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Sia Z il punto d’ incontro delle rette M,N,, M,N,, cioè la traccia sul piano di figura della retia secondo cui s'incontrano le due imagini coniugate dell’onda-sorgente ; e determiniamo le coordinate p= AU, q= UZ del punto Z. Perciò si tiri 0,0 parallela ad AX; e dal triangolo 0,CZ, nel quale l’ angolo CO, Z è ®,, si ricava tosto CZ:0,C=tg®,, ossia (@— Y):(p—X)=®, da cui pR—ga= XY: Analogamente : pdD,—a=XP,— Y. Aeg Un artificio di calcolo concede qui una considerevole semplificazione ; consiste nel LEE 008 2 Ba sostituire XP, — X,P, con X(P—-P)+D(X- 3). Con questa e con altra simile sostituzione si trova subito, tenendo conto delle (3): p=X—1D9,+!, q=—-10®dD+Y+/D.. Colle formule (1) e (2) riportate più sopra si trova infine: 1 p=1}1— p(cosò — send) +3 p°(8 _ 3 sen 2d — 2 cos2Òd)! {” g=1)2 + p (cosà + send) + p°(3 sen 20 — 1). Ciò che vede un osservatore, che da lontano riceva le onde partenti dalle imagini coniugate M N,, M,N,, è dunque la stessa cosa come se avesse davanti a sè la lamina M,Z M,. La posizione che questa occupa nello spazio è definita dalle coordinate p e g del vertice Z, dalla inclinazione del piano bisettore di essa ZAR, che si può chiamare il piano della lamina sottile, oltre beninteso dalla conoscenza dell’angolo D.—D,= pîcos2d che fanno fra loro le due faccie. L’inclinazione della lamina, cioè l’angolo di Zx con OX, che diremo @, vale evidentemente o=10,+9). Come è noto, il modo più sem- plice di osservare le frangie d’in- terferenza prodotte dalle. lamine sottili, è quello di ricevere nel- l'occhio, che guarda in direzione sensibilmente normale alla lamina, e collocato assai lontano da questa, i due treni di onde emananti dalle due faccie. Le frangie sembrano giacere nel piano stesso della la- mina, e le posizioni da esse occu- pate risultano dalla diversità di spessore della lamina da un puuto all’altro. Così in Z apparirà la frangia luminosa centrale, e la prima frangia nera sì vedrà ai due Jati di Z, là dove lo spessore della lamina è uguale a mezza lunghezza d’onda 4 :2. PO REST Volendo soddisfare alla condizione, che si guardi in direzione normale al piano della lamina, o più esattamente normale al piano che ne divide a mezzo |’ angolo diedro, sarà utile per la chiarezza aggiungere nella figura, oltre che la bisettrice Za dell'angolo M,ZM,, anche la retta AW a questa parallela, e la ZW normale; e scri- vere la relazione fra la posizione di un dato punto @ della lamina, definito dalla distanza AV, e lo spessore di essa £ E, nel punto medesimo. Chiamando 20 la distanza AW, si ha evidentemente 20 = p coso + g sen@. Siccome o=10+0) = p (così — send) (1+ psenòd), si trova, entro i soliti limiti di approssimazione : w= L}1+ p (così — send) + p° cos 20). Dal triangolo E,E,7 si deduce poi EE, = VWtgM ZM,, ossia, ponendo EE ="e: e=(w— @)(®,— d,) = (0 — 2)p° cos 20, che fa conoscere la posizione delle frangie. Infatti ‘ai valori e = #4 (essendo & un kÀ -—;; corrisponderanno le pì cos 20” numero intero positivo o negativo), e quindi x = 0 — l h434 : : INVE HIRO. 3 frangie luminose, mentre ad e=(1+5) e quindi x = 60 — corrisponde- \ n pì cos 2d ranno le frangie nere. L'intervallo fra due successive frangie nere sarà dunque: I_MENNACISL0IOA Questa formola si poteva dedurre direttamente dalla figura. Per due punti @ ed & della lamina, ai quali corrispondono i due spessori E,E,= e, Y,F,=f si ha eviden- temente FF, — EE, = RQtgMZM,; e supponendo che la differenza dei due spes- sori sia 4, si ha subito 4= ip? cos 20, da cui la formola scritta più sopra. Com'era facile prevedere, si riconosce che nulla sostanzialmente muta nei risultati, se si suppone che l'osservatore guardi nella direzione AY o in altra pochissimo diversa dalla direzione normale alia lamina equivalente; e ciò in grazia dell’ approssimazione adottata. IV. — Effetto dato dall’apparecchio in una qualunque orientazione. La distribuzione delle frangie, definita mediante la considerazione svolta or ora, renderà forse persuaso il Lettore, che 1’ esperienza di Michelson, quando si rispet- tino rigorosamente le condizioni supposte relativamente al collocamente dei riflettori, è praticamente irrealizzabile; cosa questa di cui qualcuno sollanto aveva saputo già rendersi esatto conto. Serie VII. 'l'omo VII. 1919-1920. 2 CGI Esaminerò qui il caso della esperienza classica. cioè supporrò che si stabilisca il confronto fra ciò che si vede quando la traslazione terrestre si fa parallelamente alla direzione della luce adoperata (0 = 0) e ciò che si vede dopo la rotazione di 90° (0 = 90°). Nel passare dall’ una all’ altra, oltre che aversi una variazione dell’ inelina- zione della lamina equivalente, di cui non interessa tener conto, si ha uno spostamento dell’intera lamina, e quindi di tutto il sistema di frangie, giacchè 0 passa dal valore I(1+p + p°) al valore Z(1— p — p°). Lo spostamento è dunque 22/9 + 2Ipî. Evidentemente questo spostamento non va confuso con quelio che prevedeva Michelson come conseguenza di una differenza di fase sorta fra i raggi interferenti in causa della rotazione. Ad ogni modo esso è troppo piccolo perchè si possa spe- rare di constatarne |° esistenza. Per mettere in chiaro questo punto delicato è necessario fare esplicitamente una distinzione, che di solito si sottintende. Ù La possibilità di rilevare un piccolo spostamento, e |’ esattezza della sua misura non dipendono solo dalla grandezza del medesimo, ma anche dalla nettezza e preci- sione di contorni di ciò che si sposta. Se si tratta per esempio di un filo finissimo, o d’un contorno nettissimo di un oggetto o di una immagine, si rende sempre più facile il raggiungimento dello scopo ricorrendo ai metodi d° ingrandimento. Così è rela- tivamente facile misurare spostamenti estremamente piccoli delle righe spettrali, se queste sono sottili o limitate lateralmente da contorni nettamente definiti. Ma se invece gi trattasse di striscie a contorni sfumati, come nel caso degli spettri così detti a bande, la esattezza della misura non si avvantaggia coll’ ingrandimento. Orbene, ciò è appunto quello che accade quando, come nel caso che ci interessa, si tratta di misu- rare eventuali piccoli spostamenti delle frangie d’ interferenza, le quali non hanno limiti neitamente definiti. La facilità di constatare gli spostamenti e l esattezza della loro misura dipendono dunque, non dal valore assoluto dello spostamento, ma dal rapporto fra questo e l'intervallo che separa le frangie l’ una dall’ altra. Il rapporto fra lo spostamento previsto 2lp + 21pÈ, o all’incirca 270, e I° inter vallo fra le frangie, che ora vale i= 4: p°, ha per valore 2/0?:4 cioè una frazione estremamente piccola. Un esempio numerico torna qui acconcio. Prendiamo Z= 10° (cioè un metro), p=107i, A =5-107°, che è la lunghezza d’ onda d'un raggio dello spettro visibile. La precedente frazione diviene 4 milionesimi, ed è evidente che un simile spostamento di frangie di 4 milionesimi del loro intervallo passa assolutamente inosservato. Lo 1/ /5 le frangie ha per valore circa 50 metri. spostamento effettivo 2/0 vale circa di millimetro; ma intanto 1° intervallo i fra È utile ora mettere a confronto lo spostamento di frangie assolutamente trascura- bile che prevede la mia teoria, con quello che fino al giorno d’ oggi è stato previsto. Secondo la previsione di Michelson, colla rotazione di 90° data all’ apparecchio devesi avere |’ effetto di una variazione 2/0° nella differenza di percorso dei due fasci luminosi interferenti. E poichè ad una differenza di cammino 4 corrisponde uno spo- —> I stamento di frangie eguale ad i, la detta variazione 2/p*° produrrà uno spostamento DIN? eguale ad i 0, Coi precedenti valori numerici si trova è?- 0,04, cioè un venticin- quesimo dell’ intervallo fra le frangie. : Le precedenti considerazioni renderanno ben chiaro | effetto, che dall’ apparecchio di Michelson si può pretendere, sempre ammesso che i riflettori siano rigorosamente orientati. Nel campo visivo dell’ osservatore, che necessariamente sarà collocato presso la lamina inclinata AZ, apparirà un chiarore sensibilmente uniforme. Il centro delle frangie è alla sua destra ad una distanza +0 (circa un metro mantenendo i dati del precedente esempio numerico), e quindi la piccola porzione della lamina equivalente posta presso 8, gli presenterà un chiarore appena leggermente inferiore al massimo che cadrebbe in Z. Bisognerebbe che egli vedesse la porzione di lamina equivalente ove si trova una frangia nera (posta a 25 metri alla sinistra di Z secondo |’ esempio numerico) perchè il campo visivo gli sembrasse oscuro. Questo potrebbe ottenere per esempio con un opportuno spostamento parallelo a sè stesso di uno degli specchi. Ma evidentemente, non solo non si accorgerà di alcuno spostamento di frangie, ma neppure vedrà le frangie stesse. A rigore l’ esperienza di Michelson era dunque in ogni modo a priori ineffet- tuabile, stando ai precisi termini in cui venne immaginata. eli! È 7 ; Ò S IT : 3 ILA Si è qui supposto che si abbia d = 0 oppure Ò =g3. Per valori differenti |’ in- to, tervallo fra le frangie diviene anche maggiore, al punto da divenire infinito per d = 45°. Le due orientazioni principali sono dunque quelle, per le quali 1’ intervallo fra le frangie è il minimo possibile. V. — Piccoli spostamenti angolari dati ai riflettori. Se qualcuno sì proponesse di eseguire l’ esperienza di Michelson esattamente nelle condizioni teoriche, cioè mentre i due specchi sono perfettamente perpendicolari fra loro, e la lastra semiargentata si trova inclinata esattamente di 45° su di essi, incontrerebbe una grave difficoltà per regolare 1° orientazione dei tre riflettori. Nessuna disposizione, per quanto accurata, destinata a misurare le loro inclinazioni sarebbe praticamente vantaggiosa. Come si vedrà fra poco, una volta che gli specchi fos- sero ben collocati, per modificare profondamente i fenomeni basterebbero spostamenti 2 angolari talmente piccoli, da sfuggire ad ogni artificio di misura. Si è dunque co- stretti a regolare gli specchi guidandosi coll’ aspetto del campo di interferenza. Perchè siano collocati nelle orientazioni teoricamente ammesse, si dovrà dunque constatare l’ assenza di frangie, o farle gradatamente sparire. Senonchè tuttociò sarebbe ozioso, perchè in tal modo si renderebbero invisibili le frangie, come or ora si è spiegato. Ì gle, pieg Si comprende quindi come sia involontariamente accaduto di regolare piuttosto gli specchi in modo di vedere bene le frangie e vederle non troppo rade e sfumate onde non riuscisse troppo difficile la constatazione del loro eventuale spostamento nell’ atto di far girare di 90° 1° intero apparecchio. In tal modo l’esperienza realizzata non corrisponde a rigore all’ esperienza ideata. Ma sembrò cosa lecita il passar sopra a questa circostanza, essendo verosimile che piccolissime deviazioni angolari degli specchi, sufficienti per dare al sistema di frangie un aspetto tale da consentire misure di un eventuale spostamento, non alterino sensi- bilmente le lunghezze dei cammini percorsi dai fasci interferenti. Ma, per non lasciare campo ad obbiezioni, avrebbe abbisognato tener esatto conto delle effettive orientazioni dei tre riflettori, e calcolare il cambiamento della differenza di fase fra i fasci inter- ferenti che realmente doveva prendere origine colla rotazione di 90° data all’ appa- recchio in causa della traslazione terrestre. Senonchè un calcolo di questo genere sarebbe estremamente laborioso. Per farmi tuttavia una qualche idea in proposito, nella II.* delle precedenti Me- morie ho voluto calcolare le espressioni, che valgono al posto delle (1) (2) e (3) ri- portate più sopra, allorchè, lasciate intatte le orientazioni della lastra AZ e dello specchio B,, si fa girare di un angolo 4 lo specchio 8, intorno alla perpendicolare al piano di figura che ha la sua traccia in B, e nel senso inverso a quello del moto degli indici d° un orologio. Per avere formole che si prestassero a discussione ho do- vuto limitarmi a supporre 4 tanto piccolo, da poterne trascurare le potenze superiori alla prima. Al posto dell’ ultima delle (3) si ha allora : D—-®, = 24(1+ p send) + termini in p°. Questa formola dimostra come uno spostamento angolare minimo dello specchio B,, basti a far addensare le frangie. Altrettanto potrebbe dirsi rispetto agli altri due riflettori. In questo caso l’ intervallo fra le frangie diviene circa i. = 4: 2u. Riprendendo il precedente esempio numerico, cioè assumendo 7 = 5.107? e suppo- nendo u uguale a due secondi e mezzo (u = 2',5) si trova i eguale a circa due centimetri, mentre era circa 50 metri con w = 0. E così resta ben chiaro quanto minimo possa essere lo spostamento angolare dei riflettori bastevole a dare alle frangie un conveniente intervallo. Si potrebbe qui osservare che anche la verificazione sperimentale della previsione mia, cioè del non prodursi una differenza di cammino 27° colla rotazione dell’ ap- parecchio, vien faita in realtà mentre i riflettori non hanno in modo rigoroso le orientazioni presupposte. Ma se era lecito trascurare questa circostanza quando si trat- tava di verificare la previsione di Michelson, deve esserlo anche quando si tratta della mia. Che d°altronde sia lecito è cosa estremamente verosimile ed intuitiva. Bastano le formole trovate pel caso del piccolo spostamento angolare dato allo specchio B,, (II Memoria) per persuadere, che 1° esperienza fatta in queste condizioni ESSERSI deve dare uno spostamento di frangie. Infatti si trova allora per Y, — Y,, e per D, — D, espressioni, il cui rapporto non risulta indipendente da d. Lo spostamento preveduto sarà verosimilmente impercettibile nel caso di 4 piccolissimo; ma potrebbe cessare di risultare tale nel caso in cui si dessero notevoli spostamenti angolari ai riflettori. È però verosimile, che le difficoltà del calcolo numerico rendano ineffettuabile una espe- rienza decisiva in tali circostanze; la quale inoltre sarà dai più considerata ormai come superflua. VI. — Forma delle frangie. Le frangie d’ interferenza, che si vedono nelle lamine sottili, possono presentare svariate forme, dipendenti dal modo con cui varia da un punto all’ altro della lamina il suo spessore. La conoscenza almeno approssimata di tale forma è utile, in quanto può servire di guida allo sperimentatore nei casi in cui può a suo piacere modificare la lamina, per esempio appunto quando si tratta della lamina ideale considerata come equivalente all’ apparecchio di Michelson nei suoi effetti. Se si inclina lesgermente uno degli specchi, si fa inclinare una delle faccie della lamina equivalente, ed il cam- biamento effettuato rimarrà palese se si osserva in che modo le frangie cambiano dl forma o di posizione. È quindi utile far qui conoscere in modo approssimativo la forma delle frangie della lamina equivalente ; tanto più perchè poche linee aggiunte alla figura basteranno a rendere chiara la spiegazione. Supponiamo |’ osservatore collocato in un punto P nel piano della figura, e sia PQ la perpendicolare abbassata da P sul piano che divide a mezzo | angolo diedro delle faccie della tamina, cioè sul « piano della lamina ». Consideriamo 1’ effetto prodotto in P da un elemento di lamina posto in un punto R', che supporremo fuori del piano di figura, e ad un’ altezza y = RR' al disopra di R. Per tal modo se diciamo @ (1) la distanza ZR, si potrà dire, che x = ZR, y= RR' sono le coordinate del punto R' rispetto a due asssi ottogonali posti nel piano della lamina, uno Zx, giacente nel piano di figura, l’ altro essendo lo spigolo Z della lamina sottile. Per il punto ' si conduca la normale alla lamina, che avrà per proiezione II, Poniamo ancora E&,E, = e, F,F,=f, e poi PQ=d, ZQ2=%,. Il triangolo E, F,Z dà, come si è visto: e= ,0° cos2ò, e similmente si ha f= @p° cos 20, da cui f=e+(e— a;)p° cos2ò. L'elemento di lamina posto in P' contribuisce all’ illuminazione in P con due vibra- zioni, fra le quali esiste una certa differenza di cammino che sarebbe /, se la retta PR' fosse normale alla lamina. Con un’ approssimazione, consueta in questa questione, (1) Come si vede la # non ha più qui lo stesso siguificato che gli si diede nei S precedenti. TM ZE assumeremo invece la proiezione di f su PR', cioè g=fcosa, dicendo 4 l° angolo compreso fra PR' e la normale alla lamina. Ora si può osservare, che PR' è diagonale di un parallelepipedo, i cui lati contigui sono QAR = 2 —z,, RR' =ye PQ=d. Si ha quindi cosa — d:Vd° + (x x) +9, e quindi fd = g Va (a PE. Un’ ulteriore semplificazione è quella di supporre piccola assai rispetto a d la distanza fra @ ed il punto R', cioè 4 x, ed y piccoli rispetto a d, il chè si verifica sempre assai approssimativamente. Allora al posto del radicale si può scrivere 2 (2 x.) 2d° d (1 - Le e quindi finalmente, mettendo al posto di f il suo valore: (x E so 29 e+ (e — x,)p° cos2d = o(1 + o) d ) 2d° Assumendo 4 ed y come variabili, e come costanti le altre quantità, 1 equazione rappresenta il luogo geometrico dei punti della lamina posti attorno a £' ai quali corrispondono eguali spessori della lamina e quindi eguali differenze di fase. In altre parole essa non è altro che l’ equazione d’ una linea d’ interferenza. Se per esempio g vale un numero dispari di mezze onde, si tratterà di una frangia nera. Come si vede, le frangie sono sensibilmente circolari col centro sulla retta Z@ a piccolissima distanza dal punto @. In generale delle frangie non si vedrà che un breve tratto e potrà non avvertirsi la loro curvatura, specialmente se si guardano da assai lontano; in ogni modo la parte verso cui rivolgono la loro concavità è quella dove trovasi lo spigolo della lamina. Se in un modo qualunque la lamina viene modi- ficata in modo che lo spigolo passi a sinistra dell’ osservatore, questi se ne accorge subito, perchè la concavità delle frangie cambia lato. E così resta facilissimo rendersi conto della posizione ove si trova la frangia centrale. VII. — Ammissibilità dell'ipotesi della Contrazione. Come sì sa, si potè rendere conto del preteso disaccordo fra fatti e teoria ammet- tendo, che le dimensioni dei corpi che si muovono mutino in modo, che la distanza fra due punti qualunque presi sopra una retta parallela al movimento, risulti ridotta nel rapporto di 1 a Aes pì, o se si vuole ed in virtù della approssimazione adottata, nel rapporto l (U —3p°) Quando si riteneva esatta la previsione di Michelson, lam- mettere l’ ipotesi di Fitzgerald e di Lorentz faceva sparire quel certo sposta- mento di frangie corrispondente ad una differenza di cammino di 270°, che tutti rite- nevano dovesse prodursi facendo girare di 90° 1° apparecchio. Logo Dimostrato oggi che quello spostamento di frangie non può aver luogo, vien fatto di credere che, introducendo la detta ipotesi, della quale più non v’ha bisogno, deb- basi avere come conseguenza l'apparire di uno spostamento di frangie eguale e opposto. Cioè viene facilmente l’idea, che secondo la mia teoria, che non prevede spostamenti di frangie, e dato il risultato costante delle esperienze, che esclude tale spostamento, sia da concludere, che |’ ipotesi della contrazione debba d° ora in poi essere conside- rata come inammissibile. Sta di fatto, che molti mi hanno manifestato questa opinione, non appena li avevo informati del risultato da me ottenuto. Non è dunque fuor di luogo ch’ io chiuda questa mia Memoria dimostrando, che |’ ipotesi di Fitzgerald e Lorentz può sempre essere liberamente ammessa, se vi siano motivi di ricorrere ad essa. Anche qui non si tratta di una verità assoluta, ma di una asserzione, a dimostrare la quale occorre come sempre trascurare le potenze di p superiori alla seconda. Supponendo sempre che la traslazione sì faccia secondo una direzione inclinata del- l'angolo Ò sull’asse delle @, consideriamo un punto qualunque di coordinate @, y, € scriviamo le coordinate del medesimo punto prese secondo una nuova coppia di assi ortogonali, sempre coll’ origine nel punto A e giacenti nel piano della figura, uno dei quali parallelo alla direzione della traslazione terrestre, e perciò facente con AX un angolo d.. La nuova coordinata secondo questo asse di quel punto generico sarà evi- dentemente 4 così + y send, mentre l’altra coordinata sarà y così — send. Ciò posto, supponiamo di produrre l’-ipotetica contrazione. Quest'ultima coordinata dovrà lasciarsi invariata, ma si dovrà moltiplicare la prima per (1-°) tanto che essa les diventerà (2 cosò + y send) (i —opi): Riprendiamo adesso gli assi di prima, e chiamiamo 4", y' le coordinate contr'atte. Si avrà evidentemente : Se lg sd = (1 c0sò + y send) (130°) così — (y così — « senò) senò, a % \ ] 2 y' = (y così — w send) cosò + (e così + y sen d) (1 —_ SP) send, ossia : IE x' = —_p° cosò (2 così + y send), IS y =Y —p° send (2 così + y send). Indaghiamo ora se e come si modifichi la lamina equivalente coll’ introdurre la contrazione. Mentre evidentemente ®, , non mutano (e per esserne persuasi basta pensare in che modo vennero calcolati), variano di valore le coordinate dei punti 0, ed 0,. Nel calcolo di quelle di O, entra la lunghezza AB,, e per quelle di 0, entra AB,, e, dato Lg che si produca la contrazione, quelle due lunghezze mutano valore. Consideriamo la AB,, che è l’ordinata di un punto avente per primitive coordinate e = 0, y=/. Il nuovo valore di Z lo troveremo applicando a questo caso l’ultima delle precedenti Sig x 1 formule, e quindi al posto di / si dovrà porre Noi send nelle espressioni di X, ed Y,. Similmente si troverà il nuovo valore di AB, applicando la penultima formula, dimodochè nelle espressioni di X,, Y, si dovrà introdurre Z ——=/p®cos°d al posto di /. Dopo semplicissime riduzioni, trascurando al solito i termini in ?, p*.... e distinguendo con accenti i nuovi valori, si trova: Mad LO X\=Xg 3 Xo= 4; 1 1 i Vei_.2] (1 + p senò + 3 pì send), Me 21 (1 + p send + p° sen' d). la Come doveva accadere si verifica che Y} = Y,, e la lamina equivalente, la quale, non avendo luogo mutamenti in ®, e ‘,, avrà perciò conservata intatta la sua forma, cambia luogo, spostandosi parallelamente a sè stessa. Vediamo come e di quanto. Per raggiungere questo scopo basterà calcolare di nuovo le coordinate p,g del punto Z adoperando Xj, Y,, X,, Y, invece delle stesse quantità non accentate. Chiamando p',q" ciò che esse diventano, senza ripetere quel calcolo, ne darò qui il risultato, che è il seguente: = pale p (così — send) +3p° (32Bisen 20 c0s2d),, | | o =l 24+ 2p send +3 pÎ(1—3 e052d)!. Si vede così che il centro delle frangie, che senza contrazione si trovava in un punto, le cui coordinate erano approssimativamente p =, g= 22, sì trova ora nel punto, le cui coordinate sono sensibilmente p' = 0, g' = 22. Dunque la lamina equivalente si è spostata da destra a sinistra della quantità /, in modo che il suo spigolo Z si trova ora di fronte all’ osservatore, e, naturalmente di altrettanto sì è spostato tutto il sistema di frangie. Dividendo lo spostamento / per l'intervallo fra le frangie, che è 4:°cos20, si ha /p°cos20:4, e per dà =0 oppure Si si ha: a che è precisamente eguale allo spostamento di frangie previsto da Michelson; ciò che verifica che la contrazione produce un effetto che sarebbe esat- tamente valevole a compensare lo spostamento di Michelson, se davvero esistesse. Ma siccome anche dopo introdotta la contrazione resta vero il teorema da me dimostrato, e cioè che non si spostano le frangie colla rotazione di 90° data all’ appa- recchio, così sparisce quella paradossale apparenza di cui ho fatto cenno, e rimane dimostrato, che nulla vieta di ammettere ancora l’esistenza della contrazione, se vi siano ragioni che la rendano necessaria. Il Lettore troverà nelle ultime linee della 1% Memoria dimostrato quanto precede per un caso particolare. NO SUL CONTEGNO DI ALCUNE SOSTANZE ORGANICI NEI VEGRTALI XII. MEMORIA DI GIACOMO CIAMICIAN E CIRO RAVENNA letta nella Sessione del 23 Novembre 1919. (CON | FIGURA NEL TESTO E 3 TAVOLE) Nella presente Memoria descriviamo le esperienze eseguite in prosecuzione di quelle pubblicate |’ anno scorso nella nostra XI Memoria. Anche questa si divide in due parti nella prima delle quali esponiamo le prove riguardanti |’ azione di alcune sostanze orga- niche sullo sviluppo delle piante; la seconda parte tratta dei processi di autossidazione determinati dagli enzimi vegetali. PRIMA PARTE: Le esperienze descritte nella XI Memoria (1) avevano sopratutto lo scopo di studiare l’azione esercitata sulle piante da alcuni composti fondamentali in comparazione dei loro più prossimi derivati. Da quelle prove era risultato che mentre i composti fondamentali sono di regola innocui o poco marcatamente nocivi, i derivati, segnatamente alchilici, di- mostrano, in generale, un'azione tossica. Abbiamo così potuto accertare che delle tre amine metilate, la monometilamina è la meno tossica, mentre la trimetilamina è la più rapida nell’ effetto ; che mentre la caffeina (trimetilxantina) è fortemente venefica, la teobromina (dimetilxantina) determina nelle piante di fagioli soltanto dei fenomeni di albinismo e la xantina è innocua; che 1’ acido metilurico è alquanto tossico mentre | acido urico non lo è affatto. Dallo studio della piperidina e dei suoi derivati risultò inoltre che questi ultimi sono tutti più o meno decisamente tossici mentre la sostanza fondamentale non lo è che debolmente. Così pure avevamo potuto accertare che la. codeina (metilmorfina) e 1’ eroina (diacetilmorfina) hanno proprietà maggiormente tossiche della morfina; che la chinina è più venefica della cinconina e che la cocaina ha azione nociva più pronta ed intensa che non (1) Queste Memorie, serie VII, tomo VI, pag. 3 (1918-19). Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 3 SIR l’ atropina. Anche le esperienze eseguite con alcune sostanze aromatiche diedero risultati analoghi; così l’ anilina si dimostrò meno tossica dell’ aceianilide e massime della metil- acetanilide; la pirocatechina meno del guaiacolo; il salicilato di potassio meno del salici- lato di metile. Questi concordi risultati ci fecero già supporre che i radicali in genere, lungi dal- l'avere un'azione protettrice contro la tossicità dei gruppi reattivi quali gli ossidrili {e i gruppi aminici ed iminici, esaltino l’azione delle sostanze fondamentali per adibirle a spe- ciali funzioni. Ad ulteriore conferma ed estensione dei fatti osservati abbiamo eseguito la scorsa estate alcune nuove esperienze segnatamente sulle piante di fagioli ed in misura più limitata anche su altre piante quali le zucche, le fave e i pomodori per vedere se anche con queste si verificassero le stesse regolarità. Le prove vennero eseguite quest’ anno ancora colle amine grasse: metilamina, etilamina, propilamina, butilamina, amilamina e isoamilamina (fosfati o' tartarati) per vedere l’infiuenza della lunghezza e della struttura della catena di atomi di carbonio uniti al gruppo aminico: colle amidi formica ed acetica; coll’ acido butirrico in comparazione dell’ isobutirrico e coll’acido ossalico in comparazione coll’acido succinico, tutti allo stato dei relativi sali potassici; coi tartarati di metile e di etile in comparazione col tartarato potassico. Fra le sostanze alcaloidiche eterocicliche abbiamo prescelto la piridina in comparazione colla picolina; la chinolina coll’ isochinolina e Ja chinaldina; la cocaina, la cui azione, confrontata con quella dell’ ecgonina, dell’ etere metilico della nor- ecgonina e della norecgonina, fornì risultati assai rimarchevoli. Inolire in considerazione dell’analogia di struttura tra gli ammoni tetrasostituiti e la betaina, abbiamo sperimentato anche queste sostanze comparativamente. Infine venne ripetuta | esperienza sui fagioli colla caffeina e colla teobromina allo scopo di studiare nelle foglie | andamento della distribuzione dell’ amido che nelle prove dell’ anno scorso apparve degno di nota e furono del pari ripetute le prove con alcune delle sostanze che determinano nelle foglie un colore più cupo allo scopo di vedere in primo luogo se la maggiore intensità di colorazione fosse dovuta alla formazione di un pigmento differente dalla clorofilla e secondariamente se al colore più scuro corrispondesse una più cospicua formazione di amido. Le piante venivano, come al solito, coltivate sul cotone idrofilo e bagnate quotidia- namente colle soluzioni delle sostanze nella concentrazione di 1 per mille, alternando una o due volte per settimana con soluzione nutritizia. Vogliamo a questo proposito osservare che la concentrazione dell’ 1 per mille si, è dimostrata in genere appropriata nelle nostre condizioni di clima; ma che se la temperatura è notevolmente inferiore alla normale, l’azione delle sostanze viene ritardata in modo sensibile e per quelle meno tossiche può anche essere annullata e però conviene tener conto di questo fattore per giudicare del- l’efficacia di una data sostanza (1). Non è improbabile che la temperatura agisca anche nel senso di aumentare la velocità di reazione nei processi chimici, che saranno determi- nati dalle sostanze somministrate. (1) Questo fatto che avevamo-già osservato da molto tempo si dimostrò con maggiore evidenza quest’ anno in cui, per le avverse condizioni meteorologiche, la temperatura si mantenne, a primavera inoltrata, notevolmente inferiore alla normale. Opa I fagioli adoperati quest'anno appartenevano ad una varietà rampicante, quindi diversa da quella dell’anno scorso. Il loro contegno con le sostanze già sperimentate fu peraltro di regola lo stesso; soltanto coi sali di tetrametilammonio non si potè notare nelle pian- tine l’ aspetto caratteristico osservato l’ anno scorso. Esperienze sui fagioli. AMINE — Le sostanze prescelle in questo gruppo furono, come si disse, la metilamina, l’etilamina, la propilamina, la butilamina, l’amilamina e l’ isoamilamina che vennero spe- rimentale in soluzione a'1 per mille neutralizzata con acido fosforico. I fagioli vennero a tal fine seminati il 5 maggio in germinatoio di vetro; 1’ innaffiamento cominciò il 19 maggio; le piante di un germinatoio servirono da testimoni (Fig. 6). Sì poteva supporre che la tossicità delle amine normali andasse decrescendo coll’ ele- varsi dal peso molecolare, ciò che realmente avviene ad eccezione della metilamina che si dimostrò invece la meno tossica mentre la più tossica fu | etilamina e seguirono poi in ordine decrescente la propilamina, la butilamina e l’ amilamina (fig. 1, 2, 3 e 4). L’ isoa- milamina (fig. 5) è più tossica della base normale e i fagioli ebbero con essa un contegno particolare assai diverso; cioè, come già osservammo l’anno scorso, questa sostanza deter- mina l’ albinismo delle prime foglie composte. Le piante trattate colla metilamzina si mantennero normali fino al 10 giugno in cui comparve sulle foglie qualche piccola macchia; lo sviluppo continuò peraltro. abbastanza rigoglioso. Nelle foglie delle piante trattate coll’ efilamina che si dimostrò, come si disse, la più tossica, comparvero il 26 maggio delle macchie translucide che andavano via via allar- gandosi fino ad invadere l’intera lamina. Il 6 giugno tutte le foglie, morte, cadevano. Le piante trattate con propilamina, butilamina e amilamina manifestarono qualche segno di sofferenza soltanto il 29 maggio; sui margini delle foglie erano apparse delle macchie giallastre, translucide, assai più numerose nelle piante che ricevettero la propila- mina; alquanto meno in quelle colla butilamina e finalmente assai scarse nei soggetti trattati coll’ amilamina. Le sofferenze non condussero alla morte delle piante che conti- nuarono nello sviluppo mantenendosi differenziate nell’ ordine indicato. Le piante trattate coll’ isoamilamina cominciarono il 28 maggio a manifestare. sulle foglie semplici delle chiazze translucide e contemporaneamente si increspavano i bordi. Mentre le prime foglie si andavano seccando le foglie composte apparivano quasi prive di clorofilla. Le piante assai sofferenti vennero gettate il 12 giugno contemporaneamente a quelle relative alle altre esperienze colle amine. Per meglio osservare l’ albinismo determinato nelle foglie di fagioli dall’ isoamilamina abbiamo ripetuta |’ esperienza colla sostanza allo stato di tartarato ed oltre che nel ger- minatoio di vetro anche in germinatoio zincato. Come abbiamo altre volte osservato, l’azione delle basi è più rapida quando si trovino allo stato di tartarato che non di fosfato ed al contrario lo zinco attenua l’azione tossica di molte sostanze. 20 — L'esperienza venne iniziata il 12 luglio dopo un periodo germinativo ‘di otto giorni. Il 17 luglio alcune delle foglie primordiali del germinatoio di vetro mostravano delle chiazze e delle bollosità mentre le prime foglie composte cominciavano ad impallidire. Il giorno successivo lo stesso fenomeno si osservava nel germinatoio zincato. Il 20 luglio eran parte delle seconde foglie del germinatoio di velro erano prive di clorofilla, come risulta dalla fotografia qui riportata; alcune si mantenevano verdi in vicinanza del picciolo e bianche sul resto. Nel germinatoio zincato il fenomeno era analogo, ma meno accentuato. É assai rimarchevole questo albinismo dei fagioli determinato dall’ isoamilamina molto simile a quello provocato dalla nicotina specialmente in considera- zione del fatto che nicotina e isoamilamina si trovano entrambe nelle piante di tabacco (1). L'esperienza venne abbandonata il giorno 8 agosto. Le piante del germinatoio di veiro erano già comple- tamente secche; quelle coltivate nel germinatoio zin- cato andavano disseccandosi lentamente. AMIDI — Le amidi da noi impiegate furono la formamide e |’ acetamide che vennero somministrate in soluzione a 1 per mille ai fagioli seminati in germinatoio di ferro zincato dopo un periodo germinativo dal 6 al 19 maggio. Le piante trattate colla formanide dimostrarono presto qualche segno di sofferenza coll’ appassimento delle foglie primordiali. Si poterono tuttavia sviluppare le prime foglie composte che presentavano un aspetto caratteristico: i bordi avevano una tinta verde scura ed il centro appariva verde chiaro tendente al giallo. In seguito le sofferenze si accentuarono e l’ esperienza venne abbandonata il 14 giugno. « L’acetamide non determinò alcun fenomeno rimarchevole. BUTIRRATO | ISOBUTIRRATO DI POTASSIO — Le esperienze con queste sosianze vennero eseguite in germinatoi di vetro dopo un periodo germinativo dal 3 all’ 11 luglio. Il 17 luglio si osservò che alcune foglie delle piante trattate coll’ isobutirrato appas- ‘sivano e qualche giorno dopo le stesse foglie, prima di seccarsi, cadevano mentre lo svi- luppo veniva assai ritardato. Il dutiz7ato diede soltanto qualche lievissimo analogo accenno. I due acidi sperimentati si dimostrarono peraltro entrambi poco tossici, ma |’ isobutirrico decisamente più del butirrico normale. L’ esperienza venne abbandonata il 24 agosto: le piante che ricevettero il butirrato erano pressochè normali (fig. 7); quelle trattate col- l’isobutirrato si dimostravano alquanto sofferenti per la caduta delle prime foglie ed in genere per lo sviluppo stentato (fig. 8). OSSALATO E SUCCINATO POTASSICO —- La semina per queste esperienze venne effettuata in germinatoi zincati il 14 giugno e si iniziò l’ innaffiamento il 21. dello stesso mese. Le (1) Queste Memorie, serie VI, tomo VIII, pag. 50 (1910-11). piante, nei primi venti giorhi non accennarono ad alcuna sofferenza; in seguito, segnala- mente per quelle trattate coll’ ossalato, lo sviluppo si fece stentato. L’ esperienza venne abbandonata il 22 luglio mentre le piante erano peraltro tuttora in vita. TARTARATI DI METILE, DI ETILE E DI POTASSIO — Il trattamento con queste sostanze venne iniziato il :31 maggio su fagioli germinanti dal 17 maggio in germinatoi di ferro zincato. I due eteri, che avevano reazione acida, vennero neutralizzati con potassa. Le piante trattate col tartarato di metile manifestarono fin dal 13 giugno in molte foglie primordiali delle macchie translucide che nei giorni seguenti crebbero di numero ed invasero anche le prime foglie composte. Nelle piante trattate col far-tarato di etile le macchie apparvero soltanto il 14 giueno. In seguito però le sofferenze si accentuarono maggiormente che non nei soggetti trattati col'tartarato di metile. Il tartarato di potassio non determinò alcun effetto. ‘Le piante di queste prove vennero gettate il 22 luglio: quelle che ricevettero il tar- tarato: di ‘potassio erano in ottime condizioni; quelle col tartarato di metile e segnatamente col tartarato di etile erano in buona parte disseccate. BETAINA E SALI DI TETRAMETILAMMONIO — Come fu detto nell’ introduzione, questa esperienza aveva lo scopo di vedere se la betaina per la sua analogia di struttura cogli ammoni tetrasostituiti determinasse un analogo effetto nelle piante. Nella Memoria dello scorso anno abbiamo accennato all’ abito assolutamente caratteristico determinato dagli ammoni tetrasoastituili nelle piantine di fagioli: le foglie semplici di consistenza coriacea erano ripiegate coll’ apice in basso in posizione quasi verticale; le prime foglie composte si presentavano in modo analogo e col fusticino tanto ridotto che pareva partissero dallo stesso verticillo delle foglie semplici. Coi fagioli impiegati quest'anno che, come già si disse appartenevano ad una varietà rampicante, i sopra accennati caratteri non si resero manifesti sebbene apparisse più spic- cata la tossicità della base quaternaria. L'esperienza venne iniziata il 14 giugno. Si posero a germinare i fagioli in due germinatoi di vetro ed il 21 giugno si cominciò | innaffia- mento rispettivamente con soluzione di cloridato di betaina neutralizzata con potassa cau- stica contenente 1 per mille di betaina e con soluzione di cloruro di tetrametilammonio di concentrazione corrispondente a 1 per mille di base. Le piante trattate col sale di tfetrametilammonio manifestarono presto una notevole sofferenza; due giorni dopo il trattamento il colore era verde cupo, lo sviluppo assai ritar- dato, le foglie raggrinzite. In seguito |’ accrescimento si arrestava completamente mentre le piante cadevano in causa del disfacimento del fusto in prossimità del colletto. Non si osservò peraltro, come si disse, l'aspetto caratteristico determinato nella varietà di piante impiegate l’ anno scorso. La detaina si dimostrò invece soltanto lievemente tossica. Ai primi di luglio le piante cominciarono a manifestare qualche sofferenza coll’ appassimento di alcune foglie primor- diali; il fenomeno si andò progressivamente estendendo senza tuttavia portare alla morte delle piante. DD = 1A, L’esperienza venne abbandonata 18 agosto: le piante col cloruro di tetrametilammonio erano completamente secche; quelle che ricevettero il cloridrato di betaina si erano rico- perte di criltogame e si dimostravano però assai sofferenti. Per vedere se il differente contegno del sale di tetrametilammonio osservato quest’anno fosse dovuto alla salificazione coll’ acido cloridrico, abbiamo ripetuto |’ esperienza adope- rando invece il tartarato ed in comparazione abbiamo rifatto la prova colla betaina libera. Le rispettive soluzioni furono somministrate a partire dal 9 luglio ai fagioli seminati in germinatoi di vetro il 24 giugno. I risultati non furono peraltro molto diversi; il tartarato di tetrametilammonio si dimostrò un poco meno velenoso del cloruro, ma neppure questa volta. comparvero i segni caratteristici. Le betaina si comportò in modo analogo al precedente. Le piante di queste esperienze furono gettate il 23 agosto; tanto