprio moto, avviarsi soli verso del monte: Jscen^ derunl verlicem montis. Invano Mosé torna a rimproverarli ch'essi con questo movimento imprudente non fanno che rendersi colpevoli di una nuova disubbidienza agli ordini di Dio ed esporsi a nuovo gastigo: Qui bus Jloijses, Cur^ in- ijuily trmiscj redini ini ver bum Domini , quod vobis non cedei in prosperum? Invano tenta di fermarli, intimando loro che Dio non li avrebbe accompagnati protetti in questa spedizione contro il suo volere intrapresa: .\olite ascendere; neque enim et Dominus vobiscum^ quod nolueritis acquie- scere Domino. Invano infine ricorda loro che aveano a farla cogli Amaleciti e coi Cananei, ed in chiarissimi termini loro annunzia una certa e sanguinosa sconfìita: Amaìeciies et ClinnanxBus ante vos suìit, quorum gladio corruelis. Essi, sempre indocili, sempre protervi, sempre peccatori; essi quanto vilmente timidi quando erano stati esortati a spe- rare, tanto ciecamente presontuosi ora che Iddio intima lor di temere, lasciano nel campo Mosé e l'arca, pegno visibile- della protezione divina verso di loro, e senza consiglio, senza Dio, si avviano per la montagna, non curando le divine mi- nacce, come prima non avean fidato sulle promesse divine: Jt iUi contenebrali ascenderunt in verticem montisj arca autem testamenti et Moijses non recesserunt de castris.

Non avean però fatto che pochi passi, quand' eccoli sor- presi dagli Amaleciti e dai Cananei, che, piombando loro ad- dosso con tutto l'impeto, li sbaragliarono, li posero in fuga, ed inseguendoli fino alli pianura di Orma, ne fecero orrendo macello: Descenditque Jmalecites et ChanameuSj qui habi- tabat in moìitibus, et perculiens eos atque concideìiSj per- secutus est eos u.sque ìlorma (ibid.). Allora Mosé, come ne avea ricevuto lordine da Dio, comandò che pel seguente si levasse il campo da quel luogo funesto, e si riprendesse la via lungo il mar rosso, verso la solitudine da cui eran par- tili: Cras movete castra et revertimini in solitudinem por viam maris rubri (ibid.). E quindi il prevaricatore Israello incominciò il suo pellegrinaggio penoso di trent'otto anni a

408 LETTURA SETTIMA

traverso i deserti: durante il quale gli uomini che al tempo della ribellione si trovavan di aver compiuta l'età di venti anni tutti perirono, secondo la minaccia divina; il popolo fu rinnovato per intero, e dei seicenlomila combattenti clic uscirono dall'Egitto 1 soli Giosuè e Caleb entrarono nella terra promessa: esempio visibile e tremendo della giustizia di Dio per coloro che si rendono sordi alla sua ])arola,. diffidano delle sue promesse, mormorano della sua provvi- denza e si mostrano ingrali alla luce delle sue sante ve- rità, alle sollecitudini della sua grazia, ai beneficj del suo tenero amore.

§ XV. - Questa istoria è evidentemente misteriosa e prò- fetica. Se ne cominciano a spiegare i misteri die vi si contengono. La terra promessa figura dei cielo ^ tratti di somigtianza tra questa figura e il suo figurato.

j\Ia se questa narrazione sacra è importante per le gravi lezioni morali che contiene, non sembra a prima vista di esser tale ancora come fatto storico, perchè presenta delle particolarità di poco o ninno interesse per l' integrità della storia del popolo di Dio. E che importa difatti di sapere che Osea da quest' istante incominciò a chiamarsi Giosuè senza che si assegni la ragione di questo cambiamento di nome? che importa il sapere che, volendo gli esploratori dare al popolo che li avea mandati un saggio della meravi- gliosa fecondità della terra promessa , gliene recavano uva, melogranati e fichi, e che dell'uva in particolare non porta- rono che un solo grappolo, e questo grappolo, invece di col- locarlo in un canestro colle altre frutta, lo sospesero ad una stanga di cui due uomini sostennero le estremità? Sono forse queste circostanze degne di particolare menzione nella storia della religione di un popolo? Di più, il luogo da cui fu espor- tata quest'uva rimase perpetuamente celebre presso gli Kbrei. I.a Scrittura parla spesso del torrente del grappolo, della valle del grappolo. Ora l'esportazione di un gi-appolo d'uva è forse un avvenimento grande da meritare tanta cele- brità? Secondo adunque la regola che abbiamo altrove in-

LETTURA SETTIMA 400

(liciita per l'interpretazione dei Libri Santi (fieli. II. § IO), non è chiaro che queste particolarità, nella loro storica sem- plicità, rinchiudono un qualche g^rande mistero? Cosi ancora la terra di Canaan, per (juanto fosse ubertosa, amena e sa- lubre, meritava forse le magniriche lodi che ìHo slesso ne ha fatte, e T importanza clie vi ha attaccata, se essa non fosse ancora ligura di una regione migliore ? E perché mai poi tanto sdegno di Dìo contro degli Ebrei perchè credettero preferibile una schiavitù tranquilla ad una bellicosa indi- pendenza? Ahimè! pochi giorni di vita comoda e agiata, ma che presto si dileguano, sono forse, a giudìzio Dio, una gran felicità che lunghe guerre, mortali pericoli, sacri ficj di ogni sorta sono bene impiegati per conseguirla? Al con- trario però, per uomini mortali, il passar la vita alimentati da un cibo miracoloso in una solitudine piuttosto che nu- driti del proprio sudore nelle città, il lasciare le loro ossa nel deserto piuttosto che neirobitato, è forse un gran ca- stigo che meritava le grandi espressioni collera e di do- lore con cui Dìo lo ha annunziato? Che diremo poi di tante altre particolarità questa istoria che sembrano insignifi- canti, se esse non hanno altra più nobile significazione an- cora oltre quella che presenta la lettera? Tutto ciò ci in- duce a credere che questo avvenimento nella sua istorica verità è mirabilmente misterioso e profetico. ?sulla adun- que, dice S. Agostino nel bel sermone che ci ha lasciato so- pra questo bì])lìco racconto (Semi. 100 de temp.). nulla è più degno del cristiano quanto il rincontrare, negli effetti naturali delle cose qui narrate, i profondi misteri che la sa- pienza di Dio vi ha anticipatamente descritti; Operce prc- liuin es!j arcana sacramenlorum apcriri affeclibus rerum. E queslo appunto entriamo noi ora a fare colle solile guide dei Padri e dei cattolici interpreti. Poiché, come S. Tomaso insegna, siamo ancora obbligati a credere nascosto sotlo il velo e le figure dell'antico Testamento tutte quelle verità che la vera fede ci presenta a credere manifeste e palesi nel nuovo: Omnia (jiice credenda tradunlur in novo Testa- mento ej'pìicitc et aperte, Iraduntur credenda in Testa- ntento veteri, sed implicite et sub fijiira.E quanto e bello

410 LETTURA SETTLMA

per noi fedeli il vedere che gli stessi misteri che crediamo e di cui sperimentiamo i magnifici e salutari effetti sono statij tante migliaja d'anni prima, preparati da Dio con una ammirabile provvidenza, ed annunziati al mondo non solo colle parole dei profeti, ma colle gesta ancora di un profe- tico popolo e colle azioni dei patriarchi !

E primieramente, che la terra promessa sia la figura fe- dele del regno celeste, della beatitudine eterna, é una verità riconosciuta ed ammessa, sulla testimonianza di S. Paolo, da lutti i Padri, da tutti gl'interpreti, da tutta la Chiesa. Si ascolli da prima Origene, che, come più vicino ai padri apo- stolici, attingea certamente dalla tradizione dei primitivi cri- stiani, come più volte lo confessa egli stesso, le belle inter- pretazioni che ci ha lasciate sulla sacra Scrittura. Felice se non le avesse alterate colle idee sue proprie , attinte alla filosofia di Platone! il quale nei primi secoli fece voltare il cervello a tanti cristiani che Tertulliano lo chiamò il PATRIARCA DI TUTTI GLI ERETICI: Omnium Imreùconun pei- Iriarc/iam (S. Hieron. ad Ctesiph.); é S. Ireneo chiamò il platonismo salsa di tutte le eresie: Condimenlariiun umnium lueresiarum. Dice adunque Origene: « (Jual é mai questa terra santa, se non il regno dei cieli che ai santi é nel Vangelo promesso? la terra pertanto da Dio promessa agli Ebrei significa la celeste eredità che Gesù Cristo ha promesso ai veri cristiani ? Qme est terra illa suncta ? Evan- (jelia promittunt sanctis regna ccBÌorum. In ccel'is »st ergo hwredilaa guie promittìtur (Homil. 7 in IVum.). » Di più, l'a- postolo S. Paolo ci ha detto: « Voi, o fedeli, siete stati chia- mati alla conquista di una terra, di una città non terrena e visibile, ma invisibile e celeste ; vi siete avvicinati al monte inaccessibile in cui Dio vivente abita nella sua gloria, alla Gerusalemme celeste, al consorzio degli Angioli: » e poco dopo: « La Gerusalemme superna è la vera città libera, ed é la vera nostra madre, la vera patria nostra, in cui dobl)iamo sperare. Gerusalemme perciò, ripiglia ancora Origene, la ca- pitale della terra promessa, è per noi cristiani una figura, un simbolo, una città spirituale, e tutto ciò che la Scrittura ci dice nel senso litterale della terra di Canaan noi siamo

LETTURA SETTIMA 411

soliti d'intenderlo della Gerusalemme spirituale ed eterna: J(l ìios (Ucìlur (Galat.): non accessistis ad ea qiice visibilia suntj sed ad {nvisibilia: accessislis eniin ad monlem Dei vi- ventiSj ad ccelestem Jeriisalem et ad inuUiludinem Angelo- nini. Et alibi : Jerusalem quce stirsum estj libera est, quoi est malev nostra. Jerusalem ergo ccelestem esse creditnus , et ad ti/pum ìnijus terree^ et quce scripta sunt de hac ter- rena ad Ulani cwlesteni spiritualiter referimus (ibid.). »

E difatti questa terra è promessa al popolo eletto; questo popolo è da Dio chiamato a caedarne le nazioni orgogliose e corrotte che l'abitavano, a stabilirsi in vece loro. Ora si può dare figura di questa più espressiva per simboleggiare il paradiso ? Esso pure è da Dio promesso alle anime elette ; esse pure sono chiamate ad occuparvi le sedi che vi tenevano gli angeli prevaricatori;, che ne furono cacciati. Che anzi la espressione « terra irrigata dal latte e dal mele^ Terram lacte et melle manantem » che la Scrittura usa parlando della Cananea, e che nel senso litterale é una iperbole ado- perata solo a dare un'idea della meravigliosa ubertà di quella terra, nel senso spirituale ed allegorico però, applicata alla patria celeste, é una espressione che lungi dal contenere una esagerazione, è al di sotto della pura verità. Sì, la patria dei santi, la Gerusalemme celeste è irrigata veramente dal latte e dal mele; ma da un latte, da un mele spirituale e di- vino; latte che, secondo S. Paolo, alimenta e purifica, riforma non solo l'anima, ma altresì il già misero corpo del beato, e chr^ fa crescere l'uomo imperfetto, l'uomo bambino, sino al- l'età misteriosa dell'uomo perfetto, e lo rende coevo e della stessa statura e della stessa gloria di Gesù Cristo: Reformabil corpus humililalis nostra confìquratuni corpori claritatis sucB (Philipp. 3). In virxim perfeclum, in mensuram celatis plenitudinis Christi (E\}h.k); mele poi che scorre con torrenti di squisita dolcezza, che va ad inondare le anime dei santi : Torrente voluptatis tuce potabis eos (Psal. 35); che tutte le circonda, le avvolge, le penetra, le comprende, le investe ; ed in cui essi si gittano, si abbandonano, si perdono, come in un vasto pelago di godimento e di pace : Intra in cjaudiuin do- niini lui (Matth. 25) e ^i rimangono come assorte, ebre, nau-

^12 LETTURA SETTIMA

fragile in un seiiso di soavità, di dilelto iufinilo ed eterno; tale è Tuberia e l'abbondanza ineffabile della casa di JJio; Inebviabuntur ab ubertale doìtius Deil (Psal. 35.) E gli Ebrei che, lontani per immense distanze dalla terra ai loro padri promessa, gemono sotto il giogo durissimo di Faraone in Egitto e poi van vagando raminghi pel deserto in cerca di questa terra, in cui devono infine trovare felicità e riposo, che altro significano essi mai se non tutti gli uomini che, privi di ogni diritto alla eterna eredità, condannati all'esi- lio dal celeste paradiso, di cui V esilio di Adamo dal para- diso terrestre fu la figura, giacevano sotto T impero tirannico di Satanasso, che li avea rènduti suoi schiavi, obbligati ad illudere piuttosto che appagare la fama del loro cuore, della vera felicità coi beni sensibili dell'Egitto di questo secolo, coi miseri avanzi della felicità dei bruti; e che, liberati per mezzo della legge mosaica dalla tirannia del culto idolatra e condotti alla cognizione ed al culto del Dio vero, pure va- gavano dopo morte per le solitudini e i deserti del limbo pei patriarchi, poiché ancora non era venuto il vero Gio- òuèy Gesù Cristo, che abbattesse il vero Gerico, la città infer- nale, e facilitasse al vero Israello, al popolo cristiano le vie, aprisse le porte della vera terra promessa, della bea- titudine eterna.

§ \\ì. - La lerra promessa ^ figura ancora di Gesù Cristo. Ragliane istorica per la quale Muse cambiò al figlio di Nave il nome di Osea in quello di Giosuè, die cuoi dir Salvatore. Jlosè in questa circostanza scorse pure in Osea la figura di Gesù Cristo j e per ciò ancora io chiamò Giosuè.

Osserviamo ancora che la vita, la beatitudine eterna, al- tro non é che il godimento, il possesso di Dio per Gesù Cri- sto ed in Gesù Cristo, il quale dice perciò nel Vangelo: In questo consiste la vita eterna, nel conoscere voi, o mio Pa- dre, e colui che voi stesso avete mandato, il figlio vostro Gesù Cristo: Jlcec est eniìn vita celerna^ ut cognoscant te, et quem inisisli Jesuìn Cliristum (Joan. 17). Questa vita di- vina incomincia qui in terra per mezzo della grazia della fede, della speranza, della carità e si compie e si perfeziona

LKÌTlllA J^JETTlMA 'i I 3

per mezzo della visione nel cielo, dove per mezzo del lume della gloria che viene da Gesù Cristo glori (ìcato si vedrà a fac- cia scoperta, come é in slesso, questo grande amabilissimo Iddio, che al presente si vede solo come avvolto in un enimma misterioso, come un'éiTigie in uno specchio, nella fiiccia os- sia nella dottrina di Gesù (Iristo: Vicìemus mine per specii- luni et in (enigmale; fune aiUeni fa rie ad faeiein (I Cor. 43). Cuni apparuerit, videbimiis cum siculi est (I Joan. 3). In ìiimine tuo videhimus lumen (Psal. 35). In facie Christi Jesu (II Cor 4). E difatti l'anima che ha una viva fede in Gesù Cristo ed una carità proporzionata che a lui l'unisce, anche in questa terra è paga in lui e di lui ; non chiede nulla al mondo dei sensi; nausea i diletti corporei ed è fe- lice quanto qui lo si può essere. Perciò, dice il Urano, nella terra agli Ebrei promessa ben possiamo vedere la figura di Gesù Cristo: perchè esso è che c'introduce nella terra dei viventi, perchè la beatitudine eterna si riconcentra in lui e si ottiene per mezzo della sua incarnazione, in cui prese un cor[)o terreno vera terra al mondo promessa nella legge e nei Profeti: C/iristus coneenienlev potesl dici terra prò- niissioìiinj co (juod ad ferram virenfium nos inlroducit, et quia corpus rjus terrenuin est ferra promissa nobis in lerje fi Prophclis (in 13 Num.). E S. Agostino avea detto, nel medesimo senso, che la terra promessa è vera imagine di Maria, in cui e da cui ha preso il suo santissimo corpo ed è nato Gesù Cristo; e perciò di ì^faria adempissi l'oracolo profetico, che la verità sarebbe nata dalla terra, terra ver- gine, terra santa e divinamente ubertosa e feconda. E come mai potrebbe Ilaria non essere la terra di promissione, essa che da tanti anni ci era stata per mezzo del Profeta pro- messa? avendo Iddio detto tanti secoli prima per mezzo d'I- saia: Ecco che una vergine concepirà e partorirà un figliuolo: Terra repromissioìiis^ in qua nalus est , sonda; Morite ?'?- detur imacjintni prcetulisse. In ipsa eniin inipletum est: Veritas de ferra orla e:A (Psal. 48). Quomodo auteni beata Maria non fati terra promissionis ^ quce per Prophetani multo antca pìomissa est? Nara par beatuìu Isaiam Do- minus eam ante midia annovum spatia reprcmisilj sic Bellezze della fede. il. -18

4i4 LETTURA SETTKMA

enim aìl: Ecce virgo concipiel el parkl filiuni (Semi. lUU de temp.).

Quindi s'intende perchè Mosé, pria di mandare gli esplo- ratori alla terra promessa, cambiò al figlio di INave, che dovea guidarveli, il nome di Osea in quello di Giosuè^ che è lo stesso che Gesù e che ,vuol dir Salcatore. Impercioc- ché, dicono i Padri e gl'intei-preti, scorto in quell'istante Mosé dal lume profetico, conobbe che questo Oseci era stato scelto da Dio a salvare Israello da' suoi potenti nemici ed introdurlo trionfante nella terra di Canaan. E siccome Osea nel momento appunto di accettare il pericoloso incarico di andare a spiare un paese bellicoso e feroce incominciava r opera di salvare il suo popolo . così 3Iosé in questa cir- costanza gli diede il nome di Salvatore, essendo ragione- vole che Osea ricevesse il titolo del suo sublime ministero nello stesso momento in cui incominciava ad esercitarne le funzioni.

Ma oltre a questa ragione, che appartiene alla storia, un' al- tra ne ebbe ancora Mosè per dare ad Osea il nome di Gesù e che appartiene al mistero. Giosuè tìglio di ?ìa> e, dice S. Gi- rolamo, fu il vero tipo del nostro Signore Gesù Cristo, non solo nelle gesta ma persino nel nome. Poiché, avendo de- bellato i Cananei e conquistata e divisa al vincitore Israello la terra promessa, figurò al vivo Gesù Cristo che, trion- fando delle potenze infernali, ha assicurata la beatitudine eterna ai suoi eletti. E nell'avere narrate esso Osea le vi- cende e le glorie del suo regno terreno, ha anticipatamente descritte le vicende e le glorie del regno spirituale, della celeste Gerusalemme, la Chiesa: Jesus 3V/ue, typus Domini non sotiim in (jestis sed eiiam in nomine, hostium re(jna subvcrlil, divisit ierram viatori popiilo, et Ecclesice cceli- stique Jernsalem spirilualia reijna describit (ad Paulin. ). Lo stesso dicono concordemente i padri S. Giustino, Eu- sebio, Teofilatto, Origene, Tertulliano, Lattanzio, S. Am- brogio, S. Prospero, S. Agostino e molti altri. Ora 3Iosé fu forse il profeta più illuminato intorno ai misteri di Gesù Cristo; poiché Gesù Cristo medesimo Io chiama nel Vangelo lo ;»torico anticipato della ;>ua vita, e perciò coiui clie un

LtlTLFiA i^tTlI.MA 4io

giorno lUL'jjdio degli altri convincer.! d' inipoàlura e condan- nerà [i Giudei: .\olilc pillare <iuii e(jo accusaturvs siuìi l'os; est qui arciisdl vos j .Moijscò.... <h me aniin ìllc seri' psil (Joan. 5). Secondo adunque quello che,, come lo ahbianjo altrove a\vertilo (f.ett. Ul,^ 9), accade\a spesso ai Pi'ofeti, cioè che predicendo le avventure di un personaggio pr«'- sente e colpiti da qualche tratto di somiglianza che esso avea col Messia, erano tutto ad un tratto rapiti a descrivere i misteri di Gesù Cristo venturo, che aveano sempre in mente e nel cuore; .IFosè nel predire che Osea sarebbe stato il Sairalore d' Israello , vede in esso ancora la vera imagine di colui che dovea salvare il mondo. ìNon solo adunque per quello che Osea sarebbe stato fra poco, ma ancora e molto più per quello che a>rebbe figuralo nel })iù remoto avvenire, 31osè gli il titolo di Gesù o di Salvatore j affinché la figura fosse al gran fujiirato perfet- tamente conforme: e colui che dovea si bene colle sue opere rappresentare Gesù Cristo, lo rappresentasse ancora colla identità del nome.

INotate però che la terra promessa non si cerca , non si esplora, se non dopo questo misterioso cambiamento di nome, dopo che Osea (che vuol dire salvaci) diventa Giosuè o Gesù (che significa colui che salva o il Salvatore). Oh bella profezia! oh grande mistero! Cosi appunto i pastori ed i Magi, i Giudei ed Erode, sebbene con intenzioni diverse, non si mettono in cerca di Betlemme, della vera terra promessa, se non dopo che la venuta del 3Iessia, che per quaranta secoli era stata solo una promessa ^ una speranza^ un aspettazione , diviene un fatto: se non dopo che la preghiera a Dio del- l'afflitta umanità: salvaci, fu cambiata dal messaggero celeste nel lietissimo annunzio: é nato di già il Salvatore: Gau- (tium maijmua annuìttio vobisj quia uatus est vohis Salva- tor (Lue. 2). 11 vero Gesù nasce in terra, e gli uomini in- cominciano a spiare seriamente i misteri del cielo! E che serviva il cercare, 1' esplorare questa vera terra promessa j prima che scomparisse il vero Giosuè, il solo che la conosce, il solo cha può introdurvi gli uomini che sinceramente la ciTcuno; poiché è il solo ch^-, come esiO stesso lo ha ditto,

416 LETTURA SETTniA

ne é la porta. Ego sum ostiiun (Joan. 14), il solo che ne è la via, la verità e la vita: E(/o sum via, verilas et vita (ibid.).

^ X^'fl. - Spiegazione del mistero del grappolo e delle altre frutta che gli esploratori esportarono dalla terra promessa. Il grappolo sospeso alla stanga, figura di Gesù Cristo in croce. 1 Padri sono tutti d'accordo in questa interpreta- zione, che però si può credere derivata dai primi cri- stiani e dagli Jpostoli. La coìdrada di Ebron ossia della società', figura della Chiesa, iìi cui gli uomini sono in vera società fra loro e con Dio. Il melogranalo e il fico, figura della grazia e della dolcezza della legge di Dio.

iMa il più giocondo e il più importante mistero della nar- razione biblica che andiamo spiegando è nel prodigioso grap- polo d' uva die gli esploratori portarono penzolone da una stanga nel campo ebreo, per una prova della stupenda fe- condità della terra promessa. Poiché questo grappolo, per la sua grandezza e per la sua beltà miracolo della natura, fu il tipo del più grande dei miracoli della grazia. Gli esplo- ratori, nel portare questo raro frutto della terra, portarono il più caro dei misteri del cielo. Questo grappolo fu una bella figuia, una sensibile profezia di Gesù Cristo: come é chiarissimo dalla stessa Scrittura, il primo e migliore inter- prete della Scrittura. Imperciocché la sposa dei Cantici, fi- gura della vera Chiesa, chiama appunto il suo sposo diletto « un grappolo di uva di cipro delle vigne di Engaddi : Bo- trus Cijpri dilectus ìneus in vineis Engaddi (Cant. 2). » E perché non rimanga alcun dubbio che in questo passo dei Cantici si allude appunto al grappolo degli esploratori, che ne spiega il mistero, la sacra sposa vi parla di un grap- polo di uva (// Cipro, che é quella specie di uva che nella Cananea cresce ad una smisurata grandezza; si dice tolto dalle vigne di Engaddi, luogo appunto della contrada di Ebron dove gli esploratori recisero il grappolo che mostra- rono agl'Israeliti.

Di più, lo stesso Gesù Cristo parla di sé, per mezzo del Profeta, come un grappolo che solo sarebbe stato pressato nel torchio della croce: Torculoj^ calcavi solus (Isa. GS); e più chiaramente ancora nel Vangelo lo stesso Gesù Cristo

LETTURA SETTIMA k \ 7

si è chiamalo vile vera, cioè vite ricca e feconda, carica a dovizia del misterioso suo frutto o del suo grappolo^ che il divino aj^ricoltore, l'eterno suo Padre ha piantata sulla terra per la salute e la delizia del mondo: E'jo sitm vilis vera, et Palei' meus agricnìa esl (Joan. 45). Di più questo grappolo, dal luogo in cui fu tolto, si chiamò // grappolo di Ebron cioè il grappolo della socielà (giacché la parola Ebron si- gnifica socielà). Ora si poteva forse meglio indicare Gesù Cristo ? che S. Paolo chiama il mediatore , il legame della nostra unione, della nostra pace, della nostra socielà con Dio: Ipse enini est pax noslra (Ephes. 2); e di cui 8. Gio- vanni ha detto: ^oi vi annunziamo la parola della vita, af- fnichè si ristabilisca la nostra società con Dio Padre e col suo Figliuolo Gesù Cristo: Et societas nostra sit cuììi Patre, et eum Filio ejus Jesu C/'/r/s/o (I Joan. i). Infatti siccome le interrotte amicizie si riannodano col bere insieme il succo del grappolo, il vino, e le antiche alleanze si celebravano col vino; così, dice ancora 8. Paolo, la pace, l' unione tra il cielo e la terra, tra gli uomini e Dio non si é ristabilita se non pel succo di questo grappolo divino, pel sangue pre- zioso di Gesù Cristo, che il torchio della croce ne spremette sino all'ultima goccia: Pacificans per sanguinein crucis ejus sine (pios in lerris, sire qme. in c(elis sunt (Coloss. 1). Oh vero grappolo della società^ in cui e per cui tutto ciò che è di Dio diviene anche nostro, e tutto è comune tra gli uomini e Dio!

