MEMORIE DELLA hi. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DELL'ISTITUTO DI BOLOGNA SIFIRIESSVA = TOM @TIX. de iS É STIVA À SAI AL A n, BONONIEN GNUIENTIARVATN &ICADEMI VITE: BOLOGNA TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI 1901-1902 Me LA Vee i j e Vito MGADIORA TINCLE Sclpt ii PRO ù È . = FL ul a a ario Pi Life OA IS x pù : ; i ANNO ACCADEMICO 1900=1901 MEMBRI DELLA REALE ACCADENTA DELLE SCIENZE ACCADEMICI UFFICIALI PRESIDENTE Taruffi Dott. Cesare Uffiz. &; Professore emerito di Anatomia Patolo- gica nella R. Università di Bologna; Presidente della Società Medico- Chirurgica di Bologna; Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. VICE-PRESIDENTE Pincherle Ing. Salvatore Cav. #; Professore ordinario di Algebra e Geometria analitica, e Incaricato di Geometria Superiore nella R. Uni- versità di Bologna; Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei e del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. SEGRETARIO Cocconi Dott. Girolamo Uffiz. &; Comm. &; già Membro del Consiglio Superiore e della Giunta di pubblica Istruzione, e del Consiglio Supe- riore di Sanità del Regno; Professore ordinario d’Igiene, di Materia Medica e di Zootecnia, Incaricato dell’ Insegnamento dell’ Ezoognosia e Direttore della R. Scuola Superiore di Medicina Veterinaria di Bologna; Segretario del Consiglio Accademico della R. Università di Bologna; Professore emerito della R. Università di Parma; Membro della Società Italiana d’ Igiene, della Società Geologica Italiana e della Società Medico- Chirurgica di Bologna. VICE-SEGRETARIO Serie V. — Tomo IX. I. — NV. AMMINISTRATORE GRAZIOSO Fornasini Dott. Cario Cav. #; Assistente Onorario al Museo Geologico della R. Università di Bologna; Membro della Società Geologica e della Unione Zoologica Italiana. ACCADEMICI BENEDETTINI SEZIONE PRIMA scienze Fisiche e Matematiche. Arzelà Ing. Cesare Cav. &; Professore ordinario di Calcolo differenziale ed integrale e incaricato di Analisi superiore nella R. Università di Bologna; Membro corrispondente della Società di scienze naturali ed economiche di Palermo ; Socio non residente del Circolo Matematico di Palermo. Donati Dott. Luigi Cav. &; Professore straordinario di Fisica matematica nella R. Università di Bologna, e Prof. ordinario di Fisica tecnica nella R. Scuola di Applicazione per gl’ Ingegneri. Pincherle Prof. Salvatore Vice-Presidente, predetto. Righi Dott. Augusto Cav. &; Uffiz. &; Professore ordinario di Fisica, Incaricato dell’ Insegnamento della Fisica pei Farmacisti e Veterinari e Preside della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali nella R. Università di Bologna ; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino, del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, dell’Accademia di scienze naturali ed economiche di Palermo e dell’Accademia Gioenia di Catania ; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Dottore in Filosofia honoris causa dell’ Università di Gottinga; Membro corrispondente dell’ I. Accademia delle scienze di S. Pietroburgo; Membro Onorario della Philosophical Society di Cambridge; Consigliere del Municipio di Bologna. (Accademico Benedettino per diritto di cattedra). - V — Ruffini Ing. Dott. Ferdinando Paolo Uffiz. è ; Comm. #; Professore ordi- nario di Meccanica razionale nella R. Università di Bologna; Incaricato di Statica grafica nella R. Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri in Bologna; Professore emerito della R. Università di Modena ; Socio per- manente della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere, ed arti, e della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova; Socio non residente del Circolo matematico di Palermo. Villari Dott. Emilio Comm. # ; Professore ordinario di Fisica ed Incaricato dell’ insegnamento della Spettroscopia nella R. Università di Napoli; Professore onorario della R. Università di Bologna; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Socio ordinario residente deila Società R. di Napoli, dell’Accademia Pontaniana di Napoli e del R. Istituto d’ incoraggiamento di Napoli; Socio corrispondente del R. Istituto Lom- bardo di scienze e lettere e della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio Onorario della R. Accademia dei Georgofili di Firenze; Socio cor- rispondente dell’Accademia Gioenia delle scienze naturali di Catania, e della R. Accademia dei fisio-critici di Siena; Socio dell’Accademia To- scana di Scienze e Manifatture; Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze ; Uno dei XII Soci Onorari stranieri della Physical Society di Londra; Socio Onorario delia Royal Institution of Great Britain. SEZIONE SECONDA Scienze Nfalua ra lit Bombicci Porta Dott. Luigi Cav. &; Comm. &; Professore ordinario di Mineralogia e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Bologna; Incaricato di Mineralogia e Geologia applicate nella R. Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, e dell’Accademia Pontaniana di Na- poli; dell’Accademia dei Fisiocritici di Siena; dell’Accademia Gioenia di scienze naturali di Catania; della R. Accademia Valdarnense del Poggio in Montevarchi; dell’Accademia dei Zelanti di Acireale; della R. Accademia dei Georgofili di Firenze; della R. Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti; dell’Accademia Petrarca di Arezzo; della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova; dell’Accademia Rubicaria de’ Filopatridi; dell’Accademia Properziana di Subasio ; Mem- bro dell’Ateneo Veneto, della Società dei Naturalisti di Modena, della Za e Società Meteorologica Italiana, della Società Geologica Italiana, della Società Dante Alighieri; Socio corrispondente dell’Accademia Curlandese di Mitau, dell’Accademia /sis (scienze naturali) di Dresda, dell’Acca- demia di scienze naturali di Filadelfia, dell’Accademia delle scienze di Nuova-York, della Società Francese di Mineralogia. Capellini Dott. Giovanni Comm. &; Comm. #; Cav. &; Comm. con placca dell’ Ordine dell’Aquila Rossa di Prussia; Grande Uffiz. dell’ O. della corona di Romania; Comm. di 1*% classe dell'O. del Leone di Zaehringen (Baden); Gr. Uffiz. dell'O. di S. Marino; Comm. dell’ O. di Danebrog di Danimarca; Comm. dell’O. del Salvatore di Grecia ; Comm. dell'O. della Stella Polare di Svezia; Comm. dell’O. del merito scienti- fico di S. Giacomo della Spada di Portogallo; Cav. dell’ O. della Conce- zione di Portogallo; Cav. dell’ O. della Rosa del Brasile; Cav. della Legion d’ onore di Francia; Uffiziale dell’ O. ottomano del Medijdié ; Decorato delle Palme dell’ Istruzione pubblica di Francia; Medaglia d’oro dei Benemerenti di Romania; Dottore in Leggi honoris causa della Univer- sità di Edimburgo ; Senatore del Regno; Professore ordinario di Geologia e membro del Consiglio Accademico della R. Università di Bologna; Dottore aggregato della classe di scienze fisiche nella R. Università di Genova; Presidente del R. Comitato Geologico Italiano e Membro del Consiglio delle miniere; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, della R. Accademia delle scienze di Torino, e della Società R. di Napoli; Presidente della R. Accademia Valdarnense del Poggio in Montevarchi; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Membro ono- rario della Società Geologica del Belgio. (Accademico Benedettino per diritto di cattedra). Cavazzi Ing. Alfredo, Cav. & Professore ordinario di Chimica docima- stica nella R. Scuola d’ applicazione per gl’ Ingegneri in Bologna. Ciaccio Dott. Giuseppe Vincenzo Cav. &; Comm. &; Professore ordi- nario di Anatomia e Fisiologia comparata nella R. Università di Bolo- gna; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. Ciamician Dott. Giacomo Cav. &; Professore ordinario di Chimica gene- rale e Incaricato di chimica biologica nella R. Università di Bologna; Membro del Consiglio Sanitario Provinciale di Bologna ; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze (Accademico Benedettino per diritto di cattedra). — VI — Cocconi Prof. Girolamo, Segretario, predetto. Delpino Federico Uffiz. &; Professore ordinario di Botanica e Direttore dell’Orto Botanico della R. Università di Napoli: Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, e della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio ordinario residente della Società R. di Napoli. Fornasini Dott. Carlo, Amministratore grazioso predetto. SEZIONE TERZA Medicina e Chirurgia. Albertoni Dott. Pietro Cav. &; Cav. #; Professore ordinario di Fisiologia sperimentale nella R. Università di Bologna; Membro della Società Medico-Chirurgica di Bologna; Socio corrispondente nazionale della R. Accademia dei Lincei; Deputato al Parlamento nazionale; Consi- gliere Municipale di Bologna. Gotti Dott. Alfredo Cav. &; Professore ordinario di Clinica Medica e Chi- rurgica Veterinaria, e Incaricato dell’ Ostetricia e della Podologia nella Scuola Superiore di Medicina Veterinaria della R. Università di Bolo- gna; Membro del Consiglio Sanitario Provinciale e della Società Medico- Chirurgica di Bologna. Majocchi Dott. Domenico Uff. &; Professore ordinario di Dermopatologia e Clinica dermopatica, di Sifilopatologia e Clinica sifilopatica e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Bologna; Vice Presi- dente della Società Medico-Chirurgica di Bologna; Membro del Consi- glio Provinciale di sanità. Taruffi Prof. Cesare Presidente, predetto. Tizzoni Dott. Guido Uffiz. &; Professore ordinario di Patologia generale nella R. Università di Bologna; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Deputato al Parlamento nazionale. Valenti Dott. Giulio, Professore ordinario di Anatomia umana nella R. Università di Bologna. (Accademico Benedettino per diritto di cattedra). — Mu Vitali Dott. Dioscoride Professore ordinario di Chimica Farmaceutica, Direttore della Scuola di Farmacia, e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Bologna; Membro della Società Medico-Chirurgica di Bologna, del Consiglio Scolastico e del Consiglio Sanitario Provin- ciale di Bologna; Presidente onorario dell’Associazione generale dei Farmacisti italiani; Socio corrispondente straniero della R. Accademia di Medicina del Belgio. ACCADEMICI ONORARI SEZIONE PRIMA Scienze Fisiche e Matematiche. Benetti Ing. Jacopo Uffiz. &; Comm. &; Professore ordinario di macchine agricole, idrauliche e termiche, Incaricato dell’ insegnamento del mate- riale mobile delle strade ferrate, e Direttore della R. Scuola d’ applica- zione per gl’ Ingegneri in Bologna; Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Bologna. Colognesi Dott. Alfonso Professore di Matematica nel R. Liceo di Reggio Emilia. Cremona Ing. Luigi Grande Uffiz. &; Gran Cordone &; Consigliere e Cav. &; Senatore del Regno; già Vice-Presidente del Consiglio Supe- riore di pubblica Istruzione; Professore ordinario di Matematica supe- riore e Incaricato della Geometria analitica nella R. Università di Roma ; Direttore della Regia Scuola d’Applicazione per gl’ ingegneri in Roma; Direttore della Scuola di Magistero in scienze e Membro del Consiglio Accademico della Regia Università di Roma; Professore emerito della R. Università di Bologna ; Dottore honoris causa dell’ Università di Edim- burgo e dell’ Università di Dublino; Membro effettivo del R. Istituto Lombardo e del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; Socio ordinario non residente della Societa R. di Napoli; Socio corrispondente dell’Accademia Pontaniana e del R. Istituto d’incoraggiamento di Napoli; Socio nazionale non residente della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena e della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Pa- lermo ; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Presidente della Società Italiana delle scienze, detta dei XL; Socio non residente del Circolo Matematico di Palermo; Membro corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle scienze); Membro straniero della Società R. di Londra; Membro corrispondente della I. Accademia delle scienze di Vienna, delle R. Accademie delle scienze di Lisbona, di Berlino, di Monaco, di Amsterdam e di Copenaghen; delle Società R. di Edimburgo, di Gottinga, di Praga e di Liegi; Membro oncrario dell’ insigne Accademia Romana di Belle Arti, detta di S. Luca, della Società Filosofica di Cambridge e dell’Associazione britannica pel progresso delle scienze; Membro straniero della Società delle scienze di Harlem; ex Ministro dell’ Istruzione pubblica. D’Arcais Ing. Francesco Professore ordinario di Calcolo infinitesimale e Libero insegnante di Analisi superiore nella R. Università di Padova. Fais Ing. Antonio Cav. &; Uffiz. &; Professore ordinario di Caleolo infi- nitesimale, Incaricato del Disegno d’ornato e di Architettura elementare e Preside della Facolta di scienze Fisiche, Matematiche e Naturali nella R. Università di Cagliari; Professore titolare di Matematica nel R. Liceo Dettori di Cagliari. Fiorini Ing. Matteo Cav. &; Professore ordinario di Geodesia nella R. Universita di Bologna. Gualandi Ing. Dott. Francesco Membro della R. Accademia di Belle Arti e della R. Accademia Filarmonica di Bologna; Membro della Società Agraria e del Collegio degli Architetti. Sacchetti Ing. Gualtiero Comm. &; Senatore del Regno; Rappresentante il Consorzio Universitario nel Consiglio direttivo della R. Scuola d’Ap- plicazione per gl’ Ingegneri di Bologna; Presidente del Consiglio Pro- vinciale di Bologna ; Consigliere del Municipio di Bologna. SEZIONE SECONDA Scienze Naturali. Baldacci Dott. Antonio Comm. dell'Ordine di Danilo I. del Montenegro ; Comm. dell’ Ordine Mussulmano dell’ Osmanié ; 1° Assistente all’ Orto Men Botanico della R. Università di Bologna; Membro della Società Geogra- fica di Vienna; Libero docente con effetti legali in Botanica presso la R. Università di Bologna. Bertoloni Prof. Antonio Cav. è. Crevatina Dott. Francesco Assistente alla Cattedra ed al Museo di Ana- tomia comparata della R. Università di Bologna; libero docente con effetti legali in Anatomia e Fisiologia comparata presso la R. Università di Bologna. Emery Dott. Carlo Cav. $&; Professore ordinario di Zoologia nella R. Uni- versità di Bologna; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei. Hiorini Dott. Fausto Professore ordinario di Botanica e Direttore del- l’ Orto Botanico nella R. Università di Bologna; Socio corrispondente della R. Accademia dei Georgofili di Firenze. Silber Dott. Paolo. Vinassa de Regny Dott. Paolo, Assistente al Museo Geologico della R. Università di Bologna; libero docente con effetti legali in Geologia. SEZIONE TERZA Medicina e Chirurgia. Brazzola Dott. Floriano Professore straordinario di Patologia generale e di Anatomia patologica e Incaricato della Patologia speciale medica nella Scuola Superiore di Medicina Veterinaria della R. Università di Bologna; Direttore del Laboratorio Municipale di Batteriologia; Mem- bro della Società Medico-Chirurgica di Bologna; Libero docente in Igiene umana. Colucci Dott. Vincenzo Professore ordinario di Patologia generale e di Anatomia patologica nella Scuola Superiore di Medicina Veterinaria della R. Università di Pisa; Libero insegnante con effetti legali delle stesse materie nella R. Università di Bologna. D’Ajutolo Dott. Giovanni Libero insegnante con effetti legali di Anatomia patologica nella R. Università di Bologna; Membro della Società Me- dico-Chirurgica di Bologna. Fabbri Dott. Ercole Federico Professore ordinario di Ostetricia, di Cli- nica Ostetrica, e della Dottrina delle malattie delle donne e dei bambini, nella R. Università di Modena; Socio attuale della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena. Massarenti Dott. Carlo Cav. #; Professore straordinario di Ostetricia, di Clinica Ostetrica e Pediatria nella R. Università di Bologna (a riposo). Mazzotti Dott. Luigi Medico primario dell’ Ospedale Maggiore di Bologna; Segretario della Società Medico-Chirurgica di Bologna. Murri Dott. Augusto Uffiz. &; Comm. #; già membro del Consiglio Supe- riore di pubblica Istruzione; Professore ordinario di Clinica Medica nella R. Università di Bologna; Professore onorario della libera Uni- versità di Camerino; Membro del Consiglio Sanitario Provinciale di Bologna e della Società Medico-Chirurgica di Bologna; ex Deputato al Parlamento. Novi Dott. Ivo Professore straordinario di Materia Medica e di Farmaco- logia nella R. Università di Bologna. ACCADEMICI CORRISPONDENTI NAZIONALI SEZIONE PRIMA Scienze Fisiche e Matematiche. Bianchi Dott. Luigi Cav. &; Professore ordinario di Geometria analitica e Incaricato di Matematica superiore nella R. Università di Pisa; Membro del Consiglio Direttivo della R. Scuola normale di Pisa; Socio nazio- nale della R. Accademia dei Lincei; Corrispondente della R. Accade- mia delle scienze di Torino; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. Blaserna Dott. Pietro Uffiz. $; Comm. &; Cav. &; Cav. dell’Aquila rossa di Prussia di Il* classe colla stella e dell'Ordine di Francesco Serie V. — Tomo IX. JOTE — XII — Giuseppe di Austria di II* classe colla stella; Senatore del Regno; già Membro del Consiglio Superiore e della Giunta di Pubblica Istruzione ; Professore ordinario di Fisica sperimentale e Preside della Facoltà di scienze Fisiche, Matematiche e Naturali nella R. Università di Roma; Dottore honoris causa di Medicina nella R. Università di K6nigsberg; Direttore dell’ ufficio centrale per il Corista internazionale ; Vice-Presi- dente della Società geografica italiana; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, della Società R. di Napoli, e della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo ; Vice-Presidente della R. Accademia dei Lincei per la classe di scienze Fisiche, Mate- matiche e Naturali; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Membro d’ onore delle R. Accademie di S. Cecilia e di S. Luca; della Società Fisica di Ginevra, della Società Elvetica delle scienze; dell'Ateneo di Bergamo ; Socio non residente del Circolo Matematico di Palermo. Dini Ing. Ulisse Uffiz. &; Senatore del Regno; Membro del Consiglio Superiore della Istruzione pubblica; Professore di Analisi Superiore e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Pisa; Membro del Consiglio Direttivo della R. Scuola normale Superiore di Pisa; Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei. Felici Dott. Riccardo Cav. $+; Grande Uffiz. &; Cav. &; Professore eme- rito di Fisica sperimentale della R. Università di Pisa; Membro del Consiglio direttivo della R. Scuola normale superiore di Pisa; Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, del R. Isti- tuto Veneto di scienze, lettere ed arti e della R. Accademia Lucchese di scienze, lettere ed arti; Socio nazionale non residente della R. Acca- demia delle scienze di Torino j Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Socio corri- spondente della Società di scienze naturali di Palermo, e della Società fisico-medica di Wurzburg. Ferrero S. E. Ing. Annibale Comm. &; Grande Uffiz. &; Cav. del me- rito civile di Savoja; Decorato di due medaglie d’argento e una di bronzo al valor militare ; Comm. della Corona di Prussia ; Grande Uffiz. dell'Ordine di Francesco Giuseppe d’Austria e del Merito militare Spa- gnuolo ; Uffiziale della Legion d’ Onore e dell’Accademia di Francia; Tenente generale nell’ esercito Italiano; Comandante il Corpo d’Armata di Milano ; Senatore del Regno; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Socio dell’Ac- — XII — cademia Pontaniana di Napoli; Socio corrispondente del R. Istituto Ve- neto di Scienze, lettere ed arti, della R. Accademia delle scienze, lettere ed arti in Modena; Socio corrispondente dell’ I. R. Accademia Leopol- dino-Carolina nature curiosorum di Germania ; Corrispondente dell’ Isti- tuto Internazionale di Statistica, dell’ Istituto storico, etnografico e geografico del Brasile; Presidente della R. Commissione Italiana per la misura del Grado Europeo e dell’ Istituto geografico militare dello Stato; Vice Presidente dell’ Associazione geodetica internazionale e Membro della relativa Commissione permanente. Schiapparelli Ing. Prof. Giovanni Virginio Comm. &; Gran Cor- done &; Cav. &; Ufficiale dell’ Ordine della Rosa del Brasile; Comm. dell’ Ordine di S. Stanislao di Russia; Senatore del Regno, già Mem- bro del Consiglio Superiore di pubblica Istruzione; 1° Astronomo e Direttore del R. Osservatorio Astronomico di Brera; Dottore onorario della R. Università di Padova; Membro effettivo del R. Istituto Lom- bardo e del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; Socio corri- spondente della Società R. di Napoli e dell’Accademia Pontaniana; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena e della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo ; Mem- bro non residente della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Membro corrispondente della Società Reale di Londra, delle II. Accademie delle scienze di Vienna e di Berlino, di Pietroburgo, e dell’ Istituto di Francia; della R. Accademia Svedese; delle Accademie di Monaco, di Stockolma, di Upsala, e di Cracovia; della Società astronomica di Londra, e della Società I. dei Naturalisti di Mosca. Siacci Ing. Francesco Uffiz. &; Comm. &; Cav. del merito militare di Spagna; Senatore del Regno; Colonnello nell’Arma di Artiglieria (ri- serva); Professore ordinario di Meccanica razionale e incaricato della Meccanica superiore nella R. Università di Napoli; Professore Onorario di Meccanica Superiore in quella di Torino; Membro della R. Accade- mia delle scienze di Torino; Socio corrispondente del R. Istituto Lom- bardo; Socio residente dell’Accademia Pontaniana di Napoli; Presidente della R. Accademia delle scienze fisico-matematiche di Napoli; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. Tacchini Ing. Prof. Pietro Uffiz. &; Grande Uffiz. #&; Uffiziale della Le- — XIV — gion d’Onore e Uffiz. dell’Accademia di Francia; Comm. dell’Ordine greco del Salvatore; Medaglia d’oro dei premio Rumford, della R. Società di Londra, e del premio Janssen dell’Accademia delle scienze di Parigi ; Direttore del R. Osservatorio Astronomico del Collegio Romano e del- l'annesso Museo Copernicano; Direttore dell’ Ufficio centrale di Meteo- rologia e Geodinamica in Roma; Direttore della Società degli Spettro- scopisti Italiani e della Società Sismologica Italiana in Roma; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino, del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, dell’Accademia Gioenia di Catania, della Società dei natu- ralisti di Modena, dell’Accademia di Acireale, della R. Società Economica di Salerno, e della R. Accademia Lucchese di scienze, lettere ed arti; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Mo- dena, dell’Accademia Olimpica di Vicenza, della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo e dell’Accademia Modenese di Belle Arti; Socio emerito della Società di scienze naturali ed economiche di Pa- lermo; Membro del Comitato internazionale di Meteorologia e del Comi- tato internazionale per la fotografia celeste; Membro della Royal Astro- nomical Society di Londra; Socio straniero della Royal Society di Lon- dra e della Società Belga di Geologia; Soeio onorario della Società Elvetica di scienze naturali e della R. Meteorological Society di Londra; Membro onorario della è. Institution of Great Britain di Londra, della Società di scienze naturali di Mosca e della Sociedad cientifica di México; Socio corrispondente della Società Imp. di Geografia di San Pietroburgo. Tondini de’ Quarenghi Padre Prof. Cesare, Barnabita. Volterra Dott. Vito Cav. &; Professore di Meccanica teoretica nella R. Università di Torino; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Membro della R. Accademia delle scienze di Torino; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. SEZIONE SECONDA Scienze Naturali. Cannizzaro Stanislao Comm. &; Gr. Uffiz. #&; Cav. &; Vice-Presidente del Senato del Regno; già Membro del Consiglio superiore di Pubblica Istruzione; Professore di Chimica generale, Incaricato della Chimica | XV — organica, Direttore dell’ Istituto Chimico e della Scuola di Farmacia e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Roma ; Inca- ricato della Chimica docimastica nella R. Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri in Roma; Socio ordinario non residente della R. Acca- demia delle scienze di Torino e della Società R. di Napoli; Socio cor- rispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, e del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere; Socio attivo della R. Acca- demia di scienze, lettere e belle arti di Palermo; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Socio corrispondente dell’ Istituto di Francia; della R. Acca- demia delle scienze di Berlino e delle II. Accademie delle scienze di Vienna e di Pietroburgo; Socio straniero della R. Accademia Bavarese delle scienze e della Società Reale di Londra ; della Società R. di Edim- burgo e della Società letteraria e filosofica di Manchester. Cossa Nob. Dott. Alfonso Comm. &; Comm. $&; Comm. dell’ Ordine d’ Isa- bella la Cattolica di Spagna; già Membro del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione ; Professore ordinario di Chimica docimastica, e Di- rettore della R. Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri in Torino ; Pro- fessore di Chimica minerale nel R. Museo Industriale Italiano : Membro del R. Comitato Geologico Italiano ; Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti e della Società Reale di Napoli; Socio ordinario non residente dell’ Istituto di incoraggiamento alle scienze naturali di Napoli; Presi- dente della R. Accademia di Agricoltura di Torino; Socio dell’Acca- demia Gioenia di Catania; Socio onorario dell’Accademia Olimpica dl Vicenza; Vice-Presidente della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Uno dei XL della So- cietà Italiana delle scienze ; Socio effettivo della Società Imperiale Mine- ralogica di San Pietroburgo; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Berlino. Gemellaro Gaetano Giorgio Uffiz. &; Comm. #; Senatore del Regno: Professore ordinario di Mineralogia e Geologia nell’ Università di Pa- lermo e membro del Consiglio Accademico ; Incaricato di Geologia ap- plicata ai materiali da costruzione nella Scuola di applicazione per gl’ Ingegneri in Palermo; Membro del R. Comitato Geologico Italiano ; Vice-Presidente della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Socio nazio- nale della R. Accademia dei Lincei; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, della Società R. di Napoli e dell’Acca- demia Pontaniana. VI Grassi Dott. Giovanni Battista Professore ordinario di Anatomia com- parata nella R. Università di Roma; Socio corrispondente della R. Ac- cademia dei Lincei. Omboni Giovanni Comm. &; Professore ordinario di Geologia, Direttore della Scuola di Farmacia e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Padova: Incaricato della Mineralogia e Geologia appli- cate ai materiali di costruzione nella R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri in Padova; Membro del R. Comitato Geologico Italiano e del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; Socio corrispondente del- l’I. R. Istituto geologico austriaco, dell’Accademia delle scienze di Pa- lermo, della Imperiale Società dei Naturalisti di Mosca, e della Società antropologica Italiana. Penzig Dott. Ottone Cav. #&; Professore ordinario di Botanica e Direttore dell'Orto Botanico nella R. Università di Genova ; Libero docente con effetti legali in Botanica presso la R. Università di Modena. Pavesi Dott. Pietro Uffiz. &; Comm. $; Comm. dell’ Ordine austriaco di Francesco Giuseppe e dell’ Ordine tunisino del Niscian-Iftikarj Pro- fessore ordinario di Zoologia nella R. Università di Pavia ; Membro effet- tivo del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere; Membro Onorario delia I. R. Accademia degli Agiati in Rovereto; Socio corrispondente dell'Ateneo di Brescia, della Società veneto-trentina di Padova, del- l’I. R. Società zoologico-botanica di Vienna, e della Società fisico-medica di Wurzburg; Onorario della Società elvetica di scienze naturali di Zurigo, della Società agricolo-forestale Ticinise; del Museo civico di Rovereto ; della Società Lombarda per la pesca e l’agricoltura; della Società Giuseppe Ragazzoni di Brescia; e del Circolo Speleologico e Idrologico di Udine; Membro della Società geografica Italiana, della Società zoo- logica di Francia e della Società Entomologica Italiana; Onorario della Società dei Naturalisti di Modena. Saccardo Dott. Pier-Andrea Cav. &; Cav. &; gia Membro del Consiglio Superiore di pubblica Istruzione; Professore ordinario di Botanica e Di- rettore dell’ Orto Botanico nella R. Università di Padova; Membro effet- tivo del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; Socio corri- spondente della R. Accademia delle scienze di Torino e della Accademia Pontaniana di Napoli; Membro delle R. Accademia di scienze, lettere ed Arti di Padova, della Società italiana di scienze naturali in Milano, della Società micologica di Francia, della Società crittogamologica — Vai italiana, dell’Ateneo Veneto, e dell’Ateneo di Treviso; Presidente della So- cietà veneto-trentina di scienze naturali in Padova; Membro della Società botanica italiana in Firenze, della Società Imperiale dei Naturalistì di Mosca, della R. Società botanica del Belgio, della Società botanica di Lione, della Società botanica di Germania in Berlino, della R. Società botanica di Ratisbona, della Società botanica di Francia, della Società Slesiana in Breslavia, della I. R. Società zoologico-botanica di Vienna, della So- cietà di scienze naturali di Brùnn, dell’Accademia di scienze naturali di Cherbourg. Striiver Dott. Giovanni Uffiz. $; Comm. &; Membro del Consiglio Supe- riore di pubblica Istruzione; Professore ordinario di Mineralogia nella R. Università di Roma; Membro del R. Comitato Geologico Italiano ; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino; Corrispondente della R. Società delle scienze di Géttingen; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze. S. A. R. Luigi di Savoja Duca degli Abbruzzi. SEZIONE TERZA Medicina e Chirurgia. Baccelli Dott. Guido Gran cordone 4; Gran Cordone #; Cav. ®; Cav. dell’ Ordine di S. Gregorio Magno; Comm. dell’ O. scient. di Federico di Prussia; Presidente del Consiglio Superiore di Sanità del Regno; Professore ordinario di Clinica Medica nella R. Università di Roma; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo; Membro onorario straniero dell’Accademia R. di Medicina del Belgio; Deputato al Parlamento ; Ex Ministro dell’ Istruzione pubblica. Bassini Dott. Edoardo Comm. &; Membro del Consiglio Superiore della Istruzione pubblica; Professore ordinario di Clinica Chirurgica nella R. Università di Padova; Membro effettivo del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. i Bottini Dott. Enrico Comm. &; Professore ordinario di Clinica Chirurgica, e Medicina operatoria nella R. Università di Pavia; Senatore del Regno. Golgi Dott. Camillo Cav. &; Comm. $#; Senatore del Regno; Membro — XVIII — del Consiglio Superiore e della Giunta di Pubblica Istruzione; Rettore e Prof. di Patologia generale e di Istologia nella R. Università di Pavia; Membro effettivo del R. Istituto Lombardo, e del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei ; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino; Uno dei XL della Societa Italiana delle scienze ; Membro della I. Accademia Cesarea Leopoldino-Carolina; Socio della R. Società delle scienze di Gottinga e della Società Fisico-medica di Wurzburg; Membro della So- cietà Anatomica della Germania; Membro dell’Accademia Medico-fisica Fiorentina, della Società Medico-chirurgica di Bologna, della R. Acca- demia dei Fisiocritici di Siena, dell’Accademia Medico-chirurgica di Pe- rugia, della Societas medicorum Svecana di Stocolma; Membro onorario dell’ American Neurological Association di New York, e della Associa- zione medica Lombarda. Mosse Dott. Angelo Cav. &; Comm. #5; già Membro del Consiglio Supe- riore dell’ Istruzione pubblica; Professore di Fisiologia nella R. Uni- versità di Torino; Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle scienze e della R. Accademia di Medicina di Torino; Uno dei XL della Societa Italiana delle scienze ; Socio onorario della R. Accademia Medica di Roma, dell’Accademia Gioenia di Cata- nia, della R. Accademia medica di Genova; Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, dell’ I. Accademia Cesarea Leopoldino-Carolina Germanica nature curiosorum, della Società R. di scienze mediche e naturali di Bruxelles, e della Società fisico-medica di Erlangen; Socio straniero della R. Accademia delle scienze di Svezia. Nicolucci Dott. Giustiniano Comm. $; Professore ordinario di Antropo- logia nella R. Università di Napoli; Ispettore onorario degli scavi e monumenti di antichità della Provincia di Caserta; Presidente della R. Accademia di scienze fisiche e matematiche della Società R. di Napoli e dell’Accademia Pontaniana; Socio corrispondente del R. Istituto Ve- neto di scienze, lettere ed arti, della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena e dell’Accademia dei Fisiocritici di Siena; Uno dei XL della Società Italiana delle scienze; Membro corrispondente delle Società antropologiche di Parigi, di Berlino, di Lione e di Bruxelles e della Società di scienze naturali e di antropologia di Mosca; Membro onorario dell’ Istituto antropologico della Gran Brettagna, della Società degli antiquari di Copenaghen, e Corrispondente dell’ Istituto archeolo- gico Germanico. — XIX — Novaro Dott. Giacomo Filippo Comm. #; già Membro del Consiglio Superiore della pubblica Istruzione; Professore ordinario di Clinica Chirurgica nella R. Università di Genova. Paladino Dott. Giovanni Comm. #; Preside della Facoltà di scienze natu- rali, e Professore ordinario di Fisiologia e Istologia generale nella R. Università di Napoli; Professore ordinario dì Zoologia, anatomia gene- rale e speciale e di Fisiologia sperimentale della R_Scuola Superiore di Medicina Veterinaria di Napoli; Socio ordinario residente della Società R. di Napoli; Socio residente dell’Accademia Pontaniana. Romiti Dott. Guglielmo Cav. &$ e Cav. &; Professore di Anatomia Umana normale e topografica e Membro del Consiglio Accademico della R. Università di Pisa. ACCADEMICI CORRISPONDENTI NAZIONALI PEL DISPOSTO DELL’ART. 13 DEL REGOLAMENTO Mattirolo Dott. Oreste Professore ordinario di Botanica nella R. Univer- sità di Torino; Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei, e della R. Accademia delle scienze di Torino. Angeli Dott. Angelo Professore straordinario di Chimica Farmaceutica nella R. Università di Palermo. ACCADEMICI CORRISPONDENTI ESTERI SEZIONE PRIMA Scienze Fisiche e Matematiche. Boltzmann Dott. Lodovico Prof. di Fisica nell’ Università di Vienna; Mem- bro dell’I. R. Accademia di scienze di Vienna; Membro onorario della R. Accademia delle scienze di Berlino, e Corrispondente della R. Acca- demia Svedese delle scienze, della R. Società delle scienze di Gòttingen, del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, della R. Accademia delle scienze di Torino; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei e della Società Italiana delle scienze detta dei XL. Serie V. — Tomo IX. III. Darbouxz Gastone Professore di Matematica della Facoltà delle scienze di Parigi; Membro dell’ Istituto di Francia; Membro corrispondente della R. Accademia Danese di scienze e lettere, della R. Società delle scienze di GOttingen, della Società Reale delle scienze di Liegi, della R. Acca- demia delle scienze di Torino e del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei - Parigi. Fizeau Prof. Armando Ippolito Membro corrispondente della R. Acca- demia delle scienze di Berlino; Membro straniero della Società R. di Londra; Corrispondente della R. Accademia Svedese delle scienze ; So- ciò straniero della R. Accademia dei Lincei; Socio straniero della Società Italiana delle scienze, detta dei XL - Parigi. Janssen Pietro Giulio Cesare Membro dell’ Istituto di Francia; Diret- tore dell’ Osservatorio di Astronomia fisica a Mewdon (Seine et Oise); Membro straniero della Società R. di Londra; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei. Klein Felice Professore di matematica nell’ Università di Gottinga; Mem- bro della R. Società delle scienze di Gottinga; Membro straniero della Società R. di Londra; Dottore honoris causa della Facoltà di scienze Fisico-Matematiche e naturali della R. Università di Bologna; Membro corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere ; Socio della R. Accademia dei Lincei; Socio straniero della Società delle scienze, detta dei XL, e corrispondente estero della R. Accademia delle scienze di Torino. Lipschitz Prof. Rodolfo Membro corrispondente della R. Accademia di scienze di Berlino; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei - Bonn. Lodge Oliver Giuseppe Professore di Fisica sperimentale nell’ Università College di Liverpool. Mascart Prof. Eleuterio Professore nel Collegio di Francia; Membro del- l’ Istituto; Corrispondente della Società Reale delle scienze di Liegi; Accademico corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino ; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei - Parigi. Mittag-Leffier Gustavo Professore della Università di Sfocco/ma, Membro corrispondente della Società Reale delle scienze di Liegi; Socio stra- niero della R. Accademia dei Lincei. Neumann Garlo Consigliere aulico privato ; Professore di Matematica pel- se SO l’ Università di Lipsia ; Socio ordinario della R. Società Sassone delle scienze; Membro della Società R. delle scienze di Géòttingen; Membro corrispondente del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei; Socio straniero della Società Itaiiana detta dei XL. Picard Dott. Emilio, Professore di Analisi superiore alla Sorbonne ; Prof. di Meccanica generale nella Scuola centrale delle Arti e Manifatture di Parigi ; Membro dell’ Istituto di Francia; Membro corrispondente delle R. Accademie delle scienze di Berlino, di Pietroburgo e di Torino ; Socio corrispondente del Circolo Matematico di Palermo, e della Società Reale delle scienze di Gottinga; Membro e già Presidente della Società Mate- matica di Francia - Parigi. Poincarè Dott. Giulio Enrico Membro dell’ Istituto di Francia; Profes- sore di Meccanica celeste nella Università di Parigi; Membro e già Presidente della Società Matematica di Francia; Corrispondente della R. Società delle Scienze di Géòttingen; Membro dell’Associazione francese per le scienze ; Presidente della Commissione permanente internazionale pel Reportorio bibliografico delle scienze matematiche ; Ingegnere delle Mine; Membro del Bureau des Longitudes; socio straniero della R. Accademia dei Lincei e della R. Accademia delle scienze di Torino ; Socio non residente del Circolo Matematico di Palermo. Reye Prof. Teodoro Rettore dell’ Università di Strassburg ; Corrispondente della R. Società delle scienze di Gòottingen. Schwarz Dott. Ermanno A. Professore dell’ Università di Berlino; Cor- rispondente estero della R. Accademia delle scienze di Torino - Gru- newald presso Berlino. Thomson (Lord Kelwin) Sir Guglielmo Professore di Filosofia naturale nel- l’ Università di Glasgow; Comm. della Legion d’ Onore di Francia ; Cav. dell’ O. di Prussia pour le mérite; Dottore honoris causa della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Bologna ; Membro della Società R. di Londra; Membro onorario dell’ I. Accade- mia delle scienze di Vienna; Corrispondente della R. Accademia Sve- dese delle scienze, della R. Accademia delle scienze di Amsterdam, della R. Accademia delle scienze di Berlino, della R. Accademia Danese di scienze e lettere, e della R. Società delle scienze di Géòttingen; Socio straniero dell’ Istituto di Francia, della R. Accademia Bavarese, della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle scienze di Torino, della Società Italiana di scienze dei XL, del R. Istituto Lombardo di — XXIII — scienze e lettere. del R. Istituto Veneto di scienze lettere ed arti e della Società R. di Napoli. Van’t Hoff 3. H. Prof. di Chimica generale nell’ Università di Berlino. Voigi Prof. Woldemar Socio straniero della R. Accademia dei Lincei. Wiedemann Eilhard Professore di Fisica sperimentale nell’ Università di Erlangen (Baviera). Yuie Colonnello &nrico Membro della Società Geografica italiana - Londra. SEZIONE SECONDA Scienze Naturali. Agassiz Prof. Alessandro Direttore del Museo di Zoologia Comparata all’ Harvard College di Cambridge, Mass.; Socio straniero della R. Ac- cademia dei Lincei; Membro straniero deila R. Società di Londra ; Dot- tore honoris causa della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e na- turali della R. Università di Bologna; Membro corrispondente della I. Accademia delle scienze di Vienna; della Società Reale delle scienze di Liegi; Socio corrispondente straniero della R. Accademia dei Lincei. Be:thelot Prof. Marcellino Segretario dell’ Istituto di Francia; Membro straniero della R. Società di Londra; Socio corrispondente della R. Ac- cademia delle Scienze di Torino Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei e del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; Dottore honoris causa della Facoltà di scienze Fisiche, Matematiche e Naturali della R. Università di Bologna - Partgt. Bonasarts S. A. Principe Rolando - Parigi. Evans Sir Joha K. C. B. Membro della Società Reale di Londra - Nash Mills, Hemel Hempstead. Fischer Dott. Emilio, Consigliere privato, Professore nell’ Università di Berlino. Gaudry Dott. Alberto Membro dell’ Istituto di Francia e della Società R. di Londra; Professore di Paleontologia al Museo di Storia naturale ; Membro corrispondente della Società Geologica de! Belgio ; Socio estero della R. Accademia dei Lincei, del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti e della Società R. di Napoli - Parigi. — XXIII — Hooker Sir Giuseppe Dalton Dottore honoris causa della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Bologna; già Presidente della Società R. di Londra; Membro corrispondente della R. Accademia delle scienze di Berlino, della R. Accademia Sve- dese delle scienze, della R. Accademia delle scienze di Amsterdam, della R. Accademia Danese di scienze e lettere, della R. Società delle scienze di Gottingen; Membro straniero della R. Accademia Bavarese delle scienze; Socio straniero della Società Italiana delle scienze detta dei XL, della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle scienze di Torino e della R. Accademia delle scienze, lettere e belle arti di Palermo ; Direttore dei Royal Kew Gardens - Londra Karpinsky Alessandro Petrovic Professore di Geologia nella I. Uni- versità di S. Piefroburgo e nel Berginstitut; Direttore del Comitato Geologico di Russia; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei. De Lapparent Prof. Alberto, Membro dell’ Istituto di Francia - Parigi. Leydig Dott. Francesco Dottore honoris causa della Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Bologna; Pro- fessore d’Anatomia comparata nella Università di W&rzdurg; Ordinario enierito dell’ Università di Bonn; Membro corrispondente della R. Acca- demia Danese di scienze e lettere. Mendeleeff Prof. Demetrio Direttore della Camera centrale dei Pesi e delle Misure dell’ Impero Russo - .S. Pietroburgo. Nordenskjòld Adolfo Enrico Sovrintendente del R. Museo di Storia Na- turale della R. Accademia Svedese delle scienze - Stocco/ma. Pauthier G. P. Guglielmo - Parigi Philippi Prof. Armando Rodolfo Direttore del Museo Nazionale del Chili; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino - Santiago del Chili. Schwendener Prof. Salvatore Dottore honoris causa della Facoltà di scienze della R. Università di Bologna - Berlino. Sclater Dott. Filippo Lutley Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino; Membro della Società R. di Londra ; Segretario della Società Zoologica di Londra. Soims-Laubach Conte Prof. Ermanno Direttore dell’Istituto Botanico della I. Università Wilhelm. di Sfrassburg. MIN Suess Dott. Eduardo Professore nella Università di Vienna. Van Beneden Edoardo Professore di Zoologia e di Embriologia nell’ Uni- versità di Liége; Membro dell’ Accademia Reale del Belgio, e della So- cietà Reale delle scienze di Liegi; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei. Zittel (von) Prof. Carlo Alfredo Cavaliere dell'Ordine del Merito della Corona Bavarese e dell’ Ordine di Michele I; Comm. dell’ I. Ordine turco del Medschidjé ; Professore di Paleontologia e di Geologia nella R. Universita Lodovico-Massimiliano ; Conservatore delle Collezioni Pa- leontologiche dello Stato ; Socio d’ onore della R. Societa di Microscopia in Londra ; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei, del R. Isti- tuto Veneto di scienze, lettere ed arti e dell’ Accademia Panormitana ; Membro onorario della Società Geologica del Belgio, dell’Accademia di scienze di Filadelfia, della Società geologica di Londra e della Società Mineralogica di S. Pietroburgo - Monaco. SEZIONE TERZA Medicina e Chirurgia. Beale Dott. Lionello Smith Professore di Medicina pratica e già di Fi- siologia e d’ Anatomia Patologica nel Kings’s College di Londra; Corri- spondente straniero dell’Accademia R. di Medicina del Belgio; Membro della Società R. di Londra. Behring Dott. Emilio Professore d’ Igiene e di Storia della Medicina nel- l’ Università di Marburg (Prussia). Bergh Prof. Rodolfo Medico primario dell’ Ospedale ; docente onorario di Embriologia ed Istologia nella R. Università di Copenaghen. Braun de Fernwald Cav. Prof. Carlo - Vienna. Gurlt Dott. E. F. Professore di Chirurgia nell’ Università di Berlino His Dott. Guglielmo Consigliere Medico privato ; Prof. di Anatomia nella Università di Lipsia; Socio ordinario della Società Sassone delle scienze. Holmes Prof. Timoteo - Londra. Kaposi Dott. Maurizio Prof. di Dermatologia e Sifilopatia, Direttore della Clinica Dermatologica di Vienna. — XXV — Koch Dott. Roberto Consigliere intimo Medico; Professore nell’ Univer- sità di Berlino; Dottore honoris causa della Facoltà di Medicina della R. Università di Bologna ; Socio straniero dell’Accademia R. di Medicina del Belgio, della R. Accademia delle scienze di Torino, del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, e della R. Accademia dei Lincei. Kéollicker (von) Dott. Alberto Dottore honoris causa della Facoltà di Me- dicina della R. Università di Bologna; Membro onorario della I. R. Ac- cademia di Vienna; Membro corrispondente della R. Accademia delle scienze di Berlino, Socio straniero della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle scienze di Torino, del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere e del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti; Membro straniero della Societa R. di Londra e della R. Accademia Bavarese delle scienze; Corrispondente della R. Accademia Svedese delle scienze, della R. Accademia Danese di scienze e lettere, e della R. Società delle scienze di Gòttingen; Professore di Anatomia umana, comparata e topografica nella Università di Wwreburg. Kronecker Dott. Ugo Professore di Fisiologia nella Università di Berna; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei. Leyden Prof. Ernesto Professore di Patologia e di Terapia nell’ Univer- sità di Berlino. Lister Sir Giuseppe Bart. Dottore honoris causa della Facoltà di Medi- cina della R. Università di Bologna; Segretario per le corrispondenze estere della Società Reale di Londra; già Prof. di Clinica Chirurgica al King’ s College di Londra. Martin Dott. Prof. Eduardo - Berlino. Ranvier Dott. Luigi Dottore honoris causa della Facoltà di Medicina della R. Università di Bologna; Socio straniero dell’Accademia R. di medicina del Belgio; Socio corrispondente straniero della R. Accademia dei Lincei - Parigi. Retzius Dott. Magnus Gustavo Dottore honoris causa della Facoltà di Medicina della R. Università di Bologna; Professore di Anatomia nel- l’ Istituto Medico-Chirurgico Carolinico di Sfoccolma; Membro della R. Accademia Svedese delle scienze, della R. Accademia Danese di scienze e lettere; Corrispondente della Società R. delle scienze di Géttingen, e della Società R. delle scienze di Liegi. Virchow Dott. Rodolfo Professore di Patologia generale e di Anatomia — XXVI — Patologica nella Università di Berlino; Dottore honoris causa della Fa- coltà di Medicina della R. Università di Bologna; Socio ordinario della R. Accademia di Berlino; Membro straniero della Società R. di Lon- dra e della R. Accademia Bavarese delle scienze ; Corrispondente della R. Accademia Svedese delle scienze e della R. Accademia delle scienze di Amsterdam ; Membro onorario straniero dell’Accademia R. di Medi- cina del Belgio; Socio straniero della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle scienze di Torino e del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere; Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena. Waldeyer E. Guglielmo Prof. di Anatomia nella Università di Berlino; Socio corrispondente della R. Accademia delle scienze di Torino e della Società Reale delle scienze di Liegi. Weir Mitchell Prof. Samuele Dottore honoris causa della Facoltà di Me- dicina della R. Università di Bologna - Filadelfia. Accademici defunti negli anni 1900-1901. Janssens Dott. Eugenio Accademico corrispondente estero, morto a Ixel- les (Belgio) il 14 Ottobre 1900. Santagata Comm Prof. Domenico Accademico Benedettino per diritto di cattedra morto in Bologna il 7 Gennaio 1901. Fiorini Prof. Cav. Matteo Accademico Onorario morto a Bologna il 14 Gennaio 1901. Hermite Prof. Carlo Accademico corrispondente estero morto a Parigi il 14 Gennaio 1901. Bizzozero Comm. Prof. Giulio Senatore del Regno, Accademico corrispon- dente nazionale morto in Torino 1° 8 Aprile 1901. Ciaccio Comm. Prof. Giuseppe Vincenzo, Accademico Benedettino, morto in Bologna il 15 Giugno 1901. GGI EùE Bj LO ALLA CONOSGSENZA DEL Lina OTC A DEL CONFINE MONTENEGRINO-ALBANESE DI ANTONIO BALDACCI (Letto nella Sessione del 2? Maggio 1900.) Nell’estate del 1898, dopo un soggiorno di circa quattro settimane nel territorio di Antivari in attesa della stagione più propizia, io aveva deli- berato di riprendere per la via del Montenegro l’ esplorazione delle Alpi albanesi del Nord bruscamente interrotta nell’anno antecedente. Ma es- sendo riuscito vano ogni sforzo di passare la frontiera, fui costretto a cambiare completamente il mio precedente piano di viaggio, limitando quindi le mie escursioni alla regione attraversata dal confine montenegrino- albanese e interessante le due tribù dei Kuci e dei Vasojevici, l’una e l’altra ancora assai bisognose di investigazione (1). Con questo contributo io pubblico i risultati sistematici allora ottenuti, i quali si prestano in modo egregio a confronti e paralleli fito-geografici specialmente in relazione agli altri ricavati nel viaggio compiuto nel 1897 nell’ Albania settentrionale che saranno presto pubblicati. — Avendo poi ricevuto in diverse occasioni nel corso di questi due ultimi anni saggi di piante del Montenegro, gentilmente raccolti dagli amici Milo Jovovié di Antivari e Krsto P. Pejovic di Njegu$, sono lieto di pubblicare col mio materiale anche quello pervenutomi dai due volonterosi che cordial- mente ringrazio. All’amico Dott. A. von Degen di Budapest dico nuovamente con questo pubblico mezzo i miei sentimenti di riconoscenza per l’ottima collabora- zione prestatami. Cosi esprimo vive grazie al signor Arvet-Touvet, prio Be iiiprofMVB/0rbafst signor E. Burnat e prof. RK. Crepin per l’aiuto offertomi nella determinazione delle specie di Mieracium, Tri- folium, Rosa e Rubus. (1) A. Baldacci — Il mio settimo viaggio nel Montenegro. Roma, Bollettino delia Società Geo- grafica italiana, X, 1893. — Idem — A. 1898. Iter albanicum (montenegrinum) sextum. Serie V. — Tomo IX. 1 se NOA. Questo mio settimo viaggio nel Montenegro venne compiuto coi mezzi liberalmente largitimi dalla Società Geografica italiana, dal Ministero della Pubblica Istruzione e dal Comune di Bologna. 1. Clematis Viticella L. Sp. pl. I, pag. 543 (1753). In silvis maritimis infra Stoj et Dulcigno distr. Primorije! Num. collect. 51. 2. Thalictrum aquilegifolium L. Sp. pl. I, pag. 547 (1753); cfr. Fri- tsch Beitr. FI. Balkanhalb. I, pag. 11 (1894). In silvaticis ultra Lukit terr. Krajna distr. Primorije! Num. collect. 291. 3. Th. elatum Jacq. Hort. bot. vind. II, pag. 25 (1776). In silvis terr. Lukié prope Bijela Skala distr. Primorije! Num. collect. 1. 4. Th. Jacquinianum Koch Syn. fi. germ. et helv. pag. 5 (1843); cfr. Beck et Szysz. PI. per Crnag. et in Alb. adjac. lect. pag. 69 (1888). In silvis et dumetis prope Orahovo distr. Kuti! et in umbrosis fagorum ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 101 et 292. 5. Anemone apennina L. Sp. pl. I, pag. 541 (1753). In pratis silvaticis per reg. m. Rumija distr. Primorije! (legit Milo Jovovic). Volge verso lA. dlanda Schott et Kotschy in Oest. bot. Wochenbl. pag. 129, 1854, dalla quale differisce principalmente per i sepali pelosi all’ esterno. 6. A. hortensis L. Sp. pl. I, pag. 540 (1753). In silvis et pratis per reg. m. Rumija! (leg. Milo Jovovic) et prope Antibarin distr. Primorije! (legit Krsto P. Pejovic). 7. A. nemorosa L. Sp. pl. I, pag. 541 (1753). In umbrosis fagorum ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 293, 8. Adonis atrorubens L. Sp. pl. I, pag. 547 pro var. A. annuae (1753) var. Preslii Tod. FI. sic. exsicc. n. 1001 pro specie. In arvis ad Bratica prope Dulcigno distr. Primorije! Num. collect. 2. Esemplari più robusti di quelli tipici di Sicilia coi quali i miei convengono anche per il carattere dei sepali pelosetti inferiormente. 9. Ranunculus trichophylius Chaix in Vill. Hist. pl. Dauph. I, pag. 3997sinetdeseripi. (7/50) ALtorieitt BIN on pe dal pa ero ex Burnat FI. Alp. marit. I, pag. 19 (1892). — A. paucistamineus Tausch in Flora XVII, pag. 525 (1834). In submersis lacus Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 151 Il R. Drouetti F. Schultz citato in Beck et Szysz. PI. per Crnag. etc. pag. 70 è vero- similmente la mia pianta a carpelli numerosi, appressati, pelosi, carenati etc. 10. R. platanifolius L. Mant. I, pag. 79 (1767); cfr. Fritsch Beitr. F]. Balkanhalb. I, pag. 29 (1894). In rupestribus silvaticis ad Radeta Velja sub Kostica distr. Kuti! Num. collect. 152. Ein . 11. R. demissus DC. Syst. I, pag. 275 (1818) var. graecus Boiss. FI. or. I, pag. 42 (1867). — A. demissus var. hellenicus Hal. Beiir. FI. Ep. pag. 11 (1894). Ad nives deliquescentes Miotev-dò supra Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 153. — Vidi etiam in m. Maglié, Vila, Kom, Planinica distr. Kuci. Corrisponde cogli esemplari epiroti (Bald. exsicc. a. 1896 sub n. 201) e greci dai quali questi saggi montenegrini differiscono appena pei petali tendenti alla forma obcordata. 12. R. sardous Crantz Stirp. austr. pag. 84 (1763). — A. Philonotis Ehrh. Beitr. II, pag. 145 (1788). In campis ad Veliki Mikulié sub m. Rumija distr. Primorije! Num. collect, 294. Due forme. L'una, lussureggiante, ha i lobi fogliari ottusi e più larghi della seconda la quale rappresenta il tipico R. Philonotis Ehrh. 13. Caltha palustris L. Sp. pl. I, pag. 558 (1753) var. laeta Schott, Nyman et Kotschy Anal. pag. 32 pro specie (1854). — C. grosse-ser- rata Pant. Beitr. FI. Faun. Herceg. Crnag. u. Dalm. pag. 86 (1874). In aquitrinosis alpinis sub m. Vila distr. Kuti! Num. collect. 295. — Vidi etiam ad Prous sub m. Maglit, ad Carine sub m. Kom et sub m. Planinica distr. Kuti. 14. Delphinium Consolida L. Sp. pl. I, pag. 530 (1753). In cultis ad Dedici terr. Krajna distr. Primorije! et in campis ad Seoce sub m. Bal} prope Andrijevica distr. Vasojevici! Num. collect. 52 et 252. 15. Aconitum Pantocsekianum Deg. et Bald. n. sp. — A. orien- tale Pant. Beitr. FI. Faun. Herceg. Crnag. u. Dalm. pag. 87 (1874) non Mill. Gard. "Diet. N.° 10. Caule elato supra basin sparse piloso medium versus glabriusculo, subangulato; /0/?s infe- ferioribus petiolis longis pilosis suffultis, ambitu orbicularibus, palmati 5-7 partitis, partitionibus ambitu late oblongo-cuneatis, repetite ternato-laciniatis inciso-dentatisque, laciniis dentibusque lanceolatis acutis, omnibus supra glabris, margine et subtus ad nervos puberulis, racemi ter- minalis longi densique axi dense patule villosa, ramis inferioribus adscendentibus, inflorescen- tiam anguste pyramidalem sistentibus; pedunculis flore brevioribus, rectis, defloratis elongatis, apice incrassatis, arcuato-adscendentibus vel sigmoides flexuosis, omnibus patule villosis; bractezs inferioribus incisis, superioribus integris, linearibus, pedunculo brevioribus, bracteolis supra medium pedunculi suboppositis, linearibus, acutis; //0r:bus magnis, ochroleucis, casside alta, sparse pilosa, ambitu quasi parabolica, aperturae diametro plusquam sesquialtiore, superne ro- tundato-obtusa, fronte parum declivi, ciliata, antice longe producta, subrostrata, rostro ultra petala media porrecto, deflexo; sepa/lis lateralibus binis subrotundis, extus secus lineam me- dianam villosis, intus macula longe flavido barbata notatis et margine villosis, caeterum glabris, inferioribus oblongis, extus hirtis, margine ciliatis; mectarzis gracilibus, stipite tenui, casside subbrevioribus, baculiformibus, cuculli calcare semicirculari, intus sparse ciliato, apertura ampla utrinque distincte unidentata, labio oblongo, spathulato recto; /ilamentis a basi usque supra medium alatis, alis apice dentatis et longe ciliatis; 7s///s tribus glabris; carpellis erectis, turgidis, nigrescentibus, glabris, stylis dimidio brevioribus coronatis. Racemus 20-30 cm. longus, cassis basi 12-13 mm. lata, 18-20 mm. alta, sepala lateralia diam. 10 mm., nectaria 15 mm. longa. Hab. in fagetis m. Balj propre Andrijevica distr. Vasojevici ubi 24 jul. 1898 plantam floren- tem legi! Num. collect. 251. — Vidi etiam ad Varda sub »m. Kom Vasojevicki. — In silvaticis vallis Perutica dol infra montem Kom (Pantocsek). PAS Seo Ab A. orientali Mill. (Rb. Ilustr. tab. XXIX) caulis parte superiori et pedunculis patule villosis nec subadpresse crispo-hirtulis, qua nota ad var. bh.) puderul/um Ser. [Es. d’ une mon. du genre Aconztum (1823) pag. 138] accedit, ab utrisque praeter aliis notis cassidis minoris, nec 15 lineas altae (cfr. Tournef. Voy. ed. gall. II, pag. 128) forma non anguste (3 lineas Tourn. 1. c.) vel 5 mm. diam.! [(test. speciminibus a cl. Sintenis in Ponto (Cingenedagh, exsice. itin. or. a, 1889 sub n. 1355) et in Armenia turcica supra Artabir, exsicc. itin. or a. 1394 sub n, 714)], conico-elongata, sed ampla (1 cm. diam. !) circumscriptione quasi parabolica, foliis pro- fundius in lacinias primarias angustiores partitis differt. Ab A. neapolitano Ven. (Syll. pag. 76; FI. Nap. IV, pag. 327) cui florum forma propius, casside altiore, indumento etc. differt. 16. Actaea spicata L. Sp. pl. I, pag. 504 (1753). In saxosis alpinis ad Miotev-dò supra Rikavac distr. Kuèi! Num. collect. 399. 17. Cardamine glauca Sprg. in DC. Syst. II, pag. 266 (1821); cfr. Wettst. Beitr. FI. Alb. pag. 19 et 20 (1892) et Fritsch Beitr. FI. Bal- kanhalb. II, pag. 67 (1894). — C. croatica S. N. K. Anal. pag. 46 (1854). — C. serbica Pantié in Asch. et Kanitz Cat. pag. 76 (1877). — C. Kopaoni- kensis Pancic in exsice. In lapidosis mobilibus ad MuZnica Skala supra Tudjemili distr. Primorije! ad nives m. Dibala versus m. Vila! in m. Planinica et Mojan ad fines turcorum distr. Kuèi! et in silvaticis per m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovit). Num. collect. 402, 159 et 159bis. — Vidi etiam ad nives.Miotev-dò sub m. Pesinjak distr. Kuci. 18. Arabis alpina L. Sp. pl. II, pag. 664 (1753). In saxosis et lapid. mobil. ad nives m. Vila, Cafa Mala et alibi frequenter per distr. Kuti! Num. collect. 300. 19. Roripa lippizensis Wulf. in Jacq. Coll. II, pag. 161 sub Sisym- brio (1788) Rchb. Ic. fl. germ. II, pag. 15 (1837). — Nasturtium lippizense DC *Systali pag 1950 (1821): In campis Korita dictis sub m. Soko distr. Kuti! et in saxosis ad Velika prope fines turco- rum distr. Vasojevici! Num. collect. 104 et 401. 20. Barbarea bracteosa Guss. FI. sic. prodr. II, pag. 257 (1825). In pratis alpinis m. Dibala supra katuni Kosticta distr. Kuti! Num. collect. 158. Alcuni di questi saggi volgono alla B. 2n/ermedia Boreau FI. centr. Fr. II, pag. 48, sia per i pedicelli superiori nudi, quanto per le silique soltanto 4-6 volte più lunghe del pedicello. 21. Erysimum pectinatum Bor.et Ch. Expéd. Mor. pag. 189, tab. 24, fig. 1 (832): In saxosis sub m, Kom Kucki versus Mojan! Num, collect. 301. Area geografica: Peloponneso, Grecia continentale, Epiro, Albania, Montenegro. — In questi saggi i peli tipicamente trifidi nelle silique, si presentano 3-4-fidi nelle foglie. 22. Alyssum montanum L. Sp. pl. II, pag. 650 (1753). — A. trannsyl- vanicum Sechur Enum. pag. 63. In saxosis ad summum m. Dibala supra katuni Kostica! et m. Planinica et Mojan versus fines turcorum distr. Kuéi! Num. collect. 160 et 303. — Vidi etiam in m. Vila et Pesinjak distr. Kuci. (I 23. A. corymbosum Gris. Spic. fl. rum. et byth. I, pag. 271 sub Au- rinia (1843) Boiss. FI. or. I, pag. 265 (1867). — A. microcarpum Vis. FI. dalm. III, pag. 115 (1852). In saxosis sub m. Kom Kucki versus Mojan! Num. collect. 302. 24. Vesicaria graeca Reut. in Cat. hort. Genev. (1858). In rupestribus ad Medun distr. Kuti! Num. collect. 304. Forma « gigantea », intermedia fra la specie e la V. u/riculata Lam. Foglie delle rosette sterili (numerose) intere, oblungo-spatolate, acuminate, con peli stellati ; foglie cauline glabre. 25. Berteroa mutabilis Vent. Hort. Cels. pag. et tab. 85 sub A/ysso (1803) Boiss. FI. or I, pag. 290 (1867) var. obliqua Sibth. et Sm. Prodr. Meeraitipas: 12 pro specie vAlyssi (1813) Boiss. l. e. pag. 291. In aridis ad Niegus distr. Katunska! (leg. Krsto Pejovic). 26. B. incana L. Sp. pl. Il, pag. 650 sub A/ysso (1753); DC. Syst. II, pag. 291 (1821). In aridis ad Konjuxe distr. Vasojevici! Num. collect. 253. 27. Draba Aizoon Wahl. FI. carp. pag. 193 in adnot. (1814). — D. elongata Host Fl. Austr. II, pag. 237 (1831). In saxosis alpinis m. Dibala supra katuni Kostica! et in summis m. Planinica et Mojan ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 162bis et 403. — Vidi etiam in m. Vila et Pesinjak distr. Kuti. 28 D. Aizoon Wahl. FI. carp. pag. 193 in adnot. (1814) var. athoa Gis pietti rami let tbyth. Irpag-1267 (1843). In herbidis alpinis m. Kun} Kostita distr. Kuti! Num. collect. 162. — Vidi etiam in m. Hum Orahovski dist. Kuti. 29. D. turgida Huet de Pav. in sched.; cfr. Bald. Nuovo Giorn. bot. it. 1394, pag. 112 var. armata Schott, Nyman et Kotschy Anal. pag. 49 pro specie (1854). In saxosis summis m. Planinica ad fines turcorum! et in rupestr. alp. m. Kom Kucki supra Ljubanj! Num. collect. 161 et 404. Taluni saggi provenienti da luogo ombroso ed umido della prima località hanno « caudiculi numerosi, longiusculi et graciles ». 30. Cochlearia saxatilis I. Sp. pl. II, pag. 648 (1753). — Kernera saxa- tilis Rehb. FI. germ. exc. pag. 669 (1832). In calcareis alpinis m. Kom Kucki supra Ljubanj! Num, collect. 405. 31. Iberis sempervirens L. Sp. pl. II, pag. 648 (1753). In rupestr. saxosis et herb. alp. m. Dibala supra katuni Kostica! et m. Planinica et Mojan ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 163 et 163bis. — Vidi etiam in m. Vila, Strunga, ad Miotev-dò et in m. Pesinjak distr. Kuti, 32. Capparis spinosa L. Sp. pl. I, pag. 503 (1753) var. rupestris Boiss. a Ea Diba(SOZ In moenibus, cum typo, urbis Antibaris distr. Primorije! Num. collect. 296. SEI 33. Reseda lutea L. Sp. pl. I, pag. 449 (1753) var. strieta J. Mull. in DC. Prode WXWV 32" paso 70K1364)! In moenibus ad Dulcigno distr. Primorije! Num. collect. 4. 34. Helianthemum guttatum L. Sp. pl. I, pag. 526 sub Cisto (1753) Mill. Gard. Dict. ed. VIII, pag. 18 (1768). In arenosis maritimis prope Porto Milena distr. Primorjie! Num. collect. 3. 35. H. oelandicum DC. FI. fr. IV, pag. 817 (1805) var. canum L. Sp. pl. I, pag: 526 pro (specie Cisti a(1V/53) Dunn DC. Prodi. I pas. 27M specie (1824). i In saxosis summis m, Hum Orahovski et Kunj Kostica! et m. Planinica et Mojan ad fines turcorum distr. Kuci! Num. collect. 102 et 154. — Vidi etiam in m. Dibala et Vila distr. Kuti. 36. H. oelandicum DC. FI. fr. IV, pag. 817 (1805) var. thessalum Boiss. FI. or. I, pag. 444 (1867). In saxosis summis m. Hum Orahovski et Kunj Kostita distr. Kuti! Num. collect. 102bis, — Vidi etiam in m. Dibala et Vila distr. Kuti. 37. Viola silvatica Fries FI. hall. pag. 64 (1817); cfr. Bald. Riv. 1894 Alb. pag. 5 (1896) et Burnat FI. Alp. marit. I, pag. 170 (1892). In aridis m. Veliki Krs sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 298. 38. V. calcarata L. Sp. pl. II, pag. 935 (1753) var. Clementiana Boiss. Diagn. ser. II, 1, pag. 59 (1853). — V. Zoysiù Wiulf. in Jacg.'ColliMiV, pag. 298 (1790). — V. Clementiana Boiss. var. Panéiciiù Bald. in Cenni ed app. pag. 63 (1891); cfr. Pantie El. pag. 9 (1875). In lapidosis mobilibus alpinis ad Miotev-dò prope Rikavac! et m. Planinica ad fines turco- rum distr. Kuti! Num. collect. 156 et 156pis, 39. V. speciosa Pant. in Oest. bot. Zeitschr. XXIII, pag. 79 (1873) et in Beitr. FI. Faun. Herceg. Crnag. u. Dalm. pag. 99 (1874). In herbidis alpinis m. Kunj Kostit et Dibala! et m. Planinica et Mojan ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 155 et 155bis. — Vidi etiam in m. Vila distr. Kuti. Sepali lanceolati. 11 n. 155 ha i sepali più larghi e notevolmente seghettati. 40. V. tricolor L. Sp. pl. II, pag. 935 (1753). In saxosis Medjuretka planina prope fines turcorum distr. Primorije ! et in cultis sub m. Soko distr. Kuèi! Num. collect. 53 et 103. Intermedia fra la specie e.la V. oetolica Boiss. et Heldr. Diagn. ser. II, 6, pag. 24. 41. Polygala major Jacq. FI. austr. V, pag. 6 (1778). In herbidis summis m, Planinica et Mojan ad fines turcorum distr. Kuèi! in graminosis ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! et m. Bal} supra Andrijevica distr. Vasojevici ! Num. collet. 157, 157bis et 157ter, Commista si trova la forma « azurea » Pant. Beitr. pag. 110. Questi esemplari, alti 30 cm., por- tano un ricco e lungo racemo di fiori grandi, rosei o azzurri ; il pedicello è lungo quanto la cassula. 42. P. vulgaris L. Sp. pl. II, pag. 702 (1753). In saxosis m. Vrh-suta! Bijela Skala, Medjuretka planina distr. Primorije et in herbidis alp. m. Planinica ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 400 et 299bis, SE) 43. P. alpestris Rchb. Ie. crit. fig. 45 (1823). In herbidis summis m. Vila! et in m. Planirica ad fines turcorum distr. Kuci. Num. collect. 299. 44. Herniaria glabra L. Sp. pl. I, pag. 218 (1753). In campis Korita dictis sub m. Hum Orahovski dist. Kuci! Num. collect. 165. Saggi con cauli, foglie e sepali più o meno setolosi: essi rappresentano una forma inter- media fra la specie e lA. Adrsuta L. 45. Scleranthus annuus L. Sp. pl. I, pag. 406 (1753). — .S. collinus Hornung in Rchb. FI. germ. exc. pag. 565 (1832). — S. Durandoi Rchb. in Oest. bot. Zeitschr. XXIV, pag. 55 (1874). In pratis Korita dictis sub m. Hum Orahovskiì distr. Kuti! Num. collect. 306. — Vidi etiam per m. Kun] Kostica, Dibala, Vila, Planinica distr. Kuci. 46. S. annuus L. Sp. pl. I, pag. 406 (1753) var. verticillatus Tausch in Flora Ergàinzbl. bot. Zeit. pag. 50 pro specie (1829). In cultis ad Dedici sub Muznica Skala terr. Krajna distr. Primorije! Num. collect. 54. 47. S. neglectus Rochel in Baum. Enum. III, pag. 345 (1816). — S. marginatus Guss. Prodr. fi. sic. pag. 486 (1827); cfr. Panéic El. pag. 31 (1875). In herbidis saxosis alpinis m. Kom ad Carine et m. Planinica distr. Kuti! Num. collect. 164. 48. Tunica saxifraga L. Sp. pl. I, pag. 413 sub Diantho (1753) Sco p. Bill carn. I, pag. 300 (1772). In muris ad margines agrorum Orahovo distr. Kuti! Num. collect. 307. 49. Saponaria Vaccaria L. Sp. pl. I, pag. 409 (1753) var. grandiflora Fisch. in DC. Prodr. I, pag. 365 (1824). — S. grandiflora Jaub. et Sp. Ill. pl. or. II (1847-50). In arvis montanis Muzura planina infra Kruci et Krula distr. Primorije! Num. collect. 5. 50. Drypis spinosa L. Sp. pl. I, pag. 413 (1753). — D. spinosa subsp. Linnaeana Murb. Beitr. z. Kennt. d. FI. Sùdbosn. pag. 161 (1891). — D. Linnaeana Murb. u. Wettst. Beitr. FI. Alb. pag. 28 (1892). In lapid. mobil. alp. sub m. Kom Kucki! Num. collect. 166. 51. Dianthus strictus Sibth. et Sm. Prodr. fi. gr. I, pag. 288 (1806) var. Nicolai Beck et Szysz. PI. per Crnag. pag. 65 pro specie (1888). In herbidis alpinis m. Hum Orahovski, Kunj Kostica! Dibala supra katuni Kostica distr. Kuci! Num. collect. 169 et 169bis. — Vidi etiam in m. Pesinjak et Planinica distr. Kuti. 52. D. Caryophyllus L. Sp. pl. I, pag. 410 (1753) var. inodorus L. l.c. — D. papillosus Vis. et Panc@Rifserb-@rardecsI pag dita bVE figsi2) (862)! In saxosis ad Uafa Gvozdeca infra Orahovo et Trijepsi distr. Kuti! Num. collect. 308. 53. D. Caryophyllus L. Sp. pl. I, pag. 410 (1753) var. brevicalyx Beck FI. Sildbosn. pag. 63 (1886). — D. silvestris Wulf. in Jaeq. Coll. I, pag. 237 p. p. (1786). ; In summis m. Hum Orahovski! Kunj Kostica! Planinica ad fines turcorum! Miotev-dò supra Sage Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 168, 168bis, 168v et 168%, — Vidi etiam in m. Maglié et Pesinjak distr. Kuti et m. Balj distr. Vasojevici, 54. D. ciliatus Guss. Ind. sem. hort. Boccadif. pag. 5 (1825). In rupestribus ultra Njegus distr. Katunska! (leg. Krsto Pejovi(). Forma gracilior, autumnalis, montana ; calyx cylindricus nec ventricosus. 55. D. deltoides L. Sp. pl. I, pag. 411 (1753). In pratis ad katuni Korita sub m. Hum Orahovski distr. Kuèi! Num. collect. 105. 56. D. deltoides L. sp. pl. I, pag. 411 (1753) var. serpyllifolius Bor- bàs in Oest. bot. Zeitschr. pag. 51 (1888). In pratis ad han Verusa terr. Lijeva Rijeka distr. Vasojevici! Num. collect. 254. 57. D. cruentus Gris. Spic. fl. rum. et byth. I, pag. 186 (1843). In pratis supra Bezijovo distr. Kuti! Num. collect. 106. A typo caulibus quadrangulis, foliis radicalibus tri- (nec quinque-) nerviis, angustioribus, subulatis, capitulis minoribus, paucifloris, squamarum aristis paullo brevioribus differt. 58. D. tristis Velen. FI. bulg. pag. 80 (1891). In herbidis summis m. Dibala supra katuni Kostica! et m. Planinica (Mojan) ‘ultra fines! Num. collect. 167 et 167bis. 59. D. Carthusianorum L. Sp. pl. I, pag. 409 (1753). In dumetis terr. Sustas prope Antibarin distr. Primorije! Num. collect. 6. 60. D. calocephalus Boiss. Diagn. ser. I, 6, pag. 23 (1855). In herbidis m. Kom Vasojevicki ad Stavnà! Num. collect. 406. 61. Silene trinervia Seb. et Maur. FI. rom. prodr. pag. 152, tab. 2 (1818). In herbidis planitiei Podgorica! Num. collect. 311. 62. S. gallica L. Sp. pl. I, pag. 417 (1753). In cultis planitiei Antibaris distr. Primorije! Num. collect. 55. 63. S. Sendtnerii Boiss. FI. or. I, pag. 608 (1867). In pratis m. Kunj Kostica! et m. Vila et Dibala distr. Kuti! Num. collect. 107 et 407. — Vidi etiam in m. Vila, ad Miotev-dò, in m. Pesinjak, ad Prous sub m. Maglié, in m. Planinica, distr. Kudi. 64. S. Cucubalus Wib. Prim. FI. Werth. pag. 241 (1799) var. alpina Thomas Cat. pag. 45 pro specie (1837). In saxosis alpinis m. Kom Ku®ki! et m. Kom Vasojevicki infra Stavnà et Ljubanj! Num. m. Kom collect. 312bis et 312. 65. S. Cucubalus Wib. Prim. FI. Werth. pag. 241 (1799) var. n. mon- tenegrina Baid. | In herbidis alpinis m. Vila ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 309. Differt a typo foliis inferioribus et mediis oblongo-lanceolatis, cartilagineo-marginatis, supe- rioribus tantum tuberculatis, cyma multiflora, floribus parvis vel mediocribus. I (1) Sr 66. S. nutans L. Sp. pl. I, pag. 417 (1753). In herbidis summis m. Soko ad fines turcorum! in herbidis ad Sirokar! in herbidis sum- mis m. Vila distr. Kut1! Num. collect. 310, 3100, 310bis, Carpoforo brevissimo, quasi nullo. 67. S. sazifraga L. Sp. pl. I, pag. 421 (1753). In rupestribus alpinis m. Dibala supra katuni Kostita distr. Kuti! Num. collect. 170 bis, Forma intermedia fra la specie e la seguente per le unghie dei petali glabre, non ciliate. 68. S. fruticulosa Sieb. PI. exsice. in DC. Prodr. I, pag. 376 (1824). — S. parnassica Boiss. et Spr. Diagn. ser. I, 8, pag. 91 (1849). In rupestribus alpinis m. Vila, Strunga, Pesinjak, Kariman, Planinica distr. Kuti! Num. collect. 170. 69. Heliosperma quadrifidum L. Sp. pl. I, pag. 415 sub Cucudalo (1753) Rcehb. Ic. fi. germ. V, pag. 78 (1841) var. pusillum Rchb. l. c. In rupestribus alpinis al Cafa Mala, in m. Kariman, Pesinjak, circa lacum Rikavac distr. Kuti! Num. collect. i71. — Vidi etiam in m. Hum Orahovski, Vila, Planinica distr. Kuti. Forma « glanduliferam » Beck FI. Sùdbosn. pag. 65. 70. H. Tommasinii Vis. in Ergànzbl. bot. Zeit. I, n.° 17 sub Siene MoSENISTEr dali pag. 171, tab. XXV, fig. 2 (1852). In fissuris saxorum ad Njegus distr. Katunska! (leg. Krsto Pejovi©). 71. H. macranthum Pantic El. pag. 11 (1875). In fissuris rupium m. Dibala supra katuni Kostita! ad Miotev-dò supra Rikavac distr, Kuti! et in lapid. mobil. sub m. Kom Vasojevictki versus Ljubanj! Num. collect. 313bis, 313 et 255. 72. Lychnis coronaria L. Sp. pl. I, pag. 436 sub Agrostenmate (1753) Diestezin Lam. Ene. JI, pag. 643. (1789). In aridis ad Andrijevica distr. Vasojevici! Num. collect. 403. — Vidi etiam ad Seoce, Luge, Murino, Boziti distr. Vasojevici. 73. Sagina Linnaei Pres] Reliq. Haenk. II, pag. 14 (1835). In pratis Korita dictis sub m. Hum Orahovski distr. Kuti! Num. collect. 109. 74. Stellaria graminea L. Sp. pl. I, pag. 422 (1753). In silvaticis m. Balj supra Andrijevica distr. Vasojeviti! Num. collect. 499, 75. Cerastium trigynum Vill. Dauph. II, pag. 645 (1789). In humidis herbidis alpinis prope Miotev-dò ad Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 172. — Vidi etiam ad Carine sub m. Kom KuÈki. 76. C. semidecandrum L. Sp. pl. I, pag. 438 (1753). in campis ad Mu%nica Skala et ad Sestani terr. Krajna distr. Primorije! et in saxosis ad Radeta Velja ultra m. Hum Orahovski distr. Kuti! Num. collect. 315 et 410. 77. €. tomentosum L. Sp. pl. I, pag. 440 (1753). — C. lanigerum Clem. in Atti del Congresso di Fir. pag. 520 (1841). In saxosis ad Bijela Skala! Medjuretka planina prope fines turcorum distr. Primorije! in Serie Vi — Tomo IX. 2 BIN (A alpinis m. Hum Orahovski! m. Kunj Kostica! m. Vila ad fines turcorum! m. Kariman supra Rikavac! et m. Planinica et Mojan distr. Kuti! Num. collect. 316, 56, 108, 108bis, 318, 317, 317bis, 318m, — Vidi etiam in m. Dibala et Strunga. Gli esemplari sotto i numeri 108 e 108%is corrispondono alla forma C. Dol/liner:i Beck FI. Sudbosn. pag. 62, quelli rappresentati dal n.° 56 (tipici) alla forma C. elongatum Pant. Beitr. pag. 104; quelli sotto il n.° 317 alla forma €. dosniacum Beck l. c. 78. ©. tomentosum L. Sp. pì. I, pag. 440 (1753) var. n. pilosovisci- . dum Bald. In herbidis alpinis m. Kariman supra Rikavac! et m. Vila distr. Kuòi! Num. collect. 317 et 318bis, Differt a typo et ab aliis varietatibus regionis caulbus pilosoviscidis. Transit ad €. a/p:co- lum Fenzl. in Gris. Spic. fl. rum. et byth. I. pag. 210. 79. C. tomentosum L. Sp. pl. I, pag. 440 (1753) var. moesiacum Friv. in Flora pag. 435 pro specie (1836); Boiss. FI. or. I, pag. 727 (1867). In herbidis elatioribus m. Hum Orahovski et Kunj Kostica! et m. Dibala supra katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 173 et 173»bis. — Vidi etiam in montibus supra Rikavac, Pesi- njak, Vila, Planinica distr. Kuci. 80. €. grandifiorum W. K. PI. rar. Hung. II, pag. 183 tab. 168 (1805). In saxosis ad Skala Rikavac ultra fines distr. Kuti! Num. collect. 314. 81. €. dinaricum Beck et Szysz. PI. per Crnag. etc. pag. 62 (1888). In lapidosis mobilibus alpinis sub m. Kom Vasojevcki versus Ljubanj! Num. collect. 258. 82. Moenchia mea J. Sp. più pag; (6297sub Ceraso 1762) MB ade Cat. hort. Goett. pag. 5 (1839). In pratis per m. Rumija Sa Primorije! (leg. Milo Jovovic). 83. Arenaria retundifolia M. B. FI. taur. canc. I, pag. 343 (1808) var. n. Panciéii Deg. et Bald. In herbidis et lapid. mobil. alp. m. Kariman prope Rikavac! et in m. Planinica et Mojan ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 174 et 174bis. — Vidi etiam ad Carine sub m. Kom Kucki. A typo differt foliis non orbiculatis sed ovatis, pedicellis calyce duplo vel triplo longiori- bus, nec ei aequilongis, sepalis lanceolatis vel acutissimis, uninerviis, petalis calycem excedentibus. 84. A. serpyllifolia L. Sp. pl. I, pag. 423 (1753). In cultis ad Dedici terr. Krajna distr. Primorije! Num. collect. 57. 85. Alsine graminifolia Ard. Spec. anim. bot. alt. pag. 25 sub Are- naria (1764) Gmel. Syst. veg. I, pag. 507 (1786) var. glaberrima Vis E]. Tdalm em pa sE 731892)! In rupestr. alp. m. Vila, Strunga, Kariman, Pesinjak, ad Prous sub m. Maglié, m. Kom, Pla- ninica distr. Kuti! Num. collect. 176. 86. A. recurva All. FI. ped. II, pag. 113, tab. 89, fig. 3 sub Arenaria (1785) Wahl. FI. helv. pag. 87 (1813) var. nivalis Boiss. Fl. or. I, pag. 674 (1867). — A. falcata Gris. Spic. fl. rum. et byth. I, pag. 200 (1843). In saxosis alpinis m, Kun] Kostica distr. Kuèi! Num. collect. 411. È la pianta « ipsissima » dell’ Epiro e della Grecia. — A. hirsuta Fenzl var. « foliis se- taceis glaberrimis Pant. Beitr. pag. 102. TS, pe . A. bosniaca Beck FI. Sùdbosn. VI, pag. 79, tab. 8, fig. 1-5 (1891). A Le ad Suceska prope Andrijevica distr. VasoJjevici! Num. Le 75: (es) 88. A. verna L. Mant. pag. 72 sub Arenaria (1767) Bartl. Beitr. II, pag. 63 (18205). In i et cultis Korita dictis sub m. Soko distr. Kuò1! Num, collect. 319. 89. Mohringia muscosa L. Sp. pl. I, pag. 359 (1753). In rupestribus umbrosis m. Soko ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 320. 90. Linum flavum L. Sp. pl. I, pag. 279 (1753,. In pratis supra Bezijovo! et sub i Gvozdeca terr. Orahovo distr. Kuti! Num. col. lect, 111bis et 1ll. — Vidi etiam in m. Hum Orahovski et Kunj Kostica distr. Kuti. 91. L. capitatum Kit. in Schult. FI. Austr. I, pag. 528 in nota (1814); Roem. et Sehult. Syst. veg. VI, pag. 751 (1820). — L. serrulatum Bert. Lett. al Petr. pag. 1 (1828); FI. it. III pag. 549 (1837). In herbidis ad Sirokar et ad Carine distr. Kuéi! Num. collect. 180, 92. L. angustifolium Huds. FI. angl. ed. II, pag. 134 (1778). In arvis ad Zaljev prope Antibarin distr. Primorije! Num. collect. 7. — Vidi etiam ad Pri. stanj, Sustas et Zubci distr. Primorije. 93. L. austriacum L. Sp. pi. I, pag. 278 (1753). In herbidis summis m. Pesinjak supra Rikavac et Planinica distr. Kuti! Num. collect. 412. 94. Impatiens nolitangere L. Sp. pl. II, pag. 938 (1753). In umbrosis fagorum ad Konjuxe distr. Vasojevici! Num. collect. 179. 95. Geranium macrorhizum L. Sp. pl. II, pag. 680 (1753) var. dalma- ticum Beck in Verh. zooi. bot. Gesellsch. pag. 266 (1896). In fissuris rupium ad Trijepsi versus fines turcorum et ad katuni sub m. Hum Orahovski distr. Kuci! Num, collect. 110. 96. G. sanguineum L. Sp. pl. II, pag. 683 (1753). In silvis ad MuZnica Skala supra Tudjemili distr. Primorije! Num. collect. 58. 97. G. rivulare Vill. Prosp. pl. Dauph. pag. 40 (1779). — G. aconiti- folium L’Hérit. Geran. tab. 40 (1787-88). — G. areata PlaniciicoElpas. i S70). In herbidis alpinis m. Vila ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 177. 98. G. reflezum L. Mant. ed. II, pag. 257 (1771). In silvaticis fagorum ad Radeta Velja prope katuni Kostica distr. Kuci! Num. collect. 178. Area geografica: Italia centrale, Montenegro, Serbia. 99. G. columbinum L. Sp. pl. II, pag. 682 (1753). In vineis ad Sestani terr. Krajna distr. Primorije! Num. collect. 322 100. G. Robertianum L. Sp. pl. II, pag. 681 ai Ad Njegus distr. Katunska! (leg. Krsto Pejovié). —. 19 — i 101. G. lucidum L. Sp. pl. II, pag. 682 (1753). In saxosis ad ecclesiam Trijepsi distr. Kuti! Num. collect. 321. 102. Erodium cicutarium L. Sp. pl. II, pag. 680 sub Geranio (1753) L’Hérit in Ait. Hort. Kew. II, pag. 414 (1789). Ad margines viae Dulcigno - S. Giorgio distr. Primorije! Num. collect. 59. — In saxosis ad Dugi-dò prope Njegus distr. Katunska! (leg. Krsto Pejoviét). 103. Malva moschata L. Sp. pl. II, pag. 690 (1753). In umbrosis fagorum ad Stavnà sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 323. S ] 104. Alcea rosea L. Sp. pl. II, pag. 686 (1753). In silvaticis prope Antibarin distr. Primorije! Num. collect. 324. 105. Tilia platyphylla Scop. FI. carn. I, pag. 373 (1772). — 7. flava Wol]ny ex Rochel PI. Banat. rar. II, in textu (1828). — 7°. mutabilis Host FI. austr. I, pag. 60 (1831). Ad Konjuxe distr. Vasojevici! Num. collect. 257 106. Hypericum quadrangulum L. Sp. pl. II, pag. 785 ( var. im- 1759) maculiatum Murbeck Beitr. FI. Siildbosn. u. Herceg. pag. 152 (1891). In herbidis fagorum sub Varda m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 181. 107. H. barbatum Jacg. Austr. III, pag. 33, tab. 256 (1775). In herbidis alpinis m. Dibala ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 182. — Vidi ettam in m. Vila et Planinica distr. Kuti, 108. Ruta graveolens L. Sp. pl. I, pag. 383 (1753) var. divaricata Ten. FI. nap..I, pag. 222, tab. .36 pro specie (1811-1815): In saxosis m. Lisinj versus Poda et in elatioribus Medjuretka planina distr. Primorije ! Num. collect. 60. 109. Rhamnus infectorius L. Mant. pag. 49 (1767) var. intermedius Steud. ‘et Hoechst. inElora pag. 74 prorspecie (82m) Africa nei pag. 468 (1894). In rupestribus sub jugo Sutorman distr. Primorije! Num. collect. 325. — Vidi etiam in m. Lisinj, ad Kunja, Peturica, Dulcigno distr. Primorije. Massima lunghezza della lamina fogliare 3 cm., del picciuolo 2 cm.; massima larghezza della lamina 2 cm. Le lamine sono pubescenti lungo la nervatura principale. 110. Rh. alpinus L. Sp. I, pl. pag. 193 (1753). In rupestribus reg. fagi ad Radeta Velja prope katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 327. 111. Rh. alpinus L. Sp. pl. I, pag. 193 (1758) var. fallaz Boiss. Diagn. ser. II, 5, pag. 74 pro specie (1806). In rupestribus alpinis m. Vila versus fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 326. 112. Rh. alpinus L. Sp. pl. I, pag. 193 (1753) var. n. montenegrinus Bald. In rupestribus alpinis m. Vila versus fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 326. Differt a typo caulibus pumilis 8-10 cm. altis, foliis 2-4 cm. longis, 1-2 cm. latis, nervaturis ad nervun medium utrinque 5-8. e o 113. Rh. Frangula L. Sp. pl. I, pag. 193 (17533). In silvis territ. Murino distr. Vasojevici! Num. collect. 258. 114. Acer pseudoplatanus L. Sp. pl. II, pag. 1054 (1753). In silvis m. Balj supra Andrijevica distr. Vasojeviti! Num. collect. 259. 115. A. campestre L. Sp. pl. II, pag. 1055 (1753) var. lejocarpum Tausch. in Flora XII, pag. 547 (1829). In dumetis sub Bijela Skala distr. Primorije! Num. collect. 8. 116. A. Heldreichii Orph. in Boiss. Diagn. ser. II, 5, pag. 71 (1856). In silvis ad katuni Margariti sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 328. Differt a typo foliis variegatis, subtus glabrescentibus. 117. Lupinus hirsutus L. Sp. pl. II, pag. 721 (1753). In pratis ad Celuga planitiei antibarensis! Num. collect. 331. — In pratis per reg. m. Ru- mija distr. Primorje! (legit Milo Jovovil). La forma del m. Rumija è lassa con racemi pauciflori. 118. Genista dalmatica Bartl. et Wendl. Beiir. z. Bot. II, pag. 74 (1824-25). — Cytisus silvestris 8 pungens Vis. FI. dalm. III, pag. 268 (1852). In pratis silvarum ad Cafa GvoZdeca terr. Orahovo distr. Kuti! Num. collect. 112. 119. G. sericea Wulf. in Jacq. Coll. II, pag. 167 (1788). — G. Sakel- lariadis Boiss. et Orph. Diagn. ser. II, 6, pag. 42 (1859). In montanis Vrh-suta supra Sutorman! et in rupestribus ad MuZnica et Bijela Skala distr. Primorije! Num. collect. 9 et 413. 120. @. ovata W. K. Pi. rar. Hung. I, pag. 86 (1802). In pratis ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 329. Forma stricta, habitus G. depressae M. B. Fl. taur. cauc. III, pag. 460, sed foliis ovatis, venosis et calycis laciniis tubo brevioribus vel subaequilongis. 121. G. sagittalis L. Sp. pl. I, pag. 710 (1753). In herbidis summis m. Bal} supra Andrijevica distr. Vasojevici! Num. collect. 414, Legumì irsutissimi. 122. Cytisus ramentaceus Sieb. in Bot. Zeit. V, pag. 242 (1822). — C. Weldeni Vis. PI. dalm. nunc prim. ed. in Flora XIII, pag. 52 (1830); CIERViS dali Uh pals. 263, tab-139) (1852). In rupestribus montanis Mali Mikulit distr. Primorije! Num. collect. 10. — Vidi etiam ad Spilica voda prope Antibarin et in m. Lisinj distr. Primorije et per reg. infer. totius distr. Kuti. 123. C. Tommasinii Vis. FI. dalm. III, pag. 265 (1852). In saxosis ad Konjuxe distr. Vasojevici! Num. collect. 330. 124. Ononis spinosa L. Sp. pl. II, pag. 716 (1753). In pratis supra BeZijovo distr. Kuti! Num. collect. 113. — In pratis ad Dugi-dò prope Njegus distr. Katunska! (leg. Krsto Pejovit). RE 125. O. reclinata L. Sp. pl. II, pag. 1011 (1763). In arenosis rivi Rikavac prope Antibarin distr. Primorije! Num. collect. 415. 126. Medicago prostrata Jacq. Hort. vind. pag. 39, tab. 89 (1770). In saxosis ad Uafa GvoZdeca infra Orahovo et "rijepsi distr. Kuèi! Num. collect. 416. 127. M. marina L. Sp. pl. II, pag. 779 (1753). In arenosis maritimis ad bitoj terr. Dulcigno distr. Primorije! Num. collect. 12. 128. Melilotus officinalis Desr. in Lam. Dict. IV, pag. 63 (1797). In saxosis dirutae urbis Antibaris distr. Primorije! Num. collect. 11. 129. Trifolium patulum Tausch Syll. Soc. bot. Ratisb. II, pag. 245 (1828.) In umbrosis silvarum m. Rumija ad Mali Mikulit distr. Primorije! Num. collect. 61. 130. T. Pignantii Fauché et Chaub. in Expéd. scient. Mor. III, 2, pag. 219 (1832). In herbidis ad margines silvarum supra Bijela Skala distr. Primorije! Num. collect. 334. 131. T. flezxuosum Jacgq. Fi. austr. II pag. 45 (1775). In campis ad Seoce sub m. Balj prope Andrijevica distr. Vasojevici! Num. collect. 260. Forma depressa. Volge, pei caratteri del calice, al 7. Heldreichianum Haussk. Symb. ecc. in Mitt. thùr. bot. Ver. pag. 72 (1893). 132. T. pratense L. Sp. pl. II, pag. 768 (1753) var. collinum Gibelli e Belli River do inriflat sez. ida zepus pag 60040839): Im herbidis alpinis m. Vila distr. Kuti! Num, collect. 417. 133. T. noricum Wulf. in Roem. Arch. f. d. Bot. III, pag. 387 (1805). In rupestribus elpinis m. Dibala supra katuni Kostica distr. Kudi! Num. collect. 184. — Vidi etiam in m. Vila, Pesinjak, Planinica et Kom distr. Kuti. 134. T. lappaceum L. Sp. pl. II, pag. 768 (1753). In cultis planitiei antibarensis ad Celuga distr. Primorije! Num. collect. 64. Denti calicini qua e là 3-nervi. 155. gI. ‘arvenseND: Sp? pi. pas MM609N(759)! In herbidis infra Dulcigno et Stoj distr. Primorije! Num. collect. 335. 136. T. striatum L. Sp. pl. II, pag. 770 (1753). In cultis ad Sestani terr. Krajna distr. Primorije! Num. collect. 63. Denti calicini aristati. 137. T. scabrum L. Sp. pl. II, pag. 770 (1753). In arenosis rivi Rikavac prope Celuga distr.Primorije ! Num. collect. 332. Forma volgente al 7. dalmaticuim Vis. in Flora XII, 1829, 1, Erginzbl. pag. 21 per i ca- polini per lo più gemini, ovato-cilindrici, allungati ecc. 138. 'T. cinetum DC. Cat. hort. monsp. pag. 132 (1813); cfr. Vis. FI. dalm. JI, pag. 293 (1852) et Gibelli e Belli Riv. er. d. Trif. it. sez. « Lagopus » pag. 147 (1889). In herbidis silvaticis prope Pristanj distr. Primorije! Num. collect. 333. 139. T. tenuifolium Ten. FI. nap. IV, pag. 145, tab. 177, fig. 3 (1811); Cir iibe Mie tBeli Riv. er. ‘d'Wrif it. sez. cd Lagopus >» pag. 35 (1889). In arenosis ad Stoj distr. Primorije! Num. collect. 62. 140. T. repens L. Sp. pl. II, pag. 767 (1753) var. minus Gibelli e Belli in sched. © In herbidis sub m. Kunj Kostica distr. Kuti! Num. coliect. 183, 141. T. aureum Poll. Hist. pl. Palat. II, pag. 344 (1777). In silvis ad Cafa Gvo%deca versus Orahovo distr. Kuti! Num. collect, 418. 142. Anthyllis aurea Host FI. austr. II, pag. 319 (1831). In saxosis supra MuZnica Skala versus Krajna distr. Primorije! Num. collect. 421. 143. A. montana L. Sp. pl. II, pag. 719 (1753) var. Jacquinii Kerner Nov. pl. sp. dec. I, pag. 266 pro specie (1870); cfr. Burnat FI. Alp. marit. II, pag. 91 (1896) et Bald. Riv. 1896 Alb. pag. 44 (1899). In saxosis m. Kunj Kostita ! et in summis m. Hum Orahovski distr. Kuti! Num. collect. 185 et 419. — Vidi etiam in m. Vila, Pesinjak et Planinica distr. Kuti. Forma atropurpurea. 144. A. Vulneraria L. Sp. pl. II, pag. 719 (1753). In aridis alpinis m. Kunj Kostita! m. Vila ad fines turcorum ! et m. Pesinjak supra Rikavac distr. Kucti. Num. collect. 186 et 186pis, 145. A. Vulneraria L. Sp. pl. II, pag. 719 (1753) var. n. montenegrina Degen et Fiala in mss. olim pro specie. In summis m, Hum Orahovski distr. Kuti! Num. collect. 114. — Vidi etiam in m. Kunj Kostiéa distr. Kuti. Humilis, calyce (9-10 mm. longo) apice atropurpureo, curollis dilute carneis, vexilli lamina (4-6 mm. longa, 42/5-5 mm. lata) brevissima, vix longiore quam latiore, ungue 7-8 mm. longa, qua nota ab omnibus affinibus differt. Cfr. Beck FI. Sildbosn. VIII, pag. 65. Degen ha istituito in exsicc. et in litt. questa varietà sopra esemplari già comunicatigli dal Fiala e raccolti dal v. Fiihrer sul m. Veliki Stulac (Durmitor) nel Montenegro. Sembra una forma parallela all’ A. {ric0/or Vuk. Nov. bil. in Rad. Jugoslav. Akad. XXXIV (1876) pag. 5, n. 8 e LI (1880) pag. 54 = A. erythrosepala V uk. Pri- nesi, l. c. XLIV (1878) pag. 45 dei monti della Croazia, Dalmazia e Bosnia. Cfr. anche Burnat Fl. Alp. marit. II, pag. 91. 146. Dorycnium herbaceum Vill. Prosp. Dauph. pag. 44 (1779). — D. sabaudum Rcehb. FI. germ. exc. pag. 867 (1832). In saxosis montanis supra Bijela Skala distr. Primorije! et in herbidis ad Uafa GvozZdeca terr. Orahovo et Trijepsi distr. Kuti! Num. collect. 65 et 336. — Vidi etiam in Medjuretka pla- nina distr. Primorije; m. Hum Orahovski et Kunj Kostica distr. Kuti. slo Cauli erbacei alti 25-30 cm.; foglioline spatolate, ottuse, attenuate verso la base, lunghe 18-20 mm., larghe 3 mm.; pedicelli più corti del tubo calicino; calice sericeo con denti simil- mente più corti del tubo calicino. 147. Lotus corniculatus L. Sp. pl. II, pag. 775 (1753). Ad Njegus distr. Katunska! (leg. Krsto P. Pejovic). 148. L. corniculatus L. Sp. pl. II, pag. 775 var. eiliatus Koch Syn.. fi. germ. et helv. pag. 178 (1837). — L. Tchihatchewit Boiss. mss. In herbidis montanis supra Bijela Skala et in Medjuretka planina distr. Primorije! Num. collect. 13. 149. L. tenuis Kit. in Willd. Enc. pag. 797 (1809). In cultis planitiei antibarensis ad Celuga distr. Primorije! Num. collect. 65. 150. L. angustissimus L. Sp. pl. II, pag. 774 (1753). In cultis planitiei antibarensis ad Celuga distr. Primorije! Num. collect. 67. 151. Coronilla Emerus L. Sp. pl. II, pag. 742 (17533). In rupestribus reg. mediae ad Turtine et Veliki Mikulit supra Antibarin distr. Primorije! Num. collect, 14. 152. Hippocrepis comosa L. Sp. pl. II, pag. 744 (1753). In herbidis alpinis m. Dibala supra katuni Kostica distr. Kucti! Num. collect. 187. 153. Galega officinalis L. Sp. pl. II, pag. 714 (1753). In silvaticis per reg. inf. m. Rumija! (leg. Milo Jovovic). 154. Astragalus vesicarius L. Sp. pl. II, pag. 760 (1753). In herbidis montanis Veliki Mikulit! et supra Bijela Skala distr. Primorije! Num. collect. 68 et 422. 155. A. Fialae De g. n. sp. in herb. a. 1893. — A. Pastellianus Poll. var. bosniacus Fiala in Wissensch. Mitth. aus Bosn. Herceg. VI, pag. 7 solum nomen (1899) non Beck. E sectione « Cystodes » Bunge Astrag. pag. 133. Humilis, pluriceps, sudacaulis, adpresse canescens, basi suffruticosus, pedunculis floriferis foliis brevioribus adscendentibus: s#pw/s her- baceis majusculis, ad dimidiam partem petiolo adnatis, partibus liberis anguste lanceolato-acu- minatis, basi eximie trinerviis, margine ciliatis vel glabriusculis; /o/s 8-13-jagis /olzolis elliptico-oblongis obtusis vel elliptico-linearibus acutis, adpresse pilosis (pilis bicuspidatis); pe- dunculis foliis brevioribus, capitulis brevibus, densis; dracteis lanceolatis, majusculis, her- baceis, calycis tubi medium attingentibus ; ca/ycis campanulati, adpresse nigro et albo hirti, dentibus anguste lanceolatis, inferioribus tubo paullo brevioribus, superioribus tubi dimidiam partem superantibus; vexz// ochroleuci calyce sesquilongioris utrinque glabri, lamina oblonga, apice emarginata; alis et carina glabris, ochroleucis vel apice violaceo maculatis; /egumine (juniori) calyce longiore, oblongo-trigono, in stylum curvatum attenuato, albo ianato ; stigmate glabro. Stipulae 8-10 mm. longae, pars libera 4-5 mm. longa, calyces (incl. dentes) 6-8° 5 mm. longi, tubus 3-4 mm., vexillum ad 2 cm. longum, 6-7 mm. latum. Hab. in saxosis alpinis m. Dibala supra katuni Kostica distr. Kuti ubi 10 jul. plantam detexi ! Num. collect. 188. — Vidi etiam in m. Vila et Pesinjak distr. Kuti. — In lapidosis et graminosis su 9 — m. Treskavica planina Bosniae supra lacum « Veliko Jezero » die 27 jul. a. 1893 detexit am. div. Franciscus Fiala. Ab A. vesicario var. Pastelliano Poll. (Fl. Veron. II, [1822] pag. 500) caulibus sub- nullis pedunculis quasi e collo ortis, foliis brevioribus; calycis multo brevioris dentibus in proportione longioribus, stipularum et bractearum formae ete. eximie differt. Plantae montene- grinae calycis dentes paullo breviores, alae carinaequae florum ochroleucae. 156. Oxytropis dinarica Murbeck Beitr. z. Kennt. FI. Sùdbosn. pag. 143 pro subspecie (1891). In herbidis summis m. Planinica et Mojan ad fines turcorum! m. Hum Orahovski et Vila distr. Kuti! Num. collect. 189 et 115. 157. Onobrychis laconica Orph. PI. exsicc. a. 1850; Boiss. FI. or. II, pag. 530 (1872). In silvis olearum per terr. Antibaris ad Dabanova voda distr. Primorije! Num. collect. 69. Forma non canescente, subsericea, legumi grandetti. 158. O. sativa Lam. FI. fr. pag. 652 (1778) var. scardica Gris. Spic. fi. rum. et byth. I, pag. 65 (1843). In pratis alpinis m. Hum Orahovski et Kunj Kostica distr. Kuti! Num. collect. 116. —- Vidi etiam in m. Dibala, Vila et Strunga distr. Kuti. 159. O. Tommasinii Jord. Cat. jard. Gren. pag. 8 (1851). In arvis et pratis prope Antibarim distr. Primorije! in pratis circa Orahovo distr. Kuci! et ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 15, 117 et 837. 160. Pisum arvense L. Sp. pil. II, pag. 727 (1753). In campis supra Seoce m. Balj distr. Vasojevici! Num. collect. 338. Forma e loco sicco corollis albicantibus, parvis. Transit ad P. elatius M. B. FI. taur. cauc, II, pag. 151. 161. Vicia grandiflora Scop. FI. carn. II, pag. 65 (1772). In silvis ad Veliki Mikuliò sub m. Rumija! et supra Dedici terr. Krajna distr. Primorije ! Num. collect. 339 et 339bis. 162. V. Gerardi Vill. Dauph. I, pag. 256 (1786). In rupestribus alpinis m. Dibala supra katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 424. Racemi multiflori più brevi della foglia, pedicelli lunghi quanto il tubo del calice, stilo pu- hescente ecc. 163. V. villosa Roth Germ. II, 2, pag. 182 (1793). In pratis ad Njegus distr. Katunska ! (leg. Krsto P. Pejovié). 164. Lathyrus hirsutus L. Sp. pl. II, pag. 732 (1753). In satis per terr. Antibaris ad Celuga et Pristanj distr. Primorije! Num. collect. 70. 165. L. latifolius L. Sp. pl. II, pag. 733 (1753). In pratis per reg. m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovid) 166. L. tuberosus L. Sp. pl. II, pag. 732 (1753). In campis ad Seoce sub m. Balj prope Andrijevica distr. Vasojevici! Num. collect. 216. Serie V. — Tomo IX. 3 Aia 167. L. sphaericus Retz. Obs. III, pag. 39 (1783). In campis ad Kunja distr. Primorije! Num. collect. 423. 168. Orobus niger L. Sp. pl. II, pag. 729 (1753). In umbrosis silvarum ad Veliki Mikulié distr. Primorije! Num. collect. 71. 169. Rosa pimpinellifolia L. Syst. nat. pag. 1062 (1759). In pratis montanis ad Bijela Skala versus terr. Krajna distr. Primorije! Num. collect. 16. 170. R. alpina L. Sp. pl. I, pag. 703 (1762). In pratis ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 425. 171. R. rubrifolia Vill. Dauph. III, pag. 549 (1789). In rupestribus ad Radeta Velja prope katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 193. Forma. Folioles grandes à dents simples ou accompagnées d’ un ou deux denticules; cette variation doit ètre rapprochée de celle que Mr. Braun a décrite sous le nom de R. praerupti- cola in Beck et Szysz. PI. per Crnag. etc. pag. 90. — Crépin in litt. 172. R. tomentella Lem. Bull. philom. pag. 86, 354 (1818). In rupestribus sub Bjela Skala distr. Primorije! Num. collect. 17. 173. R. tomentosa Sm. Brit. FI. II, pag. 539 (1800). In umbrosis silvarum Veliki Mikulié distr. Primorije! et in silvis ad Velika distr. Vasojevici! Num. collect. 74 et 263. 174. R. mollis Sm. Engl. Bot. tab. 2459 (1812). In silvis ad jugum Sutorman sub Vrh-suta distr. Crmnica! et in saxosis ad Cafa Gvozdeca versus terr. Trijepsi distr. Kuti! Num. collect. 73 et 119. 175. R. Heckeliana Tratt. Mon. Ros. I, pag. 85 (1823) var. Szyszy- lowiezii Braun in Beck et Szysz. PI. per Crnag. pag. 113 (1888). In summis m. Soko ad fines turcorum distr. Kuci! Num. collect. 113. Si cette forme appartient au A. Meckeliana, elle ne constitue ni la var. Parnassiz Bur- nat et Gremli Rev. d. groupe des orientales pag. 72, ni la var. atrichoclada Borbàs in A magyar birolalon vadon rozsài pag. 499. Ses folioles sont relativement plus allongées que dans ces deux varietés. Les pedicelles sont un peu pubescentes et un peu de cette pubescence éxiste au sommet des ramuscules floriféres. A première vue, cette forme fait penser au une varieté du R. mollis Sm. Mais, je peux encore démander si ce numero 118 ne serait point une varieté du R. orientalis Dup. — Crépin in litt. 176. Spiraea Filipendula L. Sp. pl. I, pag. 490 (1753). In pratis supra BeZijovo distr. Kuti! Num. collect. 124. 177. S. Ulmaria L. Sp. pl. I, pag. 490 (1753). In humidis ad Murino versus Velika distr. Vasojevici! Num. collect. 264. Forma denudata, 178. Rubus glandulosus Bell. App. fi. pedem. pag. 24 (1792). Ad fontes et ad sepes pagi BoZici prope Andrijevica distr. Vasojevici! Num. collect. 262. 179. R. Baldaccianus Borbas n. sp. in litt. E grege « Corylifrondrium ». Species foliolo foliorum superiorum in caule florente inter- medio cuneiformi-angustato, — tomento pedunculorum atque calycis (more R. ulmi/olt) ad- cli = pressissimo denseque aculeolato insignis; R. Wazsbeckeri Borb. Geogr. atque Enum. plant. comit. Castriferrei pag. 303-304, 1887 inter formas herbarii Borbàsii copiosissimas, praecipue affinis, differt: foliolis turionum lateralibus sessilibus, terminali subcordato, fere rhombiformi, supra breviter puberulo, immixtis pilis bifurcatis paucioribus, caule florido dense aculeato, ramulis floridis plurifloris; inflorescentia tota calyceque eglanduloso, etc. Hab. ad margines agrorum Orahovo distr. Kuti! Num. collect. 120. 180. Dryas octopetala I. Sp. pl. I, pag. 501 (1753). In herbidis et saxosis summis m. Hum Orahovski distr. Kuti! Num. collect. 121. — Vidi etiam in m. Dibala, Vila, Pesinjak et Kom distr. Kuti. 181. Geum bulgaricum Pancit El. fi. bulg. pag. 26 (1883). — Ste- versio bulgarica Nym. Consp. Suppl. Il, 1, pag. 113 (1889); cfr. Boiss. Fl. or. Suppl. pag. 232 (1888). In rupestribus ‘alpinis ad Mio'ev-dò supra Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 194. 182. Potentilla Tommasiniana Schult. Arch. pag. 273 (1858). In saxosis summis m. Balj supra Andrijevica distr. Vasojevici! Num. collect. 428. Forma con foglie spesso a 5 foglioline. 183. P. Clusiana Jacq. Austr. II, pag. 10 (1774). In rupestribus alpinis m. Planinica ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 190. 184. P. Tormentilla L. Sp. pi. I, pag. 500 sub Tormentilla (1753) Sibth. Fl. oxon. pag. 162 (1794). In pratis Korita dictis sub m. Hum Orahovski distr. Kuti! Num. collect. 122. igomsPetaurea L. ‘Sp. pi I pag. 712° (1762). In herbidis summis m. Planinica et Mojan ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 191. 186. P. opaca L. Sp. pl. I, pag. 713 (1762). In herbidis alpinis m. Kun} Kostica distr. Kuti! Num. collect. 192. — Vidi etiam in m. Hum Orahovski, Dibala, Vila, Pesinjak, Strunga et ad Mioiev-dò distr. Kuti, 187. P. reptans L. Sp. pl. I, pag. 499 (1753). In silvaticis planitiei Antibaris ad Celuga distr. Primorije! Num. collect. 342. — In pratis ad Njegus distr. Katunska! (leg. Krsto P. Pejovié). 188. P. montenegrina Pant. in Oest. bot. Zeitschr. XXIII, pag. 5 (1873) et Beitr. FI. Faun. Herceg. Mont. u. Dalm. pag. 119 (1874). In silvaticis reg. fagorum ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 427. 189. Alchimilla vulgaris L. Sp. pl. I, pag. 123 (1733). In herbidis alpinis m. Vila ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 341. — Vidi etiam ad Prous sub m. Magli:, in m. Kom et Planinica distr. Kuti. 190. A. vulgaris L. Sp. pl. I, pag. 123 (1753) var. pubescens Lam. Ill. I, pag. 347 (1791). Ad nives deliquescentes m. Hum Orahovski distr. Kuti! Num. collect. 123. 191. A. alpina L. Sp. pl. I, pag. 123 (1753). In rupestribus m. Dibala supra katuni Kostita distr. Kuti! Num. collect. 340. SC) 192. Poterium Sanguisorba L. Sp. pl. II, pag. 944 (1753). In pratis saxosis prope Orahovo distr. Kuti! Num. collect. 125. 193. P. polygamum W. K. PI. rar. Hung. II, pag. 217 (1805). In pratis ad « han » Verusa terr. Lijeva Rijeka distr. Vasojevici! Num. collect. 429. 194. Sorbus Aria L. Sp. pl. I, pag. 475 sub Crataego (1953) Crantz Austr. II, pag. 46 (1763). In rupestribus m. Lisinj supra Poda distr. Primorije! Num. collect. 72. 195. Amelanchier ovalis Med. Gesch. d. Bot. pag. 79 (1793). — Me- spilus Amelanchier L. Sp. pl. I, pag. 478 (1753). — Sorbus Amelanchier Crantz Austr. II, pag. 53 (1763). — Amelanchier vulgaris Moench. Meth. pag. 682 (1794). — Pirus Amelanchier Willd. Sp. pl. II, pag. 1014 (1799). — Aronia rotundifolia Pers. Syn. pl. II, pag. 39 (1807). — A. Amelanchier Rchb. FI. germ. exec. pag. 630 (1832). — A. rotundifolia Decaisne mss. In rupestribus ad jugum Kariman supra Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 195. 196. A. ovalis Med. Gesch. d. Bot. pag. 79 (1793) var. n. grandi- folia Bald. In rupestribus ad Cafa Gvozdeca versus terr. Orahovo distr. Kuti! Num. collect. 126. ro Frutex elatus, ramis virgatis, patentibus, foliis amplis 7-9 cm. longis, 3-4 cm. latis corymbo paucifloro aequilongis vel superantibus, pedunculis 2!/,-3 cm. longis. 197. Myrtus communis L. Sp. pl. I, pag. 471 (1753). In dumetis ad Dabanova voda prope Antibarim distr. Primorije! Num. collect. 75. 198. Myriophyllum spicatum L. Sp. pl. II, pag. 992 (1753). In submersis lacus Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 343. 199. Sempervivum patens Gris. et Schenk in Wiegm. Archiv. XIII, 1, pag. 315 (1852). In rupestribus m. Veliki Krs supra Andrijevica distr. Vaso]evici! Num. collect. 430. 200. Saxzifraga Aizoon Jacq. Austr. V, pag. 18 (1778). In rupestribus Medjuretka planina versus fines turcorum distr. Primorije! Num. collect. 76. 201. S. Aizoon Jacq. Austr. V, pag. 18 (1778) var. brevifolia Engler Mon. Sax. pag. 244 (1872). In rupestribus alpinis m. Dibala supra katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 432. 202. S. glabella Bert. Virid. bon. pag. 8 (1824). In lapidosis alpinis ad nives m. Dibala supra katuni Kostica! m. Strunga et Vila! m. Pla- ninica ad fines turcorum distr. Kuci! Num. collect. 198, 19811 et 198bis, 203. S. coriophylla Gris. Spic. fl. rum. et byth. I, pag. 333 (1843). In rupestribus supra Bijela Skala distr. Primorije! et in saxosis alpinis m. Kunj Kostica distr. Kuti! Num. collect. 18 et 344. — Vidi etiam in m. Lisinj supra Poda et Medjuretka pia- nina distr. Primorije et m. Hum Orahovski, Dibala, Vila, Strunga et Planinica distr. Kuti. Il saggio al n.° 344 rappresenta senza dubbio una forma tendente alla S. Spruneri Boiss. Diagn. ser. I, 3, pag. 18, se pure non è già questa specie. Questa forma diverge principalmente PI dalle altre a me note per le foglie quasi piane, pedicelli due volte più lunghi del calice, lobi calicini triangolari, ovato-acuti, lunghi quanto il tubo. 204. S. porophylla Bert. in Desv. Journ. de bot. IV, pag. 76 (1813). — S. Friderici Augusti Bias. Viaggio nell’Istria, Dalm. e Mont. pag. 199 (1841). — S. media Gouan Ill. et observ. bot. pag. 27 (1773) var. Sibthor- piana Gris. Spic. fl. rum. et byth. I, pag. 332 (1843). — S. #hessalica Schott, Nyman et Kotschy Anal. bot. pag. 26 (1854). — S. media var. cernagorica Terrace. in Bollett. Soc. bot. it. pag. 134 (1892). — S. Gri- sebachii Degen et Dòrfler in Degen Beitr. FI. Alb. u. Maced. pag. 21, tab. 2, fig. 3 a (1897). — S. montenegrina Hal. mss. In saxosis et rupestribus m. Dibala supra katuni Kostita! ad Prous sub m. Maglic! m. Plani- nica ad fines turcorum! et m. Kom supra Liubanj distr. Kuti! Num. collect. 197, 431, 197bis et 345. 205. $. muscoides W ulf. in Jacq. Coll. II, pag. 123 (1788) var. mo- schata Wulf.inJacq. Mise. II, pag. 128, tab. 21, fig. 2 pro specie (1781) Areang. FI. it. pag. 576 (1894). In rupestribus alpinis m. Planinica! et m. Kom supra Ljubanj distr. Kuti! Num. collect. 199 et 346. 206. S. granulata L. Sp. pl. I, pag. 403 (1753). In herbidis silvarum supra Veliki Mikulié ad basim Strenj-vrh distr. Primorije! Num. col- lect, 78. 207. S. adscendens L. Sp. pl. I, pag. 405 (1753). In saxosis m. Kun} Kostica distr. Kuti! Num. collect. 196, Forma. Volge alla var. parnassica Boiss. Fl. or. II, pag. 808, ma le lacinie calicine sono quelle del tipo. 208. S. adscendens L. Sp. pl. I, pag. 405 (1753) var. Blavii Engler Ind. crit. Saxifr. in Verhand!. zool. bot. Gesellsch. in Wien, pag. 524 (1869). In alpinis m. Planinica ad fines turcorum! et ad katuni Kostita sub m. Dibala distr. Kuti ! Num. collect. 1961 et 196bis. — Vidi etiam in m. Pesinjak, Maglié, Crna planina distr. Kuti. 209. S. rotundifolia L. Sp. pl. I, pag. 401 (1753). In silvis m. Sutorman ad Basina voda distr. Crmnica! supra Bijela Skala distr. Primorije! Num. collect. 77bis et 77. — In m. Rumja distr. Primorije! (leg. Milo Jovovié). Questi saggi costituiscono una forma intermedia fra la specie e la S. /astophyl!la Schott, Nyman et Kotschy Anal. pag. 29 dalla quale tuttavia la mia pianta si allontana decisamente per i picciuoli e le lamine delle foglie radicali non « utrinque pilis copiosis praelongis densis- sime obtecti. » 210. S. rotundifolia L. Sp. pl. I, pag. 401 (1753) var. geoides Gris. Spic. fl. rum. et byth. I, pag. 335 (1843). — S. olympica Boiss. Diagn. ser. I, 3, pag. 19 (1843). In rupestribus alpinis m. Dibala supra katuni Kostita distr. Kuèi! Num. collect. 200. — Vidi etiam ad Prous sub m. Maglié distr. Kuti, 211. Ribes alpinum L. Sp. pl. I, pag. 200 (1753). In rupestribus alpinis ad Cafa Mala et ad jugum Kariman supra Rikavac distr. Kuti! Num collect. 201. sp e 212. Eryngium palmatum Vis. et Pané. PI. serb. rar. aut nov. III, pag. 23, ita 987,0) In herbidis ad Konjuxe! et m. Balj supra Andrijevica distr. Vasojevici! Num. collect. 202 et 347. 213. Astrantia major L. Sp. pl. I, pag. 235 (1753) var. elatior Friv. in Flora pag. 434 pro specie (18336). In graminosis alpinis ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 203. 214. Bupleurum Kargli Vis. FI. dalm. HI, pag. 35 (1852). In saxosis ad Skala Rikavac! et m. Soko ultra fines distr. Kuti! Num, collect. 348 et 348pis. 215. B. baldense Host Syn. pag. 141 (1797). — 5. exaltatum M. B. Beschr. Casp. pag. 106 (1800). In herbidis alpinis m. Planinica distr. Kuti! supra Konjuxe et in m. Balj distr. Vasojevici! Num. collect. 483 et 265. : 216. Trinia vulgaris DC. Prodr. IV, pag. 103 (1830). In saxosis terr. Trijepsi versus fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 127. — Vidi etiam in m. Hum Orahovski, Kun] Kostica, Dibala, Vila, Strunga per distr. Kuti. 217. Pimpinella Tragium Vill. Prosp. pl. Dauph. pag. 24 (1779) var. polyclada Boiss. et Heldr. Diagn. ser. II, 2, pag. 75 pro specie (1856) Biollisis ERIMiorRg Napa 872): In saxosis Skala Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 435. Forma a cauli e foglie brevemente pubescenti. 218. Panciéia serbica Vis. Sem. hort. pat. pag. 6 (1857). In saxosìs herbidis reg. fagi m. Kun] Kostica distr. Kuti! et sub m. Kom ad Varda distr, Vasojevici! Num. collect. 205 et 205.is, 219. Bunium divaricatum Bert. FI. it. III, pag. 222 (1837). — 5. mon- tanum Koch Syn. fi.ygerm. et helv. pag;315:(1333)}fcira\iise4F idalimebiniE pag. 33 (1852). In saxosis montanis Vrh-Suta cdistr. Crmnica! Num. collect. 19. — Vidi etiam supra Bijela Skala et in Medjuretka planina distr. Primorije. 220. B. alpinum W. K. PI. rar. Hung. II, pag. 199 (1803). In lapid. mobil. alp. m. Strunga et Vila! et in m. Kom supra Carine distr. Kuti! Num. collect. 267 et 2670is. 221. Freyera cynapioides Guss. PI. rar. pag. 127 sub Myrrhide (1826) Gris. Spic. fi. rum. et byth. I, pag. 366 (1343). — Bunium cynapioides Bert. FI. it. III, pag. 217 (1837). — Biasolettia tuberosa Koch Syn. fl. germ. et helv. pag. 318 (1837). — +. cynapioides var. Grisebachit Degen in litt. In herbidis alpinis m. Kunj Kostica! et m. Vila ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 206 et 206bis. Differt a typo caule sparse piloso. DI PE 222. F. montenegrina Bald. sp. n. Tubere ovato vel subgloboso, cawl/e tereti, 30-50 cm. alto, glaberrimo, 0/70 imo longe petiolato ad vaginam parce et minute ciliatulo ; foliis caulinis inferioribus ad vaginas glabris ambitu triangularibus, tripinnatisectis, segmentis in lacinias lineari-oblongas longiusculas, acutas, scabridulas, foliis superioribus in lacinias capillares sectis; w70e//is longe 5-8-radiatis, involu- celli phyllis ovato-oblongis acuminatis, pedicellis post anthesin subincurvis fructu duplo vel triplo longioribus. Habitat in umbrosis ad jugum Sutorman et in m. Vrh-suta versus distr. Primorije et Crmnica! Num. collect. 80. A F. cqnapioidi Guss. Pl. rar. pag. 127 sub Myrrhide, cui praecipue accedit, habitu gracili depauperato, foliorum laciniis paucis, elongatis ete. differt. Cfr. Fr. balcanica Vel. FI. bulg. Suppl. I, pag. 130 sub Bzasoletta. 223. Chaerophyllum coloratum L. Mant. alt. pag. 57 (1767). In dumetis supra Tudjemili distr. Primorije! Num. collect. 23. — In silvaticis per reg. m. Rumija! (leg. Milo Jovovic). 224. C. bulbosum L. Sp. pl. I, pag. 258 (1753). In silvaticis ad pagum ArZanica prope Velika distr. Vasojevici! Num. collect. 269. 225. ©. aureum L. Sp. pl. I, pag. 370 (1762) var. maculatum Willd. Enum. suppl. pag. 15 pro specie (1813) Boiss. FI. or. II, pag. 906 (1872). Ad margines agrorum Benka] terr. Trijepsi distr. Kuti! Num. collect. 207. 226. Anthriscus nemorosa M. B. FI. taur. cauc. II, pag. 237 (1819). In lapid. mobil. sub Strenj vrh ad Veliki Mikulit distr. Primorije! Num. collect. 24, Forma. Caule sparso in alto di pochi peli, foglie glaberrime o glabrescenti anche sulle ner- vature principali, foglioline involucrali non ciliate. 227. Bifora radians M. B. FI. taur. cauc. III, pag. 233 (1819). In arvis supra Kunja et ad Kruci distr. Primorije ! et m. Bal} supra Andrijevica distr. Va- sojevici! Num. collect. 20 et 434. 228. Conium maculatum L. Sp. pl. I, pag. 243 (1753). In silvaticis ad Dedici terr. Krajna distr. Primorije! Num. collect. 21. Caule fortemente angoloso, non macchiato, almeno in alto; segmenti fogliari più larghi che nel tipo. 229. Physospermum aquilegifolium All. FI. ped. II, pag. 34 sub Danaa (1785) Koch Umbell. pag. 134 (1824). In herbidis m. Kom ad Stavnà distr. Vasojevici! Num. collect. 268. 230. Hladnikia golacensis Koch Syn. fl. germ. et helv. pag. 230 (1837). In herbidis ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 436. 231. Prangos ferulacea L. Sp. pl. I, pag. 358 sub Laserpitio (1762) Lindl. in Brand. Journ. pag. 37 (1825). In herbidis sub jugo Vrh-Suta versus distr. Crmnica! Num. collect. 22. — Vidi etiam in summis Medjureèka planina et supra Veliki Mikulic distr. Primorije. PARO RI 232. Seseli giobiferum Vis. PI. rar. dalm. in Flora. I, pag. 50 (1830) FI. dalm. HI, pag. 41, tab. 30 (1852). In moenibus castri Antibaris distr. Primorije! (leg. P. M. Radié). 233. Portenschiagia ramosissima Portenschlag in Roem. et Schul. Syst. veg. VI, pag. 496 sub Afhamantha (1820) Vis. Fl. dalm. III, pag. 45 (1852). In rupestribus jugi Sutorman distr. Primorije! Num. collect. 79. — Vidi etiam ad Spilica voda prope Antibarim, ad Poda sub m. Lisinj distr. Primorije et supra Boljevici distr. Crmnica. 234. Athamantha Haynaldii Borb. et Uechtr. in Oest. bot. Zeit. XXVI, pag. 280 (1376) nomen solum; Termeész. fùzetek I, pag. 30-32 et 54-55 tab. 7-8 (1877). i In rupestribus m. Soko ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 128. — Vidi etiam in m. Vila, Dibala, Strunga, Hum Orahovski distr. Kuti. Forma « montenegrina » Beck et Szysz. Pl. per Crnag. pag. 82, intermedia fra la specie e la forma di A. densa Bo1ss. ed Orph. dell'Albania in Bald, Riv. 1894 Alb. pag. 21. 235. Meum athamanticum Jacq. Austr. IV, pag. 2 (1776). In herbidis alpinis m. Planinica et Mojan ad fines turcorum distr. Kuèi! Num. collect. 204. 236. Silaus peucedanoides M. B. FI. taur. cauc. I, pag. 211 sub Bunio (1808) Boiss. FI. or. II, pag. 974 (1872). In herbidis elatioribus m. Balj prope Andrijevica distr. Kuti! Num. collect. 266. 237. Malabaila aurea Sibth. et Sm. Prodr. fl. gr. I, pag. 192 sub Heracleo (1806) Boiss. FI. or. II, pag. 1053 (1872). In saxosis supra Doljana distr. Kuèi! Num. collect. 129. Frutti leggermente puberuli. 238. Laserpitium garganicum Ten. FI. nap. I, pag. XIX, 122, tab. 24 sub Ligustico (1811-15) Murbeck Beitr. Fl. Sùdbosn. u. Herceg. pag. 122 (1591). In rupestribus Skala Rikavac ultra fines distr. Kuti! et in graminosis alpinis ad Varda sub m. Kom et m. Balj distr. Vasojevici! Num. collect. 208 et 208bis. 239. Daucus setulosus Guss. Act. soc. borb. ex DC. Prodr. IV, pag. 211 (1830). In arenosis maritimis ad Stoj distr. Primorije! Num. collect. 81. 240. Adoxa Moschatellina L. Sp. pl. I, pag. 367 (1753). In umbrosis ad Radeda Mala prope katuni Kostica distr. Kuci! Num. collect. 297. 241. Viburnum Lantana L. Sp. pl. I, pag. 268 (1753): In rupestribus m. Hum Orahovski (1600 m. s. m.) distr. Kuti! Num. collect. 437. 242. Lonicera etrusca Santi Viagg. I, pag. 113 (1795). In saxosis silvarum infra Orahovo et Trijepsi distr. Kuti! Num. collect. 349. Foglie inferiormente glabre e glauche: tende alla var. Raeserzi Boiss. FI. or. III, pag. 5. 243. Rubia peregrina L. Sp. pl. I, pag. 109 (1753). Ad sepes prope Antibarim distr. Prmorije ! Num. collect. 25. 244. Sherardia arvensis L. Sp. pl. I, pag. 102 (1753). In cultis ad Sestani terr. Krajna distr. Primorije! Num. collect. 82. 245. Asperula arvensis L. Sp. pl. I, pag. 103 (1753). In campis ad Kunja distr. Primorije ! Num. collect. 350. 246. A. longiflora W. K. PI. rar. Hung. II, pag. 162 (1805). In rupestribus alpinis m. Kariman! m. Planinica ad fines turcorum distr. Kuci! et in her- bidis saxosis ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. cellect. 351, 438 et 209. 247. A. hexaphylla A]l. FI. ped. I, pag. 12, tab. 77, fig. 3 (1785). — A. Allionii Baumg. Enum. stirp. Transs. I, pag. S0 (1816). — A. capitata Kit. in Schultes Oest. FI., ed. 2°, I, pag. 312 (1814) var. pilosa Beck FI. Sudbosn. pag. 153 (1887). — A. Dorflerit Wettst. Beitr. FI. Alb. pag. 59 (1392). In saxosis summis m. Dibala et Vila! et m. Planinica et Mojan ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 210 et 2100is. 248. Galium aristatum L. Sp. pl. I, pag. 152 (1763). In rupestribus ad Rade‘a Velja prope katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 212. 249. G. lucidum All. FI. ped. I, pag. 5 (1785). — (G. corrudaefolium Vill. Dauph. II, pag. 320 (1737). In herbidis supra Bijela Skala versus Krajna distr. Primorije! in pratis ad Dutici distr. Kuci! et in herbidis alpinis ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 26, 130 et 352. 250. G@. erectum Huds. FI. angl. pag. 56 (1762). In herbidis alpinis ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 353. 251. G. anisophylium Vill. Dauph. Il, pag. 317° (1787). In herbidis alpinis m. Dibala supra katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 211. 252. G. firmum Tausch in Flora XIV, pag. 231 (1831). — G. aureum Vis. Ort. bot. Pad. pag. 134 in adnot. (1842) et FI. dalm. III, pag. 6 (1852). In ruinis castri Antibaris distr. Primorije! Num. collect. 27. 253. G. Baldaccii Hal. in Oest. bot. Zeitschr. IV (1890) et Bald. Cenni ed App. pag. 71 (1891). In rupestribus ad Spilica voda prope Antibarim distr. Primorije! Num. collect. 28. 254. G. purpureum L. Sp. pl. I, pag. 107 (1753). In saxosis ad Skala Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 489. 255. Valeriana montana L. Sp. pl. I, pag. 32 (1753). In rupestribus alpinis m. Dibala et Vila! et ad Kariman supra Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 440 et 440bis. — Vidi etiam in m. Pesinjak, ad Cafa Mala et in m. Planinica distr. Kuti. Serie V. — Tomo IX. 4 ZE O) DA 256. V. Panéicii Hal. et Bald. in Oest. bot. Zeitschr. n. 12 (1891); Bald. in Malp. VII, pag. 187 (1893). — V. samatilis Pantié El. pag. 43 (1875) non L. — V. celtica Pant. Beitr. FI. Faun. Herceg. Crnag. u. Dalm. pag. 37 (1874) non I Szysz El peri Cenas pag 149 (8S5) nona: Horak Reise Monten. pag. 6 (1899) non L. In rupestribus alpinis m. Dibala supra katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 213. — Vidi etiam in m. Vila, ad Miotev-dò, m. Pesinjak, Crna planina, Maglic, Planinica distr. Kuti. 257. V. officinalis L. Sp. pl. I, pag. 31 (1753). Ad margines silvarum prope Murino distr. Vasojevici! Num. collect. 270. 258. V. tuberosa L. Sp. pl. I, pag. 33 (1753). In pratis silvaticis per reg. m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovil). 259. Valerianella eriocarpa Desv. in Journ. bot. II, pag. 314 (1813). In arvis prope Kunja sub Muzura plammna distr. Primorije! et in saxosis ad Velika prope fines turcorum distr. Vasojevici! Num. collect. 29 et 441. 260. Scabiosa Columbaria L. Sp. pl. I, pag. 99 (1753). In herbidis m. Balj supra Andrijevica distr. Vasojevici! Num. collect. 442. 261. S. fumarioides Vis. et Pant. PI. serb. rar. aut nov. II, pag. 4, tab. 2 (1866). In pratis ad Dutici, BeZijovo et Orahovo distr. Kuti! Num. collect. 181. 262. Aster Bellidiastrum Scop. FI. carn. II, pag. 168 (1772). — Do- ronicum Bellidiastrum L. Sp. pl. II, pag. 886 (1753). — Arnica Bellidia- strum Vill. Dauph. II, pag. 212 (1789). — Bellidiastrum Michelii Cass. Dict. sc. nat. Suppl. IV, pag. 70. — Margarita Bellidiastrum Gaud. FI, helv. V, pag. 336 (1829). In saxosis et rupestribus alpinis m. Pesinjak supra Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 444. 263. Erigeron unifiorum L. Sp. pl. II, pag. 654 (1753) var. alpinum L. l. ce. pro specie; cfr. Bald. Riv. 1895 Alb. pag. 45 (1897-98). In saxosis alpinis m. Hum Orahovski distr. Kuti! Num. collect. 443. — Vidi etiam in m. Kunj Kostica, Dibala, Vila, Strunga, Planinica distr. Kuti. 264. Bellis silvestris Cyr. PI. rar. neap. II, pag. 12 (1792). Ad fines Austriae versus Catharum distr. Katunska! (leg. Krsto Pejovic) et prope Anti- barim distr. Primorije (leg. Milo Jovovit). 265. Inula Oculus Christi L. Sp. pl. II, pag. 881 (1753). In saxosis ad Konjuxe distr. Vasojevici! Num. collect. 362. 266. I. britannica L. Sp. pl. II, pag. 882 (1753). In saxosis ad Njegus distr. Katunska! (leg. Krsto P. Pejovil). 267. Antennaria dioica L. Sp. pl. II, pag. 850 sub Gnaphalio (1753) Gaertn. De fruct. II, pag. 193 (1791). 14. divica L. var. australis'Giris. Spie. sfl. gum. 60 by th gpl 98840 Of In saxosis alpinis m. Kunj Kostica! sub m. Planinica, Kom Kutki ad Carine et Mojan distr. Kuti! et m. Kom Vasojevicki ad Stavnà! Num. collect. 359, 221 et 359his. 268. Gnaphalium supinum L. Syst. nat. ed. XII, III, pag. 234 (1768). In herbidis alpinis m. Planinica versus fines distr. Kuti! Num. collect. 449. 269. G. Hoppeanum Koch Syn. fl. germ. et helv. pag. 339 (1843) var. Raeserii Boiss. et Heldr. Diagn. ser. II, 6, pag. 102 pro specie (1859) Bald. Riv. cr. 1892 Alb. pag. 46 (1894). — G. Pichleri Murb. Beitr. FI. Sidbosn. pag. 106 (1891). — G. Pancicii Levier in sched. In rupestribus alpinis m. Hum Orahovski et Kunj Kostica distr. Kuti! Num. collect. 360. — Vidi etiam in m. Dibala et Vila distr. Kuòi. 270. Filago ‘arvensis L. Sp. pl. II, pag. 1312 (1763). In saxosis ad Velika distr. Vasojevici! Num. collect. 358. 271. Achillea abrotanoides Vis. FI. dalm. II, pag. 81, tab. 10, fig. 1 (1347). In saxosis alpinis m. Pesinjak supra Rikavac! et m. Vila ad fines turcorum distr. Kuci! Num. collect. 216 et 2160is, ; Volge alla var. montenegrina Beck et Szysz. Pl. per Crnag. pag. 152. 272. A. Clavenae L. Sp. pl. II, pag. 898 (1753). In rupestribus m. Hum Orahovski! m. Kunj Kostita! et m. Planinica ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 218, 2181, 218bis — Vidi etiam in m Pesinjak, Crna planina, ad Miotev-dò, Prous sub m. Maglié distr. Kuti. 273. A. Fraasi Schultz-Bip. in Flora I, pag. 159 (1842). — A. nivea Spr. Flora pag. 638 (1842). In promontoriis alpinis m. Vila versus fines turcorum distr. Kuti! et m. Bal} supra An- drijevica distr. Vasojevici! Num. collect. 217 et 354. 274. Anthemis Triumfetti L. Sp. pl. II, pag. 896 pro var. A. finctoriae (1753). In saxosis Skala Rikavac dist. Kuci! Num. collect. 445. 275. Chamaemelum trichophyllum Boiss. Diagn. ser. I, 4 sub Chry- santhemo (1844) Boiss. Diagn. ser. I, 11, pag. 20 (1849). — C. uniglandu- losum Vis. Fl. dalm. II, pag. 85, tab. 51 (1847). In silvaticis ad Konjuxe! Num. collect. 214. — Vidi ad Andrijevica, Seoce, Velika distr. Va- sojevici. 276. Leucanthemum vulgare Lam. FI. fr. II, pag. 157 (1778). — Chrysanthemum Leucanthemum L. Sp. pl. II, pag. 888 (1753). In herbidis reg. fagi ad Varda sub m. Kom et in m. Balj distr. Vasojevici ! Num. collect. 355. 277. Chrysanthemum larvatum Gris. in Bot. Zeitschr. pag. 266 (1873) Pant. Beitr. FI. Faun. Herceg. Crnag. u. Dalm. pag. 41 (1874); Vist BI. (dalm*SupplNI2*pag. 517 (11878); cir. Pancié Rlgpag. 48) (1875). In rupestribus alpinis m. Hum Orahovski! m. Dibala supra katuni Kostica! m. Pesinjak supra Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 446, 215 et 215.is. “Ogni 278. Pyrethrum cinerariaefolium Trev. Ind. sem. hort. vrat. (1820). — Chrysanthemum cinerariaefolium Vis. FI. Dalm. II, pag. 88 (1847). In rupestribus sub jugo Sutorman! et Medjuretka planina distr. Primorije! Num. collect. 100 et 445. — Vidi etiam ad Spilica voda prope Antibarim, in m. Lisinj, ad Bijela Skala, ad Mali et Veliki Mikulic distr. Primorije. 279. P. corymbosum L. Sp. pl. II, pag. 890 sub Chrysanthemo (1753) Willd. Sp. pl. III, pag. 2159 (1300). In silvaticis m. Bal} supra Andrijevica distr. Primorije! Num. collect. 447. 280. Senecio nebrodensis L. Sp. pl. II, pag. 1217 (1763). — S. rupestris W.0k. PI rar Hung. paz, 19604305)! In saxosis sub Cafa Mala ad katuni Kostica! et ubicumque in elatioribus distr. Kuti. Num. collect. 358. 281. S. Jacobaea L. Sp. pl. II, pag. 870 (1753). In pratis silvaticis per reg. m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo JovoviC). 282. S. lanatus Scop. FI. carn. II, pag. 165 (1772). — .S. arachnoideus Sieber pl. rar n.° 117 (1812). — .S. Scopolit Hoppe et Hornsch. Tageb. Reise Kunst. pag. 34 (1818). — Cineraria arachnoidea Rchb. FI. germ. exc. pag. 242 (1830). In herbidis alpinis m. Planinica ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 219. 283. S. nemorensis L. Sp. pl. II, pag. 870 (1763). In silvis reg. fagi m. Balj supra Andrijevica distr. Vaso]evici! Num. collect. 271. Forma pedicellis sparsim glandulosis. 284. S. nemorensis L. Sp. pl. II, pag. 870 (1763) var. Gmelinii Vis. FI. dalm. II, pag. 71 (1847). — S. nemorensis L. var. dalmaticus Gris. ap. Pant. Beitr. pag. 43 (1874). In silvis ad « han » Murino distr. Vasojevici! Num. collect. 271bis. i 285. $S. bosniacus Beck FI. Sùudbom. pag. 180, tab. 5, fig. 2-6 (1887). In rupestribus alpinis m. Dibala supra katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 448. 286. $. Visiasianus Pap. in Vis. FI. dalm. II, pag. 72, tab. 8 (1847). — Cineraria Visiasiana Nym. Consp. pag. 351 (1882). In saxosis sub m. Hum Orahovski distr. Kuci! Num. collect. 220. 287. Xeranthemum cylindraceum Sibth. et Sm. FI. gr. prodr. II, pag. 1721313)! In aridis Seoce sub m, Balj (Andrijevica) distr. Vasojevici! Num. collect. 274. 288. Carduus candicans W. K. PI. rar. Hung. I, pag. 85 (1802). — C-. collinus. NAM GUITAR (31) In saxosis ad Dedici terr. Krajna distr. Primorije! Num. collect. 83. 289. C. Carduelis L. Syst. nat. ed. XII, II, 2, pag. 528 et Mant. pl. N pag. 108 sub Arctio (1767?) W. K. PI. rar. Hung. pag. 203, tab. 185 (1805); efr. Kerner Sched. I, pag. 77 (1881). In pratis ad Carine sub m. Kom Kucki! Num. collect. 272. 290. Jurinea mollis L. Sp. pl. II, pag. 1156 sub Carduo (1763) DC. Prodr. VI, pag. 676 (1837). In pratis ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 453. 291. Serratula radiata M. B. FI. taur. cauc. III, pag. 545 (1808). In saxosis dumetorum terr. Trijepsi versus fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 133. 292. Amphoricarpus Neumayerii Vis. FI. dalm. II, pag. 28, tab. 10, fig. 2 (1852). — Jurinea Neumayeriana Vis. in sched. In rupestribus sub m. Kom Kucki ad Carine! Num. collect. 275. 293. Centaurea deusta Ten. FI. nap. prodr. pag. 51 (1811). In pratis ad Varda sub m. Kom! et in aridis ad Luge prope ripas fl. Lim distr. Vasojevici ! Num. collect. 450 et 273. I saggi al n.° 450 rappresentano una forma robusta, non diffusa, macrocefala 294. C. amara L. Sp. pl. II, pag. 1292 (1763). — C. Weldeniana Rchb. iegiimiseemi XV; pag: 12, (tab. 703 (1803). Ad fines Austriae versus Catharum distr. Katunska! (leg. Krsto P. PejoviC). 295. C. stenolepis Kerner in Oest. bot. Zeitschr. XXII, pag. 45 (1872). In silvaticis prope Konjuxe distr. Vasojevici! Num. collect. 223. 296. C. montana L. Sp. pl. II, pag. 911 (1753) var. sinuata Vis. FI. dalm. II, pag. 34 (1847). In herbidis montanis supra Bijela Skala distr. Primorije! Num. collect. 30. 297. C. cana Sibth. et Sm. Prodr. fi. gr. II, pag. 198 (1813). In saxosis et pratis ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! et in elatioribus m. Balj supra An- drijevica distr. Vasojevici! Num. collect. 361 et 861bis, 298. C. Scabiosa L. Sp. pl. II, pag. 913 (1753). In pratis ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 452. 299. C. Kotschyana Heuff. in Flora pag. 245 (1835). In pratis ad Varda! et ad Stavnà sub m, Kom Vasojevicki! Num. collect. 222 et 451. 300. C. salonitana Vis. Erg. bot. Zeit. I, pag. 23 (1829) FI. dalm. II, pag. 35 (1847) var. lanceolata Vis. FI. dalm. 1. e, — C. aurantiaca Pantié in sched.; cfr. El. pag. 53 (1875). — C. Nicolai Bald. Cenni ed app. pag. 73 (1891). In pratis ad Orahovo et Trijepsi distr. Kuti! Num. collect. 132. 301. Thrincia tuberosa L. Sp. pl. II, pag. 799 sub Leontodonte (1753) DC. FI. fr. IV, pag. 52 (1805). In pratis prope Antibarim distr. Primorije! (legit Milo JovoviC). 302. Leontodon hastile L. Sp. pl. II, pag. 1123 (1763) var. hispidum L. I. c. pag. 799 pro specie (1753). In herbidis ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 227. 303. L. sazatile Ten. Cat. hort. neap. sub Apargia (1819) Ten. FI. nap. II, pag. 148, tab. 72 (1820). In pratis sub Strenj-vrh ad Veliki Mikulit distr. Primorije! Num. collect. 84. — In aridis ad Njegus distr. Katunska! (legit Krsto P. Pejovic). 304. Tragopogon crocifolium L. Sp. pl. II, pag. 1110 (1763). In saxosis elatioribus Medjuretka planina ad fines turcorum distr. Primorije! Num. collect, 363. 305. T. pratense L. Sp. pl. II, pag. 782 (1753). In pratis supra Antibarim distr. Primorije! (leg. Milo Jovovié). 306. T'. orientale L. Sp. pl. II, pag. 1109 (1763). Ad Niegus distr. Katunska! (leg. Krsto P. Pejovic). 307. Scorzonera hispanica L. Sp. pl. Il, pag. 791 (1753) var. asphode- loides Koch Syn. fl. germ. et helv. pag. 425 (1837). In herbidis m. Kom Kutki et Vasojevicki! Num. collect. 276. — Vidi etiam in m. Bal} supra Andrijevica distr. Vasojevici. 308. $. rosea W. K. PI. rar. Hung. II, pag. 127 (1805). In herbidis summis m. Planinica et Mojan ad fines distr. Kuti! et in subalp. ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 225bis et 225. — Vidi etiam in m. Pesinjak, Vila, Strunga distr. Kuci! 309. Hypochaeris radicata L. Sp. pl. II, pag. 811 (1753). In pratis alpinis ad Stavnà sub m. Kom Vasojeviéki! Num. collect. 277. 310. H. maculata L. Sp. pl. II, pag. 810 (1753). In pratis ad Varda sub m. Kom! Num. collo 224. — Vidi etiam in m. Bal} distr. Vasoje- vici et in m. Planinica distr. Kuci, Forma foliis utrinque hispidis, involucro valde nigro-setoso. Volge all’ 7. carpathica Pax Oest. bot. Zeit. 1895, pag. 26, tab. 5, se pure non è già una forma di questa specie. 311. Tarazacum vulgare Lam. FI. fr. II, pag. 113 (1778). Ad nives deliquescentes m. Dibala supra katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 226. 312. Sonchus glaucescens Jord. Obs. V, pag. 75 (1847). — .S. pal- leseens Pan Gié El. pag. 55 (1875). In silvaticis ecclesiae archiepiscopalis Antibaris distr. Primorije! Num. collect. 32. 313. Zacyntha verrucosa Gaertn. De fr. II, pag. 358 (1791). — La- psana Zacyntha L. Sp. pl. II, pag. 811 (1753). In cultis planitiei antibarensis ad Celuga distr. Primorije! Num. collect. 81. 314. Crepis Columnae Te n. Syll. fl. Neapol. pag. 398 sub HMieracio (1831) lai SR Froel.in litt. 1837 et in DC. Prodr. VI, pag. 167 (1838). — C. Sartoriana Boiss. et Heldr. Diagn. ser. II, 3, pag. 100 (1856). In pratis m. Kunj Kostica distr. Kuti! Num. collect. 135. Determinazione alquanto incerta per la mancanza degli achenii. I caratteri della radice ecc. stanno per questa determinazione, ma d’altra parte è notevole l’ analogia fra la specie ed il Leontodon hastile L. 315. ©. grandifiora Froel. in litt. 1837 et in DC. Prodr. VI, pag. 166 (1838). In pratis m. Balj supra Andrijevica distr. Vasojevici! Num. collect. 278. 316. C. adenantha Vis. FI. dalm. II, pag. 119, tab. 5, fig. 1 (1847). Ad margines agrorum Delaj terr. Trijepsi distr. Kuci! Num. collect. 134. 317. Hieracium cymosum L. Sp. pl. II, pag. 1126 (1763). In herbidis alpinis m. Dibala supra katuni Kostica! et m. Planinica distr. Kuti! Num. collect. 228. 318. H. praealtum Vill. in Goch. Cich. pag. 17 (1800) var. Bahuini Schultes Obs. bot. 164 pro specie (1809) Koch Syn. fl. germ. et helv. pag. 447? (1837). In pratis ad Veliki Mikulit! in aridis ad Tudjemili! ad Bijela Skala, Poda et alibi distr. Primorije. Num. collect. 454 et 33. 319. H. scorzoneraefolium Vill. Dauph. II, pag. 111 (1789). In saxosis alpinis m. Kom Kutki versus m. Mojan et supra Ljubanj! Num. collect. 364 et 3640is, Forma capitulis villosis. 320. H. stupposum Rchb. FI. germ. exc. pag. 265 (1831) var. plani- folium Beck FI. Sidbosn. pag. 191 (1887). In silvaticis prope Njegus distr. Katunska! (leg. Krsto P. Pejovidc). 321. H. Waldsteinii Tausch in Flora Ergbl. I, pag. 65 (1828). In rupestribus alpinis Skala Rikavac ultra fines distr. Kuti! et (forma umbrosa monoce- phala) in rupestr. m. Veliki Krs supra Andrijevica distr. Vasojevici! Num. collect. 366 et 455. 322. H. Waldsteinii Tausch in Flora Ergbl. I, pag. 65 (1828) var. gymnocephalum Gris. in Oest. bot. Zeitschr. pag. 266 pro specie (1873) pag. 52 pro specie (1874) Beck FI. Sùdbosn. pag. 174 (1887). In rupestribus supra Sirokar distr. Kuti! et in saxosis ad Varda sub m. Kom Vasojevicki ! Num. collect. 229 et 229pis. 323. Hieracium sp. in rupestribus alpinis supra Miotev-dò ad Rikavac distr. Kuci! Num. collect. 365. Nondum evolutum ex affinitate H. p/umulosi Kerner. 324. H. vulgatum Fries Novit. pag. 76 (1819). In saxosis subalpinis sub m. Kom Kutki! Num. collect. 456. Forma volgente alla var. argutidens Arv. Touv. ui en 325. Jasione supina Sieber in Sprg. Syst. I, pag. 810 (1825). — J. orbiculata Gris. Spic. fl. rum. et byth. II, pag. 293 (1344). In herbidis alpinis sub m. Planinica! et ad Carine sub m. Kom Kucki. Num. collect. 230. 326. Edrajanthus Wettsteinii Hal. et Bald. in Oest. bot. Zeitschr. RE iS9 Baldini Map VIEpa 323101893). i In rupestribus summis Medjure*ka planina distr. Primorije! Num. collect. 85. 327. E. Kitaibelii A. DC. Prodr. VII, pag. 449 (1839). In saxosis m. Kunj Kostica distr. Kuti! Num. collect. 281. 328. E. tenuifolius W. K. PI. rar. Hung. Il, pag. 168 sub Campanula (1803) VATTDIC Prod VIa 1498339) In saxosis elatioribus Bijela Skala! Medjure‘ka planina distr. Primorije! et in rupestr. alp. Miotev-dò supra Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 368, 457 et 34. I saggi al n.° 457 tendono alla var. carzcinus S. N. K. pro specie. 329. E. tenuifolius W. K. PI. rar. Hung. II, pag. 168 sub Campanula (1808) A. DC. Prodr. VII, pag. 449 (1839) var. caricinus S. N. K. Anal. bot. pag. 6 (1854). In saxosis ad Cafa GvoZdeca terr. Orahovo et Trijepsi distr. Kuèi! Num. collect. 4570is. 230. E. serpyllifolius Vis. in Bot. Zeit. Ergbl. I, pag. 7 sub Campa- nula (1829) A. DC. Prodr. VII, pag. 449 (18339). In fissuris rupium m. Planinica et Mojan versus fines turcorum! m. Kom Kucki supra Ljubanj! Num. collect. 279 et 279pis. 331. Campanula pyramidalis L. Sp. pl. I, pag. 164 (1753). In rupestribus urbis Antibaris distr. Primorije! (leg. Milo Jovovi(). 332. €. rotundifolia L. Sp. pl. I, pag. 163 (1753). In herbidis subalp. ad Varda et Veliki Kr$ sub m. Kom Vasojevitki! Num. collect. 280bis et 280. 333. C. carnica Schiede in Mert. et Koch Deutsch. FI. II, pag. 158 (1826). In fissuris rupium m. Kariman supra Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 232. Fiori non ancora evoluti: tutti i caratteri manifestamente formati sono di questa specie. 334. C. bononiensis L. Sp. pl. pag. 165 (1753). In silvis m. Bal} supra Andrijevica distr. Vasojevici! Num. collect. 371. 335. ©. lingulata W. K. PI. rar. Hung. I, pag. 65 (1802). In aridis ad ecclesiam Veliki Mikulié distr. Primorije! Num. collect. 86. 336. G. glomerata L. Sp. pl. I, pag. 166 (1753). In graminosis alpinis m. Soko ad fines turcorum! in elatioribus alp. m. Vila distr. Kuti! et in herbidis ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 369bis, 36911 et v et 369. — Vidi etiam in m. Pesinjal et Planinica distr. Kuòi. SECC ARA 337. C. patula L. Sp. pl. I, pag. 163 (1753). In pratis Korita dictis sub m. Hum Orahovski distr. Kuti! Num. collect. 137. 338. C. Rapunculus L. Sp. pl. I, pag. 164 (1753). In pratis silvaticis per m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovid). 339. C. ramosissima Sibth. et Sm. Prodr. fl. gr. I, pag. 137 (1806). sore Po RE bot II, pag. 199 (18141). In silvaticis m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovid). 340. C. trichocalycina Ten. Fl. nap. I, pag. 367 (1811-1815). — Po- danthum trichocalycinum Boiss. FI. or. III, pag. 955 (1875). In silvis fagorum m. Soko ad fines distr. Kuti! et m. Balj supra Andrijevica distr. Va- sojevici! Num. collect. 136 et 370. 341. Podanthum limonifolium L. Sp. pl. I, pag. 239 sub Campanula Mib iS Wbthitet Sim. Prodr. fl: gr. I, pag. 144 sub Phyteumate. (1806) BlollsSseSEktor. HI pag: 951 (879). In saxosis Skala Rikavac ultra fines distr. Kuti! Num. collect. 458. 342. Phyteuma orbiculare L. Sp. pl. I, pag. 170 (1753). — Ph. pseu- dorbiculare Pant. Beitr. Fi. Faun. Herceg. Crnag. u. Dalm. pag. 53 (1874). In herbidis alpinis m. Planinica et Mojan ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 367. 343. Vaccinium uliginosum L. Sp. pl. I, pag. 350 (1753). In pratis m. Planinica ad fines! et m. Kom supra Ljubanj et Margariti distr. Kuti! Num. collect. 281 et 281bis, 344. Erica arborea L. Sp. pl. I, pag. 353 (1753). Constituit dumeta per reg. m. Rumija distr. Primorije ! (leg. Milo Jovovid). 345. Ligustrum vulgare L. Sp. pl. I, pag. 7 (1753). In dumetis terr. Sustas prope Antibarim distr. Primorije! Num. collect. 85. 346. Fraxzinus Ornus L. Sp. pl. II, pag. 1057 (1753). In silvis ad MuZnica Skala supra Tudjemili distr. Primorije! Num. collect. 372. 347. Vincetozicum nivale Boiss. et Heldr. Diagn. ser. I, 7, pag. 20 (1846). In herbidis alpinis m. Soko ultra fines distr. Kuti! Num. collect. 373. 348. Gentiana crispata Vis. FI. dalm. II, pag. 258 et in notis (1848). In herbidis alpinis m. Vila ad fines turcorum distr. Kuèi! ad Varda sub m. Kom! et in m. Bal} distr. Vasojevici. Num. collect. 235 et 235bis, 349. G. verna L. Sp. pl. I, pag. 228 (1753) var. aestiva Schmidt FI. boem. centr. 2, pag. 20 sub Hippione (1753); cfr. Wettst. Beitr. FI. Alb. pag. 76 (1892) et Bald. Riv. 1896 Alb. pag. 77 (1899). — G. angulosa Serie V. — Tomo IX. 5 = spione M. B. FI. taur. cauc. I, pag 197% (1808) var. chalybea Beckykil aSudbosni pag. 130 (1887). Ad nives deliquescentes m. Dibala supra katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 233. — Vidi etiam in m. Vila, Pesinjak, Kom et Planinica distr. Kuti. 350. G. utriculosa L. SpAeplasisapa sh 29Ke03): In pratis ad Cafa Gvo%deca terr. Orahovo ! m. Hum Orahovski ! ad Miocev-dò supra Rikavac distr. Kuci! et ad Varda sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 138, 1380is, 284bis et 234. — Vidi etiam in m. Dibala et Vila distr. Kuti. 351. @. cruciata L. Sp. pl. I, pag. 231 (1753). In pratis ad « han » Verusa terr. Lijeva Rijeka distr. Vasojevici! Num. collect. 459. 352. Calystegia sepium L. Sp. pl. I, pag. 153 sub Convoleulo (1753) Ri Br. Prodi pas 433%132%): In silvaticis ad Tudjemili distr. Primorije! Num. collect. 36. 353. C. Soldanella L. Sp. pl. I. pag. 159 sub Convolvulo (1753) R. Br. pag. 483 (1827). In arenosis maritimis ad Porto Milena distr. Primorije! Num. collect. 87. J 354. Ramondia Nathaliae Pandcié in Glasnik pag. 121 (1885). In rupestribus supra Bijela Skala et Mali Mikulit distr. Primorije! Num. collect. 37. — Vidi etiam in m. Lisinj et Medjuretka planina distr. Primorije. 355. Moltkia petraea Tratt. Thes. bot. pag. 8 sub Eehio (1850) Boiss. El for. IV, pas 21M 0879): In rupestribus ad Spilica voda prope Antibarim! et ubique in reg. inf. et media distr. Pri- morije et Kuti! Num. collect. 38. 356. Verbascum pulverulentum Vill. Dauph. II, pag. 490 (1789). — V. floccosum NNAK:{P. car Hunsipag Sta MONO) In silvaticis ad San Nicola prope fauces fl. Bojana distr. Primorije! Num. collect. 374. 357. V. leptocladum Pancié El. pag. 69 1875). Ad margines agrorum sub Medun distr. Kuti! Num. collect. 139. 358. V. phoeniceum L. Sp. pl. I, pag. 178 (1753). In silvis per m. Rumija distr. Primorije ! (leg. Milo Jovovit). 359. Linaria vulgaris Mill. Gard. Dict. ed. 8°, n. 1 (1768). Prope Nijegus distr. Katunska! (leg. Krsto P. Pejovic). 360. L. Pelisseriana L. Sp. pl. II, pag. 615 sub Antirrhino (1753) Mi]l. Dictt ted 85M" 11763)! In cultis collinis Volovica supra Zaljev distr. Primorije! Num. collect. 89. 361. L. Sibthorpiana Boiss. et Heldr. FI. or. IV, pag. 378 (1879) var. peloponnesiaca Boiss. et Heldr. Diagn. ser. II, 3, pag. 163 pro specie (1856) Boiss. I. c. In saxosis alpinis m. Dibala supra katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 461. = IR 362. Scrophularia Scopolii Hoppe in Pers. Syn. II, pag. 160 (1807). — S. glandulosa W. K. PI. rar. Hung. III pag. 238 (1812). In graminosis subalpinis ad Carine sub m. Kom Kutki! Num. collect. 460. 363. Digitalis ferruginea L. Sp. pl. II, pag. 622 (1753). In silvaticis ad Konjuxe distr. Vasojevici! Num. collect. 462. 364. D. ambigua Murr. Prodr. stirp. gott. pag. 62 (1770). — D. gran- diftora All. Fl. ped. I, pag. 70 (1785). In pratis et dumetis prope Lukiè terr. Krajna distr. Primorije! Num. collect. 376. 365. Veronica austriaca L. Sp. pl. I, pag. 17 (1753). In graminosis alpinis ad Carine sub m. Kom Kutki! Num. collect. 463. Forma crassipeda. Caulis 35-40 cm. altus, folia 4:2 cm. longa lata, bracteae inferiores 12:2 mm. longae latae, calycis laciniae 6-7 mm. longae. 366. V. multifida L. Sp. pl. I, pag. 13 (1753) var. diversifolia Pant. Beitr. FI. Faun. Herceg. Crnag. u. Dalm. pag. 70 pro specie (1874) Beck FI. Sùdbosn. pag. 155 (1887). In herbidis et saxosis supra Bijela Skala! et in Medjuretka planina distr. Primorije. Num. collect. 39. — In silvaticis per reg. m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovit). 367. V. serpyllifolia L. Sp. pl. I, pag. 12 (1753) var. integerrima Beck FI. Siùdbosn. pag. 137, tab. 2, fig. 3 (1887). In herbidis alpinis m. Dibala supra katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 236. 368. V. balcanica Vel. FI. bulg. pag. 431 (1891). In humidis alpinis ad Mioiev-dò supra Kariman distr. Kuci! Num, collect. 375. 369. V. spicata L. Sp. pl. I, pag. 10 (1753) var. orchidea Crantz *Nuisbr. UIVS pag. 338 pro specle (1769). In saxosis ad Cafa GvoZdeca terr. Trijepsi distr. Kuèi! Num. collect. 140. 370. V. arvensis L. Sp. pl. I, pag. 13 (1753). In campis terr. Dedici distr. Primorije! Num. collect. 377. 371. V. Tournefortii Gm. FI. bad. I, pag. 39 (1805). — V. Buabdaumi iNenegrisinap ipa tab (ASTI): In cultis ad Sestani terr. Krajna distr. Primorije! Num. collect. 88. 372. Rhinanthus Cristagalli L. Sp. pl. II, pag. 603 (1753). — ARA. mi- nor'Elnobh:. Beitr. VI, pag. 144 (1791). In pratis ad « han » Verusa terr. Lijeva Rijeka distr. Vasojevici! Num. collect. 282. 373. Melampyrum barbatum W. K. PI. rar. Hung. I, pag. 89 (1802). In arvis ad Kunja sub MuZura planina distr. Primorije! Num. collect. 41. 374. Pedicularis verticillata L. Sp. pl. II, pag. 608 (1753). In herbidis alpinis m. Planinica versus fines distr. Kuti! Num. collect. 380. E O) ELIA 375. P. brachyodonta Schl. et Vuk. Syll. fl. croat. pag. 89 (1857). — P. ochroleuca Schl. in Oest. bot. Zeitschr. VII, pag. 248 (1857). — P. Malyi Janka (1880). In graminosis summis m, Kunj Kostica! in herbidis alpinis m. Dibala! m. Vila ad fines turcorum! et m. Planinica et Mojan distr. Kuti! Num. collect. 141, 378, 378m et 378bis. — Vidi etiam in m. Hum Orahovski et Strunga distr. Kuti. Gli esemplari al n.° 141 differiscono dagli altri saggi per la capsula oblungo-lanceolata, ma - non falcato-rostrata. 376. P. comosa L. Sp. pl. II, pag. 609 (1753) var. Sibthorpii Boiss. Diagn. ser. I, 4, pag. 83 pro specie (1844) FI. or. IV, pag. 492 (1879). In herbidis elatis m. Vrh-Suta versus distr. Crmnica! supra Bijela Skala! et in Medjuretka planina distr. Primorije. Num. collect. 40 et 379. 377. Orobanche Epithymum DC. FI. fr. III, pag. 490 (1805). In pratis per reg. m. Rumija distr. Primorije ! (leg. Milo Jovovid). 378. Thymus Serpyllum L. Sp. pl. I, pag. 590 (1753) var. latifolius Boiss. FI. or. IV, pag. 555 (1879). — TA. montanus: NK. Pl rar. Hung Tpas: W2Md802): In saxosis ad Konjuxe! et ad Murino sub Velika distr. Vasojevici! Num. collect. 237. 379. Th. striatus Vah] Symb. III, pag. 78 (1794). In saxosis ad Trijepsi! et in rupestr. alp. ad Cafa Mala prope Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 142 et 464. — Vidi etiam in m. Hum Orahovski, Kunj Kostica, Vila et Dibala distr. Kuti. 380. Calamintha grandifiora L. Sp. pl. II, pag. 592 sub Melissa (1753) Moench. Meth. pag. 408 (1794). In silvis fagorum m. Soko ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect 143. 381. €. officinalis Moench Meth. pag. 409 (1794). — Melissa Cala- mintha L. Sp. pl. II, pag. 592 (1753). Prope Antibarim distr. Primorije! (leg. Milo Jovovid). 382. C. alpina L. Sp. pl. II, pag. 591 sub 7Aymo (1753) Lam. FI. fr. JI Apa gi 3947725): In herbidis alpinis m. Dibala supra katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 238. Forma caule et calycibus hirsutis, foliis ad marginem et nervaturas ciliolatis. — C. nedro- densis (Strobl) Kerner in Oest. bot. Zeitschr. 1874. — Acinus a/pinus var. hirsutus Pant. Beitr. pag. 61. 383. GC. acuminata Friv. in Flora, pag. 332 sub Acino (1833). In campis terr. Dedici distr. Primorije. Num. collect. 465. 384. Salvia officinalis L. Sp. pl. I, pag. 23 (1753). In rupestribus et saxosis supra Turtine distr. Primorije! Num. collect. 42. 385. S. Sclarea L. Sp. pl. I, pag. 27 (1753). In silvaticis ad Zubei distr. Primorije! Num. collect. 92. MIEY: 3) 386. $. silvestris L. Sp. pl. I, pag. 24 (1753). Ad margines agrorum prope Lukié terr. Krajna distr. Primorije! Num. collect. 91, 387. S. Bertolonii Vis. FI. dalm. II, pag. 189 (1848). In herbidis ad Poprat terr. Trijepsi distr. Kuti! Num. collect. 381. 388. Scutellaria alpina L. Sp. pl. II, pag. 598 (1753). In saxosis elpinis m. Dibala supra katuni Kostita distr. Kuti! Num. collect. 468. 389. Stachys alpina L. Sp. pl. II, pag. 581 (1753). In herbidis alpinis m. Kunj Kostica distr. Kuti! Num. collect. 466. 390. S. subcrenata Vis. PI. rar. dalm. in Bot. Zeit. I, pag. 15 (1829). In rupestribus ad Cafa Mala, m. Kariman et Kom Kuòki! Num. collect. 239 et 239bis. 391. S. subcrenata Vis. PI. rar. dalm. in Bot. Zeit. I, pag. 15 (1829) var. fragilis Vis. |. c. pro specie; FI. dalm. II, pag. 208 (1848). In rupestribus ad Tudjemili et in saxosis ad Sestani distr. Primorije! Num. collect. 93. 392. S. subcrenata Vis. PI. rar. dalm. in Bot. Zeit. I, pag. 15 (1829) var. labiosa Bert. FI. it. VI, pag. 166 pro specie (1844) Vis. FI. dalm. II, pag. 208 (1848). In saxosis ad Varda et Veliki Krs sub m. Kom Vasojevicki! Num. collect. 283 et 467. 393. $. menthaefolia Vis. PI. rar. dalm. in Bot. Zeit. I, pag. 14 (1829). In ruinis urbis Antibaris distr. Primorije! Num. collect. 43. — Vidi etiam in m. Lisinj supra Poda, ad Veliki Mikuliè distr. Primorije et ad Medun distr. Kuti. 394. Betonica Alopecuros L. Sp. pl. I, pag. 573 p. p. (1753). In saxosis summis m. Soko supra Selce ultra fines turcorum distr. Kuci! Num. collect, 145. 395. B. danica Mill. Dict. ed. VII, n. 2 (1759). — 2. stricta Ait. HorkWkKew.Wll pag"299(1789) cir\WKerm'er*Sched. fl. exsice. austr. hung. III, pag. 87 (1884). In pratis ad Poprat terr. Trijepsi distr. Kuti! Num. collect. 144. 396. Lamium ampiexzicaule L. Sp. pl. II, pag. 579 (1753). In cultis ad Sestani terr. Krajna distr. Primorije! Num. collect. 90. 397. Cyclamen neapolitanum Ten. FI. nap. III, pag. 197, tav. 118 (1824-29). Ad fines Austriae versus Catharum distr. Katunska (leg. Krsto P. Pejovic)! 398. Androsace villosa L. Sp. pl. I, pag. 142 (1753) var. penicillata S. N. K. Anal. pag. 18 pro specie (1854). In summis m. Hum Orahovski et Kunj Kostica distr. Kuti! Num, collect. 146 et 14Gpis, 399. Primula acaulis Jacq. Misc. I, pag. 158 (1778). In silvis per reg. m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovit). SIRO DCI 400. P. suaveolens Bert. in Desv. journ. bot. II, pag. 76 (1813). — P. Columnae Ten. Fl. nap. prodr. pag. 54 (1811-1815). In alpinis m. Planinica versus fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 469. — In silvis per reg. m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo JovoviC). 401. Globularia bellidifolia Ten. FI. nap. III, pag. 117, tab. 109 (1824-29). In rupestribus ad Bijela Skala! et in Medjuretka planina distr. Kuti! Num. collect. 44 et 44bis, 402. Plantago major L. Sp. pl. I, pag. 112 (1753) var. minor Boiss. El-zior. IN pass di879): In pratis Korita dictis sub m. Hum Orahovskiì distr. Kuti! Num. collect. 147. 403. P. graeca Hal. in Verhandl. bot. zool. Gesellsch. in Wien XXXVII, pag. 761 (1888). Ad nives deliquescentes m. Planinica prope fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 471. 404. Armeria canescens Host Austr. I, pag. 407 sub Sfafice (1827) Host in Ebel Armer. gen. pag. 28 (1840). In pratis alpinis m. Dibala supra katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 470. 405. Chenopodium polyspermum L. Sp. pl. I, pag. 220 (1753). In aridis et lapidosis ad Velika distr. Vasojevici! Num. collect. 234. 406. Polygonum viviparum L. Sp. pl. I, pag. 360 (1753). In summis m. Kunj Kostica distr. Kuti! Num. collect. 148. 407. P. amphibium L. Sp. I, pag. 361 (1753). In submersis lacus Rikavac distr. Kuci! Num. collect, 243. 408. P. Convolvulus L. Sp. pl. I, pag. 364 (1753). In campis ad Orahovo distr. Kuci! Num. collect. 149. 409. P. Fagopyrum L. Sp. pl. I, pag. 364 (1753). In cultis Korita dictis sub m. Soko distr. Kuti! Num. collect. 240. 410. Rumex palustris Sm. FI. brit. I, pag. 594 (1804). In humidis fl. Bojana ad S. Nicola distr. Primorije! Num. collect. 94. 411. Thesium divaricatum Jan in Mert. et Koch Deutsch. FI. II, pag. 285 (1826). In saxosis terr. Sestani distr. Primorije! Num. collect. 95. 412. Euphorbia verrucosa L. Sp. pl. I, pag. 459 (1753) var. n. monte- negrina Bald. In reg. fagi m. Balj supra Andrijevica distr. Vasojevici! Num. collect. 383. Differt a typo umbellis simplicibus 5-radiatis, radiis brevissimis involucri phyllis vix longio- ribus, capsulis verrucis cylindricis, elongatis, flexuosis, rubellis. 413. E. glabriflora Vis. in Vis. et Pané. PI. serb. rar. aut nov, III, pag. 15, tab. 6, fig. 2 (1866). In saxosis m. Vrh-Suta versus distr. Crmnica! supra Bijela Skala! et in Medjuretka pla- nina distr. Primorije. Num. collect. 45. 414. E. Characias L. Sp. pl. I, pag. 463 (1753). In saxosis reg. inf. m. Rumija distr. Primorije! (legit Milo Jovovit). 415. Urtica urens L. Sp. pl. II, pag. 984 (1753). In incultis katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 241. 416. Cannabis sativa L. Sp. pl. II, pag. 1027 (1753). Culta ad Velika et alibi per distr. Vasojevici! Num. collect. 382. 417. Alnus glutinosa L. Sp. pl. II, pag. 983 sub Betula A/nus var. a Mio) Gralerun. De; fr. I pag. 54 (1791). Ad ripas fl. Lim prope Luge distr. Vasojevici! Num. collect. 285. 418. Salix retusa L. Sp. pl. II, pag. 1445 (1763). In herbidis summis m. Vila! et sub jugo Planinica et Mojan ad fines turcorum distr. Kuòi! Num. collect. 242 et 242pis, Il n.° 242bis volge alla var. serpy/lfolia Scop. Fl. carn. II, pag. 255. 419. Populus tremula L. Sp. pl. II, pag. 1034 (1753). In rupestribus alpinis ad basim m. Kariman prope lacum Rikavac distr. Kuti! Num. col. lect. 384. 420. Triglochin palustre L. Sp. pl. I, pag. 338 (1753). In paludosis ad Murino sub Velika distr. Vasojevici! Num. collect. 245. 421. Serapias cordigera L. Sp. pl. II, pag. 1345 (1763). In pratis m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovic). 422. Orchis Morio L. Sp. pl. II, pag. 940 (1753). In pratis m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovié). 423. O. provincialis Balb. Misc. alt. pag. 20 (1806). In pratis m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovi(). 424. O. laxziflora Lam. FI. fr. HI, pag. 504 (1778). In humidis m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovi(C). 425. Ophrys Arachnites Host Syn. pag. 492 (1797). In silvaticis m. Rumija distr. Primorije! (legit Milo Jovovi). 426. Coeloglossum viride L. Hartm. Skand. FI. pag. 329 (1820). In alpinis m. Pesinjak supra lacum Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 472. 427. Neottia Nidus avis L. Sp. pl. II, pag. 945 sub Ophryde (1753) RiiGhOrehEp 2A) In silvis fagorum Strenj-vrh supra Veliki Mikulié distr. Primorije! Num. collect. 385. AM 428. Hermodactylus tuberosus L. Sp. pl. I, pag. 40 sub Iride (1753) Salisb. in Trans. hort. Soc. I,, pag. 304 ubi nomen tantum, Parl. Nuovi gen. e nuove sp. di Monocot. pag. 45 (1854). In silvaticis per m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovib). 429. Gladiolus segetum Gawl. in Bot. Mag. tab. 719 (1804). In campis per reg. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovil). 430. Sternbergia lutea L. Sp. pl. I, pag. 292 sub Amargllide (1753) Gaw. in Schult. Syst. veg. VII, pag. 795 (1830). Ad margines agrorum prope Antibarim distr. Primorije! (leg. Milo Jovovié). 431. Narcissus Jonquilla L. Sp. pl. I, pag. 290 (1753). In campis per reg. m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovié). 432. Ajax Pseudo-narcissus L. Sp. pl. I, pag. 289 sub Nurcisso (1753) Haw. Mon. pag. 2 (1831). In campis per m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovié). 433. Lilium albanicum Gris. Spic. fl. rum. et byth. II, pag. 385 (1844). In herbidis alpinis m. Kunj Kostica! m. Dibala! et m. Planinica ad fines turcorum distr. Kuti! Num. collect. 388bis, 388 et 388u1, 434. Fritillaria tenella M. B. FI. taur. cauc. I, pag. 269 (1808). — F. montana Hoppe in Flora XV, pag. 476 (1832). — Lilium gracile Ebel Zwéòlf Tage Mont. pag. 8 (1844). In silvis ad Veliki Mikulié sub m. Rumija distr. Primorije! in saxosis m. Dibala supra katuni Kostica! et m. Planinica distr. Kuci. Num. collect. 387 et 244. Ambedue questi numeri sono rappresentati da saggi in frutto. Il n.° 387 trova la sua iden- tità nel carattere delle due foglie superiori opposte, ciò che non presentano gli altri esemplari. 435. Tulipa Oculus Solis St. Amans Rec. Soc. d’Agr. d’Agen I, pag. 75. In campis per reg. m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovié). 436. T. Grisebachiana Pant. in Oest. bot. Zeitschr. XXIII, n. 9, pag. 265 (1873) et in Beitr. FI. Faun. Herceg. Crnag. u. Dalm. pag. 23 (1874). In saxosis elatioribus Medjure*ka planina ad fines turcorum distr. Primorije! Num. col- lect. 386. 437. Ornithogalum tenuifolium Guss. Prodr. fl. sic. I, pag. 413 (1827). In pratis silvaticis per reg. m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovid). 438. Allium carinatum L. Sp. pl. I, pag. 297 (1753). In pratis ad Murino prope Lim distr. Vasojevici! Num. collect, 286. 439. A. vineale L. Sp. pl. I, pag. 299 (1753). In campis ad Pristanj distr. Primorije! Num. collect. 389. 440. A. subhirsutum L. Sp. pl. I, pag. 295 (1753). In rupestribus ad Krionerò distr. Vallona (Albania)! Num. collect. 49. La Ar- 441. Muscari comosum L. Sp. pl. I, pag. 318 sub /yacintho (1753) Mill. Dict. ed. 7? (1759). In campis per reg. m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovié). 442. Hyacinthus orientalis L. Sp. pl. I, pag. 317 (1753). In campis per reg. m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovovié). 443. Asphodeline lutea L. Sp. pl. I, pag. 300 sub Asphodelo (1753); Rehb. FI. germ. exc. pag. 116 (1830). In pratis silvaticis per m. Rumija distr. Primorije! (leg. Milo Jovoviè). 444. Polygonatum multifiorum L. Sp. pl. I, pag. 315 sub Convallaria Meb5)ATT EI ped. 1, pag. 131 (1785). In umbrosis ad Njegus distr. Katunska! Num. collect. 473 (leg. Krsto P. Pejovil). 445. Juncus effusus L. Sp. pl. I, pag. 326 (1753). In humidis ad Konjuxe! et ad Stavnà sub m. Kom distr. Vasojevicki! Num. collect. 2870is et 287. 446. Cyperus flavescens L. Sp. pl. I, pag. 46 (1753). In pratis humidis ad Stoj distr. Primorije! Num. collect. 390. 447. C. mucronatus L. Sp. pl. I, pag. 42 sub Schoeno (1753). — C. schoenoides Gris. Fl. rum. et byth. II, pag. 421 (1844). — Galilea mu- corna RI. IN pag. 47 (1852). In aridis maritimis ad Porto Milena distr. Primorije! Num. collect. 96. 448. Scirpus silvaticus L. Sp. pl. I, pag. 51 (1753). In humidis ad « han » Murino prope Velika! et ad Konjuxe distr. Vasojevici! Num. col- lect. 391. 449. Carex laevis Kit. in Willd. Sp. pl. IV, pag. 292 (1805). In rupestribus alpinis supra Kariman terr. Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 392. — Vidi etiamin m. Planinica, Kom, ad Prous sub m. Maglié distr, Kuti. 450. Phieum alpinum L. Sp. pl. I, pag. 59 (1753) var. subalpinum Haeckel in Braun ex Halacsy Nachtr. FI. NO. pag. 55 (1890) Asch. u. Graebn. Syn. Mitteleurop. FI. II, pag. 145 (1899). In herbidis ad Carine sub m. Kom Kucki! Num. collect. 246. 451. Lasiagrostis Calamagrostis L. Sp. pl. I, pag. 92 sub Agrostide (1762) Link Hort. berol. I, pag. 99 (1821). In saxosis sub Medun distr. Kuti! Num. collect. 150. 452. Agrostis rupestris A!]. FI. ped. II, pag. 237 (1785). In herbidis alpinis m. Planinica ad fines turcorum distr. Kudi! Num. collect. 247. 453. Lagurus ovatus L. Sp. pl. l, pag. 81 (1753). In arenosis maritimis ad Sto] distr. Primorije! Num. collect. 476. Serie V. — Tomo IX. 6 RO Er 454. Psamma littoralis P. de Beauv. Agrost. pag. 143 (1812). In arenosis maritimis ad Stoj distr. Primorije! Num. collect. 46. 455. Deschampsia caespitosa L. Sp. pl. I, pag. 64 sub Aira (1753) P. de Beauv. Agrost. pag. 160 (1812). In humidis, ad scaturigines, lacus Rikavac distr. Kuti! et ad Murino sub Velika distr. Va- so]jevici! Num. collect. 248 et 288. 456. Trisetum myrianthum Bert. FI. it. I, pag. 722 sub Avena (1833). = Par Bit pasa 0/0 41843): In cultis ad Sestani terr. Krajna distr. Primorije ! Num. collect. 98. 457. Avena Neumayeriana Vis. FI. dalm. II, pag. 339 (1852). In praeruptis summis Medjuretka planina versus fines turcorum distr. Primorije! Num. collect. 97. 458. Cynosurus cristatus L. Sp. pl. I, pag. 72 (1753). In humidis lacus Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 474. 459. Melica ciliata L. Sp. pl. I, pag. 66 (1753). In ruinis castrì Antibaris distr. Primorije! Num. collect. 99. 460. Briza minor L. Sp. pl. I, pag. 70 (1753). In arenosis ad Stoj distr. Primorije! Num, collect. 393. 461. Vuipia ciliata Pers. Syn. I, pag. 94 sub Festuca (1805) Link Hort. berol. I, pag. 147 (1821). In cultis ad Sestani terr. Kra]na distr. Primorije! Num. collect. 475. 462. Festuca xanthina Roem. et Sch. Syst. veget. II, pag. 721 (1817). In rupestribus m. Lisinj supra Poda distr. Primorije! Num. collect. 47. 463. Bromus arvensis L. Sp. pl. I, pag. 7? (1753). Ad margines agrorum prope pagum Lukit terr. Krajna distr. Primorije ! Num. collect. 394. 464. Agropyrum villiosum L. Sp. pl. I, pag. 84 sub 7ritico (1753) Liink.Hortberol. T, pag. 31 (1821). In saxosis ad Sustas distr. Primorije! Num. collect. 395. 465. Secale cereale L. Sp. pl. I, pag. 124 (1753). Ad margines agrorum prope pagum Lukit terr. Krajna distr. Primorije! Num. collect. 394bis, 466. Lolium temulentum L. Sp. pl. I, pag. 83 (1753). In arvis prope Peturica distr. Primorije! Num. collect. 48. pro] J 467. Lepturus cylindricus Willd. Sp. pl. I, pag. 464 sub Aottdoelia (1800) Trin. Agrost. pag. 123 (1820). In pratis arenosis ad Sto] distr. Primorije! Num. collect. 396. 468. Juniperus Oxycedrus L. Sp. pl. II, pag. 1038 (1753). Constituit dumeta in Muzura planina distr. Primorije! Num. collect. 100. 2209, gr 469. Phegopteris Robertiana Hoffm. Deutschl. FI. II, pag. 20 sub Polypodio (1795) A. Br. in Asch. FI. Brand. II, pag. 198 (1859). In saxosis ad Suceska prope Andrijevica distr. Vasojevici! Num. collect. 289. 470. Scolopendrium offiicinale Sw. in Sehrad. Journ. 1800, II, pag. 61 (1801). In rupestribus humidissimis ad Niegus distr. Katunska! Num. collect. 290 (leg. Krsto Pi Pejovit). 471. Asplenium Trichomanes L. Sp. pl. II, pag. 1080 (1753). In calcareis ad katuni Kostica distr. Kuti! Num. collect. 477. 472. A. fissum Kit. in Willd. Sp. V, pag. 348 (1810). In rupestribus Miotev-dò supra Rikavac distr. Kuti! Num. collect. 397. 473. Aspidium Lonchitis L. Sp. pl. I, pag. 1088 sub Pol/ypodio (1753) Swi iStchrad: Journ. 1800; II, pag. 30 (1801). In saxosis sub m. Kom Kucki! Num. collect. 398. 474. A. aculeatum L. Sp. pl. II, pag. 1090 sub Po/ypodio (1753) D6II. Rhein. FI. pag. 20 (1843) var. lobatum Sw. in Schrad. Journ. 1800, Mefipas: 137 (1801). In silvis sub m. Planinica distr. Kuti! Num. collect. 249. 475. Nephrodium rigidum Hoffm. Deutsch. FI. II, pag. 6 sub Poly- podio (1795) Desv. Ann. Soc. Linn. Paris. VI, pag. 261 (1827). In rupestribus alp. sub m. Dibala ad katuni Kostica distr. Kuci! Num. collect. 250. E OZZO sasa sacd ott, INTORNO A LA NOMENCLATURA DI ALCUNI NODOSARIDI NEOGENTCI ITALTANI MEMORIA DEL Dott. CARLO FORNASINI (Letta nella Seduta del 25 Novembre 1900) (CON 27 FIGURE NEL TESTO) La famiglia dei Nodosaridae è qui intesa nel significato proposto da Rhumbler nel 1895 (1), vale a dire come costituita da un gruppo nume- roso di foraminiferi con nicchio calcareo-ialino finissimamente perforato, monotalamico nelle lagene (Lageninae), politalamico negli altri tipi, con camere compresse o non compresse, ordinate |’ una dopo l’altra secondo un asse diritto o leggermente curvo (Nodosarinae), ovvero tutte o in parte avvolte a spira (Cristfellarinae), o disposte irregolarmente intorno a un asse, oppure in ordine biseriale-alterno (Po/ymorphininae), 0, infine, con camere rigonfie provviste di lunghi tubuli e disposte secondo un asse irre- golare (genere Ramulina). Evidentemente, i Nodosaridae di Rhumbler corrispondono in complesso al Lageridae degli autori inglesi (2), non diffe- rendone in sostanza che per l’istituzione de la nova sottofamiglia dei Cri- stellarinae, creata a spese dei Nodosarinae, e per l’ introduzione del genere Ellipsoidina, tolto a la famiglia dei Chilostomellidae. Per ciò che riguarda la sostituzione del termine Nodosaridae a quello di Lagenidae, Rhumbler la crede pienamente giustificata da l’importanza filogenetica di Lagena, che egli ritiene, insieme a Neumayr, subordinata a quella di Nodosaria, e dimostrata da l’esistenza del tubulo interno de le lagene entosoleniche, avanzo, secondo lui, di una camera vicina (3). (1) Nachrichten der k. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen, 1895, pag. 90 e seg. (2) Report on the Foraminifera dredged by H. M. S. Challenger, 1884, pag. 69 e seg. (3) Zoologischer Anzeiger, num. 474, anno 1895. Lal La sottofamiglia dei Crisfellarinae, che, stando a Rhnumbler, compren- derebbe i generi Amphicoryne, Lingulinopsis, Flabellina e Cristellaria, è, a dir vero, assai difficilmente separabile da quella dei Nodosarinae. L’ affi- nità tra Lingulinopsis e Lingulina, tra Flabellina e Frondicularia, tra Cri- stellaria, Marginulina e Vaginulina, è tale, che a taluno può parere inna- turale il ripartire i generi sopra nominati in due sottofamiglie. Quanto a l’ introduzione del genere E/{psoidina nella famiglia dei No- dosaridae, conviene riconoscere che la proposta di Rhumbler trova un certo appoggio in osservazioni posteriormente fatte da A. Silvestri. Che le ellipsoidine non si debbano associare ai generi Chilosfomella e Al- lomorphina a costituire una sola famiglia, come vogliono gli autori inglesi, è opinione facilmente ammissibile. Infatti, la disposizione uniseriale de le camere e la presenza del processo assile nel genere E/lipsoidina stanno in contrasto notevole con la struttura biseriale (boliviniforme) e triseriale (buliminiforme) degli altri due generi. D’ altra parte, Silvestri, esami- nando la interna struttura di certi foraminiferi glanduliniformi del neogene siciliano, ha osservato che essa corrisponde interamente a quella de le ellipsoidine, tanto che le sue ellipsoglanduline (così egli denominò le forme in parola) si potrebbero riguardare come ellipsoidine evolute. V’ha di più. Lo stesso Silvestri, studiando le glanduline del pliocene siciliano, ha trovato che l’ orificio è in esse provvisto di un breve tubulo interno, la cui presenza ha determinato l’autore ad ammettere una stretta affinità tra esse glanduline e le lagene globose entosoleniche (1). Rimangono però a meglio definirsi i rapporti del processo assile tubuliforme de le ellipso- glanduline col tubulo interno de le glanduline, di quest’ultimo con quello de le lagene, de l’orificio raggiato de le glanduline con quello valvuliforme de le ellipsoglanduline. Da ultimo, a puro titolo di confronto, ricorderò che i MNodosaridae di Eimer e Fickert (2) hanno una estensione limitatissima, il che si spiega facilmente considerando il sistema da loro proposto, basato in prevalenza sopra la forma e la disposizione de le camere. Le lagene sono per essi da associarsi in una famiglia con le saccammine, le ramuline con le asche- monelle, le cristellarie con le cassiduline, le polimorfine e le uvigerine con le bulimine, mentre le frondicularie dovrebbero costituire una famiglia a parte. (1) Atti dell’ Accademia dei Zelanti di Acireale, vol. X, 1899-900, con due tavole. (2) Zeitschrift fiir wissenschaftliche Zoologie, vol. LXV, fasc. 4°, 1899, pag. 676. Lagena emaciata Reuss, var. felsinea Fornasini (*). Ovale-allungata, minutissima, gracile, entosolenica, ia L. felsinea appare molto affine al Cenehridium dactylus di Ehrenberg (1°. Questo è senza dubbio una lagena, che, secondo Parker e Jones, sarebbe da associarsi a la ZL. emaciata di Reuss (2); ma, come lo stesso Reuss giustamente ha fatto notare (3, da le figure di Ehrenberg non é pos- Fig. 1. sibile rilevare se nel Cenchr. dactylus si tratta di una la- gena compressa oppure a sezione trasversa circolare, di guisa che non parmi lecito giudicare identiche ad essa la L. emaciata e la L. felsinea. D’ altronde, la L. emaciata, quale è intesa da Reuss, é regolare ed ha orificio rag- giato: essa non è quindi da confondersi con la L. felsinea. A questa, più che a la L. g/obosa, è affine una de le forme che Rymer Jones ha designato col nome di L. vulgaris Williamson, var. (Enfosolenia) globosa Montagu (4). eo c/liformistA\ Brady si distingue per essere, de- Legea fleiica Porn: ingrandita 160 volte. cisamente arcuata e per avere lo stesso diametro per tutta ponticello di Sàvena la sua lunghezza (5); e la L. clava (Ehr.) di Egger, per presso ueena: avere, oltre il tubulo interno, anche un breve collo esterno (6), come una de le forme designate da Rymer Jones col nome di L. vulgaris typica, Williamson (7). Tutte le lagene sopra citate sono arrotondate a l’estre- mità aborale, e in ciò differiscono da quella che Brady ha figurata come (*) Una parte del materiale illustrato nella presente memoria fu da me raccolta in varie località italiane, e si conserva nel r. Museo Geologico di Bologna. L’ altra parte trovasi nelle collezioni dei musei geologici di Napoli e di Pisa, e mi fu gentilmente comunicata dai rispettivi direttori, profes- sori Bassani e Canavari, ai quali porgo i più vivi ringraziamenti. Gli esemplari del Museo di Napoli spettano a la collezione studiata da O. G. Costa, di cui mi sono occupato in parecchi dei miei Javori. Quelli del Museo di Pisa fanno parte di una raccolta, che è dovuta a l’attività di un altro rizopodista italiano: Orazio Silvestri. Al quale proposito debbo ringraziare anche il sena- tore Capellini, per avermi comunicata una lettera scrittagli da Meneghini nel 1859, da cui ri- sulta che essa collezione fu studiata da Silvestri circa in quell’anno, poichè vi si legge : « Cocchi lavora assiduamente sui pesci e sulle ammoniti. Così Silvestri sulle foraminifere, per quanto glielo consentono le sue incombenze come aiuto in terzo di chimica ». (1) Mikrogeologie, 1854, tav. XXIV, fig. 1, 2. (2) Annals and Magazine of Natural History, ser. 4*, vol. IX, 1872, pag. 283. (3) Sitzungsb. der k. Akademie der Wissensch. zu Wien, vol. XLVI, 1862, pag. 319, tav. I, fig. 9. (4) Transactions of the Linnean Society, vol. XXX, 1872, tav. XIX, fig. 2. (5) Report on the Foraminifera dredged by H. M. S. Challenger, 1884, pag. 454, tav. LVI, fig. 6. (6) Abhand]. der k. bayerische Akademie der Wissensch., vol. XVIII, 1893, pag. 324, tav. X, fig. 10. (7) Transactions of the Linnean Society, vol. XXX, 1872, tav. XIX, fig. 10. 48 — L. apiculata Reuss sp., la quale ricorda la L. felsinea anche per l’ eccen- tricità de l’ orificio (1). La L. felsinea fu per la prima volta da me figurata, ma non descritta, sotto il nome di L. cfr. ocum (2), perché mi riferii, in tale determinazione, a quella che Brady aveva appunto illustrata come L. ovum Ehr. sp. (3). Tre anni dopo, tenendo conto de la sua forma irregolare e molto più allun- gata, credetti conveniente di distinguerla, e cosi le applicai il termine spe- cifico che ora le conservo (4). E siccome istituii la specie mediante un cenno brevissimo, accompagnato da semplici figure a contorni e stampato in pochissime copie, così ho giudicato opportuno il farla meglio conoscere col presente articolo. Lagena laevigata Reuss sp., var. calostoma n. Sotto il nome di L. laevigata Reuss sp. i rizopodisti inglesi riuniscono una serie dì lagene piriformi e compresse, aventi sezione trasversa subovale, orificio entosolosenico e stretto, e brevissimo collo esterno (5). Le forme che compongono tale gruppo sono variabili nel grado di acutezza o di ottusità del margine: quella, ad esempio, del neogene di Vienna illustrata da Reuss ha margine acuto (« das Gehause ist am Rande scharfwinklig »), mentre |’ e- semplare del crag figurato dagli autori inglesi ha margine decisamente arrotondato. Si comprende co- me questi due estremi siano fra loro collegati me- diante graduati passaggi; rimane però a vedersi se convenga o no introdurre qualche distinzione tra le forme citate dagli autori stessi come sinonime di Lagena calostoma n. L. laevigata. SR a È La Fissurina globosa di Bornemann ha mar- (B) ingrandita 130 volte. gine arrotondato (« der Rand ist an den Seiten ge- Restone IcASgio DeSeo Ceferzzo. rundet. und (ohne; Saum.») ila E simplex esa deltoidea di Seguenza hanno « carena alquanto acuta » ; la F. latistoma ha « carena ottusa »; la F. 6iancae ha « carena ottusissima rotondata »; e la F. acuta ha « carena acuta ». Tutte le altre forme (e cioé : la L. oul- di di (1) Report on the Foraminifera dredged by H. M. Challenger, 1884, tav. LVI, fig. 4. (2) Foraminiferi pliocenici del Ponticello di Sàvena (tavola), 1891, fig. 8. (3) Rep. Foram. Chall., tav. LVI, fig. 5 (4) Lagena felsinea n. sp. Bologna, 8 decembre 1894. Tip. Gamberini e Parmeggiani. (5) A Monograph of the Foraminifera of the Crag, parte 2%, 1895, pag. 197, tav. VII, fig. 14. = garis var. fissurina di Rymer Jones, la L. laevigata di Terrigi, quella di Balkwill e Millett, nonché la mia L. lucida) sono più o meno lontane, tanto da la tipica L. /aecigata, quanto da la varietà con margine arroton- dato. Alcune di esse anzi sono acute a l’ estremità aborale. In località lontane l’ una da l’altra, e cioé nei dintorni di Bologna e nel territorio di Catanzaro, ho rinvenuto due esemplari che non esito a riferire al tipo zoologico L. laevigata. Sono entrambi piriformi e compressi, hanno margine arrotondato ed orificio entosolenico con breve collo esterno e breve tubulo interno. Essi appartengono senza dubbio ad una stessa va- rietà, affine a la F. globosa Born. e a la F. biancae Seg., ma diversa da queste per il contorno più ovale e per i caratteri de l’ orificio, e inter- media probabilmente fra la tipica L. /aevigata e quel gruppo di forme gracili e acute a l'estremità aborale di cui fanno parte la L. sacculus (vedasi l’articoio seguente) e le altre che vedonsi rappresentate da la figura sopra ricordata di Terrigi, da la fig. 6 di Rymer Jones, e che ho proposto di specificare in parte sotto la nuova denominazione di Wlocutissima (1): Lagena acuta Reuss sp., var. sacculus n. Credo conveniente completare l’ illustrazione di questa lagena, che bre- vemente descrissi parecchi anni or sono riferendola con qualche dubbio a L. acuta Reuss sp. (2). Sotto il nome di Fissurina acuta, Reuss istitui nel 1858 e figurò nel 1862 una specie di Lagena del terziario antico di Prussia, entosolenica, acuta a |’ estremità orale, mucro- nata, compressa e con margine acutissimo (« am Rande scharfwinkelig ») (3). Nello schema del genere Lagena da lui proposto, Brady collocò giustamente la L. acuta nella sezione de le forme compresse e nel gruppo de la L. l/aevi- gata (4), ascrivendo ad essa, con dubbio, un esemplare re- cente, che é tutt’altro che tipico, e che, per asserzione de lo stesso autore, potrebbe anche riguardarsi benissimo come un Lagena saccutus n. nicchio mucronato di L. marginatu (5). Egli asserisce inoltre ‘RSNiiia Teo volle che la L. acuta ha con la L. laevigata rapporti eguali a quelli presso Bologna. (1) Bollettino della Società Geologica Italiana, vol. VII, 1883, pag. 47, tav. III, fig. 7. — Memorie della r. Accademia delle Scienze di Bologna, s. 4°, vol. X, 1890, pag. 466, tav. I, fig. 2. (2) Bollettino della Società Geologica Italiana, vol. VII, 1888, pag. 47, tav. III, fig. 6. (3) Zeitschrift der deutschen geologischen Gesellschaft, vol. X, 1858, pag. 434. — Sitzungsberichte der k. Akademie der Wissensch. zu Wien, vol. XLVI, 1862, pag. 340, tav. VII, fig. 90, 91. (4) Report on the Foraminifera dredged by H. M. S. Challenger, 1384, pag. 446. (5) Ibidem, pag. 474, tav. LIX, fig. 6, a, d. Serie V. — Tomo IX. SI de Re che la L. apieulata ha con la L. globosa, vale a dire che L. acuta è forma mucronata di L. /aevigata. E ciò è esattissimo, in quanto la tipica L. lae- vigata ha margine acuto al pari de la tipica L. acuta. Pertanto, la varietà qui presa in considerazione, avendo margine arro- tondato, non deve associarsi a la tipica £. acuta. Essa é invece somi- gliantissima ad una lagena del miocene di Wieliczka illustrata da Reuss sotto il nome di Fissurina apiculata (1), differendone soltanto per i carat- teri orali, che nella forma di Wieliezka appaiono vicinissimi a quelli de la L. calostoma, di cui è parola nell’ articolo precedente. Ma, anche ricono- scendo l’identità, che io esiterei ad ammettere, de la lagena pliocenica del Bolognese con la F. apiculata, è chiaro che quest’ ultima denominazione specifica va necessariamente sostituita. Terquem ha illustrata, sotto il nome di Fissurina apiculata Reuss, una lagena de |’ eocene parigino, la quale, sia per la forma generale, sia per i caratteri orali, differisce notevolmente tanto da quella di Wieliezka quanto da quella di Bologna (2). Lagena annectens Burrows e Holland. Nella tavola XVII de la « Paleontologia del Regno di Napoli, parte 2* » le figure 22 a 25 hanno, a la pagina 366 del volume stesso, questa sola spiegazione: « Hyaleina. Genere a definirsi, Cos. » Benché il preteso nuovo genere costiano non sia mai stato definito dal suo autore, le figure sopra citate non sono tuttavia tanto oscure da lasciare in dubbio sul valore generico de le forme da esse rappresentate. Trattasi dunque di lagene, e più precisamente di lagene compresse, non essendo peraltro dimostrato che la specie sia veramente la L. marginata, come indica Sherborn nel suo « Index ». Ho potuto rinvenire nella collezione di foraminiferi del r. Museo Geo- i) logico di Napoli un tubetto, accompagnato da |’ indica- Lagena annectens Be zione autografa di Costa @Uigalacina! Lequile) MRsso VIII rioni contiene due esemplari, l’ uno dei quali é di L. globdosa, mentre l’altro è di una lagena compressa, a la quale cer- tamente l’ autore intese applicare il termine generico Hyalaeina. Può es- sere che questo secondo esemplare sia uno di quelli che si volle ripro- (1) Sitzungsberichte der k. Akademie der Wissenschaften zu Wien, vol. XLVI, 1862, pag. 339, tav. VII, fig. 85. — Evidentemente, la Fissurina apiculata non è da confondersi con la Lagena api- culata de lo stesso Reuss, che è forma non compressa. (2) Mémoires de la Société géologique de France, serie 3°, vol. II, mem. 3*, pag. 30, tav. I, fig. 18. durre con le figure citate, ma, stante l’ imperfezione de le figure stesse, non é possibile dare un giudizio positivo a tale riguardo. Comunque sia, è certo che esso é pressoché identico a quella forma del crag inglese che Burrows e Holland designarono col nome di L. annectens, distin- guendola da la L. quadricostulata di Reuss, a la quale Brady aveva rife- rita una forma recente quasi identica a quella del crag (1). Esaminate le figure di Von Schlicht, su cui Reuss istitui la sua specie, e confron- rate con quelle che rappresentano la L. annectens, mi sono io pure con- vinto che le due forme diversificano tra loro. Secondo Burrows e Holland, l’apparenza quadricostulata de la L. annectens non è dovuta ala presenza dì vere coste, ma bensi ad una mo- dificazione della sostanza del nicchio. È questo il caso de |’ esemplare di Lequile, che non differisce da quello del crag che per essere leggermente mucronato e non rientrante a l’ estremità aborale, essendo in ciò più vicino a quello figurato da Brady (Chall., tav. LIX, fig. 15). Del resto, tutti e tre sono piriformi, sensibilmente compressi, ed hanno orificio entosolenico e margine arrotondato. In che consista la suaccennata modificazione, origi- natrice de |’ ornamento caratteristico de la L. annectens, non fu ancora spiegato. Qualche cosa di analogo si osserva talvolta anche nella L. lucida; ma in questa la zona modificata è relativamente molto maggiore, e d° al- tronde la compattezza del niechio è molto minore. La £ annectens eva già stata da me rinvenuta nel pliocene superiore di Terra d’ Otranto, dovendosi ad essa riferire la specie dei dintorni di Lecce che, in base a la fig. 15 di Brady, avevo determinata come L. qua- dricostulata Reuss (2). Lagena bicarinata Terquem sp., var. placentina n. Nel residuo di un campione di sabbia raccolto a Castellarquato ho rinvenuto un esemplare di lagena, ovale, compresso, Fig. 5. entosolenico e provvisto in pari tempo di un breve collo esterno con orificio labiato. Esso presenta grande somi- glianza con la Fissurina rizzae di Seguenza, ma pare che ne differisca nei caratteri marginali (3). Dico pare, perchè Seguenza non ha data sufficiente descrizione di questi ultimi, e, quel ch’é peggio, ha figurata la sua specie soltanto di fronte. Da le parole « margine lato, distineto, albo, opaco » poco si può concludere, ed è (1) A _Monograph of the Foraminifera of the Crag, parte 28, 1895, pag. 203, tav. VII, fig. 11. i, Lagena placentina n. (2) Bollettino della Società Geologica Italiana, vol. IV, 1885, pag. 197. ingrandita 120 volte. (3) Foraminiferi monotalamici di Messina, 1862, pag. 72, tav. II, fig. 50. Castellarquato nel Piacentino. dico e tn lecito tutt’ al più supporre che il margine stesso sia arrotondato piuttosto che carenato. Il nostro esemplare, invece, é bicarenato, e in questo e in altri caratteri è vicinissimo ad una forma che Balkwill e Wright hanno illustrata sotto il nome di L. dicarinata Terquem sp. (1). Ho voluto esa- minare la figura con la quale Terquem ha rappresentata la sua specie, e così ho potuto convincermi che la Fissurina bicarinata de l’eocene non. è identica a la forma recente, poiché questa é liscia, mentre quella, se le osservazioni di Terquem sono esatte, è ornata su ciascuna de le facce da due coste ellittiche concentriche (2). Anche l’ esemplare di Castellarquato non é quindi da confondersi con quello di Parigi, mentre non sembra differire da la forma d’Irlanda che per il minore sviluppo de le carene. Brady, nel suo schema di ordinamento del genere ZLagena (Chall., pag. 445), colloca la ZL. dicarinata nel gruppo de la L. orbignyana, la quale, com’ é noto, è tricarinata. Per parte mia, non troverei inopportuno formare de le lagene bicarenate un gruppo a sé, in cui dovrebbero trovar posto, oltre la varietà tipica eocenica e le altre due sopra descritte, anche un’altra e diversa L. bdicarinata secondo Wright (3), nonché la mia £L. seguen- ziana (4). Quest’ ultima differisce da le altre forme bicarinate per essere priva di solco fra le carene, servendo per tal modo a dimostrare il nesso col gruppo /aevigata. Una de le figure di Brady che furono da |’ autore indicate come L. orbignyana (Chall., tav. LIX, fig. 1), rappresenta piuttosto, a mio avviso, un esemplare dì L. seguenziana. Lo stesso dicasi de la L. or- bignyana var. lenticularis illustrata da A. Silvestri (5). Nodosaria hispida d’Orbigny, forma microsferica. Quantunque molto meno frequente che nella famiglia dei miliolidi, il dimorfismo iniziale non é rarissimo tra i nodosaridi, particolarmente tra quelli che costituiscono la sottofamiglia de le nodosarine. Fra le specie più comuni, in cui esso fu dimostrato ad evidenza, ricordo: Nodosaria rapha- nus (L.), N. raphanistrum (L.), Dentalina radicula (L.), D. cuvieri d° Orb., Frondicularia complanata Defr. (nelle var. alata e rhomboidalis) e Vagi- nulina legumen (L.) (6). A queste deve aggiungersi la Nod. hispida (7). (1) Transactions of the R. Irish Academy, vol. XXVIII, 1885, pag. 342, tav. XII, fig. 30. (2) Mémoires de la Société Géologique de France, serie 3%, vol. II, 1882, pag. 31, tav. IX, fig. 24. (3) Proc. of the Belfast Naturalists Field Club, 1886, pag. 320, tav. XXVI, fig. 8. (4) Bollettino della Società Geologica Italiana, vol. V, 1886, pag. 350, tav. VIII. (5) Memorie della pont. Accademia dei Nuovi Lincei, vol. XII, 1896, pag. 121, tav. III, fig. 10. (6) Ho trattato del dimorfismo iniziale di queste specie in parecchi miei lavori, che qui sarebbe lungo il citare. (7) La N. hispida è stata citata recentemente fra le specie dimorfe da A. Silvestri, ma senza schiarimenti (Atti della pont. Accademia dei Nuovi Lincei, anno LIII, 21 gennaio 1900). — Brady poi — 53 — Esistono nella collezione di foraminiferi che sì conserva nel r. Museo Geologico di Napoli due esemplari accompagnati da l’ indicazione auto- grafa di O. G. Costa: « Nodosaria scabra Reuss. Ta- Fig. 6. ranto ». Sono quelli stessi di cui l’ autore fa menzione trattando de la N. hispida e sue varietà, con le parole : « Frequentissima com’ é la N. hispida nell’ argilla di Ta- ranto, fra centinaia di esemplari ci ha esibiti appena due individui siffattamente modificati » (1). Costa è d’avviso ehe essi corrispondano a la Dentalina scabra di Reuss del neogene di Vienna, ma di tale identità mi permetto di dubitare, poiché, se le osservazioni di Reuss sono esatte, nella D. scabra la camera iniziale è di molto maggiori di- mensioni, e mucronata. Certo è che Reuss non fa cenno alcuno de l’ affinità de la sua specie con la N. hispida, mentre Costa (bisogna riconoscerglì questo merito) la sta- bilisce con sicurezza per i suoi due esemplari. Natural- mente egli, che non poteva sapere quel ch’ è dimorfismo iniziale, li ha riguardati come varietà de la N. hrispida; ma è degno di nota quanto esattamente, se non con proprietà di linguaggio, egli ha descritti i caratteri morfologici di questa forma microsferica, la quale, come sempre avviene, € costituita da un numero maggiore di camere de la forma megalosferica. Ecco le sue parole: « Il diverso e maggior numero di cavità proviene da ciò, ch’ essa comincia ad Me «ai sala i Nodosaria hispida d'Orb. esordirsi con cavità piccole e sempre crescenti sopra un © ;ngrandita 47 volte. asse alquanto inarcato; la settima e l’ ottava son poi più Pintomi di Taranto. distinte, più prossime alla sfera, e le altre proseguono ad esser così ed in linea retta, come le 4-6 della MN. Arispida, alla quale sono identiche com- pletamente ». Credo opportuno di riprodurre nella tavola qui unita uno degli esemplari che hanno offerto argomento al presente articolo : quello stesso che é rappresentato da la fig. 34 di Costa. Dentalina elegantissima d’Orbigny. Il nome elegantissima fu applicato da d’ Orbigny ad una nodosaria del neogene di Baden presso Vienna, curva, gracile, ornata da sei coste longitudinali continue, formata da dodici camere ovali-allungate e cre- (Chall. tav. LXIII, fig. 21) illustrò un esemplare de la varietà sublineata, il quale molto probabilmente è da riguardarsi come forma microsferica de la medesima. E tale è anche uno di quelli che nel 1899 furon figurati da Flint (Report of the U. S. National Museum, 1897, tav. LVI, fig. 4). (1) Atti dell’Accademia Pontaniana, vol. VII, fasc. 2°, 1856, pag. 134, tav. XI, fig. 34. scenti in grandezza da la prima, che è piccola e ottusa, fino all’ ultima, che è piriforme e molto acuta a l’ estremità. Entro quali limiti sia la specie variabile, o meglio, quale estensione abbia il gruppo di forme cui é applicabile Dentalina elegantissima d Orb. ingrandita 40 volte. Dintorni di Siena. quel nome specifico, non è bene stabilito. Io credo però che non abbia errato O. Silvestri allorché riferi a la D. ele- gantissima un esemplare del pliocene senese, che si conserva nella collezione di foraminiferi del r. Museo Geologico di Pisa, e che ha fornito argomento a questa nota. Il quale esemplare, mancante disgraziatamente de la parte iniziale, è costituito da undici camere globulari, di cui le ultime quattro sono ornate da otto coste, differendo esso quindi da la forma di Baden per la minore gracilità, per la configurazione più globosa de le camere e per il maggior numero de le coste. D’Orbigny, confrontando la D. elegantissima con la D. cuvieri, asserisce che se ne distingue, non solo per la minore robustezza, ma anche per il minor numero de le coste, nonché per le minori dimensioni. A me pare invece che il carattere differenziale più importante sia quello de la configurazione de le camere, che nella D. cuvieri sono cilin- driche e ravvicinate. È indubitato però che le due forme sono tra loro connesse per graduato passaggio. Al quale proposito, cade opportuno ricordare come A. Silvestri, citando esso pure la D. elegantissima fossile nel pliocene senese (1), trova che gli esemplari da lui raccolti e riferiti a la specie orbi- gnyana rappresentano, meglio che la varietà tipica, degli « anelli di congiunzione » fra la D. carenulata (Brady) e la D. vertebralis (Batsch). Egli crede, a quanto pare, che D. ca- tenulata sia sinonimo di D. elegantissima, ma nel tempo stesso propone di riguardare la prima come varietà de la se- conda. Per conto mio, non ho difficoltà ad accettare quest’ ultima proposta, purché venga mantenuta in ogni caso una distinzione tra le due forme. Io sono pienamente convinto che tutte le dentaline costate si possano ordinare in una serie ininterrotta di modificazioni, gli estremi de la quale sono costituiti da la DL. nodosa (d’ Orb.) Van den Broeck (2) e da la forma curva de la N. raphanistrum, mentre ì termini intermedi vanno a raggrupparsi intorno a la D. elegantissima, a la D. catenulata, a la D. ver- tebralis, a la D. cuvieri e a la tipica D. sulcata di Nilsson. (1) Memorie della pont. Accademia dei Nuovi Lincei, vol. XII, 1896, pag. 181. (2) Annales de la Société Belge de Microscopie, vol. Il, 1876, pag. 89, tav. II, fig. 10. Giandulina laevigata d’Orbigny, var. marginulinoides n. L’intimità dei rapporti esistenti fra i diversi tipi appartenenti a la sottofamiglia dei MNodosarinae fu egregiamente stabilita il giorno in cui i rizopodisti inglesi, riunendo in un solo gruppo alcuni pretesi generi or- bignyani, istituirono, con significato puramente zoologico, il genere Nodo- sarina (1). L’ affinità che passa tra G/andulina e Nodo- saria, tra Nodosaria e Dentalina, è cosi evidente che giudicherei superfiuo il trattarne ancora. Lo stesso di- casi di quella tra Marginulina e Nodosaria, fra Denta- lina e Marginulina, dimostrata mediante l’ esistenza di graduati passaggi da M. hirsuta a N. hispida, da D. com- munis a M. glabra, rispettivamente. Quelli che forse ri- mangono a mettersi in maggior luce sono i rapporti fra Marginulina e Glandulina. Trattando un giorno de la Gl. aequalis di Reuss (varietà che connette tanto bene Glandulina a Nodosaria) ebbì ad illustrare una forma a quattro camere, nella quale é manifesta la tendenza de le a 5 È = 3 margin 1n0010eS N. camere stesse ad assumere la disposizione propria del ingrandita 60 volte. Dintorni di Siena. tipo Marginulina (2); e più tardi, rivedendo gli originali de la G/. acuminata e de la Gl. elongata di Costa (che dimostrai appar- tenere al tipo M. glabra), accennai a la facilità con cui potevano scambiarsi certe forme di M. glabra con le glanduline a linee oblique di sutura (= ge- nere Psecadium Reuss) (3). Ora mì trovo in grado di presentare |’ illustrazione di un esemplare pro- veniente dal pliocene del Senese e che trovasi nella collezione « O. Silve- stri » del r. Museo Geologico di Pisa, determinato insieme ad altri come Gland. princeps. Questi altri spettano al tipo M. glabra: quello in parola rappresenta invece uno splendido termine di passaggio da G/andulina a Marginulina. Esso è ovale-allungato, acuto agli estremi, e costituito da sei camere, di cui le prime cinque sono disposte come nel tipo Glandu- lina, mentre la sesta, assai più piccola de la quinta e piriforme, è sepa- rata da essa mediante una profonda linea settale. In complesso, i contorni sono tutt’ altro che regolari: in corrispondenza de la terza camera notasi, da un lato solo, una leggera depressione, e l’ orificio é alquanto eccentrico. Le due prime linee settali sono quasi parallele tra loro, e cosi pure le due (1) Introduction to the Study of the Foraminifera, 1862, pag. 159. (2) Bollettino della Società Geologica Italiana, vol. V, 1886, pag. 841, tav. VII, f. 12. (3) Rivista Italiana di Paleontologia, vol. II, 1896, pag. 264. = 56. = ultime, che però sono oblique rispetto a le prime; quella di mezzo ha un grado d’inclinazione intermedio. A taluno potrebbe sembrare più conve- niente, data la doppia curvatura de |’ asse, riguardare questa forma come var. glandulinoides de la M. glabra. Tenuto calcolo però de l’ aspetto vera- mente glandiforme che hanno nel loro insieme le prime cinque camere, trovo preferibile ascriverla al tipo Glandulina laevigata. Glandulina laevigata d’ Orbigny, var. subornata n. L’ esistenza d’ intimi rapporti d’ affinità tra G/. laecigata e Gl. comata fu intraveduta dai rizopodisti inglesi allorché essi, trattando de la prima, ne riguardarono la G/and. glans, riprodotta dal modello 51 di d’Orbigny (identica a la Gdl. co- mata Batsch sp.) come una « finely ribbed va- riety » (1). Tre anni dopo essi compresero a dirit- tura sotto il nome di G/. glans anche la tipica Gl. laevigata (2). Quest’ ultima conclusione era evi- dentemente esagerata, poiché, pur riconoscendo i legami strettissimi che uniscono le due forme, non è in modo alcuno giustificabile una confusione di esse sotto un nome solo. Brady infatti non ha esitato più tardi a tenere ben distinta la G4. co- mata da la GL. lacvigata adottando per ciascuna la nomenclatura binominale (3). Ristudiando gli esemplari di foraminiferi che fanno parte de la collezione « O. G. Costa » esistente nel Museo Geologico de la r. Università di Napoli, mi è oc- Glandulina subornata n. ingrandita 60 volte. corso di trovarne uno, proveniente da Lucugnano Lucugnano in Terra d’ Otranto. in Terra d’Otranto e designato da l’autore stesso come Glandulina acuminata, il quale presenta un certo interesse dal punto di vista dei rapporti fra le due forme di cui sopra. De la G/. acuminata ho già avuta occasione di occuparmi altrove, e in tale occasione ho dimo- strato che, se da una parte era intenzione di Costa illustrare sotto quel nome una vera glandulina, liscia e poco diversa da la tipica /aevigata, d’ altra parte l’ originale del Museo di Napoli, determinato da l’autore per Gl. acuminata, fossile a Taranto, è né più né meno che una giovine mar- ginulina (4). Quanto a |’ esemplare di Lucugnano, determinato esso pure (1) Annals and Magazine of Natural History, serie 2°, vol. XIX, 1857, pag. 280. (2) Quarterly Journal of the Geological Society, vol. XVI, 1860, pag. 302, prosp., num. 1. (3) Report on the Foraminifera dredged by H. M. S. Challenger, 1884, pag. 493 e 509. (4) Rivista Italiana di Paleontologia, vol. II, 1896, pag. 264, fig. 1, 1°. JI ( da Costa per G/. acuminata, posso dire che è una vera glandulina, rotta disgraziatamente a l’ estremità orale, ma realmente acuminata a |’ estremità aborale e avente in complesso i caratteri de la tipica /aevigata, da la quale però essa differisce per avere la regione iniziale ornata da numerose e delicatissime costicine, che interessano il nicchio per un terzo circa de la sua lunghezza e rendono pressoché indistinte le linee di sutura. Siffatta par- ziale ornamentazione è il carattere appunto che stabilisce affinità fra il nostro esemplare e la G/. comata, e induce a considerarlo come termine di pas- saggio fra questa e la G/. laevigata. Del resto, anche nella tipica G/. co- mata è rarissimo, se pure esiste, il caso in cui le coste, come nel modello 51 di d’ Orbigny, interessano tutto quanto il nicchio (1). Lingulina costata d'Orbigny, var. mutinensis Doderlein. De la collezione di foraminiferi che conservasi nel r. Museo Geologico di Pisa, e che fu studiata circa quarant’ anni fa da Orazio Silvestri, fanno parte alcuni esemplari di Lingulina provenienti Pie. 10. da l’Imolese e determinati come L. costata d’ Orb., uno dei quali, di notevoli dimensioni (è lungo 4 mm. e 3), offre argomento a la presente nota. La determi- nazione di Silvestri può dirsi esatta: più precisa- mente, il nostro esemplare corrisponde a quello di Sant'Agata Fossili, del quale Dervieux ha dato uno schizzo designandolo col nome di L. costata, var. mu- tinensts (2). La L. mutinensis (come anche di recente ho ricordato) (3), istituita da Doderlein nel 1862 senza illustrazione alcuna, non fu figurata da Malagoli che nel 1888; da la quale figura si rileva trattarsi di una forma specificamente inseparabile da la L. costata e diversa da essa soltanto per il minor numero di coste da cui é ornata. La tipica L. costata, com'è illustrata da d’Orbi- gny, ha quattordici coste; la varietà mutinensis, se- i condo Malagoli, ne ha otto, e dieci son quelle de l’“I ite id rito l’esemplare figurato da Dervieux. Di guisa che pos- Romicono (I mele, siamo stabilire che, per quel che concerne il numero de le coste, nella L. co- stata sì hanno tre varietà: 1° la mutinensis Dod., con otto a dieci coste ; 2° la varietà tipica, con dodici a diciotto ; 3° la multicostata Costa, con venti (1) Memorie della r. Accademia delle Scienze di Bologna, serie 5, vol. VIII, 1900, pag. 380, fig. 29. (2) Memorie della pont. Accademia dei Nuovi Lincei, vol. XIV, 1898, tav. III, fig. 20. (3) Rivista Italiana di Paleontologia, vol. IV, 1893, pag. 54. Serie V. — Tomo IX. 8 OE a trenta (1). A queste sono da aggiungersi: la var. rovasendae Derv., ornata di costicine numerose e delicate, e una forma a coste oblique, che Dervieux rappresenta con la sua fig. 18 riferendola a la varietà tipica, ma che io propongo di distinguere da essa denominandola var. obliquecostata. Non si sa bene da quali strati provenga |’ esemplare de |’ Imolese qui preso in considerazione. Dervieux asserisce che la varietà mufinensis è caratteristica del cosidetto piano tortoniano. Pare che in Italia la L. co- stata (compresa la var. mutinensis) sia esclusivamente miocenica. In Ispa- gna, Sechrodt l’ha trovata in copia nel pliocene (2). Nelle zone profonde del pliocene italiano la specie è rappresentata da la varietà multicostata. Questa però non può dirsi esclusiva del pliocene, avendola io rinvenuta, insieme a la var. mutinensis, negli strati miocenici dei dintorni di Bologna. Il nostro esemplare, costituito da sei camere, è percorso da otto coste robuste, quattro per lato. Sopra uno dei lati osservasi una quinta costa, meno grossa de le altre, la quale interessa soltanto | ultima camera e pic- cola parte de la penultima. Erondicuiaria complanata Defrance, var. denticulata Costa. La Fr. dentieulata di Costa (3) non é altro che una varietà, o modi- ficazione che dir si voglia, de la Fr. complanata di Defrance. Quan- Figa tunque io abbia nei miei lavori ripetutamente trattato di questa specie, cercando di coordinare con metodo naturale le varie forme di essa, credo tuttavia che non sia superfluo insistere coll’ eseguire nuove ricerche e col pubblicare nuove osservazioni in proposito, sempre in omaggio a la massima newtoniana : in scientiis ad- discendis, magis exempla prosunt quam praecepta. An- che di recente, trattando di un esemplare adriatico, che ho riguardato come forma microsferica di una modi- ficazione romboidale de la Fr. complanata, ho asserito che questa specie è generalmente rappresentata da due cosidette varietà (l’a/afa, a contorno triangolare o sub- triangolare, e la rhomboidalis, a contorno romboidale o subromboidale), che sono molto più diffuse de la Frondicularia denticulata Costa varietà tipica (4). La tipica Fr. complanata, che è sub- ingrandita 18 volte. Casa del Vento presso Bologn. OVale e le cui camere discendono restringendosi e ten- (1) Rendiconti della r. Accademia delle Scienze di Bologna, n. s., vol. I, 1897, pag. 121, tavola. (2) Zeitschrift der deutschen geologischen Gesellschaft, vo!. XLII, 1890, pag. 391, 410. (3) Memorie della r. Accademia delle Scienze di Napoli, vol. II, 1855 (1857), pag. 371, tav. II, fig. 20, 22; tav. III, fig. 4. (4) Memorie della r. Accademia delle Scienze di Bologna, serie 5°, vol. VIII, 1900, pag. 383, fig. 32. na E dono ad avvolgere la megalosfera, é realmente molto rara: salvo errore, oltre la forma figurata e specificata da Defrance, l’esemplare del Pon- ticello di Savena da me fatto conoscere (1) è il solo di tipica megalosferica Fr. complunata che sia stato illustrato. Meno rara di essa é invece la varietà denticulata, la quale ha per carattere distintivo, non già l’ineguaglianza del margine inferiore (che ha suggerito a Costa quel termine specifico), né l’ornamentazione de la camera iniziale, che si riscontrano quasi sempre anche nelle altre due varietà, ma bensi l’ avere un contorno delineato in modo da potersi qualificare come intermedio fra quello de la var. alata e quello de la var. rRombdoidalis (2). L’esemplare che ha dato argomento al presente articolo è subovale, formato da sedici camere, megalosferico. La megalosfera è ornata da mezza dozzina di coste su ciascuno dei due lati. L’ asse non é tutto diritto, poiché le prime eamere sono disposte secondo una linea leggermente curva. Questa tenue curvatura de l’asse é in rapporto con una certa asimmetria de le camere, le quali da una parte discendono restringendosi, come avviene nella varietà tipica, mentre da l’altra terminano come nelle var. alata e rhom- boidalis. Per concludere, l’ esemplare in parola, che non può conveniente- mente associarsi a queste due ultime, né a la varietà tipica, é dì preferenza da ascriversi a la var. denticulata di Costa. Frondicularia striata d’ Orbigny. È questa una de le molte specie che d’ Orbigny istitui nel « Tableau » citando soiamente figure talvolta incerte di Soldani. In questo caso però le due figure su le quali fu istituita la 7. sfriata sono tutt’ altro che incerte, poiché esse rappresentano a bastanza chia- ramente (Testac., vol. II, tav. IX, fig. Q, A) una forma che s’ incontra non di rado negli strati neogenici e nei mari attuali, delicata, stretta, quasi sempre rotta o in- terrotta, percorsa interamente o in parte da costicine longitudinali, conosciuta generalmente sotto i nomi di Fr. interrupta Karrer e Fr. spathulata Costa. Nes- sun dubbio può aversi su l’identità de la Fr. infer- rupta illustrata da Brady (Chall., tav. LXVI, fig. 7) con quella del miocene d’ Austria illustrata da Kar- rer, e credo che anche non si possa dubitare de (1) Memorie della r. Accademia delle Scienze di Bologna, vol. I, rwrondicularia striata d'0rb. 1891, pag. 481, tav. I, fig. 1. ingrandita 70 volte. (2) Ibidem, vol. V, 1895, pag. 1, tav. IV, fig. 14 a 17. Ponticello di Sìvena presso Bologna. Seli g@oree l'identità di esse con la Fr. antonina de lo stesso Karrer (Geol. von Lu- zon, tav. V, fig. 14). Tutte e tre le forme sono interamente costate. La Hr. spathulata Costa (Mem. r. Ace. Sc. Nap., vol. II, tav. II, fig. 19) ne differisce per essere ornata soltanto nella sua prima metà. Alcuni anni or sono, rive- dendo la collezione « O. G. Costa » del r. Museo Geologico di Napoli, trovai un esemplare indeterminato che figurai e riferii a la £r. spathulata C., e aggiunsi che trovavo molto simili, se non identiche, a la specie costiana la Fr. interrupta e la Fr. antonina di Karrer (1). Poco dopo, A. Silvestri, illustrando alcuni esemplari pliocenici del Senese, ha pienamente conve- nuto con me nell’ammettere l’ identità specifica de le tre forme sopra citate, riconoscendo la priorità de la denominazione costiana (2). Ora io, convinto che la Fr. spathulata C. e la forma, pure del Senese, figurata da Soldani e specificata da d’Orbigny come Fr. striata, siano la stessa cosa, propongo di adottare senz’altro quest’ ultima denominazione, facendo omaggio per tal modo a la legge di priorità non solo, ma rendendo pos- sibile inoltre !a conservazione del termine specifico spathulata per un’altra ben diversa specie istituita da Brady. L’esemplare che ha dato argomento a la presente nota fu raccolto nell’ argilla pliocenica del Ponticello di Savena presso Bologna. Gli altri due de la stessa località, che figurai nel 1891 (Tavola Foram. Ponticello, fig. 19, 20) sotto i nomi di Fr. inferrupta var. raricostata e var. semicostata sono da riguardarsi come due modificazioni de la Fr. striata : l’ una (fig. 19) ornata di una sola costa mediana, |’ altra (fig. 20) costata per poco più di un terzo de la sua lunghezza. Vaginulina laevigata Roemer, var. lequilensis n. Tra i foraminiferi de la collezione « O. G. Costa » che si conserva nel r. Museo Geologico di Napoli trovansi alcuni esemplari indeterminati, ma coll’ indicazione di Lequile, località di Terra d’Otranto ove esistono depositi del pliocene superiore, corrispondenti, se non erro, a quelli di di San Pietro in Lama presso Lecce. Uno di tali esemplari é una nodo- sarina allungata, liscia, curva, compressa, megalosferica, mucronata e co- stituita da sei camere oblique, ben distinte e alquanto convesse. Trattasi evidentemente di una vera vaginulina spettante al tipo zoologico V. luevigata. Sotto il nome di V. /acvigata Roemer, pochi anni fa i rizopodisti inglesi hanno riunito un certo numero di forme, variabili