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ANA I apRans A anannaha Naz MA An mA RA MANI IPIIZOLINA aaa ni DARA RAZZA N mA agile IP INCENTeRa tia DAAARAARARAA RARRAA sa N i Nail AA CH,-C0-CO0O0H+ H,0 = CH,- COOH+ H- COOH fece nascere in noi il desiderio di vedere se 1° acetone, senza | intervento dell’ ossi- geno, potesse subire alla luce per se stesso un’ idrolisi analoga alla scissione determi- nata dall’ azione dello iodio in presenza di alcali. Così avviene di fatto: la soluzione acquosa di acetone si scinde alla luce, in piccola parte, in metano ed acido acetico : CH, CO. CH, +H,0= CH, + CH, -C00H, e questa reazione non è propria solamente dell’ acetone, ma è comune anche ad altri chetoni della serie srassa a catena aperta ed a catena chiusa. I. Idrolisi dell’ acetone e del metiletilchetone. Sono questi i due chetoni a catena aperta su cui abbiamo sperimentato fin’ ora, le relative esperienze coi chetoni superiori saranno fatte in seguito. Acetone. Una soluzione acquosa di 125 c.c. di acetone in 1250 c. c. d’acqua bol- (1) Sull’ autossidazione dell’acetone e dei chetoni in genere stiamo faccendo ora le necessarie ulte- riori prove. IO lita per renderla sterile, venne posta in un matraccio sterilizzato col calore, con le debite cure per evitare 1° introduzione di germi, ed il matraccio chiuso alla lampada. L° esposizione durò dal 30, V al 29, XI ed il liquido si mantenne limpido e privo di colore. Aprendo il matraccio si notò una forte effervescenza dovuta allo svolgersi di un gaz infiammabile, che per fortuna rimase in sufficiente quantità disciolto nel liquido. Il matraccio venne subito posto nel ghiaccio ed indi riempito con anidride carbonica ; scaldando poi lentamente a bh. m. si potè scacciare il gaz dalla soluzione e raccoglierlo sulla potassa in un azotometro ordinario. Se ne misurarono 76 c. c., che naturalmente non rappresentano che una parte del gaz prodottosi nell’ idrolisi. Esso venne trasportato negli apparecchi di Hempel ed in questi lavato successivamente con soluzione satura di bisolfito sodico, con acido solforico fumante, con potassa e finalmente con acqua. Non si ebbe assorbimento notevole (2 c. c.) che col bisolfito. Il gaz così preparato, sottoposto all’ analisi eudiometrica, dette il seguente risultato : Quenizluà, col ez Ne rio co 608103 è Contrazione dopo l° accensione . . . ..: 15,9 » Contrazione dopo |’ assorbimento di CO,: 7,9. » Comparando queste due ultime cifre si vede che il gaz analizzato, mescolato con aria, non poteva essere che metano. Il liquido da cui era stato estratto il metano aveva reazione acida; venne trat- tato con carbonato calcico ed indi distillato per eliminare I° acetone inalterato. Il residuo filtrato dell’ eccesso di carbonato di calcio, dette, per svaporamento a secco, 3,5 gr. di sale calcico, che venne trasformato in sale argentico. Questo, cristallizzato dall’ acqua bollente, con lievissimo annerimento, aveva la composizione dell’ acetato argentico : Analisi: Sostanza 0,5838 gr.; argento 0,3759 gr. In 100 parti: trovato calcolato per 0,H,0,Ag Ag 64,34 64,66. L’ idrolisi dell’ acetone alla luce avviene dunque, come s° è decto, in piccola parte, poco più del 2 pcto, secondo lo schema : CH, - CO - CH, + H,0= CH, + CH, - COOH. Metiletilchetone. In questo caso 1° idrolisi poteva avvenire in due modi diversi ; poteva cioè formarsi metano ed acido propionico oppure etano ed acido acetico. L’ esperienza dimostrò che la scissione ha luogo esclusivamente in quest’ ultimo senso, cioè secondo lo schema : Or CECO TELE = Dr CL == (TL, CODE L° operazione venne eseguita in modo analogo alla precedente. La soluzione di 100 gr. del chetone in un litro d’ acqua, preparata con le debite cure, venne poi chiusa in un matraccio in cui l aria era stata spostata con anidride carbonica. L’ espo- sizione durò dal 20, V al 8, II, dopo la quale si notarono in fondo al liquido acquoso alcune goccie oleose, colorate in giallo bruno. Aprendo il matraccio si svolse sponta- neamente circa un litro di gaz; per lieve riscaldamento a b. m. se ne svolsero altri 100 c. c., che vennero raccolti separatamente per 1° analisi, il resto venne trascurato. L’ analisi, eseguita negli apparecchi di Hempel, dette il seguente risultato ; dopo accurato lavaggio con bisolfito e potassa, acido solforico fumante e potassa e finalmente pirogallato alcalino, a cui il gaz nulla cedette, ciò che prova come esso fosse esente di aria, si ebbe nell’ accensione coll’ ossigeno : Quambile cel’ az neo bed dg 08 Contrazione dopo l’accensione . . . ..: 18,7 » Contrazione dopo l’ assorbimento di CO, : 14,6 » uesti eri dimostra she il gaz esamine ra etano puro. ti num dimostrano che il gaz esaminato era ef Difatti si calcola per CH, per CH, Volume del gaz: 7,3 78) 19 Contrazione STESA 18,25 14,6 Volume di CO, : 14,6 14,6 To Esaurito così l’ esame della parte gassosa, si passò a quello della parle liquida. La soluzione da cui venne estratto l’ etano, liberata per filtrazione delle goccie oleose che conteneva in sospensione, ha reazione marcatamente acida e venne però bollita con carbonato calcico. Il filtrato dell’ accesso di quest’ ultimo, lievemente colorato in giallo, cede all’ etere una materia oleosa, densa, bruna, che, assieme a quella separata per filtrazione, ammontava a circa 2 gr. Questo prodotto non fu esaminato ulterior- mente, esso è formato evidentemente da prodotti di condensazione che a noi per ora non interessavano. Il liquido acquoso, contenente il sale di calcio, dopo essere stato decolorato con nero animale, venne portato a secco; si ebbe così un residuo solido di circa 2 gr. Questo residuo sciolto in acqua e precipitato frazionatamente con nitrato d’ argento, dette in tutte le singole porzioni, che furono cristallizzate dall’ acqua, esat- tamente i numeri voluti dal sale argentico dell’ acido acetico. Analisi: I frazione: sostanza 0,4152 gr.; argento 0,2674 gr. II frazione: » 0,3156 >»; » 0,2030. » III frazione : » 0252 SIDE » 0,1498. » IM 100 parti : trovato calcolato per 0,H4,0, - Ag —___ — —-___t__,up _——_ I II III AG 64,30 64,32 64,34 64,66 SC AMURE L'esame esauriente dei prodotti dell’ idrolisi del metiletilchetone dimostra dungue che esso si scinde in misura di circa il 2 peto. esclusivamente in etano ed acido acetico, Come 8° è accennato più sopra, noi non abbiamo per ora continuato lo studio dei chetoni superiori omologhi dell’ acetone, perchè ci interessava maggiormente di cono- scere il contegno di altri composti a funzione chetonica. II. Acido levulinico. Per conoscere il comportamento di un acido chetonico abbiamo scelto il levulinico ed oltre all’ idrolisi abbiamo studiato anche la metamorfosi che esso può subire per azione della luce in soluzione alcoolica. Idrotisi dell’ acido levulinico. Era da aspettarsi che questo acido si scindesse in soluzione acquosa negli acidi acetico e propionico, invece la reazione non procede in questo modo e per quanto ricercato, non ci fu possibile riconoscere il primo di essi. Si ebbe invece il secondo ; gli altri prodotti dell’ idrolisi non si poterono accertare con sicurezza: dall’ anneri- mento abbondante dei sali argentici alla ebollizione è lecito supporre la presenza di acido formico. Si potrebbe quindi ammettere che l’ idrolisi dell’ acido levulinico avve- nisse secondo il seguente schema : CH, - 00). CH, CH, - COOH 4- 2H,0= CH,0H+ H-.C00H4+-CH,-CH,-C00H, perciò siamo andati alla ricerca dell’ alcool metilico ed abbiamo avuto realmente in- dizî che rendono probabile la sua formazione senza però dimostrarla in modo sicuro. Alla luce vennero esposti in due riprese complessivamente 180 gr. di acido levu- linico in 1800 gr. d’acqua, in soluzione rigorosamente sterilizzata. L’ acido levulinico fu con appositi saggi riconosciuto esente da acidi grassi volatili. L’ esposizione ebbe la durata dal 9, V al 28, X; il liquido divenne giallo, ma non si ebbe sviluppo di gaz,. Per l’elaborazione, tutto il prodotto venne distillato direttamente a fuoco nudo rimpiazzando man mano l’acqua nella soluzione che si andava concentrando. Si rac- colsero in questo modo 3 litri di distillato. Il litro primo passato, in cui necessaria- mente doveva trovarsi la parte maggiore dell’ alcool metilico cercato, venne neutraliz- zato con carbonato sodico e sottoposto a nuova distillazione ; la prima porzione fu nuovamente distillata e così successivamente fino ad avere 15 c.c. di liquido. in cui gran parte dell’alcoo! metilico doveva essersi accumulato. Con parte di questo distil- lato si fece anzitutto il saggio con acido iodidrico nell’apparecchio di Zeisel, ma non si ebbero che tracce di ioduro d’argento. Pensammo allora di trasformare il resto in aldeide formica, facendone passare i vapori misti ad ossigeno sopra una spirale di CO RES rame riscaldata. Si ebbe così un prodotto che dava la reazione rossa col cloridrato di fenilidrazina e cloruro ferrico ; le altre reazioni dell’ aldeide formica, che sono meno sensibili, dettero resultati incerti. Tutta la parte distillata, cioè il residuo del primo litro e gli altri due, questi naturalmente del pari neutralizzati con carbonato sodico, venne portata a secco. Si eb- bero così 30 er. di residuo che conteneva però ancora molto acido levulinico. Per separare questo dagli acidi grassi volatili, il residuo salino venne ridisciolto in acqua, acidificato con acido solforico e distillato nuovamente, rimettendo a riprese l’acqua che passava. Il distillato aveva marcata reazione acida, ma non dava più la reazione del iodoformio ed era però esente di acido levulinico. Saturato a caldo con carbonato :cal- cico e recato a secco, dette un residuo di 7 gr. Di questi 5 gr. vennero ridisciolti in acqua e precipitati frazionatamente con nitrato d’argento; se ne fecero 4 porzioni che annerirono nel cristallizzarle e furono però bollite fino ad esaurire la riduzione che può essere attribuita alla presenza d’ acido formico. Queste 4 frazioni, a cui se ne aggiunse una quinta, rieavata per concentrazione delle acque madri delle cristallizza- zioni, dettero numeri corrispondenti al sale argentico dell’ acido propionico. Analisi: I frazione: sostanza 0,6248 gr.; argento 0,3734 gr. II frazione : » 0,6890 » ; » 0,4126 » III frazione : » 08500: » 0,2308. » IV frazione : » 0,2644 » ; » 0,1592 >» V. porzione delle acque madri delle precedenti : sostanza 0,7352 gr.; argento 0,4458 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,4,0, Ag C,H,0, Ag — <= eee A LEE —.—.T__—___.;__.l tei a —_">_ I I III IV Vv Ag 59,76 69,88 59,95 60,21 60,53 59,66 64,66 Da altri 2 gr. di sale calcico vennero fatte nello stesso modo tre nuove frazioni di sale argentico, che si dimostrarono della stessa composizione. Analisi: I frazione: sostanza 0,3284 gr.; argento 0,1964 gr. II frazione : » VAS INS ENCONO:1329891 7 MONO 0419315 III frazione : » 0,3971 » ; Ag 0,2383 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,4,0,Ag =_— ose» I II II Ce 10,70 — — 19,88 H —— 2,90 — — ZINIO Ag 59,80 — 60,01 59,66 IRE La scissione dell'acido levulinico in soluzione acquosa nel senso CHACORCHEACHA COOH ECHI CHAC00H è dunque accertata ed è assai probabile che |’ idrolisi proceda nel modo sopra indicato. Acido levulinico ed alcool etilico. Già da parecchio tempo avevamo lasciato esposta al sole una soluzione alcoolica di acido levulinico e di questa circostanza approfittammo per comparare l’azione dell’acqua a quella dell’alcool e ciò tanto più volentieri, che lo studio del contegno dell’acetone in soluzione alcoolica alla luce presenta difficoltà che finora non abbiamo potuto vincere. L’ acido levulinico si comporta in soluzione alcoolica in modo corrispondente agli altri composti chetonici da noi altre volte studiati. Esso si riduce in parte ad acido 4-ossivalerianico, che noi abbiamo separato in forma di lattone, mentre un’ altra parte si eterifica; naturalmente accanto al primo si produce aldeide acetica. La soluzione che restò esposta alla luce per molto tempo era formata da 55 gr. di acido levulinico e 275 c. c. d’ alcool assoluto. Essa venne anzitutto distillata diret- tamente a b. m. e per ultimo coll’ aiuto di una lieve rarefazione per eliminare pos- sibilmente 1° alcool. I primi distillati dettero marcata la reazione dell’ a/deide acetica anche col nitrato d’ argento ammoniacale. Il residuo non si scioglieva che parzial- mente nelle soluzioni acquose di carbonato sodico; la parte oleosa, venne estratta con etere e seccata con carbonato potassico anidro. L’ acido levulinico inalterato rimase naturalmente nel liquido alcalino. L’ estratto etereo dette per svaporamento un olio di lieve odore, che passò fra 203 e 206°. Se ne ebbero 25 gr. Il prodotto conteneva l'etere levulinico ed in parte |’ acido 4-ossivalerianico in forma di etere o di lattone o di tutti e due insieme. Siccome la quantità di materia non permetteva una sepa- razione di questi tre corpi, ci siamo limitati ad estrarre l’ acido ossivalerianico in forma di lattone. A questo scopo tutto il prodotto venne bollito a ricadere con potassa caustica ; dopo avere distillato 1° alcool, formatosi nella saponificazione, il liquido alca- lino risultante venne filtrato, per liberarlo da piccole quantità di una materia oleosa che s’ era andata separando, e quindi acidificato. La soluzione doveva contenere i due acidi : quello levulinico e 1° ossivalerianico ; ora siccome questo si trasforma facil- mente nella sua anidride lattonica già per semplice ebollizione con gli acidi minerali, abbiamo approfittato di questa circostanza per separarli. La detta soluzione alcalina acidificata con acido solforico diluito venne bollita a ricadere ed inli estratta con etere. La soluzione eterea, così ottenuta, cede ora al carbonato alcalino l'acido levu- linico, ma trattiene il lattone valerianico formatosi per 1° ebollizione con l° acido solfo- rico. L’ estratto venne però dibattuto con la soluzione di carbonato sodico ed indi sec- cato con quello potassico anidro. Distillando 1’ etere, si ebbe un residuo oleoso di 4 gr., che passò completamente a 205°, della composizione del lattore valerianico. Gli autori ne danno il punto d° ebollizione a 207-208° (1). “ee (1) Vedi Beilstein, vol. I, pag. 566. RT n Analisi: Sostanza 0,1428 gr.; CO, 0,3128 gr.; H,0 0,1062 gr. In 100 parti : trovato calcolato per C.4,0, C. 59,73 60,00 H 8,27 8,00 La reazione che si compie fra l'acido levulinico e l'alcool etilico può essere in- terpretata nel seguente modo: oltre all’ etere levulinico si produce certamente per riduzione l’acido 4-ossivalerianico, che noi abbiamo isolato allo stato di lattone CH, - CO - CH, : CH, : COOH + C,H,0 = CH, - CHOH - CH, - CH, - COOH + C,H,0 acido levulinico alcool acido 4-ossivalerianico aldeide CH, - CH- CH, CH,-.CO = (0) lattone valerianico senza poter affermare se questo o il corrispondente etere etilico fossero presenti nel prodotto dell’ insolazione. II. Idrolisi del cicloesanone e dei metilcicloesanoni. Le esperienze ora descritte sui composti chetonici a catena aperta invogliarono naturalmente a fare delle analoghe ricerche sul contegno dei chetoni ciclici. Fra questi i più semplici sono il cicloesanone ed i suoi derivati metilici, i quali ora, grazie al- l’ elegante processo di riduzione scoperto e praticato da P. Sabatier e I. B. Sen- derens, sono facilmente accessibili e si trovano anche in commercio. Noi abbiamo esaminato il comportamento di questi composti alla luce in soluzione acquosa o idro- alcoolica ed abbiamo trovato che tutti questi corpi subiscono più o meno facilmente l’idrolisi; senonchè nei chetoni ciclici essa non conduce ad una vera scissione della molecola, ma bensì soltanto all’ apertura dell’ anello. Questa però avviene spesso con- temporaneamente in due modi: si forma un acido della serie grassa (€,,/4,,0, ed ac- canto a questo un’ aldeide non satura €,4,,,_30, che ha una costituzione corrispon- dente a quella dell’ acido. Cicloesanone. Nelle prime esperienze, di cui faremo un breve cenno più avanti, avevamo impie- gato la soluzione idroalcoolica del cicloesanone, ma poi, siccome questo è sufficien- temente solubile nell’ acqua, abbiamo preferito operare in soluzione acquosa, anche per evitare la formazione dell’ etere capronico, che rimane poi mescolato ai prodotti non acidi della reazione. Alla luce venne esposta, dal 22, I al 8, X, una soluzione di 100. gr. di ciclo- Serie VI. Tomo IV. 1908-09 3 RO |<) RES esanone in un litro e mezzo di acqua. Il cicloesanone era stato purificato per mezzo del composto bisolfitico e bolliva a 155° (1). La soluzione perfettamente limpida, neutra e priva di colore, si fa assai rapidamente torbida sotto l azione della luce, per la separazione di gocciolette gialle, che si vanno raccogliendo per lo più alla superficie del liquido, in modo da formare uno strato oleoso continuo. Aprendo i tubi, in cui ebbe luogo l’ esposizione, si nota subito 1’ odore speciale rancido, che ha acqui- stato il prodotto, assai diverso da quello del cicloesanone impiegato. Il liquido ha ora una reazione acida assai marcata. Per l'ulteriore elaborazione del prodotto, venne anzitutto separata la parte oleosa: siccome questa (40 gr.), oltre a sostanze poco volatili e resinose, dovute a processi di condensazione, contiene anche l'acido capronico, venne trattata in soluzione eterea con carbonato sodico. La parte acquosa a sua volta fu saturata con cloruro sodico, per spostare la materia oleosa che conteneva disciolta, ed indi esaurita con etere. Anche in questa soluzione eterea v’ era dell’acido capronico e però anch'essa fu dibattuta con carbonato sodico. Le due soluzioni alcaline così ricavate furono riunite, esaurite an- cora una volta con etere ed indi portate a secco. Il residuo ripreso con acqua ed acidificato con asido solforico, libera l’ acido grasso, che estratto coll’ etere e seccato con cloruro di calcio, passò completamente a 204-205°. Se ne ebbero 8,2 gr. Come s’è accennato, questo acido grasso è l’ acido capronico normale puro, di cui gli autori danno il punto di ebollizione a 205°. La sua identità venne confermata me- diante l’ analisi del suo sale argentico. Analisi: Sostanza 0,3351 gr.; Ag 0,1620 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,H,,0; » Ag Ag 48,34 48,43 Il primo prodotto dell’ idrolisi del cicloesanone si forma dunque, come nei chetoni a catena aperta, per addizione d’ una molecola di acqua, che determina la scissura dell’anello secondo il seguente schema : x CH, N H,C QHI i un Gig i = di= dil— Gi 0007, H,C CO i È ER i j N v acido capronico normale CH; È cicloesanone Restavano ora ad esaminarsi le altre sostanze che componevano l’ olio liberatosi spontaneamente e l’altro spostato dalla soluzione acquosa col cloruro sodico. Queste (1) Il punto di ebollizione dato dagli autori è 154°, 5-154°,6. Vedi Beilstein, vol. I, pag. 517. . = Se) — due parti furono liberate dall’ etere, con cui erano state riprese per il trattamento col- l’alcali, e la prima sottoposta a distillazione frazionata. Non ha però un punto d’ebol- lizione costante e noi ci siamo limitati a raccogliere le porzioni più volatili, che pas- sano fino a 200°, delle quali se ne ebbero in complesso 8,5 gr. Il residuo è una massa vischiosa, colorata in bruno e venne lasciato da parte. Tanto le frazioni più volatili ora menzionate, che tutto il resto del prodotto pro- veniente dalla soluzione acquosa (61,3 gr.), avevano un marcato odore rancido e do- vevano quindi contenere oltre ad una notevole quantità del cicloesanone rimasto inal- terato, qualche altra sostanza. La separazione di questa. per distillazione frazionata sarebbe stata un compito assai difficile, ma fortunatamente il secondo prodotto del- l’ idrolisi dei ciclochetoni è, come si disse in principio di questo capitolo, un’ aldeide e però abbiamo potuto giovarci della bella reazione di A. Angeli, che permette non solo di riconoscere ma anche di separare le aldeidi dai chetoni. Questa reazione con- siste, come è noto, nell’ impiego di quelle sostanze, che, come questo autore ha fatto vedere, per azione degli alcali liberano presumibilmente la biossiammoniaca (1). Questi corpi sono i sali dell’acido ossiiponitroso (acido nitroidrossilamminico) da lui scoperto ed altre sostanze analoghe, fra cui segnatamente l acido benzolsolfidrossammico del Piloty. Secondo Angeli le scissioni avrebbero luogo nel seguente modo : NaO:-:NO=N-ONa —= Na NO, + NHO sale sodico dell'acido ossiiponitroso biossiammoniaca G,H,- SO,: NHOH, > CH, SO,H + NA4O, acido benzsolfoidrossamico biossiammoniaca e la biossiammoniaca, non altrimenti isolabile. reagirebbe sull’ aldeide presente trasfor- mandola nel rispettivo acido idrossamimico. R-CHO+ NOH=R-C(0H)(NOH). Trattando dunque la sostanza in cui si presume un’aldeide, in soluzione alcoolica, colle soluzioni alcooliche di potassa o soda caustica e dell’acido di Piloty, si forma il sale alcalino dell’ acido idrossammico corrispondente all’ aldeide. Ora, scacciando l° alcool, e riprendendo con acqua, il sale rimane disciolto e la materia che eventualmente ac- compagnava l’aldeide può essere elimmata per estrazione con etere, come avvenne nei nostri casi, o altrimenti. La soluzione acquosa alcalina, neutralizzata con acido acetico, da un cloruro ferrico la colorazione rosso-violetta degli acidi idrossammici e con ace- tato di rame un precipitato verde del sale rameico dell’acido idrossammico cercato. Quest’ ultimo può essere separato allo stato libero per aggiunta di acido solforico di- luito ed al caso analizzato ; oppure si può idrolizzarlo per ebollizione collo stesso acido solforico ed in questo modo si ottiene assieme ad idrossilammina, 1’ acido carbossilico corrispondente all’ aldeide da cui si è partiti o che era contenuta nel miscuglio esaminato (1) Sopra alcuni composti ossigenati dell'azoto. Memorie della R. Accademia dei Lincei 1905, pag. 83. Vedi anche Ahrens Sammlung vol. XUI, 1908. — 20 — e questo era appunto il.caso nostro. La reazione è naturalmente la seguente : R-.C(0H)(NOH)+ H0O=R-C00H+ NHo0H. Le parti neutre del prodotto sopra menzionate furono riunite ed a 30 gr. per volta trattate con un eccesso dell’acido del Piloty: cioè 7 gr. di questo in 35 c. e. di alcool ed una soluzione di 8 gr. di potassa in 80 c.c. d'alcool. La reazione si compie immediatamente ; scacciando 1 alcool a b. m. e riprendendo con acqua, si separa oleosa tutta la parte rimasta inalterata, che venne eliminata coll’ etere. La soluzione acquosa contiene l’ acido idrossammico salificato all’ alcali; dopo averla liberata dall’ etere con lieve riscaldamento a b. m. e mediante una corrente d’aria, vi si aggiunse tanto acido acetico da togliervi l’ eccesso d’alcali e la si trattò quindi, senza badare all’ intorbida- mento prodottosi, con una soluzione di acetato di rame. Si forma tosto un abbondante precipitato verde del sale rameico dell’ acido idrossammico, che venne raccolto su filtro e lavato con acqua e con alcool e, nuovamente con acqua. La sua composizione non è ben definita e noi senza soffermarci più oltre su questo sale lo abbiamo subito idro- lizzato per ebollizione a ricadere con acido solforico al 20 peto. Man mano che l’ idrolisi procede, si va separando sul liquido acquoso contenente solfato di rame ed idrossi- lammina (alcalinizzando il liquido si ha subito riduzione) un olio colorato in bruno, che contiene l'acido corrispondente all’aldeide che trovavasi contenuta nel prodotto esaminato. Per ottenerlo si distillò in corrente di vapore acqueo; ma l’olio non passa tutto, ne resta indietro una quantità rilevante in forma resinosa dovuta a qualche pro- cesso di condensazione. La porzione volatile è un acido non saturo, un acido esilenico, probabilmonte della seguente struttura : GH;0, —— CH}=CH-CH,— CH; CH C008) Per una circostanza fortuita e spiacevole non abbiamo potuto eseguire la prepa- razione di questo acido, con una sufficiente quantità di materia e però non ci è stato possibile di identificarlo in modo conveniente; abbiamo dovuto limitarci all’ analisi del suo sale argentico, che conferma la soprastante formola empirica. Analisi: Sostanza 0,2773 gr.; CO, 0,3300 gr.; 4,0 0,1102 gr. Sostanza 0,2740 gr.; Ag 0,1330 gr. In 100 parti: trovato calcolato per CHO Ag rr _ == — __— 5 © 32,45 — — 38,57 H 4,42 — — 4,07 dg —— 48,54 48,87 Mentre ci riserbiamo di aggiungere in altra occasione i dati più precisi ora man- canti, crediamo dì potere affermare che con molta probabilità all’ acido esilenico spet- terà la struttura suindicata, anche per l’ analogia col corrispondente composto che si forma nell’ idrolisi del o-metilcicloesanone. A proposito di quest’ ultimo discuteremo anche il modo in cui si compie l’ apertura dell’ anello dei ciclochetoni nella scissione aldeidica ; intanto possiamo aggiungere che l’ aldeide formatasi dal cicloesanone sarà certamente un’ a/deide esilenica a catena normale, probabilmente della struttura CH,0 —> CH,=CH— CH, — CH, — CH, — CHO, avente la stessa composizione del cicloesanone. Come s’ e accennato più sopra, noi abbiamo eseguito col cicloesanone anche delle esperienze in soluzione idroalcoolica, esponendo all’ insolazione 100 @r. di cicloesanone sciolti in 500 c. e. di acqua e 150 c. ce. d'alcool. Anche in questo caso si separa alla luce uno strato oleoso che fu di 75 c. c. Esso contiene oltre all’acido capronico ed il suo etere etilico e 1’ aldeide esilenica anche dei prodotti poco volatili. Nella parte idroalcoolica sono contenute le tre prime sostanze oltre al cicloesanone inalterato. Per esaminare i prodotti meno volatili, il suddetto olio separatosi spontaneamente, venne agitato con una soluzione di carbonato sodico ed indi, in soluzione eterea, seccato col solfato sodico deacquificato. La soluzione eterea neutra e secca lascia indietro per svaporamento un residuo, che venne distillato a pressione ordinaria. La parte che passa dai 130° ai 180° è fluida e dà la reazione di Angeli. Il residuo invece è più denso e non distilla senza decomposizione. Esso è formato evidentemente da prodotti di condensazione del cicloesanone in cui potrebbero essere presenti anche quelli descritti recentemente da C. Mannich (1). Esso venne frazionato alla pressione di 11 mm. e si raccolsero le porzioni che passarono a 150-200° (2 gr.) ed a 200-220° (3 gr.) senza potere osservare un punto di ebollizione costante. La parte maggiore del prodotto rimane indietro in forma d’ una resina bruna. All analisi essa dette numeri, che accennano ad un contenuto di ossi- geno minore di quello del cicloesanone. Analisi: Sostanza 0,2520 gr. ; CO, 0,6922 gr.; H,0 0,2270 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,H4,,0 (G) 74,92 73,46 H__ 10,00 10,20 Siccome questi prodotti di condensazione non avevano per noi un interesse imme- diato, li abbiamo per ora trascurati. (1) Berichte, vol. 40, pag. 153 (1907). I tre metilcicloesanoni isomeri. I tre metilcicloesanoni provenienti dalla fabbrica di Poulenc Frères di Parigi vennero purificati per mezzo del composto bisolfitico ed esposti al sole in soluzione idroalcoolica, perchè sono assai meno solubili nell’ acqua del cicloesanone. Il tratta- mento fu per tutti analogo e però la descrizione potrà essere abbreviata. Il prodotto dell’ insolazione è anche qui formato da due strati, ma elaborazione venne fatta su tutta la massa senza separare la parte oleosa dall’ acquosa. Si inco- minciò colla salatura per spostare le sostanze disciolte in quest’ ultima e si fece quindi l’ estrazione con etere. L’ estratto etereo, che conteneva in tutti e tre i casi i relativi acidi grassi, venne dibattuto con una soluzione di carbonato sodico e il liquido alca- lino ottenuto, devoluto allo studio di questi ultimi. La soluzione eterea fu poi distillata a b. m. lentamente coll’aiuto di un defiegma- tore Linnemann per eliminare prima l’etere e poi possibilmente l’aleool ; il residuo, che, oltre al ciclochetone inalterato doveva contenere anche un’aldeide, venne sag- giato, ed in caso di risultato positivo poi elaborato, col metodo dell’ Angeli per ottenere il relativo acido idrossammico. i o-Metilcicloesanone. — Il prodotto impiegato avea il punto di ebollizione 162- 164° (1); di questo vennero esposti alla luce dal 25, V al 10, II, 180 gr. sciolti in 250 c. c. d’ alcool e 270 c. c. d’acqua in modo di avere una soluzione completa. Dopo l’ insolazione il liquido, diviso in due strati, aveva un odore etereo e rancido nello stesso tempo ed una reazione marcatamente acida. Il prodotto fu trattato nel modo sopraindicato. La soluzione alcalina ricavata venne portata a secco, il residuo ripreso con acqua, acidificato con acido solforico e |’ acido grasso resosi libero, estratto con etere e seccato con cloruro di calcio. Liberato dal solvente, si presenta in forma d’ un liquido oleoso, che passa a 222-224°. L’analisi del suo sale argentico condusse alla formola d’ un acido eptanoico GA, Analisi: Sostanza 0,2106 gr.; Ag 0,0964 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C_H,,0, - Ag i —_ss en — rIEIRAr—_—_— _éÉ Ag 45,29 45,57 L’ apertura dell’ anello poteva, a differenza del caso sopra descritto del cicloesa- none, farsi in due modi diversi e però all’ acido in parola poteva competere una delle (1) P. Sabatier e I. B. Senderens danno il punto di ebollizione a 162'-163°. due seguenti formole : Ca CH, — CH, — CH, — CH, — CH, — CH, — COOH % CH N acido enantico normale H,C CO 2 I i + H,0 = oppure 15650) CH, Ò CH, Ad CH ACE ACI CHECH(HA) COOH acido metilbutilacetico La questione potè venire subito risolta, perchè il punto d° ebollizione dell’ acido da noi ottenuto corrisponde a quello dell’ acido eptanoico normale o enantico, che bolle a 223°,5, mentre l’altro, il metilbutilacetico, bolle a 210° (1). L’ idrolisi scinde dunque la molecola del o-metilcicloesanone fra il carbonile e 1) atomo di carbonio secondario che porta il metile. IL’ estratto etereo del prodotto primitivo, spogliato dal)’ acido grasso, venne, come si disse, liberato dall’ etere e dall’ alcool. Esso, assieme al ciclochetone rimasto inal- terato, conteneva anche questa volta prodotti di condensazione, di cui non ci siamo occupati, ed un’ aldeide non satura. Anche in questo caso la separazione di quest’ ul- tima doveva apparire assai difficile e però siamo ricorsi alla reazione di Angeli. Il procedimento fu perfettamente analogo a quello descritto a proposito del cicloesa- none e non fa d’ uopo ripeterlo. Il sale rameico dell’ acido idrossammico, corrispon- dente all’ aldeide che doveva essere presente nel miscuglio esaminato, venne anzitutto scomposto a freddo con acido solforico «diluito e 1° olio separatosi estratto con etere. All’ acido idrossammico doveva corrispondere la formola CH: C(0H) NOH ; 6 esso venne liberato completamente dall’ etere e poi idrolizzato per prolungata ebol- lizione a ricadere con acido solforico al 20 peto. Anche in questo caso l’ idrolisi è accompagnata da un processo di condensazione, perchè distillando, dopo una ebollizione di 2 ore, 11 prodotto col vapore acqueo, ne resta indietro quasi la metà in forma re- sinosa. La parte volatile è un olio privo di colore, che, separato mediante 1 etere e seccato, bolle a 223°. L'analisi dell'acido libero e del suo sale argentico condussero alla formola CE TRACOOHE Analisi dell'acido: Sostanza 0,1888 gr. ; CO, 0,4510 gr.; 3 H,O 0,1682 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,4,30, e_ per C,H,,0, C__ 65,20 65,63 64,61 H 9,84 9R97 10,77 (1) Vedi Beilstein, vol. I, pag. 435. DAR Analisi del sale argentico : Sostanza 0,2223 gr.; CO, 0,2882 gr.; H,0 0,0992 gr. Sostanza 0,3340 gr.; Ag 0,1754 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C_H,,0,- Ag C 35,35 35,74 H 4,96 4,68 Ag 45,68 45,92 La coincidenza del punto di ebollizione di questo acido con quello dell'acido enantico normale (223°,5) rendeva a priori assai probabile che anche esso avesse una catena normale e che però anche per la formazione dell’ aldeide, l’ apertura dell’ anello dei- l’o-metilcicloesanone avvenisse allo stesso punto. Tuttavia rimaneva ancora incerta la posizione del doppio legame. La scissione poteva condurre ad una delle due seguenti forme : (HI, = (AAT ACE, ANGEL ATE _COET acido A 6,7 — eptenoico oppure CH, — CH=CH— CH, — CH, — CH, — COOH, acido A 5,6 — eptenoico delle quali la seconda appariva più probabile della prima. Fortunatamente questi due acidi sono noti entrambi; il primo ottenuto da O. Wallach (1) bolle a 225-227°. pel secondo Fr. Fichter ed E. Gully (2) danno il punto d’ ebollizione a 222-224°; ma la piccola differenza fra queste due costanti, sebbene la seconda coincidesse assai bene col punto di ebollizione da noi osservato, non permetteva ancora una decisione rigorosa. Seguendo l’ esempio di O. Wallach siamo ricorsi però all’ ossidazione ; questa doveva condurre nel caso da noi ritenuto più probabile alla formazione di acido acetico e glutarico. L’ operazione fu eseguita colle norme di O. Wallach (3): 1,9 gr. dell’acido non saturo sciolti in carbonato sodico furono trattati a 0° con una soluzione ghiacciata di permangato potassico all’ uno peto, fino a che questa veniva scolorata. Il filtrato dagli ossidi manganici venne poi bollito a ricadere per 20 ore con Vl ag- giunta di 4,4 gr. di bicromato potassico e 10 c.c. d’ acido solforico concentrato. Questa seconda operazione aveva lo scopo di ossidare ulteriormente l° acido biossienantico formatosi nella prima. Dopo l’ ebollizione, il liquido divenuto verde cromo venne disti]- lato con vapore per togliervi alcune goccie di un acido grasso volatile ed indi estratto coll’ etere. Il residuo che ha un forte odore d° acido acetico, messo nell’ essiccatore si (1) Liebigs Annalen der Chemie, vol. 312, pag. 207 (1900). (2) Berichte, vol. 30, pag. 2048 (1897). (3) Berichte, vol. 30, pag. 208 (1897) i — 25 — solidifica. Il prodotto solido, spremuto fra carta e cristallizzato dal benzolo, fondeva a 95-97° ed aveva la composizione e la proprietà dell’ acido glutarico. Analisi: Sostanza 0,2248 gr.; CO, 0,3726 gr.; H,0 0,1212 gr. Im 100 parti: trovato calcolato per C_Z,0, i —°__e — —_——rPT——__y___m__ C 45,20 45,45 H 99 6,06 L’ossidazione dell’ acido, corrispondente all’aldeide formatasi per scissione del- l’ o-metilcicloesanone, dette dunque il resultato preveduto, che ne dimostra in modo sicuro la costituzione CL CITCRETCHTCdTCOWUH acido A 5,6 — eptenoico CH. — C00H-+ C00HT_CH,TCH, CH, —C00H. ac. acetico acido glutarico L'elegante reazione scoperta dall’ Angeli ci ha permesso dunque non solo di ri- conoscere la presenza d° un’ aldeide accanto ad un forte eccesso del chetone della stessa composizione, ma assai più ancora di determinare con tutta sicurezza la costituzione di questa aldeide senza avere la necessità di separarla allo stato libero dal miscuglio in cui era contenuta. Come il cicloesanone, anche 1° o-metilcicloesanone oltre alla idrolisi, che conduce, come s'è visto , all’ acido enantico, subisce per azione della luce un’altra scissione trasformandosi in un'aldeide che per le esperienze ora descritte deve essere | a/deide A 5,6-eptenoica o eptenilica della formola QRL (RI = 0 (= GR 0) L'apertura dell’ anello ha luogo sempre allo stesso punto e potrebbe essere inter- pretata nel seguente modo : CH, CH, CH, CH CEN , CH H,C CO H,C C-0H HC CHO Di | —>> aa I == (Lo CH, H,0 CH, HO CH, SI "OB Scerni o-metilcicloesanone aldeide A 5,6 — eptenoica Riguardo ai rendimenti dell’ idrolisi, diremo che dai 180 gr. di o-metilcicloesanone impiegati se ne ebbero 27 dell’ acido enantico e circa 14 dell'acido eptenoico. Queste cifre non danno però un’ esatta misura dell’ avvenuta scissione, perchè il primo era presente in piccola parte anche in forma di etere etilico, che abbiamo trascurato, ed Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 1 OE SO il secondo non equivale all’ aldeide direttamente formatasi, perchè, come s'è visto J idrolisi dell’acido idrossammico non è completa. Malgrado ciò, siccome in tutti i casi abbiamo operato in modo comparabile, si può dire che | o-metilcicloesanone sembra essere quello che si scinde più facilmente alla luce. m-Metilcicloesuanone. — Alla luce venne esposta durante il periodo dal 25, Va 11, I, una soluzione di 100 gr. del chetone in altrettanti c. c. di acqua e di alcool Avviene anche qui la separazione in due strati; la reazione del prodotto è debolmente acida e l’ odore poco modificato, sopra tutto non rancido. L’ elaborazione del miscuglio venne fatta come nel caso precedente. Si ebbe soltanto 1 gr. di un acido eptanoico. C,H,,0,, dal punto di ebollizione 215-216°. L'acido venne analizzato in forma del suo sale argentico. PAIS Sostanza 0,3252 gr.; Ag 0,1484 gr. In 100 parti : trovato calcolato per C_H,,0,- Ag — Ag 45,63 45,57 Gli acidi che potevano prodursi nell’ idrolisi erano in questo caso, per analogia coi precedenti, i due seguenti : de = CC) > DE — = (08 Ur (DREI (CR E 007 Ora siccome da quanto ci risulta, non è noto che il primo di essi, cioè |’ isoamilacetico, che bolle a 208-210° (1), non è possibile trarre nessuna conclusione bene accertata. Il liquido liberato dall’ acido grasso non dava in questo caso la reazione di Angeli ed oltre ai soliti prodotti di condensazione, che non abbiamo esaminato, era formato prevalentemente dal chetone inalterato. Da quanto abbiamo ora esposto risulta che il m-metilcicloesanone viene assai poco modificato dalla luce. p-Metilcicloesanone. — Il composto adoperato bolliva a 169-170° (2) e di questo ne vennero esposti in due riprese complessivamente 112 er. in soluzione idroalcoolica : cioè 68 gr. in due litri e mezzo d’acqua e 800 c. c. d'alcool dal 18, V al 2, XI e 44 gr. in uguali quantità di acqua e di alcool dal 26, V al 1, I. Per l’ insolazione si formano due strati, di cui quello oleoso è alquanto colorato in giallo. La reazione era marcatamente acida, l’ odore diverso da quello primitivo. Col consueto trattamento si ebbe un acido eptanoico, del punto 217-218°, di cui venne analizzato il sale argentico. (1) Vedi Beilstein, vol. I, pag. 436. (2) Il punto di ebollizione indicato da P. Sabatier e I. B. Senderens è 169°, 5. Andlisi: Sostanza 0,6605 gr.; Ag 0,3013 gr. Mm 100 parti: trovato calcolato per Cl. HROSEig —. ——- en Tr °—Ùn si Ag 45,62 . 45,57 Il rendimento fu di 4,2 gr. di questo acido da 68 gr. del chetone. In questo caso la scissione idrolitica è univoca e però all’ acido eptanoico forma- tosi, che crediamo non sia stato ancora descritto, dovrebbe competere la formola del- l'acido 4-metilesanoico CH, 74 CH S H,C (GUEL i : | eee CAZICH_CH(CR)\=GR= CH" C0V0H H,l CH, i so ISMEA È i iS CO TA p-metilcicloesanone La reazione di Angeli eseguita sul prodotto liberato dall’ acido grasso, dette qui risultato positivo; si ebbe il precipitato verde del sale rameico dell’ acido idrossam- mico, da cui per idrolisi con acido solforico si ottenne l’ acido eptenoico, C.H,,0,; corrispondente. Ma con rendimento così scarso che non si è potuto analizzare che il suo sale d° argento. Analisi: Sostanza 0,3515 gr.; 49 0,1600 er. In 100 parti: trovato calcolato per C,4,,0, - Ag e _aen—r —_—_>_rae»-. Ag 45,52 45,92 Il p-metilcicloesanone subisce dunque anche esso la doppia scissione e l’aldeide che ne risulta potrebbe, per analogia con gli altri casi, avere p. es. la seguente costituzione CH,= CH — CH(CH,)) — CH, — CH, — CHO, che naturalmente non deve essere ammessa senza ulteriori prove sperimentali. INVA Idrolisi del mentone e del diidrocarvone. Il comportamento dei ciclochetoni in soluzione acquosa od idroalcoolica alla luce è così singolare ed interessante da richiedere uno studio ulteriore, esteso a molti siro NS altri composti del genere. Fra questi meritavano speciale interesse quei derivati del cicloesanone che si trovano in natura o da essi immediatamente provengono. Nel presente capitolo tratteremo delle esperienze fatte col mentone e col diidrocarvone, che differiscono segnatamente per la posizione del carbonile. CH, CH, CH, CH, ZE SHERZAE CH GC | { GERI , CH HRO, CO H,C CH, I I 10] a H,l CH, H,l CO ia cH | I CH, CH, mentone diidrocarvone Sarebbe stato desiderabile comparare il contegno del mentone con quello del tetra- idrocarvone, ma essendo quest’ ultimo meno accessibile abbiamo preferito impiegare il composto biidrogenato, sperando che la presenza del doppio legame nella catena laterale, e però un po’ lontano, per così esprimerci, dal luogo dove presumibilmente dovevano avvenire le metamorfosi da noi studiate, non dovesse esercitare su queste una influenza essenziale. Ed in ciò ci siamo bene apposti, perchè realmente questi due ciclochetoni si comportano analogamente al o-metilcicloesanone e la presenza del doppio lecame nel secondo non influisce che in modo accessorio sul risultato dell’ esperienza. Anche in questi due casi ha luogo la doppia scissione, per cui si forma contempo- raneamente un acido ed un’ aldeide. Col mentone i due prodotti appartengono alla stessa serie di quelli provenienti dai cicloesanoni, il diidrocarvone dà naturalmente invece composti che contengono due atomi di idrogeno in meno. Mentone. A più riprese abbiamo esposto alla insolazione soluzioni di mentone nell’ alcool acquoso. Nelle prime esperienze complessivamente 160 er. di mentone in 600 c. c. d'alcool e 300 d’acqua, dal 10, V al 28, X, nelle seconde fatte in tubi più sottili 100 ‘gr. di mentone (perfettamente neutro, dal punto di ebollizione 209-210°) in 375 c. e. di alcool e 200 di acqua, dal 27, XI al 8, XI dell’anno suceessivo. Durante. |’ inso- lazione l’ equilibrio nel liquido si altera e si separa uno strato oleoso ; il prodotto ac- quista reazione acida ed un odore particolare, che sì avverte benissimo accanto a quello del mentone inalterato. L° elaborazione venne eseguita in fine nel seguente modo. Il contenuto dei tubi, diluito con circa 1’ eguale volume d’ acqua, venne neutralizzato con carbonato sodico in lieve eccesso, agitando ripetutamente, ed indi posto in un imbuto a robinetto. Si va separando così lo strato oleoso più leggero, che contiene, assieme al mentone inalterato, l’ aldeide di cui tratteremo più avanti. Ione Il liquido acquoso alcalino, non trattiene che quantità trascurabili di quest’ ultima e può senz’altro distillarsi per eliminare l'alcool. Il residuo, liberato per filtrazione da qualche lattigine resinosa venne portato a secco. Si ebbe così una specie di sapone, dai 100 sr. di mentone della seconda preparazione 10,7 gr, da cui con acido solfo- rico diluito potè essere messo in libertà l'acido grasso; quest’ ultimo estratto con etere e seccato sul cloruro di calcio, distillò alla pressione ridotta di 17 mm. fra 149° e 158°. Rettificato a pressione ordinaria s1 ebbe un prodotto dal punto di ebollizione 249-252°. Come era da aspettarsi, si trattava di un acido decilico, C.Hx0; la di cui com- posizione venne accertata dall’ analisi del sale argentico. Analisi: Sostanza 0,1996 gr.; CO, 0,3118 gr.; H,0 0,1266 or. Sostanza 0,3042 gr.; Ag 0,1180 gr. In 100 parti : trovato calcolato per CH 30,: Ag a SA RR C 42,70 43,01 H 7,04 6,81 VARA 3 SATO) 38,71 O. Wallach nel corso delle sue classiche ricerche sugli olii essenziali, ottenne dalla mentonossima per fusione con potassa caustica, un’ acido decilico del punto di ebollizione 249-251° (1), che assai probabilmente sarà identico al nostro. Ammettendo però per questo acido la costituzione che Wallach attribuisce al suo, l’ idrolisi del mentone può essere rappresentata nel seguente modo, che corrisponde a quella del- l° o-metilcicloesanone. CHANCE N A i ie pes E or HS )0n H,G CH, CH, ‘ j SS ; o? CH, CH ico dario di Wollech Ù CH, mentone L’ apertura dell’ anello avrebbe luogo anche in questo caso fra il carbonile e l’atomo di carbonio più prossimo, che porta la catena laterale isopropilica; siccome s'è visto che l’ orto-metilcicloesanone si idrolizza assai più facilmente di quello 1) Liebigs Annalen der Chemie, vol. 296, pag. 126. s pas — 2) — « meta », è assai probabile che l'anello del mentone si scinda, almeno prevalente- mente, nel modo indicato. La parte oleosa del prodotto, che venne col trattamento ora descritto spogliata dall’ acido decilico, contiene, assieme al mentone inalterato, una aldeide, che si mani- festava già al suo odore. Siccome fortunatamente il mentone non si combina tanto facilmente col bisolfito sodico, abbiamo potuto in questo caso ottenere 1° aldeide allo stato libero, mediante il suo composto bisolfitico. A tale scopo tutta la parte oleosa suddetta, diluita col triplo volume d’ etere, venne agitata, per mezzo di un agitatore meccanico, con la soluzione satura di bisolfito sodico, liberata dall’ eccesso di anidride solforosa. Si forma subito un precipitato abbondante, costituito da squamette bianche d’ aspetto sericeo, che vennero lavate ripetutamente per decantazione con etere. Della parte rimasta sciolta nell’ etere diremo più avanti. Per ottenere 1 aldeide libera dal composto bisolfitico impastato ancora colla soluzione satura del reattivo in forma di una poltiglia, si scompose quest’ ultima a lieve calore a b. m. con una soluzione non troppo concentrata di carbonato potassico; a poco a poco le squamette bianche si vanno sciogliendo nel liquido alcalino, il quale venne estratto con etere. L'estratto etereo, seccato con solfato sodico anidro, lasciò un residuo oleoso di circa 10 gr. (provenienti dai 100 gr. di mentone), il quale non aveva un punto di ebollizione fisso, ma passava dai 193° ai 197° ed in gran parte a 193-194°. Per togliervi le ultime tracce di mentone, che forse poteva contenere, l’ abbiamo trasformato nmuova- mente nel composto bisolfitico, agitando il prodotto con una soluzione del sale al 35 peto, liberata con corrente d’aria dall’ eccesso di anidride solforosa. Il composto raccolto su filtro di tela, seccato su piastra porosa e spremuto fra carta da filtro, venne lavato con etere ed indi stemperato nell’acqua tiepida e scomposto a poco a poco con potassa. Ripresa con etere, e seccato l'estratto con solfato sodico anidro, si ebbe ora per svaporamento l’ aldeide pura, che passò completamente a 195°. Essa ha, come era da prevedersi, la stessa composizione del mentone da cui deriva, corrispon- dente alla formola Colt ,30. Analisi; Sostanza 0,1786 gr.; CO, 0,5076 gr.; 4,0 0,1928 gr. In 100 parti: trovato calcolato per CH? xg0 _t__rP—t_s> TT Gi TTI 17,89 I MI,99 TalSgol Prima di entrare nella discussione intorno alla struttura dell’aldeide in parola, vogliamo aggiungere, per non protrarre ulteriormente la breve osservazione, che abbiamo da fare, che la parte dell’ olio, la quale rimase sciolta nell’ etere nella pre- parazione del composto bisolfitico, lavata con carbonato sodico, seccata con quello potassico anidro e liberata in fine dal solvente, passò fra i 204 e 215°. Essa era formata prevalentemente da mentone inalterato. - L’ aldeide in parola è otticamente attiva, il suo potere rotatorio a 10°, per la luce del sodio, misurato in un tubo di un decimetro di lunghezza è n= 49940. Per caratterizzarla, ne abbiamo preparato alcuni derivati, fra i quali vogliamo deseri- vere anzitutto il suo corrispondente acido idrossammico, che doveva avere la formola CH. - C(OH)(NOH). Seguendo le indicazioni di Rimini (1) e di Velardi (2) abbiamo operato nel e seguente modo; 3 gr. della nostra aldeide vennero aggiunti ad una soluzione di 3,5 gr. dell’acido di Piloty in 15 c.c. d'alcool e di 4 vr. di potassa in 40 c. e. d’alcool. La reazione si compie istantaneamente ; si versa nell'acqua e si neutralizza quasi com- pletamente l’alcali con acido acetico, fino ad un lieve intorbidamento del liquido ; senza filtrare, aggiungendo ora una soluzione di acetato rameico si produce un abbon- dante precipitato verde intenso del sale rameico dell’ acido idrossammico. Questo venne raccolto su filtro e lavato prima con acqua, poi con alcool e per ultimo nuovamente con acqua; per ottenere |’ acido libero esso venne scomposto a freddo con acido sol- forico a 20 pceto. lasciandolo in contatto coll’ acido per molte ore ed agitando di tanto in tanto. L'acido si separa oleoso, ma poi si solidifica. Estratto con etere e purificato dal benzolo si presenta in squamette bianche, perlacee, che fondono a 108-109°, L’ana- lisi confermò la supposta composizione ti CE30,N. Analisi: Sostanza 0,1510 gr.; CO, 0,3580 gr.; 4,0 0,1466 gr. In 100 parti : trovato calcolato per Col 90N CC 64.66 64,86 H 10,78 10,28 Il semicarbazone, C,H,,:CH=YN-NH-CONH,, preparato secondo le norme or- dinarie, agitando 1 gr. di aldeide con una soluzione di 4 gr. di cloridrato di semi- carbazide, 4 gr. di acetato sodico in 40 c. ce. d’acqua, si separa in forma d’ una massa molle, grassa che venne raccolta su filtro, lavata e seccata nel vuoto. Cristal- lizzata dall’ etere petrolico, si presenta in forma di aghetti bianchi finissimi, filiformi che riempiono tutto il liquido. Da un’aldeide meno pura avemmo da principio un pro- (1) Gazzetta chimica, vol. 31, II, pag. 86. ‘ (2) Ibidem, 34, II, pag. 66. — 52 — dotto che fondeva a 79-80°, da quella bollente a 195° si ebbe subito un semicar- bazone dal punto di fusione 88-89°, Analisi, fatta col prodoito meno puro. Sostanza 0,1788 gr; CO, 0,4098; H,0 0,1678. In 100 parti : trovato calcolato per C,;H,,0N, _—__. _ A C: 62,51 62,56 H 10,42 995 La nostra aldeide ha la stessa composizione del citronellale, del rodinale e del men- tocitronellale che O. Wallackh (1) ottenne per ossidazione del corrispondente alcool, il mentocitronellolo, da lui preparato dalla mentonossima. Si trattava di vedere se 1° aldeide proveniente dal mentone per apertura dell'anello alla luce fosse identica con uno di questi prodotti. Essa ha realmente un odore che ricorda assai quello dell’ ordinario citronellale, sebbene ne differisca alquanto. Il citronellale bolle secondo gli autori (2) fra i limiti 202 e 208° e però differisce notevolmente dal nostro prodotto (195°). Il potere rotatorio varia assai secondo la prove- nienza e non può essere preso in considerazione. L'acido idrossammico del citronellale è stato descritto dal Velardi (3); egli trova per questo prodotto il punto di fusione 72-74°; noi abbiamo preparato da un campione di citronellale, favoritoci dalla ditia Schimmel & C.° e purificato per mezzo del composto bisolfitico secondo le norme indicate dal Tiemann (4), bollente a 203-204°, il derivato idrossammico ed abbiamo irovato che esso fonde a 72°-73° in corrispondenza col Velardi e che è assai più solubile nel benzolo dell’ acido idrossam- mico proveniente dalla nostra aldeide (p. f. 108-109°). La stessa sconcordanza si ha nei semicarbazoni. Il semicarbazone del citronellale fonde secondo gli autori (5) a 82°,5: ripe- tendone la preparazione col citronellale puro suddetto, abbiamo ottenuto un semicarbazone che si presenta in piccoli aghetti fondenti a 81-82° (5), del tutto diversi da quelli prove- nienti dalla nostra aldeide (p. f. 88-89°). Da tutto ciò crediamo si possa concludere, che l’aldeide proveniente dal mentone per azione della luce, sia diversa dal citronellale ordinario. Invece essa potrebbe essere identica al mentocitronellale di O. Wallach, che avrebbe, secondo questo autore, il punto di ebollizione intorno ai 200° e che dà un semicarbazone dal punto di fusione 89°, identico al nostro (p. f. 88-89°). La questione della costituzione del citronellale e del rodinale si agira intorno alle due formole : (1) Liebigs Annalen der Chemie, vol. 296, pag. 131 e 182. (2) Semmler, die aetherischen Oele. Leipzig 1905. I vol., pag. 589. (3) Gazzetta chimica, vol. 34, II, pag. 66. (4) Berichte, vol. 31, pag. 3306. (5) Semmler l c. pag 613. PARO CH. diiccrici ca CHA): CA, CHO le CHI enne a ; GHAIO ) = CH-CH,-CH,- CH(CH,)-CH,- CHO; CH, Lane ; delle quali, secondo alcuni autori, la prima spetterebbe al citronellale e la seconda al rodinale. La questione è ancora controversa, ma se si tien conto delle recenti ricerche di C. Harries sull’ossidazione del citronellale coll’ ozono (1), sembra assai verosimile quanto egli con fondamento suppone, che cioè il citronellale del commercio sia un miscuglio dei composti delle due formole e che invece nel rodinale di Bouveault (2) sia stato pre- valente il composto a cui spetta la seconda. Tenendo conto del contegno del o-metilcicloesanone nella scissione aldeidica, apparisce assai probabile che all’aldeide proveniente dal mentone corrisponda una delle due seguenti formole : CHERIE SZ CH CH. pi ) =0-0= Che Vidi 010) HO CO CH, ì j i | ua oppure H,C EL CH. | \ CH ° > CH—CH=CH —CH,— CH(CH,) — CH, — CHO Î CH, ; i o i) aldeide p. eb. 195° CH, ide p. e mentone La decisione potrà aversi studiando il comportamento del corrispondente acido, che speriamo di ottenere facilmente per idrolisi C,H,-C(0H)(NOH) -> GH,- C00H dell’acido idrossammico (p. f. 108-109°), descritto più sopra. Su ciò ci proponiamo di fare le necessarie esperienze. Per ultimo vogliamo aggiungere che la soluzione idroalcoolica di mentone presentava già dopo una breve insolazione invernale, dal 27, XI al 30, I, reazione acida e l’ odore particolare indicante un’ incipiente idrolisi, mentre una simile soluzione conservata all'oscuro per 6 mesi, si mantenne inalterata. lgualmente risultato negativo si ebbe scaldando una soluzione di mentone in alcool acquoso in tubo chiuso per 6 ore fra 150° e 170°; il liquido un po’ ingiallito aveva reazione perfettamente neutra e l’odore inalterato. (1) Berichte vol. 41, pag. 2187. (1908). (2) Bulletin de la Société chimique de France III, vol. 23, pag. 458. Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 5) Diidrocarvone. Per studiare il contegno di questo composto alla luce abbiamo adoperato un prodotto proveniente dalla ditta Heine & C.°; esso bolliva a 3 mm. di pressione a 75°; la sua densità era di 0,929 ed aveva un potere rotatorio di — 17° (1). In due riprese vennero esposti alla insolazione estivo autunnale, p. es. dal 30, IV al 1, L complessivamente 300 gr. di diidrocarvone in 650 e. c. di alcool e 300 c. c. d'acqua. Dopo l’esposizione, il liquido non aveva mutato d’aspetto ma bensì di odore che s'era fatto un poco rancido. Per l’elaborazione venne anzitutto adoperata la salatura e l'estrazione con etere. L'estratto fu liberato prima dall’etere e poi dall’ alcool per frazionamento con defieema- tore; l'alcool distillato subì poi a sua volta lo stesso processo per riacquistare la parte del prodotto che era passata assieme ad esso nella prima distillazione. Il residuo, ripreso con etere, venne ora agitato con agitatore meccanico con una soluzione di carbonato sodico per fissare l’acido che s’ era formato nell’ idrolisi. La soluzione alcalina, in cui quest’ ultimo era contenuto, agitata anecra una volta con etere, dette, dopo conveniente concentrazione, con acido solforico, l'acido grasso libero in forma di un olio, che venne estratto con etere e seccato con cloruro calcico. Il residuo dell’ estratto etereo, il nuovo acido, passa a 12 mm, a 135-137 ed a pressione ordinaria a 254°,5. Da 200 gr. di diidrocarvone se ne ebbero 6 gr. Esso ha il debole odore caratte- ristico degli acidi grassi superiori e la composizione preveduta CRHRO. 182° Analisi: Sostanza 0,1678 gr.; CO, 0,4320 gr.; H,0 0,1604 gr. In 100 parti : trovato calcolato per C,H,g0 (0) 70,21 70,58 H 10,62 10,58 È dunque un acido non saturo, che contiene una molecola di idrogeno di meno di quello proveniente dal mentone. Ora, se sì tiene conto del modo come avviene l’idrolisi dei cicloesanoni e segnatamente dell’ o-metilciclesanone, è da supporsi che verosimilmente la apertura dell’anello avrà luogo anche in questo caso fra il carbonile e l'atomo di carbonio più prossimo che porta la catena laterale. Nel mentone, come s'è visto, questo ultimo è quello dell’isopropile, qui invece esso è l’atomo di carbonio legato al metile. Se l'apertura dell’anello nel diidrocarvone avviene come s'è detto ora, l’ acido non saturo, che ne risulta, conterrebbe il doppio legame situato in modo, da trasformarsi per ebolli- (1) Questi dati ci furono forniti dalla stessa ditta e noì non li abbiamo riveduti. zione con acido solforico in un lattone della stessa formola empirica. da noi ottenuto subisce facilmente questa trasformazione SRO Realmente l'acido e però crediamo che ad esso ed al relativo lattone spettino le seguenti strutture, le quali naturalmente non hanno altro appoggio all'infuori delle ragioni ora esposte. CH, CH, CH, CH, CH, CH, NILIEA Na ri NZ C (0) (GER |) | | | $ CH p, CH Xx vp (CIEL N RC CH, H,C CH, H,C CH, I | «S degoe== DI ogni —> dl Ri HyC CO - HRC COOH H,C CUBE è Giano CH, CH, | as pesare CH. h CH. 5 CH. È diidrocarvone acido lattone Coll 160 Col 180, Col 150% Per ottenere il lattone, di cui ora s°è parlato, 3,5 gr. dell’acido non saturo che passò a 254°,5, venne bollito, seguendo le norme indicate del Fittig e da Hjelt, per 15 minuti con 20 c. c. di acido solforico diluito con l’eguale volume d’acqua e ribollito per un altro poco dopo avere allungato ulteriormente l’ acido. In questo modo |’ odore dell’ acido grasso scompare ed il prodotto assume quello caratteristico de’ lattoni. Finita Vebollizione si estrasse con etere, si agitò l'estratto con carbonato sodico e lo si seccò con quello potas- sico anidro. Il lattone liberato dall’ etere, passò tutto a 264-265°. Esso ha, come s'è detto, l’istessa composizione dell’acido da cui proviene: Co,30, - Analisi: Sostanza 0,1752 gr.; CO, 0,4030 gr.; 4,0 0,1708 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C.,H,0, C_ 70,51 70,58 Jef. — 1095 MIO Come s’ è accennato in principio del presente capitolo, il diidrocarvone, come molti altri derivati del cicloesanone, patisce alla luce anche la scissione aldeidica. L’aldeide formatasi era contenuta, come ben s’ intende, nella parte neutra del prodotto. In questo caso non era possibile ottenerla allo stato libero servendosi del composto bisolfitico, come si fece a proposito del mentone, perchè il carvone ed i suoi derivati idrogenati si combinano anche essi facilmente col bisolfito sodico; fu quindi necessario ricorrere alla reazione di Angeli ed estrarre l’aldeide in forma del sale rameico del suo acido idrossammico. A tale scopo la soluzione eterea sopramenzionata, che era stata spogliata dall’acido con carbonato sodico, iui venne liberata dall’etere e l’ olio risultante (da 100 gr. di idrocarvone, ne rimasero 86 gr.) trattato a 30 gr. per volta coll’ acido del Piloty. Si impiegarono per ogni 30 gr. del- l'olio, 7 dell’acido in 60 c. e. d'alcool e 8 gr. di potassa in 80 e. c. d’ alcool. Distillato il solvente, il residuo fu sciolto nell'acqua e la parie inalterata del diidrocarvone, che si separa oleosa, estratta più volte con etere. La soluzione alcalina, resa neutra (fenolfialeina) con acido acetico, dà coll’acetato di rame un assai abbondante precipitato verde, che venne, come di consueto, raccolto e lavato sul filtro alla pompa. I precipitati riuniti del sale rameico dell’ acido idrossammico furono anzitutto trattati a freddo con acido solforico diluito; dopo qualche ora, sul liquido azzurro nuota un olio, che doveva essere l’acido idrossammico libero, da estrarsi con etere. Essendo l'acido idrossammico oleoso, non venne ulteriormente studiato; si passò invece subito alla sua idrolisi; senonchè in questo caso, avendo l’acido grasso doppiamente non saturo, che doveva risultare, una costituzione cor- rispondente a quello già descritto, oltre all’idrolisi avviene per l'ebollizione con acido solforico anche la trasformazione lattonica. Così in luogo dell’acido corrispondente all’ al- deide, che trovavasi presente nel prodotto primitivo dell’insolazione, abbiamo ottenuto il relativo lattone. Per preparare quest’ultimo, l’acido idrossammico venne bollito a ricadere per 3 ore con acido solforico al 20 pcto; distillando quindi con vapore acqueo passa soltanto un terzo del prodotto, il resto è una resina bruna, dovuta anche in questo caso ad un pro- cesso di condensazione. La parte distillata è perfettamente neutra ed insolubile nei car- bonati alcalini; venne però spostata con carbonato potassico, estratta con etere e seccata con carbonato potassico anidro. Spogliata del solvente si presenta in forma d’ un olio, dal- l'odore particolare dei lattoni, il quale passò quasi integralmente a 266-267'. Esso ha la composizione prevista Col,69s - Analisi: Sostanza 0,1774 gr:; CO, 0,4630 gr.; H,0 0,1600 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,,H7,59 _——-# e Cc 71,18 71,42 ll IO0Z 9,52 Da questo lattone abbiamo cercato di ottenere per saponificazione con barite, il sale baritico del corrisponden'e ossiacido; bollendo il lattone con barite a ricadere, esso passa a poco a poco in soluzione, che venne trattata subito a caldo con anidride carbonica; ma il filtrato si intorbida per raffreddamento e si separano delle gocciolette oleose che sanno del lattone. Si vede che il sale baritico dell’ossiacido viene in piccola parte scomposto anche dall’acido carbonico, perchè l’ossiacido può subito trasformarsi in lattone. Però non abbiamo potuto preparare il sale baritico e la sua soluzione, filtrata dopo raffreddamento per un filtro bagnato, onde trattenere le coccette oleose, venne subito precipitata con nitrato di argento. Il sale argentico dell’ ossiacido C.,H,0,: Ag è un precipitato bianco e caseoso. Analisi: Sostanza 0,2872 gr.; Ag 0,1066 gr. In 100 parti: trovato _ i a Ag DI calcolato per C,7,03 : 49 =_—— de TT —_r Tyw(|[|_ _———_ _—_1_# ! 36,86 La scissione aldeidica del diidrocarvone può anche essa essere interpretata alla stregua di quanto insegnarono le esperienze fatte coll’ o-metilcicloesanone. Ammettendo che l’apertura dell'anello avvenga anche nella scissione aldeidica fra il carbonile e l’atomo di carbonio prossimo che porta il metile, si può dare alla reazione ed ai composti ottenuti una inter- pretazione corrispondente ai seguenti schemi. ED UEE Naz diidrocarvone Co ,50 L’ossiacido, CH} CH, CH C MC C CH, 2 acido C, oe 0, | = HC COOH DIGHE, == | HC CO CH | CH, lattone CroH,60, H,C CHA O | | che si forma per saponificazione. del lattone dal punto di ebollizione 266-267°, avrebbe naturalmente la costituzione che deriva immediatamente da quella attribuita a quest’ultimo. Tutti questi schemi non possono darsi come accertati; hanno soltanto quel grado probabilità che proviene dalle reazioni ora descritte. V. Influenza della clorofilla sull’idrolisi dei chetoni. Noi crediamo che in avvenire sarà utile studiare le azioni chimiche della luce anche in presenza di catalizzatori inorganici e segnatamente di fermenti organici, perchè è pro- babile che simili osservazioni possano avere qualche interesse per la biologia vegetale. Ci sembrò conveniente incominciare questa serie di nuove esperienze con la clorofilla; questa meravigliosa sostanza, che determina nelle piante il fenomeno dell’ assimilazione, può, mas- sime dopo le ricerche del Willstàtter essere considerata come un catalizzatore. Per primo caso ci parve opportuno esaminare quale effetto essa potesse esercitare di sulla idrolisi fotochimica dei chetoni, che è ora una reazione abbastanza bene conosciuta. o FISSE Il resultato delle nostre esperienze è stato però soltanto questo: che in apparecchi chiusi, cioè fuori del contatto dell’aria, la clorofilla impedisce o meglio ritarda l’idrolisi perchè fa da schermo; essa agisce cioè solamente come materia colorante, assorbendo quei raggi che determinerebbero la scissione idrolitica. Acetone. L’idrolisi dell’acetone viene ritardata dalla clorofilla in modo assai marcato. Le prime esperienze vennero fatte con quei tubi che si usano nelle analisi delle urine per ricercare la presenza di zucchero per fermentazione, misurando l'anidride carbonica che si sviluppa. In due di questi tubi vennero introdotte soluzioni acquose di acetone al 10 peto. di cui una era stata colorata con clorofilla. L'esposizione durò dal 10, VI al 16, VIL Nel iubo senza clorofilla dopo il 4. giorno d’ insolazione cominciò a svolgersi un gas che s’ andò racco- gliendo prima rapidamente e poi più lentamente fino a cessare del tutto. Se ne ebbero 2 c. c. che furono riconosciuti essere formati da metano. La soluzione colorata, con clorofilla non dette uno sviluppo sensibile di gaz. Per fare delle misure con maggiore precisione abbiamo ripetuta l’esperienza in tubi chiusi. Vennero esposti al sole durante il periodo dal 11, VI al 22, XI due iubi contenenti ciascuno una soluzione di 10 gr. di acetone in 100 c. c. d’acqua, di cui una era siaia colorata con clorofilla proveniente dalla fabbrica di E. Merck. Aprendo i tubi si notò in quello senza clorofilla una certa pressione proveniente dal metano formatosi: in quello colorato con clorofilla non v'era pressione sensibile. Si passò alla titolazione dell’ acido acetico impiegando come indicatore la fenolftaleina e come alcali una soluzione decinormale di potassa caustica. Il resultato fu il seguente: nel primo caso, senza clorofilla, pei 10 gr. «di acetone vennero consumati 10,3 c. c. di potassa, nel secondo, con clorofilla, furono suf- ficienti 2,3 c. c. Cicloesanone. La influenza protettrice della clorofilla si rende anche più manifesta nella idrolisi del cicloesanone. In una prima esperienza vennero esposti al sole due tubi contenenti ciascuno 3 gr. di cicloesanone sciolti in 3 gr. d’ alcool e 30 gr. di acqua; una delle soluzioni era stata colorata intensamente con clorofilla. Dopo una esposizione dal 27, VI al 16, VII il liquido senza clorofilla aveva mantenuto inalterato il suo odore ed era perfettamente neutro, mentre quello senza clorofilla aveva acquistato un odore aldeidico e reazione marcatamente acida, corrispondente a 3,5 c. c. di potassa decinormale. Anche in questo caso l’ esperienza fu ripetuta con una esposizione più prolungata. Vennero impiegate due soluzioni formate ciascuna da 5 gr. di cicloesanone, 5 ce. e. d’alcool e 50 c. c. d’acqua, di cui una colorata con clorofilla. L’ esposizione durò dal 17, VII al 21, XI. Nel tubo senza clorofilla s'era formato uno strato oleoso; il suo contenuto aveva l’ odore marcatamente rancido per l’aldeide formatasi e reazione acida : titolando l’ acido capronico che s° era prodotto si consumarcno, pei 5 gr. di cicloesa- none, 34,5 c. c. di potassa decinormale. Il tubo a cui era stata aggiunta la clorofilla i A i dg aveva poco mutato d’aspetto e di odore; l’acidità del liquido corrispose appena a 4 c. c. di potassa decinormale. Mentone. I due tubi esposti all’ insolazione dal 18, VII al 22, XI contenevano ciascuno 10 gr. di mentone, 37 c. c. d'alcool assoluto e 20 c. c. d’acqua. Anche questa volta il liquido nel tubo contenente clorofilla non aveva quasi mutato d’ odore, mentre l’altro aveva reazione acida ed odore aldeidico. In questo caso però abbiamo creduto più opportuno di dosare invece dell’ acido decilico, che ha debole azione acida, l° al- deide, impiegando la reazione dell’ Angeli. Dopo l’insolazione il contenuto dei tubi venne portato a 100 c. c. ed in 90 di questi si fece il dosaggio dell’ aldeide, tra- sformandola nel modo consueto col reattivo del Piloty nel sale rameico del corri- spondente acido idrossammico e pesando il precipitato verde di quest’ uitimo, debita- mente lavato con acqua ed alcool. Anche se la separazione dell’ aldeide non è completa, le presenti misure hanno sempre un significato, perchè fatte in modo com- parabile sui due liquidi esaminati. Il liquido contenente la clorofilla dovette anzitutto distillarsi in corrente di vapore acqueo; il distillato venne esaurito 7 volte con etere e l'estratto poi sottoposto al solito trattamento. Si ebbe il seguente resultato: dalla soluzione senza clorofilla il precipitato rameico ottenuto, seccato nel vuoto, pesava 1,8 gr.: da quella contenente clorofilla si ebbe un precipitato lievissimo del peso di soli 0,1 gr. Per ultimo vogliamo aggiungere che la presenza della clorofilla ritarda anche altre reazioni fotochimiche che notoriamente vengono determinate segnatamente dai raggi più rifrangibili (1). Noi abbiamo avuto risultati simili ai precedenti colla soluzione alcoolica di benzofenone, e con quella eterea di chinone. Non vogliamo ricercare per ora quale interesse possano avere queste osservazioni per la fisiologia vegetale; giudicando a prima vista potrebbe sembrare che le piante si servano della clorofilla anche per proteggere dai raggi più rifrangibili certe sostanze alterabili. come appunto lo sono le essenze in genere, ma per poter fare una simile as- serzione è naturalmente necessario istituire delle esperienze più dirette. VI. Contegno dei carvone. Il carvone, come è noto, contiene due doppi legami, di cui uno nella catena laterale isopropilica e l’altro nell’ anello esametilenico. La sua formola, come è ora (1) Rendiconti dell’Accademia dei Lincei V, vol. J], pag. 145. bene accertato, è però la seguente: carvone Sul contegno dei ciclochetoni non saturi nel nucleo non avevamo finora nessuna espe- rienza e però lo studio del carvone doveva apparire assai interessante. E lo è diffatti, perchè, come si vedrà da quanto esporremo in questo capitolo, il carvone non subisce idrolisi; dà luogo invece alla formazione di molta resina ma a canto a quesia a quella di un prodotto di autocondensazione assai rimarchevole. In più riprese vennero esposte all’ insolazione le seguenti soluzioni idroalcooliche di carvone: 100 gr. di carvone in 200 di alcool assoluto e 100 d'acqua dal 10, IV al 1, 1; 237 gr. di carvone in 475 ce. c. d'alcool e 237 d'acqua dal 25, Val: 150 gr. di carvone in 300 c. c. d’ alcool e 150 d’acqua dal 12, VI al 1, I; 212 er. di carvone in 424 c. c. d’alcool e 212 d’acqua dal 24, V al 1, I. Durante l’inso- lazione in fondo ai tubi verticalmente disposti, si va separando uno strato oleoso debolmente colorato in giallo, mentre la parte superiore del liquido rimane scolorata. Dopo l’ esposizione il contenuto dei tubi è lievemente acido, ma a tale acidità corri- sponde una cosi piccola quantità di materia solubile negli alcali, che noi l abbiamo trascurata. L'elaborazione del prodotto venne fatta nel seguente modo : Il contenuto dei tubi fu anzitutto liberato per distillazione con deflegmatore per quanto fu possibile dal- l’alcool ed indi il residuo distillato in corrente di vapore acqueo fino a che tutta la parte oleosa, di cui diremo più avanti, era passata. Resta così indietro nel pallone una resina gialla, che col raffreddamento si rap- prende in una massa dura e fragile. A seconda delle condizioni in cui avvenne l°in- solazione e massime a seconda dello spessore dei tubi adoperati, il rendimento in resina oscillò fra il 34 ed il 68 pcto. Lo studio della natura chimica di questo corpo presenta, come si comprende, grandi difficoltà che non abbiamo ancora superato; sem- bra che la resina non sia un semplice prodotto di polimerizzazione, come avviene in altri casi per azione della luce, perchè l’analisi del prodotto greggio condurrebbe ad un contenuto di ossigeno maggiore di quello del carvone. Analisi: Sostanza 0,1842 gr.; CO, 0,5314 gr.; 4,0 0,1572 gr. In 100 parti: trovato calcolato pel carvone C,,H7 0 C 78,68 80,00 H 9,48 9,33 La resina è solubile in tutti gli ordinari solventi fuorchè nell’ etere di petrolio e nell’acqua e fonde fra 40 e 70°. Per cercare di purificarla ne abbiamo precipitata la soluzione eterea con etere petrolico; si ebbe così un voluminoso deposito amorfo che venne filtrato e seccato nel vuoto: da 10 &r. di resina se ne ottennero 2 er. Seccata poi anche a 100°, fonde fra 114 e 140°; è una polvere bianca che contiene ancor meno carbonio del prodotto greggio. Analisi: Sostanza 0,2494 gr; CO, 0,6814 gr. In 100 parti: Ci 74,50 3 H,O 0,19539r% i VS 05 Il peso molecolare, determinato in acido acetico dette valori che oscillavano fra 208 e 346. Il peso molecolare del carvone è 150. Sulla natura di questo prodotto e sulla provenienza del suo elevato contenuto in ossigeno diranno, lo speriamo, le ulte- riori ricerche che ci proponiamo di istituire in seguito. Come si disse più sopra, assai più della resina ci premeva lo studio del prodotto che nella distillazione col vapore acqueo passa assieme al carvone inalterato. Sic- come la reazione di Angeli riuscì negativa, si dovette ritenere che esso non contenesse sostanze di natura aldeidica. L° olio proveniente da 450 gr. di carvone, venne separato dall’ acqua in un imbuto a rubinetto; se ne ebbero così 260 gr., che furono distillati nuovamente in corrente di vapore, ma questa volta raccogliendo separatamente la parte che passava per prima. S'è potuto notare così facendo che le porzioni più volatili aveano un odore canforico un po’ diverso da quello del carvone. Per ricercare se realmente assieme a questo vi fosse qualche altro composto, abbiamo pensato di ricorrere all’impiego del bisolfito sodico, perchè si sa che, a differenza di molti altri ciclochetoni naturali, il carvone vi si combina con facilità ed in modo completo; come è noto, su questa proprietà è basato il metodo del Labbè che permette un dosaggio del carvone (1). L'olio distillato frazionatamente col vapore acqueo, che era stato raccolto in tre porzioni distinte, venne saggiato col metodo del Labbé bollendo 5 gr. di ciascuna delle tre porzioni con 7 gr. di bisolfito sodico (da Erba) in 20 c. c. d’acqua per un’ ora e mezza a ricadere e pesando poi la parte non combinata che veniva estratta con etere. Il risultato fu che la prima frazione conteneva il 36 peto di sostanza non combinabile col bisolfito, la seconda il 16 e ia terza soltanto il 10 pceto. (1) Bulletin de la Société chimique de France III, vol. 23, pag. 280. Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 6 PESTO TRRRTR Dopo ciò abbiamo trattato tutto il prodotto col bisolfito in porzioni di 25 gr. per volta, bollendo queste a ricadere per un’ ora e mezza con una soluzione di 35 gr. del sale in 100 c. c. d’acqua. Distillando con vapore acqueo, passa la parte non combi- nata col bisolfito, che da principio si rapprende in una massa semisolida. Siccome la sostanza cristallina è più volatile dell’ olio che Vaccompagna, si può raccogliendo le prime porzioni separatamente e ripetendo la distillazione colle ultime, arrichire le prime in modo da ottenere una certa quantità di materia solida. Di questa ne rimane sciolta però molta nella parte oleosa e qui convenne ricorrere alla distillazione fra- zionata a secco. La parte oleosa venne ripresa con etere, seccata e distillata per se. Si raccolsero due frazioni fra 203 e 211° e 211 e 217°, di cui la prima era la più abbondante. Questa posta nel miscuglio frigorifero si solidificò in parte. Per ricavare il più possibile di materia cristallina, si filtrò alla pompa e si ripetè colla porzione liquida il frazionamento e la successiva cristallizzazione nel miscuglio frigorifero. Così facendo si ebbe un’altra quantità di materia solida, che venne elaborata assieme alla precedente. Rimane però sempre una parte oleosa, da cui si estrasse il solido che ancora conteneva combinandolo colla semicarbazide come si dirà più avanti. La parte cristallina ottenuta sia per distillazione con vapore acqueo, sia per frazionamento diretto a secco, come ora s’° è detto, venne spremuta fra carta nel torchio per liberarla completamente della parte oleosa e quindi distillata; essa passò integralmente. a 206°,5 (temp. corretta) che è il suo punto d’ebollizione; il suo punto di fusione è a 100°. La sua composizione è identica a quella del carvone e corri- sponde alia formola Cd 40. Analisi: Sostanza 0,1704 gr.; CO, 0,4976 gr.; H,0 0,1434 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,,7,0 _— —_ aero —-Yr_ "d*e-. CARRO TO 80,00 H 9,95 9,33 Determinazione del peso molecolare : In acido acetico glaciale si ebbe : s peso molecolare concentrazione abbassamento trovato calcolato ir _—__Ss ——_ —. »aep_eronR0Rk8e-e=-. T_T — er 1,162 0ESSO) TTI 150 Il nuovo composto somiglia in modo così sorprendente alla canfora nell’ odore e nelle altre proprietà esteriori, che lo si potrebbe scambiare con questa. Ha l' aspetto d’una massa cristallina bianca opalina, molle, plastica, che, come la canfora, non può polverizzarsi direttamente; per faria conviene umettarla con alcool o con etere petro- lico. Sebbene più pesante dell’acqua, in piccoli pezzetti vi galleggia per capillarità e questi assumono un movimento di rotazione, come fa la canfora in seguito alla sua volatilità. Si scioglie facilmente in tutti gli ordinari solventi fuorchè nell’ acqua. Come il carvone da cui proviene, questo suo isomero è un chetone, perchè trat- tato nel modo come si fa per la canfora, coll’ idrossilammina e con la semicarbazide, vi si combina dando i corrispondenti derivati. L’ossima, CoH,y: NOH, venne preparata da 1 gr. del composto canfoide con un gr. di cloridrato d’idrossilammina in 10 c. c. d'alcool metilico, coll’ aggiunta di Il a gr. di soda sciolta in pochissima acqua, per ebollizione di un’ ora a ricadere. Dopo eliminato l’ alcool metilico e ripreso il residuo con acqua, si neutralizzò esatta- mente il liquido con acido cloridrico e si raccolse il prodoito cristallino separatosi. Questo, purificato dall’ alcool metilico diluito. si presenta in grossi cristalli disposti a spina, che fondono a 126-128°. Analisi: Sostanza 0,1612 gr.; CO, 0,4281 gr.; 4,0 0,1344 gr. Sostanza 0,1614 gr.; azoto, misurato a 12° e 761 mm., 12 c. c. In 100 parti: trovato calcolato per C,, ON SI III sl COTIZIA3 — — TZ JE 9,26 — — 9,09 N —— 8,83 8,48 Questa ossima, che si scioglie fuorchè nell’acqua in tutti gli ordinari solventi, ha una grande tendenza a formare grossi cristalli: dall’ etere petrolico, per spontaneo svaporamento, quasi tutta la sostanza che trovasi disciolta dà pochi singoli individui cristallini bene sviluppati che furono misurati dal Prof. Giovanni Boeris. I dat che egli volle gentilmente comunicarci sono i seguenti : Sistema cristallino : monoclino G3 9 =IMOSTRI VEN AMI Forme osservate : }100} {110} {001} {201} {111}. Angoli limiti Medie Calcolati N (100) : (110) 45° 251 — 450.51 15038 S/i 15 (100) : (001) E 67 40 67° 36' ] (001) : (201) iu zi 61 19 I (201) : (100) — — Sa odia l (110) : (001) 74° 27) — 74° 50 74 33 * 7 (001) : (111) 44 28 — 44 5l 44 42 * 7 (111): (110) 60 30 — 60 58 60 37 60 45 7 (110) : (111) — — Togni. TO l (111): (201) — — 41 6 40 58 1 (201) : (T10) = — 63 45 63005) ] Il semicarbazone, C,,H,,N,0, venne preparato scaldando un poco a b. m. una soluzione di 1 gr. del prodotto canfoide in 10 ce. c. d’ acido acetico glaciale. con quella di 1 gr. di cloridrato di semicarbazide ed 1 gr. di acetato sodico in 2 c. c. d’acqua. Diluendo, dopo riposo, precipitò il semicarbazone, che enne cristallizzato dall’ alcool. Dà grossi prismi senza colore, che fondono a 239°. Analisi: Sostanza 0,1532 gr.; C0, 0,3600 gr.; 4,0 0,1164 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,;H;;N,0 — i —_s = TT C 64,09 63,77 H 8,44 8,21 Questo strano isomero del carvone, di cui abbiamo descritto ora le principali proprietà e che ha dunque la formola C,,#,,0, a differenza del carvone e del diidro- carvone, in soluzione alcoolica od acetica, resiste al permanganato potassico nella misura prescritta dal Baeyer per i composti saturi. Oltre che per le sue proprietà fisiche esso differisce perciò dal carvone per questa maggiore resistenza agli ossidanti, che deve evidentemente stare in diretto rapporto colla sua costituzione chimica. La quantità di prodotto, di cui finora disponevamo, non ci ha permesso di fare le oppor- tune ricerche in questo proposito e però la definitiva discussione su tale argomento rimane riserbata ad una successiva pubblicazione. Qualche cosa però può fin d’ora essere detta con le debite precauzioni e riserve. Questa metamorfosi del carvone alla luce è un processo che ricorda le polime- rizzazioni dei corpi non saturi, in cui per condensazione di due molecole spariscono i legami doppî oppure si trasformano in modo da diventare meno sensibili al permanga- nato, Si può ricordare in proposito la trasformazione dell’ acido cinnamico in trussilico, la polimerizzazione dello stilbene, la trasformazione della cumarina in. idrodicuma- rina (1) ecc. Nel caso attuale si potrebbe invece supporre che il mutamento sia dovuto alla presenza di due doppi legami nella stessa molecola del carvone. Noi siamo ben convinti che le possibilità sono molte, ma come prima idea vien fatto di comparare la trasformazione del carvone nel suo isomero cristaliino a quella degli acidi cinnamici in trussilici : CH, — CH.= CH — COOH CHEACHCICHELCOOH acido cinnamico CH 'CH CRT C00H | | Gala — (= (CESMIIET acido trussilico Accettando per questi ultimi le formole generalmente in uso ed ammettendo che nel nostro caso avvenga una specie di polimerizzazione a spese dei due doppi legami del carvone, la costituzione del suo isomero cristallino canfoide, potrebbe essere rap- presentata con la seguente fermola : H,C CH CHE H,C CA A (HEI, = 1/2 (CE FRAGE lil = 7 (OL, HO===C—— co Col c — CO. CH, CH, carvone isomero p. f. 100° La parte oleosa che accompagna il prodotto cristallino, di cui s'è parlato più sopra, e che venne spogliata per quanto era possibile da questo per congelamento e successiva filtrazione, ne contiene ancora, anzi sempre in quantità prevalente. Essa passa fra 210° e 225° ma bolle per la parte maggiore a 214-217°. L'analisi dimostrò assal diversa da che questa parte liquida non aveva una composizione quella del carvone. Analisi: Sostanza 0,1882 gr.; CO, 0,5462 gr.; H,0 0,1654 gr. In 100 parti: i trovato calcolato per CH? ,0 C 78,95 80,00 H 10,52 0599 Essa non è stabile al permanganato; trattata con questo in piccolo saggio sì raggiunse presto la stabilità e dal liquido filtrato si potè ricavare 1’ isomero canfoide. (1) Vedi la conferenza: « Sur les actions chimiques de la lumière » nel bollettino della « Société chimique de France ». 4 Serie, vol. III, 1908. — 46 — Avuta così la certezza che l'olio in parola era formato prevalentemente da questi’ ultimo, lo si trattò tutto (27,3 gr. da 450 gr. di carvone) colla semicarbazide. A questo scopo la parte oleosa, sciolta in 4 volte il suo volume di acido acetico glaciale, venne trattata con quantità uguali a quella dell’ olio impiegato di cloridrato di semicarbazide e di acetato sodico, sciolti nel doppio peso d’acqua. Dopo breve riscaldamento a ». m., il liquido venne versato nell’acqua ed il precipitato formatosi, cristallizzato da.l’alcool. Il prodotto fondeva a 239° ed era però costituito dal semicarbazone suddescritto del- l isomero solido del carvone. Partendo da 450 gr. di carvone, si ebbero direttamente 12 gr. dell’ isomero canfoide dal punto di fusione 100° e 23 gr. del semicarbazone proveniente dalla parte oleosa. Da ciò si calcola che dalla detta quantità di carvone si produssero circa 28 er. dell’ isomero solido simile alla canfora. I liquidi acetico ed alcoolico, in cui s'era formato e da cui venne purificato il suddetto semicarbazone, contengono oltre a questo, in piccole quantità, una parte oleosa, che trovandosi mescolata al composto canfoide ne impediva la cristallizzazione. Per esaminare questa parte oleosa, abbiamo neutralizzato con carbonato sodico il liquido madre acetico e l abbiamo distillato assieme a quello alcoolico con vapore acqueo. Il semicarbazone resta indietro, mentre passa un olio più leggiero dell’acqua, che ha un odore di rosa. La piccola quantità di questo, soltanto di circa 3 gr., non permise uno studio ulteriore, che sarebbe stato del resto forse inutile, perchè trattando un campione del carvone primitivo con bisolfito sodico fino ad esaurimento col metodo suddescritto del Labbè, ci siamo accorti che resta indietro, in lieve quantità, una ma- teria oleosa che ha lo stesso odore di rosa assieme a quello di limone. Per ultimo ci è grato dovere ricordare l’° aiuto efficace e diligente che in questa lunga e laboriosa serie di ricerche ebbe a prestarci il dott. Mario Forni. Bologna, agosto-novembre 1908. oo DERRMIAZIONI ASTRONINICIE SPEDITE DI LATITTDIA A MONTE CATRIA E A MONTE CONERO MEMORIA DEL PROF. FEDERIGO GUARDUCCI (letta nella Sessione del 13 Dicembre 1908). In una mia precedente Nota dimostrai come, per la determinazione sperimentale della fisura del eeoide terrestre, si utilizzano meglio i mezzi che si hanno a disposizione ese- guendo il maggior numero possibile di determinazioni di coordinate geografiche, sia pure non coll’ ultima precisione, che non cercando nelle determinazioni stesse le ultime frazioni misurabili degli angoli, inquantochè sono appunto queste che, esigendo molto tempo e por- tando alla necessità di impianti considerevoli, aumentano grandemente le spese a danno del numero delle stazioni sul quale appunto riposa la miglior soluzione del problema. —- D'altra parte poi è ancora assai discutibile se quel poco di precisione in più che si potrà raggiungere in confronto di determinazioni più speditive non sia, almeno in parte, sprecata, a causa della variabilità col tempo di ciò che sì misura sul nostro pianeta, variabilità che conferisce inevitabilmente ad ogni nostra determinazione un certo grado di provvisorietà In tale ordine di vedute, pur trovando ragionevole la esecuzione di stazioni di alta precisione in alcuni punti relativamente lontani fra di loro destinati a servire, in certo modo, da capisaldi, propugnai per le regioni ad essi punti interposte, delle determinazioni di carattere speditivo che vengono a costare notevolmente meno pur dandoci una preci- sione più che sufficiente allo scopo; ed in appoggio a ciò eseguii, a titolo di esperimento, alcune misure di latitudine qui in Bologna e, precisamente, sulla torre di questo osserva- torio, (per gentile concessione del Ch.mo collega Prof. Rajna),e sulla specola della scuola degli Ingegneri, ponendole quindi fra loro in relazione mediante il collegamento geodetico (che pure eseguii), fra i due punti, e controllando la posizione astronomica tro- vata per la Torre dell’ Osservatorio coll’ analoga posizione ottenuta alcuni anni or sono dal compianto Prof. Ciscato con due metodi diversi ed usando i migliori e più potenti mezzi di misura. L’accordo, come mostrai, nella Nota presentata, risultò soddisfacentissimo il che mi LA ET confortò nel proponimento di proseguire a raccogliere, a poco per yolta e limitatamente ai mezzi di cui dispongo, quel maggior numero di dati astronomici che mi sarà possibile a contributo della determinazione sperimentale del geoide terrestre nelle nosire regioni Alle osservazioni di Bologna hanno fatto perciò seguito intanto altre due determi- nazioni eseguite nella scorsa estate, collo stesso metodo e collo stesso istrumento, | una sulla cima del Monte Catria e l altra al semaforo di Monte Conero. In ambedue questi punti ho ottenuto dei valori soddisfacentissimi della latitudine con errori medi di meno di mezzo secondo di arco e, quello che più monta, ciascuna determinazione è stata eseguita in poche ore di una sola notte con modestissimi impianti e con tenue spesa. I risultati di questi due lavori, nei quali sono stato coadiuvato dal Sig. Dott. Luigi Galvani, assistente alla cattedra di Geodesia, sono riassunti nei due quadri seguenti: Osservazioni di latitudine eseguite sul Monte Catria (Altitudine 1702”). Num e CdA, d’or- Data Stelle osservate Declinazioni E nenital Rifrazione agile v DIO dine (corrette della liv.) i risultata e ————_ ——-,. —_T_______ ————_r | —_ 1e O OOo 1908 | | | | 8 Settemb. | | | | I » è Sagittae ISgISA3 A) 125209154588 NOS23ES E ooo Mo » | e Draconis nOr0S 10) 3 26355784 10125139 Sorano È a A SG IO na | | 5) » 8 Aquilae 6 10 47,237 1734 0. | 0 38 4 ic Rc 3 » x Cephei TI 29 220 dee So OSO AO MO | | 3 » e Delphini IV eee ei 020 Ma » 73 Draconis ASTI S COR ESITO LO 307 (i SR 4 » x Equulei 4 52 148 | 38 35 55 6 | 0 40 4 SSA » 7504 BAC SOESONONSI CO Oo SI Pi DIA NOR | | » f Cephei 70109 13848tM26742412181 02575 CSA sol Ù) > e Pegasi DTEZAAT AUTO 0 A OA UO, | n » 0 Pegasi 5 44559 | 37 43.167|0 391) | i D; 6 5 24 Cephei 7ll 5312805 2326.0465 | 0274 | * 2 94113169 » \ Pegasi 2310510677 |h20123:3274 0,13 8 | CAT : > L Cepei Geo Po 0 o] I i » a Pegasi 14 42.504 | 2845377|0278]| RI ROLO S > x Cephei ES Se 0 See E Ue UD » t Pegasi | 2314251 |2024182|0 187] SILA] | s » 4 Cassiopeae RIE IGO ZONO (e e UO 10 » % Piscium OZ ERO ASI n » 8213 BAC SERAZIOANS A AZ E202 0000 ORAZIO o > 70. Pegasi 12 15243 |3118005|0307] MRS LI » y Cephei 0 0 e 0 EN | 5 » E Andromadae DIM RIAZIA RIOA2I2I68 NOMISTIO] . SEAT Law le » y Cassiopeae CORATO It NOTO 0 e 00] Il x » 43 Her. Cephei 85 45 483. | 42 18.075) 0 460 da » e Piscium 2 DION No 004258 KORZORG IIa » n Piscium l'452:29) 5. | 2813558 1 027 6 eo ZUISO l4 5 40. Cassiopejae TORSO 8 29064690 (0288 To 08 È » 43 Cassiopejae 0740593 024007026728 082206 uni , oa la > o Piscium QUI gii Side ng ei e O Doe ; » e Cassiopejae Co OMOR BIO 5298 SORISAI E 5 NA Le » B Arietis 20 21 402 23065550216] > » 97 ,4|2,0/4,00 » E Ceti 8.03 04 6 | 35 25 180 | 0 358 To È ; LU > 36 H Cassiopejae | 7224 581 | 28573410 279| > > 54,710,7/0,49 » 47 H Cephei TO) 08130. PA 0 È n 6 > a Ceti 343570) 3044014] 00418 TE » EF Tauri TE SVIAZIAI 30. 50 59 3. | 030,2 Lao È a 1 5 54 Camelopardi | 71 02 488 | 2735 254|0265| » > 56 ,7|1,3/1,69 Si » n Lauri | 2349204 | 1939180|0181 AZ » 9 H Camelopardi 6005000021208 M78230)124 KON OO i eo a 43, 751 Media = 483°, 27,55,40 = 0,33 Riduzione al segnale. geodetico = — 0,02 x Latitudine al segnale geodetico = 43 ,27,55:,38 4 0,38 (all’ infuori della riduzione al Polo medio). Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 7 Osservazioni di latitudine eseguite al Semaforo di Monte Conero (Altit. alla sommità della Vorre 5827 51). Num. preda tore (ia mer | d'or- Data Stelle osservate Declinazioni Leone, O Rifrazione SIP 0) | vO di (corrette della liv.) risultata | 1908 | | 22 Settemb. | | | | > 8 Cephei 78009.49/3, | 26%1048/410268 (e ne » e Pegasi 927264 | 34 10.01 2.| 0/36 1 | 82315 -,92/005 40522) 9 » 16 Cephei 72 44 48.0. | 2915 498 | 0302 | | si “d s » 22 y Pegasi 436 468 1390035 1|0 43 41 » » 164/1041500 ; » 0 Pegasi 544571 |3752250|0 41 6] RI CRI 3 4 24 Cephei 7153802 eg 24 71 | 0299) 3 » 63 A Acquarii 04 41 555 | 4819010|1002| E È 4 > 31 Cephei 7910011 6.| 29411720596) 7 14707 | | | » x Pegasi l4 42 52 6 | 28.04 404|0 285 | = 9 © > x Cephei 74 53.37 6 | 31 243388]|032g8| ? > 16 5|1,11,21 | | | 2 » t Pegasi PE IAR2 SO 2023070008 E lai 6 » 4 Cassiopeae 0408530208 SMI OrAZA NONITA6N Maia 16 91 R. » 70 Pegasi 12 15/262. |\31 22:032(032/1 | SATNESNE U > y Cephei 7707 191 |3888135|035g| * > 15.6|]0,2/0,04 » 41 H Cephei 67 l7 56 0 | 23 49045 |0 23 8 | E È 3 8 >» | Pegasi 1836 490 | 25.00-496|0250| * 15,9/0,9/059 | » m Piscium 14 5231 6 | 28 45083 | 0.29 3 | À RIN 9 > 40 Cassiopeae 72.34 198 | 29 05243|0237| * > 15,9|0 91029 » 43 Cassiopeae 67 34 441 | 2405 495|0 240 È 5 10 > o Piscium 8 41 557:|3455292|0377]| * » 16,5|1,1/1,21 Î » e Cassiopeae 63 13 055 | 19 44202)|0 192 li » 8 Arietis 20 21 425 | 2316003|023 1] > » 16 ,0|0,6/0,36 È » E Ceti 803 051 | 3534 189|0 38 4 | Sag fort te » 36 H Cassiopene | | 7224573 | 2855 588|0296| > * 15,6/0,2 e » 32 v Bootis 21 33 598 |22 03 416/0219 La a 19 » 118 Heiss Cas- | 6726 019 | 23.57 138 |0238| > > 13,8|1.6/2008 siopeae. | » 47 H Cephei 79 03 169 | 35 3608 6| 038 2 | SR Da ) a Ceti 343 58 1 | 39.53 1770 449| ® » 15,4:0,0/0500 2 » 18 H Cephei 77 23 458 | 33 54 485|0361| pal 15 » o "l’auri 8 42.3] 0 | 3454 596 | 0375] ® » 14,60 ,8/0,6 > f Tauri 1237284 | 3100041|0322! È De > 71 02517 | 278359002801 > » 14,5|0,9/0,91 di » n Tauri 33 4922 1 | 1948 293|0 193] È uni Di S OH Camelopardi NU 60150 1ST9) | 720 ORIO O a OSARE | 13, 89 Valore medio = 4323315 AeE0e= Riduzione all’ albero del Semaforo (centro trig) = SMI Latitudine all’ albero del Semofaro = 43,33, 15,5 © 0,22 {all’ infuori della riduzione al Polo medio). OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE re RDUR ANTE L'ANNO. L19O08S NELL’ OSSERVATORIO DELLA R. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA INTERNI PEGI PROF. MICHELE RAJNA E DEGLI ASTRONOMI AGGIUNTI RINALDO PIRAZZOLI e ALBERTO MASINI (letta nell'adunanza del 28 marzo 1909) Metodo di osservazione. Le osservazioni di cui qui si presentano i risultati sono quelle delle ore 9,15 e 21 di ciascun giorno, prescritte dal R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica. Non si riportano, invece, i risultati dell’ altra osservazione che si fa ogni mattina alle ore 7 dal 1° aprile al 30 settembre e alle ore 8 dal 1° ottobre al 31 marzo e che serve per il tele- gramma da spedirsi al predetto Ufficio. L’ altezza barometrica si legge sempre a un barometro Fortin, cui si applica la correzione costante + 0"", 46, determinata anni addietro per cura dell’ Ufficio centrale. Il pozzetto del barometro si trova a 83",8 di altitudine sul livello del mare (1). La temperatura dell’aria si legge sul termometro asciutto del psicrometro di August, posto nella gabbia meteorica, e le temperature estreme su termometri a massima e minima, collocati anche questi nell’ istessa gabbia al nord e all'ombra. I termometri si trovano a quasi 39 metri di altezza sul suolo, od a 91 metri di altezza sul livello del mare. La quantità delle precipitazioni si ottiene in millimetri di acqua mediante il pluvio- metro registratore di lFuess, provvisto di un sistema di riscaldamento ad immersione per ottenere la fusione della neve. A questo sistema di riscaldamento è innestato un termometro il quale permette di verificare che il liquido riscaldato non raggiunga una temperatura troppo elevata, da alterare, per evaporazione, la quantità di acqua caduta. Il pluviometro è collocato nel punto più elevato della torre, a un’ altezza di 49 metri sul suolo o di 101 metri sul livello del mare. (1) Da misure dirette prese nell’anno 1904 risulta che il pozzetto del barometro si trova a 28", 76 di altezza sul caposaldo della livellazione di precisione situato alla base della torre dell’ Osservatorio, sulla facciata posta a sud-ovest. Dietro cortese comunicazione dell’ Istituto Geografico Militare, tale caposaldo ha la quota di 55", 066 sopra il livello medio del mare a Genova. Quindi il pozzetto del barometro ha l’ altezza di 55%, 07 + 28%, 76 = 83", 83. — 592 — La tensione del vapore acqueo e | umidità relativa si determinano con un psicrometro di August provvisto di ventilatore a palette, del solito modello adottato in Italia. L’apprezzamento della nebulosità si fa stimando ad occhio, in ciascuna osservazione, quanti decimi di cielo sono ricoperti dalle nubi. La provenienza del vento si desume dalla direzione della banderuola dell’ anemoscopio all’ atto dell’osservazione. Per la velocità si prende la media giornaliera dei chilometri indicati dall’anemometro di Fuess a registrazione elettrica. L’evaporazione dell’ acqua si misura ogni giorno alla sola osservazione delle ore 15 nell’ evaporimetro posto nella gabbia. meteorica e quindi protetto dai raggi solari e dalle precipitazioni. Il pluviometro e l’anemometro, di cui è fatto cenno, furono collocati per cura del prof. Bernardo Dessau nel tempo in cui egli diresse interinalmente | Osservatorio (1900-03); a lui si deve pure l’ aquisto di ire strumenti registratori di Richard, un barografo, un termografo e un igrografo, i quali con le loro regisirazioni continue servono di controllo alle osservazioni dirette. Riassunto dei quadri mensili. Barometro L'intera escursione barometrica dell’anno misurò mm. 34,9; il valore massimo fu di mm. 769,1 nel giorno 11 febbraio, e il valore minimo fu di mm. 734,2 nel giorno 11 dicembre. Durante questa maggiore onda, che abbracciò un intervallo di tempo molto esteso, se ne verificarono parecchie altre di ampiezza minore, ma pur sempre alquanto conside- revole, e fra queste tiene il primo posto l’oscillazione avvenuta dal giorno 11 al 29 feb- aio, nella quale il barometro dalla detta pressione massima di mm. 769,1 passò alla depressione di mm. 738, 1. In generale la pressione atmosferica è stata molto variabile, senza che abbia raggiunto valori estremi eccezionali. La media annua è risultata di mm. 755,4. Da questa sì allontanarono specialmente la media di aprile con mm. 749,9, e quelle di gennaio di mm. 759,2, e di ottobre di milli- metri 759,3. i Temperatura La erande regolarità verificatasi nelle variazioni della temperatura e la mitezza del clima delle stagioni estreme fanno ascrivere questa annata fra le più favorevoli alla vegetazione ed all’ igiene. Nell’ inverno pochissime volte e di poco si è osservato il ter- mometro discendere sotto lo zero, il minimo valore assoluto raggiunto fu di — 5°, 2 il giorno 25 gennaio. Nell’ estate il massimo assoluto fu di 32°,9, e si verificò, alquanto tardivo, il 1° agosto. Per altro, se non furono eccessivi ì calori estivi, riuscirono piuttosto prolungati, giacchè pei tre mesi di giugno, luglio e agosto, le imedie temperature mensili #37 sono risultate pressochè uguali: 22°,7, 23° 6, 239,0, rispettivamente. Le stagioni inter- 2 medie sono state normali. La media temperatura annua è stata di 13°, 2. Precipitazioni La totalità dell’acqua caduta di mm. 465,6 è alquanto inferiore alla media annua normale per Bologna, che da un quarantacinquennio di osservazioni risulta essere di mm 577,3, a un'altezza, come fu detto, di 49 metri dal suolo. I giorni con precipitazioni furono in tutto 96; dei quali 81 di sola pioggia, variamente distribuiti nei singoli mesi dell’ anno; 6 giorni di sola neve e 3 con neve e pioggia fra gennaio, febbraio, marzo e dicembre; 6 giorni con pioggia mista a grandine minuta in febbraio, marzo, aprile, giugno e agosto. Aprile ebbe il maggior numero di giornate con precipitazione, 15 giorni; novembre la maggior quantità di acqua, mm. 86,1; settembre il minor numero di giornì piovosi e la minor quantità di acqua. I 10 temporali avuti durante l’anno sono stati tutti poco violenti, sì per attività elettrica, che per intensità di acquazzoni, e non cagionarono danno alcuno all’ agricoltura: il più importante fu |’ ultimo, il temporale del 26 agosto, con pioggia torrenziale di mm. 32,8 caduta in 1 ora e 10 minuti. Tensione del vapore acqueo La tensione media dell’anno è stata di mm. 7,9. Le medie mensili in generale sono risultate normali, ascendenti eradualmente dalla minima di mm. 4,2 di gennaio alla mas- sima di mm..12,2 di luglio, e da questa discendenti, quasi con eguale regolarità, all’altra bassa tensione media di mm. 5,2 di dicembre. La più alta tensione si verificò il 19 giugno con mm 18,5; la più bassa il 12 marzo con mm. 1,9. Umidità relativa Il punto di saturazione atmosferica (umidità relativa = 100) fu raggiunto nei giorni le 25 gennaio; 14 aprile; 8, 13, 15 e 30 novembre, e 11 dicembre. La minore umidità osservata fu di 18 centesimi nei giorni 12 marzo e 31 agosto. La media annua è risultata di 65 centesimi. La media mensile più alta fu di 86 centesimi in dicembre; la più bassa, di 53 in maggio. Nebulosità Chiamansi giorni sereni quelli nei quali la somma della nebulosità delle tre osserva- zioni giornaliere rimase compresa fra 0 e 3; giorni misti que!li nei quali tale somma fu superiore a 3 e inferiore a 27; giorni coperti quelli che ebbero la stessa somma superiore a 27. Con tale criterio i giorni sereni risultarono 103; i misti 200; i coperti 63. Il mese con maggior numero di giornate serene fu gennaio, che ne ebbe 16; quello che n° ebbe il minor numero fu marzo, 1 solo giorno sereno. La maggior nebulosità 1° ebbe dicembre con 19 giorni di cielo coperto. ine Provenienza e velocità del vento La provenienza del vento si è potuta determinare solo 922 volte, poiche nelle rima- nenti 176 osservazioni |’ anemometro indicava ‘la calma assoluta. Il vento dominanie è stato quello di ponente, osservato 594 volte, ora da solo, ora in composizione con una delle divisioni vicine. Meno frequente di tutti è stato il levante, 26 sole volte. La velocità media oraria dell’ anno risultò di Km. 7,3. Aprile ebbe la velocità media mensile più alta, Km. 12 all’ ora; novembre e dicembre la più bassa, Km. 3 all’ ora. Vi sono stati in tutio 10 interi giorni senza alcun movimento dell’ atmosfera, e tutti caddero in dicembre. Il giorno di maggior intensità di vento fu il 24 maggio, con una media di Km. 33 all’ ora. Evaporazione L'acqua evaporata in tutto |’ anno fu di mm. 1453,6, equivalente ad una media diurna di mm. 4,0. La quantità di evaporazione nei singoli mesi seguì proporzionale alle corrispondenti medie mensili termometriche, a quelle della intensità della velocità del vento e in generale anche a quelle della tensione del vapore acqueo, cosicchè si è veri- ficata la dipendenza reciproca che esiste fra questi elementi. Le curve rappreseniative dei loro valori risultano approssimativamente simmetriche, ascendenti da gennaio ai mesi di luglio e agosto, discendenti da questi al mese di dicembre. -_ pesa - ACT QUADRI NUMERICI dry parco ()ssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIO DELLA R. Unrversità pi BoLocna (alt. 83”, 8) GENNAIO 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale D ro) (=. TE E A 19 Forma & Barometro ridotto a 0° C, Temperatura centigrada delle IBUIT E | Media precipitazioni iO, gh 15° %R | Media gh 15h Zlls Mass. | Min. \mass min. o | | QnA ZIE Errani | sari | 7 CHIA mm. mm. mm. | mm. o | o. | o) o o | o mm. 1 | 751,2 | 750,5 | 750,6 | 750,8 5,6 5,8 5 5,1 DIGO EI] 355 pioggia 2| 7596.| 753,7 | 755,8 754,0] 5 DEZII MIDI DT O RT I pioggia 31 760,0 | 759,0 | 759,4 | 7595) 4 ZE II SI 13 | | | Masi moro Msg ssi ao 180 | 2055 DU ITON2A A76An6) | 64 L76350 0,0 RONT, il 2 DONI] 0,9 OZ 020 702,9) | 70959) 1,0 3,8 1,4 GAIA 1,6 Ì | | 7 | 759,7 | 757,3 | 756,2 757,7|—0,3 26 | 078 DI SRI 0 A 8 | 750,2.| 745,7 | 742,9 | 746,3) 0,8 | 0,8 | 0,1 a 9 05 0,3 neve 9 741,4 741, 6 742, 6 | 701,9 0,6 gi 6 0, 6 2,8 | 0, 3 0,9 0.9 neve | | è ; 10. | 745,9) 748,3 | 761,5 | 748,6 | —0,3 0,6 OS | 32 = x 14 | 760,5 | 763,6 | 766,6 | 763,6 | 0,8 2,8 1,6 Se 038 MAS 0,1 neve 12| 768,8 | 767,8 | 767,2 767,9 |— 0,8 7 0,1 pece eo MRNONO | 13 | 766,0 | 765,14 | 765,8 | 765,6 /—1,0 2,5 07 On E5 0,2 14 | 766,0 | 765,4 | 765,8 | 765,7 | 0,3 3,6 2093 ae eh 2 15 | 765,4 | 764,6 | 765,1 765,0 0,7 DINI, (STRA RO 0,6 I 16.| 764,9! 764,0 | 764,6" 764,5 4,4 13 ai ZA | 17 | 764,2 | 762,8 | 763,3 | 763,4 4,2 6,8 9,6 A 2,9 5,0 18 | 764,5 | 763,6 | 763,7 | 763,9) 44 94 8,0 9.6 ere EGO | 19} 762,5 | 761,5] 761,6 | 761,9] 5,5 9,6 De 00 5,1 7,0 2.000 70, LO 2a L615 9,0 9,0 6,4 9,2 ANSA NNO 21 | 765,5 | 767,2 | 768,5 | 767,1 NO. 5, 6 Aol 7,3 ER. | 1,9 Il | 22] 767,8 | 765,9 | 765,9 | 766,5] 3,8 7,2 i Nr 3,2 45 23 | 764,0 | 763,4 | 763,9 | 763,9 {— 0,8 1,8 LO 159 24 | 768,0 | 768,2 | 769,9 | 769,4 |—-2,9 24 L9 |A is da 25 ere 65470 6510] resta oli rt 20 o SL 26] 764,7 | 763,3 | 762,5 || 763,5 |—3,5 5,9 Sri o 0 2ZS 0,2 RITA STA TL NOA MONS Salo 76 TESORI MNSTO ARONMIMIZIO5SO Î 28.| 751,4) 749,8 | 748,7 750,0 3,1 8,2 DO MO 2,8 pal 20 CEI BUCCE RLCCO OA LS 31 6,0 5,6 6,6 1,0 41 î Si 301] N49 | 64,0) 762,2 | 60 3, 6 4,6 4,6 5,9 3,6 4,4 8,5 pioggia 31 | 753,9 || 702,7 | 752,5. 753,0 3, 0 652 3,3 6,3 29 3,9 199016818 || 7699 7592 59 4,6 Se 9,3 0,5 | 296 SALI Altezza barometrica massima 768,9 g 24 Temperatura massima 9,9 OM » » minima 741.4 >» 9 » minima: — 5:2 >» 25 » » media © 75902 » media 26 Nebbia neì-giorni 1, 28, 10, 11, 20, 2 23, 24, 25, 26, 28, 29 30. ITA TA gi 66 8 IRIS di QUI 2 Re ao 2 2 RI E OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIo DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83m, 8) —éi Co] CI e GIS 5 GENNAIO 1908 -- Tempo medio dell’ Europa centrale SA E Ce £ [Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza SE E s in millimetri in centesimi in decimi del vento ir Ss i | | DU € | S| 60 2081 Media OR VERI Ned (VOM QI REM Re TO, SER LE PR => | | mul. | L|GZ|IGO|GI| Cso 94 | 94 |100 96 10 | 10) 10 | W |sw | SW 2007 Dci Teri ti ag ro) (83 82 [OR On OE ENTO MRO 3 || 9 | Be LO 29 MG 0 62 65 8 2 2 ? ? NE I 202 UR E2AISA ISSON R393, 3,0 TO as 68 0 0 0 ? ? ? 0 |gelato Do OO Geo I O 63 0 0 0 IVAN SIVV W 7 |gelato O ZO aa) (0 SN Rei SARAI 63 0 0 O|{NW| W N 5. |gelato Î 7A 3,4 68.57 | 79 68 0 0 0 ? ? ? I |gelato SANZIO ZI 4,0 85 | 80 | 89 85 8 9 | 40 ? ? SW PERO OZ NS 3A07 3,9 SON LOS ZA 77 0 0 i { SW ? ? 4 |gelato 100] 493 9 0A 4,4 96 | 81 | SI 86 6 9 3 ? ? SW I {gelato o 0A A 920 5g er 73 10 | 0) 0|SW|SE| W 1 |gelato 259 3 SII SONA MESSO 79 0 0 0 W W IO = Ul L = <. csi < Mas 10° SI TO TO. OT fasi LOS Do fissi gelato gelato gelato EST) s MU TS = fS Si do) = (n RL = (e) Es] il = IZZO s. 74 SEG: < Z < < I a 2) 1 92) (er) (09) ‘esi = ld p) Gi (9 0) D TOI HI 3 | eo 68 DO) (PF) (9 p|) z ci < wo 40421042 73 309300653 ALT | Tens. del vapor acq. mass. 6,9 g. 1 Proporzione Media nebulosità d DD DA RAV VIGO dd ®. nedlio £L2 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 100. g. 1 e dò i ‘imi s e NU UNDICI SES SW wi N mm dagli » » media 73 7 A e) e ED) 7 | === eee ——————————e_m_— — _ + "_«€"“"|" _ +”+}_.FP"-*Y_.6_. Yo) DO L15993 ; foi ASI = tO 9A (er) ID. (>) die 9 t Mn] Ut =I 69 1.0 D —_ TS —_ DI DD (Dal BASS (36) Tola No) ie pese ] CS Rerier] 29] SE I DI Doro = = mo DI y. i SIZE SAC v Ta 9 p) < Pai A v << ({or}©r} = TO 9 09 (1) Comprende anche I’ evaporazione dei giorni precedenti in cui 1° evaporimetro rimase gelato. Serie VI. Tomo IV. 1908-09 8 STASI OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE vATTE NELL'OsservatorIo DELLA R. Università pi BoLogna (alt. 83,8) © mu 2 2 FEBBRAIO 1908 -— Tempo medio dell’ Europa centrale 5 3 E EE De SS Forma Do Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada = delle o Gi n E Media |9 precipitazioni n) gu dol 2h Media = D | & | | 9, 20 | 7 gh | 15 | 21% | Mass | Min. |mass.min. | il min, mn. Im. uni (0) (6) mm. = SI i 1 | 749,3 | 747,0) 746,5 2 muro | 7471 | 747,6 | TATA | va | 07 ISO RR Zen 6A 29 33 A ( ,8 | 4 | 750,9 751,8 | 753,8 | 752,2] 02 | 2,6 1,4 2,8 !_ 0,4 I, 5] 75817 | 759,9 | 763,9 | 760,8 |— 0,2 2,4 0,0 RI SER) | Ee1)N2 767,3 5 £ î 3. ( (ORSI 2 E) ARA) neve I as i 6.| 767,4 | 767,1 | 767,5 7 | 764,8 761,4 | 762,3 3,0 9,4 8,0] 44,0 2A DINI MRRIOSO 8 | 762,9 761,7 | 762,3 1,3 || 858 6,9 9,2 354 6,0 9 | 757,9 756,3 | 756,6 6,8 9,6 I 10.4 505) | 7,0 10 | 758,6 | 758,9 | 761,9 | 759,8 1A SA 5,0 CASI BEES 4,1 11 | 767,9 | 768,4 | 769,1 | 768,5 | 254 6,8 2 DOLO | Gi 12 | 768,2 | 766,5 | 765,9 | 766,9 3,5 8,0 5,8 81 QUO 19) 765,2 | 764,0] 764,2 | 764,5. | 3,7 9,4 6,8 9,5 O DI ù 14 | 764,5 | 764,1 | 764,9 | 764,5 6,0) | 110,6 6,4 | 10,7 3,8 6,7 SE 15. | 766,4 | 766,1 | 765,4 | 766,0 1,0 6,4 5,0 6,5 393 457 1,0 piozzia | | | ) É DO Pa 1 i MIRO] et 16 | 760,1 799,0 OOO IO 10,7 S. 6 11,0 0) | 1,5 17 | 764,4 (759,2 | 757,3 | 593] 504 | 100] 77 VaR MSon) MAMGY î n 18 | 7624 | 749,4 | 747, A | 749,6 4,0 6, $ dI (Si e TA 2,5 pioggia | | RE, | LI 19 | 744,8 | 743,9) 746,3 | 745,0 0 AO? 8,4 | 15,6 RIO 20. | 749,5 | 750,3 | 752,6 | 750,8 6,4 | 119 SMATAZAO 4,1 2 QI TOTO A 7090 o a 4,9 9,3 1.5 | pioggia e grand. | pioggia Se > (A) SE = (dii 6 (SI (0°) DO Sr 2 [lo] (©) 0) D (3x1 (DI (a DI SAI i 759, ll Altezza barometrica massima 769,1 g Il Temperatura massima 15,6 g. 23 » » minima 738,1 » 29 » minima —3,3 >» 5 » » media 755,1 » media 9,9 Nebbia mei giorni 1, 5, 10, 14, 13,14, 15, 16, 18 Brina nei giorni 5, 19. Temporale nel giorno 24. _——————— T————t____EE_«AAAAA_E__A_A_Azr_mo___21____mm—_—_____—_ === e-; TT À A OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservarorIo DELLA R. Università DI Boroana (alt. 8 == (ed) . g FEBBRAIO 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale E i @ Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza at in millimetri in centesimi in decimi del vento E si dr mi | | | | | | | Di O a Io REV e ai RIO RUIoRA RZICA RIME dia MORA MRAZ! gh | 15% MZ Ì | | | | | mm L|44/47\49) 4,7 SL | 74 | 91 82 ZON LO STO E | NE L | 1,9 DAR AT 2 4,4 96.) 82 | 79 86 10 | 10 | 10 {| NW| NE | SW 5_ |A 3 20] Seles 33 BO |a 64 10 10 | 10 | SW | NE ? 1 198 Diet 302 ia 3:60 93: (057 65 72 6| 3| 2[{NW|NW]|Sw RIETOE Lee | 3,9 TONI to INS 68 8 O ME ? NE | NW 5 |eelato GS SS RS es CON 0500 530 055 56 O | SW | SW | SW | 10 | 4,0% | | | | 7 | Oa 3,4 50 44 41 15 (0) O 0 SW | SW | SW 13 108) 9 | EZIO 656) 5,0 70 CONA STI 68 O Loro ? W | SW (i pr CZ MO BONI DU 64 66 83 71 ONGIGNILO 0 SW ? 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LN ea da 3 =—— ___—|—T__-;<; LO O INS 4,7 Tal | 98) SN MIANIGNI 4 3 3 6 2) Ì I Tens. del vapor acq. mass. 8,0 g. 23 Proporzione Media nebulosità ) » dI nia, LA 20 E < pd » » media 4,7 dei venti nel mese | relativa nel mese Umidità relativa mass. 97 &. 15 e 24 i cimi ion N. NE E SE SSW W NW ini Ceca » media 67 0 Tae SIA 12 3 (I) Comprende anche l’ evaporazione del giorno precedente in cui I’ evapurimetro rimase gelato. — 60 — OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE vATTE NELL'OsservarorIo DELLA R. Università DI BoLogxa (alt. 83”, 8) D o c = 8 MARZO 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale 2 x Fi N *orma Zinco 7 i x = o) 5) Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada = delle E ii Media |® precipitazioni 2 gu 15° 2h | Media | 9h 15° 21" | Mass. | Min. [mass min.|? 5 | gh, 24h |M Dil cile e icueto)ì celo aloe denti do — dee ZZZ Mu Mm, mm. mm. (0) (0) (0) (0) [0] | (0) Ii. 1 | 743,0) 743,8 | 745,5 744,1] 6,8 | 10,8 5,6 | 14,6 | 4,6 1,2 i O DT i Ra ea eo 5.6 3,7 OA MIO ZAN TORONTO 4,0 8,4 6,5 8,5 ZA | D,4 DR pioggia o 00 TAO TSO TRS DN? 10,0 7,6 10,5 4,0. | 6,8 5 | 760,5 | 759,9 | 761,5 | 760,6 SO ZII 7,4 12,9 6,4 8,8 Ge A2i 76090) 75824 59031 Moto ai ion 50 6,8 | | T.|{ 150,8 | 750,4 | 706,2 | 756,1 6,4 9,9 192 10,0 45 7,0 8 | 756,9 | 756,5 | 758,7 | 757,3 6,3 8,6 759) 8,8 | 6,9 Ti?) 250. pioggia 9 | 7589 | 7559 | 74904 | 7547) 82) 118 TRA CLERO 30) 94 i. | 10. | 744,8. | 744,8.) 745,7 | 745,1 12,0 11,4 ON? la ONTO RA (03 1,5 | pioggia e grand | 14 | 745,8 | 745,3 | 746,3 | 745,8 8,8 11,0 8,8 12,5. 3} 9,0 12 | 747,7 | 747,4 | 748,9 | 748,0 9,0 12,0 8,4 209 5,0 8,7 ARTO |A WZ6,1 5 2 | 400 6,3 10, 6 2a) 6,2 MALA 0753920075399 7 Al 8.6 5,6 92 4,2 | 6,0 15 | 755,6 | 755,0 | 756,1 eo Moti 0 Co 18 08 GE Ze WEZION&EERO 4,0 8,8 0,9 oz Pez Fal | 17 [752,2 | 7497 | 74853. | 750, 1 2,0 4,8 4,4 9,3 1,8 3.4 2 | pioggia e neve 18 | 745,5 | 744,5 | 745,4 | 745,1 4,8 6,2 6,1 6,6 3,3 5, 1 1,9 pioggia 19) 747,6 | 748,6 | 71,1 6,6 10,5 6,2 10,6 1,8 7,1 Di pioggia 20 | 1059.7508 | 70159 6,5 11,8 8,8 11,9 5,0 8,1 293 pioggia 24 | 753,5 | 752,8 | 753,7 Sto o OR Mr 91 Î QSTA NE RA 520 T,4 12.0 8,9 RAT Ga la SEZ 28 | 75003 | 75005 | 752/40] 2500) 56 | 163) 70 | 14,7 1,8 6.5 24 | 704,7 | 754,2 | 755,7 | 754,9 6, 8 10,6 7,1 10,7 SRG MRZAG | De 068] 7062 6 7,0 03 6,2 10,4 3,4 6,8 200 SS6R TOS SONA Na SS9 9,4 9,0 6,3 9,2 4,7 6, 4 0,6 pioggia 27 | 76109 | 761,3 | 769,7 | 7621] 80 | 102 | 6,7 | 10,4 1,3 TA 2303820 62969 O SS9N 0392 Se 10,5 7,0 10, 6 DAG 7,4 29 | 764,0 | 763,0 | 762,5 | 763,2 4,7 DI DI 7,0 i A 9,4 pioggia 30 | 761,4 759,5 | 7591 | 760,0 Tod 10,8 8,6 MAT DA DA? 0,5 pioggia 3 | 756,3 | 752,6 || 701,2. | 753,4 | 10,8 15,0 11,3 15,4 8,3 11,5 90 | 9 o 66099 0 Reosto Altezza barometrica massima 764,0 &. 29 Temperatura massima 15, (ASTRI » » minima 743,1 » 1 » minima pio Ss de » » media 753,7 » media 2 Nebbia nei giorni 2, 0,78; 917 18 214, 23, 23; 24,25. Temporale nel giorno 10. SE OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ Osservatorio DELLA R. Università Dr BoLogna (alt. 83", 8) (cb) . © MARZO 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale E È [Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza 5 in millimetri in centesimi in decimi del vento S Ss Di È (i PS 3 || O [MS | Qt eda ZIE Vede. est di zie oa rale e | mm. 168 | o Z40 4,0 )2 36 68 DR 24 3 Wi | SW SE 17 40 2565005 87 || 62 | (86 78 8 | 8 | 10 | NW| Ww SE 2 2.0 | 3AT|AO|E6| eg ee 67 3 30 W | w | SW 9 | 1,3 | MASSON NA0 3,9) 30 75 48) 5A 56 GO A NI SV CON MR SIA ei o Ao 50 46,067 ni GRA UISNANION [USVVA SV E o 28 CI oRSi 28 8695 6,5 19) S4 85 85 OS SJNW | NW SE 1 3% 7|6,8/6,0|6,6 6,5 94 (15) 87 82 10 10 6 SE SE E 10 2 8.|6:6|6,5| 0,4| 6.4 92 | 78 | 82 84 t0 | 10 0 | wWw | Sw | w 5 l 9 6,141 |6,9| 7,0 OA 75 67 90 TTI 5) 4 10 ? INDI qu Up (0) [le vta) | | 10.{ 6,9 4,3 | 4,8 0) 66 12) 55 DA (la 2 SW | SW | SW 19 2219) TANN ton Basra 390 4l 20 IS ION A a ES EEE 12|/23| 19|46| 29 27 | 18 | 56 34 0 3 9] sw | sw. | SW #12 | 465 IRINA MI2ASR IZ 9,6 DI 29 63 48 0 5 2 Paga |A SE 6 UTI IRA MR RAI Y 67 31 | 601 03 0) 3 0. SW | N S 5 28 IRAN 250 408, 3,6 Go Me29N N63 n? 0 2 8 ? N | SB 9 209 | 64% 3,6 4,9 4,4 TI St) | 78) 64 8 10 8 SE NE | SE 13 297, AV N20 ROSON NS 4,8 79 77 SI 79 10 10 10 | NW 2 SW } 1,4 ci 2 a 82 082 79 10 | 10 10 W SW | SE 9 1 19 | 5,8 | 6,5 | 6,7 6,3 79.169) | 94 81 3 6 3. Sb NE | SE I di2 DICI 6,8 85 64 89 79 10 10 10 SE SE W 2 1,4 ZI 0] 94 7,8 94 33) 183 87 10 9 9 W E SE d 15 22 7.0 LG 6,6 9I DS 80 76 10 } O0SNWI| W S 6 1,8 2INIMGNONMesoN 6x1 6, 2 SSIS MESI TS 0 i) 0 20|0SE SE ‘ 1,9 24M, 0350) 42 4,1 Go) 32 10 6 6 | NE | SE E D) 2,4 25 [4,9 5,1 5.8) 5.3 66 | 58 | 82 69 8 7 T|NE! NE | SE 4 | 2,7 2 59.0 DA SI 53 UE 69 10 $ È) SE | NE E Do) ZU) Ti || 53 66 4,8 70 | 46 | 61 5!) 2 8 0 ? NW | SE 5) ZAN RSM NON COMI Mono 4,9 OZ 60 7 10 | 10 | SE E N 10 2 CORNI Roo Men 5,9 86 86 95 59 10 10 10 W SW W 4 250 30 | 6,2 | 6,6 6,3| 6,4 80 | 68 | 75 74 10 5 5|J W |NwW| SW | 1,4 ZI || GIO 6,9 70 | 54 | 68 64 0 8 0 W |NW| SW 9) 2,0 9,9 | 9,0 | 5,9 DIO (0 oo 08 67 6 7 5) Ss ZA Tens. del vapor acq mass. 8,3 g. 21 Proporzione Media nebulosità è CD » > min. 1,9» 12 È } è) d » » meda 5,3 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 95 g. 29 2 i simi » » min. 18 S 12 N NE E SE S SW W N W Lal deci » » media 67 i MEZZE MORONE 6 ()SSERVAZIONI METEOROLOGICHE ramte NbLL' Osservatorio DELLA f. Università Di BoLogna (alt. 83», 8) PI, ® 5 PONE, di APRILE 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale SOZ o = mar Forma Fi E nea pe X e : 3 Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada SE delle sa. si nea _— |A RESA E | [ | | Media toi precipitazioni da gh 450 24h Media gh 45% | 21" | Mass. | Min. |mass min|®° E | | | | | gh 21% (fa | | | | min. mm. um, moi. (0) (0) | (0) | (0) | (0) | (6) mm. | 1 | 745,30 74313 [40,8 | 26,0] 13,4 | 16,80) 9,2 |169| 92| 122 IAS E | aa || peo 9,0 1290 MO 1350) 5,6 9,2 3 75805 |\M57,2 | 756,5.) 57,4] 87 | 134 | 91 | 140 1,9 9,2 i | Ù 4 TESA I 0A TB ZIO IRAZ IS 8,2 9 cine 5 7454 | 145,4 | 745,4 12,8 10,0 14,3 12 ID 0, 4 pioggia (0) 748,0. | 749,0 | 747,9 10,0 ; Lit So) 6,1 cho) 17600 dre 6a 5,5 7,3 4,9 pioggia SA A o eee s0 rio] Mosa Mie 28 oo 9 | 746,3 | 745.0) 746,3 | 745.9] 92 | 11,3 1,8 | 19,1 asti Miioro | 10. | 746,8.) 746,8 | 748,0) 747,2 SOI 220 RION | 12,58 | 0 TÀ 0,5 pioggia LU | 7490) | 748,5 | 749,6 749,0] 12,0 | d4,7 | 12,3 | 46,2 8,8 12,3 IRA NMUN 7900 7506604 OCA MZITS, ILOSS7 115,2 7,6 10,7 0,8 | pioggia e grand. | 13. | 750,3. | 749,4 ZOO Ibi Ist 66 | ta |a 10, 8 8,5 | 14 | 749,6 | 749,7 S| 750,0 9,6 12,0 10, 6 22 9.6 10,5 1,8 | 5 | 754,0 | 754,4 0708 MZ 13,6-| 41,0 13.8 10,0 115 0,4 pioggia | 18: | ELO | 769 | 7608 | Toi 2 ZO] JO 3 0,1 pioggia | WRITER IO a |a 9.8 13,1 18 | 746,3 | 7425) 740,9) 743,2 | 13,0 | 45,1 11,9 115,2 TION AZNO 0,6 pioggia | O PROEL 7868 II] 58 163 38 AIR | 108 135 | 20 | 740,3 | 740,0. | 741,3 | 740,5 11,2 MISSONI MONS Mb5SO 9,8 11.6 | 2 | 7att9 | 74955] 74605 | 74806] 88940] 57 | 1350] 47 8,1 8,3 pioggia | Î | | DI TRI [ER] 7088 0] 0 [7108 | 130 1,9 9,4 3,1 pioggia | 3 O I |a |a de Z| e L06 |o 11,0 | STERZO ZIONE 5 09201259 MAS 240 MASS Sb 12,5 25 | 748,9 | 748,00) 7484 | 748,4 | 11,90 | 4250 SASA O MS 11,0 1,6 pioggia 26) | 748,9 || 749,6 | 752,3) | 75053 | 121 15,0 LO 9 | 68 11,9 0,4 pioggia A E VEL VeS0 | 76070 | a60 La | A? 8,9 11953 | BOVE N03 IRA OZ iS | | i 16,0 29) | TEL9 | TERA 830 | 7 64 IR | 08 | 0 || 180 1554 0,1 pioggia SO ZARA Maso | Ted ESA IZ VISO] 152 Al | 05 14, 8 2,5 | pioggia e grand. | — === | MOON 7Z9) 4 | 50,90 | 7499] 103 14,1 JI, 1 14,6 8,0 11,3: {970 | Altezza barometrica massima 759, 1g. 30 Temperatura massima 19,1 g. 28 e 30 » » minima 735,1 » 19 » minima ITS ZI » » media 749,9 » media SS Nebbia nel giorno 13. Temporale nel giorno 29. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservaroRIO DELLA R. Università pi BoLoGna (alt. 83”, l9'0) — D 5 > E $ APRILE 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale 2 SI ola S Malo = ESziss È [Tensione del vapore acqueo, Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza SSR ER 5 in millimetri in centesimi in decimi del vento 2| 22 A T Slo Q OolsSe i | GR 68 | Zi eda [eh Vi Zio Viet, ES ge e 20% a = e c—ceE{[{—_{a— —|m‘[‘n10‘{[1—@—oco mi | | mm. 1|6,4|6,8|5,3| 6,2 56 | 48 | G1 55 5 ROSI va SHE RS,O 34 OR on 200 i 63 | :37 | 34 15 0 IO ? NE | NE | 13 n, Di ZI MS ORSO 2 49 34 DI 45 4 5) (0) ? NE | SE ll a) | | | NT Dt 159 RAMO 5I 5 10 | 10 W_.| NW | SE la 31 DR RON AS AS 5,0 5 45 48 49) 8 8_| 10 SW|SW | S 14 #6) OO ZIO 5,0 59. I 28 | 50 54 3 10 SW | NW | NE 16 3,0 | | Lo NONO NON 6,3 74 33, 86 81 10 | 10 6) W 2 | NW 5 9 Sii MONE2A MONS MONO 6,3 78 | 56 76 70 6 3 6 Vi W W $ 5 9| 64/5666 6,2 | 73 |.56 | 83 7I 10 3 | 10 2 | NE | SE 0009 | > SRO a 10 {5,5 49|5,8| 5,4 65 | 46 | 65 59 0 3 0 | N% E Sw 9 303 (| 5,8|495,9| 5,5 | 56 | 40 | 55 50 Re evi Sv ev ed IRIS GNAM 6,5 76 50 74 67 0 5 6 ? NW | S 5 ON | | I 13 GI &8 ee 89 [9088002 89 10 | 10 | 10 | NE | NE | SE 5 1,5 14 | 89 8791 8,9 |100 | 83 | 95 93 10 | 40 | (O | NE | NE |? 9 3,5 10 ET 8,9 (8770) N GA EST 79 n IS T|NWI|NWI| SE 8 1,4 16 | 8,8|8S7|9,1 8,9 SONNO MIR6 SI 9 S } ? ? D 5 1,4 Tdi ssa into Roana Ms 7558 (83 72 a KG 2 |SWwW| wW na Tgiison (odoli est Most Ms ir (70 79 10 | 10 | 10 w|Sw E 7 1,9 | 1) E 05 6,1 TAR 3 SI 2 50 6 3 2 SW S S 21 2,1 LORIS IRA 41 | 50 40 5 ) 2 SW S S 20) 3,5 215,4. 5,8 | 659 DA 60 | 66 | 77 68 2 10 10, {| NW | W S N 3,9 ZO DU 167) MIS 5% 60 6 3 0 S NE S Il 2A 23 {54 | 4,4 6,0 Da DORSO O) 5I 0 2 2 ? 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(I) i . | | MAGGIO 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale Sp : | fel Forma | 7 ai "i rs “ O n il Barometro ridotto a 0° (. Temperatura centigrada so delle sa [2 | Media |'9 precipitazioni OL 15° 2 Media | ‘9h 15° 21% | Mass. | Min. \mass min. 2 1 9h ZIO mm. Mn mio. INURESI (0) (0) (0) (0) (9) o 1110). | | 760,3 | 758,9| 758,2 | 759,4] 16,1 | 18,2 | 15,5 11,8 | 15,6 756,6] 754,7 | 755,0. 700,4 17,0 22,1 18,3 TINA 755,9 | 704,6. | 704,1 | 754,9 17,6 21,0 18,8 15530 MIS99 | One Io 208 52570 53 TAI DONO AID, 23,2 NZ 82 752,0 || 720,8 | 750,3 | 751,0 18,6 2200) ANT 22,3 16,7 8,8 magna | Mete. TASSO | 707206] 15,6) 22 | 190] 228 | 127 17,5 750,5 | 751,4 | 752,6 | 751,4] 17,6 | 22,6 | 20,8 | 23,2 | 15,7 19,3 5 SI 0030 OTO 505% IU 23,3 20,1 23,8 | 14.3 18,9 sr Moena | 75600 75608] 21040 | 2409 | 2088 | 259 465 || 2103 756,4 | 754,9 755,4) 755,5] 19.4 | 25,5 | 220 | 270) 180) 21,6 75609 | 756,4 | 755,8 | 756,3 | 20,2 | 248 | 20,9 || 25,3 | 184| 252 TE Gre 5502) op 556) 21001 26:81 23500 2656080] Men 10419 || 752,3 || 762,9 60] 2252 202 | 200) 19,4 2201 SONO] 78) SANI 762,20] 174 ZAN OO EZANO) 16,8 20,0 NOSSRi Ro 9028 TSO ro SS) MI3528 On, MIO 19,8 | 18,3 758,8 | 708,2 | 7686 708,0 17,5 2272 2002 15,3 19,0 761,7 | 762,2 | 764,1 | 762,7 19,6 ZIO 18,5 17,5 19,5 76613 | 7649 | 764,8) 765,3 | 18,3 | 227 | 20,4 13,3 | 18,8 763,7 | 761,6. | 760,2] 761,8] 24,4 | 26,0 | 23,2 | 26,4 | 17,8 22,2 M600) | 75813) || 768t0) | 75818 | 22,4 O QII INI 1962352 30 7908 7990662 DIST 2259) 28,3 15,7 23,9 MT 52 | MZ: 601753, 2/2, 26,5 2359 21,2 18.7 229 ; fe TTT MONS 75028 o ONIR] 230N 222 19,6 24,7 17,9 2A 0,9 pioggia i CA TO] 048] 70300) AS 19,9 TORO 20,6 15,4 17,4 1,5 pioggia TEA 5A ROTA area ORO 20,8 ei i ZOO) 16, 6 TSO | MSTee | ro709) 7583 | iso |Mazi2 0) to | 129% 18.9 TOT RSA SS o SAZA |MISSS 21,4 20,0 VII 19, 1 TRO 900) 790] 9 [BO a VI Inaz DI] pioggia (099) LEG 0 LOR, o 0 17,6 16,4 18,8 13,8 16,0 Sl piosgia 759,9 | 760,8 | 761,0. |-760,6 | 15.4 | 170 | 15,5 | 417,6 | 141 15,7 0.4 pioggia 760,19 | 759,1 | 758,6 | 759,5 | 17,4 |\.24,0 ZAINI 245 14,1 19,5 1908 VERO 2 09) | ISs4 29,7 TO 23, 4 15,9 | 19, 4 13,3 Altezza barometrica massima 766,3 g. 18 Temperatura massima 28,3 g. 21 » » minima 746,6 » 6 » minima 11,8 » 1 » » medlia 756,3 » media 19,4 Nebbia neì giorni 6, 14. Temporale nel giorno 28. OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL OsservatorIOo DELLA R. UNIVERSITÀ DI BoLogna (alt. 83", 8) 2 C E MAGGIO 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale [Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza "E in millimetri in centesimi in decimi del vento Gi | S | 9 | 15% | 21° | Media | g® | 15* | 21h | Media | gh | 15h [21h] 9 | 15h | 21 | | LITE ai 6 55 | 39 | 54 19 0 2 O | W | NE | SE 3 23 BI 8,7 64 | 44 | 52 53 3 0 0 ? NW | SW 5 3 | 8,4 [10,8 | 6,6 8,6 DORMO SI TIZI 52 5 2 2 W_ |NW| SW DI | | | | | 4 {9,8 9,2 [10,1 Cha 67 | 46 | 68 60 0 2 2 W_ |NW| SI LI 6,4 5 3 [Saia 86 52 | 47 | 54 5A 5 le 6 o{W|WwWil W 12 6,2 | O Le eb 5 (2 89 | 40 | 46 58 2 4 O0j W | SW] SW Il A) | TON ZON AZIO 6,9 OLA 0 ZZ 10 8 5 2 | SW | SW | SW 21 7,0 | SAREsea et regine N59 130, 450) 5 E O NA] CSV NT ONINONoN ROGER TO) 39 | 4 41 39 0 3 0 VW N SW | 18 NR TON|NSAR IRSA MG 8,1 5 O MEIN N92 4A 0 0 2 {NW | NE S 14 MNT 1 EONSa ZA ESA AGLONT 54 48 61 54 0 0 0 W NE S 15 Dl La ROS OMO 797 9,0 DIL SOR 42 0 0 0 |NW| NE S Il 1092 13 | 7,8 [10,0 |I1,1 9,6 39 | 42 | 61 4T 0 8 200 (RO VV ONES SIE 14 9, 6 14 [12,4 [11, 9,3 | 10,9 84 48 | Sl 61 5 8 2 N SW | SE 17 5,0.