le une che le altre avevano notevolmente sofferto, ma andavano riacquistando |’ aspetto normale. PIRIDINA E PICOLINA —-In due germinaltoi zincati vennero posti i semi di fagioli il 17 maggio e il 31 maggio si cominciò )’innaffiamento colle soluzioni a 1 per mille di piridina e di picolina neutralizzate con acido tartarico. La piridina, come nelle esperienze altre volte descritie non determinò alcuna azione; le piante si svilupparono rigogliose. La picolina cagionò invece qualche effetto tossico, ma assai lieve. Il 12 giugno apparvero su alcune foglie primordiali delle macchie giallo-rug- gine soltanto sulla pagina superiore; in seguito le macchie si estesero anche alle foglie composte. Le piante continuarono peraltro a svilupparsi normalmente e l’esperienza venne abbandonata il 15 luglio. CHINOLINA, ISOCHINOLINA E CHINALDINA — Le esperienze con queste sostanze vennero eseguite in germinatoi zincati ed iniziate dopo un periodo germinativo dal 9 al 18 giugno. Tutti tre i corpi si dimostrarono fortemente tossici ed in grado maggiore la chinaldina ; già il 22 giugno le piante tratlate con questa sostanza presentavano una strozzatura al colletto che estendendosi rapidamente portava all’ appassimento di tutto il fusto e quindi alla morte dei soggetti. Il 23 giugno tutte le piante erano cadute ed in tal giorno comin- ciarono gli stessi sintomi in alcune delle piante tratiate con cRinolina e isochinolina. Le sofferenze si propagarono nei giorni successivi a tutte le piante che in breve morirono e furono gettate il 27 giugno. I fenomeni determinati da queste sostanze si dimostrarono assai simili a quelli già da noi osservati l’anno scorso per trattamento dei fagioli col- l’ indolo. COCAINA E DERIVATI — Le esperienze eseguite con questo gruppo di sostanze danno un esempio dei più istruttivi sull’ influenza che i radicali alchilici o acidi esercitano sulle proprietà dei composti fondamentali. Le sostanze prescelte furono, oltre alla cocaina, l° ec- gonina, l’ etere metilico della nor-ecgonina e la nor-ecgonina. Si posero a tal fine a gevminare in germinatoi zincati, il 9 giugno, i semi di fagioli ed il 18 dello stesso mese si iniziò l’innaffiamento colle rispettive soluzioni all’ 1 per mille neutralizzate con acido tartarico. In armonia con quanto si era previsto, la cocaina spiegò l’azione maggiormente tossica (fig. 9); venne in seguito l’ecgonina (fig. 10), quindi l’etere O DOTE metilico della nor-ecgonina (fig. 11) ed infine la nor-ecgonina, che si dimostrò del tutto innocua (fig. 12). Il 23 giugno si ebbe a notare, come venne descritto l’anno scorso, sulla pagina supe- riore di molte foglie delle piante trattate con cocaina la presenza di macchie brune, carat- teristiche, a superfice lucida e trasparente; le macchie crebbero di numero nei giorni successivi, le foglie cominciarono a seccarsi poi a staccarsi dal picciolo finchè il 30 giugno tutte le piante erano morte. Le piante trattate coll’ ecgorina accennarono un principio di sofferenze il 25 giugno: avevano molte foglie appassite coi bordi un po’ ripiegati. Il 1° luglio apparvero su molte - foglie le macchie brune caratteristiche prima rare, poi più numerose fino ad invadere tutta la lamina. Lo sviluppo continuò peraltro abbastanza regolare sebbene rallentato. L'etere metilico della nor-ecgonina produsse, a partire dal 23 giugno, su qualche foglia le macchie caratteristiche già sopra descritte, ma il processo ebbe una limitata estensione. La nor-ecgonina non produsse alcun effetto. Il 21 luglio le piante relative a queste esperienze vennero gettate. All’ infuori di quelle iraitate colla cocaina, erano ancora in vita, ma a diversi gradi di sofferenza e di svi- luppo; le più rigogliose erano quelle trattate colla nor-ecgonina, che non dimostravano alcuna differenza dai testimoni; venivano in seguito quelle trattate coll’etere metilico della nor-ecgonina ed infine quelle coll’ ecgonina che erano le meno sviluppate. Queste due ultime mostravano ancora le tracce delle sofferenze suindicate dalle quali si erano alquanto riavule. Sull’ influenza di alcune sostanze nella formazione dell’ amido e della clorofilla. Le esperienze pubblicate nella nostra XI Memoria avevano dimostrato che la. caffeina è fortemente tossica. per le piante di fagioli, le quali soccombono pochi giorni dopo il trat- tamento, mentre la teobromina lo è assai meno, determinando solamente un caratteristico grazioso albinismo massime delle foglie primordiali. Le piante continuavano tuttavia a vivere per lungo tempo senza mostrare altri segni di sofferenza rimarchevoli. Un’ altra azione caratteristica della teobromina è il notevole sviluppo delle foglie primordiali e accumulo nelle foglie stesse di grandi quantità di amido di guisa che non solo la rea- zione coll’ iodio nelle foglie illuminate è assai intensa, ma si mantiene intensa anche nelle parti delle foglie che vengono sottratte all’ azione della luce per mezzo della carta nera. L’amido tende a scomparire soltanto nelle foglie di età avanzata. Allo scopo segnatamente di studiare la distribuzione dell’ amido nei vari periodi vegetativi abbiamo ripetuto que- stanno la prova colla teobromina in comparazione colla caffeina. Inoltre abbiamo avuto più volte occasione di insistere sul fatto che in genere le varie sostanze impiegate agiscono sui fagioli in modo da determinare nelle foglie un colore più cupo che persino talvolta sembrerebbe diverso da quello della clorofilla. Era: perciò inte- RE o), a ressante vedere se nelle foglie si formasse realmente qualche pigmento verde differente dalla clorofilla oppure se il colore più intenso dipendesse dalla formazione di maggiore quantità di clorofilla e se in questo caso la produzione dell’amido fosse anch’ essa aumen- tata. Per queste ultime esperienze furono prescelte la morfina e la pirocatechina. Azione della caffeina e della teobromina sulla formazione Well’ amido — Per tali prove si posero a- germinare i fagioli, il 23 giugno, in due germinatoi di ferro zincato e si iniziò l’ innaffiamento il 3 luglio rispettivamente con soluzioni a 1 per mille di caffeina e di teobromina allo stato di teobromato potassico. Fino dai primi giorni del trattamento si eseguì sulle foglie primordiali la reazione dell’ iodio. A tal fine si copriva parzialmente nel pomeriggio una foglia di ciascun germinatoio con una striscia di carta nera e nel pomeriggio successivo si eseguiva la reazione dell’ amido. Nei primi giorni tanto le foglie con caffeina, che quelle con teobromina dimostravano una regolare distribuzione dell’ amido; la reazione era cioè ben evidente nelle parti esposte alla luce e negativa nella parte co- perta dalla carta nera. Col progredire dello sviluppo e precisamente al manifestarsi del- l’albinismo nelle foglie delle piante trattate colla teobromina, la reazione si faceva più intensa nelle parti scoperte ed era ben evidente pure in quella coperta. Anche le foglie delle piante trattate con caffeina dimostravano un fenomeno analogo. Si poteva perciò supporre o che le piante producessero grandi quantità di amido, superiori al consumo o che l’azione degli alcaloidi ne impedisse la trasformazione. La prima supposizione ci sembra la più attendibile in considerazione del grande sviluppo fogliare raggiunto dalle piante trattate con teobromina. Per farsi un’idea di questo sviluppo basta già osservare nella riproduzione eliografica la grandezza di una foglia di piante che rice- vettero l’alcaloide (fig. 13) in comparazione con quella di una pianta testimone della stessa età (fig. 14); la dimostrazione viene poi data dal peso delle rispettive foglie che risultò circa il doppio: Coll’ulteriore sviluppo la reazione dell’amido, dopo alcuni giorni di massima intensità andò diminuendo e tornò normale cioè negativa nelle parti di foglie coperte e positiva nelle scoperte ed infine scomparve quasi completamente anche nelle parti delle foglie esposte alla luce. Con queste esperienze abbiamo perciò confermato con maggiori parti colari quanto avevamo già osservato l’ anno scorso. Le piante a cui venne somministrata la caffeina si dimostrarono in breve troppo sof- ferenti quindi per esse ]° esperienza si dovette abbandonare. Azione della morfina e della pirocatechina sulla formazione della clorofilla — Dalle esperienze descritte l’anno scorso è risultato che la morfina, fra le sostanze impiegate, era quella che determinava nei fagioli la massima intensità di colorazione e poichè anche la pirocatechina produce questo fenomeno in modo eminente (1) le due citate sostanze ven- (1) Nella citata XI Memoria é stato detto erroneamente che il colore delle piante trattate con pirocatechina si era conservato normale. Devesi invece intendere che soltanto nei primi tempi dopo il trattamento, le foglie, segnatamente in comparazione con quelle che ricevettero il guaiacolo, non dimo- strarono il colore cupo che si manifestò peraltro in seguito assai accentuato. nero prescelte per questa ricerca che, come si disse, aveva lo scopo di stabilire se la tinta più cupa fosse dovuta ad un accumulo di clorofilla o alla formazione di un nuovo pigmento e se alla maggiore intensità colorante corrispondesse una superproduzione di amido. Vennero, a tal fine, seminati il 5 maggio i fagioli in tre germinatoi di ferro zincato dei quali uno aveva l’ ufficio di testimone e gli altri due si trattarono, a germinazione avanzata, cioè a partire dal 19 maggio, quotidianamente | uno con soluzione di morfina a 1 per mille neutralizzata con acido tartarico; 1° altro con pirocatechina a 1 per mille. Le piante che subirono i trattamenti si dimostrarono in breve più scure dei relativi testimoni. Per studiare la natura del pigmento verde nelle foglie delle piante trattate con mor- fina, abbiamo fatto l’ estratto alcoolico di una foglia che venne sottoposto all’analisi spet- trale. Lo spettro si dimostrò del tutto identico a quello dell’estratto alcoolico delle foglie testimoni; da ciò si deduce che non si trattava di un pigmento diverso dalla clorofilla. È rimarchevole che malgrado la maggiore pigmentazione, la reazione dell’amido nelle foglie delle piante trattate con morfina era assai pallida. Questa osservazione già fatta 1 anno scorso venne però quest’ anno confermata. Le esperienze con le piante (trattate con pirocatechina dimostrarono anch’ esse che lo spettro d’ assorbimento dell’ estratto alcoolico delle foglie era identico a quello dei testi- moni. Inoltre per avere una misura più precisa della quantità di clorofilla in esse contenuta, abbiamo prelevata una foglia dal germinatoio testimone del peso di er. 0,42 che venne estratta con cc. 9,4 di alcool ed una foglia dello stesso peso dal germinatoio con piroca- techina che venne estratta anch’essa con alcool e diluita quindi con tanto solvente fino a che l’ intensità della banda caratteristica della clorofilla fra le linee B e © di Fraunhofer, appariva di uguale intensità a quella del testimonio. Occorsero cc. 18,8 di alcool, cioè la quantità di clorofilla contenuta nelle foglie delle piante trattate con pirocatechina era doppia di quella dei testimoni. La prova dell’ iodio dimostrò che 1’ amido non era contenuto in quantità maggiore di quella delle foglie di controllo. Si può quindi concludere che |’ intensità di colore non sta in diretta relazione colla quantità di amido prodotta nelle foglie, perchè mentre nei fagioli trattati con teobromina esse hanno un colore pallido con macchiettatura gialla e producono, come s° è detto, una grande quantità di amido, le foglie verde cupo dei fagioli trattati con morfina, pirocatechina e tante altre sostanze non contengono una quantità di amido maggiore alla normale. Colla quantità di amido sta naturalmente in relazione la crescita delle foglie, mentre l'aumento di clorofilla è compatibile anche con un assai limitato svi- luppo delle piante. Osservando la riproduzione eliografica si può agevolmente comparare la quantità di amido contenuto nelle foglie delle piantine che ricevettero rispettivamente la teobromina (fig. 15), la morfina (fig. 16) e la pirocatechina (fig. 17). Serie VII. Tomo VII.-1919-1920. 4 ERO Dosamento delle sostanze assorbite. Nel corso delle esperienze descritte in questa e nelle precedenti Memorie non ci era- vamo in genere occupati di ricercare se le sostanze somuninistrate alle piante venissero assorbite, come appariva probabile, oppure se la loro azione fosse determinata da uno stato di sofferenza locale delle radici. Anche per vedere in che quantità le sostanze even- tualmente assorbite si trovassero nell’ interno delle piante abbiamo eseguito alcune espe- rienze con corpi già sperimentati quali la trimetilamina, la piridina, la piperidina, la caf- feina, la teobromina e la pirocatechina. A tal fine vennero seminati il 5 maggio i fagioli in sei germinatloi di ferro zincato ed il 19 maggio si cominciò l’ innaffiamento quotidiano colle rispettive soluzioni a 1 per mille. Trimetilamina — La sostanza fu impiegata allo stato di fosfato e le piante così trattate vennero prelevate, alquanto sofferenti, il 31 maggio. Per dosare la trimetilamina, le piante tagliate al colletto ed accuratamente lavate vennero triturate e distillate col vapore dopo avere aggiunto un eccesso di potassa caustica. Il distillato acidificato con acido cloridrico venne evaporato a secco nel vuoto ed il residuo estratto con alcool. L’ estratto ‘alcoolico pesava gr. 0,7 pari a gr. 0.48 di trimetilamina. Per identificarlo con certezza venne preparato il cloroaurato che fondeva a 230°. ‘l'ale è il punto di fusione del cloroau- rato di trimetilamina. Piridina — La piridina fu impiegata allo stato di fosfato. Le piante vennero prele- .vate il 10 luglio e pesavano gr. 282. Come nel caso precedente esse furono tagliate al colletto quindi lavate e trituvate. La poltiglia fu quindi resa alcalina con potassa ed il miscuglio distillato col vapore. La piridina venne dosaia nel distillato allo stato di clo- roaurato come fu altrove descritto (1). A tal fine il liquido, neutralizzato con acido clori- idrico venne trattato con cloruro d’oro, quindi concentrato a bagnomaria fino che comin- ciavano a separarsi a caldo dei cristalli. Dopo raffreddamento, il cloraurato di piridina, ‘che si separa pressochè quantitalivamente, venne filtrato e pesato. Se ne ottennero gr. 0,2458 pari a gr. 0,046 di piridina vale a dire 0,16 per mille parti di piante fresche. Piperidina — Anche quesia sostanza fu somministrata allo stato di fosfato. Le piante vennero prese in lavoro il 10 giugno; il loro peso era di gr. 245. In esse si dosò la pipe- ridina nel modo indicato per la irimetilamina. Si ottennero gr. 1,6510 di cloridrato pari a gr. 1,15 di piperidina cioè il 4,70 per mille delle piante fresche. Caffeina — Le piante che ricevettero la caffeina vennero prese in lavoro il 31 maggio. Le foglie erano in parte disseccate perciò furono pesate soltanto dopo essiccazione a 100.° Il peso era di gr. 26. Per dosare la caffeina venne preparato colle piante un estratto ac- quoso a caldo che fu concentrato a piccolo volume, trattato con ossido di magnesio ed il miscuglio, evaporato a secco, polverizzato ed estratto con cloroformio. Evaporato il solvente (1) Queste Memorie, serie VII, tomo IV, pag. 82 (1917). DN il residuo venne ripreso con acqua calda ed il liquido filtrato ed evaporato a secco lasciò per residuo la caffeina nella quantità di gr. 0,2218 pari a 8,50 per mille di piante secche. Teobromina — La teobromina fu impiegata allo stato di sale potassico. Le piante vennero prelevate il 4 giugno; seccate a 100° pesavano gr. 36. Per il dosamento. della teobromina si preparò con esse un estratto acquoso a caldo che, dopo concentrazione al volume di 100 ce. venne bollito per 20 minuti con gr. 5 di acido solforico. Il liquido fil- trato venne trattato con acido fosfomolibdico in eccesso ed il precipitato separato per filtrazione dopo un giorno di riposo e lavato con acido solforico al 5 per cento fu trattato con barite; il miscuglio saturato con anidride carbonica ed evaporato a secco. Il residuo fu infine estratto con cloroformio in apparecchio Soxhlet. Per evaporazione del solvente rimase la teobromina nella quantità di gr. 0,0958 vale a dire il 2,66 per mille sulle piante secche. Pirocatechina -- Le piante trattate colla pirocatechina vennero prese in lavorazione il 19 giugno. Il loro peso era di gr. 164. Con esse venne preparato un estratto acquoso. Per dosare la pirocatechina l’ estratto si esaurì con etere e la soluzione eterea, liberata dagli acidi dibattendola con carbonato sodico, venne evaporata a secco. Il residuo tenuis- simo non dava la reazione della pirocatechina con cloruro ferrico. Non essendo quindi presente la sostanza ricercata se ne deduce o che la pirocatechina non viene assorbita 0, più probabilmente che essa viene rapidamente distrutta dalle piante (1). Le esperienze descritte in questo capitolo dimostrano dunque che le varie sostanze somministrate vengono assorbite dalle piante in modo che esse ne contengono talvolta in quantità assai notevole. Epperò è da ritenersi che gli effetti determinati non siano da ascriversi soltanto ad una azione locale esercitata sulle radici. Esperienze su altre piante. Oltre che sui fagioli vennero sperimentate, come si disse in principio di questa Memoria, alcune sostanze anche su altre piante e precisamente sulle zucche, sulle fave e sui pomo- dori. In genere gli alcaloidi che si dimostrarono tossici per i fagioli lo furono anche per le altre specie sperimentate; ma l’azione fu talvolta meno pronta e le manifestazioni non sì dimostrarono altrettanto caratteristiche, dimodochè le prove fatte fino qui ci hanno insegnato che i migliori soggetti per questo genere di esperienze sono sempre i fagioli. ESPERIENZE SULLE ZUCCHE — Le sostanze sperimentate sulle zucche furono: la caffeina, il teobromato potassico, il tartarato di nicotina e il fosfato di tetrametilammonio. Per le tre prime sostanze si adoperarono germinatoi zincati; per la base quaternaria un germi- natoio di vetro. La semina fu eseguita il 28 maggio e l’innaffiamento si iniziò il 13 giugno. (1) Questa supposizione è avvalorata dal fatto che là pirocatechina viene prossochè completamente distrutta anche dalle poltiglie di spinaci. Vedasi la nostra IX Memoria in queste Memorie, serie VII, tomo VI, pag. 81 (1916-17). DApyo Ri i Le piante trattate con caffeina presentavano due giorni dopo |’ innaffiamento i bordi appassiti; in seguito le foglie si andavano seccando. Il 5 luglio |’ esperienza fu abbando- nata perchè le piante erano morte. La feobromina determinò qualche giorno dopo il trattamento ai margini e al centro delle foglie delle zone di un verde più chiaro. Il fenomeno presentava qualche somiglianza con quello causato dalla stessa sostanza sulle foglie di fagioli; era però molto meno ap- pariscente. Le piante, ancora in vita, vennero gettate il 5 luglio. La nicotina esercitò un’ azione marcatamente tossica senza che apparisse il caratteri- stico albinismo da noi più volte osservato sui fagioli: si formarono numerose macchie giallastre sulle foglie che condussero in breve all’arresto dello sviluppo e alla morte delle piante che il 5 luglio vennero gettate. i Anche il fosfato di tetrametilaminonio si dimostrò velenoso per le zucche. Circa una settimana dopo il trattamento le prime foglie assumevano al centro un colore pallidissimo mentre le seconde foglie venivano emesse del tutto prive di clorofilla. Lo sviluppo fu com- pletamente arrestato e le piante, seccate, vennero gettate il 2 luglio. ESPERIENZE SULLE FAVE — Sulle fave vennero sperimentate le seguenti sostanze: caffeina, tartarato di nicotina, tartarato di morfina, tartarato di codeina e fosfato di tri- metilamina. La semina si eseguì il 17 maggio in germinatoi di ferro zincato e 1 innaffia- mento venne iniziato il 3 giugno. Tutte le sostanze sperimentate all’infuori della morfina si dimostrarono tossiche per le fave alle quali impartivano gli stessi caratteri cioè l’ annerimento delle foglie e poi dei fusti. Tali fatti apparvero prima nelle piante traltate con caffeina, il 9 giugno; poi, il 10 giugno in quelle trattate con nicotina e trimetilamina ed infine il 13 giugno nei soggetti che ricevettero la codeina. La morfina, come fu detto, si dimostrò innocua. L'esperienza venne abbandonata il 2 luglio. ESPERIENZE SUI POMODORI — Sui pomodori venne sperimentato: la caffeina, il teobromato potassico, il tartarato di nicotina e il fosfato di tetrametilammonio; le tre prime sostanze in germinatoi zìncati, l’ultima in germinatoio di vetro. La semina fu eseguita il 28 maggio e l’innaffiamento si iniziò il 13 giugno. La caffeina si dimostrò, come per tutte le altre piante, fortemente tossica; già il 16 giugno le foglioline cominciavano ad ingiallire ed il 20 giugno erano completamente seccate. - La teobromina non determinò fatti molto rimarchevoli all’ infuori del disseccamento dell’ apice delle foglie che peraltro non provocò la morte delle piante. I soggetti che ricevettero la nicotina presentavano cinque giorni dopo il trattamento i bordi delle foglie colorati in giallo-verdastro manifestando così un albinismo simile a quello determinato nei fagioli, ma assai meno spiccato. I fenomeni tossici causati da questa sostanza furono limitati. Il fosfato di fetrametilamimonio determinò presto | arresto dello sviluppo mentre il colore delle foglie diventava pallidissimo. Tutte le piante relative a queste esperienze vennero gettate il 5 luglio. : Riassunto e conclusioni. Nel quadro che segue riassumiamo i risultati di quelle esperienze descritte in questa prima parte della Memoria, che possono essere rappresentati in forma tabellare. ESPERIENZE SUI FAGIOLI. SOSTANZA SPERIMENTATA AZIONE ESERCITATA Metilamina. Fenomeni tossici poco rimarchevoli. Etilamina. Azione fortemente tossica che produce il rapido disec- camento delle foglie. Propilamina. Tossicità più limitata della precedente. Butilamina. Meno tossica della propilamina. Amilamina. Meno tossica della butilamina. Isoamilamina. Disseccamento delle foglie semplici, albinismo delle foglie composte; tossicità superiore a quella dell’amilamina normale. Formamide. Fenomeni tossici che si manifestano coll’appassimento delle foglie primordiali ed una tinta più chiara al centro delle foglie composte. Acetamide. Sviluppo normale. Acido butirrico. Sviluppo pressochè normale. Acido isobutirrico. Tossicità abbastanza limitata, ma evidente che si ma- nifesta coll’appassimento e la caduta delle foglie semplici e collo sviluppo ritardato. Acido ossalico. Tossicità limitata. 30 — SOSTANZA SPERIMENTATA Acido succinico. AZIONE ESERCITATA Meno tossico dell’ acido ossalico. Tartarato di potassio. Sviluppo normale. Tartarato di metile. Tossicità limitata. Tartarato di etile. Maggiormente tossico del tartarato di metile. Sali di tetrametilammonio. Fortemente tossici. Betaina. Lievemente tossica. Piridina. Sviluppo normale. Picolina. Lieve effetto tossico. Chinolina. Fortemente tossica : le piante appassiscono al colletto e si ripiegano. Isochinolina. Effetto analogo a quello della chinolina. Chinaldina. Effetto analogo a quello della chinolina e dell’ isochi- nolina, ma alquanto più accentuato. Cocaina. Fortemente tossica: già le prime foglie si coprono di chiazze e le piante si seccano rapidamente. Ecgonina. Meno tossica della cocaina: le foglie appassiscono par- Etere metilico della nor-ecgonina. zialmente e si ricoprono le chiazze brune. Le piante pe- | raltro continuano a vivere. Fenomeni tossici più limitati analoghi a quelli deter- minati dall’ ecgonina. Nor-ecgonina. Sviluppo normale. ALTRA] ESPERIENZE SULLE ZUCCHE. SOSTANZA SPERIMENTATA Fosfato di tetrametilammonio. AZIONE ESERCITATA Fortemente tossico; le foglie sono completamente prive di clorofilla; lo sviluppo è arrestato. Caffeina. Fortemente tossica : le foglie si disseccano e le piante muoiono. Teobromina. Fenomeni di albinismo assai meno appariscenti di quelli già osservati sui fagioli. Azione tossica limitata. Nicotina. Azione marcatamente tossica : lo sviluppo si arresta in breve e le piante muoiono. ESPERIENZE SULLE FAVE. SOSTANZA SPERIMENTATA AZIONE ESERCITATA Trimetilamina. Azione marcatamente tossica che si manifesta coll’an- nerimento delle foglie e dei fusti. Caffeina. Effetto analogo al precedente, ma un poco n rapido. Nicotina. De analogo a quello della trimetilamina. TRA Effetto analogo ai precedenti, ma un po’ meno rapido. Morfina. i Sviluppo normale. ESPERIENZE SUI POMODORI. SOSTANZA SPERIMENTATA AZIONE ESERCITATA Fosfato di tetrametilammonio. Lo sviluppo viene presto arrestato; le foglie assumono una tinta assai pallida. Caffeina. Azione fortemente tossica, che determina in breve il disseccamento delle piante. Teobromina. Disseccamento dell’ apice delle foglie che peraltro non | determina la morte delle piante. Nicotina. Fenomeni di albinismo simili a quelli già osservati sui fagioli, ma assai meno appariscenti. Tossicità limitata. Nel precedente specchio sono riassunti i risultati dell’ influenza che esercitano sulle piante una serie di sostanze da noi prescelte allo scopo di estendere e approfondire quanto avevamo osservato nelle precedenti annate. Come abbiamo già messo in rilievo nell’ intro- duzione, i radicali alcoolici ed acidi esaltano )’ azione tossica delle sostanze organiche e le prove di quest’ anno confermano pienamente tali risultati. Nelle esperienze dello scorso anno avevamo osservato che |’ isoamilamina aveva un’ azione decisamente tossica sui fagioli epperò appariva opportuno compararne l’ azione coll’ amilamina normale ed estendere la ricerca alle altre amine normali inferiori, per stabilire l'influenza della lunghezza della catena, siccome appariva probabile che 1° azione tossica stesse con questa. in qualche relazione. Realmente la tossicità diminuisce gradual- mente dall’ etilamina all’ amilamina in modo che quest’ ultima è assai poco velenosa. La metilamina è peraltro assai meno tossica dell’ etilamina e questo fatto di singolare rilievo potra dare origine ad ulteriori studi. Come era da prevedersi, l’ isoamilamina, CH, CH,/ normale, CH, — CH, — CH, — CH, — CH, NH,, assai più velenosa ed inoltre determinò un caratteristico albinismo che ricorda quello prodotto dalla nicotina. Questa corrispondenza può essere accidentale, ma è senza dubbio strana poichè l’ isoamilamina, come noi abbiamo trovato, accompagna la nicotina nel tabacco. Anche questo fatto potrà servire di punto di CH — CH, — CH, NH,, si mostrò, in contrasto a quanto fu osservato coll’ amilamina partenza per ulteriori studi. La velenosità dell’ isoamilamina in confronto coll’ amilamina normale dipende eviden- temente dalla presenza di un secondo metile nel radicale alcoolico legato al residuo a LL dell’ammoniaca. Eta però opportuno ricercare se anche in altri casi la catena spezzata esercitasse un’ analoga influenza. Ed è realmente così, perchè | isobutirrato potassico, CHX CH,/ Ci parve inoltre interessante esaminare il contegno delle amidi per compararlo a CH-— C00K, è più velenoso del butirrato normale, CA, — CH, — CH, — COOK. quello delle amine; abbiamo sperimentato la formamide, 7 — CONZ,, e l’ acetamide, CH, — CONH,, ma soltanto la prima determinò un’ apprezzabile azione forse per. la pre- senza in essa del radicale aldeidico. L’acido ossalico, COOH — COOH, sì è dimostrato un poco più tossico del succinico, COOH — CH, — CH, — COOH, ciò che sta in buona armonia coll’ influenza della lunghezza della catena normale già osservata per le amine. Alle esperienze fatte l’anno scorso col salicilato di metile in confronto col salicilato di potassio, appariva opportuno aggiungerne qualche altra per mettere in evidenza |’ azione dei radicali alcoolici negli eteri composti sulle piante di fagioli. A tal fine abbiamo pre- scelto anche per la loro grande solubilità i tartarati di metile e di etile che in compara- zione del tartarato polassico, innocuo, si dimostrarono alquanto velenosi ed il secondo più del primo. Nelle esperienze fatle finora non avevamo esaminato l’ influenza dei metili nei nuclei eterociclici non idrogenati, all’ infuori dell’ indolo e metilindolo dove, per 1’ insufficiente solubilità di quest’ ultimo, la prova rimase incerta. Abbiamo sperimentato però la pividina, C, H, N, in comparazione nella metilipividina o picolina, 0, H,(C4,) N, e mentre la prima, come già avevamo trovato l’anno scorso, permette uno sviluppo normale, la seconda esercita un lieve effetto tossico; la regola dell’infiuenza dei metili resta così ulteriormente provata, ma essa è meno evidente che nei derivati idrogenati della piridina perchè mentre la piperidina, C, H,, NH, è soltanto lievemente tossica, lo sono in grado molto elevato i suoi derivati come ad esempio 1’ n-metilipiperidina, €, Ho N. CH,, e la conina, C, H, (C, H.) NH. Potrebbe però darsi che l’ idrogenazione avesse pure essa un’ influenza e anche questo punto invita a nuovi studi. In più stretta relazione cogli indoli stanno, come è naturale, le chinoline e per questo motivo abbiamo esaminato l’ azione deila chinolina e dell’ isochinolina in confronto colla a-metilchinolina o chinaldina. Tutte queste basi sono fortemente tossiche e attaccano le piantine di fagioli al colletto in modo da farle cadere e la loro azione ricorda però assai da vicino quella degli indoli; in questo caso peraltro si è potuto accertare che la chinal- dina è più velenosa delle due prime, che si equivalgono. Fra tutte le esperienze che abbiamo fatto finora per dimostrare l’ influenza dei radicali - alcoolici ed acidi sull’ azione dei composti organici nelle piante, forse la più dimostrativa e quella da noi eseguita la scorsa estate con la cocaina ed i suoi derivati. Questo alca- loide, come avevamo già dimostrato l’ anno scorso, esercita sui fagioli un’ azione decisa- mente e caratteristicamente tossica in modo da farli perire in pochi giorni. Impiegando quest’ anno, in comparazione colla cocaina, l’ ecgonina, |’ etere metilico della nor-ecgonina Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 5 PSA A 1ICA e la nor-ecgonina e però spogliando chimicamente per così dire il prodotto naturale di tutti i suoi ornamenti chimici, cioè del benzoile e dei due metili, CE Gn GH" C00NCH | A / C00CH, COTE CHIZOSCOCRHIA[CRHSSNOE i i mani e (0; Ho .] 0OC.H.0 CH,— CH — CH, i cocaina _/ COOH / C00. CH, / COOH (CL JE, INSELI|E CRITSENIETA CRHESNHII [ 7 10 A Ss OH [ 7 10 ] x OH [ 7 10 e OH, ecgonina etere metilico nor-ecgonina della nor-ecgonina abbiamo potuto dimostrare nel modo più evidente il contrasto biologico che esiste fra il composto fondamentale ed i suoi derivati. Menire, come s'è detto, la cocaina è fortemente tossica, lo è assai meno l’ecgonina, il cui effetto è uguale a quello, un poco più attenuato, dell’etere metilico della nor-ecgonina; la nor-ecgonina poi non esercita nessuna azione che turbi lo sviluppo normale dei fagioli. Questo risultato viene a confermare nel modo più efficace il concetto da noi già più volte esposto che cioè le piante modifichino i composti in guisa da accentuarne |’ azione che deve essere evidentemente diretta a qualche scopo bene determinato. È innegabile l’ influenza dei diversi radicali o delle catene laterali, sebbene sia ancora completamente oscuro il meccanismo chimico per il quale essi esercitano la loro azione negli organismi. Torna qui a proposito ricordare come anche la sostanza adibita alla più importante fun- zione nel regno vegetale, la clorofilla, contenga nel complesso pirrolico fondamentale e nel fitolo, tutta una serie di radicali etilici e metilici. L’anno scorso abbiamo messo in rilievo | effeito caratteristico determinato dai sali delle basi quaternarie, (C4,), NOA, sulle piante di fagioli. Ci è sembrato però utile com- pararne l’ azione con quella della betaina, COO4A.CA,N(CH,),0H, essendo anch’ essa un derivato quaternario. A differenza dei sali di tetrametilammonio la betaina si dimostrò soltanto lievemente tossica e su questo fatto, che è certamente rimarchevole, ritorneremo in seguito con altre esperienze. Come s'è detto fino dall’ introduzione, îi fagioli da noi im- piegati quest'anno appartenevano ad una varietà rampicante e crediamo si debba a questa particolarità se |’ abito assunto in seguito al trattamento coì sali di tetrametilammonio non corrispondeva a quello tanto caratteristico descritto l’ anno scorso. Come è già stato rilevato allora, le seconde foglie sembravano partire dallo stesso verticillo delle prime essendo il relativo fusticino assai ridotto. Colla varietà impiegata quest’ anno le piante deperivono anche più presto, ma non mostrarono affatto questa particolarità, che potrebbe forse stare in relazione col grande sviluppo degli steli che caratterizza appunto le piante rampicanti. 85, e Già altre volte (1) avevamo, accennato che fra le piante finora impiegate i fagioli comuni sono quelle che di gran lunga meglio si prestano ai nostri studi; il mais, le bar- babietole, il tabacco ed i lupini si mostrarono, a parità di condizioni, assai meno sensibili alle sostanze da noi sperimentate e se anche ne risentirono l’azione, non modificarono mai il loro abito. Per completare queste prove e ricercare se fra le altre piante comuni se ne trovassero di più adatte ed anche per vedere se il loro contegno corrispondesse a quello dei fagioli, abbiamo esaminato in quest’ anno le fave, le zucche e i pomodori. Il risultato non fu molto incoraggiante perchè con nessuna delle tre citate specie abbiamo raggiunti neppur lontanamente gli effetti che così spiccatamente presentano i fagioli. Tuttavia ab- biamo potuto rilevare che le sostanze per essi più attive come la trimetilamina, i sali di tetrametilammonio, la caffeina, la teobromina, la nicotina e la codeina esercitano un’ in- fluenza che corrisponde a quella osservata nei fagioli e presso a poco nella stessa gra- duazione in modo che la caffeina apparisce sempre la più tossica e le altre in corrispon- dente misura. Gli effetti specifici sull’ abito delle piante li abbiamo osservati sopra tutto nei pomodori con la nicotina, che presentarono il fenomeno dell’ albinismo sebbene in imodo assai meno appariscente e marcato. La morfina che fu sperimentata solo sulle fave si dimostrò, come per i fagioli, la meno tossica. Queste esperienze dimostrano dunque che gli alcaloidi esercitano un’ azione tossica su varie specie di piante sebbene in forma ed in grado diversi. Avevamo rilevato già l’anno scorso che le sostanze tossiche da noi sperimentate influiscono sulla formazione dell’ amido e sulla sua scomparsa durante la notte e ciò segnatamente colla teobromina e colla caffeina. Con questi composti e sopratutto col primo le foglie appariscono pallide e variegate di giallo, di dimensioni maggiori delle normali e danno, a un certo punto dello sviluppo, la più intensa reazione coll’ iodio. D’ altro canto abbiamo avuto più volte occasione di insistere sul fatto che la maggior parte delle sostanze da noi impiegate determinavano nelle foglie un colore assai cupo e tanto da sembrare diverso da quello della clorofilla. In tutti questi casi peraltro, come ce ne avvedemmo già l’anno scorso, non si nota colla reazione dell’ iodio una quantità di amido superiore alla normale. Si trattava dunque di stabilire se la diversità di colorazione determinata dalle sostanze venefiche somministrate dipendesse da un nuovo pigmento o soltanto da una mag- giore produzione di clorofilla. Le esperienze surriferite hanno risolto completamente la questione ; l’ esame spettroscopico ha dimostrato che il colore più cupo delle foglie tante volte osservato dipende solamente da una maggiore quantità di clorofilla per cui questa non sta in relazione collo sviluppo della pianta. Invece le prove dirette ci. hanno dimostrato che alla maggiore intensità della reazione dell’amido osservata colla teobromina corri- sponde una grandezza ed un peso maggiore delle foglie. Si può concludere quindi che la quantità dell’amido prodotto non sta in relazione coll’ intensità di colore delle foglie e che mentre la maggior parte delle sostanze fossiche impiegate favoriscono quest’ ultimo feno- meno, ve ne sono delle altre, come la teobromina, che determinano |’ effetto inverso. Il (1) X Memoria, queste Memorie, serie VII, tomo V, pag. 16 (1917-18). persistere dell’ amido durante la notte nelle foglie dipende perciò probabilmente piuttos 0 da una più copiosa produzione che da un insufficiente riassorbimento. Resta provato quindi che le sostanze tossiche da noi sperimentate influiscono sulla funzione clorofilliana e ciò si accorda col fatto da noi riconfermato in quest’ anno con apposite esperienze che le sostanze somministrate alle radici non limitano la loro azione su queste, ma penetrano nelle piante come abbiamo provato con la trimetilamina, la piridina, la caffeina e la teo- hromina e come avevamo già dimostrato a suo tempo per la nicotina. Rimane natural mente assai difficile a spiegare per quale meccanismo chimico e biologico quest’ azione tossica sia determinata. SECONDA PARTE Nella nostra Memoria precedente abbiamo studiato le trasformazioni che subiscono alcune sostanze organiche in contatto colle poltiglie di spinaci, massime in comparazione colle azioni chimiche della luce studiate da Ciamician e Silber. In questa Memoria descriviamo le esperienze eseguite |’ anno scorso allo scopo di esaminare ulteriormente il contegno di qualche sostanza già sperimentata il cui studio era rimasto incompleto. Le prove vennero eseguite coll’ asparagina, l’acido lattico, l’ acido salicilico, acido mandelico e il mentone. : ASPARAGINA — L’ esperienza descritta nella nostra X Memoria aveva dimostrato che l’asparagina viene in gran parte distrutta dalle poltiglie di spinaci. Allo scopo di studiarne i prodotti di trasformazione abbiamo ripetuto la prova ponendo il 29 novembre rispetti vamente in due palloni, gr. 500 di poltiglia di spinaci con mezzo litro d’acqua e 10 gr. di asparagina ; il miscuglio sì lasciò in corrente di ossigeno fino al 27 gennaio. Il contenuto dei due palloni venne quindi riunito e si preparò con esso un estratto acquoso che si portò al volume di quattro litri. In una parte aliquota (200 ce.) vennero dosati gli amino- acidi col metodo della formalina, altrove descritto. Occorsero cc. 15,0 di soda decinormale, da cui si calcolano gr. 3,96 di asparagina in tutto |’ estratto in confronto dei 20 gr. introdotti. Tutto il rimanente estratto venne distillato in corrente di vapore per ricercare le aldeidi e gli acidi volatili. In una parte del distillato neutralizzata con carbonato sodico e ridistillata si fece la prova delle aldeidi col nitrato d’argento ammoniacale. La reazione fu positiva ed indicò la presenza dell’ a/deide acetica essendo riuscita negativa quella dell’ aldeide formica. Per ricercare gli acidi volatili, il rimanente liquido distillato venne bollito con carbonato di calcio, filtrato e concentrato nel vuoto fino a secco. Il residuo, venne sciolto in acqua e trattato con nitrato d’argento in difetto. A caldo il liquido annerì fortemente indicando la presenza dell’ acido formico. Si fece bollire fino a completa ridu- zione; dal filtrato, per precipitazione frazionata con nitrato d’ argento si ottennero due frazioni la prima delle quali diede all’ analisi risultati che si avvicinano, la seconda che corrispondono al sale di argento dell’ acido acelico. I - gr. 0,1462 di sostanza diedero gr. 0,0920 di Ag. II - gr. 0,1494 di sostanza diedero gr. 0,0960 di Ag. In 100 parti: calcolato per (,7,0,Ag trovato Ag 64,52 1 h) 63,00. 