MÉMOIRES D E LACADÉMIE IMPERIALE DES SCIENCES, LITTÉRATURE ET BEAUX-ARTS. ^^ 1(00.-^. A MEMOIRES D E L'ACADÉMIE IMPERIALE DES SCIENCES. LITTJÉRATURE ET BEAUX-ARTS DE TURIN, P0U1\ LES ANNÉES 1809 — 'SlO. LITTÈRATURE ET BEAUX-ARTS. TURIN, MDCCCXI. ' CHEZ Felix Gallltti imprimpur de l'académie uiPÉRiALt: 3eJ OciencrJ etc. 4 TAVOLA. D. "ella Popolazione d'Italia in circa l'anno di Roma 626 , dedotta dalla quantità di truppe fornite da' Romani e loro Alleati per la guerra gallica-cisalpina. Di Jacopo Durandi . Pag. r. Ricerche sopra I' età , in cui la sede , ed il culto delle Muse si trasportò dal Monte Olimpo in su quelli del Parnaso, dell' Elicona , Pindo, ec. , vera epoca della civilizzazione , e prima coltura letteraria della Grecia antica. Del medesimo » 3j. Dell' origine del diritto regale della caccia. Del medesimo » 110. Ricerche storiche intorno agli antichi terre- moti del Piemonte. Di Francesco Galeani-Napjone .... » il^3. Prima parlata di Giuseppe Vernazza - Freney nell'Accademia Imperiale diToi-ino, Dome- nica 18 di marzo 18 io » 160. Dei progressi , e vicende dell' Arte della danza o ballo. Di Emmanuele Bava-San-Paolo « i65. Delle antiche contese de Pastori di Val di Ta- naro , e di Val d' Arocia , e depolifici ac- cidenti soTpr&vvenuti. Di Jacopo Dvhandi. Pag. 187. Del Manoscritto de hnilatione Christi ^ dailo i\. Codice di Arona , e di alcuni altri codici dell' Opera medesima. Dissertazione di Gian-Fran- cesco G ALE ANI-NaP JONE » 26 1. JR.énexion sur l'histoire de l'^'ponge de Proto- gène. Par Monsieur Pecheux .... » 327. Reclierches concerna nt l'anecdote de' la ligne d'Apelle sur le laiileau de Profogòue , citée par PuNE Livre xxxv. Du mé.me . .^^■*\.,1^ 332. Osservazioni intorno alla interpretazione data dal Signor Lorenzo Pecheux ad un luogo di Plinio. Di Gian-Francesco Galeai^i-Napione 336. Discorso intorno alle cagioni della decadenza delle Lettere. Di Francesco Regis ...» 35o. Discorso sopra il soggiorno di Annibale a Capoa. Del medesimo . » 35g. Esame critico del primo viaggio di Amerigo Vespucci al nuovo Mondo. Di Gian-Francesco Galeant-Napione. . » 36c). Discours sur le caractèce et l'étude des deux langues l'italienne et la fran^aise. Par Modeste Paroletti » 4?-^- Riflessioni intorno all' interesse personale. Del Signor Corte » 4^8. Dissertazione critica sopra le scene stabili , e - mobili degli Antichi , e sopra altri teatrali ornamenti. LelSi^nor Giuseppe Franchj-Pont 5o3, Observations sur un Manuscrit du Roinuleon. Par Monsieur Vernazza de Frehey . Pag. 584. Il Fonte del Valentino. Cantata. Del Signor Vincenzo Mabenco .... » BgS. Delle prime edizioni, e di un Manoscritto delle Memorie del Generale Mo^TECUCcoLI , ec. Di Gian-Francesco Galeani-N apiose . » 6o3. Memoria sopra Errico Conte d'Asti, e della Occidental I-iguria. Di Jacopo Durandi . r> 647. Schiarimenti sopra la Carta del Piemonte an- tico, e de' secoli mezzani. Di Jacopo Durandi . 681. Giunta alle contese de' Pastori di Val di Ta- naro , §. 5 » 7l4- Giunte , e correzioni alla Dissertazione di Gian- Francesco Galeam-Napione intorno al Ma- noscritto de I. C. detto il Codice di Arona ec. 715. Giunte , e correzioni all' esame critico del pri- mo viaggio di Amerigo Vespucci. Dello stesso. 717. Aggiunte alla Dissertazione critica sopra le scene stabili, e mobili degli Antichi, ec. . . . » 719. MÉMOIRES PRÉSENTE S. Saggio di antiche gemme incise ec. Del Signor Abaie Cari-Antonio Pollini » III. DELLA POPOLAZIONE D' ITALIA IN CmCA L' anno di roma S26j DEDOTTA DALLA QUANTITÀ* DI TRUPPE FORNITE DA' ROMANI E LORO ALLEATI PER LA GUERRA GALLICA-CISALPINA. DI JACOPO DURANDL Leila li 2S giugno 1806. M. .1 fo a disaminare e difendere un passo molto notevole del secondo libro di Polibio , nel quale è paruto ad alcuni esservi attacco per la critica. Né già da oscurità , o difetto niuno del testo nasce la contesa, e la dubbietà cbe si eccitò, ma dalla sostanza mede- sima del fatto e delle cose narrate , o sia dalla incre- dibile, come essi pretendono , quantità eleva di genti fornite tutte dalla Italia di quella età, come sarebbe a dire ti'a la prima , e la seconda guerra Cartcìginese. Al contrario pochi fatti dell' antichità paiono forse così ben certiGcati, come si è la quantità grande di A 2 DELLA POPOLAZIONE d' ITALIA , EC. uomini, che allora armò l'Italia contro de' Galli cisal- pini. Né ciò io dico perchè si traiti di cosa rapportata da cosi grave scrittore, e sì riputato da' politici non meno che dai militari , ma perchè dessa non è cosa altrimente inverisimile , od esagerata , e perchè ci si racconta altresì colla solenne guarenfiggia de' registri del Senato Romano , e dei ruoli di coscrizione di tutta la . gioventù capace a portar 1' ai-mi. Cotesti ruoli erano stati dal Senato medesimo ordinati , e di poi a lui trasmessi da tutti i popoli confederati o soggetti a Roma. Polibio ricavò da quei registri e ruoli partitamente il computo degli uomini forniti da ciascun popolo , e la somma totale , che ne risultò. Piacque nuUadimeno a certuni d' intaccar la fede de' menzionati ruoli e registri , o piuttosto quella dell' Istorico. Tra costoro si distinse negli anni passati il celebre David Hume , il quale volle quasi imputar a Polibio di aver soverchiamente esagerato le forze mi- litari de' Romani , ovvero la popolazione d' Italia affla d' incoraggiarli viemmeglio : supposizione strana e del tutto ideale , poiché quella guerra eia finita da più anni innanzichè Polibio nascesse. Egli a rincontro avverti ( lib. 2. cap. -12.) di avere diligentemente annoverato il gran numero d' uomini e di munizioni d' ogni ma- niera con che.cransi preparati i Romani per la guerra Gallica, acciò si potesse viemmeglio giudicare dell'audacia di Annibale, allorché venne indi a pochi anni ad assal- tarli per cosi dire in loro casa. DI JACOPO DURANDI. 5 Certo nella ipotesi di Hume , e di coloro che pvima di lui , e in appresso sono stati del suo avviso , non apparirebbe Polibio quel sincero , diligente e giudizioso scrittore , e critico eh' egli è , ma un quasi impostore inetto , poiché convern'a supporre che molto tempo dappoi il fatto , e senza necessità , nò utile nessuno avesse voluto o dissimular la falsità di que' ruoli, oppur alterare, e falsificar cose tanto divulgate, nò abbastanza lontane dalla sua età , ed attestate altresì da' registri di tutti i popoli collegati. Ma 1 istesso Hume non per altro lasciò travedere quel suo sospetto , che per gio- varsene in ogni modo, onde appuntellare, dirò così, il suo sistema , in cui talora con buone riflessioni ris- petto ad alcuni fatti particolari, e con una non infre- quente confusion di cose e di tempi rispetto ad altri fatti volle sostenere non essere stato il mondo antico più popoloso del moderno , ma piuttosto molto meno *. Non si avvide , che il numero delle truppe e de' coscritti per la guerra suddetta ch'egli calcola a 700000, non era punto il suo caso , e che pure aggiuntivi i servi, la popolazione d'allora non saria stata eccessiva' neppur a confronto di quella d' oggidì , comech.]' in alcuna di esse contrade ella sia piuttosto scarsa a paragone della estension , e bontà delle terre. Sembrami cTie di ciò siasene benissimo avveduto il * Discorsi politici. Diic. X. /( DEIXA POPOLAZIONE D' ITALIA , EC. SUO compatriota Wallace , il quale al contrario avea preso a difendere 1' immensa popolazione del mondo antico a paragon del moderno , e intralasciò di addurre in esempio il l'atto , di cui discorriamo , perchè il trovò forse inferiore di troppo a quegli altri bene spesso esorbitanti di lui trascelti come più opportuni al suo sistema. Computando però gli uomini annoverati da Polibio, egli vi avrebbe ritrovato una totalità mag- giore di 700000, ed accostantesi agli 800000. Altret- tanti ne contava 1' antico Romano storico Fabio Pit- tore intervenuto a quella guerra medesima, come lo attesta Eutropio nel primo capo del libro terzo, e fu in ciò preceduto da Plinio. Oltre a ciò Diodoro Siciliano ( liò. 2. J certamente esagerando , gli ac- crebbe quasi ad un millione. Differenza cotanto sospetta ad Hume, che vieppiù dubitò del computo di Polibio , e insieme si scandolezzò forte di Diodoro , perchè affermasse essere stata Italia in quegli antichi tempi assai meglio popolata, che non a' suoi, cioè in- torno l'età di Augusto. Parve incredibile ad Hume, che dalla prima guerra Cartaginese infino ai Triumvirati fosse la popolazione cotanto isminuita. E meraviglia che un si dotto e sagace scrittore non abbia considerato , che non poteva essere altramente dopo due secoli di guerre e devastazioni continue , e di proscrizioni , e stragi ; e se Roma a' tempi di Augusto fu più grande e popolosa , il fu anco a maggior discapito delle pro- vince soggette , e nel particolare 1' Italia andò mano DI JACOPO DURAimi. 5 a mano ritlucendosi quasi tutfa in Roma. Così in ogni tempo le città grandi a guisa di spugne assorbiscono , e s' ingoiano i popoli. I contemporanei di Diodoro non la pensavano diversamente: Livio all'erma ( lib. 6, cap, \^^ ) che i due già sì popolosi territori de'Volsci, e degli Equi, eh' una volta mettevano in pie delle grandi armate , nunc vix semincrio exìguo Tnilitum relieto . seriilia Romana ab solUudine vindicant. Anzi di già ia circa il secondo tiiumvirato Cicerone disegnava si pro- vedesse di poderi la plebe di Roma , e si disperdesse per tutta 1' Italia , pensando per tal modo sentinam urbis exhauriri, et Ilaliae soliludinem frequentari posse*. Ma non vuò io entrar nella conlesa , se la terra fosse anticamente più popolata , che non oggidì , né in qual proporzione. Sembrami , che i due partiti argomentino spesso da' particolari all' universale , vi faccian de' com- puti assai arbitrari , e incerti , e sogliano ugualmente esagerare. Vorrei bene che il famoso Montesquieu e i partigiani suoi si avessero il torto , i quali presuppo- nendo , come fanno , abbia la terra di già perduta molto più della metà della sua popolazione, e si spopoli del continuo , ci lasciei-ebbono nell' affanno di trovarci poco a poco in un deserto. Io ridurrommi a far alcune osservazioni direttamente dedotte dalla menzionata quantità di uomini liberi allora assoldati, o coscritti. * lib. I, epist. i6, ad Atticura. G DELLA POPOLAZIONE d' ITALIA , EC. per ricavarvi quale si fosse prossimamente la popola- zione d' Italia. Confrontando quella con la moderna , si potrà formar giudizio della sincerità de' mentovati antichi registri , e dell' istorico , che li rapportò. Affin di procedere esaltamente , fa mestieri detei-- jninare , quanta fosse allora la precisa estension di paese cui i Romani appellavano Italia , il quale di per se solo venne compreso nella rassegna de' popoli , di cui Polibio favellò. Determinala cotesta sua estensione anche in confronto del rimanente paese , che non vi fu compreso , o sia della così detta allora Gallia Cisal- pina , e della Liguria , avremo una proporzione per ritrovar prossimamente il numero degli abitatori anche di quest' altra provincia altronde circoscritta per tre lati da limiti immutabili. Siccome poi nell' una e nell' altra si assoldavano soltanto gli uomini liberi , e in ambedue eranvi de' servi , converrà pur investigare quale ne sia stata a quell' epoca la proporzione tra gli uni e gli altri nelle due contrade. L' ultima estensione data al nome d' Italia immedia- tamente avanti la gueri-a , di cui discorriamo , eblie luogo dopo vinti e spenti del tutto i Galli Senoni. I Ronoani unirono il costoro territorio alla Italia , che si ampliò quindi , e si distese lunghesso 1' Adriatico dall' Esino , e da Sinigallia , dove innanzi finiva , insin di qua di Rimini al Fiumesino , e Pisatello , o sia al famoso Rubicone, e prese poco meno nella pro- porzion medesima altrettanto delle valli , e de' monti DI JACOPO DURANDI. 7 immlnenli a quel trailo di paese, dopoché i Galli Boi domandando la restituzione di Rimini, furono al contrario costretti a cedere alcune altre loro terre e fortezze in quelle vicinanze, dal che tutto prese ori- gine la guerra Gallica. Altresì i Liguri perdettero nell' istesso tempo alcune vicine castella ivi su per gli Apennini. Laonde dalla imboccatura del Pisatello tirando una linea , che salga di mano in mano da nord-est a sud-oucst insiu ai gioghi dell' Apcnnino, che soprastano a Sarsina , e alle foci dell' Isapis , o sia del Savio, d'indi prosegua lungo que' gioghi insin disopra Val di Mugello, e le fonti del Bisenzio , o Visenzone , poi discenda e tagli l'Omhrone un poco di 1;\ di Pistoia , e venga finalmente accostandosi all' Arno insino alla sua foce , avi-emo a ponente e nord-ouesf: i limiti dell' Italia a quella stagione , e sippur della Etruria , che di già ne facea parte. Imjierciocchè è noto , che il fiume di Magra non fu altramente il con- fine della Toscana prima di Ottaviano Augusto, e che oltre a ciò la nazione de' Liguri a quel lato in sul pendio degli Apennini si approssimava d' assai alle rive dell' Arno medesimo , anzi vi toccava in alcuni luoghi e poco se ne scostava discendendo in verso il mare. Parrebbe che tra la qui divisata linea , e lo stretto di Sicilia non si dovesse punto dubitare fosse allora cir- coscritta l'Italia , e forse insino a ora nessuno ne dubitò. Però nella rassegna di Polibio non vi compaiono i Bruzi, 8 DELLA POPOLAZIONE d' ITALIA , EC. né sì possono soltindere compresi tra i Japigi, oppur tra i Lucani, co' quali confinavano , e anticamente scampati da'Luc&ni stessi come servi e pastori n'el)bero appunto il nome di Bru/ii , o Bre/ii , cioò a dire di fuggi (ivi *. Essi già da lunghissimo tempo avanti la guerra Gallica cisalpina formarono una particolar nazione eli' era stata molesta a' vicini , ed a' Lucani medesimi. Se i Bruzi ebbero già qualche alleanza co' Romani , se n eran certo spiccati dopo la prima guerra Cartaginese. Oltre a ciò il silenzio stesso di Polibio intorno ai Bruzi nel luogo , che ora si disamina , giova mirabilmente a ris- chiararne e spiegarne un altro del libro 22 di Plinio capo 5 intorno al confine d' Italia a que' giorni dal lato delle Calabrie, il che non so se sia stato mai av- vertito. Plinio parlando ivi del sommo onore della corona 'graminea , narra essei-e stata conferita a Quinto Fabio Massimo , per aver cacciato d' Italia Annibale. E ceito che Fabio gli levò Taranto , e lo ridusse a rifuggire ne' Bruzi , d' onde poi Annibale non dipartì , se non quando fu chiamato a soccorrere Cartagine stretta dal grande Scipione , cioè alcuni anni dopo la presa di Taranto , e qualche tempo dopo la morte di Fabio medesima. Talché a Scijìione solo converrebbe attri- buir r onore di avere astretto il genei'al Cartaginese » Strab. lib. s. e 6; Diodoro lib. 16. DI JACOPO DURANDI. g ad abbnnclonarc Italia. Perù ncmmcn può dirsi , che allora ne fosse egli cacciato , come vi fu di Taranto , e da tutta la lapigia , e Lucania , quando rifuggì ia quel de' Bruzi sconfitto da Fabio Massimo. La sua partenza per ì Africa è stato un comando della sua repubblica * ; né punto ebbe relazione alcuna colla vit- toria , clie meritò a Fabio 1' onor del trionfo , e di quella corona , per averlo cacciato d' Italia , o sia cos- tretto a ritirarsi ne' Bruzi, Il costoro territorio non era adunque a que' giorni ancora compreso nella Italia , benché la vanità de' Greci abbia preteso di attribuire a quello per anticipazione e preferenza sul rimanente ài questa provincia il nome d' Italia e di Magna Grecia. Ma sappiamo , che usarono i Romani estendere il nome d' Italia dipartendo dal Lazio , e a misura che si avan- zarono nelle circostanti regioni , e che non si erano per anco avanzati addentro la penisola de' Bruzi al tempo della guerra Gallica Cisalpina. Questi allora non essendo nemmen collegati di Roma , non furono perciò descritti ne' registri da Polibio ricopiati , e considei'a- vansi da' Romani come fuori d'Italia, del che la notizia consei'vataci da Plinio parmi viemmeglio ce n'assicuri. Per la qual cosa levandosi a Italia il paese de' Bruzi , dovrem forse levarle affatto la moderna citeriore ed ulteriore Calabria ? In questo caso 1' Italia d' allora dal * Livio lib. 30 , cap. 20- IO DELLA POPOLAZIONE d' ITALIA , EC. canto del mar inferiore , o Tirreno finirebbe al fiume Laino , e da quello del mar Ionio a Metaponto , e al fiume Alesso. Diverrebbe quindi anche più meravigliosa agli occhi di Hume , e de' seguaci suoi la menzionata quantità di truppe , ristrettosi entro più brevi confini il paese , che le fornì , al che essi non avvertirono punto. Ma le coste di quell' angusta e lunga penisola erano occupate pressoché tutte da colonie di Greci * però nemmeno le costoro città a quel tempo già di molto scadute somministrarono de' soldati a' Romani , secondochè appare dal testo di Polibio. Nò per rac- cozzare alla Italia d' allora almeno la citerior Calabria, gioverebbe il dire , che poscia Annibale non si fosse fermato in questa, ma ritiratosi nelV ultimo angolo della campagna de' Bruzi, come Livio volle spiegarsi. E vero, che Castra Annibalis dinominossi un luogo presso il golfo di Squillace in sul principiar della Calaliria ulte- riore , dove insin al golfo opposto , o sia di Santa Eufemia 1' Italia è ristrettissima , cioè non più larga di venti miglia romane , o appena di quattordici geografi- che ; ma alti'esl è sempre vero , che non risulta , abbia o città ninna , o verun popolo della citerior Calabria portato r armi nella guerra Gallica Cisalpina , ovvero trasmessi i ruoli de' suoi uomini atti a portarle. Con tutto ciò sembrami cosa assai probabile , che i Bruzi, se non direttamente a' Romani , abbiano però fornito degli aiuti a' loro vicini Lucani , .Tapigi e Mes- sapj alleati di Roma , coi quali e prima , e dopo la DI JACOPO DURANDI. IT guerra dì Pirro erano usi colle garsi. Altronde Japigi , Mcssapj , e Lucani fornirono un numero d'uomini, che pare un poco forte di. 'po le tante stragi, sconfitte , e desolazioni non molto prima patite nelle rovinose loro guerre , che gli aveano assoggettati a' Romani. Questi ultimi al tempo dell' istessa guerra Gallica con- tinuarono a intertcncre una legione in Taranto a difesa e per sicurezza della Japigia , o diremo oggidì della terra di Otranto, dove non aveano a temere vi si ficcassero così tosto i Galli. D' altra parte tutti cotesti popoli , e i Bruzi medesimi riguardavano i Galli Cisal- pini come un comune nimico , e lo spavento , che n' ebbero , ed il pericolo non fosse poi il lor paese invaso da quelli , gli animò tutti a trattar come pro- pria la guerra Gallica. Per lo contrario guardando eglino quella di poi mossa da Annibale come guerra particolare, e diretta soltanto contro di Roma, nessuno di cotesti popoli prese 1' armi a prò' di essa , ed alcuni a rincontro si unirono ad Annibale medesimo. Inoltre i Romani erano di già in possesso di Reggio , e per- ciò di una parte della estremità dell' ulterior Calabria. Conviene altresì aversi riguardo , che Annibale riti- randosi dalla Italia sconfitto da Fabio , portò seco ne' Bruzi' tutti gli abitatori di Metaponto , talché quella illustre città rimase del tutto abbandonata , e deserta. Ma poiché nel sistema di Hume , e de' parziali suoi non si dubita punto di estendere l'Italia d'al'ora infino allo stretto di Sicilia , io pur vi comprenderò le due Il: DELLA POPOLAZIONE D' ITALIA , EC. Calabrie, Lencliè non debbano iulcramente compren- dei-si , ma nel tempo stesso per una cotal maniera di pi-oporziouale , od anzi largo compenso io vuò ancora avvantaggiar il loro sistema. Essi contentnnsi di portar a 700000 gli uomini o già spediti all' esercito , oppur coscritti , e pronti a marciare a un bisogno , ed io !£■ farò montare inQno al numero di 763800; impercioc- ché sebben Fabio Pittore sopraccitato ne contasse incirca 800000 , parmi piuttosto abbia voluto usar di un nu- miero rotondo , per esprimersi senza frazioni , e a così dire per un dipresso , siccome non poche volte si usò. Plinio seguitò anch' egli questo rotondo numero. - Però attenendoci alla quantità in ultimo luogo rac- colta e sommata da Polibio , risulterebbono a 700D00 fanti , e 70000 cavalli. Un sì gran numero di cavalli parrà forse sospetto , ancoraché si vogliano intendere di tutti i più capaci , che aveano i ^particolari di quelle contrade per uso non di guerra , ma proprio ; e ciò tanto più, dacché le rassegne parziali riferite da PoUbio ne darebbono soltanto 4.5000 , e non è poco per un paese attraversato a dilungo , e intersecato da tanti rami di montagne e di coUi. Si deggiono bensì com- prendere la menzionata legione mantenutasi ne' Tarea- tini , e un' altra nella Sicilia cioè alhi 8800 soldati , in tutto 753800. Siccome non è sulla quantità de' ca- valli , ma degli uomini che verte la contesa , o si ritenga quest'ultimo numero, oppur quello di 770000, se ne devono ugualmente dedurre venti mila tra Veneti DI JACOPO DURANDI. l5 c Ccnohiani, i quali eiano fuori de' limiti della Italia d' allora , e s' appartenevano alla Gallia Cisalpina. I Romani ricscirono a tirargli al lor partito , e li tennero su le frontiere de' Boi , per impedire che i Boi mede- simi si unissero agli altri Galli. Laonde secondo il pri- mo computo non vi sarebbono d'Italiani che 783800, secondo r allro yBoooo e riterrò quest' ultimo. Perchè nessuna delle moderne più grandi monarchie d' Europa non ha giammai messo insieme ad un tempo un numero così grande di truppe, e perchè sarebbe troppo dilhcile l'arie sussistere, e marciare , non si è mancato di ripetere , che adunque la cosa era tanto- meno possibile alla Italia d'allora. Ma così ragionando su ciò , che veggiam farsi da' moderni , non si è av- vertito , che oltre i venti mila sti-anieri suddetti, che £ Romani lasciarono quasi sul coloro proprio territorio su le frontiere della Gallia Cisalpina , con altrettanti degli alleati per contenere i Boi , non fecero marciare che due legioni condotte dal consolo Lucio Emilio , e. rafforzate da 62000 uomini degli alleati, che posero il campo presso Rimini , per impedir ai Galli il passo dal canto dell' Adriatico, ed altri 64000 ti-a Toscani, e Sabini , i quali accamparono sulle frontiere della Toscana medesimu. Rimase il forte delle truppe nelle vicinanze di Roma , e i cosciitti , che ne for- mavano la più gran -parte , rimasei'o come in deposito nelle loro patrie istesse pronti a marciare al primo avviso. l/f, DELLA POPOLAZIONE D' ITALIA , EC. Ma intorno alla marcia di coleste milizie assai prima di Hume e di altri moderni avea Paolo Orosio liò. 4 cap. i3 insin dal quinto secolo dell' era nostra preso 1 istesso abbaglio. Egli pretese parlar coli' autorità di Fabio Pittore vissuto appunto al tempo della guerra Gallica Cisalpina , ma confondendo le disposizioni , ed anco le azioni delle truppe de' Romani, e degli alleati, 3ia presupposto , che ottocento mila di loro , a che lece montar tutto 1' esercito , prendessero la fuga al primo fatto d' arme in Toscana. Laonde gli parve inci-edibile , che potesse nel loro esercito esservi tanta gente , e cotanta dappocaggine. A rincontro appare , che non vollero i Romani discostar da casa le loro forze, nò uscir de' confini d' Italia per assaltar il nemico, e nemmeno impedii-gli il valicar gli Apennini , che a guardarne i diversi tra lor discosti passi poche truppe non bastavano , molte non poteano sussistere per la atei'ilità de' luoghi. Quindi aspettaronlo in casa per combatterlo e disfarlo , come dipoi avvenne , senza bisogno niuno di farvi marciare i numerosi coscritti. Talché r istesso fatto non solo toglie , ma previene sin anco le mentovate difllcolti .sul far sussistere e marciar cotanta gente. Il sagacissimo MacchiavelLi nel capo Ì2. del secondo libro de' suoi discorsi sopra Tito Livio avea di già molto bene avvertito , che i Ro- mani per assaltare una provincia non mandavan fuora grandi eserciti , ma per difendere la casa ne misero in armi contro ai Galli sino a dlciotto centinaia di DI JACOro DURANDI. lo migliaia : el così glie n' imprestò loro per {sbaglio molto più del doppio. Ora convciT;\ la proporzion ricercare de' ^Soooo uomini suddetti di truppe e di coscritti rimasti nelle loio case col rimanente della popolazione , che gli ha forniti. Parvero di troppo numerosi, perchè si argomentò non già da quello usavasi ne' maggiori pericoli di guerra non meno da' R.omani e altri popoli guerrieri , che dai barbari medesimi , ma piuttosto da quello , che per lo più venne in uso nelle moderne età per propor- zionare r ordinaria leva de' soldati gregarj colla po- polazione di ciascun territorio , su del che si sono formati de' canoni politici più o meno arbitrar]. Altro ò annoverar tutti gli uomini di una nazione atti alle armi , come nel caso , di che si favella , ed altro i! farne scelta sino ad un numero adattato alla oppor- tunità , che da' Romani era detto delectus , e per lo più si confà colle moderne leve. Qui si discorre sol- tanto del primo caso , in cui io deduco cotesta pro- porzione da ciò, che più comunemente è stato in uso nelle più gravi circostanze , e 1' esperienza ha confei- mato. Trascorrendo le note de' censi , e de' lustri della ro- mana repubblica , che sono distintamente riferite ne" libri di Tito Livio, e nella epitome de' perduti, vi si può ricavare, che la quantità de' cittadini capaci a portar 1' armi si accostava per lo più alla quarta di Ila ' total popolazione , esclusi però i servi. Io mi l6 DELLA POPOLAZIONE d' ITALIA , EC. asterrò dal farne un fastidioso novero, ma solamente osserverò intorno al più antico censo fattosi dal Rè Servio. Tullio , che- abbiamo nel primo libro di Livio cap. 44' avvertirsi da Livio medesimo , che secondo r antico isterico Fabio Pittore il numero di ottanta mila cittadini descritti in quel primo censo era quello solamente de' capaci a portar l'armi; d onde poi non si ebbe diflicoltà niuna a computare che il totale de' cittadini Romani di ogni sesso ed età eccedesse i tre- cento mila, e si accostasse ai quattrocento. Dee pai-er eccessivo per que tempi un sì gran numero di Ro- jnani , il cui territorio ancora non si estendeva che a poche miglia dalla città , poiché ne' censi susseguenti dopo conquistati alcuni vicini popoli il coloro nu- mero era ancor lontano dall' accostarsi ai quattrocento mila. Ma io rapporto quel primo esempio al solo line di comprovar il principio osservato insin d' allora sovra 41 proporzionare i citladini atti alle armi incirca alla quarta della .popolazion totale. La coloro età secondo la legge fatta dall' istesso Re Servio Tullio venne fissata dai sedeci anni compiuti sino ai quarantasei parimente compiuti, lo non dubito , che ne' casi di una minacciata invasione si i:>iorogasse 1' età degT idonei Snsino ai cinquantanni. Ma r istoria romana ci fornisce un esempio nostrale riferito da Strabone lib. IV, a' tempi di Augusto , sotto cui la nazion de' Salassi rimase vinta e disti-utta. Dopo molte zuffe ella si ridusse a trentasei mila persone di D I JACOrO DtRANDI. I7 Ogni età e sesso condticnale (ulle alla servitù, e vcn cinte all'asta pubblica in Ivrea, delle quali ve n'erano otto mila idonee all' ai-xni. Ve n' ha 800 più della quinta, e 5oo meno della quarta della total popolazione , ma altresì convien dire, che nelle zuffe precedute alla in- tera loro disfatta non donue e fanciulli , ma combat- terono e vi perirono molti dcgl idonei a battagliare. Anche più preciso è il calcolo, che ci diede Cesare nel primo della guerra Gallica cap. 16, ricavato dalle tavole medesime ritrovate nel campo degli Elvezj , nelle quali leggevasi partitamente descritto il numero di ciascun popolo, uomini, donne , fanciulli, e separatamente quello degli idonei a portar l'armi, i quali montavano a novautadue mila, che sul totale ivi descritto di 558ooo rivengono appunto^alla quarta della intera nazione el- vetica. Cesare altresì nel libro suddetto annoverando le truppe, che i Belgj gli opposero, le fa montare a ducentotto mila uomini , e non erau cotesti i soli idonei all' armi , de' quali se ne potea raccozzare un ■molto maggior numero , come da lui medesimo ci vien -indicato, che avrebbe potuto compiere la quarta parte ■della Nazione atta a portarle. L' istesso Hume non ne disconviene , e per un suo calcolo troppo ai-rischiato ne fissò la quarta a cinquecento mila, e l'intera nazione 'de' Belgj a due milioni di persone , poi ad una quarta delle Gallie 1' estension della Belgica , e ad otto milioni la popolazione di tutte le Gallie al tempo di Cesare. E lauto più singolare che dinieghi all' Italia del secol e l8 DELLA POPOLAZIONE D' ITALIA , EC. sesto di Roma 700000 uomini atti all' armi contro la precisa autorità di Polibio, mentre ne accorda alla sola Gallia Belgica 5ooooo su due milioni di abitanli. S'io volessi allontanai-mi dai nostri confini, e dalla Italia, ritroverei pur altrove osservata la proporzioa medesima , e sin nella i-epubblica d'Atene , la qual non ebbe mai più di ditjci mila uomini di truppe nazionali, o di cittadini, prendendone secondo il bisogno al suo soldo un molto maggior numero dalle città alleate , o tributarie, o fornendole di mercenarj Traci, Creteusi , ed altri soliti a vendersi a chi volea comprarli a quell' uso. Egli è noto , che il total numero de' cittadini d' Atene e dell' Attica in un coli' isola di Salamina non soleva eccedere venti mila , e in circa altrettante donne. Troviam questo numero di cittadini ne' diversi lustri fattisi sotto Pericle , Demostene , ed altri Dema- goghi; oude la quarta della popolazione era degli idonei all'armi. Cosi detratti questi ed i fanciulli, e gli altri cittadini in altre faccende occupati, le assemblee degli Ateniesi non furono maggiori mai di cinque mila per- sone, come afferma Tucidide, lib. Vili. Alla naviga- zione , al commercio , all' agricoltura , alle miniere , e manifatture, e al servizio domestico adoperavansi nu- merosi servi, de' quali parrà esagerata la quantità dì quattrocento mila , che dicesi po^ìolasse quel ristretto sterile paese. Il novero o censo de' cittadini d' Atene , e dell' Attica fattosi da Demetrio di Falera, secondochè ce lo rapporta Ateneo, lib. 6, cap. 12, era di 21000, DI JACOPO DURANDI. Ig oltre 10000 stranieri stabiliti nell'Attica, e 400000 servi, DELLA POPOLAZIONE D' ITALIA , EC. la popolazione di quella gran valle eccedeva di poco 32000 persone. Ma delle cause nalurali agiscono del continuo, e tendono ad istej-Ilire ed impoveiir le valli sottoposte alle grandi alpi : e malgrado fossero elle anticamente meglio popolate della pianura , non ces- serò di credere, che la popolazione della Liguria , e Gallia cisalpina al tempo , di cui si ragionò , non su- perava quella dell' Italia suddetta; e prese ambedue in- sieme, cioè tutta la naturale antica Italia , era dessa almeno' di un terzo meu popolosa dell' Italia modernai verso il fine del diciottesimo secolo. 3? RICERCHE Sopra l' età', in cui la sede*, e il culto delle muse SI trasportò dal monte olimpo in su quelli del PARNASO , dell' ELICONA , PINDO , EC. : VERA EPOCA DELLA CIVILIZZAZIONE , E PRIMA COLTURA LETTERARIA DELLA GRECIA ANTICA. DI JACOPO DURANDI. Leila il I febbrajo 1809. ridurre i Greci ancora selva tichi ad abitar in vil- laggi , a coltivar i deserti campi , ad erudirsi di nuove superstizioni , e d' incogniti nomi di bizzarre deità , e di un alfabeto qualunque , o primo elemento delle lettere avean forse bastato gli stranieri colà immigrati dall' Oriente ; ma a raddolcire i feroci loro costumi , a destare e muovere la vivace lor fantasia, a civilizzarli del tutto, ed inspirar loro l'entusiasmo delle virtù sociali vi vollero la musica , e la poesia, in somma i piaceri dell' immaginazione. Nulla quasi di cotal merce, ■e della musica singolarmente poteano tragittarvi o Fenicj , od Egiziani, uomini austeri e poco sensibili. 38 SOPRA LA SEDE, E IL CULTO DELLE MUSE, EC, e le cui liugiie , come le altre lingue d' Oriente per dissonante ruvidezza , e per difetto di vocali aspere troppo , ed inflessibili costringono a guardar piuttosto alla quantitò , che non alla qualità de' suoni. Talché là loro musica non potea non essere assai più di stiepito che di melodia. L' una e 1' altra di queste allora indivise deliziose arti quasi affatto dipendenti dal carattere , e dal linguaggio delle nazioni , dovean nascere e perfe- zionarsi tra i Greci medesimi , non altiamente che per la ragione stessa di linguaggio , e di carattere al ri- nascere delle lettere ed arti risursero elle tra gì' Italiani, che sono stati i moderni Greci dell' Europa. In quei rimotissimi tempi desse eran nate in un lato di quella contrada , il qual risguardavasi tutta volta come fuori della Grecia. I prinìi poeti , che incominciarono aver fama , coincidono a un di presso colf epoca della spe- dizione degli Argonauti. Itì qtrel lata istesso di paese vi nacque parimente il novello nome di Muse, e pro- verò , che il loro culto tardò ancora moltissimi anni a trapassare e propagarsi nella Grecia propriamente allor cosi detta, e quindi su i monti del Parnaso , Elicona , (ed altri. Nel che mi fo qui a conere un buon tratto 'contro alla corrente , e per un cammino non ancora battuto. Con tutto ciò non intendo io entrare in lunghi xagionamenti , e in lunghe discussioni , e critiche. Non tocchei'ò che le più rilevanti, sebben le contrarie opi- nioni mi si faranno incontro quasi a ciascun passo , e nun potrò dispensarmi affatto di rintuzzarne alcune. DI JACOPO DURANDI, 3g S- I. Delia patria , ed origine (Ielle Muse , e delle prime loro statue. Il ciilfo delle Muse , epoca imporfante della vera civilizzazione della Grecia propria , s' appartenne alla più tarda , e giù di straniere superstizioni mescolata religione de' Greci. Su di queste mano a mano vennero essi innestandone anco delle nuove , e neppur conser- varono alle estranee adottate deità tutti gli attributi medesimi , e le fonzioni , eh' elle avevano ne' paesi ^ donde eran venute. La tradizione e gì' inni mantennei-o per la massima parte quel ridente sistema di religione, che di poi Omero , ed Esiodo ci tramandarono ; il primo insegnando a' Greci altrettanto la religion po- polare , che la loro istoria , 1' altro più di proposito descrivendo alla maniera de' barbari le generazioni degl' Iddii. Erodoto lib. 2 cap. 52 tien per sicuro sieno stati amendue i veri autori di quel sistema religioso raccolto dalle tradizioni sparse tra i differenti popoli Greci non sempre tra loro concordi in tutte le cir^ costanze, ed amendue abbiano determinato e raccon- ciato ie genealogie, i nomi, e sopranomi, i gradi, e le fonzioni di ciascun Nume. Questa testimonianza parmi bastar di per se sola s rifutar r opioione di Pausania lib. 9, cap. 3i , il qual J^O SOPRA LA SEDE , E IL CULTO DELLE MUSE , EC. inclinava a togliere ad Esiodo il poema della T( ogonia, fondandosi su la credulità de' Beozj abitatori delle ra- dici dell' Elicona , i quali gli attribuivano solamente quello delle opei-e e de' giorni , toltane però l' invoca- zione alle Muse. Erodoto era altresì persuaso , die i poeti presupposti più antichi di Omero , e di Esiodo fossero tutti a rincontro posteriori d' assai. Intende egli parlar di c[ue' poeti , de' quali di già correano a' suoi giorni nel volgo le mentite opere , e non de' cantori , che dapprima usavano per le borgate e nelle case de* grandi , de' quali Omero istesso favellò , e perciò non ignoti ad Erodoto , come da alcuni moderni eruditi ne venne tacciato. Certamente molto prima di Omero vi sono stati de' cantori , o citaredi , o poeti in tutte 3e nazioni , eh' ebbero qualche idea di civilità , e reli- gione. Senza verun uso di lettere, o non ancora troppo comune han dovuto gli uomini strigner ne' versi le poche e semplici loro leggi, e i fatti loro più memo- rabili , mezzo unico allora , ed il più facile per tenerli a memoria , e tramandai-li a' posteri. Se gì' Iddii principali come Giove , Crono , o Sa- turno , Apollo medesimo , Bacco , Nettuno , e Pan si verificano traportati d' oriente in Grecia , benché le native mostruose loro figure non siansi dai Gieci adottate mai , non così furono stranieri tanti minori Dei per lo più allegorici , e simbolici cresciuti in pro- gresso di tempo insino all' infinito. Di quest' ordine furono le Muse nate in una regione appiè' dell' Olimpo DI JACOrO DURAKDI. /^l appellata Piciia notì per anco allor compresa nella Grecia propria. Non vi lia su di questa loro ori- gine quistione ninna fra i dotti , sebben non tutti abbian saputo determinare , e circoscrivere quella re- gione. Altresì è certo , che il nome stesso di Musa comparisce per la prima volta ne' poemi di Omero, e di Esiodo , poiché non ve n' ha de' più antichi. Anzi il primo nel secondo della IHade racconta la gai-a delle Muse stesse con Tamiri di Tracia. Sarebbe questo nome tanto più antico , se si dovesse derivar da Mosè , o dagli Egizj , siccome alcuni aifastellando erudizioni , e dottamente vaneggiando fantasticarono. E il vero, che Diodoro Sicihano liò. i, cap. 9, e lib. ^, cap. /^ narra, che Osiride ne' suoi viaggi menò seco sotto la condotta di Apolline di lui fratello de' musici assai , ed insieme Dove donzelle cantatrici instrutte in ogni beli' arte , delle quali ne fecerav)>( ; ma ei pur si serve di questo stesso vocabolo per indicar le nubi , e la bassa l'egion dell' aria. Malgrado quella brillantissima superior magione degli Dei, Omero c'indicò sempre r Olimpo per quello , che desso è veramente , o sia jjer un' altissima montagna , e in più altri luoghi non osservati dal signor de Mairan vi distrusse afi'atto quel ■bagliore di luce , di che adornò l' ideata poetica stanza ■degli Dei, chiamando 1' Olimpo abbondanle di nevi continue, nevicosissimo , e con tali altri aggiunti, che 5Ì confanno egualmente alle cime agghiacciate delle nostre alpi. Inchna 1' istesso de Mairan ad accomunare 1' appa- rizione dell' aurora boreale ^ùl iParnaso , 1' Elicona, Pindo , ce. per origine della favola, che immaginò co- teste montagne particolarmente favorite, e abitate da Apollo, e dalle Muse. Credette egli per avventura , che coleste montagne sieno incassate nella catena me- DI JACOPO DURANDI. 5l desinia tlell Olimpo , acciò il fenomeno sia stato egual- mente disteso e visibile su tutte i" Ma il Parnaso , Pindo, r Elicona , ec. appartengonsi ad altre fra loro distanti catene, e rami di monti, e neppur tra di loro pa- rallele , né con 1' Olimpo, Oltre a ciò vi ha un lun- ghissimo infervallo di anni tra la favola dell' Olimpo, e quella delle Muse su per Y altre menzionate mon- tagne , come farò veder in appresso. Ei dovrà adunque ripctei-e 1' istesso fenomeno a lunghi intervalli di tempo, e di luoghi , e supporre i volubili Greci sempre nella medesima disposizione d' intcrpretai-lo uniformemente. Nulla di meno non si spiegherebbe ciò , che però faria d'uopo spiegare, cioè a dire perchè le posteriori ap- parizioni dell' aurora boreale sul Parnaso , 1' Elicona , e Pindo abbian dovuto farvi ritirare o fuggir dall' Olimpo le TMuse solamente, per allogarsi di mano in mano su di queste altre montagne. Non so , che siasi mai pensato a questa difficoltà , forse perchè si suppongono dal signor de Mairan, e suoi seguaci pressoché contemporanee le favole degl' Iddii dell' Olimpo , del Parnaso , Elicona , ec. , e se- condo gli eruditi, ei mitologi immaginate in un tempo lontanissimo, e indefinito, senzachè vi sia rimasa traccia per farne almen coniettui'a. E maraviglia , che neppur sappiano avvertire, che infino dalla origine della favola deir Olimpo sendosi popolata la sua cima e di Giove, e della sua corte e di tanti altri già per nome speci- ficati Dei, apparisce, che adunque nacque cotesta 52 SOPRA I.A SEDE, E IL CULTO DELLE MUSE, EC. favola dopo lo stabilimento delle colonie orientali nella Grecia , perciocché innanzi non conosceano i Greci né Giove, nò Apollo, nò vei-un altro nome de'loro Iddii , come ce n'assicura Erodoto lib. 2, cap. 62, 53. Coteste deità non furono adottate da' Greci se non lungo tempo dappoi le immigrazioni delle colonie suddette , come chiaro il mostrano assai fatti della greca mitologia allusivi alle gelosie , discordie , guerre , e controsti tra quelle deità medesime , le quali cose sono manifeste allegoiie delle gare de' loro pi-eti , e delle guerre dal popoli di Grecia lungamente sostenute innanzi di ri- cevere quegl' Iddii stranieri a discapito del primo loro culto nazionale. Quello di parecchi Dei minori , ed allegorici , come appunto delle Muse introdutte su r Olimpo per divertirvi Giove , è stato degli ultimi , e tardò più assai a propagarsi nella Grecia propria , benché poco distante d' indi nato tra uomini certa- mente più religiosi, pacifici, costumati, e perciò presi dall'entusiasmo delle virtù sociali, le quali non sapeano ancora allignare tra gli altri popoli di Grecia feroci , discordi , sediziosi , rapaci , divisi e dominati da rab- biosi partiti , e violenti , e pieni d' invidia. Coloro lon- tani da tanta rabbia e follia vennero poco a poco per le proprie virtù , e la magia del canto e de' versi ac- quistando fama d' inspirati , e crearono il vocabolo di Musa per ispiegar coteste nuove cose. I primi a di- vulgarle, e propagarle in Grecia sono stati Lino, Orfeo, Musco, Eumolpo, Tamiri , ec, tutti così detti Traci, DI JACOPO DURANDI. 53 o sia Plerj. Alcuni di essi intervennero alla spedizione degli Argonauti , la qual sei'vì loro di occasione dì acquistar fama, e promulgare, e far ricevere tra Greci i lor ritrovati: Laonde il nome, e la favola delle Muse collocate anch' esse in su 1' Olimpo coincide prossima- mente a due generazioni prima della guerra di Troia. L'essere state credute le Muse figliuole di Giove istesso, e di Mnemosine, o della memoria, e da questa parto- rite nella Pieria appiè dell' Olimpo , testifica viemmeglio la mentovata loro origine , e patria , dal cui nome elle di poi furon dette Pieridi. L' origine della favola dell' Olimpo è stata quindi tutta religiosa e politica , né altra saria bastato mai a sorprendere quei rozzi popoli , ed a persuaderli , e per- petuarne la finzione. Tanto meno 1' averia potuto il supposto fenomeno dell' aurora boreale , intorno a cui r autore di questa vaga coniettura non avvertì, che dì cotali fenomeni e meteore sono piene le antiche istorie, e furono il più sovente risguardati come di mal augurio, ed infausto , e non giovarono fuorichè talora in alcuni passcggieri casi a' preti, e a' politici per aggirar a loro senno il popolo , approfittando della sua ignoi-anza , e superstizione. Siccome la cima delf Olimpo soprasta a tutti gli altri monti della sua catena, e a tutti di quella contrada , e la credulità delle antiche nazioni ne ripu- tava sempre i più alti anco più degni di essere abitati dalle Deità, è naturale , che i Pierj , indi i Greci tutti preferissero a c£uest' uopo V Olimpo , la cui altezza 54 SOPRA LA SEDE, E IL CULTO DELLE MUSE, EC. estimavano somma , Lenchè la misura , che ce ne die- dero, corrisponda a poco più di mille tese parigine, e non superi che di cento tese in circa le cime più elevate del Parnaso , e dell' Elicona ; talché 1' Olimpo non saria che di uu altezza di secondo ordine in con- fronto delle principali alpi nostre Pennine , e Graie. §. 3. Ne ad apollo come signor del canto , e della cefra , e nemmeno alle Muse eransi per anco dedicati il Par- naso , Elicona, ec. a tempi di Omero. Tanto meno si sarebbe dal signor de Mairan , e da chi adottò 1' ingegnosa sua ipotesi, estesa l' appari- zion dell' aurora boreale dall' Olimpo anche al Parnaso, Ehcona , e Pindo , per ispiegar la favola delle Muso in su quelli , se avessero avvertito , che a' tempi di Omero neppur 1' istesso Parnaso era creduto abitarsi dalle Muse, come fu creduto dappoi essere la loro sede più ordinaria , ancoraché molto prima nella città di Pilo , o sia Delfo in fianco a quel monte medesimo di già vi sussistesse il famoso oi-acolo di Apollo. Egli rispondeva a chi consultavalo su i suoi casi puramente come profeta , ed oracolo , e non come Dio del canto, e della lira. Perciò le Muse non ebbero mai che far nulla nò con 1' oracolo , né col tempio di Delfo , e neppur col Parnaso insino allora. DI JACOPO DURANDI. 55 Bensì le Parche ( Mor^i*» ) eh' eran ben altro che le Muse, tencano una faida del Parnaso stesso, come dice Omero neh' inno sopra JMercurio »>. 54<) , e le chiama tre sorelle veloci al corso , asperse il capo di faiiua ])ianca , profetesse e abitatrici di casette in vai di Par- naso. Nelf inno medesimo ^. 449 ^^ ^""^ ^^ Apollo, che desso è compagno delle Bluse Olimpiche , le quali hanno cura del canto, delle danze, e del suono, ed amano il dolce risonar de' flauti. Elle adunque non aveano insino allora stanza nessuna particolare fuori delf Olimpo comune a tutti gli altri Dei. Cosi paiimente come signor del canto stavasi anco Apollo in su r Olimpo , donde scendea per altre sue faccende nella sottoposta Pieria, evi s'interteneva. Talché OmeiX) nel secondo della Iliade parlando delle cavalle di Euraelo le dice allemte da apollo /iella Pieria. Narra nello stesso libro la disfida di Tamiri di Tracia con le Muse pel canto, le quali il vinsero, e in pena 1' acciecarono. Egli nulla aggiugne di più , ma alcuni secoli dappoi la vanità de' Greci immaginò, e divulgò assai novelle in- torno a Tamiri , ed ai supposti suoi poemi , come può vedersi nel lungo articolo , che Gian Alberto Fabi-izio ne ha fatto nella, sua Biblioleca Greca, secondo le me- morie di Eraclide di Ponto riferite da Plutarco nel curiosissimo , e sovente oscuro suo dialogo sopra la musica. Filemone di Delfo , che vien supposto abbia il primo introdutto i cori musicali nel tempio di Delfo, fu al- 56 SOPRA LA SEDE, E IL CULTO DELLE MUSE, EC. tresì creduto padre di Tamiri Trace , cioè na(o ne' contorni della Pieria , oppur di qua nella contigua Tes- saglia non conosciuta ancora per la massima sua parte sotto altro nome che di Tracia , siccome posta anch' essa al norte dcU'Acaia, Focide, e Beozia , e di tutto il paese, che formava 1" Elide, o la primitiva Grecia. Traci per- qiò si chiamano da Omero nel summenzionato viaggio di Giunone quei, che maneggiano i cai-ali i , come i Tessali ne furon sempre riputatissimi. Ma di poi com- presa la Tessaglia, non men che la Macedonia nella Grecia , gli scrittori senza guardar più ih. si fecero a cercar la Tracia di Omero molto più lunge a nord-est, cioè nella Tracia propria, e trasportarono- la patria di Tamiri chi fra gli Edonj su la sinistra del fiume Stri- mone, chi fra gli Odrisj tanto più di là , come può vedersi appresso Svida, ed altri antichi, e moderni caduti nello stesso errore. Non sarà dunque fuor di proposito avvertire, che un altra regione pur così detta Piei-ia trovavasi bea lontana per nord-est dalla prima, con la quale vien sovente dai moderni confusa, o del tutto ignorata , ovvero slogata , e traportata troppo più là ad oriente del fiume Nesso , o Nesto nella Tracia propizia , come 'infra altri vedesi nella carta dell' antica Grecia dell' istesso celebre Delisle. Cotesta seconda Pieria giacea bensì tra i fiumi Strimone, e Nesto alle radici del Pangeo infino al mare, ivi perciò detto da Tucidide ìib. 2, golfo pierio, il quale altresì e' insegna , che quel DI JACOrO DURANDI. 67 popolo era venuto dalla Pieria propria , fuggendo il giogo de' Macedoni, il che a' suoi tempi non era cosa troppo antica. Il paese s'apparteneva alla Tracia propria, che terminava da ponente allo Strimene. I Macedoni la conquistarono più anni prima di Filippo padre del Magno Alessandro, e si dinominò i30Ì Macedonia ag- giunta. La Pieria propria , o sia presso i monti Olimpo, e Pierio venne finalmente anch' essa in potere de' Re di Macedonia , e quindi fu tanto più facile in appresso il confonderle. 1 due monti Olimpo e Pierio, pati-ia vei-a delle Muse, la divideano dalla Tessaglia , di modo che non solamente le opposte loro facce , ma talvolta gli interi monti medesimi si attribuivano quando all' una quando all' altra provincia. Cosi pure Tucidide istesso lib. W , assegnò alla Tessaglia singolarmente il monte Pierio , che Teofrasto nella storia delle piante lib. 3 cap. 5 sembra appena distinguere , e staccar dall' Olimpo , ancoraché propriamente il Pierio se ne scosti per più di sei miglia in verso ponente , pendendo molto più di sopra la Tessaglia. Omero collocò espres- samente r Olimpo nella Pieria propria, come fece nel!' inno ad Apollo v. 216, e in quello a Mercurio. Altresì i' accuratissimo Strabone nel decimo libro avea notato, che la Piei'ia , e V Olimpo , dove incominciarono a com- parire e fiorir le Muse , erano luoghi così pur detti altre volte di Tracia , non men che Pimpla, e Libetric, e i monti , che a' suoi giorni erano compresi nella Ma- cedonia. r>8 SOPRA Ì.A SEDE, E IL CULTO DELLE MUSE, EC. Ma non vuò io dissimulare, elio alcuni moclcrni , tra i quali ultimamente il mentovato signor Heyne, dubitano ( non saiis constai ) , che sieno di Omero gV inni , che corrono sotto il suo nome. ' Il dubbio noa può , né dee cader indistinto su tutti gV inni , ed io non mi sono valso che dei due suddetti sopra Apollo. e Mercurio, che non si hanno a mettere in un fascio cogli altri. Galimaco istesso così antico buon poeta e buon critico attribuisce ad Omei'o 1' inno sopra Mer- curio , e Tucidide non dubitò punto attribuirgli quello ad Apollo , trasci'ivendone i versi , che noi leggiant tuttavia neir inno medesimo. Risparmio dopo questi due cosi solenni teslimonj di citarne altri , come Dio- doio Siculo , Pausania , ec. Io amo piuttosto suppori-e che sieno quelli sfuggiti al signor Heyne, e agli altri , che credere abbiano voluto a preferenza attenersi allo scrittore dello scoliaste di Pindaro sopra la seconda ode delle Neraee, cui piacque far autore Geneto di Scio dell' inno ad Apollo. E vero, che in quello diconsì essere nove le Muse , ed Omero non ne conoscea tante, sendo stato Esiodo il primo a darcene questo numero, e a l'agguagliarci delle particolari favole di ciascuna di loro. Non è da stupirsi abbia Omero ignorate le favole nate dopo di lui , ma gli si negherù 1' Odissea, perchè nel lib. XXIV, «•. 60 , vi si legge esser no^e le muse tuttel Qui certamente, ed altrettanto nelF inno sopra Apollo vi fu intruso quel numero dai Rapsodi , ed Omeridi , per conformarsi all' idea invalsa ne' loro DI JACOPO DURANDI. Sg tempi. Dubiterò bensi spettarsi ad Omero la Batro- comiomachia , tanto più per la maniera , con che in- comincia, pregando in grazia del novo suo canto il coro delle Muse a venirsene d' Elicona nel suo petto. Questa è certo fattura de' Rapsodi , i quali usavano alcune volte rappiccar degli esordj agli altrui poemi , come i Beozi pretendeano avessero fatto a quello di Esiodo delle opere e de' giorni. A' tempi di Omero 1' Elicona non era per anco alle Muse consecrato , anzi neppur noto nella Beozia quel nome di montagna , ma ve lo portarono i Pier) mede- simi venuti ad abitar in quella regione , come Stra- bone avverti. Laonde il nome del monte coincide coli' introdottovi culto delle Muse. Così Omero nelf inno sopra Apollo descrivendo il costui viaggio dall' Olimpo di Pievia infino alla cittc\ di Pito , o Delfo ( 4 . 2 1 G a 246 ) ricorda i luoghi , e i siti intermedj , e Tebe , e i suoi boschi , e la sua pianura , e non il soprastante monte di poi detto Elicona. Perchè 1' averehbe egli trasandato, se avesse di già avuto il nome , e il culto eh' ebbe di poi ? Mi si levino pur contro tutti coloro , i quali han discorso di queste cose, ed opponganini , che il silenzio di Omero provi nulla , jjerch' egli co- nobbe quei soli luoghi , e favole , e tradizioni trapas- sate di Grecia cogl' Ionici nelf Asia minore , e niuna o pochissime di quelle particolari agli abitanti della Grecia , e Tracia suddetta , cagione questa , per cui non parlò dell' Elicona , Libetra , Ascra , Pindo , ec. 6o SOPRA LA SEDE, E IL CULTO DELLE MUSE, EC. Quest'unico lor siitterfugio , e questa supposizione del tutto arbitraria , e gratuita vien abbastanza smentita , e distrutta da Omero medesimo per le tante minute notizie topografiche, eh' ei ci fornì di tutto quel paese da lui corso certamente e ben osservato , e per la copia delle popolari tradizioni d' ogni maniera, e degli usi , e costumi toccati , o descritti da lui. Talché per più secoli i suoi poemi furono a così dire gli archivj , a quali usavano ricorrere i Greci , ed anche gV istessì comuni in occasion di contesa de' limiti de' loro terri- tori , come lo attesta Platone nel Menone. Ma nel particolare o della Focide , dove il Parnaso, o della Beozia , dove celebraronsi di poi 1' Elicona , e gli altri monti suddetti , forse non ne parlò Omero più volte, e di tante minute circostanze locali, e quasi di ciascuna terra , sicché appare chiaramente informa- tissimo d'ogni cosa? A convincersene viemmeglio basta scorrere nel secondo della Iliade la rassegna delle navi de" Greci, altramente detta appunto la Beozia ( i!. 4y4 i; scgg. ). Afhn di saperne tessere il lungo catalogo egli subito invoca le Muse, che abitano le case dell' Olimpo, e così pure ( e. 4'H» 49' ) Muse Olimpiche di novo le intitola. Se 1' Elicona , Libetrio , Pimpla , ec. si fossero insin d' allora così diuominati , e tenuti per soggiorno proprio di quelle , come avrebbe osato egli, senza far loro un manifesto insulto secondo i principj di sua religione, trasandar affatto coteste Deità locali, mentre faceasi a parlar di quei luoghi medesimi ? Final- DI JACOPO DTJRANDT. 6l mente erano dessi a lui così ben noti , che Strabone nella descrizion della Grecia , del Peloponeso , e di altre regioni seguitò Omero a preferenza di ogni altro. Poidiè Omero non sol;unente instruttissimo delle mitologiche tradizioni de' Greci , e della più esatta co- rografia della Grecia antica non conobbe ancora verun altro monte alle Muse consacrato , e presupposto abi- tato da quelle fuori dell' Olimpo comune a tutte le altre gentilesche Deit;\ , pai-mi indubitato, che insino a' suoi giorni non ve ne furono altri , o sia che le Muse noa avevano ancora a quel tempo veruna particolare stanza, e propria. Oltre a ciò convien osservare , che quando s' incominciò dedicar a quelle nel particolare altri luo- ghi, e monti, e così pure a collocarle in sul Parnaso, andò quasi in disuso del tutto il primo loro titolo dì Olimpiche, e s' intitolarono mano a mano co' novelli nomi delle dedicate montagne. Così neppur Esiodo le appellò Ohmpiche , se non qiiando ebbe a nominarle in compagnia di Giove, e degli altri Dei dell'Olimpo dove recavansi talora, e stavano col canto divertendoli, e raccontando le genealogie degli stessi Dei , come si ha nella sua Teogonia v. gGS , e nel fine di essa- ffa SOPRA LA 5EDE, E IL CULTO DELLE MUSE, EC. §• 4- Alcune ossenazionì sopra l'età di Omero, e di Esiodo. Questa , eh' io sappia , non più fatta osservazione , e le altre cose suddivisate danno a divedere essere stato Esiodo assai posteriore ad Omero. Nel i-imanente non entrerò nella rancida contesa , intorno alla quale cotante vanissime cose si sono scritte insino a questi anni passati, per far comparire Esiodo più antico , od almen coetaneo di Omero. Nessuno perù ha posto mente a quello , che ho sinquì osservato , eh' era per altro giudicar , come conviensi , quei due primi poeti dagli atti stessi più sinceri del loro processo. Le notissime falsità , ed imposture immaginate insin ab antico a favore di Esiodo ancoraché abbiano ingannato alcuni tra gli antichi me- desimi , dimostrano , che il partito di Esiodo mancava di fondamento , poiché fu astretto ricoirere alle frodi. Tra coteste imposture io vi comprendo la manifesta a mio avviso alterazione nel libro 2 cap. 53 di Erodoto, ove sta scritto , che Omero , ed Esiodo fiorii'ono non pivi di quattrocento anni prima di lui. Coloro , che vollero ammendare , e leggere settecento, supponendo r altro numero un semplice error de' copisti , non ri- solvono la difficoltà , perciocché riraarrebbono tuttavia coetanei i due poeti. Io non credo scorretto in quel DI JACOPO PURAJSDI. 6"3 testo il numero degli anni quattrocento, quanti ne corsero in circa da Esiudo ad Erodoto, ma bensì tolto ad arte , oppure scaduto dal testo il numero degli anni tra Erodoto , ed Omero. Il costui famoso critico Aris- tarco , nò altri dotti dell' antichità avrebbono così fran- camente intraposto interi secoli tra Omero , ed Esiodo, come pure lui fatto Cicerone medesimo nel capo XV del suo libro della vecchiaia , se avessero creduto , che Erodoto gli avea Tutti coetanei. Del resto alcuni moderni forse troppo leggiermente diniegano ad Erodoto lo scritto della vita di Omero , che va dietro ai libri della sua istoria , nel quale ap- parisce aver fiorito Omero in circa cento anni prima di Esiodo. La maniera tenuta in quello scritto per determinar questo punto di critica , risalendo d' una in altra epoca insino ad Omero, appalesa la diligenza, ed assicuranza dell' autore , il qual se non è l' istesso Erodoto , gli era almeno contemporaneo , poiché col suo computo si an-esta anch' egli al tragitto di Serse in Europa, cioè a non molti anni prima che Erodoto incominciasse a scrivei'e. La nascita di Omero nella vita suddetta vien a cader in un tempo , che corris- jDonde al declinar del secolo dodici innanzi 1' era vol- gare , onde il poeta invecchiato assai può esser vissuto sino all' anno io3o in circa innanzi quell' era. Se Esiodo fioriva 4oo anni prima di Erodoto , saria stato ancora in vita neir 870 , oppur morì in quel torno. Checché ne sia , la sua nascita non è anteriore alla metà del 6 A SOPRA LA SEDE, E IL CULTO DELLE MUSE,' EG. decimo secolo priina J eli' era volgare. Mi converrebbe aoticiparla alquanto più , se guardando a quello egli ne dice nel suo poema delle opere e de' giorni circa il levar della stella di Arturo 60 giorni dopo il solstizio d'inverno, io dovessi piecisamcnte atteneimi ai calculi, che ne han fatto alcuni astronomi per dedurne il tempo. Però siccome nessun di loro concorda , e la differenza tra r un 1' altro è di 4» , di 3o , di 20 anni , posso prendermi anch' io la libertà di abbassar ancora di al- cuni anni il più basso de' loro calcoli , per farlo coin- cidere con quello di Erodoto , che parmi una base più soda. Nò mi s' imputi ciò a soverchia libertà , perchè il ritoado numero di quattro cento anni , di cui Ero- doto si servì , cioè a dire alquanto più o alquanto meno , mi autorizza ad accrescere oppur levar alcuni anni al suo computo istesso. Ma lasciando in disparte 1' ossei'vazione sopra la stella di Arturo, di cui già tanti si valsero, non sembrami né anco del tutto sicura quella delle Pleiadi, delie c|uali Esiodo nel secondo delle opere v. 564 ■• inore furono una colonia di cotesti Traci , od almeno fu comune la loro origine , altrettanto che il furono i riti loro, le ojjinionì , i principj del canto* e del suono, e le cose di rehgione, e alquanto meno il genio de' versi , o della poesia. Come e quand,o co- testa coltura di poesia , di musica , di religione , e ci-r yilifà sia cominciata tra i Pieij , oramai è imperscru— taliile. Gontentianci di essere certificati, che furono dessi i primi a propagarla nella Grecia propria , e primiera- mente nella Focide sul Parnaso , e nella . Beozia in su r Elicona. Brano dessi Eolici ideila stirpe di Eleno , tennero la Pieria , e la contigua Tessaglia , l' una e l'al- tra perciò prime "a farsi colte, ed il dialetto degli Eo- lici, cioè l'attico era già il più dolce, e sonoro, quando i Dorici erano ancora agresti. Non altri prima di quelli stabilironsi sul Parnaso cultori di Apollo citareda e musico, ed inspirante il divinatorio furore , e signore e protettor di ogni beli' arte per mezzo anco delle seguaci Muse nate pur nella Pieria stessa. Laonde incominciamo a comprendere chi si fossero i così detti Ipei'borii per antichissima tradizione creduti i primi vaticinatori e poeti venuti ad abitar il Parnaso. Questo straniero sopranome dato a'Pierj è cotanto ge- nerico e vago , che non determina vcrun popolo par- ticolare , nò veruna precisa contrada esistente nel globo. i •JZ SOPRA LA 5EDE, E IL CULTO DELLE MUSE, EC. poiché viea a dinotar gente situata di lii donde soffia il vento settentrionale , o di Borea , ed è stato quindi altrettanto più proprio a far altrui licenziosamente fan- taslicare. Le favole intorno a' monti Rifci, ed Iperborii eransi accreditate, siccome osservò Strabone liò. VII, per r ignoranza de' Greci intorno alle contrade poste più là al norte della Grecia, affermando egli clic nella sua istessa età quelle della Germania di là dell' Elba erano tuttavia a' medesimi sconosciute. Ei ci dà pur a vedere , che nemmen credeva vi fosse stato mai un popolo particolaie col nome d' Iperborii. Fu questo certamente un sopranome dato sin ab antico ad un popolo Greco da chi per anco noi conosceva. Io verrò ora investigando da chi , a cui , perchè , e quando siasi dato. I sistemi quasi tutti , anzi oserò dire le assurdità , e «ontraddizioni immaginate intorno alla patria di un po- polo, che non esistette mai sotto di un tal nome, o sia Iperborii , chi ne fosse curioso potrà vederli rac- colti da due dotti Accademici Parigini Gédoyn , e Ba- KiER *, i quali vi aggiunsero anche il proprio lor si- stema. Il primo li collocò ne' contorni della Circassia tra il Mar nero , e quello di Asoph , l'altro nella parte della Colchide , che si ravvicina al fiume Fasi , cioè a dire in un paese tristo, barbaro, lontano, e pressoché ♦ M6m de l'Acad. des inscript, t. VIL ,r,T . Di JACOPO rURANDT. 73 «conósciuto dagli uomini i più gentili e colti d' allora, e faxniliaii., e perciò vicini , e di un linguaggio niede- siino co' Greci nativi. Sicché nulla aggiugnerò di più Qontrn r opinione de' mentovati Accademici. ;i,$en>L)rami il più ragionevole di tutti i cosi fatti sis- temi quello del famoso Fhebet l'uno de' più dotti e sagaci critici e cronologi del secolo diciottesimo. Egli ben; si avvide non doversi gV Iperborii allontanar co- tanto dall£( Grecia *, e li ricercò al nord-ouest di quella. <ì)s!serVò r che nella, divisione della Macedonia fatta da Paolp, Emilio in quattro parti , di cui Livio favellò lib. V|5 , •cap. 2C) , e 3o i la terza parte era dal monte Boras .separata dall' ultima più settentrionale , e con- finaqt? a fpofiente con T, Ilirico, onde volle dedurne j che gli abitanti di là. di' monte Boras si chiamassero appunto Iperborii. A questa ingegnosa non meno che semplicissima coniettura pai-mi vi resista il fatto , noa essendovi traccia nessuna di ciò , anzi gli abitatori di quella ultima part§ della Macedonia di là di monte Boras avevano ben altri particolari nómi a' tempi di Paolo Emilio , e molto prima , nomi eziandio poco o nulla differenti dagl' lUirici medesimi. Altronde se nella Macedonia, oppur in quélf torno ci fossero stati de' così detti Iperborii , non sarebbono sempre sfuggiti alla notizia , de' Greci , i quali si fecero a ricercarli anco * Vi^\. .ÙK^J^^iicaài àa inscript u XYIU, p|g.^20o. , ♦4 SOPRA LA SEDE , E IL CULTO.^DELX'E MUSE, EC. sotto il polo, e di là, insin' dai quandp^ 8* dlicominclò! sentir quel nome cosi vago, e sì prapiio'Ja fair altrui farneticare. i/ììttn .i<> Ma dirsi in genere abrtat' dii là'diarnoH^e Borasisl può "anche prender in senso più largo, o vieppiù in verso ri settentrione, e ci accosteremo al Danubio in mezzo ad altre razze i di barbari , quando però cotesti Iper- borii appaiono essere stati a quel tempo i più colti de^ Greci per costumi ;; ed ingegno , e bontà del dialetto'/ che parlavano. I nomi stessi dèlie donzelle, e di altri| eli essi inviavano a Delo per festeggiarvi Apollo, erana Greci, purissimi, e sippur greci gl'inni, che vi can- tavano. Dessi adunque non erano una naz'ionie di bar- bari , e nemmeno Macedoni: allora e per molto teittpoT in appresso tuttavia barbari.; anch' essi; Il linguaggio» della Macedonia era differente da ' lutti i gr'eci 'dialettif come tuttavolta l'attestano Slrabotìe liò: VIl,ed' Atè* neo liby.3 cap. 33^ lani disegnati col sopranome d' Iperborii, e ciò viem- meglio perchè il vento del norte viensi- a Delo , e alle altre Cicladi dalle coste della Grecia ,'• donde veniano i Pier) , i quali abitando anche assai più oltre a^ SQttéQ-ì" trione di quelle coste medesime , furono creduti abitar di là donde spira Borea. ■ -.■ìnaà , Non sembrerà strano , che questa primitiva rozza credulità non siasi di poi smentita , come 1' esperienza doveva smentirla , se si considera , che a mentenec r errore , e propagarlo bastava quel sopranome stessa non più dimenticato, come accadde de' sopranomiaiati dapprima a tanti altri popoU. Né in quelle i-ìmote- età potea r esperienza così tosto disingannare altrui:,';c^ie ■anzi rincontrandosi il vento di, Borea sempi'e più igftf* gliardo di là delle coste, e del continente stesso della Grecia , si trasportò la patria degl' Iperborii tanto più oltre , e in regioni del tutto immaginarie. Cotesto eriore era di già ben vecchio a' tempi di Pindaro , come ap- pare nella decima ode delle Pitiche , e presso Plinio lib. 4 cap. 12. e presso altri. D'altro canto le idee nate da quel!' arrischiato sopranome in tempi cosi an- tichi , erano tanto favorevoli alla fantasia de' poeti, ed al maraviglioso ricercato dai Greci in ogni cosa , che con vollero disingannarsene mai , e parmi questo il DI JACOPO DURANOr. "j-^ '^evo motivo , che mantenne vivo il sopranome d' Iper- borii , che sempre più divenne un suggetto di finzioni, e di dispute , le quali hanno fatto illusione ad Erodoto medesimo. Malgrado le tante oscurità per lo più sparse ad arte mano a mano, non eransi però mai del tutto perdute le tracce della vera patria de' cosi detti Iperborii , ovvero che non facea mestieri cercarli cotanto dalla lungi, come i piti hanno fatto, e nemmeno uscir dalle coste del Mediterraneo per rinvenirli. È ciò ben altro che ridurli a far lunghissimi viaggi per terra e per mare,' onde recai'si a Delo , o condurveli dalle bocche del Fasi , o da quelle del Tanai presso Asoph giù pel Mar nero. Ch' essi abitassero su le coste del Mediter- raneo, il dà chiaro a divedere l'antico autore dell'inno sopra Bacco tra quelli falsamente attribuiti ad Omeio medesimo , dove ( i>. 29 ) de' corsari Tirreni , o Italiani minacciavano di condurre quel travvisato Nume in Egitto , a Cipro , ovvero agi' Iperborii. La Pieria ap- punto è bagnata dal golfo Terraiaco, in oggi di Salo- niki. La famosa Theoria , o processione , che gì' Iper- borii mandavano a Delo per festeggiar la nascita di Apollo , non potea certo venirvi di lontano , né da gente, che non fosse religiosa, e colta, e di lingua» o dialetto non differente dal Greco più puro. Pausania ibid aggiugne , che in un inno di Beo cittadina di Delfo rammentavansi alcuni di quelli Iperborii come Pagaso , Agiyeo , e Oieno , nomi appunto Greci , o yS SOPRA LA SEDE, E IL CULTO DELLE MUSE, EC. che Olcno era slato il priino a valicioar io" versi ivi nel tempio di Apollo , il che si confà a' Pierj primi verseggiatori a Delfo , e sul Parnaso. Pausania perù assegna alla profetessa Femenoe il primo onore di quel vaticinio in versi , per la ragione che le donne solamente erano reputate capaci di ricevere sul tiipode il profetico furore. Egli adunque si scordò che gli attori di quella commedia erano vei-amen te i sacerdoti* o ministri del tempio, e la Pizia, o profetessa intro4 dottavi dai Pierj dopo scoperta la buca mefitica non era eh' uno strumento passivo entro le loro mani. Né solamente quei sacerdoti davano anch' essi risposte tìa oracolo, e profetizzavano sebben non sul tripode, come Beo istessa tanto più antica di Pausania racconta di Oleno , ma in principio bastava agli abitanti di Delfo , e del Parnaso di respirar un momento il va- por di queir antro , per credersi profeti anch' essi « ed aver diritto di farneticare. Talché vi si posero su di quello le tre barre di ferro, donde fu detto il trif pode, per custodir la buca, e non lasciarvi cotanto multiplicar i profeti. Allora solamente , e non pri- ma fu riserbato alla Pizia di montar sul tripode con- dottavi dai sacerdoti che stavanle accanto , ne regola- vano , e raccoglievano le parole spezzate , tronche , sconnesse , e per lo più insignificanti , e le spicgavan poi secondo gì' interessi loro, e mettevanle in versi. Però la Pizia era il primo personaggio di quell' «racólo , ma nuUameno i primi istitutori non aveano DI JACOPO DURANDI. J^ tentato di prevenire gli abusi della superstizione , la- sciando la Pizia del tutto in balia de' preti. Pausania inoltre rammentò in più luoghi de' suoi libri un Oleno di Licia famoso poeta. Erodoto /ib. 4, cap. 35 altresì narra, che le donne di Delo cantavano un inno composto da Oleno di Licia , nel quale ricor- davansi Argi , e Opi due fanciulle IjDerboree morte in queir isola , e che 1' istesso poeta avea pur dettato altri inni che si cantavano in Delo. Mi pare strano , che un dotto accademico " abbia da ciò voluto in- ferire , che Erodoto faccia quell" innografo allretlanfo antico che il culla di Apolline. A così smodata asser- zione ne aggiogne un altra, scambiando Delfo in Delo, e fa Oleno istesso il primo sacerdote di Apollo in Del» nel tempio ereitxìgli da quei settentrionali venuti ( come egli immagina) d'allé^ agghiacciate estremità del norte. Si fonda in ciò su di Pausania, il quale all'opposto parla chiaro degl' Iperborii stabilitisi sul Pàrntvso , ft primi profeti dell' oracolo Delfico , ed ivi non parla punto del poeta di Licia. Un altro accademico non dubitò di confondere quest' ultimo con Oleno Iper- borio , a motivo che la Licia non fosse ancora nota a' Greci , onde la presupponessero situata di là del Polo tra gV Iperborii. '*. Egli adunque non avvertì, * L'abate Salier storia dell'isola di Delo, Mém del'Acad. dpt inscritti *• 3 Pag- »77- . ' '•'* IIarDioN sópra l'oracolo di DclfOo ibid.' pa^. xi^ in fin. e rSj. Bo SOPRA LA SEDE , E IL CULTO DELLE MU.'^E, EC, che la Licia più meridionale della Focide slessa era vicina alle greche colonie dell'Asia minore, era notis- sima a' Greci , e nominata più volte nella Iliade ( lió. II in fin. Uh. V, VI, XV. ) insieme ai Licj , senza che Omero abbia neppur mai fatto cenno dcgl' Iperborii , nome immaginato molti anni dopo di lui , e appena comparso a' tempi di Esiodo. Talché non è stato se non verso il fine del decimo secolo innanzi 1' era voI-< gare che i Picrj invitati dalla fama delle feste in onor di Apollo nel! isola di Delo , che per la divozion loro in verso quel Nume, e di Latona creduta loro concit- tadina v' inviarono anch' essi il lor tributo , e la theoria composta di donzelle, e di giovini. Avendo poi cessato di far cotesta spedizione a Delo per tradimento, o so- perchieria usata dagl' isolani a quelle fanciulle , dispar- yero i così detti Iperborii , e sol ne rimase il capric- cioso nome , che insino dagli antichi tempi divenne tra gì immaginosi Greci il comodo pretesto di mille fa- Toleggiamenti, , oiuo . • li- ) Alla tradizione suddetta riférfta da Pausania intorno agi' Iperborii stabihtisi a Delfo, e sul Parnaso, vuoisi aggiugnere ciò, che da Cicerone si accenna nel terzo della natura degli Dei cap. zS essere stato il terzo Apollo figliuol di Giove, e di Latona, che appunto dagl' Iper- borii era venuto a Delfo, cioè colla cetra, e il canto, « col novo cerimoniale, e furor della Pizia introdottovi da quelli. Cotesta novità fu quasi di due secoli poste- siore al cevimooial de' Cretesi , di cui favellò Oiuero » DI JACOPO DX7RAKDI. 8l il qual non conobbe a' suoi giorni eli' un Apollo solo, ne' cui misteri non vi avcan parte le femmine. Elle bensì tra i Pier) , altramente Iperborii, erano ricevute a profetesse, come afl'crmano Calimaco nell' inno so- praccitato per Delo, e Diodoro Siciliano , e perciò l'erano anco a' tempi del summenzionato Filemone nativo di Delfo , il qual avca composto de' poemetti , ed inni sopra la nascita di Latona, di Apollo , e di Diana, che si cantavano in quella città, e nel tempio, come rife-- i;isce Plutarco nel dialogo sopra la musica. Questo istesso fatto , e 1' altro gi;\ più di sopra notato di aver egli stabilito nel tempio di Delfo i cori de' musici , bastano a smentir la favolosa genealogia , e somma an- tichità di quel poeta confinto dai posteriori Greci padre. di Tiimiri , che avea gareggiato colle Muse, e insiera fratello dell avo materno di Ulisse. Appare anzi tanto più posteriore ad Omero, altrettanto che lo sono stati i Pierj , i quali si stabilirono ed introdussero a Delfo , e sul Parnaso il canto, i versi, e le Muse istesse. Ma il cotanto celebrar Latona loro concittadina , e Apollo da lei partorito nella isoletta di Delo , che quelli faceano, e Filemone singolarmente, il dimostrano l'uno di quei Pierj medesimi, od Iperborii, il qual fioriva nella età, in cui coloro usavano tuttavolta mandar la loro theoria a Delo , cioè innanzi che per 1' ingiuria ivi fatta alle loro fanciulle rompessero ogni pratica con quell' isola , e cessassero di celebrarla. Pausania altresì facendo Fi- lemone autore de' misteri Lernei , e di pi'ose e poesie L 9£ SOPRA LA SEDE, E IL CULTO DELLE MUSE, EC. intorno a' medesimi sci-itte nel dialetto Dorico, smentisce viemmeglio la colui supposta cotanta antichità , percioc- ché prima del ritorno degli Eraclidi nel Peloponeso , non era noto in Argo nemmen il nome de' Dorici , non che il loro dialetto , e 1' Attico solo parlavasi da' Pierj a Delfo , e nella Grecia. La mentovata riforma dell' oracolo Delfico malamente scambiata da alcuni antichi e moderni colla sua prima istituzione , e le Muse dall' Olimpo traslocate sul Par-: naso accrebbero grandemente la celebrità dell' oracolo, e del Parnaso medesimo , 1' avanzamento della poesia , e musica, e d' ogni beli' arte e costume, la magnifi- cenza delle feste, e le ricchezze di Delfo, dimodoché in progresso di tempo il numero delle statue per Io più d'oro e d'argento, che ornavano, ed arricchivano la città , superava quello de' cittadini medesimi , senza parlar delle altre molto più preziose per 1' arte , se noa per la materia , che qua e là rincontravansi in su pel monte. Però la fisica sua condizione non corrispondeva a cotanta celebrità e dovizia. A formarsene una giusta idea converrebbe trascriver quello ne scrissero singo- larmente Strabene, e Pausania, combinando ogni cosa con altri passi di antichi, e poi con le carte, e rela- zioni di alcuni dotti viaggiatori come di Spon , di Vehler, Po coke , Tournefort, e altri, i quah però nello spie- gare e situar gli antichi luoghi confrontandoli co' mo- derni sbagliano sovente , e si contradicono. L'elegante ingegnoso autore del viaggio del giovine Anacarsi in DI JACOPO DURANDI. 83 Grecia cap. XXII, ha in uliimo descritlo Delfo, e un tratto del Parnaso nel più solenne giorno di magnifi- cenza , e della festa di Apollo, e de' giuochi Pizj , e lasciò appena trasparire la uaturale asprezza di quella montagna, imitando in ciò i pittori, che accennano fra le ombre in lontano quegli oggetti, che non formano il princIpal suggetto del quadro. Si è fatto più innanzi osservai-e , come Omero disegnò l' orridezza e sterilità di quel monte , la cui natura certo non migliorò dappoi, benché tanti come in luogo agevole e delizioso cerchino tutto di rampicarvisi sopra. Per loro uso, od altrui di- singanno mi sono preso la briga di appresentarne quasi a modo d' itinerario una succinta e sincera notizia. Ma principalmente ho voluto farlo, acciò viemmeglio si vegga r esattezza di Omero nel descrivere i luoghi , e perchè ci manca tuttavia un' accurata descrizion del Parnaso. Apparirà oltre a ciò dal colligamento di quello colle succedentisi montagne pur dedicate alle Muse la iacilità , eh' ebbero i Pierj a propagar il culto di quelle su i monti e gioghi i più elevati , siccome era 1' uso , e la credulità delle antiche nazioni fossero dessi altresì più cari agi' Iddii. E però vero, che disfagliafa la Grecia in molte valli rinserrate da discoscesi monti asprissimi , riesce per lo più malagevole il trapassar d' una in altra. 84 30PRA LA SEDE, E IL CULTO DELLE MUSE, EC. Descrizione topografica del monte Parnaso, donde il culto delle Muse si estese all' Elicona , e ad altri della stessa catena di montagne, Dipartlanci dalle Italiche coste dell' Adriatico , o di- renao dal tallone d' Italia , e quasi diiimpetto entrianx per la più breve dal golfo di Corinto, o sia di Lepanto nella baia di Saloua, altre volte il seno Crisseo. L'estre- mità di essa baia ci metterà nella non infeconda cam- pagna di Crissa. Più là per una forra di rocce si tra- passa in una valletta, su cui pendono, rinserrandola a sud-ouest monte Corax, e a nord-est gli inclinati spor- genti rami del Parnaso medesimo. Ija sommità della valletta tocca alle radici di questo famoso monte. Si sale per un sentiero stretto e malvagio, che va tor- cendo e serpeggiando per una direzione sud-est, e ci porta al moderno luoghetto di Castri, già contiguo senza dubbio alla celebre ciltà di Delfo, di cui il sito di Castri stesso facea parte, e se ne veggono tuttavia ne suoi dintorni le vestigio, e le rovine. Così la ciltà trovavasi in circa a dodici miglia di cammino dal mare, o da Salona suddetta, aulicamente ^m/jAma, capitale della Locridc, cui il Parnaso stesso limitava, e divideva dalla Focide. Talché poco più d' una giornata di navi- gazione con buon vento ci farebbe attraversar dalle DI JACOPO DURANDI» 85 nostre coste Infino al fondo della menzionata baia , e d' indi qualche ora di cammino toccar le radici del Parnaso medesimo. Se fosse possibile , che cotesto monte v' abbia avuto mai influenza niuna su l' immaginazione de' popoli vicini , noi diremo , che perciò gì' Italiani sona stati nell' occidente i primi a partecipar di quel beato entusiasmo , onde seppero emular gV istessi Greci , e comunicai'lo in alcuna parte alle altre nazioni d'Europa. . Gonvien prendere assai largamente ciò, che Pindaro vuol darci a intendere nella quarta ode delle pitiche giacesse la città di Delfo alla metà della salita od al- tezza del Parnaso, il qual -sorge grandemente molto pia di. sopra dove anche meglio si confanno Parnassi de- serta per ardua di Virgilio ( Georg, lib. 3, i>. 2^1 ). Nulla di meno dagli antichi medesimi, che pur l'aveano sotto gli, occhi, venne Delfo chiamata il belico non solamente rispetto al Parnaso , ma così pure alla terra tutta ( >>iJi:a\i{ rnt yns ). Non parlerò delle ridicole no- yelKì immaginate a giustificar così strana fantasia , ma CoIqto eh' esagerarono meno , han collocato quella città» e il', monte nel mezzo della Grecia. Di qui io deduco una così fatta opinione esser nata dopo 1' unione della TessagUa, e Macedonia alla Grecia propria, altramente il Parnaso situato nella Focide trovavasi innanzi in verso r estremità boreale dell' istessa Grecia. Non è dunque cotanto antico 1' equivoco su la parola »v.;a^óf, che ha fatto nascei-e questo errore. Cotal nome dapprima eiasì applicato a Delfo non già in senso di belico, ma di ss SOPRA LA SEDE, E IL CULTO DELLE MUSE, EC. cxracolo , sendosi derivato da w^ . come Fornuto di già benissimo spiegò nel suo curioso libro della natura de"ìi Dei. Pendeano di sopra Delfo due rupi alte assai, ed er- tissime, come tuttavia pendono su di Castri. L'uno e r altro luogo vien sovente innondato dalle pioggie, e dai rivi, che nascono fra le rupi suddette, e tra cotesti rivi evvi il famoso fonte Castabo caro a Febo Apollo, siccome nella prima delle pìtiche i'. 74 , vien detto da Pindaro. Ma altre punte , ed altri gioghi anco più eie- Tati soprastano alle summenzionate due rupi. La città non era , né poteva tra quelle stretture esser vasta. La sua circonferenza era a detto di Strabone di sedici atadj olimpici, ovvero di i5i2 tese parigine, più lunga che larga , perchè compressa a due lati da due gruppi di rocce, e quindi monte Cirphis la serrava più sotto a mezzodì , tra cui , e il Parnaso scorre il fiumicello Plisto , nel qual perdasi il fonte Gastalio. Cirphis si prolunga per sud-ouest infin presso il golfo di Salona, o sia di Crissa, al cui piò giacca Cirro altre volte il porto di Delfo. La parte superiore della città , dove il tempio , e 1' antro fatidico , era quindi inaccessibile dal lato di mezzodì, fuorichò pel suddivisato cammino tu di viottoli stretti tagliati nel masso. Il sito dell' antro, e tempio suddetti si rimane di sopra Castri presso A\ una chiesuola di santo Elia. Alquanto più su della chiesuola si veggono ancora dispersi molti pezzi di i)iaaco marmo creduti gli antichi avanzi dello stadio. DI JACOPO DURANM. 87 •Bensì da Delfo poteasi discendere per un'altra via. Le rocce che le soprastano, e la circondano , vanno abbassandosi , e digradando verso la città , onde Stra- bone Uh. IX \ assomigliò ad un teatro. Allo intorno i concavi sassi , le grotte , le rupi , le tortuose vallicelle più volte echeggiando ripeteano lo strepito delle trombe, le grida , il rumor grande e vario dell' affollato popolo attix'atovi dalle feste , e ne raddoppiava il suo stupore, ed il miracolo. Da Castri, e dai mentovati vestigi dello stadio continuando a salire , girando , e rigirando so- vente , rincontransi delle grandi fessure nel monte , ed ima anco piìi grande, e profonda , che pare fosse 1' antro Coricio sagro alle Ninfe, a Bacco, e a Pane. Il sentiero è tagliato nel masso, e conduce in un'ora di cammino su di un dosso del Parnaso , che vi forma un piano , donde si sale su le due rupi, e punte summenzionate, che sporgono e pendono di sopra il sito di Delfo, per le quali il Parnaso si disse bicipite. Di lì si ha la vista della baia di Salona , o Crissa , delle vicine isolette , e di gran parte del golfo di Lepanto a ponente, e- delle montagne del Peloponeso , o della Morea a mez- zodì. Più là risalendo per settentrione , incomincia a trovarsi la neve , e a discoprirsi bene la cima più alta del Parnaso, Più su evvi un laghetto formato dalle pioggie , e ne^'i squagliate , alla cui estremità sorge un monte ertissimo ricoperto di nevi eterne , e in- dicato da Pausaoia per quello, su cui Deucalione sì rtlvò colla móglie Pirra dalle acque del diluvio, tiratovi- 88"' SOPRA LA SEDE , E IL CULTO DELLE MUSE, EC. dallo urlar de' lupi , che vi s' erano rifuggiti , donde pigliò nome il villaggio di Licoria , che Spon dice chiamarsi in oggi Liacura , e Wheler Helicoro. Ma né l'un né l'altro han saputo situarlo, che certo non esis- teva , come 1 ultimo si dà a credere , su quella supre- ma montagna perpetuamente ingombra di nevi , dove né anco i lupi sarebbonsi ridutti. Nemmeno è credi-.' bile potessero le furiose Tiadi salir cotant' allo a fariii loi" sagrifizi ad Apollo, e a Bdcco , siccome pare in^r dicarci Pausania. Se quel kiogo ci. fu mai , giacca non.: molto di sopra la città stessa di Delfo ; anzi Strabene' pretende , che dessa siasi fabbricala nel sito di quello donde ne venne ad Apollo signor del Parnaso il nome di wnaptiToT , e all' altro di hvKOfivf , come a dire terra de' lupi. L' altezza di quella suprema cima del Parnaso non è però straordinaria , come è paruta ad alcuni , e cosi pure a Wheler , il qual la dice la più alta del ^lobo , e ad un tempo che non la cede al nostro Moncinisio, che sappiam ben noi essere di un'altezza secondaria ris- petlo alle grandi alpi. Alle falde di quella suprema cima vi circola una specie di valletta, o di pianura ineguale , eh' é però ima ben alla montagna in con- fronto della positura di Castri , o Delfo , come pur lo è questa in confronto' della suggetta campagna di Grissa. Ivi scaturisce una grossa fontana appellata oggidì Dru- singo, che scende rigirando per sud-est in un pianetto, dove stagna appena un miglio dalla sua sorgente , e I DI JACOPO DURAUDI. 8^ filtrando per le rocce, e per le sabbie, ricompare dì sotto le rovine di Delfo col nome di Srilalizza. Non è per avventura difi'erenle dal mentovato flumicello Pli- sto. Si sale parimente , e discendesi dal Pai-naso anco da altri lati però discoscesi tutti, e difficili, e sovente accanto di precipizi. Esso più a nord-est va ad attac- carsi al rinomato monte Oeta , da cui scaturisce il Ce- flso , e si accosta anco ad altre montagne , che van declinando verso sud-est infino a monte Parnes nell' Attica. Il Parnaso è pertanto una vasta montagna , che pri- meggia nella, serie e catena di quelle molte , le cjuali insieme 1' una 1' altra si aggi-uppano , si addossano, si accavallano da sud-est circuendo mano a mano verso tramontana , e nord-ouest. Quindi cominciando dal monte Parnes, o Parnethes suddetto, questo attaccasi al Citerone dipoi sagrato anch' esso alle Muse , ed amendue separavano una volta 1' Attica dalla Beozia. Al Citheron si congiugne l' Elicona chiamato Zag.Ta oggidì. Esso gareggia per vastità ed altezza col Parnaso medesimo , da cui si scosta per poche miglia declinando più a sud-est, ma a così dire gli s' imisce perle mon- tagne intermedie , ed entrambo sporgono , e avanzansi d' altro canto verso il golfo di Salona. Il monte Libe- trio fa parte dell' Elicona , e separa dal piano dell' antica città di Tespia quello della famosa Tebe. Il rivo Permesso nasce dall' Elicona , e va a perdersi nel lago Copaide , o di Livadia. La primavera è tardissima su tfb SOPRA I.A SEDE, E IL CULTO DELLE MUSE, EC, tutte coteste dirotte montagne , le cui cime sono per- petuamente coperte di nevi , e le sorgenti agghiacciate la metà dell' anno : così pure accade all' Ippocrcne su di quelle alture. D' ogni parte sorgono fonti , e rivi. Cotanta è la copia delle acque , che cotesti monti tra- mandano , oltre quelle che scaturiscono tratto tratto alle loro radici. L' aspetto de' medesimi è in ogni Iato aspro ed agreste; il che è ben altro che l'immaginarsi come ha fatto il mentovato leggiadro autore del viag- gio del giovine Anacarsi cap. XXIV essersi propagate su di quelli le Muse, come m luoghi solitarj , dove i dipintori della natura circondati d' immagini le più ri- denti sentivansi presi dal caldo della inspirazione di- fina. Tutto all' opposto perchè cotesti luoghi furono sempre orridi e salvatichi, sono stati vieppiù opportuni a servire alla religione, da cui presero origine le Muse, é quindi ad esser loro consegrati. Di fatto la fantasia viemmeglio commossa da tutto ciò, eh' è più strano sat vatico maraviglioso , è tantopiù colpita dall'orrore, e dalla solitudine , e bizzai-ria de' luoghi stessi. Così tutti gli antichi popoli , e non di rado anco i moderni ( e noi medesimi n' abbiam tuttavia alcuni domestici esem- pli ) qualunque si fosse la lor religione e setta , cre- dettero i monti più scabri, e le dirupate lor sommità vieppiù degne di essere abitate dai loro Iddii. Non al- tramente i Bardi , ovvero antichi poeti nostri , e di j)iù altre province d' Europa allogarono i lor Genj della poesia e del canto su per l'alpi, od elevate erte mon- DI JACOPO DURANDr. 9I tagne , che non son niente ridenti , ma ruvide sassose asprissime altrettanto che il Parnaso , e le altre suddette. ■ S' ingannò parimente il summenzionato autore abate Barthelemi , presupponendo fossero i primi poeti della Grecia direttamente venuti dal barbaro paese di Tracia y cioè dalla Tracia propria , donde abbiano esleso il do- minio delle Muse dai monti della Pieria che, secondo lui , saria quella tra lo Strimone , e il Nesto , insino sul Parnaso , 1' Elicona , e Pindo ; se non che gli è comune con molti altri dotti l' errore di confondere con la Tracia propria i così detti Traci della Pieria presso r Olimpo , e di altre settentrionali regioni della Grecia. Tra quelle sendo stata la Pieria per la positura 6ua , e forse anco per la pacifica natura di quel popolo insino d' allora la più tranquilla , e la meglio ordinata del resto della Grecia insin dai più rimoti tempi agi- tata sempre, ed inquieta, nacquero più di buon' oi*a, e v' allignarono nella prima le idee di civilità , di re- ligione , di moralità abbellite dai versi, e dal canto, ch'amano la pace, e per lo più rifuggono dai tumulti, e dalle civili sedizioni. Ma sul Parnaso non ebbero mai le Muse nel parti- colare di sacro al loro culto fuori d' una valletta e selva collocata in circa alla metà del monte, il qual insieme a Delfo s' apparteneva dapprima tutto intero ad Apollo come oracolo , e profeta , e non ancora come «ignor del canto , de' versi , e della cetra. Associatosi di poi in su r Olimpo stesso con le canore Muse create gS «OPRA LA SEDE , E IL CULTO DELLE' MUSE, EC. da' Piorj sue compagne e seguaci , il seguitarono queste sul Parnaso, e a Delfo, abbandonando la prima, pec islabilir su quello I' ordinaria loro sede. Non fu Apollo geloso si dedicasse qualche parte del Parnaso anche ad altri Genj , cui di poi quasi ogni sasso , ed ogni an- golo del monte furono sagri. Quindi i Pierj , o Traci,' od Iperborii, che dirsi vogliano , ivi stabilitisi autori di cotesto culto novello, e ministri dell'oracolo, e del novo suo cerimoniale , non ebbero a dilungarsi molto n propagar il culto delle Muse , trasportandolo pure su r Elicona non ancora sacro a verun' altra peculiar Deità, anzi ancor innominato. Esiodo per gelosia patriolica vorrebbe insinuarci vi abbia Pierio medesimo introdutto su r Elicona stesso prima che altrove tufte e nove le Muse perciò dette Pieridi. Ma fu costume de' Greci crear de' nomi, e farneli autori di cose, o dipei-sone, delle quali n' ignoravan l'origine, o volevano alterarla^ 0 ringrandirla con più speciose finzioni. Così all' istesso Pierio attribuironsi nove figliuole di poi mutate nelle nove Muse , le quali dapprima non erano tante, e pro- babilmente non erano per anco cresciute sino a questo numero, quando incominciarono comparir sul Parnaso al seguito di Apollo. Onde può esser vero sia stato 1 Elicona il primo a possederle tutte e nove , quante erano desse a' tempi di Esiodo. Di mano in mano si propagò quel culto su di altri de' colligati monti dell' istcssa catena , che ne circonda la Beozia. Strabene lib. X notò essere cosa manifesta* DI JACOPO tiimAimi. 93 éhe per tuKo ove fioriva il culto delle Muse , vi era stato introdulto dai cosi detti Traci , a' quali s' appar-« tennero già la Pieria , 1' Olimpo, Pimpla, e Libetrio altre volle della Tracia, perchè Traci chiamavansi £ popoli al settentrione dell'antica Grecia propria, é; com« presi di poi nella Macedonia. Talché non solamente egli ci disegna la Pieria, in cui l'Olimpo, ben diffe- rente dall' altra fra Io Strimene, e il Nesto , ma soggiur gnendo ch'erano di que' Traci Orfeo, Museo, Eforo» Tamiri , ed Eumolpo , o sia l'ottimo cantore, li fa tutti originar] della Pieria stessa presso 1' Olimpo, e ci dà anch' egli a intendere , che i nomi de' mentovati primi cantori e poeti, fuor di Tamiri , erano appellativi, e non propri, o sia di persone altre volte cosi appel- late. Laonde malgrado la loro celebrità furono ignoti ad Omero, perchè trovati dopo la sua età, per ono- rarne alcuni poeti, ed uomini benefici. Oltre a ciò bea chiaramente e' insegna , che quei Traci , o Pierj tras- portarono nella Beozia in un con il culto delle Muse insino i nomi de' monti, e luoghi , eh' erano pur dianzi a quelle dedicati nella lor patria. Esiodo dissimulò co- teste circostanze , per far più antica e boriosa la favola, e primeggiarvi in essa il patrio suo Elicona. Pausania altresì lib. IX osservò , che Libeira era l'an- tico nome di una città presso l'Olimpo dal canto, che volge sulla Macedonia, o sia immediatamente su la Pieria, che a' suoi giorni ne dipendea; e poco distante da quella città esservi stato un monumento in memoria 54 SOPRA LA SEDE, E IL CULTO DELLE MUSE, EC. di Orfeo. Infatti i Libetriui di Pieria il pretendeano Jor concittadino , come sì rammemora da Svida , e Tzetze sopra Licofrone pag. 4g , ed ivi nato nel borgo òi Pimplea a detto di Strabene lib. VII, od alti-imenti Piraplea, e Libetra furono due gioghi di una montagna di Pieria al dire di Apollonio nel primo degli Argo- nauti. Aggiugne Pausania , ohe di sopra la città di Dium lunghesso il golfo Tei-miaco, il qual bagna la Pieria a levante , scorrervi il fiume Elicona. Cosicché apparisce, che questo nome, e gli altri nomi suddetti si trasportarono dai Pierj medesimi nella Beozia , dove innanzi il monte Elicona , e gli altri pur sacri alle Muse erano innominati. Forse direm noi, che i nomi novelli hanno fatto obbliare i più antichi? Ma chi potrà supporre, che pria ve n' avessero altro, poiché 1 istesso Esiodo non seppe altri di quei nomi fuor de' novelli? Parmi questa l'evidente ragione , per cui Omero nella summenzionata minuta descrizione della Beozia non parlò del vasto monte Elicona , nò di vei'un altro de' luoghi e monti suddivisati, perche i nomi di quelli non furono in uso se non molto dopo la sua età. Tanto più posteiioji si debbono riputare il bosco de- dicato alle Muse su per 1' Elicona dai vicini Tespicsi, e viemmaggiormente le feste, e i giuochi degli atleti, e le solenni gare e disfide di musica e poesia dette perciò museo ; dico solenni , perciocché le gare le più comuni rimontano forse infino alla istituzione di quel culto. Praticavansi di già a' tempi di Esiodo anche DI JACOPO DURANDI. g5 altrove per la Grecia, ed egli medesimo nel poema delle opere e giornate i>. 654 » ^ ^^S- racconta di essersi recato in Calcide di Eubea , dove nella disfida de' versi essendone uscito vincitore , n' ebbe in premio un tripode» eli' ei consegrò alle Muse dell' Elicona. Non alibiam cenno nessuno di cotali pubbliche feste e gare ne' poemi di Omero , il qual parlò bensì di Deraodoco » di Femia, Melampo, e di qualche altro cantore , i quali usavano nelle case de' grandi. La disfida di Tamiri, e delle Muse , eh' ei racconta , è stata accidentale , pri- vata , ed ijnprovvisa. Natp e cresciuto Esiodo-, siccome narra egli medesimo Loc. cil. appiè del Santo Elicona nel misero villaggio ^i Ascra cattivo d' inverno , molesto d' estale , e buono in nessuna stagione mai , mentre alle radici del monte ei vi pascea la greggia, le Muse Eliconie inspirarongli i versi , e il canto , e dierongli a svellere un ramo di alloro per suo scettro (Teogon. v. 3o5^ sodandoglieli elle che sanno le passate cose^ e le Juture; donde in lui destossi quel furore fatidico , che suol nascere da quercia , o macigno ( ibid. v. 35 ). 11 furore , di cui Esiodo si dice invaso , manifesta 1' idea , che n' avean prima fornita i Pierj stessi , furore , od estro rozzo ancora come le querce, e i macigni , dai quali credeano ricavarlo ; im- magine non ancora usata da Omero , il quale altresì non parlò mai dell' alloro , per decorarne i cantori o poeti, ma solamente di quello, che serviva in Delfo a' ministri di Apollo per la divinazione. èS SOPRA LA SEDE , E IL CULTO DELLE MUSE , EC. Aggiugnendosi a questo la vanità , e 1' amor della patria quantunque tristissima , Esiodo non invocò mai altre Muse fuor quelle dell'Elicona, e nemmeno assegnò loro altra più peculiare stanza. Laonde le tenne tutte e nove in su di quelV alto e divin monte danzanti in- torno all' ara di Gioi'e , e attente a bagnarsi , e ben lai-arsi le membro nelle acque del Permesso , dell' Ip~ pocrene, e del sacro Olmio. Chi saprebbe dirmi, per- chè del fiumicello Olmio nato pur esso come gli altri due tra le nevose ru]3Ì dell' Elicona , ed inzuppato de' sudori delle Muse , che vi tuffano dentro , non usino perù i poeti bei'e delle sue acque , come a gran sórsi ne beono di quelle del Permesso, dell'Ippocrene, Casta- lio , e Aganippe , che non sono niente più limpide , né più gustose e fresche ? E bensì vero , che Esiodo singolarmente ivi i>. 5z rammemora le Muse Olimpichei però solo in quanto se ne vanno di passaggio su l'Olim- po a rallegrar Giove con il loro canto , come già di sopra si notò. Quindi anch' egli dalla loro patria , e dal supposto loro padre Muse Pieridi le dinominò sul principio del poema delle opere e giornate, chec- ché di queir esordio ne pensassero i Beozi , e nel par- ticolare i Tespiesi. Ma di cotesta loro invidia , e tanto più contro della Teogonia dell' istesso Esiodo parmi ne sia stata cagione la stupida loro vanità di voler far più antica e mirabile la santità dell' Elicona , e la fondazione del villaggio di Ascra , pretendendo eglino, •he i primi a sagrificar alle Muse sopra quel monte e DI JACOPO durandi. 97 fondarvi quel vil!ano de' diritti non meno bar- hari. La verità vuol eh' io pigli qui la difesa di quegli agresti conquistatori troppo a torto in questo acca- gionati. Certo la caccia era per loro una passione fo- mentata dall' indole , dal costume , e talvolta dalla ne- cessità , e pregiandola inoltre come una immagine della guerra , ve n' escludevano i servi , i quali erano pari- mente esclusi dalla milizia : conformità di principi e d' idee tuttavia conservata da altre nazioni ancora bar- 'bare , e tra i medesimi selvaggi dell' America. Ma i Franchi nelle Gallie, e i Longobardi in Italia quantunque abbiano ritrovato gli antichi abitatori non troppo curanti la caccia ancoraché libera, non ne presero un pretesto Tl/(. PEL DIRITTO REGALE DELLA CACCIA, per escluderli , e nemmeno 1' uso frequente eh' e' n« faceano , servì loro di argomento per invidiarlo , e toglierlo agli altri. Né dalle leggi Saliche le più antiche tra quelle de' secoli mezzani * ^ nò dalle Longobardiclie si ricava , che noppur alle terre benefiziali dette feudali dappoi , ovvero a' possessori di quelle si fosse appro- priato il privativo diritto di caccia. Secondo la legge CCCXXX del Re Rotari •* il divieto di cacciare ri- sfretto era a' boschi , e alle selve del Re. In quelle poi de' particolari ove alcuno avesse tolto via gli sparavieri, il padrone del fondo potea ripigliarseli ognivoha gK avveniva di cogliere il rapitor colla preda , od in sul fatto, del che dovea rimanersi soddisfatto senza più. Adunque anche in Italia a' tempi de' troppo calunniati Longobardi era libera la caccia. Solamente se il pa<- drone di una selva segnava un albero , su cui gli spa- ravieri o falconi avesser fatto il nido , indicandolo a quel modo già da lui discoperto , e quasi-occupato , chi per avventura glielo involava , venia condannato in un' ammenda. Cotale riserva ristretta agli sparavieri non estendevasi punto alle altre fiere. Sono in ciò con- formi le antiche leggi de Franchi, Ripuari, Alemanni, Bavari , e Sassoni •**. * Un solo titolo vi ha in esse de ■\-enatioiiibus eh' è ■ il XXXVI , in cui iio« si proibisce altramente la caccia , ina soltanto s' infliggono pene pcciiniaiie a' furti e uccisioni di animali destinati a quella. ** Rer. Italie. Scriptor. t. 2 pag. 42. «#« Presso Lindcnbrog Cod. icgum antiquar. e segnatamente la Ii",^ge d<* Ripuaii tit. XLII. DI JACOPO DURANDI. n5 Laonde solamente i Re o sieno capi di coleste bar- bare nazioni riscrbavano gelosamente alcune selve a' privali loro piaceri, ed ei'ane ad altrui interdetto insino r ingresso. Il rigore era sommo , e l' istesso pio Re de' Borgognoni Gontranno, quegli, che sul fine del sesto eccolo tolse a' Longo})ardi le valli di Susa , e di Aosta, e le riunì al regno di Borgogna , vendicò bai'baramente col sangue di tre cittadini quello di una fiera uccisa in una delle sue selve , come attesta il più antico istorico della Francia Gregorio di Tours ( lib. io cap. \o ). La proprietà de' poderi unita alla libertà de' possessori non erasi ancora violata. La legge romana , che diede a' cittadini r arbitrio , trovandovisi presenti , di poter impediie 1' ingresso nelle propiie terre a'cacciatori, non per vincolare 1' esercizio di cacciare , ma per 1' intera libertà delle teiTe medesime , e fuor di tal accidente era lecito a ciascuno cacciar ovunque gli piacesse * , trapassò quasi tutta nelle leggi de' mentovati barbari. Carlo Magno creato Imperadore rattemperò d'assai in tutto r imperio gli eccessivi rigori dei Re franchi in fatto di caccia nelle loro foreste. Non esigette anche dalla istessa plebe nulla più del valore della fiera uccisa in qualunque delle sue selve patrimoniali **, moderazione * Xec Interest [eros hestias , et vofucres quis caprai in suo juiido , tiut in alio. Instit. lib. 2 tit. 1 , §. 1 2 , 1. 1 e 2 ff. de acquir. ttt. domin. ** Capitolare i dell' 802 cap. 39 nella raccolta di BaliizJo, e nel cargus jur'is Gtrman, antiq. col. 642. ufi DEL DIRITTO REGALE DEt.LA CACCIA, non imihnta mai eziandio ne' secoli più colli e moderni. Continuò ad esser libera da cotal suggezione 1 universa- lità de' territori. Appare bensì dal famoso capitolar» de iillis Caroli Magni eccellente modello di prudenza, di ottima amministrazione, e di economia domestica % fatto in tempo eh' egli era di già Re de' Longobardi , ma non ancora Imperadore , che i cacciatori e falco- nieri palatini , i quali facean la parte più numerosa della corte dei Re franchi , erano ben sovente sparsi per le province, affin di fornir la coi*te di cacciagione, ma non recavano disturbo niuno od impedimento alle usate cacce de' provinciali. Allorché il salvaggiume era scarso nel centro del regno , commettevasi a' duchi , cioè governatori delle province limitanee di prove- derne la corte , e si spedivano a cotal uopo alcune truppe leggieri dinominate a vicenìla sagittari e caccia- tori. Provedere al costoro comodo , e de' falconieri era incombenza de' giudici fiscali , che sopi-intendevano alla conservazione delle regie selve , e de' cani da caccia ( ibid. cap. Bj). Non ostante cotesta loro sopi-in tendenza essi, e nessuno de' vassalli fiscali, o sia del regio patri- monio non poteano cacciar nelle terre , che tenevano in benefizio dal Re in compenso de' lor servigi , e del governo de'regj poderi, peixhè di cotai benefizi avean l'uso, e non 1' usufrutto (ibid. cap. 5o ). Altro loro * Ibid. col. 607 e segg. DI JACOrO DURANO!. I I7 carico era il riscoteie 1' annuo censo in falconi , e spa- ravieri , cui eran tenuti pagare tutti i possessori di selve ( cap. 36, e l\^ ). Talché tuttavia sotto Carlo Magna qualunque proprietario, e chi teneva beni in usufrutto, godea della libertà della caccia, e del porto delle armi, come lo accordava la legge Salica. Mantenne Carlo Magno tanto più in Italia cotesta libertà , ed il medesimo regolamento. In una sua lettera scritta in circa l'anno 807 al Re d' Italia Pipj^ino suo figliuolo • gli raccomanda di vegliar su la condotta de' suoi ministri ed ulliziali , e su le indebite esazioni, od estorsioni loro , e frodi , tra i quali annovera i jalco— nitri, e cacciatori sparsi come gli altri uffiziali ed esat- toli pel regno d' Italia. Sono inevitabili bene spesso almen le minute coloro vessazioni ,- e rapacità inverso i popoli, ma non appar che nella pratica del cacciare osassero molestar gli arimanni , cioè gli uomini liberi., né chicchesia altri n* avesse la facoltà. Anzi per tutto 1 impero era così grande in ciascuno la cupidità della caccia, e la frequenza di essa, che ad agevolarla vie più , e accrescerne il piacere , di tante selve già di so- verchio propagate su i fertili campi , e su i ti*ist£ avanzi, e le rovine di luoghi un dì popolosi, n' avean ridutte parecchie a foreste, nelle quali più specialmente * Presso Baluzio Cajiitular. Reg. Francor, t. I pag. 461 ^ e Rer. Italie. Scrip. t. 1 pait. 2 col. 112. , Il8 DEL DIRITTO REGALE DELLA CACCIA, s' intertenevano , e nutiivansi le fiere , le quali multl- pllcavano 9 pregiudizio degli uomini. L' istesso nome di foresta , come sembrami più verisimile a preferenza di altre forzate etimologie , derivato dall' antico teuto- nico furen pascere , nodrire , siccome pur osservò il dotto Gioan-Giorgio Wactlier nel glossario germanico antico , ne dimostra la sua destinazione. Qualunque selva poteasi mutar in foresta però con 1' autorità del Re , a cui solo spettavasi accordarne il pi-ivilcgio. Il gius di ajforcsiazione , o di afforestare , come barbara- mente appellavasi, ha preceduto i tempi de' Carolinghi, p non solamente molti signori , ma molti particolari possessori di selve, e poderi l'avevano ottenuto, ovvero usurpato , quando \ Impei'ador Lodovico Pio nel capi- tolare IV deir7 19 ordinò non si creassero nuove foreste, e si dimettessero quelle istituite senza privilegio di Carlo Magno suo padre ' ; ma intanto non si toccassero quelle destinate al servizio suo , cioè non si levassero di là entro le fiere , o si disperdessero, come ordinava farsi delle altre , che ciò e nulla più vuol dire ivi d imi t fere. Mi pare strano abbiano alcuni immaginato, che quelle parole insliliiere , e dimlttere le foreste equivalgano a * Cap. 7 de forestibut noviter institutis ut quicumque iUas hahet , dì' mrttal , itisi forte judicio veraci estendere possit , ec. presso Baluzio ibid. t. 1 pag. 600 , e Labbe Nova Coiect, Conciliar, t. XIV col. 414 , e nel Cor- put jur. German. antiq. col 834. DI JACOPO DURANDI. Hr^ traplantavle , e svellerle , od abbatterle , e quindi pre- euppongano si dovessero diradicar le selve a favore dell' agricoltura. Dirò da costoro ignorarsi che si fosse afforestare y e infatti malamente lanno pur siuouime foreste e selve come fecele 1' uso moderno. Il mento- vato ordine di Lodovico Pio fu geperal precetto : il rinnovò con altra legge pubblicatasi segnatamente per Italia, ed ai conti, o governatori delle province co- mandò di non più istituir foresta nessuna , e dimetter le nuove senza 1' autorità sua istituite * , cioè a dire disforestarle , o levar d'indi le Cere intertenute, e no- drite per le caccie. Tornano i medesimi termini , ed invero m' incontrai più volte nelle carte de' bassi tempi a trovarvi instituere , ed institutiones adoperati in vece d' imporre , stabilire , ordinare alcuna cosa , comecliè questi vocaboli appena si ti'ovino ne' glossar) della barbara latinità, ne' quali non pare possibile registrarli tutti , o in tutti i significati. Di qui pur si raccoglie , che i conti non altramenti ordinavano le selve in foreste se non come delegati , e comniessarj del soviano. Ma posteriore sembrami a' tempi de' Carolinghi il cerimo- niale praticatosi nella istituzione o creazione di una selva in foresta , per cui si usava nell' istesso regio di- ploma disegnarsene il rito , nominando ad un tal uopo alcuni uomini savj e pratici , i quali visitavano la selva, Leg. 49. Rei-. Italie. Scvìpt. t. i pare, e pag. 1^3. ■I20 DEL DIRITTO RECALE DELLA CACCIA, ne stalnlivano i couCni , e i limiti , vi riponcano i tennini , poi de' banditori a nome del Re pubblicavano in tutta la contea , nella quale giaceasi la disegnata fo- resta, il divieto a chiunque, e al conte medesimo, e ad ogni altro i-egio uifiziale di qualunque grado ei si Tosse, non che di cacciare , ma neppur di enirar in quella , e tantomeno entrarvi con cani , con falconi, con r arco , od altri così fatti strumenti ed ingegni. Quindi se ne formava solenne atto, e registravasi nella cancelleria del Re. Cotesta pubblica cerimonia giovò a togliere o scemar gli abusi , insintantochò i conti , ed altri maggiori vassalli furono meno indocili , o meno assoluti nei loro governi. Ciò che degli antichi GalH e Germani dissero Cesare llb. VI , e Tacito de morilus German. quoiies bella non ineuni, multum venationibus iransìgunt , è parimente da dirsi di loro , e di altre nazioni nelle mezzane e basse età. La caccia , e la fa- cilità di ritrovar più raccolte e copiose le fiere nelle foreste era una comune delizia in tempo di pace , e r unica occupazion de' signori , i quali per un co tal loro fasto non comparivano quasi mai in pubblico senza portar in mano il falcone. In si gran pregio r aveauo , che per legge era vietato cederlo anche per prezzo della propria liljertà , segnatamente appresso i nostri Longobardi *• Chiunque poi avesse altrui involato *_Lege6 Longobaicdoi. ibid. leg. XVI pag. 129, Dr JACOPO BITRANDI. " 121 il falcone , doveva in pena lasciarsi divorar da quello sei once di carne su la parte più carnosa del coipo ( sìipertcstones ) , o pagar grossa ammenda *. < Fuor della dislinzion capricciosa di comparir dovunque col falcone in mano riserbata del tutto ai signori , poteano però usarne gli uomini lilìcri , recandosi a caccia a loro piacimento. Con tanta avidità e frequenza vi attendevano , che con iscandolo grande del popolo v' impiegavano interi anco i giorni festivi , ed i conti insino i giorni stabiliti a tener i piacili , cioè a render ragione ". Non n' abusavan meno i vescovi , e gli abati de' monisteri fattisi anch' essi guerrieri e cacciatori ., come signori di varie terre , dacché su lo scader del settimo, o al più tardi nello entrar dell' ottavo secolo incominciarono i barbari a intrudersi negli ordini sacri, e a contaminar il clero co' barbari lor costumi, e eoa r ignoranza loro. Noi siam ragionando trapassati ben di qua dell' età di Carlo Magno , ed in nessun luogo ritrovammo conteso il cacciare se non ai servi solamente , e siamo tuttavia lontanissimi a vedervi nascere il regale diritto, di cui si cerca 1' origine , o sia quando e come nascesse, sebben dai più si presuma tanto più antico , 1' uria cosa confondendo con 1 altra. Ma sotto i deboli successori * Lex Burgondiottum additam. I, tjt. II corpus 3ui^*Gc<^"i5EL DIRITTO REGALE DELLA CACCIA, Luigi IX, i quali osarono inseguir un cervo infino sulle terre d' Inghirardo di Gouey , ed ivi ucciderlo. Quel signore feccli tutti e tre impiccar per la gola , DÒ valse che il Re disapprovasse cotanta crudeltà *. A misura che vennero scemando i possessori degli allodj , e per conseguente niultiplicaronsi i servi , e gì' infimi e i rustici vassalli , scemò il numero de' cac- ciatori , o sia di chi avea dritto ed uso di cacciare. 