Quindi i Padri e gli espositori nel grappolo della terra promessa hanno con tale accordo riconosciuto il mistero di (iesù Cristo che non può dubitarsi che questa interpreta- zione sia insino a loro venuta dalla tradizione dei primi cristiani che l'udirono dagli Apostoli, ai quali Gesù Cristo stesso diede l'intelligenza de' suoi misteri contenuti nella let- tera della Scrittura: Aperuit illis sensum vi inielligerent Scripluras (Lue. 24). Udiamo solamente alcuni di questi Padri.

S. Girolamo , nella sua descrizione ammirabile del viaggio di Santa Paola per i luoghi santi, dice: « Giunse \n Eschei (parola che significa il grappolo), ossia nel luogo d'onde gli esploratori, mandati da Mosè, portarono un grappolo di smi-

418 LETTURA SETTIMA

surata grandezza in prova della fertilità della terra promes- sa e per figurare fin d'allora Gesù Cristo che ha detto pel suo Profeta: Io sarò solo al torchio spremuto e spento: /e- nit Escimi, quce in holruin verlihir. linde in leslimonium terne ferlilissiìnce ti \y typU3I cjas ryi// cìiciì : Torcuìar calcavi solus j exploralores botrnm mira; ma g ni ludi ni. s portaverunf (Epist. 108 ad Eustoch.). E nell'egregio trat- tato sulle 42 stazioni del popolo d' Israello nel deserto, dice pure lo stesso Padre: nel grappolo portato dagli esplo- ratori pendente da un legno ci è anticipatamente descritta, come in compendio, la storia della passione di Gesù Cristo: Botriis defurtur in liijnnj et Clirisli breviler passio demon- slratur (ad Fabiol. de 42 mansion.). S. Paolino vescovo di A'ola dice: il grappolo è Gesù Cristo che. sospeso alla stanga della croce, ci ha dato in abbondanza il frutto della vera terra promessa: Qui nohis , in crucis vede suspensus ^ de terra promissionis fruclus dedil (Epist. 3 ad Sev.). S. Mas- simo è ancora sullo stesso mistero più chiaro e più copioso. Gesù Cristo, dice egli, è il vero grappolo che i due esplo- ratori portarono sulle loro spalle sopra una stanga ai figli d'Israello; con questo fatto volle fin d'allora Iddio figurare la venuta del nostro Salvatore; giacché come potea mai, me- glio che da un grappolo sospeso ad un legno, rendersi visibile il mistero di Gesù Cristo sospeso ad una croce? Jpse piane est bnlras, quem duo exploralores illi in phalanga ad fi- lios Israel propriis liumeris deluìerunl. Quod quidem fa- cium jam lune prceficjiirabat adventuni Domini Salvator is. Nam bolrns in phalanga suspensus, in cruce Chrislum ap- pensuìH oslendit (In natal. S. Cypr.). E nello stesso luogo dice ancora lo stesso santo Padre: 0 uva preziosa, che fu ap- pesa ad un legno per la salute del mondo! Essa ci appresta il vino spirituale di Dio. Imperciocché, siccome il grappolo, prima di rendere il vino, rimane sospeso alla vite per arti- fizio della natura: così Gesù Cristo, per darci il vino spiri- tuale del suo preziosissimo sangue, fu confitto alla croce per una particolare provvidenza di Dio: I inum plana est spirilnale Dei uva illa quce prò salute nmndi pependif in Ugno. Sicut enim holrus , reddilurus rinum , prius in vi-

LETTURA SETTIMA 419

ììea quadani arie naluvcp suspendilitrj ila et Clirislus. edi- turus vinuììi spirilualis marhfvii , in cvucej (juadam pro- videntia divinilatis^ aplatitr (ìhìd.). Ascoltiamo ancora sullo stesso argomento le belle parole di S. Isidoro: Gesù Cristo, dice egli, è il vero grappolo che. macerato sulla croce per la nostra salute, ha sparso il succo dell'uva del suo sangue, che. spremuto e raccolto nel calice della sua passione, egli stesso ha dato a bere alla sua Chiesa: Hic est holrus qui pflìrsam in saìutem nostrani uvam saìiguinis sui, crucis contrilinnc j perluìit , et expressuni passionis suce calicem propinarit Ecclesìce (in Num 13. apud de Lyr,).

Ma col grappolo dell' uva gli esploratori recarono ancora dei rnelogranati e dei fichi. Oh bella figura, siegue a dire S. Isidoro, ho bella figura della grazia che, insieme a que- sto sangue divino, ha ricevuta la Chiesa! Poiché i grani mul- tiplici del melogranato, con bella eguaglianza disposti a formare un sol frutto, esprimono al vivo V ordine e la con- cordia di tanti popoli congregati nella Chiesa una, nell'unità della stessa fede e del medesimo amore; ed il colore rosso dello stesso frutto significa che questa unità di fede e di amore è l' effetto e l'impronta luminosa e splendente del sangue di Gesù Cristo: Quem in maìofjranato, socia ninne- ris (jratiaj secuta est niater Ecclesia^ habens intra se, per (jranorvm numerum ^ inultitudinem populorum, per rU' harem, idest sanguinis Christi signaculum , coruscantem (ibid.). In quanto al fico, che trasuda e spande il mele in abbondanza, fu esso la figura della legge di Gesù Cristo, della quale avea detto profetando Davide in persona del vero cristiano: Oh quanto sono dolci, o Signore al mio labro le vostre divine parole! esse si cambiano in isquisitissimo mele nella mia bocca! Perciò adunque, unitamente al grappolo didl'uva fu recato il fico della terra promessa, cioè l'imagine della legge colla figura dello stesso legislatore Gesù Cristo; giacché non si conosce la legge se non con Gesù Cristo, e non si onora bene Gesù Cristo che coli' adempire \.\ sua legge: i)p cujus doctrina dicilur in Psatmo (118): Quam dutcia fancihus nifis eloquia Ina, super mei ori meo! Ficum ciiin ftohn de ferra promissìonis attnìprnnt , idest imaginem

420 LETTURA SETTIMA

ìegis curii figura Chrìsli. Quia nec Clirislus slne l^^gc, ncc ìex sine C/iriòlo esse palesi (ibid.).

§ XVIII. - l due uomini che parlarono il grappolo so- speso ad una trace sulle loro leste, figura dei due Te- st amenti e della sinagoga e della Chiesa. Circostanza che /' uno dei portatori volgeva al grappolo le spalle, V altro V aspetlo : essa significa i sacerdoti Giudei e i Magi gentili che al medesimo tempo annunziarono la na- scila di Gesù Cristo al mondo j ma gli uììì disprezzan- dolOj gli altri adorandolo. La stessa circostanza figurò ancora che il Giudeo dovea servire il gentile. Questo incarico i Giudei lo adempirono già coi Magi: e lo adem- piono tuttavia col popolo cristiano. Essi, nelle Scritture che conservano, attestano l' aulenliciià delle profezie di Gesù Cristo, che perciò non possono dirsi inventate dai cristiani. Sono essi ancora la leslimonlanza vivente della verità del cristianesimo, cui preparano dappertutto le vie. La civiltà dei Giudei. Iddio miracolosamente li conserva.

Conosciuto così il gran mistero del grappolo, conosciamo quello ancora dei due uomini che sulle spalle il portarono, giacché nella scienza dei Libri Santi, un mistero porge la chiave, apre la via per discoprirne alcun altro. I due porta- lori di quest'uva preziosa, pendente a traverso di una stanga, rappresentarono, dice S. Agostino, varj misteri e si possono diversamente intendere. Da prima è certo ed evidente clie essi furono la figura dei due Testamenti; giacché siccome del grappolo si legge che fu mostrato al popolo nel mezzo di quei due uomini, così di Gesù Cristo sta scritto che é evi- dentemente conosciuto fra i due Testamenti. In fatti il pro- feta Abacuc dice (secondo la versione dei Settanta): Voi, o Signore, sarete riconosciuto nel mezzo di due animali: liane iivam duo refurunt inserto vede pendentem. Duo isti mul- tis modis possunl intelligi. Quoil duorum Teslamentorum tjjpuìn habuerint, hinc evidenler cognoscimus , quia quo^ modo in medio duorum illorum uva ejcliibila ìegilur ila Chrislus Dominus in medio duorum Teslamentorum eviden- t'ir agnoscilur, juxta illud ( Abac. 3): In medio duorum uni- malium cognosceris (Serm. lOU de temp.). Unest' interpre- tazione è conforme alla dottrina di S. Paolo, che dice tutto

LETTURA SETTIMA 42Ì

l'edificio (Iella vera fede si appoggia ed è .sostenuto e por- tato come sopra a due colonne, sopra i Profeti e sopra gli Apostoli, ili mezzo dei quali è collocata la gran pietra an- golare, che è Gesù Cristo: Superccdificali super /Uuilameu' ium Aposlolonim el Prop/ietarum , ipso suninto (nigulari lapide CIt risto Jesu (Kphes. 2).

Ora questo grande mistero, questa sublime allegoria si comincia a compiere nella circostanza della venula dei 3Iagi a Gerosolima. Gesù Cristo fu allora annunziato e mostrato al mondo dai sacerdoti giudei, in cui terminava il vecchio testamento e dai Ì^Iagi gentili , in cui già incominciava il nuovo, l '.ìagi indicarono il tempo della sua nascila: IS'atus esfj ì Giudei il luogo: In Bet/ileliem Judo. I Magi ne pub- blicarono il miracolo della stella: l'idimus sleìlam ejus ; i Giudei l'oracolo della profezia : Sic enim scriptum est per Prophelmn. K perciò appunto, dice S. Leone, non volle Id- dìo condurre per mezzo della stella direttamente i Magi alla culla del suo figliuolo, ma li obbligò ad entrare in Geru- salemme ed interrogare ì Giudei; iiffinchè, a maggior con- fusione di questo popolo duro ed incredulo, la nascita del Salvatore fosse attestata da una doppia testimonianza, dalla stella miracolosa apparsa ai Magi e dall'asserzione profetica letta dai Giudei: Perlinuil ad confulandam durilieinJudceo^ rum, ìli non soìuni ducili sideris. sed eliam profelia inno* tesceret naticitas Salvatoris. Sicché questo nascimento di- vino fu annunziato al mondo dai Giudei e dai Magi, dalla stella e dalla profezia , come da due Testamenti , da due esploratori, da due grandi evangelisti»

Dei due uomini che portavano il grappolo l'uno andava innanzi, Taltro seguiva appresso: perciò figurarono essi an- cora, dice S. Agostino, i due popoli, il giudeo e il gentile, la sinagoga e la Chiesa: poiché ha preceduto il popolo giu- deo, è venuto appresso il popolo cristiano: Possunt eliam isli duo christianum el judaicum populum figurare^ idesi synagofjam et Eccìesiam; prcecedil Juda;us. sequilur diri- stianus. Or questo pure cominciò a verificarsi nel mistero dell'Epifania. 11 Giudeo allora andò innanzi, perché nelle profezie, di cui aveva il deposito, sapeva il luogo in cui na-

18

422 LETTURA. SETTIMA

scer dovea il Messia. Il gentile venne appresso : perchè i Magi ricevettero dai Giudei questa importante notizia.

Quei due uomini^ mentre portavano tutti e due lo stesso peso, Tuno lo aveva innanzi agli occhi, l'altro dietro alle spalle. E così accadde al Giudeo ed al Mago: entrambi pre- dicarono e portarono Gesù Cristo alla notizia del mondo; ma i Giudei, col non essersi curati di farne ricerca, gli voltaron le spalle: i Magi al contrario, con tutta la brama del loro cuore desiderando di trovarlo, lo ebbero sempre presente agli occhi della loro mente per mezzo della fede, ed in line anche agli occhi del loro corpo, avendolo veduto ed adoralo.

Quello dei due portatori però che andava innanzi, re- cando il grappolo senza vederlo, parca servire al compagno che gli veniva appresso e prestargli il suo ministero col te- nergli sempre presente l'uva misteriosa, cui egli non vol- geva una sola occhiata. Or così, nella circostanza di che si tratta, i Giudei, dice S. Leone, pronunziando la verità colla lingua e ritenendo la menzogna nel cuore, non degnandosi di cercare essi stessi il .Messia che indicarono ai Magi, di vedere coi proprj occhi colui che avevano riconosciuto al lume profetico dei loro libri; parvero servire ai 3Iagi, pre- stare al loro uso il ministero dottorale di cui erano rive- stiti; parvero portare Gesù Cristo per gli stranieri, tenerlo sotto i loro occhi, essi che lo avevano in casa, e lo avevano conosciuto i primi per mezzo degli oracoli dei Profeti; e nei Magi e per li 31agi, incominciarono fin d'allora i Giudei a mettere a disposizione dei gentili le profezie , le promessi^ delle sacre Scritture, e servire ai loro santi desiderj, ai loro vantaggi, ai loro comodi spirituali: »«/«//? er(jo ad enidilin- ìiem (jentiuni Propheiicus sermo transibal , et pnenunlia- Ima oraculis anliquis Chiisliun aììenì(jenannn corda di- scebant: ciun Judceoruni infìdelitas verilafem ore profer- rt;l, et memlacium corde rctineret. Da quell'istante difatli gli arcani delle sacre Scritture che piirlano di Gesù Cristo, rivolli a nostro uso, incominciarono a rendercisi j)alesi pel ministero del Giudeo, che ci andò innanzi nella strada delle promesse, delle figure e delle profezie; e la verità, cui esso voltò il dorso e rigettò nella sua cieca ostinazione, incomin-

LETTURA. SETTIMA 423

ciò fin d'allora a splendere per la salute di tutte le genti: Euinde nobis Chrisluni loquciìtia Scripliiranim arcana pa- tueruìil : et verilas, quani JudcBorum obcacalio non rect' pilj omnibus (jentiìibus lumen suum i//L'e.r//(Serui.3 Kpiph.). Ma ascoltiamo S. Agostino sopra questo stesso grande mistero del Giudeo^, da Dio condannato a servire il gentile: mistero figurato già dai due portatori del grappolo, comin- ciato a compiersi a vantaggio dei .Magi, e continuatosi nei secoli posteriori ad utilità di tutto il popolo eristiano. Dice adunque questo insigne dottore: nell'aver disposto che i sacerdoti di Gerosolima, colle Scritture alla mano, istruis- sero i >Iagi del luogo ove era nato Gesù Cristo, che non si curarono di riconoscere di ricercar essi stessi; volle fin d' allora significare la providenza divina che le Scritture sarebbero restate nelle mani dei Giudei come un mezzo di cecità per loro, e d' istruzione e di lume pei po- poli gentili; e che essi le avrebbero portate pel mondo, non per giovarsene per la loro ^alute^ ma per facilitare e con- fermare la nostra. Sicché il servigio che essi rendettero allora ai 31 agi fu il pegno e la figura di quello che avreb- bero in seguito renduto ai gentili: poiché colla lettura di questi codici che stanno in mano dei Giudei si tolgono tutti i dubbj ai pagani: Quid aìiud liic siynificavil divina prO' videntia j ìiisi apud Judceos dicinas literas remansìiras ^ quibus (jenies instruerenturj UH excoecarenlurj quas por- larent non in adjulorium salutis suce, sed ad testimoniuni s(ilulis nostrce... Judceorum codices reciiamus ut toìiatur dubilalio paqanoruìn: qui jam in Maqis iìli fiqurabanlur, quos Judm de cirilale in qua nafus est Cht'islus dirinis t'Ioquiis instruebanl ; el eum ipsi nec requirebant nec (njnoscebant (Serm. 30 de temp.).

Altrove poi lo stesso santo Dottore spiega più ampiamente in che modo il Giudeo ajuta e serve al cristiano a convin- cere i gentili che ricusano di convertirsi, poiché dice: i Magi, che cercarono, continuarono il loro cammino, ritrovarono (resù Cristo e l'adorarono; al contrario i Giudei, che loro lo mostrarono, vi rimasero stranieri. Oh grande mistero! Lo slesso accade anche ai nostri. ìNoi proviamo la nostra

424 LETTURA SETTIMA

fede ed accresciamo il numero dei fedeli: noi convinciamo i pagani, che ricusano di crederla: cogli stessi codici che ci apprestano i Giudei: Pcrrcrerunt Magi et adoravenmt ; Judcei remanserunt (jui cìemonstravenint. 0 ìnagniun sacra' menluììi ! Hodie per Jiukeorum codices convìncii,)ìus Fiiuit fideles per eormii codices: osfendinius paganis quod uo- ìuni credere (Serm. 67 de divers.). Tirgilio, siegue ancora S. Ag-ostino, Virgilio, poeta gentile, rappresentò Enea che, essendo disceso all'inferno e quindi giunto nella regione degli spiriti beati, vide mostrarglisi i principi romani che doveano nascere e che egli, il poeta, quando ciò scrivea, conosceva di già di essere nati, e diede come profezìe dei futuri avvenimenti le storie presenti o passate. Ora i gen- tili dietro quest'esempio di un loro scrittore, osano alle volte sostenere che lo stesso han fatto gli scrittori cristiani. Im- perocché, quando loro mostriamo quello che hanno detto i Profeti fedelmente adempiutosi in Gesù Cristo, in modo che è impossibile il negare la evidente connessione che vi è tra le profezie e la storia evangelica che vi $i trova minuta- mente e litteralmente descritta , dicono : « INo , non sono questi altrimenti profezie fatte di avvenimenti futuri, ma storie scritte di fntti passati. Come il nostro Virgilio, cosi voi cristiani, voi stessi, dopo aver veduti i fatti, li avete messi come profezie nelle bocche di profeti che non hanno giam- mai esistito; ed i codici in cui queste cose sono esposte come anticipatamente predette li avete formali voi stessi sopra avvenimenti posteriormente compiutisi : Aliijuando pagani Clini videiil giue scripla sunl sic impìfri ut negare oinnino non possìntj quod ea per Christi ìionten in oninibiis gen- tiOus prcBsenlanlur, guce in sanclis codicibus prcedicla rt- citanlnr , audent ui dicanl : Fidislis ila fieri et laniqnam prcBdicla sinl conscripsistis. Hoc poeta eorum nuidani fe- di; narravil gueìndaìn apud inferos dcscendisse algue in òeatonnn regioni^m renisse , denionstratosque illi Roìnano^ rum principes nasvilnros quos jam ipse qui licec scrihehat niilos noverai. Pi celerilà enini narravil , srd quasi fUlura essenl priedicla conscripsil. Sii vi vos, inquiunl pagani, vi- dislis Ikpc omnia fieri, vi svripsislis volìis codices in qui'

LKTTURA SETTIMA 425

/;»/.? ÌKPC Iffianhir liunquam prcrdicln. Ora che far^ciamo noi cristiani allora ? come distruggiamo noi questa accusa che ci fanno i pagani . dicendo che ahhianio finte noi stessi le profezie, che loro presentiamo come adempite in conferma della nostra fede? Appelliamo ai Giudei e diciamo, che non é possibile che queste profezie siano state finte da noi, men- tre il codice in cui si contengono è stato sempre e si trova tuttavia nelle mani del Giudeo, il più capitale nemico del nome cristiano, e che attcsta di averlo ricevuto da'suoi mag- giori e di essere stato scritto molto tempo prima della venuta di Gesù Cristo. Or con questa unica risposta confondiamo senza replica allo stesso tempo tutte e due le specie dei no- stri nemici, i Giudei e i pagani: i Giudei, mostrando loro che la nostra credenza è il compimento fedele delle loro pro- fezie: i pagani, perchè, coll'autorità dei Giudei, proviamo loro che queste profezie sono autentiche e che noi non le abbiamo inventate: Profero co di ceni , lego Prophefam , oslendo {mpIeUim esse proplietìam; duhilat piKjaniis ne hoc ipse confinxerìm ? Jnimicns ineus fiabel liane codicenij an- iìqnìliis sihi a lìiajoribus cornvaendaìum. Ambos inde con' vinco: JudannUj quia id propìietalum el coìnpieliim ecjo co- nnovi; pnqanuin . quia hoc non ego confixi (ibid.). Ecco adunque che si ripete e si compie, a vantaggio dei cristiani, il mistero della risposta data dai Giudei ai Magi, quando noi fcìcciamo appello alle scritture giudaiche per togliere dagli animi dei nostri avversarj ogni dubbiezza. Imperciocché non é egli vero che in questo caso i Giudei moderni fanno, loro malgrado, coi moderni gentili quello stesso che i loro padri fecero cogli antichi Magi, cioè che additano ai gentili quel Gesù Cristo che non vogliono adorar coi gentili? ^(fin iìlud quale est quod ad Jtidceoruui codices provocamus ut ani- iiios dubitantium confinneniusY ISonne tunc Christuni Jii- dccì ostendunt gentibus, qucni nolani odorare cum geniibust (Serni. 33 de Temp.) E poi cosi continua lo stesso S. Ago- stino: i Giudei, colla profezia alla mano, diedero ai Magi risposta, additando loro Gesù Cristo che essi non si curarono di adorare con loro. Ora non vediamo forse che essi fanno oggi ancora lo stesso? E che altro fanno essi mai quando uc-

426 LEtTURÀ SETTIMA

cidono e mangiano l'agnello pasquale, se non dimostrare a noi gentili la più bella figura di Gesù Cristo, che non vo- gliono credere ed adorare con noi : Judcei de Scriptura re- sponderunt, el ipsi cum eis non adoraverunl. ISonne hoc videmus etiam mine? Nonne quando occidunl ovcìn inpasc/ia et manducante (jentUms C/iri.stnni demonnlrant, in queni wo- hivi credere j ({ueni cum eìs ipsi non adorant (ibid.).

Oh gloria adunque, oh potere, oh impero del nostro re e signore Gesù Cristo! Con profondo consiglio ha egli disposto che la nazione giudaica fosse vinta dai Romani, ma non di- strutta; e che ove tulle le altre nazioni, dai Romani soggio- gate, si sono fuse e identificate con loro, abbracciando le loro leggi, i loro costumi, la loro religione, il solo popolo giu- daico, sebbene dai Romani vinto esso pure, restasse tenace- mente attaccato alla propria leggo e ritenesse i patrii co- stumi e i patrii riti in materia di religione : 0 gloria reiji-s nostri! Merito Judci a Hoìnanis vieti sunt^nec deleti. Omnts genles a Romanis subaelce in Jìomanorum jura transierunl. ficee gens, quantum ad Dei culium altinet. patrias consue- tudines ritumque custodivil (Semi. 67 de divers.). Infatti seb- bene il suo tempio sia slato abbattuto, T antico suo sacer- dozio distrutto, come aveanlo i profeti predetto : pure, osserva ancora la circoncisione, e molti altri usi silliìttamente suoi propri, che lo fanno distinguere da tutti gli ali ri popoli. Ora perchè mai Dio lutto ciò ha disposto? Perchè questo popolo fosse come un testimonio sempre superstite e sempre parlante della verità della religion cristiana: Everso etiam tempio suOf exlincto saeerdolio pristino, sicut dictum est a ProphetiSy seruant tamen cireumcisionem et morem quem- dam quo a ccBteris gentibus disti nguantur. Propler quidt nisi propter testimonium veritatist (ibid.)

(juesto fallo permanente, visibile, miracoloso dell'esistenza del popolo giudaico, a fronte di mille morti sempre immola- tale, per servire alla dimostrazione della cristiana verità : questo mistero che ha incominciato coi Magi, che si è perpe- tuato per tanti secoli e si perpetua ancora nel mondo, era per S. Agostino un soggetto di meditazione e di diletto : tante volte e in tanti luoghi vi ritorna eiili col suo discorso.

LETTURA SETTIMA 42?