| 15 | 9,4|8,1 [10,6 9,4 60 48 67 58 10 10 7 S NW DI $ 5,6 | 16 | 8,2 (10,2 {11,0 9,8 Oo 56 5) 8 ) VW SW | _W } 4,1 drnfiit9) 193 81 | 19,8 70 | 49 | 51 57 5 5 0| W |NW|NW 7 5,2 1A MORGAN NORIA 705 8,0 CASA 2 46 0 0 0 W W S 1 6,7 19 9,4|9,4|10,6 9,8 49 37 50 45 0 2 0 W NE | SW 6 6,3 URRA MOSS, 12522 MI 61 9958 5I 0) 0 0{ SW| SW | SE 6 6,5 (088 | SEA AA 66 | 35 | 66 56 0 0 0 | NE | NE | SE 9 6,1 22 IA (155 19 13,9 75 | 60 | 54 63 5 5 8_| NW N N 7 6,8 RO AZ MUR ORA o SZ MGS 54 10 | 10 10 | NW | NW | SE 19 do) 24 {16,7 | 3, 5, 6 9) ZI 42 36 2 3 0 N SW | SE 33 6,4 25 | 7,1|6,7|6,6 6,8 DON SA N22 45 () 5) RAISI NI SOY $ 6,2 26|84|7,8|10,6| 8,9 55 | 39 | 62 52 3 2 4|SW| w | SE 13 7,5 27 (14,0 | 6,5 | 9,2 8,9 68 | 34 | 53 52 8 5 0 {NW NW ? 4 9, 8 28 SA COR b 10,0 65 44 74 6l 10 $ 10 | NW | NE NE Di 9,4 29 [11,0 [10,3 |11,4 10,9 87 69 82 TE 10 10 10 NE NE E 9 CAO, 30 {10,5 [10,9 |LL, 10, $ 81 | 76 | S4 80 8 È) 4|NW| W | SW 8 3,3 34 [10,5 (10,8 [11,8 | 11,0 TI | O Gi 60 D 0 ZI IN | WI W 10 3,7 | 9,6./9,2) 9,2 9,3 Ol | 4) 5a 53 4 4 2 Il 5,9 Tens. del vapor acq mass. 1 5,5 & 22 Proporzione Media ncbulosità » » » Did ZA : 5 | pu Lane » media 9,3 dei venti nel mese relativa nel mese | Umidità relativa mass. 89 e. 6 in decimi > > nm 0 N NE E SE S SW wW NW IR RISCI » » media 53 Dì. dè 2/00 AMI 3 Serie VI. Tomo VI. 1908-09. TIE ()ssERVAZIONI METEOROLOGICHE bam N6LL OsservarorIo DELLA R. Università pi BoLocna (alt. 83,8) È GIUGNO 1908 — l'empo medio dell’ Europa centrale = | [=] l'orma _- = a | 15) Barometro ridotto a 0° 0. Temperatura centigrada delle | E 7 ma [ | | Media precipitazioni 2 gh a 50 21% | Media (o dia ZIO Mass. | Min. |mass min D | | gh 9jh Miu mm. mm. n. (0) (0) (0) (6) (0) | (0) mm. I | 757,8 756,0 | 756,2 | 756,7] 22,2 | 274 | 24,8 | 27,9 | 19,14 5 2 | 756,2 | 755.0) 755, 1| 755,4] 24,6 | 28,8 | 26,0 | 296 | 214 7 Do 05 0080 o ZAR EN 256 20700 8208 4 LT) 4 2021237 COR ZIO 26, 1 Dir 75288 5104752708267 30, 6 26,9 302350 26,8 CRI A AV (098 MZ NON RITZ 2/8 N29 0 4 2028 22] 25M | | 7| 746,0 | 747,2 750,3 747,8] 214,4 8 | 187 | 244 | 47,0) 20,4 5006 pioggia RIETI ee 658 657 14,8 14,1 1870 1398 15,3 12,7 pioggia 9 | 756,8 | 756,9 | 758,5 | 757,4] 14,6 ,8 | 18,6 || 20,4 | 12,7 | 46,6 | NORCO ES Res Si 93 o 8235 A 098 IL {60 R20| 758167598 | 76974 | 2072 I NSINZONI | QI Mo QUE | 2 | 759,7 | 75805.) 7587 | 7590] 24,8 | 2309 | 2008 | 247 | 1600 |. 2008 13 | 758,5 | 756,7 | 756,0] 757,1) 21,3 | 26,4 | 24, 26,8 | 47,9. | | I4| 757.5.) 75505 | 7555 | 756,2] 22,6 | 27/6 | 2306 | 28,8 | 204 | lee | 08240230 || 2 LS ZONA | 16 | 755,9 | 753,8 | 753,8 | 7545] 23,0| 27,5) 23,6 | 28,0) 20,0| 23,7 DI pioggia | 17 | 754,8 | 754,1 | 754,1| 754,3] 216 | 26,8 | 24,4 | 27,6 | 186 | 231 0.5 pioggia IIS 7950 AZ on SR IMEZZZIO, ZI 23,3 25 20, 1 23,4 | LONATO) 755957 54 20781 IN25TT6M 02255 26,6. | 20,0 20 | 750,4 | 750,9 | 752,0 | 751,1] 20,2 | 24,6 | 21,5 | 25,3 | 20,7 | TERA TO Zen 200) ZO 2386 20, 0 25,4 16,6 | I | 22, | 755,4 | 755,2 | 754,8 | 755,0] 15,6 | 170 | 124 | 200 | 15,0 170 | 14,8 pioggia | 23 | 754,2 753, l 753, 8 | 753,7 | 20,0 20 | Oz 242 17,0 20,4 ; ZO | 16181636 Me Ra 2 Ri | % ME0 | (35 | 066 e | 2032 | 22,2 88,68 | 20) 233 26 | 756,4 | 755,5 | 755,9 | 755,9 I O ZE I 200 232 0 DAR | ZI OTO] 400 206 || SQL | | S EG para nt, of € È 3a | 28 | 754,8 | 759,9) 754,6 | 7544] 26.2 | 288 | 25,3 | 30,1 | 23,4 | 26,3 207) 75695056400 75672056127] 123,8) |osten| 12542) |\ossst|Mootsn|ozk | 90 NT NEI MES IE 249 208 O 200, | 2 | LO 14,2 | pioggia e grand. | 755,4 | 754,4 704,9 | 754,9] 22,2 ONOR 229702658 192 PLY ASI | Altezza barometrica massima 760,2 g. 11 Temperatura massima 3l,i g. 27 | » » minima 746,0 » 7 » minima 12,7 » 9 » » media 754,9 » media DENTI Temporale nei giorni 7, 16, 22, 30. — (7 OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ OsservatoRIO DELLA R. UniveRsITÀ DI BoLogna (alt. 83", 8) z GIUGNO 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale 5 S| o E iS] MING) = Cia ASS © |Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza ae sl so = in millimetri in centesimi in decimi del vento Fic Q E — sue EE è | 9g | 155 | 21° | Media | 9 | 15» | 21" | Media | ® | 15/20] 9g | | on 15 mm 1 |i2,2 (10,9 (11,4 | 115 | 61) 40 | 49 50 0 Dl 20 W | W 359 2 {16 (11,7 (12,5 11,9 | 51 | 40 | 50 4T DZ N0 a Sa 9 (883 9 ii807 (1352 500 | 140 | 57 | 43 | 61 54 08 MICI UG] Mivvali ILVA RISE SO 4 {14,2 [11,7 [13,3 | 13,1 550 039) (51 48 Oer 20/06 W | SW SANRIO Digi Neto Neon Misto 357 0207126 28 (O 5 4 | W | Ssw|sw | 16 | 96 6 [11,8 7,7 (10,2 9,9 SN 2000 45 4l 0 2 8ySW| SW |SW 29 9,7 SOR) RAI 1228 M1285 13 17 76 79 10 5) 10 SW W SE T 6,1 8 [I1,5 | 9,8 (10,5 | 10,6 QRI 8 | 188 86 l0 | 10 | 10 | NW | NW W 8 5 99,9] 879,9 05) 80 50 62 64 5) 2 0 W NU ? 4 2,9 Io {IM 5. | 17,8) 9,6) 9,6 TI | 38 | 56 55 5 4 0 | W | SE S A BE Mostar ess dono | ‘97 | 57 zo | 58 52 Oi rai se 12 {9,9 (10,2 (10,5 | 10,2 5I 46 | 57 5 0 0 0 {INW|NW | SE 10 6,1 19 ZA MISS e 2 66 46 43 52 0 3 0 W N SW 5 6,0 fa [107 (14,7 9,5| 10,6 | 52 | 43 | 44 16 OE CO voi ev MOR R29 828 IAA ISS. 65 47 65 DL 0 5 tn W N E 15 7,8 16 [152 IA Z| (IE 73 48 58 60 0 7 5) W NE SE 5) Ea, AZ |128 (103 |10,8.| 11,3 67 39 48 DI 8 5 0 9 NE | SW 8 4.6 Î8 [107 (14,5 ((2,1| 414 | 52 | 43 | 57 51 0) 3) 0 w | NW SE 8 | 5,8 ON MEO 13 ST do 4 781.50 91 79 10 5 2 ? NW | NE 8 6,4 920, {15,4 | 6,5 | 7,9 9,9 UU QI ZI 49 10 5 6{SW|NW|NW 10 6,1 200838 NS28 085) 9,0 48 90 59 47 2 s Do NE SW | SW Il 002 QAS RE 85 84 | 79 83 8 10 8 | NW W SW Ù 0) 23 [10,5 8,9 [10,0| 9,é 61 | 44 | 56 54 5a SE 3 SW NW | SW | 370 24 | 9,5 | 9,6. (11,0 | 10,0 49 37 | 48 45 l 2 4 {NW | NW | SW 10 6,4 Î RO non RON ON 10,3 49 36 | DI 45 3 4 0 NE NE SE 19 7,0 26 | 7, Sd | 8,9 34 39 | 40 36 0 3 U) NE NE SE Il 6,9 27 {10,7 (10,9 [11,5 | 14,0 47 | 34 | 4 41 DR RSS 0 ava Mvy SÌ dA 290|18:3 (40 (3,1 | 13,6 52 | 49 | 55 5a. 00 o 3 NO NEg| Zion 29 [15,7 |13,8 |12, 13,9 101308 M51 57 5 8 3 N | NE S |a 30 |14,3 [13,4 (15,8 | 14,9 63 | 43 | 66 97 0 8 4 |NW| NW S 8 6,5 14,9 [10,7 |14,4| 11,3 | ei | 45 | 56 54 3 5 3 10 | 6,3 Tens. del vapor acq. mass 18,5 JI Proporzione Media nebulosità » » » » min. 6,5» 2 5 x DD » » media Il,: dei venti nel mese relativa mel mese Umidità relativa mass. 92 g. i cimi ; 5 enim DI N NE E SE S SW W NW TRFACCII » » media 54 LIRA 9 ME 22 17 4 — 68 (SSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ OsservarorIo DELLA R. Università pi BoLogna (alt. 83,8) (9) { © ; 245 | i LUGLIO 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale 52 | i (RS Forma | a Ae o REG @ Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada mista delle | » & E Media |9 3 precipitazioni . gh 15” %h | Media| 9h 15 731 Mass. | Min. \mass.min.|? = S) g, Mbk © mm. mm min. | mm. (0) (0) (0) (0) [0] | (0) mm. | | | | | 1 758,8 |uor9 at 758,2] 23,4 || 26,8 227 | 27,2 245 | 23,7 2,4 pioggia | 915845 |MISToR | 756,80 mos 264 | 2258 | 2254 | 25,8 | 188 | 220 | 055 pioggia 3] 757,0 | 754,9 | 754,3 | 759,4 | 23,0 27,6 RIA, PROMO 2405 ANTA R|T2 TEZ8. 9] Za A || ZI 28,1 DOA 25,1 | DI oi rate 52408 520023008 Me M23:0) Maris 96) 023% | 6] 751,8 | 751,8 | 700,9 | 754,5 | 23,4 ARE, | ZO,A 2] 19,5 22,2 4,8 pioggia | TELA |T029 80 6 er IZ] Zoo || 2g WS ZONA) 8,0 pioggia 8. | 75505 | 7565 | 78400 | 7567] 218 | 27,0 || 2456 | 27,3 | 19,3 | 23,3 | O EST 062 La] 1932 24,2 28,6 760) 29,5 LALA 25,0 | i | | ; AZ 5 10 | 755,4 754,7 755,3! 755,4] 23.8 | (26,9 | 240 | 27,3 | 20,5 | 23,9 NI 756880 Wagto | 55te) sei 2407/2780 2307 | 28/0 | 18,6 |> 2938 | 12] 75456 | 752,8. | 702,7 | 703,4 || 20,4 ML ZE 20,0) | | 25,0 | | È Sr - lhi 9Q c 37 OR KR c Q G e | LINO - o x. Ri 0224 5128 IRSA 28,0 ZLI 230) 20,8 ZU Za 1,6 pioggia NU 53900 73940 537038602650, 28,6 23,6 28,7 19,8 24 5 16058885260 ATA) | 24520) MI28 008 210 Rel 20530 MIN236 | RNA 57] 9658. 961) 262 8 238] 2/60 Oer 202 im 644 | 75172 749,2 | 761,6. | 23,8 21,4 LI IZ 13M ME2205 18. | 74465 | 74353 || 74255 | 743,4 | 22,3 20,0 TRO i 2g TARA NZON2 29,2 pioggia 19 | 743,6 | 745,6 | 746,8 | 745,3 | 15,6 19,0 LOR 20,7 5,6 17,8 230) pioggia 20] 748,9 | 749,0 | 750,1 | 749,3 | 19,0 LINA 011 2352 15,7 19,7 O 7 La. 7522 | Vele 224 | 202 Za 2 ded i 9 | DITEL0O| 0] 1 L34232 || 268 | 236 IZZO | Qi 27 29 | 75312 | 7549 | 759,9 | 752,7] 23,0 | 26,6 | 234 | 270 | 245 | 23,7 VITE 729630.) 7029 | 2398.) 268 | 020 PR zo BITTO MELI 0 2224 29.0. | 20.2 24, 6 AN TRA MOON 3N9 24,6 28,4 23,9 28,6 2400) ZAN QTA] RIS 0A O RON] 2306 ZII 02058 DITA M2.059 24,4 OR AS e MD 60 5 632 03 2 SS 269329528 2010, 25,6 29 969 EG TO LZ] 20] 2004 255 RO 227 26,0 SO 17986 | 070 | 70050 | VO 200 AI 2a 6 | 202 UA: SA ZO 55 54900) 5538] 608 SONA 2A 030998 2297 26, $ aq n | Di = cr n n | TI | II | aa | 2a 20 236 209 AGO 26 48, 8 | Î I A ner ARTE‘ SI: A Altezza barometrica massima 758,8 g. ll Temperatura massima 30,9 g. 31 » » minima 742,5 » 418 » minima 15,6 » 419 » » Im esi 598 » media 23,6 Temporale nel giorno 6. —————————————————_—_—————— —11111—_——_—_————— ee OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservarorIo peLLA R. Università pi Boroena (alt. 83», 8) - LUGLIO 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale SS Mel ® Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza =» E in millimetri in centesimi in decimi del vento 29 è | 9% | 15% | 216 | Media | 9® | 150 | 240) Media { 9 | 15h |2m] 9g | dn | 210 Son | mm i {5,0 | 9,741 1,9 | 70|37| 69) 59 O RR o Iena ea 2 |iw06 (134 [1551 | 14,4 | 77 | 65 | 76 73 SEMO OCT O SW NI ad SRO TR 32 199 6 44 56 55 0 | 3 4 W O) S 4 3,5 | | 4 |11,7|9,9|12,9) 11,5 | 48 | 36 | 56 47 7 DINSORa Swi s 16 70 5 [0353 .|14,6 [14,8 | 13,2 | 62. | 54 | 57 58 ol 5| 3NW| w | SE GL 6 [l4,5|13,0 (14,7 | 44,1 | 68 | 76] 84| 76 Go O CR n 9 | 378 RA 270 2500 MIZS6 82 68 65 (2 lo) Si 4 W | W W 5 6,0 | g [ils (10,8 (11,3 | 11,3 | 61 | 41 | 49 50 O SZ TOTI EV E Se AI 9 [11,3 [11,5 [10,4| 14,14 | 50 | 39 | 43 14 3 0300 SsE wa Sw 2088 602 10 |15,4 |12,3 |th,4| 12,9 | 70) 47 | 50| 56 3| 3 ome sw so] 10 | 5,8 gi 202) NON 205 3 53 32 00 ORO NE NER SE O 0 19 [14,3 (10,8 [12,7 | 12,6 | 60 | 35 | 52 | 49 OR ER EZA VV] NUR ES Mi sot | | | ROIO IR 12,0 35 44 2 44 A Rea NE SW | SW 17 7,6 14 [10,8 | 7,3) 7,5 8,5 43 25 34 34 SIM (0) W SE SW 13 7,8 15 |iGz | Sid 18021 8.7 43 | 28 | 48 38 2 il 8$|NW|SW|NWI 20 | 85 ie ioo e,7|z4| so || 25 | 36) 36 e io ew ee Wi Cee Tae ao 4| 2|2{|jNW|NW| S OL {8 [12,7 (14,4 (12,3 | 13,0 | 64 | 81 | 82| 76 SAMO 10 set SE NWI |LenMzto 19 [11,8 (12,3 |i2,5.| 12,2 | 89 | 75 | 75 80 1008 VA E) EST AZIONE ME 20 [11,4 [10,9 (11,7 70 53 64 62 a) do) i W N SW ) 3,6 2 LI 260 205 12; ST NZ] 4 52 4 5) O0{SW|SW}| w 8 4,6 22 |tt,4 |14,9 |iz7,3| 145 | 68 | 57 | 80 68 6 6|NW| N S 12 0555 23 [15,2 [14,7 (14,0 4,6 16) DI 65 65 ) d 0 | NW N SE 8 4,6 24 |I4,1 (10,0 [12,7 7 64 36 DÒ 53 0 2 4 N NW SE 7 6,2 95 114,2) 15,0 (1257 | 14,0 65 52 dQ 56 5) 0. | NW N SW 6 Nes 26. (13,9 (13,3 [13,9 deu 60 46 65 57 0 Do) 10 W SW | NW 9 (E 9) 27 Ma 0 2,7 (1258 13, 2 65 46 52 D4 d a) 0. | NW NE 2 h) 5,8 28 |I4,1 [12,3 (13,5 19983, 54 42 53 50 0 2 0 | NW SE SW TI 1, @ 29 |I4,1|9,0|11,4| 11,5 59 29 50, 44 0 2 2 NE NE W 14 1,9 30 |13/3 112 |14,8| 12,1 | 66 | 39 | 49 5I 0i MER Rot e ip mi ois 31 [13,0 10,7 (13,6 | 12,4 53 SB) 2) 45 0 2 0 W N ? 6 085 | n + : 13,8 iL (Reed ei CARA a; 10 | 6,4 Tens. del vapor acq. mass. 17,3 22 Proporzione | Media nebulosità » » » > mat GI 5 16 A 3 » » » » media 12, 2) dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 89 g. 19 i imi : i I NON I A Dn deeani » » media 55 O io e | 4 OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE 70 — vatte NELL'OsservarorIo DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 837,8) | Giorni del mese [foX{o oXES) Temporale nel giorno 26. 9 q sullo AGOSTO 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale SIE N27 Forma i ; SITE Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada = = delle Media 3 2 Z| precipitazioni ch 15” RN Me daN iOA 15° ZA Mass. | Min. |mass.min|g =" | 9g 20l& ® | mm un. min, mm. (0) (0) (0) (0) (0) | (0) mm. TI | TRO TRA II | Z60 | AR RZ | 0) 21,9 28, 4 TA NZO RT S0 TANO 2382 27,0 23, 4 28,2 21,3 24,0 TOTATA00980 Mon RITIRO LOS RI IZIOZ 24,6 18,4 | 21,0 4,8 pioggia 758,3) 756,7 | 755,9) 757,0] 21,6 | 26,0 | 22,4 | 27,0 | 18,2 544 | SLA | 750,2 | 751,8 24,2 | 300 | 26,7 | 30,4 | 20,4 701888 7/50 750828 7502406 27,4 20, 28,0 20,8 3, 6 pioggia 49 AT IAT 7AS,A | 20,6 | 23,8 | 20,8 0,1 pioggia 748,3 | 748.1 | 749,6 | 748,7] 19,8 | 25,3 | 23,9 | | TO ON 507 | AN odi 240 SR a | TRO TEL 9 232 | 209 || Za ZII 20,0 23, 6 TORNI Semel 52020) 24000] 2807 (| 12578 | 29701 || 2059 24,9 o SONE TL 7001008 [22018 M25N68 2256 ZIO) || ZE? 23,9 TORA RELA RISO SASA |A MIZIN 1073 MM2ZI6 16,4 102 1902 VI702 | 669 | 766 ee | 262 | 58) | 200 17,0 21,5 309] 00] n) Los) Mez: Month 9520 025:38 o Mie Mae pioggia T4T,8 | 748,7 | 750,4 | 749,0 | 18,8 | 22,4 19,2 di | SIE 0,8 pioggia 753,3 | 753,3 | 75308 | 753.5] 182) 206 | 24150 16,4 | 20.3 2,3 pioggia 756,2 | 7554 | 755,6 | 755,7] 20,1 | 242 | 29,0 16,8 | 20,9 09 OT | VOLO 6A 0 || 252 | 2250 2450 || 4652 ZI 3, 8 pioggia 758,6 | 757,4 | 756,8] 757,5] 250 | 253 | 224 | 26,0 | 184 | 22,0 MOON | N56 01] 706,4 | 766,8] 2254 | 2704 | 2954 | 27,6, | 18,9 23,1 TS ONOR EDRN OSNO. 23 28.4 24,8 28,8 1 19,8 24,3 0,5 pioggia 704,9 | 753,2 | 753,5 TI 22 20 20 2182058 AT e pioggia 793,9 | 753,8 | 755,0 2 2458 | 232 2a ROSA ASIA 23, 6 | | 245 69 600) 22020] 2450 | 260 | de QI 109 | 7929) | 64 2 I 22 (0200 | 207 RIA ZO 23,9 32,8 | pioggia e grand. 7009 | 7689 | 194,3) | oo 2201 RION 24622656, 19,4 RI 99 | YO 0 | 08 ZA 2 1 282 | 242 (230 | 21,8 24,7 199 TA 59 OT 20 24 | 20 | ZO ZIoA 20,6 TA | TEL. 7018 708 1 255. | 2068 260 | 303 || 236 262 | OSSA TOA TSI RT ARONA 2.000] 23300 MR6 19, 6 AL TO TORTI 7 QAR 22.) Wi QI UG | 23,0 70,0 | Altezza barometrica massima 758,6 g. 20 Temperatura massima 32,9 g. 1 » » minima 747,5 » 7 » minima 16,4 » 13 e 17 » » media 753,2 » media 23,0 OssERVAZIONI METEOROLOGICHE — 71 FATTE NELL'OsservatoRIO DELLA R. Università DI BoLocna (alt. 83m, 8) AGOSTO 1908 - Tempo medio dell’ Europa centrale Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza | Giorni del mese Evaporazione Velocità media 24 ore in millimetri in centes!mi in decimi del vento E | 3 | [= [MIE | 2: | Nea [LOR 2 avide edo gh e ZIE Ù I i mm. MEO e 9,6 De QI 20 32 0 2 0 {SW | SW | SW 9,6 29,0) {5,2 (14,5) 14,9 TI BF M68 65 8 ) 4 | NE | NE | NE TEA ILS RZ KIRON 221 76 58 59 64 $ ) 0 SE NW W 6,4 4 |L0,4 | 8,3 (10,5 9,7 DE | SS 52 46 0 0 0 W W SE 6,3 5|l1,3|8,0|81| 91 50 | 25 | 34 35 0 2 3 | NE| w | Sw 762 Gr: 2A 3,2137001 9S | 49 | 54 DA 10 4 4 {SW | SW S 5,8 TA LoS0N URAS ONOR 299 83 | 58 | 60 67 5) 2 7 W N NW 4,3 SALONI NONA UIRS A 055 SON NNZIONI MIDI 51 S d 4 |NW|NW| W TE) LOI |A 708 8,5 4630/0930 35 0 1 0. SW | SE NE 10,1 N00 RO RAI TESA 2 8,1 UD 2934 36 2 U 0 W NE | NE I) I RIZZO 9,9 50 38 31 40 0 2 0 W NW S 8,6 120 (10, 4 (15,3 (1852) 1350 LORO N65 59 8 ) 4 W NE S 10, $ 13 4 MM 0 da 0 91 62 10 10 10 | NE | NE | NW 4,8 14 [12,1 |12,6 [14,3 | 13,0 T2 (50 | 72 65 0 3 3 | W | NE 10 5,1 15 |15,6 (15,0 |15,6 | 15,4 SIT 94 82 7 8 3 2 NE N 4,5 16 (13,6 (12,7 (14,0 | 13,4 SAM MORIIS5 TI 10 5) 3 W W NE 3,9 dr (270, (11,9 (13,8 | 12.7 IO) 62 TO) Tre 5) b) V|SW/NW| W DEO 18 [122 [10,9 [12,6 | 11,9 70 | 49 | 64 6l 0 2 | 40 | NW | NW | SE 4,1 IO IST oO ARG UO | Sage 68 4 4 2 ? N | NE 4 8,2 20123 19,5 Il, IR 4 66 | 39 | 76 60 0 0 0 | NW | NE | SE ll 6,3 RR 1RS57 1I5A7A 1355 GAS TE 60 0 0 O0|{SW| W | NW 6 6,7 PN BASA UU Ar 14,2 63 40 73 DO 0 D) 10 ? NE NE 0) 6,5 23 13,7 [12,8 (13,2 13,2 73 | 64 | 74 70 10 8 2 S ? SE 6 | 44 24 (13,4 (11,0 (14,3 | 11,9 65 | 39 | 49 5I 0 0 0 N NE | SW ) Lao, 2565 MST |1533 115,5 81 56 | 69 69 8 3 0 ? |.NW | SE 6 5,0 RON MM Ian 12,5 67 59) 70 64 8 6 4 | SW W SW 11 5,9 ones Rees 102 | 76 (54 6 64 0 0| W | SE| W 4 | 4,9 28) (1185 (13,4 (11,6 | 12,8 60. | 47 | 50 53 0 2 0 { SW SW | SW 12 52 Ro IRA IRA 12870 1890 54 | 45 | 51 50 0 2 0 | SW | SW S 22 6,5 A) [17 MITO |A 02300 BS Si 2 47 0 0) 04 SW|SW | SW 22 8,0 SL | VAZO | 78 To 59 18 | 38 36 6 0 0 {SW |NW|SW 14 9,6 12,5 1,7 (12,2 124 64 | 47 | 59 57 LA 2 9 6,4 | Tens. del vapor acq. mass. 17,1 g. Proporzione Media nebulosità d DD pi imin. 46» ; : DI o ioedila 1221 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 94 g. 15 in decimi c n ni N i i SS SI n Ceoluni » » media 57 A 9A 822 di 8 3 DES OE OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE pATTE NELL'OsservarorIo DELLA R. Università pi BoLocna (alt. 837,8) -_ ==" d n a - 2° 2 | SETTEMBRE 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale |Z 2 £ 3 | [= Poteri forma E È TIE mo ; ; (CNS ES Barometro ridotto a 0° (. Temperatura centigrada mic delle a, La E | | | | Media |'9 precipitazioni IO gh AR 2A MM edia)|MA9h 45° | 21% | Mass. | Min. |[mass.min|?' [do) | | gr 21 E I— i - 1 mm. mm. mm. INIL. (0) (0) (0) | (0) (0) | (0) mn. NR ANOR 75 2A24 55 o 2A ON 25700 N22 252 17,5 DAD ONTANI TANA 75060 749 2262680222268] ABI 22,9 TERNO Veg 7682 a 60 252 266 256 0 19,5 4° | 756,16. | 754,9] 754,0 | 765,2 | 2050 25, 6 | 22, 6 25,6! 16,8 21,3 DIOR 7 OR 73 524982083 ZIA 30 ZON ZAR CRONO 7609240] 7608 L90208 2301672 19,0 TORA | Z00,0 | 702] TLI|AS2 | 262 | | ZO Mo AIN, QLIERLA I 7060 [Ob | 262 269 | 2450 | del 20) 2 | ORTO ORA 75 50 549) 75902007 26,4 23,2 26, 8 te ARS? | MON|Zb5;(0 N] Wp] 7530175401 23,10) | 26:10) | 236 || 26,18) | 19,6 23,3 6,7 pioggia | {i | 749,5 | 746,6 | 746,7 747,6) 21,7 | 25,6 | 23,3 | 25,8 | 2155 | 234 ADITO | 763079082 || 235 | IT e dd 20,7 RRSSAA MN 6 20 AG 212 1350 16,9 0,1 pioggia 14 | 764,0 | 763,0 | 763,0 | 763,3 48 | 24,6 18,5 21,8 2A 16,5 709) | 76062 Ve z6590 60 IL 19,7 2200 14,1 18,4 NR ONOR SO Mr 9 IZ] US 2208 2032285 16,9 19, 6 RIT | 60NA0 |58551 158531759001] 1821 ioason 20537 | 2257 || oss 19,2 {8 | 758,3 | 757,5 | 759,9 | 758,6] 190 | 23,0 | 19,2 | 23,2 | 16,6 19,5 19 | 762.2 | 761,2 | 761,7 | 761,7 | 18,6 | 20,9 | 18,5 | 24,6 DI 18,6 20) | 761,6 | 760,0 | 76100.| 760,9) 16,8 | 24,8 | 18,1 | 22,0 | 14,0 17,7 21 | 760,7 | 758,6 | 758,4 || 759,2 16,0 20,0 17,0 20,0 Sol 16,5 22 | 756,7 | 755,0] 755,3 | 755,7] 15,0 REL NON ALONSO ALOR5 10 15,7 23 | 755,5 | 754,4 | 755,0 | 750,0 | 1654 20, 6 17,9 21,0 3}. à) dra Qi | 754,9 | 554 | 75600] 75553 | 1778 | 20,6) 17,7 | 24,0 | 13,9 | 17,6 | | 25 | 756,8 | 756,4 | 756,0.| 756,4] 18.4 | 20,2 | 190 | 20,3 | 45,3 18,3 0,5 pioggia Vi 0.07 RL L0 [5 Ie60 | 10202 17,4 api pioggia QU | 758,3 | 756,7 | 756,8 | 707,3 | 16,4 | 19,6 | 13,8 TER) | JIS5O 11759 Ml 76062 | ERZ7) 49] L00128 | I62 22260 18,7 29 MO TO] TO 7965. 80 GRIN? 19,0 R25 14,8 18,6 30 | 763,7 | 761,6 | 761,2 | 762,2 | 19,2 | 21,8 | 18,9 RIO MA 18, 6 | 197,6, | 756,5 | 757,0 | 757,1] 18,3 | 22,5 | 197 PR SE 102 10, 4 Altezza barometrica massima 764,0 g la Temperatura massima 26, 8 ed) © IU » » minima 746,6 » AI » IMI DIMMI RN » » media 757,1 » media 1992 Nebbia nei giorni 17, 18, 21, 24, 28, 29. — 73 — OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIO DELLA R. Università pr BoLocxa (alt. 83m, 8) (05) . ci g SETTEMBRE 1908 -- Tempo medio dell’ Europa centrale = Si z E Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza «a | = in millimetri in centesimi in decimi del vento 5 S Ti GE 7 go | {5h | 246 | Media | 9® | 15» | 21° | Media | 9g | ish|am] 9 | 150 | 210 (PRO I 2 (o cx (> _ Sw —urut 9 9 (36) CO ul es (Pile ro) => ? 9 I = 02 69 LO [Dai (CL (dp) de IHI w Pai Ss DO > si di sO è tao) v i îm Lo Si UYb 0 e] La GO 9,4 60 | 45 | 57 D4 9: | S| 2 7 5,8 Tens. del vapor acq. mass. 15,8 g. 10 Proporzione Media nebulosità Dani» » do nai 9 » (83 : ù | dd idea, 04 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 86 g. 26 6 Deneo » » min. 24 5 13 N NE E SES SW W NW in decimi 0) CO e AR Oo 3 (36) » » media 54 i w1l1ll_llrmzpvmm——————————m—————@——@—_—_>———— AA (lo) DIL ele io.e) eli (orlo c}o ©) UTO) dA15D9 © DD 9 > € ce Nor}ier] tO = 00 >) 1 00 Do 00 td 9 LU! fo sHo sIo 0) DO O 0 00 00 99 VI —1UT UU (orfeorl=i (Ha ISO] ENI6) SUL Jr UT US (SE) (UCAS Ao) ISEE STATS [o © (erfieribt! DO OTO vo lb [(«—») Ser) 7. FA A < 23 ia AZ Pol ti Gaia Pa Z.r = las (O 20? iS cD e 29 DI pi TS E] (00) Jo] Xo}ò, |’ _ — _ _ _— — —— m — — — —_—___ m — —t—_—t—mTy_—É—m—m—m—tm. Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 10 Ta ()ssERVAZIONI METEOROLOGICHE PAtTE NELL'Osservarorio DELLA R. Università Di BoLocna (alt. 83”, 8) mese iorni del |a DI) OTTOBRE 1908 -— Tempo medio dell’ Europa centrale 5 a o A sE È ì : = Forma 3 C) Barometro ridotto a 0° (, Temperatura centigrada sa delle [A | | | | Media | precipitazioni gn {5 2 Media gn A5R | 245 | Mass Min. |mass.min.| 2° | | | | 9, 21 /& mm, mm mm. mnil (0) | (0) (0) (0) (0) (0) mu. 762,9 | 761,6 | 762,0; 762,2] 16,6 | 19,8 | 17,3 | 20,2 | 14,8 17,2 761,8 | 760,1 | 760,7 | 760,9 | 15,8 | 20,6 IO 2070 1258 16,7 764,6 | 760,9 | 761,3 | 761,3 Me (0 210) 20,9 DARCI VALI 19,0 761,8. 760,1 | 759,9 | 760,6] 20,6 | 25,8 | 21,4 | 25,8! 18,8! 21,7 TOS ON 050 o 2082 20,2 2254 26,4 a ZII N5ni7 | 75808 | 7605 | 7593] 184 | 2205 | 1774 | 227 | 16,9 18,9 | | TOT ess 6406) 7643188 | Molisano) 09 A | 555 76552 | 76300 | 627 | 763,6) 15,6) 208 | 186 | 210 | 4450 || 1753 TOLA2A 75988 5950 7000] LGSU N21 17,3 | 214 13,4 | 47,0 760,4 | 759,6 | 760,1| 760,0 | 46,4 | 21,0 NASA ZA 13.7 | ATA | TORA e 76230807620] 20N6 LORO N2088 LO DIRI | TOI LIL HIT 766900 190) | 6,06) | 1902 RL IZ | | | 761,6 | 761,0 | 761,5. | 761,4 | 13,8 | 16,7 14,7 16,8 13,5 14,7 2564) pioggia 76007 | 7593 | 7590 | 759.7 || 13,8 | 16/4 | 15,6 | 16,8 | 134 | 148 |4142 pioggia hO EAT el 18,8 | 16,3 1192 14,7 | 16,4 | TRONTO EOS 19,2 ao dea 14,2 | 46,9 TE 2A FEE a 8 [I IO [RE 158 | O SAT AS O 00 OTRS MASINI, 18,0 12,8 15,0 | | OSANO MSN 5 00 75 AIZTO I7,4 4,6 17,6 11,6 14,5 TORO | VALOIS a64 | 10;2 22. 10,3 14,9 9,8 | 14,3 nor) irs7e81 cr66) Gordola Rea e A Î | 758,1 | 756,5 | 757,4 757,3] 5,8 9,8 8,6 9,9 4,9 3 | OOO 5850 598 7530] eo Mona Mera o eo : 756,7 | 7532 | 761,4 | 753,8 6,0 6,4 GA 84 Dadilie ARGS 8,7 pioggia FESSO TZ TS ONOR ZON? 9,2 {41,4 12,0 182 6,2 1052 10,4 pioggia ASTI | smo | 7592 | 75802 || 1004 | 19,7 | 1258 || 1378 | 4052 11,8 Lol T0B2 71 7633) 430 12,6 2,4 13,8 14,9) | 2,8 002 pioggia Î ' B65 | 64 A | 65, AO 648 |I2N2 16,1 Il4,10) | 46,2 LEO | e IT 617 76) 0207] IRSA Pal 692 120163 | 13,5 14,0 O] 5 9N6r 75978 N6 028 |M IGN IA RAG 13 13,3 to 9100 o SA To SA ROSSI 16,2 11,8 16,7 9,0 125 759119) | 758,18) | 759,3 1609 | IS | AR dI | 0 14,6 | 36,4 Altezza barometrica massima 765,2 g 8 Temperatura massima 26, LA 3) » » minima 747,7 » 25 » minima 4A9T 22 » » Redi a 0083 » media 14,6 Nebbia nei giorni 1, 13, 19, 25, 26, 27, 28. 75 OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OsservarorIo peLLA R. Unrversità DI BoLogna (alt. 83", 8) © 5 E 5 OTTOBRE 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale LI 2 © Ss iS |Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza E SS E in millimetri in centesimi in decimi del vento £ 9 5 ea o Sg 2 | gn | 15" | 210] Media | 9h | 155 | 216 | Media | 90 | 151 |a] go | is | onf | 8° mm LO 20 9,6 19 d4 61 63 $ d 3 2 NE NE DI A) 2 02 |A SA 8,5 69 | 39 | 60 56 0 0 0 | NV N W 3 Ga 9/2 [ll,1| 9,4] 98 | 60 53 | 50 54 eis NEI Es 0 eo 4 {8,2 | 9,0 | 3,8 8,7 45 97 46 43 () 0 O {SW | SW | SW LI 7,6 CATO MONZA LORI 8,0 42 SU DU 40 0 0 0 W W SW T VR 6] 8,4 [10,5 | 9,3 9,4 93 | 52 63 56 0 0 0 {NW | NE | SE ll 6,0 7|RO|L8|90 8,6 75 | 46 | 66 62 0 0 0 {NW| NE SE 5 0 8g |\9i2: 11,0 93| 98 | 66 | 61 | 58 62 Deo ai Ava o SEIZIO 9 {8,6 | 8,7 [10,0 hai 63 46 67 59 0 0 l W NE SE DI 9; 0 10| 9,4|9,6 [10,6 CLO 67 92 TR 64 0 2 0 ? NE SE 3 chi I OA OSZA LO OSO, 66 62 (5) 6S 0 5) 0 DI IN SE 5) 4,2 AREZZO NONA LOANO 77 63 73 (gl 5) 4 0 N GNE SE 3 4,0 (3 |t,2 iL7|,2| I,4 | 9882 | 90 89 10 | 10 | (0 |NW|NW| w 2 | on fe [05 {059 (1027 | 4150 | 98 | 78 | 81 86 {O 8 0 e ww SUE 15 {9,4 |L0,4 [10,0 00) 73 64 1? 70 8 3 4 W NW | SW 7 3,1 16 | 9,211,0|9,9| 10,0 | 69 67|74| 70 deo ca ai davval MivV 4 | 32 17 | 9,8 [10,4 9,6 ShE) 78 69 76 74 0 030 W NE | W 2 2,9 18.1 8,9 (10, 4 [10,2 9,8 TÒ 69 79 74 0 2 2 W N W 3 2,6 19. | 8,7 (10,7 {10,0 9,6 Ta) T2 79 Ta) 8 d T|NW|NW SE 3 234 MiTAC 6 Re 76 OOO i e 22/5909) 6,3 68 | 83 | 82 78 10 10 10 2 NW | W I 6) Ri NOR 50 Roo 4,6 57 50 | 64 07 8 i 10 W NE | NW 2 6h 0) 29 ALTI 5, 8 99 | SI 73 TAI 10 10 10 W W ? 3 4,2 21|66|6,3|6,6| 65 | 9 | 88 | 2 9I 100 O i Toe Ro ERI MOON RON MORO 88 | 95 | 93 92 10 | 10 4 ? SE E 8 17 96 | 92105 (100) 99 | 97 | 90 | 9 93 Cia GS A EVE SE SME RA LOSE LOR NOS LOS 9I OSLO OI D) 10 10 ? SW | W 6 O) 28 | 9,6 [10,1 {10,0 959 89 74 | 84 $2 Di ) 0|{SW|SW| W 5) Dl alla orge ia Agi ev vi BI iu | I 0 ee a 83 69 DO IO 2008 SSWA SEI Maso e Cood este Psi 66! Ne5i 083 TI 00 008 ig9 sw foi do O LoL d6 (93 [20 Rana DAG IERES Î T'ens. del vapor acq. mass. LT g. 13 Proporzione Media nebulosità » » » » min. 9), 9) » 22 5 5 » >» » » media 9,0 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 98 g. 14 ; do : e, N NE k SE S SW ww Ni TI, dec) | » » media 71 di I 10 4 | OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE 76 vATTE NELL OsservarorIio peLLA R. Università DI BoLogna (alt. 837,8) 9 (3) 5 i E E NOVEMBRE 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale | 2 £ : [= R27 Forma Wo) i È TIRATI . mi , > STE do, Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada ei delle o le) = SA Si 5 Media |9 precipitazioni Î È c È È | ; : . gu 15h 29 | Media | 9h 15h 219 | Mass. | Min. [mass min.{® =" D | | gh 24h |f& © Api mm mm. mm. mm. (0) (0) 0 (0) | (9) [0] mm. 11 758,4 || 758,2] 759,0| 758,5 84 | 13,2 | 10,6 | 13,4 6,4 9,7 2 | 760,2 | 7595. | 7596 | 759,8| 84 | 11,8 PON MR 520 698 9,2 DURI TEO e) 6 I TEGO A 8/0 4 | 755,8] 753,7 |754,3| 754,6] 82) 4149) 99 | 1214 6,8 9,3 0,$ DIA IR, ZZ0) || aao) 9,6 11,8 DION MARI 8,5 9,9 5,4 CARON 752578 754 5900 TESTO MOSS TAB GR 6,5 Fara Mao 7535980 bRA6R Mo 6,5 7,0 DO TAO 5,6 6,4 0,2 8| 7a7ig | 7420.) 740,1 | 743,10) 45 4,4 peo aio 50 | 25,5 pio; 9 741,2 | 744,0 | 747,6 | 744,3 | 6,8 6,6 6,9 | 7,2| 46 6,4 4,1 pioggi: | | O LN CR EDO) D3 0) - 16,9 | 46 53 7,4 pioggia Di | 7559. | 75555.) 75602 | 7559] 577 To a 207 6,3 12 | 755,2|758,3 | 759,0 |758,5| 5,0 | 106 | 6,7 | 10,7) 48 6,8 | | 1317593. | 757,9 | 758,7 | 758,6] 5:3 9,4 1a 6 va MRO 2.5 5, IC SA Mo SA OT o I IRR 3,5 Shot ii e 0,4 DI {5.| 7610 | 76200 | 764,2 | 76254 | 3,2 5,0 5,2 5,9 24 4, 5,0 pioggia | 5 NOA A a TA que Qp i me] que n Eu - . 16 | 766,6 | 768,3 | 768,3 | 768,4 89) 3,6 ao da | Ska 3,9 DIO pioggia 7007606870) 7,007 (658706680 2,2 9,4 938 SR VARGAS 2,9 18 | 764,5 | 762,8 | 762,7 | 763,3 3,8 ),0 6,4 IZ 2A 4.8 0,5 pioggia | 19Ì 758,1 7541 | 751,9 7547) 6,7 8,0 O 6,3 7,2 20.4 74905 | 745,8 | 701,5 | 749,9 7,0 7,0 TEZAN| MRS SI MIO 53 2 | 7518 | 75002 | 752,0 | 75153] 5,6 7,8 5.8 8.0 5,6 6,3 | | 22] 752,1 | 751,3. 750,0) 751,1 2,1 5.8 4,2 BEAT) 357 (ni (i m n D n c il DO - 923 || 745,6 | 744,3 | 749,4 | 746,4 3,7 1,8 LS ASI 1,8 4.5 CEI ITA] 9,0 700) Ti l1,2 8,5 RAR 7,9 925) 761,5 | 761,0 | 761,6 | 761,4 4,2 8,4 Dil GE 4,1 6,0 ZIO | 7022708) 1,4 7,8 Bio, 8,0 3,6 9,9 27 | 763,5 | 762,9 | 769,7 | 763,4 1,6 9,7 ne 10,3 BIOL 6,5 | p_s- G - Di 28 | 764,9 | 764,2 | 764,3 | 704,9 USO 9,0 6,5 94 go 5,6 29 | 765,6 |\765,4 | 766,6 | 765,9 De 9,0 258 RS SS 9,0 30 | 766,6 | 766,0 | 766,7 | 766,4 1,6 7,0 ),0 53 0,0 PIO, 757,601 756,8 | 757,6] 767: 2 | 6,2 Sir A 6,1 |S6,1 Altezza barometrica massima 768,6. 16 Temperatura massima 13,4 g. 1 » » minima 740,1 » S » minima 0,0 » 30 » » media 757,9 » media 6, 1 DI GO Si AONTIO 26, 27, 28, 30. Nebbia neì giorni 4, Brina nei giorni (9) 59 1$ ) LIRRONZIA 99 92 aa) Cs TI -- OssERVAZIONI METEOROLOGICHE T x FATTE NELL’ OsservatoRIO DELLA R. UnIveRsITÀ DI BoLoona (alt. 83", 8) (<>) . 3 NOVEMBRE 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale Lo Di Sa 2 [Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza Ev = in millimetri in centesini in decimi del vento La 9° @ | gn | 15h | 245) Media | gt | 15h | 21h | Media | ®" lat|om] 9 | 15 | JI Î | | | | mm 1001707 8I COR RONN NICO 2. | NW MIS 2 |[ 6.8 | 6,0 | 6,0 6,3 82 58 69 70 2 8 0 ? N 3) Z| 6.0|66|63| 63 | 85 | 64| 71 73 20 E 202 (ME EN 5 | 28 | | 4|6,6|64|7,8 6,9 SU || 61 | 85 76 SA LORO 2 | NE ? L 2,9 | deve ZI gl (08 Ze TON a Es ved ES ERO] BI MESsii Brace nia Meo 8a se 0) 86 Ol REST AGHI ? ? See |M085 se e e ga aa gas o od a 1 | 2.0 8|60|61|6,0| 6,0 SEI LOR IS 05 10 | 10 | 10 2 INW| w ) | 4,9 ONiesat eni |Nesgnl 6-2 | 88 | 88 | 84 87 10 | 40.| 40.| E W | ? SINNI Î lo 606.0 (5,5 5.8 | 93 | 92 | 84 90 10 | so | 10] ? {ww ZAINO (1/9 o zo 5,4 80 | 77 | 66 74 10 | 10 6 at NT? W 3 ari 1 Ao A 70 0| 0 | e en a I lE Î | Î | Ì 13 5.1| 6,564 60 | 77) 74 |100 84 0 0 ESA a 2 9e8 io a a 5,6 92 94 98 95 Ù 2 LAO W W ? 1 1,6 IGN NoSoN Mesia Nono 6,1 97 | 94 |100 97 10 10 | 10 ? W N 2 0,8 | | | Ra estae ri Gi i 91 |a | 68 vi 10 8| 7|NW|w|w 4 | 1,9 17|3,7|3,9| 4,9 4,2 68 | 66 | 82 12 IU | 10 | 10 { NW) W | NW 2 2,4 1f80|(5; 7 | (6581/70 685 95 97 | 97 96 10 | 10 | 40 VU MAVVARI MGVV, ) 1,6 ONIZAA irAt6 a 70875 97 | 94 | % 95 10 | 10 | 10 | NW ? SW 2 I RONN 39 6198 NE Ori SOTA MIO 95 10. (0, | d0.| E | SW NE 6 | 0,9 Pio Mb Mo 9,7 94 67 | 78 80 4 | 3 | 10 {NW W W 3 1,6 | | PON esi Nora Rol DIO. 89 bp) 87 86 OO 0 ? NW ? I 6) | &L| 5055 55 Ra || vo | 80 83 2 0 0 | NW | NW ? | LR? ZO NS 3,4 3,9 37 36 | 41 38 0 | 0 O |NW| W W 14 3,9 a l40 4545) 43 |6|5 e 6 | olo o]nwlnw/w] 8|35 Sri iso] den Mes i 62 59 68 | ‘63 0 O AO] evvai avvale? UM E256 27 Leila DO 7 60 | 74 68 0 0 CONI RIAVVIA: ? 2 205) 23 || 458] 459 5,6 77 TI 81 76 O 0 0 2 Wi SW I 209) dz ae 5,6 78 76 93 S2 MO 0 W ? ? B) 2,4 390 | 44|5,8|46| 49 | 85 | 77 [100 87 De SON No] ew: ? 9 I {17 OMONIMONON MONS 5,8 83 75 82 80 5) 5) 5 3 da II Tens. del vapor acq mass. 8,7 g. 1 Proporzione Media nebulosità » » » ) mobi OZ ; 3 »» » » media 5,8 dei venti nel mese relativa mel mese Umidità relativa mass. 100 g. 8,13,15 e 30 i cimi 5 oe N NE E SE S SW W NW ira decimi » » media 80 RA CIS 2a E RT 5) _————_EEEE-P- PS PES IE (OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'Osservarorio DELLA R. Università pi BoLogna (alt. 83», 8) —————- D) LD) A È Gi DICEMBRE 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale |5 s E DPI ì eta p< Forma it FIERA IE o (n Ta ; i |c = Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada = delle È - i E Media | precipitazioni IS gh 15” 24 | Media | 9h 15h 218 | Mass. | Min. (mass min.|?° 5 | 9, 21% |M __ | mm. mm. mm. | mm. 0) 0) o o | o o mm. | 1| 766,9 | 763,4|766,0176614|—04| 68) Li 7,2 | 4,0 1,8 | QI Mo 8N6n 76355, | 64 0,14 LIB 42 SOR IONI 1,6 31 762,0 | 760,5 | 760,6| 761L,0| 40 0,0 5,9 6,2 3,2 1,8 | | | E 00NGA 760060 GINE W60Ns8/oton 28 2 ee 5. | Z61,1 | 759,9 || 760,4 | 760,5 9,9 | 6,6 | 4,4 Hz Dal 6| 76205. | 7625 | 763,3 | 7628/40 Ro | eLo 49 216 | | TRON 634 64276350 o 0 6,0 254 3,6 8] 765,2 || 7642 | 763.7 | 7644 | 1,3 ORONZO 3,0 |- 1,3 | 0,0 | 9] 762,2 | 760,7 | 759,8, 760,9 1,0 e 4 CNR (0, 6 | 1 | Î Î } | | Î | OI, Tod 2,2 220 MS 3,0 16 RO A | 7391 | 735,6, 734,2 | 736,9 1,2 RC, SZ] A 7 17 | 12) || 736,8 | 78852 743,9) | 739,3 DE 7,6 7,4 I 4555 | | | | | a 2 Ji ) | ) | 13 | 752,3. | 755,1 | 758,0 | 755,1 4,6 8,2 3,6 8,2 3,0 4,9 | 14 | 760,3 | 758,9 | 758,7 | 759,3 DC MRO NA MISA 5,8 US 3, 6 159 N6SAI 75728 RUoTETIO ro7A 27 3,4 3,4 3,8 2,4 DIA | l6.| 754,3) 704,1 | 64,2 704,2 2,4 ORO M3O 3,9 202 30 8,2 pioggia NI W52970 0651824 Re Moto 0, 4 6,2 6,7 6,7 3,8 9, 7 4.5 pioggia | RIV | We 66 VET, Soi 069 7,0 6,0 pioggia | 19 | M54,7 | 754,2) 763,9 3 2 760 TAR 7,8 BL EOS 20 | 753,6 | 759,6, | 767,4 5) ONION 5,8 UD NZ, 5,9 16,2 pioggia QI TS | 7682 | 708,7 3 zi di 0) 6,8 SEGNI IZZO ERO 0,5 pioggia il | LO TINI ONOR R/00N28 7999 DI 6,8 Da TOO 349 5,8 23 | 760,6 | 760,3 | 760,3 | 760, 4 O (0 dA 6,3 1,5 d 2 | 24 | 759,8 | 758,8 | 767,7 | 758,8 3,4 3,8 4,1 ‘ ORARI EZIO | | | | 25. | 756,6 | 755,7 | 755,6 | 756,0 1,0 d, 8 3 GO] 87 4,57 0, S pioggia LTL TI] ZO | 7a 3,0 934 3,1 5,6 152 IL ITA ZOO] ETA TA ST 7130 4 26 1,6 3,6 1,6 2,3) 2,2 | pioggia e neve 28 | 747,0) | 745,5) 744,8 | 745,8 IA 00 0,3 RAR A: 0,4 1,2 | pioggia e neve 29 | 745,5 | 745,8 | 746,8 | 746,0 |— 0,2 I, MRO Or ZIARO 0,4 0,4 neve 30] 746,4 | 747,6 | 702,7 | 748,9 |— 0,4 0,6 |— 0,5 1,9 (14,2 | —0;1 0,6 neve 31 | 759,8 | 761,0 | 763,5 | 761,4 |-- 0,4 L,4 0,9 24 (4,5 0,3 OD) TOR 08 7054 3,0 Pd ii a 59 QI 3,6 40, 6 Altezza barometrica massima 766,9 g. 1 Temperatura massima 8,4 g. 18 e 21 » » minima 734,2» dl » minima —3,0 » 2 | » » medlia 755,7 » media 3,6 REDIE, vel gorizia, ev, 8 OT, de JB 16 eo 20, 2 E 2 39 DI AI Brina nei giorni 1, 2, 19, 14, 15 Pe ee OSsERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservarorIo peLLA R. Università pi BoLogna (alt. 83", 8) D Ò si 3 DICEMBRE 1908 — Tempo medio dell’ Europa centrale E £ Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza 5a = in millimetri in centesimi in decimi del vento iS S È © gb [Ag | 20) Media | O die ze Vide UG: Ugl Qu | 16: Zi E. CA SES | mm [és A DI Ge O o |2,4 252 | 6,356 5,0 9L | 84 | 90 8$ 9 O ? ? ? 0 1,5 3| 9,7 6,6|6,0 6,3 CR S| 93 10 | 10 10 ? ? ? ONNIINE 4 | 6,4|6,5 6,3 6,4 9I a || 66 86 10 10 10 W ? N 0 1,6 dI DIO 89 82 | 90 87 10 10 10 ? ? ? 0 200] Rion BOT 4,8 90. | 89 87 89 10 10 8 DA 0 IND | | | E RRrTOAOCAOnZCoOoOLZzcz Ie 9 to eg RZ ZSG, OR Mo St NEO, ON MELONI SONE) SRVVART evvai Sie I {gelato 9424849] 46 | s5| 91 | 94 90 10. | 10 | 10 DID roi io 0 {gelato 101 4,8 5,0 | 4,8 4,9 89 | 93 | 93 92 10 10 10 Ro 0 IN 1 260) 1 046069 4,6 100 | 96 73 90 10. | 10 10 WWW 5 1,4 12 AA ZE] 0) 3,8 82 )3 37 97 2 0 { NW | NW | SW 10 3,1 | 199 RS AON NZ 999 37 Va MES ON MI65 54 0 0 0 Vw W ? Ii 1,5 I0|39|47|45| 44 66 | 69 | 76 70 Sii eZ i | W ? W dz | to o7 49] 49 4,8 84 | 83 | 83 83 10 | 10 10 ? ? ? 0 1,6 16 | 5,1| 5,5 | 5,6 5,4 99 93 CA 06 10 10 10 Wi |_W W 3 I, 4 TRO 40 6,7 GUT 96 96 10. | 10 | 10 VIAN IVVAR ( 9 | A.1 8 | TI 00 2 98 | 94 | 94 95 10 9 | 10 W W._ | NW | 10 | 1.0 | 19 4] 82 TA 94 93 94 94 10 10 10 W NW W b) il 20] 6,2 | 6,5 | 6,6 6,4 92 97 95 95 10 10 10 N NW | _W 7 LE Asa Roe Seni 6,2 86 | SI 82 83 6 6 9 W W | W ti it N55 5,8 89 | 79 | 83 A Ge SON IALLORAINY W ? LI 23 [453 55 85 | 8 78 82 GR) et 9 VV WoW 4 | 1,9 ZL 88 | CS. 86 87 LOI AL0N]W 2000 VV Li |E282 25.) 5,3 | 5,7 61 HT] 87 [183 || 92 87 TO LION ? ? 2O 26058056 54 si | 93095 | 95 94 di 10 2 | NE 0 | 08 ZI || 59 | 450 668 9,0 CO | 68 93 10 10 10 ? pe 0. {0.8 298 | 45/44/43) 44 89 | 96 | 93 93 10 | 10 | (0| NE|NW| w I |0,9 RO LA S S3090 42 96 | 89 | 80 88 10 3 Of W| SW ? 5 {gelato SOR Sn st i 92 en 096 90 10 I O ? W I |gelato RIN RRRON Non ON 3,9 80 | 69 | 68 2 0 10 8 W |NW| W 7 3,60) 052500520) 880065 86 QU 88 3 | 1,6 Tens. del vapor acq mass. 7,6 g. 18 Proporzione Media nebulosità » » » d mim LO d 12 3 5 > ba » media 5,2 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 100 g. 11 i imi È si 19 N NE E SE S SW W NW UA UEcuoI » » media 86 il 95 0 0 0-8 38 T 8 i —---------- (I) Comp rende anche | evaporazione dei giorni precedenti in cui I’ evaporimetro rimase gelato. Ì Db ii i CONSIDERAZIONI SULLA SPINTA DELLE TERRE Appendice Il CONTROSPINTA INFO LEA: DEL Prof. SILVIO CANEVAZZI (letta nella Sessione del 13 Dicembre 1908) CON UNA TAVOLA 1. — In due note che ho avuto l'onore di presentare successivamente a questa R. Accademia, mi sono occupato della determinazione della spinta. che un masso di terra esercita contro una parete destinata a sostenerlo. Intento delle ricerche fatte è stato il confronto fra i risultati forniti dalle varie teorie proposte, facendo anche ve- dere i casi in cui questi divergono o si corrispondono, con speciale riferimento alla teoria matematica dell’ equilibrio degli ammassi pulverolenti, considerata come caso speciale di equilibrio molecolare. A completare l’ argomento rimane a prendere in esame il problema della determinazione della controspinta, che le terre possono sviluppare contro una parete rigida, la quale agisca attivameate contro l’ ammasso, tendendo a smoverlo dalla sua posizione. Nella pratica corrente il caso di dovere determinare la controspinta di un masso di terra si presenta assai raramente, mentre invece è comune quello di doverne valutare la spinta, poichè nelle questioni di equilibrio la scienza delle costruzioni prescrive di non tener conto di una reazione, che dipende dalla coe- sione, incompressibilità e resistenza d'attrito delle terre, cioè da elementi mal sicuri, difficilmente apprezzabili e variabili col tempo, colle influenze meteoriche e colle con- dizioni di umidità del suolo. In altri termini l’esistenza di una controspinta per parte di massi di terra nell’ ingegneria viene considerata come una eventualità favorevole di maggiore stabilità, utile sì, ma non sicura, per cui sulla medesima non si può e non si deve fare assegnamento alcuno. Esistono però dei casi, nei quali lo studio della controspinta delle terre può avere un interesse e sono quelli, nei quali non si vuole progettare un’ opera nuova, oppure verificare la stabilità di un manufatto esistente, ma bensì cercasi di spiegare come una data parete, per esempio il rivestimento di un serbatojo immerso nel suolo,, possa resistere alle azioni che la sollecitano, malgrado che in base alle prescrizioni ordi- Serie VI. Tomo VI. 1908-09. Il narie della scienza dell’ ingegnere non siano per le murature soddisfatte le condizioni di stabilità In questa nota mi propongo di esaminare il problema della determinazione della controspinta, prendendo in considerazione il caso di una parete spingente piana, ver- ticale ed attiva, e di un masso di terra passivo, resistente all’ azione della parete anzi- detta, limitato lateralmente dalla parete attiva sopra menzionata e superiormente da una superficie piana inclinata sull’ orizzontale di un angolo €, minore od uguale al mas- simo all'angolo 9 d’attrito fra terra e terra, ed illimitato nelle altre direzioni. Il caso più complesso, nel quale la superficie superiore non sia piana o sia sovraccaricata, non sapendosi per ora far meglio, in via d’approssimazione accettabile si riduce a quello considerato con opportuni espedienti, analoghi in tutto a quelli indicati nelle due note precedenti per la determinazione della spinta delle terre contro una parete resistente in condizioni similari. La stessa cosa deve dirsi pel caso in cui la parete spingente non sia verticale, ma inclinata, poichè il problema viene trattato colle stesse modalità indicate pel calcolo della spinta delle terre in analoghe circostanze. Final- mente se la superficie resistente, invece che piana, fosse prismatica a spigoli orizzon- tali, oppure cilindrica a generatrice orizzontale, praticamente sostituibile da una super- ficie prismatica inscritta, si calcolano le controspinte parziali contro le singole faccie in modo affatto comparabile a quello usato per la determinazione della spinta delle terre in casi analoghi, e si compongono gli effetti parziali in una unica risultante. 2. — Sia AB Fig. 1° una parete verticale, contro la quale si appoggia il masso di terra limitato superiormente dal piano 27, passante per 8 ed inclinato all’ oriz- zonte di un angolo e. Si conducano per 5 la 5X normale al profilo superiore del llerreno 5», (e BET e BE; inclinate simmetricamente sulla BX di un angolo £jBX = = KBE = @, rappresentando @ l'angolo d’attrito fra terra e terra, ossia 1° angolo di inclinazione della scarpa naturale del terreno. Si traccino i due circoli molecolari limiti, inferiore e superiore, impiegando il procedimento usuale richiamato nelle due note precedenti e che si riassume nel probleuta geometrico di tracciare i due circoli passanti per A, aventi il centro sulla BX e tangenti alla retta BZ;, oppure alla BE, che gli è simmetrica. In causa della natura speciale della reazione d’attrito, che si sviluppa soltanto in quanto viene eccitata con direzione opposta al movimento, cuì si oppone, nel sistema - masso di terra e parete AB - sono possibili infiniti stati di equi- librio (1), tutti compresi fra due stati limiti, il primo inferiore quando l° attrito si oppone allo scoscendimento delle terre prementi sul muro di sostegno 458, ed è rap- presentato dal circolo minore, ossia a raggio più piccolo, il secondo superiore quando l’attrito sì oppone al movimento di ascesa delle terre premute attivamente dalla parete 458, ed è rappresentato dal circolo maggiore, ossia avente il raggio più grande. Si è già visto che il circolo molecolare limite inferiore serve a determinare la spinta attiva delle terre contro una parete resistente, il circolo molecolare limite superiore (1) Sull’Equilibrio molecolare, Memoria dell’Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna 1878. invece per la stessa ragione serve ad individuare la controspinta, che un masso di terra resistente può opporre ad una parete attiva spingente. Per le note proprietà dei circoli molecolari la pressione attiva della terra in A è rappresentata da 27 cos e e quindi la spinta $S contro tutta la parete resistente è data da Il Th a —? IT z S=33AB bBncose—= Bncose= 3 BE cos e = BE COS € E% Analogamente la contropressione, che la terra può sviluppare resistendo alla parete AB, in A è rappresentato da £r, cos e, e quindi tutta la controspinta S,, sviluppata dal masso di terra resistendo all’ azione premente della parete 42, è data da T Th x pe 34B Bn, cos e = Bn, cos E = E, COSTE o) COS € Le il à Si tracci un circolo, che chiameremo ausiliare, passante per A e per B ed avente il suo centro sulla BK. Per ragione di simmetria questo circolo passerà pel punto A,, ì cui si intersecano i due circoli molecolari limiti e la retta AA,, prolungata in Z ed L,, sarà l’asse radicale di detti circoli. Siano © e C' i punti, nei quali il da: ausiliare interseca BZ, e BE; si tirino AUV, necessariamente normale ad AB in / e quindi orizzontale, ed AC ed AC' ad incontrare il profilo superiore del terreno Br rispettivamente in M ed in 7: AM fa coll’ orizzontale AV un angolo uguale a CBU, per costruzione uguale a @, infatti VAC e CBU = sono due angoli alla circonfe- renza insistenti sullo stesso arco VAC ed AT pure fa coll’ orizzontale AU' un angolo 360 — 29 9 t< uguale a 7, infatti per costruzione arc C'B0U= Si tirino YE', necessariamente parallela a BM perchè polare del punto B, ad incon- trare in X' ed Y le rette AM ed AT, ed AHX ed AF'D. Per le proprietà note del- lgfarsse gradi cale BARE EN \/LC - LB, le rette BC e BC', che fanno rispetti- vamente gli angoli »+pP=e£+, v—P =e— g@ colla verticale sono dette rette di direzione, ed essendo parallele fra loro le rette AZ, YX', BM; LC: LE: LB= AC: AX':AM e quindi Av = AGE ZI Da questa relazione si ricavano le due proporzioni GRIDA SAIGON AVI ANEARA CHIARA CIAD per cui risultano necessariamente parallele fra loro le rette GC e BX' e BC ed XX' e si deducono immediatamente le conseguenze seguenti, già dimostrate in altro modo nelle note precedenti : a) XX T TT 2 TOBIEZIE, SSA, SE 3502 0098 — 2205 COSE SUE c) ABX equivalente ad AXX' poichè i due triangoli hanno la stessa base ed altezze uguali d) Il piano di più facile scorrimento divide in parti equivalenti la figura ABXX'A e) La costruzione ordinariamente usata per determinare il punto X', e quindi anche il triangolo di spinta, ed il prisma spingente che produce una spinta massima contro la parete A5, come è già stato dimostrato studiando questo argomento f) Le costruzioni tutte inerenti alla determinazione della spinta contro una parete resistente verticale fatta in base alla teoria matematica dell’ equilibrio molecolare non differiscono da quelle ordinariamente impiegate dagli ingegneri seguendo i procedimenti di Coulomb e Poncelet che pel fatto che v = € invece che ugual all’ angolo P' di attrito fra terra e muro. 3. — Si tiri AZ} e si prolunghi fino ad incontrare in X, il profilo superiore del terreno, AX, rappresenta il piano di più facile scorrimento rispetto alla controspinta, poichè unisce il punto A col punto Zj di tangenza del circolo molecolare limite supe- riore colla retta BZ) corrispondente al massimo valore dell’ angolo d di deviazione, =D Detta .S, la controspinta il suo valore è dato da i IT a1—-? So = 3AB - Bn, cos e = BE, cos 8. 2 Si prolunghi 7A ad incontrare in Xj la polare 4, del punto 8 rispetto al cir- colo molecolare limite superiore e si tiri Y£' ad incontrare in Y la AT. Essendo ne- cessariamente parallele fra loro le rette YEZ", AZ ed EE, ed LE= LE, sì deduce immediatamente che anche AY== AXj. Inoltre per costruzione ed in causa della sim- metria rispetto a BK, BE' = BE, BC' = BC, BL, = BL quindi anche L,C' = LC e la retta CC' è parallela ad YX' ed a BM per cui NOCPASIIIA MIDA CRA AVE NALE AF:AX = AG: AB= AC: AX° quindi CF è parallela ad XX, C'F. è parallela ad YX, TX' è parallela ad YC BY è parallela a C'G I triangoli AYF ed A#}Xj sono simili perchè opposti al vertice e compresi fra rette parallele, inoltre il lato AY dell’ uno è uguale al lato omologo AX, dell’ altro, per cui sono anche necessariamente uguali ed E,X\= YF ed E}Y è parallelo ad FX,. Si tiri la retta X,X}, i due triangoli C'AZ) ed X,AX}, opposti al vertice sono anche simili, infatti si è dimostrato che AGAVE ALTARI ma VARE PAXANAI— CARE quindi NORPANERSI A VANE e la retta XX} è necessariamente parallela alla retta di direzione pel circolo moleco- lare superiore di controspinta 28C0', inclinata alla parete 458 dell’ angelo » — P= = —@ e per conseguenza We ugualeta BX 3 BE, uguale e parallela ad X,Xj e BY parallela ad AX,, in guisa che sussiste la relazione IST DTA IR SIEDE Da X, si cali X,@ normale alla TA prolungata e si indichino XQ con 7, ed DG con y,: da B si cali B@, normale ad AT. Essendo BC' parallela ad XX}, 5Q, pa- rallela a BQ sarà e lo QBc'=QXX = QBA— C'BA=P+£ YBC' = AXX=0B—-P+e CBU=P+eT—@ e l’ espressione della controspinta diventa T=-# a IT ISA= BI cos € =3XX, cos =37,Y formula analoga a quella trovata come espressione della spinta e chie per la determi- nazione del cuneo di controspinta conduce ad una costruzione geometrica comparabile in tutto a quella indicata pel tracciamento del cuneo di spinta. Per A si conduca la retta AT inclinata all’ orizzonte dell’ angolo @ ad incontrare in 7 il profilo superiore del terreno 27, prolungandola anche oltre il punto A. Da £ si conduca la retta BC' di direzione per la controspinta, cioè tale che faccia colla parete 4B un angolo »—@ =£— @ e con una delle costruzioni più volte indicate si determini AVA AACAXIAT media proporzionale fra AC' ed AT; ribaltando AY in AX,, si conduca XX, paral- lela alla retta di direzioge BC' ad incontrare in X, il profilo superiore del terreno, AX, è il piano di scorrimento per la controspinta ed ABX, il cuneo di controspinta. Se da X, si cala X,@Q normale sulla A7° prolungata indicando X,@ con y, ed XX: con 77, S su Ma 7 T So = 34 008 e = IX X GS 3/1" ed il triangolo di area 2 è il triangolo di controspinta, come CL è il triangolo di spinta. 4. — È importante osservare che per la controspinta esistono proprietà analoghe a quelle trovate studiando la spinta delle terre. Il piano AX, divide in due parti equi- RA valenti |’ area della figura ABX,X| infatti BY è parallela ad AX,, ANIA ced due triangoli ABX, ed AX,X} hanno la stessa base ed altezze uguali, quindi sono equi- valenti. Il piano AX, stacca dal masso un prisma di minima controspinta : infatti la for- mula che da la controspinta ., corrispondente ad un piano di distacco qualsiasi di- versifica (vedi fig. 2 e 3) da quella che dà la spinta unicamente pel valore del- l’angolo @, che è negativo e non positivo, perchè in questo caso la reazione È del piano di distacco non si oppone al moto discendente, ma a quello ascendente, e quindi la sua direzione è ancora inclinata di un angolo @ alla normale al piano di distacco, ma è inclinata in senso simmetrico a quello considerato per la determinazione della spinta. Se si conservono ai simboli usati pel calcolo del cuneo di massima spinta gli stessi significati risulta, ritenendo v = €, ; 7), ; NAZIO. UE ala P) = JP ca P) sen(8B —P+ ») sen(B — Pt e) Dalla figura 1 si ricava che a = 10] 5 IC 7 x! 3: 4AX, n cupi quindi sen(a + sen(a + SE T AACTA INE=MN2 ( P) ='P P) =|p = 5 COSE: AB-BX, = sen(0 — D+ ») sen(0 — P+ e) AX, AGG __W COSE 1 TB yBC ix Il 7 cose \® TR. 20 AIA none CY one SA CN COS € : AY = gTELBO = 2 (AT — AY)(AY_- AC) cos £ 1 — EE Api MBOBC 2 A ATIZAG i ATT_AY—-——-- + 4C AY da sati ATI GI nr o: $S, raggiunge il valor minimo quando A Y — dea sola parte variabile nella formula col variare del punto X,, raggiunge un valore massimo, cioè quando AY= VAT-AC' che è appunto quanto si voleva dimostrare. Se si osserva che i due triangoli BYC' ed AX,X} sono simili si ottiene : a O AGE 1 Tae e Cd 1, VAC VAT e quindi SE i Il IT COSE ì 1 SE So AB-TB- BC 1 i _* ABI BC = == 2 ATHY-AC'—2|/ AC'.AT 2 (/AT-|/AC') TB ABcose 1 s LS CISE gi RR e TEOR 1 un AT Ul E (i i WR AI II re: EVIVI = precisamente come si era ottenuto precedentemente, per cui la condizione di minimo applicata alla espressione della controspinta è sufficiente a determinarne il valore. Se invece di fare v = € si fa v = @', assumendo P' uguale all’ angolo d’ attrito fra terra e muro, oppure ad altro valore altrimenti scelto, sussistono ancora per la controspinta queste due ultime proprietà dimostrate e la costruzione conseguente può servire a determinare la controspinta stessa. In questo caso però la retta di direzione ' BC' si sposta, perchè fa colla parete un angolo » — P=P' —$ e non vi è più la corrispondenza esatta nei valori ottenuti con quelli forniti dalla teoria matematica dell’ equilibrio degli ammassi pulverolenti. OSSERVAZIONE. — L'applicazione della teoria matematica dell’ equilibrio delle terre alla ricerca della spinta, che esse producono contro una parete resistente, ha dato luogo a discussioni e ad apprezzamenti svariati. Nessuna incertezza può esservi quando la parete resistente coincide con una delle superficie di scorrimento, ma negli altri casi si possono sollevare dub}bî, perchè non appajono verificate le condizioni di equi- librio definito ai limiti. Fin dal 1870 Barré de Saint-Venant ha osservato che appli- cando la teoria matematica alla determinazione della spinta, che un masso di terreno esercita contro un muro di sostegno, supponendo che questa si assuma senza alcuna modificazione la funzione resistente della parte di ammasso, del quale tiene il luogo, per qualsiasi direzione della superficie resistente, come è stato proposto da Rankine, si arriva a valori soltanto approssimati, però in senso favorevole alla stabilità. Infatti in ultima analisi questo metodo equivale a supporre | attrito delle terre contro il paramento del muro minore di quello che è realmente. Questa considerazione potrebbe tranquillizzare il costruttore, semprecchè fosse dimostrato che 1 aumento di stabilità non sia tale da condurre a difficoltà economico-esecutive. Distinti ingegn ri hanno opinato che alle indagini teoriche astratte fosse opportuno accoppiare ricerche sperimentali sulla spinta delle terre: sono specialmente note le esperienze di Darwin, Baker e di Gobin, e queste tenderebbero a provare che l'aumento di stabilità, cui può condurre l’ applicazione del procedimento di Rankine può essere molto forte ed arrivare in casi determinati fino al doppio del grado prescelto, per cui nella pratica sì incontrerebbero inconvenienti gravi, specialmente di indole economica, accettando senza alcuna modificazione il procedimento indicato da Rankine. Boussinesq nella « Théorie de 1° équilibre des massifs pulveruients » si è occu- pato della questione sopra accennata con metodo rigoroso, cioè considerando le equa- zioni generali di equilibrio indefinito e quelle definite ai limiti, non che la condizione SER che l’angolo compreso fra la forza molecolare e la normale all’ elemento piano, cui corrisponde, non debba superare I’ angolo d’ attrito fra terra e terra. Se AB fig. 4° rappresenta la parete resistente inclinata alla verticale dell’ angolo y, in guisa che sia % Oa RE . DANBIE= e BK la superficie di scorrimento passante per un estremo della parete A£ COS Y ed interna al masso spingente, Boussinesq ha riconosciuto che lo stato d’ equilibrio per la parte di masso posto oltre la retta BX corrisponde esattamente alle ricerche zankine, ma per la parte di masso compresa fra AB e BK ha trovato che le condizioni di equilibrio sono determinabili soltanto in via approssimata. Detto & un coefficiente compreso fra due limiti £' e £', non molto discosti in guisa che possa con molta approssimazione ritenersi la spinta S del masso contro la parete resistente, secondo Boussinesg, è espressa da c hè St — 5° 2 COS) ed è applicata nel punto I posto ad un terzo dell’ altezza del muro di sostegno, inco- minciando a contare dal piede. A complemento delle ricerche di Boussinesq l’ ingegnere Flamant negli Anzales des ponts et chaussées del 1882 ha dato delle tabelle numeriche pel facile calcolo delle quantità £' e &', riportando anche una costruzione geometrica molto semplice, che può utilmente sostituirle (fig. 4). Si conducano IP inclinata dell’ angolo @ rispetto alla /W normale alla parete 458, ed IT in modo che faccia colla AB un angolo 4 ar=5+2( p 1) y Toce e si prenda n i = ;1——;- 2 2 cos °Y Dal punto 7 sì conduca una retta perpendicolare ad 77, protungandola fino ad incontrare in P la IP: la retta IP rappresenta in grandezza e direzione la spinta eser- citata dalle terre contro la parete AB. e RO Dore NAZZONI Mem. Serie VI. Tomo VI. M S.Canevazzi ci "OT-OR SenQRT > Sen(a-2) P x S:QTQR or Sen(d-%0) SenQRT p Sen (4+#) F7QT50R SemoTR*? sen (8-90) ii RRCHiE SPERIMENTATE SUI le MAGNETICI IT. MEMORIA DEL Pror. Sen AUGUSTO? RIGO (letta nella Seduta del 17 gennaio 1909). (CON 9 FIGURE) Introduzione. Avendo proseguito lo studio sperimentale di quei certi fenomeni di scarica nel campo magnetico, per la spiegazione dei quali ho proposta e sostenuta l’ ipotesi dei raggi magnetici, riferisco in questo scritto i risultati delle nuove ricerche, destinate a precisare le condizioni nelle quali quei fenomeni meglio sì producono, o a chiarire alcuni dei loro caratteri. Non credo tuttavia che neppure adesso l’ argomento dei raggi magnetici possa dirsi esaurito, benchè oltre alla Memoria (*), della quale la presente può considerarsi come complemento o continuazione, abbia avuto occasione di pubblicare altrove diversi altri scritti sull’ argomento medesimo (**). Cap. I — Varianti nella disposizione delle esperienze. Gli apparecchi adoperati precedentemente servirono generalmente anche per le mie nuove ricerche; ma naturalmente furono costruiti numerosi nuovi tubi di scarica per scopi speciali, e s’ introdusse altresì l’uso di nuovi apparecchi, sia per generare la corrente di scarica, sia per effettuare misure. Quanto alla produzione della corrente, onde dare ad essa maggior intensità, spesso alla macchina d’ Holtz a 4 dischi se ne unì in parallelo un’altra a 8 dischi. (*) Mem. della R. Acc. di Bologna, 17 maggio 1908. (**) Rend. della R. Acc. dei Lincéi, 2 febb. 1908 — Ball. de la Soc. Franc. de Phys. année 1908, p. 47 — Atti del II Congresso della A. I. P. S, 1908 — Rendiconto della R. Acc. dei Lincèi, 20 di- cembre 1908. Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 12 TERNO Allo stesso scopo adoperai spesso invece di quelle macchine una batteria di piccoli accumulatori costituita da 2600 elementi. In questo caso era sempre indispensabile inserire fra la batteria e il tubo di scarica una forte resistenza, generalmente costituita da una lunga colonna di acqua di fonte o spesso di alcool, senza di che si avrebbe avuto una tale intensità di corrente da distruggere in breve l apparecchio di scarica. La colonna liquida, di lunghezza variabile a piacere, si prestò bene allorchè trovai necessario graduare a volontà la corrente nel tubo di scarica, anche quando questa era fornita dalla macchina d’ Holtz. Trovai più comodo però in questo caso, di variare semplicemente la velocità dei dischi giranti. Certe volte tale velocità fu ridotta al punto, che i dischi stessi non facessero che una frazione di giro al secondo. Quando mi accorsi dell’ importanza grandissima, che ha sui fenomeni | intensità della corrente nel tubo di scarica, inserii nel circuito un galvanometro destinato a misurarla. È uno strumento del tipo Wiedemann, i cui rocchetti sono costituiti da un filo di rame munito di un grossissimo rivestimento di euttaperca. Per confronto con un buon milliamperometro si constato, che una corrente di un millesimo di ampéere produceva sulla scala una deviazione di 162 millimetri. Un tal grado di sensibilità era assai conveniente, perchè la corrente adoperata ebbe nelle varie esperienze una 1 20 Gli effetti osservati quando si adoperò la batteria di accumulatori in luogo della intensità fra ed 1 milliampère. macchina elettrostatica furono sostanzialmente gli stessi. Tuttavia gli accumulatori sembrano da preferirsi, perchè la corrente da essi fornita non presenta quelle fiuttua- zioni irregolari: ed incomode, che in certi casi presenta, per diversi motivi, la corrente della macchina elettrostatica. Il numero d’ accumulatori da me posseduto non era però sufficiente nel caso di tubi a forte rarefazione, o quando entrava in azione un campo magnetico di grande intensità, il quale, come è noto (Mem. precedente pag. 271) fa aumentare il potenziale di scarica nei tubi ad anodo laterale. Ciò dà luogo anzi al seguente fenomeno. Si abbia un tubo della solita forma, cioè coll’anodo collocato in un ramo laterale (vedasi la Fig. 11, pag. 266 della Mem. precedente), messo in azione colla corrente degli accumulatori, e si ecciti il campo magnetico dapprima debolmente, facendone crescere poscia poco a poco l'intensità. A un certo punto cessa la scarica ed il tubo diviene oscuro, per illuminarsi di nuovo quando sì diminuisce abbastanza l’ intensità del campo. Im causa poi della relativa lentezza con cui si magnetizza il nucleo del rocchetto si osserva il seguente curioso fenomeno, quando si eccita d’ un tratto un campo di grande intensità, e cioè si vedono formarsi per un momento e poi allungarsi alquanto il fascio di raggi magnetici e la colonna di luce rossa che sta sul loro prolungamento, dopo di che l’ uno e l’altra spariscono d’un tratto: ed altret- tanto si vede interrompendo la corrente generatrice del campo magnetico. CAP. II. -- Infiuenza della intensità del campo magnetico, dell’ intensità della corrente di scarica, ece., sulla produzione dei raggi magnetici. Quanti prima di me studiarono quelle falde luminose, osservate per la prima volta dal Plitcker più di mezzo secolo fa, che si formano principalmente presso il catodo. ed assumono la forma di tubi di forza magnetica, constatarono che, onde si producano, è necessario che il campo magnetico abbia un’ intensità superiore ad un certo minimo valore, tanto che s’° impiegarono sempre per creare il detto campo delle elettrocalamite, anzichè delle calamite permanenti. Ma a quanto pare sfuggì a tutti una interessantissima particolarità, e cioè che crescendo gradatamente l’ intensità del campo magnetico il fenomeno stesso, dopo avere assunto uno sviluppo massimo, si affievolisce e finisce col non prodursi affatto. L’ Importanza di questo fatto sta in ciò, che per renderne conto non si può invocare l’ ordinaria spiegazione, secondo la quale quelle falde o quei getti luminosi altro non sarebbero che gli ordinarî raggi catodici avvolti attorno alle linee di forza magnetica, mentre invece del fatto stesso sì può rendere ragione col supporre, che si tratti veramente dei raggi magnetici, cioè di raggi co- stituiti dal moto di coppie neutre formate da un ione positivo attorno al quale ira come satellite un elettrone negativo. Anzi il fatto stesso era stato da me preveduto, quale risultato naturale del restringersi dell’ orbita dell’ elettrone, sino a produzione dell’ atomo neutro, in seguito all’ accresciuta intensità del campo. Nella precedente Memoria (pag. 268) si riferì già, che l’intero fenomeno lumi- noso (fascio di raggi magnetici e colonna di luce rosea sul prolungamento di essi) presenta una lunghezza complessiva, la quale cresce dapprima sino ad un massimo per poi nuovamente diminuire, allorchè si aumenta gradatamente | intensità del campo. Ora le nuove esperienze mettono il fatto in maggior evidenza, perchè con esse si arrivò sino alla sparizione dei raggi magnetici. Un tubo ad anodo laterale (Fio. 11 pag. 266 della Memoria prec.) lungo circa mezzo metro e di 42 mm. di diametro nella parte larga, contenente aria alla pres- sione di 0,44 mm., fu esposto, come di solito in queste esperienze, all’ azione d’ un grande rocchetto coassiale R. Si potè allora constatare che, mentre | intensità del campo cresceva gradatamente a partire da zero, i raggi magnetici apparvero brusca- mente, quando il campo raggiunse 1)’ intensità 520 (misurata, come sempre si con- venne di fare, a 1,5 cent. dal polo del rocchetto); poi, oltrepassato un massimo, nuo- vamente scemarono, e infine sparirono allorchè 1’ intensità del campo raggiunse 1620 unità, non rimanendo che una traccia di essi nella parte posteriore del catodo. Durante tale esperienza la corrente di scarica aveva l'intensità 74 107% ampère. Orbene un risultato simile, cioè la formazione più o meno brusca del fascio di raggi magnetici per un certo valore del campo, e la sparizione di essi per un secondo valore più grande del primo, si ottiene sempre in linea generale, però con diversi i ei valori del campo a seconda delle dimensioni del tubo, della pressione dell’ aria in esso contenuta e della intensità della corrente di scarica. Nel quadro seguente sono notati, sempre pel tubo delle dimensioni descritte ma per diverse intensità della corrente di scarica, i valori del campo cui corrisponde la apparizione o la sparizione dei raggi magnetici. 0,16 0, 28 0,44 | 1,00 di 0 487 520 670 74-10 | I 1360 800 1620 750 520 640 710 | 900 295.» | DO (0.9) (©.©) (0.0) 610 860 | 1290 | 1510 710 » [0.9] (0.0) [o.°) OS La prima fila orizzontale di numeri indica in millimetri i valori della pressione nel tubo; i numeri della prima colonna a sinistra dànno 1° intensità della corrente di scarica. Il caso precedente (pressione 0,44 corrente 74 107%) corrisponde alla 3* delle dodici caselle, le quali contengono appunto uno sotto l’altro i valori del campo magnetico pei quali cominciano o cessano i raggi magnetici. Si è indicato colla cifra zero (prima casella, corrente 74-107°, pressione 0,16) il fatto, che i raggi magnetici non sì pre- sentano bruscamente per un determinato valore del campo, ma sembrano esistere sin dai minimi valori, e crescere poi gradatamente in estensione sino ad un massimo, per poi diminuire ed infine sparire bruscamente (campo 1360 nel caso speciale). Si è poi indicato col segno co il fatto, che crescendo | intensità del campo sino al massimo valore raggiungibile (circa 2000 unità) i raggi magnetici non sparivano e neppure accennavano a diminuire. L'influenza della pressione dell’ aria, e quella dell’ intensità della corrente di sca- rica sopra i valori del campo necessari perchè appaiano o spariscano i raggi magne- tici si desumono abbastanza chiaramente dalla precedente tabella. Si vede infatti che più intensa è la corrente di scarica nel tubo e più elevati sono i valori limiti della intensità del campo magnetico, entro i quali si verifica la produzione dei raggì magnetici. Quei valori limiti dell’ intensità dal campo crescono altresì generalmente al crescere della pressione dell’ aria. Ne risulta, che, a chi volesse ripetere le esperienze descritte nel Capo V della precedente Memoria impiegando una corrente di grande intensità ed una piccola rarefazione, potrebbe accadere di non riescire nell’ intento, cola a meno che potesse disporre di un campo magnetico di intensità eccezionalmente elevata. lutto ciò vale almeno per le pressioni comprese fra un millimetro e 16 centesimi di millimetro e per le intensità di corrente comprese fra 74 e 710 microampère. Ma ciò praticamente basta perchè, quanto alla pressione, se questa fosse anche più bassa di 16 centesimi di millimetro occorrerebbe far uso di tubi di grandissime dimensioni onde potere osservare in modo completo i fenomemi, e se fosse superiore al millimetro diverrebbe necessario impiegare intensità di campo troppo elevate. E quanto all’ inten- sità della corrente di scarica, se questa è troppo piccola, i fenomeni riescono poco appariscenti, mentre se è troppo grande si cade di nuovo nell’ inconveniente di dovere impiegare campi intensissimi. I valori dell’intensità del campo entro i quali si producono i raggi magnetici dipendono anche da molte altre circostanze, e particolarmente dalla forma e dimen- sione del catodo. Da alcune esperienze fatte con un tubo della solita forma nel quale però, con una disposizione facile ad immaginarsi, potevasi facilmente scambiare il catodo, avente la forma di disco di 4 mm. di diametro, con un altro del diametro di 7 millimetri, e quindi di area press’ a poco tripla, ho ricavato questa conclusione, e cioè che i valori limiti del campo fra i quali si ha produzione di raggi magnetici sono più piccoli pel catodo di maggior grandezza. È quanto risulta appunto dall’ esame dei risultati rac- colti nel quadro seguente, in ciascuna casella del quale sono notati i due valori limiti del campo magnetico. Catodo di 4"" | Catodo di 7mm Pressione 0,3 670 487 Corrente 210-107 1690 1580 Pressione 0,3 0 0 Corrente 68-107° 00 1320 Pressione 0,8 498 0 Corrente 68-10 7° 1810 1585 Pressione 0,8 1250 850 Corrente 210 «107° co 1620 Una conseguenza d’ordine pratico, che si desume da simili misure, è 1° opportunità di impiegare catodi di dimensioni piccole. Infatti con catodo di erandi dimensioni si raggiunge il limite superiore dell’ intensità del campo oltre il quale i raggi magne- Serie VI. Tomo IV. 1908-09 13 PESI} gr tici cessano di formarsi, prima che i fenomeni, ai quali danno luogo e dei quali inte- ressa lo studio, abbiano assunto uno sviluppo sufficiente perchè possano essere como- damente osservati. Inoltre generalmente si nota coi catodi non tanto piccoli, che al crescere della corrente di scarica come pure al crescere della pressione dell’ aria, i valori limiti del campo si avvicinano fra loro, probabilmente sino a che più non avvenga la formazione di raggi magnetici. Del resto la necessità di dare la preferenza a catodi piccoli era da me stata rico- nosciuta già sino dalle prime esperienze. L’ influenza della grandezza del catodo sulla formazione dei raggi magnetici risulta anche dall’ osservazione seguente, fatta con un tubo di scarica avente gli elettrodi alle sue estremità. Generalmente (vedi Mem. pre- cedente pag. 263) quando, eccitando il campo, si fanno sorgere i raggi magnetici, la colonna positiva stratificata si accorcia alquanto. Essa si allunga di nuovo se si con- tinua ad aumentare l’ intensità del campo; ma se il catodo ha una larga superficie si ottiene l’ allungamento della colonna positiva anche coi minori valori del campo magnetico. Il fatto più importante fra quelli descritti nel presente capitolo, è, per le ragioni già esposte, quello del non formarsi i raggi magnetici in un campo di troppo grande intensità. Se questo fatto non fosse attestato che dalla semplice visione della luminosità nel tubo di scarica, esso potrebbe lasciar adito a qualche dubbio. Esso però è accom- pagnato da un fenomeno di più sicura constatazione. Come mostrai nella precedente Memoria (pag. 271), coi tubi ad anodo laterale posti nella direzione del campo magnetico si ha un notevole aumento nel potenziale di scarica, allorchè i raggi magnetici sì producono. Orbene, se si fa crescere l’inten- sità del campo sino a quel valore pel quale i raggi magnetici cessano di formarsi, sì osserva una brusca diminuzione del potenziale di scarica al momento della loro spa- rizione. Poichè, come si è visto, il limite superiore dell’ intensità del campo oltre il quale i detti raggi cessano di prodursi diviene piccolo, e quindi facilmente raggiungibile, quando è piccola l’ intensità della corrente di scarica, così risultò chiara l’opportunità di eseguire delle misure della differenza di potenziale fra gli elettrodi del tubo in tali condizioni. CAP. II. — Esperienze con deboli correnti. Per ridurre alla voluta intensità la corrente di scarica nel tubo si ricorse ad uno dei due espedienti già descritti, e cioè o si adoperò la batteria d’ accumulatori oppure la macchina d° Holtz messa in azione nel modo normale da un motore elettrico, e si inserirono lunghe colonne di acqua o di alcool nel circuito di scarica; o sì mise in azione la macchina stessa per mezzo d’ un motore a corrente continua, di cui sì poteva facilmente variare la velocità ‘di rotazione, al punto che i dischi. giranti impiegassero perfino 5 secondi a fare un giro intero. In un modo o nell’ altro riescì facile ridurre la intensità della corrente di scarica sino a non essere che di pochi microampère (da 5-107° a 30. 107° ampère). Con correnti così deboli la luminosità nel tubo (della forma e delle dimensioni consuete) era ridotta al punto da essere appena visibile nell’ oscurità, pur presentando ì principali caratteri conosciuti. Durante le esperienze gli elettrodi del tubo furono mantenuti in comunicazione coi due serrafili di un voltametro elettrostatico di Thomson, onde determinare la loro differenza di potenziale, sia quando non esisteva il campo magnetico, sia quando questo campo agiva con crescente intensità. Fig. 1. Dapprima si fece crescere l’ intensità del campo magnetico sino al valore 1825, dopo di che se ne diminuì l’ intensità sino a zero. Durante la fase di aumento del campo, e precisamente quando ]’ intensità di questo oltrepassò di poco il valore 1215 spa- rirono improvvisamente i raggi magnetici, e in pari tempo la differenza di potenziale fra gli elettrodi del tubo diminuì bruscamente per aumentare poi gradatamente di nuovo. Nella fase di campo decrescente si verificò il fenomeno inverso, e cioè 1° ap- parizione del fascio di raggi magnetici e un brusco aumento della differenza di po- tenziale ; ma per una specie di isteresi ciò non si produsse, che quando l’ intensità del campo fu ridotta ad un valore assai più piccolo di quello, pel quale i raggi magnetici erano spariti. Tutto ciò apparisce dall’ esame della seguente tabella, in cui sono rife- SENO al riti i risultati ottenuti in una fra le varie serie di misure eseguite, sostanzialmente tutte fra loro concordanti : Campo mag.? |Diff di potenziale unità OG. Sì in volta 0) 950 410 1100 1010 1450 1215 1840 1350 1050 1580 1240 1825 2700 1215 1300 1010 1180 910 1500 410 1200 0) 960 Questo andamento dei fenomeni si rileva, meglio che consultando la tabella nu- merica, quando si osservino le curve tracciate nella Fig. 1. Per costruirle si sono assunti come ascisse le intensità del campo magnetico e come ordinate i potenziali di scarica, e si sono segnati con piccoli cerchietti i punti così determinati, dopo di chè si è cercato di collegare tali punti mediante una curva continua ABCDEF. La por- zione ABCD rappresenta 1 andamento del fenomeno durante la fase di campo magnetico crescente, mentre la porzione DEFA si riferisce alla fase di campo decrescente. Non è dunque solo dall’ osservazione della luminosità nel tubo di scarica, che si desume il fatto della sparizione, generalmente brusca, dei raggi magnetici; una tale conclusione è invece avvalorata dalla notevole e improvvisa diminuzione del potenziale di scarica, che sempre accompagna la sparizione stessa. Capo IV — Trasformazione dei raggi-canali in raggi magnetici. ‘Dal punto di vista teorico l’ esperienza (Mem. precedente pag. 288), secondo la quale un fascio di raggi-canali assume i caratteri di fascio di raggi magnetici, quando agisce su di esso un campo magnetico, ha essa pure un’ importanza grandissima. Infatti, mentre di una tale esperienza non si saprebbe dare una spiegazione accettabile colla teoria finora ammessa, secondo la quale i raggi magnetici, ossia i fasci di luce dirigentisi secondo le linee di forza del campo magnetico, non sarebbero che raggi catodici avvolti intorno alle linee di forza, la nuova teoria rende conto immediatamente dell’esperienza stessa, ed anzi me ne fece prevedere il risultato. Era dunque naturale che mi dedicassi a studiarla con cura onde renderla di più in più evidente e sicura. La forma di tubo rappresentata dalla Fig. 2, a cui sono pervenuto dopo numerose successive modificazioni, presenta con molta evidenza il feno- meno in discorso. Il nuovo tubo, che la figura rappresenta a circa !/, del vero, consta di una parte cilindrica AC che può entrare nel foro del nucleo del rocchetto A, e di una parte periforme, chiusa da una parete piana inclinata ab avente nel centro un foro circo- Fig. 2. lare di 3 a 4 millimetri di diametro. Contro tale parete è applicato il catodo d’ al- luminio, nel centro del quale è praticato un forellino o di circa un millimetro di dia- metro, che si trova in corrispondenza al foro della parete ab. L° anodo A è posto all’ estremità del tubo cilindrico. La rarefazione dell’ aria nel tubo è tale, che sì forma un fascio om di raggi-canali d’un colore roseo. Eccitando il rocchetto / il fascio 0, come ben si comprende, si deforma leggermente, ma in pari tempo appare un nuovo fascio 0r diretto secondo l’asse del rocchetto, o in generale secondo la linea di forza passante per 0, se il foro del catodo non è esattamente nell’asse suddetto. Il fascio 0n ha un ‘colore un po’ diverso da quello del fascio 017, giacchè emette luce azzurrognola. Entro certi limiti 1 intensità luminosa del fascio 0n cresce, quando si aumenta l'intensità del campo magnetico, ma in pari tempo cala sensibilmente la luminosità del fascio 07m, ciò che è naturale, se effettivamente il primo dei fasci suddetti si forma a spese del secondo. Infine il fascio on presenta il comportamento di un fascio di raggi magnetici. Se infatti si colloca sotto la parte larga del tubo una elettrocalamita, la quale presenti verso l’alto un polo di nome contrario a quello del rocchetto & prossimo al catodo, il fascio on assume immediatamente una forma op, cioè sensibilmente la forma d’una linea di forza del campo magnetico dovuto ai due rocchetti. E degna di nota questa circostanza, e cioè che il risultato non muta sostanzial- mente se, invece di lasciare isolati i due elettrodi del tubo, sì mette uno qualunque di essi in comunicazione colla terra, benchè a seconda dei casi si ostacoli o si favo- — 98 — risca la produzione di raggi catodici dalla faccia del catodo rivolta verso il largo recipiente, e la produzione di raggi secondari partenti dalle pareti. Sembra dunque che gli elettroni negativi, assunti come sattelliti da una parte dei ioni positivi costi- tuenti il fascio om, nell'atto in cui si costituiscono le coppie neutre giranti o stelle doppie, possano essere forniti dalle molecole gassose urtate dai detti ioni. Però, se dalla faccia del catodo rivolta verso la parte larga del tubo, e precisamente dalle regioni attigue al foro c, partono raggi catodici, gli elettroni che li costituiscono pos- sono essi pure accoppiarsi a ioni positivi; ed infatti si constata, che il fascio ox diventa più luminoso e nutrito se, essendo l’ anodo in comunicazione col suolo, si tocca col dito la parete emisferica, ciò che evidentemente favorisce | emissione dei detti raggi catodici muoventisi nel senso dei raggi-canali. Sempre all’ intento di rendere meglio evidente la trasformazione dei raggi-canali in raggi magnetici ho istituito esperienze d’altra specie, e precisamente ho misurato la carica trasportata dai raggi-canali stessi, sia nelle condizioni ordinarie, sia quando, facendo agire su di essi un campo magnetico, parte di essi doveva, secondo me, tra- sformarsi in raggi magnetici. L’ apparecchio adoperato è quello, che la Fig. 3 (scala vò circa) rappresenta spezzato Fig. 3. in due, onde la figura stessa non assumesse eccessiva larghezza. Esso consiste in un tubo cilindrico, di tale diametro da potere liberamente entrare nel foro de) roccheito (non rappresentato nella figura) destinato a creare il campo. L’anodo A è ad una delle estremità del tubo, mentre il catodo CC, avente nel centro un forellino di circa un millimetro di diametro, si trova a circa 13 centimetri dall’ estremità opposta. Esso forma la base di un lungo cilindro di rete metallica aderente alle pareti e comuni- cante permanentemente col suolo. Infine un dischetto metallico isolato D trovasi a circa tre centimetri dal catodo entro il cilindro di rete metallica, ed è posto in comu- nicazione coll’ elettrometro per mezzo d’ un filo occupante 1’ asse d° un lungo tubo metal- lico comunicante col suolo. Colla debita rarefazione (uno o due centesimi di millimetro) si vedrà formarsi un fascio di raggi-canali, i quali, divergendo dal foro del catodo, vanno ad urtare il dischetto D. Per assoggettare tale fascio all’ azione d’° un campo magnetico, la estremità del tubo dalla parte di A viene introdotta nel nucleo del solito grande rocchetto (A della Fig. 2) sinchè il catodo CC giunga a trovarsi in prossimità di esso. Eccitando il rocchetto i raggi magnetici, nei quali si trasformano parzialmente i raggi-canali, rimangono, per ragione di simmetria, diretti sensibilmente secondo l’ asse del rocchetto, e seguitano a colpire il dischetto D. Come quando si trattò di constatare la trasfor- mazione dei raggi catodici in raggi magnetici in base alla progressiva diminuzione della carica negativa da essi trasportata in un campo magnetico di crescente inten- sità (vedi Mem. precedente pag. 259), anche nel caso attuale addottai il partito di leggere la deviazione finale dell’ elettrometro, quella cioè che finiva col rimanere stabile in grazia dell’ avvenuto compenso fra la quantità di elettricità recata al disco D dai raggi provenienti dal foro del catodo, e quella dispersa (principalmente in causa della ionizzazione del gas) nel tempo medesimo. Raggiunta la deviazione elettrometrica stabile senza l'intervento del campo magne- tico constatai sempre che, non appena questo veniva eccitato, la deviazione stessa diminuiva; ebbi cioè sempre la conferma di quanto avevo preveduto. Molte volte notai una diminuzione di splendore dei raggi canali nel momento in cui il campo magnetico veniva eccitato. Ciò accadeva quando il tubo era introdotto tanto oltre nel rocchetto, che la faccia polare di questo ed il catodo risultavano vici- nissimi; ma tale diminuzione di splendore divenne di più in più piccola quando si ritirò alquanto il tubo dal foro del rocchetto. Quando la distanza fra catodo e polo fu portata a 5 o 6 centimetri non si avvertì più alcuna variazione di luminosità dei raggi canali; e quando infine si rese quella distanza anche più grande, si notò un effetto inverso, cioè un’ aumento sensibile della luminosità stessa nell’ atto di creare il campo. Ad onta di tali lievi variazioni di intensità luminosa dei raggi canali, il risultato preveduto, e cioè una progressiva diminuzione della deviazione elettrometrica al cre- scere dell’ intensità del campo, risultò sempre evidentissima. Ecco, a titolo di esempio, i risultati d’una serie di misure. Campo magn.° | Potenziale rag- E i - [giunto dall’elett.° in unità C. G. S. |" in volta 0 21 205 21 610 19 1065 15 1975 13 1920 Ti: Nel caso delle misure riportate in questo quadro il catodo era a circa 6 centi- metri dal polo del rocchetto. Se tale distanza si faceva minore, non solo si notava la E VE già menzionata diminuzione di luce, ma diveniva un poco più marcata la diminuzione della deviazione elettrometrica. Il tubo della Fig. 3, oltre che servire a dimostrare il trasporto di cariche positive per opera dei raggi canali, e la diminuzione di detto trasporto quando agisce un campo magnetico, può essere adoperato anche per dimostrare il trasporto di carica negativa operato dai raggi catodici. Basta perciò, tenendo sempre CC in comunicazione col suolo, far comunicare il disco A col polo negativo, anzichè col polo positivo della sorgente. Evidentemente vengono utilizzati quei raggi catodici che passano pel foro del disco CC. Un tubo della forma medesima di quello della Fig. 3, o meglio di quello rappresen- tato nella Fig. 7 della Mem. precedente, ma nel quale al posto del catodo era collocato un anodo costituito da una pastiglia formata con ioduro di litio e grafite, mi permise d’ istituire coi raggi anodici di Reichenheim e Gehrcke (*), delle esperienze analoghe alle precedenti, le quali diedero un risultato simile, cioè una diminuzione graduale della carica recata al disco D, quando si eccitava di più in più il rocchetto. Ecco come esempio il risultato d’ una serie di misure. Campo magn.° | Deviazione elett.? in unità C. G. S. in volta 0) 38 910 30 1010 26 1215 7 16595 6 1825 6 1215 7 1010 28 0) 36 Giò porterebbe a credere, che possano formarsi raggi magnetici a spese dei ioni positivi costituenti i raggi anodici, nello stesso modo che se ne formano coi ioni dei raggi canali; ma non sono riescito a renderli in nessun altro modo palesi. Ho pensato ultimamente, che vi sarebbe stato qualche vantaggio a sostituire nelle esperienze testè descritte all’ elettrometro un galvanometro, îì cui serratili fossero messi in comunicazione rispettivamente col dischetto D e col cilindro di rete metallica col- legato al catodo. Messa in atto questa disposizione ho infatti riconosciuto, non solo che con essa la diminuzione prodotta dal campo magnetico nella carica positiva tra- (*) Bull. de la Soc. frane. de Physique, 1908, p. 40. 5 sportata dai raggi canali assume una evidenza grandissima, ma che si presenta altresì un fatto interessante dal punto di vista teorico, che avrei dovuto prevedere. Il galvanometro adoperato (a campo fisso, modello Siemens) aveva una sensibilità troppo grande per l’uso attuale, giacchè colla scala a 1",85 di distanza una deviazione di 1 millimetro corrispondeva a 5,1 - 107" ampère. Ma siccome l'avevo pronto per altre misure progettate, piuttosto che mutarlo introdussi nel circuito una forte resi- stenza (circa 17 megaohm) costituita da una colonna d’acqua contenuta in un tubo capillare. In una serie di misure, scelta a caso fra le molte da me eseguite, ho ottenuto i seguenti risultati. È A Deviazione Campo magn. {al galvanometro unità C. G. S. im mm. della scala 0 323 190 153 410 26 535 12 670 8 800 7 1010 8,5 IZlo 12 1375 16 1515 19 1635 228 1825 ZI In questa esperienza la corrente di scarica attraverso il tubo aveva l'intensità di 247 microampère, ed il catodo forato si trovava a circa 4 centimetri dal polo del rocchetto; ma l’ andamento dei fenomeni rimase invariato quando la corrente di sca- rica variò da 60 a 500 microampère, e la distanza fra catodo e polo da zero a 6 centimetri. Il fatto importante, che colle esperienze elettrometriche mi era sfuggito, è quello dell’ esistenza di una minima deviazione per un certo valore del campo (intorno a 800 unità nel caso speciale), superato il quale si hanno deviazioni crescenti. Ciò mostra che la carica positiva trasportata dai raggi canali al dischetto D è minima per quel certo valore del campo, e cresce se si seguita ad aumentare | intensità di questo; e si ha così una nuova conferma della previsione teorica, secondo la quale la stabi- lità delle coppie giranti elettrone-ione positivo diviene minore in campi troppo intensi. Serie VI. ‘Tomo VI. 1908-09. 14 Do Capo V. -- Esperienze varie. xiunisco in quest’ ultimo capitolo la descrizione di alcune nuove esperienze, che in fondo non sono che leggere modificazioni di altre descritte nella precedente Memoria. a) Quando un tubo di scarica della forma preferita in molte delle mie esperienze, cioè avente un catodo di piccola superficie ad una estremità e l’ anodo all’ estremo d° un ramo laterale saldato presso il catodo, è posto fra due rocchetti, in modo che gli assi di questi e quello del tubo siano sopra una stessa linea retta, prendono origine, insieme agli ordinari raggi magnetici, altri di differente provenienza. In particolare, se i poli attigui al tubo sono dello stesso nome (vedi Mem. pag.285), di guisa che si abbia campo magnetico nullo verso il mezzo del tubo, nascono presso il rocchetto lontano dal catodo dei raggi magnetici, costituiti in certo modo cogli avanzi di quelli che partono dal catodo, cioè coi ioni positivi e cogli elettroni provenienti dal distruggersi di questi ultimi raggi magnetici. Se il tubo adoperato in questa esperienza ha sufficiente ampiezza, ed il campo conveniente intensità, si forma nella regione ove il campo magnetico è nullo o di debole intensità, e cioè fra i due fasci di raggi magnetici, una luminosità rossa 0 rosea, analoga a quella altravolta descritta (Mem. prec. pag. 267). Adoperando un tubo di scarica di forma sferica, come quello rappresentato a circa due quinti del vero nella Fig. 4, il fenomeno luminoso acquista un aspetto brillan- Fig. A. tissimo. Il fascio principale di raggi catodici diverge da a verso la regione dc, mentre l’altro fascio assume una forma analoga da ef verso d. Fra de ed ef, cioè in corri- spondenza alla regione in cui il campo è nullo o di piccola intensità, si forma un — 103 = disco lenticolare di luce rossa o rosea, che contrasta vivamente colla luce azzurrognola dei due fasci di raggi magnetici. Se si varia l’ intensità della corrente in uno dei rocchetti fra i quali è collocato il tubo di scarica, vedesi uno spostamento verso destra o verso sinistra della luce rossa, con relativa variazione nell’ estensione dei raggi magnetici, per la ragione che muta posto la regione ove il campo è nullo. Se poi il rocchetto di sinistra è tanto vicino al globo di vetro, che, funzionando come un conduttore non isolato, determini |’ emissione, per parte della parete, di un fascio di raggi secondari, vedesi in più delle luci descritte, anche un anello di luce azzurra in gh da cui parte una luce gerf avente forma di cono tronco e di tinta sfumata dall’ azzurro-violetto al rosso. Come esperienza dimostrativa questa, che ho voluto descrivere, riesce assai rimar- chevole. 5) Dopo le primitive esperienze dimostranti la formazione di raggi magnetici nei tubi strozzati (Mem. precedente pag. 286), ho costruiti nuovi tubi di scarica di differenti forme, coll’ intento di rendere più chiaramente visibile il detto fenomeno. Quello, che la Fig. 5 rappresenta a }/ del vero, dà luogo a interessanti esperienze, e mostra in modo assai chiaro la trasformazione in raggi magnetici dei raggi catodici aventi origine nel piccolo foro della parete 72 quando £ è anodo ed . catodo, ed un grande rocchetto coassiale al tubo B è collocato alla destra del medesimo. Facendo funzionare da catodo l’elettrodo £ e da anodo l elettrodo Y, i raggi catodici trasformantisi in raggi magnetici partono dal forellino di 72 dirigendosi verso destra. In pari tempo però si vede formarsi un secondo e assai più lungo fascio di raggi magnetici diretto, come nel caso della precedente esperienza, da destra verso sinistra. Fra le spiegazioni che si possono dare per questo secondo fascio vi è quella, secondo la quale esso risulta costituito principalmente dai ioni positivi e dagli elet- troni negativi provenienti dal distruggersi del fascio principale là dove incontra la — 104 — parete del tubo. L’ attendibilità di tale spiegazione risulta dal fatto, che manca il fascio diretto da destra verso sinistra se si raddrizza il tubo ww, ossia se invece dell’ apparecchio Fig. 5 se ne adopera uno come quello rappresentato, ancora alla scala 1:5, dalla Fig. 6. La parte A di questo tubo è introdotta nel foro assiale del Fig. 6. E E ( B \ uti ietrg bt e e rocchetto che crea il campo. Quando /£ è catodo, si forma, come col tubo Fig. 5, il fascio di raggi magnetici partente da 7 e diretto da sinistra a destra (cioè verso il rocchetto) ma non più quello di opposta direzione. c) Anche per l’esperienza, da cui risulta che la colonna di luce rosea sul pro- lungamento dei raggi magnetici si può formare anche al di là d° una parete che separa il tubo di scarica in due capacità distinte (vedi Mem. precedente, pag. 293, Fig. 43), ho più tardi costruito un tubo di forma più semplice. Esso è rappresentato nella Fig. 7. Fig. 7. Il catodo è in € e l’anodo in A, ed il tubo in forma di T, che contiene questi elettrodi, è completamente diviso per mezzo della parete 77 dalla parte più ampia B ove si forma quello che chiamai anodo virtuale. Le due distinte capacità del tubo contengono aria a differenti pressioni, come appunto nel caso del tubo descritto nella Mem. precedente. d) Come altra volta ebbi ad annunciare (Mem. precedente pag. 290) variando gradatamente la rarefazione nel tubo di scarica_si riesce a far sì, che i raggi magne- tici eccitino sul vetro da essi colpito una fluorescenza di colore giallo-aranciato, in tutto simile a quella dei raggi canali, mentre che, spingendo più oltre la rarefazione, — 105 — gli stessi raggi magnetici producono una fluorescenza verde simile a quella dei raggi catodici. Molte sostanze, oltre al vetro, divengono luminose, allorchè sono colpite dai raggi magnetici. Per esempio il ioduro di litio (fluorescenza azzurra assai viva), il ioduro di sodio (gialla), nitrato e altri sali d’ uranio (verde), cloruro di cesio (azzurro vivo), ioduro di potassio (bianco verdastro), bromuro di sodio (bianco azzurrognolo) ecc. Non ho però finora con questi e con altri corpi riscontrato nessuna marcata differenza fra la fluorescenza generata dai raggi magnetici e quella prodotta dai raggi catodici dai raggi positivi, da potersi paragonare a quella che presenta il vetro ordinario con cui si fanno i tubi di scarica. Si nota però in generale un aumento di splendore del corpo colpito allorchè, generando il campo magnetico, i raggi catodici si trasformano in raggi magnetici. Questo fenomeno si potrebbe considerare come conseguenza del fatto che, coi tubi ad anodo laterale, il potenziale di scarica cresce quando si crea il campo magnetico; ma si constata che esso ha luogo anche con un tubo avente gli elettrodi alle estremità, sul quale il campo produce invece generalmente una diminuzione del potenziale di scarica. Quell’ aumento di splendore ha dunque cause complesse. Poichè la fluorescenza gialla prodotta dai raggi magnetici sul vetro presenta i caratteri stessi di quella prodotta dai raggi positivi, sembra ragionevole il considerarla come dovuta ai ioni positivi delle coppie giranti ione-elettrone, che si sfasciano allorchè urtano il vetro. La fluorescenza gialla, che meglio si produce quando si tocca esternamente col dito la parete del tubo, si può osservare utilmente anche nei tubi di grande dimensione, nei quali si forma la colonna rosea in prolungamento dei raggi catodici. Anzi basta far variare il campo magnetico, e in conseguenza di ciò il luogo ove si forma l’anodo virtuale (cioè l’ accumulo di ioni positivi provenienti dalla distruzione dei raggi ma- enetici che ha luogo quando raggiungono la regione nella quale il campo magnetico è abbastanza debole) per verificare, che i luoghi ove si ottiene la più viva fluorescenza gialla, cambiano posto insieme al detto anodo virtuale. Quando nel fare simile esperienza si ha l’occasione di toccare il tubo col dito, si osserva un curioso fenomeno. Se il catodo è abbastanza piccolo il tubo fa sentire un sibilo acuto, che diviene assai più grave, quando si tocca la parete. Il numero di vibrazioni per secondo di quel suono è verosimilmente eguale al numero delle inter- mittenze della scarica nel medesimo tempo; esso diviene di più in più grave quando si aumenta l’ intensità del campo. e) Le striscie luminose partenti dal catodo e aventi sensibilmente la forma di linee di forza magnetica, che si formano quando la scarica ha luogo nel campo ma- gnetico, altro non sarebbero, secondo la spiegazione finora accettata, che raggi catodici. In un campo magnetico uniforme i raggi catodici hanno la forma di eliche coll’ asse nella direzione del campo; nel caso generale d’un campo qualunque si ammette per analogia, che i raggi stessi abbiano forma simile, e cioè presso a poco la forma che assumerebbe 1° elica incurvando il cilindro, su cui è tracciata, in modo che il suo asse — 106 — divenisse una linea di forza. Insieme ad una tale deformazione bisogna poi imaginare altresì, che man mano che un raggio catodico passa in luoghi ove I intensità del campo diminuisce, esso si avvolga meno strettamente attorno alla linea di forza curva che ne è l’asse, e ciò in analogia col caso del campo magnetico dovuto ad un unico polo, nel qual caso un raggio catodico ha la forma di una geodetica d'un cono avente il vertice. nel polo. Come si vede, non si conosce con esattezza che nei casi più semplici la traiettoria d° un elettrone nel campo magnetico; ed è solo in base ad ana- logie, che si può avere una idea della forma dei raggi catodici in un caso qualunque. Ma ciò basta per comprendere, che se il campo è abbastanza intenso, e se il fascio di raggi catodici ha una sezione trasversale non troppo piccola, il fascio stesso pre- senterà nel suo insieme la forma d’ un tubo di forza magnetica, Se poi si accetta la teoria da me proposta, è anche più difficile prevedere la forma dei raggi magnetici. Però considerando attentamente quali siano le forze che agiscono sull’ elettrone negativo e sul ione positivo formanti uno dei sistemi neutri, dal cui moto sono originati i detti raggi, si riconosce, che in un campo magnetico a linee di forza curve, la stabilità delle coppie giranti deve verosimilmente essere minore che in un campo uniforme. Considerando infatti il caso d'un elettrone muoventesi circolar- mente intorno al ione, non appena il piano della sua orbita cessa d’ essere normale alla direzione del campo, questo tende ad allontanarlo di più in più da quella, che è l’orientazione di stabilità massima. Diviene così assai difficile concepire, come le coppie ione positivo-elettrone possano, rimanendo integre, seguire una traiettoria curvilinea sensibilmente coincidente con una linea di forza. i Per superare simile difficoltà mi sembra ragionevole supporre, che ogni coppia neutra dopo essersi costituita ed essersi spostata qualche poco, cessi di esistere, mentre altre nuove si formano, dovunque il campo magnetico ha sufficiente intensità. In altri termini sembra doversi ammettere, che nel fascio luminoso avente una forma simile a quella di un tubo di forza magnetica, non vi siano coppie giranti che percorrano il fascio stesso in tutta la sua lunghezza, ma che tali coppie sì rinnovino continuamente. Se così è, l'andamento generale del fascio luminoso, da me designato come fascio di raggi magnetici, dovrà dipendere dalle velocità dei ioni e degli elettroni, dalla cui unione risultano formate le coppie giranti, anzi sopratutto dalla velocità degli elettroni, nel caso più generale, che è quello della trasformazione dei raggì catodici in raggi magnetici. Ora, la velocità degli elettroni, non solo cresce col potenziale di scarica, ma anche coll’ intensità del campo magnetico, per due motivi. Prima di tutto il fenomeno è intermittente, alternandosi (Mem. precedente pag. 271) la produzione dei raggi ma- gnetici con una fase di scarica ordinaria, che si compie sotto una caduta catodica di potenziale tanto maggiore quanto maggiore è 1° intensità del campo. In secondo luogo la velocità con cui le coppie giranti sono spinte verso le regioni di minima intensità di campo magnetico, è tanto più.grande, quanto maggiore è l'in- tensità dei poli magnetici che creano il campo stesso. coi Questi effetti si manifesteranno segnatamente in prossimità del polo del rocchetto, quando l’ esperienza è disposta nel modo ordinario; ma gli effetti stessi non risulte- ranno evidenti che quando, accostando lateralmente un secondo rocchetto, si farà in modo, che le linee di forza magnetica siano molto incurvate. La Fig. 8 (riproduzione d’ una fotografia) mostra appunto il fascio curvo di raggi magnetici avente sensibil- mente la forma di un fascio di linee di forza congiungente i poli (eteronimi) dei due rocchetti. Bastò aumentare alquanto 1’ intensità dell’ unica corrente che percorreva i due rocchetti (si arrivò a 40 ampère, avendo cura di non prolungare |’ esperienza oltre ai 2 o 3 minuti necessari per ottenere la negativa fotografica, onde non danneggiare i rocchetti), e rendere così più intenso il campo magnetico senza sensibilmente cam- biare la forma delle linee di forza, perchè il fascio di raggi magnetici assumesse la forma che mostra nella fotografia Fig. 9, la quale suggerisce l’idea di un getto par- tente dal catodo con una velocità iniziale assai maggiore che nel caso della Fig. 8. Sembra dunque che veramente i raggi magnetici assumano solo approssimativa- mente la forma delle linee di forza, nello stesso modo che solo in modo approssima- tivo i ioni d’un gas non rarefatto seguono nel loro moto le linee di forza del campo elettrico nelle esperienze relative alle ombre elettriche. RIETI PRETI te i CI i A TTT. vii » rain ba, dp Aa! BRA TU RE Ta TRE MT AL Wed i i Ta Di Di i me VORO oa A n an } he là i 6 199) Giai LAME Fat 4 CRANE | FS i Pesi | Ì Li ì È } È a Ù, 13 RIU SUL CONTEGNO DI ALCUNE SOSTANZE ORGANICHE NEI VEGBTALI II. MEMORIA DI GIACOMO CIAMICIAN x CIRO RAVENNA (Letta nella Sessione del 25 Aprile 1909) Nella nostra prima Memoria (1) su questo argomento, abbiamo descritto alcune esperienze che avevano lo scopo di esaminare quale sia il contegno, nelle piante, di alcuni glucosidi e delle sostanze aromatiche in essi contenute. I detti composti vennero somministrati ai fagiuoli ed al mais col metodo dell’ assorbimento per le radici o per inoculazione nel fusto. Le sostanze adoperate furono segnatamente la benzaldeide, la saligenina, |’ idrochi- none, l’ alcool benzilico e poi i glucosidi amigdalina, salicina ed arbutina. I risultati dei nostri studî furono, brevemente riassunti, i seguenti: i glucosidi sono, in genere, meglio tollerati dei composti aromatici a cui danno origine per idro- lisi; ma tanto i primi che i secondi, introdotti nelle piante, vengono, probabilmente per un processo di ossidazione, in gran parte distrutti. Colla salicina e la saligenina, abbiamo avuto indizio della formazione di acido salicilico. Il fenomeno più importante da noi allora osservato è però quello che la saligenina, l’ alcool benzilico e forse anche la vanillina, introdotte nelle piante, si trasformano in parte in sostanze che sono scin- dibili dall’ emulsina in modo che l’ estratto acquoso esaurito con etere cede a questo, dopo il trattamento col fermento, nuova quantità delle sostanze introdotte. A questo fatto va poi aggiunto l’altro, da noi pure osservato, che i glucosidi restano soltanto in piccola parte inalterati e che assieme con essi si ritrova nelle piante libero il composto aromatico in essi contenuto. Queste osservazioni ci condussero alla supposizione che dalle piante, i composti ossidrilati aromatici da noi sperimentati vengono trasformati in parte in glucosidi e che questi ultimi subiscono alla loro volta una parziale idrolisi. Appariva dunque come se fra il glucoside ed i suoi prodotti di scomposizione venisse a stabilirsi una specie di equilibrio chimico. (1) Queste Memorie, serie 6, tomo 5, pag 29 (1907-08) e Gazzetta chimica italiana, vol. 38, parte 1°, pag. 682 (1908). Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 15 — 110 — Le esperienze che descriviamo nella presente Memoria eseguite col giacinto (Hya- cinthus orientalis) e col mais, vengono, come si vedrà, a confermare pienamente le nostre supposizioni e tanto che inoculando la saligenina nel mais, noi abbiamo ottenuto realmente la salicina provocando dunque nella pianta la sintesi di questo glucoside. Esperienze coi giacinti. Con questa esperienza fatta con la saligenina, abbiamo confermato che la pianta distrugge una parte della sostanza assorbita; che un’ altra parte viene trasformata in un composto di natura glucosidica scindibile dall’ emulsina ed abbiamo potuto dimostrare la formazione dell’ acido salicilico. Le prove vennero fatte coi giacinti coltivati in soluzione acquosa; la sostanza veniva inoculata allo stato solido nel bulbo. A tal uopo, quando la pianta era in vegetazione, ma prima della fioritura o a fioritura incipiente, veniva praticato nel bulbo un foro cilindrico del diametro di circa cinque millimetri e di profondità tale da non intaccare l’ asse vegetativo. La sostanza in esame veniva introdotta nel foro, che sì richiudeva con paraffina. Si operò sopra 25 piante. Le inoculazioni vennero eseguite nei giorni 20 febbraio, 10, 18, 22 marzo e 5 aprile in ragione, complessivamente di gr. 3 per volta. Nelle 25 piante furono quindi inoculati, in tutto, gr. 15 di saligenina. Vennero prese in lavorazione il 15 aprile. Il peso delle piante al momento della raccolta era di gr. 1450. Si ridussero, per mezzo di un trituratore, a poltiglia finissima, si aggiunse un po d’acqua e il tutto venne fortemente spremuto con un torchio. Il panello si spappolò nell’ acqua, si torchiò di nuovo e si ripetè 1° operazione ancora una volta. L’ estratto acquoso, filtrato, venne ripetutamente estratto con etere fino che l'estratto etereo non dava più la colorazione azzurra della saligenina con cloruro ferrico. L’ etere fu sva- porato e l’ estratto ripreso con acqua, filtrato, lavato, reso alcalino con carbonato sodico e nuovamente estratto con etere fino ad esaurimento completo. L’ etere venne svaporato e l'estratto, seccato nel vuoto, pesava gr. 2,5. Era quasi bianco, cristallino e dava col cloruro ferrico e coll’ acido solforico concentrato le due reazioni, azzurra e rossa della saligenina. Ricristallizzato dal benzolo, fondeva a 86° che è il punto di fusione dato dagli autori per la saligenina (1). Abbiamo cercato, anche in questa esperienza, come già avevamo fatto in altre, di stabilire se una parte della saligenina si fosse ossidata ad acido salicilico. A questo scopo abbiamo acidificato con acido solforico il liquido alcalino da cui venne eliminata la saligenina e lo abbiamo estratto con etere. Per evaporazione del solvente rimane una massa cristallina, disseminata di numerosi cristalli aghiformi bianchi, che seccata nel vuoto, pesa gr. 0,3. È costituita da parte degli acidi delle piante, ma dà abba- (1) Beilstein, 3.* edizione, vol. 2, pag. 1108. — IM stanza nettamente la reazione dell’ acido salicilico con cloruro ferrico. I cristalli ven- nero trattati con benzolo anidro caldo dove si sciolse soltanto una parte della massa cristallina. L° estratto benzolico fu filtrato e concentrato. Per raffreddamento si deposero dei cristalli in piccola quantità che davano bellissima la colorazione rosso-violetta dell’ acido salicilico con cloruro ferrico e che fondevano a 155°. Il punto di fusione dell’ acido salicilico, dato dagli autori, è 156° (1). Rimaneva ancora da stabilire se anche nei giacinti la saligenina avesse dato origine ad una sostanza glucosidica. L° esperienza era di proporzioni troppo limitate per poter tentare l’ estrazione della sostanza eventualmente formatasi. Ci siamo quindi, anche in questa prova, limitati alla ripetizione della vecchia esperienza fatta coi fagiuoli. A tal fine, nel liquido primitivo residuo dalla prima estrazione eterea e completamente esaurito dalla saligenina libera, fu aggiunto, dopo aver scacciato |’ etere per mezzo della distillazione nel vuoto, un poco di emulsina. Dopo 24 ore di riposo, il iiquido venne estratto con etere, ]l’ estratto etereo sciolto in acqua, filtrato, lavato, reso alcalino con carbonato sodico ed estratto ancora con etere. L’ estratto etereo, seccato nel vuoto, pesa gr. 0,2, è cristallino, dà le reazioni della saligenina e ricristallizzato dal benzolo fonde a 86°. Riassumendo queste esperienze si ha dunque : 1° - La quantità di saligenina totale (libera e combinata) ritrovata nei giacinti è pressochè un quinto di quella inoculata. 2° - Una parte della saligenina inoculata viene dai giacinti ossidata ad acido salicilico, caratterizzato dalla reazione col cloruro ferrico e dal punto di fusione. 5° - Una parte della saligenina inoculata viene dai giacinti trasformata in un composto forse di natura glucosidica, scindibile dall’ emulsina. Esperienze col mais. Abbiamo fatto, col mais, due serie di esperienze ; la prima mirava a stabilire se anche in questa pianta, per trattamento con saligenina, si formasse il composto scin- dibile dall’ emulsina e in caso affermativo, se, facendo prove di confronto colla salicina, esistesse realmente quell’ equilibrio chimico che avevamo intraveduto, fra il glucoside ed i suoi prodotti di scissione. La seconda serie di esperienze aveva lo scopo di isolare ed identificare il supposto glucoside che eventualmente si fosse formato per inoculazione della saligenina. Nella memoria precedente, a proposito delle esperienze eseguite colla saligenina e la salicina nel mais per inoculazione, abbiamo detto che la prima di queste sostanze è assai più tossica della seconda. Non abbiamo però taciuto la speranza di potere, ciò malgrado, mantenere le piante in vita sebbene inoculate colla saligenina, Questo corpo, (1) Beilstein, 3.* edizione, vol. 2, pag. 1490, AE infatti, fra le sostanze aromatiche sperimentate, era stato riconosciuto dei meno velenosi. Le nostre speranze furono coronate da pieno successo: ed infatti, coltivando il mais in condizioni favorevoli tali da far acquistare alle piante uno sviluppo rigoglioso ed inoculando la saligenina in dose non molto forte ed in una vasta apertura praticata nel fusto in modo che la materia introdotta non si accumuli sopra una piccola super- ficie, siamo riusciti a condurre a termine le esperienze che avevamo ideato ed a risolvere i quesiti che ci eravamo proposti. PRIMA SERIE Per risolvere la questione relativa all’ equilibrio chimico, era necessario eseguire prove di confronto con saligenina e salicina in condizioni possibilmente comparabili. Il metodo da prescegliere doveva essere necessariamente quello dell’ inoculazione diretta giacchè, come si disse nell’ altra Memoria, per introdurre i glucosidi nelle piante per la via delle radici, sarebbe necessario fare le coltivazioni in ambiente sterilizzato, operazione questa che presenta molti inconvenienti. Le piante vennero perciò coltivate in piena terra. Per le esperienze colla saligenina vennero prescelte quattro piante in pieno rigoglio. Nel fusto si praticava un’ apertura a forma di parallelepipedo rettangolo profondo due millimetri circa, lungo dieci centimetri e largo tre. Nell’ apertura veniva introdotta la sostanza da sperimentare in modo che si disponesse uniformemente in tutta la superficie ; si richiudeva colla corteccia stessa staccata e si paraffinavano le cONIMESSUTE. Le esperienze cominciarono il 7 luglio, giorno in cui si fece la prima inoculazione : le inoculazioni si ripeterono nei giorni 12, 19, 25, 831 luglio e 5 agosto introducendo ogni volta, per ogni pianta gr. 0,4 circa di saligenina; complessivamente quindi circa gr. 10 di sostanza. Le piante vennero prese in esame il giorno 10 agosto. Pesavano, al momento della raccolta, er. 1900. Vennero triturate finemente, spremute e il residuo trattato ripetutamente con acqua e ripetutamente spremuto. L° estratto acquoso venne filtrato, concentrato nel vuoto ed estratto con etere fino ad esaurimento della saligenina, ed il residuo dell’ evaporazione della soluzione eterea trattato con acqua calda, filtrato e lavato. Il liquido filtrato, reso alcalino con carbonato sodico, fu a sua volta estratto replicatamente con etere. Per evaporazione del solvente rimase un residuo cristallino, che seccato nel vuoto pesava gr. 2, cristallizzato dal benzolo fondeva a 86° e dava le reazioni della saligenina. Per stabilire se anche nel mais prendeva origine dalla saligenina un composto di natura glucosidica, il liquido primitivo, da cui venne estratta la prima, fu trattato, dopo evaporazione dell’ etere nel vuoto, con un poco di emulsina e lasciato in riposo per 48 ore. Dopo questo tempo sì estrasse ripetutamente con etere e si procedè come al solito: cioè si svaporò l’ etere, si sciolse l'estratto in acqua, si filtrò, si rese alcalino il filtrato con carbonato sodico e si estrasse nuovamente. Rimase un residuo cristallino che seccato nel vuoto pesava gr. 1:; esso dava le reazioni caratteristiche della sali- senina e cristallizzato dal benzolo fondeva a 86°. CM e Per accertarci se lemulsina durante le 48 ore di riposo aveva completamente scomposta la sostanza glucosidica formatasi, nel liquido già trattato con emulsina ed esaurito con etere, abbiamo aggiunto un altro poco di emulsina dopo aver scacciato l’etere nel vuoto ed abbiamo lasciato in riposo per alcuni giorni. Estraendo quindi ancora con atere, non si è ottenuta la benchè minima traccia di saligenina il che prova che l’enzima aveva esercitato completamente la sua azione. L'esperienza ora descritta ci dimostra dunque che anche il mais, come i fagiuoli ed i giacinti, trasforma una parte della saligenina fornitagli in un composto che per azione dell’emulsina si scompone mettendo saligenina in libertà. Il rapporto fra la saligenina combinata e la saligenina libera è, in questa prova, 1: 2. Contemporaneamente alla esperienza ora descritta abbiamo eseguito la prova di confronto colla salicina. Anche per questa abbiamo prescelto quattro piante che furono coltivate nello stesso tempo delle precedenti e nello stesso terreno Si fecero le inocu- lazioni colla salicina negli stessi giorni, cioè 7, 12, 19, 25, 31 luglio e 5 agosto. In ogni pianta e per ogni volta venivano inoculati gr. 0,6 di salicina. Complessiva- mente quindi le quattro piante assorbirono gr. 15 di glucoside. Furono raccolte il 13 agosto. Il loro peso era di gr. 1600. Si operò nel modo identico a quello descritto per le piante inoculate con saligenina; cioè si fece delle piante triturate |’ estratto acquoso che venne filtrato e concentrato nel vuoto; |’ estratto acquoso venne estratto con etere; l'estratto etereo sciolto in acqua, filtrato, reso alcalino con carbonato sodico ed estratto di nuovo. Si ebbe un residuo cristallino che, seccato nel vuoto, pesava er. l e che ricristallizzato dal benzolo fondeva a 86°. Dava inoltre le reazioni della saligenina con acido solforico concentrato e con cloruro ferrico. Nel liquido residuo dalla prima estrazione, dopo evaporazione dell’ etere, si aggiunse emulsina. Ripetendo l'estrazione con etere nel modo descritto, dopo due giorni di riposo, si ottenne un estratto cristallino che seccato nel vuoto pesava gr. 0,5. Venne ricristallizzato dal benzolo. Il suo punto di fusione era 86° e dava le reazioni carat- teristiche della saligenina. Inoculando dunque la salicina nel mais, come avevamo dimostrato altra volta, si ritrova nelle piante, oltre al glucoside inalterato, la saligenina libera proveniente dalla scissione di esso: il rapporto fra la saligenina combinata e la saligenina libera è anche in questa esperienza quello di 1 :2. Riassumendo questa prima serie di esperienze col mais risulta che: 1° - Inoculando nel mais la saligenina, una piccola parte di essa si ritrova poi allo stato g@lucosidico cioè scindibile dall’ emulsina. 