nel grado di (1) Memorie della r. Accademia delle Scienze di Bologna, serie 5%, vol. V, 1895, pag. 7, tav. IV, fig. 12. (2) Memorie della pont. Accademia dei Nuovi Lincei, vol. XII, 1896, pag. 91; vol. XV, 1898, tav. I, fig. 32 a 34. — 61 — curvatura, di compressione e di compattezza, che da un lato si collegano con la Dentalina communis e da l’altro con la tipica V. /egumen (1). Ora, se per tipica V. /aecigata s'intende quella del terziario di Germania che fu illustrata anche da Reuss (2), vale a dire una forma alquanto irregolare, stretta, fortemente compressa, con margine acuto, con numerose camere molto più larghe che lunghe, e con linee di sutura oblique nella regione media e anche più nella terminale, è indubitato che l'esemplare di Lequile non può essere considerato come tipico. Esso, in realta, non differisce da la Denta- lina communis che per il grado sensibile di compressione, il quale, insieme a la convessità de le camere, lo rende di un aspetto veramente legumiforme. Ill Nautilus legumini- formis di Batsch comprende due forme liscie e legger- mente compresse, luna de le quali (fig. 8 6) è una varietà de la D. communis con setti normali a l’asse, mentre l’altra fi (fig. 8 a) pare piuttosto vicina al tipo V. /aevigata. Anche ingrandita 50 volte. bea: cata- istituita da @dOrbignysu figura) diviS.io]- Peasieiniena d'Otranto. dani, non sembra molto lontana da quest’ ultimo tipo. In realta, si tratta semplicemente di una serie di forme che collegano Dentalina a Vaginulina. La V. badenensis, quale fu intesa da d’ Orbigny, non è molto lontana da la V. /aevigata tipica e sembra differirne per la maggiore regolarità e per il mucrone. La V. dadenensis var., di Ober-Lapugy, quale fu illustrata da Neugeboren, é, a mio avviso, da riguardarsi come V. legumen me- galosferica, mentre la V. brufenthali Neug. non è altro che V. legumen microsferica. Gli esemplari recenti figurati da Goés e riferiti a la V. lae- vigata sono quasi tutti lontani da la forma tipica. Uno di essi (fig. 647) é anzi più vicino a la Marginulina glabra. Ma per Goés la compressione del nicchio e la disposizione curva de le prime camere non costituiscono dei caratteri differenziaii di qualche valore, a tale punto che per lui il termine Marginulina non ha ragione d’essere assolutamente e devesi riguardare come sinonimo di Vaginulina. Marginulina costata Batsch sp., var. spinulosa Costa var. Trattando recentemente di un esemplare adriatico di marginulina ap- partenente al tipo costata (3), ho messo in evidenza come la diversità di (1) A Monograph of the Foraminifera of the Crag, parte 3°, 1896, pag. 227. (2) Sitzungsberichte der k. Akademie der Wissenschaften zu Wien, vol. XVIII, 1885, pag. 226, tav. I, fig. 9. (3) Memorie della r. Accademia delle Scienze di Bologna, serie 5*, vol. VIII, 1900, pag. 382, fig. 31. DERE COR aspetto, presentata da le forme che soglionsi riferire al tipo medesimo, sia il più de le volte dovuta al maggiore o minor numero de le coste. Debbo ora aggiungere che anche il grado di sviluppo e di robustezza di queste, la loro prominenza, la loro ottusità o acutezza, contribuiscono notevol- mente a modificare l’aspetto de la M. costata. Ricor- derò, a tale proposito, che rivedendo alcuni foramini- feri neogenici di Messina studiati da Seguenza, ebbi. occasione di porre in evidenza il carattere singolare di certa forma già illustrata da Costa sotto il nome di Nodosaria spinulosa, nella quale le coste, laminari e prominenti, appariscono irregolarmente dentate (1); e che poco dopo, esaminando gli originali costiani de la N. spinulosa, potei convincermi trattarsi in essa di una vera Marginulina, strettamente affine a la tipica co- stata (2). L'esistenza di una simile intimità di rapporti, facilmente intraveduta, é dimostrata in maniera in- contestabile dai caratteri morfologici di un esemplare che ho rinvenuto nell’ argilla della Casa del Vento presso Bologna, il quale è in parte riferibile a la Marginutina spinutosa Costa sp. bIPiCA M. costata e in parte a la varietà spinulosa. Esso ingrandita 18 volte. è infatti costituito nella sua seconda metà da quattro Casa del Vento presso Belen camere ben distinte, convesse e ornate da una doz- zina di coste, poco elevate e alquanto oblique, mentre nella prima metà le camere sono indistinte, e le coste, prominenti e laminari, sì presentano col loro margine irregolarmente dentato, com’é caratteristico de la var. sp? nulosa. Tre anni fa, volendo spiegare il significato di una specie linneana incerta, il Nautilus granum, espressi l’idea che questo potesse corrispon- dere a la varietà in parola (3). Infatti, l’ eccentricità de l’orificio, l’ inter- ruzione e la contrazione de le coste indicate nella diagnosi di Linneo, ven- gono certamente in appoggio a la mia ipotesi. Manca però in essa diagnosi un accenno qualsiasi a la spinosità de le coste medesime, il che, togliendo certezza assoluta a l’ identità, rende forse preferibile la denominazione costiana. Comunque sia, è indubitato che il N. granum è una marginulina poco dissimile da la tipica costata, come ne é poco dissimile la M. pecketi di Schrodt del pliocene spagnolo; mentre la M. pecketi var. spinosa de lo stesso autore (4) presenta notevole affinità con la M. costata var. spinu- losa di (Costa). (1) Memorie della r. Accademia delle Scienze di Bologna, serie 5*, vol III,1893, pag. 432, tav. II, fig. 7,8. (2) Ibidem, vol. IV, 1894, pag. 213, tav. II, fig. 22, 23. (3) Rendiconti della r. Accademia delle Scienze di Bologna, n. s., vol. I, 1897, pag. 46. (4) Zeitschrift der deutschen geologischen Gesellschaft, vol. XLII, 1890, pag. 409, tav. XXI, fig. 1, 2. — 63 — Cristellaria italica Defrance sp., var. felsinea ». Per tipica Cr. italica intendesi quella che fu riprodotta da la figura di Defrance, dal modello num. 85 di d’Orbigny e da le figure 17, 18, 20 a 23 di Brady (Chall., tav. LX VIII), vale a dire una Fig. 15. nodosarina più o meno allungata e distintamente trifacciale, 3 avente aspetto intermedio fra Crisfellaria e Rhabdogonium, differendo sempre da quest'ultimo per i’ ordinamento a spira de le prilme camere e per l’obliquità de le altre. Giova però notare che la tendenza de le camere ad assu- mere la disposizione propria de le cristellarie può essere più o meno pronunciata, cosicché da le forme con aspetto subrabdogonico si arriva, mediante graduati passaggi, a la Cr. arcuata d’Orb. e a la latifrons Brady, e da queste a la Cr. acutauricularis (F. e M.) e a le tipiche cristellarie bifacciali; mentre, d’altra parte, da le forme più gracili de la Cr. italica sì passa, mediante la trifacciale Marginulina triangularis d'Orb., a le vere marginuline. bai. Pad Altro carattere importante de la tipica Cr. ifalica è la ingrandita 29 volte. semplicità de le linee settali, a tale punto che Brady, sotto Sn Aut!le presso Bologna. il nome co/picellii di Costa, ha creduto conveniente di distinguere una varietà in cui le suture appaiono ingrossate da sostanza trasparente (Chall., tav. LXVII). Vero é che l’originale costiano de la Cr. colpicellit, come ho dimostrato in altro lavoro (1), non corrisponde a la forma illustrata da Brady; resta però sempre il fatto che quest’ ultima differisce dal tipo per la suaccennata modificazione suturale. Una modificazione analoga, ma di gran lunga più importante, è quella che si osserva in un esemplare miocenico dei dintorni di Bologna, nel quale la sostanza conchiliare semitrasparente (che nella var. co/picellii di Brady é contenuta nel piano facciale) emerge, ricoprendo la parte supe- riore di ciascuna camera e formando una serie di grossi cordoni trasver- sali, che si arrestano a le due carene anteriori, lasciando nella tipica sem- plicità le suture de la faccia frontale. Ta Cr. italica ha avuto il suo massimo sviluppo nel neogene, ma può dirsi bene rappresentata anche nell’attualità. Seguendo Wright, la sua comparsa risaliberebbe al cretaceo, e, secondo Parker e Jones, la sua presenza nell’ eocene sarebbe dimostrata. A questo proposito noterò soltanto che le due forme de l'argilla di Londra figurate da Jones e Chapman (1) Palaeontographia Italica, vol. I, 1895, pag. 145, tav. VII, fig. 10. gui e da essi determinate come Cr. ifalica, sono, per vari caratteri, assai lon- tane da la varieta tipica, avvicinandosi piuttosto a la Cr. arcuata (1). Cristellaria seguenziana ». Il termine specifico, che ho creduto opportuno di applicare a questa cristellaria pliocenica dei dintorni di Bologna, mi é stato suggerito dal presentare essa la massima somiglianza con una forma neogenica di Calabria, raccolta da Se- guenza nell’ argilla di Benestare, e da lui illu- strata sotto il nome di Cr. pawcitsepta (2). « Que- sta particolarissima specie (scrive |’ autore) ha forma pressoché rettangolare cogli angoli roton- dati, non é troppo convessa, é gibbosa nella re- gione centrale e fornita di una stretta lamina mar- ginale. Le logge visibili sono quattro, disgiunte Cristellaria seguenziana n. ingrandita 18 volte. da suture impresse ben profondate, le quali sono Casa del Vento presso Bologna. poco curve e disposte |’ una perpendicolarmente all’ altra, lasciando una grande aia centrale; la superficie è levigatissima ». Tali parole servono assai bene a descrivere anche la nostra cristellaria, la quale differisce in ultima analisi da la Cr. paucisepta di Seguenza per la sola mancanza di quella « grande aia centrale » indicata da l’au- tore, che, a dir vero, non riesco a distinguere neppure nella figura da lui data, e che molto probabilmente corrisponde a la superficie visibile de la quart’ ultima camera. Se pertanto, tutto considerato, non appare in modo alcuno giustificata una separazione de la forma bolognese da quella di Calabria, é però necessario notare che il termine specifico fenuisepta non può essere mantenuto a la cristellaria in parola, per essere stato applicato molti anni primi da Reuss ad una forma del terziario antico di Prussia, diversa certamente da la nostra (3). È innegabile |’ esistenza di una certa affinità fra la Cr. seguenziana e la Cr. articulata Reuss, quale è rappresentata da una de le figure di Bra- dy (4). In questa però le camere esterne sono sei invece di quattro, le linee settali sono meno profonde, come press’ a poco si osserva anche nella Robulina cancellata di Costa (5). Ricorderò, da ultimo, che Hantken ha figurata, sotto il nome di Robdulina depauperata Reuss, una cristellaria (1) Journal of the R. Microscopical Society, serie 2*, vol. VI, 1886, tav. XV, fig. 23; tav. XVI, fig. 4. (2) Memorie della r. Accademia déi Lincei, serie 3*, vol. VI, 1880, pag. 141, tav. XIII, fig. 13, 13 a. (3) Zeitschrift der deutschen geologischen Gesellschaft, vol. IV, 1852, pag. 17, fig. a, d. (4) Report on the Foraminifera dredged by H. M. S. Challenger, 1884, tav, LXIX, fig. 10. (5) Atti dell’Accademia Pontaniana, vol. VII, fasc. 2°, 1856, pag. 230, tav. XIX, fig. 5, A, B. = 06 — oligocenica che presenta una somiglianza notevole con la Cr. seguenziana, pur differendone per avere cinque camere esterne, le cui linee settali con- vergono tutte in un punto (1). A la Casa del Vento presso Bologna ho raccolto tre esemplari di Cr. sequenziana, nei quali si osserva una costanza notevole di caratteri mor- fologici. Cristellaria clericii Fornasini. Questa specie fu da me istituita nel 1895 con un breve eenno preven- tivo, stampato a parte in pochissime copie e accompagnato da una figura a contorni che rappresenta il solo aspetto laterale del nicchio (2). Trat- tandosi di una forma interessante, la quale é stata rinvenuta dipoi anche da Chapman nelle marne neogeniche di Bissex Hill nell’ isola di Barbados (3), credo che non riescirà inoppor- tuno presentarne ora più ampia illustrazione. bauersic/ericu, per chi me osserva. uno del lati a debole ingrandimento, é fornita di un carattere singolare, quello cioé di aver il lato i medesimo diviso in due zone concentriche, cia- CRI Tati scuna de le quali è suddivisa, mediante striscie e oe: i Palidoro in provincia di Roma. settali di colore oscuro, in nove parti, altrettante quante sono le camere visibili. Le striscie settali de la zona esterna sono diritte e sembrano, a prima vista, indipendenti da quelle de la zona interna, le quali invece sono curve. Ciò è dovuto al fatto che queste ultime, giunte verso la metà del raggio, si piegano bruscamente, pigliando altra direzione, in modo che ie camere de la zona centrale sono conformate come. nella Cr. cortez (F. e M.:, e nella periferica, come nella Cr. rofulata (Lam.). Qual- che cosa di analogo si osserva anche nella ARodulina serpens di Se- guenza (4); ma in questa le linee settali si piegano gradatamente, di guisa che non ne risultano le due zone concentriche. La Cr. serpens è da Brady associata a la Cr. vortex (5); essa però ne differisce, perché le linee settali, vorticose nella regione umbilicale, si raddrizzano procedendo verso la peri- feria. La Robulina obtusa di Reuss (6), che, secondo il suo autore, diffe- risce da la A. imperatoria d'Orb. (= Cr. vortex) per avere carena ottusa (1) Mitth. aus dem Jahrb. der k. ung. geol. Anstalt, vol. IV, 1875 (1831), pag. 55, tav. XIV, fig. 16. (2) Cristellaria clericii, n. sp. Bologna, 10 gennaio 1895. Tip. Gamberini e Parmeggiani. (3) Quarterly Journal of the Geological Society, vol. LIV, 1898, pag. 554. (4) Memorie della r. Accademia dei Lincei, serie 3", vol. VI, 1880, pag. 143, tav. XIII, fig. 25. (5) Report on the Foraminifera dredged by H. M. S. Challenger, 1884, pag. 548. (6) Denkschriften der k. Akademie der Wissensch. zu Wien, vol. I, 1850, pag. 369, tav. XLVI, fig. 18. Serie V. — Tomo IX 9 SL e camere meno curve e quasi spezzate (« fast gebrocheu »), va riguardata come intermedia fra Cr. vortea e Cr. serpens. In conclusione : Cr. elericii, Cr. serpens e Cr. obtusa costituiscono un gruppo di forme intermedio fra Cr. vortex e Cr. rotulata. Polymorphina vitrea Bornemann sp., var. glandulinoides n. Sotto il nome di Gutffulina vitrea, J. G. Bornemann descrisse e figurò nel 1855 una minuta polimorfina, oviforme, acuta agli estremi, da lui rin- venuta negli strati oligocenici di Hermsdorf presso Berlino (1). Il carattere più importante di questa specie è lo sviluppo notevole de |’ ultima camera, la quale occupa da sola più di due terzi de l’intero nicchio, abbracciando, a la guisa de le glanduline, gran parte de le camere precedenti. Del resto, le limee di sutura sono depresse, l’orificio é circondato da pochis- simi raggi e la superficie é liscia e vitrea. I rizopodisti inglesi, nella loro monografia de le polimorfine, asso- ciarono la G. vitrea a la G. ovalis de lo stesso Bor- nemann e a la P. fusiformis di Roemer (2); ma i ina queste tre forme, quantunque siano tutte più o meno ingrandita 70 volte. ovoidali e acute agli estremi, hanno però una di- Lequile, in. Lera d:Obent). versa disposizione “dele “camere: Mmensono, tra sleno identiche. Non mi é nota altra illustrazione de la P. vifrea tranne quella di Bornemann, né altra citazione de la medesima tranne quella di Se- guenza, che la disse fossile nelle marne bianche plioceniche (« trubi ») di Caltagirone in Sicilia (3). Esiste nella collezione di foraminiferi « O. G. Costa », che si conserva nel r. Museo Geologico di Napoli, un tubetto contenente due esemplari accompagnati da l’indicazione « Oo/ina, Lequile ». Tali esemplari, visti anche a debole ingrandimento, lasciano scorgere il loro carattere politala- mico, sicché, esclusa la pertinenza al genere Lagena, appaiono, per la generale conformazione, facilmente riferibili al tipo G/andulina. Uno di essi, infatti, non è altrimenti separabile da la G/. laevigata d’ Orb., var. rotundata Reuss. L'altro invece è né più né meno che una Po/ymorphina, nella quale si riscontrano, a mio avviso, i caratteri morfologici fondamen- tali de la P. vitrea Born. Essa però differisce da la forma di Hermsdorf principalmente : 1° per la niuna depressione de le linee di sutura; 2° per il maggior numero di camere che costituiscono la parte iniziale ; 3° peri (1) Zeitschrift der deutschen geologischen Gesellschaft, vol. VII, 1855, pag. 346, tav. XVII, fig. 8. (2) Transactions of the Linnean Society, vol. XXVII, 1870, pag. 220. (3) Memorie del r. Comitato Geologico d’ Italia, vol. I, 1871, pag. 79. NE (3 numerosi raggi che circondano l’ orificio. Conviene quindi distinguere la polimorfina di Lequile dal tipo di Bornemann; e, poiché l’aspetto di essa ricorda tanto quello di una glandulina, propongo di denominarla P. glandulinoides. Potrebbe a taluno sembrare conveniente considerare in questa poli- morfina un caso di biformismo, vale a dire di associazione di Polymor- phina a Nodosaria, ascrivendola di conseguenza al genere Dimorphina. Io credo però che questo termine generico debba essere serbato per quelle forme, nelle quali la parte uniseriale é, a lo stato adulto, costituita da più di una camera, come avviene, ad esempio, nella D. fwberosa. Poiymorphina rotundata Bornemann sp., var. pyrula n. Questa polimorfina del pliocene senese trovasi nella collezione di fora- miniferi esistente nel r. Museo Geologico di Pisa studiata da O. Silve- stri, il quale la designò in schedis col novo nome di G/obulina appendiculata. Essa è piri- forme e costituita da quattro camere, la prima de le quali, che é arrotondata, è provvista di una breve appendice formata da tre aculei, donde la denominazione specifica assegnatale da Silvestri. La seconda e la terza camera sono alquanto convesse, e l’ ultima, che è acuta, è fornita, a l’apice, di un orificio circolare assai male delineato, il quale non appare circondato dai raggi che ornano comunemente l’ apertura de le polimorfine. Fatta eccezione per quest’ ul- timo carattere. il nostro esemplare ricorda, più di qualunque altro, quello oligocenico che ve- si . N, nnt, Polymorphina pyrula n. desi rappresentato da le fig. 4 e 5 (tav. XXIX) ingrandita 50 volte. Piniorni di Siena. de l’atlante di Von Schliceht (1). È noto che le fig. 1 a 5 de la tav. XXIX, unitamente a le fig. 6 a 10 de la tav. XXVIII de l’atlante medesimo, furono da Reuss riferite a la sua P. furgida (2), ed è noto pure che tutte le forme rappresentate da le sopra citate figure di Von Sehlicht furono da Brady riunite a la P. rofundata di Bor- nemann (3). Anche la nostra polimorfina sarebbe quindi da associarsi a quest’ultima. Giova però notare che l estensione data da Brady, (1) Die Foraminiferen des Septarienthones von Pietzpuhl. Berlin 1870. (2) Sitzungsberichte der k. Akademie der Wissenschaften zu Wien, vol. LXII, 1370, pag. 487 {= Gutt. turgida 1856? — Ibidem, vol. XVIII, pag. 246, tav. VI, fig. 66). (3) Report on the Foram. dreiged by H. M. S. Challenger, 1884, pag. 570, tav. LXXIII, fig. 5 a 8. MEER DO peeni e dai rizopodisti inglesi in generale, a la P. rotundata è molto maggiore di quelia che da Bornemann fu assegnata a la specie stessa. Basta, per convincersi di ciò, confrontare fra Icro e con la figura de la tipica P. ro- tundata \e fig. 5 a 8 di Brady. Questi asserisce che la specie, o varietà che dir voglia, è estremamente variabile (« this is an exceedingly varia- ble form »), e su ciò non è lecito porre innanzi il minimo dubbio. Rimane però a vedersi se non convenga in aicuni casi distinguere certe forme da la varietà tipica e designarle con particolare denominazione. Ed io credo che uno di tali casi sia offerto appunto da la polimorfina di Siena qui presa in esame, è la quale riunisco quella riprodotta da le fig. 4 e 5 di Von Schlieht, designandole col novo nome di P. pyrula. La presenza di appendice non è carattere differenziale di qualche valore, e perciò il termine appendiculata non è consigliabile. Pare che anche l'esemplare rappresentato da la fig. 4 di Von Schlicht possegga tracce di mucrone. Polymorphina gibba d’Orbigny, var. glomulus n. Determinata, nella collezione di foraminiferi che si conserva nel r. Isti- tuto Geologico di Pisa, come P. problema d’ Orb., questa polimorfina del pliocene senese non é certamente da associarsi a la comune varietà orbignyana, quantunque presenti con essa notevole affinità. Esistono dei casi in cui la P. problema ha un aspetto vera- mente globoso, dovuto a l’essere arrotondata a l'estremità aborale, come si osserva, ad esem- pio, nella forma del crag di Sutton figurata da Jones, Parker e Brady (1). Ma anche in tali casi la P. problema differisce sempre da la nostra polimorfina per essere costituita da quat- . tro camere almeno, le quali sono molto più ri- Polymorphina glomulus n. gonfie. La P. glomulus consta invece di tre SE camere visibili, di cui l’ultima soltanto ha un certo grado di convessità; è nell’ insieme assai globosa, benché si presenti alquanto compressa, ed ha, a parer mio, maggiori rapporti di affinità con la P. gibba. Questa, nella sua forma tipica, quale cioé fu illustrata da d’ Orbigny e da molti altri autori, è quasi sferica, generalmente un po’ acuta a l'estremità orale, e costituita da tre camere visibili, separate mediante linee settali non approfondate né depresse (2). La P. glomulus non è quindi da identificarsi con la tipica (1) Transactions of the Linnean Society, vol. XXVII, 1870, tav. XXXIX, fig. 11 d. (2) Report on the Foraminifera dredged by H. M. S. Challenger, 1884, pag. 562. Ogni P. gibba. Trovasi forse qualche forma, che più di questa le èé vicina, in quelle modificazioni meno regolari e più evolute de la P. gibba che Egger distinse coi nomi di var. vera, ovoidea e subgibba (1). Ho sott’ occhio anche la figura di una polimorfina del crag corallino di Broom Hill, che i rizopodisti inglesi (veramente non so rendermi conto in tutto di questa loro determinazione) ascrivono a la P. sororia (2). Ebbene, io trovo che i caratteri morfologici de la forma di Broom Hill sono eguali a quelli de la P. glomulus; unica differenza: la maggiore lunghezza e convessità de le camere, o, in altri termini, l'aspetto più evoluto de l’intero nicchio. Essa è quindi più prossima de la nostra a la P. problema, a la quale facilmente si può giungere mediante aumento di numero e convessità de le camere. La P. glomulus è forma intermedia fra la P. problema e la tipica P. gibba. Come gia fu notato, tutte le polimorfine liscie sono tra loro specificamente inseparabili; ma una ripartizione di esse in gruppi e una distinzione di nomenclatura sono più che mai necessarie. Poliymorphina soeroria Reuss, var. consobrina n. Se per varietà tipica de la P. sororia intendesi quella polimorfina sub- fusiforme e leggermente compressa la quale venne rappresentata da le fig. 27 e 28 di Reuss nel lavoro sui foramini- Fig. 21. feri del crag d’ Anversa (3), bisogna convenire che l’ esemplare qui preso in considerazione non appare molto lontano da essa. Si confronti par- ticolarmente la faccia anteriore de |’ esemplare nostro con la fig. 2? di Reuss, e si vedra che, entro un contorno generale subfusiforme e al- quanto irregolare, le camere sono configurate e disposte press’a poco allo stesso modo. In com- plesso però il contorno del primo è sensibil- mente più acuto a le due estremità, e le camere sono un poco più convesse, di guisa che le su- ture appaiono in certi punti più profonde e di- stinte. D’ altra parte quest’ ultimo carattere, uni- ORRORE OTTO tamente a quello de l’aspetto fusiforme del nic- i a chio, avvicina moltissimo la P. consobrina ad una ve varietà de la P. communis, che d’ Orbigny distinse col nome di P. au- (1) Neues Jahrbuch fiir Mineralogie etc., anno 1857, pag. 288, 239, tav. XIII fig. 1 a 10. (2) A Monograph of the Foraminifera of the Crag, parte 22, 1895, tav. VI, fig. 13 a, 13 d. r (3) Bulletins de l’Académie royale de Belgique, serie 2*, vol. XV, 1863, tav. Il, fig. 25 a 20. o striaca (1), e che Brady ha creduto di potere associare a la P. pro- blema (2). Non insisto su la convenienza, che a me pare evidente, di te- nere distinta la P. austriaca da la P. problema, e mi limito ad accennare quella di tenere distinta la P. consobrina da la P. austriaca, essendo quest’ ultima meno acuta a |’ estremità aborale e avendo le camere molto più rigonfie. D’Orbigny, descrivendola, la dice prossima per la sua forma ovale-allungata a la P. nifida, quantunque anche da essa differisca per la maggiore convessità de le camere. È La P. nitida, istituita da |’ autore nel « Tableau » senza da indicazione alcuna, tranne quella de la località (3), non ebbe in seguito altra illustrazione che le parole « espéce SN ovale » che leggonsi nel « Prodròme » nell’ elenco di specie fossili de |’ eocene parigino (4). Fortunatamente, trovasi disegnata nelle « Plianches inédites », cosieché da la figura inedita, che sono ben lieto di potere pub- blicare qui accanto, facilmente si rileva che essa, oltre il differire da la P. austriaca come d’Orbigny aveva asserito, non è per nulla da confondersi con la P. con- sobrina. Questa proviene dal pliocene di Siena, e tro- vasi nella collezione di foraminiferi esistente nel r. Isti- &Orbigny, che rappresena tuto Geologico di Pisa, coll’indicazione di Guttulina covata. to i ng Il quale nome specifico non può esserle mantenuto, per- ché già stato applicato da d’ Orbigny sino dal i£46 ad una polimorfina ben diversa da essa. Fig. 22. — Disegno inedito di Polymorphina communis d’Orbigny, var. etrusca n. Trattasi di una grossa polimorfina di struttura robusta, di eontorno ovale-allungato, acuta a l’ estremità orale, arrotondata a l’ estremità opposta, compressa, con margine arrotondato, con faccia posteriore pianeggiante, con faccia anteriore convessa, e formata da cinque camere separate da linee di sutura ben distinte, leggermente e solo in parte approfondite. Essa proviene dal pliocene di Volterra, e fa parte de la collezione di foraminiferi che si conserva nel r. Istituto Geologico di Pisa, ove trovasi determinata col nome di P. lacryma. (1) Foraminifères fossiles du bassin tertiaire de Vienne, 1846, pag. 223, tav. XII, fig, 23 a 25. — Grandissima somiglianza ha inoltre la P. consobrina con la P. porreeta Reuss, quale fu rappresen- tata da Egger (Abh. K. bayer. Ak. Wiss., vol. XXI, 1899, tav. XVII, fig. 21, 22). Ma la Globulina por- recia quale fu intesa da Reuss (Sitz. k. Ak. Wiss. Wien, vol. XL, 1860, tav. XII, fig. 4) è ben di- versa da la polimorfina figurata da Egger. (2) Report on the Foraminifera dredged by H. M. S. Challenger, 1884, pag. 568. (3) Annales des sciences naturelles, vol. VII, 1826, pag. 266, num. 17. (4) Prodrome de paléontologie stratigraphique universelle, vol. II, 1850, pag. 408, num. 1341. i — Ammesso che l’esemplare di Volterra sia da designarsi con un nome novo, è a sapersi che il termine specifico /acryma era stato da Reuss in precedenza applicato ad una diversa polimor- fina (1). Vero é che quest’ ultima venne dai rizo- podisti inglesi associata a la P. lacfea (2), cosic- ché il termine /acryma, rimarrebbe. in certo modo, disponibile; ma siccome potrebbe in taluno sor- gere il dubbio che la cretacea P. /acryma non fosse identica a la tipica P. lacfea, così, ad evitare ogni possibile equivoco, trovo preferibile abban- donare il termine /aeryma, per designare con quello di P. e/rusca l’esemplare in parola. Affinità morfologiche esistono certamente an- che fra la P. etrusca e la P. lactea ; ma notevoli sono pure le differenze, fra cui principalissima Polymorphina etrusca n. quella de la compressione de la prima. Maggiore ingrandita 20 volte. Dintorni di Volterra. somiglianza ha invece la P. etrusca con la P. com- munis. Questa, a sua volta, é intimamente connessa con la P. /acerea, tanto che Parker e Jones ebbero ad asserire giustamente essere la P. com- munis « a well-depeloped form of P. /acfea, which has interminable degrees of size an shape » (3). Senza insistere su la convenienza di tenere distinta la P. communis da la P. lactea, avendone trattato di recente (4), io mi limi- terò a sostenere che anche la P. efrusca non deve essere confusa con la P. communis tipica, quale vedesi rappresentata nelle tavole del « Tableau » e nel modello 62 di d’Orbigny (5), differendone principalmente per la forma più allungata, e meno triangolare, e per la compressione bifacciale piuttostoché trifacciale. Polymorphina amygdaloides Reuss, var. lepida n. L’ esemplare di Taranto, qui preso in esame, fa parte de la collezione di foraminiferi studiata da O. G. Costa, dal quale fu designato col nome di Globulina minuta, ed è certamente uno di quelli che diedero argomento a l’autore per la descrizione ci’ egli fece de la specie roemeriana (6). Di (1) Die Versteinerungen der bòhmischen Kreideformation, parte 1, 1845, pag. 40, tav. XII, fig. 6; tav. XIII, fig. 83; parte 2*, 1846, pag. 110. — Haidinger ’s naturwissensch. Abhandlungen, vol. III, 1850, pag. 363, tav. XIII, fig. 16; ibidem, vol. IV, 1851, pag. 43, tav. IV, fig. 9, a, d. (2) A Monograph of the Foraminifera of the Crag, parte 3%, 1896, pag. 250. (3) Annals and Magazine of Natural History, serie 3°, vol. XII, 1863, pag. 440. num. 20. (4) Memorie della r. Accademia delle Scienze di Bologna, serie 5%, vol. VIII, 1900, pag. 387, fig. 37. (5) Annales des sciences naturelles, vol. VII, 1826, pag. 266, num. 15, tav. XII, figgla 4. (6) Atti dell’Accademia'Pontaniana, vol. VII, fasc. 2°, 1856, pag. 277. — Costa citò Globulina minuta Reuss, perchè si riferì particolarmente a la forma del neogene di Vienna illustrata da Reuss nel 1850; ma la specie fu istituita da Roemer nel 1838 (Neues Jahrbuch). SE DURE questa, Costa descrisse, senza figurarle, due forme: l’ una fossile « nel- l’Amato, ove sembra non essere troppo rara » e l’altra « nella marna argillosa di Taranto, |. d. il Ceraso ». La prima, a quanto pare, è da ascri- versi a la tipica P. minuta, quale vedesi rappresentata da la figura di Reuss (1). La seconda venne distinta da Costa con queste parole: «In taluni esemplari apparisce un maggior numero di cavità, forsi perché. le suture sono più apparenti. I primi suoi rudimenti rimangono pure talvolta un poco sporgenti, for- mando un piccolo risalto o mammellone ». È evi- dente che l’ esemplare in parola è da riferirsi a la seconda forma, e che questa non è in modo alcuno da associarsi a la P. minuta, differendone per l’ irregolarità del contorno e principalmente per il grado maggiore di compressione, il quale ultimo carattere l’avvicina a la P. amygdaloides N di Reuss (vedasi l’articolo seguente). Vero è Dintorni di Taranto. che, secondo i rizopodisti inglesi, la P. minuta sarebbe inseparabile da la P. amygdaloides, che a sua volta dovrebbe ri- guardarsi quale semplice varietà compressa de la P. /acfea (2); ma è vero altresi che la P. minuta, come Brady più tardi ha dovuto rico- noscere (3), è prossima a la P. /actea molto più che a la P. amygda- loides, e che la P. lepida non può essere identificata né coll’ una né col- l’altra forma, ammettendosene però la maggiore affinità con la P. amygda- lotdes. Intorno a quest’ ultima si aggru; pano forme numerosissime, le quali hanno tutte a comune il contorno amigdaloide, acuto a l’ estremità orale, la maggiore o minore compressione del nicchio e la superficie pianeggiante de le caniere. Da tale gruppo, mediante una graduata diminuzione de la compressione stessa, si passa verosimilmente a la P. sororia, ed è così che vediamo quest’ ultima associata senz’ altro dagli autori inglesi nel 1870 (I. c., p. 214) a la P. amygdaloides. Polymorphina lepida n. Polymorphina amygdaloides Reuss, var. terquemiana n. L’esemplare che ha dato argomento al presente articolo, e che proviene dal pliocene superiore di Castellarquato, ha molta somiglianza con una polimorfina del miocene bavarese che Egger illustrò sotto il nome di (1) Denkschriften der k. Akad. der Wissensch. zu Wien, vol. I, 1850, pag. 377, tav. XLVIII, fig. 8. (2) Transactions of the Linnean Society, vol. XXVII, 1870, pag. 215, figure nel testo. (3) Report on the Foraminifera dredged by H. M. S. Challenger, 1884, pag. 561. — 723 — P. subdilatata (1), da la quale però esso differisce per la forma generale più allungata e più acuta a le due estremità, per la minore obliquità de le camere, di cui le prime tre non sono alterne. La P. subdilatata è asso- ciata da Brady a la P. amygdaloides di Reuss (2), vale a dire a la specie di Freden e di Astrupp istituita nel 1855 (83), e non a la Globulina amygdaloides di Hermsdorf, che ne differisce notevolmente (4). Nella forma del nic- chio e delle singole camere la P. subdilatata non corrisponde però a la tipica P. amygdaloides, e meno ancora le corrisponde nel suo complesso la polimorfina di Castellarquato. La quale, forse più che a la P. subdilatata, è prossima ad una de le tante modificazioni del pliocene superiore di Rodi illustrate da Terquem sotto il nome di P. amy- gdaloides Terq. (5), e precisamente a quella rappresentata da la fig. 25 a, 6. Una parte di tali modificazioni è probabilmente da associarsi a la tipica P. amygdaloides di Reuss, ma non quella Fig. 25. Polymorphina terquenviana n. in parola, che propongo di distinguere col nome ingrandita 100 volte. Castellarquato nel Piacentino. di varietà ferquemiana. La P. terquemiana è inolto affine, per la forma allungata de | intero nicchio e de le camere, a la P. costiana e a la P. lequilensis (vedasi |’ ar- ticolo seguente), differendone soltanto per caratteri morfologici di poco valore. Del resto, trattasi in esse di tre varietà, le quali, insieme a la P. subdilatata Egger e a la P. amygdaloides Terq., costituiscono un gruppo di forme compresse, con camere piane e margine arrotondato, che può dirsi intermedio fra la P. amygdaloides Reuss e la P. oblonga Will. Polymorphina burdigalensis d’ Orbigny, var. iequilensis n. Questa polimorfina, che ho rinvenuta indeterminata nella collezione di foraminiferi studiata da O. G. Costa ed esistente nel r. Museo Geologico di Napoli, ha contorno ovale-allungato e alquanto irregolare, é arroton- data a le due estremità e maggiormente a l’aborale, é compressa ed ha margine pure arrotondato. Consiste di sette camere, le quali tutte sono visibili su la faccia anteriore, apparendovi lunghe e strette : le sole ultime (1) Neues Jahrbuch fiir Mineralogie, etc., anno 1857, pag. 286, tav. XIII, fig. 30 a 33. (2) Report on the Foraminifera dredged by H. M. S. Challenger, 1884, pag. 561. (3) Sitzunzsb. der k. Akademie der Wissensch. zu Wien, vol. XVIII, 1855, pag. 250, tav. VIII, fig. 84. (4) Zeitschrift der deutschen geologischen Gesellschaft, vol. III, 1851, pag. 82; tav. VI, fig. 47. (5) Mém. de la Société Géol. de France, serie 3*, vol. I, mem. 3°, pag. 39, tav. VIII, fig. 22 a 3). Serie V. — Tomo IX. ; 10 cinque si alternano, e le ultime due ricoprono le precedenti in modo da occupare quasi tutta la faccia posteriore. Per la forma generale allungata, per il grado di compressione, per la lunghezza e ristrettezza de le camere, l’esemplare in parola, che proviene dal pliocene superiore di Lequile in Terra d’Otranto, somiglia ad una polimorfina di altra località de la provincia di Lecce, da me fi- gurata altrove (1) e specificata recentemente col nome di P. costiana (2). I due esemplari plioce- nici di San Pietro in Lama presentano leggere differenze morfologiche tra loro. Quello rappre- sentato da la fig. 20 é alquanto più allungato, e più acuto specialmente a l’ estremità aborale. L’ al- tro, rappresentato da la fig. 21, è in complesso meno lontano da l’esemplare di Lequile, ma ne differisce per il minor numero e la minore obli- quità de le camere, e per il mancato sviluppo de l’ultima di queste. Di maniera che, nonostante il Polynorphina lequilensis n. Tian odo eli grado estremo di polimorfismo caratteristico dei Lequile in ‘l'erra d° Otranto. foraminiferi, che nel genere Po/ymorphina, più che negli altri, rende difficilissima la nomenclatura de le cosidette specie, pre- ferisco di terere distinte le due forme di San Pietro in Lama da quella di Lequile. Anche la P. oblonga di Williamson (3) ha camere molto lunghe e strette, ma la direzione di queste parallela a l’asse del nicchio, nonché la maggiore regolarità e compressione, la fanno ben diversa da la P. lequilensis. Nella P. burdigalensis, conosciuta soltanto perché riprodotta nel modello num. 29 di d’Orbigny, copiato dai rizopodisti inglesi (4), le camere sono pure in numero di otto e disposte precisamente come nella P. lequilensts. In questa però esse sono molto più allungate, il contorno generale è più regolare, le estremità sono più acute, e il grado di rotondità del margine è maggiore. Non credo di essere lontano dal vero asserendo che la P. le- quilensts è forma intermedia fra la P. durdigalensis e la P. costiana. Ramulina globulifera Brady. Nel 1894 il prof. G. A. De Amicis annunciava per primo la scoperta del genere Ramulina a lo stato fossile in Italia, avendo egli stesso rinve- nuti degli avanzi di A. globulifera nel pliocene di Bonfornello presso Ter- (1) Memorie della r. Acc. delle Sc. di Bologna, serie 5°, vol. VII, 1893, pag. 210, tav. I, fig. 20, 21. 2) Bollettino della Società Geologica Italiana, vol. XIX, 1900, pag. 154, num. 10. 3) On the Recent Foraminifera of Great Britain, 185$, pag. 71, tav. VI, fig. 149. ) ( ( (4) Transactions of the Linnean Society, vol. XXVII, 1870, pag. 224, tav. XXXIX, fig. 9. DER PR mini Imerese in Sicilia e in quello di Zinola presso Savona in Liguria (1). A giudizio di Jones e Chapman però (2), le ramuline erano già state osservate nel pliocene laziale alcuni anni prima da Terrigi, poiché sa- rebbero da riferirsi a la AR. globulifera due esemplari raccolti nel calcare di Palo, figurati e determinati da esso Terrigi come Lagena luevis, e spetterebbe a la A. aculeata un esemplare di C:po di Bove da lui figurato e riferito a la L. hRispida. Comunque sia, é indubitato che le ramuline furono incontrate sinora molto raramente nel pliocene italiano, ed io credo perciò che non riescirà inopportuno il far conoscere un frammento, che ho rinvenuto nel- l’argilla con Pecten hystria dei dintorni di Bologna, co- stituito da una parte centrale alquanto convessa e ru- gosa, da la quale si dipartono alcuni tubuli cilindrici di diversa lunghezza. Tenuto calcolo de |’ estrema va- riabilità de Ja A. globulifera (quale è dimostrata da le figure di Brady e meglio ancora da quelle di Jones e Chapman), non esito a riferire a tale specie il fram- E mento in parola. Ponticello di Sùvena Il genere Ramulina, istituito da Rupert Jones iran nel 1875, venne quasi sempre considerato come provvisto di tali caratteri morfologici da potere da solo formare una sottofamiglia di lagenidi o nodo- saridi. Pare infatti che la A. glodulifera possa collegarsi al tipo Uvigerina mediante | U. in/errupta di Brady. Eimer e Fickert trovano invece che maggiori affinità esistono fra Ramulina e .Aschemonella e uniscono questi due generi a formare la famiglia degli aschemonellidi, spettante al gruppo dei loro sticostegi (non d’Orbigny) (3). Ma, qualunque sia il posto che vuolsi assegnato a le ramuline, é certa la loro importanza come tipo di- stinto. L'ipotesi, che esse siano da riguardarsi come frammento di processo fistoloso di polimorfine, non appare sussistente; né più attendibile è, secondo Rzehak, l’idea espressa da Andreae, che nella fistolosità de le poli- morfine possa trattarsi di una specie di simbiosi tra Po/ymorphina e Ramu- lina (4). Ramulina globulifera Brady (1) Bollettino della Società Geologica Italiana, vol. XIII, 1894, pag. 110. (2) Linnean Society Journal, Zoology, vol. XXVI, 1897, pag. 342, 346. (3) Zeitschrift fiir wissenschaftiche Zoologie, vol. LXV, 1899, fasc. 4°. (4) Annalen des k. k. naturhistorisches Hofmuseums, vol. X, 1895, pag. 224, 225. e Figura » » » » » » » RARO ELENCO DE LE SPECIE E DE LE VARIETÀ SOPRA DESCRITTE E FIGURATE 26 LU. 27. 25. Lagena emaciata Reuss, var. felsinea Forn. . . . . » » » » laevigata (Reuss), var. calostoma Forn. acuta (Reuss), var. sacculus Forn. ANNECCEN SEB RCA RR bicarinata (Verq.), var. placentina Forn. . Nodosaria hispida d’ Orb., microsferica . Dentalina elegantissima d' Orb. . Glandulina laevigata d Orb., var. marginulinoides Forn. » » » » subornala Forn. . .-. Lingulina costata d' Orb., var. mutinensis Dod. Frondicularia complanata Defr., var. denticulata Costa » CERA RI e rien e a Vaginulina laevigata Roem., var. lequilensis Forn. . Marginulina costata (Batsch), var. spenulosa (Costa) . Cristellaria italica (Defr.), var. felsinea Forn. » » SEGUENZIONOSEI ONLINE MEA TERE RO. clericit Forn. . Polymorphina vitrea (Born.), var. glandulinoides Porn. » » » » » » » rotundata (Born.) var. pyrula Forn. gibba dOrb., var. glomulus Forn. sororia Reuss, var. consobrina Forn. nitida d' Orb. } communis d’Orb., var. etrusca Forn. amygdaloides Reuss, var. /epida Forn. » » » (lerquemiana Forn. burdigalensis d' Orb., var. lequilensis Forn. Ramulina globulifera Brady. Pagina 47 » 48 » 49 » 50 » ol » 52 » 58 » 55 » 56 » DI » 58 » 59 » 60 » 6l » 63 » 64 » 65 » 66 » 67 » 68 » 69 » 70 » 70 » TI » iz » 73 » 74 RICERCHE SPERIMENTALI SULLA SIBROTERAPIA NEL TETANO MEMORIA Prof. GUIDO TIZzZZzZonNI (Letta nella Seduta del 13 Gennaio 1901). SEE Efficacia curativa del siero da me preparato; condizioni nelle quali si verifica; rapporto fra potere curativo e potere antitossico. Nonostante le numerose prove sperimentali, nonostante le molte storie cliniche pubblicate di casi di tetano guariti col siero, pure non é ancora entrata nella coscienza di tutti la convinzione assoluta che la sieroterapia abbia una reale efficacia nella cura del tetano. Anzi, non sono pochi quelli che anche oggi accettano con molta riserva questo nuovo portato della scienza, a cui in caso di bisogno fanno ricorso solo perché la medicina non offre al riguardo niente di più sicuro. Né meno rari sono quelli che, accampando per il siero antitetanico pre- tese esagerate, quali non potranno mai realizzarsi per nessun medicamento, anche se dotato di azione specifica, o giudicando sotto |’ impressione di qualche insuccesso, accolgono le nuove idee col più grande scetticismo e negano al siero qualsiasi efficacia curativa. Questa divergenza di giudizi trova la sua piena giustificazione nelle due circostanze seguenti : 1.° nella contraddizione dei risultati sperimentali; 2.° nella diversità dei risultati clinici rapporto alle condizioni in cui fu praticata la cura, e allo stesso tempo nella facilità con la quale i casi che 24 MORI pd ebbero esito favorevole offrono campo alla critica e si prestano alle più disparate interpretazioni. Sui risultati clinici, sia riguardo al modo come le statistiche debbono esser compilate e interpretate, sia riguardo ai criteri che nei singoli casì debbono ispirare un giudizio, parlerò in altro lavoro nel riferire partico- larmente i risultati ottenuti svi cavalli dell’ Esercito nella cura del tetano. Nel presente voglio restringere la discussione esclusivamente al campo sperimentale, che, secondo il moderno indirizzo della scienza, deve formare il fondamento di qualsiasi applicazione pratica. Le esperienze sull’ azione curativa del siero antitetanico offrono, come abbiamo detto, i risultati più contradittori, ora positivi, ora incerti, ora assolutamente negativi. Ottennero risultati positivi Behring e Kitasato, Kitasato, Behring e Knorr, Strick (1); ottennero risultati incerti Brieger e Cohn (2), cioé positivi nelle semplici intossicazioni, negativi nelle infezioni determinate a mezzo delle spore diseccate sopra scheggie di legno, e ciò anche quando fu adoprata una quantità fortissima di ma- teriale curativo (circa 1 gr. di antitossina concentrata per 145-190 gr. di animale); ebbero risultati negativi Roux e Vaillard, Beck, Nocard (3). Per quanto mi riguarda, io, in più occasioni, no già provato nel tetano sperimentale 1’ efficacia del siero da me preparato (4). Ciò dico espressa- mente per smentire | asserzione erronea ehe é stata ripetuta in molti la- vori, cioè che l’azione curativa del mio siero non é stata mai provata; (1) Behring e Kitasato — Ueber das Zustandekommen der Diptherie-Immunitàt und des Teta- nus-Immunintàt; Deutsch. med. Wochenschr. 1890, N. 49. Kitasato — Heilversuche an Tetanuskranken Thieren. Zeitschr. f. Hygiene Bd. XII, 1892. Behring e Knorr — Ueber das Immunisirungswerth und Heilwerth des Tetanusheilserums bei weissen Mausen; Zeitschrift f. Hygiene Bd. XIII, 1593. Vorhandlung der physiol. Gesellsch. zu Berlin 1893. Sitzung 13 Januar 1893. Knorr — Experimentelle Untersuchungen iber die Grenzen der Heilungsméoglichkeit des Teta- nus durch Tetanus Heilserum. Habilitationsschrift. Marburg 1895. Strick — Die Tetanusinfektion von schuwununden und Hàmatomen ausgehend bei Kaninchen mit Beriicksichtigung der Serumprophylaxis und Therapie. — Inaug. Diss. Bern 1898. (2) Brieger e Cohn — Beitràge zur Concentrirung der gegen Wundstarrkrampf schitzenden Substanz aus der Mi!ch. Zeitschrift f. Hygiene Bd. XV 1893. (3) Roux e Vaillard — Contribution à l’ étude du tétanos. Annales de 1’ Institut Pasteur. T. VII 1893. Beck — Exsperimentelle Untersuchungen tiber den Tetanus. Zeitschr. f. Hygiene Bd. XIX 1895. Nocard — Sur la sérothérapie du tétanos. Recueil de Mad. Véter. T. LXXIV, p. 484. (4) L’immunità contro il tetano studiata negli animali molto recettivi per questa infezione (cavia, coniglio, topo). Riforma Med. N. 183-184. Agosto 1891. Alcune questioni relative all’ immunità nel tetano Riforma Med. N. 192-193. Agosto 1892. Weitere experimentelle Untersuchungen iber die Immunitàt gegen Tetanus. Berliner. Klin. Wo- chenschr. N. 49, 1893. ed anche per confutare quanto è stato affermato di recente dallo stesso Behring sul medesimo argomento, cioè che il valore curativo del mio siero, giudicato dal suo potere antitossico in vitro, deve esser molto basso, e così basso che per luomo una sola dose curativa ascenderebbe a 750 cmì (1). Vedremo pià tardi quanto sia poco giusto questo severo giudizio. In- tanto mi piace fin d’ora rilevare come esso trovi una contraddizione nelle stesse parole del Behring (2) quando questi accoglie favorevolmente la mia proposta di praticare le iniezioni di siero, ogni volta ciò sia possibile, in tutta vicinanza del focola]o d’ infezione, perché egli viene in tal modo a provare di aver conosciute, apprezzate e debitamente controllate le espe- rienze comparative sulla cura del tetano che ne sono il fondamento, ed in cui è luminosamente dimostrato | alto potere curativo del mio siero (3). Né sono minori le contraddizioni o le restrizioni che su questo argo- mento si sono verificate nella medesima Scuola o per opera di uno stesso scienziato. Nella Scuola di Berlino, Beck nega quanto nello stesso Istituto era stato ammesso e dimostrato poco tempo prima da Kitasato a ri- guardo della cura del tetano col sangue di animali vaccinati. Behring e Kitasato, che prima ammettevano la guarigione del tetano sperimentale « anche quando più estremità erano prese dalla malattia e, per la fatta « esperienza, era a ritenersi che la morte dovesse avvenire in poche ore », più tardi ristringono questa possibilità solo all’ esordio dei fenomeni locali o quando questi non sono molto avanzati, cioé entro le prime 24-36 h° dalla praticata intossicazione. E questo precetto, che prima fu sostenuto da me (4), oggi è propugnato validamente, non solo da Behring, da Kitasato e da Knorr, ma da tutti quanti si sono occupati con profitto della sieroterapia nel tetano. Tutte le divergenze, tutte le incertezze notate nei risultati sperimentali riguardanti la cura del tetano, trovano al presente facile spiegazione, sia nella diversa potenza del veleno usato, e in ogni caso nella sua non as- soluta stabilità, sia nel diverso valore curativo del siero iniettato, sia final- mente nel modo col quale é stato praticato |’ esperimento, e tanto per la quantità di tossina adoperata quanto per la fase della malattia nella quale fu iniziata la cura. Ma anche fuori di questo, le esperienze sulla cura del tetano finora (1) Behring — Die Werthbestimmung des Tetanusantitoxins und seine Verwendung in der menschenàrztlichen und thieràrztlichen Praxis — Deutsch. med. Wochenschr. 1900. N. 2. (2) Behring lav. cit. Deutsch. med. Wochenschr. 1909. N. 2. (3) Tizzoni — Vaccinazione e sieroterapia contro il tetano. Contribuzione allo studio del mec- canismo della immunità. Vallardi. Milano, pag. 110. 4) Lav. cit. Riforma medica N. 133-184 Agosto 1891. N. 192-193 Agosto 1892. conosciute offrono !’ occasione ad alcune osservazioni d’ indole generale, sulle quali non è male fissare |’ attenzione prima di passare allo studio particolareggiato dell’ argomento. Risulta infatti da tali esperienze che neila massima parte delle prove positive si è avuto cura di adoprare una dose limite di tossina, non sempre sicura e costante nei suoi effetti, e di usare nei singoli esperimenti una quantità troppo grande di siero. Anche nelle ricerche del Dr. Knorr, che indubbiamente sono al riguardo le più precise, si trova che in alcuni casi, i quali dovrebbero essere i più signi- ficanti, la morte dei controlli oscilla fra 5 %,-10 4 giorni. Ora, come vedremo più sotto, la rapidità con la quale avviene l’esito letale, ha grandissima influenza sul risultato della cura; e così grande che bastano piccolissime differenze nell’ epoca della morte, anche di poche ore, perché l’ iniezione del siero faccia, oppur no, risentire la sua influenza be- nefica sulla malattia. Riguardo alla quantità di siero, si trova che nella cavia, in cui, data la sensibilità dell’ animale per il veleno del tetano, |’ esperimento ha un va- lore maggiore, sì sono adoprati per animali del peso medio di 250-360 gr. dosi di siero di 4 cm? (Knorr) a 12 cm3 (Kitasato), ossia dosi di 16 a 41 cm' p. Klg.; quantità questa che riportata al peso dell’ uomo apparisce troppo forte perché il risultato della esperienza di laboratorio possa trovare sicura e diretta applicazione nel campo della clinica. Da tutto quanto abbiamo detto emerge quindi la necessità di riprendere a studio la questione sperimentale della cura del tetano ; necassità che do- veva farsi maggiormente sentire da tutti il giorno in cui si era riesciti a preparare una tossina costante o relativamente costante, al fine di sbarazzare il terreno dai dubbi e dalle incertezze che hanno impedito finora di vedere accolto universalmente il principio scientifico della sieroterapia nel tetano. Con questo concetto ho intrapreso da tempo una lunga serie di ricerche con le quali mi sono proposto di risolvere i due seguenti problemi; — 1.° Esaminare se il siero da me preparato abbia effettivamente un’ azione curativa, e, in caso affermativo, ricercare le condizioni di dose e di tempo in cui tale azione può efficacemente dispiegarsi, stabilire il rapporto che passa in questo siero fra il suo valore antitossico, determinato in vitro col metodo della mescolanza, e il rispettivo potere curativo. — 2.° Stu- diare comparativamente come si comportino i sieri più noti nella loro azione antitossica in vitro e nella loro azione curativa, e, tanto contro il veleno delle mie culture, quanto contro quello preparato dal Behring (Testo: #NkM5): Ciascuno di questi problemi formerà argomento speciale di una delle due parti in cui é divisa la presente memoria. ZI ME I. Scelta dell'animale. — Uno dei postulati della scienza ormai ac- cettato da tutti i patologi c’ insegna che l’ azione curativa di un siero deve essere sperimentata sempre contro il virus, risp. contro il veleno più forte, e sugli animali che mostrano per questi la maggior sensibilità. Era dunque naturale che nello studiare l’ efficacia del siero antitetanico io accordassi la preferenza alla cavia ed al coniglio, che sono gli animali i quali si mostrarono appunto dotati di maggior sensibilità per il mio ve- leno. Inoltre nella cavia e nel coniglio io avrei potuto rilevare, meglio che nel topolino, le modificazioni che i fenomeni tetanici avessero presentato in seguito alla cura col siero. II. Tecnica dell’ esperimento. Nei miei esperimenti io ho adoprato sempre la tossina secca convenientemente sciolta in acqua distillata ste- rilizzata; mai mi sono servito delle spore del tetano spogliate del veleno col mezzo del riscaldamento e disseccate sopra scheggie di legno, e ciò per le due ragioni seguenti: 1.° perché il virus determina sempre il quadro del tetano in quanto dà luogo alla produzione nel corpo di una speciale tossina; 2.° perché le scheggie preparate colla mia coltura, anche seguendo esattamente il metodo indicato da Kitasato e da Knorr, danno risultati molto incostanti e non sempre determinano la morte dell’ animale. Né é a credersi che io abbia abbandonata la prova ai primi insuccessi, che anzi essendomi proposto di studiare quale influenza avesse sulla cura l’ asportazione del corpo estraneo e la disinfezione del focolajo morboso, e rispettivamente di vedere come sì comportasse il virus tetanico quando la malattia per opera del siero volgesse a guarigione, sono ritornato più volte su questa ricerca e sempre con numerosi esperimenti. Anche ho cercato, ma inutilmente, di facilitare |’ attecchimento delle spore col praticare in corrispondenza della parte sulla quale veniva inne- stata la scheggia delle profonde lacerazioni dei muscoli, o col disseccare sulla scheggia stessa, insieme alle spore del tetano, anche una certa quan- tità di sangue normale di coniglio. Degli animali così operati (cavie-conigli), alcuni non presentarono mai nulla di abnorme, altri mostrarono solo feno- meni locali a vario grado di sviluppo, altri finalmente ammalarono dopo 13-23 giorni dall’ innesto e morirono di tetano dopo 17-27 giorni. Trovandomi quindi nella impossibilità di determinare colle spore del tetano un quadro sperimentale acuta e sempre costante, io ho dovuto ne- cessariamente limitare la ricerca sull’ azione curativa del mio siero alle semplici forme tossiche. E, per determinare tale intossicazione, io ho praticato sempre le inie- zioni della soluzione di tossina nella parte posteriore della coscia, attenen- Serie V. — Tomo IX. alal — s39R domi strettamente a tutte quelle avvertenze che ho notato in altro lavoro (1). Ciò al fine di evitare apprezzamenti erronei e di valutare con precisione gli effetti della cura. L’iniezione del siero nella cavia fu fatta in ogni caso alla metà del dorso, per lasciar sempre la stessa distanza fra il punto della iniezione del veleno e quello della iniezione del siero. — Nel coniglio, invece, l’ inie- zione del siero fu praticata costantemente nella vena marginale dell’ orec- chio, per evitare le piccole differenze che nei singoli casi possono verifi- carsi riguardo alla rapidità di assorbimento del liquido iniettato per parte del connettivo sottocutaneo. III. Criteri per giudicare del risultato dell’ esperimento. a) Età della tossina. — È questa una circostanza che per la mia tossina deve esser presa in seria considerazione nello studio dell’ azione curativa del siero. Come é noto la tossina del tetano non mantiene assolutamente inalte- rato il potere che possiede al momento della sua preparazione, ma poco dopo preparata subisce una lenta e graduale scomposizione, per cui, per ottenere nel coniglio e nella cavia gli stessi effetti letali, occorre una dose superiore a quella primitiva. Cosi la tossina preparata il 18, VI, 900, il 6, VII uccideva il coniglio in 4 giorni alla dose di gr. 0,00000001 p. gr., agli 11 dello stesso mese deter- minava nella medesima dose forte rigidità locale e accessi tetanici gravi ma non mortali, il 17 solo fenomeni locali, il 24 dava la morte in 4 giorni ma alla dose di gr. 0,000000015 p. gr., il 14, VIII alla stessa dose non determinava più che la completa rigidità dell’ arto inoculato e la minima dose mortale era salita invece a gr. 0,00000002 p. gr., cioè ad una dose doppia di quella iniziale. Dopo quest’ epoca la tossina in questione man- tenne e mantiene tuttora inalterato il suo potere tossico, per cui anche al presente è capace di uccidere il conigiio in 4 giorni alla dose di gr. 0,00000002 p. gr. (2). Lo stesse avvenne per la cavia; la dose iniziale di gr. 0,000000006 p. gr. del 6, VII sali in pochi giorni alla dose di gr. 0,000000007 p. gr. per arrivare dopo qualche tempo alla dose attuale di gr. 0,00000001 p. gr.. Ora, come abbiamo veduto in altro lavoro, durante il periodo di seom- (1) Tizzoni — Sul modo di determinare la potenza del siero antitetanico col metodo della me- scolanza in vitro. Memoria della R. Accademia delle Scienze di Bologna Ser. V, Tomo VIII. Ri- forma Medica. N. 243 a 247, 1399. (2) A reder più facile e più duratura questa stabilità secondaria della tossina è molto opportuno mantenerla ad una temperatura bassa e costante, ciò che io soglio ottenere molto economicamente tenendola nel pozzo in tubi chiusi al vuoto, poco sopra il livello dell’ acqua. 09% posizione della tossina, ed anche quando si è stabilito in questa un grado di velenosità fino ad un certo punto costante, la morte degli animali per l’iniezione della risp. dose mortale avviene a un dipresso nello stesso tempo, ma il quadro morboso apparisce tanto più grave, tanto più violento quanto più la preparazione della tossina è recente (1). Ciò forse sta in rapporto con lo sviluppo dal veleno primitivo dei veleni secondari (tossoidi di Ehrlich), i quali, per quanto in primo tempo arrivino ancora ad uccidere l’animale, pure lo fanno con fenomeni assai più miti di quelli prodotti dalla tossina da cui derivano. Solo più tardi, quando la scomposizione del veleno ha raggiunto un grado più elevato, si verifica un ritardo nella morte degli animali e sì determinano irregolarità nel risultato finale dell’ esperimento ; irregolarità che si fanno rilevare, prima nella cavia, poi negli altri animali seguendo l’ ordine della loro sensibilità per il veleno del tetano. Dopo questo sì comprende come potrebbe cadere in grave errore chi, per giudicare della riescita dell’esperimento, tenesse presente solo 1’ epoca della morte, perché l’ efficacia del siero dipende, non tanto da tale condi- zione, quanto, e più specialmente, dalla ,gravezza maggiore o minore del quadro morboso. — E siccome la gravezza della malattia è in rapporto diretto colle condizioni della sostanza convulsivante originale, in modo che tanto più violenta si manifesta la forma sperimentale quanta maggiore è la forza, l'integrità di quella sostanza, e viceversa tanto più mite appa- risce quanta maggiore é la quantità di tossoidi che dalla sua scomposi- zione si sono prodotti, cosi è naturale che la cura col siero debba riescire tanto più difficile quanto più la preparazione della tossina è di data recente. Da ciò ne viene appunto l’ impossibilità di confrontare fra loro espe- rimenti fatti colla stessa tossina, ma ad epoca diversa. E col fine di tenere a calcolo anche queste differenze e di apprezzare giustamente i risultati dei singoli esperimenti, io indico nella serie di ri- cerche fatte con lo stesso siero, oltre al tempo deila morte dei controlli, anche il giorno in cui é stata fatta la prova, dal quale è facile risalire alla età della tossina conoscendo quello in cui é stata preparata. Quando poi si tratta di esperimenti comparativi io li pratico sempre nella stessa seduta e valendomi della stessa soluzione di tossina. 6) Grado della lesione al momento della cura. — Vi sono a questo riguardo oscillazioni individuali che non si possono evitare e che porterebbero certa- mente ad apprezzamenti errati sull’ azione curativa di un dato siero, e più ancora sul valore comparativo di due sieri, se si tenesse presente solo la (1) La violenza del quadro morboso è specialmente indicata dalla gravezza e frequenza degli accessi tetanici e in modo particolare dalla presenza e dal grado dell’ opistotono. id GUI na dose di veleno ed il tempo trascorso dalla sua introduzione nel corpo. — Quindi il dire che il siero fu usato dopo 24-48 h. etc. dal momento della iniezione del veleno non ha significato alcuno, se insieme non si faccia conoscere quali erano in quel momento i fenomeni presentati dall’animale. Cosi non è indifferente se dopo 24 h. dalla iniezione del veleno, quando si pratica la cura col siero, una cavia presenta i fenomeni locali appena manifesti, ovvero mostra l’ arto iniettato in posizione della semiestensione, o in posizione superiore alla semiestensione, cioé fra questa e l’ estensione completa, perché nel primo caso l’animale muore ordinariamente in 5 giorni, nel secondo in 4 e nel terzo in 3. — Per cui la stessa dose di siero, per quanto adoprato dopo lo stesso tempo dalla iniezione di veleno, può agire efficacemente nel 1.° caso e non nel 2.° e nel 3.°, ovvero nei due primi solamente e nell’ ultimo no. — E naturalmente il significato riguardo alla potenza del siero verrebbe in questi casi ad essere molto diverso, anche perché la cura equivarrebbe ad esser risp. praticata dopo trascorso %, /4> /s della malattia. E tale poi l’infiuenza che ha la rapidità del decorso della malattia sulla efficacia dimostrata dal siero, che spesso bastano poche ore di dif- ferenza nell’epoca della morte, perchè in due animali operati esattamente allo stesso modo i risultati della cura col siero siano tutti affatti diversi. Ciò impone di fissare con precisione lo stato dei fenomeni tetanici al momento della cura, se non si vogliono trarre dall’esperimento delle con- clusioni errate, specie quando si tratta di determinare comparativamente il valore di due sieri. Per indicare poi i varii gradi dei fenomeni locali io, per brevità, ii rappresento con i seguenti segni: (—) I. traccie minime. (—) n. traccie chiare. (—) mi. semiestensione. (—) Iv. olire la semiestensione. (—) v. estensione completa. Per ultimo rappresento col segno: =) l’aumento dell’ eccitabilità generale; ed è molto importante notare nell’ esperimento l’ aumento della eccitabilità generale, perché, una volta ciò sia avvenuto, la cura riesce sempre più difficile e richiede mag- gior quantità di siero. Deve notarsi ancora che l’ aumento della eccitabilità locale nel coniglio comincia col segno (—)" e nella cavia col segno (—)". c) Variazione del peso, modificazione dei fenomeni tetanici. — Per giudicare dell’ efficacia di un siero noi non dobbiamo solamente limitarci a regi- —- 85 = strare se un animale in esperimento è sopravvissuto oppure è morto, ma dobbiamo esaminare ancora se e quale influenza eserciti la cura sul peso corporeo e sui sintomi tetanici. E ciò per stabilire il grado dell’ azione curativa del siero e per conoscere se questa si é dispiegata in modo com- pleto oppure no. Lo studio delle variazioni del peso del corpo ha grande importanza nel tetano, perchè una diminuzione di peso accompagna sempre (coniglio) o precede di poco (cavia) l’ insorgenza dei fenomeni generali, si fa progres- sivamente maggiore a misura che l’ animale si aggrava, per precipitare al grado massimo negli ultimi momenti della malattia. Di questo deve tenersi nota speciale nel momento in cui viene prati- cata l’ iniezione di siero, perché la cura riesce sempre più difficile ed incerta quando è stata fatta dopo che è incominciato |’ abbassamento del peso, e molto più se questo era gia arrivato ad un grado abbastanza ri- levante. Riguardo poi agli effetti della cura abbiamo che tanto maggiore è 1’ ef- ficacia del siero, tanto minore é la diminuzione del peso corporeo che si nota durante |’ esperimento. Per rapporto ai fenomeni nervosi é importante determinare in quanto tempo il siero ne arresta il progresso e provvede alla loro risoluzione ; come è di sommo interesse stabilire se esso siero eserciti egualmente la sua influenza, tanto sui fenomeni tonici, quanto sui clonici, o se agisca sugli uni preferibilmente che sugli altri. Infatti, si dovrà dire che un siero è tanto più potente quanto più pronto sara l’ arresto della malattia, più rapida la sua risoluzione ; allo stesso modo l’ azione di un siero potrà dirsi completa solo quando si esplicherà nella stessa misura sui due ordini dei fenomeni tetanici, e impedirà du- rante la cura e la convalescenza una rapida e profonda diminuzione del peso del ccrpo. Lo studio di questi fatti acquisterà poi anche maggiore importanza quando si tratta di esperienze comparative, perché, se a parità di condi- zioni due sieri salvano egualmente l’ animale dalla morte ma uno di essi non impedisce che nel corso dell’ esperienza si verifichi una profonda di- minuzione del peso del corpo, questo dovrà ritenersi meno potente dell’altro. Egualmente, se dopo l’iniezione di due sieri di provenienza diversa gli animali superano la malattia, ma quelli iniettati con uno dei due sieri mostrano più accentuati e conservano per più lungo tempo i fenomeni di aumentata eccitabilità locale e generale, ciò vuol dire che questo siero, per quanto salvi l’animale dalla morte, pure contiene meno sostanze anti- convulsivanti dell’ altro, quindi è di questo meno forte, meno completo. E poiché la deficente azione di tale siero riguarda quelli dei fenomeni che SA pupe sono causa diretta della morte, così, oltre ad essere meno completo, sarà, anche meno efficace. d) Risoluzione della malattia. — Nella guarigione della malattia determi- nata dal siero la risoluzione dei fenomeni tetanici può essere completa e incompleta. Questi fatti avvengono molto differentemente nei varii animali. Nella cavia e nel topolino la restitutio ad integrum si osserva sempre qualunque sia la gravezza raggiunta dai fenomeni locali della malattia; per aversi in questi animali una risoluzione completa dei sintomi morbosi é solo questione di tempo, che sarà tanto più breve quanto più forte é il siero adoperato e quanto più sollecitamente si é intervenuti colla cura. Invece nel coniglio la risoluzione completa dei fenomeni locali si veri- fica solo in condizioni eccezionali e in circostanze molto favorevoli; quando l’ arto iniettato ha raggiunto una posizione superiore alla semiestensione, allora di solito esso rimane permanentemente rigido, fortemente abdotto: e, per la posizione anormale, si deforma, si ulcera in quelle parti con le quali struscia sul terreno. Quindi, per ottenere nel coniglio la risoluzione completa della malattia, bisogna intervenire colla cura assai più presto che nella cavia e nel to- polino, od usare un siero molto più potente,in modo che l’ arresto dei fe- nomeni tetanici avvenga prima che l’arto iniettato abbia raggiunta la po- sizione sopra indicata. Seguendo questi precetti sono passato allo studio dei quesiti compresi nella prima delle due tesi enunciate. Le esperienze relative furono ese- guite tutte nella prima metà dell’anno 1899, ma per renderle di pubblica ragione si é voluto attendere che anche la seconda parte di questa me- moria fosse completa. Richiamo espressamente l’ attenzione su questo fatto per giustificare appunto il ritardo della loro pubblicazione ; ritardo che in questo genere di studi si comprende molto facilmente data, da un lato la poca stabilità del veleno col quale sperimentare, dall’ altro la necessità di porsi sempre in condizioni sperimentali ben determinate e costanti. Con ciò intendo rispondere anche all’ appunto che mi venne dal Be- hering (1), il quale volle rilevare, con intenzione certo non benevola, che di tali esperimenti era stato fatto cenno in un mio precedente lavoro letto. alla R. Accademia di Bologna nella seduta del 28, V. 99, ma che a questo primo annunzio, per quanto fosse già trascorso molto tempo, non aveva fatto seguito nessuna pubblicazione. (1) loc. cit. Deutsch. med. Wochenschr. N. 2. 1900. =— 0 I. Esperienze sulla cavia. — In tutte queste esperienze (vedi Tab. I.) fu usata la tossina preparata il 7, Ii, 99, alla dose di gr. 0,00000001 per gr. nelle prime 6 prove, alla dose di gr. 0, 0000000075 nelle ultime 4. Il siero iniettato proveniva in ogni caso dal salasso praticato al cavallo Cariddi il 6, V, 98; il suo valore antitossico determinato nel coniglio con- tro il veleno precedente col metodo della mescolanza in vitro era di 80.000 per ‘cem’ (1). i TAVOLA I. (Cavia). © o, E i 7 | Anno | _ È S a S| Grado | g;ero UA 5 9 |Arresto| S z | mese | $$ SES della |. . corrispon-| S & | della | .2 E Pisaliato Controlli © | giorno gno SUR 2 | lesione imettato | denti ,@'3 |malattia| 5 6 a E = lai 5 Cini | 1 |18. V. 99] 670 | 15 h.| (—)® |em3 2,09 | 500.000 | — 150 | 4 giorni — |+ 13 giorni] + 3 giorni. 2 » 500 » (+)m |» 3,43 |1.000.000| — 70 |1 » |33 giorni vive +3 » 3 » 500 | 19 h.| (—) | » 3,10 |1.000.000| — 60 |1 » è » — 4 » 490 » (—)x | » 6,00 |2.000.000| — 30 |1 » » » — 5 |14. V. 99j 510 | 24 h.|(—)v | » 0,16 50.000] — 50 |3 » |45 giorni » + 3 giorni h” 6 » 540 » (—)v | » 0,675] 200.000] — 40 —_ — +4 giorni] +3 » bhò 721. V. 99) 710 » (x |» 2,21] 500.000|— 190|3 » — + l6 » + 5 giorni 8 » 470 » (> | » 8,80 [3.000.000] — 90 |2° » — |+ 18 » » 9 » 560 |48 h.| (—)v | » 7,00 | 2.000.000] — 100/3 » |35 giorni vive = (1 PNE 610 | » |(=v |» 3,50|1.000.000|— 140|3 » » » 25: (1) La corrispondenza di questi valori troverà spiegazione nel contesto del lavoro, Il numero delle UA cor- rispondenti al siero iniettato è sempre stato calcolato in cifra tonda. Ed ora analizziamo un poco questi risultati; ma prima di questo è opportuno specificare meglio le condizioni in cui fu fatto l’ esperimento, indicando in tutti i suoi particolari come la malattia si è svolta nei controlli. Negli esperimenti in cui la morte avvenne in 3 g.ni e 5-7 h., gli animali presentavano dopo 18 h. dalla praticata iniezione fenomeni locali molto chiari; dopo 24 h. l’arto iniettato era in posizione assai superiore alla (1) Crediamo più giusto d’ indicare col nome di unità antitossiche (U A) quelle calcolate in vitro col metodo della mescolanza, e di riserbare ii nome di unità immunizzanti (UI) a quelle rilevate iniettando separatamente nell’ animale prima il siero e dopo 24 h. il veleno. Ricordo ancora che il valore del siero determinato nel coniglio col metodo della mescolanza in vitro cresce del doppio quando è riportato alla cavia, perchè la minima dose mortale di questo ani- male è presso a poco la metà di quella del coniglio. Rate semiestensione ma ancora discretamente mobile; dopo 48 h. era preso da tetano tutto il treno posteriore e si avevano scosse molte frequenti e molto intense; in 3* giornata era interessato anche il treno anteriore e l’animale giaceva ventre a terra fino alla morte in preda a convulsioni continue violentissime, accompagnate sempre da opistotono, sotto le quali avveniva la morte. Negli esperimenti in cui l’ esito letale avvenne allo spirare della 3* gior- nata o pochi momenti prima, si ebbero queste differenze dai casi prece- denti; che i fenomeni locali erano già molto chiari dopo 15 h., cioé 3 h. avanti; che dopo 24 h. l’ arto iniettato, invece di trovarsi in posizione di semiestensione ed essere ancora discretamente mobile, era del tutto rigido ed in estensione completa; che dopo 36 h. il treno posteriore era intiera- mente preso e si avevano scosse tetaniche cosi frequenti e violente che negli altri casi sì avevano solo dopo 48 h. Salvo adunque queste leggiere varianti, che nel caso di un veleno così potente derivano indubbiamente da differenze inapprezzabili della pesata, ma di cui bisogna tenere il debito conto nei risultati dell’ esperimento, in tutte le prime 6 prove abbiamo l’ esempio delle forme più acute fra quelle che si possono provocare sperimentalmente. Sempre acute, ma molto meno gravi e con andamento un poco più lento, sono le forme a cui appartengono gli ultimi 4 esperimenti, fatti tutti con dose di veleno un poco minore della precedente (0,0000000075 anzi che 0,00000001 p. gr.). Infatti, nei controlli di questa serie di ricerche, gli animali dopo 15 h. dalla praticata iniezione di veleno presentavano fenomeni locali appena apprezzabili; dopo 24 h. l’ arto operato arrivava solo alla semiestensione ed era ancora discretamente mobile ; la diffusione della malattia a tutto il treno posteriore e le scosse tetaniche generali si avevano in 3* anzi che in 2* giornata, e questi fenomeni impiegavano 2 giorni anzi che uno ad uccidere |’ animale. Detto questo, se si prende ora il risultato complessivo di tutte le espe- rienze, riunendo insieme tanto le forme acute quanto le acutissime, abbiamo che sopra 10 animali 6 sopravvissero, 3 superarono la malattia ma mori- rono più tardi per complicanze, e 1 mori con un giorno di ritardo sui controlli. Per dare poi il giusto valore a queste complicanze, bisogna specificare qui il modo col quale si determinarono. Quando l’ intossicazione è molto acuta e conseguentemente molto tumul- tuario l’ andamento della malattia, o quando la dose del siero è insufficiente per fermare sollecitamente il corso dei fenomeni tetanici, allora accade che questi nella parte iniettata e in tutto il treno posteriore si svolgono #99) — fino al grado massimo d’ intensità. In questo caso, una volta arrestata la malattia, gli animali si presentano come divisi in due parti, in una ante- riore perfettamente normale, e in una posteriore tutta tetanizzata, rigida, immobile, che l’ animale trascina passivamente strusciandola sul terreno. Da ciò ne conseguono piaghe di decubito che, aggravate di solito da incon- tinenza d’ orina, finiscono col condurre gli animali alla morte, la quale il più delle volte avviene quando |’ aumento della eccitabilità era già cessato ed era gia cominciato il regresso dei fenomeni locali (1). Anche questi casì, perciò, sì debbono considerare come altrettanti casi di guarigione, perché effettivamente in tali esperimenti il tetano era già vinto e la malattia trovavasi in risoluzione; che, se più tardi avvenne la morte degli animali, questo dipese esclusivamente da complicanze dovute al grado elevato a cui arrivarono i fenomeni locali ed agli stimoli a cui le parti lese per necessità della vità andarono soggette. Nell’ uomo, infatti, in cui questi stimoli possono esser tenuti lontani, mancano di solito queste complicanze. Solo quando la rigidità degli arti inferiori ha raggiunto il grado massimo, allora si possono verificare nelle parti che sopportano la pressione maggiore, una volta che l’ ammalato comincia a camminare, fenomeni trofici circoscritti (2). Ma questi col sem- plice riposo, o con la cura adeguata, guariscono in un tempo più o meno lungo e mai conducono alla morte. Data questa spiegazione, non credo si avra difficoltà di ammettere che nelle condizioni di esperimento in cui ci siamo posti, su 10 animali curati col siero, in 9 il tetano fu guarito, ossia nel 90% dei casi. Entrando ora nell’ analisi particolareggiata di questi esperimenti, ci è dato rilevare cose di molto interesse riguardo alle condizioni che sono necessarie per la buona riuscita della cura; e sia in rapporto al tempo in cui tale cura è incominciata, sia in rapporto allo stadio della malattia, alla dose del siero impiegata, all’infiuenza che questa esercita sull’ arresto e sulla risoluzione dei fenomeni morbosi. In primo luogo risulta da queste ricerche che nelle forme acutissime di tetano (morte in 72-79 h.) la guarigione é possibile quando l’ iniezione del siero è fatta entro il primo 4 della malattia (3). Parimente nelle forme acute di tetano (morte in 5 giorni) si arriverà a salvare l’ animale quando l’iniezione del siero è fatta dopo 48 h. dalla praticata intossicazione, cioé nei (1) Nelle esperienze successive non mi è più accaduto di riscontrare questo fatto, il quale deve probabilmente derivare da deficiente azione curativa del campione di siero adoperato o da eccezio- nale energia del veleno iniettato. (2) Tizzoni — Quinto caso di tetano traumatico curato col sangue di animale immune. Guari- gione. Riforma Medica. N. 160. Luglio 1892. (3) Nella impossibilità di determinare in modo esatto il momento in cui cominciano i fenomeni tetanici si conta il principio della malattia dall’ epoca in cui fu fatta 1’ iniezione del veleno. Serie V. — Tomo IX. 12 RISE} (0) ) ON primi “4 del decorso della malattia. E con questa differenza fra i due casi, che mentre nell’ ultimo, a causa della maggior lentezza del quadro morboso, con la stessa dose di siero sì riesce a salvare l’ animale quando questi al momento della iniezione già presentava l’ arto tutto rigido e completamente esteso (Esp. 9-10), nel primo invece tale risultato sì ottenne per un tempo più breve della malattia non solo, ma quando la lesione locale raggiungeva appena la posizione della semiestensione (Esp. 3-4). Evidentissima poi risulta l’ influenza che il grado della lesione locale, indipendentemente dal tempo in cui viene praticata | iniezione, esercita sull’ esito della cura, quando si confrontano fra loro alcuni degli esperi- menti riportati nella Tabella di sopra. Cosi, mentre nella stessa serie di esperimenti una determinata quantità di siero a 24 h. di distanza dalla praticata operazione salvava l’ animale dalla morte, quando al momento della cura l’ arto operato trovavasi in posizione di poco superiore a quella delia semiestensione ed era ancora discretamente mobile (Esp. 5), invece una quantità di siero 3 volte supe- riore non riesciva che a prolungare di un giorno la vita dell’ animale, quando al momento della iniezione e alla stessa distanza da quello della praticata intossicazione, i fenomeni locali erano un poco più gravi, l’ arto iniettato, cioé, era gia tutto rigido e completamente esteso. Altrettanto dicasi dei casi in cui sotto la medesima intossicazione si hanno ad epoca diversa identici fenomeni di malattia. Così, mentre deter- minate dosi di siero agivano efficacemente dopo 48 h. dalla praticata intos- sicazione, quando l’ arto iniettato era tutto rigido e completamente esteso (Esp. 9-10), dosi assai maggiori iniettate 24 h. innanzi non bastavano più e davano risultato incompleto, se l’animale al momento della cura presen- tava lo stesso quadro morboso (Esp. 8). Questo vale a provare quanto fu già affermato di sopra, cioé, che in questo genere di ricerche il tempo della cura non può esser preso in modo assoluto, ma deve esser sempre considerato in rapporto al grado della lesione e alla rapidità del decorso della malattia. Senza questa avvertenza sì può cadere nei più gravi errori nel giudicare della potenza di un siero, e ciò tanto più quando con ricerche comparative si vuole stabilire quale differenza passa nell’ azione curativa di due sieri di provenienza diversa. Per questo nel determinare l’ azione curativa di un dato siero, e molto più nel comparare la potenza di due sieri diversi, si devono scartare quegli animali che al momento dell’ iniezione curativa presentano differenze nei fenomeni locali in più o in meno. Siccome poi queste differenze meglio sì apprezzano negli animali grossi da laboratorio, quali il coniglio e la cavia, anzi che nel topolino, cosi, anche per queste ragioni, i primi due sono, a preferenza dell’ ultimo, da scegliersi per tali ricerche. In riguardo alla influenza della dose di siero, io ho voluto tener conto esatto, oltre della quantità percentuale di esso siero che era iniettata, anche del numero delle UA che con tale iniezione venivano ad essere incorpo- rate. Il valore antitossico del siero era determinato nel coniglio col metodo della mescolanza in vitro ; il calcolo del numero delle UA contenute nel siero adoprato era ricavato dal numero di volte che questo siero arrivava a neutralizzare in vitro in modo completo la dose di veleno iniettata ; tanto per il veleno quanto per il siero tale calcolo era riferito sempre al peso dell’ animale in gr. Così si poteva avere il rapporto fra la quantità di siero iniettata e la sua potenza antitossica. E questo sì voleva stabilire nello intendimento di dare al valore antitossico un significato più pratico che direttamente potesse servire al medico nella cura del tetano, specie nella determinazione della dose curativa. Nella seconda parte di questa memoria vedremo se le mie speranze poterono essere realizzate, e se il rapporto fra potere antitossico e potere curativo trovato per questo campione di siero si mantenne co- stante anche per gli altri. Venendo ora a trattare specificatamente della dose curativa, io debbo far rilevare anzitutto come differenze anche piccolissime nella acutezza della malattia e nell’ epoca della morte facciano grandemente risentire la loro influenza sulla quantità di siero adoprato. Cosi, mentre una dose di 50.000 UA usata a 24 h. di malattia, quando l’ arto iniettato aveva raggiunto la posizione della semiestensione (Esp. 5), era sufficente a salvare l’ animale, invece una dose 10 volte maggiore (Esp. 1), per quanto adoprata dopo 15 h. dalla intossicazione, e quando si avevano fenomeni locali appena manifesti, non dava che risultato incompleto se in questo caso la durata della ma- lattia era minore di 7? h. dell’ altro. Relativamente poi agli effetti della dose del siero bisogna distinguere 3 gradi, cioè, risultato incompleto, risultato completo ma lento, risultato non solo completo ma insieme rapido e sicuro. Nel primo caso si può avere la perdita dell’ animale in 2° tempo per imarasma o per complicanze dovute alla gravezza raggiunta dai fenomeni locali; nel secondo caso i fenomeni tetanici si arrestano piuttosto tardi nel loro progresso, per quanto ne sia dopo la cura rallentato il loro corso, la risoluzione della malattia è più lenta e si verifica sempre una forte diminuzione del peso corporeo ; nel terzo caso l’ arresto della malattia’ é pronto (24 h.), la perdita in peso é minima. Con questi criteri si può stabilire che nella cavia, nelle forme acutis- sime di tetano (morte in 72 h.), quando la cura é incominciata nelle prime 24 h. di malattia e si fa uso di un siero che calcolato in vitro nel coniglio ha un valore di 80.000 UA, la dose di cm. 0,16, pari a cm.? 0,313 p. KIg. -- 199 — e corrispondente a 50.000 volte la quantità che per mescolanza neutralizza in modo completo il veleno iniettato (50.000 UA), rappresenta la dose mi- nima che da effetti di 2° grado; che la dose di cm.ì 3,1— 6,0, pari a em.ì 6,2 — 12,2 p.%, e corrispondente risp. a 1.000.000 — 2.000.000 UA rappresenta la dose media, quella che da effetti di 3° grado. E con questa differenza manifesta, che con 1.000.000 UA la perdita in peso dell’ animale raggiunge 60-70 gr., essendo il peso originale di 500 gr. circa, mentre con 2.000.000 UA il risultato anche per questo riguardo è più completo, perché la perdita in peso per cavie della stessa taglia è solo di 30 gr. ed è pron- tamente compensata ed anche sorpassata da un successivo aumento. Invece nelle forme più lente di tetano (morte in 5 giorni) le stesse dosi di siero di cm.? 3,5 — 7,0, pari a cm. 5-7 — 12,5 p. Kilg. e corrispondenti, la prima a poco meno di 1.000.000 UA, la seconda a 2.000.000 salvano l’animale anche se iniettate dopo 48 h. dalla praticata intossicazione, ma con risultato di 2° grado anzi che di 3°, cioé con arresto dei fenomeni tetanici dopo 3 giorni e con perdita di peso che raggiunse i 100-140. gr. I risultati ottenuti anche da queste prime prove sono già molto inco- raggianti; specie se si considerano in rapporto a quanto è stato finora pubblicato da precedenti sperimentatori. Nessuno, in casi di tetano così acuti, ha avuto con dosi tanto piccole di siero effetti curativi altrettanto pronti e sicuri. Infatti, se esaminiamo quanto di meglio si conosce oggi riguardo alla cura del tetano sperimentale, troviamo che nelle ricerche del Kitasato una dose di siero di 10 cm. p. %, 6 insufficente a salvare l’ animale quando il tetano decorre in 3 giorni e l'iniezione è fatta 24 h. dopo la praticata infezione ; e che nelle ricerche di Knorr solo con dosi di 17 cm p. %, si arriva a salvare l’animale dal tetano quando questo uccide in 3 giorni e } e l’iniezione è fatta alla distanza di 16 h. dalla intossicazione, al momento della comparsa dei primissimi fenomeni tetanici. Quindi nel tetano acutissimo io ottengo col mio siero, che, come dissi ha per il coniglio un valore di 80.000 unità a cm., lo stesso risultato del Dott. Knorr anche quando adopro dosi di cm. 0,313 p. Klg., ossia dosi di siero molto minori. E ciò senza tener nessun conto della differenza nel tempo della cura e nella gravezza dei fenomeni locali; nonostante, cioé, che nel mio caso l’iniezione sia stata praticata 8 h. più tardi e quando l’ arto iniettato, invece di mostrare i primi segni di malattia, come negli esperimenti di Knorr, si trovava già in posizione superiore alla semi- estensione. Le ricerche di Knorr sulle forme più lente non possono poi servire in nessun modo per stabilire un giusto confronto fra i risultati ottenuti da questo A. ed i miei. Infatti, siccome la morte dei controlli nelle ri- ig cerche di Knorr oscilla, come si disse, fra 5 5 - 10 4% giorni, cosi non é possibile sapere quale avrebbe dovuto essere effettivamente la durata della malattia nei singoli casi nei quali il siero è stato sperimentato. È certo, peraltro, che nelle ricerche del Dott. Knorr abbiamo forme di te- tano assai più lente delle mie, perché in quelle i fenomeni tetanici co- minciano dopo 20 h. mentre nelle mie a 24 h. si hanno già fenomeni di 3° grado od anche a grado più avanzato. Ed é appunto per questa maggior lentezza che si può spiegare per- ché nelle mani del Dott. Knorr la cura col siero abbia condotto a ri- sultati favorevoli anche se cominciata dopo 63 h. dalla praticata intossi- cazione. Egualmente si può spiegare con l’incertezza nei risultati della dose tossica adoperata, perché nelle stesse ricerche siano morti gli ani- mali curati a 54 h., di malattia, mentre siano sopravvissuti quelli curati a 60-63 h. nonostante si sia adoperata sempre la stessa dose di siero. Peraltro, anche ammesso che tutti gli animali dovessero morire a 5 34 giorni, abbiamo che a 48 h. di malattia, quando i fenomeni locali avevano raggiunto il massimo grado di sviluppo, io ho potuto ottenere la guari- gione con dosi di siero di 5,7-12,5 cm. p.%,, mentre Knorr in forme più lente ha ottenuto lo stesso risultato con dosi di 15-17 cm? per Klg. II. Esperienze sul coniglio. — In questa serie di ricerche è stato adoperato lo stesso veleno tipo delle precedenti. Il siero iniettato aveva pure il valore di 80.000 U A a cm, ma parte proveniva dal salasso fatto al cavallo Cariddi il 16, II, 99 e parte dalla presa di sangue fatta al me- desimo cavallo il 6, V, 99; il potere antitossico del siero era egualmente determinato nel coniglio col metodo della mescolanza in vitro, valendoci per questa determinazione dello stesso veleno (7, III, 99) col quale si pro- curava negli animali l’ intossicazione tetanica. L’ UT usata in tutti gli espe- rimenti fu di gr. 0.00000002 di veleno per gr. di animale. Lu = TAVOLA IT. (Coniglio). CAMPI GU aeS È 2a S nno | pg [Sa's| Grado| gioro UA SQ |Arresto| S & O. mese, es S.S della || corrispon-| S & | della DAS SRigultato Controllo S giorno di È 07 D lesione | ?MetAtO | genti de malattia E 3 Z 9) = ii ©) 1|8.IV 99] 1200 | 18 h.| (—)£ [cm 0, 15 10.000 | — 40 |3 giorni |art.defor. vive + 5 giorni 2 » 1150 » (> |» 0,75) 50.000) — 0 |2 » » » » 3 » 1080 » (—)}E |» 1,35 | 100.000 | — 20/2 » » » — 4/15. IV 99] 1150 | 24 h.| (>) | » 0,75) 50.000 | — 1805 » » » — 5 | 8.IV 99) 1020 » (—)x | » 1,20 | 100.000 | — 60 |4_ » » » + 5 giorni 6 » 940 » (—)t | > 2,34 |-200.000 | — 70 |2 » » » » 77 [15. IV 99| 1150 » (—)m | » 7,10 | 500.000 | — 30 |1 » complet. » —_ 8 » 1150 | 48 h.| (—)m | » 2,86 | 200.000 | — 30 |1 » » » + 5 giorni 9 » 1090 » (=) | » 6,80 | 500.000 | — 240] — | —. |+ 15giorni » 10 [20. IV 99| 1330 » (>)v |» 8,30 » — 100| 12 h. complet. vive + 4 giorni 11 » 1200 | 66h. (V > 750 » — 190|2 giorni » » — 12 [19. IV 99] 1620 | 43 h.| (=) | » 4,04 | 200.000 | — 80 — — + 5 giorni] + 4 giorni 13 » 1900 » ()V |» 4,75 » — 390 — — + 8 giorni » 14 » 1610 » (—)M |» 4,02 » — 140|2 giorni [art.defor. vive » 15 » 1760 » (—) |» 4,40 » — 160)2 » » » — 16 » 1310 » (—)M |» 1,60 | 100.000 | — 280/2 » » » — Anche per il coniglio, prima di entrare nell’analisi dei risultati ottenuti. ed al fine di meglio apprezzarne il valore, è bene far conoscere con qual- che particolare quale fu nei controlli l’ andamento della malattia. Nelle forme più lente gli animali presentavano ì primi sintomi di te- tano dopo 17-18 h. dalla praticata intossicazione e dopo 24 h. tali sintomi erano gia chiaramente manifesti; al 2° giorno l’ arto iniettato era in po- sizione superiore alla semiestensione, poco mobile, gia molto eccitabile ; al 3° giorno l’ estensione era completa, la rigidità della parte aveva rag- giunto il massimo grado, anche l’ eccitabilità generale era aumentata; al 4° giorno si osservavano accessi tetanici frequenti e violentissimi, accom- pagnati sempre da qpistotono ; al 5° giorno l’ animale giaceva a terra in preda a convulsioni quasi continue; morte in 5 giorni e poche ore. Nelle forme più acute i primi fenomeni apparivano dopo 15 h.j dopo 24 i fenomeni locali erano chiaramente manifesti; dopo 48 l’ arto era già SEZA 0); pe tutto rigido e completamente esteso, l’ eccitabilità locale e generale era fortemente aumentata; in 3° giorno accessi tetanici violentissimi con opi- stotono molto accentuato; morte verso la fine del 4° giorno. Ora, se esaminiamo i risultati raccolti nella Tab. II, troviamo che, nelle condizioni di esperimento in cuì ci siamo posti, su 16 animali curati col siero, 13 sono sopravvissuti, uno é morto in secondo tempo di marasma, e due sono morti di tetano con ritardo di 1-4 giorni sui controlli. Di que- sti, poi, 6 sono morti in 5 giorni, 4 sono morti in 4. Riguardo al tempo della cura si trova che, nei casi in cui la morte dei controlli avvenne in 94-96 h., si riesce ancora a salvare l’animale quando s’ interviene col siero dopo 66 h. dalla praticata intossicazione, ossia nei primi © della malattia. Ma anche qui si nota, come nella cavia, che gli effetti della iniezione di siero sono tanto più pronti e sicuri quanto più presto l’ iniezione stessa è praticata. E qui pure la rapidità degli effetti, non solamente sta in rapporto col tempo, ma anche, e più specialmente, colla gravezza dei fenomeni che l’animale presenta al momento della cura e colla rapidità nel decorso della malattia (Confr. Esp. 8 e 9). Di più si rileva che quando sono incominciati i sintomi generali di aumentata eccitabilità, la cura diviene tanto più difficile, tanto più incom- pleti sono gli effetti del siero (Confr. Esp. 12 e 15). Riguardo alla quantità di siero si nota che a 18 h. di malattia la dose ‘curativa minima corrisponde a 10.000 U A ed equivale in peso a cm? 0,125 p. Klg., la dose curativa giusta corrisponde a 50.000 UA ed equivale a em è 0,65 per Klg.; che a 24 h..la dose minima è rappresentata ancora da 50.000 U A, ma la dose giusta é salita a 100.000-200.000 U A, ossia a em? 1,69-2,48 per Klg.; che a 43 h. 100.000 UA sono ancora la dose minima, ma in casi ad andamento più rapido 200.000 U A possono pe- raltro essere insufficienti; che a 48 h. ci vogliono 500.000 U A equivalenti in cifra tonda a cm? 6,25 p. Klg., dose questa che è sufficiente anche a 66 h. quando si hanno già fenomeni generali. Anche qui la prontezza dell’ arresto dei fenomeni morbosi, la rapidità della guarigione, la completa e incompleta risoluzione dei sintomi locali stanno ad indicare il grado di sufficienza della dose adoperata. Così a 4 h. di malattia 50.000 U A danno-una perdita in peso di 180 gr., mentre 100-200.000 determinano una diminuzione di peso di 60-70 gr. appena, e 200.000 solo di 30. Allo stesso modo l’insufficienza della dose di 100- 200.000 U A nelle iniezioni fatte a 43 h. di malattia è dimostrata chiara- mente da una diminuzione di peso che va da 140 a 280 gr. Egualmente a 48 h. la dose di 500.000 U A diviene tanto più deficente quanto maggiori sono al momento della cura i fenomeni generali di aumentata eccitabilità (Confr. Esp. 9 e 10). sl igpinee Ora, se si confrontano fra loro i dati raccolti nelle due Tab. precedenti, si trova che nel coniglio si hanno risultati molto più favorevoli che nella cavia, sia riguardo alle dosi del siero, sia riguardo al tempo in cui la cura può essere utilmente sperimentata. La ragione di questa differenza ritengo debba ricercarsi principalmente nel fatto che nella cavia, di fronte al coniglio, i fenomeni generali ten- gono dietro con maggior sollecitudine ai fatti locali, e i primi, una volta comparsi, nella cavia precipitano con tal rapidità che non vi è più nes- suna possibilità di guarigione. A nessuno, poi, potrà sfuggire l’importanza dei risultati da me otte- nuti sul coniglio, tanto perché dimostrano che con dosi minime di siero sì può nei primi momenti della malattia salvare quest’ animale con tutta sicurezza, quanto perché provano che con dosi maggiori di siero si può ottenere risultato favorevole fino a tutti i primi “4 della malattia quando, gia sì hanno fenomeni generali abbastanza gravi. E questo ultimo fatto acquista anche valore maggiore quando si con- sidera che nel coniglio bisogna sottrarre dal computo della durata della malattia le ultime 8-10 h., in cui non vi é possibilità di nessuna cura, perché l’ animale giace a terra agonizzante e quasi non dà più segno di vita. Queste ricerche adunque offrono una novella prova che il mio siero, quando è adoprato in tempo voluto e nella dose necessaria, ha un’ azione. curativa spiccatissima. Se il mio siero, poi, abbia maggiore o minor potere curativo degli altri sieri di provenienza diversa, questo vedremo nella 2* parte della pre- sente memoria. di SOPRA UN CASO DI COSTA RADDOPPIATA OSSERVATO NELL''UOMO NOTA ANATOMICA PROF. GIULIO VALENTI (letta nella Sessione ordinaria del 13 Gennaio 1901). CON UNA TAVOLA. In un vecchio preparato di questo Istituto Anatomico, rappresentante la intiera gabbia toracica di un adulto, si osserva la duplicità quasi com- pleta della terza costa di destra, con bifidità distale. È certamente tal caso da ritenersi come una semplice modalità di tutti quei numerosissimi, di difidità di coste o di cosfe con foro, che già da molto tempo (Morgagni (1)) si trovano citati nei trattati, e che pure seRiyintl(2),, Calori (3), Gruber(4), Romiti (5); eL'ach'i (6) — per limitarmi a citare i nomi più conosciuti), sì van descrivendo. Tuttavia, a causa del pronunziatissimo grado di raddoppiamento che quella costa presenta a differenza dei casi già noti, per la concomitanza in quel preparato di una alterazione della colonna vertebrale, da cui la stessa varieta costale forse non è indipendente, e finalmente per essere tuttora discutibile il significato di questa e simili varietà, non stimo affatto inutile tenerne parola. Tanto per forma che per volume, sono normali in quella costa la testa ed il colo; ma ad incominciare dalla sua #uberosità, l’ altezza del corpo va (1) Morgagni — Adversaria Anatomia omnia. Patavii MDCCXIX, II, p. 68. (2) Hyrtl — Anatomie d. Menschen. Wien, 1859, p. 290, — Trad. ital. di Antonelli. Napoli, 1877, Do QUO (3) Calori — Varietà dei muscoli del tronco e descrizione di una pettorina di fanciullo, singo- lare per varie anomalie. — Mem. Ace. Se. di Bologna, Serie II, T. VII, Bologna, 1867. (4) Gruber — Arch. f. pathol. Anat. u. Klinick. 1890. (5) Romiti e Lachi — Catalogo ragionato del Museo Anatomico di Siena. — Siena, 1883. (6) Lachi — Di alcune varietà anatomiche. L’ Imparziale, n.° 13, Firenze, Tip. cooperativa, 1879. Serie V. — Tomo IX. 13 gg bruscamente aumentando, fino a raggiungere gia all'angolo posteriore ben quattro centimetri (fig. 3-4-5). Da tal punto va poi gradatamente riducen- dosi fino a tre centimetri, e tale si mantiene per tutta la sua estensione in avanti, finché, dopo formato l’angolo anteriore, si biforca. Un foro alto circa cm. 1 e lungo cm. 1%, interessa, presso l’angolo costale posteriore, lo spessore del corpo costale, avendo il massimo diametro diretto secondo l’asse di questo. Al livello di questo foro, un leggiero solco, che in modo ora più ora meno accentuato si estende dalla tuberosità fino alla biforcazione, ne divide in due parti eguali la faccia esterna, per cui l’intiera costa ha precisamente l’ apparenza come se si fosse costituita per saldamento di due coste vicine. Non si ha traccia di solchi sulla sua faccia interna, li- scia e regolare per tutta la sua estensione (fig. 5), e neppure si trova in essa la normale doccia costale per il nervo ed i vasi intercostali. Delle due branche di biforcazione, che fra loro divergono per un angolo di circa 20°, è lunga la superiore cinque centimetri e poco di più la inferiore. Cartila- gini costali mancano nel preparato, e lo sterno con il quale le coste vere si trovano artificialmente congiunte, presenta in ambo i suoi margini la- terali sette faccette costali corrispondentisi in modo normale, per la situa- zione di altezza, quelle di destra con quelle di sinistra. Le vertebre (seconda e terza vertebra dorsali) con le quali si articola la costa anomala, sono fra loro immobilmente saldate tanto per il corpo che per le apofisi articolari, ed il corpo della seconda, oltre ad estendersi, verso destra, alquanto di più che il sottostante (fig. 2), é dallo stesso lato più alto che a sinistra, di circa un mezzo centimetro. Come conseguenza di tale alterazione vertebrale, che porta una leggiera ma brusca deviazione verso sinistra della porzione di colonna sovrastante alla vertebra asimmetrica, si ha un considerevole aumento di tutto lo spazio intercedente fra la seconda e la quarta costa di destra, presentandosi que- sto quasi di un terzo più alto che il corrispondente dell’altro lato. Per tutto il resto, quella gabbia toracica, se si eccettua un piccolo pro- cesso sorgente a forma di spina dal margine superiore della ottava costa di sinistra, circa a sette centimetri dalla sua estremità sternale, niente altro presenta di anormale sia riguardo alla forma che al volume delle varie ossa che la costituiscono; e riguardo al suo sviluppo generale anzi può dirsi che essa possiede un’ ampiezza non comune, pur considerando che appar- teneva ad un adulto. — Contando come unica la costa raddoppiata, vi si riscontrano dodici paia di coste (fig. 1), tutte nei normali rapporti tanto fra loro stesse che con le vertebre relative. Perciò é da escludere in modo assoluto che si tratti nel nostro caso del sa/damento (Turner (1)) di due (i) Turner W. — Cervical ribs and the so-called bicipital ribs in man, in relation to correspon- ding structures in the Cetacea. — Journal of Anat. and Phys. Vol. XVIII, P. III, p. 384. — Jakresb. d. Anat. u. Phys. XII Bd. I Abth. p. 114. ip coste vicine, pur facendosi astrazione del carattere della difidità posteriore che caratterizza tale varietà piuttosto rara (coste bdicipitali 0 ad y) e che più specialmente è dovuta all’unione di una sopranumeraria costa cervi- cale con la prima costa toracica (Sandifort (1), Huntemuller (2)). Dovendosi considerare la varietà descritta come un grado più avanzato delle forme di coste a bifidità anteriore o di coste con foro, quale èé la spiegazione più attendibile per essa e per i simili casì ? Meckel (3), che giustamente considera come un primo grado della biforcazione l’abnorme allargamento dell’ estremità sternale delle coste, il quale può aversi pure nell’uomo, trova analogia fra quest’ ultima disposi- zione e la normale disposizione delle coste di diversi animali (Armadilli e Formichieri fra i mammiferi e Cheloni fra i rettili). Ritiene poi che la stessa biforcazione conduca, per grado, al vero aumento numerico delle coste e che un eccesso di plasticità (?) sia la causa comune a tali anomalie. Calori (4), per la genesi delle coste bifide o forate, ritiene in gene- rale che coste soprannumerarie intercalate possono unirsi in vario modo alle coste normali, e per il caso che egli descrive di una costa con foro (la quarta di destra) nel torace di un fanciullo, soggiunge che « la costa soprannumeraria debba essere semplicemente sternale o non vertebrale, sic- come quella che non estendevasi alla metà posteriore della quarta verte- bra, e d’altra parte non vi è una vertebra dorsale di più ». Cosi insieme con Meckel, anche Calori verrebbe a dare alle varietà costali di cui ci occupiamo lo stesso significato che a quelle riferentesi all'aumento di numero, sebbene Meckel consideri la bifidità come di- sposizione primitiva conducente per grado all'aumento di numero e Ca- lorì ritenga piuttosto che essa sia secondaria al saldamento di una costa rudimentale soprannumeraria ad una costa normale. Che quest’ ultimo fatto si possa verificare, per la formazione della bifi- dità posteriore, specialmente nella prima costa toracica quando esistono coste cervicali accessorie, come viene dimostrato dai casi sopra ricordati di Sandifort ed Huntemuller, non può in alcun modo essere messo in dubbio: e riguardo alla bifidità anteriore delle altre coste la opinione di Calori sembra confortata dalla osservazione di ossa o cartilagini rudi- mentali intercalate framezzo alle coste normali ed in rapporto, o con lo sterno o con le vertebre stesse. — Descrive Gruber (5) infatti una costa soprannumeraria articolantesi con il margine inferiore dell’ apofisi trasversa (1) Sandifort — Mus. anat. Lugduno-batavum. Vol. II, Tab. XLIX, fig. 1,2. — Vedi Henle, Knochenlehre, Braunschweig, 1871, p. 72. (2) Huntemiller — Zettsehr. fùr nat. Med. 3.'° R. XXIX, 150 — Vedi Henle, ibid. (3) Meckel G. F. — Manuale d’ Anatomia. T. II, p. 65. Milano, MDCCCXXV. (4) Calori — l. c. p. 389. (5) Gruber — Neue Anomalien — Vedi in Henle, Knockenlehre p. 73. — 100 — della seconda vertebra dorsale, e da Gruber stesso (1), e da Lushka (2), e da altri furono osservate cartilagini accessorie che, partendo dallo sterno, sì insinuavano in uno spazio-intercostale e terminavano poi liberamente fra i muscoli. Una cartilagine accessoria, articolantesi da una parte con lo sterno e libera dall’altra estremità, anche io ho osservato nel terzo spazio intercostale sinistro di un torace di donna, il cui preparato conservasi nel museo anatomico di Perugia, e nello stesso spazio intercostale di altro torace di donna (fig. 6), mi è occorso pure di osservare una cartilagine accessoria lunga circa 6 centimetri, che dallo sterno viene a tendersi a modo di corda sopra il quarto arco costale, articolandosi poi con la quarta costa a circa tre centimetri dalla corrispondente articolazione condro-co- stale. — Quando però si voglia attribuire a quelle ossa o cartilagini inter- calate negli spazi intercostali il significato di vere coste soprannumerarie, quali sono realmente le coste cervicali o lombari, dovremmo ricorrere a delle ipotesi che nei fatti embriologici conosciuti non possono trovar fon- damento. O dovremmo pensare infatti che la disposizione metamerica dello sterno non è corrispondente a quella della colonna vertebrale; oppure, che è possibile la formazione di segmenti, siano pure rudimentali, framezzo ai segmenti normali, come da Calori stesso e da altri (3) si è fatto per spiegare anche alcuni casi di vertebre o semi-vertebre sopranumerarie che han chiamate vertebre intercalate. Ma contrariamente alla prima di queste supposizioni può addursi quanto gia si sa per opera del Rathke (4) e del Ruge (5) riguardo alla formazione dello sterno dalle estremità distali delle stesse coste (dandel lette sternali), e contrariamente aila seconda, quanto finora si sa riguardo al valore ed al modo di farsi della stessa segmentazione del tronco od all'aumento assoluto del numero delle vertebre. (Fol (6) e Phisalix (7)). Lachi (8), che descrive due casi di cartilagine costaie sinistra, ambe- due interessanti la quarta costa, attribuisce semplicemente all’ ampiezza maggiore dei corrispondenti spazi intercostali la causa di tali varieta. Pitzorno (9), non accetta la opinione del Lachi, e ritenendo che le (1) Gruber — Oesterr. Zeitschr. fur prakt. Heilk. 1865, n. 84. (2) Lushka — Die anomalen Articulationen des ersten Rippenpaares. Wien, 1860. (3) Vedi a tal riguardo, in « D’ Ajutolo — Contributo allo studio delle varietà numeriche delle vertebre. Morgagni, Anno XXX, Maggio 1888. ». (4) Rathke — Zur Entwicklungsgeschichte der Thiere eine Bemerkung. — Mt%ller's Archiv. Jahr. 1838, p. 361. (5) Ruge G. — Untersuch. i. Entwicklungsvorginge am Brustbeine und an der Sternoclavicu- larverbindung des Menschen. — Morph. Iahrb. 1880, Bd. VI, p. 362. (6) Fol H. — Menschlicher Embryo. — Ree. zool. suisse, I. (7) Physalix — Menschlicher Embryo. — Arc/iv cool. experiment. sér. 2, VI. (8) Lachi — lc. (9) Pitzorno M. — Intorno ad alcune varietà ossee. — Archio. per ? Antropol. e V Etnol. vol. Xog111873: — 101 — coste bifide siano dovute ad un grado maggiore di sviluppo di quei pro- cessi (o liberi quale è il processo della ottava costa sinistra nel nostro pre- parato, od articolantisi fra loro o con la costa vicina, o fusi insieme) che abnormemente furono trovati tanto sul superiore che sull’ inferiore dei due margini costali, in corrispondenza di vari spazi intercostali (Leveling, Huntemuùller, Meckel, Schwegel, Hyrt], Mayer (1), Romiti (2)) le considera insieme a queste ultime, come rappresentanti, od omologhe, della disposizione delle coste di alcuni cheloni ed uccelli (processi uncinati). Popowski (3) notando che i casi di bifidità di coste sono spesso ac- compagnati dall’ unione dell’ottava costa allo sterno, dalla presenza, cioé, di otto coste vere, la quale ultima disposizione é normale negli Antropoidi, considera pure la stessa bifidità come una disposizione regressiva, rite- nendo che essa si produca quando il nucleo accessorio destinato alla for- mazione del margine inferiore della costa si trovi primitivamente disgiunto da questa e dia luogo ad una ossificazione che soltanto più tardi raggiunge il resto dell’osso, saldandovisi parzialmente. Cosa è da concludere dunque riguardo alle varietà di cui ci siamo oc- cupati ? Sono esse da considerarsi veramente come ataviche disposizioni, o co- me semplici deviazioni dello sviluppo dovute a condizioni speciali mani- festatesi durante la ontogenesi ? Contro la loro omologia con i processi uncinati dei Rettili e degli Uccelli, non ha certo poco valore il fatto che non appartengono i Sauropsidi allo stesso ramo filetico dei mammiferi. E neppure mi sembra sia da trascu- rare che i processi uncinati han sede nella parte posteriore della costa mentre le varietà che a quelli si vorrebbero far corrispondere, interessano, o le cartilagini costali o le estremità sternali delle coste, o, più raramente, la loro parte di mezzo; mai si trovano posteriormente. Quando con il Meckel si vogliano considerare i casi di semplice allar- gamento delle estremità sternali delle coste come rappresentanti un primo grado della biforcazione, più facile è potere ammettere che esista la omo/ogia di questa e simili varietà con la disposizione normale delle coste degli Arma- dilli e Formichieri, per cui già Meckel stesso parlava di analogia fra l’uo- mo e tali animali. Il fatto che in questi sono le coste sternali, ossee pur esse, le quali presentano degli allargamenti (4) (alcuni dei quali pur si ar- ticolano reciprocamente), anziché in opposizione come potrebbe dapprima sembrare, può addursi in appoggio di tale opinione, quando si avverta che (1) Vedi per tale letteratura in Henle, 1. c. p. 73. (2) Romiti — Di alcune varietà ossee. — Giornale intern. delle Sc. Mediche. N. 5. Anno II, 1880. (3) Popowski — Zur Frage der Rippenspaltung. — Anat. Anzeiger XV, n. 14-15, p. 284. (4) Gadow H. — Osteologie der Saugethiere. Leipzig, 1888. — oi le coste sternali ossee di aleuni primi mammiferi sono precisamente omo- loghe delle nostre coste sternali cartilaginee o cartilagini costali (1), e che le varietà costali rappresentate sia dalla biforcazione che dalla perfora- zione ed anche dalia presenza di processi o liberi od articolati (Barde- leben (2)) si riscontrano molto più frequentemente in queste ultime che nella porzione ossea delle coste. Potrebbesi forse obiettare riguardo alla bifidità e perforazione, si os- servino queste nelle cartilagini o nelle coste vere e proprie, che ci rap- presentano esse una disposizione più evoluta dei semplici allargamenti delle coste degli Sdentati, e che non possono quindi essere considerate come forme omologhe a questi allargamenti stessi. Ma quando non si vo- glia disconoscere, in conformità a quanto la Z'eratologia e la Dicogenesi ci insegnano, che per cambiate condizioni di ambiente durante lo sviluppo si possono avere forme diverse di parti o di organi, che con quelle condizioni stesse si trovino maggiormente in armonia, possiamo nella stessa legge di compensazione trovare la causa per cui una ereditaria disposizione per il semplice allargamento di una costa, dia per effetto finale una costa bifor- cata o perforata, e potremo allora pure intendere la ragione per cui tali disposizioni, primitive nelle cartilagini, sì possano in via secondaria esten- dere alla porzione ossea delle coste. Per quanto fa notare il Lachi (83) riguardo alla maggiore frequenza di coste biforcate o forcate, corrispondentemente a spazi intercostali più ampli (terzo e quarto), e per lo stesso caso da me descritto di una costa raddoppiata in corrispondenza di uno spazio fattosi, per causa estranea alla varietà costale, straordinariamente più largo, non può che essere con- fermata l’opinione ora espressa. In conclusione, mi sembra sia da ritenere riguardo ai casi di coste bi- fide e perforate, o raddoppiate, che essi, insieme a quelli di coste con pro- cessi ossei o cartilaginei, liberi od articolantisi, debbano la loro forma- zione all’atavismo, e che, per le coste bifide e perforate, alla disposizione ereditata si aggiungono altri fattori durante la ontogenesi indipendenti dal- l’atavismo stesso e capaci di modificarne gli effetti dando un risultato fi- nale cui da solo questo non avrebbe condotto. (1) Gegenbaur — Anat. comparata. (2) Bardeleben — Ueber Verbindungen etc. — Anat. Anzeiger, XV, n. 2, p. 33. (3) Lachi — Lc. 67 G. Valenti-Un caso di costa raddoppiata Mem. Ser V. Tomo IX. Mazzoni e Rizzoli-Boloona IE Li E. Contoli dis. Dj RICERCHE SPERIMENTALI SULLA SIBROTERAPIA NEL TETANO MEMORIA DEL Prof. GIIDO FIZZONI (Letta nella Seduta del 27 Gennaio 1901). PARTE II. Esperienze comparative sul potere antitossico e sul valore terapeutico dei sieri più noti. Dopo aver dimostrato nella prima parte di questa Memoria che il siero da me preparato possiede un’ azione curativa molto elevata, e avere stu- diato il rapporto che passa in questo siero fra potere antitossico e valore terapeutico, era naturale che io cercassi di vedere con esperienze compa- rative come si comportasse il mio siero di fronte agli altri sieri più noti. I. Studio comparativo sul potere antitossico (1). — Il potere anti- tossico dei varii sieri era ricercato col metodo della mescolanza in vitro, tanto contro il veleno da me preparato, quanto contro quello preparato dal Behring (Testgift. N.° V). A. - Determinazione del valore antitossico contro la tossina Tizzoni (Veleno- bipog207 XI 990183, VI, 900). (2). (1) Tutte le determinazioni che hanno servito per queste ricerche furono eseguite col metodo da me indicato in un precedente lavoro ; la mescolanza di siero e tossina era riportata sempre a 1 cm.3, il contatto della mescolanza prolungato per 14 ora. (Su! modo di determinare la potenza del siero antitetanico col metodo della mescolanza in vitro. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Bo- logna. Ser. V. Tom. VIII. Sed. 23 Maggio 1899. Riforma med. N.° 243-247. Anno 1899). (2) Quando si fu costretti a cambiare il veleno-tipo, prima di procedere alle nuove determina- zioni, si rivedevano e si confermavano nei loro limiti di neutralizzazione completa e incompleta i Serie V.— Tomo IX. 14 — 104 — 1.° Siero Tizzoni. — Fra i varii campioni di siero che hanno servito per queste ricerche, ho scelto di preferenza quelli dei cavalli Cariddi e Fava che saranno usati più tardi nelle esperienze curative. La determinazione del potere antitossico era fatta sempre su siero secco convenientemente disciolto in acqua sterilizzata 1:10, ed il valore trovato era riportato al siero originale, calcolando che questo dia costan- temente 10 gr. di antitossina secca per 100 cm. di siero. L’ UT. che determinava la morte dell’ animale (coniglio) in 4-5 giorni, era stata calcolata per tutti e due i tipi di tossina nella dose di gr. 0,00000002 di veleno p. gr. di animale. La mescolanza di siero e veleno veniva fatta sempre usando cm.? 0,001 di siero e ‘/.no della dose di veleno che si voleva provare. Nella Tab. seguente sono raccolti i risultati ottenuti da queste ricerche, e tanto per i fenomeni presentati dagli animali e per l’ esito dell’ esperimento, quanto per le loro variazioni di peso. valori trovati precedentemente per i vari sieri con l’altro veleno, per quanto tutti e due i tipi di tossina scelti per queste ricerche uccidessero il coniglio in 4-5 giorni alla stessa dose di gr. 0,00000002 p. gr. di animale. — 105 — TABELLA I. (Antitossina Tizzoni contro veleno Tizzoni). Provenienza Valore antitossico provato riferito a 1 cm. di siero (1) : del Controlli de 40.000 | 60.000 | 80.000 | 100.000 | 125.000 | 150.000 | 200.000 | 250.000 | 300.000 Cariddi 25.VIII. 900 +4g.ni|4+4g.ni | Variazione || __ SIR CANE Sin ZII | — 200 | — 80 di. peso | | | Cariddi 19. VII. 99 — (0) (0) (0) (-)xr |+4gni| — - | +5 g.ni fazione 0 LA MEDA, VALI E | 5, | al: | di peso | = ST 0 0 +5gni) — +4 gni Cariddi | — pi 3. IL 900 Variazione De silla Se? ce Lasi — 80 — 110 — 60 = di peso | | | I Cariddi | | ON INUGIO OGNI MINO (—)v 1+3 gni + 4 gni 10. V. 900 | vr | | 20. V. 900 | | Variazione | i i. 0 0 0 0 | 0 = | —80.| di peso | Gulidai | | Ù 11. VII. 900 I oNiNi > n lari gione” sa 9 Rig, | 15 ur. 0 0 0 | 0 i peso | | | 3.vir 90) RSA lu Va) Pigi TA E + i | | Variazione | di peso L o nico (1) Per il significato dei segni che esprimono i varii gradi della malattia vedi la 1* parte di questa Memoria. I risultati delle determinazioni in vitro riportati nella precedente Tab. ci dicono, adunque, che per il mio siero il limite superiore di neutralizza- zione completa è di 200.000 UA. ed il limite inferiore è di 40.000; con questa differenza fra i tre sieri che hanno raggiunto il potere più elevato, che quello del 3, II, 900 è il meno forte, il meno completo di tutti; e ciò, non solo perché il limite mortale è in questo caso abbassato da 300.000 a 290.000, ma anche perché in tutti gli animali che sopravissero si ebbe a no- tare una considerevole diminuzione di peso. Il più forte di tutti questi sieri, per riguardo al potere antitossico, è indubbiamente quello dell’ 11, VII, 900, perché, a differenza degli altri campioni, nella prova a 300.000 | animale sopravvisse e presentò solo fenomeni locali di 3° grado, senza che si avesse — 106 — a notare, né per questo titolo della mescolanza, né per i precedenti alcuna apprezzabile diminuzione di peso. A riguardo di queste determinazioni in vitro, debbo ancora una volta fermarmi sopra un fatto sul quale in altro lavoro ho già avuto l’ occasione di richiamare l’ attenzione degli studiosi (1), perché dimostra come anche questo metodo possa riuscire infido tutte le volte che si é costretti a cam- biare il veleno-tipo contro il quale il siero viene sperimentato. Cosi, lo stesso siero, per il quale è stato trovato un valore di 150.000 UA., dette invece il seguente risultato, quando fu misurato con una tossina non dializzata che uccideva il coniglio in 5 giorni alla dose di gr. 0,00000006 p. gr. di animale. 80.000 — 0 100.000 — 0 125.000 — ()" 150.000 — + 4 g.ni. Quindi lo stesso siero dette per le due tossine un valore differente ; per la 2* un valore inferiore di % a quello che si-era ottenuto con la prima. Invece il valore antitossico di un siero inglese, di cui sara fatta men- zione più sotto, sì mostrò eguale, tanto se ricercato con una tossina che uccideva il coniglio in 4 giorni alla dose di gr. 0,00000004 p. gr., quanto se misurato con altra tossina che uccideva nello stesso tempo alla dose di gr. 0,00000002 p. gr. Ciò sta a provare che per quanto la ricerca sia fatta dalla stessa mano, per quanto la dose mortale del prodotto secco sia costantemente riportata negli effetti a quella ehe si ottiene con cm. 0,001 di cultura filtrata di recente, pure il valore del siero può variare considerevolmente col variare del campione di tossina contro il quale viene provato, nonostante che tutti questi campioni provengano sempre dalla coltura dello stesso bacillo. Questo perché nella misurazione in vitro, come ebbi a dichiarare altrove, la potenza del siero non è solamente in rapporto col N.° di UT. contenuto nel veleno, ma ancora con la quantità di veleni accessori che la tossina stessa può contenere, e tanto dalla sua origine, quanto come prodotti di formazione secondaria. Né in questi casi può ammettersi un rapporto fisso fra la potenza del siero e la grossezza della UT., perché nell’ esempio sopra riportato con una UT. 3 volte maggiore si é avuto un valore del siero inferiore di 3%. Vi è quindi ragione di ritenere che nella tossina secca vi siano alcuni (1) Lav. cit. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Bologna. Ser. V. Tom. VIII ecc. ict) — prodotti che non sono sempre fissati dal siero nella stessa misura e con la medesima energia. Ad ogni modo, qualunque sia la spiegazione che si voglia dare, quello che é certo si è che i risultati della determinazione in vitro cambiano col variare del veleno che si adopra; quindi, anche per questa ragione, tali risultati hanno un valore molto relativo, né sono cosi assoluti e precisi come ordinariamente si crede. 2.° Siero Behring (Antitossina N.° 60). — L’antitossina di cui è que- stione mi fu inviata direttamente dal Prof. Behring; essa fu sperimen- tata collo stesso metodo e con lo stesso veleno della precedente ; anzi per determinare comparativamente il valore di queste due antitossine ci siamo valsi sempre della stessa soluzione di veleno. Nella Tab. seguente sono riportati i risultati ottenuti coll’ antitossina Behring. TABELLA II. (Antiftossina Behring contro veleno Tizzoni). | Valore antitossico provato riferito a 1 cm.° di siero | dor troll 125.000|150.000|200.000|300.000]400.000|500.000|600.000|700.000/800 000900.000|1.000.000]1.100.000] — © Rist, 0 | 0 | 0 | 0 | o) dO (= | (+) | (i (=) | +5g.ni]4+4g.ni Varia- | —_ | GE | Naz zione 0 0 0 0 0 O | =50 | O 12M SITO SO di A | | | | | | | Abbiamo quindi per il siero Behring che 500.000 UA. rappresentano il limite di neutralizzazione completa, e 1.100.000 il limite mortale più basso. 3.° Stero francese e inglese. — Il siero francese proveniva dall’ Istituto sieroterapico di Milano, al quale era stato inviato di recente dall’Istituto Pasteur: portava l’ iscrizione « Sérum antitétanique. Usage vétérinaire », senza nessuna indicazione del suo valore. Il siero inglese fu gentilmente regalato a questo Laboratorio dal British Institute of Preventive Medicine; aveva la data 4, XI, 96 e non conteneva nessuna dichiarazione riguardo al suo valore antitossico e curativo (1). (1) Il valore antitossico di questo siero risultò lo stesso, tanto nelle prove fatte poco dopo rice- vuto, quanto in quelle comparative eseguite di recente. Ciò serve a dimostrare che il siero, anche allo stato liquido, conserva lungamente inalterato il suo potere ‘antitossico, e a correggere così il con- cetto contrario che io mi era formato in proposito, quando sperimentavo con veleno non provvisto della voluta stabilità. (Vedi: Neue Untersuchungen iber dieVaccination des Pferdes gegen Tetanus. Berliner klin. Wochenschr. N.° 32, 1894). Serie V. — Tomo IX. 15 — 108 — La determinazione del potere antitossico di questi due sieri fu fatta sul materiale liquido originale. Nella seguente Tab. sono raccolti i risul- tati ottenuti. TABELLA III. (S/ero francese e inglese contro Tossina Tizzoni). Valore artitossico provato riferito a 1 cm.? di siero Controlli 2500 5000 10.000 | 20.000 | 30.000 | 40.000 | 50.000 Tre wi FUNES E a) — — — 0 ()' ()V |+2g.ni| + 4g.nì È E E È (wi O DNS fo? = 0 80 | — 140 90 i I RI SER Vuatlo Tha nart Ni Spor 6 ong] S 1 (©) : i ! | D = 0 0 0 (4) (+2gnil — — ‘(+5g.ni DE | | i 16 I earn ea © s o nI 26 — —_ 0 0 — 60 — — — (EEC | e eten Da queste esperienze risulta quindi che il limite massimo di neutra- lizzazione é di 10.000 per il siero inglese, di 20.000 per quello francese. Biunendo ora i valori antitossici trovati per i varii sieri, prendendo come norma il limite massimo di neutralizzazione completa, abbiamo i dati seguenti: Siero fm glese ti ee 0000 RUE DI francese ero 0 20.000. » Da aitallano Re 2.001000965 > igite des cole eee 0000000 Quindi, rappresentando con 1 quello dei sieri che ha il valore più basso, si trova che il siero inglese sta al francese, all’ italiano, al tedesco come 208590: Ossia, di contro al potere antitossico del siero Behring, che è di tutti il più elevato, il siero italiano ha un potere 25 volte più basso, quello francese 25 volte, e quello inglese 50. B. - Determinazione del valore antitossico contro il veleno Behring (Testgift. N.° V). — Contro questo veleno furono provati solamente i due sieri più forti, cioè quello del Behring ed il mio. — 109 — L’UT., secondo le mie precedenti esperienze (1), era calcolata nel coniglio a cem. 0,025 p. %, della soluzione 10% di tossina. Il peso degli animali che servirono per queste ricerche era sempre superiore a 1400 gr. Perché poi nei singoli casi la quantità di veleno introdotta non fosse inferiore a quella certamente mortale, si adoprava cm. 0,01 di siero e 1/%; della dose di veleno che si voleva provare, per le mescolanze da 1 :1000 in sotto; cm. 0,001 di siero e 14; della dose di veleno, per le mescolanze da 1:2000 in sopra. La stessa soluzione di tossina ha servito per tutti gli esperimenti; la mescolanza di siero e veleno era sempre riportata a 1 cm.3, il contatto prolungato per ‘ ora. Il risultato delle singole prove, per quanto si ado- prasse in tutte antitossina secca, era costantemente riportato a 1 cm. di siero originale. 1.° Siero Tizzoni. — Il siero scelto per queste ricerche era quello del salasso praticato al cavallo Cariddi il 25, VIII, 98. I risultati ottenuti con questo siero sono raccolti nella seguente Tab. TABELLA IV. (Siero Tizzoni contro tossina Behring). Valore | | | | | provato 500 900 1000 2000 3000 4000 ‘Controllo in UA. | | | | | Risultato 0 0 0 ()v +95 g.ni/ +4g.ni | +5g.ni VO ao | 0 | 0 — 190 | — 150 i — 150 | — 120 i peso | | | Dunque. per il mio siero il limite di neutralizzazione completa è di 1:1000, il limite mortale più basso é di 1: 3000. (1) Tizzoni — Sulle differenze nell’ azione patogena fra la mia tossina del tetano e quella del Behring. Gaz. degli Ospitali e delle Cliniche. N.° 39. Anno 1900. i — dado — 2.° Stero Behring. (Antitossina N.° 60) — I risultati ottenuti con questo siero sono riportati nella seguente Tab. TABELLA V. (Siero Behring contro tossina Behring). Valore | | | | | provato 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000 |Controlli I Pr di MAO Risultato n di (—)m ()V a .ni|] +4g.ni1 +4g.ni/+5g.ni Variazioni sala fatale; i 30 la; so — 190 | 150 120 “de ee [o sta Risulta, quindi, che per il siero Behring il limite di neutralizzazione completa è di 1 : 3000, il limite mortale più basso di 1: 6000. Perciò questo siero, di contro alla tossina Behring (Testgift. N.° V), é 3 volte superiore al mio (Cariddi 25, VIII, 98) per il limite di neutralizzazione completa, 2 volte per il limite mortale inferiore; mentre, di contro al mio veleno, la differenza fra questi due sieri é di 3,3 per il limite di saturazione com- pleta, e di 3,6 per il limite mortale. Dal confronto sull’ azione antitossica dei due sieri sì rilevano poi alcune considerazioni della massima importanza. Anzitutto troviamo che uno stesso siero, di contro ai due veleni provati, neutralizza in modo completo un N.° di UT. molto differente. Il mio siero (Cariddi 25, VIII, 98) neutralizza per ogni cm. 150.000 UT. del mio veleno, appena 1000 del veleno Behring; ossia per la stessa quantità di siero un INSTAl UT: 50% volte iminore MISSsiero Behra e itralizza perio gni ° 500.000 UT. del mio veleno, appena 3000 del veleno Behring; cioé per la stessa quantità di siero un N.° di UT. 166 volte minore. Dunque, di contro ai due veleni, le differenze trovate per i due sieri a un dipresso sì corrispondono, perché sono di 150 per il primo, di 166 per il secondo. E siccome le ricerche fatte sulle stesse due tossine hanno dimostrato che per il coniglio la mia è 166 volte più forte di quella del Behring (1), cosi ì risultati che si ottengono da queste tossine nella prova in vitro (1) Tizzoni — Sulle differenze nell’ azione patogena fra la mia tossina e quella del Behring. Loc. cit. — 111 — corrispondono esattamente, o con piccolissima differenza, a quelli ottenuti riguardo al loro potere patogeno. Si ha quindi nella neutralizzazione in vitro un criterio fisiologico per provare che il mio veleno è molto più puro di quello del Behring, e che questo per ogni UT. contiene d’impurità, o di veleni accessori, una quantità 150-166 volte superiore all’ altro. E quando diciamo impurità o veleni accessori, intendiamo con ciò tutti i prodotti diretti e indiretti della cultura che valgono ad ingrossare 1’ UT. Altra considerazione pure molto importante è da farsi. Il mio siero neutralizza per ogni cm. gr. 2,25 della mia tossina, gr. 2,50 della tossina Behring. Il siero Behring a sua volta neutralizza per ogni cm. gr. 7,5 della Mioltossina:gr.07%;o del. Testgift. N. V. Ciò dimostra; 1°, che uno stesso siero neutralizza in peso una quan- tità eguale o presso a poco eguale delle due differenti tossine; 2°, che la mia tossina sotto lo stesso peso contiene un N.° molto maggiore di UT. di quella del Behring (150-166). Quindi, anche il criterio del peso serve, nella neutralizzazione in vitro, a confermare che il mio veleno ha una purezza molto maggiore di quello del Behring. E quali siano gli effetti sul siero dei veleni accessori che una tossina contiene, lo vedremo in seguito. Ma, anche prima di questo, noi possiamo dire fin d’ ora che se l’antitossina è il prodotto diretto o indiretto di una tossina specifica, i risultati che da questa si otterranno per la produzione del siero immunizzante saranno tanto maggiori quanto più essa sarà pura. Finalmente, per riguardo alla tossina Behring, possiamo rilevare dei dati di molta importanza, se si confrontano fra loro i risultati che, usando dello stesso veleno, sono stati ottenuti dal Behring sul topolino e da me sul coniglio. Infatti, riguardo alla antitossina N.° 60, ed al Testgift N.° V, che mi fu- rono gentilmente spediti dal Prof. Behring e che servirono per tutte le mie ricerche, secondo le informazioni ricevute, Am» AE (unità antitos- sica) neutralizzerebbe per il topolino bianco cm. 0,00625 della soluzione 10 %, di tossina (1); quindi facendo il calcolo si avrebbe che gr. 0,1 di siero secco, od 1 cm.ì di siero liquido che gli corrisponde, neutralizzerebbe (1) Questi dati non corrispondono a quelli che il Behring ha più tardi pubblicati per lo stesso veleno N.° V. (Deutsch. med. Wochenschr. N.° 2. 1900). Infatti 1/0 AE neutralizzerebbe in modo completo cm. 0,01 della soluzione 10 %,. della tossina in quistione ; quindi facendo il calcolo si avrebbe che 1 cm.8 di siero neutralizzerebbe gr. 10 di tossina secca, anzi che gr. 6,25; ossia una quantità su- periore circa di !/ a quella che mi fu direttamente comunicata per lettera. — Da cosa dipenda questa differenza io non potrei dire. — 1 — per il topolino gr. 6,25 di tossina secca, ossia gr. 1,25 in meno della quantità di tossina da me trovata per il coniglio. E poiché il limite di neutralizzazione completa di una tossina, quando questa è pura, deve essere eguale per tutti gli animali, come ho provato in altro lavoro (1), così, per spiegare le differenze rilevate, bisogna ammet- tere che nella quantità di tossina Behring neutralizzata da 1 cm° di siero N.° 60 vi siano gr. 1,25 d’impurità, che per il coniglio sono indifferenti o completamente neutralizzate, e che viceversa non lo sono per il topolino. Questo, che troverà piena conferma in quanto diremo fra breve, può anche spiegare perché, di contro al veleno Behring, la sensibilità del topolino si elevi al disopra di quella del coniglio. Ma fatti ancora più importanti sì possono rilevare, quando dallo studio della neutralizzazione completa si passa a quello della neutralizzazione incompleta, perché in questo caso l’ esame attento dei fenomeni presentati dagli animali ci permette di entrare più addentro nell’ analisi dei veleni in questione, a similitudine di quanto é stato già fatto tanto magistralmente dall’Ekrlich (2) per i veleni della difterite. Poco si può dire riguardo alla saturazione incompleta del mio veleno, sia per parte del siero da me preparato, sia per parte di quello preparato dal Behring. Solo si nota che mentre col mio siero i fenomeni locali e generali che si determinano sono perfettamente identici a quelli che si provocano direttamente con differenti dosi di veleno, invece, quando per fare la me- scolanza si adopra il siero Behring, il quadro morboso che ne risulta apparisce un poco modificato. Infatti, nelle forme gravi, ma che passano a guarigione, sì rileva una diminuzione maggiore del peso corporeo, che arriva fino ad % del peso primitivo ; e tanto in queste, quanto nelle forme mortali, si trova che i fe- nomeni generali del tetano hanno perdute molte delle loro caratteristiche; l’animale, invece dell’ aumento forte di eccitabilità, presenta una specie di tremolio o di barcollamento, quasi si reggesse male sulle zampe, e solo dopo stimoli ripetuti sulla parte iniettata cade a terra come esaurito, senza presentare mai accessi tetanici caratteristici. Di contro alla tossina Behring, la saturazione incompleta col mio (1) Tizzoni — Vaccinazione e sieroterapia contro il tetano. — Contribuzione allo studio del meccanismo della immunità. — Milano Vallardi pag. 88 e seg. — Vedi anche: Tizzoni — Sul modo di determinare la potenza del siero antitetanico col metodo della mesco- lanza in vitro. Loc. cit. (2) Ehrlich — Ueber die Constitution des Diphtheriegiftes — Deutsch. med. Wochenschr. N.° 38, 1898. Ibid. — Observations upon the constitution of the Diphtheria Toxin. Transactions of the Jenner Institute of Preventive Medicine, 1899. — 113 — siero determina forme sperimentali del tutto simili a quelle che si provo- cano nel coniglio colla iniezione in circolo di quantità di tossina insuffi- cienti a determinare la morte; cioè. oltre alla forte rigidità locale, una discreta rigidità generale, senza corrispondente aumento della eccitabitità. Quindi il mio siero nella saturazione incompleta mette in evidenza nella tossina Behring una maggiore proporzione di quei principii che deter- minano la rigidità muscolare. Invece, contro lo stesso veleno, il siero Behring, in un primo grado di neutralizzazione incompleta (1 : 5000), determina marasma; in un grado di neutralizzazione ancora minore (1: 6000 - 1: 8000), da luogo a fenomeni paralitici anzi che ad accessi tetanici caratteristici. — L’ animale, che al cune volte presenta fenomeni tetanici di mediocre gravezza, quando è for- temente stimolato, cade sul ventre o sul fianco come fosse paralizzato; non é più eccitabile, porta la testa alta ma non tesa indietro, ha fortissimo affanno; ma dopo poco tempo si rialza ed apparisce come fosse un animale sano, fino a che stimolazioni molto intense non vengono nuovamente a determinare l’ accesso convulsivo. Questi accessi, poi, sono tanto più forti e tanto più facili a determinarsi, quanta minore é la neutralizzazione del veleno. Dunque il siero Behring nella neutralizzazione del risp. veleno, quando la mescolanza si sperimenta nel coniglio anzi che nel topolino, lascia scoprire in quella tossina due veleni collaterali o secondari, uno marantizzante ed uno paralizzante. Ed in ragione del grado diverso di neutralizzazione che é necessario per mettere in evidenza questi veleni, si può dire che quello marantizzante deve trovarvisi in proporzione assai maggiore dell’ altro, od avere per |’ anti- tossina del siero ur’ affinità assai minore. Il profondo dimagramento poi non può essere considerato come la conseguenza di forti e ripetute ecci- tazioni, perché in questa forma morbosa manca, come abbiamo veduto, l’ esagerata eccitabilità generale. Questo per riguardo alle impurezze che si trovano nel veleno Behring: se poi in rapporto a tali impurezze si producono nella risp. antitossina delle so- stanze che non posseggono nessuna azione curativa, e che non pertanto hanno il potere di neutralizzare in vitro la tossina, questo lo vedremo più sotto. Intanto dai risultati ottenuti in questa serie di ricerche é possibile for- mulare le seguenti conclusioni : 1.° Che il potere antitossico del siero Behring é superiore a quello di tutti gli altri sieri; dopo questo viene il mio, poi quello francese e per ultimo quello inglese; 2.° Che partendo dal siero più debole e andando a quello più potente, tale differenza sta nella proporzione di 1:2:20: 50; 3.° Che per veleni differenti varia considerevolmente il valore che — 114 — indica il potere antitossico dei varii sieri, mentre il rapporto di questi valori rimane eguale o presso a poco eguale; 4.° Che il veleno delle mie culture è molto più puro di quello delle culture del Behring; 5.° Che la misura di queste impurità (veleni secondari od accessori) è data dalla differenza nel N.° delle UT. che sono neutralizzate da uno stesso siero, quando é provato contro veleni di origine diversa; 6.° Che tali differenze corrispondono a quelle che passano fra gli stessi veleni, quando se ne sperimenta |’ azione patogena sul coniglio, il quale deve considerarsi, perciò, come il vero reagente fisiologico della purezza delle singole tossine; quello che ci indica, cioé, la quantità di sostanza convulsi- vante che esse contengono ; 7. Che fra le impurità del veleno Behring si trova un veleno ma- rantizzante ed un veleno paralizzante ; 8.° Che nel veleno specifico fondamentale della tossina Behring predominano i principii che danno la rigidità muscolare su quelli che determinano le convulsioni cloniche. II. Esperienze comparative sul valore terapeutico dei sieri più noti. — In tutte queste esperienze fu seguita esattamente la tecnica indi- cata nella 1.* parte di questa Memoria. Gli animali prescelti per tali ri- cerche furono la cavia ed il coniglio, accordando la preferenza al primo di essi; e ciò, non solamente a causa della sua maggior sensibilità per il veleno del tetano, ma anche perché, data la grossezza minore del suo corpo, ci permetteva di economizzare, e quindi di utilizzare quanto più largamente era possibile, il materiale curativo avuto dalla gentilezza dei colleghi. Del siero che si usava nella cura era esattamente determinato il potere antitossico, valendosi per questa determinazione dello stesso veleno e della stessa UT. che serviva per procurare negli animali l’ intossicazione contro la quale il siero doveva essere sperimentato. Al momento della cura si teneva conto esatto dei fenomeni presentati dagli animali, scartando quei soggetti che per particolare disposizione, o per altra ragione qualsiasi, presentavano apprezzabili differenze in più o in meno. La scelta degli animali da curare con un dato siero e con una deter- minata dose era il più spesso affidata alla sorte; più raramente ci si valeva per questa scelta dell’ ordine stesso col quale gli animali, prima di essere iniettati col veleno, ci venivano presentati dal peso, andando in questo caso dalla dose più elevata e dal siero che aveva maggior potere antitos- sico, verso la dose minore ed il siero a potere più basso. Per giudicare degli effetti della cura si teneva conto due volte al giorno, — 115 — mattina e sera, dello stato dei fenomeni presentati dagli animali e delle modificazioni del peso corporeo. Quando non si poteva determinare esattamente l’ora della morte, perché questa avveniva nella notte successiva a quella dell’ ultima visita serale, siccome l’ intossicazione era fatta sempre nelle ore pomeridiane (ordina- riamente verso le 16), cosi nell’ esito finale dell’ esperimento si calcolava, oltre i giorni compiuti, una mezza giornata in più. Questi esperimenti furono divisi in due serie ; una prima serie con dose curativa fissa, quella riconosciuta sufficiente negli esperimenti precedenti per il materiale da me preparato; una seconda serie con dose curativa a scala. Scopo della prima serie era quello di stabilire, in generale, se esi- stessero differenze nell’ azione curativa dei varii sierij scopo della seconda serie, invece, era quello di cercare la dose curativa minima, e con questa determinare la differenza nel grado della loro azione terapeutica. La maggior parte di queste esperienze fu eseguita col mio siero e col siero Behring, perché nelle precedenti prove in vitro si erano mostrati più attivi. A. - Veleno Tizzoni. — Dose curativa fissa. Lotto 1.° (Coniglio). Tossina 20, XI, 99. UT.= 0,000000015 p. gr. — Siero del cavallo Ca- pd cmer9 svi: 907 Al em = 125.000 UA. Distanza 3a Nomero | mese | Peso] Siero | dalle | delle | coretiva | della” | zione | Risultato giorno azione lesione | p. Klg. | malattia | di peso 1 23. XII. 99 | 1390 | Tizzoni | 24 h. | (—)u | cm.31%y | 3 giorni | — 120 vive 2 » 1410 » ci) da | (ME D_QS Id — 160 vive 3 » 1480 | Behring | 24 h. | ()n SIR — — 340 | + 12 g.ni 4 » 1500 » 48 h. | (>) DIN» — — 320 | + 5 g.ni Controllo » 1500 — — — — — — +4), gni Osservazioni. — Nel coniglio N. 1. (Tizzoni 24 h.) i fenomeni locali progredirono fino oltre la semiestensione, la rigidità raggiunse il grado massimo, l’ eccitabilità generale non crebbe considerevolmente, né si ebbero mai accessi tetanici, la risoluzione della lesione locale fu completa. Nel coniglio N. 2. (Tizzoni 48 h.) i fenomeni locali arrivarono al grado più elevato, i fenomeni generali cederono abbastanza presto alla cura, ma non tanto da evitare completamente la comparsa di accessi teta- Serie V. — Tomo IX. 16 — 116 — nici, che peraltro sì mostrarono assai miti e di breve durata; l’ arto ino- culato rimase permanentemente rigido e deformato. Nel coniglio N. 3. (Behring 24 h.) i fenomeni locali arrivarono fino alla estensione completa, l’ eccitabilità generale fu mediocremente accre- sciuta, ma si ebbe la morte per marasma. Nel coniglio N. 4. (Behring 48 h.) la cura non modificò per niente il quadro della malattia; gli accessi tetanici si manifestarono in modo cosi violento e completo come nel controllo. Lotto 2.° (Cavia). Tossina 20, XI, 99. UT. = 0,000000006 p. gr. — Siero cavallo Cariddi IO VIII Tee 0V00 RAS Distanza Ano 5 Anno PIE Grado Dose Arresto | Varia- TO) mese | as es EI della curativa della zione Risultato Lo. giorno Si È coin | lesione| p. Klg. | malattia | di peso | cazione S | 1 26. XII. 99 | 390 | Tizzoni | 23 h. | (—)v | cm.34% | 3 giorni | — 70 vive 2 » 330 » 42h. (SH » $» —_ — 80 |4- 4% gni 3 » 390 | Behring| 23h. | ()v| » 4» STI 9000] 230 i A 4 » 370 » 420 gd =) >» 8» —_ — 100 | + 514 gni Controllo » 380 _ _ — — —_ — 60 | 4-3 g.ni Osservazioni. — Di 4 animali operati, uno solo é sopravissuto, quello curato a 23 h. di malattia con 4 cm.ì per Klg. del mio siero. In questo l’ estensione dell’ arto iniettato non arrivò mai al grado più elevato, si ebbe leggiero aumento della eccitabilità generale, ma mancarono veri accessi tetanici caratteristici; la risoluzione dei fenomeni locali era completa dopo un mese. Il siero Behring non mostrò azione curativa apprezzabile in nessuno dei due casi nei quali fu usato. — 117 — Lotto 3.° (Cavia). Tossina 20, XI, 99. UT. = 0,000000006 p. gr. — Siero cavallo Cariddi SEMEVIIE "98. L emi —.150.000 UA. L © N Anno |Peso| g; | S Z £| Grado | Dose Arresto |Variazione Sar mese in ava z sa iS | della curativa della di Risultato orane | giorno | gr. aa Ss tossina | per Klg.| malattia peso coi 1 |15.1.900] 400| Tizzoni |24h.| (>) |em°5%| 2 gni | #39 og 2 » 420 » 48 h.| () » 10 » 2 g.ni | — 70 » 3 » 370 | Behring | 24 h.| (+) | » 5» | 3 gni | — 40 » 4 » 339 » 48 h.| (> | > 10» 4 gni — 20 » Controllo » 270 — _ — — —_ — 40 |+4gni3h. Osservazioni. — Dal confronto di questa serie colla precedente, risulta ’ che il siero Behring si é mostrato attivo solo quando la malattia è stata più lenta, in modo da uccidere i controlli in 4 giorni, anzi che in 3, e quando s’ iniettava una dose maggiore di siero. Peraltro, anche in questo ultimo caso, risalta la superiorità del mio siero su quello Behring, sia per l'arresto più pronto della malattia, sia per la maggiore influenza della cura sui fenomeni generali di aumentata eccitabilità, sia finalmente per il più rapido ritorno della parte alle condi- zioni normali. Infatti, nei due animali curati a 24 h., in quello che riceve il mio siero (N. 1) i fenomeni locali si arrestarono prima di arrivare alla rigidità com- pleta, l'aumento della eccitabilità generale non fu molto rilevante e la guarigione era già avvenuta dopo 26 giorni; mentre nell’ animale corri- spondente, curato col siero Behring (N. 3), la rigidità della parte arrivò al massimo grado, si ebbe aumento forte e di lunga durata della eccita- bilità generale, diffusione dei fenomeni tetanici all’ altro arto posteriore, e la risoluzione della malattia anche dopo 40 giorni non era completa, per- sistendo sempre un aumento della eccitabilità locale e generale, e una leggiera rigidità dell’ arto operato. Egualmente, dei due animali curati a 48 h., in quello che ricevé il siero Behring (N. 4) l’aumento della eccitabilità locale e generale fu sempre maggiore che in quello curato col mio (N. 2), assai più grave la diffusione della malattia all’ altro arto posteriore, più lenta la risoluzione dei feno- meni locali. Si conclude da tutto questo, che mentre il mio siero salva il coniglio alla dose di 1-2 cm. p. Klg., quando la cura è rispettivamente praticata —iMSe a 24-48 h. di malattia e la morte dei controlli avviene in 4 giorni; che mentre lo stesso siero a 23 h. di malattia salva la cavia alla dose di 4 cem. p. Klg., quando il controllo muore in 3 giorni, invece il siero Behring usato nella medesima dose e allo stesso tempo dalla intossica- zione non ha nessun effetto. — Perché il siero Behring dispieghi sulla cavia una efficace azione curativa, occcrre che la malattia sia più lenta (morte in 4 g.ni), e la dose portata a 4 cm. per Klg., quando la cura é fatta. a. 24 h.,\ a cm 104p 2 quandoMatcura é praticata Wlatl48 8h: B. - Tossina Tizzoni. — Dose curativa in scala progressivamente decrescente. — La differenza che passa nell’ azione curativa di due sieri si può deter- minare, tanto col criterio della dose minima di siero, quanto con quello del tempo in cui la cura é ancora possibile; ciò che appunto é stato fatto nei due ordini di ricerche che seguono. Ma anche con questo non deve pensarsi che sia sempre facile stabilire l'esatto valore curativo di un siero, e che in ogni caso tale determina- zione riesca sempre con una sola serie di esperimenti con sicurezza ma- tematica. Per quanto si abbia cura in queste ricerche di soddisfare a tutte le avvertenze che furono precedentemente indicate, pure avviene alcune volte che nei limiti estremi in cui la prova viene fatta, una causa minima, come quella che può derivare da particolari disposizioni individuali, arriva a turbare sensibilmente il risultato dello esperimento. Cosi si spiega perché in alcuni casi sopravvive l’ animale che a un determinato periodo della malattia aveva ricevuto una quantità minore di siero, mentre muore quello che aveva ricevuta una dose maggiore. Da questo sì comprende come il giudizio sul massimo valore curativo di un siero non possa avere una precisione matematica assoluta; e come perciò non possa sempre desumersi la differenza nel potere di due sieri di origine diversa da una sola serie di ricerche, ma debba piuttosto rica- varsi tale differenza dal complesso di molteplici esperimenti. Al fine poi di avere un punto di orientazione nella ricerca della dose curativa minima, ho fatto precedere lo studio comparativo sui varii sieri da una serie di esperimenti eseguiti col mio siero usato ad un periodo fisso della malattia, in dose progressivamente decrescente. — 9 — LoTTO 1.° (Cavia). Veleno-tipo 20, XI, 99. UT. = 0,000000006, per gr. — Siero cavallo Ca- riddi 3, II, 900. 1 cm... = 200.000 UA. Distanza G Anno rado Dose Arresto | Varia- iuniero mese esca delle della curativa della zione Risultato ri giorno vali cia FR lesione | per Klg. | malattia | di peso 1 6. II. 900 | 580 | 48 h. | (—)v |[cm.#810%o| 24 h. — 40 vive 2 » 370 » (—)v >» 8» » — 60 » 3 » 310 » (—)Y DI 60» » — 20 » 4 » 350 » ()v 5 db 48 h. — 60 » Controllo » 300 — — —_ — — +414 gni Osservazioni. — Qui si confermano anzitutto gli esperimenti preceden- temente riportati, cioé che in animali così sensibili come la cavia, e con dosi abbastanza piccole di siero (fino a 4 cm. p. %,), si ha pronta e sicura guarigione nelle forme acute di tetano che uccidono i controlli in 4 giorni, quando la cura è cominciata a 48 h. di malattia e i fenomeni locali hanno raggiunto il massimo del loro sviluppo. Si conferma poi che l’ arresto dei fenomeni morbosi è tanto più pronto e la risoluzione della malattia tanto più rapida, quanto maggiore è la dose del siero iniettato. - Dopo questo ho ricercato quale fosse per la medesima epoca della malattia la dose curativa minima, servendomi per questi esperimenti dello stesso siero, dello stesso veleno e della medesima UT. dei precedenti. Lotto 2.° (Cavia). Tua idGrO Anno TOO distale Greco Dose Arresto Vanazione OR d'crdino mese in gr. al a intos- ella curativa della di peso isultato giorno sicazione lesione p. Klg. malattia 1 20. II. 900 480 48 h. ()v em.3 3 %0%0 _ — 50 | +54 gni 2 » 650 » (—)v » 2%0| 3 gni — 200 vive 3 » 260 » ()v » lo = — Morte acci- dentale (1) 4 » 280 » ()v » 0,5 » _ — 10 + 4 g.ni Controllo » 260 — — — — — 30 + 3 g.ni (1) Muore per caduta da una scala subito dopo iniettato il siero. — 120 — Dunque nelle forme acute di tetano (morte in 3-4 giorni), quando la cura è praticata nel momento in cui i fenomeni locali hanno raggiunto il massimo sviluppo (estensione completa) e la malattia si trova verso la meta del suo decorso (48 h.), la dose curativa minima del mio siero é di cem. 4%,-. Le dosi inferiori, di cm. 0,5-3,0 p.%, sono insufficenti a salvare l’animale dalla morte, e valgono solo a prolungarne la vita di qualche ora. Invece, quando allo stesso periodo della malattia i fenomeni locali sono meno avanzati, avendo raggiunto il 4.° anzi che il 5.° grado, allora, per aversi la guarigione, bastano dosi di siero di cm.ì 2 %, cioé dosi inferiori della meta alle precedenti; per quanto anche in questo caso la forte di- minuzione di peso (circa 14 del peso primitivo) ci dimostri che l’ effetto curativo della quantità di siero adoperato fu lungi dall’ essere completo. 1.° Differenza fra il potere curativo del mio siero e quello del siero Behring. — Partendo da questi dati ho cercato di determinare con espe- rienze comparative la differenza che passa fra il potere curativo del mio siero e quello dei sieri più noti. E fra questi ho preso in considerazione per primo il siero Behring, come quello che dalle precedenti ricerche in vitro era risultato avere il potere antitossico più elevato. Lorto 3.° (Cavia). Tossina 20, XI, 99. UT.= 0,000000006 per gr. — Siero del cavallo Ca- riddi 3, 45,991 cn. =R00/000NUA Distanza ; Nanda Anno PS SITI A Grado Dose Arresto | Varia- i VELA mese . i $ : della curativa della zione Risultato d’ ordine . ingr.| usato |intossi- E 2 : : giorno REG lesione | per Klg. | malattia |di peso l 4. III. 900 | 390 | Tizzoni | 48 h. | (—)v [em8 3 %o| 24 h. — 20 vive 2 » 340 » » ()v SZ 24 h. — 10 » 3 » 450 » » (—)V DIM —_ — 50 + 5 g.ni 4 » 380 | Behring » ()v DIA 3 g.ni — 80 vive 5) » 420 » » (—)v > 2 >» 6 » — 20 » 6 » 450 » » (—)v » 1 » 7» — 80 » Controllo » 330 —_ — = — —_ — 30 | + 5 g.ni Osservazioni. — Questa serie sembra stare in contraddizione colle pre- cedenti, provando che la potenza curativa del mio siero è inferiore a quella del siero Behring, e che questo, anche alla dose di 1 cm. p. Klg., cioé a dose assai inferiore a quelle che nelle antecedenti esperienze fallirono, sì mostrò efficace. — 121 — Ma a questo riguardo si deve rilevare che la cavia N. 3, curata col mio siero nella proporzione dell’ 1 %,, aveva figliato da pochi giorni; condizione questa che può avere accresciuto la recettività dell’ animale per il veleno del tetano. E che la morte di questo animale dipendesse più che altro da mag- giore disposizione individuale, cosi da non doversi accordare all’ esito letale tutto quel peso che a prima vista sembrerebbe, lo dimostra anche il fatto che negli altri animali della stessa serie il mio siero dispiegò un’ azione curativa assai più intensa di quella avuta dal siero Behring; per cui l'arresto dei fenomeni tetanici fu nel primo caso più pronto che nel se- condo, la malattia meno grave, minore la diminuzione di peso, più solle- cita la risoluzione completa. Infatti, mentre negli animali trattati col mio siero (N. 1 e 2) mancò la generalizzazione dei fenomeni tetanici e l’ aumento della eccitabilità della parte fu molto mite, invece negli animali curati col siero Behring i fe- nomeni locali furono cosi gravi che in alcuni si ebbero perfino escare gangrenose (N. 4); e i sintomi generali furono in ogni caso così imponenti da lasciar temere che da un momento all’ altro avesse a verificarsi la morte. Nel N. 4 si osservò l’ andatura spastica-tremolante che deriva da forte aumento della eccitabilità; nel N. 5 fu presa dalla malattia tutta la metà posteriore del corpo, e gli accessi tetanici furono così violenti da far cadere l’ animale a terra; nel N. 6 l’ animale, dopo forti stimolazioni, ri- maneva come paretico e stentava a rialzarsi da terra; in tutti poi, dopo passato il periodo acuto, le eccitazioni determinavano forte dispnea e fa- cevano chiaramente rilevare una debolezza dell’ arto posteriore non inocu- lato e del treno anteriore. Del resto a togliere ogni dubbio in proposito varranno gli esperimenti che seguono. Riguardo alla contraddizione che in ordine alla dose del siero sembra esistere fra la serie di esperimenti compresi in questo lotto e quella del lotto precedente, si deve notare che nel primo caso la malattia fu assai più mite (morte in 5 giorni) che nel secondo (morte in 3 giorni). Le due serie che seguono si distinguono da tutte le altre precedenti per essere stato adoperato un veleno-campione differente. Questo veleno prepa- rato il 23, IV, 900 proveniva da cultura di 6 mesi e mezzo; presentava quindi tutti gli inconvenienti che offrono le culture vecchie, e cioé : nella dose inferiore alla mortale determinava marasma ; nella dose mortale l’ au- mento della eccitabilità compariva più tardi e non era molto forte, gli accessi tetanici non erano così violenti e caratteristici come di consueto ; dopo breve eccitazione, l’ animale, inveee di presentare il solito quadro, cadeva a terra come esaurito, paralitico. Il ricavato di tossina secca era — 122 — di gr. 0,947 p. % cm. di filtrato; la minima dose mortale che uccideva gli animali in 4-5 giorni era, per la cavia, di 0,000000004 p. gr., per il coniglio, di gr. 0,00000001 p. gr. Lotto 4.° (Cavia). Veleno-campione 23, IV, 900. UT. = 0,000000004 p. gr. — Siero cavallo Cariddi, 3; II. 900. 1 ‘cm? —200000UA- Distanza Nirdero Anno Peso SO Da Grado Dose Arresto ; ES mese ; . , della curativa della Risultato d’ordine . ingr.| usato |intossi- . : E giorno EA lesione | p. Klg. | malattia | di peso 1 13. V. 900 | 360 | Tizzoni | 48 h. | (—)tv | cm? 2% | 24 h. — 40 vive 2 » 280 » » (—)Iv yial» » — 20 » 3 » 300 | Behring » (+) > 2 » | 48 h. — 50 » 4 » 300 » » (—)iv > l>» | 4 gni) — 30 » Controllo » 320 - — — — — — 70 |+5g.ni3h. Loto 5.° (Coniglio). Veleno e siero come nel lotto prec. UT. = 0,00000001 p. gr. Distanza Giada Anno . È Dose Arresto | Varia- Numero mese Peso Siero . dalla della curativa della zione Risultato d’ ordine » ìn gr.| usato | \intossi- . . : giorno ERO lesione p. Klg. | malattia | di peso 1 13. V. 900 | 1410 | Tizzoni | 48 h. | (>) | cm.3 2% | 2 gni | — 80 vive 2 » 1200 » » (—)iv » l » » 20 » 3 » 1270 | Behring » (—)N 20» 3 gioni | — 30 » 4 I » 1390 » » (—)mv » 1» 6 » — 220 » Controllo » 1120 —_ — | _ —_ cn — 150 | + 5 gni Osservazioni. — Questi esperimenti sono molto istruttivi, perché ci di- mostrano che di contro ad un veleno che ha perduta buona parte della sua forza originale, come quello che proviene da culture vecchie, e che dà luogo perciò ad un quadro sperimentale più lento, meno violento, la stessa dose curativa vale a salvare la cavia ed il coniglio dalla morte, tanto per il siero Behring, quanto per il mio, quando la cura è praticata dopo 48 h. di malattia, al momento in cui i fenomeni locali hanno rag- giunto uno sviluppo molto avanzato. Peraitro, anche in questo caso, nonostante la lentezza della malattia e — 123 — la poca violenza del quadro morboso, il mio siero dispiega un’ azione cu- rativa assai superiore a quella del siero Behring, come lo dimostrano chiaramente i protocolli dei singoli esperimenti. Infatti, mentre negli ani- mali trattati col mio siero, per quanto i sintomi locali raggiungessero il massimo grado di sviluppo, la malattia rimase del tutto circoscritta; invece nella cavia N. 3, curata col siero Behring alla dose di 2 cm. p. Klg,., si ebbe andatura spastica-tremolante, come segno della aumentata eccitabilità generale, e nella cavia e coniglio curati collo stesso siero, alla dose di 1 cm. p. Klg., si osservarono veri accessi tetanici caratteristici che face- vano cadere a terra gli animali. Di più nei conigli trattati col siero Behring si riscontrò, come segno di azione curativa più debole, meno completa, la mancata risoluzione dei fenomeni locali, ed una notevole diminuzione di peso (gr. 220 su 1390), un vero stato marantico, in quello curato colla dose minore, di 1 cm.’ p. Klg. La maggior parte degli esperimenti che seguono furono fatti con un 3.° tipo di tossina differente dai due precedenti. Questo veleno fu preparato il 18, VI, 900 da cultura di 32 giorni; é questo lo stesso veleno di cui si é tenuto parola nella prima parte dei presente lavoro. Il ricavato di tossina secca fu di gr. 1,91 p. % cm. di filtrato; la sua tossicità iniziale era di gr. 0,000000006 p. gr. di cavia, di gr. 0,00000001 p. gr. di coniglio; ma in seguito a lento e graduale indebolimento della sua potenza, dopo circa due mesi, la dose mortale sali a gr. 0,00000001 per la cavia, ed a gr. 0,00000C02 per il coniglio, e da allora si mantenne sempre costante. i Degli esperimenti praticati con questo veleno-tipo, alcuni furono eseguiti quando la tossina in questione aveva il massimo della sua forza o si tro- vava nel periodo susseguente di graduale scomposizione; invece la maggior parte di essi furono fatti quando tale veleno già aveva subito 1’ indeboli- mento nella sua potenza che segue immediatamente alla sua preparazione, ed era passato oramai allo stato di fissità secondaria. Serie V. — Tomo IX. Lr Lotto 6.° (Cavia). Veleno-tipo 18, VI, 900. UT. = 0,000000007? p. gr. = Siero cavallo Ca- riddi 10, V, 900. 1 cm.ì = 200.000 UA. Distanza O Anno hi . È Grado Dose Arresto | Varia- URTO mese ene Sion GAI della curativa della zione Risultato DARIO giorno N cazione | 1eSIOne | p. Klg. malattia | di peso 1 17. VII. 900 | 300 | Tizzoni | 24 h. | (—)n | em 81% | 24 kh. — 10 vive 2 » 280 » » (—)n » 0,5 » 48 h. — 10 » 3 » 260 | Behring » (—)u >» 1» 6 g.nì — 30 » 4 » 280 » » ()u » 0,5 » — — 80 |+8 g.ni Controllo » 350 —_ — — — I — — 50 |+3g.ni 20h. Osservazioni. — In questa serie è evidente la superiorità del mio siero su quello del Behring, e non solo perché quest’ ultimo, alla dose di 0,5 cm. p. Klg., fu insufficiente a salvare l’ animale dalla morte, ma anche perchè lo stesso siero, alla dose di 1 cm. p. Klg., si mostrò assai meno efficace del mio, anche se usato in dose inferiore della metà, arrestando la malattia dopo un termine più lungo, permettendo che in questo tempo si sviluppassero fenomeni convulsivi generali abbastanza gravi e determi- nando un maggiore abbassamento di peso. È molto istruttivo poi l'esperimento N. 4, perché ci dice la ragione per la quale il siero Behring, a parità di condizione del mio, riesci in questo caso insufficiente. Infatti, nell’ esperimento in questione, la deficenza della dose di siero sì manifestò con dimagrimento ed affanno; affanno che si faceva sempre maggiore tutte le volte si stimolava l’ animale. Ciò significa che il siero Behring contiene, di fronte al mio, una quantità minore di quelle sostanze che determinano l’ immunizzazione del bulbo, e che perciò sì oppongono agli effetti funesti che i principii stricnizzanti contenuti nel veleno dispiegano su quella parte cosi vitale del sistema nervoso. Fatti analoghi troveremo nella serie seguente: — 125 — Lotto 7.° (Cavia). Veleno-tipo 18, VI, 900. UT. = 0,000000008. — Siero cavallo Cariddi HO V19001 1 (em. —:200.0000UA: N | Anno | Peso Siero A Grado Dose Arresto | Varia- 5: CS mese qua t Orale dalla curativa della zione Risultato > CURE giorno spivane i IBAZO ea lesione | per Klg. | malattia | di peso 1 I. VIII. 900. | 370 | Tizzoni | 24 h. | (—)w& | em8 1% | 36 h. — 20 vive 2 » 240 » » ()u DMS 48 h. — 10 » 3 » 210 | Behring » ()u ST S 48 h. — » 4 » 210 » » ()ui > 0,5 » — — 60 + 69 g.nì Controllo » 300 = — = — —- — 40 |+3g.ni20h. Osservazioni. — Anche questa serie è molto interessante per mostrare le ragioni per le quali il siero Behring nei limiti più bassi rimane in- sufficiente, e per far conoscere il meccanismo col quale in questi casi avviene la morte in epoca piuttosto lontana dalla praticata intossicazione. La cavia N. 4, dopo 28 giorni della iniezione del veleno, presentava i fenomeni locali in avanzato regresso, ma conservava ancora fortissimo aumento della eccitabilità, ed in modo tale che le stimolazioni dell’ arto tetanizzato, determinavano la comparsa di accessi somiglianti moltissimo ad accessi epilettiformi. Infatti, in seguito a queste eccitazioni, 1’ animale agitava spasmodicamente l’ arto operato grattandosi violentemente la nuca, contorceva la testa ed il tronco, sì drizzava sul treno posteriore e cadeva a terra affannoso. Trascorsi alcuni minuti, ì° animale si rialzava da se, e subito si abbandonava a corsa veloce, finita la quale tutto ritornava allo stato normale. Devesi pure notare che le eccitazioni dell’arto operato si trasmettevano talora all’ altro omonimo, dal quale alcune volte partiva l’accesso. In questo caso, adunque, il siero Behring ha impedito che la morte avvenisse coi fenomeni acuti della malattia; ma l’ immunizzazione è stata cosi debole che non ha egualmente impedito al veleno del tetano di deter- minare nell’ organismo delle profonde alterazioni, interessanti specialmente la parte più alta del sistema nervoso centrale, e con le quali si possono benissimo spiegare gli accessi epilettiformi e la morte dell’animale avve- nuta in 2.° tempo. — 126 — LoTTO 8.° (Cavia). Veleno 18, VI, 900. UT.=0,00000001 p. gr. — Siero cavallo Cariddi 10, VI 1900 Am 200000 MUA Distanza 5 Numero Anno Peso Siero dalla SEO DOSI DURO Venta Ri nonne mese ‘ingr.| usato |intossi- della curativa ella zione isultato giorno | cazione | 1eS10ne p. Klg. malattia | di peso 1 14. VIII. 900| 540 | Tizzoni | 24 h. | (—)wt | em.30,5 %o| 48 h. — 70 vive 2 » 540 » » (—)um | » 0,25 » — — 30 + 9 gni 3 » 520 | Behring » (—)r| » 05 » _ — 50 + 7 g.ni 4 » 540 » » (—)u » 0,25 » — | — 20 vive Controllo » 490 — » _ — — i — 40 |[+3g.nil7h. Osservazioni. — Questa serie, adunque, vale a provare per /a 3.° volta ’ ’ che il mio siero alla dose di cm. 0,5 p. Klg. è sufficiente a salvare l’ ani- male (cavia) dalla morte, quando la cura è praticata a 24 h. di maiattia; invece, alla stessa dose e in identiche condizioni di esperimento, il siero Behring si mostrò tutte tre le volte inefficace. Anche i due animali che soccombettero servono a dimostrarci la su- periorità del mio siero di fronte al siero Behring. Infatti, di questi ani- mali, quello che ricevette cm. 0,25 p. Klg. del siero da me preparato, ebbe una sopravvivenza maggiore di due giorni di quello curato con cm. 0,5 p. Klg. del siero Behring, trattato, cioè, con una quantità doppia di an- titossina. Dopo questo si comprende facilmente quale significato debba avere la sopravvivenza dell’ Esp. 4, il quale, anzi che una contraddizione dell’ Esp. 3, deve considerarsi come una di quelle eccezioni dovute a particolare resi- stenza dell’ animale di cui abbiamo parlato in addietro. In un’ altra serie di esperimenti ho voluto studiare comparativamente l’azione curativa del siero Behring e quella di uno dei miei sieri che avesse il titolo antitossico più basso. E fra questi ho scelto il siero raccolto dalla cavalla Fava col salasso del 3, VII, 900 che aveva appena il valore anti- tossico di 40.000 unità a cm... — 127 — Lotto 9.° (Cavia). Veleno-tipo 18, VI, 900. UT. =0,00000001 p. gr. — Siero della cavalla Fava 3, VII, 900. 1 cm.è= 40.000 UA. Distanza CRE. piaiero De A Siero i SOala; e Gian i o Risultato giorno EE lesione | per Klg. | malattia | di peso I | 26. VIII. 900 | 370 | Tizzoni | 24 h. | (—) [cem80,5%o| 2 gni — 70 vive 2 » 320 » » (—)v | >» 0,25 » 4 » — 50 » 3 » 400 | Behring » (vv | » 05 » 4 » — 80 » 4 » 290 » » ()v > 0,25 » — — 50 +4g.n Controllo » 330 — _ — — — — 30 |+4}gn Osservazioni. — Questa serie ci dimostra anzitutto che quando la malattia, è più lenta, in modo da uccidere in 4 giorni e //, allora la dose di 0,5 cm. p. Klg. del siero di Behring, che si era mostrata insufficiente quando la morte dei controlli avveniva in 3 giorni ed ore, diviene essa pure efficace ; per converso, mentre in tale condizione la dose curativa del mio siero scende da cm. 0,5 a cm. 0,25 p. Klg., a quest’ ultima dose il siero Behring rimane assolutamente senza effetto. Da questo esperimento risulta ancora che un siero a 40.000 UA. p. cm. ha un’ azione terapeutica, se non superiore, certo non inferiore a quella di un altro mio siero a 200.000 UA. per cm... Ma a meglio comprovare questa conclusione varrà la serie seguente, in cui, di contro al siero Behring, vennero provati, tanto il siero del valore di 40.000 UA., quanto quello del potere di 200.000. LoTTo 10.° (Cavia). Veleno-tipo 18, VI, 900. UT.=0,00000001 p. gr. — Siero cavallo Ca- riddi 10, V, 900. 1 cm... = 200.000 UA.; siero cavalla Fava 3, VII, 900. 1 cm.ì = 40.000 UA. Numero | ASPIO | Paist ca ER gi ro era Serino giorno ti I lesione| per Klg. | malattia | di peso l 24. VII. 900| 350 |Tizzoni (Cariddi)| 24 h. | (—)u | cm.81%| 48 kh. — 50 vive 2 » 400 i » » ()u » 0,5 » » — 30 » 3 » 370 » » (i >. 0,25 » | 3 g.ni — 00 » 4 » 360 | Tizzoni (Fava) » ()u| » 2 » 48 h. — 60 » O) » 320 » » (Dale » — 20 » 6 » 310 » » (+) | » 05» » — 10 » H7 » 270 » » (—)î | » 0,25 » | 3 gni — 40 » 8 » 310 Behring » ()I Delo » — 70 » 9 » 310 » » (>) | >» 0,5» » — 20 » 10 » 290 » » (—)HI > 0,25 » » — 50 » Controllo » 350 —_ — — -- — — 70 |4-4g.ni 19h. Osservazioni. — Questa serie ci dice che quanto meno violento è il quadro della malattia, quanto più il suo decorso é lento, tanto più si ab- bassa la dose di siero necessaria per salvare 1’ animale. Cosi la dose cu- rativa del siero Behring, che è di 1 cm. p. Klg. quando il tetano uccide i controlli in 3 giorni, diviene di 0,5 p. Klg., quando la. morte cadetin td giornata, e scende a 0,25 p. Klg. nei casi cui si verifica l’ esito letale verso lo spirare del 5.° giorno di esperimento. Ma quello che è ancora più interessante si é che in quest’ultimo caso si ottiene lo stesso risultato, tanto col siero Behring, quanto col mio; e non solo con quello che ha un valore di 200.000 UA., ma anche con quello che ha un valore di 40.000, cioé un potere antitossico 5 volte inferiore a quello dell’ altro mio siero, 12 volte e %4 minore di quello del siero Behring. E siccome nelle condizioni sperimentali in cui ci siamo posti la dose di 0,25 p. Klg. deve esser molto vicina alla dose curativa minima, così la differenza nella azione curativa di questi sieri doveva necessariamente apparire, se questa stesse in rapporto con quella grandissima riscontrata nel risp. potere antitossico. — 129 — Nel lotto seguente è stata ripetuta la medesima prova, ma il decorso della malattia essendo stato molto più acuto si poterono ottenere risultati anche più significanti. Lorto 11.° (Cavia). Veleno-tipo 18, VI, 900. UT.= 0,00000001 p. gr. — Siero cavallo Cariddi HOMNV: 900. (1 em. = 200:000 UA? Siero cavalla Fava 3, VII, 900. 1 cm. = 40.000 UA. | | | Distanza 3 Anno Tse Grado Dose Arresto | Varia- Numero mese eso Siero usato |. dalla della curativa della zione Risultato d’ ordine . In gr. | intossi- - È { È giorno oa lesione | p. Klg. | malattia | di peso 1 12. XI. 900 | 490 |Tizzoni (Cariddi) 24 h. | (—)v |em81%o| 48h. | — 70 vive 2 » 430 » » (+) YM05E» 4 gni | — 80 » 3 » 420 | Tizzoni (Fava) » ()I pas » 48 h. — 70 » 4 » 380 » » () >» 0,5 » » — 60 » 9) » 490 Behring » (—)Iv >> _ — 180 | + 15 g.ni 6 » 350 » » ()iv > 0,5 » — — 130 | 4#- 23 g.ni Controllo » 340 —_ = — _ — — 70 |/+3g.niòoh. Osservazioni. — Debbo notare qui che i due animali curati col siero Behring presentarono in primo tempo accessi così forti come quelli del controllo, tanto che si temette di perderli di forma acuta di tetano; ma dopo 7-8 giorni, mentre tali accessi andavano gradamente diminuendo d’ intensità, si ebbe a riscontrare forte diminuzione del peso del corpo che condusse alla morte in secondo tempo per marasma. In questa serie poi si conferma per /a 4. volta che nelle forme molto acute di tetano le quali uccidevano in 3 giorni, la dose di 0,5 cm. ed anche di 1,0 cm. p. Klg. é insufficiente per il siero Behring, mentre per il mio siero tali dosi valgono a salvare l’ animale dalla morte; e ciò av- viene egualmente, tanto se sì adopra siero del valore di 200.000 UA., quanto se sì usa siero di un valore antitossico 5 volte minore. Ma che nei varii campioni del mio siero il valore antitossico non stesse in rapporto costante col valore curativo, di questo mi era potuto con- vincere con alcuni esperimenti fatti in antecedenza; esperimenti i cui ri- sultati stimo conveniente riportare qui appresso. — 130 — Torto UR (Cavia). Veleno-tipo 20, XI, 99. UT.=0,000000006 p. gr. — Siero cavallo Ca- riddi 25, VIII, 98, 1 cm = 150.000 UA.; idem 19, VII, 99, 1 cm.f= 125.000 UA" Siero!fcavalla Bava Sio VM 9 6 em — 140/0000048 Distanza Tn Nunn AG Te e ene giorno cazione | 1eSi0ne | p. Kgl. malattia |di peso 1 24. I. 900 310 [Cariddi, 25. VIII.98| 24 h. | (—)Iv | em3 5 %o — — 50 | +61), g.ni 2 » 340 » 42 h. | ()v » 10 » _ — 90/+5*g.ni 3 » 350 |Cariddi, 19. VII. 99] 24 h. |[()v | » 5 » 4 gni | — 40 vive 4 » 340 » 42 h. | ()v >» 10 » 4 » — 50 » 5 » 320 | Fava, 15. VIII 99| 24h. |)» 5» | 4» | — 20 » 6 » 310 » 42 h. | () >. IO S 4 » — 50 » Controllo » 350 — i — _ 4 » — 30|/+ 4% g.ni Osservazioni. — La risoluzione dei fenomeni locali fu più pronta negli esp. 4 e 6; dopo sei settimane in tutti gli animali era completa. Da que- sta serie di ricerche risulta evidente che il potere curativo del siero, e tanto per quello ottenuto da soggetti differenti, quanto per quello avuto dallo stesso cavallo, non sta in nessun rapporto col potere antitossico. Un siero del va- lore in vitro di 40.000 ha dato lo stesso risultato di uno del valore di 125.000; sia l’ uno che l’ altro, poi, sono riusciti superiori ad un siero che aveva un potere antitossico di 150.000. Ed é molto significante che ciò sia avvenuto anche per il sangue otte- nuto dallo stesso cavallo con due prese differenti. Infatti, dei due campioni provenienti dal cavallo Cariddi, quello che aveva un potere antitossico mag- giore arrivava appena a prolungare di 1-2 giorni la vita degli animali, mentre con la stessa dose si ottenevano effetti curativi indiscutibili da quello che possedeva un valore antitossico minore. Risulta quindi provato, e non solo per lo studio comparativo del mio siero col siero Behring, ma pure per quello dello stesso siero da me preparato da cavalli differenti, ed anche per quello ricavato dal medesimo cavallo ma con salassi praticati ad epoca diversa, che non vi è nessun rapporto fra potere antitossico în vitro e potere curativo, Per ultimo ho voluto cimentare con altro metodo la potenza curativa del mio siero in confronto a quella dei sieri più volte ricordati. = Bi — È risaputo dopo le esperienze di Dònitz (1) che l’azione curativa di un siero sì dispiega a periodo tanto più avanzato della malattia, quanta maggiore è la sua potenza; quindi per conoscere il valore terapeutico di un siero possiamo valerci, tanto della dose minima, quando del tempo in cui é praticata la cura. E con le esperienze che seguono ho cercato ap- punto di vedere come si comportasse il mio siero in confronto a quello del Behring, quando la cura fosse incominciata a neriodo più avanzato della malattia. Loro: (Cawvla)! Veleno-tipo 18, VI, 900. UT. = 0,00000001 p. gr. — Siero cavallo Ca- riddi 10, V, 900. 1 cm. = 200.000 UA. — Siero cavalla Fava 3, VII, 900. 1 em.î = 40.000 UA. Distansa| 4, LI TRURO di EA de A Siero usato a della El n a Risultato giorno | BRE lesione | per Klg. | malattia | di peso I | ]. XII. 900 | 360 |Tizzoni (Cariddi) 30 h. | (—)V | cm.3 2% = —40 | + 5 gni 2 » 400 » » (—)v > e _ —30 |4+4 » 3 ‘> 340 | Tizzoni (Fava) » (Ci Me 25 370 vive 4 » 380 » » (—)Y DIRI _ —-90 | + 13 g.ni ò » 350 Behring » (—)v 3 15) — — 60 | +6} g.ni 6 » 400 » » ()v SI — — 40 | 4-31 » Controllo » 310 —_ » — —_ —_ — 30 | + 70 h. (1) Dònitz — Ueber das Antitoxin des Tetanus. Deutsch. med. Wochenschr. N.° 27, 1897. Serie V. — Tomo IX. 18 — 132 — LoTTo 14.° (Cavia). Tutto come nel precedente. Distanza ; ; SII a di Siero usato SEA do Se pui (53 Risultato giorno ani lesione| per Klg. | malattia | di peso l 15. I. 900 | 370 |Tizzoni (Cariddi) 30 h. | (—)v | cm.83 %0| 48 b. | —100 vive 2 » 240 » » (—)v VE — — 30/4414 gni 3 » 250 | Tizzoni (Fava) » (—)v DAMON) — — 30]+6 » 4 » 310 » » () DE» — — 60/+75% g.nì 5) » 260 Behring » (-)V » 3 » - — 30|/+6 » 6 » 230 » » (—)v DZ —_ — 40/+394 » Controllo » 240 —_ = —_ — —_ —- 30 | + 69 h. Osservazioni. — Queste due serie di ricerche mi pare siano sufficienti per provare che il mio siero, anche in rapporto al tempo della cura, riesce superiore a quello del Behring. Naturalmente è molto difficile poter dire se, nei limiti estremi in cui la prova é stata fatta, il siero della cavalla Fava é superiore, oppure no, a quello del cavallo Cariddi. Per decidere questo bisognerebbe ripetere ancora ]’ esperimento, e ricercare quale è per i due sieri ricordati la dose curativa minima che da a 30 h. di malattia effetti sempre costanti; ciò che non abbiamo creduto necessario di fare. Ma, anche senza di questo, si può affermare che il siero della cavalla Fava, se non è superiore, certo non è inferiore a quello del cavallo Cariddi. Infatti, tutte e due gli esperimenti del lotto N. 13 riguardanti il primo di questi cavalli sono riesciti superiori a quelli del secondo. Ed anche nel lotto 14.°, l’ essere avvenuta la morte della cavia (Esp. 4) che ricevéè 2 cm. p. Klg. del siero della cavalla Fava dopo tutte le altre trattate allo stesso modo, lascia supporre che l’ esito letale dell’ animale che ebbe 3 cm. p. Klg. del medesimo siero sia un puro fatto accidentale. $ Queste ricerche poi ci dimostrano che nelle forme acute di tetano che uccidono in 3 giorni, bastano poche ore di differenza nell’ inizio della cura, perché cambi considerevolmente la dose di siero necessaria per con- durre a guarigione. Infatti, è bastato che la cura sia stata cominciata 6 h. più tardi, perché la dose di un cm. p. Klg. del siero Cariddi e 2 di quello Behring, che si erano mostrati sufficienti quando l’iniezione era praticata a 24 h. di malattia, non esercitassero più nessuna infiuenza sul decorso e sull’ esito del processo morboso. E nemmeno la dose doppia o tripla del mio siero = His = pare che sia la dose curativa giusta e sempre sicura a questo periodo della malattia e in forme cosi acute di tetano. 2.° Differenze fra il potere curativo del mio siero e quello dei sieri fran- eese ed inglese. — Le esperienze comparative fra questi sieri furono con- dotte tutte con lo stesso metodo e con le medesime avvertenze delle precedenti. — I risultati ottenuti da tali ricerche sono raccolti nelle due Tab. seguenti: Lotto 15.° (Cavia). Veleno-tipo 18, VI, 900. UT. = 0,00000001 p. gr. — Siero cavalla Fava SAVINI 900. 1 cm.ì — 40.000. UA. . | N Anro p c: TR Grado | Dose Arresto | Varia- o mese ESSO a E " ca della curativa della zione Risultato RIO giorno SR | Pro Ri lesione | per Klg. | malattia | di peso | I 14. XII. 900] 350 | Italiano | 24 h. | (—)m | em.31l %o| 24 b. — 60 vive 2 » 390 » » (A) | » 0,5 » — —-70 |4+95!% gn.i 3 » 290 | Francese » (mai | » 10 » = --50 | + g.ni3 h. 4 » 360 » » (ui » 5 » —_ —70 {+ 6 g.ni 5 » 370 | Inglese » (iO ‘ni 190 vive 6 » 300 » » (ui » 5 » 40 |+5!% g.ni Controllo — 360 _ — — - 60 |+314 gni Loto 16.° (Cavia). Tutto come nel lotto precedente. Anno iszione Grado | Dose Arresto | Varia- Numero Peso Siero dalla SE Î . Risult: unto mese SRI rA e eatod intossie della curativa della zione isultato giorno E cazione | estone | per Klg. | malattia | di peso | | l 123. XII. 900| 390 | Italiano | 24 h. | (>) | em8 1 %o 48 h. | 30 | vive 2 » 300 | Francese » (um » 10 » = — 30 | + 7 g.ni 3 » 300 | Inglese » (—)m | » 10 » — |—- 70 | +23 gni Controllo » — — — = = — — 40 |+3% gni Osservazioni. — Queste ricerche dimostrano che in riguardo al potere curativo, prima viene il siero italiano, poi quello inglese e per ultimo quello francese, e che la differenza fra il primo e gli ultimi due é grandissima. Di più si deve rilevare che anche in questo caso è evidentissima la — 134 — mancanza di un rapporto qualsiasi fra potere antitossico e potere curativo. Infatti, essendo la potenza antitossica del siero inglese }, di quella del siero italiano adoperato, una volta che la dose curativa di questo è di 1 cm. p. Klg., dovrebbero bastare di quello 4 cm.ì p. Klg.; invece 5 cm. sono assolutamente insufficienti ed anche 10 cm.* danno risultati incostanti. Allo stesso modo, avendo il siero italiano un valore antitossico doppio di quello francese, la dose curativa di questo dovrebbe essere due volte quella del primo cioè due cm.ì p. Klg.; invece né 5, nè 10 cm.? sono suffi- cienti a salvare l’ animale dalla morte. C. - Veleno Behring. — Dose curativa fissa. — Dopo avere studiato il va- lore curativo dei sieri di fronte al mio veleno, era naturale e giusto che io esaminassi come gli stessi sieri si comportassero di fronte ad altro veleno. Nulla poteva escludere, infatti, che questi sieri, cimentati di contro allo stesso veleno col quale furono preparati, si comportassero in modo assai diverso, mostrassero, cioè, un’ azione curativa molto più intensa che in questo caso li rendesse eguali se non superiori al mio. Questo io ho fatto per il veleno Behring, contro il quale mi sono limitato a sperimentare i due sieri più forti, quello mio e quello del Behring. Per determinare l’ intossicazione negli animali usai di una soluzione del' veleno (Behring @estgift. N V)ifatta il, X,99, sciogliendo Mfgrsdi questo veleno in 10 cm.’ di acqua salata al 10%; la dose mortale di questa soluzione era, per il coniglio, di cm. 0,000025 p. gr., e per la cavia, di cm.* 0,0000001. Nelle Tab. seguenti sono raccolti i risultati di questi esperimenti. Lorto Mi W2g(Cavla)i Veleno Behring N.° V. — Siero del cavallo Cariddi 19, VII, 99. L'E MA2I000 NA Distanza 5 N i Anno stà . Grado Dose Arresto | Varia- SRO mmose DRS sa i della | curativa della zione Risultato GA giorno VIGONE i ARI lesione| per Kg. | malattia | di peso l 8. I. 900 500 | Behring | 24 h. ()I | em3 4% | 3 gni | — 20 vive 2 » 600 » 48 » | {)m » 5 » 5» — 90 » 3 » 730 | Tizzoni 24 >» | (>)! » 4 » SIE — 30 » 4 » 400 » 48 » | (—)N » 5 » cu — 70 » Controllo » 400 — — —_ — — — 80| + 7 geni — 135 — Lotto 18.° (Cavia). Veleno Behring N.° V. — Siero del cavallo Cariddi 25, VIII, 98. Wien — 150.0004UA. EINGIO Anno | Peso Giano e Grado | Dose Arresto | Varia- Biordine mese Ra CAO MEA della curativa dela zione Risultato ci giorno |!® 8" È cazione | eSione | per Klg. | malattia | di peso mo 14. I. 900 | 480. | Behriog | 24 h. | (>)! |em84%| 3 gni | — 40 vive Z 500 » 48 » ()v| > 5 » O. — 30 » 3 » 500 | Tizzoni | 24 >» | ()H| » 4 » > — 70 » 4 » 500 » 48 » ()V | >» 5 » ZA, — 80 » Controllo » 470 = = = = = — 80 |+5g.nioh. Lotto 19.° (Coniglio). Veleno Behring N.° V. — Siero del cavallo Cariddi 19, VII, 99. Meno? — 125.000 UA. - Anno DI i Distanza Grado Dose Arresto | Varia- Numero Peso Siero dalla | gell a dell bas Risul d’ ordine 19050 in gr. usato intossi- da GULELTTE 770, 41006, ZIO giorno È, hi cazione | eSIone | per Klg. | malattia | di peso 1 21. I. 900 | 1680 | Behring | 24 h. | (>) |em82%o| 4 gni | — 200 vive 2 » 1620 » 48 » ()IVI >» 4 » — -—-470| + 7 gni 3 » 1620 | Tizzoni | 24 » ()u| > 2 » 24 h — 50 vive 4 » 1670 » 43 » (—) | » 4 » —_ —320 | + 5 gni Controllo » 1600 — — _ = — — 200 | + 314, g.ni Osservazioni. — Emerge da queste ricerche che la potenza curativa del siero Behring, sperimentato contro il proprio veleno, s’ avvicina maggior- mente a quella del mio, ma non la sorpassa e nemmeno la raggiunge esattamente. È cosi grande nella tossina Behring la quantità originale dei veleni collaterali e cosi poco violento il quadro morboso che determina, che minori appariscono le differenze notate per forme di tetano assai più aggressive, e l'uno come l’ altro dei due sieri apparisce presso a poco della stessa efficacia curativa. Accade per questo veleno quello che abbiamo visto avvenire per tossine ottenute da culture vecchie, in cui si hanno egualmente molti veleni collaterali, ma di formazione secondaria, od anche per forme di tetano prodotte da quantità minime di tossine e che perciò decorrono molto lentamente. — Mi 90-=- Non ho voluto insistere poi su questi esperimenti, bastandomi aver dimostrato che nel tetano sperimentale ottenuto col veleno Behring il rispettivo siero non ha azione terapeutica superiore a quella del mio, né interessandomi d’ altra parte di determinare in modo preciso le differenze minime che possano passare in questi casi nel potere curativo dei due sieri. Nonostante anche da questi pochi esperimenti si può rilevare che, se c’è una differenza fra i due sieri in questione, questa è tutta a vantaggio del mio. Infatti, per quanto il risultato finale sia eguale in tutti questi espe- rimenti, pure dallo studio dei singoli protocolli apparisce manifesto che il mio siero esercita sul decorso del processo morboso un’azione più ener- gica e più completa del siero Behring, e che questo influisce in grado molto minore del mio sui fenomeni nervosi di aumentata eccitabilità. Ciò si rende poi tanto più manifesto, quanto più acuta é la malattia, quindi quanto più rapido è l’ esito letale (Conf. lotto 17.° e 18.° con lotto 19.°). Risulta infatti dal protocollo dei singoli esperimenti che nelle cavie trattate col mio siero i fenomeni tetanici rimangono localizzati, e solo qualche volta (lotto 17.°, Esp. 4.°) si ha un leggiero grado di rigidità gene- rale ; invece, in quelli trattati col siero Behring, l’ eccitazione d’ ordinario si diffonde dall’ arto rigido all’altro arto, e risale fin alla metà del corpo, per cui l’ andatura dell’ animale si fa nei primi passi un po’ più affrettata e tremula; e finalmente che negli stessi animali si osservano di tanto in tanto delle scossette spontanee o provocate dai rumori. La cosa apparisce anche più chiara per il coniglio, nel quale il decorso della malattia fu assai più breve. Infatti, nel coniglio curato col mio siero a 24 h. dalla intossicazione, e quando i fenomeni locali erano ben chiari (lotto 19.°, Esp. 3.°), la malattia in seguito alla cura si arrestò quasi di botto, tanto che la posizione dell’ arto non arrivò nemmeno in modo completo a quella della semiestensione; di più non si ebbe mai aumento della ecci- tabilità generale, il peso del corpo diminui pochissimo e la risoluzione dei fenomeni locali fu completa. Invece, nel coniglio nel quale alla stessa epoca della malattia fu iniet- tato il siero Behring (lotto 19°, Esp. 1), e che al momento della cura. pre- sentava gli stessi identici fenomeni del precedente, l’ arto operato arrivò alla estensione completa, si ebbe aumento forte della eccitabilità generale e profonda diminuzione di peso; manco la risoluzione dei fenomeni locali e la parte rimase permanentemente rigida ed estesa. In rapporto poi alla maggior rapidità nella morte del coniglio curato col mio siero a 48 h. di malattia (lotto 19.°, Esp. 4), di fronte a quello cor- rispondente curato col siero Behring (lotto 19., Esp. 2), si deve far notare che il primo di questi animali al momento della cura presentava fenomeni morbosi assai più gravi del secondo. — 137 — Ma fuori di questi risultati, tali esperimenti ci permettono ancora di rilevare alcuni fatti d’indole più generale sui quali vogliamo pure richiamare l’atten- zione, e cioé: 1.° La dose di siero efficace contro il veleno Behring corrisponde presso a poco a quella sufficente per il mio veleno nelle forme più lente; 2.° La dose curativa del coniglio è inferiore a quella della cavia; 3.° La risoluzione dei fenomeni locali é più pronta per il veleno Behring che per il mio; 4.° Contro il veleno Behring, l’insufficenza della-dose curativa si manifesta nel coniglio con diminuzione di peso assai più forte di quella ehe si verifica contro il mio. Ciò sta a conferma di quanto é stato visto a proposito del veleno Behring nella saturazione incompleta in vitro. Conclusioni - Considerazioni. Le conclusioni principali che si possono trarre da questo lavoro sono le seguenti: 1.° Il valore curativo dei sieri antitetanici più noti è molto diverso: per ordine di potenza, prima viene il mio, immediatamente dopo quello Behring, poi segue a grande distanza quello inglese e per ultimo viene quello francese : 2.° Il mio siero, non solo è più forte di quello Behringe, ma anche più completo ; 3.° La differenza che passa nel grado della azione curativa fra il mio siero e gli altri sieri ricordati é, per quello Behring almeno di 2 volte, per quello inglese di 10 volte all’incirca, e per quello francese un numero di volte ancora maggiore ; 4.° Questa differenza si apprezza tanto più facilmente, quanto più vio- lento è il quadro del tetano, più breve é il decorso della malattia ; 5.° Il potere curativo di un siero non ha nessun rapporto col rispet- tivo potere antitossico in vitro. Vediamo ora quali sono i fatti che possono dar ragione di queste con- clusioni e quali sono le considerazioni generali a cui si può da queste risalire. Ho detto che il mio siero ha un potere curativo più elevato di tutti gli altri sieri studiati e su questo non può esservi alcun dubbio. Non occorre mi fermi a dare una tale dimostrazione per il siero inglese e francese, perché questi sieri, come si é visto, non hanno nessuna efficacia, anche quando vengono iniettati in dose risp. 5, 10 volte superiore al mio. SE Ma, anche di fronte a quello del Behring, la superiorità del mio siero é stata in questo lavoro molto chiaramente provata. I risultati complessivi delle mie ricerche sono a questo proposito dei più convincenti. Infatti, nel corso di tali ricerche, 36 animali sono stati curati col siero Behring, e 45 col mio, operando sempre in condizioni identiche. Orbene, dei 36 ani- mali curati col siero Behring, 15 soccombettero, 21 sopravvissero ; dei 45 curati col mio, solamente 10 morirono e 35 guarirono. Si ha quindi per il siero Behring una mortalità del 41,6% e per il mio una mortalità del 22,2%. Questo senza calcolare lo scapito che viene al mio siero per aver fatto con questo, in alcune serie di esperimenti più sfavorevoli, un numero doppio di prove di quelle praticate col siero Behring. In ogni modo, anche tenendo calcolo di tutte le esperienze comparative, nelle quali, come gia si disse, la cura fu fatta sempre in condizioni identiche, la mortalità degli animali trattati col mio siero è circa la meta di quella degli animali curati col siero Behring (1). Questo per l’ esito finale dell’ esperimento. Ma anche il decorso della malattia offre criteri per confermare la superiorità del mio siero. In questo senso parlano appunto l’ arresto più sollecito dei fenomeni tetanici, la loro più pronta e più completa risoluzione. Inoltre lo studio del quadro morboso sperimentale ci rivela fatti di molta importanza, i quali ci permettono di affermare che l’ azione curativa del siero Behring, oltre ad essere meno forte, è anche meno completa di quella del mio. Troviamo, infatti, che a parità di condizioni il siero Behring esercita (1) Tutto oramai concorda a provare la superiorità del mio siero sul siero Behring e molto più su quello francese e sugli altri. In questo senso parlano, non solo i risultati sperimentali ottenuti da me con la tossina del tetano, ma persino quelli avuti col siero di diversa provenienza contro l’ avve- lenamento da stricnina (Lusini); in questo stesso senso parlano tutte le statistiche riguardanti il cavallo e 1 uomo finora pubblicate. Vedi per il cavallo, i risultati ottenuti nell’ Esercito prussiano ed italiano risp. coll’ antitossina Behring e con la mia (Riforma med. N.° 31, 1900); vedi per l uomo, la statistica pubblicata recentemente, e con tutti i particolari clinici, dal Dott. Moschcowitz (Studies from the Department of Pathology of the College of Physicians and Surgeons — Columbia University. Vol. VIII) in cui sopra 338 casi di tetano si è trovata una mortalità del 30,2% per il mio siero, del 42,6 per quello Behring e del 66,6 per quello Roux. Perfino dalle tabelle statistiche compilate dal Dott. Tsuzuki (Archives internationales de Pharmacodynamie et de Thérapie. Vol. VIII. Fasc. I e II) sotto la direzione dello stesso Behring, ed in cui sono esclusivamente raccolti casi di tetano pub- blicati in giornali tedeschi, non si arriva a provare che il siero Behring ha una maggior efficacia del mio. Risulta infatti da queste tabelle che il primo di questi sieri dà una mortalità del 40,4%, ed il secondo una mortalità del 40,0%. E si noti che per il mio siero sopra 6 morti vi erano 4 casi di tetano puerperale, che si sa esser sempre il più grave per altre infezioni complicanti, e di questi, uno morì dopo 4 e uno dopo 11 ore della praticata iniezione; mentre per il siero Behring sopra 50 casi trattati, solo 3 appartenevano alla forma del tetano puerperale e di questi due ebbero esito letale. In mezzo a questa concordanza di risultati non so cosa si possa ancora desiderare per ricono- scere universalmente la superiorità del siero da me preparato su quello preparato dal Behring e dagli altri. — 139 — sull’ ordine dei fenomeni nervosi clonici una influenza molto minore del siero da me preparato. Così, mentre dopo l’ applicazione del mio siero i fenomeni tetanici ri- mangono localizzati, e l’ arto operato, per quanto sia tutto rigido e comple- tamente esteso, apparisce pochissimo eccitabile; invece, dopo l’ iniezione del siero Behring, tanto l’eccitabilità della parte iniettata, quanto l’ eccitabilità generale sono considerevolmente accresciute ; e se la dose di questo siero é ancora più insufficiente l’ arto tetanizzato diviene eccitabilissimo, le ecci- tazioni si trasmettono da questo all’ altro arto omonimo e risalgono pro- gressivamente sul tronco, dando luogo all’ andatura spastico-tremolante dell’ animale, e in casi più gravi determinando veri accessi tetanici carat- teristici. La riprova di questi fatti la troviamo in una persistenza maggiore, dopo l'iniezione del siero Behring, dei fenomeni di aumentata eccitabilità, che alcune volte permangono anche quando i fenomeni locali sono in avan- zata risoluzione, e nelle conseguenze che questi fatti determinano sul siste- ma nervoso centrale, specie sul bulbo (affanno, debolezza, paresi degli arti, accessi epilettiformi) e sulla nutrizione generale (dimagrimento, marasma). Cosi si spiega perché dopo la cura col siero Behring le morti tardive (10-20 giorni) sono assai più frequenti che dopo quella col mio. Così si spiega perché nei casi di tetano nell’uomo, in cui fu usato il siero Behring, manca ordinariamente quello stato di benessere che gli ammalati accusano poco dopo l’ iniezione del mio, anche prima che si apprezzino modifica- zioni in meglio dei fenomeni obiettivi, e che deve certamente dipendere da una maggior calma, da una minore eccitabilità del sistema nervoso. Peraltro, se è facile stabilire che il mio siero é superiore agli altri nella sua azione terapeutica, non è altrettanto facile indicare in cifre la differenza che passa fra questi sieri nel loro potere curativo. Ciò si comprende facilmente, perché in tale determinazione entra una forza, l’ elemento vivo, che sfugge in parte alla nostra analisi e che non sempre ci permette di arrivare a + conclusioni matematicamente sicure e costanti. Questo avviene specialmente per le differenze minime, come sarebbe il caso del mio siero e del siero, Behring. Che quando tale differenza é maggiore, come quella ad es. che passa fra il mio siero ed il siero inglese e francese, allora la cosa riesce molto più facile. Infatti, risulta dalle pre- cedenti esperienze comparative, che nelle condizioni in cui il mio siero riesce efficace alla dose di 1 cm. p. Klg., quello inglese agisce solamente alla dose di 10 cm}, e non in tutti i casi con effetto sicuro, e quello fran- cese a dosi anche superiori che non ci prendemmo la pena di determi- nare. Quindi il siero inglese, che ha azione terapeutica più forte di quello francese, è almeno 10 volte più debole del mio. Serie V. — Tomo IX. 19 — 140 — Peraltro, anche a riguardo del siero Behring, non crediamo essere andati molto lungi dal vero affermando che questo nella sua azione cura- tiva é inferiore al mio della metà all’ incirca. Naturalmente la grossezza della dose terapeutica di questi due sieri é sempre in rapporto col decorso della malattia e col tempo in cui fu pra- ticata la cura. Ricapitolando a questo proposito le ricerche comparative fatte sulla cavia con i due sieri ricordati, e tenendo conto solamente del risultato ultimo dell’ esperimento, abbiamo i dati seguenti : Cura .a 24 h..; imorte in 3:g.ni, dose delimio siero ic p ei siero Behring alla stessa dose riesce insufficente; morte prima che sia compiuto il 4.° g.no, dose del mio siero 0,5 p. Klg., dose del siero Behring l. cm. p. Klg.; morte prima chelsia compiuto dl 5. g.n0,. dosegdelfgoio siero 0,25 cm.ì p. Klg., dose del siero Behring 0,5 cm. p. Klg.; Cura a 30 h.; morte in 70 h., il mio siero si mostra ancora. efficace alla dose di cm.? 2 p. Klg., mentre quello Behring alla stessa dose, ed anche alla dose di 3 cm p. Klg., riesce assolutamente senza effetto ; Cura a 42 h.; morte prima che sia compiuto il 4.° giorno, 8 cm. p. Klg. valgono, tanto per il mio siero, quanto per il siero Behring; Cura a 48 h.; morte in 4 giorni, 10 cm. p. Klg. sono sufficienti, tanto per il mio siero, quanto per il siero Behring; morte in 5 giorni, tossina proveniente da cultura vecchia, tutti e due i sieri salvano alla dose di LICH SRP E la differenza nell’ azione curativa dei varii sieri non é indifferente, quando sì considera in rapporto al peso del corpo. Ammettendo per l’ uomo adulto un peso medio di 60 Klg., abbiamo, infatti, che mentre bastano 60 cm.ì del mio siero per guarire forme acute di tetano, quando la cura è praticata nelle prime 24 h. di malattia, di quello Behring ce ne vo- gliono almeno 120, di quello inglese 600 cm. non sono sempre sufficenti, e di quello francese ce ne occorre una dose anche maggiore. Questo se le esperienze sugli animali fossero interamente e direttamente applicabili all’ uomo, ciò che in questo caso non credo, per le differenze che passano nel decorso fra il tetano dell’ uomo e quello che si riproduce sperimentalmente negli animali da laboratorio. Infatti, negli animali il tetano incomincia con fenomeni locali corrispon- denti al punto della iniezione, e da questo si diffonde sempre con carattere ascendente, attaccando successivamente le varie parti del corpo fino ad arrivare al bulbo ; invece, nell’ uomo e nel cavallo il primo fenomeno che viene in scena è il trisma; quindi è sul bulbo che il veleno del tetano esercita per primo la sua azione. Perciò negli animali la malattia dà sempre un tempo maggiore per provvedere alla immunizzazione delle parti più — 141 — vitali del sistema nervoso, mentre nell’ uomo, quando s’ incomincia la cura, il bulbo é gia preso, anche se questa viene intrapresa ai primissimi feno- meni di malattia. Quale valore poi abbia questa differenza sul risultato della cura, sì comprenderà facilmente, quando sì pensi che il siero non ha azione diretta contro il veleno del tetano gia fissato sui nostri tessuti, e si ricordi che il siero stesso, in tanto esercita nel tetano la sua azione benefica, in quanto trova ancora libere alcune parti del sistema nervoso e provvede alla loro immunizzazione. Dal. riassunto sopra riportato risulta anche chiara l’ altra conclusione, cioé, che la differenza nell’ azione curativa fra il mio siero ed il siero Behring si apprezza tanto più facilmente, quanto più violento è il quadro del tetano, e più lento il decorso della malattia; per cui tale differenza, che é circa della metà quando la malattia uccide da 70 h. a 4 % giorni, diviene gradatamente minore, fino a scendere quasi a 0, quando la malattia si fa più lenta ed il quadro morboso diviene meno aggressivo. Ne viene, perciò, che il siero Behring si ravvicina tanto più a quello mio nella sua azione curativa, quanto più é vecchia la cultura o la tossina con la quale fu praticata l’ intossicazione, quanto più piccola 6 la dose di veleno che a tal fine é stata adoprata. E poiché la tossina Behring, per i molti veleni accessori che contiene fino dalla sua origine, determina un quadro morboso che si accosta mol- tissimo a quello provocato da una cultura invecchiata, così si comprende facilmente come contro un tale veleno il potere del rispettivo siero sia presso a poco eguale a quello del mio. Tutto questo, pci, deve trovare la sua ragione nel fatto che il siero Behring contiene una quantità minore di quelle sostanze che neutralizzano nell’animale i principii tossici del veleno del tetano che determinano le convulsioni cloniche ; principii tossici e che sono causa diretta della vio- lenza del quadro morboso e della rapidità della morte (1). Quindi ogni volta che la cultura contiene originariamente, e per sua natura, una quantità minore di veleno convulsivante, come nel caso della cultura del Behring, o quando questo veleno si é andato gradatamente scomponendo, come avviene nelle culture vecchie o nella tossina da lungo tempo preparata, il siero Behring determina una azione curativa più efficace che lo ravvicina maggiormente al mio. (1) Ciò è chiaramente provato dalle interessanti esperienze del Dott. Lusini, in cui si dimostra che nell’ avvelenamento per stricnina l’ efficacia preventiva e curativa del mio siero è superiore di gran lunga a quella del siero Behring e più ancora a quella del siero Roux. Così, mentre per salvare dalla morte un coniglio di media grossezza bastano del primo cm.8 0,2-0,4, invece ne occor- rono del secondo cm.3 0,65-0,8 e del terzo em.8 3,5-4,0. Quindi nell’avvelenamento per stricnina si ha per i sieri ricordati la stessa scala da me trovata nella loro azione curativa contro il veleno del tetano. (Arch. di Farmacologia e Terapia Vol. VIII. Fasc. 8-9). — 142 — In altre parole, il siero Behring, più che contro la sostanza convulsi- vante originale, di cui il coniglio può considerarsi come il vero reagente fisiologico, opera contro i veleni collaterali o contro i tossoidi che si for- mano dalla scomposizione della sostanza convulsivante medesima ; quindi, quanto maggiore sara nella cultura la produzione di questi veleni collaterali, quanto maggiore sarà la formazione secondaria di tossoidi dalla sostanza convulsivante, tanto più elevato apparira il potere curativo di quel siero. Il fatto poi che il coniglio é il vero reagente fisiologico della sostanza convulsivante, vale a spiegare perché la sua posizione nella scala della sensibilità degli animali per il veleno del tetano sia molto più elevata per quelle culture che, come le mie, contengono una fortissima quantità di tale sostanza; e d’altra parte conferma l’esistenza nelle culture stesse di due veleni fondamentali da me ammessa in altro lavoro (1). Ricordo infatti a questo proposito che la dose mortale da me trovata per le culture del Behring sta in cifra tonda in questa proporzione: cavia 1, topolino 2, coniglio 250, mentre per le mie culture sta nella proporzione seguente : cavia 1, coni- glio 2, topolino 4. Ora questa notevole differenza non può davvero inten- dersi senza ammettere nella cultura del tetano due veleni fondamentali, per i quali il coniglio ed il topolino avrebbero, a differenza della cavia, una sensibilità molto diversa. Per cui, qualunque sia la composizione della cultura del tetano, la cavia conserverebbe sempre il primo posto nella scala della sensibilità, mentre la posizione del coniglio e del topolino, ed il loro reciproco rapporto, dipenderebbero dalla proporzione dei due veleni. Così solamente sì può comprendere perché, di fronte alle mie culture, che con- tengono una quantità maggiore di sostanza convulsivante, il coniglio stia al 2.° posto ed il topolino al 3.°, mentre, di contro a quelle del Behring, in cui predomina il veleno che determina la rigidità muscolare e accanto a questo si trova una buona quantità di veleni accessori, la posizione di questi animali sia invertita ed il coniglio venga per ultimo e a grande distanza dagli altri due. Anche 1’ ultima conclusione risulta chiaramente provata dai fatti rilevati nel corso di questo lavoro. Del mancato rapporto fra potere antitossico e potere curativo del siero io cominciai ad avere qualche vago sospetto alcuni anni addietro, quando nel determinare in vitro il valore di alcuni sieri di cane e di cavallo, cot quali nelle prime applicazioni sull’ uomo aveva ottenuti effetti meravigliosi, mi accorsi, contro ogni mia aspettativa, che questi sieri avevano un potere antitossico molto basso, da 1:1000 a 1:5000 o poco più. (1) Tizzoni — Sulla differenza nell’ azione patogena fra la mia tossina del tetano e quella del Behring. Loc. cit. — 143 — Quando poi si dimostrò da Wassermann e Takaki (1) che la pol- tiglia di cervello normale fissa una buona dose di veleno del tetano, e più ancora quando si provò che la nevrina, la betaina (2) e persino alcune sostanze inerti, le quali non hanno certamente alcuna azione curativa nel tetano, posseggono egualmente la proprietà di neutralizzare in vitro il veleno ricordato, la mia fiducia sul metodo di misurazione per contatto fu completamente scossa. E ciò tanto più, in quanto nessuno esperimento dimostrava allora, come oggi, che il potere curativo di un siero sta effet- tivamente in rapporto col grado della sua azione antitossica. Ed ora che la prova é stata fatta, questa ha risposto in senso del tutto contrario. Né la dimostrazione in proposito poteva essere più ampia e sicura; essa risulta, non solamente dal confronto del mio siero con quelli di altra provenienza, ma anche dallo studio dello stesso mio siero ottenuto da cavalli differenti, e perfino dall’ esame comparativo del siero di un me- desimo cavallo ricavato con salassi fatti ad epoca diversa. Infatti, se riuniamo qui i risultati avuti col mio veleno dai varii sieri per riguardo al potere antitossico, abbiamo i dati seguenti: inte: este TRIM RO I Too 0000 Rrancesetiio ubg iii ea Ie 20:000 [tallanoX(cavall'aMgava) (ee 2405000) Irallionion(cavalioiGarida MT eaeAee00:000 INS SCONO ERZRo00:000) Quindi il rapporto del valore antitossico ‘di questi sieri sta come TRA 2050: Perciò, se il potere curativo fosse proporzionale al potere antitossico, e se 1 cm. p. Klg. fosse la dose curativa del siero inglese, quella del siero francese dovrebbe essere di 14 cm., quella della cavalla Fava di 7%, quella del cavallo Cariddi di !, e finalmente quella del siero Behring di %, cm. Invece nel potere curativo il siero italiano é superiore almeno del doppio al siero Behring, e tanto quello del cavallo Cariddi quanto quello della cavalla Fava, nonostante il potere antitossico di questo sia rispettiva- mente inferiore di 5 - 12% volte a quello degli altri due. Allo stesso modo il siero della cavalla Fava nella sua azione terapeu- (1) Wassermann e Takaki -- Ueber eine neue Art von kinstlicher Immunitàt. Ueber Teta- nus-Antitoxische Figenschaften des normalen Centralnervensystem. Berl. klin. Wochenschr. N. I. 3 Januar 1898. (2) Roger e Josué — Action neutralisante de la névrine sur la toxine tétanique. Comptes rendus de la Soc. de Biol. N.° 11, pag. 312. Ibid. — Action neutralisante du chlorhydrate betaine sur la toxine tétanique. Comptes rendus de la Soc. de Biol. N.