Perciò dice ancora nel sermone trentesimoprimo del tempo : io mi compaccio oltremodo di considerare il mistero onde i Giudei, richiesti dai Magi, dove nascer dovea Gesù Cristo, risposero: « in Betlemme di Giuda, » e mandandovi i Magi, essi però ricusarono di andarvi. Imperocché, perciò appunto si nascose per qualche tempo la stella allo sguardo dei Magi, perchè essi fossero obbligati d'interrogare i Giudei; e i Giu- dei perciò volle Iddio che fossero interrogati, perchè fosse noto fin d'allora che questo popolo è incaricato di custodire e di portare dappertutto le divine testimonianze delle Scrit- ture per facilitare la cognizione della verità e la eterna sa- lute non sua propria ma dei popoli gentili: Eliam atque etiam considei'ore deìeclal quemadmodam Matjis quafenli- bus ubi Chrisius nuscerelur Judcei responderunt: « in Beiìi- lefiein Judo; » nec lauifin ad eum ipsi venerunl. Ad hoc se aìiquaiitulum slella suhlraxeral ut Judcci possenl inlerro- gari. Ad hoc sunt aulein ìnterrocjati ut demonstroretur eos non ad suani , sed ad genlium saìuleni et aqnitionem testimonia divina portare. Perciò adunque questo popolo , cacciato dal ^uo paese natio e dal suo regno , lo vediamo disperso per tutte le parti del mondo , perché sia , a suo dispetto , obbligato a rendere in tutto il mondo testimo- nianza alla verità della nostra fede, di cui è il più ostinato nemico: Propter hoc eniin illa (jens reqno suo pulsa est et dispersa per lerras . ut ejus fidei ^ cujus inimici sunt, uliique testes fieri cogerentur. E perciò ancora pochi reli- giosi riti della antica legge che osserva mantengono sem- pre intatto il suo nome e la sua schiatta distinta , sicché . sparso e mescolato fra le genti, non mai con essi si confonde e non mai perisce, perchè non perisca in lui e con lui la testimonianza della cristiana verità. Come Caino, suo padre e suo tipo e figura, sembra il Giudeo marcato dal se- gno misterioso che obbliga i potentati della terra a rispet- tarlo anche mentre lo opprimono, e la stessa secreta forza miracolosa che conservò la vita aHinvidioso e superbo uc- cisore di Abele innocente conserva l'esistenza odiosa di que- sto popolo uccisore di Gesù Cristo: In paucis veteribus sa- cramentis ne, pfrmi.rli (it^ntitìus. siìie di'icretionr dispereaìit

4i28 LETTURA SETTIMA

et testimonium veritatis ninilkuilj velai Cnin accipieute si' gnunij et eum nulìns occidal qui fralreni jastam invidiis elsiiperbus occidil. Questo mistero può vedere predetto nel salmo quinquagesimo ottavo, nel quale Gesù Cristo, parlando come uomo mortale, dice appunto cosi: « Iddio mi mostra la punizione che prenderà de' miei nemici, ^la no. o Sig^nore, non li fate perire, aflinchè gli uomini non si dimentichino del popolo da cui son nato secondo la carne, o (secondo altra versione) della vostra legge: Perciò adunque Dio non ha uccisi i Giudei, cioè non li ha interamente distrutti dalla superficie della terra, affinché l'antica legge mosaica non cada mai in dimenticanza, ma sempre supei'stite in questo popolo che la custodisce nei suoi libri e ne siegue la carnale osser- vanza, serva ad un tempo alla loro condanna ed alla nostra istruzione: mentre in questi nemici della fede cristiana si prova sempre ai gentili in quali e quanti modi è stata pre- detta la missione divina di Gesù Cristo: Hoc ìiiniiriim oli ni iti quinfjuagesimo oclavo psalmo non incongnienler inlel- lifji poteslj ubi Cliristus ex persona sui corporis loquitur p.t dicit : « Deus, denionstra mihi super inimicos meos. Ne occidds eoSj nequnndo obliviscnntur populi tìici (nlia ver- sin) leqis tuo'. » Ideo rrqo non occidil: hoc est de terris penitus non perdidil, ne obliciscanfur {populi) legem ipsius; quam proplerea legendo^ et quosdani ejus carnaliter obser- vando meminerinl , ut sibi sunianl judicium , nobis prcebeant tpslinionium. In eis quippCj initnicis fidei Christiana. demo)i' slrahir genlibus quoìnoilo prophetatus est Lhrislus (ibid.). Oh economìa di severa immutabile provvidenza! t

Oneste osservazioni, che il grande Agostino faceva ai suoi tempi, dopo più di quattordici secoli hanno ancora il loro misterioso compimento. Da per tutto odiali i Giudei, da ])er tutto si ritrovano. Appena si scoprono nuove terre, sono essi fra i primi a penetrarvi e stabilirvisi. Tutte le nazioni li ve- dono passare, li conoscono, li detestano e li calpestano, e nulla in particolare eguaglia l'avversione e il disprezzo che i maomettani e gì* idolatri hanno per questi degeneri figli d'Israello. Invailo in certi paesi sono stati essi emancipati ed elevati alla dignità di cittadini. Questa misura altro effetto

LETTURA SETTIMA 429

non produce che staccarne alcuni dalle osservanze legali, farli cessare di essere Giudei, senza renderli cristiani^ e dalle rabbiniche superstizioni strascinarli nell'indi (l'erenza o nell'incredulità; ed un gran numero di fatti di questi Giu- dei Civilizzali non sono che materialisti, atei o deisti, egual- mente lontani dalla legge di Mosè e da quella di Gesù Cri- sto. Quelli che restano Giudei, siano ignoranti o istruiti, li- beri 0 schiavi, padroni o servi, poveri o ricchi, negozianti o possessori di terre, sono sempre ciò che furono i loro pa- dri: sono e saran sempre Giudei. La coltura può ingentilirne le maniere, ma non migliorarne i sentimenti. Vi è nel loro cuore un elemento secreto di barbarie e di odio per tutto ciò che non è giudeo, che respinge ogni elemento di vera civiltà la quale in fondo non é altro che amore.

Se non che come la vera civiltà non può nulla sul loro ca- rattere, così non può nulla la forza sulla loro esistenza. Questo popolo da per tutto oppresso, da per lutto sussiste; ed è inde- struttibile, immortale in mezzo a tutte le cause di distruzione e di morte. Il Dio che lo punisce, lo conserva e fa servire questo monumento perenne della sua giustizia ai disegni della sua misericordia. I Giudei sono ancora, come li chiama S. Agostino, i librarj, gli archivisti, i notari del popolo cri- stiano. Librar] nostri facti sinil. Iissi nei loro Libri Sacri conservano i titoli autentici della cristiana religione, dell'an- tichità della sua origine, della perpetuità della sua durata . dell'ampiezza de' suoi diritti, della divinità del suo fonda- tore, della verità della sua dottrina, della ricchezza de' suoi privilegi, delle sue promesse, delle sue ricompense. I com- mercianti Giudei precedono quasi da per tutto gli Apostoli cristiani; e colla loro credenza in un sol Dio e colle osser- vanze figurative della legge mosaica dissipano le tenebre del- l'idolatria e preparano i popoli gentili ai cristiani misteri. Anche al presente Mosè e i Profeti portati da per tutto dai Giudei, sono gli evangelisti che preparano le vie a Gesù Cri- sto. Anche al presente, ai Giudei, che parlano sempre del Messia da nascere e nonio curano, succedono i 3Iagi che an- nunziano che é nato e lo adoi'ano; ai Giudei che portano da per lutto la legge e i Profeli, vengono dietio gli Apostoli

430 LETTURA SETTIMA

che li spiegano e vi ag-giungono il Vangelo. Cosi anche al presente Gesù Cristo, il vero grappolo misterioso che con- tiene il vino celeste che purifica e conforta le anime, é por- tato (la due specie di evangelisti, come da due uomini sulla stanga della croce a tutti i popoli, ed é presentato alle ado- razioni del mondo. Così anche al presente 1' uno dei due uomini che portano quest'uva eletta, cioè il Giudeo, segna all'altro, cioè al cristiano, il cammino, gliela tiene sempre presente senza rimirarla egli stesso.

Per altro la trista condizione di questo popolo missiona- rio, il popolo giudeo, non sarà eterna: esso rimarrà sempre distinto e diviso tinche saranno anche per suo mezzo con- vertite ed entrate nella Chiesa tutte le genti. Allora, avendo terminata la sua missione, si rivolgerà indietro, rimirerà esso pure il grappolo che per tanti anni ha portato senza conoscerlo. Laverà esso pure, come noi, la sua stola nel san- gue dell'uva che per tanti anni ha portata senza conoscerne la virtù divina: Ldvabil siolnm suani in scuigìiine uvcp. ^i mescolerà coi gentili convertiti, cesserà di essere il nostro servo per divenire il nostro fratello. Si confonderà con noi nella professione della stessa lede, nella pratica della stessa legge, nell'adorazione della stessa persona di Gesù Cristo ed entrerà a parte della comune salute. Egli è S. Paolo che ha predetto si grande mistero: ^'o^o eniin ignorare vosj fralres , mtjsterium hoc j (jiiia ccecitas ex parie con- tincjil in Israel: donec pìeniludo (jentium inlraret et lune oninis Israel sairns fiat (Rom. 41).

§ \IX. - Sificjua la spiegazione del mistero dei due por- tatori del grappolo. Infulicilà del Giudeo che volgn al Signore Ìl dorso; grati ventura del cristiano che lo ha sp.mpre innanzi agli occhi. Il Giudeo, che portando Gesù ('risto nella leggp. . ne è oppresso, ed il cristiano che, portandolo nella fede, ne è confortato. Il giogo del demonio e j7 giogo di Gesù Cristo. Con guali disposizioni deve il cristiano bere il succo del grappolo misterioso.

Ma il mistero dei due uomini che portarono il grappolo r- troppo importante e troppo caro. Deliziamoci dunque in esso ancora un poco, comf vi si sono deliziati i santi Padri;

LFTTUR4 SETinU 43i

riscontriamo alcuni dei loro pensieri sul proposito, e pro- curiamo (li penetrarli, di gustarli, d'interpretarli, anziché semplicemente tradurli.

S. alassimo, adermando come S. Agostino che i due an- tichi portatori dell'uva sospesa alla stanga signilìcarono i due popoli, il cristiano e il giudeo: Duo autem in phaJatiffa porlatìtes iiram duo populi demonstraìitur _, clìristianus nlique et judceus (Serra, in nat. S. Cypr.), prosiegue a dire ancora così: Accade però di due uomini che portano uno stesso peso pendente ad una stessa trave che l'uno va in- nanzi, l'altro vien dietro, o che colui che va innanzi non vede il peso che gli sta alle spalle, ma, tenendo verso di esso rivolto il tergo, sembra fuggirlo e sprezzarlo. L'altro al contrario lo ha sempre sotto gli occhi, vi tien sempre fìsso sopra lo sguardo, e pare che camminando sempre più gli si appressi e lo faccia suo. Or questo appunto accade al popolo cristiano e at popolo giudeo rispetto a Gesù Cristo: Sìcut mos est portantìum, unus prceccdens altur. subseqiiens. et sìcut antecedpiìs quod po) l<il non videi ^ et retrorsum idem aemper habenSj quadam dorsi nrersionf rontemnitj qui au- tem ^ sequitur seniper id ociilis perspicil , semper cuslodit obtutibus . semper corporis vici ni tate polifur. Ita ergo ju- dceus et christianus populus (ibid.). Il giudeo é prima del cristiano; porta Gesù Cristo in tutte le figure e le profezie della legge mosaica che professa; ma non lo conosce, se lo gìtta anzi dietro le spalle con un superbo disdegno, lo rigetta e lo disprezza. Perciò ha detto di lui il real Profeta: « I suoi occhi saranno sempre oscurati per non vedere, ed il suo dorso curvato sempre sotto il peso che porta. » Al con- trario il popolo cristiano, che siegue la dottrina di Gesù Cri- sto, lo mira sempre cogli occhi della sua fede: tiene sempre sopra di lui fiso lo sguardo della sua mente e del suo cuore ed a misura che avanza nella carriera della vita, si avvicina empre più a lui ])er stringerselo al seno. 11 Giudeo, senza

guida, travia; il cristiano, con Gesù Cristo innanzi agli oc- chi, cammina sicuro. Il cristiano cammina sul sentiero che il Giudeo ha battuto, mette il piede sulle vestigia che que- sti ha impresse, entra nel di lui luogo, prende il suo diritto.

432 LETTURA SETTIMA

si string-e sempre più a Gesù Cristo, che il Giudeo ha ah- bandonato: Judceus enini prior esl^ Cliristum in Icge por- tai et ìiescìtj et refroisuin cum ponens, quadcuii dorsi aver- sioìie conlemnitj tinde ail Propìietn (Psal. 68): Obsciirenlur Odili eorum ne videunt , ti dorsurn eorum semper incur- va. Clirislianus vero sequens populiis Chrislum semper ocuìis aspidi j semper custodii ahluìibus ^ et quadam (jra- duìim suorum vicinilate compìeclilur j et quando eum ille populus pravo itinere post se rei inquii, tanto eum iste di- recto cursu feslinal attingere (ibid.).

S. Isidoro ci ha data ancora la stessa interpretazione dei due esploratori con queste belle parole; I due portatori che camminavano sotto il peso dello stesso grappolo rappresen- tano i due popoli. Colui che andava innanzi il primo è il Giudeo, che, volontariamente ignorante della grazia che gli è vicina, che gli è compagna, che cammina con lui. cieco, ed ostile rimane sempre oppresso sotto il peso di Gesù Cri- sto che ha crocifisso; giacché, non volendolo riconoscere per redentore, gli è soggetto e lo sperimenta suo giudice. Il se- condo esploratore poi che veniva dietro significava il po- polo gentile, che. credendo in Gesù Cristo ed avendolo in- nanzi gli occhi presente, sempre rimira il dolce peso che porta, e gli va fedelmente appresso, come un servo al suo padrone, come al suo maestro il discepolo, munito del segno della sua croce, e adempie così il detto del medesimo Sal- vatore; « chi vuole venire appresso a me, rineghi stesso, si metta in ispalla la sua croce e mi siegua; » Duo bajuìi qui sub onere botri incedcbanl ularque populus est. Cujus priorj Judceus j ccecus et aversus , iijnarus prcesenlis <jra- ti(e , et pressus onere suspcnfii , cui suljjicietur judicanli. Qui vero posterior veniebaly popuìum (jenlium siijnificahat, qui credens , et Cìu-isluui aule ocuìos , Iiabens , semper _. quem portai, videi elj quasi scrrus dominum et discipulus magistrumj sequitur^ secunduìu iìlud (Lue. 9.): « Qui vult post me veìiire : abnegel semelipsum , loìial cruceui suam et scquatur me (in V^ Num.). »

Finalmente bisogna udire ancora il grande S. Agostino, (ht^ nel citato sei*mone centesimo del tempo, eh.» dedica

di

LETTURA SETTIMA k'^o

lutto intero alla spiegazione di bella istoria, dopo aver detto che i due es})loratori furono figura dei due Testam»^nti, prosiegue così: possono ancora questi due uomini figurare i due popoli, il giudeo e il cristiano; sono dunque la sina- goga e la chiesa del popolo gentile: Possimi isli duo elìain dnistianuin et judaicuin popuìum J'ujurare j sunl crrjo .si- ncKjoya el Ecclesid populi. Precede il Giudeo, siegue il cristiano. Onesti porta sempre innanzi a la sua salute, que- gli l'ha dietro al suo dorso; e così si adempie dei Giudei ciò che Dio aveva di loro predetto per mezzo del Profeta: « Essi non vorranno altrimenti volgere verso di me la faccia, ma mi torceranno con dispetto le spalle: » Prwcedil Jiukms òequiliw chrislianiis ; salnlem suam hic ante cotispectioii fjeril j ille post clorsuni : oc sic impletitm est in Juclo'is. « Posuerant adcersus me dorsa et non facies siias. » Il Giu- deo non vede Gesù Cristo mentre lo porta, ed é privo del suo volto amoroso: il cristiano lo ha di continuo sotto gli occhi e lo vagheggia e se ne bea, come nell'oggetto delle sue più dolci speranze. Sembra venir l'ultimo, ed avanza e diviene il primo: mentre il Giudeo, che cammina il primo, non rimane nemmen l'ultimo, perchè sempre più lo abban- dona e se ne allontana. 11 cristiano lo seguila, il Giudeo lo schiva: l'uno gli corre appresso, l'altro lo fugge, li'uno non ha per lui che dispetto, l'altro è tutto amore per lui. Ed ove il vero cristiano, penetrato dalla più alta stima dei misteri di Gesù Cristo, più delle rose ama le sue spine, più delb* terrene dolcezze il suo fiele, più delle ricchezze la sua nu- dità, più degli onori il suo vitupero, più dei troni la sua croce, più della vita la sua morte; al contrario il Giudeo, animato da un odio inconcepibile, da un furore infernale contro l'adorabile Gesù Cristo, non lo ascolta come maestro, non gli ubbidisce come padrone, non lo accetta come reden- tore, noi cura come rimuneratore, ne disprezza le dottrine, ne rifiuta le promesse, ne insulta gli esempi, ne deride i misteri, ne calpesta la dignità, ne bestemmia il carattere, la persona, il nome: Ideo post sequitnr iste, sed^ spem suam sub ocuiis habensj anlccedit et proficil: ille pilo r (ji'adilur sed deserti; iiic sentper videi ^ ilie semper reìi>i:i'j,if; àie ab-

^34 KETTLnA SETTIMA

òeqfiiuni pnvferl, ille contemptinn Oh «.n'aiide mistero, an- nunziato specialmente a Giudei! Gesù Cristo nacque fra loro, ed essi noi vollero ricevere. Colui perciò che dovea salvarli divenne per loro pielra di scandalo , occasiona d'inciampo e di mina. Ma rigettato dall'ostinazione dei Giudei questo Gesù Cristo è stalo ricevuto dalla fede dei gentili. Tutti e due adunque lo portano, l'uno perchè crede che de>e an- cora venire, l'altro perché crede che é infatti venuto. li'uno presenta il Alessia in istato ancora di figura di promessa, di profezia nell'antico testamento, l'altro in istato di realtà, di compimento, lo addita nel nuovo. Poiché, da vero eletto fi- gliuolo, ha docilmente accolto, per mezzo della predicazione, quel Salvatore divino che il Giudeo, per la durezza del suo cuore ha perduto; e mentre questi lo disprezza nella stessa legge in cui Io porla, il cristiano lo ammira, lo ama nello stesso corpo in cui é crocifisso. Perciò, sebbene lo stesso Gesù Cristo sia di entrambi redentoi-e e Signore, pure del cristiano che lo adora solo può dirsi che ve/amente e religiosamente lo porta: drd (jiudeo però che Io ha in orrore, é più vero il dire che senìpre lo attacca al legno e lo crocifigge: Ju- dceis spacialilcr anìiunlialus, in sua venite et sui tutu non recepcrunt : faclus est ergo cis lapis ofj'tnsionis el pelra scandali ; sed (jueni Israel non co(jnovil, (jcnliuin Jidts re- cepii: tjuem prtedicalionc suscepil clectus , corde perdidil incredulus: et qveni unus aspernatur in lecje j alter mi- ratnr in corpo re j uìidej aniboruni Dominus el Jiedemptor nosler, ah hoc adorante (jestatur, ab ilio se aversante sus- penditur. Se dunque l'opera del portare è la stessa e lo stesso si è il peso misterioso che da ambidue si porla, di- versi però sono dello stesso portare gli elletti, come dei por- tatori sono le disposizioni diverse, il Giudeo portando nella legge mosaica i misteri di Gesù Cristo, ne rigetta la grazia che vi é annessa e che sola può alleggerirne il peso; non partecipa a questo bene, perché non lo possiede; non lo |)os- siede, perché non lo ama. non lo ama, perché non lo crede , noi crede, perché non lo conosce; noi conoite , percJié non vuole verio di lui voltare la faccia e il cuore. Tutto al con- trario accade al vero crisliano; C5S0 dagli stessi miàteri din

LETTURA SLTTIMA 43o

portd credendoli, che venera amandoli, riceve la grazia che ristora: e il peso del credere gli è raddolcito dalla condizione di amare. Il peso adunque di Gesù Cristo, aspro e laborioso pel Giudeo, è pel cristiano dolce e leggero. L'uno ne é sfian- cato, r altro ne è rinvigorito. L'uno stanco, anelante, sempre inatto di scuoterlo dal suo dorso, lo porta con istento; l'altro, riconfortato e lieto è sempre in atto di abbracciarlo, lo so- stiene con giubilo. Poiché tale é Gesù Cristo; è salute che consola chi in lui crede, e solo per chi lo disprezza it pe^o insopportabile che fa curvare sempre la fronte e il dorso, che schiaccia ed opprime: Porlal quidem Chrislum JudcBim in leijffj scd a (jralia qucun in iiiysleriis porlal adctrsaluò eat. Incedunt duo sub sacro fasce ordine suo : c/trislianus seinper pra'senli miinere friiilur^ Judceos solo onere pne- ijravalary quia Chrislus sicul credenti saìus^ ila onus est non credenii.

Poiché dunque noi cristiani abbiamo avutola sorte di >e- nire al conoscimento, aUadorazione di Gesù Cristo, ed alla j:loria di quel Signore che i Giudei hanno abbandonato e crocifisso, poiché S. Paolo ci avverte di glorificarlo colle no- stre azioni e di portare Gesù Cristo espresso nella mortifica- zione del nostro corpo: procuriamo coll'ajuto divino che questo caro peso, che portiamo sul capo per la fede cJie ab- biamo in lui e che ce lo tiene sempre presente, peso pre- zioso, peso giocondo, giogo soave e leggiero: procuriamo di assicurarcelo, sicché non ci caschi dalla testa, cioè a dire temiamo di perdere, colla malvagità delle nostre opere, la sua fede, la sua speranza, il suo amore: Quia Cfirisluni Doniinuni j queni prior populus Judceoruin posi dorsum reliquil et crucifijcilj nos^postea venienles, adorare et por- tare meruimusj secundum illud Apostoli (I Cor. 5): « (//o- ripcate et portate Deum in carpare vestrOj » quantum pos- sumuSj cum ipsius adjulorioj laborenius ne a noslris cer- vìcibus lani sanclani sarcinam inalis operibus deponamus. Osserviamo però sempre S. Agostino che parla) che que- sto peso miiterioso di Gesù Cristo é di una natura tutta particolare; esso solleva e ristora, piuttosto che gravare ed oppriiiicre, come cu ne a^jiicui'd ciso itciio ncL^uo Lyon-

A 36 LETTURA. f-ETTIÌlA

gelo dicendo: 11 mio giogo é soave. leggiero si é il mio peso; ed infatti, se noi sottoponiamo con umiltà il nostro capo a caro giogo, più che portarlo noi, siamo da esso portati noi stessi: Sorcina Chrisli levare consuevìl^ non premere. Sir.ut ipse in Evangelio clixit : JiKjiim menni snave est, et onns meum leve. Si enini jncjnm Cliristi subdita el humili cervice suscipiniuSy nia(jis non porla t qnam a nobis por- tallir (ibid.). Il giogo di Gesù Cristo rinfranca, come il giogo del mondo schiaccia sempre chi lo porta. Ora non vi é via di mezzo : in questa vita Tuomo o porta il santo giogo glo- rioso di Gesù Cristo, che ne solleva verso il cielo la mente e il cuore, o porta il giogo umiliante del secolo, che lo ab- bassa e lo incurva verso la terra. Esamini perciò bene ognuno la propria coscienza; e se conosce che, per mezzo di una vita divisa tra li pensieri santi e le virtuose azioni, porta esso davvero il giogo prezioso del Signore, ne goda, gli renda umili azioni di grazie e procuri di perseverare nello stesso proposito, sostenuto dalla vigilanza e dal timore, e di cam- minare sino al fine nella stessa via. Al contrario, chi si ac- corge di avere la mente in preda ad immaginazioni impure, la vita deturpata da raalvage operazioni, e perciò si vede assoggettato od oppresso sotto il durissimo giogo di questo mondo, si dia alla preghiera, al digiuno, alla elemosina; ri- solva con piena fiducia di disfarsi di tutti i suoi rei abiti, dicendo col Profeta: «Aia, voglio spezzare ogni vincolo di iniquità, voglio gittarne lungi da me il giogo che mi oppri- me. » Sono queste le armi per arrivare a scuotere da se il giogo del diavolo e di meritare di rientrare sotto il giogo di Gesù Cristo: Sicut juguni sceculi sempcr premi!, ita ju- (jìim Chrisli levare consuevil. Et qnia omìiis homo aut'^ju' (jiim Christi parlando erigilur ^ ani jiKjum satculi suslì- nendo ad inferiora depriìnilnr, allendal unusquisque con- scenliam suam , el si de sanclis cogitationibus et bonis operibus jngum Chrisli portare cognovit , gaudrat et Deo gratias agalj el cum grandi solliviludine et tiìnore perse- verare conlendat. Qui vero hi.vuriosis cogilationibas et ma- lis operibus^ durissimo mundi hujus jugo se nimium gru- vari cogàoscit, orationibu^f jeiuniis, vel ekeinosìjnis proii-

ì

LLITURA stniMA 'éM

ci'it jufjuin (liabijU , ut inerealur e.rcipcrc jiujum Chi isti , et de omnibus nialis aclibus òuis cudì Prophetd fìdeliter dicat (Psal. 2.): « Dirumpamus vincula eoiuw, proiicia- inus a nol^ia Juyuni ipsorum (ibìd.). » Se vogliamo adiin- qiK' con melile tranquilla, con coscienza sicura. a})pressare Je labbra a quel!' uva misteriosa , spirituale e divina dalla quale il torchio della croce ha spremuto ed apprestato a noi il vino della vera allegrezza, bisogna che non abbiamo l'a- nima deturpata dalla lussuria, avvilita dall'avarizia, avvele- nata dall' invidia, inlìammata dall' ira, gonfia dall' orgoglio. Chi desidera , chi brama di avvicinarsi degnamente all' al- tare, bisogna che cominci dallo sbandire tutti questi vizj dal suo cuore: Tunc enim de illa spiriluali uva, de qua no- bis l'inum ketilice prwluin crucis e.rpressil j cum secura conscientia bibere poterimus, si nos vec luxuria sqj^lida- cerit, nec iracundia combusserilj nec inflaìuniaoeril super- bia, nec auaritia abscurarerit, iiec invidia vipereo veneno percusserit. Omnia enim ista de corde suo debet espellere qui ad altare optai accedere (ibid.).