2° - Nelle prove di confronto eseguite in identiche condizioni inoculando nel mais rispettivamente saligenina e salicina, si trova, tanto nelle piante che hanno subito il primo irattamento, come in quelle del secondo, che il rapporto fra le quantità di saligenina libera e quella combinata è di 1:2. Ciò fa ritenere dunque che esista realmente l’ equilibrio chimico supposto fra il glucoside ed i suoi prodotti di scissione, così che sia indifferente, per il risultato finale, inoculare nelle piante il elucoside © le sostanze a cui esso dà origine per idrolisi. Serie VI. Tomo IV. 1908-09 15% — 114 — SECONDA SERIE Per esaurire il nostro programma, rimaneva ancora da identificare la sosianza che si forma nelle piante per inoculazione della saligenina e che per azione dell’ emulsina mette saligenina in libertà. A ciò principalmente mirano le esperienze di questa seconda serie i cui risultati risolvono completamente la questione. Il buon successo ottenuto nell’ esperienza precedente, ci ha indotto a prescegliere, anche per questa, il mais come soggetto e a fornire ad esso la saligenina mediante l’inoculazione nel fusto. Per riuscire ad ottenere il presunto glucoside, era però neces- sario operare sopra un grande numero di piante. Siamo partiti infatti da una coltiva- zione di 140 piante. Im ognuna di esse veniva inoculata a più riprese la saligenina mediante l’ apertura praticata nel fusto, come già abbiamo descritto. Le prove comin- ciarono il 29 agosto, giorno in cui venne fatta la prima inoculazione; il 12, il 24 settembre ed il 3 ottobre si fecero rispettivamente le altre. Ogni volta venivano forniti a ciascuna pianta da gr. 0,4 a 0,5 di saligenina. Le piante furono raccolte il 15 ottobre; parecchie di esse erano morte durante il periodo delle inoculazioni così che di 140 si ridussero a 107. Il peso complessivo di esse era di Kg. 98 e riteniamo che abbiano assorbito intorno ai 200 grammi di saligenina. Il copioso materiale non ci consentiva di iniziare la lavorazione in laboratorio, ma richiedeva i mezzi più larghi di una fabbrica. Noi non avremmo perciò potuto con- durre a buon fine questa ricerca senza l’ efficace aiuto del Dott. Emilio Soncini e la grande cortesia della Ditta G. Campari di Milano, nel cui stabilimento a Sesto S. Gio- vanni di Monza vennero eseguite dal Dott. Soncini con grande cura e perizia le prime operazioni. Tanto all’ uno che all’ altra noi sentiamo l'obbligo di esprimere la nostra maggiore riconoscenza. Le prime operazioni eseguite secondo le nostre indicazioni nello stabilimento della Ditta Campari, che il Dott. Soncini ebbe la gentilezza di comunicarci, furono le seguenti: le piante vennero triturate per mezzo di un trinciaforaggi ed estratte con acqua tiepida alla temperatura di 60°, quindi torchiate e ripetuta | operazione per altre due volte. La quantità dell’ estratto acquoso raggiunse così il volume di oltre 300 litri. Esso venne poi concentrato a pressione ridotta a circa 40-50 litri. La pressione massima durante la concentrazione fu di mm. 65 e la minima di 58: la temperatura (o) 0 oscillò fra 57° e 63°. L’ estratto acquoso venne poi estratto una ventina di volte con etere in modo che negli ultimi estratti eterei non si trovava più traccia di saligenina. Le soluzioni eteree furono tutte riunite e portate a secco. Il liquido acquoso liberato dalla saligenina venne concentrato nel vuoto a circa 6 litri. Gli estratti etereo ed acquoso così preparati ci furono inviati per l° ulteriore lavorazione. Estratto etereo. — Questo estratto ci servì per la conferma delle esperienze già ese- guite. Come giunse in laboratorio pesava er. 63. Fu trattato il tutto con acqua, filtrato dalla parte insolubile, lavato e il liquido portato esattamente al volume di un litro. — Mu Allo scopo di dosare la saligenina libera contenuta nell’ estratto etereo, si prele- varono 100 c. c. della soluzione, si resero alcalini con carbonato sodico e si estrassero ripetutamente con etere. Evaporato l’ etere, rimase un residuo cristallino che seccato nel vuoto pesava gr. 3. Fu riconosciuto che era costituito da saligenina. La quantità di questa sostanza rimasta inalterata nelle piante era dunque er. 30, cioè circa un sesto della quantità totale impiegata. Nei rimanenti 900 centimetri della soluzione acquosa dell’ estratto etereo si ricercò la presenza dell’ acido salicilico per vedere se fosse avvenuta anche in questo caso, come nei giacinti, una ossidazione della saligenina ad acido salicilico. Tutto il liquido venne perciò reso alcalino con carbonato sodico, estratto con etere fino ad esaurimento della saligenina, acidificato con acido solforico ed agitato di nuovo con etere. L'estratto, dopo lungo soggiorno nel vuoto cristallizzò in parte, ma in parte rimase oleoso. Esso venne ripreso con acqua tiepida, dove non si sciolse completamente, si filtrò e lavò accuratamente ed il filtrato venne nuovamente esaurito con etere. L’ estratto etereo dava la reazione dell’ acido salicilico con cloruro ferrico e nel vuoto cristallizzò quasi completamente. Pesava circa 1 grammo. I cristalli furono ripresi con benzolo a caldo e la soluzione benzolica filtrata e concentrata; per raffreddamento si separarono da prima dei cristalli bianchi di una sostanza ancora non determinata e dal filtrato si ebbero poi per concentrazione gli aghi caratteristici dell’ acido salicilico, che fondevano a OD Estratto acquoso. — Questo estratto aveva la maggior importanza perchè in esso doveva trovarsi la sostanza glucosidica cercata. Prima però di iniziare i tentativi per l'estrazione del corpo in questione, abbiamo fatto una prova preliminare per assicurarci che esso fosse contenuto in quantità tale da poter essere isolata. Perciò dai 6 litri di estratto vennero prelevati 500 c. c.; si diluirono un poco con acqua e si trattarono con emulsina. Dopo due giorni di riposo si fece | estrazione eterea del liquido fino ad esaurimento; il prodotto venne sciolto in acqua e la soluzione, resa alcalina con carbonato sodico e filtrata, fu estratta nuovamente con etere. Svaporato |’ etere si ottenne un residuo di saligenina che pesava gr. 1,15. In tutto I’ estratto acquoso erano contenuti quindi er. 14 di saligenina combinata. Anche in questa prova fatta su larga scala, il rapporto fra la saligenina combinata e quella libera è di 14 a 30. dunque circa di 1:2. Questi dati ci incoraggiarono a procedere all’ estrazione della sostanza cercata, che riuscì soltanto dopo una serie di laboriosi tentativi. Abbiamo cominciato col purificare in parte l estratto, che era colorato in bruno, mediante la defecazione con acetato basico di piombo. A tal fine, il liquido venne ‘diluito con ugual volume d’acqua; si aggiunse quindi una soluzione concentrata di acetato di piombo basico fino a che per ulteriore aggiunta non si aveva più. precipi- tato. Il liquido venne filtrato ed il precipitato lavato accuratamente: il filtrato unito alle acque di lavaggio concentrato un poco nel vuoto fu poi trattato con idrogeno solforato per eliminare il piombo. Si separò per filtrazione il liquido dal solfuro di piombo e si lavò il precipitato. Ci siamo assicurati, mediante opportune prove con 2 ig emulsina, che la sostanza ricercata non era precipitata coll’ acetato di piombo, ma era rimasta in soluzione nel liquido. Questo venne concentrato a piccolo voluine nel vuoto. La separazione del supposto glucoside per semplice concentrazione, come avviene per la preparazione della salicina dalla corteccia dei salici, ci apparve però subito impos- sibile. Infatti, sebbene la defecazione con acetato di piombo avesse alquanto decolorato l’ estratto, esso era, dopo la concentrazione al volume di circa due litri, di consistenza sciropposa dovuta sopratutto alle sostanze zuccherine delle piante. Quale primo tentativo abbiamo cercato di estrarre la sostanza coll’ alcool assoluto. Abbiamo fatta questa prova sopra una parte dello sciroppo: circa un ventesimo. Lo sciroppo veniva trattato con ugual volume di alcool assoluto e riscaldato a ricadere per mezz’ ora. Dopo raffreddamento, lo strato alcoolico, che si trovava alla superficie, veniva separato per decantazione dallo strato sciropposo che si trovava al fondo del palloncino. Si faceva poi una seconda ed una terza estrazione: gli estratti alcoolici venivano riuniti e concentrati. L’ alcool però scioglie, oltre al glucoside cercato, buona parte dello zucchero, di modo che l’ estratto alcoolico, dopo concentrazione, è anch'esso sciropposo. Abbiamo provato a ripetere l’ estrazione con alcool sull’ estratto nella spe- ranza di lasciar indietro, nel nuovo trattamento, parte dello zucchero e di asportare il glucoside; ma i risultati non furono migliori dei precedenti perchè oltre ad ottenere un residuo ancora sciropposo, la soluzione alcoolica si altera assumendo, nelle succes- sive estrazioni a caldo, una colorazione bruna che va facendosi sempre più intensa; inoltre 1’ estrazione della sostanza cercata non è mai completa rimanendone sempre una parte negli estratti precedenti. Di ciò ci siamo assicurati seguendo l’ andamento dell’ o- perazione mediante prove con emulsina o mediante |’ idrolisi con acido cloridrico diluito. Poichè il principale ostacolo alla separazione del corpo da estrarre, pareva che fosse dovuto alla presenza dello zucchero, abbiamo pensato di eliminarlo colla fermen- tazione alcoolica. Questo metodo di eliminazione era già stato adottato da Emmer- ling (1) in un caso analogo. Noi però dovevamo premunirci contro il pericolo che 1l lievito potesse decomporre il supposto glucoside. E poichè questo, secondo le nostre previsioni, avrebbe potuto essere identico alla salicina, abbiamo fatto la seguente prova colla salicina del commercio: er. 1 di salicina e er. 10 di glucosio vennero sciolti in 100 c. c. di acqua distillata alla quale erano state aggiunte alcune goccie di cloruro d’ ammonio e di fosfato di potassio. Si fece fermentare con lievito di birra per la durata di quattro giorni: alla fine di questo periodo di tempo, il liquido, scal- dato e .poì filtrato venne estratto con etere. L’estratto etereo dava la reazione della saligenina, ma questa era in piccolissima quantità; ciò prova che si era decomposta soltanto una parte trascurabile della salicina. Il liquido acquoso, esaurito coll’etere, fu concentrato a piccolo volume. In breve per raffreddamento si separarono dei cristalli. che ricristallizzati dall’ acqua furono riconosciuti per salicina. Risulta da ciò che sotio l’azione del lievito di birra la maggior parte della salicina rimane inalterata. (1) Berichte, vol. 34, parte 3.3, pag. 8810 (1901). Era necessario però vedere se la sostanza contenuta nel materiale che avevamo in esame si comportava nello stesso modo. Abbiamo perciò prelevato una parte aliquota (un quindicesimo) dello sciroppo, lo abbiamo diluito con acqua e dopo aggiunta di alcune goccie di cloruro ammonico e di fosfato sodico lo abbiamo fatto fermentare con lievito di birra. Dopo quattro. giorni, il liquido fermentato venne trattato con acetato basico di piombo, filtrato, lavato ed il piombo eliminato con idrogeno solforato. Dopo filtra- zione dal solfuro il liquido venne estratto con etere. L’estratto etereo dava la reazione della saligenina, ma questa era presente in piccolissima quantità. Anche qui dunque, il lievito di birra non aveva scomposto che una piccola parte del supposto glucoside che dunque si comportava come la salicina. Ritenevamo che, eliminato lo zucchero per fermentazione, si sarebbe giunti alla cristallizzazione della sostanza cercata, per concentrazione del liquido. Questo infatti venne ridotto nel vuoto a piccolo volume, ma non si ottenne alcuna separazione di cristalli neanche dopo riposo prolungato per parecchi giorni. Il liquido concentrato fu allora svaporato a secco, ma il residuo, malgrado la subita fermentazione, era ancora sciropposo. Si tentò ora nuovamente l’ estrazione alcoolica, ma la soluzione ottenuta e ridotta a piccolo volume, dette per raffreddamento dei cristalli che però furono rico- nosciuti costituiti, per la massima parte, da acetato di potassio. L’ alcool, separato dai cristalli, fu ulteriormente concentrato, ma non si ebbe che una nuova separazione di sali alcalini. Per vedere se il metodo adoperato ora fosse o no atto alla separazione del gluco- side, abbiamo aggiunto ad un altro quindicesimo del liquido due grammi di salicina ed abbiamo fatto fermentare procedendo agli stessi tentativi di estrazione sopra descritti. Ma neanche in questo caso si potè ottenere la salicina allo stato cristallino. Ciò dimostra quanto la presenza delle sostanze contenute nell’ estratto del mais impedisca la cristallizzazione della salicina. Essendo falliti i tentativi di estrarre il glucoside coll’ alcool, siamo ricorsi all’estra- zione con etere acetico che venne spesso impiegato da vari autori in simili casi, seb- bene la solubilità della salicina in questo solvente sia assai piccola. Le prove fatte non dettero però ancora buoni risultati. A questo punto abbiamo pensato di ricorrere ad un processo di dialisi con la spe- ranza che, a preferenza della supposta salicina, diffondessero i sali e le altre sostanze che ne ostacolavano l’ estrazione e la cristallizzazione. Tutto lo sciroppo venne sottoposto prima alla fermentazione alcoolica, poi defecato nuovamente con acetato basico di piombo, liberato dal piombo e concentrato nel vuoto. Una parte del liquido concentrato (cirea un decimo) fu introdotto in un dializzatore nella parte esterna del quale si poneva un volume d’acqua pressochè uguale a quello interno. L'acqua veniva rinnovata ogni 24 ore, per due volte. Per vedere se la sostanza glucosidica fosse dializzata in quantità notevole, nelle tre porzioni di liquido raccolte nella parte esterna del dializ- zatore venne aggiunta un po’ di emulsina. Dopo 48 ore si estrasse con etere. Si ebbe, in tutte tre le porzioni un piccolo residuo di saligenina. Il liquido interno del dializ- = 118 — zatore, che doveva contenere la sostanza da noi cercata, venne concentrato nel yuoto. Per raffreddamento e riposo si separarono dai cristalli insolubili in alcool che però furono riconosciuti costituiti, per la maggior parte, da sali di magnesio. L° acqua madre venne svaporata a secco e sul residuo si tentò |’ estrazione con alcool, ma si ottennero anche qui estratti sciropposi da cui nulla potè cristallizzare. Poichè il processo di diffusione ci dava una parziale purificazione del liquido aspor- tandone i sali potassici, malgrado che una parte della sostanza cercata passasse pure ‘ nel liquido esterno, abbiamo sottoposto alla dialisi tutto il materiale dividendolo in quattro porzioni ed operando come nella prova in piccolo ora descritta. Nei liquidi dializzati abbiamo voluto ricercare nuovamente quanto del supposto glucoside fosse passato. Mediante il trattamento con emulsina si trovò, operando su tanto glucoside da corrispondere a circa 4 grammi di saligenina. Questo risultato ci sorprese un poco perchè dalla prova fatta in piccolo, avremmo creduto che il glucoside fosse meno diffusibile. Abbiamo perciò, dopo le prove che descriveremo più avanti, nel resto del prodotto dializzato e portato a secchezza, tentata |’ estrazione con acetato di etile; ma si ebbe uno sciroppo da cui non si separarono che piccole quantità di materia cristallina. Sembra per ciò che la dialisi elimini, assieme coi sali, delle sostanze sciroppose che ritardano la cristallizzazione del elucoside. Si potrebbe anche supporre che nel liquido dializzato fosse contenuto qualche altro derivato della salige- nina, ma questa ipotesi ci sembra poco probabile. Il liquido rimasto nel dializzotore venne a sua volta concentrato nel vuoto a sci- roppo dopo una nuova defecazione con acetato di piombo. Abbiamo però ora abbandonato l’idea degli estratti alcoolici che non ci avevano mai dato buoni risultati ed abbiamo invece, tentato nuovamente, sul residuo della dialisi, 1° estrazione dello sciroppo con etere acetico che dette finalmente esito favorevole (1). Abbiamo dapprima fatta 1 esperienza su una piccola quantità del materiale. Questa fu riscaldata per tre quarti d'ora a ricadere con etere acetico acquoso e la soluzione ottenuta, decantata e concentrata a piccolo volume. Dopo qualche ora si depositarono al fondo della bevuta dei cristalli mammellonari misti a sciroppo. I cristalli, spremuti fra carta bibula, riscaldati su lamina di platino, bruciavano senza lasciar ceneri, si scioglievano in acido solforico concentrato con colorazione rossa e fondevano a 185°. Tutto lo sciroppo venne allora sottoposto all’ estrazione con etere acetico. Poichè la sostanza estraibile è assai poco solubile nel solvente, si ripetè il trattamento per 10 o 15 volte bollendo a ricadere, in ogni operazione, per circa un° ora e concentrando le soluzioni decantate. I cristalli sì separavano alcune volte subito, altre volte dopo riposo, ma sempre misti a sostanza sciropposa. Quando ci parve che la quantità di sostanza cristallina ottenuta fosse sufficente per poterla identificare, abbiamo sospese le (1) A ritentare l'estrazione con etere acetico siamo stati incoraggiati anche dall’autorevole consi- glio dell’illustre Prof. Emilio Fischer di Berlino, a cui ci è grato esprimere qui i nostri ringraziamenti. — 119 — estrazioni tanto più che i cristalli si separavano sempre meno puri forse in causa dell’alterazione che -subisce lo sciroppo per il riscaldamento prolungato. Infatti esso assume una colorazione bruna che si rende man mano più intensa. I cristalli vennero separati per decantazione dall’etere acetico e ripresi con acqua calda. La soluzione acquosa, concentrata a bagno maria a piccolo volume, dette per raf- freddamento cristalli aghiformi colorati in rosso bruno. Essi furono separati dal liquido per filtrazione e lavati sul filtro con alcool assoluto, il quale asporta lo sciroppo e lascia in- dietro bianca la materia cristallina il cui punto di fusione erasi innalzato a 195°. Questa, dopo essere stata ricristallizzata due volte dall’ alcool assoluto, dava coll’acido solforico concentrato la reazione della salicina e fondeva a 197°-198°. Il punto di fusione della sali- cina dato dagli autori è 198° (Schmidt) (1) e 201° (Schiff) (2). L'analisi però non dette ancora numeri perfettamente corrispondenti. gr. 0,1376 di sostanza diedero er. 0,2766 di CO, e gr. 0,0836 di 0. In 100 parti: calcolato per GC, Hg 0. trovato _—dd>TPT__ —==— _ __ Di (0) 54,52 54,82 H 6,34 6,50 La sostanza venne perciò cristallizzata altre due volte dall'alcool assoluto; il punto di fusione si elevò a 198°-199? ed ora si ottennero all'analisi i numeri voluti. gr. 0,1768 di sostanza diedero gr 0,3542 di CO, e er. 0,1051 di 70 In 100 parti: calcolato per €, HA; 0, trovato x_— — CAO LoL 54,64 JI 6,34 6,65 Il prodotto ottenuto era dunque la salicina. Per accertarne ulteriormente l'identità, ne abbiamo mescolato una piccola prova con uguale quantità di salicina del commercio fondente a 198°. Il punto di fusione delle due sostanze mescolate rimase uguale a quello che avevano separatamente cioè 198°. Per ultimo ne abbiamo fatto anche l’idrolisi coll’emulsina. A tale scopo, circa mezzo grammo di sostanza venne sciolto in 50 c. c. d’acqua, fu aggiunta emulsina e si lasciò in riposo per tre giorni. Si estrasse quindi con etere fino a completo esaurimento. Il resi- duo venne seccato nel vuoto e pesato, quindi cristallizzato dal benzolo. Fu idenvficato per saligenina; dava infatti le reazioni caratteristiche di questa sostanza e fondeva a 86°. gr. 0,4734 di sostanza diedero gr. 0,2088 di saligenina. (1) Beilstein, 3.% edizione, vol. 3, pag. 608. (2) Berichte, vol. 14, parte 1.%, pag. 304 (1881). LMR In 100 parti: calcolato per €, 4, O. trovato nr —‘—escs——>y-”-.55—"@ar . 1 Cb ek. (0), 43,35 43,05 L'altro prodotto dell’idrolisi è il glucosio che fu identificato per mezzo del fenilgluco- sazone. Il liquido acquoso, che era stato esaurito con etere, venne concentrato a bazno maria e filtrato; vi si aggiunse quindi in eccesso l’acetato di fenilidrazina e si riscaldo per un’ ora a bagno maria. Si separarono abbondantemente dei cristalli gialli, che dopo dodici ore vennero raccolti su filtro. Fondevano a 205°-206° Il punto di fusione del fenil- glucosazone dato dagli autori è 205° (1). In questo modo crediamo di aver provato col maggior rigore che inoculando nel mais la saligenina, parte di questa viene trasformata nella piania in un glucoside che è identico alla salicina. Vogliamo aggiungere che abbiamo iniziato alcune esperienze per vedere se la sintesi della salicina e anche di altri glucosidi avviene soltanto nelle piante viventi, oppure se può essere prodotta anche dalla poltiglia che si ottiene triturando !e piante di mais. Qual- che saggio preliminare ci fa credere che la sintesi possa avvenire anche in quest’ ultimo caso. In questa lunga e laboriosa ricerca ci hanno prestato efficacissimo aiuto i dottori Gino Cacciari e Mario Tonegutti ai quali ci e erato esprimere i nostri sentiti ringraziamenti. (1) Beilstein, 3.* edizione, vol. 4, pag. 792. Bologna, aprile 1909, SERIO Roe DEE FOSSI DEL | Ib/SFOKGEOLOGICO. DI BOLOGNA NIE NE DIEZIESA DEL ProfisiScn gi GIOVANNECAPETISIENI (letta nella Sessione del 28 Marzo 1909) (GON DUE TAVOLE) In questi ultimi anni la bella collezione delle Cicadeoidee dell’ Istituto geologico di Bologna ha potuto arricchirsi a tal segno che oggi i paleofitologi la riconoscono come la più importante in Europa, non solamente per |’ interesse particolare di taluni esemplari raccolti nell’ Emilia, ma altresì per quelli splendidi provenienti dalle ormai classiche regioni dell’ America settentrionale. A vantaggio, pertanto, degli studiosi e per incoraggiare i geologi nostri a rivolgere in modo particolare la loro attenzione a queste interessantissime piante fossili, ho divisato di far conoscere quanto già si trova nella nostra collezione, persuaso di potere presto re- gistrare altri esemplari trovati in posto od erratici, ovvero scoperti e riconosciuti confusi insieme ad altri litossili in private raccolte di curiosità naturali. Anche nella storia della scoperta delle Cicadee fossili e delle prime descrizioni che ne furono pubblicate, l’ Italia e i naturalisti bolognesi vanno ricordati per primi. Il tronco di Cicadeoidea da più antica data raccolto e tenuto in conto, è incontrasta- bilmente il nero sasso bucherellato, che insieme ai grossi ciottoli per la maggior parte di arenaria, dagli Etruschi per ornamento e per rito collocati sulle tombe nella necropoli di Marzabotto, fu trovato sovr’una di quelle arche formate con lastre di travertino scavate dal 1867 al 1869 sotto la direzione del Conte Gozzadini e, insieme agli altri ciottoli rimarche- voli per forma dimensione o altrimenti (1), venne ammonticchiato in un angolo del Museo Aria. Il professore Giuseppe Bianconi visitando quel museo nel 1878 adocchiò il 2270 sasso e sospettando che si trattasse di un tronco di Cicadea fossile, me ne riferì; ond’ io, per (1) Gozzadini G.: Di ulteriori scoperte nella antica Necropoli a Marzabotto nel Bolognese. — Bologna, lip. Fava e Garagnani, 1871. Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 16 mezzo del dottor cav. Silvestrini fattane richiesta al signor conte Pompeo Aria, subito lo ottenni per il museo di Bologna. Catalogato quello splendido esemplare come specie nuova, col nome di Oycadeoidea etrusca, per la prima volta ne feci menzione nel gennaio del 1890, annunciando la sco- perta dell’incomparabile e prezioso esemplare raccolto in posto dal conte Francesco Massei presso la sua villa di Ozzano, negli ultimi giorni del novembre 1889, esso pure distinto come specie nuova riferita, allora, al genere Rauwmeria (1). Fatte eseguire sezioni sottili della porzione corticale delle basi delle foglie, del midollo, del vamentuni e delle fruttificazioni, i resultati dello studio faitone furono pubblicati nel 1890 nella Memoria elaborata insieme col conte prof. Solms Laubach. L’ esemplare è evidentemente porzione mediana d’ un tronco, di cui non è possibile di indovinare l’ altezza primitiva ma che doveva essere colossale. L° altezza del tronco assai bene conservato, compatto, omogeneo e di color nero intenso è di m. 0,210: la sezione ira- sversale ovale con diametro maggiore m. 0,355, diametro minore m. 0,260, il corpo mi- dollare è quasi rotondo, il peso circa chilogr. 51. Attualmente l’ esemplare si trova sezio- nato verticalmente nel senso del diametro minore e trasversalmente ne fu pure tagliata una porzione di m. 0,050 di grossezza che sezionata poi in diverse direzioni ha fornito le istruttive preparazioni microscopiche che si conservano nel museo di Belogna insieme ai frammenti dai quali sono state tagliate. Per la generosità del conte Solms Laubach il Museo di Bologna possiede quasi tutte le splendide sezioni che il dotto botanico fece eseguire a Gottinga e cioè: 1) Una sezione radiale del tronco nella quale è ammirabile la bella conservazione della struttura del midollo e del legno, mm. 50 X mm. 16. 2) Altra sezione trasversale maggiore della precedente mm. 50 X 25. 3) La splendida sezione longitudinale della gemma fioreale che è figuraia ingrandita nella tav. IV della Memoria Solms e Capellini. Im questa preparazione sì vedono le antere e il Solms vi scoprì per primo, i grani di polline. 4) Sezione trasversale di gemma fiorale, Tav. I, fig. 6, nella quale non solamente si può vedere quanto alle gemme sezionate si riferisce, ma eziandio si può studiare quanto riguarda le basi delle foglie, il ramento ed altro. Altre tre sezioni trasversali 5, 6, 7, ana- loghe alla precedente sono approssimativamente: mm. 60 >» 40. Se possiamo vantare che il famoso tronco di ©. etrusca fu il primo che venne rac- colto dai Naturae Curiosoruni della prisca gente che dimorò sulle sponde del piccolo Reno, non possiamo dire che quel prezioso esemplare sia stato riconosciuto prima del 1878, nè che menzione alcuna ne sia stata fatta anteriormente al 1890. Ben altrimenti possiamo affer- (1) Capellini G.: Zertyosaures campylodon e Tronchi di Cicadee nelle argille scagliose del- l’ Emilia. Mem. della R. Accademia delle Scienze di Bologna, Serie IV, Tomo X, 1890. (2) Capellini e Solms Laubach: I tronchi di Benettitee dei musei italiani. Notizie storiche geologiche, botaniche. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Bologna, Serie V, Tomo II — Bologna, 1892. mare per l’altro tronco raccolto nell’ estate del 1745 nel Rio della Cavaliera sotto Castel de’ Britti, poco distante dalla villa del conte Ippolito Giuseppe Grati e da questi comunicato poco dopo per studio a Giuseppe Monti. Lo strano sasso fu a prima giunta ritenuto una grossa pigna artificiale che un tempo avesse servito per ornamento edilizio nell’ antica Quaderna o a Pieve di Pasto; ma il Monti, fin da principio, opinò che si trattasse di un fossile animale. Ben altrimenti opinava il Beccari al cui giudizio il Monti aveva sottoposto la curiosa pietra ; esso infatti riteneva che dovesse riferirsi piuttosto ai vegetali; però dopo lunghe discussioni avute col collega egli pure convenne che si trattasse di animali marini petrefatti. L’esem- plare era un poco ferruginoso e pesava trenta. libbre bolognesi, ossia poco più di chg. 10; vi fu quindi chi sospettò perfino che fosse semplicemente un blocchetto di minerale di ferro. Il Monti frattanto non solo sostenne la sua opinione, ma si sforzò di dimostrare che si trattava di bdalani, di natura particolare per la forma, pel modo di aggruppamento e per la loro fossilizzazione in gran parte silicea anzicchè calcarea come gli ordinarii balani. Il Monti aveva presentato il. fossile all’ Accademia nella seduta del 4 febbraio 1746 e il 3 novembre dello stesso anno lesse la Memoria dal titolo: « Lapideorun balanorwuim insigris Congeries ». Di essa 18 marzo 1748 fu decretata la stampa e fu quindi inserita nel Vol. III dei « Commentarir » pubblicati nel 1755. Trascorsero molti anni senza che alcuno più menzionasse il raro fossile, e solamente Calindri nel suo « Dizionario corografico » parlando del Museo Grati a Castel de’ Britti descrisse minutamente la minerale piritica imole raccolta nel Rio Cavaliera; esclude che possa trattarsi di balani fossili, ritiene che piuttosto si abbia a considerare come un am- masso di piante marine che indica col nome di gariofilliti, aggiunge che meritava l’ at- tenzione dei Naturalisti e che sarebbe stato opportuno di averla nell’ Istituto delle Scienze per essere più a portata dei dotti bolognesi ed esteri. Concludeva che forse era l° esem- plare unico, rel suo genere, che allora arricchiva i musei di Europa. E il Calindri aveva pienamente ragione: se non indovinò con quali piante poteva con- frontarsi lo strano sasso, ne indovinò | origine vegetale, ebbe cura di. darne misure esatte e più minuta descrizione, e se il suo consiglio fosse stato esaudito e /o strano sasso fosse stato nel Museo dell’ Istituto invece che in una privata raccolta di antichità e oggetti cu- riosi, la preziosa Cycadoidea sarebbe oggi ammirata nella ricca collezione del Museo geo- logico di Bologna. Non tornerò qui a deplorare che, dopo il Calindri nessuno essendosi interessato dello strano sasso per più di un secolo, ogni mia ricerca per ritrovarlo sia riescita vana. Solamente non so comprendere come la memoria del Monti, con la splendida ficura del Lelli non abbia attirato l’ attenzione del Ranzani, sia quando il Buck- land nel 1826 passando per Bologna lo intrattenne sulle Cicadee fossili e gli regalò disegni di alcune delle sue memorie, sia quando qualche anne dopo ebbe ad interes- sarsene. Ormai sono lietissimo, di essere riescito ad assicuraro a Bologna e ai natura- listi bolognesi la prima scoperta e la prima illustrazione di un tronco di Cicadea fossile che gia nel 1890 feci conoscere col nome di Cycadeoidea Montiana. MIRATI Il volume secondo del Dizionario del Calindri in cui tratta di Castel de’ Britti e din- torni, fu pubblicato nel 1781 (1). Ed ora seguendo |’ ordine cronologico delle scoperte, ricorderò il ironco di Cicadea trovato tra i sassi del fiume Reno e che il Ranzani riconobbe dopo la pubblicazione della prima Memoria del Buekland sulle Cicadeoidee dell’ Isola di Portland. La prima illustrazione di quel ciottolo fu fatta dal Ranzani il 26 maggio 1836 e si trova nel Tomo II dei Nuovi Commentarii che fu pubblicato tre anni dopo. Era la prima Cicadea fossile che era riconosciuta in Italia e confrontata con quelle già illustrate da Buckland coi nomi di Cycadevidea megalophylla e C. microphylla, fu distinta col nome di C. intermedia che ancora conserva. L’ esemplare fisurato già dal Ranzani in grandezza naturale e da me a due terzi del vero nella memoria pubblicata col conte Solms-Laubach, fu sezionato in diverse dire- zioni per studiarne le particolarità organiche e istologiche. Nella figura 2 della Tav. II è rappresentata una bella sezione attraverso la corazza ingrandita due volte. Nel museo di Bologna si conservano pure: una sezione sottile trasversale del tronco, una sezione radiale dello stesso e i frammenti dai quali furono tagliate. Fu risparmiata la porzione del tronco che trovasi a sinistra nella figura pubblicata dal Ranzani e disegnata e un po’ abbellita dal bravo preparatore Bettini. Nella sezione dall’ alto in basso del tronco fu risparmiata la bella gemma fiorale che si vede verso la base del ciottolo. Un modello dell’ esemplare fu eseguito prima che fosse sezionato. Della Cycadeoidea Scarabellii trovata nel Santerno presso Imola dieci anni dopo la pubblicazione della Memoria del Ranzani e per la prima volta illustrata dal professor Meneghini e riferita definitivamente al genere Marzellia (2), avendo avuto in comuni- cazione la metà che si trova a Pisa e l’altra metà che è conservata nel museo d° Imola ho potuto ricostruire il modello dell’ esemplare intero. (1) Interessante è la storia della scoperta dei tronchi di Cicadee fossili in Europa e in America, e dei primi riferimenti e confronti secondo la loro apparenza e i paesi ove furono raccolti. Il primo esemplare trovato nel Bolognese nel 1745 fu giudicato riferibile a dalani e poscia a piante marine. IL’ esemplare di C. Reichenbachiana raccolto presso Lednice in Galizia nel 1753, e man- dato a Dresda ove ancora si trova, fu allora creduto da alcuni pianta marina, da altri nido di ani- mali marini, sommità d’ una palma. Gli esemplari con la sommità distrutta e incavata provenienti dal Purbeck di Portland sono conosciuti dai cavatori sotto il nome di nidi di corvi (Cows nests): altrove e principalmente in Ame- rica i tronchi di Cicadee fossili furono giudicati alveari e nidi di vespe fossilizzati, coralli, balani, sto- machi di ruminanti, confrontandoli con quella parte che si indica col nome di reticolo; furono raccolti come oggetti curiosi e guardati con superstizione Wieland riferisce che i superbi esemplari ramificati scoperti nelle Colline nere (Black Hi0ls) nel Dakota, America settentrionale, erano conosciuti sotto il nome di Cacti perchè la gente rozza li confrontava con i piccoli gruppi di Melorn Cactus che si trovano nelle colline ove quelle Cicadee sono scavate. (2) Meneghini G.; Nuovi fossili toscani. In Appendice alle Considerazioni sulla Geologia strati grafica ‘l'oscana Annali dell'Università Pisana, Vomo III — Pisa 1853. — 125 — L'originale fu sezionato verticalmente nella direzione del diametro maggiore della base ovale del tronco e da quella sezione sì può avere una idea grossolana di ciò che sì potrebbe osservare in una bella sezione radiale. Dalla metà che è nel Museo d’Imola lo Scarabelli permise che si avesse un frammento per una sezione sottile della corazza che si conserva nel museo insieme all’ avanzo del frammento stesso unitamente al modello della metà dell'esemplare dal quale fu tratto. Quando il Meneghini pubblicava la Cycadeoidea (Mantellia) Scarabellii, già il na- turalista entomologo Pirazzoli nel 1850 aveva raccolto altro esemplare di Cicadea fos- sile nel torrente Correcchio pure nell’ Imolese e nel torrente Samoggia era stato pure tro- vato altro esemplare di Cicadea fossile che il prof. Bianconi potè acquistare per il mu- seo di Storia naturale di Bologna. Se non che il Pirazzoli non aveva comunicato ad alcuno lo strano sasso del Correcchio, ed il prof. Bianconi conservava nella collezione di rocce e fossili del Bolognese, l’ esemplare del torrente Samoggia, indeterminato e senza alcuna indicazione dell’anno in cui era stato trovato e da chi era stato raccolto. Dopo la pubblicazione del Meneghini, lo Scarabelli e il Massalongo si inte- ressarono dei tronchi di Cicadee fossili e, fino dal 1856 ne fecero trarre disegni da servire alla illustrazione degli esemplari che intanto distinsero coi nomi di Pirazzoli e Bian- coni. La morte rapì il Massalongo nel 1859 prima che quel lavoro fosse cominciato e restarono i soli disegni che lo Scarabelli mise a mia disposizione nel 1890. L’esemplare della C. Pirazzoliana in forma di cono di Pino alto m. 0,210, fu sezio- nato perpendicolarmente per lo studio che il Massalongo intendeva di farne; una delle metà fu ceduta al museo di Bologna ove se ne conservano i resti e le sezioni sottili ra- diale e trasversale che nel 1889 ne furono fatte per lo studio microscopico. Parecchi fram- menti non sono stati trovati e si ritiene che siano andati perduti tra le collezioni del Massalongo. Il Museo di Bologna possiede pure un perfetto modello della metà del- l’esemplare rimasto nel Museo d’ Imola. La Cycadeoidea Bianconiana, così denominata da Massalongo e Scarabelli, esi- steva sconosciuta e indeterminata nella collezione di rocce e fossili del Museo di Bologna; la conobbe lo Scarabelli nel 1853 e l’ebbe per studiarla e farne un modello; il Bianconi potè soltanto informare che quel fossile era stato raccolto nel torrente Samoa gia. È un bel frammento della corazza di un tronco assai male conservato, alto m. 0,135. Dalle sezioni sottili che ne furono fatte nel 1889, una delle quali si conserva nel Museo di Bologna, nulla potè ricavarsi di particolarmente interessante. Il conte Solms- Laubach la ritiene affine alla €. Maraniana. Quando nel 1860 mi furono affidate le collezioni spettanti alla geologia e paleonto- logia, trovai soltanto la Cycadeoidea intermedia descritta dal Ranzani e la C. Bian- coniana Mass. e Scarabelli in litteris; inoltre un modello della Manzellia Scarabeltii studiata dal Meneghini, altro della metà della €. Pirazzoliana, neppur colorito. Final- mente un brutto modello della €. Veronensis, Mass., scoperta due anni prima nel mu- ricciuolo del giardino Feruzzi-Malagnini a Verona e di ignota provenienza. L’esemplare che facilmente si può indovinare proveniente dal titonico si conserva nel museo di Verona, ma avutolo in comunicazione per studio, nel 1889 ne furono fatte se- zioni sottili dalle quali si può rilevare assai bene la struttura delle basi fogliari, dei ra- menti, dei fasci vascolari (sez. N. 15) e di altre particolarità di quel frammento di co- razza abbastanza ben conservato e parzialmente silicizzato. Solamente nel 1869 un contadino di cui sono dolente di non averne chiesto il nome, mi recava una strana pietra che aveva raccolta nel letto dell’ Idice e che supponeva po- tesse interessarmi per il museo geologico. Non esitando a riconoscere che si trattava di un framento di corazza di un tronco di Cicadeoidea, acquistai l’ esemplare per poche lire e, col solo nome generico Cycadeoidea, fu per venti anni nella collezione dei litossili del Bolognese. Quel bel frammento di corazza, con scarsi avanzi dell’ anello libro legnoso, offre ancora due belle semme florifere, mentre altre tre mancano ed hanno lasciato i vuoti rispettivi, due sul lato sinistro del frammento ed uno alla estremità del lato opposto. Nella tav. II fig. 4 della Memoria Capellini-Solms l'esemplare è rappresentato, !4, del vero, come se fosse coricato con la base sul lato sinistro; ho calcolato che questo tronco se fosse stato intero avrebbe avuto circa m. 0.30 di altezza con una base, pel cui diametro maggiore ho potuto calcolare m. 0,24 e pel diametro minore m. 0,19. Da questo esemplare furono tratte alcune delle importanti lamine sottili per lo studio col microscopio, ed ho conservato al loro posto i frammenti tagliati a tal fine e rispar- miati. È questa Cycadeoidea una forma ben distinta e della quale nell’ Emilia già sono stati raccolti parecchi altri esemplari dei quali dirò brevemente; al collega Solms-Laubach piacque distinguerla col nome di C. Capelliniana. Un esemplare di questa stessa specie trovato a Pavullo presso Casina fu acquistato pel Museo Civico di Reggio il 2 febb. 1874. Altro esemplare intero raccolto a Vallestra sulla destra del Tresinaro lo ebbe pure il Museo di Reggio nel luglio del 1875; quesito a differenza dell’altro ha base sensibilmente ovoidale. Di entrambi il Museo di Bologna pos- siede modelli, metà degli esemplari e bellissime sezioni sottili per lo studio microscopico. Dal torrente Tresinaro provennero altri due esemplari che furono acquistati dall’ abate D. Ferretti e che ora sì trovano, coi precedenti, nel Museo di Reggio Emilia. Sì tratta di due porzioni di tronchi; uno alto appena m. 0,095 a sezione sensibilmente ovale con un diametro maggiore m. 0,185, diam. minore m. 0,145, l’altro alto m. 0,115 con sezione trasver- sale meno ovoidale del precedente e il cui diametro maggiore è m. 0,130, diametro mi- nore m. 0,110. D' entrambi questi esemplari il Museo di Bologna possiede le bellissime sezioni sottili che servirono per studiarli convenientemente e riconoscerli come nuova specie; inoltre ne feci cavare modelli perfetti prima che fossero sezionati. È desiderabile che tutto questo prezioso materiale possa un giorno trovarsi riunito nel Museo di Bologna il quale, anche per questi litossili, non può temere di restar secondo a nessun altro in Europa. — 127 — Nel Museo della R. Università di Parma ho pure riconosciuto una bella porzione di corazza della quale potei procurarmi un buon modello per la collezione del Museo di Bologna. È un frammento di tronco in forma di anello perchè la porzione midollare andò completamente distrutta; vi resta un poco della pozione libro-legnosa. L'anello è di forma ovoidale, il suo diametro maggiore è m. 0,175, il diametro minore 0,120, nella porzione meno sciupata è alto appena m. 0,080 e vi si osserva una gemma. fiorifera o infrutte- scenza come sono anche dette cotali gemme. Anche quell’ esemplare va riferito alla 0. Capelliniana e disgraziatamente nulla si può aggiungere sul suo giacimento, perchè si trovava nella collezione con la sola indicazione che era stato raccolto nel Parmense. Bellissime preparazioni di lamine sottili per lo studio col microscopio fanno parte della ricca collezione del Museo di Bologna (N. 16-23) insieme coì frammenti dai quali furono tagliate. Le più importanti si ottennero dall’ esemplare dell’ Idice. Nella tavola II, fig. 1, si ha una bella sezione trasversale di una porzione del tronco di questa Cycadeoidea ingrandita due volte; essa permette di apprezzare sufficientemente i caratteri del midollo, del cilindro fibro-legnoso e della corazza. Da sezioni più sottili me- glio si ricavano le particolarità istologiche delle foglie e del ramentwn. Della Cycadeoidea Cocchiana raccolta nel 1869 nel torrente Marnia in Valdarno e poco dopo illustrata dal prof. Caruel, il Museo possiede un buon modello del tronco e della grande sezione trasversale che fu comunicata al prof. Solms nel 1889 e dalla quale fece tagliare le lamine sottili pel microscopio che in seguito donò al Museo di Bologna ove si trovano segnate coi numeri 24, 25, 26, 27. Un superbo esemplare di Cycadeoidea che per la forma ricorda la C. Scarabellii fu scoperto nel 1875 nel vecchio muro di una chiavica presso Castel S. Pietro e donato al Museo d’Imola. Il senatore Scarabelli fece sezionare la colossale Cycadeoidea e riconosciu- tone i caratteri esterni del tipo Bernettites la distinse col nome di 5. Maraniana in onore dello scopritore sig. Ing. Marani. Di quel tronco sezionato longitudinalmente nella dire- zione dell'asse maggiore della sua base ovoidale si conserva una metà nel Museo d’Imola; l’altra metà insieme col modello dell’ intero si trova nel Museo di Bologna. Avutolo in comunicazione per uno studio accurato, ne furono tratte parecchie sezioni sottili per illustrarne le semme fiorali, la corazza, le foglie, il legno e queste si conservano nel Museo di Bologna (N°. 28-34) insieme a frammenti dai quali si potrebbero ottenere altre sezioni. Nella tav. I, fig. 4 è rappresentata la bella sezione sottile (N. 30) ingrandita quattro volte. In essa sì vede una notevole porzione di gemma florifera avvolta da brattee e ramento, non però abbastanza sviluppata per poter vedere quanto fu osservato nella splendida gemma florifera della C. etrusca. Nel 1889 altro esemplare di Cycadeoidea fu trovato nel torrente Correcchio di fronte al podere Belpoggio e da noi fu riconosciuto riferibile esso pure alla Cycadeoidea Mara- niana. Per lo stato di conservazione questo esemplare ricorda la C. Pirazzoliana ed — 128 — il sen. Scarabelli opinò che anch’ esso fosse precipitato dal conglomeramento quater- nario di Montiecino e Belpoggio; ciò che non contrasta con la sua possibile provenienza dal giurassico superiore o dal eretacico inferiore. Si tratta di porzione della corazza di un grosso tronco rotto superiormente e inferiormente, di cui metà fu donato al Museo di Bologna; da questo sezionato anche trasversalmente, furono fatte le sezioni sottili per lo studio col microscopio e di esse pure se ne onserva una bellissima nella nostra collezione CONS: Il frammento è alto m. 0,230 e dalla sezione si ricava che la corazza ha una gros- sezza di m. 0,120; ho calcolato che | intero tronco doveva avere approssimativamente le dimensioni dell’ esemplare trovato presso Castel S. Pietro e cioè doveva essere alto circa m. 0,400. L’abate D. Antonio Ferretti, già ricordato per gli esemplari di Cycadeoidea Ca- pelliniana da esso raccolti nel torrente Tresinaro, fino dal 1879 aveva raccolto presso Mon- tebabbio, un frammento di Cycadeoidea da esso ritenuto così poco importante che neppure ne aveva fatto menzione parlando di altri tronchi di Cicadee fossili. Quel frammento logorato e coperto d’ una crosta calcareo-arenacea, esaminato dili@en- temente e sezionato in più direzioni apparve con le sezioni sottili meritevole di particolare attenzione per la sua struttura benissimo conservata. Una particolareggiata descrizione ne fu data altra volta dal conte Solms-Laubach nella Memoria Capellini e Solms già più volte citata e ritenuto che s’ avesse a distinguere tra quante allora se ne conosce- vano fu proposto come nuova specie, Cycadeoidea Ferrettiana, in onore dello scopritore. Nulla aggiungerò a quanto è già stato detto anche per la particolarità delle foglie, dei ramenti e delle incerte gemme fiorali e mi limiterò a ricordare che quell’ interessante porzione di tronco, le sezioni fatte per cura del conte Solms ei frammenti relativi fanno parte della collezione del Museo di Bologna. Già nel 1890 narrai della scoperta di notevole porzione della corazza di un tronco assai grande di Cicadea rotto alle estremità, proveniente dalle argille scagliose tra Ozzano e Settefonti. Limitandomi allora ai caratteri esterni e confrontato il superbo esemplare con la maggior parte di quelli illustrati da Carruther, Saporta ed altri, pensai di riferirlo provvisoriamente al genere Raumeria, proponendo di riconoscerlo come specie nuova da- distinguersi col nome dello scopritore sig. conte Francesco Massei: Raumeria Masse- iana(1). Il conte Solms-Laubach, fatta eseguire una bella sezione sottile per uno studio particolareggiato, si limitò poi ad accennare le dimensioni della sezione trasversale delle basi fogliari e la ricchezza di canali gommiferi nel tessuto ben conservato, avvertendo che. essendo ì ramenti assai male conservati, riesciva difficile di stabilire con sicurezza se cor- rispondevano meglio a quelli della €. etrusca o a quelli della C. Maraniana. (1) Capellini G.: Ichtyosaurus campylodon e tronchi di Cicadee nelle argille scagliose del- l Emilia. Mem. della R. Acc. delle Scienze di Bologna, Serie IV, Tomo X — Bologna 1890. — 129 — La fig. 5 della tav. I, rappresenta ancora ingrandita due volte una bellissima sezione trasversale della corazza, che permette di apprezzare discretamente i caratteri sopra accennati. Lester Ward, dopo la sua visita a Bologna espressamente per ammirare la già ricca colleziene delle Cicadee fossili, rendendo conto di una escursione fatta in mia com- pagnia per studiare il giacimento della ©. Masseiana e confrontare le argille nostre sca- gliose con le argille Wealdiane d’ Inghilterra e la formazione americana del Potomac, si limitò a riprodurre dalla mia prima memoria la figura della Cicadea dei dintorni di Oz- zano, accennando alle abbondanti gemme florali in parte sporgenti dalla superficie della corazza (1). Nell’ importante pubblicazione sulle flore mesozoiche degli Stati Uniti, in collaborazione con Fontaine, Wanner e Knowlton, il Ward trattando delle piante del Giurassico descrive accuratamente un tronco di Cycadeoidea trovato da Knowlton nel 1896 presso il prof. Jenney che lo aveva avuto da certo Alden Smith, il quale pare lo avesse scoperto in occasione di scavi per lavori ferroviari presso da nel Colorado. L’esemplare fu anche figurato dal Ward, ma della sua intima struttura nulla potè dirne perchè il suo stato di conservazione non si prestava abbastanza per le sezioni sot- tili; quanto al giacimento, ciò che importa molto, ebbe a notare che per la Cicadea del Colorado la età giurassica era alquanto dubbia, mentre era sicura per i tronchi prove- nienti dal Wyoming coi quali fondava il genere Cycadella (2). Quella unica porzione di tronco riferita al genere Cycadeoidlea per il suo colore inten- samente nero che rese anche difficili le sezioni pel microscopio fu indicato col nome di C. nigra ed è senza dubbio, fra tutte le Cycadeoidee americane, la sola che si possa con- frontare, anzi starei per dire da confondersi con la €. Masseiana, se non altro come varietà. Ma poichè la nostra Cycadeoidea veniva distinta come specie nuova fino dal 1890, la specie C. nigra del Colorado dovrebbe esserne soltanto sinonimo. Wieland trattando delle Cicadee fossili americane si interessò in modo particolare dell’unico esemplare di Cycadeoidea nigra, Ward dei dintorni di Boulder (Colorado) rife- rito dubitativamente al Giurassico superiore e, pei caratteri microscopici, pensò che forse la C. nigra, la C. Unhleri del Potomac del Maryland e la C. Masseiana potessero identificarsi specificamente (3). Per la C. nigra il Wieland ha potuto fare interessanti osservazioni sulla distribu- zione dei fasci alla base delle foglie, confrontando e notando le differenze con altre specie ma, per ora, per mancanza di opportune sezioni non ho potuto ripetere con la stessa pre- cisione analoghe osservazioni per la C. Masseiana; tuttavia sono evidenti e indubitabili eli stretti rapporti fra la Cicadea del Colorado e questa del Bolognese. (©) Ward Lester F.: Some Analogies in the lower Cretaceous of Europe and America. An- nual Report of Survey, 1894, 95, Part. I — Washington 1896. (2) Ward Lester F.: Status of the Mesozoic Floras of the United States. First Part: The O1l- der Mesozoic. Washington 1900. (3) Wieland G. R.; American fossil Cycads. Carnegie Institution of Washington, 1906. Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 17 — 130 — Per quanto riguarda i caratteri esterni aggiungerò alcune considerazioui sulla forma presunta del tronco, sue dimensioni, forma delle foglie, gemme ed altro. a Cycadeoidea Masseiana è porzione di un tronco gigantesco che probabilmente doveva essere alto circa un metro; rotto inferiormente e superiormente ne resta un frammento alto m. 0,585. Spaccato longitudinalmente nel senso del diametro minore della base, ossia attraverso le faccie maggiori, le figure fin qui pubblicate ne rappresentano la corazza per- fettamente conservata vista da uno dei lati minori del tronco. Quel lato minore apparisce restringentesi egualmente verso le due estremità del tronco a motivo di deformazione avve- nuta quando } esemplare si spezzò ed era marcito in parte, prima della fossilizzazione. In- fatti esaminando la parte interna, ossia il lato spezzato si trova che una parte della co- razza lungo il margine della frattura si era ripiegata sopra quella porzione del midollo che non era ancora scomparsa ma che doveva essere sensibilmente marcia. Riconosciuto il diametro minore della porzione non deformata eguale a m. 0,310 ho istituito alcuni confronti con esemplari di C. Capelliniana non deformati ed ho calcolato che il diametro del lato maggiore doveva essere di circa m. 0,380, i quali numeri si ac- cordano proporzionalmente con quelli riscontrati da Ward nella sua €. wigra. Rapporti analoghi si riscontrano negli angoli delle spirali tracciate dalle basi delle foglie e pari- menti nelle numerosissime gemme fiorali alla sinistra delle foglie e che in parte si mo- strano sporgenti sulla corazza. Quanto al modo di fossilizzazione basterà notare che è pre- valentemente silicea in parte calcedoniosa con traccie di pirite come fu osservato dal Monti per l’ esemplare di Castel de’ Britti. Apparentemente nera come parecchi esemplari di C. Capelliniana e assai meno nera della 0. Etrusca: e le sezioni sottili riescirono chiarissime. Un piccolo e assai male conservato frammento di corazza di Cycadeoidea pare che fino dal 1886 fosse stato raccolto dal signor Carlo Ponci nolle argille scagliose di Me- desano parmense. L’ esemplare esaminato per la prima volta dal prof. Sacco fu da esso descritto e confrontato con diverse specie raccolte nel Bolognese, però ritenendo di non poterlo rife- rire ad alcuna delle specie note lo considerò quasi come specie nuova (1). Il proprietario signor Ponci mi comunicò, in seguito, quel frammento di corazza e la esatta indicazione d’ averlo raccolto a villa S. Andrea in località detta Su/do del Rio Scalserino; ne feci cavare un buon modello e, senza poterlo sezionare perchè dovevo restituirlo allo scopritore, potei convincermi che si trattava semplicemente di piccola por- zione di corazza della C. Masseiana. Per ora nessun altro frammento è stato raccolto in quei dintorni. Nel fiume Santerno presso Imola nel 1875 erano stati trovati due litossili uno dei quali fu donato dallo Scarabelli al Museo di Bologna. Riconosciuti come spettanti a (1) Sacco F.: Contributions è la connaissance des Argiles écailleuses. Bullettiz de la Soc. belye de Gceologie Palcont. et Hydrot. V. VII — Bruxelles 1903. — 131 — Cycadee, il conte Solms-Laubach esitò a riferirli al genere Cycadeoidea e pensò in- vece che almeno provvisoriamente si potessero ritenere col nome di Cycadea. Uno di essi fu anche distinto specificamente col nome di Cycadea Imolensis, pel fatto che negli interstizii delle basi fogliari non racchiude « i ramenti caratteristici del Bennet « fites e Cycadeoidea, ma invece vi si riscontra un feltro di peli unicellulari strettamente « serrati e serpeggianti come nelle ordinarie Cicadee ». La fig. 3, tav. II, rappresenta una bella sezione trasversale (esemplare N. 42) di gemma fogliare e della corazza ingrandita due volte. Questo litossilo è particolarmente interessante e lascia desiderare di trovare esemplari completi dai quali si possano ricavare caratteristiche per avvalorare o infirmare il riferi- mento che ne è stato fatto con qualche dubbiezza. Quanto è detto riguardo a questo esemplare si potrebbe forse ripetere per |’ altro del quale il Museo ne ebbe pure dallo Scarabelli una metà che servì per preparare la splendida sezione trasversale che mostra trattarsi di un bel germoglio. Disgraziatamente qui pure non sì possono osservare caratteristiche particolari per poter fare la determina zione senza esitazione, motivo per cui provvisoriamente ritengo che anche questo esem- plare possa considerarsi affine alla 0. Imolensis. Di questo esemplare si ha pure una splen- dida grande sezione sottile trasversale e un bel modello di una metà che lo rappresenta sezionato longitudinalmente. Dopo avere riepilogato quanto si riferisce alle Cicadee fossili italiane delle quali, per originali, sezioni microscopiche e modelli il museo di Bologna possiede oggi una completa raccolta, enumererò brevemente quanto ancora vi si trova proveniente da località classi- che di Europa e più particolarmente dai celebri giacimenti americani del Dakota. Fino dal 1890, avendo avuto in comunicazione da Washington il piccolo esemplare raccolto da antica data da Hayden presso Golden nel Colorado e descritto da Lesque- reux come Zamiostrobus mirabilis, potei fare eseguire pel Museo di Bologna un per- fetto modello dell’interessante esemplare oggi riferito esso pure al genere Cycadeoidea. Il museo possiede pure un buon modello della Cycadecidea (Platylepis) micromyela scoperta nel 1837 a Tournay-sur-Odon nei Calvados e proveniente, a quanto pare, dal Lias medio. Descritto da Morière nel 1869 ne ebbi il modello da Lignier che lo studiò nuo- vamente nel 1901. Anche del frammento di Cycadeoidea (Bennettites) Morieri, scoperto anch’ esso da Morière nell’ Oxfordiano di Vaches-Noires presso Villers-sur-Mer nei Cal- vados e illustrato pure da Lignier, vi ha un discreto modello. Del frammento di tronco trovato dal Dott. Leason in Luccomb Chine nell'isola Wight, per lungo tempo perduto, ritrovato ed acquistato dal conte Solms-Laubach e tanto bene da esso illustrato nel 1890 (1), il museo ne possiede una bella metà; esso è stato ri- ferito al Bemnettites Gibsonianus di Carr. Il conte Solms, già tanto benemerito della collezione di Benettitee del Museo di Bo- (1) Solms-Laubach Gr.: Ueber die fructification von Bennettites Gibsonianus. Corr. Botani- sche Zeitung, Vol. XLVIII — Leipzig 1890. logna, volle arricchirla anche di notevole porzione di quel prezioso esemplare, e per tal modo anche il celebre giacimento dell’ Isola di Wight vi è assai bene rappresentato. Quando nel settembre 1894 l eminente botanico Lester Ward da New-Haven si re- cava premurosamente a Bologna per vedere la importante collezione di Cicadee fossili e fare meco qualche escursione per rendersi conto dei rapporti che gia avevo segnalato ira le argille scagliose ed il piano cretaceo americano indicato co) nome di Potomae forina- tion, ammirando le splendide fotografie delle numerose Cycadeoidee già allora trovate nel Maryland e nel Dakota meridionale, pensai ad averne qualche esemplare per mezzo di utili cambi coi musei americani. Le energiche assidue ricerche favorite principalmente dal celebre C. Marsh ebbero per resultato la scoperta di molte centinaia di esemplari di tronchi di Cicadee fossili e del loro studio presto cominciò ad interessarsene anche il prof. R. Wieland coi mezzi dei quali poteva disporre presso la Carnegie Institution, e nel Museo di New-Haven. Per la circostanza delle feste Aldrovandiane nel 1907 al Wieland feci speciale in- vito di approfittarne per vedere la Protosphargis ceronensis, che ha così stretti rapporti con l’ Archaelon di cui tanto egli si è occupato, e per ammirare e studiare le nostre Ci- cadee fossili ormai ben note in America principalmente per le interessanti pubblicazioni del Ward. Il Wieland aveva già allora pubblicato il suo classico lavoro American fossil Cycads, pel quale potè disporre di più Gi mille esemplari di tronchi provenienti prin- cipalmente dal South Dakota, dalla vallata delle Black Hills che ne fornì in tal quantità da meritare di essere segnalata col nome di Cicad Valley. Accettato l’ invito e venuto a Bo- logna col proposito di esaminare diligentemente la nostra collezione, gli offri di cambiare alcuni modelli e piccoli frammenti con alcune Cicadee fossili delle Black Hills che deside- ravo di vedere ben rappresentate nel Museo di Bologna. Bologna che possiede la più importante collezione di Cicadee fossili di Europa, meri- tava di avere la preferenza per ciò che il museo di New-Hawen poteva dare in cambio, eil Wieland mi fece vedere alcune fotografie perchè scegliessi intanto un grande e inie- ressante esemplare. D'accordo, la scelta cadde su quello che era notato col N. 138: ma poichè il Wie- land ne ordinava l’invio a Bologna mentre egli partito per lo Spitzberg era ancora as- sente, avvenne che il suo Assistente, per errore, mandava a Bologna l'esemplare N. 158. Questo esemplare del peso di ben 114 chilogrammi riferito alla Cycadeoidea Marshiana proviene dalle Black Hills (South Dakota) da strati ritenuti equivalenti del Wealden; poichè per talune particolarità avrebbe dovuto restare nel Museo di New-Haven, il Wie- land, anche da me avvisato dell’ errore, mi propose che tornasse in America. Dispiacente di dover fare sortire dal museo un così bel tronco di Cicadea che già pensavo di collocare in degna sede, scrissi al Wieland per nuove proposte e da ultimo si convenne che il tronco della C. Marshiana sarebbe stato diviso in due parti, approssimativamente eguali, attraverso le faccie maggiori e longitudinalmente: una delle metà da restare in Bologna e l’altra da tornare a New-Haven. Frattanto il Wieland, secondo la promessa fattami, il faceva partire pel museo di Bologna l’ esemplare N. 158, affine alla C. DaRofensis ma riferito alla C. Wellsti, e parecchi altri interessanti tronchi e frammenti di corazze dei quali dirò tra breve. La pesante cassa coi preziosi fossili arrivava felicemente a Napoli raccomandata agli spedizionieri Gondrand per l’ avviamento a Bologna, ma trascorse alcune settimane dal- l'avviso di spedizione la cassa non era arrivata e non se ne avevano notizie. Dopo minute ricerche e premurose indagini da parte del Vice-Direttore delle ferrovie Comm. Alzona si riescì a scoprire che la cassa invece di fermarsi a Bologna aveva viaggiato fino a Torino e dopo un mese di penosa incertezza ebbi finalmente il piacere di ricevere ogni cosa in buon ordine. La meravigliosa bellezza e perfetta conservazione della C. Welsii che ora si ammira nella collezione del Museo di Bologna (V. Tav. I, fig. 3), varrà a giustificare quanto io sia stato agitato per più settimane temendo che fosse andata smarrita irreparabilmente. Questo esemplare eccezionalmente ben conservato e color bruno rossastro pesa chilogrammi 78,500; ha la forma di una pigna colossale misurando m. 0,550 di altezza con un diametro mag- giore di m. 0,395; diametro minore m. 0,360. La circonferenza a un terzo dell’ altezza dalla base è di m. 1,175; ben distinte le spirali tracciate dalla base delle cicatrici delle foglie piuttosto piccole irregolari; vi st contano ben 32 grandi inflorescenze e inoltre una ne manca verso l'apice ed altra lateralmente e queste sembra siano state staccate non acci- dentalmente ma piuttosto per farne sezioni sottili. La faccia maggiore figurata è la me- glio conservata perchè si trovava sepolta, la faccia opposta è un poco sciupata e coperta di licheni per tutto il tratto che era allo scoperto. Raccolto all’ Est di Minnekahata nel Dakota meridionale ove Enrico F. Wells ne trovò parecchi esemplari insieme a nu- merosi tronchi di altre Cycadeoidee acquistate da Marsh per il Museo di Yale College a New-Haven, fu dal Ward nominata in onore dello scopritore: C. WWe2lsii. L’esemplare di Cycadeoidea segnato col N. 158 (2445 Da) e che per errore era stato spedito a Bologna invece del N. 138 era stato determinato dal Wieland come €. Min- nekahtensis; ma in seguito mi avvertiva doversi riferire alla C. Marshiana. Questa colos- sale Cicadeoidea che pesava 119 chilogrammi proviene da Minnekahta nel Dakota meri- dionale ed è particolarmente interessante perchè ben distintamente si vede come certe specie si ramificano. Sezionata, come d’ accordo col Wieland, longitudinalmente attra- verso le facce maggiori, ne tornerà in America la metà sulla quale )’ illustre paleofitologo sì propone di fare nuovi studi; l’altra metà si ammira nella collezione del nostro museo e pesa chil. 58,500. L’esemplare completamente agatizzato fu, non senza gravi difficoltà, sezionato nella officina del Cav. Venturi in Bologna servendosi della rinomata sabbia di Pesaro, dopo avere sperimentato smerigli discreti, polvere d’acciaio ecc.; la sezione levigata accura- tamente mostra la bella conservazione del midollo, del cilindro libro-legnoso e delle foglie della corazza (V. Tav. I, fig. 2, ‘4, del vero. La fig. I, Tav. I rappresenta l'esemplare prima che fosse sezionato visto per una delle faccie maggiori, ridotto a 4 della grandezza naturale). — 134 — Cycadoidea ingens, Ward. Col N. 561 (2481) unitamente alla C. Marshiana, ebbi un bel frammento di corazza agatizzato di questa specie della quale il museo di New Haven possiede esemplari di quasi un metro di altezza. Il frammento, ora nel nostro imuseo pesa dodici chilogrammi e proviene dalle vicinanze di Black Hawk nel Dakota meridionale. Cycadeoidea Jenneyana, Ward. Frammento di corazza del peso di nove chilogrammi, porta i N. 114 (2418) e, come il precedente, proviene pure dalle vicinanze di Black Hawk (Black Hills Rim). Il giacimento è riferito ad un equivalente del Wealden (Cretaceo infe- riore). Per farsi una idea dei colossali esemplari dai quali provengono i frammenti ora ricordati, basterà accennare che la grossezza di queste corazze è di ben m. 0,150; le cica- trici delle basi delle foglie della ©. ingens hanno un diametro di trenta fino a quaranta millimetri. Nel frammento di C. Jenneyana vi è anche una bella gemma fiorifera. Cycadeoidea protea, Wieland. Un grazioso piccolo esemplare di questa specie, di- stinto col N. 315 (2472) ha un diametro maggiore eguale a m. 0,125; diametro minore m. 0,175; altezza m. 0,075. Il suo peso è approssimativamente di un chilogrammo, il co- lore bruno rossastro; silicizzato come tutti gli altri esemplari sopra ricordati, proviene dal Dakota meridionale e fu raccolto a quattro miglia da Minnekahata. Cycadeoidea Minnekahtensis, Ward. Piccolo frammento di un grande esemplare, ma raccolto come ora si trova; questa circostanza si rileva dai licheni che vi sono aderenti e provano che non fu scavato ma trovato alla superficie del suolo quattro miglia a sud- ovest di Minnekahata nel Dakota meridionale. Nel museo di Yale College era distinto coi numeri 344 (2472); pesa poco più di un chilogramma, il suo colore è bruno scuro. Cycadeoidea Uddeni, Wieland. Piccola porzione di un esemplare color grigio chiaro e che ricorda assai bene la C. Ferrettiana. È un frammento di corazza il quale visto dal lato interno giustifica in parte il nome di rido di vespe col quale talvolta furono indicate le Cicadee fossili. Distinto col N. 805 e con | indicazione di provenienza dal Texas. Nelle fratture e particolarmente attorno le cicatrici delle foglie si scorgono laminette spatiche le quali sospettai essere di celestina. Il prof. Boeris ha esaminato più accuratamente quel minerale ed ha confermato quanto avevo sospettato. Cycadeoidea rhombica, Wieland. Frammento di corazza esternamente limonitizzato ma essenzialmente calcedonioso; pesa poco meno di un chilocrammo ed è notato coi N. 640 (2481); proviene dalle vicinanze di Blackhawk. Cycadeoidea minima, Wieland. Un grazioso esemplare quasi completo. color bruno rossastro e rossastro chiaro, con un diametro di circa m. 0,120, alto circa m. 0.100 e con piccola escavazione nella sommità, per la quale le Cycadeoidee dell’ Isola Wight dai pae- sani furono indicate col nome di Crow wrests, nidi di corvi. Il peso di questo elegante esem- plarino perfettamento silicizzato è di chilogrammi 1,500; è distinto coi N. 140 (2445) e fu raccolto a Minnekahata. Altro esemplarino della stessa specie ma deformato e mal ridotto prima di essere fossilizzato è color bruno giallastro chiaro e porta tracce evidenti di sof- ferta logorazione e di essere stato lungamente esposto all’ ingiuria degli agenti atmosferici. Distinto coì N. 474 (2472) fu raccolto a quattro miglia di distanza da Mirzekahta. — 135 — Cycadeoidea reticulata, Wieland. Frammento di un tronco evidentemente trovato rotto a un terzo circa della sua altezza; un poco sciupato nell’ apice in cui è marcata e profonda la traccia della macerazione che ha dato luogo alla fossetta per la quale come ho detto poco sopra questi fossili nell'Isola Wight furono detti Crow nests. Divisa artificialmente nel senso del diametro minore attraverso le faccie maggiori sì ricava che il diametro maggiore di quest’ esemplare doveva essere di circa m. 0,220 e il diametro minore m. 0,120: la corazza ha una grossezza di m. 0,030. Cycadeoidea Wielandi, Ward. Di questa specie molto interessante ho un piccolo frammento di corazza da cui il Wieland ottenne preparazioni microscopiche le quali rivelarono la splendida conservazione della base delle foglie. Inoltre il Wieland era a Bologna nel giugno 1907 per studiare le Cycadeoidee emiliane, avendo seco un importante frammento di tronco di Cycadeoidea Wielandi che gli aveva servito per preparazioni mì- croscopiche figurate nella tav. XXII della sua opera « American fossil Cycads »; di esso feci fare un perfetto modello che male si riesciva a distinguere dall’ originale. Tanto il frammento originale, quanto la porzione di tronco modellata provengono da Minnekahta. Cycadeoidea sp. ? Nel 1907 il Wieland recava seco in Bologna anche un frammento di corazza di una Cycadeoidea, da esso stesso raccolta ma non determinata, proveniente al solito da Minnekahta. Quella corazza della grossezza di m. 0,080 accenna essa pure a un esemplare di grandi dimensioni, il suo colore bruno rossastro esternamente, come parecchi dei tronchi raccolti nelle Colline nere (Black Hills). La scoperta di un ricco giacimento di tronchi di Cycadee fossili nel Giurassico del Wyoming e precisamente a Freezout Hills nella contea di Carbon, venticinque miglia circa al nord di Medicine Bow nel 1898 fornì a Lester F. Ward la opportunità di fondare un nuovo genere che nominò Cycadella, avuto riguardo alle piccole dimensioni degli esem- plari caratterizzati per molte altre particolarità perle quali vanno distinti dalle Cycadevidee del Cretaceo. Avuto a sua disposizione copioso materiale, il Ward nel 1900 (1) pubblicò una accurata descrizione di venti specie che riferì al suo nuovo genere la cui principale carat- teristica, oltre quella delle piccole dimensioni che non avrebbe valore scientifico, consiste nell’ avere una specie di seconda corazza di cinque a quindici millimetri di grossezza co- stiuita dall’ esuberante sviluppo dei peli del Ramentum. Questo genere del quale, per ora, non abbiamo esempi sicuri in Italia fu dal Ward caratterizzato come segue. Genere Cycadella, Ward. « Tronchi relativamente piccoli, bulbosi, subsferoidali, o subconici, variamente compressi racchiusi in uno strato di denso tessuto, grosso 5-15 millimetri, formato principalmente da ramente paglioso esuberantemente sviluppato dalla (1) Ward F. Lester: Description of a New Genus and Twenty new species of fossil Cycadean trunks from the Iurassic of Wyoming. Proc. of the Washington Acad. of Sciences, Vol. I — Wa- shington 1900. — 136 — base delle foglie e che estrude dalla corazza, ammassato, intrecciato e fossilizzato in modo da costituire una spessa sopra coperta del tronco. Le basi delle foglie che sempre riem- piono le cicatrici, occasionalmente prese in maglie dello strato esterno, ma d° ordinario troncate inferiormente formano con le pareti del vamentum una fitta e grossa corazza di uno a cinque centimetri; ben altrimenti che nel genere Cycadeoidea ». Cycadella Wyomingensis, Ward. Una interessante porzione di tronco di questa specie, segnato col N. 804 faceva parte del secondo invio del prof. Wieland, esso presenta ben distinti 1 caratteri generici e corrisponde esattamente alla descrizione che il Ward ha fatto di questa Cicadea giurassica della quale ebbe a sua disposizione nove esemplari al- cuni del peso di appena quaranta grammi fino ad altri che pesavano dodici chilogrammi. Il suo colore è grigio biancastro e poichè vuolsi tener conto anche del peso degli esemplari, dirò che questo del museo di Bologna pesa chil. 0,570. Cycadella Beecheriana, Ward. Di questa specie dedicata al dottor C. E. Beeche!r che molto si interessò per le Cicadee fossili dall’Wyoming, il prof. Wieland ha pure ar- ricchito il museo di Bologna con un frammento interessantissimo per la splendida con- servazione del Ramentum. Da questo stesso frammento furono tagliate dal Wieland sezioni sottili per lo studio microscopico. Il colore è grigio chiaro come quello della Cyca- della prima menzionata e ricorda alquanto la conservazione della Cycadeoidea Ferrettiana. È importante di notare che questo frammento è parte degli esemplari che hanno servito al Ward come tipi per la nuova specie. La regione classica per le Cycadelle è la Contea di Carbon (Carbon County) e pro- vengono dagli strati a A/Mlantosaurus della formazione Morrison equivalente del Purbeck d’ Inghilterra; il Wieland ne ha riscontrato nel Back Hills fim in un orizzonte relati vamente identico nel quale si trovano insieme agli scheletri dei mostruosi sauriani Baro- saurus, Diplodocus, Morosaurus, Brontosaurus. Il giacimento a Cycadella nelle Black Hills si trova circa cinquanta metri più in basso dell’ orizzonte con Cycadeoidea, in dintorni molto simili a quelli della Contea di Carbon duecento miglia più ad occidente. Sotto questo punto di vista questo genere è di grande importanza e sono lieto che sia bene rappresentato nella nostra collezione e presso il mo- dello del Diplodocus Carnegii. Oltre sessanta sezioni sottili, talune di grandi dimensioni, da studiarsi col microscopio, completano la nostra collezione di Cicadee fossili. Sono particolarmente interessanti quelle delle Cycadeoidea etrusca, C. Pirazzoliana, C. Capelliniana, C. Maraniana, C. Ferret tiana, ©. Masseiana, nonchè una grande sezione trasversale della porzione di un piccolo tronco di Cicadea imolese non specificamente distinta. BINSITIOCA TEA 1746-55. Monti I. De quadam Balanorum Congerie. Comm. Bon. Vol. III, p. 328-175. 1781. 1896. 1880. 1890 1890. 1890. 1590. 1892. 1892. Calindri. Dizionario corografico, georgico, orittologico, storico, ecc. della Italia. Opera della Società corograflca. Montagna e Collina del territorio Bolognese. Parte seconda p. 248-254. Bologna MDCOCLXXXI. Ranzani C. 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La linea A5 indica la direzione della sezione. Sezione longitudinale della C. Marshiana rappresentata a ‘/, del vero. Cycadoidea Wellsii, Ward. - Esemplare del museo di Bologna %, della gran- dezza naturale. Cycadeoidea Maraniana, Scar.- Sezione longitudinale di gemma florale ingran- dita quattro volte. Cycadeoidea Masseiana, Cap. e Solms - Sezione trasversale di porzione della corazza ingrandita due volte. Cycadeoidea etrusca, Cap. e Solms - Sezione trasversale di gemma florale e foglie imgrandita due volte. RAVIOLI 08 Uycadeoidea Capelliniana, Solms - Sezione trasversale del‘tronco ingrandita due volte. (ycadevidea intermedia, Ranz. - Sezione trasversale della corazza ingrandita due volte. Cycadeoidea Imolensis, Cap. e Solms - Sezione trasversale di gemma fogliare ingrandita due volte. | ter at du Ci » hi Li ha priora Hai MaI ‘ ENDIK Di MOENCETE È Di: ben: vr Mem. Ser. VI. Tomo VI. ALZANI E CASTELLI FOT. G. CAPELLINI. Tav. I. ELIOT CALZOLARI 4 FERRARIO-MILANO Mem. Ser. VI. Tomo VI G. CAPELLINI. Tav, I ALZANI E CASTELLI FOT. TEO Pi A È DELI Re b E z iL 110) Tao fit Se j Mem. Ser. VI. Tomo VI. G. CAPELLINI. Tav. lI. ALZANI FOT. ELIOT CALZOLARIR FERRARIO MILANO INFORNO ALLA ” SOÎNIE ” DI SENOFONTE NOTA DEL REP ©HENILONEL© ES ATTIDAG GI (letta nella Sessione del 21 Marzo 1909). Sono sempre state frequenti durante le grandi imprese militari le carestie o le diffi- coltà per i vettovagliamenti che venivano a colpire or l'uno or l'altro degli eserciti combattenti, e ciò particolarmente nell’ antichità per la maggiore difficoltà e scarsazza delle comunicazioni tra paese e paese. Anche nella ritirata dei Diecimila abbiamo uno di questi avvenimenti. Morto il Satrapo di Lidia, Ciro, nella battaglia di Cunaxa (settembre 401), i Die- cimila perdettero tutte le speranze che avevano riposto in lui: intanto un inviato del gran re Artaserse ordinava loro di consegnare le armi a nome di questi. È noto che i greci diedero, per bocca di Clearco, l’accorta e franca risposta che il re an- dasse a prenderle, se le voleva. Essi pensavano di marciare su Babilonia e mettere sul trono uno dei generali di Ciro. In queste contingenze, che furono di alternativa nel loro campo, ma che finirono con la decisione risoluta di avanzare, il re, impaurito dall’appressarsi dei greci, spediva araldi per trattare un accordo. Clearco rispose che prima era necessario combattere anche perchè i greci difettavano di vettovaglie e non sarebbero venuti a patti, senza esserne prima forniti. Così cominciarono le trattative che portarono all’ accordo definitivo, secondo il quale i greci sarebbero ritornati sani e salvi in patria. Fatto l’ accordo, i greci furono condotti a certi villaggi ov’ erano abbondanti le vettovaglie (1). « IHogevépevor dè dpizovto eis xouas 6iev dnédeéav oi ijyeudves haufavew tà Emmjdera. Evijv ve « dè otros m0àds xai ovos powixmr xaì dÉos Eyntòov arò tOv abr@v. abtai dè ai Palavor tOY powizwy (23 x > WE CI, ELI d = (I È) 1 EJ 4 e qu - 1 È) , Sa « ofas uèv #v toîs “ElMmow Eorw îdev toî5 oixétats aréxewto, ai dè toîc deondtars drroxeiuevar Moav « Gndlexto, Bavudoru tod xdllovs xai ueyédovs, i) dé Oyis MAÉXT00v oder diépeoe: tÀds dÉ tWAS , / EJ / x Si x x , c x / x tà > od x « Enoalvovtes toaypijuata aretideoav. xaì iv xai raod sa0t0v où uév, xepalalyèis dé. Evtavba xai « tOV éyzépalov toù qpoivizos mobtov Epayov oi otoati®ta, xa oi mo%loi EDabuacar t6 te eÎd0s (1) Ssvop®rtos Kioov ‘AvaPaos II, 3; 14-16. Serie VI. Tomo IV. 1908-09 19 — 42 — « xai tv ididtgta tijs doris: fv dè ogppdoa zoi tovto zepulalpés. 6 dé pome, bbev #Emoebein 6 « Eyzépalos, 6hos abatvero » (1). Dopo l’ accordo, i greci marciarono, com’ è noto, dai luoghi dove trovarono le yvei- tovaglie verso Est attraverso le pianure della Mesopotamia, finche passarono il Tigri presso la Muraglia della Media non lontano da Babilonia e cominciarono per loro quelle nuove difficoltà nell’ avanzare sulla via Regia che essi tenevano a seguire per il ritorno in patria (2). Il vocabolo « Pomé » è usato dagli scrittori greci più antichi a quelii del periodo bizantino e neo-greco. Con questo vocabolo si intende più comunemente la palma a dattero, ossia la Phoenix dactylifera dei botanici (3). Gia Omero (Od. Z. 163) cita la Domé Ma botanicamente parlando, il primo è Erodoto che dimostra una conoscenza esatta della palma a dattero e della suna dioicità. « ?Etoì dé og poivizes meguxotes dvd adv tÒ mediov, oi mhebves abtbr zaozrogpooo, éz TOv zai cia zai oîvov zai uél roedviaL ToÙs ovxéwv toosmov Weoazevovor td Te dhla zai powizoyv toùs Eocevas “Elhyves xaléovo, tobtmwy TÒv xaoròv smepidéovor tjor Palargpogoor tOv powizoy, va reralv té agi 6 ipy tv falavov Eodiror xai mj) aroooéy 6 zaoròs toù polvizos: wijras ydo dij (nella ediz. di Lipsia: Péoovor) èv td xaorrò oi Fooeves xatd meo oî dhvrdor ». Herod. 1, 193. E in altro luogo (IV. 172) scrisse: « Poivixes E6vtes xagrtopooor », non fodoai (come gpoirizes oi zaprogoogo in Senof. Cyr. VI, 2, 22). Erodoto tiene pomé al maschile (IV, 182): «° Ozmpiedrtes toÙs goinizas, nOn tas. » Le citazioni potrebbero continuare. Hehn peraltro non conosce la palma di Senofonte (4). In quanto ai vini di palma e agli altri prodotti che si possono ottenere con essa, non manca una larga bibliografia in proposito (5). La testimonianza di Senofonte sul vino (1) La Mesopotamia offre eccellenti pasture durante la primavera ed il cominciare dell’ estate, ma poi di- viene arsiccia per difetto di irrigazione artificiale. Quindi, ne’ tempi moderni, presenta, ad un dato periodo, l'aspetto di un piano ricco, delizioso, lussureggiante di erbe e smaltato di fiori, e ad un altro l'apparenza di un arido e nudo deserto. G. L. Bevan: Manuale di Geografia antica, pag. 217. Ma nell'antichità, mercè un sistema di provvide irrigazioni, quella regione era fertilissima e il suolo acconcio alla produzione dei cereali. Gausa la popolazione esuberante nelle città i cereali venivano presto trasportati dalle campagne e sul comin- ciare dell'autunno queste non avevano più che la quantità necessaria per le loro popolazioni. Anche allora la Mesopotamia era rinomata per le qualità e quantità dei suoi datteri. Cfr. G. L. Bevan: 1. e. pag. 222. (2) Senofonte non parla di questa strada la cui descrizione è data da Erodoto, V, 52 e 53. La via Regia conduceva da Susa ad Efeso; aveva stazioni e caravanserai e seguitava quasi la stessa linea che quella moderna fra Smirne e Bagdad, andando lungo l'altopiano centrale dell'Asia Minore, passando | Eufrate probabilmente presso Melitene o più giù a Samosata, e di qui, traversando la Mesopotamia settentrionale, arrivava al Tigri a Ninive e, seguitando lungo il fiume, a Babilonia. (3) Questa gotré, che in Senofonte è chiaramente la palma, non si deve confondere con « Herba etiam quaedam qoòré appellatur », de qua Diosc. 4, 43. Dicitur haec folia hordei habere, sed breviora, spicam lolio similem; et a palmulae maturae colore somen accepisse existimatur. Plin. 22, 25: « Est et herba Phoenicea appellata a Graecis, a nostris vero Hordeum murinum ». Questa pianta è senza dubbio un Loglio: « Phoenix Hetruscis sylvestre Lolium dicitur (Gioglio selvatico), quod spicas proferat lolio similes ». Matth. Comm. in lib. IV Diosc.). (4) V. Hehn: Piante coltivate, etc. pag. 235 e seguenti. Firenze, 1892. (d) Cfr. Onoavoòds 175 “ElRmriziio yRboons: Thesaurus graecae linguae ab Henrico Stephano, pag. 9S0-S2. « Doné. igitur, ut ad usitationes hujus vocab. signiff. veniam, est interdum arbor quae Latinis Palma. Sunt di palma e la bevanda acidula cavata da quell’ albero con la cottura e la fermenta- zione, è confermata oggi, come a quei tempi, in quasi tutti i paesi compresi nell’area geografica della Phoema dactylifera (hab. in partibus meridionalibus Hispaniae, Ita- liae, Graeciae et Anatoliae, totius Africae borealis, Aegypti et Syriae australis, Ara- biae, Persiae australis ubi frequenter culta; in australioribus tantum et internis Ae- gypti, reg. Sahariensis, littorali Nubiae finitimae, Arabiae, Persiae australis et forsan Belutschiae spontanea). Ancora oggi nella Mesopotamia sì fanno fermentare i datteri con acqua, e se ne ottiene un vino che può convertirsi in aceto, e da cui si ricava per distillazione un alcool. « Il vino delle palme era dolce, ma induceva dolore alla testa » dice Senofonte, ma ciò non può recare meraviglia. Senofonte mostra esattezza nei suoi racconti, ma non può essere preciso intorno ad argomenti a lui ignoti; è d’uopo considerare che egii si trovava in paesi per quei tempi assai lontani dalla Grecia, con abitudini e costumi e prodotti diversi; colà i Diecimila si potevano rite- nere come perduti, e ciò si comprende anche molto bene dall’ indecisione che dimo- strarono dopo la morte di Ciro, quando non sapevano realmente verso qual parte di- rigersi, e se dovevano piuttosto marciare su Babilonia, o ritornare in patria. I Diecimila conobbero anche per la prima volta come cibo il midollo della palma, e « i più ne ammirarono la forma e la particolare dolcezza, ma nocque esso pure grandemente alla testa e quella palma poi, d’ onde toglievasi il midollo, inaridiva tutta ». Il testo dice : tòv éyxégalov toù goivizos, ossia « il cervello della palma » e più pro- priamente, con frase botanica, l’ apice vegetativo, il quale, costituito di tessuti giovani, meristematici, era facile esca per gente che poco avea di cibo e non si curava certo che, esportando quegli apici, come Terfrasto e Plinio già sapevano, le palme avessero a morire, o, altrimenti, a soffrire per tutta la loro vita. Anche l’ esercito di Alessandro dovette nutrirsi di apici di palma, non meno che di datteri, quando andò nell’Ariana, e senza di ciò sarebbe soggiaciuto ad una terribile carestia. Da questi due fatti, che ci porge la storia, possiamo dedurre quali estesi palmizi dovessero trovarsi forse più allora, che ora, nella regione media ed inferiore del Tigri e dell’ Eufrate. Tuttavia, anche oggi, la palma a datteri costituisce una delle prime risorse della Mesopotamia per il consumo interno e pel commercio. Del resto, più o meno, sono molte le palme, all’ infuori della Phoenix dactylifera, che possono dare vino e cibo con gli apici vegetativi. Certo, però, non sarebbe pos- sibile la vita con questi due espedienti, anche perchè in generale, i vini di palma vero a nomine godé palmam significante adjectiva nomina Powwzirns et Powizwos, ut a Palma dicitur Pal- meus; nam govwzit]s oîvos, legitur ap. Dioscor. 5, 40 (Galen. vol. 14, pag. 480, 10: "O . 26905 éyyowuevos éxPoRwov Foriv. Hase). At gowiziwos (sub oîvos) apud Athen. 1 (pag. 29, D) ex Ephippo comico: Dowwzivov Pizos us dravegyvuto. Quo ex loco memineris emendare qowizov 14 (pag. 642, E), et hoc gowivov pro illo reponere, ut vicissim pro èzave@yvota., quod l. 1 habetur, reposui éraregyruro ex 1. 14. Additque, merminisse hujus vini ex Xenophont. Anabasi. Verum a Xen. non qowizwor oîvor, sed gowizor oivov appellari sciendum est. Ita enim apud eum legitur 2, 3, 14: ‘Ev7v dè otros mods, ai oîvos powizmr, zai dÉos Eyntòr, darò tOv adrov. (Ibid. 1, 5, 10: Odvov éx ms Paldvov neromuévov tijs dard tod golvizos (in libri) plurimis in r7js gowizns corru- ptum). Oîvos azò 1Ov gowizov Philostr. V, Apoll. 2 6; Oîros gowziios vel gowizetos v. infra ». — 144 — portano gravi dolori di capo, e gli stessi apici vegetativi, quando sono to,ti da piante vecchie, pare che abbiano la medesima proprietà. I Diecimila, invero, e lo stesso eser- cito di Alessandro, capitarono a soffrire di carestia in stagione dell’ anno assai avan- zata, perchè, altrimenti, avrebbero potuto utilizzare gli spadici dei fiori maschi e le spate, assai tenere nella lor giovinezza, non che la sostanza midollare delle piante giovani, ovvero della sommità delle vecchie nel periodo dell’ accrescimento, le quali parti somministrano anche oggi alle popolazioni che hanno la palma, un cibo assai salubre : le giovani foglie mangiansi condite con olio ed aceto. Ma come mai i poveri soldati greci, che appena conoscevano la palma per qualche raro individuo visto in patria, potevano sapere tutte queste cose, anche se si fossero trovati nel bisogno in in una stazione favorevole ? Nè Senofonte. nè gli storici di Alessandro ci ricordano il latte di dattero, che è un liquido denso, dolce, lattiginoso, gradevole e rinfrescante, largamente utilizzato anche oggi dagli Arabi e dai Beduini e che si ottiene, come si sa, tagliando le foglie intorno agli apici vegetativi e praticando a poca distanza dalla sommità un’incisione circolare ed un’altra verticale profonda, sotto la quale si rac- coglie in un vaso il succo che ne esce abbondante e che devesi. bere senza ritardo perchè in breve tempo col contatto dell’ aria si inacidisce. Siccome quest’ operazione è causa della morte dell’ albero, gli indigeni usano praticarla soltanto sopra gli individui maschi superflui, ovvero sui femminei che sono caduti in sterilità (1). Il cibo vero era dato dai datteri. « I datteri poi delle palme, quali si possono vedere fra i greci, davansi ai servi, ma quelli riservati ai padroni erano eletti e mi- rabili per bellezza e grossezza, e la vista non differiva punto dall'’ambra. Alcuni li facevano seccare o li riponevano per la seconda mensa ». Molti commentatori di Se- nofonte hanno creduto di ravvisare in queste due qualità di frutti, due diverse specie di palma, ma l errore è evidente. Si sa molto bene che la palma a datteri non frut- tifica nell’ Europa meridionale o vi produce frutti piccoli e di poco valore, mentre tra gli Arabi stabiliti sulle rive del Tigri, dell’ Eufrate e del golfo persico, per restrin- gerci a noi, i frutti del dattero riescono di ottima qualità e costitniscono ancora oggi il principale nutrimento degli abitanti di quelle regioni e li conservano preparati in varie guise. È naturale che taluni alberi o talune infruttescenze diano datteri piccoli o cosidetti selvatici, uguali a quelli che si vedono nel nostro mezzogiorno e che erano conosciuti ai Diecimila; ma si. tratta sempre di una specie unica, ossia della Phoenix dactylifera. (1) Considerando questo latte di palma in rapporto al racconto di Senofonte. sì potrebbe arguire che esso fosse conosciuto in Grecia benchè Senofonte parlì chiaramente di vino ottenuto con la fermentazione. Il La Luzerne (cfr. traduz. dell''Anabasi di F. Ambrosoli, 5* edizione) scrive: Je dois rendre compte des raisons qui m'on fait traduire par bouisson acide òfos, qui signifi proprement vingigre. Ou buvait communément le vin de palmier sortant de l’arbre, et e’ étoit une espèce de vin doux; mais quelquefois on le fasait fermenter et bouillir dans la cuve (c’ est ainsi que j interprete la mot #y770r), et alors il acquérait un goùt acide ». 39 @ Aa SULL’EPIDOTO DELLA VALLE DI AYAS IILLILISS4 MEMORIA DI CHO VEAENENE ROS (letta nella Sessione del 15 Novembre 1908) In questi ultimi anni sono stati trovati nelle Alpi piemontesi diversi nuovi giaci- menti di epidoto. Se questi non hanno dato, almeno fin quì, come quello da tempo rinomato del Colle del Paschietto in Val d’ Ala, che ne fu largo in passato e ne dà pure al presente, numerosi esemplari da collezione, hanno però fornito sempre un materiale interessante il cui studio ha portato notevole contributo alle nostre conoscenze sopra questa bella specie minerale. Anche nella valle di Ayas, e precisamente nel vallone di Verra, si ha un notevole giacimento di epidoto che fu studiato dallo Zambonini ('). La valle d’ Ayas altro non è, come è noto, che la parte superiore della valle del- l’ Evancon (una delle secondarie della valle d° Aosta), mentre la parte inferiore di essa è più generalmente nota col nome di valle di Challant. Il giacimento di epidoto ora ricordato è situato presso il passo Bettolina superiore, (!) Sul’ Epidoto del passo Bettolina, vallone di Verra. Rend. R. Accad. dei Lincei, S° 5°. XII, 2° sem.°, 567, 1903. Gli epidoti degli altri giacimenti ricordati di sopra sono descritti nelle seguenti pubblicazioni : Colomba L. - Sw’ epidoto d' Oulx e sui minerali che lo accompagnano. Atti R. Accad. delle Scienze di ‘l'orino, XXVI, 811, 1890-91. Boeris G. - Sul epidoto della Comba di Compare Robert (Avigliana). Ibidem, XXXII, 670, 1896-97. Rivista di min e crist. italiana, XX, 65, 1898. Zambonini F. - Sv alcuni minerali della Rocca Rossa e Monte Pian Real (Valle di Susa). Rend. R. Accad. dei Lincei, S° 5%, X, 2° sem.°, 42, 1901. — Krystallographisches iber den Epidot. Zeitschrift fir Krystallographie und Mineralogie, XXXVII, 1, 1902. — Sullepidoto dei dintorni di Chiavriè presso Condove nella valle di Susa. Rend. R. Accad. dei Lincei, St 5*, XV, 2° sem.®, 179, 1906. Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 20 — 146 — quello cioè dei due passi Bettolina che viene a trovarsi a nord del Monte Rosso, sulla catena divisoria della valle d° Ayas dalla finitima di Gressoney. Lo Zambonini, nel suo lavoro su tale giacimento, ne riporta una breve ma chiara e precisa descrizione dell’ Ing. V. Novarese al quale si deve il rilevamento geologico della regione, e la scoperta del giacimento medesimo, che è indubbiamente bello e interessante, e meriterebbe di essere esplorato con cura. In una rapida escursione fattavi nella scorsa estate potei raccogliervi parecchi vistosi campioni di epidoto in cristalli di discrete dimensioni e molto ben conformati, diversi di granato perfettamente somigliante per l’ aspetto a quello che viene dai banchi famosi di Vesta Ciarva sopra Balme in Val d’ Ala, e qualcuno di idocrasio bruno. Tutti questi esemplari fanno ora parte delle collezioni del museo mineralogico della Università nostra. È probabile che da questa stessa località del passo Bettolina nord provenisse 1° epi- doto verde in cristalli prismatici che dal Barelli (1) viene ricordato come rinvenuto fra le alpi Bettolina e Verra. Non è poi improbabile che altro giacimento di epidoto si abbia a trovare, nel vallone di Verra, sul versante opposto a quello in cui si ha il Monte Rosso e il passo Bettolina. Infatti, sempre nella estate scorsa, sulla morena destra del ghiacciaio grande di Verra, e sotto la rocca di Verra, in un grosso masso di roccia a granato e clorite, nelle solite condizioni adunque della maggior parte degli epidoti piemontesi, insieme a cristalli di diopside e di titanite, ho trovato numerosissimi cristalli di epidoto, di cui alcuni anche notevolmente grossi, i quali per il colore che hanno e le forme ceri stalline numerose che presentano, alcune delle quali assai rare, sono molto diversi da quelli del passo Bettolina. Appunto per la frequente presenza su di essi di forme molto rare, credo non sia del tutto inutile il darne una succinta descrizione cristallografica quantunque non sia ancora riuscito a rintracciare il luogo donde provengono (*). Il colore loro va dal giallo al giallo verdognolo e mostrano una certa variabilità di abito. Limitandoci agli aspetti principali che presentano si può dire che alcuni sono ta- bulari secondo }001}, che altri lo sono secondo }100} e che altri infine mostrano le facce di }100} e di }001{, nonchè le altre della zona }100 :001{, con una esten- sione presso a poco identica sì da ricordare, dato anche il modo con cui sono terminati all’ estremità dell’ asse y, certi epidoti di Achmatowsk descritti dal Kokscharow (9% Si hanno pure cristalli geminati secondo la solita legge dell’ epidoto, cioè : asse (') Cenni di statistica mineralogica ece. Torino 1835, 123. (*) Sulla stessa morena raccolsi diversi campioni di un minerale in scaglie molto minute, di color fior di pesco, il quale alle perle dà molto nettamente la colorazione del cromo, e che credo sia riferibile alla kAdmmerertte. (°) Materialien sur Mineralogie Russlands. 3, 268, 1858. —= 147 — di seminazione la normale a }100}, distinguibili agevolmente come tali, anche quando non presentano angoli rientranti, per la doppia nota striatura caratteristtea delle loro facce complanari di }010|. Le facce di questi cristalli lasciano sempre alquanto a desiderare in fatto di per- fezione e le misure che si possono fare su di essi non possono servire altro che alla determinazione del simbolo delle forme. Non avendo perciò potuto, per mancanza di numerosi buoni valori, stabilire le costanti speciali di questo epidoto, per il calcolo dei valori teorici riportati più oltre mi valsi delle costanti già da me altra volta determinate per 1° epidoto della Comba Robert presso Avigliana. Queste costanti sono : COMES ORE IPS SIE ME RIESOSA100 = 07°87 25 Ho misurato le zone [100 :010] [010:001] [100 :001] [110:001] [100 : 011] [ON 10 No 2::212] [00 210] [102111] [101 : 011] [BO1 : 110] trovando de forme e i valori angolari che riporto quì di seguito per ciascuna di esse. Zona [100 : 010] Le forme osservate in questa zona sono: }100}, }210}, }320}, }110}, {010}. Il pinacoide }100}, forma costante, è in generale discretamente esteso: qualche volta lo è tanto che i cristalli diventano tabulari secondo le sue facce. Il prisma }210}, che non è tra le forme più frequenti dell’ epidoto, è presente su quasi tutti i nostri cristalli, con facce però molto ristrette e per lo più striate secondo lo spigolo di combinazione con }100}. Raro a riscontrarsi, e sempre con piccolissime faccettine, è il prisma )320| che è forma decisamente rara per il nostro minerale. Fu trovata da Kokscharow (') su epidoti russi, fu in seguito data da Biicking (°) come incerta per i cristalli di Val d’Ala. Dal La Valle (*) però non fu trovata sui numerosi cristalli di questa località che egli ebbe ad esaminare. Recentemente fu riscontrata da Toborffy ('), con facce discretamente frequenti ma sempre molto piccole, sopra certi cristalli dati come provenienti dalla Valle di Viù, finitima a quella d’Ala, e conservati nel Museo nazionale di Budapest. Dalla descrizione che il Toborffy dà di questi cristalli appare che essi sono notevolmente ricchi di forme, diverse delle quali nuove e a simboli poco complicati, (È) Io @ (£) Veber die Krystallformen des Epidot. Zeitschrift fiv Mineralogie und Krystallographie, II, 921, 118/78. (#) Sull Epidoto di Val d’ Ala. Roma 1890. (4) Epidot aus dem Val di Viù. Zeitschrift fir Mineralogie und Krystallographie, XLIII, 565, 1907. — 148 — e a facce molto piane in generale e molto lucenti anche nella zona [100 ; 001], nella quale, come è noto per tanti altri epidoti, le facce sono di solito molto striate od altrimenti difettose. Si tratta adunque di un materiale di eccezionale perfezione e, per la più esatta conoscenza dei nostri giacimenti alpini, sarebbe davvero desiderabile che si venisse a conoscere da qual punto preciso della Valle di Viù esso proviene. Il prisma }j110} è forma sempre presente e con facce di regola estese. La }010| che, come è noto, sui cristalli di epidoto di alcune località non compare affatto, qui è frequentissima, ma sempre con faccette secondarie. E sempre per altro facilmente distinguibile da tutte le facce delle altre forme ier- minanti i cristalli all’ estremità dell’ asse y per la caratteristica striatura che presenta parallela all'asse della zona [010 : 101], striatura dovuta alla combinazione oscillatoria di essa con facce di forme {Wok hi sempre comparenti sui nostri cristalli tra j010} e MILITO, M C (100): (210) 35 RINO 35LEZ0I (210): (320) SIINO 8 4 (320): (110) IU20 TZ (110). (010) SNO 32 Zona [010 : 001] Oltre alla j010}, già descritta, in questa zona furono trovate le forme }011}, }012{ e {001}. Il prisma {011} è costante con facce piuttosto estese. Non molto frequente invece è il prisma }012}. Qualche volta ha facce estese quanto quelle di }011}, ma di solito è subordinato a questo per la estensione delle sue facce. Sempre presente è il pinacoide }001}, in generale con facce predominanti su quelle delle altre forme della zona [100 : 001]. M G (010): (011) ZIO gl 30° 23 (011): (012) 19 15 IONE (012) : (001) 39 16 39 9 Zona [100 : 001] In questa zona si sono osservate le forme: }100}, }101}, }102}, j001{, }108}, }103}, {102}, }T01}, {20n. Sebbene queste facce non siano molto perfette, non danno in complesso quella mol- tiplicità di immagini poco discoste 1’ una dall’ altra, che si ha per esse in epidoti di altre località, la quale, ad osservatori che ritennero ognuna di esse immagini come realmente corrispondente ad una faccia, permise di aumentare considerevolmente il numero delle forme semplici del nostro minerale. — 149 — Dei pinacoidi ora detti, oltre }100{ e }001} dei quali si è già fatto parola, sono costanti }101{, }101} e }201}: piuttosto rari ad incontrarsi sono }103} e {102}. La {108} fu vista una sola volta e con una sola faccia assai ristretta, però abba- stanza netta e lucente. È forma rara nell’ epidoto e fu trovata dal Biicking (') su cristalli provenienti dalla Valle di Ala. M È (100): (101) 29° 52' 29° 55 (101) :(102) zi 0 e Rie (102): (001) 22 VI D9M3.0 (001): (108) 8 18 7 49 (108): (103) Me DE INS, (103): (102) IUS ll 59 (LO) (0101) 29 9 29 19 (101): (201) 25. 48 ZIMNLG (201):(100) 25 53 25 59 Zona [110 : 001] Compariscono in questa zona le forme }113{, {j111}, {221!, {111} e }113t, oltre a {001} e }110} delle quali si è già detto. Il prisma }113} non è presente in tutti i cristalli nostri, ma in complesso non è raro su di essi: ha però sempre facce subordinate. La }l11} ha facce per lo più subordinate: solo in qualche cristallo compare con facce di discreta ampiezza. La }221}, forma non rara per l’ epidoto in genere, non è molto frequente sul nostro e, qualche volta, si presenta con facce notevolmente estese. Con facce sempre molto più estese che non quelle dei prismi ora menzionati com- pare )}111{ che è forma costantemente presente sui nostri cristalli Il prisma |113}, il quale per l’ epidoto in genere è forma molto rara, sui nostri cristalli fu osservato diverse volte con facce che solo in qualche caso raggiungono una rimarchevole estensione, mentre di regola sono poco ampie, ma sempre nette e ben visibili. i Fu Kokscharow (°) ad osservare per primo tale prisma su epidoti di Russia, ed è dato dal La Valle (*) come rarissimo per i cristalli di Val d’Ala. Serie VI. Tomo IV. 1908-09 20% M O (001): (113) ZOLA 29 50 (15) (01) 23 40 P3R3A (NEI) EI RA) PB DT CR EEZIO) 14 40 14 34 (2211) 2 (LI) 147130 ANSA (Ia (153) DI Si 37 39 (113) :(001) SI DI 37030 La {113} sta pure nella zona [101 :012] per la quale si ebbero i seguenti valori: M G (01) à (013) 49° 53! 49° 54 (1) s (0112) or 19) (57 (012) a (1) 26 18 26 20 (111):(210) DOMSI DAR, (210) :(101) 59 81 59 43 Zona [100 : 011] Le forme notate in questa zona sono: )100}, j111}, 011}, }122{, 12334, {111{ {211 Di queste non sono state per anco menzionate per i nostri cristalli }122{, }233! e {211|, forme non rare per 1’ epidoto in genere. Però mentre }122{ e {233} non sono rare sugli epidoti piemontesi, è invece rara }211{, che in qualche caso, come nei cri- stalli della Rocca Rossa in Valle di Susa (Zambonini), ha facce di estensione molto grande. Su nostri cristalli peraltro, tutto sommato, tanto {122} quanto {233} non sono gran che frequenti e si presentano sempre con facce di non grande estensione. È invece assai più frequente ad osservarsi la }211} la quale mostra sempre facce subordinate. M C (100): (111) 49° 48° 49° 52 (AL 1) 8 (011) Da 12 Dr IO (011):(122) gi 26 i 20 (122): (233) SIMOS 5 5 (©3S) (001) NO ‘393 10 50 (10) (211) 23 43 23 56 (211): (100) 45 12 > Il prisma {211} sta pure nella zona [101 : 110] per la quale si ebbe : L = dibl. = M C (101):(211) UPS ARAN (200000) 24 10 24 10 (110): (011) SLONIINI Slo (011):(101) 76 19 76 24 Zona [101 : 010] In questa zona, oltre }101{, }111} e }010}, delle quali ebbi già a dire descrivendo altre zone, e }212, si osservarono alcune rare forme di simbolo VI kh; anzi la }010| è di solito molto striata e, quando è molto ristretta, è come incurvata per la com- binazione oscillatoria che mostra con facce di tale simbolo. Sicure sono fra queste }141{ e }181{ che furono vedute parecchie volte con fac- cette di limitata estensione, ma nette e splendenti. Tenendo poi conto di alcuni riflessi un po’ incerti si potrebbero aggiungere alle precedenti queste altre: j1 13 1}, }1 17 1}. La }141{ fu osservata per la prima volta da G. van Rath (') sopra un cristallo della Zillerthal, in seguito fu notata da Klein (°) e da Bitcking su cristalli della valle di Sulzbach, (*) poi da Grànzer sull’ epidoto della valle di Habach (') e dal La Valle (°) sull’epidoto di Val d’Ala nel quale è rarissima. La }181{ scoperta dal Biicking (°) sopra un cristallo proveniente forse dal Del- finato, fu poi ricordata dall’Artini (’) per l’ epidoto di Mortigliano nell’ isola d’ Elba. La {Il 13 1} fu pure trovata dall’Artini in questo stesso epidoto di Mortigliano, e la {I 17 1{ fu trovata da Becker (*) nell’epidoto del granito di Striegan. Quest’ ultima forma fu da me osservata sopra un solo cristallo dell’ epidoto della Valle di Ayas accompagnata dalla }[41}, e la }1 13 1{ fu osservata su due che ave- vano pure facce di }14]{. Quanto alla }212} è da dirsi che nei nostri cristalli sembra rarissima. Ne vidi una sola faccia abbastanza ampia e sutficientemente lucente e ne determinai il simbolo mediante le zone [101 :010] e [102 : 110 (') Mineralogische Notizen. Poggendorff s Annalen, II5, 472, 1862. (°) Mineralogische Mittheilungen. Epidot aus den Sulzbachthale im Pinzgau. Neues Jahrbuch fir Mineralogie ecc. 1872, 113. (3) La @ (4) Arystallographische Untersuchung des Epidots aus dem Habach und dem Krimler Achenthale in den Salzburger Tavern. Tschermak's mineralogische und petrographische Mittheilungen, 9, 361, 1888. (3) IL @ (6) Lc e (") Epidoto dell Elba. Atti R. Accademia dei Lincei, Mem. della classe di Sc. fis. mat. e nat. S.° IV®, vol. IV, 380, 1887. (8) Ueber das Mineralvorkommen im Granit von Striegau, insbesondere viber den Orthoklas und den dunkelgriinen Epidot. Imaugural-Dissertation, Breslau, 1868 w È forma data già da H aiiy, e nella monografia del Biicking, gia altre volte citata, è segnata per l’epidoto di Val d’Ala (Marignac), di Striegau (Becker), del Delfinato (Marignac), di Russia (Kokscharow) e per l’epidoto rosso della Zillerthal (Tarassow). Recentemente fu riscontrata ancora da Zambonini su cristalli della valle di Sulzbach (!). È da notarsi altresì la presenza nella zona [101 :010] di due vicinali della }131/, forma nota per l’epidoto, ma che non è presente nei nostri cristalli. I simboli più semplici che si calcolano per queste vicinali sono }4 13 4} per l'una e {3 10 3} per l’altra. La prima è stata riscontrata in due cristalli in uno dei quali compare con una faccia notevolmente estesa e passabilmente piana e lucente accompagnata pure da facce di j121{ e di {141{, mentre nell’altro si unisce a facce di }I 13 1{, di {141} e di IO 10 E Questa seconda vicinale fu osservata anche in un altro cristallo che aveva altresì facce di }181} e di }T41}. i (AU 4) (010) = aa 12? 16) 2 295 cage 22 26 ee al 16 (£ 18 4)s (Il) = inf 22 98 221273 laccio, 22 22 ele 22 50 (3 10 3) (010) = ig II DI cale. 11 58 (3 10 Se (i) = ins 25 18 25) 05 mazdilà 23 75 exe 23 dv Per le altre forme della zona si ebbero questi valori : M (€ (O1O)s((d 17 1) DAREI DIRI (OMO) (CIRO 36, ZRGNRAT (OO) (1 3 1) DG DES (010) S (GE vb) LONING LORO (OMO) (01%) 35 20 Da La (MI 01) 54 50 54 45 (Me) MO 65 19 29 (MSI) 3a. lo Ds LG Misurando la }212} con facce della zona [102 : 110] si ricavarono i valori seguenti : (!) Veber swei flcichenreiche Epidot-Krystalle vom Sulzbach. Neues Jahrbuch fàr Mineralogie ece., 1900, 1, 181. en M C (102): (212) 44° 59! ALII (212): (110) ARAN] 40 34 Zona [001 : 210] In questa zona furono riscontrate le forme 001}, {213}, }210}, {211}, ed è da dirsi solo della j213}, essendo le altre state già descritte a di altre zone. Questa forma è rara nell’ epidoto e fu trovata la prima volta da Marignac in un cristallo che egli riteneva proveniente dal Vesuvio, provenienza messa poi in dubbio dallo Scacchi. G. van Rath, come è noto, fece rilevare che tale cristallo non poteva provenire che da Val d’Ala, o da Zermatt. Fu trovata poi da Graànzer (') e da Brugnatelli (*) in cristalli del Salisbur- ghese, come pure fu vista dal La Valle (*), ma non su molti cristalli, in campioni della Valle d’Ala. In un cristallo di questa stessa località fu determinata poi più tardi dallo Zambonini (*). Nel nostro epidoto fu osservata un certo numero di volte con faccettine non molto ampie ma nette e splendenti, le quali oltre ad essere state misurate con facce della zona [001 :210], furono pure misurate con facce della zona [101 :110] e della zona [102 : 111], avendosi per la zona [001 :210]: M (0) (001): (213) TZ SZ (213) :(210) 36 24 36008 (@10)S (100) 20 30 ZO (211) :(001) 89 27 89 31 e per la zona [101 : 011]: (101) : (213) 20 57 21 13 (213): (011) 43 10 nine (011) :(110) 54 52 55 19 e per la zona [102 : 111]; (102) : (213) 20 29 20. 32 (218):(111) 22 53 22 50 (0) Lo @ (€) Beitriige sur Kenntniss des Epidot. Zeitscheift fir Krystallographie und Mineralogie, XVII, 529, 1890. ($) LL € (‘) Mineralogische Mittheilungen. Zeitschrift fir Krystallographie und Mineralogie, XXXIV, 235, 1901. — 154 — Zona [201 :] 10] Oltre le forme {201}, }110|, }111{ già trovate in altre zone si hanno in questa, sui nostri cristalli, le due rarissime forme {914} e {10 4 3. Entrambe queste due forme sono state trovate per la prima volta dal Biicking ('), e contemporaneamente presenti, sopra un unico cristallo geminato di epidoto yerde della Zillerthal. ja }914} fu in seguito veduta dal La Valle (°) sopra un geminato di Val d’Ala il quale ne presentava una faccia sopra ciascuno dei suoi individui. Non mi consta che la {10 4 3) sia stata osservata da altri dopo il Biicking. Io l'ho trovata su tre cristalli semplici, con una faccia per ognuno, discretamente estesa ma un po’ ruvida. Non si accompagnava però alla }914. Sui nostri cristalli quest’ ultima forma è assai più frequente che la {10 4 3. Compare con faccette molto esigue sempre, ma nette e lucenti, che, per la poca loro estensione, danno immagini diffuse ma, di regola, sicuramente centrabili. Ho potuto riscontrare questa interessante forma sopra una dozzina di cristalli parte semplici, parte geminati. Da quanto poi scrive il Biicking a proposito delle facce }914 e {10 4 3} che egli ebbe ad osservare sul suo cristallo della Zillerthal, pare che esse abbiano le stesse proprietà fisiche delle corrispondenti dei cristalli della valle di Ayas. Egli dice infatti che la faccia {10 4 3} da esso veduta era appannata, mentre invece dal valore che ricavò misurando }914} su {110}, in ottimo accordo col calcolo si può dedurre che la sua faccia di }914} fosse ben piana e lucente. La frequenza di questa forma }914} mi pare veramente caratteristica per il nostro epidoto. E pure caratteristico mi sembra il costante comparire, sempre nella zona [201:110}, su quei cristalli che hanno facce di }914}, di una faccia che tronca lo spigolo di com- binazione tra }914} e {110} Tali facce sono sempre più estese, qualche volta anche notevolmente, della attigua di }914}, ma si presentano ogni volta come finamente smerigliate. Misurandole però tanto su }914} quanto su }110} si ebbero valori tra loro in ac- cordo molto soddisfacente, ma che non si avvicinano a nessuno dei corrispondenti per forme già note le quali stanno nella zona [201:110] tra j914} e }110}, cioè }512|, MO ST II Le meglio lucenti diedero i seguenti valori dai quali si ricava il simbolo j22 8 71: (22 -& Pe (10) = ie ZONE ZO) 3 ZO DI 20 42; media 20° 42': cale. 20° 38°. (22 & 700, ie ZA 2/35 ZI. I ZU o mao, 2 ec calle 2a 4 b) Notevole è pure il fatto che in questo nostro epidoto, nella zona [201 :110], la quale, come si è visto, non è poi del tutto povera di forme, non comparisca la }732} che è presente, e con frequenza, in diversi altri epidoti del Piemonte. Riassumendo, i valori per la zona [201 :110| sono: M C (201) (ChIcO) 10° 20' MORE (914) (228%) 20 42 200838 (223 8 7) 00) 2 RuioA (110) 3.210), 222 (2. 26) (111) : (201) 58 49 58 41 (201) (0) 4) 33) 1218) 33. 30 ((ONA3)ENi0) ZE 10 25 26 Complessivamente adunque le forme osservate sono: }100}, }010}, }001}, {110}, RIO 320/88 000012 SE SA 22 RR 330 RL SA 22 AR 3010)8 213 19040088 To 4.3} {101}, {102} \108}, {102}, {101}, }201} n "o » vati vai Considerazioni sintetiche sul funzionamento e sull'effetto utile delle pompe centrifughe e corrispondenti raffronti colle turbine motrici INTE EVE E RA Prof. JACOPO BENETTI (letta nella Sessione del 28 Marzo 1909) (CON TAVOLA) * $ 1 — Studiamo sinteticamente, ma in modo semplice ed incontrovertibile il 10t0 permanente di una sottile vena acquea entro un tubo fisso di condotta sforzata. Consideriamo nella vena una sezione d'entrata, di area 7,, metri quadrati, ed una sezione d’ uscita, di area /, m. q. I centri delle due sezioni siano rispettivamente alle due quote d’ elevazione, 7, ed lin, metri sopra un piano di’ riferimento situato in basso: perciò la sezione d’ entrata riesce elevata /%,, — /, sulla sezione d’ uscita. Siano rispettivamente %,, e ©, metri per minuto secondo le velocità delle particelle acquee perpendicolarmente alle due sezioni : perciò in un tempuscolo df queste superficî acquee s’° avanzano di vm X dt e vn X dt, generando i volumetti d’acqua eguali ; fm XK Um XK dt = fn Kn XK dt= q. Siano rispettivamente p,, € p, chilogrammi per métro quadrato le pressioni idrostatiche nelle due sezioni considerate, pressioni che coll’ avanzarsi della vena acquea producono i due infinitesimi iavori meccanici Drain IGM Pn o "Un dt = Pn DICO Designando con y il peso d’un metro cubo d’acqua e con g = 9,81 1’ accelerazione della gravità troviamo essere ana D) g m la forza viva cinetica del volumetto d’acqua g entrante 2 g n la forza viva cinetica del volumetto d’acqua q uscente. Serie VI. ‘omo IV. 1908-09 21 — 158 — La forza di gravità produce, sul volumetto acqueo entrante e su ciascuno dei sus- seguenti spostati in avanti, il lavoro meccanico infinitesimo y -4-d% e quindi su tutti i volumetti in moto lungo la vena il lavoro meccanico integrale AIDA y-gaf}dh=qdhn_-hp)- Un, Una parte di tale lavoro meccanico risulta sprecata (in forze vive termiche inutili) in causa dei movimenti discordanti delle particelle, parte che naturalmente dobbiamo supporre piccola, non essendo pratici i bruschi cambiamenti di direzione e di sezione: designiamo tale perdita di energie con rappresentando « una specie di caduta perduta. Perciò il lavoro netto della gravità durante il tempuscolo df risulta VI Mm An — £) ed è un lavoro positivo, quando 7#,, sia maggiore di %, +; invece negativo quando lim minore di A, +. Ora possiamo fare il bilancio dell’ energia entro la vena acquea considerata du- rante il tempuscolo dt : 1° La pressione p,, produce sul volumetto 9 entrante il lavoro positivo + Pm° 4 2° Il volumetto q porta entro la vena la forza viva cinetica positiva 3° La gravità sviluppa su tutti i volumetti g in moto entro la vena il lavoro positivo o negativo + YI ln =) 4° La contropressione p, produce sul volumetto g uscente il lavoro negativo a DA (0) 5° Il volumetto g uscente porta fuori della vena la forza viva cinetica negativa 174; To > Di Siccome abbiamo supposto permanente il moto, e siccome l’acqua è incompressi- bile, così durante qualsiasi tempuscolo dé ed in qualsiasi punto non variano le condi- zioni di peso specifico, di pressione e di velocità : soltanto variano in misura trascu- rabilissima le condizioni di temperatura. Quindi le energie positive devono venire So -Gog = bilanciate dalle energie negative, vale a dire deve essere Pm dA vw] Le pressioni unitarie idrostatiche p,, e p, possono venire espresse mediante cor- rispondenti altezze d’ acqua piezometriche a,, ed a, (che comprendono la pressione atmo- sferica) così : Pm} Im e = gr Introducendo tali nuove notazioni 1’ equazione precedente si riduce alla forma ben più semplice 1 2 2 I] Amt (Mim hh TL) Tnt agl@m — ve) =0 u ed anzi ponendo hi —hn— Xx = H caduta netta ES] OIm+ HT_- an + 3h Va) =0. equazione che esprime un teorema fondamentale di somma importanza, dal quale si possono ricavare molti corollarii, fra i quali il famoso teorema dei Bernoulli (1732). Invero supponiamo che la sezione /,, sia la sezione d’ alimentazione, a velocità im- mensamente piccola, d’un vaso ; inoltre che, tanto la sezione f,, quanto la /,,, siano sot- toposte alla pressione atmosferica espressa con A metri di colonna d’acqua; infine che On sia la velocità d’efflusso da un orifizio inferiore piccolissimo ; troviamo v, = 0, inoltre a, — 0, = ATA=)0; quindi HT- —vi,= ossia Un =, H. S$S 2. — Applichiamo il teorema generale precedente al caso dell’ afflusso dell’acqua ad una pompa centrifuga ad asse orizzontale ed a sifone, di quelle preferibili oggidì come macchine idrovore per le grandi bonifiche artificiali. La disposizione migliore in tale caso, è quella di due eguali ampî tubi verticali svasati nelle bocche inferiori pescanti in un ampio bacino raccoglitore delle acque dei canali interni della bonifica: i due tubi ad una certa piccola altezza sopra il pelo dell’acqua d’ arrivo s’ incurvano dolcemente 1° uno verso l’altro, abbracciando in mezzo una ruota verticale girante con tanti canaletti di condotta sforzata : l'albero orizzontale girante di tale ruota attraversa i gomiti dei due tubi, e nelle migliori costruzioni può venire separato dalle vene acquee affluenti mediante una guaina conoidale fissa, la quale mentre impedisce alle medesime vene di venire trascinate elicoidalmente dall’ albero, le volge dolcemente dalla direzione orizzontale alle direzioni verticali dei canaletti della ruota : risulta evidentemente dalle disposizioni accennate che 1° albero orizzontale non — 160 — può subire alcuna spinta longitudinaie. Qualora le guaine predette non siano provye- dute di palette direttrici (della cui convenienza si può dubitare), le vene acquee che le contornano sono aspirate dalla ruota girante per le vie più brevi, le quali eviden- temente sono dapprima orizzontali parallele all’ albero, poscia incurvate in tanti piani radiali partenti dall’ asse di rotazione, quindi entranti nella ruota girante con tante velocità assolute v, radiali. È possibile ed è consigliabile, che le vene acquee dopo avere assunta una certa velocità entro le bocche pescanti nel bacino d° arrivo, la conservyino pressochè invariata fino alla ruota girante, e piuttosto in una misura piccola, perchè tale condizione è fa- vorevole all’ aspirazione, senza, distacco della colonna d’ acqua dovuto a bolle d° aria e ad evaporazione (anche per una grande elevazione 4, dell’ albero orizzontale), inoltre diminuisce sensibilmente le perdite di energie dovute alle resistenze passive (attriti delle pareti, gomiti dei tubi e piccole variazioni di sezioni), infine sì presta meglio al funzionamento della pompa centrifuga. Nel caso in questione, a fine di applicare l’ equazione generale I I Un + (im ln TX) Tnt ag» — vi) =0 abbiamo Cr AG lOe= 03 Co = W Quindi troviamo 9 a ai) II| Amlhnr_-4, Foa 0 5 3 dI co Mureto dio e Un e ponendo, come è bene accetto agli idraulici pratici, 0 = 6:57 29, bis Dn TOS] Ah, — —(1+0) > =0. 29 SR sia 1 In via media, di grossolana approssimazione, possiamo assumere “= 00 Supponendo A= 10 metri Vv), = Val l'equazione ITS diviene INR5 10—- (k, + 4n) — —_—=0 donde h,+@0n= 9,4375 metri : questo risultato collega praticamente le due grandezze /%, ed a, : assumendole eguali troviamo ani ANT MUMEGRI ed invero in via generale non è bene assumere maggiore di 4 o poco più metri, la elevazione /, dell’ albero orizzontale considerato. Così pure in via generale non è bene assumere la velocità assoluta ©, d’ entrata delle vene acquee nella ruota girante maggiore di 2 metri. $ 3. — Passiamo ora a studiare il moto permanente relativo di una sottile vena acquea entro un tubo di condotta sforzata rotante uniformemente intorno ad un asse qualsiasi, colla velocità angolare @. Il moto relativo in questione va trattato come un moto assoluto, ma facendovi figurare le forze d’ inerzia dovute al moto di rotazione, forze che sono la forza centrifuga semplice e la forza centrifuga composta. Siccome quest’ ultima forza è per deduzione razionale perpendicolare al cammino relativo della massa a cui va applicata, così il suo lavoro meccanico relativo è nullo, e quindi non entra nel bilancio dell’ energia. Una qualsiasi circonferenza, di raggio £ metri, della ruota girante, ha la velocità periferica uniforme di «= @- & metri, ed un volumetto infinitesimo 9g d’acqua col- legato in qualsiasi modo colla medesima circonferenza subisce la forza centrifuga semplice va _yd = 2g. gR g e quindi il lavoro meccanico elementare q DI ?R-dR. g Perciò sul volumetto g in questione, nel passaggio dalla sezione d’entrata nella vena acquea alla sezione d’ uscita, la forza centrifuga sviluppa il lavoro meccanico in- tegrale DI 2 e E ua). OI Re g 2 2g Ciò premesso facciamo il bilancio dell’ energia relativa entro la vena acquea conside- rata durante il tempuscolo df, ed a fine di ovviare a qualche possibile equivoco avve- nire, scriviamo le velocità relative come %0, e %n, invece che vm e Un. 1° La pressione p,, all’ entrata produce sul volumetto 4 entrante il lavoro positivo + Pm 4 2° Il volumetto qg entrando porta seco la forza viva cinetica positiva 38° La forza centrifuga sviluppa sul volumetto g entrante, e sugli infiniti susse- guenti volumetti g spostati in avanti, il lavoro integrale — 162 — 4° Similmente la gravità sviluppa sui volumetti infinitesimi predetti il lavoro meccanico + YUhn — ln — Y) ove y esprime la colonna d’acqua perduta a motivo di tutte le resistenze passive entro i canaletti mobili ; 5° La contropressione p, all’ uscita produce sul volumetto g uscente il lavoro negativo —- Pn °4 6° Il volumetto 4 uscente porta fuori dalla vena acquea la forza viva cinetica Ora ragionando come abbiamo fatto a pagina 158-159 troviamo il bilancio del- l'energia nel moto relativo in questione 1 ya vd 1 2 2 2 2 113 On UPS mi Wm + 29 (Un — Un) + YIMm = In—- 4 — Pn 1-5 ig = e ponendo Pm= {Im Pn = )} * An risulta la nuova equazione generale. LEBE 5 III] Um + (fim — lin — Y) — Un + 2, (wi, — wi) + < ed anzi ponendo lim — in — Yy= K caduta netta entro la ruota girante. bis 7 1 2 2 1 2 2 IS] An PET a, + 3g (n — W)+3- (Un — um)=0- - n° Poniamo ora che le velocità relative 20,, e %, facciano rispettivamente colle velo- cità periferiche un ed w, gli angoli 6, e 8,, e componiamole insieme nelle rispet- tive risultanti v,, e v, che facciano colle medesime velocità periferiche gli angoli 4, ed d,. Dal triangolo, figura 1%, rileviamo 2 2 2 G wu + 0 — 2 - v - COSA 2 PASINI 9 ww — UU = — 2 - v - C0S A. Mediante tale ultima relazione l’ equazione (III°) diviene si Laz È NI] ant+A—- a, + 29 (03, — QUm + Um © COS Am — Vi, + 2Un « On - COS An) = 0. — lo = $ 4. — Applichiamo i risultati precedenti al caso della pompa centrifuga consi- derate nel $ 2, in cui le bocche d’ entrata delle vene acquee entro i canaletti rotanti si trovano sulle periferie di raggi £,, a quote d’ elevazione ora più basse ed ora più alte di quella /, dell’ asse di rotazione, quindi in via media all’ istessa quota; e l’ istessa cosa vale per le bocche d’ uscita situate sulle periferie di raggi A,. Ma nel caso presente l'altezza piezometrica @, è eguale alla a, del S 2, e per ciò la nuova altezza piezometrica a, va scritta diversamente, per es. a4,; similmente la velocità 0? assoluta v, è eguale alla v, del $ 2, e perciò la nuova velocità assoluta 0, va scritta diversamente, per es. ©,- In seguito a tali avvertenze e coll’ osservazione X = — y l' equazione III"" diviene 2 2 l 5 Uri Wi (CA ZU a O ACOS Ar OUR ONCOSTAn) 0 2g i Sommando tale equazione colla II troviamo | equazione 1 9 IV A—-hkh—-xax-y_-a,+ ; (T Zum + Un + COS Am — ® + 2Un » v OS) == 0 9g 0 nella quale in via media, di prima approssimazione generale, possiamo assumere 92 Wi DI: ME 2g 2g Qualora le velocità assolute 7, delle vene acquee entranti nella ruota girante siano DA s 5 3 3 o IT ILS nelle divisioni dei raggi, come è ammesso più generalmente, }’ angolo &4m = 3, quindi - cos Am = 0 e l equazione IV si riduce alla i I IVES] A-hn—-x-yT4,+ x O + 2Un 3 : 3 a generale, possiamo valutare = (6 - 5, OUIRDE = s infine si scaricano al di fuori con 2g Sig una velocità assolutiva di v, metri, verso il bacino di scarico che è situato alla quota di f, metri e che subisce la pressione atmosferica misurata dall’ altezza piezometrica A. — 167 — Tutto ciò premesso, applichiamo l’ equazione generica / alle circostanze attuali, per le quali EIA hg =hp hn=h, VA ar=A Um = % Cn = e troviamo l’ equazione V] a, + (nh — 3) Teste 1 hi X Y 3 3g: 2 2Un * VCS An=0. Ma A, è l'elevazione utile dell’acqua (volgarmente designata prevalenza) e l SA dPR YA 153%) sono le elevazioni perdute a motivo di tutte le resistenze passive ordinarie entro i tubi di condotta sforzata del sistema in questione, ed in causa della forza viva cinetica che si scarica nel bacino di scarico, e possiamo scrivere lg h htL+y+3+—% =, 29 ” essendo 7 il coefficiente (minore di uno) del rendimento idruulico del sistema meccanico. Conseguentemente h, Il rana *QUn UO 008S On = 0 7 29 ossia l h, VI] udc I ” equazione che avremmo potuto dedurre direttamente (come abbiamo già fatto in pas- sato '*)) valendoci di considerazioni sulle quantità di moto di un chilogrammo d’ acqua $ ] ; DI nà (di massa al dappoichè v,-cos a, è la proiezione della velocità dell’ acqua effluente g dalla ruota girante sulla periferia esterna, e quindi —-2,-C0s Q, X %, è il corrispon- 0) dente lavoro della quantità di moto = massa di un chilogrammo moltiplicata per la velocità proiettata v,-C0s dp. (*) Veggasi Memoria Formule fondamentali di applicazione generale per le turbine motrici e per le pompe centrifughe elevanti presentata all'Accademia a di 22 maggio 1898. -—- 168° -— In causa delle numerose e non trascurabili resistenze passive ordinarie, le quali sono più influenti che nelle turbine motrici, il coefficiente di rendimento idraulico ” non può essere assunto molto favorevole: ponendolo per esempio eguale a 0,65, |’ equa- zione VI diviene Il 00, -V:C08S An = 1,54 4, 4] ossia Un: 008 Un = 1,54-9-%h, ed assumendo ] UV C0S An = ZU» ]l 2) fd L- Un = 1,54 QUNZILA un = 1,54-2g-h, Un = 1,24V 2g-h, risultato che ci da una buona regola pratica per la determinazione della velocità periferica esterna della ruota girante in funzione dell’ altezza di sollevamenio: tale regola ci «lice che mediante una pompa centrifuga |’ acqua non può venire sollevata immediatamente ad altezze grandissime, perchè quella velocità è limitata dalla resi- stenza del materiale della ruota girante. Nel tipo di costruzioni classiche studiate finora (principalmente derivato da quello di Appold, famoso fino dalla Prima Esposizione Universale, Londra, 1851), le velocità assolute v, delle vene effluenti dalla ruota riescono piuttosto grandi (*), ed abbiamo visto che il chiocciolone contornante la ruota ed il susseguente tubo di scarico com- piono la funzione di ridurre dolcemente la medesima volocità a valori assai più pic- coli e perfettamente tollerabili nell’ impianto complessivo; ciò specialmente quando le altezze definitive del sollevamento dell’acqua non siano molto grandi. Passiamo ora a studiare le variazioni derivanti dall’ ammettere i canaletti rotanti sensibilmente convergenti dalle entrate alle uscite e quindi la velocità relativa 2, > > 60m; tanto perchè gli angoli 7 — 0, alle uscite siano più acuti che quelli 7 — BE alle entrate e quindi le luci alle uscite siano più ristrette nel piano delle ruote ri- spetto a quelle alle entrate; quanto perchè le medesime luci siano consimilmente più ristrette in senso assiale. In tali circostanze le resistenze passive entro i canaletti rotanti sono sicuramente più forti che nelle costruzioni classiche, dappoichè la perdita (*) - Ammesso %, = 1,24 V29-/, troviamo nelle condizioni finora considerate 1 NA DCO On = rin = 062 V2 9% e quindi con 2, = 20" 0,62 0,62 ZE, Oy ESE (MAR une Up== cos 20° \<4 To 0,94 VI ho = 0,66 4 2g [One — 169 — di elevazione dovuta alle medesime può venire valutata 9 v CONA SE = 0,25-—*, invece che —0,25-—". 