° 37, pag. 1081. — 144 — tica é superiore almeno 10 volte a quello del siero inglese, e più ancora a quello francese, mentre in rapporto al rispettivo potere antitossico la differenza dovrebbe essere di 4 volte col primo e di 2 volte col secondo. Né le cose procedono diversamente per il siero dei miei stessi cavalli. Infatti, il siero della cavalla Fava ha un valore antitossico 5 volte inferiore a quello del cavallo Cariddi, mentre il valore curativo dei due sieri é per lo meno eguale. Perfino nelle varie prese fatte ad uno stesso cavallo il valore curativo non corrisponde sempre al valore antitossico ; il siero avuto dal cavallo Cariddi il 19, VII, 99, ha un potere curativo superiore almeno del doppio a quello ricavato dallo stesso cavallo il 25, VIII, 98, per quanto il potere antitossico del primo fosse di 125.000, quello del se- condo di 150.000 unità. Nulla può quindi ritenersi più assolutamente dimostrato di questo, cioé che il valore curativo di un siero non sta in nessun rapporto col rispet- tivo valore antitossico. Ed ora, prima di finire, mi sia concesso di risalire dalle conclusioni riferite ad alcune brevi considerazioni di ordine generale. Due sono i pro- blemi illustrati dalle presenti ricerche; uno riguarda la produzione della sostanza curativa del siero ed uno si riferisce al valore e significato delle sue proprietà antitossiche. In ordine alla produzione delle sostanze curative del siero risulta chiaro dalle presenti indagini che essa sta in strettissimo rapporto con due mo- menti principali, con la qualità della cultura dapprima, e col modo di rispondere del soggetto nel quale la cultura stessa viene iniettata. Per quanto riguarda la qualità della cultura, nessuno potrà più disco- noscere che questa, quanto più forma prodotti tossici puri, che peri loro caratteri sì avvicinano maggiormente a quelli che la cultura stessa genera nell’ organismo e che sono causa diretta della morte, tanto maggiore sarà la potenza curativa del siero che produce. Ed a questo proposito deve riconoscersi la grandissima influenza che i materiali di nutrizione della cultura hanno sulla formazione della risp. sostanza tossica. Forse per altri microrganismi, come per il b. della difterite, la cosa ha molto minore im- portanza, perchè questo microrganismo vive e produce quasi allo stesso modo, tanto sui tessuti vivi, quanto sui tessuti morti, o sugli ordinari sub- strati di nutrizione, tanto allo stato di parassita, quanto nella vita sapro- fitica; inoltre la maggior fissità della rispettiva tossina rende questa con- dizione di molto minore interesse. Ma per il b. del tetano la composizione dei materiali di nutrizione è di somma importanza per la costituzione della tossina che forma, e questa alla sua volta per la produzione della sostanza curativa del siero. Questo bacilio coltivato sugli ordinari substrati di nu- — 145 — trizione, come ordinariamente si pratica, subisce una rapida e graduale attenuazione, ed allora le sostanze tossiche che produce sono per la mas- sima parte analoghe, ma non del tutto identiche, a quelle che è capace di generare nell’ animale o a quelle che forma appena isolato dal corpo. Per questo, fino dalle mie prime ricerche, ho rivolto su tale quesito tutta la mia attenzione. E devesi appunto alla più adatta costituzione di mezzi nutritivi se il mio bacillo ha potuto conservare tutta la potenza che aveva quando fu isolato, e per la quale oggi riesce superiore a tutti gli altri nella produ- zione del siero. Questa superiorità delle mie culture consiste, poi, nel- l’ attitudine che esse hanno a produrre sostanze tossiche più energiche e più pure, e fra queste specialmente la sostanza convulsivante, della quale, come vedemmo, il coniglio rappresenta un vero reagente fisiologico. Così si spiega perché, oltre alle differenze originali nei b. del tetano, che rappresentano delle vere differenze di razza e che giustificano in parte gli effetti diversi che si ottengono nelle loro filiazioni successive, vi deb- bono essere ancora delle differenze determinate secondariamente dalla attenuazione che gli stessi bacilli possono subire per influenza dei mezzi in cui vengono coltivati. Con questo si può intendere facilmente perché il Behring ed il Kitasato, quando usarono un bacillo più attivo e cul- ture di recente isolate dall’ uomo, abbiano avuto, senza bisogno di molte iniezioni di rinforzo, un siero molto attivo, che guariva il topolino anche quando più estremità erano prese e l’animale era prossimo a morire; potenza curativa di siero che dopo non sono più riusciti ad ottenere, quando il loro bacillo si era oramai adattato alla vita saprofitica e i veleni che produceva non erano più così puri e cosi energici come i precedenti. Né questo deve credersi sia un fatto isolato; anzi lo stesso fatto si è ripetuto per molti altri sieri. Invero, la storia della produzione dei sieri curativi c' insegna, che di tanto é facile ottenere una o poche volte, specie in principio, quando si opera con culture isolate di recente dell’ organismo, materiale abbastanza potente (e moltissimi sono i sieri che in questi ul- timi tempi sono stati annunziati), di tanto é difficile potere assicurare la loro fabbricazione, in modo da poterli avere ogni volta si voglia. Anzi, il più spesso si osserva che nel ripetere la prova o nell’ aumentare la inie- zione di rinforzo, mentre il potere battericida e antitossico del siero si accresce o rimane fermo, il potere curativo segna una parabola discen- dente, ed il siero perde gradatamente quelle preziose qualita che in principio avevano fatto nutrire per le sue pratiche applicazioni le più grandi speranze. Si comprende poi come questi sieri, mentre non hanno più che una debole azione contro tossine e contro virus freschi, o contro culture dotate di tutta la loro attività, possono riescire ancora efficaci contro le = uo culture indebolite, modificate, dalle quali sono stati ottenuti. È questa forse la ragione per la quale il siero Behring usato contro il risp. veleno dava risultati positivi nelle mani del Behring stesso e del Dr. Knorr, e viceversa riesciva di nessuno effetto negli esperimenti sul cavallo prati- cati'‘dalNi'o.card'‘()\contaltro ‘veleno. Peraltro, se la qualità della cultura sono di grandissima importanza per la produzione del siero curativo, non é a ritenersi che a questa sola ed unica condizione debba tutto riferirsi. Anche l’ organismo animale vi deve avere la sua parte, e certo non piccola, come apparisce chiaramente dai risultati dei nostri esperimenti. Infatti, se con la diversa qualità della cultura si possono facilmente spiegare i risultati differenti ottenuti sopra sieri di origine diversa, se la stessa ragione può giustificare anche le pic- cole differenze notate nelle varie prese di sangue di uno stesso cavallo, per la difficoltà di aver sempre da uno stesso bacil!o culture fornite dello stesso grado di tossicità, la medesima spiegazione non può valere certamente per i casi in cui due cavalli trattati collo stesso metodo e ambidue iniettati con la stessa cultura, producono siero dotato di proprietà antitossiche e curative cosi differenti. È questo appunto il caso dei due cavalli Fava e Cariddi di cui abbiamo dettagliatamente riportati i risultati. Se poi tale compartecipazione dell’ animale consista semplicemente in una migliore separazione dei materiali della cultura, od in una maggiore produzione di antitossina per parte dei tessuti, questo non posso oggi decidere in modo assoluto. Sta il fatto, peraltro, che le proprietà della cultura ed il modo di ri- spondere dell’ organismo, costituiscono i due coefficenti principali per la produzione del siero; come è indubitato che il modo di rispondere dell’ or- ganismo alla cultura del tetano é molto differente nei diversi soggetti. Il secondo problema che si riferisce al valore e significato del potere antitossico del siero offre campo egualmente ad importanti considerazioni. Se noi ricordiamo quanto le nostre ricerche ci hanno in proposito dimo- strato, cioé, che non esiste nessun rapporto fra potere antitossico e potere curativo di un siero, noi abbiamo ragione sufficente per negare che l’azione antitossica di un siero, possa, come si fa oggi, identificarsi colla sua azione terapeutica. Noi non vogliamo qui discutere se tutte le sostanze del siero che legano per contatto la tossina e ne annullano le sue proprietà vene- fiche, siano di natura differente dalle sostanze immunizzanti e curative che neutralizzano nell’ organismo animale | azione dello stesso veleno, come da qualcuno si tenderebbe di ammettere; solo crediamo non eccedere dalla voluta prudenza affermando, sulla base delle nostre ricerche, che nel (1) Nocard — Sur la sérothérapie du tétanos. Recueil de Méd. vétér. T. LXXIV, pag. 481. — 147 — siero antitetanico vi possono essere delle sostanze le quali esercitano sul veleno un’ azione di contatto e che non hanno poi nessun potere curativo. Ciò dimostra quanto fosse falso il criterio, del quale sclusivamente ci si serviva finora per stabilire il valore curativo ed anche il valore commerciale di un siero, quello, cioè, del suo potere neutralizzante in vitro. Questo almeno per il siero antitetanico; non so se la stessa cosa avvenga anche per il siero antidifterico (1). Ed il fatto non é del tutto indifferente, perché nella misurazione in vitro, sulla quale per quanto riguarda il tetano io aveva per primo richiamato l’attenzione (2), noi avevamo un metodo molto comodo, sia per la facilità della sua applicazione, sia per la sollecitudine e precisione dei risultati. Del resto il metodo della misurazione in vitro aveva anch’ esso i suoi difetti; fra gli altri quello principalissimo che non ci dava per le appli- cazioni pratiche nessun criterio sulla dose curativa. Per cui, quando i medici o i veterinari si trovavano davanti al caso clinico con una boccetta di siero o di una antitossina secca, sulla quale o mancava qualsiasi indi- cazione del valore, come accade per molti sieri stranieri, od era sempli- cemente specificato il N.° corrispondente della UA., essi non possedevano nessun criterio scientifico che servisse loro di guida per giudicare della dose da usare. E spesso accadeva che tali medici sorpresi dal N.° grandissimo di UA., iniettassero, di fronte alla gravezza del caso, una quantità troppo piccola di materiale. Io ho tentato più volte di stabilire praticamente il N.° della UA. neces- sarie per guarire l’ uomo ed il cavallo da forme di tetano di ordinaria gravezza; come aveva cercato nella prima parte di questa Memoria di risolvere la questione in modo più preciso col mezzo di esperimenti sugli animali. Ma i risultati successivi mi hanno dimostrato l insufficenza di questo metodo, provandomi chiaramente che esso nella sua applicazione é destituito di qualsiasi base scientifica. Non rimane quindi che misurare direttamente col mezzo di esperienze sugli animali il valore curativo di un siero. Questo metodo per determinare il potere del siero antitetanico ha cer- tamente i suoi vantaggi e i suoi difetti. Il principale vantaggio è quello di darci dei valori che meglio sono compresi dai medici, e di cui possono giovarsi, a preferenza di qualsiasi altra indicazione, per stabilire nel caso (1) Sarebbe molto importante vedere se lo stesso fatto si verifichi per il siero antidifterico, per- chè, basando il proprio giudizio esclusivamente sul valore antitossico, può accadere per questo, come per il siero antitetanico, che s’ apprezzino meno, o si rifiutino del tutto, dei sieri che hanno un potere curativo molto elevato e viceversa. (2) Tizzoni — Vaccinazione e sieroterapia contro il tetano ecc. Milano. Vallardi pag. 93 e seg. Serie V. — Tomo IX. 20 — 148 — clinico la quantità di siero da iniettare. Ed invero niente di più logico e naturale che si determini direttamente quel potere del siero per il quale esso deve servire di preferenza nella pratica. Ma, di contro a questi vantaggi, vi sono alcuni difetti di qualche im- portanza i quali impediscono che anche con tale metodo si possano avere risultati sempre sicuri e costanti. Uno dei principali difetti riguarda la tossina e si riferisce al cambia- mento del veleno-tipo ; tale difetto, come abbiamo veduto, è comune tanto al metodo in vivo quanto a quello in vitro e non può essere in nessun modo allontanato o corretto. Infatti, il cambiamento del veleno-tipo eser- cita sempre una grandissima influenza sul potere curativo del siero; e tale che le cifre ricavate con la determinazione nello animale non possono aver mai un valore assoluto, ma solo un valore relativo alla tossina ado- perata. Si comprende poi come ciò debba avvenire anche se i due tipi di tossina usati uccidono alla stessa dose e nel medesimo tempo, per l im- possibilità di ottenere da campioni diversi, quadri morbosi del tutto simili, fra loro esattamente sovrapponibili. Un’ altra difficoltà di questo metodo proviene dalle particolari disposi- zioni degli animali ad ammalare, nelle quali appunto trovano la loro ra- gione le eccezioni che si rinvengono di tanto in tanto negli esperimenti in serie, per quanto tali esperimenti siano stati praticati tutti in condizioni perfettamente identiche. In questo caso si può benissimo provvedere ripe- tendo quella serie in cui ebbe ad osservarsi qualche irregolarità, ad es. la morte di uno degli animali operati con quantità maggiore di siero e la sopravvivenza di quelli iniettati con quantità minori. Ma nonostante siano abbastanza grandi gli errori che si possono com- mettere con la determinazione diretta, ed alcuni di essi irrimediabili, pure tali errori sono sempre molto piccoli in confronto di quelli che si possono commettere giudicando del valore curativo di un siero dal suo potere antitossico. Basta a questo proposito ricordare che un siero del valore in vitro di 40.000 UA. aveva un potere curativo superiore almeno del doppio a quello di un altro siero che per contatto dava un potere di 500.000 UA. Ed ora ecco come io procedo per determinare direttamente il valore curativo di un siero. L’ esperimento viene sempre praticato sulla cavia del peso medio di 300 gr.; l’ iniezione del veleno è fatta nella parte posteriore della coscia, quella del siero alla metà del dorso, adoprando nei varii animali una dose di siero in scala decrescente; l’ intervallo fra 1’ inie- zione del veleno e quella del siero è di 24 h. precise. La dose curativa normale (UC.) deve necessariamente variare col variare del decorso della malattia; nei casi in cui il controllo muore prima della fine del 4.° giorno, in media in 3 giorni e /,, la dose normale è di 1 cm.3 -- 149 — di siero p. Klg.; invece tale dose scende a 0,5 p. Klg., nei casi in cui la morte dei controlli avviene dopo compiuto il 4.° giorno e prima della fine del 5.°, ed a cm.? 0,25 p. Klg., quando l’ esito letale si verifica subito dopo compiuto il 5.° In tal modo si può tenere il giusto calcolo della influenza che la gra- vezza ed il decorso della malattia esercitano sulla dose curativa, e si pos- sono ricavare dati abbastanza precisi sul valore terapeutico di un siero. Infatti, una volta stabilita la dose curativa normale, riesce abbastanza facile nei singoli casi determinare il valore di un siero. Così, se la dose del siero sarà la metà di quella della dose curativa normale, cioé 0,5 cm. p. Klg. nel 1.° dei 3 casi riportati, 0,25 nel 2.° e 0,152 nel 3.°, allora si dirà che il siero in esperimento ha un valore doppio del siero normale cioè UC® e così di seguito. Se invece del siero provato ne occorreranno 2 cm.3 nel 1.° caso, 1 nel 2.° ‘e 0,5 nel 3.°, allora avremo che il potere curativo di questo siero è infe- hi riore della metà a quello del siero normale, 3) e così via dicendo. In questo lavoro io ho nuovamente provato che il mio siero ha una reale efficacia sul tetano; di più ho dimostrato che la potenza curativa del siero da me preparato é superiore a quella degli altri sieri più noti, compreso quello del Behring; finalmente ho fatto conoscere le con- dizioni che presiedono alla produzione delle sostanze curative del siero e le ragioni delle loro differenze. Quindi a me non rimane che dichiarar chiusa su questo argomento la ricerca sperimentale e di attendere in proposito il giudizio del pubblico. E poiché il mio siero, come quello del Behring, si trova oggi in commercio, e tanto in Italia che fuori, cosi ciascuno può, quando lo voglia, persuadersi della superiorità del mio, sia nelle prove cliniche sull'uomo e sul cavallo, sia con esperimenti sugli animali. —— _—_—+8——T_ | COMI 9) ia ibi r È î N 4 Por, TO C if tig Abi 10 gita È, 0 ' dr: deh bri, cen | sal alpe adraaa ae di de DI mol anale: cate tua : f $ eci ti NEMI {a 24 dA para 4 6 DI Li p4 RA, più na atieb oegsvab. lì ha x PU VTEE LA di hi. RT tag debora pesi Lal re STTINÌ (RN fept Ri 1 î ) MISE: Mei. i sip ch4a big; ui Mg Spa PI ti 3 le tai 3) + t x À : } \ VARI DI ti ISIMALLAI LE; Di Sì Er } da da Îy È i ; a 4 f ì È: dr D Fanti GE À Ka | la n vs i Vi È bla RIN x d9% | Stio ‘Rit Li) ver É per ST, REA at rt. 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Mentre infatti si ammette omai generalmente che delle cariche elettri- che in moto dieno origine a forze magnetiche, quasi come se le loro tra- lettorie costituissero delle correnti elettriche, s’ intuisce d’altra parte che le forze elettriche prodotte da quelle cariche non sieno identiche a quelle che manifesterebbero, qualora fossero in quiete. Si presenta dunque la ne- cessità di conoscere le forze di entrambe le specie, ossia di conoscere il campo elettromagnetico creato dalle cariche in movimento. A fianco di ciascun problema di questo genere, se ne presenta poi naturalmente un altro, che può dirsi analogo o coniugato, quello cioè di determinare il campo elettromagnetico quando, anziché delle cariche elet- triche, si hanno dei poli magnetici in moto. Ma la soluzione del primo problema conduce immediatamente a quella del secondo, in virtù della simmetria che le equazioni fondamentali presentano, quando si scelgono opportunamente le unità di misura, cioé quando le equazioni stesse si prendono sotto la forma, che loro diede Hertz. (*) (Nota aggiunta correggendo le bozze di stampa). Mi giunge ora il volume dedicato al prof. Lo - rentz, del quale ho più oltre (cap. V) avuto occasione di far cenno, citando, in base alle copie a parte gentilmente inviatemi, una mia Memoria che vi è inserita. Trovo in esso diverse Memorie, e in particolare quelle dei Sig." E. Wiechert, C. H. Wind e Th. Des Coudres (pag. 549, 609, 652), aventi per oggetto lo studio, fatto sotto diversi punti di vista, degli effetti elettrici e magnetici prodotti da ioni in movimento. Serie V. — Tomo IX. 20* — 152 — Queste equazioni, pel caso dell’etere libero sono, come è noto: È 4 °Liuozio dI | 4° _ IM __IN RIA dy da DIA ds dy (ne vane (2) 1 \ (5) Ma basterebbe cambiare rispettivamente SIZE MONO A, in MM MAZARA TANI per trasformarle in quelle relative ad un dielettrico qualunque. Hertz diede una prima soluzione particolare di quelle equazioni, me- diante la funzione ausiliaria n=" sen[ern((— Ap), in cui =xe°+Y+%, ponendo : TI II II II BG —— — i = > c_ > no) \ da da” È dyde” 2 da ne dg 3) Î XII DI LIL dla È facile verificare che questi valori delle sei componenti soddisfano alle equazioni fondamentali (1) e (2) qualunque sia la funzione Il di 2 y = #, IRON purché essa soddisfi alla condizione — += +<=4A°—, ossia da dy ds” dt 30°Il e la precedente espressione di II é appunto in questo caso. Le forze (3), qualora Il abbia l’espressione precedente, non sono altro che quelle che esistono intorno ad un oscillatore hertziano di lunghezza / pic- colissima, col centro nell’origine delle coordinate e col suo asse di figura diretto secondo 03, le cui capacità estreme raggiungono periodicamente (n volte al secondo) una massima carica E (o — E). Più generalmente, e lo si può facilmente verificare, qualora si abbiano (*) Ogni volta che delle equazioni si potranno dedurre l’una dall'altra colla regola delle permu- tazioni circolari, scriverò soltanto la prima, e porrò delle fila di puntini al posto delle altre. — 153 — tre funzioni di 2y=#,.che indicherò con II,, II,, II, (*) tali, che ciascuna soddisfi alla condizione (4), si ottiene una soluzione delle equazioni (1) e (2) ponendo: d (E Da) d (il da E) ia PERLE di (+ IT, 1 Ca) (ix da de) dy\da dg Rn Cda d AI L= Ad 2) di \ dy de (6) È su queste tre funzioni II,,II,, HH, che occorre ora fare alcune utili considerazioni. II. — Esistenza d’un vettore, dal quale si nossono ricavare le forze ciel campo elettromagnetico. Le tre funzioni II,, II, II, possono considerarsi come le tre componenti, rispettivamente secondo gli assi 02, 0y, Oz, d’un certo vettore II, di guisa che, se si mutano gli assi di riferimento, le nuove funzioni WE RICREA introdurre nelle (5) e (6) al posto di II,,II,,HI,, per calcolare le com- ponenti X', y', Z', L', M', N' secondo i nuovi assi delle forze del campo, altro non sono che le componenti, secondo i nuovi assi, del medesimo vettore Il. Questo enunciato si può dimostrare anche senza far uso del calcolo vettoriale, tenendo conto delle note relazioni che sussistono fra le coordi- nate primitive 2g e le nuove 2'y'2', e delle analoghe relazioni esistenti eee ZA fra E MIN edi L'EMEN) era, DI I, II, e le compo- nenti di II secondo i nuovi assi, IL,, I, IL, e rammentando che se / è AA DI AO AIA da da da dy da da de avvertenze basta eseguire la trasformazione delle coordinate per ricavare, dopo un calcolo facile se non breve, dalle (5) e (6) altre formole, che da una funzione di xy, si ha Con queste (*) Si vedrà fra poco il motivo pel quale ho così designate quelle tre funzioni, che altrove rap- presentai con II,, Il, 11; (V. Mem. della R. Ace. di Bologna, serie V, t. IV, pag. 658; L’ Ottica delle oscillazioni elettriche pag. 198). — 154 — esse differiscono soltanto per contenere a'y'2' X'Y'Z'L'M'N'IL:IH,IL al posto rispettivamente degli stessi simboli senza l’ accento. Se ne conclude che il campo elettromagnetico sarà completamente co- nosciuto, allorché si conoscerà il vettore Il in ogni punto dello spazio e per ogni istante. Infatti, non sì avrà che ad eseguire le doppie derivazioni di II,, II,, Il; indicate nelle (5) e (6) per ottenere subito le componenti della forza elettrica e della forza magnetica per ogni punto del campo e per ogni istante. Il vettore II, che non è identico al potenziale vettore, e che non mi consta sia stato prima d’ora preso in considerazione, disimpegna rispetto al campo elettromagnetico una parte simile a quella sostenuta dal poten- ziale nel campo elettrostatico, nel senso che, come con certe derivazioni si deducono dal potenziale le componenti della forza elettrostatica, cosi con certe derivazioni si deducono dalie componenti del vettore Il le compo- nenti della forza elettrica e della forza magnetica. Questo vettore merite- rebbe dunque una denominazione speciale, ma intanto lo si potra chia- mare provvisoriamente vettore caratteristico. In generale la sua direzione, non solo sarà diversa nei vari punti del campo, ma in ogni punto varierà col tempo. Per definirlo si potranno dare le sue tre componenti II,, II,, II, secondo tre assi, le quali saranno in generale funzioni di @ y « #. Ma in molti casi, e se ne vedranno più oltre degli esempi, il vettore Il ha una medesima direzione per tutti i punti del campo, e di più questa direzione è invariabile. In questi casi potrà bastare, per definire il vettore II, e quindi anche il campo elettro- magnetico che esso caratterizza, di indicare a parole la direzione di esso,. e darne il valore scalare, funzione, in generale, di 2 y 4 e &. Il caso del piccolo oscillatore hertziano ne fornisce subito un esempio. Le equazioni (3) si ricavano dalle (5) e (6) quando sia I,=IIL=0, IL=Il. Re i EI Dunque per questo caso il vettore caratteristico ha per espressione — sen @ Pr (ponendo per brevità 0 = 27zn(f— Ar)), ed é parallelo all’ oscillatore. Come si è notato già, una volta che si conosca una soluzione delle equazioni fondamentali relativa a cariche elettriche, si trova subito la soluzione analoga relativa a poli magnetici. Infatti, le equazioni (1) si trasformano nelle (2) e viceversa, qualora si mutino ordinatamente X, Y, Z, L,M, N, in L,M, N, —_—X, —Y,—-Z. Se dunque è noto il vettore Il relativo alla prima soluzione, e con esso si sono calcolate le sei compo- nenti, basterà fare quegli scambi per avere le componenti relative alla seconda soluzione. Ciò equivale ad assumere invece dei vettore II un nuovo vettore Il, che non differisca dal precedente che per contenere delle intensità di poli magnetici al posto delle cariche elettriche, e poi cal- — 155 — colare le sei componenti, non più colle formole (5) e (6), ma bensi colle seguenti, che ne differiscono per lo scambio effettuato fra le componenti delle due specie: d AQ, dI i, o) (7) | 3 DE de Fee dI, di Nobel OY OdG (0g, OOO RINO, (8) III. — Esistenza di un secondo vettore caratteristico. Mentre che, con un medesimo vettore, le formole (5) e (6) da una parte e le (7?) ed (8) dall’ altra porgono le soluzioni di due problemi coniugati, elettrico l’ uno e magnetico l’ altro, i due gruppi di formole potranno con- durre ad una medesima soluzione, qualora si assumano due diversi vet- tori Il e Il'. In altre parole, mentre con un certo vettore II le (5) e (6) fanno conoscere le forze del campo elettromagnetico in un dato caso spe- ciale, queste stesse forze potranno essere dedotte dalle (7) e (8), quando si prenda un certo altro vettore II. Per esempio, si abbia il vettore : I= di (send — 22 i r mr ove per brevità si è posto m=27nA. Mediante le (7?) ed (8) esso farà conoscere le componenti delle forze generate dal piccolo oscillatore hert- ziano considerato più sopra, supposto che Îl' sia perpendicolare al piano passante pel punto 2 y e per l’asse del detto oscillatore, e che p sia la distanza fra questo asse ed il punto xy. Infatti, supposto l’ oscillatore collocato nell’origine delle coordinate e coll’asse secondo Os, si avrà pf= d°+ gg, come pure: M=— 224 (sen0 — “" ni LU = (sono — 80) ; olle=0%p = mP 4 mr e mediante le (7) ed (8) si giunge esattamente agli stessi valori di X, Y, Z, — 156 — L, M, N, chesi ottengono colle (5) e (6) dal vettore I1=È' senò paral- lelo all’ oscillatore, come ognuno può verificare facilmente. I segni di IT, e di IT, fanno conoscere il senso in cui Il' é diretto. Come si vede, i due vettori II e Il' hanno qui direzioni fra loro per- pendicolari, anzi il secondo ha la direzione del moto di un punto che ruoti intorno alla direzione dell’ oscillatore presa come asse, mentre il primo ha la direzione stessa dell’ oscillatore. IV. — Alcune proprietà dei due vettori II e II. Questa speciale relazione fra le direzioni dei due vettori non sussiste solo nel caso particolare del piccolo oscillatore hertziano, ma si verifica ogni volta che il vettore II avente una direzione invariabile e la stessa in tutto il campo, rappresenta un fenomeno simmetrico intorno ad un certo asse ad esso parallelo. Supponiamo infatti che l’asse di simmetria sia l’asse delle 4. Allora H.=0,.II,=0, e.II, sarà funzione di.p. Mat gi, a e. Le (Ie) diverranno : | x- LL y__ 4° z— VI _ 190 9) PAD pdpdz Ia Da ( y DIL dazi e dI, i i Ù popòt° sa pipdt ” pr e 1 (IL, Prendendo ora un nuovo vettore Il'== —- dt, perpendicolare al AJ dp piano passante pel punto xy e per l’asse di simmetria, di guisa che le sue componenti sieno : i 4 (IL A OE La mi=t (57 di, =- Jay m=o, si verifica facilmente che le formole (7) ed (8) si trasformano precisamente: nelle (9). Ma la relazione più generale esistente fra i due vettori risulta natural- mente dal confronto diretto fra le (5) e (6) e le (7) ed (8). Se si formano le: espressioni: DIL, dI, TE II, dI, 7, dg da da? da dy L) e le analoghe espressioni : II dI, OI, dI IARODE dy DERE de da da dy t) — 157 — si può dire, che fra le prime e le seconde sussistono le stesse relazioni (1) e (2), che esistono rispettivamente fra le componenti ZL M N della forza magnetica, e le componenti X, Y, Z della forza elettrica. I campi statici, dovuti a distribuzioni elettriche o magnetiche in equi- librio, costituiscono naturalmente dei casi particolari. Il potenziale, che li caratterizza, è strettamente legato ad uno dei vettori Il e Il', e da esso può ricavarsi. Si supponga infatti II indipendente dal tempo. Dalle (5) si ricaverà W_-M_:N—=0,.e le. X,.X}Z avranno un potenziale: QI QIREISIIE co) ea giacché si trova colle (6): dV. MRO VE tm da dy de Si avrà dunque un campo elettrostatico, il cui potenziale V, si deduce dal vettore II nel modo indicato dalla (10). Similmente, se invece si suppone Îl' indipendente dal tempo, si ricava dalle (7) ed (8): DIE dx ÙVm IV b) dy ds ve _ 4A: S Î | | | asi posto che sia: OBIONO DELENSS9IIE (11) er Z sa Come si vede, il potenziale magnetico V, si deduce dal vettore Il' pre- cisamente nello stesso modo che il potenziale elettrico dal vettore II. Si potrebbe profittare di questa osservazione per distinguere l’ uno dal- l’altro i due vettori II e Il', chiamando il primo vettore elettrico ed il se- condo vettore magnetico. È bene notare infine una proprietà, che si 6 vista già sussistere nel caso particolare del piccolo oscillatore, e cioè che allorquando il vettore Il ha ovunque una stessa ed invariabile direzione, la forza magnetica è ad esso perpendicolare. Infatti, assumendo la direzione del vettore Il come direzione dell’asse delle 2, si avrà IL=1II,=0, e quindi l’ultima delle (6) darà N—=0. Analogamente, quando il vettore Il' è ovunque e sempre parallelo ad una data direzione, la forza elettrica é perpendicolare, ovunque e ad ogni istante, al vettore stesso. V. — Espressioni del vettore II (oppure di [Ll') relative a diversi casi di cariche o poli in moto. Come si è visto, basta che sia noto uno dei vettori II o Il' perché col- l’uso delle (5) e (6) o delle (7) ed (8) si possano immediatamente calco- lare le componenti delle forze per un punto qualunque del campo elettro- magnetico e per un istante qualunque. Però, mentre la considerazione di quei vettori conduce cosi ad una rappresentazione analitica assai semplice di ogni soluzione delle equazioni fondamentali, non se ne ricavano indicazioni o metodi generali, che con- ducano a trovare quei vettori, od almeno uno di essi. Vi sono tuttavia dei casi in cui delle considerazioni di simmetria o di analogia permettono di restringere alquanto il campo di ricerca, ed allora pochi tentativi o qualche felice ispirazione possono far raggiungere d’un tratto il risultato in vista, quello cioè di trovare il vettore caratteristico d’un dato fenomeno elettromagnetico. Nel capitolo seguente, dedicato alla determinazione del campo prodotto da una carica in moto rettilineo ed uniforme, se ne vedra un esempio. Ma intanto darò |’ espressione di II e di Il', o quella delle loro com- ponenti, pei casi nei quali è noto il campo elettromagnetico prodotto da cariche elettriche o da poli magnetici in movimento. A rigore hasterebbe uno solo dei vettori per potere calcolare subito le componenti delle due forze; ma può essere utile conoscerli entrambi, perché alle volte |’ uno, alle volte l’altro, conduce a calcoli più semplici. Vibrazioni di un doppio-punto elettrico, — Ho dimostrato altra volta (*), che la soluzione data da Hertz per rappresentare le onde generate da un piccolo oscillatore, vale anche per le vibrazioni di un doppio-punto elet- trico. E cioé, invece di considerare come costante la distanza / fra le ca- pacità estreme del piccolo oscillatore, e come variabili con legge sinusoi- dale le cariche di esse, si possono considerare queste cariche come co- stanti, e come variabili con legge pendolare le loro distanze da un punto fisso. Si avranno allora due cariche + £, — EF, animate da un moto vi- bratorio rettilineo di ampiezza piccolissima 3/, le quali si conservano equi- distanti da un punto centrale ove periodicamente s’ incontrano. Se r é la distanza fra questo centro dell’ oscillazione, ed il punto Cyz, p la distanza fra questo punto e la direzione della traiettoria comune alle due cariche, sì calcoleranno le forze del campo colle formole (5) e (6) mediante il (*) Mem. della R. Acc. di Bologna, serie V, t. IV, pag. 657: L’ Ottica delle oscillazioni elettriche, pag. 203. — 159 — vettore : (12) n= senò, li oppure colle (7) ed (8) mediante il vettore : (12') II'— —- (senò II s mr in cui, come precedentemente 0=27n(f— Ar), n=2anA.Inogni punto del campo e ad ogni istante il vettore II è parallelo alla vibrazione, men- tre il vettore Il' è perpendicolare al piano passante per la vibrazione e perla retta r. Vibrazione circolare d'un doppio-punto elettrico. — Dalla semplice vibrazione pendolare sì passa facilmente. a qualunque delle vibrazioni considerate nell’ ottica, e, volendo, anche a vibrazioni più complesse. Prenderò come esempio la vibrazione circolare. Due cariche + e —£ distanti fra loro di / (piccolissima) costituiscono un doppio-punto elettrico, il quale ora si suppone girare uniformemente in un piano, ed in ragione di n giri al se- condo, intorno al punto di mezzo di /. Il campo elettromagnetico generato da questa rotazione delle due cariche elettriche si determinerà per mezzo delle formole (5) e (6) col vettore: (13) ee ; (F Questo vettore, il quale, come si vede, ha in ogni punto un valore co- stante, muta di direzione continuamente, e precisamente esso gira unifor- memente compiendo n giri al secondo intorno ad un asse parallelo a quello intorno al quale gira il doppio-punto. Supposto che il centro di questo si assuma come origine delle coordinate, e che la rotazione sua (destrogira) avvenga nel piano y, le componenti di II saranno: Ma= 0 rI,= E così, n= send. Le componenti delle forze si otterrebbero introducendo questi valori nelle formole (5) e (6). Ma, tenuti fermi gli stessi assi, si potranno calcolarle anche per mezzo delle (7) e (8) dal vettore Il' di componenti: zsenb+y 235) I ZA I LI) \ I,= e (5 così —y send + P mr (37) ( MANNA, Î II, =“ x(sen@ — COS o) mP Serie V. — Tomo IX. 21 — 160 — Vibrazione pendolare piccolissima d'un ione. -— Ho fatto vedere recente- mente (*), come si possa passare dal caso delle vibrazioni di un doppio- punto elettrico a quello delle vibrazioni d’ una semplice carica elettrica, coll’ aggiungere al doppio-punto una conveniente carica immobile. Si vedrà più oltre, quale espressione si possa dare al vettore II, perchè rappresenti il campo prodotto da una carica fissa; ma pel momento basta constatare, che le formole (5) e (6) col vettore di componenti: (14) IL=X,Elog(r+@), I,=X,Elog(r+yg), U,=KX,Elog(r+ 2) danno : x=4, rd z= È, Ji= Mi= N'=:0%etcioeMpreeisa= mente le forze prodotte da una carica £ fissa all’ origine delle coordinate, purché le tre costanti £,, £,, #,, non sieno completamente arbitrarie, ma soddisfino alla condizione 4, 4 k,+%,=1. Ciò premesso, il vettore Il pel caso attuale si comporrà del (14) e del (12). Invero si può constatare che (15) L= — Elog(r+p)+ sené rappresenta il campo generato dalla vibrazione di un ione di carica — £, p essendo la proiezione di r sulla direzione della vibrazione. L’altro vettore è Ù E MoseMNIO __così 1 '— EE AE Siae LI iP È P (Seno mr | ove p°=r° — p°, ed è diretto perpendicolarmente al piano passante per 7 e per la vibrazione. Se sì assumono assì tali, che l’origine sia il centro della vibrazione, e questa si compia sull’ asse della #, le componenti di II sono I,=0, U,=0, °° Spb et 21, __ Ely, così M.=—Elog(r+-% )+— senò, e quelle di Il': IL,= ippo wp en0 — # )L DOggsà VA m= dI 3a ue I,=0, essendo qui p°= a+ yg°. Vibrazione pendolare di un ione nello spazio. — La vibrazione generale di un ione di carica —£E, quale per esempio fa duopo considerare per ispie- gare il fenomeno di Zeeman in tutta la sua generalità (**), e cioé la vi- brazione che risulta dal comporsi di tre vibrazioni pendolari dirette secondo (*) Archives néerlandaises des Sciences 1901, livre jubilaire dedié à H. A. Lorentz, pag. 348. (**) Mem. della R. Acc. di Bologna, serie V, t. VIII, pag. 263. — 161 — i tre assi, aventi ugual periodo, ma ampiezze e fasi differenti, produce un campo elettromagnetico caratterizzato dal vettore II di componenti : 4 II, =—4XkElog(r+@)+ si sen(9 —a,) EL, (16) Il, =—k,Eloglrt+gy + Li sen(0 — a.) II s=— k,Elog(r +) + 2 sen()—a,) colla condizione &+4,+4,=1. Il vettore Il' ha un espressione più com- plicata. | Facendo le opportune ipotesi sulle grandezze /, /,/,, a,04,0,, si dedur- rebbero i casi speciali della vibrazione circolare, elittica etc. Vibrazioni di poli magnetici. — È bene far notare, per quanto riesca quasi superfluo, dopo ciò che si disse in generale sul principio di questo scritto, come le precedenti soluzioni delle equazioni fondamentali, relative a cari- che elettriche, si trasformino in altre analoghe relative a poli magnetici, scambiando semplicemente i due vettori II e II". Cosi per esempio, invece delle due cariche +£ e — E considerate più so- pra e costituenti un doppio-punto elettrico girante uniformemente nel piano yz intorno al suo punto di mezzo situato nell’origine delle coordinate, pos- siamo immaginare un elemento magnetico costituito da due poli +u e —& distanti /, e quindi di momento 9%C= u/, il quale gira nella stessa maniera. Invece dei vettori (13) e (13') dovremo prendere o il vettore II, le cui com- ponenti sono le (13') in cui si sostituisca 97 ad £/; oppure il vettore d I (e ; : 5 Tai girante uniformemente intorno ad un asse parallelo a quello in- torno a cui gira l'elemento magnetico. VI. — Campo elettromagnetico prodotto da una carica elettrica in moto rettilineo ed uniforme. La ricerca del campo elettromagnetico, prodotto da un ione in moto rettilineo ed uniforme, é la più semplice fra quelle analoghe riguardanti delle cariche elettriche in movimento ; tuttavia essa presenta uno speciale interesse perché, mentre pei casi, passati in rassegna nel precedente capi- tolo, non si sanno dare che soluzioni approssimate, pel caso attuale invece si arriva ad una determinazione esatta del vettore Il, dal quale poi, colle — meg — formole (5) e (6) si possono ricavare gli esatti valori delle forze del campo elettromagnetico (*). È dapprima evidente, che il campo etettromagnetico generato da una carica E, che si muove in linea retta, sarà simmetrico intorno alla traiet- toria ; perciò, se si comincia dall’ipotesi più semplice, e cioé che il vettore II abbia direzione invariabile e la stessa in tutto il campo, sarà naturale assumere come direzione di IT quella della traiettoria, che supporremo essere l’asse delle 2. E, se si pone p° = &° + y°, Il dovrà dipendere da & e da y solo in quanto sia funzione di p. D’altra parte posto 0 = — ct, essendo e la velocità della carica mobile, ed assumendo come origine delle coordinate la posizione da essa occupata per #=0, è chiaro, che II dovrà dipendere da # e da #7 solo in quanto sia funzione di @. Invero, il valore di II all’ istante % in un punto (p) deve essere lo stesso che in un punto (p2') all’istante #, purché sia z— ct=%' — ct. Dunque il vettore Il sarà semplicemente funzione di ed o, le sue componenti cogli assi adottati saranno IL, = I,=0, L=II, e l’equazicne (4) cui II deve soddisfare, diverrà : dI 1dII OUT TE Lee (1 —a dp p | (17) x posto per brevità a = Ac, cioè eguale al rapporto fra la velocità c e la velocità della luce. In questo modo si é già di molto ristretto il campo di ricerca del vet- tore Ii. Ridotto ad essere parallelo ad Oz e funzione soltanto di p ed @ esso rappresenterà tutti ì casi in cui si abbia un sistema elettro-magne- tico, di rivoluzione intorno all’ asse Os e mobile con velocità costante e lungo questo asse. Pochi tentativi bastarono per riconoscere, che il caso della carica mo- bile si trova, ammettendo che Il sia funzione del rapporto p:. Posto 4 =pfodal(17)divienet 9 dI 2 2 dI 2 2 o U selt+e a-d|+ E |1+ 2 a-@|=o, (*) Già il signor J. J. Thomson (Phil. Mag. april 1881 p. 236) diede l’ espressione della forza ma- gnetica prodotta da una sfera elettrizzata in movimento, ammettendo però che intanto la forza elet- trica rimanesse la stessa come nella quiete. Tale espressione non è esatta, e solo può considerarsi come approssimativa, quando la velocità posseduta dalla sfera elettrizzata sia piccolissima in confronto della velocità della luce. In precedenti pubblicazioni feci uso bensi io stesso di quella espressione ; ma sempre in casi nei quali appunto si trattava di velocità piccole. Lo stesso Thomson ha poi più tardi (Notes ou recent research in electricity and magnetism) data la soluzione esatta del problema, la quale è in perfetto accordo con quella da me esposta ne] presente capitolo. Questa soluzione del Thomson, ottenuta del resto per una via differentissima da quella da me seguìta, non cadde sotto la mia attenzione che poco tempo fa, cioè dopo che avevo già trovata per conto mio la mia soluzione. — 163 — la quale integrata da: VATeS ESA n= Viaggi E log +D 7 dla ove D ed E sono due costanti. Sostituendo per « il suo valore: IIl= Elogl/ pf1 — &) + 0° + 0] — Elog[py/1— a]+ D. Infine, siccome pel calcolo delle componenti delle forze mediante le (5) e (6) i due ultimi termini di IT non hanno (come è facile constatare) nessuna influenza, e neppure l’ hanno nel formare i termini della (17), così sì potrà assumere: (18) Il1= Elogli/ p°(1—@)+0 +0]. Con questo vettore II le (5) e (6), le quali colle variabili attuali diven- gono : sci Lapaca I AA de. { OI o e op nigra (19) pass looa4, SE CORATO, \ TI dop p_dadp° danno (ponendo s=y/ p°(1— a°)+ 0°): Î desto) EA1—a): 5 ElT-a3o veli ea@@ 3 : pe e E. 4 ge) 2 ) d (20) E si ; ei: Resta però a dimostrare, che il vettore (18) é il cercato, e cioé che le componenti (20) sono veramente quelle delle forze prodotte da una carica €, che si muove lungo Oz colla velocità c. Ma ciò risulta evidente considerando che le (20), che rappresentano indubbiamente le forze dovute ad un sistema che cammina colla velocità e lungo Oz, sono valide anche per c=0. Orbene, per ec=0 (e quindi a=0) le (20) si trasformano in E. 3 er vw N—=o0, DÈ r È che sono precisamente le componenti delle forze prodotte da una carica E immobile nell’origine. Dunque, ciò che cammina colla velocità c lungo — 164 — l’asse delle # per generare ii campo, di cui II è il vettore caratteristico, è precisamente la carica elettrica E. Il vettore (18) conserva la stessa espressione, anche se sì cambiano gli assi coordinati, purché si ritenga che p rappresenti la lunghezza della per- pendicolare abbassata dal punto (xy) sulla traiettoria della carica E, e che @ rappresenti la proiezione su questa traiettoria della retta che unisce il detto punto alla posizione attuale della carica mobile. Se a 8 y sono le coordi- nate di E all’istante t=0, Au» i coseni di direzione della velocità c, si avrà: o=(e—-)Ai+(y_-Bu+ (ey) — cet, pr=(la—af+(y—0Bf)+6—p°—[a—a)A+(y—8)u+(—7)vP. Con questi valori di p ed @ l’espressione (18) diviene dunque generale, e le tre componenti del vettore Il divengono : (21) io =M05 EI D=Ilp. Coll’espressione generale del vettore II, che bisogna prendere quando gli assì sieno qualunque, le (5) e (6) conducono naturalmente a forme un poco più complicate delle (20) per le sei componenti; ma sussistono certe: relazioni fra queste, in virtù delle quali basta calcolare le sole componenti II, dI, dIL Moog da si troverà semplicemente V,= E:V p°(1T— a?)+ 0°; ma d’altra parte si elettriche. Si formi infatti dalle (21) l’espressione V.= II dII do rr 11: dI] —_— — _ : 2 — n° 2 1 q o . El; 3 = E° Vp1— a°)+ 0°, e quindi ma IONE Se ne ricava successivamente : II DV, dI n/A —— = € = € dy dé 070 d2dt da. e quindi: iz L=a(5; np—-S- u)=auZ—vY). Si hanno dunque le tre relazioni: L=a(uZ—vY), M=a(vX— AZ), N=a(AY— uX), le quali, cogli assi presi come prima, si riducono a L= — aY, M=aX, N=°0, verificate dalle (20). Invece di rappresentare il campo elettromagnetico della carica mobile: — 165 — ‘mediante il vettore elettrico II, si può rappresentarlo mediante un vettore magnetico Il', dal quale colle (7) e (8) si ricaveranno le forze (20). È fa- «ile verificare, che tale vettore è: (18') n= ZVpind+ta. La direzione di Il' è quella della perpendicolare al piano passante pel punto a cui Il' si riferisce e per la traiettoria della carica E. Se quindi ssi prendono nuovamente gli assi in modo, che l’ origine sia la posizione occupata da E per #=0, e l’asse delle = sia la traiettoria percorsa da E, si avra: Pa e A pra ag IAA MW.=0. = d+a, Mn=— Leggi della forza elettrica e della forza magnetica. — È utile ricavare dalle (20) gli enunciati generali relativi alle due forze prodotte dalla ca- rica in moto. Cominciamo dalla forza elettrica. balleSprime tre “delle (20) si deduce X:a= Viy=Z:0; e giacché 24© sono le coordinate del punto considerato, qualora si trasporti l’ origine degli assi nella carica E, quelle eguaglianze esprimono, che la forza ‘elettrica é sempre diretta secondo la retta, che unisce la carica mobile al punto, nel quale si considera l’ azione della forza stessa. Una carica elet- trica in moto rettilineo ed uniforme produce dunque in un punto qualunque una forza elettrica avente la stessa direzione, come se la carica fosse im- mobile nel punto, che essa occupa all’ istante considerato. Posto poi r'=x°+% +’, la forza elettrica F, ha per espressione : E1— aÈ)r s3 = XV 7= b) ‘ossia, chiamando e l’angolo compreso fra 7 e la direzione del movimento: E eta = cia Si vede così che, mentre la direzione della forza elettrica è la stessa, come se la carica fosse fissa nella posizione da essa attualmente occu- pata, la sua intensità è invece differente, salvo che pei valori di e che sod- disfano alla (1 —a;=1— a?sen*e. Il minimo valore di F. ha luogo, a parità di distanza r, per i punti situati sulla traiettoria (e= 0); il mas- simo ha luogo per e= 90°, cioé pei punti del piano passante per la carica E e perpendicolare alla direzione del moto. Se s’ immagina un cono avente il — 66 vertice nella posizione attuale di £, e le cui generatrici facciano colla tra- iettoria angoli eguali al valore di e, che si trae da (1—@)3:=1—a?sen'e, si potrà dire: 1.° che per tutti i punti compresi entro quel cono la forza elettrica è minore della forza elettrostatica, e tanto più quanto più vicini alla traiettoria quei punti vengano presi; 2.° che pei punti giacenti sul cono la forza F, è eguale alla forza elettrostatica; 3.° che pei punti esterni la forza elettrica della carica mobile supera la forza elettrostatica, e tanto più, quanto più sì va vicini al piano passante per la carica e per- pendicolare alla traiettoria. Al crescere della velocità e si accentuano le differenze fra la forza elettrica della carica in moto e la forza elettrosta- tica: e se il rapporto fra c e la velocità della luce tende all’ unita; il cono tende a divenire un piano normale alla traiettoria, mentre la forza F, tende a zero ovunque, fuorché nel detto piano, ove ha per valore limite ’’ infi- nito. Si vede così, come un ione dotato di rapido movimento divenga capace di generare delle forze elettriche momentanee assai intense, atte a produrre effetti, ai quali lo stesso ione, supposto immobile o dotato di minor velocità, non potrebbe certo dare origine. È facile verificare, che il flusso di forza attraverso una sfera di raggio qualunque r, avente il centro nella carica mobile, ha lo stesso valore 47 E, come se la carica non si muovesse. Quel flusso è: J{E . rsene de dd, dicendo @ l’ angolo compreso fra il piano passante per l’ elemento di su- perficie sferica considerato e la traiettoria, ed un piano fisso passante pure per la traiettoria stessa. Introducendo per £, il suo valore, ed estendendo naturalmente l’integrazione rispetto ad e da 0 a 7, e quella rispetto a $@ da 0 a 27, si trova come risultato appunto 47 E. Passando a considerare la forza magnetica, si noti dapprima, che dalle (20) si ricava N=0 ed La +My=0, vale a dire che la forza magnetica é perpendicolare al piano passante pel punto, nel quale la si considera, e per la traiettoria della carica mobile. Essa anzi é precisamente diretta, come se in- vece d’ una carica in moto si avesse una corrente elettrica lungo la traiet- toria, diretta nel senso del moto o viceversa, secondo che la carica mo- bile é positiva o negativa. Chiamando £, la forza magnetica, si ricava dalle (20): Ea(1— a’)p s3 Mb — 2 ossia : _TANEIC'Sene 1— a° Ge) SARE RI SS Ro) — 167 — S i fosse il fatt dr uest hiei_==@— cs" STO S SS } È - I e non vi fosse il fattore Esa questa espressione corrispon derebbe a quella, che suggerisce la legge di Laplace, e coinciderebbe con quella, che fu data dal Sig. J. J. Thomson; ma per la presenza del detto fattore (che é il medesimo che moltiplica - nella (22)) la forza Î SON AFEcsene i magnetica differisce dalla “ava; precisamente come la forza elettrica F. differisce dalla forza elettrostatica; si che si potrebbe qui ripetere per Fm quanto fu detto per F., relativamente alla maniera nella quale, a pa- rità di distanza r, varia nello spazio il valore di quella forza (*). E qui é bene osservare, come non sia lecito, per la maniera nella quale le precedenti formole furono stabilite, discutere l’ipotesi a >1, cioé il caso in cui la carica E si muova con velocità maggiore di quelia della luce. Si rifletta però, che finora in nessun fenomeno si sono riscontrati dei moti cosi veloci di cariche elettriche, e che negli stessi raggi catodici non si hanno velocità tanto grandi, Perciò non mi sembra, sia troppo da deplo- rare, per ora almeno, l'impossibilità di esaminare il caso di a> 1. Polo magnetico in moto uniforme. — 1) vettore Il'= Elogll/ p1—d)+0°+0] colle (7) ed (8), oppure il vettore n= vpi d+a colle (5) e (6), serviranno a calcolare le forze prodotte da un polo magnetico d’intensità E, che cammina in linea retta con velocità costante c, essendo a= Ac, p la distanza fra il punto considerato e la traiettoria, @ la proiezione su questa della retta, che unisce il polo a quel punto, cui Il e Il' si riferiscono. Il' è parallelo alla traiettoria, mentre II é perpendicolare al piano passante per questa e pel punto, a cui il vettore si riferisce. Com’ è naturale, e salvo la nota inversione di segno, sì ricaveranno da questi vettori formole simili alle (20), e conclusioni analoghe a quelle esposte più sopra. Carica elettrica immobile. — Il caso d’ una carica immobile è troppo sem- plice e troppo noto, perché occorra rappresentarlo per mezzo di uno dei vet- tori II o Il'; ma se ne presento tuttavia la necessità, allorché si volle pas- sare dalle formule relative alle vibrazioni di un doppio-punto elettrico a quelle relative alle vibrazioni di una semplice carica elettrica. Ora, il vet- tore caratteristico del campo elettromagnetico generato da una carica im- mobile si potrà dedurre come caso particolare da quello relativo alla carica in moto, ponendo semplicemente eguale a zero la velocità c, e quindi ponen- do ancora a=0. In tal modo, e ponendo r=(e—af+(y— 8)+ (s— 7), (*) Si vedrà più oltre che, ad onta della presenza di quel fattore, se si applica la (23) al caso di una serie continua di cariche, che si seguono lungo tutta la traiettoria, si giunge alla formola di Biot e Savart, come avverrebbe naturalmente, se quel fattore non esistesse. Serie V. — Tomo IX. do (4°) —, 168 — p=(e—-4)l+(y—B)u+(c—y)v, si trova: II= Elog(r+ p). Sarà questo dunque il vettore caratteristico del campo di una carica E immobile nel punto (a 8 y), e le sue componenti saranno : II, = EAlog(r+p), Il,j= Eulog(r+p), IL= Evlog(r+p). Effettivamente con questi valori le (5) e (6) danno: Xe i figo bd DI gp IL L=>M=iN=306 r P P È da osservarsi però che la direzione del vettore Il è ora arbitraria, e perciò i tre coefficienti 4, u, » sono arbitrari essi pure, salvo che deb- bono soddisfare alla condizione 4°4+4u°+2°=1. Da questa rappresentazione generale del campo d’ una carica fissa, che è utile solo, come si è detto, in speciali circostanze (per es. nel Cap. seguente), si deduce l’altro modo di rappresentazione adoperato nel ca- pitolo V. Si supponga infatti, che la carica E sia nell’ origine, e che la direzione arbitraria attribuita al vettore Il sia quella dell’ asse delle @. Si avra in tal caso II, = Elog(r+), I,=IL=0. Masi potrebbe prendere come direzione del vettore II quella di un altro asse, Oy oppure Oz. Se quindi si prende II, =, Elog(r+ x), I,=k,log(r+g), IL=%, Elog(r + 2), colla condizione £ +4, +%,=1, sì avranno ancora, sempre colle (5) e (6), le forze prodotte da E immobile nell’origine. È possibile, infine, rappresentare il caso della carica immobile per mezzo del vettore magnetico : RN IZARRE ArVi— p°’ perpendicolare al piano passante pel punto, che si considera, e per una direzione arbitraria caratterizzata dai coseni Zu». In tal caso si adopre- ranno naturalmente le (7) e (8) per caleolare le componenti delle forze. Se si suppone la carica £ situata nell’ origine delle coordinate, e si sup- pone.4i=w=:0; si havin particolare: IL=— E Lf — 169 — VII. — Particella elettrizzata in moto vario qualunque, ma con velocità piccola. Le leggi della forza elettrica e della forza magnetica espresse dalle formule (22) e (23) spettano soltanto ad una carica elettrica, che si trovi in moto rettilineo ed uniforme; se il moto non è di tale specie, le due forze certamente mutano, ed in ogni modo non si sanno determinare, neppure nei casi relativamente meno lontani da quello del cap. precedente, cioé di moto uniforme ma non rettilineo, o di moto rettilineo ma non unforme. Ma se non è possibile trovare l’ espressione esatta di quelle forze nel caso generale, se ne conosce una approssimata, qualora si supponga che la velocità, che anima la particella elettrizzata, sia piccola in confronto della velocità della luce. In questo capitolo farò vedere, come si possa giungere a trovare quelle forze, traendo partito dai risultati ottenuti nel Cap. pre- cedente. Si è visto che, a rappresentare il campo elettromagnetico prodotto da una carica E immobile, può adoperarsi un vettore IH= Elog(r+p) di direzione arbitraria 44», dal quale, colle (5) e (6), possono dedursi le componenti delle forze. Se la carica E non è fissa, ma possiede invece all’ istante considerato una velocità c, il vettore incognito II, capace di rappresentare il campo elettromagnetico, dovra differire tanto meno da Elog(r+ p), quanto più piccola é la velocità c. Si troveranno dunque dei valori approssimati della forza elettrica e della forza magnetica, adope- rando le (5) e (6) col vettore HI1= E log(r + p), di componenti I,= II, II,=Hu, I.=II», purché le coordinate a 8 y della carica E si considerino ora come funzioni di #. Il detto vettore II si potrà prendere nella direzione * : ° i i da dB di 3 stessa di c, di guisa che si avrà deo cu» es Siccome poi r=(0—a)+(y—8Y+(2—y), p=(e—a+(y—B)u+(—yp)», si riconosce facilmente che per X YZ le (5) daranno gli stessi valori, come se la carica E non si muovesse, cioè : x_i È Kg z=E1. fi ’ Pe ’ Quanto alle componenti della forza magnetica si troverà: h) II IT Ea 05 = U53) IRA PERO ZITETH — 170 — e similmente: Ea Mi= IA —” —_ v(2 — a) 6 Ea N=. In questi periodi stà tutta la conferma di un fatto tanto evidente quanto può esserlo la caduta dei gravi, che cioé | azione dei cannoni é essen- sialmente modificatrice del processo di cristallizzazione dell’ acqua, laddove la temperatura non oltrepassa 0°. Vale a dire, quell’ azione, disturbando uno dei processi cristallogeni propri dell’ acqua (V. i prospetti da me pub- blicati), ne favorisce un altro, più facile, frequente e comune; guasta l’ac- centramento degli aghetti o prismetti, favorisce il classico intrecciamento loro a fiocchetti.... Avvi poi questo di bello e di buono; che la stessa azione, impedendo il suddetto accentramento, foglie affatto alle cariche elettriche dei singoli cristallini V incentivo di ridursi ad alto potenziale sui chicchi e — 281 — sugli sciami addensati ; toglie perciò la cagione delle forti tensioni e delle scariche folgoranti; tanto che si ripete: dove si sparano i nostri cannoni non si hanno quasi più i fulmini ! Il fenomeno nuovo della caduta del nevischio gelido, leggiero e fon- dente, durante la battaglia contro la imminente grandinata, e nelle ore calde dei mesi caldi estivi, connettendosi intimamente colla trasmissione di onde e di vibrazioni speciali dai W al nembo, diviene innegabile la diretta e necessaria sua dipendenza dagli spari dei W istessi. Avvi il rapporto evidente di causa ad effetto. Dunque gli spari, trasmutando il prodotto gelido del nembo dalla modalità di grandine a quella di nevischio; ossia effettuando assai regolarmente un fenomeno fin ora quasi ignoto nella fisica dei temporali estivi, st dimostrano evidentemente attivi sui temporali, e con effetti grandinifughi. Agiscono preservando il tipo normale e delicatissimo di cristallizzazione dell’acqua (tipo nevoide); e contrastando cosi, al tempo stesso, la produzione dell’altro tipo, più complesso, e perciò più raro ad effettuarsi, che dirò grandinoide, o sferoedrico (grandine). Risultato prevalente e confortante : impedita la grandine, cade invece il nevischio! Impedita la aggregazione sferoedrica di microcristalli elettrizzati sì evitano nella nube di temporale le cariche e le scariche ad alti potenziali. Infine, consistendo il cambiamento del fenomeno grandinigeno, mercé le vibrazioni trasmesse dai W. in un cambiamento di modalità di eristal- lizzazione dell’acqua, risulta provato, una volta di più, che la grandine deriva essenzialmente da un modo tipico di cristallizzazione ; e cadono per logica conseguenza le ipotesi che sostituiscono alla limpida idea della formazione cristallina dei gragnuoli altre supposizioni gratuite, con indicazioni spesso inesatte e sempre ingombranti. Ciò posto, ai credenti nella forza grandinifuga dell’anello mi permetto di rivolgere questa domanda: Dato il fatto della moderata ma sufficiente modificazione degli asset- tamenti dei microcristalli (impedimento alle convergenze centripete di sferoedria, ed ajuto per le semplici riunioni di fioechi nevoidi), dareste il merito di ciò alle forze scompiglianti e violente attribuite all’ anello, im- maginandole sgombratrici dello spazio da esse investito, ovvero all’inter- vento di moti vibratori e stati di polarità diversi dai preesistenti, che in quello spazio appertano onde contro onde, ossia neutralizzazioni e interfe- renze nei moti molecolari ? — 282 — Eccomi al momento più conveniente per compiere un gradito dovere. In ordine a queste idee sull’azione delle vibrazioni dallo sparo al nembo e come azione efficace, mediante |’ elasticità dell’ aria interposta, a distur- bare il processo generatore della grandine ricordo con molta compiacenza che il Prof. Cav. Arturo Marescalchi, nel N. 30 (23 Luglio 1899) del periodico Z/ Coltivatore di cui Egli é valentissimo redattore capo, svolgeva con chiarezza ed eleganza, e con modestia esemplare precisamente l’idea che le vibrazioni nascenti dal fenomeno - sparo dei W - avessero un predomi- nante significato nei risultati grandinifughi. Egli, nell’ articolo intitolato « Una possibile spiegazione degli effetti degli spari contro la grandine », rammen- tata la universalità del moto nella materia in un mirabile brillante rias- sunto dei massimi fenomeni fisici che ne danno le prove, applica agli spari il concetto della attività ed efficacia di quel moto in ragione delle rapidis- sime vibrazioni nella colonna d’ aria. Egli stabilisce lucidamente i due più importanti, fra i tre effetti inerenti allo sparo; cioé, il lanciamento in alto di un bdlocco d’ aria, già stagnante nell’imbuto e sopra; e la frasmissione delle vibrazioni delle particelle di aria agli strati sovraincombenti. Il vorti- cello, col relativo sibilo, resta come fenomeno accessorio. Per elevar l’idea, primamente formulata in modo preciso e chiaro dal Prof. Marescalchi, al livello di teoria scientifica completa non restava che presumere e verificare il genere di lavoro compiuto dalle vibrazioni, cosi chiamate in causa; desiderare inoltre qualche prova materiale, e pro- porzionata della sua misura. In altri termini, concepire una diversa moda- lità di struttura e di forma negli aggregamenti dell’ acqua cristallizzata, diversa dalla sferoedrica, ed aspettarne l’arrivo & portata di vista e di mano. La modalità che diciamo nevischio può dirsi oggi sufficiente a tal uopo ! L’idea di Marescalchi fu approvata da me e da altri, compreso il Prof. Marangoni; se non che, Marangoni, variandone, come se fosse suo, il concetto vero espresso dal Marescalchi, la ripresenta scrivendo : (a l idea che il sibilo produca la condensazione del vapore in goccio- linee. delsProfiiMarpescalehi (ei approvandola, aggiungerei che il sibilo deve far anche congelare le goccioline superiori che sono allo stato di soprafusione perché al di sotto di zero gradi ». Basta leggere la nota di Marescalchi per rilevare che Egli nemmeno per ombra vi riduce o vi limita il concetto scientifico delle vibrazioni attive, al fenomeno del sibilo del vorticello ; e non entra affatto nelle intricate con- getture delle superfusioni di goccioline. È il Prof Marangoni che per conto suo proprio, e dopo di aver già conferita al vorticello la potenza di distruggere i temporali crede di poter (1) IZ Coltivatore - N° 34 - 1399 - pag. 294. -- 283 — affermare che la causa immediata, é secondo Lui, il sibilo del vorti- cello! Invece, con criteri moderati, giusti, sebbene non esaurienti per la com- pleta storia del fenomeno, ma favorevoli al conseguimento di questa, il Prof. Quirino Sestini di Novara adotta le idee del Prof. Marescal- chi sui moti vibratorii negli effetti degli spari; applica la mia idea fonda- mentale per la formazione della grandine dei..... primi nuclei di cristalli formatisi negli strati superiori ed ingrossantisi attraversando gli strati sot- toposti ; e propone l’ipotesi dei moti suddetti per spiegare |’ influenza ecec., degli spari con i W. Da parte mia, rispondendo ad un articolo del Prof. Marangoni per correggerne alquante inesattezze, e fidandomi, li per li, della sua frase riportata e che avevo sott’ occhio c«..... l’idea che il sibilo produca la con- densazione ecc..... é del Prof. Marescalchi..... DANS CRISSIE (ono NM oppongo affatto all’ idea ingegnosa del Prof. Marescalchi, i quale con- cede al sibilo una attività disperditrice del lavoro grandinigeno ; basta ricor- dare che il suono è vibrazione di molecole; che la cristallizzazione lo è similmente, se&bene con coefficiente di ben altro ordine, per veder possibile a priori che questo secondo dei due citati fenomeni può essere compro- messo e disturbato, ovvero trasformato, dal primo. Però, a patto arcievi- dente di riconoscere la cristallizzazione come causa prima ed immediata della consecutiva struttura sferoedrica della grandine. Se Marangoni, avendo approvata l’idea del Marescalchi, vuol essere logico deve ac- cettare quel patto tal quale é qui formulato..... CCC Cito pur volentieri un altra opinione molto autorevole sull’ argomento delle onde e vibrazioni in rapporto agli effetti degli spari. È quella pub- blicato dall’ esimio Colonnello Cav. Tullo Masi, col titolo: « La tecnica degli spari contro la grandine » (Brescia, Aprile 1900). Qui non posso riassumere questo scritto cui danno somma importanza, oltre il nome del chiarissimo Autore, le molte citazioni di osservazioni pratiche e di espe- rienze, in un col carattere calmo, elevato, imparziale delle descrizione. Ne riporto bensi alcuni periodi strettamente attinenti alla tesi che propugno. Il Colonn. Masi serive (pag. 21): « Si é dovuto riconoscere che la formazione dell’ anello si può considerare come accidentale e dipendente dallo stato dell’atmosfera, come del resto era già stato osservato nei tiri da salve delle nostre artiglierie nell’ occasione di esercitazioni a polvere. Dopo ciò non è sembrato erroneo | ammettere che l’effetto di questo pro- letto esista, ma in minime proporzioni ; non può quindi avere alcun valore a grandi distanze. (1) IZ Coltivatore N. 38, 1899, pag. 368. Serie V. — Tomo IX. 36 « La misurazione a secondi della durata del sibilo, per calcolarne l’altezza nell’ ipotesi che questo si propaghi colla stessa velocità delle onde sonore, è arbitraria ed erronea. Altro non può dedursene che la durata del sibilo rispetto al suo esiguo percorso nello spazio. « Tra gli effetti che taluno ha voluto attribuire agli spari colle trombe stiriane, vi é appunto la corrente ascendente di aria calda: ma secondo noi é un errore. Non abbiamo una continua alimentazione di calore come negli alti camini e nelle carboniere; abbiamo una semplice trasmissione, devoluta al contatto momentaneo dei gas combusti; contatto che si elimina coll’ uscita del cosidetto projettile aereo dalla tromba. Mentre questo si allontana per forza viva iniziale il fumo rimane inerte attorno alla bocca del pezzo. Dunque il calorico assorbito nell’ interno della tromba si annienta con rapida successione, e nella massa di proiezione prevarrà tutt’ al più la quantità di calore sviluppata dalla sua forza viva che si trasforma. « In conclusione, questo effetto meccanico si traduce in aumento di calore del mezzo nel quale avviene; in una proiezione limitatissima dalla massa d’aria contenuta nella tromba, attraverso al primo strato dell’aria anti- stante, ma che però é vinta dalla resistenza degli strati successivi. Non può dunque assolutamente pervenire alle nubi se queste non sieno vici- nissìime. Resta quindi il solo fenomeno delle vibrazioni senza spostamento. « Tutti sanno che le onde sonore non producono alcun movimento di trasporto ; le molecole d’aria eseguiscono dei movimenti alternativi nel senso della propagazione del suono, ma però il centro di questi movimenti rimane invariabile. Nell’ aria, ciascuno strato comunica il proprio moto ad una massa superiore alla sua: ne deve dunque derivare, in strati di uguale densità, una diminuzione di ampiezza nella vibrazione e quindi una dimi- nuzione nell’ intensità del suono. « Non èé fuori di luogo il desumere che nelle nubi si debba avverare il fenomeno citato dai fisici, che cioé producendo un suono al disotto di una membrana tesa, sulla quale siano disposti dei granuli di sabbia fina, questa la si vede proiettata in tutti i sensi, e si sente l’ urto dei grani che rica- dono sulla membrana. « Altrettanto deve avvenire nello stato molecolare delle nubi grandinifere, producendo una disorientazione nella polarità degli aghetti tale da impe- dire il loro agglomeramento in chicchi di grandine e di causarne la caduta per effetto di gravità, dando luogo (invece della meteora grandine), al nevischio ». Aggiungo volentieri i due seguenti periodi tratti dall’ interessante opu- scolo del Sig. Avv. G. Bocchio, intitolato : « Gli spari contro la gran- dine ». - Studi ed esperimenti. Brescia 1900. DS Qt Gba: certamente, o quasi, .... gli effetti utili fin ora ottenuti dagli spari contro la grandine ..... sono dovuti alla oscillazione meccanica pro- vocata dallo sparo, e probabilmente vi hanno portato aiuto le onde sonore costituenti il rombo (pag. 19). (ERE È pochissimo credibile che il sibilo abbia influenza ad evitare la formazione della grandine .... ma poiché lo sparo produce sempre. il rombo, che è pure azione sonora, ed il sibilo può fare difetto in alcune condizioni, cosi parmi non sia da curarsi della formazione del sibilo ». Per mio conto, fino dal Marzo 1884, nella conferenza all’Ateneo di Venezia, dopo di aver indicata nella cristallizzazione dell’ acqua nell’atmo- sfera, la causa diretta della grandine, e rilevato che le scariche di arti- glieria . . . fanno bene spesso annuvolare il cielo e provocano forti acquaz- zoni; e dopo di aver consigliati gli spari, feci notare che « / urto dato all’ aria dalle ripetute scariche sì propaga a grandi distanze ; perciò se le scariche avvengono nel campo stesso dove si addensa un temporale debbono produrre effetti di proporzionata intensttà ». Nell’ opuscolo « Spari » Luglio 1899 (pag. 37) ho scritto che « col si- stema Stiger e altri consimili, si mira ad interrompere la formazione della grandine profittando delle onde di urto che dalla bocca del cannone dirigonsi alle nubi ecc. ». E nella Conferenza al Comizio Agrario di Siena (3 Sett. 1899) feci rilevare che uno dei sistemi per impedire la cristallizzazione sferoedrica ecc. (O consiste nelle detonazioni .... a livello del suolo .... invianti alla nube una successione di forti onde di aria urtata violentemente ... ecc. ». La potenza grandinifuga dei mortaretti senza tromba. Che il vorticello generato dagli spari dei W sia pressoché estraneo al lavoro grandinifugo, lo dimostra, sebbene indirettamente, il fatto di spari vittoriosi di temporali eseguiti con soli mortaretti; tutti quelli per es. atti- vati dal Cav. Stiger prima della aggiunta delle caminiere, consigliata dal Colonnello Mundy, adoperando semplici mortaj, senza il trombone conico di lamiera, massimo produttore del classico e acclamato vorticello. L’attivissimo e sagace collega Prof. Gellio Ghellini, pur non accet- tando la seducente ipotesi dell’egregio Colonnello Masi: — le onde sonore considerate quali potenze grandinifughe —, ci avverte che senza il trom- bone e. s., ad uso di un vero portavoce, bastarono i nudi mortaretti per debellare, nelle primissime lotte, parecchie grandinate. Dunque, sapendosi che il vorticello si produce nei W. all’orlo superiore — 286 — del detto trombone (molti fautori e molti studiosi dell’anello aereo lo as- seriscono), sì può concludere che la grandine può esser combattuta senza intervento di vorticelli ! D'altra parte si ammette come indubitata una qualsiasi azione per parte degli spari! Quale altro genere di energia, di moto, di lavoro, salirà dal mortaretto al nembo ? Ogni parte solida resta al suo posto ; il fumo si disperde subito dap- presso alla bocca di sparo; l’aria espulsa dalla piccola cavità cilindrica del mortaretto non é valutabile dinanzi ai miliardi di metri cubi costituenti l’ambiente del suo presunto lavoro; resta anzi insignificante, ancorché si ammetta col Ghellini il eostituirsi di un piccolissimo, minuscolo anello, che, se pure fu visto, doveva contenere più fumo che aria. È invece cer- tissimo che pei mortaretti nudi, primamente adoperati dallo Stiger, si andava di necessità compiendo quel fenomeno naturale, inerente, universal- mente noto che è la propagazione, tutt’ all’ intorno, di una rapida succes- sione di onde, recanti a più chilometri di distanza il rumore dello scop- pio, e l’urto dell’aria circostante e vibrante, percossa dallo sparo. Con qual diritto negare che a siffatta trasmissione di moto possano associarsene altre, più specialmente attive sugli adunamenti regolari del- l’acqua che cristallizza ? Con quale scopo sostituire ad un concetto sufficiente, in pieno accordo colla fisica del moto né mezzi elastici, altri concetti, mal definiti, pieni di incertezze, e contrastati da numerose osservazioni comparative ? Molteplicità delle specie d’onde, derivanti dagli spari. Credo conveniente il richiamo, data l’indole che vorrei popolare di questo scritto, della possibilità di coesistenza, in uno stesso mezzo ela- stico, di onde di specie diversa; cioé tali da differire fra loro per le ori- gini, i periodi, le lunghezze e gli effetti. Laddove si propagano onde di una data specie di energia si propagano ordinariamente altre onde di altre innumerevoli specie. Nella luce bianca coesistono le energie vibranti capaci di indurre diversi colori, diverse reazioni chimiche, diversi stati fisici molecolari; le une possono trasformarsi in altre; e le recenti scoperte di di nuove radiazioni, dei raggi X ecc., permettono il supporre l’esistenza altri modi, tuttodi ignoti di energia fisica. Analoghe considerazioni possono applicarsi alle forze molecolari agi- tanti la materia ponderabile. Mentre nell’aria si propagano ad es. le note di una tromba, vibranti in una sinfonia, vi sì propagano contemporaneamente le note (vibrazioni), prodotte da tutti gli altri strumenti del concerto ; e così di tutti quei suoni e rumori accidentali, di tutte quelle voci che solitamente nascono né luoghi dove si sta lavorando. Le risonanze basse, o gravi, del tuono, quali ci arrivano dalle nubi di- stanti di chilometri, agiscono non di raro meccanicamente, urtando o facendo tremare e vibrare le invetriate delle case, e talvolta le muraglie. Per quanto sieno numerose le onde — disse il Tyndall — viene assi- curato a tutte il diritto allo spazio ed al moto. Dunque, se per ispiegare l’effetto degli spari ci riferiamo ad onde tra- smesse, ci riferiamo ad una qualità di fenomeno di cui resta soltanto a precisare la specie. Nessuno vorrà sostenere che le onde utili per far vibrare le molecole gelide e cristallizzanti debbano essere precisamente quelle stesse che con suoni sibilanti o fischianti si palesano a noi, acusticamente. Possono essere di diversissima qualità e potenza. Possono essere accom- pagnate da altre, più o meno diverse, ma generate esse pure dalla detona- zione, dalla projezione del volume di aria, dalle vibrazioni delie lamiere metalliche, dagli squilibri termici etc., oltre che dagli attriti fra i gas fug- genti e l’aria avviluppante. Né può dirsi estranea a queste attività vibratorie la considerazione della geometria mella disposizione delle vibrazioni che coesistono, con direzioni normali fra loro, in uno spazio dato. I disegni tanto diversi e tanto singo- lari delle linee nodali; il kaleidofono di Wheatstone possono forse con- tribuire a dar luce sopra il contegno delle vibrazioni aeree grandinifughe. Perciò nessuno vorrà negare la grande probabilità che qualcuna di tali trasmissioni ondulatorie di movimento, che tutto agitano il sistema mole- colare dei corpi che vanno investendo, sia capace del lieve e facile lavoro di ostacolare la complessa costruzione dei gragnuoli sferoedrici, duri e com- patti, riconducendo semplicemente la aggregazione dei minimi e gelidi pri- smetti alla modalità necoide. In definitiva, credo dover negare che le onde grandinifughe siano pre- cisamente ed esclusivamente quelle denunziate dai suoni sibilanti e dal rumore del rombo; ma credo di potere ammettere che altre onde conge- nite, dirette dal W alla nube, possano assumere ed attuare, in presenza di un temporalè grandinigeno, la preziosa attitudine salvatrice. Nevischi prodotti senza i tromboni e senza i vorticelli. Tutti ci ricordiamo bene del disastroso scoppio del polverificio di Avi- gliana, avvenuto il 16 Gennaio 1900, e ricordiamo pure che, tra gli effetti più singolari di quella grande commozione dell’aria, ebbesi la caduta — 288 — nello spazio da essa investito, di una specie di nevischio assai copioso, il quale, dalle descrizioni riportate sui giornali, poté dirsi analogo, se non identico, a quello provocato nelle nubi dagli spari grandinifughi. Quale la causa produttrice di tale nevischio, in seno alla massa di vapori lanciata in aria dalla formidabile esplosione ? Forse un vorticello ? Nessuna delle condizioni strettamente necessarie per la produzione dei vorticelli sussisteva nell’ area e nella sostanza dello scoppio; anzi | in- dole violenta e in ogni senso sparpagliatrice, lacerante di questo, avrebbe distrutta qualunque remota probabilità di anelli aerei aventi moti ascen- sionali progressivi. Dunque la caduta del nevischio, dopo gli spari, non può dirsi un effetto di anelli o vorticelli gassosi ascendenti. È un fenomeno affatto indipendente da questi; perciò evidentemente dovuto ad altro modo di propagazione delle energie meccaniche dal basso all’alto, e capace di salire ad altezze superanti quelle di qualsiasi temporale; dunque é dello stesso ordine delle onde di elasticità nei fluidi. Oltre a ciò é bene ricordar questo: che i primi spari grandinifughi tentati dallo Stiger, ed i primi buoni risultati che li coronarono, furono ottenuti con i semplici mortaretti da sagra, senza fraccia di imbuto 0 trombone; vale a dire con disposizioni, certo efficacissime per generare onde concen- triche e consecutive di indefinita propagazione; non già i vorticelli, o anelli, di taria to di fumo (i): Basterebbe questa considerazione, di un fatto potentemente avvalorato dai tanti e tanti casi ne’quali le detonazioni di armi da fuoco e fumo hanno agito sulle alte regioni dell’ aria, e fatti cadere in terra violenti acquazzoni, per edificare i prudenti e calmi osservatori che vogliono cono- scere il vero, e per ammonire gli altri, essere ingiusto il dire : dasfa da se solo Vl anello a spiegare l’ efficacia degli spari contro le nubi grandinigene, qualunque sia l’ ipotesi che si voglia ammettere per vera (2); e che non é davvero permesso |’ affermare perentoriamente, e specialmente all’ estero, con opuscoli diffusi (3) che..... «..... dopo i lavori del Roberto non pochi dotti italiani, fisici e meteorologi, hanno abbandonato le loro ipotesi innanzi alla verità dei fatti ? » Ma quali fatti? Quali verità ? E nemmeno si può dire che le esperienze proseguite in Italia, quanto (1) Anche il Prof. Vicentini conferma quest’ ultima asserzione dicendo «..... la tromba, o im- buto forma parte essenziale... (del cannone Stiger); è l’aria limitata da questa tromba che va a co- stituire il projettile ». (2) Marchese C. Montezemolo. (3) Vermorel. Giornale Agricoltura. Anno I. 14 - 1000. — 289 — agli effetti dell’ anello sono assolutamente esaurienti ; che sono numerosi quelli che hanno constatato l’ azione dell’ anello a più di un migliaio di metri di altezza ; mentre sta in fatto che non si é peranco accertato se l'anello si dissolve, o, no oltre 400 m. e che..... gli stessi più competenti e prudenti sperimentatori (ad es. il Prof. Vicentini), si guardano bene dal considerare i risultati ottenuti come esaurienti. Del resto, dopo poche righe da queste affermazioni inesatte lo stesso scrit- tore formula una conclusione contradittoria, dicendo non essersi ancora calcolata 1’ altezza cui arriva il projettile nelle esperienze di Villafranca ; non sapersi nulla di preciso in qual modo esso agisce sulle nuvole; se per elettricità, per urto o per vibrazione; che nulla di preciso sappiamo sulla formazione della grandine, tranne che il cannone o non agisce punto o agisce assai poco per mezzo delle vibrazioni sonore. Ed Egli pure, aggiun- gendo : ..... se la cosa fosse altrimenti basterebbe un primo colpo di tuono per dissipare la grandine, cade nell’ errore volgare, nascente dalla incom- pleta idea del fenomeno fisico della cristallogenesi, che bastino i colpi rumorosi per disturbar!o; dimenticando che per far vibrare automatica- mente una corda musicale, non ci vogliono impeti di vento, violenze di scosse nello spazio o nello strumento; ci vuole e basta, nella elasticità aerea ambiente, la propagazione di onde sonore all’ unisono, ovvero in accordo colla nota di cui quella corda è capace. I buffetti o cupolotti di nuvole sul monte Conche e monte Re-Matrucco. Il titolo adottato per questo capitolo si riferisce ad un fenomeno vera- mente notevole, considerato dagli avvocati del vorticello come più che sufficiente per il definitivo trionfo del loro cliente. Dirò brevemente in che cosa consiste tale fenoineno, citato e descritto in molte pubblicazioni periodiche e sporadiche relative agli spari : Un osservatore, il Sig. maestro Girelli, trovandosi sul Monte Conche (Brescia), a circa 1400 metri di altezza, nel momento in cui si stendeva fluttuante soffto ai suoi occhi un vasto strato di nubi, costituente un tem- porale per il sottostante paese, vide ad un tratto sollevarsi e ricadere in vari punti della superficie superiore, e quasi livellata del nembo, alquanti sbuffi, a guisa di cupolotti informi di nebbia; come se al di sotto dello strato di nuvole, alcuni urti istantanei sospingessero qua e là porzioni limi- tate dello strato medesimo. Impressionato il Girelli da tale spettacolo ne riferi appena disceso in paese e ne ebbe subito la semplicissima spiegazione: Durante il tempo- rale, di cui Egli gia dominava collo sguardo il limite superiore, si erano — 290 — sparati contro di esso i cannoni grandinifughi delle sottostante stazioni di Gussago, ed agli spari corrispondevano i cupolotti o buffetti. A questo racconto, ascoltato con interesse al Congresso di Casale e dovuto all’egregio Prof. Giovanni Sandri, direttore della Scuola di Agricoltura a Brescia, se ne aggiunse poscia un altro, esso pure concernente un feno- meno di duffetti, sollevati dagli spari sullo strato di un nembo grandini- fero. Ne fu relatore il sig. A. ‘Sartori, segretario della-commissione tecnica del Consorzio di Conegliano (Vedi giornale - L’ Agricoltura - No- vembre.1900, N. 16); ed era stato osservato da un oste abitante sulla - costa del monte detto Re-Matrucco (Comune di Vittorio in Piemonte), ad oltre 400 metri sul livello del mare. Naturalmente un siffatto fenomeno parve esauriente agli ammiratori e tutori del vorticello; parve cioé diinostrata da esso, inappellabilmente, l’energica azione dell’anello aereo, e sopratutto la sua ascensione a 7200 metri almeno! Le masse di nuvole sollevate a cupolotti, non erano forse state urtate dall’anello? Non esisteva forse un’intima correlazione di causa ad effetto fra gli spari generanti gli anelli e il sorgere consecutivo dei buffetti ? Coloro che pensano così, hanno ragione o sì sbagliano ? Io credo che la delicata e pur vivace questione debba essere posta così: « Ciò che sollevò i buffetti o cupolotti del Monte Conche ecc., erano veramente gli anelli di aria rarefatta e internamente vuoti, funzionanti come effettivi proiettili? — Ossia, in tale fenomeno si trattava di una effettiva traslazione di materia gassosa proiettata dal trombone, ovvero era sem- plicemente una propagazione di onde, una trasmissione di vibrazioni attra- verso l’aria e attraverso il nembo ? Parrebbe che il buon senso dovesse preparare già le menti, non sug- gestionate, ad accettare la seconda interpretazione. Parrebbe che dovesse presentarsi addirittura come assurdo l’ammettere che i dileguati residui di un anelio di aria, qualificato per di più come vuoto internamente, e che rapidamente si espande, si rarefà, e per un alito devia, possano attraver- sare con acquisite e conservate velocità, prima un migliaio e più di metri cubi di aria, agitata dai venti, poscia il nembo addensato, semovente; e sol- levare per alquanti metri una colonna aerea carica di vapori, viepiù agitati dalle complesse attività del temporale. L’ammettere questo equivarrebbe ad ammettere che un solido qualun- que, penetrando in una nube, in una nebbia fitta, potesse spingere davanti a sé un volume di questa nebbia avente per base la sua superficie spin- gente e per lunghezza lo spessore dello spazio occupato; per es. che un transatlantico, addentrandosi a grande velocità nelle dense nebbie di Ter- ranova, potesse fare sporgere, fuori dell’ opposto limite delle caligini, una specie di fantasma del suo volume e della sua configurazione. — 291 — Per fortuna le esperienze dei vorticelli che, lanciati appositamente attra- verso cumuli di fumo gli oltrepassavano senza turbamenti sensibili delle condizioni di forma e di spazio, sono esaurienti circa questo proposito. Parrebbe, altresi, che la meccanica elementare, evocando la elegante, istruttivissima esperienza del Mariotte, nota ancora ai giocatori di bi- liardo (1), oppure ricordando la trasmissione dei segnali mercé l’elasticità dell’aria contenuta entro tubi, e così i contraccolpi degli spari nelle gallerie delle miniere dovesse risparmiarci ogni discussione relativa. Ed invero nessuno vorrà credere per esempio che l’ urto dato all’estremità di un lun- ghissimo tubo pieno di aria, per avere all’altra estremità un segnale cor- rispondente, implichi il viaggio di un volume limitato di aria attraverso tutta l’altra aria interposta. Tutti siamo convinti che la sola forza viva di urto, non già l’aria, si trasmette per quel tramite e reca il segnale. Ma possono citarsi ancora i risultati delle esperienze di spari sottomarini per mezzo di torpedini, di siluri, di ginnoti, eseguite nel Golfo di Spezia, nel Settembre e nel Novembre del 1888 e rappresentate dalle figure A e B della Tavola unica. Lo sparo avveniva naturalmente sul fondo del mare ad una profondità di circa 10 a 14 metri. I risultati sì rilevano distintamente dalle figure ora citate; ad ogni sparo profondo, producevasi un grande sbruffo di acqua, un alto cupolotto alla superficie dell’acqua; come gli sbruffi di nubi alla superficie dei temporali osservato dal maestro Girelli e di altri. Qui veramente si tratta di fluido acqueo, invece che di fluido aereo; ma ciò non compromette l'analogia fra i due generi di fenomeni; il loro rav- vicinamento resta razionale. Il culto del vorticello potrebbe sollevare anche questo dubbio: se la colonna di acqua, sollevata sul livello del mare dallo scoppio di una tor- pedine, sia costituita dall’acqua stessa che ricevette sul fondo, in pieno petto, la scarica violenta; ovvero, se risulti piuttosto dell’acqua spettante allo strato superficiale della plaga marina e ad un tratto investita da una energia di moto vibratorio costringente tutte le sue molecole ad un nuovo equilibrio. Se la prima spiegazione fosse la buona, dovrebbe prodursi tut- tall’ intorno del volume d’acqua ascendente, squarciante e irrompente una violenta agitazione, ed il sollevarsi in fluttuazioni concentriche dell’ acqua violentemente scartata. Se invece sussistesse la seconda maniera il mare potrebbe restar calmo all’ ingiro, e soltanto le molecole acquee superficiali, nella direzione di forza dello sparo, dovrebbero sollevarsi, non potendo tras- (1) Se in una fila diritta di palle d’avorio, eguali ed a contatto fra loro, una delle due estreme si fa percuotente, nella direzione dell’asse comune, avviene che l’altra, soltanto, all'estremità opposta si pone in moto, restando immobili tutte le intermedie. Serie V. — Tomo IX. i I = Oggi mettere all’aria sovraincombente che una frazione della forza viva già stata loro trasmessa. Pertanto, le descrizioni e le fotografie ci fanno conoscere che il mare restò calmo, nonostante lo scoppio e il sorgere del cupolotto ; però ebbesi la certezza d’ una propagazione laterale sub-acquea di movimento, a con- siderevole distanza. Nella pregevolissima Memoria del Rev. Padre Timoteo Bertelli, inserita negli annali dell’ ufficio centrale meteorologico, e geodinamico ita- liano (Vol. X. p. IV. 1888 pag. 15), l’ eminente A. a proposito delle citate esplosioni sottomarine di Ginnoti, di Torpedini ecc. scrive : Li (nr in alcuni casi, però,... sembrerebbe che una parte più profonda dei prodotti gassosi... rimbalzino dipoi dal fondo con un po’ più di ritardo ; cosicché, mentre l’ acqua del getto ricade, apparisce come recinta da una specie di cratere gassoso simulante quasi una seconda esplosione circo- lare più debole, susseguita alla prima centrale. Quest’ ultimo fenomeno, a mio parere, serve a mostrare anche visibil- mente come l’unico urto iniziale primitivo dello scoppio possa dipoi, per via di una successione di reazioni elastiche fra la massa aeriforme, l’ acqua circostante ed il fondo marino, dar luogo ad una serie più 0 meno prolun- gata di vibrazioni impulsive consequenti ». Rileva pure il Padre Bertelli che sott’ acqua, e molto più nel fondo, la vibrazione é così energica che dentco un raggio non minore di 75 m. tutti i pesci ne restano uccisi; e che I’ urto propagato dalle esplosioni di ginnoti sul fondo marino é ancora abbastanza energico, fino alla distanza di due chilometri, per produrre sensazioni penose di percosse violente nei palombari ivi tuffati. Se non che una semplicissima e facile esperienza può bastare da sola ad eliminare questo dubbio. Abbiasi un alto recipiente di vetro cilindrico o di altra forma, aperto alle due estremità, la inferiore delle quali sta saldata ad una scatola di latta a fondo piano, ed a tenuta di liquido. Il modello da me prescelto èé disegnato nelle fig. C, D, E, tav. sudd.* Si riempia esattamente la scatola con un liquido colorato; si riempia il recipiente di vetro con un altro liquido incoloro e più leggero che non possa mescolarsi col primo. Collocato |’ ap- parecchio in guisa da poter percuotere con colpetti il fondo piano di latta, lo si percuota con colpetti misurati, ad intervalli liberi. Si vedrà subito prodursi sulla superficie del liquido colorato (quello sottostante) una suc- cessione di onde concentriche, rivelatrici della trasmissione di ciascun colpetto, dal basso all’alto, e della parziale riflessione convergente di quelle — 293 — che urtarono le pareti laterali; e dopo un brevissimo intervallo di tempo, si vedrà sorgere dalla superficie superiore di livello un cono, o buffetto, o uno schizzo di liquido incoloro, perfettamente simile nell’ aspetto a quelli delle esplosioni sottomarine (fig. citate sopra). Evidentemente, ciò che si é sollevato ed é giunto alla superficie altro non era che l’urto; le masse liquide non si sono spostate. Se uno spostamento fosse avvenuto se un anello o vorticello sì fosse prodotto, anche minuscolo, per saltar sopra alla superficie di livello, ce ne saremmo accorti facilmente mercé il colore del liquido attraversante. E ciò è tanto vero, che se la scatola piena del liquido colorato e più denso, resta limitata superiormente da un diaframma con un foro centrale di conveniente diametro, (circa 2 centimetri) e se il liquido c.s. vi affiora esattamente, si può benissimo con colpetti più vigorosi far sorgere un disco di questo liquido stesso il quale talvolta si scinde perifericamente in glo- buli (simboleggianti col loro insieme l’anello); si rallenta, si ferma, discende e cade dopo di aver appena superata una parte della colonna diafana sovraineombente. (fig. D); ma fin dal momento dell’ urto, alla superficie di livello, gli sbruffii o cupolotti si sollevano distintamente e non di raro con schizzi terminali di goccioline. Che cosa si obbietterà a questa cosi semplice esperienza? (1). In attesa di una risposta, mi sento autorizzato a concludere che mentre nel fenomeno dei buffetti del monte Conche e monte Re-Matrucco non entra affatto il vorticello, né il blocco d’aria espulso dall’imbuto, la spiegazione del fenomeno stesso rientra nello splendido modernissimo indirizzo del pensiero e del metodo sperimentale circa la trasmissione e la trasforma- (1) Io che ammiro la franca lealtà di Mons. Scotton mi permetto di rivolgerli questa interro- gazione : crede Egli, che quell’ urto terribile che sconquassò il Bersaglio di Breganze, per lo sparo verticale di un cannone gigante Laverda, tanto da dover sospendere ogni esperimento, in presenza dell’ eminente meteorologo francese M. Houdaille, (Agric. Anno I. N.° 10, pag. 161), sia stato pro- dotto dal vorticello aereo, ovvero dal volume di aria slanciato dalla detonazione, od almeno - in parte maggiore - dall’ aria? Che il volume d’aria già contenuto nel cannone sia stato espulso dai gas sviluppati dalla esplo- sione non può mettersi in dubbio. Dove sarebbesi rifugiato, se non avesse potuto dirigersi nella linea di forza dello sparo ? È forse credibile che l’aria, ossia l’ambiente fisico, elastico, meraviglio- samente adatto alla trasmissione di tutte le più diverse onde possibili nei gas, sia rimasta inerte, incapace di obbedire alla propria elasticità dinanzi ad un urto che appunto buttava in aria un mec- canismo costruito per misure di resistenza ? Ed anche all’ Egregio amico Prof. Roberto mi permetto questa dimanda.: Crede Egli che nell’avvenimento del terremoto formidabile di Simoda (Giappone, 23 Dicembre 1854), i marosi che sulle opposte costiere di California erano prodotti dalla violenza del fenomeno, come i piccoli buffetti degli spari sottomarini, dipendessero direttamente dalla massa d’acqua, investita dalla scossa, e attraversante tutta la regione settentrionale dell’ Oceano pacifico, ovvero da una trasmissione di moti vibratori, di cui la marea e le onde ritmiche littorali dànno così superbi esempii ? zione delle energie di moto; e nella serie delle più evidenti dimostrazioni dell’indole essenzialmente ondulatoria e vibrante delle energie naturali, dei loro effetti nella materia ponderabile, dai fenomeni del rumore e del suono, a quelli dell’induzione e del telegrafo senza fili. I vorticelli di origine vulcanica. Verso la ‘fine della mia Conferenza al Congresso di Padova, toccai, quasi per incidenza, della possibilità, supposta da alcuni, di far arrivare il vorticello fino allo spazio occupato da un temporale, aumentando, sia pure oltre misura, la dimensione e quindi Ja portata dei W. Di tale idea converrebbe tener molto conto se l’ efficacia dei vorticelli consistesse in uno scompigliamento violento della nube grandinigena, e se le minuscole materialità dissolventi del vorticello non fossero enormemente sproporzionate per tenuità all’immensa estensione, orizzontale e verticale, deila nube suddetta. Occorrerebbe, ad ogni modo, una spesa d'impianto e di esercizio assai elevata e bene spesso insostenibile dagli agricoltori. Ma intervengono e s’impongono le solite altre questioni: Potrà arrivare effet- tivamente colassù ii vorticello? Vi giungerà abbastanza valido per com- piere fra le nebbie e gli sciami di microcristalli un qualsiasi lavoro anti- grandinigeno ? Basterà per giustificare le spese crescenti, che i vorticelli sfondino qua e là il nembo e sollevino dei buffetti, dato che per aberra- zione di concetto scientifico si seguiti a credere ingenuamente che i buf- fetti sieno direttamente dovuti al l’arrivo ed all’ingresso del vorticello nel nembo ? A parte tali questioni sussistono dei fatti recentemente osservati nelle fasi di alcune eruzioni vulcaniche, i quali possono esser citati opportuna- mente su tale proposito. Ripeto ciò che dissi al congresso di Padova, aggiungendo altre notizie : Nel resoconto della escursione fatta alle isole Eolie, a Stromboli, dai geologi congressisti nell’Aprile decorso (Bollett. LXI Soc. geolog. ital. 1900) si legge «... alle 5,30 si lasciò Stromboli. Appena allontanati dall’isola la nube che aveva troppo gelosamente occultata la cima del bellissimo vulcano si dile- guò. Quasi ad ultima beffa, il cratere emise uno splendido anello di fumo il quale mollemente s’ innalzò allargandosi e mantenendosi librato nell’aria per circa un quarto d’ora ». Dunque il prodotto di una delle più colossali cause terrestri dei vorti- celli é bensi, alla sua volta, colossale e mirabile ; ma si dilegua poco dopo la sua espulsione dopo di essersi librato a mite altezza nell’ aria. Una splendida relazione « sul periodo di forte attività esplosiva, offerto nei mesi di Aprile-Maggio 1990 dal Vesuvio » é stata pubblicata, fino dal — ge Dicembre 1900, dal distintissimo vulcanologo Dott. R. V. Matteucci (1). Vi si ammirano sei stupende tavole in eliotipia, dimostranti non solo il modo e il grado di violenti esplosioni crateriche succedentisi durante il parossismo eruttivo del vulcano, ma ben anche la intrepidezza straordi- naria, ammirabile dello scienziato che, dinanzi a così affascinanti spetta- coli, dimentica il grandissimo pericolo di vita che lo investe. Nella sud- deita relazione si legge a pag. 25: « non era raro il caso che appena avvenuta una grande esplosione di materiali lavici, per lo stesso meato ancora aperto, seguisse un’altra esplosioncella di puri vapori, o tutt'al più accompagnata da poche sabbie. Gli aeriformi di queste piccole esplosioni susseguenti, sprigionandosi direttamente dal magma liquido e non incon- trando quasi alcun intoppo nel materiale incoerente, già sollevato e coin- volto nella grande esplosione, assumevano la forma di perfetti dischi annu- lari, dotati del caratteristico moto rotatorio, identici a quelli che produ- ciamo artificialmente facendo gorgogliare l’ idrogeno fosforato nell’ acqua ed a quelli che si vedono formare spessissimo nello sprigionarsi dei gas dal fango delle maccalube. Quegli anelli erano giganteschi ed elegantissimi a vedersi; ma raramente resistecano due o tre secondi; ecc.....). Reputo superfluo il commentare queste interessanti notizie, dalle quali si deduce nuova conferma che i vorticelli si costituiscono appena i gas rispettivi vengono in contatto dell’aria, quindi agli orli dei tubi o dei tramiti donde si distaccano. Una sigaretta accesa e spostata dall'alto al basso può essere istruttiva quanto un vulcano in eruzione. Per tutto ciò che precede credo di essere autorizzato a formulare le seguenti CONCESSIONE Nessuna prova poté finora ottenersi dell’ arrivo dell’ anello gassoso nello spazio di un temporale. Scartate che sieno le impressioni personali, soggettive, derivanti dalla vista e dall’ udito a distanza, tutti i criteri che la scienza severa adotta per giudicare in proposito conducono a limitare grandemente la percor- renza dell’ anello (vorticello) a partire dal suo luogo di origine, ed a con- siderarne la dipendenza dalla massa aerea che sfugge dal trombone e che confrica violentemente |’ aria esterna, pur subendone la resistenza nella direzione di sparo. (1) Estr. Bollett. Soc. Sism. ital. Vol. VI. (Modena Soc. tipogr... — 296 — In parecchie esperienze sulla velocità e la percorrenza del vorticello è stata evidentemente confusa l’ azione di questo con quella del projettile aereo assile. - Si é attribuita, inconsapevolmente (vorrei dire altresi inevi- tabilmente), al vorticello (fenomeno secondario, periferico, dissolvente), la capacità meccanica che spetta invece al moto della massa di aria (feno- meno principale, come il lancio della palla nelle artiglierie da guerra) dal qual moto derivano le onde a propagazione concentrica. Ciò spiega benissimo le forti divergenze fra i risultati delle misure Pernter e Trabert e. quelli. delle, misure GhellinitWS uscii Kessler, Roberto, Scotton, Vermorel ecc.; a parte gli errori tal- volta grossolani in cui sono incorsi, in Italia, alcuni troppo zelanti. Fra le forze vive concepibili razionalmente nei vorticelli, tenuto conto dello spazio limitatissimo di loro formazione (l’ orlo sottile della lamiera dell’imbuto), e le forze vive che insorgono abitualmente in un nembo temporalesco {eoliche, idriche, elettriche, meccaniche, cristallogeniche ecc.), sussiste una spoporzione enorme, che non può essere compensata dal nu- mero dei vorticelli, qualunque sia il residuo di materia e di forza che si supponesse sussistente e perdurante in arrivo. L'arrivo del vorticello alle nubi di temporale ; la conservazione in esso di una grande energia di lavoro; la qualità del lavoro supposto, efficace contro la grandine ecc. sono altrettante ipotesi gratuite, destituite di qual- siasi fondamento positivo, di qualsiasi risultato sicuro e ben diretto, di 0s- servazioni e di esperienze. Siffatte ipotesi altro non producono che confusione di concetti, offusca- menti di giudizi, ritardi deplorabili nella evoluzione della scienza. Invece, la trasmissione di onde alternativamente condensate e rarefatte, con determinate lunghezze e determinati periodi; e così di vibrazioni con date quantità nell’unità di tempo, nei mezzi elastici urtati ecc., é un fatto fondamentale per ia fisica dell’ Universo, pei fenomeni tutti derivanti dalle energie di moto fin ora conosciute e classificate dalla scienza. La produzione dei duffetti sul temporale del Monte Conche e di altri, ai quali si dimostrarono affatto estranei i vorticelli, conferma la teoria della propagazione di onde (condensate e rarefatte), nell’ aria urtata presso la bocca del cannone, fino all’area pericolosa ed a distanza indefinita. Mentre suil’ esistenza e sulla portata a distanza indefinita delle vibra- zioni, per gli urti generati dagli spari, non può cader dubbio; mentre é fin — LL), ora libera da obbiezioni l’idea di vibrazioni polisintetiche, comprendenti talune attive sul delicato lavoro cristallogenico; mentre gli argomenti che parvero propizi all’apoteosi del vorticello (energia meccanica, altezze rag- giunte, influenze termiche, sollevamento di duffetti nebulosi ecc.), sono stati affievoliti o distrutti, sussistono tuttodi e crescono parecchie contraddizioni a carico di quell’ anello innocente, che par destinato a far la figura oggimai non rara di quei musicisti, letterati, poeti, fanciulli prodigiosi ece., pei quali si suscitarono improvvisi entusiasmi e fanatismi e dei quali, dopo hreve scorrer di tempo le moltitudini non più suggestionate obliarono i nomi. Delle suddette contraddizioni darò pochi ma discreti esempì: Circa la costituzione fisica del vorticello, VERMOREL scrive : « .... in se- guito a ciò ci siamo sforzati di sviluppare il più possibile moto girante dell’ anello d’ aria; moto girante che gli permette di conservar la sua forma annullare elraggiungere una grande altezza ..... >. (I Agrie. Anno I. Ni 12. Sett. 1900); e MARANGONI « .... il moto rotatorio, a girandola, manca affatto. Le esperienze Bazzi dimostrano ciò nel modo più chiaro. Se alle volte sembra di osservarlo é una illusione ottica; è un effetto stroboscopico (e. s. Anno I. NEMO): M.se MonTEZEMOLO « mai si produce l’anello (projettile Roberto), negli spari delle armi da fuoco, da guerra. (Bollett. Com. Agr. Mondovi. Feb- braio-Marzo 1900) » ; Colonn. Masi « ... Fenomeno (c. s.), osservato nei tiri per salve. di artiglieria .... come nei cannoni veri, cosi nei grandinifughi la massa di gas prende la forma annulare, percettibile all’ occhio ecc. ». Circa le altezze raggiungibili dall’ anello : ROBERTO, MARANGONI e seguaci le ammettono superiori ai 2000 m. PERNTER, TRABERT, le misurarono inferiori ai 400 m. (donde la secchia gelata sui primi, citata nel giornale Agricoltura, N. 16, Nov. 1900). Circa le altezze normali dei nembi temporaieschi : MARANGONI le proclama oscillanti fra 400 e 500 metri. BoussINGaAULT attraversò, sulle Ande un nembo grandinigeno a 6000 metri. Sulle Alpi se ne osservarono, grandinanti, da 3000 ... 4000 m.; pei tempo- rali dell’Alta Italia, le osservazioni del Prof. P. FRISIANI, in seguito ad espe- rienze, iniziate dall’ Osservatorio astronomico di Milano, e poi da tutti gli Osservatorii della rete meteorologica italiana, condussero a stabilire un’al- tezza media dei minimi di 1148 metri, ed una media dei massimi di 3177 metri (Baratta Prof. Mario - fo. maritt. - Agosto 1899. Il Prof. PLUMANDON, (meteorologo del Puy-de Dome), dice molto alte le nubi grandinigene. — 298 — Se verrà confermata, quale effetto normale degli spari con i W la tra- smutazione in nevischio flaccido o molle della grandine in via di forma- zione, resterà dimostrata all’evidenza l’attività sui moti molecolari, fisico- cristalligena delle onde di elasticità; ed implicitamente sconfitta la ipotesi dei vorticelli dissolventi, supposti perforatori di masse vaporose che non possono raggiungere. Gli effetti che chiediamo ai W non sono già lo sbaragliamento dei temporali, lo spazzamento zenitale del cielo dalle nubi che si addensano; né la neutralizzazione degli stati elettrici costituiti in qualche diecina di Km., mercé l’arrivo, nello spazio vaporoso del temporale, di alquanti cerchietti di aria, ruotanti o no, colla illusione che rompano o modifichino l’ambiente che trovano. Non si chiedono le cose assurde, quali ad es. ii pretendere di arre- stare un fiume in piena con palettate di segatura, un treno diretto con pugni di sabbia, l’ incendio di un fienile con biechieri d’ acqua. A noi basta che lassù, dove si formano prismetti di ghiaccio capaci di comporre lievi ciuffi di neve, ovvero chicchi duri e pesanti di grandine, la maggior parte del lavoro si diriga a produrre i ciuffi 0 bioccoli nivet, anziché i chicchi grandinosi. In definitiva, mentre i Vorticelliani mirano a sgombrare /a piazza con impeti violenti repulsivi, ma non purificandola dagli elementi pericolosi o ribelli, noi miriamo a trasformare questi elementi in fattori equilibrati di utile lavoro per mezzo di sufficienti modificazioni delle loro qualità e delle loro attitudini. L'azione degli spari, dovendo mirare ad ottenere con i mezzi più po- tenti e più economici la trasmutazione della sferoedria nel nevischio, così la costruzione dei cannoni W dovrà procurarsi tale da produrre il projet- tile aereo il più potente possibile per dar luogo alle onde trasmutatrici. Si tratta di accarezzare sciami di microcristalli per indurli ad aggre- garsi in fiocchetti lievi di nevischio, non già di praticar dei buchi nelle nebbie addensate dell’ atmosfera. Ammessa che sia la sostituzione dell’ idea della propagazione di onde, in parte antigrandinigene, all’idea della projezione dell’anello, non solo sarà facilissimo il comprendere la relativa vastità di azione degli spari, la quale sarebbe inconcepibile in ordine alle perforazioni rapide del nembo nebu- loso per opera di minimi anelli, dato che lor fosse possibile di arrivarvi; ma risulterà evidente, altresi, il vantaggio di collocare, in ogni caso, senza — 299 — eccezione, i cannoni di sparo sulle alture maggiori di colline e di monti, nella direzione solita dei temporali locali. Finalmente : Se alla teoria dell’origine della grandine (cristallizzazione sferoedrica dell’ acqua), si contrapposero altre ipotesi, più o meno improvvisate, bran- colanti, occasionali, più o meno suggerite, non già da sicure conclusioni di studii, di esperienze e sopratutto di confronti e di correlazioni, bensi dalla propizia facilità di mettersi in vista, ciò devesi in gran parte alla generale incompetenza, ed alla frequente ignoranza di quella parte della fisica che considera la materia nella fase di lavoro molecolare per la stu- penda serie di fenomeni dei cambiamenti di stato derivante dalla cristalliz- zazione, e che ci dà la solidità fisica, propriamente detta. Di questi fenomeni si suol dare appena un breve cenno, attenendosi alle generalità, nei trattati e nei libriccini di fisica, dove, quasi sempre si confonde lo stato solido collo stato più o men duro dei corpi, dove si qualificano indifferentemente come solidi il vetro, il legno, l’avorio, i cri- stalli di allume, di calcite e di quarzo. La discussione del lavoro molecolare conducente a queila vera e reale solidità, che per ciascuna sostanza ha le sue costanti termiche, i suoi coeffi- cienti volumetrici, le sue trasformazioni di attitudini ottiche, elettriche, mecca- niche, si lasciò fin ora ai pochi mineralogisti, ai pochissimi cristallografi di questo mondo, i quali raramente preferirono quest’ordine di ricerche a quelle più seducenti sulle specie minerali già costituite e sui loro cristalli. Ovvero si lasciò per la discussione e classificazione delle forme poliedriche, dei cristalli ai matematici, geometri, misuratori e calcolatori d’ incidenze, i quali tendendo ad astrarsi dalle materialità delle sostanze per conside- rare solo le forme, e preferendo di ravvisar nei poliedri dei piani riferi- bili a sistemi di rette coordinate anzi che degli spazi occupati da parti- celle solide, vibranti nei loro assettamenti reticolari trasformano bene spesso lo studio semplice e fecondo dei cristalli in un indirizzo senza dubbio elevato di geometria trascendentale di cui il però linguaggio, le for- mule, le deduzioni restano al di fuori della generale coltura scientifica. Nessuna meraviglia, dunque, se dinanzi al fenomeno grandinigeno, magnificamente dimostrativo di uno dei molti processi di cristallizzazione dell’acqua; dinanzi ad una prova pur troppo esuberante che l’ acqua; purché da zero in giù, é la sostanza meglio cristallizzante e più vasta- mente cristallizzata, con tipi i più variati e stupendi di forme cristalline, dalle più semplici, primordiali, alle più complesse, sintetiche, siasi schie- Serie V. — Tomo IX. 38 — 300 — rato un manipolo di teorizzatori e di interpreti di quel fenomeno istesso, dimenticando la cristallizzazione, perfino negandone l’ intervento (colmo dei colmi), trascurando i confronti con tutto ciò che di grandiniforme ci presenta il mondo de’ minerali e de’ cristalli ; in conclusione, comportan- dosi come chi volendo spiegare la caduta delle mele mature, si scordasse della gravità, per ispiegare |’ energia di una corrente si dimenticasse della forza elettro-motrice, per rendersi conto delle sensazioni sonore si ricu- sasse di pensare alle vibrazioni rapide dei corpi elastici ed alle ioro trasmissioni a distanza. Indice dei nomi citati nelle pagine precedenti Pagine ARTOM Ing. Cav. ALESSANDRO. . . . . 264 (Ball - Beltrami - Boutigny) . . .268, 270 BARATTA PROSS MARIONE SI N. RAS 20/7 BERTELLI Prof PP:SSLIMOREOMENE 292: BoccHIo Dott. Avv. GIUSEPPE... . . 284 (BOUSVAGOUM EM RO OT CARI E I ce e n RIZZ(() DAISCHIOICONtERAIVISEE fe 230 DURANDSGREVICLER, N ZIO FRISTANIMPrOfAP. de e EI (207 GHELLINI Prof. GELLIO . . 270, 278, 286, 296 CIRELIMACSERO RE SO (Helmholtz) 270 HOUDAILLE Prof. T., Montpellier . .270, 293 KERENSCHNER Prof. di Darmstadt . 267 e seg. FEssLER PLORMIGIONANNI gno dI 1500) 27711206 MARANGONI Prof. C.: 276, 278, 279, 282, 283, 297 MARESCALCHI Prof. ARTURO . . . .282, 283 Mas_tColonnelloWLULLO Mie 2830297 MATTEUCCIIDO Lt RR AVA MER RA t205 MONTEZEMOLO M.se UMBERTO . . 264, Munpy Colonnello . PACHER Dott.. RIS PIA IAA PERNTER Dott. J. M., Vienna: 270, 279, PLUMANDON DE Li i Porro Prof. Cav. FRANCESCO . ) (Quincke - Reusch - Riecke - Rogers) RoBERTO Prof. Cav, G.: 263, 270, 276, SANDRI Prof. GIOVANNI . SARTORI ANTONIO rt Aa Scorton Mons. Don GoTT.: 270, 278 SESTINI Prof. QUIRINO 1 STR STIGER Cav. ALBERTO, Stiria . . 262, SuscHNIG Gustavo, Graz. . . 270, (Tait - Thomson). Bre TRABERT Dott. W., Vienna . . 270, (Tyndall) . LARA VERMORELMCaV. VICTOR CORI 0] VICENTINI Prof. G.: 270, 271, 274, 276, (Wheatstone). 293; 226 Pagine 288, 297 235 «210, 274 RIGHIZIT 297: MIO 210) 275 293; 1296 e 1290 290 ; 299 270, 285 278, 206 20 296, 297 287 296, 297 288, 289 287 — 301 — CONPFROREREICA per l'ipotesi dell'Ing. A. Artom, dei moti rotatorii nella formazione della grandine. (V. period. - L’Elettricità - Anno XIX, N.° 8, e XX, N. 3, 8). Riassumo le obbiezioni che addussi nella nota del 19 gennaio decorso contro l’ipotesi dell'Ing. A. Artom indicata nel precedente titolo : a) Mentre possono ammettersi ragionevolmente i moti rotatori e le vibrazioni de- strogire o levogire degli elementi materiali, nella genesi delle molecole e delle particelle fisiche cristalligene, risulta affatto superfiua l’ipotesi di altri moti rotatori di masse, per ispiegare le conformazioni globose di aggregati cristallini, di grado più elevato, presen- tate dall’ acqua congelata. b) Le forme globose, ellissoidali (di rivoluzione), sopra citate, sono presentate da un grande numero di sostanze minerali, nella cui origine, tenuto conto delle giaciture, sa- rebbe assurdo il supporre rotazioni prolungate, o i moti rotatori del Quincke. e) I chicchi di grandine sono bene spesso irti di vortici, di piramidi esagonali, o di prismi. Alla loro struttura a strati concentrici si associa quella fibrosa-raggiata. Nei casi più mirabili di tale modalità l’aggruppamento dei cristalli periferici esclude assolutamente il tipo dei solidi di rivoluzione. Ne danno esempio i gragnuoli della Bra- conniére pr. Mayenne (4 Luglio 1819), di Tiflis in Georgia (27 Maggio e 9 Giugno 1869), di Grottaferrata (26 Agosto 1876) ecc. d) Possono dirsi addirittura esaurienti, per tale riguardo, i gragnuoli caduti il 19 Agosto 1887 a Zélénovka (Russia S. O.), illustrati dal Klossowski. Erano grandi, concavo-convessi, rivestiti di larghi petali a corolle multiple, alcune bianche-traslucide, altre trasparenti. Somigliano singolarmente ai grandi fiorz 4 reve delle nevicate del 1879 e del 1890, dei quali fiori diedi, allora e dipoi, descrizioni, disegni e fotografie, e dai quali furono ricoperte vaste plaghe dell’alta Italia, della Provenza, ecc. Queste strutture a grossi cristalli, divergenti dai centri dei chicchi, sono probabil- mente frequenti; ma la rapida fusione dei chicchi medesimi durante la loro caduta, l’eva- porazione, gli urti, le distruggono nel maggior numero dei casi, e) La simmetria esagonale, multipla, multiforme delle stelline di neve, esclude as- solutamente l’intervento di rotazioni intorno ad uno o più assi, dalle quali e dalla forza centrifuga verrebbe compromesso quel classico assettamento. f) Le condizioni ideate dall’ Artom per i dielettrici roteanti, in presenza di stati elettrici ad alti potenziali di diverso segno, dovrebbero potersi concepire attive per ciascun singolo gragnuolo. Dovrebbero incominciare il loro lavoro producendo la rotazione intorno ad un punto o ad un asse di ciascun microcristallo (aghettino tenuissimo) di ghiaccio. g) Le rotazioni del Quincke furono sperimentate sopra masse già costituite e solide, come sfere, poliedri, cristalli; ed avvenivano indipendentemente dalle qua- lità di sostanza e di struttura delle masse adoperate. h) L'ipotesi dell’Ing. Artom esige il concorso di un’altra ipotesi: quella delle goccioline più fredde di 0°, în parte solidificate e in parte liquide per superfusione... Ora ciò produce un elemento di deficienza, restando tuttodì molto discutibile un siffatto stato di superfusione dell’acqua in un ambiente agitato, carico di microcristalli, fondenti e rinascenti a basse temperature, con polarità elettriche, con rapide variazioni di pressione barometrica e di evaporabilità. — 302 — A queste e ad altre subordinate obbiezioni, il sig. Ing. Artom ha replicato con un articolo nel N° 8 (Anno XX), del periodico « L’ Elettricità » pag. 115. Ringrazio l’egregio A. delle cortesi espressioni, e sempre animato dall’esclusivo desiderio di verità e di luce intellettuale nelle beneagurate questioni scientifiche, aggiungo le considerazioni seguenti, per il semplice scopo di correggere una interpretazione data dall’Ing. Artom al mio concetto fondamentale sull’origine dei gragnuoli. — Egli scrive: « ...Il Bombicci non esclude la possibilità che moti rotatori abbiano a verificarsi « nel moto dei chicchi; ma mentre io li ritengo causa essenziale della formazione « tipica in sferoedrie o solidi di rivoluzione Egli propende per attribuire tale costitu- « zione a fenomeni di cristallizzazione analoghi a quelli che avvengono nelle soluzioni « soprassature quando si fa penetrare aria, o si immerge un cristallino della stessa « sostanza o di sostanza isomorfa ». i) Essendo molto verosimile che lo stato elettrico di un nembo si esalti col costi tuirsi e coll’ ingrossarsi dei gragnuoli per effetto del ridursi in superficie vie più ristrette le cariche già diffuse sulle superficie libere dei singoli prismetti isolati, così la forza elettrica invocata dall’Artom, come causa prima efficiente, non sarebbe concepibile per quel dato effetto. Nel trattato di Meteorologia dell’Angot si legge, a pag. 251: « Les attractions élec- triques invoquées souvent pour expliquer la suspension des grélons dans l’atmosphére ne jouent probablement aucun role dans le phénoméène ». k) Resta inesplicato il fatto della permanenza dei chicchi, nel nembo durante un tempo sufficiente per il loro aumento progressivo di volume, che talvolta è sorprendente. TWna rotazione con moto elicoide può spiegare un vasto andamento di moti verticali, anche discendenti, La semplice ascensione di gragnuoli ruotanti, ideata per ispiegarne l’ ingrossamento, implicherebbe l’ accompagnamento, gragnuolo per gragnuolo, degli stati elettrici producenti le rotazioni; ciò che non è facile a concepirsi. Ecco la mia correzione: I moti rotatori possibili, dei quali ho tenuto conto, si riferi- scono, non già ai chicchi, ma alle molecole o particelle costituenti i prismetti, o cristalli, in ordine alla origine del tipo tetraedrico. E dove ho detto che le mie considerazioni non conducono ad escludere rigorosamente, nel moto dei gragnuoti, le rotazioni supposte dall’ Artom, bensì a dimostrare la completa superfluità della relativa ipotesi in ordine al- l'origine della grandine, ho semplicemente constatata una circostanza di fatto; come se avessi detto: non potersi affermare impossibile l’arrivo di un aerolito ruotante intorno alla propria trajettoria, sebbene i bolidi non presentino questa specie di moto. Dove poi cito i fenomeni di cristallizzazione centripeta, realizzabili nelle soluzioni supersature colla provocazione di una particella solida della sostanza disciolta, cristal- lizzabile, altro non ho voluto dire che questo : potersi facilmente produrre, mercè la espe- rienza ora citata, un aggregato tondeggiante, sferoidale, di rivoluzione senza il benché minimo moto rotatorio di elementi cristallini; lasciando così illesa, impregiudicata la mia opinione sulla formazione speciale dei chicchi di grandine (fenomeno meteorologico). Restano perciò, senza ragione di essere le riflessioni dell’Arto m sulla supersaturazione, nelle quali sono contento di dirmi in buon accordo con Lui. L’Artom mi dimanda: « Date le condizioni straordinariamente diverse di formazione « fra gli arnioni di quarzo e i chicchi di grandine, potremo ammettere per i primi e per « i secondi lo stesso processo di formazione? ». Rispondo : Perchè no? Il processo comune, identico nei due casi, è la traslazione di particelle cristallogeniche verso un centro di attrazione, con progressivo orienta- mento. Il tempo impiegato per superare distanze eguali crescerà principalmente in ragione diretta delle resistenze dì vincere (densità del mezzo, etc). Un uccello, un pesce, una talpa, diretti ciascuno verso una preda, compiono un atto biologico assolutamente analogo, colle rispettive capacità di locomozione, ed in tempi ban diversi, in ragione delle diverse densità dell’ aria, dell’acqua e del terreno. LBombicci- Grandine e Vorticelli Mem. Ser V Tom. IX. Esplosione di una torpedine Esplosione digire gimnoti 60 Kg. di polvere. Nov 1889. Mod. 83. Genn. 1880. CRI N E. Contoli lit Lit Mazzoni e Rizzol-Bologna. L. Bombicci dis. SULL'ORDINAMENTO DELLA TRRATOLOGIA MEMORIA III. DEL PROF. CESARE TARUFEFI (Letta nella Sessione del 24 Marzo 1901) Parte II. ERMAFRODITISMO CLINICO PSEUDO-ERMAFRODITISMO ESTERNO (continua) AEREI) Invirilismo (cvirago) Cap. 1.° — Ordinamento. Col vocabolo invirilismo intendiamo lo sviluppo congenito d’una o più parti d’ una femmina coi caratteri fisici o funzionali, simili a quelli del maschio ; avvertendo che i caratteri fisici si riconoscono ordinariamente all’esterno del corpo mentre i funzionali si inducono appartenenti ai centri nervosi mediante l’ osservazione che le azioni meccaniche, nervose, o psico- logiche, associate in diversi modi sono accresciute notevolmente di vigore. Le donne che offrono tali anomalie di sviluppo non sono altrimenti rare, e furono chiamate in passato con diversi nomi fra i quali quelli di eroine, di pitfrici, di sapienti, di amazzoni, di viragini e di tribadi. Ma considerando che tali vocaboli non hanno significati né precisi né costanti, né comprendono tutte le forme d’ invirilismo fisico, né tutti i casi Tdi fenomeni dinamici, sono stati cercati termini meglio appropriati secondo le modalità cliniche, le quali però non soddisfano generalmente ai bisogni della scienza; nulladimeno é stato d’uopo, per aiutare la nosologia, di ricorrere a certe qualità che offrono le anomalie, e con questo espediente siamo riusciti a distinguere |’ invirilismo in due tipi: uno che risguarda le modificazioni fisiche ed anatomiche di una parte, l’altro tipo, in cui la forma esterna non é cambiata ma soltanto è modificata la funzione d’una o più parti dipendenti da centri nervosi ancora incerti. Questi due tipi sono suscettibili alla loro volta d’essere distinti in più generi. Difatto il primo offre un primo genere in cui é conservata essen- (1) L’Art. I risguarda l’ Infemminismo (vedi Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Isti- tuto di Bologna. Bologna 1900. Ser. 5%. Tom. VIII, pag. 415.) — 304 — zialmente la forma e la struttura dell’ organo invirilito, ma non la direzione e l’ estensione d’ alcune linee del medesimo, sicchè è modificata legger- mente la figura. Gli esempi di questo genere sono spesso forniti dalle modificazioni più o meno esagerate che presentano gli organi esterni. Il secondo genere comprende i casi in cui la forma è poca variata, ma lo è molto la struttura delle parti molli, perché la cute è alterata, o il tessuto sotto-cutaneo è infiltrato ora da cellule sarcomatose grassose, ora da reti linfatiche cosi da costituire l’ ipertrofia della parte, chiamata generalmente elefantiasi. Questo genere è reperibile specialmente negli arti, e quando é incipiente puo anche chiamarsi pseudo-invirilisno. Rimane ancora da defi- nire il secondo tipo che comprende i casi in cui ì fenomeni si possono considerare psicopatici, i quali meritano un capitolo speciale; tanto è grande la differenza coll’ altro tipo. Fra il primo e il secondo genere del primo tipo d’ invirilismo, si verifica frequentemente una differenza etiologiea, che non si riscontra nel secondo genere, poiché quando havvi soltanto una alterazione nella figura del- l'organo, questa é spesso ereditaria; anzi nei casi in cui non aceade tale circostanza, Darwin (1) é ricorso ai caratteri latenti posseduti dagli avi, che si sono manifestati dopo più generazioni. Rimettendo il giudizio in- torno a tale ipotesi nelle opportune occasioni, ora rileveremo piuttosto un altro concetto teorico risguardante le analogie del primo genere (modi- ficazioni nella figura dell’ organo) in contrasto col carattere sessuale della persona: difatto considerando i casi in cui si verifica l’ associazione in una donna dei caratteri maschili, ne risulta un connubio simile a quello che si verifica nel psewdo-ermafroditismo, e permette di supporre che il processo, gia noto dall’ embriologia (2), sia simile a quello oggi ammesso per il vero ermafroditismo. Tali notizie non costituiscono però la base per una monografia; occorre invece stabilire in precedenza i caratteri dell’ invirilismo, ed allora si potrà giustificare questa nuova specie d’ ermafroditismo. Ma qui dobbiamo notare che niun clinico sì occupò di tale argomento, forse perché esso non appartiene a nessun ramo della Medicina, e solo pochi anatomici si sono occupati della seguente forma del corpo che va compresa nel nostro argomento, e fra i medesimi merita esclusivamente d’essere ricordato il (1) Darwin Carlo. De la variation des animaux ete. Paris 1868. Tom. II, pag. 53. (Traduzione: francese). (2) Kollmann Dr. J. Lehrbuch der Entwickelungsgeschichte des Menschen. Jena 1898, pag. 414, fig. 245. Taruffi Cesare. - REvELLI C. A. Perchè si nasce maschi o femmine ?... — Bullettino delle Scienze Mediche. Bologna. 1900. Agosto, pag. 773. — 305 — celebre Wrisberg (1), anatomico di Gottinga, il quale nel 1806 ha richia- mato in onore il vocabolo adottato dai latini; e, ciò che più sorprende, pose fin d’allora tale anomalia nel gruppo degli ermafroditi, e la considerò un fenomeno analogo, ma opposto all’ abito ‘nfemminito (2). Egli trasse tale illustrazione da 6 osservazioni che però non descrisse, ma che converti in dieci corollari, uno dei quali però contiene la descrizione anatomica. CARATTERI GENERALI AMMESSI DA WRISBERG. 1. Sfatura elevata, snella, col collo e cogli arti parimente lunghi. 2. Cute più spesso bianca e lueente, ma alquanto resistente e tesa, occhi languidi, volto piuttosto mesto che sereno, iride e capelli più spesso foschi e mediocremente lunghi; anche la barba é abbastanza manifesta, .e nella età matura prorompe si densa da richiedere spesso la tonsura. 3. Voce grave, maschile, sonora e forte. 4. Inclinazioni alla meditazione ed alla speculazione, e non alle ciarle, in guisa da fuggire le donne garrule. Attitudine alle scienze e ad appren- dere lingue, storia, e matematiche. o. Ripugnanza, talvolta odio per tutte le faccende femminili, fino ad evitarne il discorso ; le viragini poi respingono con indignazione i discorsi osceni, i giuochi femminili, i colloqui di cose sessuali, degli amori, della gravidanza, del parto ecc. 6. Mammelle piccole, esili, piane, distanti fra loro, sovrapposte al mu- scolo pettorale. La clitoride per io più allungata e prominente. 7. (Descrizione del caso in cui fu fatta la necroscopia, aggiunta più sotto). 8. Mestruazione per lo più mancante; quando sono superate le mo- lestie della pletora uterina, il sangue scarsamente ed irregolarmente fluisce. Invece proclività ai fiori bianchi, alla cachessia ed alla tisi, in guisa che di rado le donne raggiungono l’ età provetta. 9. Sterilità frequente. Se le donne hanno figli, raramente sono atte all’ allattamento, avendo le mammelle esili. Ricusano i piaceri coniugali e respingono il coito (3). (1) Wrisberg Henr. Aug. Commentatio de singulari genitalium deformitate in puero her- :maphrodito etc. Gottingae 1396, cum tabula. — Commentationum medici argumenti etc. Ibid. 1800, pag. 504. (2) Vedi Taruffi Cesare. Infemminismo. Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Isti- tuto di Bologna. Tom. VIII, pag. 415 e 444. Nota II. (3) Wirilsberg (locfeit.) pag. 542 dice... lubentius coniugium recusant et coitum respuunt. — Meckel (vedi sotto) traduce : ..... Abneigung gegen Beischlaf und keinen weiblichen Geschle- «chtstrieb und Stimme. — 306 — 10. Sono anche soggette, oltre ai disturbi della mestruazione, ai vizi degli organi genitali, ed alle infermità degli organi digestivi. L’ osservazione anatomica annunziata al numero 7? é la seguente: Wrisberg racconta: Una donna di circa 40 anni, che non fu mai maritata e che mori di tisi nervosa, non ebbe mai la mestruazione con ordine regolare. Alla necroscopia (l’ autore tace intorno alla statura del cadavere) trovò l’ utero così piccolo da eguagliare quello di una fanciulla di 10 anni, con piccola cavità; tuttavolta la figura del medesimo era rego- lare. I legamenti rotondi avevano le fibre muscolari molto stipate. Le tube: falloppiane piccole e anguste, colle ovaie esilissime, in cui non si potevano discernere che poche e piccole vescichette di Graaf, e le parti vicine erano esili e tenere. Ora la presenza dell’ utero infantile sarebbe un carattere di grande importanza, giovando all’interpretazione d’ alcuni caratteri che talora accompagnano l’ invirilismo. Tornando ai caratteri precedenti, essi furono accettati e riportati, con lievi riduzioni e senza critica da J. F. Meckel nel 1816 (1) e tanto più meritano di essere accolti, in quanto che Wrisberg non solo enumerò i principali caratteri fisici delle viragini, ma anche le singolarità morali e distin— tive, sia positive sia negative delle medesime. Con tutto ciò il sullodato. autore ha avuto il torto di non avvertire che il suo quadro sintomatico subisce molte eccezioni, come i disturbi psico-sessuali degli organi genitali,. e che è suscettibile d’ aleune aggiunte e di riduzioni rispetto al vario aggrup- pamento dei caratteri sopra indicati. Niuno però pensò di migliorare il quadro suddetto, salvochéè Krafft-Hebing, che aggiunse le viragini con inversione: sessuale (di cui parleremo più tardi), e Meige nel 1895 (2), che introdusse una varietà alle degradazioni ereditarie, col nome d’infantilismo, ove parlò: ancora (superficialmente) dell’ inetrilismo senza citare Wrisberg. I caratteri che aggiungeremo alle viragini di Wrisberg, omettendo: d’ occuparci per ora delle psico-patie sessuali, devono ricavarsi dai casi in cui le modificazioni della figura, della grandezza congenita é limitata ad una parte esterna dell’ organismo, senza che avvengano alterazioni anato- miche essenziali o molto meno funzionali, ma soltanto relative all’ estetica della parte; p. es. negli organi del volto (casi per solito compresi col nome d’ e/efantiasi). Gli esempi di questo genere si trovano, nei trattati di Teratologia, di Chirurgia o meglio nelle monografie intorno ai morbì del naso, delle orecchie, del mento ecc. Avvertiamo che però nelle ricerche (1) Meckel J. F. Handbuch der pathologischen Anatomie. Leipzig 1816. Band. II, s. 201. (2) Meige Henri. L’infantilisme ect. — L’AntAropologie ect. Paris 1895. Tom. XIV. N.. 3. pag. 536. — 307 — fatte sulle anomalie durante molti anni, non abbiamo trovato alcun esempio nella donna, sicché ciò ci esonera dal fare ulteriori ricerche in proposito. Con maggior ragione possiamo esimerci dal raccogliere un secondo gruppo di caratteri, cioè gli esempi d’ipertrofia degli organi esterni con aspetto d’invirilismo, mentre la tessitura somiglia a quella d’un neoplasma, tanto più quando esistano nodi o tumori più o meno sporgenti che tradi- scano la natura del neoplasma stesso. Questo secondo genere d’invirilismo, che spesso é precursore dell’ elefantiasi da lipoma (1), o da sarcoma può considerarsi assai meglio, come abbiamo superiormente annunziato, un pseudo-invirilismo, non sempre facile in vita ad essere diagnosticato. Difatti abbiamo conosciuto una signorina di 18 anni incirca, la quale da più anni aveva l’ antibraccio destro colla rispettiva mano, tanto ingrossati da supe- rare d’ un centimetro in media la circonferenza dell’ antibraccio sinistro. Il destro però aveva la pelle bianca pallida, semi-trasparente, col tessuto sotto- cutaneo gonfio e cedevole; tuttavolta le funzioni dell’arto e delle dita non erano turbate. Questo genere d’ipertrofia non è così raro come il precedente, ed esso pure prevale nell’ uomo, in cui è andato acquistando nomi diversi secondo la sede e secondo la natura del neoplasma, in guisa che conoscendo i titoli si trovano tosto nei trattati gli esempi principali, per esempio i casi d’ allungamento del mento (cranio-progenio), effetto ora di stati congeniti, talora ereditari, ed ora di morbi acquisiti. Per chiarire maggiormente i carat- teri annoverati aggiungeremo che quelli che appartengono tanto all’inviri- lismo quanto alle viragini nel senso di Wrisberg ora sono unici ed ora molteplici, e nell’uno e nell’ altro caso possono costituire uno dei termini del pseudo-ermafroditismo; ma devesi anche avvertire che non tutte le ipertrofie semplici o neoplastiche costituiscono il termine suddetto, poiché non tutte le ipertrofie semplici simulano l’infantilismo, ed altrettanto si dica delle ipertrofie neoplastiche. Per compiere l’ ordinamento era necessario stabilire tutte le sedi in cui può verificarsi l’ invirilismo; ma basta accennare le parti in cui può acca- dere. Fonssagrives (2) avvertiva che gli anatomici trascuravano di notare le differenze fra maschi e femmine nelle parti secondarie del corpo, mentre (1) Abbiamo raccolto nel nostro Museo nel 1882 il seguente esempio d’ ipertrofia lipomatosa : Ruggi Giuseppe. Ipertrofia congenita delle prime 3 dita del piede sinistro, con lipomatosi della regione interna dell’ avampiede. Disarticolazione delle dita ipertrofiche. Guarigione. — Bullettino delle Scienze Mediche Bologna 1882. Ser. VI. Vol. IX. La lipomatosi non solo rendeva ipertrofico il piede ma all’ esterno manifestava tre tumori cor- rispondenti alle due dita maggiori ed inoltre internamente aderiva ai tendini delle dita corrispondenti. Le parti amputate furono inviate al Prof. Taruffi da collocarsi nel suo Museo d’anatomia patologica. (2) Fonssagrives J. B. F. (Professore di Montpellier) — Education physique de jeunes filles etc. Montpellier. Paris 1869. Serie V. — Tomo IX. 39 — 308 — fimitavano le loro descrizioni agli organi sessuali lasciando agli antropologi certe differenze nello scheletro. Ora, se valesse la pena di enumerare tutte le differenze per cui una o più sedi secondarie imitano quelle dell’ uomo, noi entreremmo in una quantità di particolari che non cambiano i caratteri generali dell’ invirilismo ; per cui possiamo esimerci di annoverarili. Cap. 2.° — Macrosomia femminile. Il primo carattere stabilito da Wrisberg delle viragini é stato la statura elevata, che chiameremo macrosomia come in qualunque altro caso (1); ed é precisamente di questa che stimiamo doverci intrattenere rispetto all’invi- rilismo, perché non solo é il carattere manifesto, ma perché abbisogna ancora d’ essere distinto secondo i casi, d’altronde prossimi fra loro, cioè appartenenti a fatti simili, ma essenzialmente diversi nel grado (vedi Nota I, Osserv. 1, 2, 3). Principiando ad analizzare le osservazioni raccolte, c’ incontriamo tosto con due esempi assai notevoli rispetto alla statura elevata, lo che non deve illudere in quanto alla frequenza di tale fenomeno, poiché dapprima abbiamo trascurate tutte le osservazioni di mediocre importanza, le quali essendo senza confronto le più comuni tolgono l’ illusione temuta. I due esempi sono tratti da due sorelle di età matura, possidenti di campagna e cognite per l’aspetto gigantesco : difatto la maggiore è alta metri 1,78 e la minore metri 1,75. Ambedue furono sempre nubili e non mostrarono mai inclinazione né al matrimonio, né al contorno dei bambini, e molto meno al cicaleccio delle donne. Esse ebbero genitori d’altissima statura, ed ebbero un solo fratello che era assai più grande di loro, però di poco in riguardo alla voluta proporzione del suo sesso relativamente alle femmine. Tutti tre i fratelli erano dedicati con predilezione all’ agricoltura ed all’uso personale dei cavalli da tiro, che le donne guidavano da sole e vestivano abiti misti ad indumenti maschili, e goderono sempre ottima salute. È notevole che esse mantenevano un contegno così riservato che i medici rispettivi non riescirono ad imparare se incontrarono vicende negli organi sessuali, salvoché dalla sorella maggiore si apprese che la mestrua- zione cessò all’ età di 49 anni, e pur conservando sempre, ciò che è più notevole, la voce femminina. Oltre i due casi suddetti conosciamo personalmente una signora che é giunta sana e robusta agli 84 anni. Ella é alta 183 centim., superiore (1) Taruffi Cesare. Della macrosomia. — Annali universali di Medicina e Chirurgia. Mi- lano 1879. Aprile. Vol. 247, pag. 339. — 309 — di 18 centim. al massimo ordinario (1870) delle donne bolognesi; da gio- vine fu un’abile cavallerizza ed amante dei giuochi fisici faticosi. Presenta un volto allungato, l’ aspetto virile, una figura snella e minuta sproporzio- nata alla statura, senza l'eleganza dell’ abito femminile. Ebbe regolare la mestruazione, che cessò all’ età di 36 anni. Fu madre di un figlio con buona statura, ma non gigantesca, che non ebbe lunga vita. Questa signora non senti alcuna ripugnanza al sesso maschile, come é accaduto ad alcune vira- gini. A questo caso, sebbene imperfetto, mancano i principali caratteri del- l’invirilismo e possiamo considerarlo come un esempio di macrosomia gracile, già dimostrato negli uomini. Più tardi spiegheremo il processo col quale abbiamo stabilito il massimo ordinario delle donne. Dalla descrizione delle due prime donne si rimane facilmente persuasi che esse rappresentano un bell’ esempio d’invirilismo femminino gigan- tesco, appartenente alla macrosomia; ma tale fortunata occasione non si è ripetuta altre volte con circostanze eguali, poiché fino dal 1880 ci incontrammo in una giovane bolognese di 25 anni, alta 181 centim. senza aleuno indizio di virago (1). Aggiungeremo invece un quarto caso, (vedi Nota, I Osserv. 3) in cui invece la statura da luogo a un dubbio assai difficile da risolvere, cioè se ha l’ estremo voluto per stabilire il carattere dell’invirilismo. Questo caso appartiene parimenti ad una nubile possidente abitante nei contorni di Bologna. Essa non ha mai avuto figli sebbene in passato inclinata al matrimonio. È alta metri 1,68; ha la testa, il torace e la pelvi ampiamente sviluppate e proporzionate fra loro, però col seno sporgente. Ha un portamento snello e gli arti inferiori molto esili; ma ciò che più importa, possiede la barba al volto, al labbro superiore, sullo sterno ed alle ascelle, però col volto tenuto raso con molta cara; mancano | peli al pettignone, mentre i genitali esterni sono normali, i capelli e gli occhi assai neri, il collo si grosso che lascia appena scorgere la laringe; nulladimeno la voce è virile. Essa ha goduto sempre ottima salute ed ha condotto una vita sobria e regolare; é dotata di carattere gioviale e di non comune intelligenza. Prima di cercare uno espediente per stabilire, almeno provvisoriamente, un limite alla statura che caratterizzi l’ invirilismo, non dobbiamo tacere che si danno casì con caratteri importanti propri delle così dette viragini, mentre è dubbio quello della statura, come nel caso precedente. Questo dubbio scompare, anche all’ occhio del volgo, quando lo stesso carattere è negativo. Noi conosciamo una nubile signora, di circa 50 anni, che non ha mai mostrato inclinazioni al matrimonio né ad alcuna malattia. È alta (1) Taruffi. Storia della Teratologia. Tom. V, pag. 363. — 310 — metri 1,52 (cioé misura prossima al grado minimo dell’ altezza media della donna). Essa presenta fino dalla pubertà peli neri sul labbro superiore, che poscia divennero veri mustacchi da richiedere per decenza il rasoio incirca ogni settimana. Essa ha inoltre una costituzione robusta, le membra ben sviluppate, la voce di calibro intermedio ai due sessi; è piena d’atti- vità per adempiere alle cure domestiche ed alla direzione d’una numerosa famiglia che governò con molta intelligenza dopo la morte della madre. Questa poi era alta più della figlia ed ha sempre goduto ottima salute, mentre il marito era alquanto delicato coi capelli neri, alto metri 1,64, e mort assai giovane. La medesima signora possiede inoltre alcune circostanze etiologiche degne d’essere notate. Non ha mai avuto sorelle, ma invece cinque fratelli di cui i due maggiori hanno una statura media e niuna particolarità note- vole; gli altri tre fratelli sono inferiori della media aritmetica dei bolo- gnesi (cioè metri 1,69; quindi erano 17 centimetri più alti della sorella) poiché i medesimi misurano fra 1,63 e 1,64. I due ultimi poì presentano una costituzione uguale a quella della sorella, con barba ricchissima e nera nel volto, con capelli ugualmente neri; e gareggiano colla sorella in atti- vità ed in concordia mantenendosi uniti nella stessa famiglia. Dalla storia di questa nubile signora, anche senza corredarla di altri fatti congeneri, possiamo ricavare utili insegnamenti. Avanti tutto che una donna può offrire la barba al volto, le membra robuste e piene d'attività muscolare propria degli uomini, ripugnanza al matrimonio, capacità men- tal» per dirigere abilmente una numerosa famiglia, pur avendo una sta- tura inferiore alla media aritmetica delle donne bolognesi (millim. 1549); quindi non si deve parlare di macrosomia in questo caso, ma si deve escludere |’ importanza assoluta e generale della medesima, e rimangono gli altri caratteri principali delle viragini ammessi da Wrisberg. Il secondo insegnamento si é che questa signora rispetto alla statura offre |’ esempio di prossima eredità, sebbene parziale, inquantoché essa aveva soltanto il padre piccolo coi capelli neri, ed i tre fratelli minori proporzionatamente al sesso parimenti piccoli (cioè 5 centimetri sotto la media aritmetica), senza parlare d’ altri caratteri di minore importanza; sicché anche 1° ere- dità diretta può presentare differenze notevoli fra i fratelli, e nulladimeno possono darsi caratteri di v/rago senza macrosomia. Volendo precisare la macrosomia nelle donne invirilite, é necessario ricorrere all’ antropometria individuale, cioè alla statura metrica di un buon numero delle medesime per confrontarle coi gradi di statura che pre- sentano le altre donne di stature comune della stessa regione. Disgrazia- tamente non conosciamo l’ altezza delle invirilite, e molto meno di quelle che non lo sono; fra queste però havvi un’eccezione, perché 60 donne di — 311 — Bologna furono misurate nel 1881 dal mio ex assistente Dott. Peli (1). Da tali misure ricaviamo che l’ altezza media aritmetica é di mill. 1549, prin- cipia da 1445 mill., sale al massimo continuo di 1670 mill. (2), e assai di rado raggiunge quella dell’uomo; senza parlare delle misure massime discontinue, che più spesso appartengono alle costituzioni morbose, e di cui abbiamo ricordato un esempio nella signora alta 183 centim. Se poi ci prevaliamo degli studi fatti sul gigantismo in genere pos- siamo ricavare che esso non costituisce un tipo uniforme con eguali con- dizioni e con eguali cause occasionali, per cui furono già distinte alcune varietà le più manifeste : per esempio, la macrosomia atletica, la gracile, l’ acromegalica con degenerazione della glandola pituitaria ecc. Recente- mente gli Ostetrici hanno notato che la maggior parte delle donne sterili sono di alta statura o giunoniche, mentre quelle di mediocre statura hanno spesso una prolificità sorprendente (3). In quanto poi alle donne invirilite possiamo indurre che anche la macrosomia che le accompagna subisce le sue varietà, tanto rispetto al grado e alle qualità, quanto all’ accordo dei suoi attributi, ed escluderemo specialmente la macrosomia gracile, frequente nella donna che ha l’ apparenza di virago. Ma ripeteremo che mancano osservazioni per stabilire la comparazione numerica fra i gradi suddetti. Dalle misure prese sulle donne bolognesi possiamo concludere che la donna (Nota I, Osserv. 3) essendo alta metri 1,68, è disopra della media aritmetica, ma non raggiunge il massimo. CAP. 3.° — lpertricosi semplice nella donna. Fu sempre noto che le donne invecchiando presentano talvolta dei peli o sul labbro superiore o sul mento, e perfino Aristotile ricordò il fatto, avvertendo ancora che ciò accade quando cessa in esse la mestruazione (4). Ù Questo fatto però è troppo volgare e senza incomodi, e solo offende la ve- (1) Peli Giuseppe. Delle misure del corpo nei bolognesi ecc. — Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Bologna 1881. Ser. 4%. Tom. II, pag. 421. (2) Taruffi Cesare. Storia della Teratologia. Bologna 1880. Tom. V, pag. 863, 364, e 434. Abbiamo in passato divisa la statura fisiologica dei popoli cogniti antropologicamente in tre gruppi: minima, media, e massima continua e discontinua, La statura minima, ricavata dai Boschi- mani, oscilla fra 1350 mill. e 1400. Quelli che sono al di sotto di questa misura abbiamo chiamati nani o microsomi. La statura media delle femmine fu ricavata da 60 cadaveri di donne, misurati dal Dott. Peli: la quale risulta che i due numeri estremi della scala continua sono dai 1445 ai 1670 mill., la media poi è di 1549 mill. e la massima di 1670. Quindi per le bolognesi dovranno considerarsi gigantesche le donne superiori ai 1670 cioè inferiori al massimo continuo degli uomini (1946) di 276 millimetri. (3) Prof. Curàtulo G. E. e Dott. Tarulli L. La secrezione interna delle ovaie. Roma 1896, pag. 69. (4) Aristotile. De historia animalium. Liber II, Cap. 11, linea 35. Interprete Teodoro Gaza. 1533. — 312 — nustà della donna, sicché rari medici se ne occuparono, eccetto alcuni storici e più specialmente ij cronisti di cose memorabili che ricordarono alcuni casi, raccolti da Liceto (1) e da Aldrovandi (vedi Nota II, Osserv. 2). Nel rinascimento alcuni medici pubblicarono altre osservazioni di donne pelose, spesso assai povere di particolari e di ricerche etiolo- giche, le quali poi furono di mano in mano ricordate dagli scrittori suc- cessivi fino ai mostri tempi (vedi Stricker, Von Siebol.-Nota II Osserv. 35) e Rothe F. (2), senza però salire ad un numero che con- duca ad ammettere quale sia la frequenza probabile dell’ ipertricosi e quali le circostanze che la favoriscono. Frequenza — Fra i casì citati dai bibliofili siamo riusciti a raccoglierne soltanto 56 forniti di alcune notizie (senza contare quelli da noi acciden- talmente incontrati), ma non tutti soddisfacenti ai bisogni della scienza. Per esempio: di non lieve importanza sarebbe il conoscere la frequenza dei casì dell’ ipertricosi congenita, poscia quelli durante il periodo inter- posto fra la comparsa e la scomparsa della mestruazione, e finalmente il conoscere l’ età delle donne in cui comparve l’ipertricosi. Di altrettanta importanza é la cognizione delle circostanze antecedenti, contemporanee e secondarie della vegetazione pelosa. Noi non possiamo rispondere ade- guatamente a tali quesiti in causa d’ insufficienza di documenti ; possiamo però eliminare i fatti analoghi d’ origine patologica da quelli teratologici che offendono donne che furono chiamate viragini, da noi invirilite e recen- temente da Brandt uarrenotdi (3), termine da preferirsi per gli animali, perché significa simile ad un maschio, ma non include l’ idea della donna. Una di queste eruzioni patologiche é il neo-peloso (Noevus pilus), poiché qui non si tratta soltanto di macchie prodotte da ‘peli, ma da malattia della pelle, caratterizzata da una pigmentazione oscura di essa, da ipoplasia delle tonache vascolari e del corion, talora con forma verrucosa. Queste: macchie sono ora uniche ed assai estese, ed ora più o meno piccole, per lo: più multiple, sparse nel tronco e negli arti inferiori. E ciò accade tanto nella donna quanto nell’uomo. Noi qui abbiamo intromesso un raro esempio di un neo nel braccio di un uomo (vedi Nota II, N. 7) ed un altro assai raro nella faccia (un esempio venne da noi collocato nel Museo, V. Pre- parato N. 1545). Questi pochi dati anatomici bastano per mostrare le principali differenze fra la ipertricosi teratologica e ì nei materni, siechè giustamente i dermatologi considerarono i secondi come una ipertrofia da pigmento ; quindi noi toglieremo dal novero del'e prime quelle macchie che (1) Licetus Fortunatus. De Monstris. Amstelodami 1665. Cap. 45. (2) Rothe F. Untersuchungen ber die Behaarung der Frauen. Diss. Berlin 1894. (3) Brandt A. (Prof. a Charckow). Ueber die Arrhenoidie in ilrer Beziehung zum Hermaphro- ditismus. Zeitschr. f. Wiss. Zoolog. 1896. Band. 48, s. 175. — 313 — offrono i segni di nei pelosi (Osserv. 15, 18, 25, 34, 37) (1), sebbene abbiano una grande importanza clinica, essendo state le donne obbligate al divorzio appena maritate. Un aitro gruppo di casi d’ipertricosi é caratterizzato da una chioma pelosa in una sede, ehe può dirsi eferofopica rispetto alla sede normale’ dei peli, cioé nella regione sacro lombare, e ciò accade in ambedue i sessi. Questa deformità è stata giustamente chiamata Spina-difida-oceulta (Cripto-mero-schisi Taruffi) (2). Essa fu accennata esplicitamente da Virchow nel 1875 e da Rizzoli nel 1877 (3), che la rappresentò in modo chiaro, e poscia fu descritta da altri. Nel 1891 noi aggiungemmo un nuovo caso oltre 12 che raccogliemmo dalla letteratura (loco citato), e fin d’allora ci persuademmo che l’ipertricosi in tale caso era un fatto composto, anzi secondario in origine alla spina bifida, e quindi non l’ in- cludemmo nella ipertricosi semplice, perché questa non suole nell’ uomo manifestarsi fuori delle regioni assegnate ai peli, e quindi, come avverti Realdo Colombo, il pelame non poteva vedersi nella pianta dei piedi e nella vola della mano (vedi Nota II, Osserv. 2) e neppure nella regione lombo-sacrale. Avendo ridotto le nostre osservazioni a 51, possiamo confermare che questo numero raccolto in 4 secoli non dà nessuna idea adeguata della frequenza dell’ ipertricosi semplice, perché basta dire che di recente un solo specialista curò coll’ elettrolisi 110 malati di tale affezione (4). Dai nostri 51 casì però possiamo ricavare coll’ induzione quali furono le epoche della vita più colpite dall’ affezione, permettendo essi di stabilire, se non l’età reale, quella invece in cui il medico visitò |’ alterazione cutanea, ed in tal guisa distinguere almeno i casi accaduti sia avanti la mestruazione, sia dopo, ed anche a mestruazione finita. Questo metodo é precisamente l’ espe- diente che ci permette di ottenere un risultato ogni qual volta accettiamo i dati ammessi dai fisiologi cioè di considerare |’ età media in cui avviene la mestruazione dai 14 ai 16 anni e la sua durata di 30 anni, cioé fino all’ età di 45 anni (Zawerthal (5)) non ignorando che si danno casi col- (1) Hildebrand H. Ueber abnorme Haarbildung bei Menschen. Schriften der phys-6konoemie Gesellschaft Jahrgung XIX. Koninsberg 1877. Mit 2 wei Abbildungen. — Reca due bellissimi esempi di neo pelosi congeniti nella parte posteriore del tronco, e un caso esteso agli arti posteriori. (2) Taruffi Cesare. Storia della Teratologia. Tomo VI, pag. 244. — Spina-bifida-occulta. Bo- logna 1891. (3) Rizzoli Francesco. Tumore idro-rachidiano congenito alla regione lombare, a guisa di ‘coda formata da una lunga chioma, curato e guarito. — Bullettino delle Scienze Mediche. Bologna 1877. Volume XXIII, pag. 401. Con figura. Oltre la propria osservazione, ne cita altre generalmente ignorate. (4) Brorq L. Cent-dix malades atteints d’ Hypertrichosis traités par l’ electrolyse. Ann. de Der- matologie. 1897. N. 8-9. (5) Zawerthal. Enciclopedia Medica italiana. Art. Mestruazione. Milano. Aprile 1863, pag. 583. — 314 — l’età tanto superiori quanto inferiori alle media predetta: e qui basta ricordare il caso di Lesser d'una bambina di 3 anni con ipertricosi ge- nerale. con parti sessuali mature, e colle mammelle assai sviluppate (vedi Nota II, Osserv. 48). Le medie date sulla durata mestruale non collimano colle medie delle altre donne d’ Europa, e qui ricorderemo le misure ottenute da Winckel (1) sulle donne tedesche. Egli dice che la mestruazione in media compare all’ età di 15 anni e cessa all’età di 48 sicché ha una durata dì 33 anni. Riporta ancora che Mayer Luigi nelia sua statistica rilevò che nelle donne tedesche, quando la mestruazione anticipa, perdura più lungo tempo di quello che accade quando la funzione principia più tardi, e stabilisce la seguente proporzione : 33: 6 = 27 :3 anni. Ma qualunque siano i termini vi sono ugualmente tre periodi: uno anti-mestruale, il secondo intermestruale e il terzo post-mestruale o di menopausa. Esaminando le osservazioni raccolte nella nostra Nota II troviamo 16 casi avanti la mestruazione, i quali alla loro volta possono essere distinti in 3 casì di neonati (vedi le Osserv. 13, 20 e 22), in 4 dai due ai tre anni (vedi le Osserv. 18, 39, 48 e 51), in 6 dai sei ai 13 anni (vedi le Osserv. 7, 8, 26, 27, 40, 42 e 14); e finalmente vi sono tre casì in cui non si può precisare l’ età (vedi le Osserv. 10, 13 e 16). Ora si domanda se il nostro primo gruppo d’ipertricosi antimestruale possa chiamarsi anche congenito ? Rispondiamo che in parte possiamo ammetterlo, avendo gia ricordate 3. osservazioni; e da prima la cosa non fu mai messa in dubbio, poiché fino dal 1557 Licostene (2) riportò un fatto congenere, che fu ricordato poscia dagli storici di cose memorabili (3); fra i quali non è mancato chi modi- ficò senza ragione esplicita la storia del fatto stesso. Degli altri 13 Y ori- gine suddetta è solo virtuale, sapendosi che i germi piliferi appariscono nella cute nel terzo mese della vita embrionale, e nel suo termine si rieo- nosce una leggiera peluria ed un intonaco sebaceo, e che le loro guaine possono vegetare più tardi: con ciò si spiega come l’ipertricosi possa svi- lupparsì talora vicino alla mestruazione e talora dopo, e come per l’ opposto: (1) Winckel (Prof. a Monaco). Lehrbuch der Frauenkrankheiten. Leipzig 1886, pag. 547. (2) Lycosthenes Conradus Rubeaquensis. Chronicon Prodigiorum ac Ostentorum Ba. sileae 1507, pag. 445. Così dice l’autore: « In Martini quarti Papae pontificatu ex illustri quadam: foemina pontificis necessaria, natus est puer villosus, et in speciem ursi unguiculis armatus, quo- monstrifico partu permotus pontifex omnes ursorum imagines, quas forte in eius domo fuerunt, iussit deleri, manifesto argumento receptae ab ea imaginationis in conceptu ». Ora la peluria o lanuggine è assai cognita nei neonati ed ammessa pur anche nei mammiferi. (3) Licetus Fortunatus. De monstris. Patavii 1634, pag. 149. — Citava Licostene col nome di Rubeaquense, patria del medesimo. Il fatto è probabilmente il medesimo citato da Turner (vedi Nota II, Osserv. 13), in cui il cognome e la parentela del Pontefice sono completamente errati.. - $18 — la vegetazione sia ereditaria; gli esempi furono dati da Aldrovandi, da Gatta, da Beigel e da Ecker (vedi Osserv. 3, 15, 25 e 36). Quando la vegetazione dei peli costituisce nella donna l’ ipertricosi (ed altrettanto si applica anche agli uomini) accade ora in modo diffuso, ora in modo circoscritto. Non havvi dubbio che il modo diffuso si osserva generalmente nei bambini, cioé nel periodo anti-mestruale, il che fa supporre che la nuova formazione della guaina del pelo sia una conse- guenza del trasformarsi della peluria fetale. Nel periodo posteriore invece si osserva generalmente |’ eruzione circoscritta, e noi non conosciamo come eccezione che il caso di Realdo Colombo, il quale vide uno Spagnuolo tutto coperto di peli, meno che nella faccia e nelle mani, e quello di Velseh, di una ragazza che oltre al corpo aveva anche la faccia coperta di peli biondi. Venendo all’ipertricosi post-mestruale, essa é per lo più circoscritta ed accade di preferenza alla faccia, dalla quale talvolta si diffonde sullo sterno (vedi Osserv. 4, 6, 53), di rado nelle braccia (Osserv. 38 e 43), nel dorso (Osserv. 31) e perfino nelle pudende con ipertrofia delle medesime (Osserv. 19 e 49). La faccia è quindi il punto iniziale dove la vegetazione presenta talora maggiore estensione, in guisa che rimane tutta coperta di peli lunghi ed irsuti in guisa da imitare la testa delle scimmie e dei cani (vedi Osserv. 28 e 29): ciò ha dato occasione di un ricco opuscolo di congratulazione dedicato da Ecker a Teodoro von Siebold per il suo giubileo dottorale nel 1878, ove si trovano rappresentati fedelmente i ritratti dei tipi più pronunziati di uomini e donne pelose (1). Una ricerca non priva d’importanza è quella di sapere finalmente il rapporto tra l’ipertricosi e la mestruazione, sebbene molti siano i documenti. Abbiamo già veduto che con frequenza l’ipertricosi accade avanti la pu- bertà, cioé quando il processo mestruale non è né iniziato, né completo nelle donne, ed abbiamo indotto che una produzione eguale si fa continua anche dopo la mestruazione; qui noteremo che per rara eccezione può farsi anche continuando |’ amenorrea, cioé la non comparsa dei mestrui dopo la pubertà (vedi Osserv. 12, 16, 29, 53). Per contrario lo scolo san- guigno periodico per molteplici cause può venir sospeso; una prima osser- vazione fu data da Zacchia nel 1661 in una donna di 30 anni (Osserv. 6) e probabilmente leggendo la tesi di Burlin (loc. cit.) si troveranno molti altri fatti conformi. Finalmente |’ ipertricosi, si frequente nelle donne attem- pate, da luogo alla domanda se |’ amenorrea già sopravvenuta sia un feno- meno contemporaneo ed effetto dell’ età, oppure la causa della produzione pilifera. Noi non crediamo che sia causa efficiente della produzione, ma soltanto concomitante allo stato costituzionale di alcune donne, in cui la (1) Ecker Alexander. Ueber abnorme Behaarung des Menschen. 22 Aprile 1878. Braunschweig. Serie V. — Tomo IX. 40 — 8316 — circolazione venosa si fa più lenta, mentre i follicoli piliferi, che non hanno subito l’involuzione, diventano capaci di vegetare. Spogliando largamente e profondamente la letteratura più di quanto noi abbiamo potuto compiere, indubbiamente si troveranno casi in cui la comparsa dell’ ipertricosi fu preceduta od accompagnata da circostanze indipendenti dalla mestruazione. Noi però non conosciamo se non tre casi singolari, per ora inesplicabili: uno di Turner (Osserv. 23) che vide una donna, la quale si coperse in tre settimane di morbida lanug- gine, mentre era addolorata da un cancro al petto. Il secondo caso appar- tiene a Brand (Osserv. 52) e riguarda una sposa, che dopo avere figliato, sì ammalò durante due mesi per metro-peritonite; nel frattanto principia- rono a comparire peli nell’ addome che si diffusero fino negli arti, e poscia ella ebbe un aborto seguito da sterilità. Il terzo caso fu descritto da Zeru- bin: esso é altrettanto oscuro come i precedenti, e troverà un miglior posto ove si parla dell’ elefantiasi della clitoride. A proposito di Brand va ricordato che egli intitolò la sua osservazione: Una virago, ciò che se- condo |’ autore equivale a dire: una donna che non ha altra particolarità che |’ (pertricosi. Però notiamo che questo carattere da solo dà un’idea assai incompleta della viragine, alla quale, come abbiam detto, Wrisberg assegnava 10 caratteri, sieché al più potrebbe chiamarsi pseudo-virago. Ricorderemo alcuni esempi di viragini non gigantesche: Lanzoni rac- contò che una donna barbata era sempre stata amenorroica e sterile, che mancava di mammelle ed aveva il torace virile (Osserv. 12). In questo caso vi erano due caratteri, a nostro avviso sufficienti per ammettere ’ invi- rilismo. Un altro esempio assai somigliante al precedente, é fornito da Ja- blonsky (vedi Osserv. 53), colla differenza che in questa donna esiste- vano le mammelle rudimentali e che la clitoride era lunga 3 centimetri; per giunta l’ autore stesso ammette l’ abito virile. Un caso simile, più l’ipertrofia della clitoride e con abito maschile, verrà da noi riportato quando si parlerà dell’ elefantiasi di questo organo. Chi poi avrà i mezzi di leggere per intero altre storie, potrà moltiplicare gli esempi di viragini non gigantesche. In luogo di discutere sull’ estensione più adatta della parola virago, note- remo invece una ricerca di maggior peso da compiersi e fin ad ora non esaurita. Alludiamo al fatto che spesso si associa all’ ipertricosi lo stato anomalo dei denti e della mascella inferiore. Darwin racconta che una danzatrice spagnuola di nome Giulia Pastrana aveva la fronte vellutata ed una folta barba, e che aveva ancora nella mascella superiore e nell’ inferiore una doppia fila di denti; un dentista conservò la forma della bocca, e Darwin notò inoltre che per tale disposizione la faccia era molto pro- — 317 — gnata e somigliava a quella dei ‘cani nudi (1). Magitot (vedi Nota Il, ibidem) nel 1878 invece, guardando di profilo la forma suddetta delle mascelle, rilevò l’ipertrofia del margine alveolare che aumentava il pro- gnatismo e sostenne che vi era una sola fila di denti. Lasciando da parte questa disputa, Beigel osservò in due gemelle con ipertricosi, difetti nei denti canini e molari (Nota II, Osserv. 25); Fùrst rinvenne inoltre |’ ipertrofia del mascellare inferiore (Nota II, Osserv. 41); Parreidt (vedi Osserv. 46) verificò la frequenza dell’anomalia dentaria e per ultimo Mechelson (vedi Osserv. 44) riuni 22 casì, e rilevò che in 12 esistevano anomalie dentarie. Rimane quindi ancora inesaudita la ricerca sull’ origine teratologica della anomalia. Rinunziando a tale ricerca, finiremo con altre complieazioni, le quali però sono generalmente cosi rade da non ammettere alcun rapporto con l’ipertricosi: quindi per ora le chiameremo complicazioni relativamente accidentali. Sopra 46 casì noi abbiamo trovato due volte nella prima in- fanzia l’ elefantiasi esordiente dei genitali esterni, e nel secondo di questi la mestruazione principiata nel terzo anno di vita (Osserv. 20 e 48). Una sola volta abbiamo riscontrata |’ elefantiasi della clitoride (Osserv. 53); ma nel cap. seguente vedremo che questa anomalia è invece abbastanza frequente, ora sola, ora accompagnata da varie condizioni. Casi anche più rari sono insieme all’ ipertricosi in una bambina di 3 anni |’ osso intermascellare ben distinto (Osserv. 45); la mierocefalia in una bambina di 12 anni (Osserv. 28); l’ ipospadia in una bambina di 12 anni (Osserv. 50); e l’ inversione sessuale in più casì (Osserv. 42). Dall’ esame dei fatti riferiti risulta che né la macrosomia né l’ipertri- cosi sono caratteri tali che presi isolati possano considerarsi essenziali ed esclusivi dell’ invirilismo, poiché tanto l’ uno quanto |’ altro, od ambidue talvolta mancano, e nulladimeno per altri caratteri, che più avanti espor- remo, le donne vengono considerate per viragini. Ma la statura, anche se é notevolmente alta, non merita un gran valore quando l’ abito della donna non è proporzionato ad essa; altrettanto si dica dell’ ipertricosi in cui occorrono determinate sedi e determinati caratteri accompagnati dalla me- desima per poter dire che havvi il sesso invirilito. In quanto al processo dell’ ipertricosi, di buon ora si è riconosciuto che nell’ infanzia i peli hanno il carattere della lanuggine, e che poscia si fanno irsuti e si estendono nelle regioni sopradette; in quanto poi all’ accrescimento già Ecker (loco citato) disse che il processo era la ripetizione di ciò che avviene dopo la nascita e che l’ipertricosi non differisce da questa se non per il tempo, (1) Darwin J. Charles. On the origin of species by means of natural selection ete. London 1859. Tomo II. Paris 1863. Tomo II, pag. 340. — 318 — per l’ estensione, e per la copia dei peli che crescono mentre la cute si mantiene normale. Non tutti gli scienziati si contentarono di limitare le loro indagini al processo formativo dei peli soprannumerari, ma vollero spingere le ricerche alla loro origine primitiva. Chi superò gli altri nell’ ardimento fu Darwin (loco citato), il quale fa derivare l’ uomo dagli antenati pelosi e considera la barba del medesimo come un residuo atavico; siccome poi essa manca nella donna, egli opina che questa abbia perduto il pelo prima dell’ uomo e consi- dera le viragini come un’ anomalia atavistica. Nelle femmine degli uccelli si possono produrre arreno:tdi (questo nome adotta il Brandt per indicare i caratteri maschili nelle femmine) mediante l’estirpazione dell’ ovaia, e mediante semplice lesione dell’ ovidutto, mentre nella donna con altrettanta certezza ciò non é stato osservato. Fino dal 1567 Zacchia diceva che la mutilazione nelle femmine non era mai stata trovata, ed ora può dirsi che nelle donne avanti la pubertà non èé mai stata eseguita (1). Brandt si limita a considerare la comparsa del pelo nel volto del- l’uomo come un’ ornamento sessuale, analogo alla criniera del leone, alle corna dei cervi, agli speroni, alle creste e alle penne d’ ornamento degli uccelli, le quali possono verificarsi anche nelle femmine sebbene più deboli dei maschi, per esempio nelle galline con penne di gallo ; nelle renne fem- mine già mature compariscono le corna; e nella specie umana considera come un esempio simile le viragini. Questa dottrina dimostra 1° analogia dei fenomeni secondari di ambidue i sessi in diversi ordini di animali, ma é lungi dal soddisfare per la teratogenesi. Tuttavolta l autore conviene coll’ antica opinione che lo spuntare di mustacchi e persino di barba com- posta di peli più forti in forma di setole nelle vecchie, dipenda dal soprag- giungere dell’ età critica, indubbiamente connessa con una cessazione della funzione ovarica. Cap. 4.° — Della elefantiasi della clitoride. Il fenomeno dell’ elefantiasi della clitoride trasse l’ attenzione dei medici del rinascimento, e Varolio (Bolognese) (vedi Nota III, Osserv. 2) nel 1591 annunziava che la clitoride talvolta raggiunge la mole d’un pene, però imperforato, e capace d’ operare il coito; altri aggiunsero che ciò fosse una proprietà delle #ribadi : opinione che ha perdurato fino alla metà del XIX se- colo. Ruysch invece nel 1727, senza spiegare il motivo, pose le donne (1) Pauli Zacchiae. Quaestionum medico-legalium. Lugduni 1567. Tom. I, pag. 184. IR coll’ ipertrofia della clitoride nella classe degli ermafroditi. Questa veduta puramente scientifica induce a credere che l’ analogia o meglio |’ equiva- lenza fosse già accolta fra gli anatomici; è certo però che tale concetto rimase in teratologia fino in questo secolo, come si ricava dall’ opera di Iene e'ofrroyS'arni-Hil'airet(i): Nel rimaneggiamento nosologico della Teratologia venivano aggiunte le notizie sulla conformazione anatomica delle donne otfenzote, e sulla gran- dezza notevole della clitoride in alcune scimie specialmente in orgasmo (2) e con profitto della scuola anatomica, FòÒrster nel 1865 tolse tutte le anomalie della clitoride dalla classe degli ermafroditi, e le pose come alterazioni comuni dei singoli organi nella sua Anatomia patologica. Tale riforma era per sé stessa giusta, ma non quando la donna presenta oltre l’ipertrofia della clitoride, qualche carattere maschile, come l’ipertricosi, le inclinazioni istintive e morali da uomo, e quando havvi l’abito esterno di viragine; per cui giustamente Wrisberg (3) pose l’ ingrandimento della ‘clitoride come uno dei caratteri frequenti delle viragini ed appartenenti all’ ermafroditismo. Per giudicare le idee sopra espresse e per giungere finalmente a sta- bilire la taxionomia della elefantiasi della clitoride nelle viragini, bisogna premettere che adopreremo la parola elefantiasìi per comprendere tutte le specie d’ affezioni che ingrandiscono stabilmente cotesto organo, che poscia analizzeremo le singole osservazioni, per sapere approssimativamente quante sono tali specie, la loro frequenza, la loro origine, e se é possibile i loro effetti nel vivente. Noi principieremo quest’ analisi coll’ ipertrofia. La nostra analisi principierà coll’ ipertrofia semplice, la quale èé stata ricordata da molti scrittori in tutti i tempi; e diremo subito la nostra sorpresa, che in 40 osservazioni da noi raccolte sia accennata solo 12 volte Medio servito 4 902436 te 140) sieche e lungi dall’'essere una affezione cosi frequente come si supponeva; però abbiamo trovato tre casì di grande interesse. Due dimostrano chiaramente che l’ affezione può essere congenita, e in un caso la levatrice confuse la bambina con un maschio (vedi Osserv. 10) e in un’ altra bambina di 5 anni, Mason amputòo la elitoride con un ecraseur (vedi Osserv. 25). Nel terzo caso, rife- rito da Tulpio, la maggiore importanza è rispetto alla clinica, poiché (1) Is. Geoffroy Saint-Hilaire. Des anomalies etc. Paris 1836. Tom. II, pag. 70. (2) Fugger Ferdinandus. De singulari clitoridis in simiis generis Alelis magnitudine et ‘conformatione. Berolini 1835. Cum tabula. (3) Wrisberg H. Aug. Commentationum medic. etc. Gottingae 1800. Vol. 1°, pag. 542-543. Viragines habuerunt characterem et notas in paucis tantummodo aliquid diversitatis offerentes, Te reROMMIDUSTCONSTANIeS ARNO A In genitalibus externis longior plerumque clitoris cernitur admodum prominula; hymen fere nihil diversitatis ostendebat. i N la donna simulò il proprio sesso, fece il soldato, e poscia visse da fribade, per cui fu punita ferocemente (vedi Osserv. 11). L’ ultimo fatto però, come gli altri due, rimane oscuro, poichè non conosciamo per ora alcuna circostanza che favorisca l’ origine congenita dell’ ipertrofia. Casi congeneri a quello raccontato da Tulpio s’ andarono ripetendo, nonostante delie pene barbare architettate dai giureconsulti, e s° ammisero assai più facilmente dopo la verosomiglianza dell’ inversione sessuale già indicata dall’anatomico Varolio; sicchè Dionis e Palfino propagarono l'opinione che donne così fatte abusassero delle altre donne (Nota III, Osserv. 13 e 14). Altri ammisero che la frequenza dell’ipertrofia dipendesse dall’ onanismo e dall’ abuso del coito. In questo secolo nacque il dubbio sulla frequenza di questo vizio e che tale ne fosse la cagione, sicchè Parent Duchatelet nel 1837 cercò in 6000 prostitute inscritte a Parigi quanti casi vi fossero d’ipertrofia (1) e ne rinvenne soltanto due, sicché giudicò erronea tale opinione. Ma in questo giudizio bisogna che si racchiuda un equivoco, e per dissiparlo sarebbe necessario sapere che cosa pretendeva Parent per ammettere l’ipertrofia, poiché abbiamo un giudizio pressoché opposto annunziato da Charpy (2). In sole 800 prostitute, specialmente in quelle che vivono nei bordelli e spesso fra le 4#ibadi, trovò in più casi la. clitoride, notevolmente sviluppata ed ingrossata, col prepuzio rilassato. Se invece si raccolgono direttamente i casi d’ipertrofia, qualunque sia la condizione della donna, la frequenza suddetta é assai diversa, e questa discrepanza sì desume in genere dalla letteratura; ma una statistica a questo riguardo manca completamente. Per parte nostra non possiamo se; non esaminare i 40 casi di anomalie della clitoride raccolti nella Nota III, e fra i medesimi troviamo solo tre prostitute (vedi Osserv. 5, 8 e 9). L’ ultima di esse fu veduta da Zacchia, il quale notò che la clitoride era grande come il dito anulare e che impediva il coito. Si trovano inoltre altri 3 casi attribuiti alla mastuprazione. Velpeau (Osserv. 20) vide una giovane ridotta al marasmo in seguito a cotesto vizio. Riberi (Osserv. 21) racconta d’aver veduto per effetto l’ infiammazione assai dolorosa, e Villarmy (Osserv. 24) conobbe una giovine con elefantiasi della clitoride e ninfomania. D’ altra parte non può escludersi quanto sosteneva nel 1866 Baker Brown (3) e cioé che l’ irritazione fisiologia della clitoride, che spinge le. (1) Parent Duchatelet Alexandre Jean Baptiste. De la prostitution dans la ville de: Paris considerée sous le rapport de l’hygiene publique etc. Paris 3° édition. Bailliére et fils 1857. Vol. II in 8. (1.re édition 1836, 2.ème 1837). (2) Charpy. Des organes génito-externes chez le prostitues. — Annales de Dermatologie et de: Syphilographie. N. 2. 1872. (3) Baker Brown. Surgical diseases of women. Idem. On the curability of certain forms ‘of insanity. London 1866. — 321 — donne ad abusare dei piaceri solitari, finisca per alterare la loro salute fisica e per condurre a gradi all’ isterismo, alla ninfomania, e perfino alla mania, per cui propose l’ amputazione totale della clitoride. Ma tale con- siglio curativo, dopo aver dato luogo a molte questioni, è, per il fine suddetto, totalmente abbandonato, sicché |’ amputazione rimane indicata solo per tutte le alterazioni già cognite, e da ultimo Pozzi (1) afferma senza for- nire le prove, che l’ ipertrofia della clitoride si verifica spesso nelle donne dedite all’ onanismo col solo cambiamento delle dimensioni della me- desima. Tornando ai difetti della clitoride causa d’ irritazione, ricorderemo l’ame- ricano Morris (2), il quale notò che donne isteriche o furiose avevano uno sviluppo imperfetto ed irregolare della clitoride, od avevano delle aderenze con una o con ambidue le piccole labbra, e che rompendole la donna ripigliava il primitivo carattere; ed in questa occasione non dobbiamo tacere le tre osservazioni di Mars (3) che pubblicò contempo- raneamente a quelle del Morris, le quali risguardano una nuova causa d’irritazione sulle pudende. Trattavasi di irregolare presenza di peli nelle parti vergognose, poiché l’ esuberanza di essi avveniva anche sopra ia superficie interna delle grandi labbra, e quindi i peli giungevano sino alla clitoride ed al vestibolo tutt’ intorno. L’ autore vide che togliendo i peli, il prurito cessava; e quando essi ricrescevano, si rinnovavano le sofferenze; perciò ricorse ai mezzi chirurgici per ottenere una guarigione stabile. La clitoride come qualunque altro organo va soggetta, a deformità, e fra questa la più manifesta é la divisione longitudinale, la quale ne con- ferma la doppia origine. Questa deformità però non é frequente poiché non abbiamo raccolti che i tre seguenti casi: Morpain A. vide le due meta della clitoride disgiunte sino alla loro radice, come pure disgiunte su- periormente le piccole labbra; la donna non aveva istinti sessuali (vedi Osserv. 21). Henle F. G. osservò una ragazza di 17 anni con due verruche, che rappresentavano la clitoride divisa (Osserv. 26); e finalmente Windle vide l’organo suddetto diviso alla sua base colla metà destra più corta della sinistra e con doppio glande (vedi Osserv. 29). Recano pure deformità la presenza dei neoplasmi e dei processi degenerativi; ma avanti di parlare dei medesimi ricorderemo il caso singolare di Neugebauer Fr. (vedi Osserv. 33) d’ una duplicità negli organi sessuali, in cui sorse il dubbio se si trattasse di due clitoridi poste a grande distanze, di cui una mostruosa. (1) Pozzi G. Gynandrie. Gazette hebdomadaire 1890. N. 30, pag. 352. (2) Morris (Clinico americano). Citato da Guisy B. d’Atene. Sur les difformités congénitales etc. Le Progrès médical. Paris 1896. Année XXIV, pag. 371. (3) Mars A. Beitrag zur Aetiologie des Pruritus vulvae und ein Fall von mittelst einer neuen ‘Operations Methode geheiltem Pruritus Vulvae. Cracovia 1896. Jahresbericht fiir 1896. Band. II, s. 550. — 322 — Una ebrea di 27 anni partori felicemente un feto ben conformato ; ma la madre invece aveva una singolare anomalia agli organi generativi esterni, sebbene la vulva e la clitoride fossero normali, poiché dietro alla stessa vulva, sulla linea mediana del perineo un centimetro dietro al frenulum labiorum sporgeva un corpo simile all’ asta virile, lungo 45-52 millimetri, col glande e prepuzio, coi corpi cavernosi inseriti al pube, e capace d’ ere- zione; mancava pérò il meato urinario, per cuì |’ autore rimase in dubbio se fosse veramente un’asta virile rudimentaria. Questo caso senza dubbio era un esempio d’ un pene anomalo per mancanza dell’ uretra e per una posizione insolita in una donna feconda ; sicché non aveva alcuna analogia colle viragini a doppia clitoride, e neppur cogli esempi di doppio sesso simmetrico, di cui noi abbiamo riferito due casi (1), oppure coì rarissimi fenomeni di eterotopia sessuale, di cui il primo caso, a noi noto, fu de- scritto da Wolff nel 1883 (diverso dal suddetto per la sede), nel quale trattavasi d’un pene collo scroto inserito nel labbro sinistro della vulva (2). Questo raro esempio d’ eterotopia sessuale non é più l’ unico, poiché Neu- gebauer stesso (3) facendo la statistica del doppio sesso è giunto a racco gliere sei casi analoghi al suddetto. Fra i 40 esempi della nostra raccolta non abbiamo trovato che i se- guenti di neoplasmi della clitoride: Rodio ricorda una ipertrofia della clitoride, che terminava in un tumore peloso e verrucoso, e che noi stimiamo un dermoide (vedi Nota III Osserv. 8); Sechònfeld un tumore granuloso, che può stimarsi un cancroide (vedi Osserv. 18); Marshall un sarcoma grande come una noce (vedi Osserv. 31). Lambret ha raccolto dalla letteratura un maggiore numero di casi, tenendo calcolo soltanto dei tumori benigni (vedi Osserv. 34); e tra questi separò 31 tumori solidi: a tale riguardo | autore giustamente avverti che i fibromi spesso non furono distinti dall’ ipertrofia, per mancanza di ricerche istologiche ;. ed altrettanto diremo per i tumori maligni (come per il sarcoma ed il cancro), quando mancarono le ricerche suddette. La clitoride poi, oltre essere, ipertrofica può associarsi alla stenosi della estremità esterna della” vagina e della vulva, come videro Realdo Colombo, Blondel, Jacoby, (1) Taruffi Cesare. Diphallus Gurlt. — Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Isti-- tuto di Bologna. 1889. Ser. 4. Tom. IX, pag. 551. (2) Idem. — Ibidem 1898. Tom. VII, pag. 79. Citando questo caso ed altri congeneri Taruffi istituì il gruppo dei parassiti eterotopici, cioè: quegli organi duplicati simmetricamente, uno dei quali deriva da un gemello e non è omologo a quello dell’ autosita. (3) Neugebauer Fr. (in Warschau). 37 Falle von Verdoppelung der àusseren Geschlechtstheile.. -- Monatschrift fiir Geburtshuùlfe und Gynakologie. Jahre 1898. Jahresbericht fir 1898. Bd. II, s. 609 Nei 37 casi trovò 28 volte il pene doppio, 3 volte la vulva doppia e 6 volte la eterotopia sessuale: della parte sessuale esterna. In tutti i 37 casi si trattava di egual sesso, uno vicino all’ altro. — 323 — Beclard-Guinard (1) e Blanche. Marchand invece la vide rudimen- tale, Solowig atretica in una giovane di 21 anni amenorroica (vedi Osser- vazioni 1, 33, 35, 37, 39 e 40). Finalmente ricorderemo la donna di Gérin con mancanza di utero e senza inclinazioni sessuali (vedi Osserv. 25). Una associazione impreveduta della clitoride ipertrofica è stata notata di recente da Henle F. G. e da Verstraeten (vedi Osserv. 26 e 27) colla acromegalia. Sarebbe però desiderabile verificare se la suddetta asso- ciazione si osservi in incontri simili ; intanto dichiariamo che non abbiamo nulla da rettificare quanto all’ aver introdotto la denominazione di macro- somia periferica per indicare l’ acromegalia (2). È degno di nota come il fenomeno della ipertrofia congenita della clito- ride (salvo i casi noti delle #r/bad:) sia di rado accompagnato dagli altri caratteri dell’ invirilismo, come l’ ipertricosi e l’ abito virile; sicché rima- nemmo sorpresi come solo Geoffroy Saint-Hilaire ammettesse in- vece la frequenza del portamento mascolino e la voce rauca nelle donne con elefantiasi della clitoride. Nelle nostre 40 osservazioni non abbiamo trovate che le seguenti eccezioni: Bartholino vide una donna barbata con grande clitoride (vedi Nota III, Osserv. 6) e Home descrisse una africana col portamento maschile, voce rauca, mentre le mammelle erano sviluppate (vedi Osserv. 17). Assai più interessante é il caso di Cassano, poiché una ragazza di 15 anni aveva la forma virile del corpo, il volto coperto in parte di peli, mentre la statura era bassa; rimase incinta, e dopo il parto s’ abbandonò anche al tribadismo, essendo giunta la clitoride alla lunghezza di tre poilici (vedi Osserv. 22). Assai nota è la storia di Madda- lena Lefort che a 16 anni era alta m. 1,50, con ipertrofia della clitoride, atresia vaginale, inclinazione mascolina, e con peli nascenti al labbro superiore che all’ età di 30 anni avevano invaso il collo (3). Un caso parimenti singolare é stato descritto recentemente da Zarubin, poiché la donna aveva l’ abito maschile, voce profonda, ipertricosi generale : dopo una malattia puerperale sopravvenne la calvizie e l’ ipertrofia della clitoride (vedi Osserv. 30). Risultando che l’ elefantiasi della clitoride generalmente non è accom-_ pagnata da altri segni d’invirilismo, e riflettendo che il medesimo ingran- dimento non ha acquistato i caratteri anatomici del pene, ma soltanto una grossolana somiglianza, stimiamo che, come si fece per l’ipertricosi la si debba considerare per un pseudo-invirilismo, ossia un pseudo-ermafroditismo, (1) Beclard-Guinard. Vedi Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Serie V. Tomo VII. Osserv. 81, pag. 748. (2) Taruffi Cesare. Storia della Teratologia. Bologna 1899. Tom. V, pag. 299. (3) Beclard. Bulletin de la Faculté. 1815. Serie V. — Tomo IX. 41 — 324 — che da solo non costituisce il tipo virago, ma che può far si che la donna diventi una tribade. Dobbiamo però avvertire che abbiamo intromesso una osservazione di Diemerbroeck (vedi Nota III, Oss. 12), la quale non appar- tiene a questo gruppo di anomalie, poiché trattavasi di una giovine con barba, con una clitoride grossa come un pene, e con un solo testicolo in uno dei grandi labbri, caso questo che apparterebbe piuttosto ai pseudo- ermafroditi masehili (1). Ci rimane finalmente da aggiungere all’ elefantiasi della clitoride che questa anomalia, come un fenomeno congenito è stata in passato veduta da Ruyschio in una pecora (2), da Rudolphi in una cavalla (3) e da Lecoq in una vitella (4). Di recente sarà stata pro- babilmente veduta in altri animali. Cap. 5.° — Invirilismo psicologico. $ I — Pstcopatia. Si danno in buon numero casi clinici che sono entrati lentamente nel dominio della frenologia, delle malattie degli organi generativi e per fino della storia delle donne illustri. Ora i medici tentarono di ravvicinare fra loro questi casì, in parte disparati, ia qual cosa ha sempre incontrato non piccoli ostacoli, facili a prevedere. Per servire alla concisione ometteremo le difficoltà ed esporremo invece le illazioni più o meno dirette che abbiamo ricavate dai casi principalmente congeneri; e siamo giunti ad ammettere che in generale i medesimi derivano da modificazioni dei centri nervosi, i cui effetti possono dividersi in tre gruppi: 1° casi in cui i centri nervosi agiscono attivamente sulle funzioni sottoposte alla volonta; 2° casi in cui le facoltà nobilissime dell’ intelligenza si sono elevate in un grado relativa- mente massimo ; 3° casi in cui speciali centri nervosi non migliorano, ma turbano le funzioni sessuali, senza la coesistenza di lesioni anatomiche. Venendo al primo gruppo, ricordiamo che sono frequenti le donne che mosse da fervore religioso o da amore per la famiglia o per un figlio sono capaci dì azioni generose e di grandi sacrifici da emulare un uomo; come sono frequenti le donne che s’ abbandonano alla voluttà e perfino ai costumi (1) Taruffi Cesare. Vedi Memoria III. Sull ordinamento della Teratologia. Bologna 1899, pag. 740. (2) Ruyschio Federico nel 1739 conservava le parti generative di una pecora, la quale in luogo del pene aveva una clitoride ingrossata ed allungata contro natura e pendente fuori dalla vulva. — Vedi Thesaurus Anatomicus VIII. N. 53. Amsterdam 1739. Tabula II, pag. 17, fig. 5. (3) Rudolphi K. A. Bemerkungen aus einer Reise etc. Berlin 1804-1805. Bd. I, s. 79. Veriflcò lo stesso fatto in una cavalla. (4) Von Lecog. Journal pratique de Médecine vétérinaire par Dupuy et Vatel 1827. Février, pag. 108. Verificò lo stesso fatto in una vitella. — 825 — viziosi da renderle capaci di superare gli uomini. Di ambedue le eventualità risparmieremo gli esempi perché troppo volgari; noteremo piuttosto che le passioni mentali sono per lo più composte di affetti diversi, associati fra loro; e riporteremo il caso della Pu/cella d’Orleans che s’ espose a tutti i pericoli, a tutti i disagi della guerra ed alle sofferenze del carcere per servire ad un tempo la religione, la difesa della dinastia e l’ amore del suo paese (vedi Nota IV, Osserv. 1). Per confermare la varietà di tali combinazioni ricor- deremo ancora la spagnuola Nona Alverez, la quale era una mercantessa che viaggiava il mondo come una zingara e ad un tempo aveva lo spirito cavalleresco o meglio battagliero, pieno d’ avventure; per cui incontrava spessissimo duelli, talora seguiti dalla prigionia (vedi Nota IV, Osserv. 2). Un secondo gruppo di donne, onore del sesso, sono quelle che emer- sero nelle belle arti e nelle scienze; e fra le prime vanno annoverate le pittrici e le scultrici, le quali ovunque mostrarono il loro valore, ma rite- niamo che ove dapprima fiorirono e giunsero ad emulare gli artisti più valenti, fu in Italia e precisamente a Bologna: difatto Properzia De’ Rossi, secondo l'Archivio pubblicato da Gualandi (1), nacque a Bologna nel 1491 e mori verso il 29 febbraio 1530, pochi giorni prima deli’ incoronazione di Carlo V. Essa divenne immortale per i lavori di scultura, fatti special- mente in S. Petronio, ed ha meritato giustamente un busto in plastica ed una epigrafe (2) nella sua casa nativa (Via Ripa Reno N. 49, Bologna). Poscia ricorderemo Lavinia Fontana bolognese, che nacque nel 1552 ed ha lasciate importanti pitture in varie chiese di Bologna, specialmente in S. Gia- como (vedi Nota IV, Osserv. 3). Finalmente ci fermeremo a due altre pittrici bolognesi di gran merito, le quali appartengono al XVII secolo. La prima fu E%isadetta Sirani, che nacque in Bologna nel 1638 e mori nell’ anno 1665, sicché visse soltanto 26 anni, e ciò che sorprese maggiormente è come in si breve tempo com- pisse tanti lavori pregevolissimi di pittura e pur anche d’ incisione all’ acqua forte: lavori in gran parte conservati nelle gallerie e nelle chiese di Bo- logna. La morte prematura e la malattia di questa donna prodigiosa dette luogo a racconti fantastici non ancora dissipati, ad onta della pubblicazione (1) M. A. Gualandi. Memorie risguardanti le belle arti. Bologna 1843. Serie V, pag. 93-96. L’autore ha trovato tre Rogiti concernenti Properzia De’ Rossi nel grande Archivio notarile di Bologna, da cui si recava che era figlia di Gerolamo e che nel 1516 aveva 25 anni, ed attribuisce ad Alidosi se Tiraboschi fornisce a Properzia un’ età più giovane e Modena per patria. (2) Properzia De’ Rossi. Epigrafe: SAECULO XVI O A I IR Oa i O Clara - Stirpe - exorta - Propertia - Rossia - Quì Properzia De’ Rossi è al mondo uscita, chiara mente Clarior - Eduxit - Vivos - De - Marmore di stirpe, e più d’ingegno chiara, che fe’ dai marmi Vultus. suscitar la vita. Don VINCENZO MIGNANI. — 326 — del processo (vedi Nota IV, Osserv. 4). L'altra esimia pittrice di nome Teresa Muratori (detta poi De Muratori) nacque nel 1662, ed era figlia di Roberto, Prof. in Medicina. Essa fu educata dalla Sirani nel disegno e mori nel 1708, e due anni prima adornò l’ epigrafe fatta al padre ed ai suoi antenati Francesco ed Achille, tutti tre lettori di scienza mediche. Poche notizie si hanno sulla vita di Teresa (vedi Nota IV, Osserv. 3), ma sappiamo soltanto che fra i dipinti notevoli della medesima havvi un S. Tommaso, che si vede nella chiesa della Madonna di Galliera, ed a piedi del quadro fu sepolta la pittrice. In quanto ai dipinti intorno all’ epigrafe, essi sono allegorici e assai encomiati, ma l’ influenza del tempo li ha molto dete- rioriati, come pure il carattere dell’ epigrafe, la quale si conserva nel loggiato superiore (ricco di memorie) dell’ antico Studio bolognese, chiamato Archi- ginnasio e precisamente a destra di chi entra nel teatro anatomico. L’ Italia ebbe più tardi anche !a fortuna di succedere alla Grecia rispetto alle donne che emersero nelle lettere ed inoltre nelle scienze. Egli è vero però che in Grecia fiorirono principalmente le poetesse, mentre in Italia le donne divennero dotte nelle lingue latina, greca e volgare e poscia nelle scienze. E qui ricorderemo alcune celebrità che vennero dal Senato bolognese elevate al pubblico insegnamento, ed un fatto anche più singo- lare si fu che una donna nel 1756 sali nel luogo nativo la cattedra di anatomia coll’ incarico di modellatrice ; e quella donna fu Anna Muneolini, nata Morandi (vedi Nota IV, Osserv. 6), la quale per i suoi lavori dimo- strativi divenne cosi mirabile che meritò 1’ elogio del celebre fisico Luigi Galvani (vedi citazione della Nota IV), il quale, e ciò va ricordato, era ad un tempo professore d’ anatomia e di ostetricia. La Morandi meritò anche l’ elogio del dotto fisiologo Michele Medici (Nota IV, Osserv. 6), che forni, oltre il ritratto, il catalogo dei preparati delia scultrice in plastica. Venendo alle Scienze meno ripugnanti al sesso gentile, ricorderemo due giovani bolognesi: una delle quali fu Laura Bassi (vedi Nota IV, Osserv. 7) letterata coltissima, che sostenne la sua tesi latina in faccia a sette avversari ed alla presenza di due Cardinali: Grimaldi e Lam- bertini (Benedetto XIV) in una seduta, che è rimasta memorabile mercé le epistole pubblicate in proposito: ciò che fruttò alla Laura nel 1732 la cattedra di Filosofia universale, e la elezione nel 1776 di un seggio nel celebre Istituto delle Scienze. L'altra bolognese fu Clotilde Tambroni (vedi Nota IV, Osserv. 8) la quale divenne cosi valente nella lingua greca, come risultò dalle odi che scrisse, che il Senato le conferi la cattedra di greco, cioé nel 1793, e poscia divenne accademica benedettina. Ma essendo donna di fermo carattere e tenace nei suoi giuramenti cessò nel 1798 dall’ insegnamento; però nel 1808 il Ministro dell’ interno del Governo Napoleonico le ridonò la cattedra che tenne fino alla morte. — 327 — In ogni tempo eravi opinione che le donne non avessero attitudini né alle matematiche, né all’ astronomia, ma per vero a questa regola era già nota fino dal 1748 un’ eccezione, poiché Maria Agnesi, milanese, (vedi Nota IV, Osserv. 9) nell’ anno stesso pubblicò le sue Instituzioni analitiche, grandemente accreditate, ciò che le giovò affinché Benedetto XIV la chiamasse in Bologna ad insegnare geometria analitica: cattedra gia tenuta nel luogo stessc dal padre, come onorario. Dopo l’ avvenimento di questa celebre donna ignoriamo se altre poi coltivarono le matematiche e tanto più con grande onore. In quanto alle donne che coltivarono |’ astronomia possiamo annoverare soltanto le sorelle di Eustacchio Manfredi (Te- resa e Maddalena) (vedi Nota IV, Osserv. 10) che aiutarono nel compilare le effemeridi dei moti celesti il fratello, celebre astronomo, nominato pro- fessore di matematiche nel 1698 nella propria patria. Ma oggi tale lacuna nel sesso femminino è stata ampiamente colmata dal Prof. Porro (1) e da pochi altri, rendendo note parecchie donne, sparse ovunque, ma spe- cialmente in America, che si dedicarono e continuano tutt’ ora nel rilevare e rivedere le fotografie celesti, ora nel calcolare le misure delle orbite dei pianeti ed ora in ricerche speciali e variate di astronomia; sicché possiamo indurre che non havvi alcuna scienza astratta che sia superiore alla capacità muliebre, ciò che non equivale al dire che questa possa superare la capa- cità virile. Concedendo che |’ intelligenza femminina non superi quella dell’ uomo ed ammettendo che essa però gareggi e talora s’ avvicini all’ altra, non ne risulta che questo fatto, sempre eccezionale, si colleghi regolarmente coll’ aumento di volume e di peso del cervello da avvicinarsi al virile. Egli è vero che anche recentemente Magnan (2) parla d’ un cervello femmi- nino nel corpo d’ un uomo, e viceversa, ma non risulta che il grado d’intel- ligenza si equilibri in ragione del peso ed in ragione del sesso. Ed è altresi vero che Cuvier ed altri sommi uomini ebbero il cervello molto voluminoso e pesante, ma viceversa non risulta che donne piccole e colla testa anche maggiormente piccola, si dimostrino talvolta di intelligenza molto acuta, e talora con spirito assai fino secondo l'educazione ricevuta: ed un esempio l’ho verificato recentemente in una contessa modenese. Se si ricerca se queste donne eccezionali con invirilismo psicopatico possedevano alcun altro carattere delle viragini, possiamo rispondere che dalle medesime non risulta che alcuna fosse gigantesca, ma soltanto da alcune biografie e da 4 ritratti (Propersia De’ Rossi, Lavinia Fontana, Elisabetta Sirani ed Anna Manzolini nata Morandi) risulta che esse ave- (1) Porro. Vedi Nota IV, Osserv. 11. (2) Magnan. Ann. méd. psychol. Paris 1885, pag. 258. — 328 — vano una figura assai vistosa e con un tronco che denotava un’ elevata statura, sicché si poteva ammettere che erano donne assai robuste ed alte, ma non al grado da comprenderle fra le viragini di Wrisberg. Le donne suddette mostrarono (ciò che è assai più strano) la frequente coincidenza rispetto al luogo di nascita durante il VI, il VII e 1’ VIII secolo; coincidenza che non abbiamo riscontrata in alcun altro studio d’ Europa; tanto più singolare, perché quello bolognese era allora governato dalla Corte Ponti- ficia. Questo ripetersi di donne illustri nello stesso luogo può ricevere diverse spiegazioni, ma noì lasciamo agli storici di scegliere la più naturale. Considerando poi se l’ invirilismo psicopatico nelle donne suddette sia ereditario, come si verificò in altre rare deformità, per esempio nell’ iper- trofia congenita del naso, del mento ecc. noi non abbiamo alcuna prova in favore ; e crediamo che si ripeta ia regola comune negli uomini celebri per l’intelligenza, e cioè che la loro figliuolanza non assomiglia nelle virtù intellettuali agli avi di gran valore, e quindi in ambo i sessi si verifica quanto disse Dante: « Rade volte risurge per li rami L’umana probitade, e questo vuole Quei che la da, perché da lui si chiami ». Versi che il poeta attribui a Pietro III Re d’Aragona e di Sicilia, il quale, di tre figliuoli, uno solo vissuto brevemente, Alfonso, ebbe erede delle sue virtù. Gli altri furono degeneri; l’ opinione di Dante fu poscia confermata da Macchiavelli (Nota IV, Osserv. 12). $ II. — Invirilismo psico-sessuale. Abbiamo rilevato che l’invirilismo fisico od anatomico nelle donne non ha sempre caratteri netti e decisi che lo distinguano da certe malattie. Difatto abbiamo aggiunto ai veri invirilismi i pseudo-invirilismi; quando per esempio giovani donne hanno, più spesso fino dalla nascita, le membra. ingrossate da edema o da infiltrazione sarcomatosa incipiente, in guisa da simulare le membra dell’ uomo, senza essere accompagnate da alterazioni degli organi generativi (1). Anche le affezioni nervose degli organi sessuali dobbiamo separarle in due classi, poiché se ne danno alcune che non mo- strano alcun cambiamento anatomico, ma disturbi sensitivi agli organi stessi ; invece havvi un gruppo di donne, recentemente illustrato, in cui il disturbo funzionale degli organi generativi è sui generis, e noi alludiamo all’ inver- sione sessuale di cui parleremo più avanti. Si dà pure un terzo gruppo (1) Taruffi. Storia della Teratologia. Tom. V, pag. 427. — Macrosomia parziale. Tom. VIII, pag. 513. — Elefantiasi congenita delle dita. 1894. — 329 — che si manifesta coll’ accrescimento dell’attività e della perfezione nell’ uso dei muscoli, dei nervi, e dei sensi in guisa da emulare gli uomini più eminenti nelle facoltà tanto fisiche quanto intellettuali, come abbiamo già dimostrato. Venendo ora ai fenomeni nervosi delle parti generative muliebri, annun- ziamo che essi presentano varii gradi d’ intensità e varii modi nel manife- starsi, senza escludere complicazioni accidentali; varietà chiamate ora adito erotico, ora ninfomania, ora furore uterino, ora amore lesbico, ora triba- dismo. Ma esaminando tanto le descrizioni generali quanto le singole storie, siamo indotti, salvo l’amore lesbico ed il #ribadismo (disturbi affatto diversi), a ritenere che tali vocaboli siano generalmente sinonimi, poiché le altera- zioni a cui alludono somigliano fra loro ;.e quando giungono al massimo disturbo, allora l’ affezione fu chiamata fino nel II secolo satiriasi dal greco Sorano, ed'ora applicasi questo nome all’ uomo, dove che dicesi ninfo- mania quando si verifica nella donna (1). L’ autore greco, non tanto per la sua antichità quanto per aver segnato un primo passo nel difficile ed oscuro argomento della saziriasi, merita che noi diamo il brano relativo tradotto dal greco, tanto più perché, oltre essere il medesimo poco cognito, contiene il primo cenno del pervertimento del- l’ intelligenza collegato coi fenomeni locali delle parti generative. Prima però di ricordare cotesto brano non taceremo che alcuni freniatri continuano a distinguere alcune varietà cliniche senza rintracciare caratteri d’ una certa costanza e valore per distinguerle fra loro e da altre verità. Uno fra questi fu il Dott. F. Venanzio (2) che ha voluto fornire i caratteri dell’ abito o meglio /emperamento erotieo, dicendo che coteste donne hanno la cute splendida, le labbra rosse e tumide, i muscoli e le mammelle assai sviluppate, il bacino ampio, gli arti inferiori grossi. Non neghiamo che I autore non abbia veduto una giovine con tali caratteri. Ma per dar forza alla sua descrizione doveva aggiungere in quanti casi donne con tempera- mento erotico presentavano i suddetti caratteri ed in quanti altri casì essi mancarono. Ora riporteremo il brano importante di Sorano: Della satiriasi. « SORANI EPHESII LIBER DE MULIEBRIBUS AFFECTIONIBUS RECENSUIT ET [LATINE INTERPRETATUS EST FRANCISCUS ZACHARIAS ERMERINS. TRAJECTI AD RHENUM, APUD KEMINK ET FILIUM, CIQIOCCCLXIX, pag. 256. « La satiriasi avviene più spesso negli uomini; e pero di essa noi (1) Von Schrenck-Notzing A. (Monaco). La terapia delle malattie sessuali. Traduzione. To- rino 1897, pag. 33. — Quivi l’autore si è occupato lungamente della satiriasi e della ninfomania. (2) Venanzio F. Ninfomania. Enciclopedia medica italiana. Milano (vergognosamente senza data) in circa fra il 1885 al 1890. — 330 — abbiamo parlato nei libri delle malattie acute. Ma talvolta avviene anche nelle donne, come negli uomini. « E in esse producesi un forte prurito delle parti muliebri, con dolore ; tanto che continuamente le donne portano le mani a quelle parti. Hanno quindi un infrenabile trasporto per le cose veneree con vero ardore, e (pel consenso che si ingenera fra l utero e le membrane del cervello) hanno un certo pervertimento dell’ intelletto, che toglie loro ogni pudore. Si infiammano le parti circostanti 1’ utero, e il contatto carnale da esse: desiderato rende la malattia più grave, perché il seme non ha uscita, i meati essendo resi impervii dalla infiammazione, e perciò si accumula nel corpo maggiore copia d’ umore. « Bisogna far subito all’ infermo un salasso, diminuire la copia del cibo, e mettere sui lombi e sul pube cataplasmi di materie che rinfreschino e siano blandi astringenti. Sul capo bisogna fare scorrere olio rosaceo con aceto. Bere acqua tiepida, e cibi da sorbire, eliminando intieramente: tutto ciò che sia fiatulento o eccitante al coito. Due giorni dopo il salasso applicare alle parti dei cetriuoli senza tagliarli. E per tutto il resto, curare: come diremo per la infiammazione dell’ utero ». Rimettiamo ai freniatri di completare e rettificare se credono la descri- zione suddetta della satiriast; ciò che a noi preme maggiormente é di trovare anche oggi confermata l’ ipotesi del nesso fra |’ affezione sessuale: collegata al pervertimento dell’ intelligenza, ed a questo riguardo non abbiamo rinvenuto nessun altro, se non Kraft-Ebing (1) che abbia esposto con maggiore verosimiglianza il suddetto rapporto. Egli così si esprime : È necessario immaginare un centro psico-sessuale per spiegare: i fenomeni fisiciogici (ed i patologici), il quale non può essere che un punto di concentrazione ed incrociamento dei nervi conduttori che vanno agli apparecchi motori e sensitivi degli organi genitali, e che d'altra parte: vanno ai centri visuali, olfattivi, ecc. apportando alla coscienza le sensa- zioni delle parti e in tal modo si forma l’idea di un essere maschile o femminile. Tale dottrina é indirettamente confermata da Lippemann (2) che afferma la libidine sessuale conservarsi negli animali dopo la castrazione, la quale anche nelle donne non reca alcun sollievo nelle affezioni nervose degli organi generativi. In passato questi fatti in luogo di essere ammessi erano implicitamente esclusi, ma Kroemer (3) nel 1896 ha raccontato. (1) Kraft-Ebing. L’inversione sessuale nell’uomo e nella donna. Roma 1897, pag. 99. (2) Lippemann O. Jahresbericht fir 1887. Bd. II, s. 693. (3) Kroemer. Contributo alla questione della castrazione. Zeitschrift f. Psychiatrie. H. 1, Bd. 52. — La Clinica Moderna. Firenze 1896. Vol. II, pag. 68. — 331 — che da una statistica di 300 donne operate mediante castrazione ovarica si ottennero 200 successi con conservazione completa dell’ abito femminino e degli stimoli sessuali. Se queste relazioni verranno ulteriormente confer- mate si avrà una convincente prova dell’ esistenza e dell’importanza fisio- logica del centro psico-sessuale. Noi speravamo ancora che le necroscopie degli idioti e dei cretini avessero recato maggiori conoscenze su detto centro ; ma studi intorno a tale rapporto, cioè studi comparativi sui gradi delle alterazioni cerebrali coi gradi della decadenza intellettuale (tanto negli idioti quanto nei cretini) sono pur anche scarsi e contradittori (1), mentre scienti- ficamente sarebbero di gran profitto, almeno per verificare quanto ha annun- ziato Sollier (2) nel 1891, che negl’ idioti gl’ istinti sessuali sono general- mente deficienti, mentre negli imbecilli li trovarono generalmente aumentati e talora invertiti, anzi in passato Wenzel ammetteva la riproduzione pos- sibile dei figli. E finalmente vi è opinione che i maschi castrati finché sono giovani non perdono ad un tratto e completamente gl’istinti sessuali, ciò ché abbiamo verificato noì stessi nei giovani buoi. Avendo accennato al gruppo dei fenomeni sessuali, che chiameremo positivi, cioé costituiti da disturbi funzionali più o meno molesti degli organi generativi, per non lasciare monco il discorso delle psicopatie dob- biamo sospendere il racconto dei casi d’ invirilismo e di pseudo-ermafro- ditismo, e passeremo ai fenomeni negativi degli organi stessi, cioè alle apatie ed alle ripugnanze sessuali comprese dai medici periti fra gl’ indi- vidui con impotenza per frigidità di Zacchia, la quale secondo Kraft- Ebing è più frequente nelle femmine che nei maschi, però non reca alcun esempio d’ apatia congenita, che egli chiama anestesia congenita (3). Invece sull’impotenza nervosa (senza distinzione di grado) segnaliamo un bell’ arti- colo del Prof. Borri in cui sono analizzate le condizioni (puramente indotte clinicamente) causali di tale impotenza (4). Ma non volendo oltrepassare di troppo il nostro programma, ricorde- remo soltanto alcune osservazioni poco cognite, generalmente associate a forme congenite comprese nella teratologia; la di cui influenza è assai oscura e non risguardano esclusivamente il sesso femminino. E le mede- sime sono tanto più oscure, perché non havvi niuna regolare correlazione fra le qualità dell’ anomalia sessuale e il disturbo funzionale della parte stessa. Aggiungiamo per ultimo che talora si verifica una causa terato- (1) Vedi Filippi. Medicina legale. Biblioteca medico legale. Milano (senza data) pag. 1457. Luys. Traité des maladies mentales. Paris 1887, pag. 658. Regis E. Manuel pratique de Médecine mentale. Paris 1885, pag. 119. (2) Sollier Paol. Der Idiot und der Imbecille. Hamburg und Leipzig 1891, s. 75. (3) Kraft-Ebing. Psicopatie sessuali. Studio clinico legale. Torino 1889, pag. 33. (4) Borri Prof. L. Art. l Impotenza. L° Enciclopedia medica del Vallardi (vergognosamente dall’ editore omessa la data e la bibliografia). Serie V. — Tomo IX. 42 — 332 — logica che agisce meccanicamente e che impedisce. il funzionamento degli organi femminini e maschili. Questa causa meccanica é la presenza di due peni o di due vulve, ora paralleli (1) ed ora sovrapposti (2), di cui Neugebauer ne ha raccolti 37 casi nella letteratura. Venendo ora ai disturbi negativi delle funzioni sessuali fermeremo la nostra attenzione sull’ apatia sessuale. Essa è una affezione assai cognita ai medici legali, la quale si associa talora alla ripugnanza del coito; ed é pure cognita ai Teratologi quando l’ apatia si associa a deformità degli organi generativi; ma non sappiamo se fra questi due modi la deformità del sesso sia relativamente più o meno rara. L’ apatia sessuale con o senza ripugnanza al coito non equivale esattamente all’ impotenza nervosa, avendo conosciuto casi di tale impotenza mentre l’ infermo conservava |’ istinto erotico; come pure donne che si prestarono passivamente al coito senza istinti sessuali. Questo fatto fu veduto in una donna, stimata da Galland T. ermafrodita e riferito da Laurent (3) senza raccontare la necroscopia. Trattavasi di una donna maritata due volte che non ebbe mai alcuna inclinazione, né alcuna sensazione voluttuosa durante il connubio. Un fatto in parte analogo, perché si trattava d’una donna di 80 anni che aveva avuto due mariti e giammai istinti erotici e compiacenza al coito, è stato descritto dal napoletano Ricco (4). In questo caso all’ autopsia si trova- rono gli organi maschili, e soltanto la vagina come rappresentante gli organi femminini. Aggiungendo pochi altri fatti ai precedenti, ricorderemo il caso d’Itard De Riaz (5) d’un giovane di 22 anni senza desideri venerei coll’ abito femminile, col pene simile al dito piccolo, colle pieghe scrotali senza testi- coli. Riporteremo pure il caso di Guenther (6) il quale non aveva incli- nazione per ambidue i sessi, ed era affetto da ipospadia e da fessure scrotali. Richiameremo pure l’ attenzione sul seguente caso, in cui oltre l’apatia, vi era ripugnanza alle donne, perché suscita la questione se si (1) Taruffi Cesare. Due casi nella specie umana del Diphallus Gurlt. — Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. 