64,25 Il residuo della precedente distillazione col vapore venne filtrato ed estratto ripetuta- mente con etere. Per evaporazione del solvente si ottenne una sostanza oleosa commista con numerosi cristalli. Il miscuglio venne ripreso con acqua e decolorato con carbone : per filtrazione si ottenne un liquido che evaporato depositò dei prismetti fondenti a 185°, L’analisi indicò che erano costituiti da acido succinico. Mgr. 5,110 di sostanze diedero mgr. 7,60 di CO, e mgr. 2,31 di 40. In 100 parti: calcolato per 0,40; trovato C 40,68 40,58 H 5,08 i 5,06 I prodotti di trasformazione dell’ asparagina ritrovati furono quindi: aldeide acetica, acido acetico ed acido succinico. Acipo LartIco — Nella prova precedente con questa sostanza descritta nella XI Memoria, avevamo trovato che | acido lallico si autossida cogli enzimi vegetali per dar luogo all’ aldeide acetica. Per vedere in quale misura avvenisse la distruzione dell’ acido lattico, abbiamo, in questa esperienza, eseguito gli opportuni dosaggi. Il 15 novembre è stato messo, a tal fine, in corrente di ossigeno un pallone con mezzo chgr. di poltiglia di spinaci, mezzo litro di acqua e 10 gr. di acido lattico; come antisettico si aggiunse un poco di toluolo. Il 10 gennaio si prese il miscuglio in lavorazione; se ne preparò un estratto acquoso che venne portato al volume di due litri. Per dosare l° acido lattico, 400 cc. del- l’ estratto furono concentrati a piccolo volume; il residuo fu fatto assorbire da cotone idrofilo che venne quindi posto a seccare nel vuoto. Il cotone fu quindi esaurito con etere in apparecchio Soxhlet; l’ acido lattico rimasto dopo evaporazione del solvente venne tra- sformato in lattato di bario e questo estratto col alcool. Evaporato il solvente venne cal- cinato il residuo; le ceneri richiesero ce. 12,3 di acido cloridrico seminormale, corrispon- denti a gr. 2,952 di acido lattico in tutto 1° estratto. Per vedere se l’ acido lattico si fosse in parte legato in un composto scindibile dall’ emulsina, abbiamo esaurito con acqua il cotone precedentemente estratto con etere e il liquido ottenuto venne lasciato per 24 ore in contatto con un poco di emulsina. Dosando di nuovo |’ acido lattico col metodo indicato si ottennero numeri corrispondenti a gr. 2,192 di acido lattico. La quantità totale di acido latlico trovata in confronto ai 10 gr. introdotti, fu quindi di gr. 5,14, di cui quasi la metà era legata in un composto scindibile dall’ emulsina. AI ACIDO SALICILICO -- Le esperienze coll’ acido salicilico descritte nella nostra IX Memoria avevano dimostrato che anch' esso in contatto della poltiglia di spinaci veniva in parte ossidato. Per studiarne ulteriormente il contegno abbiamo posto in corrente di ossigeno il 15 novembre un pallone con mezzo cher. di poltiglia di spinaci, mezzo litro d’acqua e 10 gr. di acido salicilico. Il 18 dicembre si fece l’ estratto acquoso del miscuglio che venne portato al volume di due litri. Per dosare l’ acido salicilico, una parte aliquota dell’esiratto (700 ce.) venne esaurita con etere: evaporato il solvente rimase un residuo di gr. 0,56 pari a gr. 1,60 in tutto l’ estratto. La maggior parte dell’ acido salicilico non era perciò estraibile dall’ etere; per vedere se si trovasse tutto o in parte combinato in un composto scindibile dall’ emul- sina; 200 cc. del liquido acquoso precedente venne lasciato per 24 ore in contatto coll’ en- zima. Agitando di nuovo con etere si ottennero gr. 0,215 di acido salicilico vale a dire gr. 2,15 in tutto | estratto primitivo. Infine, il liquido che aveva subìto i due tratttamenti venne acidificato con acido sol- forico e nuovamento dibattuto con etere; si ebbe un residuo di g. 0,65 che dava ancora la reazione dell’ acido salicilico. Per ricercare gli acidi volatili che si sarebbero potuti formare nell’ autossidazione, abbiamo distillato un litro dell’ estratto acquoso primitivo dopo acidificazione con acido solforico, in corrente di vapore. Gli acidi distillati vennero al solito trasformati in sali di calcio e questi trattati con nitrato d’argento. Per ebollizione si ebbe l’annerimento, indizio della presenza di acido formico. Concentrando il liquito filtrato si ottenne una piccola quantità di sale argentico la cui analisi diede numeri che si avvicinano al sale dell’acido propionico. I - mgr. 4,280 di sostanza diedero mgr. 2,506 di Ag. II - mgr. 3,584 di sostanza diedero mer. 2,100 di Ag. In 100 parti: calcolato per C,4.0,Ag trovato Ag 59,65 Ir 58,55 58,59 L’ acido salicilico a contatto della poltiglia di spinaci era dunque in parte rimasto libero, e in parte combinato in composti scindibili rispettivamente dall’ emulsina e dall’ acido solforico diluito. Si ritrovarono infine piccole quantità di acidi volatili. ACIDO MANDELICO — L'esperienza eseguita l’anno scorso con questa sostanza ci aveva dimostrato che essa si trasforma quasi completamente in un composto che viene scisso dall’acido solforico diluito. Abbiamo ripetuto | esperienza quest’ anno colla speranza di poterlo isolare; i tentativi fatti in proposito riuscirono peraltro infruttuosi data la labilità del presunto composto per cui durante le manipolazioni, l° acido mandelico viene rimesso in libertà. Venne posto in corrente di ossigeno il 15 novembre un pallone contenente 500 gr. di poltiglia di spinaci, mezzo litro d’ acqua, 10. &r. di acido mandelico e un poco di toluolo. fre (9)g ace L’1l gennaio si preparò colla massa un estratto acquoso che venne portato al volume di due litri. Una parte aliquota del liquido, dibattuta con etere, non cedette al solvente acido mandelico che appariva quindi, in qualche modo, completamente combinato. Un altra parte aliquota (100 cc.) venne acidificata a freddo con acido solforico ed estratta con etere. Eliminando il solvente si ottenne un residuo oleoso misto a cristalli. Per separare questi ultimi si riprese con acqua che scioglie soltanto i cristalli; il liquido filtrato, dibattuto con etere dette un residuo cristallino costituito da acido mandelico del peso di gr. 0,22 ossia gr. 4,40 in tutto il primitivo liquido acquoso. Altri 100 ce. dell’ estratio primitivo vennero fatti bollire con acido solforico diluito per un'ora a ricadere. Col procedimento precedente si ottennero gr. 0,42 di acido man- delico, corrispondenti a gr. 8,40 in tutto |’ estratto. Una nuova parte aliquota (100 ce.) fu messa a contatto per 24 ore con un poco di emulsina. Essa cedelte all’etere or. 0,40 di acido mandelico pari a er. 8 in tutto l’estratto. Dei 10 gr. di acido mandelico impiegati, almeno otto appaiono quindi legati in un composto scindibile dall’ acido solforico diluito e dall’ emulsina; per cercare di separarlo dal liquido acquoso in cui avrebbe dovuto esser contenuto, abbiamo evaporato a secco nel vuoto l’ estratto acquoso primitivo ed il residuo bollito a ricadere con etere acetico. Per evaporazione del solvente si ottenne un residuo cristallino costituito ancora da acido man- , delico ; ciò sta a dimostrare che durante |’ operazione il composto si era scisso. Numerosi altri tentativi fatti in questo senso non ci diedero risultati migliori. (om questa esperienza si è dunque confermato che l’ acido mandelico, in contatto delle poltiglie di spinaci si trasforma nella quasi totalità in un composto parzialmente scindibile dell’ acido solforico a freddo e completamente dall’ acido solforico a caldo ed anche dal- l’emulsina, senza peraltro potere con ciò riconoscere la sua natura. MENTONE — Colle esperienze eseguite | anno scorso su questa sostanza, avevamo dimostrato che, in contatto colle poltiglie di spinaci essa dà origine agli acidi grassi for- mico, acelico e propionico e a piccole quantità di acido succinico. Per vedere se si fossero formati allri prodotti di ossidazione del mentone, abbiamo ripetuta l’esperienza con quantità maggiore di sostanza. Vennero a (al fine posti il 18 gennaio in cinque matracci, rispetti- vamente 500 gr. di poltiglia di spinaci, mezzo litro d’acqua, gr. 10 di mentone e un poco di toluolo. I matracci, riempiti di ossigeno e chiusi alla lampada si lasciarono a sè fino al 10 marzo. Il contenuto dei palloni venne quindi neultralizzato e distillato per eliminare il mentone rimasto inalterato. Se ne riottennero gr. 35,7 dei 50 impiegati. Il residuo della distillazione, acidificato con-acido solforico fu distillato in corrente di vapore allo scopo di ricercare gli acidi volatili. Il distillato, saturato con calce venne concentrato a piccolo volume e dopo aver eliminato l'eccesso di calce con anidride carbonica fu filtrato ed eva- porato a secco. Si ottenne un residuo di gr. 17,8. Tvattato frazionatamente con nitrato d’argento dimostrò di essere costituito, come nell’ esperienza dell’anno scorso, dai sali degli acidi formico, acetico e propionico. Il residuo della distillazione col vapore diede un estratto elereo del peso di gr. 2,36 costituito da un olio e numerosi ‘cristalli. Questi separati per filtrazione e purificati dal- — 40 — l’acqua fondevano a 185° e furono riconosciuti per acido succinico; il loro punto di fusione rimase invariato mescolandoli con quest’ ultimo ed anche | analisi ne stabilì. con esso l’ identità. mg. 3,222 di sostanza diedero mg. 4,84 di CO, e mg. 1,48 di 4,0. In 100 parti: calcolato per C,4,0, trovato C 40,68 40,91 H 5,08 5,14 Nella parte oleosa abbiamo cercato di separare le sostanze in essa contenute mediante l’acetato di fenilidrazina supponendo la presenza di acidi aldeidici o chetonici, ma non abbiamo potuto ottenere che piccole traccie di ossalato di fenilidrazina che, come si sa, è insolubile e assai caratteristico. Questa esperienza ha dunque confermato i risultati ottenuti l’ anno scorso; inoltre la presenza dell’ acido succinico è stata dimostrata in modo più completo. CONCLUSIONI. Le esperienze descritte in questa seconda parte non ci hanno condotto a risultati essen- zialmente nuovi rispetto a quelli già ottenuti negli anni scorsi; tuttavia alcuni fatti sono stati meglio accertati ed alcune supposizioni altre volte avanzate poterono essere escluse. La trasformazione che subisce l’asparagina per azione degli enzimi vegetali in presenza di ossigeno è dovuta in parte ad un processo di ossidazione per cui si formano assieme all’ aldeide acetica, gli acidi formico, acetico e forse anche propionico ed oltre ad essi piccole quantità di acido succinico. La formazione di quest’ ultimo dall’ asparagina è dovuto a un processo fermentativo perchè )° acido succinico è stato riscontrato nei prodotti di putrefazione delle proteine (1). Abbiamo voluto ripetere 1° esperienza col mentone, ma non siamo giunti a risultati diversi da quelli ottenuti lo scorso anno, che rimangono così confermati. Il mentone, per autossidazione in presenza dei fermenti vegetali produce, oltre agli acidi grassi inferiori, piccole quantità di' acido succinico ciò che dimostra come il processo di ossidazione sia assai più profondo di quello determinato dalla luce e dagli ordinari ossidanti. Le esperienze cogli acidi lattico, salicilico e mandelico avevano lo scopo di vedere se anche i due primi dessero origine a composti di natura ignota scindibili dall’ emulsina e dagli acidi diluiti come avevamo osservato per 1’ ultimo, il quale subisce tale trasforma- zione pressochè completamente. Difatti abbiamo potuto dimostrare che tanto l’ acido lattico che il salicilico oltre a ossidarsi parzialmente, si trovano combinati in modo che 1° etere (1) Czapek, Biochemie der Pflanzen, vol. II, pag. 86 (1905). Bra, Ale non li estrae. Vogliamo ricordare a questo proposito che anche, come avevamo osservato gli anni scorsi, gli acidi succinico e tartarico possono incontrare una simile combinazione. Per scoprire la natura di questi composti ci siamo affaticati invano perchè tutti i tentativi fatti segnatamente a proposito dell’ acido mandelico che, come s’ è detto, dimostra questo fenomeno nel grado più eminente, sono rimasti infruttuosi. Abbiamo più volte esternato la supposizione che queste misteriose combinazioni potessero essere di natura glucosidica perchè realmente inoculando nel mais la saligenina avevamo potuto ottenere la. salicina. Il fatto poi che questi composti erano scindibili dall’ emulsina avvalorava questa supposi- zione. L’ esperienze fatte quest’ anno coll’ acido mandelico ci hanno però dimostrato che non poteva trattarsi della formazione di un glucoside. Anzitutto doveva apparire strano che gli enzimi degli spinaci potessero trasformarlo in modo completo in glucoside, mentre tutte le nostre precedenti esperienze avevano dimostrato che tale trasformazione avviene assai parzialmente. Inoltre il risultato negativo ottenuto nei tentativi di estrarlo con etere acetico rendeva poco probabile 1° esistenza di un composto di tale natura; ma la prova decisiva l’ ottenemmo nel trattamento cogli acidi diluiti per l’azione dei quali si riebbe quasi integralmente l'acido mandelico, ma non si potè rinvenire nel liquido nessuna traccia di zuccheri riduttori (1). Assai probabilmente si tratterà di combinazioni molto labili perchè bastano i più lievi interventi per determinare almeno una parziale decomposizione. Anche in quest’ anno siamo stati coadiuvati dalla Sig.na Dott. Paolina Cicognari per la cui diligente ed efficace collaborazione Le esprimiamo la nostra riconoscenza. Rin- graziamo pure il Dott. Emilio Sernagiotto che con grande cortesia eseguì le micro- analisi qui riportate e ci aiutò nella laboriosa preparazione e purificazione di alcune so- stanze impiegate per queste esperienze. (1) L'assenza di glucosio nell’ estratto esaminato si spiega perchè, come abbiamo esposto nella nostra X Memoria il glucosio scompare completamente per azione degli enzimi degli spinaci in corrente di ossigeno. Serie VII. Tomo VII 1919-1620. 6 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Figura 1 - Piantine innaffiate con etilamina dal 19 maggio - Fotografia del 5 giugno. » 2 - Piantine innaffiate con propilamina dal. 19 maggio - Fotografia del 5 giugno. » 3 - Piantine innaffiate con butilamina dal 19 maggio - Fotografia del 5 giuguo. » 4 - Piantine innaffiate con amilamina dal 19 maggio - Fotografia del 5 giugno. » 5 - Piantine innaffiate con isoamilamina dal 19 maggio - Fotografia del 5 giugno. » 6 - Piantine testimoni - Fotografia del 5 giugno. » 7 - Piantine innaffiate con butirrato potassico dall’ 11 luglio - Fotografia del 9 agosto. » 8 - Piantine innaffiate con isobutirrato potassico dall’ 11 luglio - Fotografia del 9 agosto. » 9 - Piantine innaffiale con cocaina dal 18 giugno - Fotografia del 29 giugno. » 10 - Piantine innaffiate con ecgonina dal 18 giugno - Fotografia del 4 luglio. » 11 - Piantine innaffiate con etere metilico della nor-ecgonina dal 18 giugno - Foto- grafia del 4 luglio. » 12 - Piantine innaffiate con nor-ecgonina dal 18 giugno - Fotografia del 4 luglio. » 13 - Dimensioni di una foglia di piante innaffiate con teobromina. » 14 - Dimensioni di una foglia testimone della stessa età. » 15 - Reazione dell’ amido in una foglia di piante innaffiate con teobromina. » 16 - Reazione dell’ amido in una foglia di piante innaffiate con morfina. » 17 - Reazione dell’amido in una foglia di piante innaffiate con pirocatechina. Il VIAL Pn | Fig. 9. Fig. 10. Fig. 11. Fig. 12. ANCORA DEL TAGLIO AD U ROVESCIATO DELLE PARETI ADDOMINALI MEMORIA Prof. Comm. GIUSEPPE RUGGI letta nella Sessione dell’ 11 Gennaio 1920 Egqregi Colleghi, Nell Ottobre scorso (1919) ho fatto conoscere ai colleghi della nostra Società Italiana di Chirurgia, radunatasi in Trieste miracolosamente redenta, il mio novello metodo d° incidere le pareti addominali. È questo un taglio a lembo unico delle pareti stesse, assai ampio, avente la sua base d’ attacco in basso subito sopra il pube e che ho chiamato: Taglio ad U rovesciato (1). Del caso clinico, che mi determinò a questo originale intervento, parlai di nuovo alla fine del passato Novembre alla Società Medico Chirurgica di Bologna. Desidero però ritornare di bel nuovo sull’ argomento allo scopo di generalizzare quello che fu il prodotto di un ben studiato caso clinico, il quale mi offre argomento per ulteriori considerazioni, a mio avviso, di non poco valore pratico. Mi avvenne più volte di osservare nel mio lungo esercizio chirurgico che, mentre le cognizioni teoriche sono spesso atte a guidare il pratico nella adozione di razionali interventi operatori: mi avvenne ancora di notare che, alcuni fatti clinici, possono con- durre allo studio di metodi o di processi operatori aventi una assai più estesa appli- cazione. È naturale che, in questo secondo caso, il concetto nuovo non può scaturire che in base a precedenti cognizioni teoriche esattamente raccolte e bene assimilate. Ma perchè possiate formarvi un’ idea esatta dell’ argomento che ho in animo trat- tare, permettetemi che vi faccia conoscere anzi tutto, dirò così, il vero nocciolo della questione. Lo Sprengel nel 1910, in un suo dettagliato studio, sull’ incisione delle pareti addominali, diretto alla cura delle più svariate lesioni endo-addominali, veniva a questa mirabolante conclusione e cioè che : Nelle laparotomie il taglio sulla linea mediana era rigorosamente da proscriversi. (1) Ruggi. — Taglio ad U rovesciato delle pareti addominali (Policlinico - Parte pratica, Fasc. 43. — Roma 26 Ottobre 1919). Q Serie VII. Tomo VII 1919-1020. — 50 -— Basandosi egli su una serie di osservazioni di anatomia normale, volle dimostrare che, dato |’ andamento dei fasci muscolari e fibrosi, appartenenti ai tre grandi mu- scoli Jarghi dell’ addome, era da preferirsi | uso di tagli trasversali ed obliqui fatti a seconda dell’ andamento delle accennate fibre, perchè meno lesivi dei muscoli, dei nervi e dei vasi che i muscoli stessi animano o danno nutrimento. Posto ciò, sarebbero, a suo dire, minori le spiacevoli conseguenze, quali, le distrofie muscolari, le ernie ven- trali, gli sventramenti e via dicendo successive all’ eseguito intervento (1). Tanto esa- gerata asserzione del valoroso, quanto infelice chirurgo alemanno che lasciava la vita sul campo di battaglia durante |’ immane lotta che tutto il mondo commosse, non fu certo ascoltata dalla grande maggioranza di coloro che di laparotomie s° interessano. I chirurghi tutti seguitarono e tuttora seguitano ad aprire il ventre incidendo a preferenza sulla linea mediana; più di rado, ai lati dei muscoli retti addominali, servendosi del così detto taglio pararettale. Anzi quest’ ultimo taglio che è pure in direzione verticale, qualora non debba servire a dominare il fondo del bacino, offre il vantaggio di porre |’ apertura del peritoneo a riparo del muscolo retto che viene rotato all’ interno durante | incisione di quello; per lo che più salda riesce la cica- trice o per meglio dire più difesa la parte interna della ferita dalla pressione endo- addominale. Non pertanto si può con tutta tranquillità asserire che il taglio mediano delle pareti addominali ha dato e dà tuttora la possibilità pratica d’ azioni grandiose, deci- samente trionfali, visto le molteplici e svariatissime sue portentose applicazioni. — Basterebbe a dimostrare ciò tutta la serie degli interventi operativi eseguiti per la cura di processi patologici endo-addominali e del piccolo bacino, appartenenti agli organi genitali muliebri, nonchè alla vescica orinaria della donna e più ancora a quella del- l’uomo. Si giustifica con. ciò |’ espressione di Taglio sublime impareggiabile dato alla incisione laparotomica sulla linea mediana che può poi essere vario per sua estensione e sua localizzazione pratica. Però, ad onta di tutto questo, non si deve disconoscere che, date alcune speciali indicazioni, è necessario ricorrere ad altre ed assai diverse inci- sioni delle pareti addominali le quali è bene conoscere e sapere razionalmente ap- plicare. Ma non fu certo primo lo Sprengel a tener discorso intorno a quelle mo- dalità tecniche e più ancora a saperle applicare con profitto. Fino dal 1889, dovendo io eseguire l’ asportazione di un tumore posto nell’ ipocondrio sinistro, feci uso di un taglio trasversale delle pareti addominali sul fianco sinistro, posto due dita trasverse sotto 1° arco costale corrispondente (2). Si trattava di un cancro della coda del pancreas, che fu anche il primo caso del genere registrato nella storia della Chirurgia. (1) Sprengel Langenbeck. — Archiv. Vol. 92. pag. 536. (2) Ruggi — Intorno ad un caso di carcinoma primitivo della coda del pancreas. (Giornale Internaz. S. M. Anno XII. Napoli 1890). SR IS Sullo stesso argomento ritornai dipoi nell’ adunanza della Società Italiana di Chi- rurgia tenutasi in Roma nel 1891, parlando a preferenza della splenectomia con spe- ciale riguardo alla sua tecnica (1). Il taglio trasversale da me ideato, proposto ed eseguito, lo fu di poi impiegato per molteplici operazioni quali, oltre le sopra indicate, i tumori retroperitoneali tutti, iper- plastici e neoplastici, nonchè quelli decisamente infettivi, posti nella parte alta della cavità addominale. Tale pratica è fondata sulle indicazioni seguenti : 1° — Possibilità di raggiungere più facilmente lo scopo, aprendo e dominando il tessuto cellulare retro-peritoneale, talvolta senza ledere il cavo peritoneale stesso. 2° — Possibilità di eseguire, con tecnica razionale, lo svuotamento del liquido e l applicazione di drenaggi oltremodo efficaci, perchè posti in posizione declive. 3° — Sicurezza di una cicatrice successiva tenace, che tolga il pericolo di possibili ernie ventrali nel punto operato. Un simile laglio, anche in questa nostra guerra, ha avuto, per mia parte e per quella di diversi miei ottimi allievi, larghe applicazioni. Nelle ferite, per esempio, del fegato, della milza, dei reni, in una parola in tutte le lesioni dei visceri sottodia- frammatici, il taglio trasversale sottocostale delle pareti addominali, raggiunse sempre il più efficace successo. Il taglio trasversale sottocostale delle pareti addominali, io lo eseguii, come ho detto più sopra, fin dall’ Agosto del 1889. Non mi consta che altri prima di me abbia impiegato. Il solo Pé an, che mi ha seguito dappresso in questa pratica, con- sigliava il taglio trasversale delle pareti addominali nelle nefrectomie. Il suo metodo lo rese noto nel 1894 al Congresso di Roma. Di questo Egli parlò poi ampiamente nel Tomo IV della sua opera, pag. 416. Chiamò tale metodo : Nefrectomie lombo-abdominale où trasversale. Però il Péan conosceva già il taglio da me eseguito fino dal 1889, e questo lo deduco dalla esposizione succinta che egli fa del mio caso d’ asportazione del tumore della coda del pancreas. Nello stesso volume a pag. 968, parla appunto del mio taglio « laterale, oblique, d) de la paroi abdominale dans le flanc gauche ». I concetti che mi guidarono a questa pratica sono a preferenza fondati sull’ ana- tomia delle pareti addominali, nonchè sulla disposizione del cavo addominale sotto- diaframmatico, dove parti anatomiche importantissime e visceri vitali si annidano e sono fra di loro in istretto contatto, essendo isolati e contemporaneamente congiunti dal peritoneo, che forma la grande insaccatura, dell’ importanza della quale siamo tutti bene convinti. Questa ampia sacca che costituiva per i vecchi chirurghi un’ inco- gnita dolorosa, si rese dopo molte prove e frequenti grandi disillusioni, di facile accesso e di sicura trattazione, date le regole stabilite che si devono rigorosamente (1) Statistica delle laparotomie con speciali considerazioni intorno alla tecnica della splenectomia. (Roma 1892). Pale DI seguire. Però, qualora lo si possa, è sempre prescritto da tutti i chirurghi d’ incidere le pareti addominali senza aprire il cavo peritoneale. Se poi sia necessario aprirlo, è bene fare. le incisioni per guisa che, data la possibilità di un’ infezione, questa dia facile sfogo ai liquidi versati o che si potessero successivamente versare nel cavo peritoneale. Ora questa pratica, oggidì da (uiti i miei allievi riconosciuta salutare, si ottiene con sicurezza mediante |’ indicato taglio trasversale neila parte alta delle pareti ad- dominali. Per esso si raggiunge in addietro il cellulare retro-peritoneale e si rende sicuro lo svuotamento di questo recesso, come della cavità degli omenti, parti nelle quali per le vene ed i linfatici numerosi che attraversano il diaframma viene favorito grandemente |’ assorbimento dei liquidi. Ma io dicevo che anche speciali anatomiche disposizioni delle pareti addominali trovavano nel taglio trasversale da me ideato la loro logica indicazione. Anzi tutto si deve tener calcolo dell’ andamento dei fasci muscolari dei tre grandi muscoli costituenti la cintura dell’ addome, aventi tutti i loro punti d’ attacco in ad- dietro; e sulla linea mediana (grande obliquo, piccolo obliquo e trasverso). Tale con- dizione anatomica fa sì che, senza volere sottilizzare la cosa, come ha voluto fare successivamente lo Sprengel, i singoli fasci muscolari divisi dal coltello chirurgico si possono assai facilmente e più tenacemente riunire mediante sutura di quello che sulla linea mediana. Questo vantaggio risentono in ispecie i soggetti aventi le pareti del ventre di soverchio distese ed i fasci aponeuvrotici distrofici. In simili casì si nota più che mai la difficoltà di riunire con punti di sutura fasci di fibre che sono posti nella stessa direzione di essi. La dove invece i fasci di fibre da riunire nella loro grande massa, sono presi dai fili di sutura in senso opposto al loro andamento, si ha la maggior possibilità anzi la certezza di una tenace e duratura riunione delle parti. E tanto vero ciò che, nelle laparotomie con taglio trasversale, mai vidi verificarsi disgiungimento di parti e presenza di ernie secondarie alla riunione avutasi di prima intenzione, anche se questa non si ottenne in totalità, stavte la presenza attraverso della ferita stessa di grossolani drenaggi. Ma anche la disposizione anatomica tutta speciale dei muscoli retti dell’ addome nel loro tratto superiore all’ ombellico, rende possibile la facile e salda riunione delle parti. Diffatti i muscoli predetti, al disopra deil’ ombellico, assumono rapporti del tutto speciali colle aponeurosi dei muscoli larghi dell’ addome che li rendono cen queste connessi e tutelati per modo da potersi, anche se tagliati trasversalmente, con tutta facilità e sicurezza ricongiungere. E questa una disposizione ben diversa da quella che si osserva al disotto dell’ ombellico, specie nel tratto più basso. Quivi i muscoli retti, incisi trasversalmente, non possono venire ricongiunti, appunto perchè mancano della tutela aponeurotica che esiste in alto e che fa una cosa sola con essi. Al disopra dell’ ombellico infatti le accennate aponeurosi formano come degli astucci, alla composizione dei quali concorrono, da una parte le fibre del grande obliquo che passano al davanti dei muscoli retti per ricongiungersi sulla linea mediana per prendere parte alla formazione della linea alba; e, dall’ altra 1 obliquo interno che passa parte in avanti e parte in addietro del muscolo retto dove è quivi rinforzato dalle fibre del- l’ aponeurosi appartenente al muscolo trasverso addominale. Si aggiunga a tutto ciò l’ esistenza, al disopra dell’ ombellico, delle intersezioni tendinee muscolari, le quali, essendo tenacemente riunite in ispecie all’ aponeurosi dell’ obliquo esterno e della por- zione anteriore dell’ obbliquo interno, formano un tutto unito coi muscoli predetti. Data |’ accennata disposizione, i muscoli reiti al disopra della cicatrice ombellicale formano come tanti ventri muscolari, aventi saldi rapporti colle aponeurosi robustissime dell’ addome, colle quali si possono successivamente ricongiungere, anche quando sono incisi trasversalmente. Fu appunto, in base a queste stesse cognizioni anatomiche che feci già un tenta- tivo di lembo addominale in un caso che esposi in questa nostra sede allorchè parlai, nel 1908 intorno ad Alcuni casi. importanti di Clinica chirurgica, relativi all’ ap- parecchio della digestione. In quella raccolta di casi clinici importanti, ve ne era uno singolarissimo caratterizzato dalla fuori uscita di un lungo tratto d’ intestine tenue, attraverso delle regioni ombellicali. La donna era stata vittima di un disgraziato intervento operatorio nel quale, l’ abilità del chirurgo non era stata sufficiente ad impedire che una porzione d’ intestino tenue uscisse fuori e si stabilisse definitiva- mente all’ esterno delle pareti addominali. Or bene, in questo caso, per evitare d’ in- cidere nei contorni dell’ ansa, evidentemente infetti, praticai un taglio verticale para- rettale sinistro, esteso dal legamento del Falloppio alla base del torace. « Io speravo, scrivevo allora (1), di potere per questa via raggiungere efficace- >» mente |’ intestino fuori uscito dalle pareti addominali; ma una serie infinita di b) » aderenze; e l° intricata disposizione anormale delle anse intestinali me lo impedirono. » Praticai allora un taglio trasversale diretto all’ interno della regione epigastrica, » incidendo i muscoli retti. Mi fu dato così di raggiungere e dominare il tratto » d’intestino che io dovevo curare ». Il taglio trasversale dei muscoli retti al disopra dell’ ombellico, fu da me pra- ticato in base ai concetti anatomici sopra esposti. Così in altri casi ho usato talvolta il taglio trasversale bilaterale sopra dell’ ombellico, in modo che l addome veniva diviso completamente in senso trasversale. Ho usato ancora un taglio trasversale in unione ad un taglio mediano ventrale, in modo. da formare un lembo costituito da tutto il quadrante inferiore di un lato dell’ addome, associato a parte della parete corrispondente alla regione colica. Ma per tornare al caso ultimamente esposto, anche il taglio trasversafe, unito al taglio parareltale non furono sufficienti per formarmi un concetto esatto delle parti poste al disotto dell’ ansa fuori uscita. Fui obbligato perciò ad aprire sulla linea mediana infetta per modo che, dopo l’ operazione ebbi fenomeni locali tossici che misero in (1) Luogo sopra citato. Accademia Scienze dell’ Istituto di Bologna. Serie VI. omo V. Tip. Gam- bevini e Parmeggiani. Bologna 1908. pericolo il buon risultato definitivo della cura: Ciò avvenne perchè non ebbi allora la visione chiara del problema che bisognava più radicalmente risolvere. Ora questo si sarebbe verificato seguendo la mia nuova concezione operatoria costituita da un taglio a lembo tutto nuovo ed originale delle pareti addominali. Mi sono sentito autorizzato di praticare ciò in un caso assai grave; ed io penso che detto taglio possa avere ulteriori importanti applicazioni. L’ occasione me la offerse uno dei nostri feriti di guerra il quale presentava una fistola stercoracea nella parte anteriore mediana delle pareti addominali, associata ad altra fistola stercoracea posta nella parte superiore ed anteriore della coscia destra (fossa dello Scarpa). Ecco in breve la storia clinica del caso : C.... Fortunato, sergente maggiore nel .... artiglieria da montagna, il 24 Nov. 1917 alle 7 del mattino sul Monte .... fu ferito da un proiettile di fucile che penetrato quasi nel centro del quadrante inferiore sinistro dell’ addome attraversò obliquamente da sinistra a destra e dall’ alto in basso il cavo addominale, fuoriuscendo nella regione dell’ anca destra a livello del margine anteriore del grande trocantere. La sera dello stesso giorno, cioè 11 ore dopo, nell’ Ospedale da Campo N. 131 della 4* Armata, fu operato, previa narcosi cloroformica, di laparotomia mediana sottombellicale. Dalla cartella clinica di questo ospedale si rileva che, aperto il ventre, furono riscontrati numerosi fori nelle anse del tenue con distruzione di ampi tratti di parete intestinale; anche il ceco era perforato. Furono fatte tre resezioni intestinali, con anastomosi ter- mino-terminali; e, suturate altre perforazioni semplici. Il cavo peritoneale fu drenato alla Mikulicz; e le pareti vennero suturate. Ma il 9 Ott. cioè 14 giorni dopo | intervento, si era formata una fistola intestinale con fuoriuscita di abbondantissimo liquame dal punto del drenaggio. Il 15 Ott. essendo il malato in condizioni generali discrete, quantunque molto dimagrato, fu trasferito all’ Ospedale da Campo 0,20, dove rimase fino al 28 dello stesso mese, per essere quindi trasferito all’ Osped. Militare di Tappa di Verona. Di qui, per necessità di sgombero, fu fatto partire il 24 Genn. dell’ anno 1918 con ireno attrezzato diretto all’ Osped. Militare di Montecatini, ma, durante il viaggio, il paziente fu così tormentato per i dolori all’ articolazione dell’ anca destra, che gli procuravano le scosse della vettura, che fu d’ uopo depositarlo al posto di soccorso della stazione di Bologna. La mattina del 26 Genn. fu trasferito in Clinica Chirurgica. All’ esame del malato si osservava nel mezzo della cicatrice laparotomica una fistola intestinale della grandezza di una moneta da due centesimi, che dava esito a materiali fecali talvolta assai liquidi e verdastri, tal’ altra più cousistenti. La pelle per una ampia zona all’ intorno era macerata e sede di vivo dolore. L’ infermo era assai deperito e tormentato inoltre da dolori gravi all’ articolazione dell’ anca destra. Fu provveduto subito a guarire la macerazione cutanea con compresse di garza in- trisa di vaselina gialla e a limitare le perdite del contenuto intestinale, mantenendo la fistola chiusa per quanto fosse possibile con un tamponcino di garza. In breve le condizioni di nutrizione dell’ infermo migliorarono molto, specie nel primo mese di degenza e la fistola si restrinse tanto che il 17 Marzo si chiuse spon- taneamente, e tale si mantenne fino al 31 dello stesso mese, per comparire di nuovo e persistere quantunque di grandezza un po’ minore. In questo intervallo di tempo si era manifestata alla radice della coscia destra, che era sempre sede di dolori fin dal momento della ferita ricevuta dal paziente sul campo di battaglia, una tumefazione che gradatamente occupò tutta la fossa dello Scarpa. Devo aggiungere che la radiografia del bacino, fatta fin dai primi giorni di degenza del malato in Clinica, aveva dimostrata una lesione dell’ articolazione coxo-femorale destra con diminuzione di volume ed erosione della testa del femore. Il 3 Aprile per il rapido arrrossarsi della pelle, per la comparsa di gas e la febbre alta, fu d’ uopo procedere allo svuotamento della raccolta, ciò che feci pra- ticando nel triangolo di Scarpa una incisione di circa 12 centimetri con direzione pressochè parallela alla piega dell’ inguine. (Vedi figura). L’ apertura dette esito a pus e a malerie fecali. Fu provveduto poi in seguito a un migliore drenaggio con una contro-apertura alla faccia interna e un’ altra alla faccia posteriore della coscia. I tragitti vennero drenati con tubi di gomma. Si era in tal modo stabilita in questo soggetto una via di comunicazione tra. il lume intestinale e 1° articolazione coxo-femorale destra, comunicazione indubbiamente dovuta al passaggio del proiettile attraverso l’ addome e successivamente attraverso le parti costituenti 1° articolazione. Ciò risultava ad evidenza congiungendo con una linea immaginaria le due cicatrici che rappresentavano il punto d’° entrata e quello d’ uscita del proiettile stesso. Eravamo perciò in questo caso di fronte a due tramiti attraverso i quali fuoriuscivano i materiali fecali; uno nella parte inferiore, anteriore e mediana della parete addominale, 1° altro nella fossa dello Scarpa. Queste erano le condizioni del nostro infermo, quando mi decisi ad intervenire per guarirlo. ng Operazione — 24 Aprile 1918 — Narcosi morfio-eterea. Posizione del paziente leegermente inclinata verso le spalle. Eseguii la disinfezione accurata della parete addominale con alcool iodato; e pra- ticai la chiusura temporanea della fistola intestinale con due punti di seta passati attraverso la pelle e annodati sopra un piccolo piumacciolo di garza, posto nel centro della fistola. Imcisi di poi la pelle della parete addominale in modo da costituire una figura ad U rovesciato, i cui bordi laterali dal mezzo della piega inguinale d’ entrambi i lati risalirono verticalmente mentre la porzione curva attraverso tale linea xifo-ombellicale fu tracciata a sei centimelri circa sopra | ombellico. Approfondendo il tagliente nelle parti sottostanti e nella indicata direzione, scolpivo in tal modo un ampio lembo co- stituito da tutti gli strati delle pareti addominali che ribaltevo in basso sul pube. Nella faccia peritoneale di questo lembo rinvenni un’ ansa dell’ ileo adesa per un lungo tratto, colla superficie opposta all’ inserzione mesenteriale. L° adesione seguiva un de- corso orizzontale dal punto della fistola addominale, verso la fossa iliaca interna di destra. Staccata delicatamente quest’ ansa, ne risultò, a carico di essa, un’ ampia soluzione di continuo, trasversale, della lunghezza di circa 3 centimetri; nello stesso tempo fu messo allo scoperto nella fossa iliaca destra, un foro che riconobbi come il punto di comunicazione (ra il lume intestinale e la cavità acetabolare. Resecai il tratto dell’ ansa intestinale lesa, e unii i due monconi con una sutura termino-terminale. Praticai infine la chiusura del foro, che metteva in comunicazione il cavo addominale con la cavità acetabolare, mediante tre punti staccati di catgut, comprendenti il peritoneo circostante. Fatto questo, asportai completamente i tessuti attorno al seno fistoloso della parete addominale e, completata la pulizia del peritoneo suturai | ampia ferita con triplice strato con fili di catgut ed agra/ffes, dopo aver lasciati in posto due drenaggi fatti alla mia maniera con garza avvolta da guttaperca laminata, passanti attraverso il punto della vecchia fistola addominale, 1’ uno; e, l’altro, all'estrema destra dell’ inci- sione ad U. Il decorso post operatorio fu ottimo, cioè con scarsa elevazione di temperatura e senza risentimento peritoneale. I drenaggi furono cavati in quinta giornata ; uno, quello laterale fu sostituito da un altro più piccolo falto alla stessa maniera, e la- sciato in posto per altri. 