'Nò giù tutti gli anelli dell' allungata catena del vas- sallaggio ritennero 1' uso della caccia nemmeno nei loro sufTeudi , se non quanto il solTerivano i lor mag- giori. Il popolo incallito nella servitù appena sapeva accorgersi de' torti, che gli venivan fatti. Il dispoti'^mo cosi più diviso , e minuto avea negli animi degli uni introdutto 1' avvilimento , e negli allii quello spinto di violenza, e di anarchia , che gli è proprio. Ogni relazione ed idea di diritti e di convenzioni tta il si- gnore, e il suddito o servo era pressoché estinta , ed eravi succeduta l'idea di timoi'e , di dovere, di forza. Un governo cosi fatto era a un di presso comune quasi per tutta Europa, e troppo più proprio a mul- liplicar i tuìnulti degli stati civili , e le divisioni, che del continuo li dilaceravano. Nulla di meno la sovra- nità comunque cosi inceppata , e in apparenza oiaaiai poco gelosa di tanti suoi diitti già perduti, o andava De flilioy /,yj;n. hlstj/ij. de la ikaIìqh de CvKy> DI JACOPO DUP.ANm. 1 2 li perdendo alla giornata , seppe conservarsi iu molte province alcune selve patrimoniali , o fiscali , dette al- tiamenti pubbliche , ovvero dello stato. Esse non vo- glionsi confondere con le selve comunali , come per alcuni si è fatto , nelle quali manteneasi comunanza di pascoli , e talvolta anco di caccia , e ciò non ostante parve talor a' sovrani di poterne disporre, e ne dis- posero taloi'a a pregiudizio del popolo, come delle pubbliche , o fiscali ben sovente fecero a prò di fa- voriti, oppur di chiese. Usavano pur tuttavia dell' autorità loro ancoraché talvolta contrastata , o rimasa ineflicace di permettere ad alcuni cittadini la caccia in luoghi determinati, e circoscritti, o ne' beni propri di ciascuno, ove per rigor di costume, o per abuso de' maggiori vassalli , o per altra condizione n erano esclusi, oppur anco di permetterla agli uomini tutti di una comunità per motivi ragionevoli , e il più so- vente per distrugger lupi ed orsi , od altri animali anche innocui, però cresciuti in troppo gran numero, e quindi infesti alle campagne. Ma sopra tutto 1 opinione pubblica, e 1' ombra ancora della su^arema autorità parve sola capace, e la più imponente agli occhi del popolo a rendere come sagre ed inviolabili le selve col suddivisato rito ridutte a foreste, rito forse invidiato, ma non usurpato mai palesemente dai rivoltosi conti, ed altri signori, benché da loro profanato alcune volte, o violato a danno de' più deboli. Da questa prerogativa dei Re nei burrascosi bassi tempi tuttavia conservata ieS del nmiTTo recale della caccia, pigliò sua mossa ed origine il gius forestale indiviso già da quello di caccia, e preparò e concentrò finalmente nei soli Re, e principi sovrani il regale diiitlo, di cui si favella, nato quindi molto più tardi della toltasi al popolo libertà di cacciare. Un fatlo così apparente , elle risulta eziandio dalla serie di molti altri, non ha potuto altramente sfuggire , come pure sfuggì alla sa- gacità di tanti dotti scrittori , se non perchè in una j-icerca di puro fatto vollero piuttosto cavar sottilmente dal proprio ingegno speculazioni, e discorsi arrischiati, e conghietture , trascurando la fastidiosa indagine dei fatti cui r ingegno non può supplire , e smentiscono quasi sempre le conghietture, e i discorsi. Ma in questo neppure dai fatti si seppero ogni volta dedurre le debite conseguenze. Cosi la quantità grande di vecchie carte e diplomi singolarmente dei Re , e Imperadori di Germania , che contengono donazioni di foreste e selve con peculiari privilegi di caccia , fece immaginare a parecchi scrittori di quella nazione imitati poi, o copiati da altri, che il solo Imperador di La- magna Re de' Romani anche per tutto il corso de' secoli barbarici abbia di fatto riunito nella sua persona il gius della caccia, e delle foreste sia anche sopra tutte le terre de' particolari , e quello di poterlo altrui comunicare e concedere, senza alienarlo giammai da se, o scemarlo, partecipandolo ad altrui *. A comprovar * Veggasi infra molti altri il baron* d' Icltstat opuscula jur. varii argumtn. t. I o^usm!. IX , pag. 59^ e seg. / DI JACOPO DURAKDI. t'ZJ sì fatte cose adoperano alcuni imperiali diplomi , e molti pili potrebbono adoperarne , ])oichè tulli simi- glianfi, ma singolarmente uno di Arrigo IV del 1062, pt'r cui alla chiosa di Amburgo ha conceduto la ragion della caccia in una vasta foresta di quella contea, luor solamente dei tratti e siti , nei quali era già stata altrui conceduta dai precedenti imperadori. Ma tutto ciò noa giova punto a comprovar neppur tina delle proposizioni de' mentovati scrittori. Era quella una selva pubblica o fiscale non ancora usurpata dal conte del paese, né solamente in Lamagna, ma sippur altrove faceano i sovrani delle donazioni di questa specie, come poc'anzi notammo, e talora per prevenire, se lor veniva fatto, le usurpazioni dei conti, e di allri gran signori. Però neir accordar colali largizioni nt in Lamagna, né altrove era sempre libera la volontà dell' imperadore , o di qual altro piincipe sovrano nemmeno intcM-no alle selve comunali, nò potevale a modo suo sempre afforestare senza I' assenso del conte , nel cui territoiio giaceasi la selva. Assai esempli di ciò mi caddero sott' occhio , e per non uscir di Lamagna trasceglierò due pregevoli carie della cronica de' vescovi di Minden nella raccolta di Pistorio *, le quali mettono in chiai-o questa circostanza. L'una del 99 i è del terzo imperador Ottone di donazione ? Script. Rer. Germanie, edizione di Stcìiviu t. Ili pag. 821 , S21. 128 OEL DIRITTO RECALE DELLA CACCIA, di alcune sue foreste al vescovo stesso di Mtndcn , e oltre a ciò di una selva comune. Ad autorizzare il dono di questa v' intervennero , e 1' approvarono il duca Bernardo conte della provincia , e i provinciali mede- simi. Tutti costoro consentendovi , 1' impcradore im- presse alla selva il dritto di foresta. L'altra carta è di Corrado il Salico del 1025 a prò del vescovo suddetto, accordando pure il privilegio di foresta ad una solva situata nella contea del mentovato duca Bernardo , avendovi acconsentito esso duca e conte, e gli altri cittadini , i quali godevano innanzi comunanza di caccia in quella selva. Laonde neppur in Lamagna era ne' mezzani e bassi tempi sempre libei'o all' impcradore di accordar 1' uso della caccia a sua fantasia , eh' è ben altro che pre- tendere n' avesse egli solo 1' universal diritto. In La- magna come per lo più anche altrove la caccia era divenuta una specie di giurisdizion parziale , ed una servitù rispetto alle terre , la qual non cadea nel com- mercio de' privati. I semplici nobili di origine per lo più come gli altri particolari segnatamente iu Germania non potevano cacciare nemmea nelle proprie selve, perclV elle servivano a quella specie di giurisdizione conosciuta sotto il nome di alta giustizia , del che ve n' ha molti esempli. Ma senza cercarne altrove , gt' istessi scrittori , che hanno fatto l' imperador di Ger- mania la sorgente precipua ed unica di questo diritto, ce ne forniscono più d' uno anche nelle età "meno DI JACOPO DOTANDI. Ttg remote , e meno disastrose e barbare. Certamente è molto nolaJiile quello di Andrea vescovo di Erbipoli , o Wurtemburg nella Franconia, il quale ancora nel l3i2 come signor del territorio infeudò a due nobili 6uoi cugini il diitto di cacciare entro i limiti de' pro- pri loro boschi e poderi , e di tenervi un vivaio di fiere ( hortum ferarwn ) , riserbatasi a lui , e a' succes- eori suoi la libertà di cacciar in quelli, o mandarvi cacciatori *. Altri posteriori impellali diplomi come di Carlo IV , e Federico III si adducono dai sopraccitati ecrittori, ma se non sono del tutto contrari all' opinione loro altrettanto che quello del vescovo di Erbipoli , almen non l'appoggiano, né la sorreggono, perciocché 6i appartengono ad una età , in cui a favor dell' im- peradore , e de' suoi co-stati eransi di già formate le leggi intorno alla regalia della caccia , il qual diritto è molto lontano da poter vantare cotanta antichità , come infra altri piacque al dotto Conringio di attri- buirgli. Confondendo pur egli i fatti e divieti parziali , ed abusivi col di poi introdutto diritto , ne fa risalir la regalia di sopra i tempi di Carlo magno ", quando i Germani ritenevano ancora assai degli agresti costumi, e della libertà degli avoli loro. Ben altre circostanze non comuni a verun altro * D'Ickstat loc. cit. *♦ Di Rcpublictt alititi, vtter. Ctrmtnior. t, x Conxingianor. pag. jj. l35 DEL DIRITTO REGAIJ! DELLA CACCIA, paese ocx;orrono nel particolare dell' Italia. Si potò più «opra essere stata libera la caccia sotto la sigaorin da' Longobardi , e selamente le selve del Re furono inter* dette a' cacciatori di ogni condizione. La maggioi-e e più Ifimosa di quelle selve , e altresì la più frequentata dai Re Longobardi giacca nelle vicinanze della odiern» città di Alessandria , il cui sito verisimilmente t«»vavasi allora pur ingombrato da quella slessa vasihsima syh'a vrbs da Paolo Diacono più volte ricordata. Era dessa cosi dinominata , perchè costeggiava a dilungo il fiu- micello Orba , ma di molto più estesa alla diritta del suo corso , dove poi disboscati più siti e di mano ia mano diradicandosi la selva , sursero alcuni villaggi , che han preso il nome da vari tratti della medesima. Sussisteva ancora ne' secoli nono e decimo. 11 famosg in oggi luogo di Marengo quasi in testa di quella selva dal lato di tramontana era allora una villa reale pep comodo della caccia, ed avean continuato i Re Franchi a godersi 1' una e 1' altra , durante il loro regnìo in Italia ; onde ancor dell' anno 865 Lodovico II datò di li ( actum Maringo curie regia ) la carta di dote per Angelberga augusta *. Ne fecero altrettanto i succeduti Re Italiani , e ritroviam nell' 898 il Re Lamberto in iSIarinco iam alquantis diebus venationi vacabat , allor- ché intese venirsi i partigiani del suo rivale Re Beren- '' Antiqutt. Italie, t. x col. n; e segg. DI JACOPO DTTRATJDI. lo| "gario I ad attaccarlo, come rticconla 1' isterico Liut«- prnndo *. Cotesfa sì vasta selva abbattula qua e là tocir iindccirao. secolo in gran parte dagli uomini accorsi e labbricai-si quei villaggi, si occupò dai medesimi, i quali senza richiamo del fìsco, o di altri cotanto at- tesero a distruggei'd i moltiplicati cinghiali, ed a cacciai' le altre propagate fiere, che infine le spensero. Bensì •cominciavano allora a fermentar negli animi de' nostri popoli le idee di libeiià. .'■'ì; u.:l, t Sotto la signoria dei Re franchi i contf pi\t qui «ta])iliti da Carlo magno al governo delle province e' ingegnarono trapiantarvi i costumi e gli Usi invalsi ^ià di h\ dell' alpi anche in fatto di caccia; Altresì i vescovi nostri , e gli abati monastici divennero batta-* glieri e cacciatori, abuSO però non comune almeno a' prelati italiani di origine infino oltre la metà del secol nono , come ricavasi da utla lettera di Papa Ni* colao I rapportata da Graziano ( disiinct. 34 can. i ), ■Ma è vero , cbe pochissimi erano a quel tempo in Italia i vescovi e gli abati di origine Italiana , ed ia quelli non più la dottritia , opput* la pietà , ma pre-^ giavansi le qualità di soldato , o di cacciatore. Not^ tingo vescovo di Verdelli appunto verso la metà di o pagensi, i quali prima non erano che vlcarj do' coni f urbani. Ricondusse parimente varie ciltù , e comuni quasi air antica cundi^Ion de raunicipii , e sopra tutto ingrandì ed arricchì il clex'O di già ricco e grande, pei opporlo ai conti e ad altri gran signori. Lusingavas» di trovar negli ecclesiastici docilità e fede , e non ara^ bizione , ed avarizia. S' ingannò , come pure i tre im- mediati successori suoi, che 1 imitarono. Cotali sul Cnii' del secol XI furono i germi della rinata libertà de' comuni di Lombardia , e del loro entusiasmo per di- fenderla. Di modo che nella dieta tenutasi poi in Roar caglia sul Piacentino nel il 58 stettero fermi i l'appre-» sentati della lega di Lombardia a dìniegare all' imperador Federico I il dritto di caccia , oh' ei pretendea spettarsi all' imperio. Allegarono, e fi-ancamente sostennero f comuni r antic;o lor possesso di libertà della caccia* cioè a dire risalendo almeno insin al regno di Arrigo IV. Quindi nel decreto concordato in quella dieta in-? torno alle regalie dovute all' iroperadore non si anno-» vero la caccia *. Questa ommissione dal canto dell' imperio così in- volontària indusse dipoi in errore non pochi giurecon* «uUì> ed altri, i quali non trovando compresa la caccia nel novero de' dritti regali ( Feudor. a tiL 56^, ed ignorandone la cagione , la tennero per una regalia '•■ Radcvico lib. 2 cap. %, Rer. italic t. VI pag. 787. lo6 DEL DIRITTO REGALE DELLA CACCIA, affatto moderna. Altresì ignorando , che allora la libertà della caccia era soltanto riconosciuta nei territorj dt-lle città della lega di Lombardia , vollero di qui tirar degli argomenti in prò di altri paesi , dove questa re- galia erasi già stabilita , ovvero preparavasi come in Germania a' tempi di Federico I, talché i suoi com- incssaij mal sofferivano n' andasse Italia esente. Perciò singolarmente nel ii65, come narra il cronista Ottone Morena * , essi tentarono infra altre estorsioni , che praticavano in Lombardia , rivendicar all' imperadore la ragion della caccia , e multavano nella roba , e sin anco nella persona chiunque ne usava liberamente. .Coteste vessazioni furono poscia disapprovate , e di- chiarate abusive nell'articolo XV della pace di Costanza. A rinnovarne gli abusi succedettero dipoi agl'imperiali ccmmessarj nel turbinio delle fazioni , e nelle ognor rinascenti civili guerre i moltiplicati in ogni lato si- gnorotti e castellani , i quali studiavansi nelle loro tei-re imitar i gran signori , e tutto ciò ritenere , che quelli «' aveano usurpato. Se non vi riuscirono setnpre , fu perchè in molte occasioni non osavano cozzar col po- polo. Arrogandosi il più che potevano il diritto di cacciar in tutto il lor disti-etto , lo prepararono pei sovrani succeduti poscia alle agitate repubblichette ita- liche, quando a quelli si sottomisero altrettanto i comuni. * Rei-. Italie, t. \% tol J127. DI JACOPO DURANDI. l37 e i signori con le loro terre , e castella , e le ripresero da quei sovrani novelli mano a mano sotto la sogge- zione di feudo. La prerogativa di poter cacciare benché molli del popolo ancora n' usassero di fatto , non ca- dea già più nel commercio de' privati. Quei signori se r erano a])propriafa o come riunita alla lor qualità o come seguela e ragione del lor territoiio, e senza più attendere al vecchio rito peculiare ai soli principi di ordinar le selve in foreste , osarono talora bandir di- vieto di caccia , anche là dove il principe a prò di altrui r avesse innanzi fatta libera. Del che un nostrale esempio molto bene può chiarirci , quando i viceconti di Baralonia signori pur di Villai'fochiardo in vai di Susa , nel cui territorio erano incassate le montagne di Monbcnedelto , e la valle Orsaria donate con ogni diritto insin del 1197 dal conte Tommaso I di Savoia (Sovrano in vai di Susa alla Certosa di Monbenedetto, «i fecero a contrastar a questa in ogni modo la ragion di cacciare , e di permetterla ad altrui. Dopo lunghe contese accordarono nel iSoy fosse libera al monistero la caccia de' piccoli animali, e altresì quella degli orsi, cinghiali, e camoz/e, che allora popolavan que' monti e boschi, nel solo caso però, che dessi fosser presi da alcuno della famiglia del monistero medesimo , ma gli estranei dovessero de' grossi animali uccisi ne' men- tovati luoghi darne il quartiere , o quarta parte a si- gnori •. ^ V. Marca cU Torino pag. 154. l58 DEL DIRITTO REGALE DELLA CACCIA, Però in Italia ò stata in questo molto meno strotta la servitù, che non altrove. La vanità, ed il capriccio de' potenti bene spesso la compressero , 1' allentarono, allargaronla. Quando poi su le rovine dell'anarchia feu- dale , la qual' entro di se nutriva il germe della sua distruzione, riposarono più fermi i governi, e i sovrani tutti antichi e nuovi, riunirono ben essi nelle loro maiù le prerogative d' ogni maniera , che divennero poscia altrettanti diritti indivisi dalla corona, parecchi de' quali, come quel della caccia, s'impressero, a così dire , su i territori stessi , e vi si perpetuarono. Tante foreste tolte al commercio degli uomini, e riserbate ai piaceri di pochi ingombravano a que' dì le terre, che dove per autorità del principe furon disfatte , dove più o meno conservate. Nelle une e neU' altre fecero i Principi rivivere ne' popoli inviliti dalla servitù »• ^ ^ Lb. Il, cap. TIII teore asserisce chiaramente, che un Terremoto avea devastata una regione della Liguria; né so perchè il Carena medesimo voglia trasportare questa regione di là delle Alpi presso Marsiglia , piuttosto che lasciarla , come pare che sia il senso più obvio , nella Liguria propria. Anche nel nome di taluno de'fìumi , che ir- rigano il Piemonte , ed in quello che ritengono ancora alcune Montagne delle Alpi marittime, vi fu chi trovò motivo di sospettare antichissimi incendj tra quei dirupi. Confessar peraltro si dee, che semplici congetture sono coteste ; e ad ogni modo , qualunque caso far se ne voglia , i-iguardano tempi Favolosi , ed antericn-i a tó8 RICERCHE INTORNO AI TERREMOTI DEL PIEMONTE, quelle Memorie, che meritamente possano chiamarsi Storiche. Reliquie di estinti Vulcani parve ad alcuno di vedere ne'contorni della Città d Ivrea in certi La- ghetti, ed in certe annerite pietre, ma alla giacitura di que' colli , ed alla azione del sole e dell' umido pro- pende ad attribuirne l'origine il Collega nostro il Signor Durandi Marca .Iacopo DuRANDi , massimanicnte che il carattere inte- à' Ivrea, I. I, . . . r • i p^fi- 43. riore di quelle pietre non sembra favorire la supposta origine Vulcanica. Alla classe delle Memorie Storiche comincia ad ac- costarsi quanto narra Celio antico Storico Latino presso Cicerone *, che, mentre il Console Flaminio combat- teva, con così avversa fortuna, al Lago di Trasimeno contro Annibale, vi furono così grandi terremoti nella Liguria, nella Gallia ed in tutta Italia, che molte Città ne furono distrutte ; la terra si aprì in voragini , ia più luoghi, i fiumi si ritirarono verso le sorgenti loro, ed il mare entrò nel loro Ietto. Ma qualunque credito accordar si voglia a quel Cronista Latino, siccome la Liguria a que' tempi sì ampiamente si estendea , noa si può affermare , che Celio , parlando in genere di quella Contrada , abbia inteso di far menzione speciale • Cic. de Divlnatione Ub. I num. XXXV. Magnum illud etiam quod ad- didit Coelius, eo tempore ipso , ciim hoc calamitosum fuerit praelium , tanto» terrae raotus in Ligurlbus, Gallia, compliiribiisque Insulis, totaque in Italia factos esse, ut multa oppida corruerint, multis locis labes factae sint, terrae- que desederint , fluminaque in contratias partes fluxetiiit , atque in amnM mare influxerit. DI GIANFRANCESCO CALEANI NAPIONE. I^g dell' antico Piemonte. Egli è vero però, che passando a tempi posteriori, quando sentiamo ricordare antiche Città famose , che erano in Piemonte, mentre l' Impero Romano fioriva , ed ora giacciono sepolte nelle loro rovine tra 1' arena e l'erba , come segnatamente e In- dustria e Polenza , potrebbe nascere sospetto , che uà qualche Ten-emoto le abbia atterrate e distrutte. Ma chi ha scorse le antiche Cronache e le Carte de Secoli di mezzo ben si convince , che alle vicissitudini delle cose umane, ed alla rabbia degli uomini , e non degli elementi , attribuir si dee la distruzion loro. Nella decadenza degli Imperatori Carolingi, e ne' Se- coli Monacali e Feudali , che tennero loro dietro , gli uomini si riparavano in gran numero attorno alle Castella ed ai Monasterj, lasciando in abbandono le Città devastate dagli Ungri , da' Saracini , e da altri Barbari. Quindi, nati in Italia i Comuni , quelle Repubblichette, dopò di aver soggiogati i ^ignorotti Castellani, e dis- v. Duranti , „ , . ,. - Cacciai. Polle». trutte le Castella, si lacerarono tra di loro: e non tini, pag- s; , pochi sono gii esempj, che que' dispettosi Repubblicani ordinavano per legge di distruggere, e traspoitar gli abitanti da un Luogo all'altio; anzi talvolta di spontanea volontà tal cosa facevasi. Un solo esempio basterà pec dimostrare con quanta facilità dagli abitanti stessi le proprie case si distruggessero, e come, non altrimenti che se di campi militari, o di padiglioni di Tribù di Arabi vaga!)()udi si trattasse , da un Luogo passassero le intere popolazioni ad abitarne un altro. Racconta l5o RICERCHE INTORNO AI TERREMOTI DEL PIEMONTE, Mfmor Cuiiei. l'esatto c vcncUco Cronista Astigiano Guglielmo Ventura, K. ). Tcu;. XI, che eli uomini di Settimo, volendosi levare dalla giu- lisdizione de' Feudatarj loro , distrussero di animo de- liberato tranquillamente le case che erano attorno al Castello , e le riedificarono sopra un vicino poggio nel Territorio del Comune d' Asti, che prese tosto la pro- tezion loro. Ecco con quale facilità si rovinassero ne' tempi di mezzo le Città e Castella antiche per edifi- carne delle nuove. Non già i Terremoti , ma questi costumi ed usi ridussero al nulla ne' Secoli Undecime , Duodecimo, e Decimoterzo tanti Luoghi famosi a' tempi Romani. Per recarne pochi ma notissimi esempj e Cuneo, e Alessandria, e Possano, e Mou calieri, e Brà, e Cherasco , e Mondovì , e tante altre Città e Borghi cospicui del Piemonte nacquero dopo il Mille, e creb- bero di popolazione a costo delle Città e Vici Romani. Del resto ognun sa, e vede per la giornaliera esperienza, che, tolti i tetti, i legnami ed i metalli dagli edificj, in pochissimi anni rovinano le mui"a più alte, e scppel-» liscono, non altrimenti che i Terremoti si facciano, il pian terreno delle case , che conviene; poi per via degli scavi trar fuori, quasi dalle viscere della terra, alla luce del giorno. La Storia adunque, rispetto alle Città antiche dis- trutte del Piemonte, c'insegna in un colle Carte e Diplomi, che a cagioni ben diverse da' Terremoti attribuir si deve la loro rovina. Ma venendo finalmente a' Terremoti, Storico uè Cronista contemporaneo , che io sappia DI CIAKtAANirìRSCO Ò,\r.6ANt TSfAPIONE. l5f Heisuno vi ha, il quale ci abbia conservato memoria,' -TOK»?0 Al TERBEMOTI DEL MEMO>TE, a quella, che leggesi nelle Storie Fiorentine del Ma- E^i.^^.. CHiAVELU di una Tempesta di venti , che imperversò r.r^'!ii°j8»"» Toscana intorno al Castello di S. Cassiano nell' "^ '' am]o i456, con portar via i tetti, rovinar case, e sradicare tutte le più grosse querce, e gli alberi piìi gagliardi. Forse, presupponendo il Barisaso, che chi leggerebbe la sua Vita della B. ^Margherita, non avrebbe letto mai le Storie del Segretario Fiorentino, credette di poter a man salva trascrivere quel tratto. Ma sento ^^^ ewana^g UH Letterato nostro , perchè comparisse ad evi- denza" il plagio , e le poche variazioni fatte dal mo- derno Autore, per adattare un saccesso accaduto in Toscana alla Città di Alba , fece stampare la descri- zione del Machia vKLia, ed a fronte quella del Barisaso. Che che poi dir si voglia del minacaato disastro , e della prodigiosa liberazione da esso, di un turbine, « ncD di un Terremoto si parla dal Barisa^^o. Ma di Terremoti, s^iza dubbio nessuno, e spaven- tosi , e frequentissimi parla l altro Scrittore da me sopra accennato r voglio dire il Ghh-i^'I ne' suoi AnnaS d" Alessandria. Non meno dì dodici Terremoti furono quelli , se dobbiam credere al Chiusi , che si fecero •enlire in Alessandria dall' anno 12^2 sino alT anno 1644» ^ in parecchj di questi Terremoti, rovine di edifici , e morte di persone. Ala qual fede si meriti il Ghiliki , che , nel silenzio di tutti i Cronisti e Storici contemporanei , senza citar documeato veruno , né Scrittore, teoae registro di tanti Terremoti , se|^ti DI GIANFRAKCESCO GALEAKI KAPIONE. 1 53 centinaja d' anui prima eh' Egli vivesse, il giudichi chiunque ha fior di senno. Tanto più che le scosse di cui park Egli pure, che si sentirono in Alessandria dopo l'anno iGoo, e di cui poteva Egli aver memo- ria, furono leggerissime, e quella dell'anno i644» c^ie chiama terremoto gagliardo , e da cui impaurito, in- dagator troppo sollecito d' immaginar] Tei'remoli Egli divenne , non cagionò , siccome Egli medesimo confessa, danno veruno agli edificj. E che questi Terremoti di Alessandria non abbiano recato pregiudicio notabile alla Città , Io persuade viemmaggioimente il non tro- varsene un menomo cenno nella voluminosa opera del !^Iarchese D. Marcello Bonito intitolata, coli' enfatico stile de" tempi in cui scrivea , Terra Tremante, Opera dove con Erculea fatica trovasi raccolta ogni memoria di Terremoti, ed in cui al certo non si tralasciò di fare registro in ispecie di lutti i Terremoti, che si fe- cero sentire in Italia *. * Terra Tremante ovvero Conti muti! one di Terremoti dalla Creazione del Mondo sino al tempo presente del Signor V. Marcello Bonito Mar- chese di S. Giovanni, ec. , Napoli lOgi in 4.*" di pag. 80S. , Tra le opere del dotto Monsigiiure Ciampini, secondo che «arra nella Vita di lui l'Abate Vincenzo Leonio ( Vita degli Arcadi Illustri. Tom. II, Roma 1710, pag. 252 ), ve ne ha una, che ha per titolo: De Teiremolibus plii- losophica et historica narratio , cum eorundem ac coelestium phenomenon, nec non diversorum Terrae, Marisque effectuum chronologica descriptlone, ab anno VI ante Christi Nativitatem. Ma è rimasta inedita sì fatta Opera, come tante altre degne della luce delle stampe , mentre si miilttplicanu le edi- zioni di tanti Libri od insulsi, od eziandio perniposi. , U I 5.f RICERCHE INCORNO Al TERREMOTI DEL PIEMONTE, Sta pertanto fìssa ed incontrastabile l'asserzione, che non si hanno Monumenti storici coevi, i quali atte- stino , che in Piemonte il Terremoto abbia cagionati danni eguali a quelli , che si sono dovuti provare al presente. Nò è da dire, che trascurassero i Cronisti di tenere registro di si fatti terribih evenimenti: perciocchò d'ogni meteora, d'ogni fenomeno alquanto straordi- nario, che a' tempi loro apparisse, faceva ognuno d'essi Di una Ecciin menzionc diligentemente. Il precitato Guglielmo Ven- dt'l Sole Deli' ... »nnos, caiilis, et molendinis adja- « Cfmibiis, obrutae stint et absorptae, inontibus et scopul s , qi;i vicini crani, „ de loco creationis S'.'ae , facto horribtli Terraemotn , per qiia<;d3m sni ea- „ vernas avulsis et revolutis. Nescitur tamen si iniracnlose vel natiiraliier,illa „ muntiiim mina facta in pagos memoratos,adeo liorcibiliter desaevif. Sed quia jp hominum circitet »ov«m m//Ì0 oppressi!, et animalìa, qooriiin non est niimerus „ aestimabilis, videtur quod potius miracolose quain casiialiier evenisset,et«:. ,, l56 RICERCHE INTORNO AI TERREMOTI DEL PIEMONTE, ciola Città di S. Andrea , come manifestamente il di- mostrano originali Documenti recati dal Besson * e da altri eruditi Savoiardi , da' quali Documenti medesimi si scorge, che quella rovina non fu cagionata da Ter- remoto , ma bensì dal dirupamento di una parte del Monte Granier. Questi terribili evenimenti pur troppo non sono rari appiè delle alte montagne , come sanno tutti coloro che hanno fatto qualche dimora nelle Gree. Turon. », . tt • -i r> ' rr< Hisi. lib. IV, Alpi. Un caso consimile narra Gregorio Turouense cap. 3i. essere succeduto ne' contorni di Ginevra intorno all'anno 563 , rammentato anche da Mario Vescovo di Losanna, che visse verso il fine del secolo VI. nella sua Cronaca pubblicata dal Duchesne; ed altro egualmente funestis- simo intervenne a questi ultimi anni tra gli Svizzeri; Ma questi funestissimi evenimenti , cosi ben descritti Tasso Ccnisal. , , „ _ Canio xviii.st. dal Cautor della Gerusalemme dove dice: - •-, ,.!r. r T * Besson , Mcmoires pour l'Histoire Ecclésiastique ifes Dioclses de Genève, Tarantaise , Aoste et Mauriane,et du Décatiat de Stivo) e, à N'ancf iy%g, p. 309 — cita un'antica Memoria tiol Vescovato di Granobie dove dicesi; „ Ecclesia sancii Mauritii de Marcliiis, etc- Infra dictam Pai-fochiam est venera- „ bilis et devotus Conventus Fr. Minorum de obseivantia Beatae Matiae de „ Myans , et ibi terminata fuit mina, quae de anno domini 1248 septimo „ calendas Decembris cecidit de Aspeio monte, et quinque Parrochias destruxit: „ et signanter Villani Ecclcsiaraque sancti Andreae,quae erat titiilus dicti De- „ canatiis Sabandiae " V. pure GriU.et Diction. Historique Littéraire et stit- tistlque desDépartemeiis du Mont-blanc et du Leman, Cluimbery i%oj , tom, II, pag. S4. e tom. IH, pag. 161, art. Myans. Il diligentissimo Marchese D.Marcello Bonito non tralasciò di far menzione di questo cvenimento, y'tfTrt Tremante lib. VII, pag. 519- DI GIANFRANCESCO GALEANI NAPIONE. iSy » Qual gran sasso talor , che o la vecchiezza » Solve d' un Monte , o svelle ira de' venti » Ruinoso dirupa e porta e spezza » Le selve , e con le case anco gli armenti, diversi sono da' Terremoti. Nascono appunto dal Mondo che invecchia , non da fuoco racchiuso , o da qualunque altra cagione per cui scossa trema la Terra » Quando i vapori in scn gravida serra , per dirlo colle jiarole del medesimo immortale Poeta. Non si dee negare , che di un vero Terremoto, e Ter- remoto , che si fece sentire nella stessa Contrada, che ultimamente dovette provarne sì gravi danni , parla uno Scrittore contemporaneo nativo ed abitante della ' Valle di Lucerna. Si è questo Pietro Gilli Pastore del Luogo della Torre, il quale nella sua Storia delle Chiese Riformate delle Valli del Piemonte, pubblicata in Ginevra nell' anno i644» narra, che ai l5 di Gen- najo dell'anno 1611 si fece sentire un Terremoto Hisi'."WiasiV- -,»., .,.,» ... 'n/r 4'"^ ^*^^ Église» de più spaventosi , che si fossero sentiti giammai. Ma réformées re- , cueiiUes en che questo Terremoto, che fu a detta dello Storico q"eiqu"T-iié« du Piémonl , più terribile di tutti gli antecedenti, non abbia recato p^s- 3S5. notabile pregiudicio, ben si raccoglie dal contesto : per- ciocché il Gilli non parla di alcuna rovina , e riguarda soltanto come danno principale di esso ir creduto cat- tivo presagio di successi di guerra , che poi seguirono a que' Comuni avversi. Anche Pietro Gioffredo esatto e copioso Scrittore j58 RICERCHE IKTORNO AI TERREMOTI DEL PIEMONTE, della Storia iuedita delle Alpi Marittime fa menzione di un Terremoto , che vi fu nell' ultimo giorno di Gen- Gioffredo st » ^^^° ^^^ scguentc anno 1642, che spaventò non poco iìÌÌLc^'ÌL ub" S^^ abitanti dei contorni dilla Città di Nizza. Se ne ^óTd.UaXE; 'oglÌ3"ic) per altro lo aver fatto sonare la campana Arcil^"'i' impf'' dell' orologio di quella Cittò, non tioviamo, che ci abbia ■ quello Storico tramandato Memoria di altro più con- siderabile effetto. L" unico veramente funestissimo e terribile Terremoto, di cui riuscito mi sia di rintracciare accertata notizia, fu quello, che al dire dello stesso Sto- rico Pietro GioFFREDO distrusse ncU' estate dell' anno i564 . e rovinò del tutto sette Terre attorno alla Sca- rena nella Contea di Nizza, con morte d'infinite persone. Venne questo desciitto nelle sue Tavole Geografiche da Gioanni Battista Castaldo Piemontese autoie con- temporaneo, che per quanto asserisce lo stesso GiOF- FREDO ne delineò una Carta j^articolare. Dietro la scorta di esso Castaldo, del Nostradamus , del Bucato, del Lancellotti , e soprattutto di Scrittori Nizzardi, quali sono Onorato Laurenti, Lodovico Taone di Lanlosca, Francesco Blancardi di Sospello, e di Pietro Antonio BoJERO nella sua Storia di Nizza , raccolse il soprac- cennato diligente Storico delle Alpi Maritfinie le par- ticolarità più rilevanti di sì fatto Terremoto *, notando * GlOFFREDO , Storia delle Alpi marittime , lib. XXI , pag. io8 , tomo V , della copia precitata. Neil' autografo che stava in Torino ne' Rcgii Ar- diivj di Corte, sento da persona intelligeutissiina, che lo avea consultato j e DI GIANFRANCESCO GALEANI NAPIONE. lS() in ispecie , che erasi diviso un monte in due parti , mandando fuori fiamme , che il Porto di Villafranca erasi abbassato di una picca, che esso Terremoto avea trattenuto il corso della Vesubia fiume molto rapido ed impetuoso; e tra le Terre rovinate specifica il Giof- FREDO Roccabigliera , la Bolena. e la Rocca, gran parte di Belvedere , Venanzone , e Clans , aggiungendo che avea tolto di vita seicento persone nel solo Luogo della Bolena. Ma questo Terremoto , oltre all' essere il solo di cui gli Storici nostri ci ablìiano tramandata certa notizia , non infierì nell' antico Piemonte propiio, ma bensì nella Contea di Nizza , ed in quel tratto di essa , che volge al Mare. èie me ne diede gentilmente la notizia, che si è il signor Vernazza-Freney, che il passo suddetto è nel tomo II, pag. 6i6. Non isfiiggì poi questo Ter- remoto alla memoria dell'accuratissimo D. Marcello Bonito, clie ne ragionò in due luoghi della s ;a Opera ( Terra Tremante , pag. so, e pag. 702 ) citando tra gli altri il Sardi ne' discorsi, Scrittore cotitemporaiieo , di cui non trovo farsi menzione dal Gioffredo. jGo PRIMA PARLATA DI GIUSEPPE VERNAZZA FRENEY NELL' ACCADEMIA IMPERIALE DI TORINO DOMENICA l8 DI MARZO 1810. Signori, H o pensato sempre , che il grado più elevato in letteratura a cui si possa tra noi salire, è l'essere vostro collega. Perciò , consapevole di mia mediocrità , non ho ardito mai di tendere a tanta altezza. Io vidi ne' miei anni giovanili sorgere quella società di eminenti rarissimi ingegni , alla celebrità dei quali fu angusto confine 1' Europa. Io vidi r un di essi partir dal Piemonte maestro di sublimi dottrine: e il vidi e il veggo dilatare la viva luce dell' italica gloria. DI GIUSEPPE VERNAZZA FRENEY, l6t • Io veggo r altro , che fermo nella patria , culfor ma- gnauimo di severi sliuli , protettore d' ogni nobile professione , egli solo, vincendo molte ardue difficoltà , soslenne , amplificò un instituto del qual fu il primario fondatore; venerato dai più dotti; specchio e delizia di figliuolanza imitatrice di lui per maraviglioso amor delle lettere; degno di cedere a NAPOLEONE il titolo di Presidente dell' Accademia , che accettato da Primo Console ritiene or eh' è sovrano Imperatore. Dirò io d' altri socii di quest' uomo eccelso ? Ma che direi di vero, che potrei dire d'illustre, senza ripetere cose notissime , cioè i segnalati progressi, che per l'opera di tulli loro fecer la matematica, la fisica? E se io rivolgo il pensiero alle scienze metafisiche, alle morali , alle isteriche , alla varia ed amena erudi- zione , alle arti del disegno , in qual di queste non risplendono personaggi preclari ? Uno è di coloro che non mi odono , del quale non so temperarmi eh' io non parU. Io pur Io vidi e il carezzai fanciullo , quando al mio primo uscir delle scuole mi posi a servigio della monarchia. Mentre dall' una parte io ammirava il sapiente ministro di un Re prudentissimo , io vedea dall' altra un savio giovanetto premerne vigilante le orme , e coltivare senza intermissione gli studi , e ren- deisi caro agli scienziati ed agli uomini di stato, e for- marsi velocemente al maneggio degli afi"ari del governo. E con q^uanto fcstevol plauso non fu poi veduto solle- iGa PRIMA PARLATA vato a soprantendere alla pubblica instruzione? E con quanto unanime consenso non fu eletto a direttore di questa classe , dopo essere stato segretario dell' altra ? Di quelli che mi ascoltano, dico succintamente, che io ben conoscea quanta dottrina ò necessaria , e quanto molta a me ne manca per somigliare a qualunque di voi. Delle quali cose la verità essendo evidente , i miei desideri! si restrinsero sempre in quest' uno :, che fosse "perpetua verso di me la benevolenza degli Acca- demici , siccome perpetuo sarà 1' ossequio che professo a ciascheduno di loro. Ma la benignità vostra , spiegata già tante volte con la menzione che di me si fece nei libri dell' Acca- demia , si manifestò dipoi nei modi per me i più onorevoli e più splendidi. Potrò io mai dimenticare che in una delle adu- nanze , dove anche sedeva , famoso e in guei-ra e in pace e in letteratura , il Rappresentante del Go- verno, io fui per voti spontanei e di lui medesimo e di molti , proposto ad essere vostro Socio ordi- nario ? Ma la indeterminata mia residenza in Roma non consenti che per allora io il fossi. Che ineifabile , che immenso affetto non mi si diffuse neir animo in quel dì giocondissimo in cui seppi che ii concorde vostro consiglio m' inalzò decisamente a questo non ambito seggio ? Io succedo in esso all' abate' Vi6 e assai corruttele^ ora dimanderei, quale guadagno à egli il nostro ? m EJmANtJEtE BAVA SAN PAOLO. I ^67 incominciarono le carole; e al suono forse di gnacchere, e cantilene stuonanti di chi andava saltellando, o di altrui. I Greci sempre non meno fantastici , che inge-« gnosi neir immaginar favole, da cui potessero d' ogni lor arte 1' origine trarre dalla Grecia, ripetevano quella del ballo , ed insieme quella delle feste nuziali ne' ma- trimonj da un giovine ateniese chiamato Imene , al quale una masnada di pirati avendo rapita la sua donna con le compagne di lei, egli corso con gli amici dietro i rapaci dopo un ostinato combattimento, gli uccise, salvò con l'altre rapite questa sua donna, ed isposa- tala , intrecciò con la liberata , e le compagne , e gli amici un lietissimo carolamento, che esprimea la serio del fatto avvenuto , e la riportata vittoria , e che dappoi in mercede di sì eroica impresa fatto venisse questa Imene il nume , il quale presiedesse ai maritaggi , da lui gli sposalizi si nominassero, e le danze, e i tripudj, in somma le nozze , che gli accompagnavano. A delta dell' ironico Luciano in uno de' suoi dialoghi , quel famoso Proteo moltiforme , e le tante favoleggiate di costui sì istantanee e stupende metamorfosi da parecchi antichi poeti cantateci, questo Proteo non era altro più, che uno snellissimo ballerino, il quale, opera delle agili e veloci piante e movenze de' leggieri celerissimi passi e svolgimenti , gli occhi sfallendo degli spettatori, sembrava un' altra cosa o persona ad ogni mossa o rivolta che in giro facesse , forme mutando e sem- biante. .l68 DEI PROGRESSI, EC. DELLA DANZA O BALLO, 11 nou favoleggiato adunque, ma vero, e graduabile progredire di quest'arte, ad. impulso incominciò, come s' è detto , della naturale allegria , e non vi ci entrò regola alcuna; quindi poi in appresso accadde che si fece riflesso dai Savi, che dalla pratica di questi moti spontanei , portamenti e gesti delle membra , passi o slanci, che fossero, si potrebbero le regole trarre d'un' arte , tanto più idonea a scacciare ogni morbositìi dall' animo , e vieppiù dal corpo umano i pravi umori » che vi si addensano; e fare di questo di per se pia- cevole e geniale, un salubre esercizio, che ne rinfor- zasse gli individui, e ne disnodasse spensieratamente, e in aggraziata maniera le membra irrigidite e restie; onde dai suddetti Savi si divisò stabilire di certe re- gole, per le cjuali le membra succennate si movessero in perfetto accordo , e all' unissono di alcune canzoni o suonate, che ne accompagnavano, o ne precorreano i movimenti ed il gesto; il che bello ed ameno eziandio paruto essendo, parve, che colla danza ( la quale altro poi non è, che un muovere, e un gestire a battuta) si potrebbe giovare senza noja, e senza che se n'av- vedessero i danzanti , alla fisica educazione della gio- ventù d' ogni popolo e sesso, e che effettivamente sì facendo loro si farebbe eseguire tutto quello che un 3pautulo , se anche soi-do non fosse , e se tanto quanto sapesse di musica o suonasse , al certo per la necessità, di farsi capire , eseguirebbe ; ed ecco , che da questa accorgiinento per analogia si passò e addiritura a DI EMMANUELE BAVA- san PAOLO. 169 scoprire, che 1' aitu potrebbe, assistita e diretta dal solo canto, o ancor meglio dal suono, imitare più fedel- mente d' ogni altr arte imitatrice tutti gli atti umani , con le passioni, che ce li dettano, che ce gli sugge- riscono o vi ci spingono, si liete; che' triste, sì comi- che che tragiche, si prave ohe rette, sì buone che ree. TNfeir arti dilettevoli il più degli uomini altro non vuol sentire , o va a cercare che il diletto , e dentro della sensazione siffatta soltanto si rivoltola e spazia ; e.'pare , che alcuni pochi preclari ingegni sieno stati incorhbenzati dalla natura di pensare in lor vece; ep- perciò que' dessi son eglino poi costoro, i quali esami- nando e paragonando , si addentrano nei mezzi , e negli arcani dell' artej il che tutto penetrando e riandando pel f'attohe esame, al piacer del sentire, un altro più saporit'Ome-'aggiungono, e il riflettervi sopra, mille spedientij lóro disvela di moltiplicarlo in guise parec- chie ; e oiò , che più rileva , i modi diversi accenna , è lor apre le vie di rendere, non che onesto e lode- vole il diletto dell'arte, ma utile e ragionevole: raeltete il piede dentro di una selva, bella quanto ve la vo- gliate, ma non tocca dall'arte; eccovi qua e là sterpi e tronchi sformati, arbusti, magri, vizzi, ingialliti, inutili; e a tal vista tosto fia, che l' insufficienza ravvi- siate voi della natura ; ma se quindi poi in que' giar- dini vi fate di entrare da mano perita coltivati e disposti, gli alberi vi si parano innanzi ugualmente bellissimi , ogni ramo loro e ramoscello volge verso l'io BEI PROGRESSI, EC. DELLA DANZA O BALLO, il cielo , e vi s' erge , nessuno va carpone- sul terrenoj eil eccovi aperta i' energia , eccovi il frutto , anzi il jniracolo dell'arte, che coltivò; miracolo, che sulla primiera informe , silvestre , rustica danza 1' arte a poco a poco regolando, togliendo, aggiungendo anch'essa, operò , e a farne giunse quella , iVall' altre arti belle , la quale si possa più d' ogni altiu insignire e conde- corare a buon dritto del titolo d' imitatrice perfetta, e replicabile a tutte 1' ore. •>)) Ma non prima a questa del ballo per altro , come segui di tutte le altr' arti ,. avvenne cioè, che fatti» eli' ella s' avesse i primi passi , e forse i più ammirati e difficili , che , dico , valesser eglino i filosofi a po- tere dettarne le regole guidatrici dei principianti: stato essend' uopo in pria di scrutare e raccogliere le diverse opinioni degli uomini intorno a quella che ai più de' medesimi piacea, per poi insegnare i modi più certi e sicuri, pc' quali a piacerli si arrivi. Il peichè da questo inferir si potrebbe che la ragionata istoria deli' arti comprende ella in se tutta la più utile, e vera, e r unica forse teoria , che alla pratica d' un' arte qua- lunque si debba premettere. L'arte del ballare, di cui qui trattiamo storicamente (29) si può in tre prospetti (29) Due sorta possiamo consklerare di ballo. Una dove 1* uomo non ha altro disegno che di ballar per ballare , cioè di eseguire certi saiti regolati o per manifestare la sua allegrezza, o per mostrare il brio e 1' agilità della per- sona , o pcr.f oire in moviiuento i suwi muscoli inwrpicliii dali' ezio sovetclii». DI EMMANUELE lAVA SAS JAOLO. I7I «onsiderare , o come imitatrice, o come figurata e pcm* plice , o come mista di queste due ; la prima , detta anche da' Greci pantomimica, poco in uso, ma non è per altro da noi moderni sconosciuta , anzi in oggi rimessa quasi sempre sulle scene , od anche talvolta nelle signorili feste di ballo con mascherate; ed è da credere , che antica quanto mai stata sia ella appo lì mentovati Greci , poiché presso di loro precorse la scena e gli spettacoli teatrali , e che fu unitamente alla musica , quella , che non solo le teatrali rappre- sentazioni fé' immaginare , ma che da queste non mai scompngnossi; e cospirò, congiunta alle due sorelle, ad operare dai palchi que' prodigiosi effetti , di cui , ha poco, parlammo, e di cui più distesamente diremo air articolo della lirico-drammatica poesia. Anticliissima veggiamo esser stata appo de' Greci ^ lesto ballo , scnz' altro fine riflesso, si cliiama propriamente danya, ed d q^iellu elle s' lisa nei festini j nelle accademie, e nei domestici diporti. L'altra sorta si é quando ci:i balla , non contentandosi del piacer materiale della danza ^ prcride ad eseguire un intiero soggetta favoloso , storico o allegorico espri- ihendo coi passi figurati de' piedi , coi varj atteggiamenti del corpo e delle giaccia ;t e coi tratti animati della fisionomia» tutta la serie di situazioni che sommirvisira 1' argomento nello stesso modo che la esprime colla voce il can- tbrc. Q :esia secontla maniera di ballare si cMatna pantomimica , la quale costituisce un linguaggio muto di azione inventato dalla umana sagacità affine di accrescer la somma dei nostri piaceri, e di stabilire fra uomo e uomo ui» novello strumento di comunicazione indipendente dalla parola. Arteaga, Rivo- luzione del teatro musicale italiano, voi. 2.^, pag. 198 e 199. „ Omnis motm jj animi suum habft a natura vultum et sonum et gestum „ Cicerone.' 172 r>El PROGRESSI, EC. DELLA DAKKA. O BALLO, l'arte coreografica imitativa , é pnrc che la semplice- monte figurata ed insignificante non mai ammettessero, ina si dilettassero soltanto , come noi incominciammo a fare oggidì si in teatro , che fuori ( in questo dissi-- mili dai nostri proavi ) , di rappresentare qnalclie fatta lor mitologico od allegorico, mi storico non quasi mai, e al certo non romanzesco: che poi questa danza greca fòsse analoga al sommo all' odierna nostra col provano alcuni monumenti antichi, che ancor ci rimangono in- tagliati, storiati, dipinti, o descritti, fra i quali tante orgi'e scolpite di Baccanti, che ballano a tondo, e alcune tavole dipinte di Filostrato di un tal genere , cél' prova lo stesso Omero nella sua varia e suhlirne descrizione , che ci fa nell' Iliade, dello scudo d'Achille di finissimi intagli si adorno ; in somma tutto quanto ciò , che ci rammenta le antichità greche , attestaci , che la loro coreografia inclinasse mai sempre ad imi- tare fatti ed eventi ed azioni, come la presenfanéà : e che i Romani avessero in questo conto a un dipresso un genio conforme , benché alquanto di più sfrontata voluttà , e della loro innata barbarie vi frammischias- sero; degli Ebrei poi si può assei;ire , che aneli- essi molto godesser eglino dell' esercizio di quest' arte ] eòi è da credere, che parte facendo della liturgi'a Joro , inclinasse moltissimo e assai ,piti al serio e figuralo danzare, che non al tripudiante e al'gajo, o all' iitii- iai^ 'checchesiasi. Tale fu, cioè serio, contegnoso e composto, il pr-e- DI EMTWANTJELE BAVA SAN PAOLO. I75 dìletlo e grndito danzare de' nostri antenati , e delle moderne nazioni dal mille sino quasi al principio del secolo decim' ottavo ( se il teatrale sen' eccettui ) , a' que' sècoli ristringendomi, che diciamo del medio evo, il cui doppio e diverso genio a due sorta di danza lon- tane assai r una dall' altra , ci mostra qualche cosa di Strano e capriccioso , e quasi incomprensibile : le corti, ì cavalieri , le gentildonne , i guerrieri , i paladini , e la nobiltà castellana godeano esercitarsi nella danza semplice e figurata , ma per lo più in grave contegno e sussiego movendo; infusa in loro venia la predile- zione siffatta dallo spirito cavalleresco e romanzesco allor dominante , che ne' pubblici festeggiamenti am- Tnettea e accoglieva soltanto la sostenuta danza severa, la quale esprimesse a vista della gente rispetto al bel sesso bensì , e tributasseli omaggio , ma non s' arris- chiasse ad indiziare amori arcani , o d' altra sorta , se non che platonici , volendovici i cavalieri far pompa massimamente dell' armonica tessitura della persona , del portamento fiero loro e marziale, e della svelta leggerezza , e agilità loro nei movimenti , ne' passi e rapidi aggiramenti; in una parola ad atteggiare ane- lavano in dessi il contegno e 1' aspetto di un eroe ora apato or tenero. Laddove in tali circostanze le gentil- donne attendevano specialmente a muovere a danza in sembiante alteio , e schivo alquanto e modesto, ma in aria svaporata e giocosa non mai , per timore di svegliare prurito di gelosia , in alcuno , ovvero di ly/j r)EI PROGRESSI, EC. t>ELtA CANZA O BALLO, maldicenza ; pompa bensì elleno faceano eziandio delTo' ien arcuate braccia , tonde e pieghevoli , e di porro in veduta agognavano ciò tutto , che a fronte dellff loro pari avessero di più avvenente e distinto nella persona , e di più ricco e fastuoso in addobbamenti ed in gemme preziose. In tale foggia adunque appariva e contegno la nobiltà de' due sessi nelle feste più solenni da ballo dette di cerimonia , non però forse rigida tanto davasi a divedere nelle primate domestiche alle- grie d' altra spezie. Si potrebbero addurre mille esempi di balli siffatti, descrittici da non pochi estensori , e che alcuni mi- niati disegni in carta ci rappresentano tuttora , ma ci basterà uno accennarne , il quale ci pare più atto a colpire , e noteremo , che tal sorta di balli più fre- quenti divennero verso la metà del secolo decimo sestOj sottentrando allo in pria più usato divertimento , ma troppo pericoloso di giostre e tornei , a cagione della morte tragica del cristianissimo Arrigo secondo. Ora in occasione che il Principe Filippo ( poi Re cattolico col nome di Filippo H ) , figliuolo dell' Imperador Carlo quinto dovette portarsi a Trento, mentre stava in essa città congregato , cioè nel 1662 , il concilio Ecumenico , si tenne congregazione dai Padri in quello adunati , per decidere quale a tanto Principe in segno di ossequio decretar si potrebbe decevole divertimento, e la pluralità de' voti usci decisa ed unanime per uà ballo dì cerimonia ; il che fu eseguito con grande appa- ,•'^ DI EililAlsUELE BAVA SAN PAOLO. ly.^ t-alo cà isquisita magnificenza e forse con non meuo gran noja del giovine Principe , e de' suoi corteglani. Il Cardinale di IMantova, Presidente Pontificio al concilio, aperse il ballo ( altri dicono esso Filippo ) , poi seguì il giovine Filippo , già dichiarato dall' Imperadore suo 2")adre Ile di Spagna in lui vece, poi seguirono gli altri cardinali , e prelati e cavalieri , ognuno alla lor volta colla destinatale dama. Ciascuna coppia mantenne si-« gnoriluiente il sussiego, e mosse in danza diguitosa- ineute con inviolata modestia e gravità, e tanto era fermo il decoro clie con gelosia in (3o) questi balli di cerimonia volcasi serbato , che il cardinal Pallavicini , nella sua storia del concilio Tridentino ne tesse seria- mente , e a minuto il racconto , come si trattasse della narrativa di una sessione concihare diretta a definire un punto di domma , anzi 1' amaro mordace Fra Paolo Sarpi nella sua storia pur anco del medesimo concilio, scritta prima di quella del Pallavicini, non censurò di una sola o più parole questo profano divertimento, ma uè feoc sompuccmente la succinta relazione ; tanto era (30) U miniieuo, sorta di danza la piìk grave per contegno, che io m'abbia veduto ballare, e che già sta sul finire, non era quella tale che si usava nel secolo decimosesto o ne' precedenti , poiché scrive M. Duft'urt ( ed anche il Caliusac ] celebri, professori di coreografìa, aon essere stato a que' tempi U minuetto, se fion che un vecchio balletto dei contadini dell' Angiò io Francia j il quale ingentilito e raffìnato nelle feste reali di Versaglics, divenne per più d" un secolo la più celebre ed usitata delle danze , onde 1' esistenza nobile del fa)u^tt($ 'ma olucpassò U «50 anni. l'jG DEI PROGRESSI, EC. DELLA DA^JZA O BALLO, Stabilita , anche appo lo persone austere , o detrattrìci della corte di Roma, 1' opinione die si avca favorevole di tali feste, pompose, è vero, ma non meno per gli spettatori oppiatriche e soporifere. Dicevamo pur dianzi e qui sopra , che un doppio genio ad assai due diverse qualità di danzare si potean notare e discernere nei secoli del medio evo; dell'uno, cioè di quello della classe nobile e gentile già si è ra- gionato; ora fai'emcì ad esporre , a confronto di quanto già ne esponemmo del ballare de' nobili , quello dagli ignobili usato e da' plebei , al quale le persone di alto lignaggio sorrideano bensì spregiantemente , ma in grado di attori, non si abbassavano a figurarvi giam- mai. Uopo sarà in tal conto il ricordarsi quanto giù si è osservato di quelle danze sacre , che nel coro faceansi de' nostri templi cristiani nei primitivi secoli della chiesa , la quale ricevè questa pratica o rito , se vuoisi , anche da alcune liturgie dei Gentili , ma al certo dalle assai più autorevoli per dessa liturgie mo- saiche; ora queste danze corali erano imitative, e per lo più rappresentavano alcuni fatti della religion nostra od i misteri , ed eran anzi azioni drammatiche a balli lì salti frammischiate, che non una figurata semplice danza , ed attese le vai'ie superstiziose credenze e spurio leggende V che ingombrarono le teste dei popolani, in ragione dello scostarsi dalla primitiva chiesa , vi si rappresentava con chiasso, indecenza e tumulto, quando le zuffe di San Michele col diavolo, ora le streghe o DI EMMANUFXE BAVA SAN PAoLO. TJ'J i sf rrgoni , ora rciiivive al mondo le anime de'morti , dal che vi s'apiia ad altro gcuore di corruttela peggiore q nefanda l'ingresso; quindi ne venne, che fin dall'anno 744 Papa Zaccheria fu il primo a proscrivere con un suo decreto dalie Chiese gli cotali spettacoli , né più dappoi servì il coro di palco addetto ed aperto ai me- desimi. Proscritti adunque di mano in mano universalmente dalle Chiese li siH'atti , in pria sacri, ma poi degene- rati divertimenti, il popolo, che pur si dee compatire, se alJa sua guisa vuol sollazzarsi pur anco, portò nelle piazze e nei trivj delle città , e talvolta per le campagne eziandio , questi pazzi , chiassosi e scomposti suoi balli per lo più stranamente drammatici , e sempre imitanti qualche mistero o qualche fatto storico della religione, massimamente nel corso delle funzioni della quaresima, laddove nel carnovale , che la precede , aveasi altra sorta di ballo celebrato con pubblica , somma inde- cenza, e un incondito sconcio tumultuare. Di certi balli processionali e sacri duravansi a cele- brare nel cinquecento e ad eseguirlivi , i quali forse ìD qualche paese ancor si fanno, e che ambulatorj di- ceansi ; si festeggiavano in occasione , che da un de- posito all'altro, o di città in altra città si trasportavano o il corpo intero o alcune rehquie di un santo o nella canonizzazione di un'altro. 1 primi, che tali solennità sacro-ballatorie immaginarono e con pompa eseguirono, furono i Portughesi in oniaggio z 178 DEI PROGRESSI, EC. DELLA DANZA O BALLO, del santo cardinale Carlo Borromeo, già stato vivendo car-^ dinal protettore del Portogallo, e ciò allorquando in Mi- lano si trasportò da Asti ove mori, la cassa del suo corpo; una consimile processionale solennità festeggiata venne nella beatificazione di sant'Ignazio Lojola nel 1610, se- condo la descrizione che abbiamo di questo lungo divoto ballo , mosse il convoglio , e proseguì dalla chiesa di nostra Signora, non saprei ricordarmi, se di Loreto, di Parigi, o di Roma. Asserisce per altro il Gesuita- Francese Menestrier nella relazione che ce ne lasciò iva le molte macchine e stravaganze ch'ei nota , che vi si portava il cavallo di Troja. Chi volesse riscontrare- a minuto ogni particolarità di questi due sacri balli ambulato!') vegga il datone distinto ragguaglio dal si- gnor Cahusac •. Questi due sì diversi generi di ballo, cioè signorili e popolareschi , furono separatamente il consueto di- porto , il primo de'cavalieri , il secondo de'cittadini e plebei per Io spazio allo incirca di un dugent'anni , il che è dire sino a quando l'uso, e la smania che invase anche i nobili, della maschera, la quale siccome i visi,- così le condizioni eziandio degli uomini travisa e con- fonde , invoglioUi di partecipare , in grado d'incogniti intervenendovi , ai balli siffatti , più lieti , più buffo- neschi, e chiassósi delle piazze, e talor anco dello * Hhtoìre de In danse ancienne et moderne par momieur de CaHUSAC, v»L 2.me , deaxlime partie , livre i.tr , c/tap, i,er , page iij. DI EMMAKUEtE BAVA SAN PAOLO. lyg tnvorne , e gustare, olire il consueto e platonico amoie, gli amo nzzt e le fresche non meno di un'alti-o più an(l;infe stile di amoreggiare e più vendereccio; quest' uso farneticante di coprirsi il viso di una pelle , a viso dipinta , cominciò a pigliar piede ne'carnovali di Venezia, e tra non molti decennj s'introdusse nei balli d'ogni colta nazione Europea e sino dalle corti final- mente fu ammesso ed accolto, dalle quali si ritennero i balli serj per la noja dei cerimoniali , ed i masche- rati vi si abbracciarono per ricattarsi , e rifarsi del tedio ingerito da quelli ; vero è per altro , che i balli di maschei'e istituiti e diretti dai cortigiani e dai nobili, mostravano più di connessione e di gusto nelle signi- ficanze , negli apparati , e nella scelta del soggetto , che intendeasi rappresentare , miglior criterio e discerni- mento , serie ed unità. Non occorre aggiungere che vi entrava assai più di fasto , non senza qualche risalto di erudizione e di poetiche invenzioni od idee , ora morali ed ora erotiche e galanti , e nel seicento spe- cialmente , a tenore del gusto di allora , per lo più allegoriche. Fra quelli di quest'ultima specie vuoisi che il primo a segnalarvisi , e a parerne inventore, foss'egli un certo Bergonzo Botta , che apparecchiò una festa da ballo solenne di tal maniera in Tortona nel ìSì6 per le nozze di Galeazzo Duca di Milano con Isabella di Aj-a- gona ; ma in Francia di cotali feste sontuose con maschere se ne narrano però delle anteriori d'assai; la l8o DEI PROGRESSI, EC. DELLA DANZA O BALLO, più antica , che la storia rammenti , è quella dei se- tolosi selvaggi , celebratasi in corte del Re Carlo VI, che fu poi detta , perch'ebbe un fine tragico , degli Ardenti ; sendochò , a caso le pelose vesti di parecchi impellicciati, mascherati signori, al toccare inavvertito la fiamma di un acceso doppiere , pigliarono fuoco , e prima che potessero sgombrarsi d'indosso le accese vesti , arsi e consunti ne )imasero ; cosicché l'istesso Re , a gran pena, compressone dagli accorrenti in suo ajuto le fiamme , fu salvo , sebben per tal sinistro accidente scemo ne restasse poi egli infin che visse. Celebre fu anche in corte di Arrigo quarto la mascherata delle streghe e stregoni sul principiar del seicento , eseguitasi in una festa reale , e poi le tante altre per Io più allegoriche e adulatrici , che si succedettero verso la metà di tal secolo in corte di Luigi XIII e Luigi XIV , la descrizione poetica delle quali si può leggcie nei versi de'poeti francesi Jodelle , Passerat , Baif , Ronsard e Benserade. Ma le corti d'Italia superarono tutte le altre forse d'F.uropa per invenzione , esecuzione e magnificenza ; e specialmente quella di Savoja si distinse in balli di mascherate con macchine , e singolarmente in quello fattosi in occasione delle nozze di Vittorio Amedeo primo con madama Cristina di Francia ; in tal occa- sione stando in Parigi il Cardinale Maurizio di Savoja per accomiatare , e condurre in Torino la Sposa sua futura cognata , poco stante alla partenza ' rallegrò la DI EMMANUELE BAVA SAK FAOLO. l8t capitale colà e la corte collo spettacoloso ballo detto del Grigiolino , perchè tutte le maschere eranvi di tal colore vestite, essendo quello il prediletto colore della Principessa. In Torino poi il compleanno d'esso Car- dinale , dietro la direzione del conte Filippo d'Agliè, cavaliere in tali materie di genio inventivo e finissimo, fu eseguito con sommo sfarzo e dispendio e splendi- dezza erudita un ballo morale di maschere allegoriche, a cui si die un titolo nel gusto del secolo un po' pro- lisso , e fu il seguente « La verità nemica dell' appa- renza, sollevata dal tempo » . Lo stesso conte risiedendo in Parigi in ambasciadore del Duca suo signore die colà un saggio del suo gusto in tal conto squisito e della perizia , che in tal sorta di mascherate macchi- nose ballanti , con quella festa ch'egli intitolò « il ballo degli abitatori de' monti » , cioè della Savoja e con- tiguo Piemonte. Svegliò la prima idea della siffatta festa spettacolosa nel conte, l'ascoltare in quella corte mai sempre, e ia Parigi , noi Savojardi o Piemontesi , quasi tutti fossimo alpigiani, chiamati montanari ( montagnards ) ond' egli immaginò una festa da ballo assai strana, fatta di mac- chine e per variati grossolani abiti diversi de' sudditi del suo Duca secondo portava 1' uso del paese e del clima. Piantovvi nel mezzo , qual' è, a vista acrea o d'uccello il maestoso Moncenisio e le altie montagne, che co- rona gli fanno , e vi fece burlescamente ballare nel loro costume atteggiati e vestiti ogui qualità de' nostri l82 DEI FROGRESSI, EC. DELLA DANZA O BALLO, montagnuoli , cioè i noslri portanlini di seggiole , o ciappolette, gli spazzacamino, e riuscì tanto ingegnosa, e si per parecchie decorazioni stupenda la festa , che la corte di Luigi XIII e la capitale maravigliatesene c'ebbero a stupire , e ne presero non ordinario pia- cere , e non esservi alcuno dichiararono , che compe- tere col conte suddetto potesse nell' ideare » condurre ed eseguire fai sorta di divertimenti *. Si condoni all' amore natio che nudro per la mia patria, questa digressione a lei gloria , che in sì pic- ciole e tenui cose 1 indole sua, naturalmente ingegnosa spiegò, la quale, se qui fosse in acconcio, potrei, senza uscire dal nostro argomento , mostrare com' ella siasi maggiormente illustrata in questi tempi in cui viviamo. Nel trattare di quest' arte ci siam fatto lecito di anti- eìpatamente parlare di alcune parti della drammatica poesia , e specialmente di una delle integianti dell' ©pera in musica , ma benché non si potesse di quest' arte coreografica porgere altrimenti 1' intero storico ragguaglio, vedi-à il lettore, che bastantemente ci resta da dii-ne altrove e più di proposito. Termineremo in- tanto questo paragrafo con il porre in confronto la danza semplice e figurata , detta belle danse dai Fran- cesi, colla danza imitatrice, stata poco piiì poco meno^ ♦ Veggasi IJlsto're de la danse ancienne et moderne par monsieur de Cahusac voi. id l'iv. i.er 2.e panie, chap. 4.* page 89 , et voi. 2.d 2.e. gartie, Uv, j.er chap. j.e et Q.e page 95, e$ voi. ^.e i.e partie , liv 3* DI EMMANTJELE BAVA SAN PAOLO. l85 mai sempre in uso in tutti i tempi ed appo tutte le nazioni , e i pregj sì dell' una , che dell' altra noa meno , che i loro peculiari svantaggi dopo aver scan- dagliati , noteremo gli effetti buoni o rei , che ne di- vennero la conseguenza, e il buono, o il mal frutto. L' arte della danza semplicemente figui-ata ( belle danse ) secondo il concetto, che se ne ha , o la co- mune opinione , si è quella che si studia soltanto a mostrare la beila forma e proporzione simmetrica delle membra in moto de' ballerini, che la rigida pre- scrive esattezza del muovere dei suoni a battuta , alla flessuosa arcuatura delle braccia, e nella composizione de' passi d' ogni maniera , congiunta ad una leggierezza di piede , onde appena si possa vedere il ballerino in un dato sito , ma non mài , b quasi non mai si senta premere il suolo , ma raderlo e sovra sdrucciolarvi qual biscia ; ora sieno pur tutti ammessi questi requi- siti e in dessa danza raccolti , che cosa per altro di- remmo noi di un tal intagliatore , il quaile avesse ia se tutta la perizia e il talento , onde sapere e potere moltiplicare a sua voglia intagliando le egregie di- pinture di Michelagnolo , del Coreggio o del Vanloo, non si ristarebbe! però dal meccanicamente ricopiare del continuo uria farragine di leggiadri i-abeschi , vi- gnette, fiorami o altri monotoni ghiribizzi e meandri? Ed ecco qual sarebbe il giudizio che fare dovriasi di un ballerino peritissimo , che in non cale ponendo l'arte coreografica imitativa delle azioni e degli eveui-» iF4 DEI PROGRESSI, EC. DELLA DANZA O BALLO, menti Comuni o rari, liiniterebbesi alla danza eseguire detta bella e nobile, ma semplice e figurata; li setta- tori , è vero , di questa banno fatto alte lagnanze e scbia mazzo , quando s'avviddero che la medesima cadea in discredito e givane in disuso cosi nelle corti, come nelle feste da ballo delle più scelte e più cospicue brigate , ma indarno , poiché ciò al certo , e per più cause accadere dovea , se bene si consideri, non esser ella la stessa parola più esprimente e significativa , che Dol sia il gestire , e che la pittura altra non tiene balia , se non quella di esprimere un solo momento di un fatto o caso qualunque , laddove la danza e la teatrale particolarmente, ha seco sempre bali'a e fa- coltà di andare successivamente esprimendo i momenti tutti e tutto lo alternar degli affetti, che un qualunque caso lieto o tristo nella sua serie rinserri, cui, a così dire, dipingere o rappresentare, imitando, le piaccia. Ella passa dall' alto momentaneo espresso in un quadro, ratta come il baleno, a quell'altro succes- sivo , che in un altro quadro si esprime , e così via vìa .... ai quali suoi quadri , tuttocchè sfuggevoli , la danza dc\ il moto non mai tronco , o interrotto , ep- però di spirito gli impronta e di vita , il che alla pit- tura è disdetto ; non essendo in cjuest' ultima il moto , se non che atteggìatura del muovere o imitazione , laddove in quella è realtà. Ha merito adunque la danza imitatrice delle azioni da porsi al dissopra della sem- plicemente figurata altrettanto , quanto un magnifico DI EMMANUELE «AVA SAN PAOLO. t85 grnndioso storico Dipinto lo ha di poisi al disopra di alcuni fiastagii o altri miniuti fioretti e capricci comun- que, ben" eseguili sien' essi. Qui tutto il merito stando pel meccanismo, mentre colà si è l'ingegno che im- niagiua e dispone, e mentendo sentire o veramente f^ntcndo., esso ingegno tutto creando , eseguisce. . Degna è tanto più d' essere ammirata questa danza (delle azioni imitativa e degli affetti , eh' ella il più djsUe volle è vispa , vivace , e animata da uno spirito c^et dal di dentro If^ nutre e la folce e al di fuori re- golata da un orecchio erudito, che ne frena a bat- tuta gli sbalzi, e tienla a siepe, ma d altro canto ella «j fa di leggieri pur troppo un fomite della scostuma- tezza ; è vero, che del. pari l'arte silTatta adopei-ata -venne, come a, piacevole ;nost,ro, .Riporto, così anche ai riti della nostra religione , condecorare , e per rin- saldare le forze del corpo , disnodare delle membra sue la pigrezza, ed i crassi umori snicchiarne e metterli in corso , e farne campeggiare le grazie : vero è altresì che si è vista in ogni stagione , e specialmente in Grecia , conferire non poco all' educazione giovanile , a rallegrare la fredda canizie della sciancata vecchiaja , onde messo il tutto in bilancia, conchiuderei che gio- vato a vicenda ella abbia mai sempre, quando a man- tenere i buoni costumi , quando e più spesso a tracol- larli, alternando ella del continuo tra questi due estremi. Tale si ravvisa esser ella stata in Grecia; in Roma antica poi non comparve mai , se non che qual" una l86 DEI PROGRESSI, EC. DttLLA DANZA O BALLO, parte della drammatica, detta perciò pantomimica , e fuvvi coufusa colla musica , colla poesia e colla elo- quenza e in pari estimazione vi s' ebbe ; nei secoli poi del medio evo, insignificante, languida, fredda, altro pili non fu a vederla , toltocchò un divertimento mo- notono, nudo di varietà, e d' ogni alludente intenzione privo , e d' ogni anima ; in somma ne' balli di ceri- monia ridotta venne la momentanea ad esibire dipin- tura di qualche non ben deciso carattere , e ad essere un maestrevole' jia'sseggio senza un silo sicopo aversi', od oggetto ,' una' congiuntura opportuna peraltro di mostrare le grazie, ma sempre le prescritte e le stesse» della persona , e le armoniche proporzioni di questa'; i costumi e i lineamenti , facendole eoa destra maniera e con iscioltura spicòare. ' Ecco iti iscorcio riepilogate dell' arte della danza le storiche sorti e le rivoluzioni. i87 DELLE ANTICHE CONTESE DE' PASTORI DI VAL DI TANARO DI VAL D' AROZIA, E de' rOLITICI ACCIDENTI SOPRAVVENUTI. DI JACOPO DURANDI. Lette li 4 febbraio 1810. N, ON sarebbe da stupire, se 1' cnnunzìar eh' io fo antiche pastoraH gare , e contese , risvegliasse per av- ventura negU animi gentili I' idea di quelle sì graziose, e condite di un raro candor di sentimenti , che talora i pastori di Teocrito , e di Virgilio ci forniscono. Elle facendoci, a così dire, uscir del nostro secolo e paese, e de' nostri costumi , ci trasportano deliziosamente tra quelli della primitiva presupposta semplicità , e sedu- cendoci con verissime leggiadre pitture della natura, ci sforzano ad invidiar le delizie della vita campestre , e / 1^8 DELLE AhTlCHE COKTESE DE'f ASTORI, EC. di un'aurea età , che non ci fu mai, e pare non possa esserci dove ci sono uomini. Nulla di meno tra i suoi pastori Teocrito alcuni ne dipinse come sono eglino per lo più , cioè di una ruvidezza e rusticità spia- cevole, usi a provocarsi con ingiurie villane e grosse, ed altri o furbi e maligni , o rubatori di latte , dì vacche , di capre , e d' altre cose. Piacque insino al dihcato Virgilio imitar talvolta alcune di cosi brutte maniere , forse perchè 1' un 1' altro poeta han pur voluto darcene alcun vero ritratto in mezzo a tanti piacevolmente immagina'ti. A questi soli ritratti veri e comuni simigliano i pastori , de quali vuò io discorrere. §• I- Alcune conformità di costumi degli Arcadi , e d'egli antichi pastori delle alpi. Lealtà antica de' pastori in Italia : impencrsan di poi , e invadono con vio" lenza i pascoli , e le terre altrui. Cotesta loro sembianza si confa tantopiù con quella degli Arcadi antichi, a dispetto che la costoro con- trada siasi celebrata' e fìnta pei» quelli dell' innocenza, e dell(^ delizie campestri, e' 'tutta risonante amabili canzonette, e' è'ampogne^V e^ghitafre, e flauti a sette canne. In verità Polibio ( lib. 4, cap. i8. ) che assai bene conobbe gli Arcadi , commendò lo studio , che una gran parte di quelli avea posto nella musica , per DI JACOPO DURANDI. iSy cui pretende si dirozzassero non poco da salvatichi e barbari eli' erano prima , e religiosi e costumati dive- nissero , bcncliò del tutto ignoranti dell' altre arti. Biasima poi un' altra parte di loro , o sieno i Cinetesi rimasti barbari e crudeli, sussurroni, ed eccitatori vicendevoli di contrasti , e di quei'ele pei'petue, perchè aveano del tutto trascurata la musica. Parrai eh' egli troppa virtù attribuisca a quella , e mi fa maravigliare gli sia sfuggito , che se i Cinetesi furon malvagi , è molto più naturale il diventassero perchè vicini ad un tempio di Diana , il qiial godendo del funesto privilegio dell asilo , invitava tutti i malandrini a rifuggir in quella contrada , e dimorarvi mescolati cogli abitanti nativi. Ancoraché i miei pastori rassembrino in alcune parti ai Cinetesi , e fossero un po' meno musici degli Arcadi de' munti Menalo , e Liceo , 1' erano pur essi alcun poco alla loro maniera , e religiosi , o superstiziosi altrettanto che gli Arcadi tutti. La condizion niontanesca delle valli del Tanaro , e dell' Arozia , ed altre lor naturali qualità , che influis- cono cotanto su 1' indole , e su i costumi degli abitanti, non si confanno meno con 1' Arcadia istessa , paese nel bel mezzo del Peloponeso. ricoperto anch' esso, e cir- condato di montagne ardue ed alte , biancheggianti di neve le cime , e ingotnbrate le schiene di boschi , perciò di clima freddo , e umido , come notò Polibio , nò po- trebbe essere allramenti. Alcune poche sue valli singo- larmente lunghesso i fiumi Ludone , ed Alfeo erano alt» iqo DELLE ANTICHE CONTESE DE' PASTORI , EC. all' agricoltura. Perciò di necessità la massima parte degli Arcadi fu di pastori dispersi qua e là , depredati non di rado dai loro vicini, e rubatovi essi medesimi ti-a di loro. Laonde in tanta rusticità la campestre lor musica non potè esser gran cosa , nò di molto superiore a quella de' nostri antichi pastori delle alpi, i quali ebbero, ed hanno ancora la loro musica, o sia una maniera propria di combinar de' suoni , che per la loro successività rego- lare riescono grati all' orecchio. Gotesta musica armonica accompagna le loro danze, ed il lor canticchiare, e sanno talvolta con inflessioni più vive, e ben accentate toccar il cuore. Si è tuttavia tra i pastori delle alpi , e segna- tamente della Svizzera , dove 1' agreste semplicità si è guasta più tardi, che trovasi un esempio atto a spiegare e compx-ovar le maraviglie quasi incredibili , che gli an- tichi raccontano della lor musica. Ognun si avvede , cK ioi parlo dell' aria famosa così detta B.ans des -vaches suonata con la corna-musa. Egli è noto , che già con- venne in Francia, e in Ollanda proibir con pene gra- vissime si suonasse cotest' aria , là ove trovavansi delle truppe svizzere, perch' ella inspii-ava loro una cotal pro- fonda melanconia , ed un così ardente desiderio di i-ivedere la loro patria, che alcuni ne morivan di dolore, altri vaneggiavano , o disertavano. Può ciascun oggidì esaminare , e provar cotest' aria , avendola Gian Jacopo Rousseau notata , ed inseritane la cartuccia nel suo dizionario di musica. Io mi sono maravigliato , consi- derando la salvatica sua melodia , com' ella potesse mai Df JACOPO Dt'RANm. I91 Operar di così strani prodigi. Ma JessI sono certi, e voglionsi attribuire non al valore di quelle note , ma allo eccitar, ch'elle faceano fortemente in quelli la rimembranza e brama vivissima di cose ed usanze patrie , di cui erano mollo teneri. Talché ha pur 1' aria suddetta il raro merito di esprimerle , e rappresentarle a chi ben le conosce , come appunto sa fare la buona musica imitativa. Queste cose danno a divedere noa consistere nella sola fisica azione dei suoni il potere, o la magia della musica, e i grandi effetti eh' ella pro- duce sul nostro cuore. Perciò le nostre orecchie use oggidì ad una musica complessa ricercata cascante di vezzi, la qual ben sovente dipigne nulla in mezzo a cotanta sua armonia , non potrebbono esser giudici della severa musica degli antichi indirizzata ad espri- mer cose, e risvegliar delle idee, che più non esistono per noi. Tanto meno potremmo giudicar degli effetti, eh' essa produceva ancoraché potessimo vederla su le proprie Sue note , il che non possiamo sperare, lo du- bito grandemente della verità di quelle poche composi- zioni , che alcuni dotti credono di aver ritratte per indovinamento , studiando l' oscura teoria della musica antica. L'aria menzionata , che ha per se la tradizione, ed il carattere di molta antichità , già da un buon pezzo ha perduto assai della sua efficacia anche su le anime slesse degli Svizzeri, Ella non fu già particolare a quella gente, anzi più o meno variate altre consi- Iq2 DELLE ANTICHE CONTESE DE* PASTOBI , EC. mili arie secondo i diversi genj , e passioni circolavano tra i pastori della vasta lunghissima catena delle alpi , e ve n'ha futtavolta delle tracce in molli luoghi. Ma nella proporzione stessa che l' agricoltura guadagnò su la pastorizia nelle istesse montagne , scemarono mano a mano i pastori , che le popolavano , e sempie più scemò la voga delle lor canzoni. Ne usavano al pari degli altri i nostri antichi alpigiani , ed alcuni luoghi ritengono tuttavia i nomi delle istesse deità , eh' essi una volta credean presiedere al canto , ed ai versi , e qualunque si fosse la poesia loro , ella non era foi'se miglior di molto pi-esso gli Arcadi. Può trarsene argo- mento dal silenzio di Polibio , poiché nò dell' una né dell al(ra v' è i-imasa memoria ninna. Egli lodando la musica degli Arcadi, di cui la vocale tenne il campo , non fece neppur cenno di alcuna lor poesia. Le lor canzoni non meritavano per avventura se ne parlasse, rozze come coloro che le cantavano. Erano dessi però famosi per sonorità della voce , che dai pastori si acquista comunemente per la necessità , in che sono di farsi sentir dalla lungi. Osserverò così di volo , giac- ché r occasion di favellarne piucchè non il suggetto di questa memoria lo comporta , sembrare anche a me molto più verisimile sia nata in Sicilia la buona poesia pastorale , dove pur i boari ebbero , ed hanno tuttavia una particolar naturalezza d' insegnare i loro amori alle selve , e dove appunto naquero l' antico celebrato can- tore Dafni, e sopra tutto Teocrito, il qual n è ancora Df JACOPO Dt'RANDr. IgS il più vero pregiato modello. In falli per qual' altra, ctij^iuue Mosco suo concittadino, e contemporaneo nell' idilio secondo inlilolato 1' epitaffio di Eione altro poeta Lucolico , dovendo parlar di cose rustiche e pastorali, invocò egli le Muse siciliane, se non perchè quelle re- pulavansi aver lor propria sede in Sicilia ? Ei nou volle già alludere alle Muse , che inspirano Teocrito , come pare abbia poi fatto Virgilio nell'egloga 4> che anzi Mosco nominò Teocrito poco appresso insieme ad altri celebri poeti, e per tutt' altro motivo. Certo la musica campestre è antichissima, ne parla Omero istesso , e sul fine del XVIII della Iliade espresse nello scudo di Achille anche un pastorello sonante uno stro- mento , ma ciò non è ancora la poesia pastorale. Le quali cose sieno dette per non lasciar del tutto inonorata la memoria della musica degli antichi j^as— tori delle alpi , ancoraché coloro , de' quali io parlo , abbian di poi eambiato tanto di modo , e di tuono , che non si potria peggio. Un' altra lode più bella viea da Polibio istesso data generalmente a' pastori italiani dell' età sua. Egli racconta con ammirazione ( lib. 12» cap. I ) come in Italia numerose greggie appartenen- tisi a diversi padroni usavano pascere mescolate e con- fuse , ma docili e pronte al suono di una tromba , o cornetta sonata dai lor pastori separavansi di per se, s' accostavano , e riunivansi al proprio gregge , cor- rendo velocemente ciascun animale guidato da quel noto suono inverso il pastor suo , senzachè in un tanto Bb Ifjl DELLE A:.T1CHE CONTESE DE' PASTORI, EG. mescolamento addivenisse mai , che i' un pastore cer- casse avviluppar nel suo gregge , o comechessia rubare gli animali dell' altro. In contrario egli osservò , che in Grecia tostochè nei pascoli mescolavansi gli armenti, chi n' aveva un più numeroso , si studiava di avvi- luppar gli altrui nel suo , o se alcun animale discos- tavasi per poco , e traviava , erano presti gV insidiatori, i ladri, gli agguati per rapirlo, donde risse e zufle del continuo. Cosi tra gli Achei riferisce Strabene lib. XI , che gli Eniochi sussistevano della pastorizia , e dì rapine. Cotanto erano sciagurati e ribaldi i pastori di Grecia , e d' Arcadia , dove però la nostra pieghevole credulità trapiantò la scena , o lo albergo dell' inno- cenza , e delle delizie della vita , e poesia pastorale. Ma il mondo invecchiando suol peggiorar sempre più. Queir ammirata lealtà de nostri antichi pastori venne oscurandosi , tralignò , e disparve in Italia , ed altrove , e la tristizia di quei di Grecia fu da moltis- simi imitata , o superata. Parecchi anni dopo 1' età di Polibio congiuraron sin nella parte allora più colta d'Italia i pastori della provincia di Taranto , infestando i>ias latrociniis , pascuaque puhlica , come abbiam da Livio ( lib. Sg , cap. 29 ) , si propagò cotesta malva- gità , si dilatò di mano in mano , e nel terzo e quarto secolo era cotanto cresciuta , che convenne agli impe- radori Valentioiano , e Valente , e di nuovo ad Arcadie, Onorio , e Teodosio far leggi , che abbiam tra quelle del codice Teodosiano , per interdire a' pastori 1' uso DI JACOPO DURANDI. igS cTe' cavalli , aflìn d' indebolir le scorrciie de' ladroni , coi quali si associavano, come pur s' interdisse a' citta- dini di cercar nutrici nelle coloro famiglie pei lor fi- gliuoletti, e chi l'osasse, cioè pastoribus dedcrit nuirien^ dos , societatem latronum tidebitur conjiteri * . Diocle- ziano e Massimiano avean già promulgato consimili ordinamenti , e furono ripetuti nel codice Giustinia- neo **; talché già da un gran tempo erano divenuti sino- nimi pastori , e ladri. Altro perverso abuso era pur nato in Italia , di cui tra gli antichi scrittori de re rustica raccolti da Goesio fa menzione Aggeno pag. 5G ,. cioè che molti solcano invadere i pascoli comunali , e violentemente usurparli, donde contrasti e litigi gravissimi. Singolarmente per così fatti contrasti si disfinsero già da più secoli i pas- tori di vai d' Arozia contro a quei di vai di Tanaro , e per un modo così clamoroso , astuto , e sopra tutto ostinato , che non saprei qual altro esempio antico o moderno possa appareggiarli. Doveria sembrarne vie- piìi curiosa l' istoria , altrettanto che gli apparenti , o mendicati prelesti delle contese , sotto i quali in ul- timo si covavano maggiori cose , rimasero insino a ora quasi avviluppati nel mistero , che solo potè loro dare un' importanza , ed appena se n' avvisarono i popolani * Cod. Theod. lib. g , tit. 30 , 1. 2 e S qiiib. equor . usiis , e tif . 31,1. unica ne pastai', dentar fìlii ntitr. ''■ f.. ri cjd. de Rccusaiiunibjs. fn6 DELLE AlsTlCIIE CONTESE DE* PASTORI, "EC. medesimi , che iie sono stati gli attori. Ma gioverà al- cune cose premettere intorno alle due valli , ed agli antichi signori di quelle. §. 2. Valli del Tartaro , e dell' Arozia. Non già le due intere valli, ma la parte superiore , e contigua di ambedue , anzi le lor principali due terre entrarono in così fatte contese , e le sostennero. I monti , che circondano la vai superiore del Tanaro , si spettavano anticamente ai Liguri Vagenni , i quali ten- nero il tratto dell' alpi dalle sorgenti del Po infino a quelle del Tanaro , e vi lasciarono in questa superior valle tuttavia la ti-accia del loro nome in quello ri- mastovi di Viozena , come suole pronunziarsi. TI celebre d' Anville è stato il primo a notarlo * , benché non avesse veduto alcuni documenti dell' undecimo secolo, ne' quali trovavasi quel nome un poco meno guasto , scrivendosi Vige.nna , ed in Viziennis , in appresso Via- zenis , e Viagena , poi Viozena in bocca del popolo , e nelle scritture de' posteriori tempi. Questa cosi di- nominata regione ha in circa sei miglia di giro inte- ramente nel tener di Ormea. A tramontana e decli- nando a ponente tocca infino alle sommità delle valli ■* Notice de 1' ancienne Caule, pag. 215. DI. JACOPO DUnANDI, ic)'] opposte dell'Ellero, e del Pesio , ed al collo ed alpe di Carlino , e volgendo a sud-oucst all' altra massa di montagne a confini di quelle della Briga nella innanzi contea di Nizza. Un torrente , o ramo del Tanaro detto il Negrone , che nasce dai monti accostantisi al collo suddetto di Carlino , taglia e confina a dilungo la Vio- zena a mezzodì. Di là del Negrone sale pure la valle in verso mezzodì al collo di Tanai'ello , donde 1' altre sorgenti del Tanaro quasi opposte a quelle del fiume Roia , che di li\ cala a Tenda nella menzionata contea. Alcun poco di sotto al sito , dove il Negrone si uni- sce al principal ramo del Tanaro , tirando una linea da mezzodì a tramontana infino ai monti, che dividono questa vai superiore da quella dell'Ellero, cotesta li- nea sarebbe il limite orientale della moderna Viozena. Io non dubito punto , che questo istesso nome fosse una volta comune a tutta questa superior valle , non meno che a tutti i circostanti monti , ma dipoi esso nome venne poco a poco restrignendosi , a misura che disboscavasi , e ripopolavasi la valle , insino a che ri- mase particolare a quel solo tratto più salvatico e dis- costo al nord-ouest del capo-luogo. Il rimanente di questa vai superiore è di un circuito anche maggior di cjuello della regione suddetta, chiuso a tramontana da altri gruppi di montagne , che la se- parano da vai di Pesio , e a mezzodì e a levante dalla catena de' monti , che dispiccandosi dal collo di Tana- rello , mano a mano dividono essa valle da quella dell' ]f)8 DELLE Aj;TICHE CONTESE DE. PASTORI , EC. Arozia , e dalle altre terre , che si spettavano ad AI- henga. Il Tanaro disceso in questa più dimestica por- zione di valle la trascorre , avendo al manco suo lato Ulmeta , Orraea , luogo principale , e d' antica latina origine almeno pel nome. Alcuni luogucciuoli , o caso- lari sparsi tra la Viozena e il fiume ne dipendono. Accade qui come in tutte le alpi assai più acconcie alla pastorizia , che all' agricoltura fuorché nel basso delle valli. Ma si diradarono poi , e diradicaronsi nei più convenevoli sili i boschi , per coltivarvi le biade. Dopo Ormea scende vai di Tanaro a Garessio, Priola, Bagnasco , e Geva. L' ultima solamente di coteste terre vien ricordata dagli antichi scrittori , né per altra ca- gione se non per 1' abbondanza e bontà de' suoi for- maggi , di cui ne forniva Roma. Plinio ( lib. XI cap. 42 ) afferma , che l' Apennino , eh' egli estende infino alle alpi marittime, Cebanum ( caseum } hic e Liguria mittit , ovium. maxime lactis. Sotto il nome di Ceva comprende tutta vai di Tanaro , e i circostanti lucighi soliti a fornir quel cacio , de' quali Geva era il più notabile. Nella vai superiore , di cui ragiono , il suo signore riscoteva ancor del 1121 ab unaquaque, domo caseatrica in Quartina sex formellas casei , et toiidem caseatas. Goteste cascale erano forse tortellette di cacio. Notisi , che Quargina dinominata tuttavia Quarzlna è r uno de' luoghetti di Ormea un poco di sotto all' in- fluente del Negrone quasi rimpetto al ponte di Nava, donde si travalica in vai d' Arozia. 11 nome stesso di DI JACOPO DURANDI. lytj Quargina è del linguaggio de' Vagienni, ed aucora nel celtico , e nel vecchio teutonico Quarg vien a dire formaggio. Il che dà pur a divedere , che la pastorizia era il principal mestiero de' suoi antichi abitanti, né averian potuto far altramente per la natura stessa de' luoghi. Nei secoli mezzani tutta vai di Tanaro venne com- presa nella contea di Bredulo circoscritta ancora sul fine del nono , e nel seguente secolo fra il Tanaro e la Stura. Siccome infra i monti e nelle valli i fiumi non servono di confine , ma i monti medesimi , così non vi potò sex'vir il Tanaro se non a qualche miglia di sotto al tener di Geva, Questa contea dipendeva come tutte le altre del Piemonte poste alla diritta del corso del Po , dal militar governo de' marchesi di To- rino , i qua fi verso il fine dei decimo secolo fecerla probabilmente reggere da un viceconte, siccome avean pur fatto dell' altra contigua di Auriate. Era a quei marchesi sottomessa anche gran parte della Riviera di ponente , e di molti beni e terre vi avean colà. Ma nello scader del secolo undecimo disfattasi e dimem- brata fra vari condivisori la marca di Torino, assai terre del superior Piemonte toccarono a Bonifazio cosi detto marchese di Savona e segnatamente il più ài quelle , che dianzi componevano le contee di Auriate, e di Bredulo, ed altre. molte di là del giogo verso il mare da Savona qua e là per salto infino alla sommiti di vai d'Arozia. £0 0 DELLE ANTICHE CONTESE DE' PASTOSI , KG. La valle così dinominala non si vuol estendere per tutto il corso del fiume Arozia , ma ristrignere alla sua parte superiore, calando giù del giogo infìno al luogo di Pogi, ovvero Fogli. iLssa formò iu appresso il mar- chesato di Clavcsana , compresevi alcune lontane terre alla marina. L" inferior valle da Pogi scendo alla foce dell' Arozia , che reiette nel mare presso Albeuga. Per- ciò il cronista genovese Giorgio Stella Pogi ad conjt- nes Albenganae versus Vlebem vallis Arociae , et ad coTìfines marchionatus Clavexanae *. Si certamente ris- petto a' confini di esso marchesato , cui Pogi era al tutto contermine , ma n' è d' indi ancor discosta 'la Pieve e vi ha più altre terre intraposfe. Ei volle sol- tanto farci conoscere il capo-luogo di quella valle , come si è tuttavolta la Pieve detla di Teuco o Teico- volgarmente, e nei documenti de' tempi mezzani, Plebs Teuti, che poi si pronunziò Tcuci , il qual nome di- segna appunto un luogo pi-incipale , siccóme derivato da quello della principale celtica Deità di Teufales , che presiedeva al cielo , all' aria , agli spiriti , ed alle ombre de' trapassati , che divagavano su le nubi , se- condo r antica credulità , e superstizione di cotesti popoli , del che ne discorrerò nell' ultimo articolo. Ma la superior vai d'Arozia così circoscritta, insieme con alcune terre lungo la marina , e tutta vai di Ta- naro con più altri luoghi della innanzi contea di * Rer. Italie. Script, t. XVD col. lojj^ DI. JACOPO DTOANDI. 201 Bredulo erano verso il fine del secolo dodici in poter del marchese Guglielmo di Ceva nipote del mentovato Bonifazio di 5avona. Due de' figliuoli di esso Guglielmo, cioè Ottone , e Bonifazio detto Tagliaferro , perchè più battagliero , dai quali discendettero i marchesi di Cla- vesana , signoreggiavano vai d' Arozia ben prima del I2ig. Caffaro il più antico annalista di Genova sotto a queir anno intitola di già esso Bonifazio marchese di Clavesana Jigliuol di Guglielmo marchese di Ceva *. In quell'anno medesimo al dir di Caffaro esso Boni- fazio a prò de' Genovesi marciò contro alla città di Yen ti mi glia , e per mercè l'anno appresso i Genovesi, inyadendo , e taglieggiando i suoi uomini , e le sue terrFe , 1' astrinsero, a ricorrere all' Imperador Federico ÌJLy il qual con precetto de' i3 di decembre 12.10 or- dinò al comune di Genova di astenersi affatto da cotali ingiurie , ed estorsioni scilicet in Portomauriiio , et exleris locis, ac etiam in Diano, et Andora **. Finalmente vuoisi pur avvertire , che secondo gli usi dell' allor dominante feudal governo i principali si- gnori per procacciarsi de' vassalli e de' soldati , suffeu- davano a quanti più poteano le loro teiTe con servitù * Rer. Italie, t. VI, col. 415 in prin. *♦ Questo , e tutti i documenti inediti , de' quali fo uso in questa memoria, esistono negli Imperiali arclùvj di Torino, alcuni in originale, altri in copie autentiche fatte su gli originali serbati in quelli di Genova , o delle contsndenii comunità , da cui furono presentati. ce 202 DELLE AMICHE CONTESE DE' PASTORI , EC. graduale, facendoli partecipi delle rendite, e de* signo- rili diritti. Così avean fatto di Ormea , e di altri luo- ghi di vai di Tanaro , e di Arozia i predecessori de' mentovati marchesi di Ceva , e Clavesana. Quelli dì essi suffeudatari intitolali castellani , o signori di Or- mea, di Garessio, ec. , o di vai di Tanaro non sono meno antichi del dodicesimo secolo. Queste cose così dichiarate , mi fo a cominciar l'is- toria delle contese de' pastori suddetti ricavata pressoché tutta da un fascio di vecchie indubitate carte indicate qui luogo a luogo in pie di pagina , le quali pel corso di sei secoli formano gli atti sinceri delle contese me>. desime. Il novo ordine di cose diradicò oggidì quella,; che nata molto più tardi, e come di soppiatto, e senza germe nessuno era divenuta la principale, e cagionò' de' rumori assai tuttavia in questi anni passati. Altres? r esatto i-apporto di fatti e cavilli insino a ora ignorati, o non posti mai nel vero loro lume può giovar per avventura a spegnere tra quegli stessi pastori , e po- polani le false opinioni, le rabbie, gli ardiri, 16 osti-- nate gelosie non ancora spentesi. §. 3. Istoria delle contese de' mentovati pastori dal secolo dodicesimo insino al i562. Val d' Arozia per la stei-ilità sua e delle sue terre certo non forniva de pascoli bastanti al bisogno de' DI JACOPO DURANDT. èo3 numerosi pastori della Pieye di Tcuco , poìcliè furono astretti a cercarne de' lontani di qua del giogo , e di qua del Tanaro. S' ignora affatto come e quando ci venissero la prima volta , ma ci vennero insin da'tempi antichi , e probabilmente alla maniera allora introdot- tasi in Italia raccontata da Aggeno sopraccitato , che multi per potentiam invaserunt , et colimi. L'ampiezza dello intero tener di Ormea , che tutta comprende la sopra descritta suprema valle del Tanaro , e la quantità grande di boschi, e di abbondanti erbe, che ricoprian quei monti , dimostrano , che alla sua popolazione doveano soverchiar i pascoli e le terre. E stato quindi tanto più agevole agli Arozìesi , o Pievesi intromettersi per minor gelosia ed incoramodo degli Ormeaschi nella parte più discosta ed agreste del cOstoro territorio » come la Viozena si è. Checché ne fosse allora , sendo l'imaste per lunghissimo tempo l' una e 1' altra valle soggette ad una medesima signoria, tanto più facilmente si mantennero i pastori di vai d'Arozia nell' uso di pascere , far legna , ed altro in alcuna parte di quella regione , satisfacendo , come pur han fatto sempre ai dritti , che insin dai primi tempi del governo feudale furono ordinati in ricognizion del dominio del signor del territorio , il qual a vicenda li. riconosceva dipen- dere da un maggior signore. Tra cotesti dritti, /oretica , cioè le selve, e i pascoli si annoverano nella dieta di Roncaglia del ii58 , e poi nella pace di Gostanza del li 83 si approvarono le 20 4 DELLE AMICHE CONTESE DE* PASTORI , EC. consuetutllni in nemoribus , et pascuis a favore dì que' signori di Lombardia , e Liguria , che dimostrarono averne un antico titolo. Convenne anche al comune di Ormea di procacciarselo dal suo signore , o sia dal marchese Enrico , che gli accordò la tacoltà di disso-"" dare e coltivar terreni segnatamente nelle Viozene si-' tuate in posse et territorio Ulmetae , disboscandoli ove d' uopo * ; privilegio anteriore alla dieta istessadi Ron- caglia, e alla metà del secol dodici. Cotesto Enrico detto anche "Manfredo era unico figliuolo di Manfredone fratello di Bonifazio suddetto marchese di Savona , ed entrambo figliuoli di Tette pur marchese. Il padre dì Enrico non vivea già più nel logy , siccome apparisce da una donazione fattasi da Enrico medesimo , e dal menzionato Bonifazio su'© zio alla canonica di Ferrahia. Enrico non lasciò dopo se prole nessuna, e le sue terre, tra le quali Ormea, furono di poi divise tra i figliuoli di esso Bonifazio, de'quali Anselmo padre dei sopra- detto Guglielmo di Ceva è stato il ceppo de'marchesi' di Ceva, e Clavesana. ' T Fattasi un poco più popolosa la vai superiore del Tanaro , i suoi pastori e popolani s'ingelosirono de'fo-' restieri, che pascevano nella Viozena , e si allargavano' con noia degli altri. Il poteano gli Aroziesi vie me- glio perchè più numerosi , e intraprendenti , e forse * Privilegio rapportato nel voto del 1346 di Peregrino de' Saljubeni , di citi in appresso. DI JACOPO DURANDI. 2o5 anco più armigeri degli Ormeaschi maggiormente oc- cupati allora dell'agricoltura. Si sa, che i pastori anche più degli agricoltori sono atti alle armi, e perciò gli Arcadi istessi mettevansi al soldo di tutte le rcpubl^Iichc Greche , come tra noi usavano gli Svizzeri. Anche ia questo gli Aroziesi gli hanno imitato , e sebben soggetti a' marchesi di Clavesana , eransi nel i2o3 posti al soldo del comune di Genova , e combatterono contro di Al- benga. Sendosi poi l'anno appresso ritirati da quel servizio , marciarono i Genovesi conira rebellcs de valle ArozicE ( come impropriamente ribelli sono detti da Caffaro ) per costrignergli a ritornar al soldo di quel comune, ed impedirli non taglieggiassero più, e dessero il sacco alle terre della Riviera di ponente '. Le mal sicure e peggio combinate divisioni delle terre tra i figliuoli del mentovato Guglielmo di Ceva servivano di pretesto a quei pastori a divenir più indocili , e riot- tosi , massimamente dappoiché i due fratelli di Clave- sana suddetti tennero nel particolare la vai d'Arozia , e alcuni luoghi in quella del Tanaro , ed aspiravano a ritenersi pure Ormea. Appunto di quel tempo crebbero, é s' inasprirono i contrasti de' pastori, cercando gli uni gli altri di sorprendersi, e cacciarsi della Viozena. Intanto i menzionati signori non eran meno discordi tra di loro , e coi loi'o vassalli , o castellani di vai di Tanaro. * Rer. Italie, t. VI col. 386 , e 388. £06 DELLE ANTICHE CONTESE DE' PASTORI , EC. la questo mezzo i marchesi di Geva con Ottone di Clavesana , e i castellani suddetti militavano del 1225 al soldo del comune di Genova nella guerra mossa a difesa di quello di Asti contra Tortonesi , Alessandrini» e Vercellesi * , e trovandosi in principio dell' anno susseguente a quartieri in Genova , presero ad arbitro quel podestà per acconciar i fatti loro. Si progettò ri- manessero i luoghi di Guressio e Bagnasco per metà tra i Ceva , e i Clavesana , ed a questi ultimi dovesse poi spettarsi Ormea con tutto il tener suo , mediante il compenso da concertarsi in appresso , che non ap- pare siasi mai più concertato, onde svanì ogni intelli- genza. Nulla si definì rispetto ai castellani , i quali mancavano anco di mandato per agire a nome degli altri loro consorti ; ma quelli eh' eran presenti , pro- misero d' avanzo di far omaggio ai Clavesana pel loro sufifeudo di Ormea , quando occorresse , ed eseguir le progettate convenzioni , che poi non si eseguirono. Intorno alle contese de' pastori di Viozena si rimisero al giudizio di Aimone di Ceva , e ncppur ciò ebbe effetto **. Cresceano però i disturbi , che per gli contrasti de' pastori quindi ne venivano alle comunità di Ormea , e della Pieve , eh' erano in questo esse sole interessate. ♦ Annal. Januens. lib. 6 , Rer. Italie, t. VI ; col. 439. ** Cutesti progetti contengonsi in due atti de' 15 , e 19 gennajo 1226. I DI JACOPO DURANDl. 207 La prima pielendea godersi tutto 1' anno la Viozena -i e farne ciò più le piacesse , 1' altra in contrario spet- tarsele quella così pienamente sino a poterne far bandi, e rivocarli a sua voglia , però sempre col consenso ed autorità de' signori di Ormea , con che non dissimulava dipender affatto la Viozena dal territorio , e feudo di Ormea stessa. Ma insieme appare, che la Pieve usava già molto innanzi implorar dai signori il bando , o di- vieto, acciò nessuno s'intromettesse nei boschi, e beni, che i Pievesi vi occupavano ; cautela troppo necessaria a' medesimi* come forestieri , e mal sofferti dagli Or- raeaschi. Siccome non s' intaccavan per niente i dritti del signor territoriale e diretto, né de' suoi vassalli, o signori d' Ormea , che n' aveano 1' utile subalterno do- minio , parca loro al tutto indifferente riscotere dagli' Ormeaschi , oppur da' Pievesi le intere decime , ed im- poste solite per l'uso de' pascoli, de' boschi , e delle terre. Ma finalmente a' io ottobre di quello istcsso anno J226 con sentenza di arbitri si stabilì tenessero gli Or- measchi la Viozena dalla metà di ottobre infìno alla metà di aprile, e i Pievesi il rimanente dell anno, e questi per recarvisi colle loro greggie e robe , avessero liliero , e sicuro il passo sul tener di Ormea. Altresì approvarono a favore degl' istessi Pievesi V uso di pro- porre , che s' intimassero gli opportuni bandi cam- pestri , però sempre cum Consilio , et auctoritate do- minorum Ulmetae , ai quali signori gli arbitri racco- 2o8 DELLE ANTICHE CONTESE DE* PASTORI , EC. mandarono di far ogni cosa osservare con l'autorità, che n' aveano *. Parve agli Ormeaschi vedervi della parzialità per gli Pievesi nel giudizio di quegli arbiti-i , e ricorsero al marchese Manfredo Lancia vicario dell' imperador Federico II in queste parti della Lombardia , o del Piemonte , ed ottennero due decreti , 1' uno di ricon- ferma di tutte le buone loro consuetudini , l altro di usar de' pascoli , e de' boschi nel tener di Ormea , ita qiiod nemo possit bandire , et disbandire hominibus Ulmetae didum locum Viozencs , stantecliè U dritto de' bandi si spettasse a' signori di Ormea **. Ma appunto i Pievesi non li proponeano per proprio diritto , ma per autoriti di quei signori medesimi. D' altro canto eransi esentati dal bando suddetto i tei-reni , che ia Viozena coltivavano gli Ormeaschi , e quei di più , che in avvenire essi ed altri vi coltiverebbono. La parzialità o la negligenza degli arbitri trasparirebbe piuttosto dacché si attennero al solo antico uso , che i Pievesi vi avevano , senza far cenno di alcun loro * Laudo o sia sentenza di arbitri de' io ottobre 1236 j " domini Ulmetae „ faciant omnia siipradicta attendere et obserrare , et snam auctoritatem ho- 3, minibus de Tiieuco praestate, quod possint piacilictam terram bannire $c- ,y cundum focmam praedictorum „. L'imo degli arbitri è stato Ottone marchese di Clavesana , o sia di vai d'Arozia, l'altro l'arcidiacono di Alba de' consi- gnori di Ormea. Il elle dimostra chiaro , che non il feudo j ma le due sole comunità erano in questo interessate. -* Decreti rapportati nel voto sopcadetto di PeregrJBo de' Saliflbeoi» DI JACOPO DURAKDl. 209 titolo , e trascurarono quello degli Ormeaschi neces- sario affatto per usar de' pascoli , e dissodar terre in- colte , come disopra si notò. Nulla di meno il laudo , ovvero sentenza degli arbitri ebbe il suo effetto , ed è tuttavia il primo titolo , ed unico, a dir così , che n' abbiano i Pievesi , od Aroziesi , e vennero poi sem- pre esagerandolo con istrani comenti , e con molta sottilità. Cotesti Aroziesi fornita 1' una contesa , ne pigliavan dell' altre. Mentre i Clavesana loro signori faceansi cit- tadini di Genov^a ed ingaggiavano a quel comune per non grossa pensione "Porto Morizio , Diano, Tabia ed altre terre della marina , e poi di quelle a jugo versus mare * , cioè di vai d' Arozia stessa , gli Aroziesi ri- beilavansi ai Clavesana. Questi ricorsero a Genova per ajuto : r ottennero tardo e scarso , talché le truppe I-accolte da' Genovesi furon disfatte , e oltre a ciò gli Aroziesi diedero il sacco a parecchie terre di Albenga, e di Genova , diroccarono alcune castella , uccisero di molti pi-incipali cittadini di Genova , di Ventimiglia , e di Savona , imperversando del continuo. A poi-re loro alcun freno, ed impedimento in avvenire, il po- destà di Genova affortificò ed approvisionò il castello della Pieve , del che tutto ci ragguaglia l'istesso cronista Genovese **. * Patti del 1228, e convenzione de' 16 settembre i23àj sono atti di sem- plice aderenza, e non già suddiiizi. ■•* Ad ami. 1232, e 1233, Rei-. Italie t. VI col. 469 , 470, ^ji- Dd aio DELLE ANTICHE CONTESE DE* PASTORI , EC. Se di poi i pastori per alcun tempo rimasero tran- quilli nella Viozena , noi furono già i lor signori , e sopra tutto i marchesi di Glavesana. Essi non avean dato mai a quei di Cava il compenso , o prezzo per acquistar il diretto dominio dejla terra di Ormea , e in vece studiaronsi di vendere iasino ciò , che ancor non possedeano. Affrancarono i Pievesi , e altri , che pagherebbono una certa somma di danaro , dalle im- poste dovute agli utili signori di Ormea da chi usava de' pascoli, e terreni di Viozena, salvo però jure do— minii , et seignorice *. Cavaron danaro da parecchi di que' pastori e contadini , a' quali nondimeno convenne poi soddisfar le imposte , e di quello si giovarono ì Glavesana per comprar da alcuni de' mentovati signori qualche porzione del feudo utile di Ormea , e Viozena **!, Immediatamente col pretesto di levar le quistioni in- torno ai bandi campestri , e all' uso de' pascoli , con- cordarono con gli altri consignori, e stabilirono a pia- cimento un gasialdo , o giudice campestre a favor della Pieve di pari autorità a quello unico di Ormea *** ; * Atto de' 2 febbraio 12G1 riferito in una sentenza del 1491. *'■' Molti di quei signori erano de' Bisaccia: strumento di quitanza io mag- gio 1263 ri&rito nella sentenza suddetta. *** Stromento pure io maggio 1263: concludoin) poi " Ipsi marcbiones „ ex una parte, et domini Ulmetae ex altera esse inter eos bonos et legales „ consortes per raedietatcm de Viozena , et de jurisdictione Viozenae , scilicet j, de bannis , poenis , alpagiis , et aliis redditibus , et de drictis , et decimis „ habeat quaelibet pars ibi sccundum quod quisque habere debet „. Q siesta si è la specie di giurisdizione della Viozena rìserbata a' signori, e che dipoi i Pievesi pretesero , e finalmente vollero interpretarla pei" superioidtà territo- riale , o sovranità , ed appropriarsela. DI JACOPO DtJRANDl. 211 novità contraria a' regolamenti del 1226, e all'uso antico, la quale irritò gli Orraeaschi , e fece i Pievesi inorgo- glii'e. Costoro inanimiti dai Clavesana mossero novelle querele per occupare liberamente quei pascoli. Però non si ebbero il torto , quando nel 1284 pubblicarono, che per venti anni avvenire niun forestiere durante T estate facesse pascere in Viozena , ma con troppa fe- rocia immediatamente vi cacciaron di là gli uomini di Diano, che &ceaD pascere affidati dagli Ormeaschi. In contrario questi villanamente l' anno appresso vi rin- cacciarono , e predarono gl'istessiDianesi affidati da quei della Pieve , i quali incominciarono a dire spettarsi loro la Viozena *. S' invanirono viepiù , allorché Ema- nuele di Clavesana nova porzione acquistò dell' utile dominio èà. Viozena , ed accordò a' Pievesi , ehe di da- naro lor proprio n'avean pagato: il tenuissimo prezzo ai venditori, l' immunità del di-itto delle sementi pei loro campi di Viozena , e di proprio capriccio centra ogni patto , ed uso antico gli invitò per qualunque lor quistione in fatto di pascoli a non più starsi in giudizio nella Viozena stessa , ma nel borgo della Pieve **. * " Qiiod Viozena est hominiim Theici, nec ibi habent domini, vel bomi- „ nes Ulmctae aliqiia Tacere in affidando, vel diffidando „: parlavano de'pascoli d'estate. Notiflcanza intimata da Emanuele dì Clavesana, e dai Pievesi addi 7 giugno 1285. *♦ Due stromenti de' 20 maggio 1 791, ne' quali parlasi pure del controscritto assedio di Ormea. 212 DELLE ANTICHE CONTESE DE* PASTORI , EC. Con tanta emulazione procedeva Emanuele di Cla- vesana contro al signor diretto e territoriale del feudo di Ormea. Era desso allora per la maggior parte in poter del marchese Nano di Ceva , cui il Clavesana. avea mosso guerra, e con l'aiuto de'Pievesi , e dì altri suoi uomini , a' quali eransi uniti Guglielmo di Ceva, i signori di Scagnello e BattifoUo, ed il comune di Mondovi , posero assedio nel 1291 al castello di Ormea. Struggevasi il paese per le rnntinue guerric- ciuole di tanti tirannelli , ma elle tornarono quasi tutte a prò del marchese Nano. Egli stesso racconta co- testi fatti in una carta di donazione 20 febbraio 1296, per cui rimunerò i suoi vassalli ed uomini , che l'ave- vano ben servito. Ma per opera del comune di Asti Nano si accordò poi cogli altri marchesi di Ceva , i quali gli cedettero lor ragioni su parecchi luoghi , e feudi , e segnatamente su di Ormea *. Morto insin del lagi Emanuele di Clavesana, avean continuato la guerra i due suoi figliuoli Ottone , e Francesco uniti ad altri vassalli ribelli al marchese Nano , il quale con Giorgio suo figliuolo, e i vassalli rimastigli fedeli fatta sua pace col comune di Mondovi *• , vi appose la condizione , che quel comune dovesse expellere de socieiaiey et habitatione , cioò a dire scio- * Sentenza di arbitri del 1298^ e stromento 4 febbrajo 1299. ** Trattato de' 25 giugtio 1297 negli arcliivj della città di Mondovi, e stampato nella causa per la commenda di Ferrania. I DI 3À0OPO DURANDI. al3 gllere cgui alleanza , e cacciar del suo territorio infra altri ai Ceva ribelli anche Ottone^ e Francesco marchesi di Clavcsana , ed i signori una volta di Ormea ( do- minos quondam Ulmetae ) tutti vassalli de' marchesi di Ceva. I mentovati già signori di Oi-mea eran coloro, che senza l' aggradimento di Nano signor diretto di quel feudo aveano vendute ai Clavesana l'utili porzioni di essa signoria , e prese 1' armi contro di lui. I Cla- vesana medesimi sono chiamati suoi vassalli ribelli , perchè tali si eran fatti con 1' acquisto di porzioni di quella subalterna signoria , e non di meno gli ruppero guerra istigati anco dai Pievesi , che vi soffiavano del continuò , per ritentare di levar una volta il luogo, e tutto il tener d' Ormea di mano ai Ceva. Erano allora i marchesi di Ceva signori diretti di Oi-mea interamente, e Nano sopra tutti. L'erano già del 1226, quando progettarono di cederla ai Clavesana mediante un equivalente, che poi non ebbe effetto. E il vero, che quei del Carretto di Savona vi pre- tendeano averne alcuna parte, e nella divisione delle lor terre fatta del 1268 pattuirono di continuare a ri- tenersi in comune i diritti che avevano sopra Garessio, Ormea , e generalmente in tutta vai di Tanaro '. Co- testi diritti dipendeano da alcune convenzioni, eh' essi del Carretto avevano coi Ceva intorno ai feudi di vai • Istromento ti ottobre 1268; trovasi fra 1* sciitture del marchesato d« Novello. ai4 DELLE ANTICHE CONTESE DE' PASTORI , EC. di Tanaro, e supponendole violate dai Ceva , ricusa- vano i Carrettani di più dipendere dal costoro diretto dominio pei feudi suddetti. Perciò con il consenso del Re Carlo I di Sicilia , allora signor supremo di essi feudi trasportando lor ragioni su di Ormea segnata- mente in Roberto di Laveno consigliere del Re nel superior Piemonte, vollero la tenesse dipendente non più dai Ceva , ma dal Re immediatamente *. Nulla di meno Filippo di Laveno figliuol di Roberto ne fece omaggio a Nano, e ad altri de' marchesi di Ceva **, poscia il ritrattò , vantandosi ugnale ai Ceva mede- simi, e del Re solo esser vassallo. Ma non ebbe il suo acquisto un lungo effetto , e i marchesi Carrettani ripigliaroiisi le prime lor ragioni qualunque elle si fossero. Laonde nella guerra mossa da Carlo Re di Sicilia al comune di Genova nel 1273, i Carrettani, non meno che i Ceva aveano seguitato l'esercito del Re per debito di vassallaggio , e i Genovesi per vendi- carsene espugnarono in quell' anno stesso le terre di Cosio e di Pornasio in vai d' Arozia , su le quali i Ceva e i Carrettani vi avean de' dritti comuni coi Glavesana , d'indi passarono dì qua del giogo ad espu- * Scrittura de' 6 giugno 1270. ** Transazione tra i Ceva, e Filippo di Laveno 30 settembre 1170, il qual pretendeva essergli dovute fidelitates dominorum Ulmttat , e possedei: quel feudo sicut major*: domini p«si D. Regtm, DI JACOPO DURANDl. al 5 gnàr Ormea, ijuae terrae omnes prò rege Carolo iene- haniur , come rafferma 1" antico annalista di Genova *, e lo ripete il suo istorico Giustiniani. I Genovesi ri- tennero alcun tempo le terre suddette per dritto di guerra, e fu allora che alcuni de' signori di Ormea vassalli dei Ceva , ma partigiani dei Clavesana promi- sero al comune di Genova di non portar 1' armi contro di esso , uè sottomettersi ad altri durante il tempo pattuito **. Il mentovato vassallaggio dei Ceva in verso gli Angioini era incominciato poco dopo, che nel laSg pene- trato nel Piemonte superiore Carlo I d'Angiò Re di Sicilia» gli si sottomisero vari signori, e città; tra cotesto Alba, tra quelli i Ceva, i quali a' sS febbraio 1260 furono dal Luogotenente del Re investiti delle loro terre , e tra esse di Ormea ***, il qual feudo rilevò poi dagli Angioini inflno al i38i. Ritornò la pace con Genova , non affatto tra i men- /sionati signori. Nano di Ceva nel 1299 ^vea sottomesso parec^'hie delle sue castella al comune d' Asti nemico del Pte di Sicilia. Soprastavangli quindi nuovi disturbi, * Rer. Italie. Script, t. VI col. 560» * S6* >" fi"- ''* Convenzione solamente accennata in istromento ; luglio 1278 , salva conventione communi! lanuat , quantum est prò ipso communi taatum , tt non in aliis personìs. *** Di questa investitura vi ha la copia non autentica , bensì in carattere antico , ma vien ricordata in isttumcnto dell' istesso giorno per cui si riserbano .il comune di Alba alcune terre comprese in quella investitura state già ricono, sciute dii Ceva medesimi a favore di esso comune. 