25 Novembre 1888. Ser. 4. Tomo IX, pag. 551. (2) Neugebauer. 37 Falle von Verdoppelung der àusseren Geschlectstheile. — Monatsschriît fiir Gynaekologie 1898. Bd. VII. H. 5. (3) Galland T. (autore non citato nelle note bibliografiche), ricordato invece nel 1894 da La u- rent Emile, Les bisexués etc. Paris 1894, pag. 205. (4) Ricco Giuseppe. Maria Arsano. — Taruffi. Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituito di Bologna. Bologna 1899. Osserv. 9. Tomo VII, pag. 740. (5) Itard De Riaz. Vedi Taruffi: Intorno ad un feto umano agenosomo. — Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Bologna 1894. Osserv. 2. Serie 5%. Tomo IV, pag. $5. (6) Guenther Aug. Frid. Commentarius de Hermaphroditismo. Lipsiae 1846. — Taruffi. Sull’ ordinamento della Teratologia. — Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Bologna 1899. Osserv. 12. Tomo VII, pag. 741. Con tav. — 333 — trattava veramente d’ermafroditismo. Blackmann (1) vide un individuo di 36 anni colla ripugnanza suddetta, coll’ emissione di sangue mensile dall’ uretra, con trombe falloppiane e due corpi glandulari forniti di con- dotti deferenti, ed inoltre due tubercoli (senza follicoli) che furono supposti per le ovaie, sicché trattavasi d’ un ermafroditismo glandulare soltanto probabile, il quale non esclude l’ opinione generale che gli ermafroditi veri siano indifferenti sessualmente. Chiuderemo questa breve enumerazione con due altri fatti singolari che lasciamo, insieme agli altri, ai futuri periti versati in fisiologia, come due problemi da risolvere. Il primo fatto fu riferito da Gérin (2). Si trattava d’ una donna di 26 anni con abito muliebre, amenorroica, colla clitoride lunga 35 millimetri, suscettibile d’ erezione, che aveva ripugnanza al sesso maschile ad onta delle relazioni col medesimo, ed era indifferente alle frizioni sulla clitoride. Essa aveva la vagina lunga 9 centimetri e termi- nava a cul di sacco senza utero e senza ovaia. Perché la ripugnanza al sesso maschile ? Il secondo fatto è comunicato da Magitot (3) e risguarda una donna stimata ed educata tale, che a 17 anni e mezzo sposò un giovane del suo paese, con cui visse per 12 anni in buona intelligenza, sebbene i rapporti sessuali non potessero mai compiersi regolarmente. Rimasta vedova, l’ incli- nazione sessuale si modificò ed ebbe molti amanti, coi quali i rapporti sessuali sì compievano normalmente; ma dopo poco tempo si ammalò e mori. Alla necroscopia si trovò un pene simile a quello d’un fanciullo di 12 anni, affetto da ipospadia, il quale però fu capace d’erezione e di eiaculazione dello sperma, e non conteneva filamenti. Lo scroto era bipartito, e ciascheduna parte conteneva un testicolo. Mancava l’appa- recchio femminile interno. Lasciando da parte questi casi difficili, e tornando all’ apatia raccomandiamo ai medici legali il bell’ articolo di Schrenck- Notzing (4) sulle cause che favoriscano l’ impotenza nelle donne, in cui sì comprende l’apatia, non potendo noi ulteriormente divagare dal nostro argomento. $ II. — Inversione sessuale. L’amore fra le donne come fra gli uomini (pederasti) è un fatto avve- (1) Blackmann. On Ermaphroditism, with an account of two remarkable cases. 1853. — Ta- ruffi. Sull’ordinamento della Teratologia. — Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Bologna 1899. Osserv. 14. Tomo VII, pag. 734. (2) Gérin-Rose. Un cas d’ hermaphrodisme. — Gaz. des hòpitaux 1884. N. 139. — Societé mé- dicale des hòpitaux 1884. (3) Magitot E. Sur un nouveau cas d’ hermafrodisme. — Bulletins de la Societé d’ Anthropo- logie. 1881 pag. 487. (4) Schrenck-Notzing A. La terapia suggestiva ecc. Torino 1897, pag. 72. Trad. dal tedesco. — 334 — nuto in tutti i tempi, e la migliore prova rispetto alle donne fu l’ ode memorabile di Saffo, la quale rese volgare la frase : amore lesbico, Lesbo essendo la patria della poetessa: argomento questo che ci riconduce al- l’invirilismo, colla differenza che in )Juogo d’essere fisico od anatomico è invece d’ origine psicopatica. Avanti però di fornire un cenno storico e di dare la definizione di questo argomento, che comprende tanto i maschi quanto le femmine, premetteremo | avvertenza che possiamo ommettere la raccolta dei fatti, sebbene sia la base del discorso, perché nell’ ultimo decennio le pubblicazioni ricche di casi intorno ai pervertimenti sessuali sono cosi numerosi da permetterci di limitare la nostra raccolta ad alcune osservazioni dimenticate o poco note (vedi Nota IV). Le osservazioni recenti hanno fornito | occasione a medici valenti di analizzarle e di confrontarle nelle loro diverse manifestazioni, ed inoltre di classificarle secondo i risultati ottenuti; e già questi studi hanno recata la pubblicazione di parecchi articoli e di pregevoli libri, in cui sono intro- dotti nuove idee e nuovi vocaboli o titoli che riguardano o le modalità, o le origini, o le conseguenze sociali dell’ amore fra donne. Annoverando tali vocaboli e aggiungendo la loro origine, si viene ad accennare ad un tempo i punti principali di questa recente storia, che ha già costituito un nuovo ed importante capitolo alla biologia, e più specialmente alla medi- cina legale; senza contare i nuovi problemi di fisio-patologia, intorno ai quali speriamo che i fisiologi vorranno finalmente rivolgere |’ attenzione. Venendo tosto alle denominazioni ed alla definizione racconteremo che gia da 40 anni (1860) comparve uno scrittore singolare, che era assessore dello Stato d’ Hannover ed uomo assai dotio ed erudito, mentre era un vizioso impudente : poiché pretendeva che fosse libero l’ amore fra individui d’eguale sesso e patrocinò in più occasioni questa idea co} pseudonimo di Numa Numantius, mentre il suo vero nome era Enrico Carlo Ulrichs. Questo autore ebbe ancora dominante il pensiero di nobilizzare |’ origine della sodomia, ed invece di adoperare il nome di pederastia, come usavano i greci, la denominò con quello d’uranismo (dalla dea Urania) (1) e tale vocabolo fu convertito in urningo maschile ; parola poscia diffusa da Kraft- Ebing e da Moll. L’origine della medesima è tratta da Platone (Con- vito c. VIII et IX), il quale ammise in origine un terzo genere di viventi cioè l’ ermafrodito, fatto da un maschio e da una femmina, e poi perché Urano generò Afrodite senza la madre. Westphal], chiaro professore di psichiatria in Berlino, seppe stabilire la definizione ed il titolo del gruppo, che esso separò dai pervertimenti (1) Karl Heinrich Ulriesh. Prometheus. Leipzig 1870. — Per ulteriori informazioni vedi Moll A. Les perversions etc. Paris 1899, pag. 17 e seg. — 335 — sessuali; difatti da buone osservazioni ricavò un articolo col titolo: Con- tréire Serualempfiindung (1) che fu poi tradotto in Inversione sessuale, e defini tale pervertimento come un fatto congerito del sentimento sessuale (sia maschile, sia femminile) accompagnato nell’ infermo dalla coscienza del carattere morboso di tale fenomeno. Fra questi due attributi il secondo non é stato accettato, poiché molti sono i casì in cui gl’ infermi non hanno la coscienza d’ essere in preda ad una infermità. Chi ha poscia arric- chito maggiormente coi suoi lavori l'argomento dell’ inversione fu Kraft- Ebing (2) di Mannheim (1840), in guisa che basta per ora rimandare gli studiosi ai medesimi, per evitare indispensabili piagi; per ciò ricorderemo soltanto, a servizio della storia (3), i punti principali della medesima. Egli dapprima ha migliorato la definizione dell’ inversione, non ommet- tendo che la medesima è congenita ed aggiungendo che l’ infermo quando arriva all’ età dell’ infanzia possiede soltanto |’ inclinazione o il sentimento psico-sessuale per il sesso opposto. Siccome poi il fenomeno avviene tanto fra maschi quanto fra femmine, ed il fenomeno è psicologicamente il medesimo, cosi per essere il fatto comune, Kraft-Ebing (4) ha intro- dotto il vocabolo: omosessuale (egual sesso) e quindi chiamò i sentimenti omosessuali (cioè fra individui di sesso eguale), e quando si vuol esprimere se il fenomeno avviene fra maschi o femmine, lo chiama urningo maschile o femminile. Se poi l’ inclinazione o il connubio é fisiologico, cioé col sesso opposto, allora poi chiamò il fenomeno etero-sessuale (fra due individui di sesso diverso), il quale può interpolarsi fra gli atti dell’ urningo, cioé può esercitarsi ad intervalli irregolari in un individuo affetto dal morbo omo- sessuale. In quanto alla pratica medica Kraft-Ebing intraprese importanti ricerche per fissare l’ origine dell’ inversione sessuale, e confermò che dessa era ora acquisita ed ora congenita, e ne ricavò due generi distinti. Fatto questo primo passo, il più difficile, egli ha tentato di tracciare i gradi d’ognuno dei due generi, quindi d’ assegnare un certo numero di cause, e di ricavare i caratteri differenziali, che possano servire alla diagnosi dei medesimi, avvertendo che questa diagnosi spesso ha grande impor- tanza, ora per stabilire il piano di cura, ed ora per riconoscere il grado (1) Westphal K. F. Contràre Sexualempfindung. Archiv. fir Psychologie. Berlin 1869. Bd. II. Heft. 1, pag. 109. (2) La maggior parte delle idee dottrinali di Kraft-Ebing si trovano nel libro: Psicopatia ses- .suale. Roma 1897. (Traduzione dal tedesco). Le osservazioni poi sono sparse in tutte le opere. (3) Chi desidera avere minute cognizioni storiche può consultare Moll Albert specialmente rispetto all’ inversione sessuale dell’ uomo, il di cui titolo è il seguente: Moll Albert. Die contràre Sexualempfiindung. Mit Benitzung anatl. Materials, und mit einem Vorwork von R. v. Kraft-Ebing. Berlin, Fischer, 1891. — Molto importante per l’ erudizione. (4) Kraft-Ebing. Inversione sessuale. (Traduzione dal tedesco). Roma 1897, pag. 11. — 336 — di responsabilità dell’infermo in quanto alle cause del morbo. Per facilitare la diagnosi Ì’ autore ha distinto l’ inversione acquisita in 4 gradi. Ma prima. di venire ai gradi, ricorderemo che chi si è specialmente occupato delle cause é stato Von Sehrenck-Notzing (1), il quale ha fatto uno studio particolareggiato sulle cause dell’ onanismo e sulle altre cause dell’ inver- sione sessuale acquisita. Ma venendo ai gradi ammessi da Kraft-Ebing; il 1.° è costituito (sintomaticamente) dalla semplice inversione nel senso sessuale, mentre l’ infermo giudica tale tendenza come una aberrazione e contraria al proprio sesso; il 2.° avviene quando l’infermo ha il sentimento d’ aver cangiato il proprio sesso: per es. un maschio che si sente donna, perfino nell’ atto sessuale; e 1’ autore chiama questo stato per evirato. Pro- babilmente in tale categoria vanno posti quegli uomini che, soli, in casa, si vestono elegantemente da donna, come ne ricordo un caso in un giudice processante, quando io ero ancora studente. Merita speciale attenzione il grado seguente, di cui l’importanza non sì può rilevare, se non consultando |’ autore stesso ove parla della para- noia (2). Una idea intorno al medesimo grado può però ricavarsi dalla seguente storia, esposta molto diffusamente dall’ autore medesimo, che costi- tuisce la base del 3.° grado. Transizione verso la metamorfosi sessuale paranoica. L'autore racconta che un medico era esso stesso l’ infermo, e dice: — « Quando era fanciullo avevo le maniere e l’ aspetto femmi- nino; era appassionato per i giuochi maschili, come la ginnastica, e gli esercizi militari, mentre evitava le fanciulle. All’ età di 15 anni caddi nel vizio dell’ onanismo; ma quando lo praticavo mi pareva d’esser fatto di due parti, una virile e l’altra femminile. Fui obbligato a pigliar moglie ed il coito non mi procurava aleuna compiacenza. Passati alcuni anni con turbe nervose ed allucinazioni, fui preso da accessi gottosi, pei quali feci uso del bagno caldo, che mi obbligò un giorno d’ uscire rapidamente dal medesimo sentendomi donna e coi suoi desideri. Questo fenomeno si re- plicò dietro una forte dose di canabdina indica e rimasi poscia mansueto e paziente come una femmina; però avevo un sonno assai breve ed avevo l’ allucinazione che le mie parti generative fossero quelle di una donna. Fortunatamente mi rassegnai del mio stato mediante il sentimento religioso, che avevo sempre conservato e che m’impedi di seguire 1’ inclinazione suicida più volte replicata ». — Kraft-Ebing definisce il 4.° grado ed ultimo. Metamorfosi sessuale puranoica. L’ autore intende quando 1° infermo dapprima è neurostenico negli organi sessuali, poscia la neurostenia diventa; (1) Von Schrenck-Notzing etc. (Monaco). La terapia suggestiva ecc. Torino 1897, pag. 129 e seguenti, (2) R. Von Kraft-Ebing (Prof. a Graz). Trattato delle malattie mentali. Vol. II, pag. 133. — Paranoia primitiva. (Traduzione dal tedesco). Edizione 1884. Torino 1885. — 337 — universale nel senso d’ una malattia psichica, fino al grado di paranoia, cioé fino alla monomania d’aver cambiato il sesso. Questa monomania molto rara si verifica tanto nell’ uomo quanto nella donna. L’inversione sessuale quando è congenita, l’ autore la considera mor- bosa, sebbene l’ organo sessuale sia già differenziato; ma l’ individuo pre- senta la singolarità dell’ apatia, fino all’ avversione per l’ altro sesso, ed invece ha una simpatica tendenza per le persone del proprio sesso. Anzi in certi casì l’infermo manifesta tale tendenza coll’ imitazione delle occu- pazioni e del modo di vestire per le persone stesse. Anche questo processo morboso offre dei gradi, cioé diverse forme nel suo sviluppo, che Kraft- Ebing compendia nel modo seguente: 1.° Durante il sentimento omosessuale si manifestano traccie di sen- timenti etero-sessuali (ermafrodismo psico-sessuale) ; 2.° Quando non appare altra tendenza se non pel proprio sesso (omo- sessualità) ; 3.° Quando tutto l’ essere fisico si conforma al sentimento sessuale anormale. (effeminazione e viraginità); 4.° Quando la conformazione del corpo somiglia nell’ atteggiamento a quella del sesso corrispondente al sesso sessuale anormale. Confrontando questi gradi con quelli dell’ omosessualità acquisita e le relative storie, é facile rilevare come siano pregevoli i tentativi fatti per differenziare i due generi: cioé l’ invirilismo psicologico acquisito dal con- genito, ma nello stesso tempo è facile comprendere quanto grande sia la difficolta nel ricavare praticamente da caratteri funzionali (e non fisici) assai complicati e variabili, i dati che possono evidentemente separare questi due generi; quindi non havvi alcun dubbio che cotesto punto abbisogna di perfezionamento, che può trarsi solo aggiungendo nuove osservazioni meglio caratterizzate. L'autore dai molti fatti clinici da esso esaminati ha indotto che nel- l’ inversione patologica e congenita ad un tempo, si può rilevare una con- «dizione ereditaria, e come dicono i moderni una tara, e quando tali condi- zioni si rilevano dopo la pubertà diventano sintomi del morbo: per es. il ‘carattere romantico, bizzarro, la vivace passione per la musica, per la poesia, e nelle donne gli esclusivi sogni di donne, le sofferenze per nevro- ‘stenia, per isteria: due affezioni spesso mantenute dalla masturbazione. Venendo alle origini, l’autore ammette che nelle famiglie vi siano individui «on nevrosi, con psicosi epilettica, e con stigmate di degenerazioni, per es. ‘eredo-sifilitiche (1). Ma anche a questo riguardo ripetiamo che occorrono nuove osservazioni meglio circonstanziate, e non potendo noi riuscire in (1) Fournier Edmondo. Stigmates Dystrophiques de l Hérédo-Syphilis. Paris 1893. — 338 — questo intento, che oltrepassa il nostro assunto, rimettiamo agli studiosi lo studio col medesimo fine. Quando avevamo scritto le suddette parole ci siamo accorti che già Casper fino dal 1833 (1) sosteneva ehe la pede- rastia era una inclinazione sovente congenita. Recentemente Moll (2) ha sostenuto con molti argomenti che le inversioni sessuali che si pretendono acquisite, sono generalmente congenite, ed ha iniziata una grave critica sulla diagnosi differenziale frai due modi d’ inversione, che merita d’ essere; presa in considerazione. Abbiamo già stabiliti i caratteri delle viragini secondo Wrisberg, ed abbiamo veduto che molti corrispondono a quelli da noi assegnati all’in- virilismo (3), ed abbiamo anche rilevato la necessità dì fissare un limite minimo della statura delle viragini suddette. Ora aggiungeremo che Me- ckel richiamò il vocabolo ginandra come sinonimo di virago (4); e che Kraft-Ebing rilevò che molti dei caratteri suddetti si associano talora all’ inversione sessuale. Difatti afferma che coteste donne hanno il basso ventre e gli organi generativi esterni femminini, mentre possedono la faccia e la forma generale dello scheletro col tipo maschile. Ma non fornisce sufficienti dati anatomici intorno alle disposizioni dello scheletro, né alla. media aritmetica della statura. Ecco i caratteri principali che ha fornito quest’ autore intorno alle gi nandre. Nell’ infanzia femminile la donna ama i sollazzi dei ragazzi e riva- leggia con loro nei giuochi. Essa non ama i lavori donneschi e sì manifesta disadatta ai medesimi. Avanzando nell’ età, mostra le tendenze d’ una amaz- zone ; sì compiace dei capelli corti, dei vestiti maschili, anzi ama di vestirsi da. uomo. Più tardi essa sì sente essere un uomo dinanzi alle donne. Le rela- zioni sessuali con un individuo dell’ altro sesso le sembrano del tutto incon- cepibili. In numerosi casì le donne si contentano dell’ affetto platonico e tutto al più dell’amore lesbico o della masturbazione attiva. L’ autore passa poscia a discorrere della vera ginandra (donna-uomo) e dice che le donne appartenenti a questo genere hanno i caratteri fisici e le sensazioni sessuali analoghe a quelle delle viragini; e fra i caratteri fisici é notevole la somi- glianza rispetto alla voce, al tipo della fisonomia ed alla conformazione del proprio scheletro rispetto l’uomo. E si hanno ancora poche ma ba- stevoli osservazioni, per ammettere che queste donne hanno il bacino, l'andatura e le attitudini spiccatamente virili, e specialmente i tratti gros- (1) Casper, Johann Ludwig C. Vierteljahreschrift fur gerichtliche und òffentliche Medicin.. Berlin 1833. . (2) Moll A. Les perversions de l’instinct génital. Paris 1897, pag. 216 e seg. (Traduzione dal tedesco). (3) Taruffi Cesare. L’Ermafroditismo. — Memorie della R. Accademia delle Scienze del- l’ Istituto di Bologna. Bologna 1899. Ser. 5%. Tom. VII, pag. 727. (4) Meckel J. Fr. Pathologische Anatomie. Leipzig 1816. Bd. II, s. 200. — 339 — solani, la voce grave e rauca e talora le mani e i piedi grandi. In quanto alla parte morale è notevole che il pudore scompare quando si trovano dirimpetto ad una persona del proprio sesso e non a quella del sesso opposto. Venendo all’ ermafroditismo, abbiamo già avvertito che i fenomeni bisessuali nelle viragini furono rilevati fin da Wrisberg, e nel nostro tempo Casper accertò che si davano uomini che hanno rapporti sessuali ora cogli uomini (omosessuali), ed ora colle donne (eterosessuale). Dalle cognizioni di questo fatto Von Kraft-Ebing ha ricavato un carattere per stabilire il primo grado della sua classificazione sopra l'inversione ses- suale congenita (vedi grado 1.°, pag. 36). Esso dice: Accanto al senti- mento omo-sessuale vi sono traccie del sentimento ezfero-sessuale; e questo stato lo chiama ermafroditismo psico-sessuale. Moll (1) ha tosto dimostrato che la distanza nel tempo fra i rapporti sessuali (etero-sessuali) varia in diversa misura e che tale varietà negli uomini ammogliati non è altrimenti rara, quando gli uomini possiedono uno sviluppo completo degli organi generativi; invece può variare grandemente l’ antipatia per gli individui etero-sessuali. A proposito dell’ ermafroditismo é qui opportuno ricordare che in più incontri abbiamo applicato questo vocabolo. Difatti in ambidue i generi di invirilismo abbiamo trovati casi d’ applicazione del medesimo vocabolo, prin- cipiando da quelli in cui le parti anatomiche hanno assunto forme simili alle maschili, come nelle viragini, nell’ ipertricosi, nelle ipertrofie semplici delle parti del volto, della clitoride, e delle membra. Abbiamo però omessa l’ applicazione quando invece havvi una ipertrofia falsa, data da processi patologici, cioé quando havvi soltanto un pseudo-invirilismo. L’ abbiamo poi applicato nel secondo genere d’ inversione, cioè quando i caratteri virili sì desumono dalle azioni, sia fisiche sia morali, compiute da donne; per spiegar le quali azioni é d’ uopo attribuirle ad una perfezione ed attività inso- lita nelle funzioni psichiche. Fra queste azioni vi sono ancora le psico- sessuali in cui l’ accrescimento d’ attività può tralignare in un morbo e pur anche invertirsi (inversione sessuale). In questo caso l’ inversione non acquista soltanto il carattere d’ ermafroditismo, come vuole Kraft-Ebing, quando lo stesso individuo compie i rapporti sessuali con ambidue i sessi; ma bensi ogni qual volta una donna s’immagina d’ essere un maschio e cade nei diversi gradi dell’ omo-sessualità, poichè è pur esso un fenomeno ner- voso che ha il suo centro attivo e riflesso in una anomalia della psiche. (1) In quanto alla frequenza dei casi Moll non sembra dell’ istesso avviso (loco citato, pag. 305). Fsso dice che nelle donne si incontrano tutte le specie di pervertimenti sessuali, ma quello che si ripete più frequente è l’ inversione sessuale, in cui le donne si sentono attratte maggiormente verso le altre donne. Serie V. — Tomo IX. 43 — 340 — Dopo aver dato un cenno rapido dell’ inversione bisognerebbe aprire un nuovo elenco di fatti (cioè un Articolo) che raccogliesse le varietà dei carat- teri tanto anatomici, quanto istintivi dell’inversione sessuale per verificare, per esempio, quante volte nelle donne si trova l invirilismo esteso o circo- scritto al torace; della quale cosa, sebbene possa supporsi frequente, tuttavoita non abbiamo registrati che i pochi esempi seguenti, ignorando quelli che ha raccolti Birnbacher (1), ed omettendo di considerare come esempi di pseudo-ermafroditismo i casi di ipospadia perineo-scrotale, come sembra inclinato ad ammettere Kraft-Ebing (2), poiché l’ ipospadia bensi esiste nella donna, ma assai di rado, e poi non si trova descritta coll’ aspetto della vulva ed in continuazione colla vagina. Chi desidera conoscere le varietà sia fisiche sia istintive del pseudo- ermafroditismo tanto maschile che femminile può scorrere le 148 osserva- zioni che abbiamo già riportate nel tomo VII, pag. 738 delle Memorie del- l’Accademia delle Scienze. Qui aggiungeremo solo 4 fatti che risguardano l’ inversione, i quali descriveremo alquanto più minutamente nelle note relative. Il primo é stato descritto da Gérin (vedi Nota V, Osserv. 1) in cui si trattava di una donna con abito maschile, che aveva avuto, ad onta della sua ripugnanza, relazione con uomini, e all’ autopsia si trova- rono gli organi generativi femminini senza però le ovaia. Gunchel (vedi Nota V, Osserv. 2) racconta che una giovine con abito maschile, col pene lungo 5 centimetri e piegato posteriormente, ma senza testicoli, imputata di amo- reggiare colla matrigna, mori a 28 anni. Alla necroscopia si trovarono gli organi femminini completi, eccettoché la vagina sboccava nella prostata. Birnbacher (vedi Nota V, Osserv. 3) riferisce che una donna amava di simulare lo stato maschile e soffriva di amore lesbico. Aveva lo scheletro e la testa femminile, e gli organi generativi aplasici, da paragonarsi a quelli di una fanciulla di 10 anni. Finalmente Muller (vedi Nota V, Osserv. 4) racconta un caso (del secolo scorso) di atresia delle parti generative in una donna che aveva gli istinti sessuali invertiti e che si era abbando- nata alla sodomia, per cui fu condannata a morte. Questo caso non è unico e possiede una certa analogia col coito ese- guito per l’ uretra in seguito all’ atresia vaginale; gli esempi di sodomia per tale circostanza, più memorabili, a nostra cognizione sono due: uno di Antonio Luis (3) (vedi Nota V, Osserv. 5), in cui l’ atto osceno fu (1) Birnbacher. Fin Fall von contràrer Sexual-Empfindung dem Strafgericht. — Friedreichs Blitter fiir ger. Med. 1891, s. 2. — Jahresbericht fir 1891. Bd. I, s. 502. (28). (2) Kraft-Ebing. L’inversione sessuale. Trad. italiana. Roma 1897, pag. 250. (8) Luis Antonius. Vedi Encyclopedia varia 1652? Citato da Alberto Haller. Bibliotheca Chirurgica. Berna 1765. Tomo II, pag. 288. — Vaginam in rectum intestinum apertam fuisse, partum tamen a Cl. Pean feliciter expeditum. — 341 — conseguenza della violenza dell’ istinto sessuale, consenzienti ambidue gli amanti. Il secondo esempio appartiene a Francesco Rossi, di Torino, in cui eravi lo stesso ostacolo al coito fisiologico, ma pare che fosse sciente il solo marito della via supplettoria praticata (1), per cui in Medicina legale vi sarebbe una diversa responsabilità fra il maschio e la femmina. Se ora consideriamo i gradi ammessi da Kraft-Ebing dell’ inversione congenita troviamo che essi sono ben pochi, ed anche rari ad accadere per aiutare la diagnosi differenziale colle inversioni acquisite. Per giunta la etiologia rende scarsi i servigi, se ricordiamo che la neurostenia, l’isteria, la paranoia e le cosi dette fare sono morbi che comprendono per solito numerose forme cliniche, ed effetti assai diversi, fra i quali generalmente manca l’ inversione sessuale, per cui la presenza d’una di queste forme è una prova assai insufficiente per riconoscerla come causa; sicché bisogna convenire che la patogenesi non è semplice e che non bastano per l’etio- logia le degenerazioni suddette, ma che é necessario il concorso d’ altre condizioni tutt’ ora ignorate (2). Queste cose certamente sono note al celebre psichiatra (ora viennese), il quale può rispondere che in fatto di malattie puramente nervose sì può solo ricorrere all’ induzione più o meno remota per supplire alla mancanza di segni fisiei uniformi. Se è stato indispensabile ricorrere all’induzione per ammettere le cause dell’inversione, tanto più bisogna servirsi dello stesso mezzo, e con maggiore ardire per interpretare la patogenesi della medesima, in conseguenza del- l'ignoranza completa intorno le funzioni cerebrali, in rapporto a quelle degli organi sessuali. Ma non basta ricorrere ad un espediente, bisogna servirsene nel miglior modo, onde evitare gli ostacoli oppure superarli spiegandoli adeguatamente. Ora anche questa intrapresa è stata eseguita in modo mirabile da Kraft-Ebing, avendo superati alcuni predecessori che avevano anticipate in modo embrionale alcune analoghe vedute. Ecco la dottrina dell’ autore nei suoi punti principali. Ricorda dapprima che nei gio- vanetti d’ ambo i sessi apparisce uno stato morale corrispondente al proprio sesso, aiutato dall’ influenza dell’ambiente e dalla educazione; confessa però che è tuttora viva la questione se sia effetto dell’ influenza dei testi- coli, o delle ovaie, oppure dei centri cerebrali la comparsa dello sviluppo completo psico-sessuale. A questo riguardo l’ autore non nega l’ importanza dei caratteri secondari dell’ organismo sullo sviluppo, e ne sono la prova (1) Rossi Francesco. Vedi Taruffi: Agenosoma. — Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Bologna 1891. Osserv. 11. Ser. 5*. Tom. IV, pag. 90. Herzfeld Georg. Ueber Atresie und Stenose der Scheide. In. Diss. Berlin 1869, pag. 24. Dà un cenno del caso di Louis (vedi Nota V, Osserv. 5). (2) Chi desidera maggiori particolari intorno all’ insufficienza delle cause assegnate per le psico- patie sessuali acquisite può consultare la terapia suggestiva delle psicopatie sessuali ecc- del Dottor A. Von Schrenck-Notzing (Monaco). Torino 1897, pag. 152-153. — 342 — gli eunuchi e le viragini; ma ciò non spiega come si sviluppa un senti- mento sessuale contrario all’inclinazione fisiologica dello stesso individuo. Per uscire da questa difficoltà |’ autore ricorre ad una anomalia ipote- tica, avente sede nel centro del cervello, ogni qual volta però l’ inversione sia congenita ed effetto (probabile) di una degenerazione accaduta negli antenati e trasmessa mediante la progressione nei discendenti (eredità pro- gressiva). Stima infine che tale condizione cerebrale sia un punto di con- centrazione psico-sessuale, ove s’ incrociano i nervi conduttori degli appa- recchi motori e sensitivi, mentre d’altra parte vanno ai centri visuali, olfattivi ecc. recando nell’ insieme l’idea di un essere maschile o femmi- nile. Opina inoltre che la sede anatomica del punto di concentrazione sia posto nella corteccia cerebrale nelle vicinanze della sfera olfattiva, niuno potendo negare gli stretti rapporti fra il senso genitale ed il senso olfattivo. Contro la ingegnosa ipotesi d’ una sede unica si é ribellato Moll (1), perché l esperienza conduce ad ammettere che una eguale influenza eser- citino il centro visuale e il tattico; invece poi d’un centro di percezione sessuale, crede esistano più centri disseminati nella scorza cerebrale. Cap. 6.° — Tribadismo. Non potendo aggiungere altri fatti abbastanza accertati sull’ invirilismo, chiuderemo il presente discorso colla storia cronologica del vocabolo tri- bade usato in tutti i tempi e colla storia dei significati ad esso attribuiti, ciò che spero sara aggradito dai filologi, nonostante le lacune da noi lasciate, e potra anche giovare ai medici legali avvertendoli che il nome suddetto, relativo alla scienza non ha un significato né preciso, nè uni- forme : ciò che giustifica i nuovi titoli in armonia coi diversi fatti che furono compresi nel tribadismo. Se si rammenta che gl’istinti sessuali furono e sono spesso eccessivi e talora turbano l’ intelligenza, possiamo interpretare una distinzione fatta da Manetone, che si trova in un suo frammento (4, 358) (2) in cui sono separate le meretrici e le fribadi, — H6pvas va ta:843a: — poiché anche oggi sì distinguono le donne mercenarie che eseguiscono nei modi ordi- nari l’ accoppiamento sessuale da altre che istintivamente cercano o si pre- stano ai modi di pervertimento sessuale i più insoliti. Tale interpretazione acquista poi speciale importanza ricordando che Manetone fu il primo storico dell’ Egitto, sebbene scrivesse in greco, e visse contemporaneo a Tolomeo I (367 anni avanti Cristo). (1) Moll A. Les perversions du l’ instinet génital. Paris 1897, pag. 228. (2) I frammenti storici di Manetone furono conservati e trasmessi dallo storico Giuseppe Flavio. — 343 — Passando agli ebrei, noteremo che fino da Mosé, si manifestò in quel popolo un gran rispetto ai doveri coniugali ed obbrobrio ai vizii istintivi del sesso; ma anche in questo popolo si resero più tardi palesi le relative degradazioni morali, che poi ingigantirono contemporaneamente nella Grecia e nell’Asia minore. Di questo fatto ha fornite le prove l’Apostolo Paolo, fatto cristiano, colla sua epistola ai romani (1). In essa (cap. I, vers. 27-28) si legge (2): Nam feminae eorum immutaverunt naturalem usum, in eum usum qui est contra naturam. — Stmiliter autem, et masculi relicto natu- rali usu feminae, egarserunt in desideriis suis in invicem, masculi in ma- sculos turpitudinem operantes, et mercedem (quam oportuit) erroris suis in semetipsis recipientes. Paolo né per questi due versetti, né altrove (3), sì servi dei vocaboli tribadi e sodomiti, bastandogli la descrizione degli atti. D’ altronde Paolo ravvicinò le due specie di pervertimento sessuale, come se vi fosse una stretta parentela fra loro, ciò che é stato 18 secoli dopo riconosciuto scien- tificamente e stabilito da Kraft-Ebing, per la qual cosa questi intro- dusse la frase: istinti omo-sessuali. Soffermandoci in Roma per continuare le nostre ricerche, troviamo un celebre epigrammista, Valerio Marziale, che, nato in Ispagna AT anni dopo Cristo, emigrò nella capitale dell’ Impero nel 65° anno, ‘ove poi dimorò per 35 anni. Quivi egli scrisse i suoi famosi Epigrammi, di cui tre soli ci riguardano (Liber I, ep. 91; Liber VII, 67, 70); ma più im- portanti sono ì due seguenti, poiché chiaramente alludono alla depravazione di quel secolo, e sebbene tacciano il titolo Zribadismo, essi dimostrano come tali donne non si limitarono all’ inversione sessuale, ma giunsero a sostituire colla lingua l’ ufficio della vagina. Sicché l'istinto o il mestiere di tali donne é molto più variato di quanto é stato fin ora da noi rilevato. Marziale. Epigrammi. L. I; ep. 91. Ad Bassam tribadem (4). Inter se geminos audes committere cunnos Mentiturque virum prodigiosa Venus. Commenta es dignum Thebano aenigmate monstrum : Hic, ubi vir non est, ut sit adulterium. (1) Paolo nacque in Tarso (Cilicia) forse il 10° o il 12° anno di Cristo, e morì decapitato in Roma nell’anno 85 o 86. (2) I due versetti li abbiamo tratti dalla Sacra Bibbia stampata in Venezia presso Giolito, 1588. (3) Questi due versetti sono stati dai traduttori italiani definiti in modo troppo vago e senza pre- -cisione. (4) Questo epigramma presenta delle difficoltà per essere tradotto ed interpretato. Generalmente si traduce : « Tu osì mettere insieme una vagina coll’ altra e la mostruosa Venere imita l’uomo ». Se poi si interpreta il nome Venere per vagina, ed essendo prodigiosa, si suppone che la vagina fosse fornita d’ una clitoride simile ad un pene, si comprende ciò che aggiunge l’ epigramma: « Tu hai inventato un enigma degno del .mostro tebano ed hai fatto che senza uomo ci potesse essere ‘adulterio ». — 344 — Epigrammi; VII, 67. Contro Filene (la quale più che tribade era cunnilingua) : Paedicat pueros tribas Philaenis, Et tentigine saevior mariti Undenas vorat in die puellas. Non fellat ; putat hoc parum virile « Sed plane medias vorat puellas » Di mentem tibi dent tuam, Philaeni, Cunnum lingere quae putas vtrile. Prima però degli epigrammi di Marziale sappiamo che nel secondo secolo avanti Cristo si recitavano in Roma in faccia al pubblico le celebri commedie di Plauto, fra le quali eravene una col titolo: Persiano (Atto II, Scena 2*), in cui il giovanetto Pegnio diceva a Sofoclidisca (donna di mala vita) ne me attrecta, subagitatriax (donna che agita sotto le vesti). Questo epiteto per vero non prova che tale vocabolo fosse l’unico adope- rato dai letterati del Lazio, poichè Plauto recitava al popolo e non si piccava di frasi elette. Venendo al secolo d’ Augusto, il quale non era. migliore del precedente in fatto dei costumi, non troviamo il vocabolo tri- badismo né alcun altro equivalente, ma solo una descrizione di atti osceni nella favola lasciata da Fedro (1) col titolo Prometeo. i PromethewsWst Naturae partes, veste quas celat pudor, Quum separatim toto finaisset die, Aptare mox ut posset corporibus suis, Ad coenam est invitatus subito a Libero. Ubi irrigatus multo venas nectare, Sero domum est reversus titubanti pede. Tum semisomno corde et errore ebrio Applicuit verginale generi masculo Et masculina membra applicuit feminis. Ita nune libido pravo fruitur gaudio. In questo brano Fedro attribuisce a Prometeo la potenza di costruire i corpi umani mediante le membra, dapprima separate; e racconta che, essendosi quegli una sera ubbriacato, per errore riuni gli organi sessuali femminini al corpo di un maschio ed inversamente, per cui in ambidue i prodotti divenuti viventi sopravvenne il pervertimento dell’istinto sessuale. (1) Fedro visse a Roma nel secolo d’ Augusto, nativo di Tracia. Libro IV. Favola XIV. Edi- zione Torinese del Pomba. — 345 — Già abbiamo notato che avanti il primo secolo dell’ èra nostra, era stato adoperato il vocabolo #ribade; ma sebbene le donne viziose non mancas- sero, né allora né dopo, tuttavolta bisogna giungere ai 139 anni dopo Cristo per trovare chi l’ ha ripetuto. E questi fu Claudio Tolomeo, nato nella Tebaide, che viveva ancora nell’ anno 161 dell’ éra cristiana, celebre mate- matico, geografo ed astrologo, che scrisse fra gli altri il rinomato libro col titolo: T'etrabiblos syntaais — Aî yuv&es ... aî xadobpevar tpsddes (1). Un vocabolo usato comprendente le fribadi lo troviamo adoperato da un contemporaneo di Tolomeo, che poi sopravisse al medesimo, intorno al 192, e questo vocabolo era meretrice. ll contemporaneo fu Luciano di Samosata (Siria settentrionale), che nacque nell’ anno 125 di Cristo; poscia girovagò per l’impero romano facendo, come oggi chiamano, il conferenziere, e lasciando molti scritti in greco in cui sì riconosce il va- lente rettorico del secondo secolo, o meglio il letterato di professione, poiché trattò gli argomenti i più variati sui costumi contemporanei, sul paganesimo, sulla filosofia greca, sui personaggi illustri, oppure raccontò gl’ incidenti incontrati nel suoi viaggi nelle parti principali dell’ impero romano. Il carattere generale degli scritti é spesso critico, talora ironico, e perfino satirico; ma la cosa più singolare fu il rivolgere i suoi strali contro il paganesimo mentre non professava né lodava la dottrina cri- stiana (2). Fra ì componimenti pubblicati citeremo esclusivamente i dialoghi delle cortigiane avendo un merito letterario intrinseco ed un’ attinenza col nostro argomento, poiché in questi dialoghi non solo sono enumerati e descritti alcuni pervertimenti sessuali ma anche i costumi intimi delle stesse corti- giane. In questi dialoghi si comprendono 15 scene della loro vita intima (probabilmente in Atene) tratteggiate con un vivo linguaggio popolare e che si legge con grande compiacenza anche per la ioro verosomiglianza. Dubitiamo però che cotesti dialoghi facciano solo riconoscere nell’ autore un fine d’arte letteraria, mostrando che anche le cortigiane sebbene (1) CI. Ptolemaei. Operis quadripertiti in latinum sermonem traductio ; Antonio Gogava inter- prete. Lovanii MDXLVIII a pagine non numerate; libro III, capo 18, de vitiis et morbis animi: « Foemi- mae vero coitus praeter naturam instituti appetentes evandut, salaces, oculis emissitiis, et quas tribades appellant virilia sibi munia sumentes ». (2) I molti pregi del rettorico Luciano spiegano le ripetute traduzioni in latino degli scritti greci ‘dell’ autore siriaco (vedi tutte le opere bibliografiche che comprendono gli scrittori classici. Una recente traduzione latina si trova nella Collezione Didattica dei Classici greci col testo in fronte (vedi Vol. Luciano). Molte ancora sono le traduzioni in italiano, enumerate nella Nuova enciclopedia italiana. ‘Torino 1862. Vol. XII, pag. 219. Art. Luciano. — Altre traduzioni italiane sono esaminate critica- mente da L. Settembrini (Opere di Luciano. Firenze 1861. Vol. I. Nota 2, pag. 169). Finalmente noi aggiungeremo le seguenti: Spiridione Lusi Cefaleno e Gaspare Gozzi. Venezia 1764. Vol. IV, in $°, che contiene soltanto parecchi Dialoghi, che furono poi ristampati più volte nelle ‘Opere del Gozzi; eccetto Lecchi Luigi che circoscrisse il suo volgarizzamento ai Dialoghi me- retrici. Brescia 1810, in 8°. — 346 — degradate sono capaci di qualche buon sentimento, come opina Luigi Settembrini. Ma più facilmente può credersi che chi dipinse con tanta. evidenza atti osceni, non fosse estraneo ai medesimi : di fatto egli racconta che Megilla aveva l’ abito fieramente mascolino (come le donne di Lesbo che non vogliono l’uomo, ma si accozzano colle donne a guisa d’ uomini) e che la medesima una sera si ubbriacò, si coricò con Lena e la baciò ripetute volte; indi, essa Megilla, si tolse dal capo la parrucca e si fece chiamare Megillo, dichiarando che era un maschio schietto e non ermafrodito, con tutte le inclinazioni virili, perché aveva un altro istrumento che faceva lo stesso giuoco del maschile e poi disse: « Statti, che vedrai ». Lena stette e fu regalata con una bella collana. Ora questo rapido racconto, che supera altri di moderni scrittori che descrissero l’ inversione sessuale, non esclude che Luciano avesse delle abitudini poco oneste e non prova che fosse restio ai pubblici scandali; e tanto meno rimane escluso quando nei dialoghi III e VI descrive al vivo e senza raccapricciarsi le istigazioni di una madre verso la figlia alla ci- vetteria e alla prostituzione per avidità di denaro; come pure quando nel dialogo X (bensi brevemente) parla di pederastia. In questo dialogo Lu- ciano chiama tribadi anche le donne che praticano semplicemente |’ inver- sione sessuale senza stabilire il grado. Se ora rileviamo quale si è la posizione di Luciano rispetto agli autori precedentemente citati, in quanto alla storia del tribadismo, possiamo azzardare un paragone ricavandolo da due qualità di zoologi, cioé di quelli che si occupano dei caratteri fisici e della tassonomia degli animali, mentre altri poscia studiano i costumi degli animali stessi. Cosi deve dirsi di Luciano che può paragonarsi ai zoologi della seconda classe, rispetto alla storia delle cortigiane. Un vizio uguale coll’ aggiunta d’ essere mascherato da una frode è stato descritto da Leone Africano (1) che trovò a Fez (capitale del Marocco) tre specie d’indovini: la terza specie era costituita da donne che in Europa erano chiamate streghe: « le quali fanno credere al volgo che esse tengono amicizia con certi demoni di diverse sorti > perciocché alcuni si chiamano i demoni rossi, alcuni si dicono i demoni bianchi, ed altri sono addimandati demoni neri, e che quando vogliono indovinare a richiesta di chicchessia, si profumano con certi odori, ed allora, si come dicono, il de- monio, che esse chiamano, entra nella lor persona; onde subito cangiano la voce, fingendo che lo spirito sia quello che parli per la lingua loro. (1) Giovanni Leone Africano (nato a Granata nel 1483, e morto a Tunisi nel 1552). Della descrizione dell’Africa. — Vedi Ramosio G. Battista (di Treviso). Raccolte delle Navigazioni e Viaggi. Venezia 1554. Volume 1 (prima edizione). Parte terza, pag. 39. La prima traduzione fu fatta dallo stesso Leone per ordine di Leone X nel 1526. — 34% — La donna o l’uomo che é venuto per qualche cosa, che desidera di sapere, dimanda allo spirito ciò che vuole, con gran reverenza ed umiltà, ed avuta la risposta, lascia un presente per quel demonio e si disparte. Ma. gli uomini che hanno con la bontà congiunto il sapere e l’ esperienza delle cose, chiamano queste femmine Sahacat, che tanto dinota, quanto nella voce latina fricatrices. E nel cero tengono esse questo maledetto costume, il quale è di usare luna con l’altra, che per più onesto vocabolo non posso esprimere. E quando fra le donne, che vanno loro con desio di sa- pere alcuna cosa, se ne trova alcuna di belle, elle si invaghiscono di lei, come un giovane si invaghisce di una fanciulla ; ed in forma del demonio le dimandano in pagamento i congiungimenti amorosi, e quella credendo avere a compiacere allo spirito, le piu volte loro consente. Molte ancora sono, che di questo giuoco dilettandosi desiderano essere di lor compagnia ; onde fingendo di essere inferme mandano per una di queste, e sovenie lo sctocco marito é l ambasciatore. Elle subito iscuoprono all’ indovine il loro disio, le quali dicono poi al marito, che alla sua moglie é entrato uno di quei demoni nel corpo, e amando egli la sua sanità conviene che esso le dia licenza, che la detta possa entrare nel numero delle indovine, e secre- tamente praticar con esso loro. Il marito bufolo sel crede, e consentendo a ciò per maggior sua sciocchezza, fa un suntuoso convitto a tutto l ordine ; nel fine del mangiare danzando ognuna e festeggiando al suono degli stru- menti di certi negri; e poscia ve la lascia andare alla buona ventura. Ma alcuno ve n° é, che fa uscire gli spiriti di corpo alla moglie col suono di solenni bastonate ; altri fingendo ancora essi di essere indemoniati ingan- nano l’ indovine nel modo, che esse hanno le loro moglieri ingannate ». Il racconto di Leone Africano ci obbliga infine di ricordare altre tradizioni che si collegano più o meno col racconto suddetto. Avanti tutto nella Genesi vi è la storia dei giganti che nacquero da ragazze per opera del diavolo (Cap. VI) e non cercheremo se un opera eguale fosse creduta in altre parti dell’ Oriente ; invece giungeremo subito al medio evo in cui fiori l’impostura degli incubi, che legittimava coll’ opera del demonio molti amori clandestini: ciò noi abbiamo raccontato con qualche larghezza nella nostra Storia della Teratologia (Tomo I, pag. 186 e seguenti) e con documenti più recenti ampliata la storia da Ernest Martin (Histoire des Monstres. Paris 1880, pag. 32). Tale frode fu già smascherata per le stampe (forse un po’ troppo tardi; 1660) da Giovanni Wier (1) nella sua opera: Des illusions et impostures des diables etc. (che fu stampata dapprima in Am- (1) Giovanni Wier. Des illusions et impostures des diables etc. Paris 1885 (ristampa). Tomo I, pag. 427-283, capitolo XXVII, con ritratto. — Un’ edizione precedente aveva per titolo: De doemonum proestigiis et incantationibus. Libri sex. Bale 1664, in 8°. Serie V. — Tomo IX. 44 — 348 — sterdam (1660), poscia in Basilea (1664) ed infine a Parigi nel 1885 (Tomo I, Cap. XXII-XXXI). Dovendo passare da quest’ autore ad un’altro la nostra cronologia di- venta incerta: difatto non si sa a qual secolo appartenga, Celio Aure- liano; ma probabilmente al III o IV secolo. Si sa però che nacque in Sicca città della Numidia e che scrisse il latino in modo semibarbaro. Dalle sue dissertazioni mediche si ricava che si servi largamente degli scritti di Sorano, come in alcuni punti egli stesso confessa. L’ opera sua rimasta, che fu certamente la principale, ha per titolo: De morbis occutltis et cronicis. Amstelodami 1755; ed il frammento che ci riguarda é il seguente: « Le donne sono chiamate tribadi pel fatto che usano luna e l altra Venere, anelano ad unirsi con donne più che con uomini, e alle donne agognano con rabbia mascolina, e (quando non hanno sfogo nella loro pas- sione, oppure hanno in essa una momentanea trequa) cercano di indurre altre, medesimamente affette, traendo godimento pel duplice sesso $ e ((spin- gendosi per la frequente ebbrezza in nuove forme di corrotta libidine man- tenuta viva da turpe consuetudine) godono della offesa che recano al proprio loro sesso. — Similmente i cinedi sono tribolati da uguale passione ; e pari- menti non si può adoperare nessuna cura fisica, ma piuttosto devesi domare lo spirito agitato da tanta labe di vizi. Ma niuno di essi calmo V ardore suo coll accostare donne e lo mitigò collo strofinamento ece. è O O ° ° ° Ù ° ° ° O ° ° . ° O ° . ° ° ° Questo frammento ha il merito di mettere in evidenza una particolarità fin ora non avvertita, cioè che l’inversione sessuale assume talora un carattere di violenza da costituire una forma patologica probabilmente congenita. Questo frammento ci da inolti'e 1’ occasione, come altri prece- denti di ricordare la clitoride, la quale in alcuni casi é ipertrofica ed ha ricevuto diverse denominazioni. Uno scrittore pagano che si converti al cristianesimo, di nome Arnobio, nativo della Numidia, scrisse un Trattato contro i pagani col titolo: Adversus Gentes. In uno dei 7? libri che lo compongono, stampato in Roma nel 1542, parla della clitoride (non abbiamo cercato in quale occasione) e la chiama col nome latino fricatria Abbe- nalis celintigenem. Realdo Colombo: Mentula mulierum, anzi dice: Sedes delectionis in mulieribus. Finalmente Duval racconta che le donne impudiche di Francia la chiamano gaude mihi (1). Volendo continuare la nostra storia sul tribadismo dobbiamo oltrepas- (1) Duval Giacomo (Professore in Medicina). Traité des Hermafrodits. Rouen 1612. Paris 1880. Cap. X, pag. 68 e 69. — 349 — sare tutti i secoli di decadenza delle lettere e delle arti, senza neppure occuparci degli enciclopedisti (Alberto Magno e Vincenzo Beauvais) per giungere al rinascimento, in cui si risveglio, non solo la iniziativa in vari rami dello scibile, ma ben anche negli studi di erudizione. Infatti appartiene specialmente a questo secondo ramo di sapienza Girolamo Mercuriale, celebre medico italiano, nato a Forli nel secolo XVI, che appunto emerse per la sua grande erudizione, specialmente nel suo libro della Ginnastica e nelle sue: Variarum Lectionum in medicinae scripto- ribus, ete. (Venezia 1570 e 1598), libro giudicato da Haller: Miscellanea ex antiquitate sumpta, loci veterum emendati, explicati, pleraque practica, conciliata ea poetarum et aliorum veterum locis. Nel medesimo si trovano due passi che hanno attinenza più o meno prossima al tribadismo. Il primo passo é nel Libro VI, Cap. 20, ove l’ autore rileva 1’ acci- dentale sviluppo della clitoride, ciò che spiega i molti fatti raccontati dagli antichi di bambine che avevano dapprima il sesso femminino e poscia manifestarono il membro virile, per cui furono ritenute per maschi. Ma più singolare è il capitolo 13° del Libro II, in cui si discorre dell’ uso nel- l’ antichità delle donne cunnilingui e qui varrebbe la pena di esaminare le citazioni da esso date in lingua greca per verificare la loro esattezza. In ogni modo le notizie raccolte da Mercuriale completano ed allargano quelle che si desumono dal secondo epigramma di Marziale (vedi p. 344) per caratterizzare i costumi greci e romani avanti e durante il primo secolo della nostra éra. Costumi poi che dimostrano come la letteratura nei suoi progressi sì associa ai componimenti che includono racconti relativi alla depravazione morale. Il risveglio dell’ erudizione fu però assai mediocre rispetto agli studi dei pervertimenti sessuali, poichè nella sua Anatomia Giovanni Rio- lano (figlio) (1) disse soltanto per incidenza: /stas mulieres quae inter se sine viro, clitoridis beneficio, venerem exercerint, tribades vocant. Altrettanto sì ripeta intorno a Plempius, prof. di Lovanio (2), che fu studente in Bologna, ed ivi laureato nel 1624, il quale nelle sue istituzioni mediche rac- contò che una donna impudica aveva una clitoride voluminosa, ed a questo proposito aggiunge: Dum in lupanaribus multas exercebat meretrices, tum alicubi non paucas virgines vitiabat. Sebbene questi medici godessero al loro tempo una gran fama non aggiunsero alcuna idea alle antiche; e poscia non fu conosciuto alcun altro che abbia richiamato l’ attenzione in (1) Riolano Giovanni (figlio). Antropographia. Paris 1626, 1649. Liber II, pag. 188. Nato a Parigi nel 1551, seguì nell’ esilio Maria De’ Medici, e morì nel 1657. Egli visse 80 anni, avendo superato due volte la cistotomia. (2) Plempius Vopiscus Fortunatus, nato in Amsterdam nel 1601, morto nel 1671. Funda- menta medicinae. Libri sex. Lowen 1638, 1644 ecc. "Sea proposito, fintantoché Casper (1) ed Uirichs (Numa Numantius), di cui altrove abbiamo fatto ricordo (vedi pag. 334) raccontarono fatti singolari che condussero alla teoria degli urninghi, i quali poscia si moltiplicarono ed hanno creato la nuova specie di psicopatia sessuale già annoverata. Nel frattanto i filologi tentarono di determinare il significato d’ aleuni vocaboli, usati in passato, ma in quanto al vocabolo #?ribade vollero rimanere in accordo colla sua etimologia, circoscrivendo troppo il signi- ficato, in luogo di preferirne uno abbastanza comprensivo ; difatti Forcel- lini (2) dice che #ribade deriva da fricas, e la definisce: Dicitur de foe- mina turpem libidinem cum pari plerumque exgercente. Canini (3) invece dice che #rido deriva da /rago e significa: Donna che fregando colle mani, o coll’ olisbo (sorta di pene, fatto di cuoio o d’ altra materia) o con altri lascivi fregamenti soddisfa da se sola la libidine od esercita amore contro natura con altra donna. Non havvi bisogno di dimostrare in parte l’ana- logia ed in parte la differenza fra le due definizioni; racconteremo piut- tosto che Aristofane parlando dell’ Olsbdon (4), probabilmente nei libri sulle cortigiane attiche, dice che era un istrumento coriaceo che eccitava il prurito alle improbe e libidinose tribadi, lungo non nove, ma otto pollici. Mentre si svilupparono gli studi clinici delle psicopatie sessuali, comparve un nuovo ed importante lavoro d’ erudizione che con un programma più largo, comprendeva ancora la storia dei pervertimenti sessuali, secondo la geografia terrestre. Questa grande opera appartiene a Ploss (5) di Lipsia, scrittore valente d’ ostetricia, che ha per titolo: Das Weid in der Natur und Volker-kunde (Etnografia). Lipsia 1884-85. Bd. II, s. 85. Fra i molti argomenti trattati sì eomprendono ancora i seguenti, accennati secondo l’etnografia, i quali sono : la castità, il pudore, la verginità, il concubito, la masturbazione, le tribadi, la prostituzione, il matrimonio e la prolifica- zione. Certamente le notizie relative sono scarse ed incomplete, sicché non permettono presentemente comparazioni fra loro né rispetto alla frequenza dei casi, né risguardo alla ripetizione dei medesimi attraverso i secoli, ma in ogni modo le notizie sono sempre importanti. Per es. egli scrive che un (1) Casper Giovanni Lodovico (prof. di Medicina legale a Berlino). Klinische Novellen zur gerichtlichen Medicin 1863. (2) Forcellinus Aegidius. Lexicon. Prato 1875. Tom. VI, pag. 166. (3) Canini Marc’'Antonio. Etimologico dei vocaboli di origine Ellenica. Torino 1865. Tom. II, pag. 1003. Tr/bade. (4) Il passo d’Aristofane è riportato da Duval (loco citato pag. 69) senza indicazione della fonte. (5) Ploss Hermann H. P. (nato in Lipsia nel 1819 e morto d’ apoplessia nel 1885). Il primo estratto di questo lavoro fu dato nel Jahresbericht del 1891. Bd. I, pag. 342. La seconda edizione è quella sopracitata nel testo del 1884-85. Bd. I, s. 309, ove havvi un’ idea più generale dell’ opera mede- sima. Un'idea generale dell’ opera si trova nel Jahresbericht fir 1884. Bd. I, s. 309 (54). — 351 — Re del Siam puni le sue concubine che s’abbandonavano al tribadismo ed aggiunge (ciò che é già noto in Europa) che la masturbazione usata in Oriente ingrandisce le clitoridi in guisa che le donne possono dedicarsi al tribadismo. Racconta i numerosi fatti della comparsa degli incubi not- turni, pretesto delle infedeltà muliebri; racconta ancora di una certa Isola dove si usava d’ introdurre un pezzo di pesce nella vulva di una donna, e poscia usare il coito; e finalmente riferisce che presso i Nama- Ottentotti le ragazze hanno il costume della masturbazione reciproca, di cui parlano liberamente nei loro racconti e nelle loro canzoni. Mentre abbiamo dato un cenno dei nuovi studi clinici sulle psicopatie sessuali, per vero assai rapido, essendo un argomento a tutti noto, invece ci soffermiamo a considerare una circostanza negativa che risulta dagli scritti fatti su tali studi, e cioé che nessuno autore dedicò né un capitolo né un articolo al tribadismo; neppure A. Moll (1) il quale ha raccontato che a Berlino vi sono da 25 per cento prostitute che conservano dei rap- porti sessuali con donne, contraendo un profondo amore, con scene di gelosia e finendo di convivere insieme, e conosce un caso che questa specie di matrimonio perdurava da 7 anni. Quando la riunione si spezzò, una delle amiche si abbandonò alla disperazione. E nemmeno pensò di sservirsi del vocabolo fribade quando designò i casi di immissto elitoridis in vaginam alterius, mentre esso poi non |’ adotta né per i medesimi né per altri casi. Cercando la causa di tale ommissione, possiamo trovarla avanti tutto nel fatto che |’ immissio clitoridis (occorrendo l’ ipertrofia) è un atto eccezionale che appartiene a un gruppo di manifestazioni che sì collegano ad una stessa passione, la quale veniva chiamata, come abbiamo ricordata altrove, amore lesbico, atti che assumono denominazioni speciali, e che possono far supporre l’ipertrofia quando di fatto non esiste. La suddetta ommissione accade anche naturalmente in seguito agli esempi antichi già riportati, i quali comprendevano atti osceni di diversa specie, indicati con titoli in parte latini come per esempio l’immissio ‘clitoridis in vaginam e l immissio penis in os alterius. Le donne poi for- nite di una grande clitoride furono chiamate a Roma: Fricatrices o Subi- gatrices. La pederastia fu detta coito in anum, e nella donna paedicatio mulierum. L’ immissio penis in os mulierum fu chiamato ancora cunnilingus oppure multer lambens; e fra gli atti osceni della donna devesi aggiungere ancora il /ambendo lingua genitalia alterius feminae. Finalmente ricor deremo l’ onanismo o masturbazione mutua. I pervertimenti psico-sessuali costituiscono talora dei fenomeni che possono dirsi patologici, tanto negli uomini quanto nelle donne, come la (1) A. Moll. Les perversions de l’ instinet génital. Paris 1897 (6* édition). — 352 — ninfomania preceduta spesso ed accompagnata dalla masturbazione assai frequente. Alla medesima categoria appartengono i casi, cosidetti di sadi- smo ; parola tratta dal marchese De Sade (1740-1814), il quale associava. alla sodomia atti dolorosi e perfino crudeli sulle donne stesse che gli pro- curavano soddisfazioni sessuali. Questo marchese fu condannato a morte. Si può anche aggiungere il feticismo (divinizzazione d’ un corpo qualunque) quando sì amano gli oggetti appartenenti alla persona amata; questo amore Moll lo distingue in affezione fisiologica e patologica, cioè nel- l’ultimo caso quando la passione è maggiore per l oggetto che per la persona cui appartiene. Rispetto poi alle cause occasionali possiamo am- mettere che spesso i pervertimenti sono la conseguenza della sazietà dei piaceri ordinari, per cui non cessa mai il bisogno della varietà dei me- desimi, e sono la causa dei vizî superiormente indicati; avvertendo che nella donna i vizî possono nascere per due circostanze, le quali sono 1° lo spirito di lucro nelle prostitute; 2° 1’ erotismo provocatore della donna medesima. Raccolte le principali notizie storiche sul tribadismo, ricaveremo dalle medesime che la definizione data dai grammatici, non é in armonia collo stato della scienza, né in armonia cogli esempi dei recenti scrittori,. sicché a nostro avviso non vi sono che due espedienti per correggere i difetti in proposito. O migliorare la definizione, oppure sopprimere. il vocabolo e sostituirlo con altri più espressivi. Avanti però di manife- stare preferenza dobbiamo ricordare che ogni titolo d’un fatto o d’un fenomeno, deve indicare la natura del medesimo e quando è ignorato, è necessario rilevare il carattere più saliente del fatto, ed esprimerlo con parole adatte al fenomeno. Venendo al caso nostro, abbiamo già annove- rate le varietà degli atti viziosi che compiono le prostitute, tanto rispetto. alla qualità, quanto rispetto al loro numero; sicché sarebbe necessario distinguere prima le prostitute che limitano il loro mestiere al coito ordi- nario, dalle altre che si dicono perfezionate, e che volendo chiamarle fribadi, non havvi altro espediente che definirle prostitute che si prestano a molte— plici usi sessuali. Ma se si pensa che tale definizione non precisa alcun atto, ed adopera un vocabolo che non caratterizza alcuna singolarità, cioé: alcun pervertimento, preferiamo di sopprimere tale vocabolo tribade per uso scientifico. terra — 353 — Note alla Parte II. dell’ Ermafroditismo PSEUDO-ERMAFRODITISMO ESTERNO Nora I. — Macrosomia. Osserv. 1. — Lamazzi Dott. Arturo. No- tizie inedite mandate al l'rof. Taruffi intorno ad una Signora di alta statura, dimorante in una villa nelle vicinanze di Bologna. Il padre e la madre della Signora furono di statura elevata; un fratello misura metri 1,80 e la seconda so- rella metri 1,75 circa. La Signora è alta metri 1,78 e conta ora 64 anni. Regolarmeute conformata, ella ha goduto sempre di ottima salute, e di mestruazioni regolari fino all’età di 49 anui, epoca della menopausa. Non prese marito e non mostrò mai manifeste inclinazioni sessuali per maschi o per femmine. La sua testa è regolare e tende un po’ al grande; il torace ampio e bene sviluppato, la voce femminile, la pelvi ampia e regolare. I capelli sono grigi, quasi bianchi. Di perfetta intelligenza, la Signora sì mostra piut- ‘tosto interessata ed amante del giuoco delle carte. Le sue abitudini nulla presentano di singolare, e sono quelle ordinarie di una donna di casa. Osserv. 2. — Beretta Dott. Giuseppe e Rubini Dott. Olderico. Notizie inedite intorno ad una sorella della Signora precedente, abitante in un Comune della Provincia di Bologna. Il padre e la madre avevano sicuramente una statura non inferiore a metri 1,80. La sorella suddetta, che ri- ‘siede in una villa di sua proprietà vicino a Bologna è alta metri 1,78. Un fratello raggiunge la stessa altezza, ‘se pure non è più alto. La statura della presente Signora è di metri 1,75 circa; ‘ha 50 anni ed è nubile. La sua costituzione è sana e robusta; ‘il cranio simmetrico, ovoidale ; il collo grosso e largo ‘alla base, il petto largo e quadrato; la voce con timbro «quasi maschile. L’ andamento delle funzioni genitali ri- mane ignoto. Il portamento, le abitudini ed il carattere sono quasi di maschio. Attende alla sorveglianza dei lavori campe- stri; adopera da sola i cavalli da tiro e si mostra molto abile nel governarli; veste un costume sempre uniforme da donna, misto a foggia di indumenti maschili : giacca, polsi, calze e scarpe sono da uomo. Di normale intelli- genza, ella è gentile colle signore, indifferente cogli uomini, non portata al cicaleccio ed ai futili diverti- menti. Osserv. 3. — D’ Ormea Dott. Sebastiano. Lettera inedita. Dicembre 1900. Illimo Sig. Professore In risposta alle di Lei domande invio alla S. V. questi appunti che mi è stato possibile di raccogliere. La Sig. N. N. è nata da genitori di statura piuttosto alta, specialmente il padre; ha fratelli e sorelle di gran- dezza poco più superiore alla media comune; così pure sono gli altri suoi parenti più prossimi. Dei maggiori antenati non ho potuto saperne. La Signora, che conta circa 55 anni, è di costituzione rcbusta, di alta statura (circa m. 1,68), di portamento svelto, diritto e pettoruto. La corporatura in generale grossa; testa grande, proporzionata, con capelli folti e neri; viso ovale, fronte spaziosa, occhi neri, naso pro= nunziato, bocca giusta, colorito bruno rossastro; una barba nera e folta (benchè sempre rasa con molta cura), con baffi del pari neri e folti, le copre il viso con grada- zione in meno nelle guancie; il collo è rotondo, grosso, corto e la laringe vi si scorge appena, flettendo il capo indietro; il seno molto pronunciato; l’ addome volumi- noso e sporgente in avanti lascia credere ad un ampio bacino. Tutte le altre parti del corpo sono sprovviste quasi affatto di pelo, tranne la regione sternale ed aile ascelle ove vedesi alquanto di pelo lungo e nero; mentre il pettignone ne è quasi sprovvisto. I genitali esterni normali, come pure le mammelle. Gli arti inferiori molto esili. Fu sempre regolarmente mestruata ed i mestrui sono scomparsi fisiologicamente da qualche anno. È nubile, e mai ebbe occasione di mettere a prova la sua facoltà generatrice. È di comune intelligenza: parola pronta, pronunzia schietta, voce maschile, carattere piuttosto gioviale, abi- tudini muliebri, con inclinazioni, in passato, al matri- monio. Conduce vita sobria, regolata e perciò gode sempre di ottima salute. Ecco quanto le posso dire su questo rapporto. Con distinta stima mì pregio della S. V. Ill.ma dev.mo S. D’' ORMEA — 354 — Nota II. — Ipertricosi. Osserv. 1. — Aristotele. Mistoriae anima- lium. Liber III. Cap. XI. (De pilis et cute $ 5). « È noto che le donne i fanciulli e i castrati non vanno soggetti alla calvizie. I peli che si generano suc- cessivamente non sì manifestano in coloro che vennero castrati prima della pubertà; quegli stessi peli (fuorchè al pube) sono i soli a cadere negli individui castrati dopo la pubertà. Nel mento della donna non nascono peli; o ne nascono, talvolta, assai pochi col cessare delle mestruazioni. Ne è un esempio quanto dicono che suc- cede in Caria per le donne sacerdotesse; e tale fatto dicono essere appunto un indizio della facoltà divinatoria da esse donne posseduta. Tutti gli altri peli che si ge- nerano successivamente (tranne, dunque, quelli del mento dei quali si è parlato adesso) si manifestano anche nelle donne; ma scarsamente. Può avvenire che l’ individuo umano (sia di sesso mascolino, sia di sesso femminino) manchi dei peli che si generano successivamente; e ciò per qualche vizie sortito fin dalla nascita; e se l’ indi- viduo umano non giunge a pubertà, esso è sterile quanto al generare ». Avvertenze. — Per la intelligenza del passo di Aristotele e per giustificazione della traduzione fattane occorre osservare che Aristotele dice essere i peli del- l’uomo di due sorta : 1° peli che l'uomo porta con sè al nascimento, come sarebbero quelli del capo, delle sopracciglia, delle pal- pebre ; 2° peli che si generano successivamente al nasci- mento, come sarebbero quelli del pube, delle ascelle, del volto. Osserv. 2. — Realdo Colombo. De re ana- tomica. Venetiis 1559. Liber XIII. Cap. II. De pilis. Vide uno Spagnuolo coperto di peli in tutto il corpo, meno che nella faccia e in parte delle mani. Vide al- trettanto in una monaca. E ricorda che alcuni affermano non nascere i peli nè nella pianta dei piedi, nè nella vola delle mani, e ciò per l’ uso, o per il moto, come le lepri. La figura dello Spagnuolo è stata ideata e rap- presentata da Liceto (Liber II. Cap. 45, pag. 148). Osserv. 3. — Aldrovandi Ulisse. Monstro- rum historia. Bononiae 1642. Cap. 8°, pag. 213. Nel Museo del Senato di Bologna si vede il ritratto di una donna tedesca, la quale passò per questa città ed aveva una barba lunga due palmi. L’ Aldrovandi aggiunge alcune antiche osservazioni, e racconta (pag. 16-18) che due sorelle, nate nelle isole Canarie, avevano la faccia co- perta di peli irsuti, che si ripetevano in altre parti del corpo. Nel Tomo I d’ una collezione di disegni colorati appar- tenenti allo stesso Aldrovandi, tuttora inedita, e conser- vata nella Biblioteca Universitaria di Bologna, si vede nel disegno N. 132 il ritratto di una giovane vestita con magnificenza, sotto il quale giustamente sì legge : Mulier viginti annorum, hirsuto capite simiam imitante, reliquo corpore glabro. Osserv. 4. — Panaroli Domenico (Romano). Jatrologismorum, seu medicinalium observationum pentecostae quinque. Roma 1652. Pentecoste 5. Osserv. 5, pag. 287. Osserv. 37, pag. 338. Una donna giovane e bella aveva il volto coperto da copiosissima lanugine, simile a lunga e sottile seta. — Un’ altra donna, assai petulante e lussuriosa, aveva fra le mammelle una grande quantità di peli neri da emu- lare un uomo. Osserv. 5. — Bartholino Tommaso. Hi- storiarum anatomicarum variarum. Cent. I. Histor. 42. Amstelodami 1654, pag. 62. — Puellae hirsutae et barbatae. Vide ad Amsterdam e poi nel Belgio una bambina di 6 anni che aveva tutto il corpo irsuto con peli ten- denti al bianco e ricci. Poscia reca alcune osservazioni tratte da altri. Osserv. 6. — Zacchia Paolo (Romano). Quaestionum medico-legalium ecc. Lugduni 1661. TIbro CINA resede pae o 0 Una donna aveva una lunga barba, e tutto il petto coperto da peli densi e duri, mentre le mammelle erano. grandissime e flaccide e la voce da femmina. La me- struazione era già cessata al 30° anno. Osserv. 7. — Burlin (Buerlines) Jac. De foeminis ex suppressione mensium barbatis. Al- dorphina 1664, in 4°. (Opuscolo citato da HALLER). Osserv. 8. — Welsch G. Hieron (Augs- burg). Sy2loge curationum et observationum me- dicinalium. Cent. VI. Ulm 1668. Ep. N. 98. Racconta che in Milano incontrò nel 1643 Barbara. Usler, ragazza coperta in tutto il corpo di peli delicati e biondi ed insigne per la barba lunga. (Non avendo letto il testo non possiamo esprimere alcuna congettura, se sia la stessa donna tedesca, il ritratto della quale era conservato nel Museo del Senato Bolognese. Vedi Al- drovandi). Osserv. 9. — Seger Giorgio (discepolo di T. Bartholino). De muliere hirsuta et barbata. Miscellanea Academiae naturae curios. 1678- — 359 — 1679 Norimbergae 1693. Decur I, Anno IX et X. Obs. 96, pag. 246. Osserv. 10. — Hellwig J. Foemina barbdata. Obs. phys. med. 1680. Augustae Vindelicorum, pag. 121. Osserv. 11. — Jacohaeus 0. Puella mon- strosa hirsuta, et infans dcdaeos. Acta medica et philos. Hafnien. 1680. Tom. V, pag. 274. Osserv. 12. — Lanzoni Giuseppe. Obser- vatio de muliere barbata. Miscellanea curiosa, seu Ephemeridium Accademiae Cesareo-Leopol- dinae etc. Dec. III. Anno V e VI, 1697 e 1693. Francoforte e Lipsia 1700. Observatio 283, pag. 98. Nel 1697 osservò una Romagnola di 50 anni, sterile, colla barba, la quale non aveva mai avute mestruazioni, mancava di mammelle e presentava il petto come quello di un uomo. Osserv. 13. — Turner Daniele (Londra). De morbis cutaneis. London 1723 (citato da RuecieRrI, Venezia 1815). Uva nipote di Nicolò III (morta nel 1280} della fa- miglia degli Orsini partorì un mostro tutto coperto di pelo, analogo a quello d’un orso, a cui assomigliava anche nelle estremità ecc. Osserv. 14. — Michaelis Gottlieb. De vir- gine barbata Dresdensi. Acta physico-medica. Ace. Caesareo-Leop. Carol. naturae curiosorum. Norimb. 1733. Vol. III, pag. 387. A Rosina Miiller, morta in Dresda nel 1732, fin dalla gioventù apparve la barba ai lati del mento, la quale cresceva al segno che ella era obbligata radersela due volte la settimana. Osserv. 15. — Gatta Costantino. Memoria colla data : Sala in Lucania 1734. Di uno strano accrescimento di peli, di barba e di ugne în due donne napoletane. Raccolta d’opuscoli scienti- fici di AuGusro CaLoGERÀ. Venezia 1736. Tom. XIII, pag. 403. Racconta che una madre e una figlia furono per 16 anni rinchiuse in un sotterraneo, e quando da quello furono tolte, si videro non solo squallide e sparute, ma ricoperte da irsuti e ruvidi peli, con lunga barba nel mento, e con uhghie lunghe ed incurvate, simili ad ar- tigli. L’A. attribuisce tale fenomeno alla dimora tenebrosa ed umida, congiunta al timore perenne di più orribili Serie V. Tomo IX. — Medicina e Chirurgia. mali. Queste cagioni turbarono l’ economia dol corpo, ed impedirono la traspirazione insensibile, e quindi per moto critico avvenne un smisurato accrescimento dei peli. Osserv. 16. — Hoyerus J. G. De virgine, cute hirsuta densisque minoribus setis obsita in meinbris inferioribus deformata. Acta Academiae naturae curiosorum. Norimbergae, 1737. Tom. IV, pag. 467. Una ragazza col volto bello e roseo andò a marito, ma essendo coperta di peli sotto l’ ombellico, nelle pu- dende e nel dorso, fu obbligata al divorzio. Osserv. 17. — Degnerus J. H. Historia puellae pilosae. Acta Acad. naturae curiosorum. Norimbergae 1742. Tom. VI, pag. 35. Fanciulla pelosa. Osserv. 18. — Bevern. Hufeland’s Jour- nal fir pract. Medicin. Wien 1808. Bd. XIV. StuChgo is AS In una gemella l’intero corpo, compreso il labbro ed il mento, era coperto d’insoliti e robusti peli: a tre anni era già sviluppata in modo sorprendente sotto forma di polisarcia. La bambina fu presa da vomito di sangue e morì, ma dalla necroscopia dell’ addome s’ impara soltanto che gli organi generativi internì erano involti da una sostanza non definita, sostanza che avvolgeva anche la milza. Osserv. 19. — Ruggieri Cesare (Clinico di Padova). Storia di una donna avente gran parte del corpo coperta di pelle e pelo nero. Venezia 1815 e Padova 1822, in 8°, col ritratto del soggetto. Una giovane avvenente, veneziana, di 27 anni, che era sempre stata restia al matrimonio, finalmente si ma- ritò con un giovane di suo aggradimento. Ma dopo gli sponsali questi s’ accorse che era stato tradito perchè la sposa aveva il corpo di bestia coperto di pelo nero in tutta la parte che non si vede, éd anche la stessa sposa confessò che aveva coperto di pelo nero lo stomaco, il ventre, la schiena e le coscie. Tanto i due sposi quanto i rispettivi genitori con- vennero nella necessità del divorzio ed invitarono il sud- detto autore a scrivere un voto in proposito. Osservata la donna, il Ruggieri notò che il pelo era nero, folto ed arricciato ed inoltre che la pelle era parimenti nera, senza alcun odore e senza gradazione di colore colla pelle naturale, descrivendo una demarcazione circolare esattis- sima. Finalmente seppe che la parte nera del corpo non partecipava alla traspirazione cutanea cui andava talora soggetta l’ intera persona, e convenne che tale stato risve- gliava un ribrezzo ripugnante e che esponeva al pericolo dell’ eredità di sì strana anomalia nei figli. Cotesto voto 45 — 356 — giovò agli sposi per ottenere anche dalla Chiesa il desi- derato divorzio. L’autore poi, giovandosi di ciò che aveva insegnato il Toscano Chiarughi, cioè che l'acido muriatico ossige- nato applicato sopra la pelle cangia il nero in giallo senza attaccar l'epidermide, e ciò precariamente, volle replicare l’ esperienza sopra una coscia della sposa sud- detta, dopo avere ben rasati i peli; ma ciò produsse un dolore grandissimo che durò due ore, seguito dalla produzione d’ una vescica, e dalla formazione di una piaga. Guarita questa, la parte rimase bianchissima e senza peli, ma la donna non volle più sottomettersi a tale esperimento e preferì di conservare la sua ano- malia. Dalla descrizione può chiamarsi il caso suddetto neo peloso. Osserv. 20. — Eble Burkard. Die Lehre v. den Haaren in der gesammien organ. Natur. volIstind. bearb. 2 Bd. Mit 166 Abbild. Wien 1831. — Canstatt ’Jahresbericht fir 1831. N. 36. Racconta che una neonata era provvista di barba e di peli alle pudende con enorme sviluppo dei genitali. Osserv. 21. — Chowne W. D. Ieemarkable case of hirsute growth în a female; with obser- vations on certain organic structures and their phy- siological influences. The Lancet. London 1852. Tom. I, pag. 421, 5114; Tom. II pag. 3l. Osserv. 22. — Laurence J. Z. A short ac- count of the bearded and hairy female. The Lan- cet. London 1857. Tom. II, pag. 43. Osserv. 25. — Turner. A case of a 1voman vwhose face and body, în two or three iveeks time, became covered wilh a thick crop of short and rvhite downy hair, and ivho at the time rvas suffering from carcinoma of the breast. The medical Times and Gazette. London 1865. Tom. II, pag. 507. Osserv. 24. —- Darwin Carlo. De la varia- tion des animaux. Trad. francese. Paris 1868. Tom. II, pag. 348. Ricorda Giulia Pastrana, danzatrice spagnuola, come esempio d’ una donna ricoperta di peli, che aveva un doppia fila di denti nella medesima mascella. Magitot invece, avendo veduto a Londra la forma delle due ma- scelle della suddetta Giulia, sostiene che vi è una ridu- zione nel numero dei denti o che l’ errore derivava da una ipertrofia del margine alveolare, che aumentava il progna- tismo, osservata la testa di profilo (Bulletin de la Soc. d’Anthropologie. Paris 1878, pag. 275). Osserv. 25. — Beigel Hermann. Ueder abnorme Haarentwickelung beim Menschen. Vir- chow ’s Archiv. 1868. Bd. 44, s. 418. Ipertricosi per tre generazioni. Nelle due prime gene- razioni vi era anche difetto nei denti canini e molari. Osserv. 26, — krankheiten. 1870. Un’ indiana del Messico era coperta di peli simili a quelli delle scimmie, dall’ombellico al ginocchio ove la cute era oscura e dura a guisa di cotenna. Pick. Archiv fiir Haut- Osserv. 27. — Lombroso Cesare. Caso di ipertricosi in una cretinosa microcefala. Comun. all’ Istituto Lombardo, 6 Aprile 1871. Archi- vio per l’Antropologia. Firenze 1871. Vol. I, pag: 192% Una bambina di 12 anni aveva la cute della faccia (compresa la fronte) di colore oscuro e coperta di peli; il cranio microcefalo. L'autore non ne tornisce la mi- sura. Osserv. 28. — Auspitz H. Geringer Grad von Microcephalie und hoher Grad von Hyper- trichosis bei einem 13 jahr Midchen. Wien. med. Presse. 1871. Bd. XII, s. 25. Osserv. 29. — Finger. Hypercrinosis mit Amenorrhoe. Allgemeine Wiener medizinische Zeitung. 1873. Tom. XVIII, pag. 604. Osserv. 30. — N. N. Una donna barbuta nello stato puerperale. Ann. univ. di medic. e chir. Milano 1875, Vol. 234. pag. 378. (Preso dal New-York Medical Record). Osserv. 31. — Dowall F. W. 7200 cases of bearded rvomen. Journal fo Ment. Sc. Lon- don 1877. Tom. XXIII, pag. 86. Osserv. 32. — Duhring Luigi. Case of a bearded roman. Archiv of Dermat. und Sy- phil. New-York 1877. Tom. III, pag. 193. — Annali univ. di medicina e chirurgia. Milano 1878. Vol. 244, pag. 122. Donna di 23 anni, la quale aveva barba e mustacchi neri come quelli di un uomo, e peli in mezzo alle spalle. Quando nacque aveva già la lanugine alla faccia, ed i peli comparvero colla pubertà. Nulla di simile si era osservato nei parenti, e la donna serbava tutti ìi caratteri femminili. Fu mestruata a 14 anni, a 16 anni sì maritò, ed ebbe due figli sani senza alcuna alterazione nella pelle. — 357 — Osserv. 33. — Hardaway W. A. Case of a bearded roman. St. Louis medical and surgical Journal, 1877, n. s. Tom. XIV, pag. 584-587. Osserv. 34. — Stricker Guglielmo. (Frank- furt). Zwei diltere Fiille von Hypertrichosis. Vir- chow ’s Archiv. Berlin 1877. Band 71. S. 113, Tafel V, fig. 4. Questo caso fu descritto da Micaelis nel 1733 (Vedi Osserv. 12. Acta physico-medica academiae Caesareo-Leo- poldino-Carolinae naturae curiosorum. Norimb. 1733. Vol. III, pag. 387, mit Abbildung auf Tab. VI). Si tratta di una donna di 64 anni, la quale aveva tutta la barba e î mustacchi come un uomo. La barba era lunga tre pol- lici. Nel cadavere si trovarono gli organi sessuali fem- minili normali e senza peli, sproporzionati al pube. Il petto e il ventre erano piani. Osserv. 35. — Von Siebold €. T. Die haa- rige Familie von Ambras. Archiv fiir Anthro- pologie. Braunschweig, 1877-78. Tom. IX, pag. 253-260. Ha raccolto nella letteratura 17 easìi di ipertricosi universale. Osserv. 36. — Ecker Alessandro. UVeder abnorme Behaarung des Menschen. Braunschweig 1878, in 4°. Con ritratti nel testo. Il primo ritratto rappresenta una bambina con un grande neo peloso sul dorso ed all’ estremità inferiore delle natiche, non che piccole macchie pelose agli arti, anche dal lato anteriore. Gli altri ritratti rappresentano gradi diversi d’ iper- tricosi alla faccia di una donna coi rispettivi figli, fino a somigliare a cani e a scimmie. Osserv. 37. — Hildebrant H. Ueder abnorme Haarbildung beim Menschen. Schriften der phy- sikalisch-economischen Gesellschaft zu Kònigs- berg 1878, s. 1. L’ osservazione ed il giornale sono da noi ignorati. Sappiamo però da Hilbert (Vedi Osserv. 42) che fu fatta la necroscopia, e che si trovò una parziale ipertricosi con l’ utero infantile. Osserv. 38. — Bartels Max. Ueber abnor- me Behaarung beim Menschen. Zeitschr. fiir Ethnologie. 1879. Bd. 11. s. 145 ff. Parla delle così dette voglie pelose (ipertricosi com- posta). Osserv. 39. — Tlesch Max. Ein Fall von Hypertrichosis (aus dem Preparaatsaale zu Wurz- burg). Archiv fir Anthropologie. Braunschweig 1880. Bd. XIII. s. 125. Bambina di due anni e mezzo con peli nelle gote e sulle braccia, senza peli alle spalle ed alle pudende. I peli erano lunghi 2-5 centimetri. Osserv. 40. — Keane A. H. Krao, the * hu- man monkey ,. Nature. London 1882-83. Tom. XXVII, pag. 245. Osserv. 41. — Furst Livius. Hypertrichosis universalis mt Hypertrophie der Kiefer-Alveolar- réinder. Virchow ’s Archiv. 1884. Bd. 76, S. 355, Tafel XIV und XV. Jahbresbericht fiir 1884. Bd. II, s. 693. Bambina di 6 anni con ipertricosi generale e con ipertrofia del margine alveolare della mandibola infe- riore, con ingrossamento dei molari e diradamento dei medesimi. Osserv. 42. — Lucas-Championnière J. Journal de med. et chir. pratique, Paris 1885. Tom. 55, pag. 66-67. Racconta alcuni casi di donne barbute che avevano inclinazioni alle donne, ma non reca l’esame nè clinico nè anatomico. Osserv. 43. — Hilbert Richard. Partielle Hypertrichosis neben angeborner Ichthyosis cir- cumscripta. — Virchow’s Archiv. Berlin 1885. Bd. 99, pag. 569. Una ragazza di 24 anni aveva le braccia, eccetto le mani, con ipertricosi, inoltre a sinistra i peli abbraccia- vano l’ estremità della spalla e sulla spina scapolare, eravi un rialzo circolare, come una moneta di 5 marchi, coi caratteri dell’ /ctiosi serpentina d’ Hebra ; finalmente nel cadavere trovò l’ utero infantile. Osserv. 44. — Michelson P. (Kònigsberg). Zum Capitel der Hypertrichosis. Virchow ’s Ar- chiv. Berlin 1885. Bd. 100, s. 66. Ha rilevato, sopra 22 casì di ipertricosi universale (senza distinzione dì sesso, e senza distinzione d’ origine geografica), che in 8 si ignorò stato della dentatura, che 2 morirono avanti la prima dentizione, e che 12 possede- vano anomalie dentarie. Osserv. 45. — Rattone G. Contributo alla storia della ipertricosi. Comunicazione fatta alla R. Accad. di Med. di Torino nella seduta del 20 Maggio 1885. Bambina di 3 anni coll’osso incisivo superstite, iper- tricosi, ed anomalo padiglione dell’ orecchio. — 358 — Osserv. 46. — Parreidt J. Ueber die Be- zahnung bei Menschen mit abnormer Behaarung. Prager Zeitschrift fiir Heilkunde. 1886. Heft 2 und 4. Jahresbericht fir 1886. Band. 2, pag. 497. Raccoglie parecchi casi di ipertricosi con difetti nella dentatura. Osserv. 47. — Sommer W. Ein neuer Fall von Hypertrichosis circumscripta. Virchow' s Ar- chiv. 1886. Bd. 102, s. 107. Jahresbericht fiir li8364Bd Rs SR Un uomo di 19 anni ha nel braccio sinistro un neo materno lungo 30 centim. e largo 23. Osserv. 48. — Lesser E. (Bern). Hypertri- chosis universalis eines nicht ganz 6 jlhrigen Mcdehens. Virchow ’s Verhandlungen tir An- thropologie etc, Sitzung vom 21 Marz 1887. Berlin 1896, pag. 223. Mit 3 Abbildungen. La bambina, oltre l’ipertricosi, presenta le parti ses- suali completamente mature, con peli e colle mammelle assai sviluppate. La mestruazione era avvenuta a 3 anni, e poscia sì era ripetuta 9 volte. Osserv. 49. — Chiari H. Ueder Hypertri- chosis des Menschen. Prag. Wochenschrift 1890. Bd. 40-41. Jahresbericht fiir 1890. Bd. II, s. 602. Da prima riporta e discute le diverse teorie, poscia racconta che un bambino di 8 mesi morì per affezione cronica. Egli aveva un grande neo peloso pigmentato al collo, che discendeva sulle spalle e sul dorso fino a livello dell’ ottava costola. Poscia descrive i caratteri microscopici del neo, i quali non offrivano nulla di in- solito. Osserv. 50. — Schneller. Ein Fall von Pseudo-hermaphrodismus. Minchen Med. Wo- chenschrift. 1894. N. 39. Jahresbericht filr 1894. Bd. I, s. 232 (4). Fanciulla di 12 anni colla barba intera nel volto, nel petto, nelle pudende, e negli arti. Ipospadia. Non risultò alcuna deformità negli organi generativi internì. Osserv. 51. — Dollmann A. Abnorme Be- huarung bei cinem dreijihrigen Miidchen. Inter- nationale medizinisch-photographische Monats- schrift. Leipzig 1896. Bd. III Hft. 10. Osserv. 52. — A. Brand (Prof. in Charkow). Eine Virago. Virchow’s Archiv. Berlin 1896. Bd. 146, s. 532. Una contadina di Curlandia di 36 anni, alta un metro e 60; da ragazza, aveva avuta la mestruazione regolare, era molto vivace, amava il chiasso, e ripetute volte trasse giù da cavallo robusti lavoratori. Essa si maritò a 23 annì ed ottenne una bambina che allattò per due anni. Poscia rimase incinta e abortì nel settimo mese, in seguito ad una forte emozione. Dopo tale sventura la madre si ammalò con febbre, delirio, ed emorragia dai genitali che perdurò due mesi, © seguita da gonfiezza all’ addome. Durante questa malattia la paziente vide per la prima volta comparire dei peli nello scrobicolo del cuore, e poscia si sparsero vieppiù nel corpo e negli arti infe- riori, e nel terzo mese anche nel viso. Contemporanea- mente crebbe la gonfiezza del corpo e delle gambe, seguita da fortissimi dolori interni da indurla a strapparsi gli abiti e perfino i capelli dal capo che poscia rimasero radi: dolori che furono attribuiti ad una pelvi-peritonite. Nel corso di tre anni i mustacchi e la barba raggiun- gevano il loro pieno sviluppo, contro i quali 1’ ammalata tentò numerosi rimedi, fra cui la elettrolisi dei peli che fu interrotta dopo un mese; e nel frattanto scomparvero l’ascite ed i dolori lasciando un alto grado di idroemia e molto albume nelle orine, per cui s' indusse trattarsi di nefrite cronica. Questa donna, sebbene non ristabilita perfettamente in salute, fu condotta dal marito in mostra nelle prin- cipali città del corso superiore del Volga e poscia a Mosca, e dopo l’ aborto suddetto non ebbe mai più figli. Osserv. 53. — Jablonsky. Note sur cas d’ hermaphrodisme. Gaz. des hòpitaux de Tou- louse. 1898. Année XII. Avril, pag. 124. Una ragazza di 28 anni, all’ età di 15 o 16 principiò ad avere il mento e le gote coperte di peli biondi, che poscia si trasformarono in una copiosa barba, che si manifestò ancora sul petto e sulle membra; e l’ aspetto divenne virile. I mestrui fecero sempre difetto, e rima- sero poco sviluppate le mammelle, invece le anche erano assai larghe. Sotto il monte di Venere eravi la clitoride col prepuzio lungo 3 centim. la quale coll’ erezione giun- geva a 10 centim. Sotto la medesima un infondibulo, rappresentante la vagina, profondo 25 mill.; però con uno specillo si giungeva alla profondità di 10 centim. Ai lati del prepuzio discendevano due grandi labbra, di cui il destro conteneva un corpo simile ad un testicolo, ed il sinistro un ernia riducibile, la quale si strangolò in corrispondenza dell'anello : l’ operatore potè ricono- scervi la presenza d’ un ovaio. (Mancano le particolarità, come pure manca del tutto la descrizione dell’ uretra ; nè havvi accenno alle inclinazioni sessuali) — 359 — Nota III. — Elefantiasi della clitoride. Osserv. 1. — Realdo Colombo. De re ana- tomica. Venetiis 1559. Liber XV, pag. 169. « Foemina erat aethiopica mulier earum, quas ungaras ‘appellant Longobardi; haec neque agere, neque pati co- mode poterat; nam uterque sexus imperfectus illi c6ti- gerat suo magno malo; penis namque minimi digiti longitudinem, crassitiemque non excedebat; vulvae autem foramen adeo angustum erat, ut minimi digiti apice vix intromitteret. Ovtabat misera, ut hunc illi penem ferro evellerem, quippe qui sibi impedimento esse diceret, dum ‘cum viro coire exoptabat; optabat etiam, ut vulvae fo- ramen illi amplificarem, ut viro ferendo idonea esset ». Osserv. 2. — Varolio Costanzo (Bologna). Anatomiae. Liber IV. Francofiirte 1591. Cap. IV, pag. 98. La clitoride raggiunge talvolta tal mole che sembra un membro virile imperforato. Queste donne possono ora ricevere, ed ora operare il coito, e se si guardano gli organi.interni, essi sono affatto muliebri, senza alcuna cosa di mostruoso. Se si trovarono maschi che nelle parti «genitali avevano una depressione o una fessura, questa non era penetrante, sicchè è impossibiie che realmente ‘si trovino in uno stesso individuo ambidue i sessi. Osserv. 3. — Schenek Giovanni (figlio). Observationum medicarum rararum ece. Volumen. Francofurti 1609. Liber IV. — De genitalibus partibus, pag. 603. Riporta 4 casi di ingrandimento della clitoride. Osserv. 4. — Duval Jacques. Des Herma- phrodites etc. Rouen 1612 in 8°. Un membro virile lungo due dita trasverse, erettile, in luogo della clitoride, che molestava il marito nel- l’ atto del coito, per cui non fu compito la copula e con- «dusse al divorzio. Osserv. 5. — Panaroli Domenico (Romano). Jatrologisnorum, seu medicinalium observationum pentecostae quinque. Roma 1652. Pentecoste 4. Osserv. 6, pag. 120. In una prostituta Picena vide una clitorille così volu- minosa, che eguagliava nell’ erezione il pene di un fan- ciullo di 12 anni. Osserv. 6. — Bartholino Thomae. MHisto- riarum anatomicarun. Amstelodami 1654. Cen- turia II. Historia 57, pag. 247. Hermaphroditus. Reca un fatto con caratteri insufficienti. Osserv. 7. — Idem. Epistolarum. Haf- niae 1667. Cent. III. Epif. 94, pag. 406. Donna Olandese, barbata, con pene senza uretra e prepuzio, sotto il quale vi era la vulva. L’ autore ritenne fosse una femmina con una grande clitoride. Osserv. 8. — Rodio Giovanni. Observa- tionum medicinalium Centuriae tres. Padova 1657. Cent. 3°. Osserv. 42, pag. 164. Nell’ anno 1624, nel mese di Luglio, nell’ Ospedale di S. Francesco vide una prostituta, la quale aveva la cli- toride, che pendeva all’ innanzi per mezzo dito di lun- ghezza. Nell’ anno 1636 il giorno 21 d'Aprile vide un’altra clitoride della stessa grandezza, che terminava in un tumore peloso e verrucoso. Fu operata dal Chirurgo Baldassarre Giordano. Osserv. 9. — Zacchia Paolo (Romano). Quaestionum Medico-legalium. Lugduni 1661. Libro VII. Tit. I. Quest. 9°, pag. 501. In Roma eravi una famosa meretrice, la quale aveva una clitoride grande quanto un dito anulare, che portava impedimento al coito. Osserv. 10. — Graaf Reiner. De virorum organis generationi inservientibus, de clysteribus, de usu siphonis in anatomia. Leida e Amster- dam 1668. Vide una ragazza colla clitoride simile a un membro virile in guisa che la levatrice la giudicò per un maschio, ma l’ errore fu scoperto dopo morta mediante l’ autopsia. Osserv. 11. — Tulpio Nicola. Observationes medicae. Editio nova. Amstelodami 1672. Li- ber III. Caput XXXV, pag. 241. Una certa Enrica Schuria, stanca del suo sesso, vesti abiti maschili e fece il soldato sotto il Principe d’ Orange. Tornata a casa, pel suo clitoride molto sviluppato si accoppiava con altre donne, e specialmente per più lungo tempo con una certa vedova, la quale (se fosse stato permesso dalle leggi) volontieri 1’ avrebbe sposata. Questa tribade aveva la clitoride molto sviluppata e durante il coito raggiungeva la lunghezza della metà d’ un dito ed anche di più, e la grossezza del pene d’ un bambino. Il giureconsulto Giovanni Paponio (I XXII, tit. VII, avest II) scrive che queste donne impudiche devono essere condannate a morte. La tribade, di cui sopra, trovò il giudice più clemente; fu bastonata con verghe e condan- nata all’ esilio, venne separata da quella vedova, colla quale aveva vissuto libidinosamente. — 360 — Osserv. 12. — De Diemerbroeck Isbrando. Anatome corporis humani. Lugduni 1683. Liber primus, pag. 152. Osserv. l. In una donna di Montfort, moglie di un soldato, vide la clitoride della lunghezza e grossezza di un membro virile mediocre. Osserv. 2. In Francia vide un ermafrodita di 28 anni, che aveva la barba, come un uomo mentre vestiva abiti femminili; mostrava poi per piccolo prezzo i proprii genitali. Nelle pudende la clitoride era cresciuta fino alla lunghezza di un mezzo dito ed alla grossezza di un pene, col glande, frenulo e prepuzio come nell'uomo, ad eccezione che 1’ apertura del glande non era manifesta- mente pervia; inferiormente esistevano il meato urinario e la vagina, come nelle dorine; nelle grandi labbra si conteneva un solo testicolo. Osserv. 3. Vide un ermafrodito inglese dell’ età di 22 anni, intorno al quale il suo conduttore riferiva che era nato femmina perfetta, che fra il quinto ed il sesto anno i genitali principiarono a cambiare, e che all’ unde- cimo anno il pene erasi fatto manifesto. Noi vedemmo il suo pena sporgente per la lunghezza di circa un m°zzo dito, senza manifesta perforazione all’ estremità, non dis- simile da un pene virile, a cui l’ unione delle ninfe for- mava il prepuzio, il quale poi copriva e scopriva per metà il glande, come nell’ uomo. Il conduttore riferiva che questo pene, pei pensieri libidinosi, cresceva fino alla lunghezza di un dito. In ognuna delle grandi labbra, come in uno scroto, sì conteneva un testicolo. Poco sotto, nel luogo consueto, si trovavano il meato urinario e la vagina. Il conduttore riferiva ancora che le mestruazioni sì presentavano a regolari periodi come nelle donne, e che per una grande libidine anche il seme esciva fuori, ma era dubbio se ciò accadesse dal pene oppure dalle parti muliebri. Le mammelle non erano molte tumide, il petto e le coscie alquanto irsute mostravano piuttosto l'aspetto virile; così pure la voce grave, i capelli crespi abbondantissimi nella testa, e i manifesti indizi dello spuntare della barba attorno alla bocca. Osserv. 13. — Dionis Pierre (Paris). Cours d’ opérations de Chirurgie. Paris 1707; 1708. Vol. II. Bruxelles 1708, pag. 196. In Europa le donne che hanno la clitoride più grande delle altre sono dette ibaudes, poichè esse possono abusare e violare altre donne; io che ha fatto proporre l’amputazione per togliere a queste donne l’ oggetto della continuata lascivia. Osserv. 14. — Palfyn Jean (de Gand). De- scription anatomique des Parties de la femme, qui servent à la generation. Leide 1708, pag. 10. Vi sono delle donne che hanno la clitoride estrema- mente lunga, alcune delle quali ne abusano con altre donne come faceva quella Bassa tribade, di cui parla Marziale, nel libro primo dei suoi epigrammi (XCI ep.): Esse vidèbaris, fateor, Lucretia nobis: At tu, proh facinus! Bassa fututor eras. Inter se geminos audes committere cunnos, Mentiturque virum prodigiosa Venus. Commenta es dignum thebano aenigmate monstrum, Hie, ubi vir non est, ut sit adulterium. Osserv. 15. — Parsons Jacobus (London). Mechanical and critical enquiriy into the nature of hermaphrodites. London 1741, in 8°, pag. 144. Con fig. Vide in Londra una donna d’Angola che aveva una grande clitoride ed un’ ernia nel labbro destro, che era creduta per ermafrodita. Haller dice: « Opus fere collectitium, in quo ex tem- porum ordine plurima exempla androgynorum recensen- tur. Androgynos qui putantur esse feminas magna cli- toride ». Quam ipse vidit Aetiopissam putes utiqus eo pertinere. Js. Geoffroy Saint-Hilaire. (Des anomalies. Paris 1836. Tom. II, pag. 24). Rammenta come nel 1741 Parsons rilevò la analogia sessuale fra gli ermafroditi ed i feti di sesso femminino. Osserv. 16. — Sehmucker J. L. Vermischte chirurg. Schriften. Berlin 1778. Band. 2. — Monteggia G. B. Istituzione Chirurgica. Na- poli 1837. Vol. VIII, pag. 82, part. 310. L’ autore ricorda il caso di Kramer di una clitoride cancrenosa (probabilmente cancrena secondaria al cancro), che fu dapprima legata e poscia tagliata per togliere i dolori insopportabili. Im quest’ occasione Monteggia ag- giunge che la clitoride può essere ora affetta da scirro e cancro ed ora da semplice ingrandimento, nel qual caso conviene l’ estirpazione. Osserv. 17. — Ferrein. Sur le céritable sexe de ceuae qu'on appelle Hermaphrodites. Mém. de l’Acad. des Sciences. Année 1787, pag. 330. Riporta due casi viventi di femmine, di cui la clito- ride aveva preso un volume considerevole da simulare una verga virile col foro uretrale alla radice, di cui una fu Marie Walkiers. Intorno agli scrittori che si sono occupati della medesima, vedi Is. Geoffroy Saint-Hilaire: (Des anomalies. Tom. II, 1836. Chap. II. Hermaphrod.). Osserv. 18. — Home Everard. An account of the dissec. of on hermaphrodite dog. Phylos. transactions. Année 1799, pag. 157-178. Con aggiunte. Lectures of comparative anatomy. Tom. III. Lectur. XI. Espose l'ipotesi che 1° uovo avanti la fecondazione non ha sesso determinato, e può dare nascimento secondo — 361 — le influenze subite ora ad un maschio ed ora ad una fem- mina, ed ora ad un individuo intermediario per le sue condizioni sessuali fra l’ uno e l’ altro. Una donna nera di 24 anni, con portamento mascolino e la voce rauca, aveva la clitoride lunga due pollici, di notevole grossezza, e suscettibile d’ erezione coll’ estre- mità imperforata e senza prepuzio, mentre l’ orificio del- l’uretra era situato come al solito nelle donne; solo era impedita l’ emissione dell’ urina quando non si sollevava la clitoride. Le mammelle erano sviluppate. Osserv. 19. — Scehoònfeld in Charleroy. Journal de Med. belge. Juillet 1838. Una donna robusta che aveva avuto un aborto (di 28 anni) presentava alla vagina un tumore granulare, il quale non era altro che una degenerazione della clitoride, della grossezza della testa di un feto, e del co- lore della pelle. Questo tumore non era sensibile che alla sua radice, e pareva dipendesse da abuso di ogni genere dei piaceri sessuali. L’ asportazione del tumcre si fece senza difficoltà, ed in 14 giorni sì ottenne una completa guarigione. Osserv. 20. — Velpeau Alphonse. JMéd:- cine opératoire Bruxelles 1840. (5*me Edition). Tom. II, pag. 422. L'autore racconta che Robert comunicò a Parigi nel 1839 che una giovine giunta al marasmo in seguito alla masturbazione fu da lui guarita mediante l’ amputazione della clitoride. Questa operazione è difesa dal suddetto Velpeau. Osserv. 21. — Riberi Alessandro (clinico a Torino). Sraccolta delle opere minori. Torino 1851. Vol. I, pag. 99. Amputazione della clitoride e delie ninfe in seguito a ipertrofia infiammatoria e dolorosa, causata da protratto ‘onanismo e guarita coll’ amputazione. Osserv. 22. — Morpain A. Division con- génitale du Clitoris. Gazette hebdomadaire etc. Paris 1855, pag. 436. Oss. ILL Una ricamatrice di 61 anni aveva dalla nascita una divisione congenita della clitoride, le cui due parti si ve- «devano disgiunte e si potevano seguire fino alle loro ‘origini. Essa non ebbe mai risvegliato i sentimenti di voluttà ed aveva subito i doveri matrimoniali per sola ras- ‘segnazione. Le piccole labbra si presentavano come un cercine, le quali in luogo di riunirsi per formare il cap- puccio clitorideo, formavano invece alla loro radice due mezzi capucci. L’ orificio dell’ uretra si trovava in fondo all’ infondibulo. L’ orificio della vagina era normale. Osserv. 23. — Cassano Camillo e Pedretti F. Paolo. Un caso di clitoride mostruosa. Ren- diconto della R. Accademia Medico-chirurgica di Napoli. 1860. Fasc. I e IV, pag. 69. Con tavola. Una ragazza di 15 anni aveva le forme del corpo vi- rili, ad onta della bassa statura, il volto era coperto in parte «i peli con una clitoride voluminosa, già capace d’ erezione. Essa rimase incinta e dopo il parto s’ abban- donò ad atti libidinosi anche colle femmine. Giunta all’età di 40 anni (1850) la clitoride oltrepassava in lunghezza tre pollici e recavale grave incomodo. Il chi- rurgo vide inoltre il glande coperto di bernoccoli (can - croide come apparisce dalle figure), e passò all’ amputa- zione. Egli poi tace sugli effetti fisici e morali. Osserv. 24. — Willermay nel Dictionnaire des Sciences médicales. Enciclopedia Medica Ita- liana. Milano (senza data). Vol. II, part. I, pag. 1167. Riporta un caso di ninfomania, nel quale la clitoride uguagliava il volume del pene d’ un maschio. La clitoride può diventar sede della trasformazione scirrosa, ulcerarsi, suppurare ece., oppure divenire sede di un cancro. In alcuni casi la tumefazione è data da un processo infiammatorio cronico. Osserv. 25. — Mason. E/ephantiasis of cli- forîis. New-Yorck med. Record. 1868. May 1. Amputò coll’ ecraseur una clitoride ipertrofica in una fanciulla di 5 anni, che era lunga 4 pollici, e grossa pollici 4 19. Osserv. 26. — Gerin Rose. Pseudo-erma- frodito esterno. (Femmina esternamente: pene e testicoli). Gaz. des hòpitaux. 1884. N. 139. Donna senza utero, ipertrofia della clitoride, senza inclinazione colle donne, e senza passione per gli uomini. Osserv. 27. — Henle F. G. Fall von angebo- rener Spalte der Clitoris. Zeitschrift fiir ratio- nelle Med. 1855. Vol. VI, s. 343. — Canstatt’s Jahresbericht fiir Jahr. 1855. Bd. IV, s. 15. Una ragazza di 17 anni, amenorroica, rimasta piccola, aveva la clitoride distinta in due parti, completamente in forma di due verruche. Fra le due metà del frenulo giaceva lo sbocco dell’ uretra. Osserv. 28. — Verstraeten (Prof. a Gand). L’acromégalie. Revue de Méd. N. 5. Mai, 1889. Obs. II. — Osserv. riprodotta da Souza-Leité. De l’Acromégalie. Paris 1890. Vol. XII, pag. 203. Mille L. di 29 anni, sartrice, alta 64 centim., coi ca- ratteri dell’ acromegalia e colla mestruazione già sop- pressa, col canale dell’ uretra ipertrofico. Presentava inoltre — 362 — la clitoride considerevolmente sviluppata (triplicata di volume), coll’ imene conservato. Non ebbe mai vivaci desi- deri venerei, e rifiutò di maritarsi. Osserv. 29. — Freund W. A. Ueber Akro- megalie. Sammlung Klinischer Vortrige von R. Volkmann 1889. N. 329. — Osserv. ripor- tata da Souza-Leité J. D. De l’Acromegalie. Paris 1890, pag. 219. Obs. XIV. ‘ Donna di 59 anni, con acromegalia relativamente assai notevole nelle quattro estremità. Ha inoltre una clitoride assai grande col prepuzio ingrossato; le pic- cole labbra hanno ingrossata e rugosa la mucosa, d’ un colore bruno-giallastro. L’ utero mostra gli esordi del- l’ atrofia. Osserv. 30. — Windle B. C. Exemple of an Elongated and Bifid Clitoris. Journ. of anat. London 1893. Vol. XXVII. P. 3, pag. 22. Vide una clitoride lunga 5 centim. e divisa alla sua base. Essa aveva un doppio glande; e la sua metà destra era alquanto più corta della sinistra. Questa notizia l’ abbiamo ricavata dagli Jahresbericht fiir 1893. Band. 1, s. 21, ed avvertiamo che tale indica- zione è, contro il suo solito, totalmente erronea, e fin ora non siamo riusciti a rettificarla. Osserv. 31. — Zarubin V. A rare case of acquired general Hypertricosis. Journal of cut and genito-urinaire dis. 1897, pag. 74. — Ja- hresbericht fiir 1897. Bd. II, s. 546 (15). Un ammalata di 38 anni affetta da ipertricosi del- l’intero corpo e specialmente della faccia; quando ebbe 26 anni fu presa da una malattia in puerperio, poscia seguita da calvizie, mentre avvenne l’ ipertrofia della clitoride con notevole prepuzio e col glande assai svi- luppato. Essa aveva ancora una costituzione del corpo maschile e voce profonda. Osserv. 32. — Marshall B. A case of me- lanotice sarcoma of clitoris. Glasgow Journ. April 1898. Donna di 57 anni. Il sarcoma era grande come una noce. Osserv. 33. — Blondel. Un cas de pseudo- hermaphroditisme. La gynécologie. 15 Feb- braio 1899. Una donna di 45 anni aveva la clitoride molto grande. Glandole simili ai testicoli nelle grandi labbra ipertro- fiche. Esplorando il retto, si trovava un corpo sotto la vescica forse da considerarsi la prostata. Niun organo genitale interno e niuno sbocco uretrale nella vagina, la quale era in stato rudimentale. L’ abito era femminino. Osserv. 34. — Neugebauer Fr. Ein in der Kasuistik des Pseudo-h-rmaphroditismus einzing dastehender Fall. Centralblatt fir Gynikologie. 4 Febbraio 1899. S. 139. (Con 2 figure nel testo). — Giornale di Medicina legale. Lan- ciano 1899. Anno VI, pag. 123. Una ebrea, di 27 anni, aveva partorito da 7 giorni un maschio con sviluppo normale anche nelle parti ses- suali. La donna aveva la vulva regolare, piccole le labbra, e normale la clitoride; invece aveva dietro alla vulva, nella linea mediana del perineo, ed un centimetro dietro al frenulum labiorum, un corpo simile all’ asta virile, lungo millimetri 45-52, col glande circoscritto e coperto parzialmente dal prepuzio, fornito di due corpi cavernosi,. di cui l’ autore seguì il destro fino all’ inserzione pubica. Quest’ asta mancava di meato urinario, però vi si notava una piccola depressione e mancava ognì traccia di ipo- spadia. Essa era suscettibile di erezione, raggiungendo la lunghezza di quasi 50 millimetri con sensazione libi- dinosa. La pelle che ricopriva l’ asta in collapso era assai rugosa come in un individuo attempato, specialmente alla base, ciò che fece sospettare all’ autore che indicasse un rudimento di scroto. All esplorazione rettale non si rinvenne alcuna ano- malia e la donna si rifiutò ad ogni escissione dell’ asta per ricerche microscopiche, in guisa che l’ autore è ri- masto in dubbio se si trattasse d’ una clitoride ipertrofica o meglio di una vera asta virile rudimentaria imperforata. Osserv. 35. — Lambret. Les tumeurs béni- gnes du Clitoris. Revue de Chirurgie N. 5. 1898. — Jahresbericht iùr 1898. Bd. II, s. 258. (17). Raccoglie dalla letteratura i seguenti casi di tumori benigni dalla clitoride: Tre cisti sanguigne. Due der- moidi. Un ateroma (dubbio). Trentun casi di tumori solidi ; specialmente fra questi: una ossificazione della clitoride,. un condroma; più fibromi, che spesso non potevano distinguersi dall’ipertrofia. Questi tumori di rado furono: accompagnati da ricerche istologiche. Osserv. 36. — Solowig. Ein Beitrag zum Pseudo-hermophroditismus. Monatsschr. f. Geb. Di Cpyido Joel IDG 0985 deh 2: Una persona con abito femminino, non mestruata, di 21 anni, aveva il petto ben sviluppato, le grandi labbra. sottili colla clitoride lunga 2 centimetri. La vagina era cieca all’ estremità e lunga 25 centimetri. Osserv. 37-40. — Taruffi Cesare. Sul! or- dinamento della Teratologia. Memoria III. — Pseudo-ermafroditismo femminino. Memoria della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. 1899. Serie 5%. Tomo VII, pag. 738. Osserv. 1. Cooper Astley P. — Osserv. 6. Jacoby R. — Osserv. 93. Neill J. — Osserv. 100. Blanche. — Os serv. 131. Marchand F. — 363 — Nota IV. Parte I. — Donne illustri. Osserv. 1. — Giovanna d’ Arco. Da varii cronisti e storici, sì ricava che Giovanna nacque verso l’anno 1410 in Francia sulle frontiere della Lorena e della Sciampagna, ed apparteneva ad una famiglia di agricoltori che traevano il loro sostenta- mento da un campo e da alcuni armenti. La Pulcella, da ragazza, seguiva gli armenti al pascolo; non fu mai istruita, non seppe mai nè leggere nè scrivere, e non apprese da altri, che da sua madre i dogmi della fede; e chi la conobbe si convinse che era una buona fan- ciulla, semplice, di cuore, pia, casta, laboriosa nelle faccende domestiche. Allevata in mezzo alle guerre, fra l’odio degli Inglesi e dei Borgognoni contro i Francesi, fu ispirata da una profezia che il regno francese, tratto in mal punto da una donna impudica, sarebbe salvato da una vergine delle Marche di Lorena. Giovanna si sentì di essere quella Vergine, e quindi pigliò parte a tutti gli avvenimenti e battaglie che successero fra le armi nemiche. La Pulcella era grande e robusta della persona. Ella non conobbe mai le debolezze fisiche della donna, e già fin dai 13 anni consacrò a Dio la sua ver- ginità. Vestì un abito virile (ciò che fu più tardi un titolo d'accusa davanti al Tribunale ecclesiastico), si munì di una armatura, sì provvide di un cavallo, e partì per la guerra. Negli assalti dei castelli nemici (borgo- gnoni ed inglesì) mostrò un valore ed una avvedutezza che formarono la meraviglia dei vecchi capitani e il terrore dei nemici. Disgraziatamente rimase ferita da- vanti a Compiègne e fatta prigioniera il 24 Maggio 1430. Gl’ inglesi oltre le accuse d’ eresia le attribuivano varie colpe contro i costumi, e quindi anche sulla natura del suo sesso. Sopra questo punto Hyrtl (1) ha tratta la no- tizia (senza indicar la fonte) che fu sottoposta ai medici periti Guglielmo Decauda e Guglielmo De-Jardini, i quali la visitarono per ordine del Cardinale d’ Inghilterra, conte di Varwich, e trovarono che essa aveva cotanto stretta la vagina, che non avrebbe potuto darsi mai al coito. Nulladimeno la Giovanna fu condannata dal Tribunale ecclesiastico, come eretica ricaduta ; e fu condotta al rogo nel 1431. Osserv. 2. — Nonna (= Monaca) Alferez. Historia. Madrid 1625. — PEREZ JUAN, JoA- quim FERRER. Historia etc. Paris 1829. — Josè- MARIA DE HeREIDA. La nonna Alferez. Revue des deux mondes. Paris 1894. Liv. 1° Mars. Tom. 122, pag. 121. Caterina d’Arcuso di Biscaglia arrivò a Roma dalla Spagna il 5 Giugno 1626, vestita alla spagnuola con (1) Hyrtl Giuseppe. Manuale di Anatomia Topogra- fica Napoli 1892. Volume II (traduzione), pag. 183. Serie V. — Tomo IX. spada e con portamento disinvolto, da sembrare piuttosto un soldato, che un uomo di corte, mentre però il gesto e le mani ricordavano il sesso femminino. Caterina aveva dai 33 ai 40 anni, colla figura grande e robusta; mo- strava le reliquie di un gozzo che fu guarito da un italiano. Di volto non era troppo brutta, ma aveva l’im- pronta delle fatiche sofferte; coi capelli neri e corti come hanno gli uomini, e coll’ aspetto piuttosto d’eu- nuco che di donna. All’ età di 13 anni essendo in un Convento in Spagna trovò una contesa con una monaca e fuggì incontrando numerose avventure. Ora si comportò come un’ amazzone spesso battagliera, ed ora come una mercantessa eon successivi disastri fino ad incontrare la prigionia. Essa partì poscia per l'America e viaggiando sul mare prin- cipiò a scrivere la sua vita, e giunse nel 1620 nella città del Perù, ove per controversie doveva fuggire dalla forza pubblica e fu salvata dal vescovo mediante il suo diritto d’immunità. A questo vescovo confessò i suoi molti peccati. Dap- prima dichiarò d° essere una donna, raccontò la sua ori- gine e le sue avventure; ma il vescovo volle assicurarsi del sesso, e due levatrici esaminata la donna giurarono d’ averla trovata vergine come il giorno della nascita e mediante la protezione del Clero potè più tardi tornare a Cadice nel 1824. Nella traversata marittima ebbe nuove risse coi ma- rinai, raccontate dalla stessa Caterina; altrettanto ebbe a Genova appena giunta in Italia. Finalmente ottenne in Roma dal Papa Urbano VIII di vestire da uomo, ma andata a Napoli ebbe una nuova lotta con armi. Poscia tornò in America a fare il trasporto delle merci coi muli, e dopo l’ età di 50 anni non si ebbero più notizie della medesima. Osserv. 3. — Lavinia Fontana (LANZI). Storia della pittura. — MaLvasia. Felsina pit- trice. — WINCKELMANN, NeuErs, MARLER, LE- XIKON, ecc. Figlia dell’ abile pittore Prospero, nata nel 1552 a Bologna, morta a Roma nel 1614. Essa superò il padre nel fare i ritratti, ed a questo genere di pittura si de- dicò principalmente; e Gregorio XIII, bolognese, capo della famiglia Buoncompagni, chiamò la Lavinia a Roma e la nominò sua pittrice; tosto le dame romane gareg- giarono fra loro per avere il ritratto, e l’ artista straor- dinaria ottenne tale fama che poeti ed oratori celebra- rono la rinomanza di Lavinia. Molte sono le sue opere sparse nei principali Musei d’ Europa ; soltanto in Bologna, se ne trovano in S. Gia- como, al Baraccano, ai Mendicanti, alia Trinità. In Imola nel palazzo Zappi havvi il ritratto dipinto dalla stessa 46 — 364 — Lavinia, ed anche in Bologna havvi un bellissimo ritratto in casa del Marchese Francesco Malvezzi Campeggi, ma ignoriamo se sia parimenti originale od una copia. Osserv. 4. — Elisabetta Sirani. - MALVASIA. Felsina pittrice ete. Vol. II, pag. 467. Edizione del 1832-34. Elisabetta Sirani figlia d'un pittore mediocre bolo- gnese, nacque nel gennaio del 1638 e morì nell’ agosto del 1665, quindi visse 26 anni. Essa raggiunse di buon ora un'alta statura, una robusta complessione ed un tempe- ‘ramento vivace con inclinazione impareggiabile alle belle arti, poichè in breve tempo scrisse in musica, dipinse numerosi quadri e perfino incise all'acqua forte. Di questi memorabili lavori fu data la nota da Malvasia -(loco citato), i quali non le fruttarono altra cosa. che il compianto generale per la sua morte immatura, ed ‘esequie magnifiche in S. Domenico, ove fu sepolta e posta nella stessa tomba in cui giaceva il cadavere di Guido Reni, e anche oggi si vede la seguente testimonianza : Elisabeth Siranae una cum Guidono Rheno tumu- latae, ee. La malattia e la morte di questa giovine donna ri- masero lungo tempo oscure, e suscitarono triste conse guenze come si rilevano dall’ oprscolo di Mazzoni-To- selli (1). Dal medesimo s’ impara che Elisabetta fu presa da doloretti di stomaco nel marzo 1665 e che si ripete- rono in seguito con intensità diversa fino a spegnerla ra- pidamente. Questa precoce morte svegliò tosto sospetti .d’avvelenamento; sospetti che si ripetono anche oggi nelle enciclopedie; i quali accelerarono testo la necro- scopia e svegliarono l’ imputazione sulla cuoca di casa, che subì un lungo processo. All’ autopsia sì trovò nello stomaco un foro morto sottoposto al piloro vicino al. duodeno, che permetteva l’ introduzione del dito aurico- lare, pel quale sì penetrava nella rete e si avvertirono delle abrasioni (disuguaglianze per grumi di pus) alla milza, al pancreas ed al fegato; e mediante tale via sì spiegava l'ingresso nel peritoneo della materia virulenta (purulenta), mescolata a sierosità color giallo. Si trova- rono inoltre le vene poste negl’intestini vicini allo sto- maco e più precisamente verso il piloro piene di sangue rubicondo. Questo reperto persuase i medici che la cor- rosione dello stomaco non era l’effetto d’ un veleno propinato, ma di un umore naturale che aveva esercitato ‘un’ azione simile ai veleni corrosivi. La povera cuoca, di nome Lucia Tolomelli, fu finalmente assolta solo il 5 gennaio 1668. Questo racconto istruisce come in quel tempo era difficile e incerto il giudizio dell’ ulcera perforante dello stomaco e come la terapia era strana, adoperandosi in tal caso per esempio una certa specie solutiva indicata soltanto dalla Farmacopea di Nicolò Lemery, e come (1) Mazzoni-Toselli. Racconto storico di Elisabetta Sirani e del supposto veneficio. — Bologna 1833. Vo- lume in 16°. Con ritratto della pittrice. prevaleva ancora il linguaggio del volgo, poichè chia- mavansi i tocchi o i colpi d° apoplesia, cadute di goccie. Osserv. 5. grafia. La Muratori, sebbene compositrice di musica, e pit- trice anche oggi stimata, è tuttora priva d’ un vero biografo; e quindi bisogna contentarsi di poche notizie sparse nelle Guide di Bologna (specialmente quella di Bianconi del 1845), nelle stampe che parlano d’ arte, come la ielsina pittrice del Malvasia (non prima dell’ edizione del 1841, tomo II, pag. 74) e nella Enciclopedia di To- rino, vol. XV, pag. 222, anno 1862, ove sono indicati parecchi quadri; finalmente nella Cronaca inedita dei pittori bolognesi di Marcello Oretti tomo IX, pag. 22 (esistente nella Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna). Il quale racconta che Teresa morì il 19 aprile 1708 e fu sepolta nella Chiesa della Madonna di Galliera ai piedi del quadro rappresentante S. Tommaso, quadro assai stimato, da lei stessa dipinto. Intorno al monumento de’ Muratori, opera della pit- trice, nella superior loggia dell’ Archiginnasio, il Prof. Gino Rocchi mi scrive: « Eccovi la copia, da voi desi- derata, dell’ epigrafe : FRANCISCO arq (ue) ACHILLI pe MORATORIIS IN PHILOSOPH (ia) MED (icina) ET ANATCME EXIMIIS VIRIS FAMA EXPANDIT QVIDQVID AEVVM OBDVXERAT ROBERTVS MORATORIVS PHIL (osophiae) Er MED (icinae) LECTOR EMERIT (us). REPARATO MONVMENTO PRIMO Hic Posto ANNO 1606 MAIORIBVS SVIS OBSEQVITVR ANNVEN (tibus) ILL (ustrissi) m{s vr (riusque) vn (iversitatis) ART (ium) PRIORE ET PRAESID (ibus) AESTIV (is) AN (no) 1706 — Teresa Muratori. - Bibdlio- THERESIA DE MORATORIIS PINXIT. « Mi pare il trionfo della Medicina, la quale dinanzi l’altare di Esculapio guarendo il malato mette in fuga la Morte, mentre da un lato esulta la Fama, e dall’ altra si muove rapido Mercurio ad annunziare il portento. Ho detto che così mi pare, perchè il dipinto è tutto coperto di polvere, ed è ad altezza alla quale non arriva la mia vista senza l’aiuto di un canocchiale ». Osserv. 6. — Anna Morandi (vedi FANTUZZI GIOVANNI). Notizie degli scrittori bolognesi. 1712. Vol. VI, pag. 113. — MazzetTI SERAFINO. Re- pertorio di tutti î Professori delle Scienze di Bologna. Bologna 1847, pag. 218. N. 2176. Morandi Anna, figlia di Carlo, e moglie di Giovanni Manzolini, nata in Bologna nel 1716, famosa anatomica e modellatrice, ascritta all'Accademia delle Scienze del- — 365 — T Istituto di Bologna nel 1756, e ad altre Accademie estere. Nel 1760 le venne dal Senato conferita una cat- tedra di anatomia nell’ Upiversità, colla carica di mo- dellatrice. La di lei fama sì sparse per tutta Europa, e perciò venne invitata a Milano, a Londra, e a Pietro- burgo con offerte amplissime a voler prendere stanza in esse città; al che ella ognora si ricusò per amore a questa sua patria Ebbe sempre grande concorso di fore- stieri che la visitarono ed ammirarono i suoì lavori, tra quali l’ Imperatore Giuseppe II nel suo passaggio in Bo - logna. Morì quivi nel 1774. Fantuzzi, Tomo VI, pag. 113. Tutti sanno che l’Anna Manzolini, mentre il marito di lei prestava l’ opera sua al Lelli nel formare di cera i muscoli da collocarsi al loro luogo nello scheletro, essa si mostrò donna d’ animo tanto virile che per sce- mare la fatica dell’ illustre suo sposo, non badando al lezzo dei cadaveri e dimentica della debolezza del suo sesso, diede mano a lui nel difficile ed ingrato lavoro. Perciò dapprima coltivò l’ anatomia e dipoi con grande studio apprese la scultura, e mediante l’acutezza dell’ in- gegno e la destrezza che in lei era grandissima fece tale progresso che nello spazio di pochi anni non solo rag- giunse ma superò la scienza e l’ arte del maestro Lelli e del marito suo. Questa suppellettile acquistò gran pregio perchè fatta da una donna, e perchè essa seppe congiungere due arti : la notomia e la scultura, e divenne celebre in entrambe; in guisa che ebbe due celebri professori, il Galvani (1) ed il Medici (2), che lessero all’ Istituto di Bologna elogi degni della Manzolini. } Osserv. 7. — Bassi Laura Maria Caterina. - FanTUZZI. Notizie degli scrittori bolognesi. 1781- 94. Vol. I, pag. 384. Bassi Laura Maria Caterina, nacque in Bologna il 29 Ottobre 1711, ove morì il 20 Febbraio 1778. Il 12 (1) Galvani Prof. Luigi (Professore di anatomia e po- scia di ostetricia nella Università di Bologna). De Man- zoliniana supellectili. Collezione delle Opere del Prof, LuIiGi GALVANI raccolte e pubblicate per cura dell’ Acca- demia delle Scienze dell’ Istituto di Bolgona. Bologna 1841, pag. 46. (Con ritratto dell’ autore). (2) Medici Michele (fisiologo in Bologna). Elogio di Giovanni e di Anna Morandi coniugi Manzolini, scritto da ....... Memorie dell’ Accademia delle Scienze del- 1’ Istituto di Bologna. Bologna 1857. Tom. VIII, pag. 3. Con due ritratti (cioè d’ ambedue gli elogiati). Nel Museo d’Anatomia umana in Bologna è conser- vato il busto della sposa grande al naturale vestito coi suoi abiti. Fornisce la nota dei lavori in cera ed in plastica tanto di Anna, quanto di Giovanni, fatti in parte per il Museo d’Anatomia, come pure altri 32 preparati rinve- nuti poscia in una casa privata. Idem. De Anatomicis qui a XVIII seculi initio ad nostram usque aetatem Bononiaz floruerunt. Novi Commentarii. Tomo 7, pag. 3. Elogium H. F. ALBERTINI, pag. 4l. (Dell’ Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, dalla sua origine al MpeceLxxx. Bologna, Ni- cola Zanichelli, MDCCCLXXx). Maggio 1732 fu laureata in filosofia, ed il 29 Ottobre dell’anno medesimo il Senato Bolognese conferì ad essa una cattedra di filosofia universale. Il 10 Maggio 1776 fu eletta a sostituire nel celebre Istituto delle Scienze il defunto Dott. Paolo Battista Balbi, professore di fisica sperimentale. A 21 anni sostenne una tesi davanti ai Cardinali Grimaldi e Lambertini ed a sette Professori, che argomentavano contro di essa, rispondendo sempre argutamente in latino. Fu moglie del medico Dott. Giu- seppe Veratti, ed ebbe numerosa prole. Era versatissima in scienze speculative e sperimentali, in geometria ed in letteratura. Di questa donna insigne si conserva nel loggiato superiore della R. Università di Rologna la se- guente epigrafe: LAURAE - BASSIAE - VERATIAE PHYSICAE - IN HOC - INSTITUTO PHILOSOPHIAE - UNIVERSAE - IN - GYMNASIO MAGISTRAE HUIUS - URBIS - * INLUSTRES FELICITER + AEMULATA VETEREM - SUI - SEXUS - GLORIAM - APUD *- NOS RENOVARIT - AC PLURIMUM - AUXERIT MATRONAE - BONON - AERE CONLATO - M - P VIXIT * AN * LXVI * OBIIT * A + MDCCLXXVIII QUOD * PRISCAS - FOEMINAS DOCTRINA Osserv. 8. — Tambroni Clotilde. - MazzerTI SERAFINO. Repertorio dei Professori dell’ Univer- sità bolognese. Bologna 1847, pag. 296. Tambroni Clotilde, nacque in Bologna nel 1768; po- scia per i suoi meriti letterari fu eletta accademica bene- dettina. Il Senato bolognese la nomidò istitutrice di greco con Senato Consulto del 23 Novembre 1793. Nel 1798 venne per qualche tempo sospesa dall’ esercizio dell’ insegna- mento, non avendo voluto prestare il giuramento alla Re- pubblica dichiarata in Roma l’anno stesso. Ma in vista dei suoi meriti e delle sue pubblicazioni, con disposizione del Ministro dell’ Interno 19 Novembre 1808 fu resti- tuita alla cattedra, finchè questa venne abolita con De- creto Reale del 15 Novembre 1808, pel qual fatto da quell’ epoca sino alla morte fu pensionata ed il decesso avvenne il 4 Giugno 1817. Essa fu ricordata ai posteri colla seguente epigrafe conservata nel detto loggiato dell’ Università di Bologna : CLOTILDAE - TAMBRONIAE ANNOR - LVIII QUAE © A - PRIMA - AETATE - PIETATEM - SEQUUTA LITTERIS © DEDITA IN * COLLEGIA - ERUDITORUM PER ITALIAM ©- COOPTATA LINGUAM ° GRAECAM - PUBLICE - DOCUIT DEC - INNUPTA - PR - N - IUN © A © MDCCCXVII FRATRES « BENEMERENTI © POSUERE Dalle memorie sopra Paolina Grismoldi, inserite nel- l’ opuscolo di Lorenzo Mascheroni - Invito a Lesbia - -—- 366 — Roma 1874, pag. 120 e seg. trovansi le seguenti noti- zie: che la Clotilde Tambroni dedicò un ode greca alla Paolina con versione libesa in italiano dell’ autrice stessa. La suddetta Paolina scriveva tosto al Bettinelli (1792) un meritato elogio della poetessa ed esprimeva le meraviglie che una sì giovane donna fosse capace di scri vere in lingua greca tali componimenti poetici. Dalle suddette memorie si ricava ancora che gli eredi della Tambroni lasciarono inedite le sue molte odi greche, tranne solo quella intitolata: Ode pindarica greco-ita- liana por la ricuperata salute dell’ Arcivescovo di Bo- logna. Dalla Biblioteca dell’ Università di Bologna im- pariamo che l’ Ode greca dedicata alla Grismoldi è tut- tora inedita, mentre fu stampata a Roma, nella Tip. Bodoni, l’ anno 1794, un’ altra Ode greca colla tradu- zione in versi italiani diretta al Conte Ferdinando Ma- rescalchi per il suo quinto ingresso al Gonfalonierato di Giustizia. Osserv. 9. — Agnesi Maria Gaetana. - Mazzetti. Idem. pag. 12. N. 18. Agnesi Maria Gaetana, nata in Milano nel 1718 e quivi morta il 9 Gennaio 1799 in età di anni 81 com- piti. Figlia di un professore di matematica nell’ Univer- sità di Bologna, fu autorizzata da Benedetto XIV a sosti- tuire nel 1750 nella medesima cattedra il padre che era caduto ammalato. Nel 1748. aveva pubblicate le sue « Istituzioni analitiche ad uso della gioventù ». Kustacchio Manfredi e Sorelle. - Fantuzzi GiovanNnI. Notizie degli scrittori bolognesi. Tomo V, pag. 182. Osserv. 10. — Nacque in Bologna il 20 Settembre 1694. Divenne pubblico lettore nello studio universitario delle matema- tiche nel Febbraio 1699, e finalmente nel 1711 fu nomi- nato Professore d’ Astronomia nell’ Istituto delle Scienze di Bologna; ed ebbe numerose onorificenze tanto nelle Accademie Italiane quanto straniere per i suoi stima- bili lavori, ad alcuni dei quali contribuirono le sorelle e morì nel febbraio 1739. Osserv. 11. — Porro Prof. Francesco. Donne notevoli dedicate all’ astronomia. Rivista mensile illustrata con documenti ecc. Anno II. Gennaio 1897, 1-2 Febbraio. Con aggiunte inedite. Bologna 8 Febbraio 1901. Chiarissimo Professore, Un amico mio astronomo mi dà le seguenti infor- mazioni : Ad Uraniburg collaborarono con Ticone la sorella sua Sofia e una Live o Liuva Laurisdatter, che poi pro- fessò astrologia a Copenhagen e vi morì, dicono, nell’ età di 124 anni. Cooperarono con Eustachio Manfredi alla compilazione delle effemeridi bolognesi dei moti celesti le sorelle di lui Teresa e Maddalena; con Evelio sua moglie Margherita Koopman; con Lalande Nicole-Réine Etable de la Brière alla quale sono dovuti in gran parte molti volumi della « Connaissance des Temps ». Elisa- betta, moglie di Geminiano Montanari, che professava astronomia a Bologna fra il 1664 e il 1678 è detta dal Tiraboschi « donna assai valente nel formar telescopi »; una lente da lei lavorata e inviata a Parigi in dono a Gian Domenico Cassini è dichiarata opera perfettissima di ottica da due giudici competenti: l’ Huyghens e il Picard. Carolina Herschel per molti anni fu indefessa, intelligente compagna del fratel suo Guglielmo; a lei è dovuta la scoperta di otto comete e la compilazione di due cataloghi, uno di stelle osservate da Flamsteed, l’altro di nebule riconosciute da Guglielmo. A Upper Tulse Hill lavora da molti anni di spettroscopia stellare coll’ illustre Huggins la moglie di lui; bella fama di se levano nella stessa Inghilterra miss Brown valente osser- vatrice del sole, le due sorelle miss Agnese e miss Helen Clerk, v»lgarizzatrici della Scienza, miss Russel da poco sposa al valente osservatore di Greenwich, E. Walter Mauder e parecchie altre signore e signorine. In Ame- rica abbondano le astronome di professione: ron meno di sedici sono addette al Collegio Harvard in Cambridge (Massachussets), come la signora Fleming e la signo- rina Maury che hanno già acquistato un posto non oscuro nella scienza. Miss Maria W. Whitney dirige una spe- cola esclusivamente femminile e insegna astronomia nel Collegio Vassar di Poughkeepsie nello stato di New-York; miss F. Gertrudd Wentworth si esercita nei difficili cal- coli di orbite; miss Alice Lamb-Updegraff è nota per osservazioni di precisione. A Parigi è affidato al sesso debole l'ufficio di revisione e di rilevamento delle foto- grafie che si prendono allo scopo di costruire una carta del cielo stellato. Dirige tale ufficio la signorina Dorotea Klumpke; è laureata in scienze. Un’ altra dottoressa francese è stata di recente a Torino per assistere suo marito, professore alla Facoltà di Grenoble, nelle ricerche intorno alla gravità terrestre. (Estratto da un articolo del Prof. Francesco Porro pubblicato nelle Comunicazioni di un Collega (Anno IV. N. l e 2 Gennaio e Febbraio 1897) rivista diretta da Arcangelo Ghisleri già professore nel R. Liceo di Cremona). Si hanno su questo argomento (donne astronome) informazioni nei seguenti periodici : N. 21 e 22 della Astronomische Rundschau (Vol III) pubblicato dal Sig. Leo Brenner di Lussinpiccolo. In un articolo intitolato : « Beriihmte Astronominnen » con 8 ritratti, vi si parla della marchesa Du Chatelet, di Maria Gaetana Agnesi, di Madame Lepante, di Carolina Herschel, di Mary Somerville, di Maria Mitchell, di Agnese Clerke, di Dorotea Klumpke. 1l Brenner accenna a un capitolo intitolato: « La donna nell’ Astronomia », nel suo libro « Spazierginge durch das Himmelszelt » e a un libro di 360 pagine intitolato: « Les femmes dans la science » di A. Rebiére (Editore Nony e C. Parigi). Eeco quanto ho potuto raccogliere. Ella non la- — 367 — vori troppo, si abbia cura e guarisca presto totalmente. La riverisco e saluto affettuosamente Dev.mo Aff.mo Collega F. P. RUFFINI Osserv. 12. — Dante. Purgatorio. Canto VII, 41* terzina. A proposito dei figli degli uomini di gran talento che rare volte ebbero figli somiglianti, anche Macchiavelli (nel Cap. XI del Libro 1° dei suoi discorsi sulla prima Nota IV. Parte II. — Istinto sessuale Osserv. 1. — Bianchi Giovanni di Rimini (Prof. a Siena). Vita di Catterina Vizzani, ro- mana, che per ott anni vesti abito da uomo in qualità di servitore, la quale essendo stata uccisa fu trovata pulcella nella sezione del suo cadavere. Venezia 1744, in 8°. Una donna che vestiva da uomo, e amoreggiò sempre «con donne, si fece un pene finto, e da ultimo avendo rubata la nipote d’ un parroco ebbe una ferita per cui morì. Alla necroscopia si vide che era una donna ver- gine coll’ imene rotondo, colla clitoride e tutti gli organi genitali normali. Osserv. 2. — Landouzy. Dictionnaire de mé- «dicine usuelle de Beaude 1842. Art. Hermaphro- disme, cit. da MauRICE LAUGER. Dictionnaire de Jaccoud. 1873. Tom. XVII, pag. 498. Marie Gottlich, dopo l’ età di 9 anni ebbe frequenti rapporti sessuali con uomini; solo all’ età di 32 anni discesero i testicoli, ed allora sopravvennero vivaci istinti ‘per il sesso femminino. Osserv. 3. — De Maria (Carlo (torinese). Note al Manuale di Medicina legale di G. L. ‘CasPER. Torino 1859. Nota 23. Vol. II, pag. 451. È importantissimo il determinare il sesso e sarebbe necessario che anche nelle leggi nostre s’ introducessero «disposizioni analoghe alle prussiane che impedirebbero gravi disordini al buon costume. Recentemente assistè alla necroscopia d’ un individuo di 60 anni creduto donna, ‘che passò parecchi anni con un marito e poscia si abban- donava a pratiche libertine con donne; e la necroscopia dimostrò evidentemente che trattavasi d’ un uomo. Osserv. 4. — Emiliani Emilio (Faenza). Caso di supposto ermafroditismo. Bullettino delle Scienze Mediche. Bologna 1862. Vol. XVIII. Ser. 4, pag. 241. Nel cadavere d’ una donna ottuagenaria, che non era Deca di Tito Livio) così scrive: « I regni, i quali dipen- dono solo dalla virtù di un uomo sono poco durabili; perchè quella virtù manca con la vita di quello, e rade volte accade che la sia rinfrescata con la successione, come prudentemente Dante disse : « Rade volte risurge per li rami L’ umana probitade, e questo vuole Quei che la dà, perchè da lui si chiami ». (Osserv. 6. — Morandi). invertito. mai stata mestruata, trovò il pene lungo ll centimetri, 4 dei quali occupati dal glande imperforato. Sotto il pene vi erano due larghe pieghe separate da un solco pro- fondo perforato dall’ estremità dell’ uretra. Trovò inter- namente l’ utero di forma conica, fornito delle sue appen- dici (le trombe però e le ovaia erano rudimentali) con una vagina che poi si confondeva con l’ uretra. Non vi era traccia di prostata, di epididimi, di vescichette sper- matiche, nè di condotti deferenti. Il pene era formato da un sol corpo cavernoso. Con tutto ciò l’ abito del corpo traeva al maschile, e la donna in vita aveva avuta predilezione sessuale per le femmine. Osserv. 5. — Magitot E. Sur un nouveau cas d’ ermaphrodisme. Bulletins de la Societé d’Anthropologie. 1881, pag. 487. Ernesta N. stimata ed educata per una femmina, a 16 anni sentì una grande affezione per un giovane, ed a 17 anni e mezzo spcsò un giovane del suo paese, con cui visse per 12 anni in buona intelligenza, sebbene i rapporti sessuali non potessero mai compiersi regolar- mente. Rimasta vedova le inclinazioni sessuali si modi- ficarono, ed ebbe molti amanti con cui i rapporti sessuali sì compievano normalmente, ma dopo poco tempo si ammalò e morì. Alla necroscopia si trovò un pene simile a quello di un fanciullo di 12 anni affetto da ipospadia, il quale però fu capace di eiaculazione dello sperma, il quale non conteneva, filamenti. Lo scroto era bipartito e ciascheduna parte conteneva un testicolo. Mancava 1’ apparecchio fem- minile interno. Osserv. 6. — Polaillon. Hermaphroditismus. Gaz. méd. de Paris 1887. N. 25. — Jahresbe- richt fiir 1887. Bd. I, s. 272 (11). Sartrice dell’ età di 30 anni, di statura media, con voce ed abito femminino, pusillanime, amenorroica, con mammelle ben fatte, colla pelvi assai larga, sì era de- dicata alla vita galante. Sotto al pube discendevano due grosse pieghe cutanee, rappresentanti le grandi labbra, le quali superiormente abbracciavano in forma di cappuccio un pene in miniatura, fornito di glande e dell’ uretra, — 368 — ed inferiormente una vera forchetta. Fra le grandi labbra non vi era in origine orificio vulvare, ma gli amanti giunsero a spingere la pelle fra la vescica ed il retto per 8 centimetri. Morta la donna per nefrite, la necroscopia non trovò nè trombe, nè ovaia, ed in luogo dell’ utero scoprì un corpo muscolare grande come un fagiuolo con due cor- doni cavi che andavano nei canali inguinali e si con- giungevano con due testicoli atrofici, così giudicati da Cornil. Osserv. 7. — Bondarew J. Ein Fall von Hermaphroditismus senza ovaia. Wratsch. 1887. N.50.- Anatomischer Anzeiger 15 febbraio 1888. INC Contadina di 35 anni, con barba e voce grossa. Aveva il petto da donna ben sviluppato, le grandi labbra più piccole del solito, contenenti un piccolo testicolo col condotto deferente. La vagina era lunga 3 centimetri e finiva a fondo cieco, l’ utero rudimentale e privo d’ ovaia. La clitoride misurava in lunghezza 6 centim. ed in cir- conferenza 434, colla struttura simile a quella del pene. Il coito era praticabile tanto colle donne quanto cogli uomini ! Osservi — MPS RR Boa . . Bulletins de la Societé d’ An- thropologie de Paris. Paris 1890. Octobre e Novembre 1889. Ser. 3°. Tom. XII, pag. 602. Adele H. aveva il tipo mascolino; era intelligente e de- dita al lavoro, aveva una verga poco sviluppata, uno scroto bipartito da una fessura, in cuì vi erano due orifici; l'anteriore era lo sbocco dell’ uretra, ed il posteriore, più largo del precedente, era costituito da un infondi- bulo, profondo 8 centim. Nei canali inguinali si rico- noscevano i testicoli assai piccoli, e non si riconosceva nessun indizio dell’ utero. Questo individuo fu allevato per una femmina ed a 14 anni cominciò ad essere mestruata, ma irregolarmente, e non seppe precisare l’ origine del sangue. Nella fan- ciullezza aveva inclinazioni tanto per i bambini come per le femmine. All’ età di 18 anni preferiva le femmine ed ebbe una amante; ma all’ età di 30 anni divenne l’ amica d’un uomo, ciò che non le impedì d'avere dei rapporti colle donne. Osserv. 9. -— Polaillon. Sur un cas d’ her- maphrodisme. Bulletin de l Acad. de Med. 7 Avril 1891. Una serva di 25 anni, con abito e voce femminina e e colla inclinazione verso gli uomini, aveva gli organi generativi esterni ben fatti, ma la vagina era rappre- sentata da una depressione incirca d’ un centimetro. La ragazza voleva correggere questo difetto, ma il chirurgo sì rifiutò, essendo essa amenorroica stabilmente, avendo due corpi mobili agli inguini, e niun indizio d’ utero. Allora essa si diede alla prostituzione, e dopo 3 anni fu presa da albuminuria grave che la condusse alla tomba, ciò che permise di riconoscere che la vagina era diventata lunga come il dito indice e che i due corpi agli inguini erano testicoli atrofizzati coì rispettivi ca- nali deferenti. Mancava la prostata. Osserv. 10. — Laurent Emile. Les bdise- xués etc. Paris 1894, pag. 207. Racconta che E. Lévy (senza fornire l’ indicazione bibliogratica) vide due sorelie ermafrodite, cognite per la loro lubricità, avendo rapporti tanto cogli uomini quanto colle donne. Nota V — Incersione sessuale anomale. Osserv. 1. — Gérin (citato superiormente a pag. 15). L’ autore racconta che una donna di 26 anni aveva l'abito maschile, relazioni con uomini ad onta della ripugnanza ai medesimi; aveva la clitoride lunga 35 mill. e suscettibile d’ erezione. La vagina era lunga 9 centim. e finiva a cul di sacco, ed era senza utero e senza ovaie. Osserv. 2. — Gunchel. (Vedi TARUFFI). Memorie della R. Accademia delle Scienze del. l’ Istituto di Bologna. Bologna 1899. Ser. 5°. Tom. VII, pag. 752. Osserv. 123. L’autore racconta di una giovine su cui corse la voce che amoreggiasse colla matrigna, e che morì all’ età di 28 anni. Alla necroscopia si trovarono completi gli organi femminini colla vagina che sboccava nella pro- stata. Aveva l’ abito maschile col pene lungo © centi- metri piegato posteriormente ma senza testicoli. Osserv. 3. — Birnbacher. Ein Fall von contriirer Sexual-empfindung dem Strafgericht. Friedreichs Bliitter four ger. Med. 1891, s. 2. — Jahreshbericht fir 1891. Bd. 1, s. 502. (28). L’autore racconta che una donna travestivasi da uomo, fu accusata per falsi, ed arrestata il 6 Dicembre 1866 confessò il suo sesso femminino. Essa aveva con- dotta una vita assai avventurosa, in causa degli amori lesbici che la dominavano. I particolari della vita si trovano minutamente descritti in Kraft-Ebing. Inversione sessuale. Roma 1897, pag. 261.” L'esame medico trovò le dimensioni del cranio mi- — 369 — nori un centimetro della media, coi denti della mascella superiore che superavano gl’inferiori di 5 millimetri. Aveva la voce dura e grave, le mammelle molto svilup- pate, le parti genitali esterne simili a quelle d’ una fan- ciulla di 10 anni colla clitoride piecola e sensibilissima. La vagina era assai ristretta, da escludere le ipotesi del coito ed il bacino assai ristretto in tutti i sensi colle coscie diritte. I medici ammisero l’ inversione sessuale congenita per tare ereditarie per cui il tribunale assolse l’ accusata. Osserv. 4. — Miiller F. C. Ein eîterer Fall von contriirer Sexual-e-mpfindung. Ibidem. Friedreichs ecc. pag. 279. — Jahresbericht iuriS9i. Bd. 1, s. 503. (29). L’autore ha risuscitata una vecchia storia tratta dagli Archivi Prussiani nel secolo XVII. — Una donna che sì dichiarava maschio prestò servizio varie volte come soldato e sposò una donna con cui visse più anni, senza che si scoprisse il sesso della prima. Venuti dei dubbi sul medesimo ed in seguito alle ricerche giuridiche fatte in proposito, essa fu condannata a morte per sodomia, e nell’ Ottobre 1621 fu decapitata. L’ uretra era obblite- rata; lo scroto ed i testicoli sembravano simili al cuoio e la donna fu giudicata incapace al coito colla propria moglie. Ulteriori ricerche non fornirono alcun carattere d’ ermafroditismo, ma invece quelli d’ una vera donna coi genitali normali. Nella vita non dimostrò inclina- zioni all’ uomo ed all’ onanismo. Osserv. 5. — Luis Antonius (celebre Chi- rurgo di Parigi, del Secolo XVIII). De partium externarum gencrationi inservientium in mulie- ribus maturali vitiosa et morbosa dispositione. These de Paris. 1754. Di questa celebre rarissima Memoria DeELPECH fornisce il seguente cenno nel « Dictionnaire des Sciences Médicales ». Paris 1818. Tom. IV, pag. 162. Una giovane aveva gli organi della generazione nascosti da un’ imperforazione che non lasciava distinguere alcuna apparenza nè del preludio nè dell’introito degli organi stessi. Questa donna era mestruata per la via dell’ ano ed il suo amante divenuto assai insistente le strappò la confessione della deformità che le aveva fatta la natura privandola dell’organo che procura i piaceri i più dolei. Nel delirio della sua passione supplicò la sua amante di consentire l’ unione per la sola via che era pratica- bile. Luis esclama: qual donna può resistere alle insi- nuanti preghiere dell’ adorato amante? Essa si sottomise a tutto, e ben presto divenne madre e questo caso servì all’ autore per redigere la tesi memorabile suddetta, che ora è divenuta rara. Allora (1754) accadde una conse- guenza del fatto che oggi sarebbe inverosimile. Il Par- lamento proibì di diffondere la tesì suddetta e la Sorbona interdisse di sostenere la seguente questione che esso indirizzava ai Casisti: De partium externarum genero- tioni inservientium in mulieribus naturali vitiosa et morbosa dispositione etc. Ma fortunatamente in tale epoca emergeva un grande Pontefice (Benedetto XIV, bolognese), più spregiudicato dei membri del Parlamento e della Sorbona, il quale assolse il chirurgo Luis e permise che la tesi suddetta fosse stampata. Questo fatto che meravigliò la Francia è da considerarsi consentaneo a tutti gli atti favorevoli ai progressi delle scienze fisiche e mediche che Bene- detto XIV ha compiuti verso la sua patria nativa; ove continua un sentimento d’ ammirazione e di grati- tudine. A BETA i pra i Da ST (4, } É ) co ‘ + Lu » Fap i Soi LA TOI ta da italia » ps hu BRE ORI ARI PRTSTRO PIZIZCO pui #i pl Di Utiss ama raga i aridi (i fà arci #5 Sa doi linda ia uaetagio usa dard, è pargità PRI È pi Pietà Guliiata ai ts an: CI ia mE def No: pa vb pride "ibis alia US Bi i , Ù Ph fi tf prata SA meta Fia reni di; pisa DARI NGI pr Hi Li sa e 3 PAD eta 168 sar sia agi ci cavi ciente Re pr I i usi nà È i DEE: REN spa. Nu Avio vai AMANO - i tin pare; GT SL: Parent e Bomice sel ; pre part Aratta DO Vari gi d, sv na oato, JAR Bir : 7 NE de sig ci ARIA e «rn gip na al gir Ha | 0 rg AI VALEVA DI CRETE RE È magro MILO Mt] prrdi da Doro RAT to) a detininiadati ariani 4 Pig “ asi RA e Si nei ir e. in | | Ciare trai ga Morale o RO Bin SR RE “meningi. 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È molto probabile che le prime osservazioni intorno a le bulimine de l’Adriatico siano dovute a Soldani, il quale, descrivendo i suoi « Poly- morpha Pineiformia » (che sono per la maggior parte uvigerine e bulimine), scrisse: « Rara sunt in littore Ariminensi, frequentiora in concretionibus zoophyticis. Fossilia vix occurrunt in quibusdam terris Senensibus profun- dioribus », ed é inoltre probabile che, fra tali polymorpha, colpissero mag- giormente l’attenzione de l’ eminente rizopodista quelle forme che oggidi si designano col nome di Bulimina aculeata (1). È certo però che le più importanti ricerche su le bulimine de la spiaggia di Rimini furono ese- guite trentacinque anni più tardi da d’ Orbigny (2). * x x Le specie adriatiche di Bulimina, istituite da d’Orbigny nel Tableau, sono dodici. Di esse, cade qui opportuno il presentare una revisione. Bulimina striata. Fu disegnata da l’autore nelle Planches inédites, ma da lui non ne fu mai pubblicata illustrazione alcuna. Le figure che si hanno nelle opere di (1) Testaceographia, vol. I, parte 2*, 1791, pag. 118, tav. CXXVII e seguenti. (2) Annales des Sciences Naturelles, vol. VII, 1826, pag. 269, num. 2-4, 6-11, 13, 14, 16. Serie V. — Tomo IX. AT — 372 — Cuvier citate da Sherborn (1) sono, probabilmente, riproduzioni più o meno fedeli del disegno orbignyano. La B. striata è molto affine alla 2. costata, a la B. buchiana e a la Fie. l. B. inftata. Trattasi di quattro modificazioni, fra loro difficilmente separabili. Le diversità però sarebbero le seguenti. La 8. duchiana, quale fu intesa da d’Orbigny, differirebbe da la 2. costata d’Orb. (2) per non avere il margine inferiore de le camere formato ad angolo libero. « Voisine (scrive l’autore), par ses còtes longi- tudinales, du 5. costata, cette espéce (5. bu- chiana) s’en distingue par ses tours de spire La Bulimina striata del Tableau non carénés prés de la suture » (3). Per questo (dal disegno inedito di d'Orbigny). —1stesso carattere la B. sfriafa è assai prossima a la costata, e sembra differirne soltanto per la maggiore acutezza de la regione iniziale. La B. inflata Seg. sl distingue poi da tutte le altre per avere coste brevi e prominenti verso il margine inferiore de le camere, ove le coste medesime assumono forma di aculei (4). Bulimina suleata. Non fu mai pubblicata da d’Orbigny, il quale però, fortunatamente, ce ne lasciò la figura nelle Planches inédites. È evidente che i carat- teri orali de la 5. su/cata non sono quelli di una La Bulimina sulcata del Tableau (dal disegno inedito d’ Orbigny) —bulimina, ma di una uvigerina. Bulimina marginata. Fu figurata da l’autore nella tavola XII che accompagna il Tableau, ed è, secondo Brady, specie comune e facile riconoscersi, poiché nel suo nicchio, ovale o conico, ciascuna camera si protende alquanto all’ ingiù in modo da formare un angolo libero, il quale é distintamente dentico- lato (5). Tale modificazione ornamentale può verificarsi, a parer mio, tanto nella tipica 5. elegans, quanto in alcune varietà di essa. (1) An Index to the Genera and Species of the Foraminifera, parte 1°, 1893, pag. 34 (2) Bollettino della Società Geologica Italiana, vol. XX, 1901, pag. 174, fig. 1. (3) Foraminifères fossiles du bassin tertiaire de Vienne, 1846, pag. 186, tav. XI, fig. 15-18. (4) Atti dell'Accademia Gioenia di Scienza Naturale, serie 2°, vol XVIII, 1862, pag. 109, tav. I, fig. 10. (5) Report on the Foraminifera dredged by H. M. S. Challenger, 1884, pag. 405, tav. LI, fig. 3-5. — 873 — Bulimina trilobata. Fu istituita da d’Orbigny sopra una figura di Soldani, la quale, stando ai rizopodisti inglesi, rappresenterebbe semplicemente un esemplare di B. aculeata (1). A me pare invece che essa ri- cordi assai meglio certe forme semimarginate de la tipica 5. elegans. Lo stesso dicasi de la 2. aefnaea, che Seguenza riconobbe identica a la 2. trilo- bata (2). Quanto poi a lo schizzo de le Planches iné- dites, che certamente rappresenta una varietà di 5. elegans, bisogna convenire che in esso il carattere La Bulimina trilobata del Tableau (dal disegno inedito di d’ Orbigny). ornamentale non corrisponde troppo a quello che .si osserva nella figura soldaniana. Bulimina aculeata. Benché istituita da l’autore sopra figure alquanto incerte di Soldani, essa é specie ora benissimo conosciuta, e il disegno de le Planches inedites chia- ramente dimostra che il concetto dei moderni coin- . cide per intero con quello di d’ Orbigny (3). Bulimina ariminensis. Fu disegnata da l’autore nelle Planches inédites. Vedasi la figura che ne ho pubblicata recentemente (4). È una varietà subcilindrica de la B. elongata d’Orb. (1846, non 1826). Bulimina elongata. Fu illustrata da l’autore soltanto nel 1846 (5). Noto che d’ Orbigny stesso era in dubbio su l’ i- dentità de la forma recente, citata nel Tableau, con quella fossile di Nussdorf, poiché, trattando di que- st’ ultima, fece seguire « ?? » a l’indicazione di Rimini. Infatti, la figura de le P/anches inédites non corrisponde a quella del 1846: questa rappresenta una varietà irregolarmente triseriale de la 2. ele- La Bulimina aculeata del Tableau (dal disegno inedito di d’Orbigny). Fig. 5 di ata (i PANIAZI DI \/° \ Sg Ce UNI GLI a W<Ì / : YA, \ (7 a) LR La Bulimina elongata del Tableau (dal disegno inedito di d’ Orbigny). (1) Annals and Magazine of Natural History, serie 4°, vol. VIII, 1871, pag. 172, tav. XI, fig. 127. (2) Atti dell’Accademia Gioenia di Scienza Naturale, serie 2°, vol. XVIII,1862, pag.103,122, tav. I, fig.9. (3) Report of the U. S. National Museum, 1897, pag. 291, tav. XXXVII, fig. 4. (4) Bollettino della Società Geologica Italiana, vol. XX, 1901, pag. 178, fig. 3. (5) Foraminifères fossiles du bassin tertiaire de Vienne, 1846, pag. 187, tav. XI, fig. 19, 20. — 374 — gans, mentre la prima ricorda piuttosto, anche per i caratteri de l’orificio, la mia Clavulina gaudryinoides (1). Bulimina elegans. Fu riprodotta da l’ autore col suo modello num. 9. Essa è da riguar- Ta darsi come tipo centrale di un gruppo alquanto numeroso di bulimine recenti (2). | N Bulimina punctata. Fu disegnata da l’ autore nelle Plunches iné- T, dites, e rimase fino ad oggi inedita. Essa è ben Ù 7 definita, e ricorda moltissimo la 28. presti di 7 ] Reuss (3), de la quale è da riguardarsi, pro- La Bulimina punctata del Tableau babilmente, come seniplice varietà. (dal disegno inedito di d’ Orbigny). Bulimina brevis. Fu, come la precedente, disegnata da d’Orbigny nelle Planches inédites, e ri- mase finora inedita. Essa é, a parer mio, da riguardarsi come varietà abbreviata e dilatata de ]a 2. affinis. La bulimina de la creta bianca parigina, che lo stesso autore Vs] designò col termine specifico drevis, appare = ben diversa da quella de l’Adriatico, la quale La Bulimina brevis del Tableau. ricorda invece moltissimo la 2. murchiso- dal diseg inedito di d° Orbi TA) Ù O 5 e niana de la creta bianca medesima (4). Bulimina laevigata. Come le due precedenti, fu disegnata da l’autore nelle Planches inedites. Vedasi la figura che ne ho pubblicata di recente (5). Essa non pare al- trimenti separabile da la B. affinis; quale fu veramente intesa da d’Or- bigny (6). (1) Bollettino della Società Geologica Italiana, vol. IV, 1885, pag. 106, tav. VI, fig. 3-9. (2) Report on the Foraminifera dredged by H. M. S. Challenger, 1884, pag. 398. (3) Haidinger's naturwiss. Abhandlungen, vol. IV, 1851, pag. 39, tav. III, fig. 10. (4) Mémoires de la Société Géologique de France, vol. IV, 1840, pag. 41, tav. IV, fig. 13-16. (5) Bollettino della Società Geologica Italiana, vol. XX, 1901, pag. 182, fig. 4. (6) Histoire physique, etc. de Cuba, par R. de la Sagra, 1839. Foraminifères, pag. 105, tav. II, fig. 25, 26. Bulimina caudigera. Fu riprodotta da l’autore col suo modello num. 68. Secondo Brady, essa è inseparabile da la B. pyrula del bacino di Vienna, differendone solo per essere più distintamente ovale (1). Per parte mia sarei propenso, ap- punto per tale carattere, a riguardarla piuttosto come varietà de la 5. pyrula. Il modello orbignyano non possiede l’appendice, a la cui esistenza accenna il termine specifico ecaudigera; ma la presenza o meno di spina o aculeo non può essere carattere di quaiche valore. Nel caso però che non si credesse opportuno di usare il termine medesimo, si potrebbe sempre sostituirlo con quello di prunella (Costa) per designare la varietà in parola (2). * N A completare questo breve cenno storico su le bulimine adriatiche, ricorderò anche le ricerche di Jones e Parker, i quali citarono come frequenti al Lido di Venezia e su la spiaggia di Rimini la B. marginata, la pupoides e la buchiana, intese per certo in senso molto ampio (3) ; né dimen- ticherò, da ultimo, una forma raccolta a Porto Corsini su la spiaggia di Ra- venna, da me recentemente illustrata sotto il nome di 2. consobrina (4). % x x Ulteriori ricerche sul materiale de le bulimine che incontransi fra le arene di Porto Corsini m’inducono a modificare le mie prime idee sul valore de la 2. consobrina e mi permettono di enumerare le varietà se- guenti, spettanti al tipo zoologico Bulimina elegans d’Orbigny. Bulimina elegans d Orbigny 1826. Ann. Sc. Nat., vol. VII, pag. 270, modello 9. Se é lecito asserire, senza timore di errare, che tutti gli esemplari di Bwlimina figurati nella tavola O qui unita, zoologicamente considerati ap- partengono ad un’ unica specie, 5. elegans, bisogna in pari tempo ricono- scere che nessuno di essi può identificarsi con la forma tipica de la me- desima. Questa può vedersi fedelmente riprodotta, non solo nel modello num. 9 di dOrbigny, ma anche nelle figure 1 e 2 di Brady (5), ed é (1) Report on the Foraminifera dredged by H. M. S. Challenger, 1884, pag. 399. (2) Atti dell’Accademia Pontaniana, vol. VII, 1856, pag. 274, tav. XIII, fig. 32, 33, 37, 38. (3) Quarterly Journal of the Geological Society, vol. XVI, 1360, pag. 302, prosp., num. 52, 54, 56. (4) Memorie della r. Accademia delle Scienze di Bologna, serie 5%, vol. VIII, 1900, pag. 374, fig. 23. (5) Report on the Foraminifera dredged by H. M. S. Challenger, 1884, tav. L. Serie V. — Tomo IX. 47” — 376 — qualificata da un nicchio conico, regolarmente triseriale, composto. di camere in generale numerose e piuttosto piccole, ben distinte e più o meno rigonfie, e talvolta quasi globulari. La maggior parte de le bulimine figurate nella tavola O è, invece, da riferirsi a quelle varietà che si designano coi nomi di £. elongata, B. fusi- formis e B. gibba. Due soli esemplari sono abbastanza prossimi al tipo elegans, e vanno ascritti a la Bultmina elegans, var. marginata. (tav. O, fig. 7 e 39, 14 e 33) Differisce dal tipo per il carattere marginato di una parte de le camere. Vedasi quel che sopra ho detto a proposito de la B. marginata. Può darsi che la varietà in parola corrisponda a la 2. frilobata di d’ Orbigny; ma, né la figura soldaniana citata da |’ autore, né quella de le Planches inédites, permettono di stabilire con sicurezza tale identità. I due esemplari adriatici qui illustrati sono microsferici. Il dimorfismo iniziale non risparmia il genere Bulmina. Nella lista di specie dimorfe pubblicata dà A. Silvestri non vengono citate buli- mine (1); altrove però (2) lo stesso Silvestri, trattando de la 2. affinis quale fu intesa da Brady (3), accenna la possibilità che questa sia da riguardarsi come forma microsferica. E credo anzi che su ciò non debba esistere alcun dubbio. Basta, d’altronde, gettare uno sguardo su la tavola O qui unita, per convincersi tosto de |’ esistenza del dimorfismo iniziale fra le bulimine. Bulimina elongata d’Orbigny. La £. elorgata differisce da la tipica Bd. elegans: 1° per essere più o meno irregolarmente triseriale; 2° per essere meno dilatata nella regione terminale. Bulimina elongata (tipica), megalosferica. (tav. O, fig. 10, 20) Bulimina elongata d° Orbigny 1846. Foram. foss. Vienne, pag. 187, tav. XI, fig. 19, 20. I due esemplari adriatici che riferisco a la tipica 2. elongata differi- cono ben poco da la forma fossile di Nussdorf. In questa, la megalosfera S è liscia; in quelli, essa é provvista di tre tenui aculei o di breve mucrone. (1) Atti della pont. Accademia dei Nuovi Lincei, anno LIII, 1900, 21 gennaio. (2) Memorie della pont. Accademia dei Nuovi Lincei, vol. XVII, 1900, pag. 281. (3) Report on the Foraminifera dredged by H. M S. Challenger, 1884, tav. L, fig. 14. Bultmina elongata (tipica), microsferica. (tav. ©, fie. 12 e 3%) L’ unico esemplare che ho potuto raccogliere di questa forma si pre- senta notevolmente curvo. Questo carattere è tutt’ altro che raro nella B. elongata. « Cette espéce (scriveva d° Orbigny) se distingue facilement par son ensemble conique et le plus souvent flexueux ». Bulimina elongata, var. ariminensis d’Orbigny. (tav. O, fig. 8, 11) Bulimina ariminensis dOrbigny 1826. Ann. Sc. Nat., vol. VII, pag. 269, num. 8. » inconstans (pars) Egger 1857. Neues Jarhbuch, pag. 283, tav. XII, fig. 8, 9. » pupoides (typica) Williamson 1858. Rec. Foram. Gr. Britain, pag. 61, tav. V, fig. 124, 125. » eocaena Hantken 1881. Mitth. Jahrb. k. ung. geol. Anstalt, pag. 136, tav. II, fig. 16. » elongata Brady 1884. Rep. Foram. Chall., pag. 401, tav. LI, fig. 1. » elongata (pars) Egger 1893. Abh. k. bayer. Ak. Wiss., vol. XVIII, pag. 284, tav. VIII, fig. 75, 76. » ariminensis Fornasini 1901. Boll. Soc. Geol. It., vol. XX, pag. 173, (fig. ined. di d’Orb). La tipica 25. elongata è subconica : la varietà ariminensis ne differisce per essere subcilindrica o subfusiforme. Uno dei due esemplari adriatici che riferisco a tale varietà, sì presenta col margine inferiore de le prime camere formato ad angolo libero e con la megalosfera provvista di breve mucrone. Bulimina fusiformis Williamson, megalosferica. (tav. O, fig. 6 e 41, 9, 16, 18 e 36, 23, 40) Bulimina elongata Hantken 1875. Mitth. Jahrb. k. ung. Anstalt, vol. IV, pag. 61, tav. X, fig. 7. » pupoides (pars) Terrigi 1880 Atti p. Acc. Nuovi Lincei, a. XXXIII, pag. 193, tav. Il, fig. 30, 32. » elegans (pars) Brady 1884. Rep. Foram. Chall., pag. 393, tav. L, fig. 3, 4. » pupoides Terrigi 1889. Mem. r. Ace. Lincei, s. 4%, vol. VI, pag. 110, tav. V, fig. 6. » elongata (pars) Egger 1893. Abh. k. bayer. Ak. Wiss., vol. XVIII, pag. 234, tav. VIII, fig. 105, 106. » elongata Egger 1895. Jahresb. nat. Ver. Passau, a. XVI, pag. 15, tav. III, fig. 12. Propongo di riguardare come forma megalosferica de la B. fusiformis (1) un gruppo di bulimine subconiche o subfusiformi, le quali differiscono da la tipica elongata e da la var. artminensis per essere meno allungate. Tengo però a dichiarare che io considero come puramente artificiale una separazione qualunque tra la varietà in parola, la pupoitdes, di cui appresso, e le altre due sopra descritte. La compilazione de le relative liste sinoni- miche può quindi variare, entro certi limiti, secondo il punto dì vista di ciascun autore. (1) Il termine acuta, usato da Costa per la forma microsferica di questa varietà, avrebbe la prio- rità su quello di Williamson; ma non può esser mantenuto perchè già stato proposto nel 1851 da Reuss per un’altra bulimina. — 378 — Bulimina fusiformis, microsferica. (tav. tO, fig 1354 ey:27, 21) Bulimina acuta Costa 1856. Atti Acc. Pontan., vol. VII, pag. 364, tav. XIII, fig. 25. » pupoides, var. fusiformis Williamson 1858. Rec. Foram. Gr. Britain, pag. 63, tav. V, fig. 129, 130. » fusiformis Millett 1900. Journ. R. Micr. Soc., pag. 275, tav. II, fig. 2. » consobrina Fornasini 1900. Mem. r. Acc. Sc. Bologna, s. 5%, vol. VIII, pag. 374, fig. 23. Differisce da la rispettiva forma megalosferica unicamente : 1.° per le maggiori dimensioni ; 2.° per il maggior numero di camere di cui è com- posta, la prima de le quali è piccolissima. Il secondo di tali caratteri é quello appunto che nelle specie dimorfe serve a distinguere l’ una forma da |’ altra. E noto poi che anche in altri gruppi di foraminiferi, nelle mi- liole per esempio, la forma microsferica è spesso notevolmente più grande de la megalosferica. Bulimina fusiformis, var. baccata. (tav. O, fig. 2, 5, 30) Si distingue a primo aspetto da la precedente per avere camere com- presse e alquanto angolose verso il margine inferiore. E essa pure dimorfa. Bulimina fusiformis, var. marginata. (tav. O, fig. 24 e 45) Differisce da le due precedenti per il carattere marginato di una parte de le camere. L’ unico esemplare finora osservato è probabilmente mega- losferico. Bulimina fusiformis, var. pupoides. (tav. O, fig. 13, 17) Bulimina elongata (?) Brady 1834. Rep. Foram. Chall., pag. 401, tav. LI, fig. 2. » elegans (variety) Jones etc. 1895. Mon. Foram. Crag, p. 2°, pag. 163, tav. VI, fig. 19. Non è altro che una varietà abbreviata de la B. fusiformis, ed è essa pure distintamente dimorfa. Bulimina gibba n. (tav. O, fig. 32, 34) Questa varietà differisce dal tipo elegans: 1.° per la disposizione più o meno irregolarmente triseriale de le camere; 2.° per essere molto più di- latata nella regione terminale. L’esemplare rappresentato da la fig. 34, megalosferico, non é tipico; quello rappresentato da la fig. 32 é microsferico e tipico. Bulimina gibba, var. marginata. (tav. O, fig. 15 e 19, 22 e 26, 35, 42) L’ esemplare rappresentato da le fig. 15 e 19 è meno dell’ altro irrego- larmente triseriale. In esso, inoltre, il carattere marginato interessa tutte le camere, a differenza dell’ altro, nel quale le ultime tre camere hanno il margine inferiore a lo stato normale. Sono entrambi microsferici. Anche nell’ esemplare rappresentato da la fig. 35 il carattere marginato si pre- senta con tenue sviluppo, ed è limitato a la sola regione iniziale. Bulimina echinata d’ Orbigny. (tav. O, fig. 38) Bulimina echinata dOrbigny 1826. Ann. Sc. Nat., vol. VII, pag. 269, num. 5. » » Fornasini 1901. Boll. Soc. Geol. It., vol. XX, pag. 176, fig. 2. È con qualche dubbio che riferisco a questa varietà un esemplare me- galosferico, che è ornato, nella regione iniziale, di minuti e numerosi aculei. Di tale carattere, si scorgono le tracce anche in una de le forme riferite da Brady a la 5. elongata. * x x Non credo inopportuno il chiudere la presente memoria coll’ aggiungere l’ illustrazione di tre forme spettanti a la sottofamiglia dei Bulimininae e raccolte insieme a le precedenti, tanto più che la loro presenza nell’A- driatico viene ora per la prima volta, se non erro, dimostrata. Virgulina schreibersiana Czjzek. (tav. O, fig. 23, 44) Virgulina schreibersiana Fornasini 1900. Mem. r. Ace. Sc. Bologna, vol. VIII, pag. 375, tav. II, fig. 24. Per quel che concerne la fig. 44, noterò che essa non è altro che una migliore imagine de l’ esemplare stesso che illustrai nello scorso anno. Mi permetto poi di rimandare il lettore a le considerazioni che in tale occasione ho esposte a proposito de la forma tipica di Czjzek e de le varieta di essa, fra le quali non mancai di citare la var. innormalis di Costa. Questa (fig. 28) differisce dal tipo unicamente per essere più breve e dilatata. Virgulina subsquamosa Egger. 85 (tav. O, fig. 25, 29 e 831) Virgulina subsquamosa Egger 1857. Neues Jahrbuch, pag. 295, tav. XII, fig. 19-21. » tenuis Seguenza 1862. Atti Acc. Gioenia Sc. Nat., s. 2°, voi. XVIII, pag. 112, tav. II, fig. 2. » subsquamosa Brady 1884. Rep. Foram. Chall., pag. 415, tav. LII, fig. 7-11. — 380 — Virgulina subsquamosa Egger 1893. Abh. k. bayer. Ak. Wiss., vol. XVIII, pag. 291, tav. VIII, fig. 89, 90, 94, 109. » » Goés 1894. K. Svenska Vet. Ak. Hand], vol. XXV, num. 9, pag. 49, tav. IX, fig. 473, 474. E veramente caratteristica di questa specie la disposizione obliqua de le camere, per la quale il nicchio si presenta con diverso aspetto, se visto da uno dei lati, oppure dal lato opposto. Le fig. 29 e 31 riproducono questo fatto, e la. fig. 25 da ragione, di esso. Bolivina dilatata Reuss. (tav. O, fig. 43) Bolivina dilatata Reuss 1850. Denkschr. k. Ak. Wiss. Wien. vol. I, pag. 381, tav. XLVIII, fig. 15. » catanensis Seguenza 1862 Atti Acc. Gioenia Sc. Nat., s. 2°, v. XVIII, pag. 113, tav. II, fig. 3. » punetata Terrigi 1880. Atti p. Ace. Nuovi Lincei, a. XXXIII, pag. 197, tav. II, fig. 41. » beyrichi (pars) Terrigi 1850. Ibidem, fig. 43, 44. » punctata (pars) Malagoli 1858. Boll. Soc. Geol. It., vol. VII, pag. 375, tav. XIV, fig. 3, 4. » punetata (?) Terrigi 1889. Mem. r. Acc. Lincei, s. 4%, vol. VI, pag. 110, tav. V, fig. 8. » punetata Fornasini 1339. Minute forme rizop. Ponticello, fig 5. » » (pars) Goés 1894. K. Svenska Vet. Handl]., vol. XXV, num. 9, pag. 49, tav. IX, fig. 476, 477. » dilatata, var. angusta Egger 1895. Jahresh. nat. Ver. Passau, a. XVI, pag. 11, tav. I, fig. 7, 12. Nella precedente sinonimia ho enumerato forme che non furono illu- strate sotto il nome reussiano, ma che sono, a parer mio, da ascriversi a la 5. dilatata. Ricerche recentissime eseguite sul materiale microzoologico raccolto su la spiaggia di Porto Corsini mi mettono in grado di poter aggiungere ai precedenti questi altri Bu/imininae, alcuni dei quali sono nuovi per l'Adriatico e anche per il Mediterraneo : Bulimina pyrula d’Orb. Bulimina ovata d’Orb. Bulimina pupoides d’ Orb. Bulimina marginata d’Orb. Bulimina inflata Se g. Pleurostomella alternans Schw. Bolivina punctata d’Orb. Bolivina tortuosa Brady. Bolivina nobilis Hantken. Bolivina alata (Seg.). INDICE DE LE FIGURE Tutte le figure rappresentano esemplari raccolti a Porto Corsini su ia spiaggia di Ravenna, visti all’ ingrandimento di 60 diametri. 1. Bulimina fusiformis, microsferica. Bi » » var. baccata, microsferica. 3. » » microsferica. 4. » » microsf. (vedasi la fig. 27). 5. » » var. baccata, megalosferica. 6. » » megalosf. (vedasi la fig. 41). To » elegans, var. marginata, microsferica (vedasi la fig. 39). 8. » elongata, var. ariminensis, megalosf. 9. » fusiformis, megalosferica. 10. » elongata (tipica), megalosferica. IL » » var. ariminensis, megalosf. 12. » » microsf. (vedasi la fig. 37). 13 » fusiformis, var. pupoides, megalosf. 14. » elegans, var. marginata, microsferica (vedasi la fig. 33). 15. » gibba, var. marginata, microsferica (vedasi la fig. 19). 16 » fusiformis, megalosferica. Liz » » var. pupotdes, microsf. 18. » » megalosf. (v. la fig. 36). 19. Aspetto posteriore dell’ esemplare rappresentato da la fig. 15. 20. Bulimina elongata (tipica), megalosferica. 21. » fusiformis, microsferica. 22. » gibba, var. marginata, microsferica (vedasi la fig. 26). 23. » fusiformis, megalosferica. 24. » » var. marginata, megalo- sferica (vedasi la fig. 45). 25 2. 28. 29. . Bulimina fusiformis, var. baccata, microsferica. . Aspetto anteriore dell’ esemplare rappresentato . Virgulina subsquamosa. 26. Aspetto anteriore dell’ esemplare rappresentato da la fig. 22. Aspetto anteriore dell’ esemplare rappresentato da la fig. 4. Virgulina schreibersiana. » subsquamosa (vedasi la fig. 31). da la fig. 29. 2. Bulimina gibba (tipica), microsferica. . Aspetto posteriore dell’ esemplare rappresentato da la fig. 14. . Bulimina gibba (non tipica), megalosferica. » » var. marginata. . Aspetto anteriore dell’ esemplare rappresentato da la fig. 18. . Aspetto posteriore dell’ esemplare rappresentato da la fig. 12. . Bulimina echinata, megalosferica. . Aspetto anteriore dell’ esemplare rappresentato da la fig. 7. . Bulimina fusiformis, megalosferica. . Aspetto anteriore dell’ esemplare rappresentato da la fig. 6. . Bulimina gibba, var. marginata, megalosferica. . Bolivina dilatata. . Virgulina schreibersiana. 5. Aspetto anteriore dell’ esemplare rappresentato da la fig. 24. NIVEZ alan } di “epc ig ob | è) na y Bulimine adriatiche. Tav. 0. C. Fornasini ad nat del. E. Contoli lit. Lit. Mazzoni e Rizzoli-Bologna SOPRA UN ORGANO CARATTERISTICO DI ALCUNE CUCURDITACES È SULLE KELAZIONI DELLA PIANTE COL TRIPIDI MEMORIA DEL PROF. FEDERICO DELPINO (CON TRE TAVOLE) (Letta nella Sessione del 21 Aprile 1901). Presso non molte specie di cucurbitacee si osserva un organo avente una omologia tutta sua propria, per modo che le piante, le quali ne sono insignite, potrebbero essere riunite in un gruppo assai bene circoscritto e contraddistinto. Si tratterebbe d’ una genuina marca di fabbrica, ossia di un carattere di valore genealogico, perché mediante le sue variazioni e metamorfosi espone i vincoli di affinità più o meno prossima che colle- gano tra loro le specie su indicate. Le particolarità e le vicende di quest’ organo vennero da me osservate sul vivo in due specie di Momordica, due di Luffa, nel Citrullus vulgaris, nella Benincasa hispida, nella Physedra heterophylla. Ma consultando, quando erbarii secchi, quando opere iconografiche e fitografiche, ho potuto constatare che l’ organo in questione è reperibile non solo in quasi tutte le specie di Momordica, ma eziandio nei generi Hodgsonia, Dactyliandra, Blastania, Mtillerargia, Sphaerosycios e Trochomeria. Quest’ organo è un filloma, assai ridotto nelle sue dimensioni se lo poniamo in confronto coi nomofilli. Si trova caratteristicamente all’ ascella delle foglie normali in tutta la regione somatica vegetativa, ma la sua origine è indubbiamente bratteale. È infatti omologo a una brattea del peduncolo infiorescenziale, nonché alle bratteole dei relativi pedicelli. E poiché l’ organo in questione si trova nel preciso punto ascellare delle foglie vegetative, è ovvia la spiegazione che si tratta di una brattea pro- pria d’ un peduncolo che non si é sviluppato. Nella Momordica Balsamina e nella M. Charantia, ed in altre specie del genere, la vera natura di quest’ organo é ipso facto rivelata, perché Serie V. — Tomo IX. 48 — 384 — scorgesi inserito soprascellarmente sopra un peduncolo unifioro. In altri ge- neri il peduncolo inflorescenziale essendo totalmente abortivo, almeno nella regione vegetativa, dett’ organo si presenta come una emergenza ascellare, e a prima vista niente appare che riveli la sua vera natura di brattea, eccetto, per avventura, la grande somiglianza di forma e funzione colle brattee dei peduncoli o colle bratteole dei pedicelli, quali si osservano nella regione fiorente delle rispettive piante. Con ciò si spiega come tale organo dai fitografi, nei casi, non molti a dir vero, in cui venne osservato e descritto, fu designato con frasi e ter- mini diversi. Cosi Bentham e Hooker nei Genera plantarum ecc., e Cogniaux nella recente monografia delle cucurbitacee (Vol. III, Monographiae Pha- nerogamarum, che fanno seguito al Prodromus ecc. del De Candolle), ora usano la frase « petiolo basi uno latere tuberculo vel foliolo stipuliformi aucto »; oppure quest’ altre frasi « folia basi foliolo stipulari instructa », « bracteae stipuliformes e quavis axilla foliorum ortae vel sitae ». Definita l’ originaria natura bratteale di quest’ organo, si presenta il quesito: come mai un organo bratteale può, in determinate stirpi, esten- dersi e manifestarsi anche in tutta la regione vegetativa della pianta ? È pronta la risposta che ciò non potrebbe avere altramente luogo, salvo che detto organo abbia assunto sopra di se una funzione assai importante per la vita della specie. Dobbiamo prima vedere quale sia la originaria funzione delle brattee, e, giusta la legge che stabilmente governa le instabili metamorfosi degli organi, quali altre funzioni possano successivamente aggiungersi alla ori- ginaria funzione delle brattee medesime, alterandone più o meno, e tal- volta mutandone affatto la forma. La funzione prima è senza dubbio protettiva. La brattea si avvolge attorno ai bottoni florali, in tempo che i tenerissimi loro tessuti si vanno sviluppando e li protegge. Per un tal fine necessita che le brattee abbiano figura laminare; ma non occorrono le grandi dimensioni che sono utili ai nomofilli. Essendo le brattee di figura laminare, sogliono alla protettiva aggiun- gere la funzione clorofilliana. Quindi più sovente rimangono di color verde. Invero le due funzioni non sono punto repugnanti, e possono coesistere nello stesso organo; anzi è un deciso vantaggio che ad un tempo si eser- citi luna e l’altra funzione. Talvolta le brattee assumono la funzione attrattiva o vessillare. Questa funzione non è in antitesi colla funzione protettiva ; lo è invece colla fun- zione clorofilliana; ia quale in esse viene più o meno a cessare; perché i colori vivaci o bianco o giallo o rosso, o violaceo escludono il color verde. — 385 — Possono assumere talvolta la funzione difensiva spinosa, o parzialmente o totalmente. Nel primo caso la nuova funzione può essere congiunta in qualche misura colla protettiva e colla clorofilliana (p. es. negl’ involucri di Cynara, Carduus ecc.) Ma nel secondo caso, quando la metamorfosi è completa, cessano le due originarie funzioni. Possono talvolta assumere la funzione mellifera adescativa di ani- malcoli, o pronubi (brattee delle marcgraviacee), o difensori (funzione mirmecofila). In questo secondo caso può essere assunta con metamorfosi incompleta, ossia con associazione ad altre funzioni bratteali (p. es. in più specie di Me/ampyrum); oppure con metamorfosi completa, e allora la brattea è tanto modificata nella sua forma e nel suo sviluppo che non può adempiere ormai nessun altra delle funzioni bratteali suindicate. Ma le formiche e le vespe che sono termine della funzione mirme- cofila, sono per avventura le uniche difensore delle piante? Non può darsi anche analoga funzione acarofila ? e tripidofila? Delle probabilità di una funzione acarofila già parlammo in qualche nostro lavoro : della tripidofila parleremo in questo; e ce ne porgerà il destro lo studio dell’ organo che forma il tema di questa memoria. Infine nelle brattee alle solite originarie due funzioni può aggiungersi una funzione nova, la disseminativa eriofila, e ne abbiamo un bell’ esem- pio nel genere Lappa. Adunque le funzioni bratteali fin qui considerate sono le seguenti : cioé, 1°, protettiva o involgente; 2°, clorofilliana o amilogena; 3°, attrattiva o vessillare; 4°, nuziale o mellifera; 5°, estranuziale mellifera o formicaria ; 6°, acarofila (congetturale); 7°, tripidofila (congetturale); 8°, difensiva o spinosa; 9° disseminativa eriofila. Ciò premesso, l’ organo di cui parliamo, nelle varie sue vicende e nelle varie sue evoluzioni ed ereditaria trasmessione a diverse stirpi, cucurbitace, avrebbe esercitato di dette funzioni le due normali, e successivamente la mirmecofila e la tripidofila, svolgendo correlativamente tre serie di forme diverse, cioé la laminare, la corpuscolare e la follicolare. Gl’inizii di quest’ ordine di fenomeni potrebbero aver avuto luogo entro la cerchia del genere Momordica. E da questo genere appunto principieremo noi, riferendo le osservazioni che fin qui abbiamo potuto fare sovra piante viventi. Momordica Balsamina L. I peduncoli sono tutti uniflori ed ascellari, cosi i maschili che i femminili. Entrambi possedono la brattea di cui ragio- niamo ; ma nei peduncoli maschili è avvicinata assai al fiore, mentre é situata verso la base nei femminili. La brattea é suborbicolare dentata, e, massime nei fiori maschili, che tenerissimi si svolgono nel suo amplesso, mostra la sua genuina e originaria funzione involgente e protettiva, a cui sì associa qui ottimamente la funzione clorofilliana. — 386 — Ogni altra funzione tace in queste brattee; e per verità in questa specie manca ogni accenno a nettarii estranuziali mirmecofili o acarofili, non solo nelle brattee, ma anche nelle foglie vegetative. Giova tener presente la latissima dispersione geografica di questa specie. Si trova nelle regioni tropicali e subtropicali d’Africa, Asia ed America, ma in quest’ ultima sarebbe introdotta, non indigena. Momordica Charantia L. È una specie affinissima alla precedente. Pedi- celli unifiori, cosi maschili che femminili, sono muniti d’ un organo brat- teale affatto omologo. Ma questo è situato più in basso, verso la base. La figura n’ é tra orbicolare e cordata, a margine intiero e non dentato. Le dimensioni ne sono presso a poco eguali, cioè da 8 a 14 mm. in diametro. Ancora persistono in cotali brattee le due funzioni, protettiva e cloro- filliana; ma vi si aggiunge una nuova funzione, la mirmecofila. Infatti nella pagina inferiore si scorgono parecchie glandole circolari, secernenti néttare, brevemente stipitate, ordinate quasi tutte in una serie parallela e vicino alla periferia. Il numero n’é variabile. Alcune brattee ne mancano ; la maggior parte ne ha sette od otto, e talvolta ne hanno fino il doppio, ed anche più. Quantunque queste glandole siano minuscole, pure assai diuturna é la loro secrezione, per il che non mancano di attirare qualche formica, come scorgemmo più volte. La fig. 1* della Tav. I espone un frammento di tralcio con due pedicelli bratteati, in grandezza naturale; la fig. 2° rap- presenta la pagina inferiore d’ una brattea alquanto ingrandita, munita di 8 glandole; la fig. 3° espone, a un ingrandimento maggiore un piccolo brano di detta brattea con due glandole. È utile notare la vasta diffusione geografica di questa specie, consimile assai a quella della precedente. Nelle due forme fin qui esaminate la brattea di cui ci occupiamo è, per aderenza congenita, più o meno elevata sul pedicello fiorente. Negli esempi successivi la vedremo localizzata alla base nel preciso punto ascel- lare. Perciò si presenta plausibile la tesi che il peduncolo inflorescenziale a cui appartiene sia stato completamente soppresso per un fenomeno di aborto totale. Physedra heterophylla Hook. F. Di questa splendida liana, con fusto estesamente lignificato, ho potuto osservare un robusto individuo femmineo, nato nell’ Orto botanico di Napoli da semi provenienti dal Congo. Ne’ suoi lunghissimi e numerosi tralci, ad ogni nodo, all’ ascella delle foglie, in tutto il grandioso sviluppo della sua regione vegetativa, mi colpi la pre- senza d’una squama carnosa, d’ un color cupo, quasi nero, in figura di cuore, lunga e larga da 5 ad 8 mm. circa. Non tardai tosto a ravvisare l’ omologia di quest’ organo ascellare colle — 387 — brattee dei pedicelli di Momordica Charantia. Ed infatti, anche ad occhio nudo era agevole constatare chè ognuna di dette squame era convertita in un potentissimo nettario composto, mediante formazione nella sua pagina inferiore di otto a dodici cospicue glandole mellifere orbicolari, secernenti copiosamente e diuturnamente un liquido zuccherino. Tali organi poi, e ancora con qualche incremento sia nelle dimensioni sia nella potenza mellifera, esistono in numero di 4 ad 8 all’incirca nel peduncolo delle infiorescenze femminili, lungo, in media, da 20 a 30 mm., una brattea alla base nel punto ascellare, le altre sovrapposte a regolari distanze internodali. Tutte sono sterili alla loro ascella, salvo una o due o tre dell’ apice del peduncolo, producenti un fiore femmineo ciascuno alla sua ascella. La fig. 4* della Tav. II espone in grandezza naturale una infiorescenza femminea unifiora, munita di sei di siffatti nettarii composti. La fig. 5° rappresenta diminuito della metà un frammento trinode di tralcio, ove si notano tre corpuscoli nettariferi ascellari; la fig. 6* infine rappresenta, ingrandito circa cinque volte, uno di questi corpuscoli, visto dalla sua pagina inferiore, nella quale si notano dieci cospicue glandole mellifere. Ecco che in questa interessante specie noi constatiamo una completa metamorfosi delle brattee, convertite ciascuna in un vistoso nettario com- posto, con abbandono totale delle funzioni originarie a tutto benefizio della funzione formicaria. Ed invero se si pensa al numero grande che un solo individuo di Physedra porta di siffatti corpuscoli adescatori di formiche, e se si aggiunge che parecchie glandole mellifere di egual forma si trovano pure nella pagina inferiore delle foglie normali, sì dovrà concludere che poche piante possono competere con questa quanto alla esaltazione della funzione mir- mecofila. Tuttavia nella figura alquanto compressa di tali corpuscoli, ancora scor- gesi una traccia dell’ originaria figura laminare. Or bene anche questa figura residuale scompare totalmente nell’ esempio che segue. Luffa cylindrica Rm. In tutta la regione vegetativa della pianta scor- gesi un corpuscolo mellifero, omologo alle brattee antecedentemente de- scritte. Crasso, carnoso, ottusetto all’ apice, lungo 4 mm., largo alla base circa 3 mm., porta da due a cinque glandole nettarifere, orbicolari, di squisita fattura, grossissime, a tal segno che informandolo e costituendolo quasi per intiero, lo convertono in un poderoso nettario composto, che nulla più conserva della sua originaria figura di brattea. E che questi corpuscoli siano di natura bratteale, è dimostrato dalle infiorescenze maschili, costituite da un racemo di 15 e più fiori, ove ad ogni pedicello corrisponde uno di cosifatti corpuscoli. — 388 — Anche questa ZLuffa, adescando una quantità enorme di formiche mercé le sue brattee metamorfizzate in nettario, nonchè mediante vistose glan- dole nettarifere orbicolari che pure si trovano nella pagina inferiore delle sue foglie, è una specie mirmecofila principe. Luffa acutangula Roxb. Si diporta come la precedente specie. Anche in questa le brattee, per via di metamorfosi completa, sono convertite in corpuscoli nettariferi che più non ricordano né le forme, né le funzioni originarie. Nella regione della vegetazione se ne scorge uno per ogni ascella fogliare, e nella infiorescenza maschile uno per ogni pedicello fiorente. Anzi qui feci la osservazione che ogni corpuscolo contrasse aderenza col pedicello nato alla sua ascella, elevandosi sovr’ esso per breve tratto. Co- sicché questa contingenza può valere per interpretare la vera natura mor- fologica della brattea nel genere Momordica, la quale propriamente non apparterrebbe al pedicello da cui emerge, ma ad un peduncolo completa- mente abortivo; e, per un fenomeno di saldatura congenita, sarebbesi sollevata più o meno altamente sul pedicello generato alla sua ascella. Questa specie pure è visitatissima dalle formiche. Citrullus vulgaris Schrad. Nell’ ampia regione vegetativa delle piante appartenenti a questa specie, cioé nei loro lunghi e robusti tralci, nel pre- ciso punto ascellare d’ ogni foglia scorgesìi emergere un corpuscolo, che per la posizione sua tradisce una perfetta omologia .coi corpuscoli netta— riferi di Physedra e Luffa. Ma se la omologia é indubitabile, quanto pur ne differisce in tutti î suoi caratteri ! Di secrezione nettarea non ci é il menomo accenno. Niuna glandola nettarifera appare, e correlativamente scompare la carnosità, lo spessore, la forma solida, tanto caratteristiche dei nettarii composti (1). I corpuscoli ascellari di Cifrullus compariscono dapprima sotto forma di minuziosi follicoli, originati da un accartocciamento della brattea, che imita completamente il modo come un carpidio avvolgendosi forma quel genere di frutto che dicesi follicolo (p. es. nei De/phinium). Cotali follicoli sono ermeticamente chiusi per approssimazione valvare dei margini; poi sì aprono un poco ed è in tal tempo che si effettua la loro presunta funzione. In seguito e invecchiando si aprono sempre più, talché da ultimo sì presentano in forma di laminette piane, rese omai totalmente inutili e: sfruttate. (1) Anche in altra famiglia di piante si danno nettarii composti. Per esempio le nodosità dò Phaseolus Caracalla, Dolichos melanophtalmus ecc. sono corpuscoli comparabili a quelli di Luffa, quantunque al tutto diversa ne sia la natura morfologica. — 389 — Il colore di questi corpuscoli è giallastro, ed ha quella speciale appa- renza crassa che è propria di molti organi vegetali commestibili (peri- carpii di albicocche, di pesche, di manghe, di diospiri; corpuscoli for- micarii ecc.). Per avere una esatta idea del comportarsi di questi corpuscoli, biso- gna seguire tutti gli stadii e tutte le fasi del loro sviluppo, dalla loro prima comparsa che è verso la punta vegetativa dei tralci, procedendo via via a quelli che si trovano nei sottostanti nodi, fino a quelli che si trovano, in basso, nella parte più invecchiata dei tralci stessi. Cinque di questi stadii veggonsi esposti nella fig. 10° della Tav. II. In a vedesi il corpuscolo in primo stadio, quando è ancor chiuso (adiacente sta la figura della sua sezione trasversale); in 5 e nella figura adiacente della sezione sua trasversale é il corpuscolo in 2° stadio; in c é schema- tizzato il terzo stadio, ove il follicolo, aperto in parte, ha un canalicolo per lato; in d si espone il 4° stadio, ove il follicolo è sempre più aperto, e la funzione sua sì estingue ; infine in e è figurato lo stadio finale, ove il fol- licolo si é completamente appianato in lamina, sfornita d’ ogni funzione. La fig. 9* rappresenta un nodo assai invecchiato, ove si nota ancora esistente la lamina del follicolo, ma oramai destituita da ogni significato, salvo una ripresa della funzione clorofilliana, peraltro cosi ridotta da non dovere tenerne alcun calcolo. Pare che la funzione di ricovero, l’ unica pensabile per siffatti follicoli, sia riservata soltanto a quelli che sì trovano nel secondo e nel terzo stadio. La fig. 7* poi rappresenta un frammento di tralcio binode, ove si notano due follicoli in condizione d’ attività funzionale; e la fig. 8* rappresenta pure un follicolo attivo alla base d’ un pedicello maschile unifioro. Benincasa hispida Cogn. Considerando l’ aspetto tutto differente di questa specie, posta in confronto colla precedente, reca veramente non poca maraviglia il constatare che l’ organo in questione ha subito la stessa stes- sissima metamorfosi follicolare che nel Citrullus, che i suoi caratteri non- ‘ché i diversi stadii del suo sviluppo possono essere illustrati dalle figure e dalle descrizioni adoperate per la specie antecedente. Per questa contingenza ci crediamo dispensati da ogni descrizione e da ogni icone in proposito, rimettendocene a quanto abbiamo già sopra espresso. Siffatta coincidenza per parte di specie appartenenti a due generi diversi nel produrre un organo assolutamente identico sotto l’ aspetto della forma, é un fatto il quale costringe a pensare che una funzione ben importante deve essere compiuta da questi singolari follicoli. E quale funzione potrebbe essere questa mai ? Una funzione finale protettiva certamente, ma in che modo ? per quali agenti ? — 390 — Non si tratta d’ un organo formicario. Non vedesi nessun carattere che possa adescare formiche, mancando ogni secrezione nettarea. D’ altronde il non plus ultra in questa direzione vedesi attuato nei generi Physedra e Luffa. Si tratta d'un domicilio acarofilo, d’ un acarecidio ? (1) Abbiamo esa- minato assai lungo tempo, cosi a Bologna che a Napoli, siffatti follicoli e nella loro cavità non riscontrammo giammai la presenza di acari. Invece assai sovente abbiamo trovato ricoverati in essi dei tripidi. In alcuni anni e in alcune località in quasi ogni follicolo, nel secondo e nel terzo stadio del suo sviluppo si rinveniva un tripide; in altri luoghi ed in altre annate la presenza dei tripidi era assai scarsa, ma pur sempre qual- cheduno se ne trovava tanto nei follicoli di Citru/lus che di Benincasa. Benché in proposito le mie ricerche non siano ancora chiuse, pure mì si é radicata la convinzione che tali ricettacoli siano elaborati allo scopo di preparare domicilii ai tripidi. Come si danno presso le piante acarecidili, si darebbero pur anco tripidecidii. Per altro a corroborare questa congettura necessiterebbe positive infor- mazioni e spiegazioni intorno ai modi come la presenza dei tripidi possa sotto contingenze riuscire di grande aiuto e difesa della pianta. E qui entriamo in un campo fin qui poco esplorato e poco cognito, ove probabilmente entrano in giuoco relazioni di complicata natura, quando mutualistiche, quando antagonistiche, fra tripidi, acari, afidi ecc. Nei follicoli d’ una pianta di Benincasa coltivata in vaso, d’ assai debole costituzione, non trovai che un tripide soltanto. Pochi giorni dopo sulle sue foglie si sviluppò un numero infinito di acari, che mi parvero appar- tenere al Tetranichus telarius; o se non precisamente questa, era forse qualche specie affine. La pianta, punzecchiata da quella sterminata legione di nemici, in breve tempo peri; e mi si presentò l’idea che un buon numero di tripidi difensori avrebbe forse potuto scongiurare quella perdi- zione. Non è improbabile che alcune specie di tripidi distruggano uova di acari, di afidi e di altri nemici delle piante. Naturalmente conviene distinguere specie da specie. Come tra gli acari si dà il Zetranichus Telarius che è un acerrimo nemico delle piante, si rin- viene poi l’innocentissimo Zideus foliorum, il quale anzi sembra essere uno fra i difensori delle piante; tanto che gli acarecidii caratteristici di tante laurinee, rubiacee, viburni ecc. sembra che siano fatti a puro ed esclusivo beneficio di quest’ agente. Tale distinzione di specie benefiche e malefiche conviene pur fare (1) Per ragioni di priorità pare doversi preferire questo termine a quello più in uso di acaro- domaszio. — 391 — riguardo ai tripidi; perché se vi sono specie di tripidi, che, a quanto ho potuto constatare, sono affatto innocue, quali sarebbero i tripidi che tanto frequentemente si trovano nei fiori, sono conosciute poi parecchie specie che causano danni più o meno gravi alle piante. Citiamo il tripide del- l’ olivo, il tripide dei cereali, e sopra tutto il famigerato Heliothrips haemor- rhoidalis, il quale rovina ed insozza le piante che si coltivano nelle serre ; ed, escendo pur dalle serre, infesta e guasta le foglie di molte specie arboree, che vivono all’ aperto nei dintorni dei giardini. Ancora nulla si sa di certo intorno alla problematica funzione difensiva che alcuni tripidi eserciterebbero verso le piante, probabilmente distrug- gendo le uova di piccoli animali, per esempio di afidi, tetranichi ecc. E l’unico indizio che fin qui si avrebbe é appunto fornito dalla singolare metamorfosi delle brattee di Citrullus e Benincasa in follicoli tripidofili. Ma forse presso altre piante si troveranno altri esempi d’ organi consimili, e gia ho iniziato delle indagini in proposito. In altro campo di ricerche, la tripidofilia é ben più accertata. Alcune specie di tripidi sogliono frequentare i fiori delle piante, ed essendo ani- mali agilissimi e forniti di ale, sarebbero destinati a provvedere in parte alla fecondazione inerociata, trasferendo polline da fiore a fiore, da pianta a pianta, ma di quest’ argomento ci occuperemo nell’ Appendice. Ora ritorniamo al primo nostro assunto di esporre le metamorfosi delle brattee nelle cucurbitacee. Alle indagini che abbiamo fatto sopra piante viventi conviene aggiun- gere nostre osservazioni sovra piante secche e i dati che è lecito desu- mere dalle descrizioni dei fitografi, fra cui primeggiano monografi valen- be sip es Sierinisiek Na uidim> Benwthami, Hoolter)) Alfire do Cosgniaux. Le brattee di cui parliamo, per le modificazioni che subiscono, sono suscettibili di essere ordinate in cinque tipi. A, B. Brattee normali, laminari, soprascellari, per aderenza col pedicello (A anadenie; B adenofore). Momordica Balsamina L. Brattee anadenie (5-15 mm.) esercenti sol- tanto le due funzioni normali. A. M. Charantia L. Brattee adenofore (5-15 mm.). Alle due funzioni sì ag- giunge la formicaria. B. M. cissoides Planch. B. Floribus masculis subumbellatis in bractea com- muni magna inclusis (2-4 centim.) suborbiculato-reniformi, glandulis paucis Serie V. — Tomo IX. 49 , — 392 — scutellatis per paginam inferiorem dispersis, praecipue versus marginem ; floribus foemineis late bracteatis. Queste frasi tolte al Cogniaux (l. c.) mostrano la straordinaria potenza di queste brattee sia rispetto alla fun- zione protettiva, sia rispetto alla funzione formicaria. M. pterocarpa Hochst. Brattea suborbicolare cucullata, simile alla pre- cedente, ma un poco più piccola. Non é detto se sia adenofora. M. Suringarit Cogn. B. I pedicelli maschili sono verso |’ apice muniti ‘di una brattea di massime dimensioni (lunga 3 centim., larga 5-6 centim.). Siccome i picciuoli delle foglie hanno glandole scutelliformi formicarie, è verisimile che questa brattea nella pagina inferiore sia adenofora. M. dioica Roxb. A. I pedicelli maschili hanno verso l’ apice una brattea assai larga (13 — 2 cm.), cucullata, probabilmente anadenia. M. subangulata Bl. A. Come la precedente specie. M. cochinchinensis Spreng. B. Brattee orbicolari reniformi larghe da 3 a S centim., all’ apice del pedicello. Sono munite di cospicue glandole mellifere. E poiché i picciuoli, ed anche un poco del lembo delle foglie normali, posseggono parecchie di siffatte glandole, é chiaro che questa momordica è formicaria in grado insigne. M. renigera Wall. B. Brattee assai grandi e glandolose come nella pre- cedente specie. M. racemiftora A. Brattee ampie all’ apice dei pedicelli fiorenti, lunghe 2 cent., larghe 3 cent. Verisimilmente anadenie. Citiamo volontieri questa specie, perché dimostra la vera natura delle brattee, le quali appartengono al peduncolo, non già ai pedicelli, malgrado l’ apparenza contraria. Infatti il peduncolo maschile produce da 8 a 30 pedicelli fiorenti, all’ a- scella di altrettante brattee, ciascuna delle quali per concrescenza s’in- nalzò fino all’ apice del pedicello stesso. Questa specie nativa dell’ India insulare o meganesica può ritenersi come vicina alle forme archetipe del genere. C. Brattee laminari, esattamente ascellari (anadenie ? adenofore ?). Trochomeria Wyleyana Cogn. È indicato il carattere : petiolus ad basim foliolo stipuliformi auctus. Tr. vitifolia Hook. Come la precedente. Tr. pectinata Cogn. Come le precedenti. Tr. Hookeri Harw. Come le precedenti. Nella descrizione dettagliata delle specie queste foglioline stipuliformi sono dal Cogniaux denotate giustamente col nome di brattee. Stando — 393 — alle dimensioni, ai caratteri dati probabilmente si tratta di brattee insi- gnite soltanto delle due funzioni normali. Adenopus brevifolius Benth. Cogniaux riferisce il carattere: petiolo apice biglanduloso, ad basim interdum bracteolato. Si tratta d’ una specie in qualche grado formicaria; I nettarii picciuolari (simili a quelli della Lagenaria) accennano a mirmecofilia, e potrebbe essere che anco le brattee ascellari nella pagina inferiore siano fornite di nettarii. Ductyliandra Wellwitschit Hook. Anche questa specie presenta il carat- tere d’ un picciuolo munito alla base d’ una fogliolina stipuliforme, avente figura tra orbicolare e reniforme, lunga da 5 a 12 mm. Blastania fimbristipula Kotsch. e Peyr. All’ ascella di ciascuna foglia si osserva una brattea suborbicolare, ciliato-pettinata nel margine, lunga 7-12 mm. Il nome specifico allude appunto a questo carattere. BI. Garcini Cogn. Ai nodi si osserva un filloma ascellare affatto simile a quello della precedente specie, ma di alquanto minori dimensioni. Miillerargia Timorensis. Cogn. Anche in questa specie vi è un filloma ascellare, suborbicolare, per altro a margine intiero e di maggiori dimen- sioni (1-2 centim.). Nellie surriferite quattro specie di Dactyliandra, Blastania e Mtllerargia non è riferito nessun dato che accenni a mirmecofilia. Forse si tratta di brattee dotate solo delle funzioni protettiva e clorofilliana. Sommando poi le specie anzidette aventi brattee laminari, si ricava la proporzione di quelle che hanno brattee con funzioni normali, e quelle ove le brattee sono iniziate alla mirmecofilia. Si hanno: 11 Specie a fillomi normali (3 Momordica, 4 Trochomeria, 1 Dacty- ltandra, 2 Blastania, 1 Mtillerargia). 5 Specie a fillomi mirmecofili (4 Momordica, 1 Adenopus). Naturalmente questo é soltanto un calcolo approssimativo. D. Brattee corpuscolari, adenofore, (Nettarii composti). Luffa cylindrica Rom. V. sopra. L. acutangula Roxb. V. sopra. L. operculata Cogn. All’ ascella delle foglie verso la base dei pedicelli maschili vi è un corpuscolo nettarifero simile a quello delle due prece- denti specie, ma più piccolo (2 mm.). Sphaerosyctios sphaerieus Cogn. In singulis axillis bracteola adest linearis, sulcata, fusca, refracta et ramo saepius oblique applicata, 15-20 mm. cir- citer longa, vermem fere simulans. Senza dubbio anche in codesta specie — 394 — la brattea ha subito una metamorfosi completa in nettario composto mir- mecofilo. Physedra heterophylla Hook. V. sopra. Ph. longipes Hook. Pedicelli, masculi et foeminei, ad basim bracteolati ; bracteolis carnosis, ovato-oblongis, revolutis vel concavis (3-6 mm.): senza dubbio fornita di nettarii mirmecofili composti, come la precedente specie. Ph. Berterit Cogn. Pedunculus communis masculus bracteolatus: bra- cteolae carnosae, persistentes, glandulosae. Certamente anche queste sono convertite in nettarii composti. Hodgsonia macrocarpa Cogn. È riferito il carattere « petiolo basi uno latere tuberculo stipulaeformi aucto ». E nei pedicelli maschili esistono bracteae carnosae, oblongo-lanceolatae G — 1 cm.). Senza dubbio anche qui si tratta di brattee convertite in corpuscoli mirmecofili (nettarii com- posti). E che questa nobilissima stirpe sia mirmecofila in grado insigne, è indicato da una cospicua glandola nettariflua, situata alla base (esterna) d’ ogni sepalo. Adunque la conversione delle brattee in corpuscoli mirmecofili si é avverata in otto specie appartenenti a quattro generi diversi. E. Bratiee follicolari, tripidofile. Non conosciamo altri esempi all’ infuori del Citrullus vulgaris Schrad. e della Benincasa hispida Cogn. Volendo ora assorgere aila contemplazione delle cause che possono aver provocato e perpetuato il fenomeno, piuttosto unico che raro nel regno vegetale, della estensione a tutta la regione vegetativa, d’ un organo proprio della regione fiorente, converrebbe dapprima accertare in quale dei sopra eitati generi abbia avuto la sua prima manifestazione, nonché gl’ inizii e lo sviluppo delle sue metamorfosi in nettario estranuziale com- posto e in corpuscolo follicolare. Le prime manifestazioni parrebbe dover essere ricercate nella circo- scrizione del genere Momordica; ma nel caso che le brattee di tal genere non appartenessero al pedicello fiorente, bensi fossero sollevate sovr’ esso per un fenomeno di concrescimento, in tal caso maggior grado di proba- bilità milita a favore di quei generi che hanno brattee laminari ascellari (Dactyliandra, Blastania, Mtillerargia, Adenopus e Trochomeria). Della metamorfosi in corpuscoli mirmecofili è a vedere se la priorità spetti al genere Physedra o al genere Luffa. Quanto alla conversione in = 899 = follicoli i due generi Citrullus e Benincasa sembrano pareggiati. Forse sono dominati entrambi da una forma generica anteriore, oggidi scomparsa od ancora incognita. Per facilitare la soluzione di questi problemi, giova indagare la distri- buzione dei generi implicati nel fenomeno. Distribuzione del genere Momordica. È straordinariamente lata la disper- sione in tutti i paesi caldi, tropicali e subtropicali, dell’ emisfero orientale (eccetto l’Australia) delle due specie, Momordica Balsamina e M. Cha- rantia. Le rimanenti specie sono distribuite come segue : Affrica orientale . .... Bi Da rogeidentale.(.i 1.6 Sp. 14 ) » australe Se Da) Sp. 23 India continentale . ... 