4 giorni. Dopo venti giorni dalla operazione furono tolti anche i drenaggi della fossa dello Scarpa e quello che attraversava la coscia dal- avanti all’ indietro, sembrando che il pus fosse esaurito. Ma pochi giorni dopo, essendo questo ricomparso tanto nella fossa dello Scarpa, quanto nel punto del dre- naggio addominale laterale, furono drenate un’ altra volta entrambe le regioni, finchè, quando parve completamente finita la suppurazione ch’ era dovuta evidentemente alla lesione articolare, furono entrambi i drenaggi successivamente e definitivamente tolti, sì che il paziente era guarito in modo completo il 23 Giugno. L’ intestino sempre Sia funzionò regolarmente senza il minimo disturbo ; 1° articolazione dell’ anca era rimasta anchilosata con | arto però in buona posizione. Come risulta già dal sopra esposto, essendo convinto dello stato settico che pre- sentava la cute, in ispecie nella regione ipogastrica e nella radice della coscia destra, pensai senz’ altro d° applicare I’ accennato processo operatorio il quale, oltre ad una ampia apertura, mi dava la certezza d’ incidere su parti della cute relativamente asettiche. Oltre a ciò io avevo bisogno di raggiungere il cavo peritoneale in un punto dal quaie potessi dominare le comunicazioni intestinali. che alimentavano la fistola addominale e quella posta alla radice della coscia. Le due incisioni verticali furono eseguite in corrispondenza dei bordi esterni dei due retti addominali. Esse interessavano la cute ed il cellulare, nonchè successivamente il muscolo obliquo esterno, | interno ed il trasverso, mettendo allo scoperto 1 aponeurosi trasversalis. Dopo questo portai il tagliente in direzione trasversale ed arcuata in modo da raggiungere sulla parte mediana sopra-ombellicale i due muscoli retti che, divisi in senso orizzontale, attraverso di una intersezione tendinea. Completai infine il lembo, entrando in cavità, avendo però in antecedenza eseguito I’ emostasi temporanea. Aprii il peritoneo cominciando quindi dall’ alto, dove supponevo che le parti nell’ in- terno fossero pressochè normali. Questo taglio ad U rovesciato da me eseguito nell’ accennato caso e con molta fortuna, dietro il mio esempio è di già stato ripetuto dal mio ottimo collega Mattoli Chirurgo Primario nell’ ospedale civile di Chieti in un caso di gerave neoplasma e lesione del colon trasverso. Certamente io penso che il mio metodo non possa gene- ralizzarsi ma che debba di necessità essere riserbato a quei casi veramente eccezio- nali, nei quali gli altri tagli non possono venire con profitto applicati. Ad ogni modo mi lusingo che questa modalità d’ intervento debba segnare un progresso nella tecnica della laparotomia italiana. > Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 8 agg UE Lui ha Msi LAI si pi ii SERE DR 87 sg eu IPER u prat, el QAinem (UE n ph Galata x 2 Mimea di ana fi vp) Poi str sa i SULLA. VACCINAZIONE ANTITUBERCOLARE NOTA Pror GIOVANNI MARTINOTTI letta nella Sessione del 30 Maggio 1920. Da molti anni ho fatto scopo dei miei studi la cura della tubercolosi e fino dal 1896 ho pubblicato i risultati di esperienze da me fatte sull’ uso dei solfocianati per combattere iale malattia (1). Che quelle mie vedute intorno all’importanza dei composti cianici nella lotta contro il bacillo tubercolare avessero buon fondamento, anzi abbiano segnato l’ indirizzo ad altri per procedere nella così detta Chemoterapia della tubercolosi lo hanno riconosciuto il Rondoni (2) ed il Serono (3) e lo dimostra il falto della introduzione nella terapia antitubercolare del Ciano-Cuprolo del Koga, nonchè i recenti e promettenti tentativi del Rondoni (4) col cianuro doppio di nichelio e di potassio e del Serono (5) col Cupro-Cyau. Più tardi, lasciata quella via, mi volsi alla immuno-terapia, e, dopo lunghe esperienze negli animali, accompagnate da saggi fatti saltuariamente in malati di tubercolosi, sono giunto a preparare un Vaccino, che, distribuito a Cliniche Universitarie Mediche e Chi- rurgiche, a Tubercolosarii, ad Ospedali civili e militari, a medici di riconosciuta com- petenza, è in uso da varil anni. Non intendo esporre qui in disteso i risultati finora ottenuti: su di essi parleranno obiettivamente e chiaramente le relazioni dei Clinici che lo hanno provato. È di imminente pubblicazione una relazione del Prof. Remedi, Direttore della Clinica Chirurgica di Siena, sopra cento casi di tubercolosi chirurgica curati col mio Vaccino nella sua Clinica (6). (1) G. Martinotti. Dell’azione dei solfocianati sul decorso di alcune infezioni. (Rif. Med. 1896) Id. Ueber dle Einwirkung der Sulfocyanate auf den Verlauf einiger Infektionen (Centralblatt f. Bakteriologie, 1. Abt., XIX Band, 1896, N. 4-5). (2) Rondoni. La Chemoterapia della tubercolosi (Rivista critica di Clinica medica. Vol. XVII, 1916). (3) Servono. La Chemoterapia della tubercolosi ecc. Firenze 1919 pag. 4. (4) Rondoni. Ricerche sperimentali sulla Chemoterapia della tubercolosi ecc. (Sperimentale, anno 73, 1919). (5) Serono. loc. cit. (6) Prof. V. Remedi. Sopra cento casi di tubercolosi chirurgiche trattati col Vaccino antituber- colare Martinotti (Archivio italiano di Chirurgia, Vol. II, fase. 1, 1920). 2: AGO Una analoga pubblicazione della Clinica Medica di Modena, è in corso di stampa (1); altre simili relazioni sono in preparazione. Divò solo brevemente che il Vaccino ha dimostrato una indubbia efficacia in molte forme di così dette tubercolosi chirurgiche : adeniti, peritoniti, ascessi, tubercolosi del rene e dei genitali maschili, artro-sinoviti, osteili, ecc. Nella tubercolosi polmonare il Vaccino ha dato pure buoni e spesso ottimi risultati nei casi adatti. In questi si osserva la diminuzione e poi la scomparsa dei bacilli tuberco- lari dagli sputi; l’ abbassamento e poi la scomparsa della febbre; modificazioni dell’ espet- torato e diminuzione della tosse; miglioramento dei sintomi obiettivi polmonari e dello stato generale del paziente, fino a guarigione clinica completa e stabile, rilevabile anche con l’ esame radioscopico. Incerti furone finora i risultati ottenuti nella cura del Lupus, della tubercolosi laringea e delle forme miste o complicate di tubercolosi polmonare, nelle quali |’ uso del Vaccino non è da consigliare, come pure negli stadî avanzati della tubercolosi polmonare, nelle forme ad evoluzione rapida ed in altre simili contingenze, nelle quali del resto non è da pensare alla possibilità di una #nmunizzazione attiva. Scopo della presente comunicazione è di dare alcuni schiarimenti intorno al Vaccino e di precisare certi punti capitali del metodo immuno-terapico intorno a cui è necessario intendersi per procedere con profitto in questa via. Anzitutto è bene premettere che il Vaccino non è nè una iubercolina (come credono parecchi) e tanto meno un siero (come suppongono altri). Esso contiene, fra le alire so- - stanze, una proteina, ricavata da colture di bacilli tubercolari, la quale agisce come antigene ed è capace di produrre, in condizioni favorevoli, una immunizzazione attiva rispetto alla tubercolosi. Stabilito questo, sorgono spontanee le indicazioni e le contro-indicazioni del Vaccino: esso potrà venire impiegato con profitto quando nell’ organismo malato sussistono quelle condizioni che permettono lo stabilirsi di un’ utile immunizzazione attiva. Espressa in questi termini generali la cosa è facilmente comprensibile; ma può riescire difficile nei singoli casi precisare quando esistano o non tali condizioni. È presumibile che esse si trovino quando la malattia non è molio avanzata, quando non è complicata da infezioni secondarie, quando le condizioni generali del paziente sono relativamente buone, quando la nutrizione si compie abbastanza bene, quando il processo non lede profondamente la funzione di or- ganì importanti per la nutrizione e per la emopoiesi, quando esso non sì accoppia ad altre gravi infezioni (sifilide) ecc. Nei casi opposti sì può ritenere con probabilità che manchino tali favorevoli condizioni; le quali dovranno altresì mancare, o meglio, non potranno formarsi e sussisiere quando il processo si svolga con particolare rapidità, come nella tubercolosi miliare acuta, nelle forme di tisi cosidetta galoppante ecc. (1) Dott. E. Ruggeri. Contributo clinico alla terapia della tubercolosi polmonare col Vaccino Martinotti (Zubdercolosi, Vol. XII, 1920. fasc. 4). LIRE La pratica — ormai abbastanza lunga ed estesa — fatta col mio Vaccino ha dimo- strato che veramente le cose — considerate in linea generale — procedono in questo modo ; ima ha pure messo in evidenza delle eccezioni, sulle quali intendo tirattenermi per chia- virne (in quanto sarà possibile) la causa. Per es. è stato osservato che nei casi di tuber- colosi laringea, anche se limitati, il Vaccino non produce i soliti benefici effetti; anzi fu perfino notato che, coesistendo la tubercolosi laringea e la polmonare, questa è benefica- mente influenzata dal Vaccino, laddove 1° affezione laringea viene poco 0 punio modicata. In altri casi, già rilevati da molti, il Vaccino agisce favorevolmente, pure essendo il processo molto avanzato, con alte febbri, dimagramento, sudori notturni ecc. Un esame accurato delle singole osservazioni porta alla conclusione che in questi casi la gravità è legata piuttosto alla estensione del processo che non alla sua forma od al suo stadio. Ossia il processo tubercolare, pure avendo invaso una parte notevole del. pol- mone, non ha dato ancora luogo a distruzioni estese ed a fenomeni cavitarii, all’ intervento di allvi bacterii; talehè il Vaccino, dovendo agire contro il solo bacillo tubercolare ed avendo trovato nelle condizioni generali dell’ organismo circostanze favorevoli, ha potuto provocare quella somma di resistenze che portano alla difesa del corpo contro la invasione tubercolare. Più difficile riesce spiegare gli altri fatti, per foriuna meno frequenti, dell’ inefflcacia del Vaccino di fronte ad affezioni tubercolari in apparenza lievi. Anche qui occorre innanzi tutto isolare un certo numero di casi nei quali il processo tubercolare del polmone può essere all’inizio ma già complicato per coesistenza di altri bacterii, come probabilmente deve avvenire per la tubercolosi laringea, data la particolare ubicazione. Oppure può darsi che, accanto alla tubercolosi polmonare lieve diagnosticata, vi sia una tubercolosi intestinale, limitatissima e quindi non facilmente diagnosticabile, ma che rappresenta un focolaio di infezione. più resistente alla cura. Od infine può avve- nire che, accanto alla tubercolosi di apparenza non grave, il malato soffra di affezioni alle quali sul principio il medico non ha rivolto la sua attenzione; per es. una. sifilide occulta, affezioni del rene e del fegato non gravi e quindi non appariscenti, ma tali da pesare sul bilancio di un fenomeno così complesso e così delicato come è quello della immunizzazione. Eliminati anche questi casi, nei quali una spiegazione non sembra difficile, rimane un lieve numero di casi nei quali l’ interpretazione dei fatti urta contro maggiori difficoltà. E per risolverle occorre rivolgersi ad un altro ordine di idee. Si ritiene che la difesa dell’ organismo contro l’ infezione tubercolare sia dovuta alla presenza di azticorpi specifici che sorgono od aumentano nell’ organismo sotto | influenza dello stimolo vaccinale (6). Ma, se intorno alla esistenza di questi anticorpi sono abbastanza concordi nella maggioranza i patologi, molte e gravi incertezze regnano sulla loro natura, (6) Cfr. Loewenstein. Ueber Antikòrper bei luberkulose in: Kraus und Levaditi, l'echnik und Methodik der Immunitàtsforschung.— Erganzungsband. Jena 1911, p. 560 e seg. Serie VII. Tomo VII. 1919-1920, 8° PT) TS sulla loro origine, sul loro modo di agire ecc. (1). Non si sa ad es. se essi si formino nel sangue od in qualche determinato viscere, e se questo agisca da solo nella elaborazione di tali prodotti, oppure non intervengano anche altri organi, principalmente quelli a secre- zione interna, che tanta parte, come ognuno sa, hanno in molti fenomeni patologici. Che tale ipotesi non sia destituita di fondamento, lo dimostra il fatto della insufficienza surrenale che, specialmente secondo certi Clinici francesi (2), sarebbe assai frequente nella tubercolosi, ed il rapporto fra questa malattia e le funzioni della ghiandola tiroide, omai bene accertati per molteplici osservazioni (3). Ora basterebbe supporre che il virus tubercolare, nelle sue molteplici estrinsecazioni, arrestasse e modificasse fin dal principio il congegno funzionale di uno di questi organi che concorrono alla produzione degli anticorpi per avere la spiegazione del perchè, pure essendo il processo non molto progredito, non possa instaurarsi quel sistema di difesa a cui l’ organismo chiede la sua salvezza nella lotta contro l’ invasione tubercolare. Una questione che merita di essere presa in considerazione discutendo la immunità antitubercolare è quella della reazione termica che può seguire alla iniezione dei Vaccini. Quando si inietta la tubercolina ad un tubercoloso, questa reazione è costante ed ele- vata. Ma non bisogna dimenticare che la tubercolina è una sostanza eminentemente fossica, anzi contiene dei tossici elaborati dal bacillo tubercolare sopra substrati artificiali total mente diversi da quello in cui esso cresce nell’organismo animale (4). Inoltre le operazioni chimiche messe in opera per preparare la tubercolina sono molto energiche e iali da alterare profondamente dei composti organici anche resistenti, come pare siano le tossine della tubercolina. Onde si è, non a torto, obiettato che ]° immunità quale può essere data dalla tubercolina, non vale contro i veleni che il bacillo della tubercolosi produce nel corpo ammalato, ma contro le tossine eterogenee contenute nella tubercolina, se è vero che gli anticorpi hanno un valore strettamente specifico rispetto all’ antigene introdotio nell’ orga- nismo (5). Si è discusso molto, agli effetti della immunizzazione, se questa reazione termica data dalla tubercolina sia utile o dannosa. In genere è prevalsa quesia seconda opinione perchè (1) Calmette et Massol — Les anticorps tuberculeux et leur ròle dans la défense de l’ orga- nisme contre l’ infection tuberculeuse (Bulletin de l’Institut Pasteur, T. XIV, 1916 n. 2, 3, 4). (2) Sergent — L’insuffisance surrénale chez les tuberculeux; in Études cliniques sur la Tuber- culose. Paris, 1919 p. 401 e seg. (3) Cfr. le ricerche e le osservazioni di Gilbert et Castaigne, di Saathoff, di Bialocur, di Héllos, di Frugoni e Grixoni ecc. (4) Hayek — Das Tuberkolose - Problem.. Berlin 1920, pag. 164. (5) Much — Immunitàt in: Handbuch der Tuberkulose, Bd. I p. 316, Berlin 1914. Loewenstein — Uber luberkulinpreparàte zu diagnostischen und Heilzwecken in: Kraus und Levaditi, op. cit. vol. cit. p. 355. Dessau G. — Uber die biologischen Vorginge bei der Tuberkulinbehandlung. Munnch. med. Wochenschr., 1917, p. 323. Kossel — Cap. Tuberkulose in Fredberger u. Pfeiffer. Lehrbuch der Mikrobiologie, vol. II, Jena 1919, p. 462-463: Cara. si è tentato di ridurre al minimo tale reazione, sia adoperando dosi piccolissime di tuber- colina, sia preparando tale sostanza da colture di tubercolosi che meno profondamente si allontanino dalla composizione dell’organismo ammalato, sia adoperando nella preparazione metodi chimici meno aggressivi. Non intendo qui fare la critica di tale procedimento immunizzante (1): mi basti ac- cennare a quest’ ordine di fatti per far constatare che il mio Vaccino differisce in ciò totalmente dalla tubercolina, in quanto, adoperato a dosi convenienti, non è tossico. Gli effetti immediati che esso produce si possono distinguere nei seguenti tipi principali. Nella maggior parte dei casi |’ iniezione del Vaccino non provoca alcun innalzamento termico; anzi, se la iemperatura era superiore alla norma, si constata che dopo ogni iniezione la febbre si abbassa gradatamente fino a scomparire del tutto. Sono i casi migliori: quelli nei quali si può quasi essere certi che la malattia volgerà a guarigione. i Si danno altri casi, pure numerosi, nei quali all’ iniezione segue un rialzo di tempe- ratura, ma lieve e fugace, tanto che il malato non lo avverte e solo se ne accorge il medico che tenga dietro scrupolosamente al modificarsi della temperatura. Questi rialzi tendono a diminuire man mano nelle successive iniezioni fino a scomparire del tutto. Anche questi casì offrono le migliori probabilità per la prognosi. Vi sono dei casi nei quali alla prima iniezione del Vaccino tien dietro una reazione termica elevata, che impressiona il medico non uso ad adoperarlo. Per lo più questa ele- vazione termica non si ripete nella seconda, nella terza iniezione, oppure va man mano declinando e finisce collo scomparire. Sono casi che vanno trattati con un certo riguardo: bisogna attendere a fare 1° iniezione successiva finchè la reazione febbrile sia totalmente scomparsa e andare lentamente nel crescere le dosi. Finalmente vi è un’ ultima categoria di casi nei quali la reazione termica è molto elevata ed è accompagnata da nausee, da cefalea e da altre sensazioni sgradevoli. In questi casi si può tentare una seconda ed una terza iniezione, lasciando un lungo inter- vallo di tempo fra luna e l’altra. Ma purtroppo il più delle volte 1’ espediente non giova: si tratta per lo più di casi già molto avanzati di tubercolosi e complicati dalla presenza di infezioni secondarie, nei quali la malattia è già in uno stadio così avanzato che è assurdo pensare ad una immunizzazione. i Per spiegare la intensa reazione in questi malati si può supporre una saturazione del- l'organismo con prodotti tossici, in parte elaborati dal bacillo tubercolare e dagli altri germi concomitanti, in parte dovuti alle profonde alterazioni del metabolismo cellulare nei focolai tubercolotici. In quest'ambiente così gravemente alterato, uno stimolo qualsiasi può con facilità provocare gravi perturbamenti, di cui sono indice il rialzo febbrile e gli altri sintomi morbosi. Il fatto che queste reazioni possono anche comparire in casi di lesioni tubercolari non gravi ma complicate dalla presenza di altri bacteri, rafforza la (1) Aronson afferma che la tubercolina e la maggior parte dei preparati simili che si trovano in commercio z0n producono alcuna immunizzazione antitubercolare. (Aronson. — Experimentelle Unters. uber l'uberkulin u. Tuberkulose. (D. med. Wochenschr., 1914, n°. 10, p. 491). Lar o supposizione che essi siano dovuti ad infezioni secondarie, le quali non mancano mai nella tubercolosi polmonare avanzata. È noto del resto che le alte febbri, i sudori notturni, il dimagramento ece., che danno il quadro clinico della fis? alle forme di tubercolosi polmonare avanzata, sono da molti Clinici riferiti all’ intervento di altri bacterii e non all’ azione esclusiva del bacillo tubercolare. Tale interpretazione mi sembra sufficiente a spiegare i fatti; non escludo però che alcuni di essi potrebbero rientrare nei complessi fenomeni dell’anafilassi, argomento molto dibattuto a proposito della tubercolina e non ancora ben definito. Nella questione della immunità antitubercolare un punto importante merita di essere considerato: quello del valore e della durata di tale immunità. Nella lotta contro le malattie infettive l’ ideale che il medico si prefiege è quello di trovare sostanze che uccidano i germi patogeni senza nuocere all'organismo in cui essi svolgono la loro azione deleteria. Questo scopo è stato chiaramente indicato dal Vallisneri che fu (come in altro luogo (1) ho dimostrato) un vero precursore della dottrina del con- tagio animato in una magistrale lettera sul male contagioso dei buoi, la quale, con poche variazioni, potrebbe essere scritta ai giorni nostri e dovrebbe essere presente a chi si oc- cupi di tali argomenti, se gli Italiani, troppo facili ammiratori delle scoperte più o meno autentiche degli stranieri, non fossero spesso ignari e dimentichi e talora perfino sprezza- tori delle vere e erandi glorie della loro Patria. Scrive dunque il sommo naturalista: « basterebbe trovare un solo rimedio, anche sem- « plice e plebeo, e che forse nasce nell’orticello dei poveri, che fosse uno specifico veleno « alla cagione morbosa animata e non nocivo al corpo, dove soggiorna, che si sarebbe tro- <« vato il vero antidoto della peste. » Questo scopo è quello che si prefigge la chemoterapia, e su questa via (come ho ri- cordato in principio) mi ero io pure messo, additando nei composti Cianici delle sostanze capaci non di uccidere i bacilli della tubercolosi, ma di neutralizzare le tossine da loro prodotte nell’organismo: con che si giungerebbe allo stesso risultato di rendere inoffensivi 1 bacilli tubercolari. Le difficoltà però sono molte anche su questa via e, malgrado alcuni promettenti ri- sultati finora ottenuti, si deve riconoscere che la meta non è ancora stata raggiunta e forse non è tanto vicina. î Poichè non bisogna dimenticare che i bacilli della tubercolosi sono capaci di vivere e di adattarsi a crescere anche in liquidi che parrebbe dovessero riuscire loro nocivi in alto grado. Esperienze antiche e recenti hanno luminosamente dimostrato ciò (2). Le sostanze (1) G. Martinotti. Patologia generale delle malattie infettive, in: Cantani e Maragliano. 'Vvat- tato Italiano di Patologia e 'l’erapia Medica (p. 80-81). (2) Villemin. Action de quelques agents chimiques sur le devoloppement du bacillo de la V'u- berculose (in: Etudes espérimentales et cliniques sur la Tuberculose, tome II, Premier fascicule, p. 237, Paris 1868.) È RA a cui essì sono più sensibili (sublimato, fenolo, formalina ecc.) sono talmente tossiche per l'organismo che non si può affatto pensare a sterilizzarlo con esse senza ucciderlo; alcune poi si combinano rapidamente coi succhi organici e diventano perciò inefficaci contro i bacilli tubercolari. Nella immunoterapia si segue una via totalmente differente. Qui lo scopo non è più di uccidere i bacilli tubercolari o di neutralizzare le loro tossine, ma di rendere gli ele- menti del corpo resistenti agli attacchi dei bacilli della tubercolosi, sì che la loro azione venga frustrata. Si sa che i bacilli tubercolari agiscono stimolando le cellule del corpo a proliferare. Questa proliferazione, dovuta ad uno stimolo abnorme, non conduce però alla formazione di altre cellule normali, come nelle condizioni ordinarie, ma di elementi speciali, le cellule epitelioidi, fatalmente destinate a perire. Una volta che la cellula ha subito l'influenza di questo stimolo speciale, essa è perduta: le cellule epitelioidi nate da esse cadranno iu necrosi, sia per l’azione delle tossine tubercolari accumulate dai bacilli moltiplicatisi in sito, sia per la insufficente nutrizione dovuta al fatto che il processo tubercolare coinvolge nel suo estendersi i vasi sanguigni e li rende impervii, onde il nodulo tubercolare risulta, come è noto, privo di vasi. In questo detrito necrotico si moltiplicheranno i bacilli tubercolari, che aggrediranno le cellule vicine: si formerà così un focolaio tubercolare capace, per il ripetersi degli stessi fatti, di estendersi, in circostanze purtroppo frequenti, a tutto un or- gano e di diffondersi al corpo intero, se esso non sarà in grado di opporre le necessarie difese. Se invece le cellule normali non rispondono a questo stimolo abnorme e non prolife- rano, i bacilli tubercolari possono rimanere nel corpo, vivere nei succhi organici, moltipli- carsì limitatamente, versare nell’organismo i prodotti della loro limitata attività vitale e quindi influenzare in modo nocivo l'organismo che li ospita; ma non potranno esplicare l’attività patogena loro propria, ossia non determineranno lo sviluppo di un vero processo tubercolare con tutte le sue conseguenze e le sue complicazioni. Con altre parole, essi non saranno più dei parassiti, ma diventeranno dei saprofiti. È quello che avviene nella infezione tubercolare latente. Per osservazioni molteplici i patologi sono quasi tutti concordi nell’ am- Benario (citato da Loewenstein: in Kolle u. Wassermann-Handbuch der pathogenen Mikro-organismen, 2/te Aufl. Bd. V. pag. 626, Jena 1918) consigliò alla Hochster Farbwerke di prepavare una tubercolina arsenicale, facendo sviluppare su di un liquido arsenicale i bacilli tubercolari. Questi si abituarono a dosi sempre più alte di veleno cosicchè il loro corpo finì per contenere il 3% di arsenico. Nè Loewenstein, né Bandelier e Ropke, usando largamente questa emulsione, ricavarono alcun vantaggio nei malati. Più recentemente Charpentier (Bacilles tuberculeux et avsenie. Annales de 1° I- stitut Pasteur ll. XXXI, 1915 n. 9, p. 443) ripetè la prova con vavii composti arsenicali, e trovò che questi, anche a dosi molto elevate, non ostacolano lo sviluppo dei bacilli tubercolavi. Egli pure potè constatare che fin dalla prima cultura i bacilli tubercolari contengono il 0,6% di arsenico nel loro corpo. Rilevò altresì che b. tubercolari, cresciuti sulle ordinarie culture senza aggiunta di composti ar- senicali, contengono tuttavia delle quantità abbastanza notevoli di arsenico, proveniente dalla carne, dal peptone, dalla glicerina usati per preparare i substrati culturali. Dalle prove fatte risultò a lui pure che i bacilli tubercolari, sviluppati su mezzi arsenicali e contenenti arsenico nel loro corpo, non si sono modificati nella loro vivulenza, nè hanno acquistato nuove proprietà. SI eo mettere che, specialmente nei centri popolosi, una grandissima quantità di persone, sopra- tutto nell’infanzia e nella giovinezza, sia affetta da una infezione tubercolare latente, ossia porti, annidati negli organi, principalmente nei gangli linfatici, dei bacilli tubercolari vivi e virulenti (1). Questi possono rimanere celati e, fino ad un certo punto, inattivi per lungo fempo ed anche per tutta la vita, senza determinare lo svolgimento di un vero processo tubercolare; ma infiuendo sinistramente sulla evoluzione organica, preparando od aggra- vando quella costituzione ipoplastica che formerà poi il ierreno propizio per lo sviluppo del processo tubercolare. E quando cessi o s’indebolisca la resistenza dei tessuti, o per malattie intercorrenti, 0 per cattive condizioni igieniche, od anche per modificazioni nel metabolismo organico (quali quelle ad esempio che sono portate dal rapido e tumultuario sviluppo della pubertà) i ba- cilli tubercolari, presenti nel corpo, aggrediranno l organismo e provocheranno lo sviluppo del processo tubercolare. Ora nello immunizzare contro la tubercolosi, non si tende ad uccidere i bacilli, ma a renderli inoffensivi, rinforzando la resistenza degli elementi del corpo in modo che essi diven- gano inaccessibili alle aggressioni dei bacilli tubercolari; 0, se si vuole, si cerca di irasfor- mare la tubercolosi in atto in una tubercolosi latente, di far passare i bacilli tubercolari dallo stato di parassiti a quello di saprofiti (2). Ma bisogna ricordarsi bene che i bacilli tubercolari rimangono ancora, vivi e virulenti, per un lungo periodo di tempo nel corpo ani- male, pronti ad aggredirlo tostochè la resistenza organica venga a diminuire. Solo dopo anni ed anni e coll’aiuto di circostanze molto favorevoli possono essere completamente eliminati come corpi estranei ed allora, ma allora soltanto, si può parlare di una guarigione completa. In tutti gli altri casi - e formano la generalità - la guarigione è, se così si può dire, provvi- soria; può durare per lungo tempo, anche per tutta la vita, ma, permanendo i bacilli tuberco- lari nell’organismo, perdura, come sospeso sul capo del malato, il pericolo di una recidiva. Questi fatti che l’ osservazione clinica dimostra giornalmente collimano coi dati della patologia sperimentale. ì Si può iniettare ad animali sani e robusti dei bacilli tubercolari morti e perfino arti- ficialmente colorati e si vede (anche quando gli animali sono refrattari e non si formano per l’azione dei bacilli morti dei focolari tubercolari limitati) che i bacilli si annidano nelle parti più recondite dell’organismo (gangli linfatici, midollo osseo) e vi rimangono per molto tempo prima di essere eliminati. Ma gli esempi più istruttivi ci sono dali dalle prove di immunizzazione contro la tu- bercolosi, eseguile ormai estesamente negli animali. Tra questi ì più facili ad immunizzare contro la tubercolosi sono notoriamente i vitelli. Si può conferire ad essi un alto grado di immunità, dimostrabile coi mezzi di cui dispone la scienza odierna. Ebbene, anche in tali animali foriemente immunizzati, immunità scompare spontaneamente, senza causa apprezzabile, (1) Cfr Roemer. Die Ansteckungswege der Tuberculose in: Handbuch der Vuberkulose. Berlin 1914, Bd. I. p. 266 e seg. Hamburger. - l'uberkulose der Kinder, op. cit. I. V. pag. 2 e seg. Berlin 19I5. (2) Zagari. Sapvofitizzazione del bacillo tubercolare nell’organismo (Rif. med. 1919, N.° 47). dopo un periodo di tempo relativamente breve, per lo più dopo un anno; raramente dura di più (1). Fatto assai notevole ancora è che i bacilli tubercolari, introdotti nel corpo per immu- nizzarlo, vi rimangono vivi e virulenti; anzi Calmette e Guérin (2) vanno tanto oltre da supporre che la permanenza di tali bacilli sia condizione indispensabile per la persi- stenza dell’immunità. Ciò, a mio avviso, può forse spiegarsi supponendo che le tossine at- tenuate prodotte in scarsa quantità da questi bacilli continuino ad esercitare sulle cellule del corpo uno stimolo specifico che mantiene la loro resistenza. Fatti analoghi si riscontrano nell’immunizzazione dell’uomo contro la tubercolosi. Benchè il mio Vaccino sia applicato da pochi anni, sono già assai numerosi i malati, affetti da tubercolosi anche non lieve, guariti stabilmente, che non ebbero recidive anche se colpiti in seguito da malattie intercorrenti capaci di risvegliare un processo tubercolare che fosse appena sopito. Ma in alcuni malati, che pure presentarono i segni di una guarigione completa nel senso clinico, il processo tubercolare si risvegliò dopo parecchi mesi; però, curati di nuovo col mio Vaccino, poterono nuovamente guarire. Ciò conferma quanto sopra si è detto, che la immunizzazione non sterilizza |’ organi- smo, ma segna una tappa di arresto alla invadenza dei bacilli tubercolari, una sosta che può protrarsi anche per tuita la vita, ma che può essere interrotta e sospesa dopo un pe- riodo più o meno lungo di tempo. Non diversamente del resto vanno le cose per altri Vaccini curativi e specialmente per i Vaccini profilattici; lo stesso fatto si osserva anche nelle infezioni spontanee. Queste, al pari dei Vaccini artificiali, possono conferire una immunità la quale raramente è inde- finita ma ha una durata limitata, diversa peri diversi Vaccini e secondo circostanze della più varia natura. In conclusione non si deve credere, dopo aver guarito il malato, che egli non ricadrà mai più nella stessa malattia, anzi si deve avvertirlo che egli potrà facilmente ricadere; se è possibile gioverà tenerlo in osservazione e, quando si presenti il pericolo di una rica- duta, provvedere ad una rivaccinazione che, fatta preventivamente, avrà molto maggiore efficacia di una curativa, ossia dopo che la tubercolosi si sarà manifestata, senza contare il pericolo che il processo recidivi sotto una forma (tubercolosi miliare acuta, meningite tubercolare) nella quale il Vaccino non potrà più esplicare la sua efficacia. Ma non si può imputare all’immunoterapia ciò che è nella essenza stessa delle cose ossia nel fatto che le infezioni, anche guarite, possono recidivare. Chi oserà ripudiare il mercurio, il salvarsan ed altri simili rimedi perchè, anche dopo una cura magistralmente fatta con essi, anche dopo ottenuti i migliori risultati che (1) Roemer. Tuberkulosevaccin in: Kraus u. Levaditi op. cit. Vol. cit. p. 320. Vallée et Panisset. Les luberculoses animales, Paris 1920 p. 313. (2) Calmette et Guerin. Nouvelles recherches expérimentales sur la vaccination des bovidés et sur la sort des bacilles tuberculeux dans l’organisme des vaccinès (Ann. de l’ Institut Pasteur t. XXVII, f. 2, fevvier 1913 p. 162). ARE essi sono capaci di dare, la sifilide può, a varie scadenze, recidivare? O non deve bastare al medico il sapere che con quella stessa arma con cui ha guarito una volta l’ammalato potrà guarirlo una seconda, una terza volta? Nella terapia l'importante è di sapere bene quello che un rimedio è capace di dare, in quali casi e come debba essere impiegato; l'essenziale è di adoperarlo bene. Ed io, rimandando ad altra volta Ja discussione di altri argomenti riguardanti l’im- munità antitubercolare, termino ripetendo pubblicamente quanto mille volte ho particolar mente dichiarato, a voce e per iscritto, cioè che col mio Vaccino antitubercolare non ho mai inteso di porre nelle mani dei medici un rimedio capace di guarire tutti i casi di tu- bercolosi nelle loro proteiformi manifestazioni, ma soltanto di fornire all’arte medica un sussidio che, come tutti gli altri metodi terapeutici, adoperato con scienza e coscienza nei casi adatti, può rappresentare per il medico un’arma efficace nella lotta contro la ter- ribile malattia. — rl SULLA TEORIA DELLA RELATIVITÀ E SOPRA UN PROGETTO DI ESPERIENZA DECISIVA PER LA NECESSITÀ DI AMMETTERLA MEMO RIA TI DEL Prof. Sen. AUGUSTO RIGHI letta nella Sessione del 18 aprile 1920 1) /ntroduzione. - Questa mia quarta Memoria (1) sulla esperienza di Michelson e sulla Relatività, ha un duplice scopo, e perciò è stata divisa in due parti. Nella prima chiarisco certi punti fondamentali della mia teoria, i quali, certamente per colpa mia, non sono stati abbastanza ben compresi da qualcuno ; ciò che mi ha poi fornito 1° opportunità di completare la teoria stessa col tenere conto in essa della aberrazione che si produce per un osservatore, che osservi stando a distanza le frangie d’ interferenza, quando queste vengono considerate come localizzate nella « lamina equivalente ». La seconda parte ha invece uno scopo pratico, in quanto che riguarda la prepa- razione di un piano di esperienze, le quali varranno verosimilmente a decidere una buona volta, se i fatti obblighino o no ad ammettere la Relatività, e, in ogni caso, a dare una risposta sicura ad un quesito di interesse supremo, quale è quello di sapere se il moto rettilineo ed uniforme di un sistema influisca o no sui fenomeni ottici (ed eletiromagnetici) che in esso sì compiono. I 2) /potesi fondamentali. - Auche nella mia teoria della esperienza di Michelson si assume |’ ipotesi classica di un etere immobile, nel quale le onde si propagano con una velocità invariabile. Tale propagazione è quindi indipendente dal moto degli stru- (1) Per la Memoria I.: (L’ esperienza di Michelson e la sua interpretazione) veggasi: Mem. della R. Accademia di Bologna, 12 gennaio 1919, oppure il Nuovo cimento nov. 1918. Trovasi rias- sunta in Radium nov. 1919. Per la Memoria II: Memorie della R. Acc. di Bologna, 12 gennaio 1919, oppure il N. Cimento sett. 1918. È riassunta in Radiwn nov. 1919. Per la Memoria III (che porta il titolo un po’ differente : Sulle basi sperimentali della teoria della Relatività) veggasi: Mem. della R. Acc. di Bologna, 11 gennaio 1920, oppure il N. Comento aprile 1920. Certi punti particolari sono stati riassunti nelle Note comunicate alla Accademia di Parigi alle date 28 avril 1919, e 1 mars 1920. Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 9 EA menti, i quali influiscono soltanto su di essa al momento in cui, raggiunti dalle onde, producono la loro funzione. In particolare, il moto rettilineo ed uniforme di uno specchio imprimerà alle onde riflesse una speciale direzione, che la notissima costru- zione Huygens insegna a determinare; dopo di che le onde seguiteranno a propa- garsi nell’ etere immobile ignorando, per così dire, le loro precedenti vicende. E quanto avviene nell’ apparecchio di Michelson, costituito dagli specchi BIIB: (veggasi l’ unita figura) e dalla lastra AZ inclinata a 45°. Se delle onde piane OM si propagano nel senso 0A5,, mentre |° apparecchio è trascinato dalla traslazione terrestre colla velocità © in una direzione AV inclinata dell’ angolo S su OX, tali onde si pro- pagheranno senza che il moto dell’ apparecchio produca su di esse influenza alcuna, sinchè non accada che esse incontrino la lastra AZ la quale le rifletterà, avviandole però in una direzione AZ, generalmente diversa da quella AB, che avrebbero se non esistesse la traslazione. Le onde riflesse continuerebbero a propagarsi indefinitamente nella di- rezione 4/4 se non incontrassero lo specchio B, il quale le rifletterà in una certa direzione, che esse conserveranno invariata sino ad un eventuale nuovo incontro. Il metodo da me adottato per rendere conto degli effetti prodotti colla disposizione M,0, di Michelson consiste nel trovare la posizione delle due immagini virtuali MV,0,, è di un’ onda MO assunta come sorgente luminosa, dovute, la prima alle riflessioni su 2 AL e poi su B, l’altra su 5, e poi su AL. Le posizioni occupate da tali immagini, che costituiscono le due sorgenti coniugate producenti le frangie d’ interferenza, sono o riferite agli assi coordinati AB,X, A5B,Y collegati all’ apparecchio, e quindi mobili con questo nella «direzione AV colla velocità v. Si sono perciò determinate le coordinate 30 DAINO pure gli angoli ®,, D, dei quali le immagini 1,0,, 2,0, sono inclinate sull’ asse AX. ed X,,.Y, di O,, essendo O, ed O, le immagini virtuali di 0; come Naturalmente un’ onda che vada da un dato punto ad un aliro dell’ apparecchio non percorre lo stesso cammino come se traslazione non vi fosse. Per esempio, le onde riflesse da AZ non debbono percorrere esattamente una distanza di lunghezza A77 fra la prima e la seconda loro riflessione. Infatti, mentre esse si allontanano da AZ colla loro invariabile velocità c, e procedono verso lo specchio B,, questo si sposta ; e nella Memoria I è spiegato come si tenga esailo conto di tale spostamento. Oso supporre che dopo queste, che a me sembrano dichiarazioni esaurienti, nessuna incertezza possa rimanere in chi legge. 8) Formole generali. - Per quanto verrà esposto più avanti è comodo trascrivere qui le espressioni irovate per le coordinate e per le inclinazioni delle immagini, come pure alcune altre formole stabilite nel corso delle precedenti ricerche (1). I X = 2Ip° senò (send — così elio e=Ssenf20, p ( \ p ) lo (1) vi = 21 (1 s= p sen D) + p° sen? d) (2) vo= 20 (1 + psend + p°) : i I I ® =(c0s)—send)[p+-p%3send+-cosd)] I D, = p(così—send)—- p°1— sen 20) (3) pD —q=X®,—Y, pd, — a=XP®,— Y,(*) In queste ultime formole p e 9 sono le coordinate AV, YW del punto Z d’ incontro fra M0, ed M,0,. Nella seconda parte avremo bisogno di adoperare, invece delle (1) le formole seguenti, valevoli nel caso in cui lo specchio 5, sia stato girato di un angolo 4 come nella figura. 2lcosy cos (20, +U +0) sen (UV + 0) dx _ = ) } cos (20, + U) — p sen (0 — ) (4) ve 20 cos u cos (20, + U+-0,) cos (UL+-0,) Lr cos (20, + &) — p sen (d — u) O = zu + 20 + 20, (") Queste formole (1) e (2) furono date nella Memoria I senza darne anche la dimostrazione. Più tardi le (2) vennero dimostrate nel $ 3 della Memoria II, Si può dire che le (1) sono dimostrate nel $ 2 della stessa Memoria, perchè basta porre quivi p = 0. Le (3) sono dimostrate nella III; ma la prima di esse si desume a colpo d’ occhio dal triangolo 0,CZ della figura. Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 05 ae ET CD In queste formole compaiono gli angoli ausiliarii @, e O,; i cui valori sono dati da p sen (0 — L) sen (20, + 4) 1 1— psen(0 — u) cos (20 + 1) p (cos ì — sen d) go, =, = ($) 2— p(cosò — senò) In tutte le precedenti formole si è supposto, allo scopo specialmente di sempli- ficarle, che |’ onda incidente, presa come sorgente luminosa, sia assunta nella posi- zione passante per A, e cioè si è posto OA = a eguale a zero. Le formole stesse sarebbero valide anche se si assumesse una sorgente luminosa puntiforme come il punto 0, oppure anche, come usualmente negli apparecchi d° in- terferenza, una retta, la normale al piano di figura condotta per 0. Le sorgenti lu- minose coniugate generanti le frangie d’ interferenza sarebbero allora O, ed 0,. Il supporre la primitiva sorgente luminosa trasportata in A avrà il vantaggio di rispar- miare di tener conto della aberrazione, dovuta alla circostanza, che nell’ istante in cui giunge in A un raggio partito da 0, questo punto trovasi già in diversa posizione. Qualche altra formola, già stabilita nelle precedenti pubblicazioni sarà poi richia- mata in luogo opportuno. 