2tC delle antiche contese de' pastori, ec. ma si maneggiò col senescalco del Re in Piemonte , ed ottenne il perdono della sua fellonia *. Avevano intanto finito di vivere i due perpetui nemici suoi Ot- tone, e Francesco di Clavcsana. Al primo era succe- duto il figliuol suo Federico , all' altro Argentina sua figlia moglie del marchese Jacopo di Saluzzo, i quali cedettero a Nano , e agli altri di Geva tutte le lor por- zioni della villa d' Oniiea e Kiuztna cuu licenza del Re Roberto, di cui per quelle eran vassalli **. Non avrebbono neppur nominata la Viozena , se non era per la soggiunta condizione dovessero i Pievesi conti- nuare a goder de' pascoli , e beni per usarne come prima avean fatto. Talché la riserva di cotal uso sop- presse ogni altra cosa contx'aria all' uso antico tentatasi dai Clavesana nel 12 63, e 1291 , come più sopra detto è. A riconsolidar nei Ceva 1' intero utile dominio di Ormea al diretto rimaneano a risolversi le pretensioni proposte dai Cari-etti, e si risolsero finedmente per trattato de' 22 aprile iSaS, per cui Enrichetto e Giorgio del Carretto di Savona cedettero anch' essi ai Ceva i lor diritti d' ogni maniera , e nominatamente sopra Ormea, nella cui signoria comprendevansi la Viozena, e le rendite che ne provenivano. Vi aggiunsero i con- traenti per la validità del trattato la riserva de' dritti * Lettere date a nome di Carlo II Re di Sicilia a' 16 settembre 1305. ** Istromento 23 aprile 1324. Nano mori tra maggio e novembre di quell' anno «tesso. DI JACOPO DURANDI. 2I7 ed ordini del Sovrano , di cui t lan vassalli , cioè i Ceva saliis ìionore , et praeccpiis D. Papae , et Regis hobiTli. Il Papa non ci «otrava per niente , e si no- minò per un cotal rispettp come capo della fazione de' Guelfi , della quale eraiìo pur gli Angioini Re di Sicilia. Tantopiù volentieri erasi rappattumato coi Ceva Fe- derico di ClavesSna, che avea sulle braccia i Carrellani, i quali gli levarono nel j324 il castello della Pieve. Nel borgo e nelle ville anco i Pievesi gli si ribellarono e attendevano a saccheggiar alcune terre di vai d'Arozia, e a fin- peggio in cjuelle di Cosio, e Pornazio con ucci- sioni d'uomini *. Antonio di Zuccarello curatore di Federico di Clavesana non trovando altra via di pu- nirli, traportò nella comunità di Ormea tutte le ragioni de' Pievesi sulla Viozcna , come ribelli e traditori al lor signore **. N'approfittarono gli Ormeaschi, a' quali riuscì dopo varie battagliuole di cacciar di là affatto i Pievesi. Questi così perdenti e afflitti ritornati poi all' antico lor signore mossero Raffaello Doria , che pur s' inti- tolò alcune volte marchese di Clavesana, perchè marito dell' anzidetta dama Argentina vedova d'el marchese Jacopo di Saluzzo , a tentar di riconciliarli co' signori è col popolo di Ormea. Non aveva il Duria interesse * Q 'esti fatti si ricavano tla istrometitu 29 giugno 1324 stipulatosi pure tia i C«va , ed i Clavesana , e da altro 19 novembre istcsso annu> ** Alto ui'crito nel voto del. 1507. 2 I 8 PET.T.E ANTICHE CONTESE DE' l'ASTORI , J:,C. proprio a favorir i Picvesi, ma la sua moglie parteci- pava per lina quarta nel marchesato di Clavesana. Fu scelto ad arbitro, perchè era il destino degli Ormenschi d'imbattersi sempre in giudici sospetti, oppur non mai del tutto imparziali. Non di meno 1' arbitro addi 3 maggio i34o riconfermò interamente il laudo del 1220', surrogando ai cosi detti signori d' Ormea , de' quali parlavasi' in quello, i marchesi di Ceva succeduti in tutti gli utili diritti del coloro sufFeudo. Furono ì Pievesi ristabiliti nelle ragioni loro della Viozena , e ammoniti gli Ormeaschi a cessar d' impedirneli , e per più sicurtà si permise a' Pievesi di nominarsi doUé guardie campaiiiole a custodir i lor pascoli» e terre; Parzialità dell' arbitro , ma non ingiusta , poiché quelli erano stranieri, diffidavano degli Ormeaschi, e n'avean di che. Finalmente rimandò al giudizio di un giuris- perito a difinir su i titoli da prpsentarsegli la quistione super jure et jurìsdiclione Viozenae , termini improprj, ma famigliari a' Pievesi joer disegnar i bandi campestri, e tutto ciò eh' erane una seguela. Presentarono gli Ormeaschi i loro titoH riferiti nel voto istesso dell' eletto giurispei ilo , ed i Pievesi non altro fuor del laudo del 1226, ch'era l'unico loro ti- tolo, ed a norma di quello il giurisperito dichiarò spet* tarsi a' signori di Ormea la giurisdizione suddetta *. * Quia bannitlo et dishannìt'o fieri dthet in dicco loco Viozena: pef dommos Ulmetae incaricali eziandio di far osservare contenta in dieta stn- DI JACOPO DURANCI. 2I9 Acchefaronsi i Pievesi , adempiendo al debito loro verso quei signori, e per più anni furon tranquilli. Si avvisarono nel «377 di chiedere un bando per 26 anni avvenire , e proporre delle pene pivi gravi. Inviai ono il loro sindaco a Geva per ottenerne il consenso, e l'autorità de' signori, i quali ristrinsero il bando a soli dieci anni , e moderarono le proposte pene. Dispiacque forte a' Pievesi, ma ubbidirono *. Non si mutò punto questo stato di cose per la ces- sione, che nel i38i Lodovico di Francia figlio adottivo della Regina Gioanna di Napoli fece al conte Amedeo VI di Savoja di ogni ragione appartenentesi in ultimo al Re Roberto di Sicilia sopra alcune città e terre del superior Piemonte, e su i vassalli tutti, e segnatamente sopra i marchesi di Ceva , e del Carretto di Savona. Prepararono beusì delle mutazioni gli acquisti fatti indi a pochi anni dal comune di Genova di varie terre di vai d' Arozia , e di tutta la cosi detta casteìlania della Pieve di Teuco vendutegli dai successori de' già mar- chesi di Clavesana **. In questo mezzo i marchesi di Ceva erano passati Unt'ia (del i22(i) rjnconfcrmata dall'arbitro Doria nel 134C. Voto qui sopra ricordato di Perej^rino de' Saliinbeni di Pavia , il qual diinorava allora in Albenga , e del J34S £ Stato vicario della casullnnia della Pieve pei mar- chesi di Clavesana. * Deputazione e inchiesta 8 maggio 1377. *■* Contralti dei 3, e 25 ottobre 1386: V. anele Annal. ianutns, dello Stella Ktr. Italie, t. XVU, col. 1130 in prin. 2?0 DELLE ANTICHE CONTESE DE' PASTORr , EC. iusieme alla contea di Asti sotto il dominio de' duchi di Milano, e quindi appresso de' duchi d'Orleans, dai quali furono investiti dei loro feudi , e di Ormca sin- golarmente *. Intanto quei del Garretto di Savona occu- pavano la Pieve, il comune di Genova era caduto ia mano a' Francesi, i quali non poterono ricuperar la Pieve iasino al i4o2**. Alcuni pastori e contadini Pie- vesi fecero de' guasti nella Viozena a danno degli Or- measchi, ma furono particolari vendette e rivalità, e non ancora le discordie dei loro comuni. Anzi i signori d' Ormea comandano a' Pievesi di consegnar i beni da essi coltivati nelle Viozene a pena di dccaderne , e dociU ubbidiscono ***. Vcniano costoro intralasciando di onoiar quel terreno dell' affettato titolo di lor giu- risdizione di Viozena, e coutentavansi appellarlo la loro bandita****, nome proprio e comune in quella contrada, e nelle" contee di Nizza , e di Provenza per . disegnar le montagne , e ville , e i luoghi de' pascoli , i quali si presumono apjjartenersi al signore del feudo, e terri- torio. Il solo uso e possesso de' particolari , o delle comunità quantunque immemorabile non bastava mai ad acquistarne loro la libera proprietà , che si spettava ♦ Investiture de' io, e 23 aprile 13S9. ** Aniial. ianuciis. ibid. col. 1189, 1190. ♦** Lettere de' 2 maggio 1408 di Carlo ed Ercole marcliesi di Ceva al Po- destà della Pieve Andrea Spinola. **** Casi ancjra del 1404 i Pievesi vendono ad un particolare di Tabia htrba^ium cu/usdam bandi tae , quae appellata est bau-.. ita Vio^enae , etc. DI JACOPO DURANDI. S2t al dominante feudo, secondo le note leggi e consue- tudini. Dal dominio di Carlo VI Re di Fi-ancia caduto il comune di Genova sotto a quello di Filippo Maria Visconti duca di Milano, ottenne Francesco Spinola nel 1426 la signoria della Pieve e vai d'Arozia, per ritenersela insino a che fosse soddisfatto de' danari da lui pagali per conto del comune sfesso di Genova *. Quindi per più di un secolo rimase la Pieve in potere degli Spinola. Insuperbirono i Piev«si fosse lor toccato cotal signore. Ritentarono di far risorgere il disparito lor particolar gastaldo. Il signor d' Ormea li riprese, e minacciò **. Essi intanto fra di loro statuivano do- vessero difinirsi nel borgo stesso della Pieve le quis- tioni relative alle cose di Viozena. L' epoca di così fai ti capitoli dee perciò coincidere con quella della rin- uovellata domanda di nominarsi un proprio gastaldo, ovvero giudice campestre in competenza di quel di Ormea. Però nei loro statuti medesimi continuavano a risguardar per semplice ed economica la così detta lor giurisdizione di Viozena, rajiportandosi a' capitoli fatti per regolamento di quella bandita, in principio de' quali affermavano non essere il territorio della Vio- zena se non parte utile di quello della lor castellanla, e dover eglino comportarnsi altramente che non fanno * Anna]. ianiirn<;. ibid. col. 1395 , e 1290. •* Lettera del loarcliese Carlo di Ceva dti 7 maggio 1428. 232 PELLE A^TIeHE CONTESE DE PASTORI , EC. alla PieiC , e abbisognar di un noto regolamento per la sua custodia. Cotesto econoinico regolamento non approvato mai dal signore di Ormea rimase cosa tra di loro allatto privata. Bensì cercarono vm' altra via : il lor podestà progettò nova convenzione, invitò quattro eletti delle due comunità ad approvarla *. Nulla s'in- novava delle antiche consuetudini fuor di ristabilirvi il gastaldo della Pieve, e le guardie campaiuole, intorno alle quali cose gli eletti delle due comunità non poteano stabilir nulla senza l' autorità del signor di Ormea ** , cui intanto i pastori e rustici della Pieve non eran punto restii a consegnar le lor terre, e pagarne le decime ed altri dritti dovuti al feudo , del quale era la Viozena divenuta la miglior rendita ***. Ciascuno dei signori ne godeva una porzione uguale a quella gli si spettava su la signoria di Ormea ****. * Fu presentata da' Pievesi una nota, come la chiama chi la forino, e «h'essi chiamano convenzione 8 maggio 1429, non segnata dai contraenti: contiene sei articoli puramente econoir.ici. ** AUcgnno i Pievesi ima lettera de" marchesi di Ceva 3 giugno I429, per cui appiovino la convenzlmie , modo poco legale di approvarla. *** Gian Francesco dà in pagamento a Gian Antonio de' marchesi di Ceva V usufrutto per sette anni della sua quarta parte delle decime e di altri feudali dritti in territorio , et posse , et jurisdictione Vìorenae per 400 ducati : is- iromcnto 26 giugno 1476. **** Inve<;tit ;ra 2! gi'igno 1477 del dixa d'Orleans conte di Asti a Ber- nardino fu Gaitllasso de' marchesi di Ceva anche delle rendite provenlcntef ex loco et friibus Vig^etitie ad ipsiut tertiam partem dictne quartne partis Ulmetae. Sono conformi tutte le altre investiture date dai duchi di Milano , e coati d'Asti pel feudo di Ormea dal 1389 in appresso. DI .TACOPO rURANDr. 2 25 Afa pur a dispetto dell' apparente docilità, mulinotvaao i Pievesi nuove cose. Succcdevansi e multiplicavansi i lor gastaldi ricusati e negletti dagli Ormeaschi , noa ostante la presupposta convenzione suddetta. Il jiodestà de' Pievesi invasato dai zuffoli de' suoi pastori creò uà castaido particolare pel borgo, un altro per le ville iella Pieve, gli autorizzò a toner irihunale nel borgo stesso per le cose di Viozena, o altrove a piacimento, augumenlò il numero delle guardie compaiuole * pel governo di quelle pasturate , e terre , e farneticando protestò altamente non voler derogar mai in alcuna cosa alia superiorità , giurisdizione, ed alto dominio di Luca Spinola signor della Pie^'C , di vai d'ylrozia, e del con/i/o (cioè territorio) di Viozena. Avea posto per base di così fatta declamazione appunto ciò , che la distrugge , cioè a dii'C le sentenze suddivisate del 1226, e i3/[o. Però vi covavano i primi germi di una pretensione isviluppatasi più tardi, ma non su di basì migliori. Mentre quel podestà vaneggiava a questo modo, e con seco vaneggiavano i Pievesi , rimaneasi deserto il tribunale dei loro gastaldi. Dopo due anni di cotal solitudine costoro s' aiTÌschiarono a richiedere quello di Ormea d' inviare al lor tribunale certi Ormeaschi : furono ricusati come incompetenti , ed intrusi in queir uffizio. S'indispettirono i Pievesi , mormoravano noa essere più di alcun uso le vecchio convenzioni, e sea- * Atto de" 21 •.nj;;gio 1491 di divisione delle pasturale di Vibzcaa. 2^4 DELLE ANTICHE CONTESE DE* PASTOBI , EC. tenze, doversi far novi patti e leggi, e per ragione allegavano la loro forza , e potenza *. li signor di vai d' Arozia non prese parte nessuna in cotali novità, si rideva egli del decreto del suo po- destà della Pieve e tanlo meno immaginava aver de' sud- diti sovrani, non essen !olo egli medesimo, ovvero che alquanti di quei pastori e villani potessero ac(|uistaigli una sovranità fondata su gV interessi de' loro armenti , e sul possesso di alcune terre , per le cpiali pagavano altrui le deciuie e altro in ricognizione del vero signore. Passò vai d' Arozia da Luca Spinola ai protettori delle compre , o sia del banco di S- Giorgio di Ge- nova. Il signor di Ormea aveva fatto divieto di pescar nel Tanaro , e altrove per tutta la Viozena, e vi facea riscotere con rigore il pedagio, e punir chi lo fraudava. S' inalberarono i Pievesi , ricorsero ai novi lor signori, esagerarono violarsi il dominio, ed una lor giurisdizione chiamata di Viozena , e deliberati di usar la forza , chiesero si ordinasse al capitano della Pieve di marciare in lor soccorso. I protettori di quel banco ignoravano ancora cosa si fosse , e dove la Viozena , e qual giu- risdizione , e dominio vi potessero aver i pastori e rustici della Pieve. Interrogarono il mentovato capitana, e ne scrissero al marchese Carlo di Ceva, il qual ris- pose essere suo il dominio della Viozena , ed il capi- * Lettere ag maggio 1493, tra le quali una de' marchesi Gian Antoniot^ e Francesco di Ceva>. ri JACOPO Dur.Arni. 226 tano (IcTa Pit've s()sl pron'inziò addi 2S e 29 gennajo IS32 riserbandosi di conoscjre , • diciiiararo an i:o':fess'o-:et , c'è iru'lm.i ve t't'ir fjuaest'o , s'rtt in hujusmoJi carrrt-.ii ret' en.lae , et iomiut-in.li-.e , an. non, ed assegnò le ville a com- patir altra volta, e jjroporre Jor- ragioni. ..J.i.'.. ..A * ^ I DI JACOPO DUBANm. 2*7 t T altro de' lor tolIt'i,ati gastaldi, e quegli eran contenti altresì di rimanersi il più sovente oziosi e taciturni , purché ci fossero presenti , e in un col gastaldo di Ormea dignitosamente seduti su di un rilevato sasso , tribunal degno del luogo, delle persone, e dello cose, ed ascoltar gravemente le minute querele di emuli pas- tori a ragion di una pianta atleri-ata , od arsa , o di «rhe recise da chi noi doveva , ed involate , o di pe- core traviate e rapite, o di capre insolenti, che avean roso un albero, o guasto un seminato, o il più sovente contro di chi erasi intertenuto a pascere prima , od oltre il termine stabilito dal hando , e quando pro- nunziar di concerto, crollando, o scotendo la testa, quando udir il gastaldo di Oimea pronunziar solo la grave sentenza. Non s" infiomettevano però mai , ogni Volta che il gastaldo di Oi-mea difiniva cose relative al riscotere le rendite feudali, cui eran tenuti pagare i Pievesi non meno che gli Ormeaschi pei pascoli e keni della Viozena. Ubidivano gli uni gli altri a' suoi J)rocIami , soddisfacevano le incorse pene , ricon-evano a lui in occasion di contese, e di frodi avverate, ed ©ccorse, come i Pievesi medesimi si esprimono super Jtniòus Ulmetae , loco ubi dicitur in Viozena *. . i Adivenne in quel raro periodo di tranquillità, che il governator Francese , le armi del cui Re occupavano * Proclami dai 15 di aprile 1545 successivamente in opni anno iosino a' IS ogustu iss8- Alti 4 mag^o, e 13 luglio parimente del ISSS*- fi^Ji PEM.E ANTICHE CO^'TESE T>E' PASTOP.I , EC. altera gran pai'te del Piemonte , aveà bandltof^" non si estraessero -del paese biade , e bestiami ', Il conte di Ormea facendo il bando eseguire nel suo territorio, gli accadde spesso dover punire 1 inobbedienza di pa- recchi Pievesi. Goteste pene indignarono i coloro animi iracondi, e sopravenne indi appresso ad inasprirli vie più l'ordine ducale del sovrano del Piemonte, che rimet- teva in vigore il dazio di Ormca per tutto il marche- sata di Ceva. Gravitava cotesto inaspettato balzello sa i Pievesi, introducendo, e pascendo in Viozena i loro armenti, ed estraendovi biade, ed altro. Dapprima ne mormorarono , poi tentaron più vie di oppoivisi frau- dando il dazio, in fine apertamente vi si opposero. Gadde la lor vendetta su gli Ormeaschi innocenti , e l' anno i55g vide ricominciar le battagliuole campestri, gli uni i-incacciar gli altri , tendersi agguati, rubacchiarsi a vicenda , offendersi , imperversare. Il signore allora di vai d' Arozia , o sia il banco di S. Giorgio prese la prima volta il partito de' suoi sudditi , per garentirli da una gravezza , cui di mal occhio li vedeva suggetti. Il contedi Ormea erasi fatto autorizzare dal magistrato del contado di Asti a far" rappresaglie su i beni e le persone de' Pievesi , parecclìi de' quali furon presi e incarcerati, altri meno indocili piegavansi a portar il novo : carico **. .11 lor signpiiè • Nel dicembre 1SS4: atti dei 13 gennajo rJSSi ^ '7 gennaio, e 2t agosto iss6. ♦* Atti degli II lagfìa is6o, ed esame afuturamefnoria,de'4febbraio 156». nt .TACOTO BTinAHDI.. J29 rfr^trava volersela prendere non già conlra il principe ,di Piemonte , ma contro al conte di Orniea eh' egli credeva , oppur fìngea di crederlo autor di quel dazio. Fecersi cessar le barulle, e si nominarono de'comrncs- »ari per risolvere la contesa. Si disegnò la terra dì Zuccarello pel luogo del congressOi, dove inutilmente il commessario Piemontese vi aspettò quello di Genova. La corte di Torino dovea piuttosto esentar i Pievesì da quel dazio , ma non soffrire si disputasse s' ella poteva suggettarveli nella Viozena , cioè nel suo terri- torio. Profittarono di questo suo errore i protettori del banco di S. Giorgio, ed imposero su i beni de' Pievesi nella Viozena una tassa , dicean eglino , per mantenere il caporal della Pieve a cagion delle diffe- renze con gli uomini di Ormea , le quali si deano ter- minare per mezzo di dottori. Ciò fatto , cedettero alla repubblica slessa di Genova la vai d' Arozia con la Pieve e territorio e giurisdizione di Viozena., adottando così le vecchie frasi de' Pievesi stessi, per ritorcerle ia avvenire , e dar a quelle un senso novo, e sublime *. Cosi pure il di seguente giurarono i Pievesi fedeltà alla repubblica per tutta la vai d' Arozia , compresavi an- che la Viozena. Non tardò il capitano della Pieve ad ordinar la consegna delle biade raccolte in Viozena da lui detta parimente giurisdizione , e territorio della Pieve stessa, proibì estrarle di lù senza.il suo permessq, * Decreto 3 feblu-aio 1362 , e cessione de' 29 successivo agosto. j5o DELLE ANTICHE CONTESE DE* PAST^K! , EC. a riserva si portassero in vai d' Arozia , e di consognarTe altrove , e ad altri fuorichò alla Pieve ed a lui '. Se ì Pievesi ubbidivano al capitano , consegnandogli le tiade suddette , non potevaua però ubbidirgli nell' altra parte non consegnandole ai gastaido di Oi-uica , ccnza esporsi a perderle. f. 4. Continuazione dell' Istoria dal i562 in appresso, qiianda s immaginò si avessero i pastori Piaesi acquistata , e come attratta la sovranità delle montagne dove usa-* vano pascere armenti. Intanto il novo sovrano di vai d' Arozia andava sottilmente allontanando il congresso di Zuccarello. Finalmente dopo sette anni di espettazione si aduna- rono i commessari nel i568. Vegliava la desterità della repubblica , acciò non si toccasse mai il merito di'lla Dova controvei'sia , o sia della pretesa immunità de* suoi sudditi nel dominio altrui, insino a che potea spei-are, che il tempo , il qual alla iSne oscura e confonde ogni cosa , spargendo sopra di quella alcun poco della sua ruggine , non offuscasse e disforniiisse le native sem- bianze, e vi facesse maturar meglio i cavilli , su i quali meditava di appuntellarsi. Inlatti indi a poco ella * Ordine de' 15 seitcmbce i$62. ì Df JACOPO nuRANPr. 23 1 ^n"ppe le conforpTìze , ed avvisò il dura dlSavoja, che si eia la discijssion sospesa della causa principale , e infanto continuassero i Pievesi nell' uso antico senzA innovar nulla *. L' uso antico richiamava quello stabi- lito nel 12-20, e i34o ; ma i Pievesi l'intesero per I' aiìuso, in che erano da lunj^o tempo di ottener colla forza ciò , che non potevano altramente. I seguenti anni son nnt;iti tutti di attentati , d' in ob- bedienze , d'insulti, di frodi ". Crescevano gli eccessi tra i Pievesi che assaltavano, e gli Ormeaschi che di- fendevansi. Il duca Fmanuele Filiberto nomina un nova commessario , dice egli , per difinir le contese fra il conte ed uomini di Ormea , e quei della Pie*'e , non lospetlando neppure si dubitasse della sua sovranità «opra la Viozenu ***. Rientranvi poco dopo in buon nu- mero i Pievesi con anni condotti dal capitano, e dal conunessario della Pieve, bruciano casette , e capanne^ e insin la chiesuola , e fanno altii guasti. Molti soa presi, altri sbanditi, e la comunità della Pieve dichia- »ala scaduta da ogni sua ragione su i beni di Viozena ***•. • Leftfra 30 <:r(teiiihre 1568, invitando il Diica a nominar un novo com- m^iKario per di^c^ I'tc il meritu dell' affare. ** Pr./claiiii del gasiaUo d' Oiiiica del 1570, e 1571 , ec. Atti di processi 14 i'.lcem^rc 15-0, e 30 giiiijnj 1371. 0 *** IO, e 17 1 glio 15/ 1> ed esami' Ofi dal {?a•;; 113. *•♦* Ali» j;iuti.jici de' 31 agosto , e senteuià di condanna 4|t'4di'eeinbic 1571. t$% DELLE ANTIrCHE CONTESE DE* PA.«iTORT , ec. Per r òpposllo il governo di Genova * si hi^nù n^fa» minte col duca di Savoja dcyli ecces-i , che quoi dt Omwa commcttcano aell' i/iduùi/a/o .suo territorio ( chia- mava costila Yiozenà ) rie arcagiumV 1' avarizia d( l coute di Ormca', rinnovò 1' offerta di trattar civilmente cotesto interesse puramente cii'ile , e nssicurò , clic i Picvesi non darebbono più mai dis-furl)o di sorto. Noa tai-daiODo questi a smeolirlo : invadono di novo il territorio di Ormca, o la Viozcna , quindi novi inicndj; uccisioni , e prede. Il coute di Ormea noti soccorso di uomini, ma di soli ordini per l'cirrcsfo, e gasli^o de' rei, è costretto difendersi con pnK-iami, e hantli *'. Si riunovcUano i contrasti, ricomincian le b:irulTe Ogni anno in agosto nelle due l'esticciuole de' pastori ili Vipzefta bene spesso insanguinate. 11 menzionato conte s'indirizza alla duchessa di Savo}a , dolendosi non gli abbia il duca fornito mai quel sorrorso , die per ragion di vassallaggio eragli donito *'*. Ma il duca con voleva mover le armi allucinato da chi faceagli credere quegli azzuffamenti private rivalità di pastori e contatlini inquieti. Nò punto 1' avca scosso , che la repubblica avesse per la prima volta detto la Viozcna indubitato suo territorio ^ perchè vecchia frase stata * S.ia lettera al dica di Savoia de' 14 dicembre 1571. *^ Ordini die' 17 goiinajo 1572 ^ pruclami, iulbrmazioni , ec. in lutto quelT anno. ♦** Lettera de' 1$ di agosto 1573. Dr JACOPO DimANDT. 233 sempre in bocca de Piev«'si per significar la proprietà de' beni , che c<»l<\ possedevano. lul.iuto anche i due emuli gastaldi declamavano a «!;nra , ed il Pievese era talora più eloqucnfe , pcichè più forte. Nulla di meno in questi anni passati l'orator de'Pievesi a imitazione di quello uvea fatto la sua sovrana nel •157 1 , loin*) a riversar coteste violenze, e tutti i di- sordini d'allora sul conte di Ormea Garcilasso di Ceva, appellandolo uomo armigero , il qiial si prevalse della guerra , in cui era intol/a la repubblica di Geno\'a. ■Ignorava Voratore, o dissimulava, che in quegli anni ,era Italia in pace , e Genova non aveva altra guerra se non contra il signore ed uomini di Ormea ridutli a difeuder-i di per se soli, fmperciocchè i tumulti della Corsica erano cessati insin del 1670, e non l'im- pedirono mai di avvanl.iggiarsi a srapito de' suoi vicini di (erra l'erma , e i contiasti tra i suoi nobili antichi^ e nuovi non {scoppiarono apertamente in una gueri-a civile prima del 1674, e finirono nel iSyG, In contrario gli Ormeaschi abbandonali a loro medesimi ebbero a lottar del continuo contro di un nemico più forte , e destro per violenze e per artifizi, ma non di meno fecero sovente sventar gli artifizi , e rintuzzarono le violenze *. * Cjnfiniii proclsmi del ga<;tal(lo di Ormea da quel tempo insino al no«ro : processi, e sentetiz.- conira Pievesi , e pel 157^) atti de' 7 a' zb ag, sto di pa- cifico possesso del feudo di Otinea con Vjozejia preso da alcune dame di Cera» a34 DELLE ANTICHE CONTESE DE* PASTORI , EC. Aspettava la corte di Torino s'indirasseio le nuove confeienze per risolvei-^ cotesta tutlavia creduta privata controversia, mentre i Pievesi laceaasi più arditi, « quando comI)attuti , quando rispinli pur risurgevano. Riusciva al loro gastaldo pubblicar di «muli proclami inobbediti , e riparati dagli Ormeaschi, ma festeggiati da' Pievesi come un trionfo. Uno sopra tutto ne van- tano del i5g6, che vietava cacciare, e pescar io Vio- zena , e ne appaltava il pedaggio; allentati inutili, mendicati, ineseguibili, anzi affatto simulati e Cuti per boria, facendovi salir i dritti suppostisi appaltati a na pi-egio , che sarebbe soverchio per un luogo popoloso, non che pel desei-to di Viozena. Cotali gare , e studiati maneggi erano dalla corto di Torino ignorati, o trascurati, e malgrado la fama della sua politica sottilità non seppe accorgersi deli' artifizio, col quale allontanandosi l'esame di una quistione iramaginaiia , o leggerissima , si cercava , che il tempo l'annebbiasse, anzi f intenebrasse , onde poi prestarlo de' colori e delle forme che non ebbe mai. Bensì quella corte poteva ignorai^, che nelle visite di quei confini presuppostesi fatte d'ordine del governo Ge- novese dagli ulfiziali atessi della Pieve , e più sovente da oscuri deputati di Cosio , come nel tSqo , i653. , e 1664 senza uscir del lor territorio rampicandosj su di una rupe più elevata , donde così dalla lungi guar- davan le cime de' monti della Viozena , altamente gri- 4av9p.Q spettarsi quella oputrada alla repubblica. Noa I i UT JACOPO DTTRAKDT. 235 meno strana ed afi'etfafa era di quel tempo la pratica de' Pievesi d' inserir talora nelle tt-nuissime locazioni di un qualclve pezzo di terreno alpestre in Viozena de' discoisi politici alla loro maniera su i diritti di supe- riorità territoriale , eh' essi avean su quella o conquis- tato o trasmesso alla repubblica , a cui quindi conclu- devano spettarcene la sovranità. Ma il rumore di cotci^ti vaneggiamenti contadineschi di rado , o non mai travalicava di qua delle montagne, e de boschi dove quelli eran nnti. Il loro principe non gii adottava ancora apertamente, ma preparavasi a wvvilup|jarli con altre non dissimili pretensioni su di altre terre dei due stati confinanti, come tra le co- munità di Ceneva Oneglicse , e di Rezzo Aroziese feudo Imperiale occupato allora dalla repubblica. Scop- piò per così lievi cose apei-ta guerra nel 1672. S' in- terpose il ì\e di Francia , fece sospendere le ostilità , e promise giiarantir la decision dell' affare , che fu ac- comandalo al giudizio de' dottori della università di Ferrara Si deluse anche cotesto spediente , ma tras- portata di poi al dominio Piemontese la teira di Rezzo *, ♦b'»e fine il litigio per riprodursi ben tosto , e riger- minare su di altri luoglii vicini; triste radici, che troncate sempre rimettono. Fosse indolonza , od altro , la corte dì Torino si addormentò di nuovo su l'affare de' pastori di Viozena , * Col trattato di Vienna (fel 1738. sJS delt.t; antiche contese de' pastori , ec. insino a che una ih'uzion nova e strepitosa de' Pìevesi la risvegliò nel 1725. Si tornò alla mediazione del He di Francia, che incaricò del negozio il signor di Chauve- lin ministro di stato. Ebbcrvi delle conferenze: il com- inessario Genovese atleneasi forte al possesso de' Pievesi, sfuggiva di toccarne il titolo , pure appresenfò , o vi lasciò comparir per la prima volta le mentovate sen- tenze di arbitri del 1226", e i.34o. Nel tempo stesso suscitò, e v'intruse, e ti-araiscliiò nella disputa nuove e non più udite pretensioni su le terre Onegiiesi di Ceneva suddetta , di Lavina , Auriga , e Montegrosso. E stato un lampo , che apparì e disparve , ovvero un novo pretesto per incagliare la principal qui3ìir)ne. In- fatti finirono le conferenze in un fumo , cioè si con- venne che per preliminare si levasse la carta topogra- fica della controversa Viozena *. Dilungata, o sia no- vamente delusa la decisione del precipuo suggetto della contesa, ed alcun poco risonciliati con una convenzioa provisionale gl'interessi delle due comunità, ripigliò il sonno, e durò lungamente, finché piacque a' Pievesi di turbarlo, entrando armati nel 1787 in Viozena, incen- diando, struggendo, strepitando. Volle questa volta la corte di Torino si vedesse su qual fondamento i pas- tori della Pieve si presumevano sovrani di quelle mon- tagne , ovvero di averne trasmessa la sovranità alla repubblica di Genova. I modi pacifici sono inutili dove * Convenzioue io gennajo 1730 seguita a Vectaillef» DI JACOPO DURAKDI. z5j M fanno inp;iurie ; elle si ripetono se non son tronc-a(e col lei IO. Cosi come altre volte con auimo di mai finir nulla , parlarono quei pastori e rustici per liocca del loro oratore, o della, repubblica , e non dissimularono i nuovi modi ed argomenti di conquistar le sovranità. Le cose sin qui narrate bastano a farli presumere , od anzi li manifestano senza più, poiché contengono i ti- toli tutti , e i fatti , su i quali si fondavano. Lusingavansi i Pievesi di aver come attratta una cotal rustica giurisdizione, che neppur sapeano difinire. Il loro Principe la dirozzò, la ringrandi, volle insomma cavarne una vera superiorità territoriale, e gli bastò averla supposta una volta, per farsi a pretenderla. Siccome dessa in sulle spalle di pastori e contadini era una veste accattata , che cascava loro di dosso , o stri- gncva troppo, e aggiavava , pensò a vestirne se me- desimo, per giovarsene all' uopo contro di un vicino» inolliplicandogli delle molestie , e delle quistioni. Il lunghissimo possesso in che sono quei pastori di usar^ de' boschi, e delle terre della Viozena , pagando alla signoria di Ormea le decime, e altri diritti, gli è pa- rulo sulficiente di per se solo a creare e stabilirvi la •ovranità su di quei terreni. Per la cjual cosa apprestntò I' oratore anco un buon numero di testimonianze, ed eziandio di tcstimonj Pie- montesi di due epoche assai distanti, cioè del i56g e 173^, i quali videro gli uomini della Pieve pascere, seminare, raccogliere, tagliar legna nella Viozena, e tenervi guardie a38 DELLE ANTICHE CONTESE' DE' PASTORI , EC. campaiuolc , il che non contendeasi punto; ed oltre a ciò i ior gastaldi formar processi, condennare, por- tarsene talor r appello ai consoli della Pieve, pubblicai bandi, appaltarvi i dritti signorili. Si ò giù detto come, e con qual prò, e furono altrettanti attentati inutili, e posteriori all' epoca della immaginata sovranità , e mendicatisi per crearla. Ma à dimostrar come allora farcansi parlare i testimonj Piemontesi non meno che Genovesi, presentaronsi all'oratore gli atti, ne' quali coloro ritrattarono ciò, che prigioni nel castello della Pieve era stato loro estorquilo con violenze *. I sud- difi medesimi della Repubblica, i quali non si ardi- rono esser falsarj , furono puniti. Il capitano della Pieve imprigionò alcuni uomini di Cosio, ed altri Aroziesi, e gli astrinse a ritrattar quello aveano affermato a favor del feudo di Ormea **. Ma pliche innanzi che il banco de' protettori di S. Giorgio cedesse la valle d' Arozia alla Repubblica , a sia prima del 1S62. non era stata mai controversa al feudo di Ormea ìa giui-isdizion territoriale sopra la Viozena , rimaneva al menzionalo oratore il carico dì spiegare come ella si fosse di lì dispiccata dappoi » e attaccatasi d'improvviso alla sna Repubblica. Rifuggir alle due sentenze del 1226, e i34o era urtare e rom- ♦ Alti de' 20 aprile 1572, in cui attestano 16 particolari di Ornipa. ** Iifoitnzi DÌ {giuridiche de' 27 e 30 di ottobre 1572; esame a perpetua (Oenijria %^ gugiio i^j2 compito a' 2 gennaio IS/*}; M JACOPO DTIRANDI. 2^5 pere m iscoglio. Con troppa evidenza manifestano eo- tratnbe la superiorità del feudo suddetto, e la sugge- *ion de' Pievesi , e i fatti succeduti la neon fermano» L' oratore astretto a comI)attere contro 1" evidenza si ridusse a contorcere i fatti e le parole, per trasportar ft" Pievesi ciò, che fu detto de' signori e del feudo. Presuppongasi decisa a modo suo a prò de' Pievesi la facoltà di porre in bando la Viozena ne' sei mesi, nei ([iiali debbono usarne, egli forse voleva deri- var la superiorità di territorio da un atto cosi basso di polizia rurale? incomprensibile sovranità, che cesSà ed estingiiesi al variar delle stagioni, si stacca dai rustici della Pieve al dipartir che fanno dalle Viozene, attac- cherebbc'si a quei di Orinea per gli altri sei mesi, on- deggia , vacilla, divaga, va restrignendosi del continuo, € s' estingue a misura che quei terreni cangiano di faccia , o sia da pascoli e boschi diventan campi di biade non soggetti al bando suddetto. L'oratore cercando sciogliersi da cotali impacci, in- cappava in altri, sia appigliandosi all'arbitraria insti- tuzione ricordata più sopra del gastaldo della Pieve fattasi da Emanuele di Clavesana nel 1263, e riparata dal laudo del iS^o , sia ad altre posteriori carte ris- guardanti tutte il privato interesse di quei pastori , e contadini *. I Clavesana medesimi, che per abuso * Tili sono la notifìcanza e protesta di Emanuele di Clavesana 7 giorno ■ zSj pei pascoli d'estate spettantisi a' Pievesi, i contratti tra questi j e i 24° DELLE A>'TICH;: CONTESE DE' PASTORT , EC. avean tentato di favorir i Pievesi , riscrlìarono cspros- samcnte a se stessi, ed ai loro ronsoiti ojirrii drillo iTi sijj;noria. Essi e i consorti loro non n'avevano se noà porzioni dilla su!)alterna. li diretto dominio di Oiinca spcilavasi ai Ceva , a' qiuili appunto in riira quel tempo si tinnì parimente il subalterno ed utile. Neppur i Ceva averian potuto alienar nulla delle ragioni del gelido senza il consenso e 1' autorit;\ dei Re di bicilia, poi dei duchi di Milano e di Savoia , dai quali mano a mano ha dipendulo. A questo modo anche dopo due eccoli di studiati maneggi non pot«ì la Repubblica se non difendersi con delle sottilità inutili , e con ca- villi, argomentando dal privato possesso de' Pievcsi , e dall' abuso , che talora ae fecero , 1' immaginata so- vranità. Di questa singolarissima controversia per la molta sua età presuppostasi troppo più intrigata ed oscura, insiuo a che non se ne sccpriiono le rovinose fonda— aienta , può ben dirsene ciò, che app(mto i soldati Ro- mani diceano di cotesti Liguri tenentisi in agguato nei ripostigli de' lor dirupi e boschi, eh' era molto più dif- ficile trovarli, che riti ovati batterli. Né si presuma» che i savj iikuninafi uomini-, i quali con tanto senno reggeano quella nobil Repubblica, non vedessero chiaro Cliresaia 20 mnggio 1291 per l' immunità del dritto delle sementi , l;i privata convenzione del I429 tra i com'ini di Ormea , e della Pi.-ve , la frenetica, dccidiiaziine del p.idesiì Pievcse 21 maggio i-fyi nel divitlcre le pasturate i& VìuTkaìi, carte già di subirà riferite. DI JACOPO ntrnANni. 24 1 i c?cl)oli pretesti, con che inosfravano volersi arvogar l'altrui. La politica singolarmente de' piccoli stali sem- pre attenta ad avvantaggiarsi ebbe in ogni tempo de'pria- cipj non comuni alla morale del popolo, cui disdice separar 1' utile dall' onesto. Quindi preparavasi di nuovo r usato metodo di mantener viva la contesa , di elu- derne la disamina , e mendicar nuovamente la media- zione del Re di Francia allora di già attorniato dal turbine, ch'indi a poco lo rapì, ed affogò. Dopo sei (ccoli di separazione ritornate oggidì le valli del Tanaro, e dell' Arozia a riunirsi sotto uno stesso dominio, han veduto dileguarsi di per se lo strano litigio , e per avventura unico della sua specie negli annali della po- litica , e degli ardili de' pastori , il qual forse altra- mente non era per ispcgnersi mai. §- s. Riforno agU antichi pastori delle alpi. Ma per finire come ho cominciato , cioè toccando qualche costume ed opinione degli alpigiani pastori di una volta, siccome pur da un costume , ovvero abusa nato in cjuei tempi lontani ebbero origine le istesse contese insin qui descritte , risalilo di nuovo alle an- tiche età. Tenterò brevemente d'investigar la qualità di un importante domma de' Vagenni e Liguri Montani di vai di Tanaro e d' Arozia non men comune ai loro vicini, e ad altri antichi popoli, e cosi pur la. nata— uh V^i DF.TJ.K ANTICHE CONTESE DE'pASTOPI , EC. vale oiigine di alcuna ^puiite della loro mitologia tras- cmatiusi iiisiao a otw , sel)l)en uoa oxeoo .cuiiosa, e pili semplice e nafuiale della greca. 'Cetcherebhesi invano gi;\ da iiiioifii ise^oli in qu:^ 4 oppili" dail tempo della signoria de'.Ramit:ni lii qiu'sla pa.te delle alpi la scmplicitù, e linnoaenza de pastori. E rimasta loro 1' antica iruslicità,, jajanienle i pi imitivi costumi tanto meno dopo .qiiell' epoca Rjispelli) a Va-? genni alpini, a' quali pur s' appartenne la valle di 'l'a- naro , cotesta epoca ascende all'anno di Roma • 3o , Otl in circa 124 aiiui prima dell'era volgare, cfuanlo furono sOjTgiogali da Marco i'-ulvio Placco in un co' Vedianzi loro vìciai., e eoa al 'ri Liguri monlani, che tutti eransi mossi a difesa de Salluvj, popolo trasal- pino tra li alpi , il B-ohino , e il mare , contro de' quili i Ptomani guerreggiavano. Nel pariicolare de' Va- geniii monlanesclii noi abbiam imparato cotesta lor» sconfìtia , e servitù dalla iscrizione eretta per trofeo da Fulvio medesimo presso il luogo di S. Dalmazzo il Salvatici/ ni'lia dianzi contea di Nizza ., territorio appuirlo de' Vedianxi , e ii-ipclula su di altn> similp lajji.la nella contigua vaiUe -.della rStura presso il .liiDgo ^i Berse.zio di tju\ del giogo dell' Argentiiìra, territorio di'gl' islessi Vagenni inoai;iai. Cotesti momimentà siip- plis'ono in questo al muncaote libro JjX. di Livio., e ai tronchi fii'Sti capitoUivi *. TiM-'amente non conosneano alloi-a i Tjigiiri alpini la •* V. Piemonte Cispad. jiag. $ , e»C. DT JACOPO DtnRANDT. k^ò ■icphczza e le delizie, che di poi videro fiorire tra glì »tk-auieri , dai quali erano stati sottomessi, ma neppur aveano i coloro- vizi. L' reputavansi licclii nella stessa ìvr povertà, cui'non erasi per anco attaccata l'idea di avviliin(;nto , la qnal nasce dal confronto eoa' Jalli-ui ricchezza, e quindi suole aizzar i desideri, ed eccitar L- astuzie e le frodi per accomunarsela. L'ozio e l» noja della vita pastorale inspirò a' pas- tori il canto e il suono per ingannar il tempo. Le semplici lor passioni , ma ardenti e gagliarde in ogni cosa che vivamente li toccasse , fecerli più o meno poeti e musici. I numi stessi di queste due deliziose arti compagne cran credati abitar a preferenza 1" alte loro montagne. Ivi il cielo a cagione della purezza dell' aria foi-temente colorito di un vivace azzurro, che pende in biuno , parea loro tanto più degno d'i serVir di volta alla stanza di quei loro Iddii e Genj. Vedean' ben essi nelle pianure , o nel basso dell' atmosfera l'azzurro dell' aria palHdo e debole per l'effetto dei vapori, che al- tresì disperdono la luce. Lassù i Bardi , o cantori di professione meditavan più spesso , e dalla natura ivi più varia e grande raccolsero le immagini e le vi- sioni , che di poi formarono paite della lor mitologia. Farmi perci(S del tutto probabile , che i primi Bardi sieno stati anch' essi pastori , e sia principalmente nata su i monti gran parte della semplice e ristretta ia pochi principi mitologia de' Liguri, e di più altre na- zioni celtiche. La disseminavano parcameate nei loroj »^4 PF.T.T.E ANTrrHE CONTFfiE PE' PASTORI , EC. ViTsi t'(l inni, noti sodcrcnclo il iiii>lrri().so confe^nór di' lui- s.ifcr.loii si di vili {fissero gli aiciuii della reli- gione e ili'lla p liitii-a. C<)>!. ^^•.ìt• ira pasldii luicqiiero £• Versi e il e;inf' discorsei-o Sono slate ia- toino a (pifsto floin iia eoir-ordi presso he tutte le na- zio li celtielie, non p-i-'i infoiiìo alla «eie, e alla nova miniera di vita, ciu le animi! trapassavano. Aleiini scrittori deir aiiticiiiiii , ei>me Uiol irò Siciliano /io. V, malamente 1 interpretarono e confusero eolla meli-in- p-icosi pita;;ori a, ma s' inginnarono troppo so ente iu quello ris;j;ii irdava le religiose opinioni de nostri antichi, e de' burliarì , a' quali diedi-ro non di rado in prestito le proprie. Furono desse heiie sj>i-sso anche pii': osculate dai moderni secon lo i ])arlicolaii si-.feiii di cias'-iino Cosi appunto percliè Cesare * a^rerui.V essersi credulo dai Galli non perire le anime, se// ub \ ^ lìi. fi^Uu Gallico lib. 4, cap. ti. Df J\r:nro T>rRAvr>T. S^ff of/'is posf morlcin Iransire ari alios , T intorpretm uno p •(• 1.1 I iiisin '^razione ili qm Ile in allii roi pi , jin -oia- cliì' egli s()ii;f^iiiiì(a cii'i'ostanza inconci- iJahilo alfalto con l'idea della tiasinigruzionc dt Ile anitne di uno in aldo nonio oJ animale, ri dà a divedere, che aò aliis Iransire ad alias si rapporta al trapassar delle anitne da questi nostri in altri luoghi ignorati da' Cesare , il qnal perciò si espi'esse fuori del solito dì una inanieia ambigua ., e oscura. Pomponio Mela indicò qnei luoghi vagamente ad Manes '; s* intenda egli dell Ereho , oppur le coloio anime diventass ro laii , o lemmi , e larve , sarà pur vero, ch'egli accomunò le sue proprie opinioni a co- t«'sli popoli. Ma parrà altresì un poco strano in fine amiche iscrizioni raj)porta(e da Murai iri vedei- le Mii«e associale a' Dei Mani iuvocaisi in patrocinio de' tra- passali **. Lu:'ano smenlisce Mela , e seppe almeno , che le anime dei Celti non j^assavanó ad ahilar mll* hreho , ma bensì a reggere altri corpi in un aìho niondo , eh ei non disse (piale , o noi seppe tlire ***. Giovenale ( sa.'ir. XIV t>. y^ ) beil'andosi de' Miperstiziosi • Aetprnas e«se aiitias , vita nT-ie alii?rini a 1 M^ yi»>. \.h. ■{ cnp. ■?. •♦ Oi!s .\faa\'m> et ./»fr: il -V .5 f.KSa ir. 1 l'icfijJl- t. I cl.lS. I, pag. XCII , n;im. ? , e 4. **♦ Rjg.t i4ein spirjtus artus orbe alio: Puarsal. Lb. 1. v. -f55. a46 DELLE ANTICHTS CONTESE DE' PASTORI , EC. dell' età sua , accusava coloro , che parenno adorme nil praeter nubés , come sembiara usassero i Ligiiii , ed altri popoli celti , volgendusi , e parlando a quelle, e predicando le lor \isioni delle p vago dell .etere., mu che .vuol qui mtende. si per I oibe azzurro e trasparente , che circonda la nostra tc.ria , dintro il quale paiono moversi i corpi celesti Se si considera, clu' sc;-on .lo i pr ncipj del gentilesimo gre o e romano ei-ano l'anime de' deJunti a/Iaflo suggetie »j5Ìi Dei inferi , tukhè noa uvcvau più che iur uuil^ 24S DELLE ANTICMK' CONTESK DE* PASTORI , EC. co' celesti, e col cielo, se non erano semidei in vlvfà dell'apoteosi, apparirù , che non può quella formola aver l'istesso senso pel comune de defunti. Ella non vuol già pigliarsi nel suo senso letterale , perchè risol- versi la vita neU" aria sarebbe come spegner 1' anima e farla mortale. Sembrami adunque doversi dire, che la formola suddetta si usò per lo più negli epitaffi di coloro , i quali erano persuasi , che 1' anima passava nella nostra atmosfera a vestirsi di un corpo sottilissimo d' aria , e mescolarsi e vivere cogli altri spiriti novella vita, come si era la creduliti\ di parecchi popoli, e de' nostri , del che n' abbiamo altri argomenti. Allorché per la mediazione della corte di l?rancia si mandò nel 1780 levarsi con 1' assistenza di un inge- gnere di quella corte medesima il tipo della Viozena , come di sopra si è detto , nel percorrerne le regioncelle, descriverne i vari discordi nomi, visitare, rimovere, ricollocarne all' uopo gì' intraposti termini , uno se ne trovò nella pasturata di Thoria fatto a foggia di qua— di'ata colonnetta già tronca e spezzata, su cui alcuni di quei topografi lessero e trascrissero cosi a dilunga queste poche interrotte parole , ET VLIAE SVPERIS PAHENTIBVS PIKNTISS. T . . . . VIGGIVS EX VISV LAETVS Laonde vi ntancano in principio i nomi de' parenti o genitori di Viccio , ed Fliae vuol forse dir Camuliae t .>.'■ m JACOPO DURANDI. ' • ^49 o Juliae , ec, nome della madre. In somma il senso di questo frammento parmi essere, che Viccio allegro dell' apparizio'ne de suoi genitori vi pose questa me- moria per avventura nel luof^o stesso , dove gli parve averli veduti. Ma certo sarebbe stranissimo l' epiteto , eh' ai die« ^■ Congresso che meritò di venir chiamato giustamente ,/,J,"wJ'"i>." dal P. D. Vincenzo Thuillier un Concilio di Scienziati. In Tom. i. pag. 45! fatti non meno di dicianove furono quelli , che sotto- scrissero r Atto , e tra essi un Ducange , un Renaudot, un- Bahizio , un D'Herbelot , un Natale Alessandro , un Emerigo Bigot , un Oudin , a' quali si potrebbe , per compire il numero vigesimo , aggiungere , quantunque interessato nella causa , un Mabillon , tanto era il can- doie , la dottrina, ed il sincero amore della verità, ond' era animato quell' uomo grande. Quando star si dovesse alla sola autorità , io penso , che più autore- vole consesso di questo immaguiar non si possa , com- posto del fiore degli uomini più dotti e più sperimen- tati nella Critica , e nella Diplomatica , in tempo , in cui quegli studj erano coltivati con ardor grande in Francia, ed al più alto segno erano pervenuti Se, dopo un giudicio profferito da uomini cosi fatti, rimane ancora luogo a dubhietà , in tal caso inutile sai-à il ri- ferirsi al sentimento di Scienziati in qualunque scien- tifica controversia. Ora adunque , cjuesto Congresso , questo Concilio di uomini dottissimi, dopo di avere esaminato il Codice di Arona , portato d' Italia dal Ma- billon , il giudicò scritto per lo meno trecento anni prima. Kk a66 NAPIONE DEL CODICE DI ARONA Per far vacillare 1' autorità, di sì fatto Concilio si sa- rebbe dovuto radunarne un altro , di pari numero di valentuomini , e di eguale celebrità , i quali , dopo di avere di bel nuovo esaminato orij>in;ilnicnte il Codice di Aroua , e dopo di avere conferito insieme, avessero pronunciato essere stalo scritto circa la metà del Se- colo XV , e non già prima del line del Secolo XIV. Il Desbillons all' incontro non allega altro , salvo che giudizi isolati. Ed inoltre, cosa importantissima da con- siderarsi si ò, che di tutti questi giudi/,] da lui recati in mezzo , non ne risulta in altra guisa , fuorché per via di semplici asserzioni sue , o dell' /Vmort ; non si rifciiscono le parole medesime di coloro deh' autorità , di cui Egli si prevale , non si citano i Libri , in cui ne parlano , le lettere , i pareri loro originalmente. Dcbii loc. ci.. Rispetto al giudicio del Conte Antonio Simonetta, e del Conte Silva , i quali , dice il Desbillons , che ncir anno 1726 esaminarono il Codice di Aroua, è de- gno di considerazione , che può sussistere il giudicio loro, e nel medesimo tempo risultare impossibile, che fosse stato composto da Tommaso da Kempis il Libi'o della Imitazione : perciocché non affermarono altro que due eruditi soggetti , eccetto che a parer loro non era stato scritto il Codice di Arona prima del Secolo XV. Ora Fommeisp. da Kempis non vestì l'abito di Canonico Ptegolare , se non, se in età ass ii giovanile nell" anno 14 oG. Ciò posto il dii-e , che il Codice di Arona sia stato scritto non prima del Secolo XV , non esclude pag DE IMIT. CHR. §. 1. 267 che possa essere slato scritto prima dell' anno 14°^ » e per conscguente prima dei tempo , in cui vesti il Kempis l'abito di Canonico Regolale. 11 giudicio dell' Assemani e del Foggini non distrug- ge neppure affatto 1' argomento , che si ricava dalla età del Codice di Aroua ; attesoché essi il dichiara- rono soltanto Scrittura del Secolo XV senza specifi- care , se de' primi anni , ovvero degli ultimi di quel secolo. Vi ha di più , que' due valentuomini non eb- bero già , come gli Scienziati del Congresso di Saint- Germain des Prez il Codice di Arona sotto gli occhi, ma tre pagine soltanto fatte incidere in rame dall' Amort, Se il celebre Antiquario Ennio Quirino Visconti disse, che, trattandosi di Antichità figurata , non ai disegni, non ai rami ricorrer sidee, ma ai "marmi per poterne avere una giusta idea , recar giudizio del gusto della Scultura , della età del monumento , e darne giuste e fondate interpretazioni , nou altrimenti che al corpo umano stesso , non a tavole anatomiche , ricorrer dee un Anatomico , che dovremo dir noi di rami tratti da antiche Scritture , in cui vi hanno tante minute cose da osservarsi , che sfuggono talvolta 1' occhio del piti dotto, acuto, e sperimentato Pi-ofessor d' Arte Diploma- tica ? Dovremo fidarsi interamente di un Copista , di un Intagliatore , e perciò di copia di copia ? Aggiun- gasi poi , che la copia di cui si tratta , è copia di un MS.'" di lettera assai minuta ; e quello che più rileva. , è copia fatta ricavare dall' Amort , vale a dire da chi 268 NAPrONE DEL CODICE DI ARONA avea impegno di farla risultare di scrittura meno an- tica, di quello che venne giudicata nel mentovato Con- gi-esso dell'anno 1687. Ma il giudicio più contrario alla antichità del Codice di Arona , si è quello del dotto P. Francesco Antonio Zaccaria, il quale, versatissimo com'era nella Critica, e nella cognizione de' caratteri antichi, de' INISS." d'Ita- lia, pronunciò ( se dobbiam prestar fede al Desbillons ), che il Codice di Arona fu scritto circa la metà del Secolo XV. Ma mirabile cosa si è , che di questo giu- dicio recato dal P. Zaccaria non ne abbiamo altra pro- va fuorché la nuda e semplice asserzione del Desbil- billons. Non solamente da me , ma da chi è assai più di me versato negli studj bibliografici non si è tro- Fnnc. Antoni! vato , clic lo Zaccaria parli del Codice di Arona altro- Zacliariae S. I. Excursus Lille- ye cccctto che Dell'Opera de' suoi Viaggi Letterari raiii per Italiani ■• oo; > an.Ti-'vo^ìl P^'' l'Italia. In una Lettera inserita in essi Viaggj, e iT/.Venl'i/s!}! diretta a Monsignor Vitaliano Borromeo: De Antiqui- taiibus quibusdam Aronae , afque Angleriae ìnspectis , parlando egli de' MSS.'' , che si conservavano nel No- viziato de' Gesuiti di Arona , mette in capo di essi , come il più insigne, il Codice membranaceo, che vien detto da Lui : Longe celeberrimus ob vulgalissìniam aurei Libelli de Imitalione Chris/i con/rocersiam. Rife- risce quindi il notissimo testo del Bellarmino , che , sulla fede di questo MS.'" , attribuisce si fatto Libro ad un Abate Gersen , o sia Gessen. Nota in appresso, come un leggiero sbaglio del Mabillon, lo aver detto nel suo Di" IMIT, CHB. §. I. 269 Viaggio Italico , che per cinque volte Icggcvasi in esso Codice il nome dell' Abate Gersen , dovcchè meglio uvea letto il Bellarmino - Abbalcm ile Gersen , sue Gessen : poiché infatti una volta sola leggesi il nome di Gersen ; e quattro volte quell' Abate è chiamato Gessen , o Gesen , come in principio del Codice *. Io non mi arresterò a fare osservare , che il P. Zac- caria , il quale accusa di questo sbaglio il Mabillou , sbagliò Egli pure leggendo Gesen , dovendosi leggere in quel luogo Geschen , o forse anche Geseìien , come abbiamo riscontrato col sig. Vernazza-Freue}" , essendo svaniti oltremodo i caratteri formati con inchiostro rosso di lacca in quella prima pagina del Libro, Sbagliò pure il P. Zaccaria nel chiamare tal Codice in 4.", dovechè il medesimo è in 8.° anzi in 8.° piccolo non più grande dei libri comuni in 12."° Inoltre si vuole avvertire , che il Mabillon medesimo, quando potè aver tra le ourrages Posih. . . , ^ . •1/^1" T ■ de D. Jean Ma- mam , e pm posatamente esaminare u Codice , di cui biiion. Anlmadversio» nes in Vinciiciaa ' — ^ — ^— ^-^— ^— — Kemperses ^. V I p»g. 67. * Le cinque pagine del Codice di Acona dove si trova il nome dell'Autore, furono con impareggiabile maestria, imitando l'antico carattere, copiate sulla pergamena dal Signor Lodovico Costa Dottor di legge, giovane di grandissima aspettazione, per modo elle, chi le ha sotto gli occhi, può dir d'aver da- vanti, quasi in un fedelissimo specchio, il Codice medesimo. Per questa rara abilità già venne il Signor Custa lodato da uomini dottissimi anche stranieri. Q leste cinque pagine poi io le ho avui cortesemente in dono dal Collega nostro preiiomiiinto il Signor Giuseppe Vernazza-Freney , e le seibo tra le cose mie più care , come una dolce memoria del tlotto amico , ed una prova della capacità di chi, colla direzione di lui, è giunto a sì alto segno nella pe- rizia della Paleografia. 270 NAPIONE DEL CODICE DI ARONA SÌ ragiona , concordò pienamente rispetto al nome dell' Autore col P. INIaggioio : il quale attesta di aver por- tato sieco in Arona Codicem MS. de I. C. sub nomine Abbatis Johannis de Gessen sìvc Gersen. Tutto questo non fa però al punto della questione; quello bensì che importa il tutto , si è che il P. Zaccaria , ben lungi dal favorire la causa del Desbillons , direttamente vi si oppone , non solo chiamando celebi'atissimo quel Co- dice , ma di pili seguendo il parere del Bellarmino , che all' Abate Giovanni Gersen o sia Gessen , attribui- sce il vanto di essere stato 1' Autore di quell' opera im- mortale ; e non potea poi avere un' idea se non se grandissima di quel MS.'° , postochè intraprese il viag- gio di Arona specialmente per poterlo esaminare '. §• n. Vicende del Codice di Arona. Ridotta la cosa a questi termini , se col peso della sola autorità giudicar si dovesse dell' antichità del Co- * li P. Zaccaria termina la sua Lettera al Passeri inserita ne' suoi Viaggj in questi precisi termini : " Mediolani ex aedibiis Sancii Fidelis IJiis Deceinbc. „ anno vulgatae aeiae nostrae CID.IDCC.XLVIII Aronam proficiscens ve- „ teres qiiasdain cliarias , et praeclarum Libri de Imipatìone Christi Codi- „ cera a Bellarmino et Mabillonio laudatum inspiciendi causa. — Excurs. Li ter. per Ital. p. 105. DE IMIT. CHR. §. II. 271 dice di Arona , a me pare , che ogai uomo di senno ed imparziale appigliai- si dovrebbe alla opinione del Mnbillon , sanzionata da quegli uomini dottissimi , che ne recarono sentenza nel Congresso dell' anno 1(187 , piuttosto clie non a quella del Desbillons , che manca allatto di fondamento. Ma avendo io avuto mercè la gentilezza del prelodato signor Vernazza tutto l' agio ed il tempo di esaminare il Codice , di cui si tratta . col maggior comodo possibile , reputo pregio doUopera lo indagare ed esporre i motivi , per li cjuali si vuol credere , che il sopraccennato Concilio di dottissimi Letterati, tenuto nelT anno 1687, giudicato lo abbia scritto per lo meno tre secoli prima , e per conseguente prima dell'anno 1387. Oltre a quello, che parlando d' ogni specie di antichità , chiamava il Maffei aver l'oc- chio all'antico, requisito, che non solamente è neces- sario ]>er giudicar di statue , di bnssirilievi , di meda- glie , di gemme intagliate, e di ogjiii specie di anii-ti caglie , ma molto più ove si tralfiii di aW*ielit ciatTàftdfi', nel qual pregio io noni so chi poMss»- artt«i»re ifinarjKÌ ad un Ducang£ , ad irn BIhIctzì», cdlauche ad Emcrigò* Bigot. ta«t() stimato da' Lettfertittnostrii, 1 eJ' segmatamentef d»- Carla iJatii, oltroi ai qaéfeto/ reqroisitò , io' diow, it quale: m>B si: può lidiacreFanorcta'. ntirilia ,1 ed>a rtgiMle» fisse , e cowsistesin un- aibito'fditte prodèttd d^ Inn^'W- e prcrfonelijstadji: vi haoDKX pure^pivi determànati Ganónit dLCritica'Dtì/plomatic.U' Questi, quafttuwique noo possa-^ no, come negli sturi j matematici n[el Papa. Se avesse questi (aggiunge ilDupin) scritto in Germania avrebbe detto Imperafor , se in Piemonte Magnus Dux , e non Rex ; in secondo luogo fu allevato in una Università dove erano molti Dottori; 3.° avea fratelli, sorelle , e parenti; 4-° i sentimenti e la dottrina dell' Autor del Libro sono conformi a quelli del Can- cellier Gersone ; 5.° xfinalmente Gersone non cita iu alcun luogo delle opere sue il Libro de Imilalione. Ognun vede quanto agevole sia il contrapporre a queste congetture ; che il proverbio né Re né Papa era comune a tutti gli Italiani , qualunque fosse il Go- verno sotto cui vivessero , né si è mai cercato preci- sione ne' proverbi usuali; die in Vercelli, a' tempi ap- punto del Gersen, eravi Università , e vi fiorivano mi- rabilmente gli studj sacri, mercè le provide cure del Cardinal Guala-Bichieri ; che l'argomento, che si de- duce dal nominar che fa 1' Autor del Libro de I. C. fratelli e sorelle, può aver forza soltanto contro il Kem- p>s, che si assicura, che non avesse che un solo fra- tello , non mai contro il Gersen, di cui nessuno può affermar tal cosa; che la dottrina del Libro, essendo dot- 3o(5 NAPIONE DEL CODICE DI ARONA ti-ina Cattolica , non può essere diversa da quella del Cancellier Gersone ; tanto più che di certe materie , rispetto alle quali poteva esservi, a' tempi del Concilio di Costanza , disparità di opinioni tra un Maestro ia Divinità Italiano , ed un Oltremontano , in un Libro ascetico come quello , non si tocca nò punto nò poco. Il non avere finalmente poi mai citato il Cancellier Gersone il Libro de I. C. come Opera sua, ed il non essersi mai qualificato Autore di essa in alcuno suo scritto , è argomento negativo molto più decisivo contro di Lui , di quello che possa ridondare in favor suo r altro argomento negativo di non aver inai citata tal Opera. Tapin Diss. ?. A qucsla pretesa verisimiglianza in favore del Ger- XI pag. 182, e , -. . , M T-\ • 1 pag. 185. sone non potè dissmiulare 11 Dupm , che contrapporre vi si potea la professione aperta di Monaco , che fa l'Autore, e la troppo patente diversità dello stile delle Opere del Cancellier dell' Univesità di Parigi, da quello dell' Opuscolo ascetico del Monaco che lo dettò. Ma, non contradicendo Egli , come non contradice agli altri Scienziati intervenuti nel Congresso dell' anno 1687, che dichiararono, che la scrittura del Codice di Arona non ei-a sembrata loro di antichità minore di anni trecento: scripti/ra non videiur inferior annis ire- Dupin \nr. fit.ceniis, 6 ricoDosccndosi inoltre dal Dupin, che il MS.'" pag. iS5. ' di Arona eragià una copia di Codice anteriore, dovea aggiungere essere , non verisimile , ma imposibile, che sia stato scritto dal Cancellier Gersoo" il Trattato di DE IMIT. CHR. §. V.I 3ot cui si ragiona. L' Opera de /. C. non si vuol credere composta precisamente nell'anno 1087, che sono tre- cento anni prima del Congresso , ma essendo già il Codice di Arona una copia ricavata da altri Testi , e con varie lezioni, ogni ragione si lia di credere che sia stata composta parecchi anni prima. Ora Giovanni Charlier, detto Gersone da un Luogo della Diocesi di Reims, dove nacque nell'anno i363, non avea nell'anno 1387, che soli anni ventitré, od al più ventiquattro. Converrebbe pertanto dire, che per lo meno molto prima dei venti anni , e così nella sua fanciullezza avesse Egli composto un' Opera di tanta consumata Dottrina , sperienza delle cose del Mondo , ed illuminata Santità, il che non solo è inverisimile , ma affatto impossibile. Che se il Dupin non seppe addurre altro, che con- getture, e congetture della natura, che abbiam divisato in favore del Cancelliere Gersone , non si sa poi vedere come dir possa, che il Kempis conservi egualmente, che gli altri due competitori la probabilità de' suoi diritti. Dopo di aver accennato essere cosa certa , che il Trattato de I. C. non è di S. Bernardo , segue a dire il Dupin , che non e' è prova , che sia di Tom- oupin loc. cit. maso da Kempis. I MSS." non lo comprovano: percioc- e'pag. 1'%' che il più antico con data certa, che è dell' anno 144'» non porta il nome di Tommaso come di Autore , ma come di Copista ; ed il passo del De Busch , si ha ragion di credere che sia stato aggiunto. Osserva inoUi'e, che i MSS.'* di Arona, del Sirmondo, e di Bobbio, giudi- 3o2 NAPIONE DEL CODICE DI ARONA cati da buoui conoscitori più antichi di Tommaso da Kempis , sono una prova , che il Libro de Imi/adone è più antico di Lui ; tanto più che non sono originali scritti di mano dell' Autore , ma copie trascritte da altre copie anteriori. Per ultimo 1' essere cosa indubi- tata , che il Libro de I. C. , vivendo Tommaso da Kempis, è stato attribuito a S. Bernardo, al Cancel- liere Gersone , ed al Gersen , è riguardata a buona ragione dal Dupin come una prova convincente , che Tommaso da Kempis non ne era riconosciuto per Autore. Dupi.i. loc.oit. Ben diversamente parlò il Dupin de"li argomenti , }, xu. f. iS3. *^ ....: che favoriscono il Gersen. 11 diiitto di Giovanni Gersen, die' egli , è fondato principalmente sui MSS." , e ris- petto al Codice di Arona , dice espressamente , che nulla di ragionevole si può opporre ad esso, né ac- cusarlo di falsificazione in cinque luoghi , né dire che sì fatti titoli sieuo più recenti, dopo essere stato veduto, ed esaminato da Giudici maggiori d'ogni eccezione; che non si può credere il Codice stesso recente, dopo il giudicio , che i medesimi i-ecarono della sua anti- chità. Concede parimente il Dupin , che i più antichi MSS.'' , o sono anonimi, o portano il nome di Gersen: e concede pure, che il nome di Gersen non si ritro- va , salvo che ne MSS.'' d' Italia. Ma quah sono poi le opposizioni , che fa il Dupin a questi fortissimi ar- gomenti , che militano in favore del Gersen? Che r Abate Gersen è totalmente sconosciuto , onde vi ha apparenza , che sia un fantasma senza realtà ; Che la b DF. IMIT. CHR. §. VI. 3o3 qualità di Abate di Santo Stefano di Vercelli, che si dà di Gersen , non è stabilita sopra alcun fondamento, e die non ha tal qualità di Abate , fuorché appunto nel Codice di Arena ; per ultimo , che non è facile determinare , se Giovanni Gcsen , Gessen, o Gersen non sieno in sostanza il nome di Giovanni Gersone guasto , Dupin !«• c;i. e corrotto, e che non si può negare, che l'opinione più comune , verso il fine del XV Secolo in Francia , ed in Italia, non fosse , che il Gersone era 1' Autor del Libro De Imilatione. Ma , dopo quanto lasciò scritto il diligente Vescovo di Saluzzo Francesco Agostino Delia-Chiesa nella Cro- nologia de' Prelati Piemontesi rispetto al Gersen ,, dopo quanto ne disse il Rossetti , dopo le tradizioni , e no- tizie raccolte nel Luogo stesso di Cavaglià , di cui già si è ragionato abbastanza , e dopo quel Catalogo an- tico di Monaci del 1247 del Monastero di Santo Ste- fano di Vercelli , dove si legge il nome di Giovan Oersen scoperto dall' erudito Canonico Lateranense Abate Frova, l'esistenza del Monaco Benedettino Gio- vanni Gersen riguardar si dee come una verità posta fuori d'ogni controversia. E se non si hanno accertati v.nkwi.Einst. riscontri per dirlo Abate di Santo Stefano di Vercelli, Libro ^^ /.e. Patria Hi Co- li titolo di Abate, clie gli viene replicatamente dato 1'""''° r- F'R- ^ ^ S71 , 3S9 , 395. nel Codice autorevolissimo di Arona , congiunto con quanto si è testé accennato , dimostra , che Aliate Egli fu , o del Monastero medesimo di Santo Stefano , o di alcun altro Monastero dell'Ordine, il che jioco im- 3o4 NAPIONE DEL CODICE DI ARONA porta alla sostanza della cosa. E quanto al titolo di Abate non vi può essere dubbio nessuno , essendo ca- none di buona Critica , come ognun sa , preferire un testimonio ( massimamente qualora non sospetto ) , che nfTermi, a cento non testimonj. Posta poi l'impossi- bilità , che il Caucellier Gersone possa essere stato r Autor del Libro de I. C. , posto , che i più antichi MSS." , o sono anonimi , o portano il nome del Gei'- sen , e che il nome di Gersen non si ritrova salvo ne' MSS." d' Italia , circostanze tutte , che , siccome ò detto sopra , vengono rilevate dallo stesso Dupin , ne segue , che le edizioni , ed i MSS.'' col nome del Can- ccUier. Gersone , e 1' opinione , che ne nacque in Fran- cia , ed in Italia in fine del Secolo XV , eh' Egli ne fosse 1 Autore , sono altrettante prove , come disse il Mabillon , in favor del Gersen , e dimostrano , che il nome di esso Abate Benedettino Giovanni Gersen venne trasformato in quello più famoso del Cancellier Gio- vanni Gersone , e non mai viceversa il nome di Ger- DupiD loc cit. sone in Gersen , come s' ingegna di far sospettare il pag- 185. -pk • Dupin. Ma vediamo in quai termini parli lo stesso Dupin del MS.'° di Arona , e dalle sue stesse premesse po- tremo conchiudere , se aljbia alcun fondamento il sos- petto , che si studia di far nascere di sbagHo , o cor- ruzion del nome dell' Autore , in favor del Gersone. Ai Libri de I. C. ( sono parole del Dupin ) tengono dietro nel Codice di Arona il Trattato di S. Bernardo DE IMIT. CHR. §. VI. 3o5 j) ni suoi parenti , quello di S.t Ambrogio dei Costumi , » e della Vita Onesta, ed un frammento di S. Bernardo. » Tutto questo è scritto bene in membrane, dalla stessa » mano, e dello stesso carattere, che fu giudicato dal )> Congresso del 1687 di trecento anni addietro. Questo )) non è il MS.'" originale dell' Autore , il quale avrebbe » scritto il suo nome nella stessa maniera dappertutto : » bensì n è questa una qualche copia * « . Sinquì il Dupin. Lascio stare, che tra gli Opuscoli , che tengono dietro ai Libri de Imilatione nel Codice di Arona , omette il Dupin il primo , che si è quello di Sani' Agostino ad Cornelium de contemptu Mundi , prova , che scrivea di memoria , il che dà ragion di credere , che appunto per questo motivo abbia parlato poco esattamente , spiegandosi in modo , che pare , che intender voglia , che questi Opuscoli sieno stati giudicati come scritti da una stessa mano , e di uno stesso carattere dei Libri de I. C. Il Congresso dell' anno 1687 certamente non dovea profferir sentenza di quelle aggiunte , che non hanno influenza alcuna nella quistione, e che non solo a me , ma a chi è più di me versato nella Paleografia , v. Notizia ào 1 T 1' ., , T 1 Codice diArona. sembrano di mano diversa , e più recente. Le parole Patria di co. del Dupin pare , che restringer si debbano pertanto 400. alla sola Opera de I. C. , e non già estendere anche * „ Ce n'est point le Ms. originai de l'auteuc , qui aurati écrit son notti j, de la mème maniere par tout. C'est quelque copie. Dupin , Disscrt, etc, f. XII, p. 183. C7 3o6 NAPIONE DEL CODICE DI ARONA agli Opuscoli de' Santi Padri , che aggiunti furono in fine del Codice di Arona. Ma venendo , ciò che più rileva , al dubbio , che il Dupin s' ingegna di far nascere rispetto al nome del Gerscn , che leggesi nel Codice di Arona , e eh' Egli vorrebbe far sospettare , che esser possa una corru- zione di Gerson , si rifletta di nuovo , che , come si è detto più volte , il nome dell' Autor del Libro de I. C. nel Codice di Arona la prima volta è scritto Ges- chen , o Gesehen , la seconda , e la terza Gesen ; la quarta Gessen , e la quinta , che è la più solenne, final- mente Gersen. Ora come si può supporre., che i due Copisti , i quali scrissero il Codice di Arona, uno de' quali, che si ò il principale, fu cosi diligente, che cor- resse gli errori di quello , che stese le Tavole ( che verisimilmeute fu anche quegli , che miniò le iniziali , com' era 1' uso consueto ) , e che inoltre si prese' la cura di notare le Varianti anche più minute , come a cagioa d' esempio quella di artius ìtI uptius , abbiano con tale sbadataggine scritto così erroneamente per bea cinque volte il nome dell' Autore , che quattro varia- zioni in esso si osservino , senza che il principale Co- pista abliia osato correggere un error così essenziale , anzi nelle due volte , che Egli lo scrisse , abbia variato parimente , scrivendo la prima volta Gessen , e la se- conda Gersen !' Di questa varietà adunque , altra ra- gione allegar non si può , se non quella già addotta della difficoltà di leggere negli antichi 'Testi quel nome BF IMIT. CHR. §. VI. 3o'J proprio , onde i Copisti del Codice di Arona il la- sciarono ( non ostante 1' assurdo , che nasceva da sì fatta varietà ) quale nò più nò meno sembrò ad essi di poterlo leggere in ciascuno de' Luoghi , dove il tro- varono scritto. Come poi si può supporre ( quello , che è più impor- tante ) clie Copisti così accurati ignorassero il nome di Giovanni Gersone Cancellier della Università di Parigi, ed in così vario modo lo scrivessero sbagliandolo sem- pre , trattandosi di un personaggio famoso , e così noto nel Concilio di Costanza , ed essendo contemporanei di Lui , come ammette il Dupin ? Conchiuderemo per- tanto , che dalle premesse medesime del Dupin risulta, che l'Abate Gersen , non il Cancelliere Gerson, fu l'Au- tore del Libi-o non mai abbastanza encomiato de I. C, e che , come disse il Mabillon , riguardar si debbono quai nuove prove di tale verità , i MSS.'' stessi , e le Edizioni antiche , che portano in fronte il nome del Gerson. Del resto gran caso non farà di questa, oserei dire , palese contradizione del Dupin, chi non ignora , che dai dotti Benedettini Francesi suoi contemporanei era riguardato come uomo di poco profonda dottrina, sebben da certuni , segnatamente in Italia , fosse te- nuto in concetto d' uomo di erudizione sterminata. Di tanto ci assicura il Card. Quirini , che il conobbe in Parigi , e non ne formò diverso giudicio. Che anzi , a mostrar con quanta negligenza , e precipitazione com- pilasse il Dupin la sua Biblioteca degli Autori Eccle- 3o8 NAPIONE DEL CODICE DI ARONA Commenl. de . . . . , , , rebus periioent. siastici , aggiunge 1 anedooto cU uà Autore citato nell' ad Ang. Mar. S. , . R. E. cardiaa- ladice , e di CUI SI scordò di parlarne nell' Opera , il lem Quirinum *■ *^ tom. I , lib. 1. . che diede materia di risa erudite al Ouirini , ed a' Mo- cap. IV , p. 127^ X. "^"s"'' "aci suoi. §• VII. Codice di S. Benedetto di Polirone , Codice dell' Allacci, Codice di Clermont , e Codice Cavense , tutti favorevoli al Gersen. Ci spediremo in breve dagli altri Codici favorevoli al Gersen , 1' autorità dei quali vorrebbe anche distruggere il Desbillons. Rispetto al Codice di S. Benedetto di Po- Desbii. Disp. ^'''°°^ ripete Egli, per diminuirne l'autorità, ciò che Crii. pag. 22. venne già da altri allegato, che il nome del Gersenjè ri- toccato nel Titolo , e che inoltre vi si legge nel primo foglio , come tutti ammettono , 1' epitafìo di Giovanni Gersone. Ma già era stato risposto a tali obbiezioni dal Mabillon ( la cui detta Opera intitolata Animad- lersiones in Vindicias Kempenses , mostra d' ignoi-are Mabii. Ani m. siffatto il Dcsbillons ) , diccndo , che intatto era in quel 'mv" pag. 65)^' Codice il nome del Gersen, e che 1' epitafio di Gio- vanni Gersone appariva evidentemente , che era stato aggiunto in un foglio vacuo da mano diversa , ed era stato scritto più di cento anni dopo del Codice me- desimo. DE IMIT. CHR. §. VII. 809 Non replicherò io qui ciò, che ho già detto altrove, Di«eri. Epinici. • ^ ^ _ nel Libro dilla parlando del Codice dell'Allacci, in principio, di cuìp-j^"^» ■^'' f^- si legge : Incipit Tractatus Johannis de Canahaco ; né " "e- di quanto ivi si ò toccalo rispetto al nome di Cana- haco , con cui si volle indicare la Terra di Cavaglià. Aggiungerò soltanto una osservazione ingegnosa, comu- nicatami per Lettera dal celebre nostro Collega , ed Amico mio pregiatissimo il Signor Abate Carlo De- NiNA , in cui dice , che il nome di Canabaco è certa- mente uno sbaglio di Copista , anzi un effetto della scrittura di que' tempi , che fece jirendere la lettera u per una « , e le due lettere li per un 3 , e leggere Canabaco per Caualiaco , che è certamente Cavaglià. Quanto al Codice di Clermont , giudicato dal Sir- mondo più antico dei tempi di Tommaso da Kempis , vero è , eh' ebbe Eeli a dire , come asserisce il Des- , , , . Desbil. loc. cit. billons, che, siccome si può sbagliare nel determinare p^e- ^s- r età dei Codici , qualora fosse stato in errore , non avrebbe avuto a male lo esserne disingannato. Ma è chiaro , che questa generica protesta di quel savio , e dottissimo Critico Francese , non si deve in verun mo- do pigliare in senso , come se già Egli dubitasse dell' antichità di quel Codice ; ma che soltanto era pronto a ricredersi , quando gli si mostrasse aver Egli preso errore. Ciò non vediamo , che abbiano fatto i suoi Av- versar) , e perciò non si può dire , che vacilasse in- torno a tal particolare. Bispetto finalmente al Codice Cavense , nella cui 3 IO NAPIONE DEL CODICE DI ARONA lettera capitale Q vedesi miniato il ritratto di un Mo- naco Benedettino nero , che porla la Croce , mi basta Dcsbii. Ice. cii. il dire , che , se il Desbillons avesse letto attentamente p. i3 et ibi iu , _ _ _ . "Ola. la bella Dissertazione citata nella mia Dissertazione Epi- Dis'ierl. Episl. ^ Fa' di'coicm'bo ^*°^'*^'^ ' """ sisarcbbc fatto beffe dell' argomento , che rag- ^7=- ^a esso Ritratto se ne dedusse per inferirne , che un Mo- naco Benedettino stato sia 1' Autore del Libro de Imi' iationc ; né avrebbe detto , che non si può indovinare quale persona siasi voluta effigiare entro di quella Let- tera, se il Monaco, che scrisse il Codice, o che ordi- nò, che fosse scritto, ed a cui appartenesse, o qua- lunque altra persona. Il P. Valsecchi per poter asseri- re , che r Autore dell' Opera , e non altri , rappresen- tasse quel Ritratto , si accinge avanti ogni cosa a pro- vare l'uso comunissimo a que' tempi, di rappresentare nelle lettere iniziali de' MSS.'' i ritratti degli Autori delle Opere , che contengono , e reca in mezzo moltissimi Codici , dove entro simili lettere troviamo miniati co- nosciutissimi Ritratti , e segnatamente Codici di Dante in gran numero. Questa usanza di miniare entro le lettere capitali de' Codici Ritratti di Autori , tuttoché abbastanza , ed a lungo , con gran numero d' escmpj di Codici Italiani , provata dal P. Valsecchi , si potrebbe ancora confer- mare con tanti altri Ritratti assai noti , replicati ne' Co- dici, come in ispccie delle Rime del Petrarca. Mi ba- sterà reoarc un solo esempio di persona men nota , vale a dire, di Ugo Panciera , che fiorì circa il i3i2, e che DE IMTT. CHR. §. VII. 3 1 I finì di vivere Missionario tra i Tartari , Autore del Trattato di Perfezione , Libro dettato , dice Apostolo ponian. eìw. Zeno, con tale purità, e proprietà di lingua, che ben 464cJivlz'■•no'• meritava , se ne tenesse più conto da' suoi Toscani , è non si lasciasse 1' Opera sua , come se fosse anch' Ella in Tartaria insieme colf Autor suo rimasta morta , e sepolta. Ma non ostante questo rimprovero dello Zeno, un bel Codice a penna , col suo Ritratto in miniatura , nella prima lettera iniziale dorata, ne rammenta il Fon- tanini. Prima dunque di mettere in derisione la con- gettura plausibilissima, che si ricava da questa imagine di Monaco Benedettino nero , miniata entro la capi- tale del Codice MS.'" del Monastero della Cava, avrebbe dovuto il Desbillons informarsi di questa comune pra- tica degli Amanuensi , e Miniatori Italiani. §. Vili. Codici di Kircheim , e di Lovanio allegati come favorevoli a Tommaso da Kempis. Dal Codice di Arona , e dagli altri, in cui troviamo espresso il nome delGerseno, tempo è, che passiamo a quelli, su cui si fonda il Desbillons, per attribuire il Trattato de I. C. al Kempis. Sembrar potrebbe a ta- luno cosa degna di special considerazione il concedersi dal Desbillons sul bel principio , che la sola sottoscri- DesMi. T>Up. _ Crii. {. XVll. zione dei vantato Codice di Anversa del 144' non basta t^s 51. 3 12 NAPIONE DEL CODICE DI ARONA per provare , die il Kempis sia 1' Autore de I. C. Ma , se mirabile si può chiamare tale ammissione, non è . però nuova. Tal cosa aveano giìi concessa i caldi pro- pugnatori del Kempis contro il Delfau , in difesa di cui scrisse le sue Osservazioni il più volte citato, e non mai abbastanza lodato , insigne Diplomatico il Mabillon , il quale, dopo aver recate le parole della sottoscrizione del predetto Codice di Anversa , e dopo di aver detto che tali parole non manifestano chi sia l'Autore, ma solamente il Copista, soggiunge: «come candidamente » confessa il propugnatore del Kempis *. » Quello, che troviamo di nuovo nel Desbillons , si è, „ ... , . che la prova , che il Kempis sia il vero Autore del Li- l 3^.^"' ^' " bro de I. C, la ricava Egli da due Codici per quanto appare , soltanto noti per altrui relazione. Il primo di- cesi , sulla fede di un Davide Ehingero , che esisteva una volta a Kircheim nel Wirtemberg , e che conte- nesse i Libri primo , secondo e terzo soltanto ; e che ( per quanto attesta sempre il medesimo Ehingero ) — portasse in fronte il nome di Tommaso da Kempis Ca- j, * Qiiae qiiidem verba Auctorem non refenint, sed Exscriptocem , uti sii»- „ cere fatetur Vindex. Mabil. Animrtd. in r indie. Kemp. \. VII p. 70. Già molto prima nella sua grand' Opera De Re Diplom., lo stesso Mabillon avea scrìtto come segue: " Nulliim Thomae exemplac hactenus prolaliim est an- „ tiquius hoc autograpiio ( del 1441 ), ciijiis et ipsa claiisula scribam , iit- „ dicat non Auctorem , liti Kempenses quidem sincerìssimi modo confitentur> f, probantque clausulae simile;. Sed haec non sunt hujus loci. Mabil. De Re Diplom. lib. V. cap. XV §. 8 pag. 372 D£ IMIT. CHn. §. Vili. 3l3 nonlco Regolare, e che il Codice fosse stato trascritto nell'anno ^/^2S dall' Autogialo del Kcmpis. In Lovanio poi presso i Canonici di S. Martino si conservano ( dice il Desbillons ) i tre primi Libri parimente de I. C. , i quali , Giovanni Vlimerio Superiore di essi Canonici asseverò nell' anno i586 * , di averli avuti molti anni prima dai Religiosi del Monte di Sant' Agnese , e che da essi eragli stato affermato , che erano sfati scritti di mano di Tommaso da Kempis. Argomenta quindi il Desbillons a questo modo ; sic- come il Codice di Lovanio , die' egli , è scritto di mano del Kempis , come i-isulta dal detto del Superiore de' Canonici Regolari di quella Città, ed il Codice di Kir- keim fu trascritto dal Codice di rnano del Kempis nell' anno iI^-iS , ed inoltre manca in entrambi il Libro quarto , per conseguente appena si può dubitare ( con- chiude il Desbillons ) , che il Codice Lovaniese sia stato il Testo , d' onde si trasse 11 Codice di KIrclieim, e che perciò il Codice Lovaniese sia il vero Autografo, e più antico di quello di Kircheim. Segue a dire jJoscia il Desbillons : che questo Codice di Lovanio sia stato scritto di mano dello stesso Kempis , lo conferma un Messale , che presso i Canonici medesimi di Lovanio si conserva, in fine di cui, come notò il precitato Vli- * Di questo codice di Lovanio , e della dichiarazione di Gio. Vlimerio dell' anno 1586 ne dà un cenno il Diipin. Dlssert. sur VAuteur du Livre del'Imit, ieJ.C, §. Ill^pas- 164. Rr 3l4 NAPIONE DEL CODICE DI ARONA merio leggesi: Anno Domini Millesimo quadrigenlesimo decimo sepfimo per manus Fratris Thomae de Kempen. Aggiunge , che persone perite negli antichi caratteri credono , che tanto il Messale , quanto questo Codice di Lovanio , il quale contiene i soli tre primi Libri De I. C, siano di una stessa riiano , e carattere; dal che tutto ne deduce , che il Codice di Lovanio sia stato scritto per avventura anche nello stesso anno 14^7 » nel qual caso sarebbe questa una delle prime copie per mano dell' Autore , non però la prima di tutte : DesbiL loc. cit. perciocché è verisimile, dice il Desbillons , che tutti pag. 35, e §. Ili *^ P's- 4' quattro i Libri De Imitatione sieno stati dal Kempis terminati di comporre , e trascrivere circa all' anno i^iS, e nell'anno seguente presentati nel Concilio dì Costanza al Cancelliere Gersone. Che sieno poi stati composti , e terminati tutti i quattro Libri de I. C. da Tommaso da Kempis prima dell' anno 1416 Ei lo argomenta interpretando le parole , che si leggono al Capo V del Libro IV : Ecce Sacerdos factus es , in modo che intender si debbano come dette dall' Autore a se medesimo : e che signi- p«bii. loc. eli. ficar vogliano, ch'era Eeli Sacerdote novello. Ora, ibi in noia. siccomc il Kcmpis , die' Egli , fu ordinato Sacerdote nel i4i3 , o certamente nel 141 4 ( del che non ne reca però alcuna prova ) , ne segue , che circa quel tempo , abbia Egli terminato , giovane affatto , quell' Opera di consumata Dottrina , e Santilà. Doppio im- pegno avea il Desbillons di spingere il più oltre , che ir z>jr iMiT. CHB. §. viir. 3i5 '^ per Lui si potesse verso il principio del i/joo 1' epoca del Trattato de 1. C. , die suppone composto dal Keiupis. Uno per cercar , se potea , migliori Ibndamentì, per dirlo Autore di quell" Opera , di quello che non fosse la semplice sottoscrizione del Codice di Anversa dell'anno i44i » l'altro per ispiegar nel miglior modo possibile , come vi potessero esistere MSS.'' del Libro de I. C. senza nome di Autore , più antichi senza dub- bio dell'anno i44'> i^ pi"-! antico dei quali pretende Egli , che sia il Codice detto da Lui Melicense dell' anno 1421 *. Con questa stessa mira, di spingere il più avanti che può verso i tempi antichi la data dell' Opera de I. C. col nome del Kempis , dopo aver det- to, che il primo Libro fu stampato come un Trattato compito nell'anno i473 » pretende ( anche non dan- done altra prova , salvo un asserilur ) , che vi sia una DesbJi. loc. cK. sottoscrizione nella edizione di Guntero Zainer col no- me del Kempis , da cui risulti essersi eseguita questa in Augusta nell'anno 1468. Sin qui il Desbillons. * Che il primo MS.to del Libro de I. C. , che abbia ima data certa , sia . quello del Monastero di Melice , scritto nell'anno I421 , si è anche il senti- [ mento del Dupin. Dissert. sin- l'Auteur de l'Imi tation de J. C, §. VII, (jag. 176. 3l6 NAJPIONE DEL CODICE DI ARONA §• IX. Osseri>azìoni intorno agli argomenti , che dai predetti Codici di Kircheim , e di Lovanio si deducono dal Desòillons per sostener la causa del Kempis. Potrei troncare ad un tratto ogni questione , eoa dire , che , mancando la prova , che si traea dal Co- dice di Anversa dell' anno i44i » privo del tutto ri- mane di fondamento il sistema immaginato dal Des- billons per sostener la causa del Kempis ; e che essendo di tanto più antichi il Codice di Arona , ed i Testi , onde fu tratto , di quello che sia 1' epoca , che si as- segna all' Opera de I. C, vale a dire, l'anno 14 i 5 , rovina da capo a piedi tutto 1' artificiosamente combi- nato suo edifìcio. Ciò non pertanto, per maggior appa- gamento , reputo non inutile il fare alcune osservazioni intorno a quanto melte insieme il Desbillons in favore del Kempis. Primieramente è cosa singolare , che avendo il Kempis terminato sin dall' anno ì^iS ( secondo che si suppone ) 1' aureo Trattato de I. C. , prendesse poi a trascrivere la stessa sua Opera tante volte, comin- ciando da quell'epoca, infino all'anno i44i' Si trove- ranno Copisti di professione, come era il Kempis , che abbiano pure composti alcuni Opuscoli , ma non si troverà cosi di leggieri , chi durante il corso di ven- ticinque anni siasi occupato a copiar se stesso, e, quel- lo, che è più notabile, che abbia, infine della copia. T)F TMiT. can. §. IX. 3 17 fatta venticinque anni dopo di aver composta 1 Opera sua , messa una sottoscrizione non diversa da quella , che metteva in fine de' Libri semplicemente da Lui trascritti, e non composti, dandosi la lode di Copista caligrafo di un' Opera , di cui era l' Autore. Concedono i propugnatori del Kempis , come notò eziandio il t)u-f^"^"^™"^[.*"' pia, ch'Egli amò meglio esser tenuto per Copista, an- ''■''■ zichè per Autore di quel Libro celebratissimo , ma ciò attribuiscono a mera umiltà di quell' uomo virtuoso. Raro atto di umiltà in vero , e così raro , che io sti- mo , che non si trovi esempio di chi dica essere stato sciitto per manus di se medesimo un Libro , eh' Egli ha composto. Se poi , per dire il Kempis Autoi-e del Libro De I. C. , manca la prova , che si ricavava dalla .. sottoscrizione del Codice di Anversa del i44i > quale sarà la prova, che addur da' suoi fautori si possa, per dimostrarlo tale ? I supposti Codici di Lovanio , e di Kircheim , su leui fondasi principalmente il Desbillons , non li vide \i\ Desbillons medesimo , non furono esaminali da uo- lini di grido nella Diplomatica, e non ne parla , se [non se sulla fede di un Ehingero , e di un Vlimerio , Iche certamente non ebbero fama di Critici Diploma- tici eguale a quella degli Scienziati intervenuti nei due [Congressi degli anni 1G71 , e 1G87 , ncU' ultimo dei quali «Venne specialmente esaminato il Codice di Arona. Il Himerio poi visse in fine del Secolo XVI , e non ra- [giona del Codice di Lovanio , salvo che suU' asserzione 3l8 NAPIONE DEL CODICE DI ARONA d'ignoti Religiosi, i quali, al pari del Buschlo, * pos- sono essere stati ingannati dalla sottoscrizione , scam- * Non già la sottoscrizione , ina il solo «itolo de Imhatìone Christi dato da Marco Manila Nubile di Spalatro , bastò per far sì, che il nome di Lui venisse annoverato { Bibliotìieca AleJ. et Inf. Lat. Tom. IV pag- 222 edi^, di Padova ) tra quelli di coloro , cui venne attribuito tal Libro famoso ; di- cendosi inoltre lodata tal Opera del Manlio nella Sessione prima del Cuiicilio Lateranense V dell'anno 1512. Ma che l'Opera de I. C.del Mando nulla abbia di comune , fuorché il solo titolo , con quella del nostro Monaco Giovanni Gersen ad evidenza il dimostra lo aversi Codici di un intiero secolo più an- tichi di Lui , per non parlare delle edizioni , e traduzioni in istampa uscite alla luce prima del 1500, mentre tuttora inedita nel 1512 era l'Opera de I. C. dell' allora vivente Marco Marulo , come appare dalla Lettera di Tommaso Negro Arciprete, e Vicario di Spalatro , a Lui diretta, ed inserita nella Col- lezione de' Concilj del Labbé , con cui li manda l' orazione recitata nel men- tovato Concilio Lateranense V da Bernardo Zani, dicendogli: " quam quidem „ oratìonem , M. Marule , ad te praecipue mittcre visum est , ut cui Tu , in „ ilio tuo pracclaro Opere de Imitatione Christi, ecuditionis atque ingenii „ laudem tribuisti singularem , dignumqua censuisti, cui ipsum opus praeci- „ pue dedicares etc. ( Labbé Condì, torri. XIX, pag, 698, edi^, Venet. de Coleti ). E non solamente inedita era nell'anno 1512 l'Opera del Marulo de J. C, ma per anco nel 1^16. Infatti, Francesco Lucense Cantor della Chiesa di S. Marco in un Avvisa a' Lettori , che sta a fol. 151 dell'Evangeliario di esso Marco Marulo , stampato in Venezia in detto anno , dice così : " Paucis „ ab bine diebus terlium Maruli de Imitatione Christi opus expectato „ . Le Opere del Manlio furono poi stampate insieme in Anversa nel 1610; se in esse siasi pubblicato il Trattato di Lui de Im'truione , noi saprei, non aven- dole potute vedere. Di quell' Opera sua si parla bensì nella precitata Biblio- teca della Bassa Latinità del Fabricio sulla fede di Francesco de Coniortibuf ^ editor di altre opere del Marulo , ma non si dice , che sia mai venuta alla luce ( Bib!. mei, et inf. Lat, Tom. V pag, 46 ). Del rimanente non si vuol omettere di avvertire , che , non già nella prima Sessione del Concilio Late- ranense V, ma bensì in lettera, come abbiam veduto, di peisona privata, in DF nirr. chr. §. ix. 3 19 blando il Copista per Autore, come tanti altri ingan- nati furono dal Codice di Anversa dell' anno 144 f * che lo stesso Desbillons concede non bastante a deci- dere la questione. Non si dee pur tralasciar di notare una particolarità essenzialissinia , e si è , che si concede , che i Codici di Lovanio , e di Kircheim ( il più antico dei quali si suppone scritto non prima dell' anno i4'7 ) contengono soltanto i tre primi Libri Je Imi/alione , e mancanti sono del quarto del Sacramento dell' Altare. Questo quarto Libro per altro pretende il Desbillons , come abbiamo veduto sopra , che sia stato composto dal Kempis tra il 14^4 » epoca , in cui fu infallibilmente ordinato Sa- cerdote , ed il i4i6 , quando l'Opera intiei-a , e com- pita venne presentata al Cancelliev della Università di Parigi Giovanni Gersone. Come adunque mai, se l'Ope- ra era compita , e terminata col quarto Libro sin prima dell'anno 141S1 fu ciò non ostante scritta, e copiata dall'Autore medesimo nell'anno seguente 1417» man- cante di esso quarto Libro ? Per verità troppo ragion vi ha di temere , che queste due copie del Trattato de I. C. mancanti del quarto Libro , che si è appunto serita nella Collezion de' Concilj , fu lodato il lavoro del Mariilo. Quanto poi ad opere collo stesso titolo sciiite da Autori diversi , moltissimi ne sono gli eseinpj. Basii quello del Santo Padre della Chiesa S. Ambrogio , che scrisse pine un Trattato de offlciis , che nulla ha di comun< con quello del Padre delia Eloquenza Latina. 320 NAPIONE DEL CODICE DI ARONA quello , in cui si ragiona del Sacramento dell' Altare , copie , di cui non troviamo , che si paili , se non se in fine del Secolo XVI , e che ritrovate furono in un Luogo del Ducato di Wirtembeig , ed in Fiandra , altro non sieno , che Codici , o copie mutilate dai Novatori , che nel Secolo XVI inondavano quelle Con- trade *. Aggiungasi, che, se nell'anno t4i5 terminato avesse il Kempis , come si suppone dal Desbillons tutti quat- tro i Libri De Imitalione , converrebbe dire averlo fatto in età giustamente detta dal Delfau , e dal Ma- billon immatura , per coiriporre vjn' Opera , che con- tiene il sugo, il midollo il più compito, e perfetto di tutta la mistica Teologia Certamente , se non si ri- corre ad un prodigio , un sì perfetto lavoro non è opera di un giovane , novello Sacerdote di soli trent- anni, o poco più; anzi secondo una vita anonima del Kempis '• , che è tsa Codici MSS.'' del Monastero di * E' noto , che Sebastiano Castalione , col pretesto di voltare il Libro de I. C. in Latino Ciceroniano : " ansus est castrare quarto de Sanctissiina Eu- i, charistia Libro , quo nefarius Sacramentariorum error jugulatur „ , come scrisse Alberto Mireo ( Elogia Belgica p. 55 presso il Fontanini Bill. ItaL Tom. II pag. 4S6 ), Opera de' Calvinisti si crede parimente nna Tradnzione Francese, pubblicata dal Lenglet in Parigi nell'anno 1731 , tratta da antico Testo', come quella', «ìie ò mancante del quarto Libro , e di tutti i Capitoli, e Versetti indirizzati a' Religiosi Regolari. ** Codici MSS.ti ilei Monastero di Rebdorf Voi. XVII, N. 4 , /o/. 126. ., Intravit or:1inem ( istae Thomas ) Canonicorum Regularium in ,) domura scilicet in Monte Sanctac Agnetis prope Ziivolis anno Domini 1400 : DE IMJT. CHIÌ. §. IX. 321 S. Ciò. Battista di Rebdorf, di soli venticinque o ven- tisei anni ; e dettato 1' avrebbe nove o dicci anni soli dopo di aver preso 1' abito di Canonico Regolare. Io non mi arresterò qui a discutere , se dal modo , in cui è scritto il Libro de I. C. argomentar si possa, che sia opera di un Monaco piuttosto , che non di un Canonico Regolare. Concederò senza difficollà nessuna, che in molte Contrade è comune il nome di Monaco per denotar tanto i Monaci nel più stretto significato, quanto ogui Ecclesiastico Regolare. Dii-ò bensì , che , sebben non si possa logicamente dimostrare , che un Libro sia stato scritto, piuttosto da un Monaco Italiano et fuit investitus ibidem anno Domini 1406, et sic fuit per sex annos pro- batus .... annoi47i obiit iste devotiis Pater Thomas Keinpis anno Nativiiatis ,, Domini 14S2,,. Queste ultime parole , assicurasi da chi le ha trascritte dal tCodice MS.to di carattere detto volgarmente Gotico , che sono cancellate , e ritoccate , ma che gli pare debbasi leggere anno aetatis suae S2 , come è Ichiaro anche , che richiede il contesto. In tal caso sarebbe nato il Kempis nell' laono J4S9 , e per conseguente non sarebbe ancora stato nato, quando fu Iscritto il Codice di Arona; e nell' anno 141S , epoca in cui si vuole, che abbia iscritto r Opera de I. C. , non avrebbe avuto che soli ventisei anni. Questa jViia del Kempis , che serbavasi MS.ta tra' Codici del Monastero di Rebdorf, Itrovasi stampata in fine delle Opere del Kempis medesimo ( tra le quali però Inon leggesi il Trattato de I. C. ) della edizione de' Giunti in Venezia dell' tanno 1576. Noteremo intanto, che in essa Vita stampata, si sono soppresse af- ifatto le sopraccennate parole cancellate , e ritoccate nel MS. anno nativitatis \suac 82. ( V. Opuscula aurea Venerahilis Thomne de Kempis etc. Venetiis laptiii Juntas 1576, fol. 33S ); mancano pure in essa stampa parecchie linee j jehe sono in fine del MS.to, e che annunciano il Catalogo delle Oj)cre com- Ipuste dal Kempis , Catalogo che però anche nel MS.to non esiste. S S 322 NAPIONE DEL CODICE DI AROKA del 1200 , elle non da un Canonico Regolare Tedesco del 1400 , fondandosi unicamente sulla maniera , in cui è dettato; tuttavia chi ha avanti agli occhi un ritratto ampio, e fedele de' costumi, degli studj , della maniera di pensare, e di governarsi ne' varj accidenti della vita, delle dottrine , e degli instituti delle due Età nelle due Contrade , può non difficilmente , qualora cerchi spas^ stonatamente la verità , persuader se stesso , se non convincer gli altri , che l' inarrivabile Trattato De I. C. è piuttosto Opera di un Monaco , e Monaco Italiano del Secolo XIII, che non di un Canonico Regolare Tedesco del Secolo XV. Trattandosi poi di un Libro scritto in lingua Latino- barbara , e per conseguente lingua composta di antiche voci. Latine , e di voci tratte da Idiomi di Popoli Set- tentrionali, sebbene da molti, e non solamente da Ita- liani , e Giudici espertissimi , come un Apostolo Zeno , ma anche da Tedeschi,' qual fu il Monaco Moertz , siasi rilevalo , che 1' Opera De Imitatione è sparsa d' Idio- tismi Italiani , nulladimcno io non insisterò più che tanto per dar maggior forza a questo argomento ; mas- simamente mancando la voce exlerius , intorno a cui si è fatto il rumor grande, nel Codice di Arona , ed in Dis^enF.p,?!. altri Codici, e stampe, e traduzioni Italiane, come si ec. ni-l Lib. Fat. . . , , . di Colombo pag. e dctto altrovc. Osserverò piuttosto,, per cto che n- guarda in genere lo stile , che non fu già ne il solo , Desbii Disnui.ii"^ il primo il Valart ( per questo rispetto ripreso dal pa'g'.^l'e^'^^Desbilloas ) a trovare diversa affatto la dettatura del Jbl IMIT^ CHR. §. IX. 3^5 Trattato àe Imiiatione Christi da quella degli Opuscoli del Kempis. Questa differenza grande gic^i trovata l'avea, tanto tempo prima del Valart , il Mabillon medesimo. Ravvisa Egli nelle Opere genuine del Kempis un modo di scrivere del tutto diverso ; ed aggiunge inoltre una considerazione importantissima, vale a dire, che, se sfare dovessimo a quanto pretendono i propugnatori del Kempis , avrebbe Egli scritto il Trattato De Imi- iatione in età ancora giovanile , e gli altri Opuscoli suoi già inoltrato negli anni *. Del rimanente gran caso far non si dee , come fa il Desbillons, delle replicate edizioni delle Opere indubi- Desbii. loc. ciu tate del Kempis : pcrcioccliè , per lasciar da parte , che quantunque sieno queste di gran lunga inferiori al Trat- tato De Imita/ione , non mancano però di qualche me- rito , si vuol riflettere , che la fama giustamente ot- tenuta dal celebratissimo Libro de I. C. , di cui da un intero Ordine Regolare , e da una intera Nazione ( se ne togliamo alcuni Monaci Benedettini ) era il Kempis tenuto Autore , e l' impegno assuntosi di farlo credere tale agli altri, fece si , che in maggior grido salissero, di quello , in cui senza dubbio venuti non sarebbono gli Opuscoli genuini del Kempis. Di questi Opuscoli * „ In quihus moclum scribendi piane lìiversiiin a Libris de I. C. observare a licet .... accedit , quod hunc librum Thomas scripsisset adolescens , alios ,, jam grandaevus. MaJbil. Animad. in Vindice Kemp. §. X pag. 7$ , 76. 324 NAPIONE DEL CODICE BI ARONA ciò non ostante senza paragone nessuno minore si ò il numero delle edizioni, di quello , che sieno le ristampe, anche sontuose e magnifiche , come quella del nostro insigne Tipografo Bodoni * , e le traduzioni del Libro de ImUatione , come minore ne è la celelirità. Di fatto. Apostolo Zeno , quantunque riguardasse ancora come problematica la controversia circa il vero Autore del Libro de I. C. , per non essersi internato in essa , ter- * De Imltatione Christi Libri quatuor, Parmae in aedibus Palatini^ MDCCXCni Tfpis Bodonianis. Non solamente saviamente si astenne il Signor Bodoni dal porre in fronte all' Opera , il nome dell' Autore , ma di più nella Dedicatoria al Principe di Parma , Ludovico di Borbone , la chiama: Aureolum, piane Opus , de cujus Auctore ab hominibus eruditis ambigitur. Vero è , che in una Lettera Latina del vivente Sommo Pontefice Pio VII , in data di Roma dei 2$ di Settembre i8oj , in cui manifesta il suo gradimento al celebratissimo Tipografo per l' esemplare avutone in dono , vien detto quel Libro Aureum Tkomae a Kempic de Imltatione Christi Tractat utn : se- guendosi dall' estensore della Lettera 1' opinione di chi al Kempis lo attribuiva. Ma con singoiar compiacenza possiamo aggiungere , che , avendo lo stesso Sommo Pontefice per sua singoiar degnazione accettato una Copia del Libro della Patria di Colombo , cui va unita la Dissertazione Epistolare intorno all'Autore de I. C. presentatagli da Monsignor Giuseppe Morozzo , a nome dell'Editor d'esso Libro l'illustre ed amorevolissimo Amico mio il Signor Clemente Damiano di Priocca, con altra sua Lettera Latina, in data di Roma apud Sanctam Mariam Majorem die 29 Martii 1809 indirizzata all' Editore medesimo, si spiegò con queste per entrambi Noi onorevolissime parole. „ Napionio libique , Dilecte Filli , ex anima gratulamur , quod lam se- ,, dulam , tamque frugifcram rei lit*rariae operam navetis ; quodque , ad au- „ gendam patrii nominis gloriam, Viros loto Orbe celcberrimos, Christophorum „ Columbum , et admirandi Operis de Imitatione Christi Auctorem Pede- „ moiitlo strenue feliciterque asserucritis. i DE IMIT. CHR. §. IX, SaS minò tuttavia le sue Annotazioni alla Biblioteca del Fon- taniai, con dire: « Il Kempis è più conosciuto per ^^^ ««i,- ai ,-«.■, T ' ' M M 1 Fonlanini Tom. » quello , che si crede non aver Liui scritto , che per u pag. 478. » quello, che ha scritto. Termineremo ora pur noi con questa sola osserva- zione , che tutta la Dissertazione del Desbillons non è altro sostanzialmente , salvo che una ripetizione degli argomenti allegati da quelli , che scrissero prima di Lui in favore del Kempis , argomenti vittoriosamente confutati dai Difensori del Gersen , e principalmente dal dottissimo Mabillon , di cui , come ragion volea , si è prevalso il Valart; dal Mabillon, dico, la cui Opera intitolata Animadversiones in Vindicias Kempenses non è citata neppure una volta sola dal Desbillons. Le stringenti , e sensatissime ragioni poi del Mabillon ri- prodotte dal Valart , m' immagino , che , dopo quanto si è sin qui anche da noi divisato , si riconoscerà ogni volta più, che non meritavano di essere chiamati so- fismi da chi aggiunse la Prefazione * alla edizion del Libro de I. C. uscita di nuovo alla luce in Parigi nell' anno 1783 cogli elegantissimi tipi del Barbou. * Parlandosi in quella Prefazione della Disputazione Critica del Desbillons, stampata in Manlieim nel 1780 ^ dicesi, die in essa: „ omnia contradictorum, „ et speciatim rccentioris Tus. Valart argumenta enucleate perpendiintiir , ac „ soplùsmata poienter refelliirvtur ,,. Lo adoperar termini ingiuriosi è sempre Slato proprio di chi non ha dal canto suo la ragione. 3a6 TAVOLA JyTBODUZIONE Pag. zSì J. I. / giudizj addotti dal Desbillons come con'- trarj alla antichità del Codice di Arona , non bastano per provare , che il Libro de I. C. possa essere siato scritto dal Kempis . ^65 J. IL Vicende del Codice di Arona 270 §. III. Esame Critico del Codice di Arona . .275 J. IV. Confronto del Codice di Arona con altri Codici ; si dimostra » che fu ricavalo da Testi più antichi di esso 28S §. V. Le obbiezioni del Desbillons contro il Co- dice di Arona sono novelle prove della sua antichità . . . • , . . 290 §. VI. Dissertazione di Elia Dupin sult Autore del Libro de I, C, ed osservazioni intorno alla medesima 297 $. VII. Codice di S. Benedetto di Polirone , Co- dice deli Allacci , Codice di Clermont , e Codice Cavense , tutti favorevoli al Gersen . 3 08. §. Vili. Codici di Kirkeim , e di Lovanio allegati come favorevoli a Tommaso da K empis . 3 1 1 f . iX. Osservazioni intorno agli argomenti , che dai predelti Codici di Kirkeim , e di Lovanio , si deducono dal Desbillons per sostener la causa del Kempis . 3i6 32*7 RÉFLEXION SUR L'HISTOIRE DE L'ÉPONGE DE PROTOGENE PAR MONSIEUR PECHEUX. Lue le 6 décembre 1810. Al eu l'honneur , Messieurs , de lire dans lune des Séances de ìété passe une réflexion sur le défi entre Apelle et Protogene , cité par Pline , livre 35.* , dont l'exposition m'a toujours paru peu digne de notre art, 5t ù plus forte raison de deux Artistes si célèbres : [aujourd'hui j'ai entrepris de vous entretenir un moment le la fjibuleuse histoire de TEponge de Protogene , qui Idans un transport de sa colere la jeta au hazard sur 3n tableau de Jalise,où il avait peint un chien , qu'il iToolait faire écumer de la bouche ; ce à quoi il navait pù réussir malgré ses soins , ses t^tudes et ses rcfle- xions , ce que cependant produisit le hazard parfaite- ment , dit-il. J'y joiudrai aussi ce que raconte encore ce fameux Naturaliste d'un autre habilc Artiste nommé 3^8 RÉFJ.EXION SUR L'MISTOIRE Néalces qui réussit , dit-il , par le méine moyen à re- piésenter l'écume d'un cheval fougueux que rctenait et caressait un palefrenier. Gomme je n'aime dans aucun cas rextraordinaire , et ce qui paraìt s'écarter de la nature , je suis toujours en garde contre le meiveilleux , sur-tout, celui que l'on raconte de mon art et viens en relever l'analyse , et faire voir que Pline n'était point instruit des par- ticularités de la pratique de la peinture , ou plutót qu'il a cté de bonne foi sur des écrits de coates de cheminée entre des personnes badines. Je commence par observer que les moyens dont se servaient pour opérer , les anciens peintres , ne per- mettent , ni ne peuvent produire ce singulier hazard propose; je sais bien qu'ils se servaient de l'Eponge pour effacer ce dont ils n'étaient pas contents dans leurs ouvrages , et qu'ils avaient sans doute auprès d'eux un seau , ou autre vase avec de l'eau , où ils pressaient leur Eponge , lorsqu'elle était chargée de la couleur enlevée, pour étre corrigée , et la rendre nette pour un autre bcsoin, s'il se présentait , pour ne point eudommager les couleurs voisines. Nous devons, par ces raisons , juger avec quelle délicatesse ils étaient obligés duser de lEponge autour de ce qui était fini , sur- tout le diligent Protogene autour de la téte du cliien dans le tableau de Jalise : ainsi que Nealce autour de celle de son cheval dont la bouche et les narines sont si susceptibles d'expressions. ì DE L'ÉPONGE de PROTOGENE. 