§ XX. - Altre considerazioni sulla felicità del cristiano che j per la sua fede, ha sempre innanzi aijli occhi Gesù Cristo. Spieqazione delle parole dette da Dio a Mosè: cf Vedrai solo i miei posteriori. » Temerità d' un moderno interprete nell' affermare che ò'. Girolamo ha malamente tradotto un tal passo dtU'Esodo: 1 POSTERiORr DI Dio sono l'umanità e le usniliaz-ioni di Gesù Cristo, che allora furono mostrate a Mosè: la pietra da cui c/h furono mostrate p la Chiesa. Bisogna avere sempre in- nanzi (tijli occhi la passione di Gesù Cristo per elevarsi, ^ome lìlose , alla vera scienza di Dio. Da Gesù croci- fisso ogni lume discende, l Giudei, perche privi di questo lume, non intendono nulla nelle Scritture ^ che per noi cristiani sono manifeste.

Per animarci però sempre più a sottoporre umile la no- stra mente, sincero e puro il nostro cuore al santo giogo di Gesù Cristo, consideriamo tuttavia un poco la felicità del- l'anima cristiana che, con questo prezioso giogo sul capo, ha sempre Gesù Cristo innanzi agii occhi o lo siegue; e che la divind bontà ha voluto descriverei in figura nf-lla visione ineffabile che concedette allo stesso Mosé.

Biììezzs di..la fede. U. i9

438 LETTURA SETTIMA

Di due grazie avea questo santo Profeta supplicato al Si- gnore ; la prima , che si degnasse egli stesso il misericor- diosissimo Iddio di precedere il popolo d' Israello nel suo viaggio per la terra promessa : Si non fu ipse prcecedas^ ne educas nos de loco islo (Exod. 33): la seconda di scoprirsi manifestamente allo stesso Mosè e fargli conoscere la sua gloria e il suo volto divino: Ostende mihi facieni tiinm... oslende mihi (jìoriam iiuim (ibid.). Ora : « in quanto alla prima grazia, rispose a 3Iosè il Signore, tu l'otterrai dalla mia misericordia e dal mio amore per te : El verbnui hoc quod lociitiis es faci ani ; invenisti enini (jraiiani opud me (ibid.). In quanto poi al vedere il mio divino sembiante , ciò non è possibile ad ottenersi dall' uomo durante il corso di questa vita mortale: ÌSon poteris ridere faciem meam ; non cnini videbit me homo et vivet (ibid.).

3Ia se non puoi ottenere in tutto una tal grazia, voglio almeno concedertela in parte. Sai che sul monte stesso in cui io ti ho parlato vi è un luogo, una spelonca incavata nel sasso: ivi io ti farò entrare, e la mia mano ne coprirà l'ingresso, afiinchè tu non vegga la gloria del mio volto, di cui non pol^^ndo sostenere gli splendidi raggi, cadresti esa- nime e morto. Quando poi sarà passato a te dinanzi, leverò la mia mano dall'apertura del sasso, sicché tu possa guar- dare al di fuori : e così mi vedrai almeno dalla parte di dietro o alle spalle, se non ti è concesso di vedermi in fac- cia: Est locus apud me j el slabis supra pelram ^ cumqiie transierit gloria mea, ponani te in foramine pelrce el pro- tegam dcxtera mea donec tronseam. Toìhiniqne maniim meam^ el videbis posferiora mea; faciem autem meam ri- dere non poteris (ibid.). » E difatti poco dopo recossi Mosè sulla sommità del Sinai, nel luogo appunto che il Signore gli avea indicato: Ascendi! in montem Sinai ^ ut ci prcecc- perai Dominns: ed ivi dal fondo della spelonca, in cui stava nascosto, vide il dorso del Signore che di era passato; ed a tal vista, preso da un santo entusiasmo di riconoscenza mista allo stupore, 0 grande Dio e Signore, esclamò, o do- minatore supremo dell'universo! voi siete davvero miseri- cordioso e clemente n<^l perdonare, verace nel mantenere le

LETTURA OTTIMA 439

vostre promesse, paziente nel sofTrir i peccatori, pieno di tenerezza nell'aceoglierli. Nessuno è innanzi a voi innocente per stesso, ma per grazia vostra. Voi siete colui die to- glie dai mondo le iniquità, le scelleraggini , e che disten- dete ampiamente in terra le vostre misericordie : Ciim de- sceudissct Dotninus per riiibenìj siedi Moyses cum eo. Quo Iraiiscnnlc covam^ ail : Doiiiinalor Domine , Deus ini.srri' corSj clemeìiSj palieus ci niulke iniseralìonìs oc veni.r; (jui cuslodis misericordiani in milliaj fini aufers inifjnilalftìi et scelera et peccala , nullnsque apnd le per se innucens CSI (ibid. 34).

Ora questo passo dell'Esodo è uno dei più oscuri e difTì- cili della sacra Scrittura. E che cosa possono mai litteral- mente significare le espressioni : Faccia di Dia, poslrriori di Dio? Dio ha forse petto e dorso, spalle e sembiante? Un interprete moderno in cui la leggerezza dello spirito va del pari colla petulanza delle idee, per liberarsi da ogni imba- razzo nella spiegazione di un tal passo, ha imaginato che la parola ebraica che S. Girolamo ha tradotta in latino, posle- riora mea, i miei posteriori, ha nella lingua originale un'al- tra significazione che S. Girolamo ignorava , e che rende- rebbe meno indegno Dio e più plausibile il senso litte- rale. Così, per questo egregio espositore, S. Girolamo, che ha imparata la lingua ebraica dai più teneri anni sotto i più periti maestri, che la parlava e la intendeva colla stessa fa- cilità della lingua materna, che ha passato sessant'anni di vita nella Palestina trattando coi più dotti rabbini del suo tempo; S. Girolamo, che si era passata in natura ed in san- gue la Scrittura sacra, che ha verificati coi propri occhi i luoghi che vi sono indicati, che ha consultato i codici più sìnceri, che aveva alle mani le poliglotte di Origene e gì" in- terpreti che aveano più dappresso attinto alle tradizioni cri- stiane e Giudaiche sulla Scrittura: S. Girolamo, che per ses- sant'anni non interruppe mai lo studio dei Eibri Santi che per esercitarsi nelle opere della penitenza, dello zelo e della carità, e che non mai si pose a spiegare il sacro codice se non dopo di avere digiunato ed orato; S. Giiolamo infine, uno dei più grandi ingegni del mondo, uno dei più grandi

440 LETTURA SETTI3U

santi del quinto secolo, secolo d'oro delld dottrina e della santità della Chiesa, e che la stessa Chiesa saluta col titolo di « Dottor jussimo » tale formato da Dio a bella posta neir interpretazione della sacra Scrittura : Sancliun Hiero- ntjnium in inlerpretandis Scripturis sacris doclorcm maxi- mum providere dignaliis es (in Brev.); S. Girolamo non sa- peva la lingua ebraica, non intendeva bene la Scrittura, non avea il senso comune, e ciò per sentenza di un pedante del secolo decimonono. Ma non ci maravigliamo di ciò. Colla sola cognizione dell'ebraico, buona tutt'al più per intendere la lettera omicida della Scrittura, come la intendono i Giu- dei, non si supplisce alla mancanza assoluta della scienza ecclesiastica, del gusto dei cristiani misteri, dell'umile pie- tà ; condizioni necessarie per entrare nello spirito vivificanla del sacro codice. E poi la smania invereconda di attaccare le grandi riputazioni e i genj i più potenti fu sempre una delle malattie dei semidotti.

Ritornando però al nostro testo, diciamo che il contrario di quello che questo interprete imbelle non ha arrossito di dire é vero, cioè che il passo di che si tratta non si po- teva meglio tradurre di come S. Gerolamo lo ha tradotto; e che la parola poslcriora men, di cui il citato interprete si mostra scandalezzato, è un tratto di luce che, se offende chi ha l'occhio infermo, ajula però ciù ha sana la vista, a discoprire nel passo in questione un grande e consolante mistero che ogni altra versione avrebbe fatto sparire.

Jn fatti i posteriori di Dio sono Tumanità di Gesù Cri- sto e le gloriose ignominie e le pene salutari che ia vita ha sod'erte. Perché di fatti, dice l'A-Lapide, l'umanità é la parte posteriore o inferiore in Gesù Cristo, la divinità è come la parte anteriore e più nobile: Humanitas enim in- ferior el posterior est Christi pars; divinitas cero est prior et potior (in 34 Exod.); ed i patimenti di Gesù Cristo sono le posteriori sue glorie, e questo appunto, descrive come nel tcr(jo glorioso del Signore^ furono mostrate a 3Iosè: Pas- siones Christi sunt posteriores ejus glorice^ (pice scilicet in tercjo Domini (jlorioso ostensw sunt Moysi ( ibid. ). Ed a questo passo dell'Esodo senibi^ aver voluto alludere l'Apo-

LETTURA SETTIMA h'iì

slolo S. Pietro quando disse «he i Profeti illuminati, dallo spirito di Dio. hanno predetto i patimenti e le posteriori (jlorie di Gesù Cristo: ProfaUe spirila Del prcBiiuntiavcmnl ens qucp in Christo sunt passiones et posteriores glorias (f Petr. 2). 3Iirate però come, con questo lume, l'oscurità del citato passo si dilegua. Mosé chiede di veder la faccia di Dio, cioè, come spiegano S. Agostino, S. Gregorio e S. To- maso, la visione dell'esistenza divina: e di fatti i Sellanla, invece di « mostrami la tua faccia^ » han tradotto « 310-

STRAMF MANIFESTA mente TE STESSO, » OSteude lìli/li te ipSlim

manifeste. Ma ciò non si può oltener nella r/V/, ma solo nella patria. Allora solo, sostenuti dal lume della gloria, potremo, dice S. Giovanni, vedere Dìo manifestamente come è in stesso: Cum apparuerit; videbimus eiim sicuti est (I Joan.3); e S. Paolo dice: al presente non possiamo vedere Iddio se non in una specie di specchio e come un enimma; a faccia a faccia lo vedremo solo nei cieli: Vidimus nane per spe- cuìum in (enifjmate; tunc aiitem facie ad faciem (ICor. i3). Ecco perché Dio dice a Mosé: « In quanto alla mia faccia non é possibile che, stando in questa vita mortale, la vegga.» I\la per consolarlo in qualche modo, mentre gli occulta la sua faccia, cioè la gloria della sua divinità, coprendo di una nuvola l'apertura della spelonca in cui stava Mosé quando questa gloria gli passava dinanzi, gli concedè però l'insigne privilegio di vedere in ispirilo i posteriori^ il dorso, le spalle di Dio, cioè l'umanità di Gesù Cristo, i suoi obbrobrj e le sue pene : delle quali dice S. Paolo che Mosé, al vederle, ne rimase sopraffatto e incantato, le ebbe in conto di un vero tesoro e le preferì a tutte le ricchezze di Egitto: Fide Moij^ ses majores dioitias existiniavit thesauro /Ecjijptioriim im- proprium Christi (Hebr. il). Perciò dice S. Ambrogio: Mosé non vide e non potè vedere tutta la pienezza della divi- nità che corporalmente abita in Gesù Cristo, ma vide i suoi posteriori j le sue spalle: vide, cioè, il suo splendore come uomo, vide la gloria e la virtù della sua passione, per la quale ha aperto agli uomini le porte del regno dei cieli: Neque etiim Moyses totani divinitatis plenitndinem vidit quoi haljitat in Christo corporaliter, sed vidit posteriora

442 LETTURA SETTIMA

Chìiòliy vidil spìendortm ejus iil homOj vidit ejus (jloriam passionis , per quam reynum iiobis ccelesta reseraml (in Psal. 43). Tertulliano, S. Gregorio nazianzeno, S. Agostino, S. Bernardo credono che allora Gesù Cristo diede a Mosè un saggio ed una promessa della visione della sua santa uma^ nità e dei grandi misteri che doveva compiervi, che poi gli concedette sulla rupe del monte Taborre, quando si trasfi- gurò in faccia ai discepoli, e Moni ed Elia apparvero a'suoi fianchi e discorsero con lui dell' eccesso di misericordia che dovea compiere in Gerusalemme (Lue. 9). Il perchè, ci dice Fernandio, 3José vide iìn d'allora sul Sinai ciò che più di- stintamente vide poi sul Taborre, cioè Gesù Cristo lacerato dai flagelli , coronato di spine , nell' atteggiamento in cui Pilato lo mostrò ai Giudei , dicendo loro ecco /' uomo; lo vide finalmente ancora crocifìsso: e fu a tal vista, a tale spettacolo di profonda uniliazione, di atroce dolore, cui la misericordia e il desiderio della salute degli uomini avrebbe ridotto il Salvatore; che rapito in estasi di meraviglia e di amore incominciò a gridare: Vi riconosco, o gran Dio, a que- sti tratti, pel Dio di misericordia, di clemenza, di pietà, l'^cco il prezzo onde solo diventiamo innocenti e giusti in- nanzi a voi: Moijses vidil Clirislum flmjeììis ccssum, spinis coronaliun j, (jualein Pilalus populo tu:ibuity diccns :. Ecce homo. Denique vidit eum criicifijcumy luide exclamavil: Do- rninalor Deus y misericors , clemens , inullce miseralionis (Vision. VII, sec. 3).

E queste altre parole di 3Iosè : « Siete voi o Signore, che TOGLIETE I PECCATI, qui aufers peccata, » che altro signifi- cano se non che il Profeta vide allora Gesù Cristo in atteg- giamento di vittima che espiava e cancellava i peccati del luondo colla sua passione e colla sua morte? Gran cosa! Mosè ])arla qui come poi ha parlato il Battista, additando in Gesù Cristo l'agnello di Dio che toglie i peccati del mondo: Ecce (Kjìius Dei 3 ecce qui toìlil peccala mundi (Joan. 1).

La parola adunque posleriora è stata dal Dottor massimo adoperata con profondo consiglio. Egli ha qui tradotto non da rettore attaccato alla materialità della lettera, ma da teo- logo divinamente illuminato, attento a indicare nel vecchio

LETTURA SETTIMA 443

Testamento ì misteri compiuti nel nuovo; e con una sola pa- roh ha alzato il velo, ha tolto al passo citato la sua oscurità e ^hha dato un senso suhlimc., allegorico e j)rofctico: senso, dice ^'A-Lapide, più che il senso lìtterale. in questo luogo, impoi-^ante: senso immediato e diretto, e dallo Spirito Santo avuto principalmente in mira: JJlc(jorìcus tauien sensiis /tic esl vulior ni ìulkjìs a Spilliti Soìiclii inlenttis (in 34 Kxod.). £ poiché in molti luoghi della Scrittura il senso al- legorico t profetico è il loro senso immediato, sicché può ancora rinlracciare un altro senso allegorico , ritenendo il primo per 1! Iterale; perciò lo stesso interprete ravvisa nello stesso passo un altro senso allegorico che riguarda tutti i cristiani. Iddio avea detto a Mosé : W è un luogo presso di me e tu starai sulla pietra: Est locus apiid me^ et tu sta- bis super petram. Or questo luogo, questa pietra è la Chiesa, che é veramente appresso a Dio mentre Iddio é in modo particolare in essa e con essa; e di essa lo stesso Gesù Cristo ha detto a S. Pietro: Sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa. Mosé adunque, che non vede i misteri di Gesù Cristo se non nel Iiiocja a Dio vicino , nella (jroltOj nella pietra del Sinai, significò, dice l'A-Lapide. che non si può vedere Iddio, nel modo in cui egli può essere in questa mortai vita veduto, se non sulla pietra sopra di cui é edificata la Chiesa, ossia dall'altezza della Chiesa, nella Chiesa, per la sincerità, per la fermezza della fede della Chiesa, della fede di Pietro ne' suoi successori sempre infallihile, sempre vi- vente: Petra est Ecclesia fideique soìiditaSj sine (jua nento Deuin cofjnoscere potestj de qua Cltristiis ait: Stiper liane petram a>dificabo Eccìesiatn lìieain (in 34 ÌXum.).

Ecco adunque, molti secoli prima, figurata e predetta la condizione felice dei veri fedeli, che nella fede e per la fede A edono cogli occhi dello spirito, non già la faccia di Dio, ma i posteriori j le spalle, il dorso di Dio; cioè i misteri degli obbrobrj, delle pene, dei meriti, delle grazie, degli ajuti. delle ricompense del suo Figliuolo Gesù Cristo; le sue glo- rie posteriori y le sole che siamo capaci al presente in qual- che modo d' intendere a traverso la nuvola della fede , lo specchio della speranza, l'enimma dell'amore;, in aspetta-

444 LETTURA SETTICA

zione di poterlo un giorno contemplare manifestamente nei cieli: Fickìnm mine per speculum in cknìijmaie , line autem [ade ad faciem. Sì, al prestante non vediamo cte le glorie posteriori di Gesù Cristo: poiché, come il secondo dei portatori dell'uva di Ebron, lo vediamo, in istato di grap- polo penzolante dalla stanga, lo vediamo, lo consideriamo alla croce confitto : cioè a dire che dal suo sacrificio della croce, che misticamente in ogni istante si rinnova, ci viene il vino prezioso, il sangue di un prezzo, di una efficacia in- linila. che nei Sacramenti ci monda dai peccati, ci sana, ci corrobora, c'inebria di santa gioja di paradiso: non essendo altro la religione pratica se non il sagrificio della croce ap- plicalo a tulle le miserie, a tutti i ])isogni deUanima, per procuraile tutti gli ajuti, tutte le consolazioni e lutti i con- torti: In ipso oitniici (Rom. 11).

ìlosé, dall'avcr veduto in ispirilo i grandi misteri di Gesù riristo, fu elevato alla cognizione e strascinato alla lode della grandezza, della maestà, della potenza, della sapienza, della misericordia, della clemenza, dellamore infinito di Dio verso dell'uomo. Ed il secondo dei portatori dell'uva esso pure, dall'avere di continuo sotto gli occhi un grappolo grande e si bello, era di continuo rapito nella considerazione del- l'abbondanza della terra promessa e della bontà di Dio nel- laver questa terra di benedizione conceduta al suo popolo. Or così noi cristiani, in Gesù Cristo e per Gesù Cristo cro- cifisso, veduto, contemplato dall'altezza della fede, dalla pie- tra della Chiesa, ci solleviamo alla cognizione e all'amore dei grandi attributi di Dio. E però S. Paolo chiama Gesù Cristo crocifisso il capo d' opera della potenza e della sa- pienza di Dio. Jeauìii ClirisluDi crucifi.nnìi. Dfti virluteni et Dei sapientiam (I Cor. 1) e il solo punto di vista da cui si può in alcun modo misurare l'altezza, la profondità, la lun- ghezza e la larg^hezza dell'amore di Dio verso di noi : (Juce sii Intiludo et lomjitucìo et sublimitas et profuudiini (Ephes. »i).

(jvtesto mistero previde pure e vaticinò Davide allora quando disse: Avvicinatevi a lui (a Gesù Cristo), e sarete il- luminati a sempre meglio conoscere Iddio; poiché il santo lume che dal suo amoroso sembiante si riflette sul nostro.

LETTURA SETTIMA 445

può solamente rischiararsi ed avvalorare la nostra inferma pupilla, sicché possiamo l'issarla in Dio senza confusione o timore: Accodile ud eum et iìluminamim, et facies vestrce lìoii confundentiir (Psal. 33). E così pure si verifica quel- l'altro detto pieno di celeste filosolìa dello stesso Profeta , cioè : Presso di voi solo si ritrova, o Signore, il vero fonte della vita; nel vostro lume vedremo il lume: Jpud le fons vitce: in ìuniine Ino videbiìnus lumen (Psal. 35). Ora che cosa è mai questa luce, allo stesso tempo mezzo e fine, che rischiara gli altri ed illumina stessa? S. Giovanni lo ha detto: questa luce inefiahile, unica, vera, luce di luce, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, è il Verbo di Dio fatto carne: Erat lux vera qua: illuminal omnem hominem venicnlem in hunc mu7idum... Et I erbum caro facilini esl {.Ioan. 1). Tane' è. Dio non si conosce che nel suo Verbo e pel suo Verbo: g-iacchè lo stesso Verbo incarnato ha detto: il Padre non è conosciuto che dal Figliuolo e da co- lui al quale questo figliuolo vorrà rivelarlo: Nemo novit Pa- treni nisi Filius; et cui volueril Filius revelare (Matth. di). Ma il Verbo stesso incarnato non è conosciuto che per la vera fede o la luce che viene da lui. Gesù Cristo è dunque il vero lume onde si conosce Gesù Cristo; ed in esso e per esso si conosce Dio uno e trino, e i suoi attributi e le sue operazioni e il suo amore: In lamine tuo videhinuts lumen. Così pure lo stesso Profeta, considerando la cecità, la de- bolezza dell'uomo e la perfezione e la santità della legge divina, alzava verso Dio a nome dell'umanità intera, la voce della preghiera dicendogli : Voi solo, o Signore, potete mo- strarmi le vostre vie e indicarmi i sentieri in cui volete che io cammini. Deh usatemi questa misericordia e degnatevi di dirigere i miei passi secondo la vostra parola: Fias tuaSj Do- mine, denionslra mihi, et semilas tuas edace me (Psal. 24). Gressus mcos dirige secunduni eloquium luum (ibid. 118). Ma ripensando al Verbo di Dio, alla gran parola di Dio, che si dovea incarnare e di cui avea di continuo innanzi agli occhi i misteri e le grandezze, cambia subito stile, e con un trasporto di tenera gioja, in persona dell'anima fedele, escla- ma: Oh! io l'ho trovata infine questa guida sicura di cui

19

446 LETTURA SETTIMA

ho grande bisogno. Il vostro Verbo incarnato é per me come una lucerna misteriosa e splendente del vostro lume divino, che illumina tutti i mei passi, clie mi addita tutte le vie per le quali io debbo seguirvi; Lucerna pedibus meis verbum illuni^ et lumen seìiiitis meis (ibid. diS). E quindi in persona pure del cristiano prende il Profeta una bella risoluzione, dicendo al divino illessia: La mia anima è ferma di venire sempre appresso di voi; posto che la vostra mano amorosa mi ha chiamato e mi ha collocato a voi vicino, la mia anima vi sarà così attaccata che nulla in cielo ed in terra varrà a separarmi da voi: Jdcesit anima mea posi te; me snscepil dextra tua (Psal. G2). Perciò pure la sposa dei Cantici., figura dell'anima cristiana, dice a questo stesso sposo divino: lo altro non cerco se non clie voi mi attiriale appresso di voi, sicché io corra sempre deliziandomi nelKo- dore dei vostri unguenti misteriosi, dei vostri esempi, onde segnate la via e confortate color che vi seguono: Tralie me ]tosl te; in odorem lUKjuenloruni tuoruin curremus (Cani, f ). Perciò l'Apostolo S. Pietro ci dice: Gesù Cristo ha patito per noi, lasciandoci la sua passione e la sua morte in esempio che c'illumina e c'incoraggia a seguire le sue sante pe- date: Christus passus est prò nobis, vobis retiquens exem- plum ut sequamini vestì (jia ejus (I Petr. 2). Perciò in fine lo stesso Gesù Cristo, ad ogni pagina del vangelo^ c'impe- gna a seguirlo, dicendoci: Chi vuole servirmi, bisogna che venga sempre appresso di me: Si quis mihi minislrat. me sequatur (Joan. i2): ed altrove: Chi vuole venire appresso me, bisogna che rineghi stesso, sottoponga esso pure il suo capo ad una estremità della mia croce e hi faccia sua, e così mi segua: Qui vull venire post me, abncqet semel- ipsum , toìlat crucem suam et sequatur me (Lue. 9). Deh! che in questo penoso viaggio di esplorazione e di ricerca del cielo bisogna sottoporre il cajìo alla stanga da cui pende il grappolo divino, sostenere col Cireneo una delle aste delia croce, ed aver sempre fisso lo sguardo nel crocifisso, j^^ qual ne sarà la ricompensa e il frutto? Gesù stesso cel dice: « Beato colui che mi segue! da me sfavilla una luce viva e deliziosa, luce clic tutte le tenebre disgombra, luce che ogni

LETTURA SETTIMA 447

mal passo disciiopre, luce che ogni sentiero rischiara, luce che ogni inciampo previene, luce., preludio e pegno della luce della vita eterna: Qui sequitur me non ambulat in tenebrisj sed habebit lumen vifcB (,Toan. 9).