4) La lamina equivalente. - Ho cercato di rendere conto dell’ effetto prodotto dall’ apparecchio di Michelson in due modi. Col primo (v. Memoria I. $ 3 e 5) ho preso in considerazione le frangie visìbili in un cannocchiale, che praticamente sarà sempre collocato al di sotto della lastra AZ e coll’ asse diretto sensibilmente secondo AY. Nel piano focale del suo obbiettivo si formeranno due immagini punti- formi 0, 0, (v. la fig. 5 della Memoria I) che produrranno frangie visibili attraverso l’ oculare. Come ho fatto notare nel luogo testè citato, mentre negli ordinari apparecchi d’ interferenza non suol esistere differenza di fase fra le due sorgenti coniugate, qui ne esiste una dovuta alla differenza di percorso Lp° fra i due raggi interferenti. La rotazione di 90° data all’ apparecchio produce due risultati, che sensibilmente fra loro si compensano ; e cioè : 1° quella delle due immagini coniugate, che era in ri- tardo di fase diventa in anticipo e viceversa; 2° le dette due immagini scambiano la loro reciproca posizione. Se, come fecero Michelson e Morley (allorchè presero ea eguale a f anzichè a _p nta 06 nel caso di è = 0, l° angolo B,AE) si trascura ar- bitrariamente un certo termine dell’ ordine di p°, le immagini M,0, ed 34,0, si rendono parallele fra loro, il secondo dei due effetti della rotazione viene a mancare. Ed allora si arriva alla conclusione erronea di uno spostamento di frangie corrispondente alla . . . 2 differenza di cammino 27°. (*) Qualche errore tipografico, che del resto un Lettore può correggere da sè, trovasi in queste formole nella Memoria II. PRA L’ altro metodo, che è più rigoroso, quello della « lamina equivalente » è stato poscia da me preferito, e merita tale preferenza se si tiene conto della aberrazione, come sarà spiegato più oltre. Come lamina equivalente si può assumere semplicemente la lamina sottile da interferenze avente per faccie le due immagini 23,0, ed 24,0,. Le onde, che con fase identica partono da esse, sì comporteranno come le onde riflesse dalle due faccie di una lamina sottile, e produrranno delle frangie d’ interferenza, le quali sembreranno localizzate nel « piano della lamina ». Come tale si assume, come d’ uso, il piano che divide a mezzo l’ angolo diedro delle faccie. Tale piano è eviden- temente inclinato su AX di un angolo @ = (®, +9). La frangia centrale sarà ZA situata in Z; e sarà nera e non chiara, perchè le due riflessioni su AZ si fanno in condizioni inverse, per esempio, se un raggio OA si riflette nell’ aria su vetro, il raggio B,A si riflette esso pure su AL, ma nel vetro sull’ aria. Le frangie, di forma sensibilmente rettilinea (quanto alla forma delle frangie v. Memoria II. $ VI) e sì seguono con un intervallo dato da (6) i=4:(®@—-D). Questa formola è stata dimostrata nella Memoria testè citata, nella quale trovasi inoltre date le coordinate O0W = w e WZ = del punto Z rispetto a nuovi assì ortogonali, che sono quelli primitivi AX, AY girati all’ angolo @, in guisa che OW risulti parallela alla lamina 77Z. Una. volta scritti i valori di p e di g mettendo nelle (3) le coordinate X,, Y, ecc. si possono scrivere quelli di w, « mediante le note formole | i 1 u=qC080 — pseno \u=1 [2-+20send + - pî(2sen2d —cos2d)] ottenendosi infatti 2 w=qsend+ pcos® | w=1|1+ p(così — send) + pîcos 2d|. I! valore di w interessa in modo speciale, perchè indica la posizione della frangia centrale Z, quantunque la distanza w sia misurata a partire da una origine indeter- minata. Se occorresse si potrebbe determinare tale origine, abbassando da A la per- pendicolare su 7Z. Ma ciò è affatto inutile, perchè 1° espressione di w serve soltanto per calcolare lo spostamento di frangie prodotto dalla solita rotazione. Infatti, se w 0 è il valore di ww per O =0, e 210, quello per d = 90°, lo spostamento di frangie 90 W— Wyo resta determinato senz’ altro. Se la teoria finora accettata fosse esatta DI WU, DI ; pi 10. —Ww ‘imiclite averi sz SL : si trova invece, come si è mostrato altrove, che i ha un valore assolutamente trascurabile. A rigore è varia con d. Per d = 0 e ò = 90°i ha il medesimo valore assoluto ARETORE ma negli altri azimut assume valori tanto più grandi (sino all’ infinito) quanto più d si accosta ai valori 45°, 135° ecc, Di quanti hanno eseguita 1° esperienza di SU AI Michelson nessuno, che io mi sappia, ha segnalato ciò; il che conferma, che forse mai i riflettori ebbero le loro esatte orientazioni teoricamente ammesse. 5) Valutazione dello spostamento di frangie. - La possibilità dl misurare uno spostamento di frangie d’ interferenza, ed il grado di precisione che è possibile rag- giungere, dipendono dal rapporto fra tale spostamento e la grandezza dell’ intervallo fra le frangie. Ciò è stato sempre intuitivamente ammesso, da Michelson in poi, senza esplicita giustificazione. Questa potrà trovare il Lettore nel S IV. della Me- moria III. Resta dunque inteso, che la possibilità di scorgere e di misurare con pre- cisione uno spostamento delle frangie d’ interferenza deve apprezzarsi dal rapporto fra lo spostamento di frangie ed il loro intervallo. 6) Aberrazione all’ uscita della lamina equivalente. - Nella precedente Memoria III ho fatto vedere qual sia la variazione A, che la rotazione di 90° data all’ apparecchio determina nel valore di w, e quindi qual sia lo spostamento di frangie prodotto dalla rotazione suddetta, che è poi accompagnato da una variazione dell’ inclinazione della lamina equivalente, che non è evidentemente degna di considerazione. E poichè dimo- strai che detta variazione è affatto indiscernibile, così lo scopo ultimo della mia ri- cerca era pienamente raggiunto. Ma ho poscia riconosciuto opportuno di considerare non soltanto in se stesso lo spostamento delle frangie sulla lamina equivalente, ma invece anche quello che ap- pare ad un osservatore che guardi la lamina da lontano, essendo collocato per esempio presso il punto A, mentre lamina, apparecchio ed osservatore sono trasportati attra- verso l’ etere dalla traslazione terrestre. In questo caso si deve considerare una propagazione di raggi luminosi dalla la- mina all’ osservatore, come se questi dovesse semplicemente esaminare gli eventuali dettagli locali di essa, ciò che rende necessario tener conto dell’ aberrazione. Questa è appunto l’ aggiunta che intendo fare alla teoria per renderla più completa. Sia P il punto occupato dall’ osservatore e preso sulla retta AW. La distanza da esso al punto A non ha nessuna influenza sul risultato del calcolo; perciò si è se- gnato nella figura il punto P abbastanza lungi per non arrecare confusione nella figura medesima. Sia PQ la perpendicolare abbassata da P su 7Z. Nel momento in cui arriva in P un raggio partito dalla lamina in direzione ad essa normale, il punto da cui è partito sì trovava in. Q', se si suppone che il tempo impiegato nello spostamento per un tratto @0' con velocità eguale alla componente di v secondo la direzione 7Z sia eguale al tempo richiesto dalla luce per andare dalla lamina all’ osservatore, cioè a percorrere una distanza eguale a w. Si deve avere dunque : QQ = up cos (d — ®). Questo risultato vale evidentemente per qualsiasi punto della lamina, e quindi o ae anche per la frangia centrale. Perciò la posizione apparente di essa non sarà quella indicata dal valore ww, ma questo diminuito di QQ". Indicando dunque colla maiuscola W | espressione così corretta si avrà: W=w% — up cos (d — 0). 1 Introducendo i valori (7), e quello di @ =; + d) calcolato colle due ultime equa- zioni dei gruppi (1) e (2), si trova a riduzioni fatte : (9) W=1|1 — pcosò — p senò + p° (1 — 2 sen 2d)]. Chiamando poi W, e W, È valori di W corrispondenti rispettivamente a O=09 eda d = 90°, si riconosce che wW,=W,=!(1—- p+ pè. E cioè, colla formola (8) corretta col tener conto della aberrazione, Za votazione di 90°, con cui si passa dal caso d = 0° a quello Ò = 90° non produce il minimo spostamento di frangie. Colla formola non corretta, come pure con questa, ma per altre posizioni occupate dall’ osservatore, o infine per rotazioni di 90° fatte a partire da differenti valori iniziali di 0, si ha semplicemente uno spostamento di frangie di valore assolutamente trascurabile. Effettivamente lo spostamento assoluto diviso per l’ intervallo delle frangie assume | ordine di grandezza di DE. IDG, 7) Progetto di esperienze decisive. - Si può asserire in virtù delle mie ricerche precedentemente pubblicate, e particolarmente in seguito alle conseguenze tratte dalla formola (9), che l’ esperienza di Michelson, che ha fornito la prima occasione a concepire l° idea della Relatività, è in realtà, sotto tal punto di vista assolutamente priva di valore; e questo comunque essa venga considerata. Infatti nel caso dell’ espe- rienza pura (cioè con riflettori esattamente orientati nel modo teoricamente supposto) la previsione di uno spostamento di frangie eguale a 2/0°: 4 volte il loro intervallo prodotto dalla rotazione di 90° data all’ apparecchio, è erronea; e perciò nessun va- lore ha la constatazione sperimentale del non prodursi di tale spostamento. D’ altra parte avviene che le frangie d’ interferenza sono talmente lontane fra loro che 1° espe- rienza pura è quasi irrealizzabile. Ciò ha costretto gli sperimentatori a spostare an- golarmente almeno uno dei riflettori, o quanto meno a non curarsi di regolarli come la teoria presuppone. In simili condizioni uno spostamento di frangie, come ho fatto rilevare altra volta, è prevedibile. Esso non venne mai constatato; ma tale risultato è esso pure insufficiente, poichè permane il dubbio che lo spostamento non si scorga semplicemente perchè troppo piccolo e sfugga così all’ attenzione dell’ osservatore. ATE Questi poi fu sempre dominato dal preconcetto di trovarlo della grandezza preannun- ciata da Michelson, ciò che può aver ‘avuto qualche infiuenza sulle conclusioni. Ed invero, si suol commettere il grave errore di ammettere, che anche dopo un piccolo spostamento angolare dei riflettori la differenza di cammino fra le onde interferenti conservi il valore Lp° calcolato nel modo consueto. ( Per simili motivi m° indussi a stabilire le formole (4) e (5), che valgono, non più per l’ esperienza pura, ma per il caso in cui lo specchio 8, sia stato spostato di un augolo 4 come indica la figura. Per arrivare ad un risultato decisivo è dunque necessario : 1° - calcolare dapprima qual sia lo spostamento di frangie prodotto dalla rotazione solita attribuendo all’ an- golo w un tal valore, che detto spostamento risulti di tale grandezza da non sfuggire certamente all’ osservazione; 2° - istituire I’ esperienza con un apparecchio di precisione che permetta di accertare con piena sicurezza se lo spostamento preveduto ha luogo o no. 8) Calcolo esatto delle coordinate per un determinato valore numerico di u. - Questo calcolo non presenta reali difficoltà, ma riesce alquanto laborioso. Per renderlo più spedito, anzichè farlo per un generico valore di d, ho giudicato opportuno ese- guirlo separatamente nei due casi di d = 0° e di d = 90°. La maggior parte delle quantità che devono man mano determinarsi sono assai piccole, tanto che, facendo uso di tavole logaritmiche a sette decimali si è costretti a far uso spesso delle piccole tabelle delle di/ferenze, di cui sono munite, onde rag- giunger un sufficiente grado di precisione. Ho raccolto nella seguente tabella i valori numerici di X,, Y,, X,... ricavati me- diante le formole (4) e (5) per ciò che riguarda la immagine M,0, e colle (2) per l’ altra immagine. Ho adottato per il valore 1074, e per &u nelle (4) e (©)}iho supposto & = l'. Mediante le formole approssimative date più avanti ($ 10) mi sono persuaso, che questo valore di 4 è di grandezza opportuna per |’ esperienza da farsi. Ma ho ripetuto i calcoli anche per altri valori di quell’ angolo. Mi limito però qui a dare i risultati numerici relativi a 4 eguale ad un minuto di grado, anche allo scopo di dare una concreta e chiara idea delle grandezze colle quali si ha qui a che fare. Oi=X07 di=1908 X= | 20. ZO0SISSORANO e) ZIE 2908957. 1070 o LIVIO RI EO0,0N p S in misura circolare = DI ON T0D MRS ORO PODI SU iena = 6824334. >» 4810951. » Ati SIA DOO SU 50. » Y,= | 21. 1,000 000 005 27. 1,000 100005 p $ in misura circolare = 20',625 IMI ORSO “dipl lingno = 999950. » | 1000050. » SAM pp Si tratta ora di calcolare lo spostamento di frangie che deve prevedersi quando si passa dall’ un caso all’ altro. 9) Calcolo dello spostamento di frangie. - Occorre a questo scopo determinare i due valori W, e W, che assume W quando all’ apparecchio si dà !” una o l altra delle due orientazioni principali. A tal fine si deve preparare |’ espressione di W in funzione di X,, Y,;, PD So introducendo, nella formola W = w — up cos (d — @) scritta più sopra, i valori di w e di w delle (7), dopo avere portati in queste i valori di p e qg dati dalle (3). Così facendo si trova subito : (10) W(®O —D,) = A4|[X® XD +7, Y]+B[P, PX, — L)+YP,— Yo] ove per brevità si è posto: (10bis) A=cos@ — p sen @ cos (0 — 0), B= sen@ + p cos 0 cos (d — 0). ‘ Eseguiti i lunghi calcoli numerici, e tenuto conto della (6), la quale permette di 2 porre nel primo membro 4:i al posto di D, — ®, ho trovato i risultati seguenti : vin 21 WWE NOEZI AI 0 SEN OR O pa] IAT, ZI Qui, a rigore, l’ intervallo fra le frangie i ha nelle due formole differenti valori. Infatti D — ®, è uguale a 2' 0',137 perd = 0°, e a 1' 59", 860 per d == 90°; ; ma differiscono tanto poco fra loro da poterli considerare eguali ; ; per cui sì può tranquil- lamente scrivere : PV ARIA 9 ni Wi WIE, 21 NE LE og 1008 7 ZI essendo A lo spostamento espresso in rapporto all’ intervallo delle frangie. Per acquistare una concreta idea della grandezza di detto spostamento conviene attribuire ad è e a valori numerici praticamente ammissibili. Supponiamo per esempio / eguale ad un metro, e che nell’ apparecchio non si facciano numerose riflessioni per aumentare virtualmente il percorso delle onde inter- ferenti, come nell’ apparecchio di Michelson e Morley e in quello più recente di Morley e Miller. Prendiamo per la lunghezza d’ onda 4 il valore 5.107?. Si trova così A = 0,5868, cioè più della metà dell’ intervallo fra le frangie. Questo intervallo i=4:(9, — ®,) (qui naturalmente ®, e ®, sono espressi in unità lineari) si trova essere eguale a circa un millimetro. Se si temesse, che il grado di precisione conseguibile nella lavorazione degli specchi non consentisse di realizzare buone frangie così fitte, si potrebbe prender per 4 un valore più piccolo di un mi- nuto, per esempio 10 secondi, e lo spostamento sarebbe ancora tale da essere con sicurezza constatabile. sera i Per sapere quale sarebbe all’ incirca lo spostamento di frangie per diversi valori di 4 non è assolutamente indispensabile rifare da capo i lunghi calcoli numerici colle formole rigorose (4) e (5): ma pur di accontentarsi di una grossolana approssima- zione si può preparare una formula generale, che permetta di giudicare facilmente come dipendano da w, sia lo spostamento di frangie prodotto colla solita rotazione di 90° sia l’ intervallo fra le frangie. 10) Formule per un calcolo approssimativo. - Il valore di 4 adottato nel calcolo rigoroso del $ precedente, che in misura lineare è circa 3.107‘, è dell’ ordine di grandezza di p. Si potrebbe dunque liberamente far uso, invece che delle equazioni (4) e (5), di formole col)’ approssimazione usuale conservando cioè sino alle seconde potenze. Già nella Memoria II presentai le espressioni per X,, Y, d per 4 così piccolo da potersi scambiarlo col suo seno. Ecco tali formole. Xx, = 21}u + 2up sen do [2 sen d (così — sen d) + u.....]{ (11) { Y,= 2/{1+ p (send — u cos d) + p° (send + 2u.....)} D =20+p(2usend —send + così) dI p°[sen2d +2c0820 —1+2u...] (8) In queste formole si è tenuto conto, in quanto a , della sola prima potenza : ma si potrebbe trovarne altre conservando anche la seconda potenza di quell’ angolo. Esse potrebbero adoperarsi per trovare una espressione soddisfacente per W e servire quindi per determinare lo spostamento di frangie colla consueta approssimazione. Se non che tali nuove formole risultano così complicate che 1° adoperarie imporrebbe un lavoro anche più affaticante forse di quello che si deve affrontare coll’ uso delle for- mole rigorose adoperate nel $ 9. Per conseguenza mi sono atlenuto ad un altro partito; quello cioè di far uso delle (11), benchè rispetto a 4 non si tenga conto che della prima potenza, conser- vando però i termini contenenti 4 e pà, ma trascurando quelli contenenti Up°. Questo modo di agire non è scevro da critica; ma in linea pratica risulta utile ed opportuno, in quanto che le formole cui si perviene forniscono un mezzo semplicissimo di prevedere prontamente come variano gli effetti al variare di w. Siccome poi, come sarà detto più avanti, interessa indagare anche quali mutamenti si producano, se le distanze fra la lastra inclinata e i due specchi non siano, come finora si suppose, rigorosamente uguali, così si ammeiterà ora che, restando eguale (*) Queste espressioni nella detta Memoria contengono qualche errore tipografico sfuggito forse nella correzione delle bozze. Per fortuna tali errori interessano termini dei quali non si ebbe mai occasione di far uso. D'altronde non sarà stato difficile ad un Lettore intelligente il correggerli. ST OZ ad ? la distanza 45, quella fra A e 5, valga /(14-e), essendo e una quantità pic- colissima come w. Ecco le formule delle quali intendo valermi. Xx, = 21|u + 2up send + p° send (cos ì — sen d){ (12) Y,=22}1+ p senò — up così + p° sen® d | ICE 2 d —2u+p così — psend + 2up send +_ p°(cos2d + sen 20 —2 sen°d) X,=lp° (1 — sen 20) VA=ZIA( de cp son dn) (13) i Tn lo Oi_pjcosì —-posend —_ p°(1 —sen20) Le (12) non sono che le (11) dopo averne soppressi i termini in up ; le (13) non sono che le (2), dopo avere mutato in esse / in (1 + €), secondo quanto è stato detto or ora. Credo opportuno limitarmi qui ad una semplice e rapida indicazione dei calcoli fatti per raggiungere |’ intento, d’ indole puramente pratica, che mi ero proposto. Per mezzo dell’ ultima equazione di ciascuno dei gruppi (12) e (123) si ha i=A:(DP—D) =4:(2u+ 2up send + p° cos 20), 0 semplicemente : (14) ASI se non si tiene conto della piccolissima variazione dell’ intervallo delle frangie nel passare dal caso d = 0° al caso d = 90°. È degno di nota come questo intervallo, anche se 4 è assai piccolo, dipende principalmente da 4 e assai poco da p. Ma lo scopo principale è ora quello di trovare lo spostamento di frangie prodotto dalla rotazione dell’ apparecchio. Perciò devonsi introdurre nella (10) i valori (12) e (13). 1 “ In primo luogo converrà calcolare 1° inclinazione @ = (D, + ®) della lamina equi- DO | valente, e poscia i coefficienti (10 bis); dopo di che si potranno sostituire nella (10) i valori di X,, Y,,... ece. dali dalle (12) e (13). Ricordando ciò che è stato detto intorno alla piccola variazione di è si può porre 4: al posto di D— ®,, e così a riduzioni fatte si trova : W l 5 x 2 DLLLA (15) = =7 (8 + 4up così — 6up send + 2e + 2ep senò + p° — 2p* sen d) Chiamando ora W, e W, i valori di W per d = 0° e per dè = 90°, si trova EC l 2 9 2 a l 2 9 2 Wii= 7 BU == UD SS Zeri), Waii=7 (84 La LES) e per lo spostamento delle frangie : W—-W 21 (16) anti lel Pu _e+p) E opportuno sapere apprezzare giustamente il grado di approssimazione che questa formula concede. Ammettendo che le distanze 48, e AB, siano entrambe eguali ad 2, ossia ritenendo e = 0 la (16) diventa: 2I A = (vu + p). Eise, (come nel Sì 9) si pone; u = 0/0 sel nelricava A SMS 54 O À Il calcolo più esatto del $ 9 aveva dato 1467 al posto di 1554. Dunque la (16) da un risultato errato in più soltanto del sei per cento; per cui si può dire, che la formola approssimativa risponde abbastanza bene allo scopo pratico pel quale fu pre- parata. Naturalmente, una volta riscontrato che un dato valore di w è di conveniente grandezza, si potrà, se si vuole, eseguire un calcolo esatto come quello del $ 9. 11) Osservazioni finali. - Qualunque sia per essere il risultato che si ricaverà dalle esperienze effettuate seguendo il piano qui esposto, esso dovrà essere da ognuno accettato, risponda o no ai preconcetti che in un senso o nell’ altro ne ingombrassero la mente. Ma una unica esperienza dovrà essere considerata come insufficiente. Se ciò e sempre buona regola di prudenza scientifica, lo è maggiormente nel caso attuale, in quanto che si tratta della soluzione di un problema sperimentale, al quale sono intimamente connesse questioni d’ immensa importanza filosofica e scientifica. La necessità di moltiplicare le verifiche ha poi qui una ragione speciale. Infatti la formula (16) fa vedere, che lo spostamento di frangie può risultare accidentalmente nullo, o anche soltanto piccolissimo al punto da sfuggire alla osservazione, se le due distanze fra il centro della lastra a 45° e ciascuno dei due specchi sono differenti in una certa maniera. Infatti la (16) da A=0 quando si abbia 5u—£+=0, cioè € = 54 + p. Supposto per esempio Z = ad un metro, sì ha e = 0,0001554 millimetri. Basta dunque in tal caso che la distanza 45, superi 45, di meno d° un millesimo di millimetro, perchè lo spostamento preveduto non si manifesti. Però non rimarrà nessun dubbio, se | apparecchio è di tale costruzione da con- sentire uno spostamento micrometrico di uno degli specchi. Se all’ atto pratico sì constaterà sempre |’ assoluta assenza di uno spostamento di frangie colla rotazione di 90°, comunque lo specchio venga spostato, la conclusione che in conseguenza di una erronea interpretazione si trasse finora dalla esperienza di Michelson e Morley risulterà ripristinata, tanto che si potrà finalmente dire, che il principio di Relatività ha una sicura base sperimentale. La Memoria IV, riprodotta nelle precedenti pagine, era stata consegnata dall’ Autore per la com- » iù D ’ e) p posizione il giorno prima della morte (avvenuta nelle prime ore dell’8 giugno 1920); avvertendo il proto di tipografia che avrebbe poi dato da comporre un’ aggiunta. La sera, poche ore prima di morire, scrisse una fitta pagina (evidentemente di abbozzo) che si ti ? D \ ritiene essere parte dell’ aggiunta anzidetta. Essa viene riprodotta qui sotto integralmente così come fu trovata, non riveduta e manifestamente incompleta. La teoria da me esposta e sostenuta differisce da quella data da Michelson pel valore attribuito alla deviazione BAE=4 subita dal raggio riflesso in causa della traslazione. ‘l'ale deviazione si desume dalla nota costruzione di Huygens, la quale fa vedere che 1° effetto prodotto dal moto uniforme di uno specchio equivale a quello che produce lo specchio lasciato immobile dopo averlo inclinato d’ un certo angolo LAL' =@. La formula seguente, da me espressamente calcolata (Memoria I, p. 53) 6 cos (8 — d) sen (a — 8) 1 — p cos(8 — d) cos(a— Bb) + (ei (A E= serve a determinare quest’ angolo. Con f si rappresenta il rapporto v:c fra la ve- locità di traslazione e la velocità della luce. Gli angoli a, 8, 0 contenuti in questa formula, definiscono, misurati da destra a sinistra a partire da un asse di riferi- mento OX, rispettivamente la normale alle onde incidenti, la normale alla faccia ri- flettente dello specchio, e la direzione della traslazione. Così, nel caso dell’ onda in- cidente MO e della lastra riflettente AL si ha a=0 e B=135°; supponendo inoltre che la traslazione avvenga nella direzione OX, si ha pure dè = 0. La formula dà in questo caso speciale igo= P_, od anche sviluppando e conservando solo le due 2 pp | i ls prime potenze di p, Siziano Siccome poi 4 = 2@, si ha 4= p 0 Le formole da me trovate per determinare il cammino delle onde dopo ciascuna riflessione sono state stabilite applicando metodicamente la precedente formula. Michelson e Morley ammettono invece 4 = fp; ma senza darne convincente giustificazione. In realtà essi trascurano in tal modo un termine dell’ ordine di gran- dezza di p°, ciò che costituisce un errore nella trattazione della questione attuale. Non è da sorprendere dunque la diversità di conclusione cui conducono le due teorie. Passando dall’ una all’ altra delle due orientazioni principali (0 == 0° e d = 90°), si prevede uno spostamento delle frangie dovuto alla interferenza fra le onde emergenti se si ammette la teoria dei fisici americani ; nessun sensibile spostamento si produce invece, come ho dimostrato già e verrà confermato più avanti, ammettendo la mia teoria. Il fatto che non si constatò mai spostamento, costituiva un mistero, che ap- punto si cercò di spiegare in più modi fra cui ideando il principio della Relatività ; Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 10 ARE ALTE per chi riteneva esatta la teoria di Michelson, e cioè per tuiti durante una qua- »vantina d’ anni, non ha più nessun significato se si ammette la nuova teoria, che col fatto sperimentale è in piena armonia. Come si sia potuto aver fiducia nelle conseguenze cui si perviene assumendo 4 = p, si può fino ad un certo punto spiegare colle seguenti due considerazioni. Nel valatare, alla maniera di Michelson, la differenza di fase fra le onde interferenti, si trova . n 1 . . il valore Zp°, tanto se si ammette À = Pi quanto se si trascura il secondo termine di Z. Ma è un inganno il credere che questa sia una giustificazione accetta- bile, perchè non si bada a una circostanza, che è quella appunto che mi fece intuire ciò che considero l’ esatta verità, e cioè (*) che in generale i raggi separati in A non si ricongiungono più sulla lastra semiargentata quando si prenda 4 = der= 21sen} Infatti si ha evidentemente AP = 27197 = 7 per determinare il punto F os in cui il raggio riflesso EF incontra la retta OX. D’ altra parte la lunghezza AE 21 (91 del cammino percorso dal raggio riflesso in A è ed il tempo impiegato dalla ccosÀ i luce a percorrerlo è prg In questo tempo la lastra AZ non arriva sino ad AA. C COS : i 20 SZ] ma a minore distanza da A, e precisamente alla distanza vw. ——+ ossia ti, Se si c cos À cos 4 prende À = p o sensibilmente sen 4 = p, detta distanza diventa eguale ad AF; ma Liaseen i i i ammettendo 4 = o rimane minore di AZ. Forse il preconcetto che i due raggi interferenti s’ incontrino in A come avviene quando non esiste traslazione, ha contri- buito ad assegnare a 4 quel valore. Si aggiunga poi, che coll’ impiego della precedente formola si constata altresì, che le onde riflesse prima da 8, poi da AZ prendono una direzione differente da quelle che seguono la direzione £7, il che rende meno facile la valutazione della differenza di fase. (*) Fra queste due parole nel manoscritto trovansi anche le altre che le onde. Sulla trasformazione delle curve a torsione costante in Geometria iperbolica NOTA Prof. AMILCARE RAZZABONI letta nella Sessione del 2 Maggio 1920. Il problema che forma 1 oggetto della presente comunicazione fu da me risolto alcuni anni or sono nell’ipotesi dello spazio ellittico (*). Però, come ebbi ad osservare in una mia Nota posteriore, avente per titolo: Sulla trasformazione delle superficie con un sistema di assintotiche a torsione costante negli spazi di curvatura costante (**), esso è suscettibile di generalizzazione. Benchè questa non presenti difficoltà, come appare dal breve cenno che ne diedi al principio della Nota stessa, ho creduto tuttavia oppor- tuno, per maggiore chiarezza, di trattare nuovamente tale questione, svolgendo però i calcoli relativi nell’ ipotesi che lo spazio anzi che ellittico sia iperbolico, per il quale resta così direttamente dimostrata la validità della trasformazione considerata. ; 3 5 ] g È Si abbia una curva C a torsione 7 costante, e conduciamo per ogni suo punto M, nel corrispondente piano osculatore, un segmento MM' di lunghezza costante o (in gene- rale diversa da 7) ed inclinato sulla tangente in M alla curva di un angolo 0 da determinarsi come funzione, per ora incognita, del suo arco s. Supposta per semplicità eguale a — 1. ia curvatura dello spazio ambiente, indichiamo con «; le coordinate di M e con Di Ni, C; risp. i coseni direttori della tangente, della normale principale e della binormale alla curva in esso punto: per le coordinate x; di M' potremo evidentemente scrivere le equazioni: (1) x; = ; cosho + (É; cos? + x; sen0) senho (i = 0,1,2,3) da cui derivando e tenendo presente le formole del Frenet: (4) Ma) DE) 6 mino doi _ Ei bi dei _Mi ds 2.08 p AS p ID? de T seguiranno facilmente le altre: dx; GORI (2) —- = senho così - a, + \cos ho — sen ho sen0@ (7 + 3) + ds | ds i di 1 sen lho sen 0 + sen ho così LS ita bi. a 8 p T (*) Rendiconti di questa Accademia, anno 1908-1909. (**) Memorie di questa Accademia, anno 1917-18. SIA e: Ricordando che fra le #, È, 7, È sussistono le relazioni : 2) e dar g=LZEC=E=] | Zak, — ak = 0 Zen — EM = 0, ecc. e che l’ elemento lineare dello spazio iperbolico è dato dalla formola AA Ao indicando con ds' l’elemento d’arco della trasformata €' della C, dalle (2) seguirà facilmente 1’ equazione ds'° È IE GIop DEE d0 1 (3) ge =1+snl/0se10(14+,) +senlo(TA4) —2senlocoshosentX (+). ds° Il ds

TÉ#T[|| II: IIIIS::55II QUANTITÀ DI SALE Gloruro di ammonio. . . Gloruro di potassio. . . . . Cloruro di litio ® ..... Gloruro di magnesio ® . . Gloruro di calcio ® . ... Cloruro di stronzio ® . . . Gomma geo Gloruro rameico ®..... Gloruro di manganese ® . Cloruro di nichelio ® . . . Gloruro di cobalto . . . .. Gloruro mercurico . . . . . Gloruro di cadmio ® . .. Gloruro di zinco ®. .... A1CI,.6H,0 (idrato) ®. . . Bromuro di sodio... . . . Bromuro di potassio. . . . Joduro di sodio ® ..... loduro di potassio . . . .. Solfato di sodio. . ..... Solfato di potassio . . . . . Solfato di ammonio . . . . SOLAIO ALE INTO NI ERRE Solfato di magnesio . . . . Solfato di rame Solfato di zinco... Solfato di manganese . . . Solfato di nichelio . . . . . Nitrato di sodio ..- .- - Nitrato di potassio . . . . . Nitrato di ammorio . . . . Nitrato di litio ® ..... Nitrato di magnesio ® . . Nitrato di calcio @ Nitrato di stronzio. . . . TNA@S 08 solo Nitrato d Nitrato di manganese ® . Tposolfito di sodio ®. . . . Iposolfito di potassio. . . . Tpofosfito di sodio @®. ... Ipofosfito di potassio ® . . Fosfito di sodio... . ... Fosfato Dbisodico. . . . . . . Bromato di potassio . . . + Borato di sodio... ..... Borato di K (metaborato). Alluminato NaAlO, . ... Alluminato KAIO,. .. .. Acetato di sodio . . .... Acetato di potassio. . . .. Garbonato sodico... . . + Carbonato di potassio ® Idrato di sodio ® ..... Tdrato di potassio ® . . .. 1,464 1,418 nulla nulla nulla 0,890 nulla 0,552 0, 208 0,676 nulla nulla 0,824 0, 790 nulla nulla nulla nulla nulla nulla 0, 265 nulla nulla pochiss. 0, 399 1,097 0,948 nulla DS) 4 (Cfe] 1,942 1,424 5,100 2,054 2,881 99m 2,397 nulla sale doppio nulla 2,344 1,739 nulla AN259 0, 453 1,383 nulla nulla nulla nulla nulla 0, 753 nulla nulla 0,903 0,327 0529 0, 117 nulla nulla dfr392 nulla 1,944 nulla go nulla 2,169 0, 636 TRIO. nulla 2,700 nulla nulla nulla | | nulla 3, 406 QIAL 15992. nulla nulla 3, 760 precip.® di KOI g. 16 | | | Per quantità equivalenti a g.4di NEI 1,942 1,985 4,045 1,846 2,990 3, 464 DO 9 dt QUE 1. NH,CI - Per quanto riguarda questo sale qui farò rilevare soltanto che cristallizza senz'acqua e non è a mia cognizione che possa formare sale doppio col cloruro di sodio. 2. KCI - Il cloruro di potassio, come il cloruro d’ ammonio, è un elettrolita forte avente in comune col eloruro di sodio disciolto lo ione cloro, cristallizza senz'acqua, non è deli- quescente e non si ha notizia che i sali stessi possano formare cloruro doppio. 8. LiCl - Il cloruro di litio LiCl.H,0 fu completamente disidradato a 200° circa. Esso è elettrolita meno forte dei due precedenti, ma per quantità di sale chimicamente equi- valenti fa deporre più del doppio di NaCl del cloruro di potassio, coi quali ha in comune lo ione cloro. Si noti che il cloruro di litio è un sale deliquescentissimo, ossia che ha per 1 acqua grande avidità, la quale ha di certo la sua manifestazione e influenza anche nel corpo in istato di soluzione. Come i due sali precedenti non forma sale doppio col cloruro di sodio. 4. MgCI, - Il sale messo in esperimento, decomponibile a temperatura relativamente bassa, è stato preparato tenendo in stufa ad. acqua per 6 ore il sale idrato Mg&C],.6H,0. Il corpo così disidratato è deliquescente e messo nell’acqua dà soluzioni limpidissime. Secondo le ricerche di Poggiale il cloruro di magnesio fornirebbe col cloruro di sodio il sale doppio MgCl,.NaCl.H,0, la cui esistenza però è messa in dubbio da più recenti ricerche, non che dall’abbondante deposito che produce nella soluzione satura di cloruro di sodio. ò. CaCl, - Negli esperimenti fatti con questo sale mi sono valso della parte interna di alcuni grossi pezzi di cloruro di calcio fuso ben conservato, che messi in acqua davano soluzioni limpidissime. Non ho avuto fiducia di ottenerlo più puro, perchè certe operazioni piuttosto delicate ed eseguite su quantità di sostanza relativamente piccole, fanno piuttosto aumentare che diminuire le sue impurità. Il cloruro di calcio forma diversi idrati, è molto deliquescente, e non produce sale doppio col cloruro di sodio. Si noti che alla forte sua deliquescenza corrisponde il faito dell’abbondante precipitato prodotto nella soluzione satura di cloruro di sodio, col quale ha pure in comune lo ione cloro. 6. SrCl, - Scaldando a temperatura elevata l’idrato SrCl,.6H,0 è facile ottenere il sale perfettamente anidro, il quale è pur esso avido di acqua e non forma sale doppio col cloruro di sodio. . BaCl, - Per questo sale mancano dati sperimentali, perchè il cloruro anidro che si ottiene disidratando BaCl,.2H,0 a 200°, o poco di più, difficilmente si scioglie nella solu- zione satura di cloruro di sodio. Non si può escludere la formazione di cloruro doppio, che non è però noto, mentre esiste il protocloruro di bario e sodio BaCl.NacI. I cloruri di Mg, Ca, Sr e Ba appartengono alla categoria degli elettroliti forti. 8. CuCl, - Il sale CuC],.2H,0 è stato disidratato lasciandolo per 6 ore in stufa ad acqua, dove assume una colorazione bruna-marrone. Il sale anidro è solubilissimo nell’acqua e deliquescente. Operando in condizioni singolarissime, si può dire anzi eccezionali, il Becquerel sarebbe riuscito ad ottenere il cloruro doppio di rame e di sodio. SEPE (OA 2A = 9. MnC], - Il cloruro MnCl,.4H,0 disidratato in presenza dell’aria a 200° circa e sbai- tuto con soluzione satura di cloruro di sodio lascia un deposito abbondante colorato in roseo. Il che non accade allorchè il sale viene tenuto semplicemente in stufa ad acqua, dove il sale fu lasciato per 9 ore. Però nell’ esperimento fatto con g. 4 in 50 ce. della soluzione sodica satura, il cloruro di sodio che precipita contiene quantità piccole, ma non trascurabili, di manganese. È quindi opportuno aggiungere che il cloruro di manganese ha speciale tendenza a formare sali doppi coi cloruri di Na, NH,, Cs, Li, Mg. Esso è elet- trolita forte e deliguescente. 10. NiCI, - Il sale NiCl,.6H,0 fu disidratato a 140° circa. Il sale anidro è solubilissimo nell'acqua e deliquescente, ed esso pure ha tendenza speciale a formare cloruri doppi. Pur tuttavia il cloruro di sodio precipitato nell’ unico esperimento fatto con questio sale conte- neva tracce sensibili di nichelio. Il. CoCl, - Il sale CoCl,.6H,0 fu disidratato fra 130° e 140° finchè acquistò un bel colore bleu chiaro. Al dato dell’ unico esperimento fatto con questo sale ho aggiunto un punto interrogativo per indicare che il cloruro di sodio depostosi conteneva quantità piut- tosto forti di cobalto, il cui cloruro ha particolare tendenza a formare cloruri doppi. I cloruri di Ni e di Co sono annoverati fra gli elettroliti forti. 12. HgCl, - Di questo sale mi riserbo di parlarne altrove. 15. CdC], - Siccome il sale anidro resiste a temperatura elevata mantenendosi molto solubile, così Ja disidratazione di CACI,.2H,0 non presenta alcuna difficoltà. Gli effetti note- volissimi ottenuti con questo sale, che ha tanta tendenza a formare cloruri doppi, forme- ranno più innanzi argomento di speciali considerazioni. 14. ZnCl, - Delle proprietà di questo sale e degli effetti prodotti nella soluzione satura di NaCl convien meglio parlarne dopo i cloruri di mercurio e di cadmio. 15. A1CI,.6H,0 - Non sarebbe questo il posto di riferire il risultato delle mie ricerche su questo sale idrato facilmente decomponibile sotto l’azione del riscaldamento, ma ho creduto opportuno di fare questa eccezione per non separarlo dagli altri cloruri presi allo stato anidro. Il Laboratorio acquistò dallo Stabilimento Erba del bellissimo sale idrato in forma di cristallini aghiformi che, posti su vetro da orologio, lasciai per 6 giorni entro bacinella ben chiusa contenente calce viva. Colla calcinazione di g. 1 del sale così disseccato ottenni una quantità di allumina che non si scostava molto da quella che avrei dovuto ricavare dall’ idrato puro. È notevole che g. 4 di questo sale, i quali contenevano all’incirea g. 1,79 di acqua di cristallizzazione, introdotti in 50 ce. della soluzione satura di NaCl, abbiano fatto deporre g. 2,31 di NaCl, tanto più che con questo e con altri cloruri, il cloruro di alluminio ha tendenza a formare sali doppi. Si abbia però presente che il cloruro AICI,.6H,0 è sale deliquescente. 16. NaBr - Il sale idrato NaBr.2H,0 facilmente può essere ridoito allo stato anidro. In soluzione ha in comune col NaCl lo ione Na ed è elettrolita forte. Non forma sale doppio col NaCl. I. KBr - Elettrolita forte, non ha ione comune col NaCl, e g. 4 di sale anidro intro- dotti in 50 cc. di soluzione satura di NaCl non danno separazione di questo sale. 18. Nal - Dall’ioduro idrato di Nal.2H,0 facilmente si ottiene il sale disidratato. È elettrolita forte, avente in comune col NaCl] lo ione sodio. Nell’ aria molto umida il sale idrato è deliquescente, laddove nella secca è efflorescente. 19. KI - Quantunque questo sale non abbia ione comune .col NaCl], introdotto nella soluzione satura di quest’ ultimo fa .deporre del NaCI, molto meno però dello. ioduro di sodio. Esso cristallizza senz’ acqua, ha molta tendenza a formare ioduri doppi e in istato di molta purezza non è deliquescente. 20. Na,SO, - La disidratazione del sale ordinario Na,$0,.10H,0 si ottiene assai facil- mente portandolo ad alta temperatura. Le sue soluzioni hanno una conducibilità elettrica alquanto inferiore a quella del solfato di potassio. Col NaCl ha in comune lo ione sodio, non è deliquescente, ma è avidissimo di acqua. 21. (NH,),SO, - È elettrolita forte, non ha ione in comune col NaCl, cristallizza senza acqua, non è deliquescente, e introdotto in soluzione satura di NaCl non dà deposito di questo sale. Esso può formare sale doppio col solfato di sodio. 22. K,SO, - Sarebbe da ripetere ciò che si è detto del solfato di ammonio. 23. Li,SO, -.Il sale idrato Li,S0,.H,0 facilmente vien ridotto a sale anidro. Esso è elettrolita, forie, non ha ione comune col NaCl, non è deliquescente, pur tuttavia nella soluzione satura di NaCl fa deporre non poco di NaCl. Il solfato di litio può formare sale doppio col solfato di sodio. Il litio monovalente, dopo l'idrogeno e l’elio, è l’ elemento che ha il peso atomico più basso. 24. M2SO, - Il sale ordinario cristallizza con 7 molecole di acqua MgSO,.7H,0, ma non è deliquescente. Disidratato a 200°, o poco di più, si scioglie piuttosto lentamente. Nella soluzione satura di NaCl molto probabilmente agisce come semplice disidratante e fa deporre del NaCl, quantunque non abbia con questo ione in comune. È elettrolita forte. Col solfato di sodio forma sale doppio MgNa,(S0O,),, di cui si conoscono alcuni idrati. 25. CuSO, - Il sale ordinario CuSO,.5H,0 perde interamente | acqua a 200°. Il sale idrato non è deliquescente e nell’ aria piuttosto secca è anzi efflorescente. Il sale anidro è quindi disidratante, meno energico del MgSO,. Non avendo inoltre ione comune col NaCl entra nella soluzione satura senza alterarne la limpidezza. Il solfato di rame forma col solfato di sodio un sale doppio molto instabile. 