520 Il est à croire que l'un et l'aiilre de ces Artistes dt'sireux de rcprcsenler la nature avaient tàché d'ex- primer r«^cume par des variétés de couleurs , dont sont susceptibles les matières humides et fluides, composées de clairs , d' ombres , de derai-teintes , et savaient qu'a- yant passe l'Eponge , elle avait enlevé et confondu le tout , et par couséquent dénaturé Ics couleurs proje- tées pour l'écume. Je ne saurais croire que Protogene fùt assez impru- dent pour jeter son Eponge contre la tète du chien, quelque dépit qu'il eùt , et ne point craindre de gater la téte finie , oubliant que l'Eponge ne pouvait dépo- ser que des couleurs embrouillées et étre bien loin de pouvoir exprliner ce à quoi il n'avait pu réussir avec un esprit tranquille et réfléchi , concevant , quii est impossible quuue Eponge jelée depose une superficie de couleurs convenables à un tableau presque fini , car elle laissera des épaisseurs inégales , les unes trop ^paisses , d'autres trop liquides , qui s'e'vaporent en séchant ; outre qu'il n'existerait plus ni lumière ni de- mi-teinte , ni ombre , mais bien une entière coufusion. Cet heureux et doublé hazard aurait exigé une Eponge d"une forme convenable à conserver la forme de la bouche du chien , et d'une autre à produire l'écume à la bouche d'un cheval fatigué , et qu'encore lune et l'autre eussent été jetées avec intention , adresse et direction de la forme ; ce que le dépit de l'un et de l'autre ne leur permit pas. Nealces , à la verifé , pour- T f 33o RÉFLEXION SUR L'HISTOIRE rait avolr eu quelqu'intention étant, peut étré , informe de révénement, de Protogene , comme dit notre His- torien , hoc exemplo similis successus. Mais sans doute il avait tenté auparavant d'exécutcr avec art l'écume de son cheval, et ne vint à ce dernier moyen qu'avec quelque sorte de dépit de n'avoir pu reussir. Et que .cet heureux hasard ait produit deux fois le méme avantage à deux Artistes différents , et dans diiférents temps , il sera difficile de préter foi à ce conte , malgré la grande réputation que niérite Pline par beaucoup d'autres descriptions historiques. Mais combien ne lui serions nons pas plus redeva- bles , si au lieu de ce faible narré, il nous eiit décrit le beau choix d'atti tude de Jalise , sa noble et toute ideale proportion , la noblesse de la teinte de sa chair et son parfait rellef , toutes ces particularités nous ins- truiraient et nous en concevrions la possibilité de la haute estime que lui ténioigna Demetrtus , qui cessa d'ètie Poliorcele pour ce tableau , mais il s'étend sira- plement sur un événement très-subalterne en lui-méme, et très-accessoire , et qui , s'il fùt encore parfaitement réussi , ne saurait fìxer l'attention d'un Spectateur ins- truit , qui ne se distrairait poiat d'admircr la figure de Jalise pour s'occuper de l'écume du chien : tout au plus , si la téte du chien était vraiment exprcssive , pourrait-il dire , ce chien parait vrai : mais il n'ea ferait janiais l'apologie au dépens du protagoniste. De mème , s'il nous eiit décrit le cheval fougueux de DE l'éponge de protocene. Zdciì Néalces caressé par le Poppyzonta , dont l'attitude et le mouvement de la tète et des bras expiimaient soa etnbarras , et le soin qu'il prenait de calmar l'impa- tience de ce ohe vai; comme aussi une belle propor- tion à cet animai; une tète avec des yeux pleins de feu , des narines bien ouvertes , son clianfrain d'une tachetuie bien nette, un beau manteau, des pieds fins et de differente couleur , et que toutes ces particu- larités désignassent une race rai-e; alors l'accessoire de l'écume serait acceptable comme incidence, et ne saurait interrompre la considération des principales parties de ce tableau. Et pourquol n'a-t-il pas non plus décide la questiou , si ce .lalise est un Bacchus, connu aussi sous ce nom à Rliodes , que Messalanus soupconne ótre un chasseur, caractérisé par le chien ; et d'autres un Satyre de ce nom, ou Bacchus ainsi nonamé par les Rhodiens, qtu'il peignait tranquillement dans le tems mème du siége-,, et ce qui fut admiré pai- Démetrius^ qui lui fournit. tous les moyens de suivrei: cet ouvrage , et lui accorda, 8on entière pi'otectioa. ERRATI? M CaRRIGK Pagi 333, lia. Ja. horisontalem., . horizontalem., 333' RECHERCHES COKCERNANT l'aNECDOTE DE LA LIGNE d'ApELLE SUR LE TABLEAU DE PrOToGENE , CITÉE PAR PlINE LIVRE XXXV. PAR MONSIEUR PECHEUX. Lues le 2 mai 1810. A PELLE, abordant à Rhodes , se transpovta cliez Protogene, dont il connaissait la réputafion; et ea son absence , une vieille , qui gavdait l'atelier , lui ayant demandé , qui elle devait dire de Protogeue , l'avoir visite? Apelle prit d'abord un pinceau avec de la couleur , et fit une ligne sur un grand tableau qui était sur le clievalet , où il n'y avait encore ricn de commencé. Arreploque pennicillo lineam ex colore du- xit summce tenuiiatis. Par celui - ci , dif Apelle ce que la vieille narra à Protogene , à son retour ; qui après Vavoir considérée ne denta pòint que ce ne fùt Apelle , cai' il ne croyait pas ù la purtée d'uucuu autre l RECHERCHES CONCERNANT L'ANECDOTE ETC. 333 Artiste un ouvrage aussi complet.. In alium tam abso- lutum opus. Il pi'it un pinceau et tira avec une autre couleur une ligne tiès-fine sur celle d'ApelIe , lecom- mandant à la vieille de faire observer à Apelle , s'il revenait , que c'était colui qu'il cherchait, Apelle re- venu , en admira la subtilité , et rougissant d etre sur- passé , prit une troisième couleui-, et divisa encore la ligne de Protogene , nullum rclinquens amplius sulti- litati locum. Ce que Protogene ayant observé à son jetour , se déclara vaincu , et coui-ut au port chercher Apelle. Si Pjlijse eiit caracterisé lineam t'erticalem , seu horison/alem , seu diagonalem , il ne nous resterai! aucun doute que ce ne fAt qu'uue simple ligne, qui en formait cinq : mais n'ayant point donne d'explica- tion , il nous est libre de chercher à ennoblir l'auec- dote. Je dis donc , que linea se peut entendre , comme en franrais , par un trait , un contour; le tenne d'une forme, d'une figure , susceplihie d'etre élargie , accrue , rendue plus convexe , plus concave , plus longue , ou plus courte. Cette ligne d'Apelle à qui la correction et la facilita étaient familières , dut étre un caractcre signifiant au moins un profii idéal , auquel Profogene se scntit en état d'ajouter quelque plus grande finesse ; reconnaissant cependant que nul autre Artiste qu'Apelle n'evit pu tracer lam absohititrn opus. Comment au- raient pu se compiaire ces deux grands Artistes , et se contenter de l'adrcsse de tirer dcs lignes , lune 334 RECHERCHES CONCEKNANT l'aneCDOTE dans l'autre sans objet , eux à qui il était si famllier et facile de fornier un objet idéal et signiflant : assu- rcment Protogene dut ctre charme de poiivoir mon- trer à Apelle quii se sentait d'ajouter des fluesses k ce fam absolutum opus qui n'était , jusqu'alors , point l'objet d'un défi , mais qui le dévint lorsque Protogene y eut ajouté des délicatesses , qui piquèrent d'cmulation Apelle , qui y mit alors tonte la perfection dont cet objet était susceptible nullum relinquens ampìius subii' lilaii locum , ce qui fut reconnu par Protogeue, qui s'avoua vaincu , et courut au port le chercher avec enipvessement. L'on ne saurait interpréter l'expression énergique, lam absolutum opus , une ligne sans signification , quand cette expression présente à notre idée un objet compose de diverses parties et très-fini. Summae ienuiiatis peut aussi bien s'entendre pour un contour très-fin de quel- qu'objet , auquel Protogene reconnut Apelle en y ayant observé , subtililatem , la délicatesse , propiiété néces- saire à l'expression des passions , et à la variété des caractères , principalement dans l'ideai. J'ai souvent vu et eu occasion de reprendre un contour dans' son épais- seur , où il se pouvait trouver l'élégance d'une forme, ou la tendance à un défaut. Le nulla dies sine linea ; qui est passe en proverbe, et le nullam hodie lineam duxi , ce que l'on ne peut entendre que pour quelque partie d'un discours d'Eras- me , cent. 4 » adag. 12 , font voir que le mot linea DE LA LIONE d'APELLE , ETC. 335 s'applique assez souvent mc^taphoiiquement , et ne dd- termine pas une simple ligne. Si Pline nous cut transmis l'Auteur Grec d'où il avait tii-é le fait , ncnis y trouverions sans doute des détails bien intéressans , tant pour l'évdnenient dont il s'agit , que pour Ics suites et les raisons qui ont fait conserver ce tableau avec tant d'estime pendant plu- sieurs siècies , et le transporter de Rhodes à Rome dans le palais d'Auguste , où il fut consumè dans lin- cendie du méme palais. Au reste je ne vois pas , selon l'idée commune de la ligne d'Apelle, que Protogene eùt pu s'émerveiller, puis quelle lui parut assez large pour étre divisée , mais voyant le contour correct et signifiant d'un objet , il s'y arreta , et y reconnut Apelle , ce qui est seul digne de l'un et de l'autre de ces deux grands Artistes. 336 OSSERVAZIONI INTORNO ALLA INTERPRETAZIONE DATA DAL SIGNOR LORENZO PECHEUX AD UN LUOGO DI PLINIO. DI GIANFRANCESCO G A LE A N I-N A P I O N E Letta li 3o giugno 1810. .vJARLO Dati, nelle Vite de' Pittori antichi, dopo di Dati. Vitetle '■ pitiori aniichi , gygj-g riferito il Luoso di Plinio, dove parla delle fa- Tjla di Prologe- o ' i ll^i%:n cimose linee di Apelle , e di Protogene, e dopo aver ì'ou iVpf" ^^' recate le interpretazioni , che a quello vennero date da parecchj Valentuomini , termina con pregare i Let- terati tutti , e specialmente i Professori delle Arti di Disegno , che volessero rileggere attentamente quel Luogo di Plinio , per vedere se da quel racconto si possa trarre un ripiego , che salvi Plinio dalla nota di bugiardo , ed Apelle , e Protogene dalla taccia di ba- lordi neir Arte. HAP. OSS. INTORNO AD UN LUOGO DI PLINIO. 337 Tra coloro, che si studiarono di adempire il voto di quell'elegante ed erudito Scrittore delle Memoi'ie an- riche de' Pittori, merita distinta lode il valoroso Pittore e Collega nostro il Signor Lorenzo Pecheux. Mosti'a Egli, che quelle linee non possono intendersi in altro modo fuorché in senso di colitorni , o sieno disegni di una qualche figura : che a vero dire la gara tra Arte- fici grandi intorno a sottigliezza di linee sarebbe una secclieria , come si esprime il Dati , indegna di loro ; ed intendendo quel Luogo in questo ultimo senso, co- me suonano materialmente le parole, non tanto a torto quello spirito bizzaro Modenese di Alessandro Tassoni xasoni P( cn- sieri diversi, lib. avrebbe chiamate insipide quelle linee tanto riverite xcap.xix.pag, - ,, , . , . , 656. Vtn. 16*7. dalla Antichità. Quanto alla verità del fatto non vi può essere dub- bio nessuno. Vi era in Roma nel Palazzo de' Cesari un' ampia Tavola , che niente altro contenea salvo sì fatte linee. Plinio parla di cosa da lui veduta , e da pho. h. n. lib. ixxv, cap. tutta Roma. Non è adunque supponibile in nessuna •»• maniera , eh' egli volesse mentire , né che potesse in- gannarsi. La lezione in questa parte del Testo di Pli- nio adottata da Carlo Dati , ragionando di si fatta Ta- vola , è la seguente =: Consumtam eam constai prióre incendio Domus Caesaris in Palatio , avide ante a nobis speciatam. So che Davide Durano nella Edizione da "'?n°i"ancielf. lui emendata del Libro XXXV di Plinio, dopo aver mis^Nar di 1 . , \ 1 . •> .,• Pline Lib.xxxv premesso, che questo luogo e uno de più corrotti eciiU:c.n\uìi Secundi Nalura- guasti , pensò di ridurlo a sanità , leggendo = Con- lisHisioriaeui,. 338 NAriONE , OSSERVAZIONI INTORNO' ei Coioribuj ex sump/om eam priore incendio Caesarae Domus in Pa- edil. I. Vcnel. , . ,. . , . anni 1^69 ton- latio , ouctio , ontc ù Hostris spectatam , onde ti'adusse talus png. ^6^ no^a(E)z,onir..»pQÌ {q guo linguaggio Franccse = Mais ce prccieux moniiment , des dcux plus grands Peinlres , qui furent jamais , a èie reduit en cendre au premier emhrasement de la Maison d' Auguste dans le Palais , ou il etoit ii.\\>ìi. fì^.is exposé à la curiosile des Speclateurs = facendo osser- vare in nota , come un punto di grande importanza , che Plinio non avea veduta questa sì rinomata Tavola, E , tra le altre ragioni , che allega per sostenere questa lezione , ed interprefazion sua , si è perchè Caesarea Domus non potea significar la Casa di Vespasiano ,• H. ibid. Nola onde conveniva intendere il Palazzo di Augusto : per— ( E ) pag. 163. ^ ^ , , . , . ciocche dopo di Nerone non vi furono più Cesari, Ma non avvertì il Durano, quello che venne avvertito dal Maffei osjerv. dotto Marchcse Scipion Maffei, che anche dopo Galba Lellcr. Tom. VI ^^ '^ pag. 4o3. jj nome di Cesare , come quello d' Augusto , fu ado- perato promiscuamente in significato d' Imj^eratore. Questa ragione adunque non fa forza ; senzachè la tra- duzione di Cristoforo Landino , pi-egevole assai per essei-e stata lavorata sugli antichi Codici di Plinio MSS.'' di Firenze, conferma la lezione di Carlo Dati, dicendosi in essa ,• = Questa arse nel primo incendio della Casa di Cesare in Pala/io : ma io l as-es^a veduta innanzi non senza stupore. Questa Tavola adunque la vide il Naturalista Ro- mano, e questa Tavola tirava a se gli sguardi di tutti, tra le egregie opere di molti, più bella e più famosa, AD UN LUOGO DI PLINIO. Z3q diV Egli col SUO concettoso stile , pei'chè era vuota ; conciossiachè in quello stato, senza altro dipingei'vi da quelle linee in fuori , era stata tramandata a' Posteri con grande stupore di tutti, e degli Artisti principal- mente. = Placuitque sic eam Tabulam posteria tra- Lepgo coi Du- land praecipue , dere , omnium quidem , sed Artificum praecìpue mira-^ '^<'<^P''''"'f"'<'- culo. Dove il Dati osserva opportunamente , che Plinio non si fidò di se stesso , né del volgo , e non andò , come si dice , presso alle grida , ma si fondò principal- mente sul giudicio de' Professori. Ma tra Professori mo- derni nessuno meglio del signor Pecheux è giunto a spiegare , come cjuelle linee meravigliose abbiano po- tuto ottener tanta fama presso tutta l' Antichità ne' tem- pi per r Arte i più felici della Giccia, e di Roma. Che di Disegno , e non di semplici linee si ti-attasse, pare che già sospettato l' avesse il grande Michelan- gelo : poiché trovo , che un Vincenzo Carducci in certi suoi Dialoghi della Pittura, sci'itti in lingua Spagnuola, ed accennati da Carlo Dati , racconta che Michelan- Daii loc. cii. gelo , sentendo parlare con lode delle linee di Apelle, e di Protogene , celebri per la sottigliezza , si dichiarò di non poter credere, che tal cosa avesse potuto dare grande riputazione , e far conoscere que' Valentuo- mini ; e preso un matitatojo , fece in un tratto solo il dintorno di un ignudo , che a tutti parve meravi- glioso. Di fatto non è in nessuna maniera possibile , che una hnea sottiHssima possa mostrare maniera di far 34» KAPIONE , OSSERVAZIÓNI INTORNO conoscere un valente Maestro. E pure anche Stazioì attesta, che questa linea fece ravvisare l'antico Apelle. » Linea quae i'eterem longe fateaiur Apellem ; onde il Dati dichiarò di non sentirsi atto a risolvere cosi ardua questione , e la propose , com' è detto sopra , a tutti i Professori , e Letterati , pregandoli del parer loro. I Critici, ed i Letterati, che avevano parlato insino allora , si dee confessare , che non avevano dato Lipsijs Episi. nel segno. Giusto Lipsio , per ciò che appartiene alla Cent. Il N. 4s. " ^ . verità del fatto, disse non potersene dubitare , quando non si voglia negar fede a tutta 1' antica Storia. Ma sul punto : che cosa fossero le linee , di cui si tratta , serba profondo silenzio ; e suggerisce a chi interrogato r avea , di far capo ad un comune tuiilcu di grande in- gegno , e che avea cognizioni estese in fatto di Belle Arti. 11 dotto DuMoNSOzio ( Mon/Josieu) , Letterato Fi-an- cese, che aveva fatto lunga dimora in Roma, Autore del raro Libro Gdllus Roniae Hospes, e che era ver- sarto nelle Belle Arti , disperando di poter cavare co- strutto da queste linee , e vedendo , che si parlava da Plinio di linee di colori diversi , si sforza di provare, con un lungo discorso , nel suo Libretto sulla Pittura antica , che le linee di Apelle , e di Protogene non fossero , e non potessero essere linee , e che Plinio s'ingannasse nel riferir quella contesa, la quale pre- tende Egli che non fosse di sottigliezza di linee , ma bensi di chiaro-scuro ; anzi di colorito , e che si trat- AD UN LUOGO DI PLINIO. 34 1 tasse di un degradamenlo , e passaggio da colore a colore , e , per dir coufornie ad esso , dal lume allo splendore, e dallo splendore all'ombra. A questo Di- scorso del DuMONSOzio , sebben sottilissimo , si oppo- sero Francesco Giunio ncU' Opera sua della Pittura an- , . , . tica , e più gagliardamente il Salmasio nelle Disserta- J^'- ^'''- "• "P" zioni Pliniane. Alquanto più alla vera spiegazione del Testo di Pli- nio pare , che si accostasse Paolo Pino nel Dialogo della Pittura , riferito anche da Carlo Dati , il quale crede , che i due Pittori contendessero per mostrare in quella operazione maggiore saldezza , e franchezza di mano. Queste sì fatte operazioni in vero , come il Circolo di Giotto passato .|in proverbio, possono dare qualche seguo di un bravo Artefice, ma non avrebbono potuto meritare mai l' ammirazione de' Posteri , e di quegli Artefici , che avevano di continuo davanti agli occhj i più bei monumenti delle Arti Cieche. La difiicoltà incontrata da tutti i sopraccennati Va- lentuomini ,' nel dare al Testo di Plinio un significato corrispondente al merito di que' due Artisti sommi , nacque , come osservò ottimamente il Signor Pecheux , dallo avere considerate le linee , di cui parla Plinio , unicamente come linee rette , e coinè linee , che nulla rappresentassero. Alessandro Tassoni, tuttoché Tassoni Ppd- sieri diversi loc. Detrattore dell'Antichità, e tuttoché, per non volersi"'- dare per avventura soverchio travaglio per intendere il Testo di PuMO , le chiamasse insipide , fu ciò non 34» KAPIONE, OSSERVAZIONI INTORNO pertnnto il solo forse , che primo sospettò , che alcuna cosa rappresentassero , spettante però alla Prospettiva. Che ne sia il vero , contrappone alle linee di Apelle , e di Prologonc la Sala Clementina di Roma dipinta a prospettive dai due fratelli del Borgo. Ma , oltrecchè una linea non può mai da se sola rappresentar figura nessuna, eziandio appartenente a Prospettiva, e di una linea sola parla Plinio lineam ex colore duxit ; oltrecchè pure non è abbastanza pi'ovato che in si fatta Scienza fossero profondamente versati gli antichi Pittori , lasciando , dico , tutto questo da parte , una gara di Prospettiva sarebbe piuttosto una gara scienti- fica , che non una gara di cose appartenenti alla Pit- tura considerata come Bell' Arte , siccome appare dal contesto , che fu c[uella dei due antichi rinomatissimi Dipintori. Non vi ha adunque migliore spiegazione del Testo di Plinio di quella data dal Signor Pecheux , vale a dire , che si trattasse di un semplice contorno , e di più di un contorno da potersi eseguire con una curva aggraziata , ed elegante , non però che racchiudesse tutta la figura , come a cagion d' esempio sarebbe uu semplice profilo della testa dell' Apollo di Belvedere , ovvei'o della Venere De- Medici; e che quantunque di diversi colori siensi serviti , tanto Apelle , come Proto- gene , la nobile contesa fosse soltanto di Disegno ; né che ad altro fine siensi servili di tre colori diversi , saU'o per distinguere il disegno dell' uno , dal disegno AD l'N LUOGO DI PLINIO. 343 dell' altro , ed il secondo disegno di uno di essi Di- pintori , cioè di Apelle , dal suo primo. E qui mi pare di poter aggiungere alle ingegnose Osservazioni del nostro Collega , che dal Landino , e dalla comune de' Traduttori siasi male spiegato il Testo di Plinio , appunto per non avere giusta idea della cosa descritta , e per non essersi badato dai medesimi ai varj significati, che hanno in Lingua Latina le voci: linea - tenuilas - sublililas. Volendo i Latini esprimere ciò che diciam noi , delineare , disegnare , diceano : lineas ducere. Cosi Plinio medesimo in altri luo^'hi ; Quìuiìi. lib. n " cap. VI. e Quintiliano , parlando di Disegno , dice : olii, cum pri- mas lineas duxisseni. Aulo Gellio poi disse : lineas Geli. lib. xvn . . cap. XX ad tia. umbrasque jacere quaesivimus : che tanto sarebbe come dire, disegnare, ed ombreggiare. Altronde infiniti sono i luoghi di OaAzio , e di altri Scrittori Latini, da cui si scorge , che subtilis — sublililas si pigliavano in senso traslato , per elegante , ingegnoso , fino , dilicato , e per acutezza, finezza, eleganza, buon gusto; e lo stesso dicasi di tenuilas — lenuis , onde Marziale disse : te- nues Alhenae , per dinotar Atene di buon gusto , ed elegante. Ciò presupposto , ecco come si hanno ad interpre- tare le parole di Plinio in questo Testo famoso : arre-' ploque pcnicillo , lineam ex colore duxil summae tenui' lalis = e dolo di mano ad un pennello disegnò , con colore , un profilo di somma eleganza. Spiego un pro- filo , piuttosto che un contorno : perciocché trattandosi 344 NAPI0N8 , OSSERVAZIONI INTORNO di con/orni , si vale Plinio della finse ìineìs circvmdu- cere. Abbastanza chiaro , e preciso ò il passo del Capo m di questo stesso Libro XXXV, dove, parlando della origine della Pittura , dice : Graeci autem , alti Sycìone , ala apud Coì inOiios reperfam , omnes ab umbra homin is LiNEJS ciRCUMBVCTA. Dunquc per significar un tratto elegante di pennello , un profilo , la frase Pliniana è quella di lineam ducere; all' incontro disegnar un con- torno : lineam circumducere. Quindi , ritornando al Te- sto , di cui si tratta , le seguenti parole : jerunt arfifi- cem proiinus contempìalum subliìitalem , dixìsse : ^pel- lem venisse : non enim cadere in ulium iam absolutum opus. Ipsumque , alio colore , tenuiorem lineam in illa ipso duxisse ; si avrebbono a tradurre così : Raccon- tano , che l Artista loslo , contemplatane la squisitezza abbia detto , che Apelle era giunto : perciocché non altri era capace di far opera sì compita ; ed Egli stesso, con un altro colore, aver delineato un profilo più dilicato sul primo istesso. E finalmente 1' ultima parte del Te- sto a me pare , che si vorx'cbbe interpretar come se- gue : Revertitur enim Apelles : sed, vinci erubescens, tertia colore lineas secuit , nullum relinquens amplius subtili- iati locum. Di fatto ritorna Apelle, ma vergognandosi di doversi dar per vinto , ritoccò i due profili con un terzo diverso colore , non lasciando più luogo ad ele- ganza maggiore. Uno stesso profilo si può correggere , e ritoccare più volte , e correggendolo, e ritoccandolo, è indispensabile di tagliar le linee , uscendo , e rien- AD UN LUOGO DI PLINIO 345 trando nel primo ; ed appunto affinchè meglio si di- stinguessero le due correzioni dal primo disegno , si fe- cero con tratti di pennello di colore diverso dal primo. Ecco come in questo modo lo stile breve, concet- toso, ed oscuro eziandio di Plinio, rimane schiarito; e parla Plinio secondo il sistema del Signor Pecheux , di cui non so, se altro esser possa più soddisfacente. Senzachè sì fatta interpretazione è più coerente eziandio alle idee del Dati , il quale si vede , che parimente Dati loc. cU. sospettò, che di uno schizzo, o disegno si trattasse in quella memorabile , e virtuosa contesa : perciocché , co- me di un fatto consimile a quello di Apelle , fa men- zione di quanto si narra di Michelangelo , che , intro- dottosi travestito da Muratore nel palazzo di Agostino Chigi ( detto al presente la Farnesina ) , dove ope- rava Rafaello , per lasciar segno di esservi stato , dise- gnasse con un carbone in una lunetta quella gran te- sta , che ancora si vede sopra la semplice arricciatura, schizzo però , che da altri si attribuisce a Fra Bastiano del Piombo. E , che consimile giudicasse il Dati il fatto di Apelle , e di Protogene , agevole si è lo argomen- tarlo dal conchiudere , che fa , dicendo : « che piacque » il conservare quel puro disegno fra le Opere insigni » di Baldassarre da Siena , e di Rafaello , acciò si ve- j) desse , che pochi , e semplicissimi tratti sono ba- » stanti a mostrar la finezza dell' arte. Forse, colla scorta di questo cenno del Dati, ilDe-De.piicsVie.ies riles ardi pronunciare il primo, che linea in questo p.us. 3<46 NAPIONE, OSSERVAZIONI INTORNO luogo- significava disegno, o sia contorno, profilo; e che la voce sublilitas si dovea intendere in senso di V. Durand loc. prccisione , di finezza di disegno. Davide Durand poi , i-i(. noia ( C ) . pag. J6t. lodato Editore , e Traduttore del Libro XXXV di Pli- nio , non fece altro sostanzialmente che tener dietro al De-Piles ; ma non mi sembra , che abbiano tanto l'uno come l'altro ^osl pienamente svolto il senso di Plinio »\ come fa il Signor Pechoux ; e segnatamente , che non sieno giunti a spiegar il vero senso delle parole di Plinio: tertio colore lineas secuit , che ingegnosamente, dimostra il Collega nostro , che altro non vogliono dire , che passare, e ripassare a traverso de' due primi profili per correggerli , e sempre' più perfezionarli , cosa che far non si può altrimenti , fuorché tagliando le linee disegnate da prima. Potrà sembiare strano per avventura a taluno , che si dia alle parole di Plinio un senso diverso da quello, che suonano lettei'almente , quasiché sia' questo un fare violènza all' Autore. Ma , sé è regola dell' Arte Erme- neutica pigliar le parole di uno Scrittore , che altri interpretar voglia nel senso suo naturale , d' altro late è regola dell' Arte medesima il dipartirsene ogni qual- volta vi sieno fondate ragioni per farlo. Le ragioni poi, pen appigliarsi piuttosto al senso traslàtO , possono essere moltissime ; due però sono le principali. La prima , quando , non appigliandosi al senso traslato , il Testo dell'Autore non presenterebbe più' setTso veruno, od un senso così fatto , che ripugnerebbe all' intento di AD UN LUOGO DI PLINIO. 347 Lui. La seconda , quando presenterebbe un senso ma- nifestamente assurdo, e che attiibuir non si possa, se non se ad uomo del tutto scimunito. E cosa abbastanza manifesta , che il Testo di Plinio preso nel senso na- turale , e propizio , o non avrebbe senso nessuno , od iinsenso del tutto assurdo; e l'Enciclopedista Romano, non ignaro delle Belle Arti , e che vivea in mezzo alla liice di Roma non può certamente da nessun Savio esser tacciato d' inetto. Ecco le ragioni pertanto , per eui ed Artisti , e Critici di grido si uniscono col Signor Pe- cheux per dare un senso traslato alle parole di Plinio , colle quali ci descrive quelle controverse linee di Apel- le , e di Protogene , che altiùmenti a buona ragione chiamar si potrebbono col Tassoni insipide; per lasciar da parte la particolarità già notata in Plinio di Scrittor conciso , soventi volte oscuro , e che affettava di es- sere concettoso. Al sentimento de' sopraccennati Critici, ed Artisti, eggiungererao per ultimo quello del celebre Conte di Caylus , dotto Anticjuario , e versatissimo nelle cose ap- partenenti alle Belle Arti, che ultimo, per quanto si Eciaircissemeni . . surquelqufs pas- sarppia , di quelle famose linee ragionò, ma ne ragionò ^^ges de pune, * *■ ^ _ o ' *-' qui concenient in modo, che dà ogni volta maggior peso alla interpre- 'P '*'," J?^p''"" tazione del prenominato Signor Pecheux. Premette Egli, fj^ c3Tru^.''"'i'5 che , per quanto conciso sia Plinio , ciò non ostante Mt'm.'de rAcad. non e in veruna maniera oscuro per coloro , clie sono Beiies lcuks . iniziati nelle Scienze , e nelle Arti , di cui ragiona. Ciò posto, osserva, che, interpretando la sottigliezza delle 34$ NAPIONE , OSSERVAZIONI INTORNO linee, di cui si.tvatta, in senso letterale, non vi sarebbe nulla di meraviglioso , e che passi i limiti del mecca- nismo il più ordinario, onde un ignorante, che abbia franchezza di mano , può' vincere in questa parte il Disegnator più valente. Come mai può supporsi , dice il Caylus , che Pittori cotanto rinomati , le Opere de* Cayius loc. cit. Quali hauno ottenuti i suffragi della Grecia tutta , sieno pag, i58 e seg. _ _ _ venuti a gara per cosa cosi indegna di loro ? Fa Egli pure uso di quanto notò , e raccolse il Dati , recando i Luoghi del Lipsio , del Montjosieu , e del Tassoni ; e si vale parimente di quanto il Dati medesimo narra di Michelangelo , sulla autorità del Carducci , per pi'o- vare , che quel Maestro Sovrano nell' Arte del Disegno era d'avviso, che altra interpretazione dar non si po- tesse a quel Luogo di Plinio , fuorché intendendo aver parlato di cosa spettante appunto ad eleganza , ad esat- tezza , e precision di disegno , il che fiancheggia il Cay- Pclron. can. 83. ^US COn luoglli di PETRONIO , C di QUINTILIANO , da» cap'."'io; '""quali si scorge manifestamente, che gli Antichi si va- levano delle voci subtilitas - sublilis per esprimere I esat- tezza del Disegno. Conchiude finalmente il dotto Caylus le Osservazioni sue , aggiungendo alla opinione di Michelangelo la te- stimonianza di tutta r Antichità , che , qualora si fosse dovuto spiegare in senso letterale, e proprio, il Testo di Plinio , non avrebbe mai ammirata , e conservata come cosa preziosa quella Tavola , dov' erano que' po- chi segni ; e biasimando per conseguente a buona ra- AD UN LUOGO DI PLINIO. 349 gione Davide Durano , per essersi , nella Parafrasi sua di quel Luogo di Plinio, espresso in modo, quasiché la voce sublUitas , di cui si serve 1' Enciclopedista Ro- mano , nel descrivere i tre distinti tratti di pennello di quegli Artisti sommi , significasse sottigliezza di linee, dovecliè il pregio di quelle linee , che Plinio indicar volle colle voci subtilitas - lenuitas , non consisteva già nella semplice finezza di esse linee in quanto linee, ma bensì nella eleganza , ed esattezza de' contorni , o pro- fili, che vogliam dii-e , da que' grand' uomini delineati, intesi e riguardati come Disegni. 35o DISCORSO INTORNO ALLE CAGIONI DELLA DECADENZA DELLE LETTERE. \ DI FRANCESCO REGIS. Letto li 2 giugno 1810, VJHE le piramidi , i colossi , gli obelischi , e le altre moli superbe si vadano a poco a poco struggendo , e inSne dicadano, non è maraviglia. Accademici; tutto ciò, che è materiale, e sensibile può, e dee a lungo andare essere dalla forza del tempo scosso , ed abbat- tuto. Stupore egli è, che alle stesse vicende soggiac- ciano le Lettere , e le cognizioni più sublimi , le quali nella sorgente loro , come scaturite dal seno della Di- vinità medesima , immutabili essendo , ed eterne , cre- sciute che sono tra noi , ed aggrandite , pare che non dovrebbono cangiar più , né venir meno giammai. Eppure per un cotal carattere di fragilitti , che noi su loro imprimiamo , anch' esse, come tutte le cose , che ne stanno d'intorno, indeboliscono, e mancano. Anzi se INTORNO ALLE CAG. DELLA DEC. DELLE LET.' 35 1 le corporee altre opere grandi alla dicadenza non giun- gono , se non a misura , che dalla loro perfetta ro- bustezza si allontanano ; queste intellettuali schiaratrici' dtff Mondo tanto piìi vi si avvicinano , quanto più sa- lite sono in vigore, e perfezione. Or qual soggetto più degno di venire ad una almen breve disamina chia- mato in mezzo a voi , i quali della durevolezza , e ^ stabilità delle Lettei'e siete in queste Contrade i primi sostenitori ? Opinione universale ella ò , che le armi , ed i guer- reschi accidenti combattono , e volgono facilmente in basso l'altezza delle Lettere: amano queste la securtà , e il riposo; odiano l'inquietudine, e l'affanno. Anche per lo stesso modo si crede , che a mantenerle in istato richiedesi la protezione , e la gloria : senza questo vi- tal nutrimento scemano di forza , e valore ; senza quest' ali poderose mal si reggono nel maggior loro innalzamento. Ma se in Grecia gli ostinati incendj di guerra non valsero a struggere la gloria delle nobili discipline, o crebbero eziandio ad alcuna di esse, e segnatamente alla storia polso e vigore ; se in Roma oltre le tempeste di estranio guerreggiare, le-onde del civil sangue presso alla gran catastrofe della P epubblica versato, non rattennero la poesia in ispezie, e la eloquen- za dal sollevarsi , come fecero , al più alto punto : simil- mente se Letterati di ogni classe antichi, e moderni mche fra i disagj di scarsa , ed umil vita si serbarono neir acquistata lor nominanza ; se di più le stesse 352 SAGGIO INTORNO ALLE CAGIONI traversie, e persecuzioni invigorirono talora chi altri- menti in an placido essere avrebbe a neghittosa mol- lezza dichinato ; perchè si avrà così francamente ad af- fermare , che le guerre sieno affatto de' belli studj distruggitive, che gli arbitri dell'onore, e della for- tuna possano l'ardor, che solleva i grand' uomini , spegnere sempre , e la decadenza delle Lettere a lor piacimento affrettare ? So che in questi ultimi tempi si temè pure , che al dicadimento di esse fosse per contribuire il gusto ardentissimo introdottosi per le matematiche, e per la fìsica, madri e nutrici del tanto oggidì vantato spirito filosofico. Ma riflettendo che sì fatte scienze , se sono da fosca caligine a chiara luce uscite , se di selvagge , e inaccessibili , che erano , veggonsi fiorite , e di facile accesso , il deggiono al favore , e al consorzio delle Lettere ; sospettar io po- trò che sieno elleno così cieche , ed ingrate da volere r imperio loro sulla rovina di cpeste innalzare ? Tanto meno ascolterò coloro , i quali pensano , che i tempi in uno stesso paese apportino un certo temperamento di aria , possente ora ad elevare , ora ad abbassare gV ingegni. Faccian pure su noi impressione le cause esterne mercè dell' unione , che passa tra l'anima , e il corpo ; e' ispiri pure la differenza del clima tristizia, o gioja , tiepidezza , o ardore , stupidezza , o attività. Ma come uom d'intelletto immaginerassi , che in una stessa Contrada si diffonda all'improvviso un'aria, che istilli ne' fighuoli un' ottusità , ed abbiezione a' loro padri DELLA DECAUliNZ,A DELLE LETTER-E. 353 sconosciuta ? heplicate osservazioni da perspicaci viag- giatori fatte su la conformità de' Greci presenti co' loro passati, bastano a convincerne , che quel Popolo vi- vendo sotto un cielo al par d' una volta puro , e se- reno , tutti riprodur saprebbe i primieri talenti per'Ie arti gentili , quando disciolto dalle catene di servitù , fosse per una mano straordinaria non già ricondotto neir antica libertà , ma posto solo in potere , e balia di un discreto , e magnanimo Principe. E dovrò poi arrestarmi ancora a chi pcuaa , o rlie la natura dopo certe sue vigorose produzioni indebolita dee neces- sariamente riposare , o che le Lettere, arrivate che sono alla loro perfezione , invecchiano anch' esse , e dicadono , o che infine il loro dicadimento egli è pure imperiosamente voluto dal geloso destino , opi- nioni tutte, contro le quali, benché da gran nomi sostenute, parlano assai chiaro la sperienza , la ragione, il buon senso ? Altra cagione adunque di questo deplorabile cangia- mento letterai-io vuoisi ricercare , e dessa , se non la sola , almen la principale si è , cred' io , quella mede- sima , che digradò già la Greca, e Ptoraana eloquenza,' voglio dire l' amor delle sottigliezze , de' falsi orna- menti , uno stile affettato ; cagion d' ogni altra più inevitabile, e indegna; perchè dal letterato stesso vo- luta , e promossa , quando gli studj meglio potrebbono essere di splendida , e lunga vita affidati. Troppo dif- ficilmente questi , giunti che sono al colmo , trattener 354 SAGGIO IUTORKO ALLK GAGIOJNI vi si possono ; e troppo natuialmeate , tolta che lora è la speranza di maggiore altezza , deggiono dicadere. Lo stesso desio , che solleva gì' ingegni alla perfezione » è quello, che di là dalla medesima, dove appunto sta lo affettato , li trasporta; ed è in ciò massimamente, che cade in acconcio il dire , che il bene non ha maggior ne- mico , che il meglio. Poteva essere più in alto levata la letteratura , che a' tempi di Filippo , e di Alessandro tra' Greci, di Cesare, e di Augusto tra' Romani? Or l'epoca di sua maggiore gicindezza presso gli uni , e presso gli altri , quasi la stessa dir si può , che quella di sua decadenza ; e la colpa fu di tale , che più di ogni altro avrebbe dovuto mantener lei nell' essere suo elevato. Con che vasti talenti per V eloquenza , per la filosofia , per la politica , e per la storia non succedette a' sommi scrittori della Grecia Demetrio Falereo ? Ma poco curando egli que' modelli perfettis- simi, amò meglio piacere agli orecchj , che muovere il cuore , valersi d' una suavità leggera , e svanita , che soda , e severa ; abbagliare gli occhj con un falso splen- dore , che con una vera maestà appagare il giudizio della ragione. E ben vi riuscì ; gli errori de' grand' uo- mini seducono facilmente ; e gli Ateniesi , corrotti come erano allora di costumi ( poiché la corruzion de' co- stumi troppo più che molti non credono , a quella delle Lettei*e conferisce) da questo gaio, brillante, ed effeminato modo di parlare rimasero presi, ed incan- tati. Dalle labbra di lui , come se la dolcezza vi al- DELLA DECADENZA DELLE LETTERE. 355 bergasse , affollati essi pcndeano , e alla noi'ma del nuovo linguaggio, come unica loro legge, e misura, tosto le scuole de' Retori si conformai-ono. E almeno i discepoli di questo Maestro a lui si fossero fedel- mente attenuti ; che in lui Cicerone stesso , benché per autore di tal mutazione lo dichiari , riconosce tuttavia sì belle doti , da poterlo collocare poco al di sotto de' più sublimi ingegni di Atene. Ma rotto il primo ar- gine , inondò in quella Capitale del sapere il cattivo gusto ; e la Letteratura Uscendone poi già difformata , e per le Contrade dell'Asia avvolgendosi, e le ma- niere , e le fogge degli stranieri prendendo , infine cambiò sì fattamente a rimanere quasi illiterata. Né punto diversa fu la sarte , eh' ebbero in Roma gli studj per opera di Seneca , stato ancora esso a' me- desimi tanto nocivo, quanto era per capacità d'inten- dimento , e vastità di cognizioni maraviglioso. Aveva questo grand' uomo alta opinion di se stesso , di mal animo sentiva risonarsi all' orecchio il nome di quelli , che Io avevano preceduto nella sua carriera , bramava farsi capo di setta , e ottenere tra belli spiriti il prin- cipato. Onde avvisando , che per abbagliare un' oziosa gioventù , e svegliarne gli animi nel piacere , e nel lusso addormentati, abbisognava uno stile risplendente, ed infiorato, sonoro, e piccante, a questo modo di scrivere le sue mire , le sue fatiche rivolse. Gridava Quintiliano , che vedea la Letteratura tratta fuori del Regno de' suoi maggiori , e inculcava a' giovani di non 356 Saggio intorno alle cagiòn? obblìare gli antichi , di non preferire Seneca a loro; Ma i giovani erano sordi agli avvisi del saggio Retore; Seneca solo apprezzavano , Seneca solo avevano tra le mani ; e quel che più presto la corruttela avanzò , in lui non la facilità dell' ingegno , l'applicazion della mente , la copia della dottrina , ma lo scrivere sen- tenzioso , e conciso , il nuovo , il cercato , ed altri dolci vizj gradivano , ed imitavano principalmente. Così è , Accademici , e volesse il Cielo , che questa mede- sima cagione , stata già fatale a' due più colti secoli antichi , non potesse anche un dì struggere ed abbat- tere r edilizio della presente nostra letteratura. Can- giano le età , cangiano gli uomini , ma le passioni , e le vicende di essi non cangiano : quel che nocque prima alle lettere , nocerà loro in avvenire. E già fin d' ora si sentono parecchj , che in alcuni moderni scrittori di un certo grido , non ciò , che è naturale , e sem- plice , sodo , ed eccellente , ma quello in ispezie , che ò più apparente , che è più arguto , che più ha dello stranio , e tocca del vizio , esaltano particolarmente. All' udir costoro , egli è pregiudizio di spirito me- diocre , e pedantesco il credere , che alla perfezione dello scrivere tanto giovi lo studio de' Greci , e de' La- tini , e di quelli , che a tai fonti attinsero in larga co- pia. Là opinione sola degli uomini ( a detta loro ) si è quella , che il sano gusto , o corrotto nel comporre determina ; le opere d' ingegno variano come i secoli , i climi , i governi , le lingue ; e gli scritti , che piac- t)ELLA bErADENZA DELLE LETTERE. 35 7 cìono, qualunque siane il carattere, ed il colore , sono essi i più belli , e pregevoli. Che strano giudizio egli è questo, degnissimo di essere con le più mordenti censure condannalo ? Io però senza volere per nulla entrare con sì fatti nomini in contesa, d'accordo con tutti i letterati di miglior senno dirò solo , che l'arte di scriver bene nan come una buona parte delle de- cisioni scientifiche , al caso , a' capricci , alle rivoluzioni soggiace ; ma tutta nella natura si fonda , e stabilisce. Dirò che gli antichi , i quali principi chiamiamo in ciascun genere , e i similissimi a loro , questa seppero sì esattamente imitare , che se non si cangia il corso delle cose umane , non ci sarà mai altro gusto diverso da quello , che in essi veggiamo. Cadde ben a tempo a tempo la filosofia di Platone , e di Aristotile ; ma la poesia dell' epico Greco, e Latino, la eloquenza dell'Ate- niese, e del Romano Oratore dopo tanti e tanti se- coli è ancora in pregio grandissimo , e fia sempre nelle future età per questi studj il più sicuro esem- plare. Onde ancorché restino a noi da considerare tut- tora certi punti accidentali de' costumi , certi moti occulti delle passioni , certe particolarità de' diversi genj , e caratteri non prima osservati ; egli è certis- simo, che rispetto alla forma essenziale dello scrivere , la traccia nostra è fuor di strada, se ci dipartiamo da que' primi Duci sovrani , i quali si tirarono dietro le colle Nazioni tutte. Seguitiamoli adunque , dirò io a nome di questa dotta Società , con cui mi glorio di 358 SAGGIO INTORNO ALLE CAGIONI EC. aver comune questo mìo avviso, seguitiamoli, conno- bile però , e generosa emulazione ; e con essi segui- tiamo altresì quelli particolarmente tra nostri, che all' invariabìl lume de' medesimi tenendo ognora fisso lo sguardo, colle dottissime, e pulitissime opere loro in verso , ed in prosa rinnovarono gli aurei secoli di Atene , e di Roma. Così saremo noi forse non gli ul- timi nel cooperare a salvar le Lettere da questo vizio distruggitivo , qual è 1' affettazione ; non gli ultimi nel contribuire a chiuder la bocca a certi dotti stranieri , i quali , o perchè troppo alteri di una pretesa maggio- ranza , o perchè poco profondi nella Letteratura Ita- liana , accusano bene spesso di questo difetto irragio- nevolmente r Italia. DISCORSO 359 SOPRA IL SOGGIORNO DI ANNIBALE A CAPOA. DI FRANCESCO REGIS. Leito li 3o gennajo tSif. I N un Discorso , che sul passaggio di Annibale per le Alpi lessi già al cospetto vostro , Accademici , par- lando io di certuni , che intorno all' avviamento di cotanta spedizione aveano il prode Cartaginese di una cotale sconsideratezza incolpato , ho detto , s' io noa m' inganno , quanto era mestieri a farlo anzi perciò' riguardare non solo com' uno de' piìi gran Capitani dell' antichità , ma com' uno altresì de' più profóndi Po- litici. Ora potrò io del pari giustificarlo da coloro , che lo accusano di essersi poi a Capoa arrestato in vece di condurre da' campi di Canne immediatamente alle porte di Ptoma le vittoriose sue schiere ? Veramente di sì fatta accusa son piene tante carte di esperti Mi- litari , di assennati Storici , e di Letterati di prim' ox-- 56o DISCORSO SOPRA IL SOGGIORNO dine , che di poco , o niun pvo forse potrebbe sem- brare ogni difesa. Ad ogni modo la testimonianza , che passo passo alla prudenza, alla circospezione di lui rende Polibio , massime in questa parte di Storia k più perfetta, che uscisse mai da penna d'uomo; e più ancora la brama immensa , con cui questo Generale di continuo tirava là , dov' erano tutte le forze della Re- pubblica Romana rinchiuse; brama, cui né estinguere, uè intiepidire potè mai o tragitto difficilissimo di fiumi, o spaventosa orridezza di alpine balze , o terribil fac- cia di cento combattimenti ; hanno fatto nascere in me un forte dubbio , che non fu senza grandi cagioni , s' egli dopo quella raemorabil vittoria si astenne dallo spingere oltre le temute insegne. Il perchè alla più sincera fiaccola della stoi'ia , al più puro lume della filosofia ho compilato su di tal argomento alcune po- che riflessioni , le quali di buon grado sottopongo. Accademici , alla vostra oculata saviezza , e giovami sperare , che se non saranno esse valevoli a contrap- pcsar gran fatto le raoltiplici contrarie autorità , fìano esse ahneno da voi riputate tali a dover rendere più cauti , e guardinghi certi giudizj , che si danno talora un po' precipitosamente sopra i grand' Uomini , e ia ispezie sopra i grandi Capitani. Sì , il confesso , settantamila Romani , o alleati tagliati allora a pezzi , diecimila fatti prigionieri , le reliquie dell'esercito in sul punto di ammutinarsi, e di lasciare V Italia j lo spavento, che portavano seco que' pochi , DI ANNIBALE A CAPOA. 36 1 a cui la fuga avea salvata la vita , l' incertezza sulle mire dell' abilissimo intraprendente nemico , la coster- nazione , che potea trarre i cittadini a dare alle patrie mura un disperato addio ; erano questi motivi , che parca dovessero indurre il Vincitore a volare a Roma, s' egli però avesse avuto ad assalire una Città , che non fosse Roma , o se ignorato avesse qual era in quel tempo il carattere Romano, E di fatto avea egli ab- bastanza di truppe a fare la circonvallazione di Roma, che non era vota di cittadini, e conseguentemente di soldati ? Avea egli le molte , e le moltiplici diverse macchine a formarne 1' assedio indispensabili ? E se non vi fosse riuscito , come lo dovea avvertire 1 lafelice successo provato già sotto a men guardati ripari dopo la battaglia di Trasimene , ove sarebbesi egli ricove- iato , non essendo ai-cora , tuttoché vittorioso per tutto, padrone di uua sola piazza forte? Sopratutto poi che insuperabile ostacolo non vedea egli nella intrepi- dezza , nella magnanimità Romana ? Incontanente alle donne , che potevano colle spaventate grida crescere il turbamento , è vietato di porre il pie fuor dei loro limitari ; a' cittadini men coraggiosi , che meditassero di fuggire, son chiuse le porte della Città; a' corrieri, che arrivano, per tema che non ispargano nuove inop- portune , dassi udienza in disparte : il Senato va ad incontrare Varroue , che ritorna alla Città con l'avan- zata soldatesca, e solennemente il ringrazia, che non abbia sulla salute della RepubbHca disperato. Nel tempo z z 3^2 DISCORSO SOPRA IL SOGGIORNO istcsso tutti portano con cuor volonteroso l' oro , e l' ar- gento loro in gremlio alla Patria ; si arrola la gioventù quanta ve n' ha anche al disotto dell' eti\ prescritta dalla legge; si armano diecimila schiavi, che si esibiscono alla guerra ; si rifiuta il riscatto de' prigioni , per ri- sparmiar r erario , per animare al lor dovere le truppei e per abbattere le speranze del nemico ; si méttono in pie nella Città quattro legioni con diecimila cavalli , e gli Alleati somministrano quanti soldati loro si addo- mandano. Or coloro, che rinfacciano ad Annibale di non aver saputo usar bene la vittoriosa sua ventura , lasciando di gir subito ad assediar Roma , neghino essi , se possono , che trovato avrebbe esso senza dub- bio nel solo carattere de' Romani un antemurale inespu- gnabile. Mi si dirà, lo so, che quando una Città è inaspettatamente investita , quando i cittadini sbigottiti pensano ad abbandonarla piuttosto, che a difenderla, non accade né circonvallazione , né assedio : che così era pur già a Roma succeduto allor quando dopo la battaglia di Allia co' suoi Galli vi accorse il provocato Vincitore. Ma che diversità di sentimenti , oltre le ben minori forze, trovò Brenno ne' Romani d' allora!* Allo arrivarvi che fece , vide spalancate le porte , nò sol- dato nessuno alla guardia ( che i soldati da lui posti in rotta, tranne pochi giovani rinchiusi nel Campido- glio per difenderlo , se possibil fosse stato , anziché a Roma , dove il potean più presto , eransi a Vejenti per la più parte ridotti ) , vide sgombre le case di DI ANNIBALE IN CATOA. 363 vecchj , di femmine , di lanciulli ; e solo si abbattè a ottanta Senatori , i. quali avvisando di atterrire il ne- mico collo spontaneo sacrifizio della lor vita , immo- bili sulle lor seggic curuli oHrirono il collo alle spade nemiche inesora])ili. E Annibale , che anche prima di partire da Cartagena avea sì piena notizia de' Romani, come aver la potesse de' suoi stessi concittadini ; An- nibale , che nel corso di lunga gueri-a gli avea coli' oc- chio del più perspicace Generale , che stato sia mai , esaminati, e conosciuti, poteva egli con una solda- tesca senza patria avanzarsi alle lor mura , e ingaggiare un fatto, ove se mal capitava, il tutto era per lui ir- reparabilmente perduto? Egli in oltre, che stato era sino a quel dì al più fiero incontro delle fatiche in- vincibile , poteva egli poi cedere sì di leggieri alla pri- miera seduzion de' piaceri , e permettere , che insieme con lui gli agguerriti soldati suoi si abbandonassero a un fatale ignominioso riposo , che doveva il corpo , e l'anima di tutti snervare, e corrompere? E che? S'io dicessi di più , che Livio , alla cui sorgente andarono quindi ad attingere quasi tutti coloro , che di questa spedizione scrissero , finse egli , o almeno esagerò d'assai tutto quello , che della dehziosa Capoa in tal propo- sito spacciò, per gettare appunto l'onta, il disprezzo sul maggiore nemico di Roma , forse che i fatti me- desimi molto più fededegni , che qualunque siasi au- torità , non darebbono pur essi alcun peso , e valore a' miei detti? Certo, se le delizie Capoane avessero lui. 364 DISCORSO SOPRA IL SOGGIORNO come snona per tutto , ammollito , e spenta affatto nei suoi soldati la disciplina, com'è che saiebbesi ancor egli tenuto in Italia poco men che tre lustri ? Gom' è che avrebbe ancora prese Città , e riportate vittorie i* E com' è che le sue truppe senz' ombra mai di tu- multo , di sedizione , come afferma Polibio , anche nei disastri , e nelle perdite gli furon fedelissime , e vo- lonterose s' esposero tuttora a' rischi maggiori? Anzi i Romani stessi , se non 1' avessero veduto sempre sol- lecito , sempre vegeto , sempre pronto , intento , ed armato , perchè poi avrebbero pur sempre contro lui cercato i più valenti Generali, e cresciuti, e rifatti ad ogni anno i più poderosi eserciti? Perchè i più accre- ditati , i più sperimentati personaggi fra loro a fin di allontanarlo dall' Italia consigliarono sì focosamente a portar in Africa la guerra con tanto dispendio, e pe- riglio ? Perchè allor quando infine richiamato da' suoi dovette andarsene , la Repubblica Romana ordinò le più solenni preghiei'e pubbliche in rendimento di gra- zie agli Dei per averla liberi ta dalla presenza del suo più temuto nemico ? Farò ancora un passo più oltre , benché forse a parer vostro , Accademici , ornai più non necessario , onde almeno si sospenda ancora con- tro Annibale la ingiuriosa condanna. Questo Generale, che mal consigliate penne fecero pure così trasandato ne' suoi interessi , cosi servo de' piaceri , questo Gene- rale anche dopo 1' abbassamento della sua Patria , an- che nella maggior lontananza continua ad esser terribile DI ANNIBALE A CAPOA. 3^5 agli occhj di Roma. Tutta la tcira disperava già della sua salute, ed et^li solo osserva, che mai le circostanze non erano state si favorevoli per umiliare i Romani : va e'^Vi a comunicare i suoi alti pensieri alla Corte di Antioco ; ma Antioco non era capace di cotanta altezza. Che se stato il fosse, era quello per avventura il tem- po , in cui tutte le Nazioni avrebbero non infruttuo- samente congiurato a spegnere per sempre la gloria del Campidoglio. Quanto bella cosa sarebbe stata il vedere uniti insieme un Mitridate , ed un Annibale , i due soli che fecero tremar Roma veramente ! Ma Mi- tridate regnò in una elèi , che i Popoli governati da UfFiziali Romani eransi ad ubbidire avvezzi, ed abituati; e Annibale guerreggiò per una Repubblica , che quando avrebbe potuto contro la ognor più cresente possanza Romana ajularlo a conservare le prime conquiste, e a farne delle nuove, indurita dalle voci della con- traria fazione , noi volle a patto nessuno. Questa ap- punto io penso , che sia più che ogni altra la prin- cipal cagione , che arrestò il corso in Italia alle vitto- rie del gran Capitano. Ben in fine la Repubblica sua , allor che meglio aprì gli occhj , avrebbe pur voluto nella ben innoltrata impresa sostenerlo. Ma il commer- cio , eh' era il suo nerbo maggiore per nutrire, e avva- lorare la guerra , essendo allora pressoché interamente minato , di necessità avvenne a lei quello , che avverrà sempre ad una seconda Cartagine , la quale abbia in pari circostanze con una novella. Roma a contendei'e. ESAME CRITICO DEL PRIMO VIAGGIO DI AMERIGO VESPUCCI AL NUOVO MONDO. 369 ESAME CRITICO DEL PRIMO VIAGGIO DI AMERIGO VESPUCCI AL NUOVO MONDO D I Gì ANFR ANCESCO GALEANI NAPIONE Letto li 6 Dicembre i8to. CAPO 1. Viaggj diversi del Vespucci; che cosa ne abbiano scritto i più antichi Autori Toscani. A. -MERIGO Vespucci Gentiluomo Fiorentino , educato ad un tempo alle Lettere , ed alla Mercatura , che , nel Secolo XV in cui nacque , erano in istato floi'idissimo nella sua Patria , 1' Atene d' Italia , d' animo grande , e bramoso di acquistar celebrità , abbandonati , come il famoso suo Concittadino Boccaccio , i traffici , Naviga- tore famoso divenne, ed ebbe la sorte di dare il suo nome alla più vasta parte del Mondo scoperta da A a a ÒJO NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI Cristoforo Colombo. Guanto signorilmente fosse egli Banaini. Vila /^ ° ° eLeiierediAme- stato uodrito il rìcavìamo da ciò che narra Ei mede- rigo \ espucci p. "'Ficenie 1745. simo , scrivendo al Gonfalonier Soderini , che aveano atteso a' primi rudimenti delle Lettere insieme , sotto la disciplina di Fra Giorgio Antonio Vespucci zio paterno di esso Amerigo, ornato di Greche, e Latine Lettere , famigliare del gran Platonico Marsilio Ficino, e uomo coltissimo , come il dimostrano eziandio i pre- gevoli Codici MSS.'' di Virgilio , e di Aulo Gellio da lui posseduti , di cui ne' Viaggj suoi letterarj per l' Ita- •i^acinr Éiccurs. ^'^ gìudicò di dovcr far menzione l'erudito P. Zacca- To'l"' p'ag. i'ss! R'A *. Delle imprese sue marittime il Vespucci stesso scrisse replicatamente, dandosi quella lode , che giu- stamente gli era dovuta , principalmente per ciò che si appartiene alla Scienza dell' Astronomia , e della Nau- tica; ed in questa parte io sònO pienamente d'accordo * „ Fra Giorgio Antonio Vespucci Frate dì S. Marco insegnava pubblica- „ mente Grammatica a' Ciovanl nobili , e tra gli altri furono suoi discepoli ,, Pieri) di Messer Tommaso Soderini , che fu poi Gonfaloniere a vita i e „ Amerigo Vespuecii tìgliiiolo di Ser Nasiagio, fratello di detto Fra Giorgio „ Antonio» — Cosi, si esprime Giuliano Ricci detto dal Bandini Antiquario illu- stre { Vita di. Am. P'espucci pag. XXV ). La Famiglia de' Vespucci era stata ammessa a goder de' maggiori ufHzt della Repubblica sin dal anno 1348' ( Bandiii: lod cit, pag. XIV ). Del resto a' tempi di Amerigo erano aderenti i Vespucci della potente, e quindi Sovrana Famiglia De-Medici. Di fatto Gio- vanni Vespucci neir anno 1484 , in tempo del maggior auge della potenza di Lorenzrt De-Medici , era ambasciator della Reptiblica di Firenze a Roma presso il Papa , e negoziò per far ottener il possesso della Badia di Passignano in favor di Giovanni De-Medici , che fu poi Pajìa Leon X. ( Ricordo di Lo- renzo De-Medici presso il Roscoe Vita di Leon X. Tom, / p. 16. ) CAP. I. VIAGGI DIVERSI DEL VESPUCCI EC. 871 col Pinkerton recente Geografo Inglese , che come dotto il celebra meritamente , e dulia taccia il di- fende di VfTno , e leggiero, e non ne ho ragionato Dei Primo s.o prilore deJCont. diversamente da lui. Ma non posso fare a meno pur '!«"^"°^° "°"- *• r do j. XV. p. 9b. anche di consentire con quel Geografo valente, neH""'" '''"s* credere , che dopo Colombo navigasse il Vespucci al Continente del Nuovo Mondo *, non prima dell' anno 1499 , siccome non può non vedere chi legge quel Capo del Pinkerton , dacché l' elogio del Vespucci viene in seguito di questo fatto. Dico , che il Vespucci de' Viaggj suoi scrisse repli- catamente a' Magnati della Repubblica di Firenze. Che ne sia il vero in Lettera a Lorenzo di Pier Francesco De-Medici descrisse Egli la navigazione intrapresa e Leii'erc dll nell'anno i499 ^ pubblicata dal Bandini ; e la data di e sTg""' *"' questa è de' i8 di Luglio i5oo. Del suo Viaggio poi a quella parte del nuovo Mondo , che venne in appresso detta Brasile, ne scrisse parimenti al mentovato Lo- renzo di Pier-Francesco De-Medici. Onesto Viaggio fu ^ , . Leltere Hel Ve- intrapreso nell'anno i5oi , dopo che nell'anno avanti»?""' i'^"''- ■•■ pag. roo e seg, vi era stato portato casualmente dai venti il Cabrai , e questo Viaggio fu il primo dei Viaggj del Vespucci, * Ecco come il Pinkerton incomincia quel Capo della sua Geografia ( Tom. V. p. 434. Paris 1804 ). „ En 1499 Ojeda, Officier qui avait accompagné Co- „ lomb , fait voile vers l'Amcrique avec quatte vaisseaux , mais ses décoiivertes „ ne s'étendent beaucoup plus que celles de Colomb. Au nombre des avcntu- „ Tiers de l'expédition , étoit Amelie Vespuce Savant Florentin tres-instruit „ dans l'Art de la Navigation ttc. 372 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI che si pubblicasse in Italia. Il Bandini sopraccennato fa meuzioue d'un Libretto di pochi foglj in istampa, Bandini. Vita che Volgarmente dicesi Gotica, intitolato Mundus No- •■!• i'us , dove in fine si legge = Ex Ilalica in Laiinam linguam Jocundus inierpres liane Episfolarn vertit eie. Questo libretto non è altro , che la Lettera del Ve- spucci a Lorenzo De-Medici , in cui si descrive il Viag- gio al Brasile ; ed è la Lettera medesima , che si stam- pò in lingua Italiana nel 1607 nella Raccolta Vicen- tina del Fraganzio * , intitolata Mondo Nuovo ; quindi nell'anno seguente i5oB in lingua Latina w€i\ Itinera- rium. Portugallensium . Se il Libretto , che porta in fronte il titolo di Mundus Noi'us sia venuto alla luce prima della Raccolta Vicentina del 1607 , non si può * Il celebre Doge Foscai'ini nomina 1' Autore di quella antica Collezione Vicentina Montalboddo Fracanzano Vicentino ; ma il P. Angiolo Gabriello da S. '• Macia, ne' suoi Scrittori Vicentini presso il Tiraboschi , mostrò, che il vero nome di qnel Raccoglitore si e Fracanzio nativo di Monte-Alboddo , Terra nella Marca Anconitana e non Vicentino , ma che professava bensì Lettere nella Città di Vicenza { Tirabos. Star, della Let. Ital. Tom. VII P.e I pus,' 213. i.nii Edizione; e Lettera rarissima di Cristoforo Colombo ri- prodotta ed illustrata dal Cav. Ah.e Morelli , Annotazioni pag. 45 * 46, Bassatio iSio. ) . Può essere che abbia equivocato il Foscarini a cagipn di quel Antonio Fracanzano di Patria Vicentino, Medico di grido del Sècolo XVI, e figliuolo, e secondo altri nipote, di un altro dello stesso nome, e cognome , Professore in Padova sul fine del Secolo XV , di cui parla il Ti- rabosclii precitato ( Star, della Leti. Itul. Tom. VII P. H pag. 58 Edif. I. Molencse ) tanto più, che il nome di Fracanzio è scritto in abbrevia- tura Fr.ìc in fronte alla Lettera, con cui qucll' antico Racd'glitore indicizzò, il suo Libro a Gio. Maria Angiolello Vicentino. GAP. I. VIAGGI DIVERSI DEL VESPUCCI EC. ò^ò accertare , non accennando il Bandini data veruna di quel Libretto. Due cose si vogliono avvertire ciò non pertanto; la prima , che , sebben nel Libretto , di cui ragiona il Bandini , dicasi , che , la Lettera del Vespucci venne tradotta dall'Italiano idioma in lingua Latina, la tra- duzione però, che si legge nell' Itinerarium Portuea- , , " Del primo Seo- gallensium , fu fatta prima dalla lingua Portoghese nella P^j^';^^^' ^«""i- Italiana , quindi voltata in Latino = Fidus inlerpres fg" i^'J;,^; p'^' praesens^ opus e Lusitano Italicum fecit etc. , dal che si fa manifesto , che andavano attorno esemplari in lingua Italiana, e Portoghese sin prima dell'anno iSoy: la seconda osservazione da farsi si è , che il Titolo di Mondo ISuovo , dato alla Relazione del Viaggio del Ve- spucci al Brasile , ne' varj esemplar] , e in diverse lin- gue , che andavano attorno , può aver dato a credere a molti , che di questo Nuovo Mondo , primo , e prin- cipale Scopritore fosse Amerigo VevSPUCCI medesimo , opinione , che prese maggior piede , e si radicò poi altamente, dopo che ad una parte di esso Nuovo Mondo, e quindi a tutto quel vastissimo Emisfero venne dato il nome di America. Che il titolo della Raccolta Vicentina possa di leg-J gieri aver ingannato chi le cognizioni sue ristringe ai titoli de' libri, se ne persuaderà tosto, chi porrà mente, che quella Raccolta porta in fronte come segue = Paesi noi-arnente reiroitoli . et ZVo^o Mondo da Alberico V^e- sputio Fiorentino intilulato. Certamente il senso obvio 374 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCl di queste parole si è , che i Paesi nuovamente ritro- vati , sieno quelli medesimi , che intitolati furono da Amerigo (ivi detto Alòerico ) Vespucci Nuoì-o Mondo. Ma leggendo , anzi scorrendo soltanto quella rarissima Collezione, si scorge tosto, che la Contrada descritta dal Vespucci si è il Brasile soltanto; e che è Contrada diversa da quelle, che in primo luogo vengono indi- cate colle prime parole del Titolo : Paesi noi'amenle re/roi'ali , che disgiuntivamente intender si debbono dalle seguenti , vale a dire da quella Contrada parti- colare , che il Vespucci intitolò Nuom Mondo. Di fatto, di sei Libri , in cui è divisa quella Collezione , la Let- tera del Vespucci a Lorenzo De-Medici forma soltanto il Libro V , che è di poche facciate; comincia al Capo CXIIII di tuttala Collezione; termina al Capo CXXIIJI, e porta in fronte = El Noi-o Mondo de lingua Spa- gnola inlerpretato in idioma Ro. , Libro Quinto ; e nel Capo CXXIIII, che è l'ultimo di esso Libro V, leg- gesi = De Spagnola en lengua Ro. el iocondo inter- prete questa epistola ha iraductà : a ciò che i latini intendeno quanto mirande cose alla zornata se ritro- vano = Tutto quanto sopra ho poluto risconliarlo io medesimo sopra un esemplare di essa Raccolta Vicen- tina, ristampata in Milano nell'anno i5i2 da que' me- desimi Gio. Giacomo , e fratelli de Lignano , che ave- vano già pubblicato nelf anno i5o8 il raro Libro in- titolato Itinerarium Poriugallensium , e ciò mediante la tante volte sperimentata cortesia del nostro Collega il 1 GAP. I. VIACGJ DIVERSI DEL VESPUCCI EG. SyS Signor Giuseppe Vernazza-Freney indagatore indefesso, e scopritor fortunato , del pari , che conoscitore in- telligentissimo di eruditi cimeij. Ed in vero questa prima Collezione Vicentina, sia per 1' anteriorità del tem- po , che per l' importanza delle materie , che contiene, è infinitamente più pregevole delle Raccolte di Viaggj posteriori , ed in ispecie di quella colle figure di Teo- doro de Bry intitolata : Collecliones Peregrinationurn in Indiam orientalem , et in Indiam occidentalem , di cui sì a lungo si parla dal De-Bure , detta dal Foscarini .g"'^"" "•' la prima e più famosa , che , dopo di quella del Ra- venT2."pag.*"3s < p , ... , -. . • ta nota. Musio , SI tacesse oltremonti, salita a prezzi straordinarj di cenfinaja di zecchini a questi ultimi tempi. Del ri- manente lo stesso diligentissimo Foscarini non pare , *■ Fosear. Lellrr. che abbia colla solita sua accuratezza esaminata la so- ^f»"- p'"6 ^^i en in nera p-i^ praccennata Raccolta Vicentina: perciocché suppone, *^* "" '''^• che vi sieno in essa due Navigazioni del Vespucci , e che dopo sia uscita la terza Navigazione al Brasile ; dovechè le Relazioni dei due primi Viaggj non com- parvero , se non se la prima volta in Lorena ; e la Navigazione compresa nella Raccolta Vicentina è una sola , ed è quella al Brasile in una Lettera , com' è detto , indirizzata a Lorenzo di Pier-Francesco De- Medici. Dopo queste Lettere a Lorenzo De-Medici , scrisse il Vespucci altra Lettera a Pier Sederini nell' anno i5o4 > ed in questa posterior Lettera comprese le Re- lazioni di più suoi Viaggj , e ragionò di nuovo dei 376 NAP. ESAME DEL PRIMO VfAGGIO DEL VESPUCCI Viaggi medesimi , di cui inviate avea le Relazioni nelle due sopraccennate Lettere a Lorenzo De-Medici , e segna- tamente del suo Viaggio al Nuovo Mondo. Chiamo questa al SoDERiNi parimente Lettera , perchè forma una Let- tera sola , dii'etta ad un solo e medesimo personaggio, con una sola data , e perchè nella più antica edizione prii. del Coaii- che se ne fece in Italia ( che non può esser peraltro , nrntcec. Appen. pag. no e «II. come altrove si è dimostrato, anteriore all'anno i5io ) viene inlitolata = Lettera di Amerigo Vespucci delle Isole nuovamente trovate in quattro suoi Viaggj. Il Viaggio del Vespucci alla vatta Regione del Nuovo Mondo , delta poscia Brasile , nulla ha che fare colla questione , per chiarire chi sia stato il primo Scopritore del Continente dell' immenso occidentale Emisfero. La prima parte della Lettera al Gonfalonier Piero Sode- rini si è Jaensì quella , che sola tal punto riguarda , e di cui ho fatto pensiero d' inti'aprender 1' Esame Cri- tico, per poter detei'minare , se sia Documento di tale natura , e di tale autenticità , che toglici- possa a Cri- stoforo Colombo il dritto di essere riconosciuto come il primo , che sia giunto ad approdare alla Terraferma di quel vasto Continente. Vero è che già si potrebbe rimirare come sufficientemente discussa la materia nel Ragionamento intorno al primo Scopritore del Conti- nente del Nuovo Mondo , pubblicatosi in Firenze nello scorso anno 1809; ma per due rispetti stimo , che riu- scir non debba inutile questo nuovo mio lavoro. Pi'i- mieramente affinchè , trattando di questo solo argo- CAP. I. VIAGGJ blVERSI DEL VESPUCCl EC. 877 mento separato , e distinto , vale a dire del primo Viaggio di Amerigo Vespl'cci , e prescindendo dagli altri punti , di cui si è creduto di dover parlare in esso Ragionamento , più chiare , e spiccie risultino le prove di quanto si è preso a sostenere. In secondo luogo per poter sciogliere i dubbj , e spianar le difficoltà , che muover si possono da taluni contro l' asserzione già enunciata : che il documento , che contiene la Relazione del primo Viaggio di Amerigo Vespucci , non è tale da poter venir in confronto con quelli che favoriscono la causa di Colombo. Spero poi con questa mia disamina di non far cosa che dispiacer possa a' veri dotti Toscani, i quali, si- curi di tanti incontrastabili vanti della Patria loro , ri- guardano come nemici del pari della verità , che delle proprie vere glorie coloro , che le contaminano , in- gegnandosi con indebite lodi di rapir 1' onore ad altri dovuto •; Senzachè , nel caso di cui si tratta, sanno * Tra questi dotti Toscani , non avversi alla gloria di Cristoforo Colombo , spiacemi di non poter annoverare il P.Stanislao Canovai, che, dopo la nota Dissertazioh sua annessa all' Elogio di Amerigo Vespucci , dettato sin dall' anno 1788, altra Dissertazione pubblicò tecentemcnte soprg il Primo Viaggio d'Amerigo Vespucci alle Indie Orientali, indirizzata alla celebre Acca- demia Etrusca di Cortona ( Firenze 1809, presso Pietro AUegrini ). A questa Dissertazione però, come neppure allo Scritto intitolato — Osserva- poni sul Ragionamento del Primo Scopritore del Continente del Nuovo Mondo ( Firenze, AUegrini 1809) io non intendo di fare risposta. Basta a me di potere con fondate ragioni stabilire la mia asserzione , che consìste nel ire : che il Primo Viaggio di Amerigo Vespucci descritto in quella Lettera h b b 378 NAP. ESAME DEL PRIMO VIÀGGIO DEL VESPUGCI essi troppo bene , che , qualunque sicuo le idee con- fuse delle persone volgari rispetto al merito del Ve- spucci , avanti al Bandini , però non si troverà uomo veramente dotto Toscano , che abbia preso a sostener di proposito , che il Vespucci giunto sia , prima di Cri- stoforo Colombo , a toccar la Terraferma del Nuovo Mondo , né Storico antico Fiorentino , che ciò abbia positivamente affermato, sebbene e lo Storico famoso di Lui al Gunfalonier Soderini , non è valevole per togliere il diritto a Co- lombo di essete riconosciuto come il vero primo Scopritore del Continente del Nuovo Mondo. Altronde vedo manifestamente, che ho la sciagura di non intendere esso P. Canovai , e la peggiore di non essere inteso da Lui , come a cagion d'esempio, dove combatte acremente ( Disserta^, pag. 21 , e pag. 22 ) , quasi che fosse asserzion mia , quanto si narra dal Munstero nella Cosmografìa sua Italiana, che il primo Viaggio del Vespucci fu nell'anno 1497 , e fu con Colombo ; dovechè io ho detto a chiare note , che il Mun- stero corresse il primo sbaglio con un nuovo errore , po' che Colombo non intraprese , se non nell'anno 1498 la navigazione , in cui scoprì, la Terra /erma ( Del Primo Scoprii, del Contin. ec. §. /// pag. 24 ) . Ciò posto , perduta opera si è il ragionar con persona , da cui altri non ha la sorte di potersi far intendere , e sì fatte controversie ad altro non riescono , se non se ad oscurare , non inai a far trionfare la verità ; tanto più se si agitano in modo troppo diverso da quello , che , tra' Letterali Toscani il savio ed erudito Ciarlo Dati , e tra' nostri Piemontesi il vivente rinomato Abate Gian Ber- nardo Derossi , pensano , che far si debba. Ecco come scrive il Dati , dopo di aver narrato il line, che ebbe la nobile gara tra i due celebratissiini Di- pintori Apelle , e Protogene , per quelle linee famose , di cui parla Plinio : „ Bella , e lodevole cosa è il cedere ingenuamente alla verità , terminando „ le gare in virtuosa amicizia. Sia detto ciò a confusione de' Letterati mo- „ derni Scarso, e disutile e il frutto delle Lettere, e degli Studj , s'egli „ non vale a farci né costumati , né buoni , e non bastante a por freno alle „ smoderate passioni , che colla veemenza loro ci trasportan lungi dal vero , „ e dal giusto: onde nelle controversie erudite, e spesse volte anche sacre* CAP. I. VIAGGI DIVERSI DEL VESPUCCI EC. 879 Guicciardini , e Bernardo Segni , e tanti altri abbiano parlato di quel evenimento memorando. Il Segni, ra- fìo'^?",'; lib."» gionando delle Provincie trovate nel Nuovo Mondo , Aifgusi?'Ì723?*' tanto manca che ne attribuisca la gloria al Vespdcci , che fa menzione soltanto di Cristoforo Colombo , uo- mo , die' Egli, di sottile ingegno , che fu il primo che col;\ navigasse ; e sebbene parli poi degli altri Navi- ganti , che il seguirono di Cortes , di Pizzarro , di ,i non Sanno , e non vogliono i più saggi temperarsi dalle ingiurie , e dagli „ improperj , per lo più alieni dalla contesa , i quali recano a mio giudicio „ maggior offesa , e più vergogna a chi li dice , che a coloro contro i quali „ Sun detti. Io per me anteporrò sempre un cedere modesto ad una inso- „ lente vittoria .... In questa guisa, anche perdendo, si vince j dove in „ queir altra maniera di contrastare arrabbiata , ed incivile , anche i trionfi „ son vergognosi „ ( Dati Vite de' Pittori antichi , Postille alla Vita di Prutogeiie pag. 172 ). Sin qui il Dati. L'Abate Gian Bernardo Derossi si spiega come segue — " Io ho sempre altamente disapprovato lo stile ingiu- „ rioso , e mordace, e sempre creduto, che l'urbanità, la dolcezza, la tol- „ leranza erano le prime armi, le quali si doveano usare, e che qualunque „ altra vi?, e qualunque ragione non sarà mai efficace senza il loro con- „ corso ( Memorie Istoriche sugli Studj , e sulle Produzioni del Dottore G. Bernardo Derossi Prof, di Lingue Orientali da Lui distese N." LXXIV pag. 74. Parma iSog ). Comunque siasi, dee essere intanto persuaso il P. Canovai , che , se non si risponde alla Dissertazion sua , non se ne vuole perciò inferire, come fa , dal silenzio del fu Abate Tiraboschi di sempre chiara memoria, l'Autor delle Osservazioni ( Osserva^, alla pag. 6 del Ragiona- mento ) , che sì fatto silenzio sia cagionato da impossibilità di replicare ; ma bensì altro non esserne il motivo , se non se la ripugnanza , che prova ogni onorata persona di trovarsi fatta bersaglio di derisioni , d' ingiurie , e d' im- putazioni manifestamente calunniose , col pretesto di troncar la strada alle Logomachie , ora facendo parlare un Amico Osservatore , che insulta , e si approva, ora fingendo un fraudolento audace Copista, che non esiste. 38 0 NAP. esame dei. primo viaggio DEIi VESPUCCI Almagro , di Magalianes , cosa notabilissima si è , che non dice neppur mollo di Amerigo. Ma troppo è rilevante il luogo del Guicciardini Scrittore contemporaneo , ed informatissimo dei suc- cessi de' tempi suoi , ed in ispecie della sua Patria , - per non riferirlo qui per intero. Dopo aver Egli adun- que ragionato delle Navigazioni de' Portoghesi , segue Guicciardini a dirc COSI : « Ma più maravigliosa ancora è stata la lib.'vr. pag. 4Ò7» Navigazione degli Spagnuoli , cominciata 1' anno iAqo 40S Ven. Pas- , . . T/-«-r> y. quali 1738. » ( de,c aire 149- ) pei' invenzione di Cnsfoiano Go- « lombo Genovese * , il quale, avendo molte volte na- » vigato per il Mare Oceano, e congetturando per 1' os- » servazione di certi venti quello che poi veramente » succedette scoperse in capo di trentatrè dì i> nelle ultime estremità del nostro emisperio alcune » Isole , delle quali prima niuna notizia si avea , felici » per lo sito del Cielo ec onde allettati gli » Spagnuoli dalla facilità di occuparle comìn- » ciarono molti di loro, come in domicilio proprio, » ad abitarvi ; e penetrato Cristofano Colombo più. ol- * Non si dee ti;alasciar cU avvertire , che il dotto nostro Piemontese Celio Secondo Ciirione , rifuggito tra gli Svizzeri per aver infelicemente abbracciato gli errori de' Novatori de' tempi suoi j nella Traduzione, eh' Ei dettò in Lingua Latina della Storia del Guicciardini, stampata in Basilea nell'anno 1566,6 dedicata al- Re di Francia Carlo IX, voltando il soprascritto passo, che sta a pag. 214 e 215 di essa Traduzione, tolse via l'aggiunto Genovese, di- cendo soltanto — Hispanorum Navigatio Ciiristopìioro Columbo auctore coepta. GAP. I. VIAGCJ DIVERSI DET. VESPUCCI EC. 38 I > ire , G ^ DOPO Lvi , Amerigo Vespuccio Fiorentino , e » successivamente molti altri , lianno scoperte altre j> Isole, e grandissimi Paesi di Terraferma .... de- » gni e i Portughesi, e gli Spagnuoli , e precipuamente » Colombo , in\enlore di questa piìi maravigliosa , e più » pericolosa Nangazione , die con eterne laudi sia ce- » lebrata la perizia , l' industria , 1' ardire , la vigilanza , » e le fatiche loro , per le quali è venuta al Secolo » nostro la notizia di cose tanto grandi , e tanto ia- » cognite. Né alia asserzione del Guicciardini si oppongono, se di- rittamente si riguarda, altri assennati Fiorentini, che par- larono del Vespugci. Domenico Meliini, che fioriva verso Meii'm. De- scriz. della en- il fine del Secolo XVI , ed il principio del susseguente, J^'^^'g^'j^^'^^J^^: qualifica bensì il Vespugci come peritissimo della Na- Ba''ndini.''"^viia vigazione , ed uno de' ritrovatori di nuovi Paesi , e lxvh"^""" ^' quello dal cui nome la Quarta Parte della terra abi- tata America si chiama , ma non mette in dubbio i diritti di Colombo , e nemmeno lascia sospettare , che dai Fiorentini a' tempi suoi si pretendesse , che il Ve- spugci si dovesse riguardare come il primo Scopritore del Continente del Nuovo Mondo ; anzi , dicendo il Mellini , che 1' America prese il nome da lui , e non allegandone sì fatto motivo, com'era obvio, è agevole lo inferirne , che alla casualità , od almeno a tutt' al- tra ragione tal cosa comunemente si attribuiva. Filippo Valori poi, altro Scrittor Fiorentino de'tempi medesimi, nel Libretto suo intitolato Termini di Basso 38a NAP. Esame del primo viaggio del vespucci Bandini. Vita rìlieco , dctto dal Bandini rarissimo , non credette di iel Vespucci p. «J"'- poter dare maggior lode al Vespucci, come dicendo, che, senza sconvenevole titolo, si sarebbe potuto chia- mare il Colombo Fiorentino : e quindi , ristringendosi al fatto , senza allegare motivo nessuno , asserisce che per le scoperte fatte da lui , si chiama America una gran parte del Mondo. Anzi dicendolo = così padrone della Geografia , che , per le scoperte fatte da lui , si chiama America una gran parte del Mondo , nasce da ciò una forte congettura , per credere , che in senso di queir Autore , non per altro motivo , che pei- la sua Scienza abbia Amerigo ottenuto un onore si grande. Che tal nome venisse dato da prima a quelle vaste Regioni , in conseguenza delle Navigazioni del dotto Cosmografo Fiorentino, fatte sotto gli auspicj del Re di Portogallo, può inferirsi eziandio dal non accennarsi dal Valori altri Viaggj di lui , salvo quelli contenuti in certe supposte Lettere ad Emanuello Re di Por- togallo. Bandini loc. Anche Fra Bartolommeo Bafio da Lucignano nella Orazione = De urbis Florentiae felicitate , citata pa- rimente dal Bandini, parla di Amerigo Vespucci co- me di Cosmografo insigne , ed in tale qualità impie- gato dal Re di Portogallo in Navigazioni dirette a scoprire nuove terre ; nel qual particolare pare , che quello Scrittore traducesse ciò , che dice Leandro Al- berti nella Descrizione d' Italia , dove ragionando di Firenze , e delia fama , cTie di quella Città risuonava Nec tellus , nec eis sydera maius habent. In fine leggesi =: Finiturri vij kl Mai/ anno siipra sesquimiUesimum vij. Questa è la prima edizione , che si sappia della Lettera del Vespucci , che comprende la Relazione dei Quattro suoi Viaggj , e risulta esser piiiore del Con- cooforme a quella fattasi poscia dal Grineo , ed inse- tineniL- {. \\ p, -» / • 3j e seg. rita nella Raccolta mtitolata Novus Urbis , stampata m CAP. 11. PRIME EDIZ. DELtE QUATTRO NAVIGAZ. ZSj Parigi rif ir anno i532, a cui servì di testo, secondo che io avea congetturato. In fatti ( per toccar i punti più principali , e di maggior rilievo ) , nella Edizione di Lorena leggesi la stessa Dedica de Quattro Viaggj fatta dal Vtspucci al Duca di Lorena , e Re di Gerusalemme Renato, come in quella di Simon Gk/neo. Leggonsi ivi, né più né meno come presso il Grineo , indirizzate al Duca di Lorena le stesse parole , che nella Lettera Italiana sono dirette al Gonfaloniere Pier Sederini. Leggesi pure nella prima edizione di Lorena, come in quella del Grineo, = el provincia ipso pahias ab ipsis nuncupala est ^ se- Dei primo Sco- condo che io avea congetturato; e, quello che più ri- finenrc co Ip- leva , troviamo nella edizione Lorenese , allo stesso mo- do , che nella edizione del Grineo = Caliciuin iandem repethimus portum ciim ccxxii captivitatis personis xv ' ' ' ' Del primo Sco- Octobris die anno Domini m.cccclxxxxix , in numeri p"^''- '';' *^°°''- nenie j. vn pag. Romani , come avea io jDur congetturato , che si leggesse. ^^ ; «^^^pp^»". Sebbene il Vespucci fosse nell' anno i Boy ancora in vita, dimorava però in Siviglia, in qualità di Piloto Deiia Patria ai Maggiore del Re di Spagna , non in Lorena , dove si F"pn^^g!'e"dri stampavano i suoi Viaggj ; né avi-ebbe detto mai di §e'i"co"n^i'inrj!M essere stato condiscepolo col Duca di Loi'ena in Firenze sotto la disciplina di Fra Giorgio Vespucci suo Zio, né avrebbe permesso , che tal cosa si dicesse. Di questi Viaggj non si sa propriamente chi fosse il primo Edi- tore , né d' onde li traesse; nemmeno si sa, che pri- ma di stamparli ne consultasse 1' Autore , come si sa- 388 nAp. esame del t?kuìo viaggio del vespucci rebbe dovuto fare, e come non era impossibile di farlo. Banaini. viia H Bandini ebbe sotto r occhio questa Traduzione La- ux c'S""' ""' tina dei Viaggi del Vespucc[ coli' indirizzo a Renato Re di Sicilia , e di Gerusalemme , ristampata nel Libro di Gasparo Varerio Portoghese = De Ophìra Regione in Sacris Lileris , e pon sapendo trovar modo di con- ^ ciliare, il dii-iger che si fa in quella Relazione il di"; scorso al Duca di Lorena Re di Sicilia Renato , mentre è' chiat'o , che era indirizzata ad un Fiorentino , suppone,' che il Vespucci , dopo di averla indirizzata al Soderini ; di poi col medesimo indirizzo 1' avesse mandata a varj personaggj ; laonde, dopo qualche anno, rinvenuta pi-esso quel Sovrano , chi la stampò , senza considerare «a chi fosse primieramenta diretta , l' imprimesse tale qual era, coir indirizzo , non al Soderini, ma bensì al Duca di Lorena. Comunque siasi di questo , certo è , che della Lettera del Vespucci , che contiene la Relazione delle Quattro Navigazioni, ne andavano attorno: copie ma- noscritte , e che ne giunsero sino in Lorena , e che r Editor Lorenese la pubblicò ad insaputa di Lui, quan- tunque fosse Egli ancora in vita. Che fosse il Vespucci in vita nell'anno iSoy, e che morisse poi in Siviglia nell'anno i5i2 Piloto Maggiore del Re di Spagna, carica che sappiamo dall' Errerà, che avea Egli ottenuto appimto neh' anno 1607 , non ne dubifei'à mai nessun dotto , e spassionato Critico, dopo r autentico Documento pubblicato dal Munos , e ricavato da' Libri stessi del Tesoriere della Casa della CAP. II. PRIME EDir. DELLE QUATTRO NAVICAZ. 38() Cóntratacion di Siviglia. Da questo risulta, che quel p.iiria di Co . ' lombo Giunta t Tesoriere pagò all' Esecutor Testamentario del Vespucgi pan '9»innoi«. lo stipendio dovutogli come Piloto ÌNIaggiore del Re, sino al dì 22 del mese di Febbrajo dell' anno i5i2, in cui esso Amerigo Vespucci morì. Contro un Docu- mento positivo di tale natura , pubblicalo da chi non avea interesse nessuno di sostener questo fatto , scrivea pei- autorità pubblica in faccia di tutta Spagna , e potea esser convinto così facilmente di falsità con sua ver- gogna, non servirebbe il muover dubbj , né ib dire , che il Vespucci facea pensiero di ritornar in Pati'ia , quasiché non potesse aver cangiato di avviso dall'anno i5o4 . quando palesò tal sua brama, ali anno 1607 allorché ottenne il carico di Piloto Maggiore, e quasi- ché non possa essere stato prevenuto dalla morte , non qstante che nutrisse in cuore si fatto desiderio. : Contro cose di fatto , presso i Savj , non han luogo le argomentazioni, ancorché studiate, e sottili. L'Arte Critica insegna a pesare 1' autorità degli antichi Docu- pienti , ed il negar loro credenza , soltanto perché non concordano colle proprie opinioni favorite , sarebbe emulare i sogni del P. Harduin. Quod intellisimus de- , o Augusiinu) " X 0 Je ulilii. crea, hemus rationi , quod credimus aucioriìali: disse chi"''"" 4:roppo ben sapea , e ragionar acutamente nelle cose , ove ha luogo la semplice ragione , e pesare i motivi di ci-edibilità nelle cose di. fatto , voglio dire il Santo Paihe Agostino , colle quali parole ottimamente distinse i' ulficio della ragione umana nella ricerca del vero , in 3qo nap. esame del primo viaggio del VESPUCCI ciò che si appartiene alla Critica dei fatti , dalla ri- cerca delle verità astratte nelle Scienze meramente spe- culative. Chi non è versato nella Critica , mentre tiene in poco o nessun conto gli Arciiivj , e i Diplomi , al pari di coloro contro cui scrisse la sua gi-ancl' Opera il Mabillon , e mentre in cose di fatto vuol i-agionare, prescindendo dalle stampe , e dai MSS.'' , fa poi tal- volta un fascio d' ogni Scrittore senza discernimento nessuno , purché favoriscano la propria causa , e mette in pari grado , bisognando , le fantasie di un Poeta , o r asserzione di un Lunario moderno , cogli Storici contemporanei più gravi, e più degni di fede, come se fossero di autorità eguale , e cogli stessi più auten- tici Documenti. Una ristampa della Introduzione alla Cosmografia venuta alla luce in Lorena nel iSoy , di cui è detta sopra , nel qual Libro si pubblicarono per la prima volta le Quattro Navigazioni del Vespucci , fattasi due anni soli dopo, vale a dire nell'anno 1609 in Alsazia, e sinora affatto sconosciuta ai più esperti Bibliografi , venne, mentre sto scrivendo, felicemente scoperta dal più volte lodato nostro Collega il Signor Giuseppe Vernazza-Freney , che , seguendo 1' usato suo stile di porgermi con impareggiabile cortesia tutti gli ajuti pos- sibili ne' miei studj , si è fatto graziosa premura di tosto comunicarmela. Dico ristampa : perciocché dal con- fronto, che ne ho fatto, non solamente coltitelo, ma «oa tutti que' luoghi più rilevanti , che dalla prima CAP. II. PRIME EDIZ. DELLE QUATTRO NAVICAZ. Sg I Edizione esistente nella Vaticana ne trascrisse diligen- temente il Signor Abate Cancellieri prenominato , ri- sulta ad evidenza, che, in questa seconda Edizione di Strasborgo , altro non si fece che replicare esattamente la prima edizione di S. Deodato in Lorena , essendosi perfino nella sottoscx-izione , nell' ultima tacciata , imitato, per ciò che riguarda la data , la frase adoperata in quella di Lorena per indicar 1' anno diverso iSog. = Pressit apud Argentoracos hoc opus Ingeniosus vir Joan- nes griiniger. Anno post naium Salvaiorem supra ses" qiiimiUesimum JS'ono. Di questo rarissimo Libro , dappoiché ho la sorte di averlo sotto gli occhi , non mi sembra , che debba riuscir inutile il darne un succinto ragguaglio. II Libro è in 4-°i in carattere detto volgarmente Semigotico, senza numci-azione di pagine , e col solo registro del foglio al basso. Dopo un Epigramma indirizzato all'Imperatore Massinfliliano da un Filesio di Vosges ( Philesius Voge- \ sigcna), nome finto, secondo lo Schoepflin, tien dietro J^^'j'p^]""'^'*'- subito la Dedica al prefato Imperator Massimiliano = p^^'^' Dii>o Maximiliano Caesari Augusto Mariinus Ilacomi- iiacomMus co. gnome, che sem- lus ioelicitalem optata ed in fine di essa Lettera De- tra finto o tra-. -^ ' visa'.o. dicatoria = Kx oppido divi Deodati. Anno post natum Sah'atorem supra sesquimillesimum septimo. In questa Dedica all' Imperator Massimiliano , per venir a ciò che più importa, troviamo bensì, che, per compire il Tipo dell' Universo, avea l'Autore aggiunte a Tolomeo Quat- tro Navigazioni di Amerigo Vespugci ; ma da chi , e Sgs NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI come gli fossero pervenute infino in Lorena queste Quattro Navigazioni , noi dice Egli in venin modo , ed inutile sarebbe il cercarlo. Quello , che possiamo ac- certare , si è , che non le ebbe sicuramente ^dal Ves-ì- pucci , e neppure ebbe copia di un Testo scritto nella Lingua , in cui il Vespucci le dettò. Che ne sia il ve- ro , da alcuni versi , che stanno in fronte a queste Na- vigazioni ( fol. D r.° ) , sappiamo , che 1' Esemplare di esse era scritto in Lingua Fi-ancese , Lingua , che non si può supporre, che adoperata fosse dal Vespucci scrivendo da Lisbona a Firenze al Gonfalonier Sode- rini. Questi versi adunque sono indirizzati dal Traduttor Latino al Lettore con queste precise parole = Ejus qui subsequeniem terrarum descriplionem de vulgAri gai>- [,ico in Lalinum transtulit Decaslichon ad lectorem. E chiaro adunque, che il Testo eh' ebbe sotto gli occhi questo primo Traduttore , ed Editore delie Quattro Navigazioni del Vespucci , era già una traduzione fatta in Francese, non si sa da qual lingua, né da quale originale , da alcuno , che volendosi procacciar r favori del Duca di Lorena, ed a Lui dedicarla , non ebbe nemmeno il discernimento nel tradurre di mutare ciò, che conveniva al Gonfalonier Soderini , e.nom potea mai adattarsi a quel Sovrano. Non piima dell' anno i5io, e per conseguente dopo la Raccolta de' Viaggj pubblicata dal Fracanzio nel i Boy, e dopo quella dell' Itinefariiim Porlugallensium del i5o8, venne alia luce la prima Edizione Italiana, che si sap- CAP. li. PRIME EDIZ. DELLE QUATTRO NAVIGÀZ, 3^3 pia dei Quattro Viaggj del Vespucci , i quali altronde non erano noti nò in Milano , quando si stampò 1' ///- ociprimoSco- Tì , 11 ■ > • 13 ir pritorc del Con- neranum Portiigallensium^ ne in Jloma nel i5og, quan- unente «. Ap- 1 . ., T-,. . 1-» * T'^- pcnd. pag. 110, do scrivea il i'ioientjno iirancesco Albertino. Ui que- m. sto Libretto non si sa chi ne fosse l'Editore, non es- sendovi neppure segnato 1' anno, né il Luogo della im- pressione , e potendosi soltanto congetturare , che siasi dato alle stampe , tra gli anni i5ioe i52o,in Toscana. Che anzi crederci di poter assicurare , che sia stato pubblicato dopo l'anno i5i2; perciocché gli Stampa- tori Gio. Giacomo , e Fratelli da Lignano , i medesi- mi , che diedero alla luce l' Itinerarium Portugallensium, nel ristampar che fecero in Milano la Raccolta Vicen- tina in caso onnn i 5 i •> , q.mnrlo notO foSSC StatO loro 8Ì fatto Libretto , non avrebbono mancato d' inserirlo nella medesima ; nò ò da supporsi , che a Stampa- tori cosi fatti ignota fosse in Milano una stampa di Toscana, Il Titolo del rimanente di questo Libretto , come già si è notato , non può essere stato apposto dallo stesso Vespucci, il quale, volendosi dare in questi suoi Viaggj il vanto di aver toccato la Terraferma del Nuovo JMondo ( senza però dire di essere stato il pri- mo ), non a-vrebbe qualificate le sue scoperte Isole nuo- vamente tros>ate nei Quattro suoi Viaggj. Se abbia questa Edizione servito di Testo per la ri- stampa del Bandini , non è facile il determinarlo. Lo fa ciedere il non conoscersi altra Edizione Italiana antica , ed il non trovarsi fatta menzione nemmeno u d d 3c)4 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEt, VESPUCCl di questa dall' Haym , e dà' più diligenti Bibliografi, Ban^ini. viu P^^ quanto sia a mia notizia. Altronde il Bandini dice tv. "P"'"P(ji essersi prevalso di un Libro a slampa, che fu di Baccio Valori. Lo fa credere pure il leggersi in questa antica Edizione , come presso il Bandini , Larìab , e non Paria. D' altro lato qualche dubbio , che diverso da questo sia il Libro in istampa , di cui si servì per Testo il Bandini , può farlo nascere 1' essersi rilevate Varianti, tra questa antica Edizione, e la ristampa del Bandini , da chi n'e fece il confronto. Siccome però queste Varianti non sono di grande importanza , pos- sono essere seguite per mero sbaglio , per la ragione appunto, che non era per anco il Bandini in que' primi suoi anni, quando pubblici la Vita , o le Licttere del Vespucgi , queir uomo consumato nell' Arte Critica , e nella Bibliografia, che poscia divenne in appresso. Ad ogni modo altra Edizione Italiana dei Quattro Viaggj del Vespucgi più antica di questa non mi è nota , ed in questa non ebbe parte il Vespucgi , anzi essendo uscita in luce sicuramente dopo il i5io, per avven- tura si pubblicò dopo la morte di Lui seguita nel i5i3, • della qual epoca, com'è detto sopra, non si può du- bitare. Della ristampa delle Quattro Navigazioni inserita dal Grineo nella sua Collezione intitolata Novus Orbis , e stampata la prima volta in Parigi nell'anno i532, non occorre più ragionare , essendo questa una mera copia della prima Edizione di Lorena in Lingua Latina , di CAP. n. PRIME EDIZ. DELLE QUATTRO NAVIGAZ. 3c)5 cui già si è ragionato. Dovrei qui parlare bensì del Ramusiò, il quale die luogo a' Viaggj del Vespucci nella Dei Primo &••• « Ti 1 1 *\ .'i it prilore delCont, inmosa sua naccoUa ; ma, come ho già avvertito altro- «. j. vi. p. 41. ve , tralasciò Egli i due primi Viaggj , e cosi il primo , vale a dir quello, che per la materia di cui si tratta , è il solo che importi , perchè li giudicava, o di poco rilievo, o alterati , e con date inesatte ed incerte. Del resto Uomo, com' Egli era , versatissiino nella Storia delle Naviga^ zioni , non gli omise al certo senza aver fondato mo- tivo di farlo, dacché dovette, come dissi, averli di necessità tutti quattro sotto gli occhi. Né tale omis- sione ridonda in maniera nissuna in biasimo del Ves- pucci , lodato dal Ramusio come uomo di singolare v. Ramusio - . 11 .. . -, . , . Ndvigaz, T. 1 p. intelletto , massimamente non essendo stati que suoi 119 e Viaggj dati da Lui' , né con consentimento suo alle stampe. Si può avere il più alto concetto di una per- sona , e credere , che possa essere stixta da' Copisti , o dagli Stampatori alterata , e corrotta una sua Lettera , un suo Manoscritto. E degli antichi MSS." appunto dei Quattro Viaggj del Vespucci converrebbe trattare , attesoché delle stam- pe posteriori a quella del Grineo non occorre più di far parola , non avendosene alcuna , che ci sia noto derivare da fonti diversi da quelli della Edizione La- tina di Lorena del 1607 , e della Italiana del Secolo XVI. Queste ricerche si potrebbono fare più facilmen- te, e con maggior frutto in Toscana, od in altre parti d'Italia, piuttosto che nella Contrada , in cui-io scrivo. 396 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO BEL VESPUCCI Alcuna cosa peraltro io posso dirne mercè la cortesìa degli amici. Dal Collega nostro il Signor Abate Cav. Amoretti Bibliotecario nella Ambrosiana di Milano , e Soggetto notissimo alla Repubblica Letteraria per la varietà delle sue cognizioni, e specialmente nella Storia delle Navigazioni degli Antichi Italiani versatissimo , ebbi notizia di un Codice , contenente le Lettere del Vespucgi pubblicate dal Bandini , già posseduto in Ro- ma da un suo congiunto il P. D. Antonio Amoretti , Letiere del s!g. Bibliografo, com' Ei dice, dottissimo. Da questo Codice Abaie Amareni. •■, i>iiiai a - 1 loPicemi. .809 ( che sembrò ali Abate Amoretti , contemporaneo a e SFebbr. iSio. . , ,^ ^ „ , , n tr i- un dipresso del Vespucci ) , confi ontanclolo colla HiCli- zione del Bandini, trasse Egli molte Varianti, dalle quali risultò, che la dettatura del Codice è molto più chiara , che non sia quella della s'="'pa del Bandini , e che è più Toscanamentp relitto , e senza tutti quelli Spagnolismi , <-l^<= deturpano V Edizione sopraccennata del Bandini. In esso Codice vi si incontra pure divario soventi volte nelle Date de' giorni , da quelle della stampa , ed in vece di Lariab leggesi nel MS.'° Perias. Con quali errori manifesti , e con quale trascura- tezza si scrivessero le date, è le cifre numeriche nelle Copie MSS.'' de Viaggj del Vespucci , che andavano attorno ( e dalle Copie MSS;'^ passarono poi nelle stam- pe ) , lo raccolgo pure da un MS.*° della Lettera di Amerigo Vespucci a Lorenzo di Pier Francesco De-Me- Banaini. Leiure dici, pubblicata dal Bandini, ìb che contiene la descrizione 4 e sèg""' ^' del Secondo Viaggio di esso Vespucci, di cui ho rice- GAP. li. PRIME EDIZ. DELLE QUATTRO NAVICAZ. 3g7 vuto le Varianti , ricavate dal Signor Abate Fiacchi , non solamente gentile , e savio Poeta , ma intelligente , e versato assai negli antichi Testi a penna in Lingua Toscana dettati , e ciò per mezzo del fautore de' miei studj singolarissimo , ed Amico incomparabile il Signor Clemente Damiano di Priocca , mentre si tratteneva ancora in Pisa. Anche questo MS.'° ò dettato in molto più buona lingua , di quello , che sia la Lettera stam- pata , ed è sgombro degli Spagnolismi , che compajono in essa , leggendosi a cagion d' esempio nel Codice : genie grossa in vece di = genie grosseria ( pag. 69 , lin. IO ) = quei Io che dice, non sia la veriià = in vece di = quello che dice , non salga veriià ( pag, 7 , h'n. 23 ) gran populazione = in vece di = gran po~ òlazione, pag. yS, lin. io ) = grande uccisione = in vece di = grandissima maianza ( pag. 77, lin. 21 ) = e poi che fummo sanaii = in vece di = e di poi disa- naii ( pag. 79 , lin. i ) = iogliemmo lor coione — in vece di = iogliemmo molio algholon ( png. 81, lin. i ) ^= riposare la mia vecchiezza = in vece di = dis- cansare i dì della mia vecchiezza ( pag. 85 , lin. i ). L' avarizia disordinaia , e non = la codizia disordi— naia, come nella stampa ( pag. 85, lin. io,) e vadasi •dicendo. Inoltre assai più corretto è il MS.'" del Signor Abate Fiacchi, di quello, che sia la stampa del Bakdiki , che in più luoglii è guasta , a segno che non se ne può cavar senso veruno , come dove dice : alla parie, 3q8 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEI. VESPUCCI dello Nos'esie , idest per la \'ia della Marozeana ( pag. 65, lin. 6 ) , mentre ijel MS."" del Signor Aljate Fiacchi leggesi , con senso piano, e chiarissimo; alla parte d" Oc-r cidente per la via del Mare Oceano. E dove dice la stampa = Vedemmo una brutlissima cosa d' uccelli di diverse forme , e colori ( pag. 67 , lin. 20 ), It'ggesi nel MS.'" vedemmo infinitissima cosa d' uccelli ec. ; così altrove troviamo nella stampa = alla origlia del Mare ( pag. 75, lin. IO ) in vece ài = alla riva del Mare, e = con due trombe sgottando ( pag. 81 , lin. 20 ) , e nel MS.'" con due trombe gettando ; e ^ per la parte di Giùnta ( pag. 85 , lin. ultima ) nella stampa; all'in- contro nel MS.'" per la parte di Ghinea ; dal che tutto si fa manifesto, che molto più corretto è il MS.'° , di quello , che non sia la stampa. Ma venendo per ultimo alle date, e cifre numeri- che , queste non si può dire , che siano più esatte nel MS.'" , di quello che il sieno nella edizione del Ban- DiNi ; poiché non si può trar lume dalla lingua , e dal contesto per giudicarne , come delle altre Varianti sin qui divisate. Certo è però , che e frequenti , e nota- bili sono le Varianti di date , e cifre ; per lasciar da parte , che le une sono scritte nella stamj)a a lungo , dovechè nel MS.'° sono in cifre ; le une sono in un luogo in numeri Romani, e nelf altro in cifre, come si dice comunemente Arabiche. Troppo lunga, e fasti- diosa cosa sarebbe il tessere l' intero Catalogo delle Va- rianti di tale natura , che s' incontrano nel MS.'" del CAP. n. PRIME EDIZ. DELLE QUATTRO NAVIGAZ, 899 prenominato Signor Abate Fiacchi , confrontalo colla Edizione del Bandini. Basti il dire , che nel bel prin- cipio della Lettera una se ne incontra , ed è che nel MS.'° leggesi = mi partii con due caroi-elle ai 28 di alaggio 1499 1 = all'incontro troviamo nella stampa = mi partii con due caroi-elle ai XVIII di Maggio del 1499 ( pag. 65 , lin. 4 ) i e che inoltre in parecchie cifre notal)ilissimo è il divario , come dove trovasi se- gnato nella stampa = i5 gradi e mezz poco più. o meno ( pag. 72 , lin. i5 ) ; nel MS.'° troviamo = 5 gradi e mezzo poco più 0 meno ; e poco dopo = i546G miglia e due terzi = nella, stampa ( pag. 72, lin. 21 ); e = 5466 miglia j nel MS.'° E per terminar una volta , dove nella stampa leggesi = Sia/no adi 18 di Luglio del iSoo ( pag. 86, lin. io ), troviamo nel MS.'" = siamo a dì 8 Luglio i5oo. CAPO III. Osservazioni intorno alle prime Edizioni delle Quattro JSaiigazioni del Vespucci. Da tutto il sin qui divisato si fa manifesto , non solo , che il Vespucci a più d' uno , e in vario modo scrisse de' suoi Viaggj , ma che Egli non fece stampare alcuna Relazione di essi, e che queste non furono pubblicate da persone , che avessero coriispondenza con Lui, né con suo consentimento; che anzi ignoti Cap. I p. 373. 400 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI sono coloro, che primi diedero alla luce i Quattro suoi Vinggj. Furono questi stampati in Contrade rimote dalla sua dimora , dopo essere andati attorno da prima MSS." pel corso di alcuni anni , soggetti perciò ad errori , alterazioni , ed interpolazioni , che passarono poi nelle Stampe, di cui 1' Autore non può esser te-* nuto a render conto in modo nessuno. Grossolana senza dubbio , e manifesta e la variazione fatta nella Lettera al Sederini , vale a dire nella Relazione dei Quat- tro Viaggj , dal primo Editore Lorenese , che fti dire dal Vespucci al Duca Renato cose , che non possono convenii-e , fuorché ad un Cittadino Fiorentino. Vi ha di più, non si può nemmeno accertare in qual Lingua sia stato scritto 1' Originale della Lettera ad esso Gon- falonier Soderini : perciocché , sebbene essendo scritta da un Fiorentino ad un Concittadino suo , vi sia ogni ragion per credere , che dettata fosse in Lingua Italiana, può far nascer dubbio intorno a questo particolare , il trovarsi Spagnolismi nella Edizion del Bandini , che non s' incontrano nel Codice esaminato , e confrontato dall' Abate Amoretti. E impossil)iIe , che il Vespucci scrivesse la stessa Lettera in Lingua Toscana, ed allo stesso tempo in Lingua corrotta , e sparsa di voci , e di modi di dire tratti dalla Lingua Spagnuola. È certo poi , come è detto sopra , che la Relazione del Viaggio al Brasile , di cui il Vespucci scrisse a Lorenzo De-Medici, prima di scriverne di nuovo nell'anno i5o4 , unitamente cogli altri suoi Viaggj al GAP. ni. OSSERVAZ. INTORNO ALLE PRIME EDIZ. EC. 4°^ Gonfulonier Sodcrini , quella che il rese noto e cele- bre in Italia , quella in cui diede il Vespugci il nome di Nuov'o Mondo alle ampie Contrade da lui percorse, onde ne venne il Titolo di Mondo ISuovo dato dal Fracanzio alla sua Raccolta , pubblicata in Vicenza nell'anno 1607, quella Relazione, io dico, sebbea pubblicata la prima volta in Lingua Italiana in essa Raccolta, non Tu tratta da Originale Italiano, ma bensì da Originale scritto in Lingua Portoghese , e da quella Lingua nella nostra tradotto , e quindi dal Madrignano voltato in Latino Idioma. Né sono pure d'accordo tra di loro le Traduzioni Italiane , vale a dire quella , che forma il Libi'o V della Raccolta Vicentina del 1 5 07 , J''", e Lettere ' ni Amerigo Ve- e quella che venne pubblicata nell'anno 17 45 dal Ban- /r""' • P' '°°- DiNi , come se ne potrà convincere di leggieri , chi prendei'à a farne il confronto. Anche il Viaggio di Vasco di Gama , nella più volte, mentovata Raccolta Vicentina , è alquanto differente , se- condo che avvertì il Fosgarini medesimo , da quello che Foscar. Leiier. • TT Venez. pag. ^18, SI vuole dettato da Amerigo VEsruGci, come pure dalle n<"a ^98. Relazioni inserite nella Raccolta del Ramusio ; anzi la Fiorentina riesce la meno ampia, e più difettosa delle altre, la qual cosa è parimente da me stata avvertita, Dei p.» scopr. confrontandola colf Itinerario Portogallense. Né potea f'xv^°p"a^><="i succedere diversamente, trattandosi di Scritture, che"'"''^" si spedivano da rimote Contrade , da diversi Scrittori in diverse hngue dettate , che molti si affrettavano di mandar a Venezia , e che copiate , o tradotte fretto- Ee e 4o3 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPVCCI lesamente , si stampavano in Foglj volanti , per saziar r avidità del Pubblico. Oltreché non piccola era la li- bertà , che si pigliavano i Copisti a que' tempi , come Fosfar. Leiier attcsta lo stcsso cruditìssimo FoscARiNi ad altro pro- nou 170!^ ' ' posito , vale a dire parlando di una Cronaca attri- buita a Daniel Barbaro il Vecchio , dove , dopo di aver notato , che , posti a rigoroso confronto due Esemplari di essa, non sempre andavano del pari nelle narrazioni, soggiunge , che tanta sappiamo essere stata la libertà , che si sono presi appunto i Copisti, ora levando, ora aggiungendo a capriccio interi avvenimenti , non che mutando le frasi, che, non ostante tali deformità, può essere opera di un solo, quella che a prima fronte pare opera diversa. Ciò posto, essendo state consarclnate le prime Edi- zioni delle Quattro Navigazioni del Vespucci da inco- gniti Editori, tratte da copie non autentiche , che an- davano attorno MSS.'^ , come interviene delle Rela- zioni , che passano per troppe mani , non essendo nem- meno sicuro in qual Lingua sieno state dettate original- mente , si vogliono perciò attribuire a sì fatti Copisti, Traduttori , ed Editori le Varianti ( come quella insi- gne , e palesemente assurda della Edizione di Lorena ), gli sbaglj segnatamente di cifre, e l'incertezza per con- seguente delle date , onda possa esserne nata la con- fusione accidentale , e quindi in progi-esso di tempo anche maliziosa dei Viaggj ; e tutto questo senza colpa nessuna di Amerigo Vespucci , che non risulta , che ab- CAP- 111. OSSERVAZ. INTORNO ALLE PRIME EDIZ. EC. i^o3 bia avuto parte nella pubblicazione delle cose sue. Se per un lato la sana Critica non lascia dubitare , che sia giunto il Vespucci a toccar il Continente del Nuovo Mondo , e che di questa , come delle altre Navigazioni sue , ne abbia scritto in una Lettera al Gonf'alonier Soderini , la sana Critica però non esclude , che quella parte della Lettera , in cui ragiona del suo Primo Viaggio al Continente del Nuovo Mondo , ,non possa essere stata intei-polata , e guasta , onde non possa da essa risultare , che sia giunto il Vespucci a scoprir il Continente del Nuovo Mondo nell' anno 1497 1 prima di Cristoforo Colombo. Si può dire autentico il Viag- gio del Vespucci al Continente , intendendo per au- tentico , che vi abbia egli navigato di fatto , ma che non sia autentica la data dell' epoca , in cui si pretende che vi sia giunto. . — ^ Il rilevar interpolazioni, e cifre numeriche sbag^ate, od alterate in un Documento , è cosa ben diversa dal dichiararlo falso. Nella Lettera di Colombo tradotta in Italiano , e ripubblicata da una rarissima Stampa di Venezia dell' anno i5o5 dal rinomato Bibliografo Si- gnor Cavaliere Abate Jacopo Morelli Bibliotecario Re- gio in Venezia , da lui illustrata , e ricevuta cortese- mente in dono da quel chiaro Letterato , mentre sto scrivendo , non tralascia il dotto Editore di notare di- fetti di tale natura , senza per sì fatto motivo dubitar né punto né poco della autenticità dello Scritto. Così Leriera missi- *■ *■ ma di Cn^lofo- nella annotazione ( 4 ) alla pag. 7 sospetta , che vi '^a^°l^^^ T e 1-. 48. 4o4 nap. esame del primo viaggio del vespucci sia una interpolazione inserita nel Testo di Colombo dall' Editore Spagnuolo dell'anno i5o3 ; ed altrove, vale a dire nella annotazione ( 6 ) alla pagina 9 , dice sembrargli pure ragionevole il sospettale , che sia corso errore di stampa, appunto nelle cifre numeriche, a dinotar gli anni della età , in cui Colombo incomin- ciato avea a servire il Re di Spagna. Del rimanente è cosa singolarissima , che la Lettera, la quale contiene la Relazione di tutte Quattro le Na- vigazioni del Vespucci, siasi pubblicata per la prima volta piuttosto in Lorena , che non in Italia ; che dopo la pubblicazione fattane in quella Contrada , e quindi in Alsazia non siasi tosto divulgata in Italia , e che , non solo non sia stata inserita nell' Itinerarium Portu- nei rimoSco S^'^^^^"'^"^'^ ' uscìto fuorì l' anno i5o8 , dove si pubbHcò nenie ec. ^f! XV J^ NavìgBzione persino di Vasco di Gama , descritta I pni pril. elei Coali- • nenie ec. f. xv, p»fi- 'oo. però dal Vespucci medesimo , ma che neppure fosse nota in Roma nell'anno i5io all' Albertino. Che se vogliam dire , che ignota esser non potesse all' Editore dell' Itinerarium Porlugallensium , ed all' Albertino , in tal caso non sarebbe privo di fondamento il sospetto , che r Edizione di quella Lettera del Vespucci fosse ri- guardata come cosa poco autentica, segnatamente in quella parte , che riguarda il Primo Viaggio. Non ripeterò qui , che il Vespucci in quella parte medesima del suo Viaggio, come lo abbiamo nelle prime Edizioni , tace con chi abbia navigato ; non in- dica i nomi de' Paesi , eccetto quello di Lariab con- *! GAP. III. OSSERVAZ. INTORNO ALLE PRIME EDIZ. EC. 4o5 trovevso ; non parla punto nò poco di Colombo , del che tutto si ò ragionato a luogo opportuno. Che non sia mai stato il Vespucci Capo delle imprese è cosa troppo manifesta : perciocché in quel solo luogo , in cui si colloca nel novei'o degli altri Capitani , dice pure espressamente , che non era E^li il Capitano mag- Bandini. Lct- ri ' aio (ere del vespucci giore , di cui nel resto tace il nome , qualificandolo ^°^' ^^' unicamente come ostinato , e presontuoso. Aggiungerò bensì , che l' insieme , della prima parte in ispecie della Lettera del Vespucci al Gonfalonier Soderini , tiene aspetto di cosa artificiosamente combinata , e non mostra quella lindura , quel semplice andamento di chi narra eoa candore , onde non va senza sospetto di alterazione a giudicio degli imparziali. Vero è che quest' aria di sincerità negli scritti , non altrimenti che la diversità di gusto nelle Belle Arti , di stile in Poesia e in Eloquenza , di maniera in Pittura , è cosa di cui non si può render ragione con argomenti diretti. Allo stesso modo , che Cicerone disse della urbanità , che non sapeva in che consistesse , ma che sapeva soltanto che esisteva * , così v' ha un aria di sincerità , che si può ben sentire , » Ma non si può stimar , non che ridire. Tasso. Aminta Atto V. * „ Quid est iste utbanitaiis color ? Nescio , inquara , tantum esse qiiem- (lam scio. Cic, MI Bruto n." 26. 4o6 KAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI Non ha adunque forza questa considerazione , se non presso chi ha sortito dalla natuia disposizioni di men- te, e di cuore atte a poterla fare; presso chi ama, e cerca spassionatamente il vero, e non va mendicando pretesti per cavillare; e questo tutto non può esser dote di certi ingegni astrusi , come di quel Matema- tico ( che non era perù nò un Galilei , nò un Man- fredi ), il qunle , dopo di aver sentito declamare una delle più aifettuose Scene di Racine , disse fredda- mente , che non provava nulla. Patria di Co- Del rcsto inutile opera sarebbe, dopo quanto si è lombo. Let(. li . , ... sulla scop. o '1 pas. i57 eDei£,gttg,.a ( clic Una sola Lettera è, sebben contenga la primo Sropnt. ^ O "' i.^vnp.^'s! Relazione di Quattro Navigazioni ) troviamo Varianti s; rispetto alle Date che contiene , ed alle cifre nume- riche , sia che si confronti con altre Lettere del Ves- pucci medesimo , in cui narra alcuno degli stessi Viaggj, sia che si confrontino le prime Edizioni , ed i Codici tra di loro. Nò soltanto le date varie sono , ma non manca eziandio in quella Lettera tal nome di Contra- da , e nome importante per determinare il corso delle Navigazioni del Vespucci , scritto in un modo nella Lettera al Sederini , ed in un altro diverso in quella a Lorenzo De-Medici. Che ne sia il vero nella Lettera. della ^Id^.^di al Soderini ( p. 4J> ) dice il Vespucci così =s « fummo .'509 r^copiaì^a « a tener alf Isola d' Antiglia , che è questa , che dis- reua del i5o7 - » coversc Crìsloful Colombo pili anni Ja = E nella leggesi : paucts - -. . . . . nuptr ah annh. y, Lettcì'a poi & Loicnzo Dc-Mcdici ( pag. 81 ) = e» GAP. 111. OSSrnvAZ. INTORNO ALLE PRIME EDIZ, EC. 4"? • trovammo secondo il punto de Piloti appresso di un » Isola , che si dice la Spagnuola , che è quella , che * discoperse l Ammiraglio Colombo sci anni fa. Vero è, che, rispetto a quella parte che riguarda il primo Viaggio in essa Lettera dtisciitto , non abbia- mo altro riscontro , che far si possa de' primi Testi , salvo che l'Edizione prima di Lorena dell'anno 1807 in Lingua Latina, di cui quella di Strasborgo del 1609 è un'esatta copia, e quella Italiana del principio del Secolo XVI senza data , non anteriore però all' anno l5io, e conforme nella sostanza alla ristampa fattane dal Bandini. Ora prescindo dal far riflettere, che ima Lettera , la quale fu stampata da ignoti Editori , senza saputa dell' Autore , e dopo esser passata per mano di Traduttori e Copisti , una Lettera , che non si può nemmeno accertare in quale Lingua sia stata original- mente scritta , una Lettera , che si trova con date cer- tamente dubbie in una parte notabile , dee esser sos- petta anche in quella parte rispetto a cui non si può far confronto , e mi ristringo ad osservare , che , an- che in quella sola prima parte , che contiene la Rela- zione del primo Viaggio , s' incontrano Varianti , con- frontando le due sole antiche Edizioni , che ne abbia- mo. Nella prima Edizione di Lorena , secondo l' esatta copia del raro Libro in istampa , esistente nella Vati- cana , trasmessami dal prelodato Signor Abate France- Co!s\ JepResì SCO Cancellieri, trovo fissata la partenza del Vespucci puf «•■iiaEdii. *■ , di Slra'borg. del da Cadice anno domini . m , cccc.xcvij. xx mensis Maij '^^°^^^^°^ ^■"' 4o3 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEI, VESPUGCI ' VMpucci. Le», die = Presso al Bandini all' inconlro leggo = Parfim- pag. 6> mo dal Porto di Calis a dì lo alaggio i^OV* Non di giorni poi , ma di un anno intero è il divario tra la prima Edizione di Lorena , e quella riprodotta dal Bandini. Di fatto , dovecbò presso il Bandimi Icggesi con date in cifre Arabiche = giungemmo al Porto di ■ga^^ir. ^^^' Calis a dì 18 di Ottobre il^Q^, dove Jummo ben rice- vuti; nella anteriore Edizione Lorenese troviamo scritto Del primo sco- ili ^^^ numcri Romani, come già altrove ho rilevato De'nte'èc. i°Vi, = Caliciiim tandem repeiivimus Portum cum ccxxij pag. 44 t-t alibi . . , , y^ 7 • 7 • T • • T^s:f,.i,s.hieio. captintatis personis xv. Uctobris die anno Uomini ,A/°!;^-.'" ';° M.CGCc.LXXXxix ubi htissime suscepti fuimus. della Edirion di , ' ' ' fe^onsi'^us'cs"» È iuutilc il ccrcare , come possa esser seguito 1' er- màni comrn^h l'Ore , e clii , tra i diversi Copisti e Traduttori , sia quel- dei"i5o7. '"^'"' lo, che abbia sbagliato; ma, quando dir si dovesse di chi più pi'obabilmente possa essere stato lo sbaglio , certamente è più facile, che sia seguito nelle posteriori copie MSS.'