Mirate al contrario i Giudei che simili al portatore del grappolo che andava innanzi il primo e gli teneva rivolte le spalle, non vedono Gesù Cristo perchè non credono in lui. INon vedendo Gesù Cristo, non sono da lui illuminati; privi del suo lume, non vedono il lume. Lo hanno vicino alla di- stanza di un passo; ma siccome lo han dalla parte del dorso, non lo guardano. Leggon le Scritture che parlan di lui, e non vel ravvisano. Lo portano da per tutto nelle stesse Scrit- ture, lo additano agli altri, che, colpiti dalla sua bellezza e dal suo splendore, si mettono alla sua sequela; ed essi soli, che sono i primi a portarlo, sono i soli a non riconoscerlo. Provano agli altri tìtoli della sua grandezza, ed essi non \i credono. Portano ad altri la luce, ed essi restano a bran- colar fra le tenebre. Esibiscono agli altri la salute e la vita, ed essi rimangono a giacere nelle infermità e nella morte. Invano hanno essi di continuo fra le mani i Libri Santi: ahi! essi non ne intendono nulla. Per intendere un libro scritto, per esempio, in ebraico o in greco non basta conoscere l'al- fabeto e i caratteri di queste lingue; bisogna conoscere an- cora il significato e la forza delle loro parole. Senza di ciò, si potrà leggere bensì il libro ma non comprenderlo; e sovente si alle parole un significato che non hanno, o contrario affatto a quello che hanno. Tale è appunto la condizione dei Giudei. Hanno essi la cognizione materiale, diremmo quasi, dell'alfabeto della Scrittura e dei caratteri divini che lo com- pongono: poiché riguardano la Scrittura come divina ma non conoscono la lingua in cui è scritta, che é la lingua cri- stiana, che non si apprende se non dalla Chiesa. Leggono adunque questo codice augusto: e non solo non lo inten- dono, ma lo intendono male, ciò che è peggio ancora che non intenderlo affatto. Ci veggono personaggi di cui Dio non parla, precetti che non impone, privilegi che non ha conceduti, promesse che non ha fatte; e non ci veggono ciò che vi è veramente: non ci veggono Gesù Cristo, che vi è da

448 LETTURA SETTIMA

per tutto descritto; non ci veggono la sua vita, i suoi misteri, le sue leggi, le sue grazie, la sua Chiesa., adempiendo così la minaccia profetica lor fatta da Isaia : Essi vedranno senza co- noscere, ascolteranno senza intendere: Videntts non videant, el audientes non audiantj ncque inteìligant (Matth. 13).

Questo tremendo mistero di punizione però non solo fu predetto in chiari termini da Isaia, ma ancora figurato sensibilmente dal velo onde 3Iosé si ricopriva la faccia. Egli é S. Paolo che così ha interpretata questa cerimonia, che, senza l'autorità di questo interprete divino, sarebbe restata inesplicabile e forse ad alcuno sarebbe parsa puerile ed inet- ta. Dice adunque il grande Apostolo: Il velo misterioso di cui Mosè si ricopriva la faccia allorché parlava al suo popolo, sicché potessero vederne la persona senza distinguerne il volto, fu figura del velo assai più denso ed impenetrabile che nasconde agli sguardi de' Giudei, e mollo più al loro cuore, il vero senso della sacra Scrittura e i grandi misteri che vi si contengono; velo il quale non può essere squarciato che da Gesù Cristo, velo perciò che sussisterà sempre a con- tendere ai Giudei l'intelligenza dei misteri della Scrittura finché essi non si convertiranno a credere in Gesù Cristo: jllotjses \ìund)(it veìamen svper facinm suam , ut non in- tendertnl in eiim filiì Jsratì. Sed us(jiie in liodicrnum ditm idipsum veìamen in lectione veteris Teslamenli manet non reveìatinnj qiwniam in Chrialo evacualiir. Ciun enim con- versus fuerit ad Dominum ^ auferetur veìamen (II Cor. 3).

Per noi cristiani però, che crediamo in Gesù Cristo, che lo abbiamo innanzi agli occhi per mezzo della viva fede che abbiamo in lui, questo velo funesto, soggiunge S. Paolo, più non sussiste. Da Gesù Cristo, che abbiamo sempre presente, ci viene il lume per sempre meglio conoscerlo in tutte le profezie, in tutte le figure dei Libri Santi. INoi, come se lo stesso Spirito Santo ci conducesse per mano, senza impedi- mento e senza ingombro, ma a faccia scoperta possiamo nelle sante Scritture contemplare il Signore clie vi é in tanti cari modi dipinto, ammirare la gloria de' suoi misteri e, rapiti dalle dolcezze della sua carità, abbandonarci in lui, traspor- tarci in lui e divenire una cosa stessa con lui: jSos autem.

LETTURA SETTIMA 449

reveìala facie gìoriani Domini specuìanleSj in eandeni ima- (jinein ti'ansfonnamui'j iamquam a Doniini Spirila (ibid.). Beato adunque colui che, diflidando dei lumi della pro- pria ragione, dei delirj della umana filosofia, non cerca che nell'umile fede di Gesù Cristo ed alla sua sequela la luce della santa verità; questa via è solo retta e solo sicura, senza inciampo, senza pericolo, senza peccalo, poiché è la sola VIA che è allo stesso tempo verità' e vita: Ecjo suìii viciy verilas el vita (.Toan. i4).

§ XXI. - Si passa a discorrere dei dodici esploralori. Tutti essi insieme furon figura dei personaggi dei due Testamenti da Dio incaricali di esplorare i misteri di Gesù Cristo eil annunziarli al mondo. Gli esploratori infedeli^ figura particolarmente degli scribi e farisei , che adulterarono la loro ìuissionej i fedeli j figura dei Magi, di Gesù Cristo e degli Apostoli^ che adempirono fedelmente la loro. JVon ci hanno essi dissimulate le diffi- coltà del regno di Dio, ma insieme ci hanno indicato i mezzi ed ispirata la fiducia di farne acquisto.

Da tutto ciò che si è detto finora del grappolo misterioso di Ebron e dei due uomini che di lo portarono ci è facile d'intendere quali personaggi abbiano rappresentato gli esplo- ratori che, avendo tutti insieme spiato il bel paese di Ca- naan, ne diedero però al popolo un'idea diflerente. Essi, dice S. Isidoro, significarono gli scribi e farisei. Imper- ciocch'è siccome gli esploratori furono mandati da Mosè per esaminare attentamente la terra promessa e quindi incorag- giare il popolo ad andarci, così gli scribi e i farisei furono da Dio stabiliti interpreti della legge e dei Profeti, affin- chè, per mezzo dello studio continuo delle scritture, stes- sero attenti alla nascita del Messia e quindi invitassero gli uomini a riconoscerlo. 11 Messia, dico, la vera terra promessa, perchè in esso alla divinità è unita la terra vergine, una umanità santa ed immacolata, e per esso si possono solo ot- tenere, perchè solo in esso si ritrovano, il vero regno di Dio, l'abbondanza miracolosa dei suoi frutti spirituali e la vita eterna: Exploratores ^ scribas et pharisceos signi ficant. Sicut enim itti per Moysen missi sunl ut soli fecundita^

450 LETTURA SETTIMA

tem soìlicite considerarenij sic isti, per legem el Prophetas et per Scriplurarum investigatioìiem , Domini specularen- tur adventum» In quo erat terra, idest caro sancta , in qua regnum Dei et nbertatem spirituaìium frtictuum et vitani csternam consequi possent (in 13 INiim. ). Lo stesso dice il Lirano: gli esploratori della terra promessa figura- rono i sacerdoti e gli scribi della legge antica, che per mezzo delle sacre Scritture aveano l'incarico di esplorare la venuta di Gesù Cristo e indicare il luogo, fissare il tempo e tutte le circostanze di si grande avvenimento; ed infatti richiesti appena da Erode, dove nascer dovea il ^lessia^ risposero su- bito: « in Betlemme di Giuda: » Per expìoratores terra» promissionis sicjnificantur sacerdotes et scribce veteris le- gis , qui per Scripturas exploi^abant Christi adventum . quantum ad lempus et quantum ad ìocum et alias circum- stantias: unde, requirente Herode ubi Christus nascere- tur respoìiderunt, in Bethlehem Juda (in 13 IVum.): e per- ciò, aggiunge S. Girolamo, i principi dei Giudei, non già per ignoranza, ma per invidia crocifìssero Gesù Cristo, eh»' ben sapevano e dovean ben sapere chi fosse: Ex hoc patet, prin- cipes JudcBorum non ex ignorantia, sed ex inmdia cruci' fixisse Dominum Jesum Christum (in 21 Matth.).

Veri esploratori furono altresì i santi re Magi, che dalle stesse contrade, da cui partirono gli antichi esploratori, mos- sero per venire nello stesso paese, nella Palestina, a ricer- carvi Betlemme, Gesù Cristo, la sua purissima iMadre , la vera terra promessa, colle sue fiuitla celestiali e divine: ytb Oriente venerunt Jerosolymam diccntes: Ubi est qui natus fst rex Judcforum ? E come i sacerdoti giudei avevano rice- vuto dal Profeta, che si avevano nelle mani, così i lìlagi ri- cevettero dalla stella che videro brillare nel cielo, il sublime incarico di esplorare e di annunziare al mondo la nascita di Gesù Cristo: Vidimus enim steììam ejus.

Finalmente i dodici esploratori furono ancora figura dei dodici Apostoli chiamali da Gesù Cristo a spiegare, a cono- scere, ad intendere chiaramente il mistero della vera terra promessa, del regno di Dio, che agli altri non fu svelato che solo in parabola: Votns datum est nosse mysterium regni

LETTURA SETTIMA 45!

Dei, ccBteris autem in parabolis (hucS); e che poi furono dallo stesso Gesù Cristo mandali ad annunziare l'abbon- danza, le ricchezze^ i pre^i di questo regno di Dio fra gli uomini del regno eterno degli uomini con Dio ; in una pa- rola, il Vangelo, non già ad un sul popolo, ma tutti i po- poli; non già ad un solo angolo della terra, ma in tutto il mondo: Eiinles in miuidum itniversuni prcedicale Evan(je- lium omni creai uree (Mar. 16).

Ma gli antichi esploratori non furono già tutti zelanti e fedeli. Anzi la maggior parte di loro dissero quanto più sep- pero e poteron dire di male della terra promessa ; ne distol- sero il popolo , ne svelsero dal suo cuore ogni desiderio . ogni speranza, dipingendola come un paese impossibile a con- quistarsi, ad abitarvi funesto. Solo Giosuè e Caleb, non meno sinceri che pii, non men solleciti della gloria di Dio che della felicità del popolo, tutto al contrario di quello che avean fatto ì loro colleghi, dissero che quella terra misteriosa eia ubertosa e salubre . e che if popolo di Dio sarebbe stato forte abbastanza per rendersene padrone e sommamente fortunato di possederla. Repressero il popolo tumultuante contro Mosè e contro Dio stesso; gli rimproverarono la sua diflìdenza nell'ajuto divino e nelle divine promesse, e lo esortarono alla fiducia, al coraggio, all'ubbidienza a Dio, al rispetto a Mosé. Ecco adunque una figura dei sentimenti di- versi che mostrarono i veri esploratori della vera terra pro- messa, i sacerdoti giudei e i Magi gentili, al tempo della na- scita di Gesù Cristo. I sacerdoti giudei indicarono Betlemme ad Erode per ispegner^ i, pria della sua maturità, il grappolo misterioso che vi era spuntato per farvi strage di Gesù Cristo; ma distolsero il popolo dalfandarvi, mettendogli sotto degli occhi le nuove oppressioni spietate che dovea attendersi dalla crudele ambizione di Erode, se mostrava la menoma simpatia, il menomo desiderio di andare a Betlemme, a riconoseervi. a venerarvi il vero re de' Giudei, il nato Messia. Al contrario i jMagi, appena avvertiti dal prodigio della stella, levarono verso il Messia il loro cuore, conobbero la vera terra promessa, il promesso Messia già nato; mirate con quale sincerità, con quale libertà, con quale corraggio lo annunziano. Per dovun-

452 LETTURA SÉTTDÌ4

que passano^, dovunque giungono, vanno pubblicamente di- cendo: È nato di già il re de' Giudei, il Messia: Naltis est rex Ji(df£orum; temono la crudeltà del re o la gelosia del popolo. Invitano anche questo popolo ad unirsi con loro per cercarlo insieme , e insieme adorarlo e possederlo : e pubblicando la sorte ch'essi, gentili e stranieri aveano avuta di veder la stella, Vidimus sltUam ejus^ vollero persuadere ai Giudei quanto sarebbe stato più facile per loro che ne erano gli adoratori immediati, i consanguinei e i legittimi figli, il ritrovarne il luogo e la persona.

Gli antichi esploratori però colla diversità, colla contradi- zione del loro procedere, figurarono non solo i sentimenti diversi dei 3Iagi e dei Giudei al tempo della nascita di Gesù; ma i sentimenti diversi dei Giudei e degli Apostoli al tempo della sua morte e della sua risurrezione. Imperciocché, dice S. Isidoro, come gli antichi esploratori infedeli sparsero il terrore e la disperazione nel popolo d'Israello e lo allonta- narono dalla fede nelle promesse di Dio, così gli scribi e i farisei, coi loro intrighi, colle loro calunnie, col loro furore, distolsero il popolo giudeo dal credere negli insegnamenti divini e nei divini misteri di Gesù Cristo; ed invece per- suasero lo stesso popolo a ritornare all'Egitto di questo se- colo, da cui Gesù Cristo era venuto a liberarlo, a rigettare la manna celeste della fede, che nei sagramenti Gesù Cristo gli apprestava, a marcire in ogni specie di libidine, da cui Gesù Cristo voleva farlo risorgere: Sicut UH despera (ione lerrue- runl popìiìum ne crederti Deo promineniij sic isli suase- rimi popuìo Judceorum nec crederei Christo, ad /Egypium hìijiis sceculi redire cupienles, manna fidei repudkintes, el Hhìdinum corruptione marcescentes (in 13 IS'um.). Ed il De- Lira dice pure; per lo scarso numero degli esploratori sinceri che rimasero fedeli all'interesse della verità, in paragone del maggior numero di quelli che la tradirono e pervertirono il popolo, fu figurato lo scarso numero dei savi Giudei che, alla venuta del Signor nostro ne hanno professata la dottrina, a fronte della maggior parte che la impugnarono, sedussero il popolo e lo eccitarono a chiedere la morte di Gesù Cristo: Per hoc quod pauci expìoralores tanlum in verilale siete-

LETTURA SKTTIAA * 453

vìinly fìllis (Ipcìinanlihus t't pevverlenlibus popuìum, fi(jura' inni fuìt (juod in adoenlu Christi palici de doctorihus Ju- dcBorum stavenl in verilale, aìiis ab ta decìinanlibus, se- ducentibvs popuìuni et ad paiendam Christi mortem indù- cenlibus (in 13 INimi.). Anzi in quei maligni esploratori che, non contenti di avere essi rinunziato alla terra promessa, fecero tutto ancora per attraversarne il cammino e chiu- derne le porte a tutto Israello. lo stesso Gesù Cristo ha ve- duto la figura dei farisei: poiché disse loro: « Guai a voi, o ffìrisei ipocriti, che, non contenti di avere rinunziato per voi stessi all'ingresso del regno dei cieli, vi sforzate ancora di ailontanarne tutti coloro che vorrebbero entrarvi, e ne chiu- tlete le porte: /> robis. phariso'i hypocrilce, qui claudUis regmtm cfPÌonnn ante homiuFS: vos enim non' inlratis, nec intra runtrs suiitis intrareì (Matth. 23). Oh uomini per- versi! ho esploratori infedeli! Deh! che 3Iosè, nel lasciarvi la legge da interpretare, le profezie da eseguire, non vi mandò già ad esplorare la vera terra promessa, cioè misteri del Mes- sia per allontanarne il popolo ; ma per condurlo, preceden- dolo voi stessi ai suoi piedi. Guai a voi però che come avete rinnovato l'apostasia e l'infedeltà degli antichi esploratori, così si rinnoverà in voi il loro gastigo! Fce vobis, vcb vobis! Al contrario. Gesù Cristo, ben figurato in Giosuè anche per la somiglianza del nome, e gli Apostoli santi in Caleb compagno indivisibile e fedele seguace di Giosuè, nell' an- nunziare al mondo la vera terra promessa, il regno di Dio, lungi dall'atterrìre gli uomini dal farne acquisto, ve li hanno incoraggiati, ve li hanno spinti; mentre Gesù Cristo non con- tentossi di avere dato principio alla sua predicazione divina <lal comandare ai suoi seguaci di cercar pria di tutto questa terra promessa, questo regno di Dio, che comincia in questo mondo dal possesso della grazia e si consuma pel godimento della gloria nell'altro : Quirite primuni regnum Dei et ju- st i Ita fjus (Matth. 6) , ma impose ancora ai suoi Apostoli di predicare questo regno alle genti e di assicurarle che ♦'sso era loro vicino e che non avevano da fare che un sol passo per fame acquisto : Dicile illis : oppropinquavit in vos rpqnum Dei (Lue. 10). E gli Apostoli pure questo regno

454 ' LETTURA SETTI3IA.

divino fecero conoscere in tutto il mondo: UH aiiteni prò- fectij prcvdicaveriint ubifiue (Marc. 16). Onesti Apostoli ave- vano veduto e trattato intimamente con Gesù Cristo; e nel- l'averlo veduto trasfigurato sul Taborre. risorto in Galilea^ elevato al cielo sull'Olìveto, avevano in lui e con lui cono- sciuti i pregi e le ricchezze del regno celeste ed aveano gu- stato un saggio della sua gloria e della sua felicità. Come adunque gli antichi esploratori fedeli dissero : noi vi par- liamo cosi della terra promessa, perché l'abbiamo veduta e corsa dall' un lato all'altro coi nosfcri piedi, Ipsi enim cir- culoiinus terram: così gli Apostoli ancora poterono, da le- slimonj oculari, parlare al mondo del vero regno di Dio e dirgli come gli han detto difatti: INoi non annunziamo agli uomini se non ciò che abbiam veduto cogli occhi e toccato con mani intorno al Verbo eterno di Dio che é esso stesso la vita: Quod vidimiis, qiiod iiianus ìioslrce conlreclaverunt de verbo vilcej hoc aìuiiuilidinus cohis (Joan. 1).

Se non che anche i fedeli esploratori, nel fare l'elogio della terra promessa, non negarono che vi erano popoli po- tenti che ne avrebbero contrastato il passo: non dissimula- rono le difficoltà di farne acquisto. Soggiunsero però che, colla fede nella protezione divina, colla speranza nel divino soccorso, Israello avrebbe con somma facilità debellati gli uni e superate le altre. Così Gesù Cristo non ha dissimulato la difficoltà di andare al cielo e salvarsi, avendoci detto : stretta è la strada che conduce alla vita, e la porta non può var- carsene senza stento: Arda via est qme ducil ad vitam (Matth.7). Contendile inlrare per anguslam porlam{lAic. \^): ed avendo soggiunto ancora: il regno dei'cieli è il premio dei forti, e solo quelli che fanno a stessi violenza giungono a strapparlo a Dio di mano e ^osscàcv\o: Refjnum ccelo rum vini palilurj ti violenti rupinnl /////(/ (Mattb. il), allo stesso tempo però ci ha detto, che quello che é difficile, anzi im- possibile all'uomo abbandonato a stesso, divien possibile e facile all'uomo che, per mezzo di una vera fiducia, in Dio si appoggia: Qucb sunt impossibilia apud homines, possibi- ìia tunl apud Deum (Lue. 18); che basta, per mezzo della fede e dell'amore, unirsi a luì stesso per divenir forte della

LETTURA SÈTTIMA 455

sua medesima forza^ed in lui e con lui trionfare del mon- do: Confidile ^ mjo vici inundum ( Joan. Ì6). Ci ha detto ancora, che la porta del cielo, inespugnabile alla presun- zione ed airorg:oglio, si apre spontanea all'umile confidenza in Dio che spesso vi picchia , alla costante pre^^hiera che im})lora: Valile ^ el accipielis : pulsale j et aperictur vobis (Matth. 7). Ci ha detto infine che sebbene sulla strada che conduce al cielo si trovano velenosi scorpioni, serpenti avidi di sangue e poderose schiere nemiche , che ne disputano l'ingresso; pure in lui e con lui avrem coraggio di calpe- star gli uni, avremo forza di vincere, di dissipare le altre, saremo invulnerabili ai morsi di quelli, alle armi di que- ste, e passeremo olirà intatti, tranquilli e lieti: Ecce dedit vobis poleslatem calcandi super oìiiiiem virlulem inimici , el niliil vobis nucebil (Lue. 10). Lo stesso han praticalo gli Apostoli. Essi non ci hanno dissimulato che, pria di giun- gere al cielo, lotte, orribili lotte ci attendono; e non già solamente colle lusinghe carnali, colle affezioni del sangue, ma coi principi e colle potestà infernali : ISon est nobis coi- luclalìo adversiini ccirnem el sancjuinenì^sed aduersus princi- palus el polestol'js (Ephes. 6j. Essi ci han detto che i nostri nemici, i demonj, come leoni frementi di rabbia infernale , girano attorno alle anime fedeli che muovono all' acquisto del cielo per farne strage: Jduersariiis veste r diabolus , taniquam tea rugiens, circuii qucerens quem decorei ( 1 Petr. 5). Ci han però assicurato che solo gì' intemperanti , gli spensierati, i poltroni ne rimangon vittima; ma che colla vigilanza, colla sobrietà e colla fede si ottiene forza bastevole per trionfare, giacché la fede vera, la fede pura è uno scudo impenetrabile, in faccia al quale le armi di fuoco del nemico infernale si agghiacciano, i più acuti dardi si spezzano: Sobrii estole el vigilale. .. cui resistite forles in fide (ibid.). Assumile sculum fidei^ in quo possilis om- nia tela maligni ignea estinguere (Ephes. 6).

45G LETTURA SETTHIA

§ XXII. - Gli espìonilorì infedeli fujura ancora di tulli gl'in' creduli j (jli eresiarchij (jli scandalosi e di tutti coloro che pel' diverse vie allontanano gli uomini dal regno dei cieli, e che sono essi pure in questo mondo puniti. Al contro^ rio, Giosuè e Caìeb, figura pure delle persone di zelo che attirano gii uomini sulle vie della salute. Loro premio par- ticolare, figurato nel particolar premio che Giosuè diede a Caleb. Gli Apostoli hanno avuto ancora iti questo mondo per premio che la vera Chiesa sia quella che per la serie dei legittimi pastori rimonti sino a loro, e che fra gli altri caratteri abbia quello di essere apostolica.

Finalmente, gli esploratori infedeli furono ancora figura di tutti gì' increduli, che revocano in dubbio le promesse divine di una eterna felicità nella vita avvenire. Di tutti* gli eretici;, che. senza negare la beatitudine eterna, presen- tano come impossibile l'osservanza della legge di Dio, che è l'unica strada di arrivarvi ; o, coll'alterare la verità della fede e distruggere i sacramenti, rendono impossìbile la san- tità delle opere. Di tutti gli scandalosi, che attirano ìe ani- me semplici nelle vie del libertinaggio. Di tutti i seguaci del secolo, che presentano la vita cristiana come una vita di malinconia e di stento , e la via della salute come una via irrigata di lagrime e ricoperta di spine. Di tutti i mo- ralisti rigorosi, che, affettando zelo per la sana morale, esa- gerano la severità dei divini precetti e, simulando rispetto pei santi misteri, condannano la frequenza dei sagramenti ; cioè a dire che moltiplicano le difficoltà e sceman gli ajutì. Tutti costoro per diverse vie e con artificj diversi giungono allo stesso termine funesto di allontanare i fedeli dall'os- servanza dei divini comandamenti, dalle ])ratiche della cri- stiana virtù, e per conseguenza dall'acquistare la vera terra promessa, il regno di Dio. Oh demenza, oh furore veramente infernale! perchè solo dall'inferno ne viene l'ispirazione e l'esempio. Oh eccesso di scelleraggine ! oh prodigio di per- versità che una eternità di pene non potrà fare espiare abba- stanza! non essere contento di perder stesso, ma studiarsi per tutte le vie di trarre anche gli altri in perdizione!