26. ZnSO, - Il solfato di zinco ordinario ZnSO,.7H,0 ad alta temperatura si disidrata senza scompors:. Il sale disciolto presenta una conducibilità elettrica di poco diversa da quella del MeSO,, pur tuttavia lascia la soluzione satura di NaCl limpida, dimostrando, a mio avviso, una forza disidratante inferiore a quella del MgSO,. Non è da escludersi che nell'azione fra NaCl e ZnSO, si generi nella soluzione solfato di sodio, il quale, com'è noto, forma col solfato di zinco il sale doppio ZnSO,.Na,S0,.4H,0. 27. MnSO, - Il solfato di manganese forma diversi sali idrati fra cui MnSO,.7H,0 facil- mente disidratabile a 200° circa. Questo sale idrato non è deliquescente e all'aria sfiorisce. Il sale anidro introdotto nella soluzione satura di NaCl si comporta come il solfato di zinco, Leo gie ossia non produce alcun cambiamento visibile, ed esso pure forma col solfato sodico il sale doppio MnSO,.Na,S0,.4H,0. 28. NiSO, - Il sale NiSO,.7H,0 disidratato completamente a 300° circa si scioglie con grande lentezza nell'acqua fredda e pur lentamente nella bollente. Invece disidratato non interamente a soli 200° si scioglie bene a caldo. Introducendo g. 2 di questo sale parzial- mente disidratato in 50 ce. di soluzione satura di NaCl, scaldando e lasciando poscia raf- freddare a lungo, la soluzione rimane limpida: con g. 4 invece ho avuto nelle medesime condizioni un deposito di g. 0,597 di NaCl. 29. NaNO, - Il sale NaNO,.7H,0 può essere facilmente disidratato scaldandolo a 250° o 300°. Esso è elettrolita forte, come tutti j nitrati dei metalli alcalini e terrosi, ha un ione comune col NaCl ed è molto deliquescente. 30. KNO, - Cristallizza senz’ acqua, non ha ione comune col NaC], non è deliquescente, e secondo alcune ricerche formerebbe sali doppi coi cloruri alcalini. Si poteva quindi pre- vedere che il sale stesso introdotto nella soluzione satura di NaCl non avrebbe dato depo- sito di NaCl. 31. NE,NO, - Il nitrato di ammonio, elettrolita forte, cristallizza senz’ acqua, e siccome comincia a decomporsi soltanto verso i 200°, così può essere disseccato rapidamente scal- dandolo a 150° o 180°. Esso non ha ione comune col NaCI, non è deliquescente, e g. 10 introdotti in 50 ce. della soluzione satura di NaCl] non danno affatto deposito di questo sale. 32. LINO, - Il nitrato di litio ordinariamente si separa dalle sue soluzioni con 3 mole- cole di acqua LiNO,.3H,0, le quali possono essere facilmente espulse. Esso non ha ione comune col NaCl, ma è molto deliquescente e nella soluzione satura di NaCl dà deposito. 33. Mg(NO,), - Il nitrato di magnesio cristallino Mg(NO,)..6H,0 scaldato moderata- mente in capsula di porcellana da prima fonde, poi entra in ebollizione perdendo acqua: si sospende il riscaldamento allorchè dalla massa fusa cominciano a svolgersi piccole bolli- cine di vapori rutilanti. Non si può disidratare il sale interamente senza decomporlo e ren- derlo in parte insolubile nell’acqua. Pur tuttavia, come vedesi nello specchio, il sale pro- duce nella soluzione satura di NaCl deposito, quantunque non abbia con questo ione comune, ma è però deliquescente. I 34. Ca(NO,), - Il nitrato di calcio forma diversi idrati di cui il più frequente è Ca(NO,),.4H,0, che facilmente può esser reso anidro a 200° circa. Esso non ha ione comune col NaCl, ma è deliquescente, ed entrando nella soluzione satura di NaCl fa deporre di questo sale. 35. Sr(NO,), - Il nitrato di stronzio si separa dalle sue soluzioni con 4 o 5 molecole di acqua Sr(NO,),.4H,0 oppure Sr(NO,),.5H,0, le quali possono essere espulse con facilità scaldando il sale a 140° circa. All’aria i cristalli idrati sono efflorescenti, anzi che deli- quescenti, e non avendo inoltre ione comune col NaCl il sale anidro nella soluzione satura di NaCl produce lieve deposito. 36. Ba(NO,), - Il nitrato di bario cristallizza nelle sue soluzioni senz’acqua, non ha ione comune col NaCl e non è deliquescente, talchè era facile prevedere che sciogliendosi nella soluzione satura di NaCl non avrebbe dato deposito di NaCl. aree 3%. Mn(NO,), - Sono stati descritti diversi sali idrati fra cui Mn(NO,),.6H,0 che fonde a 25°,8, è deliquescente e non può essere disidratato completamente perchè anche nella stufa ad acqua a poco a poco si altera. 38. Na,S,0, - L’iposolfito di sodio si depone nelle sue soluzioni con 5 molecole di acqua Na,S,0,.5H,0: all’ aria umida è deliquescente, può essere facilmente disidratato ed ha co) NaCl ione comune. Grammi 4 di sale anidro entrando in 50 cc. della soluzione satura di NaCl producono quasi lo stesso effetto di un ugual peso di Na,SO,. 39. K,S,0, - Dell’iposolfito di potassio si conoscono particolarmente due sali idrati 8K,S,0,.H,0 e 3K,5,0,.5H,0 i quali perdono interamente l’acqua ad una temperatura pros- sima a 200°, e non sono deliquescenti. G. 4 di sale anidro in 50 ce. della soluzione satura di NaCl producono un lieve intorbidamento e poscia un piccolo deposito che, separato con accurata decantazione, si scioglie in soli cc. 4 della soluzione satura di NaCl. Di guisa che il deposito stesso molto probabilmente è di KCI. 40. NaH,PO, - L’ipofosfito idrato NaH,PO,.H,0 subisce la fusione acquea: espulsa l’acqua con moderato riscaldamenlo, ridussi il sale in polvere e tenni questo a 150° circa. Esso ha in comune col NaCl lo ione sodio ed è deliquescente. 41. KH,PO, - L’ipofosfito KH,PO, cristallizza senz'acqua e il sale anidro, pur essendo deliquescente nella proporzione di g. 4 in 50 cc. della soluzione satura, non dà intorbida- mento nè deposito. Con g. 8 si ha subito intorbidamento, poi lieve deposito di KCI. 42. Na,HPO, - Il fosfito Na,HP0O,.5H,0 fu disidratato a 150°. Facendo sciogliere a caldo g. 2 di questo sale anidro polverizzato in 50 cc. della soluzione satura di NaCl, dopo prolungato raffreddamento a 12°, trovai tutta la soluzione occupata da un intreccio di cristallini aghiformi. Allora introdussi nel matraccio altri 50 cc. della soluzione satura di NaCl ed ottenni pochissimo deposito di NaC], non ostante lo jone comune ai due sali. 43. Na,HPO, - L’ortofosfato bisodico Na,HPO,.12H,0 fu disidratato in stufa ad acqua e polverizzato. L'unico dato sperimentale che vedesi nel precedente specchio fu ottenuto sciogliendo g. 2 di sale anidro in 100 cc., e non 50, della soluzione satura di NaCl. 44. KBrO, - Il bromato di potassio fu seccato a 150° circa. Gr. 4 passarono in solu- zione in 50 cc. della soluzione satura di NaCl senza precipitare del NaCl, come avviene del nitrato. di 45. Na,B,0, - Il borato ordinario prismatico Na,B,0..10H,0 fu prima privato di acqua, poi polverizzato e la polvere riscaldata fortemente entro capsula di porcellana a tempera- tura alquanto inferiore a quella della vera fusione. Così il sale aumenta molto di volume trasformandosi in polvere finissima e lesgiera. Gr. 2 di questa furono aggiunti entro il solito matraccio a 100 ce. della soluzione satura di NaCl. Agitando a freddo, dopo mezz’ ora circa, si ha una soluzione limpida, e tale si mantiene per un certo tempo, ma dopo molte ore a poco a poco si forma un deposito piuttosto abbondante di cristallini che, a differenza dei precipitati di NaCl, aderiscono alle pareti del matraccio e sono molto lentamente solu- bili nell’acqua. Raccolto il deposito su filtro e dopo 12 lavacri con acqua pura, la maggior parte della sostanza era rimasta sul filtro e il liquido filtrato dell’ultimo lavaggio dava appena visibilmente la reazione dei cloruri col nitrato d’argento. I quali fatti mi fecero Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 12 oe certo che i sopradetti cristalli non erano di cloruro di sodio, quantunque il sale messo in prova avesse in comune con questo lo ione sodio. È notevole che agisca in tal modo un sale che deriva dalla reazione di una base fortissima con un acido debolissimo. 46. Borato di potassio (piuttosto metaborato) - Sono stati isolati e descritti diversi metaborati. Quello che misi in opera, bellissimo, fu ridotto allo stato anidro e in polvere finissima come il borato di sodio. Gr. 2 di questa furono introdotti in 50 cc. della soluzione satura di NaCl: riscaldai moderatamente sino ad ottenere una soluzione limpida, poi lasciai raffreddare lungamente a 12°. Siccome si produsse un piccolo deposito, decantai accurata- mente il liquido chiaro e versai sulla sostanza, rimasta nel matraccino, 4 cc. soltanto della soluzione satura di NaCl. E così il deposito scomparve e non era perciò di NaCl. 47. NaAlO, - Questa, secondo le ricerche che io feci molti anni or sono, è la formola, confermata in seguito da altri chimici, dell’alluminato di sodio anidro. Io misi e. 4 del composto anidro in 50 cc. della soluzione satura di NaCl, riscaldai a 50° circa finchè la fina, polvere di alluminato fu sostituita da un corpo granuloso che era NaCl. 48. KAIO, - Questa è la formola dell’ alluminato che 1° Herz ottenne sciogliendo |’ allu- mina gelalinosa con soluzione di idrato potassico. Sciogliendo a freddo g. 4 di questo sale anidro finamente polverizzato in 50 ce. della soluzione satura di NaCl, questa rimane per- fettamente limpida. Invece una quantità doppia di alluminato nello stesso volume di solu- zione sodica produce un deposito piuttosto abbondante che scompare per lieve riscalda- mento, ma per successivo raffreddamento a 12° sì depone di nuovo a forma di cristallini che, separati prima per decantazione dalla parte liquida, si sciolgono quasi completamente in 40 cc. di soluzione satura di NaCl. Il deposito primitivo era quindi una mescolanza di KCl e di NaCl con grande prevalenza del primo sale. 49. NaC,H,0, - L’acetato di sodio NaC,H,0,.3H,0 fu disidratato a non più di 200° e ridotto in polvere. Gr. 4 di questo sale in 50 cc. della soluzione satura di NaCl fanno deporre più di cloruro di sodio di g. 4 di NH,CI. 50. KC,H,0, - Nell’unico esperimento fatto coll’acetato di potassio fu adoperato del sale disseccato a poco meno di 200°. Si noti la differenza di effetto che questo sale, privo di ione comune, dimostra in confronto del precedente. 51. Na,CO, - Il sale fu reso anidro ad alta temperatura. Nelle condizioni ordinarie si separa dalle sue soluzioni con 10 molecole di acqua di cristallizzazione Na,C0,.10H,0 e all’ aria è efàlorescente. 02. K.CO, - Gr. 4 di sale anidro si sciolgono in 50 della soluzione satura di NaCl senza produrre deposito di NaCI, laddove g. 8 dello stesso volume di soluzione sodica pro- ducono un precipitato abbondante, il quale, dopo pochi lavaeri su filtro colla soluzione satura di NaCl], scompare quasi completamente. Il piccolo residuo appositamente lasciato sul filtro, sciolto nella minor quantità possibile di acqua, dava ancora forte precipitato giallo col cloruro di platino. Ciò dimostra che il primitivo abbondante. precipitato era for- mato essenzialmente di KCI. 53. NaOH - Negli esperimenti fatti adoperai senz'altro l’idrato all'alcool ben conser- LD (000) I vato e in forma dei soliti cilindretti. Il precipitato di NaCl fu lavato finchè il liquido fil- trato non presentava più reazione alcalina. 54. KOH - Degli effetti prodotti dagli idrati di sodio e di potassio nella soluzione satura di NaCl conviene di parlarne più avanti. Esperimenti fatti cogli acidi È cosa ben nota che aggiungendo certi acidi alla soluzione concentrata di alcuni sali la solubilità di questi diminuisce, ed una parte almeno del corpo sciolto si separa e depone, ossia precipita, come avviene, ad esempio, versando acido nitrico in una soluzione di nitrato di bario. Così un processo molto comodo nei Laboratori per preparare del cloruro di sodio puro consiste nel fare una soluzione satura di sale comune impuro e aggiungere a questa un conveniente volume di acido cloridrico fumante. In quattro matraccini contenenti ognuno 50 ce. della soluzione satura di NaCl a 12° introdussi, in uno | ce. di H,S0, concentrato; nel secondo cc. 1,7 di acido nitrico concen- tratissimo o fumante; nel terzo, ce. 3,1 di acido cloridrico fumante; nel quarto, ce. 2,34 di acido acetico glaciale: quantità dei quattro acidi chimicamente equivalenti, le quali furono determinate mediante una medesima soluzione di idrato sodico. Nelle soluzioni in cui introdussi i primi tre acidi forti ebbi subito deposito di NaCl: in quella contenente l acido acetico apparve un lieve intorbidamento dopo alcuni minuti. Dopo 24 ore di riposo a 12° circa dalla soluzione cloridrica ricavai g. 1,513 di NaCl precipitato » solforica » » 0,827 » » nitrica » » 0,809 » » acetica » » 0,241 » L'acido cloridrico avrebbe dato naturalmente di più qualora non avesse portato con sè l’acqua che lo teneva in soluzione. Oltre poi la maggiore conducibilità elettrica esso possiede in comune col NaCl lo ione cloro, non che la facoltà di formare idrati. L° acido acetico invece è elettrolita debole e conseguentemente poco dissociato, e non ha, come gli acidi solforico e nitrico, ione comune col NaCl, pur tattavia la sua azione sulla soluzione satura di NaCl è debole sì, ma non trascurabile. Esperimenti con sali idrati Siccome i solfati di rame e di zinco anidri introdotti in 50 cc. della soluzione satura di cloruro sodico, almeno nelle quantità indicate nel precedente specchio, non fanno deporre del NaCl, ossia lasciano la soluzione, perfettamente limpida, così sarebbe stato inutile spe- rimentare coi medesimi sali non privati dell’acqua di cristallizzazione. Si poteva pure pre- vedere con tutta sicurezza che i sali idrali avrebbero dato nulla o molto meno di deposito — 100 — ‘© delle quantità equivalenti dei medesimi sali allo stato anidro. Difatti, g. 0,549 di Na,S0,.7H,0 corrispondenti a g. 4 di sale anidro, e g. 8,2 di MgSO, .7H,0 corrispondenti a g. 4 di MgSO,, sciolti rispettivamente in 50 cc. della soluzione satura di NaCl, dopo lungo riposo a 12°, nell’un caso e nell'altro si ebbe un deposito piccolissimo di NaCl. Non ho creduto, o, per essere più sincero, mi è venuto meno la voglia di estendere queste ricerche ad altri sali idrati. Dopo quanto ho finora riferito, richiamerò l’attenzione sopra alcuni dei risultati più singolari ottenuti nei miei esperimenti. Le ricerche furono iniziate mettendo in prova, prima di tutti gli altri sali, il cloruro di ammonio, che è elettrolita forte e avendo inoltre in comune col cloruro di sodio disciolto lo ione cloro, secondo la teoria della dissociazione elettrolitica, colla sua presenza e disso- ciandosi esso pure, abbassa la dissociazione di quest’ultimo nello stesso modo che nella determinazione della densità di vapore del pentacloruro di fosforo la presenza del PCI,, che è uno dei prodotti della dissociazione del PCl., impedisce la dissociazione, ossia lo sdoppia- mento della molecola PCI, in PCI, + CI,. Onde l'aggiunta di cloruro di ammonio alla solu- zione saturata di NaCl, diminuendo la dissociazione di questo sale, fa aumentare il numero delle molecole non dissociate, le quali si separano dal solvente saturo. Dal precedente specchio si rileva pure che la quantità di cloruro di sodio che si depone è proporzionale alla quantità del cloru:o di anunonio introdotto in 50 ce. della soluzione di NaCl satura a 12°. Però oltre un certo limite elevato questa proporzionalità pare che non si mantenga rigorosamente. Così se g. 4 di NH,C], nelle condizioni de’ iniei esperimenti, fanno deporre g. 1,942 di NaCl, g. 10 dovrebbero dare g. 4,855 di NaCl invece di g. 4,429: e g. 16 invece di g. 7,234 dovrebbero precipitare g. 7,768 di NaCl. Questo fatto della proporzionalità si verifica abbastanza regolarmente per tutti i sali che ho messo in prova, ma non potrà manifestarsi allorchè nella soluzione di cloruro di sodio si forma un sale doppio. Se questo è molto solubile, la soluzione rimarrà limpida: in caso diverso si avrà deposito de] sale stesso e non di solo cloruro di sodio, come verra in chiaro negli esempi seguenti che riguardano il particolare comporiamento dei cloruri di mercurio, di cadmio e di zinco. E noto che il cloruro mercurico appartiene alla classe degli elettroliti deboli, onde nelle sue soluzioni acquose è poco dissociato, e quantunque abbia in comune col NaCl lo ione cloro, g. 4 di questo sale sì sciolgono in 50 cc. della soluzione satura di cloruro sodico senza produrre il più lieve deposito, ossia lasciando la soluzione perfettamente limpida. Il quale fatto si spiega senza incertezza sapendo che il cloruro mercurico forma col cloruro sodico il sale doppio HgCl,. NaCl molto solubile. Il cloruro di cadmio è pur esso elettrolita debole, meno però del cloruro mercurico, e possiede grande tendenza a formare sali doppi coì cloruri di NH,, Na, K, Ru, Ca, Sr e Ba. Introducendo g. 2 di sale anidro in 50 cc. della soluzione satura di NaCl a 12°, il — 101 — corpo si discioglie, ma la soluzione rimane limpidissima: aggiungendo poi a questa altri — g- 2 del medesimo sale, in tutto g. 4, dopo breve tempo appariscono minutissimi cristalli aghiformi che vanno man mano aumentando per fornire infine un deposito abbondantissimo : il quale non è, nè si poteva supporre che fosse cloruro di sodio. E, com’era da prevedersi, tutto il precipitato si scioglie subito e interamente in 40 cc. circa della soluzione satura di cloruro di sodio. Nulla havvi adunque di più certo che l'abbondante deposito prodotto dai 4 grammi di cloruro di cadmio non era altro che cloruro doppio di cadmio e di sodio, quale fu preparato dall’ Hauer e dal Croft facendo svaporare una mescolanza delle solu- zioni dei due sali. Nell’ esperimento fatto con g. 2 di CdCI, la soluzione è rimasta limpida perchè non era ancora superata la quantità di cloruro doppio necessaria a saturare il solvente. Passiamo al cloruro di zinco, premettendo che il Laboratorio possedeva del bellissimo sale anidro in forma di sottili cilindri bianchi, abbastanza ben conservati e perfettamente solubili nell'acqua. Di questi ne introdussi poco meno di g. 4,5 in tubo d’assaggio di peso noto, e con riscaldamento ben condotto, cioè sufficiente e sollecito, portai il sale sino a fusione completa e tranquilla, e feci uscire dal tubo quel poco di acqua che si era con- densata nella sua parte superiore fredda. Il sale così fuso presentava perfetta limpidezza e solubilità nell’ acqua. Dopo raffreddamento, ripesando il tubo, trovai che il sale rimasto in esso era di g. 4,8. Allora introdussi nel tubo cc. 26,9 di soluzione di NaCi satura a 12°, ossia la quantità di soluzione corrispondente a g. 4 di cloruro di zinco in cc. 25, e quindi a g. 8 in cc. 50 della soluzione medesima. Così operando ottenni in tempo brevissimo una soluzione perfettamente limpida che non diede col tempo alcun deposito di cloruro di sodio. Ora convien dire che il cloruro di zinco secondo l’Abegg appartiene alla classe degli elettroliti forti: secondo | Ostwald le combinazioni alogeniche dello zinco formerebbero il termine di passaggio fra i forti e i deboli. Oltre 1’ avere in comune col cloruro di sodio lo ione cloro, è deliquescente in sommo grado, ossia avidissimo d’ acqua. Non ostante queste qualità, g. $ di cloruro di zinco, come si è detto, si sciolgono in 50 cc. della soluzione satura di NaCl senza alterarne la limpidezza. Come nel caso del cloruro mercurico la ragione unica e non dubbia di questo comportamento sta nel fatto che il cloruro di zinco forma col cloruro di sodio il sale doppio ZnCl,.2NaCl deliquescentissimo e solubilissimo. Qui cade in acconcio di rilevare che gli effetti ottenuti da questi tre cloruri, tanto propensi a formare sali doppi col cloraro di sodio, dimostrano che /a regola dello ione comune incontra delle eccezioni che molto probabilmente seguiranno tutte le volte che alla soluzione satura di un sale qualunque se ne aggiunga un altro con un ione comune, che col primo sia atto a generare un sale doppio molto solubile. La reale esistenza dei sali doppi in certe soluzioni porterebbe logicamente ad am- meltere quella di speciali ioni positivi, cioè ad ammettere un legame più o meno intimo o dipendenza fra gli atomi dei due metalli esistenti nella molecola di un sale doppio, pur conservando in questo le loro reazioni caratteristiche. Non ho detto ioni complessi, perchè soglionsi distinguere con questa denominazione gli ioni in cui i costituenti perdono le ordinarie loro reazioni per darne altre caratteristiche per il nuovo ione. Così avviene del — 102 —— ferro nell’anione Fe(CN), del ferrocianuro di potassio, del cloro nell’anione PICÌ, del cloroplatinato di sodio o in quello CIO, del clorato di potassio e degli acidi cloroacetici. Non mi dilungo in queste considerazioni per le quali sarebbe necessaria una conoscenza completa e ben chiara delle numerose e importantissime ricerche fatte in proposito da Ostwald, Hittorf, Bredig, Noyes, Steele, Donnan, Basset, Fox e da altri. Dopo i cloruri estesi le mie ricerche ad un numero ragguardevole di altri sali ossige- nati e non ossigenati di cui tutti quelli aventi in comune col cloruro di sodio lo ione posi- tivo dànno deposito di NaCl, ad eccezione, almeno pare; del borato. Debolmente agiscono il fosfito e il fosfato sodico. La maggior parte invece dei sali di potassio,. per quantità di g. 4 in 50 cc. della solu- zione satura di cloruro sodico, non fanno precipitare del NaCl. Nelle stesse condizioni lasciano pure limpida la detta soluzione satura i solfati anidri di Cu, Mn, Zn, i quali formano col solfato sodico sali doppi, particolarmente i due ultimi. E ciò avviene quantunque il solfato di zinco nelle condizioni ordinarie si separi dalle sue soluzioni con 7 molecole di acqua di cristallizzazione, come il solfato di magnesio. Non diversamente dal nitrato e dal solfato di potassio si comportano i sali corrispon- denti, di ammonio e i nitrati di bario e di manganese. Fra i sali che non hanno ione in comune col cloruro di sodio e pur tuttavia dànno deposito di questo sale si distinguono particolarmente i seguenti: KI, LI,SO,, MgSO,, LINO,, Ca(NO,),, KC,H,0,. Dell’azione degl’idrati di potassio e di sodio, sali dell’ ossidrile, sulle soluzioni di cloruro di potassio e di sodio se ne occupò il Berthelot nel 1875, l’ Engel nel 1891 e IMDilittie mell'al897. L’idrato sodico NaOH solido, anche in quantità relativamente piccole, nella soluzione satura di cloruro di sodio fa depositare subito di questo sale. L’idvato potassico KOH si comporta diversamente. Gr. 4 di questa base entrano in 50. cc. della soluzione satura di cloruro di sodio senza alterarne la limpidezza, laddove g. 8 producono subito un precipitato abbondante che, raccolto su filtro e lavato non molte volte con soluzione satura di NaCl, scompare quasi completamente. Il qual fatto dimostra con certezza che il primitivo precipitato è formato in grande prevalenza di cloruro di potassio: precipitato che il Berthelot ottenne diversamente aggiungendo molta potassa ad una soluzione satura di KCl. Credo quindi di poter dire che nel mio esperimento ultimo, cioè operando con quantità forte di KOH, il fenomeno avviene come se ad una soluzione satura di KCI si aggiungesse del cloruro di sodio. Il Berthelot atiribuì la. causa dei depositi di NaCl e KCl prodotti dai due idrati alcalini melle soluzioni di cloruro di potassio e di sodio a fenomeni di disidratazione, ed io modestamente sono del suo parere: e per questo appunto ho fatto rilevare in parecchi sali la proprietà di separarsi dalle loro soluzioni con acqua di cristallizzazione e per altri il fatto della deliquescenza, e nell’un caso e nell’altro l'avidità che i sali medesimi, ridotti allo stato anidro, hanno per l’acqua. Non ad altro saprei attribuire la precipitazione di cloruro di sodio causata, ad esempio, dal solfato di magnesio e dal nitrato di calcio anidri. — 103 — Del resto l’effetto prodotto da un sale che nella soluzione satura di cloruro di sodio fa deporre del NaCl] corrisponde di fatto a quello di una sottrazione di solvente, qualunque possa esserne la causa. Con questo discorso mi qualifico partigiano della così detta feoria degl idrati, nella quale si ammette che quando un sale qualunque si scioglie nell'acqua, le sue molecole si combinano con un forte numero di quelle del solvente: teoria che ha la sua manifestazione e conferma in molti fatti sperimentali e nelle più accurate e recenti ricerche fisico-chimiche. Nel suo piccolo e preziosissimo opuscolo intitolato: « Za feoria della dissociazione elettrolitica « (lradotto dal Miolati) l Abegg dice che contro l’idea fondamentale della teoria degl’ idrati nulla havvi da opporre. E se nella spiegazione di alcuni fatti fondamen- tali riguardanti la dissociazione, la teoria degli idrati appare insufficiente e manchevole di fronte a quella dell’Arrhenius, si è dovuto però riconoscere che nel caso della forma- zione di molecole complesse, come quella dei sali doppi, avvengono delle anomalie che non possono essere spiegate senza ammettere l’ idratazione degli ioni. Comunque sia, la fede che ho sempre avuta nella teoria degl’idrati mi condusse, come forse sarà ricordato, a correggere un errore molto grossolano che, per affermazioni e auto- rità di valentissimi sperimentatori, è passato in alcuni grandi trattati di chimica minerale abbastanza recenti. L'errore consisteva nell’ ammettere che il carbonato di calcio fosse non poco più solubile nell’acqua bollente che nella fredda. Ciò mi sembrava inverosimile per questo semplicissimo mio ragionamento: Se il carbonato di calcio si scioglie un poco nel- l’acqua fredda, formerà senza dubbio sale idrato; ora è noto che gl’idrati di carbonato calcico sono instabilissimi, talchè non può essere che il sale stesso sia più solubile nel- l’acqua bollente che nella fredda. Difatti, allorchè si tiene a lungo della polvere di carbo- nato sospesa nell’acqua bollente, il corpo che passa in soluzione, come dimostrai in modo certo, non è carbonato, ma idrato di calcio. Quando poi si è formata una piccola quantità di questa base, che è uno dei prodotti della dissociazione del CaCO,, la dissociazione si arresta. Non debbo usurpare ail Le Chatelier il merito di aver scoperto che il carbonato di calcio nell’acqua bollente patisce una lentissima decomposizione che io pure potei con- fermare con esperimenti ed artifizi tali da escludere ogni dubbio di errore. Dichiaro infine sinceramente che alle considerazioni fatte in questa mia, forse ultima, pubblicazione tengo ben poco; non così ai numerosi dati sperimentali nella speranza che altri, forniti della cultura, dell'esperienza e della competenza necessarie a trattare gli ar- gomenti delicati e difficilissimi della fisico-chimica, sappiano interpretarli meglio di me e nel modo più proficuo alla maggiore conoscenza dei fenomeni complessi che avvengono nella soluzione dei sali. de I E ea Vo sa | | LORA. Va ITA VT sémR Lesson stili. 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I - Le Cuscute esotiche importate in Europa L'introduzione in Europa di specie esotiche di Cuscuta è stata accertata sino dal 1840: narra il Seringe (1) di aver ricevuto dal Vial, negoziante di Lyon, « dei semi di una qualità di erba medica nota in commercio col nome di A/falfa provenienti presumibilmente dal Cile; seminati in un appezzamento di terreno sabbioso nei dintorni di Lione essi fornirono una pianta perfettamente identica alla medica comune e con essa una Cuscuta diversa invece dalle specie note ». Essa fu descritta col nome di Cuscuta suaveolens dal Seringe che ne presentò alcuni esemplari all’ Esposizione orti- cola di Lione nell’ autunno 1840: « mi si scrive, riferisce il Seringe, che M. Reuter ha trovato quest’ anno la stessa specie di Cuscuta a Ginevra: che anche colà essa sì sia sviluppata su medica i cui semi provenissero dal Cile? ». Pochi anni dopo lo stesso parassita è stato avvertito in altre parti d’ Europa: nella Germania meridionale esso comparve nel 1843 a Weilberg e nel 1845 ad Halle; più tardi nel Belgio, in Piemonte, in Ungheria e nella Russia meridionale. Sembra evidentemente che la disseminazione di questa Cuscuta in Europa come anche nel continente nord-americano sia stato il corollario della importazione di semen- zine di erba medica e trifoglio pratense di cui la Repubblica Argentina ed il Cile sono centri importanti di produzione e di esportazione. Anche attualmente questo fenomeno continua a verificarsi onde dalla patria d’ ori- gine questo parassita — che corviene designare col nome di Cuscuta racemosa, Mart. — è regolarmente importato negli altri continenti: nel riferire intorno al valore agri- colo delle semenzine di trifoglio pratense di diversa provenienza, lo Stapledon (2) (1) Seringe in Ann. Soc, Roy. Agric. de Lyon, 1840. (2) Stapledon R. G. — Seed studies - In Journ. Agrie. Science. — Vol. X. I p. 110. Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 13 — 106 — osserva che 1° 82 per cento dei campioni di trifoglio di origine cilena, importati nella Grande Bretagna ed esaminati nel 1917 ne! laboratorio di controllo di Aberystwith (Galles), erano inquinati da Chilian dodder; anche nei campioni provenienti dal Canada la Cuscuta cilena è frequente. Ma si può prescindere dalla rifornitura per mezzo di sementi originarie dacchè oramai questa Cuscuta ha preso stabile dimora nell’ Europa meridionale : lo attestano le ripetute comunicazioni cui essa ha dato luogo nelle periodiche riunioni delle Stazioni Agrarie Germaniche. Prima della guerra la Germania era un importantissimo emporio di importazione ed esportazione di semenzine foraggere e poichè uno dei più notevoli centri di rifornimento di trifoglio rosso era 1° Ungheria, ove ©. racemosa è assai dif- fusa, quest’ inquinamento delle semenzine ungheresi era — per usare |’ espressione del Nobbe (1) — das Kreuz des Handels: infatti a cagione della grossezza dei semi non è possibile coi comuni sistemi di lavorazione purgare le partite di semenzine che ne siano inquinate. In Italia dopo una prima segnalazione relativa alla comparsa di questa Cuscuta nell’erba medica in Piemonte riportata anche nella Flora Italiana del Fiori e Pao- letti non ne è stato fatto altro cenno. Nel 1895 il prof. Todaro segnalava invece in un campione di seme di trifoglio pratense, spedito in esame dal Consorzio Agrario di Firenze alla R. Stazione Agraria di Modena, la presenza di semi di una Cuscuta grossa che presentavano i caratteri della C. arvensis, specie indigena del Nord Ame- rica, già indicata dallo Stebler come suscettibile di inquinare dette semenzine. Di anno in anno questa Cuscuta si è sempre più diffusa come risulta dalle indagini sta- tistiche compilate dai due Laboratori di controllo di Bologna e Modena. Nel 1908 ebbi a mia volta occasione di riscontrare infezioni assai diffuse di una Cuscuta esotica su appezzamenti di Medica, ‘Trifoglio, Bietola da zucchero, Canapa a Voghenza presso Ferrara. Inviai esemplari della pianta al prof. Lecomte del Muséum di Parigi ed al compianto prof. Baccarini che opinarono trattarsi di C. Gronorvii, già indicata dieci anni prima dallo Schribaux come parassita infesto dei medicai nella Provenza. Stando a questi rilievi resulterebbero importate le seguenti specie di Cuscute gerosse: Cuscuta racemosa, Martius. — (C. suaveolens Ser., C. Hassiaca Pfeif. — €. corymbosa Choisy — C. chilensis Bert. — C. diaphana Wend — C. papayanensis Pòppig). Cuscuta arvensis, Beyrich. Cuscuta Gronovii, Wild. (C. vulgivaga Eng.). (1) Nobbe und Simon. — Zum Wirtswechsel der Cuscuta - arten — Landw. vers. Stat. 61, p. 313. — 107 — II - Cuscute isofaghe e C. polifaghe Se dal punto di vista agrario questi parassiti interessano sopratutto in rapporto alla coltura delle lesuminose foraggere non si deve però circoscriverne lo studio a quest’ unico aspetto, a questa particolare manifestazione della rispettiva attitudine paras- sitaria. Vi ha qualche specie di Cuscuta e precisamente C. epilinum che rivela una mar- cata specializzazione parassitaria ristretta al Lino tanto da potersi considerare isofaga : la generalità è costituita da specie eferoo-polifaghe come la C. europaea ed epithy- mum fra le specie nostrane e le anzidette specie sud e nord-americane. Questa nozione generalmente trascurata — sebbene abbia dato argomento ad inte- ressanti ricerche del Nobbe — ha un'importanza capitale qualora si proceda ad inda- gini rivolte a chiarire l° origine delle infezioni che si verificano in natura e la prove- nienza dei semi di cuscuta che inquinano le semenzine foraggere. Finchè si tratta di cuscuta comune è evidente la stretta relazione tra parassita ed ospite: ancorchè ©. epithymum sia specie eterofaga le condizioni colturali portano a farne una specie isofaga e v'ha anzi chi ammette che la C. Trifoliù. Bab. sia una specie fisiologica che circoscrive il proprio parassitismo al Trifoglio pratense ed all’erba medica. Non altrettanto può dirsi delle Cuscute grosse: contrasta la frequenza dei loro semi nelle partite commerciali di semenzine e lo scarso numero di infezioni negli erbai. Se esse avessero la stessa attitudine parassitaria specializzata della C. comune dovrebbe essere difficile trovare erbai immuni dall’ infezione poichè da oltre 25 anni ne è stata segnalata la presenza. in Italia e manca un metodo di depurazione delle sementi inqui- nate che dia sicuro affidamento com’è quello che si applica contro la cuscuta comune. Durante quasi vent’ anni trascorsi nella Bassa Valle Padana, uno dei più importanti centri di produzione di seme medica e trifoglio d’Italia, ben rare volte ho trovato appezzamenti invasi da Cuscute grosse ; eppure il DIS dei campioni di semenzine analizzati nei laboratori di controllo di Bologna e Modena resnlta inquinato da ©. arvensis. Incomparabilmente più frequenti sono le infezioni di Cuscuta grossa sopra coltiva- zioni non foraggere (bietola) e su erbaccie spontanee: ne ho trovati esempi grandiosi nei seminativi di diverse località Ferraresi e Ravennati e più specialmente istruttiva una vastissima infezione nel cosidetto Bacinetto che è la parte più depressa della grande bonifica del Fucino; di fronte a tali constatazioni fui persino indotto a formulare per un momento l’ipotesi che il seme bietola potesse fungere da veicolo pel trasporto dei semi di Cuscuta. Le indagini continuate per vari anni mi hanno portato a conclusioni ben differenti che reputo opportuno illustrare brevemente. — 108 —- III - Quali sono le specie esotiche di Cuscuta infestanti ? Premetto che Ja determinazione specifica in base ai caratteri macroscopici dei semi è del tutto incerta: essi possono valere a distinguere C. epithynum e C. europaea dalle Cuscute grosse. l'uttavia vi hanno casi in cui fa duopo ricorrere all’ esame anatomico e valersi dei caralteri differenziali posti in rilievo dall’ Harz (1) e più recentemente da Guttenberg e Bernartsky (2) per decidere se si tratti di Cuscuta nostrana od esotica. Per giungere a determinaziont attendibili ho preferito attenermi al metodo colturale. Sementi raccolte in diverse località, su ospiti differenti o isolate da partite di semenzine commerciali sono stale poste a germinare e quindi trasportate su piante ospiti. Una prima serie di colture fu fatta nel 1918 ed una seconda nel 1919 nel quale anno si studiarono i seguenti campioni : 1° Cuscuta raccolta a Codigoro nel cortile dello zuccherificio parassita su Poly- gonum aviculare, Solanum nigrum. 2° id. raccolta tra i binari della stazione ferroviaria di Galliera (Bologna) sugli stessi ospiti. 3° id. raccolta nel Bacinetto del Fucino (Aquila) parassita della bietola da zucchero, medica e su numerose erbacce. 4° id. raccolta nel 1909 su bietola, canapa, trifoglio pratense e medica a. Voghenza (Ferrara). 5° id. semi isolati da semenzine nel laboratorio di controllo di Bologna ed indicate come C. arvensis. 6° id. raccolta nell’ orto botanico di Ferrara su diversi ospiti. 7° Cuscuta Gronovii, semi spediti da E. Smith, provenienti dall’ erbario Centrale del Ministero di Agricoltura degli Stati Uniti. Questi semi ultimi mi furono inviati con la dichiarazione che fossero troppo vecchi per nascere ; anche il campione raccolto nel 1909 lasciava dubitare come vitalità. Assoggettai pertanto parte dei semi stessi al trattamento preventivo con H,SO, concentrato per provocare la nascita dei semi duri; ed infatti da questo campione vecchio di oltre dieci anni e dal campione di C. Gronovii anzidetto ottenni una discreta nascita il che conferma la prolungata longevità dei semi di queste male erbe. Come piante ospiti si collocarono promiscuamente in grandi vasi medica, trifoglio, pomodoro, bietola, lasciando sviluppare anche le erbe spontanee: appena schiuse, le piantine di Cuscuta si portarono a contatto degli ospiti. (1) Harz C. D. — Samenkinde — Vol. II, p. 334. Berlin 1885. (2) Guttenberg e Bernartsky. — In Boll. Ist. Int. Age — Luglio 1916. SR GORE Le 6 germinazioni di ©. Gronovii per quanto vigorosissime e vissute a lunso rifiu- tarono di fissarsi su qualsiasi ospite e morirono. Tutte le altre non tardarono a fissarsi di preferenza sulla bietola e quindi sugli altri ospiti ed a vegetare risogliosamente emettendo lunghe propaggini che dai vasi si protendevano all’ intorno, coprendosi rapi- damente di numerose infiorescenze. Pregai 1’ illustre collega prof. Adriano Fiori del R. Istituto Forestale di Firenze di studiare questo materiale a complemento di altro materiale analogo inviatogli nelle precedenti annate ; il resultato delle indagini ha portato il Fiori a precisare che in tutti i casi si trattava di Cuscuta racemosa Mart. E lecito pertanto ammettere che la specie esotica più generalmente diffusa in Italia sia la C. racemosa, oriunda dall'America meridionale e che le indicazioni precedente- mente date circa la presenza di C. arvensis e C. Gronorvii siano derivate da errore di diagnosi più che da casuali effimere comparse di questi parassiti nord americani. Anche in Francia fu segnalata sino dal 1894 la comparsa di C. Gronovii: le infor- mazioni avute nello scorso febbrajo dalla Stazione di controllo delle sementi di Parigi escludono che « questa specie si sia in alcun modo diffusa in Francia come neppure C. arvensis. La sola specie di Cuscuta grossa segnalata nella Flora di Francia del Rouy, come parassita dell’ erba medica è la C. suaveolens » (1). Del resto nel continente Nord Americano C. arvensis e C. Gronovii hanno un’ enorme area di diffusione dal Canadà al Texas, parassite su varie piante erbacee ed arbore- scenti : esse vengono reciprocamente indicate coi nomi volgari di Field dodder e Large lovevine mentre è detta Lucern o Alfalfa dodder la O. racemosa penetrata anche colà con semenzine cilene portate in California e da questo Stato nel versante Atlantico. VI - In qua! modo C. Racemosa può dare origine ad infezioni diffuse Ebhbi occasione di esaminare nel 1909 un campione di seme di trifoglio pratense proveniente da appezzamenti invasi a tutta superficie da Cuscuta grossa; il 40 SA in peso era formato da semi del parassita: evidentemente adoperando per la formazione dei trifogliai sementa greggia così inquinata si va incontro a colpo sicuro ad un inve- rosimile pullulare del parassita. Ma si tratta di eccezioni fortunatamente assai rare. Non è da escludersi che anche siffatte partite di semenzine trovino acquirenti e che diluite in grandi masse di merce greggia siano poi assoggettate al lavoro di decuscutazione ormai entrato nell’ uso cor- rente presso le grosse ditte che commerciano in semenzine. È notorio tuttavia che gli apparecchi di decuscutazione sono fabbricati in guisa da eliminare con sufficiente sicurezza i semi di cuscuta piccola e soltanto una parte dei semi di Cuscuta americana. Non desta meraviglia pertanto il frequente inquinamento (1) Francois - in litt. IO delle sementi di medica e trifoglio, prodotte nell’ Europa meridionale ancorchè prima di essere messe in commercio siano passate per le decuscutatrici: van Degen (1) ha fatto qualche indagine sul quantitativo di semi di cuscuta grossa presenti nelle partite di semenzine ungheresi regolarmente controllate e piombate dalle Stazioni di controllo. In media furono rinvenuti 36 semi di C. grossa per quintaie di seme trifoglio e 16 per ogni quintale di medica, proporzioni tacitamente accettate come prive di qualsiasi conseguenza nociva in pratica. Ma non è questo il luogo ove indugiarsi intorno ad una questione di erandissimo interesse pratico qual’ è quella che riflette i criteri secondo i quali stabilire i limiti di tolleranza in fatto di inquinamento delle semenzine per parte delle diverse specie di cuscuta. Argomento lungamente discusso nei periodici convegni dei Direttori delle Sta- zioni di controllo tedesche e sul quale non v° ha concordia di opinioni, a cui dovrebbero interessarsi produttori di semenzine e stazioni di controllo nostrane per la ripercussione che può avere sul commercio delle semenzine italiane coll’ estero. Conviene ricordare che 1° effetto pernicioso delle Cuscute in genere va scemando di mano in mano che dai paesi meridionali si risale verso il Nord : riferisce van Degen in base alle osservazioni dell’Hiltner che tutte le specie di Cuscuta parassite del trifoglio sono più esigenti in fatto di clima del trifoglio stesso, onde in Svezia, Dani- marca, Norvegia ed in Inghilterra la stessa cuscuta comune è così poco dannosa che la presenza di essa nelle semenzine è considerata alla stregua dei semi delle altre erbacce infestanti. Più esigente ancora è la €. racemosa che cessa perciò di essere pericolosa in Baviera e che quantunque largamente disseminata in passato con trifogli importati si è rivelata nociva soltanto in qualche località della Thuringia. È nell’ Europa meridio- nale che codesti parassiti trovano condizioni favorevoli di clima epperò per 1° Ukraina, l'Ungheria e l’Italia esso rappresenta una seria calamità non soltanto per gli effetti che ne risente il prodotto delle coltivazioni da foraggio quanto per il deprezzamento delle semenzine che ne risultino inquinate e che si vogliano dirigere verso i mercati esteri. ‘l'anto più che non si deve nascondere che i parassiti in genere sì prestano meravigliosamente a giustificare provvedimenti legislativi atti ad assecondare le mire protezionistiche; la Germania ed altre nazioni sono maestre in materia: basti ricordare quanto è stata intralciata la concorrenza della frutta fresca americana dalle disposi- zioni escogitate apparentemente per difendere la Germania stessa dal famigerato pidocchio di S. Josè, così come Diaspis pentagona ha servito ottimamente ad impedire una soverchia concorrenza dei fiori prodotti in Liguria sul mercato francese. Ma torniamo in carreggiata: il van Degen ha ritenuto opportuno di verificare sperimentalmente a quale percentuale minima di semi di Cuscuta grossa sia legata la comparsa epidemica delle infezioni negli erbai; le esperienze continuate per due anni di seguito a Magyar-Ovar e a Keszthely hanno portato alle seguenti conclusioni : (1) Van Degen — Studien vber Cuscuta - arten - I- IT- in Land. Vers. Stat. Vol. 77, 1912. RIM 1° La presenza di non più di #e semi di C. suaveolens per ogni chilo di seme di trifoglio non ha determinato alcun focolaio d’infezione; per conseguenza la sementa di trifoglio pratense che contenga non più di 3 semi per ogni chilo può essere adoperata senza esitazione. 