^ , che non nelle prime , e nella Edizione , che di quella Lettera si fece dopo , che non nella pri- ma di Lorena ; ed in quelle , in cui si fece uso di cifre numeriche Arabiche , più facili ad essere alterate , che non di numeri Romani, come sono quelli, che veg- giamo adoperati nella prima Edizione Lorenese. Anche però , rispetto alle cifre numeriche dette Arabiche , Io „ , . , errare nel leggere le figure antiche di esse , può inter- Del primo Sco- °° ° ' '^ priicre deiccD- Yenij-e / comc intervenne al Bandini) a' moderni , che UoeDte ec, Ap. \ ' ^^' "^" leggono le Scritture antiche , non già a chi copiò il MS.'° , che servi di Testo alla stampa di Lorena , il I CAP. in. OSSERVAZ. INTORNO ALLE PRIME EDIZ. EC. /^OQ quale , quando non abbia trovati nell' originale , che trascrivea ( siccome vi ha ogni ragion di credere ) ,• adoperati numeri Romani , non si può dubitare non sapesse in quale maniera nella Scrittura corrente si formassero le cifre a' tempi suoi. Se sia poi più im- portante questa data riguardante 1' arrivo del Vespucci, ovvero la data della partenza in quel Primo suo Viag- gio , non tocca a me il determinarlo. Per coloro , che pretendono, che il Vespucci sia partito nel i497> è più importante la data della partenza ; ma per tutti gli altri , che tengono , come penso io , che sia partito dopo , è molto più importante la data dell' arrivo , la quale dimostra chiaramente , che non parti 11 Vespucci nel 1497 1 ma bensì un anno dopo. Il dichiarar essen- ziale , ed importante una data , non dipende dall' arbi- trio di chi sostiene piuttosto un' asserzione , che un' altra. Il fatto sta , che la Variante di cui si tratta , che riguarda 1 arrivo del Vespucci , è importantissima in ogni supposizione , per dimostrare , che i Codici , e le Stam- pe contengono variazioni, ed errori nelle Date, ed ia quella parte stessa della Lettera del Vespucci al Sode- rini , che concerne il Primo suo Viaggio. Ad ogni modo io non ho mai preso a sostenere , come inconcussa la data dell' arrivo del Vespucci nell' anno 1499; ne ho inferito soltanto, seguendo le re- gole della più rigorosa Critica , che dubbie ed incerte sono le date di quel primo suo Viaggio. Se poi con un argomento tratto da un Documento della natura , 4 lo NAP. ESAME PEL PRIMO VIAGGIO DEL VRSPUCCI ( come abbiam veduto ) di quella Lettera del Vespucci al Gonfalonier Soderini , il cui originale prima di venir pubblicato colle Stampe , andò soggetto a tante vicen- de , ed argomento fondato unicamente sopra date dub- bie ed incerte , si possa togliere la gloria a Colombo accordatagli dal consenso di tutti gli Storici più vicini a" tempi suoi , meglio informati , e che ebbero il modo di consultare le Memorie , e le Relazioni originali , di essere stato il primo , che giunse a scoprir il Conti- nente del Nuovo Mondo , lo lascio giudicare da ogni persona di buon senno , e non prevenuta. Quando in più luoghi di un Codice , o di una stampa s' incon- trano varietà di date , incertezze , o contraddizioni , paragonandolo con altri Godici , o Libri di eguale au- tenticità, o riscontrandolo con altri luoghi del Codice, o del Libro medesimo , non è temerità , ma è giusto , e fondato ragionamento il dubitare della esattezza delle altre date. Queste incertezze, e varietà di date, nel caso di cui si tratta , le troviamo frequenti , e replicate nella Lettera al Soderini , e non solo rispetto a que' Viaggj , che possiamo confrontare colle Lettere scritte dal Ves- pucci a Lorenzo De-Medici , come il Secondo , ed il .Terzo ; ma eziandio confrontando stampe con istampe dello Scritto medesimo; come , rispetto al Primo Viag- gio , confrontando la più antica Edizione di Lorena colle Stampe posteriori; e confrontando inoltre i MSS." antichi colle Stampe , come i MSS." , di cui è detto ^opra, del Signor Cavaliere Abate Amoretti, e del Signor GAP. m. OS.TERVAZ. INTORNO ALtE PRIME EDIZ. EC. I^lì Abate Fiacchi, messi a fronte delle Stampe del Ban- DiNi. Ciò posto non temo di replicare , che = » in neipnmosco. » un racconto, dove le date importano il tutto, se mlenTe ec. j. v°i » queste sono varie , ed incerte , si può senza tema di » errore asserire , che dubbio è ciò , clie forma la so- ft stanza del racconto. >> Del rimanente , epoche incerte , per colpa appunto dei Copisti, e dei Traduttori, s' incontiano per fino nelle Sacic Carte. Il Computo del Testo Ebreo , e Sa- maritano è diverso da quello dei Settanta ; nò la Chiesa Cattolica si è mai determinata per la verificazione di que' computi, lasciando ad ognuno la libertà di ab- bracciar quella Cronologia , che stima più coerente alla verità della Storia, senza voler decidere, se l' error de' Copisti ( che vi è certamente ) siasi intruso , piut- tosto nell'Ebreo, che nel Samaritano, o nel Greco, e senza che questo errore, riconosciuto de' Copisti, of- fenda l'autenticità de' Libri Santi. Ma da questa incer- tezza nella Cronologia Sacra non ne deriva alcuna con- seguenza , che cangi la sostanza de' racconti contenuti nella Bibbia ; all' incontro ( se è lecito far paragoni con cose così venerande ) le epoche , in quella parte della Lettera del Vespucci al Sederini , che riguarda il primo suo Viaggio al Nuovo Mondo, formano la so- stanza medesima del racconto; poiché, poste queste in dubbio , altro argomento non rimane per contrastare la gloria a Colombo di esser giunto il primo a scoprir il Continente del vasto Emisfero Occidentale. Gli sforzi, 4 12 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI che si sono fatti , per far riguardar come inconcussa l'epoca del Viaggio del Vespucci nel i497 » ben pa- lesemente danno a divedere , che se questa è dubbia , come ò di fatto, dubbio è il vanto, che si vuole attri- buire al Vespucci ; il dubbio deve , secondo ogni ra- gione , cedere alla certezza , e la causa di Colombo è vinta. G A P O I V. Riflessioni intorno alla pretesa scoperta del Continente del Nuovo Mondo jatta dal Vespucci , asulo riguardo alla natura del Jatto. Questa pretesa Epoca della partenza del Vespucci nell'anno 1497 1 senza di cui ognuno concede, che non si può riguardare il Navigator Fiorentino come primo Scopritore del Continente , non solamente è chiaro , che è dubbia , ed incerta , ma diventa poi , agli occhj di chi dirittamente, e senza prevenzion ve- runa ragiona, del tutto erronea, e senza fondamento» ove si consideri la natura stessa del fatto ; le conse- guenze del medesimo ; e le testimonianze degli Scrit- tori , cui accade di dover fare parola delle Navigazioni di quel celebre Cosmografo Toscano. Se conscio fosse stato il Vespucci a se medesimo di essere stato il for- tunato Scopritore del Continente del Nuovo Mondo l'avrebbe egli tacciato? Non ne avrebbe mai Egli dato CAP. IV. RIFLESS. INTORNO ALLA SCOPERTA DEL VESP. 4l3 verun cenno , nelle Lettere , e Relazioni * che ne abbiamo, lasciandolo soltanto congetturare per via di un' Epoca controversa ? Io non voglio accusar il Ve- spucci di esser millantatore, come mai non 1' ho accu- sato; ma la natura sua, come chiaramente appare, in ispecie dalla Lettera , in cui narra la spedizione al Bra- sile, non era di passar sotto silenzio i vanti , che giu- stamente credea , che gli fossero dovuti. Il Vespucci ( non v' ha dubbio ) non diede alle Stampe le cose sue , ma che s ingegnasse di acquistar presso il Gon- faloniere , e presso i Magnati della sua Repubblica la fama di Scopritore d' incognite Regioni , non ne può dubitare chiunque legge i suoi Viaggj. Se non fu stam- pato il suo Viaggio al Brasile da lui direttamente , vide però la luce, mentre Egli ancora vivea, in più lingue , e f u ( ciò che più importa ) solennizzato con pubbli- che dimostrazioni di gioia , e per Lui onorevolissime , Bandini. vit» ■-^ ' *■ del Vespucci p. come attcsta il Bambini. xiit . e p. xlv. Ciò posto , Spettatore continuo , durante più anni , il Vespucci degli onori , del potere , della grandezza , e delle ricchezze di Colombo , si contenta sino alla morte dell' impiego di Piloto maggiore, con mediocre stipendio in Ispagna , Egli che alla Spagna avea reso un servigio sì segnalato , senza esigerne premio più splendido , e senza neppur cercar altrove condizioni migliori. Uomo d' alti e generosi spiriti , fornito di Dottrina rara a' tempi suoi , e di sperienza nelle cf j. . . . , , jse ai mai-e consumai isfeuna , si può prcsumei'e e'' .le sof-. 4l4 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEI, VESPtICCt T ) frisse, s^za darne verun segno, una si alla ingiustìzia? Se fosse stato riguardato il Vesi-ucci in [«[j.-igiia come Primo Scopritore del Continente del Nuovo Mondo , .avrebbe Egli , dopo una impresa sì strepitosa , senza chiederne, nò ottenerne ricompensa veruna, abbandonato i servigj di quel Monarca, per passar sulle navi del Re di Portogallo ad esercitarvi 1' ufficio di semplice Piloto^, contentandosi quindi , nel ritornar che fece di nuovo a' servigj della Corona di Spagna del carico , com' è detto, di Piloto maggiore? La quale circostanza di-» mostra eziandio , che come espeito e scienziato Piloto hensi , e non mai come Capitano di Mare navigò Egli a quella parte del Nuovo Continente , che venne poi denominata il Brasile , dopo che n' era stata fatta uà anno prima la scoperta accidentalmente dal Cabrai. Che se stato fosse il Vespucci colui, che , mediante la Scienza sua , avesse fatto il dono al Portogallo di quelle vaste Regioni , avrebbe , anche in Portogallo , ot- tenuto tal guiderdone da non esser costretto a ritor- narsene in Ispagna, dove finii giorni suoi, E se come Capitano di Mai-e avesse eseguita tale impresa in Por- togallo, c|uand' anche per invidia fosse rimasto privo del pi'Smio dovutogli, avrebbe potuto. Capitano in Por- togallo , e Scopritor del Brasile, e già Scopritor in ser- vigio della Spagna del Continente del Nuovo Mondo» amJjire ed ottenere carico di molto maggior rilievo , e ^ù luminoso , che quello non fosse di Piloto maggiore , *^* ,. ^Qstrazioni di onore , e di riconoscenza dalla Spagna e din- I CAP. IV. RIFLESS. INTORNO ALLA SCOPERTA DEL VESP, 4l5 intera più grandi , di quella di essere adottato per Na- zionale Spagnuolo , come sulla lede di un Valerio Ta- xandro accenna il Bandini. Aggiungasi, che la rivalità B»ndi.u. viu (ìrl Vespucci p. che passava tra le due Corti, in fatto d' imprese ma-'-^'^- rittime, e di Scoperte d' incogniti i-imoti Paesi, avrebbe impegnato il Portogallo ad offerir al Vespucgi ricom- pense molto più grandiose , per trarre a' suoi servigj chi gii\ avesse scoperto per la Spagna il Continente del Nuovo Mondo; e premj tanto maggiori, e più lumi- nosi carichi la Corona di Spagna per riaverlo , massi- mamente se avesse scoperto , come si pretende , per la Corona di Portogallo la Vasta Contrada del Brasile. Né è da presumere , che il Vespucgi , accorto com' Egli era , avrebbe trascurato di trar partito da questa gara, e ri- valità delle due Corti, per cavarne il suo maggior van- taggio possibile. Per ultimo, qualora tanta e tale stata fosse la sua dis- detta , che non avesse potuto ottenere i premj dovuti per sì fiunose imprese , di tanta ingratitudine non avrebbe tralasciato al certo di lagnarsi altamente nelle Lettere , e nelle Relazioni sue , Egli che nella Lettera al Gonfalonier Soderini non ebbe ribrezzo di raccon- tare , che la Regina di Spagna gli carpì di mano una madreperla, dicendo: questa delle i3o ( perle ) mi 'tolse la Regina, e le altre mi guardai non le cedesse. Espressione cosi ingiuriosa per quella Principessa , che stimò buona cosa il Traduttor Latino di ometterla, e pni. ,,f aTo^n- toglierla via affatto nella Traduzion sua stampata la '^g.'83,"oia,''i3l 4l6 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEI, VESPUCCI prima volta in Lorena , siccome ho potuto anche ris- contrar di nuovo dalla ristampa fattane in Strasborgo; anzi secondo ogni verosimiglianza già era st;ita tolta nella antica traduzion Francese , da cui , come si è mostrato , quella prima version Latina deriva. Ma se straordinario sarebbe il silenzio del Vespucci rispetto alla ingratitudine delle Corti, quando fosse stato Egli il primo Scopritor del Continente del Nuovo Mondo , molto più strano sarebbe rispetto alle glorie di Colombo, che sentiva in Ispagna decantarsi come il pi'irao , che era giunto ad approdare alla Terra di Paria , massimamente che il Vespucci sopravisse nella stessa Contrada sei anni allo Scopritore del Nuovo Mondo , e che non vi ha dubbio nessuno , che non gli era amico. Anche gli Uomini scienziati , anche gli Uomini grandi , come non si può negare , che fosse il Vespucci , hanno i loro difetti , le loro prevenzioni , e la Storia Letteraria ce ne somministra pur troppo , eziandio a dì nostri , delle prove. Secondo l' uso degli Italiani di que' tempi , delle Repubbliche commercianti, di Venezia e di Firenze in ispecie , che per ragion di negozj , o di traffici trovavansi in Ispagna , scrivea Amerigo Vespucci a' Magnati Fiorentini de" grandi eve- nimenti , e delle scoperte , che giornalmente succede- vano, e che doveano cagionar mutazioni sì grandi nelle cose del Mondo , e segnatamente nel sistema del Com- mercio , oggetto cosi rilevante per cjuegli Stati. Perciò delle imprese marittime di Vasco di Gama scrisse di CAP. IV RIFLESS. INTORKO ALLA SCOPERTA DEL VESP. /| I7 proposito il Vespucci , non mai della Scoperta del Nuovo Mondo fatta da Cristoforo Colombo. Che anzi nelle due Lettere , che contengono la Relazione di uno stesso Viaggio, in cui dovette di necessità nominarlo, nella prima ( che si ò quella a Lorenzo De-Medici dell' anno i5oo ) , appena , parlando dell' Isola Spagnuola aeiriiiniie esser ciuella che fu scoperta da Colombo . tenere dei Ve- 00 C> 1 1 , sjjucci, pag. 81. nella seconda ( che si è quella delle Quattro Naviga- zioni ) scritta al Gonfalonier Soderini nel i5o4, dice che Egli co' suoi compagni passò molti travagli e per Leiiere dei Ve- ricoli = con li medesimi Cristiani , che in quest Isola ^p"'''-'' p°s- 4 • sfoi'ano col Colombo , credo per imidia. So il TiRABOSCHi credette di poter arguire da queste ultime parole qualche sentimento di gelosia nel Ve- spucci contro il Primo Discopritor del Nuovo Mondo, a me pare che non sia andato lungi dal vero. Lascio stare, che Colombo non è ivi nominato con altro ag- giunto onorevole, che indicar possa esser Egli stato queir uomo grande eh' ei fu , e decorato già di titoli luminosi dalla Corte di Spagna ; lascio stare , che i Cristiani, che erano sotto il comando di Colombo, si dice che stanano col Colombo , quasi per ripugnanza che si avesse di profferir la pai'ola di Ammiraglio , o di Capitano. Ma prescindendo da tutto questo , se si lagna il Vespucci de' Cristiani che stanano con Colombo^ cioè obbedivano a Colombo , e se lo attribuisce alla, imidia, non può essere tal cosa intervenuta, salvo che con consenso , se non per ordine del Capitano , il che 4 1 3 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI tutto può dar peso al sentimento di coloro , che pen- sano, come, dopo tanti Scrittori antichi, ultimamente il riputato Geo;rrafo Pinkerton , e Y erudito Svezzese Gra- Graberg. Annah •• " eli GcooraSa egERG , clic il Vespucci uavigasse coli' Ojeda , dichiarato di Stalistica , ' O } ^ uoT'cj/GenoTa oemico di Golomljo. Che se non navigò il Vespucci coir Ojeda , dacché nelle Relazioni che abbiamo non sì nomina mai da Lui alcun Condottier delle imj3rese, sebben chiaro apparisca eh' Egli mai noi fu , certamente navigò con alcuno degli Avventuriex-i, e per conseguente con persone, che, tentando di surrepire parte della Glo- ria , e de' vantaggi di Cristoforo Colombo, non poteano a meno di essergli avversi ; e il modo con cui parla il Fiorentino Cosmografo dell' immortai Piemontese Na- vigatore, dimostrerebbe ogni volta più la gelosia di Lui, e l'avversione al medesimo, qualora, come da certuni si pretende , stato fosse il Vespucci compagno di Co- lombo nella prima sua spedizione celebratissima , che P "fre^'aTcoT- aprì le porte del Nuovo Mondo, della qual rosa per- linenrc ec t.xil. , • i -11- pjg. 81. altro 10 penso , che non si abbia prova nessuna. Per istringere adunque il tutto in breve, conchiudiamo che non è in natura , che il Vespucci , passato ad altra vita in Ispagna Piloto maggiore , sei anni dopo la morte di Colombo , Testimonio delle grandezze di quest' ultimo; , e del vanto , che attribuivasi a Lui di avere scoperte , non solo le Isole , ma il Continente del Nuovo Mondo , ed altronde poco favorevole al me- desimo , come ne diede non dubbie prove , conscio a stesso di essere stato Egli il Piimo Scopritore del Con- CAP. IV. RIFLESS. INTORNO ALLA SCOPERTA DEL VESP- 4 '9 tinente del Nuovo Mondo , mai non abbia significato tal cosa a' suoi Concittadini , a' quali scrivea in Fi- renze , ed a' quali non lasciava ignoi-are , come è chiaro per le sue Lettere, ogni giusto suo vanto , e mai non siasi lagnato di un torto così patente che gli veniva fatto. ISè solamente scrivendo in Italia a' suoi Concittadini; ma eziandio parlando , e pubblicando al bisogno i suoi scritti in Ispagua, avrebbe potuto il Vespucci far palese a tutto il Mondo i suoi diritti. Mentre Egli era per anco in vita si eccitò la famosa Lite tra il Fisco del Re , ed il Figlio di Cristoforo Colombo D. Diego per li privilegi accordati col grande suo Genitore, Lite di cui ragiona estesamente 1' Errerà. Qual più bella occa- sione per mettere in piena luce le sue imprese , le sue scoperte , le sue ragioni per essere, e considerato , e premiato come Primo Scopiitore della Terraferma ? Eppure non vediamo, che, nò chi faceva le parti del Fisco della Corona pensasse di valersene , né che Egli medesimo, come cosi opportunamente far potea , uscisse in campo. Chiedeva 1' Ammiraglio D. Diego , come Vice-Re e Governatore perpetuo delle Indie , di esser messo al possesso della Terraferma scoperta e da sco- prirsi , e di tutto il Mare Oceano Occidentale e Me- ridionale. E il Fiscale del Re, non pi-etese già di ne- dh.'^ì.c'p.'', gare, che Colombo fosse il primo che giunto fosse a aiiaono is<»a.* toccar la Terraferma , ma bensì , che, avendo scoperta la Terra di Paria e Veragua , non potesse estendere a 420 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCl tutta la Terraferma scoperta, e, quello che è più, da scoprirsi , i privilegi conceduti a Colombo di Lui Pa- dre *. Vero è che il P. Richa parla di una sentenza isiorict^^ieiie del ConsìgUo Reale delle Indie contro il Vespucci in une iom/i"'^p. compefenza, coni' Ei dice, del Colombo, pubblicata nel i5o8. Ma, lasciando stare, che due anni prima Co- lombo già era morto , di questa sentenza * * tra Co- lombo ed il Vespucci il buon P. Richa nò allegò, nò allegar poteva testimonianza veruna , essendo questo un mero sogno privo d' ogni fondamento. pr^^'HeiTona; Polcrono bensì i Piloti e Marinari , invidiosi della pag!^8.''' *" " Gloria di Colombo, inventare per oscurarla la nota fa- vola , di cui parlano il Ramusio , e tanti alti-i; poterono alcuni Storici Spagnuoli adottarla , ripeterla , ed inge- gnarsi per darle peso; E perchè mai non si unì il Ve- spucci a costoro , s' Egli fosse stato il vero Primo Sco- * Cile Cristoforo Colombo intendesse, che i suoi pfivllegj dovessero esteti' dersi anche alle Terre da scoprirsi in avvenire , ne risulta ad evidenza dai Titoli che prende nel suo autentico Codicillo dell' anno 1506, che sono — Don Christoval Colon Almirante , y Visorey , y Gubernador General de las Yslas , y Tlerrafirme de las Indias descubierta , r POR DESCUBRIR. Patr. di Colombo, Giunta VI, pag. 250. - ■"'' * „ Se Amerigo ( sono parole precise del V, Rìcìt.t ) ha potuto con- „ trastare con Colombo la gloria di queste scoperte, sarà d' uopo di confessare „ che ambedue ne scoprissero parte — Replica però assai giustamente e pia- cevolmente il Signor Abate Francesco Cancellieri. — „ Temo non sicno altri „ per meravigliarsi di tal conseguenza , la quale forse non tiene pììi , che la „ conseguenza di chi, dal veder innanzi a Salomone litigar dne donne per un „ figliuolo, argomentasse aver amendue parta in quello — CancelUer. Notipe Storiche e Biblio^raf. di Cristo/. Colombo , pag. 43 , nota 2. CAP- IV. RIFLESS. INTORNO ALLA SCOPERTA DEL VESP. 7^2 I pritore del Continente del Nuovo Mondo , cosa che troppo agevolmente poteva venirgli fatta , essendo com' era Piloto maggiore del Re di Spagna ? Altronde, quanto di buon grado sarebbonsi uniti cotesti Piloti Spagnuoli col Vespucci , giacche non pretendevano giù essi me- desimi di essere gli Scopritori del Nuovo Mondo , ma pretendevano , che altri prima di Colombo lo avesse scoperto ? Se per la Gloria della Spagna avrebbe bas- tato il poter dire , che un Piloto Spagnuolo fosse giunto avanti Colombo alle Isole , prima e piincipale sua im- presa , mediante cui ebbe in poler suo le chiavi dei vincoh del Mare Oceano, che erano con catene così r- -, ••111 !• r • ^ Lpllera di Co- lorti serrati ( per servirmi delle medesmie enlaticlie lon.bo ripro- (loira dal Ca». sue espressioni), per nuocere poi a Colombo medesimo, A'^ie Moreia, com' era intendimculo loro , quanto giovato non avrebbe il poter asserire, che prima di Lui giunto fosse su navi Spagnuole il Vespucci ad apjjrodare al Continente del Nuovo Mondo ? Noi dissero essi Piloti, noi dissero gli Storici avversi a Colombo , noi disse il Vespucci me- desimo. Come spiegare questo silenzio , fuorché con dire , che non e' era ne lagione , nò fondamento nes- suno per dirlo . né motivo di contraddire i vanti pretesi del Vespucci, prima che fosse caduto in pensiero di un dotto Piloto beusi , ma non più che Piloto , di farne un Condottier in Capo d' imprese marittime :' Si può cercar di render ragione del silenzio di alcuni, od anche di molti contemporanei ; ma come si potn\ aflermare un fatto nel pieno ed assoluto silenzio di tutti ? CAPO V. Testimonianze degli Scrittori più antichi tutte favorevoli a Colombo. Testo importante d una Lettera di Colombo medesimo. Se il silenzio degli avversar) di Colombo sommi- nistra una manifesta prova, che Colombo, e non il Vespucci fu il primo Scopritor del Continente del Nuovo Mondo , questa verità medesima viene poi ogni volta più ad evidenza comprovata dalla positiva asser- zione degli Storici più vicini al fatto , de più infor- mati ed imparziali , di quelli che poterono attingere' a' fonti più veridici di quelle Storie , vale a dire le Memorie originali , che si serbavano negli Archivj della Spagna. E inutile il riferir qui di bel nuovo i Testi di Pietro Martire d' Anghiera , e dell'Autore della Navigazione di Colombo inserita nella Raccolta di Vicenza, gii allegati a luogo opportuno, e che sono Del Primo Sco- d' accordo , nel attribuir la gloria della scoperta del Con- te j.viu,p. 54. tinente a Colombo, con D. Ferdinando Scrittor delle memorabili imprese del suo gran Genitore. Vero è , che la Navigazione di Colombo, inserita prima nel Li- bretto di tutta la T^avigazione del Re di Spagna delle Isole , e Terreni nuovamente tro\-ali stampato in Vene- zia per Alberto Vei'cellese nel i5o4 . quindi riprodotta nella più volte mentovata Collezione di Viaggj stam- pata in Vicenza nel 1607 , fu tratta ( come rilevò il CAP. V. TESTIMONIANZE FAVOREVOLI A COLOMBO. l^'J.3 dotto signor Cavaliere Abate Morelli dal confionfo Mor<-iii Ar.no». ° alla Lellfra di fattone ) dalla Prima delle Deche Latine di Pietro •^°'"°'^"'«<'- p- ' ^5 e p. 45. Martire d' Anghiera , poscia rifatta , ed accresciuta dall' Autore. Angelo Trivigiani Segretario dell' Amba- sciator Veneto Pisani in Ispagna fu quegli , che la ricavò dalle Deche Latine precitate; anzi dettatura di esso Trivi- giano è quel rarissimo Libricciolo pubblicato da Al- berto Vercellese. Ma alla testimonianza di questo ( che 6i supponea Autore diverso da Pietro Martire ), si dee surrogar quella del Trivigiano medesimo , che essendo sopra luogo non avrebbe mancato di scrivere al Pa- trizio Veneto Malipiero , con cui , secondo che attesta r Abate Morelli medesimo , carteggiava , le scoperte di Amerigo Vespucgi , se questi , e non Colombo fosse stato il Primo Scopritore del Continente del Nuovo Mondo ; dovechè nelle Lettere sue , esaminate in un Testo a penna dal prelodato Signor Cavaliere Abate Morelli, non troviamo, che tal cosa mai dicesse; e nella Navigazione di Colombo stampata , tal gloria senza esitazione veruna , e senza accennar , che da al- cuno gli venisse contrastata , attribuì a Colombo. A queste Testimonianze d' Italiani Scrittori, che tro- vavansi in Ispagna nel tempo stesso , in cui seguivano que' grandi evenimenti , e che per propiio impiego erano in grado d' averne le più accertate notizie , ag- giungerò quella di un altro antico Scrittore, il quale, so fu Italiano per nascita , si può considei'are come Amovicano, per aver terminato nel Nuovo Mondo il 4-4 ^■^^' ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI corso della virtuosa sua vita Vescovo della Città di S, pfipnmoSco-l^o™i"o" ' vogUo dire Alessandro Giraldini, di cui prilore del Con- ii- -i. .ii n -ti liiui.ieeo j. SI, abbiamo gii toccato altrove, rersonaggio del resto in- formatissiiiio della Storia di qne' nu'ravigliosi eveni- luenti. Questi nel suo Itinerario in data dell' anno i5i6, e per conseguente scritto in tempo assai vicino alla scoperta del Nuovo Mondo, di cui fu contemporaneo, essendo mancato di vita, come attesta il diligentissiraO Zeno Dtsseriai. Apostolo Zeno , scttuagenario nell anoo iSaS , parla Dia. XIV. " 'a lungo di Colombo. Dice, che da prima propose il suo grandioso , ed alto pensiero a' Francesi , ed Inglesi ( a' Genovesi non mai ) , ed asserisce, che primo giunse ad parlem maximi illius Continentis quam Americani * * Il primo e più antico passo di Scrittore , in cui si trovi nominata l'America è per avventura quello del medesimo Vescovo di S. Domingo Alessandro Ge- raklini nel Memoriale a Leon X, riferito nelle pienissime Dissertazioni Bi- bliografiche del Signor Abate Francesco Cancellieri intorno a Colombo , ed a Gersen , stampate in Roma nell' anno scorso , coli' indirizzo delle quali piacque all' Autore di esse di onorarmi ( Dissertazioni Epistolari Biblio- "rafiche sopra Cristo] oro Colombo, e sopra Giovanni Gersen ec, , pag. 22 1 Roma 1809 ) s3 „ Item quoniara in Insula illa, quae Europa et Asia est major, „ quam indocti Contineiuem Asiae appellant, et alii Americam , vel Pariam „ nuncupaiit ec. „. Dal che è chiaro , che il nome di America in que' prin- cipj era vago , ed incerto ; che era ristretto soltanto ad una parte del vasta Continente occidentale tenuto per un' Isola sterminata, e che quello stesso tratto, che da Colombo si disse Paria, da altri era detto America per ra- gion delle Carte marittime , secondo ogni verisiiniglianza , che , dopo il suo viaggio al Brasile, ne disegnò Amerigo Vcspucci. Essendosi del resto divul- gata subito, e quindi pubblicala colle stampe la sua Relazione di quel Viag- gio col titolo fastoso di Mondo Nuovo , il nome di America dato ad una pane del Coutiueiit; j e quella Relazione , e quel Titolo il fecero riguardare il CAP. V. TESTIMONIANZE FAVOREVOLI A COLOMBO. 4-5 appellant. Dove è da notarsi , che tiil vanto senza dub- cellieri, oisser- Lio nessuno dà il Gerai.dim a Cristoforo Colombo , Bibiiograf. sopra Coiorabo , pag. ancorché già nato fosse nel i5i6 il nome di America 46. 64 , e 65. per indicar una pfirte del vasto Continente del Nuovo Mondo , i;iome , che pare ignorasse il Geraldini onde nascesse. Il Geraldìni adunque Scrittor contemporaneo , in- formatissimo delle cose, sopra luogo, uomo di somma probità , non Ispagnuolo , non impegnato in favore nò di Colombo né del Vespucci , parla di Colombo , liarrando la Scoperta del Continente , tace del Ve- spucci ; e non è questo il caso di dire , che un Testi- pionio Italiano contemporaneo, informato, che afferma in favor di Colombo , spiega , e giustifica il silenzio di 4a chi non penetra troppo addentro nelle cose , qnal Primo Scopritore del Conti, nentedel Nuovo Mondo. S ipponendo il Vespucci Scopritor del Nuovo Mondo erro- neamente, per cagion del Viaggio suo al Brasile, già sin dall'anno 1 507 l'Autor della Introduzione alla Cosmografia stampata in Lorena propose , clie America si chia- masse la Q lana parte del Mondo, da lui pure creduta Isola vastissima. Il Luogo sta al capo IX. De quibusdam Cosmographiae rudimentis. { t'ol. C III r." ). Dopo aver parlato l' Autore dellp Tre prime Parti del Mondo, segue a dire così e: Nunc vero et hae Partes suiit latius lustratae, et alia Quarta Pars per Americum Vespucium ( ut in sequentibus audietur ) inventa est , quam non video cur quis jure vetet ab Americo inventore, sagacìs ingenii viro, AjUERJGEIf quasi Americi Terram , sive AmeìUCAM dicendam .... Hunc in molum Terra jam quadripartita cogno.rcitur ; et sunt tres primae partes Conti- nentes. Quarta est Imula s Questa non era allora altro , se non se una semplice opinione di un privato Scritture , ma che , congiunta col rimanente , può aver contribuito a far nascere il nome di America. Né sarebbe questo il primo, nò il solo caso, che sentimenti, ancorché erronei, di Scrittori pri- vati, a poco a poco sieno diventate pubbliche radicate opinioni nell' universale, U II h AnG NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI tutti quegli Scrittori SpagQuoli , che tacciono del Ve- spucci , senza che possa tal loro silenzio venir attri- buito ad invidia, o gelosia contro ìIVespucgi? E qual motivo d' invidiare i veri pregj del dotto Navigator Fiorentino potea avere 1' altro Italiano Pietro Martire d' Anghiera ? Che se sin da' primi tempi della Scoperta , due Ita- liani , uno nel Nuovo Mondo , 1' altro in Ispagna , as- serirono che Colombo fu il vero primo Scopritor del Continente , senza parlar punto né poco di Amerigo Vespucci , né accennar nemmeno , che da alcuno venisse a Colombo contrastata uua tal gloria , un altro Storico Italiano, in Italia circa a' tempi medesimi attestò lo stesso fatto. Il Giovio, che già fioriva poco dopo il principio del Secolo XVI , scrivea le sue Storie in Roma con applauso e favori grandi di Leon X , e che , qualunque' taccia dar gli si voglia, vivendo in Roma , allora centro delle negoziazioni di tutta Europa , era informa- tissimo delle cose del Mondo , né avea interesse veruno di lodar più Cristoforo Colombo , che Ame- rigo Vespucci , tace parimente ne' suoi Elogj del Ve* SPUCGi , e narra e descrive al minuto la Scoperta del Continente del Nuovo Mondo fatta da Colombo, dandone a lui tutta la gloria. Che anzi concorda ap- puntino colla Relazione di Colom])o medesimo, inserita da D. Ferdinando nelle sue Storie ; e sebbene della regione , a cui approdò Colombo parli il Giovio sotto varj nomi , non solamente gli dà pure quella di Paria CAP. V. TESTIMONIANZE FAVOREVOLI A COLOMBO 4^7. secondo il vero , ma indica il luogo preciso per cui navigc) Colombo, nominando la Bocca del Di-agone; e del nome di America non fa menzione veruna; il che comprova vieppiù ciò che abbiam detto altrove , che tal nome, ristretto tra gli uomini di mare, tardò assai a sentirsi in Ispagna , ed in Italia , argomento manifesto, che se ne vedea tutta la sconvenevolezza da chi era certo , che ,, al pari delle Isole „ il Conti- nente del; I^uovo Mondo era stato Scoperto da Co- loinbo *. L' opporre che altri facesse , alle asserzioni positive di questi Storici, e Scrittori Italiani, i detti incidenti di alcuni Geografi Tedeschi , posteriori di tempo , lonta- ni di paese, e non informati, talun che confessa di non essersi potuto procacciar le notizie opportune , tal altro, che inciampa in manifesti errori , e che tutti scri- veano sul semplice fondamento di relazioni vaghe , e di voci popolari , sarebbe voler chiudere d' animo de- liberato gli occhj al vero. Al dir del Glareano , non già Colombo , nò il Vespucci sarebbono stati gli Sco- ♦ „ Inde vero ( Columbus ) in adversam terrariim et Regionum Conttnen- „ tem , ad austrum sitam , Bjreae flatibus appiilsiis tenuit. Hunc terrarum in- „■ cogniti antea Orbis tractiim aequa fronte septcntriones spectantem, et intror- j, sus sub aequalorc situm^alii Sanctae Crucis terram , alii Pariam , alii Da- „ rieiiein vario in loco vocavere. Columbus ostium immensi fluminis subiii, „ quod idcirco os dracoiùs appellatum est, quoniam tortuosis vorticibus na- „ vigia absorbere posse crcderetur. — Palili Jovii Elogia Viroriim bellica „ virtutt iUustrium, Basileae lS7i,Jo!. 19^, 428 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCl pritori del Nuovo Mondo, ma entrambi semplici Piloti al servigio della Spagna ; i Condottieri delle imprese , gli Ammiragli , i Capitani di mare Snagnuoli ; il che Del primo Sto- . . IO' prii. aa Comi quanto sia assurdo si è mostrato altrove; come pure nenie ec. }. xii -^ ' png. 80, e j. XI g[ ^ mosti-ato il poco caso , che far si dee della auto- pag. 79 ed ITI t ' noia (II). j.jjj^ jjgj Vadiano , il quale nel suo Compendio della Geografia delle tre Parti del Mondo , chiaramente pro- testa, che era poco informato di quelle, eh' Ei chiama Isole dell' Oceano , e che dubitava delle relazioni de' Navigatori. Che diremo poi del Tritemio, il quale, scri- vendo di aver comperata in Strasborgo ujoa Sfera , o sia una Carta di un Mappamondo , dice che eranvi in essa le Isole e le regioni nuovamente scoperte dallo Spagnuolo Amerigo Vespucci? = ^^i Americo Vespulio HISPANO niiper inventis. Errori di tale natui-a non danno chiaramente a divedere , che quei Tedeschi Geografi andavano dietro presi alle grida popolari , senza inter- narsi, né aver per iscopo nemmeno di accertarsi della verità dei fatti, ingannati eziandio , secondo ogni veri- simiglianza, dalle Carte Nautiche delineate da Amerigo, e dal nome di lui scritto nelle medesime ? Tanto più che non parlavano come Storici di professione , ma toccavano di tali cose , com' è detto , incidentemente. Migliore senza paragone nessuno , e più sicura scorta, che non questi Tedeschi , che dal fondo della Germa- nia non poterono, se non se per via di voci vaghe ed incerte essere informati della Storia delle Navigazioni , sono gli Scritti di Pietro Coppo da Isola Terra dell' CAP. V. TESTIMONIANZE FAVOREVOLI A COLOMBO. 4^9 Istria , di cui abbiamo un Poitolano stampato in Ve- nezia nel 1528, ma di cui erano sì rari gli Esemplari, che sconosciuto sarebbe affatto , se non 1' avesse a questi giorni in cui scrivo , tratto a nuova luce il prenomi- nato Bibliotecario Regio in Venezia Signor Cavaliere Abate Jacopo Morelli, e di cui posso far uso, avendo, ,a"°,7ia' l°"c- come già dissi , ricevuto cortesemente in dono dalla pag ìsnotacis)'. gentilezza di lui il Libro in cui ne ragiona. Questi, clie fu contemporaneo di Colom])o, sebben di alcuni anni più giovane , discepolo del ^abellico , quindi uomo di mare , che avea anche scritto in età di cinquant' anni un' Opera De toto Orbe Libri quatuor rimasta inedita , dopo di avere viaggiato per tutta Italia , conversato ia Roma con Pomponio Leto, navigato quasi tutto il Me- diterraneo, letti recenti e accreditati Itinerarj , ed ap- prese esatte e non comuni notizie nella dimoila fatta in Venezia , dove a que' tempi si aveano i più sicuri ragguagli in ordine alle nuove Navigazioni , questi , io dico , parla nel mentovato suo Portolano delle Scoperte di Colombo. Le Isole al presente sconosciute , che s'incontrano in esso, io penso, che con diverso nome vengano al giorno d' oggi denominate , dacché in que* primi tempi della Scoperta vario nome si dava alle medesime regioni , e si mutavano i nomi , massima- mente trattandosi d Isolcfte di picciol conto. Tra i nomi di sì fatte Isolette , di cui tenne registro Pietro Coppo , è notabile però quello di Lanciloio Columboy dato aduna di esse. Lanzarinus era. il nome dell' Avolo 43o NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI v.iria a; Co- paterno di Cristoforo Colombo. Clie che sia adunque ICBiboGiunUllI P'K "5 di questi incogniti, o mutati nomi, che troviamo nel Portolano di Pietro Coppo, le principali Scoperte di Colombo vengono da lui con nomi troppo famosi , e che non variarono , apertamente indicate con queste precise parole = olirà assai per Ponente el dito Chrìsto- pliolo troib l'isola Spagnola Jamaiqua Cuba le isole dei Ca- iiibali LA Terra Paria over Mondo Novo ci molte alire wo/e = ni Amerigo Vespucci poi, non dice l'Abate Mo- relli , che si faccia nemmen parola in quel Portolano. Che Colombo, e non il Viìspucci, sia stato lo Scoprir tore del Continente del Nuovo Mondo, si conferma eziandio colla autorevolissima testimonianza di un Gen- tiluomo Mantovano , detto dal Ramusio grandissimo Filosofo e Matematico, il quale trovato erasi in Ispa- gna circa que' tempi , ed in Siviglia conversato avca col rinomato Navigator Veneziano Sebastiano Cabotto. Questi , in un erudito Ragionamento tenutosi in una Villa del celebre Fracastoro, nari-ò che Sebastiano Ca- botto summentovato gli disse , che Giovanni Cabotto suo Padre mori nel tempo medesimo , in cui giunse l'avviso, che Colombo avea Scoperia la Costa delle Indie ; e questo discorso fu udito dal Ramusio mede- Ramiuio Viaggi, gjjjjQ (.^g \\ riferisce. Se un uomo di mare come il ^oui. I. p. 374 , ' uo's." ^"^'^ ' Cabotto , Scopritore pur egli di nuove Terre, e che nell.' anno 149S avea congiuntamente col Padre otte- B,„„ ,0,. 3,, nuto dal Re di Inghilterra Arrigo VII. Lettere Patenti '' ^^' per tentare la grande impresa di trovar una via , la CAI». V. TESTIMONIANZE FAVOREVOLI A COLOMBO. ^^l quale per il Mare di Settentrione conducesse alle Indie Orientali, se un uomo cosi fatto, che de' più grandi eveniinenti delle Navigazioni de' suoi giorni esser dovea informatissimo , a Colombo, e non ad altri, attribuì- c_^bffio"Xiai'e sce la Scoperta della Costa delle Indie , e come un' rumcr'*fecc*^:'na , ■, II o ■ i t • • T • 1 Corle del Ke epoca memorabile nella otoi-ia de tempi suoi la ricorda, dingiiiiierra. ben dobbiamo dire , che di cosa si trattava indubitata e celebre, ed a tutti manifesta. Siccome poi esso Sebastiano Cabotto non tentò la sua impresa , se non se dopo la morte del' Padre, se- rirabos. sior. » .... , ^'^"^ Lei. Ilal. condo che mostra il Tiraboschi , ciò non può essere toui. vi, p. i. ^ pa^. 19.:) prima seguito prima dell' anno 1498, epoca inconcussa della"""'"'™' Scoperta di Paria , e perciò non regge ciò , che alcuni Credettero di poter avventurare , che Sebastiano Ca- botto, prima di Colombo, giunto sia a toccar la Terra- craberg. Annali ferma del Gran Continente Occidentale , e che perciò di sut^iica! possa il Cabotto venir considerato come il Primo Sco- Genova iSoz. pritore della parte Settentrionale del Nuovo Mondo. Cautamente pertanto I' eruditissimo Doge Marco Fos- carini , in cjufeUa paite dove celebra le imprese marit- time del Cabofto , si lisliinse a dire, clic = » datosi e tutta al navigare dietro le Scoperte del Colombo , passò f"''". Leiier. y> sua vita sul Mare , ora in servigio della Spagna , ora °°'^ '^*' 'V dell' Inghilterra » . Aggiungeremo ancora in favor di Colombo una te- stimonianza indiretta , da cui si fa palese , che la forza della verità è tale , che traspira eziandio , anzi, per così dire, scoppia da que' documenti , dai quali si pretende 432 MAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI desumere ragioni per oscurarla. I primi Editori delle Quattro Navigazioni del Vespucci , stampate in Lo- rena nel i5o7 , aveano pure sotto gli occhj quel Primo Viaggio in esse compreso , che si è 1' unico fon- damento di tutti coloro , che pretendono , che sia il Vespucci , prima di Colombo , giunto a toccar la Ter- raferma del Nuovo Mondo. Eppure nel Vespucci, non videro già essi lo Scopritor del Confinente a' servigj del Re di Spagna , ma bensì un Navigatore che approdò a quella parte dell' Emisfero Occidentale, detta poscia il Brasile , sotto gli auspicj del Re di Portogallo ; ed intanto solamente il credettero Scopritore del Nuovo Mondo neir anno i5oi, perchè ingannati da quel Ti- tolo , e perchè ignoravano , che Colombo fosse appro- dato neir anno 1498 alla Terra di Paria , e Pietro AI- vai-o Cabrai al Brasile nel i5oo, prima del Vespucci. Prova manifesta, che gli Editori Lorencsi credevano, clic tal gloria spettasse al Vespucci, in conseguenza del suo Viaggio al Brasile fatto a' servigj del Re di Por- togallo, lo sono i seguenti Versi tratti da una specie di Prefazione Poetica, che sta in fronte alla mentovata prima Edizione dei Quattro Viaggj del Vespucci , uscita in luce nel 1607 , in Lorena. Il Titolo di tale Prefa- zione , od Avviso Ritmico che vogliam dire, a' Lettori, è il seguente ( fol. D. ): Philesius Vogesigena Leclori. Dopo aver adunque ivi parlato quel Verseggiator piut- tosto , che Poeta , delle alti-e parti del Mondo in quel Jbreve suo Componimento , segue a dire così : GAP. V. TESTIMONIANZE FAVOREVOLI A COLOMBO. 433 » Dextrorsum immenso tellus jacet equore cincia , » Tellus cjuam recolit nuda Catena virum , » liane quem darà suum jactat Lusitania regem » Imenil missa per vada classe maris, » Sed quid plura i' situni gentis moresque repertce » Amebici pana mole Libellus habet. Dunque la supposta Scoperta di Amerigo è chiaro , che, in senso di quello Scrittore, è quella medesima che venne fatta sulla Flotta del Re di Portogallo , nò può esser altra che il Brasile ; rimane pertanto intatta a ColomJJO la gloria di avere tre anni avanti scoperto la Terra di Paria. Ecco come parlarono di Colombo e del Vespucci gli Scrittori di que' tempi ; ed ecco cjuanto saviamente abbia lasciato scritto il prefato cdebratis- simo Doge Foscarini , che , in coleste controversie di Foscar. Leii«. primati , il migliore spediente per cavarne la verità , si "«'^ »43- è quello di rimettersi alla fede di persone contempo^ ranee , ingenue , e che non avessero affetto alle parti. Tutto questo in vero , a giudicio di chi dirittamente ragiona , dee convincere , che non altri salvo Colombo fu il primo Scopritore della Terra di Paria , e per con- seguenza del Continente del Nuovo IMondo. Ma la pre- citata rarissima Lettera di Colombo, riprodotta ed illus- trata dal Signor Cav. Abate Morelli, presenta una prova di tale natura , che io stimo , che da ogni persona as-» sennata debba essere riguardata come incontrastabile ed affatto decisiva. Quella Lettera fu scritta da Colombo dalla Giamaica al Re , ed alla Regina di Spagna ncll' lii 434 -NAP, ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEI. VESPUCCI anno i5o3, dopo un disastrosissimo Viaggio, eh' Ei des- crive minutamente. Si Ingna in essa dei torti, e delle ingiustizie , che avea dovuto solfrire da' Ministri di que' Monarchi; e si lagna pure, che, mentre nei sette anni, che stette in Corte, a quanti si parlava di quella im- presa tutti dicevano , che erano sogni e favole , ed al- lora poi sino a Sarti e Calzolaj domandavano grazie a' que' Monarchi di discoprir Terre, Ora in questa Let- tera stessa quel grand' uomo dice così : = della Spa-~ gnola , della Paria , e delle altre Terre non me ne ar- Lettera rarissi- • j • L 1 ì • • 1 il- 7 ' ma di Colombo ricordo mai, che Le lacrime non mi cadano dagli occtij = ec. pag. 33. .| 1 , . . . ^ , 1 ti il che dimostra ad evidenza , che per una delle prin- cipali sue imprese teneva Egli la Scoperta di Paria. E chi può creder mai , che un uomo così fatto , in tali circostanze , e mettendo sotto gli occhj di que' Regnanti i servigj ed i meriti suoi, osasse vantare come una delle principali sue imprese la Scoperta di Paria , e per conseguenza la Scoperta del Continente del Nuovo Mondo , se non Egli sfesso , ma un altro , ed a servigj di quella Corona medesima , se Amerigo Vesi'UCCi ne fosse stato prima di Lui lo Scopritore ? CAPO VI. Della Cosmografia del Munstero , e della prima Kdizione in Lingua Italiana dell' Opera medesima. A fronte di tante testimonianze solenni , ed origi- nali Documenti , è chiaro , che nessun caso far si dee CAP. VI. DELLA COSMOGRAFIA DEL CONSTERÒ, 4^5 del Testu della Cosmografia del Munstero , il quale , nel compilar che fece nella Opera sua Latina pubbli- cata in Basilea nell' anno i55o la Relazione dei Quat- tro Viaggj del Vespucci , stampata prima in Lorena nel iSoy, poscia in Alsazia nel i5og , e da Simon Grineo nel i532, parlò con fondamenti insussistenti, e fallaci di relazioni volgari , al pari di altri antichi Geografi suoi Nazionali , quando vi aggiunse , quasi a modo di Proemio , che il Vespucci avea navigato nell' anno 1492 con Cristoforo Colombo , mandato dal He Ferdinando di Castigiia a cercare teire incognite, e che quindi , dopo alcuni anni = proprias inslituit na- yigaliones, duas sub dieta Rege Ferdinando ec. , che sono ^, ^^^j ^.^^^ le due Prime Navigazioni tra quelle comprese nella Re- coTinente ce! lazione stampata in Lorena. Uno Scrittore, che com-^' "'''''''^' *'*■ pendia un Libro stampato quaranta e più anni prima, ed un Libro venuto in luce , come abbiam veduto so- pra , in Contrada così lontana da quella , in cui facea dimora l'Autore, come era la Lorena dalla Spagna, non può essere riguardato come Scrittore originale in modo nessuno , ma bensì è nulla più che un semplice Compilatore. E di più, siccome, rispetto alle parfico- larità , che aggiunge alle Relazioni dei Vespucci prima di compendiarle , particolarità eoncernenti la persona stessa del Vespucci , non ci dice il Munstero da qual fonte le ricavasse , nel caso di cui si tratta , inesatto , se non altro , e trascurato Compilatore si dimostra. Che fosse Egli un Compilatore appare dal Titolo me- 456 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI desimo dell'Opera sua; e che poi fosse Compilatore, cui mancarono le notizie riguardanti la Storia della Del primo Sccp. scoperta del Nuovo Mondo, lo confessa Egli stesso , e del Conllnenle ec. j. HI, p. «, già se ne è ragionato abbastanza a luogo opportuno. Non nego , che nel Munstero , come in tutti i la- boriosi Compilatori , non si possano rinvenire notizie di qualche pregio. Lo Struvio medesimo, che il taccia a buona ragione di avei'e inserite nella sua Cosmo- grafia cose favolose , e senza essersene prima con oc- culata Critica accertato , concede , che alcuna volta tenne registro di particolarità sulla fede di Uomini ragguar- devolissimi , che di leggieri non si troveranno altrove *. Ma d' onde traesse quanto ci dice Egli sul particolar del Vespucci nella sua Cosmografia Latina , quali sieno le persone ragguardevoli, sulla fede, di cui lo narrò, noi disse il Munstero , ed inutile sarebbe il cercarlo , dopo che ci disse , che non avea potuto avere notizie di Spagna , nò aver 1' addito neppure alla persona dell' Imperator Carlo V, cui dedicò il voluminoso suo Libro, E quand' anche Carlo V , col solo accettarne la ^ Dedica ( che non si ha pi-ova nemmeno , che sia stata da lui gradita ) , avesse mostrato di approvar tutti i racconti, che contiene, cosa affatto assurda , tale acquie- * „ Scio quidem miUia inesse Imic operi fabulosa , miniisque accurate in- „ vestigata; annotavit tamen ex relatione praestantissimorum Hominum quan- „ doqiie singularia, qiiae alibi Iiaud teperias. Struvius Bibl. Ifist. pag. 761. GAP. VI. DELLA COSMOGRAFIA DEL MUNSTERO, 4^7 gcenza resterebbe esclusa da quanto ebbe poi a dire il MuNSTERO nella Cosmografia Italiana , dedicata allo stesso Carlo V , ed in Basilea alcuni anni dopo , cioè nel i558, stampata dallo stesso Stampatore, che pub- blicato avea la Cosmografia Latina. O Carlo V non lesse il Volume intero del Cosmografo Tedesco , come il buon senso persuade, ed allora non si può far caso della acquiescenza di lui a tutti i racconti in esso contenuti; o lo lesse , ed avendo il Cosmografo variato nel par- ticolar del Vespucci, quanto avea narrato nel!' Opera Latina , converrà dire , che venne al Munstero im- partito il raro onore di essei-e corretto da mano Im- periale. Ma lasciando stare queste insussistenti supposizioni , certa cosa è , che si richiede buon discernimento per poter far uso di uno Scrittor così fatto , come inter- viene rispetto a' Compilatori tutti, anche di maggior merito e grido del Munstero , ed agli Scrittori d' ogni maniera , che, lontani da' tempi e dalle Contrade, do- vettero descriver fatti sulle relazioni altrui. Non sola- mente r Enciclopedista Latino Plinio, ma lo stésso Principe degli antichi Geografi Strabone vogliono esser letti e studiati con grandi avvertenze , distinguendo accuratamente i fonti sinceri, onde trassero le notizie loro, dai corrotti. Ai fonti e il dottissimo Grozio , e tutti i Critici più riputati consigliano di ricorrere. Con questa avvertenza i dotti Geografi moderni, gli Anti- quari , S^^ eruditi Filologi, gli Scrittori di Belle Artii 438 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI quante utili verità non ricavano da Plinio ? Sebbene i medesimi , e tanto più e Fisiologi , e Scrittori di Storia Naturale vadano assai guardinghi uell' aduttai-e tutto quello, che narra Plinio sulla fede di Autori Greci, che amavan meglio dir cose meravigliose , che vere, dove Plinio è semplice Compilatore , e dove racconta senza aver Egli stesso verificato le cose ', e talvolta senza badar alle contraddizioni. Credere tutto quello, che ci racconta Plinio , come negar fede a tutto sono due troppo manifesti errori. Lo stesso dicasi a più forte motivo del Cosmografo l'edesco Munstero. La sana Critica insegna a distinguere e separar il vero dal falso negli Scrittoio tutti , e specialmente ne' Compilatori. Ma la Critica , che sostiene come vero ciò che piace , e rigetta come falso ed apocrifo , senza addurne prova nessuna , tutto quello , che non si accorda colle propiie opinioni, non sarà mai la Critica abbracciala e seguita da chi conosce in che consista tal Arte , e spassiona- tamente , e con buona fede va in traccia del vero. Con questi principi esaminiamo adunque ciò, chenarra il Munstero di Amerigo Vespucci nella breve Prefa- zione , a dir così , da Lui premessa alla Compilazione ♦ Una prova di questo 1' abbiamo in ciò che Plinio raccolse parlando del Linearlo, come si può vedere nello Scritto congiuntamente da mio Fratello, e da me dentato , e £atto stampare in Roma dal fu Cardinale Stefano Borgia , il cui nome presso i Coltivatori tutti delle Lettere sarà sempre in venerazione — Memoria sul Liiicurco del Cavaliere Carlo Antonio JSapione Maggiore d' ar- tiglierìa , ec. Roma, Fulgonì, 179S in 4-' CAP. VI. DELLA COSMOGRAFIA DEL MDNSTERO. 4^9 delle Navigazioni del Vespucci , pubblicate la prima volta in Lorena nel i5o7. In primo luogo, questa Ag- giunta del MoNSTERO, tanto nella Cosmografia Latina , come nella Italiana , non è corroborata da testimonianza veruna , come si è detto sopra , onde per lo meno dee cadere nella categoria di quelle particolarità , che lo Struvio dice da Lui rninus accurate investigata. In se- condo luogo si dovrebbe piuttosto preferire ciò , che dice il MuNSTERO medesimo nella Cosmografia Italiana, come quello, che in pnrte concorda coi Documenti e cogli Storici tutti più autorevoli, per quella parte però soltanto , in cui con essi concorda ; dacché , anche in questa sua Aggiunta fatta alla Cosmografia Italiana, in- serì sbaglj manifesti , come ( prescindendo da quello v. Dei prim. infallibilmente di stampa ) è un nuovo errore del MuN-Cuminenteec.j. STERO, che Colombo navigasse nel 1497 al Nuovo Mon- do , e che il Vespccci navigasse in quel!' anno con Lui. Concorda per altro , o per meglio dire , non si op- pone più il MuNSTERO nella Cosmografia Italiana sostan- zialmente alla veritii del fatto , non dicendo più che Amerigo navigasse come Condottier dell'impresa, ma scrivendo , in vece di = pioprias insli/uit navi gai ìones del Testo Latino , nella Cosmografia Italiana semplice- mente = navigò quattro volte a quelle bande =,• ed inoltre nominando i Viaggj fa^ti a' servigj del Re dì Portogallo, prima di ([uelli fatti per la Spagna: poiché soggiunge = due sotto Emanuele Re di Fortogallo , e due sotto Ferdinando Re di Castiglia =:^ dovechè nella 44o KAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI Cosmogralia Latina avea scritto con ordine inverso = duas sub dicio Rege Ferdinando , et duas sub Ema- nuele Rege Porlugalliae. E chiaro pertanto, che se, secondo il Miinstero , le prime Navigazioni del Ves- Pt'cci furono a' servigj della Corona di Portogallo , se non fu Condottiere in capo di spedizion marittima, e se navigò (secondo il Munstero ) la prima volta nel 1 4g7 con Colombo , non possono mai allegar io favor loro il MuNSTERO coloro , che sostengono avere il Ves- puccx nell' anno 1497 , cóme Gondottier dell' impresa , scoperto il primo, il Continente del Nuovo Mondo sotto gli auspicj del Re di Spagna. Quello che è certo poi , ed indubitato si è , che quanto narrarsi in quella, a dir così, Prefazione che fa il MuNSTERO alla compilazione dei Viaggj del Vespucci nella Cosmografia Italiana , si dee tenere per il vero sentimento di Lui , ovvero di coloro che, dopo la di lui morte, procurarono nel i558 in Basilea 1' edizione Ita- liana della sua Cosmografia. Che sia mancato di vita il Munstero nell'anno i552 in Basilea, tuttoché altra volta ne dubitassi per mancanza di sicuro riscontro , non vi può esser dubbio veruno. Ne fa piena fede il Compendio, che allora non mi era noto, della Stoi'ia di quella Città , pubblicato , non molti anni dopo la E Home Hi, ™oi"te dcl MuNSTERO, da Cristiano Urstisio, che in esso «^orfcw,v!ó Compendio ne inserì l'Epitafio. Come adunque può Umilio, p. 103, • r .. • • > • i i ■) /^ ■ Basilea' per Se- essersi latta una variazione cosi importante; Ugni per- feiti 1577. 'sona, che abbia fior di senno nou potrà mai dai'si a GAP. VI. DELLA COSMOGKAFIA DEL MUNSTERO. i\l\l credere , che siasi varialo un passo cotanto essenziale della sua Cosniogratìa , in una Città, che tanto si pre- giava del MuwsTERO, in tempo così prossimo, dal suo Stampatore medesimo , per semplice smemorataggine di i^?' ""'"icon- persuna inesperta, che temerariamente abbia corrotto ""'"jj^'jj"' il Testo di Lui. Non si può adunque rendei'e ragione di questo rilevante caugiameuto , fuorché con dire, che, o si ritrovò tale conezione fatta di mano del Mun- 6TERO da le sue Carte, ovvero, che i suoi discepoli e parziali credettero di doverla fare. Nel qual secondo caso è da notarsi , che mai non avrebbono posto mano lo Stampatore e gli Editoii in cosa di un uomo tenuto da essi in concetto sì grande , se non fossero stati pie- namente persuasi, che in nessun modo reggeva quanto si era da Lui erroneamente in quelle poche linee av- venturalo. Né servirebbe il dire, tale non poter essere il senti- mento del Cosmografo Tedesco , perchè i Viaggj del Vespucci , di cui è inserita la compilazione tanto nella Cosmografia Latina , come nella Italiana , dopo quel Preliminare del Munstero , non s' accordano con esso Preliminare nel modo che è concepito , e che si legge nella Cosmografia Italiana, enumerando al bisogno tutte le contraddizioni, che ne verrebbono. Oltreché questo si è il caso de' laboriosi e voluminosi compilatori, il cadere in contraddizioni ( e vi cadde pure talvolta lo stesso dotto, ed ingegnoso Enciclopedista Latino Plinio) ; oltre a questo , io dico , distinguer conviene ciò , che Khk 442 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPU CCI dice il MuNSTERO , come asserito da lui medesimo , da quello , che riferisce soltanto , come narrato dal Ves- PUCCI. Raccogliendosi da lui le relazioni moltiplici , e popolari, che andavano attorno del grande evenimento della Scoperta del Nuovo Mondo , e leggendo i libri che ne ragionavano , senza però aver potuto mai attin- gere ai veri fonti , alle memorie originali , ed avendo inteso parlarsene, e scriversene, diversamente da quello che egli ne avea scritto da prima , si scrisse perciò da lui , o da chi diresse la stampa Italiana, ciò che si cre- dette più fondato e conforme al vero , ritrattando sos- tanzialmente nella Cosmografia Italiana, ciò che si era detto nella Latina , senza però che si sia pigliata la precauzione di allegare la testimonianza dello Scrittore, o della persona, sulla fede di cui si asserisce ciò, che si credeva più accertato , e senza pigliarsi pensiero , che ciò, che si asseriva dal Munstero come Autore , fosse d' accordo con quanto riferiva come Compilatore del Vespucci. Ma , se non si presero le sopraccennate precauzioni , si ebbe però quella di separare totalmente ciò, che in- tende di narrare l' Autore in persona sua , da quanto riferisce come narrato dal Vespucci , dando cosi mani- festamente a divedere , che Egli entrar non volea per mallevadore di quanto si raccontava dal Vespucci. In fatti il Munstero nella Cosmografìa Italiana , né più né meno che nella Latina, e nello slesso senso, dopo aver detto quanto pensava Egli stesso intorno alla per- GAP. VI. DELLA COSMOGRAFIA DEL MUNSTERO. ^/,^ sona ed alle spedizioni del Vespucci , aggiunge = del/e quali ( navigazioni ) egli s/esso ( cioè Amerigo Ves- pucci ) scrhe in tal modo. E qui appresso si tiascri- vono piuttosto, di quello che si prendano a compilare, le Quattro Navigazioni, già più di una volta avanti al Mi'NSTERO , dopo la prima edizion Lorenese , venute in luce. Un Compilatore, che riferisce due Relazioni diverse di un medesimo fatto, narrate peraltro da due diverse e distinte persone , non è tenuto a render confo delle contraddizioni, che incontrar si possano, confrontando 1' una coli' alti-a. E ad ogni modo il sen- timento del MuNSTERO si dee ricavar da ciò eh' egli stesso dice di Amerigo Vespucci , e non da quello , che riferisce come detto dal Vespucci. Del rimanente a chi opponesse , che da taluno , co- me dal Werdenhaghen , siasi seguita la Cosmografia j^R^{^!"'f^'f, Latina del Munstero, a preferenza dell' Italiana , troppo """'^fU ''' facile si è il rispondere, che, per poter dire che questi preferisce il Testo Latino all' Italiano di quell' Ojiera , converrebbe dimostrare prima , che conoscesse l' Ita- liana Cosmografia , come conosceva la Latina ; e questa risposta è tanto più stringente, criiando 1 Autore , che ebbe ad allegar il Munstero sia stato un Tedesco, od altro Oltramontano , che ignorasse la Lingua nostra , massimamente che si tratta di un Libro , che non si può dir comune , essendo , in Italia eziandio , men nota la Cosmografia Italiana del Munstero, di quello che sia la Latina. Senzadio 1' avere un determinato Autore se- 444 ^^^- ESAME BEL PRTOO VIACGIO DEL VESPUCCI giiila piuttosto una edizione, che non un'altra, non prova , né che sia meno autorevole 1' una che 1' altra , né che vero sia piuttosto quello, che vicn ripetuto , che quello che non ha stimato di ripetere. Per poter rico- noscere il vero, converrebbe entrare nella disamina del merito dello Scrittor posteriore , e vedere se a buona l'agione , ovvero a torto abbia preferita 1' una all' altra edizione , il che non sarebbe altro , se non se molti- plicar inutilmente le quistioni , bastando lo esaminare in se quale delle due edizioni meriti maggiore credenza. Ma che sarebbe poi, se, per quanto si appartiene alla Cosmografia Italiana del Munstep.o , si dimostrasse ad evidenza , che ciò che si dice in quell' Aggiunta , o Proemio alle Quattro Navigazioni del VESPUCcr , lispetto all' aver egli navigato prima sotto gli anspicj del Re di Portogallo , quindi a' servigj della Corona di Spagna, fosse in tutto e per tutto d' accordo con quanto asse- risce uno Scrittor Fiorentino , contemporaneo del Ves- PUGOt medesimo , che scrivea in Roma , ed era impe- gnatissimo a pi-omulgarne , ed a magnificarne le glorie ? Nulla più certo di questo. Il luogo già lo ha riferito Del pvimo sco- il Bandini ; lo non ho mancato pure di farne uso , e iirittrc (k-l Con- ^ ■ i i • i liDeniiec.}. XV, suppongo, chc saru stato avvertito da chi non ha a male, png. Ilio, e 101, «Ola IO. che si segnino con qualche distinzione i passi più rile- vanti e decisivi. Si è questo il luogo di Francesco Al- BERTiNi , che sta in fine del Libro UT dell' Opuscolo, De mirabilibus No^-ae et veteris Urbis Romae, stampato in Roma nell' anno x5io. Giova il ripeterlo qui per CAP. VI. DELIA COSMOGRAFIA DEL MUNSTERO. f^l^'^o intero , per farvi quindi intorno alcune brevi osserva- zioni = " In Noi-o Mitndo Albericus Vespuhius (&\c) „ Florentinus missus a tìdelissimo Erge Por/ugalliae , ,, POSTREMO VERO A GaTHOLICO HlSPANIARUM ReGE , ,, /ì/'imus adimenil novas Insulas et loca incognita , ,, ut in cjus Libello graphice aJparet, in quo describit „ sydera , et novas Insulas , ut et adparet ex Epistola „ ejus de Nov^o Mundo ad Laurenliuni Medicein ju- ,, niorem. Ecco adunque, che abbiamo uno Scrittor Fiorentino, informatissimo , contemporaneo e parziale del Vespucci, che concorda pienamente colla Cosmografia Italiana del MuNSTERO nel dire, che il Vespucci navigò prima sotto gli auspicj del Re di Portogallo , poscia sotto quelli del Re di Spagna. Diversamente poi non intese questo luogo il Bandini precitalo , dicendo , che, secondo i' Al- BERTiNi , il Vespucci era stato prima a' servigj del Re di Portogallo , ed indi di quello di Spagna. Vero è , che soginuna;e esso Bandini, che forse 1' Albertini ieno- , B^n"!!"'- yi'» t'f O ' p> ,1,.] Vespucci p. rava , che il Vespucci stato fosse al servigio del Re di '-''"• Spagna prima di tutti Ma, se ignorava 1' Albertim in Roma neir anno i5io , che il Vespucci stato era al servigio del Re di Spagna , prima che passasse a quello del Re di Portogallo, è forza dire, che, ostato non vi fosse veramente , o , se stato vi era , che le Scoperte ed i Viaggi ^''^ Liui fatti , ( come sarcbbono quelle del Viaggio coir Ojeda ), non fosseio tali da venir poste al confronto col Viaggio al Brasile : che del rimanente 2j46 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEI. VESPUCCI r Albertini, impegnatissimo coni' era a celebrar il nome del Fiorentino Navigatore , non le avrebbe pas- sate sotto silenzio. Di Viaggio fatto dal Vespucci al di là della Linea Equinoziale, sotto gli auspicj ed agli sti- Cnp. I. in fine, pcnd) dc' Portoghesi , parla soltanto Pietro Martire vrpag%i6. d' Anghiera , come abbiam veduto più sopra; e, quello che ò più, gli stessi primi Editori Lorenesi delle Quattro Navigazioni , come si è pur mostrato , tengono , che il Viaggio, per cui celebre il nome di Amerigo Vespucci divenne , sia quello da Lui descritto come l'atto sulla » V. r Annoia Flotta dcl Re di Portogallo. * zione in fine. ° Nò la spedizione, di cui parla 1' Albertino, altra può essere, salvo quella alla Contrada , che venne poi detta il Brasile , come manifestamente lo dà a divedere il dirsi , che vi fu mandato dal Re di Por togallo ; e il dirsi, che ne appariva dal Libretto, in cui descrive le v Leit. deive. Steli(!, clic sì è appuuto la Relazione diretta a Lorenzo De-Medici il Giovane. E la Lettera poi accennata dal Vespucci medesimo in principio di essa Relazione , Ledete del vo- dove dicc = oì giomì passotì pienamente diedi awiso Nella' Kaccoio fl//a >S. V. del mio ritorno , e , se ben mi ricordo , le a Vicenza ilei ■ j- • ; j i\T tvt i5o7, leggesiz: raccontoi di tutte queste parti dei Mondo ìnuovo ec. , « ji U passali ^ . . « . 1 A giorni assai am- %{ è quclla , dì cuì pur fa menzione r Albertini, sepa- plamctitt; te scris- '• '''^ '^'""' " ratamente dalla più ampia Relazione, o sia Libretto , in tornata de ijiielU *■ * """ f""' "• cui descrive le Costellazioni , dicendo : ut et adparet ex Epistola ejus de Novo Mundo ad Laurentium Medicem Juniorem. Finalmente lo asserirsi dall' Albertini, che il Vespucci = primus adinvenit novas Insulas , et loca in- CAP. VI. DELLA COSMOGRAFIA DEL MUNSTERO, 447 cognita, dimostra , che il dotto Navigator Fiorentino nel suo Viaggio al Brasile percorse ampiamente la Costa, che in un punto , a dir così , avea toccata il Cabrai. E quando si volesse , che I' Albertini abbia inteso dire, che dal Vespucci prima di tutti sia slata fatta la Sco- perta del Brasile , ignorando quella del Cabrai ( di cui in vero esso Vespucci né punto nò poco non parla ) , non vi ha dubbio , che riflette questa il Viaggio del i5oi, al di là dell'Equatore, posteriore, e diverso af- fatto da quello di Cristoforo Colombo alia Terra di Paria nel 1498. di cui non può mai aver inteso di parhire 1' Albertini. Il fatto sta pei'ò , che le stesse parole dell' Alber- tini , in cui dice, che fu mandato il Vespucci al Nuovo Mondo , indicano abbastanza chiaramente , che già nota era la Regione, che così chiamavasi, ©che in essa con- tinuò a fare il Vespucci , come destro Piloto, e perito Cosmografo ed Astronomo , nuove ulteriori Scoperte. E che ne sia il vero non si manda una persona in un luogo , che non si sappia , che esista ; ed è cosa così certa, che il primo, il quale, sebben casualmente, ma tuttavolta il primo, scoprì quella Contrada, che primie- ramente Terra di Santa Croce, poscia Nuovo Mondo, quindi Brasile venne detta , si è il Cabrai , che non occorre intorno a tal punto far lungo ragionamento, dopo le testimonianze altrove recate. Aggiungeremo p,J?oIedeTo,°r anto, per più pieno appagamento, ciò, che uè scrive p. gg. l'antico Storico Portoghese, che di proposito dettò la 4-j8 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI Storia delle Scoperte fatte da quella iu mare merifa- inente celebratissima Nazione , voglio dire Fernando Hi.;ior;a iW di- Loocz dì Casta^ncda. Pietro Alvaro Cabrai, personaggio scuhrimenlo y / " ' l to con en Roiiuinceo HO sotto 1 SUOI comandi , tra quali vi e quello di Bar- sifllaiiu ■• En An- Ttrs ,!>!ì; cap. tolommeo Diaz famoso per imprese di mare. Levò XXVIII, fol Si , 1 ^ ^J,- gS^^P ^"j'^",; r ancora la flotta del Cabrai agli otto di Mnrzo dell' ^^' anno iS'oo. Ai venliqualtro di Api ile si vide (erra, e se ne fece gran festa in tutta la flotta: perciocché bea si avvidero i Piloti, che cjuesta Terra era diversa da quella , che era sfata scoperta da Vasco di Gama. In seguito a burrasca surse il Cabrai ad un Porto , che denominò Porto Seguro ; e quella Teiia , chiamata poscia Brasile, fu chiamata da prima , dice il medesimo Storico, l'erra di Santa Croce , per avervi fatto innal- zare esso Cabrai un' alta Croce di Pietra. 11 Capitan Generale vi si fermò soli otto giorni. Spedi di là una caiavella al Re suo Signore per dargli parte della Scoperta fatta, e proseguì quindi il suo Viaggio verso Calicut. Potrebbe peravventura taluno muover qualche dub- bio circa alle epoche, ed alle ciscostanze di questo eve- nimento, attesoché il Castagneda , come pure Giovanni Barros , scrissero soltanto verso la metà del i5oo. Di fatto , il Castagneda dice apertamente , che era egli il GAP. VI. DELLA COSMOGRAFIA DEL MUKSTERO. 449 primo Portoghese , che in quella Lingua avesse risusci- tate le prodezze de' Portoghesi uelie Indie , che erano morte da cinquant' anni. Di questa dilazione parecchj motivi ne adduce il dottissimo Doge Foscarini , ma p^^^g, Léiierat. soggiunge poscia, che, o fosse 1. affetto grandissimo, *""• p- ^'9- che si portava in Venezia agli Studj marinareschi , ov- vero , che gli uomini sieno stimolati maggiormente dal timore del piopiio danno , che dal senso delle cose prospere , certo è , che i Veneziani di mano in mano ebbero puntuale notizia degli avvenimenti di quelle grandi Scoperte , e che la cura , che usarono essi sul latto, giovò a preservar la memoria di gran parte di essi. Nel mentre pertanto , che l' elegante Veneto Am- basciatore Andrea Navagero, ancora nell'anno i525 , naooermopbra " OMNIA. Lellereal scrivea di Toledo a Gio. Battista Ramusio , che delle f =""7" - ^;.'- ' lera li, pag. 163. cose delle Indie colà nulla trovavasi di stampato, seb- bene moltissime notizie mandato gli avrebbe , avendo il modo d' intendere il tutto per via di Pietro Martire suo amicissimo , e del Presidente del Consiglio delle Indie; d' alti'o lato risulta dai Diarj MSS.'' di Girola- mo Priuli , recati dal sopraccennato Foscarini , che , '■'°'''="" ^""• r ' ral. Venez. pag. già qualche tempo avanti al i5o6, correvano per le ^^^^ """' ^"s- stampe in Venezia le Relazioni de' nuovi Viaggj delle Indie, come ne abbiamo una prova nel Libro Quarto della prima Collezione di Viaggj stampata in Vicenza nell'anno iSoy, il quale non è altro, se non se una ristampa del Libretto di tutta la Navigazione del Re di Spagna, pubblicato in Venezia sin dall anno i5o4. 45o NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI inprodotto in essa Raccolta Vicentina , secondo che ven- ne opportunamente avvertito dal Signor Cavaliere Abate Morelli anno- TX/Tz-iRpT j • mi. alla Lellera iVlORELLI. ^1 Colombo p. ^^ appunto in questa Raccolta di Vicenza dell'anno 1607 abbiamo , in un colla versione di altri Viaggj in Lingua Italiana mista di Dialetto Veneziano , eziandio quella della Scoperta fatta da Pietro Alvarez Cabrai , per opera di Angelo Trivigiano , di cui si è toccato altrove , che a que' tempi ritrovavasi in Ispagna , come Foscar. LcUe raccolsc il Prcfato Doge Foscarini dalle Lettere mede- rat. Veniri. pag. '-' **?• sime di quell' antico Veneziano , con una delle quali mandò il Viaggio del Cabrai , unitamente ai Viaggj di Vasco di Gama , al Patrizio Domenico Malipiero , bra- moso di sapere con distinzione 1' avanzamento di qua' Commerci , per potersi valere di sì fatte notizie negli Annali che stendeva. Posto quanto sopra , rispetto a coloro , cui qualche dubbio rimanesse intorno alla Scoperta del Cabrai , perchè vien riferita, quasi mezzo Secolo dopo, da soli Scrittori Portoghesi , bastar dee , per restar pienamente convinti della verità di essa , il riflettere , che trovasi descritta in detta Raccolta Vicentina , di tanto anteriore a questi, dove viene riferito il medesimo successo, e ne' medesimi termini dal mentovato Angiolo Trivigiano, o per meglio dire dall' Autore della Relazione originale tradotta , e confermata dal Trivigiano. Che ne sia il vero, nel Libro Secondo della Raccolta Vicentina , al Capo LXIII e seguenti , leggesi come nell' anno i5oo 1 CAP. VI, DELLA COSMOGRAFIA DEL MCNSTERO. 4^1 il Re Emanuele di Portogallo mandò un' Armata di do- dici Navi, di cui era Capitan Generale il Cabrai, ivi detto Fedro Aliarez Cabrile , con ordine di fnr vela verso Calicut. Narrasi come agli otto del mese di Marzo era in punto essa Armata , ed ai nove partì. Si prosieguo quindi a dii-e , che ai 24 di Aprile l' Armata ebbe vista di una Terra , di che si fece gran festa : che in questa Terra si fermò il Capitano pochi giorni , ma che determinò di far sapere al Re di Portogallo suo Signore la Scoperta fatta , onde spedi un Naviglio , che portava Lettere a quel Monarca, in cui si coute- nea quanto Egli avea visto e scoperto. Quindi , prima di proseguir il suo Viaggio verso le Indie Oiientali , mandò il Cabrai , che si facesse una Croce molto gran- de, ed ordinò , che fosse piantata sulla spiaggia del Mare. Da questa narrazione di Scrittore contemporaneo, così specifica e ben circostanziata , confermata dal Tri- vigiano altro Scrittor coevo ed informatissimo , che la spedì a Venezia , narrazione in tutto conforme a quella del Castagneda , e degli altri Storici Portoghesi , viea posto fuori controversia , che il primo Scopritore della vasta Contrada , detta da prima Terra di Santa Croce, e poscia Brasile , si è il Portoghese Pietro Alvaro Cabrai , che vi giunse un anno prima , che colà approdasse la Flotta sopra cui navigò Amerigo Vespbcci; il che non toglie però, che, per più lungo tratto assai, si percor- ressero da essa Fiotta le Coste, e si ampliassero molto XXVI e. in. 452 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI le Scoperte , scientificamente poscia descritte dal Navi- gator Fiorentino , massimamente , che non potea il Cabrai aver estese ampiamente le sue Scoperte , essen- dosi fermato soli pochi giorni in quella Contrada. Da tutto il sin qui detto si vede oguivolta più con quanta esattezza , precisione , e verità siasi spiegato lo Storico Latino riputatissimo delle Indie Gian Pietro ff/.^iiS' ladk! Maffei : = « est auteni Brasilia No^i orbis Pars , c/uam , » palilo post Capralis accessum , Americus Vespuccius lombo'^ pag'. 170. » Flore/iti/ìus , ejusdem Emanuelis auspiciis accuratiiis » exploraAt. = Nò diversamente dal Maffei ne parla il Mariana Storico Spagnuolo di grido , dove dice, che Mariana Lib. Amei-igo Vese'UCci , sotto gli auspicj dcl Rc di Porto- gallo Emanuele: = « Bresiliain unii-ersam exploravit, » tametsi Brcsilii laudem Hist orici Lusitani ad Petruni !> ALarum Capraltm ablegant. = Questa gloria nessu- no , e tanto meno chi ama , ed è parziale dell' inclita Naziou Fioreutina , potrà mai contrastarla al Vespucci ; e di qucsla sua scientifica non meno , che animosa impresa intesero parlare e ì'Albertini, e tutti que' Concittadini suoi, che come chiaro ed illusti-e fecero risonar per ogni dove in que principj il suo nome , non mai contrapponendolo però veruno di essi a quello di Colombo, né mai pretendendo, ch'Egli slato fosse lo Scopili or primiero della Teira di Paria , e perciò il primo che approdasse al Continente del Nuovo Mondo. Cosa degna di particolar considerazione peraltro si è , che, essendo , come è, incontrastabile , che il Cabrai fu CAP. VI. DELLA COSMOGRAFIA DEL MUNSTERO. 4^^ al Brasile pi-ima del Vespucci, il Vespucci ciò non os- tante , nella Relazion sua a Lorenzo De-Medici , non abbia detto parola del Cabrai , qualunque la ragion ne fosse , serbando profondo silenzio intorno a si fatta Sco- perta anteriore al Viaggio da Lui fatto ; onde non si dee far meraviglia nessuna , se tacque pure che Co- lom))o fosse giunto un' anno prima di Lui a scoprir la Terra di Paria. Né lascieremo poi di avvertire , in comprovazione dì quanto si è detto altrove, che il nome di Brasile già, PairU di co- ^ ° lombo Lellere noto, e con cui venne da iniaia indicata una delle*""' ^'"p, ''/' I Nuovo Mcndo principali delle Isole Azori avanti alla Scoperta della ^"L^i.'/'fp," Hegione ora cosi denominata, era poi stato trasferito' ^' a iudicare un porto dell' Isola Spagnuola , come impa- riamo della Lettera di Colombo scritta ai Monarchi di Spagna dalla Giamaica , e riprodotta dal Signor Cav. Abate Morelli, dove dice quel grand' uomo = Io mi tenera rads- ^ ^ sima ùi Colom- parlii di sopra il porlo del Brusii nominato nella Spa- '"' "■ p^s »»• griola. =■■ Anche f Errerà fa menzione di questo ucrrera Dee. porto deir Isola Spagnuola, dicendo dell' Ojeda, e del xi p.ng. 148 149! . _ Siorie di l5. \ ESPUGCi , che navjoarono all' Isola Spagnuola, ed ap- f.x.i Cui..mbo prodarono al Porto di Yaquimo, che l'Ammiraglio Co- lombo chiamava del Brasile , nel che concorda piena- mente r Errerà, e colla Lettera dello stesso Cristoforo Colombo , e con cjuanto narra Ferdinando di Lui Figlio. Del resto, il nome di Brasile è così antico , che il Ce- lebre Chimico Bergman trovò rammentarsi = Grana de Brasile — Braxilis sin prima dell' anno 1200 , onde 454 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI ne inferisce a buona ragione , che altronde quella der- rata abbia preso il suo nome , che dalla Regione del Brasile allora affatto sconosciuta. Ma ritornando da questa forse non inutile disgressione al MuNSTERO , non è necessario allo stringer de' conti il travagliarsi tanto , per metterlo d' accordo colla Storia di que' successi , o per meglio dire, per mostrare, che la Cosmografia sua Italiana non si oppone ai Mo- numenti incontrastabili, che danno la gloria a Colombo di essere stato Egli il Primo Scopritore del Continente del Nuovo Mondo. Di troppo grnn peso in vero non sarebbe , qualuncjue cosa avesse detto in contiaiio quel Compilatore Tedesco, lontano, come già si è detto, dalla Spagna , piivo delle Memorie Oiiginali necessarie per iscrivere la Storia dello Scoprimento del Nuovo Mondo, e di que' grandiosi evenimenti , e che ne toccò di volo , servendosi de' Libii stampati , che gli venivano alle mani , e di quanto la fama fallace avea portato insino in Germania, e ciò a modo di Geografo soltanto, e non già di chi si faccia a scrivere di proposito la Storia. CAPO VII. Dello Storico Spagnuolo Antonio E BRERA , e Conchiusione. Ben divei'so per ogni rispetto dal Cosmografo Se- bastiano MujJSTERO , si è lo Storico Spagnuolo Antonio CAP. VII. DELLO STORICO SPAGNUOLO ERRERÀ. 4^^ Errerà, che , munito di tutti i presidi necessari , di tutte Hen-era hìsio- ' ' ria Cenerai de le Relazioni e Memorie Orieinali , prese a dettare in '"' H"!»;» . «le Ispagna ex prof esso la Storia, com' Egli la intitolò, delle ;^"J^^'^/^'^'j/, Imprese de' Castigliani nelle Isole e Terraferma dell' Madriruoi. Oceano. Prima però di esporre quanto 1' Errerà ci narra di Colombo, e del Vespucci , ris^^etlo al punto di cui si tratta , reputo necessario il toglier via la pre- venzione di certuni , che come avverso il riguardano all' Illustre Fiorentino Navigatore. Certamente questa supjjosta avversione dell' Errerà al Vespucci , vissuto un intero Secolo prima di quello Storico , non può aver avuto origine da odio nesssuno personale contro di Lui ; e per dillo avverso converrebbe mostrare qual- che ragione di tale avversione. Che se si dovesse dire nimico chiunque naii-a cose contrarie alla gloria , od anche alle pretensioni di alcun Personaggio vissuto ne' Secoli passati , ^i potrebbe , ogni qual volta ci cade in acconcio , negar fede a chiunque narri di alcuno azioni meno lodevoli , tuttoché accertate e pubbliche , ed alla più esatta verità pienamente conformi. Per riguardar come avverso, e per conscguente sospetto uno Storico, è necessario trovare ( prescindendo dal futlo narrato ) un particolar motivo, ed estrinseco al fatto narrato , per cui quel determinalo Storico, di cui si tratta , riputar si debba come nemico della memoria di quel trapas- sato, di cui gli accade di ragionare. Ma c]uesti motivi di avversione dell' Errerà contro il Vespucci non sono mai stali prodotti, e lo allegarli in genere senza prova, ognun sa, che non fa forza veruna. 456 NAP. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI Avea letto T Errerà , esatto e laboriosissimo Storico, ciò , che alcuni Ge-ografi stranieri male informati , e per avventura il Munstero eziandio nella Cosmografia Latina , aveano scritto del Vespucci, e delle sue Sco- perte. Non potea non aver Egli letto quel Primo Viaggio di Lui, interpolato per lo meno, e guasto nella B da- zione delle Quattro Navigazioni pubblicata in Lorena , quindi nella Raccolta del Grineo. Udiva chiamarsi da più d' uno America a' tempi suoi la parte Meiidionale del vasto Emisfero , che Egli con tutti gli Spagnuoli chiamavano Indie Occidentali; ed avendo Egli altronde, molto diversamente dal Munstero , che non potò veder nulla ( come agevole non era, che veder potesse a qua' tempi un Religioso Apostata Luterano in Ispagna ) potuto aver libero 1' accesso agli Archivj , che conte- nevano i materiali più autentici per dettar la sua Sto)ia, avea avuto modo di convincersi quanto incontrastabile fosse il diritto di Colombo alla gloria della Scoperta di Paria , e per conseguente della Terraferma del Nuovo Mondo. Senti perciò , non per odio contro il Vespucci, ma per amor del vero , destarsi quella nobile inde- gnazione , che nasce in cuore d' ogni persona d' animo ben formato dal vedere , che si tentasse di rapire un diritto si giusto , e sì meritamente acquistato con ar- tifici ' ^^^^ suppose proprj di Amerigo Vesplcci, e che avea fondato motivo di creder tali. Per render colpevole il Vespucci di aver tentato di rapire a Colombo la gloria della Scoperta della Ter- CAr. VII DELLO STORICO SPAGNUOLO ERRERÀ. ^S'] raferma basteieljbe il piovare , che hi data della par- tenza piT il suo Primo ^'iaggio sia stala enellivamente sci^nata da Lui all' anno làQn , e quella dell' arrivo nell' " Ncijuiiia. ei ° _ l'J I i „ lenjcriiaii- fere anno i4ti8 : perciocché, se avesse EhIì avuto diritto a -'".^"^''VM"'^' quella Scoperta, vale a dire se giunto fosse a toccar ;; {f|."^'^,''"''^^ la Terraferma prima di Colombo , potea e dovea asse- ", coSn^/') rirlo schiettamente, e non ingegnarsi di farlo conget- " patne" aXm- .« . • T 11 1 , .. Pl3. cene ila- turare artiliciosamente per via di nude date, che sole» tia recidila ■^ . . ' „ fuil. .. Cosi non bastano , anzi lo couvincerebbono di falsità a fronte '";'.'" •' ^i^"- sello. — Slruf. di tanti altri contrarj Documenti autorevolissimi , ed f}''/- ^'J;,^j- incontrastabili. Postesi fatte epoche , come scritte real-'^"»^^^"-^''""" niente dal Vesi^ucci , il celebre ot ulatissimo Tirabo- Tirabos. sio. scHi , non diversamente dall Urrera , ebbe a dire del nai- Tom. n cdiz. i.ma pag, Vespucci , che , sebbene bramasse di liberarlo dalla '*»• cotanto odiosa taccia d' impostore , confessar dovea , che in quel Primo Viaggio incontrava non leggieri dif- ficoltà. Per salvare pertanto f onore del Vespucci in prl^o^riiTrcon- questa parte, non vi ha spediente migliore , che dimos- pag."63r ' tiare , come ho detto altrove , e come mi sono nuo- vamente studiato di fare in questo Esame Critico , che sono seguiti errori di date sostanzialissimi nelle varie Copie manoscritte, e stampate, e Traduzioni, e Compendj delle Relazioni che portano il nome di Lui. Quand' anche poi dir si volesse ( cosa, che dir non si può , se autentiche fossero le date della Relazione del Primo Viaggio del Vespucci ), che f Errerà alcpanto leggermente abbia accusato di mala fede il Vespucci , ciò non basta per farlo riguardare come ingannato , o M mm 4^8 ^AP. ESAME DEL miMO VIAGGIO BEL VESPUCCI come ingannatore in tutto ciò, che riferisce di onorevole per Cristoforo Colombo; né potrebbe questo, agli occhj d' ogni discreta e savia persona , far vacillare 1' auten- ticità delle Memorie, e Relazioni Originali, colle quali ha tessuta la sua pregevolissima Storia delle Imprese prlio'rrd?rcón- ^^' Castigliani nelle Indie , tenuta in si gran concetto, pg.°/5" non solo da Spagnuoli ed Italiani, ma da Francesi ed Inglesi , anzi da tutti i pili valenti Critici d' ogni colta «ionriiln'&ìe ^'*^'"'^^' * ^^1 pretendesse di contrapporre ad un tale Storico il Cosmografo Tedesco Munstero , non infor- mato , come Egli stesso protesta, dei fatti, e che ne parlò incidentemente , e variamente compilando Libri, e rumori popolari con poca o nessuna Critica , non farebbe altro , che palesare d' ignorare appunto i primi Elementi dell' Arte Critica. Ad ogni modo, che abbia 1' Errerà dettata la sua Storia colla scorta dei Documenti i pilli autentici , che aver si potessero , è cosa così manifesta , che non ab- bisogna di prova nessuna. Tuttavia una, e validissima se n è aggiunta dal prelodato Signor Cav. Abate Mo- relli , mediante la Lettera di Cristoforo Colombo da Lui testé ripubblicata , e di cui più volte si è ragio- nato. Le notizie, che , come rileva esso Signor Abate Morelli , trasse fuoii 1' Errerà da questa Lettera di Leiiorararis. Colombo sciitta dalla Giamaica ai 7 di Luglio dell' anno sima di Crislo- ' '^ foroCoioii.bore.j5Q3 notizie di cui , dopo dell' Errerà , se ne valsero Pref:i2. p. vt Ul 1 ' p'ùr'Iiso^D.F^d'. i piincipali Scrittori moderni che parlarono di Colombo-, xuv. "' "'"danno a divedere a quai sinceri fonti, ben diversi da GAP. Vir, DELLO STORICO SPAGKUOLO EBRERA. 459 quelli, di cui si valse il Munstlro , attingesse il j^iudi- cioso Scrittore Spagnuolo i materiali per dettar le sue Storie. L' opporre poi , che talun facesse alla sincerità dell' Errerà, le lodi date, bisognando anche in istile di Panegirico , al Re di Spagna Filippo li, mostrerebbe , che si cerca di conl'oudere il falso col vero , non di distinguere , come far si dee , il vero dal falso. Se le lodi talora eccessive , date a potenti Monarchi dagli Scrittori, bastar dovessero per far rigettare senza ulterior disamina ciò, che si contiene ne' Libri loro, quante verità Storiche , ed eziandio Matematiche dovrebbono riguardarsi come menzogne ! Che del resto , quantunque non sia intenzion nostra canonizzar Filippo II , come disse il celebre Abate Oenina del Re Ferdinando , pre- scindendo anche dalla Apologia , che ne dettò 1' Abate Ar'ieaga a questi ultimi tempi, si dovi'à sempre, ris- petto al carattere di Lui, prefeiire quanto ne dicono prit "deTc orni . o . . ,, , * r> nenie ec. §. II gravi otorici , quali sono tra contempoi-anei un Lar- pag. 17. dinal Bentivoglio , ed un Grozio, e tra' moderni un Mu- ratori , a quello che ne inventarono Poeti , e Roman- zieri ; e tra Romanzieri annoverar pur si debbono molti che immeritamente assumono il titolo di Storici. Non dirò poi nulla del P. Richa, che , con una Critica tutta sua propria , mette Monsieur de la Martiniere , e r Autore dello Spettacolo della Natura 1' Abate Pluche, in un coir Errerà , tra gli Scrittori troppo lontani dalla Età del Vespucci. Cosa troppo assurda è cotesta, 4Go NAP. ESAME DEL PRIMO VIACClO DEL VESPUCCI e che merita compassione, e non confutazione, scor- gendosi da ciò come quel nostro Paesano , più lodevole per la buona volontà sua , che per buon discernimento, raccogliea i suoi materiali , non già leggendo e stu- diando gli Autori in fonte , ma affastellando Notizie , anche dai Dizionarj , e da privati famigliari discorsi delle persone con cui vivea. Curiosa cosa è però , che, Richa Notine con tutto qucsto , il P. RicHA dice chiaramente, (he Isloriche delle . ,^_ r /^ i.ii 'l'O Chiese Kioren- Amcvigo VESPUCCI nou lu Comandante de navigl] opa- pag.'53. gnuoli nel suo Primo Viaggio , i quali furono, die' Egli, certamente sotto la condotta di Alfonso d" Ojeda. Dopo di aver veduto di qual peso sia 1' autorità dell' Errerà, si potrebbe entrar minutamente nella disamina di tutto ciò eh' Ei narra rispetto ai Viaggj di Amerigo Vespucci. Si potrebbe cominciare con recar il luogo dell' Errerà , dove dice espressamente , che il Vespucci partì con Alfonso Ojeda da Siviglia ai 20 di maggio dell' anno 1499- Giovanni della Cosa Biscaino era il Pi- loto ; ed Amerigo Vespucci ' s' imbarcò in qualità di Mercatante, e come persona perita nelle cose apparte- nenti alla Cosmografìa ed alla Nautica. Nel che tutto si vede , che lo Storico Spagnuolo concorda , non sola- v. Sopra cap. mcntc cogli Stoi'ìci , che scrissero dopo di Lui , e col .p3g»/'- recente Geografo Pinkerton, di cui si è toccato in piincipio , ma col Vespucci medesimo in quella parte * „ Y Amerigo Vespuccio por Mercader, y corno sabio en las cosas de Cosmografia, y de la mar. 3 Menerà Dee. I, Lib. IV , pag. 123. ì CAP. VII. DELLO STORICO SPAGNUOLO ERRERÀ. 4G1 dove dice di avere esercitata la Mercatura da prima , v^pncci. Lcit, ed in cui parla della brama, che avea di veder il Mondo. Né manca pure 1' Errerà di concedergli il vanto , che si dà , non una volta sola Egli medesimo, d' uomo va- lente , e versato nella Cosmografia , e nella Nautica. Potrei aggiungere, che in questa Spedizione inti-apresa coir Ojeda , come semplice Mercatante e persona scien- ziata, non ei'a , e non potea essere il Vespucci consi- derato propriamente come persona a' servigj del Re di ;. Spagna , sebbene con gradimento del Re , o forse, per meglio dire , del Ministro Protettor dell' Ojeda, imbar- cato si fosse su quella flotta. Può star benissimo per- tanto , che , se palliamo di Navigazioni , in cui il Ve- SPUGCi avesse impiego , e carico speciale a Lui di- rettamente commesso da alcun Monarca , come appunto di Piloto , sussista ciò che dice 1' Albertini Concitla- Idino di Lui, che la prima Navigazione di tale natura sia quella, che intraprese; in qualità di Piloto a' servigj del Re di Portogallo, per continuar la Scoperta della Terra di Santa Croce fatta dal Cabrai , denominata poscia il Brasile, e che quindi posteriormente navigasse in quolità pur di Piloto a^ servigj di Spagna. Ed è da notarsi , che l' Albertini non parla già di Quattro Viaggj, ma dice soltanto , che il Re di Portogallo fu il primo, che impiegò il Vespucci in quella per lui certamente onorevolissima Spedizione al Brasile; quindi che navigò pure a' servigj della Corona di Spagna. Di fatto, che abbia il Vespucci navigato quattro volte 462 N^P. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI al Nuovo Mondo si raccoglie sollanfo dalla Relazione, che contiene le Quattro Navigazioni di IjUÌ, pubblicata la prima volta in Lorena. Nò 1 Albertini , nò Pietro Martire d' Anghiera, nò il Ramusio , uè 1' Erriìra par- lano di questi Quattro Viaggj , e potrei dire, che si hanno fondali motivi di credere , che di un solo Viag- gio , cioè di quello che nella Relazione stampata in Lorena è detto il Secondo, se ne sieno A)rmati due; nel qual caso mal potrebbe difendersi il Vespucci dalla taccia di essersi voluto appropriare artificiosamente le Scoperte di Colombo , se non si fosse dimostrato, che que' Viaggj furono pubblicati da ignoto Editore , in Contrada lonttina , e ad insaputa del Vespucci, e che sono interpolati , ed inoltre con date dubbie , incerte , e manifestamente sbagliate. Non sarebbe fuori di proposito 1' osservare parimente, che, secondo l Errerà , o per meglio dire le Memorie originali sulle quali fondato Egli scrivea , f Ojeda , par- tito ai 20 di Maggio dell' anno i499 da Siviglia, com' è detto sopra , fece ritorno in Ispagna , dopo cin- que mesi di Navigazione , come ( segue a dir 1' Errerà ) P^^ il Fiscal Regio lo provò , e lo confessarono con giura- I^^J^P mento Alfonso d' Ojeda stesso , ed altri ancora , il che IV, «".Tt /pi coincide dopo la metà di Ottobre deh' anno i49y; e dopo aver presi nell' Isola di S. Giovanni, dugento e ventidue Indiani. Ora ( notabil cosa ! ) 1' Epoca dell* arrivo del Vespucci nel Primo supposto Viaggio , se- condo la prima edizione di Loi'ena , resta pure deter- Herrera 1 Lib. ii.pag. V. r IV, l3i. ì GAP. VII. DELLO STORICO SPAGNUOLO EURERA. ^G5 minata ai i5 di Ottobre dell'anno i499 » il che forma a un di presso i cinque mesi di Navigazione; ed il numero de' prigionieri Indiani , die , dice il Vespucci , che aveano seco loro condotti, ò nò più né meno dipr{?^|P"°°J°.' dugcnto e ventidue persone; le quali cose tutte , men-'^°^!"^"'^''^'*' tre danno più forte motivo per credere veridica ed ■I esatta l'Epoca dell'arrivo del Vespicci nel i499i co- me è segnata nella prima Edizione di Lorena delle Quattro Navigazioni , somministrano pure una forte con- gettura per credere, che il Viaggio ivi descritto dal dotto Cosmografo Fiorentino , sia lo slesso e medesimo che quello dell' Ojeda , riferito dal diligente e sincero Istorico delle Indie Occidentali Antonio Errerà. Ma tutto questo io lo lascierò in disparte, e mi ar- resterò soltanto a far riflettere di bel nuovo , che nella v. Sopra cap. famosa lite , che si agitò tra il Fisco della Corona di' Spagna, e D. Diego Colombo Figlio del grande Am- miraglio Cristofoi'O , per li diritti e privilegi amplissi- mi a lui concessi , non solo , attesta f Errerà , che il Fisco del Re mai non contrastò a Colombo la Scoperta della Costa di Paria , e di Veragua , ma che inoltre r Ammiraglio D. Diego provò con molti testimonj essere stato il suo Padre lo Scopritore della Terraferma , co- me lo fu delle Isole , e di tutte le Indie ; e che la me- desima cosa risultò dalle prove , e dai Testimonj dello stesso Fiscale del Re. E se dopo, soggiunge lo Storico Spagnuolo, che con questo restò più manifesta 1' astuzia di Amerigo Vesplcci nello attribuirsi la gloria altrui , 464 NAr. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI * e se in questa imputazione sbagliò V Errerà , troppo scusabile è in vero, attese le i-agioni già dette , per cui comparir dovea il Vespucci agli occlij suoi , come il comparve pure al Tirabosghi , colpevole di tale arti- ficio. Comunque siasi, la più bella discolpa del Vespucci , ma ad un tempo la più convincente prova , che non pretendea Egli tal gloria , e che questa spetta , senza controversia nessuna , a Colombo , si è appunto , che ncir anno i5o8 , quando era vertente la lite tra D. Diego Colombo, ed il Fisco del Ti e , trovandosi il Ves- pucci, non solo ancora in vita , ma in Ispagna , ed all' attuale servizio di quel Monarca , uè il Fiscale del Re pensò a prevalersi della testimonianza di Lui , per pro- vai-e , che non era stato Colombo lo Scopiitor della Terraferma , né il Vespucci pensò a promuovere in una occasion così favorevole le sue ragioni , e fare efBcaci istanze per ottenerne Egli la ricompensa , giacché pri- ma non r avea potuta ottenere ; né corrispondente all' importantissimo servigio reso a quella Corona avrebbe al certo potuto riguardarsi il carico conseguito di Pilo- to Maggiore. Che se poi il Vespucci fosse in qualunque modo , o come Testimonio , o come Parte intervenuto in quella Causa strepitosa , la cosa sarebbe stata così pubblica , ed avrebbe fatto tanto rumore in Ispagna, * " Con que restò mas cleclarada la cautela de Americo Vespucio en attri- » buiise la gloria ageua. iiener» Ds(. I, Lib, VII, cap, V , pag. 230. CAP. VII. DELLO STORICO SPAGNUOLO ERRERÀ. 4^5 che non avrebbe al certo potuto dissimularla, né tacerla lo Storico Errerà , ancorché lo avesse voluto ; il che peraltro era del tutto contrario a quel carattere di sincerità e di onoratezza, che chiunque Io ha letto ravvisa in Lui. Goncluiidiamo , che per riconoscer Colombo , come Primo Scopritore del Continente del Nuovo Mondo , concorre 1' asserzione di Colombo medesimo con quella degli Scrittori più autentici , jiiù autorevoli , e che po- terono ricavare le loro notizie dai veri fonti della Sto- ria de' primi tempi di quel grandioso, e mai sempre memorabile evenimento ; Che ciò persuade e dimostra eziandio la Natura, e la Critica, a dir così, del fatto; Che inutile e vana opera si è , dopo di aver esaminato il fatto in se stesso , e le attestazioni degli Scrittori , che si debbono riguardare come i più degni di fede , raccogliere da ogni parte testimonianze di Compilatori, e di Autori d' ogni specie , ed eziandio di Poeti , che fecero registro senza discernimento de' rumori del volgo, e delle asserzioni de' volgari Scrittori; e che per ulti- mo tutta la causa del Vespiicci non può attenersi a più debil filo , come quello di un' Epoca, per lo meno dub- bia , non corroborata , anzi contraddetta da tutti i mo- numenti più autentici , e sicuri della Storia , e che sa- rebbe stata un meschino artificio , non sufficiente ad oscurar la luce del vero, e quello che è più , indegno di un uomo scienziato, nato nobilmente, e nobilmente nodrito, qual fu Amerigo Vespucci , s' Egli ne fosse stato r Autore. ìj n n 466 NAP; ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI Opera pertanto , non ingrata a' Toscani spregiudica- tati, io penso che riuscir debba la mia , essendomi stu- diato di liberarlo da questa taccia troppo vwgognosa , da cui non si credevano altri di poterlo purgare , e collocandolo del rimanente, come il più gran Navigatore, dopo Cristoforo Colombo , segnatamente per lo Viag- gio suo al Brasile, e per la Descrizione scientifica , che ce ne lasciò , e per la rara dottrina sua nelle cose appar- tenenti alla Astronomia ed alla Nautica , degno, per tutte le divisale ragioni, della sorte che gli toccò ( sebben dopo morte, e non senza ingiustizia della sorte mede- sima verso Colombo ) di aver dato il suo nome alla più vasta, ed alla più doviziosa parte del Mondo. 467 ANNOTAZIONE I. AL CAPO VI. PAG. 446- M, E N TRE si stanno stampando questi foglj, il Signor Giuseppe Vernazza-Freney mi dà la notizia , che tra' Libri donati alla Università di Alldorff da Girardo Cri- stoforo ScHWARZ , il Catalogo de' quali è citalo negli Annali Tipoerafici del Panzer, si , trova registrato ilPanz«rTom.vi, '■ '-' «^ pag. 35. seguente : =? Americus Vesputius de ora antarctica per regem Portugalliac pridem inverila. Argentinae mdv per Mathicm Hupfuff. = Questo Libro , vale a dire la Relazione del Vespucci della Scoperta della Costa al di 111 dell'Equatore fatta per lo Re di Portogallo (che non può esser altra, salvo quella del Brasile ), vide adunque la luce fuori d'Italia, sin dall' anno i5o5 , e per con- seguente prima della Raccolta de' Viaggj di Vicenza del 1807. Non si può però aifermai-e , che siasi pub- blicata prima in Alsazia , che in Italia. Oltre a' Foiiìi '^ ^ ' V. sopra cap. vi, volanti, di cui parla il Foscarini, che andavano attornoi p's- '•^s- segnatamente in Venezia prima del i5o6, e che con- tenevano Relazioni delle Scoperte di Paesi incogniti due Edizioni del Libretto intitolato Mundus Noi>us , diV- '»f™ "ii.!r, cui parla il Bandini , e colla medesima sottoscrizione, ma Edizioni alquanto diverse , e senza alcuna data di luogo, e di tempo, furono vedute dal prenominato Signor 468 KAF. ESAME DEL PRIMO VIAGGIO DEL VESPUCCI Vernazza ; uè questo Libretto può essere nella sos- tanza diverso dal sopraccennato colla data di Strasborgo del i5o5 : ora chi potrà dire quale di queste diverse Edizioni sia la prima ? Si vuole osservare bensì , che la prima Relazione del Vespucci , che abbiamo a stampa con data certa , ri- guarda il Viaggio da Lui fatto al di ih dell' Equatore al servigio del Re di Portogallo , il che conferma ogni volta più, che questo fu il primo Viaggio, che abbia fatto risuonare anche in lontane Contrade il suo nome; " " é che non vi mancò, sino in Alsazia ed in Lorena, non 0 che in Italia , chi si pigliasse pensiero di tjadurre , stam- pare , e magnificare le Scoperte di quel celebre Navi- [,agt''5^i.^'''''"'gator Fiorentino. Abbiamo veduto nella prima Edizione Lorenese delle Quattro Navigazioni del 1607 , che il Test'O , di cui si valse 1' Editore per tradurle in Lingua Latina , era già una Traduzione in Lingua Francese. Anche questa Traduzione Francese delle Quattro Na- vigazioni , in un colla Relazione intitolata Nuoto Mondo, non tardò guari ad uscire parimente in istampa , come lo dà a divedere il Libro della Biblioteca la Valiiere intitolato = Le Nouveau Monde el Na\igaiions Jaites par Eméric de Vespuce Florenlin des pays et isles , nouvellenient trouvés auparavant a nous inconnus. Trans- De la Valiiere. 71 r i r-i • n/r 7 • 7 n J Tom. w,f. -ii.ialé d I/alien en Francois par Malliiirin du hedouet a ti." 454» , « - ' 4543. Paris 1.S16. = Dopo del che può restare ognun con- vinto , che non mancarono i parziali del Vespucci di dare tutta la pubblicità possibile ai Viaggj di Lui; ma ANNOTAZIONE AL CAPO VI , PAG. ^0. 4^9 non ostante tutte queste replicate Traduzioni, e ristampe, i più anlichi , i più autorevoli Scrittori parlarono sol- tanto del Viaggio al Brasile , e nessuno si servi del Primo Viaggio del Vespugci , compreso nella Relazione delio Quattro Navigazioni, per contrastare a Colombo la gloria della Scoperta del Continente. Del resto, giusto motivo di meraviglia somministrar dee il riflettere, che ai più eruditi Bibliografi stranieri ignote siano , non solo le prime originali Relazioni , che correvano a stampa , ma le stesse prime Collezioni di Viaggi '•■'^^ videro la luce in Italia. Nella Biblioteca Storica dello Sthuvio, rifatta, ed accresciuta da Gian siru». bìm. r>- • -UT T •! I 1 • • • /-> •! IT Hislor. Fdiz. del Uiorgio Meuselio,il laboriosissnno Compilatore parla di Miu.hiìo , voi. certa antica Raccolta di Viaggi in Lin";ua Tedesca, ma '»o.e "i- Lip- ^'^' ^ siae 1787. si protesta , che non poteva dire , se tale Raccolta esis- tesse prima in Lingua Italiana ; e quindi col Not>us Orbis del Gbineo , stampato la prima volta nell' anno i532, dà principio al Catalogo delle Collezioni degli Scrittori delle cose d' America. Il Libretto della Navi- gazione del Re di Spagna pubblicato da Alberto Ver- cellese nel i5o4. la Collozione de' Viaggj stampata in Vicenza nel i5o7 , la ristampa fattane in Milano nel i.'')i2, e \ Itinerarium Porlugallensium dato in luce in Milano parimente, per opera del Madiignano nell'anno i5o8; Collezioni di fanti anni anteriori a quella del Grineo , che altro non fece , se non se ristamparle , non mi è riuscito di trovarle accennate in quella Bi- blioteca. 470 ANNOTAZIONE IL AL CAPO VII, PAG. 458. Rispetto al Credito , in cui è presso i Tedeschi r Er.RERA , basterà riferir qui quanto leggesi nella Bi- blioteca Storica dello Struvio sopra citata , accresciuta siniT. Bibi. e riordinata dal Meuselio = Auctor operis egregii, jussu parte i,pag.23j.,) regio elaborati et e iisiis est in opere conji- « derido tabulariis , Utterisque aulhenticis ita , ut eas » inter se , atque cum libris typis impressis sedalo , » acrique intelligentia contulerit. Ipse de materie , e qua » opus construxit , referi in Decad. VI, Lib. Ili,, Cap. >i ig. Praestaniissimis Historicis accensendus esset , nisi » Noid Orbis res fataque paene innumera in ordinem » chronologicum nimis studiose coegisset.... Caeterum teste De scient. Ma- „ Q^ [ J^ossìo , nou alius moìori fide et industria ob- ^'"^ -K scrvavit Jines provinciarum et magniludinem , maris T> tractus , promontorio, insulas , Jlnminum Jlexus , ostia » et portus , lacuum amplitudineni , regionum silum , » ratione timi vicinorum tractuum , tum etiarn cocii , item » pro'^entus singularum , quaeque ad urbes et propugna— » culo pertinent. = Lo stesso difetto notato dal Meu- selio , di essere 1' Ep.rera troppo minuto nell' assegnar gli anni a ciascun successo, è difetto di tale natura, che , se per una parte ne scema il pregio, considerau- ANNOTAZIONE AL CAPO Vii, PAG. 458. 4?" dolo come colto e florido Scrittore, riguardandolo d'altro lato come Storico Critico , unicamente intento alla ri- cerca del vero ( che si è ciò , che nel caso nostro preme maggiormente ), ridonda ogni volta più in suo vantaggio ; perciocché mostra , che alle altre sue doti aggiunge quella di essersi , del pari che della Geografia, preso grandissimo pensiero della Cronologia, che son le due faci , che guidano , e rischiarano ne' più intral- ciati sentieri il corso d' ogni Storia. Una Traduzione Francese di questa Storia pregevolissima si pubblicò in Parigi nel 167 1, di M.' de la Coste, ed una Inglese si stampò in Londra nel 172$ , e 1726; ed il Traduttor Inglese nella Prefazione enumera tutti gli Scrittori de' quali si servì f Errerà , e dimostra come da Lui fu- rono essi tutti di gran lunga superati. 47 2 TAVOLA c AP. I. Viaggi dùcersi del 'V^&vvcci'^ che cosa ne abbiano scritto i più antichi Autori Toscani, pag. 869 Gap. II. Delie prime Edizioni , e dei MSS.'' delle Quattro Nav'igazioni del Vespucci , in cui resta compreso il suo primo Viaggio « 385 Gap. ih. Osservazioni intorno alle prime Edizioni delle Quattro Navigazioni del Vespucci. . . » 3ci9 Gap. IV. Eijlessioni intorno alla pretesa Scoperta del Continente del Nuovo Mondo /atta dal Ve- spucci, avuto riguardo alla natura del fatto. . » 4'^ Gap. V. Testimonianze degli Scrittori piìi antichi tutte favorevoli a Colombo. Testo importante di una Lettera di Colombo medesimo » 4^2 Gap. vi. Della Cosmografia del Muy stero , e della prima Edizione in Lingua Italiana dell' Opera medesima » 4^4 Gap. vii. Dello Storico Spagnuolo Antonio Errerà, e Conchiusione » 4^4 Annotazioni » 4^7 473 DISCOURS SUR LE CARACTÉRE ET L'ÉTUDE DES DEUX LANGUES, L'ITALIENNE ET LA FRANCAISE. (a) PAR MODESTE PAROLETTI. Lu le 2 jiiillet 1810. JLi E plus beau don que la natui'e ait fait à l'homme est celui de la parole : mais de la simple faculté de parler , qui appartieni en general aux individus de les- pèce humaine , à cette belle prerogative de l'horame civilisé d'intéresser ses semblables par les expiessions et les accens d'une langue perfectionnée , la distance est très-grande. D'après des calculs probables on compte envlron un milliard d'habitans sur la terre. Cette population , qui existe et se l'eproduit depuis des siècles, a parie 000 47^^^ SUR LE CARACTÈRE ET l'ÉTUDE et parie une mulfitude innombrable d'idiomes. Cepen- dant le nonibre des langues qui out pu s'écrire n'cst pas aussi grand qu on pourrait le croire ; et si au mi- lieu de ces diverses manières de parler , on ne consi- dère que les langues aj^ant une syntaxe , une prosodie et une littéi-ature , on est étonné^e voir combien est petit le nombre des Peuples qui par le bon eniploi de la parole ont su atteindre à l'art d'écrire. Farmi les Peuples modei-nes qui ont embelli et per- fectionné les formes de leur langage , la France et l'Italie peuvent prétendre au premier rang , par les ser- vices que leurs idiomes ont rendus aux Sciences et aux Arts. La Langue Italienne a la gioire d'avoir été la première à faire revivre le goùt des Sciences et des Lettres : la Langue Fraocaise a le mérite d'avoir con- tribuì plus qu'aucune autre à la propagation des lu- miòres. Ces deux Langues , qui appartiennent à deux Peuples dont la position est limitrophe , qui ont une o)-igine , et des dérivations à-peu-près communes, ont néanmoins des difFérences remarquables dans ce qui forme l'essence de leur caractòre. Je me propose de démontrer dans ce discours jus- qu'à quel point ces deux Langues diff'èrent par leur genie et par la marche diverse qu'elles ont suivie dans l'ordre de leur perfectionnement. Ces observations pour- ront ètre utiles à ceux qui obligés de les parler et de les écrire toutes les deux, sont dans la nécessité de les approfondir pour se garantir d'un mélange qui serait DES DEUX LANGUES , L'iTALIENNE ET LA FRANOAISE. 3'jS funt'ste ù lei piiirté ilcs deux iciiomos , et ieiviront à leui" prouvei- qiie celte elude exige des soins et une méthoJe particuliùre. On a dit qiie la Lingue Italienne et la Francaise étaient nées de la Langiie Latine. On aurait tort de croire qua leur mère commune fi'it la Langue de CiGÉFiON , d' HoRACE , et de Virgile. La basse latinité qui se conservait en France et en Italie , au iS" siede, titait un reste dii jargon du Peuple de Rome , et c'est de-li\ que sont derivées les Langues modernes. Des causes particuliòres paraissent avoir conserve à la Langue Italienne les premiòrs traits de son origine. D'abord, le Latin que l'on parlait en France devait étre plus corrompa que celui que 1' on parlait en Ita- lie. En second lieu , les Gaulois devaient prononcer le Latin d'une manière moins harmonieuse que les Italiens. De-U\ est venue la diversité que 1 on remarque soit dans la forme des raots , soit dans la construction des phra- ses des deux langages. Dans les premiers tems de sa formation , la Langue Francaise tenait plus du caractère de la Langue Latine qu'elle n'en conserva posférieurement. On counaìt les efibrts de Ronsard , pour transporter dans le Fi-ancais les procédés du Grec et du Latin: le genie naturel de sa Langue s'opposait à son entreprise. Far la suite Amyot , Rabelais , et Montagne conservèrent beaucoup de la vigueur et de la naiveté de la Langue La-tine , saus pouvoir en coaserver la régularité et la noblesse. /| 76 SUR LE CARACTÈBE ET L'ÉTUDE Dans les écrits de Balzac et de Malherbe la Langue Francaise prit enfili le cai'actòre quelle déploj^a tout entier, lorsqu'ello fut perfectionnée à la Cour de Louis XIV. La Ijaague Italienne a moins changd que la Langue Francaise , quoiqu'elle se soit dévelojDpée sur un pian , qui a permis une grande variété dans la nature du style. Plus heureux què les Francais dans l'imitation des Lan- gues anciennes , les Auteurs Italiens ont su fixer leur idiome en le modelant d'après l'antique , et ont réussi à donner à chaque genre de littérature le ton délocution , qui était propre à le caractériser. Leurs ouvrages , qui offrent des différences remarquables dans la manière d'écrire , présentent en mèrae tems une suite non interrompue d'écrivains purs et corrects que la benne critique a signalés du noni de classiques ; et ce qui est admirable, le dialecte Toscan , qui sous la piume de Dino Compagni , des Villani , et de flicoR- DA.NO Malaspìni avait pris le rang de Langue , est en- core celui que l'on doit écrire , après le laps de quatre siècles. Il est vrai qu'au I7.*siècle la Langue Italienne avait pris un ton d'enflure , et de recherche , qui était ridicule. Ce défaut tenait moins à une innovatioa dans les principes de la Langue , qu'à la corruption du goùt , et a une espèce d'aiTeterie que la mode avait introduite dans les Cours les plus brillantes de l'Italie. Dans ces derniers tems, la Langue Italienne a beau- DES DEUX LAKGITES, L'iTALIEKNE ET I.A FRANCA1SE. /,77 coup empruntc des maniòres de la Langue Francaise. Cette altération se f'ait rcraarquer dans les formes du langage que Fon parie et que l'on écrit aiijourd'lmi en Italie. Elle est une espèce de tj-avestissement , qui pcnt marquer la décadence de la littératuie Italienne , sans poiter atteinte aux principes et aux règles qui ODt óté fixés par les bons modèles. Les Lyangues ont donc , dòs la première epoque de leui- formalion , une manière d'élre qui les distingue, et qui leur donne des propriétés et une aplitude particulière. Ces différences prennent leur source de très-loin , et sont aussi inaltérables que 1' influence que le ciel , le climat , les qualités du sol ont pu exer- cer sur le caractère des Peuples : vouloir les mécon- naìtre c'est détruire l'essence fondamentale de la beante de chaque idiome. Dans le nombre de ces différences il ea est qui peuvent ctre le résultat de quelques cir- constances. Le genie des écrivains qui les premiers ont fa^onné les divers dialectes : les accidens qui ont pu déterminer les premières compositions : les événemens dont se forme l'histoire des nations , sont autant de causes, qui ont concouru à produire l'ensemble des modifications dont je mCfforce derendre compte. Pour coniplèter ma démonslration, que l'on me permette de suivre un autre ordre de considérations , et de re- monter à la nature des fonctions que les Langues ont à remplir. Ces recherches pourront mettre en éviden- ce les propriétés les plus iatimes des deux Langues, 4.78 SUR LE CARACTÈRE ET L'ÉTUDE ritalieune , et la Frau^aise, en faisant comparer les rappofts qui existent entre le caraclòre dts Peuplcs , et celiu de leurs langages. Une Langue a rleux objets pn'iicipany h reniplii-. Elle doit otre l'interprete de la pcnsc^e, et (.