Ma queste diverse classi di scandalosi del popolo cristia- no, imitatori degli esploratori scandalosi del popolo ebreo,

non ne evitano il pronto e severo castigo. Sieconie quelli di tatti, colpiti all'istante da morte, fnron privati della sorte di pur vedere la terra loro promessa, per la felicità dei cor- pi; cosi g^li scribi e i farisei, che allontanarono il popolo dal cercare Gesù Cristo nascente, dal credere in Gesù Cri- sto insegnante, furono percossi da una cecità penale, rima- sero privi della sorte di vedere la terra promessa per la felicità delle anime, di conoscere ed intendere i misteri di Gesù Cristo, come esso stesso loro Io annunziò dicendo : io sono venuto a giudicarvi; perchè non avendo voluto voi veder bene, non vediate giammai, e l'averci veduto finora non farà che aggravare il vostro peccato e il vostro casti- go: In jud'.chua veni... ut videntes non videoìit... niincdici- tis quia cidenius. Pcccafuni vestrum mantt (Joan. 9). Cosi pure i maestri d'incredulità, di eresia, di peccato : i detrat- tori maligni della felicità della fede, del vanto della virtù, delle glorie della santità, il primo castigo che ricevono in questo mondo é quello di avvolgersi fra le tenebre tempo- rali, foriere delle tenebre eterne, e di non vedere, di non intender più nulla delle cose dello spirito, della religione di Dio; in aspettazione di essere poi esclusi per sempre e dall'azione della grazia e dalla luce della gloria.

Al contrario, Giosuè e Caleb figurarono non solo i Magi e gli Apostoli, ma tutti i loro successori ; i veri pastori, i veri dottori, i veri predicatori della Chiesa, che, quanto do= cili nel ricevere da essa l'insegnamento divino, tanto fedeli neir annunziarlo agli altri e zelanti a promuoverlo, non si contentano di salvarsi soli, ma si studiano per tutte le vie (•he loro suggerisce lo zelo di attirare i popoli al conosci- mento, all'amore di Gesù Cristo, di spianar loro le pratiche del bene, di metterli nel sentiero dell'eterna salute. Perciò essi tutti partecipano alla magnifica ricompensa di cui fu solo figura quella che Dio espresse con queste belle parole a lode e guiderdone di Caleb : In quanto al mio servo fedele Caleb, il quale si è mostrato animato e ripieno d'uno spirito diverso da quello de' suoi infedeli colleghi, ed ha cammi- nato nella via che gli avea io stesso indicata, io Io introdurrò a godere di questa t^ria felice che fglì ha esplorata e di-

458 LETTIIRA SETTI3IA

fesa; e farò ancoraché la sua discendenza l'abbia in eredità: Servimi incum Caìehj qui pìenus alio spirilUj secuin.s est me, inducnm in terram liane qiiain circuivilj et seinen ejus ìiwreditabat eain. E si noti ancora che non solo Caleb entrò cogli altri Israeliti nella terra promessa, non solo ne ot- tenne come gli altri la sua porzione nello spartimento che ne fece Giosuè; ma che questo duce generoso benedisse con una particolare benedizione Caleb suo compagno e se- guace, o per di più regalò a lui ed a' suoi successori in per- petuo la bella contrada di Ebron, da cui era stato asportato il grappolo misterioso: Benedixilque Josttc Calci) et tradidit eìllebron in possessionrm (Josue 44). Ora questo tratto della liberalità di Dio e del suo inviato Giosuè rispetto a Caleb in una più nobile maniera si rinnovò più tardi coi .Magi, cogli Apostoli e con tutti i zelanti loro imitatori. E vero che come Giosuè e Caleb furono insultati e assaliti colle pietre dal po- polo ribelle e ingrato cui predicavano la fedeltà a Dio ed oflrivano il possesso della terra di Canaan, così i Magi fu- rono essi pure perseguitati e fatti martiri dai loro popoli idolatri cui annunziarono il mistero della redenzione e del- l'eterna salute: così gli Apostoli,, per la 'stessa causa, furono perseguitati, imprigionati., lapidati dai Giudei, e più tardi fatti martiri essi pure dagl'infedeli; così pure tutti i ministri zelanti del Vangelo, tutti coloro che colla voce o collo scritto, coi precetti o cogli esempi si adoperano a predicare le gran- dezze del regno di Dio, non trovano per lo più che per- secuzioni e calunnie, oblìo e disprezzo dagli stessi popoli che vogliono correggere e salvare. Ma Dio veglia sempre alla loro difesa, li circonda, come fece con Giosuè e Caleb, della gloria del suo tabernacolo, Jppaniil (jturia Domini super tectum [(cdcrisj vendicando le loro intenzioni, le loro opere e la loro virtù dopo morte, lasciando il nome loro in eterna benedizione nel mondo. Ma ciò non basta. Questi servi fedeli di Dio. ripieni del suo spirito, propagatori zelanti del suo culto, non solo sono introdotti nella vei-a terra promessa, nel regno dei cieli, e ne hanno come gli altri santi la loro porzione, ma all'infuori di essa hanno, dalla bontà di Dio e dal vero Giosuè, un posto particolare, un particolar grado

LETTURA SETTIMA 459

di gloria nella eterna Gerusalemme, sono collocali vicino a Gesù Cristo, come lo ha detto egli stesso nel Vangelo : Ile- rum renio el adsuniam vos ad meipsum (Joan. 14). E sic- come gli scellerati che disprezzano e fanno disprezzare l'e- terna sa})ienza incarnata hanno nell'inferno un gastigo par- ticolare e sono l'oggetto di una particolare ignominia e di un obbrobrio immenso; Qui conlemnunl me ^ erunt icjnobiles (IReg. 2), così quegli uomini generosi che si sono consa- crati a promuovere la cognizione e la gloria di Gesù Cri- sto ottengono dalla sua munificenza particolar guiderdone, sono circondati da un particolare splendore nella felici sempiterna; Qui eìucidant me vitam ceternam habebunl (Eccli. 24).

A questa magnìfica ricompensa però che Gesù Cristo ha dato in cielo ai suoi Apostoli ne ha aggiunta loro anche un' altra sopra la terra. Si noti perciò che la porzione che Caleb ottenne disoprappiù nello spartimento della Cananea fu il paese Ebron, che. come si è detto, significa il paese della socielàj e che ivi si trovava la bella vite onde era stato reciso il grappolo misterioso. Or chi non vede qui ancora una bella figura della Chiesa? In essa solamente popoli, per ìndole, per costumi, per linguaggi diversi e divisi tra loro da enormi distanze, trovano uniti insieme in società, per la professione della medesima fede ed il legame del mede- simo amore. Essa è la vera società e la più nobile e la più perfetta di quante ve ne sono sopra la terra. In essa sola si trova pure la vera vite che riproduce sempre il grappolo miracoloso il cui liquore rallegra Iddio e gli uomini, El vi- num quod laeti ficai Dcum ti honiines (Judic. 9); perchè esso solo consacra e custodisce il corpo, come lo spirito di Gesù Cristo, che è in lei e con lei; essa solo ne dispensa nei sacramenti il sangue divino, che placa Dio e santifica e salva gli uomini. Or questo vero Ebron, questo vero bel paese della società, la vera Chiesa, il vero Giosuè, Gesù Cristo l'ha data al vero Caleb, agli Apostoli, che non ha avuto difiìcoltà di chiamare suoi fratelli ed amici. Infatti la Chiesa vera fra i suoi divini caratteri conta quello ancora di essere aposlo- lica, cioè opera e proprietà degli Apostoli, ohe la fondarono.

460 LETTURA SETTniA

e che per la serie non interrotta dei suoi pastori limonta !>ìno agli Apostoli. Giacché come la contrada di Ebron fu data a possedere, a reggere ai successori di Caleb. Et semen ejus lìCBreditabit eam (IVum. 14), così la vera Chiesa é stata ancora data ai successori degli Apostoli a reggere e gover- nare, Posiiit episcopos rerjere Eccleskim Dai (Act. 20). E quella é la vera Chiesa che i legittimi successori degli Apo- stoli reggono e governano. Finalmente, in unione dei capi della tribù di Caleb, i loro lìgliuoli altresì e i loro discendenti furono i soli che goderono della bella contrada Ebron; e così coi soli vescovi che sono agli Apostoli legittimamente succeduti, i soli figliuoli spirituali di questi pastori, e che per lor mezzo discendono dagli Apostoli essi pure , cioè a dire i soli cristiani che ritengono la dottrina apostolica, le apostoliche tradizioni nella loro integrità e purezza, i soli cattolici in una parola, che soli, col supremo pastore, col successore di Caleb, S. Pietro, formano società unica e vera, han la sorte di abitare la bella terra di Ebroiij apparten- gono alla vera Chiesa, vivono in essa e godono dei frutti di benedizione, di grazia e di virtù che vi germogliano. Oh bella sorte di vivere in questa Chiesa, che è la più bella porzione e che forma anzi tutta la vera terra pi'omessa in questo mondo, e da cui solamente si passa, si ascende, si vola alla vera terra promessa nell'altro!

§ Wlll. - Pcnliinenlo eliti ino.sl.rò il popolo ebreo dtl suo peccato; firpira del falso pentimento dei peccatori in punto di morte. Il vero timore di Dio non deve essere separalo dalla speranza. Seìiza ubbidienza a Dio non vi è virtù. I nomi dei popoli nemici d'israello, anche nella loro si(jni- (ìcazione litterale , fìcjiira delle potenze infernali: delle quali non possono ottenere vittoria coloro che non sono nella Chiesa o colla Chiesa.

Ma che diremo noi mai del pentimento che mostrarono gì' Israeliti della colpa commessa? Esso non lasciò certo nulla a desiderare. Confessarono essi pubblicamente di aver pec- cato: Quia peceavimus. Accompagnarono tutti con un pro- fluvio di lagrinif^ qiip?ta loro confessione doIént<^; Lu.rit omnis

LETTURA SF:TTI.>IA kGi

poptilus yiiinh. Si dichiararono pronti a tentare a qualunque costo la conquista del paese che Dio avea lor destinato: Pa^ rati sunìus ascendere ad ìocum de quo locutus est Dominus, E perché si vedesse chiaro che dicevan davvero, non tardarono un istante a correre al monte, ed affrontare ì nemici, ad esporsi a tutti i pericoli di una difficile ìm^vQ^d: Asccndenmt in verticem vioìilis. Ecco dunque una conversione pronta, sin- cera, operosa, efficace e perfetta. Eppure, con tanti passi fatti pel perdono, gl'Israeliti non ottengono che gastigo; e con tutte queste helle apparenze di penitenza sono essi puniti da impenitenti. Ma come e perchè mai tutto ciò non giovò loro a nulla? Perchè, dice Procopio, essi non mostrarono pentimento del loro peccato se non al sentirsene da Mosé per parte di Dio annunziare l'imminente gastigo, ed al vederlo questo gastigo incominciare a compiersi sopra gli esploratori bu- giardi, colpiti da morte improvvisa all' istante ed a vista di tutti. La penitenza degl'Israeliti fu dunque una penitenza prodotta dall' orror della pena, non dal dolor della colpa. Il loro pianto provenne da una cattiva sorgente. La loro riso- luzione di marciare giunse troppo tardi. Il loro dolore li fece piangere, ma non li rendette migliori ; e di fatti furon visti violare i comandamenti divini nel punto stesso in cui si mo- straron pentiti di averli violati: Jtqui luctus Iiic non est eis bona ISatn in dissolitlionem decretonini Dei eiintj (juodpriiis ante ne(jationeìn facto opus fucrat (loc. cit.). La loro peni- tenza pei'ciò figurò quella di parecchi peccatori, che offende Dio quasi qtianto il peccato medesimo, ed è un peccato no- vello; quella penitenza di cui parla S. Agostino, onde il pec- catore si pente, come Caino, non per orror del peccato, ma pel rigor del gastigo; si pente, come uno schiavo per avere incorso lo sdegno di un padrone severo, non come un fi- gliuolo per aver offeso un padre amoroso; si pente bagnando di lacrime il volto e conservando gli stessi turpi sentimenti nel cuore. Perciò le esterne dimostrazioni df ravvedimenlo di questa specie di peccatori sul letto di morte sono sovente l'effetto di una imaginazione spaventata all'idea della pena che li attende, non dell'animo dolente per k malizia della colpa commessa: Ardere meiuunt: peccare non ineluunt.

BJ:&zzt dell:< fic'e. il. 20

LETTURA SETTIMA

E Rabano, glossando le parole che in questa circostanza pronunziarono gl'Israeliti: « noi siamo pronti a marciare. Parati sumus ascendere » (come marciaron di fatti, El ascen- deruni), oh strana protervia, dice, dello spirito umano! oh stolidezza orribile dell' anima cieca ! Quando Dìo comandò agi' Israeliti di credere alle sue divine promesse e di con- fidare nel suo potente soccorso, e con tali disposizioni en- trare sicuri a conquistare il paese di Canaan , essi, gì' in- sensati, diffidarono di stessi e di Dio, e ne rigettarono i salutevoli avvisi. Al contrario , quando Dio protesta che non sarà con loro e che lor negherà il divino suo ajuto , allora, contro l'espresso divieto di Dio, viene loro il pru- rito di andare a combattere i Cananei ed occuparne il paese. Or che altro fecero, così adoperando, se non che significare coloro che, in istato di ribellione permanente contro Dio, sempre l'offendono, ora col non credere alle sue promesse, ora col violare i suoi comandamenti, e, sempre colpevoli, sono sempre puniti: 0 mira prolervitas humance menlis et horrenda stullilia cceci cordisi Mandat Deus promissionibus stiis credere el de sua poteìitia confidere , et sic lerram possidendam intrarej liumana stullilia diffidit , et monila salutaria respuit. E contrario^ suum necjat aujcilium; illi cantra voluntalem Dei terram invadere volunt. Quibus si- miles sunt qui promissionibus Dei non credunl, et proli i- bita faciunt (in 44 I\um.). E procopio disse pure: impa- riamo da ciò che timore di Dio, separato dalla fiducia, é disperazione ; che fiducia , separata dal timore , è presun- zione; e che siccome non vi é vera ubbidienza a Dio senza fede in Dio, così senza ubbidienza non v' è virtù: linde ìiqnet ncque limiditatem neque falso creditalem fortitudinem , a Dei obedientia separatam virtutem exislere (loc. cit.).

Neppure i nomi di cui fa menzione in queto luogo della Scrittura sono senza mistero, segue a dire Rabano. Imperciocché la parola Amalec significa popolo che lecca il sanque; la parola Cananeo vuol dire neqozianlej e la pa- rola Orma , è lo stesso che maledizione o anatema. Ecco adunque figurate qui le potenze infernali, sitibonde del no- stro sangue^ che procurarono di avvilupparci nei neyozj e

LETTURA SETTIMA ^6^5

nelle affezioni terrene , e che . quando ci vedono immersi nel peccato ed ascesi ntì monte della superbia, ci piombano improvvisamente addosso , ci trafiggono coi loro dardi di fuoco e ci perseguitano e c'incalzano sino al luogo ddVana- tema eterno: A male e , populus linge^s saisguinem ; Cnna- ìicens j i\EGOTiA>s; Horma A?«athema interpretalur. ,^rc(c ergo nequilia;, qucB nostrum samjuinem sitiunl et terrcnis negotiis nos implicare volunt j si in peccatis persecerave- rimuSj et montem superbice ascender iinuSj concidentes nos ignitis jacnlis , usque ad perpetmim anathema nos perse- qnuntur (loe. cit.). Finalmente Ruperto abate dice pure : i nomi di amalecila e di cananeo figurano gli spiriti ma- ligni : orma ^ V inferno ;, poiché ivi è eterno 1' anatema ; i detrattori della terra promessa, tutti gli eretici. Infelici! che di essi pure, come già degl' Israeliti, si verifica che V arca del Testamento non è con loro^ perché non hanno essi più il deposito prezioso della santa verità. Invano perciò spe- rano colle loro pretese virtù di assicurare la loro eterna salute; non sono queste l'armatura di Dio. ma l'armatura dell'uomo, che fti ridere e non tremare il demonio. Invano essi pur dicono: abbiavi peccato; perché, essendo fuori della Chiesa e nemici della Chiesa, la loro penitenza é falsa come erronea si é la loro fede, e l'una e l'altra non può sal- varli. Perciò le potestà delle tenebre, che cogli eretici ri- mangon sempre vittoriose, li perseguitano in vita, e dopo morte se li cacciano innanzi a sé, come vittime al sacrificio, sino alle profondità dell'inferno: Per hwc nomina maligni spirilus intelligentur; qui usque IIORMA, idesl usque in pro- fundum inferni, quod CBternum est AKATHEMA, sanctce terree delractores , omnes hcereticos, concidendo , victorum more persequuntur. Arca namque Ttslamenli Domini cum illis non est, quia non est cum illis Icx veritatis. A e proinde quicumque arma Dei corripiunt ^ cathoUcce Ecclesice ne- quamquam reconciliali , sunt indigni jxenìlcntice fructibus (lib. 1 , cap. 40 in iVum.).

464 LETTURA SETTIMA

%WÌ\.- Peccato dell'antico Israelh nell'avere ascoltalo i detrattori della terra promessa, figura del peccato dei Giu- dei nelV amr più tardi ascoltato i calunniatori di Gesù (tristo. Loro esclusione dalla Chiesa, fixjurata pure nel- l'esclusione dell'antico Israello dalla terra promessa. Mosè colla sua preghiera ottenne che questa doppia esclu- sione non fosse perpetuo, che dal popolo giudeo avesse origine la vera religione del Messia, e che i gentili fos- sero innestati ai Giudei.

Ci rimane finalmente a dire del gastigo del popolo d' Israello per avere dato ascolto al linguaggio della impostura e della diffidenza piuttostoché al linguaggio della fede e della ve- rità, e rilevarne i misteri e gl'insegnamenti che vi si con- tengono. E primieramente in Israello, che è da Dio stesso accusato di averne insultata la maestà, rigettala la dottrina e le leggio dopo averne coi proprj occhi veduta la gloria dei prodigi, e che perciò è escluso afi'atto dalla terra ai suoi padri promessa, e che esso ha screditata, vilipesa e ripudiata, chi non vede il tremendo vaticinio, la terribile figura dei Giudei che, spettatori dei prodigi che Gesù Cristo avea sotto degli ocelli loro operati, nella sua nascita, nella sua vita e nella sua morte; pure facendo causa comune cogli scribi e coi fa- risei, esploratori bugiardi e infedeli dei misteri del Messia da Dio loro affidati ; lo denigrarono colle più sfacciate ca- lunnie, lo insultarono colle più atroci bestemmie, lo vollero schiacciare coi sassi, precipitare dall'alto, lo tormenlarono coi più spietati supplicj, lo colmarono degli obbrobrj più cru- deli, ne chiesero, ne sollecitarono con furore la morte, e non furono paghi finché noi videro spirare sopra d' un infame patibolo; e che perciò furono essi stessi ripudiati dal Messia che aveano ripudiato, rigettali fuori della vera terra pro- messa, cioè esclusi dalle grazie della redenzione e dell'eterna salute, di cui Gesù Cristo è la sorgente e l'autore? Imper- ciocché parmi che la gravità e la forza delle espressioni onde Dio si mostrò offeso in questa circostanza sono una prova che, nel rifiuto che fecero allora gli Ebrei di una terra ma- teriale. Dio vide il rifiuto di una terra spirituale e divina di cui un giorno si sarebbero fatti rei i loro figliuoli ; e che

LETTURA SETTIMA 4óo

questo secondo rifiuto, di cui il primo era sol la figura, potè suggerirgli un linguaggio di tanto sdegno e di tanto dolore. T.a stessa interpretazione confermano anche queste parole che Dio disse a Mosè: « Io vivo, e tutta la terra sarà ripiena della gloria del mio nome; » e che, secondo Procopio, signifi- cano: io giuro che, a dispetto della diabolica malignità dei Giudei che mi avranno crocifisso e morto, io vivrò sempre per rigettarli e farmi in lor vece conoscere e adorare nel resto del mondo e chiamarlo alla salute che era preparata per loro: Quid est: « vico ecjo, et implebilur (jìoria Doinini universa terra? » prcenunliat repuìlionem Judworum et or- bis salutem, et vaticinimn jurejuratido confirmat (apud de Lyr. in iNum.). E queste altre parole di Dio a IVIosé: « Nes- suno di costoro che non hanno ubbidito alle mie voci vedrà la terra che con giuramento ho ai loro padri promessa, » non sono un manifesto vaticinio di quest'altre parole pro- nunziate dallo stesso Gesù Cristo nel Vangelo: « Il regno di Dio sarà tolto a voi e sarà dato alle genti che faranno fruttificare questa terra divina ? » Potest ìicec deminliatio non videri dissimìlis Ufi (Matth. 21): Àuferetur a vobis recjnum Dei, et dabitur genti [adenti fructits ejiis (ibid.). Anzi al sentire Iddio così parlare a Mosè, non pare egli di sentire lo stesso Gesù Cristo che nella parabola della cena proferì questa terribile sentenza contro i Giudei: Coloro che erano stati invitati i primi non furono degni di assidersi alla mia cena. Io giuro che nessuno di loro ne gusterà giam- mai: Quia incitati erant, non erant d'igni. Ànven dico vobis quia nemo virorum illorum gustabit ccenam meain ( Mat- th. 9). E che? credete voi che Mosè, il quale rinunzia al- l'onore che Dio vuol fargli di metterlo alla testa di un altro popolo più forte e più fedele; che supplica, scongiura, versa lacrime innanzi a Dio per lo sciagurato Israello: e che ot- tiene finalmente che Dio non lo distrugga tutto intero colla pestilenza, come avea minacciato di fare; credete voi, ripeto, che questo grande Profeta non abbia pensato allora che alle cose ed alle persone presenti? No, no, dice Origene: per un più grande delitto del suo popolo e per un gasligo ancora più grande con cui ne sarebbe stato punito era allora il

466 LETTURA SETTIMA

santo duce scandalezzato, inorridito, affannoso e dolente. Nel r eccesso d' ingratitudine onde Israello rinunziava allora alla terra promessa vide Mosè il preludio funesto dell' eccelso di una ingratitudine ancora più mostruosa onde un giorno i discendenti di questo medesimo popolo avrebbero rinunziato al beneficio della redenzione e dell'eterna salute. Mentre Israello fa echeggiare il deserto del grido di ribellione: « Non vogliamo sapere più di Mosè e di Aronne, vogliamo ritornare e rimanere schiavi in Egitto, sotto l'impero de' Fa- raoni, » Mosè, trasportato dallo spirito profetico nel rìmoto avvenire, ascolta colle sue orecchie, e se ne sente trafiggere e lacerare il cuore, queste altre grida orribili e feroci onde un giorno i Giudei avrebbero fatto risuonare il pretorio: « Noi non vogliamo sapere di Gesù Cristo; preferiamo il giogo romano allo scettro del m de Giudei. Non abbiamo e non vogliamo avere altro re fuori di Cesare. » Nel furore onde Israello perseguita ed insulta Giosuè, vede Mosè la lu- gubre profezia del furore ancora più ingiusto e più sacrilego onde il Giudeo avrebbe provocata e consumata la morte di Gesù Cristo. E nella minaccia di Dio di voler distruggere interamente la discendenza di Giacobbe colla pestilenza, sic- ché nessuno mai di questa progenie proterva arrivasse a mettere il piede nella terra promessa, non vide che un saggio del tremendo gastigo onde la stirpe dei Giudei sarebbe stata per sempre proscritta, sicché nessuno dei discendenti di Abramo avrebbe mai partecipato alle grazie ed alla gloria del Redentore. È afflitto Mosè per quello che vede nel pre- sente accadere, ma di gran lunga più afflitto è per quello che dovea a questo stesso popolo accadere nel rimoto av- venire. Ed ecco perché si mostra smanioso ed inquieto. Ecco perchè rinunzia di essere capo di un altro popolo, del popolo gentile, che fin d' allora conosceva che dovea es- sere chiamato e governato, non da un Mosè, ma dal vero Giosuè, dal divino Gesù; ed ecco perchè solo della sorte d' Israello si mostra sollecito. E perchè gli si risparmi o si tempri la tremenda severità dal gastigo che vede pronta a scoppiare sopra i Giudei uccisori del Messia, Mosè sparge tanti prieghi, tanti gemiti e tanto pianto: Assumendus ettim

LETTUllX SETTIMA 467

erat popuìus lìalionum^ sed non per Motjsen. Excusat ergo se Moyses; sciebal enim quia gens qme promiUilitr non per se vocimela eratj sed per Jesnm. Et pluribus orai prò pò- pillo ilio (Ovì^.f Homil. 8 in INum. ). Ottenne difatti Mosé colle sue suppliche e colle sue lacrime che Dio mitigasse il ri|rore della sua giustizia, e che, pago che tutti gì' Israeliti usciti dall' Egitto perissero nel deserto, i loro figliuoli almeno, dopo quarant'anni di pellegrinaggio per inospite contrade, entrassero al possesso della terra promessa. iMa questa grazia che ottenne non fu che la figura di una grazia infinitamente più importante che allora pure impetrò 3Iosè unendo in ispirito la sua preghiera alla preghiera di Gesù Cristo nel- l'orto e sulla croce, cioè che la nazione giudaica non fosse eselusa in perpetuo dal beneficio della redenzione; ma che, dopo di avere forse per quaranta secoli vagato peregrina e raminga pel mondo, finalmente sotto la guida del vero Giosuè, Gesù Cristo, rappresentato dal suo vicario in terra, fosse ammessa nella vera Cananea, nella Chiesa militante qui in terra, quindi nella Chiesa trionfante nei cieli; giacché, come si è detto, è di fede che i Giudei devono un giorno convertirsi e salvarsi.