4 ) Da garisulafens: fsi E 4. Sp. 91 COCLICINA MIRI 1 Cosi appare manifesto che il centro di questo gran genere è l’Affrica occidentale da ove irradiarono le sue diverse forme, dirigendosi verso l’ oriente (contra solem). Del genere Trochomeria 4 specie spettano all’Affrica occidentale, 6 all’ Affrica centrale. Le quattro specie del genere Adenopus spettano all’ Af- frica occidentale, salvo una irradiazione in Abissinia. L’unica specie del genere Dactyliandra è dell’ Affrica occidentale. È singolare la distribuzione del genere B/astania. Una specie é dell’Affrica occidentale, l’ altra dell’ Indie orientali. La Mùllerargia é un fenomeno iso- lato, essendo essa un endemismo dell’ Isola di Timor. In complesso quelle specie che hanno brattee laminari ascellari appar- tengono in gran maggioranza all’Affrica occidentale. Pare inevitabile la conclusione che il fenomeno della dislocazione di cui si parla sia stato iniziato in questa regione. E anche supposto che l’ archetipia spettasse al genere Momordica, il maggior numero delle sue specie spettando pure all’Affrica occidentale, si verrebbe per altra via alla stessa conclusione. Ora passiamo alla distribuzione delle specie, ove le brattee si meta- morfosarono in corpuscoli mirmecofili ossia nettari estranuziali composti. Primo si presenta il genere Physedra con tre specie. Tutte e tre sono indigene dell’Affrica occidentale. — 396 — Il Genere Sphaerosycios è monotipico, ed è nativo dell’Affrica australe: con irradiazione alle isole Mascarene e Comore. Nel genere Luffa merita speciale attenzione la distribuzione geografica delle tre specie che sono munite di corpuscoli nettarifiui. Luffa cylindrica. È diffusa, in modo da parere indigena, in tutti i paesi caldi dell’ emisfero orientale, e da rendere impossibile il ravvisare il suo vero centro di formazione. È diffusa anche assai nei paesi caldi dell’ emi- sfero occidentale. Ma quivi pare introdotta. Perfino una sua varietà (Lu/f@ insularum) ha invaso tutta la Polinesia, e parte della Maganesia e dell’Au- stralia. Al postutto non deve perdersi di vista ch’ é stata segnalata in otto luoghi dell’Affrica occidentale, e in più di venti luoghi dell’ India. Luffa acutangula. Anche questa specie è diffusissima, sopra tutto nelle: Indie orientali. Non manca all’Affrica, alle isole Mascarene, alla Polinesia. È segnalata in un punto dell’Australia. Anche si trova in America dal Brasile al Messico, ma certamente introdotta. Dopo tutto il centro di questa sembra essere nelle Indie orientali. Luffa operculata. Questa specie è un endemismo americano, dal Brasile: al Messico. Hodgsonia macrocarpa. È un pretto endemismo Indo-malese. Resta infine a considerare la distribuzione geografica del Citrullus vul- garis e della Benincasa hispida, concordanti nella produzione dei follicoli tripidofili. Citrullus vulgaris. È specie molto diffusa; ma é difficile trovare il suo centro di sviluppo, perché generalmente coltivata in tutti i paesi caldi. Noi ci associamo a Cogniaux nel ritenerla indigena dell’Affrica cen— trale ed australe. Benincasa hispida. Il suo centro di formazione e di sviluppo é senza dubbio nelle Indie orientali, da ove irradiò verso la Meganesia, giungendo: perfino nell’Australia. Conclusioni. Da tutto quello che siamo venuti sin qui dicendo, pare che: sia lecito concludere che il fenomeno della dislocazione bratteale, dovette essere iniziato in forme affini ai generi 7'rochomeria e Adenopus. oppure al genere Momordica; che la metamorfosi delle brattee in nettarii. com- posti, dovette avere la sua iniziazione in forme affini ai generi Physedra e Sphaerosyctos, e il suo perfezionamento nel genere Luffa; che la forma- zione dei follicoli tripidofili, procedendo da modificazioni di brattee lami- nari, ascellari, mirmecofile (simili per avventura a quelle di Adenopus), dovette avere il suo complemento prima nel genere Citrullus, poi nel ge- nere Benincasa; che tutta questa concatenazione di fenomeni dovette essere provocata dalla funzione formicaria, ed ebbe sede, non solo quanto alle origini, ma eziandio quanto alla maggior parte de’ suoi complementi, A mell’Affrica occidentale, espandendosi in seguito verso le regioni orientali ed australi, e irradiando una sola volta verso l’ occidente (una prova di più del grave ostacolo, frapposto dall’ Oceano atlantico alla diffusione delle forme vegetali). Tutto questo presuppone anche una stretta affinità in tutti i generi sopra contemplati. E senza poter entrare per ora in maggiori dettagli al riguardo, mi limito ad accennare che infatti quasi tutti appartengono a una sezione della tribù delle cucumerine proposta da Cogniaux e distinta dal carat- tere delle loggie anterali fiessuose o conduplicate. MEIN Relazioni florali delle piante coi tripidi. Intorno a quest’ argomento, il quale pur non é privo d’ importanza, non si hanno fin qui che osservazioni oltre modo superficiali e insufficienti. Per altro si tratta d’ insetti vivacissimi e mobilissimi, i quali per la loro esiguita possono penetrare facilmente in qualsiasi fiore. In certe annate favorevoli allo sviluppo loro, si moltiplicano enormemente, e allora ben pochi fiori sfuggono alle loro visite. A primo aspetto, considerando la tenuità del loro corpo, si è tentati a negare ad essi qualsiasi efficacia e attitudine per effettuare la staurogamia ossia il trasporto pollinico da fiore a fiore, da pianta a pianta. Anzi si é proclivi a credere molto dannosa la loro presenza nei fiori, perché consumerebbero la provvigione mellea desti- nata ad insetti molto più appropriati ed efficaci nell’ ufficio di pronubi; i quali perciò cesserebbero o almeno diminuirebbero le loro visite. Ora queste opinioni e questi giudizii meritano d’essere vagliati e di- scussi, ed all’ occorrenza rettificati e rifatti. In primo luogo si deve rispondere al quesito: perché i tripidi frequen- tano ì fiori delle piante ? Convien dapprima distinguere specie da specie. Vi sono dei tripidi che niente si curano dei fiori. Essi si trattengono sulle foglie e in altri organi. Coi loro organi buccali esercitano o delle abrasioni o delle punture: ed eventualmente inferiscono danni che possono essere gravissimi, perché deleterii sono gli effetti delle lesioni da essi fatte all’ epidermide delle piante. Possiamo citare l’ Heliothrips haemorrhoidalis che fa seccare le foglie di tante specie arboree, il Phlocothrips oleae che, in certe annate, suggendo — 398 — le foglie e i frutti dell’ olivo causa gravi danni agli oliveti, al Thrips cere- alium infesto alle messi ecc. Di queste specie ora noi non ci occupiamo. Ci occupiamo soltanto di quelle (e non sappiamo quanto numerose), i cui individui accorrono ai fiori delle piante, e la cui vita sta in connessione più o meno stretta colla. vita dei fiori stessi. Perché accorrono sui fiori? Ermanno Muller nella sua opera « Die Befruchtung der Blumen durch Insekten, 1873 » assicura che essi man- giano polline e suggono miele. Che essi facciano quest’ ultima operazione è per me cosa certa, e anche recentemente constatai che un tripide rima-- neva per assai tempo colla bocca posata sovra una delle cinque glandole: ipostaminali del Geranium rotundifolium. Se i tripidi consumano polline e miele entrano nella categoria di que- gl’ insetti che, come le api e i sirfidi, hanno per doppia ragione intimi rapporti colla vita florale. I tripidi fiorali, prescindendo dalla consumazione di polline e di miele, riescono per avventura dannosi mordendo o pungendo gli organi dei fiorì ? Per quanto giungono fin qui le mie osservazioni non esiterei a rispon- dere di non aver mai e in nessun caso constatato gravi danni di questa natura per parte dei tripidi che tanto spesso troviamo nei fiori. Io credo che sotto questo riguardo, ben diversi dai loro congeneri fillobii, essi sono animalcoli poco o punto nocivi. Possono causare danni ai fiori sotto altri riguardì ? Molte riflessioni sì possono fare a questo proposito. In primo luogo bisogna distinguere lo stato del loro sviluppo. Nei fiori sì trovano in due stati, giovanile e adulto, cioè atteri o mu- niti dì ali. Quando sono alati, considerando che sono mobilissimi, irrequieti, e che volano con rapidità, possono, almeno in via succedanea, essere qualche volta utilizzati al trasferimento del polline da fiore a fiore. Ma questa benefica eventualità viene a cessare totalmente se i tripidi sono senz’ali,. e allora esercitano un positivo danno consumando inutilmente una sostanza intesa a richiamare sui fiori i pronubi appropriati. Dobbiamo anche riflettere che, dato un fiore la cui struttura sia rela- tiva a determinate specie di apidi, ditteri, farfalle ecc., la presenza di tri- pidi, anche alati, può essere dannosa tuttavolta che le specie pronube anzidette si trovino in sufficiente numero. È chiaro che il nettare deve essere consumato da queste e non dai tripidi. Ma se per date circostanze di luogo e di tempo le specie predesi- gnate fossero esposte a mancare o totalmente, o anche parzialmente, ecco. che in questi casì i tripidi alati potrebbero costituire un vantaggio tut- — 399 — t’ altro che disprezzabile ; atteso che possono effettuare un certo numero di nozze incrociate. Ma si dirà; come mai può riuscire ad effetti staurogamici 1’ azione d’ insetti aventi una statura così esile e tanto sproporzionata alle solite dimensioni dei fiorì ? Non bisogna lasciarsi troppo illudere da questo pensiero. Certo se la natura avesse ordinato delle strutture fiorali adatte ai tripidi, avrebbe lasciato da parte le dimensioni solite dei fiori. Ma non bisogna perdere di vista che questi animali sono agilissimi; che, mediante le ali, possono assai. velocemente trasferirsi da fiore a fiore; infine che, per piccoli che siano, il polline suol essere tanto minuto e tanto poco pesante da non aggravare punto questi minuziosi corrieri. E poniamo che nel minutissimo loro corpo non trasportino più di una dozzina di granuli pollinici, in molti casi (di ovarii oligospermi) questo numero è sufficiente per assicurare una efficace fecondazione : naturalmente insufficientissimo ove si trattasse di fiori di papavero o nicoziana ecc., nei cui ovarii gli ovuli si contano a migliaia. Queste considerazioni valgano a rettificare i nostri prematuri giudizii, e a valutare il vero stato delle cose. Rispetto ai tripidi sì vede la natura non averli soverchiamente né avversati né favoriti, poichè la loro azione talvolta riesce utile per la staurogamia, talvolta dannosa per usurpazione del miele. Cosi succede una specie di compensazione. A questo punto si affaccia alla mente un problema, la cui soluzione importa non poco. Non ci é caso che la natura abbia eletto talvolta i tripidi a pronubi normali? Si danno apparecchi fiorali diretti ai tripidi in esclusiva o almeno in principale maniera ? Rispondo « postertori. Fin qui non risulta che dai numerosi autori che si occuparono di biologia fiorale sia stato indicato o descritto giammai un apparecchio fiorale tripidofilo. Rispondo a priori. E perchè no? Si danno in gran numero specie mi- crante, i cui fiori sono tanto minuti, che, se non in maniera esclusiva, potrebbero essere in gran parte adatte all’ azione dei tripidi. Presso cotali fiori il nettare non manca, e spesse volte mi rivolsi la domanda: a quali pronubi possono riferirsi questi fiori tanto minuti? Potrei citare gran numero di specie; per es. Senediera didyma, Herniaria spec., Sagina, Arenaria thymifolia, Draba, Arabis thaliana, Cardamine impatiens ecc. Questa congettura apre un campo di osservazioni, che forse frutterà per lo avvenire. E, tanto per iniziare queste indagini, descrivo un appa- recchio fiorale, il quale, a mio parere, é diretto esclusivamente all’ azione pronuba dei tripidi. Serie V. — Tomo IX. 50 — 400 — Quest’ unico esempio di apparecchio tripidofilo fin qui noto, è dato dai fiori di Danae racemosa Kunth. I fiori di questa ruscea sono piccoli, quasi sferici, crasso-carnosi, aventi un color giallognolo speciale, che sovente suole indicare in biologia ia presenza d’una sostanza commestibile e suggibile. A primo aspetto si potrebbero credere cleistogami; ma osservando più accuratamente si os- serva un piccolo foro centrale ed altre adiacenti piccolissime aperture, per le quali potrebbero entrare ed uscire insetti di minima statura, quali sareb- bero i tripidi. La vita fiorale ha due distinti stadii. Nel primo stadio, cioé appena deisce il fiore, si osserva che il suo androceo esamero, monadelfico in tutta la regione dei filamenti costituisce un ricettacolo in forma di pieco- lissima bottiglia, con breve collo, e con orifizio aperto ed orlato da dodici loggie d’ antere in piena deiscenza introrsa, con polline giallo ed attacca- ticcio. Nel fondo della cavità di questo ricettacolo vedesi collocato il pistillo che in tal tempo è assai piccolo, e non occupa che una piccola parte di detta cavità. Benché i suoi tre stimmi siano già maturi, pure non possono durante questo stadio essere spontaneamente impollinati; perché il polline, benché soprastante, non può cadervi sopra. È cosi preparata una cavità che io denomino camera d’ impollinazione (vedi Tav. III, fig. 11, 6,5). Oltre questa cavità, «formata dal tubo monadelfico ampliato a guisa di bottiglia, ve ne ha un’altra, più capace, effettuata da una escavazione, cir- colare od annulare dei sei carnosi e spessi filli perigoniali, a cui do il nome di camera di ricovero (fig. 11 a a; fig. 12 a a), perchè designata ad albergare i pronubi. Presto, cioè uno o due giorni dopo, subentra il secondo stadio fiorale ; l’ovario, anche se non fecondato, straordinariamente ingrossato, riempie la cavità della camera d’impollinazione. Lo stilo s’ ingrossa anch’ esso; si allunga più del doppio, ed innalza gli stimmi, sino a metterli in con- tatto coli’ orlo delle antere. Per tal modo resta completamente occupata ed occlusa la camera d’impollinazione ; e se, durante il primo stadio, è mancata la penetrazione dei pronubi in questa camera, succede inevitabil- mente impollinazione e fecondazione omoclina (omogamia). Fig. 12 f). Dopo qualche giorno il perigonio, strozzato dall’ ovario che sempre più ingrossa, sì circoncide alla base e casca tutto d’un pezzo insieme col- l’androceo. E così si chiudono le fasi di questo singolare apparato fiorale. Ora si presenta la questione: quali sono i pronubi adattati e designati ad effettuare le nozze incrociate di questa specie ? A priori sì deve presumere che i pronubì designati siano gli esilissimi ed agilissimi tripidi, la cui esigua statura é per l’ appunto in ottima pro- porzione colla piccolezza sia della camera di ricovero che della camera — 401 — d’impoellinazione, e coll’ angustia delle entrate che introducono nell’una e nell’ altra (fig. 13 «, d). (Deve essere notato che le tre figure le quali espon- gono a modo di schema la vita dei fiori di Danae presentano un ingran- dimento più che sestuplo). Cotal congettura la trovai completamente appoggiata dalla osservazione diretta, fatta in due località, cioè fin dal 1870 nell’ orto botanico di Firenze, e 25 anni dopo cioé nel 1895 nell’ orto botanico di Napoli. In quasi tutti i fiori di Danae, quand’ erano in buon punto si trovavano all’ incirca una mezza dozzina di tripidi (alati, addome di color bruno, corsaletto gialla- stro) raccolti nella camera di ricovero. È quando i fiori erano nel primo stadio, era bello il vedere come, con la irrequietezza ed agilità loro pro- pria, passavano di quando in quando dalla camera d’impollinazione a quella di ricovero e viceversa. Al loro corpo era aderente assai polline e, passando da uno ad altro fiore, necessariamente eseguivano nozze in- crociate. Qual’ è l’ esca preparata a siffatti pronubi? Essi dimorano molto volon- tieri nella camera d’impollinazione. Ora questa è tutta tappezzata da fitte papille; le quali suppongo che siano da essi succhiate. E anche il tessuto interno, crasso e carnoso, della camera di ricovero, suppongo che fornisca ad essi materia suggibile. Del resto in qualche annata ho constatato una quasi assoluta man- canza di tripidi, probabilmente a causa d’ una stagione primaverile oltre- modo piovosa e fredda, che ostacolerebbe o ritarderebbe lo sviluppo di questi minimi fra gl’ insetti. Io ritengo che la Danae non sia ! unico esempio di fiori adatti ai tri- pidi. In seguito forse se ne scopriranno altri esempi. Napoli, Aprile 1901. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE TAVOLA I. (Momordica Charantia). Fig. 1* — Porzioni di tralcio con due nodi e due pedicelli florali brat- . teati (grand. nat.). Fig. 2®* — Brattea vista dalla pagina inferiore munita di 8 nettarii (in- grandita). Fig. 3° — Breve tratto di lembo, con due nettarii (più ingranditi). TAVOLA II. (Physedra heterophylia). Fig. 4* — Peduncolo d’ infiorescenza femminea, munito di sei brattee mutate in nettaril. Fig. 5* — Porzione di tralcio con 3 nodi, muniti ciascuno d’ un net- tario composto. l'ig. 6° — Porzione inferiore di un nettario composto (ingrandito pa- recchie volte). TAVOLA III. (Citrullus vulgaris). Fig. 7° — Porzione di tralcio con due nodi, muniti di follicolo. Fig. 8* — Un nodo fiorifero, munito di un follicolo. Fig. 9° — Nodo invecchiato, munito d’ un follicolo mutato in lamina. Fig. 10° — Evoluzione td ungfiollicolotta 0A: (Danae racemosa). Fig. 11° — Sezione longitudinale d’un fiore in stadio giovanile a, a, camera di ricovero ; 6, è, camera d’impollinazione ; e, tubo monadelfico ; d, base del perigonio ; e, antere ; f; pistillo. l'ig. 12° — Sezione longitudinale d’un fiore in stadio adulto ; a, camera di ricovero ; f, pistillo. Fig. 13° — Fiore visto di sopra; a, entrata alla camera di ricovero; b, entrata alla camera d’impollinazione; e, antere. Mem. ser. V. Tom. IX. F.Delpino_ Tav.I. MOMORDICA CHARANTIA E. Delpino dis.dal vera E.Contoli lit Lit. Mazzoni e Rizzoli-Bofogna Mem. Ser. V. Tom. IX. F. Delpino Ta ME O) ®© © PN {O) — x PHYSEDRA HETEROPHYLLA F Delpino dis.dal ver E Contoli lit Lit. Mazzoni e Rizzoli-Bologna Mem. Ser. V. Tom. IX. F. Delpino_ Tav.III. CITRULLUS VULGARIS DANAE RACEMOSA (È Delpino dis.dal vero E Contoli lit Lit Mazzoni e Rizzoli-Bologna DELLA TUBERCOLIAA ADOPERATA A SCOPO: DIAGNOSTICI MEMORIA DEL Dott. LUIGI MAZZOTTI (Letta nella Sessione del 24 Marzo 1901). CAPITOLO I. Della febbre e degli altri fenomeni reattivi determinati dalla tubercolina. È noto che nel 1890 il Koch (1) lanciò | annuncio di una sua grande scoperta, e cioè che una sostanza preparata mediante estratti in glicerina dei prodotti attivi delle culture pure di bacilli tubercolari, possedeva la proprietà di scoprire, mediante fenomeni di reazione, la presenza nel corpo umano di centri tubercolari, e di curare poi radicalmente la terribile malattia. Tale sostanza, che in seguito si chiamò #udercolina, non corri- spose al secondo e più importante degli scopi preconizzati dal Koch, quello cioé di guarire la tubercolosi, mentre rimase nella pratica quale mezzo molto utile per la diagnosi. A quest’ ultimo fine l’ uso della tuber- colina si estese grandemente presso i veterinari, i quali se ne servono come d’ un criterio di sommo valore per giudicare se un animale è affetto o no da tubercolosi. Nell’ uomo la tubercolina è bensi usata, ma meno di frequente, perchè noi possediamo non pochi mezzi, che mancano ai vete- rinari, per ammettere con probabilità più o meno grande, anzi talvolta con certezza assoluta l’ esistenza della suddetta infermità. Io non intendo diffondermi nella parte storica e bibliografica dell’ ar- gomento ; perciò non parlerò di risultati ottenuti all’ estero mediante l’ uso della tubercolina a scopo diagnostico, i quali del resto ognuno può trovare riportati nei periodici di medicina. Per quanto spetta all’ Italia, il Mara- (1) Koch R. — Weitere Mittheilungen iber ein Heilmittel gegen Tuberculose. Deutsche med. Wochenschr. Berlin. 1890. 13 Nov. N. 46. A. pag. 1029. — 404 — gliano, al quale dobbiamo notevoli e larghi studi sulla patologia e sulla terapia della tubevcolosi, ricorda spesso ne’ suoi scritti di usare la tuber- colina ed insiste molto intorno alla sua utilità (1): la stessa cosa si legge nelle numerose pubblicazioni de’ suoi allievi. Da ciò risulta come questo. mezzo d’indagine venga adoperato abitualmente nella Clinica medica di Genova diretta appunto dal Maragliano. Nelle memorie dei direttori delle altre cliniche, dei loro assistenti ed in generale dei medici italiani, s'incontra bensi indicato l’ uso della tuber- colina al fine sopra indicato, ma non molto di frequente: il che signi- fica o che realmente poco la si adopera o che i risultati che può dare non si rendono di pubblica ragione (2). E siccome nell’ Ospedale Maggiore di. Bologna io mi sono servito della tubercolina per circa sei anni in parec- chie centinaia di casì, cosi stimo opportuno rendere noti i risultati ottenuti affinché i colleghi si decidano ad adottarla. Nelle mie ricerche io adoperai la #ubercolina del Koch, così detta vecchia (3): con essa sì preparano soluzioni in acqua distillata e steriliz- zata, a cui va aggiunto acido fenico nella proporzione del 5 per 1000. E sic- come questa sostanza si può alterare con facilità, cosi sarà bene mantenere le soluzioni in luogo fresco e rinnovarle di frequente ; il che può farsi senza ritegno, essendo assai mite il suo prezzo commerciale. Dopo molti esperi- (1) Maragliano E. — Tubercolosi latente e Tubercolosi larvata. La Riforma medica 1896. 20 Aprile Vol. II. N. 16, pag. 181. Id. — Compiti nuovissimi della società verso la difesa della tubercolosi. Gaz. degli ospedali e- delle cliniche. Milano 1899. 14 Maggio, N. 58, pag. 617. In una Rivista pubblicata nella Gaz. degli ospedali e delle cliniche 1899. 9 Aprile N. 43, pag. 451 così scrive « saggio così innocuo, se bene praticato, così prezioso che è la reazione alle minime dost di tebercolina ». (2) Io non posso dare le citazioni delle Memorie, delle note, dei rendiconti clinici, nei quali si ricorda Tuso della tubercolina a scopo diagnostico; mi limiterò ad indicare due lavori, usciti in luce dopo che io aveva già letta la presente memoria all’Accademia, nei quali si parla della tubercolina. Uno è quello del Bozzolo, clinico a Torino, il quale così scrive. « La tubercolina è un reagente: sensibilissimo della tubercolosi, talechè quando la iniezione di essa è seguita da reazione generale e locale si può quasi con sicurezza concludere alla presenza di tubercolosi. » Egli però teme dalla inie- zione di tale sostanza alcuni pericoli e cioè che possa provocare la diffusione del processo morboso e trasformare una forma lenta in una acuta; perciò egli vi ricorre solo in circostanze eccezionali. - Bozzolo G. Sulla diagnosi precoce di tubercolosi. Rivista critica di clinica medica. Firenze 1901. 22 Giugno, N. 25, pag. 453. Il Boeri espone d’avere usata nella Clinica medica di Napoli diretta dal Prof. De-Renzi la tubercolina preparata nell’ Istituto del Prof. Maragliano e di averla trovata superiore in efficacia. alle altre tubercoline. Egli pure si pronuncia in senso favorevole alla sua utilità per chiarire la dia- gnosi; però dal contesto della breve comunicazione, non sembra l'abbia adoperata in un grande, numero di casi. - Boeri G. Sul?’ impiego della tubercolina a scopo diagnostico. La nuova Rivista clinico-terapeutica. Napoli 1901, Giugno, N. 6, pag. 295. (3) Da principio usai la tubercolina mandata dalla Direzione generale della Sanità dello Stato, presso il Ministero dell’ Interno a Roma; in seguito, soppresso tale Ufficio, io mi servii di quella. preparata nella fabbrica Meister, Lucius e Brihning di Héchst, presso Francoforte sul Meno, il depo- sito della quale è tenuto in Italia da Kayser e Bauer a Milano. — 405 — menti con dosi diverse di tubercolina, io ho visto che per la pratica pos- sono bastare le seguenti tre soluzioni. Una prima soluzione sarà fatta in modo che ogni schizzetto del Pravaz contenga 2 milligrammi di tuber- colina; nella seconda soluzione uno schizzetto conterrà 5 milligrammi; nella terza soluzione ne conterrà 10. Anzì, per maggiore semplicità, io ho finito per far preparare una soluzione unica di 5 milligrammi per ogni schiz- zetto; così un mezzo schizzetto un po’ scarso equivarrà a 2 milligrammi uno schizzetio intero a 5 milligrammi; due schizzetti a 10 milligrammi. Il metodo tenuto da me per esperimentare la reazione é il seguente. In generale comincio coll’ iniettare due milligrammi, massimamente se si tratta di giovinetti, di donne e di individui deboli. Se non si ha reazione, io inietto dopo qualche giorno 5 milligrammi ; qualche volta negli uomini adulti e robusti ho principiato direttamente con 5 milligrammi. Dato che anche ì 5 milligrammi non dieno risultato, io passo all’ iniezione più forte di 10 milligrammi. Ma nel massimo numero dei casi questa dose non é necessaria, poiché l’ esperienza mi ha mostrato che se un malato non reagisce a 5 milligrammi difficilmente reagirà anche a 10: almeno tale é la regola la quale subisce solo rarissime eccezioni (1). Ed io non con- siglio di spingere la iniezione a dosi più alte, anche perché una sostanza pirogena come é la tubercolina a dose alta può dare febbre a qualunque persona e quindi perdere ogni valore pel fine che ci proponiamo. Le iniezioni di tubercolina si fanno in qualunque regione del corpo collo schizzetto del Pravaz, seguendo le dovute norme dell’ asepsi. Un inconveniente da me notato si è che tali iniezioni riescono dolorose: ciò é bene a sapersi, sia per non ritenere il dolore come segno di reazione, sia per avvertirne gli infermi un po’ impressionabili, i quali sì renderanno tranquilli, dicendo loro che l’ iniezione si fa una volta sola. Inoltre il medico prudente non pronuncierà, né scriverà Ia parola #«dercolina davanti ai suoi ammalati, perchè, se ignoranti, possono confondere i vocaboli e ritenere d’ aver subita un’iniezione di fudercolosi (2); se instruiti, possono cono- scere la ragione della prova esercitata sopra di loro e, dato che riesca positiva, restarne poi terribilmente impressionati. Come si manifesta la reazione? Si manifesta con elevazione di tempe- (2) Da tutte le pubblicazioni italiane e straniere, nelle quali si parla dell uso della tubercolina a scopo diagnostico, risulta che in generale si usano le dosi di 1, 2,3 milligrammi per ogni iniezione. In caso che questa dose non corrisponda si passa a 5, poi a 10. Per lo più tutti si fermano a questo punto; il Maragliano (Mem. cit.) arriva fino alla dose di 25 milligrammi. (3) Nei primi tempi, nei quali io esperimentava la tubercolina entrò in Ospedale un giovane di famiglia civile ed abbastanza istruito. Avendo letta la prescrizione da me fatta di 2 milligrammi di tubercolina, egli non solo si rifiutò di subir l'iniezione, ma spaventato volle uscire dall’ Ospedale, dicendo che gli si voleva iniettare la tubercolosi. — 406 — ratura quale fenomeno fondamentale, e talvolta anche con altri segni, come dirò particolarmente in appresso. Perciò nel soggetto da ricercarsi converrà. misurare la temperatura per un giorno o due giorni di seguito regolar- mente ogni due od ogni quattro ore. Da questa misura anticipata può scaturire un fatto meritevole di essere tenuto in gran conto, cioé che, mentre il malato non accusava alcun sintoma febbrile, e presentava per- fino temperature normali alle misure ordinarie del mattino e della sera, invece l’ applicazione del termometro ogni 4 ore mostra manifeste ele- vazioni termiche p. e a 37°,8, 38° per lo più nelle prime ore della notte, talvolta anche di breve durata. Queste elevazioni, per cosi dire, inaspet- tate, secondo me, hanno molto valore per ammettere una tubercolosi : esse rappresenterebbero lo stato cosi detto subfebbrile rilevato dallo Strùm- pel] (1) nel periodo incipiente della malattia. L’ esperienza di parecchi anni non mi ha mostrato che poche eccezioni a questa regola; per cui il medico, col misurare semplicemente la temperatura, anche senza iniet- tare la tubercolina, se trova le indicate elevazioni, possederà un dato non sicuro, ma di moltissimo peso per ritenere il suo malato tubercoloso. Ammettiamo che le temperature misurate, per esempio, per due giorni di seguito ogni quattro ore, risultino perfettamente normali: allora si fa. l'iniezione e si continua nella misura alle medesime ore, per un giorno o meglio ancora per due o tre giorni. Se la temperatura continua a mante- nersi normale come prima, vuol dire che manca la reazione; se per con- trario si eleva, vuol dire che la reazione è avvenuta. La febbre reattiva della tubercolina mostra grandi varietà da un caso all’ altro. Più comunemente otto o nove ore circa dopo l’iniezione la tem- peratura si alza, tocca l’ acme con rapidità, poi discende gradatamente, impiegando presso a poco dodici ore per ritornare alla norma. I fenomeni, che accompagnano la febbre alle volte sono piuttosto gravi, alle volte lievi ed alle volte mancano affatto. Dalle mie ricerche risulta che un buon terzo degli infermi, anche con temperatura molto alta, non accusò alcun disturbo. Se io chiedevo loro anche ripetutamente che cosa. avessero sentito, otteneva da tutti la medesima risposta: non mi sono sentito nulla, sono stato come gli altri giorni. Dei sintomi febbrili, più costante si é mostrato il dolore di capo, un po’ più raro il brivido, ordi- nariamente di breve durata e quasi mai ripetuto, più di rado ancora il senso generale di malessere, di caldo e di smania. Nei casi di reazione più forte, insieme all’ intensa cefalea ed all’ agitazione, insorse nausea e: (1) Strimpell A.— Ueder das Fieber bei der Lungentuberculose und seine prognostische Bedeu- tung. Minchener med. Wochenschrift. 1892. N. 50, pag. 905. — 407 — perfino vomito. Varie volte il cessare della febbre si accompagnò a sudore, il quale fenomeno fu notato in un quinto circa dei miei ammalati. Oltre a questi sintomi prodotti direttamente dalla febbre, debbo ricor- darne altri, i quali dipendono da reazioni locali e perciò riescono molto importanti. Siccome le iniezioni di tubercolina si eseguivano massima- mente in ammalati dell’ apparecchio respiratorio, cosi alle modificazioni della tosse e dell’ espettorato si doveva prestare la maggiore attenzione. Dalle mie osservazioni é risultato che appena in una metà dei casi nel periodo della reazione si destò più insistente la tosse e si fece più abbon- dante 1’ escreato ; laddove |’ altra metà non presentò sotto. tale rapporto variazioni apprezzabili. La stessa proporzione presso a poco si mantenne ri- spetto alla esacerbazione dei dolori in quegli infermi, nei quali esistevano lesioni circoscritte in qualche parte del corpo, p. e. nelle ossa. Perciò, se dopo l'iniezione si verificano anche queste esacerbazioni polmonari od in genere locali, avremo un argomento di più, per ammettere l’ esito positivo della reazione; ma, anche senza ciò, la febbre da sola rimarra sempre il segno: più sicuro dell’ avvenuta reazione. Io già dissi come la febbre determinata dalla tubercolina manifesti molta varietà nei caratteri e nell’ andamento. Infatti in parecchi casi l’ innalza- mento termico anticipò, avvenne cioé cinque, sei, sette ore dopo l’ inie- zione; in tre casi ebbe luogo dopo quattro ore; in un caso dopo due ore ed in un caso dopo poco più di un’ ora. Quanto ai ritardi, questi si verifica- rono presso a poco nella stessa proporzione degli anticipi; e la febbre si accese talvolta dopo dieci, dodici e perfino sedici ore dall’ avvenuta inie- zione. Ma non mancarono ritardi anche più notevoli, ed io ho segnato un caso, in cui la febbre cominciò ventiquattro ore dopo ed un altro, in cui principiò dopo ventotto ore. La possibilità di questi ritardi non si dovrà mai dimenticare; e se la reazione non comparisce al tempo ordinario, seguite- remo a misurare la temperatura per tutto il giorno successivo, perché ecce- zionalmente potremmo trovarci di fronte ad un caso d’ elevazione ritardata. Grandi varietà si notano nel grado, a cui può giungere la febbre, poiché da un minimo di 38°,5 si va fino ad un massimo di 40°. Ma anche qui abbiamo alcune eccezioni. Qualche volta il grado suddetto venne oltre- passato; anzi la temperatura più alta notata in un solo caso fu di 40°, 5. Un po’ più frequenti furono le elevazioni leggiere, cioè sui 38° 0 poco sopra. IL’ innalzamento minimo da me osservato fu di 37°,6, e senza dubbio doveva attribuirsi alla tubercolina, perché si verificò in una donna con temperatura sempre inferiore a 37°, affetta sicuramente da tubercolosi ossea; si accompagnò a fenomeni generali di smania e di malessere, non che a sensibilissimo accrescimento del dolore nell’ osso malato. La discesa della temperatura, la quale suole effettuarsi in circa dodici Serie V. — Tomo IX. I (dii — 408 — ore, talvolta impiegò meno tempo e si fece in otto ore, in sei ore, ed in un caso perfino in quattro. Non molto rari furono i casi, nei quali il ritorno alla norma avvenne dopo quattordici, sedici, venti e perfino ven- tiquattro ore. Anzi a proposito del ritorno alla norma, io ho visto in alcuni infermi prima apiretici, elevarsi notevolmente la temperatura dopo linie- zione, poi abbassarsi, poi tornare di nuovo ad innalzarsi, mantenendosi elevata perfino tre o quattro giorni di seguito dopo i quali soltanto si veri- ficava l’ apiressia. In qualche caso accadde un fatto anche più singolare: dopo l’ iniezione si ebbe elevazione termica all’ epoca ordinaria, poi ritorno alla norma, poi nuova elevazione minore della prima, quasi esattamente ventiquattro ore dopo, senza che venisse eseguita una nuova iniezione di tubercolina o d’ altra sostanza. capace d’ innalzare la temperatura. La reazione generale suddescritta in qualche caso sì manifestò, come dissi, con sintomi piuttosto gravi; ma ciò avvenne solo rarissime volte, rispetto al grande numero di malati sui quali sperimentai. In tutti i casi i fenomeni della tubercolina lievi o gravi che fossero durarono breve tempo, e dopo un giorno, un giorno e mezzo di regola tutti gli infermi tornarono nelle identiche condizioni di prima. Ciò valga a mettere tranquilli coloro, i quali temono dalla tubercolina o gravi danni all’ organismo, o il riaccen- dersi in modo permanente di processi locali quasi spenti, o soprattutto il diffondersi dei bacilli del Koch nel sangue ed il formarsi quindi di nuovi centri tubercolari. Io posso assicurare che nei miei ammalati non sì veri- ficò mai alcuno dei fenomeni sopra indicati. Ad ogni modo, volendo essere prudenti, una volta ottenuta la reazione positiva sarà bene non ripetere, e la prova od almeno aspettare molto tempo ; inoltre converrà usare dosi piccole, che sono le più dimostrative, e non superare i 10 milligrammi. Fin qui sì è sempre supposto di avere a che fare con individui senza febbre. Ma la prova colla tubercolina potrà riescire utile anche in malati con temperatura elevata? Da quanto osservai, io posso dire che, se la temperatura misurata più giorni di seguito si trova molto alta e presso a poco sempre allo stesso grado, l’ iniezione di tubercolina non fornirà gran lume. Infatti in tutti gli infermi con temperatura elevata e continua o non si ebbero cambiamenti, oppure si ebbero così lievi, da non poterli attri- buire alla tubercolina; per la qual cosa io ritengo che in queste condi- zioni riesca inutile sperimentare la reazione. Se la temperatura non sale molto alta, di più se presenta notevoli remittenze ed anche vere intermittenze, la reazione per mezzo della tuber- colina si potrà ottenere in maniera più o meno manifesta. Siccome in questi casi l’ innalzamento termico suole avvenire alla sera od alla notte e I’ abbassamento al mattino, cosi da prima io praticava, come di consueto, l’ iniezione nelle ore mattutine; se alla sera io vedeva = MA la temperatura elevarsi di un grado e mezzo od anche di due gradi sopra quella dei giorni precedenti alla medesima ora, io attribuiva |’ innalza- mento alla tubercolina. In seguito modificai la prova in modo che riescisse più chiara. Invece che al mattino, io eseguiva l’ iniezione di tubercolina alla sera od alla notte, e precisamente appena la temperatura di elevata si riduceva alla norma. Se, trascorse otto o nove ore che corrisponde- vano al mattino successivo, io verificava una manifesta elevazione a con- fronto delle temperature normali delle mattine precedenti, io aveva tutte le ragioni per farla dipendere dalla tubercolina e giudicare positivo il risul- tato della reazione. Se poi insorgevano anche sintomi di reazioni locali p. e. aumento della tosse o dell’ escreato, si aveva una conferma che |’ innalza- mento termico mattutino dipendeva realmente dalla tubercolina (1). Come gia dissi, nelle mie ricerche io feci uso della {udercolina vecchia; ma appena il Koch mise fuori la sua {udercolina nuova (2), io volli spe- rimentarla e trovai che produceva reazione al pari dell’ altra. Se non che, dovendosi usare a dosi straordinariamente piccole, cioé !,, di milligrammo, riesce poco commoda a prepararsi e quindi non applicabile alla pratica; perciò dopo breve tempo la lasciai da parte e tornai alla vecchia. Io volli sperimentare ancora la soluzione di siero artificiale a confronto colla tubercolina. L’ uso di tale soluzione sì deve prima all’ Hutinel (3) e poscia al Sirot (4) che la propose nel 1897 e la sostenne poi al Con- gresso per lo studio della Tubercolosi tenutosi a Parigi nel 1898 (5), giu- dicandola. eguale per gli effetti alla tubercolina e scevra dai pericoli di questa. In parecchi infermi, nei quali la tubercolina aveva data sicura reazione, io iniettai 20 cent. cubici di soluzione di siero artificiale ed in generale non ottenni alcun effetto; soltanto in pochi casi ebbi elevazioni termiche appena manifeste e molto più lievi di quelle date dalla tuberco- lina. Per la qual cosa io penso che la soluzione di siero artificiale non possa sostituire la tubercolina e non sia da consigliare nella pratica. (1) Non avendo potuto leggere tutti i lavori pubblicati intorno alla tubercolina, non posso dire se la modificazione da me portata rispetto all’ ora dell’ iniezione sia stata praticata anche da altri. (2) Koch R. — Ueber neue Tuberkulin-priparate. Deutsche med. Wochenschrift. Berlin 1897 1 Aprile, N. 14, pag. 205. (3) Hutinel — Societé médicale des hòpitaux de Paris. Sed. 15 Marzo 1895. Gaz. des hòpitaux 19 Marzo, N. 34, pag. 331. (4) Sirot O. — Diagnostie precoce de la tuberculose. Gaz. des hòpitaux 1897. 18 Nov. N. 132, pag. 1233. Dice che lo siero artificiale alle dose di 20 c.c. produce la reazione febbrile dopo nove ore e può servire per la diagnosi come la tubercolina. (5) Rendic. del Congresso: Le Progrés médical. Paris 1898. 2° Sem. 13 Agosto, N. 33, pag. 106. — 410 — CAPITOLO II. Del valore diagnostico della reazione provocata dalla tubercolina. Volendo stabilire il valore della tubercolina e la sua utilità a scopo diagnostico, é bene considerare separatamente i due opposti risultati che si possono ottenere dopo la sua iniezione, cioé i positivi ed ì negativi. Io studiai con cura i casi, in cui la reazione riesci positiva, tenni dietro al loro andamento e, dove fu possibile, agli esiti e mi persuasi che nella grandissima maggioranza si trattava realmente di tubercolosi. Come ecce- zione, io vidi alcuni convalescenti da gravi malattie reagire alla tuberco- lina, mentre in loro tutto portava ad escludere la tubercolosi. Massima- mente io tentai la prova in parecchi infermi di tifo addominale nei primi giorni in cui la temperatura erasi ridotta alla norma: ebbene non di rado ottenni reazione debole, ma positiva. I convalescenti di tifo si trovano in condizione tale, per cui cagioni anche lievissime fanno accrescere la loro temperatura; la tubercolina agirebbe come una di tali cagioni, senza indi- care affatto tubercolosi. Si scrisse che alla tubercolina potevano reagire anche malati di sifilide, di lebbra, d’ actinomicosi : io non posso dire nulla in proposito, non avendo avuto occasione d’esperimentarla in queste malattie. Nel grande numero d’infermi in cui trovai la reazione positiva, non mancarono quelli, nei quali sì rimase nell’ incertezza circa dalla natura dell’ affezione. Cosi in ragazze entrate in Ospedale con cloro-anemia tal- volta si ottenne reazione chiaramente positiva: in alcune di queste gli esami diligenti e ripetuti e |’ andamento successivo mostrarono che sotto l'apparenza anemica si nascondeva una tubercolosi circoscritta; in altre ciò non si poté verificare con sicurezza. Perciò io ritengo che rimanga ancora a chiarirsi questo punto, cioé se la reazione positiva possa esser data anche dalla cloro-anemia, oppure se detta reazione indichi sempre una tubercolosi che si nasconde sotto la maschera di uno stato anemico. Nell’ argomento della reazione positiva io debbo ricordare una circo- stanza, sulla quale richiamarono già l’ attenzione coloro che s’ occuparono della tubercolina, ma che é bene non venga mai dimenticata. Può accadere che richiegga la vostra cura un ammalato con lesioni appariscenti in un dato viscere: voi dubitate di tubercolosi ed esperimentate la reazione, la quale vi riesce decisamente positiva. In questo caso può darsi che la ma- lattia della quale volevate rischiarare la diagnosi non sia una tubercolosi, ma che la reazione sia stata prodotta da un centro tubercolare anche limi- tatissimo, che esisteva nel corpo del soggetto e che non dava segno di sé. Un esempio molto evidente valga a dimostrare quanto dico. — dli — Un uomo d’ anni 41 entrò in Ospedale il 9 Settembre 1900, presen- tando alla regione epigastrica una durezza piuttosto estesa in senso tras- ‘versale, che io giudicai data da un carcinoma dello stomaco con sede nella grande curvatura. Ma siccome io non era del tutto sicuro circa alla «diagnosi, cosi volli tentare anche la prova colla tubercolina, la quale riesci «decisamente positiva, poiché dopo 16 ore la temperatura si elevò, toccando «come massimo il 39°, senza che il soggetto avvertisse la minima sensazione molesta, poì discese alla norma come era prima dell’ iniezione. L'andamento della malattia tolse poscia ogni dubbio intorno alla dia- gnosi di carcinoma. Venuto l’ infermo a morte il 5 Febbraio 1901, si veri- ficò alla necroscopia che tutta la parete dello stomaco era molto ingros- sata e trasmutata in una sostanza dura, e lardacea (cancro infiltrato dello sstomaco). Inoltre nel lobo superiore del polmone destro si videro sparse poche granulazioni tubercolari grigie e gialle, alcune anche rammollite, le quali raggiungevano al massimo il volume di un pisello. Rileggendo allora la storia dell’ infermo, come venne raccolta appena ‘entrò in Ospedale, si trovò che nel gennaio 1900, egli sofferse d’influenza, seguita (egli diceva) da bronchite, e che nei mesi successivi di tanto in tanto veniva tormentato da un po’ di tosse. A questa tosse egli dava poca importanza, come poca ne fu data da me e da altri medici, che ebbero occasione di visitarlo preoccupati massimamente della malattia dello sto- maco, la quale cominciò a manifestarsi soltanto nel Luglio 1900. Questo caso conferma che la reazione positiva indica |’ esistenza d’ un ‘centro tubercolare, mentre la malattia principale che richiamava |’ atten- zione del medico era d’ altra natura. Esso mostra anche come si possa avere una reazione spiccata da lesioni tubercolari limitatissime alle quali ron solo il malato, ma nemmeno il medico prestava attenzione. Adunque, tenuto calcolo della grandissima maggioranza dei risultati in senso affermativo, di quelli che fanno eccezione e dei pochi incerti, io ritengo che in massima la reazione positiva abbia un valore molto grande per ammettere una tubercolosi. E le affezioni, nelle quali massimamente la reazione mi servi per stabilire la diagnosi di tubercolosi furono le seguenti: emoptoe semplice senz’ altri sintomi; lesioni circoscritte ad un apice con poca o punta tosse, senz’ escreato ; lesioni abbastanza manifeste, in cui mancò il reperto positivo del bacillo del Kock nell’ espettorato ; affe- zioni lente degli organi addominali, soprattutto delle glandole linfatiche; infiammazioni aeute dell’ apparato respiratorio (bronchiti, pneumoniti) che non risolvevano ; lesioni del periostio e delle ossa di lunga durata; cloro- anemie con qualche indizio personale od ereditario di tubercolosi. In questi casì, che al primo momento dell’ osservazione potevano riescire incerti, avendo dalla reazione ottenuto un risultato positivo, io ammisi la natura — di? — tubercolare; la qual cosa venne poi del tutto assicurata dall’ andamento successivo e talvolta anche dall’ esito letale. Però non bisogna dimenticare che se la reazione positiva molto ci illu- mina per la diagnosi di natura, non vale altrettanto per ciò che si rife- risce all’ estensione, alla durata, all'andamento, ed in genere al carattere mite o grave dell’ affezione. Con lesioni molto limitate non di rado si vedono reazioni fortissime ed anche gravi, mentre lesioni estese possono dare lieve reazione ed anche in qualche caso non darla affatto, come dirò più avanti. Forse può illuminare intorno alla terapia, nel senso che dato il caso d’un infermo, il quale dopo una determinata cura, migliori al punto da sembrare guarito, se ciò non ostante reagisce ancora alla tubercolina, vuol dire che si tratterà soltanto di miglioramento e non di vera guarigione. Passiamo ora a considerare il risultato opposto, cioè il negativo. Praticando, come dissi, la prova all’ entrare dei malati in Ospedale, ogni volta che questa riesci negativa, l’andamento seguito anche per molto tempo, e l’ esito mostrarono che non si trattava di tubercolosi; e talora l’ iniezione venne ripetuta più d’una volta. Ma non mancarono i casì in- certi ed anche quelli, che con tubercolosi sicurissima non diedero reazione. Dei casi incerti, alcuni lo furono rispetto alla reazione, per la quale il risultato negativo non riesci perfettamente decisivo ; altri perché gli infermi uscirono presto dall’ ospedale e si osservarono per un tempo breve ; altri finalmente riguardavano la natura deila lesione e furono pochissimi. Il più notevole sì riferisce ad una donna di 36 anni, la quale entrò in Ospedale con tosse ed escreato catarrale, lieve febbre e deperimento; il tutto sopraggiunto dopo l'influenza. Ella non presentava nulla dal lato ereditario, visse sempre sana, né si trovò a contatto con malati di petto. L'esame dello sputo riesci negativo rispetto al bacillo del Koch, ed anche la reazione colla tubercolina ripetuta più d’ una volta fino a 10 milligr. riusci costantemente negativa. La febbre subito cessò; i segni locali si dileguarono e la donna riacquistò la nutrizione e le forze in modo che dopo un mese circa usci dall’ Ospedale, coll’ apparenza di perfetta salute. Dopo due mesi la stessa donna tornò di nuovo, perché aveva tosse, massime al mattino, inappetenza, debolezza, incapacità al lavoro, e talvolta qualche po’ di febbre. Come fatti fisici ella presentava rantoli minuti, pre- valentemente inspiratorii nella fossa sopra-scapolare destra. Col riposo, la temperatura si ridusse alla norma ed allora la prova colla tubercolina riesci decisamente positiva (temp. 38°, 3, male di capo, malessere generale), mentre nelio sputo chiaramente si rinvenne il bacillo del Koch. Ella poi andò migliorando e poté escire dall’ Ospedale in discrete condizioni. In questo caso poteva darsi che la tubercolosi esistesse già la prima volta, in cui la donna venne osservata, mentre la reazione riesci negativa; — 413 — ma. d’altra parte, allora poteva avere soltanto un catarro da influenza predi- sponente all’ infezione tubercolare, la quale si sarebbe sviluppata più tardi, cioé dopo che la donna usci dall’Ospedale la prima volta. Colla prima suppo- sizione la tubercolina avrebbe fallito del tutto ; colla seconda invece avrebbe mostrato chiaramente il suo grande valore ; ma siccome non si può decidere quale delle due ipotesi sia la vera, così il caso si deve collocare fra gli incerti. Quanto ai casì di tubercolosi sicurissima i quali non diedero affatto rea- zione, io ne verificai soltanto cinque e tutti con alterazioni polmonari molto estese. Si comprende come io non possa portarne un numero grande, essendoché nello stadio avanzato del male pressocché tutti i tisici sono febbricitanti ed anche perché non é prudente in persone malatissime ten- una prova, che già sappiamo non necessaria per la conoscenza della loro infermità. Ad ogni modo anche pochi casì soltanto bastano a mostrare chiaramente come la tubercolosi avanzatissima possa non dare reazione. Questo fatto in apparenza inconcepibile,gia notato dai veterinari e mas- simamente dal Nocard (1), venne messo in luce nell'uomo dal Grasset e dal Vedel (2) e poscia generalmente confermato. Esso si interpreta coll’ ammettere che nella tubercolosi avanzata | organismo dell’uomo sia gia saturo di veleni tubercolari, e quindi non risenta più l’azione della tubercolina, la quale non é che un estratto in glicerina da tali veleni. Del resto davanti ad infermi con vaste distruzioni polmonari la prova colla tubercolina riescirebbe inutile, poiché in quello stadio ultimo della ma- lattia la diagnosi non lascia il minimo dubbio. Molti e caratteristici furono i casi, nei quali il risultato negativo della reazione condusse ad escludere la tubercolosi. Fra tutti ricorderò quello d’una donna di 33 anni gracile, denutrita, con tosse secca e, si diceva, anche con febbre vespertina, la quale da oltre tre mesi veniva tenuta a letto perché ritenuta tisica: la famiglia anzi cercò di collocarla in Ospe- dale più per allontanarla dagli altri di casa, di quello che colla speranza di guarigione. L’ esame del torace non fece rilevare lesioni, la febbre in Ospedale non si verificò, e la reazione colla tubercolina, prima con 2 milligr. poi con 5, poi con 10 riesci affatto negativa. Mediante una cura ricostituente ella si rimise bene, e sode ancora di buona salute, quantunque viva in condizioni ben tristi per mancanza di mezzi di sussistenza. Analoghi a questo si ebbero altri casi di persone con catarri delle vie respiratorie, a volte anche protratti e con apparenza di tubercolosi, le quali (1) Nocard M. — Valeur diagnostique de la tuberculine. Bulletin de la Societè centrale de médecine vétérinaire. Paris, 1892. Seduta 22 Dic. pag. 774. (2) Grasset e Vedel — Du diagnostie precoce de la tuberculose humaine par les faibles dose de tuberculine. Bulletin de ’Académie de médecine de Paris, 1896. Sed. 25 Febbraio, pag. 174. Grassete Vedel — Diagnostie precoce de la tuberculose humaine avec faibles doses de tubereuline. Congrès Francais de Médecine (V Session, Lille 1899). Gaz. des hOpit. Paris 1899, 19 ag. N. 93, pag. 863. — dl4 -- io ritenni non affette da questa malattia, massimamente per la reazione negativa nella tubercolina, come confermò poi la guarigione duratura. Lo. stesso criterio mi servi per ammettere la natura neoplastica (linfo-sarcomi)» di certi ingrossamenti delle glandole linfatiche di apparenza talora tuber- colare. Ed in generale in parecchie forme di dubbia natura e d’ anda— mento lento, mi giovai molto del criterio della mancata reazione per escludere la tubercolosi. Cosi in due casi di mono-artrite lenta del ginoc- chio io non ottenni affatto reazione: ebbene si trattava di artrite blenon- ragica e non tubercolare, come un primo esame, avrebbe potuto far credere. Per uitimo ricorderò due casi di non poca importanza. In uno si trat- tava d’un uomo già operato con doppia castrazione, sì diceva, per tuben- colosi; nell’ altro d’ una donna pure operata d’ esportazione degli annessi uterini, come sembrava, per malattia, della stessa natura : in entrambi la, prova della reazione riesci negativa. Ciò valse non solo a far ritenere di natura non tubercolare la nuova affezione, per cui ricorrevano all’ Ospedale, ma anche per escludere nel loro ‘corpo l’esistenza di centri tubercolari.. Ciò anzi mi suggerisce l’idea della seguente proposta, che io mi per— metto di sottoporre ai chirurghi. Dopo avere eseguito |’ esportazione di qualche organo affetto da tubercolosi ed ottenuta la guarigione dell’ atto operativo, pratichino un’ iniezione di tubercolina: dalla reazione negativa O positiva ricaveranno un valido argomento per conoscere se vicino al luogo operato od in altra parte del corpo rimane qualche centro tubercolare. Fra le malattie nelle quali sperimentai la tubercolina non mancarono. le pleuriti; ma siccome intorno ad esse non raccolsi ancora un gran. numero d’ osservazioni, cosi mi propongo di continuare lo studio di que- sto argomento molto importante sotto molteplici rapporti. Nel dar termine a questo scritto rammenterò che ai giorni nostri. si è: accesa dappertutto una vera guerra contro la tubercolosi: perciò. riesce: necessario conoscere la malattia nelle sue forme dubbie, nello stadio ini- ziale, e fino a che si mantiene circoscritta, per provvedere come si con- viene alla cura individuale ed alla profilassi sociale. Negli Ospedali poi. dobbiamo eseguire fino da principio una diagnosi esatta del morbo, per ottemperare a quella disposizione di legge, la quale impone di separare i tubercolosi dagli altri infermi, collocandoli in sale speciali. Per raggiun- gere questo fine il medico, oltre ai criteri clinici e baeterioscopici, non. lascierà da parte la prova colla tubercolina (1), che si dovrà. considerare non come un criterio d’ assoluta certezza, ma come un. mezzo. pratica- mente di gran valore nei casì incerti e difficili. (1) Si è letto che alcuni medici americani hanno perfino proposto di sottomettere alla prova. della tubercolina coloro che intendono fare un'assicurazione sulla. vita. (La Riforma. medica..1899.. 6 Luglio, Vol. II, N. 5, pag. 60). STUDI SUL POLIMORFISMO E LA METAMORFOSI NEL GENERE “ DORYLUS, MEMORIA. DEL Prof. CARLO EMERY (Letta nella Sessione del 12 Maggio 1901). CON DUE TAVOLE I. - Variazione della forma del capo e del numero di articoli delle antenne nelle operaie, in relazione con la statura. (Tav. I, fig. 1- 5, 28-38). Ho riconosciuto nel 1894 (1) che, nel Dorylus levigatus F. Sm., il nu- mero di articoli delle antenne varia con la grandezza degl’ individui: le vperaie grandi e mezzane hanno antenne di 12 articoli, mentre, tra le piccole, si trovano individui con antenne di 11 articoli ed altri ancora più minuti, con antenne di 10 e anche, come ho visto più tardi, di 9 articoli; qualcuno presenta un numero di articoli diverso a destra e a sinistra. Perciò ho dovuto porre tra i sinonimi del D. levigatus il D. breviceps che avevo istituito sopra esemplari con antenne di 11 articoli. Credevo pertanto che questa variabilità fosse condizione eccezionale della specie, come é eccezionale il numero di 12 degli articoli delle an- tenne nella forma massima. Però, successivamente sono venuto a convin- cermi che quella é condizione generale, normale, se non in tutte, in mol- tissime specie deì genere. Infatti, l’anno scorso, ricevevo dal P. Erich Wasmann una serie di esemplari di varie grandezze del D. (Anomma) Wilverthi Emery, nella quale riscontravo condizioni consimili. Però, in questa specie, la diminu- zione di numero degli articoli delle antenne non si manifesta che in indi- vidui di statura inferiore ai 3 millimetri. Ma le minuscole operaie dalle (1) Formiche di Birmania ecc. in Ann. Mus. civico Genova, vol. 34, p. 453. Serie V. — Tomo IX. o — 416 — antenne di 8-9 articoli ricordano la formica che descrissi nel 1881 (1) col nome di A/aopone Antinorii, e della quale mi aveva colpito fin d’allora la singolare rassomiglianza con una piccola Anomma. Quella rassomi- glianza è ora per me segno d’identità specifica con la specie di Anomma che fu trovata nella medesima località dal compianto Antinori. A/aopone Antinori è la $ minima del D. (A.) nigricans var. molesta Gerst. D'altra parte, ebbi a riconoscere, anche nelle operaie del D. (RAhogmus) fimbriatus Shuck. trovate dal Dott. H. Brauns, la variazione di numero degli articoli delle antenne, in rapporto con la statura e accompagnata a modificazioni della forma del capo. Dopo queste osservazioni, ho contato gli articoli delle antenne negli esemplari. minimi di tutte le specie di Dorylus della mia collezione ed ho pregato il mio amico Prof. Foreì di esaminare quelli della sua raccolta. Ultimamente il mio materiale fu arricchito da un nuovo invio di D. fim- briatus del Dott. Brauns e dall’acquisto di una massa di esemplari del D. affinis con larve e ninfe raccolti dal signor L. Conradt. Dal complesso delle ricerche mie e del Fore!, risulta dimostrata 1° esì- stenza di operaie con numero ridotto degli articoli delle antenne nelle specie seguenti : D. (Anomma) nigricans Il., Wilverthi Emery, Gerstaeckeri Emery. D. (Dorylus) heloolus L., affinis Shuck, (brevinodosus Mayr), Braunst Emery, politus n. sp. D. (Typhlopone) fulvus Westw. D. (Dichthadia) levigatus F. Sm. D. (Rhogmus) fimbriatus Shuck. Sembrano fare eccezione alla regola le specie del sottogenere A/aopone, nelle quali le antenne sono di soli 9 articoli, anche nelle operaie massime. Del D. (Rhogmus) fuscipennis Emery si conoscono soltanto operaie mez- zane con antenne di 10 articoli. In altro recente lavoro, ho mostrato che il D. Abdeillei Er. André non appartiene a questo genere, ma è fondato sopra una femmina del genere Aenictus. La riduzione del numero di articoli delle antenne è accompagnata co- stantemente da modificazioni della forma del capo, il quale, quando quel numero è inferiore a 10, si fa più stretto in avanti. E negli stessi esem- plari, il clipeo fa sporgenza a forma di lobo triangolare, come è noto nelle piccole operaie di Anomma, anche quando hanno il numero di articoli normale. (1) Spedizione italiana nell’Africa equatoriale; Formiche, ibid. vol. 16, p. 275. — 4l7 — Il rapporto fra statura, numero degli articoli delle antenne, forma del capo e sporgenza del clipeo presenta, nelle singole specie, delle differenze che indicano qualche diversità nelle leggi di variazione proprie di ciascuna forma specifica. Per la scarsezza del materiale che ho d’innanzi, limiterò la descrizione della variabilità alle 4 specie seguenti, delle quali ho potuto radunare serie più complete. D. (Anomma) Wilverthi (fig. 23-25). 13 mm. Dimensione massima \ 10 mm. Dente subapicale delle mandi- Î Capo più largo innanzi bole ben sviluppato ) che dietro. Antenne di 6-35 mm. Clipeo sensibilmente spor- 11 articoli. gente è mm. Antenne di 9 articoli CAO PIL SAMO EA 24 mm. Antenne di 8 articoli. ORE CID OSO SPO gente. In questa specie, il passaggio dal soldato massime alla operaia pigmea è più graduale che nelle altre, almeno per quanto si può giudicare dallo scarso materiale che ho a mia disposizione; la modificazione della forma del clipeo è quasi compiuta in esemplari aventi ancora antenne di 11 arti- coli. Non ho veduto esemplari con antenne di 10 articoli. In quelli con 9 e con $ articoli (ne ebbi uno solo per sorta) il capo si mostra successivamente più stretto anteriormente e il elipeo più acuto. Le antenne sono assolutamente e relativamente più corte e più grosse che negli esemplari con articoli di 11 articoli. D. (Dorylus) affinis (fig. 1-6). 11 mm. Dimensione massima. - Capo enorme, lungo 3,7 mm. 7 mm. Dente subapicale delle mandibole ) Antenne di 11 articoli. sviluppato 2,4 mm. Clipeo sensibilmente sporgente 2,5 mm. Antenne di 10 articoli, capo come nei precedenti, più largo d’innanzi che di dietro, clipeo alquanto sporgente (un solo esemplare). 2,4 mm. Antenne di 10 articoli, capo non più largo d’innanzi che di dietro, 2,2 mm. Antenne di 9 articoli. Capo distintamente ristretto anterior- mente. Clipeo sporgente. 2-1,7 mm. Antenne di 8 o di 7 articoli. Capo più stretto e clipeo più sporgente : forma minima. Le operaie massime del D. affinis che possono bene essere chiamate « soldati » hanno una testa veramente enorme. Discendendo fino ad esem- — 418 — plari di 2,59 mm., il numero degli articoli delle antenne non cangia, men- tre la forma del capo si modifica insensibilmente. Da prima si fa relati- vamente più corto, diminuendo la sua lunghezza più che la sua larghezza; poi la iarghezza diminuisce a sua volta più che la lunghezza e perciò apparisce più aliungato e stretto nei minimi esemplari. Con quest’ ultima modificazione, le lamine frontali si avvicinano fra loro e perdono il dente o spina di cui sono armati negli esemplari grandi e mezzani; il clipeo diviene un poco sporgente in forma di lobo ritondato. Gli esemplari con antenne di 10 articoli (fig. 4) sono rari, e in essi il capo si fa ancora più stretto, coi lati più paralleli, talvolta non più largo d’innanzi che di dietro. Il clipeo forma un lobo alquanto acuminato, le antenne sono più corte e più grosse. Con la riduzione a 9 degli articoli delle antenne si accompagna un mutamento marcato della forma del capo che si accorcia e si ristringe anteriormente (fig. 5); i suoi lati si fanno molto arcuati; il clipeo sporge maggiormente, a forma di lobo angolare. Gli esemplari di questo tipo sono rari quanto quelli con antenne di 10 articoli. Sopra alcune centinaia di operaie non ne ho trovato che due. Sono invece numerosi quelli con antenne di 8 o di 7 articoli. In questi ultimi, l’articolo 3° é quasi sempre più allungato dei seguenti e presenta spesso segni di divisione in due (fig. 6 a). Le antenne sono molto corte e grosse, il capo piglia la forma caratteristica della classe pigmea (fig. 6): é relativamente più stretto che nelle forme precedenti, coi lati appena ar- cuati e fortemente convergenti innanzi; il clipeo sporgente ad angolo. La scarsezza estrema di forme intermedie tra le operaie pigmee e le operaie ad antenne di 11 articoli fa che, nel D. affinis, quella classe assuma. il carattere di casta nettamente separata dal resto della popolazione operaia, ed avente verosimilmente una funzione a sé nell’ economia sociale. D. (Dichthadia) levigatus (fig. 26-30). 8 mm. Massimo esemplare osservato, proveniente da Singapore; antenne di 12 articoli. 45 mm. Massimo esemplare con an- tenne di 11 articoli RO 3 mm. Antenne di 10 articoli | Esemplari di Sumatra. 2,5 mm. Antenne di 9 articoli Le differenze della forma del capo sono molto meno notevoli che nelle specie precedenti; però io ritengo che il mio esemplare più piccolo non sia una forma minima. Come nel D. affinis, il soldato massimo con antenne di 12 articoli (fig. 26) differisce dagli esemplari minori, con antenne sia di 12 che di 11 — dj — articoli (fig. 27) pel capo più allungato e le lamine frontali meno ravvici- nate fra loro. La stessa forma quadrata del capo persiste nelle operaie con antenne di 10 articoli (fig. 28). Nel unico esemplare con antenne di 9 articoli (fig. 29), i lati del capo si fanno un poco più arcuati, il margine anteriore meno lungo, il clipeo alquanto sporgente; ma tutte queste diffe- renze sono molto meno marcate che nel LD. affinis e ricordano piuttosto i maggiori esemplari con antenne di 9 articoli del D. fimbriatus. Verosimil- mente esistono, anche in questa specie, operaie pigmee con antenne di 8 articoli e col capo stretto anteriormente, come in altre specie. Negli esemplari di Birmania i lati del capo sono un poco più diritti (fig. 30). D. (Rhogmus) fimbriatus (fig. 31-38). 7,5 mm. Soldato massimo. 3,9 mm. Minima dimensione con antenne di 11 articoli. 3,1-2,) mm. Antenne di 10 articoli. 3-2,6 min. Antenne di 9 articoli. 2,2-1,7 mm. Antenne di 7 o di 8 articoli. In questa specie, la variazione è molto meno regolare che nelle pre- cedenti. La forma del capo è in relazione composta con la statura e col numero di articoli delle antenne. Negli esemplari massimi, che quasi non meritano il nome di soldati (fig. 31) il capo è relativamente meno grande che negli altri Dorylus che conosco, e il dente subapicale delle mandibole sussiste. Anche qui, passando dalla forma massima alle minori con numero non ridotto di articoli delle antenne (fig. 32), il capo diventa più corto relativamente alla sua larghezza e più allargato anteriormente. Negli esemplari con antenne di 10 articoli, dei quali i maggiori sono più grandi dei minimi con antenne di 11 articoli, la forma del capo è quasi come in questi ultimi, e soltanto un poco meno larga (fig. 33, 34). Passando agli esemplari con antenne di 9 articoli, i quali sono molto rari, aleuni che sono i più piccoli (fig. 36) sono poco minori di quelli da 10 articoli ed hanno il capo fatto come in questi, appena un poco meno largo. In altri, più grandi dei primi (fig. 35), il capo assume invece dimen- sioni maggiori, è un poco ristretto d’innanzi, i suoi lati sono notevolmente arcuati e il clipeo più sporgente. Vengono infine i minimi con antenne da 7 ad 8 articoli. Il numero di articoli non è in relazione con la statura, sicché si trovano alcuni esem- plari con antenne di 7 articoli, i quali sono maggiori di altri che ne hanno 8. Negli esemplari maggiori della serie (fig. 37) (abbiano dessi antenne di 7 o di 8 articoli), il capo é poco ristretto d’innanzi e ricorda quello degli esemplari maggiori con antenne di 9 articoli, salvo che il clipeo è molto L Me più sporgente. Nei minimi (fig. 38), il capo si mostra più stretto anterior- mente ed assume una forma molto rassomigliante a quella dei minimi del D. affinis. Invece di una serie unica di forme decrescenti, dal soldato alla ope- raia minima, troviamo in questa specie quattro serie, corrispondenti agli esemplari con antenne rispettivamente di 11, 10, 9, 7-8; ciascuna serie ha i suoi esemplari massimi e minimi, per cui il polimorfismo diviene molto complicato e, in apparenza irregolare. Credo che questa condizione debba considerarsi come primitiva, rispetto a quella del D. affinis nel quale la casta minima é più nettamente limitata e le forme intermedie meno numerose. In tutte queste specie, percorrendo la serie di forme dei neutri, dalla forma massima alla minima s’incontrano due zone critiche: una supe- riore che segna il limite fra quello che può dirsi soldato e la operaia mezzana, l’altra inferiore fra questa e la operaia pigmea. Dalla prima zona in sopra, il capo diviene proporzionalmente più grande e modifica la sua forma, crescendo più in larghezza che in lunghezza nelle Anomma, più in lunghezza che in larghezza negli altri sottogeneri, mentre le man- dibole perdono (fuorché nel D. fimbriatus) il dente subapicale (1). Dall’ altra zona in giù ha luogo ancora una modificazione del capo, il quale si fa più stretto, particolarmente in avanti, mentre il clipeo si fa sporgente in forma di lobo angolare smussato, e il numero di articoli delle antenne decresce rapidamente. Delle quattro specie che ho preso ad esaminare, ho potuto, per due sole, radunare un numero sufficiente di esemplari perché il confronto delle serie possa dare risultati attendibili. Nel D. affinis la statura oscilla fra 1,7 e 11 mm.; la zona critica supe- riore può essere fissata fra 7 e 8 mm., l’inferiore fra 2,5 e 2,2. Nel D. fimbriatus, le operaie massime non meritano propriamente il nome di soldati e corrispondono piuttosto alle forme della zona critica superiore di D. affinis. La zona critica inferiore è molto larga e si estende da 3 a 2 mm. Una zona critica si riscontra similmente nella serie d’individui di altre formiche nelle quali la statura sia molto variabile. Una tal zona segna il limite oltre il quale l’aumento o la riduzione ulteriore della grandezza del (1) Nel D. (Typhlopone) fulvus, le ©) massime hanno il dente subapicale, mentre è ridotto invece il preapicale. — 421 — corpo si' collega con una modificazione nella forma di qualche parte di esso, e particolarmente del capo. Cosi sì osserva molto netta e ristretta negli Eciton a mandibole uncinate, nei quali il soldato minimo non é maggiore dell’operaia normale massima o delle forme intermedie (sempre rare) fra operaia e soldato. Cosi anche nei Cryptocerus dove si riscontra, benché di rado, in qualche specie (p. es. C. grandinosus F. Sm.), un sol- dato non più grande delle maggiori operaie. La scomparsa totale delle forme intermedie corrispondenti alla zona critica conduce al grado più perfetto del differenziamento polimorfico di caste separate, quali si riscontrano nelle Pherdole e in alcuni Camponotus. Zone critiche si manifestano pure nelle serie di individui di altri insetti a statura variabile, nei quali le differenze di grandezza del corpo sono accompagnate da modificazioni della forma di taluni organi, come p. es. fra i Coleotteri le mandibole dei maschi di molti Lucanidi e le corna e altre appendici del capo e del torace dei Lame/licorni. Queste modifica- zioni e l’esistenza delle zone critiche sono l’espressione di leggi generali o specifiche dell’accrescimento del corpo degli animali, le quali merite- rebbero di essere accuratamente studiate. II. - Le operaie del Dory/us affinis Shuck. e del Dorylus brevipen- nis Emery; descrizione di nuove specie e varietà. (Tav. I, fig. 1-22). DoRryYLUS AFFINIS Shuck 1840. Typhlopone oraniensis var. brevinodosa Mayr, 1862. Dorylus brevinodosus (Mayr) Emery, 1897, part. Il Signor L. Conradt mi ha mandato conservato in alcool il mate- riale raccolto facendo scavare a 1 m. circa di profondità un nido di Dorylus nell’isola di Fernando Poo. V’erano molte operaie di tutte le grandezze, larve e ninfe di operaie, ninfe di maschi e due maschi privi di ali e molto malconci. Questi ultimi appartengono alla specie descritta da Shuckard col nome di D. affinis. Le operaie corrispondono al D. bdrevinodosus di Mayr e alcune di esse furono dallo stesso Prof. Mayr confrontate con gli esemplari tipici della sua collezione ai quali risultarono identici per forma e scultura. D. brevinodosus è dunque sinonimo di D. affinis. Nella mia monografia del genere Dorylus, avevo già accennato come probabile questa sinonimia, ma senza averne le prove. Avevo pure riunito alla specie D. brecinodosus delle operaie a scultura più debole delle quali ora dubito che non debbano forse riferirsi a specie diverse. Ho dato sopra una descrizione sommaria delle modificazioni del capo e delle antenne in rapporto con la statura. Però è d’uopo descrivere in modo più completo e preciso le operaie di questa specie e di altre forme ad essa affini, qualcuna delle quali deve fin d’ora esserne separata, e altre dovranno esserlo forse più tardi. Prendo a base della descrizione gli esem- plari di Ferdinando Poo (fig. 1-3). Nel D. affinis, la $ raggiunge le dimensioni massime fra tutte le spe- cie del sottogenere Dorylus e le 2 massime o soldati hanno una testa enorme. Dimensioni della ® massima di Fernando Poo : Lunghezza (mandibole chiuse) 10 mm.; capo (senza le mandibole) 3,3 x 2,6 ; torace 3 mm. Un esemplare di Kamerun è ancora più grande: Lungh. circa 11 mm.; capo. 3,7 X.2,8. Il capo della 9 massima é subrettangolare, fortemente incavato poste- riormente, coi lati più o meno manifestamente bisinuati. Le mandibole, arcuate nella metà distale, terminano in punta acuta ed hanno un dente (dente preapicale) a metà del margine mediale e un rudimento talvolta indistinto di dente subapicale. Le lamine frontali sono distanti fra loro anteriormente e si ravvicinano bruscamente al disopra dell’articolazione dell’antenna, formando ciascuna una punta o piccola spina diretta obli- quamente indietro. Tutto il capo é lucido, meno le guancie che sono sot- tilmente reticolate, ed è segnato di punti sparsi, più grossi e frequenti in avanti. Il torace è in massima parte distintamente reticolato, liscio soltanto sul dorso del pronoto e del mesonoto; l’epinoto, (il cui limite verso il mesonoto è indistinto) é opaco, perché, oltre ad essere fittamente retico- lato, offre una sottoscultura microscopica nel fondo delle rughe del reti- colo. Sul torace, i punti sparsi sono più larghi e più superficiali che sul capo. Il peziolo è notevolmente più largo che lungo, i suoi lati divergono posteriormente, per un tratto quasi diritti dietro la stigma, ma s’incurvano poi fortemente in dentro all’ estremo posteriore. La scultura consiste in un reticolato più sottile di quello dell’ epinoto, con sottoscultura meno marcata, per cui la superficie è opaca vi sono alcuni punti-fossette irregolari; la faccia inferiore porta un’appendice compressa di forma variabile. Il reticolato è ancora ben marcato sul postpeziolo, il quale è alquanto lucido; esso diviene sempre meno distinto sui segmenti seguenti. Sul postpeziolo e segmenti seguenti, la punteggiatura sparsa é regolarmente disposta e porta minuti peli di pubescenza, i quali sono ancora più minuti e appena riconoscibili sul capo e sul torace. Lunghi peli ritti si vedono in piccolo numero sotto le mandibole, sul clipeo, sotto ie anche, alla faccia ventrale dell’addome e sul pigidio. I pochi peli lunghi della faccia dorsale dell’ad- dome sogliono mancare per abrasione. L'impressione del pigidio è riton- data, profonda e circondata di margine tagliente. a Passando ad esemplari più piccoli, il capo si mostra proporzionalmente meno grande, e la sua forma è gradatamente meno allungata. Nelle man- dibole, il dente subapicale é più distinto, fino ad eguagliare o quasi il preapicale, sicché la mandibola apparisce tridentata, e fra i due denti si vedono alcuni denticelli minutissimi. I peli ritti si mostrano costantemente anche alla faccia dorsale dell’addome e la pubescenza é più distinta su tutto il corpo. La scultura é più fina, ma serba anche il medesimo carat- tere fino in esemplari assai piccoli. In quelli di 3 mm. o più piccoli ancora, facendosi la scultura sempre più superficiale, il tegumento diventa lucido su tutto il corpo. Ecco le dimensioni di alcuni esemplari mezzani: Lunghezza 8. mm. Capor26 XI? » d,Ò » » IRIS Nei piccoli esemplari, da 3,59 mm. in giù, la parte mediana del mar- gine anteriore del clipeo si fa più sporgente e la forma delle lamine fron- tali è modificata: sono fra loro più ravvicinate, tanto che si fondono in- sieme posteriormente in una lamina mediana; il dente spiniforme si fa prima poco appariscente, e finalmente sparisce del tutto (esemplari di 3 mm.) Però la forma generale del capo non si modifica notevolmente, finché, con la statura ancora più minuta, il numero di articoli delle antenne non sia ridotto a 9 o meno. Come dissi sopra, il numero degli esemplari con 10 o 9 articoli alle antenne è molto piccolo, mentre sono numerosi quelli con antenne di 8. o di 7 articoli i quali costituiscono la casta minima, caratterizzata princi- palmente dal capo allungato e stretto d’innanzi, col clipeo fortemente sporgente a lobo angolare con la punta smussata. Le mandibole sono pic- cole, molto debolmente curvate; il loro margine mediale è sottilmente denticolato prima del dente preapicale e fra questo e il subapicale. Le antenne corte e grosse hanno l’articolo terminale grosso. Tutto il corpo é corto e tozzo, il peziolo relativamente più breve che nei grandi esemplari. La scultura fondamentale è quasi nulla, per cui i punti pubigeri sono più marcati; la pubescenza è molto più appariscente sul capo e sul torace. Il colore dei grandi esemplari di Fernando Poo é rosso ferrugineo, più chiaro di sotto; superiormente, il capo é più scuro del torace, questo più dell'addome e delle zampe; l'orlo anteriore del capo e le mandibole sono bruno scuro. Il colore si fa più chiaro negli esemplari minori, giallo sporco nei minimi. Serie V. — Tomo IX. 03 — 424 — Il D. affinis è tra le specie africane più diffuse. Il g' è stato raccolto sulla costa occidentale, :dal Gambia al Congo e nell’Africa orientale, nel Sudan e nella Somalia. Occupa quindi verosimilmente una larga zona tra- sversale del continente africano. » Le ® raccolte in Ogaden (Somalia) nel 2° viaggio Ruspoli differi- scono da quelle di Fernando Poo pel peziolo un poco più ritondato (fig. 10) e pel colore più scuro, nonché per la scultura un poco più debole, per cui il dorso del torace é lucido sopra una estensione maggiore, e il post- peziolo è più lucido.;Sono però differenze di poco rilievo. Le dimensioni del capo dei massimi esemplari raccolti eguagliano quasi quelle dei mas- simi di Fernando Poo. Ho descritto come var. abyssinica delle 9 di Keren, le quali differi- scono dal vero affinis (brevinodosus) pel colore molto chiaro, i punti del capo più minuti e il torace quasi tutto lucido sul dorso. Anche la scultura del peziolo è più sottile, per cui questo segmento è meno opaco. per la forma, il peziolo (fig. 9) ricorda quelli di Ogaden. Il massimo esemplare della mia collezione misura 7 mm. Altri esemplari raccolti dall’ Ing. Ilg nello Scicia (che ebbi dal Pro- fessore Forel) sono scuri quasi quanto il tipico D. affinis ed hanno i punti del capo quasi come in questo; ma il peziolo è lucido. Massimo esemplare osservato : Lunshezzat9 miniato apo 7 SY: . Peziolo (fig. 11) ancora più ritondato che nei precedenti. Sono nel dubbio se queste diverse forme debbano oppur no essere riferite alla specie D. affinis, e perciò preferisco non dare un nome alla forma scioana. Queste riserve saranno giustificate dalle considerazioni re- lative. alla specie seguente. Pertanto, uno sguardo alle figure farà rilevare che le forme orientali, in complesso, differiscono dal tipo per la forma del peziolo, i cui angoli posteriori sono meno pronunziati. DORYLUS BREVIPENNIS Emery 1897. Descrissi questa specie sopra esemplari cg' di Tabora (Regione dei grandi laghi); poi ne ricevetti altri dal Museo di Torino provenienti da Kazungula sull’alto Zambese. Insieme a questi ultimi erano molte © che non seppi distinguere dal D. brevinodosus. Ultimamente il Dott. H. Brauns mi ha mandato alcuni Dorylus d' rac- colti a Salisbury nel Mashonaland (bacino del Zambese), i quali differi- seono dal tipo della specie pel torace più robusto e pel colore più scuro, bruno castagno, col capo quasi nero, i lati del torace più chiari, le fasce — 425 — longitudinali laterali. e la macchia anteriore del mesonoto meno appari- scenti che nel tipo, a cagione del fondo più scuro. Lunghezza 19 mm., larghezza del torace 4 mm. Designerò questa forma col nome di. var. Marshalli, dal nome del raccoglitore. Insieme con questi d', erano state raccolte molte operaie del nido dal quale i maschi uscivano. Queste 9 sono più piccole del D. affinis: £ massima 8,5 mm.: capo 2,8 X 2,3. Scultura fondamentale del tegumento più debole, dorso del torace quasi tutto lucido; peziolo lucido, quantunque distintamente reticolato. Punteggiatura sparsa come nel D. affinis. La forma del capo è come in esemplari della medesima grandezza del D. affinis; il peziolo (fig. 13) é proporzionalmente un poco più corto e più allargato in dietro, più trape- zoide, più ritondato: ma tutte queste sono differenze alle quali non avrei attribuito importanza, se le ® non fossero state raccolte insieme coi d' di una specie molto differente dal D. affinis. Colore come nelle forme orientali più scure del D. affinis. Dopo questo, diviene verosimile che le $ di Kazungula debbano rife- rirsi ai g' della medesima località, cioé al tipo del D. brevipennis. Il co- lore di queste $ è più chiaro che nella varietà del Mashonaland, e la scultura del peziolo più densa, per cui questa parte é meno lucida. I più grandi esemplari che io abbia visti sono più piccoli ed hanno il dente subapicale ben sviluppato ; ritengo perciò che non siano esemplari mas- simi. La forma del peziolo (fig. 12) é identicamente come nella var. Mar- shalti. » La determinazione delle ® del D. affinis e del D. brevipennis segna un primo passo verso la discriminazione del gruppo di specie confuso finora sotto il nome di D. brecinodosus. Restano però alcune altre forme che, con la scorta del materiale scarso di cui dispongo ora, non mi sento in grado di discernere le une dalle altre, in modo da stabilire quali siano forse rappresentanti di specie proprie e quali no. Da diversi luoghi delia costa occidentale africana ebbi esemplari ® differenti dal D. affinis, per la scultura più debole che ricorda il D. brevipennis; il peziolo è in alcuni più allungato che nel D. affinis, in altri più corto. Non é possibile stabi- lire qual valore abbiano tali differenze; ma poiché, fra molti Dorylus d' ricevuti dall’Africa occidentale, non fu mai trovato il D. brevipennis, ritengo che quelle $ non possano appartenere a tale specie. Sono invece ben distinte e facili a riconoscere le due specie nuove se- guenti, riferibili entrambe al sottogenere Dorylus: — 426 — DoRryLUS (DoRyYLUS) POLITUS n. sp. (fig. 14-17). © major. Colore come nelle forme scure del gruppo del D. affinis. Il corpo é lucidissimo; i fianchi del torace e del peziolo reticolati, meno lucidi; mesosterno e metasterno quasi opachi; punteggiatura sparsa molto regolare e più uniforme che nelle altre specie, pubigera sull’addome. Capo coi lati molto debolmente arcuati, il margine posteriore incavato ad arco, gli angoli posteriori acuti, meno ritondati che nel D. affinis, appena più largo d’innanzi che di dietro. Lamine frontali poco più distanti d’in- nanzi che di dietro; esse non hanno sporgenza spiniforme al disopra dell’ inserzione delle antenne, ma formano ivi un angolo molto ottuso. Mandibole corte, molto debolmente arcuate con dente preapicale poco sporgente; il dente subapicale ben sviluppato, anche nei maggiori esemplari osservati (forse non sono esemplari massimi). Antenne di 11 articoli ; il breve scapo, posto trasversalmente, non oltrepassa i lati del capo. Pronoto depresso nel mezzo; epinoto con impressione longitudinale me- diana debole e spesso indistinta. Peziolo poco più lungo che largo, con margine anteriore incavato ad arco e angoli anteriori alquanto spor- genti; i suoi lati divergono debolmente verso gli angoli posteriori che sono ritondi. La faccia inferiore del peziolo porta una sporgenza laminare. L'impressione del pigidio è, come nel D. affinis, semicircolare e circondata di margine acuto. Lunghezza massima 7 mm.; capo 2,1 X 1,6. In esemplari più piccoli, il capo è relativamente più corto e più largo, appena più lungo che largo in quelli di 4-5 mm., i quali hanno ancora la colorazione scura dei maggiori e pubescenza poco distinta sul capo. Al disotto di questa dimensione, il capo si fa più stretto e la pubescenza del capo più lunga e più appariscente. Il più piecolo esemplare con an- tenne di 11 articoli misura 2,3 mm. Un esemplare con antenne di 8 articoli misura 2 mm.: il capo ha la forma che ho descritta nelle forme minime del D. affinis. Kamerun (L. Conradt), si distingue agevolmente dalle specie del gruppo affinis per la forma delle lamine frontali. DoryLUS (DoRrYLUS) sPININODIS n. sp. {fig. 18-21). © major. Estremamente affine alla specie precedente cui rassomiglia per la struttura delle lamine frontali. La punteggiatura è più grossa; il capo più corto; il peziolo molto più corto porta inferiormente una forte spina. Lungh. massima osservata 6,5 mm.; capo 1,8 X 1,5. In un esemplare medio di 4 mm., il capo è fortemente allargato ante- riormente e non più lungo che largo. Kamerun (L. Conradt), pochi esemplari. DoRYLUS (ANOMMA) GERSTAECKERI Emery 1897. Ho descritto questa specie sopra un solo esemplare di Accra che sup- posi essere un soldato massimo. La specie é stata ritrovata a Kamerun dal Conradt, il quale me ne ha mandato una serie di esemplari di varie grandezze. La forma massima o vero soldato è più grande del mio tipo e misura 10 mm. con capo grandissimo, quadrato di 3 x 3 mm., con mandibole robuste, fortemente curvate, che ricorda il D. Emergi Mayr. Il peziolo è alquanto più allungato, e coi lati meno arcuati che nel tipo di Accra. Colore molto scuro, come nel D. Emeryi; scultura come nel tipo. Altri esemplari, essendo pure scuri quasi come il soldato, corrispondono alla forma e dimensione del tipo. Altri più piccoli mostrano le differenze solite nelle piccole Anomma, cioè hanno il capo più stretto, il clipeo spor- gente, la pubescenza più lunga e più appariscente. In'tuna 9" minima con antenne corte e robuste di 9 articoli (fig. 22), il capo ha i lati quasi paralleli e il clipeo é più sporgente. Il quadro analitico seguente varrà ad agevolare la determinazione delle specie note finora del genere Dorylus. Esso è basato soltanto sui caratteri delle operaie grandi e mezzane, con numero di articoli normale alle an- tenne : al disotto di 37 mm. (nel D. /evigatus 4%) il numero di articoli delle antenne é ridotto e le differenze di forma e di scultura si fanno meno appariscenti. La forma minima é nota in poche specie soltanto. f Antenne di 12 articoli, mandibole senza dente preapicale, quelle del soldato affatto prive di denti (sottog. Dichtradia). India posteriore e Isole malesi. 1 D. levigatus F. Sm. Antenne di 11-9 articoli, mandibole con dente preapicale sviluppato. . . .. . 2 of Antenne di 11 o 10 articoli. . . . AZIO EROE PT O IRINA © Antenne di 9 articoli (Sottog. deo SMR TA Pt MOR LATTA I RE N 5 } Pigidio con impressione semicircolare circondata da margine tagliente. Specie 4 africamezzt BEPIECAIO nfipite Rd rr De IE Impressione del nigiao non distintamente ansima n e nano ( Antenne più gracili, con gli articoli del funicolo almeno in parte più lunghi che grossi. Lamine frontali fortemente divergenti in avanti, sempre senza dente 4 (sottog. Aromma). . . LE 1: ERCY, VA SERIO DISIAR Antenne corte e grosse, con tutti Gli articoli Ho aniGalo. l’ultimo eccettuato, più grossi che lunghi. Lamine frontali poco divergenti, o pure armate di dente nei Mmaggionikesemplanig(sott0o=YD0rX 09) i SR — 428 — Capo del soldato ristretto indictro; forme più gracili; penultimi articoli del funicolo di 1/3 almeno più lunghi che larghi nei grandi esemplari, distintamente più lun- ghi chela i ne Emir e e e RON EE O Capo del soldato subrettangolare ; forme più tozze; penultimi articoli del funicolo poco più lunghi che larghi nei grandi esemplari, appena più lunghi che larghi Nel. piccolo ea Ci O e en LT Angoli posteriori del capo acuti o smussati, ma non prolungati a punta. D. nigricans Ill. con sottosp. Burmeisteri Shuck., arcens Westw e S/oestedti Emery. Angoli posteriori del capo prolungati in punta acuta e curvata in fuori. D. Wilverthi Emery. Più grande: massimo 14 mm. addome opaco . . ..... D. Emeryi Mayr. Più piccolo: massimo 10 mm. addome lucido . . . . .D. Gerstaeckeri Emery. Lamine frontali armate di spina o dente acuto, poco appariscente o nullo nei pic- Colinesemplarite e Re a I PRE IEIO, Lamine.frontali mei. cata lenta reti Vertice indistintamente punteggiato, lati del capo fortemente curvati in dentro po- Steriormente ee s «+ «+ + + -D. Braunsi Emery. Vertice punteggiato, lati dal SANO meno tai Rodan salina dee 10 Punteggiatura del capo forte e più fitta; lati più paralleli nei massimi esemplari. Africa australe. . . . CDA Relcvolusi Punteggiatura del capo più enole: Tali Gel dEDO ii Asinamanio divergenti in- nanzi. Specie dell’Africa (Rdoicale Me n I Peziolo meno largo e meno allargato in dietro. Lunghezza massima 11 mm. D. affinis Shuck. Peziolo più largo e più allargato indietro. Lunghezza massima 8,5 mm. D. brevipennis Emery. Peziolo senza spina inferiormente... 0... i. D. politus Emery: Peziolo armato inferiormente di una spina... . ... 7. spininodis Emery. Dente subapicale delle mandibole semplice di Typhlopone). Gran parte dell’Africa, Asia occidentale . . . «0.000 + + D. fulus Westw. Dente subapicale bifido o Momcalo ‘(Sottog. Moon). Specie africane Ste, ad Antenne. di4ti-articoli 0. LO mdbriatusisha ee Antenne di d0farticolie eee e e‘ LiscipernisEmenne Capo della °) massima non più di !/; più lungo che largo. Specie indiana. D. orientalis Westw. Capo della % massima molto più lungo. Specie dell’Africa occidentale. D. Conradti Emery (1). (1) Lascio per ora questa specie nel sottogenere A/4opone; però attualmente mi sembra più vero- simile che il gf di essa sia il D. atriceps Shuck del sottogenere Shuckardia. Il D. attenuatus, il solo (04 del sottogenere Al4opone che sia stato trovato in Africa pare una specie australe, o almeno tutti gli esemplari di provenienza sicura noti finora provengono dall’Africa australe, mentre il D. Conradti proviene dall’Africa occidentale. — 429 — lil. - Larve e pupe del Dory/wus ajfinis (Tav. II, fig. 1-9). Ho detto sopra che, nel materiale raccolto dal signor Conradt sca- vando in un nido di D. affiris, si trovavano molte larve .-e pupe di ope- raie e parecchie pupe di maschi. Tutte queste pupe erano nude, ossia prive di bozzolo. Credo potere asserire che le larve erano tutte quante di operaie. Pel maggior numero di esse, questo è indubitabile, perché erano vicine a metamorfosarsi e .lasciavano riconoscere più o meno distintamente nel loro interno i membri della pupa gia formati (Tav. II, fig. 1), benché molte fossero piccolissime, e quindi destinate a divenire operaie di piccola © minima statura. Queste larve sono tutte bianchissime, subcilindriche, debolmente assot- tigliate in avanti, coi segmenti poco marcati. Sono fornite di peli piuttosto lunghi, ma semplici (fig. 6) e poco numerosi, disposti in zone segmentali che si riducono a semplici serie trasversali sui segmenti posteriori del corpo. Il capo (fig. 3) é piccolo, ritondato. Labbro superiore e mascelle sono ritondati, queste sono fornite di alcune papille non colorate né note- volmente sporgenti, ultimo rudimento forse delle due punte che offrono nelle larve delle Ponerine. Il labbro inferiore costituisce anch’esso una sporgenza rotonda, un poco incavata nel mezzo superiormente, ed é fornito di peli e di alcune piccole papille; nessun vestigio di filiera. Le mandi- bole sono molto piccole, acuminate, brune (fig. 4). Al disopra della bocca, il capo presenta un paio di piccole sporgenze lenticolari che credo deb- bansi considerare come rudimenti di antenne (fig. 3 a?). Se si esamina una larva in cui le antenne dell’immagine siano già formate, ma il capo non sì sia ancora staccato dalla cuticola larvale, l’ estremità delle antenne corrisponde ai rudimenti anzidetti (fig. 2). Nell’accenno delle zampe, si vede, negli stadî più giovani, che il trocantere sporge dietro il femore, come appendice parallela ad esso (fig. 5). Io mi limito per ora a consta- tare l’esistenza di questo fatto, senza volerne tentare l’interpretazione. Nelle pupe delle $, grandi e piccole, é degna di nota la forte spor- genza del clipeo sopra le grosse e massicce mandibole, dentro Je quali si vedono le mandibole dell’ immagine strette ed arcuate ‘fig. 7). Della pupa del g' mi limito a dare un’accurata figura (fig. 8), senza descriverla nei suoi particolari. L'apparecchio copulatore è scoperto, e, al disopra di esso, vedesi sporgere come appendice il segmento anale, il quale, anche nella pupa, é assolutamente privo di cerci. Il clipeo sporge, come nella pupa ®, a forma di triangolo sopra le mandibole (fig. 9). — 430 — Questo fatto della sporgenza del clipeo nelle pupe si ritrova pure in altre formiche e deve avere un significato morfologico o fisiologico ancora ignoto. È particolarmente interessante la presenza di un rudimento di antenna nelle larve di Dorylus. Io non lo trovo in quelle di Ecifon, mentre ho descritto un rudimento molto differente nelle larve di Stima e Pseudomyrma e ne descriverò uno consimile, ma molto più minuto nella larva di Ecta- tomma. Sarà interessante cercare se rudimenti di antenne esistano e in quale forma nelle larve di altre formiche. Nella larva di Dorylus il capo é più piccolo e le mandibole più piccole e più deboli che nelle altre Doriline; le mascelle non hanno punte, e in generale l’ armatura boccale è molto ridotta, condizione che indica un grado più inoltrato di perfezionamento delle cure materne, per parte della popo- lazione operaia (1). Prescindendo da questo, le larve di Dory/us hanno la medesima forma cilindroide delle larve di Eciton e Acanthostichus che differisce molto dal tipo a collo sottile e addome rigonfiato delle larve di Ponerine (2). Più che l’esistenza o mancanza di tubercoli e spine, la forma del corpo sem- brami, nello stato attuale delle nostre conoscenze, caratterizzare le larve delle due sottofamiglie delle Doriline e Ponerine. Dalla conoscenza delle larve dipendera in parte la risoluzione della grande divergenza fra me e Forel, circa il limite che separa quei due gruppi. Anche la larva di Stigmatomma recentemente descritta del Wheeler (3), benché priva di tubercoli, serba nella sua forma generale e nella struttura del suo capo il tipo delle altre Ponerine. Molto le rassomiglia la larva dell’ Ecta/tomma edentatum Rog., scoperta nella Repubblica Argentina e inviatami dal Dot- tor F. Silvestri, che descrivo in appendice a questo lavoro. (1) Io sospetto fortemente che questo grado più inoltrato di adattamento regressivo delle larve stia in qualche relazione con l’esistenza della classe minima delle operaie che ho descritto sopra. Queste, se si deve giudicare dalla difficoltà con la quale si ottengono dai raccoglitori, devono essere più sedentanee che non siano le operaie grandi e mezzane, e probabilmente addette a lavori interni del nido, quale potrebbe essere appunto la cura e l'alimentazione delle larve. (2) Veggasi la mia memoria: « Intorno alle larve di alcune Formiche ». Memorie Accad. Bolo- gna (5) Tomo VII, 1399. (3) The habits of Monera and Stigmatomma in Biolog. Bull. Boston: Vol. II, p. 61, 1909. — 431 — APPENDICE Descrizione della larva di Zctutomma edentatum Rog. (Tav. II, fig. 10-14). Fra i molti tubi di formiche raccolte dal Dott. F. Silvestri durante il suo soggiorno nell'America meridionale, uno conteneva, insieme con al- cuni esemplari di Ecfatomma edentatum, due larve lunghe circa 6 mm. e delle quali la mia fig. 10, Tav. II, riproduce il profilo. È una larva di tipo ponerino, con i quattro primi segmenti dopo il capo sottili, costituenti un collo, al quale segue il resto del corpo rigonfiato che costituisce un ad - dome voluminoso. Tutta la superficie del corpo è ricoperta di numerosi peli semplici, assottigliati all’estremità, come quelli della larva di Dorylus; questi peli sono di lunghezza ineguale, ma tutti della medesima struttura. Nessun vestigio di tubercoli o punte o spine. Il colore della larva conser- vata nello spirito è bigio brunastro, come sono al solito le larve mature di Ponerine prima di avere filato il bozzolo. Il capo della larva è poco meno lungo del segmento seguente dal quale è separato per mezzo di una strozzatura pronunziata che accenna ad una notevole mobilità. Le parti boccali (fig. 11, 12) sono robuste. Il labbro su- periore bruno é inciso nel mezzo, con due paia di papille e altrettanti brevi peli conici, vicino all’incisura. Le mandibole (fig. 13) molto scure sono forti e tridentate. Le mascelle e il labbro inferiore sono come nelle altre ponerine. Sul capo, si vedono molti peli semplici e un paio di minute papille (fig. 12 at, fig. 14) sormontate ciascuna da due minuti peli. Io ritengo che siano rudimenti di antenne. Alla brevità della descrizione suppliranno le figure. Serie V. — Tomo IX. 4 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA I. Tutte le figure, meno la 6a sono disegnate con ingrandimento uniforme di 3brgl. Fig. 1-8 Dorylus affinis 2, esemplari di Fernando Poo: 1. Capo del soldato massimo. Ri Mdioperalatdi o mn: 36 » minima con antenne di 11 articoli. AO » con antenne di 10 articoli. DI MID » » 9 » (Co » )) % » 6.a Antenna della medesima più fortemente ingrandita. 7. Peziolo del soldato. 3. » di operaia mezzana. Fig. 9. D. affinis, var. abyssinica ® peziolo. » 10. D. affinis, esemplare massimo di Ogaden : peziolo. Iain, » » dello Scioa: » » 12. D. brevipennis $ peziolo. » 13. D. brevipennis var. Marshalli ® peziolo. » 14-17. Dorylus politus ©. 14. Esemplare massimo, capo. ISS » minimo con antenne di 11 articoli. 16. » con antenne di 9 articoli. dro » massimo, peziolo. Fig. 18-21. Dorylus spininodis % . 18. Esemplare massimo, capo. 9: » minimo, capo. 20-21.» massimo, peziolo del dorso e di fianco. Fig. 22. D. (Anomma) Gerstaeckeri % minima con antenne di 9 articoli, capo. » 23-25. D. (Anomma) Wilverthi $ minime con antenne di 11, 9 e 8 articoli, capo. » 26-30. D. (Dichthadia) levigatus ®, capo. 26. Esemplare massimo di Singapore con antenne di 12 articoli. DT » di Sumatra con antenne di 11 articoli. 23: » » » » 10 » 29. » » » DIMO) » 30. » di Birmania » » 10 D) — 433 — Fig. 31-38. D. (Rhogmus) fimbriatus $, capo. 31-32. Esemplare massimo e minimo con antenne di 11 articoli. 33-34. Esemplari con antenne di 10 articoli. 35-36. » » 9 ) 37. Esemplare massimo della classe pigmea con antenne di 7-8 arti- coli; l’antenna destra ha ? articoli, la sinistra $. 38. Esemplare pigmeo con antenne di 8 articoli. TAVOLA II. Segni comuni a tutte le figure: at — Antenna della larva. imd — Mandibola della larva. at.p — Antenna della pupa. md.p — Mandibola della pupa. Is — Labbro superiore. ma — Mascella della larva. li — Labbro inferiore. ma .p — Mascella della pupa. Fig. 1-9 Dorylus affinis: 1. Larva di $ di mezzana statura prossima a metamorfosarsi. Il capo della pupa é gia staccato dalla cuticola larvale. 27 :1. 2. Larva un poco più piccola e meno inoltrata nella metamorfosi parte anteriore, il capo della pupa non ancora staccato dalla cuticola larvale. 40: 1. 3. Capo di larva veduta obliquamente d’innanzi. 90:1. 4. Parti boccali della larva trattate con la potassa caustica e alquano schiacciate. 250 : 1. . Le due prime zampe di sinistra in una larva dello stadio rappre- sentato a fig. 2. 40:1. 6. Pelo della larva a forte ingrandimento. 250: 1. 7. Davanti del capo di grossa pupa (soldato). 27 : 1. SERUpafdiiog veduta tdi tano oh. 9. Capo della medesima veduto di fianco. Fig. 10-14. Ecfatomma edentatum larva di 6 mm.: 10. Larva veduta di fianco. 20:1. 11. Capo della medesima maggiormente ingrandito. 35 : 1. 12. Capo trattato con la potassa caustica e veduto dal dorso. 90 : 1. 13. Mandibola 90:1. 14. Antenna fortemente ingrandita. 250 : 1. VI VARY \ JI La; MESS: Alonte 10 Ò | i uf Volina dr ib paiiralita. mbo ‘nn ipestorgntto k % fatt spia De otto ) smi (aceto pedi Mi a adoro DE È ds, sup sad PRA me Jolhai Sarete ron parsioioia ih di Dik Mii # Win Rplde asini su i a da pra hi Alsare No tnt ES 7 » “e i veg LL Mem. Ser. V To EMEerv. Dorylus. Tav I. C. Emery dis eine. Lit. Mazzoni e Rizzoli-Bologna ra , n , n Y " > 1 S s\ ) 5 - “ i] “% LC n di 7 A i î = N ao ? ® \ 5) ae Ù P; Ù 7 DON, > È 4 dI PI. A È, ol to Ù LEA Î o ; 1% di da) î i i Ù -“ Ò NI CLONT " Mem. Ser. V. Tom. IX. Emery i Dorylus. Tav.I. Lit Mazzoni eRizzoli-Bologna C. Emery dis eine. Mu. Mem. Ser. V. Tom. IX. C. Em ery De einc. NU) Z\ I \ e Ni RSI 7/4 GA EI ASSE ENEA SS \VA SEA SE 13 Emery. Dorylus. Tav IL. Lit. Mazzoni e Rizzoli-Bologna . RE t: R, ù È ln IL CALCOLO DEI CAMIN PER (GENERATORI DI VAPORE MEMORIA DEL Pror. Inc. JACOPO BENETTI (Letta nella Sessione del 26 Maggio 1901) CON TAVOLE Sarebbe opera vana tentare di applicare le equazioni astratte del moto dei fiuidi alle correnti gassose prodotte dalle combustioni nei fornelli delle caldaie a vapore. Invece, non pochi chiari ingegni di ogni paese si posero all’ opera di applicare alle correnti in discorso le teorie fisico-analitiche della scienza termodinamica e riuscirono a sviluppi assai interessanti. Ma per trarne dei risultati utili per le ricerche industriali é necessario ricorrere ad una infinità di misure di dimensioni e di coefficienti empirici, che assai diffi- cilmente sì possono avere. Non ci mancano invero risultati svonimagarali abbastanza esatti, ma non riguardano tutte le svariatissime circostanze che si presentano nelle applicazioni industriali, e sovrattutto si riferiscono a limiti di grandezze ben inferiori a quelli che hanno luogo nella pratica. È pur vero che da qualche tempo nei varî paesi si vanno facendo serie di esperienze grandiose per integrare gli effetti di certi fatti complessi, quali si presentano nelle industrie. Ma siamo ben lungi dal completamento di tali esperienze, che richieggono mezzi ingenti, e delle quali per ora poche classi dirigenti sentono il bisogno. Sulle leggi che reggono le irradiazioni termiche e le altre trasmissioni del calore, dai prodotti della combustione all’acqua ed al vapore delle caldaie, nonché all’ambiente esterno, abbiamo tuttora conoscenze incerte e limitate. Ed altrettanto si potrebbe dire per tanti altri fenomeni. che intervengono negli apparecchi generatori del vapore acqueo. Ma per dimostrarlo appieno dovrei fare dell’ erudizione che riuscirebbe superflua per i tecnici provetti nell'argomento, e non meno lo sarebbe per gli iniziati che sono più disposti a credere su parola, e che d’ altronde hanno appreso da tante altre parti come pure il sapere abbia la sua tra- dizione, e come alcuni concetti che in passato occorreva fossero dimostrati passo a passo ora possono essere enunciati semplicemente senza suscitare controversie serie. Ma a chi volesse informarsi profondamente dì tutte le ricerche tecniche fatte in un lungo periodo di anni sull’argomento in questione, che in fine dei conti riguarda la costruzione effettiva dei camini per gli usì indu- striali, non saprei per ora consigliare di meglio che leggere l’opera recente ed esauriente del Prof. Gustavo Lang Der Schornsteinbau (Hannover, 1896 e seguenti). Un’ esperienza secolare, che rimonta all’antichità e che finora non fu distrutta dai molteplici sforzi di arditi innovatori (fra i quali si trovano in prima linea gli americani), ci assicura come un camino sia uno dei nostri migliori apparecchi industriali, che si presta bene in una infi- nità di circostanze, che non soltanto ha un ottimo coefficiente di ren- dimento termico, ma che eziandio è di un buon rendimento finanziario ; comprendendo in questo anche il frutto e l’ammortizzazione del capitale di primo impianto. Né vuolsi tacere che un camino é un buon agente per l'igiene e la comodità del pubblico, dappoiché solleva e diluisce negli strati più elevati dell’atmosfera i prodotti nocevoli ed oltremodo incomodiì delle combustioni. Però le considerazioni che sto per esporre riguardano soltanto i camini per le caldaie a vapore, i quali in generale hanno un’elevazione sul suolo inferiore a 100 metri, ed anzi nel massimo numero dei casi inferiore a Mo rmetri: Ammettiamo di dover far effluire nell’ atmosfera i prodotti della combu- stione di una o più graticole appartenenti ad una caldaia o ad una bat- teria di caldaie; sia A metri quadrati l’area complessiva, compresi gli interstizi fra le spranghe delle graticole ; sia B chilogrammi la massima assoluta prevedibile (anco per l’ avvenire) quantità di li/antrace (combusti- bile tipico) da bruciarsi ad ogni ora di tempo sull’area 4; sarà - la quantità unitaria di litantrace bruciato per ora di tempo e per metro qua- drato di graticola. Comunemente si dice fuoco morto, o dormiente, quando - sta sotto ai i Di: B 40 kg.; fuoco assai vivace quando 7 sta intorno ai 100, oppure 120 kg.; — 437 — Ì A caldaie fisse, ma più nelle caldaie marine attuali, e specialmente nelle fuoco sforzato, quando raggiunge o supera i 200 kg., come in poche A Supponiamo tutte le graticole in un istesso piano orizzontale premuto dall’ atmosfera esterna con P, kg. per metro quadrato; sia 7,= 273 +4 gradi di Ce/sio la temperatura assoluta media dell’ atmosfera circondante le caldaie. L’aria dell’atmosfera esterna è spinta fra le spranghe delle graticole e supera le innumerevoli resistenze passive che oppongono ad essa i meati fra i pezzi più o meno grossi, talvolta polverulenti, del com- bustibile. Poscia in virtù del calore sviluppatosi nella combustione, i gas prodotti dalla medesima fanno un grande lavoro esterno corrispondente al forte incremento del loro volume, e nell’istesso tempo acquistano una grande forza viva corrispondente al forte incremento della loro velocità lineare e dei loro moti vorticosi. Il lavoro meccanico e la forza viva dovuti alla spinta esterna ed al- l’azione del calore sono impiegati primieramente a superare le considere- voli resistenze passive entro il fornello e nello stretto passaggio al disopra del cosiddetto altare; dippoi sono impiegati a vincere le innumerevoli resi- stenze passive entro ì molti e contorti canali da essi percorsi mentre lam- biscono, riscaldandola, la superficie della caldaia e degli eventuali appa- recchi riscaldatori dell’acqua di alimentazione e surriscaldatori del vapore saturo. Per tal modo i gas caldi durante il loro cammino perdono continua- mente non soltanto di temperatura e di volume, ma eziandio di pressione e di velocità, quindi di forza viva. Supponiamo che arrivino al piede del camino, nell’istesso piano oriz- zontale delle graticole, colla temperatura assoluta 7° e colla pressione di miki per Ing. Sia H metri l’altezza verticale che devono percorrere entro il camino i gas caldi, partendo dal piano predetto per arrivare alla bocca superiore d’ efflusso nell’ atmosfera (di diametro d metri, supponendo che sia circo- lare); sia P kg. per mq. Ja pressione dell’atmosfera esterna al livello della bocca medesima. Alla pressione P, incombe essenzialmente l’ufficio di portare in sù i gas, vincendo l’azione della gravità, inoltre quella della pressione P, non- ché le resistenze passive opposte dalle pareti interne della canna del camino, le quali generalmente sono tronco-coniche ed a scaglioni sempre più ristretti dal basso all’alto. Però tutti i dati dell’esperienza ci dicono che impunemente in una : 01 B caldaie delle macchine locomotive, nelle quali —-- sorpassa i 300 kg. — 438 — prima analisi possiamo trascurare di tenere conto delle circostanze dina- miche predette, od in altre parole, possiamo considerare il problema come uno di statica e non di dinamica Designiamo con 7, la temperatura assoluta dei gas effluenti dalla bocca del camino; con 7, la temperatura assoluta media fra la 7, al piede e la 7, alla cima del camino. In calcoli di prima appprossimazione per camini in muratura, potremo valutare la 7, fra 0,94 e 0,89 della 7, e quindi all’incirca la 7, fra 0,97 CH0:9 o&dell'atize” Trascuriamo le differenze di pressione atmosferica fra il suolo e la cima del camino, e designamo con kg. y, il peso specifico di un metro cubo dell’aria atmosferica alla pressione del luogo ed alla temperatura assoluta 7,; con Y, € Ym ì pesi specifici del fumo alla pressione del luogo ed alle rispettive temperature assolute 7, e:7,; è noto che senza errore sensibile sì può eguagliare a quella dell’aria la densità dei prodotti della combustione del litantrace sulle graticole delle caldaie a vapore. Chiamiamo «, metri per minuto secondo la velocità d’ efflusso del fumo dalla bocca del camino. Il volume del fumo effiuente per minuto secondo, adunque la portata della bocca del camino sara misurata da dè - TT 4 x U, e. 3600 Ì ad ogni secondo; siccome un chilogrammo di litantrace da origine a G kg. di prodotti della combustione (in media normale G= 22,3 kg. se la quan- tità d’aria comburente sia doppia di quella teoricamente necessaria per la combustione perfetta); siccome inoltre un chilogrammo di fumo alla tem- peratura assoluta 7, occupa un volume di metri cubi Siccome si bruciano 28 kg. di litantrace ad ogni ora, e quindi d'ape at sd UE " Ari 1 Yo 6, così risulta : Ci Erg pra BO lag 4 SOON — 439 — il risultato precedente riferito alla bassa pianura può essere scritto : d°- 7 B CS OE # Mia TE Ossiala= 14766 2 P Adunque d. a tutte altre condizioni eguali, va fatto più grande per una 7, maggiore. Assumiamo per tale temperatura una cifra ancora con- veniente (sotto i riguardi economici) nella pratica T= Te Se Con tale cifra troviamo de — ta i O Per tale modo siamo pervenuti a convergere le nostre considerazioni sulla velocità d’efflusso del fumo 4,. L’esperienza é venuta grado a grado affermando che le forti velocità u,, come quelle delie cosidette canne da camino alla Russa (le quali già da vemoti tempi si fanno strettissime), sono preferibili alle piccole, perché in allora il fumo riesce più facilmente in tutte le occasioni a vincere la lotta colle correnti aeree, specialmente se queste, dirigendosi dall’ alto al basso, tendono a penetrare entro le bocche dei camini, ciò tanto più se queste devono essere molto ampie. L'esperienza sembra indicare in via generale la velocità di efflusso di 8 metri, come un massimo conveniente sotto tutti i riguardi. D'altro canto quando le bocche devono essere naturalmente piuttosto ristrette, perché sono destinate all’ efflusso dei prodotti della combustione di un numero piecolo di chilogrammi £ di litantrace, una forte velocità d’ efflusso, oltreecché essere superflua per lo scopo predetto, aumenterebbe oltremodo le resistenze passive entro le canne dei camini, perché le mede- sime in una prima analisi possono essere ammesse proporzionali ai qua- drati delle velocità. Però in tali casi l’esperienza non ha dimostrato la convenienza di dimi- nuire la velocità d’efflusso v, del fumo sotto circa due metri. Adunque la velocità «, dovrebbe variare da circa due metri ad otto metri, o poco più, quindi entro limiti non molto discosti, in corrispon- denza a limiti molto estesi delle quantità 5. di litantrace bruciato ad ogni ora di tempo, da poche decine di chilogrammi a parecchie tonnellate. Una delle più semplici leggi di variazione rispondenti al fine predetto € quella espressa da u, = Costante X VB Serie V. — Tomo IX. 59 — 440 — Poniamo per esempio (Mo Siffatta ipotesi ci dà per Uu, = 2,632 metri Bi=S24g. per «, = 7,896 metri be = WMA, kg. (i = VB la formula alla quale siamo pervenuti precedentemente ;, ogni diventa B 1 d° SITR pezs 100 VB 1 = im Donde ricaviamo di 401 È questa una formula pratica assai chiara che può essere bene accetta: fu proposta dal fu Prof. Reiche di Acquisgrana, assai autorevole in ma- teria di produzione del vapore acqueo. La formola predetta riesci assai bene soddisfatta dalla bocca di dia- metro 4",5, dei due colossali camini, elevati di 80 metri sul suolo, che furono costruiti per l’ Esposizione Mondiale a Parigi nel 1900, ognuno dei quali era destinato a scaricare nell’ atmosfera i prodotti della combustione di circa 13300 Kg. di litantrace all’ora. Egli cercò di giustificarla direttamente col seguente ragionamento : Il fumo effiuisce dai camini sotto forma di globi di diametro d, quindi di volume proporzionale a d?. Ogni globo, a tutte altre circostanze eguali, é spinto ad effiuire da una forza proporzionale pure a d?, e per effiuire basta che sia in grado di superare la resistenza opposta dall’ atmosfera, la quale é proporzionale 2 direttamente all’area d’ efflusso e ed al quadrato della media velocità d’efflusso del fumo Us: — 441 — Quest’ultima velocità poi, a tutte altre circostanze eguali, è direttamente proporzionale alla quantità di combustibile 8 bruciato ad ogni ora di tempo, ma é inversamente proporzionale all’area d’efflusso, quindi a d?. Adunque conseguiamo CAI sil [CosiktalitW3k Goeffi d'i==(Coeffildi X [Coeff, di d°P di PF ossia Coctidiiaai—1Co esa: 2 di=?GoefkidiUB53=|Coeffibdi 5104 La cifra massima ordinaria per i diametri d delle bocche dei camini (elevati sopra il suolo di non più di 75 metri) é di circa tre metri. Passiamo ora a considerare l’elevazione #7 metri della bocca d’ efflusso di un camino sopra il piano orizzontale delle graticole. Abbiamo già ammesso come sufficiente in prima analisi di considerare soltanto l’ equilibrio delle pressioni P, esterna e P, interna al piede del camino, nonché del complesso di tutte le resistenze pissive entro il foco- lare ed i canali del fumo lungo la caldaia e gli altri eventuali apparecchi ausiliari per la produzione del vapore saturo oppure surriscaldato. Applicando giudiziosamente un piccolo apparecchio manometrico ad acqua entro la corrente di fumo al piede del camino, possiamo riuscire (al caso dopo qualche lieve correzione) a determinare l’altezza K milli- metri di colonna di acqua equilibrante la differenza delle pressioni statiche Eni. kg. Siecome ogni millimetro di colonna d’acqua sovrincombente ad un metro quadrato dà su questo una pressione di un chilogrammo, così Millet: —teX=e22chilogrammi Riferendoci aile designazioni enunciate precedentemente è facile com- prendere come MESS: lee IPS Yo Il REA a) =bH (1-7) Perciò (Ri = JK . L’esperienza ha dimostrato che i camini funzionano convenientemente sotto tutti i riguardi tanto con un’altezza KX di colonna manometrica di acqua assai piccola, per esempio 3 o 4 millimetri, quanto con un altezza K ben più considerevole, di 20 e più millimetri. Ma la formula precedente ci dice che l'altezza 7# del camino cresce col crescere della temperatura 77 dell’ ambiente esterno e col decrescere della temperatra 77, del fumo. D'altro canto esperienze e deduzioni fatte su vasta scala dagli Inge- gneri Reiche e Clark (inglese) ci assicurano della proporzionalità del- l’altezza manometrica K al quadrato della quantità di combustibile bruciato ad ogni ora di tempo e per ogni metro quadrato delle graticole, vale a 2 dire ci assicurano : XK = Coeff. di (3). Invero tale proporzionalità riesce giustificata dal ragionamento che l’altezza XK misura la pressione motrice atta a superare tutte le innume- revoli resistenze passive entro il focolare ed i canali dei gas caldi, ognuna delle quali, in via generale, può essere posta proporzionale al quadrato 9 della rispettiva velocità dei gas, quindi proporzionale a (4) , a tutte altre condizioni eguali, perché A proporzionale al volume dei gas che si svol- gono ad ogni minuto secondo da un metro quadrato di graticola. Reiche poi credette di poter dedurre dalle sue esperienze fatte a Dùsseldorf BI E ne K 0,0015 [Fl e quindi 1 to 7%) Egli dippoi suppose in tale formula valevole per i camini situati in pianure basse : SISI: Hi—10.00152 È IZZO quindi E W293 e poscia MIAO AZ Quest’ ultima temperatura è in generale sensibilmente più piccola di — 443 — quella che ha luogo ordinariamente, la quale di sovente raggiunge al- l’incirca ao 3270 = 6008 Invece la cifra per la temperatura 7, è ben poco inferiore alla tempe- ratura normale del luogo. Adunque le cifre ammesse da Reiche rendono la H piuttosto mag- giore che minore del giusto. Colle cifre finora addotte Reiche pervenne alla formola pratica 2 H = 0,00277 [fl i Le due formole di Reiche danno i risultati compresi nella seguente tabelletta : Per si H metri; XK millimetri = 40 (combustione morta) =y4:43,;,/=+, BA Cifr = 60) miti ROM "i Pai i — 80/ media — 17,73;= 9,7) ai — 100 (combustione assai vivace) — 27,7;=15,2 di i | esperienza = 230 (combustione forzata per locomotive) 4 1 Le ultime cifre dimostrano evidentemente la necessità del tiraggio arti- ficiale per le caldaie delle locomotive. Occorre avvertire che le formole predette di Reiche furono dedotte da esperienze nelle quali le resistenze passive dovute ai canali del fumo erano una piccola frazione di quelle dovute al focolare. D'altronde avvertimmo già che in tutte le considerazioni fatte finora supponemmo che l’eccesso della pressione interna al piede del camino non facesse che equilibrare le resistenze passive entro il focolare ed i canali del fumo. Invece il medesimo eccesso deve ancora servire a supe- rare le resistenze passive entro la canna del camino, la somma delle quali però è sempre una piccola quantità relativamente alle resistenze predette, per esempio poco più di una ventesima parte. Per tenere conto delle circostanze sfavorevoli trascurate, appoggiandosi anche sull’ autorità di alcuni predecessori, il sommo termologo francese Péclet ecc., il Reiche propose di calcolare l’altezza vera da darsi al camino colla formula H + 6d = 0,00277 (7) + 0,6 8% —idss colla quale calcolò la tabelletta : Per A metri quadr ; ; kg.; AEm'EURie; H+ 6-d metri 1 40 0,437 7,05 20 80 ROS 30,21 20 100 23091 GYM 100 100 3.982 51,59 Tale tabelletta ci dà in via di prima approssimazione per A tutto al più 20: mq. lia ona 170: Ma invece Reiche nell’ istesso caso consiglia di fare 1° altezza effettiva del camino da 25 a 30 volte il diametro d della bocca, e giammai meno di 16 metri. Egli adunque, tecnico assai provetto, consiglia di esagerare notevol- mente nel determinare le altezze dei camini, senza badare alle soverchie spese d’impianto che ne sono la conseguenza. Però non so comprendere perché il Reiche non abbia concluso coll’ arrotondare a 0,003 il coeffi- ciente più incomodo per i calcoli 0,00277. È sicuro che il consiglio di Reiche é ottimo per i paesi come l’Italia, in cui il litantrace, provenendo dall’ estero, riesce assai costoso, e quindi occorre utilizzarlo con avarizia. . Senza contare che un camino più elevato del necessario può permet- tere un fuoco assai sforzato che occorresse di fare in qualche occasione; egli è certo poi che il medesimo camino potrà funzionare benissimo anco nelle circostanze le più favorevoli di elevata temperatura esterna e di forte umidità dell’ aria, di bassa temperatura del fumo, di forte vento e di pioggia o neve cadente entro la canna. Se volessi riportare qui le centinaia di regole pratiche seguite da te- cnici autorevoli di tutti i paesì, comprese quelle più singolari seguite in America, non farei che ribadire le prime premesse del presente studio. Se da una parte havvi tendenza generale ad esagerare ‘nella determi- nazione dell’ altezza dei camini, senza avere riguardo alle maggiori spese alle quali sì va incontro, d’ altro canto havvi pure tendenza generale a fare economie nel volume dei materiali costituenti i camini, sebbene ciò possa risultare un pericolo maggiore per la stabilità dei camini. A tale tendenza vengono opposti in parecchi paesi regolamenti ammi- nistrativi per l’ edilità, ma siffatti regolamenti risultano di tanto impedi- mento ai liberi progressi dell’ arte, che è a desiderare vengano abrogati, o tutto al più limitati a poche prescrizioni di efficacia incontestabile. Ogni- —- 445 — qualvolta avvenga, o si possa seriamente prevedere qualche guaio, non mancano sicuramente oggidi alle Autorità amministrative i poteri di far giudicare se i responsabili dell’esito d’una certa costruzione abbiano vera- mente seguiti tutti i dettami relativi della scienza e dell’ arte. Resa veramente seria, e non illusoria (oppure di semplice formalità per aver adempiute le prescrizioni di qualche regolamento amministra- tivo), la responsabilità dei costruttori, é da prevedersi che questi acuiranno l'ingegno per aumentare i loro profitti senza compromettere la sicurezza delle loro costruzioni, e ciò sarà tanto di guadagnato per i progressi delle varie tecniche. Siccome però tali progressi sono di un altissimo interesse nazionale, così gli Stati devono preoccuparsi di fare tenere pronti in alcuni Istituti sperimentali i mezzi grandiosi che oggidi assolutamente occorrono per determinare con esattezza le cifre fondamentali dei calcoli relativi alle costruzioni, senza che possa sorgere il menomo dubbio che alcuna consi- derazione secondaria od interessata abbia influito sulla determinazione delle cifre medesime. Ma ritorniamo ai nostri camini. Il materiale preferito per la loro costruzione é la muratura di mattoni pieni o vuoti, con malta, di calce grassa o di cemento allungato, inter- posta in spessori sottili, essendo dimostrato che tali spessori danno alla muratura maggiore resistenza allo schiacciamento. Il peso specifico di un metro cubo di muratura è variabile notevol- mente secondo parecchie circostanze di fabbricazione. e di. costruzione. Quindi in ogni singolo caso occorrerà determinare tale peso specifico con esattezza e prescrivere invece che venga mantenuto entro certi limiti di giusta tolleranza. Per calcoli di prima approssimazione potremo ammettere il peso speci- fico d’ un metro cubo di muratura di mattoni intorno ai 1700 chilogrammi. Serie grandiose di esperienze ufficiali, fatte nel 1899 a Berlino: sotto tutti ì riguardi che possono interessare la costruzione dei camini, hanno dato i seguenti risultati principali: 1.° Un corpo di muratura resiste meglio alio schiacciamento dopoché sia passato più tempo dalla sua prima fattura, e quando sia stato ese- guito con strati più sottili di malta nelle giunzioni sottoposte a pressione. 2.° Le prime crinature appariscono entro i mattoni prima che nella malta, ma poco dopo avviene lo sfasciamento completo della muratura. 3.° Le prime crinature appariscono, sotto pressioni unitarie per centi- metro quadrato notevolmente differenti secondo la qualità dei mattoni e della malta. Quindi le corrispondenti pressioni unitarie devono essere. determinate — 446 — in ogni singolo caso, mediante serie accurate di esperimenti, se si voglia mettere a calcolo i massimi sforzi ai quali possono effettivamente essere sollecitate le murature con un considerevole grado di sicurezza, che in generale è valutato di dieci volte. 4.° Lo sfasciamento completo d’ un corpo di muratura in cemento può avvenire, dopo molti mesi dalla prima esecuzione, sotto pressioni uni- tarie di 250 e più chilogrammi per centimetro quadrato. 5.° Però qualora manchino i certificati sperimentali predetti non é lecito ammettere che la muratura d’ un camino possa mai venire solleci- tata ad una pressione superiore ai sette chilogrammi per cmq., trattandosi di malta di calce, oppure ad una pressione unitaria superiore ai dodici chilogrammi, trattandosi di malta di cemento allungato. 6.° I mattoni oppongono una debole resistenza a venire staccati dalle malte, pur tre mesi dopo la loro posa. 7.° I mattoni oppongono una resistenza maggiore ad ess»re separati in taglio lungo le giunzioni in malta; tale resistenza é sempre tanto supe- riore a quella necessaria per impedire lo scorrimento di un camino sulla sua base, che in nessun caso occorre preoccuparsi della possibilità di tale scorrimento. 8.° La resistenza (di taglio misto a flessione) che i camini oppongono ad essere tagliati lungo piani verticali é pure considerevole, sebbene al- l’incirca metà della predetta resistenza di taglio. 9.° Il modulo d’ elasticità dei corpi dei camini non è una grandezza costante, bensi varia considerevolmente secondo varie circostanze, comprese quelle del tempo e della temperatura; questa lo fa decrescere, come per i corpi metallici. Le determinazioni sperimentali fatte finora in argomento sono in pic- colo numero ed assai incerte. 10.° Il calore interno al piede d’un camino, qualora non vi sia appli- cata una camicia dilatabile separatamente dalla muratura esterna, può facil- mente vincere l’ aderenza delle malte ai mattoni e quindi aprire le giun- zionì orizzontali. In conseguenza di tali risultati sperimentali bene accertati, non è più lecito far calcolo sull’aderenza delle malte per resistere alle tensioni dovute alla flessione dei camini prodotta dal vento. Dall’aitro canto non é più lecito di fare assegnamento sopra una pres- sione di più di 7 chilogrammi per centimetro quadrato, trattandosi di giun- zioni in calce, o di più di 12 kg., trattandosi di giunzioni in cemento, se non si possa dimostrare che la resistenza allo schiacciamento superi rispettivamente i 70 od i 120 chilogrammi per cmq. Una Commissione ben competente di tecnici specialisti tedeschi, pochi int mesi fa, pose la regola empirica che la massima pressione ammissibile in una sezione di camino situata / metri sotto la cima, non possa superare 5 + 0,15 H chilogr. per cmq. L'incremento proporzionale all’altezza 7 del corpo di muratura sovra- stante alla sezione considerata è permesso, perché ad una maggiore altezza H corrisponde un intervallo di tempo maggiore dopo la posa del piano con- siderato, e quindi corrisponde ad una maggiore resistenza allo schiaecia- mento nel medesimo. La Commissione tecnica accennata discusse molto come potevano essere conciliati gli interessì di una giusta economia di materiale colle esigenze della sicurezza compromessa sovrattutto dall’ azione del vento. Infine addivenne alle seguenti deliberazioni: 1.° La massima pressione del vento perpendicolare sopra un piano di un metro quadrato può essere ammessa in via ordinaria di 150 kg., ed in via straordinaria di 200 kg., qualora si tratti di siti molto battuti dai venti lungo le coste di certi mari, o su monti isolati, oppure qualora si tratti di costruire camini elevati più di 75 metri sul suolo. 2.° Trattandosi di un camino tronco-conico-circolare, detta S metri quadrati l’area del trapezio, sezione verticale assiale del medesimo, la risultante delle pressioni del vento pvò essere supposta applicata al basi- centro del trapezio ed ammessa 150 5 = oppure; X 2 ,S chilogrammi. Î 200 3 3.° Trattandosi di un camino tronco-conico-piramidale-ottagono, detta S mq. l’area del trapezio, sezione verticale assiale perpendicolare a due faccie opposte, la risultante della pressione del vento può essere ammessa Mp0 è — logorio 0700048 oo applicata all’altezza del baricentro del trapezio, ma entro una sezione ver- ticale assiale diagonale. 4.° Trattandosi di un camino tronco-piramidale-quadrato, detta S mq. l’area della sezione verticale assiale perpendicolare a due faccie opposte, la risultante delle pressioni del vento può essere ammessa: (al 508, = | oppure ) - S ì i 200 | Serie V. — Tomo IX. 06 — 448 — applicata all’ altezza del basicentro del trapezio, ma entro una sezione ver- ticale assiale diagonale. 5.° È ammissibile che la forza del vento, congiunta all’azione del calore entro il camino, possa tendere ad aprire la giunzione orizzontale più pericolosa, ma giammai per più di metà della sua lunghezza totale. 6.° In tale ipotesi, ogni sezione orizzontale pericolosa può essere sup- posta costituita di due parti; l’ una dalla parte del vento senz’ alcuna pres- sione e nemmeno tensione (non potendosi tener conto alcuno dell’ aderenza delle malte); l’ altra dalla parte opposta al vento, premuta gradatamente sempre più, andando dalla linea di demarcazione fra le due parti verso l’ estremo spigolo intorno al quale il camino tenderebbe a rovesciarsi. Sottoponiamo a considerazioni analitiche le ultime ipotesi per il caso d'un camino tronco-conico-circolare. Sia U kg. la risultante delle pressioni del vento; « metri il suo brac- cio di leva rispetto alla sezione orizzontale pericolosa, considerata questa di raggio esterno A e di raggio interno r. Sia P kg. la risultante dei sovrastanti pesi degli anelli di muratura di spessori crescenti dall’ alto al basso di parecchi centimetri, per esempio datodalilo. La risultante delle due forze U e P incontrerà la sezione pericolosa alla distanza a dall’asse del camino, e può essere: (V. Fig. I, Tav. 1°) trasportata nella sua direzione in tale punto, ed ivi scomposta nelle medesime due forze, luna verticale = P agente eccentricamente alla distanza a dall’ asse del camino, |’ altra = U tendente a cesoiare il camino nella sezione considerata, senza potervi riuscire in verun caso, e quindi da mettersi su- bito fuori di causa. Il peso P agendo eccentricamente rispetto all’ asse del camino preme in massima parte soltanto dal suo lato, ed anzi gradatamente a partire da una certa linea di demarcazione dal lato del vento. (V. Fig. II, Tav. 1°). Sia x, la distanza di tale linea di demarcazione dall’ asse del camino. Nella regione premuta della sezione, consideriamo una strisciolina infini- tesima dF, distante @ dalla linea predetta: Sia p la pressione per cmq. in tale strisciolina. L'ipotesi, ben probabile, della legge lineare d’ incremento della p può essere espressa da: pria Perciò la pressione risultante sulla strisciolina sarà: PRORACEIATIA L’integrale di tali pressioni deve equilibrare il peso P applicato alla io it distanza a dall’ asse del camino, la quale risulta determinata dalla condi- zione evidente P-a=U-u. Quindici = (ada SD: Ma /a-dF= Area F moltiplicata per la distanza X, del suo baricentro dalla linea di demarcazione predetta, quindi C.F- Xx=P. La condizione dell’ equilibrio fra | integrale delle reazioni p-dF ed il peso sovrincombente P richiede l’altra equazione dei momenti rispetto alla linea di demarcazione: (CRI: dE O IARTCC-I_P_x, essendo / il momento d’ inerzia dell’ area premuta / rispetto alla linea di demarcazione, inoltre X,=@+ «,, la distanza del punto d’ applicazione del peso sovrincombente P dalla medesima linea. Adunque abbiamo le due equazioni d’ equilibrio : CIO TEZIIOROE, CORIX,- Pi Dividendo la prima per la seconda equazione troviamo: JI 7 VERO Dr _ ossia: F. XA o DX, ni NA Tutte e quattro le grandezze: Jet Xry Xr, I sono funzioni di quantiià gia note e della sola incognita x,, la quale quindi deve riuscire determinata dalla precedente equazione, rendendo nota per tal modo la posizione della linea di demarcazione. Dovrà essere 4, 0. Per gli usì pratici vale meglio risolvere, per via di tentativi, l’intricata questione, aiutandosi con metodi grafici e meccanici, come per esempio vedremo fra breve. Determinata la distanza «, dalla linea di demarcazione dall’ asse del camino, risulteranno determinate pienamente le grandezze F ed X,, oltre alla X=te=Ziag;i Perciò l’ equazione: CX servirà a determinare il coefficiente Ca VD — 450 — e quindi la pressione unitaria massima nella sezione pericolosa consi- derata P Mass, p= €. Mass. a= C(R+)= a (R+ ®o). Tale pressione unitaria massima dovrà riuscire tutto al più chilogrammi = 5 + 0,15 + H ed eguale al decimo della ben accertata resistenza allo schiacciamento della muratura considerata. Il limite predetto diventa: =di+15=20 kg. per l’attuale massimo assoluto = 100 metri della H, per ì camini delle caldaie a vapore. Adunque trattandosi di costruire camini assai elevati, sarà necessario ricorrere a muratura di resistenza, superiore alla comune, da determinarsi e da garantirsi di caso in caso. Supponiamo che l’ equazione: È . Sa L) X} t_——" SE diana, =:0. In allora r=l (rg rr (V. Fig. Il, Tav. 1°) 4 RR a X,= i Sua R+r ava: ino I = 5 . 4 (A — rt) Quindi : jÌ i 7 a I DE 4 RR o TRI DI o 5 =(RT_—r)n- —- .- - 2 | SIT R+r FER aRe a IR*AS'RPa R donde : = dol = Ponendo A—=a-r dr n ar 1 ì X,= 0,59 -7 en Confrontiamo la X, colla funzione: d —£ += r(05a + 0,25) 2 4 Troviamo : Xr er P Ss 0 P ed in generale < 0,1; anzi per a compreso fra 2,5 ed 1,3 DIO < 0,022 P ossia minore di su) come risulta dalla seguente tabelletta : IX (SE 24 a 2x6, p gi 5,0 2,98 2a, | 200,084 4,0 2,99 PONZA) 0,062 3,0 1,82 1,75 0,040 2,5 1,54 1,50 0,027 2,4 1,48 1,45 0,021 2,0 1,26 ( r 1,25 ( r 0,008 1,7 1,10 1,10 0,000 1,5 1,01 1,00 0,001 1,3 0,92 0,90 0,022 1,1 0,83 0,80 0,037 Per giunta il medesimo rapporto è pressoché nullo nei pressi di a = 1,7, quindi nei casi pratici più comuni. Qualora sia 4, > 0 la a nella X,=a+<, decresce, quindi può rag- giungere presto un suo valore inferiore = g@. Continuando ad ingrandirsi &,, la @ diviene inferiore a @, ossia È Te a <— + -. 2 4 Per x, = È la a diviene eguale al raggio del cosiddetto nocciolo cen- trale che è IRE È 1 nr: 4 nin al LL 4500 Adunque se la distanza a, del punto di applicazione della risultante delle forze nella sezione considerata, dall’ asse del camino, riuscirà io ZI premuta nella sezione avrà a, <0, vale a dire sarà più vicina al lato premuto dal vento che al lato opposto; condizione questa favorevole alla stabilità del camino. Ciò premesso basterà cominciare da «, pochissimo > 0 la serie dei tentativi sulla «, per arrivare alla equazione Roo È ‘ae < 5 tg: Saremo pienamente sicuri che la linea di demarcazione dell’area che determina il vero valore della 4,. All’ infuori dei metodi di statica grafica (per esempio di Mohr), ecco un metodo grafico-meccanico evidente (secondo le idee di Nehl]ls) che si potrebbe consigliare come conducente a risultati più precisi per ognuno dei tentativi in discorso; questi però sono da estendersi a parecchie se- zioni pericolose determinate dalla curva delle pressioni, che è il luogo geometrico dei punti d’applicazione sulle medesime sezioni delle risultanti deila forza del vento e del peso della muratura, adunque il luogo geome- trico dei punti distanti a dall'asse del camino. L’area anulare circolare di raggio esterno / e di raggio interno r può essere trasformata per lo scopo che abbiamo in vista nel modo disegnato, (V. Fig. IV, Tav. 2°) mantenendo per ogni elemento d/ l’istesso spes- sore da e l’istessa lunghezza. Ciò premesso riferiamoci alla Figura V la cui costruzione è evidente : Ora lidhid HEM donde quindi: Area integrale degli elementi d/, 1 mi 1 Ke (dhe moltiplicata per la distanza del suo baricentro dal polo 0 1 = um EArt N) Di conseguenza F(Xr+NMNM=M- 0, non occorrerà misurare che gli incrementi successivi delle aree F, F, e F,, affine di conseguire le nuove aree richieste. Dopo parecchi tentativi si perverrà a conseguire che la X, riesca At, e che quindi risulti determinata la vera linea di demarcazione dell’area effettivamente premuta entro la sezione pericolosa considerata. Ma occorrerà far consimili tentativi per parecchie sezioni considerate pericolose, in seguito alle indicazioni della curva delle pressioni. Passiamo ora al calcolo delle fondazioni dei camini. Il tronco cono superiore di un camino é prolungato in basso con uno zoccolo più grosso della base del medesimo corpo, e che per ciò in gene- rale non presenta mai sezioni orizzontali pericolose sotto l’azione del vento. Lo zoccolo s’ interna nel suolo, affine di potere dare accesso entro la canna ai canali del fumo, i quali generalmente sono pure internati nel suolo. Sotto lo zoccolo comincia la massa di muratura, in generale piena, che va gradatamente ampliandosi a scaglioni dall'alto al basso, fino a venire a poggiare sul terreno sodo direttamente, o per mezzo di una platea e di una palafitta. Supponiamo che la base inferiore della predetta massa di muratura sia circolare di raggio p metri intorno all’asse verticale del camino. Su tale base l'a risultante delle forze ‘esterne, ‘cioè ’della; forza QUAM] vento sul corpo esterno del camino, inoltre del peso P, di tutto questo corpo insieme alla massa di muratura predetta, passerà alla distanza a, dall’asse del camino, che risulterà determinata dalla condizione evidente iui (OE, 4, Un’ ottima condizione di stabilità è quella ammessa recentemente dalla Commissione tedesca, ricordata in precedenza, che la base circolare di raggio p non possa in alcun punto tendere a sollevarsi dal terreno, bensi riesca in tutti ì casi premuta gradatamente a partire dal lato del vento fino allo spigolo estremo dal lato opposto. Ammettiamo come sufficiente che la gradazione della pressione unitaria entro la base cominci dallo zero, e rifacciamo col pensiero la trattazione analitica svolta rispetto alle sezioni pericolose superiori del corpo del camino. Arriveremo alla medesima equazione risultante : RODE e ma questa volta tutte le grandezze saranno subito note, perché: EEA Mr =p (VETRI VI Tav. 25) =) 04, PI = pia p Perciò : 4 perc po(a + p,=T+ pr ossia di, 5 p cei, donde p= 4a,, come già si sapeva dalla teoria del nocciolo centrale. Il coefficiente € risulterà determinato dall’ equazione, CORI PRI ossia: Perciò = La massima pressione unitaria dalla parte opposta a quella del vento riuscirà GE p° x ossia eguale al doppio della pressione unitaria media dovuta al peso so- vrincombente P,, fatta astrazione dall’azione del vento. La Commissione tecnica tedesca surricordata (però a lievissima mag- gioranza) deliberò che per massima pressione sulla base inferiore della fondazione si possa ammettere in via generale 2‘ kg. per cmq., la quale cifra secondo le considerazioni analitiche precedenti darebbe per pressione . . . È . 3 . de 1 3 unitaria media la cifra di kg. 17 per cmq. Nelle tavole annesse alla presente Memoria é compreso un esempio del metodo consigliato per le determinazioni della stabilità di un camino per caldaie a vapore, esempio che non ha bisogno di alcuno speciale schiarimento in queste pagine e che fu svolto per cura dell’egregio inge- gnere Lodovico Amadei, Assistente alla Cattedra di scienze delle mac- chine presso la R. Scuola d’applicazione per gli Ingegneri in Bologna. —Prtuj@ts Serie VT_telomoRize 07 se va A sw sti ii» dA: clint ahi di AE w: 46 ade ROTTI a a e (IT. ale CLAN io, o % MAIA PAPI O ce i s > Ra fl i 7 Mt coi sai net dep i bali ci: 4 spo sula Di RLI it ia ita ont 0 i cn VE gar (inni dii Perga ti fd t : sii spring dissi: er: aio: stia nti fio % CE = Lal Sag MINE drei pa 3 "ii otnalartetat isadiuaia, () al LEE i : i i + i Ki, N 6. vida RI e 1) da a, n crei VE AE s°___SE Snia nt a i e ‘ dd sy i de. la vate Sedi biibignii i 3 pal Bot iii santi LIE è sp” | i 0 ge sg avrei pine ni Ù,: i du i Pa et rana loi La PE ‘ Noci 1 FUSTAESNA) dei dt rea) As Aa ui «teagde rag: sligt clan TI ti i »l di La RE \ tt Ad MA ia darti be lcd sa : i Va LETTE sm i Vu let a RITAR ua "i e, argo ve bo di fà nab Hone #-# (ALL al La Î ì slip. aj spor va; Pea Rot pg | div s i SR fi Site | Ì ) da n Da. ur Le ì' RE Pi sa at ì pet » ; ù al cibarie dE, nr Mi ra #ifn. n sana: sua i cuifertiizà “irta Il Anet Soa ai hai n ni ih y i LL. sli ida ade sb: i pi db; RM CLONI, Day, bo, state snai, ini at Meg: he o amar. pr" n per Li tg” go RAMA RATA: "ha AIRE sa i, SU f (IR Da a È i LT ali Pfpiat 4 Wa vio Forti AREE 1 DIA | rd | Lozè DI| 00%9% by 1Hero] = sin = se ero ——cs i Lit Mazzoni e Rizzoli-Bologna Tav] in muralura per generalori di vapore IBenelli Grafici per Ja resistenza diun camino Mem, Ser NM. Tom, IX, ° S S S DI QI N 3 n DS Ei a) N Ual S À ; i GOUORI ITTTTATT7AT 0/fe a DTT) Ul TTT QI] IVA S Si S S S x DAI IS (Sa) DI CO SÌ S Si 5 a R Diametri delle basi dei fronchi Mem. Ser VT I Benelli Grafici per Jaresistenza diun camino » | in muratura per generatori di vapore fav II. Lit Mazzoni e Rizzoli-Bologna x 5: » x A n) i A i ( 7 ‘ N " > Ì DI Î x Rote? È Rea x } 3 ; Ci x 5 ì ) ' ' x ni Silea si Tav II I Benelli. Grafici per laresistenza di un camino in murafura per generatori di vapore (insito LI se del v : 24 Ba I° tronco Tabella riassuntiva DAL LABORATORIO DI MATERIA MEDICA E FARMACOLOGIA DELLA R. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA UN NUOVO APPARECCHIO CHE SEGNA LE RAZIONI DI SECONDO FINO AL CENTESIMO È L MCKITPLE FINO AL TERZO SECONDO E CONTEMPORANEAMENTE PERMETTE DI REGOLARE A VOLONTÀ LA DURATA DI UN CONTATTO ELETTRICO NOTA SPERIMENTALE DEL Prof. IVO NOUOVI (DIRETTORE ) (letta nella Seduta del 26 Maggio 1901) CON TRE TAVOLE La delicata e copiosa suppellettile della elettrofisiologia cl dà diversi apparecchi che servono a misurare il tempo e la durata dei varî feno- meni, apparecchi che hanno una grande importanza e richiedono una no- tevole difficoltà di esecuzione e di uso. Nel lavoro ormai vecchio, ma pur sempre assai pregiato e pregevole del Cyon (1) sui metodi di tecnica fisiologica sono notati diversi istru- menti destinati a scrivere le frazioni del minuto primo e del secondo. Questi apparecchi sono sempre essenzialmente diversi gli uni dagli altri, come quelli che essendo destinati a segnare diversissimi spazi di tempo richiedono o metronomi, o pendoli misuratori delle frazioni di minuto primo o lamine vibranti e diapason misuratori di frazioni di minuto se- condo. Nel classico lavoro di Kronecker (2) é descritto un metronomo di Maélzel al quale è applicata una disposizione molto geniale, ma un po’ complessa per istabilire ad ogni dato momento un contatto elettrico si- curo e costante. Il Kronecker ci ha pure dato un piccolo ed utilissimo strumento (1) E. Cyon. Methodik der physiologischen experimenten und vivisectionen. Giessen, 1876. (2) H. Kronecker. Ueber die Ermildung und Erholung der quergestreiften Muskeln. K. Sachs. Gesellsch. der Wissensch. 1871, pag. 700. — 458 — studiato anche dal Tiegel e descritto dal Cyon (1) detto « capillar contact ». È una disposizione molto ingegnosa, che permette di assicurare in ogni momento un contatto elettrico perfetto, costante e di resistenza relativamente invariata. Dico relativamente ai bisogni dello sperimento fi- siologico. Forsanche tale disposizione è la migliore di cui il fisico possa disporre. Ridotto alla sua più semplice rappresentazione l° istrumento del- Kronecker è un contatto fra una punta di platino e una superficie di mercurio, mantenuta continuamente pulita da una debole corrente costante di acqua distillata. Ma, perché la scintilla che scocca fra le due superfici metalliche di contatto tende a produrre l’ ossidazione di esse e questa causerebbe a lungo andare una variazione nel livello del mercurio, nelia disposizione del Kronecker il mercurio sì trova in comunicazione con un largo tubo contenente lo stesso metallo e che non può risentire in modo apprezzabile le piccole variazioni di volume. Un altro apparecchio ideato nello stesso Istituto nel quale il Kro- necker lavorava in quello cioè del Maestro più grande della nostra te- cenica, di Carlo Ludwig, é l’orologio interruttore del Bowditch adat- tato allo scopo dal meccanico Baltzar, il rinomato e compianto autore dei riputatissimi chimografi del Ludwig. L’ orologio interruttore del Bowditch, come dice la parola è un ap- parecchio di orologeria regolato da un pendolo per secondi e atto a sta- bilire contatti elettrici fra platino, prodotti dal sollevarsi di una leva che scorre sopra punte metalliche disposte come sul cilindro di un organetto di Barberia. Queste punte sono fissate sopra un disco rotante e sono distribuite concentricamente in modo che i contatti possono variare da 1a 60 al minuto primo. Altri sistemi sono fondati sopra contatti stabiliti su pendoli o me- tronomi. Così il Langendorff (2) registra due pendoli che possono stabilire un contatto elettrico fra platino e mercurio durante la loro escursione, che il Langendorff considera di un minuto secondo. L’uno di questi due pendoli forma il contatto con una vaschetta di mercurio situata proprio al disotto della lente, ed ha il gran difetto di portar via il mercurio a goccioline volta a volta e in quantità apprezza- bilissime, come ho poluto dimostrare io stesso, usando in qualche caso una disposizione simile. L’ altro pendolo porta sul terzo superiore della sua asta un braccio piegato due volte ad angolo retto e munito nell’ estremo libero di una (1) Cyon. op. citata, pag. 328. (2) Dr. O. Langendorff. Physiologische Graphik. Leipzig und Wien. F. Deuticke 1891, pag. 121. — 459 — vite con contatto di platino per toccare il menisco di mercurio d’ una va- schetta situata li presso. In questi pendoli il circuito elettrico si compie attraverso alla sospen- sione del pendolo e al braccio che determina il contatto. Il movimento deve essere mantenuto da un apparecchio di orologeria a pesi o a molla. Il Buff (1) ha ideato una disposizione, cui io pure avevo ricorso, ma però con diversa applicazione ignorando allora quella del Buff. Secondo questi ai lati di un pendolo da secondi, di contro all’ asta sono situate due lastrine di platino tenute in posizione da leggere spirali e toccate volta a volta dall’ asta stessa durante |’ oscillazione pendolare. Fra l’asta e le due lastrine si stabilisce il contatto elettrico. Invece delle lastrine mobili io aveva applicato sull’ asta del pendolo una lastrina di platino e le due spirali portavano invece una punta di pla- tino, che colpiva sulla lastrina. Così il contatto era più sicuro, più costante e la durata sensibilmente la medesima, non essendovi il pericolo evidente nell’ apparecchio del Buff, che cioé la lastrina avente larga superficie for- masse in punti diversi il contatto con |’ asta. Un’ ingegnosa applicazione é stata data dal Krille (2) per interrom- pere un contatto mediante un movimento regolare qual é quello di un pendolo. Se si immaginano due tubi piegati ad L, rivolti l’ uno verso l’ altro e che nella loro branca orizzontale presentino un’ apertura capillare strettis- sima affacciata l’ una all’ altra alla distanza di un millimetro e anche meno, sì avra che se i tubi sieno pieni di mercurio, due goccioline si affacce- ranno dalle aperture capillari e si porranno in contatto. Se il mercurio dei due tubi era in comunicazione coi due poli di un circuito, questo verra chiuso attraverso al ponte formatosi. Ma se allora un pendolo, che porti al disotto della lente una laminetta isolante, di mica, di celluloide, di osso, di vetro, sia disposto in modo da tagliare il ponte di mercurio durante le sue oscillazioni, si avra una inter- ruzione nella corrente, e precisamente in rapporto con la larghezza della lamina e l’ ampiezza dell’ oscillazione pendolare. Certamente il sistema è ingegnoso, ma l’ apertura capillare facilmente si occlude in parte o in totalità, le goccie non sono abbastanza e sempre egualmente pronte a riprodurre il contatto. In ogni modo anche in questi apparecchi non si parla che di pendoli animati da altre forze e che segnano il secondo. È bensi vero che poco ci vorrebbe a muoverli a mezzo della elettricità (1) Langendorff. op. citata, pag. 122. (2) Vedi Langedortff, pag. 123. — 460 — o a meglio dire a mantenerli m movimento con questa forza, il che riesce assai facile, è vero che allungando o abbreviando |’ asta si potrebbe giun- gere facilmente ad ottenere un contatto ogni terzo secondo, come massimo intervallo e ad ogni quarto di secondo, con sostituzione di altro pendolo, per gli intervalli minimi, ma ciò non é osservato dagli autori e richiede- rebbe già una ulteriore e notevole modificazione. Sui metronomi, oltre |’ applicazione, che abbiamo citata come portata dal Kroneeker ne sono state eseguite altre numerose, alcune delle quali semplicissime consistono nel collocare sull’ asta oscillante del metronomo un arco metallico, che va a pescare in una vaschetta di mercurio. Cotesto metodo così semplice ha l'inconveniente, che secondo la carica dell’ apparecchio di orologeria, che anima il metronomo, la oscillazione varia di molto, tanto che a volte l’ arco non isfiora neppure il mercurio, a volte sì immerge fino a toccare il fondo della vaschetta. Oltre che tale metodo risente di tutte le irregolarità di questi grossolani apparecchi di orologeria. Il Verdin nel suo metronomo con trasmissione ad aria ed elettricità, fa stabilire il contatto dallo stesso scappamento dell’apparecchio, ma questo da delle variazioni assai notevoli ed è ben lontano dalla precisione voluta non potendo mai assolutamente servire per una stimolazione di una durata costante. Pure non tenendo conto di parecchi inconvenienti, che potrebbero anche essere tolti, gli apparecchi sopra indicati non servirebbero e non servono che per i grandi intervalli di tempo e cioè per il minuto primo o per i suoi sottomultipli fino al secondo e a frazioni di questo tutt’ al più fino al quarto. Tutt’ altri apparecchi abbiamo nella tecnica per i piccoli intervalli di tempo e cioè lamine vibranti e diapason. Dal classico strumento dell’Helmoltz conosciuto col nome di grande miografo dell’ Helmoltz e che aveva pure un diapason che segnava diret- tamente le sue oscillazioni sulla lastra di vetro trascorrente, giungiamo a molti altri sistemi, che dal più al meno consistono nel far scrivere la lamina vibrante, indirettamente mediante un segnale elettrico qualunque, del Depréz, del Pfeil, le chiusure o aperture di circuito prodotte dalla vibrazione. Così si è potuto segnare anche il! di secondo e ciò si è ottenuto ani- mando automaticamente il diapason con una elettrocalamita della quale esso interrompe opportunamente il circuito. L'interruzione o rispettivamente il contatto si è fatto con filo di platino per i diapason aventi minor numero di vibrazioni. Il filo affidato all’estremita della lamina vibrante batte contro una lamina fissa di platino e così stabilisce o apre un circuito. — 461 — Il von Kénig (1) ha riunito le due branche del diapason con una lamina metallica elastica curvata ad arco, con la concavità verso la for- chetta, facendo in modo che quest’ arco stabilisse un contatto elettrico con una punta di platino postagli di contro e lo interrompesse quando la cur- vatura dell’ arco scemava per | allontanarsi delle branche |! una dal- 1’ altra. Coteste interruzioni e contatti sì verificavano nella corrente di una elettro calamita, capace di allontanare le branche |’ una dall’ altra. Per i diapason aventi maggior numero di vibrazioni da 100 v. d. a più si é ricorso al contatto fra platino e pozzetti di mercurio lavato o col metodo del Kronecker o lasciato asciutto, o coperto da uno strato più o meno grosso di alcool. Ci affrettiamo ad osservare che se le vibrazioni sono molto frequenti e nei circuiti vi ha una certa resistenza, lo scoccare delle scintille ossida ‘apidamente la superficie di mercurio di guisa che occorre adottare la disposizione del Kronecker. Nel suo recente trattato di fisiologia anche il Waller (2) descrive il diapason per le interruzioni frequentissime e la lamina vibrante per quelle meno numerose. Ma occorre avvertire che questa non può dare con sicu- rezza che oscillazioni di }, di secondo, non più rare. Sta dunque di fatto che finora si sono usati e si usano apparecchi distinti per gli intervalli brevi e per i lunghi e che nessuno di quelli che si possiedono permette di misurare nel tempo stesso o determinare la durata di un contatto. Se si volesse raggiungere questo scopo occorrerebbe introdùrre un terzo apparecchio, il che renderebbe sempre più complicata la tecnica. Pochi laboratori possono permettersi nella loro suppellettile strumentale il lusso di tre apparecchi di fine fabbricazione e del prezzo elevato di questi, senza contare gli altri secondari per importanza, ma necessari pure per lo scopo che si vuol raggiungere. Il Kronecker ha riunito i due strumenti segnalatori testè indicati in un solo apparecchio sul quale si possono adottare due lamine di diversa grossezza e quindi suscettive di compiere un numero diverso di vibrazioni o dei diapason, che possono dare da 100 fino a 250 v. d. Il numero minimo di vibrazioni della lamina più sottile usata nella sua massima lunghezza è di 3 per secondo, siamo dunque ancora lontani dal secondo e dai suoi multipli. L’ apparecchio è fine e naturalmente di prezzo elevato di guisa che (1) Vedi Cyon, op. cit. pag. 329. (2) A. Waller, Elements de Physiologie humaine. Trad. par A. Herzen, 1898, pag. 376. — 462 — unendolo all’ orologio interruttore si raggiunge sempre un costo non infe- riore alle 800 lire circa. Oltre a ciò il suo uso non é alla portata di tutti, perché la collocazione delle lamine specialmente per le vibrazioni poco numerose non é punto facile. Costruire adunque uno strumento di facile uso, che riunisse agli uffici dei due tipi di apparecchi per gli intervalli rari e per i lunghi, quello di poter regolare la durata del contatto di eccitamento e nello stesso tempo permettesse di realizzare una grande economia, dall’ 80 al 90%, mi parve rappresentasse un problema che meritasse studio e lavoro. Non voglio certamente passare in rivista tutte le prove da me fatte a mezzo di.pendoli, di apparecchi di orologeria e di applicazioni diverse delle più varie fogge di contatti metallici a lamine vibranti. Fu mio punto di partenza il cercare se una lamina tenuta verticalmente fra le branche di una morsa, lamina capace di dare le 100 v. d. o almeno le 30, e allungata convenientemente atta a darne 25-10-5 per secondo, potesse poi servire di sospensione ad un pendolo pesante allungabile, il quale permettesse di dividere i mezzi secondi,i secondi, i doppi e i terzi secondi. Dico senz’ altro che in seguito alle numerosissime mie prove vidi più opportuno e più pratico il sospendere a sé il pendolo invece di usufruire la lamina vibrante, e cioè per poter meglio seguire le leggi della lun- ghezza del pendolo e non incontrare l’ inconveniente di dover troppo allungare o appesantire il pendolo medesimo per dover vincere la resi- stenza della lamina alla flessione. Il mio strumento consta dunque essenzialmente di 3 parti. 1.° Una lamina di acciaio temperato avente dimensioni date della quale per prove successive e ripetute è noto il numero di vibrazioni a seconda della lunghezza libera di vibrare. La lamina porta al suo estremo libero una massa poco pesante di ferro dolce, 25 o 30 gr., destinata a mantenere più regolari le oscillazioni e a facilitare l’ azione dell’ elettro-calamita che deve mantenerla in movimento. Detta lamina non ha nessuna speciale disposizione fuori dei segni che indicano le lunghezze rispondenti ai rispet- tivi numeri di vibrazioni. Con essa si possono ottenere da 100 v. d. a 5 v. d. per secondo, e cosi si misurano gli intervalli più brevi di tempo. (Eroe, Quando poi si vogliano misurare i più lunghi, invece della lamina si ricorre ad un vero e proprio pendolo. È questo formato da una massa lenticolare contenente piombo e pesante 4 Kg. La lente é sostenuta da un’ asta di legno di abete abbastanza robusto e relativamente assai leg- gera, asta della lunghezza di 1 metro, sostenuta da una delle solite sospen- sioni con due lamine parallele di acciaio fine. La lente si può portare mediante una vite di pressione lungo l’ asta e — 463 — fissare in luoghi determinati, cosi da potersi ottenere i mezzi secondi, o i secondi o i doppi secondi. Se poì si volessero avere anche i terzi secondi e cioé un contatto per ogni tre secondi occorrerebbe allungare |’ asta fin verso i 2 metri, il che certamente non rappresenta un grande inconveniente né, quel che più monta, una difficoltà notevole. La 2* parte (fig. 2* a) essenziale dello strumento é un apparecchio di con- tatto fra platino e mercurio, al quale apparecchio è affidato l’ incarico di man- tenere in movimento il pendolo o la lamina, regolando cioé la chiusura e l a- pertura del circuito, che anima l’elettro calamita e nello stesso tempo é pure legato |’ ufficio di interrompere e chiudere il circuito di un semplice se- gnale elettrico scrivente o quello della terza parte dell’ apparecchio desti- nata a regolare la durata degli eccitamenti. Si può osservare che quando | apparecchio si adopera per il solo scopo di segnare il tempo sul cilindro rotante può interporsi il segnale elettrico nello stesso circuito della elettro calamita, diciamo così, motrice. A questo proposito però giova notare che assai spesso questi segnali hanno un numero così scarso di giri nei loro piccoli rocchetti, che basta la più lieve resistenza data da altri rocchetti interposti, perché essi non ser- vano più. Molte volte interponendo uno di questi segnali nella corrente primaria dei più semplici apparecchi d’ induzione sì vede che il segnale non funziona, se non si aumenti la forza elettro motrice, e ciò come è noto fa sempre correre il pericolo di far scorrere scintille fra i fili dei rocchetti e quindi stabilire contatti che eludano lo scopo prefisso. Se invece si voglia procedere sempre con sicurezza basterà dirigere le correnti attraverso all’ apparecchio suddetto di contatto, in modo che esse lo traversino nello stesso senso e cioé alle due parti del contatto risultino applicati elettrodi omonimi. In tal caso le pile da usarsi possono anche essere deboli, come una semplice Daniell di medio modello o una pic- cola Grenet capace di 4, di litro. Questo apparecchio di contatto che rappresenta la seconda delle parti essenziali dello strumento è assai semplice; esso risuita di una laminetta sottile ed elastica di ottone abbastanza lunga e abbastanza sottile perché le vibrazioni che essa eventualmente possa dare sieno rade, assai più di quelle date dalla lamina vibrante. La laminetta è stabilmente congiunta obliquamente verso il basso con angolo acuto ad un manicotto di metallo che può scorrere a forte sfrega- mento sulla lamina vibrante o sull’ asta del pendolo (la quale all’ uopo ha una lamina d’ottone delle stesse dimensioni di quella vibrante e in comunicazione elettrica col sistema di sospensione del pendolo). La laminetta d’ ottone termina nel suo estremo libero in una punta di platino che forma con essa un angolo ottuso, cosi da riescire parallela all’ asta del pendolo o alla lamina vibrante. Serie V. — Tomo IX. 58 — 464 — A meta circa della sua lunghezza la laminetta incontra la punta, munita di pietra di talco di una vite a breve passo che esercita contro di essa una continua pressione tanto quando la lamina vibra verso destra, come se vibra verso sinistra. Per tale ostacolo la punta di platino si innalza o si abbassa compiendo un moto di altalena e andando quindi a pescare in un pozzetto sottoposto contenente mercurio (fig. 2° d). Una volta per tutte avverto che questo pozzetto é costruito secondo le indicazioni del Kronecker cioé é quello che egli chiamo un contatto ca- pillare suscettivo di essere lavato da corrente di acqua. Anche nella 3* parte dello strumento si trova analogo contatto capillare. La elettro calamita che deve mantenere in movimento la lamina vi- brante o il pendolo é situata dalla parte opposta del contatto ed è animata naturalmente quando ! oscillazione è giunta al suo estremo opposto. Le due branche della calamita non sono situate di contro alla lamina, ma ai lati, per impedire che un potenziale elettrico troppo notevole produca il contatto dell’ asta oscillante o peggio della lamina vibrante e quindi ne abbrevi |’ escursione. | Cotesto inconveniente non può essere prodotto dalla laminetta che tocca la vite con la testa di talco, perché la laminetta è assai sottile, elasticis- sima e applicata in luogo ove l’ escursione, vibratoria od oscillatoria è as- sai piccola. La terza parte assai importante dello strumento (fig. 3*) consiste in una semplice leva di 1° genere con due braccia di lunghezza molto di- versa. L’ uno assai breve porta una staffa di ferro dolce che può essere at- tirata da una buona elettro calamita, |’ altro lungo almeno 6 volte di più e segnato da una scala millimetrica, porta alla sua estremità una piccola sfera metaliica e un peso mobile lungo il braccio stesso e fissabile me- diante vite di pressione. Al disotto della sfera si trova una calotta sferica che per maggiore semplicità di esposizione può rassomigliarsi alla capocchia di un chiodo, il quale sia situato verticalmente e tenuto in posizione da una spirale di filo d’ ottone. i La punta del chiodo munita di estremità di platino va a immergersi in un contatto a mercurio e questa immersione sara tanto più lunga quanto meno tesa sarà la spirale, quanto più forte sarà il colpo che al chiodo sarà impresso dal braccio lungo della leva, allorché la staffa del braccio più breve lascerà |’ attacco con la calamita sottoposta. Così il colpo essendo regolato solamente dall’ altezza da cui cade il braccio lungo o diciamo cosi dal martello, altezza variabile mediante una vite d’ appoggio, dalla distanza a cui il peso si trova dal fulero della leva, esso sara del tutto indipendente dalla potenzialità della pila. — 465 — S’intende che il martello allo stato di riposo non deve toccare la ca- pocchia del chiodo, ma raggiungerla solamente per elasticità della leva e questa elasticità deve esser tale da non dare oscillazioni postume, ca- paci di produrre successivi contatti. Facilmente si comprende come la corrente eccitatrice dovrà traversare il chiodo e il sottoposto contatto capillare e non troverà quindi altre resi- stenze fuori di questo contatto, resistenze per sé trascurabili e relativa- mente costanti. Quando si voglia mandare ad un tessuto da eccitarsi un numero determinato di stimoli non si avrà che a interporre in quest’ ul- timo contatto la corrente primaria inducente di uno apparecchio di indu- zione del quale si può quanilo si voglia stabilire preventivamente il nu- mero delle interruzioni per minuto secondo. La elettro magnete di questa terza parte dello strumento è animata dalla corrente, che come si disse deve applicarsi all’ apparecchio di con- tatto che abbiamo chiamato seconda parte dello strumento ricordando che a cotesto contatto devono essere applicati i poli omonimi delle rispet- tive pile. La fig. 4° rappresenta lo schema d’insieme, nel quale /p è la lamina pendolo, e ! elettrocalamita che la mantiene in movimento, e il contatto automaticamente interrotto dalle oscillazioni del pendolo. m € il martello a leva animato dall’ elettrocalamita e' e atto a battere sulla spirale messa in tensione dalla ©; r e 7" sono i rocchetti primario e secondario di un apparecchio d’ induzione. Per provare la regolarità del funzionamento dell’ apparecchio credo ne- cessario riportare alcuni tracciati, dei quali gli uni ottenuti interponendo nel contatto della II parte un segnale Deprez, altri interponendo il segnale nel circuito dell’ eccitamento e cioé per mostrare le modificazioni della durata del contatto a seconda delle tre condizioni notate più sopra. Un contasecondi con movimento di orologeria, certamente non per- fetto perché ha lo scappamento un po’ irregolare, con irregolarità ritmica, dimostra il tempo intercorso e serve di misura al tracciato. Questo come facilmente si distingue é collocato sotto a quello dell’ o- rologio. I tracciati si leggono da destra a sinistra e non dipendeva da me l’ ottenerli diversamente. A) Tracciati esprimenti i contatti che si possono ottenere dallo strumento. 1° Movimento pendolare: una oscillazione semplice per secondo, 1 contatto ogni 2 secondi /, v. d. per secondo. Vengono segnate sola- mente le oscillazioni doppie perché è dimostrato che in questo modo si — 4606 — ha maggiore regolarità, perché una oscillazione compensa l° altra. Chi vo- lesse contare ogni secondo non avrebbe che a leggere tanto gli innalza- menti come gli abbassamenti del tracciato o anche servirsi del tracciato seguente : 2° Movimento pendolare : una oscillazione doppia per secondo, 1 con- tatto per secondo. In questo tracciato si possono leggere facilmente anche i mezzi se- condi, contando gli innalzamenti e gli abbassamenti dell’ indice scrivente. 3° Movimento vibratorio : 5 v. d. per secondo, 5 contatti per se- condo. 4° Movimento vibratorio : 10 v. d. per secondo, 10 contatti per se- condo. 5° Movimento vibratorio : 25 v. d. per secondo, 25 contatti per se- condo. 6° Movimento vibratorio : 50 v. d. per secondo, 50 contatti per se- condo. Si potrebbero ottenere anche 100 contatti, ma ciò non é necessario né per usarne per eccitamenti, né per la lettura. B) 7racciati che dimostrano la durata dei contatti da servire per eccitamento elettrico. 1° Massimo di altezza di caduta del martello e di peso e minimo di tensione della spirale. 2° Minimo dei primi due dati e minima tensione della spirale. 3° Massimo di altezza di caduta e di peso del martello e massima tensione della spirale. 4° Minimo dei primi due dati e massima tensione della spirale. Con queste variazioni é certamente possibile inviare attraverso ad un tessuto gli stimoli che si vogliano e segnare sul cilindro tutte le ordinarie divisioni del tempo necessarie per tutte le pratiehe di un laboratorio bio- logico. Si potrebbe veramente osservare che con questo strumento non si possono ottenere i multipli più grandi del minuto secondo, giacché non sì va più in su del terzo secondo. Non si giunge cioé né ai 10" né ai 20", né tanto meno al minuto primo, il ché invece é possibile con l’ orologio interrutore di Bowditch e Baltzar. Ma a ciò si può rispondere che bisogna anche concedere molto alla semplicità dello strumento e al suo mite prezzo e d’ altra parte è as- sai facile lo stabilire un contatto per ogni 5'-10"-20" © più purché si ab- bia un cilindro girante regolare. Solamente un disco applicato sul fondo di un cilindro e portante con- — 467 — centricamente disposte poche punte capaci di urtare una molla sottoposta, può rappresentare facilmente |’ orologio di Baltzar. Se si interponga nel circuito della III parte del mio strumento la molla e il disco di cui ho detto, si avrà già riempito la lacuna, che lo stru- mento presenta. Tale disposizione è poi tanto più facile nei poligrafi che abbiano al- l'esterno ruote dentate, sulle quali contando i denti, più facilmente si puo far eseguire la collocazione delle punte da servire di contatto. Questo, come si è dimostrato, non occorre sia molto delicato purché la molla eserciti una compressione abbastanza forte, durì esso più o meno a lungo non monta, la lunghezza dell’ eccitamento è regolata, come si disse, dal martello dello strumento. n n fi pa ri on i eubo;0g= 1/ozziy 3 1U0zze|{ 71] |'AE] ‘IN0y'] 4 buy PANINI ‘3UI ‘JOQUO9:J d) ad VANANANNNNNVNNANNNNNNNNINVNNNNNNNNNNNNNNEIOVNNN MNIANNANIININNIIAIANIIANIDANTIINIANNIMANINANNNA. (dj MNANMANNNANMSMNSS MAMA NNNNNUANNANNNNNMININNNNUANMINNMAANNNI i i i O i i ‘pb i Sa 5 3% 2) | o $ 3 ; 2 ia 0 i, ‘Y| QUO] ‘A 499 ‘WIN Mem. Ser. V. Tomo IX. I Novi. Tav.Il. I° MOVIMENTO PENDOLARE 1° contatto ogni 2secondi (2v.d. per secondo ) 1 contatto ogni secondo (1v.d. per secondo) II° MOVIMENTO VIBRATORIO 1° 5 v.d. per secondo 2° 10 vd. per secondo 5. 25 vd.per secondo 4° 50 vd. per secondo E. Contolî, inc. Lit. Mazzoni e Rizzoli -Bologna Mem. Ser. V. Tomo IX. I Novi. Tav.II{. WES ARIENDECZAREARECCHIOSINTERRUTTORE= Dimostrazione della infiuenza di tensione della molla e del peso del martello. (Tutte le interruzioni avvengono ogni secondo) I° Tensione massima della molla e peso minimo del martello. ò P 1 È 1 il contatto duro 70 di secondo e 3 II° Tensione massima della molla e peso massimo del martello. Ga e 1 ; il contatto durò i00 di secondo e II° Tensione minima della molla e peso minimo del martello. 3 SMISO, . 1 il contatto duro 0 di secondo e > IV° Tensione minima della molla e peso massimo del martello. , 2 5 ; il contatto duro io di secondo E. Contoli, inc. Lit. Mazzoni e Rizzoli - Bologna SERE BERO adi SUL CONTEGNO E SULL’ AZIONE DEGLI 5UCCHERI NELL ORGANISMO SESTA COMUNICAZIONE DEL Professore PIETRO ALBERTONI (Letta nella Sessione del 10 Febbraio 1901) Assorbimento degli zuccheri in rapporto colla tensione osmotica. Le mie precedenti esperienze sull’assorbimento degli zuccheri erano dirette, in primo luogo, a stabilire |’ inzensita dell’ assorbimento in condi- zioni fisiologiche per le varie qualità di zuccheri; diversamente dagli altri autori, i quali si erano prima piuttosto occupati di studiare l’ assorbimento nello stomaco o in un ansa intestinale, quasi solo allo scopo di verificare il fenomeno. Riguardo alle leggi ed al meccanismo dell’assorbimento, già nelle mie ricerche del 1888 io avevo studiato l’ assorbimento gastroenterico delle soluzioni zuccherine di varia concentrazione la cui densità era maggiore o minore di quella del sangue, da 1208 a 1050. Da dette ricerche venni a concludere che l’assorbimento del glucosio nel tubo gastroenterico, in condizioni naturali, si verifica tanto per le soluzioni più dense che per le meno dense del sangue, e che, nella prima ora dopo la somministrazione, la quantità dello zucchero assorbito è straordinariamente più grande che nelle ore successive. La densita del liquido rimasto nello stomaco è sempre diminuita ed inferiore a quella del sangue totale, ma superiore alla densità del plasma. Non vi ha rapporto determinato fra la quantità di glucosio e di acqua che scompare dallo stomaco; scompare assai più glucosio che acqua. La densità del sangue durante l’ assorbimento aumenta, e l’aumento é tanto più grande, quanto più la soluzione zuccherina è concentrata, e coincide col tempo in cui ha luogo il massimo assorbimento dello zucchero. Quest’ aumento della densità va riferito ad un ispessimenio del — 470 — sangue, dovuto ad una perdita della parte liquida durante l’ assorbimento nello stomaco e nell’intestino (1). Sono d’accordo con questi i risultati di Brandl (2), il quale ha trovato che nei cani a piloro chiuso |’ assorbi- mento dello zucchero cresce in modo assoluto e relativo quasi proporzio- nalmente alla concentrazione fino al 20%; e quelli di Mehring, il quale, sperimentando su cani, con varie sostanze a concentrazione diversa, venne alla conelusione che | assorbimento cresce colla concentrazione della soluzione. Le attuali mie ricerche sono dirette a studiare i rapporti fra tensione osmotica ed assorbimento degli zuccheri. Mentre io attendevo alle mede- sime comparvero alcuni lavori che occorre ricordare. Roth e Strauss (3), Pfeiffer e Sommer (4), Jacoangeli (5) si sono serviti anche del glucosio per studiare il contegno delle soluzioni di varia concentrazione molecolare rispetto al siero del sangue, nello stomaco dell’uomo e del cane. Circa la concentrazione molecolare del liquido residuale, si accordano i risultati diiarciola nigiell i idioPiiemfifeir feriStomimie TAN qualitconcludeno che le soluzioni ipoisotoniche tendono a concentrarsi, le quasi isotoniche rimangono invariate, le iperisotoniche tendono ad abbassare la loro mole- colarità. « Per quello che riguarda | assorbimento del glucosio e del nitrato di stronzio, scrive Jacoangeli (l. c. pag. 239), esso è in relazione colla pressione osmotica totale della soluzione. Tanto 1 assorbimento assoluto che quello relativo, verificatosi nel decorso di 30 minuti, é in ragione di- retta-di detta pressione. Osservando poi l'andamento della corrente del cloruro di sodio, sì vede che essa, per le soluzioni ipoisotoniche, dove la pressione parziale é minore di quella che ha nel sangue, procede verso il contenuto dello stomaco, e che per le soluzioni iperisotoniche, dove la pres- sione parziale è maggiore, si verifica il contrario. E ciò, ancora una volta, conferma il concetto che le forze fisiche della diffusione regolano, nello stomaco, il contegno delle soluzioni ». Hédon (6) ha studiato in maniera speciale l’ assorbimento intestinale e l’azione purgativa degli zuccheri in rapporto colla tensione osmotica. Egli introduceva in un’ ansa isolata (20 centimetri) dell’intestino di coniglio (1) Albertoni, Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Serie IV T. IX, 1883, Serie V T. I, 1891 e T. VII, 1399. — Arch. it. de Biolog. t. XV, pag. 32; t. XVIII, pag. 266; t. XXX, pag. 465. (2) J. Brand], Ueber Resorption und Secretion im Magen. Zeitschr. f. Biol. Bd. XXIX, 1892. (3) W. Roth u. H. Strauss. Untersuchungen ueber den Mechanismus der Resorption und Secretion im menschlichen Magen. Zeit. f. Klin. Medicin, Bd. XXXVII, p. 144. (4) Th. Pfeiffer u. A. Sommer, Arch. f. exp. Path: u. Pharmakol. Bd. XLIII, 1899. (5) jacoangeli, Importanza della tensione osmotica nell’assorbimento dei farmaci. Roma 1900. (6) Hédon, Soc. de Biologie 13 janvier, 20 id., 27 id. 190. — Ud — delle soluzioni iperisotoniche e isotoniche dei vari zuccheri, lasciandole in sito un tempo variabile e determinando poi lo zucchero assorbito e la quantità di liquido contenuto nell’ansa. Venne alla conclusione che l'assorbimento degli zuccheri era regolato interamente dalle leggi della concentrazione molecolare. Ma esaminando attentamente gli stessi dati di Hédon si vede che non si accordano colla teoria. Infatti per ciò che riguarda l’assorbimento dei siugoli zuecheri si vede che : L’ assorbimento per le | invece teoricamente doveva essere Eicniico toniche prendendo a termine di confronto in 2 ore è stato il raffinosio il glucosio Tan Raffinosio 80% 0 AZIO 70% | 40% Glucosio ‘ 224 1%, — 40% ( 43 % Galattosio 39 YU ZIA 40) 9% ZAMOA Arabinosio ‘ LOS 48% 36 0% Se si considera invece in rapporto alla tensione osmotica delle soluzioni ritrovate nelle anse, la quantità di acqua sottratta al sangue, si vede pure che non vi ha nessuna regola; che possa strettamente legittimare le con- clusioni assolute di Hédon. Infatti dai quadri dell’A. si ricava il seguente quadro : Zucchero introd. Vol. prim. |[Zucchero Soluz. teor. | Liquido trovato Differenza rimasto isotonica Raffinosio 1) aa gol (IE207 cc. 50 6,49 CCA cc. 63,0 + 17,3 2) DI 29) » 50 5,51 » 45,9 » 58

2 b, OIOUIONZ IP. 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Il glucosio e il saccarosio, in soluzioni della stessa tensione osmo- tica, vengono sempre assorbiti in quantità molto maggiore del lattosio; e la stessa differenza si osserva se la tensione osmotica delle soluzioni di lat- tosio è maggiore o minore di quella delle soluzioni di glucosio e saccarosio. La quantità assoluta di zucchero assorbito è sempre molto maggiore dalle soluzioni iperisotoniche che dalle isotoniche o ipoisotoniche. La tensione osmotica del liquido che sì trova nello stomaco dopo una ora dalla somministrazione degli zuccheri in soluzione iperisotonica, è diminuita, ma sempre superiore di molto a quella del sangue. Se sì intro- ducono nello stomaco delle soluzioni isotoniche, o ipoisotoniche, la tensione osmotica del liquido non si trova diminuita, ma accresciuta, il che conferma quanto venne già osservato sul passaggio di sostanze dal san- gue al contenuto gastrico. È notevole il fatto che nell’ intestino si trova sempre un liquido con tensione osmotica superiore a quella del sangue, tensione quasi costante imomo da 075 (A=0E7): La tensione osmotica del sangue durante l'assorbimento subisce lievi modificazioni; di solito è lievemente aumentata dopo l'assorbimento di di soluzioni iperisotoniche. Le leggi della tensione osmotica avranno certamente parte nel feno- meno dell’assorbimento, soprattutto dallo stomaco; ma non bastano da sole a spiegarlo. Secondo esperienze, che pubblicherò fra breve molto mag- giore importanza ha la qualità colloide del sangue. I risultati di Hédon, secondo i quali l'assorbimento degli zuccheri da anse intestinali isolate e legate nel coniglio starebbe in rapporto colla ten- sione osmotica delle soluzioni, si devono considerare come eccezionali e non riferibili a condizioni fisiologiche. Hé don, dalla forza d’attrazione dei diversi zuccheri per l’acqua del sangue, conclude alla loro energia purga- tiva. Ora l’azione purgativa di una sostanza, che per forza osmotica attiva acqua nell’intestino dal sangue, é dipendente in massimo grado dalla ’apidità di assorbimento della sostanza stessa dalla mucosa. Cosi sappiamo per esempio che il solfato di soda ha azione purgativa, mentre il cloruro di sodio, in soluzione della stessa concentrazione molecolare, ne é privo. La differenza si spiega dal fatto che il primo non attraversa quasi la mem- brana gastro-intestinale, e il cloruro di sodio l’ attraversa invece con faci- lità. Infatti il solfato di sodio compare in quantità nelle feci, mentre il clo- ruro di sodio viene eliminato colle orine (Gryns). °° _STERETTEO SUI VETTORI ELETTROMAGNETICI INTO UECA DEL Prof. LUIGI DONATI (Letta nella Sessione del 26 Maggio 1901) Scopo di questa breve nota si è di dare in forma più generale del consueto la deduzione della legge d’induzione dal principio dell’ energia e al tempo stesso di presentare ridotte al massimo di semplicità le carat- teristiche del campo elettromagnetico (*). LE Indicherò con E ed M rispettivamente la forza elettrica e la forza magnetica. E comprende in generale due parti: una parte elettrostatica ed una parte di origine induttiva; e similmente M comprende una parte magnetostatica ed una parte magnetoelettrica. Assumendo come postulato energetico che in condizioni statiche i lavori rappresentati dagl’integrali lineari /|]Ed1| e /|Md1| debbano esser nulli per qualunque linea chiusa, ne segue l’esistenza per il campo elettrostatico ed il campo magnetostatico di una funzione potenziale ad un sol valore, ne segue cioé che essi sono lamellari puri: dopo di che la loro riduttibilità al tipo newtoniano sì presenta come semplice conseguenza geometrica. 2. — Pel campo elettrostatico si ha una rappresentazione fedele me- diante il concetto di spostamento del Maxwell], illustrato dalla ben nota immagine del dislocamento di un fluido incompressibile. Per la piena chiarezza, lo spostamento totale, che indicheremo con $, va considerato nelle sue due parti: spostamento conduttiro e spostamento induttivo 0 reattivo. (*) Per le notazioni e locuzioni e la spiegazione di certi passaggi cfr. mia Memoria : Sulle pro- prietà caratteristiche dei campi vettoriali. Memoria della R. Accademia delle Scienze di Bologna, Serie V, Tomo VII. — 4738 — Ogni elettrizzazione s’ intende dovuta in origine ad uno spostamento conduttivo, prodotto da una qualsiasi causa (forza elettromotrice), il quale all’ atto in cui avviene determina nel mezzo dielettrico un corrispondente spostamento reattivo, per modo che i due si completino a vicenda in un sistema perfettamente soleroidale o circuttale. Allo spostamento conduttivo — prescindendo da resistenze passive del genere dell’ attrito sviluppate durante il movimento e che cessano con questo — non sì oppone alcuna forza; mentre lo spostamento reattivo, che chiameremo D, provoca delle azioni antagoniste comparabili a reazioni elastiche, talché esso non può prodursi che mediante uno sviluppo dì forza E cui si contrappone lo stato di tensione che si trasmette in tutto il mezzo dielettrico insieme con lo spostamento reattivo per la solidarietà che il vincolo solenoidale stabilisce fra questo e lo spostamento conduttivo. Ne risulta una correlazione fra D ed E che pei mezzi isotropi s’intende espressa da mute mesi D e denotando la così detta costante dielettrica, e nel caso più generale di un mezzo qualsivoglia da una corrispondenza lineare a tipo simmetrico : tale cioé che per due diversi stati E, DD ed E', D' valga la legge di reci- procità | DE'|=|D'E]| Il semiprodotto 1 ®; D . b 9 {DE|, pei mezzi isotropi 9 viene a significare l’ energia per unità di volume accumulata nel mezzo per lo stato di tensione determinato dallo spostamento reattivo. Conside- rando un campo risultante dalla coesistenza di due, si ha per l’energia unitaria complessiva 1 LU | ALA 1 1 , I) di ' Il f -|(D+D')(E+E)|=;[|DE|+-]|D'E'|+,]|DE'|+;|D'E|, 2 2) 2 © 2 dove i primi due termini rappresentano l’ energia unitaria spettante ai due campi considerati separatamente, mentre gli altri due, che per la legge di reciprocità sono uguali fra loro, rappresentano insieme la parte dell’ ener- gia che dipende dalla coesistenza dei due campi, ossia l’ energia mutua, la quale é dunque espressa da |DE'| ovvero |D'E|, pei mezzi isotropi n | BE]. Nei conduttori si ha E=0, f=cost., P denotando la funzione potenziale. :3. -- Il vincolo solenoidale che collega fra loro lo spostamento con- duttivo ed il reattivo fa che il secondo, e con esso il campo elettrico, si presenta come conseguenza delle cause che hanno prodotto il primo : del quale, dopo che è avvenuto, non resta che Peffetto rappresentato da un lato dalle cariche ricevute dai corpi, e d’altro lato dallo spostamento reat- tivo D e dal campo E collegato a D nel modo che si è detto dipendente- mente dalla natura del mezzo. La carica ricevuta da una qualunque porzione di corpo corrisponde al flusso dello spostamento conduttivo penetrato in esso attraverso la super- ficie che lo limita; e quindi in virtù del vincolo suddetto la carica stessa corrisponde altresi al flusso /D,do (n normale esterna) di D uscente dalla superficie medesima: taleché denotando con Ze la somma algebrica delle masse elettriche o delle cariche contenute nello spazio racchiuso da una qualunque superficie chiusa, si ha (1) SDndo = Ze Le cariche, qualora sia tolta la via di comunicazione conduttiva, per- mangono sui corpi anche dopo cessate le cause che hanno prodotto il trasporto : esse poi accompagnano i corpi in ogni loro eventuale movimento determinando una corrispondente variazione dello spostamento reattivo di guisa che la (1) risulta sempre soddisfatta. Cosi D costituisce un campo vettoriale coordinato al campo E mediante la suddetta corrispondenza lineare simmetrica e subordinato alla distribu- zione delle cariche giusta l’ equazione (1). Questa esprime nella sua forma più generale il cosi detto feorema di Gauss, che è come il punto d’incontro fra l’antica teoria classica, che muove dal concetto dell’azione a distanza secondo la legge di Coulomb, e le idee più moderne che fanno intervenire l’azione del mezzo. Poiché mentre essa, come si vede, discende immediatamente. dalla nozione di spostamento, può del pari essere dedotta dall’ antica teoria — completata mediante la considerazione dell’induzione dielettrica secondo Poisson e Mossotti — che essa, si può dire, riassume in sé, in quanto che, specializ- zata, ne fornisce le equazioni caratteristiche. D’altra parte l’equazione stessa risponde direttamente ai dati dell’osservazione e può considerarsi come l’espressione di un fatto. Ad ogni modo, posta l’esistenza di una funzione potenziale @, la (1) può servire di fondamento a tutta l’elettrostatica. Z4. — Tenendo conto della relazione fra E e @ e della dipendenza fra D e le cariche e secondo la (1), si viene con trasformazioni note all’ equazione 1 1 1 @) 1 (DE| de=1xge Serie V. — Tomo IX. 60 — 480 — dove l’integrale del primo membro, che s’intende esteso a tutto il campo, rappresenta a senso di quanto sopra l’ energia totale posseduta dal campo, mentre il secondo membro (dove il segno £ s'intende nel senso più largo significando anche l’integrazione estesa alle regioni o alle superficie dove le masse sì trovino distribuite con continuità) rappresenta |’ espressione cui si giunge per l’energia stessa nel concetto dell’azione a distanza, e che del resto può stabilirsi direttamente e indipendentemente da ogni spe- ciale teoria calcolando in base alla nozione stessa di potenziale il lavoro occorrente per costruire il sistema. Cosi l'equazione viene a significare sem- plicemente l’equivalenza dell’ energia accumulata nel mezzo al lavoro ero- gato nella formazione del sistema. Analogamente dicasi per l’ equazione (2') f|DE'|dr=dgp'e valevole per l’ energia mutua o relativa di due sistemi coesistenti. 2. — Considerato nell’atto in cui si produce, lo spostamento S deter- v dS Laga mina la corrente elettrica definita da an che indicheremo con u; la quale viene quindi come $ stesso a comporsi di due parti: db (3) Ure dove € rappresenta la corrente conduttiva (0 anche convettica, se vi ha tra- i > db sporto di cariche per moto dei corpì su cui esse sì trovano), e 7 rappresenta la parte dovuta alla variazione dello spostamento reattivo. Il vettore u che rappresenta la corrente totale è sempre solenoidale puro o circuitale, cioé si ha per ogni superficie chiusa fundo ==";0% vale a dire che i tubi w sono sempre rientranti, in altre parole, che le cor- renti sono sempre chiuse. Quanto alle parti € e , esse possono essere se- dt paratamente chiuse oppure completarsi reciprocamente in un sistema chiuso. Le correnti € possono allo stato di correnti chiuse essere temporarie ed anche permanenti: e quando nel senso ordinario si parla di correnti elet- triche senz’altro, s'intende di parlare appunto di correnti stazionarie cir- NEGO, i nia dD colanti in circuiti conduttori. Le correnti di spostamento da possono anche — 481 — esse essere chiuse quando intervenga una forza elettrica di origine induttiva, nel qual caso il campo cessa di essere lamellare puro, l’integrale /| Ed] | cessa di essere nullo per ogni linea chiusa ed E viene ad avere delle linee rientranti: esse però non possono mai ad ogni modo essere perma- i db : nenti. Quando € e di sono separatamente aperte, le prime importano una variazione delle cariche cui si accompagnano le corrispondenti variazioni dello spostamento reattivo rappresentate dalle seconde in conformità del- l'equazione (1). 6. — Una rappresentazione parallela alla precedente può farsi per il magnetismo. Riferendoci dapprima al campo magnetostatico, possiamo anche qui considerare un vettore solenoidale avente colla distribuzione di magneti- smo fisso e colla forza magnetica gli stessi rapporti che ha lo spostamento colla distribuzione dell’elettricità e colla forza elettrica. A questo vettore, che indicherò con P, darò il nome di polarizzazione assoluta, distinguendolo similmente in due parti: parte fissa o rimanente, Im,, e parte reattiva, %, legata ad M da una corrispondenza lineare sim- “ metrica che pei mezzi isotropi si riduce a SERICA Qq= 43 Lil; u essendo un coefficiente dipendente dal mezzo, che prende il nome di permeabilità. Porremo dunque (4) P=m+90; e intenderemo che la P differisca dalla polarizzazione magnetica, m, presa nel significato ordinario (intensità di magnetizzazione), in quanto quest’ ul- tima rappresenti la polarizzazione relativa, cioé la differenza fra la pola- rizzazione assoluta e quella che collo stesso valore di M competerebbe ailifimmiezzo normale t(@=— DE (5) P=mt_-, IT dove poi m si compone della parte fissa m, e della magnetizzazione in- dotta. Dalla (5) sì vede anche che 47P(=M+ 47m) coincide con la così detta induzione magnetica. La distinzione delle due parti di P é analoga a quella fatta per S. Se non che, mentre per le parti reattive D e @ la corrispondenza é perfetta, per le altre parti invece si trova una differenza in questo: che esiste una — 482 —- polarizzazione magnetica, ma non esistono vere cariche magnetiche corri- spondenti alle cariche elettriche, e la distribuzione del cosi detto magne- tismo libero o delle masse magnetiche non è che apparente. La produzione di cariche elettriche separate richiede sempre un processo di conduzione, e pel magnetismo non vi ha nulla che corrisponda ai conduttori di elet- tricità. Questa differenza caratteristica imprime una diversa fisonomia ai due ordini di fenomeni, e tutta la parte dell’ elettrostatica relativa ai con- duttori non ha riscontro nel caso del magnetismo. Nella nostra rappresentazione la differenza si esplica in ciò, che mentre dello spostamento conduttivo nel caso dell’ elettricità non appare, dopo che esso è avvenuto, che il risultato delle cariche prodotte in un col corrispon- dente spostamento reattivo, la polarizzazione fissa m, persiste come tale e non differisce dalla polarizzazione reattiva @ se non in quanto questa non può sussistere senza la forza M, mentre la prima, una volta prodotta per qualsiasi causa, sì mantiene da sé e in virtù del vincolo solenoidale sorregge l’altra determinando il campo. Tanto P quanto S hanno il carattere circuitale. Ma di vettori circuitali vi sono due tipi diversi, di cui ci presenta l'esempio la cinematica dei mezzi non rigidi: l’uno nello spostamento dei punti del mezzo, qualora questo si supponga incompressibile ; l’altro nella rotazione delle particelle del mezzo stesso, incompressibile o no. Ora mentre $, d’accordo col suo nome e coll’ immagine che serve ad illustrarlo, si riferisce al primo tipo, per P tutto porta ad ammettere che debba riferirsi all’altro tipo, cioé al tipo rotativo. Le accennate differenze non alterano la somiglianza delle relazioni. Così l’energia magnetica per unità di volume é espressa da 1 5 "00 BRERA CONT 3 |QMI, pei mezzi isotropi cal e l’energia mutua da |QM'| ovvero |@'M]|, per mezzi isotropi È |MM'|. Similmente essendo /P,do =0 per qualsivoglia superficie chiusa, sarà SQ,do uguale al flusso di m, che penetra nell’interno attraverso la super- ficie stessa e quindi uguale alla somma algebrica delle masse magnetiche (apparenti) contenute nello spazio racchiuso in conformità colla (1). Si ha pure una relazione di equivalenza al tutto analoga alla (2) fra l’espressione 5 {1QM|de dell’ energia magnetica totale e la semisomma dei prodotti delle masse magnetiche per i corrispondenti valori della fun- — 483 — zione potenziale del campo magnetostatico. Ove poi invece delle masse fittizie si voglia far intervenire direttamente la polarizzazione fissa m,, si ha dalla (4), notando che /|PM|dz=o0, perché M é lamellare puro (quando si tratta di campo magnetostatico) e P solenoidale puro : " 1 1 (6) 3 |QM|dr=— 2 Mm, |dr, dove il secondo membro rappresenta la solita espressione dell’ energia magnetica che si può stabilire direttamente calcolando il lavoro occorrente a costrurre il sistema. E similmente si ha per i energia mutua (6') fiQM'|de=—f|M"m,|dr. ?f. — Lo stesso modo di rappresentazione si estende anche al campo generato da correnti elettriche, che chiamerò magnetoelettrico. Qui M cessa di essere lamellare puro e l’integrale lineare /|Mdl| risulta diverso da zero per le linee chiuse concatenate con le linee di corrente; e sì ha invece (7) f|Mdl|= 47437 dove A è la costante elettromagnetica e ZI indica la somma algebrica delle intensità delle correnti concatenate con la linea d’integrazione, il segno essendo in relazione col verso. Questa può assumersi come legge fondamentale data dall’osservazione. Riferendoci ad una distribuzione continua di correnti, essa si traduce nel- l'equazione differenziale (8) ;VM}=4rAu, dove jVM} significa il vorticale di M (curl M):la quale, tenuto conto della condizione m,=0 che porta P=%@ e quindi il carattere solenoidale di %, basta a definire completamente il campo Mi, data che sia la distribuzione delle correnti u. In particolare da essa si può dedurre il teorema dell’equivalenza del campo generato da una corrente lineare a quello di una lamina magne- tica ideale avente per contorno il circuito della corrente, che suol prendersi come base dell’ ordinaria teoria. Per la condizione @ = P si ha ora (62) i fIQmiar=3 f|Pmjdr, (6a) SIQM'|dr=f|PM'|d7; — 484 — cioé le espressioni deli’ energia propria e mutua prendono l’altra forma 1 - ||PM]|dr, {|P M'|ad7, mentre viene a mancare quella rappresentata dai secondi membri delle (6), (6°). 8, Nel caso più generale si avrà un campo misto cioé risultante dalla sovrapposizione di un campo magnetostatico e un campo magnetoelettrico, dove M, P, @, corrispondono alla somma geometrica dei valori spettanti ai due campi singolarmente presi. Quanto all’energia, si presenta qui la proposizione : che l’ energia mutua di due sistemi di specie diversa (cioé l’uno magnetostatico e l’altro magne- ' toelettrico) é nulla. Infatti riferendocì all’ espressione SIQUUM|dr, nell'ipotesi che M appartenga ad un campo magnetostatico e sia quindi lamellare puro e (}" appartenga invece ad un campo magnetoelettrico e sia perciò solenoidale puro (Q' = P), si vede senz’altro che essa si annulla. Ne segue che l’energia mutua di due sistemi quali sì voglia si com- pone semplicemente della somma delle energie mutue spettanti separata- mente alle parti magnetostatiche ed alle parti magnetoelettriche ; e quindi anche che l’energia propria di un sistema misto si riduce alla somma delle energie proprie delle due parti considerate da sole. Prendiamo ora a considerare |’ espressione SIPM'| de dove P ed M' appartengono a due sistemi quali si voglia che designeremo per brevità con S e .S', mentre con 0 designeremo l’espressione stessa. Nel caso in cui tanto S quanto S' siano puramente magnetoelettrici, 0 per quanto si é visto rappresenta l’ energia mutua dei due sistemi. In generale poi vi é da osservare che 9 dipende solo dalla parte magnetoelettrica di S' perché per l’altra parte essendo HM' lamellare puro si ha, qualunque sia 6, un contributo nullo al valore di 0. Possiamo dunque senz’altro sup- porre che ,S' sia magnetoelettrico e dipendente da un sistema di correnti u'. Ponendo (9) 4rP_= A{IVYV} il che può sempre farsi, dato il carattere circuitale di P, e vale a deter- minare V a meno di una parte lamellare senza influenza nelle relazioni seguenti, indi, con riguardo alla (8), trasformando l’espressione di 8 con processi noti, si viene all’ altra forma equivalente = A4°f|Vu'|dr. — 485 — Qualora S' si riduca ad una sola corrente d’intensità /' avente per circuito una qualunque linea chiusa C', si ha poi O = AD dove ® — 47 fP,do rappresenta il flusso o numero di linee d’induzione magnetica abbracciate da C' (computato attraverso una qualunque super- ficie avente C' per contorno). Prendiamo le mosse da questo caso semplice per cercare il significato di ® in relazione con le forze ponderomotrici esercitate fra S e S': e per questo incominciamo col supporre S magnetostatico, onde essendo nulla l'energia mutua /|Q@M'|dr, il valore di /|PM'|d7, civé di 0, si riduce a S|Mm,|dr. Ove anche ,S' fosse magnetostatico, cioé al posto della corrente circo- lante in C' si avesse la lamina magnetica equivalente, l’ultima espres- sione presa con segno cangiato rappresenterebbe |’ energia mutua di S e S' e la sua variazione per uno spostamento della lamina rappresenterebbe il lavoro delle forze esercitate da 0, paia Faggre i Vani i ian di pandin 16: dash ala I È i puri 10) vet 3 i "i oi gta isnavinaite pol. 6 AR Pin LL, TSI RR, Ka Lo AE Sade, dI pe Ù dii HRR che er TE A Mn Ri E A) Mit t 3 CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DALLO SVILUPPO DELLA RISSULA ALUTACEA FRIS NOTA Prof. GIROLAMO COCCONI (Letta nella Sessione del 12 Maggio 1901). CON UNA TAVOLA Una delle specie più importanti di Aussu/a, appartenente allo stesso sottogenere, in cui è inclusa la conosciutissima A. emetica, si è la AR. alu- tacea Fries (1), la quale però se ne differenzia per la diversa sezione in cui é riposta (/amellis sparsisque ochraceis). I fatti che ci siamo proposti di studiare in questa nota sono tre: 1° Sviluppo del corpo vegetante (apparato sporificante) della A. alu- tacea. 2° Sviluppo dei basidi e formazione degli sterigmi colle basidiospore. 3° Formazione conidiale. Nei primordi del suo sviluppo |’ apparato vegetante di questa Aussula non presenta alcuna differenziazione nelle sue parti. I primordi più giovani che abbiamo osservati erano sotto forma di piccoli glomeruli leggermente ovoidali, colorati in giallo pallido, e misuranti mm. 74 nel diametro lon- gitudinale. In una sezione longitudinale assile osservasi, che il detto corpo spori- fero risulta formato da un intreccio di ife, pressochè omogeneo, perché nel suo interno non sì può scorgere alcuna differenziazione bene manifesta. (1) Elias Magnus Fries. — Hymenomycetes Europaei, sive epicriseos systematis mycologici. Upsaliae 1874 pag. 453. oo Tuttavia in esso già cominciasi ad osservare un principio di distin- zione di pedicello e di cappello. Infatti le ife non sono le une colle altre uniformemente intrecciate, ma nella porzione inferiore del giovine corpo sporifero mostrano una pronunciata tendenza a collegarsi insieme in ife parallelamente, per modo da formare un fascetto alquanto grosso. Dal detto giovine corpo fruttificante inferiormente partono numerose ife miceliali, le quali si irradiano tutt’ attorno per breve tratto, formando un lasso intreccio miceliale ; le singole ife sono ramificate, septate tra- sversalmente e pressoché incolori. Una particolarità importante sta in ciò, che in dette ife miceliali si osservano numerose volte quelle speciali ana- stomosi, che prendono il nome di collegazioni fibulari (ScAnallenverbdin- dungen). Mentre che le ife componenti il pedicello vanno accrescendosi mediante incremento intercalare, per cui non solo si allungano, ma altresi si rami- ficano, lo stipite in tal modo rendesi sempre più appariscente. Ma dove la neoformazione degli elementi ifici ha luogo con singolare intensità, é nella parte superiore dello stipite, sulla quale si formerà il cappello. Dalla detta regione le ife si espandono in direzione raggiata, per cui a poco a poco sì forma una specie di emisfero, che è il futuro cappello. Tanto questo organo, quanto il pedicello sono avvolti da un lasso intreccio di ife giallognole, che costituiscono una sorta di invoglio gene- rale protettore ; le ife periferiche di questo in molti casi si allungano, si separano le une dalle altre, e la loro cellula terminale diventa globulosa, con ricco contenuto protoplasmico. È per questa particolarità che il giovine corpo sporifero appare ricoperto da numerose granulazioni visibili anche ad occhio nudo, ognuna delle quali corrisponde ad un piccolo cumulo delle cellule globulose anzidette. Molto probabilmente queste formazioni, le quali sono state osservate anche in altre Agaricinee, ad es. nel Coprinus sterco- rarius (1) si debbono interpretare come specie di conidii, perché posti in opportune condizioni per la germinazione, sviluppano un tubetto germo- gliativo, il quale gradatamente si ramifica e produce un tenue micelio, sul quale però non si produssero mai corpi fruttificanti, nonostante si conser- vassero le colture dei precedenti micelii per parecchi mesi. Dopo aicuni giorni riscontrasi che il corpo sporifero è bene progredito nel suo sviluppo. Il cappello sormonta lo stipite in forma come di una campana, nel mezzo della cui faccia inferiore si addentra la parte supe- riore dello stipite. Passando ora alla differenziazione delle lamelle, si ha che praticando delle sezioni trasversali del cappello, circa nel mezzo del suo diametro (1) F. von Tavel. -- Vergleichende Morphologie der Pilze pag. 153. Fig. ‘0. F. — 493 — longitudinale, sì nota come da un pseudo-parenchima centrale, dato dalla porzione superiore dello stipite, si irradiano attorno numerosi angusti fascetti di ife, formati da ife collegate fra loro parallelamente; questi fascetti mentre giungono fino al margine libero del cappello, non poche volte si ramificano. Innanzi di procedere alla caratteristica anatomica delle lamelle e degli organi che su queste sì formano, devesi accennare come nelle ultime fasi di sviluppo dell’ apparecchio sporifero, il cappello si allarga sempre più, per cui infine lacera l’invoglio generale esterno, il quale fino ad un certo punto si potrebbe interpretare come una sorta di valva. A questa fase il corpo fruttifero presenta i caratteri del suo stato perfettamente evoluto, in relazione al colorito, alla conformazione generale. Alle due faccie delie lamelle si trovano riunite numerose parafisi ed anche quegli organi singolari che si dicono cistidi. Questi ultimi hanno forme cilindriche, alquanto acuminate nella porzione terminale, sono molto lunghi e tanto che sormontano i basidi e le parafisi; nel loro interno è contenuto una sostanza protoplasmatica molto acquosa, con idrvplasti il più delle volte molto voluminosi. I cistidi si manifestano molto gonfi e turgidi. Fra i cistidi e le parafisi riscontransi i basidi, i quali sono cellule cilindriche con contenuto proto- plasmico più denso che nei cistidi e presentanti qua e là cumuli più densi della rimanente sostanza protoplasmica. Da ciascun basidio si producono 4 sterigmi, ognuno dei quali forma una basidiospora. Sezionando trasversalmente le lamelle, osservasi che lungo la linea mediana di queste, sì ha un fascetto di ife e calibro più ristretto di quello delle ife esterne. in Sviluppo dei basidi e formazione degli sterigmi colle basidiospore. Nei loro primordì evolutivi i basidi si presentano in forma di elementi cilindrici, i quali contengono un protoplasma riccamente albuminoide, privo di idroplasti o vacuoli. Press’ a poco nel mezzo del basidio osservasi un grande nucleo globuloso (fig. 2* e 3°). A questa fase non ha ancora avuto luogo la germogliazione degli sterigmi. Ben di rado i basidi si toc- cano reciprocamente, il più delle volte fra essi si osservano intercalate le parafisi ed i cistidi superiormente menzionati. In quanto poi al modo di loro costituzione i basidi si producono dalle ife superficiali delle lamelle, non gia dalla porzione terminale di queste, ma bensi si formano come — 494 — rami laterali delle stesse ife superficiali; ife laterali queste che si rivol- gono all’ esterno in direzione perpendicolare alle superficie delle lamelle. Questi rami laterali, vanno poi a poco a poco ingrossandosi ed allargan- dosi fino a produrre i basidi. Quando i basidi si dispongono alla sporificazione, cioé alla formazione delle basidiospore, anzitutto il nucleo mostra un processo di doppia segmen- tazione, pel quale infine si formano 4 nuclei figliali (fig. 4*) alquanto più piccoli del nucleo primitivo, ma conservanti però la medesima forma glo- bulosa. La germinazione degli sterigmi non effettuasi contemporaneamente alla sommita dei basidi, ma dapprima si formano pressoché simultanea- mente due tenui papille, le quali vanno mano mano allungandosi fino ad assumere la forma e la dimensione normali. A questa fase, e mentre i due precedenti sterigmi vanno sviluppandosi, due dei 4 nuclei gia accennati sì restringono notevolmente, giacché si allungano, e cosi penetrano ognuno nei due sterigmi già sviluppati. Ma ben presto questi ultimi si rigonfiano all’ apice in una cellula globulosa (la futura bdasidiospora), nella quale pe- netra il filamento nucleare insinuato nello sterigma. Entro la cellula termi- nale, il nucleo a poco a poco riprende la forma globulosa e si presenta circondato da uno straterello di sostanza protoplasmica poco densa. Avve- nuta la costituzione dei nuclei nel modo ora indicato entro il rigonfiamento terminale degli sterigmi, questo si separa dalla rimanente parte dello ste- rigma, mediante un sepimento trasverso, per cui diventa una cellula indi- pendente, che colla maturazione acquista i caratteri di basidiospora. E come può osservarsi nella fig. 5°, prescindendo dai due nuclei, che ancora si trovano nel corpo del basidio, dei due rimanenti uno ha cominciato ad introdursi in uno sterigma, l’ altro ha già completata la sua emigrazione raccogliendosi nell’ interno della basidiospora corrispondente. Mentre si effettua la costituzione dei due sterigmi accennati, nonché la migrazione del nucleo e lo sviluppo delle relative basidiospore, ha luogo il germoglio degli altri due sterigmi coi fenomeni in tutto identici a quelli ora descritti, ed in tal modo il basidio perviene all’ ultima fase della sua evoluzione. La maturazione dei basidi non effettuasi simultaneamente in tutti i punti delle due superficie fertili delle lamelle e neppure in relazione alle singole lamelle. In taluni casi si osserva il fatto importante che, mentre che in quasi tutte le lamelle le membrane imeniali sono mature nella porzione interna di queste, corrispondente alla regione superiore dello stipite, invece nella regione periferica delle lamelle stesse, i basidi si dimostrano poco evoluti e sempre meno, più si procede verso l’ estremità delle lamelle. Evidentemente questa progressione dello sviluppo conduce ad ammettere, che la evoluzione dell’ imenio basidiale abbia luogo in senso rigorosamente acropeto, in istretto rapporto coll’ ineremento acropeto delle lamelle. — 495 — III. In quest’ ultima parte sì espongono i principali caratteri della forma- zione conidiale, la quale avviene in modo piuttosto abbondante nella specie di Russula che ci occupa. È noto come le Agaricinee posseggono ancora una sorta di fruttifica- zione secondaria, la quale manifestasi in due forme, o come clamidospore, ovvero come formazioni conidiali. Non uscendo dal dominio di queste ultime, riscontrasi una notevole differenza nelle forme conidiali delle diverse Agaricinee. Cosi ad es. nella Collybia maculata e nella C. velutipes, le ife miceliali sì segmentano, può dirsi nel loro intero decorso, in catenelle di spore, semplici o ramificate, le spore sono brevemente cilindriche. Nella Stropharia melanosperma la formazione conidiale è localizzata alla por- .zione terminale delle ife miceliali, dove costituiscono delle piccole catenelle di conidii ovoidali. Nel Coprinus lagopus si hanno delle tenuissime cate- nelle a due conidii; però parecchie di queste si trovano aggregate neila sommità alquanto rigonfia dei piccoli vacuoli. Infine nella Psilocybe spa- -dicea la formazione conidiale avvicinasi grandemente a quella del Coprinus precedente. Non puossi poi ommettere di ricordare come nella Nyctalis lycoperdoides Bull. (Nyctalis asterophora Fr.), che cresce parassitica sopra determinate specie di Russula, le basidiospore fatte germinare in una decozione di corpi fruttificanti di Russule, rapidamente sviluppano un micelio, i cui fila- menti si scompongono per divisione trasversale in tanti conidii ovoidali, ma in altri punti delle ife anzidette ha luogo la genesi delle Clamidospore, le quali si rendono libere ed indipendenti nel substrato nutritivo, mediante la dissoluzione dei tratti intermedi delle ife. Nella Nycfalis parasitica Bull. si hanno fatti press’ a poco equivalenti a quelli ora accennati per la N. lycoperdoides. Una dettagliata esposizione dei caratteri e dello sviluppo non solo della formazione conidiale, ma anche delle clamidospore, trovasi nell’ in- teressante lavoro del Tavel più sopra citato (1) nel capitolo intitolato : die nebenfruchtformen der Agaricinen. Venendo ora alla specie, oggetto di questo studio, si ha che dalla regione inferiore dello stipite, ipogeo, si ramificano numerose ife miceliali; molte di queste si comportano come ife conidiofore (fig. 7*) speciali, le quali | però non rispondono ad un’ unica forma. In alcuni casi le ife si ramificano formando lateralmente tenui e brevi rametti, ognuno dei quali forma una (1) F. von Tavel. Op. cit. pag. 163-172. Serie V. — Tomo IX. 62 ni O spora ellittica isolata; altre volte si costituiscono tante paia di conidii all’ apice dei ramuscòli ora accennati. Siano i conidii disposti isolatamente,. od a paia (specie di verticilli dimeri) ben di rado essi si presentano cate- nulati. Nella germinazione i detti conidii producono un micelio formato da ife lassamente fra loro intrecciate, dalle quali si ha una formazione coni- diale secondaria. I conidii cosi germogliati hanno gli stessi caratteri di forma dei conidii primari, solamente si presentano alquanto più piccoli. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1° — Sezione longitudinale assile di un corpo fruttificante della Rus- sula alutacea Fries. — Grandezza naturale. { - lamelle imeniofore. Fig. 2* — Breve tratto dell’imenio a basidi che riveste le lamelle. 