[uit pouvoir tbranlei* les sens pour agir sur l'imagination. C'est une chose admirable de voir commeut les sons articul<^s fonrnissent lo moyea de .sai.sir notre pensée , de la diriger , de la distribuer sur un pian bien ordonné , et de la rendre telle qu'elle puisse étre communiquée aux autres avec la précision et les détails qu'elle a recus des forces de l'entenderaent. (ò) L homme qui veut communiquer avec les autres par le moyen de la parole, commence par se rendre com- pte à lui-ménie de ce quii pense , et lorsqu'il cherche à exprimer ses idées par une suite de mots , les e'ié- raens d'une Langue sont pour lui un véritable moyen d'analyse. Si la construction de ses phrases est facile , simple , naturelle, c'est que pénétré de la pensée qu'il voulait énoncer , il est devenu précis , et clair pour les autres. Si 1 arrangement des parties de son discours est entortillé et plein de réticences qui en rendent le sens obscur et équivoque; au défaut de ne point se faire comprendre, on peut ajouter celui denepastrop savoir ce quii voulait dire. Avant de parler aux autres , c'est à nous-mèmes que nous parlons : les idées se dé- roulent toujours dans une progression analogue à celle de la parole , et les Langucs peuvent avoir des moyens plus ou inoius pi'opres à remplir cet objet. DES DEUX LANGUES, L'iTALIENNE ET LA FRAN«JAISE, /(^g Ce n'est pas tout pour une Langue de servir A i'analN^se des idées : la pensée a souvent besoia d'ètre rendue sensible, et. il faut, s'il esf permis de le dire , savoir la revétir des nuances qui lui conviennent. C'est dans ce cas que l'on doit agir sur Ics scns pour int(?- resscr l'imagination; et les Langucs ont besoin dap- pareils descriptifs. Corame il est des objets qui doivent étre définis, de méme il en est d'autres , qui veulent étre pciats. Ainsi le domaine d'une Langue s'agrandit, et l'entendement se repose sur les tableaux que lui présente l'imagination. Si nous considérons mainfenant les principes et les formes des deux Langues , l'Italienne et la Franraise , sous cu doublé rapport , il est aisé de nous aperce- voir quii y a de grandes difiérences entre les moyens que ces Langues piésentent pour ces deux genres d'ex- pressiou. La Langue Franc^aise est moins riche et moins abondante que la Langue Italienne : toutefbis dans le besoin d'exprimer nettement les idées , elle sert la pensée d'une maniere admirable. Elle compense la mo- dirité de ses richesses par le bon emploi qu'elle en fait. Dans la distrilmtion des mofs, et la tournure des phra- ses , elle suit l'ordre et la marche des opérations intel- lectuelies; sevère dans les i-ègles de ses constructions, delicate dans les loisdu style , elle est sobre en images, et difficile dans l'emploi des métaphores. Ennemie des formes elliptiques , elle est parfaite dans ses analyses , et fidèle , comme la remarqué un écrivain célèbre, à /^So SUR LE CARACTÈRE ET L'ÉtUDE conserver à la pensée ses formes natui'elles , aufant quelle est prète à se conformer à tous les besoins de l'esprit, (e) Ges qualites que je viens de noter dans la Langue Francaise ne sont pas étrangìrts à la Littérature Ita- lienne , qui offre des ouvrages d'une cumposition aussì parlaite par le style , que par l'ordonnance des idées : mais à dire le vrai, elles ne sont pas celles qui bril- lent plus particulièrement dans le carattere et Ics for- mes de la Langue Italienne ; et les succès que ses écrivains ont obtenus dans le genre didaclique, sont un effct de l'art qu'on est dispose à admirer, sans qu'on soit porte à les regarder cornine un résultat des pro- pridtés naturelles de leur idioine. On n'a qu'à lire Pascal, Mallebranche et Gondillac pour reconnaitre, que le caractère naturellement logique de leur Langue exercait un ascendant sur la marche de leur piume : et il suffit de parcourir Galileé , Redi, et Valliskieri pour sentir , que le mode analytique de leur dictioa ctait un don de leur genie, (d) La Langue Italienne exerce un grand pouvoir sur les sens. Le coloris de ses phrases, l'harmonie de ses tournures, et l'energie de ses expressions semblent tenii' du ciel et du ciimat d'Italie : aussi est elle très-propre à parler A l'imagination ; ses moyens descriptifs sont toujours vifs et animcs , et jamais le coeur n'a été plus fortement ému , que par les Poctes de cette nation. Ces propriétés brillautes qui readeut la Langue Ita- DES DEtX LANGUES, L'iTALIENNE ET LA FRANCA ISE, 4^^! Henne si pocliciue , et lui assuient le privilcge d'étre la plus propre pour le chant, ne sont point 1 apanage Daturel de la Langue Fran^aise. Retenue par des lois très-austères, elle a de la peine à suivre le mouvement des sens ; et sevère et concise pour bien rendre les idées, elle est en general froide et muette pour ser- vir les arts d'imitation. Malgré cela , lorsque nous par- courons les chefs-d'oeuvre de la Littérature Fi-ancaise, nous sommes étonnés de voir comment La Bruyère a pu peindre avec autant de vérité les caractères des passions humaines : nous sommes ravis , enchantés des traits naifs du fabuliste La Fontaine : et nous sommes vraiment touchés des beautés de l'inimitable Racine. C'est que le genie des Ecrivains supplée toujours aux défauts naturels des Langues. Si on voulait à cette heure à l'aide de ces observations se retracer la physionomie de ces deux Langues, on pourrait les représenter corame deux soeurs d'une beauté remarquable , ayant à-pcu-près le méme fige et une certaine tournure de famille , mais avec des traits qui les distinguent , et anaoncent la diversité de leur ca- ractère. L'une est d'un air agréable , avec beaucoup de finesse dans le regard: il y a quelque chose cepen- dant qui paralt òter un peu à l'expression de sa figure. Ses traits sont réguliers , quoique peu relevés , et ses gràces sont plutót recherchées que naturelles. L'autre a des formcs plus ai-rondies: le feu de la Poesie anime sa figure , et ses traits s'embellisseut du charme de l'harmonie. r p p 48 .i SUR LE CARACTèRE ET L ETUDE C'est au milieu des beautés originales que nous of- frent les deux Littératures , l'Italienne et la Fran^aise , que l'on pent reconnaìtre la vérité de ces deux por- traits. La Langue Francaise faconnée à la Cour d'un grand Monarque, et peifectionnée ensuite par les géo- mètres et par les idéologues , est propre à dcpioyer toutes les finesses de l'esprit. La Langue Italienne en- vironnée dès son berceau de tous les attraits de la Poesie , est plutót Porgane du sentiment , que l'inter- prete sevère de la raison. Telles sont les propriétés qui à mon avis caractérisent le genie des deux langa- ges. (e) Ce n'est pas que cette distinction doive servir de base pour apprécier le mérite des Ecrivains des deux Nations ; ou quii soit nécessaire de circonscrire les deux tangages au genre d'expression , qui peut leur convenir de préf'érence. Quelles que soient leurs qualités , quels que soient leurs défauts , les deux Littératures offrent un nombre de chefs-d'oeuvre qui fourniroot long-lems matière aux disputes de leurs partisans. Mais cette eonsidération , en fournissant le moyen de peser les difficultés que les bons Auteurs ont du surmonter dans la composition de leurs ouvrages , pent diriger les ta- lens de ceux qui se proposent de pnrcourir la méme carrière. Elle doit leur apprendre que la Langue Fran- caise coulante et facile dans le genre didactique est hérissée de difficultés, lorsqu'on veut la parer pour l'élever à la hauteur de l'epopee ; et que la Langue Italienne, \ DES DErX LANGUES, L'ITALIENNE ET LA FRAN^AISE. 483 naturellement épique , a besoin d'étre ramende à des coDstiiicfions analytiques et régulières poiir la l'aire ser- vir aux besoins des scicoces exactes. Elle doit leur rap- peler en nième tems que toufes les Langucs ont un caractère qui Ics distingue , et que pour les embellir il faut les orner des attraits qui leur conviennent. Que lon examine la méthode diverse , que suivent les Ecrivains des deux Nations soit dans la distributioa des élémens de la pensée, soit dans l'emploi des moyens d'expression , et 1 on verrà jusqu'à quel point le genie de la Langue peut diriger la piume de 1 Ecrivain. La Langue Italienne douce , Ilexible se prète volontiers à la nature du sujet et permet une grande variété dans Ics modcs de la diction. La Langue Francaise moins varice et plus subordonnée à la règie, parait retcnir la pensée dans les limites de ses phrases. La Langue Ttalicnne aime ces transpositions , qui suspen- dent la senlence, et donnent de la gravite au style. La Langue Francaise parait se plaire dans ces formes sen- tentieuses , qui résultent d'une suite de pensées rendues d'un slyle vibré et concis. La Langue Italienne se laisse souvent entrainer par la sublimile de la matière et ses Ecrivains savent prendre le ton de l'inspiration» La Langue Francaise cède aisément à la séduction de l'esprit , et ses Auteurs parlent quelquefois par apo- phthegmes. Si les défauts de la Langue Italienne pen- vcnt ètre la prolixité et l'abondance , ccux de la Langue Francaise tiendraient plutót de la sterilite , et /}84 SUR LE CARACTÈRE ET L'ÉTUDE de hi sécliei'csse. Mais la Langue Italienne modelle d'après le beau idéal consacré par des hoinmes , que le tems a placés loin de nous , est malaisée à manier par l'Ecrivaia , qui veut lui conseiver son cai-actère. La Langue Fraucaise associée aux travaux des Savans (J) , qui ont perfectionné l'esprit humain, est exigeante, et se rebute des plus petites incohérences. Enfin sur ces deux Langues dout l'une appartieni au Peuple , qui par ses prodiges dans les arts , a rivalisé avec les anciens ; et dont l'aulre appartieni au Peuple qui a excellé dans les méthodes de cultiver la raison , il y a tant de choses à dire, que l'histoire qui doit transmettre à la postcrité les fastes des deux Nations , ne peut manquer de présenter un grand intérèt en conservant le souvenir des deux Littératures Francaise et Italienne. L'examen de toutes ces considérations me paralt propre à former l'écrivain à ce jugement fin et délicat , qui sait évaluer les propriétés qui relèvent la beauté de chaque idiome , en méme tems qu'elles marquent les limites qui en maintiennent le caractère. D'après ces con- sidérations il aura toujours présent à la mémoire , que pour qu ime période soit écrite correctement dans la Langue Francaise , il faut que la pensée soit distribuée dans un ordre strictement logique ; et que méme dans le style de l'éloquence , le caractère de la Langue re- commande la sobriété des moyens oratoires. Que tout doit otre juste et mesuré dans cet idioma , pour que tout y soit noble et élégant. Et s'il est dans le cas I DES DEUX LANGUES , L'iTALlENNE ET LA FRAN^AISE. 4^5 d'avoir à éciire la Langue Italienne , il devra se sou- venir que cette Langue a été calquée sur les modèles des Langues anciennes. Que la richesse de Bogace , et la fecondile de Del Casa appartenaient jadis à Cicéron, et que la gravite sententieuse de Machiavel est émande de TiTE Live. ( g ) Les Romains qui vivaient sous lEmpire des Césars uuissaient la culture des Lettres Grecques à l'étude des Lettres Latines. Les Italiens , sujets du nouvel Em- pire, doivent joindre l'étude de la Langue Francaise à celle de leur Langue naturelle. Ayant à conserver le rang acquis panni Ics Ecrivains de leur nation , et de- vant paraìtre avec honneur au milieu des habitans de leur nouvelle Patrie , il leur est indispensable de savoir évaluer au juste, et de comparer avec exactitude , la force et l'energie de ces signes , cjui servent à l'échange des pensées et des sentimens , et sont le véritable lien de la Société. Dans le cours de leurs études , il leur sei'a peut-étre utile de se rappeler tout ce que j'ai dit dans ce discoui's. .^86 SUR LE CARACTÈBE ET L'ÉTUDE NOTES. (a) l LUSIEURS AuieiifS Fr.in5als et Italiens ont pris soiii de faire connaìtre les beautcs partici:licL-es de la Langue tran^aise et de l'Iialienne. Mais en faisaiu l'éloge de leur ptopre Lang.ie, soiivciit ils om fait la criliqiie de celle qui leuc était étrangòre. Dans le tableau comparatit' qiie je présente des pro- priétus des deux idiomes, muti pian est de Ics mettre en parallele sans aiicun esprit de partialitiS, persuade de ne pas avoir besoin de deprimer l'un pout réhaiisser l'autre. (ò) DuMARSAis. Fragment sur les catises de la parole. (e) Degerando. Des signes, et de l'art de penser considérés dans teurs rap- ports mutuels. Voi. 4. (d) Je suis loin de penser que le style de Galilée ne vaille pas autant qiie colui de Pascal : mais dispose à admirer la manière d'écrire rie cet Aiiteur, je ne saurais la regarder comme un fond provenant des riciiesses de la Langue Iialienne. Les formes d'élocution employées par Gnlilée n'ont pas cbieiiu un assez grand nombre d'imitateurs, pour en faire aujjurd'hui iin mérite à sa Langue aa dépens de son genie. Les oeiivres de Galilce peuvent donner la niesiire de ce qui est possible à la Langue Italienne: naf.irellement puètique, elle u'est pas nioins capable de ]a scvcrité et de la concision qui sont commandées par l'analyse. La Langue Francaise au contrauej simple et analytique, n'a pas un égal succès, lorsqu'elle veut s'élever au ton de la Poesie. {e) L'Italie a une espècc de Puctes appelés Estemporanei dont le lalent con- siste à improviser sur tei sujet qu'on leur propose et dans le rhytlime qu'on peut designer. Ce genre de Poesie particulier à la Langue Italienne est abso- lument ctranger à la Langue Francaise. Mais il n'est pas difficile en France de uuiiver des persunnes qui parlent à l'improinptu sur des sujets de SciencCji I DES DEUX LANGUES , L'iTALIENNE ET LA FRANO AISE. ^87 de Philosopliie ou d'Economie Politique , d'un fon assiiré et d'un style noble, correct et abondant. Dans leufs débats polhiques les Frangais se sont faits ad- mirer pat: dcs traits de celte óloquence spontanee. Ce taleiit est plus connii en France qii'en Italie. La diiTérence caracicristique des deux Langues peut en donner l'explication. L'ime est puclique , l'autre didactique. (/') Ce n'est pas qiie la France ait dcvancé , ou surpassé l'Italie dans l'étude des Sciences -, mais les Académiciens Fcanjais ont toujoiirs écrit leiirs ouvrages dans leiir Lnngue natnrelle, et les Savans Italiens ont trop souvent employé la Langiie Latine. Ces cicconstances sont peiit-ctce celles qui ont rendu tiabi- tuelles dans la Langiie Frangaise ces tournures analytiques^ et les ont rendues moins familicres à la Languc Italienne. (.;) Verri. Pr^face de l'ouvrage de Xcnoplion sur les dits mémorables de Socrate, traduit par Giacomelli , Brescia, Beitoni, 1S06. 488 DISSERTAZIONE. RIFLESSIONI INTORNO ALL' INTERESSE PERSONALE. DEL SIGNOR CORTE. Letta li 19 dicembre 1810. O E vi esistesse un uomo così raro , il quale sapesse amare se medesimo, per dir così , meno esclusivamente, e le cui azioni assai più , che le parole sinceramente dicessero , io preferisco la mia /amiglia a me stesso , la mia patria alla mia famiglia , e /' uman genere alla mia patria , sarebbe certamente il più virtuoso degli uomini , perchè tutte le sue affezioni , le inclinazioni sue, e la disposizione del suo spirito , e del suo cuore sa- rebbono interamente conformi al ben generale della società. RIFLESSIONI INTORNO ALL' INTERESSE PERSONALE 489 Sentimento così intero , ed assoluto è rarissimo ; anzi per avventura non ci fu mai nel cuore dell' uomo , e ristessa virtù, la quale non è giammai nemica delle oneste inclinazioni della natura, talora vi si troverebbe costretta a contrariarlo. Perù questa almen più proporzionata economia d' af- fetti, questa almen più giusta moderazione di passioni, che le rattempra tutte, e le addolcisce, e questa con- formità d' inclinazioni al ben generale e particolare for- mano la virtù. 10 m' intendo di parlare della virtù morale , che tutti gli uomini debbono professare : ella è indivisibile dalla cognizione , e dal culto di Dio , e la temporale felicità d' ogn' uomo è ugualmente indivisibile da questa virtù. La pratica della virtù morale si è la giustizia, e questa comprende ugualmente la pietà , che deriva dal Cielo, e 1' umanità : queste due virtù compagne comprendono le altre tutte. 11 nome d' affezioni generali , o sociali , eh' io qui adopero , esprime un sentimento , che non richiede de- finizione : tuttavia per chi fia d' uopo di farne acquisto, dirò, che questo nome ci rappresenta singolarmente, queir umanità attiva , e generosa , la quale sa ricercare, "e combinare i vantaggj altrui col proprio vantaggio : le diverse sue relazioni la fecero distinguere in virtù differenti : 1' integrità o la probità si è una delle prin- cipali , che forse venne troppo ristretta dagli uomini , riducendola a significare per lo più quella sola rigorosa Q<77 J^CjD RIFLESSIONI giustizia dovuta a ciascuno , e che guardasi di non mai nuocere altrui nemmen leggiermente. Egli è vero , che le affezioni di ciascun uomo hanno naturalmente una costante , e determinata relazione coli' interesse generale degli altri uomini , ma altresì hanno un pendio più diretto , più vivo verso il parziale , e proprio interesse di ciascuno per se , cui perciò il più delle volte si sacrifica 1' interesse generale. Adunque vi ha forse un' opposizione assoluta tra queste due spezie d' affezioni , cosicché le une non possano preferirsi , che a danno delle altre ? Questo interesse parziale , che diremo amor proprio, è per ciascun uomo nel morale ciò , che gli è il sangue nel fisico : 1' uno , e 1' altro è indispensabile alla sua constituzione : questa passione necessaria crea e sviluppa tutte le nostre facoltà , e produce il bene : ella diventa rovinosa , se eccede , se esaltasi , infetta ogni cosa , si- mile a qucgl' insetti , che cambiano eziandio in veleno il sugo de' fiori più belli : ma altresì il sangue , senza la cui circol;izione non havvi vita un instante , non cagiona egli de' mali terribili , se si alcei'a , e s' infiamma i' Che mai sarebbe 1' uomo senza questa intima passione ? Il più mediocre, il più limitato, il più debole, il più inutile di tutti gli esseri. Nulla di meno è certissimo , che il bene della natura in va individuo non è incompatibile col bene della na- tura comune, o sia che l' interesse individuale è sempre inseparabile dalf interesse generale della sua spezie. k INTORNO all' interesse PERSONALE 49 I Infatti chi sarebbe mai quell' insensato , il quale così pensasse , e si risolvesse ad agire : io voglio vivere a me stesso , e tutto a mio vantaggio ; io voglio adunque svellere dal mio cuoie la compassione , 1 amicizia , la gratitudine , la bontà , e tutti i germi delle altre so- ciali affezioni , perchè esse mi dividono da me stesso , non sussistono , che a costo delle mie passioni , e col sacriQzio de' particolari miei interessi : Desse non esis- tonp dunque fuori di me , e non sono forse , che de- liri della mia immaginazione , o debolezze della mia natura. L' esistenza d' un cotal mostro sarebbe il più sven- turato , il più infelice di tutti gli esseri , privo d'ogni affezione naturale, e odiando la società, ne sarebbe odiato : una folla d' idee tristissime ingombrerebbe ognora il suo spirito , e i barbari movimenti del suo cuoi'e 1' agiterebbono, lacerandolo continuamente: in- quieto, torbido, disdegnoso, timido, intollerante noa saprebbe scorgere d' intorno a se , se non oggetti spa- ventosi , e minaccianti , che lo circonderebbero : solo contro tutta la palura , 1' istesso disordine della sua immaginazione gli appresenterebbe ad ogni instante tutti gli uomini armali contro di lui , per distruggere , per annientare il loro più abborrito nimico. Egli sarebbe pertanto il peggior de' mali l' essere pi'ivo delle sociali affezioni , oppure aver le affezioni private troppo forti , ed energiche , le quali in vece di rimaner sommesse alle prime, e con esse loro ricon- ijr)2 RIFLESSIONI ciliarsi , le immolassero a qualche loro particolare van- taggio. Egli sarebbe altresì un gran male aver delle stupide inclinazioni , le quali non avessero la forza di dirigersi né al bene particolare di se medesimo , né al ben ge- nerale della società. Laonde il principale mezzo e positivo di conseguire r interesse personale , cioè la propria contentezza , e felicità, che sta riposta nella pace dell'animo, si è d' avere le affezioni sociali pure , ed intiere , tale essendo lo stato della virtù morale , e tuttociò , che la snerva , che r altera , che le si oppone , non è che disordine , non è che vizio , calamità, e orribile miseria , che tutti i beni della terra non basteranno mai non a compen- sare , ma nemmeno a raddolcire. Certamente non havvi , che la barbara stupidità , la quale possa dubitare della superiorità infinita de' pia- ceri dello spirito sopra quelli de' sensi : ma questi pia- ceri dello spirito donde nascon eglino, se non dalla ener- gia delle sociali affezioni , ossia dall' esercizio della virtù ? Così la bontà , 1' amicizia , la generosità , la ricono- scenza, r integrità , 1 esser utile a' suoi simili , e gene- ralmente tutte le nobili virtuose azioni non producono forse in noi il più puro , il più dolce , il più compiuto, il più durevole de' piaceri ? Elle sollevano ! annua, la soddisfanno nell' operarle , e per effetto lor proprio ci lasciano una dolcissima im- pressione a guisa d' armonioso suono , che ci dilettò , l INTORNO all' interesse PERSONALE /^^J5 il quale sicguc per lunghe oscillazioni a rifarci nella memoria l' arie , e 1' armonia da noi già udite : si è allora , che ai deliziosi movimenti del cuore si uniscono soavemente T assentimento , 1' approvazione dello spirito, e r islcssa lusinghiera idea della comune slima , e dell' applauso degh uomini a riempiere di contentezza l'uomo virtuoso: sentimento questo in vero di propria com- piacenza assai imperfetto , ma perfettamente corrispon- dente alla condizione umana , che si risente sempre di se stessa , cui offre negli sforzi del virtuoso operare una sì grata compensazione. Nemmeno i disastri possono per conseguenza scemare in lui la forza del suo piacere : egli è ognora lieto in mezzo a' pericoli, e qualunque sinistro colpo , che com- batta la virtù unqua non giunge a distruggere il con- tento , che r accompagna indivisibilmente.. Ciascun uomo ha pur da soffrire 1' aspetto di se stesso , ha pur da vedersi errar sempre d' intorno le [immagini delle sue azioni, della sua condotta, del suo [carattere : cotesti oggetti , i quali sono tanto indivisi da lui, che lo seguitano da per tutto, passano, e ripas- sano ad ogni instante nel suo spirito: quale pertanto Ipiù importuna , molesta , faticosa , terribile presenza )er chi non vede in se stesso , se non la sua ingius- sia I Ma qual pili graziosa , e più continua amenità della [presenza di questi tesdmonj di se medesimo per clà [non ci vede , che 1' elhcacia delle sociali sue affezioni , /JC)4 RIFLESSIONI e per conseguenza 1' esei'cizio perenne delle sue virtù ! Queste aifezioni , clie la verità stessa espj-esse eoa una sola parola , ma la più energica , la più poderosa, cioè amor del suo simile, hanno una profonda radice nella natura di ciascun uomo , sono intrecciate in mille guise colle altre sue passioni , perchè sono necessarie all' economia delle sue inclinazioni, e per la sua felicità : non potrà dunque essere contento di se medesimo chi non le conserva intere, ovvero ardisce immolarle alle passioni relative al particolare suo interesse, e alla sua privata economia , le quali finché son moderate , non sono mai lesive de' vincoli sociali , né contrarie alla virtù morale : ma per alterazione , ed eccesso si ren- dono viziose , perchè in mille guise si rivolgono a no- cumento del ben generale della società : non altrimenti li moderati affetti valgono naturalmente a serbare illeso lo stato della virtù morale, che nelle fermentazioni , ed effervescenze del fisico si ricorre a rinfrescarne il sangue, a temperarne gli spiriti. Le naturali affezioni sono gli elementi de' vincoli so- ciali, e questi debbono necessariamente ristringere , e limitare le private affezioni, cioè tejnpcrarlc nel loro esercizio , onde queste ordinate allo sco]30 della mag- giore prevalente utilità , provi 1' uomo in se stesso gli utili effetti delle sue regolate affezioni, le quali rese così virtuose, dilatano eziandio il di lui sentimento , ingran- discono la sua pinvata esistenza , e la dirigono ad un bene maggiore , di cui ne riporta un godimento prò- I INTORNO all' interesse PERSONALE 4^^ porzlonato al grado della maggiore promossa comune l'elicila , e vantaggio. Per Io contravio qualunque viziosa azione prodotta sempre da smoderata affezione fa sempre sventurato , ed inlelice il suo autore a misura di sua malizia : così ogni viziosa azione è sempre proporzionatamente con- traria ai veri interessi dell' uomo. Converrebbe con una aritmetica morale procedere esattamente alla stima di tutte le cii'costanze , le quali aumentano, o sminuiscono la somma de' nostri piaceri, e calcolare i beni , e i vantaggi attuali della virtù , per dimostrare con evidenza pressoché geometrica tutti gli utili delle sociali affezioni conservate in un grado conforme alla natura, ed alla constituzione dell'uomo: tuttavia questi proporzionati vantaggi nel lor complesso non sono men certi , non men luminosi , perchè deri- vano , come i risultati geometrici da un assioma unico, e incontestabile. Per risultato sicuro e fortunato di questi divisamenti l'eterna Sapienza ha strettamente unito l' interesse par- ticolare d'ogni uomo al ben generale di tutti gli uomini ,' che non si può opporvisi all' uno , senza offendere l'altro , nò attraversarne, né alterarne qualunque parte, senza recarvi sconcerto, e danno, né giammai nuocere a' suoi simili , senza nuocere a se medesimo , cosiccliè la virtù morale, senza cui non si può essere né tranquillo, né felice, consiste nell'esercizio costante delle affezioni sociah: che l'uomo il quale u' é privo , o non le sente. 496 RIFLESSIONI clic debolmente, si trova in uno stato contrario alla natura, manca il suo vero intert';>se, fabhiioa il suo in- fortunio , si priva da se medesimo d' ogni vero rcal piacere, e perfino di quelli di sua immaginazione, perchè non può più nemmen lusingarsi d' essere amato dagli altri uomini, nò di poter più partecipare de' loio pia- ceri , nò sentire il gusto indicibile delle cose-^jneste , sorgente la più feconda di tutti i contenti della vita : Finalmente ne risulterebbe, che la felicità dell'uomo dipende , per cosi dire , da lui medesimo , ed egli stesso se ne priva , ogni qual volta perde di mira gì' interessi degli altri uomini operando in qualunque modo contra quel tutto , di cui egli è parte. Oltre al prezioso possesso dell' interna tranquillità , j e contentezza dell' animo , che ne deriva dalle ordinate e ben sentite affezioni , queste sono argomento d'una più nobile , e più copiosa soddisfazione , giacché è pro- prio uffizio dell' amore ordinato d' infondei-e nell' animo una forza estensiva di sentimento a render V uomo maggiore di se stesso , e in qualche modo capace d'ab- bracciare tutti gli oggetti della natura socievole glorioso di contribuire a renderla avventurata. Se la possibile contentezza , ed umana prosperità è il frutto sicuro delle virtù , e se questa acquistasi col freno delle private affezioni produttrici del rispetto ai doveri de' vincoli sociali , e delf animato esercizio delle azioni corrispondenti all' ordine della prevalente utilità, e comune vantaggio : il sentire poi troppo fortemente INTORNO all' interesse PERSONALE 4g7 di se stesso per quel fomite naturale di segreto orgo- glio , ed il vano e disordinato amore di privata sua gloria, ed utilità, cagionano ])cr lo più quelle violente passioni e tumulti, che turbano, come venti furiosi, la bella pace , e sconvolgono quelf armonia prodotta dall'ordine prestabilito dalle sociali afiezioni. Cicerone, filosofo pari alla sua magniloquenza , coevo, e vittima delle imperiose passioni in Roma , già disse al primo libi'O de Jinibus " che da esse nascono gliodj, ,, Jc dispule , le discordie , le sedizioni , e le guerre. Plutarco, il più morale fra gli Storici antichi, nel suo trattato delle dispute degli Storici , aflermò pure non esservi insorta guerra tra gì' uomini se non dalie affe- zioni disordinate, da qualche vizio , ossia dall amor de' piaceri, ossia dalT avarizia , ossia dalla sete degli onori, e sopralutto dal desiderio sregolato di comandare. Ne verrebbe parimenti offeso gravemente lo slato della virtù morale da' quei sistemi astratti , che ridu- cendo di leggieri ad opinione, ossia a' principj di dub- bietà , quelle dilicate relazioni , e que' giusti , e stretti doveri dalla retta e pura ragione, e dall' utile esperien- za riconosciuti deU' essenza sociale, accordano aU incli- nazione dell uomo un senso assai troppo lusinghiero della propria prestanza , e parziale interesse : Poiché la dubbietà del pensare genei'a l'indifferenza, per questa si raffredda 1' animo ne' suoi movimenti , vieppiù lo con- centra in lui medesimo, e gli vien tolta quelf attività, e queir energia ne' suoi sentimenti divisata sinqui in- nr r 498 RIFLESSIONI dispensabile, e necossai-ia per l'esercizio delle sociali affezioni , per la produzione delle virtuose azioni , e per r interesse istesso privato , unito e dipendente da quello del comune bene ed utilità. Sarebbe ancora un pensar falso ed erroneo 1' attri- buire a debolezza di spirito la moderazione , e tempe- ramento delle passioni , se da questa virtù maestra procedono la tranquillità, la soavità, e dolcezza dell' animo , la giustezza dello spirito libero dalle preven- zioni , e dai foschi affetti , e così più penetrante , più capace d' intendimento , e per ultimo quell' aria di su- periorità , che regna nelle imprese ed azioni degli uo- mini altamente virtuosi , e che imprime quella maestà di carattere , che li distingue. Laonde l' interesse reale , e la presente felicità di ciascun uomo , e vieppiù in riflesso all' ordine sociale sta posto neir accennata giusta armonia delle affezioni generali colle private inclinazioni di ciascheduno : ar- monia sublime! Che è l'origine d'ogni virtù morale, la quale si è la sola pace, ed il vero, ed unico bene degli uomini : siccome la violenza di queste , e la de- bolezza di quelle non mancano mai di produrre il vi- zio , che è il vero male della società , e di ciascun uomo in particolare, Ciò non pertanto le frequenti , sebben momentanee procelle , che agitano 1' uomo il più tranquillo , e feli- ce , cioè il più virtuoso, non bastan elleno a intorbi- dargli , a scuotergli 1' interna sua pace ? Ma i vivi mo- INTORNO all' interesse PERSONALE 4;)9 vimenti del suo cuore , il quale sente il vuoto attuale del suo stato , non isccmano forse 1' istessa sua felicità stretta peraltro coli' esercizio delle sociali sue virtù ? L'uomo veramente virtuoso passa fra mezzo ai ne- mici del suo riposo , della sua pace senza ferite , e li rovescia : superate le resistenze innalzasi vittorioso al grado di virtù eminente , all' eroismo morale. Se le ordinate affezioni offrono così il mezzo preci- puo della contemplata felicitc\, quest'ordinamento d'af- felli e di sentimenti più agevolmente s'ottiene dalla morale stessa ridotta in azione. Gli esempi] virtuosi degli uomini grandi formano la regola più efficace della condotta privata , ed il vivo , e movente modello della perfezione della vita civile : dalle giuste , e virtuose azioni s' apprende praticamente ciò che far si convenga , e ciò che si deliba evitare , le due principali fonzioni della prudenza, della saviezza , e dirò pure della civile politica economia. Lo studio storico degli uomini illustri per virtù è impertanto il più potente, ed efficace pel conseguimento della privata , e comune felicità portando gli animi per naturale imitazione a rivestirsi ( dall' utile esperimento delle benefiche azioni ) delle virtù stesse ammirate , e così d' una costanza magnanima , d' un' intrepida fer- mezza, d' una liberahtà generosa, dell' invincibile fedeltà, dell' amicizia libera dalle condiscendenze agli errori , ed alle altrui passioni, dell' esimia prudenza , e deU' ardente e nobile zelo della verità senza li timori di dispiacere; 5oo RIFLESSIONI quali virtuose qualità fonnnno , nelle diverse critiche contingenze , ossia contrasti della vita , la bellezza , le meraviglie , ed il trionfo delle anime grandi. Più che i pi-ecetti i grandi esempi) inducono vali- damente quel bene e quella individua , e sociale feli- cità, unico parto della virtù morale : il genio d'emulai'e il merito , la forza delle vive , ed eccellenti immagini d'imitazione, gli utili risultati della virtù agiscono con attività, e vigore nel cuore , e così avvivato dalle più evidenti , e nobili comparazioni d' azioni , e di person- naggj virtuosi , e vantaggiosi effetti riceve con maggiore facilità r impressione dell' amore energico operativo della virtù, che altrimenti s'insinua soltanto alla men- te speculativa senza gran movimento a lisolverne con efficacia la volontà , e a determinarne le azioni. Io non ho parlato col linguaggio della religione , ma solamente da uomo, e per gli uomini : perchè la reli- gione non è la sola base,* ma bensì la perfezione della morale. Però si sa pur troppo , che gli uomini non possono goder giammai d'una felicità proporzionata ai loro de- siderj infiniti , ossia d' una felicità , che sazj , e li riem- pia d' una pace costante , d' una pace perfetta. L' uomo sente di continuo in se stesso questo vuoto immenso , il quale gli ripete ad ogni instante , che in- torno a se non trova oggetto a soddisfarlo abbastanza: nullameno i suoi desiderj , le sue brame non cessano, ma si raddoppiano, si multiplicano, e s' irritano sempre i INTORNO all'interesse PERSONALE. 5oi più per la veemenza loro ! Egli adunque brama qual- che cosa assai troj)|Jo superiore a se stesso , la quale non esiste nò in lui, nò negli oggetti , che lo circondano. Non è giti per suo tormento , che la natura gli for- mò un essere così limitato , ed insieme con dcbiderj così estesi, e così superioii a se medesimo; Klla ha proporzionato esattamente tutti gli esseri alle fonzioni, cui li destinò , e v'è nulla d' inutile , e di sovverchio in futtociò, ch'ella produce, nemmeno nelle più mini- me senzazioni : Ella ha necessariamente preparato per r uomo uno spazio inQnito , in cui potrà solo soddis- farsi , e in cui vi sia quella pace perfetta , e quella costante felicità , eh' egli cerca d' intorno , e dentro a se senza trovar giammai , ma che pure è necessaria , ed è fatta pel di lui essere , avvegnacchè gliene im- presse quasi delle traccio negli stessi insaziabili suoi desiderj; e perchò mai ella gliene avrebbe destata l' idea, se non voleva così per tempo accennargli il vero ter- mine del suo riposo ? Quest' idea vieppiù 1' alletta , lo ricrea , lo consola : Ella abbraccia tuttociò , che vi ha di più delizioso sulla terra per 1" uomo onesto, il quale gode intanto di quella possibile felicità , che deriva unicamente dalla pratica ed esercizio della virtù. 502 DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI , E MOBILI DEGLI ANTICHI E SOPRA ALTRI TEATRALI ORNAMENTI. DEL SIGNOR GIUSEPPE FRANCHI - PONT. Letta li iS dicembre 1810. N ELLA Dissertazione sopra le Antichità di Pollenza, essendomi occorso di parlare d'un antico Teatro, le cui rovine si veggono colà tuttavia , ho asserito che soventi Dell' Amichila 1. 7c • j 1 • jIJ-' .li PoiicDja ec. volte la òceno si formava con legnami , e con tele di- cane 11, arlic. z . , . ,1 vBg.m.ToriDo pin te ; che si mutava nel tempo delle rappresentazioni Stamperia dell' ■ Imperiai Kcca drammatiche ; che eli Antichi si valevano non pure di^ dcuua delle ' O r scien« , in 4° jf ^„g i>/>rsatili ^ 6 laterali, ricordate da Vitruvio ^ da Virgilio , da Servio , m.t per avventura di tele , e di tend& LE SCENE STABILI, E MOBILI, EC. 5o3 per la Scena di fronte , oltre di quella tenda che noi diciamo Sipario , e che Sipario , ed Auleo K'eniia da essi promiscuamente appellata. Il Cavai. Ippolito Pin- demonte , accolto con la cortesia , che è tutta di lui, il mio scritto, chiesemi donde tratta io avessi notizia d'una tenda come di Scena dimezzo contro la comune opinione, che ammette di prospetto una Scena stabile solamente. Questo non men dotto ed illustre , che gentile nostro Collega m' eccitò così ad esporre con estensione mag- giore sopra tal punto di teatrale anticl'.ità i pensieri eh' io aveva accennati di volo , parendomi che lo spie- garli più a lungo fosse allora inopportuno. Le ricerche novelle , le congetture che ne formai , il risultato che ne trassi in conferma del mio divisamente, sottopongo , chiarissimi Colleghi , al vostro esame , e mi persuado che sia per acquistare dalla erudizione vostra , e dalla vostra sagacità più luce un soggetto, avvegnacchè da molti trattato , oscuro peranco in alcuna delle parti s^ie , e non privo d' attrattive appo gli amatori dell' arti belle. Ci converrà battere sti'ada più volte calcala affin d' in- noltrarci in sentieri di fianco più solitarj, che a riuscir vadano in qualche angolo non inameno, e non ben forse per lo innanzi osservato. In cose lontane tanto dai giorni nostri , e dai nostri costumi , è gioco forza che le autorità de' Classici a noi servano di guida; ma essendo queste talora equivoche , e non di rado mancanti ; bisogna confrontarle , e supplire al difetto dell una coli' altra ; quando esse non fanno che accen- 5o/(. DISSERTAZIONE CRITICA nare indirettamente , ricorrere nlle congetture ; e non potendosi trar fuori il certo , appagarci di proporre il probabile. Origine àel Teatro , e della Scena stabile , e ornamenti della medesima. Faremo principio da quell' età in cui ebbe il Teatro figura sua propria da impiegar 1' opera degli Architelli, e dei Pittori. Ciò fu allorché i Poeti dal tripudio delle vendemmie , e dai villerecci ditirambi die celebravano le feste di Bacco; anzi pure dagli acri motteggi, dalle rozze arguzie , che a vicenda si scagliavano le bande erranti de' contadini buffoni , fecero sorgere il triplice dramma tragico , comico , satirico. Il Teatro divenne .alimento di tutte le belf arti , diporto del popolo, og- getto del Governo , e parte non ultima del culto pub- blico, da cui sempre lo riguardarono gli Antichi, traente r origine, ed inseparal)ile. Non si vuol cjui punto cer- care se la Commedia sia più antica della Tragedia , e se di quella se ne debba dar vanto ai Siciliani, anziché agli altri Greci. Non curare si denno i passi primieri che diedero verso la forma sincera della Tragedia Tespi, e verso quella della Co'nmcdia Susarione , nativi en- trambi d' Icaria , borgo delf Attica. Non si cerca di tes- 1 SOPRA LE SCENE STABILI , E MOBILI , EC. 5o5 sere il catalogo di quanti oscuri Drammatici vi furono prima di Escbilo , rammentati da Aristotile, e da Svida. Il genio della imitazione drammatica è comune a tutte le nazioni , sieno colte , o barbare. Il ridurla a forma regolare, il distinguerne le specie, il nobilitarla, lo espoila in versi splendidi , lo arricchirla di quanto la può rendere perfetta , fu proprio dei Greci. Costoro sopra ogn' altra gente ingegnosi , e dotati di fibre di- licate , e sensitive , desti , e condotti dalla forte ed in- „ „ . Horal. Poelie. ventrice frntasia di Eschilo, un frondoso viale d'alberi, ""•*'*' '■■'^sb- un denso intreccio di frasche , sotto cui tra i canti ru- stici un irco a Bacco sacrificavasi, un carro, un tavo- lato convertirono in edificio superbo , e dalle campagne fissarono nella città il dramma , e lo accojipiarono ai riti solenni delle grandi Dionisiache. L' origine del Teatro è men certa presso i Romani. Livio pretende ^"'' *'"■''''• '^" che il superstizioso timore in occasione di pestilenza feroce, chiamasse dalf Etruria in Ptoma gli Istrioni , ed altrove dice inler ceìestis irae placamina , essersi cele- brati i giochi scenici. Memoria degli Etruschi drammi non è rimasta. Esser doveano poca cosa ed informe , come rozzi erano i versi Fescennini, co' quali espone- vansi. Non sì tosto per altro conobbero i Romani i ub"""' Tvers. drammi Greci , che tentarono d' imitarli , ma a questo '^'' .,..,.., „ Homi, fpisl. Studio non el)bero agio di rivolgersi sm dopo le Punì- Ht m , «pisioi. che guerre. Imitatori de' Greci furono dunque i La- „ . , «^ 1 Hcral. lococil. tini Poeti. Orazio , e Quintiliano sempre coi Greci li 'L'° *"' ''"" pongono a contronto. Oreci per lo pai erano gli argo- mi; oraior. lib. SSS x.cap. .. 5o6 DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI , menti che scieglievansi da Bomani ,• (a) e se i primi Teatri di legno , e temporarj che si edificarono in Roma, forse ebbero Sagome Etrusche , e lavoro furono di Etruschi Architetti, gli ultimi che si fecero , e tanto più i marmorei ebbero Greca sul totale la l'orma , e Greche le decorazioni. Anzi nel tempo istesso che Greci argomenti per lo più trasportati , od imitati in Latino si rappresentavano in Roma , ivi pui-e in lingua Greca, ed in Teatri di forma interamente Greca recitavasi. vid. Dion in -Tomato GìuIìo Cesare dalla guerra Affricana diede due sorte di rappresentazioni in due Teatri, Greco f Ved Guaiian! , uno , 6 1' altro Romauo. Cesare si addossò la cura del Roma Aulica , ^°'i^'^' P's^*' Romano , e quella del Greco commise al suo nipote Ottaviano. Nella famosa villa Adriana di Tivoli esisto- no avanzi di due Teatrini privati , diversi l'uno dall' al- tro , nella parte dell' Orchestra, chiamati 1' un Greco, e r altro Latino. vitruT Lib. V, Vitruvio dando la norma per costrurre i Teatri dai Greci la deriva. Le diversità che egli nota fra il Greco, ed il Romano punto non sono essenziali , e consistono specialmente nelf Orchestra che i Greci aveano grande, e piccola la Scena ; mentre all' opposto i Romani Teatri aveano piccola ì Orchestra , e grande la Scena. Il più [ri] Dissi per lo pili ; impercioccliò sanno gli eruditi che vi furono alcuni drammi proprj de' Romani, detti Togati dalla Toga, e suddivisi in trabeati, e pretestcfi ; e l'argomento de' quali traesi dalla Romana Istoria, ed inoltre alcune specie di Commedia erano parimenti Romane. E MOBILI , EC, DEL SIGNOR FRANCHI-PONT. Boy antico Teatro stabile e marmoreo, che vide Roma, fu Vici. Plul. la da Pompeo , o come volle taluno , in nome di lui dal suo P""'P«o- straricco liberto Demetrio innalzato sullo esempio del via. djod Teatro di Mitiicne bensì, ma più magnifico, e più ca- 3j. "" ' pace. Quindi ciò tutto che dicesi del Greco Teatro , adattare si può al Latino. La forma più consueta di questo edificio atto a contenere migliaja di persone fu un vasto semicerchio terminato al suo diametro da uà parallelogrammo. Il semicerchio giva menomandosi dall' allo in ])asso col giro de' sedili divisi in tre ordini dalle precinzioni , e lasciava di mezzo uno spazio semicirco- lare anch' esso , che fu Orchestra chiamato. Nel Greco Ve'ì. cìiscours Teatro la parte di questo spazio più vicina al diametro '""^ '^ '^"™'". ^' veniva occupata dai saltatori, e mercè un tavolato da ^'„'X^„f ''" "j^' cui solcasi coprire , acquistava alcun poco di pendio, .t^m" deTurr'ip. Nei Teatri Romani era inclinato alquanto il pavimento LeiircsMémoire de lìlléralure , istesso formato con bitume, o lavorato a mosaico, ed Tomi, pagi 55. Paris , 1717, JD ivi avevano il luogo loro i Senatori e le Vestali. Il 4° rimanente dell* Orchestra più ai gradi vicina con il prim' ordine di gradi 1' ottennero i cavalieri per legge di L. Roscio Ottone , avvalorata dall' eloquenza di Marco Tullio. Dall'Orchestra quasi dal centro partiva- no alcune piccole scale incavate ne' sedili, che salendo giungevano a foggia di raggi sino alla cima coronata da vaga loggia , dalla cui parte superiore sorgevano pilastri con gli ordigni , a' cjuali si legavano le funi a sostenere il Velario steso sopra le gradinate e 1' Orches- tra per difendere gli spettatori dal sole. 5oo DISSERTAZIOKE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI, L' ampio parallelogrammo era distribuito in tre parti principali , il Proscenio confuso talvolta col pulpito su cui stavano gli Attori , la Scena , e il Dictroscena. Il V. BioniUiiiocoPi^oscenio soverchiava alquanto l'Orchestra, e sembra che presso i Greci si dividesse in due piani mercè palchi di legno uno per gli Attori , 1' altro più basso per il coro. Ai lati del Proscenio, fra la Scena e 1' Or- chestra , erano siti capaci ove si vestivano gli Attori , e si preparavano le macchine sia pe' cangiamenti delle Scene di fianco , che per le apparizioni de' Numi , e tal sito il Pressoscena denominavasi. Tutto il paralle- logrammo viene talvolta compreso coli' appellativo gene- rico di Scena , avvegnaché questa dopo che i Teatri furono stabili , fosse un muro che faceva ombra , fin- gente una facciata di reggia con tre porte , una ia mezzo , e due ai lati. La fabbrica tutta era circondata per lo più da' portici esteriori, munita nella sua densità di anditi , di scale, e di quanto occorreva, al riparo , ed al comodo degli accorrenti, ed aveva vicine altre fabbriche che v' erano analoghe, un Tempio di Bacco , un Odeo , ossia luogo dove si provavano i Musici. Scoperte erano le gradinate e l'Orchestra, ma coperto era il Proscenio, la Scena , e il Dietroscena ; poiché oltre al ritenersi per tal mezzo r origine primitiva della Scena, che vuol significar luogo opaco , conveniva che in quella e nel proscenio operar potessero le macchine in cento maniere. Chiara testimonianza ce ne offre Filostrato presso i Greci , narrando che il celebre Erode Attico ne' Teatri da lui E MOBILI, FX., DRT. SIGNOR FRANCHI- PONT. Sog edificati, uno magnifico in Atene lungo l'Ilisso, in me- moria, e vicino al sepolcro di Reeilla sua consorte ,'"'■'''■''''' '° ' l O pliisliimiu ab, e l'altro meno suntuoso in Corinto, vi fece il soffito: ^^ ""Lipsia^,' e l'Ateniese l' avea di cedro elegantemente sculto , '^''^'"' il che si debbe intendere della Scena nel suo più ampio significato solamente. Cassiodoro insegnaci la cosa me- vi,i. cassiod. 1 . . -IT • o rn • • r cpistol. episl. 55. ciesima per rispetto ai iLomani. oc ieatn vi lusserò di forma diversa da quella che abbiamo brevemente descritta , anzi di foima del tutto circolare , come pensò il MaJfei che fosse quello di Pola nelT Istria, non y;^ jy,^^^^; è qui luogo dicei-care, piuttosto è da ripetersi che in u "a'i'ji/^ "^° Grecia , e nel Lazio , quantunque per ragioni diverse in origine fecero i Teatri , e i drammi parte del culto pubblico. Si dedicarono a Bacco, ad Apoliine, a Venere. Due are sorgevano in sul Proscenio, a Bacco luna, ad Apolline l'altra, a quel Nume la Tragedia , vije t Chi direbbe eccellente Pittore di Scene colui , che non al- tro sapesse fare che tingere un prospetto di palazzo- con tre porte fingendo sul legno i rilievi delle cornici' e degli altri snoi'li ? Eppure di ciò solamente avrebbe dovuto Sefopione appagarsi , se le pitture sue dovessero intendersi della Scena stabiìn , tanto più che escludendo nominatamente Varrone dalla capacità di lui la figura umana , non avrebbero avuto sul prospetto di cj[uel palazzo Juqgo le statue , una delle poche cose con cui sopra la sta- bile Scena potesse far mostra del suo ingegno. Non è da supporsi che acquistando i Teatri magnificenza maggiore , e maggior solidità , anzi al fabbricarsi di cotto, e di marmo, la Scena stabile siesi surrogata alla mobile , o che questa ridotta siasi ai lati del Proscenio ornando quelle macchine triangolari dette da Vitruvio trigoni versatili, delle quali diremo in appresso. Con un tale supposto si verrebbe ad affei'inare che in Gre- $24 DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI, eia il' illusione drammatica, dopo i tempi d' Eschilo , e di Agatarco; in Roma dopo quelli di Serapione , o di qual altro Pittore le Scene dipinse del Teatro di Ful- cro , in cambio di andare innanzi perfezionandosi, desse passi retrogradi. Scene fisse non potevano certamente sj'],.^^''";^!'''- avere i due celebri Teatri di Curione , che posti a rin-> contro di schiena dovevano ad un tratto volgendosi vid Maffei ^" perni unire le cime de' corni del semicerchio, e ilb^'^.^cap!"!," formare alternativamente un anfiteatro, perchè ad un tratto dovea precipitarsi la Scena che serviva ai dram- mi per lasciar libero lo spazio di mezzo che formava If Arena dell'anfiteatro ((.i). Questi Teatri di Curione (a) Curione che morì nelle guerre Civili partigiano di Cesare non potendo emulare le ricchezze, e la sonf.iosità diScaiiro, immaginò quei meravigliosi, e bizzari Teatri contigui , non fondati in terra , ma posati ciascheduno sopra un cardine, o perno, e però atti ad esser mossi, e fatti girare attorno con tutto l'infinito popolo, che vi era sopra. La mattina si rappresentavano azioni sceniche, dopo il mezzo giorno si faceano d'improvviso girare i Teatri, sicché venissei» ad essere in faccia, di poi, ( precipitando i tavolati ) si con- giungevano i corni dell' uno , e dell' altro , e si formava un recinto intiero che è qiiaruo dire ut/ anfiteatro , nell'Arena del quale venivano a combattere i Gladiatori. Plinio con quella sua enfasi mestatnente sublime come asserì che il Teatro di Scauro fu esempio di lusso ai Romani, così esagerò contro la temerità di C;irione, lib. 36 , e. 15, dicendo che Curione rese pensili le tribù tutte, e pose in macchina quasi sopra due navi il senato, e il popolo domi, natore dell' universo , applaudendo egli stesso al suo pericolo, benchò affidato a due cardini, ed in tal risciiio di morte, che parve al tumulo del padre di Curione f)ugn.issero da Gladiatori i Romani tutti. Daniele Barbaro ne' suoi commenti a Vitruvio, aflv/rma che un certo Francesco Maicollini pronto, e felice nel sciogliere ogni quesito , gli fece benissimo comprendere come potes- sero i due Teatri moversi in giro, ed in qual sito dovesse farsi il centro, e I E MOBILI, EC, DEL SIGNOR FRANCHI-PONT. 5^5 furono all' età di Cesare , onde di molto posteriori non che a quello di Fulcro , ma d' alcun poco al Teatro di Scaui-o, e quasi contemporaneo al marmoreo di Pom- peo , ornati entrambi di stabile Scena. Si giovarono bensi i Greci ed i Romani del Teatro , dappoiché di- venne edificio ampio, ed autorevole ad usi diversi , di pubbliche adunanze, di feste , e di spettacoli , s' intro- dusse bensì allora la stabile Scena per decoro continuo dell' edificio ; ma ciò non per tanto qualora accadeva , che in esso drammi si rappresentassero , non si tralasciò di coprire la Scena stabile con le Scene mobili. Seguirono i Poeti drammatici probabilmente a dirigere le decora- zioni sovr' intendendo a' Pittori , ai Macchinisti , agli Impresa!). Eschilo e Sofocle vissero insieme , avvegnaché Es- chilo abbia composte tragedie qualche tempo prima di Sofocle. Già nato era Euripide, mentre Sofocle ancor vivea ; quindi per rispetto a' Greci l'uso della Scena mobile andò anzi perfezionandosi col perfezionarsi degli altri teatrali apparati. Vedi piume. Note sono le spese grandi , e le molte cure dei Greci gii Ateniesi p.ù vaUssero nell* ormi, cbe nelle porre il perno di ciascheduno , il che ancora fu dal Barbaro isiesso dimostra- to alla line drl libro con due carte sciolte , e supraposte , che si fanno girare nella guisa con cri quel valentuomo suppose che i due Teatri facessero. Da questa notizia, che diedeci il MafTei { degli anfìtealri lib. i , cap. 2. ) Si rac- c.'glie che il Conte Caylus ( Ricueil de liitcratiire toni. XXIII ) non fu il primo, che ahbia dimostrata la mecanica del prodigioso Teatro di C 11 rione , ma che fu preceduto più secoli prima dal MaccoUini , e da Daniello Barbaro. 5^6 DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI , per la sola rappresentazione di alcuni drammi. Som- me esorbitanti si profusero in Atene per quelle delle vij. nubos.F,;. Baccanti , e della Medea d' Euripide, dell' Edipo, quts sur la poé dell' Antiffone , dell' Eletra di Sofocle , a sec-no che SIC , ei sur Li a r o peiniure,i."pat jj.g ^yj^ Tragedie costarono più che la euerra del uc, pag. S38. t? r o Peloponeso. La magnificenza degli spettacoli Tea- trali passò di Grecia in Roma , affermando Livio che un passatempo sì innocente in origine, divenne sontuoso tanto , da estenuare i regni più floridi col pazzo dis- pendio. Quam ab sano inido res in hanc vel opiilentìs re- gnìs vìx tolerabiìe.m insaniam venerit. Benché pingue fosse Liv. Hisior. lib. oltre modo la paga degli Attori, come il fu a cagion vid. eie. prò d" esempio di Roscio , e d' Esopo , benché la spesa de' KoscioComaedo. viH. Macrob. ^^'ì ' degli abiti , del velario , e degli altri ornamenti cap"'"o.' ' ' ""' fosse eccessiva , non si direbbe che questa era per la rappresentazione di Tragedie jiarticolari , perchè gli Attori rappresentavano in molte , ed erano pagati , di- remmo così, annualmente; né tampoco per la magni- ficenza del Teatro , e della Scena stabile , che in questo caso, una volta sola, cioè al fabbricarsi del Teatro si sarebbe fatto la spesa maggiore , e delle altre minori non ne avrebbero fatta parola gli Scrittori : tanto più che allora non occorrevano per lo più i lumi ; dunque ira le cose costose erano le macchine, e le Scene mo- bili per ciascheduna Tragedia. Se nel testo che al)biamo delle Greche Tragedie, e Commedie , non vi si ritrova apposta la descrizione delle Scene , e degli apparati , E MOBILI, EC<, DEL SIGNOR FRANCHI-PONT. 827 ciò attribuire si deve alla perdita fatta degli Autografi più antichi , od all' incuria degli Amanuensi. Ma Ari- stotele , che vide rappresentare per avventura que* drammi , egli che saper potea qua! influenza nella rap- presentazione gli Autori avessero , assegnò ai Poeti non che la diiezion della musica , ma quella degli apparati teatrali. Ciò si rende più probabile dal sapersi che in Grecia prima di Sofocle i Poeti rappiesentavano nei loro drammi , e dal leggersi presso i Romani lo stesso di Livio Andronico. Lo essere giunti a noi i testi de' Greci drammi, mancanti della descrizione delle Scene, DilenU.^xx',' e delle note marginali, fu motivo che da taluno si d"i"erpreTarTi A • I 11 • •! • Tragici Greci, tacciasse Aristotele d avere male a proposito attribuito tom. v, edii. . . Torinese del a' Poeti la direzion delle Scene , quindi della falsa idea n^', p^s- 8». che presso i Greci la Scena fosse stabile sempre , e fi- nalmente del supporsi necessaria l'unità del luogo, del pari che 1' unità del tempo, e dell' azione. Perciò, oltre ì le ragioni addotte , 1' autorità sincera d' Aristotele deve convincerci che Scene mobili s' adoperarono nella rap- presentazione delle Greche Tragedie; e che spettò a* Poeti lo idearle , in cjuelia guisa medesima , che suol fax-si a' nostri giorni. In Roma non si tralasciarono dopo i Teatri innalzatisi da Pompeo, da Marcello, da Balbo, ricordandosi da Vitruvio , e da PHnio , Pittori scenici all' età d' Augusto. Seguendosi le traccie dell' istoria pittorica accennate da Vitruvio , potrebbe forse attri- buirsi ai Pittori , che dal Teatro passarono a dipingere altri siti per la città, la corruzione della buona maniera. SaS DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI, Dal voler essi lavorare molto, e sollecitamente ebbe per avventura principio il gusto che noi diciamo Grot- tesco , dai pezzi che se ne veggono nelle or sotterranee rovine , che in Roma scoprironsi a' giorni di Railaello, gusto che s' incontra in alcune ercolanesi pitture , guasto da ghiribizzi , e da cose prive di proporzione. Pretese taluno che inventore ne fosse un certo Ludio , e che di Ladio intenda parlare Vitruvio tacendone il nome. xxxv>"p'37- -^^^ Plinio che lo nomina , che lo distingue da un certo Marco Ludio più antico , che aveva dipinto nel tempio di Giunone in Ardea, e che il più giovane Ludio novera tra Pittori che viveano a bei giorni d' Augusto , dice che dipingeva ne' portici, e nelle gallerie, vedute di paesi, di marine , di naufragj , che molto piacevano a cjuel erudito Principe , intelligente delle belle arti. Questi paesi , cpieste marine , questi naufragj , sebben cose molto diverse dalle stranezze biasimate a ragione da Vitruvio, possono farci ravvisare in Ludio un bravo Pittore di Scena , e provare che in Roma allora non solamente vivevano parecchi buoni , cattivi , mediocri , scenici Pittori ; che questi non erano semplici quadratu- risti da colorire unicamente la Scena stabile ; ma che dipingevano ogni cosa propria AeWe Scene mobili ^ colli, alberi , campagne , marine. Anzi non penso ingannarmi dicendo, che delle mobili Scene sorta sia la scuola de' Paesisti , per 1' obbligo , in cui erano i Pittori d' espri- mei'e col pennello le descrizioni delle Scene dai Poeti ideate. Se la cosa andò cosi veramente , siami lecito E MOBILI , EC, DEL SIGNOR FRANCHI-POKT. 52f) notare , che tra le descrizioni apposte dal Metastasio ai suoi drammi , ve ne sono di sì vaglie , e sì nobili , da non temere il confronto delle più amene situazioni im- maginatesi dal Pussino , da Claudio, dal Vernetlo; e che potrebbe la fantasia de Paesisti moderni arricchirsi colle Scene Metastasiane , come arricchirono la loro eoa quelle dei tragici Greci , Agafarco , Apaturio , Serapione, e forse Ludio , i quali da Pittori scenici divennero Paesisti, e ne fondarono la scuola. Ma semplice congettura sia lo argomentate che le Scene mobili abbiano pro- dotti i Pittori paesisti. Penso che sia verità il dire che molto contribuissero le mobili Scene ad inti*odurre la divisione delle Tragedie , e delle Commedie in atti , che già era in uso a' tempi d' Orazio. Divisione non DiUraz^'ham^ immaginata dagli Autori, ne come pensarono i Ora m- noie aiia l'onic. • • • 1 1 11. • T ti' Orazio , pag. matici , cagionata soltanto dall intervento d un nuovo 35s. _ ... ^''"'l- Eslrallo Personaggio, o dal canto del coro che per lo più in- ''«"^P^f'''' '''*• teiTompe quattro volte il coiso della favola, e la di- „"''"! *>"■■■■ vide in azioni separate , ma procurata in parte dagli ''**"' ""°' "' impresari , e dai decoristi , perche si avesse il co- modo di preparare le macchine , e di coprire la Scena stabile con la Scena mobile di prospetto. In questo frattempo il Proscenio era occupato dalle dan- ze, e poi da' Mimi, e da' Pantoinimi. Se trattato si fosse soltanto delle Scene laterali non era me- stieio di questo riposo. I trigoni volgere si poteano in un battere d' occhio. Avvezzatosi il popolo spettatore a riposarsi più volte , fu necessario che il Poeta per X X X 53o DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI, compiacerlo vi si adadasse, se non volca che il dramma, vid. Mciasins i^on per inti'inseco difetto, ma per circostanze estrin- Estrallo dilla , ..^ • \ /^ • •■,■,• Poitic. ,v Ari sedie ne iscapitasse: e perciò Orazio prescrisse la di- slolcl. cap. Xll- .... . p . . . Visione in cinque afli per far cadere i cambiamenti di Scena a tempo , e luogo , allineile non fossero invero- simili , od ineseguibili. A dimostrare che questa divisione fu arbitraria in origine, e che non fu i^rodotta dai cori, ved. MaBVi. i quali non erano , e non serbavano sempre nello istesso Disserlaz. cii. numero, a un dipresso sempre l'intervallo medesimo, torna in acconcio una lettera da Cicerone al suo fra- tello Quinto , scritta circa quarant' anni prima d' Orazio, dalla quale risulta che i drammi si dividevano non in cinque, ma in tre soli atti. « Questo t'inculco fìnal- i> mente , di questo ti prego , e t' esorto , che all' uso » de' buoni Poeti , e degli industri Attori ncH' estrema » parte, e nella conclusione deh' affare , e dell'ufficio Cic.adQuiiilum fraireiu, lib. 1 , » tuo, ti iiìoslri diligcntissiiiio , cosiccliò il terz' anno epis. I, in fine, ci(. dal Melasi. „ dg] tuo imocro al i)arl J' un terzo alto per fetlissimo, luogo Cll. ^1 I J ^ » ed ornalissirno comparisca. Son le parole del Ro- mano Oratore già state dal Metastasio avvertite. Ag- giungeremo noi , che siccome la voce perfeciissimus -par che riguardi V intrinseco pregio del dramma , cosi quella ornàlissimiis sembra che possa riferirsi agli addobbi teatrali , al cangiamento delle Scene , ed allo sjalendor delle medesime. E MOBILI, EC, DEL SIGNOR FRANCIII-PONT. 53l §. III. Obbiezioni , e risposte , e quindi de trìgoni versatili , e del loro collocamento. Ciò nulla ostante, o per difetto di chiare testimo- nianze , o perchè le rovine degli antichi Teatri spet- tanti alla Scena incerte sieno, e rarissime; gli Eruditi, gli Architetti , gli Antiquarj , pressoché tutti si sono fitti nel capo , che il prospetto della Scena stabile noa si dovesse coprire giammai. Volendo essi ad ogni modo porre d' accordo ciò che dice Vitruvio nel capo settimo. X'''-^''^";''''- '^ ^ V, cap. VII. Ipse auleni Scenae habeant ralinnes explicatas ita , ut maediae yahae ornatus habeant aulae regiae , dextcra et sinistra hospitalia ; con cjuanto asserisce qurll' insigne Maestro nel capo Vili , genera auteni Scenarum sunt virr. Ub. v, tria ec. , immaginarono che i cambiamenti di Scena avere luogo dovessero dentro le tre porte summentovate per mezzo di certe macchine triangolari, che s aggira- vano su' perni sospese , ciascheduna delle quali dovea mostrare sulle tre facciate altrettante decorazioni , uua tragica, f altra comica, la terza satirica. Queste mac- chine introdotte, secondo Valerio Massimo, ne' Romani ^'''^- ^'''^"• Mhx in. Iib. 1 , Teatri dai Luculli , sono da Vitruvio appellate i-ersatiles "p- ''• irigonns. Il primo che abbia immaginalo di collocare trigoni siffatti nel modo che abbiamo espresso, fu Da- vm. nan. ne- ^ ecmmen*. al niele Barbaro. Venne in ciò egli seguito da pai-ecchi '^"["^ /''• ^^ 53:ì dissertazione critica sopra le scene stabili , nisrours ilo M. altri , e specialineutc dal Blondin , e pochi auni Bìunilin sur It's TWiiros (ics An addietro dal Ghiar."'° nostro Coliega il Si":nor Nanionc cicns , Mom. ne o i LiK"''''i".i(rll" ^^^^'^ prefazione alla sua Tragedia intitolala Griselda. '<""• •• ]\ia questo ingenuo , ed eruditissimo Collega nostro , non ebbe altro scopo allora che il mostrare appunto che gli Antichi cambiavan di Scena contro i ligoristi sostenitori dell' unità del luogo , uè occoi'reva che s' in- ternasse in discussioni , bastandogli il corroborare il suo assunto coli' autorità d' uomo sì grande , c^ual fu Da- niello Barbaro. Se egli col supporre la varietà delle inobili Scene rinforza la nostra opinione col avere ac- colta la nostra sentenza circa il modo di cambiarle , 1"',.'',"'",°.' molto ci onora. Or tornando al Napoletano Galiaui egli noie ai luogui l o EdUioiit"diNL" con molta sagacità osservò che dalla serie in cui stanno fogiio!'- Slam le parole di Vitruvio, i trigoni i^er sai ili non si doveano perla Simooiana. . un • < punto situare dentro alle porte , ma alle due estremità della Scena stabile , fra la medesima , ed i sedih. Vitruvio, (dice il Galiani ), « nel descrivere le parti » della Scena , comincia dal mezzo , e quindi s'avanza » di mano in mano a descrivere i due lati a destra, » ed a sinistra. Meiliae yaLae ornaius habeant aulae » regiae , dexiera el sinistra hospitalia : jDassa avanti, e » soggiunge, secundum ea , cioè appresso a queste, spatiaX » ad ornaius comparata , vale a dire, que' vani ove si-J » tuare si devono le decorazioni , ( o parlando all' usol » nostro , le mutazioni di Scena ) , passa anche pii » oltre , e ripete nuovamente secundum. ca loca , cioè » appresso questi vani, seguendo egli sempre lo stésso' E MOBILI, EC, PIX SIGNOR FRANCHI- PONT. 533 » moto per li luti a destra , ed a sinistra icrsurae » sunt procurrcntes , vengono le due cantonate, le quali » passano oltre , e formano le due strade , una per gli » Attori che fìngono venire dal foro , 1' altra per quelli )) che suppongousi venire dalla campagna. Giù posto , ( va opinando il Galiani ) « se il secundum potesse , » come si è creduto finora , significare non al fianco, )) ma di dietro alle porte , dovrebbe significare di dietro » anche la seconda volta , ed in tal caso non si trova » modo da situare le due strade delle cantonate. Si I» vuol di più osservare, che le tre porte, disegnate da » Vitruvio nella Scena stabile, erano, e faceano l'ufficio » di jìorte vere, quali le hanno le abitazioni praticabili; » onde sarebbe slata impropria cosa di porre ivi dentro » ( quasi otturandole ) , li cambiamenti di Scena , e » farvi ora una regia , ora casamenti , ora un bosco , » prescindendo anche dall' ingombro che avrebbero » dovuto cagionare i trigoni al padrone di casa , ed ai [ » forestieri , vale a dire agli Attori d' ogni specie che '» doveano uscire , e dalla porta di mezzo, e dalle » porte lalcrnli. » Tratto da queste giustissime osser- tvazioni, il Galiani, nel disegno che ci diede per cspri- Lmere il suo pensiero, colloca i Irigoni versatili ai lati !»del Proscenio, e tre per ciaschedun lato ; ma poi anch' esso tenace dell" antico pregiudicio , suppone che in ciò solo ogni mutazion di Scena consistesse, e nota quindi che tuttavia essere vi dovea improprietà nelle deco- razioni, non dovendo far buona comparsa boschi a destra, 534 DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI , ed a sinistra , ed in mezzo un magnifico , e superbo prospetto di palazzo. Quasi poi non ardisca congetturare che avessero gli Antichi in costume di coprire anche la Scena stabile di fronte , afferma che le mutazioni servivano a semplicemente indicare la qualità del dramma, avvertendo essere poco tempo da che si è ridotto a perfe- zione r aspetto delle nostre Scene per lo affinamento della prospettiva. Soggiunge che fino a' giorni nostii spe- cialmente in Teatri non nobili , si è conservata , e ve- duta la Scena antica , cioè nel fondo di mezzo un as- petto sempre fisso , indicante abitazione, e poi a destra, ed a sinistra variarsi nel corso della recita le decora- zioni. La incongruità grande che notò il Galiani collocando i trigoni dentro le porte, già era parsa tale circa due secoli prima ad Andrea Palladio. Questi avvegnaché uomo grandissimo, e delle antiche rovine scrutinatore sagace, non ardì sciogliersi dalle idee comuni totalmente, e per avvenku-a da quelle che tenute erano dal dotto suo amico il Trissino. ISelki costruzione del suo Teatro Olimpico immaginò una via di mezzo, che esclu- dendo i trigoni, mantenesse la Scena fissa , ed ammet- tesse le altre varietà che gli parvero indicate da Vi- truvio. Finse che il muro della Scena stabile rappre- sentasse in tutta r ampiezza del Proscenio un cortile magnifico , a due ordini di colonne con un attico so- pra , il quale muro piegò ai lati , e prolungò sino alle estremità laterali dei sedili. Fccevi sopra un soffilo , r. MOBILI , EC, DEI. >"-ICKOR FRANCHI-PONT. 535 sicché il coitilo veste la sembianza di aula superba. Nella facciala di fronte aprì tre porte , quella di mezzo arcuala, j)iù ampia, e più alta , la quale interrompe l'ar- chitravc del prim' ordine , e il basamento del secondo, l'altre ai lati alte quanto le. colonne , come parimenti le porle che praticò nei muri che piegano, facendo angolo retto col muro di fronte. Dalle porte di pros- petto , dove il Barbaro suppose i tiigoni , il Palladio praticò tre strade di ciltà , adorne d' edifìc). Siccome il Teatro Olimpico fu eretto per rappresentarvi solo azioni tragiche , cosi gli ornamenti su#i non convengono alle comiche , ed alle satiriche. Dalla porta di mezzo denominata Regia s' ammira una strada che si suddi- vide in tre parli con fabbriche reali, tempj , basiliche, palagi ; dalle altre due dette Ospitali da Yitruvio , si scorgono fabbriche meu nobili. Le porte che sono a' fianchi del Proscenio, chiamate versure, sboccano pari- menti sul pulpito. Il solfito era compartito in lacunari vagamente ornati, da' quali discendevano le macchine con le Deità. Ho dato nome di cortile piuttosto che di aula o sala a' tre muri che circondano il Proscenio , sebbene coperti dal solfito, perchè non sembrami con- venevole fingere vin salone isolato che dia a dirittura sulla strada con la sola densità de' muri. Del resto questo ripiego dal Palladio trovatosi , ha un dipresso gli stessi inconvenienti , e forse maggiori , dei trigoni. Primieramente di troppo si restringe il Proscenio , e si dona poco campo agU Attori per agire , perdendosi 536 DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI, tutto quel sito che è occupato dalle vie che formano il Dietroscena , nelle quali , sebbene le supposte strade sieno collocate nel vero punto di prospettiva , non vi possono stare persone , eccetto in quelle degli angoli , necessarie a passai-e per venire sul pulpito , ma anguste molto , e dove non comparir potrebbe 1' azione. In secondo luogo né punto nò poco vi può succedere la menoma mutazione di Scena , la quale pure si ottiene in parte co' trigoni; ed è giocoforza che tutta l'azione passi in uu cortile , con lo sconveniente di far in esso succedere quanto» non può avvenire che in sito vasto con danno continuo e totale dell'illusione; finalmente vien tolto il luogo per i cori, e per le comparse grandiose , ej^perciò , il dramma dee apparir sempre freddo e monotono. Se questo partito fu suggerito al Palladio dal Trissino , ben si mostra che quel Letterato e Gre- cista insigne avea anch' esso interpretato , secondo il costume volgare, Aristotile, ed Oiazio , ed adattato alla interpretazione sua Vitruvio ; riuscendo a far costrurre una Scena alla foggia antica , non meno di quello che simile fosse alle antiche Greche tragedie la sua Sofo- nisba. Avvegnaché dunque non dei tutto spogliata di false prevenzioni , più ragionevole di quella del Palla- dio è l'opinione del Galiani, la quale accompagnata da alcune false idee anch' essa , fu comune con parecchi altri letterati , e mi spiace vederla abbracciata dal Me- tastasio sostenitore sì ingegnoso della libertà che aveano gli antichi Drammatici , di non attenersi all' unità del r.-llo l'A- E MOBILI , EC, DEL SIGNOR FRANCHI-PONT. . BZ'J luogo; dal Mefaslasio che giunse a provare essere le Greche tragedie più assai somiglievoU a' nostri drammi per musica, che nou alle tragedie del cinquecento , alle francesi, ed a quelle tutte, che rigorosamente attenen- dosi alle tre unità , tanto più s' allontanano dalle Greche vestigia , quanto più tentano di seguirle da pressp. Odasi il Metastasio : « Non si pensò mai nò dai Poeti, "''a"- E^ir _ 1 _ d,ll.i Po;l. . ¥ nò dagli Architetti che dovesse esprimere la Scena "'«'«^'«"p ^' «gli speciali luoghi suppo-ti dall'uno, o dall altro » dramma che esponevasi al pubblico : la parte degli » antichi Teatri, che s'intendeva sotto il nome di Scena, » non era propriamente che il vasto prospetto este- » riore d' un reale edificio elevato per ornamento nel » fondo del palco , ed ailinchè gli ornamenti fossero » confucenti al genere dello spettacolo , se dovean re- » citarsi Tragedie esprimea quel prospetto la facciata ). esteriore d'un edificio reale; se Commedie, strade, e » case cittadine , se drammi satiiici, selve, e monti , » spelonche , e campagne : ed i Poeti imitatori per- )i suasi con lutto il popolo che limitazione non è « obbligata ( quando la sua materia noi sollìe ) acl )) esprimere tutte le circostanze del vero , supj)onevano » ( sempre d' accordo cogli spettatori ) sopra un pal- li) co medesimo lutti quei diversi luoghi die il corso » dell' azione rappresentata successivamente esigeva. » Queste parole si vollero estesamente portare , onde si vegga che per voler il Metastasio attenersi ah' opi- nione de' sostenitori d' una sola stabile Scena di fronte, Y y y 538 DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI , dovette ravvolgersi ia sensi ambigui ed inesplicabili! Dilfatti che intende egli mai per ornamenti che fossero confacenti al genere dello spettacolo P Per guel prospetto espn'mei-a or la facciala esteriore d' un edificio reale , or strade , e case cittadine , or sehe , e monti ? Non è ciò supporre che la Scena fissa coprivasi a norma del dramma , e negare ciò che avea asserito poche linee prima ; cioè che la Scena antica non fosse propriamente che il vasto prospètto esteriore d wì reale edificio? Ove -poi si voglia che fossero questi ornamenti fissi per ciaschedun dramma , ma non variabili nel corso del medesimo, ne risulta o non esservi stata Scena stabile di marmo ( giacché si accorda che la stabile Scena solca cambiarsi da un dramma all' altro ) o che il pros- petto di essa Scena stabile non compariva nel tempo della rappresentazione dei drammi. Ma se ha parlato ^ ornamenti , se concede che questi erano coufacenti al genere dello spettacolo , perchè poi soggiunge che i Poeti imitatori , ed il popolo supponevano sopra un palco medesimo tutti quei diversi luoghi che il corso dell' azione i-appresentata successivamente esigeva « come » gli avean supposto gli antichi prima sopra un solo » carro di Tespi , cjLiindi sopra un palco solo adom- » broso di fronde : finalmente su c{uelli che il fasto » Greco e Romano ornò di magnifiche Scene. » Senza dubbio che doveauo ed i Poeti , e gli spettatori sup- porre sopra un palco solo ciò, che si rappresentava nel dramma, ne certo si poteva fare altrimenti,- ma I E MOIULI , EC, DEL SIGNOR FRAKCIII-PONT. SSg poi seguitiamo a dimandare se per acciesceie l'illusio- ne, quegli ornamenti che il IMetaslasio suppone .essersi adoperali confacevoli allo spettacolo dovessero coprire- e variare il prospetto fisso, o nò: se 1 coprivano, erano dunque Scene mobili , se noi coprivano riuscivar£ no del lutto inutili; se poi questi ornamenti non sL variavano nel corso del dramma , ma solamente in principio del medcsiino , lasciando agli spettatori il carico di figurarvi T altre variazioni , allora converrà dire che Metastasio dimenticò che la Scena stabile era di marmo, e che era opera dell'Architetto, e non del Decoratore , e che non era variabile ora a foggia di Regia , ora di casa cittadinesca , or di campagna , e che dimenticando la Scena fissa, e coprendola in al- tre non dill'erisce da noi , se non che nel volere che una volta sola si mutasse la Scena di fronte nel corso del Dramma. Basta che si mutasse da un dramma all' altro per confermarci , anche col parere d' un tanto [personaggio , nella nostra congettura , che la Scena [stabile , direi cosi, ai'chitettonica , era diversa da quella de' drammi , non dovendosi in conto ninno supporre ilie si edificasse un muro di prospetto in sul Proscenio ni qual volta dramma novello rappresentar si volca. uesto sia detto per escursione , e per togliere ogni [opposizione che ci si potrebbe fare chi volesse valersi el nome d' un tanto uomo. Ritornando ora al Galia- i , consento volentieri con lui che i trigoni versatili on si devono collocare ove li suppose Daniele Barbaro, 54o DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI , Aggiungerò alle ragioni addotte per situare i trigoni ai lati del Proscenio, che dentro le porte, attesa la densità del muro che formava la Scena stabile , nou si sarebbero potute godere le decorazioni di essi , tanto più se locati si fossero non rasenti le porte , ma al- quanto più in fondo del supposto cortile o Dieiroscena, in quella foggia , che era acconcia a concedere spazio bastevole all'opportuno loro volgersi, dovendo riuscire le fronti de' ti-igouì larghe poco meno dell' apertura delle porte. Finalmente star dovendo le porte in pro- porzione dell' altezza totale concessa al prospetto dell' edificio o Scena staòile ( epperciò non più alte del prim' ordine di colonne, di cui l'edificio era ornato ) Hon erano i trigoni costretti ad essere bassi, ed a mostrarsi puerili e meschini, come meschine mi par- vero , e sono le strade che in cambio de' trigoni ha immaginate il Pcilladio, tuttoché Architetto di un si fino gusto fornito , e fecondo di nobili, ed eleganti disegni?- All' opposto col divisamcnto del Galiani i trigoni si poteano costrun-e alti quanto la Scena di fronte ; ed aver tutto f agio per aggirarsi in un momento sui perni , e delle loro pitture far nobile pompa. Sembra dunque che alla congettura di lui , nulla di ragione- vole si possa opporre ; ma egli dopo avere si bene intesa la disposi^jione dei trigoni versatili , in qual guisa prova che non si coprisse il prospetto di mezzo , e qual testimonianza ne adduce in conferma ? Accorda che nei Teatri scavati sin ora non si vede alia Ito i E MOBILI, EC, DF.I, SIGNOR FRANCHI- POKT. 54 f vestigio di Scena , e die questa nei disegni è finta ed aggiunta dal capriccio degli Architetti ; dunque essen- doci tolta dalla voracità dei tempo , e dalla barbarie ]a parte degli antirhi Teatri che comprendeva la Scena, che ci vieta il tentare di liberar gli antichi dalla taccia di aver ignorate le variabili decorazioni di fronte , le nostre congetture rinforzando coli' autorità degli scrit- tori? Avranno i moderni recata ad un grado di maggior perfezione 1' arte della prospettiva , il che si vuol conce- dere, ma non l'ignorarono interamente gli Antichi. Della perizia loro in quell'arte diedero le prove che veduto ab- biamo in Grecia ed in Roma , ciò nuli' ostante, quand' anche si volesse ad ogni conto che la prospettiva fosse dagli Antichi ignorata, il che sidee negare, ne verrebbe che non dipingessero Scene di prospetto ? Non sarebbe ciò lo stesso che asserire non esservi stata pittura do- po il xisorgimento delle lettere e delle arti innanzi al secolo decimosesto, perchè Gimabue, e Guido da Siena, ed altri simili non dipingevano al pari di Raffaello , di Michtil Angiolo, del Tiziano? Se dagli Antichi era ignoto per avventura il modo di eseguire gli istantanei cambiamenti delle apparenze teatrali , se questo si tie- ne per invenzione recente , ne siegue che cambiamenti non succedessero sebbene con più di lentezza ? Benché a parere del Galiani anche a' giorni nostri nei Teatri volitali si vee;";'i conservata la Scena antica , cioè stabile nel mezzo, e mutabile a destra ed a sinistra; benché gli Istrioni di tulli li paesi più colli d' Europa abbiano 542 DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI, continuato senza liinprovero a rappresentare sopra un jialco , la cui Scena non è che un semplice panno o r aspetto esteriore di qualche cittadina abitazione, tutti i varj avvenimenti d' una Gomnriedia , poteano nei gran- diosi e nobili Teatri degli antichi le Scene cambiarsi , anzi se a dispetto del progresso che si fece nell' arte del cambiar le Scene, pure gli Istrioni si valgono di una Scena fissa , è indicio che questo loro costume non procede da mancanza di cognizione dell' arte , ma dalla dillicoltà , e dalla spesa che importa per essi il ridurre tal' arte in pratica , spesa che ben si poteva fare dai Teatri di Grecia , e di Roma. Se la testimo- nianza di Valerio Massimo , che testé abbiamo addotta, riesce di qualche peso , noi veniamo a sapere che l'in- venzione dei trigoni versatili si deve ai LucuUi , Ver- \ì^.'l^^7i^Vi'.satilem Scenam fueruni LucuUi. Altronde par evidente che in Grecia si cambiassero le Scene , e che si cam- biassero in Roma prima dell' età di Luculli ; dunque ne' trigoni non consisteva ogni cambiamento ; ma questo si faceva per lo innanzi ed in Grecia ed in Roma per altri mezzi che noi ora ignoriamo , e 1' invenzione de' trigoni non altro produsse che accrescere rapidità al mecanismo. Sempre essersi adoperate nei Greci Teatri Poiiuc. onoma. ig Sccuc latcraH può risultare dall'autorità di Polluce, Egli asserisce che furono in uso i Proscenj di qua e di là della Scena, ne' quali venivano rappresentati og- getti fuori della città, a cagion d'esempio, sepolcri, edicole, case, ville rusiiche, ed altro , e soggiunge che Vid. Valer. Max. E MOBILI, EC, DEI, SIGNOR FRÀNCHI-TONT. 545 v' erano quivi presso due altre porte per introdurvi dall'una gli Dei marini, dall' altra i celesti che di tanto in tanto solevano intervenire all' azione drammatica. Quei Prosceni dunque teneano il luogo delle Scene di fianco , le quali mercè di Lucullo supplite vennero dai Romani co' trigoni versatili , seppuie V invenzione di questi non si dee anco ai Greci , e se Valerio Mas- simo non ha inteso parlare della introduzione loro in Roma solamente. Che per altro sieno Romana inven- zione si potrebbe supporre dal non intendeili nominati dagli Scrittori Greci che delle cose Teatrali parlarono, e dal non averne Vitruvio, che è solito distinguere ciò che è di Greca da ciò che è di maniera Romana , ra- gionato. Comunque siesi quando Vitruvio pensato avesse che questi trigoni dovessero formare tutta la mutazione di Scena , non ne avrebl)e fatto parola nel settimo ca- po , ove descrive l'addobbo intiero del Proscenio , di- cendo che stavano cjuelli ai lati della Scena stabile , e che ciascheduno di essi aveva tre specie d'ornati suoi proprj; ma nel capo susseguente in cambio di dire genera autem Scenarum sunt irla, avrebbe detto genera aiitem trigoniini sunt trio, o più chiaramente yroTztocap. vn aiitern Irigonurn, cioè le facciate de' trigoni sono di tre soita , r una (rngira, l'altra comica, la terza satirica. Perciò è da suppoisi che avendo egli fatta menzione de' trigoni nel (iipo antecedente veiso il fine, volle descrivere il Proscenio nudo , quelli noverando tra gli oggetti che empivano i lati della Scena, nominando Vilr. lib. T. 544 DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI, poi tre specie di Scene senza più far motto alcuno de' trigoni, il che sarebbe stato opportuno per la chiara intel- ligenza del testo massimamente passandosi da un capi- tolo air altro , non più mirò alla Scena di fianco , ma a quelle di mezzo , che pure esse doveano avere tre aspetti diversi , e colle quali i trigoni all' uopo volgen- dosi doveau essere d' accordo. Ad escludere intieramente la supposizione di Daniello Barbaro, e de' suoi seguaci, ed a confermare vieppiù che Vitruvio nel capo ottavo non ebbe in pensiero le decorazioni dei trigoni, torna bene il leggere che egli quelle tre specie di Scene ornò di cose tali da non poter stare ne' trigoni o da starvi a disagio. Vuole a cagion d' esempio loggie , e finestre nelle Scene comiche, nelle satiriche spelonche, e monti, foreste, e montagne. Queste dover essere praticabili ap- pare dalle Greche Tragedie; né si potevano supporre dagli spettatori , perchè facevano parte essenziale del dramma. Via Euripiti. Nel Reso d' Euiipide dovea essere senza dubbio pra- jn Res. _ ' ' ticabile il campo de' Greci , quando Ulisse , e Diomede v' entrarono di notte , e vi portai'ono lo spavento , e Earipid. io f orrore , praticabili i tetti delle case Trojane, nella Ttoad. Troade d' Euripide , affinchè i Greci si veggano sopra c{ue' tetti con accese faci , e si veda di già cominciato r incendio per ridurre in cenere quella famosa , ed in- pUc!^'"" """^' felice città. Praticabile nelle supplichevoli dello slesso Autore la roccia su cui ascende Evadne immersa nell' alllizione , mirando al piano innalzato il rogo per ar- E MOBILI , EC, DEL SIGNOR FRANCHI-PO^T. 545 derc il cadavere di Gapaueo suo sposo. Questi spet- tacoli che empir doveano di terrore , e di compassione il Teatro , potevano forse aver luogo o dentro le porte del prospetto stabile , od ai lati del Proscenio .' Kon era foi'se mestieri di tutta quanta l'ampiezza del palco, e di un palco spaziosissimo per eseguirli ? Kon doveano questi campeggiare nel bel mezzo del Proscenio , afline di pro- durvi la possibile teatrale illusione? Avvegnaché il solo buon senso possa condurci a formar congetture che non i lati, ma l'intera Scena mutasse di aspetto, le autorità di Plutarco , e di Servio tolgono ogni dubbio che nascer possa in contrario. Plutarco nell' opuscolo vid. pim. ;a Opii^f iil.de atsu che intitolò del cibarsi delle carni , osserva che sogliono ""ium. i Legislatori talora velare sotto contrario manto le •ordinazioni loro , per renderle al popolo accette , nella guisa con che in Teatro le Scene si cambiano per mezzo di nascosti ordigni. Dimostra egli con ciò, che si ravvolgeano, e mutavan di faccia le Scene. Non avendo Plutarco avvertito se quest' uso greco fosse , o Romano , .lascia supporre che Romano fosse , e Greco. Da Plu- tarco non dissente Gassiodoro , il quale insegna che la Scena era coperta , e che si cambiava alle volte girando a un tratto su perni /u/fa. Notisi la parola tu/fa per cui sono accennate , non le Scene laterali soltanto , ma r apparenza dell' intiei'o Proscenio. Quando peraltro si volesse che PlutaiTO , e Gassiodoro vagamente espri- mendosi , non ben distinguessero i trigoni dalle Scene di fronte , una tal distinzione si fa chiaramente palese z z z 54-6 DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI, da Servio nel commento al libro terzo delle Georgiche. Nomina egli due specie di Scene , 1' une dette versatili, vid. scnium ia V altre conduttibili : Scena auiem quae fiebat aui iersatilis comment. adlib, ' IH. georgio. vers ^^ersis discedat frontibus. Già si figura il Poeta di essere in Teatro, e di mirare la rappresentazione d' un dramma ; e già vede all' oc- correnza del dramma medesimo, cioè sotto gli occhi , cambiarsi le Scene lateralmente, voltandole sue fronti, o facciate, cioè mira girarsi i trigoni versìs frontibus , e spaccarsi la Scena di mezzo , discedat , avendo Vir- gilio, al dire di Servio, con un solo verso indicata, seb- bene con mirabile ambiguità , la natura delle Scene mobili laterali, e di fronte, unde mira ambigullate , perite utrumque tetigit. Né si creda che questo rivolgi- mento , e questa spaccatui-a comparisse allo alzarsi, o più veramente parlando all' uso antico , allo abbassarsi del Sipario , restando poi nel corso del di'amma jier- manente. Se cosi intendere si dovesse , sarebbe stato inutile il nascondere col Sipario agli suscitatori i pre- parativi scenici , e quasi inutile il Sipaiio medesimo. A'^olle il Poeta significare un rapido cambiamento du- rante la rappresentazione del dramma, quasi per forza d' incanto ; giacche in un batter d' occhio si potevano, e volgere i trigoni ; e con incastri , rotelle , e simili altri ordigni ritirare si poteva e di qua , e di là la Scena duttile di fronte. Se species picturae nudabatur E MOBILI, EC, DEL SIGNOR FRANCHI PONT, Bi^Q nìerior, cioè , se spaccandosi la decorazione che era innanzi , appariva la decorazione di sotto , species pic- lurae s è segno manifesto che in un sol dramma suc- cedevano ]nù cambiamenti. Queste r;igioni foise , e il lungo studio fatto sopia le Greche Tragedie, indussero jjarecchi Letterali Italiani, ed Oltiemontani ad essere del nostro i^ai-cre. Alcuni ragionarono confusamente , e con termini vaghi , ed altri pi-'i trovandosi dall' un de' lati inceppali d;d pregiudizio, e dall' altro guidati dalla convenienza , diedero a divedei-e 1' opinione loro , ma ^ non ardirono parlare affermativamente. Tra i primi si vuol qui porre il celebre Barlhelem}^ riguardo a' Greci , ed in questi ultimi tempi \ Autore del Pollione , il Signor Bugny riguardo a' Romani : fra coloro che con esitanza , ed oscurità parlarono, si vuol citare il Metas- tasio. Occorrendo a ciuest' ultimo parlare de' cambia- Meiosi. Esiraiio dilla Pcelic. d'A- menti che succedevano nel dramma istesso, in cambio risioaie.cap.v. di affermare schiettamente, se la Scena in un dramma non avesse mai da cambiarsi, dice c{uasi titubando: « Or » se la Scena ( sono le parole di lui ) in un dramma » non avesse mai dovuto supporsi cambiata, Euripide » neir Oreste farebbe giacere in letto nella pubblica » piazza il suo infermo Protagonista , e ricevere in j' questa comoda , e decente situazione le ufficiose vi- » site delle Matrone Argive : farebbe nell' Alceste uscir » dalle sue camere la moribonda Regina, che sa àx » certa scienza il preciso imminente ultimo momento 7> della sua vita, per venire senza alcun Lisogno unica- 55o DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI , » mente a fare in piazza il suo tcstaniento , e morirvi. Matiei aisjeriai. j^jg^ timido del Metastasio il celebre Zaverio Maltei novo sistema d uaglirgreci. ' cliìamò falsd r idea , che presso i Greci la Scena fosse continuamente fissa. Le gran lodi che ottenne il Mattei dal ]\Ietastasio, dicendosi nell' estrallo della Poetica d' Aristotele col parere di lui perfettamente d' accordo ; ed in una lettera al Mattei diretta , encomiando 1' arte con cui seppe mettere in vista il ridicolo di voler ri- durre r unità del luogo all' angustia d' una camera , o d' uu gabinetto , mostrano che il Metastasio , il quale nel suo estratto inedito , era dubitativo circa le muta- zioni reali di Scena , letta la dissertazione del Mattei , si fece coraggio, e tenne per interamente sconfitti ( ini valgo delle sue parole ) quegli eruditi sì , ma inespertissimi critici, che tanto su questo, che su alcuni altri punti la pensavano diversamente. Ma la opinione nostra medesima prima ancora che fosse od apertamente , o dubitativamente seguita da' mentovati Scrittori , era stata messa in campo da an personaggio in ogni genere d' antiquaria versatissimo , conoscitore del pari della letteratura, e delle arti belle, personaggio eh' ebbe la ventura di trovare fra le rovi- ne d' UQ antico Teatro, ruderi spettanti alla Scena, ventura , che secondo il Galiani non era accaduta a Vili. Gaiiiac nessuno cli'ei sapesse. Questo personaggio è il famoso d^IiT'scirià^ Scipione Ma (Tei, il cui parere è troppo autorevole, e Lellera xxiv . . . P ,. veropae 1754 , lo CUI paroIc troppo tornano acconcie m' conierma di in fvlio , pag. .... '"• quanto ho esposto , perchè qui non si riferiscano m E MOBILI, EC, DEL SIGNOR FRANCHI-PONT, 65 1 parte , tanto più , che da essa può dilucidarsi la forma dell' antica Scena. P2gU dà ragguaglio a Bernardino Zandrini dell'antico Teatro d' Oranges , che dice il piiì intero di quanti avesse veduti. Colla descrizione di certe mura con porte, e fiancheggiate da torri, mura che ragionevolmente suppone essere reliquie della Sce- na , si fa strada ad accennare che i disegni che diedero della Scena antica , ì Alberti , Baldassare da Siena , Daniele Barbaro , e poi il Desgodetz , ed il Perrault , sebbene lodevoli , non sono esatti , sia perchè concedo- no sito grandissimo al Dietroscena , che sarebbe stato inutile , come pur oggi sarebbe ; sia perchè non sì lascia al Proscenio bastante spazio per le pompose com- parse , e per le danze, le quali dai Romani furono por- tate sul Teatro , dove da' Greci si faeean nella platea , perciò detta Orchestra , sia perchè non vi potea atare il coro stabile, né operar vi poteano la macchine in tante , e sì diverse maniere. Ritornando poi a parlare di muri supposti della Scena stabile, sopra la quale, se- condo Esichio , e Polluce, v' eran abitazioni a due pia- ni, soggiunge: » La parte finor descritta, e sì vagamente nel solido » conformata , ben può di leggieri comprendersi quanto » atta fosse ad esser nobilitata cogli ornamenti , e co' » scenici addobbi illuminata : può compi-endersi pari- fi menti dalla premessa pianta , e dal tutto insieme I) quanto più conformi ai nostri di quel che ci vengono j> rappresentati , fossero nella parte della Scena i Teatri a antichi. » 552 DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI, » Insegna inoltre Cassiodoro , che la Scena )) era coperta , e che si cambiava alle volte girando a » un Iratto su perni iulla ( cioè in fronte, ed a' lati ) > ed insegna Servio , che si cambiava ancora al noslro » modo, tirando i telai. Ecco perù qualmente, benché » col nome di Scena intendessero da prima ( gli An- » tichi ) quel solo muro o altro , che si fosse , che fa- » cea ombra , e benchò tal nome a quel superbo pros- « petto continuasse poi sempre; non pertanto intendevano » altresì per esso lo spazio in cui s' operava , e lo » guarnivano con finte apparenze, e con pitture, e vi » venivano i recitanti , e gli attori per vie laterali an- » Cora , come pur oggi si Ja. » » Non è da dubitar per certo che nel Teatro d' » Oranges lo spazio naturale di parte , ed altra , non » fosse il Pressoscena ec. » Questo non breve tratto del Maffei si è voluto qui stesamente riportare , onde si vegga coir autorità di un tanto maestro , eguale per me a cpella d' un classico antico , che le congetture Dostre non sono discoste dal vero , e che le rovine del Teatro d' Oranges , la testimonianza degli Scrittori , la forma delle Greche Tragedie, la teatrale convenienza , tutto ci deve convincere che eravi una Scena mobile oltre la stabile , e che quella cainbiavasi nel corso del dramma. E MOBILI , EC, DEL SIGNOR FRÀKCHI-PONT. 653 §. IV. Macchine, Maschere, ed altre cose wsennenti agli spet' lacoli Teatrali , in conferma delle Scene mobili. Per convincere pienamente coloro , che tuttavia pur dubitassero , se le arti avessero fatto pi-csso gli Antichi il progresso che si richiede ad eseguire ogni specie di Teatrale illusione , a ciò che si è detto afline di prova- re i uso delle Scene mobili , sarà pregio dell' opera aggiungere qualche cenno delle macchine , delle mas- chere, e di quant' altro serve a rendere perfetto lo spet- tacolo. Si raccoglierà , che se i Greci , ed i Romani seppero operar difficilissime cose , poteano ottenere le più facili , mutando Scene ai lati , ed in fronte , come, e quante volte il richiedessero i drammi. Dall' esame delle Greche Tragedie risulta , che senza 1' uso di mac- chine non si sarebbero quelle potuto rappresentare ; e non è credibile che i Poeti Drammatici , i quali sovrin- tendevano anche alla parte meccanica del Teatro aves- sero scelto argomenti bisognevoli di macchine , se delle macchine , non si avesse saputo far uso. Cominciando da più antichi, Eschilo introdusse nel Prometeo le Ninfe O-.- f 1 • 1 i- • 1 Vid. Atschil. in ceanitidi , che sopra carn alati si recano a consolar Prometeo. queir infelice ligato ad una rupe ; quindi 1' Oceano is- tesso sopra d' un mostro alato. In altri drammi de' Poeti posteriori comparivano ad un tratto gli Dei celesti ^''<ìPo1i««- A a a a 554 DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI , niarini , ed inferi , e gli Eroi istessi talvolta su carri volanti , Tritolemo , Perseo , Bellcrofonte. Non trala- sciarono all'occorrenza di far balzare 1' Omhre fuor dell' Euripid. in abisso. Neil' Ecuba d' Euripide compare l' Ombia di Po- ''°" ' lidoro ad annunziar alla madre le sventure novello di cui è minacciata ; lo spettro d' Achille si slancia dalla tomba, s' appresenta ai Greci Capitani, e loro coman- da di sacrificargli Polissena figliuola di Priamo. Se tal- Euripid. in volta si vcdcvauo scendere i Numi in terra , altre fiate si miravano i mortali ascendere al Cielo. Elena vi sale per essere trasformata in costellazione favorevole ai nocchieri. Si scorgeva Medea traversar 1' aria Buripid. in Med . ° « Sul carro che tiravan duo serpenti. » Si deve anzi notare , che quanto più antiche sono le Tragedie , tanto più ammettono questa specie di meTaviglioso , a segno che alcune Tragedie d' Eschilo furono da un dotissimo, ed elegante antiquario, para- gonate ad una serie di mobili quadri', alcuni gradevoli, ed altri sì bizzarri e mostruosi , che solo poteano affac- ved.Bariciemy. ciarsi all' immagiuazionc sfrenata dell Autore. Questo Anacarsii, cap, ^ , . , , , '■^- meraviglioso soccorreva talvolta alla sterdità od all' im- jierizia del Poeta ; e diminuì a misura che i Poeti per- fezionavansi nel dare più regolarità ai drammatici sog- Poli'il' "°"*' getti. Perciò Orazio taccia di Poeti da poco quelli , che non sapevano sciogliere un intrigo senza l'inter- vento d' uli Nume , o che intervenire il faceano fuor di proposito; onde appare che all'età sua, quantunque con più di parsimonia , i Numi pure intervenivano in Scena ancora. f E MOBILI , EC, DEL SIGNOR FRANCHI-PONT. 555 Non si potca far a meno presso un popolo immer- so nelle superstizioni del Gentilesimo , e seguace d' uu culto sì strano come era quello che presenta la mito- logia. Le macchine non si riducevano a' cocchi volanti, ed a silFatle altre cose per l'apparizione de' Numi , e per quelle dell' Ombre dei morti : non mancarono gli Antichi di averne per imitare gli eiletti naturali del fumo , della fiamma , del tuono, in quella guisa che sì os- serva nella rappiesentazione dei nostri drammi per musica. Benché forse non si facessero allora sì presta- mente muovere > e con tanta precisione le macchine , come si fa adesso , sono i moderni vinti dagli Antichi nel modo di mascherare, e di vestire gli Attori , aven- do la necessità obbligali gli Antichi a tale studio par- licolarmente. JNon parleremo, ne delle primitive mas- n"'moirc qu'ii • maschera ad esse rassomigliante. Socrate potè vedere per tal mezzo sul Teatro di Atene 1' aspetto suo istesso contraffatto da un Istrione. Mercè queste maschere si introducevano in Teatro uomini di nazioni diverse colla fisonomia che loro era propria. Non pure la diversità della nazione , ma appariva dalla maschera quella della condizione , del carattere , dei sentimenti dei personaggi Quintili, isii- rappresentati , così che toltosi appena il Sipario, subito lui. lib. Il, cap. ri i J^ '^ _ _ riconosceasi la profonda tristezza di Niobe , gh atroci E MOBIM, EC, DEL SIGNOR FRANCHI-PONT. SSj disegni di Medea , i terribili trasporti d' Ercole , 1' ab- battimento lagrimevole , cui trovavasi lidotto Io sven- turato Ajace , e le vendette clic pur allora aveano eser- citate le magre , e pallide Eumenidi. Nella Commedia al primo tratto distinguevasi il servo, il parassito, il villano , il soldato , la vecchia , la fantesca , il giovane costumato , il discolo , ed era giunta a segno 1' arte delle maschei'e , che , coloro i quali dovevano mostrai-si ora collerici, ed ora mansueti, ne portavano di tali che avevano un ciglio aggrottato, e 1' altro in riposo, come avverte Quintiliano de' Romani parlando. A un dipresso la cosa medesima accenna Polluce con dire che presso vid.Pon.ono- 1 Oreci clu sosteneva le parti di vecchio dovea mos- ig. trarsi cruccioso da un lato , e sereno dall' altro. Da queste maschere la voce dovea uscire forzatamente , e rendere suoni più forti , e più distinti , onde furono appellate da Gajo Basso presso Aulo Gellio personae che ceiiius Noci. . . ._ . AUic. lib. 5, e. 7. deriva dal verbo per sonar e , significante risuonare. Boezio conferma il sentimento di Basso con dire che la voce esciva maggiore in grazia della concavità. Si pensò che gli Attori adoperassero una specie di tromba; vid. du bos, \ . -x ■ ,, 11 1. • 1 j*u r^fleclioDS orili- COSI potendosi congetturare dai! ampia apertura di hocca ques s«t. luu. che mostrano le maschere negli antichi manoscritti , nelle medaglie , nelle gemme , ne' bassi rilievi , e che furono in gran parte raccolte dal Ficoroni. Di che si .^'"l- Ticor. lnna , in 4.'* SI e veduta mai più. Continuossi in tal guisa , e questi p=& 74- 564 DISSERTAZIONE CP.ITICA SOPRA LE SCENE STABILI ; si^t'ttacoli andavan prendendo la forma del dramma vi■ 1 _ _ Val. ATjarotlI, remo quasi per appendice, che il Teatro di Parma, i"i- pi'ti'u7a"'''o el* tenendo assai delle antiche forme, aprì forse la strada Lj^'y/J^P'^g^; ai moderni palchetti per le maestose loggie , Dorica r una , e \ altra Jonica che sorgono sopra i sedili. Erano in quelle disposti luoghi per gli spettatori, che 1' AI- garotti non dubitò di chiamare Palchetti. Tale inven- zione essendosi per avventura trovata utile alla musica, che con più d' eguaglianza diflbndcsi in nicchie di legno r une all'altre sovrapposte perpendicolarmente, che non pe' gradini di pietra che salivano dilatandosi, fu estesa, e combinata in altre maniere praticabili in Teatri del tutto coperti , e notturni. Jacopo Torelli fu il pi-imo che nobilitasse Fano sua patria con lodatissimo Teatro vh Miiina. vile degli Archi- costrutto secondo il Milizia, poco dopo il 1G62 , e de- ''^"'. '«ai. i», corato di palchetti. Come il Teatro di Parma , benchò sul guslo antico già alcuna cosa avea del moderno, cosi i palchetti del Torelli ritenevano tuttavia una disposi- 5^2 DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI , zione simile nell' aspetto alle antiche gradinate. Tanfo si può dedurre non solamente dall' essere il Teatro di Fano reputato assai dall' Algarotti, il quale avverte che Vid. Alsatolti, . , , ,ri ii • i sapa.o sopra il architettura del lealro nello interno, deve essere opera in musica. Oi'"^.^'^"™- "'quasi permeabile, e che gli spettatori debbono far parte anch' essi dolio spettacolo ; ma dal sapei si che il Torelli visse molti anni in Francia , dove i palchetti sono disposti tuttavia quasi a modo degli antichi sedili, epperciò nella maniera che l' Algarottti loda , e racco- manda. La lunghezza , e la complicazione della musica moderna , lontana assai dall' austera semplicità dell' an- tica, che non opprimeva, ma accompagnava il dramma dalla moderna musica , la quale altera del tutto l' an- damento, e toglie quindi 1' interesse della poesia, e che rese il Teatro un luogo di conversazione , forse fu il motivo , per cui al metodo del Torelli , che nella co- struzione tenne un di mezzo tra lo stile antico , e il moderno , si surrogassero i palchetti , quali ora li veg- giamo di aspetto men nobile, e bello, ma più indi- pendenti , e più comodi al cicaleccio. Al cessar poi nelle età , nei costumi , nei governi moderni , di con- siderarsi il Teatro anche luogo di pubbliche adunan- ze , si deve la mancanza della Scena stabile , bastan- do le Scene mobili , per ogni occorrenza , del resto rimanendo il Proscenio a un dipresso , qual l' aveano i Teatri Greci , e Romani. E MOBILI, EC, DEL SIGNOR FRANCHI-FONT. 585 TAVOLA. JTrefazione .•.,...:.:; pag. Soe {. I. Origine del Teatro ^ e della Scena staòile, e ornamenti della medesima .... » 5o^' |. IL Delle Scene mobili di fronte . . . . n 5i5. |. III. Obbiezioni, e risposte, e quindi dei trigoni versatili, e del loro collocamento . . » 53l 5. IV. Macchine , Maschere , ed altre cose inservienti agli spettacoli teatrali , in con/erma delle Scene mobili » 653 J. V. Del Velario , e delle tele che facevano le veci della Scena di mezzo » 5^4 S84 ' OBSERVATIONS SUR UN MANUSCRIT DU ROMULEON PAR M. VERNAZZA DE FRENEY. Lues le samedi 7 avril 1810. u, 'n ouvrage ìnfitulé Romuleon, écrit en latin, et traduit en italien , et en IVancais , a été l'objet de quelques observations que l'abbé Lebeuf a Jues en 1741 à. ST'i 748, 757 l'Académie Royale des Inscriptions et Belles Letties. Vous voudrez bien agréer, Messieurs , que je vous rende eompte de celles que j ai faifes sur un beau tnanuscrit de ce méme ouvrage qui est à la Bibliothèque Imperiale de Tuiin. Le résultat sera d'ótablir l'epoque de la composition originale ; l'epoque d'une traduction iuconnue ; le nom du traducteur qui l'a faite. Par le uouvel ordre dans lequel j'ai dispose Ics ma- I PAR M. VERNAZZA DE FRÉNEY. 585 ùuscrlts , le Rornuleon est place cn ti. i. 4- H est sur velin , de la hauteur de 4^*- niillimètres sur 355 de largeur. Il clait de 4^6 feuillets. Les 24 dcrnicrs ne sont point raaiqués de numero : ils contiennent la table. Les autres , cotés de rouge , étaient au nombre de 432. Le -j-ii a été decliiré et empoité. Un dcussoa d'azur est peint au Las de la premièie page. On voit encore le héaume couronnc , surmouté d'une fleur de lis d'or , avec lambrequins d'or et d'azur. IìPs armoiries sont eflacées. Au reste le volume est bien conserve ; dorè sur trancile ; couvert de velours vert j pesant un myriagramme et: trois qunrts. L'ouvrage est divise en dix livrcs ; dont le dernier a 35 chapitres. Il fiuit par ces mots. Et reuìnt ledit. seuerus eri ylalie par mer et par terre atout une mul- titude de gens si grande qìion ne le pourroit croire. II est i\ dcux colonnes, eu lellres de forme très-régu- lières . Voyons à préscnt tout ce qu'en ont dit les Auteurs du catalogue imprimé en J749- ii ^ss: « Membranaceus , habens folia 432 saeculi XIV auro, » minio , aliisque coloiibus elegantissime pictus. Inscri- » bitur Rornuleon. Est scilicet historia Romana , cuius » scriptor non indicatur. Praefafio incipit bis verbis : » Principibus p/acuisse yiris non ultima laus est : e est— » à-dire a^oir compleu ou scavoir complaire aux Princes » nesi point la darranière ou la moindre louange qui » soit aux honimes, etc. E e e e 586 OBSERVATIONS SUR UN MANUSCRIT DU ROMULEON Certcs , ces auteiirs u'ont pù consulter les discours de Lebeuf , puisqu'ils ne parurent qu'en 1751. Mais quant ii l'àge du manuscrit , qu'ils ont fixé au quator- zième siécle , il n'était pas difficile de se convaincre qu'il est postéiieur à la moitié du quinziòme. Ils avaient Traej. I ix. a^opté le principe de l'Anglais Casley , satius esse ve- ieres codiccs uno aiti altero saeculo antiquiores pronun- ciare ^ quam nullarn omnino aetatem eorum definire. Ce principe , qu'on peut quelque fois suivre, quand il s'agit de manuscrits antérieurs au neuvième siécle , n'est point admissible :\ Tégard des manuscrits modernes. Quelle diflérence enlre cette maxime et la sagesse des ^^i'^j'^f^j^'"" auteurs du catalogne de la Biblioth»^que du Roy ! A\- tentifs à fixer le siécle des manuscrits , dont ils donnent la notice , ils le sont également à ne pas porter trop haut leur antiquité. Leur circonspection va plus loin cncore. L'àge de tout manuscrit semble Otre pour eux si incertain qu'ils ne le désignent jamais d'un ton dé- cisif. Ils l'annoncent toujours par la modeste formule esse videlur. Après tout , le manuscrit dont je parie , présente un témoignage si évident de son écriture , que ce n'est que par inattenlion quii est possible de e'y méprendrc. Le B.omuleon est une histoìre qui commence à l'ori- gine de Rome , et finit à i'expédition de Sevère en Italie contre Maxence. Le méme sujet , ou un scmblable ìi-peu-prcs , a été traile par Pétrarque. 11 interrompit son livre historiarum % PAR M. VERNAZZA DE FRÉNEY. 5^7 3 rege Romulo in Tiluin en i33r) , lorsqu'il s'appliqua à ferire lo poeme latin de 1' Africa. 11 faut bieti que ce fùt un ouvrage volumineux , puisqiie dans son troi- sième dialogue de contemptu mundi , il introduit SainN Augiistin , qui en fesant aikision à ce livre , lui adresse ces naroles : Abiice insenles ìiisloiiaruin sarcinas. Satis ^^-.^r"'''' I o pag. 468. Romanae res geslae et suapte natura et aliorum ingeniis lustratae sunt. Le Rornulenn n'a jamais été imprimé. On en connait dix-sept copies manuscrites : s^voir, sept en latin; six en italien; quatre en francais. La plus célèbre de toutes est la latine , dont Casau- bon s'est servi dans ses notae ac emendationes aux écri- vains de 1' historia augusta. Elle appartenait alors à la maison Petaii ; elle passa depuis chez la leine Christine de Suède, et enfin dans la bibliothèque Vaticane. Mont- faucon parie encore d'une copie à Coibie , d'une à Na- ^ihiirnheca hi. r r ' hliolliecar. MSS. ples , d'une à Besan^on , et de trois à Florence, c'est- 3g5^3„*^'" ù-dire , à la Laureuziana , à Santa Croce , et ù l'Annon- mj^'I^ot. , Diar. Ila!. CiaCle. pag. 3o6. Une traduction italienne en a para au commence- ment du XV siécle. C'est ce qu'on apprend par le ma- Duscrit en velin , copie en 1410 par Jean Tolosini, conserve ù Floi-ence .dans la Magliabechiana, Le nona du traducteur n'y est pas dusigné: on sait seulement quii était onde cu paternel ou maternel d'Antoine Ar- righi , florentin. Personne, que je sache, n'a parie ni de cette copie, ni de deux autres en papier, lune du 588 OBSERVATrONS SUR t'N MANI'SCRIT DV ROMUI.EON XV siede , l'autre du XVII , qui sont dans la nième Bibliotlièque. Il m'est permis de les inditiuer d'aprcs Ics notions qua M. l'abbé Vincent Follini , excellent bibliothécaire» et moh ami, a cu la bonté dem'en donner. M. Lombardi, savaiit successeur de Tiraboschi , m'a aiissi envoyé la note qui se trouve à la fin d nn ma- nuscrit de la hibliothèque royale de Modcne. Je vais la donner d'apiès sa letti-e. Fini/o Io libro m///o/a/o Romuleon. Qui scripsit scrihat semper ciim Domino iii'at. J'i\ai in coelis semper cum Domino feìix. Fu scritto la prima scolta lana 1420 adi iunio com- pleto ^ e ju rescriio lano i56t) y fornito lano i5cj4 adì i3 dagosto. Deiix traductions italiennes , faitcs par des auteurs inconnus , se trouveut dans la Laurenziana. Par l'exa- men que M. del Furia en a fait pour m'obliger , il est cevtain que l'iute dl'elles est semblable à celle du mianuscrit de Modena. Il s'en trouve une awssi dans la MS. Angì. CI Bibliotlu'-que de Bodley : mais ou n'a aucun renscigne- ■ 7' ment pour juger à laquelle eEìe rcssemble. On a coniiiaissancc de deiix traductions franoaises. Lune a été céanmencée en 14G6 par Sébaslien Marne- rot dc' Soissoos. Montfaucon en a vui deux exemjolaii-es 787.9". à la ijibliolht-que du Roi , dont Vun renait de celle de Colbert. La notiis di- rectif pour faire le passage d'oultre-mer , fait par un religieux de l'ordre des precheurs , en i322 , el trans- late du latin en franrais par Jo. Melot , chanoine de Lille en Fiandre , en i455 , par ordre du Due de Bour- gogne. Je crois que ce ti-aducteur est celui-meme cpii dans un manuscrit de i45o concernant la vie do Saint- Thomas i'apótre, et dans un autre sans date, intitulé le deòui de la noblesse , se qualifiait le moindre des secretaires du Due de Bourgogne. Car il me paraJt qu'on ne doit point s'arréter à la differente facon d'écrire Milot , Mielot , Melol. La Bibliothèque Imperiale de Turin a encore uà PAR M. VERKAZZA DE FRÉNEY. 