Ottenne pure colla stessa preghiera che gli esploratori fe- deli, i panegiristi della vera terra promessa, la vera Chiesa, ossia gli evangelisti e gli apostoli fossero Giudei: e che i Giudei pure formassero le primizie della Chiesa nascente e come la radice o il ceppo principale cui sarebbe quindi in- nestati i gentili. Infatti, nel mistero della vocazione alla fede, dice S. Paolo, non si è innestato l'ulivo domestico sul selvaggio, ma, contro la natura degl' innesti, l'ulivo selvaggio si è innestato sul domestico, ed il ramo sterile ed infecondo del popolo gentile è inserito sulla radice fruttuosa e fe- conda della fede dei iigli di Abramo ; giacché, non i Giudei da noi gentili, ma noi gentili dagli Apostoli , di nascita giu- dei, abbiamo ricevuta la grazia e la verità: Tu cum olea~ ster esses , contra naturami inserlus in bonam oìivam et socius radicis et pinguedinis factus es (Rom. li). Da ciò ne segue, dice Origene, che i Giudei, il primo popolo deposi- tario della vera religione, furono i nostri padri e noi i loro

468 LETTURA SETTIMA

figliuoli, veri figli di Abramo altresì, i veri Israeliti, non già secondo la carne ma secondo la fede. I Giudei però, figu- rati negli Israeliti ribelli, sono stati rigettati a eausa del loro peccato contro Gesù Cristo; noi poi, a causa della no- stra fede, siamo stati innalzati alla dignità di figliuoli, e la loro caduta è stata il principio della nostra risurrezione e del nostro innalzamento: Palres noslvi faerunt popnìus ilfe pv'wr, nos Jiìii ipsoruiii suiiiusj UH qui peccaverunl ahje- di sunl et cec'uìerunt, nos auleni filii ipsorum mu've.vimus f/ eredi siimtis (Orig., Homil. 8 in ISum.).

§ XXV. - Spiejjazione delia parola di Michea: « Da te o Betlermnej nascerà il duce che reggerà il mio popolo d'Jsraello.» J veri Israeliti chi sono. Se tutti i chiamati non sono sotto lo scettro di Gesù Cristo j loro è la colpa. Avvertimento di S. Paolo ai cristiani onde evitare il ija- sticjo dei Giudei. I pargoletti, dei quali Dio disse a iVosè che soli sarebbero entrati nella terra promessa^ figura dei pargoletti i dei quali Gesù Cristo ha detto che soli entreranno nel regno dei cieli. Come si adempie pure che i veri cristiani vincono i Cananei^ o le potenze in- fernalij con quali armi se ne ottiene facile il trionfo.

Quindi divien chiaro il senso del vaticinio di Michea, ri- prodotto dai dottori giudei per l'istruzione dei Magi gen- tili. Imperciocché il profeta, dice l'Emisseno, nell'avere an- nunziato che in Betlemme sarebbe nato il duce destinato a reggere il popolo d'Israello, El tu, Bethlehem... ex te e.ciet dux qui regal populum meuìii Israel, non intese dire che il Messia sarebbe stato il Salvatore e il duce dei Giudei discen- denti da Giacobbe secondo il sangue, ma di tutti i gentili, discendenti dai Magi secondo la fede, di tutti coloro in som- ma, Giudei e gentili, che avrebbero credulo sinceramente in lui secondo la bella interpretazione di S. Paolo che ha detto: I veri Israeliti non sono quelli che secondo la carne discen- dono da Giacobbe ma quelli che dallo stesso patriarca di- scendono secondo la fede nelle promesse divine: Hic tamen Israel illos apiìellat omnes qui ex Judworum et gentilium

LETTURA SETTIMA 469

populo credulenuit. Et interprelans Aposloìus ajebai: Non cnim omncs qui ex Israel sunl, hi sunl J.sraelilaj sed (jiii- cumque per fuleìii repromis.sionis nuli sunt. M Teofilatto dice: J^a parola Israeììo significa colai che vide Iddio; ])er- ciò anche i gentili che vedono Iddio sono veri Israeliti: Israel videns Deiim. linde Oìnnes Deumvidenies sunl Jsrae- litce, etiamsi ex (jenlibus nati sunt. Ora vedere Dio in que- sto mondo, altro non è che credere in Dio per Gesù Cristo e in Gesù Cristo, in cui e da cui solo si otttiene la sincera cognizione di Dio, avendo detto egli stesso : Chi vede me , vede e conosce ancora il Padre mio: Qui videi me, videi et Pafrem menni (Joan, 14). E S. Paolo dice: lUentre gli Ebrei hanno innanzi agli occhi una benda funesta che impedisce loro di conoscere Dio, perchè non credon in Gesù Cristo ; noi gentili al contrario, che in Gesù Cristo crediamo, a fac- cia scoperta «e senza velo conosciamo per la fede la gloria dei misteri di Dio: Nos autem revelata facie (jloriani Dei spi'culanles' {IL Coì\ 3). Fate però attenzione, soggiunge il ci- tato Padre, che il Profeta parlando a nome di Dio, dice: « 11 duce che reggerà il mio popolo d'Israello. » Perchè quelli solamente sono governati dallo scettro amoroso di Dio che ne adenqiiono le leggi e formano perciò il vero suo popolo. Coloro poi che queste leggi non adempiono, non apparten- gono altrimenti al popolo di Dio, ma a quel del diavolo: Aliendum quod dicil: populum aiEUM Israel. Quia qui Dei populus sunt , Dei reguntur imperio el ea faciunt quw Dei, sunl Qui autem ea non faciunt , non sunl populus Dei, sed diaboli Laonde, ripiglia S. Gregorio, se queslo re misericordioso e potente in fatti non tiene sotto il suo scettro di amore tutti coloro che si dicono del suo popolo, la colpa è non della sua misericordia, che li ha chiamati, ma della loro ostinazione e della loro malizia, che, chiamati da lui ricusano di rispondergli e di ubbidirgli : Si vero non Oìnnes reqil, vocalorum crimen est, non vocanlis (loc. cit.). Quindi S. Paolo nella citata epistola ai Romani, in cui ci ha rivelato il gran mistero della riprovazione dei Giudei e della nostra elezione nel loro luogo, ci dice : Se noi cristiani non perseveriamo saldi nella fede che abbiamo ricevuta, se non

20

470 LETTURA SETTI3IA

la conserviamo coli' umiltà dello spirito; invano ci applau- diremo dicendo: ÌNoi siamo nel vero ulivo inestatì. noi siamo nella vera fede; ed i Giudei non ne sono stati recisi ;, come inutili rami, se non per cedere a noi gentili il luogo.» Senza dubbio che la divina misericordia e la divina giusti- zia in questo mistero maravigliosamente risplendono; la giu- stizia, nell'aver permessa la caduta dei Giudei, la miseri- cordia nell'aver noi g'entili sostituiti nel loro posto. Ma come i Giudei furono a causa della loro incredulità, separati, così e molto più possiamo essere noi pure recisi dal salutifero tronco a causa della nostra presunzione e del nostro orgo- glio; poiché il Dio che non fece grazia, a causa del peccalo^ ai rami naturali di quest'albero santo, ai Giudt-i , molto meno farà g^razia ai rami innestali , a noi che discendiam dai gentili , se separiamo la verità della fede dalla bontà delle opere: Dices ergo: fracli suni rarnij ut ergo inserar. Bene proplcr i ne r eduli lalern fracli sunl rami; tu aulem fl- des slas, noli alitun sapere^ sed lime. Vide ergo hovilalem el severilalem Dei. In eos quidem qui ceciderunt severità" lem, in te aulem bonilatem Dei, si permanseris in bonila- te, alioquin et tu excideris. Si enim Deus naiuraìihiis ra- mis non peperai, ne forte nec libi parcat (Rom. il).

Finalmente non è senza mistero che Dio abbia detto a 3Iosè che, in grazia della sua preghiera, dopo estinti tutti gli adulti nel deserto, i loro pargoletti, con Giosuè e Ca- leb, sarebbero soli entrati nella terra promessa. Chi non vede, dice Procopio, in questi pargoletti, i soli cui è riser- vata la sorte di mettere il piede nella Cananea, la figura dei pargoletti spirituali, i soli cui è promessa la beatitudine eterna? E come è possibile il leggere queste parole di Dio a Mosè : « i soli pargoletti entreranno » , senza ricordare queste altre parole pronunziate da Gesù Cristo ai discepoli : se non divenite simili ai pargoletti, non entrerete nel re- gno de' cieli? Quorum filii imago sunt eorum de quibu^ (Matth. 21): nisi efficiamini sicut parvuli, non intrabitis in regnum ca^lorum (apud de Lir.j.

Ma osserviamo che i pargoletti di cui Dio parlò a Mosè, divenuti adulti, furono il terrore di popoli bellicosi o cru-

LETTURA SETTIMA 474

deli. Ora in questi pargoìclli israeliti precedette,, dice Ori- gene, la figura di un mistero la cui verità si compie in noi cristiani: Figura ergo prcecessit in patribus veritas com-' plelur in nobis (Homil. 7 in TVum.). Come quelli discaccia- rono i Cananei e gli altri popoli che loro attraversarono il passo della Gerusalemme terrestre; così noi, che ci siamo avvicinati al vero monte di Dio, dobbiamo disperdere i veri Cananei, le potenze spirituali^ gli artificj infernali , che ci contrastano l'acquisto del regno celeste : Sicul iìli de lerre- stri Jerusaìem ejecerunt Chananwos et cceterns gentes, ila el nos y qui accessimus ad montem Dei el ad regna ccpìe^ mia, necesse est ut expellamus conlrarias potestates spiri- lualis nequiticp, qua sunt veri Chanancei (ibid.). Quelli ado- perano armi corporali e visibili, noi bisogna che ci formia- mo delle armi invisibili e spirituali, di cui parla S. Paolo quando ci dice: Rivestite l'armatura della fede, copritevi del cimiero della speranza dell' eterna salute, cingete l' us- bergo dell' amor di Dio cui nulla resiste , imbrandite la spada dello spirito , che è la parola di Dio che trionfai di tutto^ Con tali armi, siccome i nostri padri calcarono la cer- vice delle nazioni infedeli, noi calpestiamo l'orgoglio degli spìriti delle tenebre : liti armis visibilibus et corporaìibus, nos invisibilibus et spiritualibus armis : unde Ephes. 0 dicitur : « Induite vos armaturam fidei, loricam charita- tis, gaìeaiìhsalutis , et gladium spiritus, quod est verbum Dei. » Cum iaìibus armis, sicut patres 7iostri calcaverunt cervicem geniium , et nos caìcabimus cervicem dcemonio- rum (ibid.). Rammentiamo però che i nostri avversar] sono giganti , perchè i demonj resistono e fan guerra a Dio; e chi a Dio resiste o fa guerra è un gigante per l'or- goglio.

Abbiamo dunque a farla coi giganti ; e perciò di ogni cristiano ha profetato Isaia: «Egli s'impadronirà delle spo- glie dei giganti. » Infatti se si paragona la natura umana colla natura angelica dei demoni, questi sono rispetto a noi veri giganti, e noi misere locuste in faccia a loro, princi- palmente se dubbia e inferma si è la nostra fede. Se però seguiremo il vero Giosuè, Gesù Cristo nostro duce, se cre^

472 LETTURA SETTIMA

deremo col cuore e coi fatti alla sua parola^ si cambieraniio le condizioni o le sorti, diventeremo noi giganti, ed essi locuste, che si dissiperanno in nulla al nostro aspetto: Scito tamen esse (jujaìileSi Giyas dicilur qui Deo resistita quod UH principaliter faci uni. Tibi ercjo dalur ut ejicias (jigatt' ieSj unde Isai. 49 dicilur: « Qui accipiet a (jiyante spo^ Ha» » Comparalione ergo humame nolurce et dcemoniacce nos locuske sumus ^ prcecipue si dubia est fides nostra^ UH vero gigantes erunl. Si vero sequimur Jesum ducem^ et verbis ejus credimus, lamqucun niìiH erunl in conspectu no- Siro (ibid.). Imperciocché Gesù Cristo si compiace sempre di operare cose sempre mirabili; e perciò ha disposto che noi misere creature terrene trionfiamo degli spiriti mali- gni una volta abitatori dei cieli, e che i giganti siano vinti dalle locuste: l uìl ergo Jesus seniper res niirabiles face re; vull locuslis vincere giganles^ et ah ìiis qui in lerris sunl cctlesles superare nequilias (ibid.). A questo prodigio fece forse allusione quando disse nel suo Vangelo: « Chi crede veramente in me, (iu'à ancora prodigi più grandi di quelli che faccio io stesso: Hoc est fortasse quod dicilur Joan. 'IO: « Qui credit in me majora horum faciet (ibid.). » Imper- ciocché a me sembra più grande prodigio di vedere il de- monio vinto dall'uomo carnale, fragile, vacillante, infermo, armato solo della parola e della fede di Gesù Cristo; di quello che vederlo vinto da Gesù Cristo in perdona. E per- ciò sebbene sia Gesù Cristo stesso che vince il'demonio in noi e per noi; pure questa vittoria che in noi ottiene è più splendida di quella che ha riportato in stesso: Majus eniui mihi videtur si homo in carne posiluSj fragilis , caducus, fide lamen Chrisli et verbo ejus arnialus ^ superai dieino- nuìu legiones ; quamvis ipse sii qui vincil in nobis ^ plus tamen vincita quod per nos vincil. Quello che importa si è che noi siamo sempre armati di queste armi divine e pronti sempre alla pugna ; che, sollevando dalla terra ogni nostro pensiere, ogni nostro afletto, tutle le nostre parole, tutte le nostre azioni e la conversazione nostra siano celesti: Tan- luìn est ut nos armis islis semper siinus parati et armati, et conversalio nostra super in anHs , sii et Oìunis motus

LETTURA SETTIMA 473

ììosler et aclus , cogilalus at sermo sii ccelestis. La nostra vita santa e pura secondo Dio è la morte dei nemici no- stri, che non sono forti, non sono giganti se non per la nostra mollezza e pei nostri vizj.

Intendiamo adunque il segreto delle nostre forze e met- tiamolo a profitto contro gli spiriti delle tenebre. Cresciamo in virtù, afiinchè essi perdano di potere; innalziamoci sopra noi stessi , affinchè essi cadano ai nostri piedi , e noi pos- siamo un giorno entrare al possesso della vera terra pro- messaci, del cielo, da cui essi sono stati scacciati: vita nostra sancta et secundum Deiim sit, mortevi iHis confert. Si segnis y si Juj-uriosa, potentes adoersiis nos gicjantes facit. Augeamur ergo ut Ufi minnantur; nobis ingredien- tibus , ilJì lolfanliir, atque ascendentibus y cadant (ibid.).

FI^'E DEL SECONDO VOLI ME.

INDICE

LETTTRA OIIÌXTA.

L' istriizioiìp de' Magi, ovvero la facilità e V ìinirersnlita ilelV ìììseqnaiuentu della fede.

I. - che cosa t- la verità. Isella doltiiiia di S. Tomaso intorno agli inconvenienti del metodo dell' in»inisizione umana, edalla necessità della rivelazione divina per conoscere la vera religione. Ouattro caralteii delPinsegnamento della vera fede, la facilità, l'univer- salità, la verità, la certezza. I primi due solamente si propongono a spiegare nella presente lettura. Divisione ed importanza delle

materie che vi saranno trattate Pag. 5

U. - Aecessità che avean gli uomini the la rivelaiìone divina fosse tacile e pronta. La stella di Betlemme non fu un segno naturale, ma un prodigio celeste, scelto e bella posta da Dio per facilitare la rivelazione de' Magi. È proprio della divina bontà lo scegliere

le \ie più facili per farsi conoscere ed amare » 12

IH. - I Magi furono istruiti da Gesù Cristo a cercare Gesù Cristo. Meravigliosa facilità e chiarezza onde per questa via conobbero i più grandi misteri. Prove che la loro cognizione, più che della scienza umana, fu l'effetto della rivelazione divina e dell'umiltà con cui vi si dispasero. Tenero e sublime discorso di Gesù Cristo

sullo spirito della fede cristiana » 16

IV. - La facilità con cui furono istruiti i Magi, figura della facilità con cui sarebbero istruiti ì crisliani docili all'insegnamento della fede. La sapienza profana dimanda lunghi studj; pochi istanti bastano all'anima umile per profittare della sapienza divina. Lsto-

ria del ministro della regina Candace » 24

5 V. - Quanto è lunga e difficile la via dell'inquisizione umana per conoscere la verità. Si conferma ciò coli' esempio degli antichi filosofi e de' moderni eretici. Difficoltà di trovar da se solo il vero cristianesimo nella Scrittura. Quanto dobbiamo essere riconoscenti a Dio per averci fatto nascere nella vera Chiesa, in cui, senza

476 INDICE

studio 0 stento, abbiamo imparate sin dall'infanzia le più sublimi

ed importanti verità Pag. 81

§ VI. - La stella dei 3Iagi fu \eduta da tutti, l)enchè pochi ne ab- biano profittato. I Giudei, che non la videro, ricevettero però essi pure, pel ministero dei Magi, la rivelazione della nascita di Gesù Cristo. Così il Salvatore del mondo indicò sin dal suo nascere che l'insegnamento della sua fede sarebbe stato universale. Lo slesso volle signiOcare coli' aver voluto nascere all'aperto, come coM'aver voluto all'aperto morire. Le grotta accessibile a tutti, bella figura della Cliiesa, che tutti ammette alla sua scuola » 35

§ Vii. - Presso i popoli idolatri la verità così rara come la cibile libertà. La filosofia pagana mantenne studiosamente l'ignoranza del popolo come la schiavitù. L'eresia protestante cogli stessi principj lia risuscitate le stesse conseguenze. L'errore è ingiusto e crudele. Oppressione e miseria de' popoli che vi sono soggetti » 42

§ Vili. - L'insegnamento divino ha abolito tra i popoli veramente cristiani l'ignoranza, come la schiavi'ù. Itel mandato di Gesù Cristo agli Apostoli, di ammaestrar tutti in tutto. La Chiesa lo adempie fedelmente insegnando sen/.a restrizione a tulli tutto qufllo che ha iuìparato da Gesù Cristo. Il sommo P.mteGce. Profezia di .*?a Io- mone sulla imiversalilà dell'insegnamento cristiano: solo nella Chiesa si compie. Bel monumento eretto di ciò in San Pietro da S. Leone III.» 47

§ IX. - Altra con>;i1erazione da fare sulla rivelazione che el>bero i Magi. Essi perdon di vista la stella. Iso che vi era in tutto l'O- riente di ricorrere a Gerusalemme per avere la spiegazione de' grandi portenti. Coli' aver Iddio fatta scomparire la stella, obbliga i Magi ad interrogare la sinagoga; e questa interrogazione serve a con- fcruìarli nella lor fede. 3Iislero importante che con ciò ci si scuo- pre della necessità di un tribunale di\ino, interprele della parola di Dio, perchè si renda sempre più facile ed universale l'insegna- njento della fede. Prove che questo tribunale risiede in Roma, e che il privilegio d'interpretare infallibilmente la Scrittura, come già si concentrava presso il gran sacerdote degli Ebrei, ora si con- centra nella persona del sommo pontefice de' cristiani » 52

§ X. - La rivelazione dei Magi sebbene divina, insufFiciente però, senza il magistero della sinagoga, per ritrovar Gesù Cristi», figura della rivelazione divina conlenuta nelle .Scrillure, e che senza il magistero della Chiesa è insufficiente essa pure a far conoscere la verità cri- stiana. Onesto magistero solamente rende facile e sicura l'intelligenza de' Libri Santi. Dove vanno per lo più a terminare le ricerche bibliche dei i.rolestanti. Profezia di Giobbe, spiegata da S. Grego- ri»), intorno alla trista condizione degli erelici, che si pascono della Scrittura fuor della Ghiesa " ^^

INDICE 477

§ XI. - Sieguc lo stesso argonicuto intorno alla necessità dell'inse- gnamento ecclesiastico per la facile e sicura intelligenza delle Scrit- ture. Bella dottrina sopra di ci»> di S. Basilio e di S. Pier Criso- logo , confermata dalla sioria delle eresie. Esempio particolare di Lutero; e confessione importante di Calvino sul proposito. Teologia di S. Paolo intorno alla fine delle sacre Scritture: la fede nell'in- segnamento della Chiesa serve loro di lume sicuro, e ne facilita l'intelligenza. Come i santi Padri e la chiesa intera hanno usato della Scrittura: come ne usano le anime pie, e frutti preziosi che ne ritraggono. Diversa maniera onde il cattolico e l'eretico leggono la Sorittura, ed efìflti diversi che ne risentono Pag. t7

§ XII. - Si dimostra col falto delle missioni degli eretici, comparale colle missioni cattoliche, che il solo insegnamento della cattolica Chiesa è facile ed acconcio a conveitire ogni specie di infedeli. Il missionario dell'eresia è un inviato-non-inViato. La prima condizione essenziale per predicare con successo il Vangelo, la legittima mis- sione, il solo missionario cattolico può vantarla. Si considerano questi due missionari nella loro partenza, nel loro viaggio, nel loro arrivo. (Grandezza e nobiltà del missionario cattolico, non ostante la sua povertà. Occupazione de' due missionarj. Le missioni prote- stanti invece di attirare al cristianesimo gl'infedeli, sempre più ne li allontanano » 75

§ XflI. - Siegue Io sIcsno argomento delle missioni, per far conoscere l'indole del cattolico insegnamento. Stolidità del missionario prote- stante, che pretende di convertire al cristianesimo l'infedele col dargli solo a leggere la Bibbia. La vera fede non si riceve leggendo libri; ma ascoltandone i veri predicatori. Una missione cattolica alle isole Gambier. L'errore si stabilisce colla forza; la verità non ha bisogno che di stessa. Sterilità e scandalo delle missioni proìestanti nelle Indie. Il protestantismo ha impedito che il mondo divenisse cristiano. Speranze che di l'Inghilterra di dilatare un giorno la fede cattolica in tutto il mondo » 85

ISTORIA BIBLICA

La colonna che guidò gli Ebrei alla terra promessa.

g XIV. - Inlerpretiizionc litterale della storia dell' uscita del popolo di Israello dall'Egitto. Apparizione della colonna di fuoco. Poca fede in Dio degli Ebrei al vedersi \icini a cadere di nuovo nelle mani di Faraone venuto a sorprenderli, aiiracolo della divisione del mare. La colonna, propizia agli Ebrei, agli Egiziani funesta. Descrizione della loro intera disfatta e del portentoso passaggio degli Ebrei pel mar Rosso Pag. 95

478 moicÈ

S XV. - La colonna continuò sempre a dirigere il cammino degli Ebrei sino al loro arrivo alla terra promessa. Perchè ora si chiama « il Signore » ora « l'angelo del Signore. » Ouesla colonna fu un vero miracolo magniGco e permanente. Sto Udita degli iulerpreli raziona- listi nel volerla far pa'^sare per un naturale fenomeno Pag. 104

§ XVI. - La colonna che guidò gli Ebrei alla terra promessa, figura della stella che condusse i Magi a Betlemme. Tratti di somiglianza fra i due prodigi » 108

§ XViI. - Altro senso allegorico della stessa istoria. La colonna figura di Gesù Cristo e del suo celeste insegnamento. La grazia della fede è la prima nell'ordine della salate. Alla sua luce, come a quella della colonna, tutti possono facilmente partecipare. Essa illumina non solo i cristiani, ma ancora gl'infci^eli. E la fiaccola del mondo, che le deve la sua esistenza, e tutto quello che possiede di verità.» 112

§ XVIII. - Il prodigio della cnlonn.i, inutile senza 11 ministero di Mosè, figura della necessità del ministero della Chiesa per l'intelligenza e per l'uso delle rivelazioni divine. Dio, nell' aversi associato Mosè per compiere la liberazione del suo popolo, ha indicalo il piano della sua provvidenza di associarsi la Chiesa alla grand' opera di salvare gli uomini » ■* 20

§ XIX. - La disfatta della potenza egiziana e la miracolosa vittoria degli Israeliti nell'Eritreo, figura della distruzione della potenza idolatra e del trionfo memorando della f'^de cristiana in Roma. Mo- numenti tuttavia superstiti di questo trionfo » i27

§ XX. - Spiegazione tropologica della stessa figura, condiiione del cri- stiano in questa >ila. Gesù Cristo è la vera nugola che lo protegge, lo illumina, lo fortifica e lo difende. Anche sui peccatori si estende la divina misericordia. Viltà e colpa chi nella tentazione difiìda, e castigo che lo attende. ìVecessità ed efficacia della preghiera in mezzo ai pericoli di perderci. I cocchi di Faraone e il loro morale significalo. In Gesù Cristo il cristiano trionfa. Sua consolazione e gloria qtiando sarà arrivato vincitore al cielo » 132

LETTI Ri SESTA

La credenza dei Magi, ovvero la verità « la certezza dill' insegnamento della fede.