6 - basidi tetraspori e spore finamente muricate — X 620. P - parafisi. c - cistidi. Fig. 3° — Un basidio nei primordi del suo sviluppo; mostra un nucleo. globuloso nella sua porzione superiore ed un idroplasto inferior- mente. — X_ 680. Fig. 4* — Un basidio alquanto più inoltrato nello sviluppo. Esso ha ger- mogliato alla sua sommità due sterigmi, in uno dei quali si è intro- dotto, assottigliandosi a modo di filamento, uno dei 4 nuclei in cui sì é segmentato il nucleo primitivamente unico del basidio. — X 680.. Fig. 5° — Nel basidio maggiormente evoluto si notano solo due nuclei ;. degli altri due, uno ha cominciato ad introdursi in uno sterigma, l’ altro ha già completata la sua migrazione, raccogliendosi nell’ in-- terno della basidiospora corrispondente. — %X_ 680. Fig. 6° — Un basidio perfettamente sviluppato colle sue 4 basidiospore nucleate. — X. 680. Fig. 7° — Alcune ife conidiofore e conidii ellittici, ora isolati, ora raccolti: a paia alla sommità dei filamenti; di rado i conidii si presentano- concatenati. — X_ 460. G Cocconi._Sviluppo della Rassalaalutacea fries. Mem. Ser V Tomo IX. Lit Mazzoni Rizzoli-Bologna. E. Contoli lit RR CRM RETACET DELL'ISOLA DI KARPATHOS MEMORIA DEL Dott. PAOLO VINASSA de REGNY (letta nella Seduta del 21 Aprile 1901) CON UNA TAVOLA Nel 1895 il Prof. C. de Stefani pubblicava (1) un lavoro geologico e paleontologico sull’ isola di Karpathos, quasi del tutto ignota sino allora dal punto di vista scientifico. Appena qualche indicazione fisiografica generale si può trovare nei lavori del Ross del 1845. Il Prof. De Stefani non ha visitato l’ isola, ma ha potuto dare delle indicazioni molto importanti sulla sua costituzione geologica basandosi sui materiali raccolti dal Forsyth Major e dal Barbey. Riassumo brevemente quanto l’ illustre professore di Firenze dice, rela- tivamente ai terreni dell’ isola, nel suo citato lavoro. L’isola é costituita da due massicci principali, l’ uno, 1 Olymbos, la cui cima più alta, il M. Orkili, è a 718 m.; l’altro, posto al Sud, ha due alte «cime, il Tupapatopaedhi (1204 m. circa), ed il Kalilimni (1159 m.). Entrambi i massicci sono costituiti da calcari, con resti di Ippuriti, che, per l’analogia con altri calcari della Grecia, sono riferiti al Turoniano. Pro- babilmente in questi calcari si dovranno anche ritrovare tutti i piani dal Titoniano all’ Eocene inferiore. I diaspri e le ftaniti, con ricca fauna di radiolari, predominano nel Kalilimni e nelle montagne centrali. Il terziario inferiore è rappresentato dalla facies del Flysch, ed é prevalente ad altezze poco notevoli, specialmente nella porzione orientale dell’isola. Le arenarie, le argille ecc. contengono avanzi vegetali, e le por- (1) Apercu géologique et paléontologique de l’ Ile de Karpathos. Extr. de: Karpathos. Etude gé0- logique, paléontologique et botanique par C. de Stefani, C. J. Forsyth Major et W. Barbey. Lausanne, G. Bridel et C.ie 1895. — 498 — zioni più calcaree sono zeppe di alveoline. In alcuni luoghi si hanno strati di arenaria a grana fine, del tipo della Pietra forte con Helminthopsits,. Helminthoida, Nulliporites, Tetraichnites, che sono forse impronte di anellidi e crostacei, e con Bathysiphon. Tutte queste rocce sono certo posteriori ai calcari ed ai diaspri, poiché ne contengono minuti frammenti; esse poi sono. da riferirsi all’ Eocene piuttosto che al Cretaceo. Un tufo calcareo del M. Kouloura è ascritto al Miocene medio per affi- nita litologiche. I fossili non possono però dimostrare la verità dell’asserto,, essendo forme indeterminabili o nuove. Anche i gessi sono considerati miocenici, come pure le ligniti di Vrondhi per caratteri di somiglianza litologica. Insomma l’ Isola di Karpatos ha la stessa costituzione geologica di Casos e di Rodi. Per cortesia del chiarissimo Prof. De Stefani, al quale rendo qui le mie più vive e sincere azioni di grazie, fui invitato a fare lo studio dei radiolari dei diaspri a Karpathos. Altri lavori m’ impedirono di occuparmi subito, come avrei desiderato, di questo studio e solamente oggi posso. presentare la illustrazione dei più interessanti esemplari dalla fauna ric- chissima contenuta nei diaspri e nelle ftaniti del Kalilimni. Le ftaniti sono rosse, argillose e compatte, si potrebbero meglio dire,. col Prof. De Stefani, dei diaspri argillosi. I diaspri sono gialli, grigio. scuri o neri, ma più spesso rosso-vinati; essi sono tutti quanti rotti in minuti pezzi angolosi, cementati poi nuovamente da ferro ossidato o da calcedonio. Come i diaspri del Peloponneso e di Corfù anche questi hanno: origine organica, ed i radiolari vi sono numerosissimi. Nei diaspri argil- losi rossicci essi sono grandi, assai ben conservati, e lasciano riconoscere. esattamente il contorno e le perforazioni. In alcuni punti sono cosi nu- merosi che la roccia al microscopio sembra costituita quasi esclusivamente dai loro gusci. Nei diaspri che hanno delle bande di selce trasparenti, biancastra, i radiolari, modellati in ossido di manganese nero, spiccano magnificamente, ed hanno un contorno nettissimo. È da osservare però che quasi tutti questi esemplari manganesiferi si presentano in modello,. e non ci danno quindi niente altro che il contorno interno, nettissimo,. del guscio. Tutti quanti poi sono di dimensioni piccolissime (meno che la meta degli altri esemplari non trasformati in manganese), e chi più chi meno. rotti e incompleti. Si vedono qua e là avanzi di esemplari maggiori, ma. essi non sono che frammenti indeterminabili. Si direbbe quindi che i ra- diolari contenuti nella selce bianca e trasformati in ossido di manganese,. non rappresentino che gli avanzi peggio conservati, per quanto più net- tamente visibili, della fauna a radiolari, ricchissima, che gremisce gli altri — 499 — campioni. Le molte fratture esistenti nella roccia rompono pure i radiolari, come si vede nella figura 58 della tavola I. Il Prof. De Stefani (1) cita tra questi radiolari: Cenosphaera comp. sp., Cenellipsis sp., Lithocampe cfr. Haeckeli Pant., Stichocapsa cfr. decorata Ruùst, St. cfr. crevolensis Pant., Theocapsa efr. Emiliae Rist, Rhopala- strum processum Rùst e Ah. muellerites Pant., e ne conclude che le so- miglianze maggiori sono col titoniano svizzero e coll’ eocene italiano. Per considerazioni stratigrafiche e litologiche il De Stefani pone i diaspri nel Cretaceo superiore. Vedremo in seguito se dallo studio della fauna potremo fissare l’ età approssimativa dei diaspri. Intanto vediamo una ad una le forme più im- portanti e meglio conservate. Descrizione delle Specie. 1. Sphacrozoum sp. pl. Avanzi riferibili a questo genere si rinvengono comunemente in quasi tutte le preparazioni osservate. 2. Cenosphaera cfr. pachyderma Rùst. 1885. Rùst. Beitràge zur Kenntniss der fossilen Radiolarien aus Ge- steinen der Jura. Palaeontographica, Band. XXXI, p. 286, t. 27, f.2,3. (2). Varie sezioni e modelli mi sembrano abbastanza esattamente riferibili a questa specie, la quale è del resto una forma comune in tutte le for- mazioni di svariatissime località. SNC inuaanit. 1888. Rist. Beitrige zur Kenntniss der fossilen Radiolarien aus Ge- steinen der Kreide. Palacontographica. XXXIV. pag. 190, t. 22. f. 1 (cum syn.) (3). Anche questa forma è assai comune e abbastanza distinta. Si rinvenne prima nei diaspri della Garfagnana, poi nel neocomiano di Gardenazza e quindi nel Malm di Cittiglio. (4). 4. Cenosphaera cfr. porosissima Vin. — Tav. I, fig. 4. 1900. Vinassa. Radiolari miocenici italiani. Mem. R. Accad. Sc. Bo- logna;)Serie#5%-Vol® VIN p-756%;gt..J, fig. 3. È un individuo molto grande, scabroso, con pori numerosi e assai (1) Op. cit. pag. ?. (2) Citato in seguito come: Rist, Jura. (3) Citato in seguito come: Rist, Kreide. (4) Riist. Neue Beitrige zur Kenntniss der fossilen Radiolarien aus Gesteinen des Jura und der Kreide. — Palaeontographica, XLV, p. 5. Citato in seguito come: Rist, Jura und Kreide. — 500 — grandi, rotondi ed equidistanti. Somiglianze maggiori sono colla specie del miocene di Arcevia. I pori sono però meno numerosi e le dimensioni sono assai più grandi. La forma di Karpathos misura infatti mm. 0,29 di diametro. 5. Cenosphaera Rossi n. f. — Tav. I, fig. 1. Guscio molto grande, sottile, interamente levigato, con pori assai pic- coli, rari, tondeggianti, poco regolarmente disposti. Il diametro della sfera raggiunge circa mm. 0,33. Per mancanza di scabrosità e per aspetto generale questa forma ha qualche somiglianza colla C. gregaria Riùst (Jura, p. 286, t. 26, fig. 10); ma se ne distingue tosto per molto maggiori dimensioni e per avere i pori più piccoli, più radi e più irregolari. 6. Cenosphacra sp. a. — Tav. I, fig. 2. Non ho che la sezione di un modello, dalla quale solo si rileva che il guscio doveva esser scabro. È una forma molto piccola, avendo mm. 0,11 di diametro. 7. Cenosphaera sp. B. — Tav. I, fig. 3. Anche questa è una sezione di un piccolo esemplare, forse della stessa specie del precedente. Solamente si osserva che alla superficie, oltre alle solite scabrosita, sì ha pure qualche aculeo più sporgente. Anche questa è forma molto piccola, misurando mm. 0,095 di diametro. 8. (?) Cenosphaera regularis Rist. — Tav. I, fig. 6. 1889 Rusty Jura, p.iR35,6 26000401 \ È un frammento cosi piccolo che appena si può dire trattarsi di un radiolario. È forse una Cenosphaera, ma ciò non esclude che possa anche essere per es. un Cistoide, o una sfera midollare di Discoide. Molte somiglianze ha però colla C. regularis del cretaceo di Ilsede, del Malm di Cittiglio ecc. 9. Stigmosphaera ecrurequitis n. î. — Tav. I, fig. 25. Anche questo è un esemplare incompleto, che mi sembra però assai interessante da essere descritto. Il guscio è grande molto, avendo un dia- metro di m. 0,37; la sfera é interamente levigata; nulla si può dire sulla forma dei suoi pori, poiché questi neila porzione rimasta non si scorgono, La croce interna é formata da quattro braccia cilindriche e robuste in- grossate al loro punto d’ incrocio. 10. Etmosphaera carpathica n. f. — Tav. I, fig. 5. Guscio grande, sottile, levigato con pori piccoli, numerosi, rotondi. I tubi sono poco numerosi, assai sottili e brevi: hanno delle perforazioni anche alla loro base. Il diametro della sfera è mm. 0,28. 11. Carposphaera n. f. — Tav. I, fig. 7. Non é conservato che il guscio della piccola sfera interna, munita di pochi pori piccoli e rotondi. Della sfera esterna non resta che il contorno. — 501 — Per rapporto di dimensioni e forma generale l’esemplare di Karpathos ha qualche analogia colla C. indicans Rist (Kreide, pag. 191, tav. 22, fig. 4) ma se ne distingue tosto per numero e forma dei pori e per le di- mensioni. Diametro della sfera interna: mm. 0,045; della esterna: mm. 0,145. 12. Liosphaera n. f. — Tav. I, fig. 8. È un esemplare mal conservato nel quale la sfera interna si presenta solo come modello; questo modello permette appena di vedere che la sfera era levigata. Invece la sfera esterna é tutta scabrosa, ed è munita di pori, per quanto è possibile vedere, assai fitti, rotondi e piccoli. Diametro della sfera interna: mm. 0,072; della esterna: mm. 0,102 13. Dorysphaera graeca n. f. — Tav. I, fig. 10. L’esemplare è un modello incompleto. Il carattere del genere. però è nettissimo, e la forma é ben distinta da tutte quelle sino ad ora conosciute. La sfera è piccola, tutta quanta scabrosa; l’aculeo è assai sottile e deve essere stato assai breve. Diametro della sfera: mm. 0,095 ; altezza totale (restaurata): mm. 0,135. 14. Dorydictyum Mazori n. f. — Tav. I, fig. 9. Guscio grande e robusto ; sfera spugnosa, quasi compatta un poco al- lungata, munita di un aculeo ottuso, corto e tozzo. Questo genere sino ad oggi non fu rinvenuto che nel paleozoico della Seozia. (1). Diametro della sfera: mm. 0,24; altezza dell’aculeo: mm. 0,19; altezza totale: mm. 0,40. 15. Xyphostylus De Stefanii n. f. — Tav. I, fig. 13. Guscio grande, robusto, spesso, scabroso, munito di pori rotondi, assai grandi, radi e profondi. L’aculeo maggiore ha una forte carena mediana, ed è largo, acuminato alla cima e tagliente ai margini. L’aculeo minore non è opposto all’altro, ma é lateralmente spostato : esso è assai più breve, acuto, e manca della carena mediana. Diametro della sfera: mm. 0,25; altezza dell’aculeo maggiore: mm. 0,205, sua larghezza massima: mm. 0,07; altezza dell’aculeo minore: mm. 0,15 circa. 16. Xyphostylus Barbeygi n. f. — Tav. I, fig. 11. Guscio grande, assai sottile, levigato, munito di pori rotondi, radi assai. Aculeo maggiore conico, acuminato in alto; aculeo minore pure conico, acuto e perfettamente opposto al primo. Diametro della sfera: mm. 0,23; altezza dell’aculeo maggiore: mm. 0,19, dell’aculeo minore: mm. 0,10. Altezza totale: mm. 0,51. 17. Spongolonche sp. ind. — Tav. I, fig. 12. (1) Hinde G. I. — Notes on Radiolarian from the Lower Palaeozoie Rocks of the south of Sco- tland. Ann. and Mag. Nat. Hist. 1890. — 1502 — Esemplare mal conservato, di cui resta solo completa la sfera, piccola, levigata, spugnosa, munita di due aculei sottili, cilindrici o conici, rotti però all’ apice. Diametro della sfera: mm. 0,08. 18. Staurosphaera insularis n. f. — Tav. I, fig. 14. Guscio grande, assai sottile, scabroso, con pori piccoli, rotondi, fitti. Le quattro braccia sono regolarmente disposte, tutte uguali tra loro, coniche, acuminate, prive di carene. La forma che più ha somiglianza con questa di Karpathos è la St. mio- caenica da me descritta, (Rad. miocenici ital., pag. 159, Tav. I, fig. 17) la quale però si distingue tosto per essere molto più piccola, e per le braccia comparativamente molto più lunghe. Diametro della sfera: mm. 0,23; larghezza massima, compresi gli aculei: mm. 0,46. 19. Acanthosphaera sp. a. — Tav. I, fig. 15. È un modello di un piccolo guscio che appena consente la determina- zione generica. Gli aculei sono assai lunghi, acuti, aghiformi, quasi tutti quanti uguali e poco numerosi. Ha qualche lontana analogia con una forma del Devoniano della Nuova Galles del Sud (1). Diametro della sfera: mm. 0,05; altezza massima degli aculei: mm. 0,022. 20. Acanthosphaera sp. B. — Tav. I, fig. 16. È anche questo un modello. La sfera è piccola, gli aculei sono qui pure acuti e sottili, ma assai più brevi e più numerosi. Una forma del Devoniano della Nuova Galles del Sud, la Heliosphaera Thamiworthi Hinde (2), ha qualche somiglianza colla specie di Karpathos. 21. Cenellipsis sp. ind. — Tav. I, fig. 17. Modello di un guscio piccolo, scabroso. La determinazione generica però sembra sicura. Pel suo contorno generale questa forma somiglia alla C. parvipora Vi- nassa (Radiol. miocen. ital., pag. 572, Tav. I, fig. 33) di Arcevia, a cui risponde anche per dimensioni. Asse maggiore: mm. 0,095: asse minore: mm. 0,065. 22. Ellipsosiglus ‘sp. ind..—Tav..I, fig. 19. Modello mal conservato, costituito da un’ellisse assai allungata, che porta due aculei ottusi, opposti; uno molto lungo e grosso, l’ altro brevis- simo e sottile. (1) Cenosphaera affinis Hinde. The Radiolaria in the devonian Rocks of New South Wales. Quarterly Journ. Geol. Soc., vol. LV, Feb. 1899, pag. 44, Tav. 8, fig 3. (2) Hinde: Op. cit., pag. 49, Tav. 3, fig. 26. — 503 — 23. Litapium lagena n. f. — Tav. I, fig. 21. Guscio assai grande, sottile, levigato, munito di pori rotondi, poco fitti, assai grandi. Aculeo non molto lungo, cilindrico, terminato ottusamente. Larghezza: mm. 0,19; altezza totale: mm. 0,36. 24. LE. lagena var. elliptica n. — Nav. I, fig. 22. Distinguo come varietà della precedente un esemplare con guscio molto più ellittico ed aculeo più acuto. Larghezza: mm. 0,13; altezza totale: mm. 0,33. 25. Cenodiscus? sp. ind. a. — Tav. I, fig. 24. Per forma generale credo poter riferire a questo genere un esemplare molto mal conservato, di forma ellittica, discoidale, munito di pochi e mal distinti pori. Parghezza:: mm. 0}12;; lunghezza: mm. 0,27. 26. Cenodiscus? sp. ind. 8. — Tav. I, fig. 23. Anche questo esemplare è troppo mal conservato per darne un sicuro .giudizio. La forma è discoidale, ma è un poco meno ellittica che non nel precedente. I pori sono mal distinti e poco numerosi. Larghezza: mm. 0,24; lunghezza: mm. 0,31. 27. Tripodictya hellenica n. f. — Tav. I, fig. 29. Guscio non molto grande, robusto. Disco centrale compatto, nel quale sì distinguono pochi pori circolari assai piccoli. I tre aculei solidi, spessi, equidistanti hanno una forma conica appuntita. Larghezza del disco: mm. 0,135; altezza degli aculei: mm. 0,09; loro larghezza: mm. 0,06. 28. Amphibrachium acum n. f. — Tav. I, fig. 26. Guscio grande e sottile, conservato in solo modello, cosicchè non é possibile dire come fossero per forma e disposizione i suoi pori. Il guscio é rigonfio al centro ed alle estremità, di cui però una sola é conservata; questa termina in una breve spina un poco ricurva. Per l’ esistenza di questa spina, benché la forma generale sia diver- sissima, la specie di Karpathos ha qualche analogia coll’ A. Conzeum Rist (Jura, pag. 297, Tav. 32, fig. 7?) del diaspro di Val Conzei. La probabile lunghezza dell’ esemplare restaurato è di mm. 0,66. 29. Amphibrachium sp. ind. — Tav. I, fig. 27. Modello di un guscio assai piccolo. Sono solamente visibili le termina- zioni globose, di cui una maggiore, ed il rigonfiamento mediano pure glo- boso. Le due braccia sono diverse : il minore ha pure la globosità termi- nale minore. Lunghezza totale: mm. 0,275. 30. Fhopalastrum sp. ind. — Tav. I, fig. 30. Anche di questa forma é conservato il solo contorno. Due braccia sono Serie V. — Tomo IX. 63 — 504 — quasi del tutto uguali, sottili, allungate ed acute; il terzo è minore e più tozzo. Lunghezza del braccio maggiore: mm. 0,26; del minore: mm. 0,19. 31. Rhopalastrum cfr. retusum Rùst. — Tav. I, fig. 31. 1885 7#Riuis Kerio die paz. K200/81Lav: 259 Se È anche questo un modello che avvicino con molto dubbio alla specie del Neocomiano di Gardenazza. Se ne distingue però per la globosità ter- minale delle due braccia minori, globosità che manca del tutto nella forma descritta dal Rùst. Lunghezza del braccio maggiore: mm. 0,23; del minore: mm. 0,18; larghezza della globosità terminale: mm. 0,06. 32. Rhopalastrum (?) n. f. — Tav. I, fig. 32. È un esemplare incompleto di cui un solo braccio è conservato. Questo é sottile, lungo, cilindrico, terminato ottusamente. I pori sono piccoli, rotondi, numerosi, posti regolarmente in serie lineari. La mancanza delle altre due. braccia impedisce anche la sicurezza della determinazione generica. Lunghezza del braccio: mm. 0,32. 33. fhopalastrum (?) sp. ind. — Tav. I, fig. 33. Modello incompleto di una piccola forma con braccio cilindrico ottuso. Mancano le altre due braccia: le perforazioni sono appena accennate.. Lunghezza del braccio: mm. 0,245. 34. Rhopalastrum cfr. clava Vin. — Tav. I, fig. 34. 1900. Vinassa, Rocce e fossili di Grizzana e di Lagaro. Boll. Soc.. geol-italtana XIX, 240p 340 Mat Benché anche questa forma si presenti come modello pure pel suo contorno generale credo che abbia molta analogia colla specie di Lissano da me descritta. Le dimensioni di questa sono solamente un poco minori e anche la forma dei rigonfiamenti è un poco diversa. Lunghezza del braccio miriore: mm. 0,180; del maggiore: mm. 0,22 ; larghezza massima delle espansioni terminali: mm. 0,115. 35. Chitonastrum tricorne n. sp. — Tav. I, fig. 35. Guscio assai grande, levigato, sottile. Braccio maggiore lungo, cilindrico, terminato da un rigonfiamento che porta tre corna brevi ed ottuse. Dei bracci minori uno solo è conservato. Esso è breve, claviforme essendo rigonfiato in alto. I pori sono piccoli, rotondi, poco numerosi, irregolarmente disseminati.. Lunghezza del braccio maggiore: mm. 0,28; del minore: mm. 0,15. 36. Spongolena? an Diplactura? sp. — Tav. I, fig. 28. Piccolo esemplare mal conservato, nel quale si distingue un disco cir- colare centrale, attorno al quale sta una massa, terminata da due appen- dici incomplete, la quale sembra esser di natura spugnosa. Larghezza del frammento: mm. 0,085; altezza: mm. 0,205. — 505 — 37. Spongodiscus? sp. ind. — Tav. I, fig. 20. È un esemplare così scuro e poco trasparente, che nemmeno la deter- minazione generica é possibile. Il disco sembra di natura spugnosa; qua e là appariscono come delle perforazioni. Larghezza: mm. 0,30; lunghezza: mm. 0,37. 38. Archicapsa lagena n. f. — Tav. I, fig. 18. Esemplare assai grande, levigato, sottile. Camera inferiore ellittica, termi- nata in alto da un tubo cilindrico, grosso, ma rotto alla sua terminazione. Pori piccoli, minuti, rotondeggianti, poco numerosi sparsi per tutto il'guscio. Larghezza massima: mm. 0,19; altezza restaurata: mm. 0,35 circa. 39. Dietyocephalus Jjonicus n. f. — Tav. I, fig. 37. Guscio grande, sottile assai, tutto scabroso, munito di pori piccoli, ro- tondi e numerosi. Capo quasi sferico, rigonfio, globoso; torace ampio, rigonfio, ristretto presso alla bocca. Una forma assai prossima a questa è il D. hirtus Vinassa (Rad. mioc. it. pag. 582, Tav. II, fig. 35) di Arcevia: ma la specie di Karpathos è molto più grande, ed ha il capo molto più grosso e globoso. Altezza del capo: mm. 0,11, larghezza: mm. 0,15; altezza del torace: punX0,13, larghezza. mm. 0;19. 40. Sethocapsa sp. ind. — Tav. I, fig. 50. Modello di un piccolo esemplare con capo terminato da un lungo corno, ‘e torace assai piccolo, ovale. Altezza totale: mm. 0,10; larghezza massima: mm. 0,047. 41. Sethocapsa dolium n. f. — Tav. I, fig. 51. Guscio grande e robusto, levigato. Capo piccolo, depresso, terminato da un grosso corno tozzo e non cello ecuminato. Torace grandissimo, glo- boso quasi sferico. Come linea generale la nuova specie avrebbe qualche analogia colla S. spinosa Vinassa (Radiolari titoniani di Carpena, Palaeontographia italica, IV, pag. 233, Tav. XVIII, fig. 1), ma se ne distingue per la man- canza di spine, pel capo più piccolo e pel corno più grande e tozzo; anche le dimensioni sono assai maggiori. Larghezza massima del torace: mm. 0,24; altezza del corno mm. 0,055; altezza totale: mm. 0,35. 42. Dicolocapsa spinulosa n. f. — Tav. I, fig. 39 Guscio piccolo assai e sottile. Pori rotondi piccoli e radi. Capo quasi sferico assai grande; torace ampio e sferico. Tanto il capo quanto il to- race portano delle spine o meglio dei bastoncelli lunghi, fitti ed equidi- stanti, i quali però si trovano solo in alcuni punti del guscio. Lo stato dell’ esemplare non permette di asserire che tali bastoncelli sì siano tro- vati su tutta quanta la superficie. ì — 506 — Larghezza del capo: mm. 0,037, sua altezza: mm. 0,03; larghezza del torace: mm. 0,075, sua altezza: mm. 0,07. 43. Dicolocapsa (?) sp. ind. — Tav. I, fig. 40. Modello di un guscio assai piccolo, con capo piccolo capsuliforme, e torace ampio perfettamente sferico. Per contorno generale questa specie offre somiglianze colla Archicapsa ficiformis Parona del Malm di Cittiglio, e prevalentemente coll’ esemplare di Borneo descritto da Hinde (1). Diametro del torace: mm. 0,10; altezza del capo: mm. 0,027, sua mas- sima larghezza: mm. 0,035. 44. Dicolocapsa globus n. f. — Tav. I, fig. 38. Guscio grande, pra globoso, levigato, con pori piccoli, radi e ro- tondi. Capo ovale; torace ampio, sferico quasi perfettamente. Diametro del nasr ‘mm. 0,24; altezza e larghezza del capo : mm. 0,075. 45. Dicolocapsa Kalilimnii n. f. — Tav. I, fig. 36. Guscio grande, assai sottile, globoso e scabroso. Capo ampio, tondeg- giante, torace quasi esattamente sferico molto grande. Pori rotondi, non molto grandi, assai fitti e regolarmente disposti. Questa forma, come ii generale, ha qualche somiglianza colla D. elongata Vinassa (Rad. mioc. ital. pag. 582, Tav. 2, fig. 36) del Miocene di Arcevia; ma se ne distingue tosto per le dimensioni molto maggiori, la forma del capo più ottusa e tondeggiante, e la dimensione ed il numero dei pori. Diametro del torace: mm. 0,27; altezza del capo : mm. 0,10; larghezza :: mm. 0,15. 46. Tricolocampe sp. a. -— Tav. I, fig. 42. Modello di un piccolo esemplare a guscio levigato, con capo rigonfio. e tondeggiante, torace pure rigonfio e addome ampiamente aperto. Altezza totale: mm. 0,105; larghezza massima: mm, 0,067. 47. Tricolocampe sp. B. — Tav. I, fig. 43. Modello di un piccolo esemplare a guscio levigato, con capo e torace: assai piccoli e rigonfi, e addome amplissimo a campana. Altezza totale: mm. 0,10; larghezza massima : mm. 0,08. 48. Tricolocampe sp. y. — Tav. I, fig. 44. Altro modello di esemplare a guscio levigato, con capo quasi sferico,. torace ampio e rotondeggiante, e addome ampiamente aperto. Altezza totale: mm. 0,137; larghezza massima: mm, 0,085. (1) Description of the radiolaria from the Rocks of central Borneo, obtained by Prof. Dr. S. A. F.. Molengraaffinthe dutch Exploring Expedition; (Molengraaff, Borneo. Leyden. Amsterdam 1899), pag. 27, tav. II, fig. 17, tav. HI, fig. 21 (cum syn.). Citato: come Hinde, Borneo. — 507 — Gen. Trisyringium, n. g. Mi trovo costretto a proporre questo nuovo nome per quelle forme ap- partenenti alla fam. dei 7'Reocyrtida, cioè tricirtidi non raggiati, e più specialmente alla sottofam. ZAeoconida con bocca aperta, i quali hanno l’ultima loggia allungata in un tubo. Il capo è privo di corno. Questo ge- nere sarebbe rispondente ad Eusyringium Haeckel della fam. Lithocam- pida, ma solamente ha tre sole camere ed è privo di corno. Il genere é rappresentato a Karpathos da una sola specie (1). 49. Trisyringium Capellinii n. f. — Tav. I, fig. 49. Guscio assai piccolo, sottile, scabroso, con pori grandi, rotondi, assai radi. Capo piccolissimo, quasi interamente levigato, sferico; torace assai più grande, tondeggiante; addome grandissimo, globoso, sferico, terminato da un tubo inversamente conico, levigato. Diametro dell'addome: mm. 0,10; altezza: mm. 0,12; altezza totale: mm. 0,16. 50. Teocapsa tricornis n. f. — Tav. I, fig. 56. Guscio assai grande e spesso, levigato, con pori rotondi, piccoli e radi. Capo assai grande, globoso, terminato da 3 cornetti spiniformi, acuti, di- suguali. Torace depresso, angoloso, quasi carenato nella sua porzione me- diana; addome ampio, globoso, quasi sferico. Per la forma del torace la nuova specie ha qualche analogia colla Sethocapsa crucigera Rùst (Jura und Kreide, pag. 46, Tav. XIV, fig. 10) del Neocomiano di Gardenazza, ma ne é però nettamente distinta. Altezza del capo: mm. 0,035, sua larghezza: mm. 0,04; altezza del to- race: mm. 0,04, sua larghezza: 0,08; altezza dell'addome: mm. 0,14, sua larghezza: mm. 0,165; altezza totale: mm. 0,235. 51. Tricolocapsa n. f. — Tav. I, fig. 41. Modello mal conservato, di un guscio assai piccolo, levigato, globoso, con capo piccolo tondeggiante, torace rigonfio, addome ampio, sferico. Ha qualche analogia di forma colla 7. grattosa Rùst (Jura, pag. 310, Tav. 37, fig. 17) dei diaspri svizzeri. Altezza totale: mm. 0,145; larghezza massima: mm. 0,105. 52. Lithostrobus capulus Vinassa. — Tav. I, fig. 52. 1898. Vinassa, Radiolari titoniani di Carpena. Pal. ital. IV, pag. 235, Tav. XVIII, fig. 24. Mi pare di poter riferire senza alcun dubbio l’ esemplare di Karpathos, quantunque mal conservato, a questa specie del titoniano. Le dimensioni, la forma generale, i pori corrispondono esattamente. Solamente il capo è (1) A questo nuovo genere andrebbero pure unite le due forme del miocene di Arcevia, Thceo- campe tubulosa e Th. latipora da me descritte. (Rad. mioc. ital. pag. 583); — 508 — un poco più piccolo nella forma di Karpathos ed anche la camera termi- nale è un poco più bassa. Altezza totale: mm. 0,147; larghezza massima: mm. 0,095. 55. Dietyomitra cfr. aperta Rist. — Tav. I, fig. 46. 1385. RilistAWKrelde; spazi 210 iav.i28, fig: 6. Modello di un guscio assai grande, levigato con capo piccolo, sferico e terza e quarta loggia molto ampie e globose. Per quanto se ne può giudicare le somiglianze colla specie cretacea di Zilli sono assai ben distinte. È Altezza totale: mm. 0,195, larghezza massima: mm. 0,15. 54. Dictyomitra cfr. Ehrenbergi Pant. sp. — Tav. I, fig. 47. 1880. Pantanelli. I Diaspri della Toscana e i loro fossili. Atti Regia Accad. Lincei VW pag. 52 Wlayolhs:k33:1960.(Rolystichta)i Per quanto ne possa giudicare, trattandosi solamente di un modello, credo che esso possa assai ben riferirsi a questa forma descritta prima dal Pantanelli nei diaspri toscani. Recentemente venne anche trovata da Hinde nei terreni da lui riferiti al Giura superiore di Borneo. (Borneo, pag. .S7-day dla 05 ay. VIVSS6 849): Altezza totale: mm. 0,235. do. Dietyomitra (2) sp. ind. — Tav. I, fig. 45. Frammento di esemplare a guscio sottile, levigato, munito di pori grandi, circolari, assai fitti. L’esemplare è cosi scuro che non permette entrare in maggiori dettagli. 56. Dietyomitra sp. ind. — Tav. I, fig. 58. È un modello di un grande esemplare con camere nettamente cilin- driche a contorno angoloso, che vanno lentamente crescendo. La forma ha qualche somiglianza colla D. Ehrendergi Pantanelli sp. dalla quale la distinguono però le dimensioni maggiori e le camere più nettamente angolose. Ha pure analogia colla D. rectilinea Rist (Jura, pag. 311, tav. 38, fig. 8, 9) conservata in modello nei diaspri svizzeri. La forma di Cittiglio figurata poi dal Rust (Jura und Kreide, pag. 58, Tav. 17, fig. 1) collo stesso nome mi sembra totalmente diversa. Altezza totale: mm. 0.25. 57. Dietyomitra sp. ind. — Tav. I, fig. 48. È anche questo un modello che appena consente una determinazione generica, e qualche avvicinamento. Assai simile ma pur diversa é la D. crefacea Rùst (Jura, pag. 313,Tav. 39, fig. 3): forme simili si hanno pure nei diaspri bolognesi; ma più che altro le analogie sono forti colla specie di Borneo D. truncata Hinde (Borneo, pag. 38; Daw IMM) Altezza totale: mm. 0.19. — 509 — 58. Lithocampe Giattinii n. f. — Tav. I. fig. 57. Guscio grande, sottile, levigato, ricurvo, munito di pori, piccoli, rotondi, uniformi, assai radi. Capo piccolo, quasi sferico; camere regolari, depresse, rigonfie nel mezzo, strozzate in basso. Larghezza massima: mm. 0,11; altezza: m. 0,30. 59. Lithocampe telegraphica n. f. — Tav. I, fig. 55. Guscio piccolo, levigato; essendo conservato solo il modello non si può dir null’ altro che della forma generale, caratteristica. Il capo è conico, ottuso; anche le 2 camere seguenti sono coniche. La 4.* camera é invece cilindrica un poco rigonfia in mezzo; l’ultima è fortemente ristretta, cilin- drica quasi fosse un tubo. Altezza totale: mm. 0.15; larghezza massima: mm. 0.075; larghezza dell’ ultima camera: mm. 0,037. 60. Stichocapsa cfr. lens Hinde. Tav. I, fig. 53. 1899. Hinde, Borneo pag. 43. — Tav. IV, fig. 2. È un modello di un piccolo esemplare a guscio molto spesso, levigato. Le camere sono sette, di cui la prima e l’ ultima sono minori, ottusa- mente coniche, quasi uguali tra loro. Si direbbe quasi che l’ individuo sia composto di due coni opposti e riuniti insieme. La specie di Borneo è assai vicina a questa di Karpathos, solamente le camere sono meno numerose, e l’ultima specialmente ha forma diversa. Anche la St citriformis Rùst del Giurese siciliano (1) ha qualche analogia con questa forma. Altezza totale: mm. 0,175; larghezza massima: mm. 0,085. 61. Sfichocapsa ampulla Vin. — Tav. I, fig. 54. 1900. Vinassa. Rocce e fossili di Grizzana e di Lagaro, pag. 345, Mod fix 31. Non ostante le dimensioni, quasi doppie, credo di non andare errato, riferendo questo magnifico esemplare di Karpathos alla specie del diaspro di Lissano. Altezza totale; mm. 0,69; larghezza: mm. 0.44. Queste 60 forme, escludendo gli Sferozoi, si dividono in 19 sferidee, 4 ellissidi, 13 discidi e 24 cirtidi. Cioé in percentuale si ha respettivamente SEA ANZI AMA Per quanto la conoscenza dei radiolari sia tuttora molto difettosa, per quanto la percentuale possa variare non solo da luogo a luogo, ma anche (1) Rist, Beitràge zur Kenntniss der fossilen Radiolarien aus Gesteinen der Trias und der pa- laeoz. Schichten. Palaeontographica, XXXVIII, pag. 191. Tav. XXX, fig. 8. I diaspri siciliani sono dal Rist ascritti al Carbonifero; ma come ho accennato (Rendie. R. Accad. dei Lincei, vol. VII, sem. 2.°, fasc. 1, pag. 85) essi sono invece o del Giura superiore o dell’ Eocene. — 510 — da preparazione a preparazione, pure se ci vogliamo, come Rùst e Hinde, servire anche di questo carattere per determinazioni geologiche, potremo dire che le rocce con radiolari del Kalilimni sono cretacee. Rùst infatti (Paleont. Band. XXXVIII, pag. 120) dà l’elenco di Radiolari noti sino allora, dal quale risulta che i discoidi ad es. sono nel Terziario 20%, nel Cre- taceo il 28%, nel Giurese il 22%, ed i cirtoidi sono rispettivamente il 48% nel terziario, il 35% nel Cretaceo ed il 55% nel Giurese. Ora nel Kalilimni i discoidi sono il 22%, ed i Cirtoidi il 40%. Quindi la somi- glianza è più grande col terziario e più ancora col cretaceo che non col Giurese. Hinde (Borneo, pag. 49) si serve appunto di un tal carattere per giudicare giuresi le rocce a radiolari di Borneo. A parer mio non possiamo però basarcìi affatto sopra questa percen- tuale. Se essa avesse qualche valore, allo stato attuale della nostra cono- scenza sui radiolari, Montegibio ed Arcevia apparterrebbero a due periodi diversi. Infatti, prendendo i soli cirtoidi, troviamo ad Arcevia 52 forme ed a Montegibio invece 24, s’ intende sempre relativamente alle forme da me descritte. Pei radiolari delle rocce silicee del Bolognese tra | elenco mio e quello del Neviani (1) corrono diversità molto notevoli. Per tentare quindi un riferimento cronologico un poco meno inesatto dovremo ricorrere alle somiglianze delle varie forme osservate con quelle di altri giacimenti noti. Noi abbiamo tra le forme dei diaspri del Kalilimni solamente 46 forme determinabili. Fra queste sono da considerarsi come nuove 21. Le forme note specificamente sono 11, le rimanenti offrono solamente delle somiglianze con forme precedentemente descritte. Tra le forme note abbiamo: Cenosphaera pachyderma Rùst: va dal Paleozoico al Cretaceo; Cenosphaera minuta Rust: va dal Malm all’ Eocene; Cenosphaera porosissima Vinassa: è forma miocenica; Cenosphaera regularis Rùst: è dubbia, ma in caso é forma quasi cer- tamente ecrietacea (2); Rhopalastrum retusum Rùst: è del Neocomiano; Rhopalastrum clava Vinassa: è titoniano o cretaceo; Lithostrobus capulus Vinassa: è titoniano; Dictyomitra aperta Rùst.: è cretacea; Dictyomitra Ehrenbergi Pant.: va dal Giura sup. all’Eocene; (1) Supplemento alla fauna a radiolari delle rocce mesozoiche del Bolognese. Boll. Soc. geol. ital., XIX, 3, p. 654. (2) Rist cita la specie a Ilsede e la riferisce al Lias. Ma Zeise (Ueber das Vorkommen von Radiolarien im Tertiàr des Provinz Schleswig-Holstein. Ja/lrd. d. X. geot. Landesan. Berlin 1894) ha mostrato che i giacimenti di Ilsede appartengono al Gault. — Sll — Stichocapsa lens Hinde: è del Giura sup.; Stichocapsa ampulla Vinassa: é titoniana o cretacea. La presenza di queste forme esclude secondo me ogni possibilità di riferimento dei diaspri dì Karpathos a terreni più antichi del Giura. Onde non resta che il riferimento al Giura superiore od al Cretaceo. Una sola specie è nettamente titoniana, il riferimento dei terreni di Borneo al Giura sup. non essendo assoluto. Due forme invece sono decisamente cretacee. Inoltre tra le specie indeterminate molte forme accennano a tipi cretacei, e le nuove specie poi hanno uno spiccato carattere recente, avendosi no- tevoli somiglianze con forme mioceniche. Credo perciò, con tutte le possibili riserve dovute alla poco importanza che i Radiclari hanno nelle determinazioni cronologiche, che i diaspri del Kalilimni possano riferirsi al Cretaceo, e probabilmente al cretaceo assai recente, come aveva, per considerazioni litologiche e stratigrafiche, prece- dentemente supposto il Prof. De Stefani. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1. Cenosphaera Rossi Vin. pagina 500 100: 1 È » ZA CASPRo: » 500 200 : 1 » BANCIMSDAA SE » 500 200: 1 » 4. C. cfr. porosissima Vin. DIN190) 100: 1 » 5. Etmosphacra carpathica Vin. » 300 100 : 1 » 6. Cenosphaera regularis Rùst (?) » 500 TOOEA » 7. Carposphaera n. f. » 500 100: 1 » 8. Liosphaera n. f. vo 50 200): 1 » 9. Dorydictyum Magjori Vin. DANDO 100: 1 » 10. Dorysphaera graeca Vin. >. 200: 1 » 11. XAyphostylus Barbeyi Vin. » 501 100:1 » 12. Spongolonche sp. ind. YA501] 200): 1 » 13. Ayphostylus De Stefami Vin. > 500 IOOIÌ » 14. Staurosphaera insularis Vin. » 502 100:1 » 15. Acanthosphaera sp. a. > 1502 200 : 1 DIMM A CR spap: > 502 200 : 1 » 17. Cenellipsis sp. ind. » 502 200 : 1 » 18. Archicapsa lagena Vin. > 605 100 :1 » 19. Ellipsostylus sp. ind. » 501 200 : 1 » 20. Spongodiscus (?) sp. ind. » 505 100 :1 » 21. Litapium lagena Vin. > 502 100:1 » 22. L. lagena var. elliptica n. » 502 100: Serie V. — Tomo IX. 64 —. 012 — . Cenodiscus? sp. ind. 3. . Cenodiscus? sp. ind. «. . Stigmosphaera crurequitis Vin. . Amphibrachium acum Vin. - Am. Sp. ind. . Spongolena? an Diplactura? . Tripodictya hellenica Vin. . Rhopalastrum sp. ind. . RA. cfr. retusum Rist. ESE OE . Rh.(?) sp. ind. . RA. cfr. clava Vin. . Chitonastrum tricorne Vin. ). Dicolocapsa Kalilimnii Vin. . Dictyocephalus jonicus Vin. . Dicolocapsa globus Vin. . D. spinulosa Vin. Dsprrindi . Tricolocapsa sp. ind. 2. Tricolocampe sp. «. SILA ASTI NSPAYE 5. Dictyomitra (?) sp. ind. 0. D. cfr. aperta Rist. . D. cfr. Ehrenbergi Pant. RDS rin . Trisyringiwn Capellini Vin. . Sethocapsa sp. ind. . S. dolium Vin. . Lithostrobus capulus Vin. . Stichocapsa cfr. lens Hinde. . St. ampulla Vin. . Lithocampe telegraphica Vin. . Theocapsa tricornis Vin. . Lithocampe Giattinii Vin. . Dictyomitra sp. ind. Tutti gli originali si conservano nel Museo geologico pagina 503 503 500 503 503 504 503 del R. Istituto di studi superiori di Firenze. 200: 100: 100 : 100: 100 : 200 : 100: 100: 100: 100: 200 . 100 : 100 : 100: 100: 100: 200 : 200 : 200 : 200 : 200 : 200 : 200 : 100: 100 : 100 : 200 : 200 : 100 : 200 : 200 : 100: 200 : 100 : 100 : 100 : HWWYWEHEHHHHEEWHHWEWEKEEHEWEWEEWEEErrrErKr-rrrrErrrrrhH Memorie. Serie V. Vol. IX. VINASSA, Ruadiolari di Karpathos. LÀ, ‘e, 0 00/60 in OT I Cc r 4 4 n c Ì MILUISER 1a E ELIOT. CALZOLARI & FERRARIO. MILANO IERI SITA, DELLA EEE eoNyt, SOLANICA FATTA NEL 1897 NELL'ALBANIA SETTENTRIONALE DI ANTONIO BALDACCI (letta nella Sessione 27 Gennaio 1901) Dal Giugno all’ Agosto 1897, essendomi compagno intelligente l’ amico Dott. Kurt Hassert, professore di Geografia nell’ Università di Tùbingen, potei esplorare una notevole parte dell’Albania settentrionale (1) la cui flora era soltanto conosciuta per le pochissime citazioni di Grisebach (2). Le mie escursioni si svolsero particolarmente nel distretto dei Mirditi, fino alle propaggini del distretto di Dibra, e in quello di Scutari fino alle porte della tribù di Nikaj al di là del territorio di Sala, nell’alta e misteriosa Alpe albanese; interessarono quindi un paese che fu sempre difficilissimo da esplorarsi date le guerriere, indipendenti e spesso fra loro nemiche tribù che lo abitano, e noi stessi vi trovammo fiera opposizione, per cui fummo costretti a interrompere il viaggio rivolgendoci verso la Krajina e il Pri- morije nel Montenegro. Molto resta ancora da fare in questa regione nella quale io sono stato il primo a penetrare come botanico. Al di là di essa è ignoto tutto il paese fino alla provincia di Kosovo a levante e ai paesi di Dibra e di Elbassan verso il Sud. Rendendo ora di pubblica ragione le raccolte che ebbi la fortuna di poter fare nell’Albania boreale, io esprimo il mio animo grato all’Avv. Cav. Alessandro Leoni, R. Console Generale d’Italia a Scutari, (1) A. Baldacci — A. 1897. Iter albanicum quintum (collect. exsicc.). — Idem — Escursione botanica nell’ Albania. Roma, Bollettino della Società Geografica italiana. X, 1897. — Idem — Con- ‘siderazioni preliminari sulla fitogeografia dell’ Albania settentrionale. Roma, Boll. d. Soc. Geogr. it., XII, 1898. (2) Grisebach — Reise durch Rumelien und nach Brussa. 2 Band., Gottingen, 1841. — Idem — Spicilegium florae rumelicae et bithynicae. 2 Voll. Braunschweig, 1843-1844. — 514 — il quale, compreso egli stesso della difficolta ed utilità degli studi nostri, ci diede ampie prove di assistenza. Nello stesso modo ricordo 1 Ing. Gio- vanni Ravotti, Delegato del Ministero dei Lavori Pubblici di Turchia per la sistemazione del Drino e altri non pochi per noi benemeriti, ai quali tutti mil è di onore ripetere i migliori sentimenti perle curefditicuite: siu- rono sempre premurosi e per le quali noi potemmo vedere coronato di felice successo il nostro difficile programma scientifico. Nel dare alla luce questa quinta contribuzione alla flora generale del- l’Aibania (1) mi é di vivissimo compiacimento confermare all’amico Dott. A. von Degen di Budapest quanto io abbia, come sempre, apprezzata la collaborazione di lui che é indubbiamente uno de’ più dotti conoscitori della flora balcanica. Con pari sentimento rivolgo le mie speciali grazie ai Pro- fessori Belli e Borbas, al Signor Burnat, al Dott. Chiovenda, ai Professori fCRepilnSabiitsicinse basito adire: Cosi termino ringraziando la Società Geografica italiana, il Ministero della Pubblica Istruzione ed il Comune di Bologna che liberalmente mi concedettero i mezzi per la buona riuscita di questo viaggio al quale da lungo tempo e non a torto erano rivolte tutte le mie aspirazioni. 1. Thalictrum majus Crantz Stirp. austr. II, pag. 80 (1763). In glareosis sub Cafa Sosit versus (Alp. Alb. sept.) Prekali distr. Scutari! Num. collect. 101. E la forma Th. ambiguum Schl. 2. Th. minus L. Sp. pl. I, pag. 546 (1753) var. saxzatile DC. FI. fr. V, pag. 633 pro specie (1815); cfr. Bald. Riv. 1896 Alb. pag. 6 (1899). In rupestribus Mali Kalmetit distr. Zadrima! in herbidis alpinis m. Parun! et in glareosis sub Cafa Bosit (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 233 et 101. 3. Ranunculus Thora L. Sp. pl. I, pag. 550 (1753). In saxosis alpinis m. Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 151. Foglia radicale squamiforme, foglia caulinare picciolata o sessile, più o meno profondamente: o minutamente dentata, col dente terminale assai più grande dei laterali; foglia fiorale unica, ridottissima, lineare-lanceolata. Questa località è finora la più meridionale dove sia stato trovato nella penisola balcanica il R. TXora, il quale, più a mezzogiorno, viene rimpiazzato dall’ affine R. brevifolius Ten. (cfr. Bald. exsicc. a. 1892 sub n. 254), precisamente come in Italia, ove allo stesso parallelo, termina nelle montagne dell’ Abruzzo la specie linneana e comincia quella. di Tenore. 4. Nigeella arvensis L. Sp. pl. I, pag. 534 (1753) var. tuberculata Gris. Spic. fl. rum. et byth. I, pag. 318 pro specie (1843). — N. arvensis var. glauca#Bioisis Ago Morse RAS): In cultis ad Renci distr. Scutari! Num. collect. 201. (1) A. Baldacci — Rivista della Collezione botanica fatta nel 1896 in Albania. Firenze, Nuovo Giornale botanico italiano, 1890. — 515 — 5. Delphinium Ajacis L. Sp. pl. I, pag. 531 (1753); cfr. Bald. Riv. 1895 Alb. pag. 5 (1897); id. Riv. 1896 Alb. pag. 8 (1899). In campis ad ecclesiam Barbalus distr. Scutari! Num. collect. 231. 6. D. peregrinum L. Sp. pl. I, pag. 531 (1753). In cultis ad Renci distr. Scutari! Num. collect. 202. 7. Berberis vulgaris L. Sp. pl. I, pag. 330 (1753). In saxosis summis m. Seint versus distr. Lurija (Dibra)! Num. collect. 235. 8. Corydalis ochroleuca Koch in Sturm Deutsch. FI. Heft 62 (1833). — C. capnoides (Willd. Sp. pl. III, pag. 866 sub Fumaria 1800) Wil)d. Enqbort. berol. pag. 741 (1309) var. @ DC. Syst. II, pag. 126 (1821). In rupestribus reg. fagi m. Seint supra Orosi! Num. collect. 236. Nelle rupi delle montagne del paese dei Mirditi, dove questa specie è frequente, si distin- guono di essa una forma « umbrosa » ed una forma « saxicola » (cfr. Vis. FI. dalm. III, pag. 97). Nella prima i pedicelli lunghi cm. 1 circa, alquanto ingrossati verso l'apice, sono quasi il doppio più lunghi delle brattee corrispondenti, strettissime e cuspidate. 9. Matthiola sinuata (L. Sp. pl. II, pag. 926 sub Cheirantho 1763) R. bigint At iEHort. Kew. IV, pag. 120: (1812). In alveo fl. Gjadri ad Vigu distr. Orosi! Num. collect. 237. Forma semplice, caule alto 15 cm. Foglie basilari numerose, lineari, intere o remotamente sinuate, infiorescenza di 6-10 fiori; silique sette volte più lunghe del peduncolo brevissimo. Lun- ghezza massima delle foglie 8 cm., larghezza massima 2 mm., lunghezza del peduncolo 2-3 mm., della siliqua 2 !/; cm. 10. Cardamine glauca Sprg. in DC. Syst. II, pag. 266 (1821). In reg. infer., media et super. m. Zukali frequens! m. Maranaj, Parun, Sala (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari; m. Mnela distr. Orosi. Num. collect. 2. Forma silvestre. 11. Arabis hirsuta (L. Sp. pl. II, pag. 666 sub Turritide 1753); Scop. BiWficara II pag. 30 792): In pratis m. Seint distr. Orosi! Num. collect. 238. 12. Roripa silvestris (L. Sp. pl. II, pag. 657 sub Sisymbrio 1753) Besser Enum. pi. Volhyn. pag. 2% (1822); cfr. Fritsch Beitr. FI. Balkanhalb. I, pag. 61 (1894). In arenosis lacus Scodrani ad Siroka distr. Scutari! Num. collect. 239. 13. R. lippizensis Rchb. Ic. fl. germ. II, pag. 15, fig. 4367 (1837). In pratis supra Vuka] per m. Zukali! m. Maranaj distr. Scutari et prope Scutari. Num. collect. 52. Forma silvestre. Pianta alta 2-3 dm. Cauli ramificati in alto, foglie munite in basso di due orecchiette, leggermente abbraccianti, pennatosette, a lacinie per lo più lunghe, lineari, di rado obovate e larghette, e più di rado ancora quasi capillari. Infiorescenze ricche, flessuose. Pedicelli arcuati o patenti, più lunghi delle silique immature, lineari. Stilo esile, lungo 1 !/s mm., stigma puntiforme. Il portamento della comune forma « saxicola » di A. lippizensis è qui molto alte- rato, tanto che si sarebbe indotti a ritenere la pianta di Vukaj per una forma di R. pyrenaica Rchb. Questi esemplari sono ad ogni modo istruttivi e servono a dimostrare la perfetta affi- nità, che, a mezzo di un numero notevole di forme, unisce le due specie suddette, la qual cosa accade similmente fra R. lippizensis e R. silvestris Besser, come già vedemmo colla pianta del m. Papingon (a. 1896 exsice. sub n. 154) e l’altra del m. Smolika (a. 1896 exsicc. sub n. 209) in Bald. Riv. 1896 in Alb. pag. 13. 14. Erysimum canescens Roth Cat. bot. I, pag. 76 (1797) var. grae- cum Boiss. et Heldr. Diagn. ser. II, 1, pag. 2? pro specie (1853). In alveo sicco fl. Kiri infra Renci et Scutari! Num. collect. 3. Questa pianta che Boiss. l. c. descrisse per specie, sollevando poi qualche dubbio intorno al valore concessole in Fl. or. I, pag. 193, non è effettivamente che una dipendenza meridionale della specie di Roth. Lo stesso carattere principale di differenziazione che nella pianta di Bois- sier dovrebbe risiedere nella minore lunghezza del peduncolo rispetto ai sepali, è straordina- riamente variabile anche sopra un medesimo esemplare. Nello stesso modo mostrano di non po- tersi con convenienza fissare la lunghezza e l’arcuatura delle silique. Al contrario, l'esuberanza di sviluppo dell’E. canescens non è mai così notevole nell’ E. graecum. 15. È. pectinatum Bor. et Ch. Exp. scient. Mor. III, 2, pag. 189 (1832). In herbidis per totum m. Seint distr. Oro$i! Num. collect. 53. Area di distribuzione: Laconia e Messenia (Tajgeto e Malevo); Achaia ed Arcadia (Hal.); m. Karava (Hausskn.); m. Tomor d'Albania (Bald.). Il m. Seint è finora la località più set- tentrionale dove la specie sia stata rinvenuta. 16. Hesperis matronalis L. Sp. pl. II, pag. 663 (1753). In umbrosis dumetorum ad ecclesiam Rijoli distr. Scutari! Num. collect. 103. 17. Alyssum montanum L. Sp. pl. II, pag. 650 (1753). In saxosis m. Seint versus distr. Lurija (Dibra)! Num. collect. 240. Esemplari notevoli per lo sviluppo che presentano. Vanno a collocarsi colle altre forme che si aggirano intorno all’A. franssy/vanicum. Schur En. pag. 63; cfr. Bald. Riv. 1896 Alb. pag. 16. 18. À. argenteum Vitm. Summa pl. IV, pag. 430 (1790). In aridis serpentinis infra Scutari et Renci ultra Kiri! Num. collect. 241. Siliquette glabre, glauche. 19. A. corymbosum (Gris. Spic. fl. rum. et byth. I, pag. 271 sub Aw- rinia 1843) Boiss. FI. or. I, pag. 265 (1867). — Vesicaria microcarpa Vis. in Ergzbl. Bot. Zeit. I, n. 26 (1829). — A/lyssum microcarpum Vis. FI. dalm. III, pag. 115 (1852). In silvaticis reg. fag. m. Nermajna et Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 242. Pedicelli delle silique mature lunghi 4-5 mm. Area geografica della specie: Macedonia, Al- bania, Epiro, Tessaglia, Serbia, Montenegro e Dalmazia. 20. Draba Aizoon Wahl. FI. carp. pag. 193 in adnot. (1814) var. athoa Gris. Spic. fi. rum. et byth. I, pag. 267 (1843); cfr. Bald. Nuovo Giorno bot. it. pag. 109 (1894). In pratis aridis reg. abjet. m. Seint distr. Orosi! Num, collect. 153. Questa forma richiama l’altra dei m. Smolika, Papingon e Gamila (exsice. a. 1896 sub. n. 205) per i cauli glaberrimi, lunghezza dei peduncoli rispetto alle siliquette compresse le quali sono più o meno vestite di peli adpressi e apiculate da uno stilo più lungo della loro metà.«Nella pianta del m. Seint le siliquette sono più brevi e meglio ovate. — 517 — 21. Peltaria alliacea L. Sp. pl. II, pag. 910 (1763). In silvis m. Maranaj ad Vorfaj distr. Scutari! Num. collect. 244. 22. Thlaspi praecoxz Wulf. in Jacq. Coll. II, pag. 124 (1788). In saxosis m. Taraboù ultra Scutari! et in pratis reg. fagi m. Seint versus distr. Orosi et Lurija (Dibra)! m. Mnela et Suceli distr. Orosi. Num. collect. 54% et 54. Siliquette con 4-6 semi che, per aborto, scendono fino a 2, come negli esemplari del m. Smo- lika (exsicc. a. 1896 sub n. 284). La forma del m. Seint della presente collezione è di luogo om- broso ed elevato (1300 m.)e più sviluppata e cespugliosa di quella del m. Tarabo$ proveniente da località arida, calcarea, mediterranea (300 m.). 23. Iberis sempervirens L. Sp. pl. II, pag. 648 (1753). In .saxosis reg. alpinae m. Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! et in altissimis m. Mnela distr. Orosi! Num. collect. 243. 24. I. umbellata L. Sp. pl. II, pag. 649 (1753). In saxosis ad Mnela et Kalyvaria distr. Orosi! Num. collect. 55. Gli esemplari di Mnela hanno foglie cauline strette, lineari, intere, mentre nella pianta di Kalyvaria sono più lunghe ed avvicinate. Le giovanissime siliquette sono in tutto quelle del tipo. Per affermare completamente la presente determinazione mancherebbe il solo carattere delle foglie inferiori che dovrebbero essere seghettate, dato, questo, del resto, molto indeterminato e quasi trascurabile: per esso, e in saggi come i miei, l’Z. umbe/lata divenne I. linifolia Auct. non L. (perocchéè la vera /. Zinzfolta L. oltre ad essere pianta dell’ Europa occidentale ha i suoi caratteri differenziali nelle siliquette [ristrette all’apice, con orecchiette a cornetto ricurvo] e non nelle foglie); cfr. Vis. FI. dalm. III, pag. 112. 25. Cistus monspeliensis L. Sp. pl. I, pag. 524 (1753). In umbrosis reg. abiet. m. Suceli distr. Orosi! Num. collect. 102. 26. Helianthemum ocelandicum DC. FI. fr. IV, pag. 817 (1805) var. canum (L. Sp. pl. pag. 525 pro specie Cisti 1753) Dun. in DC. Prodr. I, pag. 277 pro specie (1824). : In saxosis elatis m. Marana]j distr. Scutari! et m. Seint! et Mnela distr. Orosi. Num. col- lect. 51. 27. Fumana procumbens (Dun. in DC. Prodr. I, pag. 275 sub He- lianthemo 1824) Gren. et Godr. FI. de France I, pag. 173 (1848). In pratis aridis ad Goòmsice distr. Orosi! Num. collect. 1. 28. Viola silvatica Fries FI. hall. pag. 64 (1817); cfr. Bald. Riv. 1894 Alb. pag. 5 (1896) et Burnat FI. Alp. marit. I, pag. 170 (1892). In silvaticis elatioribus m. Zukali distr. Scutari! Num. collect. 245. Tipica o quasi. Foglie inferiori reniformi, superiori ovato-curviformi = acuminate; pedun- coli più lunghi della foglia. 29. V. gracilis Sibth. et Sm. FI. gr. prodr. I, pag. 146 (1806); var. lutea Boiss. FI. or. I, pag. 463 (1867). Ad nives deliquescentes m. Mnela distr. Orosi! Num. collect. 56. 30. V. aetolica Boiss. et Heldr. Diagn. ser. II, 6, pag. 24 (1859). In saxosis elatis m. Zukali! et Maranaj distr. Scutari; in pratis reg. fagi m. Seint! et m. Mnela distr. Orosi. Num. collect. 154 et 57. — 518 — Eterofilla. Foglie basilari ovali-ottuse, quasi intere, cauline ovali-lanceolate, più o meno pro- fondamente seghettate ; stipole pennato-partite a lacinie lineari colla superiore oblungo-lineare ; peduncoli lunghi 7-10 cm.; sepali 8-10 mm., triangolari, ciliati specialmente verso l'apice, un poco più lunghi dello sprone (circa 7 mm.); petali gialli o lilacini (y /#/ac:na Degen in sched.) o variegati (petali superiori violacei, laterali sulfurei e inferiore auranziaco-violaceo-striato : cfr. Hausskn Symb. ecc. in Mitt. thir. bot. Ver., V Heft, 1893, pag. 44). Per la sua singolare affi- nità con talune variazioni di V. &ricolor (V. alpestris Jord. etc.) e con altre specie del gruppo delle « Perenni » (V. Orphanidis Boiss., V. macedonica Boiss. et Heldr. etc.) è facile di non poterla a primo esame differenziare. Finora era specie nota soltanto dell’ Etolia. 31. Polygala vulgaris L. Sp. pl. II, pag. 702 (1753). In pratis elatioribus m. Mnela distr. Orosi! Num. collect. 152°. Forma. 32. P. alpestris Rchb. Ic. crit. fig. 45 (1823). In saxosis summis m, Zukali distr. Scutari! Num. collect. 152. 33. Herniaria hirsuta L. Sp. pl. I, pag. 218 (1753). In aridis terr. Vraka distr. Scutari! Num. collect. 246. Fascetti spesso 7-flori, lacinie calicine con setola breve. 34. Paronychia Kapela (Hacq. PI. alp. carn. pag. 8 sub Z/ecedro 1782) Kerner Oest. bot. Zeitsch. n. 12 (1876); cfr. Pichler in Kerner Sched. ad fl. exsicc. austr. hung. I, pag. 12, n. 61 (1881). In alveo sicco fl. Gòmsice! in altissimis m. Mnela distr. Orosi et in saxosis Mali Kalmetit distr. Zadrima! Num. collect. 248', 248 et 58. Gli esemplari al n. 58 appartengono alla forma tipica o vicinissima al tipo colle foglie elit- tiche e ciliate; gli esemplari al n. 248, provveduti di foglie ovali, avvicinate in modo da sem- brare embriciate, più pelose, con brattee meno evolute, lacinie calicine irte, oblungo-ottuse, con- cave rammentano nell’ abito e nei caratteri l affinissima P. serpyllifolia DC. (che, secondo il mio parere, può fondersi colla P. Kapela): gli esemplari al n. 248! rappresentano una forma già fruttificata in cui i cauli « columnares » portano foglie esattamente embriciate, più corte delle stipole. 35. Scleranthus annuus L. Sp. pl. I, pag. 476 (1753). In aridis elatioribus sub ]jugo m. Zukali distr. Scutari! Num. collect. 247. Consocia, in questa località, dello S. unceznatus Sch. Partecipa, nei caratteri vegetativi, dello SS. verzicillatus Tausch: ha cime dicotomo-corimbose, lacinie lineari-acutissime, più lunghe del tubo, alquanto involute. 36. S. uncinatus Schur in Verhandl. Siebenb. pag. 107 (1850); cfr. Panic chi. più vase Crinaeg: pas (31 (875)! In aridis elatioribus sub jugo m. Zukali! et in m. Maranaj distr. Scutari. Num. collect. 247. 37. Gypsophila spergulifolia Gris. Spic. fl. rum. et byth. I, pag. 483 (1843) non B'os's KH. for. apae-2099 (1867) cir. iVilis tea lSserbi Tar. AutimovMU pago iva DIAR0 1A 2A (1870). Perennis, caespitosa, nonnumquam caudiculos steriles, longos, prostratos, foliosos (folia in fasciculis disposita) gerens, caulibus erectis; foliis subulatis acutis, enerviis vel uninerviis, incurvis, carnosulis, glabris vel minute papillosis, caulinis binis vel subquaterno-verticillatis, imis caespitosis brevioribus, basi persistentibus, imbricato-vaginantibus, floralibus minutis vel minutissimis infra medium pedicelli filiformis scabriusculi vel glandulosi oppositis; calycis la- — 519 — ciniis ovatis vel acutatis, margine membranaceis tubum obconicum subaequantibus, tubi viridis 5-vittati intervallis membranaceis angustissimis ; petalis trinervis sensim in laminam dilatatis, anguste spathulatis, integris vel emarginato-bilobis, vel hinc inde emarginatis, albis vel pal- lide roseis, calycem staminaque duplo superantibus; capsula oblongo-elliptica vel ovoidea utrinque attenuata viridi, calyce subaequilonga, nitida, apice emarginato-truncata, 4-costata dein 4-8-valvi; seminibus minutis lenticulari-reniformibus, compressis, minutissime tuberculatis, nitidis, cinna- momeis, dein atris, junioribus dilute fuscis. a albanica Gris. in litt. ad Pané.; cfr. Vis. et Pant. I. c. Caudiculis sterilibus longis, prostratis, fasciculos foliorum distantes gerentibus, caulibus tenuibus, erectis, simplicibus vel ramosis, superne scabriusculis, apice calyce glandulosis; foliis glabris vel scabriusculi subenerviis; calycis laciniis ovatis rotundatis tubum obconicum aequan- tibus; petalis albidis, integris, spathulatis calyce sesquilongioribus. In serpentinis ad Renci distr. Scutari! per distr. Mirditi, frequens. Num. collect. 203. Haec est planta typica Grisebachiana a clarissimo auctore primum lecta in m. Puka octo leucas a litore adriatico prope Alessio distante in fissuris rupium dioriticarum et descripta in Spic. l. c. 38. 8 serbica Gris. in litt. ad Pané.; cfr. Vis. et Pané. I. c. Caulibus erectis superne ramosis, glabris; foliis uninerviis; calycis laciniis vix obtusis nec rotundatis; petalis roseis bilobis vel marginatis nec integerrimis. In aridis ad radices m. Mitcikeli distr. Janina in Epiro! (legit septembri 1896 M. Panajotis). Haec est planta Vis. et Panè. a clarissimis auctoribus lecta in apricis montis Zlatibor circ. Uzitensis Serbiae meridionalis in substrato serpentino et descripta in PI. serb. etc. l. c. Con queste descrizioni, modificate e ampliate sulle due di Grisebach e di Visiani e Pancié, io ho inteso di scindere definitivamente la specie, poco nota e controversa, nelle due distintissime varietà già da Grisebach in litt. ad Pant. molto ragionevolmente intuite, va- lendomi a tal fine del mio istruttivo materiale. 39. D. Caryophyllus L. Sp. pl. I, pag. 410 (1753) var. inodorus L. |. c. = napillosus Vis. et P'amé. PI serb. rar. aut nov. I, pag. 19, tab. 5, fig. 2 (1862). i In summis alpinis m. bala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 240. 40. D. Caryophyllus L. Sp. pl. I, pag. 410 (1753) var. nodesus Tausch intSyll. pi. nov. pag. 243 (1323); cfr. Kerner Sched. ad fl. exsicc. austr. hung. II, pag. 70 (1888). — D. Caryophyllus var. siloestris Vis. Fl. dalm. III, pag. 164 (1850). In alveo fl. Gjadri ad Vigu distr. Orosi! in aridis ad NenSati distr, Zadrima! et in saxosis summis m, Rumija (Alb. montenegrina)! Num. collect. 4, 249 et 155. Dipende immediatamente dal D. 2nodorus L. l. c. ed è una delle varietà meno fissate sotto le quali si intende l’ antico D. s:/vestris Wulf. in Jacq. Coll. I, pag. 287. Il numero delle paia delle squame calicine è di 2 in questi esemplari. I cauli sono rigidi, + scabri, i nodi alquanto, ma non tipicamente ingrossati. Le foglie cauline denticolate e membranacee in basso sono pure rigide ed adpresse. Fra questi saggi, quelli al n. 4 sembrano essere i più caratteristici. 41. D. ciliatus Guss. Ind. sem. hort. Boccadif. pag. 5 (1825) var. cy- Îmosus Vis. FI. dalm. III, pag. 162, tab. 35, fig. 6 (1852). — D. dalmaticus Celak. Oest. bot. Zeit. 35, pag. 189 (1885). — D. medunensis Beck et Szysz. PI. lect. per Crnag. etin Alb. adjac. pag. 66, tab. 3, fig. a, 0, c (1888). Serie V. — Tomo IX. 65 — 520 — In rupestribus calcareis Ure Streint! et in saxosis calcareis ad Zogaj versus lacum Sco- dranum distr. Scutari! Num. collect. 250 et 156. Molti altri sinonimi si potrebbero invocare a dimostrazione dell'estrema variabilità che gode questa pianta, particolarmente pel numero, forma e superficie delle brattee, come delle lamine dei petali. I più minuti passaggi si osservano in singoli esemplari di questa elegante specie tanto diffusa nei luoghi aridi dell Istria, Dalmazia, Croazia, Erzegovina, Montenegro, Albania. settentrionale ed Italia centrale. I miei saggi al n. 156 sono perfettamente identici a quelli di Medun nel Montenegro descritti da Beck e Szysz. l c., fuorchè nelle foglie più corte di 2-3 cm. e nei filamenti che arrivano all’ altezza dell’ unghia: i saggi al n. 250 in via di sviluppo si riporterebbero meglio al D. dalmaticus per il solo manifesto carattere degli internodi infe- riori e superiori più brevi. 42. D. Carthusianorum L. Sp. pl. I, pag. 409 (1758); cfr. Parl. FL it. IX, pag. 253 (1892). In pratis saxosis m. Taraboù ultra Scutari! Num. collect. 59. Questa determinazione può essere contestata dato il numero enorme di specie, varietà e forme in cui venne frazionata la specie. Questi saggi in via di fioritura presentano glomeruli pauciflori, brattee scagliose, ovate, ondulate, con aresta eretta o patula, più corta del tubo del calice. 43. D. tristis Vel. FI. bulg. pag. 80 (1891). In herbidis subalpinis et alpinis m. Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 204. Due forme; luna alta 40 cm. (subalpina) con foglie cauline lunghe quanto l’ internodio e infiorescenze globose e ricche; l’altra (alpina) pigmea (6-7 cm.) con foglie più lunghe degli internodii e infiorescenze 1-3-flore. 44. D. calocephalus Boiss. Diagn. ser. I, 6, pag. 23 (1855). Ad margines vinearum prope Kasnjeti distr. Orozi! Num. collect. 59. Determinazione approssimativa. 45. Silene Armeria L. Sp. pl. I, pag. 420 (1753). In saxosis infra Nerfusa et Muselim! et ad Gjoani, Planti et alibi per terr. Pulati distr.. Scutari! Num. collect. 5 et 105. 46. S. trinervia Seb. et Maur. FI. rom. prodr. pag. 152, tab. 2 (1818). Ad sepes Doci distr. Scutari! Num, collect. 252. 47. S. paradoxza L. Sp. pl. II, pag. 1673 (1763). In alveo fl. Gjadri ad Vigu, Kastri et Mnela distr. Orosi! Num. collect. 251. Forma in via di sviluppo, molto cespitosa, prostrata, con pochi cauli eretti. Foglie e cauli interamente glabri fuorchè verso la sommità dove le foglie sono ciliate e i peduncoli e i calici villosi. 48. S. fruticulosa Sieb. PI. exsicc. in DC. Prodr. I, pag. 376 (1824). In rupestribus summo jugo m. Kalmetit distr. Zadrima! Num. collect. 106. Il calice, sforzato dalla capsula, è parzialmente rotto. Altrove (Riv. 1894 Alb. pag. 9), quando: gli altri caratteri potevansi interpretare ambiguamente, io credo di avere in modo giusto ap- prezzato il carattere del calice, rotto o no dal passaggio della capsula, per riconoscere nel primo caso la S. /ruticulosa e nel secondo la S. saxifraga L. Nei saggi del m. Kalmetit stanno ancora a favore della specie di Sieber i calici lunghi 15 mm., lungamente attenuati, coi denti glabri. Le foglie di taluni individui sono lineari-lanceolate. — sa — 49. S. petraea W. K. PI. rar. Hung. I, pag. 178 (1802). In rupestribus fl. Fandi maze ad Gojani distr. Orosi! Num. collect. 60. Questa specie, da taluni (Nyman Consp. pag. 92, ecc.) riunita colla S. sax//raga L., da altri (Vis. FI. dalm. III, pag. 167) ritenuta per semplice varietà della predetta, ha forse mag- gior diritto della S. /ruticulosa Sieb. di restare col valore specifico originariamente attribuitole da Waldstein e Kitaibel, tanto più prendendo in esame i miei esemplari (.S. pefraeag var. al- banica Degen in sched.) i quali differiscono dal tipo originale, allontanandosi così anche dalla S. saxtfraga, per i calici e le capsule subglobosi, queste ultime lunghe soltanto 4-5 mm. 50. Heliosperma Tommasinii (Vis. in Ergànzbl. bot. Zeit. I, n.° 17 sub Silene 1829) Vis. FI. dalm. II, pag. 171 tab. XXXV, fig. 2 (1852). In humidis schistaceis ad pontem supra Kiri prope Planti terr. Pulati distr. Scutari! Num. collect. 104. 51. Lychnis coronaria (L. Sp. pl. I, pag. 436 sub Agrostemmate 1753); Desr. in Lam. Enc. III, pag. 643 (1789). In umbrosis ad Kasnjeti distr. Orosi! Num. collect. 253. 52. Viscaria vulgaris (L. Sp. pì. I, pag. 436 sub Lychnide 1753) var. atropurpurea Gris. Spic. fi. rum. et byth. I, pag. 166 pro specie (1843) cfr. Bald. Riv. 1896 Alb. pag. 32 (1899). In silvis m. Maranaj distr. Scutari! Num. collect. 61. 53. Sagina apetala L. Mant. pag. 559 (1767) var. ciliata Fries in [elifipas i prolspecie (816); cfr Pari. ET. it. IX, pag. 068 (1392). In humidis ad fontes, rara, sub jugo m. Kalmetit distr. Zadrima! Num. collect. 256. Due forme: l’ una saxicola, l’ altra umbrosa, quest’ ultima cespugliosa con cauli molto elon- gati. Le sommità dei lunghi peduncoli filiformi e i sepali sono glandolosi in ambedue le forme. 54. Sagina Linnaei Presl Reliq. Haenk. II, pag. 14 (1835) var. glan- dulosa Haussk. Symb. ecc. in Mitth. thir. bot. Ver., V Heft, pag. 58 (diS9>)ffcire. Bialidi. Riv. 1896, All. pag. 33 (1899). In humidis m. Zukali! in pratis reg. fag. sub Cafa Bosit ad pagum Dakaj (Sala)! m. Ma- rana) distr. Scutari et per m. distr. Orosi. Num. collect. 160 et 160. Il n. 160° è identico alla pianta del m. Smolika (exsicc. a. 1896 sub n. 226); il n. 160, in stato più giovane, non è glandoloso che qua e là nei sepali; le foglie e i cauli sono quasi glabri. 55. Cerastium decalvans Schl. et Vuk. ex Nym. Consp. pag. 107 (1378-1882); cfr. Bald. Riv. 1896 pag. 34 (1897). In summis m. Rumija versus terr. Krajina (Alb. montenegr.)! Num. collect. 157. 56. C. grandiflorum W. K. PI. rar. Hung. II, pag. 123, tab. 168 (1805). In rupestribus alpinis m. Parun (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 107. Forma tipica. 57. C. grandiflorum W. K. PI. rar. Hung. II, pag. 183, tab. 168 (1805) var. n. albanicum Bald.; cfr. Riv. cr. 1892 Alb. pag. 19 (1894); Riv. 1894 Alb. pag. 10 (1896); Riv. 1895 Alb. pag. 19 (1897); Riv. 1896 Alb. pag. 34 (1899). In pratis m. Seint versus distr. Lurija (Dibra)! Num. collect. 62. Caules numerosi, elongati, infiorescentiae compactae, multiflorae, approximatae. Habitus C. tomentosi L. — 522 — 58. C. arvense L. Sp. pl. I, pag. 438 (1753) var. alpicolum Fenzl in Gris. Spic. tl. runsettbyvh Iapag21081543): In saxosis reg. alp. m. Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 254. Due forme. L'una più sviluppata, glabrescente ; l altra pumila, tomentosa, subuniflora. Le foglie sono lanceolate, piane o revolute nei margini con la nervatura ben manifesta. I sepali della forma pumila sono tomentoso-glandolosi. 59. Arenaria rotundifolia M. B. FI. taur. cauc. I, pag. 343 (1808); var. Pantiéii Deg. et Bald. in Bald. Contrib. fl. mont. alb. pag. 10 (1900). In herbidis saxosis alpinis m. Parun (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 255. A. rotundifolia var. albanica Degen in sched. — Questa varietà, intermedia fra l'A. di- flora L. (cfr. Bald. Riv. cr. 1892 Alb. pag. 21) e la specie di Marshall von Bieberstein, è propria anche del Montenegro e dell’ Erzegovina. 60. A. conferta Boiss. Diagn. ser. I, 1, pag. 51 (1842). In lapidosis mobilibus summis m. Parun (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 108. Foglie inferiori ciliate soltanto nella porzione attenuata. Questa località è finora la più settentrionale dove la specie sia stata rinvenuta. 61: Alsine liniflora (L. fil. Suppl. pl. Syst. veg. pag. 348 sub Arenaria 1798) Hegetschweiler FI. d. Schweiz pag. 421 (1840); cfr. Bald. Riv. 1896 Alb. pag. 34 (1899). In aridis et saxosis reg. mediae m. Zukali! et Maranaj distr. Scutari et in m. Mnela distr. Orosi. Num. collect. 7. 62. A. graminifolia (Ard. Spec. anim. bot. alt. pag. 25 sub Arenaria 1764) Gmel. Syst. veg. I, pag. 507 (1786) var. glaberrima Vis. FI. dalm. III, pag. 178 (1852). In rupestribus calcareis alp. m. Parun! et in schistaceis subalp. m. Sala (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 158 et 158°. Foglie, cauli (elongati) e sepali interamente glabri. 63. A. recurva All. FI. ped. II, pag. 113, tab. 89, fig. 3 sub Arenaria 1789); Wahl. FI. helv. pag. 87 (1813). In alveo sicco fl. Gòmsice distr. Orosi! Num. collect. 6. Foglie lineari, strettissime, 8-nervie, acuminate, diritte o appena curvate. Infiorescenza di- casiale pubescente-glandolosa in alto; sepali pubescenti, glandolosi, ovato-lanceolati, 5-7-nervii. 64. A. tenuifolia (L. Sp. pl. I, pag. 424 sub Arenaria 1753) Crantz Inst. II, pag. 407 (1766) var. muceronata (L. Sp. pl. I, pag. 424 pro specie Arenariae 1753) L. Sp. pl. I, pag. 358 sub A/sine (1762); cfr. Gris. Spic. fl. rum tfetbyth-MI pag: M198M(11843) #Blorisis El Tor. Apa 030 don) Burnat FI. Alp. marit. I, pag. 240 (1892). In saxosis m. Tarabos supra Scutari! Num. collect. 159. Glabra, foglie subulato-setacee, 3-nervie alla base, infiorescenze dicasiali contratte nella forma saxicola, lasse nella forma ombrosa, pedicello assile lungo 2-3 volte il calice, gli altri uguali o appena sorpassanti il calice glandoloso, lacinie calicine acuminate e tipicamente mu- cronate. 65. Hibhringia muscosa L. Sp. pl. I, pag. 359 (1753). In umbrosis silvaram m. Marana] distr. Scutari! Num. collect. 8. = 988 = 66. Radiola linoides (L. Sp. pl. I, pag. 281 sub Lino 1753) Roth Tent. fl. germ. I, pag. 71 (1788). Inter Plerzdes aquilinas terr. Vraka distr. Scutari! Num. collect. 40. 67. Linum catharticum L. Sp. pl. I, pag. 281 (1753). In herbidis elatis m. Maranaj distr. Scutari! et in herbidis reg. mediae m. Mnela distr. Orosi! Num. collect. 63! et 63. 68. Oxalis Acetosella L. Sp. pl. I, pag. 433 (1753). In umbrosis silvarum ad summum m. Zukali distr. Scutari! Num. collect. 161. 69. Geranium pyrenaicum L. Mant. pag. 97 (1767). In saxosis subalp. ad « stani » m. Parun (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 257. 70. Tilia argentea Desf. in DC. Cat. hort. monsp. pag. 66 (1813). In silvis terr. Rijoli sub m. Parun distr. Scutari! Num. collect. 9. 71. Hypericum perforatum L. Sp. pl. II, pag. 785 (1753). In campis terr. Krajina distr. Scutari! et in saxosis ad Gòmsice distr. Orosi ! Num. collect. 162 et 258. 72. H. barbatum Jacq. Austr. III, pag. 33, tab. 256 (1775) var. pin- dicolum Haussk. Symb. etc. in Mitth. thir. bot. Ver., V Heft, pag. 62 (1893); cfr. Bald. Riv. 13895 Alb. pag. 22 (1898); Riv. 1396 Alb. pag. 39 (1899). In herbidis m. Seint distr. Orosi! Num. collect. 64. 73. Haplophyilum patavinum (L. Sp. pl. I, pag. 384 sub Ruta 1753) A.Juss.inRchb. FI. germ. exc. pag. 767 (1832) var. n. albanicum Bald. In glareosis rivulo Nervena sub Cafa Sosit versus Prekali distr. Scutari! Num. collect. 259. Caespitosum, caulibus elatis (20-25 cm.), rigidis, puberulis, foliis discoloribus, glabris, indi- visis, corymbo composito, multifloro, pedicellis fructu longioribus, bracteis sepalisque albo-la- natis, capsula sparse pilosa, dense verruculosa, prope apicem 8-4 carunculis cylindricis, obtusis egregie corniculata. Varietà parallela all 7. Boissierianum Vis. et Panè. PI. serb, rar. aut nov, II, pag. 14, tab. 20, fig. 2 pro specie, dalla quale principalmente diverge pel maggiore sviluppo e il corimbo ricco, compatto. Dall Y. patavinum, oltre che per l’ abito, si differenzia per la lanosità delle capsule corniculate etc. Ha l’ abito dell’ 7. coronatum Gris. Spic. I, pag. 129 dal quale tosto recede per il carattere notevolissimo della capsula per lo più a quattro lobi, con ciascun lobo biovulato e gli ovuli sovrapposti. 74. Evonymus europaeus L. Sp. pl. I, pag. 197 (1753). In dumetis ad BusSati distr, Scutari! Num. collect. 67. 75. E. verrucosus Scop. FI. carn. I, pag. 166 (1772). In rupestribus « dolinarum » per m. seint versus distr. Lurija (Dibra)! Num. collect. 66. 76. Rhamnus alpinus L. Sp. pl. I, pag. 193 (1753) var. fallaxz Boiss. Diagn. ser. II, 5, pag. 74 pro specie (1856); cfr. Bald. Contr. pag. 12 (1900). In silvis reg. fagi m. Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 163. Il carattere delle nervature fogliari quasi uguale nel RX. /allax e nel RA. alpinus, ma variabilissimo in ambedue le piante, non può, contro l’ opinione di Boissier, essere se- — 5824 — riamente considerato. La fessura del seme (oblungo-trigono-compresso nell una e nell’ altra pianta), interamente aperta nel RR. a/pinus, è manifesta soltanto nei due terzi dei semi del Rh. falla dove si vede obliquamente troncata alla base. Gli altri caratteri citati da Bois- sier per la sua specie (foglie più grandi e più acuminate con base rotondata, fiori poli- gami, ecc.) si notano con frequenza anche in forme di RR. «/pinus. Per conseguenza, la diffe- renza unica fra le due piante risiede nella fessura del seme, e per questa sola e lieve diver- genza, che appare completa soltanto, ma non sempre, negli stadii più adulti della fruttificazione, è senza dubbio più corretto far dipendere come varietà dal tipo linneano la pianta di Bois- sier, la quale rimpiazza il R/. al/pinus nella regione albano-greca. 77. Rh. rupestris Scop. Carn. I, tab. 5 (1772). In rupestribus m. Kalmetit distr. Zadrima! Num. collect. 109. 78. Acer tataricum L. Sp. pl. II, pag. 1054 (1753). In silvis ad Simoni distr. Orosi! Num. collect. 65. 79. A. campestre L. Sp. pl. II, pag. 1055 (1753) var. lejocarpum Tausch in Flora XII, pag. 547 (1829). — A. campestre var. austriacum DC-Prodr. I*pag.594*(1824)? —A4.*marsicum 'Gu'sis. Pl. rar Mpastt/5 (1826). In dumetis ad pagum Docti distr. Scutari! Num. collect. 110. 80. A. opulifolium Vill. Hist. pl. Dauph. I, pag. 333 (1786). — A. ifa- lum Lauth De Ac. pag. 32 (1781) subsp. variabile Pax Gatt. Acer in Engl. bot. Jahrb. VII, pag. 226 (1886). Ad « gjamija » pagi Iftian in Alb. montenegrina! Num. collect. 260. 81. Genista holopetala Fleisch. in Rchb. FI. germ. exe. n. 2066 (1832) var. n. Hassertiana Bald. in sched. pro specie. In collibus dioriticis infra Scutari et Renci! et ultra Vigu distr. Orosi, Num. collect. 11. A typo tergestino differt floribus paulio minoribus et alis carina brevioribus. Questa forma mostra, fra le specie europee, le più intime relazioni con qualche specie asia- tica della « sectio Spartocarpus » ; per es. con la G. sessz/ifolia DC. e G. cappadocica Spach. 82. G. pilosa L. Sp. pl. II, pag. 710 (1753). In herbidis montanis m. Zukali! et Maranaj distr. Scutari. Num. collect. 12. 83. G. tinctoria L. Sp. pl. II, pag. 710 (1753). In herbidis summis m. Zukali distr. Scutari! Num. collect. 261. Forma prostrata, diffusa; rami striati glabri o glabrescenti; foglie elittico-lanceolate, poco venose, ciliate nei margini; stipole minime ; fiorì in racemi lassi, fogliosi; calici pelosi colle lacinie subulate o lineari acute, lunghe quanto il tubo. E una forma che potrebbe collocarsi colla G. ovata W. K. o colla G. /ydia Boiss. se i fiori deì miei esemplari, che sono innanzi l’antesi, permettessero di riconoscere la superficie dell’ ovario. 84. G. tinetoria L. Sp. pl. II, pag. 710 (1753) var. elatior Koch Syn. fi. germ. et helv. pag. 441 (1843-45). In pratis ad Vigu distr. Orosi! Num. collect. 10. Forma glabrescente nei cauli rigidi striati, nelle foglie ovato-lanceolate o lineari e nei ca- lici. Stipole persistenti. Questa stessa forma è frequente nell’ Italia meridionale e alquanto meno nella centrale. — 626 — 85. Cytisus ramentaceus Sieb. in Bot. Zeit. V, pag. 242 (1822). — — C. Weldeni Vis. PI. dalm. nunc prim. ed. in Flora XIII, pag. 52 (1830); cireVvas e hi dalm. III, pag..263, tab. 39).(1852). In dumetis m. Maranaj et ad Reti sub m. Lovéit distr. Scutari! Num. collect. 13. Area geografica: Istria, Dalmazia, Erzegovina, Bosnia, Montenegro, Albania, Epiro. 86. C. nigricans L. Sp. pl. II, pag. 739 (1753) var. mediterraneus Pant. ml@est bot. Zeitsehre. XXIII, n. I, pag. 5 (1873). Ad ecclesiam pagi Renci! per m. Zukali et Maranaj et in terr. Rijoli distr. Scutari. Num. collect. 14. 87. ©. hirsutus L. Sp. pl. II, pag. 739 (1753) var. ciliatus Koch Syn. fi. germ. et helv. pag. 156 (1837). In umbrosis ad Renci distr. Scutari! Num. collect. 262. Forma silvatica. Foglie più grandi larghe 4 cm., larghe 2-2'/, cm. fortemente ciliate. 88. Medicago prostrata Jacq. Hort. vind. pag. 39, tab. 89 (1770). In glareoso alveo fl. Sala ad pontem sub Abate distr. Scutari! Num. collect. 164. Glabrescente 1-3-flora, peduncoli 5-6 mm., legumi con 2 giri. 89. M. lupulina L. Sp. pl. I, pag. 779 (1753). In aridis infra Gjoani et Planti (Pulati) distr. Scutari! Num. collect. 263. 90. Trifolium alpestre L. Sp. pl. II, pag. 1082 (1763). In herbidis reg. fagi m. Sala (Alp. Alb. sept.) supra Abate distr. Scutari! Num. collect. 165. 91. T. hirtum All. Auct. ad fl. ped. pag. 20 (1789). Secus viam infra KaSnjeti et Orosi! Num. collect. 68. 92. T. incarnatum L. Sp. pl. II, pag. 769 (1753) var. stramineum (Presl Fl. sic. pag. 20 pro specie 1826) Gibelli e Belli Riv. cr. d. Trif. it. sez. « Lagopus » pag. 54-58 (1889). In herbidis saxosis m. Maranaj supra Vorfaj distr. Scutari! Num. collect. 265. 93. T. pallidum W. K. PI. rar. Hung. I, pag. 35 (1802) var. flavescens (init NPus Me pag Lo) profspecier 1317) Gilbie:lilite BiellinlWie.Wpag: 68 (1899). Ad margines agrorum prope Kasnjeti distr. Orosi! Num. collect. 266. 94. T. nervulosum Boiss. et Heldr. Diagn. ser. I, 9, pag. 25 (1849) var. n. albanicum Bald.; cfr. Gibelli e Belli Riv. cr. d. Trif. it. pag. 48, tab. 2, fig. 4 (1890). In aridis terr. Rijoli distr. Scutari! Num. collect. 264. Differt a typo (ex descript. Boiss. l. c. et Gib. e Belli I. c.) pedunculis folio brevioribus, calyce corolla paullo minore, tubo infra lacinias saepe ciliato, dentibus tubo longioribus. Questa varietà va a collocarsi per il carattere dei peli che si trovano fra i denti calicini più lunghi del tubo, subito dopo la var. galilewm Boiss. Fl. or. II, pag. 142 (calycis sinus interdum 1-2 pilis obsiti, dentes tubo longiores) e viene da essa quasi unicamente a differen- ziarsi per i peduncoli più corti della foglia. 95. T. suffocatum L. Mant. pag. 276 (1767). In herbidis m. Jubanj supra Gurisi! et ad Vraka distr. Scutari! Num. collect. 15. — 526 — 96. T. Velenovskyi Vandas in Velen. FI. bulg. pag. 143 (1891). In herbidis ad Dakaj (Sala) distr. Scutari! Num. collect. 267 et 267. 97. T. agrarium L. Sp. pl. II, pag. 772 (1753). In saxosis per totum m. Tarabos distr. Scutari! Num. collect. 16. Alcuni esemplari rappresentano la forma campestre « floribus ochroleucis » Schreb. in Sturm. FI. germ, I, 16 pro specie; altri la forma minus Koch. Syn. pag. 175. 98. T. filiforme L. Sp. pl. II, pag. 773 (1753). In pratis terr. Vraka distr. Scutari! Num. collect. 111. 99. Anthyllis montana L. Sp. pl. II, pag. 719 (1753) var. Jacquinii Kerner Nov. pl. spec. dec. I, pag. 266 pro specie (1870); cfr. Burnat FI. Alp. marit. II, pag. 91 (1896); Bald. Riv. 1896 Alb. pag. 44 (1899). In saxosis ad summum m. Mnela distr. Orosi! et m. Rumija (Alb. montenegrina)! Num. col- lect. 70 et 166. N.° 166. Forma tipica, cauli eretti (20 cm.), foglioline involucrali alquanto più corte dei fiori, pedicelli lunghi 2 mm., calice 5 mm., corolla 2 mm. più lunga del calice. — N.° 70. Forma atropurpurea Schl. et Vuk. Fl. croat. pag. 27 pro specie. Questi saggi hanno foglie involucrali uguaglianti î fiori, calice e corolla più ridotti, denti calicini subeguali, corolla atro- purpurea. 100. A. Vulneraria L. Sp. pl. II, pag. 719 (1753). In saxosis reg. med. m. Marana] supra Vorfaj -distr. Scutari! Num. collect. 268. Forma elata (40 cm.). A. vulgaris Kerner in Sched. ad fl. exsice. austr. hung. n. 434 p. p. 101. À. Vulneraria L. Sp. pl. II, pag. 719 (1753) var. n. montenegrina Degen et Fiala in mss. olim pro specie; cfr. Bald. Contrib. fi. mont. alb. pag. 15 (1900). In lapidosis mobilibus alpinis m. Parun (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 205. 102. Lotus angustissimus L. Sp. pl. II, pag. 774 (1753). In pratis terr. Vraka distr. Scutari! Num. collect. 271. 103. Coronilla emeroides Boiss. et Spr. Diagn. ser. I, 2, pag. 100 (1843). In saxosis reg. infer. fagi m. Seint versus distr. Lurija (Dibra)! Num. collect. 270. Specie immediatamente dipendente dalla C. Emerus L. della quale è il rappresentante slavo meridionale, albanese ed ellenico in Europa, estendendosi poi, nella guisa di tante altre specie che seguono la stessa distribuzione geografica, per l'Asia Minore e la Siria. La dia- gnosi differenziale fra le due specie è la seguente. C. Emerwus: peduncoli uguali 0 poco più lunghi della foglia; cime povere, 2-3-flore; unghie dei petali 3 volte più lunghe del calice; legume articolato. C. emerozdes: peduncoli assai più lunghi della foglia; cime ricche, ombrel- liformi, 4-8-flore; unghie soltanto il doppio più lunghe del calice; legume quasi inarticolato. Il carattere più costante è quello della lunghezza dell’ unghia rispetto al calice, gli altri sono più o meno fissi per quanto più o meno rappresentati. 104. Colutea arborescens L. Sp. pl. II, pag. 723 (1753). Ad sepes terr. Vraka distr. Scutari! Num. collect. 269, — lord — 105. Astragalus purpureus Lam. Encycl. I, pag. 314 (1789). In schistaceis m. Maranaj distr. Scutari! Num. collect. 17. Forma con 8-16 paia di foglioline, peduncoli durante l’ antesi più corti od eguali alla foglia e più lunghi di essa dopo l’ antesi, fiori purpureo-violacei, legumi brevissimamente pedicellati. 106. A. Onobrychis L. Sp. pl. II, pag. 760 (1753). In alveo sicco fl. Gomsice distr. Orosi! Num, collect. 69. Questa forma a cauli robusti ed eretti che nell’ abito richiama esattamente il tipo italiano, tende per le foglioline lineari od ovato-lineari alla var. ch/orocarpus Gris. Spic. I, pag. 50 pro specie; cfr. Bald. Riv. 1896 Alb. pag. 46. 107. Oxytropis pilosa (L. Sp. pl. II, pag. 756 sub Astragalo 1753) DC. Astrag. n. 27 (1802) var. n. purpurea Bald. In saxosis subalp. m. Seint distr. Oro$i! Num. collect. 272. Differt a typo habitu hirsutiore, pedunculis longioribus, inflorescentia pauciflora, corollis purpureis. 108. Onobrychis alba (W. K. PI. rar. Hung. II, pag. 115 sub Hedysaro 1805) Desv. Journ. bot. I, pag. $2 (18314). In aridis summis m. Kalmetit et in collibus Nensati distr. Zadrima! Num, collect. 273. La forma dei calici (lacinie calicine alquanto superanti il legume) e dei legumi (unifor- memente peloso-sericei, inegualmente o subegualmente foveolati per tutta la superficie) è la stessa che negli esemplari tipici della località classica del Banato (ex specim. ab amico Degen comm,). Le foglioline, come nel tipo, sono lanceolate e mucronulate. Secondo le giuste osserva- zioni del Borbàs in Adatok. Arbe és Veglia flòràjàhoz (cfr. Bald. Riv. 1895 Alb. pag. 28) lO. alba descritta da Vis. FI. dalm. III, pag. 316 è un’altra pianta, già diverse volte da me trovata nell’ Epiro (0. Vistani Borbàs). 109. 0. Tommasinii Jord. Cat. jard. Gren. pag. 8 (1851). In saxosis reg. mediae m. Maranaj distr. Scutari! et in aridis m. Kalmetit distr. Za- drima! Num. collect. 274 et 27385, Per questa determinazione, alquanto incerta a cagione della mancanza dei legumi, mi ri- porto alla nota in Riv. 1895 Alb. pag. 28-29. Il n. 278?is è rappresentato da un solo individuo con pochi fiori completi. 110. Vicia narbonensis L. Sp. pl. II, pag. 737 (1753) var. serratifolia Qocg in faustrM\VApas430fprofspecie 1773) Moris. El sardL pag. 592 (1837). In satis terr. Vraka distr. Scutari! Num. collect. 18. Hanno torto coloro, come Bert. FI. it. VII, pag. 509, che fondono in una sola le due piante di Linneo e di Jacquin; ma non sono neppure nel giusto criterio coloro, come Boiss. FI. or. II, pag. 578, che ritengono l’ indipendenza specifica della V. serratifolia, il cui valore è quello di varietà della V. narbonensis, come riconobbero Moris l. c., Koch Syn. fl. germ. et helv. ed. II, pag. 215. L’ unico carattere sicuro di distinzione risiede in « foliolis serratis »; gli altri, quali la forma delle stipole, il numero dei fiori, la superficie del seme, la forma del. l’ilo ecc. sono estremamente variabili. 111. V. tetrasperma (L. Sp. pl. II, pag. 738 sub Ervo 1753) Moench Méth. pag. 148 (1794). — V. gemella Crantz Stirp. austr. pag. 389 (1769). In pratis ad margines agrorum m. Zukali distr. Scutari! Num. collect. 276. Serie Y. — Tomo IX. 66 — 528 — 112. Lathyrus Nissolia L. Sp. pl. II, pag. 729 (1753). In pratis saxosis ad reg. fagi m. Seint distr. Orosi! Num. collect. 275. 113. Orobus Friedrichsthalii Gris. Spic. fi. rum. et byth. II, pag. 498 in add. (1844). in herbidis m. Seint distr. Orozi! Num. collect. 71. Saggi senza radice. Cauli alti 15-20 cm., glabri, gracili; foglie paripennate con 2-3 paia di foglioline, 5-7-nervie, larghe 7 mm., lunghe 2 cm., quasi sessili ; stipole semisagittate, subulate, poco più lunghe del peziolo ; peduncolo gracile, lungo 2-3-4 volte la foglia, 2-4-floro ; calice ir- suto ; lacinie inferiori lunghe quasi quanto il tubo, le superiori brevissime ; corolla purpurea; legume (stadio giovanile) subattenuato alla base, minutamente irsuto ; stilo sensibilmente dila- tato e barbato in alto. 114. Rosa pimpinellifolia L. Syst. nat. pag. 1062 (1759). In herbidis m. Seint versus distr. Lurija (Dibra)! Num. collect. 74. 115. R. ferruginea Vill. Prosp. pl. Dauph. pag. 46 (1779) var. n. alba- norum Bald. In rupestribus subalpinis m. Parun (Alp. AIb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 115. A typo differt foliis plerisque obovatis, semibiserratis, sepalis exterioribus dorso glanduliferis, Iisdem notis etiam a R. g/aucescenti Wulf., cui proxima, differt. A _P. Caballicensi Pu - get pro specie (cfr. Burnat Roses Alp. marit. pag. 116) sepalis pinnatifidis magis recedit. R. praerupticola Braun pro specie (cfr. Szysz. PI. lect. per Crnag. etc. pag. 90 et 91) est eadem planta ? 116. R. Heckeliana Tratt. Mon. Ros. I, pag. 85 (1823) var. atricho- elada Burnat et Gremli Rev. d. groupe des orientales pag. 74 (1887). In rupestribus subalpinis ad Cafa Bosit infra Planti et Sala (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari ! Num. collect. 277. 117. R. ZSeckeliana Tratt. Mon. Ros. I, pag. 85 (1823) var. Parnassi Burnat et Gremli Rev. d. groupe des orientales pag. 72 (1887). In saxosis summis m. Kalmetit distr. Zadrima! Num. collect. 278. 118. Rosa sempervirens L. Sp. pl. I, pag. 492 (1753). In dumetis ad Nensati distr. Zadrima! Num. collect. 114. 119. Rubus discolor W. et N. Rub. germ. pag. 46 (1822) var. ulmi- folius Schott in Isis pag. 821 (1818) solum nomen. Ad sepes prope ecclesiam Planti distr. Scutari! Num. collect. 113. 120. Dryas octopetala L. Sp. pl. I, pag. 501 (1753). In rupestribus alpinis m. Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 170. 121. Geum bulgaricum Pantié El. FI. bulg. pag. 26 (1883). — Ste versia bulgarica Nym. Consp. Suppl. II, 1, pag. 113 (1889); cfr. Boiss. FI. or. Suppl. pag. 232 (1888). : Iu rupestribus alpinis m. Parun! et m. Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 171! et 171. Area geografica: Bulgaria, Macedonia, Montenegro. Il n.° 171! è rappresentato da esemplari per lo più uniflori: il n.° 171 ha le sommità degli stili violaceo-scuri. — 529 — 122. Potentilla apennina Ten. Prodr. fl. nap. I, pag. 30 (1811-1815). In rupestribus summis m. Parun! et m. Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 112 et 112?. Area geografica: Italia meridionale e centrale, Albania media (Bald. exsicc. a. 1892 sub n. 191), Albania settentrionale, Montenegro. 123. P. micrantha Ram. in DC. FI. fr. IV, pag. 463 (1815). — P. bre- viscapa Vest in Flora IV, pag. 158 (1821). In umbrosis summis m. Zukali distr. Scutari! Num. collect. 280. 124. P. hirta L. Sp. pl. I, pag. 497 (1753) var. laeta Rchb. FI. germ. exegipag: 095 pro) specie (832); cir. Zimm..in Kerner Sched. ad fl. exsicc. austr. hung. III, pag. 15 (1884). In aridissimis dioriticis prope Renci distr. Scutari! et in dioriticis et schistaceis ad Gòm- site distr. Orosi! Num. collect. 73° et 73. 125. P. inclinata Vill. Hist. pl. Dauph. III, pag. 567 (1789). In herbidis reg. mediae m. Maranaj supra Vorfaj distr. Scutari! Num. collect. 281. Forma a petali cordati. 126. P. inclinata Vill. Hist. pl. Dauph. III, pag. 567 (1789) var. ca- nescens Bess. Prim. fl. gall. I, pag. 330 pro specie (1809); cfr. Zimm. in Kerner Sched. ad fl. exsicc. austr. hung. IV, pag. 9 (1886). In aridis sub reg. fagi ad Dakaj (Sala) distr. Scutari! Num. collect. 281°. 127. P. argentea L. Sp. pl. I, pag. 497 (1753). In herbidis sub reg. fagi ad Dakaj (Sala) distr. Scutari! Num. collect. 169. 128. P. maculata Pourr. in Act. Tolos. III, pag. 316 (1788). — P. vil osa (Crantz Stirp. austr. II, pag. 75 sub Fragaria 1769) Zimm. Eur. Pot. pas. 2o (1834); cfr. B'eck Fl. Nieder. ost. II, 1, pag. 760 (1392). In saxosis elatioribus m. Mnela distr. Orosi! Num. collect. 72. 129. P. aurea L. Sp. pl. I, pag. 712 (1762). In herbidis alpinis m. Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 168. 130. Alchimilla vulgaris L. Sp. pl. I, pag. 123 (1753) var. hybrida L. l. c. pro specie. In saxosis elatioribus m. Zukali distr. Scutari! Num. collect. 280. 131. A. arvensis (L. Sp. pl. I, pag. 124 sub Aphane 1753) Scop. FI. carni. Is pag. 115 (1772). Inter Pterides aquilinas ad Vraka distr. Scutari! Num. collect. 279. Due forme; l’ una gracile, ramosissima ; l altra semplice, più irsuta coi cauli robusti; in- fiorescense ricche, fauce calicina strozzata, denti calicini lunghi quasi quanto il tubo. 132. Pirus communis L. Sp. pl. I, pag. 479 (1753) var. Piraster L. |. c. In dumetis ad Gjura] infra Gjoani et Planti (Pulati)! et ad ecclesiam Abate (Sala) distr. Scutari! Num. collect. 75 et 751. — 990—- 133. Crataegus monogyna Jacq. Austr. III, pag. 50 (1775). — Mespi- lus monogyna Willd. Enum. pl. ber. pag. 524 (1309). In reg. fagi terr. Mikulié (Alb. montenegr.)! Num. collect. 206. 134. Cotoneaster integerrima Med. Gesch. d. Bot. pag. 85 (1793). — Mespilus Cotoneaster L. Sp. pl. I, pag. 479 (1753). — Cotoneaster vulgaris Limidi Prans!Uinn®See XII pag! 101 (1321)! In herbidis m. Seint distr. Orodi! et in rupestribus ad reg. sup. fagi m. Nermajna (Sala — Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 167 et 1671. Varia negli stessi saggi per le foglie (sempre intere) maggiori o minori, ottuse o acute o mucronulate e per i fiori solitari o geminati. 135. Amelanchier ovalis Med. Gesch. d. Bot. pag. 79 (1793). — Me- spilus Amelanchier L. Sp. pl. I, pag. 478 (1753). — Sorbdus Amelanchier Crantz Austr. II, pag. 53 (1763). — Amelanchier vulgaris Moench Meth. pag. 682 (1794). — Pirus Amelanchier Willd. Sp. pl. II, pag. 1014 (1799). — Aronia rotundifolia Pers. Syn. pl. II, pag. 39 (1807). — A. Amelan- chier Rchb. Fl. germ. exc. pag. 630 (1832). — Amelanchier rotundifolia: Decaisne mss. In praeruptis m. Seint supra Masterkol distr. Orosi! Num. collect. 19. Albero. Foglie interissime o seghettate in alto; corimbi ricchi; peduncoli lanati; lacinie: calicine più o meno refiesse dopo l’ antesi, 136. Punica Granatum L. Sp. pl. I, pag. 472 (1753). In dumetis (constituit dumeta in reg. mediterranea) ad « gjamija » Ure Streint infra Pre- kali et Drist distr. Scutari! Num. collect. 172. 137. E&pilobium angustifolium L. Sp. pl. I, pag. 347 var. 8 (1753). — Chamaenerium angustifolium Scop. FI. carn. I, pag. 271 (1772). — Epilo- bium spicatum Lam. Ene. bot. II, pag. 373 (1786). In campis sub Cafa Sosit (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 207. 138. E. parviflorum Schreb. Spic. lips. pag. 146 (1771). In aquis frigidis prope Abate (Sala — Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num, collect. 173. 139. È. montanum L. Sp. pl. I, pag. 348 (1753) var. collinum (Gm. FI. bad. IV, pag. 265 pro specie 1826) Mert. et Koch Deutsch. FI. III, pag. 16 (1831). In humidis supra Gjoani ad rupes m. Parun (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 116. 140. E. tetragonum L. Sp. pl. I, pag. 348 (1753). — E. adnatum Gris. in Bot. Zeit. pag. 851, 854 (18352). In humidis ad BusSati distr. Scutari! Num. collect. 117. 141. Saxifraga Aizoon Jacq. Austr. V, pag. 18 (1778). In rupestribus m. Seint distr. Orozi! Num. collect. 283. 142. S. coriophylla Gris. Spic. fl. rum. byth. I, pag. 333 (1843); cfr. Schott, Nyman et Kotschy Anal. bot. pag. 26 (1854). In fissuris rupium m. Seint distr. Orosi! in rupestribus alpinis m. Parun! m. Sala supra — dsl — Abate (Alp. Alb. sept.)! et m. Rumija (saepe socia cum Edrajantho Wettsteinti) in Alb. mon- tenegr.! Num. collect. 23, 282, 118 et 282. gli esemplari al n.° 23 del m. Seint (Sì corzophyZla var. miriditensis Bald. in sched.) pa partengono alla forma già raccolta da Friedrichsthal e citata in Schott, Nym. Kotschy l. c. pag. 27. Essa si distingue da tutte le altre finora a me note del Ladri nur dell'Albania e dell'Epiro, per le foglie piccolissime (2-3 cm. lunghe, 1 cm. larghe) e i cauli bigii (3-4 cm. alti) 1-2-flori. 143. S. porophylla Bert. in Desv. Journ. de bot. IV, pag. 76 (1813). — S. Friderici Augusti Bias. Viaggio nell’ Istria, Dalm. e Mont. pag. 199 (1841). — S. media Gouan Ill. et observ. bot. pag. 27 (1773) var. Sibthor- piana Gris. Spic. fi. rum. et byth. I, pag. 332 (1843). — S. hessalica Schott, Nyman et Kotschy Anal. bot. pag. 26 (1854). — ,S. media var. cerna- gorica Terrace. in Bollett. Soc. bot. it. pag. 134 (1892). — S. Grisebachii Degen et Dòrfler in Degen Beitr. FI. Alb. u. Maced. pag. 21, tab. 2, fis. 3 a (1897). — S. montenegrina Hal. in litt. ined. In fissuris rupium ad summum per m. Zukali et Maranaj distr. Scutari! et m. Seint et Mnela distr. Orosi! Num. collect. 22 et 21. Come la grandezza delle foglie non ha valore per fissare in sottospecie o varietà le diverse forme a cui assurge la S. corzophylla Gris., così anche la S. porophylla , ottimamente intuita e definita da Bertoloni, non può scindersi in tutte quelle specie degli Autori delle quali per brevità si sono ricordate soltanto le principali. Pretendere infatti che si possa passare da una specie a corolla purpurea (S. poroprylla) ad un’ altra pel solo carattere della corolla in- carnata (S. Sbthorpiana Gris.) ecc. è un assurdo. — Negli esemplari provenienti da una stessa località si trova spesso il passaggio manifesto da una forma ad un’ altra. Cfr. anche Vis. FI. dalm. III, pag. 193 in adnot. 144. S. adscendens L. Sp. pl. I, pag. 405 (1753). In rupestribus m. Seint distr. Orozi! Num. collect. 284. 145. S. adscendens L. Sp. pl. I,. pag. 405 (1753) var. Blavii Engler Ind. crit. Saxifr. in Verhandl. zool. bot. Gesellsch. in Wien pag. 524 (1869). In saxosis m. Maranaj distr. Scutari! Num. collect. 284°. 146. Astrantia major L. Sp. pl. I, pag. 235 (1753) var. elatior Friv. in Flora pag. 434 pro specie (1836). In umbrosis reg. fagi m. Seint versus distr. Lurija (Dibra)! Num. collect. 287. 147. Sanicula europaea L. Sp. pl. I, pag. 235 (1753). In umbrosis silvarum m. Seint versus distr. Orosi et Lurija (Dibra)! Num. collect. 76. Forma a fusti più o meno semplici e brevi. 148. Bupleurum aristatum Bartl. in Bartl. et Wendl. Beitr. pag. 89 (1824-25). In saxosis ad NenSati et m. Kalmetit distr. Zadrima! Num. collect. 285. Gli esemplari di Nensati volgono al B. Odoxtites L. per i pedicelli lunghetti e le foglioline involucrali lutescenti. 149. B. Kargli Vis. FI. dalm. III, pag. 35 (1852). In lapidosis mobilibus summis m. Parun! et in saxosis ad Cafa Biskasit et alibi per terr. Pulati (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 286 et 119. — 532 — La forma sotto il n. 286 (alpina), fogliosa, pumila è munita di foglioline involucrali a 3-5 nervature anastomosantisi e riproduce esattamente l’ abito tipico della specie; la forma sotto il n. 119 corrisponde al 2. /ongepetiolatum Weiss in Zool. bot. Gesellsch. XVI, pag. 581, 1866, la quale pure è compresa nella descrizione della pianta di Visiani. 150. B. baldense Host Syn. pag. 141 (1797). — 2. exaltatum NM. B. Beschr. Casp. pag. 106 (1800). In herbidis et saxosis alp. m. Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. col- lect. 174. 151. Pimpinella Tragium Vill. Prosp. hist. pl. Dauph. pag. 24 (1779) var. poiyclada (Boiss. et Heldr. Diagn. ser. II, 2, pag. 75 pro specie 1856) Booiss. FI. or. II, pag. 872 (1872). In rupestribus ad « stani » m. Parun (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 176. Haec forma a typo indumento patulo vel nullo nec velutino-brevi distinguitur. Boiss.L c. 152. Bunium divaricatum Bert. FI. it. III, pag. 222 (1837). — 2. mon- tanum Koch Syn. fl. germ. et helv. pag. 315 (1838); cfr. Vis. FI. dalm. II, pag. 33 (1852). A In pratis et saxosis m. Maranaj! et Zukali distr. Scutari; m. Seint distr. Orosi. Num. collect. 24. 153. Freyera cynapioides (Guss. PI. rar. pag. 127 sub Myrrhide 1826) Gris. Spic. fl. rum. et byth. I, pag. 366 (1843). — Bunium cynapioides Bert. FI. it. III, pag. 217? (1837). — Biasolettia tuberosa Koch Syn. fl. germ. et helv. pag. 318 (1837). — F. cynapioides var. Grisebachii Degen in Jitt.; cfr. Bal'd. Contrib. i Mmonttalb-hpas2%04900) In umbrosis m. Maranaj supra Vorfa] distr. Scutari! Num. collect. 77. Conviene esattamente colla descrizione di Grisebach della pianta raccolta da Friedri- chsthal nel m. Peklen presso Ipek, la quale diverge dalla pianta di Gussone per ìl caule più o meno peloso inferiormente e il lembo del calice marginiforme. 154. Chaerophyilum aromaticum L. Sp. pl. I, pag. 259 (1753). Ad margines agrorum prope ecclesiam Abate (Sala) distr. Scutari! Num. collect. 120. 155. Conium maculatum L. Sp. pl. I, pag. 253 (1753). In herbidis derelictis r. Consulati italici Scutari! Num. collect. 288. 156. Ferulago nodiflora (L. Sp. pl. I, pag. 247 sub Ferula 1753) Koch Umbell. pag. 97 (1824). — . galbanifera Koch Syn. fl. germ. et helv. pag. 302 (1837). In saxosis prope Zogaj ad lacum scodranum distr. Scutari! Num. collect. 175. 157. Orlaya grandiflora (L. Sp. pl. I, pag. 240 sub Caucali 1753) Hoffm. Umbell. pag. 58 (1814). In campis ad Mrkojevici sub m. Rumija versus distr. Primorije (Alb. montenegr.)! Num. collect. 209. 158. Lonicera Formanekiana (Hal. apud Form. Zweit. Beitr. z. FI. Serb., Maced. u. Thess. Verhandl. d. Naturforsch. Ver. in Brunn, sep. pag. 59, — 533 — solum nomen, 1896) Hal. in Verhandl. d. k. k. zool. bot. Gesellsch. pag. 473 (1896). In reg. fagi m. Seint et Mmela distr. Orosi ! Num. collect. 79. Forma albano-macedonica; cfr. Bald. Riv. 1896 Alb. pag. 61. 159. Asperula longifiora W. K. PI. rar. Hung. II, pag. 162, tab. 150) (1805). In glareosis alveo Nervena sub Cafa m. Sosit distr. Scutari! Num. collect. 178. Due forme; « e d: la forma @, ramosa a rami divaricati è tipica. La forma d ha il porta- mento dell’ A. cynanchica L. (foglie verticillate 4, lunghe in basso quanto l’ internodio, corolla qua e là ruguloso-papillosa), ma il tubo corollino è il doppio più lungo dei lobi. 160. A. odorata L. Sp. pl. I, pag. 103 (1753). In umbrosis reg. abiet. m. Seint distr, Orosi! Num. collect. 179. 161. A. scuteliaris Vis. Sem. rar. hort. pat. (1836); Orto bot. Pad. pag. 134 (1842); FI. dalm. III, pag. 12 (1852). — Galium rupestre Vis. PI. rar. dalm. in Flora Ergbl. I, 4, pag. 5 (1829). In rupestribus ad GOmsice et ad Gojani distr. Orosi! m. Kalmetit distr. Zadrima! et in gla- reosis fl. Nervena sub Uafa Sosit distr. Scutari! Num. collect. 177%, 1773 et 177. 162. Galium anisophylium Vill. Dauph. II, pag. 317° (1787). In pratis ad « stani » m. Parun (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 180. 163. G. firmum Tausch in Flora XIV, pag. 231 (1831) var. incurvum blolissAMUlMior NI pag. 61 (1875). — G. melanantherum Boiss. Diagn. Serie pag 69 (1340). In glareosis rivuli Nervena sub Cafa Sosit versus Prekali distr. Scutari! Num. collect. 290. Lobi della corolla acutati, mutici. Soltanto le foglie vecchie sono incurvate. 164. G. firmum Tausch in Flora XIV, pag. 231 (1831) var. scabri- folium Boiss. FI. or. III, pag. 61 (1875). In rupestribus m. Kalmetit distr. Zadrima! et ad Cafa Bosit infra Planti et Sala distr. Scu- tari! Num. collect. 289 et 121. Questi saggi non corrispondono al tipo per le corolle acute, ma non mucronate; alla va- rietà similmente non si addicono per le foglie (lineari-lanceolate, qua e là revolute) non scabre nei margini. Richiama una forma intermediaria fra G. firmum var. incurvum e var. sca- brifolium. 165. @. divaricatum Lam. Enc. méth. II, pag. 580 (1776). In saxosis m. Tarabo$! in pratis et dumetis ad Vraka! Gurisi! et Renci distr. Scutari! Num. collect. 25. 166. G. Cruciata (L. Sp. pl. II, pag. 1052 sub Valantia 1753) Scop. Fl. carn. I, pag. 100 (1772) var. n. albanicum Bald. In herbidis m. Seint ad SindZon distr. Orozi! Num. collect. 78. Differt a typo foliis et pedunculis patentim ciliato-hispidis, inflorescentia 1-5-flora et corol- lae lobis non acuminatis. 167. Valeriana montana L. Sp. pl. I, pag. 32 (1753). In rupestribus reg. abiet. m. Seint distr. Orosi ! Num. collect. 291*. — 534 — 168. V. montana L. Sp. pl. I, pag. 32 (1753) var. Crinii (Orph. in in Boisis: DiagoWMser Mi 2 pag. 9 profispecie, 1850) WBiolsis A 4] Mors pag. 86 (1875). In rupestribus alpinis m. Parun (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 291. 169. V. Panciéii Hal. et Bald. in Oest. bot. Zeitschr. n.° 12 (1891); Bald. in Malp. VII, pag. 187 (1893). — V. saxatilis Pantié El. pl. vasc. Crnaeg. pag. 43 (1875) non L. — V. celtica Pant. Beitr. FI. Faun. Herceg. Crnag. u. Dalm. pag. 37 (1874) non L. ; Szyszyl. Plant. per Crnag. pag. 149 (1888) non L.; Horak Reise Monten. pag. 6 (1899) non L. In rupestribus alpinis m. Parun! et m. Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 122 et 122°. Questa specie, intraveduta, ma non affermata da Panéié l. e. (« ob rhizoma squamosum residuis foliorum in filamenta non solutis, ac staturam depressiorem primo obtutu similis V. cel- ticae, pro qua legi, sed folia radicalia sunt longius petiolata ac achenia omnino unilocularia ») ha un'alta importanza morfologica, filogenetica e geografica, servendo mirabilmente di nesso fra la V. samatilis L. e la V. celtica L. I numerosi esemplari del m. Kom (exsicc. a. 1891 sub n. 47), sopra i quali Halàcsy ed io fondammo la nostra specie, corrispondono perfettamente a questi dell'Albania settentrionale ed ai più recenti raccolti nel m. Dibala del distretto dei Kuti nel Montenegro (exsicc. a. 1898 sub n. 218) e ad altri osservati con frequenza nelle altre monta- gne del Montenegro orientale, di modo che non essendomi mai occorso di trovare per tutte quelle località altra specie di Va/erzana del gruppo, all'infuori di questa, arguisco che le piante citate da Panòié ]. c., Pantocsek I. c., Szyszylowicz in Beck et. Szysz. ed Horak 1. c. debbono collocarsi colla V. Panbidii. 170. Cephalaria leucantha (L. Sp. pl. I, pag. 98 sub Scadiosa 1753) Schrad. Cat. sem. hort. gòtt. (1814). In saxosis ad Zogaj versus terr. Krajina distr. Scutari! Num. ‘collect. 181. 171. Knautia macedonica Gris. Spic. fl. rum. et byth. II, pag. 178 . (1844) var. lyrophyliia Pantié Verhandl. in d. Serb. wildw. Phan. pa- gina 73 — Scabiosa macedonica var. lyrophylla Vis. et Pane. PI. serb. rar aut Mov. pagg, abi 19870) In herbidis elatioribus m. Mnela distr. Orosi! Num. collect. 293. « Descriptio plantae macedonicae FI. rum. (1. c.) non parum distat a nostra caule gracili velu- tino-incano, foliis subtus incano-villosis etc. Vis. et Pant. l c. ». Queste differenze sono state considerate da Boiss. FI. or. III, pag. 128 nella descrizione della X. 1macedonica. I miei saggi si distaccano peraltro così dal tipo Grisebachiano come dalla pianta di Visiani e Pantié. — Non posso discutere dei caratteri del frutto molto immaturo nella pianta del m. Mnela. Ma le foglioline involucrali invece di raggiungere in lunghezza la metà dei capolini, lo superano al. meno di '/;, e le corolle non sono raggianti. Se quindi si ammise una var. ZyrophyWa per la forma delle foglie lirate, parmi che dovrebbe accettarsi anche una var. involucrata (differt a planta macedonica et serbica involucri phyllis oblongo-acuto-mucronatis capitulum atropurpu- reum egregie superantibus, corollis non vel parum radiantibus) o, per lo meno, ampliare la descrizione di Visiani e Pancit e di Boissier I. c. con i caratteri suddetti della pianta del m. Mnela. 172. Scabiosa Columbaria L. Sp. pl. I, pag. 99 (1753). In herbidis ad Cafa Sosit infra Soi et Prekali distr. Scutari! Num. collect. 292. — 5359 — Forma montana, più o meno nana e semplice. Volge per il portamento e i caratteri degli organi vegetativi verso la S. gramuntia L. dalla quale però tosto recede per i caratteri del calice. 173. S. graminifolia L. Sp. pl. I, pag. 145 (1762). In rupestribus alpinis m. Sala supra Abate! et m. Parun (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari. Num. collect. 211. 174. S. crenata Cyr. PI. rar. neap. I, pag. 11, tab. 3 (1788). In rupestribus montium per terr. Pulati, Sala et Prekali distr, Scutari! Num. collect. 182. Glabrescente nella parte inferiore dei cauli, glabra nel resto. Tipica per i caratteri degli acheni. 175. Erigeron acre L. Sp. pl. II, pag. 863 (1753). Ingpratis reg. fagi prope Cafa Sosit (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 183. Forma racemosa. 176. Aster Bellidiastrum Scop. FI. carn. II, pag. 168 (1772). — Do- ronicum Bellidiastrum L. Sp. pl. II, pag. 886 (1753). — Arnica Bellidia- strum Vill. Hist. pl. Dauph. III, pag. 212 (1789). — Bellidiastrum Michelti Cass. Dict. sc. nat. Suppl. IV, pag. 70. — Margarita Bellidiastrum Gaud. FI. helv. V, pag. 336 (1829). In rupestribus alpinis m. Parun (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 294. Saggio formato da due individui, l’ uno dei quali ha lo scapo bratteato. 177. Pulicaria vulgaris Gaertn. Fr. II, pag. 461 (1791). In arenosis contra Oboti secus fl. Bojana distr. Scutari! Num. collect. 212. E la forma « graeca » Schultz. 178. Gnaphalium silvaticum L. Sp. pl. II, pag. 856 (1753). In umbrosis reg. fagi ad Cafa Bi$katit (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 296. 179. G. Hoppeanum Koch Syn. fl. germ. et helv. pag. 399 (1843) var. Raeserii (Boiss. et Heldr. Diagn. ser. II, 6, pag. 102 pro specie (1859) Bald. Riv. cr. 1892 Alb. pag. 46 (1894). In rupestribus alpinis m. Parun! et m. Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 125 et 297. Forma elongata. Cfr. Pancic El. pl. vasc. Crnaeg. pag. 47. — G. Pichleriti Murb. Beitr. FI. Sidbosn. pag. 106 (1891). — G. Panciciù Levier in sched. 180. Achillea Clavenae L. Sp. pl. II, pag. 898 (1753). In rupestribus alpinis m. Nermajna et Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 26. : Volge alla var. argentea Vis. FI. dalm. II, pag. 81, ma, ad eccezione del tomento se- riceo elegantissimo di cui sono rivestiti gli organi vegetativi, le foglie cauline di questi saggi ripetono la forma delle inferiori e i fiori del raggio sono più di cinque. La varietà di Visiani, che alcuni non ammettono, è interessante perchè intermediaria fra il tipo e VA. Clavenae var. integrifolia Hal. Beitr. Fl. Ep. pag. 27; cfr. Bald. Riv. 1895 Alb. pag. 48 che è la for- mazione più meridionale della specie. 181. A. Fraasii Schultz-Bip. in Flora I, pag. 159 (1842). — A. nivea Sprg. FI. pag. 638 (1842). In saxosis reg. abiet. m. Mnela distr. Orosi! Num. collect. 295. SCreRvERLomoRIive 67 — 536 — 182. Anthemis montana L. Sp. pl. II, pag. 1261 (1763) var. Columnae Ten. ex Arcang. FI. it. pag. 677 (1894). In alveo sicco fl. Gòmsice distr. Orosi! Num. collect. 80. Foglie (specialmente le giovani) intensamente argentino-sericee, con odore d’ assenzio; ca- polini grandetti. Questi esemplari corrispondono bene colla pianta del m. Vergine dell’Italia. meridionale. 183. Leucanthemum vulgare Lam. FI. fr. II, pag. 157 (1778). — Chrysanthemum Leucanthemum L. Sp. pl. II, pag. 888 (1753). In herbidis ad « stani » m. Parun (Alp. Alb. sept.) distr, Scutari! Num. collect. 123. 184. Chrysanthemum larvatum Gris.in Bot. Zeitschr. pag. 266 (1873); Pant. Beitr. FI. Faun. Herceg., Crnag. u. Dalm. pag. 41 (1874); Vis. FI. dalm. Suppl. II, 2, pag. 517 (1878); cfr. Pancié El. pag. 48 (1875). In herbidis alpinis m. Parun! et m. Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 124. 185. Tanacetum vulgare L. Sp. pl. II, pag. 844 (1753). Ad ecclesiam Seher So$it distr. Scutari! Num. collect. 27. 186. Echinops Ritro L. Sp. pl. II, pag. 815 (1753). In aridis ad Mikulié sub m. Rumija (Alb. montenegrina)! Num. collect. 214. 187. Stachelina unifilosculosa Sibth. et Sm. Prodr. fl. gr. II, pag. 162: (1313). In rupestribus ad Giuraj infra Gjoani et Planti (Pulati)! et in saxosis sub Cafa Biskasit versus Rijoli distr. Scutari. Num. collect. 185. Queste sono finora le località più settentrionali dove la specie sia stata rinvenuta. 188. Carduus acanthoides L. Sp. pl. II, pag. 831 (1753). In silvaticis ad Cafa Biskasit supra Rijoli distr. Scutari! Num. collect. 126. 189. ©. candicans W. K. PI. rar. Hung. I, pag. 85 (1802). — C. colli— nus W. K. Ibid. III, pag. 257 (1812) var. n. albanicus Bald. In herbidis reg. fagi m. Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num, collect. 28.. Differt a typo (cfr. Vis. FI. dalm, II, pag. 47) caulibus elatis, gracilibus, inferne glabre- scentibus, alis latioribus, foliis valde discoloribus, inferioribus in longum petiolum attenuatis,. plus minusve irregulariter lobatis, lobis in spinulas tenues abeuntibus, pedunculis longis, bra- cteolatis. 190. Jurinea glycacantha (Sibth. et Sm. FI. gr. prodr. II, pag. 156. sub Carduo 1813) DC. Prodr. VI, pag. 677 (1837). In rupestribus summis m. Zukali distr. Scutari! et in rupestribus, saxosis et herbidis m. Seint distr. Orosi versus distr. Lurija (Dibra)! Num. collect. 301 et 3012. Il n. 801 è in via di sviluppo, ma la determinazione è assicurata dall’abito e dai caratteri degli organi vegetativi. Il n. 301* in via di fioritura lascia intravedere gli acheni tetragono- obpiramidato-scrobiculati proprii della specie; il tomento generale non è però così pronun- ciato come negli esemplari greci ed epiroti. 191. Amphoricarpus Neumayerii Vis. FI. dalm. II, pag. 28, tab. 10, fig. 2 (1852). — Jurinea Neumayeriana Vis. in sched. In rupestribus alpinis m. Parun (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 302. — 537 — 192. Centaurea alba L. Sp. pl. II, pag. 914 (1753). In alveo sicco fl. Gomsite distr. Orosi! Num. collect. 81°. 193. C. deusta Ten. FI. nap. prodr. pag. 51 (1811). In alveo sicco fl. Gòmsite distr. Orosi! et in saxosis dioriticis ad Mjed distr. Zadrima ! Num. collect. 81° et 81. 194. C. Cyanus L. Sp. pl. II, pag. 911 (1753). In pratis reg. fagi m. Mnela distr. Orosi! Num. collect. 299. 195. C. axillaris Willd. Sp. III, pag. 2290 (1800). Unicum specimen in graminosis m. Seint distr. Orosi! Num. collect. 300. 196. C. Scabiosa L. Sp. pl. II, pag. 913 (1753). In pratis reg. fagi m. Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scutari! Num. collect. 184. 197. C. salonitana Vis. Erg. bot. Zeit. I, pag. 23 (1829) var. ma- cerantha (Boiss. Diagn. ser. II, 3, pag. 78 pro specie 1856) Boiss. FI. or. III, pag. 666 (1875). In alveo sicco fl. Gomsite distr. Orosi! Num. collect. 298. 198. C. Calcitrapa L. Sp. pl. II, pag. 917 (1753). In silvaticis ad Renci distr. Scutari! Num. collect. 213. Per i caratteri vegetativi volge verso la C. )0R- Br. Prodr. FI. Nov. Holl. pag. 145 (1810). In saxosis sub Nerfusa m. Zukali distr. Scutari! Num. collect. 232. 350. Asplenium septentrionale (L. Sp. pl. II, pag. 1068 sub Acrosticho Miga)\Flofim. Deutsch. BI IE pag. 12 (1795) In fissuris rupium ad Vukaj sub m. Zukali distr. Scutari! Num. collect. 363. 351. Athyrium Filix-foemina (L. Sp. pl. II, pag. 1090 sub Polypodio io) bivio n eTent VEL serm pag. (65 (800). In humidis infra dumeta sub jugo Kalmetit distr. Zadrima! Num. collect. 149. 352. Phegopteris Robertiana (Hoffm. Deutschl. FI. II, pag. 20 sub Polypodio 1795) A. Br. in Sched.; Milde Filic. Europ. et Atlant. pag. 99 (1867). In humidis saxosis subalp. m. Parun! et m. Sala supra Abate (Alp. Alb. sept.) distr. Scu- tari! Num. collect. 200 et 200°. Nitti anta SITE Bai shunt di $ da MR 0. AI sar di cda, IR NEI FOTO Tila ee attalbo».. «onde 1 iratanori È 1 4% 188): teaigi i db mine nega sont i Dog DIE tai MEA cbrinoni rt ( degne affare ae cdl Bea oli sora dia vor vane ep 1) trent preve * sten Mn iii Ia 1904 bb 00 see “bd "nio dl ‘cietigos a Soi Biagio sedili Tea aionbroni Me na "oto A Tag i e, “ra mino i io 3 fi 2” t): ROL, MET dt, LOG, e Co DU. 1 ag 100% di LI6RÀ 100 Arai ale stata Usi "ugo Hiul: ETTI PT oi ne Pad Ru mi a È ansseiadi sasalodto f ODE: PURE Ue Ltd Wta gi i ue dea daga N10 da sfiaanet d na i 7 TEO IR SEIN] pitiggzgio$) de SESIA Preci MO v ius abliM LIE, ) MARI LA AO E e. 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Se le giuste idee sulle condizioni necessarie acciò la materia inorga- mica cristallizzi; e se le poche, semplici leggi che governano il fenomeno massimo del mondo inorganico, — la genesi cioé dell’ ente cristallo — non restassero estranee alla coltura dei più; se men di raro si volgesse dagli scienziati l’occhio e il pensiero alla causa vera e diretta delle soli- dita assolute nelle masse ; se i chimici più autorevoli e sapienti si accordassero con taluni eminenti mineralogisti contemporanei nell’ am- mettere la semplice e limpida idea di una sintesi meccanica di gruppi molecolari cristallizzati, nella costituzione complessa o poligenica dei com- posti minerali di ordine elevato con variabile composizione atomica e molecolare ; se, infine, gli studiosi delle proprietà meccaniche intime della materia, in dipendenza delle sue diverse qualità, si decidessero a distin- guere nitidamente, con frase franca e chiara, il fenomeno della solidifi- ‘cazione assoluta da quello illimitato, dell’ indurimento delle materie che si raffreddano, o si prosciugano, o si organizzano fisiologicamente; se tutto questo avvenisse in un momento di maggiore serenità intellettuale e di fretta minore, nel campo delle scienze fisiche e naturali acciò le molti- tudini còlte ne fossero consapevoli, non occorrerebbe esporre obbiezioni e contrasti all’enunciato della scoperta dei cristalli liquidi, nè combattere la stupefacente proclamazione dell’ esistenza dei cristalli viventi. Comunque sia può affermarsi che le suddette obbiezioni di combat- timento sono superflue in questa adunanza di insigni scienziati, compe- — 556 — tentissimi nel dar giudizio di ambedue questi portati del lavoro sperimen- tale moderno. Io di ciò sono persuaso! Tuttavia mi dispongo a presentare alcuni miei apprezzamenti per le seguenti ragioni : 1.8 Desidero di evitare che da coloro cui sono note le mie già antiche pubblicazioni, intitolate : « I MINERALI E I CORPI ORGANIZZATI E VIVENTI (pre- lezione) Novembre 1870 » — «€ IL PROCESSO DI EVOLUZIONE NELLE SPECIE. MINERALI (discorso per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Uni- versità) Novembre 1877 » — LA SINGOLARE CONFIGURAZIONE VERTICILLATA A FORMA DI GRANDI ROSE DELLE LAMINE D’ACQUA CRISTALLIZZATA (Rivista Scient. industriale) Firenze 1881, ristampata nel 1883 — mi si attribuisca niente meno che la priorità dell’idea dei cristalli viventi; ossia dell'idea presen- tata oggidi con lusso straordinario di preparazioni microscopiche e di relative projezioni, popolarizzate con conferenze solenni nel Giugno del 1899 da un eminente patologo, il Prof. Otto von Schréòn, della Univer- sità di Napoli. Tale desiderio sembrami tanto più ragionevole in quanto che le idee da me consegnate in quelli scritti furono raccolte, divulgate, discusse, e talvolta tratte da gentili, egregi, ma troppo fervidi pensatori ad un livello assai diverso da quello delle mie relative convinzioni. 2.° Mi preme di evitare, altresi, la possibilità che un prolungato si- lenzio da parte mia sulle idee concernenti una parte fondamentale del mio programma d’insegnamento universitario, esposte sotto i citati titoli e so- stenute brillantemente da scienziati di merito indiscutibile, possa credersi dai miei colleghi e dai miei discepoli sintomo di approvazione tacita e di adesione, sia pei concetti, sia per le dimostrazioni pratiche o sperimentali. Trovo anzi opportuno, per tale riguardo, l’avvertire che le impressioni profonde eccitate negli affollati uditorii dai concetti e dalle pretese prati- che dimostrazioni del Prof. Schròn ebbero la massima facilità di affer- marsi e di estendersi, in ragione della quasi completa mancanza di discus- sione in contradtttorio, di pronte obbiezioni, o confutazioni, sugli apprez- zamenti inammissibili) ; sopratutto, dalla mancanza di relazioni scritte, di Memorie illustrate, di documenti discutibili. Mi permetto, pure, di riportare, letteralmente (v. l’appendice finale) alcuni periodi di ciò che molto bene scrissero in proposito, rispettivamente, sul Capitan Fracassa (30 Maggio 1901, N. 189), e nella Rivista Italiana dî Scienze naturali (N. 5-6, 1901), gli egregi Proff. V. Sabatini e A. Ne- viani; anche per contrapposto equilibrante ad altri articoli fantastica- mente laudativi, comparsi in vari periodici nel momento critico di com- parsa della novissima idea. = bag — Giustificata cosi la presentazione all'Accademia di questo mio scritto, entro senz’altro in argomento. È fuori di dubbio che chiunque ravvisi nell’ente cristallo uno spazio uni- camente occupato da assettamenti reticolari di particelle fisicamente solide e poliedriche; chiunque veda mentalmente, quelli assettamenti stessi farsi sedi speciali di fenomeni multiformi per l’intervento permanente o oc- casionale di energie modificatrici delle misure e direzioni dei loro moti vibra- torii; chiunque ne riconosca i limiti periferici nei reticolati esteriori divenuti, quindi, le faccie piane delle forme fondamentali o primitive; chiunque intui- sca la possibilità e facilità di modificazioni molteplici di ciascuna forma pri- mitiva mercé il semplicissimo processo dei decrescimenti; chiunque infine, concepisca nella materia iniziale di un cristallo uno stato di tenuità infinita- mente maggiore di quello in cui scorgiamo suscitarsi ed affermarsi la vita; e ad un tempo una condizione di solidità fisica che in taluni casi esige per costituirsi Ja fusione a temperature superiori ai mille gradi; ovvero l’intervento di gagliardissime reazioni chimiche fra composti corrosivi e disgreganti; ovvero il contributo di bassissime temperature con pressioni di migliaia d’atmosfere, non potrà a meno, coll’ aiuto di una sufficiente idea della funzione che presiede alla origine ignota della cellula viva, dei tessuti, degli organi e degli esseri viventi, di ribellarsi per istinto, e di adoprarsi per convinzione, contro un fenomenale equivoco, propalato in modo abilmente suggestionante; almeno, finchè si potrà credere che ne valga davvero la pena. Noterò frattanto che qualche fatto, qualche fenomeno, qualche parvenza illudente, qualche generalizzazione ardita ed esorbitante debbono aver in- fiuito per convincere alcune menti, pure abituate all’osservazione ed alla deduzione scientifica, della reale esistenza di minerali vivi, ancorché cri- stallizzati; vivi, come gli organismi vegetali e animali; a parte la misura e il grado della rispettiva vitalità ! Per esempio, volendo menomare la responsabilità, dinanzi alla filosofia naturale ed alla cristallografia, di coloro che sostengono la tesi che adesso combatto, possono invocarsi le cosi dette forme imitative, le quali indicano nella morfologia dei minerali le rassomiglianze, talvolta sorprendenti, delle ramificazioni vegetali, ossia le dendriti distese sopra superficie di preesistenti screpolature, a cespuglio, ad arboscello, date dagli ossidi idrati di manga- nese e di ferro, dai metalli oro, argento, rame, allo stato nativo, dal vapor acqueo congelato d’inverno sui vetri delle finestre, o dalle brine sulle frondi — 598 — di alberetti nei campi; le concrezioni stallagmitiche del carbonato di cal- cio ; le carpoliti somiglianti a poponi, a grappoli, a cetriuoli ete. per agglu- tinamento di sabbie; le rosette di oligisto, di baritina, di selenite; ma so- pratutto le stupende e colossali candide corolle fiorali della neve, quali si produssero sulle nevicate del 1880 e 1890 nell’ Italia settentrionale e in Provenza. Sarebbe assurdo il cercare in una qualsiasi funzione vitale la causa di siffatte modalita; essa é perfettamente dimostrata dal lavoro di orienta- zione di particelle cristalligene, subordinato alle condizioni esteriori di spa- zio, di movimento, di rapidità o di lentezza nel processo efficiente. Possono invocarsi, analogamente, gli accrescimenti di volume verifi- cati talvolta nei cristalli sottratti a forti e prolungate pressioni congenite (V. la mia Nota, N.° 224); posson citarsi nelle cristallizzazioni raggiate, sui vetri porta-oggetti del microscopio, la illusoria apparenza di aumenti per incremento centrifugo, dal centro alla periferia (intus-susceptione),. mentre essi provengono dallo spazio esterno, diretti all’ orlo periferico, per juxta-positione; possono invocarsi, altresi, per lo stesso riguardo, dopo i casi precedenti di minerali che somigliano esseri vegetali e animali, i casi inversi, di piante e animali rassomiglianti ai cristalli; tessuti con cellule a facce piane, quindi poligone (per compressione reciproca); fibre simili a pri- smi per reciproca compressione longitudinale; favi di cera a cellette regolar— mente esagonali (questione di economia di spazio); ovvero le forme faccet- tate di alcuni semi; le simmetrie quadratiche, pentagonali ed esagonali di corolle e verticilli fiorali, e finalmente, salendo di livello in senso scien- tifico e sorpassando pure i moti browniani, possiamo invocare quel pro-. cesso di evoluzione da me segnalato e illustrato fin dal 1877 nel « discorso inaugurale per la apertura della Università bolognese », processo di evo- luzione che mai si suppose coincidente ma semplicemente parallelo con quello tuttodi discusso, e adombrato da non lievi diffidenze, riferito ai tipi orga- nizzati. Qui non posso darne che la citazione; nutrendo però la fiducia. che qualcuno gradisca di prenderne conoscenza. Dopo di che credo opportuno trascrivere qui testualmente la prima parte dell’edificante annunzio e della lunga relazione che volle redigersi delle: Conferenze del Prof. Schròn dal diffuso periodico americano di New York — Italia —, per corrispondenza da Napoli (N. 261, 22 Sett. 1899); eccola: LE GRANDI SCOVERTE DEL GIORNO. ll Prof. OTTO von SCHRON scopre la vita dei cristalli. Più di duemila scienziati italiani ed esteri assistono — 559 — alle sue conferenze tenute nell'Aula Magna della nostra Università. La Relazione comincia così: « Un grandioso avvenimento scientifico si è svolto in questi giorni « nella nostra metropoli, antica sede della evoluzione dello spirito umano, « ha scosso Napoli fino neila fondamenta della sua aristocrazia del pen- « siero. Anche i più vecchi cultori di scienza ed arte non ricordano un « entusiasmo simile e sempre crescente nelle tre conferenze dimostrative « del Prof. Sechròn intorno alla sua nuova scoperta — sulla genesi e bio- « logia dei cristalli. « Resteranno memorabili queste giornate in cui l’illustre scienziato « dimostrò non solo che il cristallo é un tessuto in continua evoluzione « come la pianta e l’animale, ma ancora rese chiara colle sue mirabili « proiezioni a forte luce elettrica l’esistenza di una forza manifesta nella « cristallogenesi che armonizza e domina la materia, mentre la scienza « odierna riconosce e mette in rilievo soltanto forze tali che sono gene- « rate e restano dipendenti dalla materia ......». E finisce così: « Sarebbe difficile dirvi tutte le ovazioni entusiastiche che furono fatte « dall’ uditorio all’ illustre scienziato; mì limito solo dicendovi che motti « professori vollero staccare i cavalli della sua carrozza e lo trascinarono « trionfalmente a casa ». Evidentemente il titolo, il proemio e la chiusa dell’articolo che cito basterebbero a far diffidare della serietà delle esperienze e delle conclu- sioni del Prof. von Sechréòn; si potrebbe anzi sospettare una mistificazione americana, e lasciar correre. Se non che, circa tre mesi prima della Relazione (il 10 e il 15 Giugno), si leggevano già stampati, in Napoli, colla firma del Prof. Sehròn gli estesi programmi particolareggiati delle tre conferenze cui riferiscesi la succitata relazione. Siamo dunque dinanzi alla parola rispettabile ed alle idee coordinate ad operazioni sperimentali di uno scienziato insigne nella dottrina da Lui professata, e venerato nell’ambito del suo trentacinquenne insegnamento. Conviene bandire perciò lo scetticismo a priori imprudente e scortese, la indifferenza olimpica od il rifiuto a qualsiasi genere o grado di discussione. Ho già detto quali ragioni personali intervengono altresi per impormi, Serie V. — Tomo IX. 70 — 560 quasi come dovere, il ritornare su tale argomento, e ripresentarne la ceri- tica in questa nostra sessione (1). Dico subito che letti appena i programmi delle tre conferenze (2), ho dubitato che la tesi dei cristalli viventi sorgesse da un facile equivoco, piut- tosto che da errori di fatto, da illusioni sensorie, da autosuggestione per preesistenti congetture, da inesatte qualificazioni di fenomeni. L’equivoco cui alludo, reso possibile dalle imperfettissime nozioni dei più sulla cristal- lizzazione — ed a più forte ragione sulla vita — può indicarsi cosi : la confusione di ciò che é solamente poligonale nella fiqura piana, o poliedrico nella forma solida, con ciò che é strutturalmente e geome- tricamente regolare nella sostanza e nella massa. Della facilità di tale confusione non si ha diritto di far colpa soltanto a chi, come il Prof. Sehròn, non è mineralogista né cristallografo, a chi non é educato alla scuola moda della fisica dei cristalli. La colpa del fatto, assai deplorabile per la generale coltura, può attribuirsi invece agli autori e agli editori dei libercoli scolastici, trattatelli, manualetti, corsi ele- mentari, insidiosi ristretti, e dispense poligrafate esecrabili; con i quali materiali pseudo-didattici, aggredendo più la memoria che l'intelligenza, si fa ripulsivo lo studio, ed a forza di definizioni erronee, vaghe, incomplete aride nella forma e negative nello scopo finale sì fa antipatica la più gen- tile ed allietante delle scienze umane, la storia naturale. Se aggiungiamo a questi elementi patogeni per il lavoro intellettuale scolastico, e non soltanto d’Italia, l'anarchia di opinioni circa il fenomeno della cristallizzazione, presso insegnanti di varia gerarchia, taluni preten- dendo che quel fenomeno sia l’effetto dell’immediato adunarsi di atomi o di molecole, ed altri dando pochissima o niuna importanza al predisporsi ed al prodursi delle particelle iniziali cristallogeniche nell’atto della soli- dificazione dei corpi cristallizzabili, dobbiamo confessare che il Prof. Schréòn, vedendo apparire nel campo del microscopio, in un con i suoi germi del coléra e della tubercolosi, qualche gruppo di poliedri semo- venti, qualche sciame di aree poligone coordinate a cellule, a spore, ad otricoli, era moralmente condotto a veder cristalli nei poliedri ed a consta- tare la loro apparente vitalità. Tutti peraltro sappiamo che qualunque sieno le forme esteriori dei cri- (1) Alcune delle considerazioni seguenti furono già presentate in una Conferenza da me tenuta a Ferrara nel decorso Maggio, col titolo : « I due fenomeni massimi nella storia della Terra ». (2) Sono assai dispiacente di non aver potuto assistere a tali conferenze che debbo ritenere sieno state splendide, sapienti, efficacissime nella parte che concerneva le fasi di sviluppo, le morfologie, le attività dei microorganismi patogeni. Del resto, il programma stampato è UTESPARSMUISZINO | sui con- cetti svolti, sull’ indole delle illustrazioni adottate. — 561 — stalli, il vero e grande loro significato risiede nelle particolarità delle loro strutture intime e dei fenomeni fisici delle loro masse. Ed é fuori di dubbio che chiunque sia giunto ad aver l’idea giusta della genesi, della struttura e del perché delle varie ed eleganti forme cri- stalline; ed a spiegarsi i loro episodi di geminazione, di mimesie, di strie, d’aggruppamenti multiformi, di alterazioni, di epigenie, di isomorfismi, di uralitizzazioni ecc., nulla può ravvisarvi che permetta di attirarli men- talmente nell’orbita di quegli esseri viventi che sono fatti d’acqua e di idrocarburi e condannati alla fatal parabola fra il nascimento e lo sfacelo. Chiunque volesse parlare, a proposito di essi, di via organica, dovrebbe tutto invertire il senso, il pensiero, il linguaggio della scienza naturale e biologica odierna. Concepita che sia l’idea d’una cellula sana e d’una particella fisica integra sì fa impossibile l’ attribuire a questa la vitalità di quella, né a quella le polarità e gli equilibri atomici e molecolari di questa. Nella cellula, il predominio assoluto della lqguidiza, più 9 men condensata nelie modalità gelatinoidi, colloidali, viscose, glutinose, idratabili, diffusibili alterabili per intervento di fermentazioni nei loro complessi; nella parti- cella fisica e cristallogenica, la semplicità e costanza assoluta di costituzione chimica; la solidità vera, reale, generatrice di aggregati atomico -moleco- lari, costanti per ciascun tipo chimico speciale, equilibrato, determinabile. Nella prima delle tre conferenze il Prof. O. Schr6n parla di sostanza albuminoide la quale polarizza (la luce) e poi cristallizza. Questo ricorda benissimo la silice tipicamente gelatinoide, dalla quale producesi lentissi- mamente, ma con incomparabile facilità, profusione e magnificenza il quarzo; ci parla di dendriti simili a fiori di ghiaccio; e queste dendriti, riscontrabili, come già dissi, in un grande numero di minerali, sono prodotte altresi da materie amorfe. Egli cita cristalli rombici uscenti dalla capsula; ed evoca così i rafidi delle graminacee, le spicole silicee delle spugne, vale a dire i portati della esuberanza, nelle cavità cellulari di tessuti organici, di materie minerali che cristallizzano ivi come nelle geodi delie roccie; cita gli a/deri cristal- lini e il corallo, quasi che le infinite e vistose forme cora/loidi, dendroidi, arborescenti, cespugliose, felciformi ecc., dei grossi esemplari decorativi di minerali avessero ulteriori analogie con i vegetali, oltre l’ esteriore parvenza simulatrice; quasi che il materiale pietroso-calcareo degli abitacoli, nelle costruzioni madreporiche vivesse della stessa vita dei polipi, fosse soli- dale colle funzioni dei loro organismi. Nessun dubbio che parecchi tipi organici, sopratutto animali abbiano assoluta necessità, per vivere come vivono, d’associarsi materiali solidi, — 562 — minerali, per la maggiore resistenza dei loro organi complessi, pel vigore delle rispettive funzioni, per la difesa delle loro mollezze, per la gagliar- dia delle loro forzate aggressioni conquistatrici di prede per cibo. Ma per tali intenti quei tipi, di stazione prevalentemente marina, profittano delle molecole minerali diffuse nel loro ambiente come l’uomo profitta, ad. es., dei materiali edilizi del paese che abita per fabbricarsi la casa. E le par- ticelle calcari o silicee, prese dalie loro soluzioni e fatte solide restano imprigionate nelle maglie dei tessuti, sospese nei liquidi inclusi o circo- lanti; e se troppo copiose, se divenute esuberanti, sopratutto se costituite chimicamente in modo definito, e capaci perciò di regolari assettamenti, orientazioni, equilibri di equidistanze e di regolarità reciproca, possono benissimo lavorare, ivi, crisfallogenicamente; e produrrre veri cristalli, come in qualsiasi altro spazio, purché non ostile all’ opera delicatissima cui sono dedicate. Dovremo considerar come vivi quei cristalli perché formati in seno ad organismi viventi, e per parte di sostanze associatesi a quelle proprie dei tessuti e degli organi essi pure viventi ? Potremo forse identificare questo modo di coesistenza, casuale, al feno- meno di ben altro ordine della simbiosi, studiato nelle leguminose, nel quale la coesistenza di organismi animali fissatori di azoto, con i tessuti vegetali sembra qualcosa di più di un mero parassitismo ? Ma se dovessimo considerare come viva ogni sostanza che sì associa, negli esseri inferiori, al fenomeno della vita, ajutandolo o facendolo pos- sibile e durevole, varrebbe forse la pena di cercare laboriosamente gli esempi, con i più possenti microscopi, disponibili, fra gl’ infinitamente pic-. coli, mentre le vastità e profondità degli oceani sono là per offrirci lo spettacolo meraviglioso delle migliaia di atolli e di frange e di scogliere madreporiche dove il calcare cristallizzato (Aragonite), pare che vegeti, ri- valeggiando colle disposizioni più delicate e graziose di fusti, di ramifica- zioni, vegetali; e dove lo stesso calcare si compenetra colla funzione vitale dei molluschi, dei crostacei, dei foraminiferi; similmente comportan- dosi la silice nei radiolari, nelle spugne, nelle diatomee; il fosfato di cal- cio nelle ossa degli scheletri de’ vertebrati, il ferro ne’ gusci delle gallio- nelle ? In quasi tutte le presentazioni dei preparati promiscui, che per la tesi della vita nei cristalli, illustrarono le conferenze del Prof. Sechròn, parmi che resti sempre a distinguere / esistenza della sostanza cristallizzata com- mista alla organogenica vivente, da quella mera apparenza di cristalli che è facilissimamente derivabile dalle intersezioni di linee di scissione, e dalle reciproche compressioni di pareti membranose ed elastiche nelle cellule contigue, se crescenti in uno spazio ristretto. — 563 — Più di tutti notevoli, secondo me, sono nella 1* conferenza Schròn gli argomenti 53 e 54, con i titoli: Lotta per l’esistenza, dei cristalli. Assorbimento successivo dell’aggressore mentre il vincitore s° ingrossa. Io pure ho dato importanza, in qualche pubblicazione, ed in iscuola, al fatto donde par che derivino quelle due suddette indicazioni. Si tratta di questo: Dati alquanti cristalli di una stessa sostanza salina nella loro soluzione satura, alcuni grossi, altri piccini, se il potere solvente della solu- zione si accresce lievemente colla temperatura, per lo più avviene che i cristalli si sciolgono in proporzione delle loro superficie. Ciò posto, é evi- dente che i piccolissimi spariranno; ì mezzani sì ridurranno più piccoli ancora; mentre i maggiori, ancor solidi e attivi, cui la soluzione, raffred- dandosi, fornisce nuove, nascenti particelle s’ agrossano, attirandole e con- quistandole. Ed i piecini scomparsi? Essi avendo contribuito in gran parte all'aumento dei maggiori non ritornano più. In teoria, pel ripetersi di tali vicende, dovrebbero tutti i piccoli essere assorbiti dal loro viepiù prepotente compagno. Ebbene! si chiami pure, questo semplicissimo meccanismo, lotta per l’esistenza; esso non é, in definitiva, che il prevedibile risultato della legge newtoniana della gravitazione; i cristalli attraggono le particelle della loro sostanza, in un ambiente di moti liberi, transitorii, in ragion diretta delle masse, inversa de’ quadrati delle distanze; col favore delle polarità nelle linee di forza. La tesì della seconda conferenza: « il cristallo è un tessuto come la pianta o l’animale », non può giustificarsi che mercé l'equivoco sopra accennato, fra disegno poligonale, o esteriorità poliedrica, e struttura rego- larmente cristallina. Non dovendosi ammettere un significato nuovo e arbi- trario per la parola tessuto. Le diverse cristallogenesi, mercé goccie, o quantità limitate di solu- zioni, citate dallo Schréòn, sono artificialissime predisposizioni di allinea- mento delle particelle, di cui i risultati variabili a seconda delle polarità inerenti e del processo di evaporazione o concentrazione del solvente, si prestano alle visioni trascendentali e aberranti di corde e di spine dorsali, di coste, ecc. ed alle comparse degli Assi (sic), quasi che gli assi fossero materialità visibili come i fili nei poliedri fatti con lastre di vetro! Si pre- stano pertino alle illusioni ottiche e grossolane della formazione centrifuga delle cristallizzazioni saline irraggianti, le quali in realtà sono assoluta- mente centripete. Della terza conferenza nulla oserò dire, non avendola ascoltata e non avendo diretta conoscenza dei preparati relativi di projezione. Soltanto con- fesserò questa mia impressione subordinatissima: che nel maggior numero dei casi le modalità microscopiche qualificate come petrobdlasti, cellule lito- — 564 — gene, o petro-cellule, altro non siano che adesioni di capillarità di fluidi che bagnano, alla superficie dei cristalli; con attitudine o meno di quelle corro- sioni esterne che tutti sappiamo essere smussatrici degli angoli e curva- trici delle facce ; ovvero, inclusioni di liquidi o fiuidi, entro i reticoli esterni di cristalli completi nelle rispettive zone; inclusioni ben note nei cristalli naturali, e comunissime in quelli di quarzo. Sui cristalli spirali, contorti, arcuati, ecc., si è studiato e scritto assai recentissimamente (1), e la loro istoria nulla ha, sicuramente, a comune con i fenomeni e le morfologie della materia organizzata e viva. Concludo : Se credessimo di poter parlare seriamente di cristalli viventi, conver- rebbe trattare e risolvere anche il problema del relativo tempo di origine delle due condizioni: cellula e cristallo; converrebbe, cioé, arrivare a sapere se la materia presa in istudio crista/lizz0 prima, e poscia fecesi viva; ovvero se facendosi viva si ridusse poi cristallizzata. Trasferito che sia questo problema nell’ambiente planetario dei cristalli e dei viventi, ossia del costituirsi la cristallizzazione e la vitalità alla super- ficie e nella crosta terrestre, può dirsi risoluto quasi completamente; es- sendo evidentissimo che la vita organica non poté affermarsi sul pianeta, (tutto inorganico, perché di metalli e di metalloidi provenienti direttamente dal Sole) se non dopo che i suoi mari, non più bollenti, che le sue rocce non più roventi, ebbero conseguita la capacità a produrre ed ospitare un amorfismo protoplasmatico a base di idrocarburi e di acqua prevalente. Soltanto dopo il realizzarsi di questa condizione essenziale poté 1’ energia vitale, l’ondulazione diogenica verosimilmente invaditrice dell’intiero uni- verso, indurre in un protoplasma di origine inorganica il misterioso im- pulso di moto dal quale poteva derivare il nascimento di una membrana, di una cellula, di un nucleo e di un nucleolo, ossia di un ente, sede certa ed iniziale della vita propriamente detta. Ma in che cosa consiste, veramente, ciò che diciamo vita? Ciò che si possiede per poco e che si perde per sempre ? Se al mineralista cristallografo è permesso indicare talune cause dirette e taluni effetti, subordinati a leggi naturali, del fenomeno della cristalliz- zazione é forse analogamente permesso al fisiologo ed al patologo di fare altrettanto pel fenomeno del destarsi la vita nelle materie non cristallizzate, del protoplasma e dei erreni di fermentazione ? Egli afferma la vita nei cristalli; e con questo, dimostra di aberrare totalmente dal concetto razionale del cristallo; ma é sicurissimo, almeno, di poter dare della vita una definizione esauriente ? (1) Vedi Memorie Accad. 126, 188, 214 dell’A. — 565 — Di qual vita ci parla Egli? Forse di una vita fisfco- meccanica, il cui concetto coinciderebbe con quello del moto della materia, dalle intime vibrazioni alla gravitazione astrale ? Ovvero, di una vita organica, mercé temporanee funzioni di otricoli e di tessuti, a base di carbonio, di idro- geno e di molta acqua? Per il primo caso credo che basti la parola moto, ed anzi amo di ricordare qui la prima frase d’introduzione del mio grosso Corso di Mineralogia (1.° Vol. 1875): « Dall’atomo all’ astro tutto si muove nell’ Universo ». Del resto, se bastassero la meccanica e la cinematica per sottintendere la vita perché non dovrebbesi considerare come cosa viva una locomotiva pronta? Questa, primeggiante per quantità di moto, di forza, di durata su molti animali superiori, beve acqua, mangia carbone, espelle scorie e ceneri, freme preparandosi alla corsa, ed ansa e sbuffa nel salire i declivi; fischia per farsi largo e con potente anelito corre veloce, seco traendo, mercè i così detti muscoli d’ acciaio, a centinaia le tonnellate; pronta a far lento il suo slancio formidabile, con delicata doci- lità e meravigliosa obbedienza. Per averne più completa l’illusione, e più giustificata che in quelle scaturite dalle fotografie dello Schròn, baste- rebbe dare a siffatto — mostro dello ed orribile — la figura di un probo- scidiano senza modificarne troppo il disegno. Per la vitalità organica la cosa è ben diversa! Si tratta di fenomeni molto complessi e di altro ordine. La materia prima di qualche minerale atto a cristallizzare potra concorrervi; invece, le iso-orzentazioni e le sim- metrie di particelle solide assolutamente no ! Ed ora un brevissimo cenno dell’ impressione da me risentita assistendo alla relazione ed alle esperienze sui cosi detti cristalli liquidi, supposti dal Prof. Lehmann e presentati dall’ egregio Dott. Amerio al con- gresso internazionale di Fisica, in Bologna, nel decorso Ottobre 1901. La riassumo in una frase concisa: ceredo che nel titolo, invece di — cristalli liquidi — debbasi dire — liquidi cristallini. Considerato che sia logicamente il cristallo, come l’espressione vera, in teoria ed in pratica, della solidita assoluta, dietro criteri perfettamente certi, logicamente concordanti, emananti da leggi naturali e confermatori di tali leggi, la espressione — cristalli liquidi — é un controsenso; é una contradizione flagrante, come lo sarebbe il dire, per es., « variazioni ter- miche delle temperature fisse ; rapporti delle velocità dei corpi immobili, valori consecutivi di quantità eguali a zero ». — 566 — L’idea del cristallo, sebbene emerga sostanzialmente e razionalmente da quella delia regelarità di assettamento, delle particelle costituenti, io un dato spazio, e dalla indole speciale dei fenomeni indotti in siffatta condi- zione di equilibrio di solidità dalle energie fisiche attive, é tuttavia com- pletata e fatta capace di una definizione esatta e sufficiente dall’ altra idea della forma geometrica e della relativa simmetria. Un cristallo possiede le proprietà fisiche che ad esso derivano da un processo di adunamento molecolare, da un lavoro di aggregamento di particelle, virtualmente solide anche prima della definitiva costruzione del poliedro; e perciò non può assolutamente possedere o ritenere le proprietà fisiche dei liquidi. La isotropia strutturale dei cristalli, rara anche in quelli del primo sistema isometrico (molte specie classificate in questo sistema essendo pseudo-regolari per mimesia), non è la isotropia dei liquidi; e nem- meno quella dei fluidi elastici, delle materie colloidali, vetrose, gelati- noidi ecc. la cui masse sono vere liquidità indurate, colla persistenza delle proprietà normali dei liquidi propriamente detti. L’isotropia dei cristalli non è la mancanza di fenomeni fisici, speciali nelle diverse direzioni; è l’ identità teorica dei fenomeni presenti in tutte le direzioni. Invece, un liquido può farsi cristallino in una fase precedente, direi — preparatoria — alla sua solidificazione, ossia precedente alla produzione di veri cristalli solidi nella sua massa. L’acqua da 4° a 0°, non é un cristallo liquido; bensi è un liquido gia virtualmente cristallino, il quale completerà il suo cambiamento di stato fisico a 0°, con un equilibrio stabile, ed una relativa rigidità della sua massa. Una massa di bismuto, ovvero di solfo, in istato di superfusione ; una soluzione sopra-satura di solfato di sodio, ecc., non costituiscono cristalli, o cristallizzazioni di tali sostanze; esse sono, come nel caso precedente, vere predisposizioni — mercé le convenienti orientazioni delle particelle liquide in sistemi cristalligeni — alla cristalliszazione definitiva; e questa si completerà appena una idonea energia di moto intervenga per provo- care il definitivo equilibrio meccanico, e la conseguente rigidità totale della massa. Aggiungo un’ ultima considerazione. La isotropia strutturale, o di massa, è propria dei fluidi omogenei, e l'esempio più spesso citato é fornito dai liquidi, in condizioni normali ed in ispazi limitati. — 567 — Ravvisando in un liquido un adunamento di particelle sferiche, ciascuna isotropa fisicamente, possiamo ravvisare altresi una relativa analogia con talune sostanze solide, esse pure costituite da particelle sferiche, ma senza dubbio enormemente più grandi di volume, e di differente struttura. L’analogia può rilevarsi non solo per tale tipo di modalità strutturale; ma benanche per il fatto della birifrangenza ottica, che in ciascuna sfe- rula, in qualunque direzione tagliata, sì manifesta colla polarizzazione caratteristica dei cristalli uniassi. Siffatte masse litoidi (pisolitiche, variolitiche, perlitiche, globulari, sfero- litiche, ecc.), non rare in certe molasse, nel gabbro rosso, nei vetri vulcanici, ecc. sono ad un tempo isofrope, perchè identicamente composte da sferule e con identiche proprietà in tutte le direzioni; e cristalline, nei loro singoli elementi. Partecipano delle qualità dei liquidi e dei solidi; concretano, in certo modo, la condizione di liquidi cristallini qualora, con ardita ipotesi, sì osi avvicinare l’idea dello stato liquido a quella di una sostanza omogeneamente formata da globuli isotropi, sia pure dotata di durezza e di consistenza pietrosa. In conclusione, i liquidi birifrangenti e polarizzanti, così abilmente stu- diati dal Prof. Lehmann ed opportunamente presentati dal Dott. Amerio ai colleghi del congresso di Fisica di Bologna, costituiscono un importantis- simo soggetto di ricerche sperimentali, i cui risultati saranno certamente fe- condi per la fisica generale e per la cristallografia. É da tali ricerche che può sperarsi la dimostrazione completa dell’esistenza e la dottrina della funzione delle entità materiali, poliedriche, chimicamente definite, che presiedono agli edifici cristallini di ogni sistema. Ma per evitare offuscamenti di idee, con- fusione di criteri e di definizioni conviene abbandonare la locuzione — cristalli liquidi — e sostituire quella più razionale e persuadente di liquidi cristallini (0 polarizzanti, birifrangenti ecc.), colla quale lo scopo scientifico o didattico è identicamente raggiunto. APPENDICE Scrisse il Prof. V. Sabatini al Capitan Fracassa N. 89: € . . . + . Tra questi enunciati, che erano in numero di 142, si diceva che: un cri- stallo (cioè un minerale, nella forma poliedrica in cui ordinariamente. si presenta) n07 é una struttura ma un organismo. Esso ha una spina dorsale, uno scheletro elementare. Ha nervi, quindi sensibilità. Ha malattie, dalle infiammazioni traumatiche alla clorosi e Serie V. — Tomo IX. 71 — 563 — all’ al/binismo. Ha perfino qualità morali. Ed è forse per questa moralità che, nella lotta per l esistenza l'aggressore perisce sempre, e quindi ne deriva un principio d’ equità, che purtroppo tra gli animali non esiste. « Malgrado il rispetto che devo ad un uomo come il Prof. V.Sehrò n, noterò come sia fuori di ogni abitudine la via che egli segue per dare le sue dimostrazioni. Si capi- sce la conferenza che volgarizza gli enunciati di quistioni scientifiche, nuove e vecchie, ma già dimostrate ed ammesse nel campo dei competenti; ma non si capisce la confe- renza che ha la pretesa di fare queste dimostrazioni ad un pubblico eterogeneo, di cui la quasi totalità manca delle cognizioni specialissime che sarebbero indispensabili. Del resto nemmeno pei competenti possono aver valore di dimostrazione tutta una lunga serie di fotografie e di enunciati. « Senza le nozioni necessarie, senza sapere che spesso sopra quello che egli cre- deva il semplice enunciato di un fatto nuovo, da lui scoperto, esistevano già dei capi- toli di scienza, ha ricercato ed ha creduto di trovare tutt'un’infinità di cose nuove. I mineralogisti, per esempio, han veduto con sorpresa che le fratture dei minerali erano nervi; che le inclusioni liquide o gassose erano cellule; che 1’ orlo vero che le circonda e che è dovuto al fenomeno della riflessione totale, era invece, per V. Schròn, l’epi- dermide! Noi abbiamo visto proiettare perfino gli assi cristollagrafici, che sono linee ideali e quindi non esistono materialmente! Si spiega quindi perchè scienziati eminenti non abbiano voluto nemmeno discutere di questi strani risultati. « Il bilancio di queste conferenze è quindi il seguente. Molte idee già note, alcune dimostrate, altre no da quelli che le emisero. Molte osservazioni biologiche e patologi- che dello Schròn, fatte bene, finchè circoscritte al campo dei suoi studi. Tutto il resto, fuori di quel campo, ossia tutte le nozioni sulla vita dei cristalli, è un complesso d’ os- servazioni inesatte. E gl’ ingrandimenti di 400 mila diametri, ottenuti con la fotografia e la proiezione, non fanno che esagerare l’ incertezza dell’ osservazione microscopica ». >» Alla sua volta il Prof. Neviani: «.. +. . Così, continuando, si assiste meravigliati alla dimostrazione evidente, foto- grafata, di ciò che non è materiale, come di un centro di forza, di una linea di forza, semplice o che si sdoppia ; si vedono fotagrafati i teorici assi dei cristalli, anzi ne pos- siamo seguire la genesi; si vedono cristalli originati da filamenti curvi di petroplasma, che si raddrizzano, e mille e mille altre cose meravigliose. « E meraviglioso è veramente tutto. Dalle fotografie che projettate presentano in- grandimenti di quarantamila e quattrocentomila volte i corpi microscopici; dai disegni che impiccioliscono miliardi di volte le nebulose; alle parole del Conferenziere che spiega gli incomprensibili fenomeni. « È egli possibile seguire passo passo la innumerevole serie di fatti e di enunciati esposti dal Prof. Schròn? è egli possibile giudicare quanta parte si debba dare all’ il- lusione prodotta dagli enormi ingrandimenti e dai fenomeni di diffrazione che li accom- pagnano? quanta parte si debba dare alla immaginazione ed alla esagerazione di chi, innamorato di una idea, vuole che ad ogni costo tutto, tutto converga a quel fine ? « Cio non è possibile esaminare, tanto più che il Prof. Schròn, non ha reso pub- bliche per le stampe queste sue scoperte ; e non sì può pretendere che l’audizione di una tripla conferenza sia sufficiente ad un giudizio particolareggiato sulle singole questioni. « Però ritengo possibile un giudizio sommario. Credo che le fotografie rappresentino realmente ciò che la pellicola ha veduto nel microscopio; ma credo ancora che la pel- licola fotografica non si sia sottratta alla illusione prodotta dai fenomeni, specialmente di diffrazione, che accompagnano i forti ingrandimenti. ECC ReDELE A ECE I. MEMORIA DI GIACOMO CIAMICIAN e PAOLO SILBER (letta nella Sessione del 17 Novembre 1901) Die Sonne bringt es an den Tag. ApaLBerTt von CHAMISSO Alle grandi vittorie della chimica sperimentale moderna segnatamente nel campo dei composti di carbonio, si suole spesso opporre, che esse sono vittorie, conseguite con grande apparato di forze. E se si vuole essere giusti bisogna convenire che tale obbiezione non é senza fondamento; l’ intervento dei reattivi più energici e delle temperature elevate è quasi sempre inevitabile nelle nostre ricerche e segnatamente in quelle di chi- mica organica. Questo impiego di energie ad alto potenziale non sarebbe del resto umiliante per la chimica moderna, se il mondo organizzato e segnatamente quello vegetale non ci desse il mirabile esempio di grandi resultati ottenuti, almeno apparentemente, con minimi mezzi. Considera- zioni simili a queste, come s’é detto, sono state fatte assai sovente, ma hanno avuto fin’ora uno scarso risultato pratico e la ragione, secondo noi, è presto trovata. Si studiano, dai più, meglio quei processi che avven- gono rapidi. In genere, le piccole velocità sono trascurate; ma per avere resultati pronti occorrono. catalizzatori energici. Questo è senza dubbio il motivo per cui uno degli agenti più delicati é stato finora alquanto trascu- rato, malgrado che esso sia alla portata di tutti : sugli effetti chimici pro- dotti dalla luce la nostra letteratura non è scarsa, ma anche uno studio superficiale di essa, dimostra subito, che, salvo poche eccezioni, le ricerche vertono solamente su quelli effetti che si ottengono rapidamente. E però le lunghe e numerosissime indagini intorno al processo fotografico, che, forse più che approfondirlo, ne hanno accresciuta la sensibilità e prontezza, — 570 — e da qui la tendenza a studiare in genere di preferenza quei fenomeni fotochimici che sorprendono per la loro rapidità. Intorno a quelle azioni chimiche che la luce determina lentamente, ove occorrono, alle volte, parecchie settimane o mesì per scoprirne l’intero decorso, le osservazioni sono scarse e per di più non ordinate secondo un determinato scopo, ma casuali. Noi abbiamo creduto però che uno studio sistematico in questo campo fosse opportuno ed ì resultati ottenuti fin’ora sembrerebbero darci ragione. Noi avevamo osservato fino dal 1886 (1), che esponendo per qualche tempo alla luce una soluzione alcoolica di chinone; questo si riduce ad idrochinone mentre l’ alcool si ossida e diviene aldeide, ebbene noi ora abbiamo eseguita una serie di analoghe esperienze su vari alcooli e chinoni ed abbiamo trovato che questa reazione può essere gene- ralizzata. Essa si verifica auche quando l’alcooi è polivalente e complesso come ad es. la mannite ed il prodotto da esso derivante é anche in questo caso un’aldeide, ma qui v'è di maggiormente interessante, che l’aldeide é una materia zuccherina naturale, il mannoso destrogiro. È cosi é provato che una reazione, la quale erasi effettuata soltanto coll’ intervento di ossi- danti minerali energici, quali l’acido nitrico, 1’ ipobromito o l’acqua ossi- genata in presenza di sali ferrosi, può compiersi lentamente, per azione della luce, con un ossidante cosi lieve quale é il chinone. Con questo esempio noi crediamo d’avere sufficientemente spiegato quali sono stati gl’ intendimenti che ci hanno guidato nell’ intraprendere le ricerche che descriveremo in questa Memoria. Essa non è che una prima parte di uno studio che noi intendiamo proseguire per qualche anno ancora e non rappresenta nulla di completo, perché l’ argomento che trattiamo è di siffatta natura, che anche nelle sue singole parti difficilmente si esaurisce in modo da non lasciare appiglio ad ulteriori prove. Îetodo seguito nella ricerca. Noi abbiamo impiegato sempre la luce solare diretta ed intera, senza preferenza di colore; sui diversi effetti delle singole parti dello spettro abbiamo gia raccolto qualche esperienza, ma di tale argomento intendiamo occuparci più tardi, in una successiva Memoria. Quasi sempre trattavasi di esporre al sole soluzioni di diverse sostanze, o liquidi in cui trovavasi sospeso un solido. Diremo qui per incidenza che in questi casi anche una limitata solubilità è sufficiente perché fra solvente e sostanza solida si impegni una reciproca azione ed aggiungeremo inoltre, che se la solubilità € così lieve, che il solido rimanga per molto tempo o per tutta la durata (1) Rendiconti della Accademia dei Lincei, 1886. Gennaio. — 571 — della insolazione in gran parte indisciolto, è inutile ridurlo da principio in polvere perché, per ragioni ben note, i piccoli cristalli o frammenti di essi si uniscono a poco a poco per formare dei grossi individui cristallografici, spesso assai bene sviluppati. Il modo migliore per lasciare esposte le sostanze alla luce per lungo tempo è quello di impiegare recipienti che possano chiudersi alla lampada e però in prima linea gli ordinari « tubi chiusi »; se la quantità di ma- teria è alquanto rilevante giova usare dei fiaschi di vetro bianco che pos- sano ugualmente chiudersi per fusione. Bottiglie a tappo smerigliato si prestano assai male, perché é quasi impossibile di evitare, senza speciali congegni, che, per le differenti temperature a cui per necessità tali recipienti devono essere esposti, il turacciolo non giuochi in guisa di valvola. Una parte assai difficile della ricerca è quella che concerne la durata della esposizione, di ciò noi per ora non ci siamo occupati che in modo assai approssimativo. Volendo fare misure esatte sull’ effetto della intensità e della durata della insolazione sopra le azioni chimiche, bisognerebbe disporre le esperienze in modo del tutto diverso da quello da noi seguito e certamente ben poche delle reazioni da noi studiate potrebbero prestarsi a tali determinazioni. Quando una reazione ha bisogno di molte settimane per giungere a termine, si capisce che le difficoltà diventano grandissime per tale genere di misure. Inoltre va notato che in molti casi, anche se si tratti di una soluzione che sì mantiene completa sino alla fine, il liquido si colora in giallo o in bruno e però modifica continuamente la sua trasparenza pei diversi raggi dello spettro. Anche lo strato del liquido che viene colpito dalla luce, ha naturalmente influenza sulla velocità con cui si compie una data trasformazione e noi abbiamo più volte notato rimar- chevoli differenze esponendo la stessa soluzione in tubi oppure in matracci. Finita l’ insolazione, il prodotto venne sottoposto sempre ad un esau- riente esame, cercando possibilmente di determinare tutti i composti for- matisi, difficile compito codesto, che non sempre ci fu dato di risolvere completamente. Azione del chinone sugli alcooli. La reazione che la luce determina in questi casi é stata di già men- zionata più sopra; le esperienze fatte fin’ora tenderebbero a dimostrare che l’alcool perde una molecola di idrogeno, la quale va a fissarsi sul chinone, trasformandolo in chinidrone o addirittura in idrochinone. Questa è la reazione più semplice, ma accanto ad essa si compiono altre meta- morfosi per cui si producono delle sostanze coloranti gialle o brune, alle volte in quantità trascurabili in altri casi invece in modo prevalente. — 572 — Aicool etilico. Abbiamo voluto ripetere la nostra vecchia. esperienza per accertarci se realmente oltre all’ aldeide ed all’ idrochinone non si formano altre sostanze. Abbiamo operato a concentrazioni diverse ed abbiamo notato che la reazione è più lenta a concentrazione maggiore e che in questo caso sì producono più abbondantemente materie resinose coloranti. I prodotti predominanti sono però realmente l’aldeide acetica e l’ idrochinone ed oltre a questi non si formano altre sostanze che possano essere chimicamente definite. Le concentrazioni sperimentate furono 1 a 5 ed 1 a 10, i prodotti, salvo le differenze suindicate, sempre gli stessi; la reazione può essere quindi rappresentata dall’ eguaglianza : C,H,0, + C,H,0= C,H,0,+ C,H,0. Abbiamo qui voluto assicurarci che la reazione fosse realmente dovuta alla luce; conservando una soluzione alcoolica di chinone all’oscuro, il li- quido lentamente imbrunisce, ma almeno per quanto abbiamo durato nel- l’aspettare, non si forma né idrochinone, né aldeide. Lo stesso accade riscaldando a 100°, il chinone si trasforma in una materia bruna, ma non sì ottiene aldeide. Sono dunque le radiazioni luminose quelle che determi- nano il fenomeno : del resto sperimentando con radiazioni diverse si ha subito la controprova, di cui avremo occasione di intrattenerci a suo tempo. Alcool isopropilico. Il miscuglio esposto alla luce era composto di 1 un gr. di chinone su 8 di alcool isopropilico, ma non in soluzione completa. A poco a poco i cristalli di chinone imbruniscono e finiscono per sciogliersi nel liquido bruno anche esso. Distillando il prodotto dopo due mesì di inso- lazione (inverno) resta indietro una massa sciropposa che facilmente cri- stallizza stando nel vuoto. Purificata dell’acqua dimostrò avere tutte le pro- prietà dell’ idrochinone. Il liquido distillato dette tutte le reazioni dell’acetone. Oltre alla resina bruna, che accompagnava l’idrochinone, altri prodotti secondarî non si sono potuti scoprire. La reazione avviene dunque anche in questo caso prevalentemente secondo lo schema preveduto e dall’alcool secondario si forma un chetone: C,H,0, + CH, . CHOH . CH,= C,H,0,+ CH,.CO.CH,. Alcooi butilico terziario. In questo caso si sarebbe potuto credere che l’ al- cool essendo terziario non avesse luogo nessuna azione. Invece non è cosi. Si impiegarono 3 gr. di chinone per 5 di trimetilcarbinolo. Da principio il chinone, che é in gran parte indisciolto, sembra resistere; certamente lo fa qui meglio che nei due casi precedenti, ma a poco a poco incomincia ad annerire e dopo circa due mesi di insolazione (dal 30 V al 27 VII) si — 573 — trova nel tubo uno sciroppo denso e nero in cui sono sospesi dei cristalli senza colore. Trattando il tutto con etere resta indisciolta una materia nera. Il soluto, liberato dall’ etere, é ancora sciropposo, ma cristallizza dopo qual- che tempo ed è composto in gran parte da idrochinone con poco chini- drone. Quale sia la trasformazione subita dall’ alcool terziario, non lo po- temmo scoprire. Del resto, come si vedrà più avanti, in molti altri casi il chinone agisce similmente. Glicerina. Il miscuglio esposto alla luce era formato da 3 gr. di glicerina, sciolta in 10 c. c. d’acqua, e di 5 gr. di chinone. A poco a poco i cristalli di chinone anneriscono ed il liquido si fa bruno ; l’ esposizione durò circa due mesi (inverno). La massa nera venne quindi separata dal liquido per filtrazione e questo estratto parecchie volte con etere. La parte indisciolta, e quella estratta coll’ etere, contiene chinone ed idrochinone (chinidrone), ma oltre a questi, in quantita piuttosto rilevante, una materia nera e car- boniosa, che non poté essere ulteriormente studiata. Il liquido acquoso riduce il liquore di Fehling e contiene però una materia zuccherina; questa venne isolata allo stato di composto fenilidrazinico. A tale scopo la solu- zione venne prima, perché era ancora colorata in bruno, trattata con nero animale e quindi portata a concentrazione sciropposa a b. m. Sciogliendo ora il residuo in acido acetico ed aggiungendovi acetato di fenilidrazina, sì forma prima un intorbidamento a cui fa seguito, dopo qualche ora, la separazione di cristalli fortemente colorati in rossastro ranciato. Il preci- pitato raccolto su filtro, dopo due giorni di riposo, venne purificato per cristallizzazione dal benzolo. Si ebbero cosi pagliette giallo dorate, che fon- devano a 136-137° ed avevano la composizione e le proprietà del glicero- sazone di E. Fischer e Tafel (1), sebbene vi sia una piccola differenza nel punto di fusione, 131°, indicato da questi autori. AMO ESÙs Sostanza 0,1072 gr.; CO, 0,4208 gr.; H,0 0,0970 gr. Sostanza 0,1009 gr. azoto misurato a 9°,5 e 760 mm. 17,7 c. c. In 100 parti: trovato calcolato per C,,H,N,0 wx__=eerTYvT_rcrre-—_—_—_—- C 67,43 67,16 H 6,33 9,97 N 21,05 20,89. La glicerina per azione del chinone in presenza della luce si trasforma però in parte nel gliceroso di E. Fischer e Tafel. In questi ultimi tempi (1) Berichte 20, 3384. — 574 — sono stati fatti su questa sostanza importanti ricerche; da principio essa era ritenuta quale un miscuglio del biossiacetone e di aldeide glicerica, più tardi il Piloty (1), dimostrò che il gliceroso non contiene che il biossi- acetone in ragione del 60 pcto. Le più recenti ricerche di A. Wohl e C. Neuberg (2) provarono in fine, che, in assenza d’alcali, l’ ossidazione della glicerina conduce anche all’aldeide glicerica. Era quindi necessario ricercare se pure nel nostro caso si formassero entrambi i composti. L’e- sperienza ci dette per l’aldeide glicerica risultato negativo e però si può dire, che l’ ossidazione della glicerina col chinone dà soltanto biossiacetone, mentre parte del primo si trasforma in chinidrone; se non sì tiene conto della materia resinosa che contemporaneamente si produce, si può espri- mere il processo colla seguente equazione: 2 C.H,0,+ C,H,0,= C;H,0,.C,H,0,+ C,H,0,. chinone glicerina chinidrone gliceroso (biossiacetone) Eritrite. Alla luce venne esposto per circa un mese (dal 30 V al 27 VI) il seguente miscuglio : 6 gr. di eritrite ordinaria, sciolta in 30 c. c. d’ acqua, e 12 gr. di chinone. L'aspetto del tubo alla fine dell’ insolazione era simile a quello della precedente esperienza colla glicerina. Una massa nera ade- rente alle pareti ed un liquido bruno. Aprendo il tubo sì notò leggero svi- luppo di anidride carbonica. Il primo trattamento é simile a quello descritto per la glicerina. La parte nera insolubile contiene anche qui oltre al chi- nidrone una sostanza amorfa. Il liquido, dopo estrazione con etere e deco- loramento con nero animale, dà per svaporamento un residuo sciropposo, che riduce il liquore di Fehling e che stando per qualche tempo sull’acido solforico cristallizza in parte. I cristalli (2, 4 gr.) non sono che eritrite ri- masta inalterata. Tolti questi, la parte non cristallizzabile venne sciolta in acido acetico al 40 pcto. e trattata con la solita soluzione acetica di fenil- idrazina: si produce tosto una colorazione rosso ranciata; dopo qualche tempo si riscalda il liquido a b. m. e lo si versa nell'acqua. In questo modo precipita subito una materia bruna, che lavata a freddo col benzolo da un residuo cristallino, il quale può facilmente essere purificato dal ben- zolo bollente. Il prodotto, che cosi si ottiene, si presenta in mammelloncini gialli, formati da piccoli aghi e fonde a 167-168°. Esso ha la composizione è le proprietà del fenilosazone dell’ eritroso, ottenuto da E. Fischer e I. Tafel (3) per ossidazione dell’eritrite con acido nitrico e dallo stesso Fischer e Landsteiner (4) per condensazione dell’aldeide glicolica. Il punto di fusione trovato da questi autori, 166-168°, corrisponde al nostro. (1) Ibid. 30, 3163; (2) Ibid. 33, 3099; (3) Berichte 20, 1090; (4) Ibid. 25, 2554 — 575 — Analisi: Sostanza 0,1749 gr.; CO, 0,4126 gr.; 4,0 0,0968 gr. Sostanza 0,1014 gr.; azoto misurato a 16° e 754 mm. 16,15 c. c. In 100 parti: trovato calcolato per CH, N,0, - S T_—__— np — —=—_ ____ C 64,33 64,43 H 6,15 6,04 N 18,41 18,79. In seguito ai recenti studî di A. Wobhl (1) e di O. Ruff (2) l’eritroso è da considerarsi quale composto racemico dell’ aldeide corrispondente al- l’eritrite inattiva per compensazione interna. Se anche qui si fa astrazione delle reazioni secondarie, che producono l’anidride carbonica e la materia nera resinosa, si può rappresentare l’ossidazione dell’eritrite colla seguente uguaglianza : 2 C,H,0,+ CH,OH . CHOH . CHOH . CH,0H= C,H,0,.C,H,0,+ chinone eritrite inattiva (i) chinidrone CHOTECHOHRCHOKTSEHO eritroso racemico (d + /). Mannite. Questo é l'esempio che abbiamo citato in principio della pre- sente Memoria. Il tubo esposto alla luce per 5 settimane (primavera) con- teneva 6 gr. di mannite ordinaria in 60 c. c. d’acqua e 12 gr. di chinone. L’a- spetto del prodotto dopo l’insolazione ed il solito trattamento, sono gli stessi come nel caso precedente e però crediamo superfluo di ripeterne la descri- zione. La soluzione acquosa, ottenuta nel modo consueto, riduce il liquore di Fehling in modo da corrispondere ad un contenuto di 3,81 gr. di glu- cosio. Concentrata fino a consistenza sciropposa e trattata più volte con alcool metilico, dette, stando sull’acido solforico, circa 2 gr. di mannite inalterata. La parte non cristallizzata venne trasformata nel fenilidrazone, che per il mannoso, come si sa, è caratteristico. Il prodotto greggio, otte- nuto per precipitazione della soluzione acetica con acqua, venne lavato con acetone e poi cristallizzato dall’ alcool. Esso fondeva a 192°. Secondo gli autori che l’hanno descritto, l’ idrazone del mannoso, non ha un punto di fusione netto; E. Fischer e Hirschberger (3) trovarono 188°, ma anche 195-200°; Reiss (4) da il punto di fusione 185°-186°. Non v’ha dubbio però sulla identità dei prodotti. (1) Ibid. 32, 3670; (2) Ibid. 32, 3677; (83) Berichte 21, 1806 e 22, 1156; (4) Ibid. 22, 610. Serie V. — Tomo IX. 72 — 576 — Analisi: Sostanza 0,1102 gr.; azoto misurato a 18° e 756 mm. c. c. 10,0. In 100 parti: trovato calcolato per C,,H,V,0, N AI 10,37 Il mannoso ottenuto per ossidazione attinica della mannite destrogira naturale è quindi il mannoso destrogiro, che pure trovasi in natura. Si può | anche qui, salvo le solite riserve, rappresentare il processo con la con- sueta equazione : CHO; +6; H9= CH 0 47665H9a: chinone d- mannite idrochinone d- mannoso Dulcite. Per la piccola solubilità della dulcite nell’ acqua fredda, l’ espe- rienza dovette essere eseguita in un matraccio, chiuso alla lampada. I ma- teriali impiegati furono i seguenti: 6 gr. di dulcite sciolti in 200 c. ce. d’acqua e 12 gr. di chinone. L’ esposizione durò circa 3 settimane (dal 4 VI al 27 VI). La soluzione ottenuta col solito trattamento, depositò, con- centrandosi nel vuoto, grande quantità di dulcite inalterata (4,2 gr.) il che dimostra, come questo alcool resista maggiormente degli altri all’ azione del chinone. Il prodotto venne come negli altri casi trasformato in com- posto idrazinico; a tale scopo la soluzione zuccherina venne trattata con acetato di fenilidrazina. La soluzione sì colora subito in giallo ranciato e comincia a depositare dei cristalli; però, per ottenere tutto il prodotto, conviene riscaldare per qualche tempo a b. m. e versare il liquido nel- l’acqua. Per purificare il composto greggio è utile lavarlo prima con alcool a freddo e poi farlo cristallizzare dall’ alcool bollente. Si ebbero così aghetti gialli dal punto di fusione 207°. La sostanza ha la composizione e le pro- prietà del du/cosazone, descritto da E. Fischer e I. Tafel (1), che l’ ot- tennero dalla dulcite per ossidazione con bromo in soluzione alcalina. Essi danno il punto di fusione 205-206°. Analisi: Sostanza 0,0948 gr.; azoto misurato a 12° e 736 mm.: 12,6 c. c.. In 100 parti: trovato calcolato per CyH,N,0, N 1528 15,64 (1) Berichte 20, 3390. — 577 — Glucosio. Anche il glucosio si ossida per azione del chinone sotto |’ in- fluenza della luce ed il prodotto é il g/ucosone C,H,0,. Il tubo esposto alla luce per 6 settimane (primavera) conteneva 6 gr. di glucosio sciolto in 50 c. c. d’acqua e 12 gr. di chinone. L’ aspetto del tubo dopo l’ inso- lazione é anche qui il consueto; una massa nera ed un liquido brunastro. Anche in questo caso si nota la presenza di anidride carbonica, il liquido inoltre ha reazione marcatamente acida. Il trattamento é quello ordinario, già descritto. La soluzione acquosa, decolorata e portata a concentrazione conveniente, venne trattata a freddo con una soluzione acetica di fenil- idrazina. Si produce tosto una colorazione rosso scura e versando il tutto nell’acqua, si ha subito un precipitato bruno, che per purificarlo venne seccato su piastra bibula, lavato a freddo con acetone e fatto poi cristal- lizzare dall’ acetone bollente. Si ebbero cosi gli aghetti lunghi e caratte- ristici del feni/glucosazone, che fondevano a 204-205°. Minialtst: Sostanza 0,1018 gr.; azoto misurato a 21° e 760 mm.: 14,4 c. c. In 100 parti: trovato calcolato per CH,,N,0, Pei T—___ ss — = _T N 16,08 15,64. Anche qui dunque, non tenendo conto dei prodotti secondari, si può rappresentarsi la reazione fra il glucoso ed il chinone nel modo consueto : C,H,0,+ C,H,,0,= C,H,0,+ C,H,,0,. chinone glucoso idrochinone glucosone Le esperienze descritte in questo capitolo dimostrano, come si vede, che in presenza della luce il chinone ossida anche gli alcool polivalenti dando origine a quelle stesse materie zuccherine, che Emilio Fischer ed i suoi compagni di lavoro ottennero impiegando gli ordinari ossidanti minerali. A questo proposito è da notarsi inoltre che R. S. Morrel in due interessanti lavori (1) ha dimostrato che, impiegando come ossidante l’acqua ossigenata in presenza di sali ferrosi, alcuni zuccheri, quali il glu- coso ed il fruttoso, il ramnoso, e l’ arabinoso danno i rispettivi composti aldeido-chetonici, cioé i due primi il glucosone e gli altri rispettivamente il ramnosone e l’ arabinosone. Anche qui dunque l’azione del chinone (1) R. S. Morrel Chem. Centralblatt 1899, I, 1160 e R. S. Morrell e I. M. Crofts Ibid. 1900, II, 947. — 578 — conduce agli stessi risultati. Noi abbiamo ora in corso esperienze col fruttoso, collo zucchero di canna e con qualche glucoside ; nel primo caso il prodotto sarà certamente il glucosone, negli altri due speriamo d’ essere più fortunati di quanto lo è stato il Morrel collo zucchero di canna, avendo egli ottenuto soltanto il glucosone. Qui vanno inoltre ricordate le esperienze di H. I. Horstman Fenton e H. Jackson (1) non soltanto perché ossidando vari alcooli polivalenti con acqua ossigenata in presenza di solfato ferroso ottennero le solite materie zuccherine descritte da E. Fischer, ma segnatamente perché fecero l’ interessante osservazione che il glicol, la glicerina e l’ eritrite, esponendo le loro soluzioni acquose all’ aria ed alla luce in presenza di solfato ferroso, danno composti aldeidici rive- labili con la fucsina scolorata coll’ anidride solforosa. La presenza del sale ferroso determina qui l’ ossidazione dell’ alcool mediante l’ ossigeno atmo- sferico per influenza della luce. Colla mannite e la dulcite ebbero però risul- tati incerti non essendo più applicabile la reazione colla rosanilina e non presentando quella colla fenilidrazina una sensibilità sufficiente per poter riconoscere la presenza delle aldeidi in piccole tracce. Le esperienze dei citati Autori illustrano uno dei tanti casi della influenza acceleratrice della luce sopra i processi di autossidazione diretta ed indiretta; anche noi abbiamo fatto parecchie osservazioni intorno a questo interessante argo- mento, ma per ora ci asteniamo dal descriverle. Prima di chiudere questo capitolo vogliamo aggiungere che abbiamo voluto tentare alcune reazioni inverse a quelle descritte fin qui, perché era possibile che i due sistemi chinone + alcool 2" idrochinone + aldeide (o chetone) conducessero ad uno stato d’ equilibrio. La cosa invece non sembra stare in questi termini, perchè esponendo per lungo tempo (tutto l’ estate) due tubi, uno contenente idrochinone ed acetone e 1’ altro una soluzione acquosa di glucosio ed idrochinone, non si notò nessun mutamento, all’ infuori d’ un lieve imbrunimento dei liquidi. Pare dunque che la luce non favo- risca in modo sensibile che uno solo dei due possibili processi. Altri chinoni ed alcooli. Le esperienze non furono numerose, perché la cosa non presentava molto interesse. Gli altri chinoni studiati furono il timochinone ed il fenan- trenchinone, che si comportano come il chinone ordinario. (1) Chemical Society 1899. Nr. 200, 240. — 579 — Timochinone ed alcool. Questa coppia doveva dare idrotimochinone ed aldeide acetica e cosi realmente avviene. L’ esposizione al sole durò circa tre mesi (21. I fino al 20. IV). La soluzione rosso-brunastra dette un distil- lato, in cui si poté facilmente riconoscere la presenza dell’ aldeide. Il resi- duo, uno sciroppo nerastro, trattato con benzolo si solidificò e cristallizzato da questo solvente, dette cristalli senza colore dal punto di fusione 143°. Secondo Carstanjen (1) il punto di fusione dell’ idrotimochinone sa- rebbe 139°,5. Fenantrenchinone e mannite. Venne esposta al sole una soluzione di 5 gr. di mannite in 30 gr. d’acqua, in cui erano sospesi 6 gr. di fenantrenchi- none. Malgrado una lunga esposizione (dal 8 V al 21 XII) la trasforma- zione prevista non si compi che in piccolissima parte, forse in seguito alla assai limitata solubilità del chinone nell’ acqua. La soluzione acquosa, liberata dal chinone e concentrata, da una lieve riduzione del liquore di Fehling e coll’ acetato di fenilidrazina, dopo qualche tempo, tracce di un precipitato bianco. Chinone ed altre sostanze. In questo capitolo riuniamo alcune osservazioni che possono conside- rarsi come non riuscite o per lo meno incomplete, ma che pure devono essere ricordate. Il chinone alla luce si riduce non soltanto per azione degli alcooli, ma, si può dire, più o meno facilmente, per azione di quasi tutte le sostanze organiche. Solamente in questi casi, come si accennò a proposito dell’ alcool butilico terziario, è assai difficile rintracciare quale sia la trasformazione subita dall’ altro corpo. Sembra poi che il chinone annerisca lentamente alla luce anche senza l’ intervento di altre sostanze. Chinone ed ossiacidi grassi. Era da aspettarsi la formazione di acidi chetonici e tanto più tale risultato doveva sembrare probabile, in quanto che v’ era un’ interessante precedente dovuto al gia citato chimico inglese H. I. Hor- stman Fenton. Questo Autore osservò or sono 6 anni (2), che per azione della luce ed in presenza di sali ferrosi l’ acido tartarico si ossida all’ aria; il tartarato ferroso esposto all’ aria ed alla luce si trasforma in un nuovo acido chetonico, l’ ossitartrico C,H7,0,+2H,0, a cui spetta senza dubbio la seguente costituzione : COOH .CO.CHOH.COOH. Le nostre esperienze ebbero in vece un esito poco fortunato. Può darsi (1) Vedi Beilstein (3* ediz.) II, 971. (2) Chem. Centralblatt 1895, II, 891. — 580 — che il chinone produca realmente in primo luogo l’ effetto voluto, ma che poi agisca sfavorevolmente sul prodotto primitivo. La ricerca in ogni modo con opportune modificazioni, va ripetuta. Noi abbiamo esperimentato con gli acidi lattico, malico e tartrico in soluzione acquosa col chinone sospeso. In tutti tre i casi dopo un mese d’insolazione (primavera) si nota la formazione di chinidrone; più lento di tutti è l’ acido tartrico. Aprendo i tubi si svolge anidride carbonica, ed il liquido filtrato dalla massa nera è colorato in rosso bruno. Esso con- tiene gli acidi primitivi inalterati e non si riduce i) liquore di Fehling, né dà composti fenilidrazinici. Chinone ed acidi grassi. L’ esperienze vennero intraprese per vedere anzi- tutto se l’ ucido formico era in grado di ridurre il chinone. Realmente in questo caso la reazione sembra essere abbastanza chiara, perché il chi- none si riduce ad idrochinone e si forma acido carbonico. Bisogna anzi far notare che si ha un’azione sensibile anche all’ oscuro, che la luce non fa che accelerare. Esponendo una soluzione di chinone in acido for- mico concentrato (1 gr. di chinone per 8 di ac. formico), il liquido, che da principio è giallo, imbrunisce ed incominciano subito a deporsi degli aghi neri (chinidrone) che a poco a poco vanno diminuendo. Dopo circa 3 mesi d’insolazione (inverno) il liquido è sempre bruno e contiene ancora dei cristalli. Aprendo il tubo si svolge anidride carbonica ; il liquido, filtrato dai cristalli neri, contiene precipuamente idrochinone. L’ azione del chinone non é però limitata all’ acido formico, come da principio noi s’ era creduto. Anche le soluzioni di acido acetico e pro- pionico imbruniscono alla luce e qui pure si deposita a poco a poco una materia nera (chinidrone); ma anche dopo una esposizione di 4 mesi (inverno) si ritrova nel liquido gran parte del chinone inalterato. L’ azione è però assai più lenta che con l’ acido formico. Chinone ed idrocarburi. Anche gli idrocarburi esercitano un’azione ridu- cente sul chinone, massime se sono saturi. Col denzolo l’ annerimento è lento e se la luce è poco intensa, la soluzione resiste per qualche tempo, per cui, da principio, sembra che il chinone si mantenga inalterato alla luce. Assai rapida é invece l’ azione delle paraffine. Se, ad es., ad una soluzione benzolica di chinone si aggiunge dell’ etere petrolico (lo stesso effetto si ha naturalmente coll’ esano e coll’ ottano) in modo però che il chinone non precipiti, si vede già dopo poche ore separarsi in gran copia una sostanza nera, che ben presto ricopre le pareti del tubo tanto da ren- derle completamente opache. Non siamo però riusciti fin’ ora a determi- nare quale sia l’ azione chimica che ha luogo in queste circostanze. — 581 — Azioni dei chetoni e delle aldeidi sull’ alcool ordinario. Le esperienze fin qui descritte fecero. nascere in noi il desiderio di sapere se oltre ai chinoni o dichetoni, anche altre sostanze contenenti il radicale carbonilico, fossero in grado di agire come disidrogenanti sul- l'alcool; e però in prima linea abbiamo sperimentato alcuni chetoni ed aldeidi. Realmente la supposta azione ha luogo e mentre l’ alcool si ossida ad aldeide, i chetoni e le aldeidi si trasformano nei corrispondenti com- posti pinaconici. Questa regola non deve però essere intesa in modo gene- rale, perché le eccezioni sembrano essere assai numerose. Anzitutto pare che l’ accennata reazione sia limitata ai chetoni (ed alle aldeidi) aromatici ; l’ acetone ad es. dà prodotti fra cui non siamo ancora riusciti a rintrac- ciare il pinacone ; le esperienze devono però essere proseguite. Inoltre noi abbiamo osservato parecchi casi in cui anche i chetoni e le aldeidi della serie aromatica mancano nel loro effetto: le aldeidi salicilica, paraossi- benzoica, cinnamica, il piperonale ed i derivati ossidrilati del benzofenone, non sono in grado di trasformare l’ alcool in aldeide. In modo tipico in- vece reagiscono la benzaideide ed il benzofenone. Benzofenone. L’ azione di questo chetone sull’ alcool etilico può essere paragonata assai bene con quella del chinone; con la stessa facilità con cui questo da idrochinone, il benzofenone si trasforma in denzopinacone, mentre l’ alcool diventa a/deide : CEE CH, (GIEL 2C0 +C,H0=H0-C€ — C-0H + C,H,0 CH, CH" CE, La reazione avviene con rapidità sorprendente ed è completa; non si formano altri prodotti. Esponendo alla luce con tubo contenente la solu- zione di 4 gr. di benzofenone in 20 c. c. d’alcool assoluto, si osserva dopo poco tempo che dal liquido leggermente ingiallito si depongono dei cristalli privi di colore e bene sviluppati. Dopo 7 giorni d’ esposizione (primavera, di cui solamente tre con cielo sereno), venne aperto il tubo, i cristalli raccolti ed il liquido dIstillato. Il prodotto ricavato (3, 6 gr.) ricri- stallizzato dall’ alcool fondeva a 185-187°. — 582 — Analisi: Sostanza 0,1816 gr.; CO, 0,5655 gr.; H,0 0,1032 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,,77,,0, I x 58833 DX T2__—__& C 84,92 85,24 H 6,31 6,01 Nel trattato del Beilstein (1) è riportato che secondo Zagumenny il punto di fusione del benzopinacone dovrebbe essere 168°. Per vedere se si trattava d’ un errore abbiamo ridotto secondo questo Autore il ben- zofenone con zinco ed acido acetico e realmente così deve essere, perché il benzopinacone ottenuto fondeva a 186°. L’ alcool distillato era ricchissimo di aldeide. Il benzofenone, come il chinone, è un composto che per azione della luce si idrogena colla massima facilità, e non é solamente l’ alcool ma molte altre sostanze organiche che determinano la sua trasformazione in benzopinacone. In fine aggiungeremo, che il Prof. Boeris di Milano avendo determi- nato alcune costanti cristallografiche del benzopinacone, che crediamo non ancora osservate, volle gentilmente comunicarcele. Egli trovò: sistema cristallino : monoclino IDE = RSI 0 ==18785) Forme osservate: |100} , {110} , {001} angoli misurati calcolati in — sb _s>_-n e ri (110): (110) 38°, 16' È (100) : (001) Soi * (001) : (110) SOA SOS: Sfaldatura secondo {010}. Piano degli assi ottici {010}. I cristalli non erano mai completi. Acetofenone. Questo composto si altera in soluzione alcoolica per azione della luce assai più lentamente del benzofenone; però se la insolazione viene sufficentemente prolungata, la trasformazione è completa anche in questo caso. (1) Beilstein 3* ediz. III, 1105. — 583 — Una prima esperienza fatta in primavera con 26 giorni d’insolazione, ci dette da 15 gr. di acetofenone e 100 c. c. d’ alcool assoluto, solamente 1,7 gr. di prodotto. Ripetendo la prova in estate e prolungandola per molti mesi (dal 23 V al 10 XI) invece si ebbe una completa trasformazione del- l’ acetofenone. L’ esperienza venne eseguita con 20 gr. di acetofenone e 80 c. c. d’ alcool assoluto. La soluzione leggermente gialla venne distillata a b. m. L’ alcool con- tiene abbondantemente |’ aldeide acetica. Il residuo è una massa vischiosa, che non ha quasi punto odore d’ acetofenone ; stando per qualche tempo sul- l’acido solforico si riempie a poco a poco di cristalli. Tutta la massa venne sottoposto ad un trattamento sistematico con etere di petrolio, per cui si riusci facilmente a separare una prima parte che fondeva a 122°. Sono i pris- metti splendenti, senza colore dell’ acefofenonpinacone. Gli Autori ne danno il punto di fusione a 120° (1). Analisi: Sostanza 0,1858 gr.; CO, 0,5394 gr.; H,0 0,1276 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,y77,0; 7-7 ds _—__e-°}, _r-_sm—__ C TELI 79,34 ll 7,63 7,44 Dopo i-cristalli fondenti a 122°, si separarono dei mammelloncini che fondevano a 80°-90°. Quale residuo si ebbe in fine un’olio denso, senza colore, in piccola quantità (circa 4 gr.), che però anch’esso avea tendenza a cristallizzare: si può dire però che tutto l’ acetofenone si sia ridotto. In quanto alla parte più facilmente fusibile (80-90°) é da notarsi, che anche Thòrner e Zincke, (2) che prepararono l’ acetofenonpinacone, parlano d’ un’ altro prodotto, fondente a 107-108°. Questa seconda sostanza sara probabilmente l’ altro stereoisomero (isoacetofenonpinaconhe) previsto dalla teoria. Noi non siamo riusciti a separare dalla parte fusibile a 80°-90° un composto unico; dopo varie cristallizzazioni dell’ etere petrolico si ebbero sempre dei mammelloni che fondevano fra 80° e 100°. Siccome, in fine, non era nostro compito di studiare le isomerie di questi corpi, non ci siamo dati altra briga per ottenerne la separazione completa. Si può dire che senza alcun dubbio l’ acetofenone per azione della luce reagisce (1) Beilstein, 3* ediz. II, 1103. (2) Berichte 11, 1992. Serie V. — Tomo IX. 73 — 584 — sull’ alcool secondo la equazione: CH, CH CH. 2C0 +C,H0=H0-C — C-0H+C,H,0; CH, CH, CH; in questo processo, che avviene lentamente, si formano assai probabil- mente entrambi gli stereoisomeri, di cui si trova in minore quantità, quello che fonde a, 122°. Aldeide benzoica. Venne esposta al sole una soluzione di 8 gr. d’ essenza di mandorle amare in 25 c. c. d’ alcool assoluto per circa 7 mesi (dal 7 V al 22 XI). Il liquido diventa giallo e mostra una lieve fluorescenza ver- dastra. Distillando passa l’ alcool assai ricco di aldeide acetica; il residuo è una massa sciropposa che non ha punto odore di mandorle amare e che stando nel vuoto incomincia tosto a cristallizzare. È assai facile ottenere questo primo prodotto allo stato di perfetta purezza; si tratta a tale scopo la massa con benzolo e qualche goccia d’ etere petrolico e si filtra. La parte cristallina, che resta sul filtro, viene purificata ulterior- mente dal benzolo ; si presenta in pagliette bianche di splendore sericeo. Fonde a 138-139° ed ha tutte le proprietà dell’ idrodenzoino. Analisi: Sostanza 0,1682 gr.; CO, 0,4850 gr.; H,O 0,1030 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,,H,,0, ss — _—_—_—____ 385 Doo” C 78,64 78,50 H 6,80 6,04 Il punto ‘di fusione coincide assai bene con quello trovato da Paal (1) 138°, Forst e Zincke invece trovarono 134°. La parte resinosa solubile nel benzolo, dopo avere eliminato quest’ ul- timo, venne distillata con vapore acqueo; passano piccole quantità di un’ olio dall’ odore caratteristico dell’ etere benzoico; 1° ebollizione con acqua è vantaggiosa non soltanto per togliere questo prodotto, ma conviene insistervi anche dopo che tutta la parte volatile é passata, perché così si riesce ad estrarre dalla resina che rimane indisciolta, una parte cristallina, (1) Beilstein, II, 1100. — 585 — solubile nell’ acqua calda. Si decanta il liquido dalla massa oleosa, che per raffreddamento diviene dura e friabile. La soluzione acquosa deposita col raffreddamento dei cristalli senza colore e trasparenti, che stando sull’ acido solforico sfioriscono; vennero perciò deacquificati a b. m. e poi fatti cri- stallizzare dal benzolo. Si ebbero così tavolette senza colore che fonde- vano a 121°. Il prodotto non è altro che l’ isoidrobenzoino, di Forst e Zincke (1), il quale secondo questi Autori fonde a 119-120°. Analisi: Sostanza 0,1642 gr.; CO, 0,4714 gr.; 4,0 0,0976 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,,H,,0, is _ —_ arr ° £®®©<— _- C 78,29 78,50 eli 6,60 6,94 Il liquido acquoso da cui si separano i cristalli ora descritti, cede all’ etere dell’ altra sostanza cristallina che è formata in gran parte dal- l’idrobenzoino (p. f. 138-139°) e che contiene piccole quantità di acido benzoico. Ci restava ancora ad esaminare la sostanza resinosa, problema questo naturalmente di assai dubbia riuscita. La resina, come si disse, è bella, dura, fragile. Per toglierle ogni sostanza estranea venne bollita a lungo con acqua. La ulteriore purificazione si fece sciogliendola nel benzolo e precipitando con etere petrolico. Il prodotto cosi ottenuto è una polvere bianea e leggera; fonde a 100-101°. All’ analisi dette gli stessi numeri dell’ idrobenzoino. Analisi: Sostanza 0,1566 gr.; CO, 0,4502 gr.; H,0 0,0936. In 100 parti: trovato calcolato per C.H.O A gn C 78,40 78,590 H 6,64 - 6,54 Dopo ciò interessava determinare il peso molecolare; venne fatta una determinazione in acido acetico glaciale che condusse ad una formula qua- drupla, ossia circa 8 volte l’ espressione più semplice C./4,0. (1) Beilstein II, 1102. — 586 — peso molecolare concentrazione abbassamento trovato calcolato per (C,77,0,) TT SS AT eàÈ Ps Prg TT ta —__G — 0,960 0°, 06 800 846 2,634 0°, 16 823 Trattandosi di sostanza amorfa, di cui manca ogni criterio sicuro per garantirne la purezza, a questi numeri non si può attribuire che un valore assai relativo. Il rendimento dei prodotti ora descritti è il seguente : la trasformazione dell’ aldeide benzoica era completa; da 8 gr. si ebbero 4,9 gr. di prodotti cristallini e 2,7 gr. di resina. La formazione degli idrobenzoini può essere espressa dalla seguente equazione : C.H. 6545 2. +C,H,0=C,H,. CHOH-CHOH-C,H,+ C,H,0 CHO aldeide benzoica alcool idrobenzoino ed isoidrobenzoino aldeide Per ultimo vogliamo accennare che anche da sola, l’ aldeide benzoica alla luce si trasforma e dà segnatamente una materia resinosa molto simile a quella ora descritta; le esperienze in proposito non sono ancora finite e però in altra occasione ritorneremo su questo argomento. Aldeide anisica. S' é detto già più sopra che le aldeidi aromatiche conte- nenti ossidrili non agiscono coll’ alcool: ! aldeide salicilica e la paraossi- benzoica restano inalierate; cosi fa pure il piperonalio ; 1’ aldeide anisica invece dà piccola quantità di idroanisoino. Venne esposta alla luce per 7 mesi (del 7? V al 30 XI) una soluzione di 6 gr. d’ aldeide anisica in 20 c. c. d’ alcool. Il liquido diventa giallo con leggera fiuorescenza verde. L’ alcool contiene aldeide acetica; il residuo della distillazione, che è liquido, dopo qualche tempo cristallizza. La quan- tità di materia cristallina è però assai lieve: soltanto 0,4 gr. Distillando la parte liquida con vapore acqueo passa tutta l’ aldeide rimasta inalterata (4,5 gr.) e resta indietro una resina (1 gr.) Il distillato acquoso, separato dall’ aldeide, cede all’ etere una piccola quantità dei cristalli anzidetti. Tutta la parte cristallina venne trattata da prima con carbonato sodico per toglierle piccole tracce di acido anisico ed indi cristallizzata dal benzolo. Il prodotto così ottenuto fonde a 174° ed ha le proprietà dell’ idroanisoino, il quale secondo Samosadsky (1) fonde a 172°. Non lo abbiamo analiz- (1) Beilstein II, 1119. — 587 — zato, avendo analizzato il prodotto ottenuto in soluzione eterea, come si vedrà più avanti. Non ci é stato possibile di rintracciare l’ isoidroanisoino. Benzoino. Dopo quanto abbiamo esposto, era da prevedersi che la luce in una soluzione alcoolica di benzoino avrebbe dovuto dare origine alla formazione dei due idrobenzoini, e così avviene realmente. La soluzione esposta alla luce conteneva 10 gr. di benzoino in 30 c. c. d’ alcool. L’ esposizione durò 4° mesi (dal 8 V al 18 IX) e durante questo tempo i cristalli poco solubili del benzoino vanno, a poco, a poco, scom- parendo, tanto che, dopo il periodo indicato, si ha una soluzione completa, debolmente colorata in giallo. Distillando l’ alcool si avverte che si é for- mata molta aldeide. Il residuo è un liquido oleoso, denso e bruno, che dopo molti giorni si riempie di cristalli. Trattando ripetutamente tutta la massa con etere petrolico a caldo, resta indietro la maggior parte di essa in forma d’ una resina giallobruna (6,6 gr.), mentre la parte cristallina passa in soluzione. Dall’ etere questa cristallizza per raffreddamento. Dopo essere stata trattata con carbonato sodico, per togliere piccole quantità di acido benzoico, venne purificata dal benzolo. Da prima si ottennero le caratteristiche pagliette dell’ idrobenzoino, che fondevano a 137°. Analisi: Sostanza 0,1192 gr.; CO, 0,3438 gr.; H,0 0,0726 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,,H,,0, MIE NA ia CA i3:00 78,90 oo, 6,94 Dal liquido benzolico si separarono poi le tavolette caratteristiche del- l’ isoidrobenzoino, che fondevano a 121°. La formazione degli idrobenzoini può rappresentarsi col seguente sche- ma, ma con questa rappresentazione schematica non si tiene conto natu- ralmente della resina, che in questo caso si produce in quantità prevalente. C,H,- CO - CHOH - C,H,+ C,H,0= C,H,- CHOH - CHOH - C,H,+ C,H,0 benzoino idro - ed isoidrobenzoino aldeide Comportamento delle soluzioni eteree. Sul contegno delle soluzioni eteree alla luce ha fatto alcune importanti osservazioni il Klinger (1), il quale, contemporaneamente alle nostre prime (1) Berichte 19, 1870. — 588 — esperienze sul chinone in soluzione alcoolica, trovò che il fenantrenchi- none ed il benzile in soluzione eterea per azione della luce danno rispat- tivamente fenantrenidrochinone e benzilbenzoino (2 C,H,- CO. CO-C,H,, C,H,- CO - CHOH - C,H,), mentre si produce aldeide. Egli attribuisce questa azione alla presenza dell’ acqua ed operò anzi con etere umido. Noi pos- siamo confermare queste osservazioni; nella maggior parte dei casi l’ etere agisce come l’ alcool ed é probabile assai che la presenza dell’ acqua age- voli o determini l’ azione riducente. Anzi alcune volte sembrerebbe che coll’ etere certe reazioni avvenissero più facilmente che coll’ alcool. L’ azione dell’ etere sui corpi contenenti gruppi carbonilici in presenza della luce, non può però sempre attribuirsi alla presenza dell’ acqua, perché anche con etere assoluto ed evitando, per quanto è possibile, l’accesso all’ umidita, avvengono egualmente bene delle complete trasformazioni. In questi casi la reazione è più complessa, perché si formano dei prodotti in cui l’ etere stesso entra a far parte dei medesimi. La difficoltà che abbiamo fin’ ora incontrato nello studio di queste reazioni, risiede nelle proprietà di questi prodotti, che sono oleosi o resinosi, per cui non ci fu possibile di sepa- rarli allo stato puro. Chinone. Il comportamento del chinone in soluzione eterea è uno dei più appariscenti. Esponendo in tubo chiuso una soluzione eterea di chinone ordinario alla luce (p. es. della concentrazione di 1 a 30) si vedono dopo poco tempo, anche dopo un’ora se la radiazione é sufficiente, separarsi dei cristalli neri, con riflessi metallici, probabilmente di chinidrone, i quali a poco a poco, più sollecitamente se la soluzione è diluita, vanno spa- rendo in modo che il liquido riacquista quasi il suo aspetto primitivo. Se la soluzione é diluita (1:30) tutto il fenomeno può compiersi in un giorno, se si hanno soluzioni più concentrate (1:10) la seconda fase del processo è assai più lenta e può durare anche due mesi (inverno). Inoltre anche lo strato del liquido esposto alla luce ha un’influenza sulla velocità di tra- sformazione, la reazione si compie assai meglio in tubi, che in matracci. Impiegando etere assoluto ed avendo cura di evitare possibilmente l’ umidità, 1’ etere distillato ed agitato con acqua non cede a questa che tracce di aldeide. Se l’ etere era umido, quest’ ultima invece é più abbon- dante. Il residuo è uno sciroppo brunastro in cui, stando nel vuoto, comin- ciano a deporsi cristalli di idrochinone. Questi possono naturalmente essere assai facilmente separati e purificati, invece é assai difficile di eliminare tutto l’idrochinone dalla sostanza oleosa che contemporaneamente si forma. Noi non siamo riusciti però ad avere questa allo stato di sufficiente purezza. Trattando il residuo con benzolo, gran parte dell’ idrochinone rimane indi- sciolta, filtrando si ottiene un liquido che però ne contiene ancora. Siccome la parte oleosa non può distillarsi anche nel vuoto senza parziale decom- — 589 — posizione, l’ abbiamo trasformata in composto acetilico con la speranza di potere ottenere quest’ ultimo allo stato di sufficiente purezza. Il prodotto acetilato (con anidride acetica ed acetato sodico) passava a 16 mm. fra 180° e 210°; si ebbe un’olio giallo, da cui, dopo poco tempo, si separa- rono dei cristalli di diacetilidrochinone. Tolti questi e ridistillato il rima- nente più volte, abbiamo raccolto una porzione, che a 13 mm. bolliva a 179-181°. Anche questa conteneva però diacetato di idrochinone. La spe- ranza di avere puro il derivato acetilico non s’ è confermata. Questo pro- dotto sebbene non privo di acetilidrochinone, è interessante perché contiene il radicale ossietile. Analisi: Sostanza 0,1758 gr.; CO, 0,4048 gr.; H,O 0,1066 gr.. Sostanza 0;3282 eri; Ag/ 02567 gr.. In 100 parti : (0; 62,79 H 6,74 OC,H, 14,98 Questo dimostra che nell’ azioae dell’ etere sul chinone, oltre all’ idro- chinone, si produce un composto che contiene l’ ossietile e che però deve essersi formato a spese dello stesso etere dietilico. In ciò evidentemente deve ricercarsi la causa per cui l’ etere può agire anche se privo di umi- dità. Quale sia la natura della sostanza che si produce non è possibile affermarlo con certezza perché l’ analisi qui riportata non è fatta con sostanza sufficientemente pura. Benzofenone. Anche il benzofenone si altera in soluzione eterea. La solu- zione di 12 gr. di benzofenone in 80 c. c. d’ etere anidro, rimase esposta alla luce per molti mesi (dal 23 III al 28 XII). Il liquido diventa giallo e in esso vanno a poco a poco formandosi delle croste cristalline. Nel- l’ etere distillato non v’ é aldeide. Il residuo venne estratto con etere petro- lico a freddo il quale scioglie la parte non cristallizzata. I cristalli (9,7 gr.) vennero purificati dall’ alcool; aveano tutta la proprietà del denzopinacone. Fondevano a 186°. Mentre in soluzione alcoolica si forma soltanto questo prodotto nel caso attuale oltre al benzofenone c’ é una materia sciropposa, che nel trattamento anzidetto rimane disciolta nell’ etere petrolico. Elimi- nando il solvente, resta indietro allo stato d’ un olio denso giallo bruno, che come nel precedente caso del chinone, non abbiamo potuto ottenere allo stato di sufficiente purezza. Lo sciroppo pesava 5,9 gr., per cui da 12 gr. di benzofenone si ebbero 15,6 gr. di prodotto, il che dimostra come realmente l’ etere entri a far parte delle sostanze che si producono nella reazione. — 590 — Acetofenone. La soluzione di acetofenone in 6 parti di etere anidro rimase esposta per circa due mesi (dal 26 II al 24 TV). L’ etere distillato non con- tiene aldeide. Il residuo è una massa vischiosa, che contiene ancora aceto- fenone, da cui venne liberata per distillazione con vapore acqueo. Resta in dietro una specie di resina, da cui per trattamento con etere petrolico poté ottenersi l’ acetofenonpinacone dal punto di fusione 120°. La parte mag- giore del prodotto costituisce una materia vischiosa colorata in giallo bruno che non è possibile purificare. Saggiata col metodo di Zeisel essa dimo- stra contenere il gruppo ossietilico. L’ azione dell’ etere è anche qui simile a quella che si compie col chinone e col benzofenone. Se l’azione della luce viene sufficientemente prolungata (dal 26. II al 10. I (1901) il prodotto non contiene più acetofenone inalterato, come quando si impieghi 1° alcool. Aldeide benzoica. La soluzione, esposta alla luce per molti mesi (dal 9. III al 22 XI), contenente 3 gr. di aldeide benzoica in 20 c. c. d’ etere asso- luto, venne distillata. L’ etere anche in questo caso non conteneva aldeide acetica. Il residuo, una resina sciropposa, non ha più odore di mandorle amare. Distillandola in corrente di vapore acqueo passa un’olio in piccola quantità d’ odore particolare. La parte che resta indietro indisciolta e che costituisce la maggior quantità del prodotto è una vera resina, dura e fragile; pesava 3,1 gr. Il liquido acquoso con cui fu bollita, dà, per sva- poramento, dei cristalli che vennero purificati dal benzolo. Sono formati in parte da idrobenzoino, dal punto di fusione 137°, ma oltre a questo si ebbe una sostanza, che cristallizza, dopo che sé separato l’idrobenzoino, per ulteriore concentrazione della soluzione benzolica, in tavolette dal punto di fusione 144°. Questa si ottenne in così piccola quantità che non s’ è potuto determinare la sua composizione. L’ esperienza, a questo scopo, andrebbe ripetuta su larga scala. Aldeide anisica. Venne esposta per due mesi (primavera) una soluzione di 2 gr. dell’ aldeide in 20 c. c. d’ etere. Si depositano cristalli che vennero separati dal liquido ; questo, distillato, lascia indietro un’ olio giallo conte- nente ancora aldeide anisica inalterata; dopo lungo riposo si separano degli altri cristalli, in tutto però soltanto 0,15 gr. Purificati dall’ alcool fon- devano a 173°. Il prodotto non è altro che 1’ idroanisoino. C,H,(0CH,)-(CHOH)- CHOH-C,H,(0CH,). Analisi: Sostanza 0,1044 gr.; CO, 0,2688 gr.; 4,0 0,0646 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,yH,s0, CAMM0:22 70,07 H 6,87 6,57 — 591 — Isatina. L’isatina é una di quelle sostanze che alla luce si trasforma meglio in soluzione eterea, che in soluzione alcoolica. Esponendo per 2 mesi (inverno) un tubo contenente 0,5 gr. di isatina e 30 c. e. d’ alcool, sì riottiene l’isatina inalterata. Altrimenti invece si comporta |’ isatina nel- l’ etere L’ esperienza venne eseguita esponendo per un mese (inverno) un tubo contenente 1 gr. di isatina e 40 c. c. d’ etere assoluto. I cristalli rossi d’isatina vanno a poco a poco scomparendo, menire sulle pareti del tubo va formandosi uno strato d’ una materia giallastra pulverulenta. L’ insola- zione venne interrotta quando fra la polvere giallastra non si poteva più scoprire la presenza di frammeuti dei cristalli rossi d’ isatina. Si filtrò e si agitò |’ etere con acqua, che dette un lieve specchio d’ argento. La polvere gialla venne analizzata direttamente; non siamo riusciti a farla cristal- lizzare dagli ordinari solventi, perché una volta disciolta non si separa più cristallina e sembra alterarsi. Essa fonde a 217°, ma incomincia a ram- mollirsi a 190°. IL’ analisi conduce alla formula C.H,NO,, che sarebbe quella dell’ idroisatina di Baeyer (1), a cui la nostra sostanza corrisponderebbe sensibilmente anche per le sue proprietà. Analisi: Sostanza 0,1632 gr.; CO, 0,3888 gr.; H,0 0,0708 gr.. ag00Rparti : trovato calcolato per C,H,0,N > — e — (E 64,98 64,43 H 4,82 4,69 Comportamento della vanillina. Finiremo questa Memoria trattando del contegno dell’ aldeide vanillica alla luce, che é essenzialmente diverso da quello di tutti i corpi di cui si parlò fin’ ora. La vanillina in soluzione alcoolica, eterea o acetonica si tra- sforma, in piccola parte, nella cosidetta deidrovanillina, scoperta molti anni or sono dal compianto Tiemann (2), che l’ ottenne per ossidazione della vanillina con lievi ossidanti, quale ad es. il cloruro ferrico. Essa è un deri- (1) Berichte 12, 1309. (2) Berichte 18, 3493. Serie V. — Tomo IX. 74 — 592 — vato del difenile e le spetta la formola: C;H,(0H)(0CH,) (CHO) CHR(0HKOCHA(CILO) La sua formazione per azione della luce non è facile a spiegarsi, sopra tutto perchè non possiamo dire quale sia la sorte della molecola d’idro- geno che viene eliminata. Esponendo alla luce una soluzione di 8 gr. di vanillina in 25 c. ce. d’ al- cool, già dopo due giorni (autunno) incominciano a deporsi dei piccoli mam- melloncini bianchi, mentre il liquido imbrunisce. La quantità di materia solida, che cosi sì va formando, é però sempre esigua anche dopo una lunga insolazione (dal 25 IX al 14 XII oppure dal 8. V al 14. XII). Dopo l’insolazione, si separarono i eristalli dal liquido, che venne distil- lato. Naturalmente non contiene aldeide. Il residuo è colorato in bruno ed è formato da un po’ di resina (0,6 gr.) e di vanillina inalterata, che può facilmente ottenersi pura coll’ etere petrolico. I cristalli sopra citati ven- nero purificati dall’ acido acetico glaciale, da cuì si separa la deidrova- nillina in aghetti, che fondevano a 305°. Tiemann da il punto di fu- sione 303-304°. Ania tasti Sostanza 0,0990 gr.; CO, 0,2286 gr.; H,0 0,0436 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,H,,0; n — T—T—T_ sso Pl ___ CI ME297 63,57 H 4,89 4,63 Il rendimento è come s’ é detto assai piccolo: si ebbero dagli 8 gr. di vanillina soltanto 0,3 gr. di prodotto. Abbiamo sperimentato se per avventura si trattasse d’un ossidazione a spese dell’ ossigeno dell’ aria, che venisse favorita dalla luce. Questo invece non è il caso, perché anche in una atmosfera di anidride carbo- nica si ha lo stesso fenomeno. Per ultimo diremo che il comportamento della vanillina non sembra essere un caso isolato; secondo un’ esperienza, che é ora in corso, sem- brerebbe che anche la cumarina si trasformasse alla luce in un’ analogo derivato del difenile con eliminazione d’ idrogeno. DI UN SENSIBILE AUMENTO DI VOLUME negli aghetti di Rutilo (Sagenite) diffusi nei limpidi cristalli di Quarzo NOTA DEL Prof. LUIGI BOMBICCI (Letta nella Sessione del 1.