5^5 heau maniiscrit sur velin cciit par un Jean Miclot , a m. 7. qual)'e ans aj^iòs le Romideon. G'cst la Iraduction francaise du traile de regimine principum de Gilles Co- lonna. Lcbeuf a vu deux exemplaires défectueux de cette traduclion , dans Icsquels le traducteur s'appelait Henri de Gaiichi. Il en a vu un troisième , où au licu dHcnri de Gauchi on lit deux fois Henri de Gand. Dans le manuscrit imperiai de Turin on lit à la pre- mière et à la dernière page maisire ìienry de Ganchy. Il finit par ces mots. Icqiiel liure aussj je Jelian Mielot prestre ay escript de ma main en la ville de lille et celerà lan mil ecce. Ix. scpt. Ce Mielot ccrivain est à mon avis une personne dif- ferente de Mielot traducteur : non seulement parce quii est peu probable qua celui-ci, après s ttre exercé depuis i45o dans des traductions , se soit réduit en 14G7 au seul travail de copier , mais principalemcnt parce que Jean Milpt, ou Mielot , ou Melot , le tra- ducteur, prend d'aboiJ le titre de secrcftaire du Due de Bourgogne et ensuite de chanoine de Lille; tandis que Jean Mielot le copisle ne prend que le titre de prétre. D'ailleurs fécriture des deux manuscrits de Turin n'est pas de la méme main. Le Romuleon est assez richement enlumind. Des en- trelacemens de fcuillage et autres arabesques forracnt le cadre de plusieurs pages. Septante-six tableaux de dif- férentes grandeurs sont en téte des iivres et des cha- pitres. 5c)G OBSERVATIONS SUR UN MANUSCRIT DU ROMULEON Le nicrite de ces peintures est l'cclat des couleiirs cigréables et brillantes. Au reste , on y chcrcherait en- vain ces beaux caractòies qui ont depuis distingue l'école Belgique. Ce serait prendre une peine inutile que de chercher à deviner les noms des peintres qui ont travaillé à la décoration du Romuleon. J'aime cependant à renouveler le souvenir de deux artistes qui viyaient en ce tems- là à la cour des Ducs de Bourgogne , et qui peuvent avoir élé employés à de semblables ouvrages. nerumGerma. L'autcur de la vie de Philippe , fìls naturel du Due n'icar. scrìptores. ^ ^ ^ J;J" jj" *''"""' Philippe le bon , en parlant du voyage de ce Prince en Italie , fait cette observation. Nihil magis eum Romae delectabat , quara sacra illa velustatis monumenta ^ quae per clarissimum pictorem Ioannem GossarJum Malbodium depingenda sibi curavit. Il parie encore beaucoup de son amour pour les arts , et des faveurs dont il comblait les artistes de tout genre ; et il ajoute: accersierat sibi magnis expensìs pictores et architecios primi nominis lacobum Barbarum Venetum et Ioarmem Malbodium nostrae aetatis Zeusim et Apellem. Quant à ce dernier , je ne doute nullement qu'il ne soit Jean de Maubeuge. Aux notions que Felibien et autres nous ont données de lui , on devra encore joindre le nom de sa famille ; c'est-à-dii-e Gossard. La Bibliothèque 1. 1. 14, i5. Imperiale de Turin possedè un manuscrit du Al-Haui copie sur velin en 1466 t^&v presbiterum lacobum Gas-, sardi Hanoniensem, PAR M. VERNAZZA DE FRÉNET. ^97 Qiinnt à Jacques Barbaro Vcnitien , il n'a poìnt été nommé ni par Zanetti ni par Lanzi. Dans un livre publié en 1800 par l'abbé Morelli, mon illustre ami, ifothia d'opere * ■* di diiegno pag. je trouve qu'en i52i chez le cardinal Grimani à Vénise 77-"'' on voyait des peintures de Jacomo de Barberino Ve- neziano , che andò in Alemagna e Borgogna , e presa quella maniera fece molle cose. On me demanderà j^eut-ctre comment le Romuleon a passd dans la Bibliothcque Imperiale de Turin. Quoique les reclierches de cette nature tiennent au pian d'un Iraité sur son origine et ses progrés , je ne laisserai pas de dire pour le moment , que ce manuscrit, aussi bien qu'un Virgile , un Pline , les histoires Ti'oyennes de Raoul Le-Fcvre , et quelques autres, ont dté acquis par les Princes de la Maison Roj-ale de Savoie lors de la dispersion de la Bibliolhèque de la Gour de Bru- xelles. On sait que de ses débris on en trouve dans plusicurs Bibliolhèques de l'Europe. I. IV. 16. K. I. 16. H. I. IO. IL FOFf E DEL VALENTINO. CANTATA DEL SIGNOR VINCENZO MARENGO. Letta li 6 Maizo 1811. k^ORGl, o NiCE adorata, ah tu nou sai Quanto è bello il mattin ! quanto ridente Usci dal mar la rugiadosa aurora ! Come serena indora Le cime ai colli , e come lieti intorno Già salutan gli augelli il nuovo giorno ! Lascia le molli piume , Vezzosa NiCE amata : Contro la sponda aurata Già si rifrange il sol. Già tremolar sul fiume Vedresti i raggi d' oro , Spiega l'augel canoro Già tra le frondi il voi. DEL SIGNOR V1NCEN7,0 MARENGO. Sgg Ma tu dal sonno ancora Le socchiuse pupille, amabil Nice, Scuoter non puoi ? qual non intesa è questa Lentezza inopportuna:' ogn' altra Ninfa Che sospiri d' amor , giù del suo Bene Gode al fianco passar 1' ore fugaci Dolci sdegni alternando , e care paci. Ah ! sorgi , o Nice ; all' Eridano in riva Le mattutine aurette Vien meco a respirar ; forse non poco Può giovarti il venir; mirabil Fonte V ha d' arcana virtù , che può ne' cuori I moiibondi Amori Ad un tratto avvivar ; no non è questa Volgar menzogna , a me lo disse Alcone , II saggio Alcon , che tutte Sa dell'erbe, dei fior, del suol, dell'onde Le nascoste virtù ; seguimi , e poi Mi dirai s' io f adombro i pregi suoi. Ah ! se mai ti langue in seno Fido amor per chi t' adora , Vieni al Fonte che innamora, La tua fiamma a rinnovar. Sol che presso al Fonte ameno Porti il labbro , ah ! più vivace Sentirai 1' antica face Nel tuo cuore a sfavillar. 6oO IL FONTE DEL VALENTINO , Ma perchè vani i miei Detti non creda , ascolta donde , o cara , Trasse il Fonte gentil virtù sì rara. Noto t' è '1 caso , o NiGE , Dell' audace Fetonte , e sai eh' un giorno L'infelice garzon su queste sponde Dal mal guidato carro Balzò nel fiume , e si perde nell' onde. Ardea per lui d' amore Ninfa gentil quanto vezzosa e bella , Ch' alla fatai novella Corse affannata , e venne Peregrina cercando il caro Amante Sin dalle Egizie sponde a queste arene. Ma quando ogni sua spene Vide smarrita , e le germane istesse Del suo diletto estinto Cangiate in pioppe ( osserva quanto , o NiCE , Eran le Ninfe antiche Più costanti in amor ) ah ! disse , o Numi , Della terra e del mar , fate eh' io pure Qui rimanga per sempre , ove sepolto Giace il mio Nume, e a questa flebil'onda Il mio tenero pianto ognor confonda. Disse , e pietosi i Dei Dal bianco piò sino all' eburnea fronte La disciolgono in onda , e resta uà Fonte. DEL SIGNOR VINCENZO MARENGO. Col L' onda , che limpida Sen vede uscir , Sembra ancor memore Del suo martir. Sì dolce mormora L' espresso umor , Gli' ancora piangere Sembra d' amor. Di qui venne , o mia vita , il pi'egio arcano , Che mossi i Dei da sì costante amore Dìlmo al Fonte gentil ; ah tu non sai Quanti prova ne fanno , e quanto a questo Son r Eridanie Ninfe Debitrici in Amor ! c|uanti Pastori Solo appressando il labro All' onde non fallaci Arser di nuovo alle già spente faci ! Ah ! se mai ti langue in seno Fido amor per chi t' adora , Vieni al Fonte, ch'innamora. La mia spene a rinnovar. Non più, tronca gli indugi; assai te stessa Ornasti , o NiCE ; al fido specchio assai Del crin , del volto , e dell' eburneo seno Consigliasti il tenor ; vieni e rammenta , Ch' una Beltà verace Quanto negletta è più tanto più piace. GSSS 6oj IL FONTE PEL VALENTINO, Vieni , e non cura , o NicE , So sciolto il din si veda; Lascialo nll' aure in preda Vagare in libertà. Tal suir Idea pendice La Dea d' amor lo tenne , Quando il sovrano ottenne Vanto di sua beltà 6o3 DELLE PRIME EDIZIONI E DI UN IMANOSGRITTO DELLE MEMORIE DEL GENERALE MONTECUCCOLI cui sì af;giungono i Supplementi originali delle Lacune piìt nnlabili , che s incontrano in esse Memorie , ricadati dal BISò.'" medesimo , e die si pubblicano per la prima volta. DI GIANFRANCESCO GALEANI NAPIONE. Leila li 24 aprile 181 1. T > \^j Editore delle Memorie del Generale INTaffei , fra- M<<«ioires ■},. Marquis lieMaf- tcllo del celebre Marchese Scipione, pubblicate sin f" •. L''"i™aot *■ general ' lori d Arie MI. cennato. JNe servirebbe il dire, clie nelle guen-e di li'are, lui. loc. .... ... ... , "•• questi ultimi anni sangumosissime siasi variato per si fatto modo il sistema dell' Arte Militare, che poco gio- var possano a' moderni Condottieri di eserciti i precetti del celebre General Modenese ; onde meraviglia far non si debba , se pensato non siasi prima d' ora a procurar una Edizione delle Opere di Lui , che cor- rispondesse alla fama , di cui ha goduto ne' tempi ad- UN MS.'" DELLE MEMORIE DEL MONTECUCCOLI. 6o() dietro. Se il Montecugcoli , parlando dei documenti Momcouc. pk- Uz. olle Mi'Uio- della Milizia antica, dice, che, eccettuata i' invenzione "«• dell'artiglieria, la quale ha in qualche parte alterate le forme , sta il resto delle regole nella sua fermezza e dignità, com' Ei si esprime, non dovremo dir Noi, che sussistano pur quelle massime , c|ue' precetti , che Egli , dopo già trovata V artiglieria , col meditar ino- foudamente intorno all'Arte sua , e colla lunga sua es- perienza rinvenne , e stimò di proporre per norma a chi ha il luminoso , e scabrosissimo incarico di guidar le imprese di guerra ? Che ne sia il vero , grande fu la variazione , che nelle evoluzioni militari produsse 1' uso della bajonetla in canna , sostituito alle picche dopo del INIontecuccoli, della quale invenzione troviamo soltanto qualche cenno nelle Memorie di Lui *, e grandi progressi eransi già fatti in molte parti sostanzialissime dell' Arte della Guerra, specialmente nelf artiglieria , ma non ostante questi sostanzialissimi progressi , non solo il Folaid , ed il Re di Prussia Federico II , il tennero in quel gran concetto, che ognun sa, ma il mentovato Conte TuRPiN di Crissé , sin quasi a' tempi nostri, stimò pre- gio dell' opeia impiegar il suo ingegno , e le sue fati- * Montec. Metti. Lil. I, Cap. II, §. XVI, n." 2 — secondo la lettoti del MS.to da me posseduto. — „ Devono i Moschettieri portar la forclietta 5, per accertar ineglio il tiro, e fia grande vantaggio s'ella avrà nella cima „ uaa punta j come uno spiedo; per piantarla al bisogno controia Cavalleria. H h h h 6lO NAPIONE DELLE PRIME EDIZIONI, E DI che a stendere sopra le Memorie di Lui , in sua Lingua Francese tradotte , un lungo e diffuso comcnto. E che PrincipM de diremo dell" UflScial Generale Prussiano Guichard, che i ari uùUiaìre exiraiisdesmtii negli Ordini di Battaglia di Alessandro , di Annibale, leurs ouì ragfs ^-^ " fom II ° BerUo ^ °^'^ asscdio di Alcsia , e nel modo di oppugnar , e ^^'"' difender le Fortezze presso gli Antichi , e negli stessi Scrittori loro di Tattica, credette di ritrovare utili am- maestramenti per li Generali , che fondatamente , e per principi intendono d' istruirsi neU' arte loro ? Certa- mente dai tempi di Cesare a quelli del Montecuccoli, e da' tempi degli Antichi Greci, e Romani a quelli del Guichard, molto maggiori variazioni, e novità si sono fatte nella Milizia, di tjuello che fatte se ne sieno dai tempi del Guichard , e del Conte Turpin de Crissé ìnsino ai giorni nostri. Un' artiglieria formidabile , for- nita di tutto punto, e maneggiata con indicibile spedi- tezza , cui le Fortezze mal possono resistere; Eserciti numerosissimi , che , padroni della campagna , e delle Città ricche , e popolose , non curano più che tanto le Fortezze medesime , che perciò diventano pressoché inutili ; Truppe agilissime, perchè avvezze a lunghi , e disastrosi cammini , senza bagaglio , senza tende , anche in inverno, anche nelle Regioni Boreah,sono fuor d'ogni dubbio mezzi efficacissimi di strepitose vittorie. Ma non sono questi , se dirittamente si riguarda , nuovi istromenti dell' Arte della Guerra , di cui non si trovi fatta menzione presso gli Antichi Scrittori Militari, e specialmente nelle Memorie del JMoktegucgoli. È questa UN MS.'" DELLE MEMORIE DEL MONTECUCCOLt. 6 1 1 bensì una maggiore attività , una energia più grande , che venne data agli stessi istromcnti , una elasticità maggiore che hanno acquistato le molle medesime. Si può dir dell' Arte della Guerra come della Meccanica , che sempre si opera o con dispendio di tempo , e ris- parmio di forze, ovvero con risparmio di tempo, ma con dispendio di forze. Ad ogni modo giuste , e ragionevolissime sono le querele del Signor Ugo Foscolo, che di Libro cosi in- signe, così degno di essere celebrato, e studiato, quai sono le Memorie del Mojstecuccoli , nò presso il Fon- TANiNi, nò presso il Zeno, nò presso I'Haym, né presso alcuno de' più rinomati Autori di Bibliografia Italiana non si trovi neppure registrato il titolo ; e sia pur lo- de al Cielo , che per opera di quell' ingegnoso Scrittore, Opere di Rai. mondo MoDle- una Edizione splendidissima degli Scritti di quel gran "'"o'' in^-ira- ^ ° T D ,e da Ugo Fcs- Maestro di Guerra sia finalmente uscita in luce a ]Mi- ?°'° • ,'T. , " • in fol. Milano lano. Siccome però la magnificenza dell' impressione , pe°LLigiM°sV la forma del Libro, ed il ristretto numero degli esem- sJi"cLxx°esem' plari, che se ne sono tratti, mostrano palesemente, che per pompa piuttosto di poche signorili biblioteche, che per uso comune siasi fatta quella stampa , si dee perciò supporre , che quanto prima si penserà a ripro- durla in un sesto più maneggevole , cosicché trovar possa luogo nella picciola , e spedita militar bibhoteca degli Ufficiali studiosi. Nella supposizione adunque, che non si debba diffe- rir molto a por mano a questa impresa tipografica, ho 6 l'i NAPIONE DELLE PRIME EDIZIOKI , E PI creduto buona cosa il dar notizia al Pubblico di un pregevole MS.'° delle Memorie del Montecuccoli da me posse- duto , il quale stimo , che giovar potrebbe non poco a rendere più compita , e perfetta la nuova Edizione cbe se ne facesse , e forse anche animar ad intrapren- derla a comune vantaggio. Prima di ragionar del MS.'" è necessario per altro il premettere alcune notizie intorno all' epoca, in cui fu dettata f Opera, ed intorno alle prime edizioni di essa. Compì le Memorie Militari il Montecuccoli nel sessa- gesimo anno della età sua , come Egli medesimo at- V. Paradisi Eio- testa nella Lettera Dedicatoria all' Imperator Leopoldo; TTralTs^BibUoi. ed esscudo Egli nato nell'anno 1G08 , è chiaro, che Mo.Hi-nese ariic. ... ,,, r-no i \ i ium,ienKCi'i\ già temimatc erano nell anno lUbo , dopo pero , che , Modena 17S5. ° , _ . . già vincitore de' Turchi nella predetta giornata famosa di S. Gottardo nel iG64i era slato in cjueH' anno mede- simo nominato Luogotenente Generale dell' Imperatore, carico unico nell'esercito , come sappiamo da Lui stesso, e che perciò tanto valeva quanto Generalissimo di tulle le armi Cesaree. E pare che dettasse le sue Memorie per addottrinarsi vieppiù nell'Arte sua , e i-endersi ca- pace di gareggiar col Turenne in quelle Campagne sì memorabili degli anni 1O74, ^ i^yS, giacché i Turchi ed i Francesi, vale a dire le due più bellicose nazioni Tlrnbos. Bibl. , . . , . . Moien. tornili, de' tempi suoi, furono , come dice il Tiraboschi, i ne- p.i86. f^ / . . ., mici contro i cjuali ebbe il più sovente a combattere. Finì Egli di vivere in Linlz nel 1681 ; e siccome gli Scritti suoi erano stati da Lui destinali soltanto ad is- UN MS.'° DELLE MEMORIE DEL MONTECUCCOLI. 6l3 h'uzione privata de' Piincipi , e degli Ufficiali Generali Austriaci , perciò ne' molti anni , che passarono tra il 1668 , ed il iG8f , in cui chiuse il periodo della sua gloriosa vita, non volle mai, che queste dotte sue fati- che vedessero la pubblica luce ; che anzi corsero più di anni ventidue dopo la sua morte , prima che si pen- sasse di pubblicarlo colle stampe. Uscitane con tutto ciò molto tempo avanti qualche copia a penna, o dalla Biblioteca Imperiale , o dalla Casa stessa del Monte- cucGOLi , siccome gli uomini mihtari avidissimi erano di leggeile, e di farne profitto, molti esemplari se ne sparsero, ma, come interviene, mancanti, corrotti, e guasti, e scorrettissimi per l'imperizia di chi li tras- crisse , massimamele qualora copiati da amanuensi Tedeschi , che o non sapevano , o , ciò che è forse poggio, mal sapevano la Lingua Italiana. ]1 primo Editore delle Memorie , dice il prenomi- rato rinomalissimo Bibliotecario Estense Tira boschi , Tirabos.ioc.cit. fu Arrigo di Huyssen Tedesco, Consigliere di Guerra dello Czar Pietio il Grande , che le pubblicò in Colo- nia nell'anno 1704: presso la Compagnia de' Libraj in 12.'°". Una ristampa, piuttosto che nuova edizione , se ne fece in Ferrara nell'anno 171 1 , per Bernardino Barbieri. Il titolo del Libro è , come nella edizione di Colonia f Memorie del General Principe di Monlccuc— coli , e di questa ristampa si fa menzione nel Giornale de' Letterali d' Italia. Ma ciò che a tal proposito aggiunge Giomoi deLei- ^ 1 '^^^ ° ter d lialia toni. il GiornaHsta, che Arrigo d' Huyssen avea arrichite esse »•"' ^"6- <"• 15 1 4 napione delle prime edizioni, e di Memorie di note cavate dagli Autori antichi, e moder- ni , di che le persone di Stato , e di guerra doveano essergli tenute , è cosa affatto contraria a quanto dice il MoNTECuccoLi medesimo * nella Prefazione premessa, non solo alla stampa di Colonia, ma die di più leg- gesi nei MS.'" da me posseduto, più antico di essa Edizione , intero , senza lacune , e che perciò da di- versa , e più sincera fonte deriva. Di fatto nel MS." da me posseduto, non solo si ritrovano tutti i Luoghi degli Autori recati nella Edizione di Colonia in piò dì pagina, ma inoltic annotazioni, ed autorità in essa non allegate , e tra le allogate alcune più piene e compite , prova manifesta, che sono lavoro dell'Autore il General MoNTEGUCGOLi , non mai dell' Editore , come ad evi- denza lo dà anche a divedere il contesto. Del rimanente , siccome io non mi sapea persuadere, che c]uella informe , e scorrettissima Edizione di Colo- nia fosse r unica Edizione dell Originale Italiano delle * „ Vula con differente forza da un solo arco la freccia, che da diversa j, mano è incurvato, ed un concetto di più ingegni in uno consenzienti, rav- :,, visasi come oracolo dalle labbra della stessa verità espresso. Vengono qui „ adunque apportate le autorità ne' proprj termini, e nelle precise parole, „ acciocliè il senso non ne resti nel volgarizzarle alterato; e poiché le varie „ Lingue, in cui gli Autori scrissero, sparse per entro il ragionamento, lo „ renderebbono confuso, e, col interrompere il filo del discorso, sariano tante „ pietre d'inciampo al Lettore, sonasi quelle però fuora del testo a parte „ notate. „ Moiitecuccoli Prefazione alle Memorie secoit'lo la Lepo/ie del MSto^ UN MS.'" DELLE MEMORIE DEL MONTECUCCOLI. 6lS Memorie del Montecuccoli , per non parlar della so- praccennata ristampa di Ferrara , trovandomi pertanto in Modena nell' anno 1791 , nuovi riscontri ne chiesi al mentovato dottissimo Abate Tiraboschi , rapito in ancor vegeta eti\ , tre anni soli dojio , agli amici , ed alla Repubblica delle Lettere , di cui era ornamento sì grande. Ma questi mi assicurò , che nessun altra Edizione Italiana ne conoscea , e lo stesso mi venne confermato in Firenze dal fu Abate Giulio Perini Bibliotecario della Magliabechiana , e dal Conte Gre- gorio Casali Professore di Architettura Militare nell' Instituto di Bologna. Che 1' Huyssen sia stato il primo Editore dell'opera, lo afferma poi Egli stesso dicendo, che il Libro era stato, come un tesoro sotterrato, sempre nascosto , nella Biblioteca dell" Imperatore , a cui r Autore illustre dedicato avea , e lasciato per tes- v. Prologo den* ^ ^ _ Edii nella Ediz. tamcnto le sue instruzioni militari , e eh' Egli pubblico <*» Loiooia. lo facea. L'unica Edizione Italiana , che si avesse adun- que di quest' Opera insigne, prima della recente splen- didissima di Milano, propriamente parlando, si è co- testa meschina, informe, scorrettissima, e mancante, di Colonia dell" anno 1704. Vero è , che 1' ingegnoso Illustratore delle Opere del Montecuccoli, il Signor Ugo Foscolo suppone una A;Leiiori=Edi. Udizione dei tre Libri delle Memorie IMihtari anteriore ndie Opere dei Montec.Edit. di a quella di Colonia dell' anno 1704 » testé accennata , Milano. fondato sopra una plausibilissima congettura , die si è, che una parte degli Aforismi Militari si stamparono Cu6 KAPIOKE DELLE PRIME EDIZIONI, E DI in Milano tradotti in Lingua Spagniiola nell' anno 1693. Ma la difficoltà , che nasce dalla pubblicazione latta colle stampe , dieci e più anni prima , di una parte del Libro, venuto in luce in Colonia nel 1704, resta sciolta, e dileguata dalla esistenza di un altro Libi-etto, per quanto io sappia , affatto sconosciuto. Il (itolo di questo fedelmente trascritto è il seguente : L' attione Bellica del Conte Montecucoli Prencipe del Ro- mano Impero , e Luogotenente Generale delle Armi dell' Imperatore ec. in Torino MDCXCII per Gio. lanista Zappata, in 12°. Vien dedicato il Libro da Giovan Pietro GiROLDi , noto Scrittore di que' tempi, al Duca di Savoja Vittorio Amedeo II , Principe guerriero , com'è noto a])bastanza , grande ammiratore del Mon- TECUCCOLI ; e dice \ Editore , che presentava al Duca Vittorio Amedeo que' foglj , che contenevano i docu- Leii. dedic. del menti militari di un sì grand' uomo , emendati dasJi Oiroldi pag. 7. o ' o errori , die l imperizia de copisti vi avea fatti. Ora, es- sendosi da me diligentemente riscontrato questo Li- bretto colle Tavole dell' Arte della Guerra , ho ricono- sciuto altro non essere sostanzialmente , se non se le Tavole medesime, pubblicate nel Secondo Volume della Edizione magnifica di Milano , le quali furono scritte dal Montecugcoli prima delle Memorie, e sono come, a dir cosi , i primi lineamenti fondamentali di esse. Ciò posto , quando dir non si voglia , che il Libro Spagnuolo stampato in Milano sin dall'anno iGgS, e che io non ho veduto , sia una traduzione di uno degli UN MS.'" DELLE MEMORIE DEL MONTECUCCOLI. 6l'J esemplari MSS.'' delle Memorie medesime , che anda- vano attorno , come fu appunto il caso della prima Traduzione Francese , non saiebbe gran fatto , ed anzi è cosa molto verisimile , che altro non sia il Libro Spagnuolo, fuorché la Tiaduzione del Libretto stampato - l'anno antecedente 1692 in Torino dal Giroldi. Comunque siasi, pregevole assai è la prima Tradu- zione Francese , che sia venuta a stampa. Il Principe di Conti , secondo che narra il prelodato Abate Tira- Tirab05chi loe. cil. lug. 530. BOSCHI, trovandosi in Ungheria , vide 1' Originale MS.'" delle Memorie del Montecugcoli presso il Principe Carlo di Lorena, assai più ampio e corretto, di quello su cui erasi fatta la prima Edizione di Colonia , e portatolo seco in Francia, il fece tradurre in Francese da un M/ Adam , e la Traduzione ne fu pubblicata in Parigi neir anno 17 12 '. Altre Edizioni ne vennero appresso , segue a dire il Tiraboschi ; ed il prenomi- nato Conte TuRpiN de Crissè ne diede nuova Edizione con lungo e diffuso Comento , coni è detto sopra , stampato nell'anno 1770, in tre volumi in 8." ino j^ui^,,. Amsterdam. Una Edizione in Lingua Latina rammenta '^jiXli'i'luU', W in ùae- * Di questa prima Traduzione in Lingua Francese si fa menzione nel Giornale degli Scienziati all'anno i;'i2, pag. 518 — cet liabile Traducteut „ ( dice il Giornalista ) avertit , quc la coj)ie sur laquelle il a travaillé ctait „ plus ampie et plus coirecte, que celle qui avait ctc imptimée à Cologne; „ qu'on voit dans cctte dernière une infinite de faiites dans les uoms propres „ et dans les nombres; qu'il y manque en plusteurs endroits des morceaux „ de deus, et irois pages. I i i i 6 1 8 NAPIONE DELLE ruLME EDIZIONI , E DI il Signor Ugo Foscolo eseguita a Vienna nell' anno 1718, presente il Nipote dell'Autore. Posto tutto quanto sopra si vuol riflettere , che il Signor Ugo Foscolo , per risarcire i luoghi del Testo Italiano, mancanti nella Edizion di Colonia , da Lui detta vulgata , e per ricavare la Lezione meno spuria, dovette giovarsi quasi sempre , come Egli medesimo asserisce , della Traduzione Latina stampata in Vienna nel 1718, e si valse pure in alcuni luoghi , come accenna nelle sue Note , della Traduzione Francese lavorata sul MS.'" del Principe Carlo di Lorena , di cui si è ragionato pur ora. Ebbe , egli è vero , poi eziandio sotto gli occljj. Frammenti MSS.'' copiati in Roma dall' Abate Serassi nella Biblioteca Massimi * ; ma questi ( olire ad essere meri frammenti ), scorrettissimi li rinvenne . onde per supplire alla prima lacuna , che è di due ia- * Opere del Montec. Edizione di Milano — a' Lettori §. Edizioni — pag. XI il Signor Ugo Foscolo dice così „ — Pier Antonio Serassi, quel cìottis- „ siino benemerito della patria erudizione , vide fra Libri de' Marchesi de' j, Massimi in Roma le Tavole dell' Arte della Guerra , fino ad oggi inedite j, dtl Montecuccoli ( A'. B. stampate com' è detto sopra col titolo di Azione „ Bellica in Torino nel 1692 ), ed alcuni frammenti autografi, quelli ap. „ punto, die compongono in gran parte la Dedica, e la Prefazione; li ricopiò , per gli Aneddoti antichi che preparava , ed io li ebbi assai giorni sott'occbio , „ e ne serbo copia di mano del Signor Turchi d' Arimino Vero, „ è che nel Fascicolo del Serassi l'Epistola, ed il Proemio sono a squarcj> „ dove nelle Stampe si leggono connessi ; anzi il principio , e la fine della, „ Prefazione mancano a' Manoscritti , e la Dedicatoria è diversa d' assai dalla, „ stampata. UN MS.'" DELLE MEMORIE DEL MONTECUCCOLI. 6rg tere facciate in foglio , dovette ricorrere , come attesta nella Annotazione a quel luogo * * , alle Traduzioni Francese , e Latina , non bastando al bisogno i MSS.'' del Serassi. Ora cjuanto giovar potrebbe, per una nuova Edizione il MS.'" da me posseduto, sarà facile lo inferirlo dalla succinta descrizione di esso. II Codice è cartaceo , in foglio , scritto dal principio al fine da una stessa mano, intero, ben conservato, e legato in pelle. Dalla forma de' caratteri, e dalla ortografia appare chiaramente essere stato copiato da amanuense Italiano, verso il fine del 1600. Nel dorso leggesi impresso col ferro General de Riijfée , che ogni ragion vi ha di credere ne fosse il primo possessore. Tra i diversi uomini di guerra pro- dotti ddtià illustre Famiglia de' Signori Cambiani di Ruffia, qual fosse specificamente questo Generale, e se abbia militato in Germania , od altrove , sino al pre- sente non mi è ancora riuscito di rintracciarlo. Il fatto sta , che in fine del 1600 non si tralasciava di fare studio fondato , tra' Piemontesi , dell' Arte della Guerra ; e non che i Generali , ma peifino le persone di pro- fessione affatto diversa , quasi a diletto vi volgevano * * Opere del Montec. edlpone di Milano , Tom. i , pag. 33 nella nota prima il Signor Forcdo dice come segue: " — Abbiamo in parte provveduto j, al difetto co' Manoscritti del Serassi, ma perchè sono scorrettissimi anch' „ essi, e quasi tutti a' frammenti , ci siamo, per riempir ì vuoti, ajutati della u versione Latina , e della Francese , che non hanno questa Lacuna. 620 NAPIONE DELLE PRIME EDIZIONI , E DI 1' animo. Il Giroldi , che primo pubblicò l' Opuscolo stimatissimo del Montecuccoli intitolato 1' Azione Bel- lica , non portava la divisa ; ed il Canonico Rossetti Livornese, domicilialo tra noi, e l'Avvocato Bertola, e sino a' nostri ultimi tempi il Signor Architetto Rana furono Ingegneri insigni. Comunque siasi pregio prln- cipalissimo del MS.'° , di cui si tratta, si ò la sua in- tegrità , cosicché non piìi da Traduzioni , e da fram- menti si dovrà congetturare ciò , che abbia scritto il Montecuccoli , ma si hanno in esso le parole mede- sime , non che i sentimenti , con cui espresse quel gran Maestro di Guerra i proprj concetti. Non sola- mente poi trovansi in questo MS.'° supplite tutte le Lacune della Edizione di Colonia , che in fine di questa Notizia si sono fedelmente trascritte, ma molte altre particolarità eziandio vi si incontrano , che meritano speciale considerazione. In primo luogo il Manoscritto comprende le Memorie, non solamente divise in tre Libri , ed in diversi Ca- pitoli, come nella Edizione ultima di Milano, ma di più ciascun Capitolo è diviso di bel nuovo in Titoli. L Ordine de' Paragrafi continua sempre colla stessa numerazione dal principio sino ^1 fine di ciascun Libro , senza aver riguardo ai Capi , né ai Titoli ; e ciascun Paragrafo contiene soventi volte sotto di se più di un Numero. Il Montecuccoli , come quegli, che avea dato opera agli Studj Matematici, e che inoltre era pure al fatto del metodo degli Scolastici , anzi perfino era in- UN MS. IO DELLE MEMORIE DEL MONTECUCCOLI, 62 1 struito nella Teologia Scolastica , e ne disputava tal- volta co' Maestri in Divinità , secondo che accenna il jjrj], b;h. TiRABOSCiii, amava sì fatte divisioni , e quantunque colto, pag/zss"'^ e non alieno dalle Muse , cercando sopra ogni cosa la precisione , l'ordine, e la chiarezza , e scrivendo le sue Memorie unicamente per li dotti , e per chi adottri- narsi volea , trascurò l'eloquenza, e divise, e ridivise, giusta il metodo anzidetto de' Matematici , e degli Sco- Listici, i suoi Trattati. L'essersi tolte via queste divi- sioni nella ultima Edizion di Milano , conservando sol- tanto quella in Libri, ed in Capitoli , mi do a credere che sia pi-oceduto dall' idea di uniformarsi alle Tradu- zioni , e di render meno arido il discorso , mediante la continuità di esso. Ma il Manoscritto da me posseduto dimostra , che diverso fu il modo tenuto dall' Autore , che si ò pur quello, che troviamo essersi seguito nella Edizione di Colonia. In secondo luogo il Codice da me posseduto, comechè apparisca copiato da poco esperta persona , e perciò abbia talvolta mestieri di emendazione Critica , segna- tamente per ciò che si appartiene ai testi Latini re- cati in nota , si vede però evidentemente essere stato ricavato da buono , e compito , e perfetto Testo ; e , quello che è più , da un Testo ritoccato dall' Autore dopo l'epoca dell'anno ib68 , in cui presentò Egli le sue Memorie all' Imperator Leopoldo. E che ne sia il vero vi s' incontrano Note , e Giunte fatte nell' anno 16G9 , ^ nell'anno 1670, le quali Giunte non si leg- 623 NAPIONE DELLE PRIME EDIZIONI , E DI gono ncir ultima Edizione di Milano rislaurafa colle Versioni, onde convien dire, che sì fatte Giunte non esistessero neppure negli Esemplarj , che servirono di Testo alle Traduzioni Latina , e Francese , mediante le quali si supplì alle Lacune della Edizion di Colonia. Si vede inoltre che il Testo, da cui si trascrisse, era fornito di parecchie figure, per ischiarimento delle ma- terie , le quali figure , tuttoché manchino nella Copia , sono però frequentemente citate in margine. Ma quello che è più importante si è, che moltissime sono le Va- rianti di rilievo , che giovano mirabilmente a rischiarar il senso , le quali ricavar si possono da questo Mano- scritto ; e che vi s'incontrano eziandio parole aggiunte, che somministi-ano particolari notizie. Per recarne un solo esempio, nello Stato Generale dell'Esercito de- Metn. M Mon- scritto nella Edizion di Colonia, si nomina sempllce- IdiTd'iCofónia! mente il Luogotenente Generale, unico nell'Esercito, dovechè nel MSS,'" si accenna la Patente , con cui ì Autore fu innalzato a tal carica , datata in Vienna 1664 , anno , in cui riportò la segnalata Vittoria di S. Gottardo contro i Musulmani. Altra particolarità del' MS.'" da me posseduto si è, che la Dedicatoria all' Imperator Leopoldo è compita , ed intera , come anche la Prefazione alle Memorie , la qual Dedica , e Prefazione tronche si sono stampate nella Edizione ultima di Milano , per lo motivo , che tronche si sono rinvenute nei Frammenti MSS.'' copiati dal fu Abate Serassi. Che se ampolloso si è lo stile UN MS,'" DELLE MEMORIE DEL MONTECUCCOLL G:i3 della Dedica loria , non se ne vuol far caso più che tanto. Tale era il gusto corrotto di gran parte degli Scrittori nostri Italiani di que' tempi, specialmente ne' componimenti di pompa , e di apparato , quale si è una Lettera Dedicatoria ; né è da credere, che diverso fosse quello dell' Accademia Italiana, fondata in Vienna dall' Imperator Ferdinando, detta dei Crescenti, destinata al coltivamento della Italiana Poesia , a cui fu ascritto pure il MoNTECUCcoLi , ed in cui dettò Rime, stampate in Brusselles nel i656, come asserisce il Tiraboschi. J^'tss!^'"^' Nò solamente colto era quel grand' uomo, e dilettante di Poesia , di Architettura , e Pittura , onde raccogliea nel suo palazzo di Vienna cjuadri de' più rinomati Ar- xirab. loc.cit. tisti , preveneodo in ciò lo splendor elegante della vita di quello, che tra' Successori suoi levò maggior grido', voglio dire il Principe Eugenio , ma, quello che è più notabile, alla piena intelligenza delle dotte, ed astruse Discipline , e delle Scienze Fisiche, per cui fu riguar- dato come principal lume dell' Accademia de' Curiosi di Germania , ed al genio delle Belle Arti , unir sej^pe una vastissima erudizione , frutto di un' assidua lettura de' Classici. Pregio singolare degli illustri Antenati del MoNTECUCCOLi fu questo di congiungere , secondo la pratica de' più celebri Guerrieri de' tempi antichi , gli studj delle Lettere colla professione delle Armi, come si può veder presso il Tiraboschi. Ti-a questi non posso passar sotto silenzio il Conte Giulio Montecug- coLi , che nell'anno iSyS dedicò una sua Traduzione- 624 NAPIONE DELLE PRIME EDIZIONI , E DI Il Paragone delle (jei Paragone delle Lettere , e delle Armi al Duca k™^''r!1'cuÌ,°o Carlo Emanuele I, allora Principe di Piemonte, e ÌVlodenese , Ira- r»ii 1 ••> 1 a^ • dono di Lingua peranco lanciullo , che poi riuscì quel gran Guerriero, Lalina in vul- _, . . i ,1 t , • » 1 gare, dal sig. e rrotcttor insigne delle LiCttere , che a tutti e palese. Conte Giulio Moniecuccoii al Gareggiò adunque in questa parte il Generale Mon- Sereniss." Carlo '^'-' ^ ir ripediPi"emJÌ"c TECuccoLi , co' più lodati de' suoi maggiori , e sì fatta PeìIearlnr^Bo- sua dotc farebbe più luminosa comparsa, se s' intra- uar 0, in 4. pj-gtidessc uua Huova Edizione delle sue Memorie , colla scorta del MS.'" da me posseduto. Tanto all' Editor Tedesco dell' Originale Italiano stampato in Colonia , come al primo Traduttor Francese , pare che non an- dasse a grado quella ricca suppellettile di erudizione tratta dagli Scrittori militari antichi di maggior grido, e dagli Storici, come Cesare , Vegezio, Livio , Tacito , ed altri Classici, onde moltissimi Luoghi, dal Monte- cuccoLi riferiti in piò di pagina , lasciarono addietro , che si leggono nel Codice , di cui si tratta ; se pure Biolti di sì fatti Luoghi ( come abbiam veduto essere il caso di altre Note , e Giunte ) non furono parimente aggiunti dall' Autore , dopo aver terminato il dottissimo, ed elaboratissimo suo Libro , e dopo 1' epoca dell' anno i663 , in cui lo presentò compito all' Imperator suo Sovrano. Del resto quanto avidi , e studiosi fossero delle dotte Memorie del Montecuccoli i nostri Piemontesi, mentre andavano attorno scritte a penna , palesemente il di- mostra , che , mentre alcuni soli Fiammenfi se ne po- terono rinvenire in Roma, da chi è da credere, che in UN MS.'° DELLE MEMORIE DEL MONTECUCCOLI. GzS Italia ne abbia fulto ricerca, un altro Codice qui in Turino ne acquistò di fresco , mentre sto scrivendo, il Signor Carlo Vidua di Conzano , giovane di svegliato ingegno , e che con frutto coltiva le Italiane Lettere. Il Codice , da Lui tosto con gentil premura comunica- tomi , ò cartaceo , in 4-° i scritto da mani diverse , e di carattere meno antico di quello del MS.'° da me posseduto. Sebbene poi sia pure scori-etto per igno- ranza de' copisti , e sebbene siensi in esso soppresse tutte le annotazioni, ed i luoghi de' Classici allegati ia piò di pagina , molte buone Varianti ciò non pertanto ho in esso ravvisate; e, quello che più importa, il Testo Originale Italiano è in tutta la sua integrità , e non solamente vi si trovano supjilite tutte le Lacune , ma , ciò che è degno di special considerazione , colle stesse» e medesime parole , con cui sono supplite nel Codice da me posseduto. Kkkk 6:6 SUPPLEMENTI ORIGINALI ALLE LACUNE DELLE MEMORIE DEL GENERALE MONTECUCCOLI I. Supplemento alla I. Lacuna nel Libro I, Capo II ^ §. XXIX, dopo le parole = il condottiero, o topo sia rimasto morto. = pag. 44 della Edizione di Colonia dell' anno 1704 ; ed a pag. 33 della Edizione di Mi- lano , in folio , dell' anno 1807 , presso Luigi Mussi , Tom. I. 4. « k^E al fianco, o alle spalle dell'inimico vi ha » qualche bosco , o valle , alla quale si possa non y> adocchiato arrivare , vi si può spedire cavalleria e » dragoni, che nell'ardore, e calor della zuffa aftac- » chino r inimico alle spalle , o al fianco , o diano » sul bagagho , per cagionarli confusione, conciosia- » cosachè i pronti sorprendono i non pi-eparati. 5 « Se la qualitc\ del paese il comporta, s' ingegna di ALLE MEMORIE DEL MONTECUCCOLI. 627 V avvicinarsi al nemico segretamente, e di combat- » te I-Io , prima che a])bia confermala la sua ordinanza, » come successe a Dutlinglien in Isvevia contro a' » Francesi 1' anno i643. G « Se il paese ò stretto , si fanno tre , o c[uattro , o » più linee , e membri della Battaglia. 7 « Se vi ha qualche palude , o fosso , si può metter- « visi dinanzi con alcune truppe , le quali all' avanzar » dell' inimico si ritirano per de' passaggi fatti a posta, » da Lui non osservati, che perciò vien condotto » alla trappola. do "*• « Disegno I « Se con l'Ala destra si vuol battere il Corno sinis- » tra ostile, o a ritroso, si porranno su quest'ala » i migliori, e il maggior numero de' soldati , e mo- » verassi con passo veloce ; e le truppe di quel lato, » e della seconda Linea , si spingeranno parimente » innanzi sulla man destra al pari delle altre; intanto » l'ala manca andrà adagio, o non si moverà punto; » imperciocché, nella sospensione del contrario, e » prima eh' Egli si accorga dello stratagemma , e si >■> risolva al rimedio , verrà il tuo forte a combattere » contro al suo debole, nel tempo, che il suo forte » se ne sta ozioso, o infuria a vuoto. E se quivi » s' incontrasse a sorte qualche villagio, avrassi a met- » tervi fuoco , acciochò l' inimico non possa attaccar » la tua ala manca, né avvedersi di quello che si fa. 628 SUPPLEMENTI ORIGINALI 2 « Se con ambedue le ale si vuol cingere l'inimico, » vale il presenfaisi in linea retta per ingannarlo , » ed intanto proceder pian piano con la parte del » mezzo, ed avanzar con le punte, facendo come f) un seno di Luna falcata , nel qual modo il Ban- » nier Generale Svedese circondò le truppe Impe- » riali a Melnich in Boemia l'anno iB^g; o vero sì » può lasciar vuoto il mezzo della Battaglia , e divi- »> der tutto l'Esercito in due ale; o vero si può la- » sciare la prima fronte nel suo intiero , mentre la » seconda ripartita si spinge innanzi sui corni della » prima , e distende di altrettanta lunghezza la linea. » Riuscirà meglio questo tratto in tempo di nebbia, » o di polvere , o di fumo , e ogni qualvolta l' ini- » mico non possa accorgersi di questo movimento ; » onde , per meglio deluderlo , si può stender nel » inezzo una fila di cavalleria , che non lasci cono- » scere il vacuo , che vi si lascia. 3 « Per faticare il forte dell' inimico col tuo più de- » bole , e poi col tuo forte fresco caricare il suo » giù stanco , si può mettere davanti a tutti la Ca- » valleria leggiera , con qualche squadron di ritegno, » sopra de' quali Egli sfoghi la sua furia primiera, > e faccia le prime cariche; e poi stanco, senta l'im- » peto , e l' impressione della tua parte gagliarda e » fresca ; ed acciochè 1' Esercito non abbia a sbigottirsi » dal vedere dar volta alle sue 25rime linee , devesi » anticipatamente far consapevole dello stratagemma. ALLE MEMORIE DEL MONTECUCCOLI 629 II. Suppìemento alla Lacuna II , alla pag. 44' J^àiz. di Colonia dopo le parole = né li dia tempo di riassumei- 1' animo , = Ediz. di Milano pag. 36. » ciò eseguendo con i Dragoni , Cavalli leggieri )» Plotoni , e Gente sciolta , i quali servono ancora » a preoccupare un posto , menti-e che , avanzandosi » in battaglia, l'Arniata, viensi ad intojDpare in qual- » che fosso , fondo , bosco , rialto , od altro vantag- » gio , che sia dinanzi, da lato , o da tergo. III. Supplemento alla III Lacuna, alla pag. predetta ^^, §. XXX, dopo le parole = la Disciplina è sopra tutte le cose necessaria al soldato , senza di cui la gente armata , è più dannosa che utile, = Edizione Mila- nese pag. 36. » più a suoi , che al nemico formidabile. Ella è )) diffusamente compresa nelle Leggi militari, e negli 5) Statuti di guerra , che ordinano obbedienza a" mag- 1) gioi'i , fortezza contro il nemico , onestà nel vive- » re, proponendo conforme al merito i premj , ed -> alle mancanze le pene convenevoli. Ottimo insti- » luto ec. 63 O SUPLEMENTI ORIGINALI IV. Siipplemenlo alla [K. Lacuna , alla pag. 46 , Titolo Secondo , §. XXXIII , dell' Ediz. di Colonia, Ediz. Milanese Tom. I , pag. 38. » Dell' Arliglieria XXXIU « Si considera la fabbiica , e proporzione , » il maneggio, le appartenenze. I « Nella fabbrica si osservi , che gli arsenali antichi » sono un caos di artiglieria, confusa, indistinta, » sproporzionata. A ^ran pena si trovano nomi ab- » bastanza per distinguerla ,• né ci è vocabolo di » serpente, di fiera, o di uccello, che non sia stato » appropriato a qualche pezzo. Ognuno , o Principe, » o Geneiale , o Fonditore ha voluto inventare a ca- si priccio nuovi calibri, nuove dimensioni, senza che i> molti di loro abbiano potuto dell' utile , e dell' ef- » fetto farne legittime prove , si perchè costano » assai , si perchè bisogna osservarle in viva guerra. » Per rinvenirne adunque la sua bontà ha fatto » mestiere fondere quantità di pezzi , dal più breve f> di grado in grado sino al più lungo , e dal più D sottile sino al più grosso. Poi a diverse successive » distanze, dalla minima alla massima , dopo essersi » spiegate per la linea del tiro più e più vele tese, » r una dietro 1' altra , è convenuto far varj tiri nella » terra più o mono densa , per osservare con 1' oc- si chio la resistenza , la giustezza , e la forza de' pezzi, ALLE MEMORIE DEL MONTECUCCOLT. 63 r » sircome anche quanta , e qual linea retta , od » obliqua sia sfata dalia striscia della palla , col suo » moto impresso , disegnata per 1' aria, » Da queste prove si è trovata la vera proporzione, » che, annullando quelle antiche forme , constiluisce » il canone della perfezione , la quale si ha da esat- » tamente osservare, non adoperando altre, che » dal buon uso approvate ripartizioni. V. SiipplemPTìto alla V. Lacuna. Noie alla Tabella dei pezzi di yirfigìiera che sta alla pag, 48 della Ediz. di Colonia, §. XXXV; ed a pag. l^o e l\i deli Ediz. Milanese ; e queste Note non si trovano supplite in maniera nessuna in quella di Milano. [a) « Il dì ultimo 16P9 feci fondere in Vienna due « quarti di Cannone pieni di metallo , nella qui )> assegnata proporzione dal fonditore Baldassar Tecol. (h) « I Cannoni sono , quali riuscirono poscia nella » prova, buonissimi; e medesimamente li 24 maggio « 1664, feci fare sei Falconi. (e) « Quattro di questi Cannoni feci provar a Vienna y> alleggeriti di metallo li 19 Novembre 1G69 , che » riuscirono buonissimi. (d) « Due Falconi di questa sorte alleggeriti di metallo » feci provar a Vienna, li i4 luglio 1670. 632 SUPPLEMENTI ORIGINALI VI. Supplemento alla VI Lacuna al §. XXXV, pog. 4g della Edizione di Colonia , dopo le parole = Con questi due generi di arliglicria si ò provveduto per la Campagna e per le Fortezze. = Edizione di Mi- lano , png. 4i' « Quella, piena di metallo serve a batterie e contra- » batterie , e si carica nella prova maggiore con poi- 7> vere eguale al peso della palla ; nel tiro ordinario » con 7 ; per far breccia con y. I Cannoni doppj « possono servir nelle Piazze per rovinare le opere » degli Assediatori , ed a questi per batter quelle , » mentre che vi si possano comodamente condurre ;> per acqua ; e le Colobrine per tirar lontano. « Quella alleggerita di metallo , e perciò nominata » artiglieria di Campagna , serve a tirare fra 1' oste , » ed è facile a maneggiarsi , e si carica per 1' ordi- » nario con un terzo, o con la metà della polvere ■>■> del peso della palla , e talora con patitone , e car- )) tocci. Quando si tirano granate con l'artiglieria, se » gli dà un terzo del peso di ferro , come per esem- » pio un mezzo Cannone , che si carica per 1' ordi- > nario con 11. 12 , metà peso del peso della palla, » si caricherà con 11. 4 pei' la granata. ALLE MEMORIE DEL MOKTECUCCOLI. 633 VII. Supplemenlo alla VII Lacuna , che è una Noia al §. XXXVII , alle parole — I morfari grandi (a) = cìie stanno nella medesima pag. 49 della Edizione di Colonia. Questa Nota manca eziandio , e non (> in veruna maniera supplita nella Edizione di Milano. («) « Li 24 luglio 1G70 feci prova di due mortari a » otto palle, fatti di nuovo, che gettano 11. 200 di » pietra per uno. Il primo tirò già la pietra , di peso » i85, a 900/ il secondo a ii45 passi. Indi si gettò » una granata pesante 11. 285 , la quale appunto nell' » uscir fuori dalla bocca del mortaro , crepata ia « pezzi , f uno d' essi colse nel capo accanto a me » il mio servitore Italiano , e lo feri a morte. Suc- « cesse per disavventura, die la granata, non assai » bene nel fnortaro situata , si volse, e la cannella » neir uscire si ruppe , onde prima del tempo prese » fuoco , e scoppiò. VIII. Supplemento alla Vili Lacuna nel medesimo §. XXXVII , pag. citata 49 della Edizione di Colonia, dopo le parole — rovinando le gallerie , le case , i coperti , le lavette , ed i letti delle artiglierie. — Edi- zione di Milano , pag. 43. » Gettano parimente grandine, e pioggle di fuochi, eoa « gran danno delle case coperte di paglia , o di scan- lIU ^3^ SUPPLEMENTI ORIGINALI » dole, tril)olì tuffati ia materie resinose, ignee, )^ squagliate , e riposte entro un corpo di legno , il s quale scoppia nell' aria , ed i triboli , chi qua chi » h\ , dove cadono , entrano di ficco appiccandovi il » fuoco. Siccome anche fansi Treccie simili , tirate eoa » balestroni , e con archi all'uso de' Tartari , o con fl archibuggio ordinario, o con moschelloni da mano. » Si tii'ano pure palle di fuoco con cannoni ordinar) » per arrivar più lontano , ed altre di ferro raas- » siccio , e granate. IX. Supplemento alla IX Lacuna in fine del medesimo §. XXXVII , pag. 5o della Edizione di Colonia , dopo le parole = che elle possano resistere alla polvere , che le caccia. = Lacuna , che non è in i-erun modo supplita nella ultima Edizione di Milano. « Il Golonello dell' artiglieria Bost pone piccioli » mortari assodati sopra una tavola , onde con l'ele- » vazione di essi , restano tutti insieme in un tratto » aggiustatissimamente maneggiabili , e giustissimi. « Di cotesti feci prova a dì a4 maggio 1G69. X. Supplemento alla Lacuna X, nel §. XXXIX , dopo le parole = Scalette , o capra , carro matto , o ALLE MEMORIE DEL MONTECUCCOLI. 635 carrettone , =:= pag. 5o della Edizione di Colonia. Edizione di Milano, pag, 43. » due stili, o aghi, l'uno con punta per nettare, » ed inescare il focone , 1' altro con un rampinetto ;) in cima per terziar ( sic ) i pezzi , misura del ca- » libro dei pezzi , e del yy'xh geometrico , Caliher » visin ( sic; forse caliberveis ), squadra lineale , com- » passi con punte curve , e diritte , triangolo , qua- » drante , o sìmil altro istromento per rinvenir il » mezzo del pezzo , cera , spago , arcliipenzolo , o » livello col piombino, secchie di cuojo, fieno, stoppa » per foconi , paglia, calconi di legno , funi , maschi, » o sagore, ( sic ) carrettoni, carrino , o berrò ec. XI. Supplemento alla Lacuna XI, in Jìne del predetto §. XXXIX ; dopo la parole = zolfo , carbone a varie dosi , stromenti ec. = a pag. 5o Edizione di Colonia. Edizione di Milano , pag. 43. 3 « Che il pezzo sia ben fuso , di buona tempra , » provato, terziato ( sic ) , i-agguagliato col com- » passo curvo , e con spago , e con 1' ago , acciochò » la difTerenza della grossezza , quinci, e quindi del » metallo in tante parti eguali divisa, ( il che chia- G3C) SUPPLEMENTI ORIGINALI n masi smorzar il vivo dalla pezza ) regoli la mi- » sura de' tiri , e la linea visuale corra parallella con 5) r anima del pezzo. Sia visitato , riconosciuto s' egli » è ricco di metallo, se V anima è parallella , se il o focone, gli orecchioni, i delfini sono a suo luogo, f> se la canna , tenutasi ben diritta 1' anima del ferro , » non è storta , s' egli è col dardo , o con trivella , » forato diritto , se di dentro è polito , senza poro- » sitù , caverne, peli. Sia caricato , ed aggiustato , » sparato , rinfrescato , e rimesso in punto, ove » egli fosse lungo tempo stato caricato , o pure forse » inchiodato. XII. Supplemento alla Lacuna XII nel §. XL , dopo le parole = gli operai e gli artefici , che quivi servono. = pag. 5 1 della Edizione di Colonia. Edizione dì 31 ila no , pag. 45. 1 « I fuochi di artificio ( Pirobolia ) tanto le materie « (a) onde si compongono , quanto i fuochi com- (a) " Polvere, salnitio, zolfo, carbone, pece, colofonia, terebentina , storace „ bensiiino, allume, antimonio, arsenico, mercurio, canfora, acqna vita, „ ambra gialla, allume, pulmosa ( sic ), cera, olio, calceviva , piombo, „ bombace, colla, limatura di ferro , segatura di legno, vitriolo pesto, „ legno putrido , stoppa , o stoppini , esca , materie ignee squagliate ec. i ALLE MEMORIE DEL MOKTECrCCOLI. 6?7 » posti {b) ampiamente descritti in più libri d'ogni » sotto di Lingua ; benchò molti temerariamente » scrivono di quello , clie meno intendono , o tras- « crivono ciò, che altri hanno detto, onde non sì » dee prestar fede , se non a quello che si è speri- » mentato. 2 « Le persone dell' Artiglieria (< ) , e la Maestranza « {d) , e Cavalli per condurre ogni cosa. Vn Ca- » vallo può tirar da cinque centinaja per continuar » a lungo ; e ne' paesi aspri , e dillicili si contano tre » centiiiiija di peso per cavallo , senza che il peso » del carro venga a scandaglio. (i) " Fuochi di metallo, di terra, di vetro, di ferro, di piombo ( questi per „ portar fuoco servono inirahilinentc , p-:iclic ancor essi si struggono ) , da » tirarsi con la mano, col Mortaro , o Petriero , col Cannone, gragniiola, „ Patrone. (i) •• Gt-ncralc, Colonnello , Tenente Colonnello , Capitano , lugegneri , Com- „ missario, Q larticrmastco , Caporale, Contestabili, cPcttardieri con i loro „ n>ateriali. ((/) " M.iratori, Armarolì , Fonditori, Medici, Barbieri, Manescalchi , Ferrari „ eci Pulveristi con suoi isinimeiiti , lanterne, fiaccole ec. Xin. Siipplemenlo alla Lacuna XIII, nel §. XLI , dopo le parole = da Luoghi vicini, o lontani. = pag. 5i della Ediz, di Colonia. Ediz. di Milano pag. i\Q. 3 « Ordinariamente suolsi pigliar seco per cento tiri » di ciascun pezzo di cannone , di mortaro, o di 638 SUPPLEMENTI ORIGINALI T> petriere; e per i6 tiri al giorno per mosche (ticro » quand Egli ò in fazione. A i5 tiri cosi richiedcsi » una libbra di piombo , computandosi ciascheduna » palla pesar due lotti, o un'oncia : imperciocché, » sebbene i moschetti sono di tale calibro, che 14. » palle pesano giusto una libbra , in ogni modo , » perchè elle vanno troppo forzate entro la canna, » se ne fanno 16 , che entrano agiatamente col de- » bito vento. La buona polvere si calcola la metà » del peso della palla ; la men buona \ ; poco , a una « libbra di piombo , una di polvere. 3 « La palla di pistolla pesa un lotto. La miccia si « consuma di continuo , e si calcola , che se ne con- » suma nove dita nello spazio di un'ora, e però 21 v. » in 2^ ore. Un centina] o di miccia dà 480 scofoni » a un di presso. XIV. Supplemento alla Lacuna XIV , nel §. XLII , dopo le parole = butiro , cacio , lardo , tabacco , pesci salati, e legumi. = Ediz. di Colonia pag. 52. Ediz. di Milano pag. 1^6. a » Si contano per un soldato giornalmente, Pane libbre i> 2, Carne libbre 1 , una misura di Vino, ovvero » Cervizia; Sale \ libbra per settimana. Per un Ca- » vallo Biada giornalmente libbre (I, ovvero Orzo Jib- » bi'e IO, Grano liJjbi-o 4, Paglia tre fascj per settimana, ALLE MEMORIE DEL MO KTECrCCOLI. 63^ » fieno 11. 2 1. In una famiglia privata si confa co- ■» munemenie por una persona annualmente 4 stara , » o sacchi di grano, e due Tonna di birra. 3 « I Magazzini devono essere in più luoghi forti , » vicini ali' armata , comodi per farne la condotta » con barche , con carra , con some , e che cjueste » siano doppie; mentre le une vengono al campo, le » altre partano a caricar di nuovo. Devono nella t> fabbrica essere rivolti ai venti più salubri , rinfres- j» cali spesso di nuova provianda , provvisti di molini » a acqua , a vento , a giumenti , a mano ; e di forni » da cuocere il pane. 4 » Le ordinanze principali intorno allo stato della » provianda riguardano i fornari, gli osti, i merca- » tanti, i comestibili, e le bevande. i.° Che ogni » cosa sia tassata a prezzo ragionevole dai Profossi , » e dagli Auditori , che ragguaglino il prezzo della j> vendita con quello della compra , e coi disagi , e » col pericolo, a." Che le misure , e pesi , e robbe » siano rette , e non falsificate. 3.° Che negli eserciti a siano i viveri custoditi con diligenza, e dalle ruberie, » e dai tradimenti, dalla corruzione , e dagli incendj. » Siano distribuite con ordine , e con risparmio , con- s forme alle liste digli effettivi autentiche , perchè » inutile è la parsimonia al difetto. 64o SUPPLEMENTI ORIGINALI XV. Supplemento alla Lacuna XF , che consiste in una Nota importante alla K'oce = Le Battaglie = con cui incomincia il §. LXXXIX , Lib. I pag. 172 , Ediz. di Colonia. Edi:::., di Milano , pag. i3i ; Nola per altro non supplita in nessuna maniera nella Ediz. Milanese. (a) » Giornate , Fatti d' arme ; » fatalern diein nationilus ac populis. le cliiama » Vegezio Lib. Ili , Gap. II. A chi sa ben presentar » al nemico una battaglia , gli altri errori , che facesse » ne' maneggi della guerra , sarebbero sopportabili ; » ma chi manca di questa Disciplina , ancorché negli » altri particolari valesse assai , non condurrà mai » una guerra ad onore , perchè una giornata , che » vince, cancella ogni sua mala azione , ma medesi- )) mamente , perdendola , restano vane tutte le cose » operate davanti , e macchiate. XVI. Supplemento alla Lacuna XFI , riel §. XC N.° 7 , dopo le parole = senza aver da sostener 1' urto de' cavalli. = pag. 176 , Ediz. di Colonia; Ediz. di 31 il ano pag. 134. » Negli antichi tempi ogni Reggimento di ftinfcria » conteneva un tal numero di Gavalleria , e d' Arti- ALI,K MEMORIE DEL MONTECUCCOLT. 64» » glìeiia , e de' Cavalli ce n' erano altri di corazze » intere armati; altri di mezze, altri più leggieri » senza armatura. A che fine questo incorporar tutto » insieme più sorte d' armi , se non solo per dimos- » trar il bisogno indispensabile , che elle hanno una » dell' altra , e la aiìsistenza cb' elle possono a vicenda » reciprocamente prestarsi? » Nelle medesime comuni ordinanze , dove tutta yt la Fanteria si pone Del mezzo, e la Cavalleria » suir ali della battaglia , le quali si stendono a mille » e mille più passi di cammino , in buona fé, che » favore può ricevere la Fanteria dalla Cavalleria ? Chiara cosa è , che r battute che siano le ali sud- dette , la Fanteria rimarrassi abbandonata , e nuda dai lati : Ella persa e sconfitta , se non per altro , almen a forza di cannonate , come furono disfatti i Battaglioni Svedesi alla Batta- » glia di Nordlinghen 1' anno iG34 , dopo che la » loro Cavalleria fu dal campo cacciata. Videro gli » Svedesi questo difetto : e per ripararvi posero » de' plafoni di moschettieri , e qualche pezzetto » d'artiglieria fra gli squadroni de' cavalli ; ma non » fu sufficiente rimedio ; perciocché , rotti questi » squadroni , i plafoni andavano per conseguente » necessario a fil di spada , come pur ad essi sue— » cesse nella Battaglia dell' anno . . . , peroché eglino » non avevano Corpo vicino da ricoverarsi, né pie- » che , che h sostenessero ; e come potriauo essi M m m m 642 dVJPLEMENTI ORIGINALI » mai ricorrere alla Fanteria tanto lungi disposta? » Ma, datasi nell'ordinanza l'unione suddetta, egli è » evidente , che nessuna parte può essere investita , - » a meno , che non abbia 1' assalitore a beersi la > » salve , prima dell' Artiglieria , e poi quelle della s » moschetteria , indi delle pistolle , e finalmente ha » egli da sostener 1' urto delle picche , e de' cavalli . » insieme , vantaggio che non si può ottenere nella 1 » distante divisione di queste generazioni di armi. 8 Disporsi talmente , che si possa combattere più volte , conoiosiachè chi conserva più truppe in- tere neir ultimo , come de' pezzi nel giuoco degli scacchi , quegli guadagna ; := e perciò schierare » r armata in tre linee , di cui la prima sia la più » forte dell' impressione , la seconda un poco meno» » e la terza sol composta di qualche riserva ; o in - » due h'nee, ciascheduna delle quali abbia dietro di » se le sue riserve. XVU. Supplemento alla Lacuna XVII, nello stesso §. XC , N° i3 in fine dopo le parole = per trovarsi pronti a volger il viso ne' lati oppositi. = pag. 177, dell' Ed iz. di Colonia. Ediz. di Milano p. i35. 14 " Stender la fronte convenevolmente, per non essere >» attorniato dall' inimico , e per cinger Lui s' egli è ALLK •MEMORIE DEI. MONTECUCCOLl . C43 » troppo ristiTtto ; né perciò assottigliarsi (a) tanto ti nel fondo , che si manchi dei debiti sussidj , e >» s' arrischi tutta la foikina in una fronte ; metter »> tutta la Cavalleria sopra un' ala sola , mentre che M r altra sii assicurata dal sito. lo »» Distribuir le persone Generali alle ale, al Coi-po »» alla riserva, a tutte le fronti , addietro all'Esercito. 16 »i Aver gente comandata sui fianchi di ciaschedun >» squadrone, e plotoni di moschettieri, ma che ab- »» biano da vicino il rifugio , o siano Dragoni , che »> possano salvarsi, se la Cavalleria cede. 17 >> Appostar persone , che uccidano il Capitano dell* i> Oste , o che sotto colore di trasfugatori assalgano i> nel conflitto r inimico alle spalle. 18 >» Far nascere qualche novità nel fervor della zuffa. 19 I» Levar talora ogni mezzo a' soldati di ritirata , e I» condurli in sorte , che abbiano da vincere , o da »» morire. 20 >» Tener dietro a' Battaglioni, Religiosi, Barbieri, 1» Scrivani, che consolino, curino, registrino i feriti. 21 »> Comporre gli squadroni di i5o Cavalli l'uno, a Il tre di fondo; ed i Battaglioni a 5oo = 1000 = Il i5oo fanti per uno; a 6 di fondo. 22 II Porre l'Artiglieria grossa tra la Fanteria, nel mezzo. Il e dai lati , e la minuta tra la Cavalleria , quasi Il tutta nelln prima fronte; anche sopra le eminenze [a) " Melìus est post aciem multa servare praesidia, quara laiiiis niilitem „ spargere — Veget. JLib. Ili, Cap. 26. 644 SUPPLEMENTI ORIGINALI che comandano, innanzi, dai. Iati, e da tergo, ti- rando per disopra l'Esercito; e sia talmente dis- posta , che non impedisca la marchia , e le scariche della moschetteria ; e dove il campo è pietroso si facciano piuttosto i di lei tiri corti anzi che no , acciochè ferendo la palla nelle pietre , le faccia balzare suU' Oste. 23 » Gli squadroni di ritegno , per soccorrere , e per sostenere , sieno di corazze , e Dragoni , e posti ia sito avvantaggioso. 24 »» Disegnar la forma della Battaglia ; e darne a cias- cun officiale la parte che gli tocca. 25 » I Carri di munizione si pongano addietro a qual- che rialto , o in altra parte sicura , coperta , e ripartita , acciochè una sola disgrazia non la rovini tutta. Siano i carri della polvere ricoperti di pelle di bue , e ben custoditi appresso la Fanteria. Stia essa munizione su carrette a due ruote, che si voltano incontro ; si fanno talora fossi in terra , dove la munizione si serba. >> Racchiudere il bagaglio entro un recinto di carra, con guardia alle spalle dell' Esercito , in distanza del moschetto , o collocarlo in qualche collina in dis- parte , fattoci da' guastatori qualche fosso intorno , e postevi guardie , o si lascia dietro delle piazze forti vicine, acciochè non dia materia a'proprj sol- dati di spogliarlo , e fuggirsi. ALLE MEMORIE DEL MOKTECCCCOLI. ^4^ XVIII. Supplemento alla Lacuna XVIII nel §. Vili, Lib. II , dopo le parole — onde furono in Corte Cesarea stabilite queste risoluzioni ; pigliar a petto le cose della Transilvania = pag. 196, Edizione di Colonia. Edizione di Milano, Tom. II. pag. 11. »» col negozio , e coli' armi ; presidiar i luoghi offerti ; »> dar oltre a ciò mille fanti al Kemeni per servir- »» sene in campo a sua disposizione ; formar due »» Corpi, r uno di essi volante , 1' altro di un Esercito I» giusto , e reale ; quello per campeggiar al Tibisco, »> e al favor delle piazze , per dar ricovero , ed as- »> sistenza al Kemeni; questo affine di operar al Da- »> nubio per diversione , e di spingersi sopra Stri— »> gonia , e Buda, incontanente che il Turco , o assa- »> lisse i Luoghi presidiati , o scorresse sugli 5tati ») Rcgj ; non potersi in ogni modo riuscir bene ne' »> Trattati, senza fare sentire gli effetti delle armi; » né potersi altresì soccorrere a dirittura la Transil- »» Vania inabile a sostener tutta la mole della guerra ec. XIX. Supplemento alla Lacuna XIX, 0 sia correzione di luogo corrotto nel §. LVI , iV.° 5 , Lib. Ili, pag. 447 dell' Edizione di Colonia. Edizione di Milano, Tom. II , pag. 168. 5 I» Ma perchè i mezzi , quanto più semplici , tanto »» più sono facili , praticabili , e meno confusi , va- 64^ SUPPLEMÉNTI ORIGINALI » gllono perciò soli l'Imperatore, e ìa PoTonùi per » terra, e 1' Italia ( in cui si comprendono il Papa, » il Re di Spagna , i Veneziani , i Genovesi , e » Malta ) per mare, a combattere con giiti ra of- » fensiva il Tm'co; e non faccia altra cosa l'Impero, » che assicurar le spalle agli Stati di Cesare. XX. Supplemento alla Lacuna XX, in princìpio del §. LIX , Lib. Ili , pag. 451 , Edizione di Colonia. Edizione di Milano, Tom. II, pag. i6i. LIX » Il comando del Turco ha risoluzione , segre>- » tezza , e celerità, perchè egli è dispotico, e nel » Capo dell' Esercito assoluto , illimitato , indipen- » dente , onde vengono a cessare, quelle cagioni che » di loro natura involgono consulte , conferenze , » obbiezioni, dispute, dissenzioni, ed emulazioni ; e » quindi per conseguenza divulgazione (a) de' segreti, » irresoluzione , discrepanze , remore , e freddezza » neir esecuzione. » II modo nostro non può essere risoluto , né se— » creto , né repente ec. ft) „ Parendo potius, qnam imperia Ducum scìscitando tes roilitares conti- u iKtuur. Tacit. I£st. Lio. Il, cap. 24. 647 MEMORIA SOPRA ERRICO CONTE D'ASTI E DELLA OCCIDENTAL LIGURIA, e dipoi Duca del Friuli, il quale sotto Carlo Magno , e Pipino Re éT Italia ha esteso i limiti dell' Impero Francese nello Illirico , nella Pannonia , e un tratto nella Dacia , e Bulgaria. Di JACOPO DURANDI. Letta li 29 maggio 18 11. Xarlano delle imprese di Errico quasi tutti gli antichi annali de' Franchi , ma non prima ch'egli fosse assunto al governo del Friuli , e debellasse gli Unni , o sieno gli Avari , e altresì ne parlano con quella me- schina aridità, che loro è propria. Avanti quell'epoca nessuno di quei cronisti D rammentò , né forse il co- nobbe , e il caso porse a me già da molti anni 1' oc- casione di scoprir quello era stato Errico innanzi di passar nel Friuli. Tra i monumenti dell' antica terra di Germanicia nel 65o SOPRA ERRICO CONTE d'aSTI ECC. jnoderno tener dì Cai*agUo erasi djssofterrata la lapida funebre postasi ad un figliuoletto del conte Errico , ma guasta nel fondo vi mancano le note cronologiche fuori d' una. Laonde per se medesima non bastava la discoperta lapida a determinare qual si fosse il conte Errico in essa nominato , e tantomeno se fosse desso il famoso duca del Friuli sotto Carlo Magno , benché lo sfile e i caratteri dell' iscrizione indichino a un dipresso quel secolo. Ma avendo io allora per avventura tra le mani le dissertazioni dell' abate Le-Beuf sopra 1' istoria ecclesiastica, e civile di Paiigi , (i) in cui v' inseri alcune lettei-e , e alcuni versi inediti come di Paolo Diacono , e di altri contemporanei di Carlo Magno » tratti da un codice della regia biblioteca di Parigi , mi' sono imbattuto in un inno, ovvero ode di Paolino Patriarca di Aquileia scritta in morte del duca Eli-rico. Incomincia 1' ode invitando poeticamente i fiumi a do» lersi , i quali furono testimonj delle vittorie , delle virtù-, e del buon governo di Errico , donde viene al parti- colare delle principali città dal medesimo governate in ultimo nel Friuli e nelle convicine province , e poscia a quelle dapprima rette da Ini, delle quali solamente annovera Asti , ed Albenga , ( 2 ) su del che la men- ti) Dlssertatlons sur l'Hlstolre ecclésiastique et civile de Paris , im> VHistoire de France etc. Paris 1739. (2) „ Hasiensis humus j, Ploret, et Albenganus. M. nome della città di Asti ne' mezzani secoli si usò scrìvere con la tet<- DI JACOPO DURANDI. 6^Q fovnfa lapida , e 1' ode rischiaransi a vicenda. Indi su- Lilo si rivolge alla patria del suo Eroe, invitandola viepiù a piagnere la perdita di un tanto cittadino. Laonde ap[)arisce , che due sole province furono rette da Errico successivamente 1' una dopo l'altra, e die la prima eia slata quella dell' Occidental Liguria, propria- mente detta allora provincia delle Alpi Cozie , nella quale tra le Città governate da Errico primeggiavano Asti e Albenga , siccome sole e principali ricordate da Paolino. Asti tanto più , la qual sotto i Longobardi era stata capitale di una ducea maggiore , formando una ben estesa provincia , che a ponente finiva alla cima delle Alpi Marittime. Avea tuttavolta il proprio duca , quando Carlo TVIagno la conquistò, e a quello surro- gando Errico , la ringrandl ancora , estendendola infino al mare, seppur già innanzi non lo era, siccome pro- vincia posta a' confini d'Italia. Nei primi anni della sua conquista gli convenne tanto più renderla forte , onde tera H un pò sfigurata in moltissime cane, inclinando per lo più , e obliqua- mente segnando la lineetta , che 1' attraversa , in vece di farla orizontale ; tal- cliè r H maiuscola pigliò talora la sembianza della N , e della M. Al che non avvertendo, scrisse Le-Beuf Nastensis per Hastensis. Più altri errori ha egli commesso nei nomi di terre in copiando cotesia ode , eh' io ripubblicai più corretta nel libricciuolo sopra le antiche citth di Pelona , Caburro , Germanicia ecc. ( pag. 32 e segg. Torino 1769. ) Venne la sopraccitata la- pida altresì ripubblicata più correttamente nel Piemonte Cispadano pag. 12S. Si vuol pur notare, che per non so quale inavvertenza in vece di Paolino autor dell' ode^ suddetta si stampò di Paolo Diacono , e si replicò l' istesso errore. N nnn CSo SOPRA ERRICO CONTE d' ASTI , ECC. mantenersi liberi , e sicuri i passi per l' accidente di una ritirata ; e d' altro canto per custodire e difendere quel tratto di marina dalle invasioni de Saracini, e dalle discorrenti nemiche flotte de' Greci. Usò infatti Carlo Magno di non affidar a una sola persona una provincia capace di più contee, se non ei-a a' confini del regno, oppur nelle vicinanze de' Barbari , come attesta il Mo- naco di San Gallo, (i) La provincia governata da Errico occupava pertanto anche i territorj di più città, o contee, nelle quali venne dipoi ridivisa , dopo rassicurata semprcpiù la conquista della Lombardia. Così il tener di Germanicia , dove si seppellì il figliuoletto di Errico, si assegnò poscia alla contea di Auriate , e questa non meno che la con- tigua contea di Bredulo infino alla cima delle Alpi ne guardavano i passi , e d'altro canto confinavano verso mezzodì coi territorj , che toccano alla marina. Certa- mente l'essersi Errico trovato nella terra di Germanicia, dove il figliuoletto suo mori , ci dà a divedere che quella terra era compresa nel suo governo , e che se- gnatamente nei primi anni della conquista de'Franchi i governatori delle province limitanee si trasportavano, e soggiornavano quando in un luogo , quando in altro del lor distretto , secondochè parca loro più opportuno. (i) De gestis Caroli M. Lib. I. cap. 14, presso Duchene. Hlst. Francar, Script. T. 2, pag. 112. DI JACOPO DURANDl. 65 I come lo stesso usarono sovente i prefetti , e i presidi Romani. Di qui pai-imente si racroglie doversi intendere assai largamente , anzi essere falso in gran parte eiù , die narra un antico cronista sotto l'anno 774 » cioè subito dopo la presa di Pavia abl)ia Carlo Magno commesso ai Franchi con titolo di Conti il reggimento delle città d II alia, (i) Coloro che tra i moderni pur così opina- rono , non hanno avvertito che al contrario Carlo Magno parecchi dei duchi Longobardi riconfermò , e mantenne nei primi loro governi, o perchè aveano ab- bandonato il Re Desiderio , oppur in segreto favoreg- giato i Franchi , o senza resistere , e spontanei gli si erano sottomessi. Noi quindi troviam conservati nei loro governi i principali Duchi Longobardi Regnibaldo in Chiusi , Ildebiando in Spoleti , Grimoaldo in Be- nevento, Allone in Lucca, Rotgaudo nel Friuli, ed altri. Quest' ultimo nel 776 fu sconfitto , e fatto morire da Carlo Magno, scopertasi la sua congiura con altri de' mentovati duchi per rimettere sul trono d'Italia il Re Adalgiso figliuolo del Re Desiderio. Erano pur en- trate neir istessa congiura parecchie città d'Italia ; Carlo le sottomise , e diedele a reggere ai conti Francesi. (1) Missli Comitibus per omnem Italiani. Presso Duchene. Ibid. tom. a pag. 8. 653 éOPRA ERRICO CONTE d' ASTI , ECC. (i) Sicché innanzi erano desse governate da UfIIziali Longobardi. Le quali cose accadute nel terzo anno del Regno Longobardico di Carlo ci dimostrano , eh' egli non tolse i governi se non a coloro tra gì' Italiani , de' quali diffidavasi , e non vi surrogò de' Franchi, se non quando i primi gli mancarono di fedeltà, o divennero sospetti. Perciò nelle leggi di Pipino Re d' Italia, §. 8 , ritro- viam tuttavia nominati i coati Francesi , ed i Longo- bardici di nazione. (2) Ma in questa parte della occi- dental Liguria data in governo ad Errico si fa mani- festo, che il duca di Asti , ed altri uffiziali Longo- bardi , che innanzi la reggeano , non ebbero la confi- denza del conquistatore , il quale sin da principio i^i loro luogo vi trapiantò de' Franchi , tra i quali Errico fu de' principali , e più illustri. Né importa che conte e non duca siasi intitolato nella menzionata iscrizione posta sulla tomba del suo figliuolo , perciocché ben so- vente r un nome , e l'altro usavano i Franchi a vicenda,, onde l'anonimo cronista così detto il Poeta Sassone chiama il già duca del Friuli Rotgaudo ad un tempo Ducem Comitemque. (3) Così parimente 1' istesso Errico (i) Eginardo, negli annali presso Diichene , T. 2, pag. 239, in eis Francorum Comitibus coiiHìtutls. Il Poeta Sassone , ihid. ad ami. 776 , pag. 141 , dice, che Carlo Magno per conservarsi quelle città ribelli , „ Francorum Comìtes quos ipse locabiit in illis , „ Jussit. (2) Rer. Italie, script., tom. i, part. 2 , pag. ng. (3) Lib. i , ad unii. 776, presso Ducliene, tom. 2, pag. 141. DI JACOPO DITRANDI. 653 di giA assunto al governo del Friuli , cui erano aggiunte altre provincie , quando duca, e quando conte si ap- pellò , benché piopriamente a un duca vi fossero per l'ordinario più conti soggetti. Aione successore di Er- rico è intitolato y//'o Longobardus Comes de Forojulii dall' antico scrittor della vita di Carlo Magno , pub- plicata dal Piteo , (i) ed Eginardo (2) chiama Cadolao succeduto ad Aione Cadolaiim Comifem , et Marchce Foroiitliensis prarfectum , cioè conte, e marchese, o sia prefetto de' confini; donde pur si raccoglie, che la Marca del Friuli è stata la più antica Marca d' Italia. Se la nota cronologica di XV , che sola rimane nella sopradetta iscrizione del figliuoletto di Errico , dino- tasse 1 indizione , e non per avventura il giorno del mese, saremmo accertati, chef iscrizione apparterrebbe all' anno 7 '77 , cioè al quarto del regno di Carlo M. in Italia, e tanto più saria da dirsi, ch'Errico ebbe il governo di Asti , e di questa ultima parte della Li- guria mediterranea , e marittima , insin dal prira' anno della conquista de' Franchi. Alcuni il fanno succedere in quello del Friuli a Ro(gaudo suddetto insin del 77^, perchè non avvertirono esservi stato tra mezzo il duca Marcano, il qual fiuì del 709, e gli succedette Errico, come ne' suoi monumenti della Chiesa di Aquileia , pag. (i) Ad ami. Sii, pag. 277. (2) Loc Cìt, ad aim. 818, pag. 262. 654 SOPRA ERWCO CONTE D' ASTI , ECC. 33 1 di già osservò il P. Rubeis , ed anche Muratori negli annali ( ad. ann. 796 ). Il dotto illustratore delle xecche, e monete d' Italia de' bassi tempi tra Rotgaudo, e Marcario (1) intrapone un Masselione duca però senza nome di ducea , il qual nel 778 donò all'abazia di Sesto nel Friuli villa una situata in Mon/anis quae dicitur Forno. La localitcì del fondo donato non è ar- gomeùto che il donatore fosse duca del Friuli. Ma dal nome di Forno posto su pei monti , che leggesi nella carta di Masselione, almeno impariamo essersi quello appropriato nei secoli mezzani ai luoghi erti , ed alpe- stri, e a dinotare di cosi fatti siti, come sono pur tra noi nelle vallate di Lanzo Forno di Lemie, Forno di Groscavallo , e altri altrove ; nel qual senso sfuggì questo vocabolo a Ducange , Carpentier ecc. Quando pur si volesse presupporre Masselione pre- ceduto a Marcario nella ducea del Friuli , non impUca punto, che Errico successor di Marcario deceduto nel 789 abbia cominciato a governar il Friuli sullo scader di queir anno. E troppo probabile , che nella rotta de' Greci in Italia del 788 abbiavi Errico avuto gran parte, come pur nel cacciarli dall' Istria , il che avvenne nel 789, oppur nel seguente anno, e sia stato questo il motivo , per cui venne allora appunto promosso al governo del Friuli , e delle province a quello unite. (1) Carli Dissertaz. 3 nel tom. IJI delle opere, pag. 279,280. DI JACOPO DURANDI. 655 Dopo la morte di Rotgaudo era sene diviso il governo tra alcuni conti , ma continuatosi a quel di Forogiulio il superior comando di essi , ed il titolo di duca per- chè limitaneo. Perciò dal Poeta Sassone ( loc. cil., pag. l65 ) è dinominato Errico medesimo Italici Dux li- milis , perchè gli si erano sottoposte anche 1' Istria , ed altre limitanee terre oltre il Friuli. Infatti tra le città soggette a lui e' indicò Paolino nell' ode soprad- detta avanti i nomi di Aquileia , e Forogiulio , o Civi- dale del Friuli , quelli di Pola principale allora città dell'Istria, e di Sirmio famosa città della Pannonia an- tica , e allora principale degli Slavi altrimente detti Schiavoni. Poiché sul fine del 789, o nell' entrar del seguente anno prese Errico il comando del Friuli, dell' Istria , e delle province che ne dipendeano di là delle Alpi Car- niche , non si può dubitare abbia egli condotto le truppe italiane nella guerra mossa da Carlo Magno agli Avari nel 791. Carlo vi andò in persona con grande apparato, e sforzo d'uomini, e di munizioni per cacciar quei Barbari dalla Pannonia. Ei passò per la Baviera , cui il fiume Ens ( Anesus , od Anisus ) divideva allora dal paese degli Unni, o sieno Avari , onde il Norico Ripense , che di poi ha fatto parte dell' Austria Supe- riore , chiamavasi allora Avaria , ed Huania. Varcato l'Ens, rincontrò Carlo tra via due abbandonate for- tezze , le atterrò , corse devastando, e predando il paese infino al confluente del Raab ( Arraho ) nel Danubio, 656 SOPRA ERRICO CONTE d' ASTI , ECC. non vide il nemico in viso , e carico di hot (Ino sea ritornò in Baviera cum incolumi exercitu Francoriim , come narra Eginardo con altre notabili circostanze, (i) Ma è tanto più singolare , ch'ei non fece ncppur motto dell' esercito Italiano condottovi dal Re Pipino, e dal duca Errico nel cuore della Pannonia a levante del Raab tra il Dravo , e il Danubio , dove il nemico erasi i-idutto con tutte le sue forze , e vi rimase scon- fitto. Del che l'istesso Re Carlo ne ragguagliò con lettera la Regina Fastrada , (2) affermando , che il menzionato esercito cotanta strage avea fatto degli Avari , che da lungo tempo non vi era stata la mng- giore. Aggiugne, e i Jedeli suoi, che gli sconfissero, furono Uh Dux , ille et ille Cnmifes , senza nominarne alcuno , soggiugnendo soltanto , che ille Dux de Ilis- iria , ut dicium est nobis , ibidem benefecit cum suis hominibus. Carlo era lontano dal luogo della battaglia, si rapportò a quello dapprima gli venne detto così in complesso, talché appare, che ignorava in quel mo- mento insino i nomi de' capitani , eh' eransi meglio distinti in quella fazione , tra i quali si presuppose il duca dell' Istria ( ut dictum est nobis ) sotto il qual (i) Veggasene tutta la narrazione loc. eh. Annoi, ai ann. 791 , pag. 246. (2) Presso Diicliene torri. 2, pag. 187 : " illae scarae , qiias priiis de Italia „ iussiiniis pergere parliLus Avarine, in illaconfinia residendiim , perrexerunt „ infra fines ipsoriim X Kal. septcmbris, et inienint pugnam ciim eis, et de- „ dit eis Deus victoriam ^ et inultitudinem de ipsis Avaris interfecerunt etc< » PI JACOPO DUP.ANDI. GSy titolo sembrami siasi voluto indicare il duca Errico , die ri stria non men che il Friuli aveva in governo , e la recente conquista di quella gliene dava forse allora il titolo. Io so bene essersi conghietturato dal conte Carh Istriano, che il duca menzionato nella sopraddetta let- tera fosse un cotal Gioanni duca dell' Istria , dai messi di Carlo INIagno neU' 8o4 trovato reo di assai usurpa- zioni a' danni de' suoi provinciali , cui perciò fu tolta In carica, (i) Mi basti osservare non aver egli avver- tito, che dal fjcjo al 799 il principal comando ncll' Istria appartenne al duca Errico , a cui Carlo Magno la sottomesse in un con la Dalmazia , come Sigonio r avea di già notato nella storia del regno d'Italia. Se non dopo la morte di Errico ebbe 1 Istria un pro- prio duca , qual si fu il inentovato Gioanni dal ygg all' 804. In questo senso scrisse il Dandolo nel cronaco , che nell' Istria tolta all' Impero di Costantinopoli Carlo M. vi nominò duca un Gioanni. (2) Checché ne sia , sconfitti nel 791 , e non debellati gli Avari , prepara- vasi Carlo a ripigliar la guerra nell' anno seguente , senonchè dovette ricominciarne un' altra , cioè a dire vincere di nuovo i Sassoni di già vinti , ma non domi. Quindi mandò al figliuolo , e Re d' Italia Pipino , e a' conti , e governatori delle province di continuar la (i) Antichità Italiane > patt. Ili pag. 201 , e26i,epart. IV,, pag. 117, esegg. (2) Rer. italic. script, tom. XII j col. 155. O u 0 0 658 SOPRA ERRICO CONTE D' ASTI , ECC. guerra contra gli Unni , o sieno Avari , detta da Egi- NARDO maximum quae a Carolo facta sunl bcUorum , et animosius , e non finì che in otto anni. « La Pan- » nonia deserta , e senza abitatori attestava la quantità » grande delle seguite battaglie , e del sangue sparsosi » poi soggiugne ceteriim incruenium pene Francis hoc bellum fuit. (i) Il che vuol dire, che quella terribil guerra di otto anni si è vinta principalmente col san- gue degl' Italiani. Per la qual cosa Eginardo si dispen- sò di ragguagliarci de' principali fatti succeduti di anno in anno dal 791 infino alla morte di Errico nel ygg- Si contentò di accennar soltanto la più strepitosa vit- toria di Errico del 790, in cui pi-ese il campo, e le immense ricchezze del Kagan , o sia Re degli Avari , le quali arricchirono la corte di Carlo, moltissimi Fran- cesi , S. Piero di Roma , e più altre chiese largamente regalate da Carlo. Da cotesto famoso fatto, e anno solamente incomin- ciò Eginardo a nominar il duca Errico. Fu in ciò imi- tato dagli altri antichi cronisti , siccome assai spesso usavano gli uni gli altri ricopiarsi. Quindi ci lasciarono ignorar l'istoria di quella così lunga , e grave guerra , le peculiari imprese di Errico , le qualità sue , la con- dizione, le virtù, la patria. Il solo Paolino di Aquileia neir ode sopracitata e' insegnò , eh' Errico era nativo (i) //« vita Caroli M. loc. cit. pag. 98. DI JACOPO DrRANDI. 65g di Strasburgo nell'Alsazia, di nobile legnaggio, uomo benefico, pio, d ingegno elevato, e di animo, e cosi pure suo concittadino ed amicissimo. Altresì le terre annoverò da lui sottomesse , e supplì in qualche ma- niera all' invidioso silenzio , ed alla trascuratezza de' cronisti . ed a quello che troppo generalmente Eginardo accennò del molto sangue versatosi , e delle molte bat- taglie occorse negli otto anni di guerra infino al 799 , in cui Errico fu uccìso. Ma pur da tutto ciò apparisce , che le sue vittorie centra gli Avari incominciarono ben innanzi il 796 , e appunto dal 791 , né ad altro capitano in tutto il corso degli anni suddetti si attribuì , o si accomunò la gloria di quelle imprese, per le quali nello Illirico, nella Pannonia , e in alcuni tratti della Dacia, e Bul- garia furono avanzati i limiti dell' Impero Francese sotto Carlo Magno , ed in gran parte conservati sotto il Regno del suo successore Lodovico pio. Mi sono io maravigliato , che la mentovata ode dì Paolino sia del tutto sfuggita all'autore della memoria intorno ai limiti dell' Impero di Carlo Magno coronata dalla illustre Accademia delle iscrizioni , e belle lettere, (i) e non meno sfuggita ai dotti accademici , che co- ronarono quella memoria. Perchè Eginardo estese in (i) „ Mémoire sur les limiies de l'Empire de Charles Magne, qui a lein- „ porte le prjx etc. Par D. Pliilippe-Louis Lieble Bénddectin eie. Paris 1765. 6 6o SOPRA ERRtCO CONTE D' ASTI , ECC. genere quei limiti all' una , e l'altra Pannonla , cioè superiore ed inferiore , così l'autor della motioria co- ronata ha creduto potersi estendere 1' ultimo termine iofino al confluente del Savo nel Danubio , compren- dendovi la moderna Schiavonia , e dal manco lato o settentrionale di questo gran fiume infino al Tibisco , cioè usque ad Tizam Jlmiitm ( in oggi Teisse ). In questo modo egli argomentò dai termini della Pannonia de' Romani a quelli della Pannonia occupata dagli Ava- ri, i quali a ponente si estesero bea più in qua cioè in- fiuo air Ens , e tennero il Norico Ripense , o diremo r Austria superiore, ma inverso levante gli Avari non oltrepassarono la foce del Dravo, non avendo forse potuto dalla moderna Schiavonia cacciar gli Slavi. Talché per là sola disfatta degli Avari non arrivarono i limiti dell' Impero Francese infiuo ali influente del Savo nel Da- nubio. Né punto sembrami di un gran peso la conghiettura , della quale si valse l'autor della coronata memoria sul uome di Francocorio , di cui parla Niceta tra il Danu- bio , e il Savo , per inferirne che sotto Carlo Magno r estremità della Pannonia inferiore , e quella dell' Ira- pero Francese fosse appunto limitata dal fiume Savo, Narrasi , è vero , dalf oscuro ed intralciato Niceta ^ lib, 2 verso il fine ) che Manuele Comneno sendosi mosso contra gli Ungai-i ausiliarj dei Servj nemici suoi varcò il fiume Savo , scorse nel Francocorio piccola ragione dell' Ungaria ira quel fiume, e il Danubio, dove eravi DI JACOPO DURÀNTDI. 66 1 il forte castello di Sirmio. Ma non è così certo , che quel barbaro nome voglia dir provincia Francese , nò che sì fatta denominazione rimonti infino ai tempi di Carlo Magno , e tanto meno che con quella vi abbia relazione alcuna il nome di Francavilla , di cui parlò "Alberto d'Aqs al tempo delle crociate come di luogo situato neir intenallo dal Tiravo al Savo ; indicazione soverchiamente vaga. In ogni modo la distanza dell una terra all' altra saria troppo grande ; come si è la posi- tura di Sirmio da quella indeterminata di Francavilla rimontando lunghesso il Dravo, che sbocca nel Danu- bio cotanto disopra a Sirmich, ovvero Sirmio. Altronde cotesti nomi hanno sovente una origine appropriata a tutt' altro che a cose relative alla Francia , od ai Franchi. Nel resto io dico , che la prova adoperata dall'au- tore della memoria suddetta appoggiasi ad una falsa cagione , presupponendo che la Pannonia toltasi agli Avari fosse uguale all' antica estesa infino alla foce del Savo. Non vuù io perciò dire fossero a quel lato più ristretti i limiti dell'impero di Carlo Magno, oj^pure non giugnessero infino al confluente del Savo nel Da- nubio. Anzi io aggiugnerò che gli stessi annali dei Franchi fanno alcun cenno di maggiori conquiste ben di là dell' influente del Savo , ma con tanta oscurità , e stitichezza di parole, che non so chi gli abbia iusino ad ora saputo osservare. L' ode di Paolino potea sola farcene avvertiti, la quale parimente ci ricoida altre maggiori cose , e circostanze trasandate affatto non 662 SOPRA ERRICO CONTE d' ASTI , ECC. saprei se per la gelosia , o negligenza degli antichi cro- nisti , ovvero a pretesto che quelle non eransi operale da Carlo Magno, né dai Franchi. Nessuno ò stato più di Paolino alla portata di saper le cose fatte da Errico , poich' egli pure dimorava nel Friuli, ed era stretto amico , e consigliere di quel!' Eroe, del che ne fa testimonianza anche il celebre Alcuino maestro di Carlo Magno nella lettera indiritta all' istesso duca Errico , in cui dice , che gli scriverebbe di assai cose , si libi doctor egregius .... Paulinus meus presto non esset. (i) Altresì tra le opere di Paolino le istruzioni da lui scritte ad un conte sono credute dai dotti indi- rizzate ad Errico. (2) Taluno ne dubitò, perch' elle sono dirette ad un conte , e non già a un duca , come dagli annali de' Franchi è intitolato Errico. Ma oltre- ché si usò talora l'uno , e l'altro titolo, egli è da dirsi che Paolino gli diresse quelle istruzioni in tempo che Errico era conte di Asti , e della occidental Liguria , della qual prima sua carica nessuno di quegli annalisti favellò. Infatti le istruzioni sono indiritte a persona assente , ed a rincontro Paolino eletto patriarca di Aquileia insin del 781 consigliava di presenza, e colla voce Errico, allorché questi fu creato duca del Friuli forse anco pei buoni uffizi di Paolino medesimo , giac- (i) Presso Duchene tom. 2 , ejiist. 27 , pag. 689. (2) Le Beuf nelle sopracitate dissertazioni sur l'hht. eccléslastique et civile de Paris , pag. 399 in fin. e 400. DI 3AC0P0 duranm. 663 che il più sovente il solo merito non basta di per se ad aprirsi la via della fortuna , e degli onori. Alla in- tera cognizione de' fatti , di cui Paolino era fornito, vuoisi aggiungere il candore , e la veracità sua nello accennarli. Ancoracliè l'abbia fatto in versi , e in una specie d' inno , non si corre pericolo d'incontrarvi il poeta , anzi rincontrasi ad ogni parola il narratore freddo , secco , inelegante , come il comportava quella rozza età. Tanto meno avrebbe egli ardito in faccia di Carlo Magno , del Re Pipino , e di tanti altri ge- losi capitani esagerar le conquiste di Errico , oppure attribuirgliene alcuna meno vera , e palese. Perciò con questa scorta potrera noi meglio determinare il più orientale lontano limite dell' impero di Carlo Magno , e del suo successore. Osservammo più sopra , che la campagna fatta da Carlo in persona nel 791 contra gli Avari era stata una vera scorreria. L'esercito italiano entrato nel paese nemico si tenne ben a levante del fiume Raab , sino al quale , varcato 1' Ens , ariivò da ponente Carlo Magno devastando , e predando. Era egli di giù ripas- sato nella Baviera , quando gli fu fatta l'affrettata rela- zione della vittoria del sopraddetto esercito, della quale ne mandò alla regina Fastrada la novella un poco con- fusetta. Non possiamo assegnare a ciascuno degli anni seguenti le diverse imprese , e conquiste di Errico indicate in complesso nell' inno di Paolino, ma elle doveano essere di già ben notevoli dopo il 7C)3 , quando 664 SOPRA ERRICO CONTE D' ASTI , ECC. Carlo Magno con molta sollecitudine fece continuar il canale , che doveva congiungere il Reno al Danubio , e per conseguente 1' Oceano Germanico al Mar nero. La natura istessa aveva indicato il luogo dove l'aite dovea secondarla per unire i due fiumi, (i) Carlo in- traprese così utile opera ; 1' intralasciò impedito dalle continue guerre , e i deboli discordi suoi successori neglessero di compierla. Se il far insieme comunicare i mentovati due mafi non fu 1' immediato oggetto dell' intrapreso canale, però non tardarono le conquiste di Errico dal canto del Marnerò a dimostrare a Carlo la sempre maggiore utilità , che quindi veniva a risul- tarne da quella ben incominciata opera , e con discre- dito suo di poi abbandonata. Impariamo bensì da Paolino aver dapprima il duca Errico attaccato gli Avari nel cuor della Pannonia tra il Dravo , e il Danubio. Era trapassato senza ostacolo per le terre degli Slavi in gran parte sottomessi , op- pur dipendenti , e tributar] del Friuli , come di Sir- mio allora capitale della Schiavonia abbiam di già no- tato. Anche Paolo Diacono ( lib. 4 , cap. 40 ) afferma , che la provincia degli Slavi detta Zelila era stata pos^ seduta dai duchi del Friuli , et iidem Scimi pensionem (i) Eginardo negli annali toc cit. ad ann. 793 pag. 247. Anche gli altri antichi cionisti Francesi descrivono il sito dell' incoininciato canale , chianian- dolo Jossatum magniim. V. IliìC. de l'Acad. des iitscript. tom. XVIII , pag. 256, e segg. DI JACOPO DURANDI. GG5 Foro/ulinnis ducibus persoherunt. La provincia eli Zel- Ha è oggidì la contea di Cillcy Ira il Dravo , e il Sa- vo a ponente della Scliiavonia. Altronde 1' Imperador Lodovico pio distaccò poscia dal Friuli la Carniola , la Carintia , e la Stiria per unirle alla Baviera , e al re- gno , della Germania, del clie si dolse Lottarlo suo primogenito , a cui era destinato il regno d' Italia che comprendeva la vasta ducea del Friuli, come era stata retta da Errico. Questi poi nella campagna del 796 passò nella Pannonia per la Cariai ia come per una sua provincia accompagnato da Wouomiro uno de' principi degli Slavi , secondochè rapportano gli Annali Loiseliani sotto quell'anno. E noto che nella Pannonia erano suc- ceduti agli Unni i Gepidi , a questi i Longobardi , e nel 568 ài Longobardi succedettero gli Avari. Il nerbo, della costoro nazione era tra il Dravo , e il Danubio, quando Errico gli attaccò. A' medesimi per lo più erano stati avversi gli Slavi , i quali nel corso degli otto anni suddetti di guerra favorirono il duca , Errico , o non gli fecero ostacolo giammai, e perciò non ve n' ha cenno in contrario nell' ode di Paolino , o negli annali de' Franchi : degli Avari eran amici i Bulgari. Dopo disfatti gli Avari , abbattuto , e predato il campo da loro detto Ring, (i) in cui il lor Re teneasi (i) Rìngo dai Longobardi campus vocatur , scrive Eginardo ad ann. 796 M'I. pag. 248 , quindi llunnìs ( gli Avari ) trans Tì-am fìuv'ntm fugatis. Non ostante una sì c'iiata spiegazione altri di poi interpretò /\'/>^ \}ct una ^' /' P P C6f> SOPRA Enntco conte d'astt, ecc. afibrtlficato co' suoi tesori , Errico li cacciò di là del Danubio , e del Tibisco chiamato pur anco dall' istesso Paolino Tissa , che sbocca dal lato setteutrional del Danubio ad alcune miglia di sopra il sito , in cui di qua vi disbocca il Snvo sopra Belgrado. Furono dunque allora cacciati gli Avari verso il moderno Bannato di Temesvar, o piuttosto più al nordovest. Colonie di Ba- vari trapianlnronsi nella deserta Pannonia. Si avanzò Errico anche più a levante, combattendo alcuni di quei popoli agresti , e feroci , non distinti da Paolino pei nomi lor pvoprj asperi troppo , ed inflessibili pei suoi versetti , ma indicati in genere sotto il nome di bar- bari. Però accenna di una maniera assai larga il paese, che occupavano, (i) segnando per estremo termine così di grosso la Palude Meotide , tra cui e la Teisse di là del Danul^io coloro abitavano. Egli per avventura igno- principale città, chi per un cotal personaggio cosi denominato, e chi pel no- me del Re degli Avari. Notano gli annali di Fulda lùij. pag. 538 Hringus ,, primo per Ehericunl diicem Foroiuliensem , deìnde per Pipinuin fìliura „ Regis addictiis , et captiis est. „ (i) „ Barbaras gentes „ Domuit saevissimas , ,) Cingit qiias Draviis, „ Recludit Daniibiiis , „ Celant quas innco „ Pahidcs MeotideSj „ Ponti coarctat „ Quas nnda salsiflui, „ Dalmatianim ], Q.iibiis ubstat termitius; DI JACOPO DURANDI, 6^7 iflva I.i lontananza , e Ja posizione della Palucle Meotide; ma ci lascia ÌDlra\ edei-e , che a quel lato settentrionale del Danubio Kirico non lece eh' una scorreria. Ben più di qua di esso fiume ei fa cominciare 1' estremo limite del pae.se , e de' barbari sottomessi , cioè alla loi-t-ezza di Stratone lungo il Marnerò , dichiarandola liniilis principium dal canto boreale, o sia a nordest, d' onde si varca inverso le Porte Caspie , o per dir meglio Caucasie , che per un vecchio errore usavansi confondere. Pel termine opposto cioè dal mezzodì , e Budovest ripone il monte Hemo , ( il Balkea ) che limita , e serra al norte la Tracia , e distendesi più in ' ASTI , ECC. Carlo Magno riistrétti al confluente del S'^VO. piBr,cbè sfuggirono ad atneridue le, cose qui più so'f>ra) pftsevvatie. Insisteva il Re de' Bulgari sul fatto de" confini diei due àtati : 1 Imperador l'YancèiSe se a^' scherttiiva. I cpOr nisti non vollero', ò'pón, seppero isti'uir(Ji de' motivi sì contrari , che rhoveaùb 1' uno;, e 1' altro Re , riè di quali terre si coutendessev. I Biflilgari' infas^tiditi delli' indugiò', ed avidi sempre di prede allestirono una flottiglia sul Danubio, vennero riinontando infino ali' imboccatura del Dravo, entrarono' ìh quest' àiltro fiume, e diedero il guasto al circostante; psesp.(f) Ritornarono l'anno appresso ad incen(;l!Ìar i rillaggi degli Slavi posti in risa al Draso , (2) e sacclieggiarono impunemente i confini della superiore Pannonla per la negligenza di Baldrico duca del Friuli a difenderli, cui pei-ciù fii tolto quel governo, e ridivisa tra quattro conti la marca del Friuli. Lodovico Re di Baviera dipoi respinse e cacciò i Bulgari. (3) Erano dessi divenuti cotanto audaci, e molesti in meno di quattordici anni dopo la morte di Carlo Magno , cioè a dire quando f impero stabilito da lui non avea peranco perduto molto della sua potenza, e riputazione, e fama. (i) Eginacdo ibld. ad arni. 827, pag. 34S , et AnnaU Fuldenses ibid. , pag. S4S- (2) Gli annali di Fulda ibid. pag. 546 i» prin, trasportano questo fatto all' 829, e di una scorreria de' Bulgari nella Pannonia superiore ne parla Egi. nardo ibid. pag. 271 all'anno 828, paiono due fatti distinti. (3) Annal. Fuldens. ibid. ad ami, 828 , pag. $45 in fine. DI JACOPO DURANDI. '^O?; gr, 5 Il fatto dì Baldrico riconferma , che tuttavia dipen- devano dalla ducea del Friuli le province intermedie al Fiiuli stesso , e alla Pannonia. Ma a nessuna di co- teste intermedie province , come sono la Carniola , la Carintia , e la Stiria si estendono le conquiste di Er- rico. Di qua del Danubio elle son limitate alla Panno- nia medesima tra questo fiume , il Dravo , e il Raab , inoltre a qualche porzione della Schiavonia , Liburnia, e Servia, e d'indi alla superior Bulgaria d' allora infiuo al Timok, o poco più là infino al fiumicello Zibrifz ( Ciabrus , o Cebrus , antico termine della Mesia supe- riore ) dacché Carlo Magno si rimase dal sottomettere i Bulgari. Finalmente dal lato settentrionale del Da- nubio le conquiste di Errico eransi ridutte a quella parte della Dacia , che gli Slavi Abotriti lunghesso quel fiume occupavano infino all' Olt , o poco più oltre. Lodovico Pio nel 822 tenne in Francfort una solenne dieta per determinare , e regolar gli orientali confini del regno, (i) Gli Slavi divisi in tante nazioni, e tribù erano quelli , che singolarmente di qua del Danubio s innoltravano vieppiù a levante de' confini dell' Impero de' Franchi , onde intervennero nella dieta / legati di tuHi gli Sla^i orientali. Chi non sarebbesi aspettato di ritrovar determinati quei limiti ai due lati del Danubio, e principalmente di qua, dove i limiti dell' Impero avan- (1) Cioè a tratiare " necessaria qiiaeqiie , et ad iitilitatem orienialiuin regni „ sui fìiiium pertiiieiiiia. „ Egìnardo ad aim. 822 ibid. fag". 2C6 in prin. 6']S SOPRA ERRICO CONTE d' ASTI , ECC. zandosi più a levante pigliavano un tratto della Bulga- ria ? Ma ben al contrario in vece degli annunziati Slavi orientali si annoverano soltanto i settentrionali di 14 del Danubio, (i) tra i quali gli Abotriti , i Sorabi-^ i TV il si , e i Predenecenti. I primi sono ben diversi de' poc' anzi nominati Abotriti lungo la riva settentrionale del Danubio nella Valachia: quegli altri ben più bo- reali abitavano verso il ^^,ar Baltico nel paese di Me- kcll)Urg. Carlo Magno loro aggiupse nel 8o4 le terre tolte ai Sassoni di là dell Elba. I Predenecenti sono un sopranome degli altri Abotriti lunghesso il Danubio, come e' insegna r istesso Eginardq all'anno 824 ( ibid. pag. 268 ) ramm9:morando gli Abotriti iolgarmente detti Predenecenti ,^c\ie\&hì[.di\&nQ Daciam Danubio adiacen- lem, e confinavano co Bulgari. Queste ambigue pa- role potrebbono al primo aspetto far altrui sospettare si parlasse qui della Dacia dell' Imperador Aureliano , D sia del nome, e dei coloni Romani della vera Dacia Traiaiia , eh' Aureliano trasportò di qua del Danubio nella Mesia supcriore rispondente alla parte di Bul- garia , che nei secoli mezzani disteudevasi ben di qua • ) i^ -.i- \ (l) " Hoc est Abottitonim , Sarabofum , VVilsoriim , Behemanoruur, Ma- „ ruanoirum , Predenecentonim , et in Pannonia resideniium Avaiorum Icga- „ tiones. „ Ibid. Beliemani sono i Boemi delti Boemani da Egìnardo nella vita di Carlo Magno ibid. pag. 99. I Maruaiù sono quei della Moravia ap- pallata così dal fiume Morava, clic bagna quella provincia. Coleste nazioni s ino qui nominate con ordine di silo da seilentrione a iiie;6zucli dal Mar Biliico infino al Danubio. DI JACOPO DURANDI. 677 del Tlmok ; ma si ò spiegalo di sopra in qual maniera confinassero insieme Abotriti, e Bulgari. P'inalmcnte i Sorabi teneano tra la Sala, e 1' Elba a tramontana della Liisazia , e i IVilsi (i) le terre at- traversate dall' inferiore corso dell' Oder, e cosi un tratto della Pomerania. Laonde converrà dire fossero certi , e sicuri di qui del Danubio gli orientali confini tra l' Impero Francese, e gli Slavi , poiché nessuno de' costoro popoli cisda- nubiani intervenne a quella dieta ; ovvero perchè v' intervennero gli Avari ristabiliti tra Sarvar , e Carnunto suddetti, e quindi ben lontani dalla estremità della Pannonia , e vieppiù dai limiti orientali di esso Impero, si dirà egli che il mcdesiiuo nel 822 di qua del Da- nuljio pressoché tutte avesse abbandonato le conquiste del duca Errico, e si fosse ristretto alla Pannonia su- periore , o poco più là ? Ma la sopradetta imbasciata del Re della Bulgaria del 824, e le replicate sue in- chieste pel fatto de' confini dei due stati dimostrano il contrario. (2) Alla morte di Carlo Magno non sola- mente la sopraccennata parte della vera Dacia , ma passarono sotto il dominio del suo successore la supe- (i) Il fiume Sala Torinsos et Sorabos dividit , scrive EginarHo nella vita di Carlo Maj^no loc. cit. pag. 99 , poco dopo ivi pur nominai IVelatnbi , che non sono diflfcrenli dei IVilsi detti nel loro idiòma V\'ele-ahi ivi pag. 9!?, stati gii battuti da Carlo Magno, pciclic molesti agli Abotriti del Mekelburg. (.) V. Gli annali di Fulda ad aim. 8:4, 826 presso Ducitene, tum. 2 , pas- 544 j S4S- Pn8 SOPRA ERRICO CONTE D* ASIt , ECC. riore , e l'interior Paunonia , l'Istria, la Liburnla , eia Dalmazia, (i) Le varie nazioni di Slavi abitatrici di cotesto province , o soggiogate da Errico , o spontanee t'attesigli dipendeùti, od amiche dopo battuti, e cac- ciati gli Avari, e sconfitti i Bulgari, voglionsi annove- rare tra quelle genti , delle quali Eginardo ( ibid. p. gf) ) disse in genere dopo nominate le principali vinte sotto Carlo Magno tra il Reno, e la Vistula, tra 1' Oceano Germanico , e il Danubio , ceteras quarum multo maior est numerus , in deditionem suscepit. L'Inno di Paolino di Aquileia accennò come di Er- rico le conquiste , o le sommessioni de' popoli nei con- fini delle Dalmazie , e non si raccoglie dagli annali de' Franchi, ch'altro capitano abbiavi avuta parte nessuna. Già di sopra è detto essersi da Paolino compreso sotto il nome delle Dalmazie non solamente 1' antico Illirico, cioè tutto il paese tra il fiume dell' Arsia , che il se- parava dall'Istria, e tra l'Epiro, la Macedonia, la Pannonia , il fiume Drino, che separa oggidì la Bosnia dalla Servia , ma la Servia stessa infino al fiume Mo- rava, che allora divideala dalla Bulgaria. Talché le Dal- mazie cosi dette da Paolino comprendevano pure la vera Dalmazia antica ti-a i fiumi Cetina, e Narenta lungo la costa dell' Adriatico , e quindi dalla Kerka ( Titius ) (l) Eginardo toc. eh. pag. 99 , rispetto alla Dalmazia excenth marieimis- clvltatibus , buonamente cedute da Carlo Magno all' Imperador Greco nel 803, noa ispeciiicatc dal cronista) ma sono desse Zìa, TraU; Spalairo. DI JACOPO DURANO*. Gfg clic la Dalmazia separava dalla Liburnìa». tutta aj)brac- ciavaao quest' ultima provincia • o sia V odierna Moi:lac- chia , e Croazia. Giova pur qui osservare, eh' Egikardo sotto l'anno 822 ( ibid. pag. 265 ) scrisse de' Sorabi » quae natio magnam Dalmatìae partem oblinere dicitur , e con le istesse parole gli annali di Fulda il riconfermano. ( ad ann. 8z3 ibid. pag. 544- ) La Dalmazia sembra farsi pur qui siuonima dell'Illirico, il qual nome nei secoli mezzani era pochissimo in uso. I summenzionati Sorabi settentrionali tra la Sala , e l' Elba erano Slavi , cioè Sarmati in origine altrettanto che questi della Dalmazia, ma dubito che questo loro nome derivi da quello di Serbi , ovvero Senii , come parve ad alcuni , presuppo- nendoli così detti perchè un tempo servirono agi' Im- peradori d' Oriente. Non è più possibile dalla bocca di quei Slavi Croati, i quali gran parte occuparono delle Dalmazie , o dell' Illirico , udir pronunziarsi il nome per noi impronunziabile di Croati , che inco- minciava per una lettera gutturale , di cui ignoriamo af- fatto il suono , e il modo ; altrimenti noi vi troveremmo forse la radice di quello de' Sorabi. Costantino Porfi- ROGENNETA Stato il piimo a parlar de Croati (i) credette (i) Dell' amm't lustrazione dell'impero, cap. 29, e 30, egli aggìiigne , die dipoi i Croati troj>po inalcontenli de' Franchi, presero le armi, li caccia- rono eU occuparono la Dalmazia mediterranea dal ti urne Zeniina infìno ad Albuna. 68o SOPRA feRRICO CONTE D' ASTI , ECC. poter esprimere quella lettera gutturale per una Khi: ad altri sarà paruto altramente. Ma è molto più mi- rabile oggidì , che dopo dieci secoli le vittoriose armi Francesi abbiano parecchie riconquistato di quelle lon- tane province , e ristabilitovi 1' antico nome d' Illirico , e quello che tuttavia può mancare a pareggiar in quel continente le conquiste fattesi sotto Carlo Magno , ò di già in parte compensato nell' acquisto delle città littorali , e delle isole Ioniche. 68 1 SCHIARIMENTI SOPRA LA CARTA DEL PIEMONTE ANTICO, E DE' SECOLI MEZZANI. DI JACOPO DURANDI. ©Lpptovata (l 26 magato 18 IO. k^I re rendette ragione dell' antichità respettiva , e delle distanze e particolari positure de' luoghi , che dovevano rappresentarsi nella Carta del Piemonte antico , e de' secoli mezzani , ma innanzi di delinearla si volle esplo- rare intorno agli scritti , che ne sono il fondamento , ( I ) // pubblico giudizio , e profittar degli mvisi , e delle nuoie scoperte. ( 2 ) Il nome di Piemonte antico comprende il tempo del dominio de' Romani , ed anche anteriore a quello. La divisione di cispadano e traspadano Piemonte si è ad (i) Piemonte Cispadano antico , Piemonte Tia-ipaJnno , cioè Marci, e con- tea di Torino, Marca d'Ivrea, ed Alpi Graie, e Pciininc. (2) Picin. Cispad. pag. 4. ^ » r r r 682 SOPRA LA CARTA DEL PIEMONTE ANTICO EC. esempio di quella , in che eglino pur diviselo la Gallia Cisalpina, dinoniinandola Italia cispadana, e Iraspadana, dopoché di tutta Italia ne fecero una nazione sola , e di una condizion medesima. Non apparisce, che le contrade del Piemonte abbiano avuto anticamente un nome proprio e particolare. Né della divisione d Italia in undici regioni fattasi da Otta- viano Augusto , né dell altra in diciasctte province or- dinata a' tempi del basso impero u' han fatto uso i geo- grafi. Altrettanto ò da dirsi intorno alla divisione delle due province della Liguria , e delle Alpi Cozie , comechè il Piemonte una grandissima parte comprendesse di quelle. Gotesta divisione, che trapiantò il nome di Liguria tra i fiumi dell' Amalone , del Po, dell'Adda, e le radici delle Alpi, e quello di Alpi Cozie tra il Po, le Alpi, il mare, e la Trabbia, è stata poco più di un biz- zarro trasporto di nomi necessaiio perù a sapersi per intender le cose, e gli scrittori di quei tempi, cioè dal fine del quarto secolo (i) sino in circa allo entrar dell' undecimo. (i) Hj notato altrove die il dotto P. Beietti nella famosa sua dissertazione corografica dell' Italia medii nevi ritardò la divisione delle due mentovate province iusino all' Imperio di Giustiniano. L'abate Oiierico nella viti e ix delle sue Lettere Ligustiche adottò in ultimo l'opinione , e gl'islessi argo- menti del Beretti, ma nessun di loro si avvide, clie non a un tratto, ma con progression successiva molto prima , e dopo di Giustiniano singolarmente la provincia detta dell'Alpi Cozie venne mano a mano estesa tnfino alla Treb- bia; sovra del che V. Marca di Torino, cap. iv , pag. 33, nota 14. i DI JACOPO DURANDl. 6H3 Quindi n'spplto al Piemonte antico noi adottammo lu divisiuiR' pei- popoli nt'lla Carta stessa rappresentati entro i limiti eh' propri loro distretti, i quali lutti insieme tra i principali punti in essa Carta controse- gnafi , e determinati da positive e note osservazioni , come sono le misure de' meridiani di Milano, 'l'oiino. Genova , Nizza , e Geneva , ci danno la vera estension di paese , clic formò di poi le due insigni Marche di Torino, e d'Ivrea, alle cpiaii è piossimamente uguale l'estensione , che in ulfimo ebbe il Piemonte. Tra i principali punti suddetti rimanevano a stabi- liisi le paiticolaii di.-i , Libui , cioè Liguri teueano quindi tutto il paese ti-a i Salassi, i Leponzj , e i fiumi dell' Amalone , del Po, e del Ticino. Da ad Pontem suddetto viensi ad Sepfimum da Ivrea Settimo Vittone; ad Quin/um in Val di Montalto poco meno di un miglio antico di qua di Montestrutto ; il luogucciuolo più non sussiste. F.poredià Ivrea. Ad Sepliinum , Settimo Rotaro , su la via di Vercelli. Ad Uuos Pon/es il luogo di Ponte invai dell'Orco, altra- mente detta di Ponte. Vicani Suanenses ivi in principio di Val Soana. Ritornando di sotto Ivrea , e di là del colle della Serra , Ficus ìdumuìarum nella Bessa. Co- testa piccola popolazione d' indi stendeasi in sin di sotto a Saluzzola, dove Ara Apollini s , oggidì il casale di Aro. ssss figo SOPRA LA CARTA DFL PIEMONTE ANTICO EC. Regio Sessilis , Val di Sesia, doncK' incoinimiavano i Leponlii , occupano le valli dell' alto Novarese , e fin oltre il 'iicino , e il Lago Maggiore , e ])ei- la Valtelli- na infìno alle due soigenti del Reno. Nella vai Le— pontina , oggidì di Mesocco una delle loro |)opolazioni erano i Mesiates , 1' altra a ponente i Viberi alla som- mità dell' alto Vallese donde comunicavano di qua pel giogo del Sempione. Altro loro popolo più avanzato a mezzodì , e molto meno esteso furono gli Agones , dai quali hanno preso la denominazione il fiume dell' Ago- gna nel Novarese , e le terre di Agonia/a , e di Mon- tagone , Agnona ec. in principio di Vai di Sesia. Re- (ot'ium Robbio, Regio Alliana , etAlìia, Gallia di qua di Lomello, e il tener di quella e di Gulliavola di qua o di là della Gogna infino al Po. L altra principale strada militare dipiitesi da Pavia, e per le intermedie stazioni, e per Torino e Susa tra- valica di là di Monginevra. (i) I>a Tirinum , Pavia, Durii , Domo , Laumellum , Lomello , ed ivi •stacca- vasi altra via , che per dodici miglia romane portava a Cu/ias , Cozzo, e per altre Vili Fergellis, Vercelli. Lunghesso la prima via Carbantia fra Terranova , e la vicina grangia di Gazzo. Rigorn 'giis , Trino vecchio più presso al Po , ove dicesi il Po morto. Ces/e quasi rimpetto a Moncestino , ma declinando più a levante. (0 Cotesta strada è disaminata nel capo S della Marca d' Ivrea , e cap. 6, IO, II, 14 e 15 di quella di Torino. DI JACOPO DURANDI. 