29 29 Per tale motivo, a tutte altre condizioni eguali, possiamo porre, per esempio, p=tWz diete die MU pure lasciando Ali) ei quindi cosa = 05946 Ora studiamo le variazioni delle conseguenze quando a,=10° e quindi cosa, = 0,985 SI=#42./0£ ; va ==10A94 » = 300 DIN (0860 >» = 400 >» = (DITO Di=500 >» = 0,643 » = GO. SA=1035:00 Sb ==70° = òb = 80° vi = Applicando |’ equazione generale VI ]l h, 0a o — Un 000840 = == —— = 1,61-% g n 0 n 7, 0,62 5) 0 troviamo dapprima ] 1,61 Sag Wa: O, SZ g “2g, = aa MM COS An 4 COS An Poscia rilevando dalla figura 4 che v,:00s (70° — an) = un sen 20° = 0,342 - w, e quindi l o, = DINI za) ‘0,942 - Un calcolando dapprima pensiMazi=108 USI oe DOM, =1208 > =D » vo = 0,932 » » >ai=1300 ». =» » » = 0,446 > » E=00 VR =110516 » vr =10 3900 = 50° >» es ly202/» » » = 0,364 >» > DE{60 do = IG. >» » DI=_10KSAM0®> > S=700 Di = 20904 » » = 0,342 » >» > = 800 vd » DAVIS AA perio: =U107 pelo di go un= 1,09 di V 2g-h, DI=N2.00 pe gl © » = » SN —120È = NI » » = 1,44 » » (*) DE=MA08 p= dol » = 1195 7 » = pi= Adi » > i=10850» » » =(007 » = 4,64 >» » n= 215» » o) 70° pe 1 » n= 262,0 » i» == 800 » = 4,64 » » » = 2ilb. » e finalmente perito i ==Ml0x o= 0,747 di V 29 -h, > =D NIUE » > es » = 0,642 » » po = 40 » = 0,642 » » Di =1!508 Di 10018 » » =(90° » = 0,746 » » pi =S700 vi—10-39.60» » > = » = 0,746 » » ‘ali risultati numerici ci dimostrano che le costruzioni classiche. con angoli 4, compresi fra 20° e 50° presentano il vantaggio delle minime velocità assolute %, di efflusso delle vene delle ruote, le quali all’ incirea riescono = 0,66V 2g -h,: e però sempre forti. Non isfuggirà ai tecnici l’analogia fra l ultimo risultato e 1° espressione della ve- locità assoluta di distribuzione delle vene acquee da una turbina motrice a sovrapres- sione (a reazione, come suolsi dire volgarmente). Crediamo di essere riusciti a dimostrare come sia assai svantaggioso lasciare an- dare sprecata nel bacino di scarico tutta la velocità assoluta ©,, necessariamente forte, delle vene effluenti dalle ruote, come avviene nei semplicissimi idrocori alla Schlegel (1854): eppure quanti tecnici anche oggidì non sanno persuadersene ! S$S 6. — Studiando nel $ 4 1 entrata delle vene acquee entro la ruota girante, ab- biamo visto che d’ordinario essa ha luogo radialmente, la qual cosa viene assicurata da taluni costruttori provedendo di palette direttrici radiali la guaina dell’ albero rotante. Cio ammesso e pure ammesso che la velocità assoluta ©, dell’ entrata radiale sia piccola, abbiamo riconosciuta la naturale conseguenza che i primi elementi delle pa- lette rotanti siano molte sdraiati sulla periferia interna della ruota formando con questa, nel senso della rotazione, angoli ottusi molto forti, per esempio perfino di 160 gradi. Taluni costruttori (dietro le primitive idee del viennese Rittinger, 185$ - e del fran- (*) 1,44 è il coefficiente di Fink — (veggasi: I. Benetti -- Teoria generale delle pompe cen- trifughe — Bologna, 1886). Spina cese Farcot 1883) fanno gli angoli 0, ancora più grandi, ma invece di fare gh elementi susseguenti delle palette convessi verso il senso della rotazione, li fanno con- cavi e li fanno terminare perpendicolari sulla periferia esterna, vale a dire fanno gli angoli 8, =3: In tali condizioni si consegue il parallelogrammo delle velocità al- - a all’ uscita tracciato nella figura 5°. Da tale parallelogrammo si rileva dI, 20 === £ COS ed ammesso x, = 20° i vr == == Ok VU (0) È b) n 0,94 Siccome U R 2 7 R E così CAMEO ON Un Un My, 3 Hr, quindi alquanto più grande che nelle costruzioni classiche precedentemenre studiate, . Jin . . pure facendo il rapporto —- meno grande che nelle medesime, quindi con una certa "mm economia di spese di costruzione. Applichiamo ora alle nuove costruzioni in questione l equazione VI l Lo SUO ose, (0) 17) ponendo VU, COS Ora x = 0,60. Troviamo TR Il ; Ur « N CAEN 0 quindi ; l ; ui == 1 5 29 . h, == 0,833 -2g hi, DO, ossia UANOONIINAZIE h, (Farcot propone di fare w, = 0,92 2g-%,) altri costruttori propongono di portare il coefficiente fino a 0,95 e perciò, quando @, = 20°; I AE Ue «un = 0,97 V29 2% OOO maggiore che in tutti i tipi di costruzioni classiche studiate precedentemente. Anche qui non isfuggirà ai tecnici competenti | analogia fra l'ultimo risultato e l’espressione della velocità assoluta di distribuzione delle vene acquee in una turbina motrice a pressione (ad azione, od alla Girard come dicesi volgarmente). Perciò — 172 — havvi la presunzione che i canaletti rotanti si comportino come canaletti a superficie libera, e non come tubi di condotta sforzata; precisamente l'opposto di quanto devesi desiderare, a fine di diminuire le perdite di energia derivanti da resistenze passive straordinarie dovute a vortici d’acqua stagnanti od in moto. Ma se anche nelle costruzioni classiche (inglesi e tedesche) la forte velocità asso- luta ©, dell’ efflusso delle vene acquee dalla ruota è una seria preoccupazione per i costruttori, dappoichè è assolutamente necessario ridurla poco a poco a valori assai più piccoli alla fine del tubo di scarico, che cosa dobbiamo pensare rispetto alle co- struzioni francesi in questione! D° altro canto nelle medesime costruzioni le bocche di entrata nei canaletti mobili hanno luci strettissime nel senso del piano della ruota e quindi piuttosto larghe in senso assiale, ed invece le bocche d’ uscita hanno Inci assai larghe nel piano della ruota ed assai strette in senso assiale; perciò i moti delle sottili vene acquee non sono certo così regolari come nelle costruzioni. classiche, ma sono invece contorti, e perciò ne devono derivare maggiori movimenti discordanti. Ma finora non si posseggono serie di esperienze di confronto per potere con sicu- rezza valutare l’importanza relativa delle osservazioni predette: basta per ora mettere in guardia i tecnici contro i vantati vantaggi di idee del genere delle predette. Però per amore della verità dobbiamo dichiarare che nelle costruzioni classiche a ruote giranti verticali, da noi considerate come esempio interessantissimo per le grandiose pompe centrifughe per le bonifiche artificiali, gli afflussi e sovrattutto gli efflussi delle vene acquee, in parte sotto ed in parte sopra dell’ albero orizzontale mediano, devono necessariamente dare luogo a movimenti discordanti di un’ importanza non trascurabile, e chi scrive ha potuto convincersene mediante osservazioni speciali fatte sulle grandiose pompe centrifughe di Marozzo nella Provincia di Ferrara. Ma d’altronde gli inconvenienti costruttivi delle pompe centrifughe ad asse verti- cale sono ben più temibili nella grande pratica, come è stato dimostrato da parecchi impianti idrovori nel Veneto, nel Ferrarese, ecc. ecc. : ed in Egitto, ove il Farcot molti anni fa ha fatto un grandioso impianto (che ora peraltro non serve più, in seguito ai nuovi sistemi irrigatorî introdotti dagli ingegneri inglesi). Il principale fra gli inconvenienti costruttivi accennati è quello corrispondente ai grandi attriti sui sop- porti assiali dell'albero verticale delle pompe in questione. $ 7. — Finora abbiamo considerati due casi vipici di pompe centrifughe, con una specie di afflusso naturale, radiale, delle vene acquee verso la ruota girante. Perciò abbiamo dovuto supporre che 1° albero di rotazione di questa sia circondato da una guaina conoidale, la quale dolcemente volga le vene dalla direzione assiale alla dire- zione radiale, seguendo in ciò le idee geniali (1863) dell’ ingegnere francese Girard, che bonariamente diceva doversi trattare l’ acqua coi guanti. La guaina in discorso deve essere congiunta colla parete periferica interna del tubo mediante tanti tiranti, oppure tante sottili palette, le quali, se radiali, assicurano del tutto 1 introduzione radiale delle vene entro la ruota. Ma le medesime palette possono essere inclinate alla — 1733 — direzione radiale in modo da assicurare alle vene un qualunque determinante angolo a d’ introduzione nella ruota. In ailora, por ogni data velocità periferica «,, di questa, restano necessariamente determinate le erandezze ©,, e %, dalla condizione che le vene non devono entrare con urto entro i canaletti mobili. Ma l'urto sorgerebbe ad ogni variazione della velocità periferica %,. Tutto ciò premesso vogliamo ora considerare il caso più generale che l’ angolo &,, sia un angolo qualunque e non un angolo retto, e quindi dobbiamo riprendere | equa- zione più generale IV, invece della speciale IV"; 1 È cl Wr@?2szygj=%i,a5 > 20, > On * COS Am DÈ + 2Un 2% C0S &n) = 0. Sommando tale equazione colla V 5 n E ipa le 485 3; (o — 0°) = 0 conseguiam. ora er 2 — (1, +L+y+z3+ 330) Eniog (Un COS (1 a 8) = Um + Wp 608 Bm + Serie VI. Tomo IV. 1908-09 (2°) [SC] — 174 — Inoltre dal parallelograramo delle velocità d'uscita rileviamo ©, 008 Un = Un — Wp C0S (1 — 8a) =UnA+4+ W,° C08 1979 . Di conseguenza |’ equazione VII diviene 7 \ ] a IX] Un (Un + 10,008 B,) — Un (Um + Wm- COS Bn) = 7 g-ho- Dalle nuove equazioni risultanti VIII e IX si possono ricavare parecchi corollari teorici ed esperimentali, come è stato fatto recentemente in una Memoria pregevole dell’ ingegnere diplomato R. Biel (di Norimberga) Die Wirkungsweise der kreisel- pumpen und ventilatoren - Berlino, 1907; nella quale peraltro è fatta troppo larga parte ad idee teoriche non corrispondenti alla vera sostanza del problema, per esempio a casi di pompe centrifughe per le quali le curve dei cammini assoluti delle vene acquee riescono di forma spirale allungata, iuvece che di semplice e corta forma curva. Accenniamo soltanto a qualche corollario delle precedenti equazioni risultanti, avver- tendo esplicitamente che le medesime valgono soltanto per circostanze poco discoste dalle normali, nelle quali quindi non avvengono urti considerevoli fra le vene acquee scorrenti entro tutte tubazioni di condotta sforzata; nelle quali adunque le perdite di altezze di sollevamento d’acqua dovute alle resistenze passive, con sufficiente appros- Lei o i : ; ; uo simazione, possouo venire espresse mediante formule del tipo Co; essendo 7 la ve- 24 locità assoluta o relativa delle vene acquee determinabile mediante la formula : Portata = @ = -w, ove F metri quadrati è l’area della sezione attraversata perpendicolarmeute colla velocità ww. In seguito alle predette avvertenze possiamo ammettere che il coefficiente di ren- dimento idraulico 7 varî poco intorno ad un valore medio. Facendo ancora l'ipotesi della condizione veramente buona Wi, = Wm deduciamo dall’ equazione VIII Il 2 2 12 NETTE G (3, Wi) (Vo vi.) giare, 2g z LA risultato che ci dice come, variando assai poco il secondo membro, le variazioni della differenza (vì — vì) debbano essere in senso opposto di quelle della differenza (vj — %î,)- Perciò, e considerando essere ottima condizione, che la velocità assoluta ©, d’ en- trata delle vene acquee nella ruota girante, sia piccola ed intorno a due metri, si deduce che quando cresce notevolmente il termine vj}, deve decrescere corrispondente- mente la differenza «} — «ì,, e quindi alla fine dei conti devono decrescere le dimen- mI sioni periferiche esterne della pompa, e conseguentemente le spese di costruzione. Questo è un buon argomento in favore del tipo di pompa Rittinger-Farcot, per il quale la velocità assoluta v, dell’ uscita delle vene acquee è notevolmente più forte in confronto al tipo classico, — 79 = Facendo consimili avvertenze ed osservazioni sull’equazione IX, troviamo primie- ramente che per afflusso radiale delle vene acquee sulla ruota girante 10m 08 B = — 20m 608 (1 — Bm) = — Um e che quindi si annulla il secondo termine del primo membro dell’ equazione IX. Perciò questa diviene 5 ] Uh, + Un: W,-cos 0,= —-9g-h= Il SOR, = — sg] D) y 0 2 oppure Il 2 ° EEE ZO 27 Ma per il tipo di pompa Rittinger-Farcot IT 2 e IT i, e conseguentemente COS 330 Qualche coscienzioso ed esperimentato costruttore di pompe centrifughe del tipo in questione, interrogato dallo scrivente, gli ha dichiarato valutare esso, in condizioni normali, almeno 7 = 0,7. Con tale dato il risultato precedente diverrebbe Uni 04-29 invece di quello un = 0,833 -29-h, n dato a pagina 171 nell’ ipotesi di 7 = 0,6. Ad ogni modo però il valore della w,, e quindi quello della o riescono COS A, notevolmente superiori ai valori corrispondenti nelle pompe centrifughe di tipo clas- sico. In proposito rinnoviamo, accentuandola, l’ osservazione che quest’ultimo tipo può venire considerato come una turbina invertita a sovrapressione (a reazione), mentre l’altro tipo può venire considerato come una turbina invertita a pressione (ad azione). Oggidì non pare naturale che | osservazione predetta non abbia guidato i primi costruttori delle pompe centrifughe, i quali invece credevano di avere a fare con mac- chine assolutamente differenti dalle turbine, le quali già ben prima della metà del secolo passato avevano conseguita la loro giusta organizzazione, tanto praticamente che teoricamente. Il non avere riconosciuto subito la reversibilità delle turbine, a fine di conse- IO —- guirne delle buone pompe centrifughe, è stata la causa delle enormi differenze nel rendimento che si rilevarono nelle prime pompe, le quali perciò hanno tardato molto a salire in credito. Ma a dir vero, anche oggidì vengono rilevate delle differenze assai notevoli. la ragione delle quali non riesce sempre evidente. Qualcuno dei costruttori coscienziosi ed esperimentati, ai quali abbiamo accennato pocanzi, ha dichiarato di essersi trovato in condizioni strane, nelle quali due pompe assolutamente eguali ed esperimentate in condizioni apparentemente eguali hanno dati rendimenti notevolmente differenti, nè desso sapeva rendersene conto altrimenti che supponendo essere avvenuta qualche entrata d’aria durante le prove. Tale causa invero è ammissibile (anche per le turbine a tubo di scarico aspirante) e può dare ragione di notevoli differenze non soltanto nel coefficiente rendimento, ma eziandio e ben di più nella portata delle pompe. Il fatto può anche essere dovuto ad interruzioni nelle vene acquee ascendenti cagionate da formazione di vapore a pressione inferiore al- l’ atmosferica. Ma cause più chiare si possono trovare in distacchi delle vene acquee dalle pa- reti delle tubazioni, distacchi meno pregiudizievoli nelle turbine che nelle pompe, anzi in generale per nulla pregiudizievoli nelle turbine ad azione, ed invece veramente pregiudizievoli nelle pompe centrifughe tracciate come turbine invertite ad azione, come sarebbero le pompe di tipo Rittinger-Farcot. A fine di persuadersene vieppiù, basta notare che principalmente nelle costruzioni con palette direttrici delle vene acquee scaricate dalle pompe, i corrispondenti canaletti fissi funzionano come tubi di condotta divergenti, mentre nelle turbine i corrispondenti invertiti canaletti per la distribuzione regolare delle vene acquee alia ruota girante funzionano come tubi di condotta convergenti. Il non avere cominciato ad attaccare arditamente, ma saviamente dai punti di vista teorici fondamentali, il problema della costruzione delle pompe centrifughe come il pro- blema invertito della costruzione delle turbine motrici, è stata la causa dei lentissimi progressi delle pompe centrifughe. Subito dopo le primordiali ruote-turbine orizzontali, nelle quali le vene acquee affluivano disordinatamente da un’ampia cassa o tina, le vene acquee furono distri- buite alla ruota girante attraverso canaletti ricurvi convergenti assai sdraiati perife- ricamente rispetto alla medesima. Perchè invece in tante e tante costruzioni di pompe centrifughe (del resto abba- stanza buone). anche ogg1dì, le vene acquee vengono scaricate dalla ruota con bru- schissime espansioni entro cassoni anulari 0 pozzi circondanti la medesima ? Subito dopo alcune primitive costruzioni di turbine motrici con pochi e lunghi ca- naletti mobili, le nuove turbine furono costruite con molti e corti canaletti mobili, l’uno susseguente immediatamente 1° altro, in maniera da guidare colla massima pos- sibile accuratezza entro la ruota le sottili vene acquee. Perchè invece in tante costruzioni di pompe centrifughe, anche oggidì, i canaletti Cu mobili sono in piccolo numero ed anzi taluni (alternativamente) non sono che mozzi- cotti di canaletti prossimi soltanto alla periferia esterna ? Fino dai primordî delle migliori turbine motrici, fu ammessa come condizione na- turale di ottima costruzione quella posta dal Poncelet, che le vene acquee devono effluire dai canaletti giranti colla minima velocità assoluta perpendicolare a quella periferica dei medesimi. Invero anco nelle migliori prime costruzioni di pompe centrifughe fu ammessa come ottima condizione costruttiva quella degli aftlussi radiali e poco veloci delle vene acquee verso la ruota girante ; ma perchè tanti costruttori invece escogitarono spedienti per assicurare afflussi elicoidali ch’essi credevano i più naturali ? $ 8 — Continuiamo nel raffronto sull’ intimo funzionamento idraulico delle turbine motrici e delle pompe centrifughe, ma rendendolo più intensivo. A tale fine continuiamo ad ammettere il moto permanente del sistema idraulico- meccanico, e consideriamo a parole (non con espressioni matematiche) il moto di tante sottili vene acquee; discendenti nelle turbine, per vie identiche di qualsiasi configu- gurazione da un vasto canale inferiore; invece ascendenti nelle pompe centrifughe, per vie identiche di qualsiasi configurazione da un vasto canale inferiore ad un vasto canale superiore. Supponiamo che tutto il sistema sia trasparente, e che una data vena sia colorata in modo da poterla distinguere ad occhio. Se il sistema avrà un rilevante grado pratico di perfezione, la vena considerata ci apparirà come un cordone immobile nello spazio, variamente configurato, ma sempre con dolcissime variazioni di incurvature e di sezioni. Considerando poi una particella qualsiasi della vena, cogli occhi della mente la vedremo animata di una velocità assiale e di altre velocità intorno al proprio centro, ma sempre le medesime: a tutte tali velocità corrisponderanno forze vive cinetiche invariabili da istante ad istante. Inoltre cogli occhi della mente vedremo la particella considerata posseduta da una certa energia potenziale, positiva o negativa, nel sistema in discorso dovuta soltanto alla forza esterna della gravità. 1 Ad una certa piccola elevazione sul canale inferiore, la vena considerata è in pieno possesso della ruota girante, che abbiamo supposta trasparente, e qui dobbiamo fare una distinzione ben netta fra turbine e pompe centrifughe. Nelle turbine, la vena acquea considerata, prima di entrare nella ruota girante, si assottiglia considerevolmente e quindi le sue particelle si muovono con maggiori velocità assolute, più grandi nelle turbine a pressione che in quelle a sovrapressione : inoltre la medesima vena si sdraia considerevolmente rispetto alla periferia della ruota, formando colla medesima nel senso cella rotazione un angolo acuto, assai accentuato in tutte le turbine di piccola portata e nelle turbine a sovrapressione all’ americana. Appena entrata nella ruota, la vena a poco, a poco, lievemente comincia a premere sulle palette mobili, e sempre più riesce deviata dalla sua primitiva inclinazione e SRI diminuita di velocità assoluta, quindi dolcemente gonfiata in sezione. Dippoi la devia- zione e la pressione delle vene sulle palette si fanno sempre più forti, e la yelocità assoluta sempre più piccola, quindi il gonfiamento sempre maggiore: tali faiti succedono assai rapidamente, e ben presto la vena acquea svincolata dai legami della ruota girante esce dalla medesima in direzione perpendicolare alla periferia e con una minima velocità assoluta, quindi con un massimo gonfiamento, che mantiene, oppure può accrescere dol- cemente un poco entro un diffusore, prima di scaricarsi nel vasto canale inferiore. Il cammino assoluto seguito dalla vena nell’ attraversare la ruota girante è una curva para- boloica in principio assai sdraiata e poco curvata sulla periferia d’ entrata della ruota ed alla fine con curvatura assai pronunciata terminante ad angolo retto sulla periferia d’uscita. In generale si possono affermare come più vantaggiose quelle turbine (come je americane) in cui la curva predetta del cammino assoluto della vena (che noi abbiamo supposto di vedere per trasparenza) è più corta e più accentuata negli ultimi ele- menti. La vena è obbligata a seguire tale cammino assoluto dai legami colla ruota girante, e deviandosi preme sulle palette mobili, le quali trasmettono la pressione all’esterno sempre in modo identico e permanente. A tale pressione corrisponde una eguale reazione esterna e quindi un lavoro resistente esterno, negativo, compensante le energie cinetiche e potenziali della vena. Continuando a supporre la configurazione della vena come permanentemente e dol- cemente variabile da punto a punto, tanto in direzione che in sezione, a partire dal canale superiore ed a venire al canale inferiore; chiamando g metri cubi e y-g chi- logrammi la portata della medesima vena per minuto secondo; designando con 7 metri CS D " 30 la somma delle piccole cadute perdute in causa di tutti i piccoli movimenti discen- la caduta dal canale superiore al canale inferiore; designando con X metri = 2 È denti dovuti alle imperfezioni del sistema idraulico considerato; designando con y-g-L il lavoro motore prodotto all’ esterno durante un minuto secondo, comprendendo nel medesimo il lavoro che va sprecato nell’ ambiente, d’ acqua ed aria, che circonda la ruota girante, inoltre negli attriti sugli appoggi fissi dell’ albero della medesima; facendo il bilancio delle energie della vena acquea ad ogni minuto secondo, come abbiamo fatto in principio della Memoria; troviamo Pod Yo GI Mogol ossia L= H— K, che possiamo scrivere L = 7-H, essendo 7 il coefficiente di rendimento idraulico dalla turbina considerata. Il lavoro meccanico y-@-£L è dovuto tanto ad un'immediata estrinsecazione di energia potenziale quanto ad un’ immediata trasformazione di energia cinetica della vena durante la rapida deviazione della medesima in senso opposto alla rotazione della ruota girante. I due fatti hanno luogo contemporaneamente quando tuiti i canaletti giranti sono tubi di condotta sforzata, nei quali le palette rotanti sono premute nel senso della rotazione non soltanto in causa della deviazione delle vene, ma eziandio pe ni egeS in causa delle pressioni interne delle vene. Perciò turbine di tale genere meritano giu- stamente la designazione di turbine « sovrapressione (invece di quella a reazione, essendochè la reazione del sistema meccanico mosso ha luogo pure nelle altre turbine), e sono caratterizzate nettamente dalla configurazione a tubi convergenti, a dolce cur- vatura e non panciuta. Invece essenzialmente ha luogo soltanto il secondo fatto della trasformazione immediata di energia cinetica in lavoro meccanico quando tutti i cana- letti giranti sono come canaletti a superficie libera, la qual cosa è possibile nelle turbine, perchè sono le vene acquee che s’ appoggiano, e fortemente, sulle palette, nel senso della loro rotazione. Tali turbine sono perciò semplicemente turbine a pressione (ad azione, con espressione non bene appropriata), e sono caratterizzate nettamente dalla configurazione a tubi divergenti presso alle bocche d° entrata, inoltre dalla con- figurazione panciuta a forte curvatura. È riconosciuto generalmente che tale configura- zione è causa di maggiori resistenze passive. Le turbine a sovrapressione furono le prime a venire applicate, ma subito si di- mostrarono disadatte a prestarsi a grandi variazioni di portata, senza subire diminu- zioni assai considerevoli di coefficiente di rendimento idraulico. Perciò furono ben presto detronizzate dalle turbine a pressione, specialmente per opera del genialissimo inge- gnere francese Girard, la cui Memoria « Utilisation de la force vive de l'eau » Parigi, 1863 è rimasta classica. Ma più tardi le turbine a sovrapressione sono state rimesse in onore, principalmente per opera degli americani (dall’ epoca dell’ Esposizione di Filadelfia, 1876) i quali sono riusciti a dimostrare che mediante speciali accor- gimenti nei canaletti distributori e nei canaletti mobili, si possono conseguire coefli- cienti di rendimento assai vantaggiosi, pure a forti variazioni della portata. Oggidì nelle turbine a sovrapressione si può fare conto di un coefficiente di ren- dimento idraulico dell’ 85 e forse più per cento; almeno poi del 75°. Invece nelle turbine a pressione non è dato di fare conto di un rendimento idraulico di più del- 1 80 DA ed in via media generale non più del TOA, Ma non è questa | occasione di dilungarsi maggiormente in considerazioni costruttive e pratiche sulle turbine mo- trici, ed invece ritorniamo indietro per fare considerazioni sintetiche fondamentali sulle pompe centrifughe. i In tali macchine il vasto canale «d’ afflusso delle vene acquee è inferiore, mentre quello di efflusso definitivo è superiore; e ad una certa piccola elevazione (di circa 3 metri) sul canale inferiore, la vena acquea considerata è in pieno possesso della ruota girante, che continuiamo a supporre trasparente. Nelle pompe centrifughe le vene acquee percorrono all’ insù il tubo ed i tubi d’ afflusso con piccola velocità assoluta (di circa 2 metri) e la mantengono fino alle loro entrate radiali nella ruota girante. Ma poscia vanno aumentando considerevolmente di velocità e quindi si assottigliano notevolmente, deviando pure assai verso il senso della rotazione della ruota, e non nel senso opposto, come nelle turbine motrici. Questa volta sono le palette rotanti che premono sulle vene acquee, in forza del lavoro meccanico applicato esternamente sul- l’albero girante. Stando poi alla reversibilità delle pompe centrifughe rispetto alle — Med turbini motrici, sembrerebbe consigliabile che la predetta pressione avesse luogo rapi- damente e più nelle bocche d’ entrata che verso quelle d’ uscita; ma a ciò si oppone il fatto che alla fine dei conti la forza ideale centrifuga, causa. mediata dell’ azione della pompa, richiede un certo tempo per estrinsecarsi convenientemente, e quindi essere meglio che l’azione della pompa si estrinsechi equabilmente. Perciò la curva paraboloica dei cammini assoluti ‘delle vene attraversanti la ruota girante non è forse così opportuna nelle pompe centrifughe, come nelle turbine motrici, ed invece può essere preferibile una curva a curvatura più uniforme, concava verso il senso della rotazione, partente perpendicolarmente dalla periferia interna della ruota ed arrivante rapidamente (quanto mai sia possibile) alla periferia esterna sotto angoli assai acuti. Ma in proposito nulla possiamo affermare in modo assoluto, nè sono concordi gli in- dirizzi dei costruttori, come invece lo sono riguardo alle turbine. Soltanto possiamo dire che alla conformazione classica delle palette rotanti colla convessità, allungata ed a dolce curvatura, rivolta verso il senso della rotazione della ruota, corrispondono cammini ossoluti delle vene acquee più allungati ed a più dolce curvatura concava verso il senso della rotazione; mentre invece alla conformazione alla Rittinger- Farcot delle palette rotanti dolcemente concava (verso il senso della rotazione) nelle bocche d’ enirata, poscia concava più ‘accentuata, ed infine quasi rettilinea radiale, nelle bocche d’ uscita, corrispondono cammini assoluti delle vene acquee più accorciati ed in principio a più forte curvatura concava verso il senso della rotazione, insomma cammini paraboloici, quasi come nelle turbine. Ad ogui modo, siccome sono le palette rotanti che premono sulle vene acquee (sia colla convessità, sia colla concavità), così le vene avrebbero propensione a venire slan- ciate lungi dalle palette (come nelle antichissime macchine idrovore palleggianti), se non vi ostassero le faccie contrapposte delle palette precedenti nel senso della rota- zione, in altre parole se i canaletti rotanti non fossero tubi di condotta sforzata. È questa una differenza sostanziale rispetto alle turbine, nelle quali tale ultima condizione non è assolutamente necessaria. Perchè riescano tubi di condotta sforzata in via ge- nerale è sufficiente che siano a sezioni eguali per tutta la percorrenza, o tutto al più, un pochino convergenti dalle bocche d’entrata a quelle d’ uscita; ma non molto con- vergenti, perchè altrimenti col crescere delle velocità relative delle vene acquee dal- l’entrata all’ uscita, crescerebbero le resistenze passive, a tutto svantaggio dell’ effetto utile. La condizione accennata può venire soddisfatta tanto colle costruzioni classiche, che con quelle alla Rittinger-Farcot: ma in quest’ultimo le vene acquee sono obbligate a subire delle distorsioni (però come nelle turbine a pressione molto svasate) ingeneranti maggiori resistenze passive; mentre nelle costruzioni classiche le vene acquee percorrono tutte cammini paralleli identici. Ma anche in proposito | ultima parola spetterà a serie metodiche di esperienze di raffronto che sono ancora da effettuarsi. Una differenza ancora più sostanziale fra le pompe centrifughe di tipo classico e quelle dell’ altro tipo si trova all’ uscita delle vene della ruota girante, Nelle prime la velocità assoluta d’ uscita delle vene acquee è considerevolmente minore che nelle ul- — 181 — time; assolutamente come, ma in direzione inversa, nelle turbine a sovrapressione ri- spetto alle turbine a pressione. In altre parole le vene acquee, visibili per trasparenza, ci appariranno più grosse nelle pompe classiche, ma poscia tanto in queste che nelle altre dovranno dolcemente gonfiarsi, a fine di raggiungere presso al canale di scarico le misure di sezione e di velocità istesse che presso al canale d’ efflusso. Evidentemente il predetto dolce gonfiamento sarà più facile a raggiungersi nelle pompe di tipo classico, talvolta anche senza canaletti diffusori fissi; invece è lecito temere che le vene acquee delle pompe di ultimo tipo, dopo entrate nei canaletti fissi divergenti possano staccarsi dalle pareti (specialmente se la pressione interna risulterà inferiore all’ atmosferica) e quindi dar luogo a vortici e resistenze passive di grande importanza pregiudizievole. In questo sta, secondo chi scrive, il punto nero delle co- struzioni a tipo Rittinger-Farcot. Concludendo il raffronto finora fatto fra le turbine motrici e le pompe centrifughe elevatorie permetterebbe di aspettarci per queste ultime un coefficiente di rendimento idraulico soltanto di poco inferiore a quello delle turbine motrici, per esempio com- preso fra 0,80 e 0,70, ma nella pratica generale non possiamo contare sopra coefli- cienti cotanto buoni. Le espressioni matematiche riassuntive per le pompe centrifughe, come quelle date a pagina 178 per le turbine, sarebbero L=H+K=H, ove ora Z esprime il lavoro motore applicato all’ albero motore, ma colla deduzione del lavoro sprecato nell’ ambiente d’aria ed acqua sugli appoggi del medesimo. $S 9. — In tutte le considerazioni finora fatte abbiamo avute in vista soltanto condizioni normali pratiche del funzionamento delle pompe centrifughe, quindi intorno a quelle corrispondenti al principio generale delle lievi variazioni di direzione e di sezione in qualsiasi punto delle vene acquee. Ma qualora si vogliano considerare cirtostanze costruttive malintese anco per la velocità normale, oppure si vogliano studiare le variazioni del coefficiente di rendi- mento \idraulico corrispondenti a grandi variazioni della velocità normale, occorre ricor- rere ad espressioni matematiche più generali, come abbiamo già fatto nella Memoria « Teoria generale delle pompe centrifughe » presentata all'Accademia nell’ adunanza del 18 aprile 1886. In tale Memoria ci siamo valsi del teorema di Carnot per valutare la perdita di altezza d’acqua dovuta a ciascun urto, ma l’ abbiamo fatto non tanto per valutarla numericamente, quanto per dedurne dei coefficienti da potersi de- terminare esperimentalmente, dappoichè quel teorema suppone | urto di corpi assoluta- mente molli, ed invece le vene acquee posseggono un certo grado di elasticità. Inoltre conviene ricordare che in tutte le teorie comunemente ammesse non si tiene conto del fatto che le particelle acquee non si muovono semplicemente in filetti e vene, bensì Serie VI. Tomo VI. 1908-09 24 la — in vortici complicatissimi, come abbiamo aocennato nell’ altra Memoria « Alcune nuove equazioni per la teoria generale delle turbine idrauliche motrici od operatrici », pre- sentata. a dì 22 marzo 1903. In conclusione, le vere equazioni colleganti la portata d’ una pompa centrifuga coll’ altezza dell’ elevazione dell’ acqua e colla velocità angolare della rotazione della ruota, non possono venire determinate che mediante serie di esperimenti ben condotti e bene valutati. Ottenute tali equazioni, potremo esprimerle mediante curve rappre- sentative, e naturalmente saranno migliori quei tipi di pompe centrifughe per le quali tali curve riesciranno a larga curvatura, quindi con ordinate poco variabili in più od in meno delle ordinate medie normali. Soltanto dopo tante di tali ricerche sperimentali potremo giudicare coscienzio- samente : 1° Se siano consigliabili palette direttrici dell’ introduzione delle vene acquee nella ruota, almeno quando si tratti di portate grandi; 2° Quali configurazioni delle palette rotanti siano le preferibili; 3° Se siano consigliabili palette direttrici dell’ uscita delle vene acquee dalla ruota, almeno quando si tratti di portate grandi. Tutte le valutazioni ed osservazioni sperimentali fatte per tanti anni indurrebbero lo scrivente a rispondere negativamente alla prima questione, ed a consigliare invece l'applicazione delle guaine conoidali circondanti l’ albero e collegate colle pareti peri- feriche interne dei tubi semplicemente mediante tiranti sufficientemente robusti (*). Alla seconda questione, per ora, si sarebbe indotti a consigliare le configurazioni delle palette rotanti con dolci curvature convesse verso ii senso della rotazione, e così pure le configurazioni piatte, parallele o convergenti dall’ entrata all’ uscita, oppure conoidali concave al di fuori, delle palette dei canaletti rotanti perpendicolari all’ al- bero; in modo che le sezioni dei canaletti risultino costanti, od un po’ convergenti dall’ entrata all’ uscita, a fine di assicurare che ]Je vene acquee non possano mai stac- carsi dalle pareti dei canaletti. Alla terza questione si può rispondere, per ora essere, quasi necessarî i canaletti fissi diffusori (disposti in piani radiali con direzioni centripete) per le recentissime costruzioni di pompe centrifughe multiple accoppiate sull’ istesso albero orizzontale, le quali sono destinate per elevazioni d’acqua assai grandi, ma per portate non grandi. (*) In parecchi casi ho potuto ascoltare le pompe centrifughe presso all’introduzione delle vene acquee, e non ho mai notati i rumori caratteristici degli schiaffeggiamenti fra vene e palette. e alli = TA \ \ Ì I I I Ù TEC ORLILA di gesoter NEOSILURICI BIeZZO DI TIMAU E DEI PW NELI' ALTA CARNIA MEMORIA DI M. GORTANI £ P. VINASSA DE REGNY letta nell’Adunanza del 23 Maggio 1909 (CON UNA TAVOLA) INTRODUZIONE In Italia, come è noto, il Siluriano è sicuramente rappresentato soltanto in Sardegna e nelle Alpi Orientali. Ma, nell’una e nell'altra regione, esso compare con sviluppo e caratteri così notevoli, che il loro studio accurato promette risultati importanti non solo per la geologia italiana, ma anche sotto il punto di vista della geologia generale. Nelle Alpi Orientali il Siluriano affiora in Carnia, Carinzia, Salisburgo e Stiria; ma le località fossilifere sono relativamente scarse e quasi tutte mal note. Del gruppo inferiore del sistema, le divisioni più antiche non hanno dato finora avanzi determinabili; nella più recente (corrispondente al Caradoc inglese) fu scoperta una piccola fauna dal Suess (1) sopra Tarvis nella valle dell’ Uggwa, ed altre più ricche da noi sopra Paularo, presso Cas. Meledis (2) e sul Palon di Pizzul (3), la cui illustrazione è ora in corso di stampa. Interessanti fossili neosilurici rinveniva nel 1845 J. von Erlach presso Dienten (4), nel Pongau (“alisburgo); ma, benchè anche il Lipold (5) e lo Stache (6) si siano occu- pati dell’importante giacimento, di esso abbiamo soltanto un elenco preliminare di forme. (1) Cfr. G Stache. Ueder die Silurbildungen der Ostalpen, ete., Zeits. deut geol. Ges., XXXVI, 1884, pag. 324-25. — La fauna, scoperta dal Suess, fu determinata poi dallo Stache, ma la sua illustrazione non è ancora comparsa. (2) P. Vinassa de Regny. Nuove osservazioni geologiche sul nucleo centrale delle Alpi Carniche. Proc. Verb. S. Tosc. Sc. nat., XVII, 1908, pag. 40. (3) P. Vinassa e M. Gortani. Nuove ricerche geologiche sul nucleo centrale delle Alpi Car- miche. Rend. R. Ace. Lincei, (5) XVII, 2° sem. 1908, pag. 604. (4) Cfr. F. von Hauer in Haidingers Ber. iber die Mitth. von Freunden d. Naturw. in Wien, I, 1847. (5) Lipold. Die Grauwackenformation und die Eisenstein-Vorkommen im Kronlande Salzburg. Jb. k. k. geol. R.-Anst. IV, 1854, pag. 369. (6) G. Stache. Op. cit., pag. 282-85, e Verh. k. k. geol. R.-Anst., 1890, pag. 123. bosoni tin — 184 — Eccettuata questa, tutte le località migliori per il Neosilurico sono state scoperte nella catena principale delle Carniche; e precisamente, in ordine di data, sul M. Osternig dallo Stache (1), sul M. Lodin dal Taramelli (2), sul M. Kok dallo Stache (3), presso il lago di Volaia ancora dallo Stache (4), sul Pizzo Collinetta dal Frech (5) e finalmente da noi presso Cas. Meledis (6), nel versante italiano del Passo di Volaia (7) e nel nucleo del Pizzo Timau (8). Le sole memorie illustrative comparse finora su tali faune sono quella parziale del Frech (9) e le nostre (10); lo Stache da lunghi anni prepara un lavoro complessivo, che non sappiamo ancora quando potrà vedere la luce. In attesa, ci è sembrato opportuno di non ritardare lo studio della fauna siluriana del Pizzo di Timau e dei Pal; e ciò non solo per il suo interesse paleontologico, ma anche per documentare il rilievo geologico e tettonico del gruppo, da noi già esposto nelle linee principali l’autunno decorso. Il Pizzo di Timau, il Pal Grande e per errore il Pal Piccolo (11) son noti infatti nella letteratura geologica come le sole località alpine dove affiori con ricca fauna |’ Eodevonico superiore (12); nel versante settentrionale del M. Pai Piccolo sono elencati dal Frech (13) alcuni Coralli del Devoniano medio; finalmente « dunkler Eisenkalk mit Orthoceren » cita il Geyer (14) presso Cas. Pal Piccolo. Questa osservazione del Geyer è notevole, perchè (1) G. Stache. Der Graptolithen-Schiefer am Osternig-Berge in Karnten. Jb. k. k. geol. R.-Anst., XXIII, 1873, pag. 176. (2) T. Taramelli. Osservazioni stratigrafiche sulle valli del But e del Chiarsò in Carnia. Ann. scient. R. Ist. tecn. Udine, IV, 1870, pag. 38; —- Id. Sulla recente scoperta di fossili siluriani nella provincia di Udine. Rend. R. Ist. Lomb., (2) XIV, 1881, pag. 590. (3) G. Stache. Szurbild. d. Ostalpen, l. c., pag. 329-383. (4) G. Stache. SWurbild. d. Ostalpen, 1. c., pag. 336-39. (5) F. Frech. Die Karnischen Alpen. Estr. d. Abh. Naturf., Ges. Halle, 1892-94, pag. 229-31. (6) P. Vinassa e M. Gortani. Nuove ricerche geologiche sui terreni compresi nella tavoletta « Paluzza ». B. S. geol. ital., XXIV, 1905, pag. 721. (7) P. Vinassa. Op. cit., pag. 40. (8) P. Vinassa e M. Gortani. Nuove ricerche geol. sul nucleo centr. ecc., 1. c, pag. 605. — 'Tralasciamo di parlare degli scisti con Graptoliti scoperti dal Tommasi a sud del Cristo di Vimau (cfr. Varamelli. Osservazioni stratigrafiche sui terreni paleozoici nel versante italiano delle Alpi Car- niche. Rend. R. Acc. Lincei, [5] IV, 2° sem. 1895, pag. 189), perchè, anche dopo le ricerche del Geyer (Verh. k. k. geol. R.-Anst., 1897, n. 12-13), rimane ignota la loro esatta provenienza. (9), F. Frech. Uber das Devon der Ostalpen, nebst Bemerkungen ber das Silur und einem pa- leontologischen Anhang. Zeits. deut. geol. Ges, XXXIX, 1888, pag. 659-738. (10) P. Vinassa de Regny. Graptoliti carniche. Atti Congr. Natur. ital. Milano, 1907, pag. 161- 186; -- Id. Fauna dei calcari con Rhynchonella Megaera del Passo di Volaia. B. S. geol. ital., XXVII, 1908, pag. 171-189. (11) Il Pal Piccolo fu evidentemente confuso con il Pal Grande dal Freeh nel suo lavoro Uber devonische Ammoneen Beitr. z. Paliont. Oesterrr.-Ung. u. Or, XIV, 1902. (12) Cfr. M. Gortani. Za fauna a Climenie del monte Primosio. Mem. R_ Acc. Sc. Bologna, (6) IV, 1907, pag. 201-242. (13) F. Frech. Karn. Alpen, pag. 263. (14) G. Geyer. Zur Stratigraphie der palaeozoischen Schichiserie in den Karnischen Alpen. Verh. k. k. geol. R.-Anst., 1894, pag. 117. — Vedi anche: Geyer Veber neue Funde von Graptolithen- Schiefer in den Stdalpen ete., ibid., 1897, pag. 237 e segg. -— 185 — il Frech, parlando di un blocco staccato con Orthoceras alticola, O. subannulare e Mur- chisonia attenuata raccolto fra Pal Grande e il Pizzo limau, dice recisamente che esso « kann, da in der Umgebung Culm und hòkeres Devon ansteht, nur durch Gletschertransport von Hohen Trieb [Cima Costa alta] hingefiihrt worden sein » (1). Come a nostro giudizio stiano le cose, abbiamo già detto. Il Pizzo di Timau è una piega ellissoidale compressa, allungata in senso E-W; i Pal formano una piega ellissoidale, contigua alla precedente e ad essa subordinata, meno importante ma simile e similmente disposta. La volta delle due ellissoidi è erosa; dove l'erosione è abbastanza profonda, è messo allo serperto lo stesso nocciolo della piega, che è siluriano, mentre la copertura più esterna arriva al Neodevonico; tra l’uno e l’altro la serie è completa, ima con sviluppo variabile. In tre punti il nucleo antico è messo a giorno, senza esser troppo mascherato dalla vegetazione e dai detriti di falda : a) di fronte alla Cas. Pal Grande di sopra (sulla sinistra del rio Gaier), al piede della parete della Pradersachia, della cresta cioè che dal Pizzo Timau (m. 2221 s. m.) corre verso la Gamspitze (m. 1851), a circa 1650-1700 metri; b) presso la Cas. Pal Grande di sotto, verso la Gamspitze e la costa di Pront, a circa 1550-1600 métri; c) presso la Cas. Pal Piccolo di sotto, alla base meridionale del Freikofel, da 1500 a 1600 metri. Per brevità, indicheremo da qui avanti le tre località rispettivamente coi nomi di Pradersachia, Cas. Pal Grande, Cas Pal Piccolo. Le due prime appartengono all’ellissoide del Pizzo di Timau, la terza all’ ellissoide dei Pal. In tutti e tre i giacimenti si raccolgono fossili in calcari rossi reticolati, calcari bruni e calcari neri; ma la distribuzione delle specie è indipendente dal colore della roccia, e i tre membri si alternano più volte e senza ordine alcuno, cosicchè devono ritenersi perfet- tamente equivalenti. Alla Pradersachia e a Cas. Pal Grande prevalgono i calcari rossi, e a Cas. Pal Piccolo i bruni e neri, talvolta fortemente bituminosi. Sul pochissimo valore stratigrafico che possono avere i diversi tipi litologici del Neosilurico carnico, ci riportiamo del resto a quanto fu già da noi esposto più volte. I calcari a Ortoceratidi, rossi, bruni e neri, sono dovunque ricoperti a loro volta da calcari grigi con Coralli silicizzati. Neppure questa facies, come dimostrammo, ha valore eronologico preciso, potendo presentarsi ora con forme neosiluriche, ora intercalata agli strati a Climenie, ora persino in contatto col Siluriano medio. È quindi necessario, punto per punto, di studiarla paleoniologicamente, massime ove si presenti, come nel caso attuale, fra strati neosilurici e strati appartenenti al Devoniano inferiore. Limitandoci ora alla fauna degli strati con Orthoceras, passiamo senz’ altro alla descri- zione delle forme, e riserviamo ogni conclusione a dopo compiuto l'esame paleontologico. (1) F. Frech. Karn. Alpen, pag. 232. = 180 DESCRIZIONE DELLA FAUNA Tetracoralla ‘© Gen. Nicholsonia Pocta. Nicholsonia (?) sp. ind. — Tav. I, fig. 1. Un esemplare di Cas. Pal Grande potrebbe riportarsi a prima vista al gen. Petraia. Ma l’ angolo apicale abbastanza acuto e lo spessore della teca non rispondono troppo alle caratteristiche del gen. Petraia. Purtroppo però non è possibile aver sicurezza sui caratteri interni stante lo stato di conservazione dell’ esemplare. Mi limito quindi a ricordare le grandi somiglianze che sì hanno con una forma di Micholsonia (Alleyinia) ascritta dal Potéta (in Barrande, Système Silurien de la Bohéme, VIII, 2, Anthozoaires) a pag. 187 e figurata nelle ta- vole 98 fio. 22-23, e 108 fig. 8-9 sotto il nome di AZleyinia curta. Solo esemplari migliori e nei quali sia possibile avere nettamente conservati i caratteri interni ci. potranno dare sicurezza sull’ appartenenza di questa specie. L’ esemplare completato misura 21 mm. di altezza e 11 mm. di larghezza: il suo angolo apicale varia nelle diverse direzioni da 36° a 40°. Gen. Petraia v. Miinster. Petraia cfr. laevis Poùta. 1902. Petraia laevis Poùta in Barrande, Système Silurien du centre de la Boheme, VIII, 2, Anthozoaires, pag. 207, tav. 68, fig. 10-16. Un esemplare frammentario credo possa riportarsi senz’ altro al genere Petraia, a causa del suo angolo apicale e della disposizione delle coste. E più specialmente sono grandi le somiglianze con la Petraia laevis Potta per il suo angolo apicale abbastanza ottuso, e la forma e la disposizione delle coste. Il mio esemplare che misura, completato, mm. 18 di altezza, e mm. 16 di larghezza massima, somiglia in modo speciale alla fig. 12 della tavola 68, cui corrisponde anche per l’angolo apicale di 45°. Calcari rossi presso la Cas. Pal Grande. (*) Di P. Vinassa de Regny. — 187 — Tabulata Gen. Favosites Lamarck. Favosites gothlandica Lamarck. — Tav. I, fig. 2 &, db. 1816. Favosites gothlandica Lamarck, Histoire des animaua sans vertèbres, II, pag. 206. 1879. — _ Nicholson, On the Structure and Affinities of the Tabulate Corals ; of the Palaeozoic Period, pag. 46, tav. I, fig. 1-6 (cum syn.) 1902. — gothlandicus Potta in Barrande, Op. cit, pag. 230, tav. 76 (cum syn). Dopo la magistrale descrizione di questa specie, del resto assai ben nota, data dal Nicholson, sarebbe superfluo accennare anche brevemente ai caratteri principali di essa. Il nostro esemplare è certamente da riferirsi a questa forma. Esso ha una forma ir- regolare ed inoltre è molto deformato dalla erosione. Ma non è difficile rilevare che esso doveva avere una forma su per giù emisferica ma irregolare. La superficie inferiore es- sendo connessa alla roccia, non è visibile la epiteca che sempre la ricopre. I singoli individui corallini sono regolarmente prismatici, di modo che alla superficie appariscono le maglie angolose quasi tutte uniformi di diametro che oscilla tra 1 e 1,3 mm. La parete dei singoli coralliti è abbastanza sottile e non è mai ispessita da spereoplasma secondario. I pori sono disposti in doppio ordine e assai ben visibili. Le tavole sono con- tinue, complete, ondulate nel loro percorso, in taluni punti fittissime, in altri abbastanza rade, sempre sottili. I setti sono appena accennati da minute spine o meglio granulosità ben visibili anche colla semplice lente. Tutti questi caratteri corrispondono bene colle forme siluriane di questa specie. E prima di tutto le dimensioni generali che sono molto maggiori negli esemplari devoniani. Poi la forma regolare e tipicamente esagonale o pentagonale dei singoli coralliti e final- mente la uniformità delle dimensioni tra i singoli coralliti di uno stesso esemplare. Nei calcari neri della Pradersachia. i Favosites Forbesi Milne-Edwards et Haime. — Fig. 1 nel testo, e Tav. I, fig. 3 a, d. 1854. Favosites Forbesi Edwards and Haime, British fossi! Corals, V, Silurian. Paleont. Soc. VIII. pag. 258, tav. LX, fig. 2-2g (cum syn.). 1879. — — Nicholson, Op. cit, pag 56, tav. I, fig. 7; tav. II, fig. 1-8; tav. III, fig. 1-2. 1902. — — Potta in Barrande, Op. cit., pag. 339, tav. 87 e 100 (cum syn.). Come la caratteristica della specie precedente è quella di avere tutti i coralliti della stessa dimensione e tipicamente pentagonali od esagonali, così caratteristica di questa se- conda forma è di avere i coralliti di dimensioni assai diverse non solo, ma anche sempre più o meno tondeggianti. (*) Di P. Vinassa de Regny. — \li88 —— Questa specie è stata magnificamente descritta e figurata dal Milne -Edwards e dal Haime e la figura appunto 29 di essi si adatta ottimamente al nostro esemplare. Questo, eroso al solito, è privo della sua forma originale ; doveva però avere una forma emisferica più regolare che non ) esemplare precedentemente de- scritto. Anche qui per | incassamento del fossile nella roccia non è visibile |’ epiteca. I coralliti sono rotondeggianti, solo per ecce- zione accennano alla forma prismatica. La parete è abbastanza sottile ma un poco più spessa che non nella forma precedente. I pori sembrano essere abbastanza numerosi ma nelle mie prepara- zioni non sono riuscito a vederne la esatta disposizione. Solo posso accennare che essi sono in maggior numero che non nella forma precedente. I coralliti sono di dimensioni molto svariate. I maggiori che 25 Fig. 1. — Favosites Forbesi sono più tondeggianti raggiungono mm. 1,5 ed anche quasi mm. 2 DE. et H. - Sezione trasy. ingr. di diametro. Ma tramezzo ad essi se ne hanno altri minori, in generale più angolosi, che misurano invece solo !/ e talora anche *, di millimetro. Anche qui i setti sono rappresentati da minute granulazioni assai più visibili che non nella specie precedente. Le tavole sono complete, sottili, regolari e numerose. Come risulta dalla descrizione, l’ esemplare risponde alla tipica FY. Forbesi del Neosi- lurico, e non può confondersi con altre varietà della specie più recenti. Nei calcari neri di Cas. Pal Piccolo. Un secondo esemplare assai minore proviene dai calcari neri dei dintorni della Cas. Pal Grande. Esso ha la forma assai regolarmente emisferica e misura un diametro mas- simo di 23 mm. ed un’ altezza di circa 12 mm. Anche in questo esemplare è nettamente visibile il carattere della diversità nella dimensione dei singoli polipieriti. Le somiglianze maggiori, salvo che per le dimensioni generali, si hanno coll’ esemplare proveniente dal Dudley e figurato dal Milne Edwards e dal Haime (Op. cit.) alla tav. LX, fig. 2 c. Brachiopoda Gen. Orthis Dalman. Orthis praecursor Barrande. — Tav. I, fig. 4. 1879. Orthis praecursor ‘Barrande, Système Nilurien du centre de la Boheme, V. Brachiopodes, tav. 58, fig. 3; tav. 61, cas. III; e tav. 125, cas. VI. L’Orthis praecursor ha forma trasversalmente ellittica, non troncata ma attenuata in alto, e superficie percorsa da costicine finissime, tutte uguali, intere (non biforcate) per la massima parte; tali costicine nella regione mediana delle valve sono in numero di 17 a (*) Di M. Gortani. —IS9 — 18 in un intervallo di mm. 5 a un centimetro di distanza dall’ apice; a 2 centimetri dal- l'apice sono 13 a 14 nell’ intervallo medesimo. L’ esemplare carnico corrisponde perfettamente alla fig. 3, tav. 58 del Barrande. È una valva ventrale di giovane individuo, misurante mm. 10 di altezza, 12 di larghezza, 2,5 di spessore; le costicine sono tutte intere, come è nella porzione degli esemplari boemi corrispondente alla statura del nostro, e alla fronte (a mm. 16 dall’ apice) se ne contano 20 in ogni intervallo di mm. 5. Il seno, come negli individui tipici, è impercettibile. Calcari rossi della Pradersachia. Orthis cfr. capitata Barrande. 1879. Orthis capitata Barrande, Op. cit., V, tav. 70, cas. I (fig. 1 excl.). Non si sa davvero comprendere come il Barrande, tanto proclive a istituire il massimo numero di specie possibile, abbia riun:to sotto il nome di Orthis capitata due tipi diversi come quelli rappresentati dalla fig. 1 e dalle figg. 2 e 3 della tavola citata : il primo con larghe pieghe a ventaglio, il secondo con pieghe sottili, inuguali, leggermente ricurve. Quello può conservare la denominazione dell’ autore; per quest’ultimo propongo il nome di Orthis pseudo-cupitata n. n. Alla Orthis capitata così intesa avvicino un esemplare assai ‘piccolo, misurante mil- limetri 2,3 di altezza e 3,3 di larghezza; esso conserva solo parte del guscio sottilissimo, che mostra costicine radiali acute, ben nette e distinte, ma saltuariamente diverse fra loro per larghezza e rilievo, senza che tra le differenze si possa scorgere un periodo definito. Il modello conserva la traccia, sbiadita, delle coste, e presenta numerose foveole. Il con- torno, come nel tipo, è semiovato, con l’ apice un po” prominente sul margine. Gen. Spirigera d' Orbigny. 3 Spirigera canaliculata Barrande sp. — Tav. I, fig. 5 ae. 1879. Atrypa canaliculata Barrande, Op. cit., V, tav. 145, cas. IV-VII (III excl.). 1879. — dissidens Barrande, Op. cit., V, tav. 146, cas. I. .1881. — canaliculata Maurer, Palciontologische Studien im Gebiet des Rheinischen Devon. IV. N. Jb. f. Min. etc., Beil. I, pag. 38, tav. II, fig. 23 e 24. La conformazione esterna di questa specie è senza dubbio somigliantissima a quella della Meristella didyma (Dalman) Davidson (1), da cui la maggior parte degli esem- plari sono distinti per la convessità meno forte. I caratteri interni degli individui boemi non son conosciuti, e il riferimento generico rimane quindi incerto. Tuttavia, data la somiglianza grandissima che essi presentano con alcune forme disegnate dal Barrande come Atrypa compressa Sew., due delle quali (2) (1) Davidson. Monograph of the British Silurian Brachiopoda. Palaeont. Soc., XIX, 1867, pag. 112, tav. XII, fig. 1-10; — Id. Silurian Supplement. Ibid., XXXVI, 1882, pag. 94, tav. IV, fig. 20-23. (2) Cfr. Barrande. Op. cit., V, tav. 85, cas. I, fig. 10 e 11. Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 25 — 190 — mostrando i sostegni brachiali si palesano spettanti al genere Spirigera; data la perti- nenza allo stesso genere di parte almeno degli esemplari riferiti dal Barrande ad Atrypo (oggi Glassia) obovata Sow. (1); dati anche gli argomenti di paleogeografia zoologica, per cui la presenza in Boemia delle forme atripoidi inglesi deve ritenersi tutt'altro che dimostrata, è verosimile che |’ Atrypa canaliculata debba anch’ essa venir trasportata fra le Spirigerae. Tale induzione è rafforzata dall’ esame delle forme carniche. Le preparazioni fatte sui miei esemplari per ricercarne i caratteri interni mi hanno infatti condotto a verificare in essi: 1) la presenza di due coni spirali avvolti dall’ interno all’ esterno; 2) la presenza di due brevi lamine dentarie nella grande valva; 3) la mancanza nella grande valva di setto mediano. Tutto ciò. mentre esclude la pertinenza a qualsiasi Atrypide, come pure a Me- ristina, depone invece a favore di Spirigera. E se a questo genere spettano le forme car- niche, la strettissima affinità tra le faune silurico-devoniane alpine e boeme giustifica lo stesso riferimento generico per le forme boeme. Come gli esemplari tipici, anche i nostri hanno una notevole variabilità di forma, così nel contorno come nella profondità e ampiezza del solco longitulinale. Le dimensioni sono assai piccole, come risulta dal seguente specchietto : I Il II IV Vv AT zz E o 5 5 9) 6 Larghezza . . » 5 4 4 3,8 4,5 Spessore... » 1,8 2 205) 923 PIA; Il rapporto fra larghezza ed altezza, variabile nelle figure del Barrande da ©/y 2 Il glia qui da Ap e ZA Le forme strette e nettamente sinuate sono ben distinte specificamente. Ma quando il seno è lieve e l’altezza è minore, gli esemplari hanno grande somiglianza con la specie seguente, dalla quale è assai difficile separarii. Mi è parso superfluo figurare tali termini di passaggio, di cui posson dare esempi le fig. 1 e 4, cas I, tav. 15 e cas. IV, tav. 114 del Barrande. Calcari neri di Cas. Pal Piccolo. Spirigera subcompressa Frech sp. — Tav. I, fig 6 ac. 1847. Terebratula compressa (non Sowerby) Barrande, Seurische Brachiopoden aus Bòhmen, in Haidingers Naturw. Abh., I, pag. 47, tav. XIV, fig. 3. 1379. Atrypa — Barrande, Syst. Stl., V, pag. 12, tav. 85, cas. I; tav. 114, cas. IV; tav. 142, cas. INI; tav. 146, cas. II-V. (1) Parte di questi esemplari spettano forse al genere Merista; cfr. Frech in Zeits. deut. geol. Ges., 1887, pag. 726-27. La Glassia obovata (cfr. Davidson. Si. Suppl., 1. c., pag. 116, tav. VII, fig. 11-20) somiglia esternamente così agli esemplari figurati sotto tal nome dal Barrande, come alla Spirigera canaliculata, la quale se ne può distinguere tuttavia per la minore sinuosità della com- messura frontale unita a una più profonda incisura del margine. — 191 — 1887. Athyris subcompressa Frech, Uber das Devon der Ostalpen, nebst Bemerkungen ber das Silur etc, Zeits. deut. geol. Ges., XXXIX, pag. 726. 1908. Spirigera = Vinassa, Fauna dei calcari con Rhynchonella Megaera del Lo> di Volaia, Bull. S. geol. ital., XXVII, pag. 561, tav. XX, fig. 12 e Come si è detto, fra questa e la specie precedente non si può mettere un netto confine. Sotto il nome di Spirigera subcompressa riuniamo gli esemplari in cui le valve sono più leggermente solcate, il margine frontale è meno inciso e la larghezza uguaglia o supera l'altezza. Sovente però i tre caratteri non si trovano riuniti e la distinzione è malagevole: per convenzione si può seguire la norma della coesistenza di due almeno di essi. Le dimensioni sono anche qui molto ridotte : I lu III IV v AÙ Tezza dl BZ se i 4,5 6 Larghezza . . > o }19) 1,5 dL7) 6 Spessore . . » ] 15 2 DI 4 Il rapporto fra larghezza ed altezza oscilla fra 1 e !%, (negli esemplari della Boemia 125 100 a /00)- La distinzione dalla Glassia obovata Sowerby, che è la specie inglese più simile alla varia da % nostra, può farsi spesso per la minore convessità degli esemplari carnici e la loro forma più lenticolare, cioè più assottigliata ai margini che sono acuti e talora quasi taglienti. Il Frech (Op. cit., pae. 727), considerando gli esemplari figurati dal Barrande nelle tav. 85 e 114, credette di rilevare una differenza tra quelli provenienti dal piano F, e quelli provenienti dal piano E,, che sarebbero più sottili e slanciati e per i quali egli propose in via preliminare l’ appellativo di mut. progora. Se non che, prendendo in esame anche le ficure della tav. 146 (che al Frech è probabilmente sfuggita, poichè non la nomina), la distinzione non regge più. Si potrà forse notare una certa tendenza in un senso a che nell'altro, ma le diverse forme sono promiscuamente distribuite; e il nome del Frech non mi sembra quindi destinato ad avere fortuna. Calcari neri di Cas. Pal Piccolo. Spirigera (?) sphaerula Barrande sp. — Tav. I, fig. 7 a, d. 1879. Atrypa sphaerula Barrande, Syst. Syl., V, tav. 146, cas. VIII, fig. 1-3. La determinazione generica di questa forma è molto incerta, poichè la conformazione esterna non dice nulla, e dei cavatteri interni si conoscono soltanto le lamine dentali, il cui andamento può far anche pensare alle Merisfae. In mancanza di argomenti per inclu- derla nelle Atrypidae liscie, la cui presenza nei terreni silurico-devoniani così della Boemia come della Carnia non è stata ancora provata, ritengo opportuno, per il momento, di riu- nirla con le precedenti. Dei miei due esemplari (valve ventrali), uno è assai piccolo; l’altro corrisponde esat- tamente ai boemi tanto per la forma emisferica della grande valva, quanto per la dire- zione delle placche dentali, che sono pure visibili. La superficie è liscia, con tracce di strie concentriche. Calcari neri di Cas. Pal Piccolo. — 192 — Gen. Merista Suess. Merista securis Barrande — Tav. I, fig. 8 4-2. 1879. Merista securis Barrande, Syst Sil., V, tav. 17, cas. IL 9? 1881. - — Maurer, Op. cit., l. e, pag. 48, tav. III, fig. 16 e 17. La lamella concava, caratteristica delle Meristae, che collega le due lamine dentali allungate della grande valva, è presente nell’ esemplare della fig. 10 a, cas. II, della citata tavola del Barrande; la pertinenza generica della specie è quindi assicurata. È propria di essa la conformazione singolare, che ricorda assai la figura di un’ ascia neolitica: contorno con la maggior larghezza alla fronte, dove è troncato; margini laterali bruscamente concorrenti verso l’apice nel terzo superiore; spessore più forte nella metà apicale e minimo presso la fronte. Le commessure, quasi diritte ai lati, sono anteriormente diritte o poco arcuate. Gli esemplari carnici (a differenza di quelli troppo incerti del Maurer, che sembrano piuttosto avvicinarsi alla Spirigera subcompressa) ripetono tutti questa forma tipica (che nei più giovani individui della Boemia si fa spesso subtriangolare), malgrado le piccole dimensioni, oscillanti da mm. 2,5 a 5 per L'altezza e mm. 2 a 4 per la larghezza. È anche in essi più costante il rapporto fra larghezza e altezza, che si mantiene fra 4» ® “o (negli esemplari boemi fra o e !Uo)- Calcari neri di Cas. Pal Piccolo Gen. Rhynchonella Fischer. Rhbynchonella Sappho (non Hall) Barrande sp. (1) 1879. Atrypa Sapho Barrande, Syst. Syl., V, tav. 85, cas. III (fis. 5, 7, 9, 12 excl.); tav. 137, cas. Vi; tav. 148, cas. I-XII; tav. 149, cas. ISXII (VII exel.). 1887. RAynchonella Sappho Frech, Devon d. Ostalpen, l. c, pag. 729. 1908, _ -- Vinassa, NHauna a Rh. Megaera, l. c., pag. 571, tav. XX, fig. 33. Una valva ventrale, rigonfia, larga mm. 11,5 e alta 12, a contorno subpentagonale, con lobo mediano ampio, turgido, nettamente delimitato verso la fronte; angolo apicale di 95°. Somigliantissima a una RAynchonella Megacra (2), se ne distingue soltanto per la minor espansione delle regioni laterali (corrispondente a uno sviluppo molto minore delle espansioni aliformi della valva dorsale) e per un impercettibile accenno di tre lievissime pieghe sul lobo. (1) Esiste una Rhynchonella Sappho descritta da Hall (XIII Ann. Rep. N. York St. Cab. Nat. Hist., pag. 87; e Paleontology of New York, IV, 1862-66, pag. 340, tav. LIV); siccome però essa è ora definitivamente ascritta al sottogenere Camarotaechia (cfr. Hall e Clarke, Pal. N. York, VIII, 2, pag. 192) a cui certo non spetta la forma boema, i due nomi specifici possono coesistere. . (2) Cfr. Barrande, Syst Sé, V, tav. 86, cas. I; tav. 151, cas IV. = I = Rhynchonella Sappho var. hircina Barrande. — Tav. I, fig..9 a-d. 1879. Atrypa Sapho Barrande, Syst. Sil, V, tav. 85, cas. III, fig. 5, 7, 9, 12 (cet. excl.). 1879. — hircina var. de Sapho Barrande, ibid, tav. 90, cas. IV; tav. 151, cas. I-IV; tav. 151, cas. I-IV. 1887. RAynconella Sappho var. hircina Frech, Devon d. Ostalpen, l. e , pag. 730, tav. XXVIII, fig. 7. 1908 —- = — Vinassa, Fauna a Rh. Megaera, l. c., pag. 573. I termini di passaggio fra la A. Sapplo e la var. hircina sono così graduali, che è spesso puramente soggettivo e arbitrario assegnarli all’una piuttosto che ali’altra delle due forme. A ciò va ascritto l'apprezzamento diverso dal Barrande che io faccio degli esemplari da lui figurati nella tav. 85. Come gli individui studiati dal Vinassa e dal Frech, l’unico a mia disposizione spetta alle forme più larghe della R%. Rircina. Esso misura mm. 12 di altezza, 13,5 di larghezza e 8,5 di spessore; il rapporto fra larghezza e altezza è di !*%/»; l'angolo apicale è di circa 105°. Negli individui boemi il rapporto oscilla fra 8%, e "%y. l'angolo fra 80° e 110°. Le pieghe sono a mala pena visibili; la valva dorsale ha il rigonfiamento mediano poco accentuato, risultandone una figura molto simile alle forme di passaggio fra la Rhynchonella Megaera e la sua varietà Zelia (cfr. Barrande, Syst. Sil., V, tav. 86, 90, 134, 151). Calcari neri di Cas. Pal Piccolo. Rhynchonella Thisbe Barrande sp. — Tav. I, fig. 10. 1847. Terebratula Thisbe Barrande, Silur. Brach. aus Bòlmea, |. c., pag. 414, tav. XVI, fig. 4. 1879. Atrypa — Barrande, Syst. Sel., V, tav. 89, cas. IV; tav. 144, cas. I-XI. 1899. — — Wenjukoff, Die Fauna der silurischen Ablagerungen des Gouvernements Podolien, Mater. z. Geol. Russlands, pag. 118, tav. VII, fig. 8 e 11. Rientrano molto probabilmente fra le A/Aynchonellae, insieme con le molte forme liscie o appena costulate, anche talune delle A#rypae decisamente pieghettate del Barrande, che per la conformazione si accostano assai al gruppo delle specie precedenti. Tale è, a mio giudizio, il caso della Afrypa Thisbe, rappresentata anche nella nostra fauna dalla valva ventrale di un giovane individuo. Essa ha contorno esagonale arrotondato, un po’ ristretto in alto; apice piccolo e breve; seno leggero, fiancheggiato da due pieghe robuste e percorso da una minore costa mediana; regioni laterali percorse ciascuna, oltre la piega limitante il seno, da due altre successivamente più brevi; guscio sottile; fitte e fine stria- ture di accrescimento. Forma e ornamenti corrispondono sopra tutto alla fig. 2 della tav. 89, cas. IV del Barrande. Calcari neri di Cas. Pal Piccolo. — 194 — Lamellibranchiata Gen. Patrocardium Fischer. Patrocardium cfr. baro Barrande sp. 1881. Memicardium baro Barrande, Syst. Sil., VI, Acephalis, tav. 244, cas. I, fig. 1-8. Valva destra subtriangolare, alta mm. 9 e lunga 6, troncata anteriormente. Il con- torno ha la figura di un settore ellittico ; il margine inferiore è regolarmente arcuato ; il cardinale anteriore, rettilineo, è lungo una volta e mezzo il posteriore, col quale fa un angolo di circa 60°. La lunula, ben delimitata, forma col corpo della valva un angolo maggiore del retto. Trattandosi di un modello interno, |’ ornamentazione è rappreseniata dalla sola traccia delle coste radiali: una ventina, minute e leggiere, raggianti dall’ um- bone a ventaglio; la lunula appare liscia. Il maggior numero degli esemplari boemi è più fittamente costato e ha più forte spessore ; corrisponde bene al nostro la fig. 2 del Barrande. Calcari bruno neri di Cas. Pal Piccolo. Gen. Mila Barrande (**). Mila carnica n. f. — Tav. I, fic. 11 a-c. Valva destra rigonfia, a contorno subtriangolare, col lato frontale arcuato a conves- sità esterna e l’ anteriore leggermente sinuoso. I due margini cardinali, superiore e ante- riore, formano un angolo di 73°; il secondo è un po’ più lungo del primo. Angolo infe- riore arrotondato. Umbone piccolo, acuto, ricurvo, poco prominente sulla cerniera. Area nulla. Lunula circa tre volte più lunga che alta, un po’ rientrante come nel genere Pa- trocardium. Parallelamente e vicino al margine cardinale superiore, la valva è percorsa da un seno delimitante una piega lungo il margine stesso : la piega caratteristica del ge- nere Mila (1). Il seno netto alla fronte, si va affievolendo verso l’ umbone, a cui si dirige con decorso debolmente sinuoso. Il corpo della valva, fra il seno e la lunula, è ornato da fittissime costicine radiali molto piccole, uguali tra loro, semplici, diritte, a sezione semi circolare; a partire dalla fronte (dove se ne contano 20 in un intervallo di 5 mm.) esse vanno man mano indebolendosi, fino a sparire nella metà superiore della conchiglia. La (*) Di M. Gortani. (**) È noto che Frech (Devonische Aviculiden Deutschlands. Abh. geol. Sp-Karte v. Preuss., IX, 3, pag. 249) e Neumayr (Op. post. in Abh. k. k. Ak. d. Wiss., Wien, XXVIII, pag. 24) vollero mutare latinizzandoli, come essi dicono, i nomi generici istituiti dal Barrande con radice slava. A questo modo di vedere io non mi posso associare perchè mi sembra troppo illiberale, e perchè non comprendo la ragione di rifiutare le radici slave dal momento che vengono accolte senza « latinizzarle » ugualmente, le radici greche. (1) Cfr. Barrande, Syst. Sil, VI, pag. 106. = 195 — pieca laterale è liscia; nella lunula le costicine sono visibili soltanto lungo il margine anteriore. La valva ha mm. 6,5 di altezza, 7 di lunghezza, 2,5 di spessore. La Mila carnica è simile per forma alla M. obsoleta Barrande (Syst. Sil., VI, ta- vola 267, cas. III, fig. 9-11), la quale è però scevra di ornamenti. Per la finezza della scultura si avvicina alla M. insolita Barrande (tav. 216, cas. V, e tav. 267, cas. III), da cui rimane tuttavia distinta per l’ uguaglianza delle costicine e per la forma dell’ an- golo anteriore. Calcari neri di Cas. Pal Piccolo. Gen. Maminca Barrande em. (! Maminca italica n. f. — Tav. I, fig. 12 a-e. Valva sinistra nettamente dissimmetrica, a contorno triangolare subequilatero, col margine inferiore arrotondato e i due cardinali formanti un angolo di 85°. Convessità no- tevole; umbone acuto, con l’ apice applicato sulla cerniera; area nulla; lunula grande, nettamente delimitata verso |’ interno da uno spigolo appena smussato, a superficie for- mante un angolo minore del retto col resto della valva e con una leggiera curvatura paraboloide. Il seno caratteristico, che distingue il genere Maminca da Patrocardium, è a guisa di depressione larga e profonda che parte dall’ umbone a destra dell’ apice e giunge al margine frontale a circa ‘ dalla sua origine anteriore. La valva è ornata di costicine radiali molto basse, minute, a sezione triangolare scalena e con la linea culminante spo- stata da un lato, sì da rendere seghettata la sezione trasversale della conchiglia; tale ornamentazione si affievolisce e scompare nella metà superiore della valva e nella parte interna della lunula. Alla fronte le costicine sono 8 in ogni intervallo di mm. 5. La valva ha mm. 17,5 di altezza, 20 di larghezza, 7 di spessore. Per la forma delle coste l’ esemplare descritto ha molta somiglianza con la Maminca rarissima Barrande; ne rimane distinto per l’ umbone prominente l’ angolo apicale più acuto, la valva più rigonfia, il margine anteriore quasi diritto. Calcari bruni di Cas. Pal Piccolo. Gen. Cardiola Broderip. Cardiola interrupta Sowerby in Murchison. — Tav. I, fig. 14 e 15. 1834. Cardiola interrupta Sowerby in Geol Proc., II, pag. 13. 1838. Cardium cornu-copiae Goldfuss, Petrafacta Germaniae, II, pag. 216, tav. CXLIII, fig. 1 e (cet. excl ?). 1839. Cardiola interrupta Sowerby in Murchison. 7he Sylurian System, pag 517, tav. VIII, fig. 5. 1850. Cardium interruptun D'Orbigny, Prodrome de palcontologie stratigraphique, pag. 33. 1850. Cardiola interrupta Leymerie, Lettre sur le terrain de transition superieur de la Haute- Garonne, B. S. géol. Fr., (2) VII, fig. a pag. 219. (1) Cfr. la nota (**) della pag. precedente. Ho modificato soltanto l’ortografia, trasformandola da slava (Maminka) in latina (Maminca). — 199 — ? 1850. Cardium cornu-copiae Roemer, Beitrige zur geologischen Kenniniss des nordwestlichen Harzgebirges, I, Palaeontographica, III, pag. 60, tav. IX, fig. 19. 1852. Cardiola interrupta Quenstedt, Mandbuch der Petrefaktenkunde, pag. 542, tav. XLV, fig. 23. 1854. _ — Murchison, Stiluria, pag. 127, tav. XXIII, fig. 12. 1866. — _ Richter, Das Thiringische Schiefergebirge, Zeits. deut. geol. Ges. pag. 411, tav. V. 1869. Cardium cornu-copiae Karsten, Beitrige z. Landesk. des Herzogoth. Schleswig und Holstein, tav. XII, fig. 10. 1871. Cardiola interrupta Baily, Figures of Characters of the British Fossils, tav. XXV, fig. 5. 1879. — —_ Salter e Morris, A catalogue of the collection of Cumbrian and Si- lurian Fossils in the University of Cambridge, fig. a pag. 152. ? 1878. —_ —_ Haupt, Die Fauna des Graptoliten-Gesteines, Neue Lausitz. Mag., LIV, tav. III, fig. 1. 1878. — _ Leymerie, Elements de géologie, 3.2 ed., fig. a pag. 238. ? 1878. —_ — Leymerie, Description géeologique et paltontologique des Pyrénées et de la H.-Garonne, tav. A, fig 7 e 8 (an C bohemica?). ? 1878. — —- Kayser, Die Fauna der diteren Devon-Ablagerungen des Harzes, Abh. z. geol. Sp.-Karte v. Preussen, II, 4, tav. XIX, fiv. 9 e 10. 1881. —. — Barrande, Syst. Sil., VI, pag. 34 segg., tav. 170-174; tav. 180, cas. IV; tav. 182, cas. VII; tav 189, fig. 7-12. (non Cardiola interrupta Meneghini, Palcontologie de V ile de Sardaigne, 1857, pag. 220, tav. €, fig. 18, dove si tratta invece della C. bohemica Barr.; e neppure C. cornucopiae Zittel, Hand- buch der Palciontologie. II, 1881-85, pag. 50. Questa forma caratteristica è nota nel Siluriano medio della Boemia; nel Siluriano su- periore della Sardegna, Spagna, Portogallo, Francia, Inghilterra, province Baltiche, Polonia, Germania, Boemia, Alpi Orientali; con dubbio nel Devoniano più basso della Russia e dell’ Harz. ‘lroppo nota perchè occorra descriverla, sì presenta abbastanza frequente nei calcari neri di Cas. Pal Piccolo, donde provengono i due bellissimi esemplari da me figurati. Cardiola cf. gibbosa Barrande. — Tav. I, fig. 13 a. d. 1881. Cardiola gibbosa Barrande, Syst. Syl., VI, tav. 175, fig. 1-50; tav. 178, cas. IX, fig. 1-43; tav. 180, cas. VIII, fig. 1-4; tav. 182, cas. IV, fig. 1-5 Una valva sinistra, piccola (alta mm. 4,5 e larga altrettanto), assai poco distorta. L’umbone è pressochè sulla linea mediana; se e quanto fosse inclinato e rivolto da un lato non è noto, perchè ne è rotta obliquamente l’ estremità superiore. Il contorno è ovato piriforme. Nella valva si distinguono tre regioni: apicale, alta quasi mm. 2, percorsa da 4 solchi concentrici che intersecandosi con i fittissimi solchi radiali le dànno un aspetto reticolato ; frontale, alta poco più di mm. 1, priva di solchi concentrici; mediana, alta mm. 1,5, priva anch’ essa di solchi concentrici e alquanto più elevata delle altre fra le due profonde solcature che la delimitano. l'ale conchiglia ha una spiccata somiglianza con i piccoli esemplari di Cardiola gib- bosa (vedi ad es. le fig. 17 e 18 della citata tav. 178); soltanto la zona mediana è nella specie boema più esageratamente sopraelevata. Calcari neri di Cas. Pal Piccolo. — 197 — Cardiola migrans Barrande — Tav I, fig. 16. 1881. Cardiola migrans Barrande, Syst Sil., VI, tav. 183, cas. I, fig 12-15; tav. 184, cas. I-V. Ho due esemplari di questa elegantissima forma; uno di essi, per fortuna, con |’ or- namentazione così ben conservata da permettere di completare la diagnosi ricavata dai pur magnifici individui boemi. Questi ultimi infatti, per quanto abbiano una reticolatura così spiccata e perfetta, sono tutti ridotti al modello interno: il Barrande lo comprese, e fece precedere la spiegazione della tavola da poche parole esplicite: « Nous considé- rons les sp*cimens figurés comme des moules internes. Mais, la plupart d’ entre eux sont sì bien conservés que le test, qui semble manquer, a du étre extrémement mince ». L°il- lustre paleontologo aveva piena ragione. L’umbone con la parte superiore della conchiglia. che appare liscia nelle due figure, porta ancora nel nostro esemplare un residuo del sot- tilissimo guscio, percorso da finissima striatura concentrica. Calcari neri e bruni di Cas. Pal Piccolo. Dimensioni ridotte; forma allungata. Gen. Dualina Barrande. Dualina f. ind. Valva sinistra di esemplare giovane, piccolissima (alta e larga mm. 2,5), di figura ovale-subquadratica, arrotondata in alto, molto rigonfio in tutta quanta la parte superiore. Umbone grande, rigonfio, fortemente incurvato, piegato verso l’ indietro. Lunula ben deli- mitata soltanto inferiormente. Costicine radiali minute ma distinte, a sezione semicircolare, separate da intervalli piani poco più larghi di esse, presto affievolite e scomparse nella metà superiore della conchiglia. Diversa da tutte le forme congeneri per la grande convessità di tutta la regione su- periore, si accosta per la conformazione della lunula e dell’ umbone ad alcuni esemplari della Dualina secunda Barrande (Syst. Sil., VI, tav. 27, cas. I, fig. 18-23 e 26-30). Gastropoda © Gen. Murchisonia D’ Archiac et Verneuil. Murchisonia pseudo-attenuata n. n. 1881. Zowonema? attenuatum Lindstròm, On the Silurian Gastropoda and Pteropoda of Gotland, Svenska Vet. Akad. Handl., N. F., XIX, 6, pag. 143, tav. XVIII, fig. 3-5. 1887. Murchisonia aff. attenuata Frech, Devon d. Ostalpen I, 1. c., pag. 720, tav. XXVIII, fig. 1 @ (non 1). 1894. — attenuata Frech Die Karnischen Alpen, pag. 232 e 235. (*) Di M. Gortani. Serie VI. Tomo VI. 1908-09 26 108.2 Sotto lo stesso nome di Murchisonia attenuata furono istituite da vari autori specie diverse. Nel 1856 J. Hall (1) lo applicava per la prima volta; nel 1867 G. Lind- stròm (2) lo ripeteva per un’altra forma, trasportando nel genere Mwrchisonia la Turritella attenuata di Hisinger (3); nel 1887 F. Frech lo affibbiava a due fossili diversi tra loro e diversi dai precedenti. Uno di questi (Il. c., fig. 1) può servire cone tipo della nuova forma Murch. Megaerae (a spira lentissima) istituita più tardi dallo stesso Frech (Kurz. Alpen, pag. 249); l’altro (l. c., fig. 1@) corrisponde invece agli esemplari gotlandiani su cui il Lindstr6m fondò il suo Lox.? attenuatwn. Altri individui delle Alpi Carniche il Frech attribuì successivamente a Murch. attenuata LinAstr.: riferimento ambiguo, tanto più che sembra in un caso almeno (Karn. Alpen, pag. 235) riportarsi a Lox. ? altenuatum. La confusione è pure accresciuta dal fatto che un Low. attenuatwm, diverso da quello del Lindstròm, descrisse J. Hall fin dal 1859 (4); e che il Lox. ? altenuatum Linasiròm è indubbiamente una Muwchisonia, come è dimosirato dal netto cingolo che esso presenia ; cosicchè saremmo costretti a introdurre in campo una Murch. attenuata Lindst. sp. ancora diversa dalle altre. Per quest’ ultima forma io propongo il nome di Murch. pseudo- attenuata n.n.; e proporrei di conservare il nome di Much. attenuata alla specie di Hisin- ger, dal momento che Hall non sembra aver figurato la sua specie, e neppure ne tenne conto nella sua opera colossale. Avremmo quindi: l. Murchisonia attenuata (Hisinger sp.) Lindstròm, 1867. 2. Murchisonia pseudo-attenuata nn. (= Loronema? attenuatum Lindstròom, = Murchisonia attenuata auct., nec Hisinger, = M. Megaerae Frech p. p.). 3. Murchisonia Megaerae Frech p. p., 1894. Gli esemplari a mia disposizione sono due e provengono dai calcari neri di Cas. Pal Piccolo. Dalla M. aftenuata His. li distinguono la minore convessità dei giri e le dimen- sioni assai piccole (altezza rispettivamente di 9 e 11 millimetri). Gen. Clisospira Billings. Clisospira veneta n. f. — Tav. I. fig. 18 a-e. Conchiglia piccola, irregolare, sinistrorsa, con asse della spira molto eccentrico. Base di figura ovale; rapporto fra i diametri minimo e massimo uguale a % Asse della spira situato lungo il diametro massimo, a '/, dalla sua estremità; spira bassa, ravvolia per due giri, quindi ampiamente espansa nel giro di base. I primi due giri con sezione asim- metrica, avente la maggior rigonfiezza presso la sutura inferiore: l’ ultimo nella sua por- zione inferiore nascosto dalla roccia, nella superiore pianeggiante e variamente inclinaio nelle varie direzioni. Angolo apicale oscillante fra 80° e 100°: angolo della superficie con (1) Hall in Trans. Albany Instit., IV, 27. (2) Lindstrom. Nomina fossilimm Gotlandiae, 23. (3) Hisinger, Lethaea Suecica, Suppl. II, 4, tav. XXXVII, fig. 7. (4) Hall. Palaeontology of New York, III, pag. 296, tav. LIV, fig. 8, e tav. LXVII, fig 2 o! DO) — 199 — l’asse spirale variabile da un valore minimo di poco più di 20° e uno massimo di 60°, sopra il diametro maggiore della base. Superficie percorsa da finissime costicine in senso opposto all’ avvolgimento della spira, separate da intervalli piani. Dimensioni: Altezza della conchiglia mm. 2,6; diametro minimo della base mm. 4,5; diametro massimo mm. 5. La Clisospira veneta ricorda in qualche parte la CI. Schucherti Perner (1), diversa per la mancanza di eccentricità, per la concavità dei giri, per la maggior altezza della spira; è più simile alla C/. antiqua Barr. sp. (2), da cui però si distingue sempre per la sua spira così spiccatamente eccentrica e per il tipo dell’ ornamentazione. Calcari neri di Cas. Pal Piccolo. Gen. Platyceras Conrad. Platyceras cf. praeda Barrande sp. 1903. Platyceras praeda (Barrande sp.) Perner, Op. cit., tav. 31, fig. 1-4. (Ca La conchigia lenticolare, spiralata, subcarenata per il lungo, quasi spianata alla base, con un giro di spira, superficie percorsa da finissima striatura trasversale, è molto pros- sima agli esemplari più adulti figurati dal Perner. Altezza mm. 3;5; diametro mm. 7; diametro della bocca mm. 3,5. Calcari neri di Cas. Pal Piccolo. Gen. Loxonema Phillips. Lozonema commutatum Perner — Tav. I. fie. 17 4, db. ? 1859. Lowonema Fitchi (pars) Hall, Palacontology of New York, III, tav. 54, fig. 11 a (non fig. 9 nec fig. ll 2). 1907. — (Stylonema) commutatum Perner, Op. cit., pag. 339, tav. 101, fig. 23 e 25; tav. 102, fig. 13-15. Tre giovani esemplari, di cui figuro il meno incompleto. In questo abbiamo il primo giro visibile, alto mm. 2,2 e largo mm. 3; il secondo rispettivamente mm. 2,9 e mm 3,5; il terzo mm. 3,4 e mm. 4,0; il quarto mm. 4 e mm. 5; il quinto mm. 4,5 e mm. 6. Il rapporto fra altezza e larghezza dei giri si mantiene quindi fra 7/5» e *4o come negli esemplari boemi: notando però che il nostro ultimo giro visibile corrisponde a quello che nell’ ordine della spira avrebbe immediatamente preceduto il primo giro noto dell’ esem- plare misurato dal Perner. Varia il piano d’ inclinazione delle linee suturali con 1° asse spirale: nei nostri individui l’ angolo oscilla fra 50° e 60°; in quelli boemi le variazioni sono anche più forti, e in generale l’ angolo va diminuendo nei giri ultimi. Il guscio, nei frammenti che aderiscono ancora al modello interno, appare sottile e liscio. Calcari neri di Cas. Pal Piccolo. (1) J. Perner in Barrande. Syst. Sil., IV, 1, Gasteropodes, 1903, tav. 50, fig. 15-17, (2) J. Perner in Barrande. Zbid., 2, 1907, tav 105, fig. 15-20. > YN = Loxzonema placidum Barrande sp. 1907. Loconema (Stylonema) placidum (Barrande sp.) Perner, Op. cit, pag. 340, tav. 101, fig. 21 e 22. Come nel caso precedente, |’ esemplare carnico è giovanissimo rispetto ai boemi. Si- mile al Lorvonema commutalmun per convessità, altezza e larghezza dei giri, sottigliezza e apparen*‘e lisciatura del guscio, ne differisce nettamente per la lentezza della spira. In un mio esemplare con 5 giri, il primo è alto mm. 1 e larzo mm. 1,5; il quinto mm. 1,5 e 2 rispettivamente. L'angolo delle linee suturali con l’asse spirale (di 60° a 75° negli indi- vidui fisurati dal Perner) è di circa 70°. Merita segnalata la grande somiglianza che con questa forma presenta la figura 1 (non 1a), tav. XXVII, della citata opera del Frech. Tale figura riproduce il tipo della Murchisonia Megaerae Frech (vedi pag. 198): crediamo all’ autore sulla parola circa la presenza del cingolo mediano, che nel disegno non appare. l'esemplare di Z. placidum proviene dai calcari neri di Cas. Pal Piccolo. Loxzonema f. ind. re piccoli esemplari, con avvolgimento di spira molto più rapido delle forme precedenti. Due, ridotti al modello interno, su cui non è dato vedere traccia di cingolo mediano, ma che non si possono con certezza separare dalle Murchisoniae, ricordano il Loronema sp. Perner, Op. cit., 1907, tav. 101, fig. 9-13, come pure il Loxonema subulatun Conrad em. (1) illustrato e riferito poi al genere. Murckisoria da Hall (2). Il terzo esemplare sembra avvicinarsi ad alcune forme allungate di Holopella. Cephalopoda * Gen. Orthoceras Breyn. Orthoceras amoenum Barrande. — Tav. I. fig. 19. 1874. Orthoceras amoenum. Barrande, Systèeme Sylurien, Cephalopodes, tav. 224, fig. 8-14: tav. 395, fig. 16-23; tav. 405, fig. 8-10. Questa forma abbastanza ben distinta tra le numerose sue congeneri, che certamente dovranno però diminuire quando gli esemplari originali del Barrande saranno soggetti ad una più accurata critica, venne dall’ Autore figurata anche alla tav. 400 fig. 14-16, ma l'esemplare che la rappresenta molto difficilmente può riportarsi alla specie tipica. Anche l esemplare della tav. 405 differisce un poco per le ornamentazioni meno spiccate, ma la diversità può forse dipendere dallo stato di conservazione del fossile. (1) Conrad in Journ. Ac. Nat. Sc, VIII, 1842, pag. 273, tav. XVI, fie. 14. (2) Hall. Pal. N. York, II, 1852, pag. 91, tav. XXVIII, fig. 7 a (*) Di P. Vinassa de Regny. — 201 — Questa specie è distinta per le sue dimensioni che non sono mai molto grandi, rag- giungendosi appena il massimo diametro di 293 mm. con un’ altezza che di rado oltrepassa i 14 cm. Il sifone è centrale nelle prime logge e subcentrale via via che si avvicina alla camera cdi abitazione. Questa è sempre molto grande : le logge invece sono sempre abbastanza basse, quasi tutte uniformi, e esternamente appariscono come anelli tutti tra loro uguali, alti da 2,5 a 3 mm. L'angolo apicale è di circa 10°; ma si hanno forme con 11° come pure altre con poco più di 8°. Un esemplare solo (tav. 395, fig. 82) ha l’ angolo di 4° e forse anche per altri caratteri non dovrebbe ritenersi come appartenente a questa forma. Le caratteristiche però principali di questa forma sono date dalle ornamentazioni ; queste sono costituite da una serie di strie continue irregolari riunite in cingoli pianeg- gianti, separati tra loro da un solco profondo, con imbricazione verso |’ alto. Il margine del cingolo è smangiato. Le ornamentazioni non sono però regolarmente disposte. Difatti i cingoli sono più larghi e radi nella parte inferiore della conchiglia e più fitti nella superiore. I° andamento dei cingoli è ondulato con ondulazioni in taluni punti più risentite ; tal- volta due cingoli si fondono tra loro. Questa è la forma più comune a Cas. Pal Grande da dove ne ho una trentina di esemplari. Il maggiore che ho figurato misura 90 mm. di altezza per 18 mm. di massimo diametro. A. Cas. Pal Piccolo si rinvenne un esemplare nei calcari neri. Orthoceras alticola Barrande. 1874. Orthoceras alticola Barrande. Op. cit., Vav. 359, 1889. — — (Barr.) De Angelis, Seconda Contribuzione allo studio detta Fauna fos- sile paleozoica delle Alpi Carniche. Mem. R. Acc. Lincei, vol. 296, pag. 13, fig. 2 (cum syn.). Secondo il Barrande le fig. 9-10 rappresentano una forma distinta come varietà, ma a me sembra che essa non abbia valore e possa unirsi benissimo alle specie tipica. Caratteristica della forma è la ornamentazione, costituita da strie sottilissime, molto fitte, aggruppate in cingoli pochissimo sporgenti; altro buon carattere è dato dalle logge le quali sono tutte di altezza limitata (da ‘6 a 8 mm.), crescenti però regolarmente in al- tezza dall’ apice alla camera di abitazione. Questa è sempre molto alta. Anche l'angolo apicale è abbastanza costante; misura in generale da 10° a 11°, ma può arrivare anche a 12°. Il sifone è leggermente eccentrico. Questa specie è comune in molte località carniche, tanto che il Frech lo ha consi- derato come un fossile guida di un orizzonte neosilurico. A Cas. Pal Grande di sotto si hanno numerosi esemplari tutti di dimensioni limitate, con un massimo di 25 mm. di diametro, ima però del tutto rispondenti per angolo apicale, forma generale ed ornamentazioni, come pure per forma e dimensioni della camera di abi- tazione e delle logge apicali. Lo stesso dicasi di parecchi esemplari di Cas. Pal Piccolo. — 202 — Un esemplare molto più grande ho raccolto nei calcari rosati poco sopra alla (Cas. Germula alla base della pila di strati coronati dai calcari grigi con coralli e stromaiopo- ridi siluriani sicilizzati che sottostanno alla grande massa devonica del M. Germula. Questo esemplare rispondentissimo per Ja forma delle logge, per le ornameniazioni e per l'angolo apicale alla specie tipica, misura più di 40 mm. di diametro. Le logge sono regolari, alte circa 10 mm.; il sifone è subcentrale. Orthoceras subannulare von Miinster. 1872. Orthoceras subannulare (von Munster) Barrande, Op. cit., tav. 210, fig. 8-10; tav. 253, fig. 11-14; tav. 283; tav. 323, fig. 15-18; tav. 445, fig. 6-8; tav. 451, fig. 4-12; tav. 460, fig. 4-10 Sotto questo nome il Barrande figura anche altri esemplari a tav. 212, fig. 14-18; a tav. 386, fig. 30-32; a tav. 399, fig. 20-22; ma essi sono certamente molto dubbiosi ed in ogni caso non hanno grande interesse per ben comprendere questa specie. I più tipici esemplari sono quelli figurati in tutta quanta la tavola 285. La forma è abbastanza variata e le ornamentazioni in taluni punti del guscio tipiche e caratteristiche variano anch’ esse verso la estremità, cosicchè frammenti isolati di questa specie sono spesso indeterminabili e possono essere erroneamente riferiti a forme diverse. Costante è quasi sempre l’ angolo apicale che ha un valore di 5° a 6° al massimo. La forma è quindi abbastanza più acuta di altre a lei prossime. Le logge variano di altezza: meno però che nell’O. pofers. In taluni esemplari si hanno logge che da 11 mm. vanno a 22; ma questa è la variazione massima. Infatti in altri esemplari le logge variano in altezza da 12 a 16 mm.; e non son rari i casi di logge abba- stanza regolarmente crescenti, più basse verso l’ apice, ove misurano appena 4-5 mm., poi poco a poco crescenti sino a raggiungere 7-8 mm. Il sifone si mantiene sempre legger- mente eccentrico. L’ornamentazione nella parete mediana della conchiglia è data da strie, abbastanza rilevate, continue, regolari per lunghezza, aggruppate e disposte in cingoli più o meno rilevati separati tra loro da strozzature più o meno risentite. Negli esemplari tipici i cingoli sporgono circa un mezzo millimetro e danno al guscio, in sezione longitudinale, un aspetto ondulato. E questo il caso di un frammento, benissimo conservato però nelle sue ornamentazioni, che ho raccolto nei calcari neri della Pradersachia. Il decorso di questi anelli e cingoli è leggermente sinuoso ed ondulato, trasversal- mente alla conchiglia. Anche nei modelli si vedono spessissimo gli anelli a strozzatura, rispondenti alle costrizioni del guscio esterno. Queste tipiche ornamentazioni non sempre però sì riscontrano. Difatti verso 1 alto della camera di abitazione spariscono gli anelli, che sono sostituiti da semplici strie più o meno spiccate. Verso l’ apice invece agli anelli si sostituiscono le strie, ma presto anche queste spariscono ed il guscio resta del tutto liscio. SI — 203 — È da notare però che in questa parte del guscio, se mancano gli anelli regolari, stanno al loro posto ogni tanto delle strozzature irregolarmente spaziate. Questa diversità degli ornamenti si presenta in modo diverso a seconda della età dell’ animale ed anche da individuo a individuo, pur restando fissa la presenza, in una parte più o meno estesa del guscio, della caratteristica forma a cingoli anulari che alla specie ha valso il nome. È questa una specie molto diffusa nei calcari neosilurici dei dintorni della Cas. Pal Grande di sotto. Ma gli esemplari determinabili esattamente non sono tanti. Infatti parecchi frammenti si possono solo riavvicinare ad essa. Ma in altri permangono specialmente le caratteristiche ornamentazioni e non è possibile aver alcun dubbio. Anche nei calcari neri della Pradersachia si trova la forma tipica. Ed un esem- plare, per quanto frammentario, presenta anche meglio che negli esemplari di Pal Grande la tipica ornamentazione anulare Orthoceras potens Barrande. 1874. Orthoceras potens Barrande, Op. ctt., tav. 219, fig. 5,6, (9, 102); tav. 385; tav. 386, fig. 1-6; tav. 388, fig 4-6; tav. 404, fig 1-3. Questa forma è figurata anche alle tavole 221 e 227, ma in esemplari che pro- babilmente non appartengono a questa specie. Caratteristiche di essa sono le dimensioni spesso molto grandi; difatti possono raggiungere 89 cm. di altezza con 85 mm. di diametro. Anche |’ angolo apicale costan- temente di 6°-7° è buon carattere. La posizione del sifone è centrale; solo per ecce- zione si ha un leggero spostamento di esso. Anche caratteristica è la ornamentazione che è pochissimo sentita e che è formata da strie irregolari. Anche le logge presentano molta irregolarità nella dimensione, poichè da un’ altezza di 9 mm. arrivano sino a 24. Invece la forma di esse è sempre regolarissima. Il guscio è molto spesso e facilmente si sfoglia a strati concentrici; le superfici sottoposte hanno una ornamentazione costituita da strie curve, che esse pure sono assai poco spiccate. La forma è comune nei giacimenti neosilurici carnici e il Frech la ha assunta a caratteristica di una zona. Ho rinvenuto in vari punti questa forma; un esemplare tipico di Cas. Pal Grande presenta le sue logge distanti da 11 a 14 mm. con angolo di 7°. Il guscio fortemente esfoliato è appena striato. Il diametro massimo là dove si inizia la camera di abitazione ha 56 mm. di diametro. Anche altri esemplari si distin- guono subito per logge basse, per 1’ ornamentazione superficiale a strie pochissimo rilevate, irregolari nel loro decorso ed in genere aggruppate in gruppi separati da solchi appena visibili. Anche le dimensioni sono carattere di qualche importanza; ma si hanno pure altre forme, come 1 0. alticola, che raggiungono notevoli dimensioni. — 204 — Orthoceras pelagium Barrande. ale 1874 Orthoceras pelugium Barvande, Op. cit., tav. 371; tav. 975, fig. 13-15. Anche questa forma è di dimensioni molto grandi come 1° 0. potens e taluni esem- plari di 0. alticola. L'angolo apicale è di circa 8°; il guscio è molto grosso e facil- mente sfoliabile. Gli ornamenti sono sempre costituiti da costoline abbastanza fitte e spiccate. Queste costoline sono su per giù regolari per andamento, salvo in taluni punti nei quali due o tre di esse confluiscono oppure presentano una brusca inginoc- chiatura. Invece le dimensioni delle costoline sono abbastanza uniformi. Il sifone è quasi del tutto centrale. Le camere d’aria sono relativamente alte poichè misurano dai 10 ai 12 mm. di altezza. Verso il centro sono abbastanza fortemente ricurve, sempre però con curva regolare. Infatti nel mio esemplare di Cas. Pal Grande, che è rispondentissimo per dimen- sioni, angolo apicale ed ornamentazioni alla specie come è intesa dal Barrande, le logge si presentano con una curva abbastanza pronunziata ma non così profonda e irregolare come quella che ha figurata il Barrande (Op. cit., tav. 375, fig. 14). Una tale anormalità nella curvatura ha fatto riflettere il Barrande per la sua stranezza. Ed egli nella spiegazione della Tavola ne fa menzione escludendo che possa trattarsi di un fenomeno di fossilizzazione. A mio parere invece si deve trattare appunto di un fenomeno di tal genere, una forte compressione subita dall’ esemplare. E molto proba- bilmente studiando gli altri esemplari Barrandiani si dovrà giungere a trovare rego- lare la curva dei sepimenti delle logge come appunto è nel mio esemplare di Pal Grande. Orthoceras firmum Barrande. — Tav. I, fig. 2) e 21. 1874. Orthoceras firmnum Barrande, Op. cit., tav. 397, fig. 10-22; tav: 426, fig. 11-13. Questa specie è caratterizzata in modo speciale dalla forma delle logge le quali sono regolarissime. alte da 4a 5 mm., separate da sepimenti non molto ricurvi per- fettamente perpendicolari ali’ asse della conchiglia e che tralucono dal guscio molto sottile sotto forma di linee nette, diritte e regolari. Il guscio sottile è appena segnato da leggere strie pochissimo appariscenti, in generale poco regolari e spesso inclinate rispetto all’ asse della conchiglia, di modo che negli esemplari ove tali strie sono ben visibili e contemporaneamente appariscono anche le tracce delle pareti delle logge, si vede come le due linee vadano convergendo. Anche sufficientemente caratteristico è l’ angolo apicale che in generale è abba- stanza ampio. Difatti, benchè si abbiano esemplari con appena 8° di angolo, sono assai più comuni quelli che hanno un angolo di 13°. Il sifone è sempre centrale. Secondo Frech la forma è comune nelle Alpi Carniche. Alla Cas. Pal Grande ne ho trovato un solo esemplare. Invece comuni sono gli esemplari nei calcari rossi della Pradersachia, da cui provengono anche i due frammenti che ho figurato = 2059 = e nei quali si vede nettissimo l’ angolo apicale abbastanza ampio, il guscio levigato quasi del tutto e le tracce delle logge d’aria regolari, perfettamente orizzontali, disposte a breve distanza luna dall’ altra e quasi del tutto equidistanti. Alcuni esem- plari provengono anche dai calcari rossi e dai neri di Cas. Pal Piccolo di sotto. Orthoceras Michelini Barrande. 1874. Orthoceras Michelini Barrande, Op. cit., tav. 881, fig. 3-16; tav. 442, fig. 20-23. La forma è già stata citata di queste regioni ed anzi anche come abbastanza fre- quente. Io non ne ho che un piccolo frammento che forse non avrei osato riferire senz’ altro a questa specie se essa già non fosse nota delle Alpi Carniche. Effettivamente però anche con un piccolo pezzo è facile dar una determinazione di questa specie eminentemente caratteristica, per la sua assoluta levigatura del guscio, per la grande distanza che intercede tra loggia e loggia e più ancora per 1’ angolo apicale minimo. Un solo esemplare costituito dalle prime camere d’aria proviene dai calcari rossi dei dintorni della Cas. Pal Grande, Orthoceras cfr. pleurotomum Barrande, Questa forma è stata benissimo figurata dal Barrande nella Tavola 296 della sua già citata opera. Forse le figure 1-4 della Tav. 366 ascritte a questa specie non vi appartengono che molto dubbiosamente. La forma ha sempre dimensioni limitate, sifone eccentrico, logge rade, a circa 10 mm. di distanza, e regolarissime. Caratteristici sono gli ornamenti costituiti da un cingoli acuti. embriciati, distanti circa 1 mm., fortemente inclinati rispetto all’asse e ricurvi poi a seno come nell’ intaglio delle Pleurotomarie. Ne ho un solo frammento rispondente per angolo apicale, per dimensioni, per forma e tipo di logge ed anche per ornamenti i quali sono fortemente inclinati trasversal- mente. Ma sventuratamente manca la parte posteriore del guscio e non è possibile vedere il seno caratteristico e molto meno la carena della camera di abitazione. Ma a giudicarne dall’ andamento degli ornamenti conservati il seno doveva certamente esistere nell’ esemplare, che ho raccolto nei calcari rossi dei dintorni di Cas. Pal Grande Orthoceras dulce Barrande. —- Tav. I, fig. 22 e 23. 1874. Orthoceras dulce Barrande, Op. cit., tav. 294 e 295. Questa forma presenta sempre delle dimensioni abbastanza limitate : sono difatti frequenti i tipi che misurano al massimo un centimetro di diametro. Anche frequente è il carattere di nna leggera curvatura del guscio. L'angolo apicale è maggiore che nelle forme precedentemente descritte; difatti esso non è mai inferiore ai 10° e spesso raggiunge i 12°. Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 27 - -=—.208: Ma caratteristiche in modo speciale sono le ornamentazioni, per le quali è possi- bile determinare un esemplare anche se sia frammentario. Il guscio è difatti tutto ricoperto di anelli, rilevati come grossi cingoli separati da solchi abbastanza profondi; in generale questi cingoli distano tra loro di 2 o 3 mm., ma se ne hanno anche di quelli più tra loro ravvicinati. Su tutto il guscio poi si hanno strie a ondulzzione regolare, che quasi accennano a rilievi longitudinali. Ma non sempre esiste la ondu- lazione nell’ andamento delle coste, il quale è allora del tutto rettilineo. Il sifone è sempre centrale. Questa forma è comune in Boemia; nelle Alpi Carniche invece è abbastanza rara. Jl Frech la cita solo di Ugwa, ma non nel versante meridionale. Ne ho raccolto due esemplari incompleti; entrambi provengono dai calcari rossi dei dintorni della Cas. Pal Grande. Orthoceras littorale Barrande. — Tav. I, fig. 24. 1874 Orthoceras littorale var. de sonatum Barrande, Op. cit., tav. 265, fig. 5-12. 1874. _ zonatum var. de littorale Barrande, Op. cit, tav. 346, fig. 1-11 Non si sa come chiamare veramente questa forma, che una volta è detta zonatwn, un’ altra Zittorale. E vi è di più. Poichè a tav. 319 fig. 15, 16 e 19, 20 due esem- plari, invero poco tipici, sono detti senz’ altro O. zonatum, mentre a tav. 402. figura 20, 33 e 37, 43, si hanno vari esemplari, in genere poco ben conservati e destinati più che altro a mostrare le variabilità nella ornamentazione, i quali sono indicati col nome di O. litorale senz’ altro. Propongo la riunione delle due forme, che a mio parere non hanno caratteri suf- ficienti per essere tenute distinte, ed il nome di 0. litforale come quello sotto cui dal Barrande sono figurati esemplari più tipici e meglio conservati. Carattere principale di questa forma è la presenza di strozzature a doccia poste a distanza irregolare sul guscio, ma visibili benissimo anche nel modello interno. In taluni esemplari tali strozzature sono molto numerose, mentre in altri sono rare. Il sifone è sempre centrale. Le logge d’aria distano tra loro di 9 o 10 mm. e sono di forma regolarissima. Il guscio presenta delle striature talvolta appena visibili, tal altra invece abba- stanza spiccate. Ne ho un solo frammento con tre nette strozzature, proveniente dai calcari rossi di Cas. Pal Grande, il quale permette una sicura determinazione. Orthoceras pulchrum Barrande. — Fig. 2 nel testo, e tav. I, fle. 25. 1874. Orthoceras pulchrum Barrande, Op. cît., tav. 276. Questa forma è caratterizzata dalla presenza di ornamenti nettissimi, tanto nel senso longitudinale quanto nel senso trasversale, e da strozzature non molto forti, rego- lari, approssimate, regolarmente decrescenti di dimensioni e sempre più distanti via — 207 — via che ci si approssima all’orifizio. Le logge d’aria sono molto fitte; esse raggiun- gono un’ altezza massima di 4 mm., ma se ne hanno anche di soli 3. Il sifone è lie- vemente spostato dal centro. Gli ornamenti consistono in costoline longitudinali rilevate che ora possono essere tutte tra loro uniformi, ora invece sono diverse di dimensioni. In generale sono inequidistanti, ma si hanno anche esemplari con orna- ES s==5 menti assai regolari tanto che la differenza nella distanza tra le ESS . îi costoline è minima. EF; zi Trasversalmente si hanno altre costoline, di minori dimensioni 158 sa che le longitudinali, più o meno spiccate a seconda degli individui e i della posizione sul guscio. Esse sono sempre equidistanti ed uniformi !"8-2: — OrmMoreas di dimensioni. La conchiglia assume così un aspetto nettamente visi lla ie perficie ingr. cancellato. Il frammento che ho di Cas. Pal Grande è del tutto rispondente per le sue stroz- zature, non molto spiccate trattandosi appunto di una porzione abbastanza alta dell’ in- dividuo, e anche per gli ornamenti che son tutti benissimo distinti e dànno alla con- chiglia un aspetto regolarmente cancellato. Ostracoda * Gen. Aparchites Rupert Jones. Aparchites f. ind. Nei calcari bruni e neri con Ortoceratidi di Cas. Pal Piccolo si trovano alcuni esemplari di Ostracodi, nessuno dei quali mi riuscì di liberare completamente dalla roccia. Potendo quindi esaminare soltanto valve staccate, non azzardo determinazioni specifiche. Mi sembra che tutti gli esemplari veduti si possano riferire al genere Aparchites, avendo a comune: forma lenticolare, inequilaterale ; margine ventrale arrotondato ; margine dorsale diritto, minore della larghezza massima della valva ; contorno caudale riunito al dorsale con angolo smussato o arrotondato ; superficie liscia e senza traccia di solchi nè di rilievi; dimensioni piccole, aggirantisi fra mm. 0,5 e 1 di lunghezza. Per la figura allungata e i contorni cefalico e caudale arrotondati, due valve son prossime all’Ap. mitis Rup. Jones (1) del Devoniano canadese, non ostante le loro dimensioni di un terzo maggiori. Un’ altra valva, a contorno quasi orbicolare ma tron- cato in alto, ricorda V Ap. Lindstromi Rup. Jones (2) del Neosilurico inferiore di (") Di M. Gortani. (1) T. Rupert Jones. On some Ostracoda from the Cambro-Silurian, Silurian, and Devonian rocks. Contrib. to Canadian Micro-palaeont., III, 1891, pag. 91, tav. XI, fig. 15. (2) T. Rupert Jones. Note on the Palaeozoic Bivalved Entomostraca. XXVIII. On some Scan- dinavian Species. Ann. a. Mag. of. Nat. Hist., (6) IV, n. 22, 1889, pag. 272, tav. XV, fig. 14. — 208 — Svezia. Infine altri due esemplari più inequilaterali e con i margini cefalico e dorsale riuniti ad angolo non arrotondato, si possono considerare identici all’Ap. pygmaeus Canavari (1) del Neosilurico sardo. Trilobitae * Gen. Encrinurus Emmrich. Encrinurus Beaumonti Barrande, var. Novaki Frech. sp — Tav. I, fig. 27 e 2%. 1887. Encrinurus Novaki Frech, Devon d. Ostalpen, I, |. e. pag. 735, tav XXIX, fig. 4-9. 1908. — — Vinassa, Fauna a Rh. Megaera, \. c. pag. 587. Otto pigidi, provenienti da vari punti del Pizzo di Timau e dei Pal, offrono i caratteri dell’Encrinurus Novaki : pigidio triangolare, più largo che alto; contorno basale arcuato; margini laterali interi, leggermente convessi, riuniti ad angolo acuto o appena smussato, in figura ogivale; asse fusato, molto assottigliato all’ apice (che non raggiunge l'estremo posteriore del pigidio), costituito di 15-18 anelli poco rilevati, bassi, separati da solchi quasi rettilinei; pleure larghe alla base una volta e mezzo la larghezza dell’ asse, con 8-10 coste separate da intervalli uguali o mag- giori di esse se il guscio è presente, ma assai più sottili sul modello interno; super- ficie liscia. Non ho a mia disposizione ii capo, ove secondo il Frech sarebbero maggiori le differenze con l’ Encrinurus (Cromus) Beaumonti Barrande (Syst. Sil., I, 1852, pa- gina 826, tav. 43, fig. 6-14); provvisoriamente continuo a mantenere separate le due forme carnica e boema, data anche la mancanza nei miei esemplari della granulosità superficiale propria dell’. Beawmonti tipico. Calcari rossi della Pradersachia e calcari neri di Cas. Pal Grande e di Cas. Pal Piccolo. Gen. Proétus Steininger. Proétus n. f. (foveolatus mili) — Tav. I, fig. 26. Questa forma non mi è nota che per una guancia mobile sinistra, rinvenuta nei calcari neri di Cas. Pal Piccolo. Sono caratteristici la conformazione del lembo e la superficie genale. Il lembo ben convesso e massiccio. largo, a superficie liscia, sì prolunga in addietro in una spina lunga circa quanto il margine posteriore della guancia; in avanti si allarga rapida- mente fino a essere più sviluppato che in talune forme (ad es. Proétus crassimargo s (1) M. Canavari. Fauna dei calcari nerastri con Cardiola ed Orthoceras di Xea Sant Anto- nio in Sardejna. I. Ostracoda. Palaeontogr. Ital., V, 1899, pag. 190 [5], tav. XVI [II], fig. 6. (*) Di M. Gortani. = a0g = Hall [Pal. N. York, VII, 1888, pag. 99, tav. 20, 22, 25])) note per la speciale lar- ghezza del lembo. Il solco che limita il lembo all’ interno è molto largo e profondo. Le suture facciali sono un poco spostate verso il mezzo, in confronto con molte specie congeneri, così che la guancia è ampia, malgrado non appaia tale a prima vista per l’esagerato sviluppo del lembo. Essa è grossolanamente punteggiata da alcune fossette che ne rendono irregolare la superficie. Riservandomi a studiare accuratamente questa forma se riuscirò a trovarne esem- plari meno incompleti, propongo fin d’ora per essa, in via preliminare, il nome di Proétus foveolatus. Gen. Harpes Goldfuss. Harpes crassifrons Barranle var. forojuliensis n. f. — Fig. 3 nel testo, e tav. I, fig. 29. L’ esemplare è ridotto a porzione del capo, privo del lembo; ma la determinazione è nonostante possibile. Del forte rilievo concentrico al lembo rimane una parte sufflciente per mostrarci la sua scultura reticolata, con le maglie meno serrate nel solco largo e profondo che lo separa dalle guance. La glabella, pic- cola, a contorno strettamente ovale oblungo, rigonfia, subca- renata lungo la linea. mediana, ha superficie liscia, con sole deboli tracce dei solchi laterali. Guance appena convesse, net- tamente contornate, minutissimamente punteggiate, confluenti avanti la glabella. Occhi minuti, posti dietro la fronte, quasi a livello del margine anteriore della glabella, a un terzo del- l’ intervallo fra questa e il margine esterno delle guance. Fig. 3. — Marpes crassifrons L'area trasversale liscia fra gli occhi e la glabella, contorna rar. n. forojuliensis. - Ri- gli occhi interamente e si amplifica verso la glabella stessa. I La differenza con la tipica Harpes crassifrons (Barrande, Sist. Sil., I, 1852, pag. 354, tav. 8, fig. 16-25) consistono: 4) nella forma più slanciata e più attenuata in avanti della glabella, che rispetto alle guance è meno sviluppata; %) nell’ essere le guance confluenti avanti la glabella ; c) nella prossimità degli occhi alla glabella, e nella maggiore estensione dell’ area liscia infraoculare. Calcari rossi della Pradersachia. Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 28 — 210 — RAFFRONTI PALEONTOLOGICI E STRATIGRAFICI Che la fauna descritta appartenga al Siluriano superiore, risulta evidente da un semplice sguardo sommario a quanto abbiamo esposto fin qui; i tre quarti delle specie sono infatti identiche o affini a specie neosiluriche della Boemia. Ma per precisare quale sottopiano sia qui rappresentato, ci si affaccia una diffi- coltà su cui è necessario che brevemente ci fermiamo. Si tratta della divisione in quattro zone cronologicamente successive stabilite dal Frech (1) nella serie neosiln- riana delle Carniche: serie in cui gli studi dei Geyer (2) e di uno di noi (3) hanno mostrato doversi pure inglobare i due membri inferiori posti dallo stesso Frech alla base del Devoniano (4). La successione sarebbe la seguente : f) zona a Rhynchonella Megaera e) >» Tornoceras inexpectatum d) >» Orthoceras Richteri c) » Orthoceras alticola db) » Orthoceras potens a) Scisti con Graptoliti, Equivalenti agli scisti con Graptoliti sarebbero i calcari laminati con Camerocri- nus del Passo della Valentina (5); equivalenti alle zone ), c) e d) considerava il Frech da principio (6) i calcari con coralli silicizzati del M. Lodin, che più tardi egli stesso (7) ascriveva al Devoniano inferiore, il De Angelis (8) ringiovaniva fino al Devoniano medio, e uno di noi finalmente (9) riportava al neosilurico superiorissimo. Prescindendo ora dai calcari coralligeni del M. Lodin, nessuna specie dei quali (1) F. Frech. Devon d. Ostalpen. I. L. c., pag. 704-709; — Karn Alpen, pag. 223. (2) G. Geyer. Erliuterungen sur geolog. Sp-Karte der Oest.--Ung. Monarchie, SW-Gruppe N. 71: Oberdrauburg-Mauthen. Wien, 1901, pag. 30-33: — ZExkursion in die Karnischen Alpen. C. R. IX. Sess. Congr. Géol. Intern., II, 1904, pag. 886. (3) P. Vinassa. Fauna a Megaera. L. cit., pag. 588-90. (4) F. Frech. Devon d. Ostalpen, pag. 714; — Karn. Alpen, pag. 247-49. — È da notarsi che nei trattati generali di Geologia (ad es. de Lapparent, Parona, Haug) è concordemente ripor- tata la serie del Frech, senza tener conto alcuno delle fatte rettifiche. (5) E noto che al Passo della Valentina e non al Passo di Volaia (come parecchi hanno per errore asserito) corrisponde il Wolayerthòrl del Frech. Ciò risulta dal contesto delle sue descrizioni strati- grafiche. Cfr. del resto Spitz. Die Gastropoden des Karnischen Unterdevon. Beitr. z. Palàont. Oest.- Ung. u. Or., XX, 1907, pag. 115. (6) F. Frech. Karn. Alpen, pag. 232. (7) E° Eirfefcih Uber unterdevonische Korallen aus den Karnischen Alpen. Zeits. deut. geol. Ges., XLXVIII, Br. Mitt, pag. 199. (8) G. De Angelis d’Ossat. Terza contribuzione allo studio della fauna fossile paleozoica delle Alpi Carniche. Mem. R. Ace. Lincei, CCXCVII, 1901. (9) P. Vinassa de Regny. Fossili dei Monti di Lodin. Palaeontogr. Italica, XIII, 1908. da VV] è comune alla fauna di cui ci siamo occupati, osserviamo anzi tutto che gli scisti con Graptoliti si presentano nelle Carniche (come le nostre ricerche hanno dimostrato) in orizzonti diversi, spesso intercalati con calcari a Ortoceratidi, i quali possono scen- dere a loro volta fino a livelli mesosilurici: i caratteri litologici e di facies perdono quindi ogni valore cronologico anche relativo e locale. Un fatto che non può a meno di colpire, è che in tutte cinque le « zone » da b) a f) la grande maggioranza delle forme appartiene al piano E, della Boemia. Per citare soltanto la prima e l’ultima, spettano a questo piano 20 delle 27 forme elencate dal Frech nella « zona dell'O. potens » e 25 delle 31 stu- diate da noi nella lumachella a &%. Megaera. Ora, poichè il livello E, non sembra in Boemia suscettibile di divisioni ulteriori, e poichè confronti con la Scandinavia, l’ Inghilterra e l'America settentrionale (le sole regioni ove oggi il Neosilurico permetta smembramenti più minuti indipendentemente dalla serie boema) sono impediti dall’ infimo numero degli elementi faunistici comuni, la separazione delle cinque zone del Frech sarebbe possibile soltanto se nella regione carnica esse si mantenessero individuate e distinte. Ma l'esame dei dati raccolti non ci sembra favorevole a tale separazione; nè sembra finora che il progredire delle ricerche sia’ destinata ad appoggiarla. Anzi, quanto maggiore è il numero delle specie rinvenute in località diverse, tanto più il numero delle forme comuni alle varie « zone » aumenta in proporzione maggiore del numero totale. Stando agli stessi elenchi riportati dal Frech (Karr. Alpen, pag. 223-36), 7 delle 21 specie della « zona a 0. alticola » sono presenti nelle 25 della « zona a O. potens »; con la fauna del Pizzo Timau le 7 forme comuni aumentano fino a 17, compresi gli stessi fossili-euida O. alticola e O. potens. Queste considerazioni, unite con le osservazioni stratigrafiche da noi fatte sul posto e con le serie diversissime rilevate da luogo a luogo, ci hanno indotti a ritenere che lo smembramento proposto dal Frech nel Siluriano superiore delle Carniche non regge (1); che le supposte zone, stabilite in base alla successione osservata presso il lago di Volaia, non hanno valore cronologico, ma sono semplici facies; che anzi tali facies si possono ricondurre (nei calcari non coralligeni) a due sole: facies a Cefalopodi e facies a Brachiopodi, tenendo presente da un lato che nelle singole località ciascuna di esse può variare alquanto di composizione, e dall’ altro che esse pure hanno numerosi elementi a comune, variabili da luogo a lucgo, e non di rado sfumano l’ una nell’ altra. Con tali criteri abbiamo compilato il quadro comparativo delle forme studiate (pag. 212-13), dove le osservazioni esposte trovano ampia conferma. (1) Pare del resto che lo stesso Frech non sia troppo sicuro della sua suddivisione, o almeno di una parte di essa: infatti nella Lethaea palacozoica (II, 1, 1897, pag. 107) dice che della zona a 0. Richteri la « Selbstiindigkeit >» è « unsicher ». | tudopare ‘o]]eS0)10] ‘uSedg ‘erouvag ‘Vadog]i d BISSOM “& ZU | ‘eravutpurog “enuofog] “è ilo Ì ir — Ì -I1_-{T—- {4 SOT) “Oa UL AO 27070100701 VOLPIVI "LI IR e dee ile I) VT IAA 0) pei |- — |[-{T_-|{|—T | NO) VARZI MY — | Ì — | —-{-|J—-J—T |- Ì RR III il = a, _ tI E E TR SRI RZ STU/NTANG) STIA ) BIOUVI] — [aA-|-|-Jl_-{T4+|-_-{lT_ | I e e, IRINA ATA ) RIOUVA)I _ 1 A P|-{J+t|T_-{|lT_-|J RR SISI | (SoIgLIqRO) RIVUBIL] | è BIOUVI)] = A == -— _— na — — — i È È È È i ù 7 i î i È "IU 87074998 VISTIOVI ‘OI t|+|-|-]|—-{—- {+ E eee e a ea pois (9) sta la Dar ea = "te coat Nero sie LA Ren e E ARIDO U vsssudiuoogns ‘ds ‘8 | + A — |-|-|J- Sie ' e IVI YI eci I I € vmpnogvnumo viopiads *L culi sai 244 O O 0 Va VITA ID 9) IMNCZZIZZZZ go. 0. ‘9 O 1dy | Baci Rie oa 0900) SUIIO ‘G BIZQAR 3119)]IYSU] ‘EIZAAG ‘eLUO]O ese i de e ea a a E e E e RR DO aa PO NSOE ONU RISSOY CIO Id[y | spiox N ‘easogpiySup ferzoas Seiuofog | — | :-=|=|=|{—-{J-=- | ce ee | qu TIAGO E Î | + Suap ee par ee 0989 DT VIVO LOTO VIDI = ps di = ie pere] |a e | 0 a (PARO DEI TO) DVIONIPPINE I ®» Ro) du a DUO ) 09) Da / (2) [ Ci im |® © 3 D go) o) )QIUOAQPOTF QTIN]IS x 7 S DISSE O OQUOAQPOH 09IIN]ISOON È 9 p li Silea Si E [ZI RZ (SI ua> [She S @ || tv = = DÌ ù 2 w 3) Si tr mm—_—__ _TIà.!--.11.1.e ei Eee _rPr+, AR i / Ò ourdpe | > | | è = (0°) (©) BII[BSO] D13W eIu90g QUE SÈ -N[ISOaN epeueg (Je) è NIOA N RIZOAS ‘eUSAPparg (*Je) i BIOUVCI)] i BIOUVA 0]]eS0g10g ‘RIOURI N ‘IUONUVI] VIZOAS i 10URII] ‘0]][e80p 0g o]]esop10q ‘2 1UO]O] “e Je Je + + + "quos sesuaznloso) ‘aes ‘I1leg suoufissvio soduvz * (9.104) S7272)0200/) ‘5 :U S77004g © (UQO@AI:]) 24/0Q0N7 “IRA “TIR YUOUNVIT SNUNULIIUIT © ‘ ‘pur -ds s0224040dp * ‘1leg unyomd INERENTE VSINA DEL Prof. Conn. GIUSEPPE RUGGI DIRETTORE DELLA CLINICA CHIRURGICA DI BOLOGNA (letta nella Sessione del 31 Gennaio 1909) CON ll FIGURE INTERCALATE NEL TESTO. Signori, La narrazione dei casi singolari e di somma importanza chirurgica, mentre può servire di esempio e di stimolo agli altri ai quali consimili casi possono presentarsi, offre non pertanto a noi l’ occasione propizia di studio per la giusta e razionale valu- tazione dei fatti osservati. Con tale intento vi parlai nell’ anno passato di alcuni casi clinici che interessa- vano l’ apparecchio della digestione ; e, le cose dette allora, furono digià pubblicate nelle Memorie di questa nostra Accademia. Penso in oggi intrattenervi su di alcuni neoplasmi impiantati sulle ossa del cranio aventi talora intimi rapporti colla massa cerebrale. E da tutti giustamente constatato che grandi furono i progressi fatti dai fisiologi e dai neuropatologi in questi ultimi tempi per guisa che la proposizione attribuita al Fantoni e ripetuta dall’ Hyrt] rispetto al cervello « Obscure textura, obscuriores morbi, functiones obscurissimae » non risponde oggigiorno a verità. Ad onta di questo però le cognizioni che noi possediamo intorno alle condizioni cerebrali non sono ancora costantemente sufficienti per esserci guida fedele nella ricerca delle localizzazioni stesse. Anzi è mio convincimento che maggiore sia stato talora il desiderio della riuscita in confronto alla realtà dei successi possibili ottenuti con regolare costanza. Clamorosi furono infatti gli errori commessi dagli operatori anche sotto 1’ egida dei più abili ed esperti cultori delle mediche discipline : errori non solo rispetto alla sede, ma bensì alla natura e perfino all’ esistenza o meno della lesione. A conferma di che vi dirò come più volte siano state riscontrate masse neoplastiche enormi per entro al cranio senza che vi corrispondessero sintomi di rilievo, talora anzi nell’ assenza assoluta di essi. A conferma di ciò desidero farvi conoscere un caso occorsomi nella Clinica di — Da — Modena il quale, avendomi servito per due trattenimenti clinici, fu di conseguenza colla massima cura studiato. Nel Gennaio del 1905 ebbi appunto ad occuparmi di esso. Si trattava di una donna del contado modenese, di circa 45 anni, robusta madre di parecchi figli che, a suo dire, non era mai stata ammalata. Fig. 1° Anche 1’ anamnesi. relativa alla malattia che 1° aveva condotta a noì appariva insufficiente per non dire assolutamente muta. Datava il processo patologico da qualche anno ; e, nel suo lento accrescimento non le aveva apportato sofferenze di sorta. La cagione del suo grave malore le era pure assolutamente ignota. L’ esame obbiettivo invece faceva rilevare subito una forte tumefazione che occu- pava la regione temporale e la zigomatica destra, tumefazione che le mutava la fisonomia rendendola manifestamente assimetrica e deformata al lato destro del volto. La pelle che ricopriva la regione ammalata era normale, come normali risulta- — 233 — vano i movimenti degli occhi e della faccia. Normali pure erano le funzioni della vista, dell’ udito, dell’ olfatto, del gusto e dell’ intelligenza; nonchè i movimenti tutti del suo corpo. L° inferma non aveva cefalea, nè sonnolenza, non ancrmali eccita- menti. Risultati negativi diedero pure gli esami del fondo dell’ occhio, delle orine e del sangue. Coll’ assenza assoluta di sintomi faceva adunque contrasto e destava sorpresa |’ os- servare così notevoli modificazioni anatomiche nella regione sulla quale, portando la mano, si avvertiva una massa molliccia, che si sarebbe detta fluttuante, visibilmente riducibile sotto la pressione esercitata dalla mano stessa, senza che ciò arrecasse il più piccolo disturbo all’ inferma. Non è certo qui il caso che io vi debba rifare il ragionamento tenuto nei due traitenimenti clinici sopra accennati, ma egli è certo che, ad onta dell’ esperienza fornitami da casi consimili o che mi erano noti, perchè ad altri occorsi, non pensava per vero che i fatti fossero come in realtà ci si presen- tarono allorchè, durante 1° atto operatorio e la successiva necroscopia, ci fu dato inda- gare il vero stato delle cose. Formulata la diagnosi di neoplasia, per il suo lungo decorso non poteva ritenerla di soverchia malignità. Stante però la mollezza presentata e la evidente riducibilità della massa stessa allorchè veniva compressa pensai ad un possibile ascesso freddo per carie dell’ arco zigomatico; ma mi attrasse maggiormente l° idea di un mixoma d’ ori- gine nasale fattosi strada per il foro sfenopalatino destinato al passaggio di vasi e di nervi, tanto più che un caso del genere era stato descritto dal Tillaux il di cui pezzo anatomico attualmente si trova nel Museo Dupuytren. La realtà del fatto era, come dissi, ben diversa da quello escogitato. Le modificazioni anatomiche sopra riferite erano apportate da un neoplasma sorto nella faccia esterna della dura madre rivestente la fossa cranica media (sfeno-tem- porale). La neoplasia si era svolta in gran parte per entro al cranio dove, disloc- cando la dura madre dall’ osso, aveva sospinto il lobo temporale corrispondente in alto ed in addietro, atrofizzandolo. La Fig. 1° chiaramente dimostra quanto asserisco, essendo la fossa occupata dal neoplasma, il quale in forza della forte pressione lunga- mente continuata, aveva usurata la grande ala dello sfenoide e la lamina squamosa del temporale : dando formazione ad una apertura ampia per la quale la massa neopla- stica stessa poteva fare pur mostra di se nella fossa temporo-zigomatica sopra indicata (Rueglio): La Fig. 2* poi ci fa vedere come |’ accennata neoplasia, nel suo patologico svol- gimento, non si fosse limitata a ciò che ho più sopra detto, ma che si fosse contem- poraneamente addentrata fra la faccia posteriore del mascellare superiore e 1° apofisi pterigoidea del destro lato, disgiungendo la indicata parte, senza penetrare nell’ orbita per la fessura sfeno mascellare. E tutto ciò senza la benchè minima sofferenza per parte dell’ ammalata e senza che il più piccolo disturbo funzionale si osservasse in essa. I fatti anatomici descritti più sopra li rilevai coadiuvato dall’ ottimo e valentis- Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 9A simo collega Prof. Dionisi Direttore dell’ Istituto anatomo-patologico dell’ Università di Modena dove allora, come dissi, io mi trovavo in qualità di dirigente quella Clinica chirurgica. Egli eseguì con somma diligenza la necroscopia, ed a lui vado debitore della Fie. 1% e 2% che sotto la sua direzione furono disegnate. Così pure debbo a lui stesso le osservazioni microscopiche del neoplasma che giudicò un cilindroma. Il preparato che ora sottopongo al vostro esame è riprodotto dalla Fig. 3% qui annessa. Essa ci rappresenta un tumore costituito da tubuli di diversa forma e gran- dezza addossati gli uni agli altri, tappezzati nel loro interno da cellule cilindriche e poliedriche : in alcuni tubuli si vede nettamente un lume, in altri in tale Inme stanno cellule simili a quelle che rivestono il tubulo, in altri il lume è pieno di sostanza Fig. 2°» Fig. 3* amorfa all’ aspetto sostanza ialina. — Il connettivo intertubulare è scarsissimo e sola- mente in vari punti ha l aspetto di trama separatrice. I vasi sono scarsissimi. Di fronte a simili risultanze anatomiche che dovevano grandemente influire sul- l'animo mio fui certo perplesso ed oltremodo guardingo nel pronunciarmi allorchè nel passato anno scolastico, ebbi a ragionare intorno all’ operabilità o meno del soggetto indicato dalla Fio. 4% e 59. I miei dubbi erano giustificati ; e questo stante la mancanza di dati obbiettivi accertati che escludevano la compartecipazione o meno del cervello o dei suoi involucri alla lesione. Si aggiunga a ciò anche lo sviluppo da prima lento poi in ultimo assai rapido del neoplasma, intorno al quale trascrivo le parole del mio assistente di Cli- nica Dott. Calabrese che ha raccolto i dati relativi a questo interessantissimo caso. 239 — L. L. d'anni 46, donna di casa, nata a Bologna, entra in Clinica Chirurgica il 31 Gennaio del 1908. _Nnamnesi. — Dodici anni fa l Inferma si accorse che nella cavità orbitaria destra in corrispondenza dell’ angolo esterno dell’ occhio, e al disopra di questo, erasi formata una tumefazione del volume di una avellana, di consistenza dura presentante il suo estremo anteriore acuminato. La vista non era affatto disturbata, quantunque l'occhio si fosse fatto più sporgente dall’ orbita del sinistro e lagrimasse continuamente. Consultò un oculista, il quale le consigliò un atto operativo; si rivolse a più chirurghi, ma nessuno volle operarla. In una Clinica, 5 anni fa, le furono praticate circa 150 inie- zioni ipodermiche di sostanza che non sa precisare, ma senza ottenerne beneficio. Anzi in quell’ epoca la tumefazione, cresciuta gradatamente di volume, si fece più appari- scente ancora invadendo la fossa temporale omonima. Il bulbo oculare, diventato anch’ esso apparentemente 2rosso, erasi fatto sempre più procidente. Nessun sintomo, nessun disturbo, ad eccezione della laerimazione e di cefalalgie accessuali. Solo tre anni fa | inferma co- minciò a vedere coll’occhio malato gli oggetti in senso obliquo, da-destra a sinistra, dal- l'alto al basso. In questi ultimi 2 mesi la tumefazione è cresciuta rapidamente, sospin- gendo considerevolmente in avanti il bulbo oculare. Le palpebre edematose erano prive di qualsiasi movimento. Il 6 Gennaio ultimo la vista andò mano mano affievolendosi e si spense totalmente il 27 dello stesso mese. Attualmente ha dolore a fitte non solo nel bulbo oculare amaurotico ma in tutta la metà destra del capo. Non ha mai avuto vomito. L’ occhio sinistro è normale. Mestruò a 12 anni e le mestruazioni si susseguirono normalmente. A 16 anni ebbe il tifo. Ha avuto un figlio ch’ è vivente e sano. La madre è vivente e sana, il padre è morto in manicomio. Null altro di notevole. Esame obbiettivo. — Esaminando il capo dell’ inferma notasi anzitutto che 1° oc- chio destro sporge al di fuori delle palpebre in forma di massa rossastra con una zona scura nell’ interno, rappresentata dalla Cornea necrotica. La tumefazione, ch' è. data dalla congiuntiva fortemente distesa, si presenta in qualche punto ricoperta da membrane giallastre qua e là più o meno spesso (Fio. 4% e 5°). I vasi congiuntivali sono dilatati ed iperemici. La cornea si presenta opaca ed infossata come una lente d° orologio nella congiuntiva tumefatta. La palpebra superiore più che 1) inferiore si presenta notevolmente rigonfia. I movimenti dell’ occhio sono coordinati ma limitatissimi, aboliti quelli. di rota- zione esterna ed interna. Nell’ occhio sano è limitato soltanto il movimento di rota- zione interna, gli altri sono normali. La palpebra superiore dell’ occhio sano si pre- senta un po piosica, e il movimento di elevazione dell’ occhio si compie fino a un certo punto, poi si arresta, perchè | inferma dice di sentire forte dolore nella regione sopraorbitale di destra in corrispondenza della metà dell’ arcata sopraciliare. L’ am- miccamento è conservato a sinistra. Non esiste nistagmo. La visione dall’ occhio amma- lato è abolita. Il riflesso alla luce ed all’ accomodazione conservato a sinistra, non può ricercarsi a destra, causa |’ opacità della cornea. DIG — 236 — Osservando la regione temporo-frontale destra si constata che la fossa temporale è scomparsa per essere sostituita da una tumefazione rotondeggiante, discretamente spor- gente, del diametro di circa 8 cm. La pelle al disopra, si presenta un po’ tesa, ma normale. La regione zigomatica sottostante si presenta un po edematosa. Alla palpazione il bulbo oculare si presenta di consistenza molle elastica. Manovre a Fio. 52 Fig. A ulteriori non sono possibili causa il vivo senso di bruciore che | inferma avverte al minimo contatto delle dita indagatrici. La palpazione invece della tumefazione situata nella regione temporale fa avvertire una massa di consistenza dura, a superficie alquanto irregolare, del volume appros- simativo di un uovo di tacchina. La pelle soprastante non può sollevarsi in pieghe, causa la sua enorme tensione, ma si riconosce non aderente al tumore sottostante. Nella parte antero superiore del tumore, quasi a metà dell’ arcata sopraciliare, si palpa un tumoretto, grande quanto un cece, indolente e spostabile. La pressione sui nervi sopra e sotto orbitali non è più dolente del normale. — 237 — La funzione del facciale è ben conservata d’ ambo i lati. Così dicasi dell’ udito. In nessuna regione si palpano gangli ingorgati. lutti gli altri organi e tessuti sono normali. Le urine normali. Riassunto dei diari. — La temperatura fu sempre normale. L' inferma accusò costantemente dolori più o meno intensi in corrispondenza dell’ arcata sopraciliare destra, diffondentisi alla regione temporo-occipitale omonima. Si praticarono lavaggi di soluzione borica sull’ occhio e impacchi freddi. Polso sempre normale. _Ntto operativo. — 7 Febbraio 1908. Narcosi morfino-cloroformica. Allo scopo di determinare una emostasi preventiva si mette allo scoperto la caro- tide comune destra, e passato intorno ad essa un laccio sì serra soltanto il filo sul vaso per mezzo d’ una pinza. Si trova la carotide esterna intorno alla quale si stringe defini- tivamente un laccio di catgut. Il laccio alla carotide primitiva fu messo nella tema che diramazioni interne potessero alimentare la massa del tumore da asportare, dira- mazioni dell’ oftalmica che dalla carotide interna deriva. Fatto ciò si praticò, in senso orizzontale, una estesa incisione la quale dalla regione temporale si diresse in avanti passando sull’ ampio tumore della regione temporo- zigomatica, essendo a circa 1! cm. del bordo superiore dell’ arcata omonima. Giunta questa incisione al bordo esterno orbitale fu essa bipartita, costeggiando colla superiore il bordo dell’orbita, o almeno la direzione di questo, fino a raggiungere la glabella; l’inferiore invece percorrendo pressa poco l° andamento del bordo inferiore dell’ orbita corrispondente, raggiunse all’ interno la superiore incisione. Rapidamente distaccato il cuoio capelluto e costituiti così due ampi lembi, uno superiore, l’ altro inferiore si attaccò perifericamente col tagliente il tumore tempo- rale, le parti molli, aponeurosi e muscoli, flno a raggiungere | osso sottostante, dove servendosi di strumenti ottusi, si distaccò il periostio, e con esso i rapporti ossei del neoplasma che innicchiato profondamente aveva 1 osso stesso avvallato. Nell’ orbita, cominciando dall’ alto e seguendo sempre la sostanza ossea, con mezzi ottusi si determina il distacco del neoplasma, perifericamente all’ orbita, sollevando in massa le parti tutte in essa contenute, compreso naturalmente il bulbo con tutti i suoi muscoli; e per ultimo, trovato all’ interno ed in basso uno spazio da affondare uno stretto bisturi, si recide il nervo ottico con tutte le sue dipendenze. In questo momento temevasi una forte emorragia dall’ oftalmica, perchè nel rimanente atto operatorio, stante la preventiva allacciatura fatta dalla carotide esterna, non si aveva avuto che perdita lieve di sangue scuro, prettamente venoso. Visto che anche dopo tolta la pinza che serrava il laccio preventivamente posto intorno la carotide primitiva, non si aveva scolo inquietante di sangue si tolse definitivamente il laccio carotideo. Sutura a strati, piccolo drenaggio e zaffamento della fossa orbitale. Decorso post operatorio normale. L’ Inferma esce cuarita il 22 Marzo 1908. Trascorso omai un anno dall’ eseguita operazione |’ inferma si presenta in oggi a voi perchè la possiate vedere nella sua ricuperata salute. — 238 — (Fio. 6% e 7°). Egli è certo che se il caso mi fosse capitato prima, cioe ailor- quando | occhio era ancora funzionante, sarebbe stato allora possibile conservarlo integro o per lo meno sarebbe stato facile conservare il sacco congiuntivale e con questo la possibilità di applicare un occhio artificiale, cosa che non si può fare ora, stante 1’ estensione assunta dal neoplasma e la necessità avuta di praticare una pro- fonda mutilazione di parti molli. €same macroscopico del pezzo asportato (1). Fig. 6° Fig. 7 Tumore della grandezza di un arancio a contorni irregolari con svariate appendici : è formato dai tessuti ed organi contenuti nella regione orbitaria e nella parte ante- riore della regione temporale : palpebra superiore ed inferiore edematose, bulbo ocu- lare con cornea e cristallino opacati, con essudati nella camera posteriore ; nervo ottico; ghiandola lacrimale, muscoli oculari, parte di muscolo temporale ecc. ecc. : duri ed infiltrati di tessuto neoplastico. €same microscopico. — Questo esame viene praticato sopra pezzetti di muscoli (1) Gli esami anatomici sono stati costantemente fatti dal Dott. Giuseppe Rocchi, Assistente della Clinica, addetto al Gabinetto clinico. orbitali infiltrati e dà a vedere, in preparati colorati coll’ emallume e col Van Gieson, che fra i fascr muscolari esistono zaffi di cellule epiteliali rotondeggianti, poliedriche, allungate, con discreta quantità di protoplasma e grosso nucleo. Diagnosi microscopica : Adeno-carcinoma. Ma oltre agli accennati due casi, nei quali il processo patologico aveva avuto sua sede ed a preferenza suo svolgimento nella regione temporo-zigomatica destra, desidero ora parlarvi di altri casi clinici pure gravissimi nei quali il processo patologico interessava il cranio nella sua porzione basillare. Appartengono questi alla categoria dei così detti polipi naso-faringei il di cui impianto è alla base del cranio o nelle vicinanze di esso, costituendo una categoria di lesioni a se, oltremodo interessante e caratteristica. Sono questi tumori retromascellari che s’ addentrono spesso nella faringe e nella cavità nasale invadendo i diversi seni e gli spazi tutti della cavità nasale, apportando la distruzione della mucosa e delle ossa che si oppongono al loro incessante benchè lento svolgimento. Si determinano con ciò le più gravi lesioni, le più grandi deformità- della faccia con spostamento più © meno forte del bulbo oculare. Tali tumori colpiscono per lo più i maschi, ed io pure, su sei soggetti che ho avuto a curare, cinque erano appunto di sesso mascolino. La solo femmina, una ragaz- zina di 13 anni, accolta nella Clinica di Bologna nel 1907, la rimandai a casa senza operarla perchè i parenti di lei volevano assicurazioni intorno al possibile esito del- l’ operazione, assicurazioni che io non potevo dare. I cinque maschi li ho operati tutti. Il primo sta bene ma non è qui, il quarto ed il quinto li vedrete ora avanti a voi non cosi il secondo ed il terzo. Il secondo sebbene sopportasse bene |’ atto operatorio in modo che dopo 20 giorni mi fu possibile di presentarlo alla scolaresca, (dirò così operatoriamente guarito) dimesso dall’ ospedale in quindicesima giornata, ebbe la sollecita ripetizione del processo sarcomatoso e la morte 4 mesi dopo la subita operazione. Il terzo, come si vedrà dalla storia che più sotto riporto, morì dopo 3 ore dall’ operazione per choc; e ne conoscerete la ragione. 