° Dicembre 1901). Il fatto che parmi meritevole di esser conosciuto dai cultori della fisica dei cristalli, sebbene di limitatissima manifestazione, consiste semplice- mente nell’essersi allungati di qualche frazione di millimetro alcuni degli aghi o fascetti sottili e rettilinei del biossido di titanio, (Rutilo, var. Sa- genite), i quali vedonsi inclusi copiosamente e confusamente nelle bellis- sime limpidità dei grossi cristalli di quarzo del Brasile. L’allungamento, al di fuori della sostanza continua del quarzo, la quale racchiude con completa e perfetta adesione gli aghetti di rutilo, si é pro- dotto in quelle estremità degli aghetti stessi che risultarono libere ed affio- ranti alla superficie in conseguenza di tagli praticati nei pezzi di quarzo per rendere più visibile la diffusione interna (Es. N. 44737, 44738, 44739). ll loro consecutivo sporgere, al di fuori del Quarzo non incontrava ostacoli. Il fenomeno avvertesi facilmente allorquando, maneggiando occasional- mente i pezzi di quarzo colle superficie dei suddetti tagli, e scorrendovi colla mano, quasi accarezzandoli, sì ha l'impressione come di piccole punte, o capocchie di esili spilli sporgenti e resistenti; le quali punte o capocchie assolutamente non potevano accompagnare immediatamente il lavoro mec- canico del taglio, perché la politura a lucido perfetto le avrebbe neces- sariamente abrase e distrutte. Sussisterdo il fatto, è naturale la ricerca della causa. L’idea di un aumento di volume per modificazione chimico-molecolare, per es. di ossidazione o idratazione, non é ammissibile nel caso che si considera, sia perché nel biossido di Titanio cristallizzato l’ossidazione può dirsi completa, mentre veruna traccia di idratazione non si avverte nella Sagenite capillare, continuamente esposti all’aria anche umida delle col- — 594 — lezioni; sia perché esaminate colla lente le sporgenze degli aghetti negli esemplari sezionati si riscontrano affatto inalterate. Dunque l’aumento di volume per allungamento é un fenomeno di dila- tazione fattasi permanente nei cristalli già solidi di un composto anidro e inalterato ; è un fenomeno di movimento molecolare, per un nuovo assetta- mento cristallino ; è una dimostrazione della possibilità di moti intimi delle particelle cristalligene, moti consecutivi alla costituzione dei cristalli, e dopo un periodo indefinito di tempo dal momento della loro origine. Ciò ammesso l’importanza scientifica del fatto risulta palese ; la mobi- lità molecolare nei solidi assoluti, quali sono i cristalli, elevatasi al grado dei mutamenti strutturali, alla ordinaria temperatura e ordinaria pressione, é condizione di primo ordine per lo studio dei metamorfismi litologici, di parecchie pseudomorfosi, delle purificazioni progressive di non poche ma- terie cristallizzate e inquinate da diffusioni eterogenee. Ed infatti fu accolta con grande interesse e meraviglia l’esperienza della artificiale geminazione indotta nei romboedri di spato calcare insinuando il taglio di un coltello perpendicolarmente ad uno spigolo ottuso ; alla quale esperienza, dovuta al Reusch può ravvicinarsi quella descritta dal G. Friedel della geminazione indotta nei cristalli di cloro-alluminato idrato di calcio colla semplice compressione salvo le riserve presentate dall’Au- tore. (Bullet. Soc. Rranett dehminery pil XX 1897) ipa gali23): Restami ad accennare l’idea che sembrami ammissibile per la spiega- zione del fenomeno. È fuori di dubbio che le diffusioni cosi eleganti e cospicue del bios- sido di titanio capillare (Sagenite), entro il biossido di silicio (Quarzo) in cristalli, bene spesso voluminosi, rappresentano una simultanea azione delle due sostanze in quegli spazi che si trovano occupati dai cristalli medesimi. Sarebbe assurdo il pensare che i delicatissimi e capillari fili cristallini del Rutilo abbian potuto penetrare la sostanza dei cristalli di quarzo, sia pure nella fase della loro non peranco compiuta disidratazione, quindi di una probabilissima temporanea, iniziale mollezza gelatinoide. Né potreb- besi d’altronde supporre che la materia silicea, predisposta a farsi quarzo cristallizzato e duro, abbia incontrati e investiti i ciuffi rarefatti di Rutilo capillare, per avvilupparli, rispettando quasi sempre ia perfetta rettilineità di lunghezza e di isolamento, anche di quelli estremamente fini. Del resto, basta uno sguardo agli esemplari del nostro Museo, con i n. 4399, 4402, 43406, di catalogo per convenire che, in generale, le sostanze cristallizzate, incluse in altri maggiori cristalli, segnatamente in quelli della si- lice quarzo, debbono avervi preso posizione simultaneamente, ossia durante —1999 — lo stesso periodo del lavoro cristalligeno di solidificazione; nel periodo cioé, in cui, completandosi la costituzione chimica e la solidificazione della massa, mercé la generazione delle particelle cristalligene iniziali, queste si anda- vano disponendo per la struttura e simmetria regolare che loro compe- teva. Nell’esemplare 4414 vedesi un grosso e limpido cristallo, il cui prisma colla rispettiva base, e la cui piramide, sono state lavorate a polimento per farne viemeglio visibili gli aghetti di Rutilo inclusi; e nell’ interno scorgonsi questi aghetti; non già disposti in modo confuso o sparpagliati; bensi quasi eguali e diritti, come aghi metailici che paiono di rame forbito, tutti irraggianti da una specie di nuvoletta data dall’inalbamento circo- scritto presso una faccia dei cristallo, della silice stessa. Ciò naturalmente non impedisce che nell’ambiente di cristallizzazione promiscua, ma al di fuori dei singoli cristalli, negli spazi liberi, possano il Rutilo, il Quarzo e parecchie altre sostanze, eventualmente concomitanti, cristallizzare con piena indipendenza di tempo, di durata di lavoro, di posizione rispettiva, di quantità e di dimensioni degli individuì poliedrici. È lecito adunque il supporre che negli esemplari di Quarzo con Rutilo sulle cui superficie di taglio e di successivo polimento si avvertono le sporgenze acuminate o globulari degli aghetti o fascetti sottili inclusi, questi fascetti, dopo di essere stati completamente avviluppati dalla materia sili- cea cristallizzante, sieno stati fortissimamente compressi durante la fase finale della definitiva consolidazione del quarzo. La materia di questo, con- traendosi per l’assettamento di struttura in seguito alla disidratazione totale, ovvero per una progressiva, lenta diminuzione di temperatura dell’ambiente, esercitava siffatta pressione, in seguito alla quale restava immagazzinata nell’assettamento di taluni aghi del Rutilo, una quota di energia di rea- zione; rimaneva latente finché l'involucro mantenevasi intiero e resistente; ma pronta a palesarsi con un mutamento di posizione, in uno spazio mag- giore, in quelle parti che per avvenute sezioni restavano scoperte, sottratte alla pressione dell’ involucro siliceo, ossia libere di assumere nuove e più equilibrate orientazioni. In conclusione, il tenuissimo fenomeno dell’allungamento di pochi aghet- tini di Rutilo, fattisi sporgenti dalle superficie già completamente liscie di pezzi di quarzo titanifero, e prodotto da tagli artificiali, anzi che essere un episodio insignificante nella fisica dei cristalli é un nuovo documento istruttivo. e utilissimo nella storia della perduranza dei moti molecolari nei cristalli del regno minerale; vale a dire, di uno degli incentivi massimi delle lente ma potenti attività di metamorfismo nelle rocce effettivamente o potenzialmente cristalline. I e no TE Y NINE, VER ICE: BROLO CI SETE a Hel; Pnp vg i Mi PAR ORC HORA ù SMI, foi. iter; ti : REST, i vati | 0 tema A Ra VAT a A A a TOA (ALe hier: i Dora j Du gin sii ” fosco RIO, foi uu (Ar Pani, Mas lip Migone: usi stia | Ln NEI: ja ar I: 100, Mina. 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Mallard (1), sulla frequente mnimesia nei cristalli non titani- feri della specie minerale — Granato isometrico; il grande numero di varietà di quella medesima specie, alcune delle quali scoperte recentemente, ad es. le rosee di Xalestoc (Morelos, Messico), le verdi-smeraldo nello spato calcare bianco e nella pirossenite grigia di Orford (Canada), indicanti al- cune probabili sostituzioni di radicali metallici diversi dai consueti, oltre le variazioni nelle percentuali di questi stessi radicali; inoltre, la istrut- tività singolare del gruppo dei granati per la ricerca delle correlazioni fra le proprietà chimiche e fisiche dei cristalli rispettivi e quelle delle rocce dei rispettivi giacimenti; finalmente i nuovi dati forniti sulla composizione dei silicati in generale e dei granati in particolare dalle ultime edizioni dell’ opera di Dana (2), e da quella già inoltrata nella stampa del- l’Hintze (3), danno all’argomento della costituzione fisica, cristallina di questi silicati notevolissimi, in ordine alla rispettiva formula generale di costituzione chimica e di struttura, una sufficiente attrattiva per il tenta- tivo di semplicizzazioni razionali e di migliorata classificazione. (1) Mallard. E. Traitè de Cristall. géom. et phys. (texte et Atlas. 1879). (2) Dana. The system of mineralogy. New York. 1892. (3) Hintze. Handbuch der mineralogie. Leipzig, 1897. — 598 — Danno prova di ciò le pubblicazioni ancor fresche del Brogger, del Bachstroo mm; dellWietus'chenk, (del'iLaerox: Per mio conto ho già dimostrato, in altre Memorie e Note (4), che la costituzione chimica dei principali tipi di silicati minerali, implicitamente del tipo granato, può essere derivata molto semplicemente, e con sicurezza aritmetica, dalle formule delle tre combinazioni tipiche della molecola sili- cea SÒ, coll’acqua; vale a dire dagli acidi : metasilicico —#S40 GE LOSE: ortosilicicogi—#S 04-20 RCSSPANO, e dbidrator—#S4OM = StH50 VI _RSRAO: ovvero Sé0O,, + RO, Basta difatti la sostituzione di altri atomi metallici a quelli d’idrogeno — conservando in ogni formula il rapporto delle atomicità — per veder trasformate le formule precedenti in quelle dei tipi iniziali di silicati; cioé: Si H, 0, = SiR O, metasilicato del tipo PiIROSSENO SUI _S7 R, O, ortosilicato del tipo PERIDOTO ISAHMO SiAL,O, silic. di R, del tipo ANDALUSITE (5) Se non che, fa d’uopo preferire per siffatte trasformazioni nella serie dei silicati, alla ipotesi delle condensazioni chimico-molecolari, con perdita di molecole d’acqua ete., troppo generalizzata, quella della sintesi meccanica, o fisico-cristallina (poligenica), delle rispettive particelle solide; ossia di gruppi molecolari di composizione specifica definita, intieri, e fra loro dinamicamente equilibrati. Sperimentando tale concetto cosi semplice e razionale, oggidi adottato e applicato frequentemente da mineralisti auto- revolissimi (V. Parte II), si verifica immediatamente, auspice l’aritmetica, che i più elevati tipi della famiglia intiera dei silicati possono dedursi dalle somme dei tipi sopra riportati; si verifica cioé la possibilita che la sostanza dei silicati di composizione elevata, o complessa, derivi appunto dalla associazione regolare, cristalligena delle sostanze pirossenica, peridotica e alluminica (andalusitica), in equilibrio reciproco ed in proporzioni variabili. È indubitato, per es., che la somma della formula di un pirosseno normale Si RO, con quella di un peridoto St A, O, dà esattamente la formula ge- nerale complessa del serpentino Si, A, 0,; analogamente, che la somma della (4) Bombicci: Corso di mineralogia. 1875, vol. 2, pag. 658 e seg. La teoria delle assoc. polig. applic. allo studio dei silicati minerali 1868. Nuovi studi sulla Poligenesi ecc., parti I, II, III. 1880... 1884; e altre. VI (5) l, è generalmente Ai; e può considerarsi derivante da una molecola di due atomi di Al te- travalenti, legati dalla neutralizzazione reciproca di due delle loro atomicità rispettive. — 599 — formula del pirosseno c. s., con quella del silicato di alluminio (tipo andalusitico), genera esattamente quella del tipo normale feldispatico : Si, R AI, O, concretato effettivamente (con A = Ca) dal feldispato Anortite. Si vede pure immediatamente che la semplice aggiunta, nell’ edificio molecolare, e come elemento di cristallizzazione, al tipo anortitico sud- detto di 1, di 2, di 4 e di 5 molecole di silice dà le formule speciali degli altri feldispati Labradorite, Oligoclasio, Ortose ed Albite; donde i vari PLAGIO» CLASI, che da oltre trent'anni sono considerati dai cristallografi e mine- ralogisti, approvanti la così detta teoria dello Tschermak, come asso- ciazioni meccaniche e regolari di sistemi reticolari di particelle di Labra- dorite, o di Oligoclasio, con analoghi sistemi reticolari di Albite; condizione questa di vera poligenesi, resa evidente dalla diretta osservazione col po- lariscopio, e tale da prestarsi alle più sobrie ma più opportune generaliz- zazioni. Ecco, adesso il risultato della somma aritmetica tutte tre le formule c. s. : SCORE RAMATIO:, Questo risultato é precisamente la formula empirica del tipo Granato. Anche in questo caso, per ispiegare correttamente le varianti che son talora segnalate dalle analisi, oltre quelle imputabili alla tecnica del pro- cesso analitico, basta supporre nel composto corrispondente la semplice aggiunta di piccole e variabili quantità di sostanze non necessarie, ma presenti nello spazio del lavoro cristallogenico; sostanze subordinate a questo lavoro, sia in istato di diffusione, sia in istato di interposizione in direzioni date, (per es. il Rutilo 77 0). Che in quest'ordine d’idee s’invochi la coesistenza nella costituzione specifica di taluni silicati cristallizzati, di tre, e talvolta di più gruppi molecolari di monosilicati; ovvero, che in altri casi, s'invochi l’intervento di sostanze diverse, in miscuglio meccanico non inerte nella struttura com- plessiva, non può sorprendere ; né può giudicarsi quale una novità gratuita, priva di analogie e di conferme. La chimica organica suppone ed ammette “coesistenze di ordine ben più elevato ; la cristallogenesi di laboratorio ci fa vedere possibile, anzi facile, il produrre cristalli artificiali con tre, quattro e più sali omeomorfi, ed il mantenere separati i sistemi reticolari di questi in istrati alternanti, di spessori variabili; ovvero, lasciarli mescolati più o meno omogeneamente. Nella collezione del Museo mineralogico di Bo- logna si conservano stupendi cristalli artificiali poligenici, nitidi e grandi nei Serie V. — Tomo IX. 75 — 6090 — quali un nucleo (PMe') di solfato di cobalto (Co.S0,.7Ag9) è avviluppato da strati di solfato di nichel (Né SO,.749) alla lor volta rivestiti da altri di una miscela di solfato di nichel e di solfato di magnesio; il tutto essendo limitato all’esterno da un magnifico cristallo emiedrico (fig. C) di solfato di magnesio puro (Mg.SO,.? Ag). Nei cubi di Boleite, colle alter- nanze della Boleite e della Cumengeite si scorgono le diffusioni dell’ os- sicloruro di piombo; nei plagioclasi, alle alternanze o associazioni reti- colari di Anortite e di Albite si coordina la silice, inerente alla struttura cristallina della Labradorite e dell’ Oligoclasio. D'altra parte, sulla coesistenza di silice libera, negli adunamenti cristal- lini, negli spazi intra-reticolari, con funzione simile a quella dell’acqua di cristallizzazione, nel senso da me indicato interpretando le analisi di molti silicati idratati (1), si hanno le recentissime, autorevoli esperienze e deduzioni del Prof. G. Friedel, in un colla di Lui proposta di distinguere la silice che così si comporta, dicendola silice zeolitica. Ed invero nelle zeoliti (Cabasia, Levyna, Mesotipo, ecc.) se ne trova il classico esempio (V. nota, in appendice). Segnalando lo stesso contegno fino dal 1868 io l’avevo designata semplicemente : silice di associazione meccanica, o silice di cristalliszazione. Ecco, a modo di es., come ho eonsiderato il gruppo delle zeoliti, nella edizione del 1875 del « Corso di Mineralogia » : Premesso che « tutte le zeoliti finora catalogate possono ritenersi com- poste da un solo gruppo molecolare feldispatico con poche molecole di silice; che la silice può funzionarvi come elemento di struttura o di cristallizza- zione, restando parzialmente anidra nelle specie Mesotipo, Eudnofite e Gongylite, mentre in tutte le altre è silice monoidrata o bi-idrata; che la molecola feldispatica è sempre idratata ecc. », concludo che tutte le zeoliti si possono comprendere nella formula generale seguente: (SCALO, +St RO, +mAqg) + n(Si0,p 49) FELDISPATO IDRATATO; SILICE GENERALM. MONOIDRATA Invece, applicando la teoria degli aeidi polisilicici si avrebbero, per le circa trenta specie della serie zeolitica, nientemeno che zredici tipi diversi! I seguenti: 2 Bi-silicati 4 Esa-silicati 1 Deca-silicato 6 Tri-silicati 1 Epta-silicato 1 Endeca-silicato 2 Tetra-silicati 4 Octo-silicati 1 Octo-kai-silicato 2 Penta-silicati 5 Enna-silicati 1 Kai-deca-silicato.... (1) I silicati minerali etc. 1868. — I fosfati e arseniati ete., secondo la teoria delle assoc. polig. 1869. — Nuovi studi sulla Poligenesi etc. - 1881 - 1884 ete. — 601 — Ed é molto notevole come per siffatto frazionamento vengano talvolta assegnate a lontani posti le varietà di una medesima specie. Per es.: THOMSONITE ai bi-silicati CABASIA agli ocio-silicati COMPTONITE agli octo-silicati FACOLITE agli epta-silicati GISMONDINA ai bi-silicati ARMOTOMA €@ VARIETÀ ZEAGONITE agli enna-endeca-silicati agli enna-octo-kaide- silicati ecc. Che dire delle Tormaline distribuite dal Weltzien in ben dodici tipi, applicando la teoria degli A. polisilicici, mentre è tanto ovvio e logico il ritenerne le circa dodici varietà come derivanti per sintesi da un unico tipo ? Come, dunque, accettare per il razionale ordinamento dei silicati del R.° minerale, coll’ obbligo di tener conto dei massimi fattori della loro origine, una teoria che — « base di acidi polisilicici, quasi tutti supposti e non visti — stabilisce, pei silicati medesimi, 180 tipi, dei quali 740 rap- presentati da una sola specie minerale ? Ed ora una importante considerazione, coordinata ai fatti seguenti: 1.° Il Granato offre oltre venti distinte varietà, le quali specialmente derivano da sostituzioni parziali di radicali metallici diversi; perciò, senza modificazioni notevoli del suo tipo di costituzione atomico-molecolare. 2.° Il Granato sì presenta in una grandissima quantità di giacimenti, bene spesso fra loro diversi petrologicamente e cronologicamente. Si presenta in ganghe differentissime; tanto nelle rocce eruttive quanto nelle sedi- mentarie; nelle cristalline e nelle compatte; nelle recenti e nelle antiche; e come prodotto di prima formazione, ovvero di formazioni successive. Ci offre, dunque, singolarmente accentuata una condizione di sviluppo, di cosmopolitismo e di paragenesi molto istruttiva, che è, del resto, propria di molti altri silicati minerali. Ecco un elenco delle principali varietà del tipo Granato: Rothoffite - Sciorlomite - Poliadelfite - Diamantoide - Bred- bergite - Jelletite - Aplomo - Calderite - Topazolite - Allocroite - Granato piceo, ecc. = hf = Ca — GROSssuLARIA — Connellite - Essonite - Roman- 2 4 © zovite - Granato roseo. S 2 R = Mg — PiRoPù — Granato ottaedrico. D iS) SOR R= Mn — SPESSARTINA — = ® |) R = Fe — aLmanpIiNo — Granato yttrifero. Co VI 0 R,= Ce — uvarowiTE. — Granato cromifero. ® VI [ae hR,= Fe — MELANITE — Andradite - Colofonite - Pireneite — 602 — Indice di alcune principali rocce di giacimento dei cristalli di Granato : Rocce cristalline, eruttive o di sollevamento, d’ intrusione ecc. : Pegmatiti Graniti - Gneiss - Sieniti - Dioriti - Diabasi - Omfacite - Epidositi Pirosseniti - Gabbri - Serpentini - Trachiti - massi di Idocrasia. Roccie sanidiniche, anortitiche e del Somma - Lava del Vesuvio ecc. Rocce metamorfiche (tipi): Micascisti e Cloritoscisti - Steascisti e Talchiscisti - Damouritoscisti - Semiopale nerastra (Elba). Rocce di origine idrica o idrotermale: Spato calcare. puro - Calcari. cristallini - Calcari compatti. N. B. — I cristalli di Granato si trovano talvolta aderenti sulle facce di cristalli di Ortose, di Diopside, di Quarzo e di altre sostanze. D’ altra parte giova riflettere che la grande varietà negli innumerevoli giacimenti dei cristalli di Granato ci insegna dover essere mof/fo facile il processo di origine dei cristalli stessi. Che sia altresi potentissimo ce lo fa credere la enorme loro quantità nelle rocce granatifere, e la loro mole, bene spesso straordinaria. Nel tempo stesso che sia lento e delicato e in ambienti tranquilli ce lo persuade la meravigliosa regolarità dei cristalli di media grossezza, in parecchi giacimenti. Su questo proposito è lecito domandare : E forse probabile che un dato composto chimico, di natura inorga- nica assai complessa, quale è un silicato di radicali mono-sesquiossidi, e per di più mutabile nelle percentuali dei suoi componenti diretti, possa essersi costituito per un unico e costante processo di reazioni atomiche e molecolari, in vastissima scala? E che abbia potuto mantenersi atto a produrre cristalli di identico tipo, malgrado differenze molteplici e forti, sia nelle qualità dei giacimenti, delle ganghe, della costituzione mineralogica concomitante, sia nell’ età dei terreni e delle rocce sedi del fenomeno, sia infine nella condizione dello spazio invaso dal fenomeno stesso ? In altri termini: È. forse credibile che una reazione chimica tanto complessa e compren- siva degli ossidi occorrenti per il prodursi dei silicati dei generi Granato, Epidoto, Mica, Clorite, Tormalina ecc., colle anidridi borica e fluorica e con titanati e tantalati possa sempre effettuarsi con identico meccani- smo (dovendo condurre a risultati identici) in rocce o ganghe essenzial- mente diverse? E per di più dare somiglianti prodotti tanto nei calcari cristallini metamorfici di Tiriolo in Calabria e di Sondalo in Valtellina, quanto nelle lave peridotiche vesuviane; tanto nella chiara omfacite della Val d’Ala, quanto nei bruni micascisti dell’Alaska; tanto nei damourito- scisti argentini del S. Gottardo, quanto nei verdi cloritoscisti delle Alpi — 603 — occidentali; tanto nelle complesse diabasi degli Urali, quanto nel semplice spato calcare del Messico ? Si noti che i minerali essenziali di tali rocce di giacimento (mica, damourite, clorite, feldispato, calcite pura, dolomite ecc.) non solo frequen- temente aderiscono alle superficie dei cristalli, ma compenetrano questi e vi si diffondono, provando di essere stati essi pure invasi contemporanea- mente dalla attività generante quei cristalli; ossia di averne subita in parte l’ influenza, e desunte talune proprietà specifiche di struttura e di aspetto. Volendo rispondere occorre tener presenti queste condizioni di faito: 1° Una diretta origine, per reazione atomica, di un composto di ordine elevato, esige generalmente un dato e speciale processo; esige che un dato insieme di disposizioni resti costante nei più minuti dettagli. 2° In ogni caso, la produzione di composti di ordine elevato - ad es. dei sali doppi, idratati - mercé un processo unico, quale si effettua comunemente nei laboratorii, nelle officine, implica lo stato di soluzione dei reattivi. Solo il radicale metallico potrebbe essere solido, ed anche in massa cristallizzata. Per via umida o di soluzione nessun silicato anidro si é potuto ottenere (1). 3° Invece una sintesi meccanica di particelle già disposte alla so- lidità cristallina di massa, essendo chimicamente definite e normali nella loro sostanza, ed in attività di iso-orientazione per la regolarità e sim- metria del loro insieme, altro non chiede che l'avvento o l’intervento di esse particelle in uno spazio adatto, in un ambiente propizio al compi- mento della fase finale del lavoro cristalligeno. Lo stato di solidita fisica, e la conseguente forma poliedrica delle par- ticelle cristalligene non potrebbe omai mettersi in dubbio (V. parte II). Si potrebbe bensi non tenerne conto in certe considerazioni astratte di geometria dei solidi, nell’analisi delle proprietà dei piani concorrenti a limitare spazi poliedrici, o dei rapporti di posizione delle zone di facce, e dei rapporti dei rispettivi parametri. Ma nello studio dei cristalli effet- tivi, delle loro proprietà materiali di sostanza, di forma, di stato fisico e di genesi, la particella cristalligena s’ impone al pensiero; mentre, ad un tempo, i fenomeni che dalla sua esistenza direttamente dipendono s’im- pongono ai sensi, si rivelano colle loro fasi, colle loro trasformazioni o colle loro anomalie negli apparati appositi di amplificazione e di misura. Di più : le qualità dei cristalli di Granato non sono indipendenti da (1) Teniamo conto del fatto che nella serie teorica degli acidi polisilicici, in grandissima parte convenzionale, astratta, ipotetica, fomite di errori e di incongruenze di classazione e di apprezzamenti pei silicati minerali î soli primissimi termini figurano come confermati dalle analisi di alcune jaliti, di alcune opali e semiopali, e da alcune silici gelatinoidi, ottenute artificialmente dall’etere silicico e da qualche silicato alcalino. — 604 — quelle dei minerali presenti nelle loro ganghe o matrici; e questo risulta dalle analisi col crogiuolo e col polariscopio. Dunque, al processo gene- tico dei cristalli di questa magnifica sostanza non presiedette certamente la fusione; imperocché chi volesse supporne ignea l'origine, riferendosi alle lave vulcaniche granatifere, ai granati che accompagnano le masse ferree dell’isola d’ Elba ed altre, dovrebbe ricredersi prontamente dinanzi alla vera indole di tali giaciture ed allo spettacolo dei granati diffusi e profusi in masse rocciose di ogni genere, dai micascisti, eloritoscisti e scisti argillosi, alle dolomiti spatiche, azzurrine, ed al puro spato calcare ; dagli asbesti amiantoidi alle omfaeiti ed alle quarziti; le iimpide Essoniti vedonsi appoggiate sui bei cristalli di Ortoclasio; ì granati colossali del Tirolo sono intonacati di Talco o di Clorite; d’altra parte, le cristallizzazioni nelle lave e nelle masse ferree sono per la maggior parte dovute ad atti- vità idrotermali anziché a vera e genuina fusione in successive fasi del fenomeno eruttivo. E allora, quale sarà stato il processo formativo comune ai cristalli di Grossularia, di Almandino, di Spessartina, di Uwarowite ? Per sentirci un poco più tranquilli circa le interpretazioni delle analisi dei minerali complessi e cristallizzati, e circa le ipotesi sul processo chi- mico efficiente, é d’uopo, senza dubbio, avere primamente la certezza che il processo presupponibile per la genesi di un dato minerale può essersi realmente effettuato nelle speciali condizioni di spazio, di tempo e di attività concomitanti in cui si trovano i cristalli del minerale istesso. Per conseguenza, dato il caso di sostanze i cui cristalli non possano assolutamente immaginarsi prodotti per via di fusione ignea, né di diffu- sione in un solvente liquefatto, e nemmeno per mezzo di soluzioni acquee che svaporano co si raffreddano; non per reazioni chimiche immediate, né per dialisi o per moti meccanici molecolari; non per azioni di vapori o di gas, o per sublimazioni di sostanze che sappiamo dovere essersi formate mercé processi facili, frequenti e potenti, sentiamo la nostra mente, la nostra coscienza attirate verso un altra convinzione; quella che un pro- cesso di cristallogenesi, differente dai noti e usati nei laboratori chimici, dev’essere attivo, predominante nella mineralizzazione planetaria. Sarà diffi- cile imitare un tale processo; essendone verosimilmente massimi fattori lunghezza indefinita di tempo, una lentissima successione di fasi di attività molecolari fra particelle di diversa composizione; di assettamenti, di orientazioni, di equilibri sintetici, cui l’ isomorfismo molecolare, l’ isomorfi- smo cristallino, l’ isomorfismo di massa potranno dare rispettivamente, e in varia misura, ajuto e cooperazione; ma cui daranno i più essenziali materiali elementi le sostanze contigue, e le sopravvenienti di più semplice formula, colle loro particelle fisiche, libere e polarizzate, od in via di for- mazione, quasi in isfato poliedrico nascente. — 6035 — Dimodoché se dovessimo cercare una specie minerale per la quale fosse d’uopo ricorrere a siffatte idee, stante la complessa sua costituzione mole- colare, la sua diffusione, la varia modalità dei suoi cristalli, la molteplicità dei suoi giacimenti, la ribellione a costituirsi per via dei processi usuali di laboratorio, credo che nessnn altro gruppo di minerali, oltre quello dei silicati, di cui é titolare il Granato, potrebbe darcene un migliore, più istruttivo e classico esempio. Come il processo per fusione deve escludersi dall’origine dei granati, cosi deve escludersi quello per soluzione, sia pure di idrotermalità; ciò in ragione della minima o niuna solubilità del Granato, sia nell'acqua sia nei liquidi noti della circolazione sotterranea. Potrebbero ammettersi delle dis- sociazioni, non già delle soluzioni propriamente dette; in ogni modo occor- rerebbero volumi enormi dell’acqua solvente costituitisi attivi in minimi spazi. Questo vale, nor solo pei granati già esistenti, ma ancora pei sin- goli silicati che si suppongono associati e concomitanti. Del resto, non é per via di soluzione che potrebbero immaginarsi diret- tamente prodotti i cristalli completi di Granato profusi nelle rocce eruttive e metamorfiche; cristalli pesanti talvolta più di un chilogrammo e più grossi del pugno, senza modalità alcuna che ricordi una concrezione, una inero- stazione superficiale, una filtrazione palesata da venuzze o da filoncelli. Si hanno bensi, vene, fiioncelli, nidi ed ammassi lenticolari di una so- stanza che, allo stato quasi assolutamente amorfo, possiede la composizione chimica e altre fisiche proprietà del granato; questa sostanza è |’ A/locroite, cui si avvicinano le var. compatte e traslucide dette granatoidi; ma nep- pure per questi silicati può ammettersi l’ origine idrica per soluzione. Del processo di sublimazione sarebbe assurdo il discutere; e così di altri nei quali si supponesse l’intervento di azioni organiche. Talmente che soltanto dei processi per chimiche, reiterate e variate precipitazioni e dissociazioni e per alterazioni, ricostituzioni consecutive si può e si deve tener conto; ma fino ad un certo grado e sotto certe riserve. Difatti, conviene escludere: 1° che la sostanza che si supponesse pre- cipitata da un idoneo solvente, ed entrata in attività di filtrazione o cir- colazione idrotermale, abbia la stessa completa composizione di quella del Granato ; se no, tanto varrebbe il dire non solo che il Granato è solubile integralmente, ma che lo è alle miti temperature che lasciano inalterate le ganghe, per es. di spato calcare. 2° che la sostanza generatrice dei cristalli di granato abbia occupato esclusivamente lo spazio di cristallizzazione. Sappiamo che quei cristalli sogliono essere compenetrati o accompagnati ora dagli uni, ora dagli altri, — 606 — dei diversi silicati delle rocce di giacimento : miche, damouriti, Talco, steatite, epidoti, Idoerasia, feldispati, Nefelina, Sodalite, Diopside, Sahlite, Asbesto ecc.; come pure dalla Magnetite, dallo Spinello, dalla Calcite e dal Quarzo. Ora, questo complesso di fatti, può dirsi in assoluto contrasto coll’idea dell’origine decisamente chimica; ossia dell’origine per diretta e completa reazione atomica ed immediata combinazione molecolare; tanto per il Gra- nato quanto per altri silicati complessi, sintetici o poligenici che vogliano dirsi. Esclusa che sia, in un coi ricordati processi di genesi, la reazione diret- tamente generatrice delle molecole e particelle cristalligene dei cristalli di Granato, non resta che accettare il concetto della graduata sintesi, per la presenza, o consecutiva sopravvenienza nel campo di lavoro cristalligeno, delle successive particelle fisiche di costituzione semplice; delle particelle, cioè, suscettibili di essere riferite ai comuni modiì di produzione. Anche un’altra notevole circostanza: È noto quanto sia difficile, in generale, la riproduzione artificiale dei cristalli dei minerali insolubili dì natura complessa, fra i quali primi i silicati. Ciò, non tanto per deficienza di tecnica cristallogenica quanto per deficienza di tempo; richiedendosi bene spesso mesi ed anni acciò i minimi cristallini, che pur si ottengono corrispondenti a diverse specie, possano acquistare più visibili dimensioni e prestarsi alle esatte misure. Tuttavia i cultori dell’ importantissima e feconda pratica delle cristal- lizzazioni artificiali imitative sono riusciti ad ottenere cristallizzate le so- stanze corrispondenti a circa quaranta specie di silicati. Il Granato, non é stato peranco riprodotto ! Eppure é sostanza fusibilissima! (1) Abbiamo notato poc’ anzi, facile, potente, vasta, multiforme la origine dei suoi stupendi cristalli, malgrado la varietà eccezionale dei suoi giacimenti. Perché dunque tanta resistenza. della sua materia a cristallizzare discretamente in un laboratorio, dove la scienza predispose le condizioni considerate più adatte a tale intento ? Ma avvi di più! Se si fonde la sostanza gia costituita e già cristallina del granato Gros- (1) La grande fusibilità del Granato può ravvisarsi dipendente appunto dalla condizione sua tet- tonica di tri-sintesi poligenica, in relazione della regola nota che la temperatura di fusione delle miscele (leghe ecc.), suol essere inferiore a quella propria delle singole sostanze se liquefatte sepa- ratamente. Ciò può spiegarsi considerando che nelle miscele, e così nelle coesistenze poligeniche le parti- celle delle diverse sostanze, essendo già come dissociate fra lovo, stante la reciproca interposizione, il calore trova una parte del lavoro occorrente per la fusione già effettuata, sottoforma diversa ma equipollente. — 607 — sularia o dell’Almandino, capaci di offrirsi spontaneamente in cristalli colossali, non sì ha nella massa cristallina conseguita /a cristallizzazione granatico-isometriea presumibile; si ha, invece, /a cristalliszazione separata e distinta del pirosseno e del feldispato Anortite; quella cioé di due dei tipi che ho indicati come costituenti il granato normale; potendosi supporre di qualità peridotica la parte amorfa o vetrosa del massello. Si è peraltro riprodotto il granato Melanite colla fusione di cristalli naturali della Melanite istessa. Evidentemente, in tal caso era già supe- rata la massima difficoltà per la cristallizzazione artificiale dei silicati complessi; quella cioé di produrre e porre in presenza, con facilità di re- ciproco aggregamento, le particelle di ciascun tipo ASi0, A,SiO, R,SiO,. Nella Melanite adoperata esse sussistevano, e nelle volute condizioni. La fusione facilissima in questa var. ricca di ferro, le ha disgiunte ma non distrutte, essendo difficilissima la fusione delle var. pirosseniche c anor- titiche; o almeno non ha soppresse le rispettive capacità di ricostituzione. È notevole che i cristalli ottenuti erano ottaedrici 111, anziché 110, 211, come nelle melaniti naturali; quindi esenti dalla mimesia che suol prodursi nei rombododecaedri di altre varietà, ricche di pirosseno di calcio e prive di biossido di titanio (1). Riesce perciò interessante e istruttivo l’es. citato dal Lacroix, nel suo imponente lavoro sugli gneiss pirossenici e sulle rocce a Vernerite @ulletiSoc. min. de Erance, I XII, Capit. VII a. pag. 319), dir'unGra- nato (Almandino) nel gneiss amfibolico di Salem (territ. di Madras, isola di Ceylan, India). I cristalli di questo granato, talvolta grossi come il pugno, e talvolta cosparsi nella loro sostanza da aghetti tenui di rutilo, fra loro paralleli in tre direzioni a 60° e 120°, vedonsi rivestiti da un aggregato pegmatoide di cristalli di Amfibolo, convergenti verso le facce del granato, e includenti Oligoclasio e Quarzo. Dunque, l’involuero cristallino, racchiu- dente i Granati, con spessori di circa un centimetro, ed assai più aderente a questi che non alla roccia, dalla quale si isolano facilmente, contiene pre- cisamente ciò che occorre ad una più intima, completa, regolare sintesi cri- (1) A questo proposito reputo utile la considerazione seguente, che concerne la riproduzione arti- ficiale del feldispato Ortose. Ogni tentativo per ottenere i cristalli artificiali dei feldispati fallì fintan- tochè si credette possibile la diretta combinazione molecolare dei rispettivi componenti. Si ottennero bensì, per via di fusione, dei masselli a strutture fibrose o bacillari raggiate ecc., di composizione simile a quella di qualche feldispato, ma di struttura e contegno fisico affatto differenti. L’Ortose si ottenne allorquando | insieme dei suoi rispettivi componenti fu condotto in presenza reciproca in una sostanza fusa, e chimicamente inerte in quel genere di lavoro. In tal caso la fusione non significa attività ignea, energia di calore o dissociazione; significa semplicemente, come nelle soluzioni alle ordinarie temperature, direi quasi (l conferimento di un grado di mobilità alle particelle dei silicati alluminosi e alcalini, favorevole alla loro orientazione, ed al loro aggruppamento in sistemi complessi dei due o più silicati messi in presenza. Serie V. — Tomo IX. 76 — 603 — stalligena per l’ origine del granato Almandino. In altre parole, l’ involucro di cui é parola può rappresentare il residuo di un lavoro meccanico cri- stallogenico, donde la sintesi cristallizzata in forma specifica di Granato con, o senza, il Ti O, diffuso. Nessuna meraviglia perciò se da qualche tempo nei lavori speciali o descrittivi di mineralogisti e cristallografi di Francia e di Germania, e qualcuno anche d’Italia, come nei grandi trattati moderni, si trova adot- tato il concetto di queste sintesi, di queste coesistenze strutturali, cuì diedi, or sono trentaquattro anni, il titolo di — poligenesi dei composti minerali cristallizzati —, applicandolo alle principali famiglie di sali. Un’ altra osservazione che credo importante é questa: Ammettasi, sia pure con riserva, che la particella cristallina sintetica del tipo Granato risulti effettivamente generata dalla unione e dall’ equilibrio meccanico dei tre silicati fondamentali, col rapporto di 1:1:1 fra le differeuti molecole; sarà facile il rilevare che la formula empirica SERA SRO può prodursi non solo per l’associazione diretta delle tre molecole, pirosse- nica - peridotica - andalusitica; bensi anche per quella, indiretta, di sin- tesi parziali, corrispondenti ad altri tipi ben definiti di più semplici silicati. Per esempio: Si, R, 0, = SERPENTINO }_ Granato EPIPOTO ZOIZITE | _ Gre Sti Al, O, = ANDALUSITE | PERIDOTO } WERNERITE SEICALOANORTILES) i lion: NI) TGHNSE PERIDOTO STRO NI feERIDOTO TAN) GEHLENITE ) G QUIS ha . ( C ST 3 (Si RO,) = AUGITE I 2) (con St 0.) cl; ICMISI RROnalluminiera Mt ZAR MICA MUSCOVITE | i; > | St, R, O, = PERDOTO | ei RASO NBSP INELFO RI IANECHNS: DAMOURITE | eni CNSTOROMEASILICE + RO Mati Il risultato (teorico e materiale) è sempre lo stesso. Apparisce invece vantaggiato assai il grado di facilità di produzione dei cristalli di Granato ; (1) All’Anortite può sostituirsi la Nefelina. (2) Origine probabile della Melanite nera delle lave. — 609 — quello della loro diffusione e delle loro dimensioni considerevoli. È evi- dente che tanto più sarà facile il trovarsi in presenza di un dato effetto quanto più numerose ed estese saranno le cause sufficienti a produrlo. È noto che il Mallard riconobbe per primo, anche nei cristalli di Gra- nato (var. Pireneite), come in quelli di Boleite e Cumengeite, la coesistenza di elementi di diversa rifrangibilità ottica, a conforto della scoperta della mimesia strutturale nei cristalli medesimi. In quanto alla mimesia dei granati, geometricamente isometrici, ottica- mente attivi, birifrangenti ecc., potrebbero istituirsi alcune discussioni circa le forme singole concorrenti alla simmetria isometrica risultante. Per es., ricordando che con tre prismi a basi quadrate, fra loro incrociati nelle tre direzioni degli assi ortogonali, ovvero con sei prismi a basi rom- biche, con angoli piani di 109°,28' e 70°,32' (gli stessi degli angoli diedri nell’ottaedro regolare) si può comporre un rombododecaedro (tenendo la lunghezza dei prismi suddetti tale ‘che, avvenuta la loro intersezione di aggruppamento, gli spigoli terminali sieno unificati due a due i contigui (1); ricordando che | Epidoto monoclino ha ia sua zona prismatiea principale con i valori di circa 110°04', non si sforza di troppo l’idea degli assetta- menti regolari immaginando il concorso di sei direzioni lungo le quali si orientassero le particelle fisiche di tipo molecolare epidotico (non prismetti o cristalli), per desumerne la forma tipica del rombododecaedro (Vedi figure stereoscopiche A e B Tav. unica); oppure ricordando che tre prismi ottagoni, incrociandosi a 90° nelle tre direzioni delle coordinate normali, possono produrre un trapezoedro leucitoedro, se terminati in cia- scuna estremità da piramidi ottuse a quattro facce, con angoli diedri di 131°49'; e che le piramidi ottuse a quattro facce dell’idocrasia presentano gli angoli 654 644 = 129°,21'; non si vede perciò impossibile che tre sistemi ortogonali di particelle fisiche corrispondenti per simmetria tetragonale a quelle della specie Idocrasia, concorrendo in un gruppo, producano sintetica- mente la simmetria apparente del trapezoedro (2). Naturalmente conviene tener conto delle grandi somiglianze fra la com- posizione chimica dei granati e quella degli epidoti e delle idocrasie; ed inoltre, di un coefficiente di adattamento delle particelle cristalligene, in (1) Come vedesi in quelli degli pseudo-cubi di pirite mimetica del Bolognese. (2) La Mimesia dei cristalli, sieno pure voluminosi o colossali, può credersi dipendente da un dato modo di assettamento poligemino, effettuatosi in un dato momento nel campo di lavoro cristalligeno; può credersi fenomeno prodotto dall’associarsi alle prime particelle che si orientano di altre differenti e avviluppanti; tanto, da dividere in distinte regioni il campo del lavoro di cristallizzazione. Alquanti cristalli mimetici sono di natura poligenica (Boracite, Granato, Boleite, Analcime, Leucite, Haiyna, Sodalite, Farmacosiderite, Vanadinite ecc.). — 610 — ragione degli spazi termicamente concessi alle loro orientazioni, ai loro assettamenti. Quel coefficiente di adattamento, trascuratissimo tuttora dai più, molto bene si manifesta come coefficiente altresi di spostamento nelle oscillazioni dei valori angolari intorno ai valori normali dati dal calcolo. È messo in vista dalle contorsioni e distorsioni dei cristalli; dalle parvenze romboedri- che e clinoedriche assunte bene spesso dai cubi di pirite, e dalle cuneiformi, arcuate di certi cubi di Fluorite ; cosi pure dalle poliedrie sulle faccie etc. Concluderò questa prima parte della presente Memoria riassumendo ciò che d’innegabiie si riferisce alla tesi della costituzione poligenica dei silicati complessi, qualificati come miseugli, non per limitazione dell’ idea o della teoria, ma per affrettata, volgare ed infelice scelta del vocabolo. Mi riserbo di addurre nella parte seconda ulteriori documenti, forni- timi dalle pagine di importanti e recenti pubblicazioni, scritte da scienziati competentissimi e rispettabili, in seguito a studi essenzialmente descrittivi ed in parte sperimentali. a) È innegabile che le formule unitarie, secondo la teoria atomistica, pos- sono risolversi, tanto pei silicati complessi, quanto per altri composti salini, idratati, polibasici (delle famiglie ad es. dei solfati, arseniati, fosfati, car- bonati, tantalati ecc.), in formule semplici di composti normali, salini, con elementi di cristallizzazione, 0 con coesistenze di diversi altri composti, favorite dall’ isomorfismo o dalla reciproca adattabilità, negli spazi (o ma- glie) reticolari. 5) È innegabile che date le tre formule fondamentali dei silicati (A, B, C). bastano le somme possibili A + B, A+ C, B+C, A+5B+-Cg colla occa- sionale aggiunta di coefficienti generalmente bassi, e delle formule del- l’acqua, della silice libera anidra o idrata, e di pochissimi altri composti per costruire e presentare correttamente classificate le formule tutte dei tipi conosciuti fin ora dei silicati minerali. c) È innegabile che aggruppando in formule corrispondenti a quelle di silicati fondamentali ecc., le formule empiriche o brute dei silicati com- plessi, si facilita il concetto della origine dei rispettivi cristalli; e non di raro si trova una istruttiva, preziosa correlazione fra la natura di detti silicati e la costituzione mineralogica delle rocce o ganghe di giacimento. Inoltre con i prodotti delle dissociazioni e decomposizioni definitive. d) È innegabile l’enorme disastroso scompiglio che nella classificazione dei silicati verrebbe indotto dalla logica e rigorosa applicazione delle for- mule unitarie secondo la teoria degli acidi polisilicici e rispettivi polisili- cati. Inversamente é evidentissima la naturalezza dei gruppi che restano — (ea — confermati, talvolta perfezionati, dal concetto della costituzione per coesi- stenza poligenica, segnatamente per l’isomorfismo od omeomorfismo geo- metrico dei gruppi molecolari concorrenti. e) È altresi innegabile il fatto che di alquante specie minerali cui le for- mule dirò Wef/fziane, avevano assegnata, audacemente, una composizione unitaria, é bastato il microscopio, con o senza luce polarizzata, per far palese la struttura poligenica, la più o men completa simmetria di reci- proco assettamento delle sostanze in essi coesistenti. Oltre i plagioclasi, il feldispato Anortite colla Nefelina, la Boleite colla Cumengeite, il Granato colla Sagenite. f) Può dirsi innegabile ancora l’ufficio meccanico e cristalligeno cosi fre- quente e caratteristico dell’acqua di cristfallizzazione, funzionante libera, solida, poliedrica, adattabilissima nei sali idratati di tante categorie, anche di artificiale produzione e di chimica purezza. 9) È finalmente innegabile che i cristalli del Granato, al pari di quelli di altri tipi di silicati complessi non possono essersi costituiti per un pro- cesso di diretta, immediata, completa, esauriente reazione di atomi tutti contemporaneamente presenti ed attivi in un dato spazio, col favore di speciali e costanti condizioni di luogo, di tempo, di attività concomitanti. Debbono invece essersi costituiti con un processo, che favorito da indeter- minata lunghezza di tempo e da continue attività cristalligene, presiedette ai ravvicinamenti di gruppi molecolari di facile costituzione e di sufficiente stabilità, ed ai loro simultanei assettamenti piuttosto che ad inverosimili reazioni immediate fra venti atomi di almeno cinque elementi diversi; con differenze considerevoli fra i loro rispettivi gradi di prevalenza atomica, 0 di energia di combinazione. Parte II Nelle pagine seguenti si contengono alquanti brani di scritti dovuti a mineralogisti e chimici contemporanei, riportati testualmente e con limitati commenti. Detti brani, insieme ai precedenti, della Parte I, tratti dai lavori del Friedel, del Wyrouboff, si coordinano principalmente alle dottrine delia costituzione meccanica dei cristalli, allo stato solido e poliedrico delle parti- celle che direttamente compongono gli assettamenti regolari cristalligeni; si riferiscono alla libertà e integrità dei gruppi molecolari sia dell’acqua (d’inter- posizione reticolare o di cristallizzazione), sia della silice (c. s., anidra © idrata), allorché sono presenti ed in varia proporzione in taluni silicati di composizione complessa. Indicano altresi diversi casi, molto istruttivi, di coesistenze poligeniche, ossia dei così detti miscugli, taluni nei verì mine- rali, altri nei cristalli di laboratorio. Essi rispecchiano in certo modo lo stato odierno delle opinioni domi- nanti e attendibili sulla struttura molecolare, fisico-cristallina, delle sostanze minerali complesse; si dicano, o no, poligeniche, si alteri o no a cagione di un vocabolo, il loro carattere qualificandole come miscele 0 mescolanze. In quasi tutti può sottintendersìi che i fenomeni nei quali la molecola inorganica viene modificata sono di piena competenza del chimico; e che perciò, tali fenomeni trovano nel di lui laboratorio le condizioni di analisi e di ulteriori modificazioni che posson essere indispensabili per la formula bruta, e per le formule stechiometriche o di struttura, ecc. Mentre invece, i fenomeni nei quali la molecola c. s., resta intatta, entrano totalmente nella competenza del fisico, del cristallografo e del mineralogista. Sopra questo punto il Wyrouboff (Bullet. Soc. francaise de M.gie. T. XV, pag. 277) dice: «.... l’isomorphisme vrai, aussi bien que le pseudomor- phisme, sont de phénoménes d’ ordre purement physique, et n’ obeissent d aucune loi chimique ». Ed il Laurent (Compt. Rend. Tom. XXVII 1848), aveva esclamato, a proposito delle analisi dell’ Epidoto : « ecco un silicato di cui i mineralo- gisti hanno fatto una sola specie; che si offre sempre colla stessa forma e colle stesse fisiche proprietà; la chimica se ne impossessa, lo getta nel crogiuolo e lo trasforma in tre specie, tanto lontane fra loro quanto lo sono, ad es., il Granato dal Pirosseno ». In quest'ordine d’idee facevansi solidali il Delafosse, il Pasteur, )’ Her- mann; quest’ ultimo concludendo, circa la costituzione dei GRANATI, delle MICHE, delle TORMALINE che questi silicati non sono singole combinazioni — 613 — unitarie, chimiche; bensi mesco/anze di componenti isomorfi; le quali mescolanze conservano le rispettive forme, ancorché varii il rapporto dei loro componenti chimici. Data una materia capace di cristallizzare, al chimico spetta il còom- pito di disfarla per riconoscere le qualità, le proporzioni, gli equilibri intimi dei suoi atomi componenti; ma spetta al fisico e al cristallografo il riconoscervi il processo sintetico della sua solidificazione cristallogenica, della sua affermazione come specie definita. Il mineralogista-naturalista studierà, altresi, gli ambienti della costituzione definitiva, e le correlazioni dei cristalli rispettivi con quelli di altre specie minerali, segnatamente con i componenti delle rocce di giacimento ed in ordine alle masse, allo spazio ed al tempo. Vi si sottintende altresi la certezza — ormai assoluta e fuori di discus- sione per la massima, ma discutibile, per il modo di applicazione nei casi speciali — della coesistenza, materiale, cristallina, meccanicamente costituita, di particelle fisiche più o meno simili ed affini morfologicamente, ma chi- micamente pix 0 meno diverse fra loro. Tale coesistenza, tale derivato da un già discusso, semplicissimo e razio- nale lavoro di sintesi molecolare, al cui più alto e perfetto modo presiedono l’ isomorfismo di struttura nelle molecole chimiche e l’isomorfismo geome- trico, 0 di forma, nelle particelle fisiche di solidità assoluta, implica eviden- temente per il lavoro di sintesi suddetto |’ esistenza di entità materiali, iniziali, (primitive ecc.), dotate rispettivamente di forme geometriche defi- nite, quindi capaci di assettamenti simmetrici, in serie lineari, in sistemi reticolari, in adunamenti a tre dimensioni. Credo utile questa considerazione : Mentre l’idea e la teoria delle molecole o particelle integranti dovette essere espressa dall’ Haiiy e dagli scienziati accettanti le di Lui dottrine, come conseguenza della tecnica delle sfaldature nei cristalli, e della facilità mirabile di spiegare tutte le modificazioni possibili delle forme cristalline col processo dei decrescimenti, basato sulla teoria ora ricordata, invece, 0g- gidi, come ho cercato di dimostrare in ripetute occasioni (1), basta il giusto criterio del lavoro fisico delle solidificazioni assolute, in ordine alle leggi che governano la solidificazione delle sostanze crisfallizzabili, per costrin- gere il nostro pensiero a vedere come effetto necessario di tali fenomeni, la genesi di entità poliedriche, di iniziali elementi di strutture cristalline; a (1) Assai diffusamente nelle Mem. Accad. - Nuovi studj sulla poligenesi dei minerali. 1880-1383. — 614 — concepire, cioé, per via di un lavoro di adunamenti molecolari, la esistenza di quelle stesse entità integranti che la scuola di Haùy intravedeva mercè le sfaldature di alquanti cristalli. Nessuna fatica, in conclusione, per le menti libere da preconcetti, ad accogliere l’idea della formazione delle particelle fisiche, poliedriche o di solidità, composte da gruppi molecolari di ordine inferiore e dell’ inter- vento negli spazî cristalligeni, in qualità di elementi essenziali, o di fattori diretti dei cristalli effettivi. Tutte le proprietà e tutte le variabili particolarità dei cristalli possono essere interpretate in seguito a tale semplice idea. Essa fa sorgere sempre più nitido, naturale e persuadente il concetto degli adunamenti regolari, riassumibile in questa assai concisa formula: la reciproca compatibilità dinamica, in un dato spazio, virtualmente polie- drico, di particelle cristalligene, ancorché chimicamente diverse. Nell’ edizione 1862 del mio « Corso di Mineralogia » dato (a pag. 8, 9), un primo accenno della costituzione di particelle fisiche complesse allorchè nelle liquefazioni dei gas, solidificazioni dei liquidi, e fenomeni inversi avviene ia trasformazione del calore in lavoro interno molecolare, for- mulavo queste conclusioni: « .... risulta quindi necessario l’ ammettere che quel calore, assorbito o sviluppato che esso sia, a seconda del cam- biamento di stato durante il quale lo si considera, venga applicato non solo a far variare proporzionalmente la distanza fra le molecole dei corpi, ma altresi ad originare od a distruggere dei particolari aggruppamenti di molecole, diversi per ciascun corpo nei suoi tre stati fisici. Vale a dire .... mentre un liquido passa allo stato solido, non sarebbero le particelle li- quide che ravvicinandosi semplicemente fra loro costituirebbero un sistema meccanico rigido; sarebbero bensi le particelle liquide, che aggruppandosi alla lor volta in nuovi sistemi, costituirebbero delle particelle solide ; oppure sarebbero le molecole già costituenti la particella liquida che prendendo un nuovo ordinamento, giungerebbero a formare la particella solida ». In conseguenza di un tal modo di vedere, in tutti i fenomeni fisici relativi ai corpi gassosi dovrebbesi porre in funzione semplicemente la molecola; ma in tutti i fenomeni fisici dei corpi liquidi dovrebbe mettersi in funzione la particella liquida, e nei fenomeni fisici di assettamenti rego- lari e di cristallizzazione la particella solida. Questa potrà esser formata da particelle di ordine inferiore o direttamente da molecole. Nel 1867, applicando la teoria della poligenesi alla classificazione dei solfuri minerali, dovevo insistere sullo stesso soggetto. Assegnavo ad esso tutte le quindici pagine della parte prima, riassumendolo nelle proposizioni seguenti: « ... nella liquefazione dei gas, nella solidificazione dei liquidi, — 615 — e nel mutamento delle fisiche proprietà dei corpi sî costituiscono speciali aggruppamenti meccanici di molecole chimiche. Nelle particelle complesse che ne risultano l’ ordinamento meccanico può essere identico o diverso per i differenti corpi; ma é sempre diverso nei diversi stati fisici di una medesima sostanza ». Nel 1868, facendo pei silicati minerali ciò che avevo precedentemente fatto per i solfuri, tornavo a discuterne (pag. VII ... XV della prefazione). Altrettanto posso dire riguardo alla pubblicazione sui « Fosfati e arse- niati minerali » del 1870 (pag. 5 ... 16). Può parere superfiuo l’ insistere, adducendo argomenti nuovi e presen- tando esempi istruttivi, sull’ indole assolutamente fisica del lavoro che l acqua di cristallizzazione propriamente detta compie negli spazi di for- mazione dei reticoli cristalligeni. L’accordo su questo concetto, tanto semplice e tanto vantaggioso po- trebbe credersi oggidi completo. Ma non è così. Il dibattito non è finito, la controversia prosegue. Per fortuna la grandissima maggioranza dei mineralogisti prosegue a scriver la formola dell’ acqua di cristallizzazione, ogni qualvolta possa credersi tale, separatamente da quella del relativo composto; e da diversi autori insigni si scrive pure separatamente, c. s., la formula di composti diversi il cui ufficio, nel sistema reticolare di certi cristalli, può ammet- tersi perfettamente analogo a quello dell’ acqua; vale a dire essenzial- mente meccanico e non di raro occasionale. Le seguenti citazioni, colle quali intendo di avvalorare le affermazioni precedenti, mentre presentano molti documenti idonei, notissimi ai cultori della mineralogia e della fisica dei cristalli, presentano altresi alquanti portati di nuovi studi e di nuove ricerche sperimentali efficacemente coordinate alla importante tesi di cui tengo ancora viepiù convinta parola. Fra le opinioni sulle ora citate controversie, circa la costituzione mole- colare e cristallina delle specie minerali complesse, e dei silicati in partico- lare tengo in gran pregio quelle del mio amico e collega Prof. D’Achiardi; opinioni improntate di lealtà e convinzione, rispecchianti profondità di pensiero, serenità di giudizi. Scelgo perciò volentieri nei suoi scritti alcuni periodi che concernono questioni in cui, direttamente o implicitamente sono chiamato in causa, e riferendoli testualmente vi aggiungo alcune mie osservazioni. Nella sua opera: Guida al corso di Mineralogia, Pisa 1901, il Prof. D’ Achiardi tiene conto ripetutamente delle associazioni molecolari, come di un risultato indiscutibile, certo, e generalmente ammesso delle attività inerenti alle primordiali entità solide della materia inorganica. Serie V. — Tomo IX. 77 — 616 — A me sembra, pertanto, che il di Lui concetto di queste associazioni, coincida, o quasi, con quello delle associazioni (coesistenze), polige- niche, da me tanto lungamente propugnato. E credo di poter desu- mere ciò da diversi periodi; più esplicito dei quali il seguente, con cui l'argomento resta concluso. Scrive il D’Achiardi (pag. 259): « Le associazioni molecolari..... differiscono dai composti perché le loro molecole sono di diversa natura, perché corrispondentisi nella strut- tura, onde possono facilmente associursi in un edificio comune. « Si avvicinano alle associazioni poligeniche del Bombicci, per le. quali per altro non si ammette in ogni caso come indispensabile lu corri- spondenza di struttura nelle molecole associate ; e sotto questo aspetto, che è il fondamento dell’ unione reciproca, meglio si equivalgono alle «sso- ciazioni isomorfe dello Tschermak (4somorphe Verbindungen) ». Ed a pag. 260 (op. cit.) aggiunge: « Carattere comune a tutte le associazioni molecolari è la variabilità nelle proporzioni degli elementi associati; e le proprietà geometriche e fi- siche del cristallo risultante sono una funzione continua delle proprieta dei corpi associati ; onde conoscendo queste e le proporzioni della associazione, si possono calcolare le proprietà fisiche e geometriche dell’ associazione ». Io faccio pertanto osservare che, le A. molecolari, più che avvicinarsi alle A. poligeniche ne costituiscono effettivamente uno dei principali e più caratteristici modi. Se per le associazioni c. s., io ammetto altri modi cui non é indispensabile la corrispondenza di struttura molecolare nelle particelle attive, ciò autorizza a concludere che il concetto delle coesistenze cristalline per sintesi meccanica e simmetrica di sostanze differenti ma compatibili reciprocamente, é più largo e comprensivo delle associazioni isomorfe dello Tschermak, coincidenti con.i casi classici dell’ isomor- fismo normale. Trattandosi di costruzioni di reticolati, in dati spazi di cristallizzazione, mercé entità gia fattesi solide e poliedriche, é evidente che la condizione essenziale pel reciproco adattamento e per la coesistenza equilibrata dina- micamente risiederà, prima di tutto nella forma, nella massa e nel moto inerente, qualunque esso sia; poi, nelle intime qualità di atomi e di mole- cole chimiche persistenti nelle singole particelle. Se anche in tali qualità si abbiano isometrie, isomorfismi atomici o chimico-molecolari, potrà aversi più stabile, più costante, più ricco il fenomeno della poligenesi che ne risulta. Ciò premesso non posso a meno di fare un commento alle conclusioni del d’ Achiardi circa l’ acqua di cristallizzazione (op. cit. pag. 260-261): « .... le sue proporzioni — Egli scrive — hanno un limite, a differenza delle associazioni molecolari cui da taluno fu pure ravvicinata... quindi si — 617 — ha piuttosto ravvicinamento alle combinazioni chimiche che alle associazioni molecolari, dalle quali s’ allontana poi per la nessuna corrispondenza, anzi incompatibilità affatto di forma fra il sale anidro e l’ idrato. « Kosmann combatte recisamente la distinzione fra l’acqua di eri- stallizzazione e di costituzione ». Lasciando al Kosmann la piena libertà e responsabilità delle sue opinioni ed osservando che in un grandissimo numero di casi si hanno nei sali cristallizzati vere, assolute idrafazioni, per combinazioni atomiche, o molecolari, dimando questo al D’ Achiardi: é vero, o no, che l’acqua si costituisce elemento di crisfallizzazione assumendo /o stato solido, e tut- tavia mantenendo una tale mobilità speciale, rispetto alle particelle della sostanza che cristallizza ed alla tettonica dei suoi sistemi reticolari, da poter essere liquefatta, espulsa, ripresa totalmente o parzialmente, e bene spesso con grande facilità ? Se l’acqua di cristallizzazione ha la solidità del ghiaccio, costituitosi - non per discesa a O° della temperatura - ma per orientamento molecolare di solidità, dipendente dalle influenze direttrici dello spazio di cristallizza- zione, può credersi soppressa ogni capacità di combinazione chimica che eventualmente esistesse fra l’acqua e il composto cristallizzante. Un au- mento di calore, di ordine diverso da quello che interviene nel lavoro idrocristalligeno di sali di laboratorio, dovrebbe prodursi; inoltre, mentre non occorre eccitare il pensiero per comprendere un assettamento di po- sizione e solidarietà dinamica fra le particelle fisiche dell’ acqua e quelle delle sostanze che le danno posto negli spazi delle maglie reticolari, equi- libraridosi i loro moti specifici e realizzandosi, a seconda della simmetria degli spazi, una costanza nelle proporzioni di quantità, occorre invece uno sforzo mentale, adeguato ad una novissima teoria, per concepire reazioni chimiche di indole eccezionale, sensibilissime alle oscillazioni termiche nelle fasi di produzione; e per ammetterle possibili fra l’ acqua cristalliz- zante ed un grandissimo numero di composti diversi; parecchi dei quali assolutamente inerti, allo stato libero, in presenza di essa. Credo di poter augurare per lo meno conciliativa la risposta dell’ amico collega, argomentandolo da due periodi che si leggono a pag. 194 e 335 del suo eccellente libro: « Mineralogia della Toscana »; l uno a proposito della collocazione della Thomsonite fra le andalusiti; 1 altro per le for- mule dei solfuri. Nel primo dice: « .... forse nuove analisi, 0 meglio uno studio più profondo delle associazioni dei varii corpi fra loro, specialmente della presenza dell’ acqua, potranno scoprire maggiori affinità chimiche fra minerali del resto somigliantissimi, ecc. ». Se ne deduce l’ importanza di primo ordine che il D’ Achiardi da — 613 — all’ idrogeno, e in proporzioni considerevoli e costanti in un composto. Egli fa ottimamente. Ma considerandolo, sempre, sistematicamente, come parte essenziale del composto medesimo arriva a conclusioni discutibili, anzi secondo me, realmente difettose. Ammetto che in moltissimi casì | idro- geno sia elemento integrante di combinazioni chimiche inorganiche, come lo è pressoché in tutte le più note e diffuse del mondo organico; chi vorrebbe negarlo ? Ma sostengo altresi che in altri e pur numerosissimi casì esso resta nella molecola 7,0, alla sua volta perdurante. Qui conviene un ricordo della cosi detta fusione acquea propria, come è ben noto, di diversi composti idratati e cristallizzati. Stando al fatto che, nei cristalli ottaedrici di allume, ad ogni gruppo molecolare del doppio solfato (SO, - Al, ,S, 0,3), sè ne uniscono come ele- menti di cristallizzazione 24 di acqua, parrebbe quasi ragionevole di con- siderare costituiti tali cristalli di acqua solida associata ad 34, di composto salino, piuttosto che fatti di questo cosi scarso ingrediente. Ad ogni modo é difficile il credere alla perduranza della liquidità dell’acqua in cristalli pressoché inalterabili che ne sono prevalentissimamente costituiti e dai quali è assai facile il riaverla liquida con moderato riscaldamento. Notevole che i magnifici cristalli, stupendamente regolari, di allume di potassio e cromo, posseduti dal Museo di mineralogia di Bologna, si sono ottenuti tali procurando con ogni riguardo di mantener costante la tempe- ratura delle soluzioni; ciò che non sarebbe stato possibile in presenza di reazioni chimiche inerenti al lavoro cristallogenico. Nell’altro periodo è scritto : «...nella miniera del Bottino si trovano, nei composti formati dai due solfuri - Galena e Stibina - tanti graduati pas- saggi nelle relative proporzioni loro da far sospettare che fra una specie e l’altra possano essere maggiori legami di quelli che ci sieno svelati da poche analisi. Secondo la nuova teoria del Bombicci, delle associazioni poligeniche, questi ed altri sulfo-antimoniuri di piombo anderebbero con- siderati come Stibina cui si associassero poligenicamente quantità maggiori o minori di solfuro di piombo. E questo esempio sembra dargli ragione ». (Veramente io proposi, secondo la teoria ora ricordata, che i sulfo- antimoniuri fossero riguardati come solfuri cristalliszanti con date propor- zioni di S6,S,, funzionante come negli ossisali idratati funziona l’acqua di cristalliszazione. La diversità di proporzione, da uno ad altro solfuro, ma costante in ciascuno - se cristallizzato e puro - sarebbe appunto, come per l’acqua nei sali idratati, la ragione delle differenze di forma e di sistema nei rispettivi cristalli). L’obbiezione poi della incompatibilità di forma fra il sale anidro e l’'i- — 619 — drato cade eompletamente appena si rifletta che, qualunque essa sia la forma del sale anidro, deve restare modificata nei suoi rapporti parame- trici ed assumere altre proprietà geometriche e fisiche ogni qualvolta si mutino il numero, la natura e il moto delle sue particelle cristalligene. D’altra parte, non saprebbesi oggidi dimenticare completamente l’idea del Mallard, accolta da cristallografi distinti, circa la quasi cubicità — in generale — delle particelle cristalline; mentre sta in fatto la grande reciproca vicinanza dei valori angolari tipici nei parallellopipedi primitivi, o iniziali, dei nodi di reticolati cristailini, per le specie minerali meglio definite, o chimicamente pure. Se ne ha la prova nel caso singolarissimo, segnato dal Wyrouboff nel suo studio dei silico-tungstati, della simultanea sincristalliscazione del- l’acido silico-tungstico e del silico-tungstato di litio. Possedendo ambedue la stessa solubilità ed essendo isomorfi geometricamente, con eguali pro- prietà ottiche, possono fornire cristalli sintetici, o poligenici, come se fos- sero completamente isomorfi. L’A. ne desume logicamente questo mio ormai antico enunciato : i corpi per cristalliszare insieme non hanno d’uopo di essere chimicamente analoghi ; loro basta di avere l’ identità (0 la reci- proca compatibilità), dei reticoli rispettivi. Il Prof. Wyrouboff, occupandosi della serie degli ossalati (Bull. S. F. de Min. Vol. XXIII) scrive: Dans les cristaux ..... « la forme extérieure dépend du réseau, et celui-ci dépend de /a particule cristalline complexe qui en occupe les noeuds. « Les molécules chimiques qui sont les parties constituentes de cette dernière ne sont donc qu’ une cause indirecte sur laquelle provvisoirement, du moins, nous n’ avons aucune prise... etc. ». Più oltre: « Les deux sels de soude d’ une part, et les deua sels d’ am- moniaque de l autre, pouvant cristalliser ensemble en toute proportion, il fallait nécessairement admettre que des corps da hydratation différente pou- vaient étre isomorphes dans le sens le plus strict du mot — Quoique cette conclusion .... paraisse théoriquement fort acceptable elle choque tellement les idees courantes que j ai cru utile de revoitr les choses de plus prés... ete. ». Sempre in ordine agli elementi cristalligeni, ossia alle entità che diret- tamente concorrono alla costruzione meecanica degli edifici reticolari, il Wyrouboff istituisce (Bull. Soc. Franc. de Min. T. XXIV, pag. 39), questo importantissimo e lucido ragionamento : « La definition de la solution, telle que je viens de la donner, laisse complétement indéterminée la nature des molécules qui entrent dans la contexture des corps solides; elle suppose seulement que dans !’acte de — 620 — la dissolution simple, et en dehors de tout autre phénoméne accessoire (changement polymorphique, combinaison, dissociation), ces molécules quelles qu’ elles soient, passent sans aucun changement dans Je liquide. Y restent-elles indéfiniment dans cet état, ou bien se transforment-elles partiellement ou totalement dans certaines conditions déterminées ? €? est là une autre question que j’ examinerai tout à |’ heure. | « Pour le succés de nos études, non seulement sur ce fait spécial de la solution, mais encore sur tous les phénoménes de physique moléculaire, il est indispensable que nous ayons une idée nette sur ces molecules; car suivant l’ opinion & laquelle nous serons arrétés, nous pourrons donner des interprétations fort différents du résultat des mèmes expériences. Il n° y a ici que deux hypothéses de possibles. Ou bien ces molécules sont les molécules chimique elles-mémes, ou bien elles sont des unités physiques, beaucoup plus complexes, composées d’ un nombre plus ou moins considé- rable de molécules chimiques ». Più esplicitamente ancora lo stesso A. e nello stesso T. XXIV, a pag. 78, a proposito delle attività ottiche che si mantengono nelle soluzioni dice « ... Jai presenté enfin quelques considérations fort simples et quelques expériences directes, démonstrant que les unités matérielles qui se trou- vaient dans la solution ne pouvaient pas étre et n° étaient pas des molé- cules chimiques; qu’ elles étaient constituées par des particules cristallines infiniment plus complexes, composées d’un nombre plus ou moins considé- rable de molécules chimiques; et identiques & celles qui se trouvent sur les noeuds du réseau cristallin ». Il Prof. G. Friedel dichiara di approvare le precedenti conclusioni del Wyrouboff ; ossia, ammette la possibilità dell’ isomorfismo di composti chimici fra loro dissimili. Egli chiama, e parmi felicemente, « fenomeno di sincristallizzazione» il fenomeno di poligenesi di cui si tratta, piena- mente rispondente ad uno dei casi della crisfallizsazione sintetica, o di poligenesi propriamente detta. Lo stesso scienziato, dicendo di un nuovo silicato artificialmente pro- dotto, e discutendone il grado e il modo della idratazione (Bull. S. F. M. V. XIX. 1896), scrive: « Il est manifeste ici que l’ eau n’entre en propor- tion définie dans la combinaison que parce qu’elle s’intercale en des places déterminées entre les molécules du silicate anhydre, sans en modifier d’une maniére appréciable les dispositions relatives. « Il faut en conclure que ce n’est que gràce è l’état cristallisé de la substance que l’ eau peut entrer dans sa constitution en proportion définie. : — 621 — La combinaison nous apparait ainsi comme due à des forces assez diffé- rentes des affinités chimiques dans le sens ordinaire du mot... etc. «.... Mais si cela peut ètre mis en évidence pour l’eau, qu’une simple élevation de la température suffit & éliminer, il est permis de se deman- der si /a molécule d’eau est seule capable de jouer ce ròle; et si dans la con- stitution des silicates - qui tous n’existent, comme combinaisons definies, qu’à l’état cristallin - il n’existe pas d’autres molécules saturées qui... viennent... s’intercaler dans le réseau, sans en troubler profondément la symeétrie et les dimensions ». Egli cita qui gli es. delle molecole di solfato di sodio, del carbonato di calcio, del cloruro di sodio, che si aggiungono alla Nefelina per gene- rare la Nefelina-idronoseana, la Cancrinite-microsommite, e spiega - come io pure spiegai in addietro - la trasformazione della formula dell’Anortite in quella dell’Albite, salva la sostituzione del sodio al calcio nelle rispettive molecole basiche. Alla mia volta ho rilevato (Corso di Min. 1872 Vol. I, pag. 266), che appena sia tolto ogni dubbio riguardo all’acqua di idratazione cristallo- genica, non resta « che provare la capacità di altre sostanze per compor- tarsi al pari dell’acqua, in siffatto ufficio meccanico; togliendo, così, al- l’acqua l’inconcepibile e quasi assurdo privilegio di funzionare, essa sola, come elemento di cristallizzazione. Trattando delle soluzioni, solide ii D’ Achiardi, nella sua Guida al Corso di mineralogia (1900, pag. 163), ricorda lealmente come assai prima che l’idea di siffatte soluzioni fosse espressa dal Van't Hoff io l’ avessi ma- nifestata non solo, ma applicata alla interpretazione dei sulfosali. Noto che l’ egregio amico e collega osserva che il mio concetto «non fu in ogni caso bene applicato » ; ed ic ammetto questa circostanza; però a patto di darne le giustificazioni opportune. Noterò primamente che sc un concetto, applicabile correttamente a moltissimi casi, si trova appli- cato difettosamente in altri pochi la critica non spetta tanto al concetto di cui è parola quanto at casi, od alla loro interpretazione. Di poi dirò che il mio lavoro sui solfuri minerali aveva per iscopo la classificazione di tutti quelli allora noti (nel 1864); scopo dunque tassonomico, e nel- l’intenzione pratica delle collezioni di Musei etc. — Ciò mi obbligava ad applicare la nascente idea delle soluzioni solide dei monosolfuri e sesquisol- furi, ora a casì favoriti dalla già completa determinazione specifica dei così detti sulfosali, presi in considerazione ; ora a casi resi dubbi ed incompleti dalla deficienza di dati; e, per conseguenza inevitabile, i risultati accettabili pei primi casi e difettosi pei secondi. — 622 — Ecco uno dei miei periodi relativi all'argomento qui richiamato (V. As- soc. polig. appl. ai solfuri minerali, 1867, pag. 33) «....le associazioni poligeniche sarebbero distinte dalle soluzioni propriamente dette perché compiute /ra solidi e solidi, invece che fra solidi e liquidi; sarebbero, sotto un dato aspetto, soluzioni di un corpo solido in un altro, solido pari- mente ). Dunque, fino dal 1867 ho richiamata l’attenzione dei mineralogisti so- pra argomenti che oggidi — 34 anni dopo — si presentano come nuo- vissimi, sì segnalano come di primaria importanza; ed ho espresse dedu-. zioni e conclusioni che oggi si attribuiscono dai più — come titoli di onore scientifico — a scienziati stranieri. Segue la citazione di altre sostanze le quali si associano a diversi composti cristallizzabili in quantità che sono costanti. E sono costanti perché restano tali le condizioni dello spazio intra-reticolare occupabile. È ben naturale che negli scritti di quei mineralogisti e cristallografi mo- derni cui sembra ragionevole e opportuno il rappresentare là composizione delle sostanze minerali riferendosi esclusivamente alle analisi ed alle ato- micità dei componenti e considerando, quindi, le loro formule in base a tale preconcetto non intervengano i simboli dell’idea della costituzione multipla dei minerali che vi si descrivono. Vi si fanno bensi frequentis- sime eccezioni per la teoria dei plagioclasi, ma rarissima per la funzione fisica dell’acqua di cristallizzazione. Ciò, senza che le arbitrarietà frequenti e le complicanze inevitabili suscitino salutari reazioni nelle menti indipendenti; e senza che la diffi- coltà enorme di concepir possibili le relative e necessarie reazioni gene- ratrici nel campo vero, reale, promiscuo, delle roccie profonde, colla abi- tuale contemporaneità di molte altre reazioni produttive di altre sostanze concomitanti, consigli loro altre direzioni di pensiero e di raziocinio. È tuttavia doveroso il convenire che pei grandi e moderni trattati, quali ad esempio i più diffusi, del Dana e dell’ Hintze non si poteva accettare una teoria, ricusandone altre, senza compromettere la voluta imparzialità della compilazione. Da ciò la preferita adozione delle formule empiriche, le quali, se derivate da buone analisi, forniscono cifre vere che ciascuno può utilizzare e discutere a piacere, adoperandole, o no, per costruire le formule di struttura secondo una od altra dottrina, ma che, per la modalità specifica di statica, tettonica e dinamica molecolare nulla ci dicono di più di quello che rispettivamente ci direbbe la indicazione musi- cale = Do, Mt Fa, Sol, La, Si =; ossia delle note occorrenti per da nota frase del coro verdiano « Va pensiero sull’ali dorate, ecc. ». Che i monossidi Mg0, Zn0, CuO, PbO, si presentino associati o dif- fusi nelle cristallizzazioni di alquante sostanze minerali, per es. la IDRO- — 623 — TALCITE [1 450, + (3 M90)]3.H,0+24H,0 secondo il Dana, la wOLTZITE 4 ZnS+ZN0, la MATLOCHITE, PO CI, + PO O, la MENDIPITE Pò CI, + 2 POO, la SCHWARTZEMBERGITE PdbJ, + POCI, + P6O (Tk.) (1), la PERCYLITE (Pò Cu) Ci, + (Pb Cu)O, + Aq; la crEDNERITE 2(Cu O,.Mn,0,), + CuO, ecc. può rilevarsi dall’emergerne la più semplice interpretazione dei rapporti dei componenti immediati, quale ha presieduto alla scrittura delle formule sopra riportate, e adottate rispettivamente dallo Tschermak (Tratt. di Min. trad. ital. pag. 242); che il sesquiossido 4/0, si trovi in diffusione omogenea, o in soluzione solida, ma non in combinazione atomica, nel pirosseno AUGITE, in alcune var. di ORNEBLENDA, ed a più forte ragione nella sArFirIiNa 3(Mg, Si 0,) + 841,0, viene ammesso anche dal Dana, dal Des-Cloiseaux, dal Vallerant e da altri trattatisti moderni. Lo stesso può dirsi del sesquiossido e, O,, per la STAUROTIDE, e più largamente e macroscopicamente nella var. di Oligoclasio detta PIETRA DI soLE, nei quarzi ematitici di Compostella; e cosi del biossido Ti O,, che allo stato di RUTILO (0 di sAGENITE) trovasi diffuso in forma di microsco- pici aghetti, con direzioni determinate in taluni cristalli di oLIGISTO descritti dall’ Hyalmar-Gylling e dal Cathrein; e nei GRANATI di Salem (Ceylan) de- scritti dal Prof. Lacroix. Per gl’ idrati di tipo & 4,0, troviamo sottintesa la perdurante integrità della loro costituzione molecolare, quindi una funzione equipollente a quella dell’ acqua di cristallizzazione, in un complesso di formule adottate e pre- ferite da parecchi mineralogisti per la loro naturalezza evidente, per la elegante simmetria che sorge dai rispettivi confronti e ravvicinamenti. Eccone degli esempi (formule adottate dal Descloiséaux, dal Fouquè, dal Michel- Lévy, dal Naumann, ecc.): MALACHITE CuCO, + CuH,o, AZZURRITE 2(CuCO) + CuH,0, IDROZINCITE Zn CO, + 2(Zn H.0,) AURICALCITE 2(Z2C0,) +..(ZnCuHo, BROCHANTITE (Cu OH), SO, CE 2.(Cu.H, O, Tk LANGITE CuSO, + Cu H, O, + Aq Idrati con solfati. LINARITE PoSORiICUO, Idrati con carbonati. \ Notevole la unione, nella Linarite, dell’ idrato di rame col solfato di piombo. ATACAMITE Cu CI, + 3(Cu H,0,) Idrato con cioruro. ATLASITE CuCI, + Ag + MALACHITE (secondo Dx.) (1) Abbreviaz: di nomi, da citare presso talune formule : Dx = Descloiseaux, F. M. L. = Fouquè- Michel Lèvy, Nmn = Naumann, Tk = Tschermak. Serie V. — Tomo IX. 78 — 624 — Per l’ATACAMITE, interviene anche Ia autorevole opinione del Darapshi di Santiago (Zeit-Groth, 1892, pag. 100), il quale dopo un cenno storico ed una discussiòne delle analisi di questo ossicloruro idrato, eseguite dal Proust, dal Klaproth, dal Dawy, dal Gmelin, dal Bertier, dall’Ulex, dal Mallet, dal Field, dal Bibra e dallo Stuven accenna ad una analisi nuova, e conclude che l’Atacamite non è un composto unico (ciò che spiega il ripetersi di tante analisi per la sterile ricerca di una formula razionale, unitaria e unica); che è lunione di differenti composti (ossidi, cloruri e idrati di rame). Afferma analoga composizione per la BROCHANTITE. Se il Des Cloiseaux, il Naumann, il Dana, il Fouquè e il Michel-Levy, il Norman Collie, lo Tschermak etc. hanno giudicato ragionevole, opportuno, sincero il rappresentare talvolta la struttura chimica di alquanti composti, fra quelli testé citati, colle formule di tipo RCO, + Ca H,0,, ovvero RISO, + n(RH,O,), separando il sale normale dal correspettivo idrato (di cristal- lizzazione); se il D’Achiardi scrive la formula dell’Eucroite: Cu,[HO] ASO, +3 Aq = Cu,[As O,], + Cu[HO], + 6 Aq scindendola in tre, dell’arseniato e dell’idrato di rame, e dell’acqua di cri- stallizzazione, appare evidente che per coerenza di concetto sorge l’ obbligo per gli stessi autori insigni dì preferire e adottare formule dello stesso tipo per gli analoghi fosfati e arseniati tribasici; pei fosfati di ferro, di allu- minio ecc., dei gruppi seguenti; facendosi così deferenti alla fisica, o se vuolsi, alla meccanica delle loro strutture, e non violentando la chimica delle loro molecole fondamentali : ADAMINA Aa AS OTEMZIITAO, Ortor. OLIVENITE Cu, As 44M CUInO, » EUCROITE — 9(Cu, As, 0) + 7CuH, 0). » LIBETHENITE Cu, P, Oo), + CuH,0, » ERINITE Cu, As, O, + 2(Cu H, 0) » TIROLITE Cu, As, 0, + 2(Cu H,0,) +74A4q » CORNWALLITE Cu, As, 0, + 2(CuH,0,) +34Aqg » LUNNITE Cu, P, 0, + 3(Cu H, 0,) Monocl. CLINOCLASIO Cu, As, O} + 3(Cu H, 0,) » TAGILITE Cu, P,, 0, +. CuHirETQgRAgb In questo prospetto sinottico si vede immediatamente che le dieci so- stanze cristallizzate sono costituite identicamente, o analogamente, dal con- corso di atomi degli stessi elementi, o di elementi isoatomici. Di questi é facilissima la repartizione, per ciascuna formula completa, in due gruppi — 625 — molecolari: uno, che rappresenta il sale normale tribasico, capace di cri- stallizzare ; l’altro, l’elemento determinante o favorente la eristalliszazione. [lWrapporio' frati ‘primo eill'secondo varia da: 1:1 a 12 avt:3; cosa frequente fra le particelle saline cristallizzabili e quelle della effettiva acqua di cristallizzazione ; le lievi differenze quantitative, qualche aggiunta di molecole di Ag, spiegano a sufficienza le differenze geometriche e morfologiche dei rispettivi cristalli; e sono alla lor volta. esplicabili in relazione a quei cambiamenti termici o meccanici circumambienti che ne- gli spazi dove si costituiscono i composti minerali, o si predispongono e si esercitano le attività orientatrici, possono dirsi inevitabili. Persistendo, invece, a supporre che ciascuno di quei composti provenga da una combinazione speciale ed unica di tutti gli atomi componenti; per- ciò rappresentabile con una formula unitaria, si protrae la deplorabile ignoranza sull’indole e il grado delle attività chimiche naturali, mine- ralogeniche; si offuscano i criteri più propizi per la paragenesi delle specie; tanto più, che d’accanto ai minerali cristallizzati di una data cate- goria sogliono trovarsi altri minerali, cristallizzati essi pure, di categorie differentissime; per lo più commisti e compenetrati colle loro masse, stante la contiguità e promiscuità dei rispettivi nascimenti. Seguono altri esempi; conviene tener conto, valutandoli, delle analo- gie fisiche fra gl’idrati di alluminio, di ferro, di silicio allo stato gela- tinoide o colloidale. Sono analogamente amorfi, diffusibili ; il loro comporta- mento cristalligeno può ravvicinarsi in un grande numero di casi a quello degli idrati : LAZULITE ATEO a MG OE Monoci. DUFRENITE 4(Fe, P,0,) + 3(fe H,0,) + n Aq Ortor. CHCOSENOANA(HeL-0) Ero) anAgnt» PEGANITE ARSO RENAZZO dg FISCHERITE ARONA LHO Sw AUGELITE ARR O MAZEI:O; » WMELLIREWi(AZREN0 er AL HT 0, dig TAVISVOCKITE Reg E, ONE ALHO, » Della coesistenza, o sincristallizzazione, di solfati con carbonati, in date proporzioni e con forme cristalline caratteristiche possono aversi esempi dalle sostanze che appresso: LANARKITE Pò .SO, + Pb C03 monoclina LEADHILLITE Pb SO, + 3(Pb C03) ortoromb. Solfati SUZANNITE Pò SO, + 3(P6 C03) romboedr. { con carbonati CALEDONITE Pd .SO, + 3(P6 Cu)C03 ortoromb. — 626 — Analogamente, di carbonati con altri carbonati, di differente costituzione chimico-molecolare : GAYLUSSITE 3(Na, CO,) + 4(Ca CO,) + 5 Aq. LIEBIGITE (U CO.) + (CaCO,) + 20 Aq. Calcite BARITOCALCITE (BaCO,) + (Ca Co,) Mr CALCIO-STRONTIANITE 9(SP CO.) + 2(Ca CO,) ARE RISSEITE (Zn CO) + 2(CuCO,) + 5(Zn H,0,) Pei cloruri ed analoghi, considerati sotto lo stesso punto di vista, ri- scontriamo preferite da competenti mineralogisti Ie formule che appresso: KAINITE Mg SO, + KCI + 3H,0. AMBLIGONITE 2(A/, P, 0) +3(NaLi)F APATITE (Care s09t= MCa CE PIROMORFITE 3(Pò, P, 0;) + Po CL, MIMETESE NOA 0) RICO Ossisali con cloruri WAGNERITE Mg,P,0, + MgF, e analoghi VANADINITE, 3(Po,V,0,) + PbCL FOSGENITE CO LOG BORACITE 2(Mg B)O, + MgCl, » Mg, Baar MgCci AI Michel-Levy e al Jannetaz devesi la conoscenza di una sincristalliz- zazione del fosfato tribasico di piombo PIROMORFITE coll’ arseniato analogo MIMETESE, e i rispettivi cloruri. Gli es. ne provengono dai noti giacimenti di Zschopau e Marienberg; e sono istruttivissimi quelli nei quali la Piro- morfite costituisce il nucleo assile dei cristalli, rivestito dalla Mimetese che diviene superficiale, con perfetta isoorientazione (Bull. ec. 1880 pag. 200). Il Prof. Goldschmidt di Heidelberg, discutendo, in una sua imponente Memoria (Zeitschr. Groth. Vol. XVII, 1889), delle formule assegnabili ai minerali così detti misti (ovvero poligenici), distingue come molecole secon- darie le particelle associate, ma non combinate molecolarmente alla so- stanza tipica del minerale che si considera. E nel citare esempi, dice: « ....noi consideriamo la Sodalite come un silicato che d’ accanto alla sua molecola ne ha una di sale aloide; consideriamo la Piromorfite come un fosfato con Pò CI, aggiunto ; ecc..... nelle formule, quelle delle molecole secondarie potranno unirsi colle principali mercé il segno + .... La molecola secondaria di un silicato potrebbe essere pure un silicato, ovvero St 0,.... Non é però isomorfa colla principale, ma costituita da silicati eteromorfi ». E per ricordare altri casi, distintissimi, di coesistenze, poligeniche os- servati recentemente, dirò della sineristallizzazione dei due sali artificiali, — 627 — tricromato di ammonio ortorombico e tricromato potassico, monoclino. Ottenuti dal Wyrouboff (Bull. Soc. Fr. XII, pag. 17), cristallizzano insieme, in proporzioni variabili ed in cristalli di abito esagonale. Come nei granati dei Cauterets si trovarono inclusi cristalli di Idocra- sia, cosi le Idocrasie di Witui contengono talvolta in diffusione i cristallini. di Granato. Nella LAzuLITE (A4/, P, 0) + M9H,0, vediamo l’idrato di magnesio nel rapporto di 1:1; nella wAGNERITE, il Fouquè e Michel-Lèvy, suppongono libero l’ idrato stesso di magnesio. Qui possono citarsi. come assai istruttive le associazioni dell’A. boro- silicico nella Danburite e nella Datolite; dell’ alluminato di ferro nella Keilhauite; della zirconia nella Catapleite, nella Eudialite. In questi casi, probabili se non certi, le sostanze che si associano sarebbero chimicamente inerti e fisicamente, ma moderatamente, attive; ossia con tenue azione sul- l’assettamento reticolare e sulla forma geometrica risultante. Presenterò nelle pagine ultime di questa Memoria le conclusioni cui credo si possa giungere circa la costituzione dei solfuri antimoniferi ed affini, dietro ciò che dal 1867 ad oggi (cioè dall’ epoca della mia pubbli- cazione sulla poligenesi dei solfuri minerali), si é insegnato e stampato sullo stesso argomento. Vediamo adesso ciò che può asserirsi per la Silice anidra e idrata in ordine alla sua coesistenza nei silicati minerali cristallizzati. La presenza della silice, c. s., nella struttura reticolare di parecchie specie di silicati minerali, che sussistono copiosi e cospicui anche allo stato anidro, può dirsi uno dei più accertati fatti della costituzione chimico- cristallina. Citerò soltanto gli esempi offerti classicamente dalle ZEOLITI, conside- rate come tipi feldispatici, uniti a silice idrata, con o senza acqua di cristallizzazione ed acqua di compenetrazione. Ricorderò come fino dal tempo del Fresenius si considerassero la DESMINA e la FILLIPSITE costituite dal concorso di quattro silicati; come lo Streng riguardi la cABASIA data da due silicati, con silice idrata; Ca.Sé 0, + Si A,,0, + 4(St H,O)), eviden- temente corrispondenti ad un gruppo anortitico, con 4 Ag. ossia oligoclasico con silice idrata insieme all’acqua di cristallizzazione (1). (1) Mentre siffatta silice — se considerata accessoria — non induce, colla sua presenza, differenze specifiche apprezzabili nel tipo molecolare invece, qualora fosse considerata come sostanza inerente e integrante di una combinazione atomica unitaria costringerebbe a tali gravi e urtanti lacerazioni nelle serie tassonomiche da dover sacrificare ogni criterio di naturalezza emergente da altre considerazioni di ben maggiore momento. Accrescerebbe il danno delle arbitrarie creazioni di specie, che non sus- sistono come tali, e col peggiorativo di nomi affatto inutili e ingombranti. Ritenendo che Ja silice accessoria, generalmente idrata, agisca come materia coordinata al mec- — 628 — Il Prof. G. Friedel, studiato il contegno dell’acqua nella costituzione di alcune zeoliti (Bull. Soc. Fr. de M.gie, T. XXII p. 17); segnalato il fatto dell’energico assorbimento dell’aria atmosferica dopo la maggiore possibile disidratazione (condensandosene fino a 50 volumi, alla pressione di 720 cent.); segnalato del pari il fatto che la polvere fina di cABASIA, disidra- tata e calcinata ad alta temperatura, non assorbe più l’acqua di idrata- zione, mentre a temperature basse si comporta, idratandosi, analogamente all’ANALCIME (v. analogia colla presa del gesso cotto);. verificato che l'espulsione dell’acqua non altera la struttura cristallina dei reticoli, e non modifica la birifrangenza, pure essendo reversibile, finisce con questa inter- rogazione : «...É egli permesso — in presenza di questi fatti, di dimandarsi una volta di più: la stessa cosa (che è vera per l’cqua) non può esser vera per la silice? Non esiste forse per le zeoliti, e per altri silico-alluminati, alquanta silice non combinata, zeolitica, funzionante in essi al pari del- l’acqua? vale a dire, semplicemente inferponendosi e restando indipen- dente dalla molecola che determina la forma del reticolo ? Ora, queste stesse dimande io me le ero già pubblicamente proposte fino dal 1866, discutendo la costituzione poligenica dei solfuri minerali (1867), dei silicati (1868), dei fosfati e arseniati (1869) e sopratutto nei - Nuovi studi sulla poligenesi dei minerali ecc. - (1880...1884); e dal mio punto di vista le avevo risolute affermativamente ! Il Friedel alla sua volta, si decide accettandone il concetto, nel succes- sivo suo studio del mesoTIPo (pag. 88). Ecco le sue parole: « Il faut remarquer encore qu’ aprés chaque déshydratation la rentrée de l’eau se fait de plus en plus lentement. La MESoTYPE est d’ailleurs beaucoup moins avide d’eau que la cHABASIE, par exemple. Déshydratée et plongée dans l’ eau, elle ne fuse pas et ne s’échauffe pas comme cette dernière. Enfin elle ne paraît pas absober sensiblement 1’ air atmosphé- rique comme le font la Chabasie et 1’ Harmotome. Je crois intéressant d’insister sur ce point que c’ est la reprise de l’ eau 4 froid qui détermine les modifications constatées d’ un chauffage à l’ autre. C’ est pour moi une nouvelle preuve de ce fait que /’ eau des zéolites n’ est qu’ interposte meca- niquement dans les vides du réseau du silicate ». canismo cristallino dei sistemi reticolari, sî sopprime ogni imbarazzo di chimici apprezzamenti: ed illuminando le ragioni delle proprietà fisiche dei cristalli si favorisce nel modo più naturale possi- bile la formazione dei gruppi generici dei silicati. Oltre a ciò si resta in accordo colle reeenti con- clusioni circa la costituzione delle notevoli miscele meccaniche di silice anidra e silice idrata distinte con i nomi di Quarzina, di Calcedonio, di Lutecite, colle modalità sferoedriche della Melanofiogite e colle cubiformi interessantissime della Cubosilicite. — 629 — Ed a pag. 147 lo stesso scienziato torna a dimandare : « Or quelles raisons avons nous de croire qu’ un tel ròle soit exclusi- vement dévolu à l’ eau? La seule, évidemment, réside dans /a facilité avec laquelle l’ élimination de l’ eau sous la simple action de ja chaleur nous permet de constater le fait pour ce corps. « J'ai montré que des fiuides quelconques pouvaient remplacer l’ eau des zéolithes. Mais, s’ il s’ agit d’ une molécule solide, comment constater ce mode spécial de combinaison ? Et n’est il pas, cepandant, bien vraisem- blable que 1’ éponge zéolithique, capable d’ absorber des solutions salines qui peuvent réagir dans sa masse, peut aussi bien, au moment de la cri- stallisation, ou aprés, s’ emprégner d’ un élément fixe que d’un élément volatil ? « J'ai fait voir d’ ailleurs, qu’ on peut, par l’ intermédiaire des. com- posés volatils, ou solubles, infroduire une certaine quantité de silice sans rien changer a l’ état cristallin d’ une séolithe. Cette silice s’y trouve di- stribuée, évidemment comme l’ eau mobile qu’ elle remplace ». Conclude il suo interessante lavoro, dicendo : « Je crois donc pouvoir conclure que toute l’ eau de la Mésotype est Ujegmieme nature tet toute entiére de l'eau zéolithique ». Nel gruppo dei pirosseni, l’Augite, il Diopside sarebbero miscele di due silicati : [Ca (fe Mg)]Si,0, + Mg Al, Si O, (Tk, e De Lappar.). Cito questo come es. di adozione dell’ idea delle coesistenze poligeniche di più silicati. Peraltro trovo indiscutibilmente preferibile, per tutte le con- siderazioni precedenti, oltre quella della semplicità di espressione, ridurre la forma surriferita nel modo seguente: S(R.ST0,) + A, 0,; dove R = (Ca, Mg, fe). Nel gruppo dei peridoti il Naumann, il Rammelsberg ammettono l’ as- sociazione di due tipi diversi: per es. l’ Olivina =(Sî.Mg,0,) (Si fe, 0,). Nel Serpentino lo Tschermak suppone pure coesistenti due silicati. In quanto ai feldispati basta ricordare la teoria notissima dei plagio- clasi; la quale dimostra che la dottrina delle sintesi cristalline fra i sistemi molecolari diversi, ma fra loro associabili, deve all’ illustre professore di Vienna pagine efficacissime ed approvazioni innumerevoli. Del resto, in più e più volte Egli ha dimostrato di aderire al concetto delle coesistenze poligeniche in altre categorie di minerali segnatamente colle recenti sue considerazioni sulla legge dei miscugli delle Tormaline (1). Rileva la duplice (1) Bemerk. iiber das Mischungsgesetz der Turmaline (Groth, Zeitschr. 1901). — 630 — natura chimica sussistente in questi silicati, emergente dalle analisi; ed osserva che gli errori inerenti a queste verrebbero in vista se le tormaline fossero miscugli di combinazioni isomorfe, e dello stesso tipo come /o sono i granati; mentre il miscuglio tormalinico non segue una legge cosi semplice, coesistendovi combinazioni di almeno due differenti specie. Inoltre ravvisando una analogia di composizione fra la Tormalina e la mica Flo- gopite propende ad ammettere nel miscuglio un terza combinazione. (Ram- mento che ho dato ripetutamente, fino dal 1868, come formula generale della Tormalina, la seguente: CIRO IO ossia l’ unione di tre molec. silicato di alluminio — tipo Andalusite pre- valente —, con una di tipo peridotico, e tre di A. borico di cristalliszazione). Il Prof. Tschermak, nelle sue numerose e cospicue pubblicazioni, nel suo trattato di Mineralogia, tradotto in italiano dal Prof. Grattarola, ha ripetutamente accennato, con molta autorità e competenza, alle unioni molecolari, alle miscele isomorfe, alle molecole complesse e cristalligene, ed alle coesistenze, nei cristalli di alquante specie minerali, di molecole di- versissime per tipo e composizione atomica (oltre le classiche associazioni dell’acqua di cristallizzazione ecc.). Sono pertanto lietissimo che l’illu- stre scienziato, adducendo a scopo anche didattico questi argomenti con ì quali ormai da molti anni ho cercato di sostenere e di fare accogliere, a prò della storia naturale dei minerali, le mie convinzioni sul fenomeno multi- forme delle coesistenze poligeniche, mi ponga in grado di affermare la grande affinità fra le nostre idee in proposito; ciò, trascrivendo qui ap- presso alcuni periodi del citato suo libro (Ediz. ital. 1883), ed alquanti apprezzamenti di mineralogia sistematica di cui può farsi tesoro. Nel trattato di Mineralogia (V. trad. ital. del 1883) il Prof. Tschermak, a proposito dei cristalli con acqua di cristallizzazione, dice (pag. 240): « Nei cristalli di questa specie la molecola cristallina si deve conside- rare come composta, da una parte dalla molecola principale, dall’ altra dalle molecole acquee aggregate. Questo concetto è il primo che accenna che la molecola cristallina puo essere costituita da più molecole chimiche ». Ed a pag. 241, dicendo delle unioni di molecole : « Nello stesso modo che la molecola cristallina di quei minerali che tengono acqua di cristallizzazione si ritiene costituita da un determinato composto e da molecole acquee aggregate, cosi pure si può ritenere che le molecole cristalline di parecchi minerali sieno formate da più molecole le quali sono di specie differente e collegate insieme da debole attrazione. « Simili unioni di molecole consistono appunto di particelle che non presentano alcuna libera valenza ..... ». — 631 — Seguono gli es. dei doppi cloruri: AgC/+ NaCl e di KCI+ Zn Cl,; quello dell’ allume potassico : A/, 5, 0,, + K, S0, + 24 H,O ed altri consimili citando, in appoggio, |’ esperienza del Thompson, la quale esclude ogni reazione chimica fra i due solfati, allorché per averne il sale doppio colle sue 24 molecole distinte, di acqua di cristallizzazione essi vengono me- scolati. Prosegue lo Tschermak: © Bg gi ma anche molti altri minerali sono considerati come sali doppi o come unioni di molecole, essendo verosimile che i singoli composti ivi contenuti si riuniscano soltanto nel momento della cristallizzazione, 0 nella formazione di un precipitato insolubile ». Qui, l’ eminente mineralista fa una prudente riserva ; Egli nota che, per i minerali cui allude manca la prova positiva della loro duplice (o mul- tipla, complessa ecc.) struttura, la qual prova, invece, si possiede per l’allu- me; e presenta come egualmente ammissibili, per alcuni tipi mineralogici, tanto le formule unitarie quanto le complesse o sintetiche. Ecco gli esempi: MATLOCHITE Pb,C,L,0 = PCI, + P6O JORDANITE Pb, As,S, Pb, As,S, + PbS (1) GLAUBERITE Na, Ca(SO,),, Na,0, + Caso, APATITE Ca CI PO, Cas, 0, 4-Cica, PO) 2) DOLOMITE Ca Mg(C 0), Ca CO, + MgCO, | DIOPSIDE Ca Mg (Si0,), Ca SiO, + MgSt0, TREMOLITE Ca Mg(Si0O,, Ca SiO, + MgSio, ORTOSE K, Al, St60, K,Al,Si,0+ 4Si0, (3) Peraltro, siffatta riserva diviene di giorno in giorno meno significante in ragione del continuo aumento delle conoscenze di sostanze cristallizzate nuove nelle quali si riscontrano, sperimentalmente, coesistenti due o più sostanze, con reciproco assettamento reticolare. Si può anzi ravvisare uno dei tanti esempi negli stessi plagioclasi, illustrati sapientemente dal Prof. Tschermak nei quali |’ assettamento suddetto può scorgersi dato dalle alternanze di sistemi piani paralleli, singoli o di limitata molteplicità (lamine cristalline sottili); mentre nei composti riccamente idratati, come ad es. gli allumi, le alternanze, le in- terposizioni e gli aggregati debbono necessariamente essere multipli ad elevato coefficiente per le particelle acquee in confronto a quelle del sale rispettivo. (1) Meglio: Ass Sz. PbS + 3PbS. 2) Ovvero 3(Ca PO,) + Cacl, (supponendo Ca, invece di C4,). (3) Meglio: (K, Sî10; + AlsSi0, + 4510, Serie V. — Tomo IX. 79 — 632 — Nelle pag. 249-254 della traduz. citata si accenna ad alcune prove delle MISCELE ISOMORFE, e si indicano talune notevoli particolarità di queste. Può dedursene la esplicita affermazione delle idee sulle poligenesi da me radu- nate e propugnate in appositi scritti. Anche le figure schematiche inserite nel mio Corso di Mineralogia (1872, vol. I, pag. 252), per dar idea di assettamenti regolari, simmetrici, fra elementi diversi (poligenici), trovano la loro adozione nel seguente periodo del Prof. Tschermak (op. cit. pag. 253): «edera. s’ intende anche facilmente che una soluzione contenente mo- lecole differenti bensi, ma tali che posseggano una orientazione quasi uguale delle loro attrazioni, possa formare dei cristalli. In questi cristalli, le molecole di speeie differenti saranno ordinate in posizione parallela, perché, ora alterneranno in strati, ed ora saranno così commiste che i cristalli si presenteranno come omogenet..... ». Il concetto che informa questo periodo corrisponde esattamente alla idea da me proposta per uno dei modi più caratteristici della poligenesi. È assai importante la avvertenza che si legge al $ 177 (pag. 251) del- l’opera suddetta. Si riferisce alla relazione fra i valori degli angoli diedri, nei cristalli misti, e le quantità ponderali che sono contenute in questi. Ed invero parve naturale, e verificato mercé dirette osservazioni, e già da gran tempo, che i valori e. s. obbedissero alla nota formula del Beudant: __ma+ nb. mit n ossia fossero intermedi, proporzionali, ai valori correspettivi dei singoli cristalli delle sostanze concorrenti. Ma il Prof. Tschermak avverte che le ricerche del Groth, dell’ Arzruni, del Neminar e di altri abbiano condotto a valori o/trepassanti i limiti stabiliti dai valori osservati sui singoli casi. Sulle variazioni dell’esponente di rifrazione, che nelle sintesi cristalline, poligeniche sono indotte dalle differenze quantitative dei singoli compo- nenti, hanno scritto importanti memorie o note, oltre al De Senarmont, al Topsoé, al Grailich al Marignac, al Dufet, iniziatori di tali ricerche, il Mallard, lo Tschermak, il Laverin, il Fock, il Pockels, etc. Non cito questo mirando ad esporre una opinione sul qualsiasi grado di approssimazione della sopra accennata legge della proporzionalità; ma semplicemente per confermare il fatto che numerosi, insigni e competenti scienziati hanno eseguito ricerche delicatissime di osservazione e di cal- colo per giungere a formular essa legge; nella quale evidentemente si sot- tintende la perduranza e la interezza delle particelle cristalligene attive sulla propagazione delle energie fisiche attraverso i cristalli in esperimento. — 633 — Aggiungo che questa dottrina delle particelle fisiche di cristallizzazione é stata riassunta, discussa e ampliata dal Goldschmidt, col titolo di meta- chimica. Questo cristallografo qualifica, alla sua volta, la particella come l’unità dell’edificio cristallino; come la pietra di costruzione del eristallo, assumendo così gli stessi criteri, le stesse considerazioni e conclusioni che su tale argomento fondamentale io avevo esposto, ventidue anni prima (nel 1867), colla Memoria sulla poligenesi dei solfuri minerali e con altre consecutive. Egli si avvicina, altresi, alle mie definizioni ed ai miei con- cetti per le formule da darsi alla composizione e struttura dei minerali complessi; salvo che Egli, il Goldsechmidt, chiama formule aggregate quelle che io soglio chiamare formule sintetiche 0 poligeniche. Ora, di ciò deve tenersi buon conto; ma non per combattere |’ idea della regolarità o simmetria di assettamento fra le particelle o i reticoli dei composti differenti in associazione ; bensi per far ravvisare molto probabile che in certi casi le particelle di uno o di più componenti, subi- scano, durante la fase del lavoro cristalligeno, per la reciproca influenza molecolare, in ordine alle relative distanze nodali, alle ampiezze delle maglie reticolari ed agli equilibri delle reciproche attrazioni ecc. una modi- ficazione dei loro gruppi specifici, sufficiente per indurre le lievi testé ricor- date divergenze. In ogni modo ne deriverebbero adeguate modificazioni nella conducibilità termica, nel calorico specifico, nella densità; modifica- zioni non inerti sulle reciproche orientazioni e incidenze dei reticoli, nella massa, e perciò riconoscibili nelle incidenze delle faccie alla superficie (tranne nei cristalli isotropi, monometrici), e nelle differenti zone. Del resto, siccome in parecchi casi, le variazioni del genere ora consi- derato favoriscono reciproci isomorfismi, così è permesso prevedere che in altri casi, cambiato il segno del risultato, si producano sensibili allontana- menti dalla cifra rigorosa della media proporzionale; però con valori oscil- lanti intorno a quello calcolato come normale, ogniqualvolta varii la tem- peratura delle rispettive masse. Spigolando in altri scritti di altri autori, per affermare viemeglio la quasi universale accettazione dei principii essenziali della poligenesi, rilevo che nella maggior parte della opere didattiche moderne di mineralogia si assegna ai cristalli pseudocubici e mimetici di HaùyNna una formula doppia, separando quella complessiva, spettante ai silicati, da quella dei solfati. Nella formula della soDALITE, essa pure pseudocubica e mimetica, sì man- tiene diviso il cloruro sodico dal silicato: 3(Na, Al, Si, 0;) + 2 Na CI. — 634 — di tipo feldispatico ; ed il Rammelsberg consiglia di fare altrettanto per le formule della LEUCOFANE : 3(AR.SIO, R,St0,)) + NaF; e della MELINOFANE (RS 0O,+AR,StO,+6(NaF)(1). Il Fouquè considera la MELLILITE come una miscela di varie propor- zicni dei due silicati GEHLENITE € AKERMANNITE (Bull. T. XXIII). Il Prof. Lacroix, avendo osservato in taluni cristalli di MuscoviTE orla- ture di LEPIDOLITE e in altri cristalli di LEPIDOMELANO (Annivite) orlature di. CRIOFILLITE ammette che la costituzione di talune MICHE possa spiegarsi mercé la coesistenza di altre varietà dello stesso genere in miscuglio meccanico, isomorfo. Il Prof. Clarke studiando la composizione delle MIcHE, delle CLORITI, delle MARGARITI ecc. (Amer. jour. of. Sc. 1892), conclude che tali minerali possono essere considerati come miscele isomorfe semplici, nelle quali ciascun componente è il portato di sostituzione di un polisilicato o dì un ortosili- cato normale di Alluminio. Nota che tale interpretazione potrebbe esten- dersi ad altri minerali. Il Prof. Wallerant crede che nelle sincristallizzazioni dei sali monome- trici, isotropi, bromato con clorato di sodio, azotato di bario con azotato di piombo avvenga un cambiamento di struttura nelle particelle, donde, nei cristalli poligenici che rispettivamente ne derivano, un contegno ottico dì biassicità. Il Prof. P. Termier discutendo la EPIbOTO-ZOÎZITE (Bullet. T. XXIII) dopo le premesse sulle deduzioni attinenti alle relazioni cristallografiche fra l’ Epidoto e la Zoizite, descrive le particolarità da lui osservate ed il fatto della sintesi cristallina delle due specie; e si vale di espressioni che ricordano quelle da me preferite parecchi anni or sono per il medesimo intento. Scrive il Prof. Termier: « Les deux espéces sont susceptibles de « cohabiter sous lu méme forme cristalline ..... (2). Il manquait jusqu? icì, « pour l’ étude de ces rapports, |’ argument évidemment capital que | on « aurait pu tirer d’ une association naturelle de l Epidote et de « Zoisite. Cette association ..... je viens de la. découvrir, ecc. ..... ». (1) Del Rammelsberg, il Prof Wyrouboff ci dice questo (Bull. T. XXIV, 1901): « parmi les questions générales... les rapports entre la composition et la forme — et l’isomorphisme, qui n'est en quelque sort qu’ un cas particulier — ont particulièrement préoccupé Rammelslserg. Les longues et patientes recherches sur les composés les plus diverses l’avaient amené à la conviction que l’ana- logie de la composition chimique n’ était qu’ accidentellement la cause de l’identitè des formes. /l croyait que les corps de composition fort differentis pouvaient, dans certaines conditions cristalliser eusemble, en proportions indefinies ». (2) Qui, evidentemente il verbo colhabiter equivale al verbo coesistere da me adottato ; forse è più efficace, richiamando l’idea dei coinquilini che possono separarsi, sostituirsi, variar di numero e di qualità, come può credersi che avvenga — entro certi limiti — per le particelle delle unioni poligeniche. — 635 — Più oltre, (pag. 54) il Termier aggiunge: « ..... Za loi de ce grou- pement est precise et semble constante ». Dipoi (pag. 58) €... ainsi l’ étude de |’ EPIDUTE et de la zoizire, incluse dans la PREHNITE du Mont-Pelvas, montre que |’ Epidote et la Zoizite (a) sont susceptibles des s’associer sui- vant un loi géométrique ». Infine (pag. 59) « ..... Dans cette forme d’ E- pidote la particule complexe (suivant l heureuse expression de Mr. Wal- lerant), semble étre egactement orthorombique » (mème page) « La particule complexe est certainement triclinique..... ». Pertanto è noto che fin dalla prima edizione del mio Corso di Mine- ‘alogia (1862), e fin dalle prime memorie sulla Associazione poligenica ho adottato e proposto le parole parzicella fisica, o particella complessa 0 particella iniziale, cristallogenica ecc., per designare lo stato speciale di solidità degli elementi che si associano poligenicamente ; inoltre che ho cercato di generalizzare questa deduzione: A misura che la composizione molecolare, delle sostanze che cristallizzano, si fa più elevata 0 complessa (come in quelle segnatamente di natura poligenica) vedesi /a rispettiva simmetria cristallografica allontanarsi viepiù dalla regolarità isometrica e dalla uniasse. Ciò che emerge dalla associazione dell’ Epidoto colla Zoizite (a) ecc. offre colla sua simmetria triclina un argomento di più, favorevole alla tesi. Il nome composto (EPIboTO-ZO0ÎZITE) felicissima applicazione del binomio, corrisponde all’ idea della sintesi poligenica, ed alla proposta che formal- mente feci, anche nel « Corso di Mineralogia », per la preferenza da darsi a questa regola di nomenclatura, provvida frenatrice della deplorabile li-- bertà inerente alle altre vane regole sussistenti. Infine, dicendo una parola anche sul probabile ufficio del solfuro S6,$, come elemento di cristallizzazione nei così detti solfuri doppi, o sulfosali antimoniferi traseriverò un brano della Relazione dei miei scritti sulla poligenesi, che nei 1867 fu presentata alla Soc. geol. di Francia dal Vice Presidente A. Caillaux : «....les sesquisulfures d’antimoine et d’arsenic peuvent fonctionner dans les sulfures cristallisés — dits su/fures doubles —, absolument comme s’ils en constituaient l’élément (on dirait l'eau), de cristallisation. Ils va- rient, en effet, suivant des quantités bien définies et rationnelles, en méme temps que varient les conditions dans lesquelles se reproduisent les cri- staux; ainsi que cela se passe pour l’eau de cristallisation dans les com- posés hydratés. « En effet, on comprend la GALENE avec la sTIBINE donnant: ZINCHENITE IS ISESZS SA BOULANGERITE 3 PbS + S6,5, PLAGIONITE 14, PbS + Sb,5, HETEROMORFITE 4 P6S + S0,5, JAMESONITE CARROSTISIESONSA GEOCRONITE SMMrIS AE #S0SI — 636 — « Si l’on généralise pour le sulfure d’antimoine, pour les analogues et pour beaucoup d’autres composés, l’action mécanique que l'eau de cri- stallisation exerce dans la génése des cristaux des corps auxquels elle s’unit, en les hydratant, on généralise un fait qui jusqu’ à& présent, et sans véritables motifs suffisant a eté uniquement appliqué & l’ eau, on voit aussì disparaître les difficultés qui dans l’ interprétation rationnelle des sulfures dowbles proviennent des difféerences atomistiques de |’ antimoine et des autres radicaux métalliques. « Les sulfures doubles sont considérés relativement aux sulfures simples de la méme maniére que les sels hydratés, rélativement à leurs correspon- dants anhydres. « Enfin, et surtout, si l’on applique aux sulfures d’antimoine, etc., la loì connue depuis les découvertes de Mitscherlich relative au polymorphi- sme des sels susceptibles de s’hydrater par diverses proportion d’eau, en dépendance de la temperature, on a l’explication la plus naturelle du polymorphisme des différentes sulfures antimoniféres dont le plus grand nombre ne different entre eux dans leurs formules que par les differences dans les quantités des molécules du sulfure d’antimoine ». Inoltre rileverò che i Proff. Busz e Laspeyres, nel riferimento nella costituzione di alcuni arsenio-solfurì e antimonio-solfuri minerali (Bull. T. XVI, 1893), considerano quali miscugli isomorfi la KORINITE (secondo essì associazione di Ullmannite o di Gersdorffite); la KALLILITE (id. Ullman- nite, Gersdorffite e Bismutite). Il Naumann, nella sua Mineralogia dichiara la TETRAEDRITE (Fahlerz) un miscuglio di (4R,S)+(S65,5,); ovvero di (RS) +S6,S,; la BOURNONITE come %2(PbS + Cu,S) + S6b,5,. Lo Tschermak dopo di aver giustificata con considerazioni teoriche la preferenza che Egli bene spesso dà alle formule unitarie o monomie, in confronto delle bdinomie ecc., concede alla JAMESONITE la doppia formula PbSb,S, + 2PbS(=3P6S+ S6,S,); alla MENEGHINITE: (3P6.S8,S, + 3P6OS); e crede di poter assegnare alla sTEFANITE, la formula: Ag, 56.8, +2AgS. Ritenendo sufficientissime le citazioni precedenti per sostenere la tesì dell’ intervento frequente, multiforme e naturale delle coesistenze polige- niche nella chimica costituzione dei minerali complessi tralascio molte altre citazioni dello stesso genere, dello stesso valore e dell’identico signi- ficato. Tanto più che potrebbe muovermi accusa di zelo eccessivo, e di volere sfondare un uscio già bell’e spalancato. Ardisco, dunque, di confermare, concludendo : 1.° Essere ormai esplicitamente ammesse, come verità dimostrate — 637 — mercé osservazioni, esperimenti e deduzioni, dalla maggior parte dei più insigni e autorevoli mineralisti contemporanei : a) La unione fisica regolare e cristalligena deile particelle so/ide di acqua, nei sistemi reticolari di quelle sostanze nelle quali essa funziona come acqua di cristallizzazione ; 6) la possibilità che altre sostanze, per es. monossidi e idrati metallici, alcuni dinari non ossigenati, la silice, la allumina ecc., sostituiscano l’acqua di cristallizzazione prendendo posto colle loro particelle negli spazi retico- lari, ed al pari di essa presentando rapporti di quantità rispettivamente costanti ; c) la sussistenza ed abbondanza, nel regno dei minerali cristallizzati, delle così dette miscele isomorfe, che fino dal cadere del XVIII secolo l’Hermann, ammettendo le associazioni per isomorfismo nelle tormaline, nelle miche e neì granati, chiamava di eferomerta ; miscele (0 coesistenze, o sincristallizazioni poligeniche) oggidi universalmente discusse con criteri, coordinati non gia al concetto di confuse o caotiche mescolanze, bensi a quello di regolari adunamenti di particelle fisiche fra loro diverse; le une, disposte in sistemi reticolari, le altre occupanti gli spazi nelle file e nelle maglie di quegli stessi sistemi; 2.° Essere perciò conveniente, pratico e didatticamente indicatissimo che la modalità delle formule assegnate agii esempi preferiti di poligenesi per miscugli isomorfi, o per elementi di cristallizzazione ecc., sia estesa anche a quei composti complessi, che spettano allo stesso tipo dei suddetti. Credo che l’eccellenza della classificazione che mi é risultata applicando questa proposta, quale fu già sperimentata nel mio Trattato di mineralogia descrittiva, e nelle due maggiori collezioni del Museo mineralogico bolo- gnese da me diretto, dia una prova decisiva a favore della proposta medesima. 3.° Essere indispensabile, sia pure come convenzione o concessione di opportunità, il conferire alle sole molecole, di qualsiasi ordine, ma di costituzione unitaria, le formule unitarie; ai gruppì complessi, derivanti dalle coesistenze poligeniche e talvolta da aggregati discernibili otticamente, o da soluzioni parziali e dissociazioni, le formule esse pure complesse; cioé, rispecchianti la struttura fisica e la tettonica cristallogenica dei rispet- tivi composti. Segue il quadro sinottico della classazione dei silicati, in dipendenza della teoria delle coesistenze e sintesi cristalline, o poligeniche dei loro tre tipi fondamentali. LE DIVISIONI DELLA FAMIGLIA SRO, (Sie 0) tipo Metasilicato - Pirosseno - Amfibolo WAIOESSIZTOE SALO Saona (Tri-silicato normale) Tipo Granato | VETAVATAZZIRIVAT, tI Si R, 0, Ì DEI STRO. + SRO, (Meta-ortosilicato) tipo Serpentino Talco ac33> —_°_——__ Idocrasia O (Si H, 0)) | mSi R,0, + nSi AL O; Epidoto ecc. { tipo Ortosilicato - Peridoto { Orto-alluminio-silicato Allanite | - Gadolinite\ Stipite dei tipi: Zoizite ecc. II GENIO, \ Cloriti - Miche 1 St Al, O; Pennina - Meroxeno ‘ tipo Allumino - silicato | Ripidolite - Flogopite 7 SICALIOTO — Xantofillite - Biotite Distene Turingite - Muscovite Topazio Clinocloro - Lepidolite Tormalina Sismondina - Damourite CECI) ecc. (1) Appendici: Caolini, Allofani, Lenziniti ecc — Silicati con titanati, tantalati ecc. SILICATI MINERALI SIRO, + SALO, (Meta-allumino-silicato) tipo Feldispato Anortite-Albite-Plagioclasi - Ortose - ecc. c.8s.+m4_,0+n(St H, 0,) (Elem. di cristallizzazione) tipi: Nefeline - Berilli ecc. Sodaliti - Leucite Analcime ecc. Verneriti - Mejonite ecc. Zeoliti Cabasia Natrolite Stilbite, ecc. ; 7 vel 4; Ù Fida | n Leg. ve bal ri o ) 7 - i, n » » A # ri o » h; i * D LI n * È S a, ù LO (990) ni vi y : ' ; a 4 ta o Ga ti 5) P \ | “i Nn î Id ca + i Ù Ù g Il oh A A . 1 ; . 1 Ze 7 = . Ù ni i + > LI È . ) s iti Ù vi i # x i 5 ' . Ù i x i : i VS ” , È ( ) L.Bombicci. Sui probabili modi di formazione dei cristalli di granato. ‘eoscopico Con rilievo stel | Mem. Ser V tomo IX. (Grandezza naturale) E. Confolt lit. Lit. Mazzoni e Rizzoli-Bologna [Bombicci dis.dal vero RC RIGUERESDE: L'AVTTA VOLA Fig. A - Disegno stereoscopico (da fotografia) dell’incontro dei tre prismi tetragonali delle zone degli assi normali. Origine delle facce del Rombododecaedro. Fig. B - Disegno c. s. dell’incontro dei sei prismi ortorombici delle zone degli assi normali alle coppie di facce. Origine c. s. del Rom- bododecaedro. Fig. C - Inclusione, con isoorientazione per isomorfismo reciproco di un cristallo di solfato di nichel (NîSO, +7 4,0) in altro di puro solfato di magnesio (Mg SO, +74H,0). Grandezza naturale. Copia dal vero. Fig. D - Inclusione c. s. di un cristallo di solfato di nichel, in uno di doppio solfato di nichel e magnesio, e questo in uno, esterno, di solfato di magnesio puro (grand. naturale, copia dal vero). Fig. E - Inclusione, con isoorientazione ce. s. di un cristallo di doppio solfato di nichel e cobalto, in uno di solfato di magnesio. Fig. F - Inclusione c. s. di un cristallo di solfato di cobalto in uno di doppio solfato di magnesio e di ammonio. Serie V. — Tomo IX. 80 NOMI DI AUTORI CITATI NELLE PAGINE PRECEDENTI Achiardi (D’) Arzruni Bachstroom . Brògger . Busz Caillaux . Cathrein . Clarke. Dana . Darapski. Delafosse. Des Cloiseaux . Dufet . Fock Fouqué Fresenius Friedel (George) . Goldschmidt. Grailich . Groth . Haùy . Hermann. Hintze. Hyalmar-Gylling . Jannettaz. pas. 597, 615-621, 624 632 598 598 636 597, 635 623 634 622, 623, 624 624 612 623, 624 632 632 623, 624, 627, 634 627 600, 612, 620, 628 626, 633 632 632 613 612, 637 597, 622 623 626 m( Za ® 9 2, Kosmann . Lacroix Laspeyres. Laurent Lavenir Mallard Marignac . Michel-Levy. Naumann. Neminar . ; Norman- Collie . Pasteur Pockels Rammelsberg Senarmont (De). Streng . Thompson Topsòe. Tschermak Termier Vallerant . VantéElo tia Weinschenk. Weltzien . Wyrouboff TA\Me P25: 607, 617 598, 607, 623, 599, 636 612 632 634 609, 619, 632 632 623, 623, 632 624 640 632 629, 632 627 631 632 599, 616, 624, 629, 632, 63( 634 626, 627, 624 624, 629, 636 632 623, 634, 635 621 598 601 612, 619 RICERCHE INTORNO ALLO SVILUPPO DI ALCUNE SPECIE DEL Us 1507) 19, ED DA Oi NOTA PROMO STOFNMORENI (CON FIGURE) (Letta nella Sessione del 26 Maggio 1901) Ben lungi dall’ essere completamente noto è il ciclo evolutivo del corpo basidioforo delle Poliporee in generale. Il de Bary nella sua classica opera, nel capitolo Entwickelungsgang u. Verwandtschaften der Basidiomiceten (1) riferisce alcuni pochi fatti ed alcune particolarità il più delle volte di non grande importanza. Al Brefeld si devono ricerche più dettagliate in proposito, le quali si trovano riportate e riassunte nel lavoro del Tavel (2), e specialmente importanti sono quelle che si rapportano allo sviluppo dei tubuli ime- niiferi del Polyporus vaporarius (3). Non meno interessanti sono poi le osservazioni fatte dallo stesso Brefeld sull’ Heferobasidion annosum e sul gen. Oligoporus in relazione alla formazione conidiale (4). Il Zopf nella sua opera « Die Pilze » (5) limitasi principalmente a riportare i risultati delle ricerche del Brefeld. Ma circoscrivendo la nostra attenzione alle specie del gen. Boletus, noi abbiamo che lo sviluppo del relativo corpo fruttificante è pochissimo (1) A. de Bary. Vergleichende morphologie u. biologie d. Pilze Mycetozoen u. Bacterien. Leipzig, 1884; pag. 353. (2) J. von Tavel. Vergleichende morphologie d. Pilze. Jena, 1892; pag. 150-152. (3) J. v. Tavel. Op. cit., pag. 150. (4) O. Brefeld. Untersuchungen aus dem Gesammtgebiete d. Mycologie, VIII. (5) W. Zopf. « Die Pilze » (Handbuch d. Botanik herausgegeben von A. Schenk; Vierter Band, pag. 621, Breslau 1890). o = conosciuto e nei suoi tratti essenziali i micologi ammettono che esso de- corra come nelle Agaricinee (1). Il presente lavoro considera anzitutto lo sviluppo del corpo fruttificante imenioforo di alcune specie di Boletus e specialmente del 5. edulis e B. satanas, unitamente alla genesi dei basidi e delle basidiospore; ma studia ancora le forme conidiali che entrano nel ciclo evolutivo delle specie anzidette. Le prime ricerche furono intraprese in corpi fruttiferi che, in diametro verticale, misuravano da 4 a 6 millimetri. Queste formazioni si mostrano costituite da un denso intreccio di ife a membrana scolorata, nelle quali non è possibile riconoscere alcuna differenziazione, se si eccettua nella porzione terminale, dove le ife tendono ad irradiarsi tutt’ attorno in modo da formare una specie di calotta sulla rimanente parte sottostante, che poi darà origine allo stipite od al pedicello. Questi primordi della fruttifi- cazione basidiofora si sviluppano da un micelio fioccoso, costituito da ife lassamente intrecciate, nel quale con discreta fre quenza si può osservare il fenomeno delle collegazioni fibulari o sehnallenverbindungen, delle quali parla il de Bary a pag. 2 .e 3 del suo qui citato lavoro; dette collega- zioni devono essere interpretate come semplici fatti di anastomosi cellu- lari, senza alcun significato sessuale come invece alcuni hanno voluto ammettere ; in esse infatti giammai si riscontrano quei fenomeni morfo- logici e funzionali relativi ai nuclei, che si bene caratterizzano i processi sessuali. Mano mano i su accennati primordi vanno progredendo nello sviluppo, in essi anzitutto si differenzia all’ esterno una specie di stratificazione cor- ticale, la quale é di colore giallognolo pallido, ed è formata da ife a mem- brana alquanto inspessita e colorata in giallo, con sepimenti trasversali piuttosto ravvicinati fra loro, per cui ì segmenti componenti le singole ife sono brevi; aggiungasi, che queste ife corticanti sono fittamente insieme intrecciate, ed il loro contenuto è molto acequoso e scarsamente albu- minoide. La progressiva differenziazione dello stipite e del cappello ha messo in rilievo fatti interessanti, che ora riassumiamo brevemente. Incominciando dallo stipite, questo fino a sviluppo alquanto inoltrato dell’ intero corpo fruttificante, si dimostra come la parte preponderante sotto il rapporto del (1) J. v. Tavel. Op. cit., pag. 152. — 643 — volume ; ha forma ovoidale cilindroide ed inferiormente (2. edulis) si con- tinua nelle ife miceliali più o meno lassamente intrecciate, diffuse nel substrato nutritizio ; nella sua porzione superiore le ife che lo costituiscono si espandono e si continuano in quelle componenti la stratificazione che costituisce quella specie di calotta che ricuopre lo strato dei tubuli. Le ife componenti questa calotta sono insieme intrecciate irregolarmente e sono debolmente colorate; quindi fanno un singolare contrasto colle ife costi- tuenti lo stipite, le quali prima prevalentemente longitudinali nell’ interno di questo, a poco a poco si ripiegano all’ infuori e si irradiano tutt’ at- torno onde formare la zona anzidetta che sta sopra allo strato dei tubuli. Come ha notato il Tavel (1), la prima differenziazione della strati- ficazione dei tubuli e dell’ imenio basidioforo neli’ interno di questi, ha luogo in alcuni casi gia dentro il corpo fruttificante mentre trovasi negl’ inizi del suo sviluppo, per cui l’ apparato basidioforo potrebbe veramente deno- minarsi angiocarpico. Ciò noi potemmo ampiamente confermare special- mente nel 2. edulis. Infatti in questa specie, mentre il giovane corpo frut- tificante presenta un ancor tenue volume, praticando una sezione longitu- dinale di quello, scorgesi che lo strato dei tubuli è già bene differenziato e visibile ad occhio nudo, mentre resta avvolto dall’ intreccio delle ife sterili formanti la calotta più sopra menzionata. A questa fase il corpo fruttificante é costituito dallo stipite avente una forma press’ a poco ovoidale e dal cappello più o meno regolarmente emisferico, il cui margine mantiensi ancora aderente alla corrispondente zona superiore del pedicello, quantun- que la formazione dei tubi imeniofori siasi da tempo iniziata. Taie aderenza è data dalla continuita e dal reciproco intreccio delle ife delle due porzioni fra loro adiacenti dello stipite e del cappello. Questa contingenza spiega come in determinati casì puossi osservare |’ angiocarpia nello sviluppo del corpo fruttificante dei Boleti. Un fatto non privo di interesse è che lo svi- luppo dei tubuli basidiofori effettuasi in modo rigorosamente centrifugo, quindi incomincia attorno allo stipite, per procedere a poco a poco verso il margine del cappello; e poiché il detto sviluppo è più rigoglioso nella porzione interna che in quella esterna della stratificazione dei tubuli, si ha che lo strato dei tubuli è più grosso in corrispondenza allo stipite, mentre si fa gradatamente più sottile mano mano si procede verso il margine del cappello. In che modo si originano questi tubuli? Come più dettagliatamente esporremo in un prossimo lavoro, la genesi di questi nelle specie qui osservate, compiesi in un modo che sotto diversi aspetti devia da ciò che è finora noto per le altre Poliporee. Dapprima le ife componenti la (1) J. v. Tavel. Op. cit., pag. 152. — 644 — stratificazione destinata a formare lo strato dei tubuli del cappello già descritto, si dimostrano intrecciate fra di loro molto lassamente ; col pro- gredire dell’ età del corpo fruttificante, in numerosissimi punti fra loro molto approssimati, l’ intreccio effettuasi più densamente. Sono appunto queste specie di noduletti quasi contigui fra loro, ed accrescentisi in dire- zione perpendicolare alla superficie inferiore del cappello, che rappresen- tano i primordì evolutivi dei tubuli imeniofori. Infatti, nel loro ulteriore accrescimento la specie di finissima rete che a poco a poco così si for- ma, va sempre più sollevandosi sulla circostante superficie inferiore del cappello ; ed in tal modo va gradatamente delineandosi sulla detta super- ficie una specie di reticolo le cui maglie acquistano a poco a poco un con- torno tondeggiante. Ma l'incremento delle rilevatezze ora accennate va continuando, per cui le cavità si trasformano in canaletti diretti perpen- dicolarmente alla superficie inferiore del cappello : costituiti cosi i tubuli, la cui faccia interna va mano mano rivestendosi dell’ imenio basidioforo, é chiaro che la genesi di essi é manifestamente soggetta all’ azione del geotropismo positivo, fenomeno questo di cui si hanno prove convincenti in forme di Poliporee a tallo resupinato, dove le formazioni ifiche desti- nate a costituire i tubuli tendono a ripiegarsi in basso nella direzione del substrato nutritizio. In alcuni casi e massime nei corpi fruttificanti del B. luridus e B. satanas, alla formazione dei canaletti pei quali si origi- nano i tubuli, contribuisce ancora lo sviluppo dell’ imenio che è formato da basidi e da cistidi: colla loro evoluzione queste due specie di organi vanno allontanando l’ una dall’ altra le ife adiacenti, per cui lentamente si forma un canale assile cilindroide che costituisce i tubuli, i quali poi rimangono collegati reciprocamente mediante il lasso intreccio di ife di cui si é fatta menzione superiormente. Nella loro prima fase di sviluppo i basidi hanno forma cilindroide, contengono un protoplasma riccamente albuminoide finamente granuloso e di colore luteolo; un solo nucleo si riscontra nell’ interno di questi pri- mordi di basidi. Mentre i detti giovani basidi vanno lentamente sviluppan- dosi, dalla loro porzione superiore germogliano 4 sterigmi filamentosi ma molto brevi, i quali al loro apice si rigonfiano in una cellula globulosa, che é la futura basidiospora. Contemporaneamente a questa germinazione degli sterigmi, |’ unico nucleo situato press’ a poco nel mezzo del basidio, subisce un doppio processo di bipartizione, per cui si formano 4 nuclei figliali, ognuno dei quali si porta nella regione superiore del basidio per poi addentrarsi nel relativo sterigma. Il nucleo dapprima perde la sua forma globulosa, si assottiglia, divenendo così filamentoso; e così s’ in- sinua entro lo sterigma, scorrendovi fino all’ apice di questo, dove pene- tra nel rigonfiamento già accennato, per costituire cosi il nucleo della futura basidiospora. — 645 — Un fatto molto importante è quello relativo ai nuclei primitivi del gio- vane basidio : infatti, questo contiene due nuclei a due cromosomi ognuno. Questi due nuclei si congiungono in uno solo, il quale possiede così 4 segmenti nucleari. Nei due processi cariocinetici successivi, pei quali si formano i quattro nuclei figliali, ognuno di questi presenta 4 cromosomi. Ecco dunque spiegato |’ interessante fatto che ciascun nucleo delle basi- diospore contiene solo 4 cromosomi, mentre quello primitivo del giovane basidio ne presenta 2. Tutti questi fatti furono osservati più specialmente e con molta co- stanza nel Boletus edulis e nel B. satanas. In quanto ai cistidi, queste formazioni differiscono dai basidi per la loro maggior dimensione; sono quindi più lunghi e per ciò più o meno sovrastano sui circostanti basidi; inoltre contengono un protoplasma molto meno ricco in albumina di quello dei basidi, é dunque più acquoso e maggiormente ialino; ciascuno contiene due nuclei a 2 cromosomi; e questa contingenza concorre a dimostrare come i cistidi sotto il punto di vista della morfologia comparata si debbano ritenere come omologhi ai basidi, dai quali si sarebbero prodotti mediante un arresto nello sviluppo. DE Ed ora passiamo ad esporre brevemente quanto abbiamo potuto osser- vare intorno alle formazioni conidiali. Devesi anzitutto premettere che nelle Poliporee si osservano di rado le dette formazioni, le quali sono state riscontrate principalmente nei ge- neri MHeterobasidion, Oligoporus, Fistulina, Polyporus, Daedalea e Lenzites. La forma e gli altri caratteri dei conidi e delle ife conidiofore é molto variabile, ed in proposito sì potrà consultare con profitto il lavoro del Tavel (1). Nel Boletus edulis dalle ife miceliali, dalle ‘quali poi si forme- ranno le fruttificazioni basidiofore ora studiate, nascono dei filamenti sem- plici o ramificati alla cui estremità si generano dei conidi ovoidali, iso- lati o disposti in brevi catenelle; in taluni casi questi conidi si formano aggregati alla sommita degli esili ramuscoli, in modo da costituire una specie di capolino. Nel 8. saranas predomina invece la formazione isolata dei conidi. Le conclusioni principali a cui siamo pervenuti con questo breve stu- dio, si possono formulare nel seguente modo : (II vi Ravel.Opilcit., pag. 152-155. — 646 — 1. Angiocarpia del corpo fruttificante basidioforo meglio manifesta nel 5. edulis, accompagnata da una speciale differenziazione dello strato a tubuli basidiofori. 2. Confluenza in uno solo dei due nuclei dei giovani basidi, per cui ogni basidiospora adulta contiene un nucleo normale con quattro segmenti nucleari. 3. Formazione conidiofora nel 2. edulis e nel B. satanas; essa è alquanto variabile nei suoi caratteri ed oscilla fra la sporificazione isolata semplice od a catenella, e quella a capolino. SAS LT SS SULL' ORDINAMENTO DELLA TRRATOLOGIA MEMORIA III. (fine) DEL PROF. CESARE TARUFFI (Letta nella Sessione del 12 Gennaio 1902) Parte II. ERMAFRODITISMO CLINICO AGREE Deformità uretro-sessuali (1) Cap. I. — Ordinamento I numerosi fatti raccolti col titolo di ermafroditismo e di pseudo-erma- froditismo e considerati anatomicamente non comprendono tutto il patri- monio teratologico, poichè rimangono molte osservazioni relative agli organi sessuali esterni, le quali meritano di essere raccolte e conservate sebbene siano prive del sussidio anatomico, ciò che non viene compensato dal- Il’ offrire spesso dei caratteri appariscenti, sicché talora gravi sono le diffi- coltà diagnostiche tanto più quando richiedono perizie medico-legali. Per riempire tale lacuna non possiamo giovarci di tutti i fatti narrati dall’ antichità, relativi agli organi sessuali, poiché in buon numero o sono favolosi o descritti in modo insufficiente, onde dobbiamo fare una rigo- rosa epurazione per trovare quelli che bastano per costituire un gruppo di osservazioni insieme collegate, e che meritano pur essi il titolo di pseudo- ermafroditi, perchè contengono nello stesso individuo caratteri sessuali fra loro opposti e che tutti si ricavano mediante la clinica. Questi fatti ri- sguardano principalmente |’ uretra maschile e gli organi sessuali relativi. È degno di nota che non tutte le deformità dell’ uretra entrano nel nostro gruppo, poiché ora sono alterazioni solitarie ed ora associate a varie deformità. Nel primo caso é assai frequente | ipospadia, come attestano le statistiche ricavate dalle leve militari. Difatto il Dottor Rennes (2) incontrò 10 esempi in 3000 reclute, e Bouisson (3) trovò (1) Vedi Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Bologna 1901. Serie V. Tomo IX, pag. 303-369. (2) Archives gen. de Med. 1831. Tom. 27. (3) Bouisson. De l’ hypospadias etc. 1861. Tomo II, pag. 489. Serie V. — Tomo IX. 81 — 648— la stessa proporzione solo nei soldati affetti da ipospadia balanica rac- colti nell’ Ospedale Saint-E/oi. Ricorderemmo inoltre che alle medesime osservazioni di ipospadia vanno aggiunti 14 casi, già compresi fra i pseudo-ermafroditi maschili con reliquie dei canali di Mùller (1), i quali differiscono soltanto per la presenza di detti canali, riscontrati ana- tomicamente, mentre nei casi clinici non fu fatto | esame anatomico; sic- ché è probabile che succedendo la morte si scopra che i secondi siano identici ai primi. Se infine si esaminano i giornali veterinari e la nostra raccolta di animali affetti da pseudo-ermafroditismo (2), sì incontra pari- menti un numero di mammiferi abbastanza frequente, affetto dall’ istessa ipospadia; e qui possiamo ricordare i buoi di Lecoq e di Gurti (3). Se le osservazioni abbondano rispetto alle deformità uretro-sessuali, scarseggiano invece gli scrittori che si sono occupati con profitto dell’ or- dinamento delle medesime osservazioni: difatto dobbiamo giungere al 1825 per trovare un chirurgo capace di mettere in assetto il gruppo prin- cipale di tale deformità. Questo chirurgo fu il celebre Boyer (4a quale distinse fre specie di ipospadia, due delle quali meritano d’ essere conservate. La prima specie comprende i casi in cui |’ uretra non si pro- lunga come al solito fino all’ estremità del glande, ma termina alla ra- dice del frenulo del prepuzio, ove si apre, ed ivi corrisponde alla fossa navicolare. In questo breve tratto s’ incontra una doccia più o meno pro- fonda che per eccezione conduce a un doppio meato già riconosciuto da Fabricio d’ Hilden (5), avvertendo che talora il secondo foro è solo indicato da una depressione. Gayraud (6) poscia aggiunge che quasi sempre in questo primo grado d’ ipospadia il pene é diminuito di volume ed il glande solcato inferiormente, in guisa che il prepuzio non é suscet- tibile di subire la fimosi. La seconda specie ammessa da Boyer é la penridea, cioè quando l’ apertura uretrale si trova nella parte inferiore e libera del pene (quan- do il pene é in rilassamento) e situato nell’ intervallo fra il glande e lo scroto. Il punto di apertura della ipospadia varia frequentemente lungo la sede suddetta, e talora varia rispetto al numero delle aperture. Havvi pure varietà nelle reliquie dell’ uretra: più spesso non esiste alcuna trac- cia del canale dal lato anteriore dell’ apertura, cioé dal lato del glande; (1) Vedi Memorie della .R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Serie V. Tom. VII, pag. 721. (2) Vedi Memorie cit. pag. 754. (3) Gurtl E. F. Pseudo-hermaphroditus foemininus. Berlin 1832. S. 193. (4) Boyer. Traité des maladies chirurgicales. Paris 1825. Tom. X, pag. 34. (5) Fabricio d’ Hilden. De duplici duetu urinario. (6) Gayraud E. Mypospadie ete. Dictionnaire encyclopédique des Sciences médicales. Par A. Dechambre. 1889. Tom. XV, pag, 199. — 649 — oppure s’ incontra soltanto una doccia fibrosa rappresentante la parte su- periore dell’ uretra non coperta dalla mucosa. Di questo reperto, che Gayraud (1) afferma frequente, noi non abbiamo veduto se non |’ esem- pio vivente di Virginia Mauri (2), in cui la doccia era frastagliata longi- tudinalmente; e tale divisione non la troviamo citata da Ackerman (3). La terza specie d’ ipospadia ammessa da Boyer fu la scrotale, cioé quando lo scroto è diviso longitudinalmente, simulando una vulva, in fondo della quale si apre |’ uretra. Anche questa specie fu accolta favo- revolmente, ma dopo 36 anni Bouisson (4) modificò questa definizione ; ed ora noi, oltre considerare la presente specie appartenente al gruppo dei pseudo-ermafroditi, sostituiamo il titolo col nome d’ ipospadia sessuale esterna. La modificazione introdotta da Bouisson, e poscia adottata dal Duplay nel 1874 (5), consiste nel circoscrivere la divisione dello scroto dall’ alto al basso e all’ angolo rientrante formato dal pene e dallo scroto. Questa riduzione giustamente Gayraud la considera una varietà, e non una specie, che non ha altro valore se non d’ indicare un grado ulteriore dell’ ipospadia del pene invadente lo scroto, mentre | uretra scrotale è conservata. Tale conservazione però non accade generalmente per quella del pene, poiché l’ ipospadia succede anche in questo caso avanti il bulbo uretrale. Bouisson d’altra parte ha separati alcuni casi che Boyer com- prendeva nella terza specie, creandone una nuova (quarta) col titolo di ipospadia perineale, che già Duges nel 1826 (6), con un sinonimo ado- perato anche recentemente da Chiarleoni (7), chiamava ipospadia vul- viforme, perché l’ apertura è allungata longitudinalmente e circoscritta da un orlo mucoso. Questo nuovo tipo d’ ipospadia, secondo le nostre ricer- che, non è frequente, ed è assai singolare che Dupiay ne abbia egli solo veduti e descritti tre casi, i quali avevano, come al solito, la loro sede al perineo, in corrispondenza alla porzione membranosa dell’ uretra, e sboccavano di dietro al punto ove lo seroto si unisce alla base delia verga. Esistono ancora altre poche osservazioni in cui il pene è incurvato fino alla forma d’angolo; e ciò si è verificato in casi di pseudo-ermafro- (1) Gayraud E. loc. cit. pag. cit. (2) Vedi Tavola inserita nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Bologna 1900. Serie V. Tomo VII, pag. 759. (3) Infans androgyni historia. 1805. (4) Bouisson loc. cit. (5) Duplay Simon. De l’ Aypospadie perineo-scrotale. Archives gén. de Méd. Paris 1874. Mai. pag. 513. (6) Duges. Memoire de l’ hermaphrodisme. Ephémér. médical. de Montpellier. 1827. (7) Vedi Nota 3°. Osserv. 96. — 650 — ditismo maschile, cioé quando in individui con ipospadia s’ aggiungeva un frammento del canale di Muller, come videro Otto, Magitot ed A. Max (1). Ed anche allora lo scroto è bipartito più o meno profonda- mente, lasciando ai lati due sacchi, destinati a contenere i testicoli; ma quando questi mancano, i sacchi simulano le grandi labbra della vulva e la fessura rimane coperta dal pene, il quale è spesso corto ed esile; e talvolta é curvo, e perfino assume la forma della verga a cubito, illu- strata da Bouisson, di cui terremo discorso; e che Duplay rinvenne nei suoi tre casi. Questa 4* specie d’ ipospadia non appartiene soltanto alla Teratologia, ma ad un gruppo speciale delle mostruosità congenite, designato col ti- tolo di psewdo-ermafroditismo esterno; avvertendo che questo titolo non è del tutto nuovo, né completo, perché in passato veniva adoperato sempli- cemente quello d’ ermafroditismo, coll’ inconveniente di alludere alla pre- senza di due stati diversi delle glandole sessuali. Inconveniente da doversi evitare, essendo noto che i testicoli ora sono nascosti, ora mancanti, ed ora di natura incerta; per cui manca uno dei due termini principali del doppio sesso. Il secondo termine però può trovarsi nella presenza del pene e dell’ abito femminino, sui quali torneremo per assegnare il rispettivo va- lore. Ora avvertiamo soltanto che talvolta uno dei due o manca od è in- certo, e che quando coesistono ambidue, si presenta un problema inespli- cato di embriologia, che merita d’ essere tenuto in grande considerazione. Venendo ai caratteri secondari e precisamente al fenomeno singolare, quale si é la verga a cubito di Bouisson, premetteremo che esso si os- serva ancora nell’ ipospadia penidea e scrotale, ma più spesso nella peri- neale. Cercando poi la ragione del fenomeno, devesi avanti tutto rialzare il pene in istato di flaccidita, ed allora si rileva che la faccia inferiore del medesimo é assai accorciata dall’ avanti all’ indietro ; e ciò in conse- guenza dell’ azione della doccia o della briglia, ricordata in precedenza (Bouisson). Tale curva offre diversa resistenza nel sollevare il pene in conseguenza del diverso ingrossamento subito dagl’ involucri dell’ uretra. Questa importante osservazione fu compiuta fino dal 1837 da J. L. Petit (2) che trovò, oltre la brevità inferiore del pene, l’ ingrossamento del tessuto cavernoso dallo stesso lato, e trovò pure che, staccando 1’ ure- tra ed incidendo la briglia, il pene rimane curvo. Naturalmente la ipospadia perineale, descrive una curva e perfino un angolo più o meno acuto del pene, a seconda lo stato degli involucri dell’ uretra, il quale inoltre turba più o meno |’ emissione delle orine. (1) Vedi Taruffi C. Pseudo-Ermafroditismo maschile. Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Serie V. Tomo VII. Osservazioni 72, 75, 77, pag. 747-748. (2) Petit J. L. Oewovres complètes Edit. 1837, pag. 777. — 6094 + Siccome poi il pene è applicato alla fessura scrotale, l’ orina si spande per ogni dove e rimbalza contro i due sacchi scrotali. Follin (1) afferma che la regolare emissione dello sperma é completamente impedita, perché il pene in luogo di raddrizzarsi s’ incurva maggiormente ed il glande s’ in- fossa, in guisa che il coito diventa impossibile, e i tentativi di questo sono assai dolorosi; ed il seme, in luogo di essere proiettato in avanti, si disperde sulla superficie scrotale. Cap. II. — Osservazioni cliniche reiative alle deformità uretro-sessuali (Vle chiNTO talia) Le singole anomalie del sistema urinario, come pure quelle del si- stema generativo, sono state ampiamente studiate dai chirurghi e dagli anatomici con grande profitto della scienza e dell’ arte; ma un egual studio fin ora non é stato compiuto intorno alle anomalie complesse de- gli organi sessuali esterni dell’ uomo, mancando generalmente |’ occasione di ricorrere al sussidio anatomico, sicché bisogna contentarsi dello studio clinico onde colmare questa lacuna teratologica cosi nociva alla Medicina legale. Volendo ora provvedere a tale difetto abbiamo raccolto dalla lettera- tura 100 casi, di cui il titolo allude alle deformità degli organi sessuali esterni, ma disgraziatamente ci siamo incontrati in 17 Osservazioni assai imperfette, o tradotte scorrettamente, o contenute in periodici irreperibili (Vedi Nota I°), sieché dobbiamo contentarci delle 83 rimanenti, le quali basterebbero se la deserizione d’ ognuna fosse completa ; nulladimeno con- serveremo anche le imperfette, perché contengono alcune circostanze degne di memoria, coll’ inconveniente poi di tacere intorno ad altre, omesse dagli autori stessi, come appare dai nostri Quadri sinottici. Dai medesimi avantutto sì rileva che le anomalie più manifeste e frequenti avvengono negli organi generativi esterni: quali sono |’ uretra, il pene, lo scroto, ed i testicoli, e che tali anomalie sono generalmente associate insieme si da costituire un gruppo teratologico distinto da altre deformità che si verificano nel corpo medesimo, ma che non possiedono alcuna affinità manifesta coì medesimi: quali sono le ernie, e certi di- sturbi funzionali di diversa specie. Ciò premesso, a noi sembra giustificato che chiamiamo il nostro gruppo deformità uretro-sessuali; rimandando alle complicazioni, all’ etiologia, ed alla patologia gli altri caratteri secondari che si associano (però di rado) al medesimo gruppo. (1) Follin. Gaz. des hòpitaux 4 decembre 1851. — 652 — URETRA — Principiando dall’ uretra maschile abbiamo rilevato 52 casi di anomalie del pene, distinti in 44 casi d’ipospadia ed otto di pene im- perforato. Queste cifre costituiscono una specie di preminenza sugli altri caratteri del nostro gruppo, tanto più quando |’ ipospadia accade nell’ ure- tra scrotale e perineale, poiché allora assume l’ aspetto di vulva, in guisa che fu talvolta confusa con una specie di pseudo-ermafroditismo e per- mette, se si vuole, di sostituire al titolo di deformità uretro-sessuale quello d’ ipospadia sessuale di cui ne abbiamo raccolti 50 casi. Le anomalie del- l’ uretra sono altre volte un fatto clinico il più semplice, come accade per l’ atresia, oppure un fatto complesso, come nei casi di perforazione della parete dell’ uretra e delle guaine del pene (/pospadia semplice). Vi sono anche osservazioni di fessura dell’ uretra alle quali si sono aggiunti fram- menti dei canali di Muller (Vedi Nota a pag. 740 : Pseudo-ermafroditismo maschile). Per completare la storia di questa affezione bisogna ricordare che la medesima fu veduta più volte ereditaria, e l’ antica letteratura é stata raccolta da Guyon nel 1863 (1). In quanto allo spostamento dell’ uretra maschile, vedi pag. 660. TeEstIcoLI — Un organo che ha attinenza funzionale coll’ uretra è il testicolo, il quale merita principale considerazione, essendo la glandola che caratterizza il sesso maschile, mentre | abito di corpo non é sempre in armonia col medesimo sesso. Il caso opposto poi ha solo una impor- tanza scientifica, perchè quando mancano i testicoli (e tanto più quando la mancanza s’associa ad altri difetti sessuali) nasce la questione se si deve aggiungere una terza specie d’individui col titolo, già adoperato di Is. Geoffroy Saint-Hilaire, di Agenosoma. Cognita poi è l’ importanza delle differenze di numero, di sede, e di struttura dei testicoli. Ma noi ci limiteremo soltanto a notare le differenze rinvenute nelle osservazioni raccolte. In quanto alla sede, i testicoli furono spesso trovati nello scroto, e li chiameremo 7esticoli serotali ; talvolta si trovarono lungo il canale inguinale e più di rado entro l’addome, ed allora li diremo inguinali ed addominali (2); e finalmente nascosti da riescire irreperibili all’ esame clinico, per ciò gli antichi li chiamarono cripforchidi (3); ed il numero dei casi varia gran- demente a seconda della sede dei testicoli o della lero mancanza. Difatto (1) Guyon Felix. Des vices de conformation de l urèthre ete. Thèse. Paris 1863, pag. 127. (2) I primi esempi di testicoli addominali furono raccolti da Godard nel 1857. (3) Godard Ernest. Sur la monorchidie et la ecriptorchidie. Paris 1857, pag. 144. Le varietà di sede dei testicoli entro l’ addome sono state raccolte da Le Dentu nel 1869 sotto il titolo di ectopia addominale. Egli annovera 1’ ectopia della fossa iliaca semplice o doppia, e l’ ectopia sull’ origine del canale inguinale; e quest’ ultima la distingue in intra-inguinale ed extra-inguinale. - A. Le Dentu. Des anomalies du testicule. Paris 1869, pag. 75. — 653 — si trovano ricordati 57 volte negli 84 casi da noi raccolti, distribuiti nel modo seguente : Tespeo]lfserotali-r.N. 41 » Insula Den » Occulto i 5 » Man canukii so 2 IMOLor Il valore di questi numeri subisce però alcune riserve, le quali avver- tono di non accogliere tutti i medesimi come positivi, cioé come casi reali, poiché fra gli occulti si contengono alcuni in cui le glandole sessuali mancavano (Osserv. 70, 83) (1), come pure si comprendono fra i testicoli inguinali casi in cui la presenza e la loro natura specifica era incerta. Ma ad onta delle riserve rimane sempre una cifra assai notevole, ravvicinandosi col numero di 45 femmine registrate nello stato civile e corrispondenti in gran parte alle stesse osservazioni in cui furono trovati i testicoli, ciò che si collega coi molti fatti memorabili di cambiamento di sesso, e colle osservazioni recenti di maschi coll’ abito femminino. È però vero che questo abito non é così frequente come lo farebbe supporre lo stato ci- vile, e tanto più l’ abito di corpo degl’ individui affetti da deformità uretro sessuali. Abbiamo già notati sette casì di testicoli occulti (criptorchi) ed aplasici (anorchidi); e fra i pseudo ermafroditi maschili se ne trovano altri conge- neri (Vedi Mem. cit. pag. 22, Nota 3*, Osserv. 36), senza contare quelli che abbiamo citati altrove (2). Clinicamente tutti questi casi rendono dubbio il sesso della persona affetta: circostanza assai grave, che preoccupò in tutti i tempi i teratologi ed i medici legali. Di fatti dapprima mette nel- l'imbarazzo le levatrici a dichiarare il sesso del neonato, poscia rattrista la famiglia pensando all’ educazione del figlio; quando poi tarda la me- struazione, il medico s’ incontra talora in difficoltà insuperabili per fare la diagnosi, la quale oggi é evitata, giudicando francamente che il sesso è dubbio. Ma in passato con dotti ragionamenti s’ argomentava quale fosse il più probabile, preferendo il pericolo d’ errare, piuttosto che ammettere un individuo sessualmente imperfetto fin dalla nascita. CAMBIAMENTO DI sEsso (Vedi in fine Nota 3*) — Il problema divenne arduo quando la deformità primitiva accenna al sesso femminino, e diventa (1) Questo fatto è molto raro, poichè Wenzel Gruber fino dal 1861 non riescì a vedere la con- genita anorchia bilaterale, che 7 od 8 volte fu registrata nella letteratura, compresi i pochi fatti della mancanza dell’ intero apparato sessuale interno (Jahresbericht fiir 1868, Bd. I, s. 173). (2) Taruffi. Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Tomo VI, pag. 95. Nota III. Sono raccolti 9 casi. — 654 — tanto più difficile dopo superata la pubertà quando si aggiungano inclinazioni maschili e la clitoride somiglia ad un pene, od inversamente, in guisa che gli antichi fino al secolo XIX non ebbero difficoltà d’ammettere il cambiamento di sesso e di lasciare in retaggio una ricca letteratura in proposito, (Vedi Nota 3°). Tale cambiamento era ammesso non solo nel secolo scorso, ma pur anche nel presente. Steiman (Vedi Nota 2*, Osserv. 12 e 62, 1881) racconta che un ragazzo di 17 anni cambiò di sesso tre volte : lo che basta a dimostrare come siano tenaci nel popolo i racconti che tengono al meraviglioso, anche quando da secoli ci fu chi mise in avvertenza i medici e spiegò l’ origine dell’ equivoco. Questo uomo assai intelligente fu un chirurgo di Parigi di nome Severinus Pinaeus, il quale nel 1593 pubblicò: De Virginifatis notis etc. (1), ove espresse il passo seguente attribuito da uno serittore mo- derno di medicina legale, a Teichmeyer H. F., mentre questi ricorda onestamente il Pinaeus e la sua spiegazione (2): Lutetiae circiter annum millesimum quingentesimum septuagesimum septimum in vico sancti Dionysii mulier quaedam noctu peperit filium, qui festinanter propter virium imbecillitatem baptizatus fuit pro filia quae Joanna vocata est, quam paucis post diebus pro masculo ct filio mater primo, deinde alii viri et mulieres agnoverunt, non sine magna omnium admiratione et applausu, Joannemque ex tempore puerum appellaverunt. Erroris causa fuit et mala conformatio partium genitalium, penis videlicet brevioris et penitius tanquam in superna parte rimae maaime reconditi, clitoridis more inter duo labra e nymphas pudendi feminei latitare soliti, quae partes in hoc puero apprime effictae erant propter constrictionem (64) istam, quae per medium scrotum inter duos testes excurrit, a radice penis incipiens inferne et ad perinaei locum et anum usque extenditur, unde latera duo scroti eminebant tanquam labra pudendi muliebris, in quorum medio rima quoque erat. Per rilevare l’ importanza pratica del sesso dubbio non sarà superfluo di ricordare alcuni esempi fra ì molti che abbiamo posto nelle osservazioni. Avanti tutto Zacchia (Osserv. 3) s’incontrò in un ragazzo di 14 anni, col glande impervio e due corpicciuoli negli inguini che ritenne per i testicoli; poscia sopravvenne regolarmente la mestruazione per cui l’ autore rimase in dubbio che i corpicciuoli fossero invece due ovaie. Interessante è parimenti il caso di Colle (Osserv. 9) che racconta la vita di Anna, la quale avendo l’abito femminino si maritò, ma poscia fu obbligata a separarsi avendo al- (1) Pinaeus Severinus. De Virginitatis notis, graviditate et partu. Amstelodami 1663. Lib. I. pag. 75. (2) Teichmeyer H. F. Institutiones medicae legales. Jenae 1731, pag. 109. Editio secunda. — 655 — cune parti maschili imperfette, cioè un pene imperforato, un orificio vulvare, e due corpuscoli che furono sospettati per testicoli. È pure importante il caso di Descoust Paul (Osserv. 76) di una ragazza amenorroica, con caratteri virili, con inclinazione alle donne ed un breve pene imperforato colla vulva sottoposta, entro cui sboccava l’ uretra, nella quale coll’ esplo- razione non si trovarono né utero, né testicoli; per cui noi lo giudichiamo un caso parimenti di sesso dubbio. Lungo sarebbe |’ annoverare tutte le circostanze più o meno importanti che accompagnarono i casi dubbi, e ci riserviamo d’indicare i più noti quando parleremo di quelli che interessano ancora la medicina legale. Qui preferiremo di esporre l’ipotesi data in modo assai succinta da Is. Geoffroy Saint-Hilaire per spiegare l’ origine più comune, che spesso precede questo stato. Egli afferma che nella maggior parte delle donne in cui avviene questa evenienza, essa è la conseguenza della tardiva discesa dei testicoli nello seroto bipartito. Ma tale ipotesi, sebbene assai ragionevole, |’ autore non la conforta d’ alcuna osservazione, forse perchè è noto che le donne con affezione congenita uretro-sessuale sono spesso accompagnate nella prima eta da criptorchidia e che talora alcune offrirono i cambiamenti psicologici relativi all’ istinto sessuale, precisamente dopo la comparsa dei testicoli, in guisa che il ritardo della discesa (criptorchido) costituisce io stadio in cui è dubbia la qualità del sesso. Rispetto al quale possiamo aggiungere una notizia storica relativa alle condizioni fisiche che ne sono la causa. Questa notizia è ricavata dalle parole del suddetto Pinaeus (Op. cit. pag. 70-71): Frequenter in pudendorum conformatione natura ipsa ludit et aberrat: alii legamentum balani adeo breve est atque crassum, ut virga omnino in arcum trahatur, tum natura eam erigere contendit. In aliis urethra glandem non attingit, et in quibusdam penis nullo modo perforatus est, contra vero in aliis perforatum, et tanquam in duas partes divisum est scrotum circa exortum penis, ubi nempe terminatur collum vesicae : ideoque penis brevis admodum totus ibi latitat tamquam inter duo labra pudendi muliebris, ac si clitoris tantum esset. Quod facile rudioribus imposuit hujusmodi pueros seu masculos esse, aut femellas, aut hermaphroditos. In femellis quoque multa deficiunt, aliquando enim parum aut nullo modo iis est perforatus sinus pudoris, nec cavitas ulla inest, aut orificium solum parum est aper- tum: quia carunculae aut membranae carnosae quae istud componunt sunt in eatremo unitae aut ab -invicem parum dissitae, aut fossa exterius sita non apparet, sed ligamentum cutaneum et labra pudendi duo inferne con- tinua sunt, aut nymphae cohaerent inter se. Serie V. — Tomo IX. 82 — 656 — ABITO DI Corpo — In 82 casi nei quali è cognita la dichiarazione uf- ficiale di nascita, riconosciuta dai genitori, il sesso fu distinto in 37 ma- schi, ed in 45 femmine, mentre |’ abito di corpo fornisce cifre assai di- verse; difatti con abito maschile i casi sommano a 22, e con abito fem- minino a 27. Sonvi inoltre 11 casi che chiameremo di sesso promiscuo, poiché nello stesso individuo si trovano in parti diverse della superficie del medesimo corpo somiglianze ora maschili ora femminili, ben inteso che tali somiglianze sono intromesse da parti indifferenti, e che non hanno alcun indizio caratteristico della specie sessuale. Considerando |’ abito sessuale femminile in modo generale, premette- remo un ricordo scientifico, e cioé che |’ abito acquista una speciale im- portanza se si studia in rapporto cogli organi sessuali del medesimo individuo, poiché il fatto isolato ha ben poco valore, conciliandosi general- mente collo stato di salute, essendo tutto al più un carattere di una co- stituzione gracile. Per rilevare però l’ importanza delle osservazioni rac- colte e che riassumeremo, dobbiamo ricordare la legge gia nota, e cioé che i maschi nascono ordinariamente nella proporzione di 106 :100 (1): differenza che si equilibra più tardi; ed anzi nella vecchiaia il sesso fem- minino piglia la maggioranza. Ciò trova la spiegazione nella differenza delle professioni esercitate dai due sessi. Rammentando la suddetta legge tosto si rileva |’ importanza dell’ abito di corpo negli individui con affe- zioni uretro-sessuali, poiché su 82 individui battezzati per femmine con tali affezioni, in 38 l’ abito era femminino ed in 50 si scoprirono i testi coli: organo principale del sesso, da noi chiamato sesso anatomico, per distinguerlo dal sesso dichiarato dallo Stato Civile (Vedi Specchi). Un’ altra ricerca scientifica sull’ abito femminino, l’ abbiamo compiuta cercando il rapporto numerico del medesimo nella forma detta Pseudo- ermafroditismo femminino (Nota 3*, pag. 748), cioè quando gli organi fem- minili sono completi mentre i maschili esterni sono più o meno incompleti. In tal caso abbiamo trovato 68 osservazioni in cui si sono verificate queste condizioni. Però abbiamo sottratti tutti i casi di feti e di neonati, poiché in essi l’ abito di corpo non é peranche ben pronunziato, ed inoltre abbiamo sottratti i casi dubbi e d’ ermafroditismo, per cui ne sono rimasti sol- tanto»16::(Vedi Osserv..(81,483,188, 100; 10731087 1131204123, dIR42415,05 136, 137, 139, 140, 142) coll’ abito femminino. Da questo risultato, sebbene ristretto, si ricava che anche quando gli organi sessuali maschili sono imperfetti, l’ abito femminino può ugualmente manifestarsi, come si de- sume dagli eunuchi, mutilati assai giovani; e quindi opinando che il fe- (1) Vedi Taruffi C. Storia della Teratologia. Bologna 1882. Tomo II, pag. 129. — 657 — nomeno non dipenda da una condizione particolare dell’ embrione (come può supporsi) dovrà collegarsi colla imperfezione in genere degli organi sessuali (1). L’abito sessuale con caratteri promiscui (sia femminili che maschili), è un fenomeno non peranche studiato, sicché ignoriamo in quanti modi esso si verifica ed in quale proporzione si incontra negli uomini sani di corpo, e negli affetti da deformità sessuali. I 12 casi da noi citati costituiscono una cifra di mediocre valore, perché tale povertà deriva da ciò che gli osservatori di rado si sono presi il pensiero di descrivere, non solo il carattere promiscuo, ma il modo di manifestarsi, salvo le debite eccezioni : delle quali è merite- vole di ricordo |’ osservazione di Marchand (Nota 2*, Osserv. 64, sesso dubbio), il quale vide una donna di 29 anni, coll’ abito femminino, con una lunga capigliatura, mancanza della barba, mammelle molto svilup- pate, pelle femminina. La medesima poi aveva il volto, la laringe, la voce e le forme muscolari maschili; aveva inoltre un gran pene imperforato. Due grandi labbra senza testicoli, una vagina e l’ utero con due glandole che non seppe definire. Per ultimo aggiungeremo la breve osservazione del Dott. Lorenzutti (2) intorno ad un contadino di oltre 15 anni con deformità uretro-sessuale e con abito promiscuo, cioé maschile nella statura, nella forma dello sche- letro e dei muscoli, per la presenza dei testicoli negl’inguini e del pene pervio, mentre aveva il volto e la testa da giovinetta, le mammelle, le grandi labbra e la fessura vulvare. i Tutti hanno notato che nell’ uomo la laringe è sporgente e la voce è grossa ed alquanto aspra, colla tiroide ossificata in guisa che volgarmente essa sì chiama pomo d’ Adamo, costituendo uno dei caratteri del sesso maschile. Recentemente Berthold (3) ha insegnato che questi dati si (1) Notiamo che fra gli 84 casi da noi raccolti vi sono 9 uomini d’ aspetto più o meno virile for- niti di testicoli più spesso nello scroto biloculare, di rado nello scroto unicolare (Osserv. 38, 44, 46, 47, 54, 58, 59, 79, 82). Inoltre vi sono tre casi con testicoli, con abito femminile uno dei quali posse- deva le mammelle (Osserv. 43, 45, 80). (2) Lorenzutti Dott. Antonio (di Trieste). Di un pseudo-ermafroditismo. Trieste 1844. Con bellissima tavola in litografia. Opuscolo in foglio. Un ragazzo di 15 anni, accolto nell’ Ospedale Civile per declinazione mentale e poscia rinviato a casa. Esso aveva dato luogo fin dalla nascita a questioni sul sesso essendo ritenuto una femmina, e poscia sulla causa della declinazione mentale, essendo caduto dall’ alto. Esaminato presentava gli organi generativi esterni in parte femminini, avendo le grandi labbra con fessura vulvare. Il volto gentile senza peli e lo sviluppo delle mammelle parimenti femminili. D'altra parte aveva Ja statura, l'ossatura e la muscolatura coi caratteri del sesso virile: per cui l’ abito di corpo non era uniforme. Dalla bellezza delle figure più che dalla troppo concisa descrizione si rileva un pene imperforato, con indizio di prepuzio al limite del glande, lo scroto diviso in due grandi labbra, l’ uretra aperta alla sommità, che si continua colle piccole labbra mediante il frenulo. I testicoli sono nascosti negli inguini. (3) Berthold E. En Fall von Hermaphrodismus maseulinus, diagnosticirt mit dem Laryngoscop. Archiv fir Laryngologie. 1899. Bd. IX, pag. 1. — Revue Hebdomadaire de Laryngologie etc. Paris 1899. XX. Année. N. 25, pag. 740. — 658 — possono nascondere, anche quando una donna possiede i testicoli, ma l’ incipiente ossificazione della cartilagine tiroide può, mediante |’ osser- vazione dei raggi di Ròntgen, venire scoperta e quindi pronosticare l’ alterazione uretro-sessuale come risulta dalla seguente storia. Una donna di 22 anni, che si doleva di mal di gola e di raffreddore, aveva le corde vocali straordinariamente larghe e lunghe, come si tro- vano talora negli uomini robusti, mentre | epiglottide era infantile, la voce grossa e rauca ed il pomo d’ Adamo poco pronunziato, tuttavolta vide che l’ ossificazione della cartilagine tiroide (mediante i raggi di Ròntgen) si era compiuta come nei maschi. La faccia era rasa dalla barba, mancavano le glandule mammarie; gli organi generativi esterni erano forniti di pene, il quale appariva ricurvo in basso ed imperforato. L’orificio uretrale sboccava sotto la radice del pene suddetto in una fessura lunga un pollice, con margini simili ai labbri d’ una vulva. Nel riassunto francese non si parla né dei testicoli, né d’ esplorazione vulvare, però coll’ esame d’un umore particolare che esciva dall’ uretra furono trovati gli spermatozoi. La donna dichiarò che era capace d’ attività sessuale (maschile), durante la quale scolava l’ umore suddetto. GINECOMASTIA — Per completare il discorso dell’ abito femminino ol- tre i caratteri propri delle deformità uretro-sessuali ricorderemo che uno dei fenomeni dell’ infemminismo è precisamente la ginecomastia, la quale ab- biamo altrove veduto che può essere effetto delle azioni meccaniche e di certe infezioni epidemiche chiamate orecchioni. Ora aggiungeremo che in 67 Osservazioni (1) l’ iperplasia mammaria raccolta nella letteratura l’ abbiamo trovata, rispetto alle cause, ora acquisita (azioni meccaniche, orecchioni) ed ora congenita; e che in 84 casi di deformità uretro-sessuali abbiamo trovato soltato 14 volte la ginecomastia (Vedi Osserv. 23, 26, 36, 38, 43, 49, 49, 63, 60, 71, 72, 79, 80, 83) in cui si associava ora l’ipertrofia dei testicoli, ora del pene ed ora dell’ uretra. Havvi poi un caso, in cui si accoppiavano due delle suddette complicazioni, ed un terzo che si mani- festò la ginecomastia avanti la pubertà. È poi degno di annunziare che di recente il Dott. Cecca ha pubblicato un fatto rarissimo in cui però non era compromessa né l’ uretra né le parti sessuali esterne, ma trattavasi di un caso d’ anorchidia bilaterale (2) in cui si associava l’ abito maschile e mammelle femminili molto sviluppate. Il trovarsi la mancanza assoluta dei testicoli (senza comprendere i rari casi di microrchidia, ipoplasia) asso- ciata colla presenza delie mammelle è un fatto che contraddice molte (1) Vedi Taruffi C. Memoria citata, pag. 441. Art. Infemminismo, pag. 439 bis, Specchio II. (2) Cecca Dott. Raffaele. Note anatomiche su di un anorchide. — Bullettino delle Scienze Mediche di Bologna. Gennaio 1902, pag. 29. — 659 — dottrine embriologiche e che favorisce invece lo stato congenito dell’ erma- froditismo sia patente come prova la presenza contemporanea dei canaii di Wolff e di Mùller, sia virtuale come può indursi nelle altre parti con caratteri di sesso diverso. PeNE — Fra le deformità che concorrono a costituire il gruppo uretro- sessuale tiene parimenti un posto importante lo stato del pene, non tanto per le proprie deformità, ma per l’ associazione con quelle dell’ uretra e dello scroto e più specialmente per superare il difficile quesito, quale si é, nel caso pratico, la differenza del pene ipoplasico colla clitoride iper- trofica. Prima però di occuparci delle associazioni stabiliremo il confronto numerico dei maschi e delle femmine, lo Stato Civile, e noteremo in con- fronto il numero dei casi in cui erano presenti i testicoli. E Sopra le 84 osservazioni che abbiamo raccolte nella letteratura, ne troviamo 53 in cui é ricordata |’ esistenza del pene, e una in cui è notata la mancanza (Nota 2°, Osserv. 14). Tale mancanza l’ avevamo in prece- denza notata altra volta (1). Fra le prime, 82 sono registrate nello Stato Civile così distinte : 37 maschi e 45 femmine. Se poi confrontiamo il numero dei casi in cui furono verificati i testicoli, troviamo delle cifre assai pros- sime che meritano particolare considerazione, poiché si ricava la pros- simità fra il numero di queste colle 53 femmine, mentre è assai remota e notevole la distanza mettendola a confronto col numero tratto dallo Stato Civile. Stato Civile | Pene Testicoli Maschi ..... N. 37 | Pene senza avvertenze. N. 15 | scrotali. . . N. 41 Femmine .. .. » 45 | Pene con anomalie . . » 25 | inguinali.. » 9 n Renoginaiperiorato fasi: 218%) occulti ab 82 Tiananca nti 93 nali \ 7 Vari sono i difetti rinvenuti nel pene: il più frequente é la sua picco- lezza e brevità (microfallo), però a diversi gradi fino al segno che si co- noscono casì in cui esisteva solo il glande che sporgeva dalla divisione dello scroto (Vedi Osserv. 33 e 50). A questa anomalia assai comune del pene, si aggiungono altre modificazioni, che possono anche trovarsi sole, (1) Vedi Taruffi C. Di un Agenosoma. — Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Isti- tuto di Bologna. 1894. Serie V. Tomo IV, pag. 73. Nella stessa Memoria. Nota 3°, pag. 86, ricorda $ fatti d’ estrofia vescicale senza organi generativi; e nella Nota 5°, pag. 86, raccoglie 26 casi di mancanza più o meno completa degli organi generativi. Merita poi particolare ricordo il caso di Martin in cui mancavano le glandole sessuali d’ ambedue i sessi, mentre vi erano i canali di Muller {Vedi Memorie citate. Tomo VII. Nota III. Osserv. 36, pag. 748). — 660 — le quali sono: la brevità o la mancanza del prepuzio (1), l’ allungamento inferiore del medesimo fino a congiungersi colle piccole labbra vulvari, e fra le lamine dell’ allungamento fornire il passaggio e 1° uscita dell’ ure- tra, e talvolta ricettare la curvatura del pene (detta pene ad angolo) tuttora esistente (2). Finalmente il pene è talora imperforato, ed allora può anche considerarsi una affezione uretrale e dirsi atresia dell’ uretra. Il difetto più grave del pene é poi la mancanza dell’ uretra, quando special- mente é totale nella porzione che guarda all’ esterno ed inferiormente, oppure quando | uretra è affetta da ipospadia, come fu veduta in un vero ermafrodito (Vedi Osserv. 19). CLITORIDE (Vedi in fine Nota 4°) — È meraviglioso come questo organo dal volgo ignorato possa avere tanta influenza in certe donne: donne almeno cre- dute ed indicate tali nello stato civile. È cognito da lungo tempo che la clito- ride subisce talora un notevole ingrandimento, detto ipertrofia da raggiun- gere perfino dai quattro ai sette centimetri. Tale proposizione |’ abbiamo espressa in precedenza (3), ed aggiunto in qualche caso la presenza d’un notevole cappuccio (Virchow, Osserv. 37), ciò che aveva già notato in grado maggiore De Diemerbroeck nel 1683 (4) (caso II), il quale vide una donna colla clitoride fornita di glande, frenulo, prepuzio e della gran- dezza simile a quella del pene dell’uomo. E più tardi Soemmering rac- contò un caso in cui il prepuzio inviava due piccole labbra ‘al vestibolo della vulva ed il pene era simile alla clitoride. Fra le nostre 84 osservazioni abbiamo 16 volte ricordata |’ iper- trofia della clitoride, alcune però non avevano altra particolarità tranne d’ appartenere ai fanciulli (Osserv. 35, 81). Circostanza che conduce alla ipotesi, non peranche espressa, che l’ ipertrofia sia congenita, mentre altre osservazioni sono accompagnate dallo spostamento dell’ uretra, le quali disgraziatamente sono spesso prive di una descrizione anatomica adeguata. Spostandosi |’ uretra dal suo corso, essa ora sbocca nella vagina o nel vestibolo vaginale, ciò che si verifica con una frequenza notevole (Osser- vazioni 9, 24, 25, 28, 37 e 50). Meno spesso accade lo sbocco verso la radice della clitoride medesima, imitando l’ipospadia dell’uretra membra- nosa o bulbare dell’uomo (Vedi Osserv. 22, 43, 65, 67, 71). Questo fatto, (1) FacenJacopo. Vide un uomo di 39 anni, con abito femminile, col pene ridotto al glande, col meato urinario, senza prepuzio, perciò il glande era sessile, incapace di prolungamento. Vi erano poi due grandi labbra contenenti i testicoli. (2) Vedi Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Tomo VII, pag. 747, 748 e 752. Osserv. 71, 72, 75 e 123. (3) Vedi Taruffi. Mem. cit. Tomo VII. Nota 8%, pag. 399. (4) De Diemerbroeck. Vedi Mem. cit. Bologna 1901. Serie V. Tomo VII, pag. 369. Osserv. 13. Invirilismo. Cap. II. — 661 — rispetto allo stato normale sembra inesplicabile, anche quando ha la forma di doccia, ma incontra peraltro una analogia assai importante e cioé che una disposizione analoga si trova normale nella clitoride di certi animali come lo struzzo, il casoar ecc. (1), i lemuri, gl’ insettivori ecc. (2). Finalmente si dà il caso di una clitoride ben sviluppata in un feto privo delle glan- dole sessuali d’ ambidue i sessi (Osserv. 81). Se alcuni dei caratteri delle deformità uretro-sessuali rimangono ancora da rischiarare, tanto più lo merita il fenomeno avvertito da Ruysch che consiste nella prominenza della clitoride fuori |’ orificio vulvare : fenomeno che si riscontra nei feti prematuri principiando dal 4° mese, e poscia, cre- scendo anche le labbra della vulva, a poco a poco |’ istessa sommità rimane occultata (Vedi Bullettino delle Scienze Mediche di Bologna. Gennaio 1892, pag. 700). Questo carattere fu poscia descritto da Ferrein (3), da Wal- ther (4), da Tiedmann (5) e da Meckel (6), il quale ultimo migliorò la descrizione, ed aggiunse |’ avvertenza che esaminando il fanciullo su- perficialmente, può ingannarsi sulla natura del sesso, tanto più che lo scroto allora è assai piccolo, che i testicoli si trovano nel basso ventre, e che la clitoride é sempre rivolta in avanti ed in basso, e giammai rialzata verso l’ombellico. Questa osservazione è ora negletta dai trattatisti d’Ana- tomia descrittiva, e solo ricordata da alcuni Ostetrici ed Embriologisti, fra i quali merita di essere ricordato Tourneux (7). Tale ommissione non ci persuase che fosse deliberata, perché l’osserva- zione era fatta da tre illustri anatomici, quali furono Ferrein, Ruysch e Meckel, quindi non meritava d’ essere negletta, ed interpellammo il valente Pediatra Giovanni Berti e la colta levatrice Viani sulla realtà della pro- minenza extra-vulvare della clitoride nel periodo intra-uterino, ed ambidue ci risposero affermativamente, anzi la Viani cì racconta d’ aver assistito ad un parto in cui la clitoride era decisamente ipertrofica. Allora ricordando come i moderni anatomici spesso trascurano le vecchie osservazioni, cer- cammo ancora esempi che giovassero alla ricerca suddetta, trovammo sei esempi favorevoli all’ ipertrofia d’origine congenita, lo che probabilmente si collega colla disposizione embrionale avvertita da Ruysch. La prima osservazione appartiene a Mason (Osserv. 25, pag. 361, Mem. cit.) che amputò la clitoride (coll’ ecraseur) lunga 4 pollici in un bambino (1) Burdach C. F. Trattato di Fisiologia. Traduz. Italiana. Venezia 1841. Tomo I, pag. 191. - (2) Owen R. On the anatomy of vertebrates (Comparative anatomy and physiology of vertebrates. Vol. I, II, III London 1866-68. (3) Ferrein. Histoire de l’Académie R. des Sciences 1770, pag. 389. {4) Walther Philipp Franz. Physiologie des Menschen mit durchgingiger Ricksicht auf die vergleich. Physiol. der Thiere. Band. II, pag. 323. Landshut 1806-1808. (5) Tiedmanu F. Anatomie der Kopflosen Missgeburten 1813. (6) Meckel J. F. Manuale d’anatomia descrittiva. Tomo III, pag. 665-666. Traduzione francese. Paris 1825. Traduzione italiana. Tomo IV, pag. 51. Milano 1826. (7) Tourneux F. Sur le développement des organes génito-urinaires etc. Lille 1892. -- 662 — di cinque anni. La seconda osservazione fu fatta da Blanche in una. bambina morta di 15 giorni, in cui la clitoride era voluminosa e con una specie di ipospadia inferiore (Vedi Osserv. 100, pag. 750, Mem. cit.). La terza osservazione è stata raccontata da Graaf in una bambina battezzata per maschio, che dopo pochi giorni mori, in cui la clitoride simulava il pene (Osserv. 1. Nota IV della presente Memoria). Più singolare é il caso di feto acefalo, descritto da Katzki, il quale aveva la vulva con un pene, ed internamente un utero bicorne (ibid. Osserv. 2). La 5* osservazione appar- tiene a Golinelli di Bologna, in cui la neonata aveva la clitoride con sviluppo enorme ed adesione dell’ osculo vaginale nella sua parte inferiore (ibid. Osserv. 8). Finalmente Saviotti descrisse una bambina morta appena nata, che presentava una clitoride lunga tre centimetri, senza uretra, col prepuzio e coll’ orificio uretrale alla radice, senza testicoli e coll’ utero (ibid. Osserv. 9). La somiglianza embrionale fra la clitoride ed il pene è tanto maggiore quanto più l’una o l’altro sono imperfetti e quindi conduce spesso ad errori diagnostici: errori anche oggi inevitabili, essendo dimostrata |’ in- sufficienza del metodo antico di desumere il sesso maschile dai caratteri esterni del corpo (presenti o no i testicoli) per cui i casi di deformitd uretro- sessuali sì possono tutto al più chiamare falsi ermafroditi, come propone Hermann (1). Questo autore, per una parte giovandosi degli studi d’ embrio- logia, e per l’altra pigliando per tipo la deformità più completa del nostro gruppo, attribui il medesimo al prolungamento del solco genitale lungo il margine inferiore della clitoride, che alla sua volta si prolunga in modo insolito da imitare il pene, poscia la doccia si chiude nello stesso modo dell’ uretra, e le pieghe genitali si saldano insieme sulla linea mediana da formare due grandi labbra, coll’ apparenza esterna della vulva. Più tardi, in tempi variati, accade la discesa dei testicoli, i quali ora si arre- stano lungo i canali inguinali ed ora giungono nello scroto bipartito. Queste due circostanze accompagnano spesso l’abito femminino del corpo, e facilmente conducono a considerare i fanciulli per femmine (vedi pag. 656), mentre clinicamente vanno giudicati di sesso dubbio, oppure pseudo- ermafroditi quando il pene e l’ abito femminino sono manifesti. Considerando poi anatomicamente tali fanciulli, secondo lo stato delle glandole genitali, saranno dichiarati o maschi o femmine o agenosomi detti anche neutri (genere epicoenum di Quintiliano) (2). (1) Hermann G. Hermaphrodisme. Dictionnaire encyclopédique. Paris 1888. Tomo III pag. 647. (2) Quintiliano introdusse questo vocabolo, non a proposito del sesso umano, ma essendo un Rettore chiamò con voce greca quei vocaboli che servono tanto per il genere maschile quanto il femminile, come anttra, lepre, ecc. — 663 — Scroro — Rimane per ultimo una deformità che si collega diretta- mente colle descritte superiormente, cioè una modificazione che presenta lo seroto, la quale ha il pregio di essere frequentemente uniforme: di- fatto sopra 47 casi, esso era bipartito 44 volte, però in grado diverso, cioé ora profondamente da simulare due grandi labbra contenenti gene- ralmente i testicoli, ed ora leggermente in guisa che non appariscono che due leggere tumefazioni inguinali, oppure due pieghe cutanee senza contenere i testicoli, per cui non apparisce lo scroto (Vedi Osserv. 13, 35, 82). La divisione poi del medesimo può essere parziale inferiormente, la- sciando scoperta l’ uretra ipospadica, oppure posteriormente per lo stesso motivo. La differenza più rilevante fra i casi annoverati si è |’ epoca della discesa dei testicoli, la quale è frequentemente tardiva nello scroto. Il primo, a nostra cognizione, che notò il fatto, fu Alberto Haller (Osserv. 6), il quale vide una bambina in cui comparvero i testicoli nello scroto all’ età di sei anni. Il medesimo autore (Osserv. 7) vide lo seroto diviso senza testicoli, e nella divisione sboccava |’ uretra. In quanto alla teratogenesi niuno degli osservatori si è occupato di stabilire se la divi- sione dello seroto è contemporanea o secondaria all’ ipospadia. ORGANI FEMMININI — Avendo gia discorso dei caratteri principali e con- comitanti del nostro gruppo uretro-sessuale, passeremo ai caratteri secon- dari più o meno frequenti, che talora si associano ai primi, i quali però non hanno una propria importanza teratologica. Accade altre volte che s’ aggiungono nuovi caratteri di grande importanza, che non debbono considerarsi secondari e di niun interesse teratologico, perché offrono particolari caratteri che si collegano anatomicamente con quelli del no- stro gruppo, ma all’ opposto, di grande importanza teratologica, apparten- gono all’ altro sesso. Noi alludiamo agli organi interni femminini, che talora furono scoperti mediante |’ esplorazione chirurgica o coll’ esame necro- scopico, i quali rivelano non solo il semplice gruppo uretro-sessuale, ma un vero pseudo-ermafroditismo maschile, cioé con parti dei condotti di Muùller, in guisa che le osservazioni relative dimostrano che il nostro gruppo è esteso oltre i confini stabiliti in antecedenza ed invade il terreno d’un altro tipo di cui ci siamo gia occupati (1). Gli esempi in cui erano aggiunti frammenti dei canali di Mùller agli 84 casì da noi riportati di deformità uretro-sessuali sono 18; ommettendo quelli in cui completa ed anche profonda era la vulva. I casì vanno così distinti : in 11 era presente soltanto la vagina più o meno corta (Osserv. 2230 os ao Mo So 169 37075). Era questi casi pero, cinque (1) Questo fatto è avvertito da tutti gli autori di nosologia: che ogni tipo morboso sconfina dal quadro tracciato ed arrotondato ad arte. Serie V. — Tomo IX. 88 — 604 — avevano la lunghezza di 6 centimetri (Osserv. 53, 58, 61, 74, 75). In altri 6 casi alla vagina s’ aggiungeva !’ utero, in ognuno dei quali si notava una qualche particolarità. Nell’ Osserv. 19 all’ utero s’ aggiungevano le ovaie. Nell’ osserv. 24 |’ utero era atrofico. Nell’ Osserv. 28 |’ utero era retroverso. Nell’ osserv. 60 la vagina sboecava nell’ uretra. Nell’Osserv. 81 V utero aveva la forma maschile, e nell’ Osserv. 83 non si riconosceva, oltre la vagina, che il collo dell’ utero. Avvertiamo che le stesse anomalie dei frammenti di canali di Muller si riscontrano ancora nel gruppo detto Pseudo-ermafroditismo masecolino, colla differenza che la variante riscontrata una volta nell’ Osserv. 60, la vediamo ripetuta cinque volte : difatto Manec, Blanche, Guttmann, Gunckel e Marchand hanno veduta |’ estremità vaginale sboccare in un punto dell’ uretra equivalente nel maschio all’ uretra membranosa (1). Meritano pure d’ essere ricordati i casì del cosi detto ufero-mascolino (Vedi Nuhn, Osserv. 20, Fòrster, Osserv. 24, di Arnold, Osserv. 28); e gia prima Leuckart (Osserv. 18) aveva veduto un bambino fornito di testicoli con un utero trasformato in una vescica, ciò che di recente é stato verificato da Nussbaum (Osserv. 41). Un fatto più singolare èé quello di Remy (Osserv. 40), in cui vi erano ad un tempo residui dei condotti di Wolff e di Mùller; e finalmente rarissimo è il caso di Gené (Osserv. 42), poiché Liceto (2) rappresentò bensi una fanciulla con due vulve, ma Gené descrisse un uomo che aveva a destra un corto pene ed uno scroto con un solo testicolo, ma a sinistra un labbro vulvare col- l’ orificio vaginale. MESTRUAZIONE ANOMALA — Avendo già stabiliti i caratteri esterni più comuni del tipo uretro-sessuale ed avendo dati gli esempi in cui ai ca- ratteri maschili si aggiungevano alcuni organi femminini, in guisa di partecipare al gruppo del Pseudo-ermafroditismo maschile; ora passeremo a certi disturbi funzionali assai meno frequenti, da potersi considerare secondari, fra i quali comprenderemo la mestruazione anomala e la amenorrea. La comparsa del sangue in individui con affezioni uretro-sessuali, in con- dizioni assai diverse fra di loro, é un fenomeno altrettanto oscuro, per ispie- gare il quale non si può ricorrere che alla produzione di un circolo collaterale, ignorando nello stesso tempo le condizioni prossime di questo circolo ed il percorso seguito dal sangue, sicché non rimane se non a riassumere (1) Vedi Taruffi C. Mem. cit. Tom. VII. Pseudo-ermafroditismo femminino, pag. 748. Nota B. Osserv. 66, 100, 113, 123 e 131. (2) Liceto F. De monstris ete. Liber II, pag. 79. — 665 — i fatti. Prima di tutto annunzieremo che essi sono in numero di 24, i quali si possono distinguere in due gruppi: nel primo furono osservati 10 casi in cui si verificò una mestruazione anomala per |’ epoca della comparsa, per la durata, e per le circostanze che l’ accompagnarono ; nel secondo 14 casi in cui la mestruazione non avvenne, o comparve. assai tardi, o si soppresse. Noi abbiamo riassunta la storia di queste osservazioni nei due se- guenti specchi, dai quali può trarsi il confronto fra i disturbi della mestrua- zione e lo stato sessuale. Poste le due cose in confronto, tanto colle qualità personali ammesse dallo Stato Civile, quanto rispetto alla qualità del sesso anatomico, dai due specchi si può tosto desumere che i neonati furono giudicati per femmine, mentre intorno al sesso anatomico furono generalmente riconosciuti per maschi, essendo stato veduta o meglio in- dotta la presenza dei testicoli: ciò che è in armonia con quanto ab- biamo annunziato a pag. 659. Mestruazione anomala Quene Mestruazione Testicoli Stato Civile Varietà Osserv. 3 | Esordì a 15 anni Inguinali Ragazzo di 14 anni » 7 |Mestruazione irrego- = Nubile vivente lare. » 18 [Segni mestruali do-| Sesso incerto Donna nubile po la pubertà. » 22 |Mestruazione ad 8 Organi interni fem-| Donna nubile anni. minini. » 24 [Mestruazione dopo i Monorchido Contadina dopo i 18 18 anni. anni. » 31 |[Mestruata regolar- Monorchido Ragazza con atresia| Vagina artificiale mente. vaginale. » 36 |Mestrui per la via Griptorchido Africano di 18 anni del pene. » 60 Mestruazione Criptorchido con ipo- Femmina Sospetta per maschio spadia. » 63 | Mestrui irregolari |Monorchido con ipo-| Vedova di 40 anni spadia. » 84 [Mestruazione per;Criptorchido. Sesso| Donna con vagina breve tempo. | dubbio. Osserva- zioni Osserv. 25 » 37 » 47 » 48 Mestruazione — 666. Amenorrea Testicoli Stato Civile A 18 anni amenor- roica. Donna di 77 anni amenorroica dall’o- rigine. A 36 anni senza me- strui. A 26 anni senza me- struazione. A 40 anni perduta la mestruazione. Mestrui soppressi a- vanti i 30 anni. Donna amenorroica Senza mestruazione Donna amenorroica Testicoli incerti nel- le grandi labbra. Con clitoride iper- trofica. Testicoli grandi co- me un grano di fava. Testicoli nelle gran- di labbra. Monorchido scrotale Due testicoli scrotali Testicoli scrotali Oschio-schisi con te- sticoli. Oschio-schisi con te- Femmina di 18 anni Femmina Maschio con abito femminino. Maniaca Donna di 40 anni Contadina di 30 anni Gontadina di 40 anni maritata. Cuoca di 46 anni Donna di 27 anni Varietà sticoli. » 69 » amenorroica| Due testicoli Ragazza di 26 anni » 70 » amenorroica|Oschio-schisi con te-|Ragazza di 27 anni sticoli. Senza mestrui Vulva e clitoride |Giardiniere orfano di 24 anni. Donna amenorroica _ Ragazza di 21 anni » 78 » amenorroica|Monorchido con ipo-|Servente, donna di spadia. 23 anni. Fra i 24 casì ve ne sono due che fanno eccezione alle cose annun- ciate, cioé due che riguardano individui maschi, e che tali furono giudi- cati dalla nascita e confermati in gioventù. Il primo fu un Africano (0s- serv. 36), il quale ebbe la mestruazione regolare, durata tre anni per la via del pene. Esso era fornito di mammelle, con propensione alle femmi- ne, colle grandi labbra senza testicoli. Niun cenno sulla presenza del- l’ utero, sicché non si può neppure sospettare d’ una emorragia vicaria per ipoplasia del medesimo. Il secondo caso é un orfano giardiniere di 24 anni, senza mestrui, con vulva e clitoride, con istinti sessuali assai vi- vaci, senza predilezione di sesso. Esso ebbe la prudenza d’ interpellare il medico avanti di maritarsi. Questi rimase nel dubbio sulla natura del sesso (Osserv. 71). — 667 — ERNIE — Una complicazione anche meno frequente della precedente é la comparsa d’ una o due ernie inguinali, poiché non ne abbiamo rinve- nuti che 10 casì, i quali però sono notevoli numericamente, rispetto ai 94 casi del gruppo uretro-sessuale (Osserv. 17, 26, 27, 28, 33, 38, 47, 61, 78, 79). Questi casi non presentano nulla di insolito rispetto alle varietà delle ernie, né rispetto alla deformità sessuale. Troviamo però degno di nota il caso di Wrisberg (Osserv. 17), poiché trattavasi d’ un fanciullo (avanti la pubertà) col pene da confondersi colla clitoride, collo seroto diviso contenente i testicoli, colla differenza che nel sacco destro vi era una notevole ernia. In quanto alla proclività delle ernie, nella stessa re- gione e nella stessa deformità wretro-sesswale, noi siamo disposti d’ ap- plicare la medesima teoria d’ Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire che abbiamo riferita a proposito del cambiamento di sesso. INCLINAZIONI SESSUALI — Argomento non semplice, né in precedenza appianato è l’ ordinamento delle inclinazioni sessuali che accompagnano le anomalie psicopatiche dell’ uomo. Egli é vero che in questi ultimi tempi, comparvero numerosi lavori sulle aberrazioni sessuali, ma che si limitarono specialmente a certe forme, le quali sono |’ inversione ses- suale e la pederastia. Ma in quanto alle altre forme la tassonomia, e lo studio delle circostanze che precedono ed accompagnano le medesime, sono ancora appena iniziati: difatto volendo parlare delle inclinazioni sessuali negli individui affetti da deformità uretro-sessuali, non possiamo fornire se non un grossolano ordinamento ed una rapsodia di fatti. Un fatto relativamente frequente e singolare, non però al grado sup- posto da Debierre (1), se escludiamo i ragazzi avanti la pubertà, si é l’ apatia sessuale, detta ancora paresi sessuale. Un esempio ha riferito il Tarozzi nel 1819 d’ una contadina di 18 anni, mestruata, che non aveva inclinazione per alcun sesso (Osserv. 24). Ciò che non esclude |’ accoppia- mento, come nel caso di Caterina Hohmann (Osserv. 49) che mori di 37 anni colla diagnosi di sesso dubbio. Altrettanto Colle intorno ad Anna di Grenoble, la quale era senza istinti sessuali, e fu condannata alla fru- sta per avere profanato il sacramento del matrimonio (Osserv. 9). Qui ri- corderemo soltanto le osservazioni di Sarzana (Osserv. 50) e di Gerin (Osserv. 69) che videro donne con indifferenza sessuale, detta anche, paresi, e passeremo al caso singolare di Piazzesi e Badaloni (0s- serv. 66), relativo ad una tale Maurina, la quale dopo 10 anni di matri- monio, accusando difficoltà nell’ accoppiamento, domandò il divorzio le- gale, e poscia s’ innamorò della cognata, ottenendo la condiscendenza desiderata. (1) Debierre Ch. L’ hermaphrodisme. Encyclopédie. 1891, pag, 183. — 663 — L’ apatia sessuale non è sempre un fatto uniforme ed appartenente clinicamente al gruppo uretro-sessuale, ma può essere accompagnato da circostanze fisiche assai diverse, che meglio sì comprendono accennando le osservazioni più rilevanti. Merita singolare ricordo la descrizione della Forni fatta dal Dott. Tonni (Osserv. 18), la quale aveva 23 anni con una inclinazione per i maschi e con due grandi labbra vulvari, sicché ritenne d’ essere una femmina, sebbene avesse l’ abito maschile, un pene breve, ipospadia, ed i testicoli nelle grandi labbra; ciò che scioglieva ogni dubbio sul sesso. Altrettanto importante è l’Osservazione di Dexoust Paul (Osserv. 76) che descrisse una ragazza di 21 anni con abito di corpo maschile che avvertiva al contatto colle donne degli spasmi volut- tuosi con emissione di un liquido bianeastro. L° esplorazione chirurgica escluse la presenza dell’utero e dei testicoli, e l'esame microscopico escluse gli spermatozoi, sicché può dirsi un caso con dubbia inclinazione all’ in- versione sessuale. Notissima é poi la storia di Maria Maddalena Lefort (Vedi Osserv. 23), la quale a 16 anni aveva |’ abito femminino con mam- melle e a vent’ anni la barba come un adulto. Essa fu mestruata all’ età di otto anni, dotata d’ una clitoride da cui esciva |’ urina, ed aveva incli- nazione per il sesso mascolino, per cui essa stessa era persuasa di ap- partenere al sesso femminino. La necroscopia fatta in età matura trovò gli organi genitali interni aventi i caratteri completi del sesso femminino colla sola occlusione dell’ ingresso vaginale. Se poi esaminiamo i casi con persistenza dei canali di Mùller e di Wolf (vedi Pseudo-ermafroditismo, pag. 744), troviamo osservazioni com- plesse in confronto alle precedenti, ma colle stesse inclinazioni. Difatti la contadina di 27 anni, con indizii mestruali, descritta da Henrischen (Osserv. 47, pag. 745) non aveva inclinazione sessuale per alcuno dei due sessi, sebbene avesse due testicoli. Cosi pure troviamo che Galland (vedi pag. 372) descrisse una donna maritata due volte, senza istinti ses- suali che si prestava passivamente al coito, sebbene non avesse alcuna sensazione erotica e nessuna compiacenza durante il connubio. Altrettanto racconta Ricco d’ una vecchia morta all’ età di 80 anni, e Itard de Riaz d’una giovane di 22 anni. Finalmente Gunchel (Osserv. 123, pag. 752) racconta che Elisabetta N. aveva inclinazione per le femmine e fu accusata di commercio sessuale colla matrigna. L’ autore poi all’ esame cadaverico trovò un utero colle trombe cieche all’ estremità e due ovaie infantili, ed inoltre eravi un pene lungo 5 centim. affetto da ipospadia. INVERSIONE SESSUALE — Abbiamo altrove (1) riferito lo stato della scienza rispetto all’ inversione sessuale ed abbiamo inoltre rilevato i ten- (1) Taruffi C. Mem. cit. Art. II. Invirilismo, pag. 333. — 669 — tativi fatti da Krafft-Ebing per determinare clinicamente questo argo- mento, e a tale uopo egli pensò di distinguere l’ inversione medesima in acquisita e congenita. Nel secondo caso adottò il titolo d’ Ermafroditismo psico-sessuale distinguendolo a sua volta in due generi con vocaboli, bensi razionali, ma al suono relativamente disaffini, chiamando sentimento od atto omosessuale |’ azione reciproca tanto fra i maschi quanto fra le fem- mine, ed invece chiamando quella fra due sessi diversi azione efero- sessuale, sicché |’ accoppiamento fra marito e moglie sarebbe una azione eterosessuale. Essendo superfluo accumulare nuovi fatti simili ai già noti, richiame- remo l’ attenzione sopra altri in cui si verificò una notevole distanza di tempo fra l’ inclinazione verso un sesso e poscia verso l’altro, e ricorderemo Geoffroy Saint-Hilaire che raccontò come (Osserv. 7?) Anna Droùart da giovane aveva inclinazione al sesso femminino, e da adulta al sesso virile, dove ché da prima fu soggetta a mestruazione irregolare e poscia non mostrò traccia né dei testicoli né dell’ utero. Ricorderemo pur anche Magitot (1) che conobbe una giovine di 17 anni maritata e che con- visse in buona armonia per 12 anni col giovine sposo. Rimasta vedova, gli istinti sessuali si modificarono in guisa da avere molti amanti, coi quali non incontrava nessuna difficoltà sessuale. Essa mori, e si vide for- nita d’ un pene infantile che fu capace di erezione con seme però sprov- visto di filamenti, e mancava dell’ apparecchio femminino. Da questi casi e da altri che citeremo parlando degli effetti psicopatici delle deformità sessuali, nasce la domanda: come le inclinazioni erotiche possono cam- biare dopo tanto tempo ? Abbiamo già accennato, che nelle ragazze con affezioni uretro-sessuali i testicoli spesso ritardano a discendere lungo i canali inguinali, che la penetrazione nello scroto accade in tempi diversi, e che la discesa è se- guita dai fenomeni che caratterizzano la pubertà. Ma quando questi feno- meni non procedono regolarmente (sia o no accaduta |’ amenorrea, siano o no discesi i testicoli) e tanto più quando le forme genitali esterne sono femminili ed accompagnate da uno stato di apatia, allora |’ unica circo- stanza che possa influire sul tardo indirizzo sessuale delle giovinette è l’ educazione, spesso secondata dalla qualità dell’ ambiente, e ciò spiega i matrimoni per condiscendenza, il monachismo, la fuga dal domicilio paterno. Tali circostanze furono ampiamente sviluppate da Debierre (2) e da Chevalier (3). (1) Magitot E. Bulletin de la Société d’ Anthropologie. 1880, pag. 487. — Vedi Taruffi C. Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. 1901, pag. 338! (2) Debierre Ch. L’ hermaphrodisme. Paris 1891, pag. 133. (3) Chevalier. /nversion seruelle. Paris 1893, pag. 334. — 670 —. Dobbiamo infine notare che si danno casi che sfuggono a tutti i gruppi teratologici già ammessi, compresa |’ inversione sessuale, oltre la quale si danno per esempio discrepanza fra due parti che caratterizzano il sesso nello stesso individuo, da potersi considerare un indizio di pseudo-erma- froditismo esterno, oppure discrepanza soltanto fra i caratteri dell’ abito di corpo, oppure fra le parti stesse degli organi generativi dello stesso individuo, finalmente la discrepanza fra | istinto psichico e |’ esercizio funzionale del sesso, fenomeno che si verifica assai spesso nella prostituta. Per esempio il caso di Gerin (Osserv. 69) di una ragazza di 26 anni con abito maschile, la quale sebbene avesse ripugnanza agli uomini, nulladimeno ebbe relazioni coi medesimi. ]l 2° caso appartiene a Gun- chel (1) parimenti di una donna giovine con abito maschile e fornita di pene, che amoreggiava colla matrigna, mentre alla necroscopia si rilevò che non aveva se non gli organi femminini completi. La terza osserva- zione appartiene a Birnbacher (2), il quale descrive una donna con abito maschile, però con mammelle assai sviluppate, che confessò l’incli- nazione all'amore lesbico. EREDITÀ -— Anche le anomalie uretro-sessuali vanno soggette all’ eredità, ma non sappiamo se in questo caso la frequenza sia diversa da quella delle altre deformità, o meglio se la successione segue le stesse leggi e compie gli stessi sbalzi fra le successive generazioni come in altre deformità poiché ignoriamo se furono fatti largamente confronti nel terreno terato- logico. Sappiamo soltanto che Lingard trattò dell’ eredità e dell’ atavismo dell’ ipospadia (3), ma non siamo riusciti a procurarci la Memoria; sap- piamo però che Gudder nel 1890 fece un articolo relativo ali’ ipospadia, da cuì s’ induce che questa é spesso ereditaria, specialmente quando è mediocre (4), e che Strassmann aggiunse un caso di trasmissione ac- caduto mediante le femmine, mentre la madre era rimasta immune (9). Caso analogo fu accennato da Porro, in una famiglia in cui due cugini materni avevano una conformazione simile dei genitali, uno dei quali a 17 anni si suicidò (6). (1) Vedi Taruffi C. Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. 1899. Serie 5*. Tomo VII, pag. 752. Osserv. 123. (2) Vedi Taruffi. Mem. cit. Bologna 1901. Tomo VII, pag. 368. (3) Lingad. De l’Aéredité de Vl’ Hypospadie et de sa transmission par l’atavisme indireete. Lancet; 19 Aprile 1884. (4) Guder. Beitrag zur Lehre von der Fortpflansugsfihigheit bei Hypospadie und der Vericer- bung dieser Missbildung. Zeitschrift fiir Medicinalbeamte. 1890. N. 7. S. 247, 250. (5) Strassmann Fritz, Prof. a Berlino. Medicina legale. (Traduzione italiana). Torino 1901, pag. 73. (6) Porro Edoardo. Ermafroditismo. Gazz. Medica Lombarda. Dicembre 1862, pag. 675. N. 51. Taruffi. Osserv. 43. — 671 — I casì d’ eredità più o meno diretta da stipite mascolino e talora fem- minino raccolti fra le 84 Osservazioni sono i seguenti; fra cui il più no- tevole è quello di Philippes. Osserv. 11. Lepecchia J. — Giovane ipospadico con due fratelli de- formi nei genitali. Osserv. 21. De Mattheis — Sopra 4 figlie, tre si trasformarono in maschi con ipospadia alla radice del pene. Osserv. 25. Tarozzi Tommaso — Sopra 4 sorelle, due con defor- mità sessuali a gradi diversi. Osservi 3o-+E'em'o gli Ge=tFrat fratelli, il 3” ed'ill'5°* avevano ipo spadia etc. i Osserv. 43. Porro Edoardo — Citato superiormente. Osserv. 45. Casper J. L. — Neonato ipospadico figlio d’ una nubile con pene e con doccia uretrale. Testicoli nello seroto bipartito. Osserv. 124. Philippes Jonn. — Vedi Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Serie 5*. Tomo VII, p. 752. Osserv. 124. Una madre aveva 9 figli, di cuì 4 erano pseudo-ermafroditi, cioè fem- mine coi caratteri esterni simulanti il sesso mascolino, mentre in una, che mori, il carattere femminino era completo ed interno. Cap. MII. — Patologia psico-sessuale (Medicina legale delle affezioni uretro-sessuali) L'argomento delle alterazioni mentali associate a disturbi degli organi sessuali é un tema assai vasto, che invade da una parte il campo delle psicopatie, dall’ altra i vizii morali, che talora diventano patologici, come la pederastia e l’inversione sessuale, di cui abbiamo già dato un cenno (1). Volendo però limitare tale argomento (come dicemmo in principio del primo capitolo), è opportuno di circoscriverlo ai disturbi di spirito che spesso sì collegano, primieramente o secondariamente, ad alterazioni cli- niche degli organi sessuali, appartenenti alla specie umana; ed abbiamo raecolte 84 osservazioni che formano la base del presente studio, e che sono comprese col titolo di affezioni uretro-sessuali. Avendo già rilevati i caratteri fisici di tali affezioni, rimangono ora da esaminare le complicazioni e le successioni morali che affliggono gl’ in- fermi, nonché gli espedienti giuridici per evitare in parte gli inconvenienti. Ma avanti d’ entrare in argomento, premettiamo che il presente capitolo (1) Vedi Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, 1899. Art. II. Inviri- lismo. Tom. IX, pag. 332. Serie V. — Tomo IX. 84 — 672 — é totalmente superfiuo tanto per i freniatri, quanto per i medici legisti, poiché non possiamo porgere a loro alcuna notizia, né alcun consiglio che non sia già noto ed anche patrocinato dai medesimi; soltanto una cir- costanza ci invita a riferire le cose già note, e cioè l’ ignavia dei giuristi a seguire i progressi scientifici delle scienze fisiche, od almeno i loro metodi, affinché i legislatori (in questo caso) possano funzionare da igienisti, pre- venendo molti mali tanto fisici quanto morali nelle persone imperfette. Quando scrivemmo nel 1881 un Capitolo sulla Sforia della T'eratologia (1), onde fornire un cenno sui costumi e sulle leggi che prevalsero nell’ anti- chità rispetto alla nascita dei mostri, ci accadde nel compiere le ricerche opportune, di rimanere meravigliati nell’ apprendere gli strani pregiudizi, e le poche ma barbare leggi che dominarono per secoli a tale proposito; e tanto più rimanemmo sorpresi nel vedere i più rinomati glossatori ripe- tere gli errori del volgo, e conservarli negli Statuti municipali, ove poi trovansi grandi disparità nel giudicare le colpe e nell’ applicare le pene, perfino contro chi era affetto da deformità uretro-sessuali, di cui recheremo alcuni esempi (2). Raccogliendo tutti i casi che furono sottoposti a giudizi penali, si ricava un patrimonio storico (anche vergine) propizio per scoprire i supposti (1) Taruffi Cesare. Storia della Teratologia. Bologna 1881. Tomo I. Parte 1%, pag. 91. Parte 23, pag. 53. Costumi e leggi. (2) Le fonti da cui si possono attingere le leggi e i costumi relativamente ai mostri in generale sono indicate in gran parte nel Tomo I. della nostra Storia della Teratoloyia. 1 casì poi relativi alle deformità uretro-sessuali sono indicati nella Nota 2* in fine della presente Memoria, alcuni dei quali qui sotto ricordiamo. Taruffi C. Cap. III. Mem. della Patologia psico-sessuale. Nota II, Osserv. 57. — Riporta un documento dell’anno 1527, ove è detto che una donna, creduta ermafrodita, riconosciuta più tardi per un uomo, fu bruciata. Sinibaldi G. Benedetto. Geneanthropiae, sive de hominum generatione. Romae 1642. Francofurti 1669. Libr. II. Tract. I, cap. 7, pag. 111. — Vedi Taruffi C. Ibidem. Nota II. Osserv. 2. — Una ragazza fuggì da Spoleto e fu raggiunta dal fratello in Ancona. Ivi presa da timore svelò la sua trasformazione in uomo, e tale fu poscia giudicata dal Tribunale e denominata Postumo Barattani. Tulpio Nicola. Observationes medicae. Editio nova. Amstelodami 1672. Lib. III. Cap. XXXV, pag. 241. — Vedi Taruffi C. Memoria sull’ ordinamento della Teratologia. Nota III. Osserv. 11, pag. 359. -- Enrica Sehuria, stanca del suo sesso, vestì abiti maschili e fece il soldato sotto il Principe di Orange. Tornata a casa, per la sua clitoride molto sviluppata si accoppiava con altre donne, e special- mente per più lungo tempo con una certa vedova, la quale (se fosse stato permesso dalle leggi) vo- lontieri ’ avrebbe sposata. Questa tribade aveva la clitoride tanto sviluppata che durante il coito questa raggiungeva la lunghezza della metà d’ un dito ed anche di più, e la grossezza del pene d'un bambino. 1ìl giureconsulto Giovanni Paponio (1, XXII, tit. VII, avert. II) scrive che queste donne impudiche devono essere condannate a morte. La tribade, di cui sopra, trovò il giudice più clemente: fu basto- nata con verghe e, condannata all’ esiglio, venne separata da quella vedova, colla quale aveva vissuto libidinosamente. Colle. Anne Grandjean. Journal-historique. Paris 1765. Vedi Taruffi C. Memoria loco citata. Nota II. Osserv. 9. — Questo caso che per brevità può chiamarsi un esempio di anomalia uretro-ses- suale riguarda una donna che aveva di particolare una grande clitoride, di cui fece uso colle femmi- ne. Il Tribunale di Lione considerò come ermafrodita e la condannò alla pena della frusta, e poscia all’ esiglio per aver profanato il Sacramento del matrimonio. La donna si appellò dalla sentenza; ed ammettendo la buona fede di essa, il Tribunale ridusse la pena a vestirsi da donna. Chesneul (de la Rochelle). Question d’ identité. Vice de conformation des organes genitaux : — 673 — principii nel diritto penale applicati alla teratologia. E questo studio per noi basta a spiegare come sorsero i numerosi glossatori e poscia i nume- rosi avvocati che costituirono una nuova classe, meritevole del titolo di Sofisti. Questa classe degenerata fu posta in evidenza dal celebre Mura - tori(1)che si perpetuò nei tempì moderni, poscia fu descritta da Vincenzo Gioberti in modo da meritare la trascrizione d’un brano che riporte- remo in nota (2). Finalmente non dimenticheremo di ricordare che questa classe fu già ricordata dallo stesso Cicerone, quando nella sua difesa di Lucio Murena (3) disse che i principii del diritto essendo caduti nelle mani degli avvocati, avevano perduto quanto avevano di sensato, poiché coi loro disonesti cavilli quelli avevanli tratti a stoltezza e menzogna « in manibus iactata et excussa, inanissima prudentiae reperta sunt, fraudis et stultitiae plenissima ». Per spiegare così severi giudizi intorno agli avvocati basta per noi confrontare i principii, la finalità ed i metodi da loro adoperati con quelli seguiti dai naturalisti per comprendere da un lato i meravigliosi progressi nei diversi rami delle scienze fisiche, e dall’ altro il bisogno perenne per migliorare le leggi, bastando ricordare che i giureconsulti partirono e par- tono sempre da principii astratti e coi medesimi regolano le loro dottrine generali, mentre per esempio i biologi partono dall’ analisi dei singoli fatti, poscia li confrontano fra loro, e secondo le somiglianze salgono (fino ove lo permette |’ esperimento o la induzione) all’ origine dei fatti medesimi, notando che il concetto di tale origine viene ogni volta modificato secondo le esigenze dei progressi ottenuti coll’ analisi, mentre nel diritto criminale si parla del medesimo e si considera come una scienza sintetica e da questa si ricavano le leggi (4). Aypospadias. Annal d’ hygièéne publique et de médicine légale. Juillet 1860, pag. 206. — Vedi Taruffi C. Memoria loco citato. Nota II. Osserv. 42. —- Dalla Storia sì ricava che trattavasi di una donna con abito maschile, con pene imperfetto, con un testicolo nel canale inguinale e l’ altro nell’ anello inguinale opposto. Essa in vita fu giudicata per una ermafrodita e condannata a vestire da uomo (Vedi Storia). (1) Muratori Lodovico. Archivio italiano. Tomo I, pag. 277 e 294. Milano 1751. — Della forza della fantasia. Venezia 1745. Cap. XII, pag. 112, 114. (2) Gioberti Vincenzo. Il rinnovamento d’ Italia. Torino 1851, pag. 219. Vedi Nota V in fine. (3) Ciceronis. Orationes. Pro L. Murena. Cap. XII, $ 26 e 27. (4) Essendo profano del Diritto criminale e sapendo che era considerato come una scienza che nasceva da principii generali, desiderai di sapere la natura e la origine della medesima e in tempi diversi interrogai varii insegnanti in proposito, i quali tutti mi esposero dottrine assai diverse; con- sultai varii vocabolari e tutti mi risposero presso a poco che il Diritto criminale è il complesso delle leggi che tutelano la sicurezza dei cittadini, senza una parola di principii giuridici. Ricorsi finalmente ad una Enciclopedia italiana e trovai che dice: « Non vi è parte del diritto in cui regni maggior di- screpanza fra le varie opinioni dei pubblicisti, quanto sul diritto di punire, vale a dire delle leggi che hanno per oggetto non solo di riparare ai danni risultanti dalle azioni illegali, ma ancora di pu- nire l’ autore di tali azioni a nome dello Stato, infliggendogli una pena. Il problema stà precisamente nel porre le regole in armonia alla giustizia naturale. I governi, è vero, da tempo immemorabile si valsero del diritto di punire, senza aspettare il risultato di tali disposizioni, e per fino senza neanche PORVI Mente ritto » (Nuova enciclopedia. Torino 1858. Vedi edizone V. Volume VI, pag. 654). — 674 — In quanto al fine che si propongono gli studiosi delle due branche suddette, diremo che in genere sono ambedue rivolte al bene dell’ uma- nità, con questa differenza però che le scienze fisiche sono dirette al bene scientifico e fisico dei popoli, mentre l’ obbiettivo dei giuristi di fatto é la garanzia degli interessi individuali, omettendo di considerare il bene generale. Volendo poi a questo proposito dare un esempio volgare, ricorderemo che un individuo, quando richiede | aiuto d’un medico per alleviare i propri mali, crede che il medesimo adoperi i farmaci più idonei per gua- rirlo senza nuocere agli altri e senza curarsi se il medesimo è seguace di Ippocrate o di Galeno. Quando invece un individuo è accusato dì furto trova tosto un difensore il quale si propone di salvarlo dalla galera e non sì preoccupa di strappare a un tempo dalla società un malfattore, ma sol- tanto di aver superata una causa difficile; ciò che prova come questa specie di avvocati non è mortificata dal sapere che la razza latina gode il privilegio di possedere il maggior numero di deliquenti (1). Per non distrarci ulteriormente dal nostro argomento teratologico, ri- nunzieremo come superflue le prove degli apprezzamenti suddetti, e passe- remo tosto ad alcuni caratteri secondari delle anomalie uretro-sessuali, che hanno attinenza colla medicina legale; passeremo cioé ad alcune predispo- sizioni morbose della psiche, a complicazioni e successioni morali spesso annoverate nelle storie da noi riportate fra cui la paresi sessuale. Questa affezione é anche chiamata apatia sessuale, che può definirsi un carattere negativo degli istinti erotici, che ad un tempo è occasione di disturbi mo- rali e d’ avventure assai diverse, di cui abbiamo gia fatto un cenno par- lando delle alterazioni secondarie (Vedi pag. 668). La parest non è così frequente come si supporrebbe, poiché se si sot- traggono i casì che appartengono ai pseudo-ermafroditi, tanto tipici quanto anomali, ricordati altrove, quelli che rimangono si riducono a cinque (Os- serv. 24, 43, 49, 50, 69). Abbiamo ancora notato che tale difetto non si oppone né al matrimonio, né alla prostituzione. Ciò che non può attri- buirsi all’ alterazione fisica. Vi sono però anche casì assai difficili da in- terpretare; per esempio quando la pretesa donna appartiene alla classe degli individui di sesso dubbio, pei quali si può immaginare che |’ istinto sessuale si mantenga indeterminato come nell’ infanzia, e che segua i con- sigli di famiglia, o lo spirito d’ imitazione, od altre circostanze suscitate dall’ ambiente. Ma si danno in pratica casì anche più difficili da essere interpretati, come quello descritto dal Piazzesi e Badaloni (Osserv. (1) Non è mai giunto alle mie orecchie che un legista abbia pubblicata una memoria diretta allo studio delle cause della maggior deliquenza fra le razze latine, e fra le diverse regioni abitate dallo stesso popolo. — 675 — 66) di una donna che rimase maritata per 4 anni, e poscia chiese la nul- lità del matrimonio, incolpando il marito di conformazione difettosa, e durante la causa s’ innamorò della cognata colla quale convisse. Il giu- dizio non fu dato, od almeno rimase ignoto; quindi non sappiamo se la deformità era invece nella pretesa donna, in causa forse di un pene cosi detto microfallo. INVERSIONE SESSUALE. — Abbiamo annoverati fra i caratteri secondari un fenomeno appartenente originariamente alle psicopatie e che si mani- festa mediante un atto sessuale generalmente uniforme, quale si é |’ inver- sione. Questo atto eccezionale l’ abbiamo già considerato come una specie d’ invirilismo della donna (Vedi Mem. cit. pag. 333, $ II); e nella stessa Memoria abbiamo considerati i casi in cui i singoli atti erotici pongono un notevole intervallo fra loro, cioè per compiersi dapprima verso un sesso, e più tardi verso |’ altro. Quì invece piglieremo in considerazione i casì d’ errore sul proprio sesso, poiché quando una presunta donna si innamora d’ una giovane incontra |’ accusa d’ inversione sessuale e subisce diverse avventure ; se poi essa muore, e si scopre il vero sesso maschile, allora solo sì rimane persuasi che essa seguiva il proprio sesso, essendo fornita d’ uno o d’ ambidue i testicoli. Tale errore é tanto più facile quando la presunta donna ha l’ abito del corpo femminino ed un pene non distinto da una grossa clitoride. Venendo ad alcuni esempi, ricorderemo Anne Grandjean (Osserv. 9) che sì maritò nel 1761, benché non avesse inclinazione per gli uoniini. Ma poscia fu accusata di profanazione al sacramento del matrimonio, essendo ermafrodita. Appellatasi contro tale giudizio, Anna fu assolta poi- ché per una parte fu riconosciuta fornita del pene e per l’altra che essa sì fosse maritata in buona fede; mentre oggi potrebbe sospettarsi un caso d’ inversione sessuale (pederastia). Un altro caso è quello della Morni Gia- coma (Osserv. 18), che a 23 anni aveva avuto soltanto due volte i segni mestruali, aveva però |’ apparenza della vulva, l’ inclinazione al sesso ma- schile, per cui la Giacoma ritenne d’ essere una donna. Fortunatamente il medico Tonni rilevò che la donna aveva | abito maschile, il pene colla ipospadia, ed i testicoli nelle grandi labbra, e poté giudicare traitarsi d’ un uomo male conformato. Il caso d’A/essia B. fu il più oscuro fra gli appartenenti a questo gruppo di deformità, e rimase tale finché visse la pretesa donna (Osser- vazione 42). Questa fu amenorroica fino a 22 anni, divenne istitutrice in una casa di educazione, aveva il corpo con abito maschile e peluria, ma il volto non aveva caratteri differenziali. Tuttavolta strinse affettuosa ami- cizia, che si converti in passione, per una compagna di convitto. Ciò — 676 — condusse ad una serie d’ emozioni e di scrupoli che persuasero Alessia a farsi visitare, e così seppe che era ermafrodita con prevalenza del sesso mascolino, e che doveva rinunziare ai suoi istinti e vestire da uomo. Im- pressionata per tale giudizio, tentò di cambiare abitudini, ma fu presa da lipemania, ed ail’ età di 30 anni si asfissiò coll’ acido carbonico. Goujon fece la necroscopia e trovò un pene imperforato, sotto il quale vi era la vulva, ed in questa sboccava |’ uretra ed i condotti ejaculatori, ma non si trovarono né l’ utero né le ovaie. Lo scroto era bipartito e conteneva a destra un testicolo, mentre il sinistro era trattenuto nell’ anello inguinale. Da ciò si rileva che quando Alessia s’ innamorò della sua compagna di convitto, non era in preda all’ inversione dell’ uso del sesso, ma seguiva l’ istinto naturale d’ un uomo verso una donna. Surcipio — Tornando sul caso precedente, assai importante perché fu se- guito dalla necroscopia e perché la donna ebbe in vita una grave conse- guenza : la lipemania, merita ancora d’ essere ricordato che Alessia aveva l’abito maschile rispetto al torace ed alla pelvi, ed anche la peluria al labbro superiore ed alle braccia, mentre presentava il volto indeciso fra i due sessi : ciò che contribuiva all’ incertezza della diagnosi. Ma tutto ciò non basta a spiegare la determinazione d’Alessia al suicidio, poiché i difetti di confor- mazione e simili emozioni morali si sono verificate in moltissimi altri casi senza conseguenze eguali, sicché é probabile che abbia ancora contribuito fortemente il contrasto coll’ educazione e colle abitudini precedenti. Pochi altri esempì sono giunti a noi di suicidio, e disgraziatamente senza notizie sufficienti tanto dello stato fisico quanto di quello morale negli infermi, ec- cetto quello di Reverchon, esempio di complicazioni strane con effetti gravissimi; ma in generale essi non recano alcuna luce sull’ etiologia, eccetto la deformità negli organi sessuali, ciò che basta affinché siano accennati. Un suicida, in giovane età, è stato ricordato da Porro (Csserv. 43, Cap. 1) colla notizia che la deformità era eguale a quella del cugino, ambedue as- sai giovani. Ed un altro suicida fu il soldato anatomizzato da Langer C. nel 1881, affetto da Pseudo-Ermafroditismo mascolino, senza ovaia, con ecto- pia d’ un testicolo (Vedi Taruffi C. Mem. cit. Tom. VII. Osserv. 43, pag. 744). Il fatto più grave ed insolito, collegato colle deformità sessuali, é il seguente descritto da Reverchon (Osserv. 53), in cui in luogo di suicidio si tratta d’ omicidio volontario ed in cui |’ etiologia è ri- schiarata da uva psicopatia ereditaria: una tessitrice di nome Maria Chupin con derivazione morbosa (3 dementi dal lato della madre, un epi- lettico dal lato del padre), con intelligenza tardiva, che imparò a leggere a 13 anni, a cui spuntarono peli al volto in luogo della comparsa della mestruazione, e mostrò una grande inclinazione alle pratiche religiose, e nessuno indizio d’ istinti sessuali. A 15 anni principiò a contrastare col — 677 — fratello, perchè accusata di trascurare i lavori domestici, in guisa che la ragazza divenne irascibile e bizzarra. A 25 anni dormendo con una cugina s’ accorse che essa aveva una conformazione sessuale diversa e principiò a dare segni di pazzia. Volendo liberarsi dal giogo di famiglia senza essere obbligata di tornare a casa, immaginò d’ afferrare un fanciullo e gettarlo nel pozzo, poscia costituirsi ai gendarmi, persuasa che il fanciullo andava in cielo. E cosi fece ; sicché fu messa in prigione, poi passata al Manicomio ove fu vestita da uomo. L’ autore la visitò, e riferi che Maria era alta metri 1,71, aveva la barba, voce virile, aveva un pene curvo con epispadia in tutta la lunghezza (com- pleta). Nel solco dello scroto vi era |’ orificio dell’ uretra (ipospadia sero- tale) con un secondo canale cieco sottoposto, lungo 9 centimetri (vagina). Il sacco scrotale a destra conteneva un testicolo atrofico, ed un’ ernia inguinale visibile. La Maria riconobbe il suo fallo, ma conservò idee biz- zarre e leggere, e si mantenne squilibrata, per cui fu tenuta nel Mani- comio. DIVORZIO E NULLITÀ DI MATRIMONIO — Nelle alterazioni psico-sessuali già annoverate abbiamo rilevato che i fenomeni intellettuali non accompa- gnano, né seguono con uniformità le alterazioni fisiche rispetto al grado ed alla qualità delle alterazioni stesse. Ora possiamo prevedere che al- trettanto avvenga rispetto al divorzio (ov’ é ammesso) ed alla nullità del matrimonio e quindi che |’ uno e l’ altra non costantemente si colleghino con un gruppo di deformità, come le uretro-sessuali, e molto meno che siano precedute da circostanze uniformi e propizie per reagire con eguale risultato; mentre le deformità, quando, in luogo di costituire un gruppo, avvengono singolarmente, danno luogo a variati disturbi locali, ma non a fenomeni in- tellettivi (psicopatie). Volendo offrire alcuni esempi di variate occasioni di divorzio, ricorderemo il caso singolare e ad un tempo naturale di Vola- terrano {1) d’ una fanciulla che andò a marito e poscia in essa si mani- festarono gli organi maschili (il cosi detto cambiamento di sesso). Allora la sposa supplicò Alessandro VI per la soluzione del matrimonio, ma non racconta se ella |’ ottenne. Un secondo caso fornito da Caldani nel 1794 () presenta una occasione singolare di divorzio. Domenica Scappato padovana, d’anni 40, d’ alta statura, amenorroica, senza alcun disturbo relativo, si maritò di 17 anni, ma dopo 18 mesi il marito la denunziò al foro eccle- siastico, come inetta al matrimonio. Una perizia medica, favorevole al marito, ordinò la separazione di letto fra gli sposi. La sposa si sdegnò (1) S. Agostino. De Civitate Dei. Libr. 3°. Cap. 31. (2) Caldani Leopoldo Marc-Antonio (Prof. a Padova). Lettera al Dott. Verardo Zeviani. Memorie della Società Italiana. Verona 1794. Tomo VII, pag. 130. — 678 — per il giudizio e chiese la restituzione della dote, che il marito concesse ogni qual volta ottenesse legalmente la separazione: ciò che recava alla sposa una nuova visita medico-legale; visita che confermò la sposa inetta per il maggiore accrescimento della clitoride. (Dalla fig. IV. della Tavola annessa si vedono discendere dal prepuzio due briglie esterne che si uniscono alle due grandi labbra, e due interne che l’autore considera per un doppio frenulo limitante una fessura sottoposta alla clitoride). Fra i titoli per il divorzio merita particolare considerazione quello della sposa, perché di- mostra come la pubblicità data ai difetti fisici di una donna suscita in essa una reazione capace di promuovere un secondo processo colla con- seguenza d’una seconda visita medico-legale. Un fatto analogo a quello di Caldani fu pubblicato da Vincenzo Chiarugi (Prof. a Firenze nel 1819) (1), il quale racconta che Rosa N. N. si marito nel 1804 all’ età di 38 anni: aveva forme maschili; ma il marito dopo 18 mesi introdusse una causa alla Curia Vescovile di Fiesole per lo scioglimento del matrimonio. La Curia interpellò un medico, che giudicò la moglie per una donna incapace al matrimonio. Ma la sposa s°irritò per tale giudizio ed emigrò a Firenze, vivendo col lavoro delle sue mani, mentre il marito sopportò questa separazione volontaria per 11 anni. Poscia imal tollerando questo stato promosse una nuova lite per ottenere lo scio- glimento legale dal Metropolitano Fiorentino, e questi invitò il Chiarugi, autore della relazione, all'esame dell’ individuo, dal quale ricavò che: la Rosa N. N. accusava 52 anni, aveva di fatto l’ abito virile, ed all’ arco del pube un glande impervio, con prepuzio, e col frenulo lungo un dito trasverso, alla cui estremità si apriva |’ uretra. L’ autore tace della man- canza del corpo del pene; e dice invece che dietro il foro uretrale vi erano aleune pieghe seguite dal rafe dello scroto. Il medesimo era rappresentato da due piccole borse mobili applicate alle coscie e contenenti ciascheduna un’ ernia. Respingendo le ernie nell’ addome sortivano dai due anelli in- guinali due testicoli; sicché |’ autore concluse trattarsi d’ un maschio colle parti relative non perfettamente conformate, in guisa che tale maschio era incapace d’ agire una copula completa. Vi sono ancora domande di divorzio di donne che preferivano il di- vorzio sterile ad uno sposo impotente, ed un esempio é stato fornito da Leuckart nel 1817 (2) di una contadina appena sposa che si divise tosto dal marito, e dopo visse fino all’età di 74 anni. Sezionata, mostrò tutti i ca- (1) Chiarugi Vincenzo. Sopra una supposta forma di Ermafroditismo. Lettera al Prof. Tom- masini. Firenze 1819 (in 26°). — Vedi Taruffi C. Nota II. Osserv. 26. — Non sappiamo se questo autore è parente dell’attuale Prof. Giulio Chiarugi valente anatomico in Firenze. (2) Leuckart K. G. F. R. (Leipzig). Ilustrirte med. Zeitung 1817. Bd. I. — Vedi Taruffi C. Memoria citata 1899. Tom. VII, pag. 740. = 16009 — ratteri virili ed inoltre due canali che comunicavano colle vescichette seminali. Qui aggiungeremo un’ altra osservazione medico-legale, non già di divisione fra gli sposi, ma per assicurarsi se la figlia era idonea al matrimonio. Worbe (1) racconta che una ragazza fu chiesta in ma- trimonio più volte, ma già era passato il tempo della pubertà e la me- struazione ritardava a manifestarsi, mentre le grazie del volto princi- piavano a svanire per essere sostituite dai caratteri maschili, in guisa che i parenti allarmati chiesero un parere medico-legale intorno allo stato della figlia; parere che sorprese e turbò grandemente la ragazza, poiché concludeva che essa era uomo e non poteva maritarsi. La pretesa donna tardò lungamente a riaversi dal turbamento e finalmente fece istanza al Tribunale per rettificare l’ atto della sua nascita. Da questa storia risulta che non solo il divorzio chiesto dal marito turba la donna, ma ancora essa rimane turbata per confessare pubblicamente l’ obbligo di rettificare il sesso. i Finalmente torniamo a un altro caso di vera nullità di matrimonio, che occupò lungamente il tribunale ecclesiastico e civile della provincia romana. Faustina N. N. sì maritò a 21 anni, ma il marito trovò delle difficoltà a compiere |’ atto coniugale, in guisa che tentò con un piccolo coltello di allargare ia parte ristretta, ma senza frutto. Nel frattanto la Faustina s’ avvide che aveva un organo che impediva l’ accoppiamento e raccontò le sue pene alla sposa del fratello e fini per innamorarsi della medesima, e dopo 10 anni di convivenza col marito fece domanda nel 1870 di separazione coniugale dal medesimo. Il perito Badaloni (2) riconobbe nella donna i caratteri maschili, cioé i testicoli ed il pene ed inoltre ipo- spadia, per cui il Tribunale annullò il matrimonio già compiuto e rettificò il nome di Faustina in quello di Faustino. Questo fatto prova che si danno mariti che si rassegnano agli ostacoli e donne che rinunziano al marito per seguire gli istinti naturali. Ed insegna inoltre come gli ostacoli sessuali diano occasione a tentativi meccanici di allargamento delle parti ristrette in modo pericoloso. RimepI cHIRURGICI — Il tentativo fatto dal marito di Faustina ci conduce a ricordare alcune operazioni chirurgiche praticate per riparare certe ano- malie congenite delle parti generative, le quali risguardano alterazioni singolari come l’ ipospadia, l’ amputazione della clitoride, i restringimenti congeniti della vulva e della vagina, e le fistole retto-vaginali. Le cure ed (1) Worbe. Observaz. sur un hypospadias qui a rendu l eristence civile d’ un individu fort am- bigue. Bullett. de la Société de Méd. Paris 1815. N. 5, pag. 364. (2) Badaloni Giuseppe. Bullett. della R. Accademia di Roma 1885. — Gazz. degli Ospedali di Milano. Luglio 1885. Con 3 figure. — Vedi Taruffi C. Nota II citata, Osserv. 66. Serie V. — Tomo IX. 85 — 680 — i processi operatori sono già entrati nella pratica, e questi non hanno diretta attinenza con gli effetti delle psicopatie sessuali, per cui limiteremo il nostro racconto soltanto a due ardite e nuove operazioni: una per sup- plire il difetto dell’ organo, l’ altra per diagnosticare il sesso dell’ inferma. La prima appartiene a Coste di Marsiglia (Nota II, Osserv. 31) il quale racconta di una ragazza di 21 anni, mestruata, che desiderava maritarsi, sebbene avesse un pene infantile privo d’uretra, ma era senza ingresso vaginale con due grandi labbra, di cui una conteneva il testicolo; nulladi- meno non esitò a subire una vagina artificiale, ed una amputazione del preteso pene (clitoride) e dopo 8 mesi si marito; ma l’ autore tace se in seguito la pretesa donna ebbe prole. Questo fatto avrebbe importanza chi- rurgica se fosse stata riferita la qualità e l’ estensione delle parti incise. Una maggiore importanza ha l’ osservazione di Porro (1) (Osserv. 43), sebbene essa non metta in maggiore luce il gruppo delle affezioni uretro- sessuali, né le complicazioni, né le conseguenze di tale gruppo, ma sol- tanto si propone di riconoscere il sesso dell’ individuo afflitto in uno o più caratteri del medesimo gruppo; poiché abbiamo già rilevato come sono frequenti i casi di sesso dubbio e come ciò accada in conseguenza dei testicoli nascosti, i quali spesso rimangono nei canali inguinali senza discendere. Porro in un fatto di questo genere pensò di scoprire in un inguine il corpo glandulare ivi nascosto, e scoperse che era un testicolo con tutti i suoi caratteri, per cui ha rivelato che con una operazione innocua e di facile guarigione si può sciogliere un quesito relativamente frequente e donare la pace ad una famiglia, determinando il sesso del figliuolo. In quanto ai caratteri clinici della bambina che si riconobbe poi maschio, rimandiamo alla storia già citata, non offrendosi qui nulla di nuovo da aggiungere. DILATAZIONE EROTICA DELL’ URETRA — (Gia nella precedente memoria abbiamo raccontato i fatti notevoli in cui ostacoli sessuali al coito in- dussero la sodomia; fra cui quello memorabile di Parigi descritto da Luis Antonius, la cui pubblicazione dobbiamo a Benedetto XIV, essendo stata proibita dal Parlamento nel 1754 (Vedi Taruffi C. Mem. dell’Accad. delle Scienze. Tomo IX. Nota V, Osserv. 5, pag. 369). Qui invece ricorderemo due fatti recenti in cui ostacoli fisici condussero alla dilata- zione dell’ uretra, per la quaie abbiamo introdotto il titolo : Dilatazione erotica dell’ uretra. Questo titolo sembrerà anatomicamente strano ; ma per i chirurghi non é in niuna guisa inverosimile, sapendosi quanto facilmente (1) Porro Prof. Edoardo. Indagine cruenta per giudicare con sicurezza del sesso. Gazzetta Medica lombarda. Milano 1862. N.° 51, pag. 515. — 681 — si dilati l’ uretra della donna, così da permettere la dilatazione istrumentale per l’ estrazione della pietra dalla vescica senza alcun taglio in precedenza. Assai interessante è il fatto di Faustina Maturo giudicata una donna con due grandi labbra e con una grande clitoride, in cui furono ricono- sciuti i testicoli, e nella clitoride un vero pene. Innamoratasi d’una donna, chiese la nullità del matrimonio dopo 10 anni di convivenza col marito. Il Tribunale ordinò una perizia ed il perito trovò un solco dal lato in- feriore della clitoride, che si trasformava in un canale che conduceva ad una apertura rivestita da una mueosa; apertura con la quale un dito giungeva in vescica, e che il perito giudicò l’ effetto di ripetuti conati del coito; ed inoltre ritenne trattarsi d’ipospadia perineale in un uomo senza traccia d’ organi femminini (Vedi Osserv. 66, ove sono altre particolarità). La seconda osservazione è altrettanto importante ed é dovuta a Dohrn (Osserv. 67). Una donna di 31 anni, sposa da 6 anni, da prima amenorroica, poscia mestruata in modo irregolare, con abito femminino. Aveva due grandi labbra contenenti ognuna corpi mobili di diversa grossezza, ed una clitoride simile ad un pene, con cappuccio che si continuava colle piccole labbra, ma niuna traccia degli organi interni femminini. Notavasi però uno sbocco assai largo dell’ uretra, cosi da permettere |’ introduzione del dito in vescica, ove si avvertivano dei polipi sanguigni, che spiegavano la irregolare emorragia. La circostanza più interessante fu che la donna consultò 1’ autore per i disturbi che subiva compiendo i doveri coniugali, e l’autore imparò che il marito inscientemente si serviva.dell’ uretra, e la moglie imparò la causa dei disturbi; nulladimeno preferi di continuare la sua vita femminina nel suo tranquillo matrimonio. PREDISPOSIZIONI COMPLESSE ED Oscure — È singolare che una sola volta si trovi fra gli 84 casi da noi raccolti la storia della fuga di una giovine dalla casa paterna, mentre fra i cittadini senza deformità negli organi esterni della donna è un fatto frequente ; ed il caso appartiene a Sini- baldi (Osserv. 2), il quale racconta che una giovane dopo essersi accorta della sua trasformazione in maschio fuggi lungi dal suo paese nativo. Questo caso, senz’ altre notizie, non può spiegarsi se non supponendo che la presunta donna sì vergognasse a svelare alla famiglia la sua trasfor- mazione, tanto più se era accompagnata da istinti erotici divenuti molesti. Un caso parimenti singolare é stato raccontato dal Dott. Auria (Osserv. 1), di una giovine a cui dopo il matrimonio comparvero i testicoli ed il pene ; e poscia il marito mori dopo cinque anni di unione coniugale, durante i quali essa aveva sempre conservato il segreto. La vedova addolorata si ri- volse all’Arcivescovo di Palermo per raccontargli lo strano avvenimento, e questi Ja mandò dal Re di Spagna. Intorno ai consigli ricevuti a Madrid — 682 — non sappiamo altra cosa se non che la pretesa donna tornò a Palermo vestita da prete. Un altro caso, comunicato da Lombroso (Osserv. 48), è parimenti assai oscuro rispetto alla concatenazione dei disturbi psichici della pretesa donna, in guisa che va collocato fra i fatti poco favorevoli ad illumi- nare le psicopatie. Una figlia di famiglia, con strume al collo, coll’ abito maschile, e coi tratti nel volto femminili, con inclinazione ai maschi, e più tardi alle femmine, era maniaca e s’ afflisse grandemente quando si accorse della sua deformità sessuale. Aveva la vulva e le grandi labbra coi testicoli e una notevole clitoride (microfallo con ipospadia), e mancava del canale vaginale. Con tale descrizione è impossibile spiegare l’ origine e la natura dell’ affiizione subita. Abbiamo compiuto | analisi biografica, fin dove era possibile, dei casi da noi raccolti (Vedi Nota II); rimangono ora a riferire le induzioni ricavate da altri, tanto sui fatti medesimi quanto su quelli descritti da essi stessi. Alcuni tentarono nel principio di questo secolo di esporre delle conside- razioni generali, come fece Dailliez; il quale da poche storie inedite o poco note trasse argomento per una tesi (1) in cui le conclusioni, come era da prevedersi, furono troppo generali ed ardite. Difatto affermò che gli individui di sesso dubbio costituiscono un gruppo di soggetti fisica- mente e moralmente morbosi, essendo ora demoralizzati, ora furbi, ed ora con carattere doppio. In conseguenza questa tesi è caduta in dimenticanza. Un passo ulteriore fu eseguito nel 1814 da Worbe (2), il quale rac- contò alcune osservazioni assai importanti, fra cui una che aveva per titolo: « Sull’ ipospadia che rese |’ esistenza civile di un individuo molto ambigua e che diede luogo a molti atti giudiziari contradditori ». Questa memoria ebbe due pregi: uno, che dimostra 1’ esistenza di individui in cui non si rico- nosce il sesso; l’ altro, che tale stato per solito dà luogo a questioni lunghe e difficili. Del primo pregio se ne impossessò il celebre teratologo francese Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire nel 1836 (3), che raccogliendo alcuni altri fatti di sesso dubbio, ne trovò alcuni in cui era accaduto il deplora- bile errore d’inscrivere fra le donne gli uomini affetti d’ ermafroditismo. Ed in questi l’ autore rileva che i caratteri mascolini rimangono ad onta (1) Dailliez Georges (Cambray). Le sujets de sere douteaux. Thése de Paris 1823. Paris J. B. Baillière et Fils 1893. (2) Worbe. Bulletin de la faculté de Médecine de Paris 1814-15. Tomo IV, pag. 364-372. — Vedi Taruffi. Nota II. Osserv. 23. (3) Isid. Geoffroy Saint-Hilaire. Hermaphrodisme masculin. Tomo II. Paris 1836. Bru- xelles 1837, pag. 48. . — 683 — dell’ educazione e delle abitudini domestiche, cioé rimangono il carattere morale relativo, nonché le azioni fisiche in guisa che l'influenza congenita del sesso maschile non può venire nascosta dall’ istruzione e dal vestiario. Parlando dell’ abito di corpo, mostrammo che l’ avvertenza data da Saint-Hilaire subisce manifeste eccezioni, nulladimeno essa é spesso vera ed aumenta le difficoltà della diagnosi. Qui noteremo soltanto | av- venimento d’ individui, giudicati clinicamente di sesso dubbio fino dalla nascita, e molestati da infauste conseguenze, sebbene si verificassero tanto in gioventù quanto nella virilità, le quali non furono prese nelle debite con- siderazioni. Questi individui, già descritti nei secoli scorsi (vedi Pinaeus, pag. 654) furono ripresi in esame al nostro tempo e specialmente in Francia, (per quanto noi sappiamo) da alcuni chirurghi ed ostetrici i quali li descris- sero aggiungendo alcune considerazioni particolari. Per esempio Follin (1) disse una cosa generalmente vera, cioé che nei casi d’ ermafroditismo (questo vocabolo era usato in senso assai lato) la diagnosi non può essere fatta se non mediante l’ autopsia; e Henriette (2), Dufour (3) e Chesnet (4) riferirono esempi in cui rilevarono grandi difficoltà nella diagnosi. Su que- ste, e certamente su altre osservazioni (da noi ignorate) i giuristi tedeschi introdussero particolari disposizioni al Codice Prussiano, come si rileva da Casper (5) in una delle edizioni fra il 1856 e il 1864. Allg. Landrecht. Tit. I, thl. 1, $ 19 — Se un fanciullo è nato ermafrodito i parenti decideranno a qual sesso vogliono che il fanciullo appartenga. Ibid. $ 20 — All’età di 18 anni compiuti, l’ ermafrodito ha il diritto di scegliere esso stesso il suo sesso. Ibid. $ 21 — Secondo questa scelta, i suoi diritti saranno poscia fissati. Ibid. $ 22 — Se i diritti d’ un terzo dipendono dal sesso d’ un preteso ermafrodito, quegli può reclamare l’ esame del medico. Ibid. $ 23 — Il risultato dell’ esame del perito decide tanto contro la scelta fatta dell’ ermafrodito quanto contro quella dei parenti. Casper, dopo aver riferito queste norme legali, avverte ancora che se un medico commette un errore nel decidere se un individuo é maschio o femmina, é tanto più scusabile, quando non può approfittare d’ alcuni (1) Follin. /Individue qui presente à la fois les organes génitaur mdles et femelles. Gazette des Hopitaux 4 Dicembre 1851. (2) Henriette. Est-ce un garcon? est-ce une fille? ou les médecins et les officiers de l’ état civil dans V embarras. Journal de Méd. Jan. 1855. Canstatt’ s Jahresbericht fiir 1855. Bd. IV, s. 30. (3) Dufour. Vice de conformation des organes génitaur erternes. Bulletins de la Societé anato- mique de Paris. Année 31. Paris 1856. Ser. 2*. Tomo I, pag. 262. (4) Chesnet. Question d’ identité ; vice de conformation des organes genitaux ; hypospadias ; erreur sur le sere. Annales d’ hygiène publique et de médicine légale. Paris 1860. Ser. 2%. Tom. XIV, pag. 206-209. (5) Casper Giovanni Lodovico. Praktisches Handbuch der gerichtlicher Medicin. 1856. 2 Band. 4 Auflage 1864. Mit Atfos. — 6384 — segni sensibili e non di tutti i segni anatomici: difatto Maria Derrier (Osserv. 9) aveva una collezione di certificati di celebri anatomici del suo tempo, che dichiaravano la medesima, alcuni per un maschio altri per una femmina. La medesima avvertenza di Casper fu pure ripetuta nel 1861 da Lombroso, dicendo che l’ esame dei pseudo-ermafroditi durante la vita dei medesimi richiede una gran riserva nelle conclusioni de- cisive (1). Se la legge prussiana annoverata sia tuttora mantenuta, noi l’ ignoriamo. Ma è degno di rimarco che essa in parte conservava il diritto romano, poiché tutti sanno che Ulpiano (2) immaginò un abile espediente per scegliere e definire il sesso del neonato, colla differenza che la stessa legge prussiana aggiungeva una disposizione in armonia con quella d’ Ulpiano, che provvedeva al diritto dei terzi, e in tal modo il Codice soddisfece ai casi di sesso dubbio. Che poi la legge fosse buona ed evitasse tutti gli scogli é una questione che lascieremo alle elucubrazioni dei giuristi; a noi basta ricordare che già Ulpiano diceva: « Quaeritur Hermaphrodi- tum cui comparamus? et magis puto ejus sexum aestimandum, qui in eo praevalet ». I lavori di medicina pubblicati da Casper in rapporto colla legisla- zione furono ovunque apprezzati, ed i principali tradotti in italiano ed in francese, cioé uno a Torino nel 1869 e l’ altro a Parigi nel 1862. Merita poi d’ essere ricordata |’ edizione suddetta del 1869, poiché contiene note importanti del Prof. De-Maria, fra le quali (3) una relativa ad un indi- viduo di 60 anni che passò parecchio tempo come marito di una donna; e poscia tale marito si abbandonò a pratiche libertine con femmine, quando più tardi la pretesa donna mori e la necroscopia dimostrò trattarsi di un uomo. A questo proposito De-Maria propone disposizioni non uguali, ma analoghe alle prussiane sopra citate, onde impedire gravi di- sordini contro al buon costume. Il De-Maria però, non dice quali deb bano essere le disposizioni analoghe, ma in ogni modo consigliava di provvedere ai casi di questo genere e con ciò si faceva un passo ulteriore intorno al sesso dubbio. Tali precedenti però non bastarono a muovere i legisti; occorrevano ancora, come occorre presentemente, nuovi eccitamenti per riuscire allo intento. E tosto Veit (4) raccolse e pubblico altri casi di sesso dubbio. Più (1) Lombroso Cesare. Caso d’ ermafroditismo ete. Giornale delle malattie veneree. Milano 1867. Vol. IV, pag. 306. (2) Ulpiano. De Hermaphrodito. Ulpianus lib. 1° ad Sabinum. Digestorum liber primus, titulus quintus. (3) Vedi traduzione di Casper. Medicina legale. Torino 1869. Vol. II, pag. 451. — Vedi Taruffi. Mem. dell’Accad. cit. pag. 367. Nota IV. Osserv. 3. (4) Veit Julius. Krankheitender weiblichen Geschlechs organe. Erlangen 1867, pag. 463. — 685 — tardi Tardieu (1) descrisse un nuovo esempio in cui riconobbe la neces- sità di ammettere parimenti il sesso dubbio. Poi Pozzi affermò che le apparenze esterne degli organi genitali non bastano per trovare il sesso (2); e come Ì casi già citati non fossero sufficienti, Ahlfeld (3) ne aggiunse altri in cui l’ ipospadia rendeva incerto il sesso dell’individuo. Finalmente comparve il lavoro di maggior polso di Garnier (4), il quale affermò di aver raccolto circa 26 casi di errori diagnostici, e dai medesimi trasse la conseguenza che nelle dichiarazioni di nascita la legge deve aggiungere nell’ atto di nascita, la riserva del sesso indeterminato: ordinando cioé « una restrizione sospensiva in cui sia fatta menzione del sesso indetermi- nato 0 dubbio ». Ecco il risultato pratico ricavato da Garnier da tutte le osservazioni compiute. Questo risultato assai previdente era però un semplice consiglio e per giunta troppo generico; nulladimeno esso meritò subito la sanzione da Leblend. (5); da Stein. (6),,da «Tourdes,;(7) e da Filippi (8). Ma ignoriamo se le nuove leggi promulgate posteriormente in Europa accol- sero tale consiglio (9); sappiamo soltanto che per dare unita ai varii sta- tuti della Confederazione germanica fu istituita una commissione di giure- consulti che impiegò molti anni per pubblicare soltanto i Motivi del nuovo codice; i quali furono poi presentati al Cancelliere dell’ Impero il 29 Di- cembre 1887 e pubblicati nel 1888 col titolo: Moticve su dem Entwurfe eines biirgerlichen Gesetsbuches fiir das deutsche Reich. 5 Vol. Berlin 1888. (1) Tardieu A. Question medico-legale de l’ identité dans les rapports avee les vices de confor- mation des organes seruel, contenant les souvenirs et impressions d’ un individu, dont le sere était méconnu. Paris 1872; in 8° 1874 (2° ediz.). (2) Pozzi. Séance du 7 Juillet 1881. Bulletins de la Société d’Anthropologie de Paris 1881, pag. 557. (3) Ahlfeld Fried. Die Missbildungen des Menschen. Hypospadia. Leipzig 1882. Abschnitt II, pag. 225-226. (4) Garnier Albert. Du pseudo-hermaphrodisme comme impédiment meédico-legale à la déela- ration du sexe dans l’ acte de naissance. Annales d’ MHygiène publique et de Médecine légale 1885. Serie 3%. Tomo XIV, pag. 293. (5) Leblond Albert. Du pseudo-hermaphrodisme comme impéediment meédico-légale à la decla- ration du sere dans l acte de naissance. Annales d’ hygiène 1885. Tomo XIV, pag. 293. — Rilevano specialmente gl’ incovenienti matrimoniali quando un uomo era creduto una donna. (6) Stein Sigismondo. Ein Fall von Hermaphroditen Bi!ldung. Inaug. Diss. Breslau 1887. Caso di Pseudo-ermafrodismo di sesso oscuro, con erudizione. (7) Tourdes G. Hermaphroditisme (Médicine légale). Art. Dictionnaire encyclopédique des Sc. médicales. Paris 1888. Ser. 4%. Tomo XII, pag. 635. Articolo ben fatto, per dimostrare la necessità di determinare lo stato sessuale, mancante delle notizie bibliografiche. (8) Filippi Angelo (Firenze). Manuale di Medicina legale. Firenze 1896, (2* edizione) pag. 129. Con fig. Riporta 6 casi di cambiamento di sesso e rileva il grande turbamento morale quando il sesso viene determinato in età inoltrata. (9) Abbiamo di recente imparato che il 18 Agosto 1896 fu promulgato il Codice civile dell’ Im- pero Germanico entrato in esecuzione il 1° Gennaio del 1900 che non contiene, rispetto agli individui di sesso dubbio, alcuna disposizione; ma occorre rivedere direttamente il Codice nel testo, potendo le disposizioni essere incluse in un altro titolo. == 1686. — Una notizia abbastanza estesa dei motivi di un codice è stata data in francese da un Professore di Losanna nel 1892 di nome Lehr Ernesto (1), il quale racconta che nei motivi suddetti mancano le disposizioni per de- terminare il sesso, ed aggiunge per conto proprio che tale omissione è assai ragionevole perché i pretesi ermafroditi, citati dagli antichi legisla- tori, non s’incontrano in realta che negli individui in cui il sesso è mal conformato; questo però è sempre predominante e riconoscibile, e se anche non lo fosse non havvi luogo d’inscrivere nella legge una regola astratta per casi tanto eccezionali. Tali censure ci conducono ad alcune considerazioni. Anzitutto il Prof. Lehr ignora che i casi di sesso dubbio, appartengono non soltanto alla clinica, ma alla nosologia teratologica, poiché furono più volte confermati dalla necroscopia, in guisa che i medici or ora citati ammisero come un fatto dimostrato un terzo ordine di neonati, cioé privi di sesso, o col sesso incompleto. Le obbiezioni poi del Prof. Lehr hanno soltanto di mira gli articoli riportati da Casper, i quali considerano la somiglianza per una realtà, mentre il maggior numero dei fatti da noi riportati dimostra come le somiglianze conducono spesso in errore, e furono l’ occasione ed il preludio di molti mali fisici e morali. D’ altra parte oggi nessun medico confonde l’ ermafroditismo vero col faiso, e niuno, leggendo il titolo di una antica o recente osservazione, piglia per vero ermafroditismo le de- formità accennate con tale titolo; ma invece si giova della medesima, quando la descrizione é ben fatta, per trarre un giudizio (diagnosi) sulla specie della deformità senza idee legali preconcette. Se poi l’ atto di nascita contiene una riserva sul sesso, o sulla buona conformazione del ‘medesimo, come propone Garnier, si ha il vantaggio di non inceppare la libertà dell’ individuo, si che il medesimo possa ricorrere più o meno tardi ad una perizia medico-legale onde ottenere l’ annullamento della riserva suddetta. Il Prof. Lehr si oppone inoltre ad una legge astratta, per casi eccezio- nali; la quale espressione va bene spiegata. Niun dubbio che le de- formità esterne degli organi sessuali non sono comuni, e che per avere la proporzione esatta non basterebbe la relazione sulla leva dei coscritti, perchè in essa mancano le femmine; sicché bisogna giovarsi di informa- zioni letterarie e personali. In quanto alle prime abbiamo già fornito un buon contingente, il quale può essere aumentato: difatti dai nostri 84 casi raccolti (Vedi Nota II in fine) abbiamo trovato 12 casi clinicamente dubbi (Osserv. 25, 36, 38, 50, 55, 60, 61, 62, 64, 71, 72, 76) e 4 casi senza testi- (1) Lehr Ernesto (Prof. a Losanna). Traité élémentaire du dvoit civil germanique. Paris 1892. Tomo II. Motive I, pag. 26. Con una ricca bibliografia comparata. — 687 — coli (Osserv. 35, 36, 71, 84); e finalmente basti ricordare che personal- mente Garnier ne raccolse 10 casi, e che quando Magitot (Osserv. 63) riferi 1’ 8 Giugno 1863 la sua osservazione alla Società di Chirurgia a Parigi, molti s° elevarono tosto per citare casi analoghi personali (1). Riguardo a tali informazioni sappiamo esservi una fonte d’errore, quale si è la presenza d’ una clitoride sproporzionata rispetto alle grandi labbra, che conduce talora le levatrici (2) e molto meglio le madri, a considerare maschi le femmine, ciò che abbiamo spiegato altrove (vedi pag. 660). Sappiamo ancora che le liti per nullità di matrimonio cagionate da difetti fisico-sessuali erano trattate un tempo nei paesi cattolici dal foro ecclesiastico, ed anche ora lo stesso foro é in certi casi preferito per evitare la pubblicità, la durata dei dibattimenti e più specialmente per salvare la dote in famiglia, riflessioni che conducono spesso ad accordi fra gli sposi, p. es. a tollerarsi reciprocamente (Vedi Osserv. 66). Ma tali casi non pos- sono essere da noi enumerati, poiché tanto le parti contendenti, quanto i Tribunali, mantengono celate siffatte cause e si conoscono solo accidental- mente per vie indirette. Ritenendo abbastanza frequenti tali deformità, da meritare un provve- dimento legislativo, speriamo che la proposta di Garnier, gia da noi altrove patrocinata sia ora accolta favorevolmente e resa completa (3): ben inteso che nel caso nostro, la riserva non deve solo .risguardare le alterazioni uretro-sessuali, ma qualunque deformità esterna (4). Qui dobbiamo proporre un mezzo affinché venga praticamente applicata, conservando la libertà individuale: basta terere da prima occulti gli atti di nascita riservati; e solo più tardi, in seguito a richiesta, siano resi noti tanto all'individuo affetto, quanto ai genitori o tutori, od alle autorità previste da leggi speciali; avvertendo che tali domande avven- gono generalmente quando il sesso di uno dei coniugi si é fatto palese o mediante un atto operatorio, c spontaneamente, ed allora giustamente va rettificata od annullata la riserva dell’ atto di nascita; ciò che general- (1) Garnier P. Du Pseudo-hermafrodisme. Annales d’ Hygiène. Ser. 3%. Tomo XIV, pag. 286. (2) Graaf Reiner. De virorum organis generationi inservientibus ete. — Vedi Taruffi C. Me- moria citata, pag. 359, Osserv. 10. (3) In quanto poi a formulare l’ atto di nascita quando il sesso è dubbio o mal conformato, e quando poi si voglia rettificare l’ atto stesso dopo la pubertà, il quesito diventa compito dei giuri- sti, i quali furono sempre abili glossatori per armonizzare il vecchio col nuovo e le parti disaffini fra loro. (4) Taruffi GC. Bullettino delle Scienze Mediche. Gennaio 1899. Ser. 7%, Vol. X, pag. 69-74. A proposito delle conseguenze infauste delle varie forme d’ alterazione sessuale, Taruffi ha confermato ciò che i medici hanno più volte veduto ed hanno suggerito per evitare tali conseguenze che i legislatori riconoscano finalmente il fatto non raro: che cioè si danno neonati, i quali non sono nè maschi nè femmine, ma di sesso incerto; ed hanno implorato che i registri ufficiali della popola- zione contemplino i casi di questo genere. Serie V. — Tomo IX. 86 — 683 — mente succede dopo accaduta la pubertà. Ma affinché la domanda d’ an- nullamento sia efficace, occorre che l’ individuo abbia almeno compiti i 15 anni, o la domanda sia fatta in caso di matrimonio, di coscrizione, ecc. Finalmente è opportuno che tali disposizioni, convertite in leggi, affinché tornino efficaci, siano rese note alle Levatrici, agli Ostetrici, ed agli inse- gnanti di tale materia, aggiungendo l’ obbligo di fornire le lezioni oppor- tune sulle deformità sessuali congenite. Note all’ Art. 3° dell’ Ermafroditismo PSEUDO-ERMAFRODITISMO CLINICO ESTERNO Nota I. — Osservazioni dubbie ed incomplete. Osserv. 1. — Zacchia Paolo. Quaest. Me- dico-Legales. Romae 1635. Libr. 8. Tit. I. Quest. 9 NALE Eravi una donnicciola che aveva le parti genitali Così conformate: Fra le labbra della vulva (ero) sopra il meato urinario, procedendo verso 1’ osculo interno della vulva, si vedeva una certa mole carnosa in forma di membro virile, della grossezza d’ un mediocre mem- bro virile e della lunghezza nell’ erezione di 5 dita tra- sverse, nella sommità appariva un corpo somigliante al glande, ma era privo di prepuzio, le cui veci sembravano esser fatte dalle labbra della vulva. Nella parte esterna era di sostanza callosa ed il glande si mostrava perfo- rato trasversalmente; ma l’ orificio ammetteva quasi il dito mignolo. L’ urina non usciva per detto foro, ma per il meato donde suole fluire nelle altre donne. I me- strui, come essa riferiva, parte uscivano per questo stesso orificio, parte per un altro orificio vulvare più riposto ed inferiore. Imperocchè sotto tale mole car- nea era aperto un meato molto sottile, il quale, ogni volta che per mezzo d’ un sifone si cacciava vino od altro liquore nell’ orificio della mole carnea diventava manifesto, in quanto che per esso usciva in parte quel liquido, misto ad aria. Le ninfe erano molto sottili. Osserv. 2. — Zacchia Paolo nato in Roma nel 1584. Quaest. Medico-Legales. Roma 1621 al 1635. Prima edizione. Libr. 7. Tit. I. Cap. 2, pag. 473. Quest. 3. N. 8. Un certo Daniele (ermafrodito) non potè mai usare colla moglie. Intanto egli fu impregnato da un suo com- militone ed una notte mentre dormiva colla sua donna fu preso all’ improvviso da forti dolori di ventre, dopo i quali si sgravò d’ una femmina che allattò soltanto dalla destra mammella, la sinistra essendo priva di latte. In costui il sesso più sviluppato era il femminino, e trovavasi a destra, il maschile poi era rudimentale e trovavasi a sinistra. Descrive inoltre altri casi esaminati esternamente. Osserv. 3. — Fabrizio Girolamo d’ Acqua- pendente. Opera Chirurgica. Patavii 1617. Lug- duni Batavorum 1723. De Chirurgicis opera- tionibus. Cap. LXXX, pag. 567. De-Herma- phroditis. Seppe che in Perugia ed in Padova vi era una don- na, che poteva accoppiarsi con altre donne. Ancora nella passata guerra d’ Ungheria un soldato partorì, e questi all’ apparenza era maschio ma in realtà donna. L’ ermafroditismo femminile è più comune del ma- schile. Osserv. 4. — Burghart C. T. Monstrum pro hermaphrodito false habitum. Medicorum Silesiacorum Satyrae. Wratislaviae et Lipsiae 1736. Satyra I, pag. 58-64. Osserv. 5. — Cases. Puer Judaeus, quoad genitalia monstrosus, neque tam hermaphroditis adnumerandus. Medicorum Silesiacorum Satyrae. Wratislaviae et Lipsiae 1737. Satyra III, pag. 5-16, 2 pl. — 639 — Osserv. 6. — Brand Tommaso. Te case of a body had been mistaken for a girl. London 1787. Osserv. 7. — Osiander Fed. Ben. Neue Denkwiirdigheiten fir Aerste und Geburtshelfen. Tubingae 1799 (?). Bd. I. S. 268. Ueber die Ge- schlechts verwechdelung neugebornen Kinder. Caso d’ ipospadia riconosciuto assai tardi. Osserv. 8. — Saunié. Description des par- ties génitales d’ un enfant male, ayant l’ appa- rence d’ un hermaphrodite. Bulletin de la Fa- culté de Médecine & Paris 1810. Tom. II. N. 4. Osserv. 9. — Sciler Burch. Wilh. Obser- vationes nonnullae de testiculorum descensu et partium genitalium anomalis. Lipsiae 1817. Ane- dunt tabulae IV, pag. 44. Maria Cristiana H. era amenorroica, aveva un abito femminino, piccolissima vulva, una vagina ristrettissima ed era incapace al coito. L’ autore suppose che nelle grandi labbra stessero i testicoli, sicchè ritenne trat- tarsi di sesso dubbio. Osserv. 10. — Girelli Francesco. Intorno ad un ermafrodito. Commentari dell’ Ateneo di Brescia. Brescia 1830, pag. 49. Un bambino presentava un grosso tumore che in parte copriva un foro aperto fra le branche dell’ ischio. Questo foro aveva le sembianze di seno muliebre con orme di ninfe ma senza clitoride. Lateralmente a sini- stra di quel foro sporgeva una produzione carnosa, si- mulante un pene, ma senza prepuzio e senza foro ure- trale. Due ampie borse scendevano lateralmente ed ab- bracciavano queste parti in forma di grandi labbra, ma dentro non vi era traccia di testicoli. L’ autore è per- suaso che il bambino fosse una femmina. Osserv. 11. — Girelli G. Franecsco Storza di un nato di dubbio sesso etc. Memorie mediche. Brescia 1833, pag. 81, in 8°. Dalla descrizione non si può fare alcuna ipotesi ra- gionevole. Osserv. 12. — Nunciante Ippolito (Napoli). Su d’una bizzarra anomalia delle partì generative. Annali clinici degli incurabili. Luglio 1836. Filiatre Sebezio. Napoli 1837. Vol. XIII, pag. 237. Caso assai dubbio, poichè l’ autore parla d’ una va- gina che si continuava colla vescica, e non discorre dell’ uretra; parla di corpi piriformi fuori degli anelli inguinali e non dice se fossero i testicoli. Dice solo chia- ramente che mancavano gli organi della riproduzione e che le parti generative esterne femminine erano normali, tranne la clitoride che aveva il prepuzio. Osserv. 13. — Curling T. B. Cases of mal- formation of the female sexual organs, causing difficulty în determining the sex. Medical Times and Gazette. London 1852. Ser. N. Tom, IV, pag. 84. Osserv. 14. — Traxel. Prager Wierteljahr- schrift. Vol. LII, pag. 103. Wiener medicinische Wochenschrift 1856. N. 18. — Casper J. L. Tràité de médecine legale. (Traduction de l’ Al- lemand). Paris 1862. Tom. I, pag. 52. Questo caso sarebbe importante rispetto all’ eredità, se nella traduzione francese fosse verosimile la geneo- logia. Osserv. 15. — Czarda. Ein Fall von z2wei- felhaftem Geschlechte bei einem Neugeborenem. Wiener medicinische Wochenschrift 1876. N. 44. Jahresbericht fir 1876. Bd. I. S. 300 (28). Osserv. 16. -— Simon Max. Lin Fall von sogenanten Pseudo-Hermaphroditismus masculinus exlernus. Inaug. Diss. Erlangen 1886. Caso clinico mal definito. Osserv. 17. — Antonini G. Di un caso di pseudo-ermafroditismo in una famiglia cretinosa. Archivio di psichiatria, scienze penali etc. Torino 1888. Vol. IX, pag. 247. Bambina d’ anni 10 con un pene lungo 5 centimetri, coll’ apertara uretrale alla radice: sotto vi è una specie di scroto bipartito, formante una cavità poco profonda, coperta dalla pelle delicata. Padre epilettico, madre col gozzo. Diagnosi dubbia intorno al sesso. Nora II. — Osservazioni cliniche relative alle deformità uretro-sessuali. Osserv. 1. — Auria Vincenzo. Notizie di alcune cose notabili occorse în Palermo dal 1636 al 1665, cavate da alcuni manoscritti. Biblio- teca storica e letteraria di Sicilia. Palermo 1869. Vol II, pag. 399. Nel 1636 venne a Palermo una donna di Trapani, maritata da 5 anni, ed in questo tempo le apparirono i testicoli ed il membro genitale. Il marito morì senza palesare il caso. La douna si presentò al Cardinal Doria Arcivescovo di Palermo, e questi la fece visitare da pa- recchi medici, che la giudicarono per un uomo e le permisero di maritarsi. Il Duca di Montalto, Vicerè di Sicilia, la mandò in Spagna a Sua Maestà; e dopo un anno tornò a Palermo vestita da prete coi mustacchi e barba e col nome di Don Mario. Sinibaldi G. Benedetto. Ge- neanthropiae, sive de hominum generatione. Romae 1642. Francofurti 1669. Libr. II. Tract. I, cap. Ts Pag E Osserv. 2. — L’ autore seppe dal padre Francesco che una ragazza fuggì da Spoleto e chs fu raggiunta dal fratello in An- cona. Ivi presa da timore svelò la sua trasformazione in uomo e tale fu poscia giudicata dal Tribunale e deno- minata Postumo Barattani. Questo racconto fu pure rife- rito da Marcello Bonato. Historiae mirab. Libr. VI, cap. 2. Osserv. 83. — Zacchia Paolo (Romano). Quaestionum Medico-legalium ete. Lugduni 1661. Libro 7. Tit. I. Quaest. IX, pag. 501. Un ragazzo di 14 anni, d'aspetto femminile, colle mammelle turgide e senza peli! con incontinenza d’ u- rina, aveva un piccolo pene con il glande impervio ed un breve prepuzio. Agli inguini aveva due piccoli cor- piccioli ritenuti testicoli. Il ragazzo però principiò a me- struare a 15 anni, per cui nacque a Zacchia il dub- bio che i testicoli fossero invece ovaie. Alla radice in- feriore del pene vi era scanellatura che dava adito ad un foro comunicante colla vescica orinaria e limitato all’ intorno da una ripiegatura. I testicoli nell’ inguine erano esili e molli, come le glandole che si trovano in quella regione. Osserv. 4. — Folli Francesco da Borgo S. Sepolcro. Iicreatio Physica etc. Florentiae 1665, in 16° (Biblioteca di Pisa). Pag. 129. « Monialis virgo, postquam plures annos intra sacra claustra vixisset, femineum sexum in vi- rilem mutavit ». Osserv. 5. — Allen Thomas. Ezact nar- rative of and hermaphrodite now in London. Philosophical Transact. of London Y. 1666, pag. 624. Lo scroto diviso in due labbra, ognuna delle quali conteneva un testicolo. Vi era un pene imperforato, e sotto una specie di vulva, senza clitoride. Osserv. 6. — Haller Alberto. Commentari di Gottinga. Tom. I. 1741. — Transactions Phi- losophiques (compilate da LourHorp). Tom. III. Bambina di 13 anni (Anna Wild) aveva due scroti corrugati sostenuti dal pube, contenenti ognuno un te- sticolo che comparvero all’ età di 6 anni giocando con altri fanciulli, ed aveva il pene nella sede ordinaria. Osserv. 7. — riguardante Michele Anna Droiiart. Burghart G. Heinr. Grundlage Nachricht von cin Hermaphrodite. Breslav 1743-1763, in 4°. Grashuis Giovanni. De infante hermaphro- dito dicto ete. Acta naturae curiosorum. Anno 1744. Vol. VIII, pag. 287. Obs. 81. (Pro foe- mina habitus, partus vere masculus). Mertrud J. Claude (chirurgo del Re di Fran- cia). Dissertation au sujet de la fameuse herma- phrodite qui parait aux yeux du public. Paris 1749, en fol. Avec fig. Morand J. F. (figlio di Salvatore). Question de médecine sur les Hermaphrodites. Mémoires de 1’ Acad. des Sc. de Paris 1750, pag. 165. Femmina di 16 anni con verga e prepuzio senza ure- tra. Orificio vulvare, in cui non si distingue il meato - uretrale ad onta del grosso getto d’ urina. Vagina breve. Hoin. Nouvelle description de V hermaphro- dite Droitart, tel qu’ on le voit d Dijon en Aoùt 1761. Dijon 1761, in 4°. Haller. E/ementa Phisiologiae. Tom. VIL Libr. 28. Viene citato forse perchè Anna Droùart soffriva di mestruazione }rregolare, ed Haller parla con grande eru- dizione sulla varietà della purgatio menstrual (Sect. III pag. 137). Girardi Michele (Parma). De re anatomica. Prolusio. Parmae 1781. Nota d, pag. 27. Osservò in Padova Anna Drotart nel 1779, 30 anni dopo veduta da Morand. Petit J. S. Traité des maladies chirugicales. Paris 1790. Tom. III, pag. 107 (3* edition). Maschio con l'aspetto di femmina. Caldani Leopoldo Marco-Antonio (Padova). Lettera a VeRARDO ZEVIANI. Memoria della Società italiana. Verona 1794. Vol. VII, pag. 130. Con tavola. ; Oltre la storia di Anna Drotart, Caldani racconta la osservazione propria d’ una sposa amenorroica con vulva e clitoride lunga due dita trasverse, con prepuzio e con sbocco dell’ uretra alla sua radice. Inferiormente vi era la vagina a fondo cieco, lunga tre pollici. Il marito fece causa per divorzio. Foller Johr. Ueder angeborne menschlichen Missbildungen in Allgemeine und Hermaphroditen insbesondere. Landskut 1820. Mit 2 color Tafeln. Discute ancora il caso di Anna Drotart. Geoffroy Saint-Hilaire Isidore. Des ano- malies ete. Paris 1836. Tom. II. Bruxelles 1837, pag. 71-72. Nota 4. Des divers genres d’ erma- phroditisme féminin. Riassume la discussione accaduta fra gli scrittori intorno al sesso: di Anna Drotiart, e ricava che la me- desima aveva da giovane le mammelle poco eviluppate, appena traccie di barba, qualche inclinazione al sesso ‘ femminino, ma più tardi spuntò la barba, la conforma- zione divenne virile ed egualmente la inclinazione ses- suale. Dall’ esame delle parti generative, rilevò la cli- toride simile ad un pene normale senza meato- urinario, ed inoltre una vulva ben conformata che conduceva ad una vagina a fondo cieco, ove eravi un piccolo foro, pel quale si penetrava nell’ uretra, e quindi nella vescica. Non furono ricorosciuti nè l’ utero nè i testicoli, ma il primo fu indotto dal subire la Droiart la mestruazione, però assai irregolare. Osserv. 8. — Corigliani Giuseppe. De Apuliae androgyno. Raccolta d’ Opuscoli scien- tifici in Venezia. Venezia 1761. Tom. 46, pag. 165. Caso di pene corto ed impervio, coll’ uretra che sbocca al principio della divisione dello seroto. Mancanza del- l’ osculo vaginale. Nello seroto vi erano i testicoli. Osserv. 9. — Colle. Anne Grandjean. Jour- nal-historique. Paris 1765. — Dailliez. Les sujets de sexe douteux. Paris. 1893. Anna nacque a Grenoble nel 1742. Sebbene non avesse gli istinti sessuali conformi al suo sesso fu maritata nel 1761. Accusata dal tribunale di Lione come ermafrodita, fu messa in prigione e condannata alla pena della fru- sta e poi bandita in perpetuo per aver profanato il Sa- cramento del matrimonio. Essa si appellò a Parigi ove furono esaminati i suoi organi generativi ed i periti dis- sero: che la mentula esciva dalle grandi labbra, supe- riormente al meato urinario, col glande imperforato. Essa aveva due specie di testicoli verso l’ orificio (vul- vare); era senza barba; l’organo distintivo del sesso fem- minino, era mescolato con molti segni fallaci della virilità. La sentenza data nel 1765 annullò la pena prece- dente, e dichiarò abusivo il matrimonio, e riconoscendo poi la buona fede della donna, e che solo la natura era ingannatrice, le ordinò di riprendere gli abiti da donna. Dai pochi dati rilevati dai periti questo caso rimane tuttora dubbio. Osserv. 10. — Tabarrani Pietro. Atti del- V Accad. delle Scienze di Siena. Siena 1767. Tom. III. Appendice, pag. 77. Lettera 3°. Tav. IX, fig e Parla con molta erudizione di un caso da lui veduto d’ un uomo col pene imperforato, coll’ orificio dell’ uretra alla radice; il quale aveva una fessura nella parte su- periore dello scroto da simulare una vulva. Le due parti dello seroto contenevano i testicoli. Osserv. 11. — Lepechia J. De hermaphro- dito ad sexum virilem pertinente. Commentar. Academ. Petropolitanae. Petropoli 1772. Vol. XVI, pag.1525. Tab. XV. Giovane collo seroto bipartito fornito di testicoli, e con ipospadia. Esso aveva altri due fratelli con defor- mità ai genitali. Osserv. 12. — Leto Andrea, Palermitano. Lettera Latina. Notizie di letterati. Palermo 1773. Tom. III, 1° Settembre, N. 1. Fanciulla, creduta tale dalla madre, che all’ età di 12 anni divenne maschio. L'autore trovò un pene collo scroto, contenente il testicolo sinistro. Fra lo scroto e la coscia destra eravi una rima che rappresentava un labbro della vulva. Nella parte inferiore di questa rima sì scorgeva un piccolo foro per cui usciva l’ urina. Gli altri segni erano più di maschio che di femmina. Osserv. 13. — Caluri Francesco (Siena). Sopra un preteso ermafrodito. Atti dell’ Acca- demia delle Sienze di Siena. Siena 1774. Tom. V, pag. 167. Un uomo di 34 anni di forme virili, però con pochi peli, fornito di verga con prepuzio; sotto la quale aveva in luogo dello scroto una fessura con due labbra che sembravano una continuazione del frenulo; ma la fessura non conduceva ad alcun canale, eccetto che verso l’ano vi era un piccolo foro da cui esciva l’ orina e lo sperma. I testicoli erano ancora nei canali inguinali. Non ostante i difetti ricordati l'A. è d’avviso che si possa concedere il matrimonio all’ uomo medesimo, ap- poggiandosi all’ autorità di fatti congeneri. Storia molto erudita. Osserv. 14. — Testa Antonio Giuseppe. De re medica et chirugica. Ferrara 1781. Epi- stola IV, cap. 20. pag. 145. Bambino di 3 mesi. Senza pene. In luogo dello scroto, tumefazione con una rima mediana, in cui vi era un foro con due piccoli labbri, da cui esciva l’ orina. Agli inguini due prominenze, unico indizio dei testicoli. Osserv. 15. — Gentili Giovanni (Medico della Sanità di Livorno). Relazione d'un indi- viduo della specie umana fino all’ età di anni 13 creduto femmina e pot riconosciuto legalmente per maschio (Raccolta d’ opuscoli medico-pratici. Con Tavola, di Grov. L. TARGIONI. Firenze 1782. Vol. 6°, pag. 835). Un giovinetto, tenuto per femmina, aveva due bor- — 692, — sette floscie sotto il pube, separate fra loro, ed una pe- losa lanugine sul volto. L’ autore poi riconobbe lo sbocco dell’ uretra verso la radice del pene, un orificio chiuso all’ estremità del glande, i testicoli, gli epidi- . dimi entro le borsette situate sotto il pene, sicchè giu- dicò trattarsi d’ un maschio. Osserv. 16. — Lòffler A. F. Eine gerich- tlich medicinische Seltenheit: Weifliche Anlage tiber zu grosses méinnliches Glied. New. Archiv fiir Geburtshiilfe etc. Jena 1798-1800. S. 376. Osservazione rimasta ignorata all’ autore. Osserv. 17. — Wrisberg H. Ang. Com- mentatio de sinqulari genitalium deformitate in puero hermaphroditum mentiente. Comment. Got- tingae 1799. Vol. XIII, pag. 14. — von Am- mon. Chirurgischen Kronkheiten. 1840. Tafel XX, fig. 3, pag. 95. Fanciullo col pene assai piccolo da confondersi colla clitoride, con ipospadia completa, collo seroto diviso, contenente i testicoli, nel sacco destro vi era ancora una notevole ernia. Con tutto ciò l’ A. aspetta la necroscopia per escluderne 1’ ermafrodismo. Osserv. 18. — Tonni Pietro (Mantova). Sul sesso d’ un individuo chiamato GrAacoMA FORMI. Mantova 1802, in 4° piccolo. Con 4 tavole. L'individuo aveva 23 anni ed in precedenza sofferse per 2 volte dei segni mestruali; aveva inoltre 2 grandi labbra vulvari, ed inclinazione ai maschi in guisa che esso ritenne d’ essere una femmina. D’ altra parte aveva dei peli sul labbro superiore, voce maschile, petto de- presso, pelvi ristretta, i testicoli nelle grandi labbra ed un brevissimo pene col glande e col prepuzio, affetto da ipospodia che s’ estendeva fino alla radice, ove eravi l uretra dilattata che conduceva in vescica. Dall’ esplora- zione rettale non risultava nè prostata, nè utero, sicchè l’ A., insieme ad altri, giudicò trattarsi d’ un uomo mal- conformato. Osserv. 19. — riguardante Maria Dorotea Derrier. Martens Frz. Heinr. Beschreibung und Ab- bildung einer sonderbaren Missgestale miinnsli- che Geschlechstheile an Maria Dorothea Derrier aus Berlin, nebst den Meinungen von Stark, Hu- feland ete. iiber diese Person. Leipzig 1803. Mit 2 Tafeln. Riassume i caratteri clinici di Maria Dorotea Der- rier, nata a Potsdam nel 1780, stimata una donna da Hufeland (Journal des praktischen Heilhunde. Tom XII. N. 3, pag. 170), e Mursina (Journal de Chirurgie. Tom. I. N. 3, pag 155), ed un uomo da Stark (Neues Archiv. Tom. II, pag. 538) et Martens ( Beschreibung und Abbi duri eimer Misstalstung der mannlich. Geschlechtstheile. Leip: . 1802, in 4°). Is. Geoffroy Saint-Hilaire (Des ano- malies. Paris 1836. Tom. II. Livre I. Cap. III) invece con- sidera questo caso a:cora dubbio, e perciò lo pone fra i suoi ermafroditi neutri, cioè fra quegl’ individui cha non sono nè m schi, nè femmine. Ma Mayer nel 1834 riconobbe nel cadavere che si trattava d’° ermafroditismo laterale. Vedi Mayer fra gl’ ermafroditi veri. E vedi in Taruîfi C. Memorie dell’ Accad. delle Scienze dell’ Isti- tuto di Bologna. Tom. VII, pag. 713 e 734. Nota 1. Osserv. 8, la seguente descrizione : Maria Dorotea aveva l’ abito mascolino, il pene con ipospadia e lo scroto diviso, senza testicoli. All’ autopsia sì trovò la prostata, la vagina, l’ utero imperforato, for- nito di trombe; a destra un testicolo con canaletti sper- matici; a sinistra un corpo simile ad un’ ovaia, compo- sto di granulazioni ed accumuli cellulari, da assomi- gliare più ad un’ ovaia che ad un testicolo. Esisteva la prostata. e Vedi ancora: Breggen (F. van der). Zets over den herma- phrodiet. Maria Dorotea Derrier. Scritto in olandese. Dall’ estratto non si rileva nè il giornale, nè l’ anno. Osserv. 20. — Bergonzoli Gaspare (Pavia). Di un caso d’ ermafroditismo. Bullett. Scienti- fico Pavia 1803. N. 1. Marzo. Questo caso (allude a Maria Dorotea). Dalle dichia- razioni dell’ individuo e dai caratteri fisici è decisamente un Ermafrodito, ma fra i caratteri manca la certezza tanto dei testicoli quanto della ovaia, sicchè può chia- marsi individuo bisessuale esterno. Osserv. 21. — De Mattheis Giuseppe (Me- dico di Roma). Sopra un apparente cambiamento di sesso megl individui d’ una intera famiglia. Memoria. Roma 1805. — Effemeridi clinico-medi- che dell’ anno 1804. Milano 1805. Semestre 2°, pag. 92. In una famiglia di contadini vicino a Roma nacquero 4 figlie, una delle quali si maritò ed ebbe prole, ma le altre tre giunte ad età matura cambiarono abiti e si trasformarono in uomini. Tutti tre questi individui ave- vano il pene simile per volume al dito mignolo, quando era nel più alto grado d’ erezione ; avevano l’orificio ure- trale alla radice del medesimo, e lo scroto diviso in due borse, ed avevano poca barba e statura piccola. Un fatto analogo trovasi registrato nel Journal de la Société Medicale d’ émulation. Vol. V, pag. 150. Ivi si racconta che cinque sorelle negli anni di pubertà divennero quasi tutte fratelli. — 693 — Osserv. 22. — Béelard. Description d' un individu dont le sexe a quelque chose d' équivoque. Bulletin de la Faculté de Médecine de Paris. Année 1814-15 e 1886. Tom. IV, pag. 273-288. Debierre Ch. (L’ hermaphroditisme. Paris 1886, pag. 10) fornisce 4 tavole, rappresntanti Maria Lefort all’ età di 16 anni, e di 65, non che l’ aspetto esterno ed interno degli organi generativi (non dice da chi le ha tratte). (Vedi: Taruffi. Memorie dell’ Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Tom. VII, pag. 748, Osserv. 81). Leblond Albert. Du pseudo-hermafrodisme comme impédiment medico-légal de la déclaration du sexe dans l’acte de unissane. Annales d’ hy- giène publique etc. Ser. 3. Tom. XIV, pag. 293, 299. Maria Maddalena Lefort all’ età di 16 anni fu esa- minata da Béclard, il quale trovò la forma del corpo femminile con mammelle; la laringe e la voce came di un adolescente. A 20 anni ebbe la barba al volto, e mostrò un corpo conoide sotto al pube, lungo 7 centim. imperforato, suscettibile d’ erezione, con prepuzio e con un canale depresso dal lato inferiore, che aveva cinque fori regolari sulla linea mediana, dal maggiore dei quali, posto alla radice del cono, esce l’ urina. Maria Madda- lena fu mestruata all’ età di 8 anni, e poscia sentì le inclinazioni per il sesso mascolino ed era persuasa di essere di sesso femminino, come lo era lo stesso Béclard, perchè non trovò appartenti al sesso maschile che dei caratteri secondari. Questa opinione non fu divisa da una commissione composta di Chaussier, Petit-Radel e P. A. Béclard, che esaminarono più tardi Maria, e ma- nifestarono opinioni diverse, poichè Chaussier stimava che si trattasse d’ un uomo con ipospadia, mentre Béclard riteneva trattarsi di una donna ad onta che avesse la barba. L’ autopsia però eseguita il 12 Novembre 1864 riscontrò gli organi genitali interni femminini comple- tamente costituiti, con occlusione della vagina che ren- deva difficile la determinazione del sesso. Osserv. 23. — Worbe. Obsero. sur un hy- pospadias qui a rendu l’ existence civile d’ un individu fort ambigue. Bullet. de la Société de Med. Paris 1815. N. 5, pag. 364. — Is. Geof- froy Saint Hilaire. Des Anomalies. Paris 1888, Bruxelles 1839. Tom. Tom. II, pag. 53. Maria Margherita nacque nel 1792 ed all’ epoca della pubertà si manifestarono successivamente dei tumori al- l’ inguine, che non recarono conseguenza; poscia divenuta simpatica fu chiesta più volte in matrimonio; ma a 19 anni non era per anche mestruata, e le grazie princi- piarono a scomparire ed a cambiare le inclinazioni per assumere i caratteri maschili, sicchè i parenti ad onta del pudore verginale di Maria richiesero un giudizio le- gale. A 23 anni Maria è alta 4 piedi e ll pollici, con pelle bianca, costituzione robusta, peli iniziali al labbro ed al mento, voce e pelvi maschile. Mammelle piriformi. I medici legali nel 1813 trovarono lo seroto diviso, di cui ogni parte conteneva un corpo simile ad un testi- colo. Fra i due corpi vi era la verga poco sviluppata, can prepuzio, senza uretra, il di cui orificio si trovava alla distanza d’ un pollice e mezzo dall’ ano. Quando Worbe annunziò a Maria che era un uomo, e che non poteva maritarsi come donna, rimase com- mossa, ed occorsero molti mesi per persuaderla che non era una donna; finalmente prese la risoluzione di fare l’ istanza affinchè il tribunale rettificasse l’atto di nascita. Oltre l'osservazione di Worbhe, sono ricordati altri casi di sesso dubbio. Osserv. 24. — Tarozzi Tommaso. Alcuni cenni sul dubbio sesso di un’ individuo umano vivente. Annali universali di Medicina. Milano 1819. Tom. IX, pag. 279-287. Una giovane contadina di 18 anni, di statura medio- cre, magra, per tutto il corpo senza peli, colla cartila- gine scutiforme rilevata senza mammelle apparenti, ed era sempre stata amenorroica e temeva di non potersi maritare, per cui si prestò alla visita chirurgica. La giovane aveva le grandi labbra sporgenti con sparsi peli che coprivano anche il pube, nelle quali era contenuto un testicolo fra cui vi era una fessura e nel- l’ angolo superiore sporgeva la clitoride bene sviluppata, ma al disotto non si scopriva meato urinario bensi l’in- dizio di un infossamento lungo un pollice nel cui fondo si scorgevano due fori poco percettibili. Introdotto uno specillo nel foro superiore penetrò nel canale dell’ ure- tra ed introdotto nel foro inferiore sì approfondò per vari pollici e praticò un taglio, ma la donna balzò dal letto e fuggì. Riveduta l’ inferma, per il taglio praticato, 1’ autore penetrò per tre pollici in un canale che ritenne per la vagina, la quale era chiusa da un diaframma che con- duceva in una cavità superiore assai angusta. Riveduta più tardi la giovine, la trovò festosa per la comparsa dei mestrui, ma coll’ esplorazione non riuscì a scorgere nè la cervice nè le labbra uterine, e lo specillo intro- dotto lo ritirò tinto di sangue, per cui giudicò di es- sere penetrato nella cavità uterina. La dunna affermava di non avere inclinazione di preferenza per alcun sesso e di non sentire alcun dolore alla pressione dei suppo- sti testicoli, per cui 1’ autore intitolò la sua storia caso di doppio sesso. Osserv. 25. — Tarozzi Tommaso (Prov. di Mantova). .Sesso dubbio in due sorelle. Annali univ. di Medicina. Milano 1843. Vol. 108, pag. 378. Caso I. -- Comprende l’ osservazione precedente (0s- serv. 24). In una famiglia colonica vi erano 4 figlie, di cui due — 694 — si maritarono felicemente, ma la 3% era a 18 anni ame- norroica, senza abito femminino, e senza istinti sessuali. Essa presentava due grandi labbra contenenti due corpi ovali, ivi discesi in tempi diversi. Fra le grandi labbra lA. non rinvenne che una membrana occludente, la quale si lasciava approfondare per un pollice e nel cui fondo scoperse due fori. Introdotto per il foro superiore uno specillo, questo giunse in vescica. Fatto altrettanto per il foro inferiore ed allargata 1’ apertura, il dito non - potè penetrare oltre tre pollici, urtando contro un dia- framma semilunare; ma mediante uno specillo giunse in una seconda cavità lunga un pollice, lo che permise non molto dopo che comparisse la mestruazione, ma la giovane maritata rimase sterile. Persuaso trattarsi della vagina e dell’ utero, 1 A. dubitò che i corpi ovali fos- sero le ovaia, tanto più che non potè riconoscere gli epi- didimi, nè alcun prodotto escretorio proprio dei te- sticoli. Caso II. — La sorella minore aveva raggiuuta l’ età di 23 anni quando fu visitata. Essa mostrava 1’ abito virile e presentava una clitoride simile pel volume al dito grosso. Ma la cosa più singolare era una borsa simile allo scroto, in continuazione col perineo e colla cute degli inguini, lasciando però una fessura trasversale sotto la clitoride, per la quale esciva a spruzzi l’ orina. L' au- tore tagliò verticalmerte tale borsa e potè scoprire le grandi labbra che contenevano ciascuna un corpo sub- rotondo, paragonabile ad un testicolo. Scuoprì ancora le ninfe, il meato urinario e l’imene, che pensò d'’ inci- dere, ma poscia non potè esplorare il fondo della va- gina, perchè la ragazza si rifiutò e fuggì. Seppe però che in seguito essa aveva difficili mestruazioni e che ri- mase sterile. Osserv. 26. — Chiarugi Vincenzo (Firenze). Sopra una supposta specie di ermafroditismo. Diss. Firenze 1819. Con tavola. Nel 1804 certa Rosa N. N. si maritò, persuasa di es- sere una donna, ma dopo 18 mesì di matrimonio, lo sposo chiese alla Curia Vescovile di Fiesole lo scioglimento del matrimonio per incapacità coniugale della moglie, accusa confermata dal medico perito, tanto più perchè la trovò mancante dei testicoli. La sposa irritata per questo giudizio e contro il marito che la disprezzava, partì dal tetto coniugale ed andò a Firenze. Il marito poi dopo ll anni di divisione, persuaso che il matrimonio fosse illegittimo ricorse avanti il Metropolitano di Firenze. La Rosa diceva essere dell’ età di 52 annì. Aveva forme virili, colle mammelle sviluppate, con ernia ad ambidue gli inguini, col pube poco rilevato e guernito di non folti peli. L'autore dice che vi era un glande veramente vi- rile, ma non imperforato (tace intorno al pene), con un frenulo, che s’ estendeva dall’ apice del glande in basso per due pollici trasversi, ove appariva il foro uretrale. In luogo dello seroto vi erano due piceole borse mo- bili applicate alle rispettive coscie. Respinte nell’ ad- dome le ernie, comparvero i testicoli cogli epididimi ed allora fu giudicata un maschio. Osserv. 27. — Idem. Sopra una supposta specie d’ ermafroditismo. Firenze 1819. Con ta- vola. [pospadia totale, scroto diviso contenente i testicoli, e.da un lato anche un’ ovaia. Osserv. 28. — Otto Ad. Wilh. Neue seltene Beobachtungen zur Anatomie ete. Berlin 1824. S. 133. Ein weiblicher Hermaphrodit. Un Ussaro prussiano cadde da cavallo, sì fratturò al- cune coste e divenne servente del reggimento. L’ A. non dice come il soldato fu riconosciuto per una donna; ma racconta che questa commise diversi atti libidinosi con una ragazza, che suscitarono un giudizio dal Collegio medico di Breslavia. La donna era di mediocre grandezza; aveva l’abito, le braccia, la pelvi ed i piedi più femminili che ma- schili; essa confessava d’ avere il carattere, l’ ardi- mento e le inclinazioni sessuali del maschio, anzi coi maschi da lungo tempo non aveva più rapporti, dopo sofferti due aborti. Esaminando le parti generative, appariva tosto una clitoride, lunga l pellice e 1/, e grossa come il dito pollice, fornita di glande, col prepuzio, che si conti- nuava lateralmente con due piccole labbra. Fra quest» superiormente vi era il meato urinario e sotto l’ introito vaginale. La vagina era ristretta e rugosa, e per la me- desima si giungeva all’ orificio uterino, rotondo e liscio : il corpo dell’ utero era retroverso. Le grandi labbra erano piccole e magre senza testicoli e senza ovaie. Tanto il pube, quanto il labbro superiore erano forniti di peli. Osserv. 29. — Otto Adolph Wilhelm. Zi miinnlicher Hermaphrodit, der in drei Ehen als Frau gedient hat. Seltene Beobachtungen zur Anatomie, Physiologie etc. Zweite Sammlung. Berlin 1824, pag. 123. Tafel III, Fig. 1 und 2. Scroto diviso e pene rudimentale col glande imper- forato. IL’ uretra s° apriva fra le due parti dello scroto, ciascheduna di queste conteneva un corpo simile ad un testicolo. Per tali caratteri e per altri estrinsechi, 1° A. giudicò la donna per un uomo mal conformato. Osserv. 30. — Dugès et Toussaint. Mé- moire sur l hermophroditisme. Ephéméride de Montpellier. Maj 1827. — Isid. G. Saint-Hi- laire. Des anomalies ete. Paris 1836. Tom. II Bruxelles 1837, pag. 60. Giuseppina Badré, essendo vestita da donna, abusava frequentemente delle facilità concesse alla donna. A 24 anni presentava l’ abito virile, la voce grave, le mam- melle non sviluppate, il torace e le pelvi maschili, con poca barba. Ad onta del pene ricurvo (per cui il seme scolava nella fessura vulvare) era dedita alle donne, ed ancora al tabacco ed alle bevande alcooliche. Presen- — 695 — tava un pene corto e grosso col glande poco coperto dal prepuzio; inoltre il pene era senza uretra, ed in- vece aderiva al perineo, mediante briglie, che discende- vano, divaricate in modo da formare una fessura tap- pezzata da una mucosa rossa, lunga due pollici, al cui termine vi era il foro uretrale, e simulava ! apertura vulvare. I testicoli e molto meno gli organi femminini non fu- roro riscontrati; per cui soltanto per l’ umore spermatico (naturalmente non esaminato) la Giuseppina fu conside- rata un maschio dato al libertinaggio. Osserv. 31. — Coste de Marseille. Ampu- tation d’ un pseudo-penis chez une jeune fille. Journal des connaissances médicales. Paris 1835- 36 Vol. III, pag. 105. Una ragazza di 21 anni con abito femminino e con voce delicata, aveva un pene simile a quello d’ un ra- gazzo di 14 anni, con glande e prepuzio, ma sfornito di uretra, perchè l’ orificio sboccava 4 linee sotto la verga e dal medesimo scolavano regolarmente i mestrui. Dai lati dell’ orificio stesso discendevano due ninfe, ed in luogo dello seroto vi erano due grandi labbra alquanto rudimentali ed ove il labbro destro prendeva origine conteneva un testicolo. Mancava poi l’ ingresso vaginale. L’ A. ritenne che vi fosse I’ utero colle ovaia, desumen- dolo dai mestrui. La ragazza desiderando maritarsi, non esitò l’ A. a fare una vagina artificiale e ad amputare la clitoride. Non dice poi se riescì a sentire il collo dell’utero ; rac- conta però che dopo 8 mesi dall’ operazione la ragazza si maritò e compieva il coito senza difficoltà, ma quando l’ A. scrisse essa non aveva prole. (L’ A. tace sulla di- stanza di tempo, e sullo stato interno delle parti). Osserv. 32. — Nanula Antonio (di Napoli). Caso d’ apparente ermaproditismo. Filiatre-Sebe- zio. Napoli 1888. Vol. 16, pag. 420. Una pretesa donna d’ anni 24, presentava un piccolo pene lungo quanto l’ultima falange del dito mignolo col glande non perforato dall’ uretra e col prepuzio senza frenulo. Lo seroto era diviso longitudinalmente in due porzioni contenenti i testicoli. Sotto il pene eravi l’ ori- ficio dell’ uretra allargato. Senza barba e senza mam- melle, con istinti maschili. Osserv. 38. — von Ammon Fried. Aug. Die angeborenen Chirurgischen Krankheiten des Menschen. Berlin 1842. S. 93. Tafel XX, fig. 1,2. Uomo con ipospadia, il quale fu creduto per lungo tempo per una donna e chiamata Maria Rosina. Esso aveva inoltre lo scroto bipartito, ed in ciascheduna metà v era un ernia intestinale con idrocele. Osserv. 34. — Fenoglio G. Cesare. S?îngo- lare deformità delle parti generative in un sol- Serie V. — Tomo IX. dato. Giornale delle Scienze Mediche. Torino 1842. Anno V. Vol, ITI, pag. 301. Un soldato in luogo del pene aveva solo il glande, che sporgeva dalla parte superiore dello seroto Questo era bipartito e ciascheduna parte aveva un testicolo ben conformato. L’ Autore afferma che mancavano i funicoli spermatici. Osserv. 35. — Fenolio G. Cesare (Torino). Mostruosità nei genitali identica in tre individui della medesima famiglia Giornale delle Scienze mediche. Torino 1843. Anno VI. Vol. XVIII, pag. 176. Da genitori sani nacquero © figli; dì cui il 2°, il 3°, ed il 5° avevano la stessa deformità, sicchè l’ autore si limita a descrivere il 2°. Questo aveva 5 anni e 8 mesi, alto metri 1, e 162 millim., col corpo proporzionata- mente sviluppato, e con inclinazioni maschili. Il pube era già coperto di peli, col pene simile a quello d’ un fanciullo di 9 auni, coll’ orificio uretrale chiuso da una membranella lucente, e vicino alla sua radice vi era un foro da cui scolava l’ orina. Mancavano lo scroto ed i testicoli. Niun indizio di clitoride e di vagina e niun rilievo nelle mammelle. L’ autore sperò che i caratteri maschili sì assicurò ì parenti. facessero evidenti, ma non Osserv. 36. — Harris. Caso di sesso dubbio con mestruazione dal pene. London medical Ga- zette. Sept. 1847. Annali universali di medicina. Milano 1848. Vol. 126, pag. 204. Uno schiavo africano nella Virginia, di 18 anni, ha l'aspetto maschile, e di forme robuste, colle labbra grosse e la voce femminile, coi piedi somiglianti ai maschili della propria razza. Possiede invece due mam- melle voluminose, coì caratteri femminini, il pube ampio, coperto di pelo come nella donna, e ad un tempo un pene esile con sufficiente projezione all’ esterno. Sotto il pene havvi una fenditura diretta verso il perineo colle labbra fornite di lunghi peli, rappresentanti le grandi labbra muliebri; però in esse non si riscontrano i te- sticoli. La fenditura ha un pollice e mezzo di profon- dità, e nelle pareti presso il fondo si sentono distinta- mente le parti cavernose del pene. Questo schiavo è da tre o quattro anni mente mestruato per la via del pene, con sintomi proprii della mestruazione. Esso mostra esclusiva- mente la sua propensione per la femmina negra pari sua. Con questi dati 1’ A. induce che i caratteri femmi- ninîi predominano, e suppone che mentre l'individuo non ha che un solo organo maschile, cioè il pene, ed anche questo imperfetto, tuttavolta egli crede che entro la pelvi ci sia l’ apparato genitale interno della fem- mina. Ritiene poi che tale supposizione non venga con- traddetta dalla inclinazione per le femmine, perchè l'A. 87 regolar- = (6900= V attribuisce ad imitazione e alla educazione subita. Tuttavolta il quesito rimane dubbio, ignorandosi se 1’ in- dividuo abbia subito nessuna emissione seminale e sia capace d’ averla, e scientificamente rimane ancora oscuro il processo mediante il quale si verificarono i mestrui espulsi per la via del pene. Osserv. 37. — Virchow R. Weiblicher Her- maphroditismus. Verhandlungen der physikalisch medicinischen Gesellschaft in Wiirzburg 1852. Tom. III, pag. 359. Una donna di 77 anni, che non fu mai mestruata, aveva la vagina e l’ uretra riunite in uno stretto canale (seno-uro-genitale) che sboccava alla radice della clito- ride; questa era ingrandita e fornita di prepuzio. mai Osserv. 38. — Collenza Pietro (Marina Napoletana). Caso d’ ermafrodito vivente neutro- laterale. Tl Filiatre Sebezio. Napoli 1853. Vol. 65, pag. 179. Un uomo di 33 anni con forme femminili e grosse mammelle non aveva mai avuto tendenze virili; mentre aveva un pene fornito d’ uretra, da cui esciva talora un umore, però senza gli elementi dello sperma. Il pene era lungo un pollice e 6 linee, ed era spinto a sinistra dallo scroto rivolto a destra. Questo poi dal lato sini- stro aveva 2 corpi; uno giudicato per un testicolo e l’altro per l’ epididimo; e dal lato destro un tumore irregolare, consistente, insensibile, che premuto dava luogo all’ escita dal glande d'umore lattiginoso Col cate- terismo l'A. penetrò in un canale che andava nella fossa iliaca destra, senza giungere in vescica; coll’ e- same rettale non riconobbe la prostata. L’A. giudicò il tumore a destra dello seroto per un’ ernia uterina; secondo noi, era un’ ernia della vescica affetta da catarro, sicchè mancano anche i dati clinici per un ermafrodito, e va posto fra i casi dubbi. Osserv. 39. — Huette. Hermaphrodisme ap- parent chez le sexe masculin. Société de Biolo- gie. Séance Décembre 1855. Gazette Medicale de Paris 1856; Ser. III. Tom. XI, pag. 141. Femmina con istinti maschili; all’ età di 17 anni pre- sentava lo scroto bilobato contenente i testicoli, con pene rudimentale con glande imperforato. Sotto la verga eravi l’ orificio dell’ uretra, pel quale una sonda giungeva in vescica. Coll’ esplorazione non si riconosce alcun corpo fra il retto e la vescica. Osserv. 40. — Larrey. Hermaphrodisme. Bulletin de la Société de Chirurgie, 21 Se- ptembre 1859. Gazette des Hòpitaux 1859, pag. 450. Una giovane di 21 anni di nome Alessandrina-Or- tensia aveva un pene rudimentale imperforato; mancanza all’ esterno dei testicoli; lo scroto bilobato a guisa di due grandi labbra, il meato urinario all'origine del pene. Ora si rilevò che il prepuzio si prolungava sui lati in forma di ninfa, che i testicoli erano arrestati agli anelli inguinali, la barba era appariscente e la voce grave; ma non aveva propensioni sessuali apprezzabili. Osserv. 41. — Torchio Dott. F. Deformità degli organi genitali. Giornale della R. Accad. di Medicina di Torino 1860. Vol. 38, pag. 3. Con Tavola. Morì in Torino una vedova di 65 anni, il suo ca- davere aveva forme maschili, nessun residuo di mam- melle, con barba rada. Sotto al pube sporgeva il glande del volume del dito pollice, impervio e non coperto dal prepuzio, il quale era breve ed alla base formava i bordi d’ una scanallatura che teneva il posto dell’ uretra e simu- lavano le piccole labbra, mentre questa s’ apriva 4 cen- timetri più in basso all’ attacco dello seroto formando ipospadia. Lo scroto era retratto in alto a bipartito, con- tenente i testicoli. L’ esame interno non trovò traccia di organi femminei. La vita di quest’ individuo fu molto avventurosa aven- do vissuto come moglie per 2 anni avanti la vedovanza. Osserv. 42. — Chesneut (de la Rochelle). Question d’ identité. Vice de conformation des or- ganes génitaua : hypospadias. Annal. d’ hygiène publique et de meédecine légale. Juillet 1860, pag. 206. — Goujon E. Cas d' Hermaphro- disme bisexuel imparfuit, chez l honme. Jour- nal de l’ Anatomie et de la Physiologie. Pa- ris 1869. Année VI, pag. 599. Planches XVI et XVII. — Tardieu. Question médico-légale de V identité. Paris 1874. Alessia B. nacque in un villaggio da onesti genitori, nel 1838; essa crebbe frequentando scuole religiose ed ottenne nel 1860 di entrare come istitutrice in una pen- sione. All’epoca della pubertà, ella non ebbe-alcun in- dizio dei mestrui e rimase amenorroica.. Era magra, col volto indeciso rispetto alla somiglianza fra i due sessi, con voce dolce e peluria sul labbro superiore e sulle braccia; aveva il petto eguale a quello dell’ uomo, la pelvi e le anche maschili. Ella (come racconta) strinse una affettuosa amicizia con una compagna di pensione, poscia fu agitata da sentimenti non bene definiti che finirono in una vera passione, che oggi può chiamarsi inversione sessuale. Dopo ciò avvennero ad Alessia parecchie disavven- ture, che la costrinsero a farsi visitare da Chesneut, il quale rilasciò un rapporto che la giudicava per un ere mafrodita con prevalenza del sesso mascolino. Impressionata da tale giudizio, condannata non solo a cambiar vestito, ma ben anche a rinunziare ai suoi istinti ed ai suoi rapporti sociali, si ritirò a vivere sola - 0h = ed ad impiegarsi in una amministrazione di strade fer- rate: ma non riuscì a sostenere tale regime; per cui fu presa dalla lipemania, ed all’ età di 30 anni si asfissiò coll’ acido carbonico. Goujon fece la necroscopia e trovò un pene imperfo- rato, sotto il quale eravi la vulva, in cui sboccavan> l’uretra ed i condotti ejaculatori, ma non si trovarono nè l’ utero, nè le ovaie. Lo scroto era bipartito, conte- nente a destra un testicolo, mentre il sinistro era trat- tenuto nell’ anello inguinale corrispondente. Osserv. 43. — Porro Prof. Edoardo. /n- dagine cruenta per giudicare con sicurezza del sesso. Gazzetta Medica lombarda. Milano 1862, paeiolo N. bl In una famiglia nacquero due cugini materni con deformità sessuali, uno dei quali mal tollerando il suo stato a 17 anni si annegò. In un altra famiglia nacque una bambina, affidata a nutrice, poichè la madre morì per emorragia. La bam- bina crescendo, manifestò sempre tendenze più maschili (cioè verso femmine), che femminili, e di rado s’ acco- modava ai lavori di casa, tuttavolta vestì sempre abiti donneschi, ed a 18 anni fu chiesta in matrimonio. Ma la nonna insospettita intorno al sesso la fece visitare, ed il Prof. Inzani la dichiarò di sesso mascolino. Non volendo Ja pretesa ragazza più vestire da donna, come per varie ragioni la famiglia desiderava di conservare, dopo molte lotte, si decise di fuggire dalla casa pa- terna e chiedere un giudizio legale sulla natura del proprio sesso. Chiamato il Prof. Porro, questi, 1° 8 dicembre 1882, visitò la medesima e trovò la statura alta |] metro e 59, pesante 51 chili e 400, con capelli neri e ispidi. Aveva due mammelle bene sviluppate a tipo fem- minino. Ventre depresso, la linea alba senza peli, cogli arti inferiori convergenti alle ginocchia, mentre l am- piezza del bacino era quale si conviene al sesso femmi- nino. Divaricando le coscie, si vedeva la vulva con la cli- toride più sviluppata del normale, col glande sporgente dal cappuccio per un centimetro e mezzo soltanto (lun- ghezza totale 3 centim.). Dalla base del glande partivano due piccole labbra formando un semi-canale che si con- tinuava ad un canale lungo 4 centim. e 1/4 che conduceva nella cavità vescicale. Oltre le piccole labbra, vi erano ancora le due grandi con il loro ordinario andamento, e contenenti verso la regione inguinale due. corpi ton- deggianti collocati all’ anello inguinale esterno, che pal- pati non recavano dolore, e non lasciavano scorgere con sicurezza i caratteri dei testicoli, e neppure quelli delle ovaia. All’ esame rettale non si riscontrò la prostata nè l’ utero. L’ autore rilevò, oltre la presenza delle mam- melle, che la giovane non ebbe mai flusso sanguigno, nè molestie lombari, nè proclività alla venere solitaria, mentre vi erano due corpi nel canale che potevano so- spettarsi per testicoli, ed altri indizi fisici favorevoli al sesso maschile; nulladimeno non potè ricavare la cer- tezza di questo sesso, e per accertarsene ricorse al par- tito d’ esaminare i corpi inguinali, previa cloroformiz- zazione. Aperta la piega genito-uretrale destra, constatò che si trattava del testicolo coll’ epididimo poco pro- nunziato, poscia ripose il testicolo nella vaginale, che ricucì cou due punti di sutura, e, infine, riunì la ferita esterna con 4 punti di sutura nodosa, seguendo tutte le prescrizioni antisettiche, e dopo 6 giorni levò i punti che trovò riuniti di prima intenzione, quasi totalmente. Osserv. 44. — Bailly. ZHermaphrodisme. Bulletin de l’ Acad. de Médecine de Paris 1863. Tom. I, pag. 341. Un uomo di 38 anni senza barba, collo seroto diviso e con una ipospadia al grado massimo. In ciascheduna parte dello scroto vi era un testicolo. Osserv. 45. — Casper J. L. (Berlin). Prak- tisches Handbuch der gerichtlichen Medicin. 1856. Bd. 2 (4 Auflage). 1864. Traduzione italiana. Una nubile di 37 anni, d’ abito maschile, senza mam- melle femminili, colla pelvi angusta, aveva lo scroto di- viso in due sacchi, in ognuno dei quali vi era un te- sticolo, ed un pene più corto del solito. Questo alla sua radice aveva l’ orificio dell’ uretra, e lungo il lato in - feriore aveva una doccia uretrale, in cui vicino alla co - rona del glande apparivano due piccole aperture elit- tiche (canali eiaculatori). Fra i due sacchi serotali eravi una fessura rivestita da una mucosa rossa. Questa sup- posta femmina ebbe commercio con una donna pari- menti nubile, che partorì un fanciullo che aveva gli stessi difetti negli organi generativi già accennati nella supposta femmina. Osserv. 46. — Facen Jacopo di Fonzaso (Prov. di Belluno). Gazz. Med. delle Provincie Venete. Padova 1865. Anno VIII, pag. 297. Appendice. Visitò un uomo di 30 anni, il quale aveva l’ aspetto e le forme di donna. Esso aveva il glande col meato urinario, ma mancava di prepuzio e di pene, in guisa che il glande era sessile ed incapace di prolungamento, come foss= la clitoride. E tanto più ne aveva l’ appa- renza, poichè ai lati discendevano due specie di ninfe. Eranvi poi anche le grandi labbra, ma queste contene- vano i testicoli coi loro cordoni spermatici. Non eravi traccia di vagina. L’ uomo era inclinato a sposarsi, fruiva delle ejaculazioni seminali ed allora il glande s° indu- riva; sicchè non aveva che l’ aspetto esteriore di fem- mina. Osserv. 47. — Idem. Androginismo. Gior- nale veneto di Scienze Mediche. Ser. 3°. Tom. III, pag. 163. Venezia 1865. — Gazzetta Medica lombarda. Milano 1865, pag. 354. Un ragazzo di 13 anni, con abito femminino, aveva — 693 — in luogo dello scroto due pieghe cutanee contenenti ognuna una glandola come una grana di fava. Le due pieghe superiormente s’ univano ad angolo, sotto il quale si nascondeva un piccolo glande senza prepuzio, e sotto il glande l’orificio uretrale ed una fossettàa impervia simulante le ninfe. Il ragazzo giunse all’età di 30 anni senza la comparsa della barba, col petto largo e le mam- melle molto sviluppate, e coll’ inclinazione alle femmine; mentre non ebbe mai la mestruazione ed invece avver- tiva un indurimento transitorio al glande (senza allun- gamento), seguito da ejaculazione spermatica (senza esa- me microscopico); sicchè l’ autore giudicò trattarsi d’ un maschio. Osserv. 48. — Lombroso €. Caso singolare di ermafroditismo inaschile trasversale in una maniaca Giornale italiano delle Malattie ve- neree. Milano 1867. Tom. IV, pag. 306-310. Maria di 26 anni, gemella, figlia di parenti gozzauti, col volto femminino, e col tronco maschile. Amò da prima un maschio, e divenne assai afflitta quando si accorse della sua deformità sessuale. Era maniaca. Man- cava di pelo alle pudende. Aveva grosse le grandi labbra che contenevano i testicoli; la clitoride più grossa dell’ ordinario, lunga 25 millim. che l’ autore giudicò per un pene corto, collo sbocco dell’ uretra sot- toposto. Mancava il canale vaginale. Aveva inclinazione verso la donna. Idem. Caso di pseudo-ermafroditisimo tra- sversale maschile. Annali universali di Medicina (Omodei). Milano 1874. Tomo 227, pag. 478-481. Il caso è il medesimo sopra descritto con considera- zioni medico-legali. Osserv. 49. — riguardante Caterina Hoh- mann. Beer Arnold. Beschreiburg eines Herma- phroditen. Deutsche klin. 1867. N. 34. Jahre- sbericht fiir 1867. Bd. 1, S. 263 (29). Rokitanski K. Fa von Hermaphrod. vera lateralis. Allgemeine Wiener med. Zeitung 1868. N. 27. — Virchow' s Archiv. Bd. 43 und 44 Schultze B. S. Der Hermaphrodit Katha- rina Hohmann aus Melrichstadt. Virchow' s Ar- chiv 1868. Bd. 43, S. 320. Friedreich N. (Heidelbrig). Der Herma- phrodit Katharina Hohmann. Virchow's Archiv 1869. Bd. 45, S. 1. Caterina Hohmann aveva 43 anni. Virchow R. Vorstellung eines Hermaphro- diten in der Berliner med. Gesallschaft. Berliner K}iniche Wochenschrift 1872. N. 49. Jahres- bericht fùr 1872. Bd. 1, S. 230. Caterina Hohmann aveva 48 anni. Giuntoli L. Casa straordinario d’ ermafro- ditismo. L' Imparziale. Firenze 1873. Anno XIII, pag. 632. (Lavoro critico). Ceccherelli A. Un caso d’ ermafroditisno. Lo Sperimentale. Firenze 1874. Tom. 33, pag. 198. (Lavoro critico). Boddaert Richard. Etude sur V hermaphre- disme latéral. Annales de la Société de Med. de Gand 1874. torno a Caterina Hohmann e sopra altri 12 casi ana- loghi. Conclude che manca la prova sufficiente della coesistenza d’ un testicolo e d’ una ovaia. Baviera all’età di 40 anni aveva da poco perduta la mestruazione, conservando î capelli e le mammelle abbondanti, però mostrava un abito virile. Aveva una verga flaccida, col glande senza meato uretrale, e col prepuzio cadente da simulare una vulva, da cui superiormente esciva l’ urina (ipospadia); ciò che condusse a confondere la verga con una clito- ride. Presentava ancora a destra del pene uno scroto contenente un sol testicolo ben sviluppato. Caterina affermava d’ aver sempre avuto un’ indiffe- renza sessuale, ma che fu sempre atta al coito e che aveva tuttora ejaculazionii abbondanti, in guisa che Vir- chow potè verificare nell’ umore seminale gli spermatozoi in stato vitale, ma non la prostata D’altra parte in precedenza Schultze aveva già coll’ esplorazione giudicato la presenza della vagina, d’ un corpo simile ad un utero piccolo con cordone che reggeva a sinistra un organo, che fu creduto per un’ovaia, ed allora si poteva indurre trattarsi d’ un ermafrodito alternante, vivente. Ma tale opinione non fu risolta neppure colla morte di Caterina che avvenne nell’ età di 57 anni, perchè non fu prati- cata l’ autopsia. — Studio critico sui lavori fatti in- Caterina Hohmann di Osserv. 50. — Sarzana Eugenio (Condotto a Ceccano). Ermafroditisno anormale. Giornale Medico di Roma. Roma 1868. Tom. IV, pag. 474-481. Una contadina di nome Faustina, che aveva 30 anni. A 17 anni fu mestruata, ma i mestrui si soppressero ; in seguito di ciò la Faustina sofferse d’ epistassi in epo- che indeterminate e poscia godette ottima salute, in guisa che a 19 anni si maritò e poscia per ll anni con- tinuò a fruire di buona salute, ma rimase sterile e solo comparvero vari peli al mento ed al labbro superiore. Essa era alta di statura, più adatta ai lavori del campo che ai lavori domestici, tuttavolta aveva il petto senza rilevatezze mammarie, voce femminina, pelvi muliebre; ed era poco inclinata ai piaceri sessuali. Esaminando gli organi genitali vide la vulva coll’ a- — 699 — spetto d’ uno seroto aperto formato da due grandi lab- bra. Dal labbro sinistro protuberava un corpo alquanto duro e mobile, grande come un uovo di piccione, che possedeva nella parte superiore un cordone che pene- trava nell’ anello inguinale. Il labbro destro era meno pronunciato, contenente un corpo meno consistente e grande del sinistro. In luogo della clitoride eravi una appendice simile ad un pene, ma priva dell’ uretra ed incapace di ere- zione. Essa era grossa e lunga come il pollice con il glande imperforato, con rugoso prepuzio, ripiegato in basso, e continuo all’ esterno colle grandi labbra e colte pieghe che formano l’ostio vulvare. Divaricando poi le labbra suddette si scorgeva una scissura che partiva dal- l’ estremo superiore della suddetta appendice e si prolun- gava nel canale vaginale, ove alla distanza di circa un pollice si trovava l’ orificio uretrale che conduceva (me- diante una siringa) nella vescica urinaria. Il canale va- ginale era assai ristretto e lungo due pollici con fondo cieco ed addossato all’ intestino retto. L’ esame rettale non riscontrava alcun indizio dell’ utero. L’ autore riconobbe le difficoltà di stabilire la dia- gnosi; tuttavolta poggiava su certi dati clinici e special- mente all’ induzione più o meno attendibile, e giudicò trattarsi d’ una femmina. Noi invece siamo inclinati ad ammettere trattarsì principalmente di pseudo-ermafro- dismo, cioè con persistenza di frammenti dei canali di Miiller, come ne abbiamo già registrati degli esempi, (Vedi: Memorie della R. Accademia delle Scienze del- l’ Istituto di Bologna. Anno 1899. Ser. V. Tom. VII, pag. 720 e 721. Nota 8°), non escludendo altri difetti, sicchè bisogna ammettere il sesso dubbio. Osserv. 51. — Antonini E. Un uomo-donna. Ippocratico. Fano 1869. Serie 3°. Tomo XV° pag. 403-411. Osservazione clinica sopra una contadina di 27 anni, fornita di pene, con ipospadia, collo seroto diviso, con- tenente in ciascheduna metà un testicolo. Osserv. 52. — Wake. Case of malforma- tion of the sexual organs. Medic. Times and Gaz. Oct. 15. Jahresbericht 1870. Vol. I, pag. 297 E. G. Wake fu consultato da un uomo attempato, il quale, affetto da malattia cardiaca, con accessi d’ emi- erania, sotto l’ influenza dei quali non poteva urinare. La vescica era piena; ma all'atto d’introdurre il catetere, non si trovò il pene, ed in sua vece un sacco cieco lungo un pollice e mezzo. Solamente nel fondo di que- sto si rinvenne il glande atrofico, il quale a fatica fu tratto fuori dall’ apertura esterna onde praticare il cateterismo, per lo che si determinò una emorragia. Lo stato morale di quest’ uomo non permise dimande ana- mnestiche : esso molto probabilmente era ammogliato da trenta anni senza figli. Questo caso ad un esame superfi- ciale poteva ritenersi di sesso dubbio. ) Osserv. 53. — Reverchon (Paris). Marie Chupin. Étude médico-legale. Annales médico- psychologiques. Paris 1871. Ser. V. Tom. IV, pag. 371. Raffegeau Donatien. Du role des anomalies congénitales des organes génitaux. Thése. Paris 1884, pag. 97. Obs. XII. Maria Chupin tessitrice apparteneva ad una famiglia abitante in un villaggio, la quale aveva avuto tre de- menti dal lato della madre, ed un epilettico dal lato del padre. Essa, so o a 13 aani, imparò a leggere; ed in luogo che si manifestasse la mestruazione principiarono a spuntare peli, che poscia fu obbligata di radere, ciò che non evitò gli scherzi delle amiche. Era di carattere dolce, un poco melanconica e assai dedita alle pratiche religiose; senza alcun istinto sessuale. Ma a 15 anni principiarono dei contrasti col fratello maggiore, che l’accusava, come capo di famiglia, di trascurare il la- voro, ed accrebbero a tal segno che il carattere della Maria diventò ingrato, bizzarro, irritabile; quando giunta all’età di 25 anni fu obbligata di dormire con una cu- gina, ciò che gli fornì l’ occasione d’ accorgersi che essa aveva una conformazione diversa e fu causa che il suo turbamento morale s’ accrescesse maggiormente ed essa finisse per manifestare i segni della pazzia. Volendo avanti tutto liberarsi dal giogo della fami- glia e non essere obbligata di tornare alla casa, imma- ginò di commettere un delitto : essa afferrò un fanciullo d’ una vicina e lo gettò nel pozzo e poscia si costituì ai gendarmi (fortunatamente il fanciuiìlo fu salvo) e la Maria spiegò la preferenza del delitto in un fanciullo, persuasa che esso andava in cielo! Dalla prigione la Maria passò al Manicomio, ove Reverchon la esaminò e fece un rapporto accurato col quale stabiliva la sua non responsabilità (ma che non gli offriva le prove della guarigione della follia), e che essa era un maschio per cui fu vestita da uomo. Dopo fu trasportata in un altro manicomio ove nel 1881 fu esaminata dal Dott. Raffegeau, il quale fornisce le se- guenti notizie : Maria era alta 1,71, aveva la barba ed i capelli ca- stani e la voce virile. Era dotata di pene con epispadia per tutta la sua lunghezza, collo scroto diviso e con una curva, che aumentava nell’ erezione per trazione dei margini laterali dell’ uretra aperta. Nel solco dello scroto vi era l’orificio dell’ uretra, la quale era larga 3 centi- metri e dava escita all’ orina; e sotto la medesima, vi era un secondo canale, lungo 9 centim., separarato dal primo mediante un setto sottile, con fondo cieco. L’ A. infine trovò nella parte destra dello seroto un testicolo atrofico coll’ epididimo, dopo aver ridotta un’ ernia in- guinale. Maria, benchè pentita del suo fallo, conservava delle idee bizzarre, recava importanza esagerata alle frivolezze, diffidava delle persone ed in genere manteneva una in- telligenza disequilibrata, per cui il Direttore dello Sta- bilimento non azzardava permetterne l’ escita. Osserv. 54. — Duplay Simon. De 7° Rypo- spadias périneo-scrotale etc. Archives gén. de Médecine. Paris 1874. Vol. I, pag. 670. Observ. I. Planie I. Osserv. l. — Un giovane di 21 anni era affetto da ipospadia perineo-scrotale. La verga era ben conformata dal lato superiore, ma posteriormente era infossata in mezzo allo scroto. Rialzato sì riconosceva che il glande era sprovvisto del meato urinurio, ed invece solcato in- feriormente e congiunto allo scroto mediante una bri- glia interna leggermente scavata in guisa di doccia, lunga 26 millimetri e che terminava a livello dell’ aper- tura ipospadica. Questa era costituita da una fessura an- tero-posteriore, situata posteriormente alla parte media dello scroto. Lo scroto ed il pube erano coperti di peli ; dal lato destro eravi un testicolo voluminoso, a sinistra un testicolo leggermente atrofizzato. Orinando in piedi, una parte dell’ urina è lanciata in avanti, l’altra parte andava rasente lo scroto e sulle coscie. L’ erezione au- mentava la curva del pene, ed il glanda s’ infossava maggiormente nello seroto. Ogni tentativo di coito era stato impossibile. Continua la descrizione del processo operativo con esito felice. Osserv. 2. — Una bambina di 4 anni, figlia di ge- nitori sani; aveva © fratelli maschi affetti da ipospadia balanica, mentre le due sorelle non avevano alcun di- fetto. La bambina aveva una ipospadia perineo-scrotale con incurvatura in basso del pene, sembrando aderente ad una fessura mediana dello scroto, nel fondo della quale sboccava l’ uretra. Rialzando la verga, si notava una briglia, lunga centim. i 1, che impediva il rad- drizzamento completo. La fessura mediana forniva 1’ a- spetto che lo scroto fosse sostituito da due grandi lab- bra contenenti due testicoli di cui il destro assai volu- minoso. Questo maschio urinava inginocchiato come le femmine. (Segue la descrizione del processo ope- ratorio eseguito in più tempi). Osserv. 3. — Un maschio di 4 anni, di buona costi- tuzione, aveva una ipospadia perineo-scrotale con in- curvamento notevole della verga. Il pene non esisteva nella sua superficie inferiore, in causa che il glande era aderente all’ apertura anormale dell’ uretra, la quale era alla pare media dello scroto. Praticando la distensione, durante l’ esame si riconosceva che la verga era lette- ralmente piegata in due. I due testicoli erano discesi nello scroto, ed il fanciullo era obbligato di accoccolarsi per urinare. (Segue l’ operazione). Osserv. 55. — Leopold Dr. (Leipzig). Ein m(innlichen Scheinewitter. (Pseudo-hermaphrodi- smus masculinus externus). Archiv firr Gynà- kologie. Leipzig 1875. Bd. VIII. Heft 3, pag. 487. Contadina di 30 anni, amenorroica, con abito femminino. Essa sì maritò a 25 anni, godeva del matrimonio e non aveva altra inclinazione che la femminina. Le parti ge- nerative esterne erano normali, ma atrofiche. La sinfisi del pube sporgente; la vagina liscia, lunga 8 centim. Coll’ esplorazione non sì poteva distinguere se vi era un utero rudimentale oppure le ovaie. Però coll’ esplora- zione rettale l'A. trovò nello spazio posteriore di Douglas un cordone semilunare teso trasversalmente nella pic- cola pelvi, il quale profondamente era duro come un osso, e Leopold pensò ai residui d’ un essudato con indu- rimento del foglietto peritoneale. Egli poi trovò nella parte superione delle grandi labbra due corpi rotondeg- gianti come mandorle, forniti di cordoni che penetra- vano nella pelvi e che giudicò per testicoli col funicolo. Osserv. 56. — Leopold D. (Leipzig). Pseudo- hermaphroditus masculinus externus, Archiv fiùr Gynàkologie 1875. Bd. VIII, pag. 487. Bd. IX, pag. 324. 1877. Bd. XI, pag. 357. Con fig. Una contadina battezzata, educata e vestita da donna aveva però peli alla faccia, voce e laringe maschile, non chè il petto piatto Aveva inoltre un pene lungo 6 cen- timetri con un solco inferiormente che s’ estendava al glande Mancava lo seroto, ed invece vi erano due grandi labbra, ognuna contenente un testicolo. Vi erano ancora sotto la radice del pene due fori, il superiore conduceva in vescica (ipospadia) e )’ inferiore conduceva ad un ca- nale cieco (vagina mascolina). La persona fu mestruata dai 17 anni fino ai 46. Nulladimeno Leopold la consi- derò per un uomo. Osserv. 57. — Baur. Umtaufung eines Zwvit- ters. Anz. fiir St. d. Vorz. 1875. N. 4, S. 119. Jahresbericht fiir 1875. Bd. 378 (7). Riporta un documento dell’ anno 1527 del notaio Wolff, col quale si stabilisce che un ermafrocita assu- meva il nome di Elisabetta, ed è riportato un post scri- ptum nel documento d’ un’ altra mano che dice la Eli- sabetta, riconosciuta più tardi per un uomo, fu bruciata. Osserv. 58. — Schaeneberg. Fin Fall von anscheinender Zivitterbildung. Berliner Klin. Wo- chenschrift 1875. N. 17. Un individuo di 16 anni con abito maschile aveva le parti generative esterne con l’ aspetto femminino. Le grandi labbra però contenevano i due testicoli e fra le medesime appariva il pene lungo 5 o 6 centim. col glande impervio e sotto un’ apertura con una specie di imene, che conduceva in un canale lungo 6 centim. a fondo cieco, in cui non si distingueva la porzione va- ginale dall’ uterina. Osserv. 59. — Borge C. J. Hypospadie. Norsche Magazin for Laegevidenskoben. Chri- stiania 1876. Jahresbericht fiir 1877. Bd. 1, SA2/661 Una persona di 32 anni, coll’ aspetto femminino, ave- — 701 — va lo scroto diviso con ipospadia. I testicoli erano si- tuati nella regione pubica. Combinando 1° esame della vescica con quello del retto, non Ss’ avvertiva alcun or- gano interposto. Osserv. 60. — Schauta Fridr. Ein Fall von Zuvitterbildung bei cinem erwachsenen Individuum. Wien med. Wochenschrift 1877. N. 42 und 43. Jahresbericht fir 1877. Bd. 1, S. 265 (8). Individuo di 30) anni con abito mascolino, aveva il pene con ipospadia, al termine del quale si giungeva da un lato in vescica e dall’ altro in una stretta vagina. Coll’ esplorazione si riconosceva poi un corpo simile al- l’ utero, ma non si rilevavano nè testicoli nè ovaie. Sebbene battezzata per femmina ed anche mestruata, era verosimilmente un maschio. Osserv. 61. — Swasey Edw. An interesting case of malformation of the female sexual or- gana ; representing either a rare variety of her- maphroditisme, on of doubler congenital ovarian hernia with absence of v'erus. The american Journal of obstetrics and disseases of women and children 1881. Vol. 14. N. 1. Una cuoca di 46 anni aveva l'abito, la voce, il torace femminino. Soffriva di una doppia ernia inguinale e posse- deva il monte di venere ben conformato, grande la cli- toride, piccole le labbra, conservato l’imene, la vagina lunga 3 pollici; per contrario l’ autore afferma che man- cavano l’ utero e le ovaie. Nelle grandi labbra vi erano due corpi, abbastanza duri, grandi come un uovo di co- lombo, dai quali partivano due cordoni per giungere agli anelli inguinali, i quali suscitarono il dubbio che non fossero le ovaie, e quindi si trattasse di ermafrodi- tismo mascolino come nei casi di Steglehner e di Cham- bers); tanto più che la donna racconta che dai 15 anni in luogo d'ogni mestruazione da una piccola fistola dello sterno sì separava un fluido untuoso; sicchè essa era amenorroica e senza utero. Osserv. 62. — Steimann. Zur Casuistik der Zwitter. Deutsche medicinische Wochen- schrift 1881. N. 19, S. 269. Ad un ragazzo di 17 anni fu cambiato di sesso tre volte: prima gli fu dato il nome di Giuseppe, poi di Teresa, a 10 anni di nuovo Giuseppe e finalmente di nuovo Teresa. Esso ha l’ abito femmino, ipospadia, e mestruazioni regolari ; al tatto non si rileva alcun corpo glandolare nelle grandi labbra, e l’ autore la mandò alla scuola femmina. Osserv. 63. — Magitot M. Nonveau cas d’ hermaphroditisme. Bulletin de la Soc. de Chir. Séance 8 Juin 1881, pag 445. — Gaz. des H6- pitaux 1881. N. 69. Ernestina a 13 anni ebbe la mestruazione per 2 giorni, che sì replicò altre volte, con contemporaneo svi'uppo delle mammelle. A 15 anni sentì l’ inclinazione di con- vivere coi giovani, e a 17 anni sì maritò e visse in buona intelligenza collo sposo per ll anni; ma i rap- porti sessuali non poterono compiersi regolarmente, per- chè il marito non potè mai penetrare, e la sposa s° ac- corse di possedere essa pure un membro (più piccolo) che s' erigeva e subiva ejaculazioni, che poi si riconob- bero con caratteri normali. Divenuta vedova si manifestarono in essa vivaci in- clinazioni per le donne, e contrasse diverse relazioni. All’ età di 40 anni Magitot trovò la statura alta metri 1,78, abito virile, ma le mammelle erano assai volu- minose, le areole s' assomigliavano alla femmina, la voce femminina mentre il volto non aveva caratteri sessuali distinti; rinvenne un pene simile a quello di un fan- ciullo di 12 anni e imperforato, con doccia ipospadica e briglia laterale. Ernestina aveva due grandi labbra, una delle quali conteneva un testicolo, fra le medesime eravi un infundibulo a fondo cieco, in cui sboecava l’ 0- rificio uretrale. Coll’ esplorazione rettale non riconobbe nè la prostata, nè l’ utero. Osser. 64. — Marchand F. (Giessen). Ein never Fall von Hermaphroditismus (Herm. spu- rius masculinus 2). Virchow' s Archiv 1883.. Bd. 92, S. 586. Jahresbericht fir 1883. Bd 1, S. 205 (13). Maria Raab di 29 anni (lunga capiglia:ura, mancanza della barba, petto molto sviluppato, e pelle femminina); di maschile aveva il volto, la laringe, la voce e le forme muscolari. In quanto ai genitali aveva di nuovo i caratteri femminini in pre- aveva l’ abito femminino valenza, aveva un grande pene non perforato, inferior- mente fornito da due frenuli che simulavano le piccole labbra congiunte da una membrana; questa poi termi- nava in forma semilunare sopra un piccolo vestibulo, nel quale sboccavano l’ uretra e la vagina. Vi erano ancera due grandi labbra che non contenevano i testicoli. Me- diante l’uso del cloroformio 1’ autore riconobbe una vagina lunga 9 centimetri, l'utero abbastanza sviluppato con due corpi laterali che potevano ritenersi tanto ovaie, quanto testicoli. Niun indizio della prostata e delle ve- scichette seminali. ni L'autore crede verosimile trattarsi di un Ermafrodito mascolino, ma non può escludere un ermafroditismo vero laterale. Osserv. 65. — Porro Edoardo (in Milano). Ermafroditismo: indagine cruenta per giudicare del sesso. Gazzetta Medica lombarda. Milano 1882. N. 51, pag. 315. — Italia Medica. Genova 1883, 15 Febbraio. Anno XVII, pag. 21. (Questa osservazione è ripetuta. Vedi Osserv. 43). Una bambina F. orfana di madre, giunse all’ età di = 093 15 anni avanti che la nonna s’ accorgesse dello stato anomalo delle funzioni sessuali della medesima, tutta- volta il padre aspettò l’ occasione d’ una domanda di matrimonio per farla visitare, avendo già compiuti i 18 anni e chiamato il Prof. Inzani di Parma, la giudicò per un maschio. Per ragioni domestiche i parenti continuarono a con- siderare la F. per una femmina contro il desiderio della medesima e dopo un anno fuggì di casa col fine d’ ot- tenere legalmente il riconcscimento sessuale e riuscì ad ottenere il seguente parere di una commissione, di cui era presidente il Prof. Porro. Ecco in breve il reperto. La F. presenta forme virili, eccetto due mammelle, ed i ginocchi piegati internamente e costantemente ame- norroica, senza appetiti sessuali, nè proclività alla venere solitaria Esaminando le parti generative, si trova sotto il pube la clitoride più sviluppata del solito involta su- periormente dal cappucio il quale discende in due alette da simulare due piccole labbra che internamente costì- tuiscono un semi-canale che dal glande risale per 6 centim. verso l’ ano e conduce ad un canale lungo 4 che conduce nella cavità vescicale assai facilmente me- diante un catetere femminile. Ai lati delle piccole lab- bra vi sono due grandi labbra che contengono due corpi tondeggianti indolenti al tatto, appesi ad un cordone resistente. Coll’ esame rettale non si trovò alcun corpo duro nè voluminoso, per cui fu esclusa la prostata e la matrice. L’ autore per sciogliere la questione fra le ovaie ed i testicoli, propose l’ esame diretto e la F. accettò di buon grado il partito, per decidere il suo stato onde vestire da uomo; ed il 9 Dicembre 1882 aperse la pie- ga genio-crurale destra e riconobbe il testicolo coll’ epi- didimo poco pronunciato ed il cordone spermatico. La ferita rimarginò quasi totalmente di prima intenzione. Osserv. 66. — Piazzesi Vittorio. Acta San- ctae Sedis, redacta studio..... 1883. Vol. XXI. — Badaloni Giuseppe. Bullettino della R. Accad. Medica di Roma 1885. Gazzetta degli Ospedali di Milano, Luglio 1885. Con 3 figure. — Filippi A. Manuale di Medicina legale. Fi- renze 1896, pag. 138 (2° edizione). La natura del sesso di Faustina Mauro di Ceccano fu oggetto d’ una causa trattata da prima (1870) dalla Curia Romana, e poscia (1884) dal Tribunale civile di Ceccano, che giudicò trattarsi d’ un maschio con jipospa- dia secondo il parere di Badaloni. Ecco la breve storia. Faustina Maura, battezzata ed inscritta come donna, sebbene non mestruata, sì maritò a 21 anni. Il marito dopo alquanto tempo trovando una difficoltà nell’ accop- piamento volle da sè stesso esaminare le parti genera- tive e con un piccolo coltello allargò una fessura che trovò nell’ uretra, ma senza frutto di raggiungere il fine. La Faustina frattanto s° avvide che si erigeva un’ organo che impediva l’ accoppiamento e nel frattanto raccontò le sue pene ad una sposa colla quale essa s° innamorò e poscia sfogò la sua passione con essa e mostrò il desiderio dopo dieci anni di convivenza col marito di separarsi dal medesimo e fece domanda nel 1870 alla curia romana di separazione legale. Nel frattanto andò a vivere in casa di suo fratello, la di cuì moglie era l amante predetta, ed il Tribunale incaricò il Dott. Badaloni per l’ esame della donna accusata d' adulterio con donne maritate. Il perito trovò l’ individuo che aveva l’ aspetto vi- rile, e che dal pube discendevano due grandi labbra (oschio-schisi) contenenti due testicoli. Dalla sommità delle labbra scorgeva un corpo analogo ad an pene (e tale fu giudicato dal perito) con un solco che saliva alla distanza di 3 centim. dall’ano ove sì trasformava in un foro chs si continuava in un canale lungo incirca tre centim. e che permetteva |’ introduzione dell’ indice fino il solco era rivestito della mucosa rosso- pallida; e l’ ampiezza del canale fu stimata effetto dei ripetuti conati del coito. Il perito poi racconta che il pene era lungo 41/5 cen- timetri, e la Faustina poi dice che in erezione giungeva a 9 centimetri. Coll’ esplorazione non avendo trovato nè la vagina, nè l’ utero, ed avendo saputo che Faustina aveva eiaculazioni dì sperma che sì perdeva nelle coscie, stimò la donna per un maschio affetto da ipospadia totale della verga, ed il Tribunale annulò il matrimonio e rettificò il nome precedente in quello di Faustino Mauro. Osserv. 67. — Dohrn R. Ein verheiratheter Zweiter. (Un ermafrodito maritato). Archiv fiùr Gynikol. 1883. Bd. 22, S. 225. Jahresbericht fir 1888. Bd. 1, S. 294 (5). Una donna di 31 annì che fu sempre amenorroica era sposa da 6 anni, con appetiti sessuali poco sviluppati ; essa sofferse in questo tempo delle emorragie irrego- lari dalle parti generative. Aveva il volto, la voce e le pelvi femminina e lunghi capelli senza barba. Le parti generative erano coperte di peli; dal pube discendevano due pieghe cutanee, simili alle grandi labbra, di cui la destra conteneva un corpo mobile più grosso d’un uovo di piccione, continuo ad un cordone che giungeva al- l’anello inguinale; e nella sinistra sì sentivano le stesse cose, ma più piccole. Fra le due pieghe ve ne erano altre due più piccole, che superiormente si riunivano per for- mare un cappuccio alla clitoride, simile ad un pene; in- feriormente eravi lo sbocco dell’ uretra assaì larga da permettere l’ introduzione del dito in vescica. Niuna traccia della vagina; colla esplorazione non si riscontrò nulla che ricordasse l’ utero, le trombe e le ovaie e neppure la prostata; si avvertiva però sulla parete anteriore della vescica un co-po duro, che fu sospettato per un utero mascolino. Questa donna consultò l’ autore per i disturbi che subiva compiendo i propri doveri coniugali, il quale giudicò che in mancanza della vagina, il marito in- scientemente sì serviva dell’ uretra, la quale era anche la sede di polipi sanguinanti, e ciò spiega le emorragie in vescica: = 703 + regolari. Ma ci) che è anche strano è che la donna ve- nuta a cognizione della sua natura mascolina, preferì di continuare la sua vita femminina nel suo tranquillo matrimonio. Osserv. 63. — Péan. Gazette des Hòpitaux 1884, Février, pag. 105. N. 14. Luigia di 27 anni amenorroica con voce grave, con fitta barba alle gote ed alle labbra, se non avesse avuto la precauzione di raderla, e con capelli lunghi da donna, di temperamento nervoso, abusava del coito colle com- pagne, e soffriva d’ incontinenza dello sperma. Essa chiese la rettificazione del sesso e sì sottopose all’ esame clinico; essendo stata attratta per una sua compagna di laboratorio: confronto che la sorprese, e la mise in co- sternazione. L’ esame trovò il pube coperto di peli sotto una verga, in floridezza lunga 3 centimetri e mezzo, senza prepuzio e senza uretra. Nella erezione la verga si cur- vava in causa d’ un rafe fibroso, il quale occupava tutta la lunghezza inferiore del pene. Tre centim. sotto eravi un meato da cui scolava l' orina e nelle sensazioni volut- tuose scolava il liquore seminale. Sotto tale meato eravi una fessura, lunga centim. l 4, simulante la vulva, pro- fonda 2 centimetri. Presentava inoltre due grandi labbra, date dalla divisione dello scroto contenente in ciaschedun lato ed in alto un testicolo. Coll’ esame rettale non si riscontrò nè la vagina, nè l’ utero, e solo i vestigi d’ una prostata. 3 Osserv. 69. — Gerin Rose. Hermaphrodisme. Gazette des Hòpitaux 1884, pag. 1108. Una giovane di 26 anni, coi caratteri esterni femmi- nini e colla xulva normale, ma con una clitoride lunga 35 mill. col glande e prepuzio, senza meato urinario, e senza caruncole mirtiformi. L’ uretra sboccava all’ origine della clitoride; la vagina aveva il fondo cieco. Colla palpazione non riscontrò alcun organo generativo, però nelle grandi labbra trovò due corpi ovali, che sospettò per testicoli, forse perchè la donna non ebbe mai segni mestruali, nessuna inclinazione al sesso maschile, nessun senso piacevole alla clitoride e neppure nella relazione sessuale che ebbe con un uomo. Osserv. 70. — Garnier T. Du pseudo-her- maphrodisme. Annales d’ Hygiène etc. 1885. Ser. 3. Tom. XIV, pag. 290. Una figlia, rimasta senza madre di buon’ ora, fu ame- norroica e soffrì per molti anni varii incomodi negli or- gani generativi, che la fecero dubitare sulla buona costi- tuzione dei medesimi, tanto che avendo sperimentato il coito questo riesciva molto più doloroso che piacevole, quando a 27 anni s' innamorò d’ una donna ed allora si decise di presentarsi all’ autore. Essa ha il portamento maschile, senza mammelle, con voce grave, però senza barba al mento con leggieri mu- stacchi. Il pene è imperforato, e rimane pendente, es- sendo rattratto dall’ uretra, che è fissata nella biparti- Serie V. — Tomo IX. zione dello scroto, in cui non mancano i testicoli e non havvi indizio di perforazione meccanica. L’ uretra si apre alla distanza di 4 centimetri dal glande. La prostata è sensibile al tatto. Osserv. 71. — Gaffé de Nantes. Journal de médecine et de chirurgie pratique. Paris 1885, Février. Un giovane di 24 anni, orfano, giardiniere in un convento, il quale più avanti principiò avere gl’ istinti sessuali che poi si fecero assai vivaci, avendo frequenti erezioni, senza predilezione di sesso; tuttavolta esperi- mentò il coito con compiacimento e riuscita, ma il gio- vane afferma senza ejaculazione. Nulladimeno fu pro- penso a pigliar moglie, ma avanti di maritarsi si pre- sentò all’ autore per esser visitato. Il giovane era imberbe, con voce dolce, linee deli- cate al volto, mani e piedi piccoli, mammelle svilup- pate, con grossi capezzoli ed erettili, fianchi sporgenti, natiche assai rotonde. Aveva il monte di venere coperto di peli, come pure lo erano le grandi labbra, le quali non contenevano alcun corpo solido. Vi erano ancora, ma rudimentali, due piccole labbra; una clitoride lunga o centimetri in erezione, col prepuzio incompleto, e col foro uretrale sottoposto al glande. Sotto la clitoride e fra le piccole labbra eravi un infondibolo profondo 18 millim. senza alcuna apertura. L’ autore rimase in dubbio sul sesso, solo espresse la supposizione trattarsi d’ una femmina. Osserv. 72. — Pozzi Samuel (Paris). Sur deux nouveaux cas de Pseudo-hermaphrodisme. Société de Biologie 1885. Ser. 8. Tom. XII. Mémoires, pag. 23. Osserv. l. — Un ragazzo di 18 anni aveva lo svi- luppo femminino delle mammelle. Vestigio delle piccole labbra sporgenti dal rafe scrotale. Atrofia generale de- gli organi genitali esterni. Osseryv. 2. — Lo stesso caso accennato da Gerin Rose, a cui aggiunge due figure col titolo: Sviluppo femminino delle mammelle ; grandi labbra, piccole lab- bra, imene, vagina, verga atrofizzata, testicoli nelle grandi labbra. Osserv. 73. — Idem. Pseudo-hermaphrodite mal. Comptes rendus de la Société de Biologie. Séance 26 Janvier 1884, pag. 42. Osservazione clinica d’una donna con verga, ipospa- dia e vulva di cui le grandi labbra contenevano i testi- coli. Imene. Atresia vaginale. Osserv. 74. — Buchanan 6. Hermaphrodite aged 9 jahrs, în whom two testicles ware ex- cised from the labia majora. Glasgow Med. Journal March 1885. British Med. Times 14 Febr. 1885. — Vedi Hermann G. Dictionnaire 88 — 704 — encyclopédique des Sc. Méd. Ser. 4. Tom. III, pag. 629. Art. Hermaphrodisme. Una bambina di 9 anni cogli organi esterni e l a- spetto femminino; aveva le ninfe, l’imene, la clitoride, la vagina; aveva ancora le grandi labbra, ma queste contenevano un corpo mobile con un cordone che andava al canale inguinale che giudicò per testicoli. (Non è di- scutibile la estirpazione dei medesimi). Osserv. 75. — Wermann (in Dresden). En Fall von Pseudohermaphroditismus masculinus completus. Virchow' s Archiv 1886. Bd. 104, S. 81. Tafel II, Fig. 3-4. Persona di 18 anni, con abito femminino, cogli or- gani genitali esterni parimenti femminini, e con una vagina cieca, lunga 6 centimetri. L’ utero non fu rico- nosciuto, invece }° A. avvertì due corpi rotondi ai lati della sinfisi, che non potè esaminare; nulladimeno fece la diagnosi d’ uomo. Osserv. 76. — Bescoust Paul. Sur un cas d’ hermaphrodisme. Annales d’ Hygiène 1886, Tom, XVI pag. 780. Una ragazza di 21 anni, amenorroica, alta metri l e 53 centim., colla faccia angolosa, con numerosi peli alle labbra e al mento, con voce forte, petto stretto e glan- dole mammarie maschili, avvertiva a contatto colle donne degli spasmi voluttuosi con emissione d’ un liquido bian- castro. Essa aveva il pube piatto, una verga lunga 2 centim. con glande imperforato e con prepuzio mobile. Sotto la verga vi era una fessura simile ad una piccola vulva che dava accesso ad una cavità profonda 14 cen- timetri a fondo cieco, in cui sboccava l’ uretra; ai lati di tale fessura vi erano due grandi labbra, le quali non contenevano alcun corpo. L’ esplorazione rettale ed ipo- gastrica escluse la presenza dell’ utero e dei testicoli, finalmente l’ esame microscopico dell’ umore supposto spermatico non trovò gli spermatozoi. Ad onta dei dati negativi l’autore si mostrò inclinato al sesso mascolino. Osserv. 77. — Abeles Gustav (Wien). Aer- ztlichen central Anzeiger. Wien 10 August 1892. N. 23. IV Jahrgang. Fanciullo in cui } autore non potè affermare se aveva il sesso femminino, cioè se aveva le grandi labbra, (man- cavano le piccole), un seno uro-genitale con atresia della vagina ed un notevole sviluppo della clitoride, oppure se aveva il tipo mascolino collo scroto bipartito, ipospa- dia, ed alto grado di criptorchismo. Osserv. 78. — Guermonprez (Lille). Une erreur de sexe avec ses consequences. Annales d’Hygiène publique et de Médecine légale. Paris 1892, Septembre et Ottobre. Luisa X. fu posta a servizio a 12 anni da un for- naio; poscia passò sotto altri padroni, che cambiò perchè il servizio era troppo gravoso, e contro la volontà dei parenti partì a 22 anni con una donna per Anversa onde servire in un Caffè concerto. Essa racconta che non ebbe mai mestrui, ma che soffrì d’ erezioni e delle ejacula- zioni, e poscia sperimentò il coito, che riescì doloroso, non avendo alcuna attrazione per la donna, e presto si dette alla vita libertina e corrotta. Essa aveva il collo breve, la tiroide sporgente, senza mammelle, la pelvi maschile, il volto coi tratti virili, dotata di barba, in guisa da doverla raderla due volte al giorno, con peli al pube fino all’ombellico, senza pro- montorio. Aveva inoltre a sinistra un’ ernia inguinale riducibile, lasciando in luogo un testicolo, con epididimo, e canal deferente; aveva in fine un pene piccolo, sotto il quale vi era un solco mediano fino ad un infondibulo rosso ed infrattuoso. L’ autore non aggiunge altro, se non che si trattava d’ una ipospadia. Questo uomo aveva allora 23 anni, Osserv. 79. — Messner (in Wiesbaden). Et neuer Fall von Hermaphroditisnus verus (-Her- maphroditismus verus unilateralis 2) am Lebenden untersucht und beschrieben. Virchow s Archiv 1392. Bd. 129, S. 203. Mit 1 Tafel. I dati per la diagnosi furono un grosso testicolo nel canale inguinale destro, mentre nel carnale sinistro giu- dicò probabile trattarsi d’ una ovaia (convenendo però nella necessità dell’ esame anatomico). Tale individuo, dî 31 anni, era maritato da 7 anni come uomo, sebbene avesse due vistose mammelle. Possedeva un pene col- l’ uretra, ma un solo scroto rudimentale distinto in due rigonfiamenti corrispondenti agli anelli inguinali. Osserv. 80. — Marton C. e Mos. Spurius hermaphroditisme. British Med. Journal 1295, pag. 81. All’ esterno vi erano i caratteri femminini e gli or- gani essenziali del maschio. Colla discesa dei testicoli si svilupparono i peli sul pube, si gonfiarono le mam- melle ed avvennero sintomi d’isterismo. Osserv. 81. — Kaplan Paul S. Hermaphro- ditismus und Hypospadie. Inaug. Diss. Berlin1895. Un bambino di 4 anni, con abito femminizo, morì di catarro. Alla necroscopia si trovò un’ abnorme clito- ride, ipospadia perineale, un utero mascolino fra l’ aper- tura uretrale. Non si trovarono nè i testicoli, nè le ovaie; (almeno questi organi non risultano dalla relazione del Jahresbericht fiir 1895. Bd. II, S. 433 (34) ). Osserv. 82. -- Griiner. Utero e trombe di Falloppio in un uomo. Gior. della R. Accademia di Torino 1897, pag. 257. Un uomo di 36 anni, ammogliato, senza prole, tele- grafista, fu giudicato privo del testicolo destro con er- nia inguinale a sinistra e con tumore del testicolo dallo stesso lato, duro e bernocoluto. Coll’ atto operatorio ed aperto il canale inguinale lA. trovò un utero bicorne in- serito nella prostata fra la vescica ed il retto, ed inoltre un dotto deferente che costeggiava il collo dell’ utero e sì perdeva diramandosi in canalini in prossimità della tuba destra. L'uomo aveva sempre adempito ai doveri coniu- gali e non aveva mai avuto perdita sanguigna dall’uretra ed i genitali esterni erano formati in modo perfetto. —MR Osserv. 83. — Chiarleoni G. Due casì di deformazione esterna. Clinica ostetrica dell’ Uni- versità di Palermo. Nel 1898 vide due sorelle, una di 17 anoi e l° altra di 15 anni, che non avevano avuto alcun segno di mestruazione. La maggiore era alta di persona, con membra virili e col tronco proporzionato e caratteristico del sesso ma- schile. Nessuna traccia di peli nella faccia, scarsi al- l’ ascella e al pube, voce dolce ma maschile, mediocre intelligenza, timida, con mammelle bene sviluppate for- nite di capezzoli erettili. Ai lati del pube si conosce- vano due corpicciuoli, grossi poco meno di un uovo di piccione, che potevano per un breve tratto immaginarsi nel canale inguinale, e colla distribuzione dei peli al pube propria del sesso femminile. Inferiormente al pube eravi un corpicciuolo lungo 3 centimetri, che termina con un glande imperforato fornito d’ una doccia che si continua inferiormente in un canale lungo 5 centimetri che immette nella vescica. La doccia è rivestita da una mucosa in continuazione colla vescica urinaria. Nessuna traccia di borsa scrotale. L° esame retto-vaginale non permise di riscontrare nè la vagina, nè l’utero, nè l’ovaia. L’ A. giudicò trattarsi di un maschio con ipospadia pe- rineale che chiama vulviforme, e colla differenza dalle comuni ipospadie per la presenza delle mammelle e la mancanza della fessura scrotale e dello seroto stesso. La minore o seconda sorella era parimenti un ma- schio con mammelle. Ed anche in questo caso la leva- trice e la madre erano cadute nell’ errore del sesso. Essa era di carattere riottoso, e resistente alle indagini cliniche. — L’ A. si occupa delle conseguenze sociali poco liete delle due gemelle da lui descritte. Osserv. 84. — Taruffi C. Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna 1899. Serie V, Tom. VII, pag. 759. Con tavola. Virginia Mauri, nata in Roma nel 1859, raccontava quanto segue. Ella aveva due sorelle viventi ed a 16 anni era già mestruata. Da prima sentiva inclinazione verso il sesso maschile in guisa che rimase incinta due volte quantunque il coito le riescisse doloroso, ma la gravidanza non giunse a termine, interrotta ogni volta per aborto. Raccontava inoltre che in seguito le si ma- nifestò anche l’ inclinazione per il sesso femminile. All età di 20 anni la Virginia era alta ]38 centi- metri; aveva le gambe corte e sproporzionate rispetto al tronco. La sua pelle era bruna dovunque, tranne al petto ove era bianca. I capelli erano neri, come pure i peli della faccia e del pube. Le mammelle poi e la voce erano maschili. Quando la Virginia giunse a Bologna nel 1896 aveva la barba nera ed assai folta; i capelli di egual colore, molto lunghi. Un fatto molto importante si fu che il Dott. Ravaglia verificò la mestruazione, durante il suo soggiorno in città. La Virginia aveva sotto il pube un cilindro spor- gente carnoso, che allo stato floscio misurava centi- metri 5 1/; fornito di glande e di prepuzio, con indizio del frenulo. Il Dott. Ravaglia seppe che in origine il glande aderiva inferiormente alla cute del suddetto ci- lindro, e che un chirurgo recise trasversalmente il tes- suto rattratto in corrispondenza della sede del frenulo; in tal guisa le parti si poterono allungare, e sì rico- nobbe la mancanza del canale uretrale rimanendo sol- tanto un solco con superficie liscia e con alcune lacune a fondo cieco. Sotto il cilindro carnoso apparivano le grandi labbra, fra cui si riconoscevano anche le piccole labbra ed in alto l’ orificio uretrale. Fra le medesime labbra si pene- trava facilmente in vagina e si raggiungeva col dito il collo dell’ utero; ma coll’ esplorazione non sì riuscì a scoprire nè i testicoli nè le ovaie, sia nelle grandi lab- bra, sia nell’inguine. Non fu permesso l’ esame per l’ intestino retto. nere Qui è opportuno di ripetere un avvertimento sulle osservazioni sud- dette e cioé che il loro numero sebbene sembri sufficiente per una mono- grafia, tuttavolta non basta per risolvere alcuni quesiti sulla frequenza, come può verificarsi nel Capitolo II; poiché ivi sono rilevati i principali caratteri e intorno ad alcuni non si può sempre stabilire se si tratta di un pene o di una clitoride, o d’ un sesso dubbio o d’ uno anorchido, op- “ pure d’ un abito femminino o promiscuo. Da ciò risulta che volendo stabilire la frequenza di ciaschedun carat- tere, al qual fine abbiamo redatto i seguenti specchi, bisogna accogliere le somme come approssimative al vero, ma non come dati esatti: risul- tato sebbene imperfetto, non destituito però d’ importanza, perché in ante- cedenza non abbiamo esaurito i confronti con tutti i caratteri fra loro; cosa che potranno fare altri in aggiunta ai dati già esposti negli specchi. — 706 — LOR S S a Resi 9 n, 9 % . PE n Uretra z 5 Stato civile Abito di corpo Pene Glitoride Scroto Testicoli indotti maschali E © 5_R IZ O 1 Vedova Taciuto —_ — = n = 2 Ragazza — — — — = —_ 3 14 anni Femminile Microfallo —_ —_ inguinali Ipospadic 4 Monaca — — — — = = Ò Giovane maschio _ imperforato -- Oschio-schisi scrotali Meato atre 6 Bambina di 13 — naturale -- Oschio-schisi scrotali _ anni. 7 Giovane donna | Femminile poco = Dopo la pubertà, — — Sbocco in va sviluppato, con la clitoride simile mammelle. ad un pene atre- “ tico. 8 Maschio. Età i- — Microfallo — Oschio-schisi scrotali Tpospadia s gnorata. 9 Sposa Senza barba. Tri- | Pene imperforato — Oschio-schisi scrotali Ipospadi bade. 10 Uomo -— Pene imperforato —_ Oschio-schisi scrotali — Il Giovane maschio. — Pene con ipospa- — Oschio-schisi scrotali Tpospadi Età taciuta. dia. 12 Fanciulla Abito mascbile Pene naturale _ — Monorchido scro- — tale. 13 Uomo di 31 anni| Abito virile Pene con canale —_ Senza scroto. Tu-|inguinali. Lo sper- | Sbocco al pe anomalo. mefazione. ma usciva col-| per un foro l’ urina. 14 Bambino di tre - Senza pene —_ e — Sbocco per |] mesi. mefazione tale. 15 Giovanetto avan- | Abito femminino | Pene imperforato — Oschio-schisi scrotali Ipospadia p ti la pubertà. neale. 16 Ignorato i — — Sè: sa = 17 Fanciullo avanti _ Microfallo _ Oschio-schisi scrotali Ipospadia to la pubertà. — 707 — Specchio I. ricavato dalla Nota II. | Sesso Mestruazione Ernie Cambiamento Inclinazioni anatomico ed amenorrea inguinali di sesso sessuali Organi femminini | | | Eredità Varietà a = Vedi Osserv. 1. (Auria). — Mestruazionea15 — — —_ -- — = anni. Cambiamento di = _ In età inoltrata — _ — = sesso rivelato dopo molti anni. 2 Mestruazione ir- —- -- = = Vulva e vagina = regolare. a fondo cieco. Testicoli _ —_ = Dubbia inversio- — e — ne. aa =L 2 — = Due fratelli con —_ — deformità ses- suali. = —_ Ernia a destra — = “a = Bier — di To 3 2 Me, 23 Stato civile Abito di corpo Pene Glitoride Scroto Testicoli indotti Uretra © £ maschile E È dn Zi ° sa 4 Vedova Taciuto — = = Fon asi 2 Ragazza = Da = = a = 3 14 anni Femminile Microfallo = = inguinali Tpospadia 4 Monaca = ca i; di. a _ 5 Giovane maschio = imperforato _ Oschio-schisi scrotali Meato atretico 6 Bambina di 413 — naturale — Oschio-schisi serotali Da anni. n Giovane donna | Femminile poco —_ Dopo la pubertà, _ = Sbocco in vagina sviluppato, con la clitoride simile mammelle. ad un pene atre- tico. 8 Maschio. Età i- — Microfallo _ Oschio-schisi scrotali Tpospadia scrotale gnorata. 9 Sposa Senza barba. Tri- | Pene imperforato — Oschio-schisi scrotali Tpospadia bad E de. 10 Uomo — Pene imperforato = Oschio-schisi scrotali È 1A Giovane maschio. —_ Pene con ipospa- — Oschio-schisi scrotali Tpospadia Età taciuta. dia. 12 Fanciulla Abito maschile | Pene naturale — = Monorchido scro- a tale. 13 |Uomodi31anni| Abito virile |Pene con canale — Senza scroto. Tu- |inguinali. Losper- | Sbocco al perineo anomalo. mefazione. ma usciva col-| per un foro. l’ urina. 14 |Bambino di tre —_ Senza pene = 1 = Shocco per la tt: Mesi. mefazione sero tale. 15 Giovanetto avan- | Abito femminino | Pene imperforato —_ i isi î Tpospadia peri” FO P Oschio-schisi scrotali A 16 Tgnorato = i IE psi sal _ 47 [Fanciullo avanti — Microfallo —_ Oschio-schisi scrotali Tpospadia ig la pubertà. mero dene ervazioni > (22) To — ripetuto Chi (2) 1 C=) Mi Sesso, anatomico | RA | Cambiamento di sesso rì velato dopo molti anni. Testicoli Mestruazione ed amenorrea Mestruazione a 15 anni. Mestruazione ir- regolare. Ernie inguinali — 707 — Cambiamento di sesso Specchio I. ricavato dalla Nota II. Inclinazioni sessuali Predità | | | | Organi femminini Varietà Ernia a destra In età inoltrata Dubbia inversio- ne. Due fratelli con deformità suali. ses- Vulva e vagina a fondo cieco. Vedi Osserv. (Aunia). Numero delle osservazioni Stato civile Abito di corpo Pene Glitoride Scroto CS vo) 20 26 do —] 28 29 31 Uomo di 23 anni Maria Dorotea Idem - Diagnosi clinica ed ana- tomica. Idem - Dopo la pubertà. MaddalenaLefort di 16 anni. Donna Contadina di 18 anni. Femmina di 18 anni. Donna di 52 anni Fanciullo di età ignorata. Soldato Donna Donna di 21 anni Ragazza Donna di 24 anni Donna Soldato Abito maschile di- scontinuo ; incli- nazione ai maschi Abito maschile Statura piccola; poca barba. A 20 anni barba folta. Mammelle. Femminino. A 19 anni amenorroica con mammelle piriformi. Femminino. Ame- norroica. Senza abito fem- minino, maritata rimase sterile. Abito virile con mammelle. Femminile. Incli- nazione maschile. Abito maschile mal conformato. Abito virile a 24 anni. Inclinazio- ne maschile. Abito femminile Abito femminile senza mammelle. Istinti maschili. Femminino Microfallo col glande. Microfallo Microfallo con pre- puzio. Glande virile im- pervio (senza pe- ne). Ipospadia totale Microfallo imper- forato. Pene ricurvo e piccolo. Pene infantile con glande e prepu- zio. Microfallo imper- forato con glande e prepuzio. Glande sessile Oschio-schisi Oschio-schisi Clitoride imperfo- rata con prepu- zio, lunga 22 mm. Oschio-schisi Glitoride bene svi- luppata. Glitoride bene svi- luppata. vuote. Scroto diviso Lunga poll. 1 14, grossa, con pre- puzio e glande. Oschio-schisi Oschio-schisi Oschio-schisi Oschio-schisì Due piccole borse Testicoli indotti Senza testicoli Scrotali Un testicolo in un labbro vulvare. Testicoli incerti nelle grandi lab- bra. Inguinali Scrotali Occulti. Sperma riconosciuto. Serotali Scrotali. Idrocele Scrotali Uretra maschile Ipospadia alla dice del pene. Tpospadia serot Ipospadia Senza uretra. I spadia perinea Sbocco vagina Sbocco in vagi Ipospadiabalani Tpospadia tota Sbocco nell’ i troito vaginale Sbocco dallo scro Ipospadia tota bocco simile l'apertura vulv re. i Ipospadia lie sotto la verga. Tpospadia Ipospadia L1IPUUl Lo Sesso anatomico Ermafrodito ne- croscopico. Sesso dubbio |A 18 anni ame- Ermafrodito al- ternante. Mestruazione ed amenorrea Segni mestruali Mestruata a otto anni. Amenorroica. Mestrui dopo i 18 anni. norroica. Mestruazione Ernie inguinali Ernia bilaterale Ernia bilaterale — 709 — Cambiamento di sesso Cambiamento di sesso più morale che fisico. Cambiamento di sesso più morale che fisico. Specchio II. ricavato dalla Nota II. —_—=—=——mT=c-eeaeaeaeaon_ _ «o. ————————1+Y 66p@a0@x%1k1r rwcororr*-*aea«*"qoYv_ ___—————e-coeeeeee———————— Inclinazioni sessuali Apparente inver- sione sessuale. Apparenteinver- sione sessuale. Apatia Eredità In tre fratelli so- pra quattro con ipospadia. Due sorelle sopra quattro con de- formità sessuali. Su 5 fratelli, 3 avevano la stes- sa deformità. Organi femminini Vulva con testi- coli nelle srandi labbra. Autopsia : vagi- na, utero, trom- be, un testicolo, una ovaia, la prostata. Morta nel 1834. Organi genitali inferiori femmi- nei completi.Oc- clus. d. vagina. Vulva con gran- di labbra e utero atrofico. Vulva con due grandi labbra. Ermafrodito al- ternante. Vagina. Utero re- troverso. Atresia dell’ ori- ficio vaginale. Varietà Giudizio medico- legale. Senza inclinazio- ne per alcun sesso. Due aborti Amputazione della clitoride. Vagina artificia- le. Coito. Senza prole. Oa Ti 2 eo. o È Stato civile Abito di corpo Pene Glitoride Scroto Testicoli indotti Uretra GE Maschile dw 5 » = 18 Uomo di 23 anni | Abito maschile di-| Mierofallo col — = =) Tpospadia allana. 18 scontinuo ; incli-| glande. dice del pene, nazione ai maschi 4 19 Maria Dorotea | Abito maschile —_ = Oschio-schisi Senza testicoli Tpospadia penidea | 19 20 Idem - Diagnosi — _ = "= ni = | 20 clinica ed ana- | tomica. pal 21 Idem - Dopo la|Statura piccola; Microfallo = Oschio-schisi = Tpospadia Scrotale U pubertil. poca barba. 22 MaddalenaLefort| A_20 anni barba _ Glitoride imperfo- = E Tpospadia Q di 16 anni. folta. Mammelle. rata con prepu- zio, lunga ?2mm. 23 Donna Femminino. A. 19 | Mierofalloconpre- — Oschio-schisi Scrotali Senza uretra; Ipo- 28 anni amenorroica | puzio. Spadia perineale, con mammelle piriformi. dU Contadina di 18; Femminino. Ame- _ Glitoride bene svi- —_ Un testicolo in un| Sbocco vaginale | | ®* anni, norroica. luppata. labbro vulvare. 25 Femmina di 18|Senza abito fem- = Glitoride bene svi- —_ Testicoli incerti |Sbocco in vaginalgl anni, minino, maritata luppata. nelle grandi lab- rimase sterile. . bra. 26 Donna di 52 anni | Abito virile con Glande virile im- = Due piccole borse Tuguinali Tpospadiabalanica 26 mammelle. pervio (senza pe- vuote. ne). 27 Fanciullo di età —_ Tpospadia totale — Scroto diviso — Tpospadia' totale 2 ignorata, 26 Soldato Femminile. Imeli- — Lunga poll. 1 14, = == Sbocco nell'in-| || 28 nazione maschile. grossa, con pre- troito vaginale. puzio e glande. 29) Donna Abito maschile | Microfallo imper- - Oschio-schisi Scrotali Sboccodalloscroto, 29 mal conformato.| forato. 30 (Donnadi2lanni|Abito virile a 24|Pene ricurvo e — = Occulti. Sperma |Ipospadia totale. 50 anni. Inelinazio-| piccolo. riconosciuto. bocco simile al- | ne maschile. — l'apertura vulva: LI . do o N re. n po 31 Ragazza Abito femminile | Pene infantile con = a iS Tpospadia lieve] {0 31 glande e prepu- sotto la verga. zio. 32 )onna di 24 anni « NA DE (6 q È di A » 92 Donna di 24 anni | Abito femminile | Microfallo imper- = Oschio-schisi Scrotali Tpospadia | senza mammelle. | forato con glande Istinti maschili. | e prepuzio. 33 Donna ini " a i Li) Femminino i — Oschio-schisi |Scrotali. Idrocele Tpospadia 34 Soldato = Glande sessile ; GS , = s i Oschio-schisì Scrotali S — 709 — Specchi sica È pecchio II. ricavato dalla Nota II. | = | Sesso Mestruazione A Tune, Cambiamento Imelinazioni 0 . atomico ed amenorrea inguinali | di sesso sessuali Bredità Sigami — 1 BR anaton | essuali femminiîni Varietà | | È 7 —— pos Segni mestruali = 3 Apparente inver- = Vulva con testi A d Co. (NU S ale > " lone sessuale. coli nelle grandi labbra, Ermafrodito ne- = Gin 53 = -- Autopsia : vagi- GrOSCOPico. na, utero, trom- he, un testicolo, ah A ne una ovaia, la = aa) = prostata. Morta nel 1834, Lx = — Cambiamento di = In trefratelli so- = sesso più morale pra quattro con che fisico. Ipospiudia. xi Mestruata a otto = _ ‘Apparente inver- _ Organi genitali anni. sione sessuale. inferiori femmi- nei completi.Oc- À ; clus. d. vagina, ar = = Cambiamento di n —_ _ Giudizio medico- sesso più morale legale. che fisico. | = Amenorroica. _ — Apatia —_ Vulva con gran- Senza inclinazio- Mestrui dopo i dilabbra e uteroj ne per alcun 18 anni. atrofico. SESSO. Sesso dubbio |A 18 anni ame- —_ — —_ Due sorelle sopra|Vulva con due — norroica, quattro con de-| grandi labbra. formità sessuali. —_ — Ernia bilaterale = = = o A Ermafrodito al- Lal a he si = Ermafrodito al- - ternante. ternante, de: = aa = Vagina. Utero re-] Due aborti tr'overso. a fe = 'Atresia dell' ori-/Amputazione a Mestruazione = 53 ficio vaginale. | della clitoride. Ernia bilaterale Su 5 fratelli, 3 avevano la stes- sa deformità. Vaginaartificia- le. Goito. Senza prole. — 710 — ona © 5 SAS Uret o a Stato civile Abito di corpo Pene Clitoride Scroto Testicoli indotti Teva o © maschile Sia [=> JR (75) Ze I 35. |Bambino di 5|Inclinazioni ma-| Pene atretico mancante mancante mancanti Ipospadia al pe anni. schili. 36 |Africano di 18|Voce femminile. Microfallo — Grandi labbra mancanti Tpospadia per anni. Mammelle volu- neale. minose. 37. |Donnadi 77 anni | Propensione per — Ipertrofia con pre- _ = Uretra unita co le femmine. puzio. vagina. 38. [Uomo di 33 anni | Femminile e gros- | fornito d’ uretra —_ rivolto a destra |Scrotale a destra, = se mammelle. un tumore a sì nistra. 39 |Ragazza di 17| Istinti maschili | Pene rudimentale —_ Oschio-schisi Non trovati col- Ipospadia anni. col glande im- l’ esplorazione. perforato. (Griptorchia). 40. [Donna di 21 anni | Voce grave. Senza | Pene rudimentale = bilobato inguinali Ipospadia propensioni ses-| imperforato. suali apprezza- bili. Barba appa- riscente. 41. [Vedova di 73| Costituzione ma-|impervio e breve — bipartito scrotali Senza l’ ureti anni. schile. Senza mammelle. 42. |Ragazza. Institu- | Indeciso fra i due imperforato — bipartito Un testicolo scro- | Uretra e cond trice inuna pen- | sessi. tale a destra. In-| eiaculatori sb sione. Superata guinale a sini-| cavano nella la pubertà stra. Va. 43 |Giovane(Caso 2°) | Con tendenze ver- — più svilnppata del —_ inguinali _ so le femmine. solito. Con mammelle e tipo femminino. 44. |Uomo di 49 anni| Senza barba = — Oschio-schisi scrotali Tpospadia est 45 [|Celibe di 37 anni | Maschile. Senza corto —_ Osehio-schisi scrotali Tpospadia est mammelle. inferiormente meato superi mente. 46 |Uomo di 30 anni | Aspetto femmi-|Pene senza prepu- = _ Testicoli nelle — (Caso 1°). nino. zio e perforato. grandi labbra. Fiaculazioni se- minali. 47 |Ragazzo di 13| Abito femminino.|Microfallo. Senza _ Due pieghe cuta-|Grandi come una |Sbocco sotto anni (Gaso 2°).| A 30 anni barba | prepuzio. nee. grande fava e| glande del pe e mammelle. scrotali. Fiacula- zione dal pene. 48. |Maniaca di 26|Col volto femmi- Microfallo — Scroto bipartito |Scrotali. Senza |Ipospadiabala anni. nino e col tronco ; traccia di sper- virile. Amò da matozoi. prima una fem- mina. — N11 — Specchio III. rieavato dalla Nota II. Sesso Mestruazione | . | anatomico | ed amenorrea | i Sesso dubbio |Mestruata per la via del pene. ‘|Amenorroica dall’ origine. Diagnosì dubbia, del resto un ma- schio. Ernie inguinalii Gambiamento di sesso Supposizione. Er- nia della vesci- ca. Sesso maschile verificato colla chirurgia. Maschio Due testicoli Maschile con abi- to femminino. Amenorroica dopo la pubertà. Amenorroica Serie V. — Tom o IX. Inclimazioni sessuali Eredità Ù Organi ' femminini Varietà Senza propensio- ne sessuale. per le femmine Due fratelli sopsa 5 con ipospadia. Caso 1° Gemelli con deformità sessuali. Uno si annegò. Due cu- gini materni con deformità se s- suali. Eredità (Vedi Va- rietà). Non riconosciuti la vagina, l’ ute- ro, nè la prosta- ta. Gaso 2° Vulva con grandi e piccole labbra. Vulva con grandi e piccole labbra. 89 Inclinazìoni ma- schili. Vita avventurosa Suicidio Si annegò il pri- mo cugino. Senza barba Ebbe commercio con una donna nubile che par- torì un figlio conforme all’ a- VO. — 710 — anni. nino e col tronco virile. Amò da prima una fem- mina. ’ traccia di matozo1. sper- hi, = Specchio III. rieavato dalla Nota II. Serie V. — Tomo IX. 89 oa 3 E Ù, Ea | S 3 soa j i cor litoride Scroto Testicoli indotti Tetra PIERS) , DA 3 S £ Stato civile Abito di corpo Pene Glito maschile ||Z/S 2 Sesso. Arasinazione . Ernie Cambiamento Inclînazioni | O O a) £2 | anatomico ed amenorrea inguinali di sess ssuali Predità SS 7arictà E Ei ES | Mae © sessuali l femminini Varietà na | il === 8 | 35 |Bambino di 5|Imelinazioni ma-| Pene atretico mancante mancante mancanti Tpospadia al Dent “1 anni. schili. || 35 gf" 6 Due fratelli sopra —_ Inclinazìioni ma- ) Con ipospacia. schili. 36. |Africano di 18| Voce femminile. Microfallo = Grandi labbra mancanti Tpospadia peri. 3 anni Mammelle volu- neale, 36 Sesso dubbio Mestruata per la = a Re, e : Ù ioetreà via del pene. 37. |Donnadi 77 anni | Propensione per - Tpertrofia con pre- a har Uretra unita colf NN BERTO le femmine. puzio. Vagina, 97 fon ASMNeMOTLOnlea # = = — = dall’ origine. 38. |Uomo di 33 anni | Femminile e gros- | fornito d’ uretra — rivolto a destra |Scrotale a destra, _ ” È : da se mammelle; un tumore a si- 38 |Diagnosì dubbia, — Supposizione. Er- _ = n Non riconosciuti mA, delresto un ma- nia della vesci- la vagina, l' uie- i p ì- i) ; Di : schio. ca; ro, nè la prosta- 39 [Ragazza di 417) Istinti maschili | Pene rudimentale — Oschio-schisi |Non trovati col- Tpospadia i ta. anni. col glande im- l'esplorazione. 39 = = = a 2 ta da, » perforato. (Griptorchia). 40. |Donnadi 2 anni| Voce grave. Senza | Pene rudimentale = bilobato inguinali Tpospadia $ I 0 40 = = —_ _ Senza propensio- propensioni ses-| imperforato. Senza] pe) S > = E. suali apprezza Pet EEERRELA bili. Barba appa- riscente. 41 |Vedova di 73| Costituzione ma-|impervio e breve = bipartito scrotali Senza l’ uretra || , * anni. schile. Senza il pci ca a SF a “i — Vita avventurosa mammelle. 42 |Ragazza. Institu- | Indeciso fra i due imperforato —_ bipartito Un testicolo, scro- | Uretra e condotti È ,o pr CS ut 20 sd È rd Suicidio trice inuna pen- | sessi. tale a destra. Im-| eiaculatori shot Suicidic sione, Superata guinale a sini-| cavano nella vul la pubertà stra. Va. 43 Xov 2° ze Ver- pe iù svi = j inali Sa 3 c 3 rt i Giovane (Caso 2°) | Gon pene Dl ariinppata del inguinali 13 |Sesso maschile| _ — —_ _ Caso 1° Gemelli[Gaso 2* VulvalSi annegò il pri- C È SRO SOLILO: verificato colla con deformità) con grandi e) mo cugino. MIEI OO chirurzia. sessuali. Uno si| piccole labbra. tipo femminino. Si annegò. Due cu- annegò. ) gini materni con “ : 70 Ù E ; DE n° A PA 7 è È deformità SOs- - Uomo di 49 anni Senza barba Oschio-schisi serotali Tpospadia estesa 44 Maschio *. 2a LAS PR Sit po: Senza barba 49 |Gelibe di 37 anni | Maschile. Senza corto _ Oschio-schisi scrotali Tpospadia estesi 45 | puo testicoli Io E = per le femmine [Eredità (Vedi Va- _ Pbbe commercio mammelle. inferiormente co rietà). con una donna meato, superior nubile che par- mente. torì un figlio conforme all' a- pi VO. i 50 anni| Aspetto femmi-| Pene senza prepu- == E jcoli _ 4 ; : = 13 DE = Yulva con grandi - 46 Uomo d 30 ann Aspetto f o prep Testicoli nelle 46 Maschile conabi: e Vuly on sani (Gaso 1°). nino. zio e perforato. grandi labbra. to femminino. e piccole labbra. Eiaculazioni se- minali. 47 azz i SoeremInini a 5 5 o Ìì : id, Ss - AIR dI Ss itafemminino, Microfallo. Senza = Due pieghe cuta-| Grandi come una Bbocco me Uri — Amenorroica _ = = { suli Si RI arba | prepuzio. nee. grande fava e glande dopo la pubertà. e mammelle, scrotali. Eiacula- zione dal pene. 48 iaca di 2 i ; ; BOI î ja balani i = = * s Maniaca di 26|Col volto femmi-| Microfallo Scroto bipartito, | Scrotali. Senza Ipospadiabal 48 Le A tenioirotca ne us rsa delle osservazioni 149 50 53 57 (Sai (e e) ni Ne} 60 61 62 Stato civile — 712 — Donna di 40 anni Contadina di 30 anni. Contadina di 27 anni. Uomo attempato (caso omesso). Tessitrice di 13 anni. Giovane di 21 anni. Contadina di 30 anni. Contadina dopo la pubertà. Ermafrodito (do- cumento del 1537). Ragazzo di 16 anni. Uomo di 32 anni Uomo di 30 anni Cuoca di 40 anni Ragazzo di 17 anni. È ; ; A 2 AE . Uretra y. i Scr i 3 Abito di corpo Pene Clitoride croto Testicoli indotti IMAschae Abito virile e| Verga flacida sen- — laterale! Un testicolo scro- | Ipospadiaconu mammelle ab-| za meato, prepu- tale. ta del seme. bondanti. Indif-| zio cadente, però ferenza sessuale. | atta al coito. Abito femminino. — Simile ad un pene bipartito Gon due testicoli — Si maritò a 19 anni. Carattere dolce. Senza istinti ses- suali. A_25 anni s'accorse di esse- re di conforma- zione sessuale particolare. Tur- bamento morale. Abito virile. Abito femminino. Maritata. Sterile. Abito maschile Abito virile Abito femminino Abito mascolino Abito femminino Abito incerto Pene Pene curvo Pene curvo lungo 6 centim. lungo 6 centim. impervio. Pene Pene Ignorato imperforato con Senza prepuzio. uretra. Oschio-schisi Osghio-schisi scrotali supposti tali. scrotali Un testicolo scro- tale. Testicoli scrotali Due grandi labbra | Testicoli scrotali Due grandi labbra | Testicoli scrotali Oschio-schisi Testicoli inguinali Glitoride iperpla-| Due grandi labbra | Due glandole con stica. Ignorata Due grandi labbra cordoni diretti agl’ inguini. Anorchidia Ipospadia Ipospadia. Sho scrotale. Doccia uretr Ipospadia pe neo-scrotale. Ipospadia. Sho nella porzione tale. Tpospadia Ipospadia vul) forme per la qu le sì giungeva vescica ed in; gina. Sbocco ignoral Tpospadia — 713 — Specchio IV. ricavato dalla Nota II. l Sesso Mestruazione Ernie Cambiamento Inclinazioni «| anatomico ed amenorrea inguinali di sesso sessuali Non fu fatta la|Perduta la me- — —_ Apatia necroscopia. struazione. Sesso dubbio |Soppressa a 17 - -- Indifferente anni. -- — _ — A patia Sesso dubbio | Amenorroica = par o | | Sesso maschile |Mestruazione dai 17 anni sino ai 46. Sesso dubbio Mestruata Sesso dubbio Sesso dubbio. Le|Mestruazione re- fuca mbiato no-| golare. me tre volte. Amenorroica |Due ernie ingui- nali. Eredità Organi femminini Varietà 5 fratelli con ipo- spadia balanica. Ostio-vulvare in|Sterile e marita- cui sboccaval’o-| ta. Senza utero. rificio dell’ ure- tra con vagina a fondo cieco. — Caso troppo oscu- ro per essere ri- cordato. Ganale ceco, lun- Uccise un fan- go 9 centimetri| ciullo; fu posta (vagina). nel Manicomio. Atrofia nelle par- — ti generative e- sterne. Vagina lunga $ centim. Vagina mascoli- = na. pr Ermafrodito bru- crato VIVO Apertura vulva- — re. Vagina cieca lunga 6 centim. Vagina con sboc- = co nell’ uretra. Utero, mediante l’ esplorazione rettale. Vagina lunga tre = pollici. — 712 — — 13 — | 5 i e ‘ ’" Tr = ___ o hc iiiaoo]Ò—--,]},>,$;!]rec=® Specchio IV. ricavato dalla Nota IL. = va CES, De Tina Ù |E50 N se . . LETO Ser ij 9 otra SZ x . È n SE Stato civile Abito di corpo Pene Glitoride Sceroto esticoli indotti SARI SE Sesso Mestruazione . Ernie: Cambiamento | Inclinazioni : SE aschile 15 | anatomico ed amenorrea inguinali di sesso sessuali Predità Organi dae 00) \|E 9. URI femminini Varietà === = x = n DzA . È vale! J Ì .0- ò = 49 |Donnadi 40anni | Abito virile e | Verga flacida sen- = laterale! nntesticolo 5010; Tpospadiaconuse 19 |Non fu fatta la|Perduta la me- ra - , mammelle ab-| za meato, prepu- ale: ta del seme, ||| necroscopia. struazione. Apatia —_ A P bondanti. Indif-| zio cadente, però | ferenza sessuale. | atta al coito. 50 |Contadina di 30/| Abito femminino. = Simile ad un pene bipartito Con due testicoli = 50 | Sesso dubbio |Soppressa a 17 = e A anni. Si maritò a 19 imperforato con SETORBLI supposti | rn. Indifferente —_ Ostio-vulvare in|Sterile e marita- anni. prepuzio. Senza tali. | cui sboccaval'o-| ta, Senza utero. uretra. rificio dell’ ure- : | tra con vagina a 5I {Contadina di 27 = Pene =i = scrotali Ipospadia ||| 51 = Di 2a na fondo cieco. anni. di > => —_ | 52 [Uomo attempato — = = SF = — Il 52 i =S 2 2 1086 (caso omesso). | a “ Caso troppo oscu- | to per essere ri- 5 x | cordato. 53 |Tessitrice di 13|Carattere dolce. Pene curvo — Oschio-schisi n testicolo scro- | Ipospadia. Shocel]| 53 — — - Si i ; amati Senza istinti ses- tale. serotale. | Apatia = Canale ceco, lun- Uceis im fan- suali. A_25 anni | go 9 centimetri] ciullo; fu posta s'accorse di esse- | (vagina). nel Manicomio, re di conforma- | zione sessuale particolare. Tur- | bamento morale. Abito virile. | | ù | 54 iova 2 VI _ io-schisi l'esticoli serotali ia uretralejl| 5 & = > ; 5 Ghovene di 21 Pene curvo Osghio-schisi Testicoli serotali Docci po, 54 n = War 5 fratelli con ipo- sh. ps i POSpaciasneri ai spadia balanica. neo-scrotale. 59 {Contadina di 30 Aulo Sonnino: _ - — _ — 55 | Sesso dubbio | Amenorroica _ _ — = Atrofia nelle par- _ anni. Taritata. Sterile. ti generative e- sterne. Vagina È é x a i, a . ar ; sg = s ; di lunga $ centim. 96 Contadina dopo | Abito maschile | lungo 6 centim. = Due grandi labbra | Testicoli scrotali | Ipospadia. Sboco]| 58 | Sesso maschile |Mestruazione dai - =. _ = Vagina mascoli- — la pubertà. nella porzione tt 17 anni sino ai na. tale. 46. 57 |Ermafrodito (do- _ Dai = = 2A = SI n = Du PE = e = Ermafrodito bru- cumento del | ciato vivo 1537). 58 |Ragazzo di 16| Abito virile lungo 6 centim. = Due grandi labbra | Pesticoli serotali = I|| 58 — = —_ —_ = = Apertura vulva- ii anni. impervio. re. Vagina cieca lunga 6 centim. r . b . . ss SI SE Ù, e È A . R Si = 09 |Uomo di 32 anni | Abito femminino Pene = Oschio-schisi |'Testicoli inguinali Ipospadia 09 == = = Si Ca = 60 |Uomo di 30 anni | Abito mascolino Pene = = a Tpospadia Vu 60 Sesso, dubbio Mestruata — = = A Moaia conialoo a Ì r la que: caga | Forme E) in Utero, mediante x n ed invi l'esplorazione Ves rettale. gina. a o 6 7 e Mex A * 6 . O ORG Tar (el = = Vagina lunga tre — 61 |Guoca di 40 anni | Abito femminino —_ Glitoride iperpla-| Due grandi labbra | Due glandole con | Sbocco ignorato) 1 Sesso dubbio | Amenorroica Doerernie ingui i Iva B: stica. cordoni diretti o agl’ inguini. 62 7 i ito i % sor i 62 |Ses i struazione re- o — = = A È Ragazzo di 17| Abito incerto Ignorato Tgnorata Due grandi labbra ||. Anorchidia Tpospadia so dubbio. Le/Me anni. fuca mbiato no-| golare. me tre volte. — 714 — IONE = KO MIO o È “Stato civile Akito di corpo Pene Glitoride * Scroto Testicoli indotti Uretra SE f , Alois ‘OT] % i maschile sg © 5 | IZMO. I | 63 Vedova Abite virile con | Pene infantile im- —_ Due grandi labbra | Un testicolo sero- | Doccia ipospa mamemnelle volu-| perforato. tale con ejacula-| Sbocco fra le minose. Inclina- zioni. grandi labbr zione maschile. 64. Donata di 29 anni | Abito femminino | Pene grande im- sà Duse grandi labbra -- Sbocco fra i con caratteri ma-| perforato con 2 lungamenti schili mterposti. | frenuli membra- frenuli, insi niformì. alla vagina. 60 Donna Femmini»o con — Glitoride notevole | Due grandi labbra | Un testicolo sero- — mammelle. tale riconosciuto col taglio. 66 |Femmina di 51 Virile lungo centim.3 3/4, — Due grandi labbra| Due testicoli Ipospadia tot anni. 67 |Donnadi31 anni| Abito femminile — Simile ad un pene | Due grandi labbra | Disuguali nelle |Sbocco nell’ur senza barba. con capuccio. grandi labbra. assai largo da mettere l’ in duzione di u to in vescica s alla clitoride. 68. [Donna di 27 anni | Maschile. Barba | lungo centim. 31/9 _ Due grandi labbra scrotali Scolava dall’ fitta. senza prepuzio e tra, sotto la ve senza uretra. il liquido se Nell’ erezione si nale. curvava. 69 |Ragazza di 26|Abito femminino.|_ Pene piccolo _ —_ Due testicoli - anni. Inclinazione agli uomini. 70. |Orfana avanti la | Portamento ma-|imperforato, pen- — bipartito scrotali Ipospadia pubertà. schile. Senza| dente e rattratto. mammelle e sen- za barba. 71. |Giardiniere di 24| Abito femminino = Glitoride lunga 5| Grandi labbra Senza testicoli | Foro uretrale anni. Orfano. con mammelle centimetri. to al glande d sviluppate. clitoride. 72 |Ragazza di 24|Abito femminino = _ Dal rafe sporgeva- = — anni. con mammelle. no le piccole lab- bra. 73 Donna —_ Con pene —_ Grandi labbra | Testicoli scrotali | Ipospadia peni 74 |Baurbina di 9 Femminino — Con clitoride vi- — Testicoli scrotali — anni. sibile. 75 |Donnagiovanedi Femminino — _ — Testicoli inguina- — 18 anni. li. Corpi ai lati del pube. 76. |Ragazza di 21 |Maschile. Viva in- | Pene imperforato —_ — Griptorchido Ipospadia vul anni. clinazione per le! lungo 2 cent. con forme. femmine. prepuzio mobile. 77 Fanciullo di ses-| Abito incerto Pene incerto o clitoride Grandi labbra |Griptorchismo in Ipospadia so dubbio. alto grado. Sesso anatomico TIpetuto i Mestruazione ed amenorrea Ernie inguinali — Wi — Cambiamento di sesso Specchio V. ricavato dalla Nota 1. Inclinazioni sessuali Eredità Organi femminini Varietà Sesso maschile Sesso dubbio, for- se ermafrodito. Maschile Definitivo ma-|Sempre amenor- scolino. Maschile Sesso dubbio Dubbio Maschile Maschile Maschile Sesso dubbio Mestruazione Amenorroica roica. Amenorroica Amenorroica Amenorroica Amenorroica Paresi sessuale fsame pel retto nè utero, nè pro- stata. Niun indizio di prostata, nè di vescichette 8 e- minali. Grandi e piccole labbra. Vulva profonda centim. 1 1. Una vulva ed una vagina. Sotto la clitoride un infundibolo profondo 18 mil- limetri. Atrofia delle par- ti sessuali ester- ne. Imene. Atresia della vagina. Imene e vagina Vulva e vagina cieca lunga 6 centimetri. L’ esplorazione escluse l’ utero ed i testicoli. Dilatazione del- l’ uretra. Preferì di conti- nuare la vita femminina. Nè vagina, nè utero, nè pro- stata. Mancanza d’ u- tero. Goito doloroso. A 27 anni sì inna- morò di una donna. so dubbio. alto grado. — MdA — no ! — dit — Specchio V. ricavato dalla Nota 1I, (3) 38 * Scrot Testicoli indotti Uret \|S:25 S Mestruazi | 9° È Stato civile Aliito di corpo Pene Glitoride Seroto indotti mast (E NE = Sesso, Mestruazione . Ernie Cambiamento Inelinazioni i Organi o £ Schile SER anatomico ed amenorrea inguinali di sesso sessuali Eredità pa ORG Varietà E © giora femminini 3A 3% e ba ©) 63 Vedova Abito virile con | Pene infantile im- —_ Due grandi labbra Ta testicolo geo; Doccia *pospadin 63 | Sesso maschile | Mestruazione =* 3 Ne i = manenelle volu-| perforato. 2 n Jacula= | Sbocco fra le dui same pel retto _ minore. Inclina- 00 grandi labbra, nè utero, nè pro- zione maschile. stata. 64 |Donmadi29anni| Abito femminino | Pene grande im- = Due grandi labbra 5 Sace fra ipn|| 64 |Sessodubbio,for- pe: Ca i A ne -vradiioe nik i con caratteri ma-| perforato con 2 prgamenti dei se ermafrodito. Stu adizio di A schili muterposti. | frenuli membra- tenuli, insiemi Prostata, nè di niformi. alla vagina vescichetto se- SIA, minali. 65 Donna Femminiso con see Glitoride notevole | Due grandi labbra | Un testicolo sero- È 65 na Angra a ica ss È ; i mammelle tale riconosciuto s = Grandi e piccole ; # col taglio. labbra. 66 [Femmina di 51 Virile lungo centim.3/ Da Due grandi labbra | Due testicoli Tpospadia totale Ill 66 Maschile = =. DSS MO ei Ditta ione na Hi a alaz > del- anni, l'uretra. 67 |Donnadî31anni| Abito femminile = Simile ad un pene Due grandi labbra | Disuguali nelle Sbocco nell'ureta|| 67 [Definitivo ma-|Sempre amenor- = _ —_ = = Preferì di conti- senza barba. con capuccio. grandi labbra. assai largo da per || scolino. roica. nuare la vita mettere 1 inty SARE MMI b duzione Riel fomminina, to in'vescicasotti alla clitoride. 68 [Donna di 27 anni | Maschile. Barba | lungo centim.31/ = Due grandi labbra serotali Scolava dall'ure|| 68 = Amenorroica — = — EI Vulva profonda|Nè vagina, nè fitta. senza prepuzio e tra, sottola verga centim. 1 14, | utero, nè pro- senza uretra. il liquido semi: — |stata, Nell’ erezione si nale. curvava. 69 |Ragazza di 26|Abito femminino.| Pene piccolo —_ —_ Due testicoli i 69 = Amenorroica —_ _ Paresìi sessuale _ Una vulva ed'Maneanza d' u- anni, Inclinazione agli una vagina, tero, uomini. Il | Il > È = È, 70 |Orfana avanti la | Portamento ma-|imperforato, pen- — bipartito serotali Tpospadia ||| 70 Maschile Amenorroica = —_ _ _ - Goito doloroso, A pubertà. schile. Senza| dente e rattratto. | 27 anni si inna- mammelle e sen- | morò di una za barba. donna, 71 |Giardiniere di 24 | Abito femminino — Glitoride lunga 5| Grandi labbra Senza testicoli | Foro uretrale sot-|| YI | Sesso dubbio — —_ —_ = = Sotto la clitoride = anni. Orfano. con mammelle centimetri, to al' glande della un infundibolo sviluppate. clitoride. profondo 18 mil- limetri. 7? |Ragazza di 24|Abito femminino = _ Dal rafe sporgeva- —_ = R Dubbio = # È o = SUOL dalle DoS = anni, con mammelle. no le piccole lab- | MESSIA AEREE © ne. bra. a e. a ; ide | 75 SEUI ZE PE _ I o, Atresia = 73 Donna - Gon pene _ Grandi labbra | Testicoli scrotali | Tpospadia penidu | 73 Maschile Sé "i della dna ; G 5 ERO n: ; ped x na ERESIA n ee = = Tmene e vagina! = 74 |Bawbina di 9 Femminino — Con. clitoride vi- —_ Testicoli scrotali ca 1 Maschile [ua È anni, sibile. "5 E — Vulva e vagina =“ HE n È ne eri 3 © (6) e = —_ = È 5 75 |Donnagiovanedì| Femminino _ = = Testicoli inguina- Maschile cieca lunga 6 18 anni. li. Gorpi ai lati centimetri. del pube. | SABER x : E ; Ae: È : I 76 c 6 ; dari [A DS s.. = .' esplorazione = 76 [Ragazza di 21|Maschile. Viva in-| Pene imperforato = ed Griptorchido | pospadia vuli Sesso dubbio | Amenortoica escluse l’ utero anni. clinazione per le | lungo 2 cent. con forme. ed i testicoli. femmine. prepuzio mobile, ; ; n = = — = ri © QU Traditi sessuali Eredità Oss. Vulva e vagina a fondo cieco. Oss, Totale Oss. | Specchio IL. Organi femminini Stato civile Abito di corpo Pene Glitoride Scroto Testicoli indotti DARCIS Sesso Mestruazione 4 1 anatomico ed amenorrea ————____t_Ò——— e = | SOSso caratteri sue varietà sue varietà forme sede suo shocco | | Femmine, Oss. 19;| Femminile, Oss. 23,|Pene naturale — |Iperplastica. Oss. 22,|Bipartito (Qichio: Incuinali. Oss. 52. | Ipospadia Dalaniglim na. 5 ; 90, 21, 99, 23, 24,| 24, 28, 31, 32, 33 24, 25, 28. ri 0ss. 26. RT alte Segni mestruali. 25, 20, 29) 90, 34, Penericurvo. 0ss.30. Ro, QUA 3 Scrotali. Oss. 23, 29, Ni ene One: 18 pi 38. Maschile. Oss.19, 21, 33, 34, 32, 33, 34. Tpospadia penider ù È 22, 29, 30. Microfallo. Oss. 18, Oss. 18, 19, 28 Iillsasso dubbi Mestruazione pre- Maschi. Oss. 18, 27 21, 23, 20, 31, 32 Labiali. Oss. 24, 25.| 32, 33. | Soa io. Oss.| coce. Oss. 22. (fanciullo), 28, 34. Promiscuo. Oss. 18, 25, 26 (con mam- melle). Totale Oss. 17 Totale Oss. 14 96, 34 Totale Oss. 9 Glande sessile. Oss. Totale Oss. 4 Totale Oss. 9 mA). Totale Oss. 9 Occulti. Oss. 30.(sper- Tpospadia sorotale! Oss. 21, 20. Tpospadia perineale Oss. 23 Vesna oss. 25 28. Uretra aperta. Os 27, 30. Totale 088: 15 | Totale Oss. 3 Amenorrea. Oss. 24, 25. Mestruazione or dinaria. Oss. 34. Totale Oss. 5 Serie V. — Bilaterale. Oss. 26, 33 Totale Oss. 2 Tomo IX. 22. 20. Apatia. Oss. 24. Oss. 34. Totale Oss. 3 Totale Oss. 3 Inversione appa-|Nre fratelli. O88.| rente. Oss. 18. | 21. Inversione. Oss.|Due sorelle. Oss. Ginque fratelli. tosti- (088, Vulva con coli labiali. 18. Vagina eutero con | un testicolo, 088. HI) Organi fomminini completi interni, Occlusione della vagina. Oss. 22, Vulva e utero fe trofico. Oss. 24. Vulva con 2 grane di labbra. Oss. 20. Vagina e utero re- troverso. Oss. 28. 21 Sesso virile pre- ceduto da cam- hiamento di sosso, Oss, 4, Totale Oss. 1 Varietà nenì Vagina atretica Oss. 31. Totale Oss. 7 90 Specchio III. Stato civile — 0 — sesso Femmine. Oss. 37, 39, 40, 41, 42, 48. Maschi. Oss. 35, 36, 46, 38 43, 44, 47. 45, Totale Oss. 14 Specchio IV. Stato civile Abito di corpo Pene Clitoride Scroto Testicoli indotti Urcura maschile caratteri sue varietà sue varietà forme sede suo sbocco Femminile. Oss. 36,] Naturale. Oss. 38. [Iperplasia. Oss. 37,|Bipartito Oss. 36,| Inguinali. Oss. 43.|Ipospadia balar 38, 44, 46, AT. 43. 39, 40, 41, 42, 44, Oss. 47,48. Senza prepuzio. Oss. 45, 46, 48. Scrotali. Oss. 38, 44, Maschile. Oss. 35,37, 46, 47. Senza clitoride. Oss. 45, 46, 48. Ipospadia penii 39, 40, 41, 43, 45. 30. Spostato. Oss. 38. Oss. 35, 39, 40 ONION: Oss 35, Griptorchidi. Oss. 39. Promiscuo. Oss. 42,| 42. Rudimentale. Oss. Ipospadia perin 48. 47. Mancanti. Oss.35,36.| Oss. 36, 49. Microfallo ed imper- forato. Oss. 39, 40, 45. Totale Oss. 14 Totale Oss. 8 Abito di corpo Pene Totale Oss. 3 Glitoride sesso Femmine. Oss. 49 SODIO DOM 61. Maschi. Oss. 52, 54, 58, 59, 60, 62. Ermafrodito. Oss. 57. Totale Oss. 14 caratteri sue varietà ;|\ Femminile. Oss. 50,|Pene imperforato e DIO DONO flacido. Oss. 49, 58. Maschile. Oss. 49,56,|Pene regolare. Oss. 58, 60. 51, 56, 59, 60. Promiscuo. Oss. 62.[Pene curvo. Oss. 53, DA. Totale Oss. 10 Totale Oss. 8 Mancante. Oss. 35. Totale Oss. 12 Scroto Totale Oss. 9 Testicoli indotti sue varietà Iperplastica. Oss. 54,|Bipartito (oschio-|Scrotali. da 64. Totale Oss. 2 forme schisi). Oss. 50, 53, 5 BOSIO MOI DI Laterale. Oss. 49. Totale Oss. 9 sede dd, 09, 04, 96, Inguinali. Oss. 59,61 Totale Oss. 9 49, 50, 098. Sbocco vulvare. 42. Senza uretra. Oss Totale Oss. Uretra maschile suo sbocco Ipospadia peni Oss. 49, 50, 59 Ipospadia sero Oss. 53. Ipospadia peri scrotale. Oss. Doccia penidea l’ uretra. Oss. Ipospadia peri comunicante vescica. Oss. 6 Totale Oss. — 21 — Specchio III. | Sesso Mestruazione _ Ernie. | Cambiamento Inclinazioni Erediti Organi Vanica anatomico ed amenorrea inguinali | di sesso sessuali edita fenimninini arletà | | sr: ————__— @y io dubbio. Oss.|Mestruazione vica-|Ernia vescicale Per le femmine.|Due fratelli. Oss. Vulva colle gran- : ria. Oss. 36. (indotta). Oss. 38. Oss. 45. 35. di e piccole lab- s : . bra. Oss. 43, 46. iso maschile.| Amenorrea. Oss. Apatia. Oss. 40. |Gemelli. Oss. 43. 3.43 (median-| 37, 47, 48. la chirurgia), 5 Figlio conforme Li all’ avo. Oss. 45. otale Oss. 6 Totale Oss. 4 Totale Oss. I Totale Oss. 2 Totale Oss. 3 Totale Oss. 2 Specchio IV. Sesso Mestruazione Ernie | Cambiamento Inclinazioni misdia Organi ana anatomico ed amenorrea inguinali di sesso sessuali Eredità femminini Varietà | so maschile |Mestruazione re-|Doppia inguinale. Apatia. Oss. 49|Apatia. Oss. 49,|Vaginaafondocie- . 06 golare. Oss. 56,| Oss. 61. 50, 53 50. co. Oss. 50, 53, 58. o dubbio. Oss. 50, 60, 61, 62. otale Oss. 6 62. Amenorrea. Oss. DDMOIL Soppressione. Oss. 9850) Totale Oss. 6 Totale Oss. | Totale Oss. 3 Ipospadiabalanica|Parti esterne atro- (5 fratelli). Oss.| fiche. Oss. 55. 54. Vagina mascolina. Oss. 56. Sbocco uretrale in vagina con utero. Oss. 60. Vagina breve. Oss. 61. Totale Oss. 4 Totale Oss. 7 Specchio III. — 720 — 39, 40, 41, 42, 48. Maschi. Oss. 35, 36, 38, 43, 44, 45, 46, WI. Totale Oss. 14 Specchio IV. 38; 44, 46, 48. Totale Oss. 14 Maschile. Oss. 35, 37, 39, 40, 41, 43, 45. Promiscuo. Oss. 48, Senza prepuzio. Oss. 46, 47. Tmperforato. Oss 35, ,9 LG? Microfallo ed imper- forato. Oss. 39, 40, 45. Totale Oss. 8 43. Senza clitoride. Oss. Bb Totale Oss. 3 Rudimentale. 45, 46, 48. Spostato. Oss. 38. Oss. 47. Mancante. Oss. 35. Totale Oss. 12 Scrotali. Oss. 38, 44, 45, 46, 48. Griptorchidi. Oss. 39. Mancanti. Oss.35,36. Totale Oss. 9 de wo > PARC Scroto Testicoli indotti Uretra Stato civile Abito di corpo Pene Glitoride maschile sesso caratteri sue varietà sue varietà forme sede Suo sbocco SA CONTA : iparti Oss. 36,| Inguinali. Oss. 43. | Ipospadi ; ol - Oss. 36.| Naturale. Oss. 38. |Iperplasia. Oss. 37,|Bipartito >| 10g ss. 43. | Tpospadia alan Femmine. Oss. 37,|Femminile. Oss. 36, Natur 8. |Iperp 39, 40, 4l, 42, 40 058. 47. 19 lanina Tpospadia pe (ORE idea 39, 39; 40; Tpospadia I »erinealal Oss. 36, 49, T Sbocco vulvare, Qx| 3 le. Og 42. | Senza uretra, 0g3, dl Totale Oss, 9 Stato civile Abito di corpo Pene Glitoride Scroto Testicoli indotti I; | Sesso caratteri sue varietà sue varietà forme sede suo sbocco Femmine. Oss. 50, 54, 53, 5ò, 6l. 49, 56, Maschi. Oss. 52, 54, 58, 59, 60, 62. Ermafrodito. Oss. 57. Totale Oss. 14 Femminile. Oss. 50, 53, 55, 59, GI. Maschile, Oss. 49,56, 58, 60. Promiscuo. Oss. 62. Totale Oss. 10 Pene imperforato e flacido. Oss. 49, 58. Pene regolare. Oss. 54, 56, 59; 60. Pene curvo. Oss. 53, 54. Potale Oss. 8 Tperplastica. Oss. 54, 64. Totale Oss. 2 Bipartito (oschio- schisi). Oss. 50, 53, do 56, 58, 09, 61, Laterale. Oss. 49. Scrotali. Oss. 49, Bd, 59, 54 56, Totale Oss. 9 Totale Oss. 9 50, 08. Inguinali. Oss. 59,61 Tpospadia_ penidei Oss. 49, 50, 59. Tpospadia serotali Oss. 53. Tpospadia periner scrotale. Oss. di. Doccia penidea del l' uretra, Oss. 00. Potale Oss. 7 [Sesso = Rigi Sesso Mestruazione Ernie I (ci i ] ; ambiamento Inclinazioni ed amenorr inali Î SERTAZIONI Ì anatomico È ea inguinali Î sesso sessuali Bredità , Organi Vanietà | femminini antetà | = Sesso dubbio. Oss. 36, 38. maschile. Oss. 43 (median- te la chirurgia), 44, 45, 46. Totale Oss. 6 Amenorrea, Mestruazione vica- ria. Oss. 36. Oss. 97, 47, 48. Totale Oss. 4 Ernia vescicale (indotta). Oss, 38. Totale Oss. I Per le femmine, Oss. 45 Apatia. Oss. 40. Totale Oss, 2 Due fratelli. Oss. DI Gemelli. Oss. 43, Figlio | conforme all’avo. Oss. 45. Totale Oss. 3 Vulva colle gran- di e piccole la) bra. Oss. 43, 46. Totale Oss, 2 Specchio IV. Sesso Mestruazione . Ernie Cambiamento Inclinazioni Dia Organi ° anatomico ed amenorrea inguinali di sesso sessuali Eredità PeMaNTinI Varietà — = ws Sesso maschile ss. 56 Sesso dubbio. Oss. 50; 55, 60, 61, 62. Totale Oss. 6 Mestruazione re- golare. Oss. 56, 9 Amenorrea. Oss. 55, 61. Soppressione, Oss. 49, 50. Totale Oss. 6 Doppia inguinale. Oss. 61. © Totale Oss. Il ‘Apatia. Oss. 49, 50, 53. Totale Oss. 3 Apatia. Oss. 49, Tpospadiabalanica 50. 53. (5 fratelli). Oss. 54. Vaginaafondocie- co, Oss. 50, 53, 68. Parti esterne atro- fiche. Oss. DD. Vagina mascolìna. Oss. 56. [Vagina breve. Oss. dl. Totale Oss. 4 Sbocco uretrale in vagina con utero. Oss. 60. Totale Oss. 7 Specchio V. — 722 — Stato civile sesso Femmine. Oss. 63, 64, 65, 66, 67, 68, 6ISTOTR IT MOSSE Maschi. Oss. 71. Sesso incerto. Oss. 77. Totale Oss. 15 Specchio VI. Abito di corpo caratteri Femminile. Oss. 65 (con mammelle), 009, 4,010. Virile. Oss. 63, 66, 68, 70, 76. Promiscuo. Oss. 64, TOS Totale Oss. 13 Pene Glitoride sue varietà Pene naturale. Oss. TR), Imperforato. Oss. 64, 70. Microfallo. Oss. 69. Imperforato con mi- crofallo. Oss. 63, 76. Breve. Oss. 65. Incurvato e breve. Oss. 6 (33/4 cent.). Incerto. Oss. 77. Totale Oss. 9 sue varietà Iperplasia. Oss. 65, 66, 69, 74, 77 io) 5) Totale Oss. 5 e AE roi - Uretra Scroto Testicoli indotti aste forme sede suo sbocco | Due grandi labbra.\Inguinali. Oss. 75. |Ipospadia penic Oss. 63, 64, 65, 66, Oss. 63, 66. 67, 68, 70, 71, 73, TU Totale Oss. 10 Scrotali Oss. 63, 65, 66, 68, 70, 72. Grandi labbra. Oss. 67, 69. Senza testicoli. Oss. 7A. Griptorchidi. Oss. 76, Ue Totale Oss. {2 Sbocco fra i fren Oss. 64. Uretra dilatata sc la clitoride. ( 67. Scolo seminale s la verga. Oss. Ipospadia peni Oss. 75, 76, 7 Totale Oss. $ | Stato civile Abito di corpo Pene Glitoride | Scroto Testicoli indotti Uretra Stato D | maschile | | | | Ì Ì sesso caratteri sue varietà sue varietà forme sede suo sbocco Femmine. Oss. 78,|Maschile. Oss. 78 ,|Regolare. Oss. 79,|Iperplastica. Oss. 81.|Due rigonfiamenti./Scrotali. Oss. 78, 80. Ipospadia peni 83, S4. 9, 182, 189. 80, 82, 84. Oss. 79. Oss. 78. Maschi. Oss. 79, $0, 81,82. Totale Oss. 7 Femminile. Oss. 80,|Microfallo. Oss. 7 SL. Promiscuo. Oss. 84. Totale Oss. 7 83. Totale Oss. 6 Totale Oss, I Regolare. Oss. 80, 82. Senza scroto. Oss. 83. Grandi labbra. Oss. 84. Totale Oss. 5 Inguinali. Oss. 82, 83. 79, Senza testicoli. Oss. 84. Totale Oss. 6 Ipospadia perine Oss. 81. Doccia penidea ipospadia peri le. Oss. 83. Doccia penidea. SA. Totale Oss. 4 — mesi Specchio V. Sesso Mestruazione Ernie Cambiamento Inclinazioni Eredità Organi Varietà anatomico ed amenorrea inguinali di sesso sessuali ì i femminini arieta o virile. Oss.|Amenorrea. Oss Paresi sessuale. Mancanza d’utero AA ON0: 63,67, .68 (69) Oss. 69. e di prostrata. 74, 15 70, 76 Oss. 63. o dubbio. Oss. Grandi e piccole LTT labbra. Oss. 65. Vulva profonda 13 cent. Oss. 68. Vulva con vagina Oss. 69, 75. Infundibulo sotto la clitoride lun- go 18 millim. | Oss. 71. Atrofia delle parti sessuali esterne. Oss. 72. Imene con atresia vaginale. Oss. 73 Senza utero e sen- za testicoli. Os- serv. 76. tale Oss. 11 Totale Oss. 6 Totale Oss. I Totale Oss. 9 Specchio VI. Mestruazion Arni ambi Inclinazioni DE rgani ore Sesso Mestruazione _ Em e. Cambiamento c 0 Heedio Organi — Vaticn inatomico ed amenorrea inguinali di sesso sessuali femminini ‘hile. Oss. 79,|Amenorrea. Oss.|Inguinale. Oss. 78. Due gemelli. Oss.[Utero maschile. N62, 83. 78. 83. Oss. 81. Uterina a sinistra. to. Oss. 81. Oss. 82. Ernia dell’ utero. io. Oss. 84. tale Oss. 6 Totale Oss. I Tolale Oss. 2 Totale Oss. | Oss. 82. Vagina e collo del- l’utero. Oss. 84. Totale Oss. 3 ge, = io ecchio V. i Sp Specchio V. aa AE jeolivi î Urety Mestruazione Ernie Cambi: ; o i; ride Scroto Testicoli indotti la | Sesso Da _ Ernie — lamhiamento Inclinazioni Stato) civile Abito di corpo Pene Glitor maschile || anatomico ed amenorren inguinali dii SER) e Eredità Organi La Se femminini Varietà | Sesso caratteri sue Varietà sue varietà forme sede Suo sbocco | | ; ‘andi ;a.[Imguinali. Oss. 75. | Ipospadi: ica aa ù a ) - ini 5 Ti Tperplasia. Oss. 65,/Due grandi labbra. Ing * |Pospadia penidta|[Sesso virile. Oss.|Amenorrea. Oss DARE Femmine. Oss. 63, Femminile. Oss. 65 Pete naturale. Oss DI META "Oss 63, 64, 65, 66, à mp» rata ORI 63, Ù idea A de er 70. 63, 67, 68, 69, F ii esi sessuale. Mancanza d'utero 64, 65, 66, 67, 68, (con puammelle AMICA DO a 67, 68, 70, 71, 73,|Scrotali Oss. 63, 65,| i | 78. Th 60 70, 76 SSSRO2: e di prostrata 69, sO, 712, 73, 74) 67, 69, 71, 74, To. Imperforato. Oss! 64 aa 66, 68, 70, 72. Shoco fra i frenuii,l| FRA? Oss. 63, 75, 76. 2: DI I : Oss. 64. ill io. Oss. ; 3 Virile. Oss. 63, 66,| 70. Grandi labbra. Oss. O TRI Grandi e piccole Matt, CN I Microfallo. Oss. 69 67, 69. Uretra dilatata st SORRISO: ‘ a A 1 DES la clitoride, Os Sesso incerto. Oss. 77.|Promiscuo. Oss. dl, forato con mi- Senza testicoli. Oss.| 67. de. 0 Vulva profonda ni Daperiona rn 740 13, cent. Oss.68, gro î . 63, i ar Scolo seminale sottò i Î Griptorchidi. Oss. 76,| la verga. Oss, fa Mulo con vagina > Toi O) 55,00 USSIGoo reve. Oss. 65. A n | È Breve. Oss Tpospadia penidea 'undi 1 o sno Infundibulo, sotto Ineurvato e breve. SALLUSTIO la clitoride lun- Oss. 6.(33/ cent.). | go 18 millim. Oss. 71. Incerto. Oss. 77. Atrofia delle parti sessuali esterne, Oss. 72; Imene con atresia vaginale, Oss, 73 Senza utero e sen- za testicoli. Os- serv. 76. Totale Oss. 15 | ‘Totale Oss. 13 Totale Oss. 9 Totale Oss. 5 Totale Oss. 10. | ‘Totale Oss. 12 Totale Oss. 8 || Totale Oss. II | Totale Oss. 6 Dotale Oss. | Totale Oss. 9 Specchio VI. Specchio VI. RCA : Uretra Sesso Mestruazione Brie Cambiamento Imelinazioni Organi Stato civile Abito di corpo Pene Glitoride Scroto Testicoli indotti maschile | anatomico Cane inguibali di isosso RISSA Predità TERRA Vanietà = sesso caratteri sue varietà sue varietà forme sede suo sbocco 5 È | 3 ; 3 : GALA adia penides)Plaschi n ; A ; ; EE Femmine. Oss. 78,|Maschile. Oss. 78,|Regolare. Oss. 79,|Iperplastica, Oss. 81.|Due rigonfiamenti.|Scrotali. Oss. 78, 89.| Tpospadia penide NU Oss. 79,/Amenorrea. Oss.|Inguinale. Oss. 78. Due gemelli. Oss.|Utero maschile. 83, 84, 79, 82, 83 80, 82, 84. Oss. 79. Oss. 78. 1 88, 83. 28. 88; ORE Sie ; Incuinali. Oss. 79, + nevincale/{len Uterina a sinistra. 9 IRA Maschi. Oss. 79, 80,|Femminile. Oss. 80,|Microfallo. Oss. 78, Regolare. Oss. 80, $2, 83. ie OP ATO: Cee tt Oss. 82. DINE do peLO: î 81,,82. 81. 83. SQ SSA lub} BI92: î a La bio. 7 SA Ò : E Senza testicoli. Oss. Doccia penidea el Oss. 84 Vasinugcolo del romiscuo. Oss. 84. qua scroto. Oss.| 84. ipospadia perinet l'utero Oss. 84. s Je. Oss. 88: Grandi ra. Oss. ; idea. 08 I di labbra. Os mato penidea. 0s ; 8%. , 4 || Total a Î Totale Oss. 3 Totale Oss. 7 Totale Oss. 7 Totale Oss. 6 Totale Oss, 1 Totale Oss. 5 Totale Oss. 6 ‘Potale 055: € Oss. 6 | ‘Totale Oss. 1 Molale Oss. 2 Totale Oss. | Dotata BE WTEASSIUENAE Stat SERA 9 qe SARRI S Ù DI o So o Uretra Stato civile | Abito di corpo Pene Clitoride croto Testicoli indotti SAI: SPECCHIO I. Totale Oss. 16 | Totale Oss. 6 | Totale Oss. 12 | Totale Oss. 1 | Totale Oss. 9 | Totale Oss. Il Totale Oss. SPECCHIO II. Totale Oss. 17 | Totale Oss. 14 | Totale Oss. 9 | Totale Oss. 4 | Totale Oss. 9 Totale Oss. 9 | Totale Oss. SPECCHIO III. Totale Oss. 14 | Totale Oss. 14 | Totale Oss. 8 Totale Oss. 3 | Totale Oss. 12 | Totale Oss. 9 Totale Oss. Totale Oss. SPECCHIO IV. Totale Totale Oss. Totale Oss. Totale Oss. 9 Totale Oss. Totale Oss. 5 | Totale Oss. 13 | Totale Oss. 9 | Totale Oss. 5 | Totale Oss. SPECCHIO V. Totale Oss. 0 | Totale Oss. 12 SPECCHIO VI. Totale Oss. 7 | Totale Oss. 7 Totale Oss. 6 | Totale Oss. I | Totale Oss. 5 | Totale Oss. 6 Oss. 64 (1) | Oss. 52 | Oss. 16 Oss. 54 Oss. 56 Oss. 5I | Totale generale | Oss. 83 (1) Abito femminile 29 maschile 27 promiscuo $ — 725 — BN HIRA LHi Sesso Mestruazione Ernie. Cambiamento Inelinazioni Eredità | N Organi — Variotà anatomico ed amenorrea inguinali di sesso sessuali femminini | otale Oss. 2 | Totale Oss. 2 tale Oss. 3 Totale Oss. 5 tale Oss. 6 | Totale Oss. 4 | Î | | | | tale Oss. 6 Totale Oss. 6 | | | | | tale Oss. II Totale Oss. 6 tale Oss. 6 Totale Oss. I Oss. 34 Oss. 24 Totale Oss. I Totale Oss. 2 Totale Oss. I Totale Oss. 1 Totale Oss. — Totale Oss. 2 Oss. 7 Totale Oss. I Totale Oss. — Totale Oss. — Totale Oss. — Totale Oss. — Totale Oss. — Totale Oss. I Totale Oss. 3 Totale Oss. 2 Totale Oss. 3 Totale Oss. I Totale Oss. — Oss. 10 Totale Oss. | Totale Oss. $ Totale Oss. 3 Totale Oss. 4 Totale Oss. — Totale Oss. I Oss. 12 Totale Oss. | Totale Oss. I Totale Oss. 7 Totale Oss. 2 Totale Oss. 7 Totale Oss 9 Totale Oss. 3 Oss. 29 | | Totale Oss. — Totale Oss. — Totale Oss. — Totale Oss. — Totale Oss. — Oss. I LMR RIASSUNTO 725 eee [|] ° _mnm_». « Le abitudini curiali, quando non sono accompagnate e temperate da altre parti, non che conferire, nocciono all’ uomo di stato; onde i savi in governo dell’ antica Firenze facevano poco caso dei savi in giure e se ne ridevano. Il genio cavilloso del foro, aggirandosi sulle minuzie, è inetto a veder le cose da una certa altezza e ad abbracciare il complesso loro; e travagliandosi nelle parole, non coglie le idee e la realtà. E questa è forse la cagione per cui ne’ moti politici dell'età scorsa fra le varie professioni liberali che ci presero parte quella dei medici fece miglior prova in Piemonte; atteso che la medicina, esercitandosi sopra un soggetto naturale e governandosi coll’ esperienza, educa il retto senso; lad- dove l'avvocatura lo altera, perchè versa in gran parte mente sviluppati. La vagina però non comunicava nè colla vescica, nè col retto, ma finiva a fondo cieco verso il perineo. Osserv. 10. — Jacoby Roberto. Ziwvei Falle von Hermaphroditenbildung. Inaug. Diss. Berlin 1885. Due casi: il primo risguardava probabilmente un pseudo ermafroditismo femminino esterno, ed il 2° caso una ipertrofia della clitoride, senza abito esterno de- terminato. Osserv. 11. — "Taruffi Cesare. Della ele- fantiasi della clitoride. Memorie della R. Acca- demia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna 1901. Ser. V. Tom. VII, pag. 318, ed Ibidem Nota 3°, pag. 359. Osserv. 40. Raccoglie 40 osservazioni, e rileva in tre casì l’ affe- zione congenita. Rileva ancora il caso di Diemerbroech (caso 2°) di una giovane con barba, colla clitoride grossa come un pene, e con un testicolo in un grande labbro. Ipospadia nella porzione inferiore della verga. su convenzioni fattizie e arbitrarie, e sì vale di arti e finzioni ingegnose che quanto servono ad acuìre lo spi- rito, tanto rintuzzano il sentimento pratico degli uomini e della vita. L'amore e lo studio della legalità proprio di coloro che trattano le cause, benchè ottimo in sè stesso, è uno di quei pregi che facilmente tralignano in difetto. Imperocchè è nocivo quando riesce eccessivo e si mostra più sollecito della lettera che dello spirito, delle formole giuridiche che della giustizia; e oltre che mal si confà ai tempi straordinari, nei quali spesso è d’ uopo prescindere dalle regole consuete e anteporre agli statuti la norma immutabile di una ragion superiore, non si può pur dire che giovi alla moralità e al rispetto della legge; perchè se da un lato rende l’ uomo schiavo dei codici, lo induce dall’ altro a frodarne l’intendimento colle sottili epicheie, i sutterfugi ingegnosi e le argute cavillazioni ; tanto che il vezzo dei causidici da questo lato si rassomiglia a quello dei casisti e dei Gesuiti. Si dirà che questo vizio non alligna in coloro ì quali ae- coppiano allo studio delle prescrizioni positive quello delle naturali, degli uomini e della storia; e io lo con- cedo di buon grado, ma avverto che tale accompagnatura è assai rara in Piemonte; onde nasce che il modo di trattarvi le quistioni eziandio legali fa sogghignare tal- volta i giurisperiti di Francia e di Napoli ». « La facile parlantina e l'uso delle pubbliche dispute che i legulei contraggono dall’ avvocare conferisce loro il dominio nelle assemblee; e quindi nasce il costume di sciupare il tempo in ragionamenti inutili, indugiare — 731 — le decisioni importanti, attendere più alla forma che alla sostanza delle cose, moltiplicare le clausule e i tem- peramenti, e cercar nelle frasi una precisione quasi ma- tematica, anzi che contentarsi di ponderarle alla buona coll’ uso pratico e colla convenienza che hanno verso il fine a cui s’indirizzano. Nè questo amore dell’ esattezza soverchia dà loro il vantaggio notato dal Giordani nei giuristi latini, della sobrietà greca; essendo verbosi anzi che eloquenti; perchè la parsimonia e misura nel dire nasce dalla copia delle cognizioni; e quanto altri più scarseggia d'idee, tanto suole abbondare nelle parole. Disprezzano il vario sapere; e specialmente la filosofia che ne è la cima: senza la quale (purchè sia soda e degna del suo nome) si ha di rado una giusta notizia delle cose e degli uomini; nella qual disciplina gli an- tichi giureconsulti erano valentissimi. E non essendo avvezzi a pensare, sono più atti a chiaccherare che a fare; più a ritenere e ad impedire che a muovere; quanto fecondi di obbiezioni e di dubbi, tanto sterili di partiti utili e di forti risoluzioni; come prolissi nel sentenziare, così impacciati e timidi nell'eseguire. E nella esecu- zione essi inclinano più al tirato che al largo, più al gretto che al grande, più all’apparente che al sostan- ziale, più a resistere fuor di proposito che a condiscen- dere saviamente, più ad inceppare con mille pastoie che ad agevolare la libertà dei cittadini ». suna s diet da Hal vit ; ipo piciu queto Ta? } DT da Merli lE li gira si ASA Db Al if port po DI Cibo Raacìo. Lab ole cinta li oral iene ica infsrat SIC ; si Da i iUiLO r”, dove r è un numero positivo, esprime semplicemente che le serie 24,2”, Zr"x"” convergono nel medesimo cerchio; in altre parole, 3 il limite massimo (nel senso di Cau - n chy) della successione Va. — 758 — Nei riguardi della convergenza, la serie (XIII) o (XIV) si comporta dunque come quella il cui termine generale è CO ed é quindi convergente assolutamente in tutta l’area e del piano «@ in cui sia |e| f/ < N SEP 481 BOLOGNA TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI 1900-1901 SEIRÀ || Il frontispisio verrà dalo con la pubblicazione del 4° INWDWDICEKE Membri della R. Accademia delle Scienze per l’anno 1900-1901 A. Baldaccì — Contributo alla conoscenza della Flora del confine Montenegrino- Albanese. C. Fornasini — Intorno a la nomenclatura di alcuni Nodosaridi neogenici italiani; con 27 figure nel testo . G. Tizzoni — Ricerche sperimentali sulla Sieroterapia nel Tetano ; Parte I. G. Valenti — Sopra un caso di costa raddoppiata osservato nell'uomo; con una OMO RO E E G. Tizzoni — Ricerche sperimentali sulla Sieroterapia nel Tetano : Parte II . A. Righi — Sui campi elettromagnetici e particolarmente su quelli creati da cariche elettriche o da poli magnetici in movimento . D. Vitali — Contributo alla ricerca chimico-tossicologica del Bromoforme e del EBFOMMOSEE III I RON I 151 AT? MEMORIE DELLA h. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DELL'ISTITUTO DI BOLOGNA silice FO MO 1X: Fascicolo Terzo. BOLOGNA TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI 1901-1902 Seaton La i sil: (Aa EREDI C&E F. Delpino — Sopra un organo caratteristico di alcune Cucurbitacee e sulle relazioni delle piante coi tripidi ; con tre tavole L. Mazzotti — Della tubercolina adoperata a scopo diagnostico . C. Emery — Studi sul polimorfismo e la metamorfosi nel genere « Dorytus »; con due tavole . J. Benetti — Il calcolo dei camini per i generatori di vapore ; con due tavole I. Novi — Un nuovo apparecchio che segna le frazioni di secondo fino al cen- tesimo e i multipli fino al terso secondo e contemporaneamente permette di regolare a volontà la durata di un contatto elettrico ; con tre tavole . P. Albertoni — Sul contegno e sull'azione degli zuccheri nell'organismo; Sesta comunicazione 0... L. Donati — Sui vettori elettromagnetici . G. Cocconi — Contribuzione allo studio dello sviluppo della Russula Alutacea Jries; con una tavola P. Vinassa de Regny — Radiolari cretacei dell’ isola di Carpathos; con una tavola . A. Baldacci — Rivista della collezione botanica fatta nel 1897 nell’ Albania settentrionale. L. Bombicci — Alcune obbiezioni circa i supposti cristalli liquidi ed i pretesi E DET RR SI dI G. Ciamician e P. Silber — Azioni chimiche della luce; memoria I . L. Bombicci — Di un sensibile aumento di volume negli aghetti di Rutilo (Sa- genite) diffusi nei limpidi cristalli di Quarzo. L. Bombicci — Sui probabili modi di formazione dei cristalli di granato ; con alano lan iii F. Morini — Ricerche intorno allo sviluppo di alcune specie del gen. Boletus. ALERT = 457 469 477 491 497 513 093 MEMORIE DELLA ® i. ACCADEMIA DELLE SCIENZA DELL'ISTITUTO DI BOLOGNA Siri — TOMO: ID Fascicolo Quarto. BOLOGNA TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI 1901-1902 | Al presente fascicolo si u «C. Tavuffi — Sull ordinamento della Teratologia ; memoria III (fine) — «G. Valenti — Sopro le prime fasi di sviluppo della muscolatura de gli Ù rile II. Ricerche embriologiche in larve di Amblystoma (Axolotl) (Arti caudali) A 8. Pincherle — Sulle derivale ad indice qualunque 0 IN ORO e «Gi. Capellini — Balene fossili toscane; I. Balena etrusca; con tre tavole. si PR MON ANALI Il LI JI _3 9088 01305 07 | ONIAN INSTITUTION LIBRARIES (== (=== aa === r——si pfmac rienza) Ruino pedi ctopa raga gase siro prsesne and us a