6qi Qfindralae presso la ciippella di S. Michel di Qiiadra- dola III ciica un miglio t-omaiio di sopra il conllueute di Dura Bautica. Ad Lecìinuin poco più di un miglio suddetto di so» pra Biaoilizzo. Di lì spiccavasi la strada per Torino a Vercelli, {occauiìo a Liùerona , Livorno, (i) Indi Or- ciis jl. poi \ Arnahiiies y Malone , tia cui, il Po , e le Alpi ciiiiivi i Taurini, e le varie loro popolazioni. Ad Sepliinum ^ Settimo l'orinese, donde poi declinando dalla via e limontaudo lungo il fiume òtura vi erano in vai di Lanzo, e di Viù i Garoceli , ì quali pur teneauo la conlinante alta Moriana , come più là i MeduUi la Lussa. Dopo Settimo Taurinum , indi ad Quintum Collegno. Ad (Jclaium tra Alpignano e Pianezza. Ad Fines del territorio di Torino; la stazione in circa 3oo tese di sotto Castelletto. Ad Duodecimum daSusa, presso Santo An[.un\QO. Segusium , d'indi ae/ Marlis ( fanum ) Oulx in principio della vai laterale di Bardonesca , in cui i Belaci dell'arco di Susa. Tra Oulx e Sesana i Sa^in- calii. Nella valle di quest' ultimo luogo i Segoni pur dell' arco suddetto. Scingomagus Sezana appiè dell' Alpe (i) V. Marca d'Ivrea pag. 57, 58. Un recente scriiiore delle antichità di To'tO'ia ha di nuovo malamente confuso Jiheiona con Libar n a , l'i cui in appresso. Egli cosi fa , che il tiranno Costantino venendo dalle Galln- , e varcata V Alpe Cottia , o Monginevra, scende non su\ cainininu di Susa, ma su quello da Genova a Tortona. 6qS. SOFRA T.A carta dei, PIEMONTE ANTICO EC. Cuzia. In Alpe Conia, il Mungi ni/v la : la stazione tro- vavasi nel sito oggidì del villaggio di Monginevia Di là pur alle falde di esso monte B/igan/ium , Briancon , indi Rame, clic conserva l'antico suo nonne. Teneano da Susa infine a questo luogo i Segusiani, T;iurino-Li- guri anch essi. Di là di Rame cominciavano i Catcrigi , de' quali era Ehredunurn , Kmhiun ec. Al nostro lato teneano i Taurini infino al monte Vesulo , donde sor- ge il Po. Da Torino dipartivano altre vie, ma la più notabile e antica era quella per le valli di Perosa , di Cliisone, o Pragelato al Monginevra ( Matrona ) innanzi che dal Regolo Cozio fattosi amico de Romani si rassettasse la sovradescritta per Susa ed Oulx E stata pur qu"sla la via tenuta da Annibale p^i Taurini, e poi da Giulio Cesare da Monginevra , indi pei monti di Sestrieres ad Ocelum , Usspau : sotto di cotesto hw^o Unes Terrae ^ cioè del trrritoiio di Cozio. Da Torino ad Ocelum ia circa XLl miglia i-omane, quindi circuendo pei monti di Sestrieres, e per la menzionata "Valle di Sezaua alla cima di Monginevra XXVIl. ( i ) Magelli teneano Val S. Martino, e nel piano infin alquanto di sotto a Magete ìum Massel. Vibelli nel tener di Bibiana, ed in N al di Lucerna. Caburrum Cavorre , in Vibiis Y.xw'ie. Vibi- jorum presso SlalTarda. Nel basso di Val di Tanaio Cebo, (i) V. Marca di Torino cap. V. DI JACOPO DURANDT. C)(j'5 Cova. Ritoninndo verso Tonno Publiciac Piobesi. Tes' Iona nel tener di Monenglieri. ylgaminìs ad Paìatiurn Gjinienario, e Palazzo nella campagna di Chicii , Corea Valentia Ghieii. Se non della tiibù de' Taurini erano pen^ Liguri al par (li quelli i popoli dell' odi(;ino Monferrato , dell' A.slio;ian() , Alba ec. infìno alla Trebbia. Lungliesso il Po Bodincnmagus s altramente Industria nel tener dì Moliteli di Po , e ne' mezzani tempi Dustria, e Illustria. Una delie stiade comunali veniva d' Asti ad Industria con la disianza di XXII miglia rumane; ed alt-a pur da Asli a Veicelli per Ad Pontem , Pontesfura oggidì, dove passivasi il Po sul ponte detto di poi nei tempi di mezzo Pons Notingi. Castrum Credonensium , Crea. Vicus ladatinnrurn piesso Occimiano, Firmani su le colline dell' istesso luogo cresciuto per la rovina de' villaggi (le ladatini , e Firmani. Barderate nel tener del Castellazz(j verso Alessandria , Forum villa del Foro vicino ali islessa città. Casmonates e Casmonium Ga- mondo. Ai'iii tribù di Liguri i Mùrici., i quali teneano da Marincuin Marengo infin di là di Valenza , e presso Pavia , e nel Siecomario. Forum F'uliii quod V alesti- num , Valenza. Fuburiales nel sito , e nei dintorni di Burio fia il Tanaro, e il Belbo : Questo luogo si dino- mina tuttavia Eburias ne' secoli mezzani. Dertnna Tor- tona , da cui spiccavasi la comunale strada per Asti all' Augusta ì agennorum ^ cioè I Jerlona W . Forum FuLii Xm. Ad Quarturn Decimum compulaudo da Asti in- 1 <594 SOPRA LA CARTA DEL PIEMONTE ANTICO EC. fino a Qiiatordio V Ad Nonum ( Annone. ) Ad Quar- tiim ( Quarto nel piano presso il Tan;ifo , e il livo della Versa. ) lY Asia. XXVI Polentia ( Polf-nzo. ) IX A u- gusla Fagennorum di cui sussistono le rovine nella re- gione di Roncaglia territorio delli città di Bene , donde proseguendo la via , si univa a quella , che per Tor- tona , ed Acqui continuava in Val di Stura. Su di cotesta via, che diparte da Piacenza, c'indi- cano gì' Itinerari alcuni antichi luoghi come Carnelio- niagìis o Camilarnrigus la Sti-fuleila , Iria Voghei'a, ed Irla Jl. la Stafl'ora , d indi seguita Tortona. Accanto a questo tratto di strada, ed inverso l'Appennino eranvi altre terre e popoletti Ligustici , così Claslidium Chias- teggio quasi di rimpetto a Pavia. Lilubium Retorbio. Nei circostanti Appennini hannosi a ricercare i Liguri Celelates , e Cerdiciales , de' quali parla Livio Lib. dz , cap. 29 , Strabone Lib. V colloca quasi su la via xla Piacenza a Genova due citti , ovvero communanze di Liguri; i nomi di coteste città sono certamente scor- l'etti e guasti in tutti i manoscritti , ed anche in quello pregiatissimo della biblioteca di Parigi di già proprio del dotto greco Mauro Cordato, cioè Diacuista , e lellia. Possono ben credersi amcndue corrotti i nomi de capo-luoghi di quei due popoli non molto distanti da Litubiiim . e perciò tra Piacenza e Tortona , come son collocati nella nostra Caita. Laonde i nomi suddetti non deono emendarsi in Aquae Slafiellae , come dopo Casaubono , ed altri aneli io opinai Pieni. Ciipad. pag. DI JACOPO DURANDI. GgS 225 , non essendo la città d" Acqui su la via Pos/umia da Piacenza per Toilona a Genova , ma su 1' altra per Acqui a V^ado. Sicché seguitnndo la Postumia , da Tor- tona viensi a Liùarna , le cui rovine sono tra Serra- valle, ed Arquafa. J )cl pngo Eboreo in Ubarnensi della famosa tavola de' leleati vi rimane Motifcbore. Vijlicato l'Appennino, passava la via per Vai di Ponzevera ( Pulci- bera ) a Genova, perciò è dessa nominata più d'una volta nella famosa tavola di bronzo, che determina i confini de' Genot'a/i , e Veiturii. Tortona giace pressoché a mezzo cammino da Genova a Piacenza , e Strabone servendosi di un numero rotondo di stadj olimpici , per la dis- tanza da Genova a Piacenza , coincide a un dipresso con gì' Itinerari , come ho notato Pierri. Cispad. pag. 2/|8. Da Tortona staccavasi altra via per Acqui a Vado, che ripigliava il nome di via Emilia intralasciato di qua della Trebbia , sin dove Emilio Scauro lavea con- dotta , seppur non la protrasse infino a Tortona , e quinli per Acqui a Vado , e di nuovo da Acqui ve- nt-n lo a ponente. Costì fuor di cammino Carystum Csntoso de' Liguri Slatielli , che occupavano il territo- rio di quella città, donde andandosi a Savona , rimane- vano ancora in questi anni passati assai vesligie dell' antica via. Ho discusso la positura delle stazioni notate iieglTti- nerari ( Piein. Cispad. art. IX ) ma quella de' luoghi moderni, a' quali esse dovrebbono corrispondere, pare alcun poco dislogata per le mutazioni accadute nel corso di tanti secoli. Con non troppo divario possono 6r)6 SOPRA LA CARTA DEL PIEMONTE ANTICO EC. aaco ridursi cosi, Aqiiae Slulieììoe , IJI Ad Tertìum ( il villagio di Terzo sussiste ) XJK Canaìicutn ( il suo sito verso la terra di Cagua. ) X Crì.xia ( vicino a Fornelli. ) XII Vada Sabatia , Vado presso Savona. Ho detto che pur da Acqui slaccavMsi la strada, che sotto ristesse nome del principal suo tronco, cioè dell' Emilia progrediva tanto più a ponente. L' iscrizione ritrovata su quel cammino presso il luogo della Chiusa postavi da un Procuratore della Proi^incia delle Alpi MarUlìme (i) e' insegna, che Adriano Antonino Pio ivi ristabili la \na Emilia Sotto questo , od alfro no- me la medesima continuando risaliva per la Viille di Slura infino al collo dell' Argeuliera , e travalicava nella Provenza. Sul mentovato giogo un frammento di altra lapida si trovò, da cui s'impara, eh' un prefetto dell' Alpi Marittime rifece quella via vetmlafe collapsam ; (3) ed a sue spese Balnea suscita^it , che sono oggidì i bagni di Vinadio. In quesla istessa valle Marco Fulvio Fiacco sconfisse , e soggiogò i Vagenni , e di (t) T>'rem. Chna/i. pag. 158, è scorretto nella stampa Procunsul in vece di Piocunitor. L'Abate Oderico nella VI delle sue lettere ligiisticlie inclina a Sostituire ad Adriano l' Imperadov A rcliano, e vorrebbe nia{;giori prove per creder romana quella strada. N >n tutte le vie erano descritte negli antichi Itinerari , ne tutte frequentate dalle legioni , ma l' antichità di cotesta parmi ilimastrata. (2) Delle antiche città di Pedona, Caberro , Cermanicia ec> pag. 70. DI JACOPO DCRANDX. 697 poi Pompeo Magno (enne cotcsta via, quando d'Italia trapassò in Ispagna a combattere Sertorio. (1) 1 \'agonni possedevano lutto il paese tra le Alpi IMarillime , coininciaudo dal monte Vcsulo , o dalle sorgenti del Po infino a quelle del Tanaro , e tra questi due fiumi infìu di sotto Poleuzo , e 1' influente della Stura in Tanaro , tirando d' indi una linea infino al Po. Toccammo di sopra due delle principali loro terre Polenlia , e 1' Augusta Vagiennorum : questa co- municava colla via spiccatasi dalla Chiusa suddetta , e quindi por Pedona, oggidi Borgo S. Dalmazzo, ovvero di Cuneo , proseguiva per Val della Stura. Altri an- tichi luoghi erano di qua Forum Cereale presso Cirti- gnano di sopra Dronero , Canneluin Villar S. Costanzo , Urbanum presso Sant' Albano accostantesi all' Augusta Va^ennorutn. Di là eranvi Germanicia nel tener di Ca- raglio , Bredulum ora Breolungo presso Mondovi , di cui la parte il borgo di Breo. Ad Balnea presso Vau- dier. Avanzando su per Val di Stura , s' incontrano ancora i nomi di Quintn , e Quarto , che sono in dis- tanza corrispondente a V e IV miglia romane dalle rovine delle città di Auriales alquanto di cjuà di De- monle piegando verso Valoria. Più di sopra notabili fi) V Marca di Torino, pag. 41 , 42 not. 3. Non merita nemmeno di essere confutata 1' opinione del celebre presidente de Brosses nel suo Salr.slio T. I, pag. ^21, not. 3 { Dijoii 1787 ) il quale fa passar pel S. Gottardo l'esercito di Pompeo , attraversar la Svizzera ce- per recarsi in (spagna. riti 6g8 SOPRA LA CARTA DEL PIEMONTE ANTICO EG. vestigie di una strada attraversano il Monte . e sren- dono in Val di Tinca in verso S. Stefano dianzi nella contea di Nizza. Ivi i Vediantii pur soggiogati in un co' Vagenni da Marco Fulvio Fiacco tra il Varo , la Tinca, il Paglione inQno sotto Gimela. Vesubiani nella Valle del torrente Vesubia. Almancenses nel moderno tener di Clans. Licirrum Lucchia di sotto Pierlas dì qua del Varo , di là Deciates : Comaicia Falicone. Ma per ricordar i luoghi da Genova infino al Varo posti sulla spiaggia , e fra terra menzionati dagli anti- chi Itinerari, convien incominciare da quella città, donde gV istessi Itinerari dipartono. La strada Aurtlia da Genova infino al Varo descritta da quelli è molto intrigata , perchè s' intralcia e confondesi con altre vie, le c[uali lasciando il litorale , corrono di quando in quando più su pei monti , siccome altrove osservai ( Pierri. Cispad. art. IV ) e vi sono alcune posituie di luoghi oscuri non ben note. Attenendomi però alle più sicure distanze itinerarie , elle coirono , come son rap- portate nella Carta , cioè Genua. XXXV Vada Sabatia, Vado, XXIII Albingaunum , Albenga, XX Por/us Nau- ricii. Porto Morizio. XW\\\ Albintimilium.Wll Her- ciilis Monoeci Porius , Porto di Monaco. V A^isio Por/US, Eza , e Porto di Mala. IV Oli^ufa Por/us, la parte del seno di Villafranca sotto Monte Olivo. V. Nicaea , Nizza. V Fari jl. Ostiiim , la foce del \&\o antico termine d' Italia. Altro cammino fra terra Genua. XXIII Vicus Vir- DI JACOPO DURANDI. 699 ginis . Varazze, o\ araggio, dipoi del (o anche Viragine. V Alba Docilià , Aibizola. Vili Vada Sabalia , e Sa^o ( Savona più a sud-est. ) Da Vado Xll Pulupicc , la distanza ci poita vicino a BorzoH. Vili Albingauniim. XV con di più una frazione di miglio Lucus Bormanni , la distanza ci porta infin presso alla terra di Rollo. XVI Costa Balrnae , la Riva. XV Albintimilium Ven- timiglia. X meno una frazione di mezzo miglio in cir- ca , Luneone sul passo dell' Alpe Marilima , o Siimma presso la Turbia. IX Cemenelum , le sue rovine sono tra S. Ponzio , e nostra Donna di Cimela. D' indi al Varo V. m. p. ed un terzo di miglio. I fiumi lungo la Riviera di ponente da Nizza a Ge- nova notati n( Ila Carta sono Paulon , o Padus il Pa- glione , Riiluba Roia , Tacua Taggia , Lucus Impf'riale , Merula la Mcira, Centum V Arozia, Pulcibera Ponzevera. PIEMONTE ne' SECOLI MEZZANI. La scena ricambia ; nuovi luoghi , nuovi nomi , ed in maggior numero ci s' appresenfano, perchè sono più copiosi i monumenti , che li ricordano. Non già tutti si vogliono cotesti luoghi annoverarsi, e spiegare, ma solamente i più difTicili ad essere riconosciuti, e i prin- cipali, che sono rammentati dagli scrittori, e docu- menti, cioè dipartendo dal sesto secolo iuflno all'en- trar dell' undecimo. yoO SOI'RA LA CARTA DEL PIEMONTE ANTICO EC. Non si ripetono qui i nomi degli antichi luoghi già di sopra annoverati , de qvali ahi'i sussistono , altri sono peliti. Risale ai primi anni della conquista di Carlo Magno la divisione del Piemonte in contee, ed è la più utile a seguitarsi per le relazioni sue con le cose succedute, di poi: sono però talvolta ambigui ed osf'uri i limiti delle antiche contee. Alcuni vollero pareggiarli a quelli delle diocesi ecclesiastiche, (i) e coteste agli anlichi territori delle citt;\ , e colonie romane. Il che assai volte si verifica , ma cenando le diocesi erano troppo vaste, si ridivisero in due o più coutee , e ne diedile prove con esempii nostrali. Non si notarono con lineette sopra la Carta sfessa i limiti delle contee , per non ingombrarla soverchia- mente , e tanto più volendoli qui dichiarare con mag- gior precisione. Tutto il Piemonte fu di poi compreso nelle due insigni Marche di Torino , e d Ivrea in sul decimare del nono secolo A progredire con ordine geografico da settentrione a mezzodì , e da ponente a levante , incominciando dalla MARCA D'IVREA. Era dessa limitata dalle Alpi Graie , e Pennine , e dai fiumi dell' Amalone , del Po , del Tesino , e dal (t) Blgnon nelle note alle anlicbe formole di Marcnlfo pag. 265. I capito- lari eli Cailu Clalvo tit. XLIII , cap, 3 paiono favorife questa opinione, co- micalus , in ciijus ( episcopi ) parrochia comistit ec. DI JACOPO DCHANDT. '01 lago Verbùno , o Maggiore. Occupava pertanto la mas- sima parte della sucldivisata nuova provincia della Li- gmia. Io so bene esser paruto a taluno doversi esten- dere quella delle Alpi Cozie infine alle summenzionate Alpi Graie, e Pcnnine , e quindi comprendervi i ter- ritori delle due contee di Aosta , e d' Ivrea , appog- giandosi anco al titolo di duchessa e marchesana delle Jlpi Cozie, che S. Pier Damiano ( lib. 7 epist. 16 ) ancora olhe la metà del secolo undecimo diede alla celebre contessa di Torino Adelaide, supponendola si- gnora anche di Aosta e d'Ivrea come marchesana di Torino. Ella amministrò bensì la prima a nome de' suoi figliuoli, a' quali s'apparteneva, e l'altra negli ul- timi suoi anni in un col vescovo d'Ivrea a nome dell impero independenlemenfe dalla Marca di Torino. Le contee della JNIarca d' Ivrea furono cjuelle di Aosta , d Ivrea stessa , di Vercelli , Novara , dell' Os- sola , e Lomello , oltre la piccola ducea di S. Giulio , e la parte della contea di Staziona di qua del Lago Maggiore. Contea di Aosta : i suoi limiti sono i suddivisati , eh' ebbero i Salassi, senoncliè ella finiva con la mag- gior sua Valle al ponte dell' Hellex o di S. Martino, in vece che quelli 1' oltrepassarono. Nella catena di montagne , . che dispiccandosi dall' ^l/pr Graia , o mi- nor S. Bernardo, la divide dall'alto Canavese , si suc- cedono da ponente a levante le traversali Grisinga Vaìlis , Valgrisanche , Vallis Rema , ValLis Seiara , •JO'^ 50PKA LA CARTA DEL PIEMONTE ANTICO EG. Valsavarauche , Vatlis Cuniae ec. il punto pifi occiden- tale è Mons Senae , il disastroso collo della Segna , per cui dalla Tarantasia, e dal Faucigny si cala nella Vallis Glacialis , All«?e bianche. Inter Aqiias , Entrcves, d'indi a Curia Major, Courmajeur. Palesiacum ^ Pale- sieux di qua di S. Didier , da cui dipende. Morgenlia , Morgex , Avisio , Avise , Levira ^ Leurogne. Polincum , Pollein. Brixoriia , Brissogne. La città ( Augusta ) su la foce di Vallis Bautegis , che sale al maggior S. Bernardo. Bautegis Jl. il Boutier , da cui la mnggior Dora è detta Bautica, e Baut dinonoinavasi par un torrente vicino ad Ivrea. ( i ) Camheris , Chainbave. Tornacum , Tournier in Val Tornanche. Anteciacum , Antey. Agalium ^ Ayaz nella Valle di Ghallant. Bardum, Bard. Donasium , Donaz. Indi Ponte S. Mattino. Nella lateral Valle di Valesa Ixima , Issime. Treate , Trinité de Gressoney. Diubia , passo di Val Dubbia, che mette 6U la sommità di Val di Sesia. Corifea propria d hrea : i suoi limiti sono a yionenfe il primo tratto della catena delle Alpi Graie , che in- cominciano dal monte Iseran , più di sotto il fiume Amalone dalla sua fonte infino al suo confluente , indi il Po sino all'influente della maggior Dora, suo termi- ne più avanzato a levante. L' altro orientai suo con- fine , che pur la divide dalla contea di Vercelli , si ha (i) V. Matca d'Ivrea pag. 48. DI JACOPO nt'RANDT. 7o3 d' indi vimontaiulo la Dora infìno al presente porto di Rivarotta , e di lì varcato il fiume , tirando una linea per le colline a ponente di Moncrivello, e passi per quelle di Maglione, e d'Alice, poi torcendo per Aze- glio tagli il suo lago infino a Piverone appiè del di- ritto e lungo colle delia Serra. Dipoi cotesto colle , risalendo infino ad Andrate , donde si spicca, e più là i monti di Val di V.ilesa limitano a tiamontana la con- tea d Ivrea a' confini di quella di Aosta. Ivi ad Carne-' narri , Carema. Andarla , Andrate. Evorea , Eborea , Eòorfgia , Eppnregium ec. cosi delta Ivrea nei tempi di mezzo. Bolentìu , Bolengo. Ad Paìaiìum , Palazzo. Pavarnìiuni , Piverone suddetto. Aceìium al meridional lato del lago Azeglio. Alla diritta del corso di Dora Baulica Broxa ValLis, Val di Brozzo. Vaìlis Clevis , e Cledi , Val di Cliy. Bidriacum, Vidré. Clausella Jl. , e nella sua valle Icìlium, Aceglio. Laurodunum, Loranzé. Caslruin ad Alontem, Castellamonte. Macun'i'acum esis- teva presso Agliè. Lusin'ìacum Lusiglié. Fulgitium Fo- glizzo , ed ivi Sylva Fullicia. Logana, Locana, Spar- ronurn Spanone. Cariava trovavasi di sotto tra Valper- ga e Corgné \erso il villaggio di Rivarotta. Salacia Sa- lassa. Felelum Fletto. Caslrum Langobardorurn Lom- bardore. Sylva Geriil/ia tra Fructuaria S. Benigno, ^'ol- piano. Fronte ec. ì^ualda la Vauda. Dulfìa esisteva tra Volpiano , e Brandisium Brandizzo. Clavasium Chivasso. Verulencum Verolengo. Varcata al porto suddetto la Dora , Uliacum le rovine presso Moncrivello. Tinae Tina. 704 SOPRA LA CARTA DEL MEMONTE ANTICO EC. Contea di Vercelli : a ponente i limili sopradescrifti del contado d'Ivrea infiuo al punto suddetto del eolle della Sena, e di là di quello le sommiià de' monti, che la separano da Val di Valesa, indi al norte quelli, che chiudono Val di Sesia, poscia a levante l' isfesso fiu- me della Sesia nell'uscir della sua valle infino alla sua foce, indi a mezzodì il Po sino al confluente di Doi'a Bautica. Questa contea si estese ne! decimo secolo an- che un buon tratto di là del Po lunghesso la destra sua riva, e ciò per la potenza de' suoi Vescovi, i quali ne divennero conti, ed uguagliarono pur ivi i limiti della contea pressoché a quelli della lor diocesi, rimontando quasi dal confluente della Sesia infìa di qua di Monteu di Po , e di Coconato. A' confini suddetti del contado d'Ivi'ea le terre di quel di Vercelli erano Sulgia Salug- gid , Liburnum, Livorno. Mednlae presso il moderno Borgo d' Alice, libero Viverone. Più su travalicalo il colle della Serra, Bessa regione tra Zubiena, Mongrandé, e Gerrione ( Cerrisidunuin ) dove Victimula , di cui vi rimane la chiesa di S. Giacomo di Bessa. Bugella , Biella. Surdii-allium Sordevolo. Fdllgoniim Pollone. Mu- lianum^ Mussano. Orobis Vallis Valle del torrente Oropa. Andarnum , Andorno. Vvaldincham , Valdengo. Caiisa- des Cossato. Bedulium Bioglio. OUades Castelletto di Monestero. Seslinium Sostegno. Treveres Trivero. Qui/i- num. Curino. Navolae, le rovine presso S. Maria di Na- vole di sopra Serravalle verso la foce di Val di Sesia. Sylva Rot'osinda vaste boscaglie dell' istesso nome. Fir- ì DI JACOPO DURANDI. 7o5 miniana Formiana. Rilurnando a mezzodì , T^aucediorn, Luredio. Versade le Verfole. Ceredaìlum villaggio tlis- truffo , ora il Ci'riale nel tener delle Vertole stesse. Tridinum Tiino. AscUlunurn Asiano. Auzeningurn 01- cencngo. Caraxana Caresana presso Vercelli. 1 fiumi Sanus , ed IIelli\us Cervo, ed Elvo ancor nel secolo decimo continuavano il loio corso infin nel Po paralleli alla Sesia , e disboccavano tra Villanova oggidì, e Bai- loia, e la Grangia di Gazo, come nella Carta. • Contea di Novara con \d\ di Sesia ( Vallis Sesedana , in cui Varades Varallo ) e la piccola ducea di S. Giulio, clic ancora a'tcmpi de' Longobardi formavano l'una e l'altra due dal Novarese separale giurisdizioni, e dipoi quando riunite , quando tolte alla contea di Novara, (i) Erano a settentrione i suoi confini 1' estrcjnitù dell' Ossola inferiore ed il fiume Atosa ( Alluso ) infino dove disbocca nel Lago Maggiore , con che era divisa dalla contea dell'Ossola, a pónente la Sesia , a levante il (ratto della contèa di Staziona lungo il lago suddetto , à mezzodì tirando dalla Sesia una linea quasi parallela a Caraxana suddetta di sopra Vercelli infino al Tesino, la quii passi tra Borgo Lavezzaro , e Piobbio ( Relo- nuin ) e tra Vigevano , e Mortara , eotesta linea è il limite , che divideala dalla contea di Lomello. Dipar- (i) Intorno a' confìni più distinti di ciascuna di esse in un con la parie della contea di Staziona di qu.ì del Lago Miggiore veggansi i §■ §. 3, e 4 cap. Vili dell' Alpi Graie] e Penniiie, ossia Lato sciteniriuoale della Marca d' Ivtoa. y V V V *^o6 SOPRA LA CARTA DEL PIEMONTE ANTICO EC. tendo da questo limite , e declinando a tramontana , « da ponente a levante , Bu/garium Borgo Vercelli, Ca- inilianum Camariano. Nomenonium Lomelogno. Massa Pontiana Ponzano. Blanderate Biandrate. Casaligla Ga- saleggio. Secalianum Sezzano. yigamium Ghemme. Qui- regium Cureggio. Vulingttm Olengo, Tercaie Trecate. Cameracum Caineri. AquUìanum Gavagliano. Plubia Pombia. Hyborneiis Invorio. Gaudianum Gozano. Horta, Laciis S. Jiilii. Omnia Omegna. Voconium Vogogna. Contea dell' Ossola aveva l'Alpi Pennine a ponente, e al norte , i limiti a levante infrauotati della Contea di Staziona , e a mezzodì i sopraccennati di quella dì Novara. Nella sua maggior valle come rami dal tronco disboccano le valli sue minori, Vallis Anfia altrimenti Antiasca. Vergantium distrutto : trovavasi alquanto sopra la face dell' Amia FI.. Anza. Vallis Vegetii , Vallis de Vedria , dove il passo del Sempione. Oxella capo- luogo della Contea. Crodiinum. Crodo , e sippur Crodo è il nome di una Deità degli antichi Germani, (i) La parte della Contea di Staziona ( Anghiera oggidì ) di qua del lago maggiore , distendevasi lunghesso il lago , e per le vallate , che vi disboccano da Locamo presso la sommità del lago infino alla sua estremità. Leocarnum, Vallis Magia, che dà pur il nome al suo capo-luogo , ed al suo torrente. Canobius , Canore ( Ca- (i) V. Siruvio Hist. German, T. i , pag. 23 e segg. DI JACOPO DURANDI. 707 naro ) In/rum , Bavena , Curicianum ( Caraggio ) Slrixia ( Stiesa ) Summada Sommare conservano 1' an- tico lor nome , come pur Masinum , Aruna , Mercuria- cum , Mercuriago. Contea di Lomello : a settentrione il suddivisalo limite meridionale di quella di Novara, a ponente la Sesia , a levante il Ticino , a mezzodì il Po. Vicoge- num Vigevano. Reiopiurn 1' antico Retoi'ium , Robbio. Morlaria , Gambolades Gambolò. Bremetum , Breme. Satrìana , Sartirana, Ore^'onum Olevano. SyUa Carbo- naria occupava gran parte de' territori oggidì di Villa- nova , Carbonara , S. Damiano , Torre de' Torti , Tro- vedo , e sin presso il Siccomario. Summias Sommcn» indi paludi del Siccomario verso il Tesino, e il Po, asciugate di poi. MARCA DI TORINO ALTRAMENTE DETTA LA MARCA D' ITALIA. I suoi limiti erano a tramontana 1' Amalone , e il Po, la catena de' monti a ponente intermedj alle sorgenti di questi due fiumi , a levante quello della Trebbia , ed a mezzodì il mare dal fiume del Varo sin inverso Albenga. A riserva del tratto di terre quindi infino ben più di là di Genova , comprendea pertanto quasi tutta la nuova cosi detta provincia delle Alpi Cozie. 7o8 SOPRA LA CARTA DEL PIEMONTE ANTfCO EC. Le Contee , che ne dipendevano , oltre la propria di Torino , furono quelle di Auriate , della Tinca , di Ciraela , o.sia di Nizza, di Bredulo , di All)a , Asti, Acqui , Tortona , e della parte cispadana della Contea di Pavia , altramente ì Oltrepò Pavese. Contea di Torino : a tramontana 1' Amalone suddetto infino alla sua face nel Po, d' indi tirando una linea su per le imminenti colline, che passi pel tener di Casalbor- gone, e volga a dilungo un poco a ponente di Baldissero, torcendo per Polentia infin di sotto l'induente della, Stura nel Tanaro , la qual linea divideva la Contea dì Torino da quella di Asti, e finalmente di nuovo il Po stesso dall' Amalone alla Stura (i), Lifiniascuni S. Mo- cizlo. Ciriagum ^ Civìé.F allis Amafegi^ , Val di Lanzo : ivi Viciis Vili, Oscellttm\]s,se\\{o. In Val di Susa ^(«Z- lianum Avigliana. Fanum Burgonis Burgone. J'icus Ca~ vensis Giaveno. Mons Pirchirianus , Monte S. Michel della Chiusa. Cliisae Langobardorum la Chiusa. Va'io- naces Vayes. Ma/ium Mathie. Venoiis Venaus. No%>aIi-- cis Novalesa. Cinisius Mons , Cinischia Jl. Seguria , Scucia. Sexsia , Seuce ec. così trasformato il nome di Susa. Gallionis Giaglione. Galisìaca Gravere. Cammo- ne Chaumont. Insiliae Exilles , e presso questa Avede- (i) Cotesia è la Sticr'ta ricordata da Plinio. Altri fiumi e parecchi toi^renti, e rivi dinominati Sturaj Smina, Strona vi ha in Piemonte cosi detti da Sto- rcn correre, da Storn fiume, acqiia òorreiite ec. Stromoa appresso gli Scoz- zesi vale ruscello della collina. Lo Strimoue di Tracia vien a dire lo stesso DI JACOPO DURANDI. 701) iuin Deveis. BarJinisca Vallis , et fi. Val Bardcnesca , Vlccs Oulx. Scinzuite , e Cenzone Sezana. Trapassando in Val di Pragelato , o del Chiusone ( Vallis Clusii ) Porta Sistraria passo di Monsestrieres. Diubia.sca il. gran Dubione. /ìd Portas le Porte. Toìlatecus il Ta- liicco nel tener di Pinerolo. Bargae, Grana Jl. Più presso Torino Ripulae Rivoli. Rheanuni Reano. Pancherate , Pancalieri. Carnianum Carignano. Sablones trovavasì piesso il sito della Loggia, Dalla città varcando il Po, Gassingum Gassino. Pulcherada S. Mauro. Monsphar- ratiis sul colle presso l'Eremo di Torino. " Contea di Auriate : i suoi limiti sono la Valle del Po, questo fiume , i suddivisati della contea di Torino, il fiume della Stura supcriore, e le Alpi Marittime da monte Vesulo a quelle che la separano dal contado Tincense , come tra i colli e nel piano il Gesso , e la Stura da quello di Bredulo. Alpeascum Piasco in Val di \'araila ( Varacta jl. ) Àppannis Pagno nella val- letta della Bronda ( BorunJa Jl. ) Phale Faule. Ro- manisium presso Possano. Rispetto alle altre terre di questa contea non notate nella Carta, V. Picm. Cispad. art. V. Contado Tineense , 0 della Tinca : è desso pressoché tutto rinserrato nei monti di vai di Tinea infino al- quanto disotto il confluente della Tinea slessa nel Varo. Il capo-Iudgo era quello di Santo Stefano inver.'o la cima della valle , donde un' antica via ti'apassava nella opposta valle della Stura superiore. L' antico '710 SOPRA LA CARTA DEL PIEMONTE ANTICO E€. nome di cotesto luogo si è perduto , ma vi si conser- vano tuttavia parecchie iscrizioni romane. Ha di già r istesso nome nel placito , o giudicato di un messo regio dell' 8 1 1 , nel quale si rammemorano le terre di Claniium Clans , Il/oncia Illonza , Pujellum , ed altre non descritte nella Carta , che perciò s' intralasciano , come pur si è fatto di molti altri luoghi della Contea di Civìela , ovvero di Nizza limitata a ponente dai monti , che dividono vai di Tinea da quella della Ve- subia, pili di sotto dal Varo , dalla catena delle Alpi Marittime al norte , dal mare a mezzodì , e quindi a levante tirando una linea dai gioghi di Fenestre , e di Cornio infino alla Turbia , che finisca al mare tra Roccabruna , e Monaco. Oltre gli antichi luoghi di sopra annoverati veggasi per gli altri Pierri. Cisp., art. Ili, e per quelli della Riviera di ponente infino a Ge- nova r art. IV. Voglionsi peiò tra cotesti ricordare Villa Matutìana S. Remo , Unelia , Oneglia , Dianium Diano , Cereale , Ceriale , Nai-alia Noli , Varicottis Va- j-igotti , Arentianum Arenzano , Veiturium Voltri , Se- gesta Sestri di ponente. Dopo il Varo i precipui fiumi sono Paulon talora pur detto Padus il Paglione, Rutuba Roia, Tacua Taggia , Liicus Imperiale , Merala la Meira , Centum l'Aroscia, Pulcìbera Polzevera. Salendo per vai d'Aroscia,. e discendendo in quella superiore del Tauaro , entrasi nella Contea di Bredulo , i cui limiti sono a ponente i DI JACOPO DlìRANDI. 711 sopradescrifti , che terminano quella di Auriate , nel piano la Stura infino al sno confluente, ed a levante il Tanaro, la cui supevior valle pur le appartenne, da me altrevolte attribuita alla Contea di Alba , non avendo considerato, che nei monti i fiumi non servono di con- fine. Di là dipartendo , Ulmeta Ormea, Cebo conservò questo antico suo nome anco nei tempi di mezzo. Bre- dulum capo luogo , Breolungo , e Breo di Mondovì , Qiiadrallium Caraglio , Rupes fidonis Roccavione , AUergnandam Alvernante , Boi-ium Boves , Bagenna^ Superior Benette , Bagenna cosi detta nei mezzani tem- pi r Augusta Vagiennorum , Cayrascum , Cherasco , Sarmalorium Sa\mor , Clusa Flamulasca la Chiusa. Contea di Alba : i suoi confini furono il Tanaro , e la superiore sua valle a joonente , il giogo de' monti a mezzodì , la maggior Bormida , e un tratto del Belbo a levante , il rivo Tinella a tramontana sia dove dis- bocca nel Belbo , e dividevala dalla contea di Asti nei termini spiegati Pierri. Cispad. art. VII pag. i85. Fan— xoliirn tra Priero esisteva e Roccavignale , e Mancia- num quasi rimpetto a Cherasco. V erdiinum Verduno , Raudurn Rodi , Leucum Lequio , Dianium Diano , LaU' return nel tener di Costigliole nella regioncella tuttavia detta Lorei. Contea di Acqui : a ponente i limiti suddetti di quella di Alba , a settentrione il Tanaro infino al confluente della Bormida , a mezzodì i gioghi degli Appennini , a levante il fiume Orba. Oltre gli antichi luoghi di sopra 7 12 SOPRA LA CARTA DEL PIEMONTE ANTICO EC. notati Castanum Castioo ; Faurega esisteva presso Santo Stefano di Bclbo , Ebriubium , Bubio, /«/t'rma Incisa , Bredunum Bruno , Roboretum trovavnsi presso il sito ora della città di Alessandria, iSo/^o/e Sassello , Mensia Mioglia , Cremeuna Cremoliuo , Odliac Oviglio , Nicla Kizza della Paglia. Contea di Asti : la circoscrivono i sopraccennati li- miti delle contee di Amiate , di Torino , di Alba, e di Acqni'insin di sotto 1' influente del j-ivo Tinella , indi.il Belbo. A tramontana il Po innanzi che la contea di Vercelli travalicasse un tratto alla destra di cpiello , e lunghesso questo fiume , come si notò. Tra le sue terre precipue Eburias ove gli Euhuriali , Burio , Alianum Agliano , (i) Mons Cominianus Monteu Roero , Mar- ciamim Marzanetto , Corneìianum Cornegliano , Cama- rianum Camerano , Riiiis Francorum Fii ("rancore , Va- lerianum Vaglierano , J'allis Finaria Valfenera. A tra- xnonlana inverso il Po verisimilmente appartennero in origine alla contea di Asti Verruca , Odalinga , Ga- li ana , Fabianum al mezzodì di Pontestura , Orianum, ( Ozano ) Pasilianurn , che trovavasi presso il sito di Pozzo Sant' Evasio verso la città di Casale. (i) Nel Piem. Clspad. pag. 289 spiegai Rochettrt utque in Ele^a , et Co- sina per Rocchetta del Tanaro in questa contea; e iiti errore: si è dessa la .Rocchetta del Mondovi , dove scorrono i nominali due torrentelli , e quello di Cosina conserva ivi ancora l'antico sno nome. Dissi pure pag. 297 Monte- hoaiiium sembrarmi Montabone nella provincia di Acqui ; al contrario era desso un castello di llasta , Asti, ed il suo sito dinomìnasi tuttavolta Mon- bouiao. DI JACOPO DimANDI. 7i3 Corifea di Tor/ona era limitata dai fiumi Oiba , e Bardinezza a ponente, e levante, dai gioghi dell'Appen- nino a mezzodì , e a tramontana non iurono costanti i suoi limiti estesi forse un tratto infino al Po , ma oc- cupati dipoi dalla Cootca di Pavia. Pastorianum Pas- tuiana , Basiligutia Basaluzzo, Vadernum Padeina, Cas- sianuni Cassano , Ficus Pontius Vigoponzo, Vigueria Voghera , cioè da Vicus Iriae., e seniplicemenle I/ia appcilavasi tutfavolta nei tempi di mezzo , come ap- pare dagli atti di S. Berculfo (i) Meroveus Dcrtonam urbem inissus . . . longius ab urbe fjrogressus ad quam- dam villarn Iriae fluvio adiaceniem accessit , e cotesto villaggio vien pur detto Iria come il suo fiume, o sia la Staffora. (2) Inverso il Po fra le terre occupate dalla Contea di Pavia inaino di là del Tidone descrivemmo nella Carta le seguenti : Dernisis Dernice , Brona Broni , Olubria Castel San Gioanni, Staderia Stadera , Curia Genesina, Roccazeze , o Rocca d'Arzese, Boòium Bobbio città formò nei secoli di mezzo una particolar giurisdizione , non già una Contea , come ad alcuni è paruto. Posse- deva de' luoghetti su per quei monti anco di là della Trebbia. S. Piero di Homa vi aveva 1' uno de' suoi cosi (i) MabiUon Acta ss. ordinls s. Bcncdicti , tom. II, pag. 164, niim. 16. (2) V. le osseivazioni Pieni. Cispa!., pag. 253, e seg. , per convincere vieppiù di errore il P. Berretti, e gli altri , i quali vogliono confondere 1' /r/rt con la Scrivia , come vi Ila pur chi di recente s'incapricciò di 11' errore incdc- SÌmo, anche tramutando un tratto il corso di quei fiumi. N-'l rimanente l'are- noso infido fi.ime della Scrivia e detto in carte dell' undccimo secolo >S'i'f/'/'irt > e quando Sirpin, X .X X X yi4 SOPRA LA CARTA DEL PIEMONTE ANTICO EC. detti patrinionj , cioè Patrimonium in Alse Cutia , pai- occupato nel 877 dal conte Cuniberto. Qui il nome di Alpe Cozia riconferma , che la nuova provincia così denominata fu estesa veramente tantopiù negli Appen- nini infino alla Trebbia. GIUNTA ALLE CON lESE DE' PASTORI DI VAL DI TANARO. § 5. Pag. 247, lin. 17, dopo le parole = bastm^ano a farli credere invi e reali. Anche appresso altre nazioni pre- valse per molti secoli l'opinione fomentata dalla scuola Platonica , che le nude anime errassero aggirandosi il più sovente attorno ai loro cadaveri ritentando di rien- trar in quelli. Però i nostri antichi non immaginavano afìFntto secondo il sistema esposto da Virgilio ^neid. VI, i>. 750 , che le ombre de' morti solamente per mille anni a purificarsi pandunhir inanes suspensae ad venlos , e altre nell' acqua , nel fuoco ec. Pare , che quelle dei nostri, e singolaiinente de' guerrieri fossero destinate a galleggiar sempre or su 1' ali dei venti, or sulle nu- vole a cavalcioni, ora sulla punta di un raggio, e di- vagar così per aria , non discostandosi troppo dai luoghi ove abitaron vivendo , oppur da quelli abitati dai parenti loro, ed amici, cui supponeansi in alcune occasioni apparire volontarie , ovvero evocate. La leg- ge V. de maìef. et mafhem. ( Cod. Theod. lib. cj tit. 16 ) dell' imperador Costanzo data in Roma l'anno 357 dimosti-a , che gli scongiuratori delle anime non erano iu Italia a quella età ancora spenti. ( ìsiàuiiiiiiiiii£ijl,iiiiiiii,ii^ 7i5 GRINTE, E CORREZIONI ALLA DISSERTAZIONE DI GIANFRANCESCO GALEANI-NAPIONE. INTORNO AL MS lu DE I. C. 0F.TTO IL CODlCfi DI ARONA EC. X AG. 262 , Un. 5. dopo le parole = trasformandolo in Gerseno , = si aggiunga : cosicché il nome ivi scritto di Gersen non sia , com' è di fatto , il vero nome dell' autore, ma bensì una corruzione di Gerson. Pag. Vi66 , Un. i3 = di coloro dell' autorità, = leggasi di coloro, dell'autorità Pag. 267 , Un. IO = Saint Germain des Prcz = leg. Saint Germain des Praz , Pag. 269, Un. i5 =è in 8." anzi in 8.° piccolo = leg. è in 8.°, anzi in B.° piccolo Pag 271, Un. aniipen. =e profondi studj vi hanno = leg. è profondi studj , vi hanno Un. ult. = studj matematici ridursi = leg. studj matematici, ridursi Pag. 272, Un. IO = a' princi|)j ^= leg. a principj Pag. 280, Un. 12 =e scon rabechi z=leg. e con rabeschi Pag. 285 , Un. 5 = risguarda tutto il sin qui divi- sato, = leg. risguarda, tutto il sin qui divisato Pag. 286, Un. 9 = rinvenuti, ritoccati, e corretti = leg. rinvenuto ritoccati, e corretti 7 16 Pag. 288, Un. 9 = dopo le parole = in una edizione dell'anno 1487 = tìrg^g^/w/^^ci/ = l'atta sopi-a un niant)s- critto diverso dalla copia, die ne trascrisse il Kempis , leggesi Pag. 298 , Un. 2. 1 = dall' esserne autore = leg. che ne sia autore Pag. 3o4 } Un. 5 = dopo le parole = non testimonj si aggiunga = cioè uno , che asserisca , a cento , che dican nulla. Pag. 3o8 , Un. 17 = la cui detta opera = leg. la cui dotta opera Pag. 3o(), Un. antipeTiult.= vacilasse = leg. vacillasse Pag. 3ji , Un. 4 = meritava, se ne tenesse = leg. meritava se ne tenesse Pag. 3 12, Un. I = sia l'autore de I. G. = leg. sia r Autore del libro de I. C. Pag. 32 1 , Un. 7 della nota = anno 1489 = leg. anno iSSg Idem Un. uU. della nota = si cancellino le pa- role = Catalogo che però anche nel M.'° non esiste = e ii aggiunga = dicendosi in esso M.'" 1» et quoniam )) multos tracfatus scripbit et dictaAt , et pauci sciunt » quomodo intitulnntur , vel vocantur, ideo tabulanx « de ejus tractalihus et libris hic infilulare , et scribere » intendo = quindi segue = incipiunt tituli libellorum » fra tris Thoma? Kempis montis sanctae Agnetis prope » Zwolis ordinis Canonicorum regularium ^ vero è che in questo Catalogo si trova registrata anche 1' Opera 717 dà Conlempiu mundi , ma lasciando stare , che il titolo solo non è l)astaQle prova per dimostrare , che l'opera iudicata con questo titolo sia una stessa cosa , che l'aureo Tiattato de 1. G , e che potrebbe anche 1' Autore di quella vita, o Copista del catalogo , che scrisse in fine, del secolo XV, avere sbagliato nell'attribuirla al Kempis, degne sono di particolare avvertenza le parole dell'Autore di essa Vita, dove dice, che il Kempis = multos trac- iatus scripsil et dictavit = parole , che è manifesto do- versi intendere in diverso senso ; vale a dire = scripsit = trascrisse ; e tale è la copia dell' opera de I. G. ; didaAts cioè compose ; e questi sono gli Opuscoli divoti, di cui fu realmente autore il Kempis. GIUNTE, E CORREZIONI AL L' ESAME CRITICO DEL PRIMO VIAGGIO DI AmEPJGO VeSPUCCI DI GIANFRANCESCO GALEANI-NAPIONE. i A G. 379 , Un. i/(. della nota = Indie Orientali =s kg. Indie Occidentali Pag. 38o , Un. 3 = avanti al Bandini, però = leg. avanti al Bandini però 7i8 Pag. 38 1 , Un. 8 =: naviganti che il seguirono = leg. navigatori che il seguirono , Pag. 385 , Un. io = di scienzato piloto = leg. di scienziato piloto Pag. 389, Un. 16 ^=^ captis>itatis personis= leg. cap- lùalis personis Pag. 3go , Un. 7 = conciliare , il diriger = leg. con- ciliare il diriger Pag. 3((6 , Un. 2 = varianti , tra questa = leg. va- rianfi tra questa Pag. 4o5, Un. 23 = da lui illustrata , e ricevuta =: leg. da lui illustrata , e che ho ricevuto Pag. 410, Un. II =. capt'u'itatis personis = leg. cap- iivalis personis Pag. 4'4 » ^^^' 21 = cui accade = leg. cui accadde Pag. 417 1 Un. 10 = più luminosi caiichi la Corona di Spagna = leg. più luminosi carichi avrebbe dovuto conl'erirgli la Corona di Spagna Pag. 4-3, Un. 2.2., 2.0, e 24 = né motivo di con- tradire i vanti pretesi del Vespucci , prima , che fosse caduto in pensiero di un dotto jjiloto bensì , ma non più che piloto di farne = leg. nò motivo di contra- stare i vanti pretesi del Vespucci prima , che fosse ca- duto in pensiero a chi volle esagerarne il merito di fare, di un dotto piloto beasi, ma non più che piloto, un ec. Pag. 438, Un. i3 = aver l'addito = le,^. aver l'adito Pag. 45o , Un. 26 = alle ciscostanze = leg. alle cir- costanze 7^9 AGGIUNTE ALLA DISSERTAZIONE CRITICA SOPRA LE SCENE STABILI, E MOBILI DEGLI ANTICHI, EC. Al LL A pag. 5o4 in fine della prefazione dopo le ultime pnrole= appagarci di proporre i/ proòaòi/e= s aggiunga. quanto ^egue : Se poi questo probabile vestirà le sembianze del vero così , che senza dubbio risulti che gli antichi si va- lessero di mutabili srene in fionte, ed ai lati più d'una volta nel coiso di ciaschedun dramma; allora non pure si avr;\ una più chiaia notizia dell" architettura , e della meccanica delle scene antiche , ma relativamente all'arte poetica verrà somministrata una valida prova di più a favor di coloro, i quali sostengono che fosse ignota agli aniiciii drammatici quella rigorosa unifà del luogo tanto cek'iiiata , e voluta da parecchj moderni scrittori. Alia pag. 571 , iin. io dopo le parole = furono sul legno ? = s" aggiunga : Chi ignora che dagli scrittori italiani si chiamano tuttavia tavole i quadri d' altare quantunque dipinti sopra la tela , e che anzi ogni specie di c|uadro vien chia- mato dai Francesi tableau non per altra ragione se non perchè le prime pitture che si fecero per trasportarsi, erano sul legno ? 720 ERRORI, E CORREZIONL\ Pag. Bog, Un. 24 = ad un tempo = leg. ad un tempio Pag. 5 lo, Un. 8, = mena severi. = Ifg. meno severi, Pag. 5 16, Un. i5 = e d'archi, = ìeg. e d' archi: Pag. 5 18, cit. 2 = antichi di Froan. = leg. antichi di Francia. Pag. 521, Un. 2 = e mostrando =• leg. mostrando. Pag. 532, Un. 12 = opinione = leg. opinione; Pag. 538 , Un. 24 == adombroso = l^g. adombrato Pag. 542 , Un. 16 = fuerunt = leg. fecerunt. Pag. 562 , Un. i5 , 16 = vedute , ed intese = leg. veduti , ed intesi. Pag. 563, Un. 3 = tra melo dramma = leg. tra- melodramma. Idem Un. io = tenendo = leg. temperando. Pag. 568 , Un. 32 = ed a porre = leg. a porre. Pag. 570, Un. 2 =extenfum = leg. extentam Pag. 577 , Un. 24 = in due vittorie = leg. in due battaglie. Pag. 58o, ///2. 8 = tra quelli = leg. tra essi, hi Un, 17 = ciò toglie = leg. il che toglie Pag. 58 1 , Un. 3 = che non sia = leg. che non è. Si prega la cortesia di chi legge di scusar gli altri errori che possono essere corsi. SAGGIO D I ANTICHE GEMME INCISE co' RELATIVI ARTICOLI d'eSPOSIZiÒnE. DEL SIGNOR ABATE CARLANTONIO PULLINL Presentato a' 20 di Febbrajo 1811. Ili AL COLTISSIMO SIGNORE IL SIGNOR CESARE SALUZZO SEGRETARIO PERPETUO dell' accademia imperiale di TORINO PER LA PARTE DELLA LETTERATURA EC. EC. J—^ c c o , clilarissimo Signore, una picciola scelta di Gemme antiche, i di cui tipi colle icialive esposizioni pregiomi di rassegnargli per saggio della mia Dattilio- teca , e dell' illustrazione di essa. Adempio cosi la pro- Inessa fattagliene, e mi affretto di corrispondere a quel desiderio , che V. S. gentilissima su di ciò mi ha più volte manifestato, e eh io guardo come un effetto della grazi(jsa sua propensione ]jtn me, e per le cose mie. Ne occorre ch'io qui imprenda di far parola sul me- rito, e sulle varie specie e tjualità della materia atta agi' intagli di cui si ragiona, e che fu adoprala dagli Antichi; oppur eh' io awertisca , come sotto la deno- minazione di Gemme, discorrendo d'Intaglj, siano com- prese non solo le Gemme propriamente dette, cioè le pietre preziose e lucenti, ma insieme con queste puran- che tutte le pellucide, tutte le agate , e tutti i diaspri con altre pietre-dure consimili. IV SAGGIO DI GEMME ANTICHE ECC. Non meno inutil cosa sarebbe il tessere qui dilTusi encomj sul gran pregio di questo sublime ramo d'An- tiquaria , del quale fra parecchi altri illuminati Scrit- tori fecero gran caso il dottissimo Scipione Maffei, ed il perspicacissimo Winckelman , quegli nella sua Verona illustrata , questi ne' Monumenti inediti , e nella Storia dell' arti del disegno. Chi dice Gemme antiche ( così Causeo-la-Chausse ) indica ciò che la Natura può dare di più raro , 1' Arte di più singolare , 1' An- tichità di più erudito. Su tale proposito scrissero am- piamente il GoRi, il Mariette, ed altri dattiliografi Autori. Io mi ristringerò adunque a notare, che le Gemme intagliate rispetto alla Scienza dell' antico , non meno che all' Arti del disegno , sono quelle , che costituiscono r anello , il nodo per cui vengono a connettersi i Marmi effigiati co' Metalli coniati , la dotta categoria delle statue, e dei bassi-rilievi colla dottissima delle Medaglie, Nò solo le Gemme auliche danno la mano all'antica Scultura figurata , ed alla Numismatica , e ciò per amendue i suddivisati oggetti di Scienza, e d'Arte, ma di più suppliscono a molte mancanze , e porgono lumi tuttora maggiori. E per verità , se non è copioso il numero de' Mo- numenti marmorei figurati , che da' secoli vetusti all' età nostra pervennero , per buona sorte quello delle Gemme incise è abbondantissimo : di più, fra i detti Maimi , e massimamente fra le statue , se pochissimi pezzi ne furono DI CARLO AKTONIO PULUNI. V rIisoKcrrali in lai conservazione , che non abbiano avuto liisogno , o di risarcimento per rottura, mutilazione, e mancanza di parti , o almcn di ritocchi , e forti ripuli- menti perisfregio di jn'ofili saglienti, e per corrosione , la cosa non è così quanto alle Gemme, lo quali, mercè la picciolczza della l'orma, e la solidità della materia, vit- toriose degli oltraggi del tempo , e degli accidentali disastri , furono in giado di conservare una integrità , e precisione di profili , e contorni certamente inarri- vabile. Tal pregio spetta sopratutto ai lavori d' incavo, affi- dati così alla medesima Gemma , che ad essi forma custodia, e riparo dagli urli, e contrasti di qualsisia corpo esterno ; Gemme queste , che sovra i camci , e gli altri lavori in rilievo formano il nerbo di ogni Dat- tilioteca ben composta , se meno pomposa ; Gemme , che danno mollo maggior pascolo alla mente con l'eru- dizione antica d' ogni genere, che in esse racchiudesi, ed insieme per quel che appartiene all' arte del disegno, apportano all' occhio intelligente più grande soddisfa- zione, che non i lavori in rilievo, ed i carnei , siccome, osserva il citato esattissimo INIariette. Né qui si ometta di fare un riflesso col suddetto Dattiliografo , e con Winckelman , cioè che nelle Gemme intagliate dobbiamo riconoscere conservato all' età nostra buon numero di nitidi bei disegnetti , e di picciole copie d' insigni Opei-e in statue, in Jjassi-rilievi , ed in pitture ancora , che più non esis- VI SAGCIO DI GEMME ANTICHE ECC. tono; Opere che essendo state ne' prischi tempi es- poste al pul)]jHco , ed ammirate, ne venne, che dagli antichi IncMsori in pietre dine ruiono ricopiate , non altrimenti che fra i Miniatori il famoso Petitot , ed il nostro Ramelli copiarono il primo in ismalti , il se- condo sulf avorio , moltissimi ritratti dipinti in grande dal celebre Wan-Dick; e come pure dai moderni In- cisori di pietre-dure si sono copiate , e si vanno co- piando non solo cpielle Opere de Greci Artisti, che si ebbero, o si possono tuttora aver sott' occhio, ma eziandio varie pregiate Opere moderne, ed alcuna pur del tuttora vivente Artista , 1' immortale Canova. E che l'a cosa ne' tempi antichissimi sia accaduta così, lo dimostrano palpabilmente cjue' tipi , che su Gemme antiche occorrono replicati anche più , e più volte, e fra di loro affatto conformi, comunque di mano, e di artifizio differenti , e comunque tuttora ( generalmente jDarlando ) portanti in qualche jiarte il carattere di originalità , e novità negli accessorj , cui dà luogo l'area della Gemma, e per cui spesso si arreca nuova luce alle altre Gemme stesse di tal preciso soggetto , e disegno , già precedentemente scavate , e pubblicate, come si vedrà dai qui uniti articoli d' illustrazione ai numeri IX, X , e XIII. Che se poi sul medesimo proposito volgeremo il discorso alle Medaglie , molti argomenti , e molte pa- role non faran d' uopo per diuiostrare quai lumi , e soccorsi la Numismatica dalle Gemme riceva in ampio DI <;ARL0 ANTONIO PCLLINI. VII compenso della luce , e degli schiarimenti , clie a queste arreca con le epigrafi e leggende ; che anzi per ren- dersi persuaso d' una tale asserzione, Lasterà riflettere un sol momento su di quanto qui appresso brevemente si accenna. Nel ragionamento proemiale dell' Opera , che ha per titolo : Novus Thesaurus ge/nmarum ec. , il Passeri divide , e ripartisce i soggetti delle Gemme in un amplissimo novero , cioè in mitologici , favolosi , e storici ; in religiosi , tutelari , votivi , mistici , talis- manici , e di cristiana antichità ; in natalizj , oro- scopici , funerei , planetarj , ed astriferi ; in simbo- lici , Ietterai'] , e didascalici ; in ofliciosi , amatorj , gio- cosi , musicali , e meccanici ; in circensi , e teatrali , e guerreschi ec. E prescindendo or anche dal notare le omissioni fatte dal detto Scrittoi-e in tal riparto, non vi ò chi possa metter in dubbio , se la sfera degli ar- gomenti , che trovansi sulle Gemme , sia o non sia di gran lunga più estesa , che non quella de' rovescj nella Numismatica ; ed è pur ugualmente noto, per ciò che riguarda 1' interessantissimo oggetto dell' Iconografia , che assai più si estende il novero delle teste effigiate in Gemme, di quello delle coniate in metalli , dap- poiché oltre tutte le teste di mitologia , ed i ritratti di que' personaggi , per cui fu battuta moneta , e si co- niarono Medaglie, occorrono in Gemme molti altri ri- tratti , che confrontano con i jMonumenti marmorei se- gnati del nome della persona ritrattata , o che hanno vili SAGGIO DI GEMME ANTICHE ECC. ( sebbene assai vaiamente ) tal nome segnato , come in leggenda di Medaglia , sovra la Gemma stessa. Da quanto sovra spontanee scaluriscono le induzioni favorevoli alle Gemme tanto per ciò che riguarda 1' eru- dizione , quanto rispetto all' Arte del disegno ; giacché poi tutto ciò che sopra si è detto di nitidezza , solidilii, conservazione iUibata , qui pur si adatta ; e '1 conio non può reggere in paraggio alla ruota , per finezza , e pre- cisione d'artifizio; e i metalli non possono pareggiarsi con le Gemme per solidità, e durezza della materia. Basti il dire , che massimo vanto d' una Medaglia a fior dì conio , e conio eccellente , si è 1' approssimare alla maestria d' una Gemma ben lavorata; talché quando si dice d' una MedagUa : pare una gemma , vn r.ameo , allora tutto è detto; siccome concorde meco di parere, in un -elegantissimo , e vivace ragionamento accademico sulle Gemme antiche, e suU' etimologia della voce Ca- rneo , scrisse il chiarissimo Signor Gian -Francesco Galeani-Napione di Cocconato , Accademico sì bene- merito delle patrie storie , e della lingua , e lettera- tura italiana. Indi n'avviene. Signor mio gentilissimo, che l'Eru- dito , e r Artista in una Gemma troveranno quella tal effigie simbolica , troveranno al favor della esten- sione , per avventura , dell' area gemmaria quell' inte- ressante aggregato d' attributi diversi di tal Deità ivi rappresentata , ciò che difficilmente in una statua. E mercè la fedeltà, ed intatta nitidezza, sotto il guardo DT CART-O ANTONIO PULLlNt. IX loro Dpgli Infaglj verranno ad esporsi le iestc d' un Apolline , Marte, Bacco, Mercurio, Ercole giovane, e tali , che vi si discerneranno que' precisi lineamenli del viso, quelle pur menome diversità di fisionomia , clie carafferizzano , e contradisfinguono ciascuno de' succea- n.iJi milologi soggetti, ai quali tutti altronde spetta r ideale bellezza giovanile in grado sublime ; diversità e caratteristiche note , che troppo di leggieri possono esser degradale , o tolte ne' Marmi , per poco di ri- storazione , e di replicato ripulimento abbiano abbi- sognato dopo che tornarono alla luce del mondo. Così pure , e per le addotte ragioni , ogniqualvolta SI vorrà ben discernere quel tal carattere, o serto, o capigliatura d' una testa , quel picciol attributo di tal figura , si otterranno i bramati appagamenti assai più compitamente dagli Intaglj in Gemme, che non da qualunque numismatico monumento. E qui mi si per- metta d' accennare alla sfuggita in proposilo di Medaglie, che queste comunque si scavino assai più in copia che non le Gemme , caso raiissimo è però lo scavarsene una tuttora inedita; ond' è che sono esse Medaglie in confronto de* Marmi effigiati, e delle Gemme incise, come le stampe de' rami figurati in paragone dei di- pinti quadri, e delle miuiaturc, o come una copia d' opera stampata in confronto d' un manuscritto. Se non che pregj si eminenti , ed incontrastabili si trovano in gran parte ofTuscati nel concetto del Pub- blico dall' opinione invalsa, e per cui si va dicendo, X SAGGIO DI GEMME ANTICHE ECC. che in fine poi gli Inlaglj antichi non si possono co- Dosceie , e distingucie dai moderni ben conti-afralti. Qui , avanti eh' io proferisca il mio sentimento , mi si concedano alcune premesse di fatto, i." Essendo io stato moltissimi anni addietro a portata di frequentar olFicìne dell' arte , di cui si tratta , ed avendo pur co- nosciuti i fautori di tal arte modernamente esercitata, notai le cento volte, che una tal eccezione era tuttodì sul labbro loro. z.° Qualunque volta ho i-ichiesto gli Artisti capi di quelle officine , di voler dare il loro giudizio sul moderno, od antico di qualche Intaglio, essi non hanno esitato , anzi haimo pronunziato franca- mente da Giudici. 3.° Ne' lavori di mano moderna (con che intendo dire degli Intagliatori che vissero dall' epoca della ristorazione delle arti , sino a qua' che sono presente- mente in vita ) se la composizione del soggetto inciso, e originale , non ò cosa rara il trovarvisi qualche di- fetto di cai-attere rispettivo , o qualche anacronismo. 4.° Trattandosi di copia tirata da Gemma, ed Incisione antica , sempre che mi fu fatto di poter esaminare tal lavoro a fronte dell'originale, trovai che la copia non vi reggeva, ed, all'occorrenza più volte avvenutami, mei accordarono que' medesimi , che erano parzialissimi de' moderni Intagliatori. Con che non intendo per nulla di scemare il merito di questi Artefici moderni nell' intel- ligenza del disegno, o nella esecuzione di esso; e così ueppur di oscurare il pregio dei loro lavori stimabilissimi. DI CART.O ANTONIO PULUNI, XI 5.° Al sommo Incisore del secolo decimotfavo un giorno in Roma feci vedere diverse Gemme incise, da me prescelle , come quelle die luKe erano segnate di varia , ed indubitata impronta della loio anfichitò , e tii c|uei contrasegni certi, quai di patina, quai di oleoso pulimento , e simili, che accennò in più pagine de' suoi scritti il Signor Cavaliere Luigi Bossi coltissimo Espo- sitore di Gemme e di altre cose antiche. L'egregio Ar- tefice fu insieme da me eccitato a dir«, se gli sarebbe stato fattibile di notare altrettanti de' suoi Jntaglj con quelle diverse patentissime impronte, e a segno che l'arte non si distinguesse dall'opera della natura, e de' secoli , pur confrontandosi colle dette mie pietrine i lavori suoi. Ed egli mi rispose : Eh ,. Signore ! ioi il sapete benissimo , che /' Arie ha (suoi confini:, niiìladi- meno n aggrada in ora ciò intendere da me medesimo. 6.° Il vanto stesso, che si diede gi;\ dal M ariette , e da altri Scrittori alla somma capacità , e perizia d' alcuni famosi Incisori in Gemme , cioè d' avere a lor piaci- mento contraffatto 1' antico in maniera la più sorpi-en- dente, il vanto stesso, dissi, sino dai tempi dei Vasari diedesi a certi Pittori; e si è pur dato a certi Inci- sori in metallo , riguardo all' abilit;\ loro nel con- traffare quelli qualunque dipintura , questi qualunque Medaglia. Tanfo più agevolmente poi si può contraffiirc in genere di disegni , o dir si voglia di schizzi , e car- toni di glandi Pittori , e Capi di scuola. Ma ecchè perciò? Forse non saranno quinci da pregiarsi le gal- XII SAGGIO DI GEMME ANTICHE ECC. lerie di quadri , i citnelj di medaglie , le raccòlte di disegai , qualora esse formate siano con gusto, e eoa discernimento più clie mediocre ? Dopo queste premesse adunque proferendo il mio avviso parmi di poter conchiudere cosi : In tutti i ge- neri di cose preziose, e rare vi fu, e vi è chi alterare, e contraffar sa con somma abilità ed accortezza ; per conseguenza chi acquista , e raccoglie , la può sbagliare; ma senza dubbio più facilmente in varj altri generi sarà soggetto a sbaglj ed inciampi , che non in quello di Gemme intagliate. La ragione si è perchè a p7-efe- l'cnza di molti altri oggetti di rarità , e di collezione , qui, dopo un tirocinio per verità assai arduo in se stesso, abbondano gli appiglj , i soccorsi , e le regole di criti- ca, a proporzione che sono abbondanti , e varj gli am- minicoli , ed i requisiti. Molte di-Ue suddette regole di critica, e molte avvertenze somministra la scienza anti- quaria , e r erudizione; porge validi altri ajuti 1' occhio avveduto, ed esperto sia nel disegno, sia sull'antico non meno che sul moderno ; soccorre assaissimo la co- noscenza del meccanismo dell' arte ; sono per ultimo utilissime ed opportune varie nozioni , quali di chimica riguardanti l'arte di contraffare con composizioni vitree, e di tingere al fuoco, al bagno, le pietre effettive, arte nota agli Antichi ancora ; e quali di geografia , e di storia naturale , per cui spesso spesso , senza dar né tampoco di mano all' occhialetto , il dubbio , la ques- tione sull'antico, od il moderno , si scioglie, si decide DI CARLO ANTONIO PULLINI, XlII irrcfiagnbilmonte colla scjnpUce , e prima vista del mafciiale d' una Goiuiiia , mercè la conoscenza delle lorcie , e scavi, alcuni ad uso già degli antichi Artefici, scavi presentemente od esausti, od ignoti, altri cggidl qua , e là conosciuti ed aperti. Ora di tutte queste nozioni , e perìzie , di tutti questi fonti di crilica, uno accorrerà in rinforzo, e in supple- mento dell' altro , e diilicii cosa sarà che tutti manchino. Ma per fai-e ornai ritorno colà onde mi sono di- partito , Chiarissimo Signore , e per ristringere il dis- corso alla mia Daftilioteca , senza più esporrò breve- mente il piano, su di cui la medesima fu già formata, e lo spirito , con il quale indi venne da me ultimamente illustrata questa primaria , e più nobil porzione della suppt Mettile antica del mio gabinetto. E per cominciare dalla Raccolta, dirò qui come io non mi sono già limitato, per quanto riguarda l'erudizione, ad una classe di soggetti effigiati , come sarebbe o di mitologia , o di storia , o di tal allia_specie ; che anzi mi sono prefisso\ e piacquemi di spaziare così ampia- mente, onde mi riuscisse di avere, e radunare in tal Collezione un saggio più o meno esteso di tutte le classi, come sovra divise dal Passeri , e di quelle altre ancora che il detto Litografo Antiquario non accennò; e di cui ciascuna può di per se formare una special raccolta , come sarebbe adire di l'itratti soltanto, di baccanali, d'argomenti itifallici. Per quanto poi spetta all'arte, io mi determinai di condurre la mia Raccolta per serie Xnr SAGGIO DI GEMME ANTICHE ECC. eli (ale artifizio presso le varie colte antiche Nazioni ; e ciò non solo, ma volli condurla per sas^gio delle differenti epoche , e maniere , le quali presso le stesse Nazioni el)l)ero luogo , ed unanimemente s' additano , e distinguonsi dagl' intelligenti. E perchè poi la Collezione stessa portar jw^esse ia proprietà di vocabolo il nome di DailUioteca antica , o sia Conserva d' anelli antichi , m' adopi-ai con giande ardore a tal intento; e mi venne fatto d'aggiungere alle Gemme sciolte non picciol numero d'antichi Anelli d'oro, e d'argento, quali gemmati, e quali nel me- tallo intagliati ad incavo, o lavorati in rilievo. Con questi Metalli annulari conneltonsi alcuni altri Ori ed Argenti in figurine, e medagiioncini talismani- ci, o sia amuleti, che per la qualità della materia, e per la picciolezza della forma, sono da apporti in una cassetta di gemme, piuttosto che in un ampio ripos- tìglio di bronzi figurati, volgarmente chiamati idolclli; e conseguentemente, così come nella Dattilioteca, fu- rono i suddetti Ori ed Argenti pur compresi quindi da me neir accennata esposizione della medesima. Agli Anelli suddetti aurei ed argentei tengono dietro molti altri di bronzo, e di ferro , ed anche di piombo , tutti o figurati, o letterati, che, riposti nel gabinetto fra gl'inferiori sovraccennati metalli, costituiscono il nodo ivi fra gl'Idoletti, e la Dattilioteca, della quale qui si tratta. Per ultimo , ed in fine della Collezione di Gemme DI CARLO ANTONIO TULUNI. XV antiche, non altrimenti che si praticò, e si scorge in quasi tutte le mighori raccoUe pubbhcate colle stampe, vi aggiunsi di soprappiù , fuori di linea come suol dirsi, e per un parchissimo saggio , alcune poche Gem- me , lavoro di celebri Incisori moderni dalla ristora- zione dell'Arti a questi nostri tempi. Nel formare la mia Raccolta secondo il narrato doppio intento, chiarissima cosa è, eh io dovetti atte- ncM-mi , e volgere le ricerche , e le mire , specialmente ai lavori d' incavo , come quelli mercè cui si può com- pilare una tal serie ; ad ogni modo non tralasciai di fi-egiarla d' un competente numei-o di carnei , e d' altri lavori in rilievo. Dopo d' aver portata a buon segno la Collezione , mi rimaneva a farne un Catalogo descrittivo colle op- portune occorrenti dilucidazioni , e note , a corredo della medesima. Ma questa fatica m' era stata vietata costantemente da serj obblighi di pubblico impiego , da una somma debolezza di stomaco , e da varie cir- costanze non prevedute; nò dopo un soggiorno d'otto anni in villa appartata , ov' io era lontano dal mio ga- binetto, da'miei libri , e persino dal potermene occupare col pensiero, mi sarei in età già scemante di forze pur ulti- mamente risolto ad intraprenderla, e portarla a tc>rniine, se non fossi slato più volte a ciò animato , e spinto dalle amichevoli insinuazioni del prelodato Signore Gioanni Francesco Galeani Napionc , alle quali si unirono in se- guito poi anche quelle d' un altio eruditissimo Acca- demico il Signor Giuseppe Franchi di Pont. XVt SAGGIO DI GEMME ANTfCHE ECC. Messa mano all' opera , e tracciafi gli oj)|)oi'(iini Ca- talogi della Dattilioteca , nella quale la somma de' pezzi, che la compongono , ascende al numero di 400 circa , ho susseguenteracnte dettali , ed ivi inserti poco meno di 200 Articoli d' illustrazione d' altrettauli de" detti pezzi , riguardo ai quali ho creduto, che non bastasse la semplice descrittiva , e catalogita indicazione. A maggior appagamento dell'Osservatore, ed a più agevole intelligenza de' Monumenti presi per me ad esporre, quinci mi si aprì l'adito, onde andar passo a passo dilucidando varj oggetti di mitologia , e notando air opportunità ed occorrenza i rapporti delle ivi des- critte Gemme co' Alarmi , colle Medaglie, e con allre Gemme già pubblicate , e non trascurai di farlo per quanto la dovuta brevità degli articoli , e la scarsezza delle mie cognizioni mei permisero , siccome Ella scor- gerà dai seguenti pochi capi d esposizione. Ho r onore intanto di protestarmi con sommo ris- petto Di V. S. Ornatissima , Torino addi 5o gen.", 18 11. Divot.™" P(l Obhlig"" Servidore, Carl-Antonio Pullinx. I xvn INDICE DEGLI ARTICOLI. I. JL side pag. I. II. Emblema del Sole * 4* III. Giove Panteo » 8. IV. Minerva Pacifera » 12. V. Venere Fenicia » 16. VI. Marie Quirino » 20. VII. Aeralo » 22. Vin. Agamennone ed Ippoloco » 27. IX. Achille, e Pentesilea » 3o. X. Ajace Oileo » 32. XI. Carro di Buoi » 35. XII. Stemma della Famiglia Veturia . . » l^o. XIII. Quinzio Cincinna/o .;.,...» 43« XIV. Phanes ed ArpocraU » kl' N. B. I Niimeri Romani ileir Indice corrispondono a quelli di ciascuna Figura o sifTICHE ECC. Painjn in FI. i • ii i ?• i-' i pan, i, cap. lu.neraro da essi sulla montagna della di >'aturno. Vai erro ciò che sappiamo di qnesto [)io : quei d'Arcadia ;i\cntlo fatta irruzione sul territorio d'Elide, gli Elei accolsero per rispingere gli aggressori, in sul piinfo di darsi la halla- glia , iniprovisamente ai C;ipi dell' annata Elea si pre- senta una Donna con un bambino lalt;uite in braccio, e cfuesta espone ad essi come in sogno le l"u rivelalo, che quell'infante difenderebbe la patria, e combatte- rebbe per essi vittoriosamente. A tal parlare i Duci porgono fede , ed il Bami)ino vien esposto nudo in capo alle schiere. Nò si tosto gli Arcadi muovono ad assalire, che l' Infante si ti-asforma in Ser-pente, e si scaglia contro gli assalitori , i quali a tal poiìcnta racchiude così gli altri- huli di Serapide , di Amtnone , e di Febo. Da ciò ne siegue , che dandosi la denominazione dì pan/ee a Q\M'\\e figure, che portano gli altribiiti , ed em!)lcmi di più Deità, l'effigie del Re degli Iddìi, che qui si desciive, a tutta ragione vuol essere denominata Giove Panteo. Il calalo , o modio , sulla testa di Giove Serapide , Marrob. Sa fu dcsuuto dal Serapi Egizio , Divinità presso que' po- lurn. lib. I.cap. su, ri Por,.bir. poli riputala per la stessa cosa col Sole , e così rimirata apu I (■ useb. lil\ ti r 111, Prap. e. 3 q^jjjj fonte ed oi-igine della fertilità congiuntamente colla Terra , o Natura delle cose , la quale è Iside. In appresso Serapide fu pur venerato dei' Greci , e di Grecia passò a Roma, ove ebbero ricetto tutte le Deità forestiere, e l'estere superstizioni; e quindi è che la terza regione di Roma denommossi da Iside, e Serapide. Questo Dio da piuiaic. deh. p[^[j,(,(.o ^ denominato Plutone; Porfirio, e dopo luiTacito ti Osir. ' lo confonde con Esculapio. Diodoro Siculo afferma, che Serapide è lo stesso che Osiri, Ammone , e Bacco, e ne ha gran ragione, essi tutti con varj altri ancora, ri- ducendosi ai Sole, ed; alla virtù solare. DI CARLO ANTONIO PULLINI. f) Da qmnto fin ora si è detto viene ad essere spiegato r:ittriI)u(o de raggi sovra indicati ; altronde è qm-sfo un oggetto , di cui si è trattato in altri Articoli d' illustra- zione non c.jinprt'si in questo ristrettissimo saggio. In uno di tali Articoli si è pur parlato più a lungo del calalo , ed ivi si è notato il rapporto del Sera- pide , o sia Sarapide degli Egizj col Giove Stigio dei Greci , e s< gnafamenle col Giove Dite venerato anti— chissiinamenle in Sinope Città del Ponto. Ond'è, che qui ini ristringo a tare qualche osservazione relativa al SDvrauiuicnzionalo Coirio d' aiiete , o sia d' Ammohe , ed alcun' altra sulle figure Pantee, di cui sovra. Mei famoso Tempio di Libia Giove Ammone era figurato non già colle Corna d ariete semplicemente, ma bensì coli' intera testa di quell animale. In una conservatissima figurina , monumento Egizio , che tengo nella mia Dattilioteca , Osiride ha pure la testa d ariete ; monumento molto osservabile in propo- sito d' Ammone , imperciocché se ricorrendo ai mitici fonti Orientali ed Egizj si viene assai chiaramente a conoscere, che Belus , Baal, Belphegor, Moloch , Aglibolus, e Mithras ed Athys con Osiride altro non furono che il Solt" ; e inoltre se il regno di questo gran Pianeta dai Caldei si ponea nell'ariete, e se gli Finn. devjt t-giziani ad Osiri attribuirono pur 1 ariete , ecco schia- rite le mitologie Libiche esjjoste da Oiodoro Siculo, ed nid. sic. ub ecco ridotte al semplice , e connesse le idee sul Libico' Aminone, e su tutte 1' altre Deità , cui il Corno arie- IO SAGGIO DI GEM:\ra ANTICHE EGO. tino , o l'ariete stesso fu assegnato per distintivo , per attributo. Quinto Curzio narra , che Ercole avendo domand;ito un congresso a Giove suo padre , questi gli si presen- tò sotto la figura d'ariete. La più singolare immagine di Giove Ammone ci viene riferita dal Becero in una testa d' ariete , la quale sostiene unacolomlia; ciò che ha indubitata re- lazione all'Oracolo d'Aminone stesso; Oracolo che era i-eso da certe colombe, le quali si tenevano dai Sacet-- doti ne'Tempj di questa Deità tanto in Libia, che ia Dodona nella Caonia, provincia dell'Epiro. Quanto all' origine di quest' Oracolo è da notarsi . che due colombe essendo sfuggite da Tebe d Egitto , dice Herodot.Hist. Erodoto , Una di esse volò al Tempio di Libia , e l'altra Lib. I. . ' . a quello di Dodona. Queste colombe aveano il dono serv.in^EneiJ. della parola, giusta Servio, e dalle medesime gli abi- tatori di quei paesi appresero , che era voler di Oiove Herodol. ut, i-i" .1" -1 r^ 1' supra. lo stabilimen'o di questi due Oracoli. Vaili numi'^m. Vaillant pubblicò una medaglia di Alicarnasso, il cui Gtxc. pag 80 et ibid Num. Ap- j.Qyggcio Dorta Giovc Dodoneo in piedi fra due albeii, penti. ^ ^ ^ e su ciascuno d'essi un uccello. E verosimile che siano due roveri , e due colombe ; ciò che esprimerebbe r Oraco!o di Dodona. In un animale chimerico poi , che si vede fra i (ipi Can». la chausse di Causco-la-Chausse , e che è formato d'un Ibis, e r;(-ainie antiche ,, . . n • . • 11 • 1 1 N.« 181. d una testa d ariete , su cui un uccello, si dee vedere DI CARLO ANTONIO PULUNI. I 1 espresso, s'io m;il non m'appongo, l'Oracolo di Li- Lìj ( CIÒ a cui non l'ece riflesso il citato Espositore ) ^ polendosi dal complesso ragionevolmenle prendere il detto nccello sovrastante per una colomlja, ed essendo 1 Ibis un volatile Africano. Qui giovi notare, chea me sempre parve assai strano, come tolti i Uatliliografi , direi cjuasi d'accordo, nelle loro esposizioni ed interpretazioni occorrenti , alibiano trasandalo 1' oggetto degli Oracoli ; altronde egli è uà punto sì riguardevole di religione, e credenza pagana, che io fissai jjropendo ad avvisare vi si debbano riie- rire molti monumenti anticlii , e soprattutto in Gimme; e ciò in vista die varie di queste furono incise ad uso d'Amuléto, quai tutelari ed oroscopiche, quali votive ec. ]l lavoro di questa Coiniola , è di buona maniera greca de' tempi meno alti, e probabilmente opera d'uà Artista di tal nazione , il quale avesse la sua officina in Roma , dove si sa come , ed in cpianta copia gli Artefici Greci siano succeduti agli Efrusci. Dal suolo d' Italia molti-^sime figure panlfc si sono dissotterrate nella classe de' piccioli bronzi fusi, idoletti ' ed è credibile , che quelle siano state altrettanti Penati, Dii adìicerenles, prcesiiles ; e cosi in tali figurine da te- nersi io casa , ed in un solo idolo fregiato di varj altri- BauHriot dìj. buti , e simboli, siasi inteso d avere riunite iJiu Ueita t-n ^ri.■nIadel. IrMcH eCup4>ro protettrici speciali della famiglia. ''<■ ""?• p^"'- Ausonio parla d'un Bacco panteo , idolo che Egli Aus.episrjj. avea nella sua Villa. l 12 SAGGIO DI GEMME ANTICHE ECC. Ma non si creda già , che i Romani siano stati gli inventori delle figure pantee ; imperocché Giunone Siria, e Diana Efesia, e Venere Fenicia , ec. somministrano una troppo evidente prova in contrario Nel che la sba- gliarono due altronde assai dotti Antiquarj Buonarroti, e Passeri , i quali credettero che 1' uso delle figure pantee fosse stato dai Romani introdotto , ed anche soltanto dopo l'Era Cristiana, e non ne' più alti tempi di Roma. Le Medaglie Afitee, Cassandree , e Cirenaiche poi-- tano r effigie di Ammone , o sia di Giove colle Corna d' ariete ; e molte monete Alessandrine hanno la testa di Giove con tutti e tre gli attributi che si scorgono nella Gemma nel presente articolo esposta. I V. Minerva Pacifera In Sardonica. M I N E R V A , o sia Pallade è rappresentata in questa Sardonica di lavoro degli altissimi tempi greci. Essa porta r elmo in capo , al fianco la spada, parazonium , al braccio lo scudo su cui è scolpito un Grifone ; d'una mano la Dea tiene la lancia , dell' altra un Cornucopie lemniscata , cioè ornato di fasciette , o fettuccie pen- zolanti. DI CARLO Antonio puloni. i3 Armata a tal segno questa Dea pare, che potrebbe defi- nirsi Bellona; se non che dagli Antiquarj di comune con- senso il nome di Bellona le si dà soltanto in due casi. Il iirimo di questi è quand' Ella tiene lu lancia in resta vaiiunt. Num. ' ^ Iwp. lom. I , come in aito di vibrare il colpo , quale su la Meda- p's 's-.^ *"<• l ^* Augurimi Uial. glia di Claudio , e di Domiziano. L' altro caso ò qua- '^''' "*■ lora sta in atto di muovere frettolosa il passo , come Msgnan. Bruii. NuniisD). lab £ , sulle monete dei Brezii , dov' Ella è atteggiata si, che «•Maaei Gemme °° ani. lom. X , la diresti Gradha. '^s 7« Innoltre 1' idea d' una Bellona qui vien esclusa dal Corno d' abbondanza , attributo che lissa la deiinizione dell' effigie , che si descrive , per una Minerva prcesi- dialis , o sia Pallai pacifera ; quindi è che gli altri attributi guerreschi si abbiano a spiegare per 1' assioma ; si vis paceni para bclliim. Del Grifone , animale chimerico , ed attributo pre- cipuamente di Ffbo , o sia del Sole , si parla a lungo in un altro articolo , che riguarda tal Nume. Ad illustrazione poi di quello che qui fregia lo scudo di Minerva, osservo, che giusta il parere di Dempstero, e di Ros.no , quest' animale dai Mitografi supposto di mirabile prudenza , e somma accortezza , fu perciò attribuito , e fatto emblema del Sole, che tutto vede, e e tutto rischiara. Indi si può dedurre la ragione , per cui quest' animale appaja inciso per fregio dell' armi nelle rappresentanze della Dea della saggezza , come qui appare sullo scudo , e come fa cimieio all' elmo di Lei su d alue Gemme di questa Datlilioleca. l4 SAGGIO DI GEMME ANTICHE ECC. La medesima inlerprelazione vi-ir.'i pur in acconcio quando si vo^ ' T J l"";'^''^^'"^; persone riescono a divenir dolci, e mansuete, il deg- Ipfeg.'*'Gemm! giano a Venere, e ne sian altrettanti novelli trofei. aD.,cap. .. j^^ Colonnetta, o il Ceppo, Cippiis , cui sovente s' appoggiano ne' Monumenti antichi le figure mitolo- ciem. Aie«. gi'^he , è sioibolo di Divinità, con esso denotandosi la e sirom. 1 • 1. fgrjjjp2za , e Stabilità divina. Cosi Clemente Alessandrino , il quale pur avverte , che negli antichissimi tempi per Idoli si avean Colonne, e Tronchi d'alberi. Da quanto sovra però male si dedurrebbe , che tutte le figure rappre- sentate sui Marmi , o sulle Gemme antiche nella foggia, DI CARLO ANTONIO PULUNI. ig che sopra si disse di Venere Fenicia , e così appoggiate ad un Ceppo , o Colonnetta , debl)ano prendersi per DeitA; imperocché talvolta inrontrausi in tal modo ap- poggiate quelle Ggure, clie non sono di Dei, e nem- meno di Eioi. In proposito di quest' Anello antico d' oro mohe os- servazioni potrebbero aver luogo , quali suU' uso degli Anelli gemmati , e quali sull eccessivo Kisso con cui si fece pompa de' medesimi ai tempi antichi; se non che di ciò si è ragionato in altri Articoli cstianei a questo saggio , e qui racchiudendo lai note diverrei trojipo diliuso; onde mi riduco su di quest' argomento ad accennare soltanto Kirghman , e Giorgio - Lon- co , i quali scrivendo amendue de Annulis Ariti- quorum svolsero ampiamente questa parte d' erudizione antiquaria. A poca distanza da Aversa nella Campania fu dis- sotterrato nel J784 questo singoiar monumento, che alcuni giorni dopo acquistai ivi nel mio passaggio da Roma a Napoli. Con quest' Anello in picciolo ripostino di terra cotta si trovavano varie altre cosette , cioè una curiosissima Fibula di bronzo già coperto con lami- netta d' oro , e figurata a foggia di Grifo desinente in pesce con gli occhi formati da due nitidi giacinti ; Un fermaglio d' oro a bassorilievo con teschio di Me- dusa in centro ; un' alti-a Fibula d' argento ed una fi- gurina pur d' argento rappresentante un Aiiete; le quali reliquie d' antichità si conservano nel mio gabinetto. 2"o' SAGGIO DI GEMME ANTICHE ECC. Quanto alla Gemma sovraesposta , ed incassata ncU' Anello, di cui si tratta in qiiest' aiticolo , bisogna dire o che il culto di Venere Fenicia fosse pur passato come tanf altre superstizioni d' Oriente in Grecia , e di Grecia in Italia, ovvero che di là provenuta fosse la Gemma stessa , come tant' altre rarità non meno in gemme che in statue, e insino dai tempi di Scauro. Lo stile dell' Intaglio par che segni un epoca anteriore al buon se- colo delle Arti. VI. Maute Quirino In Corniola. u N A Testa con elmo ; a' lati di essa due cornuropj ; al di sotto un anello; e accanto a questo di qua, e di là due maschere , si è ciò che forma un soggetto af- fatto nuovo , eh' io sappia , e che rai^presenta mercè i simboli accennati Marte pacifico, prcesidiariiis . phila- ctrides , che dai Romani era denominato il Dio Quirino, o Marte Quirino. Paus. in arcadie. Pausania osserva , che siccome per Marte lielli- gero , o sia Gradivo , e per Minerva guerriera , o sia Bellona, s'infonde valore ne' soldati , così da Maite pacifico , e da Pallade presidiaria , s' impetra quiete , e buon ordine in tempo di pace. Or cj[ui li cornucopj DI CARLO ANTONIO PULLINI, 21 simboleggiano la pace , da cui deriva 1' abbonrlanza ; la pace è pui- simboleggiata dalle lane o sia maschere, perocché si sa che in tempo di guerra teneansi chiusi i teatri, e che in tempo di pace, sia nella commedia, che nella tragedia , tutti gli Attori avean la maschera ; di che si dice più a lungo in un altro aiticolo, che in questo saggio non ebbe luogo; e finalmente quanto al soggetto che qui si spiega , 1' anello è un noto em- blema della Concordia. I Sabini adorarono per Marte una Lancia , che lo figurava , e questa nella loro lingua era detta Cures , d'onde il nome di Quirino presso i Romani, i quali ne' primi lor tempi , e sprovvista come eia Roma di statue , venerarono pur essi sotto lo stesso simbolo il Dio della guerra ad imitazione de' suddetti popoli loro vicini, e giusta la testimonianza di Varroke riferita da Clemente Alessandrino. In onore di Marte Quirino , il quale è Romolo dei- ficato , si celebravano a Roma grandiose feste sia ai 17 febbrajo giorno della moi te del detto loro fonda- tore , come dall' antico calendario del MafTei spie- gato da Gruferò, e cosi pure dai Fasti d Ovidio , sia alli 7 luglio giorno della di lui apoteosi , come da Dionigi d'Alicaruasso , da Plutarco , e da Lam- pridio. f Queste feste inchiudevano rappresentazioni teatrali , giuochi circensi , e pubbliche cene con largizioni che ivi si faceaiio al popolo dai Pix'lori , ed altri JMagis-i ja2 SAGGIO DI GEMME ANTrCHE ECC. trati presidenti al convito , e con largizioni speciali ai convitati distinti , ed anche a persone assenti. Queste lariiizioni furono, per esempio, panieii di fruita odi fiori, od altre simili galanterie, e vasi , e anelli, e dittici ec. La Corniola, che si è descritta, può esprimere queste pacifiche feste , questi divertimenti, e legnli; ed ella stessa può Len anche essere stata uno di questi doni. Ciò basti quanto all' erudizione , ed all' interpretazione dell aigoniento ; quanto all' arte , ed al lavoro di questa Gemma , noterò , che esso dimostrasi d' un' epoca an- teriore allo stabilimento dille greche officine in Roma sovraccenafo nell art. HI. E siccome ò noto che in tali tempi presso questa marzial Nazione tutti gli Ar- tefici erano Efrusci , così gli artificj che si ascrivono a tal' epoca sono indicali dagli Antiquarj colla denomi- nazione di Latino-Etrusci. - VII. A GRATO Figurina d'oro. A e R A T 0 , Genio di Bacco , viene rappresentato da questa rara, e bella Figurina d'oro, la quale annessa, e pendente da un ricurvo spillo della stessa materia , ha DI CARLO ANTONIO PULtlNI- 23 servito di vezzo , e IVogio donnesco. Questo Genio ò inghirlandato le tempia, e gli omeri ; d'una mano egli tiene un bastoncello come per battere su d'un timpano» o tamburo; dall allra ha uno stromento tondo, che non saprei s'io debba dire una patera, od un istro- mento dionisiaco , e musicale da battervi so^^ra colla suddetta bacchetta , o bastoncello. Una Minerva definita dal Passeri, e dall' Amaduzzi , -^'<>»- J}"^ Gemm. ani. lcm> per Minerva Comica , siccome quella che è qunliScata ' • '*''• *'" per tale da una maschera di commedia appostavi su d' un ceppo , tiene io ambe Io mani un simile bastoncino creduto da' sopradetti Autori fatto per battere su d' uà timpano. Dei Genj in generale mi giova notare , come presso le più antiche Nazioni idolatre la dottrina su di essi venne infiillibilmente dagli Ebrei , non meno di tante altre dottrine, ed usanze dai medesimi comunicate ai Caldei, Fenicj , ed Egizj , e trasmesse poi dalle Co- lonie di questi antichissimi popoli ni Greci , ed agli Itali primitivi. E ben si scorge in prova di quest' as- serzione come dai più antichi Scrittori della Grecia , e fra gli altri da Esiodo , siasi pensato , e parlato de' Htsicd. Op« «t ? . . . . . Uicsvtrs.iiSet Genj in modo il più approssimante a quello , con cui «a- nella sacra Scrittura si parla in più luoghi degli An- geli santi. Il nome Genius de' Latini corrisponde al Greco ù^miAov . qualuncjue siane la radice , ed etimologia latina. Sono alcuni autori , i quali deducono tal voce « gi^nendo , sul riflesso che dietro gli Etruschi pur i Ro- 24 SAGGIO DI GEMME ANTICHE ECC. maui nomassero Genio il Dio che picsiodcvn, secondo il loro parere, alla generazione, ed olla vegetazione, in lina parola alla natiii-a ; ciò viene a dire, che im tal nome si dava alla siipposla anima di I mondo; giacché qui come aUiove , ( tal che più volle nel corso delle esposizioni venne osservati) ) le credenze de' Gentili andavano liftrirsi al materialismo , errore an- tico a un di presso cpianto 1' idolatria , sebben cento volte rinnovato sotto cento forino diverse. Ora in specie , ed in pi'oposito dell' aurea figurina Pnusan in Aiiic chc ciul sÌ esooiie , e clic raonreseiita il Genio di Bacco , lib I , rap j. ' ' ' ' B n.arq. «ur 6 del vÌho , nolcrò con l'abate Gedovn , che 1' elimo- PiiUiao. loc. cii. , ... . .„ 7 •\ ì logia di Ax.pa.Toir signihca puro, senza mescolanza, ciò die chiaramente si riferisce al vino. 11 medesimo Scrittore or citato soggiunge , che Pisistrato in Atene, se fu effi- giato non solamente sotto la figura di Bacco , ma anche sotto cjuella di Aerato, come vuol pure il Causobono, ciò fu a cagione di quella sua inclinazione al vino, della Allieti. Lib. XII, quale parla Ateneo. rap. 8. . . . WI^CKELMAN facendo parola d' Aerato dice , che nei celebri disegni del Cavalier Dalpozzo conservati nella Biblioteca Vaticana , vi si incontra tal Genio frequente- mente ne' soggetti dionisiaci , e fra le Orgie sfrenellanti vvinck De^- ancora. Una bellissima figurina fra i bronzi Erco- S^^'.ut,."'''""4anesi rappresenta il detto Genio, che tiene nella mano destra un grappolo d' uva , e sotto il braccio si- Ani. .iTrcoi.nistro poita una bestiuola dai dotti Espositori giudicata lem. VI, lav. 3;. , , -Iti. una lepre, od un cavruioletto. DI CARLO ANTOKIO rULLlM. 2.'j Anche su gemme antiche si dova questo Genio di Bacco, e (alvoha portato su le spalle da Sileno. Su d'una Corniola, riferila dal Map.ieite, Aerato tiene il Ttaiié .!« piVrr. grav. loui. il , tirso alla mano, e guida il carro di Bacco, cui sono P"'- ' . '■e- ^*- aggiogati un leone , ed un capro. In una Corniola della mia Diittilioleca , il di cui soggetto allatto nuovo, e sj^ettanfe alla classe de' baccanali , lu da me a suo hiogo descritto , ed interpretato , si vede un Satiro, un Fauno, un Baccante, ed uu Genio, il qual c^eve essere Aerato. E poi degno di particolare osservazione il monile, o ghirlanda , che fa fi-egio a quest' aurea figurina, dall' omero sinistro della quale scende a traverso sul di lei destro fianco ad armacollo, come usarono portare i fan- ciulli , e qual si vede effigiato il Putto marmoreo della Villa Ludovisi, e quello del Museo Pio-Clemen- tino ; ma invece che il cordoncino ad armacollo per i fanciulli, adornavasi di varj strumenti, e segnali detti dai Latini crepundia , dai^ Greci yvaiiiirnitra , la bando- liera del nostro Genio è tutta ornala con mazzetti di bacche d' ellera , conveuientissimo fregio d' un seguace di Bacco. Su d' un bassorilievo deh' or mentovato Museo si m,,s. pìo ciem. vede Bacco adorno d' un serto d' alloro così ad ar- «, e lou". n*] macollo , ed un giovm baccante con la stessa ghir- f^" ;positore fu definito : riposo d un Guerriero , e ciò che è scoglio marittimo fu preso per una qualsiasi altura , o forse pel muro diroccato d' una fortezza da esso espugnata. Non era però quest' argomento interessante già sfuggito all' occhio del sagacissimo Winckelman , quando pub- v. ii lipo d;«- blicò la descrizione dello stessissimo Tipo nel Catalogo num! ^Id. cg. Stoschiano, Vero è che sulla Corniola del Duca di Marlbouroug ( così pure suU' Antica del Barone di itoseli , la qual è una Pasta ) manca 1' indicazione del mare attorno alla rupe , e manca pure nell' assiso Guerriero 1' es- pressione minacciosa , ed audace; ond' io sarei per dire, che il primo Espositore , se mancò il segno , è scusa- bile; ed il secondo, se vi colpì , egli lo deve al suo genio , e sistema di veder tutto Omerico , se non d'un antichità piij alta ancora. Conchiudiamo ora, che l'onde marine, e l'atteg- giamento minaccioso in un terzo Tipo , altronde in tutto il resto simile affatto a quello delle due altre Antiche 7 54 SAGGIO PI GEMME ANTICHE ECC. citate, fissano vittoriosamente l'argomento: cosicché la Sardonica qui sopra descritta ha il pregio d' apportare alla Corniola Marlbouroiighiana il vero suo senso , e quello insieme di ridurre a verità , e certezza una de- finizione , che era sfata proferita soltanto per conghiet- tura, riguardo alla Pasta Stoschiana. Sulle monete di Locri Ajace è in atto di combattere; vi è pure sotto della Figura un Tridente , a denotare come egli ha l)7-aveggialo Nettuno. 11 sovra esposto Tipo così tondeggiante , e pirami- dale , come si presenta allo sguardo , insinua quant' altro mai pronta e verisimilissima 1' idea d' una qualche insigne pi-eesistente Statua , comunque essa non sia pervenuta ai tempi nostri , talché accadde alla mas- sima parte de' grandiosi marmorei monumenti. Questa notabilissima Gemma fu trovata nella terra di lavoro tra Pozzuolo , e Baje in settembre del 1784, e da me acquistata in Napoli pochi giorni dopo sul ris- contro , ed indirizzo avutone dalla cortesia del Consi- gliere Abate Galliaki. DI CARLO ANTONIO l'VLLlNI. 55 X I. Carho di Buoi Corniola, N. 1 ELLA lucidissima Corniola , die qui si prende ad esporre, si scorge un Villano, che vota in un gran vaso il contenuto d' un otre ; 1 otre è su d' un plaustro , o cari-etta a due ruote; due buoj , che vi erano aggiogati, ne sono sciolti , e uno d' essi è in piedi , 1' altro è prostrato al suolo; il timone del carro è in alto , e cosi per con- seguenza pendendo in dietro il plaustro , si facilita l'es- trazione del contenuto liquore dall' otre; al timone si veggono appesi i cuoj, o legami , con cui i hovi erano aggiogati ; sull' otre vi è un cane ; avanti de' buoj vi è un albero. Di questa Gemma il disegno forma un vago pitfoi'ico quadrettino ; 1' artifizio è di bella maniera Greca ; il tema è suscettibile di due interpretazioni , ed amendue obvie. Il giudizioso Lettore vedrà quale delle due si meriti la preferenza. La prima di queste si è d' intendere tal rappre- sentanza semplicemente per una libazione di vino in occasione della Festa i'inaìe, che celebravasi in Maggio per r assaggiaineuto , e la traslocazione de' vini occor- rente in tal tempo. 36 SAGGIO DI GEMME ANTtCHE ECC. La forma del vaso, che si approssima a quella del prcejericulum ,, può insinuare che l'argomento del Tipo sia religioso. L' albero denota , che 1' azione passa in campagna , ove appunto sotto degli alberi si faceano dai Rustici i loro camperecci sagrificj , e simili alti d' idolatiia. Le Feste vinali, vinalia y erano dirette non solo ad onore di Bacco , ma abbracciavano ancora quelle , che facevansi in onore della Dea Meditiina ( la quale era la stessa con Cerere ) e venivano dette Meditrinaìes. Mentre in onore di questa Cerere Meditrina , o sia Medica, si assaggiavano i vini nuovi, il Flanien mar- tialis pronunziava ad alta voce questa formola ; si bc'a il vino nuovo , e col nuovo si beva per medicina anche il vecchio. Naut. Com. Notisi qui, che il cane era sagro a Cerere , il che MjiU.Ub. I. ^ _ ° può dar luogo a credere sia fatta a Cerere, piuttosto che a Bacco , questa supposta libazione nell' occasione , che r Agricoltore fa la lustrazione del proprio podere. virg. Georg. VIRGILIO Consiglia i Rustici a dar in tal divota foggia lib I., e Tibul . . ,, , r • ■ , • lib. li Eieg. i. commciamento alle loro iunzioni , e lavori agresti ; e (,'olumcll. 'fé cuiiu bori, lib- Tibullo esnone il sacrum ambarvale. X io fine. ^ La seconda interpretazione del presente Tipo si è quella di dire , che un tal soggetto sia stato inciso in memoria del giuoco, dell' Ascoliasmo, d' una vittoria riportata a quel medesimo giuoco, e dell'arrivo del Vincitore al suo podere e soggiorno, coli' otre da esso vintosi allo stesso giuoco. Ciò supposto , ecco che nel Villano , il quale trasvasa DI CARLO ANTONIO Pri.I.INI. 37" il licore dall'otre, si troverebbe il Vincitore, che sì occupa in estrarre il vino per porgerlo ai compagni , ed ai convitati , come appunto si praticava. Il cane in questa ipotisi sarebbe così ritto sull'otre, come per esergo ad indicare la vittoria , che eternar qui si volle di quel Villico, al quale come più franco, e più destro degli altri competitori , era riuscito di reggersi fermo in pie sull' otre stesso. Che se il cane appartiene a Cerere, siccome prece- dentemente si è allegato , esso non è altronde fuor di luogo nella rappresentanza di feste, e solazzi Bac- chici; imperocché i Mitologi insegnano, che Pane diede quest'animale per compagno a Bacco, enarrano, che lo accompngnò quindi ne' suoi viaggj. Su questo fondamento appoggiandosi i troppo siste- matici Sciittori Vossit's , Thomassin , ed Huet , pre- tendono, che Bacco sia lo stesso con Mosè , stantechè Calci) ( voce che in Ebraico s'accosta a quella che si- gnifica Cane ) fu di lui fedele compagno , tal che il fu poi anche di Giosuè. Ed ecco qual è la di loro congettura, ed induzione. Gli antichissimi MitografI stranamente favoleggiando sul fondo delle Sacre Storie, da Mosè Duce degli Ebi-ei dcggiono aver tratto il loro Bacco Duce nella conquista dell' Indie. E se fra lo strepitoso seguito di Satiii , e Baccanti pur dieronglì per fedel compagno un Cane , anche questo tratto fu desunto dalle stesse sagre pagine , attesoché la voce che indica ivi il fido compagno del Condottiero Ebreo può facilmente trasuuiersi ai signilicato di Cane. 38 SAGGIO DI GEMME ANTICHE ECC. Che se alla seconda surriferita iutcrpretazione del uostro intaglio si opponesse , che non occorreva per trasferire l'otre a casa del Vincitore di adoprar car- retta, e buoj , in tal caso sarebbe facile il rispondere, che simili trasferte si faceano con tutta la pompa cam- pei-eccia ; e si sa pur generalmente parlando quanto caso si facesse dagli Antichi di tutto ciò , che può spettare alla destrezza di corpo. Fra gli sti-umenti , ed utensili bacchici , 1' otre sui monumenti antichi tiene un luogo assai distinto. Nella pompa da Tolommeo Filadelfo eseguita in onore di Bacco grandeggiava un immenso otre composto di Aieneo lib. V. pelli di Leopardi, e contenente tre mila misure di sulla relaz. di caiùs. Rodiano. squisito vino , clic andavasi diffondendo luugo la strada. Le pelli perù , di cui consuetamente gli otri erano fatti, si prendean dai capri ia odio di questi animali roditori dei pampini. Ora , i giovani Villani in occorrenza dei Bacca- nali , e delle Ambrosice o sia feste per vendemmia , poiché aveano sagriflcato il capro a Bacco , prendeano tal pelle caprina , la univano , la empivan di vino , e talvolta si contentavano di gonfiarla d' aria soltanto , ed untala d' olio , e di grasso se ne servivano a genia- lissimo loro solazzo saltandovi sopra a gara : inicr po- Ub!'»!*' *'*'"^ c"^'^ ^^^^ — TTìoUibus in pratis unclor saliere per uires. Notisi però , che così essendo collocato \ otre in sito atto a saltarvi sopra , non bastava di ciò fare , era d' uopo teuervisi in equilibrio , e ritto sulla punta d' un DI CAnLO ANTONIO PULLINI. 30 piede , cosa che dovea essere diilìcilissima. Chi sdruc- ciolava , ed erano i più, dava luogo alle risate ed alle celie ; chi riusciva nell' impresa , guadagnava 1' otre. Della pompa , con cui il Vincitore portava a casa quell'otre, e della vittoria che ivi celebravasi poi fra _. _ . i l)icihieri , basti vedere ciò , che ne dice 1' erudito M,!l^',"déli''A'° Abate Venuti. «d.dic«.c»,. Dell' Ascoliasmo , che fu per 1' appunto questo pre- diletto solazzo degli Antichi , parlano molti Autori. Un efhgie di Sileno con 1' otre in ispalla indica questo giuoco su le medaglie della Colonia Troadese , del Municipio Coillulano, di Berito , Damasco, Bosti'o , Napoli di Samaria, Laodicea di Siria, ai rovesci e eoa il nome di Marc' Aurelio , Commodo, Caracalla , Ma- crino , Eliogabalo, Alessandro Severo , Gordiano terzo, Filipno, Ottacilia , Treboniano Gallo, e Volusiano. vaiiiani. dec»- ' ' 1 Oli. Prima assai de' Romani fu presso i Greci usato , e sommamente gradito 1' Ascoliasmo fra gli altri molti giuochi di gioja , e di snellezza, tal che porta la stessa denominazione. Questo giuoco si sarà praticato nella Magna Grecia , e ne' contorni di Taranto, ove fu sca- vato,e donde mi pervenne quest'interessante monumento. La gioventù campereccia de' contorni d'Atene lo ama- va , e lo praticava nelle campagne , ed anche talvolta ne' Teatri. Attenendosi a questa seconda interpretazione, il Vaso, v. oraiio Ub. . . ; I , O.I 2o ; e di cui sovra, si dovrù avere per uno di que gran vasi '-°'"'""'"^''';,'*' ' ' IO cap. 4 , e 1 8. di creta , iu cui gli Antichi usavano di riporre il vino. 4o SAGGIO DI GEMME ANTICHE ECC. Finisco quest' articolo con notare , che fia le pitture ^jiU^Ij j.g^^p, dell' Ercolano si vede cosi rialzato, e colle sue corde Tom. 2, Far. 53. ^Pgj disposte il timonc d'una carretta, e che il ballare su d'un sol piede dai Greci dicevasi àa-xà^iàfen-, Polluce lib. IX, Polluce parla di certi versi detti Ae-xàhia, i quali capi. i.i. devono esser quelli, che si cantavano per servire di id. lib. 4, cap. tenore , o sia di cadenza, ai giovani danzanti, ed ai saltatori come sovra. X I I. Stemma della Famiglia Veturia In Nicolo con velo turchino legato in Anello antico d' oro. I N aureo antico Anello , nulla meno conservato ed intatto del precedentemente esposto nell' articolo V , si racchiude il Nicolo col velo turchino , che qui per me s' imprende a descrivere , e che ha per tipo lo stem- ma della Romana Famiglia de' Veturj. Di questo stemma 1' argomento è un trattato d' allean- za seguito fra i Romani, ed un Popolo di lor vicino. Si veggono pertanto due Persone maschili in piedi , le quali tenendo d' una mano la lancia pura , o sia un alto bastone, accostano dell' altra mano una bacchetta, o bastoncello , ad un Animale , che una terza persona DI CART,0 ANTONIO PULMNI. 41 genuflessa regge su quel ginocchio, il qiial non è piegalo al suolo. Oi- sappiamo dalla narrazione , che delle lor- malilà di tali atti pubblici fa Tito Livio, esscie ques'a LW.Hisi.iib. ir. terza persona il Feciale , che in tal positura sta per ferire una scrofa; e negli altri due personaggi doversi ravvisare i rispettivi Legati di pace , ai quali s'aspettava di toccare col bastoncino 1' animale da immolarsi , ed al Feciale intanto di pronunciare : Giove co/pisci quello vaiiinni Fam. dei due Popoli , che romperà gli ora concliiusi patii , ^'ni i'i',"'p".' siccome io colpisco questa porca , e tanto più jortemente ktv. ì^i Numu. colpiscilo , quanto di piìi tu il puoi. E ciò pronunciato j^''"'"';';' "^"'J- egli vibrava il colpo. p-'S- <5*- Le gesta gloriose degli Antenati , le epoche memo- rande ed onorevoli delle Romane Famiglie passo passo s' incontrano indicale sull' argento consolare co- niato da quel personaggio di tal Famiglia, il quale attesa la sua carica si trovava in grado di far battere moneta. Ora il Tipo sovra descritto del Nicolo che qui s'illustra, è cjuel medesimo che si trova sulle medaglie della Fa- Morciw e vaii- migha Veturia replicatamente , ed ai lovesci delle N""ìi" ìuFc- . _ l;(i.Kaiu. Velar. teste del Valore personificato, e del Dio bifronte. Ma il trovare , come sulle medaglie di famiglia , così su d' una gemma replicato appuntino , e senza la menoma varietà un Tipo cotanto composto , ed insolilo, ad uso di sigillo di persone private, ella è cosa som- mamente interessante , e che rende ragione della defi- nizione che ho data al tema di questa Gemma non meno, che d.' una costumanza presso i Romani , cioè di ser- 8 42 SAGGIO DI GEMME ANTICHE ECC. virsi di tali divise ad uso sigillatorio. Imperoccliè quanto sovra si espose fuor di dubbio palesa, che quest' aacllo fregiò il dito , e fu sigillo d un Patrizio della gente Veturia. Questa famiglia fu distinta in tre rami , cioè dei Cicurini, Filoni, e Calviui , patrizj i due primi, il terzo plebeo ; ed essendo cosa notissima , che 1' anelio d' oro era vietato ai Quiriti plebei, ho detto con fon- damento che r anello qui sopra descritto apparteneva ad un patrizio di tal famiglia. pi^r/rTy' ca" ^^ ^'^^ Tipo era conosciuto finora in una sem- . p»s- 4"- piice pasta della collezione Stoscbiana , laddove qui si presenta non solo in una genialissima gemma , ma di più questa nel suo antico primiero anello d' oro fu a dì nostri serbata. Quanto all' epoca della succennata confederazione , diiei dell' impresa , Becero crede che sia relativa ai primi tempi di Roma, e ad un trattato seguito fra Numisn""Rom.Komolo , 6 Tazio Re dei Sabini, Il Morelli, ed il Vail- ''^^' ^^"' LANT pare che s'attengano a tempi, e trattati pubblici piuiarc. inViiajj^gQQ limoti. Fatto è , 6 cc lo attesta PLUTARCO , che la Famiglia de Veturj era florida sia già nel tempo di Numa, ed è noto come essa fu poi riguardevolissima in Roma tuttora , qualunque siasi quel trattato colf estero, in cui il deputato del popolo Romano , Pater patratus , fu un Veturio. Una delle surriferite monete porta ia Thes. Brand. epigrafe TUus Veturius. loco cit. *■ '^ Qualche bieve annotazione suUl Asta pura chiuderà il presente articolo , acciò non riesca di troppo diffuso. DI CARLO ANTONIO PULUNT. 45 L' Asta pura si vede sulle medaglie fatte coniare da Augusto in onor de Nipoti Lucio , e Cajo dichiarati dall' Ordine equestre Principes Ju^enlutis. Quest'Asta pura, che vai a dire senza ferro, si dava giusta la testimonianza di Servio in premio militare : apud majores juil in pramium ejits , qui primusvicissi'l in proelio. E Polibio spiega , che il Generale Romano la donava a chi avea ferito un soldato nemico. Più onore- volmente ancora ne parla Svetonio nella vita di Claudio» ed in proposito dell' Eunuco Poside di lui Liberto. La suddetta Arme, come semplicissima ed antichis- sima , si attribuì dagli antichi Artisti frequentemente agli Eroi , ed anche agli Dei , ed in tal caso si chiama «»»K<. C „//„^ Macrob. Saluta. anche òcellro. xix. Questa bel fregio della mia Dattilioteca fu trovato in Ottobre 1791 , non lungi da Roma fra ruderì in una vigna fuori di Porta maggiore. XIII. Quinzio Cincinnato In Nicolo con velo turchino d'anello antico d'argento. j[-Ja figura di questo guerriero così precisamente ef- figiato in atto di mettersi 1' armatura ad una gamba , s' incontra più e più volte sulle gemme antiche , e di comune consenso viene dagli Espositori presa per quella di Quinzio Cincinnato , il quale con memorabile 44 SAGGIO DI GEMME ANTICHE ECC. esempio, ed in tempi diflicilissimi della Repuhhlica RoQiana ridotta a mai partito dall' armi degli Equi , lasciò l'aratro, ed assunse la Dittatura. Sul Nicolo le- gato in anello d" argento antico , che qui si descrive , il detto guerriero , oltre all' elmo che ha in capo , ha pur anche lo scudo vicino ai piedi , ed accanto allo scudo vi si vedono due lancie fitte al suolo. L' autore dell' opera intitolata Monumenti inediti , accenna una statua esistente in Versailles , e rap- presentante un Giovane , che si calza i zoccoli , e chìe secondo lui mal si prende volgarmente coli per un Q. Cincinnato. Quindi questo eruditissimo Scrittore , siccome un pò troppo parziale delle al- tissime greche memorie , ricusa pur di vedere il " famoso Romano suddetto in qualunque gemma sinor pubblicata , ed ovunque vi vuol trovare un Eroe Ome- rico; vero è che il medesimo Antiquario fu posto alle strette da una di queste gemme, voglio dire quella Gemm.ant.tom. che è descritta dal Maffei , e nella quale l'incisore, IV , UT. 7. . . avendo voluto rappresentare lo stesso fatto di Cincin- nato in una composizione di due figure, perciò alla effigie del suo Eroe , che si veste il gambale nella solita positura predetta , vi appose pur anche 1' effigie della Dea Roma , come quella che lo anima ad accor- rere in soccorso de' suoi concittadini. IVIa d' una tal difficoltà c.ifacciafasi al predetto Autore, egli si è spicciato francamente con dire , che un tal intaglio , di cui il vvincWman Maffei prescDtò il i'ipo, csser dovea d'artificio moderno. lom. I nel IratU prciiiuio. D! CARLO ANTONIO PULI.TNI. 45 Ma senza più per ciò che riguarda il tema effigialo in questo Nicolo , osservo che ogni quahmque og- getto ed ai-gomento alto a somministrare l'idea di vita campestre, o pastorale, dovea essere caro ai Romani, premurosi come erano d'insinuare negli animi altrui la persuasione , che la loro cilti avesse tratto 1' origine da pastori , e coltivatori di quelle campagne , piuttosto che da uno stuolo di fuorusciti , e mal viventi rifu- giati sui sette colli; opinione questa ne' tempi antichi troppo divulgata , comunque i Romani cercassero di deviarla, e soHbcaila Quindi è, che sì frequenti in- contriamo sui monumenti romani , e specialmente sulle gemme, le rappresentanze di Bovari , e Caprari, del Pastoi" Faustolo, del Fico ruminale, ec. ec. Raccogliamo ora le induzioni , che da tutto quanto sovra derivano. i.° L'edìgie di Cincinnalo addetto alla coltura del suo podere allorché fu eletto Dittatore , può rigii irdarsi pel sovraccennato motivo sulle gemme antiche così frequentemente incisa , e replicata. 2.° La figura di questo virtuoso Romano sempre unifor- memente atteggiala sui delti monumenti , insinua , che piohahiiissim-imenle i medesimi furono copiati tulli da qualche riguardevole statun. 3." 'J'ra le varie suddette gemme, che nqjpresentano il medesimo personaggio cosi pr cisnmente alleggiato , il trovarsi che evidente- m.'nte il temi d'esse tutte quante venne (Issalo dalla gemma d I Maffei sovracilata , gemma riferita per an- tica duir or detto Espositore, uou meuo , che dal De- 46 SAGGIO DI GEMME ANTICHE ECC. Rossi, e dall' Agostini , forma una chiarissima prova di quanto io ho asserito nel discorso preliminare , cioè che anche gli argomenti più , e più volte replicati , hanno ordinariamente nelle gemme per qualche lor parte accessoria un carattere di novitj\ , ed originalità , mercè cui queste non solo suppliscono alla perdita di tanti, e tanti monumenti marmorei , ma vanno tuttora arrecando maggiori lumi, ed appagamenti anche per ciò che spetta l'illustrazione d'altre gemme già cono- sciute, è spiegate. Da tre delle poche gemme , comprese in questo breve saggio, si scorge chiaramente derivare un simile vantaggio , e lume a favore di tutte 1' altre relativa- mente conferenti , e già pubblicate , solo che si voglia rammentare ciò che si è notato all' articolo Vili , e IX in proposito ivi delle rispetrive armi , ed all' arti- colo X in riguardo alf accessorio dell'onde marine ap- poste intorno alia rupe rappresentata in tal Tipo; ac- cessorio mancante nell' altre Antiche già precedente- mente illustrate , e men rettamente definite , o con men solido fondamento , riguardo al soggetto effigiato. Finalmente a comprovare vieppiù quaato qui sovra si disse , che parecchie gemme incìse devonsi presu- mere copie di statue preesistenti, comunque di queste non resti a noi contezza veruna , è da osservarsi , che il disegno d' una medesima figurina replicata su varie gemme, talvolta appare chiaramente essere stato preso da varj punti di veduta dai yarj incisori. DI CARLO ANTONIO PULLINI. 4? XIV. Phanes , ED Arpocrate In Diaspro verde. V^On un Talismano de' Gnostici, intaglio dell'ultima epoca Egizia, o per dir meglio Egizio-greca , chiuderò questi pochi articoli estratti , e spettanti alia comunque siasi per me dettata esposizione della mia Dattilioteca. In un tempietto posto su d' una rupe il Dio del Silenzio siede sul fior di Loto ; la Persea gli orna il capo come a Figlio eh' egli è d' Osiride, e d" Iside ; d' una mano Ei porta il dito alle labbra , secondo il solito; deir altra tiene il flagello, qual Deità propizia, Oi-errunca, nei frontone del tempietto vi è un globo alato , consueto fregio de' frontoni degli edificj Egiziani, cori insfnpi, . lom 1 . lab. 1 7. e specialmente de' templi. Quando Eliano scrisse, che gli Egizj ornavano di ^^'^^ "jl]J- j^' piume le facciale de portici , e de' tempj , probabil- mente intese questa sorte d' ali annesse ad un globo. Ora il globo suddetto potea denotare il mondo , e f ali esprimere la virtù divina , che ovunque accorre , lo anima, e lo governa. In faccia al tempietto d' Arpocrate , si vede Phanes in piedi nella solita sua figura presso i Gnostici , cioè d' un Leone , con un picciolo globo sulla testa , e col 48 SAGGIO ni GEMME ANTICHE ECC. phallus cretto , quantunque questo non siasi indicato nel qui unito Tipo. Gli Egiziani anche dalla più alta antichità rappre- sentarono spesse volte i loro Dei sotto forma d' animali, così I-ide sotto aspetto di vacca, o di gatto; Osiride in figura di sparviero , d' ariete , di serpente ; Anubis in forma di cane ec. ec. Anche , secondo la mitologia Greca , per fuggir da Tifone, tutti gii Dei pi-esero forme qual d'un animale, qual d' un altro , e fuggendo in Efiopia rirennero pei' multi giorni la forma da ciascun ti' essi assimia. Phanes porta iX.Fallo eretto, perchè egli esprime la vir- ^tù del Sole generativa , e prolifica ; per la stessa ragione Diodor. sicui. portano la medesima divisa Osiride talvolta , e Mercurio, e la porta sempre Priapo , di cui in altri aiticoli di questa esposizione non compresi in questo ristrettissimo saggio. Herod. Histor. E Sebbene Erodoto pretende , che i Greci ebbero lib. i. . . ' dai Pelasgi tanto f oscena rappresentanza di Priapo , quanto i misteri al medesimo relativi ; nuUameno io sono d' avviso , che , essendo i Pelasgi ( sebbene antichissimi fra i Greci ) d' un' antichità men rimota , che quella degli Egizj , Caldei , e Fenici , per tal ragione si debba ricorrere agli or detti popoli , e non ai Pelasgi in questa , come in qualunque altra occor- renza d' indagare le sorgenti della idolatria , e rehgione pagana. In alto, e al di sopra di Phanes, che è la forza, e virtù del Sole , si vede il Sole stesso , e la Luna; ri- DI CAKLO ANTONIO PLLLINI. ^9 petizione, che sembra inutile quanto al Sole ia se stessa, ma che non parrà strana a colui , che ha cognizione dfir antico anche di tempi migliori. Così per omettere tanti altri escmpj che potrei addurre sia in gemme , Tom. v, tat. 8, che in marmi, veggasi il Museo Pio-Clenientino, dove ''''^' ' ' ritrovasi una simile replica in proposito di Bacco. Sul rovescio della Gemma vi è una lunga iscrizione greca della classe di quelle , che vengono generalmente dette Abrassee ; e perciò dessa non merita di venir qui riportata. Di tali leggende scrissero Passeri, Kircher, Chiflezìo, Guferò , ed allii , i quali tutti dopo d' averle studio- samente esaminate , convennero essere le medesime inesplicabili , potendosi solo rilevare dal complesso di esse la relazione che hanno al Sole , ai sette Spiriti r( ggifori de' sette pianeti , ai trentasei Decani del Zo- diaco, ai tre Angeli rabbinici sì spesso indicati nelle „ <^'''''i»i •'« ' *-' ^ Girnm Abrax., dette leggende coi tre segni -886, o ■7i7a7a , quali sono J^^G.-mm ' Ba^ i tre Genj preposti da Orosmades , o sia da Abraxas , p'/jj"!;,';, m^^'ì""^ per assistere ai parti delle donne, ed alla propagazione biioth^Rabbm'., de' figli d' Adamo contro i sforzi di Lilith Genio mal- Dicàm'. Bibi. vagio, e simili altre superstiziose credenze. La suddetta leggenda si è quella , che determina quest Amuleto per Abrasseo , benché il Tipo delle figure sia per nulla d' invenzione de' Gnostici. cmm am. ai ..... Caui.u- ./f /.r/zir,'. n-.i.'y,! . ri: /.v-^/./xx/z-Za.'/.v. F.g-.ll. F.g.lll. %1V 7:11:/. -4<-./.t '/t. uie . /f Z^/A-r-. r,: 7.',» . // . /W^A //. Zr/ -. /fy>a.fr.S/. F.P-. V. o I I F.cr VI e '1 F.ff.VII /;/('. -'. -/.-.// '/■'■•■■■ '/' ■/. ' -v; /■. r,: r », .71. y :>,/. //./•>'■. ////■ '.'./. ■'/. F.r Vili IVX. o l-rp.\I I I =j 7./ A,:/. t-/.t.,.i, ./f /.,//„•. y.vji.n:/'^// //./.;/. //■ /ftt/. ..f/. F.p-.XII FirXIIl l , \( 1 < / '-\ \T 7'ii'. J DI CARLO ANTONIO PllLUNl. 5l Visconti , ed osservi come la sovradescritta nostra emblematica elligie , nella figura di Leone, nt\ Fallo , e nel fregio orhiculare della testa , pienamente s' ac- cordi coir essenza , e colle proprietà , che da' Greci al Fanete loro ne' rimotissimi tempi attribuiionsi. «^ ERRATA. CORRIGE. Pag. IX. Lìn, 6. mitologi i . . mitologici X = 17. inciso, e originale inciso è originale XI = 22. Pittori; e si è . Pittori, e si è 38. = 25. unclor .... unctos \1