SI.- L'uomo non ha da inventata la ^erità, ma l'ha ricevuta da Dio per via di rivelazione e di fede. Due bei passi della Scrittura che lo attestano, ed argomentazione di S. Tomaso che lo dimostra. Al medesimo modo furono istruiti i Magi che a\endo perciò cono- sciuti senza errore e con un'intera certezza i misteri di Gesù Cri-

INDICE 479

sto, figurarono gli altri due caratteri dell' insegnamento dalla fede; la sua VKBiTi' e la sua certezza. Argomento e divisione della presente letlura Pag. 1 44

§ il. S'incomincia a trattare del terzo carattere dell'insegnamento della fede, la sua verità'. I Magi conobbero e credettero Dio uno e trino, Gesù Cristo vero Dio, vero uomo e salvatore degli uomini, e i principali doveri del cristiano. La loro fede fu pura , sincera, scevra di errore, perchè frutto non delle ricerche della loro ragione, ma della rivelazione di\ina. I veri figli della Chiesa conoscono e credono colla stessa sincerità e purezza le medesime verità....» •161

§ Iti. -La ragione umana abbandonata a su sola incontra più facilmente l'errore che la verità. I filosofi antichi non conobbeio che pochis- sime verità, e queste non le scuoprirono, non le inventarono colla loro ragionp, ma, attintele dalle tradizioni generali, non fecero che oscurarle con molti errori. Si dimostra ciò colla storia delle orribili stravaganze con cui alterarono la prima e somma verità dell'esi- stenza di un Dio e quella dell' immortalità dell'anima. I filosofi, fanciulli ignoranti in confronto anche de' più rozzi scristiani, che, istruiti alla scuola della fede, sono sapientissimi nelle cose divine.» 159

% IV. - Si diuioslia la facilità di errare della ragione umana, che si fida di sola, colla storia dei principali errori onde gli antichi eretici, lungi di avere coi loro pri\ati lumi scoperta alcuna nuova verità cristiana, hanno, per quanto da loro dipendeva, distrutte tutte quelle che la rivelazione divina avea fatto conoscere » 171

§ V. - Si dimostra la stessa verità colla storia delle moderne eresie, ovvero del protestantismo che tutte le contiene. Lutero e i suoi errori. Le sue prime tre prosapie dei sacrame>tap.j, degli anabat- tisti e dei confessionisti, e loro principali diramazioni, che pro- ducono l'indifferentismo, e la disperazione di conoscere alcuna verità » 183

§ VI. - Siegue la storia delle moderne eresie. Quarta prosapia di Lu- tero. Calvino, suoi errori e sua indole. Sette principali nate dal calvinismo. Il protestantismo inglese e suoi effetti. Scuola anticristiana del secolo decimoltavo, e panteistica del nostro. La ragione umana, negando la vera fede, finisce col negare stessa » i\il

§ VII. - Hello spettacolo che presenta la Chiesa cattolica, mantenendo essa sola nella loro purezza tulle le cristiane verità in faccia a tutte le selte degli eretici, che non hanno insegnalo che errori. Fuori della vera Chiesa non si trovano verità pure e semplici. Gli eretici, anche in quelle che han conservate, vi han mescolato l'errore; e colla vera fede han perduto persino il vero linguag- gio delle cose divine. Il discepolo della fede è l' allievo della ra- gione • ....«... » 20t$

480 \mic.E

% vili. - Si passa a discorrere del quarto ed ullìmo carattere dell'in- segnamento della fede, la sua certezza, i Ma^, istruiti alla scuola della rivelazione divina, conobbero i più grandi misteri non solo senza errore, mu ancora senza dubbiezza. Prove della ferniez/.u e della costanza della loro fede , Pag. 212

§ IX. - 1 31agi crederono con certezza, perchè la loro fede ebbe per fondamento: 1.° l' autorità divina; 2." una rivelazione uniforme; 3." il soccorso della grazia. Uuesti stessi tre motivi di credere trova il cattolico nell'insegnamento della Chiesa, che lo rendono certis- simo nella sua fede. Bel prodigio che la grazia della fede opera nel \ero cattolico, la cui credenza, a somiglianza di quella dei Magi , è ferma nelle sue pro\e e vivissima ne' suoi trasporti. L'uomo car- nale, il freddo razionalÌNta non intendono nulla di questo prodigio. Lo deridono, ma saranno un giorne derisi essi slessi •» 220

§ X. - A somiglianza pure dei Magi, il cattolico, sostenuto dall' inse- gnani«ato della Chiesa, manifesta la certezza della sua fede coli' ef- ficacia delle sue opere, e col resistere agli scandali che lo circon- dano. Felicità e pace di un figlio della vera Chiesa » 2.30

§ XI. - SI entra a dimostrare che, fuori della Chiesa cattolica, non vi è CERTEZZA alcuua di fede. Da prima perchè malica un'autorità divina. L'autorità polilica, che fuori della Chiesa dispone della re- ligione, non è altrimenti divina nel decretare i simboli di fede, ma umana o diabolica. Contradizione e gasligo degli eretici, obbligali a far dipendere la loro fede dall'autorità secolare, essi che non vogliono riconoscere l'autorità della Chiesa. Assurdità che vi sa- rebbe a riconoscere divina l'autorità degli eresiarchi; i loro stessi discepoli r hanno ripudiata. La stessa Scrittura cessa di essere un'autorità divina pel cristiano che crede di doverla interpretare a suo modo, vero eretico non riconosce alcuna autorità divina, ma mette la propria ragione al di sopra (Vi Dio stesso. Questo or- ribile peccato le ha comune con Lucifero » 2I^S

§ XII. - A somiglianza degli antichi filosofi, gli eretici hanno ripudiala, come inutile, la preghiera a Dio per ottenere la fede, ^on solo perciò manca loro il motivo di un' autoiut*' i>ivi\a, ma ancora il soccorso della pìvIìNA grazia perchè credano con certezza. Spiegazione del detto di Tertulliano, che il vero erktico .\on è PIÙ CRISTIANO. Che cosa significa crtdere? L'eretico opina, ma veramenle non creoe nulla e non crede a nessuno. Difticollà che vi è perciò di convertirlo alla vera fede. La gente idiota presso gli eretici crepe e può appartenere alla Chiesa. Il vero eretico però le slesse verità cristiane che professa le riiiene come opimoni umane, non come dommi divini : e però la sua fede non ha nulla di cri.^tidno ..,..• 24 8

I>DICL ^81

§ Xl!l. - Sicguc Io stesso argoraciilo della mancanza di una lEin: i:f.BTA presso gli eretici. I buoni caltolici s'ingannano n«:l pensorc che il \ern rretico, ammettendo certe verità cristiane come loro, le creda come loro. L'eretico giudici, il solo cattolico crede. Altia prova della perdita della fede presso gli eretici : la loro ripugnanza ad ammettere i cristiani misteri. La setta razionalista, die rigetta i misteri cristiani, è figlia legittima di Lutero e di Calvino ..Pag. 2ó6

§ XIV. - Si assegna l'ultima xausa della mancanza di una fede cekta presso gli eretici: cioè la discordia delle opinioni e delle credenze. Impossibilità di unire gli uomini in una stessa sentenza quando manca un'autorità comune. Tentativo vano e ridicolo di un pro- consolo romano per metter fra loro d'accordo i filosofi, rinnovato in questo secolo per metter fra loro d'accordo i protestanti....» 262

§ XV. -- L'effetto che deve necessariamente produrre la discordia delle opinioni si è di renderle tutte incerte. Osservazione sopra di ciò di Cicerone applicabile a lutti gli eretici. Ouale è il loro più or- dinario modo di uvere una opinione. Senza l' autorità o il consenso non si può esser certo della verità dei proprj raziocinj. Testimo- nianze di Cicerone sopra questa materia. Col leggere solo la Scrii- tura, l'eretico si forma opinioni e non credenze intorno alla reli- gione. Perciò fra i protestanti non vi sono dommi, ma sterili e vane opinioni » 270

§ XVI. - Digressione sulla tolleranza. Nessuno eretico ha diritto di accusare gli altri di eresia. La sola Chiesa cattolica può e deve condannare tulli gli errori, perchè essa è verità ; e compatisce gli erranti, perchè è carità. La tolleranza che gli eretici vantano di avere per tutte le altrui opinioni è una conseguenza necessaria del- l'incertezza in cui sono della veri'à delle proprie. Ouesta tolle- ranza sono costretti ad estenderla persino all'ateismo, l'niti lutti coloro che sono fuori della chiesa, qualunque religione professino, sono tìgli dello stesso padre, il demonio; formano una slessa fanii- glia; e l'istinto che hanno di ciò, li porta a to'lerarsi a >icenda e ad essere intolleranti pei soli cattolici. Questa coalizione di tutti gli erranti contro la Chiesa cattolica è una bella prova che essa sola è vera e divina » 280

§ XML - I protestanti sono pure obbligati dai loro principi a riguar- dare, come riguardano di fatti, ogni religione buona per salvarsi. Oiianto questa opinione è empia ed assurda. Devono altresì essere, rome sono, indifferenti per la pretesa lori» religione. Questa loro indifferenza è manifesta dal loro sistema di educazione, di predica- zione e d'insegnamento; più che mai però apparisce chiara dal loro culto pubblico e dal disprezzo in che lo tengono. 1 protestanti di Amburgo >....» 285

482 iivDiCE

§ XVMI, - Applicazione delle esposte doUrine alla morale cristiana. Che cosa sono i Sami; essi nella Chiesa cattolica solo si trovano. I principj del protestantismo distruttori di ogni virtù. Orribile cor razione di costumi ch'essi'hanno prodotta. L'abolizione del celibato ecclesiastico vi ha potentemente contribuito. Necessità ed importanza di questa sublime istituzione pel sacramento della confessione. Che cosa è divenuto questo sacramento presso gli scismatici? I vizj che regnano fra i cattolici, effetto della secreta influenza dell'eresie, come un avanzo di probità che si trova presso gli eretici è dovuto all'influenza secreta della cattolica verità, che sola generala virtù Pag. 294

§ XIX. - Si tratta in fine degli effetti funesti del sistema dell' fSQm- sizioNE PRIVATA in materia di religione per rispetto alla pace del- l'intelligenza. Come il cattolico che non ama il sommo bf.jve, ma ■è stesso, non ha pace del cuore; così non ha pace nell'infellisenza l'eretico che non crede al sommo vero, ma a stesso. Condizione degli eretici inquisitori. Ouadro spaventevole della miseria e del- l'infelicità di una intelligenza priva della fede divina, comparata alla miseria ed alla infelicità del cuore privo della diviua carità. Ouest' infelicità è la causa più possente della demenza e del suicidio si frequenti presso gli eretici. Conclusione delle due precedenti let- ture . o 306

LETTIRA SETTIÌIA.

/ Giudei ed Erude, ovvero la volontaria opposizione alla fede.

§ I. - Storia del cieco-nato e sua interpretazione litlcrale ed allego- rica. Il GiCDizio che Cesù Cristo dichiarò allora di essere venuto ad esercitare nel mondo si è la cecità onde ha punito i Giudei, e la luce della fede che ha accordala ai gentili. Questo oiouizio incominciò ad esercitarlo fino dal suo nascere, illuminando i Magi e lasciando nella loro cecità i Giudei ed Erode. Argomento della presente lettura » 317

S H. - I Magi condotti da Dio a Gerusalemme per farla da e\angelisii della nascita di Gesù Cristo e da maestri ai Giudei, .^on vi è dub- bio che essi sotto il titolo di re de' Giudei, abbiano cercato del Messia per adurarlo come Dio. Bestemmia sopra di ciò di Calvino, confutata anticipatamente dai Padri, guanto sia stato glorioso per Gesù Cristo che i Magi di lui solo, nata nella miseria, abbian cer- cato, disprezzando Erode ed il suo Aglio Archelao nato nella gran- dezza. L'inquisizione dei Magi fu una vera rivelazione fatta ai Giudei. Erode e i Giudei se ne turbano invece di goderne. Anche qu'-bta tuibdzione é gloriosa per Gesù Cristo » 326

INDICE 483

§ IH. - Delle cause della luibditione di Erode. Pittura della rea anima di questo tiranno. Anche i Magi si turbano al vedere la sttlla. Differenza tra la turbazione dei buoni che li salva, e la turbazione dei tristi, che li dispera. Erode si turba perchè empio. Esortazione ai grandi della terra a temere Gesù Cristo giudice » 353

S IV. - Segue lo stesso argomento della turbazione di Erode. Si turba egli ancora perche, usurpatore del trono di Giuda, in Gesù Cristo teme un competitore nel regno. Belle invettive dei Padri ad Erode sulla stolidità di questo suo timore. Stolido è pure il timore, che alcuni politici hanno del vicario di Gesù Cristo .»» 337

§ V. - Si passa a discorrere della turbazione de' Giudei. Essa sembra a prima vista incomprensibile. Cause diverse che ne assegnano i Padri. L.1 più vera pare che sia stata questa: che essendo i Giudei malvagi, temettero nel Messia il riformatore o il vindice dei loro vizii. La teofobia o la parola di Dio, segno dell'anima in peccato; il dcòiderio di Dio, segno dell' anima in grazia. Il nome di Dio e tutto ciò che ne richiama l'idea, spaventa gii empi, consola i giusti in vita ed in morte, r.cl discorso ^opra di ciò di S, Pier Crisologo.» 34 2

§ VI. - Disegno crudele di Erode nell'avcr radunato il sinedrio ed averlo interrogato del luogo in cui dnvea esser nato il Messia. Per- chè chiamò a occultamente i Magi ; e profonda e scellerata fin- zione onde trattò con loro. Erode vero tipo degli ipocriti. L' ipo- crisia vìzio comune a tutti i peccatori, a tulli gli eretici, a lutti gli empj. Sua malizia e suo castigo » 350

S VII. - Orribile delitto di Erode nell'avcr voluto uccidere Gesù Cristo, che seppe essere il -Messia al mondo promesso. I Magi traltano col tiranno con semplicità di cuore; ed egli giunge ad ingannarli, im- pegnandoli il scoprirgli il luogo dove avrebbero trovato Gesù Cristo. Come Dio scompiglia il disegno orribile di Erode, e Io fa divenire il trastullo dei Magi, che esso si applaudiva in «egrpto di avere burlati » 367

§ VIII. - Strage degl'innocenti ordinata da Erode; delitto orribile nella sua esecuzione, vano nel suo scopo. Ouattordicimila bai^bini sono trucidati perchè si arrivi a far morire Gesù Cristo; e solo Gesù Cristo campa illeso da tanta carnificina; e thi ciò nuova prova della sua divinità. I rangi e i pastori ritrovano Gesù Cristo . che Erode cerca in^ano. Chi con animo perverso si comunica, imita Erode. Con quali disposizioni si deve cercare Iddio per poterlo sicuramente trovare " 362

§ iX. - La strage degli innocenti fece nota al mondo la nascita di Gesù Cristo. Furie di Erode dopo questo eccesso e sua disperatis- sima morte. Perchè Gesù Cristo permise la strage di tanti pargo- letti. Essi sono stati ve:i marti' i e primizie e Bgura di tutti i uidrllri

k^'A ITVDICE

crislidiii, come Erode Io fu di luUi i peiscculoii del crislianesiino. Avverlimento di Gesù Cristo a non temere l'uomo, che può farci male solo nel corpo; ma Dio, che solo può dannar T anima per r eternità Pag . 366

§ X. - Certi delitti non si commettono che per una straordinaria par- tecipazione dello spirito diabolico. A tale influenza funesta ascri- vono i Padri V eccesso di Erode. Prova che era il diavolo che lo dominala, risultante dalla sua turbazione e dall'avere allo stesso tempo creduto e non creduto alle sacre Scritture. Come si concilia questa contradizione: e come ogni giorno si ripete, per la stessa diabolica influenza, in lutti gli erapj, in tutti gli eretici e in tutti i peccatori 373

§ XI. - 11 delitto de' Giudei più grande di quello di Erode. Ad onta dell' esempio dei Magi non si dan pensiero di andare a Gesù che sapevano con certezza essere il Messia. Noncuranza che mostrarono di ritrovare il Signore per adoiarlo, mentre Erode mostra tanto zelo trovarlo per ucciderlo. Solo mostrarono zelo quando trat- tossi di farlo crocifiggere. Profezia intera di Michea e sua spiega- zione. I Giudei maliziosamente ne scoprirono ad Erode la parte che poteva accenderlo in furore, tacquero quella che poteva calmarlo. Così congiurarono con Erode alla morte del Messia, e furono la causa della strage degl' innocenti. Eccitarono contro di Gesù Cristo la politica di Erode per la stessa ragione onde più tardi eccita- rono quella di Pilato. Loro iniitatori, i ministri dell'eresia eccitano la gelosia dei principi contro la Chiesa: e con ciò provano la sua verità "379

§ XII. - Incredulità ostinata dei (iiudei a fronte della docilità della fede dei Magi. Gli stolidi non profittano per stessi degli oracoli delle Scritture onde istruiscono i Magi ed il medesimo Erode. Danno ai gentili la luce, ed essi rimangon nelle tenebre. Così sprsso gli stessi eretici concorrono al trionfo della cattolica \erità ed a far cono cere la vera Chiesa. Partecipe dei privilegi del suo sposo di- >ino, la Chiesa >cra è sola immancabile ed eterna, ed anche i suoi nemici servono alla sua gloria e le rendono omaggio » 38iS

I.STORIA BIBLICA.

Gli eaploì'otorì della terrò promessa.

% XIII. - Ad istanza del popolo d'Israello, Mosc, cambiato od Ose.i r antico suo nome in quello di Giosuè, manda sotto la sua condotta dodici messaggeri ad esplorare la terra promessa. Loro ritorno nel rampo ebreo con un enorme grappolo d'uva e cr>n altre frutta

INDICE 48»

laccolle in quella terra che rappresentano come un paese fertile bensì, ma impossibile a conquistarsi. Tumulto eccitato nei popolo da un tal discorso, e che Giosuè e Caleb tentano invano di sedare. Ribellione del popolo contro Mosè, e sua risoluzione di ritornare in Egitto. Giosuè e Caleb sul punto perire per avernelo voluto distogliere Pag. 397

S XIV. - Castigo intimato da Dio a Mosè di distruggere tutto Israello, temperato dalle preghiere dello stesso Mosè e ristretto alla morte nel deserto di tutti coloro che aveano più di vent' anni di età. Jlorts improvvisa dei dieci esploratori autori della ribellione. Vana penitenza del popolo, e suo nuovo peccato nell'aver voluto lanciarsi nella Cananea contro il divieto di Mosè. Come le dure minacce pronunziate da Dio in questa circostanza si sono adempiute: ter- ribile esempio della giustizia di Dio » 40.".

§ XV. - Questa istoria è evidentemente misteriosa e profetica. Se ne cominciano a spiegare i misteri che vi si contengono. La terra promessa figura del cielo, tratti di somiglianza tra questa figura e il suo figurato » 408

§ XVI. - La terra promessa, figura ancora di Gesù Cristo. Ragione jstorica per la quale Mosè cambiò al figlio di iXave il nome di Osea in quello di Giosuè, «he vuol dir Saltatore. Mosè in questa circostanza scórse pure in Osea la figura di Gesù Cristo; e per ciò ancora lo chiamò Giosuè » 4i 2

§ XVil. - Spiegazione del mistero del grappolo e delle altre frutta che gli esploratori asportarono dalla terra promessa. Il grappolo sospeso alla stanga, figura di Gesù Cristo in croce. I Padri sono tulli d' accordo in questa interpretazione, che però si può credere derivata dai primi cristiani e dagli Apostoli. La contrada Ebron ossia della società^ figura della Chiesa, in cui gli uomini sono in vera società fra loro e con Dio. 11 melogranato e il fico , figura della grazia e della dolcezza della legge di Dio »» 41 A

^ XVIII. - 1 due uomini che portarono il grappolo sospeso ad una trave sulle loro teste, figura dei due Testamenti e della sinagoga e della «;hiesa. Circostanza che l'uno dei portatori volgeva al grappolo le .s|)alle, l'altro l'aspetto: essa significa i sacerdoti Giudei e i 3Iagi gentili che al medesimo tempo annunziarono la nascita di Gesù Cristo al mondo; ma gli uni dìsprezzandolo , gli altri adorandolo. J>a stessa circostanza figurò ancora che il Giudeo dovea servire il gentile. Questo incarico i Giudei lo adempirono giA coi Magi, e lo adempiono tuttavia col popolo cristiano. Essi, nelle Scritture che eonservano, attestano l'autenticità delle profezie di Gesù Cristo, che perciò non possono dirsi inventate dai cristiani. Sono ossi an- i rcora la testimonianza vivente della verità del cristianesinio . cui

\

Belle -zp (itilo ferie II, 21

486 i?iDiCE

preparano dappeiluUo le vie. La cÌNÌ'.là dei Giudei. Iddio miraco- losamente lì conserva Pag. 4Qt)

§ XIX. - Siegue le spiegazione del mistero dei due portatori del grap- polo. Infelicità del Giudeo che volge al Signore il dorso; gran ven- tura del cristiano che lo ha sempre innanzi agli occhi, li Giudeo, che portando Gesù Cristo nella legge, ne è oppresso, ed il cristiano chf, portandolo nella fede, ne è confortato. !l giogo del demonio e il giogo di .Gesù Cristo. Con quali disposizioni deve il cristiano' bere il succo del grappolo misterioso » 430

^ XX. - Altre considei-azioni sulla felicità del cristiano che, per la sua fede : ha sempre inmiizi agli occhi Gesù Cristo. Spiegazione delle parole dette da Dio a 3Iosè: «Vedrai solo i miei posteriori.» Temerità d'un moderno interprete nell' affermare che S. Girolamo ha mnlam^nle tradotto un tijl passo dell'Esodo: I posteriori di Dio sono l'umanità e le umiliazioni di Gesù Cristo, che allora furono mostrate a Mosè; la pietra da cui gli furono mostrate è la Chiesa. Bisogna avere sempre innanzi agli occhi la passione di Gesù Cristo per elevarsi,- come Mosè, alla vera scienza di Dio. Da Gesù crocifisso ogni lume discende. I Giudei, perchè privi di questo lume, non intendono nulla nelle Scritture, che per noi cristiani sono manifeste 437

§ XXI. - Si passa a discorrere dei dodici esploratori. Tutti essi in- sieme furon figura dei personaggi dei due Testamenti da Dio inca- ricati di esplorare ì misteri di Gesù Cristo ed annunziarli a! mondo. Gli esploratori infedeli, figura particolarmente degli scribi e farisei , che adulterarono la loro missione; i fedeli, figura dei Magi, di Gesù Cristo e degli Apostoli, che adempirono fedelmente la loro, >on ci hanno essi dissimulate lo diiDcoltà del regno di Dìo, ma insieme ci hanno indicalo i mezzi ed ispirala la fiducia di farne acquisto ii9

% XXII. - Gli esploratori infedeli figura ancora di tutti gl'increduli, gli eresiarchi, gli scandalosi e di tutti coloro che per diverse vie allontanano gli ucmini dal regno dei cieli, e che sono essi purtì in questo mondo [ìunili. Al contrario, Giosuè e Caleb, figura pure rielle persone di zelo che attirano gli uomini sulle vie della salute. Loro premio particolare, figurato nel parlicolar premio che Giosuè diede a Caleb. (ìli Apostoli hanno avuto ancora in questo mondo per premio che la vera Chic-a sia quella che per la serie dei le- gittimi pastori rimonti sino a loro, e che fra gli altri caratteri abbia quello di essere apostolica iaft

^: XXlil. - Pentimento che mostrò il popolo ebreo del suo peccalo, figura del falso pentimento dei peccatori in punto di ntorle. Il vero timore di Dio non deve essere separalo dalla speranza. Ffuza ul>-

i>di(:k 'i87

bidienza a L'io ikui \i è \ir;ù. I iiuuii doi pupoli miuici cl'Israello, anche nella loro significazione litleralc, figura delle poleuze infer- nali: delle quali non possono ottenere villoria coloro che non sono nella Chiesa o colla Chiesa Pag. 460

}j XXIV. - Peccato dell'antico Israeli© nell'a^ere ascoltato i detrattori della terra promessa; figura del pecrato de' Giudei nell'avcr più lardi ascoltate i calunniatori di Gesù Cristo. Loro esclusione dalla Chiesa, figurata pure nell'esclusione dell' antico Israello dalla lena promessa. .Viosè colla sua preghiera ottinne che questa doppia esclu- sione non fosse perpetua, che dal popolo giudeo «vesse origine la vera religione del .liossia, e che i gentili fossero innestati ai Giudei." 464

§ XXV. - Spiegazione delle parole di r.Mchea: « Da te , o r.ell>;ninie, nascerà il duce che reggerà il mio p'-polo d' Israello. » 1 veri Israe- liti chi SODO. Se tutti i chiomaM non sor.o sotto lo scettro di Gesù Cristo, loro é la colpa. Avverlimcnlo di S. Paolo ai cristiani onde evitare il gastigo dei Giudei. 1 pargoletti, dei quali Dio disse a Mese che soli sarebbero entrati nella terra promessa , figura dii pargoletti, dei quali Gesù Cristo ha detto che soli entreranno nel regno dei cieli. Comesi adempie pure che i veri crisliaM % incono 5 Cananei, o'ie potenze infernali, con quali armi se ne ottiene facile II trionfo » -46 &

A

VENTUEA de Raulica, G. Le Bellezze della fede.