1° Caso. - Il primo caso del genere da me curato fu un giovanetto certo A. Z. di Bologna che io operava 3 anni or sono nella mia casa di salute. Allorchè lo presi in cura aveva 15 anni ed ora naturalmente 18. All età di 11 anni comparvero i primi sintomi del grave malore che l’ aftliggeva. Erano disturbi della respirazione che, al dire dei parenti, si presentavano a preferenza durante il sonno. Esaminato da uno specialista, fu trovata la narice sinistra occupata da una massa che 1 occludeva completamente. Sottopposto a cure diverse e svariatissime non migliorò anzi il tumore andò inesorabil- mente, sebbene in modo assai lento, crescendo. La respirazione nasale anche dalla narice destra fu in breve reso impossibile ; e dopo fu difficoltata pure quella orale, stante l’ estensione presa dal tumore che per le coane era sceso nel faringe. Ebbesi allora un rapido dimagramento dell’ ammalato causato dalle sofferenze apportate dal tumore, dalle frequenti e gravi emorragie e dalla difficile alimentazione. Furono molteplici 240. — oltre alle cure sopra accennate, i tentativi operatori fatti da chirurghi e specialisti i quali cercarono, per la via nasale e per quella orale, di fermare la massa del neo- plasma nel suo continuato svolgimento. Allorchè io vidi per la prima volta | infermo era questi in così cattive condizioni; e la respirazione era tanto difficile che consigliai il collega, che l'aveva in cura, di praticargli la tracheotomia. Con questa | infermo potè respirare, dormire e quindi riposare e nutrirsi un po meglio, migliorando così le sue cenerali condizioni. L’ammalato, il quale entrava nella mia casa di salute il dî 20 Novembre del 1908, presentava assimetria assai notevole della faccia determinata dallo spostamento del bulbo oculare sinistro sospinto in avanti, all’ esterno ed in alto dalla massa neopla- stica; anche tutta la guancia sinistra appariva tumefatta. Invitato I infermo ad aprire la bocca si vedeva subito il palato molto sospinto in basso ; e, dietro ad esso nella faringe, una massa grossa quanto un pugno che s° in- contrava colla base della lingua. Tale massa al palpamento era di consistenza carnosa e facile a sanguinare. Fu per questa ragione che, nel piano operatorio escogitato per raggiungere e dominare il tumore, credetti opportuno, seduta stante, fare precedere all’ asportazione del tumore la legatura della carotide esterna e 1° applicazione sulla carotide primitiva di un laccio preventivo. L'operazione fu fissata per la mattina del 23 Novembre 1905. Il concetto tecnico operatorio concepito fu basato sulla demolizione del mascellare superiore sinistro che mi doveva permettere di arrivare alla base del cranio dove trovavasi impiantato il tumore. L' infermo, che era stato cloroformizzato attraverso la cannula tracheale e posto nella posizione del Rose, subì adunque la preventiva legatura della carotide esterna al collo, non trascurando l’ applicazione di un secondo laccio al disotto della carotide primitiva che poi non serrai definitivamente. Intercettato in tal modo 1° afflusso della maggior parte del sangue arterioso nella regione sulla quale volevo agire, praticai il taglio delle parti molli col processo del Weber che è una lieve modificazione di quello del Nelaton, da questi escogitata per l° asportazione del mascellare superiore. Seguendo dipoi le norme volute, tolsi 1° ac- cennato mascellare arrivando a dominare così la retrobocca e la retro faringe da dove tolsi, non senza difficoltà, la parte neoplastica tanto profondamente collocata. Si ebbe al momento fuori-uscita abbondante di sangue venoso che però cedette al solo tampo- namento fatto con garza asettica. La massa esportata, risultò formata da sostanze fibrosa, costituendo il vero fibroma basilare che al dire dei patologi, quando non uccide (come sarebbe avvenuto certamente nel nostro caso se non fossi intervenuto), col crescere dell’ età s° arresta nel suo sviluppo e finisce per atrofizarsi. I preparati microscopici che vi presento, fatti con cura nei diversi punti del neoplasma, stanno appunto per un fibroma. L'andamento successivo fu regolare e 1° infermo lasciava la casa di salute guarito dopo circa 25 giorni della subita operazione. Linfo-sarcoma retro-faringeo. 2° Caso. - Storia redatta dall’ assistente di Clinica Dott. Stretti. C. G. di anni 18 da Zola Predosa, fabbro; entra in Clinica l’ 11 dicembre 1905. Un anno e mezzo circa fa il paziente cominciò a provare ad intervalli dei dolori spontanei all’ orecchio destro, i quali si facevano più acuti nei movimenti forzati di apertura della bocca. Dopo qualche mese avvertì un piccolo tumoretto nella regione parotidea destra, che è andato poi rapidamente crescendo, fino a raggiungere le dimen- sioni attuali che sono quelle di un ovo di gallina. Poscia l° infermo s° accorse di una certa limitazione nel movimento di apertura della bocca, limitazione che è andata a poco a poco accentuandosi, mentre la deglutizione per i cibi solidi si faceva anch’ essa difficile. In ultimo, poco prima di entrare in clinica, la respirazione cominciò ad essere inceppata per una massa anomala ch' era andata gradatamente crescendo sulla faccia posteriore del faringe, sì da diminuirne assai la cavità. È stato due volte in altri ospedali per essere soccorso, ma non tu mai operato. Aggravandosi il suo stato, specie riguardo alla respirazione ed alla deglutizione, entra in Clinica V 11 dicembre 1905. All’ infuori dei comuni esantemi dell’ infanzia e di qualche leggero catarro bron- chiale, non ha mai sofferto malattie degne di nota; non malattie veneree, nè sifilitiche. Il padre vive ed è sano: la madre è morta di malattia che non si può precisare. Peggiorando le condizioni del paziente specialmente a carico della respirazione il giorno 27 dicembre 1905 viene operato di tracheotomia. €same delle orine. —- P. S. 1021. Albumina e zucchero assenti. Solfati e fosfati un po’ abbondanti. Cloruri normali. €same del sangue: — Globuli rossi 4, 600.000. — Globuli bianchi 24.000. Operazione. — 20 gennaio 1906. Narcosi morfio-cloroformica Allacciatura della carotide esterna di destra. Resezione del mascellare superiore destro. Enucleazione del tumore. Zaffo. Durante 1° atto operativo, si pratica una ipodermoclisi di circa 300 er. di solu- zione fisiologica, dopo di che il polso da filiforme si fa più pieno e valido. Nei quattro giorni susseguenti all’ atto operatorio si fanno iniezioni di caffeina e si somministra tintura di strofanto. Il 22, vale a dire dopo 2 giorni dall’ operazione si cominciano a somministrare alimenti liquidi per mezzo della sonda e dopo qualche giorno il malato è in grado di mangiare da sè. La temperatura non s' è mai elevata al di sopra di 38.2 e ciò nei primi giorni dall’ operazione. Il malato lascia la clinica il 21 febbraio, guarito. Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 32 O a. Ke Ora rispetto a questo soggetto, per quanto riguarda il tecnicismo impiegato, non ho nulla da aggiungere a quanto dissi più sopra per il primo caso, perchè anche qui feci 1’ allacciatura preventiva della carotide esterna; e collo stesso taglio esterno l’asportazione del mascellare superiore che in questo caso era il destro, essendo il inmore naso faringeo sorto da detto lato; infine |’ asportazione del tumore. Non pertanto, essendo il caso capitato nella clinica durante il periodo delle lezioni mi offrì occa- sione propizia per ricerche e considerazioni molteplici utili agli allievi della scuola. I due casi che seguono invece, cioè il terzo ed il quarto, hanno una impronta diversa, dovuta alle modificazioni apportate al tecnicismo avendo, in ambedue, eseguito la rese- cazione temporanea del mascellare superiore senza allacciatura preventiva della caro- tide esterna. Neoplasma rino-faringeo. 3° Caso. - Storia redatta dall’ assistente di Clinica Dott. Stretti, C. G. di anni 18, da Comacchio, scolaro, ontra in Clinica il 5 Gennaio 1907. Racconta il paziente che poco più di due anni fa ha cominciato ad avvertire un lieve impedimento nella respirazione e |’ impressione di essere continuamente raffreddato. Il medico che lo visitò la prima volta notò la presenza di un piccolo corpieciuolo nella fossa nasale destra ch’ egli schiacciò tra le branche di una pinza. Non ostante questo si mantenne la difficoltà della respirazione, e allora, per la prima volta, comparve dalla narice destra uno stillicidio di sangue, che si è ripetuto fino ad oggi per la più lieve causa meccanica, od anche spontaneamente. Dopo due mesi dal predetto intervento l° infermo avvertì uno scolo purulento fetido dal naso e notò l’ aggravarsi dei fatti a carico del respiro e inoltre avverti col dito una intume- scenza che raggiungeva quasi l° apertura esterna della narice destra, occludendola par- zialmente. Ripresentatosi al medico, questi, per circa due mesi si limitò all’ appli cazione di topici, con poco 0 nessun vantaggio dell’ infermo, il quale notò invece un miglioramento assai notevole quando fu sottoposto in Ferrara a causticazioni endo- nasali praticategli da uno specialista. Ma questo benessere durò soltanto quattro mesi, finchè 1° infermo, venuto a Bolo- gna, fu operato nuovamente da altro specialista, che gli tolse masse carnose dalla narice destra, per cui riebbe la respirazione nasale alquanto più libera e cessò lo scolo purulento : ma le emorragie non tardarono a riapparire, talvolta abbondanti. Fu allora dal curante consigliato ad entrare in questa Clinica per altro opportuno intervento chirurgico Il ragazzo non ha mai sofferto cefalea, non dolori nè ronzio agli orecchi; nessun disturbo a carico della deglutizione : solo la voce si è fatta nasale fino dal primo apparire dei fenomeni morbosi. Prima d’ ora non ha mai sofferto malattie degne di nota: non ha avuto scadi- mento nella nutrizione generale. Nulla di notevole nel gentilizio. -— 243 — Esame obbiettivo. — 16 gennaio 1907. Dorso del naso alquanto insellato, allargato a livello delle ossa nasali. La narice destra è molto più larga della sinistra, ha forma ovoidale, mentre questa è allun- cata e normale. Nelle fossa nasale di destra si nota | assenza del cornetto inferiore e medio, in modo che detta fossa è trasformata in un’ ampia cavità, nel cui fondo appare una massa rosea, che visibilmente è distaccato dal setto : tale massa al mo- mento dell’ esame, presenta nella sua parte centrale una superficie grigiastra, data da accumulo di catarro. La sua superficie appare irregolare ed è sormontata nella parte supero-interna da un piccolo noduletto, grosso quanto una lenticchia, il quale è pure di colorito roseo. La cavità nasale di sinistra presenta un’ incurvamento del setto, il quale giunge in contatto dei turbinati che appaiono atrofici. Collo specchio di Klassel risulta che entrambe le fosse sono permeabili, quantunque la colonna d’ aria sia maggiore a destra, più piccola del normale a sinistra. Anche alla rinoscopia posteriore le coane appaiono parzialmente otturate in alto. Coll’ esplorazione digitale nella cavità naso-faringea si sente nella parte destra un corpo della grossezza e della forma di un ovo di piccione. A sinistra, la coana è anch’ essa occupata da masse carnose. Nulla a carico delle tonsille e dell’ apparecchio acustico. Nella regione sottomascellare destra si palpa un ganglio grosso e della stessa forma di un nocciolo di dattero. Anche nella regione carotidea di destra si avverte qua e là qualche piccolo ganglio e così pure nella regione ascellare dello stesso lato. Altri organi ed apparecchi normali. Operazione 17. I. 907. Narcosi- cloroformica. Posizione del Rose. Taglio di Nelaton. Resezione temporanea del mascellare superiore destro. Asportazione del tumore della grossezza di un ovo di gallina. Zaffo. Riposizione del mascellare superiore e sua sutura metallica. Sutura delle parti molli. Il malato muore dopo 3 ore circa dall’ atto operatorio, per shoc. Dalle note cliniche riportate si vede che mentre I° andamento del processo morboso era stato presso a poco quello notato rei casi precedenti la linea di condotta opera- toria fu ben diversa, perchè volli fare a meno della legatura preventiva della caro- tide; e volli in questo soggetto rimettere a posto il mascellare superiore, dopo avere tolto il tumore, ma il ragazzo non resistette per 1° emorragia subita al colpo opera- torio e poco dopo l’ intervento morì per shoc. 4° Caso. - Però nel quarto soggetto operato a seconda dei concetti messi in pra- tica nel caso su riferito, cioè senza legatura precedente della caratide esterna e ripo- sizione in sede normale del mascellare temporaneamente rimosso, fu felicissimo. Nulla vi era da notare nel gentilizio e nell’ infanzia del ragazzo, vissuto in perfetta salute fino all’ 11° anno d’età. O Aa È questi il giovanetto qui presente nomato A. D. di S. Giovanni in Persiceto, di anni 13 il quale entrava nella mia casa di salute il giorno 6 dello scorso agosto 1908. Cominciò ad 11 anni a soffrire di corizza che gli apportava chiusura del naso, specialmente a destra. Tale chiusura si associò ben presto a forti epistassi, che da prima furono attribuite ad un trauma sofferto ma che poi si ripeterono senza cagioni evidenti. Sottoposto l’ infermo a cure emostatiche diverse e non permanendo, anzi facen- dosi sempre più evidente la chiusura meccanica della narice destra, venne osservato da uno specialista il quale, constatò la presenza di un neoplasma posto dalla parte superiore delle fosse nasali. Tale tumore faceva capolino dalla coana corrispondente e si mostrava sessile, nonchè tenacemente fissato nel punto di sua origine. Asportatone un grosso frammento fu trovato un fibro sacroma. Non vi era tempo da perdere! Constatato il fatto e la natura del processo mor- Pio. $ boso, bisognava agire con sollecitudine. Però in tal caso, trattandosi di un ragazzo, volevo evitare, come nel precedente, la demolizione del mascellare superiore; dipiù non essendo il tumore molto voluminoso, ad onta dell’ esempio precedente disgraziato, non praticai anche in questo la lecatura preventiva della carotide esterna. Il taglio esterno delle parti molli fu quello già nelle altre circostanze praticato; così pure si dica per le incisioni fra il malare e il mascellare superiore, fra questo e le ossa nasali ed il frontale, fra mascellare e mascellare nel palato, previa ]° asportazione del 2° dente canino. Lussai l'osso spostandolo contemporaneamente verso l° esterno, senza però distac- carlo posteriormente dalle parti molli che dovevano servirgli alla successiva sua nutri- zione. Allontanato l’ osso mascellare in modo da potere agire profondamente per entro alla fossa nasale destra, distaccai senz’ altro il tumore dalle ossa sfenoide e frontale alle quali tenacemente aderiva. Con strumenti ottusi, agendo pian piano dall’ interno all’ esterno, arrivai a togliere radicalmente il neoplasma che ora vi presento conser- vato nell’ alcool. Il tumore, grossolanamente osservato (Fig. 8*), risulta di due masse e cioè una prin- — 245 — cipale (a) che s’ annidava profondamente nella fossa nasale destra in corrispondenza del seno sfenoidale per scendere e mandare propaggini, una delle quali (0) trassi fuori dalla fossa sfeno-mascellare. Al distacco del tumore si ebbe fuori uscita di molto sangue specialmente nell’ al- lontanamento dell’ ultima parte annidata, come dissi, nella fossa sfeno-mascellare, poichè venne lesa la mascellare interna che dà in quel punto innumerevoli diramazioni. La emostasi fu non pertanto sollecita ed efficace. Completò l’ atto operatorio la riposizione in sito del mascellare superiore che potè essere rimesso con tanta esattezza che, come vedete è difficile assai il veder dove sia la saldatura delle ossa sul palato. L'esame microscopico fatto nel Gabinetto della Clinica dal Dott. Rocchi, diede i seguenti resultati : Caratteri microscopici. — Il tumore esaminato nelle sue due masse, tanto alla periferia quanto nella parte centrale, in sezioni colorate coll’ emallume, il V. Gieson, il Weigert, dà a vedere quanto segue: Fascetti intrecciati di fibrille e fibrocellule connettivali con abbondante sostanza cementante amorfa, racchiuse nelle loro maglie si trovano grosse cellule fusiformi con discreta quantità di protoplasma (Fig. 9°). 5° Caso. - Storia redatta dall’ assistente clinico Dott. Stretti. Per ordine cronologico debbo infine parlarvi dell’ infermo Collina Ermete di anni 34, da Bologna, falegname, il quale entrava in Clinica il giorno 16 novembre 1908. L’ infermo cominciò ad avvertire i primi disturbi a carico del naso all’età di 13 anni, consistenti in un impedimento nella respirazione, in un senso di chiusura abbastanza — 246 — pronunciato della coana sinistra e in un’ abbondante secrezione mucopurolenta nasale. Il medico che per la prima volta lo vide, s’ accorse della presenza nella cavità nasale di sinistra di un corpo anomalo, ch’ egli credè bene stringere tra due pinze, che vennero lasciate in posto tre o quattro giorni, finchè per il proprio peso caddero, portando seco un brandello necrotico seguito da una discreta emorragia. In questi tre o quattro giorni l'occhio sinistro s° era fatto esoftalmico, con congiuntiva fortemente arrossata. Per questi fatti il paziente fu ammesso all’ ospedale dove rimase per circa tre mesi uscendone migliorato dopo irrigazioni giornaliere abbondanti di soluzione borica. Ma sei mesi dopo, nell’anno 1888, essendo aumentato l’ impedimento nella respirazione ed essendo completamente chiusa la cavità nasale di sinistra per una massa che, a detta del paziente, faceva sporgenza dalla narice, dalla quale fuoriusciva inoltre abbondan- tissima secrezione muco-purulenta, venne nuovamente ricoverato nell’ Ospedale dove fu operato. Racconta egli che per lo spazio di dodici anni circa è rimasto col naso diviso a metà dal taglio chirurgico, non essendo stata fatta la sutura, allo scopo forse di intervenire secondariamente, perchè non fu possibile l’ ablazione completa in primo tempo della massa neoformata. Poscia le due metà del naso vennero riunite. Ma dalle cavità nasali e specialmente dalla sinistra vi è stato sempre una secrezione abbondante puru- lenta, fetida e qualche volta anche il distacco di piccoli brandelli carnosi necrotici. Nel giugno dell’ anno decorso il paziente cominciò ad accusare dolori di capo loca- lizzati specialmente nella regione sopraorbitaria sinistra, impossibilità quasi assoluta nella respirazione nasale, diminuzione dell’ udito dal lato sinistro. Inoltre 1’ occhio sinistro s’ era fatto più sporgente, ed il paziente accusava diplopia da quest’ occhio. Uno specialista, a cui fece ricorso nell’ ottobre successivo, asportò un pezzo di tumore; ma circa sette giorni dopo comparvero emorragie così imponenti per le quali il pa- ziente entrò nella nostra Clinica. Non ha mai sofferto malattie degne di nota: non malattie veneree nè sifilitiche. Nulla nel gentilizio. i €same obbiettivo. — L'occhio sinistro presenta una marcata esoftalmia e in associazione coll’ altro le immagini sono percepite doppie. Le palpebre si chiudono bene, ma la contrazione dell’orbicolare di sinistra è assai meno netta della destra. La con- giuntiva sinistra è leggermente arrossata. La porzione superiore ed interna della guancia sinistra è leggermente rilevata in confronto della destra. Al palpamento si sentono le pareti interna ed inferiore sollevate e fatte marcatamente convesse. Essendo il naso spaccato ampiamente (ciò fu fatto al momento dell’ ingresso del paziente in Clinica per dominare un’ emorragia imponente), è possibile 1’ ispezione diretta della cavità. Per essa sì scorge infatti nella fossa nasale sinistra un tumore a largo impianto, che interessa la volta, il recesso sfeno-etmoidale e giunge al di là del margine vomeriano del setto. Alla palpazione nel rinofaringe, il tumore appare di consistenza superiore a quella degli ordinari polipi nasali. Le cellule etmoidali che sboccano nella doccia dell’ infundibolo dànno esito ad un’ abbondante copia di essudato denso muco-purulento fetido. La per- meabilità delle fossa nasali è interamente soppressa a sinistra: a destra esiste una — 241 — piccolissima apertura coanale attorno alla quale si riconosce una propaggine del tumore. Il giorno 22 novembre viene asportato un frammento del tumore a scopo biopsico, e, quantunque l'operazione sia stata fatta con una pinza — @ morcellement — | emor- ragia è considerevolissima e si è dovuto tamponare strettamente. Il paziente ha costituzione scheletrica regolare, masse muscolari bene sviluppate, colorito della pelle pallido, mucose visibili pallide : organi toracici ed addominali normali: sistema gangliare normale. Esame delle urine: p. s. 1016. — Albumina, zucchero, mucina, acetone, assenti. €same del sangue: a fresco. — Globuli rossi pallidi, a pile corte, molti poi- chilotici. Emoglobina: 50; Valore globulare 0.79. Globuli rossi 3.200.000. Globuli bianchi 9.800. — Rapporto 1: 327. Fig. 10° Esame microscopico del pezzetto ottenuto per biopsia. Vengono fatti preparati colorati coll’ emallume ed il liquido di Van Gieson. L'aspetto istologico è il seguente : Entro un reticolato costituito da fibrille e tenui fibrocellule connettivali si trovano stipate numerose piccole cellule rotondeggianti, ovalari, allungate. Prevalgono le pic- cole cellule rotondeggianti, delle quali, alcune sono ridotte al solo nucleo, altre pos- seggono scarso protoplasma. Si notano sparsi qua e là dei piccoli spazi tappezzati da endotelio e delle zone in cui le cellule hanno perduto 1 contorni ed assorbono male i colori: zone in necrobiosi (Fig. 10°). Operazione. — 2 dicembre 1908. Narcosi morfio-cloroformica. Si allaccia la carotide esterna e la tiroidea superiore nio jgi = e si mette un’ansa di seta a cavalcioni della carotide interna, per stringere in caso di bisogno. Quindi si pone il paziente nella posizione del Rose. Si continua il taglio mediano in alto fino alla radice del naso ed in basso, spaccando a tutto spessore il labbro superiore. si procede poscia all’ esterno rasentando con taglio trasversale il contorno orbitario fino al di là del pomello. Distaccate le parti molli dal mascellare superiore, con l’ aiuto della sega-filo del Gigli, e di scalpelii si divide quest’ osso dai suoi attacchi pterigo-mascellare, malare e intermascellare, previa 1’ avulsione del primo dente incisivo superiore sinistro. Si afferra infine con una robusta pinza piatta e si asporta, distaccandolo dai suoi ultimi attacchi. Si ha così una larga breccia per la quale si può aggredire il tumore interessante la fossa nasale sinistra e tutta la parte superiore del faringe nonchè la base del cranio. Si asporta in tal modo un neoplasma della grossezza di un pugno. (Le Figure della Fig. 11* fanno vedere queste singole parti asportate ridotte A, dal vero). Si ha una emorragia imponente che si domina zaffando strettamente. Sutura della cute. Il malato dopo l'operazione ha polso piccolo filiforme, di 160-170 battute al mi- nuto primo. Si sostiene con iniezione di caffeina e digalen. Nei giorni seguenti il polso migliora, e la deglutizione compiendosi benissimo si somministrano cibi liquidi, latte, brodo, cordiale, semolino. La temperatura si è mantenuta poco al di sopra del normale per qualche giorno; ma non oltrepassando mai i 38°5. In 6° giornata si levano i punti: la ferita della pelle è completamente adesa. L’° enorme cavità, residua alla esportazione del tumore e alla resezione del mascellare, viene ripulita ogni giorno. Una piccola abrasione corneale dell’ occhio sinistro, manifestatasi dopo la prima medicatura guarisce con opportune cure dopo una ventina di giorni. L’ infermo attualmente, come vedete sta bene ed il caso è interessante assai, non tanto per il risultato ottenuto, quanto per l’ andamento presentato dal morbo che per oltre 22 anni afflisse questo disgraziato. Caratteri macroscopici. — Tumore globoso, della grandezza di un arancio, in alcuni punti alla periferia presenta zone rammolite, è molto duro tanto al tatto quanto al taglio. Peso del tumore gr. 94,70 Caratteri microscopici. — Vengono fatte sezioni da pezzetti presi in due punti del tumore, nella sua parte periferica e in due tratti della sua parte centrale: le sezion vengono colorate coll’ emallume, tionina, Van Gieson e col metodo di Weigert ei danno a vedere quanto segue . | a) parte periferica: nelle sezioni fatte nei due punti del tumore sopra accennati sì nota nella porzione corrispondente alla parte più esterna del neoplasma una grossa zona di tessuto connettivale composta di fasci fibrillari con molta sostanza cementante e scarse piccole cellule connettivali. Tale zona a tratti è interrotta: sotto di essa con passaggio netto si trova il tes- suto di cui è formato la compagine interna del tumore: tessuto che è così costituito : Tenui fasci di fibrille e fibrocellule connettivali racchiudono zolle composte di grosse — 249 cellule fusiformi con molto protoplasma, grosso nucleo e nucleolo: fra queste cellule si notano in minor numero piccole cellule rotondeggianti ed ovalari con scarso proto- Fig. 11° plasma e grosso nucleo. — Caratteristica del tessuto in questione è | abbondanza di sostanza amorfa intercellulare e la presenza di numerosi vasi sanguigni. — Il metodo di Weigert non dà a vedere fibrille elastiche. Serie VI. Tomo VI. 1908-09 39 — 250 — h) parte centrale: la parte centrale del tumore ha la stessa struttura descritta sopra, nella parte periferica al di sotto della zona connettivale limitante. Come si vede adunque noi ci troviamo in vista, in questo caso, di una lesione tra- sformata. Per molto tempo il tumore avrà avuto certo natura benigna. Stando a quanto asseriscono gli autori che di simili affezioni tengono parola, collo sviluppo del corpo (da ragazzo fattosi uomo) avrebbe dovuto il tumore atrofizzarsi. Invece per la mutata natura del male si ebbe la persistenza e I’ accresciuto volume del neoplasma colla sequela dei fatti gravissimi che lo condussero ultimamente in Clinica. Interessante è pure in questo caso l’ apparecchio di protesi impiegato dal collega Berretta col quale è stata riparata la mancanza del mascellare in modo da rendere possibile non solo la masticazione, ma la fonazione e la cosmesi del volto. Riassumendo le cose narrate, come Voi vedete, è stato assai fertile di casi e for- tunato per i risultati questo mio periodo clinico. In tre anni sei casi osservati con cinque interventi, tre successi assicurati, uno temporaneo ed un morto. Di fronte a così gravi malanni che, prima d’ ora nella lunga mia pratica non vidi mai, il risultato ottenuto può dirsi ottimo. Essi sono inoltre i primi casi del genere curati in Bologna. Il metodo del quale mi sono in ciascun caso servito è stato il facciale perchè, a mio avviso, è il solo che mette il chirurgo nella possibilità di dominare la regione sulla quale deve agire ii chirurgo. Detto metodo è attribuito dai francesi. all’ Hugwier, e dai tedeschi, al Langenbeck. Un unico caso di asportazione del mascellare superiore eseguito in Italia per cura di un tumore sarcomatoso naso-farnigeo invadente, da me conosciuto, è quello del Marcacci il quale operava con questi intendimenti una giovinetta di 18 anni il 2 maggio del 1878. L’ operazione non ebbe esito favorevole, non pertanto la pub- blicazione del Marcacci è interessante per il tentativo fatto e più ancora, per la considerazione che, avendo egli trovato delle difficoltà tecniche, consigliò Il uso per la prensione, del mascellare, di una sua speciale tanaglia assai superiore, per sua pratica utilità, a quella escogitata dal Farabeuf (1). Il Durante nel suo Trattato di Palalogia e Terapia chirurgica, parlando dei tu- mori delle fauci e della faringe si mostra partigiano della via palatina per raggiun- gere il tumore che cerca di svellere, dopo averlo afferrato con robusta pinza da palipi, facendo un movimento di rotazione. Egli dice che è « sorprendente la quantità di sangue che sgorga in questo momento dell’atto operatorio, donde la minaccia di soffocazione che sovrasta all’ infermo; perciò è necessario operare colla massima sollecitudine onde tamponare subito la base del cranio » (2). (1) Vedi: « Resezione completa del mascellare superiore per polipo naso-faringeo invadente e nuovi strumenti per eseguirla ». Prof. Giosué Marcacci. (Movimento Medico-chirurgico, Anne XII, fasc. 10, 1880, Napoli). (2) Durante. Vol. IV, pag. 51-71. Albrighi, Segati 1906. — ol Oltre alle preziose dichiarazioni di questo eminente chirurgo, egli è certo che bisogna a mio avviso distinguere caso da caso; ed io non avrei certo potuto fare molto di radicale e di esatto ‘operando per la via buccale, seguendo le prescrizioni del Durante. Questo metodo detto palatino che fu anche usato dal Manne, dal Dieffenback, dal Maisonneuve, dal Nélaton, non può, a mio avviso, impiegarsi che là dove il palato sia a preferenza compromesso, ed il tumore unico, cioè senza propagini. Ma quando, come nei casi da me operati, il tumore è voluminoso e vi sono molte propagini non è possibile per questa via, tanto ristretta, agire con sicurezza. Anche nel caso quarto, dove il tumore aveva ancora propagini modeste, se io non mi fossi aperta ampiamente la via d'esame e quindi di cura non avrei potuto con tanta sicurezza accertarmi della mia azione, che, colla massima esattezza eseguita, mi procurò la possibilità di operazione tanto completa È naturale che coll’applicazione del metodo facciale, bisognerà agire a seconda dei casi, possibilmente limitandosi alla remozione del mascellare che verrà poi riposto in sede, finita )’ operazione; e, nei casi gravi, sarà necessario asportare il mascellare definitivamente, facendo precedere all’ operazione principale l’altra accessoria, la lega- tura cioè preventiva della carotide esterna. È asserito che questi tumori, in gran parte fibrosi, non danno gravi emorragie, ad ogni modo nei casi più gravi (1°, 2° e 5°) ho ricorso alla legatura preventiva della carotide esterna e me ne sono trovato sod- disfatto. Non | ho praticata nel terzo soggetto che mori, molto probabilmente, di Shoe, operatorio in seguito alla grave emorragia sofferta. Questa gli fu micidiale ad onta che il suo stato generale prima dell’ operazione fosse. per rispetto alla sanguificazione, abbastanza buono. Il metodo nasale infine, col quale, spaccando a mezzo il naso, si dovrebbe potere agire per questa via profondamente, è metodo antichissimo poichè conosciuto da Hi p- pocrate e Celso; e, rimesso in onore, dal Dupuytren e dal Verneiul. Una prova però della sua insufficienza l’ abbiamo nell’ ultimo caso riportato. Esaminando infatti la storia di questo soggetto si apprenderà di leggeri che, sebbene operato per questa via da abilissimo maestro, non guarì giammai in modo radicale dal terribile malore che gli minava costantemente l’ esistenza. Ora soltanto lo si può dir guarito in modo definitario. Il Billroth in Austria, e Albanesi in Italia, il Kòocker in Isvizzera cal- deggiarono l’ allontanamento mediano dei due mascellari superiori, cosa che io non trovai necessario nei miei ammalati e dipiù, a mio avviso, troppo lesivo per la cosmesi. Ricordo solo d'avere nel mio esercizio all’ Ospedale Maggiore, essendo allora mio Assistente il collega Gardini, operato un soggetto d’ asportazione d’ ambo i ma- scellari superiori, per lesione maligna estesa ad ambedue queste ossa. Avendo in tal caso lasciato in posto le ossa nasali ed il vomere, il naso conservava la sua posizione mediana e faceva uno strano contrasto colle parti laterali, mancanti di sostegno osseo e fluttuanti coi movimenti respiratorii. Di tale soggetto, che non era di Bologna, non ebbi più notizie dopo il suo allon- tanamento dall’ Ospedale. " Ù ; dì : NI x i "La a tai A ile VADER ba GUFIA ATI SON AI STIA NIS cri NEI), Ul ina ni ut Ret vee Tea, RA LT "ie CALI del var va dati AI] LORDI TORTI Naonen e Ann NRRRTTTTÀ ite Mb privare Nina Hg "ROIO ITC NOTI WARS Pr I IT DI tribe vi PATO Ugo walleAy / sla de umili "0 Ana ; bi H0L: DT misti va 14, IE La Fu tafi MO A Dgr LATTA] ELA FART eg TASTO, fiati PRA Maffi te tendo ‘ee LE pl Hp tata vita DI PRCOORTRRAONT TIC 6 DIET) ti Voet cali TIRO, SLI MRO Ln penna pri n/a A silvia i ft i PAbi pe o are e vedete Ta e e Vit O n MEET o DE AAA AS a E E 49 GA REMOTA î U utt PANI j > GR LL bel i '® LL, fu A Vi (ì K I IRLI INIRO n et SUOR I'LAT YO TREE Venom ate, Cut ne ORONO RT ili Lat | ) ori Vit A ea AT Cos Ra Tit ASL Edie ie.N VE (IT4i3 LI è ni PRISCO Ù Pi PINA, e Ni A Da RADO vfr “I IR) Tara Di ic, ! 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Avrei voluto trovare per questa prima e breve Nota un titolo più modesto, quale le sarebbe convenuto rispetto alla importanza e difficoltà dell’ argomento cui si rife- risce, ossia rispetto alla natura e spiegazione dei fatti e dei fenomeni che avvengono, allorchè la calce agisce sulle pozzolane e in particolare su quelle di origine vulcanica, per effetto dei quali si ha poi la presa e l’ indurimento delle relative malte. In questo studio preliminare mi parve buon consiglio di ritornare alle esperienze del Vicat., a cui si deve il merito di aver osservato, prima d’ ogni altro, che la pozzolana, stando a contatto coll’ acqua di calce, si appropria o assorbe a poco a poco la calce disciolta e nel tempo stesso indurisce più o meno in ragione della quantità di base che vien tolta al solvente. Era perciò naturale e logico che egli attribuisse a questo saggio una importanza ragguardevole nell’ apprezzamento del valore tecnico di ‘questi materiali cementanti. Qui sarebbe fuor di luogo un cenno dei motivi pei quali il saggio all’ acqua di calce non può essere applicato con vantaggio nelle ricerche di laboratorio come metodo acconcio di misura e di sicuro giudizio nel confronto della potenza idraulica delle diverse pozzolane. Nè gli artifizi o espedienti usati per abbreviarne la durata hanno corrisposto, nè potevano forse corrispondere agli intendimenti e alle speranze di chi li propose. All’ argomento di questa Nota importerebbe soprattutto una risposta adeguata alla ‘seguente domanda: Quale congettura più verosimile si può trarre dal fatto scoperto dal Vicat, allorchè si considera ‘in relazione alle conoscenze che dopo di lui si sono acquistate intorno alla costituzione e indurimento dei cementi e, in generale, dei mate- riali cementanti idraulici ? Mi sia permesso, in mancanza di meglio o per difetto di mie cognizioni, di rife- Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 34 -—— 254 — rire, come risposta più verosimile, il discorso che con prudentissime riserve vado ogni anno ripetendo ai miei scolari e che forse diranno pure i miei Colleghi d’ insegna- mento: e cioè, che nella presa e indurimento delle malte composte di grassello e di pozzolana, la calce si combina colla silice e coll’ allumina generando silicati e allu- minati idrati, i quali probabilmente sono i medesimi che si formano durante la idra- tazione e la conseguente presa dei cementi. Che in realtà questi composti si formino e, particolarità di non poco momento, siano atti altresì ad assumere forma di piccoli cristalli, sono fatti che erederei suffi- cientemente dimostrati dagli effetti osservati durante il saggio preliminare che ha dato argomento alla presente Nota e che ora descriverò in breve. È necessario premettere che sottoposi all’ azione dell’ acqua di calce la pozzolana di S. Paolo di Roma, la cui composizione, come si scorge nei numeri della colonna A del seguente specchietto, s° accorda bene colla composizione della pozzolana della mede- sima provenienza che analizzai 35 anni or sono per incarico dell’ amico Brunelli, presentemente Ingegnere Capo dell’ Ufficio tecnico provinciale di Bologna. I risultati di questa purtroppo antica analisi, ma esatta, figurano nei numeri della colonna B. A B STORE 0 45, 00 Se: 5 : a 45, 900 AL,O, TO AARS As odo TITO atti AR 15, 125 RO RAI A IU EDS loi 12, DIL Cao È 8, 68 5 O: s e); M9OENO IR ale O e ONOR, Dt i CTR ERE OT Perdita WMpericalcinazione i PRE N 20ONNACQUIRENPET A e RES K,0, Na,0 e perdite (per differenza) 6,10 £,0, Na,0 sciolti da HCI bollente 5, 936 00, 100, — Introdussi gr. 2 di detta pozzolana, in forma di finissima polvere, entro una bot- ‘tiglia di ‘vetro avente 2 litri circa di capacità, e dopo averla quasi interamente riem- pita con acqua di calce limpida e satura, la chiusi subito con tappo a smeriglio spalmato di vasellina. Per alcuni giorni cercai di tenere questa polvere in sospensione agitando la bottiglia a lunghi intervalli, poscia ia lasciai parecchi altri in riposo, affinchè la polvere stessa durante il lento assorbimento della calce potesse deporsi, agglomerarsi e aderire, come aderì di fatto, al fondo del recipiente. Dopo un mese, in cui la bottiglia veniva scossa a periodi di tre o quattro giorni, rinnovai | acqua di calce e un’ altra volta dopo due mesi. Dal 1° luglio al 1° di novembre lasciai il recipiente in riposo. La durata dell’ esperimento fu di 13 mesi, compresi fra il 1° di gennaio 1908 e il 1° di febbraio 1909. Al termine dell’ esperimento il fatto singolare che più mi colpì fu di vedere nella parte più bassa della bottiglia una zona circolare alta due centimetri e mezzo, in cui 290 il vetro delle pareti aveva conservato interamente la sua trasparenza : al di sopra di quella notai una seconda zona alta dodici centimetri circa, sulle pareti della quale si era formato un tenue deposito bianco di piccolissimi cristalli abbastanza visibili ‘ad occhio libero, i quali furono ben distinti coll’ aiuto del microscopio : infine nella parte più alta della bottiglia eravi un’ altra zona priva di deposito, nella quale perciò il vetro aveva conservato, come nella più bassa, la primitiva trasparenza. Trascorso il tredicesimo mese, aprii il recipiente ; versai fuori la soluzione limpida, nella quale feci gorgogliare anidride carbonica per assicurarmi che conteneva ancor calce in abbondanza ; lavai quattro volte con acqua distillata tanto la pozzolana ade- rente al fondo, quanto il deposito cristallino ‘esistente sulle pareti della bottiglia. Dopo di che ruppi il recipiente; misi da parte la parete del fondo a cui aderiva la pozzo- lana, e dai cocci delle pareti laterali esportai il deposito bianco cristallino, scioglien- dolo con acido cloridrico piuttosto concentrato, il quale non diede il minimo indizio di effervescenza e quindi delia presenza di carbonato di calce. Da questa soluzione acida, contenente tutti gli elementi del deposito bianco cri- stallino che si era formato sulle pareti laterali della bottiglia, ricavai : SUO SERENI: gr. 0, 0460 ARCORE e ID 000 CAO aa ia »d 0, 1025 MOROSA traccie gr. 0, 1655 Siccome non è ammissibile che, nelle condizioni nelle quali si è formato il depo- sito cristallino, si possa produrre silico-alluminato di calcio, così i risultati di questo saggio analitico portano a concludere con sufficente sicurezza che esso è una mesco- lanza di silicato e di alluminato di calcio, con prevalenza del primo sale. Ma qua- lunque congettura sulla loro composizione sarebbe arbitraria, non essendo possibile separare l’ uno dall’ altro, nè di riconoscere almeno, in mancanza di altre ricerche, la composizione di uno di essi. Le altre ricerche cui alludo e che saranno argomento di una seconda Nota, con- sisteranno principalmente nel ripetere il saggio eseguito sulla pozzolana, facendo agire separatamente 1° acqua di calce sola e l acqua di calce cui siasi aggiunto un po’ di idrossido di potassio o di sodio sopra le polveri di allumina e di silice idrate, dis- seccate semplicemente all’ aria a temperatura ordinaria. Con questi tentativi il quesito potrà essere risolto se sulle pareti della bottiglia si avranno, come colla pozzolana, depositi cristallini di silicato in un caso, e di alluminato nell’ altro, od almeno di uno di essi. Non è ancora improbabile che queste future ricerche possano fornire una spiega- zione soddisfacente della parte che gli alcali, contenuti in relativa abbondanza nella pozzolana di Roma e in forma facilmente solubile nell’ acido cloridrico, hanno nella — 256 — produzione di: questi. composti. Nel qual. proposito sarà. da mettere in chiaro se il silicato, e .1° alluminato, di. calcio si, generano per combinazione. diretta, della. calce disciolta colla. silice, e coll’ allumina. esistenti nella. pozzolana; 0, indirettamente per azione dell’ acqua di calce sulle medesime sostanze previamente disciolte dagl’ idrossidi di potassio e di sodio, o,simultaneamente. per questi due diversi procedimenti. Comunque sia, è certo che in virtù principalmente di, questi fenomeni. la calce disciolta, è assorbita, dalla, pozzolana, che aderisce al fondo, della, bottiglia; così che. tenendo il recipiente in riposo, accade, necessariamente che gli. strati di liquido più vicini alla pozzolana, medesima, sono più poveri di calce dei superiori. D° altra. parte è cosa nota che in una soluzione di. calce abbastanza lontana dal suo punto di satu- razione possono star, sciolti e diffondersi tanto il silicato, quanto 1° alluminato di calcio, i quali poi prendono forma, insolubile e probabilmente composizione diversa, allorchè passano negli strati superiori in cui la calce. è in maggiore abbondanza, e si depon- gono sulle pareti della bottiglia cristallizzando. Non altrimenti saprei spiegare il fatto delle due zone trasparenti osservate sulle pareti della bottiglia, fra le quali era compresa quella più estesa e bianca per depo- sito di silicato e di alluminato di calcio. Ben poco posso dire delle osservazioni fatte sulla pozzolana. che aderiva al fondo del recipiente. Certo è che nel periodo di 13 mesi essa. acquistò lieve durezza, che mi parve inferiore a quella dei comuni gessetti usati per scrivere sulla lavagna. Ma, occupatissimo com’ ero in altre urgentissime incombenze, mi sfuggì il momento oppor- tuno per sottoporla alle necessarie osservazioni microscopiche. Dopo due mesi di essiccamento all’ aria sotto grande campana di vetro, il depo- sito aderente al, fondo della bottiglia, cimentato con acido cloridrico, diede fortissima effervescenza. Non credo tuttavia che quantità così rilevante di carbonato di calce si trovasse in esso prima della sua lunga esposizione all’ aria, e ciò per due ragioni : l’ una che la bottiglia contenente i corpi reagenti fu tenuta sempre ben chiusa, meno i pochi minuti richiesti per il rinnovamento dell’ acqua di calce ; 1 altra è l° assoluta mancanza di carbonato di calce, come feci notare più sopra, nel deposito bianco cri- stallino formatosi sulle pareti del recipiente. Allorchè sarà ben accertato che il carbonato di calce non preesisteva nel depo- sito di pozzolana, sarà da ricercare se la calce necessaria per. produrlo si trova, in parte almeno libera nel deposito assorbita per azioni capillari, o se il medesimo carbo- nato si forma per azione dell’ anidride carbonica atmosferica sui silicati e ailuminati di calce, o per entrambe queste cause. La composizione del deposito di pozzolana perfettamente seccato all’ aria. è la seguente : SCORE Al) Cao . . i 29,81 MID RIE EE 1,84 AO RIO a 050 RARO e n 6, 33 Acqua e tracce di materia organica 11,80 CO, ed alcali (per differenza). . . 17,22 100, — È manifesto che la presente analisi non può fornire argomento di utili confronti e di valide considerazioni, sia per l’ incertezza di derivazione del carbonato di calce, sia per le mancate osservazioni microscopiche. Resta quindi come fatto più notabile di questo saggio preliminare la prova sicura, e forse non superflua, che nell’ azione della calce sulla pozzolana si produce silicato e alluminato di calcio cristallini; composti che nelle malte di cemento si formano per fenomeni di idratazione dei corpi attivi che nascono nella coltura dei calcari argillosi, e dai quali poi ne consegue la presa e l’ indurimento. Nonostante questa diversità di origine sarebbe difficile non vedere nella produzione di detti composti la causa prima e comune dell’ indurimento tanto delle malte di cemento, quanto di quelle formate di pozzolana e di calce. Non senza ragione feci poi osservare che dopo 13 mesi di contatto coll’ acqua di calce, la polvere di pozzolana aveva preso debole durezza : il qual effetto si spiega considerando le condizioni dell’ esperimento. Si sa che le malte in genere acquistano il massimo di durezza e di resistenza in determinate condizioni, fra le quali è, a mio avviso, principalissima la grandezza dello spazio in cui si formano i corpi attivi cristallizzabili nella massa delle malte. Questo spazio è naturalmente aumentato oltre il limite utile, quando un cemento è stemperato con quantità eccessiva di acqua : nel qual caso la presa è lenta, e la durezza e resi- stenza finali assumono talvolta un valore debolissimo. Effetti contrari si producono nel caso opposto di diminuizione di spazio nocivo, quale si ha necessariamente, allorchè malte sufficientemente sode sono assoggettate a forte compressione : pratica questa ben conosciuta e utilmente messa in opera per aumentare la loro durezza e resistenza. Da ciò consegue, e la pratica insegna, che per avere un forte indurimento di una malta non basta che si formino le particelle cristalline degli elementi attivi della presa, ma occorre altresì che il fenomeno avvenga nella condizione confacente al più intimo legame fra di esse e di tutte le particelle solide, anche inerti, che compon- gono la malta. Condizione favorevole a questo effetto non può essere evidentemente quella in cui si trova la polvere di pozzolana messa a contatto coll’ acqua di calce. ‘ Ì IONE basali Nuit ho dite sia pp ii | "Mprazooe, era uri da dii PIRRTÀI f i TO, 4 rg les (A, oaiola INAISNtT: ta 1) PIO A VE VAT È ERANO ifitig hai ‘dal AP Lor | A O RE ni ona OA RLITE à I RR a RICERCHE DI SISTEMATICA SPERIMENTALE SUL GENERE IA ZLOIS VVACLEER MEMORIA DEL Prof. ALESSANDRO GHIGI letta nella Sessione del 23 Maggio 1909 (con UNA CARTA GEOGRAFICA NEI, TESTO E DUE TAVOLE IN ELIOTIPIA) SOMMARIO I. Revisione del genere Gennaeus Wagler. II. Ibridi nel genere Gennaeus. III. Comparazioni fra forme selvagge ed ibridi. VI. Distribuzione geografica dei Gennaeus e loro probabili affinità V. Generalità : a) Genere, specie, e sottospecie. b) Dissociazione dei caratteri specifici e dei caratteri etnici. e) Dominanza dei caratteri in rapporto alla specie, alla razza, ed al sesso dei genitori. Col presente lavoro mi propongo di mostrare quanta parte abbia libridismo nella formazione delle specie attribuite al genere Gennaeus, viventi allo stato selvaggio, e delle quali la più conosciuta è il fagiano argentato. Mi propongo inoltre di portare un contributo alla conoscenza del modo nel quale i caratteri specifici si dissociano negli ibridi, per dare origine a gruppi di caratteri stretti in un rapporto stabile, ma diverso da quello esistente nei progenitori. Ho scelto il genere Gernaeus, in primo luogo perchè rieco di numerose forme abitanti una regione non eccessivamente estesa, l’ Indocina; in secondo luogo perchè da precedenti esperienze (1) ho potuto accertare la fecondità degli ibridi per parecchie generazioni, e- finalmente perchè i caratteri specifici sono poco numerosi e così ben deli- neati, da poterne valutare facilmente il grado di intensità nei meticci. Discuterò infine alcune questioni generali che hanno rapporto coll’ argomento trattato. (1) Ghigi A. — Contributo allo studio dell’ ibridismo negli Uccelli. Rend. R. Accad. Lincei, vol. XIV, serie 5°, 1° sem., fasc. 9, 1907. I. Revisione del Genere “ Gennaeus ,, Wagler L’antico genere Euplocomus, istituito dal l'emmincek nel 1809 e mantenuto dal Gray nel suo catalogo e dall’Elliot nella monografia dei Phasianidae, è stato diviso dal Grant nei generi Acomus, Lophura e Gennaeus, ripristinando in tal modo i nomi che rispet- tivamente avevano usato il Reichenbach nel 1852 per A. pyronotus., il Fleming nel 1822 per ZL. ignita ed il Wagler nel 1832 per G. nycthemerus. In un mio lavoro pubblicato nel 1903.(1) rilevavo come il genere Lophura non riu- scisse affatto omogeneo per l'inclusione in esso del fagiano prelato (LZ. diardi Vemm.) ed esponevo le ragioni per le quali mi pareva giusto che questa specie passasse al genere Gennaeus. Lo Sharpe (2) ripristina per questa specie il nome generico di D'iardigallus Bonap., ed io accetto ben volontieri questo modo di vedere, ma, richiamandomi a quanto già scrissi altra volta, trovo necessario ripristinare anche pel fagiano di Swinhoe, da tutti gli autori recenti designato come G. swizhoii, il nome generico di Hierophasis, che l’ Elliot aveva istituito come sottogenere. (Ed a questo genere di nuova istituzione, appartiene senza alcun dubbio la specie annamita, noia sotto il nome di G. edwardsii Oustalet. Ciò premesso, i componenti del genere Gerraeus, ci appaiono quali elementi omogenei, non soltanto sotto l’ aspetto morfologico, ma anche sotto quello biologico. Oltre ad offrire quei caratteri morfologici comuni che fra poco vedremo, in essi le movenze, la voce, gli amori, la durata dell’incubazione delle uova, lo sviluppo dei pulcini, la fecondità e | ar- monia dei caratteri negl’ibridi, sono tanti fatti che ci inducono a ritenere come la grande maggioranza di essi stia a rappresentare altrettante forme, le qual. occupano distinte aree geografiche, sostituendosi vicendevolmente l'una all’ altra. Dato il carattere e lo scopo di questo lavoro, io non m’indugerò in disquisizioni sino- nimiche e neppure in soverchie citazioni. Mi limito ad indicare la data e la fonte biblio- grafica di ciascuna specie, facendole seguire da una descrizione breve e precisa e dalle notizie accertate sulla sua distribuzione geografica. Per maggiore chiarezza premetterò una chiave dicotomica dei generi che costituivano l’antico genere Euplocomus, allo scopo di precisare maggiormente la posizione di Gex- naeus nel gruppo. (1) Ghigi A. — Contribuzioni alla biologia ed alla sistematica dei Phasianidae, Archiv. Zool. Ital., vol. I, fasc. 3-4, pp. 289-388, tav. 13-17, 1903. (2) Sharpe. — A Hand-list of the Genera and Species of Birds. — 261 — Coda con quattordici penne considerevolmente più brevi dell'ala: non vi è ciuffo occipitale; 2 2 armare di Suemni, MER + co e o o e ee AODOS — Coda con sedici penne, lunghe quanto l’ala o più: ciuffo occipitale sempre pre- sente nei g'dg'; 2 Q inermi, Gi color bruno o rossiccio, più o meno variegate, FD MERO O Le Mei ato, 100 e RM RI RI 2. Timoniere mediane più brevi di quelle del secondo paio, e queste più brevi di quelle del 3°; ciuffo occipitale con rachidi nude nella porzione basale. . . . . 3 — Timeniere mediane più lunghe (notevolmente nei 0°) di tutte le altre; ciuffo oc- Gipi egcongra em Ater Mente Rvesti (RENE ERA e II 3. Caruncole azzurre; dimensioni maggiori di tutti gli altri componenti il gruppo. . LopAure — Caruncole rosse; dimensioni normali... 0.0... 0.0... . + «+ - Diardigallus 4. Ciuffo brevissimo, mancante nelle Q Q, ed in ogni modo non sporgente oltre | GE CIV A ROTA CFOPHASIS — Ciuffo lungo ed abbondante, prolungato oltre l’occipite . . . . . . . . . . Gennaeus GENNAEUS WAGLER, Isis, 1832, p. 1228. Dalla chiave precedentemente esposta, risulta che questi uccelli hanno coda con 16 penne, notevolmente più lunghe dell’ala, un ciuffo lungo ed abbondante che sporge oltre l’occipite, formando una punta diritta o ricoprendo la nuca e parte del collo. Timoniere graduate, col paio mediano più lungo. Femmine inermi, provvedute soltanto di una placca cornea al posto dello sperone. Il colore fondamentale dei maschi è il nero corvino, qualche volta sfumato in azzurro acciaio od in verdastro: se le parti superiori hanno tali tinte, quelle inferiori sono spesso grigie; quando invece il nero è limitato alle parti inferiori, quelle superiori sono più 0 meno regolarmente rigate di bianco ed il bianco può diventare assolutamente prevalente sulle parti superiori. Le penne del groppone possono essere fatte a cucchiaio ovvero {ron- cate; in questo caso sono quasi sempre terminate da una frangia bianca. Le penne dei fianchi, lanceolate, sono spesso caratterizzate da una stria bianca lungo la rachide: qual- che volta è bianca la sola rachide. Le gote hanno caruncole erettili, vellutate per nume- rose papille scarlatte. Nelle femmine si può considerare fondamentale una tinta bruno-olivastra più o meno variegata di gialliccio chiaro, di bianco e di nero. In nessuna specie sì osservano chiazze o strie di color rosso-marrone come nelle femmine dei tre generi affini Lophura, Diardi- gallus e Hierophasis Le carnucole perioculari sono rosse e grinzose. I tarsi in ambo i sessi sono scarlatti, verdognoli, biancastri o bruni. I suddetti caratteri risultano aggregati e distribuiti secondo le tabelle seguenti : Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 35 — 262 — Tavola dicotomica dei 3 3 I. Parti inferiori nere lucenti o tutt’ al più con strie longitudinali bianche ai lati del PELO ACUTO EA ENI PROSA O -— Parti inferiori grigio-terra. Ciuffo refluente. \.\././ 0... 2 Zamperscarlatte: #46 00 e i UR n SE MARCA Late Re Zampe verdognole, brune, carnicine o biancastre, 3. Penne del groppone e sopracoda variegate di bianco e di nero in modo uniforme — Penne del groppone e sopracoda terminate da una spiccata frangia bianca, preceduta da una stria azzurro-pallida - z Sull’ intero piumaggio delle parti superiori il bianco eguaglia o predomina sul nero 4. — Sull’ intero piumaggio delle parti superiori il nero predomina sul bianco . . ata ietcolotde trota legorecchiefbiancopiro ERRE eee eee — Lati del collo dietro alle orecchie striati di nervo . /......... . RT 6. l’imoniere mediane intieramente bianche; oltre al collo la parte anteriore del dorso CRPIAnCO= pura EA I e N pil e — "Timoniere mediane striate di nero nilo metà basale del vessillo esterno; parte anteriore del dorso finamente striata di nerò. . . ...... . 7. 'limoniere laterali estreme rigate di bianco anche sul vessillo esterno . . . -— "l’imoniere laterali estreme interamente nere sul vessillo esterno Da SIT 8. Un’ ampia stria di penne bianche lanceolate divide sul collo il nero dalla regione SURICRACIMAOrSORNUMELOSCRE SOLI RR RE strie del dorso in piccolo numero rigata; Porzione nera e porzione rigata del collo contigue; @ VIMENROENIO: a o al E SIRIO I RO 9. Lati del petto con strie Tonino allafracimae bianche te te eee Curare petto interamente Nere Re A II0! ‘Groppone e sopracoda senza frange bianche: . .. — Groppone e sopracoda con frange bianche più o meno larghe . ./...°. Il. Parti superiori uniformemente variegate di bianco e nero finissimo . . . . Parti superiori striate di bianco e nero con righe parallele ai margini e disposte COMPMZOLIONA ZUNE CUE CHILI OI CASTA RESSE MEI 12. Piumaggio oltre alle frange bianche sulle penne del groppone e sopracoda, più 0 meno spruzzato e variegato di bianco. . . . ME ARE — Piumaggio, escluse le frange bianche sulle penne del groppone e del sopracoda, TAIOTOAMIGITE MOTO a 0 a ace ILL co 13. Penne del groppone e del sopracoda non soltanto drago: ma anche variegate di DIANCOMI I CERESIO LU E ER TR — Penne del groppone e sopracoda soltanto frangiate di bianco... .... 14. Strie sulle penne del groppone adiacenti alla frangia bianca; parti superiori uni- formemente variegate di bianco e nero finissimo... ... Hanno — Strie sulle penne del groppone separate dalla frangia bianca per mezzo di un inter- spazio nero; parti superiori nere con strie o spruzzi chiari variamente distribuiti I Rianchi gl onGitudimaMentefgst rat ER — Fianchi interamente neri . . SENSI LISA GI IST) SIOE RAMI NE SRO ERI 16. Parti superiori percorse da snai linee bianche parallele al margine e concen- triche, disposte come l’ orlo di un cucchiaio. . . MEA A ARCO — Parti superiori scarsamente striate in senso trasversale 0 inci spruzzate di chiaro 17. Copritrici delle ali con quattro o cinque strie bianche su ciascun lato del vessillo, paralleletalimaranNe Re SOIZSI e EAT : — Copritrici delle ali soltanto spruzzate o IUIMONIE marginate di dii 10 4 nisbetti 5 8 6 rufipes 7 | ripponi i jonesi nycthemerus whiteheadi annamensis 9 andersoni beli Il 12 lineatus sharpei 13 21 14 wickhami 15 16 oafesi cuvieri davisoni 17 18 20 14. 15. 16. — 263 — . Fianchi interamente neri Rane Fianchi longitudinalmente striati di Lo CILENO . Vessillo interno delle primarie macchiate di bianco . Vessillo interno delle primarie interamente nero . Dorso e copritrici delle ali scarsamente nuzale di mato So Dorso marginato di bianco; copritrici superiori delle ali con rachide bianca . Frangia terminale delle penne del groppone bianco pura Frangia terminale delle penne del groppone bianco gialliccia . Detta frangia è strettissima Detta frangia è ampia . Ciuffo interamente nero . È Ciuffo interamente bianco grigiastro . Penne del groppone largamente marginate di anco Penne del groppone interamente nere . Tavola dicotomica delle. 2 9 . Zampe scarlatte. Zampe verdognole, brune, o pane . Parti inferiori interamente bruno olivastre Parti inferiori variegate con strie chiare, scure e nere . ‘l'imoniere laterali nere, fasciate di bianco l'îÎmoniere laterali castagne variegate di nero . Parti superiori con strie longitudinali chiare, orlate di nero . Parti superiori uniformemente bruno-oliva l'imoniere laterali variegate di bianco ‘limoniere laterali, percorse da strie rosse, ocracee e nere. 2 bi . Parti inferiori variegate di bianco su fondo nerastro Parti inferiori variegate di giallastro su fondo bruno-olivastro . Dorso con strie bianche a V; parti inferiori variegate da strie a V bianche e nere. Dorso uniforme: parti inferiori con strie rachidali più chiare . Strie bianche lungo le rachidi nelle parti inferiori, sottili . Strie bianche lungo le rachidi nelle parti inferiori ampie . l'imoniere laterali variegate È ‘limoniere laterali interamente nero-acciaio . . Timoniere laterali variegate di fulvo, di castagno, di Siallesito ma non di lianco l'imoniere laterali più o meno variegate di bianco . Parti inferiori bruno nerastre con strie a V ocracee. Parti inferiori olivastre con strie lungo le rachidi, giallo- split ; Tre paia di timoniere mediane castagno pallide Due paia soltanto di timoniere mediane castagno pallide . Colore fondamentale delle parti inferiori bruno nerastre . Colore fondamentale delle parti inferiori olivastro ‘l'imoniere del secondo paio nere variegate di castagno . ‘Timoniere del secondo paio striate di bianco T'imoniere mediane con vessilli di colore disuguale l'imoniere mediane con due vessilli uniformi Ciuffo rigido e diritto Ciuffo refluente . 19 affinis williamsi macdonaldi obscurus cliffordì 22 prendergasti batemani horsfieldi 24 albocristatus leucomelanos muthura PW N nycthemerus annamensis whiteheadi 5 beli 6 j jonesî \ ripponi rufipes 8 9 lineatus sharpei 10 15 Il 13 assimilis 12 cuvieri prendergasti macdonaldi 14 williamsi obscurus cliffordi 16 | horsfieldi | bafemani leucomelanos albocristatus muthura — 264 — G. nycthemerus L. — S. N. L, p. 272, 1766. S'. Ciuffo abbondantissimo e refluente, nero cangiante in porporino. Lati del capo, collo e parti superiori bianche; le penne del dorso, della schiena, del groppone e le copritrici caudali con cinque o sei linee nere, strette, regolari e concentriche per ciascuna; scapo- lari, copritrici delle ali e remiganti simili, ma con strie nere in minor quantità, più grosse e meno regolari. Mento, gola, collo e rimanenti parti inferiori nere sfumate in blen: Je penne che dividono sui lati del collo e del petto la regione nera dalla regione bianca, hanno in parte una stria bianca lungo la rachide, ed in parte hanno una metà del vessillo interamente bianca e l’altra nera. La coda lunga 24 pollici, ha il paio di penne centrali interamente bianco, mentre le altre timoniere sono attraversate da strie nere irregolari ed oblique, le quali vanno crescendo in numero ed intensità, man mano che passano alle coppie di timoniere sempre più esterne. Q . Ciuffo bruno nerastro: tutto il corpo, comprese le timoniere mediane, è bruno oliva, più o meno vermicolato di sottili linee più scure; vessilli interni delle remiganti brunl; mento e gola bruno sbiadito; nelle parti inferiori e specialmente nelle copritrici caudali inferiori vi sono spruzzi e vermicolazioni nere: il paio di timoniere mediane è bruno cuoio, obliquamente vermicolato di nero bruniccio; le altre paia sono nere obliquamente ed irre- golarmente striate di bianco. Zampe scarlatte. Abita la China meridionale, il Fokien ed il Chekiang. G. whiteheadi GRANT — Ibis. V, 1899, p. 586. Il c' adulto rassomiglia molto al d' rycthemerus, ma ne differisce per alcuni par- ticolari notevoli. Nuca e parte anteriore del dorso bianche; parte posteriore del dorso, schiena, erop- pone, piccole copritrici caudali e copritrici delle ali striate di nero. Ogni piuma possiede una stria nera submarginale che forma una specie di punta di freccia all’ apice della rachide. Il nero va crescendo in intensità progredendo verso la coda. Le grandi copritrici della coda e le secondarie sono fortemente striate di nero; le strie formano sempre figure di freccia sulla rachide. Primarie nere con larghe fasce bianche oblique. Timoniere me- diane interamente bianche; quelle del secondo e del terzo paio, pure bianche, hanno larghe strie nere disposte obliquamente sul vessillo esterno; le altre offrono tali strie anche sul vessillo interno, dando origine a disegni irregolari con punte di freccia. Dalla figura pub- blicata a parte dal Grant (P. Z. S. 1900, PIt. 8) risulta che il lato esterno delle timoniere laterali è interamente nero; tal carattere è da solo sufficiente a differenziare in modo sicuro questa specie dal nycthemerus. Iride bruno giallastro; becco bianco verdastro; zampe scarlatte. Lunghezza totale 35 pollici, 20 dei quali spettano alla coda. Q adulta. Più che alla femmina dell’argentato della China, rassomiglia a quella dei lineatus, ma ne differisce in modo assoluto per il colore della coda, la quale ha tutte le timoniere laterali quasi uniformemente castagno scure, con irregolari vermicolazioni nerastre. Le parti superiori sono bruno-rossicce, con strie longitudinali bianco-giallasire attorno alla rachide delle penne del dorso: ai lati delle strie chiare stanno due macchie nere. Nella gola, nel petto e nel ventre, vi sono pure macchie longitudinali giallicce, più ampie, orlate di nero. Iride bruno; becco verdastro; zampe scarlatte. Lunghezza 21 pollici e mezzo, dei quali 8,8 spettano alla coda. Questa specie è stata trovata sulle montagne di Five-Finger nell’interno dell’isola di Hainan. — 265 — G. jonesi OATES — Ibis, 1903, pag. 98. Il o' rassomiglia al nycthemerus, ma ne differisce pei seguenti caratteri. Le primarie sono nere, rigate diagonalmente da strie bianche a zig-zag, più strette degli interspazi neri. Le secondarie sono diagonalmente striate di nero e di bianco in proporzioni quasi eguali. ll vessillo interno e gran parte di quello esterno delle timoniere mediane è bianco puro: la metà basale di questo è contrassegnata da linee nere ondulate, quasi parallele alla rachide. Le strie dorsali sono più forti che in G. nycthemerus. La coda è lunga 25 pollici. Nella 9 ciascuna penna delle parti inferiori è nera, ed ha una macchia longitudinale mediana a punta di lancia ed una stria submarginale a V, bianche. Le timoniere sono attraversate da sbarre grossolane ed oblique di nero, bruno e cuoio pallido. I piedi sono rossi. Questa forma sembra molto frequente nel Shan e nell’ Yunnan, ad un'altitudine di 5000 a 7000 piedi, specialmente nella regione compresa fra il Salwin ed il Mekongo. Un N esemplare è stato catturato a Pansibum, distante 45 miglia ad est di Bhamo. G. ripponi SHARPE — B. B. 0. C. N° XCIII. 1902. La diagnosi che lo Sharpe dà di questa specie è brevissima ed insufficiente a diffe- renziare questa dalla forma precedente, la quale dovrà forse essere considerata come sino- nimo di G. ripponi. Il o' rassomiglia al G. rufipes Oates, ma la regione del collo dietro alle orecchie è bianco puro; inoltre vi ha maggiore abbondanza di bianco nelle timoniere. La 9 è ben distinta da quella delle specie affini. Le parti inferiori sono variegate di bianco e di nero, ciascuna penna riuscendo striata in senso longitudinale è marginata di bianco. Abita la regione del Shan. G. rufipes OATES — Manual Game Birds India, Pt. I, p. 362, 1898. o'. Le penne delle parti superiori sono bianche, percorse ciascuna da quattro o cin- que linee nere parallele a ciascun margine, le quali s'incontrano sulla rachide a guisa dei margini di un cucchiaio: il bianco ed il nero sono presso a poco di eguale ampiezza. Re- miganti e timoniere nere obliquamente striate di bianco; vessilli interni delle timoniere mediane quasi interamente bianchi. Parti inferiori nere con strie longitudinali bianche sui. lati del petto. Coda negli adulti lunga quasi 20 pollici. Q. Parti superiori bruno-olivastre coi margini delle penne più pallidi, i vessilli esterni delle primarie macchiati di bruno pallido. Parti inferiori bruno olivastro scuro, ciascuna penna con due o tre grandi strie irregolari a V di color giallastro ocraceo. Coda irrego- larmente ed obliquamente fasciata di rosso, ocraceo e nero. Zampe rosse nei due sessi. Questo fagiano sembra confinato al distretto di Ruby Mines ed abbondante nei din- torni della città di Mogok. G. annamensis GRANT — 5. B_0. 0. N° CXXVII, 1906. S adulto. Strettamente affine a G. deli Oustal., ma colle strie concentriche delle parti superiori apparentemente più fine e più numerose, specialmente sulle ali, che hanno aspetto più nero. Un’ ampia stria di penne bianche lanceolate su ciascun lato del collo, ini- ziatasi sotto alla gola, si stende fino ai fianchi dividendo il nero delle parti inferiori dalla regione superiore striata. La coda è più breve che in G. andersoni; la punta ed il vessillo interno delle due paia mediane sono di un bianco sporco finamente spennellato di nero presso la rachide, e tutte le altre penne dal lato esterno sono chiaramente attraversate da linee bianche ondulate ed oblique. — 266 — Q adulta. Affine alla femmina del nycthemerus, ma le parti inferiori sono inte ramente bruno oliva senza strie: coda castagna con sottili vermicolazioni scure, più abbon- danti che nella 9 di G, oatesi Grant. Zampe scarlatte. Regione di Bali nell'interno dell’ Annam. G. andersoni ELLior — P. Z. S. 1871. 0°. Le penne delle parti superiori sono nere ed attraversate da strie bianche parallele al margine, che formano su ciascuna penna, da due a quattro figure concentriche a cuc- chiaio con spazi neri più larghi degli interspazi bianchi. Le parti inferiori sono nere, ad eccezione di alcune strie bianche longitudinali sui lati del petto. Remiganti e timoniere nere, obliquamente rigate di bianco, ad eccezione delle tre paia di iimoniere estreme che sono quasi interamente nere. Coda di 12 pollici. Tarsi scarlatti. 9 ignota. Di questa specie si conoscono due esemplari. Non si sa qual sia il posto preciso donde proviene il tipo spedito dal Dott. Anderson. Il secondo esemplare fu ucciso dal colonnello Rippon sui monti Kachin, a trenta miglia ad est di Bahmo, in un posto di polizia detio Warar Bum, ad un'altitudine di 6000 piedi. G. beli OustALET — Bull. Mus. Hist. Nat. Paris, 1898, pp. 258-261. Questa specie è strettamente affine alla precedente, tanto che l’Oustalet aveva da principio ritenuto si trattasse del fagiano di Anderson, ma poi confrontando esattamente gli animali vivi del Museo di Storia Naturale di Parigi, colle figure dell’ andersoni date dall’ Elliot, egli pensò che si trattasse di una specie differente per alcuni caratteri particolari di forma. Ho veduto al Jardin des Plantes parecchi di tali esemplari viventi ed ho accertata la loro stretta affinità per forma e colore col G. lineatus, dal quale dif- feriscono pel colore rosso dei tarsi, per l'assenza di strie longitudinali bianche nel petto, e pel fatto che sulle ali, sul dorso e sulla coda le strie nere prevalgono sulle bianche. La 9 è molto affine a quella di rycthemerus, ma ne differisce per avere le parti inferiori rigate di bianco e di nero. Una coppia vivente di questo fagiano venne catturata nel 1897 dal Bel nella regione orientale dell’ Annam. G. nisbetti OATES — Ibis, 1903, pp. 99-100. Questa specie è stata istituita sopra una pelle incompleta di un d' ucciso dal capitano Nisbett sui monti Kachin a cinque miglia ad est di Sadun, a un'altezza di 2500 piedi. Sadun è un posto di polizia sulla frontiera chinese a 40 miglia ad est di Myitkyina. È caratteristica in questo uccello la contemporaneità dei tarsi rossi, propri a tutte le specie di questa sezione, con una frangia bianca che termina ciascuna penna del eroppone e del sopracoda, carattere proprio a quasi tutte le specie della sezione seguente. Codeste penne hanno ciascuna otto a dieci vermicolazioni, separate dalla frangia bianca mediante una bella stria azzurro pallida. Le quattro paia di timoniere esterne sono quasi intera- mente nere; le altre sono diagonalmente vermicolate di bianco, il vessillo interno del paio centrale quasi interamente bianco. Ali nere vermicolate di bianco. Coda lunga 14 pollici. G. sharpei OATtRS — Manual of Game Birds India, pt. I, p. 357, 1898. o'. Somigliantissimo per la macchiatura al G. rufipes, dal quale differisce spe- cialmente per la lunghezza della coda non eccedente i 14 pollici, pel colore dei piedi carnicino e pel vessillo esterno delle primarie che è macchiato, non rigato di bianco. Q. Rassomiglia alla 9 del lineatus, dalla quale differisce specialmente per essere più grossa e per avere le strie chiare sulle parti inferiori più ampie. — 267 — Questa specie si stende per quattrocento miglia da nord a sud. Davison l’ha trovata vicino a Papun nel Nord Tennasserim, il colonnello Wardlaw Ramsay nei Karen, il colonnello Rippon nei monti Loi-Mai ad un’altitudine di 6000 piedi, il colonnello Bingham a Hengtung e l’onor. Walter Rothschild ne ha ottenuto un esemplare da Mogok nel distretto di Ruby Mines. G. lineatus Vicors — P. Z. S. 1831, p. 24. O. Parti superiori uniformemente vermicolate di bianco e nero finissimo, tanto da apparire di un color grigio piombo unito, essendo i due colori in eguale proporzione. Pri- marie e secondarie nere, fittamente ma chiaramente striate di bianco. "limoniere nere, grossolanamente ma regolarmente vermicolate di bianco; il vessillo interno del paio me- diano è di un isabellino biancastro uniforme. Questa specie è unica nell’avere il vessillo esterno di tutte le timoniere laterali uniformemente striato di bianco, mentre nelle forme affini è interamente nero o quasi. Le parti inferiori sono nere con strie longitudinali me- diane bianche, più appariscenti e numerose ai lati del collo e del petto. Tipicamente tali strie sono limitate a queste ultime regioni, ma possono essere estese a tutta la regione ventrale. La 9 differisce da tutte le altre forme affini, per avere strie bianche a V sul dorso e per avere tutte le parti inferiori, dalla gola al ventre, variegate di bianco e mero. Le timoniere mediane sono giallicce, spruzzate di bruno e di castagno, le altre sono striate di nero, di bianco e di castagno. ‘larsi carnicini nei due sessi. Questa specie si trova nella regione ad est dell’Irawaddy, dalla costa fino poco oltre Mandalay. Ad oriente si trova nel Nord Tenasserim e nei monti che dividono gli Stati dei Shan dal Tenasserim al di sopra di Fort-Stedam. Nella collezione del colonnello Bingham esiste un esemplare ucciso al di là del Salwin a 20° di lat. e 98°, 30° di long., ad un’al- tezza di 2000 piedi. Questo fagiano non si trova a maggiori altezze. G. assimilis OAaTES — Ann. Mag. Nat. Hist. î4, 82, p. 286, 1904. Q. Ha le parti superiori e le copritrici dell’ala di un color bruno-terra d'ombra uni- forme, colle rachidi e i margini delle penne alquanto più pallidi; il ciuffo di un bruno più scuro, vermicolato di nero; le copritrici caudali superiori pure vermicolate più largamente di bruno scuro. Le primarie sono bruno-scure picchiettate di fulvo sul vessillo esterno; le secondarie sono bruno-terra vermicolate di nero. Le timoniere sono diagonalmente striate e vermicolate con una combinazione di bruno-terra, fulvo, nero e cuoio pallido, col vessillo interno più scuro e più fortemente striato dell’ altro. L'intero piumaggio delle parti infe- riori è bruno nerastro scuro, ciascuna penna con due strie larghe, a zig-zag, fatte a V, di colore ocraceo, l’ esterna chiudendosi al termine della penna, l’interna più piccola spesso ridotta ad una stria grossolana ed irregolare sulla rachide ed intorno ad essa. Lunghezza della coda 10 pollici. Le differenze essenziali fra la femmina di questa specie o quella del G. rwfipes, sono le zampe color carne e l’assenza di vermicolazioni nere sulle parti superiori e sulle copri- trici delle ali. Abita il distretto di Ruby Mines. G. oatesi GRANT — Cut. Birds Brit. Mus. XXII, p. 306, 1893. Il tipo di questa specie, esemplare unico, c'; ha inferiormente lo stesso piumaggio del lineatus ed è superiormente vermicolato di bianco e di nero molto sottilmente. Le — 268 —- penne del groppone sono, come nella specie precedente, vermicolate e strettamente frangiate di bianco: frangia e prima vermicolazione adiacenti. Questo esemplare sembra provenire dall’ Arrakan, alla latitudine di Prome. G. cuvieri TEMmM. — PI. CI. V pi. 10, 1820. Il d' ha le parti superiori nere trasversalmente vermicolate di bianco. Le penne del groppone, pure vermicolate, hanno una stretta frangia bianca, adiacente alla prima yer- micolazione. Ali e coda nere più o meno striate di bianco. La femmina ha l’intero piumaggio bruno olivastro, nelle parti superiori frizzato di bruno nerastro, mentre le penne del petto sono percorse da una stria giallastra lungo la rachide. Le tre paia di mezzo delle timoniere sono castagno pallide, obliquamente striate di nero; le altre sono castagne macchiate di nero, specialmente sul vessillo interno. Di questa specie si conoscono 3 esemplari, 2 maschi ed 1 femmina provenienti dai monti del Nord Arrakan, prospicienti il distretto di Chittagono. G. davisoni GRANT — Cat. Birds B. Mus. XXII, p. 304, 1893. o'. Le penne del manto, dorso e copritrici delle ali sono nere con tre a 6 strisce bianche a zig-zag sopra ogni lato del vessillo, parallele al margine della penna; le penne della parte bassa del groppone e sopracoda sono nere, vermicolate di bianco, con una frangia bianca preceduta da una stria nera: le 3 paia esterne di timoniere sono nere, mentre le mediane sono percorse da numerose strie bianche parallele alla rachide, e le intermedie hanno un numero sempre decrescente di tali strie. Le parti inferiori sono inte- ramente nere. Le gambe color carnicino. Il tipo, unico esemplare fino ad ora conosciuto, è stato preso a nord-est di Bahmo. G. williamsi OATES — Manual. Game Birds India, pi. I, pp. 342-344, 1898. d'. Ciuffo nero cangiante. Dorso e groppone neri cangianti in bleu, con vermicolazioni trasversali giallo cuoio nei giovani, bianche negli adulti. Ogni penna del eroppone e del sopracoda termina con un bordo bianco piuttosto largo, preceduto da una stria nera che separa la frangia terminale dalla prima vermicolazione bianca. Le copritrici delle ali sono nere con quattro o cinque strie bianche parallele al margine su ciascun lato del vessillo. La parte visibile delle remiganti è striata obliquamente. La coda è nera, pure obliqua- mente striata, col vessillo interno delle timoniere mediane più intensamente rigato degli altri. Le parti inferiori sono interamente nero-bluasire. Q. Parti superiori bruno rossastre con orlo più pallido su ciascuna penna; gola bianco cenerognola; parti inferiori bruno-cenerognolo, ciascuna penna terminata da una macchia grigio-biancastra e da una stria dello stesso colore lungo la rachide. Le timoniere mediane sono castagne, picchiettate e rigate di nero; il paio prossimo è nero, col vessillo interno macchiato di castagno pallido; le altre timoniere, eccetto le ultime nere, sono più o meno abbondantemente rigate di bianco nella porzione basale. Zampe scure o carnicino-scure. Questa specie abita la regione situata fra i monti Chin e l’Irrawaddy: è stata rac- colta dal capitano Williams a Kalewa, da altri nel Chindwin, nelle vicinanze di Wuntho e dubitativamente nell’ Arrakan. G. macdonaldi Oates — J. Bombay Nat. Hist. Soc. XVII, 1, pp. 10-11, 1906. o. Parti superiori nere con vermicolazioni bianche trasversali. Penne del dorso e del manto marginate di bleu metallico. Groppone frangiato e vermicolato di bianco: la frangia Fi SIND. GURS separata dalla prima vermicolazione a mezzo di un interspazio nero, altrettanto largo quanto quella. Primarie con vessillo esterno macchiato di bianco, quello interno interamente nero. Parti inferiori nero lucide. 9. Parti superiori bruno olivastre, con rachidi pallide e margini grigiastri, tutte finamente vermicolate di nero. Copritrici delle ali picchiettate di bianco, con una macchia nera situata innanzi a quella bianca. Timoniere mediane castagno pallide picchiettate di nero; le altre sono nere trasversalmente rigate di bianco. Parti inferiori bruno scure, quasi nere nel petto, ciascuna penna con una larga stria longitudinale erigio-rossastra e margine grigio. Tarsi bruni in ambo i sessi. IL’ Oates ha ricevuto dai monti Chin esemplari di questa forma, la quale ad oriente si stenderebbe dal Monte Vittoria fino a Fort White. G. affinis OatES — Ann. Mag. Nat. Hist. 11, 62, p. 231, 1903. o. Simile al williamisi, ma coì lati del collo e del petto longitudinalmente striati di bianco. 9 ignota. Secondo |’ Oates questa specie può essere distinta da tutte le altre del genere, per le sue zampe brune, per le penne del groppone e del sopracoda, vermicolate e frangiate di bianco con stria intermedia nera larga quanto la frangia bianca e per le strie bianche nelle penne delle parti inferiori. Il tipo della specie, l’unico fino ad oggi noto, fu ucciso dal capitano Nisbett della polizia militare del Burma Superiore, vicino al fiume Namli, ad est di Myitkyina sull’ alto Irrawaddy, ad un’altitudine di 2000 piedi. G. wickhami Oates — Manual Game Birds India, pt. II, p. 495, 1899. O'. Piedi bruni e parti inferiori nere. Manto, dorso, scapolari e copritrici delle ali nere, finamente ma irregolarmente vermicolate e picchiettate con cuoio pallido; groppone, sopracoda e copritrici caudali nere frangiate largamente di bianco. Timoniere rigate e screziate di bianco sui vessilli esterni e su quello interno del paio mediano. Il tipo della specie, unico, proviene da Minken, 10 miglia a sud di Falam nei monti Chin, ad un’altitudine di 5000 piedi (23° N. lat. e 94 E. long.). G. obscurus OATES — Ann. Mag. Nat. Hist. 14, 82, p 283, 1904. C'. Testa, ciuffo e parti inferiori nere lucide, cangianti in bleu. Parte posteriore del collo, dorso e tutte le copritrici superiori delle ali sono nero-bluastre, sparsamente spruz- za:e di bruno pallido. Groppone e copritrici superiori caudali nero-bluastre, largamente marginate di bianco ed appena punteggiate di color cuoio pallido su uno solo od entrambi 1 lati. Le primarie sono brune; le secondarie nere, con pochi spruzzi color cuoio sul mar- gine del vessillo esterno di ciascuna penna. Le timoniere estreme sono nere; il paio me- diano nero con strie diagonali bianche strette ed interrotte sull’intero vessillo, eccetto il quarto terminale del lato esterno ed il margine della metà basale del lato interno che sono bianco puro. Le restanti penne della coda hanno carattere intermedio, il penultimo paio è nero con pochi spruzzi bianchi alla base del lato esterno, ed il secondo paio è nero con poche strie diagonali bianche sui tre quarti basali di ciascun lato. In esemplari giovani gli spruzzi sulle parti superiori sono più numerosi e formano strette strie, interrotte a zig-zag. Le strie sulle timoniere sono meno numerose ed il paio mediano ha il vessillo interno completamente nero. Lunghezza della coda pollici. 11,5. Q. Rassomiglia alla 9 Horsfieldi eccettuato il colore della coda. Il piumaggio è Serie VI. omo VI. 1908-09. 36 — 2710 — bruno rossastro leggermente vermicolato di nero: le penne sono marcatamente orlate di bruno pallido e quelle del petto e del ventre hanno lungo la rachide strie color crema. Le remiganti sono brune macchiate di fulvo sul vessillo esterno. Le timoniere estreme sono interamente nere; le sei paia contigue sono pure nere, più o meno spruzzate e rigate di bianco: il penultimo paio conta pochi spruzzi bianchi alla base del vessillo esierno, gli spruzzi crescono in numero su ciascuna penna successiva, e si combinano gradualmenie in strie strette ed ondulate, le quali, nel setiimo paio, attraversano tutta la penna eccetto la punta. Le timoniere mediane sono castagno scure sul lato esterno e castagno pallido su quello interno, attraversate da strie nere longitudinali ed ondulate: quelle del lato esterno più larghe di quelle del lato interno. Zampe brune nei due sessi. La specie proviene dal distretto di Katha nel Burma Su- periore. G. cliffordi OavEs — Awn. Mag. Nat. Hist. 14, 82, p. 284, 1904. o'. Testa, ciuffo e parti inferiori interamente nere lucenti con riflessi bleu. Parte posteriore del collo ed anteriore del dorso nere, con sirettissimi ed interrotti bordi bianchi su ciascuna penna. Dorso nero. Schiena e groppone neri con larghe frange bianche ed una o due vermicolazioni interrotte, pure bianche, a poca distanza dal margine. Primarie bruno scure; secondarie nere con pochi punti bianchi sui margini dei lati esierni delle penne estreme. Le copritrici superiori dell’ala sono nere; un piccol numero delle minori hanno strie bianche lungo la rachide; le copritrici mediane interne e più erandi hanno un mar- gine bianco strettissimo e nitido. Le timoniere mediane sono obliquamente rigate da strie bianche e nere eguali, ma il margine del vessillo esterno è bianco puro. Le penne vicine sono nere, fasciate strettamente di bianco in tutta la loro estensione. Le penne del terzo paio nere, sparsamente rigate di strie bianche interrotte. Il quarto paio è nero con poco bianco alla base. Le copritrici superiori della coda sono nere, percorse da strie bianche interrotte, più o meno parallele al margine. Lunghezza della coda 16 pollici. Zampe brune. L'Oates attribuisce a questa specie un giovane maschio che ha strie sul dorso grandi e triangolari, occupanti quasi l’ intera penna. Copritrict superiori delle ali picchietiate di bianco, margine delle copritrici mediane e maggiori indistinto. Penne del groppone fran- giate, ma senza vermicolazioni bianche sul margine, mentre vi sono numerosi spruzzi nella porzione nascosta della penna., Timoniere mediane nere, sparsamente striate di bianco. Parti superiori e copritrici delle ali bruno rossicce, ciascuna penna vermicolata di nero, la rachide ed il margine più pallido: alcune delle copritrici mediane e maggiori hanno una porzione nera vicino alla punta sul vessillo esterno. Le primarie sono brune; le secondarie brune vermicolate di nero e picchiettate di rosso, le più inierne con una porzione nera sulla punta dei vessilli esterni Le timoniere mediane sono castagno scure, vermicolate di nero sul vessillo interno, e nere sul vessillo esterno con vermicolazioni castagne. Le altre timoniere sono interamente nere. Le penne delle parti inferiori hanno margini bruno pallidi, strie lungo la rachide larghe, puntute ed ocracee, menire il resto della penna è nero. Le piume dei lati del ventre e dei fianchi, hanno vistose strie lungo la rachide, color d° ocra. Questa forma proviene dal distretto di Myitkyina ad est del fiume Irawaddy. G. horsfieldi Gray — Ger. Birds III, p. 498, 1845. I. Ciuffo rigido e diritto. Remiganti e timoniere nere. Penne del dorso e sopracoda con frange bianche, così ampie da occupare la maggior parte della porzione visibile delle penne in si/u. Tutto il resto del piumaggio è nero-bleu lucente. — 2711 -- Q. Interamente bruno-olivastra, ciascuna penna de! dorso e del groppone con orlì più pallidi: copritrici delle ali e piume delle parti inferiori orlate addirittura di biancastro. Biancastra la gola. Timoniere mediane castagno scure uniformi; timoniere laterali nero acciaio. Zampe bianco-sporche, verdastre o brunicce. Area di diffusione larghissima. Dal Bhutan e dall’ Assam, attraverso il Manipur ed il Burma settentrionale, fino ai distretti di Chittasong, Tipperah, Bhamo, Katha e Myitkyina. Non sembra trovarsi ad un’altitudine superiore ai 4000 piedi. G. prendergasti OATES — J. Bombay Nat. Hist. Soc. XVII, 1, p. 10, 1906. o. Interamente nero corvino con frange terminali sul groppone di color bianco sporco o giallo crema pallido, e copritrici caudali marginate di bianco. g'. Simile all’ Rorsfieldi nella macchiatura del corpo, ha le quattro timoniere mediane castagne e le altre rossiccie, più o meno suffuse di bruno. Piedi bruni in ambo i sessi. Abita il Nord Arracan. G. batemani Oates — /. Bombay Nat. Hist. Soc. XVII, 1, pp. 11-12, 1906. O. Simile all’ Korsfieldi, ma con frange bianche sul groppone molto strette e con coda lunga 3 pollici più di quella dell’ horsfieldi. Q. Differisce dall’ Korsfieldi per la coda lunga un mezzo pollice di più. Zampe verdastre. Abita i distretti di Katha, Myitkyina e Bahmo. G. leucomelanos LATHAM — Ind. Orn. II, p. 633, 1790. In questa e nelle due specie seguenti il ciuffo è soffice e refluente sul collo in ambo i sessi. O. Simile a G. albocristatus, ha il ciuffo nero lucido e le frange bianche del grop- pone più strette. Q. Perfettamente simile a quella di G. albocristatus. Abita il Nepal. G. albocristatus Vigors — P. Z. S., 1850. O. Ciuffo biancastro. Parti superiori nere, sfumate in bluastro acciaio: penne del dorso e copritrici caudali strettamente marginate di bianco: quelle del groppone e sopra- coda largamente frangiate di bianco come nell’ Rorsfieldi. Coda nera con riflessi bluastri. Primarie bruno nere; secondarie più scure, sfumate di verdastro sul vessillo esterno come le copritrici delle ali. Mento e gola nere; parte inferiore del collo bianco sporco, degra- dante a poco a poco in un grigio-bruniccio, esteso a tutte le parti inferiori. Q. Simile nel colorito alla 9 Worsfieldi, ma con intonazione più rossastra special- mente nel groppone, nelle copritrici caudali e nelle parti inferiori: timoniere mediane picchiettate di nero. Si trova nei contrafforti occidentali, medi, ed inferiori dell’ Himalaya, dall’ Hazara al Kumaon, e nel Nepal occidentale. G. muthura GRAY — in Griff. ed Cuw. III, p. 27, 1829. S'. Simile a G. leucomelanus, ma privo di frangia bianca sulle penne del groppone e sopracoda. Q. Non si distingue dalle precedenti. Abita il Sikhim, il Bhutan occidentale e forse il Nepal orientale. aa II. Ibridi nel genere “ Gennaeus ,, Nella Nomenclatura degl’ ibridi, mi sono strettamente tenuto alle regole della Nomen- clatura zoologica internazionale, approvate e pubblicate dal Congresso zoologico interna- zionale di Leida. Ho quindi soppresso, nell’indicazione dei genitori i segni g e 9, atti ad ingenerare confusione, essendo stabilito che il nome paterno debba sempre precedere quello materno, tanto se si adotta il segno della moltiplicazione, quanto se si preferisce quello della divisione. Quando ho incrociato un ibrido con una forma pura, il nome di quello è seritto fra parentesi, ed a seconda che tale ibrido è maschio o femmina, il nome suo precede o segue rispettivamente quello della forma pura. Finalmente quando ho avuto a che fare con ibridi complicaii, mi sono valso dei due segni della moltiplicazione e della divisione insieme, e ciò per maggior chiarezza. In questo caso i due termini separati dalla linea, rappresentano i due genitori, puri od incrociati, che hanno generato i prodotti che si descrivono. La formazione delle serie ibride che qui descrivo, mi ha costato non poca fatica e molto tempo; solo eccezionalmente le femmine dei Gerzaeus depongono uova in ischiavità nel loro primo anno di vita; inoltre dato il carattere battagliero di questi uccelli, non è pos- sibile tenere contemporaneamente con profitto più di una femmina con ciascun maschio; spesso anzi accade che un determinato maschio non vada d'accordo colla femmina che gli si vuol dare, e ciò spiega perchè manchino certe serie, che sarebbe utile ottenere, e che io pure avrei desiderato potere osservare; specialmente per quanto si riferisce all’ inero- ciamento reciproco. I numeri arabi che precedono le descrizioni, si riferiscono al numero di matricola di ciascun esemplare. G. nycthemerusX horsfieldi GnIGI — Rend. R. Accad. Lincei, Roma, 1907, p. 794. l. d'. Parti superiori rigate con predominanza del nero sul bianco: le strie bianche sulle grandi secondarie sono quasi trasversali. 2-5. S S. Parti superiori come nella madre, senonchè i bordi delle penne sono appena più pallidi. Coda come nella 9 nycthemerus, ma le strie bianche delle timoniere laterali sono più strette e diminuiscono man mano di numero, fino a scomparire quasi total- mente sul vessillo esterno del paio estremo. Parti inferiori variegate di ocraceo e di nero, bordate di bruno-oliva e con molte penne striate longitudinalmente di pallido lungo la rachide. G. muthuraX horsfieldi GHIGI — Rerd. R. Accad. Lincei, Roma 1907, p. 793. 6. o'. Aspetto generale intermedio fra le due specie, per la forma del corpo, per la lunghezza del ciuffo e delle timoniere. Le piume dei fianchi sono leggermente lanceolate e sfumate in erigio cupo, specialmente lungo la rachide. Le penne del groppone e del sopracoda, con sfumatura bluastra, anzichè essere largamente marginate di bianco, hanno l'orlo fimemente ed irregolarmente striato. Sono pure finemente marginate di bianco, nei i x eo giovani, le piume del dorso, le scapolari e le copritrici delle ali, mentre negli adulti que- ste penne sono interamente nere. Le timoniere su fondo nero lucente sono sparse, verso la base, di finissime ed irregolari strie biancastre. 7. 9g. Somigliantissima nell'aspetto generale alla madre, in modo da non distinguerla da questa per il piumaggio; per la forma del ciuffo e lunghezza della coda si può consi- derare intermedia, ma, tutto sommato, non conoscendone l’ origine incrociata, si potrebbe determinare come G. horsfieldi G. nycthemerusx muthura GHIGI — Rerd. R. Accad. Lincei, Roma 1907, p. 793. 8. d'. Si avvicina al padre nella forma generale del corpo; anche pel piumaggio striato di bianco e di nero si accosta grandemente a quest’ultimo e non presenta alcun carattere che permetta di riconoscervi il sangue materno, se si eccettuano le rachidi bian- castre delle penne lanceolate dei fianchi e del petto. Le strie sulle parti superiori sono distribuite come nell’argentato, ma presso a poco si eguagliano in ispessore. Il ciuffo abbondante e refluente è sfumato in bleu. Le timoniere mediane hanno il vessillo interno bianco cenerognolo scarsamente rigato di nero, quelle delle paia laterali sono trasversal- mente striate, ma sul vessillo esterno il nero predomina sul bianco in modo assoluto. 9-12. Q O assomigliano alla femmina del fagiano argentato: ne differiscono princi- palmente per le zampe, come quelle del g*, biancastre anzichè vermiglie, pel ciuffo un poco più lungo, pel vertice più rigato, per le timoniere laterali con strisce bianche meno regolari e più strette. Complessivamente in ambo i sessi di questo ibrido predominano caratteri paterni. G. nycthemerusxlineatus GHicr — Rend. R. Accad. Lincei, 1907, p. 793. 13-15. OL. Predominano in modo assoluto i caratteri materni: differiscono dalla madre pel ciuffo leggermente più breve, per la mancanza di strie submarzinali alla base del collo, e pel fatto che il fondo delle parti inferiori anzichè bianco cenerognolo è giallastro sporco. Zampe vermiglie. G. lineatusx muthura GHIGI -—- £tend. R. Accad. Lincei, Roma, 1907, p. 794. 16-17. c'd'. Quasi identico al padre, ne differisce per la maggior finezza delle strie bianche e nere che si alternano sul dorso, per il groppone leggermente sfumato in bleu, per leegere sfumature grigie sul nero dei fianchi e più di tutto pel fatto che le timoniere laterali sono quasi interamente nere, mentre nel puro lineatus le strie bianche hanno la medesima larghezza delle nere. Anzi in questo ibrido il bianco è limitato a qualche stria basale ed a sottili vermicolazioni sulla punta. Anche nelle grandi copritrici caudali il nero domina sul bianco. Il giovane pollastro di questo ibrido offre subito fianchi e dorso rigati, come il giovane lineatus. 18-19. 9 S. Anche la 9 rassomiglia interamente alla 9 lineatus, solamente è priva di strie nerastre sul dorso ed il colore fondamentale delle parti inferiori è giallo ocraceo. Allo stato giovanile al contrario è completa la rassomiglianza coi pollastri giovani di muthura. G. (nycthemerus x muthura)Xlineatus GHIGI — Rend. R. Accad. Lincei, Ro- ma, 1907, p. 794. 20. 9. Intermedia per forma e colorito fra la femmina dell’ argentato e quella del lineato. Parti superiori uniformemente oliva; parti inferiori giallastre variegate di nero. Timoniere mediane più scure che nella 9 lineatus. Zampe biancastre. G. lineatusx(nycthemernusxmuthura) GHIGI — Ped. RR. Accad. Lincei, Ro- ma, 1907, p. 794. 21-22. d'. Simili al lineatus ne differiscono principalmente pel vessillo interno delle timoniere mediane a fondo bianco cenerognolo anzichè castagno, e pel vessillo esterno delle timoniere laterali quasi interamente nero. La nuca è nerastra ed anche sul groppone si osservano sfumature nerastre. 23-25. 9 9. Non differiscono in modo appariscente dalla 9 lineatus. G. (nycthemerusx muthura)xnycthemerus GHIGI — Rend. R. Accad. Lincei, Roma, 1908, p. 455. 26-27. d'. Intermedi fra l’ibrido e l’argentato puro. La lunghezza delle timoniere me- diane è notevolmente inferiore a quella dell’argentato, e se si analizza il rapporto del nero al bianco nel mantello, si riconosce che le righe nere, pure essendo più strette degli inter- spazi bianchi, sono più larghe e più numerose che non nella specie pura. Uno dei maschi ha le zampe interamente ed intensamente vermiglie, l’altro le ha biancastre, simili a quelle del padre ibrido. 28. 9. Non si può distinguere dalla femmina dell’argentato. G. horsfieldi Xx (nycthemerusx» horsfieldi) — Serie nuova. 29. d'. Bellissimo esemplare riferibile in modo quasi assoluto alla specie paterna. Un osservazione accurata consente di riconoscere due piccole differenze. La frangia bianca, piuttosto stretta, sulle penne della schiena, groppone e sopracoda non è sempre unica, ma spesso separata mediante un interspazio nero da altra stria bianca parallela alla frangia, ma più stretta e più breve. Le timoniere mediane sono quasi interamente nere, ma nel tratto basale offrono spruzzi bianchi, discretamente abbondanti: una serie di tali spruzzi sì stende vicino alla rachide fino quasi alla metà del vessillo interno. Poichè i due caratteri indicati non sono visibili se non sollevando le penne dell’ animale, questo osservato naturalmente appare come un’ horsfieldi puro con strette frange bianche. 30. d'. Differisce dal precedente per avere radi spruzzi bruno giallicci sul margine esterno delle prime dieci secondarie. Non vi è propriamente frangia bianca sulle penne del dorso e sopracoda, ma sibbene una sottile vermicolazione terminale separata da un’altra preapicale a mezzo di un interspazio nero. limoniere mediane striate di bianco e di bruno; il terzo apicale è nero con piccole vermicolazioni brune specialmente sul vessillo interno: il terzo mediano ha vermicolazioni bruno giallicce rivolte prevalentemente in senso longi- tudinale ed obliquo, mentre il tratto basale ha poche strie trasversali biancastre che, riu- nendosi sulla rachide formano una punta rivolta all’ estremo. Non è da escludere che que- sto abito debba considerarsi come transitorio poichè questo esemplare ha avuto sviluppo stentato e deficente. .81. d'. Coda come nell’esemplare precedente. Rachidi bianche su alcune penne dei lati del collo e del petto, le quali appaiono come strette strie longitudinali bianche. Larga fascia bianca sulle piume del groppone e del sopracoda, le quali sono anche fornite di alcune vermicolazioni adiacenti alla frangia medesima. Nel resto come il N. 29. 32. d'. Ciuffo refluente nero lucido. Porzione della nuca immediatamente sottostante al ciuffo, egualmente nera lucida, come pure tutte le parti inferiori, riccamente cangianti in bleu. Penne del dorso nere con cinque o sei sottili strie bianche parallele al margine: sca- polari e piccole copritrici delle ali egualmeute nere con tre o quattro paia di strie bianche, ai So JA le esterne parallele al margine, le interne riunentisi sulla rachide come le punte d’ una freccia. Le penne del groppone e del sopracoda sono attraversate da numerose strie bian- che a zio-zag e sono marcatamente frangiate di bianco: frangia e prima stria trasversale separate da un interspazio nero. Grandi copritrici caudali trasversalmente vermicolate ed orlate di bianco. Timoniere mediane uniformemente vermicolate di bianco e di nero sul vessillo interno con margine basale bianco, mentre il vessillo esterno è nero con strie bianche sottili, irregolari ed oblique. Timoniere laterali nere striate obliquamente di bianco, con maggiore abbondanza sui Jati interni che su quelli esterni del vessillo. Il numero delle strie va gradualmente diminuendo verso le coppie esterne tanto che queste ultime hanno pochissime strie e soltanto alla base. Poche penne dei lati del petto hanno rachide bianca: in posizione naturale non sì scorgono. Sul dorso le strie nere sono abbondantemente sfumate in bleu nella porzione apicale. Primarie brune con strie bianche rade e marcate sul vessillo esterno, con strie poco distinte su quello interno. Secondarie regolarmente striate di bianco in senso trasversale a distanza di quasi un centimetro. Secondarie umerali e prima fila di copritrici orlate pure di bianco. 33. £. Questo esemplare non ha raggiunto il suo completo sviluppo, ma ne ho tenuto nota, perchè contrariamente a quanto si verificò nei suoi fratelli e si verifica nelì’Rorsfieldi puro, il primo abito giovanile fu interamente da 84. 9. Differisce dalla horsfieldi pura perchè i bordi delle penne, sebbene bruno pallidi non sono biancastri. Inoltre le timoniere laterali sono variegate di bianco nel tratto basale. Dio Q. Differisce dalla precedente per avere le timoniere del secondo paio intensa- mente variegate di bruno rosso e di nero e perchè le strie e vermicolazioni bianche delle altre timoniere laterali sono estese a quasi tutta la penna, salvo il vessillo esterno di quelle estreme. (nycthemerus - muthura)- nycthemerus —. " = » Serle nuova. nycthemerus x horsfieldi 36. c'. Caratteri sessuali secondari a sviluppo accelerato. Penne del dorso bianche con cinque 0 sei coppie di strie nere più o meno parallele al margine. Le copritrici delle ali hanno solamente 3 o 4 coppie di tali strie nere, ma più ampie. Primarie e secondarie nere con strie bianche oblique disposte a V, in modo da formare l angolo rivolto verso l’ apice della penna sulla rachide. Queste strie bianche non sono immacolate, ma divise per mezzo di un’altra stria nera, molto sottile. ‘lîÎmoniere mediane interamente bianche sul vessillo interno: il vessillo esterno è at- traversato da strie nere oblique ed ondulate, fuorchè sulla punta ed alla base. Timoniere laterali tutte rigate uniformemente di bianco e di nero. Parti inferiori nere: penne dei lati del petto bianche nella metà superiore e nere in quella inferiore. Tarsi scarlatti. 37. d'. Caratteri sessuali secondari a sviluppo graduale. Simile al rycthemerus nel suo abito giovanile, rassomiglia all’esemplare precedente nelle piume che hanno cambiato, eccettuate due particolarità. Le copritrici delle ali offrono due sole coppie di strie nere, la più interna delle quali diventa quasi una macchia triangolare sulla rachide; le piume delle parti inferiori hanno rachide biancastra e punta leggermente sfumata in bigio. Tarsi scarlatti. — 276 — 38. 2. Differisce dall’argentata pura perchè le penne del petto e del yentre anziché bruno oliva sono striate trasversalmente ed a zig-zaz, di nero e di bianco: il primo colore è più abbondante, ma il distacco delle due tinte non è marcato perche luna e l'altra s’intersecano. Le piume del toraze hanno tali strie ridotte alla porzione interna della penna e costituenti una specie di macchia triangolare, mentre il margine è largamente bruno oliva. 39. 9. Differisce dall’esemplare precedenie per avere i tarsi di color roseo anziche scarlatto. 7 lineatus x (nycthemerus>-muthura), b serie nuova. horsfieldi 40. d'. Parti superiori nere più o meno abbondantemente cangianti in verde cupo. Quasi tutte le penne del dorso, ma principalmente quelle del groppone e sopracoda hanno una stria marginale ben marcata come un'impressione, nella quale è più manifesto il color verde bluastro. Molte penne, specialmente del dorso e quasi iutte quelle del sopracoda hanno radi spruzzi bianchicci. Copritrici caudali più o meno vermicolate di biancastro. l'îmoniere mediane vermicolate sul vessillo interno, in maniera così sottile da assu- mere complessivamente una tinta grigia: sul vessillo esterno invece spiccano numerose e regolari vermicolazioni bianche su fondo nero. Le timoniere del secondo paio sono nere con vermicolazioni bianche indistinte sul vessillo interno, distinte su quello esterno. Il nu- mero delle vermicolazioni diminuisce gradatamente dall’ interno all’ esterno cosicchè le nlti- me paia sono quasi interamente nere. Primarie nere: secondarie pure nere con spruzzi bianchicci e piccole vermicolazioni sul bordo esterno e con spruzzi poco distinti su quello interno. Parti inferiori nere con rachidi biancastre e larghe sfumature grigie nella porzione api- cale delle penne lanceolate. 41. d'. Differisce dal precedente per avere la coda più nera: le quatiro paia di timo- niere estreme sono tali: le timoniere mediane sono vermicolaie di bianco e nero sul ves- sillo interno, striate di bianco e spruzzate di rossiccio su quello esterno: nelle paia conti- gue spruzzi e strie vanno sempre più diradando e limitandosi alla porzione basale. Ma la differenza più notevole sta nel fatto che le penne dei lati del petto, hanno strie rachidali bianche molto marcate, mentre tutte le altre penne delle parti inferiori sono nere, sprovviste del grigio. 42. Of Parti superiori bruno oliva finamente e regolarmente vermicolate di nero pal- lido. Scapolari con una porzione preapicale della rachide bianca: copritici delle ali bruno nerastro alla base, con estremità bianchiccia e con punta della rachide bianca. Primarie bruno nerastre con vessillo esterno vermicolato di brun9: secondarie egualmente bruno nerastre, con numerosi spruzzi bruno-giallicci sul bordo del vessillo esterno e sulla porzione apicale d’ambedue 1 vessilli. Copritrici caudali superiori uniformemente e grossolanamente vermicolate di bruno-rossastro, di giallo pallido e di nero. Timoniere mediane pure vermi- colate grossolanamente di rossiccio, di giallastro e di nero, in modo uniforme sul vessillo interno, mentre sul vessillo esterno il giallastro è disposto in tante strie trasversali ripe- tutamente interrotte e separate dal rossiccio, mediante bordi neri. Timoniere laterali nere con strie trasversali e sottili di color g:alliccio, più evidenti presso il bordo che presso la rachide sul vessillo interno, mentre il vessillo esterno è abbondantemente spruzzato di castagno e regolarmente vermicolato di gialliccio. Timoniere laterali nere, spruzzate di castagno scuro specialmente sul vessillo esterno. — 277 — Parti inferiori nere, ciascuna penna striata di bianco pel lungo e marginata di bruno- oliva. Le penne della base del collo hanno bianca la metà apicale della rachide, salvo la punta: il bianco termina con una leggera espansione: margine bruno-oliva strettissimo. Sui lati del torace havvi una vera stria rachidale bianca e dal bordo bruno partono numerosi spruzzi che invadono quasi totalmente la porzione nera. Nel mezzo del petto, nel ventre e nel sottocoda la stria bianca assume sempre più marcatamente la forma di ferro di lancia, rivolto verso la porzione apicale della penna. 43. 9. Differisce dall’ esemplare precedente per avere le strie bianche delle parti infe- riori più larghe, e più abbondante il margine bruno-oliva, cosicchè il nero è ridotto su ciascuna penna ad una larga stria a V. 44. Qu, Parti inferiori come in quest’ultimo esemplare. Pinne del dorso con rachide biancastra; piccole copritrici delle ali con stretta stria bianca lungo la rachide e bordo più pallido; grandi copritrici con macchie nere nella porzione preapicale. 45. 9. Parti superiori come nel primo esemplare. Timoniere mediane rossastre con strie trasversali giallicce nei due terzi basali, e vermicolazioni delle stesso colore nel terzo apicale. Parti inferiori bruno oliva con penne longitudinalmente striate di gialliecio pallido marginate dello stesso colore, e spruzzate irregolarmente di nero. lineatus < muthura o - , serie nuova. (nycthemerus- muthura) x lineatus Caratteri comuni di questa serie sono i piedi bruno rossastri, piuttosto scuri. Aspetto generale di lineatus, ma la maggioranza degli esemplari di sesso maschile non hanno sul dorso e sulle piccole copritrici delle ali vermicolazioni uniformi, ma poche strie bianche parallele al margine, le quali si ricongiungono sulla rachide a guisa dei bordi d’un cuc- chiaio. Caratteristico il fatto che in tutti gli esemplari, le timoniere mediane sebbene vermicolate di bianco e di nero, lo sono in modo uniforme tanto sul vessillo interno quanto alia punta, ed hanno forma simile a quella dei giovani argentati, cioè a dire non arcuata. Le timoniere laterali rassomigliano a quelle che ho già descritto pel padre, cioè a dire sono nere con strie bianche ondulate e strette che vanno sempre più limitandosi alla regione basale ed alla punta. La coppia estrema è nera. 46. d'. In questo esemplare le strie bianche sulle parti superiori sono lesgermente più larghe: una vistosa stria bianca partendo da ciascun lato della nuca dietro all’ orec- chio, scende fino ai lati del petto, separando la regione ventrale nera dalla regione dorsale rigata. 47. d'. Questo è caratteristico per una maggiore abbondanza e larghezza delle strie bianche longitudinali alla rachide nelle parti inferiori. 48-49. d'd'. Corrispondono alla descrizione generale da me fatta, in tutti i loro caratteri. 50. o'. E questo l’unico esemplare con parti superiori striate uniformemente e finis- simamente. 51-54. 9 9. Tutte eguali, differiscono dalla 9 neatus pura per mancanza delle strie bianche a V sul dorso: hanno invece poche rachidi biancastre; pel colore di fondo dlelle timoniere mediane castagno pallide anzichè bianco giallastro e pel colore di fondo delle parti inferiori ocraceo anzichè bianco. Il ciuffo è lungo e rigido come nella Q lineatus pura. Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 37 DD. tura nerastra sulle penne del groppone SO RIE lineatus x (nycthemerus x muthura) GHIGI, Rend. I. Accad. Lincei, ° (nycthemerus x muthura)x lineatus sporcato di carbone. monte mediante incrocio, Ed ora intendo procedere Roma 1908, p. 456. O. Simile al padre, a sua volta ibrido, salvo nell’ avere più accentuata la sfuma- e particolarmente all’apice, che ne risulta come Notevole è inoltre il colore delle zampe intensamente vermiglio. III. Comparazioni tra forme selvagge ed ibridi. ad alcune comparazioni fra le forme ottenute sperimental- e quelle rinvenute allo stato selvaggio, allo scopo di accertare se fra le une e le altre esistano rassomiglianze più o meno forti. isolati ed antagonisti, per vedere in seguito come sogliano aggregarsi, conclusione se sia possibile ottenere artificialmente gruppi di caratteri. Anzichè paragonare senz’altro individui ad individui, esaminerò piuttosto caratteri e giungere alla simili a quelli che si osservano nelle specie sistematiche naturali. Dalle descrizioni esposte nel primo capitolo, risulta che nelle specie naturali apparte- nenti al genere Gennaeus, sì trovano variamente aggregati i seguenti caratteri dispost in coppie antagoniste : VI. VII. VII. IX. X. XI. XII. XIII. XIV. ti ZIP ASCOLTA Le PRE ICI . ciuffo diritto . s i . collo, dorso ed ali impe. . coda nera . ò 5 . penne del groppone imoaonio e Fongiale di bianco nero e bianco egualmente distribuiti nelle parti SUPErIOLi gii ateo n SNO predominanza del nero sul bianco. o tendenza dei due colori a concentrarsi in po- che e grosse strie parti inferiori nere. fianchi interamente neri nuca e lati del collo rigati . , timoniere mediane prevalentemente na " timoniere laterali rigate . o penne del groppone soltanto frangiate di tane zampe biancastre, verdognole o brune. ciuffo refluente. collo, dorso ed ali rigate di bianco. coda rigata. penne del groppone non troncate nè frangiate di bianco. predominanza del nero o del bianco sulle parti superiori. predominanza del bianco sul nero. tendenza dei due colori a diffondersi in strie so- tilissime e spesse. parti inferiori grigie. fianchi rigati di bianco peli lungo. nuca e lati del collo immacolati. timoniere mediane prevalentemente nere. timoniere laterali interamente nere. penne del groppone frangiate e rigate di bianco. — 279 — Per le 9 9 mi limiterò a citare le coppie di caratteri più appariscenti : I. zampe scarlatte. . . . . . . . . . . zampe biancastre, verdognole o brune. II. parti superiori uniformi . . . . . . . . parti superiori variegate. III. parti inferiori uniformi . . . . . . . . parti inferiori variegate. IV. margini delle penne biancastri. . . +. margini delle penne non più chiari. V. nelle parti inferiori non meio il nero . nelle parti inferiori predomina il nero. VI. petto e ventre con strie bianche . . . . . petto e ventre con strie bruno giallastre. VII. Timoniere mediane castagne, uniformemente spruzzate di bruno-nero . . - . . . . timoniere mediane biancastre con strie nere e rossastre. VIII. timoniere laterali interamente nere. . . . timoniere laterali variegate. IX. timoniere laterali variegate di bianco puro . timoniere laterali spruzzate e variegate di rossiccio. Come si'è visto i maschi possono distinguersi, a seconda del colore delle loro parti inferiori, in due categorie: una comprendente le forme dell’ Himalaia a petto grigio, l’altra comprendente tutte le altre specie che hanno il petto nero. Questi due colori non si comportano, nella grande maggioranza dei casi, in maniera da escludersi vicendevolmente, ma tendono a combinarsi in una tinta intermedia con pre- valenza del nero, il quale man mano che dalle barbe basali passa a quelle apicali si rende: meno intenso e degrada in bigio, mentre la rachide rimane biancastra. Ciò si verifica non solo negli ibridi mezzo sangue del G. muthura col lineatus e col nycthemerus ma anche in quelli che hanno del mutRura un quarto ed anche soltanto un ottavo. Notevoli a questo proposito gli esemplari N. 37 e N. 40 di due serie differenti, nei quali peraltro le penne del petto sono ampiamente sfumate di bigio. I mezzo sangue ed i quarti di sangue muthura offrono sempre almeno la rachide biancastra; nelle due serie dove la suddetta specie è rappresentata soltanto per un ottavo, il bigio è manifesto in uno dei due esemplari ottenuti in ciascuna serie. La frequenza colla quale simile carat- tere appare negl’ibridi, esclude che tra le forme selvagge descritte, sianvi meticci colle tre specie dell’ Himalaia a petto chiaro, le quali costituiscono adunque un gruppo ben distinto. E poichè stiamo esaminando il colore delle parti inferiori dei 0° d*, è conveniente prendere ora in considerazione le strie bianche longitudinali alla rachide, che si osservano nelle penne dei fianchi di G. lineatus ed altri. Questo carattere appare generalmente in forme striate sia con predominanza di bianco, come quelle del gruppo del nyethemerus, sia in forme nelle quali il bianco ed il nero pressa poco si eguagliano, come nell’ andersoni, nel sharpei e nell’oatesi. Nel gruppo più strettamente affine all’ Rorsfieldi, con grande predominanza di nero cangiante in bleu, e con larghe frange bianche sulle penne del groppone e del sopracoda, il G. affinis, esemplare unico dell'alto Irawaddy, è caratterizzato dalla presenza delle strie in questione. Questo carattere è di trasmissione costante negli ibridi, nei quali il G. lineatus è rappresentato per una metà: lo provano gli esemplari tutti delle serie lineatus x muthura, lineatus x (argentatusx muthura), (lineatus x muthura) x ( [nycthemerus x muthura | x li- — 280 — neatus), e | esemplare 55, unico della serie ([{Xx|Xm)X{([nXwm]|X). Degno di par- ticolare attenzione è l'esemplare 41, mezzo sangue horsfieldi con un ottavo paterno di lineatus, di aspetto generale somigliantissimo alla prima specie, nel quale spiccano ai lati del petto le caratteristiche strie bianche. Questo esemplare ci presenta in maniera assai più marcata che non il G. affinis, associazione delle strie peito- rali bianche del gruppo del lneatus colla facies generale del gruppo del- I? horsfieldi. Il colore scarlatto delle zampe è associato ad un abito nel quale il bianco predomina, sul nero e, se i due colori si eguagliano o quasi, le strie sono larghe, ben di- stinte e senza alcuna tendenza a frammentarsi in sottili vermicolazioni o spruzzi. Eccet- tuato il G. risbetti, della qual specie un solo esemplare è noto, nessuna forma coi tarsi scarlatti possiede frange bianche sulle penne del groppone e del sopracoda. La genealogia dell’ibrido N. 55 prova la possibilità di ottenere per incrocio forme che al mantello del Zineatus associno i tarsi scarlatti come si verifica nel G. andersoni e nel G. beli. I tarsi scarlatti dell’ibrido 55, derivano dal xycethemerus, che vi è rappresentato per due ottavi: si noti poi che tale carattere è rimasto recessivo in due generazioni di ibridi. Quando nel 1907 ho ottenuto l’ibrido 54, il padre suo Lizeatusx(naXm) era gio- vane e non mi dette altri prodotti: nel successivo 1908 fui costretto per necessità di allevamento ad accoppiare questo maschio con una $ /orsfieldi pura, mentre colla ma- dre del 55 misi un maschio lineatusx muthura, dalla qual coppia ho ottenuto i 9 pro- dotti della serie che va dal N. 46 al 54. In questa serie i piedi sono bruno-rossastri piuttosto scuri, ben diversi dal verdognolo del mutru'a e dal carnicino del Zireatus. Se si considera che in tali prodotti il 77cthemerus è rappresentato soltanto per un ottavo e che, data la differente composizione dei genitori, essi possono essere sotto un certo aspetto considerati come ibridi di prima generazione, infatti per la prima volta appare una simile formula genealogica, bisogna convenire che la sfumatura rossastra dei tarsi, dimostra la tendenza del corrispondente carattere dell’argentato a ricomparire in maniera assoluta. Che il colore dei tarsi negl’ibridi, si distacchi aagli altri caratteri di piumaggio, lo provano anche gli esemplari della serie che va dal N. 36 al 39, nei quali abbiamo cinque ottavi di zycthemerus, due ottavi di Rorsfieldi ed un ottavo di muthura. Mentre il man- tello allontana assai questi ibridi dal 77c%fhemerus per la maggiore abbondanza e per lo spessore delle strie nere, i tarsi hanno colore scarlatto identico a quello del rycthemerus, e ciò quantunque il padre e la madre li abbiano di color biancastro. Concludendo, il colore scarlatto dei tarsi appare frequentemente in meticci di seconda generazione provenienii da specie, una delle quali abbia le zampe bianche o verdognole e l’altra scarlatte: appare inoltre associato a caratteri di piumaggio intermedi fra quelli delle specie progenitrici, od anche riferibili a quelli della spe- cie che ha i tarsi di colore non scarlatto. — 281 — Un gruppo di 9 specie, molto affini al G. horsfieldi, è caratterizzato dalla presenza di una frangia bianca, la quale termina le piume del groppone e del sopracoda; questo carattere concomitante al mantello uniformemente o prevalentemente nero, si trova anche in forme, quali |’ oatesi, il cuvieri ed il davisoni, regolarmente striate o fittamente vermicolate di bianco: anzi è in base a questo carattere che tali forme possono essere separate dal gruppo del lineatus, ossia dalle forme a tarsi non scarlatti, con manto rigato o vermicolato di bianco su fondo prevalentemente nero. Negli ibridi nei quali l Xorsfieldi è rappresentato per tre quarti di sangue, anche se l’altro quarto provenga dalla forma più lontana, il wzycthemerus, abbiamo veduto costantemente apparire la frangia bianca dorsale, anche quando il mantello era regolar- mente striato. L’esemplare N. 32 è straordinariamente interessante perchè appunto possiede le frange bianche associate ad una striatura del manto, quale si incontra solamente nel G. davisoni. Questo ibrido costituisce la prova che il carattere delle frange bianche dorsali e sopracodali può essere associato al manto regolar- mente striato, mediante incrocio dell’ Rorsfieldi con una forma striata. Nella sezione a tarsi scarlatti, il G. amnnamensis separa il gruppo dei veri argentati dalle forme (andersoni e beli) più vicine al lineatus, e questa sua posizione intermedia deriva dal fatto che una stria di penne longitudinali bianche separa ai lati del collo la regione ventrale nera da quella dorsale striata. Questo carattere si riunisce in modo preciso nell’esemplare N. 46, e deve attribuirsi a quell’ unico ottavo di nycthemerus, non interamente dominato dai tre ottavi di muthur'a e dai quattro ottavi di lireatus. L’ibrido 46 ha tarsi bruni e strie bianche e nere nelle parti superiori, e perciò diffe- risce in modo sensibile dal G. anrzamensis con tarsi scarlatti e con strie dorsali nume- rose e sottili, ma riproduce quello che è veramente il carattere distintivo del G. annamensis medesimo, la linea bianca di divisione sui lati del collo. I veri fagiani argentati, caratteristici per un assoluta predominanza del bianco sul nero si distinguono per diverse gradazioni di tale predominanza. Eliminiamo il G. wWiteheadi, forma insulare di Hainan, ed il G. ripponi il quale non potrebbe, stando alle poche parole di descrizione date dallo Sharpe, essere chiaramente distinto dal G. jonesi Oates. Ci rimangono tre forme: il rufipes, il jonesi ed il nycthemerus, la prima delle quali si connette facilmente, per mezzo dell’ annamensis, all’ andersoni. Il rufipes, a differenza dei suoi due affini, ha il collo e la nuca rigati di nero, ed il jonesi ha rigata di nero la parte anteriore del dorso che nel r7ycthemerus è bianco puro. In questo poi sono interamente bianche e molto lunghe le timoniere mediane, che nel joresi sono alquanto più brevi e rigate di nero sulla metà basale del vessillo esterno, mentre nel 7ufipes sono più brevi ancora e rigate in tutto il vessillo esterno, eccettuata — 282 — ‘a punta. Abbiamo dunque una serie di forme differenti per maggiore intensità di nero, intensità che praticamente si manifesta con una maggiore grossezza ed esiensione delle strie nere. Prendendo come punto di partenza il G. nycthemerus, si rinvengono tra i miei ibridi, forme che ne diversificano nello stesso grado di G. jonesi e G. rufipes. I maschi (nycthemerusx muthura)x» Ve 020) » 15,— » 288— 144 Fava (PT VA et 4,20 » 20— » 84 » 42 Fagioli (RIT EZZE 101) NE SRO 0,40 » 30— » 12— » b.— Olio ——_ seal; — — — — » 42 13= >» 414- Tacchini N. 22 Kg. 66,— >» Il > dbb.— » 33 Polli » 20 DIETE » l » 20,—- » 20- Maiale » 1 pa a A » 1 DI » 45—- ORIO 0 di go go ZI » 2 » 40 >» 20, TONI I e CATO = » 3 PIC | » 10,50 Agnelli > SR Pa to a NAZ I e O I » 35. Vitelli do STO I RO de IIEO eg Re ISO e ci O » 130— Uova DA2001E SILA E CREDI AIN a te n > 10— Rendita totale della masseria . . . L. 1579,84 Del contadino L. 797,92 Il contadino ha avuto le seguenti spese : Sementi del grano . . . . Kg. 198 Ghiba 023) = dh A » » granoturco. . . DEMO » 0,15 » 3, » >» UAZIOl 0 vo » 8 >» 0,30 » 0240 » PENA Ro O » 40 » 0,20 » $S_ Regali al padrone : l paio tacchini (Kg. $). ../... » ST » Di a NEON a RS A >» 10—- » » MA POMI E O LS SN » 12 È » SPADONI Aa, te O IT PA E » 5 » Dil E MOMO LIO OT CI TAR » 3 Spese persinprasso (delle vacche Sere » 4° » » Aeglita ne le A ee » 25 » » delEMUa RES STR 0) Affittanze del calzolaio, sarto, fabbro, medico, veterinario TAEMACISLAL At ret Sl SAC TRENNO I A » 40 IRASSECDESti ame io ERO IRNERIO R RE » 15- ORE (OTG A (6(0) E SI E I a e o aa » = SPESANitota ENG elECONta iO A A IS Faiano la mario mala È Gi co Ss 50 e 09 se 5 ste sea UIL BRL Sa ori Per uomo adulto, calcolando come fa Atwater, sì ottiene una rendita annua di L. 87,64, giornaliera di L. 0,24 Nel campo la famiglia raccoglie anche un po’ di legna, che non è stata considerata nel calcolo perchè insufficiente ai bisogni del focolare, nell’orto gli erbaggi che essa stessa consuma. Queste condizioni corrispondono a quelle delle altre famiglie della regione: delle tre famiglie di cui abbiamo studiato precedentemente i bilanci ‘alimentari le entrate annue erano per adulto L. 66.19, 10300, 147.14, giornaliere L. 0.18, 0.28, 0.40. In perfetta corrispondenza ai loro miseri salari stanno le. condizioni fisiologiche di queste famiglie. Infatti le statistiche sopra l’analfabetismo, sullo scarto di leva, sulla sta- tura, sull’emigrazione, che abbiamo riportato nei precedenti lavori pongono la provincia di Teramo fra le più misere d’ Italia. Coltivano il granoturco, il frumento, l’ulivo, e alcuni la vite: nell’orto vicino alla abitazione, gli erbaggi. Le misere condizioni economiche di queste famiglie le hanno costrette a togliere direttamente dalla terra su cui vivono tutti 1 mezzi di loro sussistenza : la loro dieta è quindi formata esclusivamente di quei prodotti agricoli che essi coltivano: farina di mais, verdura, olio. Per eseguire le esperienze uno di noi — pratico del pase perchè nato là — si portò sul luogo verso il finire dell'inverno, al primo cominciare dei lavori campestri. Il mate- riale di ricerca che fu necessario portare dal laboratorio consisteva in cilindri graduati e vasi tarati, in due bilancie, una della portata da 20 kg. a 1 grammo, e 1° altra da 3 kg. a l centigrammo, e un sufficiente numero di vasi con tappo smerigli ato per raccogliere i campioni ‘delle derrate alimentari, delle orine e delle feci. Fu scelta la famiglia Silvestri perchè per il numero delle persone adulte si presen- tava adatta alle esperienze. Gente d’ animo semplice e veritiero, rispettosa verso i padroni per millenaria servitù, si attenne scrupolosamente a tutte le prescrizioni date, volonterosa di prestarsi non solo per l'ordine avuto dal padrone, ma anche per l'utile economico che glie ne derivava e per il piacere di bere il vino. Possiamo assicurare, avendola continua- nente sorvegliata, che ogni operazione fu compiuta con quella esattezza che si può desi- derare nei laboratori. Presero parte alle esperienze 6 persone: tre uomini e tre donne con buoni dati ana- mnestici. Le loro condizioni somatiche erano piuttosto scadenti, eccettuato per i giovani Giuseppuccio e Giovanella. Ecco in riassunto le condizioni somatiche e l’ età delle sei per- sone esperimentate all’inizio della prova. S O Altezza |Circonferenza Età |PesoinKg. metri toracica em. | Giuseppe . ...| 88 55,4 1,62 90 IPISHTO 0 dv 58 43,3 1,50 SI Geritiletiannne 45 52,1 1,55 79 Giuseppuccio . . | 20 49,3 1,62 82 Giovannella ..| 22 SL 1,54 UU Elisabetta. . .. | 16 44,3 1,49 73 Si cominciò, come al solito, a determinare il loro abituale bilancio alimentare, me- diante la misurazione di tutti gli ingesti e gli escreti. Contemporaneamente si determinò il peso degli individui pesandoli ogni mattina a digiuno dopo vuotata la vescica; si mi- surò la forza al dinamometro facendo eseguire loro dieci colpi di seguito: si esaminò in fine anche il sangue. — 320 — ali dati sono quelli che servono di base per valutare le successive modificazioni che produrrà nell’ organismo la introduzione nella dieta abituale del nuovo fattore, il vino. Questo primo bilancio alimentare fu raccolto per 5 giorni dal 16 al 20 febbraio 1908. Il clima mite della regione in tale epoca permetteva la vita all’ aria aperta. Durante i 5 giorni di prova gli individui rimasero pressochè in ozio; il lavoro fu di acendire alle bestie e provvedere alle piccole faccende di casa, lavare i panni, mungere le pecore ecc. Si alza- vano la mattina verso le 6,30, la sera verso un’ ora di notte erano di nuovo a letto. Raccolto questo 1° bilancio, si cominciò il 22 febbraio col somministrare agli uomini ed a Gentile dai 675 ai 690 ce. di vino, che venivano misurati a bicchieri: a Giovannella ed Elisabetta tenendo conto dell’età, una quantità minore: dai 510 ai 530 cc. per ciascuna. Dopo 20 giorni, si determinò un nuovo bilancio alimentare per altri cinque giorni dal 13 al 17 marzo: periodo di tempo in cui la stagione s'era fatta molto rigida. Bisogna notare che nel marzo le giornate si erano allungate di un paio d’ore, che la mattina i contadini si levavano più presto e la sera andavano a letto più tardi: nel contempo i lavori si erano fatti più pressanti col progredire della stagione — e gli uomini per parecchie ore del giorno zapparono. Di nuovo fu determinato il peso, la forza, e fu esaminato il sangue. Col 19 marzo si aumentò l’ introduzione del vino portandola per gli uomini e Gentile dai 930 a 950 cc.; per Giovannella ed Elisabetta a circa 850 ce. Dopo altri 15 giorni fu raccolto un 3° bilancio per altri 5 giorni dal 2 al 6 aprile. Nel periodo intermedio fra la II° e la II° prova il lavoro era fortemente cresciuto e il' 8° bilancio fu raccolto in pieno lavoro; Giuseppe, Pietro, Giuseppuccio nel periodo della III° prova zapparono tutto il giorno per preparare il terreno da semina pel granturco, mentre Gentile e Giovannella seguivano gli uomini e seminavano il granone. Elisabetta ac- cudiva alla cucina ed agli animali: nel tempo fra la II° e la III° prova Giovannella e Eli- sabetta tessevano al telaio mezza giornata per ciascuna. In aprile la giornata di lavoro si era allungata di 3-4 ore. Non si limitò la quantità dei cibi, e la qualità di essi fu la stessa che nei bilanci pre- cedenti, come pure fu uguale l’ordine con cui vennero successivamente consumati nei 5 giorni d’esperimento. Sat, Per determinare la composizione degli alimenti introdotti dai singoli individui, in luogo di prendere dei campioni delle singole vivande quali vengono portate sul desco per poi analizzarli, noi abbiamo creduto più logico, più esatto, più rapido, risalire alla composi- zione dei cibi partendo dalle derrate alimentari con cui vengono preparati, come fu esposto da Albertoni e Tullio al congresso internazionale di medicina a Budapest. Più logico poichè si viene quasi a rifare coll’analisi quel lavorìo di selezione che con esperienza millenaria fu eseguito da quella popolazione per poter ottenere dai prodotti che essa col- tivava, cibi che fossero completi e sufficienti alla sua esistenza; più esatto perchè, come si addimostrò colla pratica, fu facile durante la preparazione dei cibi determinare la quan- tità delle singole derrate usate a comporli; più rapido poichè per la povertà di questi con- tadini le derrate da loro usate erano esigue di numero e di facile analisi chimica. — 321 — Infatti i cibi mangiati da questi individui durante tutta l’ esperienza furono composti con queste sole derrate alimentari: farina di mais, pasta di frumento, cavoli, olio, sale e aglio. Per completare il numero delle derrate consumato durante tutto l’anno basta ag- giungere farina di frumento che consumano nei due mesi dell'estate, fagioli, fave, patate, pomidoro, cime di rapa, rape, cipolla, pepe, peperone rosso, un po’ di pesce salato e po-- chissima carne di porco. Diamo la composizione percentuale delle derrate consumate durante tutta |’ esperienza : Secco Azoto FERRE Grassi Ceneri di RE gu. È LE gr. 2 i Sr. di gr. gr. Farina di mais . . 88,039 (1,286) 8.037 4,177 IRSRA 74,304 Pasta di frumento 86,909 (2,026) 12,662 0,633 0,692 72.922 Cavoli e aa 13,389 (0,574) 3,987 | 0,609 | 1,435 | 7,158 Olona 100,- —- — | 100 — —— | __ Sales eat 94,79 _— __- —— 94,79 a Aglio (Kònig) . .. 35,34 (1,082) 6,76 0,06 144 27,08 La farina di mais viene stacciata in casa prima di usarla nella preparazione dei cibi. Essa contiene una quantità di albumina leggermente inferiore alla media e discreta quan- tità di grassi. La pasta di frumento (maccheroni) è piuttosto nerastra e contiene poca al- bumina. I cavoli sono quelli coltivati nel vicino orto, |’ olio è quello di 2° qualità, prodotto dalle olive coltivate nella regione stessa in cui venne fatta l’ esperienza. Colla farina di mais compongono tre cibi, una specie di pane lievitato e cotto al forno (pizzorullo), un’ altra specie di pane non hevitato e cotto sotto le brage (pizza) e la polenta. Soltanto queste due ultime forme di cibo furono consumate durante |’ esperimento. La pizza viene preparata nel seguente modo: una certa quantità di farina di mais viene posta sulla tavola. Da un lato se ne forma un mucckio che nella parte cen- trale viene scavato a cratere per mettervi l’acqua bollente, in cui vien posto il sale a sciogliere. Indi man mano si impasta, si aggiunge acqua, o nuova farina o sale a seconda del bisogno : il residuo di farina che rimane sul tavolo dopo finito l'impasto viene detratto dalla quantità pesata antecedentemente. Risulta dall’impasto una schiacciata rotonda che viene posta sotto una lastra di ferro, detta /esto, coperta di brage. La cottura dura 20 minuti circa, appena cotta la pizza è coperta di una crosta gialla e manda un aroma piacevole. Ecco quali risultarono le quantità di farine e di sale adoperate nel preparare le sin- gole pizze, e il peso di esse. gr. gr. gr. gr. gr. 15 3 sera Pizza 2166 —_ 3431 16 » matt. » 2643 32 4102 IT» » » 2917 22 4490 16-2 matt. Pizza 1877 15 4580 I7 » » » 3595 27 5630 18 » » » 2627 28 4250 18 » sera » 3044 15 4917 19 » matt. » 2863 29 1592 20. » » » 3079 27 4910 2888 32 4602 3» » » 2560 38 4187 4» » » 2440 —_ 4163 13-3. matt. » 2280 34 3840 4 » sera » 22011 I 3625 14 » » » 2598 23 3942 15 » N » 2943 =i ALGA E 545 55 4150 6» » » 959 36 3867 Data Cibo Farina Sale |Peso cotta Data Cibo Farina Sale |Peso cotta SMR La pizza appena tolta di sotto il ferro rovente, veniva pesata e tosto divisa in spicchi della grandezza indicata dall’ individuo che doveva consumarla. Tali spicchi venivano rapi- damente pesati onde impedire l’ evaporazione dell’acqua. Così si ottenevano tante parti la cui composizione è evidentemente eguale a quella di tutta la pizza. Ecco la composizione *, delle singole pizze ottenuta dividendo la quantità assoluta dei singoli principî alimentari (albumina ecc.) della farina e del sale adoperati, per il peso della pizza cotta. Data Cibo Secco (Azoto) AT Grassi Ceneri | di presse he fer. gr. gr. | gr. id E RI bee i: gr. 16-2 matt. | Pizza 36,391 (0,527) 3,294 1,712 0,934 | 30454 io » 56,674 (0.821) 5,131 2,667 1426 | 47,447 18 » » » 55,043 (0,795) 4,969. | 2,982 1,565 45.927 18 » sera » 54,792 (0,796) 4975 | 2,586 1,234 46,— 19 » matt. » 55,489 (0,802) 5,012 2,604 1547 | 46,326 20» » » 55,729 (0,806) 5,038 2.619 1475 | 46,597 Teo” » 53,112 (0,764) 4,TI5 2480 | 1742 | 44145 {fd > > » 57,236 (0,828) 5,175 2,689 | 1,532 | 47,840 i > » 56,057 (0,849) 5,119 | 2,660 0,968 | 47310 15 » sera » 55,579 (0,812) 5,075 | 2,637 0,960 | 46,907 16 » matt. » 57,465 (0,829) 5,181 2690 | 4,749 | 47874 malo » 57.660 (0,835) 5,219 2744 | 4,553 | 48274 DINI » 55.908 (0,807) 5,044 2,621 1614 | 46,629 3» » » 54,689 (0,786) 4,912 2554 | 1,790 | 45,433 4 » » » 54,601 (0,754) 4,742 2,448 | 0,891 | 43,550 4 » sera » 53,455 (0,781) 4,881 2,536 0,924 | 45,444 ce 55,246 (0,789) 4931 2562 2189 | 45,564 Bo » 54,589 (0,785) 4,906 2,548 sia | 4532 La polenta si preparava gettando la farina nel paiuolo pieno d’acqua calda già salata e poi mescolandola fino a giusta cottura. A parte veniva cotto il condimento for- mato di olio ed aglio. Ecco la quantità dei singoli ingredienti usati e il peso della polenta mangiata in tutto l’ esperimento. Data Cibo Farina Aglio Olio Sale Peso cotta gr. gr. gr. gr. gr. 17-2 sera | Polenta... 1892 —_ __ 120 9545 DS Condimento _— 12 128 _— 140 DSS Polenta . . . 2248 _ —— 130 11185 PID Condimento ——- 12 110 —__ 122 da 3 Polenta... . 2017 -- —— 110 9925 SS Condimento —_— 13 133 —_— 146 I7 » » Polenta . . . 2010 — —-- DIVI 9585 va Condimento —— 5 108 —_— | 113 3-4 » Polenta . . . 2100 = —— 120 9862 DID Condimento _— 17 168 --— 185 Go Polenta . . - 1701 — —— 110 7687 SD Gondimento vv 9 57 _— 66 — SI — La polenta cotta presentava l’ aspetto di una massa gialla, di consistenza pastosa allo aspetto perfettamente omogenea. Lasciatala raffreddare alquanto, veniva pesata, e scodel- lata nella quantità che ognuno gradiva e allora si distribuiva il condimento. Ecco la composizione %, della polenta e del condimento ottenuta nel modo indicato per la pizza. Data Gibo Secco (Azoto) Sn Grassi Ceneri di pote md gr. gr. gr. gr gr gr 17-2. sera Polenta . . . 18,643 (0,255) 1,594 0,828 1,493 14,728 » » » Condimento 94,458 (0,093) 0,581 91,434 0,124 V261 0%) 20 >» » Polenta . . . 18,796 (0,258) 1,613 0,840 1,407 14,936 » » » Condimento 93,640 (0,107) 0,669 90,170 0,142 2,659 14-3 » Polenta . . . 18,942 (0,261) 1,631 0,849 1,360 15,102 > » Condimento 94242 (0,097) 0,606 91101 0,126 2,407 IT » » Polenta . . . 19,560 (0,270) 1,687 0,876 1,4AL7 15,580 » » » Gondimento 97,139 (0,048) 0,300 95,578 0,064 1,197 3-4 » Polenta . . . 19,900 (0,274) 1,742 0,889 1,477 15,822 » » » Condimento 94,058 (0,099) 0,619 90,816 0,132 2,491 6 » » Polenta . . . 20,838 (0,285) 4,781 0,924 1,693 16,440 » » » Condimento 91,183 i (0,147) 0,919 86,371 0,197 3,696 La minestra di maccheroni veniva preparata cuocendo la pasta di frumento nel- l’acqua. — Fu scelta una pasta formata di piccoli anelli onde rendere più omogenea la minestra. Quando la pasta era quasi cotta, vi aggiungevano il sale, e poi l’ aglio cotto con l’olio. Ecco la quantità di derrate adoperate per preparare le singole minestre: Da Cibo Pasta Aglio Olio Sale Peso cotta 3 o GR gi (ner gr. 16-2 sera Pasta 2233 12 140 73 9500 19 » » » 2285 18 9 106 9100 13-3 » » 2264 II 155 98 10035 16 » » » 2206 3 93 97 9523 2-4 » » 2070 5 196 INI 10319 5 » » » 2089 10 123 114 11103 Per alcune minestre, prima di aggiungere il condimento, veniva scolata parte del- l’acqua per renderla più consistente. Contenendo quest’ acqua parte dei componenti della pasta disciolta in essa durante l'ebollizione, fu raccolta e analizzata. Così si potè deter- minare la perdita percentuale dei singoli principî alimentari che per tale scolatura subi- vano le minestre. Tale perdita fu detratta dalla composizione percentuale delle minestre. Le minestre in cui fu scolata parte dell’acqua furono quelle del 19-IIT e del 16-III. Cotte presentavano un aspetto denso e omogeneo. Raffreddate venivano pesate e distribuite. Ecco la composizione percentuale della minestra: 324 — Data Cibo Secco gI 16-2 sera Pasta 22,226 tI 9 » » » n 24,030 13-3 » » 21,686 16 » » » Fi 22,559 di » 19,406 5 » » » 18.105 I cavoli mondati delle foglie più grandi e poi scolati dall’ acqua di cottura della quale fu determinata la perdita percentuale che i cavoli subiscono durante la cottura, (Azoto) SIRIA, (0,473) (0,544) (0,454) (0,480) (0.403) (0,378) dalla composizione percentuale dei cavoli cotti. Indi, appena scolati, venivano salati, conditi con olio fritto ed aglio, indi pesati e distribuiti. Ecco la quantità delle singole derrate adoperate: tagliati a pezzi venivano cottl composizione, e con ciò la e tale perdita fu detratta Albumina TAI | End | Idrati Y 6,25 SISI I eZ di Carbonio gr. gr. gr. i 7 2,956 1,622 0,874 | 46,774 3.194 1.192 1.281 18,363 2,837 1,687 1,065 16,097 3.000 1147 1150 | 47,262 2,519 1.445 1,143 | 14,299 2,362 129% | 1089 | 13,428 nell’ acqua ; Data Gibo Cavoli Aglio | Sale Peso cotta gr. gr. | SI gr. 18-2. sera Verdura 3010 9 | | 73 4519 15-3 » » 2099 3 | | 87 3096 4-4 » » 2797 — | 59 2910 Segue la composizione centesimale della vivanda cotta: Dan Cibo Secco (Azoto) SONO Grassi Ceneri di DIR Se GL: NO gr. gr gr gr. (8-2 sera Verdura 10,884 (0,331) 2,087 2,940 | 2,042 | 3,815 559 > > 12,107 (0,339) 2,119 2955 | 3182 | 3,852 4-4 » » 12,812 (0,479) 2,994 1738 | 2655 5,425 Tutte le vivande cotte presentavano un aspetto sistenza pastosa tale da permettere una perfetta divisione, così che si può ritenere che le singole parti prese dagli individui fossero di composizione eguale a quella del tutto. E se pure qualche lieve differenza nella composizione delle singole porzioni vi è stata, tale. dif- ferenza non compare nelle medie finali perche le vivande furono consumate quasi nella loro totalità dagli individui posti sotto esperimento. E inutile aggiungere che le rarissime volte in cui qualcuno non terminò la propria porzione, il residuo venne pesato e detratto. perfettamente omogeneo, e una con- Il vino bianco, acquistato in quantità sufficiente per tutto l’ esperimento, era del mi- gliore che venga prodotto nella regione; preparato aggiungendo al mosto ottenuto coi mezzi ordinari, un decimo dello stesso mosto concentrato col calore ad un terzo del suo volume. La sua composizione risultò all’ analisi come segue: | Sostanza Vino o î Albumina CER ca Idrati SICOO, secca (zio) x 6,25 Cs enon di Carbonio gr. gr. gr. gr. gr gr gr. 11,797 3,001 (0,014) 0,087 --— | O,7I 2.743 — 525 — Conteneva: zucchero 0,62%, glicerina 0,93%, ferro 0,00673%, estratto secco in 50 cm 1,693. L’alcool fu determinato mediante la distillazione di 100 cm, e susseguente determi- nazione del peso specifico colla bilancia Westphal; lo zucchero col metodo di Allihn: la glicerina col metodo ufficiale ivaliano. Il ferro fu dosato sul residuo incenerito, disciolto ed ossidato con acido nitrico puro, sotto forma di fosfato di ferro. 300 cm di vino diedero gr. 0,0545 di fosfato di ferro, contenente gr. 0,0202 di ferro puro. L'estratto secco fu dosato col metodo ufficiale italiano. Le orine furono raccolte esattamente la mattina alle 7. L’orina dal vaso di ferro smaltato in cui era stata raccolta durante la giornata veniva misurata e poi versata in un pallone tarato; indi il vaso e la misura venivano lavati con acqua distillata ripetuta- mente e l’acqua di lavaggio raccolta nel pallone tarato, che veniva riempito alla misura. Dopo aver ben mescolato, se ne prelevava un campione il quale con aggiunta di timolo veniva rinchiuso in due bottiglie a tappo smerigliato. Per dividere le feci furono rigettati i sistemi di separarle con carbone, o con car- minio, o semi di frutti; essendo tali mezzi provati in antecedenza su gli stessi esperimentati riusciti inadatti in vista della voluminosità delle feci. Si adottò invece il metodo di mutare al principio e alla fine dei singoli bilanci la qualità delle vivande. Il giorno che precedette le prove essi mangiarono alla mattina e alla sera della verdura: al contrario nei due primi giorni della prova mangiarono solo cibi fatti con farina di mais. Ed egualmente fecero nei due ultimi, mentre nel successivo mangiarono alla mattina e alla sera la verdura. Ora le feci col mais appaiono gialle, omogenee, tutte granulose per la crusca indigerita, mentre colla verdura sono verdi, e tutte striate di filamenti di cellulosa. La differenza spiccava in maniera evidentissima, per cui crediamo che tutte le separazioni ci siano riuscite in modo perfetto. La divisione fu fatta al principio e alla fine dei bilanci: la massa fecale diluita con acqua distillata fu stemprata con ripetuto mescolamento, e di essa ne fu presa '/, parte per campione. ‘lutti i campioni prelevati durante gli esperimenti furono portati nel laboratorio di fisiologia della Università di Bologna e ivi analizzati. IL’ azoto nelle urine fu determinato col metodo di Kjeldahl. Furono ossidati 10 cme. della orina diluita con 10 cme. di miscela solforica, preceden- temente tarata nelle sue impurità, e 1 er. di solfato di rame. Diluito il liquido a 200 cme., e alcalinizzato in forte eccesso la distillazione fu continuata per circa un’ora e mezzo, fino a forte crepitìo. Furono fatte in tutte le analisi sempre due prove e presa la media. La titola- zione fu fatta con soluzioni ‘/, normali, e l’ indicatore fu il metilorange. L’ acidità del titolo fu determinata concordemente col carbonato di soda e 1’ iodio. Diamo un esempio. Orine di Giuseppe del 2-IV-908. pas RO 3g; 7 Totale Az. Differenza Quantità Diluita Ossidati em? di Azoto contenuto nato Mella: GESU Rapporto dell’ orina 2a 3 HoS0, nei 10 em3 a lisi î cm8 cm$ Qus neutralizzati mgr. ESA È cn /o {° 24.2 E 3 1400 2000 10 RA Srreo 6,79536 0,02808 0.9959 ROMS 32 6,82344 Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 43 ‘Tutte le prove in cui i risultati delle due analisi di controllo differissero nella quan- tità totale dell’ azoto pro-die di un valore superiore a gr. 0,05, e il cui rapporto fosse in- feriore alla cifra 0,990, furono rifatte. Le feci furono essicate alla temperatura di 70-80 gradi sotto forte corrente di aria calda. In poche ore si riducevano ad apparente completa secchezza, conservando il loro colore primitivo: ricche in cellulosa, risultavano facilmente friabili. Venivano tosto tritate in pochi minuti in un macino mosso dalla forza elettrica, in ambiente chiuso, talchè ripe- sate si riscontrarono sempre invariate nel peso dopo la macinazione. Ne riusciva una pol- vere impalpabile che rinchiusa in bottiglia a tappo smerigliato serviva per le ulteriori analisi. Per la determinazione dell’azoto fu preso circa un grammo della polvere suddetta, e fu quindi ossidato con 15 cme. di miscela solforica nel modo usato per |’ orina. Diamo un esempio. Feci di Giuseppe II prova. unt " Azoto Azoto totale Azoto Differenza fra dara 3 È ci CA aa RS A Ossidati Ha Sa contenuto eliminato eliminato le due analisi | Rapporto n Siani gr. pa ti nei campioni | nei 5 giorni pro die pro die | UA Bur gu neutralizzati mgr. gr. gr. gr. / i | : 594 444 58,1256 | 35812 0.716 | Ù 378 94,205 I 1,929 41,4 98,1 110) | 3,9812 | De 0.019 | 0.973 Il 1,427 37,59 52787 | 34848 | 0,697 Come limite di tolleranza per le singole prove fu tenuta una differenza di gr. 0,05 tra le due analisi di controllo, e un rapporto 0,970. Per determinare le ceneri furono ossidati circa gr. 3-4 di polvere nella muffola. Diamo anche di questo un esempio. Feci di Giuseppe III prova. Inceneriti Ceneri Ceneri totali Ceneri Differenza | Rapporto nei. 5 giorni pro die | 0/, gr. ioni ilo. . gr. | gr. 2r. | 20 I 36624 | 0,602 15,485 | 3.097 0,022 0,993 II 32500 0,5304 Rio eva Il fosforo fu analizzato nelle ceneri, che furono trattate con acido nitrico concentrato portate a secco e poi riprese con diluito. Si filtra e poi sì concentra a ‘/,,, e il residuo si tratta con ammoniaca ed acido acetico. Si rifiltra e il residuo che contiene il fosfato di ferro si ince- nerisce e si pesa, mentre il filtrato si titola con una soluzione di nitrato di uranile (1 cem. =: 0.005 di P,0.). Delle ceneri servirono per ogni analisi circa gr. 0.5, per le orine cem. 50. Per determinare il peso secco assoluto le feci furono portate a peso costante, circa gr. 4-5, in una stufa a vapore d’ acqua, la cui temperatura costante era di 99°. La pol- vere campione, che anneriva leggermente, fu poi adoperata per la determinazione dei grassi, fatta coll’ estrazione eterea mediante l’ apparecchio dello Soxhelet. L° estrazione, continuata per 72 ore di seguito, veniva fatta con l’° etere anidro. Indi l’ etere veniva eva- porato e il residuo grasso ripreso con etere anidro (sul sodio), questo filtrato, evaporato e il residuo portato a peso costante. Diamo un esempio : Feci di Giuseppe I prova. Quantità Re (îrassu totale x Differenza fra Peso fresco Peso dopo posta Estratto emesso Grasso le due snalisi Rapporto I° essicaz eterev pro die ye RO nell’estrattore ì nella prova li sro di 0/. st. er er et P e o sr. gi | el gr. gt. Sr / Ma 99978 QI 26.158 52 x 1000 9267 ,25 d)90/Ò 0,33 i6 26,158 d, 31 0.050 0.991 | DOT A2 0,3354 26,406 5,28 Se Le derrate alimentari furono analizzate nel seguente modo : la pasta di frumento fu triturata direttamente; la farina di mais era già ridotta in polvere impalpabile; i cavoli furono essicati come le feci; e le singole analisi furono fatte come per le feci. Solamente per fare l’ estrazione dei grassi, le sostanze polverizzate ed i cavoli dopo la prima par- ziale essicazione che aveva lasciato ad essi il colorito e l’ aroma naturale, furono diretta- mente estratti coll’ etere senza essicarli fino a peso costante, avendo riscontrato, come già Atwater, che la quantità estratta dopo una lunga essicazione riesce molto minore. Diamo alcuni esempi: FARINA DI GRANOTURCO Azoto Ossidati H3S0, neutra- Azoto . Azoto Differenza | Rapporto lizzato nei campioni in 100 gr. in ve gr. 07 gr. em3 mer. gr | | 20 | | È gn 7 29) 9954 | TEMESICIS5 SI7 Lot CISALE SSR | 0.0013 | 0.999 INIRAR539) 14,05 19,7262 1,2867 | | Ceneri sti Ceneri Ceneri Differenza Rapporto ioni nei campioni in 100 gr. in 100 gr. 0/ gr. gr. gr. gr. 4,6062 00698 5159 I 46062 0,0698 | lisa 0.0112 0,993 I 4,3368 0,0662 1,5265 Grassi Quantità Estratto etere | Grasso totale | Differenza Rapporto estratta cr in 100 gr. in 100 gr. 0/ - gr. Sol er gr. /0 Î | 97€ ). 92094 | 4ANC ; | I 6,976 0,2924 Sg I Gee T7R092 0,3161 4,163 | | Rapportando ad un cibo si hanno queste differenze: Esempio : Pizza del 15-IIl mattina - Cotta gr. 4465: farina usata gr. 2843 Azoto Ceneri Grassi ‘l'otale in 100 gr. ‘l'otale in 100 gr. Totale in 100 gr. gr. gr. gr. gr. gr. gr | I 36,5439 0,8185 43,0800 0,9648 {91504 | 2,6685 TI 36,5809 0,8192 43,3984 09720 | 4183041 | 2,603 x | RIO I Differenza . 0,0370 0,0007 0,3 184 0,0072 0,7960 0,0182 Giuseppe il 15-HII mattina introdusse di questo alimento gr. 630 : in cui la differenza in gr. Azoto Ceneri Grassi è per 0,0044 0,045 0,115 Il fosforo dei cibi fu determinato come nelle feci. Ecco il US delle ceneri dato da P,0,; per la farina di mais 37,59 ‘%,, per la pasta di frumento 40,81%, per la verdura 9,48 %/, per il vino 11,57%. Per l° aglio furono tolti i dati delle tavole da Kéònig: ne fu consumato una quantità così piccola, (pochi grammi in parecchi Kg. di minestra) che potrebbe essere trascurato del tutto, essendo entro i limiti di errore delle singole analisi. — 328 — 3. Il vino come alimento termodinamogeno. Come abbiamo detto, raccolto il bilancio per cinque giorni (16-20-11) fu somminisirato ai contadini il vino. Dopo 15 giorni che ne facevano uso, si raccolse un nuovo bilancio (13-17-III) e dopo altri 16 giorni un terzo (2-6-IV). In questi tre periodi i contadini mangiarono gli stessi alimenti, e nello stesso ordine, ma nella quantità, come dicemmo, da loro desiderata. La sola differenza fra i tre periodi fu che nel secondo e nel terzo si aggiunse il vino, in quantità crescente. Mattina ore 93, . Sera ore 16... .. CIBI INTRODOTTI NELLE TRE PROVE I Giorno II Giorno III Giorno | 7 \ | Pizza Pizza Pizza con | olio e sale Minestra di! Polenta con Pizza pasta di olio fitto | Verdura di frumento ed aglio cavoli IV Giorno V Giorno Pizza | È | Pizza | | | Minestra di | Polenta con pasta \ di frumento | ed aglio olio fritto I pasti erano due al giorno, ridotti alla massima uniformità e semplicità. Ecco la quantità dei singoli cibi introdotti da ogni individuo nelle ire prove. QUANTITÀ IN GRAMMI DEGLI ALIMENTI MANGIATI NELLE TRE PROVE Data CRI] Giuseppe * Pietro Giuseppuccio | Geutile | Giovannella | Elisabetta 1° Bilancio 16 -20-1I[-1908 16-II matt Pizza 650 687 745 435 420 470 » >» Sera Pasta 1386 1808 963 1428 893 554 I7 » matt Pizza 667 786 842 629 630 625 » >» Sera Polenta 1551 1540 1399 803 1103 980 » » » Condimento 14 16 10 15 15 12 18» matt Pizza 720 122 742 502 937 470 d » Olio 15 15 20 12 14 12 » » » Sale I 0) 1 2 2 2 » >» Sera Verdura 590 D70 625 495 481 235 » » » Pizza 315 679 797 503 444 DIR 19 » matt. Pizza 704 662 759 384 454 412 » >» Sera Pasta 1770 1868 1222 1314 1152 | 736 20» matt. Pizza 650 729 797 DI 471 517 » >» Sera Polenta 1505 1675 1590 1077 LI 1102 » » » Condimento 12 17 24 17 17 | 13 agg e Cu I Data E Giuseppe Pietro Giuseppuecio Gentile Giovanvella Elisabetta 2° Bilancio 13 - 147 - III - 1908 Vino giornaliero 688 688 | 675 699 529 DI4 13-II matt. Pizza 641 690 660 460 507 440 » » » Pasta 1180 2103 1275 1416 1286 708 14 » matt. Pizza 592 705 736 394 451 377 » >» Sera Pasta 1366 1457 1319 956 962 1167 dd » Condimento Al 19 17 14 19 77 ID » matt. Pizza 630 722 TS 431 555 465 » » » Olio 12 ìl 18 A) 8 6 » >» » Sale 4 4 4 x 4 20 » >» sera Pizza 553 DD7 475 323 335 297 do ST Verdura 424 439 | 394 291 14l 241 1» Tate Pizza 676 665 722 120 467 140 » >» sera Pasta 1253 1905 742 1321 1279 440) a i matt. Pizza 702 753 810 410 503 493 » >» Sera Polenta 1528 1333 1580 865 1096 S60 » » » Condimento 12 107 20 14 13 10 32 Bilancio 2-6 -IV-1908 Vino giornaliero 950 938 992 931 850 SAL 2-IV matt. Pizza 782 757 839 430 592 378 » >» Sera Pasta 1276 1857 887 1334 1391 531 9) Su 100 Pizza 597 815 785 409 457 380 » >» Sera Polenta 1568 1597 1310 1029 970 949 dd Condimento 22 30 24 24 27 21 4 >» matt. Pizza 600 634 715 385 457 465 dp (ES Olio 10 19 19 6 8 10 » » » Sale 4 4 6 2 4 4 » » Sera Pizza 525 580 360 304 343 302 d. DIS Verdura 382 425 337 321 328 267 DU TOMO Pizza 607 660 690 428 370 398 » » Sera Pasta 1249 2320 623 1588 1025 407 6 » matt. Pizza DO? 577 632 287 395 404 » >» Sera Polenta 1183 1225 1145 656 T725) 815 DITO Condimento 8 10 10 10 10 ti 390 ENTRATE GIORNALIERE IN GRAMMI Ea Cibo ) Aleoo] Cibo | ii Gb ei na JIdrati SIA Caloria ia To Hitasno Vino Alcool per Kg. SACEO Azoto (Albumina E | Grassi | Ceneri | Aci Calorie per Kei 1° Bilancio 16-20 febbraio 1908 Giuseppe .. . | 55,4 2116 672,616 | (10,739) | 67,119 | 1,21 | 43,365 | 28.760 | 533,372 | 2865,31 | 51,72 RIeiLONnento 43,3 2356 760,332 | (12,140) | 75,875 | 1,75 | 49,106 | 31.649 | 603.702 | 3242.95 | 74,89 Giuseppuccio . | 52,10 | 2100 725,646 | (11,182) | 69,887 | 1,34 | 47.804 | 28.888 | 579.067 | 3105-29 | 59.600 Gentile 49,3 1626 929,757 | (8,529) | 53,306 | 1,08 | 36,749 | 21,818 | 417,884 | 2273.64 | 46.12 Giovannella. . | 52,2 1549 510,245 | (8,011) | 30,069 | 0,96 | 35,472 | 21,434 | 403,270 | 218858 | 41,938 Elisabetta... | 44,9 1330 466,802 | ( 7,085) | 44,281 | 0,999 | 30.218 | 18,419 | 373.884 | 1995,50 | 45,05 Ì Ì | i | | | WOITERERERRE 90,267 | 2191 | 719,531 | (11,354) | 70,962 | LA44 16,758 | 29,766 | 572,045 | 3071,18 | 61,10 Donne... . | 48,600 | 1502 | 502,268 | ( 7,875) | 49,219 | 4.01 34.146 | 20,557 | 398,346 | 215257 | 45,29 Media . ....| 49,433 | 1846. 610,899 | ( 9,614) | 60,088 | 1,21 | 40,452 | 25,162 | 485,197 | 2611,87 | 52,84 I 29 Bilancio 13-17 marzo 1908 Giuseppe . . . | 57,2 1918 | 688,00 | 80,475 | 1,41 | 685,451 | (10,383) | 64,894 | 42,228 | 28,772 | 549,557 | 3475,29 | 60,761 o Ro ooo 44,3 2276 | 688,00 | 80,475 | 1,82 | 785,747 | (12,287) | 76,794 49,439 | 32,843 | 626,671 | 390731 | 8820 Giuseppuccio . | 53,0 1907 | 675,00. | 78,955. | 1,49 | 708,552 | (10,541) | 65,881 | | 45,825 | 28,716 | 568,120 | 3578,30 | 6750 È | Me Gentile o | ONI 1464 | 689,00 | 80,592 | 1,57 | 499,274 | ( 7,784) | 48,650 | 31,776 | 21,420 | 397.428 | 2688.58 | 524400 Giovannella . . | 53,9 1525 | 529007 | 61.877 || 115. || 537.178 || (8,259) || 51.575 |-0 | 34,110 | 21,904 | 429,589 | 2723,13 | 50.52 Elisabetta... | 44,4 1192 | 514,00 | 60,123 | 1,35 | 438,307 | ( 6,464) | 40,400 | | 27,787 | 18,023 | 352,097 | 2288.52 | 5158 Uomini... 51,500 | 2034 | 683,67 | 79,969 | 1,55 | 726,583 | (11,070) | 69,188 15,831 | 30,140 | 581,454 3653.64 | 70.94 ONNNPRNESSAE 49,867 | 1394 |.577,33 | 67,530 | 1,35 | 491,586 | ( 7,500) | 46,875 31,224 | 20,449 | 393,038.‘ 2566,73 | 51,474 | | Media ..... 50,683 | 1714 | 630,50) 73,749 1,45 | 609,084 | ( 9,285) | 58,031 38,527 25,279 487,247 3II0.18 | 61,37 | 3° Bilancio 2-6 aprile 1908 Giuseppe 56,9 li873) | 195000) || LIGU2 || 195 | 65235, |(19762)) | 61,012 39,104 | 30,052 | 521,067 . 3528,04 | 62,00) INTERO 09006 44,8 2302 | 938,00 | 109,718 | 2,45 | 758,905 | (11,684) | 73,025 49,111 | 35,337 | 601,432 | 3990,03 | 89,06) Giuseppuccio . | 52,9 1676 | 992,00. | 116,034 | 2,19 | 643,715 | ( 9,336) | 38,350 40,085 | 28,532 | 516,748 | 3542,93 | 66,974 Gentile DAI 1449, | 931,00, | 108,899 | 2,08 | 466.577 | ( 7,194) | 44,962 | 30,674 | 22.570 | 368,371 | 2742,24 | 52458 Giovannella. ..| 52,0 1420. | 850,00) | 99,424 | 1,91 | 487,119 | ( 7,385) | 46,156 32,293 | 22,742 | 385,928 : 2767.85 | 5394) Elisabetta... | 44,2 T06S | 841,00 | 98372 | 2:23 | 399337 | (5,743) | 35,894 5,507 | 18,459 | 319,477 | 238294 | 63/918 i Te UTI 51,533 | 1950 | 960,00 | 112,291 | 2,18 | 684,618 | (10,261) | 64,131 25 | 42,767 | 31,307 | 246,413 | 3687,00 71,99 i MERARB co i 49500 | 1312 | 874,00 | 102,232 | 2,07 | 451,011 | ( 6,774) | 42,337 | 0,S6 | 29491 | 21,257 | 357,926 | 2630,97 | 53.15 È | di ——__—_—n‘—..rrrr—r————r11tTTtttt—.rr___—Tr' T_T... ..:::G:7rriî Media . .... 50,516 | 1631 | 917,00 | 107,261 | 2,12 | 567,814 ( 8,517) 53,231 1,05 36,129 26,282 452,172 | 3158,98 | 62,53 | | Riassumiamo in un quadro i risultati delle 3. prove. all MEDIE DELLE ENTRATE GIORNALIERE IN GRAMMI | È Gul al a | Albu- esa SRI R. gra Ca IFRA Prova RESO N %, Azoto | mina 0/, | Grassi 0%, Ceneri | 0/, | Idrati C.; 0/, Alcool | | II 1846) 100| 610,599 | 100|9,614|60,088| 100 | 40,452 | 100 | 25,162 | 100 | 485,197] 100| —— Î Î Î Î II | A7I4| 93|609,084|99,7|9,285 | 58,031 | 97|38,527| 95|25,279|100,4|487,247 100,4 | 73,749 | | III | 1631] 88|567,814|93 |8,517|53,231| 89|36,129| 89|26,282|104,4|452,172] 93|107,261 peo Calorie Albumina | Alcool] | Calorie rova Senza R. Con R. per Kg. per Kg. | per Kg. aleool | 9% | aleool | 2% | REI een I 2611,87 | 100 | 261,57, 100) |RA2 E posa | | II |2593,94| 99|311018|t19|] 1,t4 | 1,45 | 61,37 I | Nest] pci È Ill |240815| 92|3158:98|121| 1,05 | 2,2 | 62,53 Come si vede gli individui per l’ aggiunta del vino diminuirono spontaneamente | in- troduzione degli altri cibi, e questa diminuzione, appare in modo sicuro nella III* prova. Essa è lieve in confronto delle rilevanti calorie aggiunte col vino: bisogna por mente però che sì è aggiunto un fatto che spinse gli individui ad aumentare la quantità degli alimenti introdotti, cioè il maggior lavoro eseguito. Quale sia i! contegno dell’ alcool introdotto col vino di cui forma la parte nutritiva es- senziale, appare chiaramente dalle numerose esperienze mente riassumeremo. L’ alcool] introdotto in conveniente rapidamente assorbito. Infatti Dogiel (1) trovò l’alcool eseguite in proposito e che breve- diluizione nel tubo digestivo viene dopo un minuto e mezzo dalla sua ingestione nel sangue venoso ed arterioso e nella linfa del dotto toracico. L’ assorbimento avviene lungo tutto il tubo digestivo, e già in maniera notevole nello stomaco. (Già nel 1874 Albertoni e Lussana (2) avevano studiato l’ assorbimento dell’ aleool introdotto nello stomaco 0, mediante un tre quarti, nell’ intestino o nel retto; e ottennero effetti inebbrianti più rapidi nell’ assorbimento gastrico. Recentemente Nemser (3) mediante ricerche su cani provveduti di fistole gastriche e intestinali, e sopra gli uomini, trovò che dell'alcool introdotto sia solo che misto a cibi, traccie vengono assorbite nella bocca, il 20,8% nello stomaco, 1’ 8,7%, nel duodeno, il 52,7% nel digiuno, il 17,8%, nell’ ileo e traccie nel crasso. Bodlànder (4) non trovò alcool nelle feci nemmeno dopo ingestione di notevoli quantità. (1) J. Dogiel — Ueber einige einatomige gesittigte Alk. in pharmak. Bez. P/lgers Arch. Bd. VIII, S. 604 (1874). (2) P. Albertoni e Felice Lussana — Sull’alcool, suil’aldeide, e sugli eteri vinici. Lo Spe- rimentale. V. XXVI, (1874). (3) M. H. Nemser Ueber d. Verh. d. Alk. im Verdauungstraktus. Zeztsch. f. phys. Chemie, Bd. LIII, S. 356 (1907). Centralblatt. f. Phys. S. 674, (1907). (4) G. Bodlànder — D. Ausscheid. aufgen. Weingeistes aus d. Ké6rper. P/ligers Archiv. Bd. XXXII, S. 398 (1883). Dall’intestino l’ alcool, in gran parte per la via sanguigna, si porta ad imbeyere tutto il corpo suddividendosi secondo Scehulinus (1), Gréhant (2) e Nicloux (3) in maniera quasi uniforme negli organi, nella linfa e nel sangue, nel quale ultimo permane per molte ore in concentrazione costante, equilibrandosi |’ assorbimento e il consumo. Per 5 cem. per chilo di animale il contenuto di alcool nel sangue sali fino al 0,5%, con 4 cem. fino al 0,4°/, con 2-3 cem. fino al 0,20-0,28 %/,, con 1 cem. fino al 0,09 °/,. l’erdò dopo 20 ore Gréhant non lo trovò più nel sangue sebbene introdotto nella quantità di 5 cem. per chilo di animale e dopo 7 ore circa introdotto nella dose di 1 cem.: e così pure si è visto che negli organi va progressivamente scomparendo. Nè d’altra parte esso viene eliminato inalterato per gli organi escretori, per la pelle o per i polmoni, come fu creduto dai primi esperimentatori. Albertoni e Lussana (4) non ne trovarono che piccole traccie nell’ aria espirata e traccie ne trovarono nell’ orina. Atwater e Benedict (5) con metodi esattissimi calcolarono che per tali vie vada perduto solo 1,9 (1,0-3,7) per cento dell’ alcool ingerito in dose moderata (gr. 72.3) e diviso nella giornata. lutto il resto viene bruciato nell’ organismo. E l'energia che da tale combustione deriva è equivalente a quella degli altri ali- menti, poichè l’ alcool] può sostituire in maniera isodinamica gli Idrati di C., i grassi, e, entro certi limiti, le albumine pei bisogni dell’organismo. Esso brucia in sostituzione degli altri alimenti o dei tessuti del corpo. Se ciò non fosse, tutto il suo calore di combustione dovrebbe aggiungersi a quello che ordinariamente emette |’ organismo: il che non av- viene poichè ingerito non aumenta o solo aumenta lievemente il consumo di tutto 1° or- ganismo. Zuntz e Berdez (6) colla maschera respiratoria riscontrarono dopo l’ ingestione di 20-30 cme. di alcool convenientemente diluito un aumento del 3,5 °) nel consumo di ossigeno, aumento che si riscontra anche con l’ ingestione degli altri cibi, per questi prodotto forse dal lavoro digestivo, per l'alcool causato da aumentata vivacità dell’ or- ganismo, e aumentata dispersione per vasodilatazione, azione che crediamo passeggiera. (1) H. Schulinus -- Untersuchungen iber die Vertheilung des Weingeistes in tierischen Organismus. Archiv. d. Heilkunde. Bd. VII, S. 97, (1866). (2) N. Gréhant — Soc. Biol., LI, 808 (1899): Soc. Biol. LI, 946 (1299) 0. R. CXXIX, 746 (1899); Soc. Biol., LII, 894 (1900); Soc. Biol, LV, 225 (1903); Soc. Biol. LV 3802 (1903): Soc. Biol. LV, 1264 (1903). (3) M. Nicloux — Soc. Biol. LI, 980 (1899): C. R. CXXX, 855, (1900): Soc. Biol., LI, 982 (1899): Soc. Biol., LII, 295, (1200): Soc. Biol., LII, 620 (1900): Soc. B:02., LII, 622 (1900). (4) Lavoro citato, pag. 32. (5) W. O. Atwater — The nutritive value of alcohol; (Physiological aspects of the liquor problem, investigations made by and under the direction of W. O. Atwater, John S. Billings, H. P.. Bowditch, R. H. Chittenden, and W. H. Welch). Vol. II, p. 243 (1903). Houghton, Mifflin a. C. Boston a. New York. (6) N. Zuntz u. Berdez — Beitrag. zur Kenntnis der Einwirkung des Weingeistes auf den Respirationsprozess des Menschen, Mortschritte der Med., Bd. V. S. I, (1887). — 333 — Geppert (1) per dosi di 30-190 cme. non ebbe alcun effetto sul consumo di ossigeno, mentre l'emissione di CO, era costante o diminuita. Bjerre (2) in una esperienza che fece colla camera respiratoria nell’ Istituto Fisiolo- gico di Stoccolma, introdusse per due giorni di seguito gli stessi cibi, solamente nel secondo vi aggiunse 407 gr. di Cognac contenente 167,6 gr. di alcool. Nel primo giorno introdusse 3017 Cal., nel secondo 4190, di cui 1173 erano dovute all’ alcool. Ebbene egli emise nel primo giorno 749 er. di CO,, nel secondo 780. Se invece l'alcool bruciando non avesse risparmiato gli altri alimenti, l’ emissione di CO, avrebbe dovuto salire almeno a gr. 1038, ammettendo che il 90% dell’ alcool venga usufruito dall’ organismo, percentuale che Strassmann dà per le forti dosi. Clopatt (3) che esperimentò pure in Stoccolma non aggiunse ma sostituì invece nella dieta parte del grasso con alcool in quantità isodinamica, che egli bevette sotto forma di vino bianco del Reno. L’alcool ingerito fu di gr. 87,04. Nei due giorni senza alcool emise in media 728,60 gr. di CO,, coll’alcool 758,79. Il maggior consumo di 30 gr. si deve attri- buire alle cause suddette. Clo patt. calcola in questa maniera i singoli principii bruciati nel corpo con e senza alcool. Albumina (irasso Idrati di C. Alcool Calorio senza — 95,50 76,21 24,02 = 2100,8 alcool Su 80,31 10,59 214,95 78,34 22595 alcool Come si vede con | alcool bruciarono 0,93 er. di idrati di carbonio di più ma si ri- sparmiarono 35,62 er. di grasso e 15,9 gr. di albumina che rimasero nell’ organismo. Ma le esperienze più perfette sul valore termodinamogeno dell’ alcool sono dovute agli americani Atwater e Benedict (4), i quali misurarono non solo il ricambio materiale e respiratorio ma anche quello energetico determinando da una parte le calorie introdotte colla diretta combustione di campioni di cibi, d° altra parte le calorie consumate mediante un enorme calorimetro, nel quale gli individui potevano comodamente soggiornare per alcuni giorni. Misurata la dieta ed il consumo di un individuo, essi sostituirono ora parte del grasso, ora parte dell’ idrato di carbonio con quantità isodinamiche di alcool ingerito in piccole (1) J. Geppert — Die Einwirkung des Alkohols auf den Gaswechsel des Menschen. Arch. /. eaper. Path. und. Pharm., Bd. XXII, S. 367, (1887). (2) P. Bjerre — Ueber der Narhrwerth des Alkohols, Skand. Archiv. f. Phys. Bd. IX, S. 323, (1900). (citato da Rosemann, vedi innanzi). (3) A. Clopatt — Ueberdie Einwirkung des Alkohols auf den Stoffwechsel des Menschen. Skand. Archiv. f. Phys., Bd. XI, S. 354 (1901), (citato da Rosemann). (4) Citati sopra. Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 44 — 3394 — dosi durante la giornata; e ne studiarono gli effetti sugli individui sia in riposo, sia sot- toposti ad un lavoro esattamente misurato. Diamo i risultati di alcune loro esperienze (1). ae 5 Il Numero Durata|| Calorie Dieta ° | Calorie perdute | Calorie | È ORMEA \17S 1 Il colle colle || assimi-| della esperienza giorni || introdotte || Albumina | Grasso | 1A, di Carb | Alcool DIC | FO | ate | » eg eni ( i 24 (in riposo) 3 3061 123,6 68,8 408.6 | -— | 116 | 136 | 2809 | a) ; FRA SECA elia re FERMI | HSGEDA | RZ (1) 3 3029 123,2 | 688| 2761 | 720) 414| 438 | 2771 | il | | I Il (b | 29 (in lavoro) b) 3487 100 L05007 3 134 || 3260 a 5 ; Piz ; Pocg otel IRSS75 % 30 (id) 3 3453 SO RA 042 3409 MiZ0) A 140. || 3242 | | | 6) 32 (in lavoro) 3 3487 100,5 | 151,6) | —— | 142| 119] | “(e Z| Magna eee 1 TAI 33. (id) 3 3481 997 | 993] | 720] 125| 4129| 3227] Calorie consumate Calorie perdute o guadagnate calcolate dai |nisurate diret- Differen; dal corpo materiali ossi- | tamente col " RAI FISSORINRRI SIRENE a dati dal corpo | calorimetro /o GUIVO, EVI IDITE COME TSLAFEO ( NI L22411 QI + 2,0 | 4- 9 (er. 41,7) | + 573 (gr.60,1) (4) n ) 2168 2259 + 4,2 | 4 7 (> 1,2) + 602 ( « 631) Ù 3517 3589 + 21 | —28 (> 5) — 229 (» 23.9) i 3480 3470 — 0,3 — 74 (» 13) — 169 (» 17,2) \ 3500 3565 — 07 | — 28(» 5) | — 336(» 35,1) C)4 Rd REA # ! 3685 3632 — 14 | — 87 (» 15,4)| — 371 (> 38,9) Riunendo da una parte tutte le ricerche fatte senza alcool, dall’ altra tutte quelle fatte sostituendo parte degli altri alimenti con 72 gr. (500 Calorie) di alcool, mantenendo tutte le altre condizioni invariate, Atwater e Benedict ottennero senza alcool un consumo medio di 2946 Cal., coll’ alcool di 2949 Cal. (2). Non si potrebbe desiderare una ‘più grande corrispondenza di termini: essa dimostra la perfetta isodinamia dell’ alcool cogli altri alimenti a mantenere la temperatura del corpo e a produrre lavoro con egual rendimento meccanico. Possiamo quindi concludere che 1° aleoci contenuto nel vino, bevuto in modica quan- tità, frazionatamente e meglio durante i pasti, viene quasi tutto bruciato nell’ orga- nismo, e usufruito da esso a mantenere la temperatura del corpo e a produrre lavoro in maniera isodinamogena agli altri principi alimentari. Z. Il vino come stomachico. L'azione stomachica degli alimenti si può dedurre dalla loro influenza sulle secrezioni e sui processi digestivi, donde viene migliorata l’ assimilazione degli alimenti nel tuno (1) The liquor problem ete. Vol. II, p. 248. e R. T'igerstedt, Die Physiologie des Stoffwechsels nel Nagels Handbuch der Physiologie des Menschen. Bd. I, Half. II, . I, S. 366-367 (2) The liquor problem. etc. V. II, p. 245. — 830 — digerente. Esaminiamo quindi in primo luogo nella seguente tabella le perdite fatte colle feci nei periodi col vino rispetto ai periodo di confronto senza vino. FECI IN GRAMMI Fresco Secco | (Azoto) Albumina Grassi Ceneri Idrati C. Calorie 1° Bilancio 16-20 febbraio 1908 Giuseppe . . .... 200,0 49,846 (1,958) 12,240 5,256 8,169 24181 198,21 Pietro ssaa 418,6 73,728 (3,262) 20,387 6,854 11,139 35,948 292526 Giuseppuccio. ...| 298,2 56,909 (2,269) 14,181 | 4,484 8,565 29,679 22153 Gelo co eso 132,0 32,369 (1,245) 7,781 3,389 4,418 16,781 132322 Giovannella . . . . 372,2 62,261 (2,081) 13,006 3,951 8,093 ICI 242.63 Elisabetta... ... | 238,8 41,816 (1,715) 10,719 2,660 6,085 22,352 160,33 Media uomini ...| 305,60 60,161 (2,496) 15,600 5,531 9,291 29739 237,99 Media donne . . . . Q41.67 | 45,482 | (1,680) 10,500 3,333 6,199 25,450 | 478,39 Ì | Media generale. . . | 276,63 52,821 (2,088) | 13,050 | 4.432 7,745 27.594 207,86 2° Bilancio 13-17 marzo 1908 GIUSCp pere 148,2 34,005 | (1,376) | 8,600 | 3,362 5,645 16,398 | 133,76 Pico Oi 258,0 37,386 (1,583) 9,804 2,786 4,944 19,762 147,50 Giuseppuccio . ...| 259,0 47,902 (2,010) 12562 3,437 6,448 25,455 187,83 Centa so so 130,2 33:242 | (1,347) 8,419 | 3,349 b121 16,353 | 132,71 Giovannella .... 264,2 14,539 (1,819) | 11,369 2,954 5,044 24,666 175,22 Elisabetta... ... 173,0 31228 (1,405) SSL | 2,287 4,290 15,870 122,34 | | Media uomini . . . 221,73 | 39,764 (1,656) 10,350 | 3,195 5,679 20,540 156,36 Media donne . .. . 189,13 | 36,334 (1,524) RARd9) 2,863 4,985 18,961 143,41 | Media generale. . . | 205,43 | 38.049 | (1,590) | 9,937 3,029 5,332 19,751 149,89 Ì 39 Bilancio 2-6 aprile 1908 Ciusa o ec 75,6 17,620 | (0,707) 4,419 1,573 3,086 8,442 68,29 ERRO A DR 304,8 41,113 (1,396) 8,720 2,265 | 4,643 25,480 161,30 Giuseppuccio . . . . 21182 39,972 (1,743) 10,894 2,780 | 5,690 20,608 155,01 Gentile. ...... 157,0 24,799 (1,025) 6,406 2,492 4,108 11,793 97,7 Giovannella . . . . 270,4 16,859 (1,967) | 12,294 3,128 6,248 25.189 182,77 Elisabetta. .....| 476,40 | 30,357 | (1,427) 8,919 2326 | 4523 | 14589 | 118.01 PRE RE | È È Media uomini . .. | 199,53 32,902 | (1,282) Si0:020 02,239 4,473 | 18,178 128,20 | | | ; | Media donne... .| 201,27 | 34,005 | (1,473) 9,206 204945960) 17,190 132,86 I | | Media generale. . . | 200,40 33,453 (1,377) | 8,606 2,444 4,716 17,687 130,53 MEDIE DELLE PERDITE GIORNALIERE CON LE FECI IN GRAMMI e o ee ME Tuna at a | cul R [sarti] 8. | R. Prova | Fresco % Secco % Azoto | ‘mina o/, | Grassi %, | Ceneri % | Carb. | % \Calori: 0/, = = - | | | | | - i | | cd I 276,63] 100 |52,821| 100 | 2,058|13,050) {00| 4,432| 100 | 7,745| 100|27.594 100|207,86) 100 i Ò A Î | Î | II 205,43) 74 | 38,019) 72 | 1,590) 9,937 76 | 3,029 68 | 91937) ON OA 72 | 14989] 72 | | | TIT |200,40] 72 | 33,453] 63 | 1,377) 8,606 66 | 2.444 55 | smie| 61 |17.687| 64|4130,53] 63 La dieta di sapidità, cattiva questi contadini ha i difetti digeribilità. Poco sapida, stimola poco }’° appetito e la secrezione dei suc- della dieta vegetariana: grande volume, poca chi digestivi che dovrebbero digerirla: ricca di cellulosa irrita |’ intestino, ed impedisce la assimilazione degli altri principi alimentari: produce feci voluminose che sottraggono acqua e sali ad organismi di essi tanto bisognosi. Ora col vino noi abbiamo ottenuto un notevole miglioramento, quale appare dalla tabella precedente e da quella che segue. Già dall’ aspetto delle feci, dal loro diminuito volume, dalla loro aumentata pastosità si poteva arguire che le perdite dovessero essere diminuite. E tale diminuzione progressiva durante tutta |’ esperienza, si tutti i componenti delle feci, in maniera pressochè eguale. Alla diminuita quantità delle feci corrisponde una diminuita perdita percentuale nelle entrate. PERDITA (°/n) PERCENTUALE CON LE FECI IN GRAMMI e riscontrata per Secco G O | Grassi | Ceneri | Idrati C. Calorie 1° Bilancio 16-20 febbraio 1908 Giuseppe . . .... 7,41 18,23 12,12 28,40 4,53 6.92 IRIEIRO 0 nad 9,70 26,87 13,96 35,19 5,85 9,01 Giuseppuccio. . . . 7,84 20,29 9,38 29,65 DAR 7,13 Gentile 6,14 14,60 9,22 20,25 4,02 5,81 Giovannella . . .. 12,20 25,98 14,14 37,76 9,23 11,09 Elisabetta... .. 8,96 24,21 8,80 33,04 9,98 8,03 Woman va vv 8,36 21,98 11,83 SUSA 3,20 7.73 ON CIRSIPSE ESTR 9,05 1033, 9.76 30,15 6,39 8,29 Media ........ 8,65 21,72 10,96 30,78 5,69 7,96 2° Bilancio 13-17 marzo 1908 Giuseppe . ..... 4,96 119525 7,96 19,62 2,98 3,89 INTERO 0.0 0.0 dt0 00 4,76 12,88 5,64 15,05 3,15 3,77 Giuseppuccio . 6,76 19,07 7,90 2245 4,48 DI2d GGatille 00096 6,66 17,30 10,54 23,911 4,11 4,94 Giovannella . 8,29 22.04 8,66 25.311 d,74 6,43 Elisabetta... ... 12 21,74 8,23 23,80 451 5,39 Monni 5 svn oso 547 14,96 6,97 18,86 3,53 4,29 DIMM ii 7,99 20,32 9,17 24,38 4,82 3,99 Media. ....... 6,25 17,12 7,86 21,09 405 - | 4,82 | Secco | 6 I, Grassi Ceneri Idrati C. Calorie 3° Bilancio 2-6 aprile 1908 (GIUSEPPE 271 724 4,28 10,27 1,62 1,94 BIO AL 11,95 4,61 13,14 4,24 4,04 Giuseppuccio . 6,21 18,67 6,94 19,94 3,99 4,38 Centile ooo 5,31 14,25 8,12 18,20 3,20 3,57 Giovannella .... 9,62 26,64 9,69 27,417 6,53 6,60 Elisabetta. . . ... 7,60 24.85 9,12 24,50 4,57 1,95 Mv c'e edo 4,81 12,49 DIR4 14,29 Ao | 3,48 DONARE 7,94 21,74 | 8,98 23:33, SUN ),05 | I Mediaset | 5,89 | 16,17 Eroi 17,94 3,91 4,13 | | MEDIE DELLE PERCENTUALI (°/) DELLE PERDITE GIORNALIERE COLLE FECI IN GRAMMI A R. Azoto R. 4 3 R. DI E RS PRI R. L | R. Prova Secco %/, |e Albumina| 0/ Grassi 0), Ceneri 0/, Idrati C. 0/, Calorie | DA I 8,65% | 100| 21,72 | 100 |10,96%;| 100 | 30,78% | 100 | 5,69% | 100 | 7,96% | 100 II 625% | 72|1712%| 780) 786%| 7220090 %| 69 | 4065%| z| 482%) 61 I | 589% | 68| 16,17%) 74 | 676%] 62, [794 %| 58 | 391% | 69 | 413%, 52 Se noi analizziamo i risultati ottenuti nei singoli individui, vediamo che il migliora- mento fu notevole per gli uomini, e specialmente per Giuseppe e Pietro; molto lieve invece per le donne. Tuttavia se confrontiamo nel quadro a pagina 335 e 336 le quantità dei singoli compo- nenti delle feci perdute nella I e III prova vediamo che le cifre nella III sono tutte inferiori alle corrispondenti della I. Il che dimostra che per tutti eli individui le perdite in via assoluta sono diminuite. Solo le perdite percentuali dell’ azoto per Giovannella ed Elisa- betta sono aumentate, ed è aumentata quella del grasso per Elisabetta: e ciò perchè di- minuirono le quantità introdotte più di quello che non diminuissero le perdite. Non si dimen- tichi che a formare l’azoto e ilgrasso delle feci intervengono, oltre che il residuo indigerito, anche altri fattori indipendenti più o meno dall’assimilazione, cioè i residui dei succhi dige- renti e di altri materiali provenienti dallo stesso tubo gastroenterico. Così pure le quantità di cibo introdoite dagli uomini erano maggiori di quelle introdotte dalle donne e su di esse si potè esercitare con più evidente risultato l’ aumentata potenzialità del tubo gastroenterico. Si noti poi che col vino essi poterono aumentare notevolmente 1’ energia introdotta e sop- portare senza danno il periodo dei lavori: che se avessero aumentato le calorie intro- dotte mediante |’ aggiunta dei loro soliti cibi, le perdite sarebbero cresciute in maniera notevolissima. Riuscendo minori le perdite migliorò corrispondentemente |’ assimilazione. — 338 — MEDIE DELLE SOSTANZE ASSIMILATE GIORNALIERE IN GRAMMI Cibo R , R Secco 9/0 Azoto-Albumina DA Grassi %/, Ceneri 0% Idrati C. 53) Su, |CER5 | Albumina Alcool %n Prova 9/g | per Kg. | per Kg. | Alcool | Calorie I 558,078 | 100 | 7,526 - 47,038 | 100 | 36,020 | 100 | 17,417 | 100 | 457,603 | 100 —— | 2404,04 | 100 0,95 == II 571,035 | 102 | 7,695 - 48,094 | 102 | 35,498 | 99 | 19,947 | II4 | 467,496 | 102 | 73,749 | 2960,29 | 123 0,95 1,45 INI | 534,361 | 96 | 7,140 - 44,625 | 95 | 33,685 | 94 | 21,566 | 124 | 434,485 | 95 | 107,261 | 3028,45 | 126 0,88 ZA: La migliorata assimilazione è dovuta ad una complessa azione esercitata dal vino e dall’ alcool in esso contenuto su tutto il tubo gastroenterico, sia direttamente che in via riflessa, per cui viene stimolato e rafforzato vieppiù nei suoi poteri digerenti. Claude Bernard (1) trovò che sul cane dosi di 5-6 cme. diluite in eguale quantità di acqua eccitano le secrezioni di tutto il tubo digestivo: come egli si esprime : « L’ alcool aura donc produit une excitation suivie des mémes résultats qui eussent suivie l’ ingestion des matierès alimentaires ». Però tale effetto stimolante cesserebbe aumentando la dose, per dar luogo ad un rallentamento e, per dosi fortissime tali da dare 1 anestesia alcoo- lica, anche all’ arresto della digestione e delle secrezioni. E questa azione stimolante dell’ alcool sulle secrezioni digestive entro limitate dosi è stata confermata da tutti quei ricercatori che dopo Claude Bernard si sono ocenpati del- l’argomento. Un esteso lavoro in proposito lo dobbiamo a Chittenden (2) e ai suoi collabo- ratori. Essi trovarono che l’alcool (Brandy con il 47 %, di alcool, Gin (51 %) Sherry (21 %)) introdotto nella cavità orale aumenta nell’ uomo il flusso salivare che si può raccogliere dall’ angolo della bocca piegata di lato, e tale aumento è indipendente dai movimenti ma- sticatori o da influenze psichiche, ottenendosi anche nel cane cloroformizzato. All’ aumento della quantità di saliva corrisponde anche un aumento dei suoi componenti organici e anorganici, e nei suoi caratteri la saliva somiglia a quella ottenuta per stimolazione dei nervi. Per studiare l’azione stimolante dell’ alcool sulla secrezione gastrica introducevano 200 cem. di liquido nello stomaco di un cane a cui avevano legato il piloro, e dopo due ore toglievano lo stomaco all’animale e ne misuravano e analizzavano il contenuto. Trovarono m primo luogo che l’ alcool aumenta notevolmente la quantità secreta di succo gastrico : ad es. con una soluzione alcoolica del 37,5 % il contenuto saliva a cem. 460. All’aumento di quantità corrisponde un miglioramento del succo. Ecco infatti i valori della acidità totale corrispondente all’ acqua distillata, alla soluzione diluita (5%) e con- (1) Claude Bernard — Influence de l’alcohol et de l’ éther sur les sécrétions du tube digestif, du pancreas et du foie. Gas. Medie. de Paris, XI, p. 295 (1856); Lecons sur les effets des substances toxiques et medicamenteuses p. 430. Paris (1857): ©. R. Soc. de biol. V. IIL (2° S.), p. 30 (1856), (2) R. H. Chittenden, L. B. Mendel and H. C. Jackson — A further study of the influence of alcohol and alcoholie drinks upon digestion. Amerie. Journal. of Phis. I, p. 164 (1898). R. H. Chittenden — The influence of alcohol and alcoholic. beverages on digestion and secretion. "'l'he liquor problem ecc. V. I, p. 137-305. — 399 — centrata (37,5 %) di alcool: 0,147 %, 0,160 %, 0,192 %. e quelli di acido cloridrico libero : URRA ORO 3. L’ attività proteolitica del succo fu trovata sempre attivissima. Gli A. trovarono inoltre che le bevande alcooliche introdotte nello stomaco producono un aumento di secrezione e di acidità superiore a quello di corrispondenti soluzioni di eguale grado alcoolico. Intro- dussero vini bianchi e neri e varie bevande contenenti dal 4 al 16 °%, di alcool (Hochheimer 13,%, ©Claret 10%, Porter 5,3%, birra 4-5%, Sherry, Whiskey) ottenendo fino una acidità totale del 0,382 % con acido cloridrico libero del 0,346 %. E ! aumento di secre- zione non è dovuto alla diretta azione dell’ alcool sulla mucosa gastrica; infatti 1 alcool viene rapidamente assorbito così che dopo poco tempo il contenuto gastrico ne è privo. D’ altra parte se noi introduciamo nello stomaco l’ acqua pura, e l'alcool direttamente in un’ ansa intestinale, nella quale viene rapidamente assorbito, otteniamo egualmente | au- mento nella secrezione. (Quantità aumentaia del 158,5 ‘ con acidità totale 0,287 % e acido cloridrico libero 0,259 %). L’alcool quindi agisce pervenuto nel sangue, probabilmente stimolando i nervi secre- tori, o aumentandone l’ eccitabilità agli stimoli fisiologici. Eguale azione stimolante esercita 1’ alcool sulla ghiandola pancreatica. Gizelt (1) trovò nei cani con fistola cronica del pancreas aumentata per 3-5 ore la secrezione del succo pancreatico. Questo aumento si ha solo a vaghi intatti, e anche per inie- zione sottocutanea, e quindi per probabile azione sui centri nervosi. ‘ale secreto diluito possiede un’ azione digestiva minore del normale per diluizione del fermento. Gizelt trovò inoltre che in vitro l’aggiunta di alcool, mentre diminuisce il potere digestivo del fermento per l’ albumina e l’ amido, aumenta notevolmente l’ azione digerente del fermento lipolitico. Frouin trovò che l’ alcool aumenta la secrezione della secretina e trovò inoltre con Molinier (2) che introdotto nel retto (200 cm. al 20 %) nei cani causa una iperse- crezione con aumentata acidità del succo gastrico nello stomaco isolato alla Paulow, che dura parecchi giorni. Molto più complesso appare il fenomeno quando 1° aleool o le bevande alcooliche ven- gono ingerite cogli altri cibi. In questo caso alle modificazioni che esso può causare sulla secrezione, si unisce |’ azione che l’ alcool può esercitare colla sua presenza sopra l’ atti- tività digestiva dei secreti, e la sua azione sull’ attività motoria e sul vuotamento dello stomaco. Chittenden (8), nelle sue numerose esperienze ha osservato che mescolando il succo gastrico in vitro con 1-2 Vol. ‘% d alcool puro, il potere digestivo stesso ne riesce aumentato, mentre si affievolisce per soluzioni maggiori, e in maniera apprezzabile quando superano il 10%. Ed eguale azione hanno il ruhm, il gin, il whiskey, il brandy in rapporto all’ alcool che contengono. Ed egualmente i vini stimolano l’attività dei iL) fermenti solo se mescolati nella proporzione di 1-2 Vol. %, diminuendola per con- (1) A. Gizelt — Ueber den Einfluss des Alkohols auf die Verdauungsfermente des Pankreas- saftes. Zentralblatt f. Phys. Bd. XIX, S. 769 (1905). — Ueber den Einfluss des Alkohols auf die sekretorishe Titigkeit der Pancreasdrise. Zertralbl. f. Phys. Bd. XIX, S. 851, (1905). (2) A. Frouin et M. Molinier — Action dell’alcool sur la sécrétion gastrique. C. R. CXXXII, p. 1001, (1901). 3) Luogo citato pag. 146, 167. ie centrazioni maggiori. E tale azione deprimente è maggiore pei vini neri che pei bianchi. Ora, nei DE momenti dopo |’ ingestione essì deprimono la digestione colla loro presenza ma venendo l’ alcool rapidamente assorbito compare tosto la sua azione stimolante le secrezioni digestive. Gluzinski (1) nelle sue numerose esperienze diede ad individui sani ed ammalati l'albumina di un uovo, SCSI IDEONIO A ora 100 cem. di acqua, ora cento cem. di una solu- zione contenente 25, 0 50, o 75 parti di alcool. A brevi successivi intervalli estraeva il contenuto gastrico IM così l’ andamento della digestione per tutta la sua durata. Egli vide che dopo circa un quarto d'ora i 25 gr. di alcool della prima soluzione erano SDAI dallo stomaco, dopo circa mezz’ ora i 50 della seconda, e dopo tre quarti d’ ora i 75 della terza. Ora durante il periodo in cui l'alcool si trovava ancora nello stomaco, la dige- stione degli albuminoidi era ostacolata e in maniera tanto più rilevante quanto più alcool era presente nel succo gastrico : l’ acidità del secreto era pressochè eguale a quella dei con- trolli a pura acqua. Assorbito l alcool ed entrato nel sangue, l’ acidità del secreto aumen- tava rapidamente raggiungendo valori due a tre volte più elevati del controllo: contempo- raneamente il potere proteolitico del succo si mostrava attivissimo. E tale aumentata acidità permaneva per tutto il periodo digestivo della durata di parecchie ore. Egli trovò pure aumento del flusso gastrico e di poco prolungata la digestione. Da queste esperienze si può dedurre che modiche dosi d’ alcool favoriscono il processo digestivo mentre dosì elevate lo ostacolano. E ciò fu trovato dal maggior numero di au- tori. Probabilmente a leggiere concentrazioni accelera la produzione dei fermenti digestivi, come fa per il fermento del lievito (Kochmann). Wolff (2), sotto la guida di Ewald, aggiunse al pasto di codesto autore (un semmel di 35 gr. e un terzo di litro d’ acqua) della birra e del cognac, e vide che piccole dosi aumentavano la produzione dell’ acido cloridrico, grosse dosì invece la diminuivano e im- pedivano la peptonizzazione. Così pure Wolffhardt (3) trovò che 30-40 gr. di cognac contenenti 50 %, di alcool affrettano la digestione, ovverosia il vuotamento dello stomaco di 30-35 minuti; 60 gr. presi durante il pasto affrettano la digestione, mentre presi dopo il pasto la prolungano di 30-40 minuti: 90 er. ingeriti in tre volte dopo il pasto l’ aumentano di 40-50 minuti. Al contrario i vini poco alcoolici presi sia durante che dopo il pasto favoriscono sempre la digestione. Ogata (4) trovò che la birra, il vino e l’acquavite ritardano in maniera evidente la digestione. Schellhaas (5) osservò che nello stomaco vivente il vino non ritarda la dige- stione finchè vi è presente acido cloridrico libero: patologiche condizioni (carcinoma ven- triculi) formano le sole eccezioni. Come si vede, la durata della digestione dipende molto dalla dose di alcool ingerita, e, noi crediamo, dalla natura e dalla quantità degli alimenti a cui l'alcool fu ag- giunto. Tuttavia appare dall’ esperienze di Klemperer che la motilità dello stomaco sia favorevolmente influenzata dall'alcool. Di tale opinione è pure Lauder-Brunton il quale ritiene che l’alcool aumenti la motilità dello stomaco e con ciò la mescolanza e quindi la digestione. Klemperer (6) ricercò quanti dei cento cm? di olio introdotti nello stomaco (1) C. A. Gluzinski —- Ueber den Einfluss des Alkohol auf die Function des menschlichen Magens ete. Deutsch. Arch. f. klun. Medicin. Bd. XXXIX, S. 405 (1886). (2) L. Wolff — Beitràge zur Kenntniss der Einwirkung verschiedener Genuss- und Arzneimittel auf den menschlichen Magensaft. Zeitschr. f. klin. Med. Bd. XVI, S. 222 (1889). (3) R. Wolffhardt — Ueber den Einfluss des Alkohols auf die Magenverdauung, Mwnehen med. Wochenschr. Bd. XXXVII, S. 608-611 (1890). (4) M. Ogata — Ueber den Einfluss der Genussmittel auf die Magenverdauung. Arch. f. Hyg. Bd. III, S. 204 (1885). Jalresber. f. Tierch. Bd. XV, S. 274 (1885). (5) Schellhaas — Ueber die Einwirkung des Alkohols auf die a in ispecie bei pathologischen Zustinden des Magens. Deutsch. Arch. f. klin. Med., Bd. XXXVI, S. 427 (1885). (6) G. Klemperer — Alkohol und Kreosot als Stomachica. Zeitschr. f. i Med., Bd. XVII Suppl.) S. 324 (1890). — 341 — rimangono dopo due ore. E trovò che mentre in due ore lo stomaco normale versa nell’ inte- stino 45 gr. di olio, aggiungendo di tanto in tanto del cognac a cucchiai i grammi di olio salirono nella media di sei esperienze a 83 gr.. Haan (1) ha confermato i risultati cli cl'emperer. La maggior parte degli autori concorda nel ritenere forti dosi di alcool come uno ostacolo alla digestione. Bisogna aggiungere che le condizioni individuali possono avere importanza non piccola: infatti in individui con fistola gastrica, Richet (2) trovò coll’al- cool un miglioramento della digestione, mentre Kretschy (3) anche per piccole dosi trovò un peggioramento, specialmente un notevole ritardo nel vuotamento dello stomaco. Da quanto abbiamo raccolto risulta che l'alcool, sia solo, sia unito ai cibi, provoca un aumento della secrezione dei succhi digestivi, stimola la produzione dell’ acido clori- drico, e questa azione favorevole si ottiene quando la quantità dell’ alcool non superi i 30-40 gr., dose contenuta in circa mezzo litro di vino da pasto; e si ottiene più facilmente quando venga frazionatamente bevuto durante il pasto. Dosi elevate di alcool ostacolano l’azione dei fermenti digestivi e a quanto pare ritardano lo svuotamento dello stomaco. L'azione dell’ alcool sarà in modo speciale favorevole quando venga preso insieme a cibi che per la loro natura eccitano poco le secrezioni digestive e specialmente quella dell’acido cloridrico. Perciò notevole fu l’azione esercitata da esso sull'apparato gastro enterico dei nostri contadini, quale appare dal migliorato assorbimento, in quanto il vino fu unito al pane di mais e alla verdura, cibi insipidi e di difficile digestione. A rendere i risultati evidenti contribuirono la lunga durata dell’ esperimento e il pro- gressivo miglioramento dell’ apparato digestivo, alla mancanza dei quali fattori sono dovuti i risultati negativi ottenuti dagli altri autori e riassunti da Leubuscher (4) Possiamo quindi conchiudere che dosi moderate di vino continuate a lungo producono un bene- fico effetto sul processo digestivo favorendo 1’ assimilazione. IÙ 8 5. Il vino come alimento di risparmio. Schultz e Boòcker (5) sono stati i primi a riconoscere che vi sono delle sostanze capaci di rallentare ed arrestare anche i processi di disassimilazione, donde la denomina- zione di alimenti di risparmio o antidisperditori. Marvaud (6) trattando in un’opera particolarmente di queste sostanze, annovera fra esse l'alcool e le bevande alcooliche. x Nelle nostre popolazioni è diffusa e popolare la credenza che il vino faccia risparmiare del cibo, e propriamente perchè lo sostituisce, non perchè attutisca il senso della fame. Una (1) P. Haan — Variations du chimisme stomacal et de la motilité gastrique sous l’ action de doses élevées et. prolongées d’ alcool. C. R. de Soc. d. biol. II, p. 815 (1895). (2) C. Richet — Recherches sur l’ aciditè du sue gastrique de l’ homme et observations sur la digestion stomacale faites sur une fistule gastrique. C. R. (1884). (3) F. Kretschy — Beobachtungen und Versuche an einer Magenfistelkranken. Arch. f. Klin. Med. Bd. XVIII, S. 527 (1876): trovarono pure aumento della secrezione gastrica coll’alcool Kuhne, Blumeneau, Brandl, Radzikowski, Pekelharing, Zitowitch, Jackson, Metzger, Spiro, Meyer, Kaste, Carnot (Amer. J. Phys., XVII, 422 (1906). (4) P. Leubuscher Der Einfluss des Alkohols auf die Resorption der Nahrung. Jnaug. Dis- sertation, Greiswald. I. Abel, (1903). (5) F. W. Bòocker — Genussmittel. Crefeld (1849). (6) A. Marvaud — Les aliments d’ espargne. Paris, Bailliere (1874). Serie VI. Tomo VI. 1908-09. (SI (Sal — 342 — famiglia di contadini del bolognese ci diceva che aveva bevuto in quest’ anno per 90 lire in più di vino risparmiandone 120 di grano. L'azione di risparmio dell’alcool si esercita sia sui erassi che sulle albumine : perciò in questo capitolo tratteremo del bilancio dell'azoto e del fosforo. Riuniamo in una tabella il bilancio azotato delle tre prove : BILANCIO GIORNALIERO DELL'AZOTO Nome Azoto introdotto | Azoto nelle feci | Azoto assimilato | Azoto delle urine Differenza in gr. in gr. in gr. in gr. in gr. 1° Bilancio 16-20 febbraio 1908 Giuseppe . ..... 10,739 > 2958 8,781 8,084 + 0,697 BI ChO RIE AR e0E 12,140 31262 8,878 8,138 + 0,740 Giuseppuccio . . . . 11,182 2,269 8,913 8,134 + 0,779 Gentle 8,529 1,245 7,283 8,024 — 0,741 Giovannella. . . .. 8011 2,081 5,930 6,297 — 0,367 Elisabetta. ..... 7,085 1,715 5,370 6,613 — 1,243 MORINI: 3 9a 96 | 11,554 2496 8,858 8,119 + 0,739 DIRO Ls o | 7a 1,680 6,195 6,978 — 0,783 Media Le 9,614 2,088 7,526 7,548 — 0,022 2° Bilancio 13:17 marzo 1908 Giuseppe . .. ... 10,383 1,376 9,007 7,467 + 1,540 Pietro n rie 12,287 1,583 10,704 7,460 + 3,244 Giuseppuccio. . . . 10,541 2,010 8,531 7,850 + 0,681 Genie se 7,784 1°347 6,437 8,168 = 700 Giovannella . . .. 8,252 1,819 6,433 6,683 — 0,250 Elisabetta. ... . .. 6,464 1,405 5,059 4,729 + 0,330 Uomini ....... 11,070 1,656 QUI4 | | 7592 + 1,822 Dinners eta 7,500 1,524 5,976 6,527 — 0551 Media teo 9,285 1,590 7,695 7,082 + 0,613 3° Bilancio 2-6 aprile 1908 Giuseppe . ..... OO 0,707 9,055 6,865 + 2,190 Pietro. oo 11,684 1,396 10,288 5,767 4 4,921 Giuseppuccio. . . . 9,336 1,743 7,593 6,793 + 0,800 Gentile Log | TAM 1,025 6,169 7,955 — 1,086 Giovannella . ... | 7,385 1,967 5,418 0,600 — 0,237 Elisabetta... ... | 5,748 1,427 4,316 4,994 — 0,678 Uomini ...0.. {10261 | 1,282 8,979 6,475 + 2,504 Dries MRI 57770000 1,473 5,301 5,968 — (0667 Media... | 8,517 | 1,377 | 7,140 | 6,221 |__-+ 0,919 — 343 — Ecco le medie generali, coi rispettivi rapporti percentuali ; MEDIE DEL BILANCIO GIORNALIERO DELL'AZOTO IN GRAMMI Azoto introdotto |Az.perduto colle fecil Azoto assimilato Azoto urinario P Prova Differenze Totale |R.%,| Totale |R.%,| Totale |R.9%| Totale |R.% I 9,614 100 2,088 100 7,926 100 7,948 100 — 0,022 II 9,285 97 1,590 76 7,695 102 7,08% 94 + 0,613 III 8,517 89 1,377 66 7,140 95 6,221 82 + 0,919 La quantità di azoto introdotta diminuisce progressivamente nelle tre prove: tuttavia diminuendo le perdite, ne risulta che solo al terzo bilancio la quantità di albumina assi- milata sia minore del primo. La quantità di azoto risparmiata nell’ organismo va cre- scendo dalla seconda alla terza prova. Se analizziamo i risultati per i singoli individui, vediamo che gli uomini che guada- gnavano in azoto nel primo bilancio, sono andati guadagnando sempre più nei successivi, le donne che perdevano nel primo, hanno diminuito queste perdite negli altri. Ovverosia l’azione di risparmio del vino si è fatta sentire tanto negli individui che si trovavano in guadagno di azoto come in quelli che si trovavano in perdita. Come abbiamo accennato in un precedente lavoro, il ricambio dell’ azoto è sottoposto a fattori così molteplici e in parte sconosciuti, che i risultati ottenuti non devono essere accolti senza severa critica. A favorire sia la perdita, sia il guadagno, valgono: la quan- tità di azoto introdotta nei giorni antecedenti alla prova, sufficiente o no a mantenere gli organismi in equilibrio azotato; la presenza nella dieta di un numero di calorie inferiore o superiore al bisogno; il lavoro manuale che tende a ipertrofizzare i muscoli, e così via molte altre cause, a cui accenneremo più innanzi parlando del comportamento individuale durante tutta l’esperienza. Perciò anche i dispositivi più ingegnosi per sfuggire a tante cause di errore si sono dimostrati spesso insufficienti nella pratica. Quindi noi abbiamo preferito nelle nostre esperienze di lasciare agli individui la cura di regolare da sè sia la qualità dei cibi, sia il loro lavoro, in rapporto al nuovo ed unico fattore introdotto nelle loro abitudini di vita. E abbiamo trovato per tutti gli individui, eccettuato uno, un gua- dagno di albumina da parte dell'organismo assoluto, o relativo alle condizioni precedenti. l'ale azione di risparmio crediamo dovuta più che all’aumentato numero di ca- lorie introdotte col vino, ad una propria e specifica azione di risparmio dell’ alcool sul- l’albumina E tale azione di risparmio si può oggi spiegare ed intendere sotto un nuovo punto di vista. Noi sappiamo che la molecola proteica dei vari cibi subisce una scissione più o meno profonda e che gli elementi anatomici usufruiscono i prodotti di scissione per la ricostruzione dell’ albumina vivente. Probabilmente l’ alcool interviene favorendo questo pro- cesso di ricostruzione, sia entrando esso stesso come materiale costruttivo sia eccitando i] gruppo albuminoide alla sintesi per via molecolare o nervosa. Ne risulta un più perfetto usufruire delle albumine introdotte, i cui prodotti di scissione vengono più completamente — 344 — integrati nella albumina vivente, e con ciò vengono a diminuire i prodotti di rifiuto e l’ azoto urinario : oltre di ciò tutto il ricambio della albumina vivente ne riesce aumentato, per cui sì spiegano le proprietà nervine dell’ alcool. Diamo i pesi degli individui nelle tre prove. PESO CORPOREO IN KG. Nome Prova Giorni Media I II III IV V VI Giuseppe . ...| I 55,07 55,27 55,07 55,07 55,87 55,67 554 II 57,17 56,77 57,07 56,97 56,77 58,47 57,2 III 57,33 56,63 57,63 56,33 56,63 57,13 56,9 DAmO: o 4650 I 43,55 43,45 43,25 43,25 43,05 43,55 13,3 II 14,35 44,10 44,10 13,85 44,75 14,35 443 IN 44,40 44,60 14,90 14,60 45,70 14,6 44,8 Giuseppuccio. . | I 51,5 51,7 52,4 521 52,4 52,5 52,1 II 53,1 52,8 53,49 SL 59,3 53,5 53,0 III 53,311 52,71 53,11 52,81 52,71 592,71 52,9 GentilcIRaeen I 49,48 —_- 49,03 49,08 49,48 19,43 49,3 II 50,78 51,63 50,78 50,73 52,18 51,78 51,3 II 52,15 52,60 51,90 51,70 52,80 52,90 52,3 Giovannella ..| I 51,87 51,97 52,07 52,17 52,67 52,67 592,2 II 53,67 54,07 53,97 53,42 53,97 54,47 53,9 III 51,92 52,52 51,92 51,32 52,22 52,32 52,0 Elisabetta... .| I 44,63 44,15 44,35 44,35 44,3 44,25 44,3 Il 44,45 44,35 44,55 44,35 44,25 41,35 44,4 TIT 44,62 4422 44 A2 44,32 43,92 41,22 44,2 Prova | Media Uomini | Media Donne | Media totale R. 0 Kg. Kg. Kg. c I 50,300 48,600 19,450 100,— II 51,500 19,900 50,700 102,53 III 51,500 19,500 50,500 102,12 La perdita di peso della seconda alla terza prova è ben piccola se si considera che i contadini nel riprendere i lavori in primavera sogliono dimagrare notevolmente. Al bilancio azotato uniamo il bilancio del fosforo, costituente importante dei tessuti nervosi e muscolari. 0,625 1,055 — 0,430 Elisabetta... .. . 2,356 1,601 67,95 » 0,755 0,650 + 0,105 UOmRIRI do 00 3,880 1,515 39,05 % 2,365 0,762 + 1,603 DINO > vo ves 200 1,716 68,12 » 0,803 1,175 — 0,372 Media generale . . | 3,199 1,615 50,48 %, 1,584 0,968 + 0,616 —. 346 — MEDIE DEL BILANCIO GIORNALIERO DEL Ps0; Introdotto Foci Perdita 9/0 Assimilato Urine Prova 3 Differenze Totale R. 9% Toiale R. %,| colle feci | R. 9/| Totale R. 9%,| Totale R. 9% I 3,415 100 2,987 100 | 69,90 %| 100 1,028 100 0,866 100 + 0,162 Il 3422 100 1,899 80 | 55,49 » 79 1,923 148 0,935 108 + 0,588 III 3,199 94 1,615 68 | 50,48 » 12 1,584 154 0,968 112 + 0,616 Questi risultati confermano quelli del bilancio azotato. Le perdite di fosforo con le fecì vanno progressivamente diminuendo, e quasi nello stesso rapporto percentuale con cui diminuiscono le perdite dell’azoto. Il fosforo assimilato progressivamente cresce, e perma- nendo pressocchè invariate le perdite coll’ orina, ne risulta un progressivo guadagno di fosforo per l'organismo. Notevole è la concordanza fra il bilancio fosforato e azotato spe- cialmente negli uomini. Infatti il guadagno è pressochè uguale peri due elementi nelle tre prove per Giuseppuccio, progressivameute crescente per gli altri due individui, e maggiore per Pietro che non per Giuseppe. Questa concordanza di risultati è garanzia di esattezza per ambedue le ricerche. Il basso contenuto di acido fosforico nelle orine è in rapporto al ben noto comporta- mento del fosforo nei carnivori e negli erbivori, ai quali si avvicinano nel regime dietetico i nostri contadini. Il fosforo già scarso nella dieta vegetale si combina colla calce e colla magnesia di cui è ricca la dieta e così unito viene espulso colle feci. Se guardiamo nella letteratura troviamo che Striibing trovò nei cani aumentata coll’ alcool |° eliminazione di fosforo, mentre Chittenden (1) la trovò diminuita. Kel- ler, Bjerre, Leber e Striibing nell’uomo trovarono aumentata 1’ eliminazione del fosforo, ma le loro ricerche non si sottraggono alla critica che ne fa il Rosemann. Questi nostri risultati, che confermano )’ azione di risparmio dell’ alcool sull’ albumina, armonizzano con quelli degli altri sperimentatori che ora ricorderemo. Fra i più antichi stanno i risultati ottenuti da Albertoni e Felice Lussana (2). L’esperimento fu fatto sopra uno degli autori; durò sette giorni successivi, durante i quali fu introdotta la stessa quantità di cibo; negli ultimi quattro furono aggiunti alla dieta 75 gr. di alcool diluito in acqua zuccherata che fu bevuto in tre volte. Quantità dell’ Azoto 3 urina orinario Media Giorni I 13 Maggio 1874 1510 14,375 di IL MS » 1125 17,325 >. 16626 DIM I. » DR) >». JIN JO » » 1310 13,205 con \. wWé Mg » » 1710. 16,279 5 E )» VI 180» » 1235, 15,245 ) E, > ALDO) » » 1280 15,906 (1) R. H _Chittenden — The influence of alcohol on proteid metabolism. Zhe Journ. of. Phys. Vi XII, pi 220) (11891). (2) P. Albertoni e F. Lussana — L’alcool ece., p. 92. -— 347 — Numerose esperienze hanno seguito queste nostre confermandone i risultati. Infatti Rosemann che eseguì personali esperienze e che sottopose a minuta critica le precedenti, conchiude nel suo recente articolo nell’ « Handbuch der Biochemie » (1) che l'accordo è raggiunto nel ritenere che l'alcool può risparmiare lalbumina nella bi stessa guisa del grasso e degli idrati di carbonio. I risultati contradditori ottenuti da alcuni autori dipendono dal fatto, per primo no- tato da Neumann, che nei primi giorni (4-6) in molti individui, specie / astemi, manca tale azione di risparmio e si ha invece una aumentata eliminazione di azoto, non molto notevole, se si eccettua il caso di Clopatt, che citeremo più innanzi. Tale aumento non deve attribuirsi, almeno secondo il parere di At water, ad una azione disintegrativa esercitata dall’ alcool direttamente sui protoplasmi, ma piuttosto ad una indiretta azione dell’alcool sul sistema nervoso il quale accelererebbe il ricambio azotato. Munk (2) nei cani trovò con piccole dosi (1,25 cem. pro Kg.) una diminuzione (del 6-7 °%), con grosse dosi (2-2,5 cem. pro Kg.) un aumento (del 4-10 %) dell’ azoto eliminato. E risultati eguali ebbero Ziilzer (3), Stritbing (4) per il fosforo e l’ azoto. Noi crediamo pure che a favorire l’ eliminazione dell’ azoto nei primi giorni concorra anche l’aumentata diuresi e l’azione linfagoga dell’ alcool, per cul avviene un maggior lavaggio dell’ organismo. l'rovarono aumentata eliminazione di azoto Weiske e Flech- sing, Perrin, Romeyn, Keller, e con migliori metodi Fortmiiller, Stròm, Pe- schel, Stammreich, Miura, Schmidt, Schòneseiffen, le cui esperienze non si estesero oltre i quattro giorni. Tuttavia il fenomeno è soggetto a differenze individuali : Chotzen, Walter, Pringsheim e Ott nei febbricitanti (5), come noi nelle nostre antiche esperienze, trovarono un guadagno d’ azoto fin dal principio dell’ esperimento: e così pure diminuzione di azoto eliminato trovarono Riess e v. Iaksch. Nelle esperienze prolungate per un numero sufficiente di giorni non è mai mancato col procedere dell’ esperienza il guadagno di albumina da parte del corpo, e tale guadagno, come osserva Atwater, si è mantenuto costante fino alla fine dell’esperienza. Tali sono i risultati ottenuti da Neumann, Clopatt, Offer, Rosemann. (1) R. Rosemann — Handbuch der Biochemie des Menschen und der V’iere, herausgegeben v. C. Oppenheimer. Bd. IV. Half. I. Umsatz der Nahrstoffe. Alkohol, S. 413 (434). Fischer Jena (1909). (2) JI. Munk — Ueber den Einfluss des Alkohols und des Eisens auf den Eiweisszerfall. Archiv. f. (Anat u.) Phys. S. 160 (1879). (3) Ziùlzer Ueber das Verhaltnis der Phosphorsaàure zum Stickstoff 1m Urin. Virchow's Arch. Bd. LXVI, S. 301 (1876). (4) Stribing -- Ueber die Phosphorsàure im Urin unter dem Einfluss excitirender und depri- mierender Mittel. Arch. f. eep. Path. u. Pharm. Bd. VI, S. 26 (1876). (5) Walter u. Rosenfeld — D. Alkohol als Nahrungsmittel. C. 7. inn. Med. S. 289 (1906). J. Pringsheim — Alcohol u. Eiweisstoffwechsel. Z. plys w. didtet. Therapie, Bd. X (1906-07). A. Ott — Ueb. d. Einfluss d. Alkohol auf. d. Eiweisstoffw. b. Fibernden, Arch. eap. Path. u. Phar., Bd. XXXXVII, S. 267 (1902). Tutti gli altri sono citati e minutamente criticati da R. Rosemann: Der Einfluss des Alkohols auf dem Eiweisstoffwechsel. P/ugers Archiv. Bd. LXXXVI, S. 307; (1901): così pure 0. R. Neu- mann: Die Bedeutung des Alkohols als Nabrungsmittel. Arch. f. Hig. Bd. XXXVI, S. 1 (1899) e W. 0. Atwater, loco citato, p. 196. — 348 — L'azione di risparmio dell’ alcool può essere messa in luce in due maniere : sia sosti- tuendo parte degli idrati di carbone o del grasso della dieta coll’ alcool, e osservando quanto valga ad impedire le perdite di azoto da parte dell’organismo prima posto in equi- librio: sia aggiungendo alla dieta già sufficiente una quantità di alcool, e osservando la capacità che ha di accumulare albumina nel corpo. Daremo due esempi : Clopatt (1) eseguì su se stesso un’ esperienza durata 36 giorni. Durante tutta 1° espe- rienza introdusse la stessa quantità di albumina, circa 100 er. Nei primi 12 giorni stabilì il bilancio in condizioni normali, indi per 12 giorni sostituì 65-70 gr. di grasso con una isodinamica quantità di alcool, 87 gr., sotto forma di vino bianco del Reno. Indi tolse per 7 giorni il vino che rimpiazzò negli ultimi 5 giorni dell’ esperienza con il ‘erasso ritor- nando alle condizioni con cui |’ esperienza era cominciata (2). Durante la prima metà del periodo coll’ alcool si ebbe una maggiore eliminazione e una perdita di azoto da parte dell’ organismo, invece nella seconda metà 1 alcool produsse risparmio di azoto superiore a quello causato nel primo periodo dal grasso a cui era stato sostituito. Neumann (3) eseguì su se stesso un esperimento durato 36 giorni durante i quali introdusse la stessa quantità di albumina che fu di gr. 112,74. Nei primi cinque giorni si pose in bilancio unendo all’albumina 116,5 grammi di grasso e 254,8 di idrati di carbonio. Indi aggiunse a questa dieta una dose crescente di alcool da 20 a 100 grammi. Solo il sesto giorno con 50 erammi d° alcool cominciò il guadagno d’azoto da parte dell’ organismo, che si mantenne costante durante tutto il tempo in cui l'alcool fu introdotto (4). L alcool tanto aggiunto che sostituito ha risparmiato l° albumina. Che la combustione di alcool risparmia il grasso è da tutti conosciuto : solo il grado di tale azione in rapporto agli altri alimenti è oggetto di discussione. Ora 1° esperienze di Atwater e Benedict sopra citate non lasciano alcun dubbio che 1’ alcool risparmia il (1) Citato sopra. Dieta media per giorno N. emesso in media per giorno E $ N. Bilancio (2) Periodi| Giorni N. Grassi | Id. d. C. | Alcool Uftino Feci SONA medie gr. gr. gr. gu per giorno I 1-12) 461|1320| 254 | —— 13,2 20. 162 1-1 09 II, {13-18 | 16,3 60,7 Zon 87 15,8 2,0 17,8 — 0 II, |19-24| 16,3 59,5 2077 87 12,7 2A 14,8 | 4,5 II |25-31| 160| 595| 255 | —— 13,7 1,8 155 | +05 TV |\81=36,| 162 |) (255 | = 13,9 1,7 15,6 | + 0,6 (3) Citato da Rosemann, p. 377. Dieta media per giorno N. perduto media per giorno a È i ì N. Bilancio (4) Periodi | Giorni N. Grassi Id. d. (CA Alcool Calorie rina Tec Totale medie gr. gr. gr gr. per giorno I 15 ISI0A IM 651 2548 (2590) 15,15 2,83 17,98 | + 0,06 It 6-16! 18,04| 116,5| 254,8 20-100 | (2734-3310) = II, | 17-23 | 18,04] 116,5) 254,8 100 (3310) 13.24 2318 16,02 + 2,02 III | 24-30 18,04| 38,3] 254,8 100 (2583) 15,49 2,76 18,25 — 0,21 IV | 34-36 | 18,04 | 193,3 254,8 —_— (3304) 11/2079) 2,83 15,62 + 2,42 — 349 — grasso del corpo in maniera esattamente equivalente agli altri alimenti, in rapporto iso- dinamico al suo calore di combustione. Anzi sembra che l’ azione continuata dell’ alcool, dopo un primo periodo di esaltazione, tenda a deprimere il ricambio e con ciò ad ingras- sare l'individuo: il che sta in rapporto colla nota pinguedine dei bevitori. Strassmann (l) nei cani aggiungendo alla dieta dell’acquavite ottenne lieve aumento di peso, e notevole accumulo di grasso nell'organismo (in luogo di gr. 138 gr. 335-373,5). Mairet e Combemale (2) ubbriacarono dei cani, maschi e femmine, con l’assenzio e osservarono erande mortalità nel nati. Laitinen (3) nei conigli e nelle cavie con piccole dosi di alcool ottenne una forte mortalità nei discendenti, mentre Roos con piccola quan- tità di vino aggiunto alla dieta ottenne nelle cavie un maggior accrescimento e un mag- giore numero di figlii Hodge (4) con gr. 1,3-3,6 per Kg. nei gatti e gr. 4 nei cani, non ottenne modificazioni nell’ accrescimento ma solo diminuzione di vigore e di attività. Kochmann ed Hall (5) trovarono che appropriate dosi di alcool allungano la vita nei conigli «digiunanti mentre forti dosi affrettano la morte. Benedict e Tòr6k (6) trovarono che 1° alcool diminuisce |’ eliminazione dell’ acetone negli individui sani nutriti di cibi privi di idrati di carbonio, e nei diabetici: in questi ul- timi esso risparmia l’ albumina meglio dei grassi e degli idrati di carbonio. Possiamo quindi conchiudere che il vino in virtù dell’ alcool che contiene è un alimento di risparmio per il grasso e 1° albumina del corpo in maniera equivalente a quella degli altri alimenti e in rapporto al numero di calorie di combustione. Dosi elevate di alcool specialmente negli individui non abituati producono l’effetto nei primi giorni di aumentare |’ eliminazione dell’ azoto, piccole dosi continuate favoriscono invece in modo tutto particolare il risparmio dell’ albumina e ciò, come dicemmo, per una speciale azione atta a favorire la sintesi dell’ albumina, e che si esplicherebbe sia per diretta azione molecolare sui tessuti, sia mediatamente attraverso il sistema nervoso. Tale azione di risparmio è pure favorita dalle migliorate condizioni del tubo gastroenterico, nelle cui pareti si ammette da taluni avvenga la sintesi delle albumine in via di assimilazione. (1) F. Strassmann — Untersuchungen iber den Néhrwerth und die Ausscheidung des Alcohols. Pfliigers Arch. Bd. XLIX, S. 315 (1891). (2) A. Mairet et Combemale — Influence dégénérative de l’aleool sur la descendance. C. RR. V. CVI, P. 657 (1888). (3) Taav. Laitinen — Ueber den Einfluss des Alkohols auf die Empfindlichkeit des thierischen Kòorpers fur Infektionsstoffe. Acta societatis scientiarum Fennicae. Bd. XXIX, N. 7, Jena (1500). (Citato da Rosenfeld — Der einfluss des Alkohols auf den Organismus. S. XI-266. Wiesbaden J. F. Bergmann 1901). (4) G. F. Hodge — The influence of Alkohol on growth and development. The liquor pro- blem ete. Vol. I°, p. 357. (5) M. Kochmann u. W. Hall. — Der Einfluss des Alkohols am Hungertier auf Lebensdauer und Stoffumsatz. P/wgers Arch. Bd, CXXVII, S. 280 (1909). (6) H. Benedict u. B. Tòròk — Der Alkohol in der Ernabrung der Zuckerkranken. Zeztschr . f. Klin. Med., Bd. LX, S. 329 (1906). Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 5 46 6. Il vino come nervino. Nel nostro precedente lavoro sull’alcool noi abbiamo minutamente studiata l’azione nervina dell’alcool sopra il circolo, e indagato il meccanismo con cui esso esercita la sua azione nervina eccitante o paralizzante. In queste nostre esperienze abbiamo seguito le mo- dificazioni avvenute nella forza degli individui per la dieta alcoolica. I risultati ottenuti confermano le nostre antiche vedute, che furono pure confermate tutte dalle ulteriori espe- rienze fatte in questo campo dagli altri esperimentatori. Crediamo perciò utile riassumere in questo capitolo i risultati più importanti ottenuti sulla azione nervina delle bevande alcooliche. Durante le tre prove la forza degl’ individui fu misurata mediante il dinamometro. Essi eseguirono dieci contrazioni di seguito col pugno della mano destra. FORZA AL DINAMOMETRO IN KGM. I|JI|HI|1V VII Media Giuseppe Set 0]8 9 ORIO 20 19,1 2° 20 | 19|20| 19 19 19,1 38 24212120 23 21.8 Pietro... .. 1° 25, | 24 | 2424 22 23,1 e 31 YI 0 29 29,9 38 30) 30)30| 30 28 29,0 Giuseppuccio. 1% 43 | 45 | 46 | 45 4l 43,9 Qu 50. | 45| 45 | 46 44 15,3 3° 50 | 45 |-45, || 44 45 45,6 Gentile... 1° 25| 2423 | 22 20 21,2 PR 29 | 982728 25 LU 25,7 P B|®| 8% 25 25 2 Giovannella . 1% 30 | 27 | 26 | 26 26 Z| ZI 2° 30 | 29| 29) 28 25 24|25|25| 26,8 38 35.) 32.| 30] 29 27 25725) N25 02883 Elisabetta. . . 1° 28 | 26 | 25| 22 20 20| 48 | 18 219 P N\ala|a 21 20] 19) 21,5 333] | 25] 2524 21|20|20| 232 I mar || s000 || 107 VIII Media Uomini I 290 | 293! 297 | 293! 290 27,1 26,7 ! 28,48 mn Segr R0) 317) 30,7 30,0 | 31,43 ui Wa | e20.]| 820819) 818) | 320 | 327 | 32,13 Donne. I 27,7) 25,7] 247| 233 | 227 21,7 20,7 | 23,06 mi 2 297 20) 25,3 23,0 7| 24,67 TIT 303| 27,3) 2671 2671 257 23,7 23,3 | 25,57 Totale.I 283 | 27,5 | 27,2| 26,3 25,8 24,7 23,7 | 25,78 Il 307 | 292 290) 285| 285 26,8 26,3 | 28,05 HI 3251 2971) 293) 2901 287 27,8 28,0 | 28,85 — 351 — La forza è aumentata, e tale aumento è dovuto pure in parte alle migliorate condi- zioni somatiche degli individui: le prove furono eseguite verso le 11 della mattina, dopo il pasto. L’ azione nervina dell’ alcool è comprovata da numerose esperienze le quali dimostrano come esso non solo fornisca bruciando l’ energia necessaria al lavoro, ma colla sua pre- senza nel sangue e nei tessuti favorisca il circolo e il respiro ed ecciti l’ intero apparato neuro-motore. E tale azione nervina si esplica sia eccitando direttamente i protoplasmi viventi, sia rendendoli più pronti a reagire ai loro stimoli naturali. Solo dosi moderate d'alcool, tali da produrre determinate concentrazioni dei liquidi organici, possiedono la virtù di eccitare i tessuti viventi: superate queste, l’ azione ecci- tante viene sostituita da una paralizzante, che col crescere delle dosi può condurre all’ar- resto delle funzioni e alla morte dell’ individuo. E spesso la dose che vale ad eccitare parte dei meccanismi vitali è già paralizzante sugli altri per cui molto complessa riesce l’azione dell’ alcool a seconda della sua dose e delle condizioni con cui viene introdotto nel corpo. L’ alcool aumenta l’ attività respiratoria, ovverossia la quantità di aria che passa nei polmoni nell’ unità di tempo. Al Binz e alla sua scuola dobbiamo la sicura dimostrazione di questo fatto. Come dice Binz, modiche dosi di alcool opportunamente scelte introdotte nelle vene degli animali causano un moderato aumento dell’ attività respiratoria (1): tale aumento fu trovato da Ziintz (2), Geppert (8), Berg (4). Weissenfeld (5) lo trovò nell’uomo con dosi moderate, somministrando 50-75 cem. di Xeres (con 13,7% di alcool), senza che vi succeda ulteriore depressione, e così pure Willmanns (6), il quale poi nega che l’ aumento dell’ attività respiratoria sia dovuto a stimolazione della mucosa gastrica, come sostiene Jaquet (7), essendo esso indipendente dalle concentrazioni delle soluzioni -alcooliche, e solo dovuto alla quantità ingerita e quindi alla concentrazione che l’ alcool assume nel sangue circolante. Wendelstadt (8) somministrò dell’alcool zuccherato col limone in dosi crescenti da cem. 5 a 60, e vini (Reno-Champagne) e liquori (Sherry-Cognac) contenenti da 4,25 a 60%, di alcool ed ottenne negli individui riposati lieve aumento: col solo alcool, fino a 12,16%, molto maggiore coi vini (Champagne 14,14%) e coi liquori (fino a 49,24%). (1) C. Binz — Der Weingeist als Heilmittel. VII Congress f. inn. Medizin. Wiesbaden 1888. S. 74 (2) Cit, sopra. (3) Cit. sopra. (4) E. Berg — Ueber den Einfluss der Zahl und l'iefe der Athembewegungen auf die Ausscheidung der Kohlensiure durch die Lungen. Dis. Dorpat (1869). (5) J. Weissenfeld -—— Der Wein als Erregungsmittel beim Menschen. P/l. Arch. Bd. LXXI, S. 60 (1898). (6) C. Willmanns — Die directe Erregung der Atmungscentra durch den Weingeist, P/2. Arch. Bd. LXVI, S. 167 (1897). _ (7) H. Wendelstadt — Die Wirkung des Weingeistes auf die Athmung des Menschen. P/7. Arch. Bd. LXXVI, S. 223 (1899). Raccoglie in tabelle i risultati precedenti, (8) A. Jaquet — Contribution è l’étude de l’action de l’alcool sur la respiration. Arch. de Phar- macodinamie, V. II, p. 107 (1895). — Se Ma gli aumenti notevolissimi furono ottenuti negli individui stanchi, tutti superiori al 23,11% e che anche con piccole dosi arrivano fino al 96,82%, (con 18 c.c. di alcool sotto forma di Cognac), aumento che noi crediamo dovuto al fatto che 1° alcool rende più ecci- tabili i centri della respirazione ai prodotti di rifiuto. Come si comprende, tale aumento del- l’attività respiratoria è specialmente utile negli individui esauriti dalle malattie e dalle fatiche muscolari, rendendo inutile l'intervento attivo della corteccia sui centri bulbari. Depressione del centro respiratorio fu osservata negli animali solo per fortissime dosi. Complessa è l’azione dell’alcool sull’ apparato cardio-vascolare. Dall’analisi dei numerosi lavori fatti sull’argomento, noi crediamo di poter mantenere il giudizio che in seguito ad esperienze sugli uomini e sugli animali avevamo dato fino dal 1874 (1) cioè che esso accresce l’attività del cuore: « questo è il fatto fondamentale che dobbiamo ammettere sì nell’uomo che nei cani, e che deve quindi considerarsi come la base dell’azione dell’ alcool sul circolo ». Numerose esperienze furono fatte sul cuore isolato; dalle quali risulta che piccole dosi eccitano la sua attività, grandi dosi la deprimono. Loeb (2) nel cuore di gatto coll’apparecchio del Làngendorff trovò che soluzioni del 0,13-0,3% causarono evidente azione eccitante, e soluzioni del 4°, hanno azione paraliz- zante: tuttavia il cuore anche lavato con soluzione al 10° può riprendere del tutto la sua atti- vità. Brandini (3) nel laboratorio di Adueco, pure coll’apparecchio del Làngendorff, trovò che le soluzioni al 0,2-1°%, nel liquido di Ringer-Loke causano eccitazione sul cuore di cane, depressione quelle dall’ 1-40 %,, e arresto solo le soluzioni eguali o superiori x al 60%,: tale arresto è reparabile lavando il cuore col liquido di perfusione ed anzi ne segue un periodo di maggior attività. Bachem trovò un aumento nel cuore isolato con soluzioni al 0,16-0,20 % . Si comprende come gli esperimentatori precedenti che usarono soluzioni superiori all’ 1°, abbiano trovato solo diminuzione nella attività cardiaca. Così Dreser (soluzione superiore al 0,33%), Diballa (superiore al 0,144%), Maki, Cushny, Gréhant, Mar- tin e Stevens (0,5%) Hemmeter (0,2%), i cui lavori sono riassunti e criticati da J. Abel (4). Quando si ponga mente che l'alcool si distribuisce quasi uniformemente .in tutto il corpo, e che viene rapidamente consumato, si comprende come dosi di 1 grammo per kg. di peso, ovverossia circa un litro di vino comune, riescano eccitanti per il cuore dell’ uomo. Stockes disse che l’alcool è il miglior sostegno dell’ energia funzionale del cuore Noi trovammo fino a dosi di 50 gr. aumentata la forza dell’impulso cardiaco; Herter, Kochmann ed altri, trovarono aumentata la forza dei toni cardiaci. (1) P. Albertoni e Felice Lussana: L’alcool etc., p. 64. (2) O. Loeb — Die Wirkung des Alkohols auf das Warmbluterherz. Sclmiedebergs Arch. Bd. VII, S. 459 (1905); e Zentralb. f. Phys. Bd. XIX, S. 431 (1905). (3) G. Brandini — L’action de l’ alcool étlylique sur le coeur isolé des mammiferes. Arch. 24. de Biol., V. XLIX, p. 275 (1908). (4) John J. Abel — A critical review of the pharmacologicol action of ethyl. alcohol. ‘l'he liquor problem ete, Vol. II, (I-167) pag. 47. — 353 — Dosi elevate diminuiscono l’azione e causano il colasso quale si osserva nell’ avvele- namento acuto. La frequenza del polso per modiche dosi di alcool non muta, o muta ben poco nel- l’uomo. A tale conclusioni giunse per proprie esperienze e dietro minuto esame delle ante- cedenti Abel. Noi trovammo nelle nostre un aumento di 3-4 battute per minuto. L’alcool agisce anche sul circolo periferico dilatando i vasi; a ciò è dovuto il rossore della cute e il senso di calore. Pare che tale dilatazione sia dovuta anche a eccitazione dei vaso- dilatori. Brandini trovò dilatati attivamente anche i vasi coronari del cuore: a tale dilatazione sono dovute le modificazioni del polso che si fa ampio, pieno e un po? dicroto. Per l’ aumentata attività cardiaca e la dilatazione dei vasi periferici, la pressione a seconda del prevalere dell’ un fattore o dell’ altro aumenterà o diminuirà. Per dosi mode- rate nel maggior numero dei casi citati da Abel, esso non esercita alcuna azione bilan- ciandosi i due fattori. Per dosi elevate invece prevale la vasodilatazione periferica, e si ha abbassamento di pressione. Ma se, tagliando il midollo spinale si sottraggono i vasi ai principali centri vasomotori producendo una costante vaso-dilatazione, allora 1’ introduzione di alcool è seguita costantemente da aumento della pressione come lo provano l’espe- rienze di Abel; e per cui si conferma la sua indicazione nel collasso cardiaco. Nei cani in cui la vasodilatazione cutanea è meno attiva noi abbiamo trovata aumento di pressione. Tuttavia a seconda delle condizioni individuali e di esperienza, alcune volte fu osser- vato dietro somministrazioni di sostanze alcooliche un aumento di pressione, sebbene sia più facile ottere un abbassamento; in quanto che spesso solo con dosi elevate, paralizzanti, sì possono ottenere risultati tali da essere rilevati coi nostri mezzi di esperienza. Kochmann (1) nell’uomo coll’apparecchio del Riva-Rocci e del Gartner trovò che piccole dosi, 40-60 cem. di alcool al 10%, e 40-50 cem. al 15% causano un aumento di pressione che raggiunge il massimo dopo 20°-80‘, in media di 15 mm. di Hg con un massimo di 30 mm. Modiche dosi dopo un periodo di aumento causano un abbassamento di pochi millimetri: forti dosi, (non minor di 50 cm. di alcool al 50 %) causano imme- diato abbassamento di 10 mm. Bachem (2) trovò su sè stesso che piccole dosi (20-25 cem. di alcool preso con bevande alcooliche) causano un aumento di pressione fino del 18% e i vini spumanti un aumento più rapido. Tale aumento riscontrò negli animali con iniezioni endovenose. Weissenfeld, nelle esperienze sopracitate, collo sfigmomanometro di von Basch trovò un aumento da mm. 130 a mm. 160-170. Swientochowski (3) con forti dosi (1) M. Kochmann — Die Wirkung des Alkohols auf den Blutkreislauf des Menschen. Dewt- sche Med. Wochenschr., Bd. XXXI, S. 942 (1905). (Centralblatt. f. Phy., Bd. XIX, S. 571; (1905) Bd. XX, S. 678 (1906). (2) C. Bachem — Ueber den Einfluss kleiner Mengen Alkoholischev Getrinke auf das Blutdruck des Menschen. P/liiger. Arch. Bd. CXIV, S. 108 (1906), e Ueber die Blutdruckwirkung kleiner Alkohol- gaben bei intravenoser Iniektion. Arch. inter. de Pharm. et de Therap. V. XIV, p. 437 (1906), Cen- tralb. f. Ph. p. 182. (3) J. Swientochowski — Ueber den Einfluss des Alkohols auf die Blutcirkulation Zeitscà. f. klin. Med. Bd. XLVI, S. 284 (1902). — 354 — (50-100 cem. 50% di alcool) trovò mediante il tonometro di Gartner, nella. maggior parte dei casì diminuzione, in alcuni aumento. Scehiile (1) col tonometro di Gartner, osservò in un individuo sano, con forti dosi di alcool la pressione discendere da mm. 110 a 105, e dopo 20° a 95: dopo 90° salire nuovamente a 115 mm. Aumentando l’azione del cuore e dilatandosi i vasi, si comprende come debba crescere la velocità del sangue, il qua'e fatto fu da noi dimostrato sperimentalmente. « Preparata convenientemente la membrana interdigitale della rana, si pose sotto il campo visivo del- l'obbiettivo ad immersione un gruppo di più capillari, dei quali i più piccoli avevano un diametro tale che i globuli rossi appena vi passavano per il loro diametro più stretto, ossia pel traverso. Iniettato quindi nel cavo peritoneale della rana (di gr. 25) dell’ alcool nella dose di 15 centigrammi in acqua cent. 35, e ricondotti nuovamente sotlo al campo microscopico i medesimi capillari, entro pochi minuti si vide così accelerata e vivace la circolazione che non fu più possibile distinguere la forma e la disposizione dei globuli. perchè scorrevano troppo rapidamente sotto al campo visivo. Questo acceleramento del circolo fu con ripetute prove assicurato; non si seppe invece con altrettanta sicurezza apprezzare una dilatazione in questi medesimi vasi (2) ». L’aumentata velocità del sangue unita alla facilitata ossigenazione del sangue stesso per aumentata attività del respiro, sono le condizioni che permettono una migliore irrora- zione e nutrizione degli organi e per ciò un aumento della loro attività. E all’aumentata circolazione crediamo dovuto |’ effetto diuretico dell’ alcool, per cui fu chiamato da Trousseau il migliore dei diuretici. Ne! 1874, nel lavoro più volte citato, noi dicevamo « che l° alcoo!, a dosi moderate, aumenta il lavoro meccanico dell’ organismo: è un nervino per quanto stanzia inalterato nell’ economia; è un alimento calorificante per quanto può ossidarsi ». « Difatti l’ alcool fa lavorare più energicamente la macchina muscolare per la mag- gior intensità della efficacia nervosa; imperocchè l’ agente nervoso sovraeccitato dalla pre- senza dell’ alcool, agente nel modo già anzidetto come nervino, determina più energiche le contrazioni delle fibre muscolari ». E aggiungevamo che quanto più il lavoro muscolare è intenso, tanto più rapidamente l’ alcool viene bruciato e quindi usufruito utilmente dal- l organismo, sparendo dal sangue, e con ciò viene meno ogni sua possibile azione depres- siva. « Perciò è desiderato, ben tollerato dalle persone robuste, con ampi polmoni, con forte muscolatura e che lavorano molto ». Vediamo come le ricerche ulteriori hanno confermato questa nostra veduta. Couty (3) trovò che l'alcool a dosi moderate aumenta l’eccitabilità della corteccia dei cani allo stimolo elettrico e tale effetto viene ritenuto probabile anche da Danillo (4) il quale trovò che dosi forti la diminuiscono fino a spegnerla nel. coma. (1) Sehile — Ueber Blutdruckmessungen mit dem l’onometer von Gartner, Ber. lin. Wo- chenschi., S. 726 (1900). (2) P. Albertoni e F. Lussana — L’alcool etc. p. 61. (3) Couty — De l’action des alcools sur l’excitabilitè du cerveau. Compt. rend. d. la Soc. Biol., p. 65 (1883). (4) Danillo — €. R. V. XCIV, p. 1435 e 1340 (1882) e V. XCV, p. 177 (1888). — 355 — Waller, Gad, Mommsen e Werigo trovarono che l’alcool aumenta 1° eccitabilità elettrica dei nervi motori. Lombard (1) coll’ergografo del Mosso trovò che modiche dosi di alcool, un bicchiere o due di vino (Claret), presi a digiuno o durante il pasto, causarono un aumento di lavoro non seguito da ulteriore depressione. Scheffer (2) fece dell’esperienze coll ergografo di Mosso, dopo lungo allenamento (10 er. di alcool in 90 d’acqua, Peso 5-6 kg., Ritmo 2”, Pausa 5, Periodi di lavoro 3 di 150 contrazioni). Subito dopo ingerito l’ alcool ottenne un aumento di lavoro del 5,81%; dopo 15 minuti dell’ 8,7%, dopo 30 minuti ottenne invece diminuzione del 5,6%. Nelle rane ottenne un aumento del lavoro ergografico anche stimolando direttamente collo stimolo elettrico il nervo motore. Rossi (8) fece l’esperienze sopra di sè e sopra l’inserviente del laboratorio coll’ergo- grafo del Mosso. Alla mattina eseguiva di 10 in 10 minuti 7 ergogrammi (R. 2”) fino ad esaurimento con una mano e poi altri 7 con l’altra. Peso 4-5 kg. Dopo l’ingestione di 80 er. di Rhum il lavoro totale eseguito immediatamente dopo per la mano destra salì da kg. 19,440 a 22,180, per la mano sinistra da kg. 14,852 a 15,588. Trovò nei primi ergogrammi au- mento di altezza nella contrazione e di lavoro; negli ultimi diminuzione; ovvero ad una fase di esaltamento seguì depressione. Con 25 gr. di Rhum eseguì 15 tracciati (dalle ore 10 alle ore 12,20) prima con una mano, e in un’altra esperienza coll’ altra, ed ottenne un notevole aumento di lavoro (mano destra da kgm. 26,936 a 33,316, mano sinistra da 20,364 a 25,636) e inoltre tutti gli ergogrammi in altezza e durata per effetto dell’ alcool sono maggiori del normale, ovvero con questa dose manca ogni azione depressiva. Coll’ ergografo del Mosso, Tavernari (4) studiò l'effetto dell’ alcool e della birra sugli individui previamente affaticati da una lunga marcia (20-30 Km.). (Disposizione del Maggiora, Peso kg. 5, Ritmo 2”, Pausa 5‘ o 3%, Periodi (5-6) continuati fino ad esaurimento assoluto). Tavernari con 50 gr. di marsala (contenenti il 20%, di alcool) ottenne un aumento di lavoro (mano destra da kgm. 1,9264 a 2,8156; mano sinistra da 1,3700 a 1,8162) e così pure nell’inserviente Palmieri (mano destra da 2,4537 a 6,0700; mano sinistra da 1,7662 a 3,1762). Con 400 ccm. di birra solo nell’ inserviente ottenne un aumento di lavoro. Inoltre irritando collo stimolo faradico il nervo mediano ottenne un notevole aumento di lavoro, aumento che non fu trovato da Lombard, colla medesima disposizione. Oseretzkowsky (5) sotto la guida di Kraepelin, coll’ergografo del Mosso ottenne un aumento notevole di lavoro che permaneva anche 40 minuti circa. Gli k (6) pure sotto (1) Warren P. Lombard — Some of the influences wich effect the power of voluntary mu- scolar contractions. Journ. of. Phys., VIII, p. 1 (1892). (2) Scheffer Studien uber den Einfluss des Alkohols auf die Muskelarbeit. Arch. 7. eep. Path. u. Phar. Bd. XLIV, S. 24 (1900). (3) C. Rossi — Ricerche sper. sulla fatica dei muscoli umani sotto l’azione dei veleni nervosi. Riv. sper. di Freniatria, V. XX, p. 442 (1894). (4) L. Tavernari — Ricerche intorno all’ azione di alcuni nervini sul lavoro dei muscoli. affa- ticati. Riv. sper. di Freniatria, V. XXIII, p. 89 (1897). (5) Citato da Hellsten, p. 162. (6) Idem. -— 356 — Kraepelin trovò che l'aumento del lavoro arrivava ad ', che avveniva tosto dopo l’ingestione e durava circa 10 minuti. Con forti dosi di alcool o con lavoro affrettato, alla prima e breve esaltazione seguiva lunga e notevole depressione del lavoro. Schumbur® (1) coll ergografo del Mosso fece poche esperienze (Peso 4 kg., Ritmo 2”, Pausa 3°, Periodi di lavoro fino ad asaurimento 10) introducendo 10 gr. d’ alcool allungato nell'acqua a 100 cm. Egli trovò un aumento di lavoro. Se però faceva eseguire all’ indi- viduo prima dell’ esperienze un intenso lavoro muscolare, (21,600 kgm.) coli’ ergostato (di Ziùntz) allora tale aumento non aveva più luogo. Schnyder (2) fece pure delle accurate e numerose (400) esperienze coll’ apparecchio del Mosso leggermente modificato in modo da rendere più libero il movimento dell’ arto (Peso 5-8 kg., Ritmo 2”, Pausa 1’, Periodi di lavoro 6-12 fino ad esaurimento). Introdu- cendo a digiuno 150 cem. di vino (alcool 14,7 gr) egli ottenne dopo 15° un aumento di lavoro anche del 10.1, dato da una maggior altezza e durata di tutti i periodi (curve) di lavoro. Però tale aumento era incostante in quanto, variabile secondo gli individui, ri- ducevasi quasi a nulla per il seguire a un primo periodo di esaltamento un periodo di depressione, come pure mancava se l’esperienza era eseguita dopo 30‘, e veniva sostituito da una diminuzione se il vino era bevuto durante il pasto. Frey fece numerose esperienze coll’ ergografo del Mosso. In quelle pubblicate in una monografia a parte (3), fatte su individui normali, egli tenne le seguenti disposizioni: col Peso Kg. 4-5 e col Ritmo 1” o 2" egli faceva eseguire ad intervalli di 1° un numero fisso di curve della fatica (6) o continuava l’esperimento sia fino al completo esaurimento. Poi interponeva una pausa di 30° facendo eseguire la serie precedente; indi dopo altri 30° una terza serie e possibilmente una quarta. Normalmente le tre serie vanno progressiva- mente decrescendo. (Es. Kgm. 4,696, 2,740, 1,860). Fra la prima e la seconda serie faceva ingerire agli individui normali 10-15 gr. di alcool. Ad esempio : 1° Serie II° Serie III° Serie IV® Serie 1,908 (in fine I° serie 10 gr. alcool)... . 6,086 4,236 3,390 4,656 (in principio Il" serie 10 gr. alcool) 1,672 4,692 —— 5,084 (a metà II° serie 10 gr. alcool). . . 5,792 9,432 5,556 Come si vede le prime serie servono di termine di confronto. Non avendo l’autore otte- nuto l’aumento in precedenti esperienze, quando all’ ingestione dell’ alcool non aveva fatto precedere il lavoro ergografico, egli ritiene che l’alcool favorisca il lavoro nei muscoli stanchi e non nei riposati. Inoltre il Frey facendo eseguire una serie di contrazioni isolate ogni 10” massimali e uniformi trovò che 1° alcool diminuisce 1° altezza delle singole contrazioni. Noi crediamo che le differenze trovate dagli autori che lavoravano coll’ergografo, dipen- (1) Schumburg -- Ueber die Bedeutung von Kola, Kaffee, "l'hee, Mate und Alkohol fir die Leistung der Muskeln. Arch. f. (Anatomie und) Physiol. Suppl. Bd. S. 289 (1899). (2) L. Schnyder —- Alkohol und Muskelkraft. P/gers Arch., Bd. XCIII, S. 451 (1903). (3) H Frey — Alkohol und Muskelermidung. Eine kristische Studie. E. Deuticke. Leipzig. u. Wien (1903). — 357 — dessero anche dalle differenze di grado con cui essi stancavano l’artòo costretto nell’apparec- chio, esercitando l’alcool a quanto dice il Kraepelin un’azione sul senso di fatica, e ren- dendo quindi il lavoro più facile. Destrée coll’ergografo (Peso 5, Ritmo 1”, Pausa 2') trovò che l’alcool causava appena introdotto, un aumento del lavoro a cui dopo una mez- z'ora seguiva un abbassamento il quale non era tolto da una nuova dose di alcool. Le sue esperienze sono poche, su individuo non allenato, e sono molto criticate. Le autoesperienze di Hellsten (1) furono eseguite dopo lungo allenamento, un’ espe- rienza al giorno, con 1’ ergografo del Joahnsson, il quale permette all’ individuo di espli- care un notevole lavoro venendo sollevato un peso di 90 Kg. mediante trazione di ambo le braccia, con un movimento molto simile a quello del rematore. Il peso veniva inalzato ogni due minuti fino ad esaurimento. Poi sì interponeva una pausa di 1-2°-3' e si ese- guivano così 20 periodi. Le contrazioni di ogni periodo erano in media 20-25, massimo 52 : il lavoro eseguito per ogni esperienza circa 6000 Kg. Nelle medesime condizioni con un peso di 40-60 Kg. le contrazioni potevano durare parecchie ore senza decrescere in altezza, e con 90 si aveva invece una rapida curva di fatica. Con 25 cem. di alcool presi sotto forma di acquavite a 38°, dopo 5-10 minuti dall’ ingestione trovò quasi lo stesso lavoro totale. Con 50 cem. dopo 5-10 trovò che il lavoro eseguito era maggiore del normale per i primi 7-10 ergogrammi, poi eguale per alcuni altri, minore negli ultimi: il lavoro totale era eguale al rormale. Si ebbe così un maggior sviluppo di energia da principio senza detrimento del lavoro totale. Con 80 cem. presi subito prima dell'esperienza, i primi 10 periodi erano aumentati, e il lavoro totale di pochissimo aumentato. Dopo 30° invece tutti i periodi davano meno lavoro, e il lavoro totale era diminuito del 16%. Tale diminuzione di attività si manteneva per due ore dopo 1’ ingestione. Lussana junior (2), eseguì coll’ ergografo del Mosso (Peso 2-3 Kg., Ritmo 1”, Pausa 10/-12°) alcune esperienze su sè stesso : 20-50 er. di alcool furono presi diluiti in acqua e sotto forma di vino toscano 1’- 10°- 20-80-60‘, prima del lavoro. Gli ergogrammi subito dopo l’ingestione erano eguali a quelli a digiuno poi diminuivano : ovverossia è mancata la prima fase di aumentato lavoro, e non è comparsa che quella depressiva. Bisogna notare che l’autore è astemio. Dall'analisi minuta di lavori che ci sono parsi più degni di considerazione appare chiaro che moderate dosi di alcool (15-30-45) possono aumentare il lavoro ergografico, e qualche volta anche senza che segua depressione. Però nella maggior parte dei casi, e sempre con dosi elevate, al periodo eccitatorio segue un periodo depressivo, spesso lungo, che può non solo annullare i benefici effetti del periodo antecedente, ma anche diminuire il lavoro totale: e alcune volte solo tale periodo depressivo appare nelle esperienze. Insieme alla dose, molte altre circostanze concorrono a favorire o l’ uno o l’altro effetto nell’ azione dell'alcool sul lavoro ergografico. Così noi crediamo con Kràapelin (1) A. F. Hellsten — Ueber den Einfluss von Alkohol, Zucker und Thee auf dei Leistungsfahigkeit des Muskels. Skand. Arch. f. Phys. Bd. XVI, S. 189 (1904): in un ulteriore lavoro (7d., Bd. XIX, S. 201 (1907) ha confermato l’ aumento di lavoro coll’ alcool. (2) P. Albertoni e Filippo Lussana — Alcool e lavoro muscolare. /° Congresso internaz. per le malattie del lavoro. Milano (1906). Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 47 — 358 — che esso eserciti un effetto favorevole quando l’ individuo fa uno sforzo non molto intenso e affrettato, ma bensì moderatamente ritmico ; mentre favorisce |’ individuo che sì è stan- cato per un lavoro fisiologico come una marcia, è dannoso per i muscoli esauriti sotto violenti ripetuti sforzi. E passando dallo specialissimo lavoro ergograflco, che non crediamo il più adatto ad essere favorito dall’ alcool come quello composto di sforzi esaurienti ritmicamente ripetuti, agli usuali lavori della vita sociale, molto vario si presenterà il problema sull’ effetto che possa esercitare l’° alcool, e tale a nostro parere, da potere essere risolto solo dalle espe- rienze dirette. Dagli esperimenti psicologici fatti finora appare provato che modiche quantità di al- cool (15-30-45) accorciano il tempo di reazione, quantità elevate invece lo aumentano. Kraepelin conclude da numerosi esperimenti psicologici fatti sotto di lui, che quei processi psichici che involgono la liberazione di impulsi motori sono per breve tempo fa- cilitati da piccole quantità di alcool; processi che involgono un lavoro mentale più com- plicato sono invece danneggiati. Perciò molti mestieri che richiedono poco lavoro muscolare, ma lavoro mentale non possono essere favoriti dall’ alcool. Aschaffenburg (1), sotto la direzione di Krae- pelin diede a 4 tipografi 200 srammi di vino greco (18% circa di alcool) }, d'ora prima del lavoro, cioè prima di far loro copiare degli stampati: il vino fu dato il secondo ed il quarto giorno dell’ esperimento. Ne risultò che il lavoro fu eguale per qualità, ma minore di quantità del 15%. Al contrario noi crediamo che il lavoro muscolare, specialmente quando richieda la partecipazione di gran parte della musculatura del corpo e risulti non da sforzi massimali, ma tali da essere facilmente compiuti per tutta la giornata come il lavoro dei campi, della officina, dei porti, venga favorito dall’ uso moderato del vino. Riassumendo la questione dell’ analisi degli effetti dell’ alcool sul respiro, sul circolo, sul lavoro muscolare, noi non possiamo accogliere l’ opinione dello Sechmiedeberg e del Bunge che l’ alcool possiede solo azione sedativa e narcotica; ma accettiamo quella del Binz che a dose conveniente l'alcool riesce stimolante e nervino. ‘ale azione nervosa cessa quando la dose superi certi limiti, per essere sostituita da un’azione deprimente. Varia a seconda delle circostanze e degli individui, ci sembra però che la dose di 30 grammi (0,40 per Kg.) quale fu indicata da noi nel 1874, sia quella che può senza pericolo alcuno essere ingerita due volte nella giornata dal maggior numero degli individui: coloro che sono dediti a faticosi lavori muscolari la possono ingerire anche un numero maggiore di volte. Sparendo infatti rapidamente per il lavoro muscolare l’alcool dal sangue, consumato dai muscoli, come lo prova |’ esperienza di Gréhant (2), questi individui possono ingerire notevoli quantità di alcool senza che esso causi effetto depressivo sul loro organismo, ef- (1) Citato da Abel. The liquor ete. V. II, p. 157. (2) N. Gréhant — Influence de l’exercice musculaire sur )élimination de l'alcool éthylique in- troduit dans le sang. C. R. Soc. biol., p. 802 (1903). — 359 — fetto che sta in diretto rapporto colla concentrazione che esso assume nel sangue. Inoltre crediamo che particolarmente utile esso riesca ai nostri contadini per la sua azione ner- vina in quanto la loro dieta manca di sostanze stimolanti per cui le loro attività vitali, come negli erbivori, sono molto depresse. E per tali sue proprietà nervine, per le sue po- tenti infiuenze come distributore delle energie, l’alcool viene ricercato dagli uomini. Poco sappiamo sulla fisiologia delle sostanze nervine ; però è sicuro che sono neces- sarie alla vita. Notevole è poi il fatto che tutti i popoli della terra abbiano tratto dai più svariati prodotti coi mezzi più ingegnosi le bevande fermentate per farne loro alimento, 7. Il vino come ricostituente. E opinione comune nelle classi popolari che il vino possegga proprietà ricostituenti, e come ricostituente fu con varia fortuna usato nella medicina. Il modo invece come esso agisca a migliorare lo stato di nutrizione degli organismi ci è del tutto ignoto e solo re- centemente gli ultimi lavori rivolti a investigare l’ intime proprietà delle albumine viventi in rapporto ai fenomeni della immunità paiono indicarci la via onde risolvere il problema. Abbiamo studiato nei nostri contadini le modificazioni del sangue in seguito alla dieta al- coolica. Come appare dalla Tabella seguente abbiamo ottenuto un notevolissimo aumento della più importante sostanza albuminoidea del sangue, cioè della emoglobina. E tale effetto lo crediamo dovuto sia all’azione che l’ alcool possederebbe di favorire la sintesi delle al- bumine in genere, sia a un benefico effetto dell'alcool sul ricambio del ferro. SANGUE Nome Emoglnbina Globuli rossi [° Bilancio C1ASEPPERME 87 3,121,000 EICILORIIEao 64 4,340,000 Giuseppuccio. . . . 92 5,053,000 CEntile E 59 4,402,000 Giovannella . ... 79 4,185,000 Elisabetta. ........ 73 4,092,000 UOMRIRI 60 ovo to gl 4,171,667 DIRI ao 68,33 4,226,333 Media: one 74,65 4,199,000 IP Bilancio Giuseppe . . . ... 90 ==--+ IMNENMO 0 oo ooo 82 ———— Giuseppuccio . . . . 108 === (Cene co vedo 80 —_——— Giovannella . . . . 85 === Elisabetta... ... 92 ———— URIDO io e odo 93 33 ———— DIM 60050 87,33 — i Media... ..... 90,33 ATIONE] — 360 Nome Emoglobina Globuli rossi III° Bilancio Giuseppe... . 100 4,805,000 IRTEURD 0 o od doo 105 5,022,000 Giuseppuccio. . . . 110 6,076,000 Canile 0 06008 94 4,898,000 Giovannella 90 4,867,009 Elisabetta... ... 92 4,743,000 UOMINI 06 doo cà 105 5,301,000 IMURRE SI 6 000 92 4,836,000 Media 98,5 5,068,500 Medie | Fmoglobina R. 9% Globuli rossi. R. 9 [o Bilancio 74,65 100 4,199,000 100 II° » 90,33 121 —=—==. TTI? » 98,50 132 5,068,500. 121 | L'aumento dell'emoglobina è dovuto molto probabilmente all’ azione dell’ alcool e non al ferro contenuto nel vino, poichè la dieta usuale di essi non difetta di ferro contenendo della verdura. Vi concorrono le migliorate condizioni intestinali. Poco sappiamo dell’ azione dell’ alcool sul sangue e sui protoplasmi in genere. Harley osservò che l’ aggiunta del 5%, di alcool puro al sangue ne diminuisce il potere di assor- bire l’ossiseno e di emettere l’anidride carbonica. Schmiedeberg ha confermato il fatto. Timofeev (1) iniettando i cem. di alcool diluito in 10 d’acqua trovò un aumento dei leucociti del sangue (in un cane di 15 Kg, da 11000 a 22000, e negli uomini da 6000 a 9600), inoltre nei cani per iniezione sottocutanea o endovenosa, per via stomacale e pol- monare trovò un aumento nello scolo della linfa dal dutto toracico da 5 a 40 volte più del normale, aumento che si otteneva facilmente con piccole dosi. Essendo la linfa tinta in rosso, egli attribuisce tale aumento a causa meccanica e a trasudazione dei capilari sanguigni. Neisser e Guerrini (2) mettono l’ alcool in forte diluizione fra gli stimolanti dei leucociti. Kàmmerer (3) trovò l'indice fagocitario favorevolmente influenzato dall’ alcool in concentrazione minore al 20 %/. Mircoli (4) trova che 1’ alcool fa aumentare il potere antitossico del sangue umano contro la tubercolosi. Moltre trovò negli alcoolizzati un po- (1) S. Vimofeevy — Die Iymphtreibende Wirkung des Alkohols und mechanische Leulkocytose. Arch. f. exp. Phar. vu. Path. Bd. LIX, S 444 (1908) (2) M. Neisser u. Guerrini — Ueber Opsonine und Leukostimulantien. Ard. aus d. K. Inst. f. ccp. Therap. 3. Frankfurt a M., Heft 4, S. 22 (1908). (3) H. Kimmerer —- Ueber Opsonine und Phagozytose im allgemeinen. Munch. med. Woch. S. 1916 (1907). (4) S. Mircoli — Ueber die Sero-Antitoxicitat des Alkohols bei der luberkulose und iiber even- tuelle Anwendung des Alkohols in der Vherapie der Wuberkulose. Munch. med. Woch. S.353 (1902). — Bel — tere antitossico superiore alla media. Egli saggiava il potere antitossico del siero dalla quantità necessaria ad impedire la morte delle cavie iniettate con una dose appena mor- tale di tubercolina Maragliano. Friedberger(1) trovò che l’alcool dopo una sola dose inebbriante aumenta di 2 volte e mezzo la produzione degli anticorpi per il vibrione colerico; dosi continuate la deprimono. Fraenkel (2) vide, dopo una sola somministrazione di alcool aumentare la resistenza contro l’ azione di bacilli morti o vivi di colera o di tifo, resistenza aumentata di 5-10 volte nelle cavie in confronto ad animali in preda ad un avvelenamento cronico per alcool. Invece Laitinen ha veduto diminuita la capacità immunizzante in moderati bevitori. Concludendo il vino esercita un benefico effetto sopra il sangue aumentandone il tasso di emoglobina. Questo nostro risultato conferma 1° esperienza di molti clinici come pure l’ esperienza comune. * Crediamo utile riunire in una tabella i principali dati, disponendoli in maniera tale da seguire facilmente il comportamento dei singoli individui durante 1’ esperimento. Peso a Azoto | Peso SUA MUSO Emo- Nome Prova | PO Alcool | intro- | delle Enpa Na = globina| Forza Coi eis N: soft em nani Me NaottoNi Mfcci Pilangio tana Deruta Bilancio | del | Kgx Kg. | totali |perKg. gr. gr. tolo) 0a gr. Socio gr. sangue @ie LI 55,4 | 2865 | 52 — |/0,739| 200-| 1,958| 18,23|-+ 0,697| 3,697| 2,803 |4-O,t44| 87 | 19,1 SSA i 57,20 34750 61 80 |10,383| 148,2| 1;376| 13,254 1;540| 3,909! 2.104|+-1,025| 90| 49,1 88 | IT | 5693528) 62 | 141 9762) 75,6] o7o7| 7,24|4-2,190| 3,730 1203 |-+ 1,927] 100 | 21,8 CI 13,3 | 3243 | 75 — |12,140| 418,6| 3,262| 26,87|4-0,740| 4,169] 3,288/+0,371| 64| 23 sg | | 143 |3907 88 80 |12;287| 258-| 1583| 12,88|4+-3,224| 4.292| 1,654|4+1,828| 82| 299 © un 44,8 | 3990) 89 100 |11,684| 304,8) 1,395 | 11,95| 4 4,521| 4,094| 1,355 |4-2,087| 105 29,0 Giusep-| I 521 | 3105 | 60 — |11,192| 298,2 | 2,269] 20,29|4-0,779| 4,181| 2761|-+ 0,600] 92 | 43,3 Se i 53 63578068 79 | 10,541| 259-| 2,010| 19,07 |+0,681| 4,107] 2.266|-+-0,791| 108 | 45,3 2 n | ala n n > 20 | 52993543) 67 | 116) 9336) 218,2] 1,743) 18,67|-+ 0,800] 3,845| 1,986|-+0,794| 110 | 456 CDI 193 | 2274 | 46 — |: 8,528| 132-| 4,245| 14,60|— 0,741| 2,890| 1,431|+-0,299| 53 | 21,2 ss || 513|2989] 52 8L | 7,784 130,2| 1,347| 17,30|— 1,731) 2,706) 1,889] — 0,223] 85 | 25,7 JI | 523| 2742) 52 | 109] 7194) 157-| 1,025) 1425|— Los6| 2,504) 1,477|—0793| 94| 25,2 Giovan-| I 52,2 | 2199 | 42 — | 8,0113722) 2,081] 25,98|— 0,367] 2,842| 2,264 — 0,122) 79| 264 ele n do 2 | 8,252) 2642) 1819] 22,04|-—-0,250| 2,960| 1,920 — 0,010) 85 | 26,8 2 | esa 99 | 7,385] 2704| 1,967| 26,64|—0,237| 2,696| 2,071|+ 0,430) 90 | 283 | Elisa- | I 41,3 | 1995 | 45 — | 7,0851 238.8| 4715) 2421|—1,243| 2710] 1,773|— 0,323) 73.) 249 Detta | JT | 444 0889| 52 60} 6,464) 173-| 1,405|/21,74|+0,330| 2,357) 1364|—0,113| 92 | 245 16 nr | 442|2383| 54 98 | 5,743| 176,4] 1,427| 24,85] — 0,678| 2,356| 1,601|+-0,105| 92| 23,72 | (1) E. Friedberger — Berl. klin. Wochenschr. N.° 10 (1904) Wiener klin. Woch. N.° 16 (1904). (2) C. Fraenkel — Ueber den Einfluss des Alkohois auf die Empfindlichkeit der Kaninchen fur die Erzeugnisse von Bakterien. Berl. &lin. Woch. N.° 3 (1905). — 362 — Tutti gl’ individui hanno presentato un miglioramento nel sangue e nella forza e così pure migliorarono per tutti le funzioni digestive; però tale miglioramento per le donne è molto lieve, e ciò crediamo dovuto anche al fatto che al principio delle esperienze le loro perdite con le feci erano limitate, nè potevano quindi subire notevoli ulteriori diminuzioni. Colui che a parer nostro subì più degli altri un benefico influsso dal vino fu Pietro, il capo di famiglia, il più forte mangiatore e lavoratore di tutti, il quale malgrado intro- ducesse un notevole numero di calorie per kilogramma pure pesava solo 43 kgr. Rimar- chevole è pure il miglioramento presentato dal vecchio Giuseppe nelle sue funzioni dige- stive, e quelle per il sangue da Gentile. Gettando un’ occhiata sulla tabella appariranno tosto alcune apparenti incongruenze fra il peso corporeo e il bilancio azotato e fosforato, dovute a molteplici fattori che ora brevemente esporremo. Una perfetta corrispondenza fra peso corporeo e bilancio azotato non si può ottenere che, evitando molteplici cause di errore. In primo luogo vanno calcolate le modifica- zioni del peso corporeo dovute alla perdita o al guadagno di grasso da parte dell’ or- ganismo, e quelle dovute alle oscillazioni dell’acqua, oscillazioni molto notevoli nella vita comune, come si può anche rilevare dal peso degli individui nei singoli giorni delle prove e che noi crediamo dovute in gran parte a oscillazione della quantità di liquido contenuto nel tubo digerente. In secondo luogo va misurata esattamente la quantità di albumina che viene assimilata e distrutta dal corpo nelle 24 ore. Ciò non si può ottenere che qualora il cibo venga completamente assimilato nelle 24 ore, per cui 1’ intestino alla fine di esse risulta perfettamente vuoto. Ciò non si verifica che nei cani e negli individui alimentati a dieta prevalentemente carnea; nei nostri contadini noi abbiamo invece osservato che i residui degli alimenti, venivano espulsi anche 48-60 ore dopo l’ingestione per cui per sì lungo tempo veniva protratta la loro assimilazione. Inoltre l’ albumina introdotta nei liquidi circolanti dovrebbe nelle 24 ore completamente venir dal corpo metabolizzata fino ai suoi ultimi prodotti di rifiuto, il che sappiamo non avvenire, abbisognando, special- mente le albumine vegetali, parecchi giorni per venir scisse negli ultimi loro prodotti di scomposizione. Per ovviare a questo inconveniente si è ricorso all’ artificio di porre in equilibrio di azoto l’ individuo mantenendo per parecchi giorni invariata l° introduzione di albumina, e saggiando l'influenza che su tale equilibrio può portare una sostanza priva di azoto. Si ha pure cura di mantenere invariate quelle condizioni che da sè possano tur- bare il bilancio azotato, come la quantità di calorie, la tempecatura, l’attività muscolare, la quale se moderata sappiamo favorire il guadagno di azoto ipertrofizzando i muscoli (Caspari), se eccessiva causarne con lo strapazzo la perdita. Ora i nostri contadini non vennero sottoposti a nessuna di queste condizioni, le quali non sono possibili nella vita pratica, ma solo artificialmente nei laboratori e meglio sugli animali da esperimento. I nostri esperimentati introdussero durante i giorni di prova la quantità di albumina che meglio credevano, variabile a seconda dei loro variati bisogni nella giornata, e a seconda dell’ impressione psicologica che dall’ esperimento ricevettero, RR quantità differente in maniera a noi ignota da quella precedente, in più o in meno a se- conda degli individui, alla quale differenza noi crediamo dovuto in non piccola parte il differente conportamento degli uomini dalle donne in rapporto al bilancio azotato. Perciò essi al cominciare delle esperienze, contenevano una quantità a noi ignota di albumina in via di assimilazione nell’ intestino, e in via di scomposizione nei liquidi interstiziali e cir- colanti: come pure ignota fu per noi la quantità di albumina introdotta durante le prove contenuta ancora nell’ intestino, o nei liquidi alla fine dell’ esperimento. A questi fattori crediamo dovute le notevoli eccedenze in più o in meno nel bilancio azotato o fosforato, in massima concordanti fra loro, maggiori per il fosforo che sappiamo permanere in gran parte nell'intestino, inusitate nei carnivori, proprie degli erbivori, a cui sì avvicinano i nostri contadini nel regime nutritivo. Infatti noi crediam di poter esclu- dere ogni altra causa di errore, il che facilmente ci sarà concesso da coloro che porranno mente alla maniera con cui fu condotto l’ esperimento. Un errore nell’azoto introdotto non e ammissibile perchè le stesse analisi servirono sia per gli individui che furono in gua- dagno di azoto come per quelli che furono in perdita. L’ analisi dell’azoto urinario è sce- vra di errori, e alla ipotesi che parte delle orine venissero perdute si oppone non solo il fatto che gl’ individui furono sorvegliati ma anche la perfetta concordanza nella quantità e nel suo peso specifico nei singoli giorni delle tre prove nei singoli individui. Il solo errore possibile, di una imperfetta divisione delle feci, che noi crediamo di poter escludere, non varrebbe a spiegare le eccedenze che ad es. per Pietro raggiungono gr. 4,521 per giorno, perchè troppo tenue in quanto non potrebbe causare al massimo che differenze del 5-10 per cento nella quantità di azoto perduto colle feci che nel caso su citato era di er. 1,396. Si aggiunga che una sola soluzione titolata ha servito per tutte le analisi. Pertanto non crediamo che gli individui abbiano subito una perdita o un guadagno in albumina carnea esattamente equivalente alla perdita e ai guadagni di azoto quali ap- paiono nel bilancio azotato, tuttavia crediamo che nel complesso. bilanciandosi gli errori, i risultati corrispondano alla realtà, in quanto gli individui presentarono un risparmio di albumina, risultato che concorda con quello degli altri autori, e con tutti gli altri resul- tati ottenuti nel nostro esperimento. — 5364 — 8. Conclusioni. Riassumiamo in una sola tabella i risultati generali delle nostre esperienze. ENTRATE GIORNALIERE IN GRAMMI Cibo Cibo R. Albu- | R. R. MO R. R. Fresco| % | Secco | % SARI E NIETO È dra. i Prova mina | 0/ Grassi %, Ceneri 0/, Idrati C.| 0, Alcool I |1846|100|610,899|100|9,614]|60,088|100]|40,452|100|25,162| 100|485,197| 100) —— II |A714| 93|609,084|99,7|9,285.|58,031| 97|38,527| 95|25,279|100,4|487,247|100,4| 73,749 III | 1631] 88|567,814|93 |S$,517]53,231| 89|36,129]| 89|26,282 |104,4|452,172|]93|107,261 Calorie Prova| Senza | R. Con R. alcool | %/ | alcool | % Albumina | Alcool Calorie per Kg. | per Kg. | per Kg. I 2611,87 | 100|2611,87|100| 1,21 —— | ‘52,84 TI |2593,94 | 99|3110,18| 119] 1,14 1,45 61,37 III |2408,15| 92|3158,98 | 121] 1,05 212 62,53 PERDITE GIORNALIERE CON LE FECI IN GRAMMI R. Albu- Prova | Fresco Ù, Secco % Azoto | mina Lio Idrati | R. Grassi io Ceneri di Calorie to %o %o o | Cab. | % | % I 276,63| 100 |52,821| 100 | 2,088|13,050| too | 4432) 100 | 7,745| 100|27,594| 100|207,86| 100 II |205,43| 74|38,049| 72| 1,590] 9,937) 76|3,029| 68|5,332) 69|19751| 72|14989 72 III |200,40|] 72 |33,453] 63 | 1,377] 8,606] 66 | 2,444 55 | 4,716 GI |17,687] 64 |130,53|] 63 PERCENTUALI (%) DELLE PERDITE GIORNALIERE COLLE FECI IN GRAMMI Prova Secco 0%, © E VÀ Grassi DA Ceneri DA Idrati O. A Calorie 9A I 8,60 %, 1100}|(2I72497 100 | 10,96 %,| 100 | 30,78 %| 100 5,69 % 100 179608% 100 JI 2) TA TIZI) 18 MESOMOA 2 200) 69 4,05% TI USM 6 1II 9,99 % 68. | 16,17 %, 14 6,76% 620907 58 SROMOA 69 RIGO 52 SOSTANZE ASSIMILATE GIORNALIERE IN GRAMMI tmttt—6———_——————P——— {9 ME Gi. AS ME, n A IIa AA | A Cibo R. È ; R. LE I. SUA R. de R P R. | A]bumina| Aleool Culo Prova SAUNA 9/, Azoto-Albumina | %/ Grassi 0 Ceneri 0 Idrati C. | 6 î Alcool Calorio 0/, | per Kg. | por Kg. | per I 558,078 | {00 | 7.526 - 47,038 | 109 | 36.020 | 100 I7,417 | 108 | 457,603 100 == 2404,01 | 100 0,95 = | | II 571.035 | 102 | 7.695 - 48.094 | 102 | 35,498 99 10,947 | 114 | 467,496 | 102 13,749 1 2960,29 || 1123 0,95 1,45 - ” Ia 7, 1 P9I- | | 101 c » | c II | 334,361] 96|7,40-44,625| 95| 33,685| 94| 21,566 | 124 | 434,485 | 95 | 107,261 | 3028,45 | 126 | 0,88 AR — Seo — BILANCIO GIORNALIERO DELL'AZOTO IN GRAMMI Azoto introdotto |Az.perduto colle feci, Azoto assimilato Azoto urinario i: Prova Differenze Totale |R.0/| Totale |R.0/%| Totale |R.%| Totale |R.% I 9,614 100 2,088 100 7,926 100 7,548 100 — 0,022 II 9,285 97 1,590 76 7,695 102 7,08% 94 + 0,613 III 8,517 ! 89 RS 66 7,140 95) 6,221 82 + 0,919 BILANCIO GIORNALIERO DEL P:0; SIAE Introdotto Feci Perdita 9/ Assimilato Urine Die Totale E % Totale | R. 0/,| colle feci | R. 0/| Totale R. 0% Totale R. % I 3,415 100 2,987 100 | 69,90 9,| 100 1,025 100 0,866 | 100 -+ 0,162 » II Red A I II 3,422 100 1,899 80 | 55,49 » 79 1P528 148 0,935 | 108 + 0,585 III 3,199 94 1,615 68 | 50,48 » 12 1,584 154 0,968 | 112 + 0,616 FORZA AL DINAMOMETRO DIECI COLPI Rap- I II III IV V VERI AVID RAVALITO MID Xx Media | porto AA ION (Asca RE ASTA gi di %o T 2830 275] ere 263258) 25 250 247] 288 237) 2578) 1000 TS OI INZONA 200 e Ze VI I) 26,8 | 20,7 26,3 | 28,05 | 108,8 | TIR 2529 2902910, 2 STA MESSI MDZITANTI 27,8) | 2705 | 2850, | 28,85 | 111,9 PESO CORPOREO SANGUE Prova | Media Uomini | Media Donno | Media totale R. 9% Prova | Emoglobina R. 9 Globuli rossi R.% Kg. Kg. Kg. I 50,300 48,600 19,450 100,— I 74,65 100 4,199,000 100 II 91,500 49,900 50,700 102,53 II 90,33 121 III 51,500 19,500 50,500 102,12 II 98,50 132 5,068,500 121 Pochi anni or sono, nel 1897, Foster così si esprimeva: « Se noi conosciamo alcun- chè degli effetti fisiologici di larghe cioè a dire velenose dosi d’ alcool ben poco invece conosciamo quanto concerne gli esatti fisiologici effetti di dosi di alcool che non produ- cano immediate palpabili modificazioni, in altre parole dell’ aleool considerato come ali mento ». Da quell’ epoca alcuni fatti sicuri ed importanti furono stabiliti. Per opera di Atwater è stato provato che l’ alcool in maniera isodinamogena agli altri principii alimentari viene usufruito dall’ organismo come sorgente di forza e di calore. Per merito principale di Neumann e Rosemann è stato definitivamente stabilito che l’ alcool risparmia 1’ albumina del corpo, forse, diciamo noi, perchè ne favorisce la Serie VI. Tomo VI. 1908-09. J 48 0 sintesi. Infine l’ esperienze dì Chittenden hanno pienamente confermato quello che la mente di Claude Bernard aveva mirabilmente intuito, che 1° alcool stimola tutte le secrezioni digestive. Dalle nostre esperienze due fatti fino ad ora controversi appaiono, a parer nostro, si- curamente provati. Che il vino bevuto durante i pasti favorisce l’assimilazione negl’ indi- vidui in cui per la poca sapidità e digeribilità dei cibi i poteri digestivi erano affievoliti: e che il vino ha potere di migliorare la sanguinificazione rialzando il tasso emoglobinico. Inoltre le nostre esperienze confermano che il vino risparmia | albumina del corpo; e il fatto che nella seconda e terza prova i contadini coll’ aggiunta del vino eseguirono un notevole lavoro muscolare mentre nella prima stavano in riposo, si accorda col potere termodinamogeno dell’ alcool. Giunti al termine di questo nostro lungo e faticoso lavoro noi sentiamo il bisogno di rivolgerci la stessa domanda che ci siamo rivolti 35 anni or sono alla fine dell’ altro: l'alcool è un bene o un male per gli uomini? Molto lavoro è stato fatto in questo frat- tempo e fatti sicuri sono stati acquisiti al patrimonio scientifico, tuttavia la domanda ci lascia ugualmente perplessi. Come abbiamo accennato al principio del lavoro, per giudicare del valore sociale di un alimento bisogna tener calcolo di tutte le qualità sue caloriche, stomachiche, ricosti- tuenti e nervine. E vi sono pochi alimenti che come l’ alcool riuniscano tutte queste qua- litò in maniera così spiccata. Anzi, come nota Foster, non per le qualità calorificanti l'alcool viene ricercato dagli uomini bensì per le sue proprietà nervine: tuttavia non si deve dimenticare che di tutti gli alimenti prevalentemente termodinamogeni | alcool è quello che viene ingerito e assorbito colla massima appetenza e facilità, e che, come lo provano l’ esperienze di Atwater, dà un rendimento meccanico di forza praticamente eguale agli altri. Però l’ alcool possiede una caratteristica che lo differenzia profondamente dagli altri alimenti termodinamogeni: mentre questi se non vengono consumati sul momento sono trasformati e depositati come grasso e non modificano la composizione del sangue, 1° alcool invece non può essere in alcun modo immaganizzato, ma permane fino a che sia tutto con- sumato nel sangue e negli umori interstiziali ad esercitarvi la sua azione nervina. Ben poco conosciamo dell’ azione delle sostanze nervine. Mentre gli alimenti termodi- namogeni forniscono l’ energia per i bisogni dell’ organismo, gli alimenti nervini come nota Foster (1) non forniscono energia, ma intervengono in quei processi per i quali 1° energia presente negli altri alimenti viene liberata, e, per così dire, dirigono la liberazione di questa. Ora non possiamo a priori negare che ulteriori nostre conoscenze possano giustifi- care la ricerca bramosa dell’ umanità per ie bevande fermentate, ora attribuita dai più alla loro virtù narcotica. La maggior parte dei fisiologi giudicano che modiche dosi di alcool non siano dan- (1) H. P. Bowditch a. C. F. Hodge. — Report on the present instruction on the phisiolo- gical action of alcohol. he liquor problem. ete., V. I, p. 69. — 567 — nose. Almeno così dobbiamo pensare poichè al congresso di fisiologia tenutosi a Cambrigde nel 1898, ben 62 di essi firmarono un accordo redatto da Foster che terminava così: « In breve nessuna delle cognizioni veramente esatte acquisite fino ad oggi può essere chiamata a contraddire, dal punto di vista puramente fisiologico, alla conclusione che alcuno può aver tratta dalla sua comune esperienza giornaliera che l’ alcool, così usato — cioè in modica dose — possa esercitare un’ azione benefica sulla salute » (1). Permanendo immutato l’alcool nel sangue fino a completa ossidazione, facilmente vien sorpassata la dose oltre la quale la concentrazione raggiunta nel sangue è dannosa alle funzioni del corpo. Tale dose fu da noi fissata in 30 gr., e può essere ripetuta nella giornata specialmente da chi esegue notevole lavoro muscolare. Atwater dava come dose alimen- tare 72 gr. di alcool al giorno circa, quindi un grammo per chilo di peso corporeo in sei volte. Ora gli organismi abituati ad una sostanza nervina, specialmente se la stimolazione è eccessiva, la richiedono sempre in maggior dose; e da qui deriva il pericolo che ha fatto dell’ alcoolisimo uno dei peggiori flagelli dell’ umanità. Ma noi crediamo che questo pericolo, più che all’ alcool, sia dovuto alle condizioni intrinseche della società. Pensiamo che in massima le bevande fermentate fanno male ai tristi, e bene ai buoni. Un hicchiere o due di vino durante il pasto non hanno presentato mai un pericolo all’uomo sano, laborioso, mentalmente ben costituito ed educato. Mentre la miseria, l’ igno- ranza e il vizio portano all’ alcoolismo. Noi crediamo che in una società moralmente ed economicamente più evoluta il vino non servirà che a rendere più facile il lavoro e più lieta la vita. (1) H. P. Bowditch a. C. F. Hodge. — Report on the present instruction on the phisiolo- gical action of alcohol. he liquor problem. ete., V. I, p. 13. Giuseppe Pietro Giuseppuccio Gentile Giovannella.. Elisabetta . Uomini Donne Mediana Data 16- Il 17 » IS » 19 » 20065 16- Il 17 » 18» 19» 20) » Media ...... Media . ... 16 - IT 7 18» OT 20. » 16- II I7 » 18 » 19 » 20 » IMIEGNO, 0 0.00 16 - 17 18 19 20 Media 16 - 17 18 19 20 Media... . II » » » » Il » — 300 — URINE - FAMIGLIA SILVESTRI 1° Bilancio 16-20-II-1908 Quantità Peso specifico ce. 1000 1017 >» 1250 1016 » 1630 1015 DMI) 1019 DIMM 720 1017 ce. 1356 1016, 8 >» 2290 1008 >» 2750 1010 » 2450 1010 » 2930 1008 » 2600 1013 ce. 2604 1009, 8 » 530 1025 » 1100 1020 » 1030 1015 » 1300 1020 » 1160 1022 cc. 1024 1021, 0 » 880 1020 » 715 1024 » 1050 1020 » 800 1024 » 730 1021 CCMMNSIO 1201, 8 » 1000 1015 » 900 1021 » 970 1019 » 1050 1019 » 1350 1018 ce. i054 1018, 4 » 700 1017 » 630 1025 » 560 1025 » 550 1024 » 950 1020 ce. 678 10222 Riassunto 1661, 33 855, 67 1015, 86 1020, 8 1258, 50 1018, 33 Azoto totale 6,507 5,876 6,627 6, 114 6, 297 6,051 7, 413 6, 244 6,486 6, 869 6,613 gr. a © (Ca LA gr. 1,260 0,693 1,040 0, 866 Giuseppe Pietro . Giuseppuccio Gentile Giovannella . Elisabetta Uomini Donne Data Quantità Peso specifico 13 - III cc. 2000 1012 14 » » 1560 1019 O » 1330 1021 16 » » 1800 1013 I » 1150 1018 Media .... cc. 1568 1016, 6 13 - II >» 2790 1010 14» » 2850 1011 da. 5 » 2360 1012 10 » 2450 1012 Ao»: » 2500 1012 Media ce. 2590 1011, 4 13 - HI >» 1920 1016 14 » Ie r(20) 1016 ID > » 1000 1023 16. » » 760 1029 UT » 1600 1018 Media . ce. 1400 1020, 4 13 - III 1550 1021 Ao » 1650 1016 5 >» » 1000 1023 16. » DI 17/20) 1015 dro » 1640 1016 Media eee eco 1018, 2 13 - IMI » 1450 1017 Ii >» » 14250 1016 15 » » 800 1022 16. » dò AZIO 1017 dd » 1900 1012 Media .... ce. 1334 1016, 8 13 -11I » 780 1020 14 >» » 850 1021 19» » 580 1023 16» » 550 1023 IM » » 510 1022 Media oi (0904 1021, 8 Riassunto CCRIIIISORZIONI 1016, 13 » 1166,67 1018, 93 Media generale . ... cc. 1509, 67 1017, 53 RO URINE - FAMIGLIA SILVESTRI 2° Bilancio 13-17 -1II-1908 Azoto totale 8,599 8, 115 8,907 10, 080 7,230 6, 296 7,349 8, 297 7,850 10, 558 7,090 6, 205 8,817 8,174 8,168 8, 157 5,756 4,998 7,469 7,034 6, 683 4,352 6, 082 5,496 4,640 4, 398 4,994 (0(e} Giuseppe Pietro Giuseppuccio . Gentile Giovannella Elisabetta Uomini Donne Data 2-IV 8} S 4 » DS OS Media . ... 2-IV 3 4 » DS 6 » Media 2- IV o} D 4» dd, O SD Media 2-IV 9 4» 5, DS 6» Media 2-IV di, d USS SD. D 6» Media 2-IV BR) VOS 4 » 5) © 6» Media .... Media generale URINE - FAMIGLIA SILVESTRI 3° Bilancio 2-6-IV-1908 Quantità Peso specifico cc. 1400 1018 >» 1200 1020 » 1700 1015 >» 1840 1016 » 990 1018 ce. 1426 1017,4 » 2250 1012 » 2000 1011 » 1770 1012 » 2970 1011 >» 2700 1012 CCMML2398 1011, 6 » 1300 1020 » 1520 1020 » 950 1023 » 1480 1018 » 1750 1017 ce. 1400 1019, 6 » 1000 1021 » 1950 1018 » 1200 1020 » 1890 1017 » 2400 1013 ce. 1688 1017, 8 » 1140 1022 » 1400 1018 » 710 1023 » 1250 1019 » 1200 1018 cc. 1146 1020 » 910 1017 » 800 1022 » 960 1020 >» 1190 1015 » 990 1018 cc. 970 1018, 4 Riassunto cc. 1724, — 1016, 2 » 1268, — 1018, 7 . ce. 1494,50 1017, 45 Azoto totale gr. 6,809 > 7,012 >» (6,936 » 6,823 » 6,744 gr. 6,965 » 644 > 4,521 » 0,528 » 6,139 » 6,163 » 8,852 » , 366 % o SP ul DIS Ul 29 (0/2) » d 4 gr. 6,793 » 6,170 » 7,834 5 1A » 8,753 » 6,391 » 45317 DIR » 4,998 DIO » 6,082 » 5,496 » 4,640 » 4,398 gr. 6,475 » 5,968 gr. 10,221 (0 (e) gr. — 371 > Le orine furono divise al principio e alla fine delle prove facendo orinare gli individui esattamente alle ore 7 del mattino. Nei giorni intermedi tale precauzione non fu sempre presa serupolosamente. I calcoli furono fatti colla macchina calcolatrice Bunzel a 6 decimali. Tutti i calcoli dell’albumina, ie medie comprese, furono fatti partendo dall’ azoto e moltiplicando questo per 6,25: così pure gli idrati di carbonio furono calcolati anche nelle medie per diffe- renza e non per somma dei risultati parziali. Per le calorie servirono i dati di Rubner, cioè 4,1 per le albumine e gli idrati di carbonio, 9,3 per i grassi. Il fosforo fu ricercato nelle ceneri, e dal rapporto dell’acido fosforico colla quantità delle ceneri fu tratto il bi- lancio fosforato. AND = etti VELE RTR id iNVa vitisia TR RL e e be. ia ; n x P «i Ò A De A î Ri ato epatici dep ie db Ia Lante Sf parare du, A RI iosa be n LI i i TERATOIDE CONDRO-CISTO-PAPILLARE DELLA REGIONE PERIOMBELICALE NOTA DI TERATOLOGIA CUTANEA DEL Prof. DOMENICO MAJOCCHI (letta nella Sessione del 23 Maggio 1909) (CON UNA TAVOLA) Fino a pochi anni fa i dermatologi furono d’avviso che la pelle assai raramente ve- nisse meno alle leegi normali dell’ embriogenesi. Ed è per siffatto modo di vedere che essi hanno dato poca, o nessuna, importanza a tutte quelle alterazioni cutanee che sono la conseguenza di disturbi formativi nella primitiva costituzione anatomica della pelle. Ma gli studi progrediti di Anatomia patologica e di Teratologia ci hanno condotto a riconoscere un numero di anomalie maggiore di quello registrato fin qui nelle opere der- matologiche : anzi, parecchie lesioni cutanee, che un tempo erano considerate come pro- duzioni neoplastiche, oggi, mercè reiterate ricerche istologiche, devono esser poste fra le anomalie congenite della pelle. Come è noto, queste lesioni congenite per vizio embriogenetico, ora offendono la pelle tota substantia, ora turbano il regolare sviluppo di uno o più sistemi, di uno o più organi cutanei, e qualche volta infine si manifestano con produzioni anomale, e per sede, e per struttura istologica. Molte di queste anomalie cutanee balzano facilmente all’ occhio dell’ osservatore anche profano, perchè arrecano manifeste deformità (angioni, nei ipertrofici, varie cromopatie, trichiasi); ve ne hanno altre così intimamente riposte nella spessezza della cute, che non possono essere disvelate, se non con una indagine minuta, affidata al microscopio. Di queste ultime produzioni anomale la Teratologia ha registrato, e va registrando sempre, nuovi esempi, raccolti in diverse regioni della superficie cutanea, dei quali alcuni hanno destato vivo interesse scientifico. Fra le varie sedi cutanee, quelle corrispondenti alle topografie brarchiali rivelarono un maggior numero di siffatte anomalie. E, di teratomi e teratoidi branchiogeni, furono fatte illustrazioni di singolare valore scientifico, soprattutto per le particolarità della loro struttura. Ma, oltre queste anomalie corrispondenti all’ estremità cefalica dell’ embrione, Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 49 e furono descritte anche quelle non meno importanti dell’ estremità caudale ; così ché oggi la messe raccolia è assai copiosa, soprattutto per le numerose investigazioni micro- sceopiche, eseguite su tumoretti congeniti, tolti da feti e da neonati. Però, nello studio microscopico di questo genere di tumori, è d’uopo tener conto che la ricerca non è guidata sempre da criteri tecnici e scientifici prestabiliti, ma il più delle volte il reperto è fortuito. Non hasta: se noi c' imbattiamo in qualche tumoretto, dopo alcuni anni dalla nascita dell'individuo, non sempre sulla base delle sole notizie anamnestiche possiamo sapere con sicurezza se esso sia congenito; ed è però che la nostra attenzione sarà rivolta a tutte quelle produzioni cutanee dei neonati, ritenute come sospette di origine congenita, e anche a quelle, delle quali s' ignori siffatta origine. Inoltre fa d’uopo raccogliere questo mate- riale, non tanto in feti, o in neonati normalmente costituiti, quanto in quelli nati con gravi, o con lievi mostruosità, senza alcuna prevenzione. Bene spesso ci verrà fatto di svelare dalle particolarità di struttura l’ origine congenita, mentre questa, dalla sola storia clinica e dall’osservazione obbiettiva, non era possibile di riconoscere. D'altra parte, nello studio di queste anomalie, è d’ uopo por mente che si possono incontrare produzioni congenite, le quali sono costituite essenzialmente da pelle normale. Nessun elemento, proveniente da tessuti di natura diversa (tessuto cartilagineo ed osseo ...), entra a far parte della struttura di queste produzioni: in esse trovansi unicamente i tre strati della pelle colla loro ordinaria disposizione. A mio avviso, sono esse da considerarsi più giustamente come deformità per la sede, in cui sì trovano, ma non possono entrare, per il solo fatto di essere congenite, fra le vere produzioni teratologiche, perchè la loro struttura non si allontana mai dal tipo anatomo-istologico della pelle normale; e anche si tenga conto che siffatte produzioni possono presentarsi sotto le parvenze di tumori, 0 d’ escrescenze aventi varia forma, dimensione e consistenza, come i teratoidi, ma facil- mente rivelano differente costituzione ad un esame istologico. Dalle cose dette fin qui, mi pare di necessità investigare tutti i tumori congeniti cu- tanei, perchè essi ci riservano le più inaspettate sorprese, nascondendo nella loro compage qualche rara formazione istologica, derivante dai diversi foglietti blastodermici. Ad una di queste neoformazioni di origine congenita ho rivolto da qualche tempo le mie indagini, e intorno ai reperti di queste vengo a riferire nella breve nota seguente. Riassunto storico del caso. In un bambino, nato a termine, avente qualche non lieve deformità, si rinvennero alcune produzioni congenite, che fermarono principalmente la mia attenzione. Dapprima appariva all’ occhio dell’ osservatore, un labbro leporino semplice, fatto da un’ apertura verticale, nel mezzo circa del labbro stesso, alquanto slargata in basso, senza però alterazione alcuna, sia dell’ arcata alveolare, sia della volta palatina. Ma più spiccata appariva la deformità del padiglione destro: questo era assai più piccolo del sinistro, circa di un terzo (microtia), tanto che poteva dirsi un abbozzo, in paragone dell’ altro. Misurava in altezza 25 mm., ed in larghezza 18 mm., pigliando dii —.373 la misura nella parte superiore, più sviluppata, del padiglione. La sua inserzione si faceva pressa poco alla stessa altezza del sinistro, avendo però una direzione assai obliqua, dal- l’ indietro in avanti. L’ elice, benchè mal formata, sì mostrava come la parte del padi- glione meglio rappresentata; essa però era molto curva, stretta e piatta, sollevantesi assai poco dal piano cutaneo circostante. Colla palpazione si sentiva nella sua spessezza un sot- tile orlo cartilagineo. Superiormente, benchè ricurva, l’ elice mancava della sua gronda, 0 questa era appena accennata da un lieve solco. Mancava pure la fossa scafoidea. L° ante- lice (se così poteva chiamarsi) era rappresentata dal margine curvo interno dell’ elice. Inol- tre, si notava la mancanza della corca, e nel posto di essa eravi soltanto un piccolo per- tugio, nascosto da una piega, che metteva dentro al condotto uditivo esterno : questo però dopo un percorso di 6,0 7 mm. appena, cessava, e lo specillo non penetrava oltre. Da ul- timo mancavano il lobulo, il trago e Vl antitrago. Ma, oltre queste deformità, il bambino mostrava alcune produzioni cutanee congenite, delle quali la prima, situata nelia regione frontale, era costituita da un neo angiomatoso piano. Questo, partendo dal sopracciglio destro, si distendeva alquanto obliquamente, in guisa di una macchia tutta continua, di colore rosso-vinoso e di forma losangica, ma ir- regolare nei suoi margini, andando a terminare nel contorno frontale del capillizio, verso l'angolo frontale destro. Occupava i rami: frontali della prima branca del trigemino. La seconda era fatta da un’ escrescenza digitiforme, pendente dalla cute del lato estensorio dell’ articolazione cubitale destra. Di forma pressochè cilindrica, misurava essa 15 mm. circa di lunghezza, e 3 mm. di spessezza, terminando con estremità rotondata, nella quale si notava una piccola e sottile piega di cute, a guisa di una cresta Liscia in superficie, ricoperta da cute normale, molle, distendibile ed alquanto elastica, la detta escrescenza non lasciava sentire colla palpazione alcun nucleo duro nella sua parte centrale. La terza produzione cutanea, situata nella regione periombelicale, confinava appena con l'orlo superiore dell’ ombelico, ma con questo non mostrava di avere alcun rapporto. Era costituita da un tumoretto poco sporgente dalle parti circostanti, liscio, ma con su- perficie leegermente ondulata, e coperto da pelle normale. Colla palpazione, si sentiva in qualche punto del tumoretto una consistenza molle, in altri alquanto dura; e di più, si poteva, colle dita, circoscrivere il medesimo fin dentro la spessezza della parete addomi- nale, riconoscendovi un volume come quello di una nocciola. Intanto non sarà inutile di ricordare che, dalla nascita del bambino fino al giorno della sua morte, tanto il tumoretto teste descritto, quanto l’° escrescenza digitiforme sopra mentovata, non mostravano alcun visibile accrescimento. Venuto a morte il bambino, tre mesi dopo la sua nascita, ambedue le produzioni, testè descritte, furono recise e conservate in alcool assoluto, per essere di poi sezionate col microtomo. E senz’ altro si passa alla descrizione delle medesime. 1° Rispetto alla escrescenza cutanea digitiforme, le sezioni microscopiche, eseguite verticalmente e a tutta lunghezza della medesima, ne mettono tosta in evidenza la strut= tura, anche se vengano osservate a piccolo ingrandimento (Fig. $). Del resto, siffatta struttura è molto semplice, essendo costituita dai tre strati della pelle, che qui accennerò brevemente. L'epidermide, che ne forma il rivestimento esterno, è assai sottile, e non mostra con evidenza i diversi strati, dei quali essa si compone. Infatti il corpo di Malpighi risulta di pochi ordini cellulari, e in esso appena sono abbozzati gli saffi malpighiani: lo strato granuloso non appare che in alcuni tratti, e risulta di un solo ordine di cellule chiare, alquanto rigonfie, ma assai povere di granuli di cheratojalina: non si può distinguere lo strato lucido, mentre è discretamente sviluppato lo strato corneo, assai proclive a distaccarsi dagli strati sottostanti. Anche il derma è poco sviluppato, composto di fasci collageni, ondulati, disposti orizzontalmente sotto 1° epidermide, riunen- dosi in fasci arciformi presso l’° estremità libera della produzione digitiforme. La circola- zione superficiale, per la mancanza delle papille, è priva delle anse papillari : però quantunque non ben conformata, trovasi disposta in due strati di sottili capillari in forma di rete a larghe maglie, corrispondenti ognuno di essi alle facce epidermiche della sezione microscopica: ambedue le detti reti comunicano per capillari intermedi che ven- gono dall’ ipoderma; inoltre il derma è ricco di elementi cellulari, piccoli, rotondi 0 ovali, in altri termini con carattere embrionale, specie nel limite superiore contiguo alla epidermide. Dal limite inferiore del derma spiccano fasci fibrosi, e setti laminari di varia spessezza, ì quali sì approfondano nel parzicolo adiposo, dividendolo in più lobuli. Questo, nel suo insieme, forma una massa cilindrica, che nella sezione verticale dell’ escrescenza digitiforme appare come una striscia centrale, biancastra, rivestita dal derma e dall’ epi- dermide; è percorso in varia direzione da capillari, i quali formano una rete inter-lobulare, partendo essi da due o tre vasi di piccola dimensione, aventi direzione orizzontale e paral- lela all’asse della produzione sopradescritta. Numerose e ben conformate, si notano le ghiandole sudorifere, specie nel loro gomitolo, e nella porzione intradermica del loro condotto escretore, e quasi tutte si adagiano sul pannicolo adiposo. Invece, i follicoli pili- feri sono rudimentali: alcuni sono costituiti da formazioni epiteliali cilindriche, le quali, originate dall’ epidermide malpighiana, si approfondano nel derma, terminando con piccolo rigonfiamento ; altri, alquanto più lunghi, mostrano già in fondo un piccolo incavo, e, sotto questo, il rudimento conico della papilla pilifera; altri infine, più sviluppati ancora, aventi una direzione lievemente obliqua, mostrano già la formazione di un sottile pelo-matrice, he però non si vede uscire dallo sbocco follicolare: e in questi si nota un rudimento di ghiandola sebacea, fatta da uno, due, e fino a tre piccoli acini. Non si scorge ancora la presenza di muscoli lisci. ‘A spiegare lo sviluppo dell’ escrescenza dermo-lipoide digitiforme, è d’uopo, a mio avviso, ricorrere alla genesi da una briglia ammniotica: la quale, presa aderenza colla pelle della regione cubitale destra del feto, l’abbia di poi, mercè la sua lenta retrazione, stirata in basso, foggiandola a guisa di un cilindretto cutaneo. Ma più tardi, sia per i movimenti del feto, sia per altre condizioni, la briglia amniotica venne a lacerarsi, lasciando libera la produzione digitiforme sopra descritia. Siffatta maniera di sviluppo, mentre ci appare verosimile, sarebbe chiarita, sia dalla forma allungata e cilindrica della roduzione suddetta, sia dalla presenza della piccola pieca, già descritta sull’ apice della o I sa, 8 — 377 — medesima, piega che si rivela all’ occhio dell’ osservatore, come il punto di inserzione della briglia amniotica (1). Ma per siffatto modo di originarsi, e per i suoi caratteri di struttura, quest’ escre- scenza digitiforme non può entrare nella classe delle lesioni teratologiche: dappoichè, come si è detto in principio di questa nota, non si rinvenne, nella compage del tumoretto, alcuna produzione costituita da elementi istologici, appartenenti ad altro tipo di tessuto, estraneo alla pelle: in altri termini, è una deformità per la regione che occupa, e, se si vuole, una deformità per eccesso, fatta però da pelle normale (2). 2° Passando ora all’ esame del tumoretto della regione periombelicale, si può fin d’ ora dichiarare che le ricerche istologiche (che qui appresso vengono esposte) hanno fatto riconoscere in esso la struttura d’ un teratoide. Apertolo nella sua parte centrale, si trovò che la sostanza di esso non era uniformemente compatta, ma contenente pic- cole cavità apparentemente prive di liquido, Dopo l indurimento in alcool e sublimato, e di poi in alcool a diverso grado di concentrazione, e da ultimo in alcool jodato il pezzo fu chiuso in paraffina. I tagli, fatti in direzione verticale per comprendere l’ intera massa del tumoretto, e per vagliare meglio la topografia delle singole parti che lo compongono, sono stati trattati colle solite soluzioni coloranti di carmino allumi- noso, oppure col picrocarmino, o con doppie colorazioni. Anche a occhio nudo si scorge nelle sezioni dell’ intero tumoretto la presenza di parecchie cavità cistiche di varia forma e grandezza Frattanto, ponendo da parte la descrizione, sia delle cavità cistiche, sia di altre speciali formazioni, contenute nella sostanza del tumoretto, mi fermerò a dare uno sguardo generale alla costituzione anatomo-istologica del medesimo, quale essa cl appare nelle sezioni microscopiche riuscite per intero, prestandosi queste per un esame d’ insieme. Infatti, sebbene osservate con piccolo ingrandimento, si vedono in esse rappresentati ì diversi strati della pelle, i quali però, nè si trovano nelle loro nor- mali proporzioni, nè tutti presentano la loro consueta disposizione anatomica. Il rivestimento epidermico ha discreta, ma non uniforme spessezza : dappoichè questa, mentre in alcuni punti, sebbene limitatissimi, è assai notabile, in altri invece è molto tenue. E siffatta irregolarità di spessezza nei diversi tratti del rivestimento epidermico non può dirsi che sia in correlaziane con quelle lievi ondulazioni di su-- perficie del tumoretto, descritte più sopra. Del resto, nei punti di maggiore sua spes- sezza, vi si scorgono i diversi strati epidermici, dei quali il #a/pigliano d’ ordinario (1) Vedi appendice. (2) A conferma di questa maniera di formazione havvi anche la prova diretta nella struttura dell’ escrescenza digitiforme, la quale, come si è detto, riproduce la pelle normale coni suoi tre strati, e soprattutto collo stesso tipo di disposizione del circolo sanguigno: laddove, se si fosse trattato di una neoformazione, originata in quella sede, essa avrebbe dovuto presentare ben diversa costituzione ana- tomica, quella cioè, che sogliono presentare i papillomi e le produzioni villose, nelle quali una, o più anse vasali, di solito composte, sorte dal circolo vasale profondo, salgono verticalmente e tortuosamente nel loro centro, arrivando fino all’apice delle medesime. è il più sviluppato, sottile invece è il corzeo, e del pari sottile è lo strato granu- loso : infine è appena riconoscibile lo strato lucido. Ma questi due ultimi strati man- cano nei punti di maggior sottigliezza, o almeno non si rivelano colle solite colora- zioni. Mancano i zaffi malpighiani, e appena notasi. una lieve ondulatura della epidermide nel confine suo col derma sottostante ; al contrario in qualche punto, cor- rispondente ad un solco, o a un ripiegamento della superficie del tumoretto, sì notano rare, ma grosse produzioni malpighiane, dovute ad infossamenti dell’ epidermide, che pigliano dimensioni, forme e direzioni svariate, penetrando profondamente nel derma. Ma queste produzioni epidermiche non sono veri zaffi malpighiani, sibbene ripiegature dell’ epidermide stessa, adattantisi agli infossamenti del derma. Alcuno di questi grossi zatti avrebbe 1° aspetto d’ un follicolo pilifero, e talvolta rappresenterebbe più spe- cialmente lo sbocco di esso. Ma ciò è una semplice parvenza, dovuta alla sezione microscopica fatta alla periferia dello zaffo epidermico, mentre, come dirò in appresso, non esistono nè follicoli, nè peli alla superficie libera del tumoretto, Ma ciò che spicca nell’ esame istologico di queste sezioni microscopiche, è la sproporzione fra il derma e Il’ ipoderma, e, in pari tempo, saltano all’ occhio dell’os- servatore le alterazioni nella disposizione anatomica di questi due strati. La spessezza del derma è veramente cospicua, e può dirsi che nell’ intera massa del tumoretto predomina lo strato dermico su quello ipodermico. Però la compage del derma, prin- cipalmente nella parte centrale del medesimo, non è uniformemente compatta, come già fu avvertito più sopra, per la presenza delle varie e diverse cavità cistiche che si vedono nella sostanza del tumoretto ; al contrario, nei tagli della parte più peri- ferica del medesimo, il derma è più uniformemente compatto, perchè privo, o rara- mente fornito di qualche cisti, come si vede nella /ig. 2. Come si è detto, il derma è lo strato che ha maggiori dimensioni, e queste, dopo quanto si è detto, si comprende che siano dovute principalmente alla presenza delle numerose cavità cistiche e alle altre formazioni anomale che in esse presero sviluppo. Intanto, se noi ci facciamo a osservare tagli interi del tumoretto, possiamo vedere come sì distribuisce il derma nella sua costituzione anatomica. Dapprima confina coll’ epi- dermide sovrastante, in una linea ondulata, e non mostra, in qualsiasi punto della sua superficie, nè papille, nè rudimento alcuno delle medesime, I fasci fibrosi colla- geni si dispongono in maniera orizzontale al disotto del rivestimento epidermico, e dopo un breve tratto, discendono in basso, si fanno obliqui, spartendosi in varia di- rezione, e mentre vanno a circondare le diverse cavità cistiche, formano anche la parete esterna delle medesime: contemporaneamente, nel loro approfondarsi, involgono i lobuli adiposi dell’ ipoderma, estendendosi a! di là di questo con uno strato abba- stanza spesso. Basta guardare la Fig. 1, per scorgervi come i lobuli adiposi restino quali isole im mezzo al derma, e come questo si continui coi suoi fasci al disotto dei medesimi, pigliando una direzione orizzontale, press" a poco come i fasci collageni subepidermici (Fig. 2). Per siffatto modo di conformarsi del derma, ne viene una 7) anomala disposizione anatomica fra esso e 1° ipoderma; dappoichè nel maggior nu- — 379 — mero delle sezioni microscopiche avviene che alcuni dei lobuli adiposi trovansi spinti molto in alto, fino a sorpassare la metà del derma stesso; laddove altri rimangono in basso, sempre circondati da fasci dermici, dando luogo, nel loro insieme, a gruppi di isole adipose, divise da istmi di derma; per tal modo | ipoderma viene a costi- tuire uno strato discontinuo. Il che si può vagliare bene nella Fig. 1, 2, e meglio coll’ esame di molti preparati microscopici. Questa discontinuità e questa irregolarità di distribuzione anatomica formano il carattere più spiccato dell’ ipoderma nella struttura del tumoretto, e in pari tempo appare assai manifesta la scarsezza dell’ ipoderma stesso, in confronto al derma, sic- come avevo premesso più sopra. Intanto, rispetto alla struttura del derma e dell’ ipoderma, ben poco rimane a dire: l fasci collageni sono di varia spessezza, ove lassi e pieghettati, ove lisci e forte- mente serrati. Scarso appare il tessuto elastico, non uniformemente distribuito, non atteegiato in forma di rete, ma piuttosto mostrasi in vari punti raccolto in fascicoli, o in varia guisa aggrovigliato. Scarsi gli elementi cellulari, e fatti da cellule piccole, rotondeggianti, distribuite con una‘ certa uniformità nei fasci del derma superficiale: al contrario hanno carat- tere di cellule connettive fisse nelle parti medie e profonde del derma. È d’ uopo rilevare che in alcuni tagli microscopici il collageno appare assai sti- pato, fornito di scarsi corpuscoli fissi di aspetto fusiforme e molto evidenti : avrebbe, per così dire, il carattere di un connettivo adulto, quasi invecchiato, e perciò non in correlazione coll’ età del soggetto. Questo carattere del connettivo sarebbe anche in rapporto colla povertà vasale, che d’ ordinario spicca in tutta la sostanza del tumoretto: infatti, per la mancanza delle papille, assai povera è la circolazione subpapillare, e soltanto qua e là notansi sezioni trasverse, o oblique di vasi capillari più o meno dilatati. Nel derma medio e profondo rinviensi qualche sezione vasale con pareti molto spesse, circondata da un connettivo molto stipato (Zig. 2). L’ipoderma stesso è scarsissimo di vasi; e solo alla periferia dei lobuli adiposi si scorgono alcune sezioni trasverse di capillari, o di piccoli vasi. Come ho accennato più sopra, oltre alla mancanza di follicoli liberi, vale a dire che si aprano alla superficie del tumoretto, mancano pure ghiandole sebacee e ghian- dole sudorifere: quantunque si scorga qualche formazione ghiandolare di un tipo ana- tomico non ben definito. Infatti nella Nig. 2, lett. g si ha un gruppo di bottoni epiteriali, rotondeggianti, ovali, e irregolari, alcuni dei quali hanno nel loro centro un vano di varia forma e grandezza, privo di qualsiasi contenuto. Siffatta formazione di bottoni epiteliali, isolata nel derma, avrebbe il carattere di ghiandola «acino-tubo- lare, mentre si mostrerebbe sfornita di un condotto escretore che la metta in rap- porto coll’ epidermide soprastante E neppure mi fu dato di trovare muscoli lisci follicolari, il che è in perfetto accordo colla mancanza dei follicoli pilo-sebacei liberi, e nemmeno rinvenni muscoli nastriformi, o diagonali del derma. — 380 — Orbene, siffatte condizioni anatomiche del derma e dell’ ipoderma costituiscono di per sè anomalie, sia per l° alterata disposizione dei suddetti due strati, sia per la non equa proporzione loro, sia in fine per la mancanza di alcuni organi proprii della pelle. Ma a questi sì aggiungono ben altre anomale formazioni di speciale carattere anatomo-istologico, che danno al tumoretto 1° impronta vera dei zeratoidi cutanei. Di alcune ho già fatto cenno nell’ esporre testè i caratteri istologici generali del tumo- retto: ma ora è d’' uopo venire ad una descrizione più particolareggiata. 1° Ciò che attira 1° attenzione nell’ esame dei preparati microscopici di esso, è la presenza delle cavità cistiche soprammentovate più volte, formatesi nella spessezza della sua sostanza (Fig. 1, 3, 6). Queste cavità cistiche stanno a diverse altezze nel derma, ed anche profondamente, nella parte corrispondente all’ ipoderma, e sono spe- cialmente i tagli centrali del tumoretto, che contengono le dette cavità. Infatti sono alcune superficiali, altre stanno nel derma medio, altre sono profonde e confinanti col- l’ ipoderma, e perfino talvolta al disotto di questo (Fig. 7); variano esse nei loro dia- metri, le maggiori misurano da 4 a 5 mm. di diametro, le medie 3 mm. di diametro, le piccole da 1 a 2 mm.: d’ ordinario sono tutte ben visibili ad occhio nudo. Ve ne hanno però alcune piccolissime che si rivelano soltanto al microscopio. Hanno più specialmente una forma rotondeggiante, ma ve ne sono alcune di forma ovale, altre losangica, e qualcheduna si presenta schiacciata, o a guisa di una sottile fenditura. Sono fornite di due pareti, una ‘esterna, connettivale; 1° altra, in/erna, epiteliale, sebbene questa non sì scorga sempre nella sua interezza. Inoltre, ove è abbastanza spessa, ove è sottile, ove manca interamente. Rispetto alla parete esterna, è d’ uopo rilevare che questa non ha limiti ben netti, continuando alla periferia con i fasci fibrosi collageni del derma circostante : nel suo limite interno (a contatto coll’ epitelio) si mostra ora liscia, ora leggermente pieghettata. Ma la particolarità più singolare è costituita da una sporgenza papilliforme, che si eleva in un punto qualsiasi di questa parete cistica, spingendosi in varie di- rezioni entro la cavità medesima. In alcune sezioni microscopiche di dette cisti, sì può vedere anche a occhio nudo, mentre in altre essa non appare. Varia però mol- tissimo nelle sue dimensioni: in alcune cisti è rudimentale, fatta da un piccolo ri- lievo, 0 conico, o emisferico ; in altre è abbastanza sviluppata, e in altre infine si mostra di un volume veramente enorme, tanto che essa si curva entro la cisti, non avendo più spazio per distendersi nel suo progrsssivo accrescimento (Fig. 3, 4, 6, 7). Prese le misure di alcune, si trova che ascendono in lunghezza da 1 mm., a 1% mm., o a 2,23 mm.: in qualche papilla, ripiegata su sè medesima, la lunghezza è anche maggiore; più variabile è la spessezza di queste formazioni papilliformi, specie dalla base al loro apice. Di solito la detta papilla endocistica, ora è semplice, o unica, ora composta, o bigemina (Fig. 7). Si eleva essa con varia direzione, e ora si mostra = 98] — eretta e rigida, ora alquanto inclinata e curva, e allorchè raggiunge cospicue dimen- sioni, si piega su se stessa e mostrasi a tutta prima deformata (Zig. 4). Anche ja forma sua è varia, come ho detto più sopra; infatti nel suo sviluppo rudimentale mostrasi conica, o emisferica; e nel suo eccessivo sviluppo si presenta ora cilindrica, allun- gata, ora filiforme, ora lanceolata, ora corniforme e con base ora larga, ora sottile e peduncolare (Zig. 6). Come dissi, sorge la produzione papilliforme dalla parete esterna, o connettivale, della cisti, in un punto qualsiasi della medesima, ove di solito si vedono due ordini di fasci collageni che si sollevano e si anastomizzano fra di loro, ineurvandosi sull’ apice della produzione papilliforme stessa. I detti fasci collageni sono strettamente serrati fra di loro, e spiccano su di essi cellule connettive fisse, regolarmente disposte. Scarse invece sono le fibre elastiche, tanto nella parete della cisti, quanto entro la sporgenza papilliforme. Nella spessezza di questa produzione papilliforme si nota talvolta una lunga ansa capillare, che d’ ordinario si spinge fino all’ apice della medesima; talvolta si vedono più anse con diverse ramificazioni, specie nelle grosse produzioni, se fornite di upa larga base, o se fatte da papille composte : inoltre in corrispondenza della base delle grosse papille spesso si notano vasi, sezio- nati in diverse direzioni. Parimenti, capillari e vasi di piccolo calibro, forniti di una sottile tunica avven- tizia, sì scorgono nella spessezza della parete cistica, ovvero alla periferia di questa, ove non è raro anche trovare sezioni trasverse di piccole arterie, con pareti molto ispessite e con lume anche ristretto. La parete interna è costituita da epitelio pavimentoso stratificato coi caratteri di quello epidermico: questa però manca in qualche cisti, forse caduta in disfaci- mento, o non è più riconoscibile in mezzo al detrito, contenuto in alcuna di esse. Del resto, la detta parete epiteliale riveste, ora interamente tutta la cavità cistica, ora una parte di essa. Il rivestimento epiteliale varia di spessezza da una cisti all’ altra, e anche in una stessa cisti: è fatta da epiteli di varia forma, tanto che può divi- dersi in più strati, spec:e in quelle cisti, ove tale rivestimento è molto sviluppato. Infatti, le cellule più profonde, limitanti la parete esterna della cisti, hanno di solito una forma cubica, e più raramente (e solo in alcuni punti) cilindrica: sopra queste poggiano cellule poliedriche, dovute alla varia e mutua pressione che si fanno, specie in certe insenature della cisti: appresso, vengono cellule fusate, e, sopra queste, cel- lule piatte, quantunque in alcuni punti possano queste mancare. Però non si può dimostrare la presenza di cellule cornee, sebbene, a tutta prima, le cellule ultime appariscano piatte e anche squamiformi in qualche cisti. Ma nelle cisti, ove la parete interna non è continua, le cellule epiteliali tro- vansi disposte, ora alla base, ora sul corpo, ora sull’ apice della grossa papilla, ora invece mancano altorno a questa, e trovansi in un canto qualsiasi della cavità cistica. Alcune delle cisti mostransi rivestite di un solo strato di epitelio cubico (specie quelle più piccole), nè contengono alcun prodotto di secrezione, nè alcun detrito. Inoltre, accanto alle cisti, trovansi, come si è detto, fessure e formazioni tuboliformi, rivestite Serie VI. l'omo VI. 1908-09. 00 =—— 352, — anch’ esse di epitelio stratiticato. Da ultimo, in qualche cisti, ove avvenne il disfaci- mento della parete interna, sì notano elementi connettivali fibrosi, penetrati nella cavità della cisti, immersi entro una sostanza di aspetto mucoide (ig. 1). Che l’epitelio di rivestimento delle cisti (quantunque in esso non siano rappre- sentati, o anche non riconoscibili lo strato graruloso e il Zucido dell’ epidermide) pos- sieda i caratteri dell’ epitelio malpighiano, riesce facile il dimostrarlo; dappoichè, oltre 1° aspetto morfologico delle cellule epiteliali, è evidente in esse la presenza delle ciglia, specie in qualche cisti, ove il rivestimento interno è molto spesso e ben con- servato; în due di queste ho potuto scorgere l’ epitelio ai lati della grossa papilla, fornito manifestamente di membrana spinosa (Zig. 4, 7). Come ben si vede, siffatta particolarità riesce importante per dare la significazione morfologica aile cisti monopa- pillari sopradescritte. 2° Un’ altra produzione di grandissima importanza, trovata in alcuni tagli microscopici, ci viene offerta da due distinti focolai cartilaginei, aventi ambedue forma ovale nella loro sezione trasversa, i quali risiedono nella parte più profonda del tumoretto. Sono fatti di cartilagine iulirna, e rivestiti di spesso e ben netto pericondro. Che questi due focolai cartilaginei, benchè simili per forma e dimensione, siano due formazioni veramente distinte, si può facilmente dimostrare per la loro sede anatomica e topografica differente, che occupano nei tagli microscopici. Infatti, uno di essi rinviensi alla base di una gigantesca papilla composta (digemziza), endocistica; basta osservare la Fig. 7, ove il focolaio cartilagineo spicca in mezzo al connettivo collageno della parete esterna cistica, nel punto corrispondente alla base della papilla suddetta, ripiegata entro il vano della cisti medesima. Al contrario, l’altro nodetto cartilagineo giace sull’ipoderma, in parte circondato e protetto dai lobuli adiposi, come sì scorge nella Fig. 2, rappresentante la sezione microscopica, fatta verso la periferia del tumoretto, ove, come si è notato, non si trovano più le cavità cistiche. Queste particolarità topografiche bastano di per sè a farci riconoscere che i due nodetti cartilaginei sopradescritti sono formazioni autonome. 3° Fu detto più sopra che non vi hanno follicoli alla superficie libera del iumoretto: nullameno è d’ uopo rilevare che in qualche taglio microscopico s° incon- trano formazioni follicolari nella spessezza del medesimo, le quali si mostrano soltanto in sezione trasversa, o obliqua, assai dilatate, e assolutamente prive di pelo. Nella Fig. 5 appare evidente la sezione di un follicolo ectasico, nel quale spicca tanto chiaramente la guaina epidermica follicolare, che non v'è bisogno di una dimostra- zione. Ma ciò che havvi di particolare nella stessa sezione, è la presenza attorno al follicolo ectasico di qualche formazione follicolare decessoria, la quale sarebbe fornita di una rudimentale peluria, tagliata di traverso, e che io ritengo come formazione pilifera abortiva, forse per le condizioni dell’ambiente in cui si è sviluppata. Inoltre, in vicinanza della sezione trasversa del follicolo ectasico si trova un gruppo di bot- — 383 — toni epiteliali rotondeggianti, o ovali, che per la loro disposizione concentrica delle cellule mostrano grande somiglianza colle areole di un epitelioma: i detti bottoni sono costituiti da epitelio con carattere malpighiano, anzi dallo stesso epitelio che forma la guaina epidermica follicolare. Siffatte formazioni epiteliomatodi trovansi in un’area circoscritta, sempre vicine fra di loro, e più raramente a contatto con una cavità follicolare ectasica. Ora, per i suddescritti caratteri di struttura e di topo- grafia, potrebbero esse ritenersi come divendenze follicolari, e perciò come gemma- zioni del vicino follicolo. Ma da un’altra parte del follicolo ectasico vedonsi aleune masse, anch’ esse epi- teliali, di parvenze aciniformi, fatte da un epitelio, avente caratteri differenti da quello dei bottoni suddescritti; dappoichè questo contiene un protoplasma granuloso, denso, che lo fa apparire molto opaco: inoltre si distingue per la sua disposizione in due strati, l'esterno costituito da cellule cubiche, fornite di nucleo ovale ben distinto, l’ interno fatto da cellule rotondeggianti, o ovali con nucleo meno distinto per la densità del protoplasma cellulare. Queste masse epiteliali aciniformi sono aggruppate e atteggiale in guisa da pigliare la parvenza ghiandoliforme, tanto che non si ande- rebbe lungi dal vero se si considerassero come imperfette, o atipiche formazioni di ghiandole sebacee. E in questo modo di vedere ci conferma la topografia delle masse aciniformi, così prossima alia cavità follicolare ectasica sopra descritta. È pur vero che nelle cellule della parte centrale delle dette masse aciniformi non si scor- gono quei cambiamenti morfologici che conducono alla funzione secretiva: ma si può credere che la funzione potè mancare, quando mancarono le condizioni di un per- fetto sviluppo dell’ apparato follicolare. Comunque però è da notare che qualche for- mazione ghiandolare atipica sì rinvenne nel derma, avente il carattere acino-tubolare, come già fu accennato più sopra, e come si scorge nelle Fig. 1, 2. 4° Di un’ altra anomalia voglio far menzione, benchè rinvenuta in due sole sezioni microscopiche, e precisamente fra quelle eseguite alla periferia del tumoretto. Trattasi della presenza di /ibre muscolari striate, le quali non formano nè un musco- letto, nè una membrana muscolare (Fig. 2. fi»). Sono esse scarse, disposte in due direzioni, longitudinale e trasversa, e quasi perdute tra i fasci collageni del derma; tuttavolta interessano per la loro topografia; dappoichè e d'uopo tener conto che le lette fibre muscolari risiedono nel derma medio, è non sottostanno all’ ipoderma, ove potrebbero facilmente trovarsi nelle sezioni profonde delle pareti addominali. 5* Da ultimo, accennerò alla presenza di alcuni corpi concentrici, di varia grandezza, di aspetto bianco-perlaceo, aventi sede nel derma profondo di alcune sezioni microscopiche, colorantisi col violetto di metile, e assai debolmente coll’ ema- tossilina (Fig. 7, c c.). Siffatti corpi si rinvennero indifferentemente, tanto nei tagli centrali, quanto nei periferici del tumoretto, d’ordinario isolati, talvolta ravvicinati, ma raramente contigui. Come ho detto, si trovarono essi negli strati profondi del — 384 — derma, e mar attorno alle pareti delle cisti: talvolta però sr mcontrarono vicim a sezioni di vasi, ma non sì potè mai stabilire alcun rapporto genetico coi medesimi. È difficile darne una significazione esatta: nuilameno, per il loro aspetto morfologico, potrebbero ritenersi come speciali formazioni colloidi. E ora, qualche considerazione sul caso, testè descrilto, può aprirci la via a discutere alcune delle questioni che si affacciano, studiando le varie anomalie rinve- nute nel medesimo. Innanzi tutto per i fatti anatomo-istologici sopra esposti, rimane pienamente dimostrato che il tumoretto periombelicale è un vero eratoide cutaneo. Le molte formazioni anomale, in esso contenute, bastano per confermare siffatta diagnosi. Inoltre è d’uopo tener conto che il feratoide periombelicale sopra descritto non era il solo fatto anomalo, trovato nel bambino, ma esso era compagno di ben altre alterazioni teratologiche, fra le quali spiccavano il Zabbro leporino e la microtia. Dopo ciò, non è mio intendimento di fermarmi su tutte le varie e diverse pro- duzioni anomale sopradescritte. per studiarne la teratogenesi. Farò soltanto qualche breve riflessione sul teratoide periombelicale, perchè esso forma il soggetto principale di questo scritto. Orbene, qui si affacciano alcuni quesiti. Primo fra tutti: a) Quale è la genesi del teratoide periombelicale ? Siffatta questione, già tanto complessa di per sè, conduce direttamente all’ altra, non meno importante, intorno alla topografia del teratoide. Ma qui e’ imbattiamo in gravi difficoltà, forse insormontabili, soprattutto quando si richiede di stabilire le con- dizioni embriologiche, determinanti la sede del teratoide nella regione periombe- licale. Come si è detto, per rispetto alla sede topografica, i teratomi e i teratoidi furono divisi in quelli dell’ estremità cefalica, e in quelli dell'estremità caudale dell'embrione. Nella prima classe spiccano principalmente i teratomi e teratoidi di origine branchiale : nella seconda invece figurano soprattutto i tumori sacro-coccigei e quelli degli organi genitali. Ma ben poche sono fin qui le osservazioni registrate sopra i tumori congeniti della regione ombelicale e periombelicale. Per le indagini da me fatte in proposito, posso affermare che non mi fu dato di trovare un esempio di teratoide, che per le partico- larità anatomo-istologiche avesse qualche somiglianza con quello, da me testè de- scritto. E pur vero che in tutti i teratoidi si trovano modezti cartilaginei e ossei - tessuto muscolare striato e liscio - cisti epiteliali, rivestite di epitelio di varia forma, ma è nell’ insieme dei caratteri anatomo-istologici, e in qualche particolarità morfolo- gica (come la presenza di cisti m0onopapillari) che sta la differenza fra il caso, da me descritto, e gli altri sparsi nella vasta letteratura. Comunque però, la genesi dei teratoidi dell’ estremità cefalica e caudale dell’em- brione viene spiegata non solo colla presenza in queste sedi di elementi istologici — 385 — di origine diversa, vicini fra di loro e perciò proclivi ad una reciproca invasione, 9 ma soprattutto perchè quivi s° incontrano molte e varie formazioni, destinate a scom- parire di mano in mano che progredisce lo sviluppo dell’ embrione ; cosicchè alla loro permanenza 7 loco, ovvero -al loro trasporto in altro territorio non proprio, devesi la genesi di una produzione congenita anomala in siffatte topografie. Tutto questo possiamo avere nella regione ombelicale e periombelicale? Come si è visto nel teratoide periombelicale, mentre si rinvennero produzioni di derivazione ectodermica e mesodermica, nessuna traccia apparve di formazione endodermica, come spesso avviene per lo sviluppo di teratoidi in altre regioni. Siccome questo è un fatto indiscutibile, così dobbiamo pensare che quivi sia avvenuto 1° isolamento, o il deriva- mento, di germi embrionali dai due corrispondenti foglietti, per ottenere le descritte anomale produzioni; il che porterebbe a credere che alla stessa guisa di quanto si ha nell’ estremità cefalica e caudale dell’ embrione, altrettanto potrebbe avvenire anche nella regione ombelicale : dappoichè, convenendo anche in questo punto i tre foglietti blastodermici, potrebbero questi fornire alcuni germi, i quali, isolati e penetrati nella sostanza di altri tessuti, vi rimarrebbero inclusi, e di poi fattisi autonomi, in virtù di stimoli accidentali, darebbero luogo più tardi a risveglio della loro attività forma- tiva. E in tal maniera potrebbero spiegarsi le varie produzioni anomale, trovate nel teratoide, ammettendo la penetrazione di germi di un foglietto nell’ altro. Ma qui è d’ uopo rilevare che 1 isolamento di germi embrionali. può avvenire più o meno sollecitamente ; e, secondo il concetto embriologico di Marchand - Bonnet, siffatto isolamento, quanto più presto avviene, tanto più erande è la po- tenzialità che deve attribuirsi al germe embrionale isolato : e viceversa, quanto più tardi ciò accade, tanto più questa potenzialità viene a circoscriversi entro ristretti limiti. Donde la differenza nella costituzione anatomica più o meno complessa dei teratomi e teratoidi. Orbene, nel teratoide periombelicale figurano, come si è dimo- strato, due distinti ordini di produzioni, quali rappresentanti dell’ ectoderma e meso- derma, mancandovi qualsiasi prodotto del foglietto endodermico. Questa limitata for- mazione di prodotti anomali farebbe ritenere che il processo evolutivo dei medesimi non si fosse ordito nelle prime epoche di sviluppo dell’ embrione. Certo non si può dire, sulla base di fatti anatomo-embriologici, in quale momento abbiano avuto il loro inizio, sia le cisti monopapillari, sia i nodetti cartilaginei, produzioni più carat- teristiche del teratoide; ma non è inverosimile che queste possano essersi originate, sia all’ epoca di sviluppo dei germi piliferi, sia in quella delle cartilagini sterno-co- stali, su di che tornerò più tardi: intanto, anzichè estendere più oltre la discussione sull’ epoca dell’ isolamento dei germi embrionali dai foglietti blastodermici, è d’ uopo studiare come debbano essere interpretate le cisti monopapillari, e quale derivazione abbiano avuta le produzioni cartilaginee. Con questa indagine si collega lo studio della topografia del teratoide, già accennata più sopra, come pure la ricerca dell’epoca delle formazioni anomale, rinvenute nel teratoide medesimo. — 286 — b) Quale significazione deve darsi alle cisti m20r0papillari ? Dì cisti papillifere, trovate nei teratomi e teratoidi dell’ ovaia e di altri organi (mammella), ve ne hanno molti esempi nella letteratura. È noto pure come nella pa- rete interna di un dermoide cistico dell’ ovaia si trovi -d’ ordinario una rilevatezza solida (talora anche più), di forma ora conica, ora cilindrica, ora rotondeggiante, della erandezza di un pisello o di un fagiuolo, rivestita di pelle, provvista di peli, di struttura molto complessa, contenente nuclei cartilaginei e ossei, la quale fu detta papilla o sprone della cisti (1). Ma, come ben si comprende, siffatta papilla non ha nulla a vedere colle vere e proprie papille, ed è chiamata così perchè con queste ha una lontana somiglianza. E nemmeno può confondersi calle cisti papillifere, dappoichè in quelle, da me descritte nel teratoide, risiede una sola e tipica papilla, di notabile dimensione (se si pone a confronto con quelle del derma), ma avente la struttura delle vere formazioni papillari. Ed è per siffatta particolarità anatomica che noi do)- biamo ricercarne la significazione. Ora io sono d'avviso che le piccole cisti, da me descritte, sieno da considerarsi come formazioni fo/licolari: in altri termini, come follicoli ectasici per degenerazione cistica. Certamente che non è facile stabilire le condizioni che in tale evenienza pos- sono aver favorito l’ ectasia dei follicoli: tuttavolta una delle condizioni, se non la principale, che deve aver cooperato a provocare siffatta alterazione, è senza dubbio l obliterazione dei follicoli, essendo state trovate chiuse tutte le piccole cisti mono- papillari. Che questa sia la più giusta significazione morfologica delle cisti monopapillari, due validissimi argomenti starebbero a dimostrarlo. 1°) Il primo c'è dato dall’ unicità della papilla: poichè questo carattere anatomico è proprio del follicolo, il quale, come è noto, è fornito di una sola papilla semplice, e più raramente composta. Del pari, le piccole cisti o mancano della papilla (allorchè il taglio cade in un punto periferico di esse), o d’ ordinario suono fornite della mede- sima, la quale, come si è visto, è semplice anch’ essa e talvolta duplice per un’altra gemmazione, sorta sulla base deila papilla stessa. La differenza è soltanto nella forma e nel volume: dappoichè mentre la papilla pilifera ha una regolare conformazione e dimensioni costanti, in ragione delle dimensioni stesse del pelo, invece la papilla delle cisti sopradescritte è variabile per forma e notabile per volume, specie rispetto alla sua lunghezza; ma non ostante queste differenze, il fatto dell’ unicità della papilla è la condizione anatomica che ci fa ravvicinare le dette cisti al follicolo pilifero, 2°) L’ altro argomento, in appoggio a questo modo di vedere, ci viene offerto dal rivestimento epiteliale delle cisti, il quale, come si è detto sopra, ha gli stessi (1) O. Barbacci — Trattato italiano di Chirurgia, Parte IV, Vumori, pag. 414. Casa editrice Vallardi. — 387 — caratteri dell’ epitelio epidermico, soprattutto per aver riconosciuto in esso le cellule spinose malpighiane; ed è pero che deve considerarsi come omologo alla guaina epi- dermica follicolare, quantunque siffatto rivestimento epiteliale non sia sempre continuo nella cavità cistica, ma spesso circoscritto ad una parte della medesima. Ammessa pertanto l’ origine follicolare delle cisti monopapillari, torna di nuovo in campo la questione intorno all’ epoca della loro genesi; e a tal fine, tenendo sem- pre a guida il concetto embriologico sopraesposto dal Marchand-Bonnet, la strut- tura semplice delle produzioni suddescritte starebbe a dimostrare un’ origine piuttosto tardiva delle medesime: anzi più precisamente potrebbero riportarsi all’ epoca della comparsa dei germi piliferi. Alle prove qui sopra esposte, potrebbe farsi un’ obbiezione, la quale riguarderebbe la mancanza del pelo, anche rudimentale, sulla papilla delle cisti. Ma è d’uopo tener conto delle condizioni anatomiche, nelle quali venne a trovarsi la papilla nella formazione delle cisti sopradescritte. Infatti, resosi ectasico il follicolo, la papilla uscì dalle sue consuete dimensioni, e ipertrofizzandosi venne a sopprimere le matrici ori- ginarie del pelo e della guaina della radice, per modo che essa si è spinta fuori della zona epidermica di rivestimento delle cisti. Inoltre, nel punto occupato dalla. papilla potrebbe essere mancato il rivestimento epiteliale, cosicchè essa crebbe libe- ramente nella cavità cistica, pigliando notevole volume, senza dar luogo alla produ- zione del pelo. Del resto, anche la chiusura del follicolo, se ha permesso alla papilla di pigliare gigantesche proporzioni, del pari non prestò un’ ambiente favorevole allo sviluppo del pelo. Per siffatte ragioni le cisti monopapillari sopradescritte, non ostante che non fossero arrivate a fornirsi del pelo, ci starebbero in ogni modo a significare la loro origine follicolare. c) Quale derivazione deve attribuirsi ai nodetti cartilaginei ? Come si è detto, il teratoide periombelicale era situato sull’ orlo superiore del- l ombelico. Per siffatta postura del tumoretto le due produzioni cartilaginee possono essere derivate dalle vicine cartilagini, o delle costole, o dello sterno, nei primi mo- menti del loro sviluppo: ma, com’è più verosimile, tale derivazione deve attribuirsi allo sterno, e per la sua postura, e per la sua direzione, e più precisamente all’apo- fisi ensiforme del medesimo. Siffatta ipotesi sull’ origine sternale dei nodetti cartilaginei trovati nel teratoide, non avrebbe nulla di straordinario: anzi, come è noto, lo sterno si sviluppa con più focolai cartilaginei distinti : ora è dal nucleo cartilagineo del- l’apofisi ensiforme che scenderebbero in basso, nel tessuto indifferente embrionale, alcune propaggini di cellule cartilaginee (Ruge). Senza qui ricordare lo sterno addominale dei rettili e degli anfibi, possiamo dire che di questo prolungamento si ha qualche riscontro anomalo anche nell’ uomo. Si citano alcune rare osservazioni di apofisi ensi- forme prolungantesi nella parete addominale; e singolarissima quella raccolta dal Desault, riportata nel 7raité d’ ostéologie del Gavard (1805), in cui se ne descrive una, esten- dentesi fino all’ ombelico (citata dal Testut, pag. 103, Osteologia, 1905). — 388 — Altri esempi di allungamenti più o meno cospicui dell’apofisi ensiforme, unica, 0 bigemina, o trigemina, sono descritti dal Ruge (1): il quale ha dimostrato che il tessuto cartilagineo, che dà luogo allo sviluppo dell’ apofisi ensiforme dello sterno (da esso considerata come produzione autonoma), si prolunga in focolai molteplici nel tessuto indifferente embrionale della parete addominale, estemlentesi in basso senza limiti ben stabiliti (2). Di questi focolai (dopo che si è formata 1’ apofisi ensiforme dello sterno) alcuni andrebbero a scomparire, altri potrebbero rimanere come resti embrionali cartilaginei, immutati in mezzo agli altri tessuti. Per concludere, quantunque non cì sia dato per ora di stabilire le condizioni ana- tomo-embriologiche che possano portare queste produzioni cartilaginee lungo le pareti addominali, e fin presso l’ ombelico, nullameno, a spiegare |’ anomalìa sopradeseritta, abbiamo in mano alcuni fatti, specie per le ricerche del Ruge, i quali anzichè com- battere, favoriscono questo concetto teratogenetico intorno all’ origine sternale dei no- detti cartaliginei, trovati nel tumoretto periombelicale. E qui pure come si è ammessa più sopra la genesi delle cisti monopapillari in cor- relazione colla comparsa dei follicoli piliferi, così dobbiamo del pari ammettere che l'origine dei focolai cartilaginei sopradescritti sia avvenuta all’ epoca di formazione delle cartilagini sternali. Rimarrebbe ora a dire qualche cosa intorno all’ origine delle fibre muscolari striate, rinvenute nel derma: ma come si fece notare più sopra, per queste abbiamo i vicini ) muscoli addominali, le di cui fibre potrebbero essere rimaste incluse nella sostanza del teratoide periombelicale. Del pari lascio di parlare intorno all’ origine delle produ- zioni epiteliali e ghiandolari atipiche, avendone già accennato più sopra. Pertanto nel chiudere il presente scritto, mi piace di ripetere quanto ho detto in principio: che lo studio di questi tumoretti congeniti ci riserva bene spesso le più inaspettate sorprese per rispetto alla loro struttura, mentre per riguardo alla signifi- cazione teratogenetica loro, ci pone dinanzi a difficoltà talora insormontabili. (1) George Ruge — Untersuchungen ber Entwicklungesvorginge am Brustbeine und an der Sternoclavicularverbindung des Menschen — (Morphologisches Jahrbruch.... VI Band, 1880, pag. 360). (2) Le ricerche embriologiche del Ruge sullo sviluppo dello sterno e dell’ apofisi ensiforme, esposte nel suo classico lavoro sopra citato, hanno messo in chiaro la presenza di alcuni focolai carti- laginei, perduti in mezzo al tessuto indifferente embrionale della parete addominale. Sarebbe però di non poca importanza stabilire per mezzo di ricerche istologiche sistematiche la topografia e 1’ esten- sione di questi focolai cartilaginei su tutta la parete addominale fino all’arcata pubbica di embrioni umani e di animali. Dall’insieme di queste indagini si potrebbe venire a riconoscere, se i focolai carti- laginei vadano tutti a scomparire, ovvero rimangano chiusi in mezzo ai tessuti delle pareti addomi- nali. Siffatta permanenza dei focolai suddetti potrebbe spiegare certe alterazioni teratologiche APPENDICE La genesi delle produzioni cutanee dermo-lipoidi da briglie amniotiche fu ammessa da Van Duyse (Annales de la Soc. de Med. de Gand, tom. LX, 1882) e accolta dal Taruffi per alcune appendici cutanee congenite, (Storia della Teratologia). Anche il Dr. E. Bidone spiega lo sviluppo d’ una produzione cutanea-muscolare del mento mercè la teoria delle aderenze dell’amnios colla pelle, o della pelle colla pelle. ( Appendice cuta- neo-muscolare sul mento d’ una neonata, Archivio di Ortopedia, Milano 1901). Anzi nel caso descritto dal Bidone il fatto (molto simile a quello da me descritto) che lo condusse ad ammettere la teoria delle aderenze, fu « una speciale irregolarità notata nell’ estremità « del tumoretto, nella quale trovavasi appunto — almeno così crediamo di doverlo spie- « gare — il residuo di una briglia amniotica (se pure essa non è dovuta ad una adesione, « che strana sarebbe in verità, fra pelle del mento e pelle della regione sternale nei pri- « mordi dello sviluppo) staccatasi ad un dato periodo piuttosto tardivo della vita embrio- « nale ed atrofizzatasi e retrattasi in seguito » (mem. cit.). Or bene anche nell’ escresenza digitiforme dermo-lipoide, da me descritta, si rinvenne nella sua estremità una piccola cresta che faceva pensare al residuo d’ una aderenza amniotica; di guisa che per siffatta particolarità è agevole ammettere la giustezza dell’ ipotesi sopraesposta. Di tumori ombelicali congeniti ve ne ha una ricca messe da raccogliere dalle opere di teratologia e dalle molte pubblicazioni sull’ argomento sparse nella letteratura medica. A dir vero però, nella maggior parte di questi lavori si trovano descritti feratoidi e tera- tomi ombelicali e rarissimi quelli periombelicali, dei quali è singolare esempio il caso studiato da me. Comunque sarebbe superfluo uno studio di confronto col mio caso, non avendo trovato alcuno che con quello presentasse una qualche somiglianza, soprattutto per la particolarità anatomo-istologica delle cisti m0ropapillari. Serie VI. Tomo VI. 1908-09. DI SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1. — Sezione verticale fatta nella parte centrale del teratoide: sproporzione fra il derma e l’ipoderma, abbondante il p7°2220, scarso il secondo, e loro anomala distribuzione. cp, cp...) Cisti monopapillari di varia grandezza. c,c) Cisti epiteliali senza papilla. Fig. 2. — Sezione verticale fatta nella parte periferica del teratoide. ip) Anomala distribuzione dell’ ipoderma, e sua costituzione in forma d’isole adi- pose: continuazione del derma al disotto dell’ ipoderma. 9) Ghiandola atipica (acino-tubulare). 2c) Nodo di cartilagine jalina, rivestito di pericondro, situato nella spessezza del derma e poggiante in parte sull’ ipoderma. fin) Fibre muscolari striate nella spessezza del derma. v) Piscolo vaso a pareti ispessite. Fig. 3. — Cisti monopapillare (cp) rivestita in gran parte di epitelio coi caratteri di quello epidermico, fornita di grossa papilla corniforme, e questa mancante del rivestimento epiteliale. Fig. 4. — Parte delle pareti di una cisti monopapillare (cp), rivestita dello stesso epitelio fino alla base d’ una sottile e lunga papilla ripiegata su se stessa. Fig. 5. — Sezione verticale del teratoide, fatta verso la parte periferica del medesimo. ef) Follicolo ectasico, rivestito della guaina epidermica. Diverse formazioni epite- liali attorno alla suddetta ectasia follicolare; superiormente presenza di bot- toni epiteliali, aventi le parvenze di areole d’ un cancroide: lateralmente (a sinistra) presenza di masse epiteliali, somiglianti per i loro caratteri istolo- gici ad un gruppo di acini di ghiandola sebacea: inferiormente due gemma- zioni di follicoli piliferi accessori. Fig. 6. — Sezione verticale nella parte centrale del teratoide, contenente due cisti mono- papillari, cp, cp: la superiore rotondeggiante, rivestita dell’epitelio suddeseritto, contenente grossa papilla peduncolata ricoperta in piccola parte (verso l’ apice) dallo stesso epitelio : 1 inferiore di forma losangica, rivestita quasi per intiero di epitelio, contenente una papilla conica, e questa alquanto ripiegata verso il suo apice, in parte coperta dall’epitelio stesso. Fig. 7.-- Piccola parte delle pareti di una cisti monopapillare (cp), rivestita irregolar- mente da epitelio: grossa papilla bigemina, avente larga base, assottiglian- tesi in alto e provvista di altra papilla più piccola e ripiegata su se stessa. cc) Corpi colloidi nella spessezza dei fasci collogeni del derma. nc) Nodo di cartilagine jalina, rivestito di ben netto pericondro. Fig. 8. — Sezione intera dell’ escrescenza digitiforme, (ed) costituita da pelle normale (da una fotografia a piccolo ingrandimento). ide gi ZI) ra TELE A SILLA SLITTA TYES62s S LN | E.Contoli lib. ù \\ | LE AREE È \ \ ANY a DIN dis.dal vero. 2 aio ant a foceni Dem EA lane ao E RAT MERE EER E SAI ra nni a IRE PET MRI I SOR RERO CAR porre DEE SIE O ao 1 (( ; S = tal z = ù VORTEE G N S NW(OMNUAUMN DI i Ò Li 53 ù = k \ Ò i AZZ z VALE TRN È _ Ò = > NS N Stab. Lit.R.Roveri eG. SO. di: SRSS Bologna CCLII LIE Rd Fate ao dae oo iL Re Po RARE: at SUL COORDINAMENTO DEI FATTI E DELLE RELAZIONI FONDAMENTALI DELL'ELETTROMAGNETISMO NOM DEL Prof. LUIGI DONATI letta nella Seduta del 30 Maggio 1909 In un’altra nota comunicata all'Accademia l’anno scorso (*) indicai un particolar modo di rappresentazione della teoria del Maxwell, che si presta bene ad una chiara sintesi dei fatti e delle loro leggi, ed ha per caratteristica la distinzione, nella forza elettrica e nella forza magnetica, di due parti diverse di origine e di funzione. — Ri- torno ora sull’ argomento per meglio sviluppare una parte colà appena accennata e che è forse la più interessante, cioè la parte che riguarda il calcolo delle forze ponderali secondo quell’ ordine di idee. Del quale richiamerò prima brevemente per chiarezza i tratti essenziali per risparmiare al lettore la noia di riscontri, che qui sarebbe resa mag- giore per varii cangiamenti introdotti e in particolare quello delle notazioni vettoriali : essendo passato dal mio vecchio sistema al sistema Burali-Forti e Marcolongo, che ora è generalmente conosciuto. I. 1. - Si ammette, secondo il concetto del Maxwell, che ogni variazione di stato elettrico o magnetico implichi un processo che, qual che ne sia la vera natura, ha sempre carattere circuitale: sì che la modificazione delle condizioni del mezzo per cui un qualunque stato elettrico o magnetico differisce dallo stato neutro è sempre rife- ribile ad una successione di processi siffatti e rappresentabile quindi mediante un vet- tore solenoidale, che io qui indico genericamente con ,8. Siccome poi in certi punti la modificazione ha carattere attivo, cioè si accompagna con una reazione antagonista, esigendo l’intervento di una forza che la sorregga, e con provvigione di energia, mentre in altri punti può non avere tale carattere, così 6 si sdoppia in generale in due parti distinte, attiva e non attiva, che designerò rispettivamente con D e N, for- manti insieme un complesso solenoidale : (a) S=D-+N: divS=0, dvD= — div N *) Memorie della R. Accademia delle Scienze di Bologna, Serie VI, Tomo V. ( S — 392 — Denotiamo con £° (*) la forza coordinata a D, ammettendo che la dipendenza sia (per mezzi isotropi) espressa dalla relazione (2) D= aF, dove & indica un coefficiente positivo dipendente dalla natura del mezzo e dal genere x ; 1 SUE del campo, ed ammettendo che il semiprodotto scalare 3 FX D che si riduce (per mezzi isotropi) a 5 @F° significhi l'energia per unità di volume accumulata nel mezzo, che indicherò con 7: l 2 (c) yn=3FXD= AF° wr 2. - Specificando e distinguendo con gl’ indici e ed 7 le quantità elettriche e ma- enetiche corrispondenti, avremo in 2., 7, ordinatamente lo spostamento dielettrico e i : . l 3 a forza elettrica, 4x verrà a rappresentare la costante dielettrica e — ; sarà la fo lettrica, Arma, verrà a rappresentare la costante dielett S (oliE l'energia elettrica per ) unità di volume ; in D,,, # avremo la polarizzazione ma- gnetica indotta e la forza magnetica, 4Tan verrà a rappresentare la permeabilità . Il D) x . . . . ona . ] magnetica © > UmF,, Sarà l'energia magnetica per l unità di volume. Per queste quantità il parallelismo è perfetto; ma quanto ad $., $, e alle loro componenti non attive N., Na si presentano delle differenze dipendenti dal fatto che non esiste il corrispondente magnetico delle correnti di conduzione, come per converso manca il corrispondente elettrico della magnetizzazione permanente (prescindendo dai fenomeni di piroelettricità nei cristalli). — Per il campo elettrico immaginando come sopra una successione di processi circuitali elementari che possa addurre dallo stato neutro allo stato attuale, per ciascuno dei quali si può porre 4.68, = &%.dt, — dove dt indica l’ elemento di tempo (durata del processo), e 18 1) PES, GO da, rappresenta la corrente elettrica nel senso del Maxwell, costituita in generale dalla cor- i dDe rente di spostamento, = e dalla corrente di conduzione (eventualmente anche di È (*) Ad S, Je alle loro parti, come alle altre quantità (vettori o scalari) variabili da punto a punto nel campo, si attribuiscono i caratteri di continuità e regolarità in tutto lo spazio e dell’annullarsi al- l’ infinito nel modo proprio delle corrispondenti quantità elettriche e magnetiche, trattando le eccezioni alla maniera solita come casi limiti, e così p. es. le eventuali superficie di discontinuità, come caso li- mite di sottili stati di passaggio. Gl’ integrali di spazio, quando non si avverta del contrario, s° inten- dono estesi a tutto lo spazio infinito : il che semplifica le cose e libera le relazioni di trasformazione dai termini relativi alle superficie. = poggio convezione) che indichiamo con €, —, si ricava S.= D+ /C.dt : onde N, (parte non attiva di ,$,) viene ad essere rappresentata da /€,dt, quantità che, per la natura transitoria di €,, ha solo per così dire un significato sforico, e non si- gnifica una grandezza fisica altuale. Perciò nè N, nè ,8, compaiono mai direttamente nella trattazione dei problemi effettivi. Se però si considera la divergenza di €, in relazione con la variazione della densità dell’ elettricità vera, che indico con p., giusta l'equazione ; dp e ISS SERIOLIS dive. + Ce =0 (equaz."° di continuità), o si vede che div N, (= /dive.dt = — pe) ha quella significazione concreta che manca a N, considerata in sè. — Per il campo magnetico invece, M,, e conseguentemente hanno già per sè significazione concreta, rappresentando il primo la magnetizzazione permanente (dovuta eventualmente agli effetti d’ isferesi durante la successione dei processi circuitali cui, come sopra, si può riferire la costituzione dello stato attuale), ed il secondo la così detta induzione magnetica divisa pel fattore 47. Si ha poi, de- notando con f, la densità del magnetismo vero, div Nm = — Pym. Onde si vede che per div N, div Nm si ripresenta il parallelismo, e si ha in comune la relazione (4) divN=— p, e quindi anche divD = p cui corrisponde l’ equazione integrale, valevole per qualunque superficie chiusa 6, (d') | De do dr Voi Jil dove il primo integrale si riferisce alla superficie considerata, » indicando la dire- zione della normale esterna, ed il secondo allo spazio da essa racchiuso. Le quantità elementari fdT assumono il significato simbolico di masse: rappresentandole con 9, possiamo nel secondo membro scrivere semplicemente £g, intendendo la somma (in senso limite) estesa alle g comprese nello spazio racchiuso dalla superficie che si considera. S. - Alla forza PF, come accennai in principio, io attribuisco una composizione speciale : la considero cioè come costituita in generale di due parti o componenti di- stinte che indicherò con G e Z7: l'una, G, di origine esterna, ossia sostentata da energia esterna rispetto al campo che si considera, che chiamo forza impressa; e l’altra, Z7, di origine interna, il cui sviluppo è conseguenza del vincolo solenoidale (relativo ad 8), e che si può chiamare forza di rimando, in quanto che essa inter- viene come strumento essenziale nella propagazione e distribuzione giusta la legge so- lenoidale delle modificazioni locali provocate dall’ azione (attuale o anteriore) delle G, concorrendo a fronteggiare la reazione del mezzo. La 7, come facilmente si dimostra, è per sua natura sempre lamellare, cioè ammette sempre un potenziale, che s° indi- cherà con $, e quindi rot ZZ è sempre nulla : (e) F=G+4JH, tH=0 (H=—gradg). Secondo la nota immagine che, nel caso elettrico, assimila 8 al dislocamento di un fluido incompressibile, P viene a corrispondere alla pressione del fluido ; e questa as- similazione, intesa in via puramente illustrativa, può servire in generale a dare un’ idea dell’ ufficio di @ e della forza 77 che ne dipende. Per l’annullarsi di rot Z7, sarà rot /° sempre uguale a rot G, quantità che designerò con @. Tenendo conto anche dell’equazione che si ottiene sostituendo nella seconda delle (d) per D il suo valore a 7, si hanno così per 7 le due equazioni caratteristiche (7) div(aP?) = rot 7 = Ig; le quali sono sufficienti — insieme con le condizioni di continuità, ecc. e supposta la conoscenza di a — a definirla completamente quando si suppongano date p e 4g. Così per mezzo di p = — div N e g = rot@ risulta determinata la forza ZF e con essa la Z e l’ energia. Queste, come si vede, non dipendono dalla parte solenoidale di N nè da un'eventuale parte lamellare di G (la prima delle quali, se esiste, costi- tuisce per sè un sistema chiuso senza influenza sul resto, mentre la seconda viene com- pensata da una parte corrispondente della ZZ, per modo che la somma G + ZI, ossia la F, non ne rimane affetta). — La 77 invece viene così a dipendere anche dalla parte lamellare di @ e può dedursi, quando sia stata determinata la f, da HA=/F—- G; ma si può anche definire direttamente per mezzo delle equazioni caratteristiche (f°) div(az2) = p — div(aG), rot H1==0 che risultano senz’ altro da quanto precede. — Quanto ad S= D+ N, la sua deter- minazione implica la conoscenza diretta di N. Alle forze impresse G appartengono nel caso del campo elettrico sia le azioni di origine voltaica, termoelettrica, ecc., sia quella di origine induttiva, subordinate alla coesistenza di un campo magnetico in condizioni variabili (riguardato come ente esterno rispetto al campo elettrico); mentre nel caso del campo magnetico esse si riducono alle forze magnetiche subordinate alla presenza di correnti elettriche (azioni reciproche delle azioni elettriche di origine induttiva). Per ogni variazione 0,8 queste forze impresse forniscono un lavoro rappresentato per unità di volume da G X 0$8 e per tutto il campo dall’ integrale | [Gx asa esteso al campo stesso. Quest’ ultimo lavoro s’ indicherà con d0 (usando il d come — 395 — semplice segno di quantità elementare da distinguersi dal è che è simbolo di incre- mento o variazione); e qui s° intende che d0 significhi un contributo energetico /07r- nito dall’ esterno al campo che si considera, avvertendo che per il campo elettrico do, viene ad essere fornito a spese del campo magnetico per la parte eventualmente spet- tante alle G. di origine induttiva, mentre per il campo magnetico d0,,, è sempre for- nito interamente a spese del campo elettrico. — Giova notare che 00 non dipende che dalla parte solenoidale delle G@ e quindi dipende solo da g (perchè la parte lamellare, per il carattere solenoidale di d,S8 darebbe un contributo nullo nell’ integrale). Per la stessa ragione, essendo nullo l’° integrale SHX Ò,SdtT, al posto di (G si può sostituire sotto il segno M= G+ He prendere, come faremo generalmente (A) d0= Î FXxdSdr. 4. - Date p e g, risultano determinate, come si disse, 7 2 e l'energia. — Quali casi particolari interessanti si presentano i due: che sia nullo dappertutto g e non p, e viceversa che sia nullo dappertutto f e non g/; onde risultano due tipi diversi di campo, che dirò rispettivamente di prima specie e di seconda specie, e da cui per sovrapposizione si può sempre intendere costituito qualunque campo in generale. — Nei campi di prima specie la 7 è nulla o si riduce anch’ essa lamellare come la 77, sì che anche la ° viene ad essere lamellare, e si ha quindi il tipo così detto nerc- toniano ; nei campi di seconda specie Z risulta per proprio conto solenoidale, riducen- dosi poi ad aG nel caso che sia div(aG)= 0 in cui (/') la Z7 viene a mancare. Le differenze fra i due tipi appaiono segnatamente nel loro comportamento energe- tico. Oltre l’ espressione generale dell’ energia del campo rappresentata dall’ integrale Smdt, cioè (e) sE pe 5 | FX Ddr ovvero 3 | artar esteso a tutto il campo, ciascuno dei due tipi ammette un’ altra forma sua propria che si ottiene coi noti processi di trasformazione dalla stessa espressione generale, tenendo conto per l’uno e per l’altro tipo delle proprietà speciali relative a f e D. — ; 1; ; ) Ref 7 Per la prima specie quest'altra forma è rappresentata dall’ integrale 3 | zpar o, in forma semplificata, dalla somma corrispondente Il 2 dDyaq, dove Y indica il potenziale da cui qui dipende la Z° (che si riduce al potenziale @ della Z7 quando manchi anche la predetta parte lamellare della G) e le g sono le masse elementari di cui sopra. -— Per la seconda specie, indicando con WW il poten- ziale vettore da cui si può allora far dipendere la 2 (che allora è solenoidale), 1° espres- — 396 — sione propria dedotta per trasformazione dall’ espressione generale è rappresentata dal- Ppq + a Ze, wr dove la prima somma del 2° membro, che va intesa come sopra in senso limite, sì riferisce a tutte le cariche elementari distribuite nello spazio esterno ai conduttori ; mentre la seconda è una vera e propria somma che comprende tanti termini quanti sono i conduttori distinti. (SKI O Serie VI. Tomo VI. 1908-09. — OUò — Dall’ ultima equazione sì rileva che, pel caso di un campo completo, se f == 0 in tutto lo spazio esterno ai conduttori, cioè le g sono tutte nulle, e se inoltre per ciascuno dei conduttori sì ha 4 = 0 oppure e = 0, dovendo annullarsi |’ integrale del 1° membro — il che, per essere a positivo, non può accadere che a condizione che la Z' sia nulla in tutti i punti -—, il campo risulta necessariamente nullo. Onde poi si deduce col solito ragionamento per differenza che un campo completo è pienamente determi- nato ove sia data la distribuzione dei valori di f fuori dei conduttori, e per ciascuno di questi sia dato il valore del potenziale o della carica. — Che se, invece di un campo completo, si avesse a considerare una qualunque porzione del medesimo, nel o qual caso al 2° membro dell’ equazione precedente sarebbe da aggiungere |’ integrale = l È 5 SENIO È 4 5 PD,do relativo alla superficie che la limita, si vede ragionando allo stesso modo che ai dati precedenti conviene aggiungere i valori di @ oppure quelli di D, sopra la detta superficie. — Fondandosi su queste considerazioni, la trattazione dei problemi dell’ elettrostatica sì può ricondurre ai noti metodi classici. 6. - Correnti elettriche. — Quando non vi è equilibrio statico, si ha produzione di correnti. La corrente totale @ viene (n. 2) a comporsi in generale di due parti, dD a e €, cioè corrente di spostamento e corrente conduttiva (0 convettiva). Le è sono dt . dD sempre chiuse, mentre le a e le @ possono essere separatamente chiuse (e le € al- a ; lora possono anche essere permanenti), oppure possono completarsi reciprocamente in un sistema chiuso. In quest’ ultimo caso si ha per qualunque superficie che limiti una porzione qual si voglia del campo ( È dYq sez |» do=——, I È GI dt ; È 9 7 : : ; dp tv ; cui corrisponde l’ equazione differenziale dive + is 0, già data al n. 2 (equazione di continuità): relazioni che spiegano il processo di formazione delle cariche. Colle correnti conduttive entra in giuoco una nuova forza da aggiungersi alle G, sebbene di natura diversa dalle altre, cioè una resistenza comparabile ad attrito, che, ovunque siavi corrente, si sviluppa in opposizione a questa fino a bilanciare la 77, e che pei conduttori isotropi è rappresentabile con — yC, dove y indica un coefficiente positivo dipendente dalla natura del mezzo (resistenza specifica o resistività): di guisa che si ha in ogni punto del conduttore ye — E: Essendo la detta forza sempre opposta alla corrente, essa dà luogo ad un lavoro negativo. Questo lavoro, preso con segno cangiato e riferito all’ unità di tempo, sarà — 399 — per una qualunque regione 7 rappresentato dall’ integrale ye X cdt = Î (cCdT il quale viene così a significare la potenza consumata contro la resistenza, che si tra- duce in calore (effetto Joule): e di esso è da tener conto nel bilancio energetico insieme coi lavori delle altre (G-. dD TO: Allo stato permanente essendo uo 0, le correnti si riducono alle e che allora debbono di per sè essere chiuse. In questo caso la distribuzione delle € per un sistema completo (c, = 0 sul contorno) è pienamente determinata quando, oltre al valore di y, sia dato il valore di g (ossia di rot G@) nelle varie parti dei conduttori, o più precisa- mente sia dato il valore di f Gdl (forza elettromoirice) per ogni linea chiusa tracciata per intero in seno ai conduttori (trattandosi nei casi più comuni di sistemi ciclici) : come risulta dalle equazioni dive =0 rot(yc)=gY cui deve soddisfare €, insieme con le condizioni generali e con l’altra predetta che sia c, = 0 sul contorno. Per un circuito elementare costituito da un filamento di €, dall’ equazione ge= F=G+ H, si ha per un tratto d/ yedl = Gdl + Hdl, dove il 1° membro, denotando con do la sezione, con i il flusso cdo (intensità della cor- ti ; dA CUOR rente, costante per tutto il filamento) e con dr la quantità y di (resistenza del tratto dl). ( può scriversi sotto la forma idr: onde integrando fra due punti 4 e d viene, Vabi = Eab ste Pa Tar Po, rai significando la contro-forza elettromotrice dovuta alla resistenza per la porzione di circuito compresa fra « e bd, E,, la forza elettromotrice agente eventualmente in quella porzione e Pa — Pr la differenza di potenziale alle estremità. — Questa costi- tuisce la nota espressione deila lesge di Of» valevole per qualsivoglia porzione di circuito filiforme: la quale, in unione con la condizione solenoidale per le €, che (oltre la costanza di i lungo il corso di uno stesso filo) porta che nel punto di con- corso di più fili sia nulla la somma algebrica delle è (il segno dipendendo dal verso), cioè Di = fornisce gli e'ementi per il calcolo della distribuzione delle correnti in qualunque rete di conduttori filiformi quando si suppongano date ie f. e. m. e le resistenze. — Mol- tiplicando per i, dalla stessa equazione si ricava l’ altra ia == Habl Ga (Pa me (007) i : 2 09 — dove il 1° membro rappresenta la potenza consumata contro la resistenza o il corrispon- dente calore svolto (legge di Joule), alla cui produzione concorrono la potenza gt erogata a mezzo delle forze impresse da cui risulta la forza elettromotrice agente nel tratto ab, e la potenza (Pa — Pa)i trasmessa dal resto del circuito mediante la distri- buzione del potenziale. Della. quale in queste equazioni apparisce chiaramente l’ ufficio, come mezzo di rimando dell’ azione locale delle forze impresse. 7.- Campo magnetico — Per questo, a tenore di quanto si è già detto (n. 2 e 3), non vi è che da fare l’ applicazione diretta dello schema generico attribuendo ad 8, N° rispettivamente il significato di induzione magnetica divisa per 477 e di magmnetizzazione permanente, e ponendo per le forze impresse (& le azioni magnetiche che accompa- gnano la presenza di correnti elettriche. Quando queste mancano, si ha il campo magnetostatico, dovuto semplicemente a calamite permanenti. Esso è di prima specie, e la si riduce alla 7 definita dalle equazioni caratteristiche divi(C0242)) PA ioZ4=101 dove p = — div _N indica la densità del magnetismo vero. —- Per l'energia, oltre l’espressione generale 3 | aF*dt, dove qui si può porre 7° per °° a , e T espressione LE 1 3 x ; ; 3 propria 3 | XPdT ovvero 3 Dya, dove per Y viene g, cioè il potenziale magnetico da cui dipende 7, si ha qui una terza espressione in cui comparisce la magnetizza- zione permanente N, cioè che sì deduce facilmente dall’ una o dall’ altra delle due prime. Chiamerò invece ampèriano il campo magnetico dovuto alla presenza di correnti elettriche, senza magnetizzazione fissa (N = 0), che è di seconda specie e dove la è definita dalle equazioni caratteristiche div(aP)=0, ro fl=g, supponendo data la g = rot G, la quale poi dipende dalla distribuzione delle correnti nel modo che si dirà poi. — Per l'energia, oltre la predetta espressione generale, si gela ri 1 Mn. ha la forma propria 3 | VW X gat ovvero 3 >WE, dove W, Y, E hanno il signi- ficato indicato al num. 4. Nel caso più generale il campo può riguardarsi come dovuto alla sovrapposizione di un campo magnetostatico e di un campo ampèriano. Le equazioni caratteristiche che definiscono la Y sono in tal caso divi(005)i— fo Moni —ig) i e L'energia del campo, per i’ annullarsi dell’ energia relativa della parte magnetostatica e della parte ampèriana (n. 4), si riduce alla somma delle energie spettanti a ciascuna delle due parti separatamente prese; ed ammette quindi, oltre l’espressione generale, un’altra espressione mista che risulta dalla somma di quelle che hanno in proprio le due parti. 8. - Campo elettromagnetico. — Un campo elettrostatico ed un campo magneto- statico possono coesistere nello stesso spazio indipendentemente l uno dall’ altro. Ma quando si esce dalle condizioni statiche, i due campi non sono più indipendenti, e si esplica uno stato di influenza mutua, onde risulta il campo elettromagnetico. La conside- razione delle forze impresse consente tuttavia, come qui sopra, di trattare ciascuno dei due campi separatamente riguardando come date, per il campo magnetico, le G,, che in realtà dipendono dalle correnti elettriche %., e, per il campo elettrico, le G., di origine induttiva (e a queste sole ci riferiamo nel presente numero) che alla loro volta dipendono dalle correnti magnetiche Un, Come si possono chiamare le variazioni di . . SES i ti i S,, riferite all’ unità di tempo (,= o dt Questa reciproca dipendenza si traduce nelle due relazioni fondamentali | Ca ii=(0) | Udo | Go, dl= — B Î Un gdo a dove @ì° integrali dei primi membri si riferiscono ad una qualunque linea chiusa € significano rispettivamente la forza magnetomotrice dovuta alle correnti elettriche e la forza elettromotrice dovuta alle correnti magnetiche (forza elettromotrice indotta), mentre gl’ integrali dei secondi membri si riferiscono ad una superficie avente per contorno la linea considerata (ma del resto tracciata comunque), e 6 indica una costante indipen- lente dal mezzo (8 ==: 4A, essendo A la solita costante elettromagnetica corrispon- dente all’ inversa della velocità della luce). In forma differenziale la stessa dipendenza è espressa dalle due equazioni Jn SUE Ge BUM equivalenti ordinatamente alle precedenti e che danno in ogni punto il valore di @wm e ge, ossia di rot @,, e rot G,, in funzione del valore di %4, e rispettivamente <0, nello stesso punto. Siccome poi tanto a G,, quanto a G, si attribuisce il carattere sole- noidale, alle due relazioni predette si associano rispettivamente le altre divG_,=0,. divGo.=0: il che permette di esprimere direttamente G,,, G. nella forma È. 1 (%.dT l (Und GE br Gi= — Bro U, con U,= | e, ana 4IT. GP 43. r E noto come le due lesgi fondamentali espresse da questa doppia dipendenza si possano dedurre luna dall'altra in virtù del principio dell’ energia, il che è già stato Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 3 Ut — 402 — dimostrato da un pezzo in varii modi; ma qui tale deduzione sì presenta con parti- colare spontaneità ed evidenza, riducendosi la doppia dipendenza ad una relazione di ricambio : poichè il lavoro dO, —_ | Gy XxX dSndT delle forze magnetiche impresse (lavoro 7agretomotore) importa un contributo ener- getico al campo magnetico ; ed è ovvio che la stessa quantità che ficura come con- ferita al campo magnetico, figuri come sottratta al campo elettrico cui appartengono le correnti 2. dalle quali dipendono le G,,. Ora l’espressione precedente, ponendovi 6 rot /, per G,, e Umdt per 08», si riduce a Bdt Î rot VU, X Und che alla sua volta, tenuto conto del significato di U,, U., si può trasformare in Bdt | TONO XIULATE e come la prima di queste ci dà il contributo al campo magnetico in forma di lavoro magnetomotore, 8 rot {/, significando la forza magnetica impressa, così la seconda, che si presenta in forma di lavoro elettromotore, deve significare il contributo al campo elet- trico preso negativamente, il che poria a considerare — 8 rot (,, come espressione di forza elettrica impressa (indotta) G.; onde poi viene per rotG, il valore — By: si ha cioè senz’ altro la legge dell’ induzione. Si può anche presentare la cosa più semplicemente traducendo 1° espressione sud- detta, che può scriversi def Gy X UmdTt, in doppia somma mediante la considerazione dei filamenti delle %,,. Per ciascuno di questi, detta è, 1 intensità della corrente ma- gnetica (costante lungo il filamento), si ha per la parte dell’ integrale ad esso relativa divino | Ce o avendo posto per la forza magnetomotrice / Gm, lungo il filamento il suo valore BZi,, dove la somma si riferisce al complesso dei filamenti delle @, (d’ intensità è) abbracciati dal circuito della i,, che si considera. Si viene così per la quantità in di- scorso all’ espressione simmetrica CAZZO che può anche scriversi OA AZZ intendendo in questa seconda forma che ognuna delle somme Zi, si riferisca al com- plesso delle correnti i,, abbracciate dalla relativa è, che precede. E ripetendo il ragio- m namento fatto di sopra, si può dire che se la prima espressione ci dà. il lavoro ma- PLS = DI enetomotore, 8Xi, significando la forza magnetomotrice lungo il circuito della relativa i,,, la seconda ci deve dare con segno cangiato il lavoro elettromotore, — Bi, sigenifi- cando la forza elettromotrice (indotta) lungo il circuito della relativa è,: e così si ritrova ancora la stessa legge dell’ induzione nella sua forma inteerale. Le variazioni dei flussi rispettivi, che divisi per df# danno i fasci di correnti Yi, Zim, sono da intendere nel senso più generale che comprende anche l’effetto di un eventuale movimento dei punti del mezzo, cui partecipino le linee che abbracciano i fasci stessi con le superficie (aventi quelle linee per contorno) attraverso le quali si computano i flussi. Ora di ciò si ha da tener conto anche nella forma differenziale (rotG,,, = Bu,, rotG, = — BU,) delle equazioni, dove nel computo delle @,, @4» (dt = 0S,, Umndt = 0dS) le variazioni d,S,, 0,8, debbono intendersi con riguardo agli effetti del movimento. zicorderò a questo proposito che per un generico campo vettoriale A supposto fisso ed invariabile in seno a un mezzo in movimento, denotando con 8 lo spostamento (infini- tesimo) dei punti del mezzo, le variazioni determinate dal movimento stesso nei valori dei momenti 4,4%, A,do (per la traslazione e il cangiamento di grandezza e di orientazione di di e do, che s° intende partecipino al movimento) sono quali si avrebbero rispettiva- mente senza movimento per delle variazioni proprie OA. O A del campo, dove dA — grad(A x s)+ rt. A/\s, dA=rot(A/\8)+divA.s. Onde, nel nostro caso, se d,,8., 0,8, rappresentano le variazioni di 6, 4, indipen- denti dal movimento, @%,, % sono da computare colle formole udt=0,S +08, nd =0d,Sn +dS. È appunto in questo senso che vanno intese le relazioni predette Bu.= rot G,,, Bi, = — rotG. dove al posto di rot G,,, rot G, si possono sostituire le espressioni equivalenti rot 77, rot 7: con che si viene al noto sistema delle equazioni di Hertz nella loro forma più generale. 9. - Mediante le G,, e le (G., di origine induttiva i due campi costituenti il campo elettromagnetico possono, come si è visto, essere considerati separatamente ; e si può istituire per ciascuno un bilancio energetico distinto in cui Ja partita di ri- cambio dO (= d0,, = a d0,) comparisce in entrambi ma con segno diverso. Nel bilancio magnetico staranno di fronte da un lato il lavoro magnetomotore e dall’ altro la variazione dell’ energia magnetica e 1 eventuale produzione di lavoro ponderomotore (in caso che vi sia movimento), di cui si tratterà partitamente nel seguente capitolo. Alquanto più complesso è il bilancio elettrico, nel quale stanno di fronte da un lato il lavoro elettromotore, che insieme con la parte spettante alle G, d° orgine in- — 404 — duttiva comprende anche quella dovuta eventualmente ad altre forze impresse (G, di origine non induttiva (voltaiche, ecc.), e dall’ altro lato la variazione dell’ energia elettrica, l° eventuale produzione di lavoro ponderomotore ed inoltre 1° effetto Joule per parte delle correnti conduttive. Dalla fusione dei due bilanci risulta poi il bilancio cumulativo del campo elettro- magnetico nel quale scompare la partita di ricambio, e restano di fronte, da un lato il lavoro delle eventuali G, d’ origine non induttiva, e dall’ altro la variazione dell'energia complessiva (somma dell’ energia elettrica e dell’ energia magnetica), la somma algebrica di tutti i lavori ponderali e 1° effetto Joule. — Se quest’ ultimo bilancio, anzichè per tutto il campo, si fa per una qualunque porzione limitata da un contorno @, allora interviene sotto forma di integrale di superficie un termine relativo all’ importazione o esportazione di energia attraverso il contorno; e si è così condotti alla considerazione del flusso di energia e al noto teorema del Poynting. III. 10. - Venendo ora a ciò che più propriamente forma l’ oggetto di questa nota, mostrerò come secondo lo stesso ordine di idee si possa, mediante la considerazione del lavoro d0 delle forze impresse, dedurre semplicemente e in forma generale la legge delle azioni ponderali dal principio deil’ energia. Mi riferirò dapprima al campo ma- gnetico tralasciando anche qui per comodità l’ indice 77. Immagino attribuito ai punti del mezzo uno spostamento infinitesimo £ (n. 8) ac- compagnato da trascinamento delle masse q e dei filetti È (n. 2, 4): per modo che per qualunque superficie chiusa che partecipi al movimento il valore 2g delle masse racchiuse rimanga lo stesso, e quindi SN do e SDydo rimangano invariati; e per ogni linea chiusa che pure partecipi al movimento, il complesso È dei filetti abbrac- ciati rimanga lo stesso, e quindi fd e fFdl rimangano invariati. — Un tale mo- vimento importa in generale un Javoro magnetomotore 00 ed una variazione dell’ energia del campo, insieme con la produzione di lavoro meccanico che indlicherò con d Ze che per il principio dell’energia deve essere equivalente alla differenza 00 — dp, denotando con P Jenergia del campo. Ed ove tale differenza si possa ridurre alla forma Sex SAT, si avrà neil’ espressione così trovata per f la rappresentazione della forza (riferita al- unità di volume) agente nelle diverse parti del campo (far forza agente sugli ele- menti d7 di volume). Si può agevolare il calcolo osservando che anche il primo termine della differenza, ossia 00, viene, nelle condizioni supposte, a corrispondere alla variazione della quan- — 405 —— tità rappresentata dall’ espressione Jas dt, che indicheremo con Q: poichè, come è facile vedere, la parte di 0@ che dipende dal variare di 7 si annulla (per il ca- rattere solenoidale di ,S° e per essere, come si è detto, invariabile il valore di (Fdl per qualunque linea chiusa), mentre la parte restante corrisponde appunto a d0. Ne seQue che se si indica con O la differenza Q — P, si avrà, per variazioni derivanti solo da movimento : ÒL =00 onde la O, presa negativamente, assume l’ ufficio di ergale (autopotenziale). Gl’ integrali che rappresentano P e @ hanno sotto il segno il prodotto scalare della F per Do per S=2D+ N; e nel calcolo delle loro variazioni occorre tener conto degli effetti del moto trascinante sopra i detti vettori, con riguardo alle osservazioni fatte in principio di questo numero e a quanto si disse al n. 8 intorno alle variazioni indicate coi simboli 0, d. Rispetto alle quali soggiungerò qui che per un integrale della forma (A X Badr esteso a tutto lo spazio, nell’ ipotesi di A e 7 invariabili, si ha o) fa Vela [oa X Bdr + | Ax ò Bar =0, vale a dire che gli effetti prodotti sui momenti 4,47, B,d0 dal movimento o dalle equi- valenti variazioni proprie 0.4, dB, si compensano reciprocamente (come si riscontra facilmente ponendo per Ù A, 05 nei due ultimi integrali i loro valori giusta le formole del n. 8): onde da esse si può prescindere e limitarsi, nel calcolo di dfA X Bd quando vi sisno altre cause di variazione, a tener conto di queste ultime. E così nel caso nostro pel calcolo di d.P e dQ basterà tener conto degli effetti del trascinamento sopra N e sopra D, N, S. Ora, quanto ad 77, dovendo, per quel che si è detto, rimanere invariato f Fd! ed esser quindi fd (#74) = 0 per ogni linea chiusa che partecipi al movimento, si dovrà attribuire ad / una variazione forzata avente una parte solenoidale che compensi la parte solenoidale di 0 7° (la parte lamellare non influendo sull’ integrale in discorso) ; e quanto a D, N, si dovrà per ragioni analoghe attribuir loro una variazione forzata avente una parte lamellare che compensi la parte lamellare di 0.2, d N; e finalmente per S= D+ N ci potremo riferire alle variazioni di D e N. Per le variazioni forzate di Me D, quando esse vengono a trovarsi negl’ integrali di spazio associate rispettivamente a vettori solenoidali e a vettori lamellari, potremo per quanto sopra, prendere semplicemente 0F=-—rtFAN\s=—-MY 8, 0D=— divD.s=— ps. Ud) = Per N invece, data la sua natura, prenderemo ON=— ro (Ns) —divN.s =—rot(N/s)+ ps ammettendo il trascinamento diretto delle linee, per modo che non solo | integrale | N,do per superficie chiuse, ma i singoli elementi N,do rimangano invariati, e quindi la variazione forzata debba compensare ON, cioè essere usuale e contraria. Oltre ciò sarà da tener conto della variazione che per effetto del movimento viene a subire il valore del coefficiente a (considerato a posto fisso), per la quale ricor- diamo che si ha d0a=— grada X 8. Soggiungo poi che le stesse considerazioni sono applicabili anche quando si tratta delle azioni esercitate da un campo sugli elementi di un altro campo, con la sola diffe- renza che in tal caso al posto dell’ energia propria comparisce l’ energia relativa, e che le predette condizioni di trascinamento con le corrispondenti variazioni forzate dei vet- tori si riferiscono soltanto al secondo campo. —- Giova anzi incominciare da quest’ ul- timo caso, che meglio sì presta per l’analisi delle forze, e dal quale si ricade sull'altro supponendo semplicemente la coincidenza dei due campi. Denotando con (P) l energia mutua e con (7) la quantità corrispondente a @, rappresentata da (0) =| P'XS'+P'X Sd, con (0) la differenza (Q) — (2) e con d (0), 0 (Z) i lavori magnetomotore e pondero- motore, avremo come sopra le relazioni d (09) =0(@Q), 0 (LZ) =0(0) da specificarsi usando i segni d', d' se si tratta dell’ azione esercitata sugli elementi del primo campo da parte del secondo, e i segni d', d' nel caso inverso. 11. - Dopo ciò il calcolo delle azioni ponderali si presenta facile e spedito. Consi- dererò dapprima le azioni mutue di due campi nei casi particolari che siano, o en- trambi magnetostatici, o entrambi ampèriani, o l uno magnetostatico e l’altro ampèriano. 1) Idue campi sono magnetostatici : si ha perciò (Q) = 0, (0) = — (2), e quindi 0 (L= —0d(P). Se si considera l azione sul primo campo, sarà d'(Z) = — d'(P). Prendendo l’e- . (DX DE ) “EEE spressione di (2) nella forma Î ___ dt, l’espressione di d'(/) si può ridurre a « dd V(P=|P"x èd'D'dr +| P'xòd' D'd — [mx P')dudr. e uigrie. fenuto conto di quanto sopra e del carattere lamellare che hanno qui #7 e 2, pos- siamo porre d'D'=— p's, OI = OMO = lora diaaSdisE con che viene d' (= Î (P'P'— (P'XP")grada) X sdr: onde si ha per la forza unitaria f' esercitata sugli elementi del primo campo da parte del secondo Ù —_ p'PF' Paeo (D' X P') grad A : E similmente si troverebbe I espressione analoga per la forza f'' esercitata dal primo campo sugli elementi del secondo, nella quale al posto di p'Z°' viene p''P'. 2) I due campi sono ampèriani: qui si ha (Q) = 2 (2), (0) =(P), e quindi (0) =?) Prendiamo ora l’espressione di (2) nella forma fa (PF Xx F')dt, cui corrisponde Ù(09= |p' X d'PF'dr + | VOI ale | (E'XEP')dadr, dove, tenendo conto di quanto sopra e del carattere solenoidale che qui hanno D'e D', possiamo porre bi — Sig Sb 0ida= —grada Xi s. Ne risulta d' (L) =_ | (g' \ 8s) X D''dt — Î (RIS) rada Xlsdo = = | (9' A D'—-(PF'x F'')grad 79) X SAT: onde si ha in tal caso per la forza f' $i = g' \\ gi (DX PF) grad a ; e analogamente per la f"'. 3) Il primo campo è magnetostatico, 11 secondo ampèriano : in tal caso (P) = 0, (0) = (@), mentre (@) si riduce a 2500 Stack ticWsuiha ò (L= (0). Qui sono da considerare distintamente le due azioni : a) Azione sul primo campo (d'(Z) = d'(0)): potendosi prendere d'#"'= 0, sarà d'(L) =|| pa XS aa X (d'al'+d'N')dt = “J ab'xd' FdT + | (PX L"')dadtr + | REINA: — 408 — dove potremo porre in base a quanto precede d'F'=0, d'N' =— rot(N' /\6s)+p's. Così scompare il primo integrale ed il terzo si scinde nei due corrispondenti alle due parti di d'N', il primo dei quali si può trasformare in - [av A S) X rot dt ovvero — [A S) X gdr; onde infine sostituendo e raccogliendo, risulta d(L)= | (pPE'-Y'NN'—-(P'xP')grada)X Sd, da cui si ha per la forza f' esercitata sugli elementi del primo campo f=pP'-—g'NN —-(FP'XF')gradu. b) Azione sul secondo campo (d'(Z) = è" (0)): avremo de (L) = I O E X S'dt e | P' X ddt dove per le solite considerazioni possiamo porre d'E'=—g'A SÌ d''9!' = dI IMOA (OMENAI10)) Facendo le sostituzioni e riduzioni risulta DU (L)= (9! / 9’ as (P' Xx E") grad a) Xx SdT la quale dà per la forza esercitata sugli elementi del secondo campo Î=9" ue VPI) ada 12. - I risultati particolari testè ottenuti danno già quanto occorre per la soluzione generale del problema. Intanto, per via di semplice sovrapposizione, se ne possono de- durre le azioni reciproche di dune campi quali si voglia, immaginandoli risoluti nelle loro parti magnetostatiche ed ampèriane. E quanto all’ azione propria di un campo sui suoi elementi, se si tratta di un campo semplice, l’ identico processo tenuto per le azioni mutue nei due primi dei tre casi considerati, ci dà: % ) * _ I l 32 . a Ò 0L=—QdP, f=pF— 3° grada, se il campo è magnetostatico ; 3 3 ; ia ; na OL=0P, f=g \ D—-F°eradu, se è ampèriano; e se si tratta di un campo composto, immaginandolo al solito risoluto nelle due parti, mediante le azioni proprie di queste unitamente alle azioni reciproche, computate — 409 — come si è fatto pel terzo caso in a) e in 5), potremo trovare l’ espressione dell’ azione risultante. A ciò conduce, del resto, anche l’ applicazione diretta del processo generale. Distin- guendo infatti cogl’ indici 1 e 2 le quantità pertinenti alla parte magnetostatica ed alla parte ampèriana e tenendo conto delle relazioni jr X N dr = 2; Î F, x D,dt = [e Xx D,dt= 0, il valore di O si può porre sotto la forma Q=s=-PbeEe | F,X Sd, onde il lavoro ponderomotore totale dato da 00 si decompone nelle tre parti cor- rispondenti alle variazioni dei tre termini del 2° membro, di cui la prima e la seconda rappresentano ordinatamente i lavori dipendenti dalle azioni proprie della parte magne- tostatica e della parte ampèriana, con le rispettive forze f, e f, espresse da I Pres ) PO f—=pF—-Fgrada, ff=g\D,—-Fierada (p—p,g9=9); La mentre la terza rappresenta il lavoro dipendente dalle azioni mutue delle due parti, da calcolarsi come si è fatto nel numero precedente pel terzo caso, cui corrisponde una forza f., costituita dall’ insieme delle due analoghe a quelle indicate là con f', f", dove però il termine che contiene grad x (proveniente dalla parte di d/F, XS dt dovuta al variare di «) va preso una volta sola : fi, PE G9\1N+9INST- (FX F)grada=pF+g A D,-(F,X -F,)grada. La forza risultante f=f +, +, viene ad essere I l f=p(F+F)+g\(D+D)—- (E MEI E.) grad x che, mediante le relazioni E + E, =#, D+ D,=D si riduce a f=pF+9 N D-—1r°grada. 13. - Da quando precede risulta l’azione ponderomotrice unitaria sugli elementi di volume di un campo magnetico costituita in generale dalle azioni parziali seguenti : 1) una forza pg F che si può ritenere applicata alle masse pd7, che diviene P'F' o p'F' se si tratta dell’azione di un campo sopra un altro ; Rea : : ; 2) una forza — 5 F° grad u che si manifesta nelle parti non omogenee del campo, ce) dove cioè « varia da punto a punto, che si riduce a — (2° X 2°) grad « per l’azione mutua di due campi; Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 54 —_ ATO — 3) una forza Y@ A D che si può intendere applicata ai filetti di g o aile cor- renti elettriche cui è dovuta la parte ampèriana del campo (Q@/.=@» = 8%). In ordine a questa forza e alla sua relazione con la corrispondente azione mutua per due campi vi è da fare una speciale osservazione : Per elementi di volume che sono sedi di g ma non di N (dì corrente elettrica ma non di magnetizzazione permanente) e dove quindi = D, la forza, rappresenta- bile a piacere con g@//A _D 0 g A $S, risponde semplicemente all’ azione del campo sui filetti di gg; ma per elementi che sieno anche sedi di _N, e dove quindi S= D+N, dal confronto con la predetta azione mutua si vede che essa forza va considerata come la risultante di più azioni distinte, cioè : delia forza g A S esercitata sopra 4, riso- lubile nelle due parti g AD e gA N di cui la seconda dovuta ad un’ azione propria di N sopra g; e poi della forza —g / N dovuta ad un’ azione propria di g su N reciproca della precedente e ad essa eguale e contraria; di guisa che quando si con- sidera l’ azione complessiva sugli elementi di volume, elidendosi le due ultime partì, resta solo la forza g A D. Del resto le forze trovate coincidono in sostanza con le solite che tutti conoscono. Qui non vha di particolare che il metodo di derivazione uniforme da un medesimo principio, con evidente vantaggio di semplicità e chiarezza. Resta così anche meglio disciplinata la nozione di ergale magnetico in relazione con l’ energia e chiarita la diversità di comportamento fra un campo magnetostatico. pel quale si ha dL = — OP, e un campo ampéèriano, pel quale si ha ÙÒL=dP; e infine vien definito come sopra il punto concernente 1° uso di Se DD nel calcolo delle azioni ponderali esercitate sulle correnit. A questo punto sì collega la quistione, che qui ora si presenta, circa l’applicabilità dei risultati trovati alle azioni ponderomotrici in un campo elettrico: pel quale il processo di deduzione può parere illusorio in quanto che a N,, e quindi ad ,8, di cui N, fa parte, viene a mancare il significato oggettivo (n. 2). Siccome però quando si consi- derano le azioni propriamente sugli elementi di volume, N non ha più influenza diretta, come si è visto, e scompare dai risultati dove non resta che £), sì può già arguire, per la perfetta analogia che vi ha in tutto il resto, che in questo senso i risultati sieno ancora applicabili. Di ciò si ha la conferma ripetendo il processo di deduzione senza far intervenire le quantità ausiliarie Q ed O e riferendosi direttamente all’ equazione fondamentale ÙL =d00 — OP, il cui valore resta integro anche per il campo elettrico, intendendo che in dO non sia computata la parte eventualmente spettante alle correnti di conduzione (la quale si elide col termine relativo al corrispondente effetto Joule). Riprendiamo perciò da questo punto di vista la trattazione del n. 11, osservando che pei due primi casi, nei quali si ha rispettivamente d0=0 e d0 = 20P e quindi ancora ÎL= — dP e dL=dP, non vi è nulla da mutare; onde non resta che la considerazione del terzo caso neile sue due esplicazioni a) e D). — 4ll Ora per la prima di queste ove si aveva C0)= Î IIS RESSI0(VESZZONO dg il solo cangiamento da farsi pel passaggio dal campo magnetico al campo elettrico riguarda il valore di d'N' che qui dovrà porsi uguale senz’ altro a '8; onde poi viene hi FORA pE' dele (P' X 3 Db) grad a . x Per la seconda avremo da servirci per è''(L) dell'espressione | FP" x d''S'd7, attribuendo a d'S' il valore corrispondente al suo significato attuale, che sarà d'"S'=è"D'+d'N' con è"'D'= Fòa+dD' e è'N =— ps. Sostituendo ed osservando che ar X òD'dr = | F'' Xx rot(D' \ S)dt + | F' x p'sdt e che il secondo integrale di destra si elide con l’altro relativo a d''_N', mentre il primo si può trasformare in I DIN) rod = | (DITA 8) X gidt = | (GI NCDII» Gn = Bu, . E interessante rilevare che queste forze f., f,, corrispondono completamente al sistema delle tensioni del Max well. Ciò risulta immediatamente dall’ applicazione della — 412 seguente formola eenerale di trasformazione valevole per un qualunque campo vetto- riale A: . 2 (A diva 4) + rot A \ ad — 3 aerada) ar fp (cn A— i ad) dove l° integrale del 1° membro s° intende esteso ad una qualunque regione 7 del campo, e quello del 2° membro è esteso alla superficie @ che la limita, x significando la dire- zione della normale esterna ed 22 un vettore unitario diretto secondo la medesima, mentre & indica una qualunque funzione scalare. Tralasciando la dimostrazione che si deduce facilmente da trasformazioni note, osservo che facendo nella formola successivamente A=#F., a=a, cd A=F,,, = Gm, con che la quantità sotto il segno delli in- tegrale di spazio sì riduce rispettivamente ad he ed Ta essa fornisce [Cato fi Il Lo di= (A II GIA IM BEAST “ 5) | Td == | T,do con TE - Cialima da: FS Am! ’ le quali mostrano che al complesso delle forze f.dr, fdt agenti sugli elementi di vo- lume di una qualunque regione 7 si può sostituire rispettivamente il sistema di forze T.do, T,,do agenti sugli elementi della superficie o che limita la regione; le quali, come appare dalle loro espressioni, sono precisamente le tensioni del Maxwell. Farò ancora un’ ultima osservazione relativa al confronto fra la forza unitaria com- plessiva f. +7» data dalle formole precedenti, quale essa si riduce pel mezzo nor- / 1 \ } male (a, = Cyp& 15° amiep=seilam=0 0==4wA4 Dio=0 ia Di), cioè Pec ved AU n /N FP. + A Uo A Ji= PePe— A DE / JO = ovvero a FTTRE: c.) N Em d Lo) mM pePi + 46. N Pn + A i n) e la forza del Lorentz, che indicherò con f,, rappresentata da di — PAM VITE7) dove f,V viene corrispondere a €,, ® significando la velocità di trasporto delle ca- riche p,dt. La differenza, come si vede, è data dal complesso dei due termini 17) +/, A DE (2 Ln); y 1 4D, e dipende dalla corrente elettrica di spostamento api e dalla corrispondente corrente (o CRA ULI , delle quali non si tien conto in f, che si riferisce solo alla corrente s È : SARE 5 A d sd W di convezione f,0. Essa può ridursi alla forma x (EL A Ex) ovvero A° TN Td a 5 d magnetica 1 i 5 È dove VV = Tan Mie AN Fn) è il vettore radiante che comparisce nel teorema del Au Poynting. In causa di essa la forza f, non risponde alle tensioni del Maxwell]; e si ha per quanto precede 5 DI -@ |oee=3gE (T.+ Ide A di t Was : relazione già indicata dal Lorentz stesso. ————to————= 2 uri dal PIE Ta ue (0 Zi (1 i dll _ IL SISTEMA INTERRENALE E IL SISTEMA CROMAFEFINE (SISTEMA FEOCROMO) IN ALTRE SPECIE DI MURENOIDI Li. MEMORIA DEL Prof. ERCOLE GIACOMINI (letta nella Sessione del 25 Aprile 1909). (CON 2 TAVOLE DOPPIE E © FIGURE INTERCALATE NEL TESTO) ATRIA Del sistema delle capsule surrenali nei l’eleostei fino a pochi anni fa non si cono- sceva che una piccola parte; sì conoscevano soltanto i corpuscoli di Stannius, cor- picciuoli di solito pari ma raramente simmetrici, di colorito biancastro o bianco-gial- liccio, circondati da un involucro connettivale e situati, sempre in numero limitato, sulla faccia ventrale o sulla faccia dorsale dei reni (mesonefro), d’ordinario lungo la loro porzione caudale, più raramente verso la loro parte di mezzo, più o meno immersi nella sostanza renale. Tali corpicciuoli, costituiti. da cordoni epiteliali pieni, vennero considerati come rappresentanti nei Teleostei l’ organo interrenale degli Elasmobranchi e pertanto omologhi alla sostanza corticale delle capsule surrenali dei. Mammiferi. Pochi anni or sono (1902), io riuscii a mettere in evidenza nei Teleostei la sostanza cromaffine che fino allora vi era stata ricercata invano. Dimostrai che questa sostanza, corrispondente alla sostanza midollare delle capsule surrenali dei Mammiferi e ai corpi soprarenali degli Elasmobranchi, è situata nella parete della porzione anteriore 0 cra- niale delle vene cardinali posteriori. L’anno scorso in una estesa memoria illustrai ampiamente il sistema interrenale (sostanza corticale) e il sistema cromaffine (sistema feocromo) nelle Anguille (1), rile- vando che il sistema interrenale non v’è rappresentato soltanto dai corpuscoli di Stannius. Feci infatti conoscere che oltre a questi corpuscoli da me distinti col nome di « interrenale posteriore », esiste un’altra parte d’interrenale, posta attorno alla parete della porzione craniale delle vene cardinali posteriori e nel così detto rene cefalico, la quale nuova parte, di struttura alquanto diversa, designai (1) Memorie della R. Accad. delle Sc. dell'Istituto di Bologna. Clas. di Sc. Fis. Serie VI, Tomo V. ii colla denominazione di « interrenale anteriore o cefalico ». Disposizione non per anco nota e di molto valore per la grande estensione in avanti dell’ interrenale, poichè tutti gli autori, ì quali sì sono occupati dei corpuscoli di Stannius, si accor- dano nel constatare che questi non sì trovano mai nel terzo anteriore dei reni, com- presavi anche la loro porzione cefalica. Di più dimostrai che il tessuto cromaffine è distribuito non solo lungo la parete della porzione craniale delle vene cardinali poste- riori, ma anche lungo il rene cefalico, disposto verso il lume dei vasi venosi, subito al di fuori dell’ endotelio, ed inoltre associato all’interrenale anteriore in modo da intrecciarsì coi cordoni o lobuli epiteliali di questo, cosicchè può parlarsi. di vere capsule surrenali delle Anguille, quando si voglia adoperare tale denomina- zione per designare un’ associazione, che è poi un’ associazione morfologica e funzionale, d’ interrenale (sostanza corticale) e di tessuto cromaffine (sostanza midollare). rilevate siffatte disposizioni nelle Anguille, terminavo la citata memoria dell’ anno scorso dicendo, che sarebbe stato interessante indagare se esse, specialmente per quanto riguarda la presenza dell’ interrenale anteriore cefalico, sì riscontrino anche nelle altre specie di Murenoidi e se, nel caso, siano una proprietà esclusiva di questi od osser- vabili nella generalità dei Teleostei, le quali ricerche mi ripromettevo di compiere in lavori successivi. Ora, proseguendo la serie delle mie indagini, ho già studiate quasi: tutte le altre specie di Murenoidi che vivono nei nostri mari e cioè: Conger culgaris Cuv., di cui esaminai anche esemplari giovani, un esemplare da poco metamorfosato e le larve (leptocefali) (1), Myrus vulgaris Kaup., Muraena helena L., Oplisurus (Ophichtlvys) serpens L. e Sphagebranchus imberbis Delar. oltre ho già condotto avanti le ricerche sopra a parecchie specie di altre famiglie di Teleostei, le quali ricerche sto comple- tando con lo studio dello sviluppo o meglio dell’ organogenesi dei due sistemi, inter- renale e cromaffine, in embrioni, larve e giovani esemplari di Salmo (Salmo lacustris e S. fario), servendomi d’ una intiera serie ottimamente fissata. Il materiale di studio costituito dalle surricordate specie di Murenoidi mì fu pro- curato dall’ egregio Dott. Lo Bianco della Stazione Zoologica di Napoli, al quale rin- novo i miei sentiti ringraziamenti. Per ciascun esemplare la preparazione e la fissa- zione fu eseguita nel seguente modo: aperto lungo la linea mediana ventrale con una incisione che cominciando poco al davanti dell’ orifizio anale giungeva fin presso al pericardio e tolte via le pareti latero-ventrali dell'addome, l’ esemplare era immerso nella miscela fissatrice composta di liquido di Miller (parte 100) e formalina (parti 10), nella quale miscela il materiale mi veniva spedito. Generalmente la durata della fissazione era di 8 a 10 giorni. Dopo il qual tempo gli esemplari erano sotto- messi ad un abbondante lavaggio in acqua corrente. Dopo il lavaggio procedevo ad isolare i reni con i grossi tronchi venosi: a tal’ uopo, asportati 1’ intestino, quasi (]) L’esemplare da poco metamorfosato e le larve mi furono donati dal Dott. Luigi Sanzo, al quale esprimo i miei vivi ringraziamenti sii SEA e tutto il fegato, gli organi genitali e la vescica natatoria, con una paziente ed accu- rata dissezione distaccavo dalla colonna vertebrale e isolavo in tutta la loro lun- ghezza i reni, dal rene cefalico all’ estremo caudale del mesonefro, insieme alle vene cardinali, all’aorta, al simpatico, alla prima porzione del fegato, al cuore e al primo tratto dell’ esofago. Questi organi, così isolati, passavo successivamente negli alcools a 50 e a 70. In tal maniera ottenevo una preparazione anatomica rappresentata princi- palmente da tutto il rene integro e dai grossi vasi e su di essa eseguivo lo studio macroscopico. Prendevo infine dal preparato anatomico i tratti che m° interessava di esaminare al microscopio e dopo le consuete manipolazioni li sezionavo in serie al microtomo. Colorai i pezzi in toto o le fettine già attaccate sui vetrini, e per la colorazione mi servii dell’ emallume o del carminio allumipico, sia soli, sia fatti se@uire da una colorazione di fondo coll’ eosina. Così operando, sono riuscito ad ottenere serie microtomiche di tratti lunghi anche parecchi centimetri, con. minor difficoltà e con minor dispendio di tempo in confronto dell’altro mio primo metodo di sezionare pure parte della colonna vertebrale a cui lasciavo attaccati i reni. Con diverso procedi- mento sarebbe stato forse impossibile farsi un concetto esatto della disposizione del sistema interrenale anteriore e del sistema cromaffine. Fu tuttavia con quel primo metodo che giunsi a vedere la sostanza cromaffine nei Teleostei. Ad ogni modo, per lo studio che a noi interessa, conviene sempre fissare i reni attaccati alla colonna verte- brale, perchè così rimangono intatti i rapporti anatomici, e d’altronde i vasi e i reni medesimi si deformano meno che fissandoli dopo averli distaccati dall’ animale, e si ha altresì il vantaggio che 1° operazione del distacco dei reni riesce più agevole quando essi sono già induriti (1). Dalle mie ricerche risulta che in tutte le altre specie di Murenoidi qui esaminate le disposizioni generali e fondamentali del sistema interrenale e del sistema cromaffine sono simili a quelle che descrissi. nell’ Anguilla vulgaris Flem. Non di meno si riscontrano in ciascuna specie delle particolarità caratteristiche, che meritano di essere conosciute e valgono a fornire un concetto più preciso del sistema delle capsule surrenali. Quantunque le indagini già eseguite in altri Teleostei non facciano parte della presente memoria, ritengo tuttavia opportuno di render noto fin da ora che queste indagini oltre a stabilire, relativamente ai due sistemi interrenale e cromaffine, una certa somiglianza con le disposizioni osservate nelle Anguille, hanno dimostrata 1° esi- stenza dell’ interrenale anteriore e del sistema cromaffine (sistema feocromo), spesso intimamente associati, nel rene cefalico di tutti gli altri Teleostei infino ad oggi esaminati. Come è noto, si era invece ritenuto che il rene cefalico fosse costituito unicamente da tessuto linfoide, quando non conteneva corpuscoli Malpighiani e canalicoli urinari. D’ altro canto lo studio dello sviluppo di questi sistemi e particolarmente del sistema (1) La fissazione di piccoli pezzetti staccati dall’animale fresco sarà necessaria per lo studio citologico. Serie VI. Tomo VI. 1908-09. ui (Sal ETANIRNE interrenale, intrapreso in una serie completa di embrioni di Salmo lacustris e di S. fario, mì ha dimostrata erronea l’ interpretazione che precedenti autori |Grosg@lik (1), Felix (2)] diedero a certe formazioni, ritenute a torto sia come parti rudimentali 0 regredite del sistema escretore, segnatamente del pronefro, sia come parti costitutive del tessuto pseudolinfoide (tessuto linfoide) che trovasi nei reni, mentre per le mie ricerche sono da riportarsi al sistema interrenale, il quale geneticamente ne è affatto indipendente (3). Soltanto dopo ultimate le ricerche su numerose altre specie di Teleostei sarà il momento di riandare tutta la bibliografia relativa al nostro argomento, di istituire i confronti e discutere i dati raccolti: per ora basterà rilevare che a tale ultima con- clusione io sono potuto giungere mercè 1’ aiuto dei miei studi sul sistema delle capsule surrenali dei Murenoidi. Infatti nelle diverse specie di Murenoidi da me esa- minate, riscontrai disposizioni più semplici, più caratteristiche e quindi più dimostra- tive anche per il fatto che in qualche specie, come in Mwaera, le capsule surrenali sì presentano quali organi perfettamente a sè, del tutto indipendenti dai reni, talchè non vera da mettere alcun dubbio sulla interpretazione che loro conveniva dare. Ciò trovava d’altro canto la sua conferma nelle ricerche sulle larve (Zeptocepralus brevi rostris) e sulle Cieche o piccole anguilline, nelle quali il pronefro è costituito molto semplicemente, giacchè l’uretere primario, che parte dalla. camera interna o grande corpuscolo Malpighiano, corre diritto, senza essere molteplicemente convoluto come in altre specie di Teleostei, ed appariva chiaramente che la grande quantità di tessuto interrenale disposto attorno alle vene cardinali non poteva derivare dai resti di questo canale, che si andava atrofizzando, o da qualunque altro resto del pronefro regredito. Come vedremo nel corso dell’esposizione dei fatti, può persistere ancora abbastanza bene conservato il pronefro ed aversi tuttavia, vicino ad esso, abbondante interrenale anteriore. Nella presente memoria mi occuperò, come ho già sopra avvertito, delle capsule surrenali (sistema interrenale e sistema cromaffine) delle altre specie di Murenoidi, € soltanto da ultimo accennerò molto brevemente a qualcuna delle più interessanti dispo- sizioni riscontrate in altri Teleostei, riserbandomi di dare una estesa trattazione di (1) Grosglik S. — Zur Morphologie der Kopfniere der Fische. Zoolog. Anzeiger, VILI Jahrg. 1885. Pag. 605. (2) Felix W. — Beitrige zur Entwickelungsgeschichte dev Salmoniden. Anatom. MHefte, Bd. VWILISASIT — — Die Entwickelung der Harn- und (Geschlechtsorgane. In: 0. Hertwigs ZMandbuch der vergleich. und ewperim. Entwichkelungslehre der. Wirbeltiere, Bd. ILI, erstir Veil, 1904. (3) B_Haller in un recente suo lavoro sulla filogenesi dell’organo renale dei ‘l’eleostei (Zur Phylogenese des Nierenorganes (Holonephros) der Knochenfis.he, Jenaisehen Zeitshrift sur Natumwiss., 45. Bd, 1908) descrive nel rene cefalico degli embrioni di Sa4z0 un certo numero (tre o quattro) di canalicoli urinari trasversali rudimentali con i Joro corpuscoli renali. Ora dalle mie ricerche risulta invece che queste formazioni indicate come tuboli urinari rudimentali non sono nient'altro che abbozzi dell’ inter- renale cefalico, al quale è pure da riferirsi ciò che lo stesso Haller in giovani tinche (di 3 em. di lunghezza) ha ritenuto come rudimento di un mesorchio. | — 419 — queste disposizioni in un prossimo lavoro. E per quel che concerne i Murenoidi stessi, oggetto delle attuali ricerche, mi soffermerò appena sull’interrenale posteriore o cor- puscoli di Stannius, situati presso l’ estremo caudale del rene, per la ragione che essi non differiscono, pure di struttura, da quelli ben noti delle Anguille, e perchè furono già descritti anche da altri autori (Diamare, Vincent), e mì intratterrò invece più particolarmente sull’interrenale anteriore e sul sistema cromaffine, i quali offrono nuovi aspetti nella loro distribuzione. Sistema interrenale e sistema cromaffine (sistema feocromo) nel Conger vulgaris Cuv. Di Conger vulgaris esaminai un esemplare adulto, femmina, che misurava mm. 260 circa di lunghezza dall’apice del muso all’ orifizio anale, due esemplari giovani, l’uno della lunghezza di mm. 161 dall’ apice del muso all’ orifizio anale (lunghezza totale mm. 350 circa) e l’ altro della lunghezza totale di mm. 260, ed inoltre un esemplare da poco metamorfosato e le larve o leptocefali (Zeptocephalus Congri vulgaris s. L. morrisi). Sistema interrenale nel Conger vulgaris adulto. Per meglio precisare la situazione e i rapporti topografici dei due sistemi, inter- renale e cromaffine, premetto alcuni. ricordi sulla forma e posizione dei reni e dei grossi vasi venosi. Nel Conger vulgaris adulto i reni considerati nel loro insieme mostrano i seguenti rapporti anatomici (Fig. 1 e 2 nel testo). I cosidetti reni cefalici (red, res), ossia la porzione più craniale dei reni, situati contro la parete dorsale del corpo ai lati del- l’aorta fra l esofago e la colonna vertebrale, hanno |’ aspetto di due corpicciuoli di color rosso vinoso scuro, di figura ovoidale, leggermente compressi in senso dorso-ven- trale. Essi, come anche nelle altre specie qui studiate, sono situati meno cranialmente che nell’ Anguilla; cominciano in avanti a livello dell’ estremo caudale del pericardio e del cuore e terminano posteriormente un poco al di dietro del margine craniale del fegato; sono completamente separati dalle estremità anteriori (craniali) delle masse lin- foidi del rene. Fra l’ estremo caudale del rene cefalico e il principio (estremo craniale) della massa linfoide del rene esiste un intervallo di circa 7 mm. a destra e di mm. 5 a sinistra. Il rene cefalico destro, che è posto alquanto più cranialmente del sinistro, ha una lunghezza di mm. 7,5 nel suo asse maggiore diretto longitudinalmente, una larghezza di mm. 2,5 secondo l’asse minore diretto trasversalmente ed uno spessore di mm. 1,5 secondo il suo asse dorso-ventrale : il rene cefalico sinistro misura mm. 8,5 secondo |’ asse maggiore, mm. 3 secondo l’° asse minore e quasi 2 mm. di spessore. Le due masse linfoidi (»2/d4, 7245) o porzioni ME addominali dei reni, che seeuono in dietro, sì mostrano come due strette strisce della larghezza di mm. 4 circa e leeger- vcad.__il 0+5c(c4d)-..(8 | (red) | ci IL ine E [4] i Ti 3 "IE I lvcad K\ d; 40+3I6(625) (69 s 3 Niarsc(69) )) è JT al i i ni Sa i dI Tera sati = nei Fig. 1. mente festonate tanto sul loro margine mediale quanto sul loro margine laterale (esterno); decorrono separate e giungono fin quasi a livello dell’ orifizio anale, ove, ingrossandosi, si uniscono in una massa unica che rap- presenta la porzione attiva dei reni, il mesonefro (728), e che si estende per mm. 54 circa in dietro, dopo l’ apertura anale, nel prolungamento caudale della cavità celo- matica. Quest’ ultima porzione dei reni è di figura linguiforme, larga millimetri 5 e termina assottigliata con apice roton- dato. La lunghezza complessiva del meso- nefro e delle masse linfoidi, insieme con- INLI.. 195: linfoidi cranialmente terminano quasi allo siderati, è di mm. le due masse Fig. 2 del testo —- stesso livello con estremo leggermente Reni cefalici e porzione pera RoAI : PRESE _ craniale delle masse lin- arrotondato; la massa linfoide destra è foidi di Conger vulgaris adulto. Veduta dal lato ventrale. Grandezza na- turale. @, aorta; mld (indicata per errore con mls), mls, masse linfoidi destra e sinistra ; red, res, reni cefalici destro e si- nistro. lunga 140 mm. e sì spinge un po’ più cranialmente 150 mm. (1). Sul margine interno della massa lin- aderente della sinistra che è lunga foide destra e ad essa decorre la vena cardinale posteriore destra (vcpd)che è assai più ampia della sinistra e che indietro s° immerge nella massa impari del mesonefro. Sul margine interno della massa linfoide Fig. 1 del testo. — Figura semischematica rappresentante i reni, i loro rapporti con le vene cardinali e la topografia del sistema interrenale e del sistema cromaffine nel Conger vulgaris adulto. Veduta dal lato ventrale. 4 della grandezza naturale. Le parti contrassegnate con una serie di linee orizzontali parallele indicano il luogo ove si trovano la sostanza interrenale e la sostanza cromaffine insieme associate. @, aorta ; i@ + sc (esd) (red), interrenale e sostanza cromaffine, ossia capsula surrenale (csd), contenuta nel rene cefalico destro (red); ia + sc (css) (res), idem di sinistra; i@ + se (esd'), interrenale e sostanza cro- maffine, ossia capsula surrenale (csd’), contenuta nella porzione ceraniale della vena cardinale posteriore destra; 14 + se (ess'), idem nella card. post. sinistra; ip (cS), interrenale posteriore (corpuscoli di Stannius); m/d, m/s, masse lin- foidi destra e sinistra; ms, porzione caudale attiva del rene (mesonefro); vepi, veps, vene cardinali posteriori, destra e sinistra, che in avanti comunicano tra loro per mezzo di un ampio tratto anastomotico trasversale; vead, veas, vene cardinali anteriori primitive, destra e sinistra. (1) All esame microscopico risulta invece che giunge alquanto più cranialmente la massa linfoide sinistra (v. p. 424), come del resto accade anclie negli esemplari giovani. — 42 — sinistra decorre la vena cardinale posteriore sinistra (cps) molto più piccola. Ognuna delle due vene cardinali posteriori in avanti si congiunge colla rispettiva vena giugulare (vena laterale della testa) nel dotto di Cuvier, e d’ altro canto ciascuna vena car- dinale, quando sta per lasciare la rispettiva massa linfoide e per dirigersi verso il dotto di Cuvier, riceve un ramo che proviene dall’ avanti e percorre il rene cefalico lungo il suo lato esterno; questo ramo (cad, cas) interpetro come vena cardinale anteriore (giugulare) primitiva (1). Come nelle Ansuille così anche nel Corger allo stato adulto il sistema interrenale è da distinguersi in due porzioni che differiscono tra loro non solo per la topografia, per la diversa situazione, ma anche, fino ad un certo punto, per la struttura; una porzione posteriore che io ho già chiamato col nome di « interre- nale posteriore o caudale », e una porzione anteriore da me denominata < interrenale anteriore o cefalico ». Interrenale posteriore o caudale. Do una breve descrizione, illustrandola con la figura di una sezione, dell’ interrenale posteriore di Conger, affinchè se ne possa rilevare la differenza di struttura a con- fronto dell’ interrenale anteriore. L’interrenale posteriore o caudale è rappresentato da un paio di corpic- ciuoli, i corpuscoli di Stannius, già notati nel Corger da Diamare e da Sw. Vincent. Situati sulla faccia ventrale del mesonefro (Fio. 1 del testo, ip) ai lati della linea mediana, nell’ esemplare che io esaminai erano strettamente addossati tra loro, e si trovavano a livello dell’ estremo caudale della vescica urinaria e a circa mm. 16,5 al di dietro dell’ orifizio anale. Essendo, come ho detto, strettamente addossati tra loro, rarliguravano un solo corpicciuolo ovoidale ed ho dovuto misurarli insieme, ottenendone le seguenti dimensioni: diametro longitudinale (cranio-caudale) mm. 2, diam. dorso-ventrale mm. 2, diam. trasversale mm. 1,5. Per la struttura dell’ interrenale posteriore di Corger può valere la stessa descri- zione che detti per quello di Anguilla, al quale esso è perfettamente simile. Esami- nato nella serie delle sezioni, apparisce verso il mezzo della sua lunghezza costituito da due corpuscoli distinti, mentre nel rimanente questi sono insieme uniti. E circon- (1) ale vena corrisponde a quella che nelle Anguille chiamai collo stesso nome di cardinale anteriore (giugulare) primitiva, a causa dei rapporti da essa mostrati nei Leptocefali e nelle Cieche con la vena giugulare auct. (vena laterale della testa) che si va notevolmente sviluppando mentre la cardinale anteriore o giugulare primitiva si attenua. Ho continuato a chiamarla vena cardinale antericre primitiva quantunque nel Corger come pure in Myrus, Ophisurus e Sphagebranchus adulti non si apra nella giugulare auct. o vena laterale della testa, ma solo nella cardinale posteriore rispettiva. Avuto riguardo ai suoi rapporti con il rene cefalico si potrebbe anche denominare vena del rene cefalico o vena renale cefalica. Anche nell’ Anguilla, specialmente a sinistra, la cardinale anteriore primitiva tal- volta si congiunge, o direttamente o mediante un ramo anastomotico, con la cardinale posteriore. SIRO dato da una capsula connettivale che sostiene anche i vasi e i nervi che si portano all'organo: da essa vengono inviati nel suo interno dei sepimenti o trabecole che ramificandosi lo suddividono in porzioni o lobi, ciascuno dei quali è costituito da cor- doni epiteliali pieni, a guisa di otricoli glandolari, piuttosto strettamente addossati tra loro. Nella loro sezione trasversale (Tav. I, Fig. 1) i cordoni si mostrano di figura poligonale a causa della reciproca pressione, meno frequentemente appariscono ellissoi- dali, ovalari o rotondi: qualcuno degli otricoli si presenta come incurvato 0 come anastomizzato con altro vicino. Tra i cordoni che sono nettamente contornati e quasi tutti di calibro uguale, della stessa grandezza, sta pochissimo connettivo che forma la parte più tenue dello stroma di sostegno. I seni sanguigni interposti fra i cordoni od otricoli glandulari sono piuttosto stretti e soltanto qua e là se ne veggono degli ampi. Le cellule, di cui i cordoni epiteliali risultano costituiti, possono essere distinte, come nell’ interrenale posteriore dell’ Anguilla, in parietali e centrali. Le cellule parie- tali sono di forma cilindro-conica 0 prismatico-conica, alte, col nucleo rotondo o leg- germente ovale situato verso la base, dove il citoplasma è più scuro e più granuloso che non all’apice, rivolto verso il centro del cordone: alcune delle cellule parietali sono più strette, più affilate al loro apice che ss’ inoltra verso il centro ed hanno il citoplasma più scuro e il nucleo più allungato secondo il loro asse maggiore. Le cel- lule centrali che riempiono 1° asse del cordone sono generalmente più chiare ed hanno varia forma irregolare. Interrenale anteriore o cefalico. Nel Conger culgaris, similmente a quanto verificai nell’ Anguilla, 1’ interrenale anteriore occupa la zona interrenale anteriore e si divide per la sua topografia, ossia per le regioni ove risiede, in due porzioni: |’ una contenuta nel rene cefalico, l’altra situata nella parete ventrale della porzione craniale delle vene cardinali poste- riori (Fig. 1 nel testo, ia, ia’). Interrenale anteriore lungo la porzione craniale o prossimale delle vene cardinali posteriori. 7 L'interrenale anteriore situato lungo la porzione craniale delle vene cardi- nali posteriori nel Conger è meno esteso in lunghezza che nelle Anguille, occupando un tratto di soli 7-10 mm., ed inoltre, invece di circondare tutto o quasi tutto il perimetro delle vene, si limita alla loro parete ventrale, ma in compenso è di spes- sore molto maggiore. È infatti così abbondante da lasciarsi vedere ad occhio nudo nella serie delle sezioni trasversali e nella cardinale destra più manifestamente che nella sinistra, essendovi in maggiore quantità. Nella parete ventrale della vena cardi- nale posteriore destra, che, come sappiamo, è molto più ampia della sinistra, forma una grossa massa glandulare la quale nelle sezioni trasversali è assal ben visibile, — 423 — anche senza lente d’ ingrandimento, a guisa di un cospicuo ispessimento di figura semi lunare (Tav. I, Fig. 2 a 5, #ad), misurando nel tratto di mezzo della sua lunghezza, ove raggiunge il maggior volume, mm. 1,5-2 di larghezza e mm. 0,5-0,7 di spessore. Nella vena cardinale posteriore sinistra, di calibro assai minore della destra, l’inter- renale, oltre la parete ventrale, occupa in parte anche la parete mediale del vaso, ma vi è meno abbondante e costituisce perciò uno strato meno spesso (Fig. 2, as). Procedendo con lo studio delle sezioni trasversali seriali in senso caudo-craniale, l’interrenale apparisce più presto sulla vena cardinale posteriore sinistra che sulla destra. Infatti s° incontra prima di tutto una masserella o lobuletto di sostanza corticale situato nell’ angolo inferiore esterno della cardinale sinistra, presso la massa linfoide nella quale il lobulo s' immerge colla sua parte esterna. Questo lobulo, che misura circa mm. 0,3-0,5 di lunghezza su mm. 0,3 di spessore, va aumentando di volume verso il suo mezzo, dove nelle sezioni acquista una forma triangolare con la base rivolta ventralmente in continuazione della faccia ventrale della massa linfoide, mentre ai suoi due estremi, craniale e caudale, diminuisce fino a cessare. Ma allorquando esso sta per finire, nella stessa cardinale sinistra e sulla sua parete mediale, compa- risce un’altra masserella di interrenale, di forma ellissoidale, della lunghezza di quasi 1 mm. su mm. 0,12 di spessore. A livello del punto in cui questa seconda masse- rella sta per terminare, comparisce 1° interrenale sulla parete ventrale della vena car- dinale posteriore destra, mentre nella sinistra succede invece un’ interruzione per un breve tratto di 0,4 mm. La massa d° interrenale nella parete ventrale della vena car- dinale posteriore destra va rapidamente aumentando di volume nella serie delle sezioni trasversali, e acquista una forma di semiluna con il corno interno o mediale più grosso dell’ esterno (Tav. I, Fig. 2-4, i@d). Anche sulla parete ventrale della vena cardinale posteriore sinistra la massa glandolare (is) assume forma semilunare con il corno più grosso rivolto verso l’ interno. Quindi i margini più grossi delle due strisce d’ inter- renale corrono ai lati e un po’ al disotto dell’ aorta. A sinistra, procedendo più in avanti, la masserella d’interrenale si continua per un certo tratto con la sola parte interna grossa, la quale ora acquista figura di triangolo la cui base riposa sulla pa- rete mediale della vena, poi si estende nuovamente sulla parete ventrale di questa. A destra si mantiene sempre sulla parete ventrale della vena corrispondente (Tav. I, Fig. 5) e col procedere cranialmente va poi diminuendo di spessore. Al lato destro adunque l° interrenale è una massa che in avanti e indietro è sottile e nel mezzo della sua estensione longitudinale raggiunge il suo massimo spessore. A livello del punto in cui l’interrenale sinistro, come ora si è ricordato, si estende nuovamente sulla parete ventrale della rispettiva vena, le due cardinali comunicano largamente fra loro mercè un tratto d’ unione trasversale (Fig. 1 del testo), e sulla parete ventrale d’ ognuna di esse si vede uno strato glandulare, il quale a destra è più spesso che a sinistra. Questo aspetto e la comunicazione tra le due vene perdura per un buon numero di se- zioni, e frattanto a destra la massa dell’ interrenale va diminuendo di spessore sino a scom- Dl parire, mentre a sinistra modifica la sua forma, poichè s’ ingrossa sul suo margine esterno e sì assottiglia invece sull’ interno e infine si riduce sempre più, cosicchè ad un certo momento lo strato glandulare si lascia vedere soltanto sulla metà esterna della parete ventrale, dove è sottile, e sulla metà inferiore della parete laterale, dove è molto erosso. Nel frattempo cessa l'ampia comunicazione delle due vene tra loro. Nella cardinale sinistra |’ interrenale sì spinge più cranialmente che nella destra, e da quel lato mo- stra, verso questo suo estremo craniale, la forma semilunare o a clava, essendo il suo margine esterno più grosso. Le due masse linfoidi che seguono le vene cardinali, aderendo ciascuna alla parete esterna della vena rispettiva, di mano in mano che cì si avanza cranialmente dimi- nuiscono di volume e si assottigliano rimanendo sempre sul lato esterno della vena; a sinistra la massa linfoide si spinge alquanto più cranialmente che a destra, mentre all'esame macroscopico teminava prima che da questa parte. Quando le masse linfoidi cessano, esse, nel tratto che intercede fra il loro estremo anteriore e i reni cefalici, vengono continuate cranialmente, da ciascun lato, per mezzo del ramo venoso che proviene dal rispettivo rene cefalico e che si apre nella cardi- nale del lato corrispondente quando questa sta per dirigersi verso il dotto di Cuvier(1). Lungo questo ramo venoso, che è forse da interpretarsi come vena cardinale anteriore (giugulare) primitiva (2) e del quale dovremo pure parlare a proposito del rene cefalico e del sistema cromatfine (sistema feocromo), s° incontrano, tanto a sinistra quanto a destra, ma più specialmente a sinistra, numerosi nidi di cellule cromaffini, sia attorno al suo lume, sia nello spessore della sua parete. Esso è pure accompagnato da rami nervosi e piccoli gangli simpatici. Occorre inoltre notare che lungo questo tragitto, di solito sulla faccia ventrale del ramo venoso, si veggono traccie dell’uretere (condotto del pronefro), ii quale in certi tratti è obliterato, in certi altri apparisce come la se- zione di un condottino rivestito da un epitelio semplice, cubico o cilindrico. L° insieme del vaso venoso, dei rami nervosi simpatici e dei resti dell’ uretere costituisce una formazione, più regolare a sinistra che a destra, la quale è circondata da un invo- lucro fibroso lamellare e si prosegue, come vedremo, coll’ estremo caudale del rene cefalico del rispettivo lato. Giacché ho qui accennato alle traccie degli ureteri, aggiungerò subito che esse si continuano e si rinvengono anche lungo la massa linfoide del rispettivo lato, sul mar- gine interno di questa, non molto discosto dalla parete laterale della vena cardinale corrispondente (Tav. I, Fig. 2, 3, «). A sinistra, seguendo la serie delle sezioni in senso cranio-caudale, 1° uretere nel primo tratto, per 1’ estensione di circa 2 mm., appa- risce come un distinto condottino, rivestito da epitelio, poi si mostra obliterato, coi caratteri di un cordoncino fibroso, a straterelli concentrici di connettivo, e allora in (I) A destra il ramo, passando dal lato dorsale al lato esterno della cardinale, imbocca in questa un po’ più in dietro di quello di sinistra. (2) Vedasi la nota 2 a pag. 421. dute 1 il 495 — certi tratti non è più visibile nemmeno sotto tale aspetto. A destra invece si mantiene come un condotto epiteliale di calibro variabile, in certi tratti piuttosto ampio o an- che molto ampio, segnatamente in dietro, rivestito di cellule epiteliali cilindriche; in certi punti ha decorso tortuoso e si ripiega su sè stesso, tantochè appare allora col- pito tre o quattro volte in una stessa sezione. La massa d’interrenale, specialmente a destra, dal lato ventrale è circondata da un involucro connettivale, il quale si estende anche sui suoi margini laterale e mediale : un involucro consimile, ma più sottile, si vede pure dal lato dorsale della massa sotto l’endotelio della vena cardinale. Siccome l'involucro connettivale, che circonda la massa glandulare, da questa si estende e si continua sulla parete della vena, così in certa maniera la massa dell’ interrenale si presenta a guisa di un forte ispessimento della parete medesima della vena. Tanto a destra quanto a sinistra l’interrenale consta di cordoni epiteliali pieni, tra i quali s’intromettono seni sanguigni che si aprono nel lume della vena. Alcuni dei cordoni o lobuli appaiono come provvisti di una cavità talvolta spaziosa, la quale per altro non rappresenta un lume ghiandolare, bensì uno spazio sanguigno, come dimostra la presenza di eritrociti e il rivestimento endoteliale. Si tratta di cordoni o di serie di cellule interrenali che circondano quasi completamente un seno sanguigno modellandosi su di esso. Perifericamente tra i lobuli s’ intromette del tessuto linfoide, il quale sul lato ventrale della massa interrenale destra può pure costituire dei piccoli accumuli, (Fio. 2, /), mentre l’interrenale sinistro ne è di solito libero. A destra piccoli giacimenti linfoidi si riscontrano talvolta anche verso la parte centrale della massa interrenale. La vascolarizzazione vi è più ricca che nell’ interrenale posteriore. Numerosi e taluni assai ampi sono i seni venosi o sinusoidi che percorrendo l’interrenale anteriore s° in- ternongono tra i suoi lobuli (Fig. 2 a 5); a destra i più ampi ne attraversano la massa prevalentemente in direzione ventro-dorsale, e la più parte di essi si aprono lar- gamente nel lume della vena. Alcuni dei seni appariscono ripieni di cellule linfoidi. E infine, per quanto riguarda i rapporti dell’ interrenale anteriore con i vasi, deve pure ricordarsi che la sua massa è, per un certo tratto, attraversata da una grossa vena reveente che, provenendo dalla massa linfoide, va a sboccare nella cardinale. Relativamente ai rapporti col simpatico, rammentiamo che nella parete delle vene cardinali, specialmente di quella destra, come pure nella massa d’interrenale è facile incontrare la sezione di qualche filetto nervoso. Interrenale anteriore nei cosidetti reni cefalici del Conger vu/garis adulto. Un'altra parte dell’ interrenale anteriore o cefalico risiede in quella porzione del rene situata più cranialmente e conosciuta col nome di rene cefalico. Circa alla posizione, ai rapporti e alla forma esterna dei corpicciuoli denominati reni cefalici abbiamo già detto di sopra (Cfr. pag. 419). Ora lo studio delle sezioni trasverse seriali Serie VI. Tomo VI 1908-09. 56 — 426 — di questi corpicciuoli fa vedere che essi sono costituiti in buona parte (in certe sezioni anzi per la più eran parte) da una massa glandulare rappresentante 1° interrenale ante- riore (porzione cefalica dell’ interrenale anteriore); per il resto risultano di tessuto lin- foide che circonda la massa glandulare e di tessuto cromaffine (Tav. I, Fig. 6-10, più, 2,08: ebbene, le due serie mostrano un decorso poco differente; il numero degli indi- vidui presenti al momento dell’ epidemia, cioè dopo soli due giorni, è poco maggiore nel secondo caso, senza nessuna proporzione colla differenza iniziale; e la percentuale dei coniuganti è nei due casi abbastanza vicina, a vantaggio della prima serie. Poche serie formate con vasi preparati similmente ai precedenti, ma con Criptochili derivati da un’ al- ira cultura, mosirano pure diversità tali di momento in momento, che una corrispondenza col numero degli individui iniziali non si può affatto rintracciare. Sì osservi che la cultura madre adoperata in questo esperimento, sebbene sia stata rialimentata al periodo della decrescenza, ha dato luogo ad un buono sviluppo degli Infu- sorì, e ciò perchè il numero degli individui che conteneva in origine non era molto grande. Non partii, come cultura madre, da una di fresca preparazione, pensando che avesse una importanza notevole il numero degli individui presenti in essa, sopra al decorso delle cul- iure d° esperimento. Ma poichè con questo esperimento mi convinsi che anche con uno scarso numero di Infusorì introdotto nelle piccole culture, si può avere un ottimo svolgi- mento di esse, ed anche rapido, mi attenni in seguito all’ abitudine di prendere il cme. con Infusorì, da una cultura in soluzione acquosa di estratto, preparata in modo analogo il giorno precedente; qualche volta anzi, da una cultura in acqua distillata con estratto, presi 2 o 5 cme. per prepararne una analoga, la mattina; e nel pomeriogio da questa nuova cultura, nella quale sì trovavano pochi individui, ma ben pasciuti, presi 1 eme per preparare culture d° esperimento in soluzioni saline. La variabilità dell’ esito non ho po- tuto mai eliminarla completamente, ma posso affermare che, attenendosi al sistema di adoperare culture madri, contenenti Infusorî al massimo di alimentazione (quindi piut- tosto scarsi), culture preparate di fresco, l’ esito è sempre buono, si ha uno svolgimento rapido e sicuro, con produzione di forti epidemie, se la composizione dei liquidi d’ espe- rimento è tale da permetterlo Coll’ esperimento 5° volli decidere quale importanza avesse la. quantità di liquido irasportato dalla cultura madre nelle culture d’ esperimento, sopra all’ esito di queste; irasportando 1, 2, o 5 cme. ottenni delle differenze che consistono in un più rapido svol- gimento nell’ ultimo caso, ma le epidemie sembrano più intense nel primo e nel secondo. L’ esperimento non contiene molti vasi, e quindi non dà resultati quantitativamente molto precisi: ma appare in sostanza la convenienza di non eccedere nella quantità di liquido irasportato; adottai perciò in generale la misura di 1 cme. salvo in casi speciali in cui partendo, come cultura madre, da una fatta in soluzione salina, volevo trasportar dietro poca quantità di questo sale. Allora conveniva evidentemente prendere dosi minori. Interessante è un certo grado di oscillazione che si osserva nei giorni successivi al massimo della epidemia. Si osservi p. e. l’ esperimento 2°, in cui son riportati i numeri dei coniuganti per molti giorni di seguito. P. e. nel cloruro di litio abbiamo le percentuali 3,8-39,9-7,4-0-10,8-0 nei giorni successivi; per il cloruro sodico N/120: 20,2 - 13,2-0-15,1-5,6-0-0-1,3; per il cloruro sodico e calcico (22): 67,5 -9,1- 10, 6 - -— 471 — 27,7-9,5-16-0, e così via. Non è difficile comprendere la ragione di questo fatto, spe- cialmente dopo una epidemia intensa, come in quest’ ultimo caso. Quando gli Infusorî sono in gran numero accoppiati, non mangiano, ed i Batterî possono più indisturbati moltipli- carsi, sì che all’ uscire dell’ epidemia i primi troveranno nuovo alimento, quindi possibilità di moltiplicarsi ancora un poco e di subire, più in piccolo che la prima volta, quelle in- fiuenze nutritive che determinano la coniugazione. Però una epidemia che ha cominciato a diminuire non torna più ad un valore maggiore del primo massimo. Anzi generalmente queste oscillazioni sono poco significanti. Probabilmente nel CRilodor — nel quale ho di- mostrato altra volta (nella mia seconda memoria), la possibilità dell’ accoppiamento in ex- coniuganti non divisi, — ciò sì verifica in seguito a quelle oscillazioni di condizioni, che qua si palesano numericamente, con oscillazioni della percentuale di coniuganti. Dalle tabelle resulta in quali esperimenti ho fattola conta degli Infusorî una volta al giorno, ed in quali più volte al giorno. Poichè, come potei accertare nel corso delle ri- cerche, le epidemie non rimangono per un giorno intero al massimo di sviluppo, — quando si osservano le culture una volta al giorno, si corre il rischio di lasciarlo sfuggire; si ha in questo fatto una causa per la quale una sola prova non può dare un resultato ugual- mente attendibile come nell’ altro caso. Ma facendo la media tra molte prove, si può giungere ad ottenere confronti ugualmente attendibili, tra l azione di sali o condizioni diverse. E così il confronto tra il cloruro e bromuro di sodio, come è stato fatto nei primi esperimenti, con numerosissime prove, ha lo stesso valore della sua conferma ottenuta negli ultimi, con poche prove frammiste allo studio delle altre sostanze. Inoltre si osserva un valore medio minore, quando si studiano le culture più raramente, che quando se ne segue tre volte al giorno le variazioni di decorso. Tre volte al giorno basta, come è di- mostrato dal fatto che spesso capita di osservare valori percentuali di coniuganti altissimi in due osservazioni consecutive; inoltre la osservazione precedente al massimo della epi- demia, ci indica se possiamo attendere parecchie ore per un nuovo esame. All apparire dell’ epidemia si notano dapprima ancora numerose forme di divisione, non però tanto numerose quanto negli stadî precedenti. In generale non ho riportato i numeri delle scis- sioni nelle tabelle, perchè, arrivando essi raramente all’ 1 0 2%, non dànno garanzia di suffi- ciente attendibilità riguardo al loro valore quantitativo. Li ho riportati, come esempio, in un caso nel quale ne ho osservate in grande abbondanza (esperimento 8°). È probabile che queste ultime divisioni non siano soltanto |’ espressione di un buono sviluppo, ma una condizione preparatoria per la coniugazione, sorgendo i gameti dalla scissione di individui non atti a coniugarsi (cfr. la divisione sessuale delle Opercularie nella mia prima memoria); sarebbero le così dette divisioni di digiuno di R. HerrtwIG. Nel caso citato infatti esse assumono un valore percentuale, all’ ultimo momento che precede |’ epidemia, superiore a quello che si ha nei momenti di massima alimentazione. Questo aumento di divi- sioni sembra dunque esprimere la preparazione alla coniugazione. A conferma di tale supposizione si potrebbe citare il fatto che la Stilonichia ed il Colpoda, in circostanze nelle quali passano dalla ricca alimentazione alla condizione di digiuno, ma non si coniugano a diminuiscono la loro attività di scissione, non l’ aumentano (1), fatto che cito però sol- ianio in forma dubitativa, perchè la differenza potrebbe dipendere soltanto dalla diversità della specie. Ma basta quanto abbiamo constatato qui per il Criptochilo, a far ritenere quanto segue : che la dipendenza esistente tra sviluppo numerico e percentuale di coniu- ganti — quando esiste — può solo in parte venire interpretata come dipendenza della epidemia dalle condizioni favorevoli allo sviluppo. Da queste considerazioni ed osservazioni generali sul decorso delle culture, resultano insomma alcune norme, importantissime per il buon esito degli esperimenti da fare, seb- bene prive di un significato biologico generale; occorre adoprare come culture madri, culture che già sì trovino in condizioni particolari, contenendo liquido fresco e pochi Infusorî, e trasportare di questi, tanti che nella cultura d’ esperimento vengano a trovarsi in una quantità oscillante entro certi limiti (tra 0,1 e 2 per mmc.); è quasi inutile avver- tire ehe queste indicazioni valgono soltanto per il Cryptockilum quanto ai numeri, ma pro- babilmente per gli Infusorî in generale quanto alla questione di principio. 4. La concentrazione salina in generale. Descrivo i resultati dei miei esperimenti, ordinandoli secondo il soggetto, ciò che non corrisponde alla cronologia degli esperimenti medesimi, perchè prove fatte con varî sali e varî scopi sì sono intrecciate continuamente. Ho riportato tutte in ultimo le tabelle dei principali esperimenti. Fino dalle prime prove resultò evidente e generale un fatto relativo alla influenza dei sali: un certo grado di concentrazione salina favorisce lo sviluppo di coniugazioni, in- dipendentemente dalla natura del sale adoperato. Se osserviamo le percentuali di coniu- ganti nelle soluzioni culturali fatte in acqua distillata, troviamo in generale valori molto bassi, inferiori al 10 %. Soltanto una volta son riuscito ad innalzare questi va- lori, ottenendo, tra due vasetti poco diversi tra loro, una media di 22, 4%. Le condi- zioni di esperimento consistevano nel trasportare un poco di una cultura preesistente in un liquido culturale già intensamente batterico. Ciò non ha però alterato l’ ordine nelle gradazioni dei diversi effetti, poichè nelle soluzioni saline si è avuto maggior quantità di coniuganti. La possibilità, che si è verificata con questa prova, di elevare un poco la percentuale di coniuganti in circostanze particolari, e che nemmeno son riuscito a ripro- durre, ripetendo l'esperimento dei liquidi già batterici più volte, non toglie dunque nulla all’ affermazione che la concentrazione salina in generale è sempre favorevole allo svi- luppo delle epidemie di coniugazioni. Inoltre è facile persuadersi, che questa influenza è pure entro certi limiti indipendente da un eccitamento dello sviluppo degli Infusorî stessi. (1) Ofr. il mio lavoro: « La teoria di Spencer sulla divisione cellulare, studiata con ricerche biometriche negli Infusori ». Archivio di Fisiologia, Vol. VII pag. 113, 1909. -— 473 — Dico entro certi limiti, perchè la presenza di sali è favorevole, per molti di essi, allo svi- luppo degli Infusorî. Uno sguardo alle tabelle convincerà infatti che per lo più il numero degli individui per mm.c. è, in ciascun esperimento, minore per i vasi con estratto sciolto in acqua distillata, che per quelli contenenti cloruri di sodio, calcio e molti altri sali. Siccome per questi sali nominati, come pure pel bromuro di sodio, la differenza è assai costante, si potrebbe pensare che le differenze nelle coniugazioni, dipendessero appunto da queste nello sviluppo. Ma è facile dimostrare che tale supposizione è priva di fonda- mento. E per dimostrarlo ci serviremo tanto delle osservazioni fatte con alcuni sali par- ticolarmente dannosi, quanto anche di alcuni dati relativi ai più favorevoli allo sviluppo. Si osservi p. e. nell’ esperimento 6° l’ effetto dei sali che più lo hanno rallentato; ad esempio il Cl Li ed il CI Sr; nei relativi vasetti gli Infusorî sono aumentati lentamente di numero, e per restando al di sotto che in quelli senza sali (vasi 31-32), vi si sono pro- dotte coniugazioni molto più numerose. D'altra parte il CI Mg, pur promovendo intensa- mente lo sviluppo degli Infusorî, ne ha eccitato le coniugazioni ben poco, molto meno di altri sali, come il Cl' Fe, che hanno dato minor nnmero di Infusorî, e maggior quantità di coniuganti. Nè esiste una relazione in senso contrario a quella prima supposta : il CI Na ha eccitato molto lo sviluppo ed anche le coniugazioni. Analogamente nell’esperimento 2 troviamo p. e. 21% di coniuganti nel cloruro d’ am- monio, con 50,6 Infusorî per mm.c., di fronte a 37,8 coniuganti con 38,6 individui per mm.c. nel cloruro Na N/6; più in generale, una lunga serie di sali, nel giorno delle massime epi- demie, mostrano percentuali di coniuganti svariatissime, con sviluppo presso a poco uguale, cioè circa 50 individui per mm.c. (cloruro di Na N/12, Sr N/120, bromuro Na N/120, sol- fato Na N. 240, cloruro o nitrato Na più cloruro N Ca, complessivamente N/120). Nel 2° giorno (ore 18) dell’ esperimento 8, si sono avuti i massimi delle epidemie. e nei vasi col cloruro Fe” N/12000, si è avuto uno sviluppo perfettamente simile a quello che nei vasi con solo Cl Na, ma coniuganti circa 73%, invece che 43%. Tutto ciò non significa che manchi una relazione tra intensità di sviluppo e numero di coniuganti; dimostra però che questa relazione rappresenta una delle cause determinanti la coniugazione, non tutte. È evidente la relazione, specialmente quando si osservi com- plessivamente lo sviluppo nelle soluzioni acquose di estratto, ed in quelle con certi sali, molto favorevoli alla coniugazione (alogenici del sodio, cloruro ferrico ecc.); si ha insieme un maggior sviluppo ed un maggior numero di coniuganti. D'altra parte resulta pure evidente che un certo grado di concentrazione salina è quasi necessario per la produzione delle epidemie, non soltanto una condizione favorevole ad esse. Per es., il cloruro ferrico, che può elevare enormemente il numero percentuale dei coniu- ganti quando venga aggiunto in piccola dose ad una soluzione di Cl Na, ha scarso effetto se aggiunto nella stessa percentuale direttamente ed esclusivamente ad una soluzione acquosa di estratto di fieno. Prima di chiudere questo capitolo, richiamo l’attenzione su ima circostanza caratte- ristica degli allevamenti fatti dal Maupas. Egli ha ottenuto coniugazioni di molte specie di Infusorî, curando le condizioni di alimentazione, anzi dimostrando chiaramente il significato Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 62 -— d°id — di queste per la produzione dì epidemie. Ma nei suoì allevamenti interveniva evidentemente in modo notevole anche l'elemento della concentrazione salina, come resulta dal metodo che egli seguiva. Le sue piccole culture erano fatte di un vetrino copri-oggetti posto sopra ad un porta-oggetti, ma separato con qualche corpo intermediario; in quello spazio tra i due sì trovavano gli Infusorì, al quali veniva continuamente « aggiunto » un liquido ali- mentare. In altre parole si aveva una certa evaporazione nelle piccole culture, quindi un aumento della concentrazione, il quale rendeva le condizioni più propizie allo svolgimento della epidemia. Ancl) io ho osservato che queste culture uso Maupas dànno col Colpoda steini più intense epidemie, di quelle fatte con una goccia pendente capovolta su una ca- meretta umida, e nelle quali la evaporazione è evitata. Concludiamo dunque che un certo grado di concentrazione salina ha un effetto favo- revole sopra allo sviluppo e sopra alle coniugazioni. del Cryptockilum; in linea generale sì può affermare che l'influenza sopra alle coniugazioni dipende qui in parte dall’’aumen- tato sviluppo: ma vi è una relativa indipendenza, da cui appare che la concentrazione stessa è favorevole anche direttamente alla produzione delle coniugazioni. Come pure, appare una rilevante indipendenza tra lo sviluppo e le coniugazioni, in seguito all’azione di sali diversi. 5. Cl Na, Br Na, I Na. Passando ora a dire dell’ effetto dei singoli sali, devo avvertire che alcuni esperimenti fatti con un numero rilevante di essi, mi hanno fornito delle indicazioni riguardo a quelli che più sembravano indiziati come favorevoli allo sviluppo, ossia cloruro e bromuro di sodio, in modo analogo, ioduro, in maniera dapprima incomprensibile, e sali di calcio; mentre il ferro mi parve dapprima contrario alla produzione delle epidemie. Cominciamo dallo studio dei sali più innocui e di effetto più semplice, cioè CI Na e Br Na. Alla concentrazione N/120 questi due sali sono assai favorevoli alla coniugazione, e più il bromuro del cloruro ; ciò resulta dall’ esperimento 4° e dalla tabella riassuntiva a pagina 488. Quanto al valore di queste medie, avverto che nell’ esperimento 4° sono riuniti i casi di diverse prove non contemporanee, ma ciò non toglie il diritto di paragonare i valori del cloruro, bromuro, acqua distillata, perchè appartengono di ciascuna soluzione, un ugual numero di casi a ciascun esperimento parziale. Solo per la soluzione di estratto in acqua distillata, il valore di 4,3 è media di un numero minore di casi che quelli delle soluzioni saline della stessa linea; ma è da avvertire che gli esperimenti nei quali avevo più vasi con soluzioni saline che con acqua distillata, furono per caso quelli che presentarono più deboli epidemie; sì che il valore di 4,3 è da considerarsi, rispetto al confronto con quelli della stessa linea, come troppo elevato, non come troppo basso. Negli esperimenti di cui si tratta, le coniugazioni si producono in vasi, nei quali la concentrazione salina viene aumentata rispetto alle culture originali. Sorge dunque la que- stione se l’effetto favorevole all’ accoppiamento si debba ad una condizione favorevole, o ad uno stimolo. La questione si risolve portando gli Infusorìî da una soluzione di cloruro o bromuro sodico in un altra analoga, e confrontando il resultato con quello degli alle- vamenti in acqua contenente il solo estratto. Vi è però qui da fare subito una osserva- zione riguardo alla precisione dei resultati numerici in questa forma di esperimento. Ho già mostrato quanto dipenda l'esito di una cultura, dalle condizioni in cui si trova quella porzione di cultura preesistente, che si mette nella nuova. Di qui deriva la necessità di confrontare soprattutto tra loro i resultati dei singoli esperimenti, in ciascuno dei quali la cultura d’ origine è la stessa, mentre essa è diversa (0, se è la medesima, è però cambiata per le sue condizioni), negli esperimenti fatti in giorri differenti. Ora qui si tratta di con- frontare culture formate partendo da una in soluzione salina, con altre fatte partendo da soluzioni di solo estratto; siamo perciò in condizioni nelle quali il confronto è molto meno attendibile che di solito. Perciò, nessuna speranza di trovare qualche cosa di sicuro ri- guardo all’ effetto del partire da una cultura madre in cloruro 0 in bromuro sodico; un confronto però tra il partire e rimanere in questa e il partire dall'acqua distillata, si è potuto fare, perchè, come si vede dal quadro seguente, sì sono avute sempre medie supe- riori al 10%, nelle culture fatte con trasporto da una soluzione salina in una soluzione salina, mentrechè si sono sempre ottenuti valori bassissimi, per il trasporto da soluzioni acquose semplici di estratto, in soluzioni uguali. Non si può constatare differenze sistema- tiche «tra il partire da una soluzione di cloruro o bromuro, o quella del solo estratto, (facendo culture d’ esperimento in cloruro e bromuro) perchè i valori di poco superiori al 10% ottenuti nel partire dalla soluzione salina, non differiscono sensibilmente da alcuni dell'altro caso (linea 2 della prima parte dell’ esperimento 4°), coi quali gli esperimenti sono stati in parte contemporanei; anzi, non solo contemporanei: le culture, per quanto diverse, si assomigliavano per il numero degli individui presenti per mm.c., e per le con- dizioni del loro p:ecedente sviluppo. In altre prove analoghe, con minor numero di vasi, ottenni resultati più intensi, e cioè medie di 12,2 e 245 per il CI Na e di 14,1 e 18,6 per il Br Na. D'altra parte tentai, in questo stesso ed in altri esperimenti, la prova inversa, cioè il passaggio da una soluzione di CI Na o Br Na ad una priva di questi sali. Qua si otten- gono scarse coniugazioni, come dimostrano varîì esperimenti, i quali per brevità non sono stati riportati; ma naturalmente l’effetto non si ottiene completamente quando si trasporta dalla cultura salina 1 cm.c. in quella fatta in acqua distillata, e ciò — è evidente — perchè si diluisce in questo caso il sale ma non abbastanza per distrue@gerne l’ effetto, come vien dimostrato dallo studio delle soluzioni di questi sali, più diluite ; trasportando invece una più piccola dose della cultura salina in un liquido fresco senza sale, p. es. 0,1 cm.c., ottenni epidemie scarsissime o nulle, come partendo in analoghe condizioni dall’ acqua distillata, mentre basta trasportare una così piccola quantità di liquido in una cultura nuova salina, per avere epidemie forti. Dunque, possiamo affermare che l’effetto favorevole alla coniugazione, ottenuto con cloruro o bromuro sodico, si deve alla loro presenza nel liquido, non ad un eventuale sti- — 476 — molo che gli Infusorì risentano entrando nelle loro soluzioni; come non esiste uno stimolo coniugativo passando da una soluzione di questi sali ad un liquido culturale di puro estratto. Vedremo che anche per altri sali sì ottengono uguali resultati. Constatata l’azione più favorevole del bromuro, che del cloruro sodico, nella concen- trazione N/120, ho voluto indagare | effetto delle varie concentrazioni dei due sali. Si vedono i resultati nel quadro riassuntivo, coi dati di varî esperimenti. L'esperimento 7° è il più importante per la questione di cui si tratta. Per il bromuro di sodio appare un mas- simo di effetto tra la concentrazione N/120 ed N/1200, con valore molto superiore ai mas- simi ottenuti nelle soluzioni di cloruro, nel medesimo esperimento. In quest’ ultimo sale, non si palesa una graduale differenza tra le concentrazioni N/4 ed N/1200, ciò che resulta dall'esame di tutti ì casì in cui si è fatto prove a queste concentrazioni. Invece alla con- cenirazione N/3.000 1° effetto per la coniugazione è già notevolmente diminuito. L’ azione di questo sale è dunque meno influenzata dalla concentrazione che non quella del bromuro. Una media di tutti i casì dell’ esperimento 7°, in cloruro sodico, confrontata colla media corrispondente per il bromuro, indica ancora la prevalenza di questo sale (23,9 coniu- ganti”, nel cloruro, 24,7 nel bromuro). Il paragone è lecito anche in questi termini, perchè un ugual numero di vasetti sì trovavano in ciascuna concentrazione e per ciascuno dei due sali. L’ioduro di sodio ci conduce in un campo di ricerca assai più difficile, per la com- binazione della sua azione molto tossica con quella favorevole alla coniugazione. In una soluzione di I Na N/120 preparata di fresco i Criptochili non si sviluppano. Invece si ha lo sviluppo quando la soluzione iodica è già intensamente batterica, all’atto di aggiungervi gli Infusorî. Evidentemente l’azione tossica si fa risentire più energica quando la nutrizione è più scarsa. Gli esperimenti 2, 7, 8 portano esempî di questi contrasti, i quali del resto sono stati dimostrati anche a parte, con apposite prove. Quello che accade quando gli In- fusorî si sviluppano, non è costante. Infatti troviamo nell’ esperimento 11° una percentuale di coniuganti inferiore assai a quella del cloruro e bromuro sodico. Invece altre volte ho ottenuto epidemie fortissime (46,2% e perfino 76,2%). Si può dunque raggiungere un limite così grande come non accade mai nelle soluzioni di Cl Na o Br Na, il che basta per dimo- strare una intensa azione del sale iodico in favore della coniugazione, azione però che si esplica soltanto in circostanze speciali. Si passa, evidentemente per variazioni minime delle condizioni sperimentali, dalla prevalenza dell’azione tossica in generale, a quella dell’ a- zione favorevole alla coniugazione; si rende impossibile allo sperimentatore di ottenere resultati costanti, in conseguenza di questa estrema sensibilità alle condizioni speciali di ciascun esperimento, le quali in parte si possono fare assomigliare, ma non mai — è evi- dente -— rendere uguali. 6. Cloruro ferrico. Certamente tra tutti i resultati riferiti in questo lavoro, ì più interessanti sono quelli relativi all’azione del ferro. Le prime prove con i suoi sali riuscirono male, ebbi varî in- successi di sviluppo, o resultati privi di significato preciso. Li tralascio completamente in questa descrizione, per parlare unicamente dei resultati sicuri ed intensi ottenuti col clo- ruro ferrico, negli esperimenti successivi, fatti in migliori condizioni. L’ azione di questo sale è assai più complicata che quella dei sali precedentemente studiati. Si capisce che bisogna adoperarlo in concentrazione molto minore che i sali alcalini degli alogeni. Esso è però d’ altra parte capace di influenze forti, anche se si trova in solu- zioni molto diluite. La necessità della diluizione rende subito conto del poco successo che sì ottiene adoperando soluzioni di estratto di fieno, alle quali soltanto il sale ferrico sia aggiunto. Esperimenti di questo genere portano ad un elevamento della percentuale di coniugazioni, considerevolissimo rispetto alle soluzioni fatte in acqua distillata, ma inferiore ai massimi che si possono ottenere con cloruro di sodio. Così abbiamo una media di 9,3% coniugazioni in cloruro ferrico N/6.000 e di 8,5% (cioè presso a poco lo stesso) alla con- centrazione di N/12.000, nell’ esperimento 9; nelle soluzioni col solo estratto, 2 vasi non hanno dato coniugazioni, ed uno ne ha avute soltanto il 3,4%. Anche la soluzione di Cl Na N/3.000, isotonica rispetto a quella Cl’ Fe N/6.000, fornisce pochissime coniugazioni; ma col Cl Na, che viene tollerato a più forti dosi, si ottiene una media di 13,2%, (N/120), superiore a quella del sale ferrico. Analogamente nell’ esperimento seguente, che ha for- nito in generale molto più elevate percentuali di coniuganti. Troviamo infatti per il Cl’ Fe N/6.000 una media di 23,9, di fronte a quella di 7,8 in acqua, di 10,9 con Cl Na/3.000, ma di 27,7 in CI Na N/120. Dunque il sale ferrico ha azione ben più intensa del sodico, alla stessa concentrazione di ioni, ma inferiore a quella di soluzioni più forti di cloruro sodico. Ma si può operare diversamente, unendo il sale ferrico al cloruro di sodio, in modo da elevare la concentrazione per mezzo di una quantità di quest’ ultimo relativamente grande rispetto a quella del primo. Nei medesimi esperimenti già citati troviamo casi di questo genere. Il paragone si fa con la soluzione CI Na N/120; qua non mi sono dato cura di abbassare un poco la percentuale del sale sodico nei vasetti col ferro, sì da rendere la concentrazione delle molecole o degli ioni, identica a quella del confronto ; la cosa è pale- semente inutile, data la minima quantità di sale ferrico adoperata, rispetto alla concen- trazione complessiva. Se il sale ferrico viene aggiunto sì da trovarsi alla concentrazione N/6.000 oppure N/12.000, il suo effetto di elevare la percentuale delle coniugazioni è palese nell’ esperimento 9. L’ effetto non è molto intenso, ma è da considerare che tutto questo esperimento è stato poco favorevole alle epidemie. Invece si raggiungono percentuali molto più elevate nella stessa soluzione col sale ferrico N/12.000, nell’ esperimento 6, con un aumento circa dal 28 al 41%, di coniuganti. Ma questo è nulla rispetto al resultato del- — 478 ve l'esperimento $S, alla stessa concentrazione. Questo esperimento fu fatto in condizioni diffe- renti dalle solite: in una soluzione di estratto nel CI Na N/120, posta in un vaso più grande, furon lasciati gli Infusorì per poco più di un giorno; essi giunsero così ad una corcentra- zione di 16 per mm.c, ed erano grossissimi, ricchi di divisioni. A questo momento tutto il liquido (300 em.c.) fu mescolato e diviso in 12 porzioni di 25 cm.c., entro i soliti va- setti aggiungendovi però, in 9 di essi, alcune soluzioni saline. Queste furono adoprate in concentrazioni rilevanti rispetto a quelle cui dovevano giungere, sì che fu aggiunto in ciascun vaso circa % cm.c. di soluzione, (misurato esattamente con una fine pipetta), in modo da non modificare sensibilmente il volume complessivo del liquido. Pare che questi rimescolamenti e travasi siano di per sè favorevoli alle forti epidemie, perchè nei vasi lasciati per confronto senza aggiunta di altri sali oltre il C1 Na che la soluzione già con- teneva, le percentuali di coniuganti superarono il 40%; resultato notevole, ma non supe- riore ai limiti di variabilità ottenuti altre volte nelle stesse soluzioni. Ma l'aggiunta del sale ferrico N/12.000 ha portato le percentuali ad un valore oscillante tra il 68 ed il 75,8%. Questo esperimento è inoltre grandemente attendibile data la poca variabilità dei diversi vasi con soluzioni uguali. Nè questa uniformità è casuale. È evidente la causa della varia- bilità nei resultati di un singolo esperimento con soluzioni uguali; essa risiede nella im- possibilità che quel em.c. di una vecchia cultura che viene aggiunto alla nuova, sia un elemento costante; il numero di Batterî, di Infusorî ecc. varia in esso, nonostante tutte le cure nel rimescolare il liquido da cui sì prende, e non si riesce a vincere così la estrema sensibilità dell'esito finale, rispetto a quella variabilità. Ma coll’esperimento attuale anche questa difficoltà, finora insuperata, si può dire per la massima parte vinta; o per meglio dire, non vinta, ma girata. Infatti col prendere diverse porzioni di 25 cme. da una cultura già sviluppata, ed aggiungere alle porzioni soltanto i sali, si riduce la variabilità del liquido con Infusorî, di moltissimo; è chiaro che le piccole ineguaglianze delle varie porzioni del liquido e delle membranelle batteriche che in esso si trovano sospese, devono avere molta minore influenza, quanto più abbondante è la porzione di liquido che viene presa; questa la causa della maggiore uniformità del resultato. Quanto alla percentuale dei coniuganti in sè stessa, la percentuale di 73,2 nella soluzione ferrica, significa che quasi tutti gli indi- vidui sono accoppiati contemporaneamente. Il sale ferrico, studiato alla concentrazione N/12 000, non offre, come abbiamo veduto, alenna cosa di essenzialmente diversa dai sali precedenti, tranne l’intensità enorme della sua azione. E sarebbe stato assai più comodo per me, se per l'appunto avessi cominciato a sindiare questo sale alla detta concentrazione. Ma, naturalmente, tutte queste concen- trazioni bisogna cominciare a graduarle a caso. Osserviamo ora quello che accade se il sale è più concentrato (N/1.200), sempre in aggiunta del CI Na N/120. In questa concen- zione si osserva una varietà di effetto straordinaria, al variare di altre condizioni. Se al liquido culturale fresco viene aggiunto un cem.c. di una cultura precedente, sì ha infallibilmente la morte degli Infusorî senza che essi si possano ritrovare nemmeno nel giorno seguente. Dipende ciò dalla rapidità del passaggio in una soluzione che contiene — 479 — troppo ferro? No, perchè prendendo quel cm.c. da una cultura precedente di composizione identica, nella quale però gli Infusorî si siano sviluppati, essi muoiono ugualmente. Se il liquido culturale ferrico si è arricchito di Batterì con una permanenza di alcuni giorni nel termostato, i Criptochili si possono trasportare in esso impunemente; non muo- iono più, ma si sviluppano energicamente. Si osservi per es. l’andamento del vaso 27, esperimento 6°. L'azione, riguardo alla epidemia, è fortissima, anzi si ha qui il record delle epidemie, col valore di 78,5%. Terzo caso, sempre alla stessa concentrazione. Abbiamo visto che nell’ esperimento 8° l’aggiunta del sale ferrico N/12.000 al liquido con Infusorî in pieno sviluppo, ha aumen- tato grandemente la percentuale di coniugazioni. L'aggiunta dello stesso sale alla concen- trazione N/1.200 | ha invece considerevolmente abbassata. L’ apparente contraddizione col- l'esperimento 6°, in cui questa concentrazione di sale ferrico ha fornito il record delle epidemie è chiara. Ma se osserviamo nella tabella i numeri degli Infusorî per mm.c. nelle linee 1-3, esperimento 8, troviamo che l'aggiunta di sale ferrico N/1.200 alla cultura in pieno sviluppo, ha rallentato molto lo sviluppo dei Criptochili, i quali si moltiplicano di più senza il ferro (linee 10-12). In realtà, tra il caso di aggiunta degli Infusorî ad un liquido culturale ferrico fresco, e quello dell’ aggiunta ad un liquido analogo, ma con Bat- terî sviluppati liberamente, il caso presente è intermedio; gli Infusorî si trovavano in pieno sviluppo, con molti Batterî, ma con molti meno, rispetto al loro numero, che non nell’ altro caso. Dobbiamo dedurre di qui che il sale ferrico é stato a stento sopportato dagli Infu- sorî nelle presenti condizioni, e spiegare con ciò l’ anormalità del comportamento. Del resto l’azione del ferro si mostra, pure in questo caso, per vie diverse, se per es. consideriamo la lunga durata dell'epidemia, rimasta poco variabile per un giorno e mezzo, e se met- tiamo in rapporto le percentuali di coniuganti, collo scarso sviluppo degli Infusorî. ‘lutto sommato, decidere se la concentrazione N/1.200 o N/12.000 sia per il sale fer- rico più o meno favorevole alle coniugazioni, ci sembra impossibile, data la complessità del fenomeno, l’azione troppo nociva del sale nel primo caso, che impedisce di fare dei confronti in condizioni per il resto paragonabili. Ci iimitiamo a concludere che essa è in ambedue i casì intensissima, e che anche e soprattutto ciò si può riconoscere nella con- centrazione in generale pericolosa, se si riesce a vincere l’azione tossica del sale con un intenso sviluppo. In accordo con la irregolarità di resultati alla concentrazione N/1.200, sta |’ esperimento 11, nel quale il sale ferrico non ha prodotto alcuna sensibile azione, aggiunto appunto nella suddetta misura Invece nell’ esperimento 12, dove si è adoperato culture ferriche già batteriche, per innestarvi gli Infusorî, le percentuali di coniuganii sono state sempre elevatissime (46,1; 41,2; 35,3; 59). Questo esperimento è stato fatto specialmente per chiarire un punto, che anche a proposito del cloruro e bromuro sodico fu discusso: se cioè l’azione favorevole alla coniugazione dipenda da uno stimolo del sale aggiunto, o semplicemente alla sua presenza. T'rasportando 1 em.e. di cultura ferrica in un vasetto di liquido fresco di analoga composizione, si sono avute qui percentuali molto elevate di coniuganti, fino al 46% %s il che dimostra all’ evidenza dipendere (almeno in gran parte) 1’ azione del ferro dalla sua presenza e non dalla sua aggiunta. — 480 — Di fronte a questi resultati, ne poniamo altri completamente opposti. Si riferiscono essi a concentrazioni molto minori e cioè a quelle N/120.000 od N/240.000. I resultati del- esperimento 9 mostrano che il sale ferrico, aggiunto alla prima di queste concentrazioni alla soluzione sodica, diminuisce la percentuale dei coniuganti. Il resultato non è casuale. L'esperimento viene ripetuto (Esp. 10), con identica azione, riscontrabile, in minor grado, anche per la concentrazione N/240.000. Inoltre, per avere un controllo anche maggiore, lo ho ripetuto ancora in quelle condizioni che permettono di raggiungere maggiore uni- formità di resultati per i singoli vasi, cioè aggiungendo il sale di ferro, a porzioni diverse di una cultura con Cl Na N/120 in pieno sviluppo. Si osservino, nel quadro riassuntivo (pag. 488) i valori numerici di questi abbassa- menti: quando col Cl Na si è ottenuto, nell’ esperimento 9, una percentuale di coniuganti molto bassa (16,4%), il ferro la ha abbassata ancora, fino all’ 8.9; da 26,7 la ha portata a 23,7%; da 31,3 a 26,6. L'azione è insomma, almeno nel fatto in sè, indipendente dal grado di intensità delle epidemie, che di esperimento in esperimento varia. Da qualunque punto si parta, si discende. Nei primi esperimenti fatti, che non sono nemmeno riportati nelle tabelle, perchè non ancora abbastanza precisi, avevo appunto intuito una azione di questo genere, facendo il confronto tra culture senza aggiunta di sali, e culture coll’ aggiunta di un poco di solfato ferroso: ma era difficile chiarire una differenza in meno a partire da percentuali di coniu- santi minime, come si hanno nelle culture con solo estratto. L° azione viene invece netta- mente mostrata nelle prove surriferite. Poichè le espressioni N/120.000 ecc., per quanto precise, non sono generalmente molto intuitive, gioverà osservare che questa concentrazione corrisponde, per il Cl* Fe a poco più di 1 per un milione. Così sorprendente è la sensibilità degli Infusorî all’ azione dei sali, che le coniugazioni sono già un poco ostacolate da circa una parte in peso di cloruro fer- rico su 2 milioni, e assai intensamente da una parte su un milione! E di fronte a questo faito sta l’enorme azione favorevole alla coniugazione dello stesso sale alla concentrazione di 1 su 100.000 o di 1 su 10.000, azione connessa nel secondo caso ad una considerevole tossicità che spesso ostacola completamente la vita dei Criptochili. 7. Cloruro di calcio. Anche questo sale è molto favorevole alla coniugazione, meno però del cloruro ferrico. Facendone soluzioni senza altri sali, si ottiene un innalzamento delle percentuali di coniugazioni, meno evidente che col Cl Na od altri sali alogenici del sodio. Questo resultato si è ottenuto in varie concentrazioni (N/120, N/180, N/600) e senza eccezione in parecchi esperimenti. L’azione del calcio si studia bene, come quella del ferro, aggiungendo il sale ad una soluzione di cloruro sodico; resulta allora un notevole innalzamento della per- centuale delle coniugazioni. Solo una volta, tre vasetti confrontati con tre vasetti, danno — 481 — un resnltato opposto, sebbene poco intenso (Esp. 10); questo non può modificare l° affer- mazione generale, si deve certamente ad una casualità, ed è anche da notare che il com- portamento dei tre vasetti senza il calcio è molto poco uniforme. Un sollevamento grande si ha nell’ Esp. 8, dove in uno dei vasi sì arriva fin sopra al 72,5%; si tratta di quell’ espe- rimento dove i sali di calcio e ferro furon aggiunti ad una cultura in cloruro di sodio in pieno sviluppo. L'azione del calcio pare sia superiore a quella del ferro nell’ esperimento 9, a diffe- renza di quanto si verifica in tutti gli altri. Una spiegazione della. discordanza si ha, chiaramente, nelle condizioni particolari di questo esperimento, ove le percentuali di coniu- ganti sono relativamente basse, specialmente quelle nelle soluzioni ferriche; non che in queste soluzioni i valori siano inferiori che in quelle con solo cloruro sodico, ma sono inferiori ai valori che generalmente si ottengono con le stesse sostanze. Le condizioni della cultura madre mi parvero non del tutto corrispondenti a quelle indicate come migliori per il buon esito dell’ esperimento, ciò che in parte resulta anche dal piccolo numero di Infusorî che vi si trovano. Con ciò le soluzioni ferriche hanno potuto più intensamente esercitare la loro azione tossica, quella azione, che, capace talora di impedire del tutto lo sviluppo degli Infusori, in casi intermedi può, come abbiamo visto per l’ esperimento 8, (C15 Fe N/6.000) manifestarsi con un abbassamento dell’azione coniugativa. Possiamo dunque affermare che in generale l’azione del ferro è più intensa che quella del calcio. Evidentemente non può togliere valore, all’ affermazione che l'aggiunta di C1° Ca N/600 favorisce le coniugazioni, il fatto che in un esperimento (10), si è avuto una percentuale pressochè uguale tra la soluzione di CI Na e quella a cui il calcio era stato aggiunto. Tutte le altre volte si è avuta una differenza molto forte in favore del calcio, e special- mente è notevole il fatto che due volte si sono raggiunte percentuali molto elevate — oltre il 65% — valori cioè irraggiungibili nelle soluzioni di solo CI Na, dove l’arrivare al 45%, appare come una straordinaria eccezione. Anche alla concentrazione N/1200 il cloruro di calcio aggiunto al cloruro di sodio innalza notevolmente la percentuale di coniuganti (esperimento 11). Ma interessava di decidere, dato ciò che si verifica per il ferro, se anche una traccia di calcio potesse avere effetto opposto alla presenza di una discreta quantità di questa sostanza. Misi perciò in esperimento alcuni vasi coll’ aesiunta di CI° Ca N/120.000, mentre st aveva il confronto con altri nei quali si trovava solo Cl Na e con altri ancora nei quali era aggiunto Cl’ Fe N/120.000. Ebbene, anche questa volta, anche per il sale di calcio, si è manifestato un effetto anticoniugativo! Anzi questo è stato più forte che per il sale di ferro; si scende dal 31,3%, di coniuganti (nella soluzione di solo CI Na), a 26,6 col ferro, ed a 21,8 col calcio; al di sotto della percentuale nel liquido culturale privo di sali, (che è stata questa volta particolarmente intensa - 22,4). Concludiamo perciò relativamente al calcio, che, come il ferro, ad una concentrazione molto bassa il cloruro di calcio diminuisce l’ intensità della epidemia di coniugazioni, fino a potere anche compensare completamente l’azione coniugativa del cloruro di sodio; x mentre esso è capace di aumentarla, a concentrazioni assal più forti. Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 63 8. Altri sali. Alcuni altri sali che ho sperimentato, han pure mostrato azioni sulla coniugazione, sebbene meno intensa che quelli finora ricordati. Il cloruro d’ammonio non è favorevole in grado rilevante alle epidemie, ostacola anche facilmente lo sviluppo;con il cloruro di stronzio ho avuto epidemie discrete, simili a quelle ottenute col cloruro sodico negli stessi esperimenti, nonostante la differentissima azione sullo sviluppo, che viene seneralmente rallentato dallo stronzio N/120 o N/180. (Cfr. esperimento 6); come tutti i sali an poco dannosi, anche questo può non far scorgere l’azione rallentante, in casi particolari (espe- rimento 2, dove le condizioni di sviluppo in generale sono state migliori che in molti altri esperimenti). Il cloruro di litio può avere un'azione paragonabile a quelia del sale sodico, e forse più intensa, se gli Infusorî riescono a svilupparsi in esso. Il cloruro di potassio ha scarsa azione sulla coniugazione, forse per la sua forte tossicità generale (è stato esperi- mentato da solo). Il cloruro di magnesio, non tossico in modo notevole, ha poca azione sulla coniugazione. 9. Discussione generale e conclusioni. Non si aspetti il lettore, in questo capitolo, una teoria sul modo di agire dei sali ado- perati in questi esperimenti. Spesso si riesce a spiegare, con dati di fatto o con ipotesi, l’azione di veleni organici sopra agli organismi. L'azione dei sali è sempre, in linea gene- rale, tra le più misteriose. Contentiamoci perciò di vagliare le conclusioni di fatto, e di metterle in armonia colle condizioni di vita degli Infusorî, e colle proprietà dei sali studiati. Una prima constatazione mi preme di fare. Non possiamo pensare, evidentemente, che le condizioni di esperimento così efficaci nel produrre le coniugazioni, per quanto spesso evidentemente artificiali, riguardo per es. alla concentrazione grande di alcuni sali, siano talmente discoste per loro natura da quelle degli ambienti in cui naturalmente vivono gli Infusorî, da dovere escludere ogni considerazione in proposito. Anzi, se consideriamo in primo luogo l’azione generica della concentrazione che si è dimostrata favorevole alla coniugazione, possiamo affermare che esistono in natura condizioni ben determinate, nelle quali essa aumenta; ciò avviene quando gli stagni sono in via di prosciugamento. Ricordando un resultato da me precedentemente ottenuto, sul Colpoda steini, ci colpisce a questo ri- guardo una grande analogia. In questo Infusorio, la coniugazione ha luogo soltanto quando lo strato del liquido culturale è basso (non più grosso di 2-3 mm. in direzione verticale). Feci notare a suo tempo, che questo fatto si verifica in natura appunto quando l’acqua è in via di disseccarsi. Troviamo dunque in specie differenti due reazioni di natura com- pletamente diversa, ma esprimenti, riguardo alle condizioni della vita normale, una reazione unica ad una unica modificazione degli ambienti naturali. Quando sì avvicina il momento nel quale gli Infusorî più non potranno svilupparsi, anzi dovranno o incistidarsi o morire, — 483 — essi si coniugano. Il fatto, generalmente dimostrato, che la coniugazione si verifica al soprag- giungere del digiuno, ha lo stesso significato, cosicchè possiamo dire che i resultati oggi ottenuti dalle mie ricerche, si inquadrano bene colla teoria generale della comparsa della funzione sessuale ail’ insorgere delle condizioni cattive di vita o del pericolo. Riguardo ai ferro e al calcio, che in una concentrazione debolissima hanno effetto anticoniugativo, e poi invertono la loro azione, la quale diviene energica in favore, si può forse vedere in ciò sempre una espressione delle condizioni generali nelle quali la sessua- lità compare. Certamente una piccola dose di ferro e di calcio è necessaria a qualunque organismo per la sua esistenza; una tal dose è senza dubbio presente nell’ estratto di fieno, se non anche nell’ usuale acqua distillata. Ma queste sostanze manifestano spesso una azione benefica se la loro quantità viene aumentata, entro limiti di una grande diluizione. In più grandi proporzioni divengono dannose. Noi non abbiamo i mezzi per riconoscere direita- mente che sui Criptochili appunto l’azione dei cloruri di ferro e calcio alla concentrazione di 1 ad 1 milione sia benefica; possiamo però supporre, data l’ estrema diluizione, che, se un’ influenza apprezzabile esiste, sta in questo senso; sappiamo inoltre che è dannosa quella dose di ferro che provoca le forti epidemie; l’idea perciò che l’azione anticoniugativa del ferro sia da riferirsi ad una influenza benefica, sembra abbastanza ammissibile. Per il clo- ruro di calcio, l’azione dannosa alle concentrazioni efficaci per la coniugazione, non è tanto evidente, e possiamo soltanto sospettarla. Dal punto di vista chimico, non possiamo tentare un raffronto, il quale potremmo esser portati a fare: i blastomeri di un uovo in sesmen- tazione hanno bisogno, per essere e restare uniti, della presenza di una certa quantità di calcio nell’ambiente (Herbst);potrebbe pensarsi che anche i Criptochili abbiano bisogno, per unirsi a coppie, di una analoga condizione. Ma una folla di argomenti ci convincono subito della vanità di un simile raffronto; prima di tutto la sola azione del calcio si spie- gherebbe in questo modo, mentre essa è analoga a quella di altre sostanze ; poi il bisogno di calcio per l’ azione dei blastomeri risiede evidentemente nella natura chimica della pa- rete che li unisce, mentre gli Infusorî accoppiati hanno continuità completa e diretta dei loro citoplasmi; poi la coniugazione si produce senza dubbio in seguito alla formazione di gameti; che c'entra questa formazione con la unione di due cellule alla quale il calcio 2 è necessario? Ed in fine, si avrebbe una completa contraddizione, coll’ influenza anticoniu- gativa del calcio a dosi piccole. Possiamo invece assai bene metter d' accordo l’azione coniugativa, colla tossicità dei sali adoperati. I sali qui non agiscono come stimoli repentini, ma come condizioni perma- nenti; è la presenza di un dato sale ad una data concentrazione l’ elemento decisivo, ri- guardo alla produzione di coniugazioni, non |’ atto ed il momento della sua introduzione nella cultura. Inoltre, l’azione favorevole alla coniugazione non si deve all’aver riempito, coll’ aggiunta del sale, una mancanza; condizionene cessaria non è la presenza di una certa dose di ferro, poichè si può avere effetto analogo con un pocc di calcio o viceversa. Abbiamo dinanzi assai chiaro il loro sigrificato biologico, qualora si accetti quella interpretazione relativa all’ influenza benefica a piccole dosi, dannosa a più forti, che eser- citerebbero i sali più attivi, di ferro e di calcio. Infatti, per quello che riguarda gli altri — dSl —- sali particolarmente studiati, CI Na, Br Na, I Na, essi hanno un'azione graduata appunto in quest'ordine, ossia corrispondente colla intensità della loro tossicità sull'organismo in gene- rale. Allora i fatti rimangono ancora inquadrati nei soliti concetti generali, della sessualità respinta da condizioni favorevoli di vita, ed eccitata invece a comparire o svilupparsi, da peggiori condizioni, o dall’ avvicinarsi del pericolo. La ricerca di una ragione più intima nella dipendenza della sessualità dalla presenza di condizioni dannose in generale, è cosa che per fortuna esce dall’argomento del presente lavoro, sì che possiamo fare a meno di porcì in mezzo ad una discussione imbarazzante e poco conclusiva a questo proposito. Tale corrispondenza tra azione tossica e coniugazione manca però quando sì considera l’azione della concentrazione in generale; infatti un certo grado di concentrazione è favorevole alla coniugazione, anche quando i sali adoperati rendono lo sviluppo più intenso; qua evidentemente i sali non sono tossici, eppure sono favorevoli alla coniuga- zione. Perciò, mentre il significato dei sali tossici si comprende assai bene, rimane per ora oscuro quello della concentrazione in generale, come condizione favorevole alla coniugazione. Quando pubblicai la mia prima memoria sopra alla coniugazione degli Intusorî, il Caullery ne fece una recensione sul bollettino dell’Istituto Pasteur, osservando che alle ieorie correnti sulle cause della coniugazione, non avevo opposto la scoperta di un deter- minismo abbastanza sicuro che potesse distruggerle. Ora, per il Cryptochilum, è tanto precisato il determinismo delle coniugazioni, che non solo posso ottenerne quando voglio, e per un giorno avvenire determinato, ma anche decidere all’incirca in precedenza la percentuale di coniuganti che desidero trovare nei singoli recipienti. Tra questi fatti e la teoria della degenerazione senile, credo che anche il Caullery vorrà riconoscere esservi parecchia differenza. i I miei resultati si riferiscono al Oryptochilum nigricans, una specie che si coniuga assai facilmente. Nè, come ho detto in principio, potevo fare altrimenti che pormi a questo siudio con una scelta di tal genere. “e cambio specie, e prendo per es. una Stylonickia, su cui non ho faito alcun tentativo, è evidente che non posso attendermi alcun immediato resultato. Le condizioni particolari di vita di ciascuna specie sono differenti, ognuna ha per ogni suo svolgimento funzionale, circostanze e bisogni differenti nei dettagli, pur essendo iutti somiglianti nelle linee generali; che abbia pure il ferro una analoga azione su altri Infusori — sono convinto che la sua azione non sia una accidentalità del Cryptochilum! — prima di trovare le condizioni particolari in cui conviene farlo agire, bisogna sperimentare. E le specie che hanno difficoltà a coniugarsi, naturalmente richiederanno maggiori e più lunghe ricerche; questa difficoltà significa che si coniugano in condizioni più ristrette e precise che non altre specie. Non esistono forse delle specie di Infusorî che molto difficil- mente si allevano in culture sperimentali? Ma non se ne conclude per questo che esse sono incapaci di dividersi, anche se la divisione non è stata osservata. Le difficoltà della loro ali- mentazione o la loro sensibilità ai veleni degli altri organismi possono essere rilevanti, e richiedere perciò uno siudio apposito, magari di qualche anno, prima di pervenire a superare gli inconvenienti, Lo stesso può dirsi riguardo alla produzione di coniugazioni in altre specie. — 485 — Forse sostanze organiche sono pure necessarie, o favorevoli, per produrre il fenomeno; se basti l aegiunta di sali ai liquidi culturali ordinariamente adoprati, può darsi che la de- terminazione quantitativa di questi sali richieda speciali difficoltà. Può la necessità di una determinata temperatura combinarsi in modi svariati alle altre necessità. Ciò non toglie che fin d’ora possiamo credere alla generalità delle influenze constatate per il Cryptockilwn nel significato di principio che esse hanno, non certo per es. nei particolari della loro con- centrazione. Questa azione dei sali si presenta dinanzi allo sperimentatore come un feno- meno di carattere generale. Tale convinzione spero non dovrà modificarsi cogli ulteriori studî. Intanto, per chiudere, possiamo qui raccogliere in forma di sommario i resultati più notevoli riguardanti la produzione di epidemie di coniugazioni nel Cryptochilum nigricans. Si può preparare un estratto di fieno capace di mantenere in vita benissimo, ed in ottimo sviluppo questa specie, se disciolto in acqua distillata, ma incapace a produrre epidemie intense di coniugazioni. Esse vengono favorite dalla concentrazione salina in ge- nerale, tanto per mezzo di sali che ne eccitano, quanto per mezzo di altri che ne ostaco- lano lo sviluppo. Il cloruro, bromuro, ioduro sodico hanno azione molto intensa per favorire le coniu- gazioni, e la intensità loro è ordinata come i tre alogeni nel sistema periodico ossia nello stesso ordine della loro tossicità; in particolare l’azione dell’ ioduro si può riconoscere solo in rare condizioni per la sua tossicità che spesso impedisce lo sviluppo degli Infusorì, uc- cidendoli. Ma addirittura sorprendente è la sensibilità dei Criptochili ai sali di calcio e di ferro (aggiunti a soluzioni di Cl Na): una parte in peso di cloruro ferrico o di calcio, sopra a un milione, basta a diminuire sensibilmente la intensità della epidemia di coniugazioni ; invece questi sali a dosi più forti, che per il sale ferrico sono di 1 a 10.000 circa, provocano un aumento colossale dell’attitudine alla coniugazione. Il record delle epidemie lo ho otte- nuto in una soluzione ferrica, dove quasi tutti gli individui si accoppiarono contempora- neamente (il 78,2%); in tali circostanze, bisognava cercare collo sguardo al microscopio gli individui liberi per vederli, tra mezzo alle coppie. Una quantità di contrasti tra l’aumento o diminuzione dello sviluppo e l’ aumento delle coniugazioni, rivela che la concentrazione salina in generale, ed i sali determinati in particolare, hanno azione diretta, specifica, sopra al fenomeno della coniugazione, con una relativa indipendenza dalla loro eventuale azione sopra ai Batterì della cultura, o sullo sviluppo degli Infusorî stessi. Bologna, 22 Maggio 1909. 10. Spiegazione delle tabelle. Nei quadri delle pagine seguenti sono raccolti i dati numerici dei principali esperimenti fatti, mentre degli altri è dato solo un resoconto sommario nel testo. Per la intelligenza di questi quadri sono necessarie alcune avvertenze generali e speciali. Per necessarie ragioni di brevità, ho sempre scritto in esse « acqua distillata », oppure « CINa N/,» » e così via, intendendo con ciò una soluzione del mio estratto secco di fieno, fatta in ragione del 2°, in acqua distillata o in soluzione di cloruro sodico alla concentrazione normale divisa per 120 e così via. Non è mai indicata la quantità del liquido posto in esperimento, essendo essa costante (25 cc.). Quando i sali di un vasetto sono più d’uno, è data la concentrazione di ciascuno di essi nel liquido complessivo, colla locuzione « CINa N/,,, + CaCcl N/, che le culture sono formate con 25 cc. di questi liquidi di fresca preparazione, più 1 cc. vo > € così via. Salvo indicazione in contrario, s’ intente di una cultura precedente (in soluzione di estratto senza aggiunta di sali). Il tempo è indicato col numero progressivo dei giorni, indicando con zero quello nel quale l’esperimento è posto in atto. Il numero degli Infusorî segnato nella colonna corri- spondente a questo punto d’origine, non è ricavato da misure dirette, ma da quelle fatte sulla cultura madre da cui gli Infusorî son presi, tenuto conto della diluizione alla quale quella piccola porzione della cultura madre viene portata, ponendola nei nuovi vasetti. Inoltre, quando è stato aggiunto un poco di liquido con Infusorì, ad una cultura nella quale i primi posti erano morti, ciò è indicato da una chiamata ed una nota a piè della tabella. In ciascuna colonna delle tabelle, si trovano tre numeri in fila: di questi il primo indica il numero degli Infusorî per mme., il secondo quello dei coniuganti, ed il terzo (in neretto), la percentuale dei coniuganti rispetto al numero complessivo degli individui. Le tabelle non sono sempre complete, rispetto alle determinazioni fatte, avendo io spesso qui tralasciato, per brevità, il principio e la fine delle misure, dove non avevano un significato. Ma se p. e. una cultura appare nelle tabelle, nell’ ultima determinazione, al massimo dell’epidemia, ciò non vuol dire che io abbia mancato di osservare più tardi se questo massimo fosse davvero tale o crescesse ancora. Analogamente, per brevità, talora ho fatto cominciare alcune epidemie coi loro valori massimi, sopprimendo i valori delle determinazioni precedenti. Quando si trova uno zero nei numeri degli individui per mme., ciò significa che Infusorî esistono nel vasetto, come è stato constatato coll’osservazione diretta di esso sotto al microscopio, ma tanto pochi, che nessuno ne è stato osservato nelle prove col contaglobuli. Quando invece è segnato « no », questo significa che non è possibile vedere nemmeno un Infusorio, anche coll’ispezione diretta del vasetto, o di grosse gocce prese da esso. Ed i — 487 -- puntini che per lo più seguono questa indicazione, significano che nemmeno in seguito si sono sviluppati là dentro gli Infusorì. I singoli esperimenti qui riportati nelle tabelle, sono indicati con numeri progressivi dall’ 1 al 13; precede un quadro riassuntivo, con valori dei massimi percentuali di coniu- ganti nei varî esperimenti: questi valori sono estratti dai quadri speciali delle pagine seguenti. 11. Errata-Corrige. A pag. 251 rigo 4, nella seconda memoria, pubblicata. nell’ Archiv. fi Protistenkunde Vol. 12, 1908, invece di: «. Alle diese Koeffizienten werden gleich, wenn... » deve dire: « werden gleich 1, wenn... » correzione che avevo fatto nelle bozze, ma non fu eseguita — 48S — 12. Tabelle. Percentuali massime di coniuganti nei varî liquidi ed esperimenti. (QUADRO RIASSUNTIVO) N.° dell’ esperimento: 2 3 4 5) 6 ù 8 Acqua distillata 22 1,5 2A GINa N/ 29,6 » N% 37,8 >» Ne 39 RIMA MBENTASS 2020 226) |: 254 AZ 2997 2904. 4952 >» N/so | 27,1 7 » N00 | 3 10,9 » N/so00 18,1 BrNa N/ | 25,4 > N/D 16,6 » N/so 51,8 | 26,1] 15,1) 166) 106) 304 20 28,3 > NAsew 36,1 » N/z000 15,2 INa Ns (0) » N/so (76,2) (16,2) 22,3 DIMENVASOO 18 2239 » NAzovo 0 GINa N /19) + BrNa N /oo0 » » INa » GI3Fe N /oo0 CZ) DINI 8,D | CINa N20 + CI8Fe N 200 (78,5) 16 30,2 » » N/A 20,4 » » N /iz000 44,4 1352 25,9 » » —_N/20000 8 17,9) 26,6 2 N /e40000 2391 GlECa N /s0 LG,A 9A » NAso 14,8 » N00 21,5 6 4 N /1200 64 CINa N 459 + CECA N oo 67,5 33,8 35,8 > Nisot > >» 65,7 26,1 » ” > INGZZZCAI 38 » » N Goo | 21,8 I numer! tra parentesi non sono direttamente paragonabili con quelli delle rispettive colonne, perchè nuovi criptochili erano stati, in questi casi, aggiunti dopo lo sviluppo dei batterî. == ciò) => Esperimento 1°. (In ogni colonna il 1° numero indica il numero dei criptochili per mm. c., il 2° quello dei coniuganti, ed il 3° (in neretto) la percentuale dei coniuganti rispetto al nnmero complessivo degli individui). Giorni : 0 3 4 T | | IRECINAINFA e anna 0:9) || 18352 8 OO | 602 45) 198235 DIN DAME SII e con » 0 2 27,3 | SMBINAREINE E ON na » 0,6 16,2. 30,4 | 64 281 923 O AE 053 ZMSO NATO MNA NY ERRE O. » 56 38 INN Sen IAA LOD 82 | 3. Nino Na Nya ve de Cono DAMS ZAR o 317 EVI 2 6. CINa N/;+0k2Ca Nio= NAg.. >» 17,6 o Ma E 4 12 (RPACQUILdISi lata » 17,6 4,62 40,6 In: Gloruro Li, Ga, Mg, Sr, NH'; Bromuro K; IToduro Na, K; carbonato e fosfato Na -N/s e in Solfato Fe” N/0+ GINa N/; e Solfato Fe'” N», + GINa N/;, gl Infusorî sono morti. 60 15 120 15 o) Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 64 ‘eImqno è]e iigoordio munisse meis ouos ojund o]sanb w Mm RnS PLAN LE « « « 1943 OIBH]OSH#- < « < Cha ui 07 06 96 | IZ 7 999 I Leb | 801 8 7L | 93 9g 76) < YN=09/N ep 0mI0]9 + STA EN OILIN ‘Gt Enea ci Re O « « « 11 OIBH]OS + < < « ‘86 9 TL| 91 &6 SLC |S6 99 69) 223 201 98) 901 23 S| I6 Ù mr | s'zg 9g es |< VA ==“9/X ep cano] + STA EN OMO] col Saona I AIN «el Ga ao DO (Mi valo oa ooo e à ‘oà | è 06 SG | 181 &6 gg 9 | Ge er ee 07 de dello 6 E @ ® 00093998 00 €. GF] 97 LE ce 05 | #9 23 0S |  906 vL| VISI I 86 Le de ea AN OTT TOSI RIAI VE ” 8£ 89 19 e ere 9 Wi dl Ari Sale a 9 cl è 813 gg (SÒ) CA e RN » 8 503 73 lab.|A7ra 3 63 Ì 27. BrNa > Rca RA » W a2 15,3 294539 3 56 | | RIA cri ASI] Il 56 14,7 36,2| 87 A 4699 199. Acqua distillata . . . - - > y » 0 3 Sri 49 | 30» DI) CISSE U] 10 36 Ad 2895 | | | AMNCINAINM Me e 23; 25 809) 207 832/|8lo 9 1 | | | i 505 ESSO » Li Riel esi Bi (Gi 7a. | | 3 CERIUINTIARE, saro RO NS » 23 58,3 407183] 5354 75 | | I Si o Me e > 30 82 904 32260 6 87 | | 35. Acqua distillitn . . -..- » 5 ELI Li | | dla © FI I opa on » 18 36 Sa | | | 37. /GINa Niiay: 2 «° > ROROGEHI ET] GT 179 268 | GIA © 95,3 | | | eco airae tecaa 5 DÒ TI 199 187| 600 8 na | ] | 39. BrNa » 0. e. ie TI 218 274|889 1 GG A 10 AM ei ET) (27, 18 28700 7 33 2 | il: Acqua distillata >.< . + RS (] 698 IG 2 (a) | | A» Ro de » 8 50 501 03 a | IICNINAAO So RE) O 37850 | | fi 6 ROSEE PA 6 248|48 2 | | | | MEDIN e a Le » fi 24 | FB A | | ‘© Beta Re » 10 I66| si | A7, Acqua distillota . 0. . tr Hlinoedcaso | | 48. » CLI 0% tg UO » HOogreasda | | | | Î IRR a . 22 Ù Pl INBG o csalliero, 2 sg 2 | A N is ||555 6 ‘08|465 3° 66 4 | 31. BrNa S Ù 2% | OE on A 8a È DS x Ti PA CEROTUGNZA al 53. Acqua di x o o || 6 15 53) o) di 5A >» » Miessugse L — 491 — Espenmento 4°. (Tutti i numeri indicano medie di percentuali di coniuganti al colmo dell'epidemia). N° dei Dall’ acqua distillata in: casi CINa N/s0 BrNa N/gw acqua dist. CINa SI ENO cn CINa = + BrNa È n 18 226 26,1 22 Sa ATE dr di 29) 12,4 15,1 (4,3) DI 14 16,6 7,9 11,6 N. dei Dal GINa N, in: Dal BrNa N/A» in: casi GINa Ns BrNa N») GINa No BrNa N/s% 26 L1,l 10,6 Il 10,3 3 22 14,1 3 24,5 18,6 Liquido di cultura preparato da giorni . ........... 0 5) 9 casi con CiNa N, e 3 (casi BrNa N93); media . .. 11,9 16,1 Esperimento 5°. (Im ogni colonna il 1° numero indica il numero di criptochili per mm. c., il 2° il numero dei coniuganti, ed il 3° (in neretto) la percentuale dei coniuganti rispetto al numero complessivo degli individui). A: cultura di Gript. in GINa N»), due giorni di età; B: id. id., ma in BrNa N/9); G: id. id., im acqua distillata Giorni : 0 agio 9 4 ili Joe, da 40 Gia, NA di IZ L5 6 52 RAD » » » ERRE o 152) | 86,314 16,2 i DD » » » dano SO aa 6l 93. 15.3 RES RNA | 827 I4 169 Ba » » » OR URANO n Mal | TRS dla Je Od » » » die e SE RATA SANI To Ad @, im acqua distillata 0294 | 21 DIES, 8,7 & 205 » » » Ao 20 IEepe nen Liza) ORO » » » REI 56,3 10. Lee da Zuin CIN NA 80 5008 118,6 55 46,3 tl ® » » » AS REISER O 0 SONIA I i 65 » » BAU 0/30 3:16/87 0.69 PAX a tin BrNalt IRR 7I MOIS 2345 MS » » » DEE INIZIA S1I,T 20,7 25,4 lO DS » » » SAMURAI) Iif3 7 0IMMIS, 92689 3 Reda quat dis fee E 05S 64,4 MRO SA, (ARA le » » DI AI 62 2 3,2 Serie VI. Tomo VI. 1908-09. 644 Esperimento d°. — 49% — a ore 22, non coniugazioni. (2) Aggiunto 6 ce. di cultura in acqua dist. 2 Giorni : (0) L (ore 10) ® 2 (ore 9) (ove 15) (ore 22) 3 (ore 9) @) i. GILì NA» AL OR EDORSETARA Raro 2i » DIARIO NZ RITIENE di SNA 0 » 7 33 88 4. >» » » 5 23 59 5. GINa NA » 37 114,3 26 228 | 71 4 5,5 59 | prato » 16 135,3 30222 | SI MEC SO INZAG » 17 97,7 22 225 | I103 18 16,3 CNS » 2 76,7 26. 339|997 213 214 9. GIK Nyo » 22 10 2 48353 II no 10 5 » 13 43 55 62 II. GINH! N » 6 3 0 no 12. » » DAINO die da RIV » 6 39 35 0 4. >» » » 18 28 SONNINTO 6,7 | 563 27 4856 15. Gl:Mg Nyis0 » 28 77,3 4,7 6 | 675 4 5,9 37 db a » » 15 118,7 18° 152|83 127 153 0 SI IA » 14 9I 6 6,6 TRS 3 3,8 18 » » » 15 78 mA 4 5,6 | 71 19. GRCa NAso- » 13 593 6. 10,1|693 6 8,6| 6152 3,3 20.» » » 16 64,7 147 227 | 79 2 2,5 EE MIONAES » 4 64 694 | 61 4 6,570 2 2,9 22.05 » » 16 69,3 14 20,2 | 56 2 3,6 23. Cl2Sr NA » 13 5 no DA. » » 9 0 3 25 INVASSE » 3 7 ul 26 » » 6 9 ni | 27. CiNa NA + CIFe No . DI RIORAEA CO PA lì XÒ. » » » » Io rorot o | do 9. >» -» DMN pont » 10 9a 3 DNNE35:3 0 ORA? 89 30. » ». » 13 85,3 40,7 476|99 12 133 31. Acqua distillata » Il 19 5I 6552 38 |22 > » 6 41 41 38 0%, con la quantità di Infusorî qui indicata 5 (ore 11) (ore 17) 6 (ore 9) (ore 17) 0 no Po: R, no 49 5 10 27 2 TA BA 0 no 65,3 73 11,2 | 48 2 4,2 È 34 li 202 |a 39 4,7| 74,7 57,7 78561. 10 16484 ti OA 9,8 EspeRIMENTO 7°. - 4° PARTE. Giornì : 0 (ore 10) 2 (ore 10) (ore 17) (ore 24) 3 (ore 8) 1. GlNa N 1, DO RIa 9 S » » MO) Duel doro sro Si) NA » CANNA CONC RA TORTO i. » » 94 NAV 29S eg 20° IRR 0 80 DINO NA » 1407 16,7 i5;1| 795 (9° 108] 3 GARNI SRMITA3 6 5 » 92 a) 735 RO E 129 705 OA DARI Dr 15 RUSTONA, » 71,3 (21,8 298 68 S| 108 SONO DIE ceti ‘> » 63,8 17,2 27 | 745 13° 17,5 So, fio VS NZE; » 55 647 16. 247 |653 21,3 32662 2. 32 N 5 » 38 67,3 14 20.8) 86,3 18,7 21,6| 71 Q 2,8 Il. NZ » 10 457 6,7 142 I. >» » » 15 63,7 d4 22 13. BrNa N » SI DOMA 14. >» » È ORE ©) 15. NA » s (0) ll 16. > iena 110 So NA; Sao Gola, A 89 880.8 0a Sa 3 EI 00 IT ARI 108 To? | 19. NA. 1 fs io n39 65 20 : » | È |678 20. 298|71 10. 14/ 63 i NL, » | È |6o3 8° 133643 207 22,10) 555 42 216/30 n a MC do de 2 BI EN(/A2000 » E 7 43 24. >» > DS GONO 9 25. INa NY » 5 MO nn 26. > > » DOT DI N /se » DORIA SO. » no 29. NA » no . U « NO Ret 31 N > 13 37 4T 96,7 18 186 32. > 17 33 GSM? 69,7 93. 134 3: N/s » DO tane 2 | 34 > | 3 35. Acqua distillata | 1,5 36. > 4 Ao I a 37. CINa.N/5 + ( N NA cangia o e e 2 38. > » 74 46 216 | 60° 2236659 2 3,4 | 42 2 | 59. BrNa > > > Toni gt aa 6630284207 RA 28) 55 ps > » TI 467 217 568° 6 (107 Az | (1 INa 5 3 3 I ’ Ì 42. > > > » NOR te Î 13. Cac > 62 627 15,3 244 | 41 6. 146| 725 6 83 > 83 ) ieri Rev eis o 08 (ore 15) 665 3 06 555 5 116,7 18,7 16 39 (67 ID 4471 6, (I 72,3, SU 733 12,7 178) 14 553/300 4 (ore 9) (ore 15) 87,5 130 70 12 & no no no 4 1167 18. 154 Esperimento 7°, - no Il giorno 7° sì aggiunge 1 ce. di cultura acquosa nei vasi seguenti : | Giorni : (ore 23) 9 (ore 9) 1. GINa N/, . RAMO, » 13. BrNa » 14. >» » 25. INa N 9 RC» > RSS 0° 90 STINYA5T 26 60 no ‘9 "Wu Jad 0uo[ssios UL MpIAIpuI t{Sop os9UuNU |I ep euuo]o9 e]sonb ui LiownU Tp atas elIenD ET n È e i ga Let CZ e ta « HU car gico «B soll & «e CRE Sari e a na < « « GE e gd @° Mil 064 0 SE E O RETE ISIDEEN DINA GE « ii è dle © orleans j E ION SR e e « la < [UNE E GOG Meg 8 de 06 ISTE SS i E. < ‘03 « Gel get ene 0 8 eo CRE ORI Di a e « « ig, x © icgFai9ei isa eirop (009) 7 86 PITT et do SV] « do Rei gi ev | CR e E DERE RO EI « GIGA co NtS600 LEI o SIL) STE OL CA I eee PS SENTANO I « Ge Re #4 e O A I ee a e e ISS] « Gg 0 Cio CR e e I O e] ‘Aniuoo eypod | i9z eg 021|%zI 01 è8|89 Vv 969 GIG OS i SEAN ENTO CI 1IStA Muansos I QldAR Ep opowr ur ijes Ip ejunisse od ‘maed è] Ut g OSINI(J ‘stq oN OLNANIUSASH] 26 8g IWp|8%8 è $8I| 888 05 681 Le ce 68 CO I cc < cl 18 8 co | zur 8g 688% He L96) 1 Vy E Gel ME SIMS = < stu £9 9 col zio 26m E 16) Sr 869 971 | 20 SS VE cRig) DIR ei SE 36 62 2 SEO NT 7 GR7 AS 4 4,9 I» DLE AIA » 48 66 RSS 06 2 2.1 13. GINa N50 + Gl2Ga NAo= NAso > 52 99,328 28,2 | 101,3 24,7 244 | 88 (È 6,8 IM. > » » n ngad o 568 97,7 28 2879 34 366|72 | (Res 3 » A Mon TI3:306 Ie 2 Anz 16: CRE NYA 9 dee SOR 31 72 4 BiBi 0 6 88036 Mo PRE N LEO » 78 th) eo 00 00 RON 953 180 NV OR ce 24 1105 4 09 | S6 Te Goo 19. CiNa Ns, # GI8Fe Nifoco - |. - > OPS] 84,7 10,7 12,6 | 106,5 $ 7,5 | 48 2 4,2 20.» » » » ice » 76 0,7 RZ el 6) 15,9 | 68 ZIE » » » RR 48 0722357) IS 1,8 RIS » DEN Aso 67 Ok Re 9 29. >» » » » Re 56 9258 8,6) 93,7 30,7 328 | Il4 QU. >» » ZEANI 150000 RE 44 75 2 2,7 | 96 GI TU LOL 4 4 Vi D » » » SRO 95 4T 6) 10,6 845 $ 95 | 106 4 3,8 26. >» » » » A diano AME 43 74 4 EA To TA 6530 ICLONAIO 3,6 ZI Ame dba et ee e 33 52 74 5I 28. » » E e 42 16,3 55 56 29). » » ARE OR A 29 63 87 3 3,4 | (1) La sera precedente, a ore 23, non c’ erano coniugazioni. Esperimento 10°. Giorni : 2 (ore 10) (ore 17) » » » N 3000 » DI - UBFe N/eooo » . GINa N/g t CBFe NAsomo . + Cl2Ga N/600 - » » . Acqua distillata . 5 d07 104,7 207 102,3 39,3 67,7 33 S0,7 0,7 7 4 6 13,5 13,4 19,8 38,4 47,1 6,6 21,8 99 12,1 8,1 18 8,5 9,3 194 25,1 30,8 19,7 20,8 23,6 30,8 23,8 pochissime coniu 91,5 16 O) î 17,5 poche coniug. Si Esperimento 11°. Estratto di fieno in acqua distillata, al 2 %y, in cui si sono lasciati sviluppare i Batterî, per 4 499 — 21 porzioni, aggiungendovi diversi sali, e gli Infusorî da una cultura in acqua distillata. giorni; poi si è diviso in | Giorni : 4 (ore 18) 5 (ore 21) 6 (ore 6) (ore 11) (ore 15) A. CINa N/390 - 1,5) LORA IZ az, oa gi Di) 11,3 Mi, 5 Og 0 ELA 46 ie ma 3 ESRE » | 73.012 164 | (M3 333 299) 125522 I75 4. BrNa » » 60 66,3 173 25,9 | 63 IS 28,6 | 144 14 9,7 MMS no > nre e | 6 » » » 74 2 DITA NOS (5° MS SOII6 20,4 | 118 18 15,3 | 7. INa » » 80,3 23,9 29 94 18 19,1 | 95 14 14,7 QUINTO: » » 64,5 16 248 | 68 12 li708 AZIO 16,8 do, DO IERI PACI » (MES NANA A 3128 OST :3 8 77 6 78 10. GINa N/y-+ FeCI8 N/gr000- ile e oe eee ea ae IS » » » » 107,7 30 27,9 | ST 24 274 | 76 la] 10,5 OSS MEN sil eMiNas Missa eolie 20055 i ne Sd » DI » » 66 16 24.2 | LMR 24S5 0 IO 9,8 16,5 I4. >» » + CaCl2 N/900- » 105 26.248 | 83 4 4,8 15 » » » » » 96,3 18 18,7 | 6I 10 16,4 OS » > Ni/asc0 » MIR 8 0530 9732 S35:3 8 RIOT 10 lo » DINA 3 » 107,3 33,3 31 | 82 33,3 40,7 | 84 8 9,5 | 18. BrNa N90 + GI8Fe N/5400 + CaGl® N/c0 > io 22029 (SOR 030/30 62 10 16 | 19 » » » » » » » 56 17 304 | 88,5 831 35 16 10 21,7 20. Acqua distillata » 60,57 AO Sd 202682 Vo 222 QI » » » 9 IR SS A ev 10 22,7 S°8 OI (CJ 010) 8II VII è EGEO SCIE e‘ LET 88 TEl 65 eLe (#3 20) Li GI loi (LI 930) G 19 (3 pel ET « nl è0 (LT 210) Y s'è (JTado Gg owIoIS - ‘ege][nsip enboe ur emma Tp 199] mid ‘OSSA agglD + "SUN èNID A ò. @ cd do. 0 cd . « « « (meddugias LI9Meg. IS ajuaua)uo?) SSZINI Adel A “e x È NO ENTO ur "99 è euIod IS 7 OUIOIS |L “| N TO VW a (02) OUIOIS 0 ‘dso) Là oN [Up 199 ] vio Vu O)UNISSY NI [ep 199 ]J uo9 STAN adslD + 9 ‘ds9) Là 0 )RI NUUNTO. I "oG] QUNANIUMAS]] D. Vitali — Della strofantina e della sua ricerca chimico-tossicologica G. Ciamician e P. Silber — Azioni chimiche della luce; VI. Memoria F. Guarducci — Determinazioni astronomiche speditive di latitudine a Monte Catria e a Monte Conero M. Rajna — Osservazioni meteorologiche fatte durante V anno 1908 nell’ Osser- vatorio della R. Università di Bologna S. Canevazzi — Considerazioni sulla spinta delle terre. Appendice II: Contro- spinta; con una tavola A. Righi — Ricerche sperimentali sui raggi magnetici; con 9 figure G. Ciamician e C. Ravenna — Sw contegno di alcune sostanze organiche nei vegetali; II. Memoria G. Capellini — Le cicadee fossili del Museo geologico di Bologna ; con due tavole A. Baldacci — Intorno alla “ Domé ,, di Senofonte G. Boeris — Sul epidoto della valle di Ayas J. Benetti — Consideruzioni sintetiche sul funzionamento e sull’ effetto utile delle pompe centrifughe e corrispondenti raffronti colle turbine motrici; con tavola M. Gortani e P. Vinassa De Regny Fossili neosilurici del pizzo di Timau e dei Pal nell’ Alta Carnia; con tre fisure nel testo ed una tavola Serie VI. Tomo VI. 1908-09. » » » » » 65 47 141 145 SEO G. Valenti — Tn caso di mancanza unilaterale dell’ apparecchio olfattivo; con ficuratuntercal ata nel steal: at RIO RI TRO RAR Prc G. Valenti — Sopra un muscolo gluteo soprannumerario; con ficura interca- l'AlITME NC TES UO RE I ERO TR puo F. Morini — ZIteriori osservazioni sulle Mucorinee; con una tavola . . . G. Ruggi — Di alcuni neoplasmi impiantati sulle ossa del cranio e dei loro possibili rapporti colla massa celebrale; con 11 figure intercalate nel testo. A. Cavazzi — Osservazioni preliminari intorno all’ azione dell’acqua di calce SUI LANPOZZO LONATE TION AE NOT POSA O NORTON IRAN A. Ghigi — Ricerche di sistematica sperimentale sul genere Gen nueus Wagler; con una carta geografica nel testo e due tavole in eliotipia I. Novi — Fitina e glicerofosfati. Nota I: Azione sul laroro muscolare; con tavola. P. Albertoni e F. Rossi — Sw! valore alimentare del vino. D. Majocchi — Teratoide condro-cisto-papillare della regione periombelicale ; CONMUNIALANO DI GI AN e O ON OLII AIA L. Donati IMCIE IRON UONCISTIO NIR AO-AON - Sul coordinwnento dei fatti e delle relazioni fondamentali del- E. Giacomini — // sistema interrenale e il sistema cromaffine (sistema feo- cromo) in altre specie di murenoidi; II. Memoria, Parte I. con 2 tavole doppie e 6 figure intercalate nel testo . . . . F. Brazzola — Sul significato del bacterium coli nelle acque putabili P. Enriques — La coniugazione e il differenziamento sessuale megli infusori ; III. Azione dei sali sulle epidemie di coniugazioni nel cryptochilum nigricans FINITO DI STAMPARE DicEMBRE 1909 Pag. 217 » 221 YaR225 » 028 » 258 » 259 DO DIMESSI » 378 » 391 » 415 do sn » 468 PI II De N 105 N Vo si STA Ktt o UNI i n IT hi |} 3 Dito REAL IERVI Wi PEA? (piedi dirti trim NA Asa arri RR 7 dala Ye cenare PAL pri, RA n R9: AA magari ara Ra da ELETTA ZARA: ICLIRTNTURIVA ME IGCRE cA- en nf 3 GIA 2 2° A “- i: N È nr] nel Sat Sei ia || PAR PLOT LP > » a NES N NET Ì (1) ì bi x Na VIVIVZI, PRIZA Y&S VA, alone a lal AR AO | | nile n LELLA a SS a e Da Sr ANI AA lag ZANIOAITEA pdl ION PRI LO led AZ aANn'a Aa a / )) Arena sm AnAMAAN 0: » Rea ARARRA Nan Da I ali Riki IRIS > pala. = a! adi we ea yo $ IA {Lol N a d'a ed a x Li - 0 PZA EG 2 TAI Fiale Ag pasa r@ntree », ACLI nl LNPPEREARA ia j N Va à, CN n. ITA petto ST seus GEE TO PAN NARA -f- uu iai NAT ni NI a 9 i ai mil DX SI 2fa' & è Di 2 Zara , II dA api ; SS ZZARRAZARÀ: nasali pi - ALLARGA NARVA GA ò 2 A ‘ SR ° IA a ia Ia RARA AA ra per, RARA pl ANO dd “Pafa *E a = È fi A pa- A À Aaa d a n) i RA ra Ra, X az A da - A nm_ AAA Ly N MA° è «sio dr * par at pi a | a a AMA YR xy N nn nans ; e_W_\ ama n ee II rappr UAAR - vr XI IA ZÀ AI SA RIV ati Aa pe-zanti si altaliiaiia: x SIRIA ANA A. INI Cita la 4 SANA a, PARLARE A Na A Meo ARAAA NA, RARA Rn rp AS NANA arizze 22 Pi RNA x n È ° if Ri \ | o AA MII ES ein Ar Yi ala senaaR? ne ran arstnaseninnnnA? FARA A ponenan tra wo val L= Pa ERRATA | È PR ARAA raZ'zì -_ AE PAMAMIRATI Mibencti ELA P NI: vo mn Pae ® P ameanaha ak A "f t » ELI Sv - \a n 74 PRENENTRIIRITA GARAGE A, = » N 0A: Dir IA L- »- INI RA AA AA fl Ù (al ARA È 4» > O 17 A, AAA 2A arma SADAADA - »Di » A) va ì Dè. È Di eg AESARARZANI da NINNA not sede - DE aio annen N | n LA Lai RN AEeTMAani ti Na, { a 4 ‘peet” gf y sa AA = , 2 ha 3: lava PI Ripe DRECELTA dop” DA CZARAAR 5 FAM ZA ZA93 AR NI “ 232% see ar fi SEP AIA ea sRena - pt 200 PVvIvs4Aa A} HIT FRAC o > ra to RARA AR NR av NO NINNA di n bal elai a _ H i: AAA apre STA Ta nt ano PAPARRINAT DANA INNO SAS Vara \Re fa Re_FEGREdAn MATT -® eee, - aRagfimAa 19 A REN tana ann; Ex vr DA d Db. )) »)Dd . »D ) d n 37248, i) TAI 7 » 3% AA x, ERA 333 ARARIRARARRARARRANI Ù RA: NR i RA IS) Da aa SILECSIVVAINE NÈ N »i dI È ee MEI DI ar » | ari Ù nei LUI Ms NA Aa AA a Mi Mpeearegtana PE ai Yo niniale ‘chAAANNa asa A ALL LILLA pa AA ahaha pa AT ADAARIO? 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