2° La semina profonda delle sementi — da cm. 2 6 a 4 cm. — costituisce una efficace difesa contro la comparsa della £. suaveolens anche nel caso in cui la sementa contenga sino a 10 semi di Cuscuta per chilo. La semina del trifoglio alla profondità di 2,5-4 cm. su terreno leggero e piuttosto sciolto non influisce affatto sullo sviluppo ed il rendimento dell’erbaio. Codesta pratica costituisce un importante mezzo di lotta contro C. suaveolens (e verosimilmente anche contro altre specie di Cuscuta) per tutti i terreni che permettano di eseguire la semina nei detti limiti di profondità. Quest’ ultime osservazioni di von Degen richiamano alla mente quelle analoghe compiute nel Lazio dal Lotrionte in merito alla lotta contro 1° Orobanca della Fava, costatazioni entrambe assai importanti ma delle quali ci basta fare questo cenno inci- dentale per trarne argomento a sostegno della tesi che c’ interessa ora di svolgere e cioè che la scarsa percentuale di Cuscuta grossa che si rinviene nelle partite commer- ciali depurate, e ]° uso generalizzato — almeno nella valle Padana — della semina- trice per formare gli erbai onde si collocano i semi ad una profondità che diventa protettiva, danno ragioni plausibili per spiegare la scarsezza numerica delle infezioni diffuse di C. grossa nonostante il frequente inquinamento - delle semenzine. Per spie- gare le infezioni diffuse che capita saltuariamente di riscontrare in campagna e che sono pericolose in quanto portano alla produzione di partite di seme fortemente inqui- nate fa duopo seguire le vicende della C. racemosa fuori dal ciclo colturale, studiarla in rapporto alle condizioni naturali di sviluppo. Questa Cuscuta — al pari di C. europaea — tende a localizzarsi nelle località umide, quindi si trova di preferenza sulle sponde dei canali e dei fossi, nei pascoli sortumosi il che è in relazione alle ben note esigenze di questi parassiti durante la fase germinale, oggetto di interessanti osservazioni del Mirande (1). Le diverse specie di Polygonum, Artemisia, Bidens rappresentano gli ospiti più comuni dai quali il paras- sita passa ad invadere le essenze legnose che crescono in vicinanza — Salix, Sambucus ; da questi centri ove C. racemosa è endemica, si distaccano propaggini che si fissano sulle erbaccie prossime specialmente Rapistrum, Cichoriwn, Convolvulus, Solanmn nigrum e successivamente possono diffondersi sulle fiancate od in testata degli appezzamenti coltivati. In condizioni normali sembra però che questo parassita abbia limitata facoltà di espansione. Havvi un fattore occasionale che può determinare infezioni diffuse come ebbi ad appurare sul finire dell’ estate 1917 nel Fucino e di cui ebbi conferma nel ricer- care l’ origine di altre consimili infezioni constatate nel 1918 e nel 1919 in alcune località della Bassa Valle Padana. (1) Mirande M. — Bull. Scient. de France et Belg. dir. par A. Girard — 1899. — 112 — Quest’ agente di diffusione della C. racemosa è l’acqua: i limiti entro i quali era contenuta l’ imponente infezione estesa a qualche centinaia di ettari nel comprensorio del Fucino risultavano segnati dall’ area di espansione delle acque provenienti dalla rotta d’ argine del torrente Giovenco e sua continuazione attraverso il fosso Morto e da altre sorgenti di inondazione temporanea del cosidetto Bacinetto. Così le indagini compiute in quel di Voghenza ed in Val Gallare relative ad ana- loghe comparse di Cuscuta su vasti appezzamenti coltivati, rivelarono che anche in questi casi le aree infette erano state, sia pure per breve tempo, coperte da acqua di rigurgito dei fossi. La correlazione tra aree cuscutate ed aree allagate non era sfuggita ai pratici che non esitavano ad ammettere che fra i due fenomeni vi fossero rapporti di causalità evidente. La C. racemosa al pari delle altre specie incluse nella sezione Grammica è fornita di capsule indeiscenti che in condizioni normali cadono sul terreno o restano aderenti agli avanzi dell’ ospite: solo dopo parecchi mesi se a contatto col terreno si disfanno e liberano i semi che a stagione opportuna tornano a rinnovare i centri d’ infezione localizzati. Sulle sponde dei canali e sul fondo dei fossi pressochè inefficenti del bacino del Fucino ho trovato a miriadi le capsule libere o riunite a glomeruli: intervenga una piena eccezionale od una rotta d’ argini onde i fossi vengano spazzati da una forte corrente d’acqua le capsule stesse libere od aggregate fungono da galleggiante e sono così trasportate anche a notevoli distanze. La C. racemosa offre pertanto un tipico esempio di disseminazione prevalentemente idrocora, fungendo l acqua dapprima da veicolo, indi da agente di rapido disfacimento delle capsule membranacee onde i semi liberati dall’ involucro e più pesanti dell’ acqua si depositano in maggior copia là ove l’acqua rimane più a lungo stagnante e più carica di materiale infettante. Nei casi anzidetti in cui ho potuto sicuramente accertare questa speciale origine di vastissime infezioni, la ©. racemosa dimostrava specialissima predilezione per la bietola da zucchero; non meno gravemente infetti erano appezzamenti di patata e pomi- doro e così anche medicai senonchè su quest’ ultimo ospite sebbene invaso dalla consueta fitta, inestricabile rete il parassita si mantiene di colore giallo-pallido quasi verdognolo laddove sugli ospiti anzidetti e su talune erbacce Aupistrwn, Bidens, Cichorium sì svi- luppavano enormi gomitoli di filamenti rosso-ranciati su cui si differenziavano miriadi di infiorescenze. Bisogna rilevare a questo riguardo che nella Bassa Valle Padana l’ industria delle semenzine è più specialmente fiorente nelle zone di bonifica relativamente recente. Sarebbe utile eseguire indagini metodiche circa la provenienza dei campioni di sementi infette da C. grossa perchè assai probabilmente risulterebbe circoscritta a località dove 1 ubi- cazione ed i difetti di sistemazione dei terreni creano focolai perenni endemici di cuscuta, pronta a tracimare e svilupparsi epidemicamente ogniqualvolta per casuali disordini idraulici i semi vengano trasportati e dispersi a distanza dalle acque dì rigurgito. — 113 — Accertare con ulteriori metodiche indagini se quanto ho sinora esposto rappresenti sicuramente la regola oppure eccezionale contingenza è un compito sul quale mi sembra utile richiamare l’attenzione della Commissione consultiva per le malattie delle piante che finora si è occupata in modo piuttosto evasivo della questione delle cuscute in genere. Si tratta di una questione complessa che ha un’ influenza decisiva sullo sviluppo della industria delle semenzine e non si risolve colle disposizioni draconiane sancite nei decreti ministeriali 8 dicembre 1916 e 8 ottobre 1919. La difesa contro la cuscuta comune (C. epithymum, C. Trifolii) ammette direttive diverse da quella rivolta contro le Cuscute grosse : essa si basa sulla decuscutazione delle semenzine che a parere mio dovrebbe integrarsi colla lotta diretta contro il paras- sita nei suoi quartieri d’inverno, procedendo cioè all’ estirpazione dei gomitoli di fila- menti che svernano a fior di terra, fissati sul colletto dell’ ospite, operazione relativa- mente agevole di cui ebbi a provare l'efficacia oltre dieci anni or sono (1). Contro Je Cuscute grosse non si può fare assegnamento assoluto sulla depurazione delle sementi mediante le comuni decuscutatrici; la presenza di notevoli percentuali di semi duri non ha consentito di valersi del processo di devitalizzazione per mezzo del riscaldamento. Rimane pertanto la lotta diretta contro il parassita che non deve circo- scriversi alle infezioni che s’insediano negli erbai ed in genere sulle terre coltivate : essa dovrebbe spingersi di preferenza nei centri di conservazione e di moltiplicazione della specie, colpendola sulla vegetazione spontanea che inquina i fossi. Ivi, indisturbato che sia, il parassita accumula a miriadi le fruttificazioni che la minima irregolarità nel funzionamento dei fossi di evacuazione delle acque porta ad inquinare le terre adia- centi provocando gravissime infezioni nelle coltivazioni foraggere ed industriali suscet- tibili di albergare il parassita. (1) V. Peglion. — Sulla difesa dei medicai dalle Cuscute — Annali della Società Agr. della Prov. di Bologna, 1909. E gr Serie VII. Tomo VII 1919-1620. 14 A iu Mrs) 00 i eg pini I oa | Ja MITORCIIMIS Ik VII RISI ICIIATONZZEOTI n HAT “Raro LATO LINCE sr Poi” in) fi ghiro! IR OMAiset vigne” (ZINIO fico sn ter: pane tec Ù "Dago tr. ILAILI Lig Ioia 4) DEAR IPO Gu ea tipi ente Las rpg. Hg "ppiariià “adi LL Olii Ai “ie Fl i nba na rr ag È 1A SEO esige Pd VSTETST ipa E; sil ictnnanrisdbie e Gio uao tì di Rep PIMARAT EOS «tre ie i n, laziti: (Aa di i xe LO da di ; : "BIBI fo RAT msi “0 VO. vi I VIETA test ASI uber VERRA Hi Ie VB gf arpa ice nio iis stori i Bi tisi nfalfon: Dali ca «AAPROE Lp ff MIST ind LTT ue ritttioa, WTSLE fg veni (o deri Ri VA ec sn RICE dati Ah Li bs dici Matte di tant) ii sari he) pt! INTEL. li Di ife a vali di 40 LA RESISTENZA TRASVERSALE DEGLI SCXEI MEMORIA DEL Prof. UMBERTO PUPPINI letta nella Sessione del 30 Maggio 1920. 1. — Gli scafi in cemento armato — che hanno incontrato favore durante la guerra in molti paesi, e di cui non conviene specialmente per parte di noi Italiani di abban- donare ora la costruzione, dato il grande risparmio di ferro che almeno sino a certi limiti di spostamento essi producono in confronto di scafi di ferro — debbono essere accuratamente studiati sotto ogni aspetto e per ogni modalità costruttiva. In particolare il calcolo di resistenza della nave deve essere compiuto con tutta cura, non potendosi disporre per tale nuova applicazione del cemento armato di tabelle ‘contenenti le dimensioni da assegnarsi ai singoli elementi dello scafo, tabelle che per le navi di legno e di ferro la secolare esperienza ha consentito ai Registri di Clas- sificazione di compilare. Relativamente semplice si presenta la linea di condotta del calcolo per lo studio della trave-scafo nel suo insieme, o, per usare la frase comune, per la resistenza lon- gitudinale della nave. Assai meno semplice invece è lo studio della resistenza trasver- sale, cioè della resistenza delle singole ordinate (sistema baglio - costole - madiere) che irrigidiscono trasversalmente la trave - scafo. Procedimenti empirici di vario tipo — come quello indicato nell’ « Engineering News-Record » del 25 Luglio 1918 di desumere dalle tabelle dei regolamenti di costruzione le sezioni che occorrerebbero per una nave di ferro e di calcolare poi sezioni di cemento armato equivalenti alle trovate sezioni di ferro, o come quello con- sigliato dal Prof. Suenson di Copenaghen equivalente a ritenere il baglio come corrente di un portale fissato a cerniera nei punti dove le costole si uniscono al ma- diere con analoga ipotesi pel madiere — non possono essere accettati, data la deli- catezza della nuova applicazione del cemento armato, per la quale si deve ricorrere alla considerazione del reale comportamento elastico del sistema solidale baglio - costole - madiere. A questo proposito studi già furono compiuti, ad esempio dal Bruhn (1) e dal Mengoli (2). (1) v. il trattato « The design and construction of ships » di I. Harvard Biles (Londra 1919). (2) Atti del Collegio degli Ingegneri Navali e Meccanici, 1914. Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 14 B 224 Mr Tali studi sono condotti col metodo del Castigliano delle derivate del lavoro di deformazione. Il procedimento richiede, come al solito, un lungo, laborioso sviluppo di calcoli per ogni caso particolare. Ma se. si fa, al riguardo della forma delle ordinate, qualche ipotesi semplificativa, e se si applica alla considerazione della struttura elastica la teoria della ellissi di elasticità dovuta al Culmann e al Ritter e sapientemente divulgata e applicata dal Guidi, si giunge a formule assai semplici che possono essere all’ atto pratico di uso diretto e generale. Sebbene io abbia affelluato questo studio avendo di mira in modo particolare gli scafi di cemento armato, tuttavia i risultati sono parimenti applicabili agli scafi di ferro. 2. —- Considererò in questa nota il caso più semplice, quello di una ordinata costituita di madiere, costole e baglio continuo, senza appoggi intermedi pel baglio e pel madiere offerti da pilastri o da paratie longitudinali, supponendosi inoltre che l’ordinata non sia vicina a paratie trasversali, sicchè non si abbia da tenere conto della azione irrigidente di esse. Ammetterò per semplicità che | asse del sistema madiere-costole- baglio possa considerarsi in via di approssimazione come un rettangolo, di cui due lati orizzontali, di lunghezza Z corrispondono all’ asse del baglio e del madiere, mentre gli altri due lati verticali di altezza % corrispondono all’ asse delle costole. Supporrò anche costante’ per Ja lunghezza» / il momento di inerzia I, della sezione del baglio e il momento di inerzia /, della sezione del madiere, e così pure costante per 1° altezza % il momento di inerzia /, della sezione delle costole. ’ali momenti di inerzia, dovendo servire nel computo di caratteristiche di sollecitazione nel sistema iperstatico, si intenderanno relativi alle sezioni virtuali (cioè con area del ferro moltiplicata per il rapporto tra il modulo di elasticità del ferro e quello del calcestruzzo), ma non ridotta, cioè senza fare astrazione dall’ area della zona di calcestruzzo che sia eventualmente tesa. Ci riferiremo a un tratto di scafo compreso tra due sezioni trasversali condotte per la mezzaria di due zone consecutive di soletta (corrispondente al fasciame di una nave di legno o di ferro), cioè a un tratto di scafo comprendente un’ ordinata e due semilarghezze di soletta. s. — Il peso elastico G di tutto il sistema è: I 2h I = + Se d EI I a i dove £ rappresenta il modulo di elasticità del calcestruzzo. Ponendo o, i Dini I, ; si ha anche o 1 1) Gr (1+24+9) l — ll7 — Il baricentro elastico si trova sulla mediana parallela ai lati X a una distanza dall’ asse del baglio data da h° D0) Th ; EL D 2) I (90 {SOL E y+P I E I 1+2p+° + EI, EI, EI, Considerando due assi ortogonali pel baricentro elastico G, uno « parallelo ai lati 2, l'altro y normale ad essi, si hanno i seguenti momenti di inerzia del peso elastico del sistema : rispetto all’ asse 2 UE ZO ht (red (ss 3 I=c+—-GNy° =; +-4—- la nh an esa eg. AREE SET 00 RE ee VI, 3(1+24+7) e rispetto all’ asse 7 È 2A Li 1+6p+9 È 4) = + + i L) P = È TRIAL ZIE 12 EI, Ciò premesso, noi cercheremo, in diverse ipotesi di carico, le sollecitazioni nella sezione di mezzo del madiere, e precisamente 1° azione che la parte del madiere che nel disegno (v. fig. 1) sta alla destra di detta sezione esercita contro la. parte di madiere che sta alla sinistra, assumendo come sensi positivi per tali azioni il senso dal basso all’ alto per la componente tangenziale della forza risultante, il senso da sinistra a destra per la componente normale (tensione), e il senso della rotazione delle lancette dell’ orologio per il momento fleltenie, così come è indicato nella fig. 1. 4. — Dovremo intanto prendere a considerare carichi agenti sul baglio e sul madiere dovuti sia al peso permanente delle strutture, sia a sopraccarichi sul ponte ed entro la stiva e a pressioni esterne dirette verticalmente e dal basso all’ alto contro il madiere. Solo nel caso, che non è il più frequente, nel quale per la zona di scafo che si studia, il dislocamento uguagli il complesso dei pesi, le azioni tangenziali che il tronco prodiero e poppiero esercitano sulla zona hanno risultante nulla. Nel caso più generale, per la zona considerata, di dislocamento diverso dal complesso dei pesi, tali azioni tangenziali, che supporremo distribuite solamente sulle solette verticali, avranno una risultante uguale (a meno del segno) alla differenza fra dislocamento e pesi, ottenendosi un sistema equilibrato nel complesso del dislocamento, dei pesi e delle azioni verticali dei tronchi prodiero e poppiero contro la zona. Tale considerazione dispensa dal prendere in esame contemporaneamente le forze esterne agenti sul baglio e quelle agenti sopra e sotto il madiere e contro le costole. IL’ esame può essere fatto dapprima mettendo in conto le sole forze agenti sul baglio, supplendo con un congruo valore della risultante delle azioni tangenziali al fatto che Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 14* — 118 — tali forze non costituiscono di per sè un sistema equilibrato, poi mettendo in conto le sole forze agenti sul madiere con analogo apparente artificio, poi le forze agenti contro le costole, e sommando infine il risultato ottenuto. 5. — Supponiamo il baglio sollecitato solamente da due pesi P concentrati sul- l’asse di esso e disposti simmetricamente rispetto all’ asse verticale del sistema, e quindi la risultante delle azioni tangenziali dei tronchi prodiero e poppiero contro la zona assimilabile a due forze verticali — P dirette dal basso ali’ alto secondo 1° asse delle costole. Supponiamo tagliato il sistema elastico secondo la sezione Q,, di mezzaria del madiere. I carichi suddetti faranno compiere alla faccia di sinistra del taglio rispetto alla faccia di destra, e quindi anche al punto G, baricentro elastico di tutto il sistema, supposto rigidamente connesso con la faccia di sinistra del taglio, una rotazione misurata dalla somma dei prodotti di ogni singola forza per il momento statico rispetto alla retta d'azione di essa forza della parte di sistema elastico che da destra di tale forza va fino alla 2, parte sulla quale essa forza ha infinenza agli effetti della considerata rotazione. Ora il momento rispetto al punto G, momento che indicheremo con ./, della forza che la zona di madiere a destra di @,, esercita sulla zona a sinistra deve avere per effelto di annullare tale reciproca rotazione delle due faccie del taglio Q,,, dato il mantenersi della compagine della struttura. Sussiste quindi, a sensi della teoria dell’ ellissi di elasticità, la seguente eguaglianza, ove si indichi con d la distanza della costola di destra della retta d’ azione della forza P più vicina alla costola stessa: uG= pÎ È hb I ce--._ I (i \25I,' EL 2EI, 4 2EI, EI, 2EI, eNi Ta ME ei spie a) Lp a: ( 8EI, (ZI REI EL 2 PI | b MG=—={—-% | G 2 Dista ), PE oo dalla quale, ricordando la formula 1), si ha d) M= Qualora sul baglio il carico possa ritenersi come uniformemente distribuito nella misura di p Xg. per wm. l., si ha per M: po (fe) E i dove si è indicato con @ la distanza del carico p da dall'asse y. Si ottiene integrando : M 6) = Da |“ 12(1+24+9) 6. — I pesi ? produrranno uno spostamento verticale del punto G che sarà mi- surato dalla somma dei prodotti di ogni singolo carico per il momento centrifugo rispetto alla retta d’ azione di esso e all’ asse y della parte del sistema che da destra del carico va fino alla Q,,. La componente verticale R, della forza R, cha la zona di madiere a destra di Q,, esercita sulla zona di madiere a sinistra, deve avere per effetto di annullare detto spostamento. Sussiste quindi la seguente uguaglianza: Dc | SPE TI TESTA IC (—- 0/1. 1—-d 1—-b Pf -b 1 ez Dig x ii è» P l I NOBTAA a pei dalla quale : come era da prevedersi per ovvie ragioni di simmetria. Segue che anche un carico uniformemente distribuito produce una reazione verti- cale R, nella sezione Q,, uctuale allo zero. “. — Con analogo procedimento, prendendo i momenti rispetto all’ asse 4 anzichè rispetto all’ asse y, si ottiene, per la componente orizzontale &, della azione che la parte di madiere a destra di Q,, esercita sulla parte di madiere a sinistra, la formula seguente ; — 120 — i ne i dI ali TI AEREO] o a VII MO RL, = P U-bE(G+4 (€—b(d+W) 7 di ATA era 7 n POZZI, o(Pt wp) i 0) rei DI psn OLII] DR 4 77 AO S0) Spe Pt) EI 1+2p+P Ih 2 R,I,=P 3(@+ 1) eZ) pP+249P+3P+2w Ih I — la = Qualora sul baglio il carico possa ritenersi uniformemente distribuito nella misura Uli 0) o er o o Si ha pervaso 50 I l \ 2 3(P+t4) (=?) (+2) a = )3 dx odo +2 po+39+2% D Si SA pl° Pt °T 4h PETIT 39E2w S. — La distanza della retta di azione orizzontale della AR, dal baricentro ela- stico G sarà data da : ce V+24P+3P+2w Ro _ 3(P+Y1+2p+P) Ponendo: 9 i = epr esig i 10) 2 ? Z = =, +2 WP4-3P+-2%y risulta : pi 11) Man pÉ D) iesa. 3) da TA ha 13) = A — 121 — 9. — Le caratteristiche di sollecitazione con riferimento al centro della sezione Q,, (sezione di mezzaria del madiere) saranno pertanto, in conseguenza delle formule 11), 12), 13): una componente normale di tensione : piè 14 R== 6 Ai? o un momento flettente : M_Rh_-N+ Y), Ure ron i e ponendo 15) m=&i(-y= = (6-8-1). Le caratteristiche di sollecitazione si mantengono tali per tutto il madiere. Per quello che riguarda la costola sinistra (v. fig. 1), data una sezione Q,, le caratteristiche di sollecitazione si intenderanno come azioni che la zona di costola sottostanie ‘alla sezione Q, esercita contro la zona soprastante. Si avrà pertanto nella sezione di incontro della costola col madiere uno sforzo di taglio pl 14 /p= to 4h 8; e un momento flettente pi ( 3 15 M= — —_ — ) z 4 di By D) , mentre invece all’ incontro della costola col baglio, restando immutato lo sforzo di taglio, il momento fletteute sarà dato da 92° (04 16) M_Rin+Y=7(-6r-3) 4 3 Nel baglio si ha una componente normale di compressione piò 14 lo= = ) 0) 4h 8, una componente tangenziale al 17) eg) Le indicando con # la distanza della sezione generica Q, dall’ incastro colla costola di sinistra. Agli effetli dal segno, £,, &, e il valore che segue di riflettono |’ azione che la zona di baglio a sinistra della sezione Q, esercita sulla zona a destra. Si ha per la sezione Q, il momento flettente \ 3 2 pi ( i Rel 18 M=—-|{(- = nei ) a (nn e per la sezione di mezzaria più 2a 19) u== (1-20 = )o DA 3 3 10. — I risultati precedenti possono riassumersi nella tabella seguente, nella quale, anzichè seguire la convenzione sui segni di A} e di 4 in relazione col senso positivo fissato per gli assi coordinati e per le rotazioni, convenzione opportuna per il prece- dente svolgimento analitico, se ne adotta un’ altra che sembra meglio risponda alla natura dei risultati. Si adotterà il segno positivo per le componenti normali di ten- sione, negativo per quelle di compressione, il segno positivo per i momenti fiettenti che generano tensioni nel contorno interno del telaio rettangolare, negativo per i mo- menti flettenti che generano tensioni nel contorno esterno del telaio rettangolare. Carico verticale diretto dall’ alto al basso nella misura di p 7g. per 22. 2. di baglio. Componente Sforzo di Momento Actanio normale taglio li pò PÒ (3 Gi î) MIA LOR E A 1), È LAGO i B— By 3 2 E i sezione incastro costola-madiere | . . . . . . pg DEE ar hi DINE UO : 4 : pl? PENE CI costole . sezione alta x sul madiere ...|...... 1, È ri (6 X BY 3 DIN DE - plò % sezione incastro costola-baglio. . |... . - hd mal Pie 3 sezione incastro baglio-costola. . | — Lo De 2 (- Br 3) Gli VERRETE È | più, pi pl L CROZZA LI baglio . | sezione distante 4 dalla costola. — a. 9. pa 1\DY gt Vero Sd \ Ha: pl EVASE x \ SSZIONORCI MEZZABI ARA = ah 0 ASTRA ay IG DSS BY SE 3) 11. — Le caratteristiche di sollecitazione per forze verticali applicate contro il madiere e dirette dal basso in alto sono espresse da formule in tutto analoghe alle | i SOA Te I hI, precedenti, ove si ponga, al luogo di @ e di ), i valori $ = 0) = l 2 e si adottino le notazioni : 1 l 41) l i | * D+) D+ 9 1) = a = © vu dt. I+2y+g@ prerpp+spazyi? Ti+ap+g Per un carico verticale diretto dal basso all’ alto nella misura di p' Kg. per m. /. di madiere, ferma restando la convenzione sui segni posta nel numero precendente, si hanno le seguenti caratteristiche di sollecitazione. Carico verticale diretto dal basso all’alto nella misura di p' 7g. per mm. 2. di madiere. RO Momento flettente | | 2 | 2 sezione di mezzaria. . . ..... E MST | e (3- ty al madiere ( sezione distante # dalla costola. leo pi ù polo. | 22 ( pei = 2) \ sezione incastro madiere-costola Lp DI ci Lo (pet) sezione incastro madiere-costola |. . . . . - ca ani ca —p, I) costole . sezione profonda # sotto il baglio |... . .. n pi Li (5° 3 & By! x) \ sezione incastro O gono DI PE (pi — By — 2) aglio, ii Aste Ae da Vr di Ch RENATO Pi (pi Bvaa dI 12. — Consideriamo ora l’azione delle pressioni esterne contro le costole. Comin- cieremo col riferirei a due forze orizzontali P, — P concentrate alla profondità c sotto l’asse del baglio, luna agente contro la costola di sinistra, l’altra contro la costola di destra. > Mp4 Abbiamo, seguendo il metodo della ellissi terminale di elasticità e computando l’azione che la parte di madiere a destra della sezione di mezzaria, Q,,, esercita contro la parte a sinistra e riferendo il momento della risultante di tale azione al baricentro elastico del sistema : (dC Gi M =?P(, gp) 9 DIA EI} dalla quale 20) MEA 1l+24+| Qualora contro le costole si debba considerare una pressione linearmente crescente dal valore zero alla profondità X, sotto l’asse del baglio sino al valore #0 (fh_—-#) per metro lineare di profondità alla profondità % sotto il baglio, essendo d la larghezza della zona considerata di scafo e @ il peso specifico vero o virtuale dell’ acqua, si ottiene dalla 20) PO pd ob a NERA: UO ve= I+2yp+ gi h, (a —_ h,) LAt DE (e — h,) aL | da 5 RSA + È (+1 (3 Ù Nel caso in cui sia 7%, = 0, corrispondente a una completa immersione della zona considerata di nave, sì ha bh 4+3w4 22) u= À sti ” 12 1+244+pP 13. — Per ovvia ragione di simmetria è nulla, sotto l’azione delle forze P,—P la componente tangenziale nella sezione Q,,. La componente normale invece risulta nel modo seguente : ri) 3p+D+394+9()v0+2r+9 (1) P+249+39+27 i Qualora contro le costole si debba considerare una pressione linearmente crescente 2a = pi dal valore zero alla profondità /, sotto l’ asse del baglio sino al valore & bd (R— #,) per metro lineare di profondità alla profondità A sotto il baglio, si ottiene dalla 23): DI o Db ® (0 mail) ko="=— 3 È hi fe +P sli 4 W+24Db+24W+39 SIE n 2 a 3 È LC } < MAS +34U(d+P) (2) (CR) W(1+2wW4 P) 5 (@—h,) (da, o bh P+24P+t24+39P +(-te enti nette) _Y( aa) le (1+24+9) di 20 24) R,=— (b+P+ + 9) + t9) Per h,=0, sì ha: o DR 16 + 20P+7/°+11y9 25) Ro =— 5) ; 20 P+2pP+3P+ 24 14. — La distanza della retta di azione orizzontale della 2, dal baricentro ela- stico G sarà data da = M \e= 5 Ro Ponendo NS La (4438 i (6 + 4 DE L_2 di + 07 (3) 26) h TA 3 l+2 . +9 4 | /4 e] 27 2 v+P+aW+-- + + 2p9h+2p+39 (4 Pra ag CE a AI 20 risulta o bl 28 ie= Ò, ] TESE 9 bh 29) R=-te, 30) ta hd Parra 15. — Le caratteristiche di sollecitazione con riferimento al centro della sezione Q,, (sezione di mezzaria del madiere) saranno pertanto una componente normale di com- pressione o bh 31) Re== 4 €; e un momento fleltente M= Ro(hn— MEP) EIA RS e ponendo 2220 — xy}: Esa lai } Ò bh? Po) 32) M=lRh(-y=)==" ber) Le caratteristiche di sollecitazione si mantengono tali per tulto il madiere. Nella sezione di incastro della costola col madiere si ha uno sforzo di taglio 31) R=— E e un momeuto flettente 32) M=— In una sezione generica di una costola alla profondità 2, sotto | asse del baglio 1 si ha lo sforzo di taglio 0 Ro==—%W ce J ob(a —h)dx, valida per x, > %,, da cui DI © bh 4 33) R= — e il momento flettente DI M=R,(@\/-N+Y)# i ob (e —Rh)(e — x) da valida per @, i h,; da cui 35) 36) sezione incastro costola madiere 3 34) ili (2 sezione profonda x, > hu sotto il aglio: di 00 sezione incastro costola-baglio . DE o TT e un momento flettente 16. — Riassumiamo i risultati fatta per i segni la convenzione stessa che per le due tabelle precedenti. di TIE "(2 (0-)) 4 5 ( h È Ò qu COVA a (1-3) h 3 RI on 9 92 al valore 35) e un momento flettente dato dalla formula 36). alla profondita x sotto l’asse del baglio. Componente normale Ooh? Sforzo di taglio 3 64° (TRE Nella sezione di incastro della costola col baglio si ha uno sforzo di taglio h, Nel baglio si ha in tutte le sezioni una componente normale di compressione uguale precedenti nella seguente tabella, nella quale è Pressione orizzontale dali’ esterno verso Y interno nella misura di © d (x — 2) Kg. per m. 2. Momento flettente Li 665, (0, LÀ ) Open a — 128 — 1%. — Le sollecitazioni studiate nei mameri precedenti e producenti le azioni meccaniche riassunte nelle sopra riportate tabelle debbono pensarsi coesistenti in pro- porzioni diverse a seconda che si vogliano riprodurre le condizioni estreme di carichi nella stiva o sul ponte e le condizioni di massima o di minima immersione. 1S. — Le formule precedenti consentono ancora di studiare Ja resistenza trasver- sale dello scafo quando la nave si trovi all’ asciutto in uno scalo e sia appoggiata sulla chiglia. Tale caso risulta dalla considerazione simultanea dell’ azione del peso permanente gravante sul baglio lungo / nella misura di pg. per metro lineare, del peso per- manente gravante sul madiere lungo 7 nella misura di p' Xg. per metro lineare (v. tabella 2% con cambiamenti dei segni) coi corrispondenti valori. della risultante delle forze tangenziali e di una forza concentrata in corrispondenza della chiglia, diretta verticalmente dal basso in alto e del valore — 2 P= — (pl+p'1+2 Ap") (essendo I’ altezza delle costole e p" il peso gravante per ogni metro lineare di esse), alla quale forza facciano equilibrio due forze verticali lungo le costole della misura ua pl + pil + 24p!! 9 Per effetto di questa forza — 2 P lungo la chiglia con le conseguenti P lungo le costole, nella sezione mediana del baglio si ha una tensione nella misura dedotta dalla 7) facendo db = 30 sostituendo a B e y i valori già considerati d' e f!: AEG 3(B+y) O IhpP+2UD+3P+24/° il momento della quale tensione rispetto al baricentro elastico del sistema è, secondo la 5): PI 1 M= — È i 21+2l4'+P' Con ciò risulta completamente conosciuto il regime statico del sistema baglio-costole- madiere per nave poggiante sulla chiglia. —FLusia Un trentennio di servizio antirabico nell’ Istituto di Bologna 77 IV. COMUNICAZIONE DATI E STATISTICHE DEL Prof. IVO NOMI ACCADEMICO BENEDETTINO DIRETTORE DELL’ISTITUTO DI MATERIA MEDICA NELLA R. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA presentati nella Sessione del 7 Dicembre 1919 Le notizie statistiche e le relazioni sul servizio antirabico che io ho intrapreso nel- l’ Istituto di Bologna furono pubblicate (1) solamente per il 1° decennio 1889-1899, pubbli- cazioni riguardanti la cura antirabica o questioni varie interessanti |’ infezione rabbica furono eseguite in anni successivi, ma un lungo silenzio ho interposto per molte ragioni od anche per le occupazioni che hanno assorbito la mia giornata di lavoro massimamente poi nel periodo della guerra, che ha richiesto tutto il personale tecnico e mi ha obbligato ad un lavoro assiduo per tutta la mia giornata divisa fra 1° Università e 1° Antirabico. Il lavoro dell’ Istituto antirabico fu invero molto grave; non solo non scemò mai la fiducia delle provincie e comuni che hanno continuato sempre a ricorrervi, ma l’ autorità militare si volse durante la guerra esclusivamente al nostro Istituto per i numerosi casi gravi o lievi che si presentarono, Il pubblico dei profani o dei medici non ha invero cambiato notevolmente nella fiducia esagerata o nello scetticismo dimostrato. Pur troppo vi è fra i medici una serqua di igno- ranti, che non sa neppure come condursi non solo in casi di rabbia, ma neppure quando si tratti di morsicature da animali sospetti, non sa che l’ animale deve essere tenuto in osservazione e non già ucciso immediatamente dopo il fatto e inviato in esame, non sa che la cauterizzazione, se del caso, deve essere compiuta senza ritardo, che il tagliare tes- suto intorno alla ferita è un esporre il morsicato ad una infezione successiva o più diffusa per opera del virus deposto sulla morsicatura, non sa che la cura antirabica è preventiva e non serve quindi se eseguita in ritardo, non sa infine che la rabbia sia pure nei cani, non è per nulla dovuta alla mancanza di bevande, di coito, alla stagione, ai maltratta- (1) Ivo Novi — La cura del Pasteur nell’ Istituto antirabico di Bologna dal 10 Luglio 1889 al 81 Dicembre 1893. - Bullet. Scienze Mediche 1894, Serie VII, Vol. V. Lo stesso — Idem, idem - dal 1° Gennaio 1894 al 80 Giugno 1897. - Ibidem - 1897, Serie, VII, Vol. VIII, fase. 1]. Lo stesso — Idem, idem - III. Comunicazione. Decennio 1889-1899. - Ibidem, Serie VII, Vol. X, 1899. Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 15 — 130 — menti, ma è una forma d° infezione trasmissibile mediante la saliva. Pur troppo in ragione di questa grande ignoranza generale vi sono anche oggi spacciatori di polveri o di rimedi di varia forma prescritti contro la rabbia e che ricordano gli antichi medicamenti riferiti da Ippocrate, da Dioscoride, da Galeno e risultanti di varie droghe irritanti e specialmente di cantaride destinata a produrre ematuria e per questo dare |’ allontanamento della « materia peccans » dall’ organismo. Anche nei dintorni di Bologna e sulla montagna vi sono possessori petulanti di simili ricette, che naturalmente possono anche essere siate usate da individuo scampato alla rabbia, come del resto può scamparne 1° 80 per cento circa delle persone morsicate, non sottoposte a cure di sorta. In verità ufficiali sanitari e medici provinciali oggi vanno a gara per inviare rapida- mente i morsicati agli Istituti antirabici, ma vi è anche chi lo fa per isgravio di coscienza e non per convinzione, come vi è chi non crede ai vantaggi della cura antirabica, perchè ignora tutto o la massima parte di quello che si riferisce alla rabbia canina. In questa pubblicazione iratlerò particolarmente del servizio durante il ventennio 1899-1919 riunendo per sommi capi i risultati dell’ intero trentennio compiutosi il 10 Luglio 1919. Naturalmente non si è potuto riferire sul secondo semestre del 1919 perchè dovevasi attendere che passassero almeno 4 o 5 mesi dal termine della cura avanti di parlare di esiti definitivi. Numero delle persone curate. $S 1 — Nel ventennio 10 Luglio 1899 - 9 Luglio 1919 si sono presentate all’ Istituto per sottoporsi alla cura ‘2545 persone e fra queste solamente 9662 furono curate. Gli altri 2883 individui furono respinti o perchè si potè provare che l’ animale fevitore era sano, o perchè le vestimenta protessero sicuramente i tessuti sottoposti dal contatto coi denti e quindi con la saliva dell'animale, o perchè le morsicature inferte non produssero lesioni cutanee atte a trasmettere |’ infezione. TABELLA I. Rimandati 2° semestre 1899 65 Riporto 1090 1900 44 1910 135 1901 76 1911 158 1902 79 1912 163 1903 124 1913 195 1904 113 1914 156 1905 75 1915 139 1906 99 1916 174 1907 103 1917 284 1908 152 1918 289 1909 164 1° semestre fino al 9 Luglio 1919 100 Da riportare 1090 2883 > lr — 1381 — Se computiamo invece il concorso di persone in tutto il trentennio vedremo che esso sale a 16090 con 3345 individui rimandati, e 12745 persone sottoposte a cura. Nessuna condizione peculiare all’ individuo da curarsi ci trattenne dall’ applicare la cura, nè età avanzalissima o tenerissima, nè stato di gravidanza, nè malattie in corso. Non abbiamo mai notato disturbi dalle vaccinazioni antirabiche fuori di quelle che furono già oggetto di ricerche per parte mia o di miei allievi e che riguardano |? accele- ramento del ricambio materiale, con iperazotusia e fosfaturia e fatti di debolezza degli arti inferiori che accennavano alle paraplegie avutesi con le vaccinazioni. eseguite con virus rabbico fresco diluito e con emulsioni attenuate in modo insufficiente col riscal- damento. Contro la fosfaturia dimostrai già che si* presta bene l uso della filina della Ditta Ciba che il nostro Centanni produce sotto il nome di ir0siz4, ma non è altro che un sale calcico magnesiaco dell’ acido inositfosforico. E dimostrai ancora che serve ben più e forse più rapidamente allo stesso scopo la cura con lecitine pure o meglio lecitine e luteina estratte dall’ ovo, che sono in commercio sotto il nome di fosfoplasmina, biopla- stina, ovoplasmina, nucleogenina. Il meccanesimo d’ azione di questi mezzi non è facile a interpretarsi. Io non credo ancora dimostrato un’ arricchimento del sistema nervoso per opera di questa terapia fo- sforica, ma penso che essa rappresenti uno stimolo alla nutrizione del sistema nervoso e di molti se non tuiti i protoplasmi e rispettivamente alla loro funzione. Mi sto occupando di ricerche dirette allo studio di questa azione, che ripeto è quanto mai difficile a investigarsi, mentre così facilmente convince gli ingenui che prendono l’opera del terapista per quella di un muratore, che restaura un soffitto scalcinato, 0 rappezza un muro screpolato. Ho riunito in alcune tabelle le cifre che si riferiscono all’ età, al sesso, alle stagioni, agli anni in cui.i morsicati furono sottoposti a cura. Nella tabella che riguarda 1)’ età e il sesso ho formato solamente due categorie, gli individui superiori e quelli inferiori ai 12 anni. Le cifre riportate dimostrano una volta di più il maggior contributo portato dai maschi in confronto delle femmine, cioè in totale il 73,6% circa dei casi curati, come fu veduto da altri, per esempio dal compianto collega ed amico Grocco nella sua statistica del decennio 1899-1908 in cui il risultato fu del 71°/. Nei bambini la percentuale dei maschi fu inferiore a quella dei più anziani e cioè del 68,1%, mentre negli individui supe- viori ai 12 anni la percentuale salì al 76,7%. Naturalmente il fatto sì spiega facilmente pensando che più si espongono i maschi e specialmente gli adulti a tutte le azioni che possono colpire fuori di casa, e quindi anche alle morsicature dei cani idrofobi; quanto all’età lo stesso fatto si ripete e cioè che sono più colpiti gli adulti che non i bambini, in ragione parmi della stessa determinante. Il rapporto degli adulti per cento del totale sarebbe del 63%. Se ora riferiamo il numero dei morsicati alle stagioni relative in cui essi si presen- tarono dobbiamo ricordare che nelle precedenti statistiche si dimostrò già nel primo TABELLA II. Età e sesso dei morsicati. Superiori ai 12 anni Inferiori ai }2 anni | Anni | Maschi Femmine | Totali Maschi Femmine Wotali | 2° semestre 1899 62 20 82 35 TA00 49 1900 105 45 150 7A 2 93 1901 120 4) 161 PR 2500 87 1902 200 70 270 100. | 41. | 141 | 1903 289 (30n 67 I2°II 72 194 | 1904 176 64 240 11) 48 159 | 1905 152 590 | 205 72 40. | 1326001 1906 137 AGÌ 183 75 3: 108 | 1907 369 12000) 489 190 DE 267 | 1908 277 99 376 158 79 237 1909 244 66 | 310 115 600 (eeMblzo 1910 186 5I 237 93 SINNI 148 1911 147 Do IN202 105 56 161 | 1912 213 59 272 137 67. | 204 | 1918 283 103 386 157 AM EER 1914 180 70 250 93 56 149 | 1915 130 Bal 192 57 34 OI 1916 338 65 403 72 53 125 1917 476 74 550 199 62 261 1918 411 140 551 298 95 | 393 1° semestre 1919 228 57. | 285 67 49 | 116 Totali 4728 1438 6161 2389 1112 3501 decennio una media massima nella primavera e nell’ estate, una minore nell’ autunno ed una minima nell’ inverno. Il computo fatto sull’ iniero trentennio dal punto di vista delle stagioni dimostra un minimo nell’inverno ed un massimo in estate. L’ estate, cui compete la cifra massima di 119, sta dappresso alla primavera e l’ autunno si avvicina alla cifra dell’ inverno, che è la minima in 90. Se ora teniamo conto della provenienza dei morsicati e li dividiamo secondo le pro- vincie cui appartengono e relativi capoluoghi possiamo eseguire confronti col concorso notato nel primo decennio e che riporto dalle precedenti pubblicazioni. ———— ——————__________ù Autunno Inverno dal 1889 al 1899 840 917 801 656 1900 72 63 60 AB 1901 65 52 49 83001 1902 110 115 98 SS 1908 151 157 134 119 1904 109 110 102 78 1905 SO 88 76 68 1906 79 82 69 61 1907 199 210 187 156 1908 167 178 147 121 1909 146 135 125 78 1910 108 107 92 83 1911 98 105 A 89 1912 131 134 1)5 101 1913 165 172 148 130 1914 107 109 95 88 1915 68 S4 58 73 1916 1]2 155 114 148 1917 255 25 164 158 1918 282 288 205 172 1° semest. 1919 208 95 — 100 Totali 3552 3586 2910 2698 Medie 116 119 97 90 Credo opportuno riunire i dati in 3 sole colonne una per ogni decennio, notando che si sono fondati rispettivamente nel 1895 e nel 1899 gli Istituti di Faenza e di Firenze finitimi con la provincia di Bologna e che da queste date naturalmente i contributi di tali provincie ed anche delle vicine devono essere venuti meno. La tabella IV dimostra infatti un concorso massimo delle provincie emiliane, cospicuo anche quello di Ravenna, avendosi poi contributi notevoli da località che furono ieatro della guerra e ciò per concorso portato da soldati, che come si disse più sopra erano avviati quasi del tutto al nostro Istituto, dovunque essi si trovassero nel momento della morsicatura. L’ aumento notevolissimo dato dai militari si porta solamente sugli anni 1916-1917-1918 essendone stati ammessi appena 21 nel 1915 e 98 nel 1° semestre 1919. Un contributo cospicuo è stato poi dato da Mantova, mentre come previdi nell’ ultima relazione pubblicata nel 1899 cessò quasi interamente il contributo di Firenze, dove il Prof. Grocco fondò un nuovo Istituto. 'ABELLA IV. Divisione per capoluoghi e provincie nei 3 decenni. Decennio Decennio Decennio PA RIO 1889 - 1899 1899 - 1909 1909 - 1919 Votali pesa cap. RZ ADI 447 110445252 | Bolo gn Ate prov. 52] 745 884 1317 1016 1463 242] 3I2E IR. cap. 9010, WMO 1ADAMESS ANSE IREMAREI 5 0000 prov. 999 319 554 780 589 728 1366 1777 NR cap. A Dia Doe 134 9 Modena .. ... prov. 202 232 980 431 408 461 990 1124 a aa CO TORE ie bI SE 4] = 1076807 Reggio Emilia . prov. 143 98 112 163 174 215 399 436 ‘ap. ZUNE INCANTA 56 E 332 Ravenna 5 Cio) 239 301 163 277 10 305 A 883 ns >) 9 E 96 Forlì . SAL: 33 (255 I 22 SÒ 348 Re Fr prov. 222061 68 RA 312 : FIAMASE 59 2 Parma «lo SAL è 49 era AI? 35° 309 Sp MAIO e 8500 2 2 2029 321 182 63. 63 EIACeNZA MANIE TOVI — — = = 2 2 2 2 i A cap. 12 È Sla 1I3ISE Foa Mora - prov. 93. 105 2g Se 238 SPl 608 954 cap. — l — ] Cremona 9 1 ] = D) prov. l — — ] Brescia eee prov. =. = — — ] l 1 I 9 i: 9 Milano 0 ua Riga RI I A see > È cap. 2 ca 2 lè, 5 IROMIGO sobre o prov. 45 47 39 4] 52 53 196 14] | IRACOVA. Y 5 610 prov. Ti ] l 5) 5) CAP WEROMA doo prov. 2 2 4 A 3 3 9 9 \VilCenza aree prov. l l 2 2 — — 3 3 Venezia er prov. I l ] ] — — 2 2 GOLIZI VM prov — — — — 2 2 2 3 TRREMISO! os dl cap ] 1 2 2 5 5 I) i) Uelimo do ooo prov. 7 Ti — — 5 5 TZ Bellunese prov. l l —. — =: e ] l MIAO olo dico cap. — — ] 1 — ] l | | TOMO doo prov. = = =. = ] ] 1 l | RISTORO prov. TY 1013 — — — — 13° 18 SELRTTA cap. 2 2 _ o 24 199 TRODZA dio OT s2 106 4 4 19 19 105 de > DI a Asd 25 DE | Bia I 56 6l Teti Soa " 69 | IE A EEE | Da riportare. . . . 2319 3468 3756 9543 195 — Riporto SIETE do 8 LBuceca . . AVezzo. . . Perugia . . Massa Carrara . Genova . . Ancona . . Ascoli Picena Pesaro Urb Macerata... . Foggia... Aquila... Napoli... Potenza . . Abruzzo ult. . TERI eo Catanzaro . . . . Brindisi . . Sassari . . Tapi o Egitto .. ca p. prov. cap. prov. cap. ‘prov. cap. mot prov. cap. prov. SIIDLIOV do o CA ola a AD: cap. prov. cap. prov. cap. ‘prov. RIENPITPA OVE MERE DLOVE MESI DLOVI MENIIDTOVE SIESIPRI PLONE . prov. prov. prov. Zona di guerra . ... lotali g enerali Decennio 1889 - 1899 2319 ale ZA 44 68 gRai 8 © alrg 57 Di 3h CB ong ]g9i * Og RE 100 126 91* 102 71 ZARE 84 95 DIUNNI5 GRUARO o SO TREE poni galdo LR Ia )_ 0 ali SINNI 1 QUIRTO peecha 3083 Decennio 1899 - 1909 3468 GGI 13 lb Tini Me DI pira CRIIIINO Ga See (DI-= di 15 39) 194 OLO 54 683 TONSM Tale a 40 Gal 104 di 24 Tursi. 6 / IRA sian TE son 8.118 DIO 4249 Decennio | | 1909 - 1919 'l’otali | 3756 9543 Sao Ù 16 16 LI9I DE == SHANE SA 2 oz TE sa 8 8 mE 8 Cc ] 1 9 ne i "i, Il 77 84 SEA ue IPRbL Sy 24 1 4 = 7 2) ) 100 9g ZIA RR, GRpphoo MIGLIO ZA 2) Dil iS og 9% 339, 390 2 BA Dogg: o (EE 8 )6 26 SL og 106 DG 204 e I Ta ] l O a 8 8 93 9 149 È 9 950 ISO 210. 399 l Le D) TI 24 29 55 23 Isa 9 2 È ORI Zoe OMIENIO sacra 5 5 SU Bus {8 ! ] I ‘5 a 2 2 IA Seri Il Il = poeta 2 2 fo w; l ]l Si ad 9 3 Fa BIO 2 9 9 D) o nam Br_eg 915 915 915.915 5413 12745 — 156 — lABELLA IV 4 Divisione per capoluoghi e provincie nel decennio 1899-1909 1899 1 ; 1909 90% 1900 | 1901 | 1902 | 1903 | 1904 | 1905 | 1906 | 1907 | 1908 |10, È Totali 2°sem. 1°sem. È cap 34 IZ 19 48 85 40 32 22) 68 39 SDAI Bologna . prov. | 25 | 40 | 17 | 61 |158 | 97 | 63 | 58 | 115 |160 | 60 | 854 1287 i yoap eo ori ico Mi ele ente 7a Ferrata - prov. |. 9 | 19 | 21 | 50 | 30] 85 | 60 | 46 |147 | 70] 17 | 554290 MNicap 3 6 4 6 2 4 2 TRI ORIO 8 ADI Miedeni prov ez 9026) e ae e soi n Cap —- 4 6 7 2 —- 9 8 2 9 SA AA i oo Co oe SR io en o a e ì ; ap. 6 2 4 9 9 12 12 22, 18 2 8 | 114 Ravenna rovi i 200] Piede oe CRI cap. ] 2 _ — _ e — — = — _ Se E EE SV ESTE IO SIAT ERA I A a E Mk; cap — 2 2 ] ] 2 = —_ 6 — 1 15 30 Parma . . prov 6 14 4 3 3 3 8 13 = 9 63 78 S. Marino. . . . -- —_ — 2 15 e _ 3 2 8 —_ 2977029 È mni(cap: — 7 3 D 4 1 ] — 2 10 l ETA Mantova - prov. | (4 | 9 | 17 | 51 | 44] 18] 8 | 13] 39 | 49 | 25 {277598 Cremona . cap. — — — l —_ io LISA RS iS i A Apt e I DA STO alli 2 Milano . . a i) 3 pù ES da nua; | DE anti si lò. ] 3 ur cap —_ _ — = = i = ] 1 AD da 2 Rovigo . . prov — 2 Z l 3 6 10 — 4 6 5 39 ai Padova. . prov. | — == — — = I — = —_ = — RFI Verona . . prov. | —- l 1 2 — = DE = ea i ma 40; PASTI Vicenza . prov. | — = — — — - 3 —_ — — — Dr Venezia . prov. I = — — _ = = = Si = = ip] Treviso. . cap. —_ = = — = — l ] _ _ — 22 Trento . . cap. —_ == = — — — —_ — _. T _ dazi Firenze. . prov. = = = l È) — _ -- — — _ AAA Pisa proveli Me 4 — — = = SI Si DA dai Peo. Ai SANI 2 cap. — 2 ] — —_ - — — _ _ — Sr IRORA 5 pL'ovsdj ii 10 l — 2 — — |- | — = 130000] 3 cap. = 3 1 2 1 = I 25 = 5 TRS TS | Perugia i, to) ] 2 2 6 _ 3 — _ _ — 19 20 | Massa Carrara . | — l = ll = _ — _ -- ss 3 15 15 S cap. — = = ] — {| Ls Genova . . io Tide A ee SER pra | 1 TSE pese = 9 = DI Di 9 : n x 5 È 5 cap. 2 5 3 14 7 5 36 15 z OI ET Re IO I IO 60 6. |-16235% Da riportare |. 112 |. 213 { 205 | (350 | 498 | 349 || 297 || 281 | 675 | 535 | 258 773 — 137 — i; A i e 009 1901 | 1902 | 1903 | 1904 | 1905 | 1906 | 1907 | 1908 GA Totali Riporto . . . | 112 | 213 || 205 | 350.| 498 | 349 | 297 | 281 | 675 | 535 | 258 3773 von CAD ] — 7 1 _ 9 — — 6 l = Roe I I I SR O SPS E Si iso 5 uso BASSI: = 2 3 l 4 —_ _ ] ] 3 15 Pesaro Ur. prov. | — 8 5 16 8 9 5 9 6 Il Il Da 94 | Le MIC) sn 4 J 3 —_ = — — ] — — QNIO dica lo TIZI 9 AG o Orvieto . cap. = — - — ] ad] Sulmona prov. . | - — — ] = ad Roma... cap. d 3.3 TEO cap. = ] 1 1 7 l —_ 1 6 10 3 10) 7] HE IR | eso a 102 Ri cap. = _ = l 1 Chieti . . prov. 1 TRA D) 1 i 9 ] SE I7 5 — 939 24 cap. _ — I = IAS Campobas. EDI 3 5 ] nm GUI eccone prov.li iii l ] = 2 - 4 4 Foggia . . prov. ] — - -- — JUCUCIA Aquilaiiiproviliiti= — _ ] — lil Brindisi . cap. = = 3 SINO Brivio siii 05235 La earn e 20000 MWotalit. 131] 2530] 249) [|-411 || 541 | 399] 317 || 301. | ‘756 | 613) | 278 4249 Per la vicinanza dell’ Istituto di Faenza hanno dato un contributo in diminuzione nei 3 decenni le provincie delle Marche, che naturalmente hanno trovato maggiore comodità nel servirsi di questo Istituto piuttosto che ricorrere al nostro. Per Teramo non ostante la relativa vicinanza con Roma e la minore distanza da Faenza abbiamo avuto un crescendo da 26 del primo decennio, a 104 del secondo, 229 del terzo. Per determinare i rapporti annuali delle singole provincie non riferite nelle comu- nicazioni pubblicate e cioè per i due ultimi decenni ho compilato le due tabelle che se- guono IV & e IV d, nelle quali rispettivamente sono segnate le cifre che appartengono ai due decenni 1899-1909 e 1909 - 1919. La tabella IV a dimostra che nel decennio 1899-1909 i contributi maggiori di morsicati si ebbero in cifra decrescente dalle provincie di Bologna, Ferrara, Modena, Mantova, Ra- venna, Ancona, Ascoli Picena, Reggio Emilia, Teramo. Vengono poi Pesaro Urbino, Parma, Forlì, Macerata, Rovigo e le altre, il contributo delle quali non può dimostrare alcun fenomeno di mortalità, ma fatti dipendenti da varie e complesse questioni di persone o di ambiente e che non meritano quindi menzione. Serie VII. Tomo VII. 1919-1920, 16 TABELLA IV db Divisione per capoluoghi e provincie nel decennio 1909-1919 1909 1919 2 sem. 1910 | 1911 | 1912 { 1913 | 1914 | 1915 | 1916 { 1917 | 1918 |} sem{ Totali Bol cap. 7 55 46 34 51 47 24 39 75 39 30 | 447 146: LOSE eorovA | 40 RI Mes RI 21 8) io] 168. 0108 04328] #33: 120 N00 8200 1016 mena ap _ 16 22 35 16 10 9 a) Il 16 5 145 a, SLA e provali (26081 (000 620) 85) 74020 | 2008] 3000 | cap Si 2 SRI 701 — Riad de az. ea Modena < prov, | 11 | 16 | 21 | 52 | 32] 31 | 281 34 | 61 | 73 | 54 | 408 49! ha cap 3 2 — 3 2 = 4 3 10 2 2 Ale5re RAIN A Nozt N60 ME a gi De3 a68 7 MUNicap — 13 27 18 34 18 7 > 14 1] 9 5OISSE Ravenna + prov. | 14 | 14 | 14 | 17 | 19] 6 8 | 14 | 197] 14/| 10 | 14989 1 ]1 cap — —_ —_ e — == — 0 Forli. - - prov.| 6 | — | if tela eee aste cap — uz: — — —_ 10 5) — 14 18 2 59 105 Parma - + prov. | 10 | 23 | 13 8 1 9 | 16 To 81 7, 7. | 12818 S. Marino. . . . 5 4 —_ ] 5 — — 5 3 4 5 328 Pracenza Mie ] ] - = ne D) i cap 3 3 I 2 _ ] — — 1 — 2 1346 Mantova + prov. il 27 | 41 |--6.|-10 | 40/|-25/|-9 | 6 | 18 | 29-27 |-238 2 BRESCIANI — l = — _ — ] NOAmMO (0 sco. ] = pe ] NI cap. ] = URTES RO a Vi MSI ML MAGI Mali alora MISI PE o e ER ON AM = — = —_ b) = — 5) SIERRA cap. e ] — = = = - Era = == = 1 Verona . . prov | Î i Oh ra pai n ne a pe 9 (CORTA: 6 po 00 = — — —_ — 2 = 3 IBRAVSO! 0 0 00.8 = = = = = ] — ] Il 2 — 5 Udo so oo l - _ I — Il 2 5 TOPINO: o 000 e = == == _ = _ -- l — = = I TRMMREMVASI 5 0 oa = 1 — - 7 6 3 — l l — 19 IRNOMIO: 6 0090 = == = — 1 = I IRERUIGE. 3 0 000 ] — — _ = _ 1 Massa Carrara . | — n ] n — -- — — — = = l $ cap. — = _ _ — Ì — I Genova. . a i 9 Rat D) da sa a 1 pi E de: 3 ST] cap. ] 4 l 3 2 13 5 1 3 18 9 100. og Ancona . . ni 5 3 CEI 5) 9 29 ID ] 13 3 7 og 198 Da riportare | 188 | -385 | 346 | 482 | 552 | 349 | 202 | 239 | 497 | 571| 250 3961. — ee — 1909 Ì ; 3 sem. 1910 | 1901 | 1912 | 1913 | 1914| 1915 | 1916 | 1917 Riporto ...| 188 | 335 | 346 | 432 | 552 | 349 | 202 | 239 | 497 Ascoli Picena . | 10 15 1 7 2 4 ZII 9 ll 10) cap. —_ _ —_ — Pesaro Ur. prov. 4 12 ] 5 9 8 ] 1 9 BAMNICAp: — 2 = ] —_ = = 5 == e e n | | 2 zo 6 er: cap. 2 3 12 5) ll 10 TI 20 2 SO i prov. |: 3 4 3. | 20] 10 9 | 25 | 23 || 13 SR: cap. _ — — — -- Chieti. . . prov. | — | Lan sa 9 5 ne 4 » Mnicap: - l Campobas. prov. 1 1 Lo? LEGGE: ara aralo — ] = — I = = HOEZIARR — _ —_ l — = — _ = Aquila... .. — —_ l 3 = = 4 4 Napoli _ ] Lippi TRA odo ] 1 POI Zona di guerra. | — —_ — — — — 21 2021] 276] 319 | 98 916 916 Totali... . J 208 [ 385 | 363 | 481 | 617 | 398 | 283 | 526 I 809 | 940 | 403 5413 Nella tabella IV d sono esposte le cifre che riguardano i contributi delle provincie e rispettivi capoluoghi durante il decennio 1909 - 1919, nell’ ordine tenuto nelle tabelle pre- cedenti, ma riunendosi come se fosse una sola provincia la zona di guerra, che però ha dato anche casi di morsicature inferte da cani, sparsi in località varie d’Italia, quando i militari si trovavano in licenza presso le loro famiglie. Le cifre che si riferiscono a questo decennio si presentano presso a poco come nel decennio precedente e cioè decrescono nell’ ordine che segue: Bologna, Ferrara, Modena, Ravenna, Mantova, Teramo, Reggio Emilia, Ancona, Parma, Macerata. Dalla zona di guerra si ebbe un contributo larghissimo, che come si disse non può rappresentare nessun fattore della morbilità relativa, innanzi tutto perchè il contingente è stato dato da molte provincie ed in larga estensione di esse, e secondariamente perchè sulla entità delle morsicature e sulla diagnosi di rabbia degli animali morsicatori eventuali si devono fare forti obbiezioni e sollevare gravi dubbi. La massima parte dei soldati infatti fu inscritta nella categoria C cioè in quella dei casi semplicemente sospetti. Le provincie che hanno dato minor contri buto in cifra discendente nel decennio 1909-1919 furono Ascoli Picena, Pesaro Urbino, Rovigo e la Repubblica di S. Marino, le altre seguono senza importanza e per aver dato contingenti ad altri Istituti antirabici non si prestano per rilievi di casistica. — 140 —. < Un fenomeno interessante ho potuto notare fin dal secondo decennio del nostro servizio e non mi consta che sia stato osservato o almeno messo in rilievo da altri. Ho veduto che la morbilità per rabbia presenta dei massimi e dei minimi che si ripetono con un periodo fisso quasi preciso di 4 in 5 anni, ho detto morbilità per rabbia, ma in quanto questa dà luogo ad un numero più o meno grande di persone morsicate da cani idrofohi. Nelle cifre complessive riguardanti tutti i casi sottoposti a cura senza distinzioni di provenienza si osservano i massimi negli anni 1890 - 1894-1898 - 1903 - 1907 - 1913 - 1918 ed i minimi negli anni 1891 - 1896 - 1901 - 1906 - 1911 - 1915. GRAFICA I. La mortalità per rabbia quale si desume dall’ annuario di statistica delle cause di morte in Italia non rende conto per nulla del fatto da me rilevato. Come vedremo in seguito, la mortalità per rabbia che prima della cura Pasteur rag- giungeva nel 1886 la cifra di 136, andò rapidamente abbassandosi ed ha oscillato succes- sivamente fra un minimo di 45 verificatosi nel 1904 ed un massimo di 102 nel 1897. Nelle cifre date dall’ annuario non si rileva nessun periodo ricorrentesi e quanto al massimo e al minimo che ho riferito, essi non corrispondono per nulla alle annate di massimi e mi- nimi che ho messo in vista. i La causa delle oscillazioni periodiche deve essere messa in rapporto a mio vedere ‘con le misure profilattiche dei singoli comuni, che tendono a reprimere l’ infezione man mano essa presenta recrudescenze e non hanno una norma costante e precisa di intervento. La repressione esercitata dai sanitari interrompe la diffusione che altrimenti ben più avanzerebbe e che ha delle esacerbazioni quali si notano in tutte le forme infettive. Se non che nei periodi storici in cui le norme igieniche profilattiche non esistevano se non in forma di pio desiderio, le forme infettive si attenuavano per la morte delle persone infette e la conseguente diminuzione dei propagatori del contagio, oggi invece la caduta delle cifre che esprimono una data morbilità deve attribuirsi all’ intervento oculato del- l’ igienista. Comunque sia la periodicità dell’incrudive o dell’ attenuarsi della frequenza di morsi da animali idrofobi è un fatto ben netto che la mia statistica dimostra perfettamente. Tuttavia dal punto di vista morbigeno ha molto maggiore importanza |’ osservare dette oscillazioni in un giro determinato di provincie o nelle provincie singole in cui non ci sia da temere che un certo numero di persone per ragioni personali o di ufficio si siano recate in Istituti diversi ed abbiano così potuto modificare la casistica. Se teniamo conto del contributo delle provincie finitime di Bologna, Ferrara, Modena, Reggio Emilia, Ravenna, Mantova, Ancona, Ascoli Picena, che diedero e danno costante contingente di quasi tutti i loro morsicati al nostro Istituto, notiamo che la grafica rispet- tiva rappresentata nella stessa figura assume la medesima caratteristica di quella formata con le cifre totali, I OUSIId 1|O9SY eUOIUY EAOZUEIN EUUSAEYN eiugz 01660x eUSPoj CICLISH _euBojog siouIA0Id. ajjap sind AÉ E Vee Il quale fatto può interpretarsi in due maniere. I morsicati delle provincie sopra dette rappresentano il massimo contingente della statistica nostra, essi realmente sono i costrut- tori della grafica generale, che per ciò collima con quelle delle provincie finitime notate. Oppure la simiglianza, anzi la identità della figura si deve appunto alla vicinanza delle dette provincie ed alla diffusione che avviene come si sa per il peregrinare dei cani . idrofobi da una località all’ altra. Ho costruito per ciò la grafica II° che è destinata a risolvere questa questione. GRAFICA II. Per mettere meglio in rilievo le oscillazioni delle singole cifre ho distribuito sulla scala delle ascisse i numeri di 5 in 5 invece di 20 in 20 come nella prima grafica ed i risultati così si notano con maggiore evidenza. Si osserva innanzi tutto che il contributo di Bologna corrisponde coi suoi massimi e minimi a quello totale. Il massimo del 1918 si trova per Bologna nel 1917 perchè la cifra totale è fortemente influenzata dal numero dei morsicati provenienti dalla zona di guerra. È Se consideriamo la curva corrispondente alla provincia di Ferrara, la quale comprende n° appena la metà dei morsicati di quella di Bologna, vediamo che anche qui massimi e | minimi coincidono in modo quasi matematico. È dunque la vicinanza delle località quella che deve ritenersi ragione del fatto rile- | vato? Esaminiamo due provincie più lontane dalle suddette e precisamente Mantova e Ancona. Ebbene se non vi è nelle curve relative a queste provincie una corrispondenza matematica, si osserva tuttavia che le cuspidi e gli avvallamenti delle une e delle altre hanno la medesima fisionomia, che fa pensare veramente ad una influenza generale che i sfugge ad una più profonda indagine. È ‘ $ 2 — Perizie eseguite e risultati ottenuti. n Nelle pubblicazioni precedenti ho esposto la influenza esercitata dai mezzi di conser- «vazione del materiale sospetto inviato per l’ accertamento dell’ idrofobia ed ho confermato così quello che già era noto e che cioè la glicerina si prestava meglio di qualunque ‘altro mezzo alla conservazione del virus rabbico. In quelle mie determinazioni si trattava sempre di prove biologiche e cioè di tra- smissione della rabbia dell’ animale sospetto al coniglio o alla cavia. Le osservazioni isto- ‘@ logiche del Golgi non sì prestavano ad una ricerca sistematica e pronta come quella che "a si richiede ai nostri Istituti e le ricerche batteriologiche illustrate da vari osservatori si erano dimostrate troppo fallaci per fondarvi un metodo di accertamento di tanta impor- tanza. Le osservazioni istologiche del Negri, così ben illustrate dal Volpino, dalla Luzzani, quelle interessantissime del Biffi sulla infiltrazione perivasale hanno aperto la strada ad un metodo rapido e sicuro di ricerca, che oggi si presenta con una praticità ed una serietà eccezionale. Ma la immersione in glicerina, atta alla conservazione della virulenza non può più raccomandarsi perchè la sostanza nervosa dopo l'immersione in questo liquido non si presta — 142 — pìù così bene alla ricerca istologica o almeno le colorazioni rispettive non si ottengono bene come con materiale fresco. Oggi poi non può certo parlarsi di uso così abbondante di un materiale costoso come la glicerina, ma piuttosto potrebbero consigliarsi soluzioni acquose di formaldeide o di alcool, che non sono certo adatte a conservare il virus rabbico, ma possono permettere bene l’ esame istologico fatto mediante sezioni come viene eseguito dalla maggior parte degli osservatori. Noi da tempo seguiamo il metodo a striscio come per la colorazione dei preparati di sangue e si comprende come in tal caso l’ indurimento prodotto dall’ alcool o dalla formaldeide ostacoli di molto il processo d’ esame. To dividerò il materiale, di ricerca pervenutomi a seconda del suo stato di conserva- zione per rispetto alla putrefazione, senza occuparmi dei mezzi di immersione adoperati ; ma innanzi a tutto riassumo nella tabella V le cifre che rappresentano le perizie eseguite nel ventennio 1899-1919 con la designazione degli animali che ne furono oggetto e degli anni in cui essi ci vennero consegnati. TABELLA V. Perizie Auni Cani | Gatti | Maiali | Buoi | Asini |Cavalli|Conigli| Capre | Topi Totali | PRETE |A PIRO RENT A e) NS | 2° semestre | 1899 49 D) — — = I = = 2a 55 | 1900 89 % 1 — _ = = = nea 97 00 1901 do see O MALLE E, SIR er 129 | 1902 130 15 == ] 1 = — = eri itA17, 0000 1908 197 14 — — ze x 211 1904 120 10 — 3 — ss _ = = 133 1905 145 6 - = Per = 151 1906 152 ii l l 1 — -_ = 166 1907 298 32 2 = = = = SE 333 1908 266 18 3 3 _ ] ] _ = 291 1909 193 29 — = 215 1910 178 14 = = ca pet 192 1911 160 22 — 2 — I 185 1912: 211 ZI 2 = — 234 1913 243 ti 2 ] — — Il = =! 284 1914 156 25 l — — — — = = 182 1915 92 il — — — = = | pes 104 1916 110 9 2 — - — 2 = PS 123 1917 147 18 l =. 2a 166 è 1918 210 12 2 2 — — - = n 226 1° semestre 1919 94 6 = Se PES 100 Totali . | 3355 || 327 15 14 3 2 6 1 l 3724 = sin A+ e «e | | di | | | il Ss. | | ciali | | Il i I eta Jie Ti eni ee l oalicse | cn î Ad PESA OA Ii CRETESE ESA E BI 6161-6881 OINNILINIHI TIN FiZIdad - VOIdVADO II — 143 — Anche in questo ventennio come nel primo decennio delle nostre osservazioni sì è notato che la quasi totalità degli animali morsicatori è rappresentata dai cani, la percentuale che nel primo decennio era del 91, nel ventennio 1899-1919 fu di 90, mentre aumentò da 7 a quasi 9 quella che si riferisce ai gatti. Gli animali che vengono dopo di questi furono maiali e buoi e poi altri che per il numero non hanno nessuna importanza. Il nu- mero dei morsicati non è in rapporto assoluto con quello delle perizie eseguite, perchè molte perizie riguardarono animali che non avevano inferto morsicature e d’altra parte lo stesso animale ha addentato molte persone e infine molti morsicati non hanno mandato al nostro Istituto gli animali da cui erano stati feriti. Tuttavia per il fatto statistico che ho messo in vista è opportuno vedere se esista anche nel numero dei veri casi di rabbia, cioè nella vera morbilità rabbica che si riscontra negli animali quel periodo che ho dimostrato. All’ uopo serve bene una grafica formata nel modo stesso delle precedenti e che ho costruito per tutto il trentennio del nostro ser- vizio antirabico. GRAFICA III. La curva è per sè tanto dimostrativa che non ha bisogno di illustrazione. Non coin- cidono solamente all’ ingrosso e nella fisionomia le curve delle cure e quella delle perizie, ma coincidono precisamente gli apici e gli avvallamenti delle curve medesime, il che conferma sempre più la realtà del fenomeno cioè di una periodica e ben determinata oscillazione della morbilità per 1° idrofobia nelle nostre regioni. Reputo un inutile lavoro il confronto con la curva che può ottenersi dalle cifre dei cani, che evidentemente devono dare la precisa forma della curva totale rappresentando questi animali il 90%, dei casi esaminati. E non è utile neppure il ricercare i dati che si riferiscono alle diverse provincie perchè quando si tratta di distanze notevoli o il mate- riale di perizia non viene spedito o va a male del tutto durante il viaggio, oppure inter- vengono condizioni speciali, che impediscono la consegna al nostro Istituto (1), si toglie così importanza ad un esame più approfondito di questa questione. Vediamo ora per la importanza pratica del fatto, quante volte il materiale di prova ci sia giunto in istato di putrefazione. Si comprende come questa possibilità si verifichi solamente dal Maggio al Settembre, ma talora un lungo viaggio, o il trattarsi di animale disseppellito rende conto anche di putrefazione nella stagione invernale. Non tengo nota dei casi in cui il materiale giunse in un periodo così avanzato di putrefazione da non trovarsi neppure traccia di sostanza nervosa o da essere questa ridotta a poltiglia o a liquame. Sopra 3724 perizie solamente 367 furono eseguite sopra materiale putrefaito, mentre nel primo decennio sopra 1296 casi se ne erano avuti 227 compresi anche quelli non usufruibili affatto. (1) Ferrara ad esempio ha un laboratorio batteriologico cui affida anche le verifiche riguardanti i cani sospetti, oltre a tutte le altre pratiche del genere. — 144 — Durante il primo decennio si ebbe il 17% di perizie sopra materiale putrefatto e nel ventennio presente neppure il 10%, e precisamente il 9,8%, notandosi inoltre di anno in anno una maggiore cura nella spedizione e nella cernita dei casi da esaminarsi. Il risultato delle perizie fu molto notevole osservandosi sopra i 3724 casi appena 715 reperti negativi, laddove nel primo decennio sopra 1296 erano stati 315. Il che nel com- puto percentuale corrisponde a 24,3%, nel primo decennio ed a 19,2%, nel ventennio in discorso. Nelle pubblicazioni precedenti ho faito notare 1 influenza dello stato di putrefazione o della immersione in mezzi disacconei sulla durata della incubazione della rabbia nei conigli di prova. Reputo inutile dimostrare ulteriormente tali variazioni, ma è bene con- frontare l’ influenza della putrefazione sull’ attecchimento della rabbia negli animali di prova nel primo decennio e nei due successivi. Nel fatto gli esiti che chiamai nulli, quelli cioè nei quali gli animali erano morti senza fenomeni di rabbia soccombendo all’ infezione data dai germi della putrefazione, furono 90 sopra 137, mentre nel ventennio successivo sopra 367 perizie eseguite su mate- riale putrefatto sole 52 diedero esito nullo. : A questo proposito mi sembra interessante per confrontare i vantaggi dati dall’esame istologico su quello biologico, il numerare gli esiti nulli per causa della putrefazione dopo la prova istologica e quella biologica. Nella mia pubblicazione (1) sulla diagnosi istologica della rabbia ho raffrontato l'esito dell’ esame istologico con quello della prova biologica ed ho veduto che sopra 494 casì in 336 1’ esito fu positivo tanto per l’ una prova come per |’ altra e in 118 fu negativo per l’una e per l’altra. Degli altri 40 casi in 19 |’ esame istologico era stato negativo e invece la prova biologica dimostrò che si trattava di rabbia. In 9 casi il microscopio aveva lasciato la diagnosi dubbia e 1’ inoculazione |’ accertò. In 10 invece |’ esito incerto dell’ osservazione microscopica non fu confermato dalla inoculazione di prova. Infine in 2 casi la prova d’ inoculazione riuscì negativa, quando al microscopio si erano vedute le caratteristiche dell’ infezione rabbica. Evidentemente devono ritenersi questi due casi, quali prove mancate d’ innesto, che taluno ha osservato anche operando con virus fisso, ma che sì dimostravano alla mia esperienza, sempre per errori operatori, in quanto ripetendo, l’ innesto, quegli animali che erano sembrati refrattari, soccombevano alla seconda ino- culazione. Prove analoghe furono eseguite dal 1905 in poi, ma ripeto che il numero dei casì di putrefazione è andato mano mano diminuendo tanto che nel 1° semestre 1919 ne avemmo uno solo di cui nel quadro che segue non ho tenuto conto. Aggiungo che dal 1913 per economia di conigli ho tralasciato di eseguire sistematicamente la prova biologica oltre alla istologica e 1’ ho riservata solamente ai casi dubbi o a quelli negativi resi tali dalla (1) Ivo Novi — Sulla diagnosi istologica della rabbia. Note ed osservazioni sopra 494 casì pre- sentati dal 1901 al 1904. — Memorie della R. Accademia delle Scienze di Bologna, serie VI, tomo II, pag. 249-256. — 145 — uccisione precoce degli animali, voglio dire avvenuta prima della invasione dell’ encefalo dai corpi del Negri. Nella tabella VI ho riunito 228 casi di putrefazione avanzata, nei quali si potè egual- mente eseguire la prova istologica in 146, avendosi per risultato 75 diagnosi positive e 71 negative. Negli altri 82 casi la putrefazione era così avanzata che non si potè procedere alla identificazione dei gangli della base o al prelevamento della sostanza nervosa del bulbo, che negli animali decapitati è la prima a perdersi. Nella tabella VI ho chiamato nulli gli esiti delle prove biologiche in cui si ebbe la morte rapida degli animali inoculati senza i sintomi della rabbia, in un periodo di 24 ore a 405 gioni. TABELLA VI. Confronto fra i reperti istologici e le prove biologiche nei casi di materiale putrefattc. Reperti Esito Reperti Esito istologici rove biologiche istologici prove biologiche Auni à È S Auni NA i N. Esito Pos. Neg. | Nullo N. Esito Pos. | Neg. | Nullo | 9 Pos, Ti 1 l D Pos. I ni Ì 1905 8 Neg. ii 6 2 1912 2 Neg. PA —_ 3 Nullo 2 = I 5 Nullo ! 2) 2 4 Pos. 1 3 — 9 Pos. I - — 1906 13 Neg. — 13 cs 1918 DINE s: 2 2 ] 6 Nullo — SII ] PI Nullo ] _ 1 13 Pos. 12 = I nf Pos. — — —_ 1907 11 Neg. — 11 — 1914 6 Neg — 5 ] ZII Nullo — 21 — — —- —_ _ — 10 Pos. 7 — 3 l Pos. — — — 1908 3 Neg. ] I l 1915 — — ZIO Nullo 6 13 2 ] Nullo 1 == —_ 4 Pos. 3 —_ —_ 4 Pos. — —_ _ 1909 10 Neg. l 5 4 1916 1 Neg. — — — 12 Nullo ] 8 3 1 Nullo — —_ | 2 Pos. 2; —_ — 3 Pos. 1910 4 Neg. 2 1 I 1917 — — - 5 Nullo 3 —_ D —_ — — — — 3 Pos. 3 — — 4 Pos. —- —_ — 19)1 6 Neg. 3 — 3 1918 2 Neg. 1 _ — 3 Nullo 2 —_ 1 3 Nullo 1 — I Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 17} — 146 — Si può notare da questa tabella anno per anno il rapporto fra l'esame istologico e la prova biologica. Apparisce innanzi a tutto che negli 82 casi in cui | esame istologico fu impossibile la prova biologica diede 17 esiti positivi, 49 negativi e 15 nulli. Si può dire dunque che }’ inoculazione permise la diagnosi in 67 casi sopra 82 in cui il microscopio non potè dare nessun indizio: Il ritardo tuttavia del responso biologico toglie quasi tutta l’importanza al faito, perchè l’esito positivo dell’ inoculazione-si fa attendere da 15 giorni a 3 mesi, il che evi- dentemente non lo rende utilizzabile. D’ altra parte possiamo notare che in 35 casi in cui l’esame istologico permise di fare la diagnosi sicura e cioè 10 positiva e 25 negativa si ebbe invece dall’ inoculazione un esito nullo. MISULTATO DELLE PERIZIE. Se ora studiamo quale sia stato | esito delle perizie indipendentemenie dallo stato di conservazione del materiale consegnatoci e dividiamo per annate le cifre che vi si riferiscono suddivise nei due decenni, formiamo la tabella VII che segue. TABELLA VII. Risultati delle perizie nel ventennio 1899-1919. Decennio 1899 - 1909 Decennio 1909 - 1919 | Anni Pos. Neg. Totale | Pos. % Anni Pos. Neg. Totale | Pos. % | 1999 43 RO ba TR VECIDE 17 n (80 78: | 1900 68 29 97 70 1910 165 24; 192 87 1901 9l 38 129 70 1911 158 S7 0A 85. | 1902 126 21 147 io) 1912 212 22 DI 90 | 1908 171 40 211 NI 1913 239 45 |. 284, 84 | 1904 86 47 133 64 1914 166 16. | 182 9L 1905 105 46 151 69 1915 | 96 SIONI 104 92 1906 96 7 166 YI 1Q16 | 113 10. | 123 9L 1907 DAI! 119 399 64 1917 | 151 TON 166 Q0.8 1908 225 66 291 VU 191S | 207 17 | 224 9L 1° sem. 1° sem. | | 1909 119° 18 137 ‘86 j919 92 SA 100 92 | Totali 1344 506 1850 728% 'Potali | - 1665 209 | 1874 88,2 %a | — 147 — Oscillazioni molto notevoli si notano nella percentuale positiva delle perizie. Gli esiti positivi più copiosi si ebbero negli anni 1915 e 1919 con 92, e gli esiti più scarsi furono nel 1906 con 57. La ragione di queste oscillazioni si trova facilmente consultando le tabelle precedenti ed è dovuta cioè alla percentuale di casì di putrefazione nelle diverse annate. Così negli anni 1906 - 1907 - 1908 in cui si ebbero rispettivamente 57, 64, 77 di risultati positivi per 100,esaminati, le percentuali dei casi di putrefazione furono 13, 13, 11. Invece negli anni 1912, 1914, 1915 in cui gli esiti positivi furono 90, 91, 92, le per- centuali dei casi di putrefazione erano state rispettivamente 3, 7, 1 e posso aggiungere, benchè nelle tabelle precedenti non sia notato il 1919, che nel semestre relativo si ebbe 1 solo caso di putrefazione sopra 100 perizie e la percentuale degli esili positivi rag- giunse il 92. i Ho già accennato che dal 1913 e precisamente dal Marzo di quest'anno furono sospese le sistematiche prove biologiche contemporanee alle istologiche, riservandole solamente ai casi dubbi o negativi. Ora mi sembra opportuno il confronto dei due metodi per i risultati generali dalle perizie del 1905 a quelle del 1913 prendendole in massa. In questo periodo di tempo dal Gennaio 1905 al 10 Luglio 1919 le perizie eseguite con entrambi i metodi di ricerca furono 1728. Ebbene, la determinazione biologica diede 1254 esiti. positivi e 474 negativi, mentre la microscopica ne diede 1050 positivi e 678 negativi. La percentuale degli esiti positivi con la prova biologica fu del 72% e quella con l’esame istologico non raggiunse che il 60% e nel numero delle 1728 ci furono quindi 204 casi che all’ esame istologico erano risultati negativi e invece alla prova biologica si dimostrarono positivi. Ha dunque una maggiore attendibilità la prova della inoculazione su animali, che non ne abbia la ricerca istologica dei corpi del Negri o della infiltrazione perivasale bulbare e ciò evidentemente perchè la sensibilità del sistema nervoso al virus rabbico anche diluita è grandissima e perchè le lesioni istologiche del sistema nervoso non si manifestano sull’ inizio delle forme rabbiche, quando invece il sistema nervoso è già virulento. Poniamo infine nella tabella VIII la indicazione delle provenienze delle perizie divise per capoluoghi e provincie, come abbiamo fatto per i morsicati; le riuniamo però per brevità in 3 decenni. — 148 — TABELLA VIII. Distribuzione delle perizie nei 3 decenni per capoluoghi e provincie. 1° decennio 2° decennio 3° decennio ia ) | 1889 - 1899 1899 - 1909 1909 - 1919 Suri | | cap. Ori gut ARIE Tozabos AGG A] Bologna. o: prov. | 239 9°9 364000 416 613 1019 1998 I cap. 93 DS DAS IE 346 10186825 e prov. ag, e agente 199 ie 463 994 IRE, cap. ME E ZII 2 39 = | Modena... ... prov. 70 7 137 150 159 180 366 405 | Va gra GAD —_ 20 il a 42 Reggio Emilia . prov. 10 10 46 72 62 78 118 160 xi n 927 99 A Ravenna... 0h, 25 Jos mai sh 30 NZ Moni oc sos prov. 107 107 SANI 93122 166 166 | ) BOS. GIR z | Parma... ... sa: a RE SAMO CSR 3 I S. Marino, . .. cap. 2 2 GtRRNRO)] lean DARIZA i na cap. 7 : 18 O 10 È. 3 Oo Mantova - prov. Al 48 147 165 95 105 983 318 Cremona . ... prov. il Il =, = = = 1 dl IMENGIA dd 060 prov. 1 1 2 3 — — 3 3 Milano... prov. — — — — 1 l Il l | IROMIZO td 00 PROT 2223 2). 39.39 84 84 ERRONEA o doo prov. 4 tI === 3 3 7 7 | VICO VI e prov. — — 3 3 3 d 6 6 | WIGODZRI pi5 000.6 cap. — = — — l ] 1 1 | Udine ss odo prov. I 1 I Il 4 4 6 6 TIEVIND o deo cap. — — — — 1 1 1 1 VEDEZAO o sob prov. ] I — — — — 1 ] COPIE 5 6 005.6 prov. = = =. = 3 3 3 3 VISTI PIA EN prov. 1 I = — = — ] 1 | TRENNO 5 0 100 prov. — — — — 1 1 H l | RISTOlA. è deo cap. ] Ì — — — — 1 1 SIRIO, cap. izitoa — Dei = Te IRIMAMZE, o 000 06 prov 94 18 8 8 5 1° 57! l PISURRZi prov Ì l — — — — 1 1 ISTE :VR Oa prov 2 z — — — — 2 2 Tu cap. 12 È I — 13 n MAG 0 0 oto piro SEO ci 1 mon== 3 16 Da riportare... . 918 1405 1448 3771 — MAN _ ———————— 1° decennio 2° decennio 3° decennio STAMIOHRO 1839 - 1899 1899 - 1909 1909 - 1919 l’otali IRIPorio. sso sno 918 1405 1448 3771 FAREZZIO NI LI prov. 9) 5) — — — — 5 5 Persie prov. JO ue TI td 39. 35 Massa Carrara . prov. 2 9 7 VI = 9 9 Grosseto. . . . . prov. — — 2 2, — — 2 2 cap. SEME DOME 36 ; 98 INEO Segal prov. CEE LO SM GOALS casa ca DINE SANE ILA LES DEAL Ascoli Picena . ii 71 92 69 74 za 53 198 219 | SRI cap IO Colite Gute DAS | Pesaro Urbino . pros 43. 99 ag, 98 48 54 138 162 i cap. CRANIO, ONMENRO Ss 10 5 | Macerata . . . . prov. 58 62 63 68 51 d? 172 182 | ROMAPSI I. cap. 1 ] ASI EEA I 1 cap. ] ‘ Suna 30 SOMMO TEATINO: le o D o) 99 31 6g 98 93 132 RO cap. l 1 È CARI Di at CICERO prov. 9 10 93 24 20 20) 52 54 Campobasso . . . prov. ] l 1 1 ui 2 2 JEECCERE RR prov. MI l I 4 4 5 5 ROSA prov. l l — — — ] 1 Avellino... . prov. ur l I — — 1 1 OMOIST Spa cap. “i 4 4 il 1 5 5 Caltanissetta . . prov. TON. ida =.= 1 1 I I Palermo... . prov. i 1 in — — ] ] TOMISl e I prov. 1 I — — — — | ] | Zona di guerra... . =.= =. e EZIENEAALRZi 17 17 | Motali sto t.: 1296 1900 1924 5120 Come si è visto bene dalle grafiche è certamente il numero delle perizie in rapporto diretto con quello dei morsicati, ma il rapporto non è il medesimo per tutte le provincie sebbene esso sia molto vicino. Nelle pubblicazioni precedenti ho notaio che detto rapporto varia da 2 a 3 morsicati per ogni perizia. Calcolato per le provincie che hanno dato il maggiore contributo si osserva che esso fu minimo per Ravenna e Ferrara rispettivamente con le cifre di 3,1 e di 3 e massimo per Macerata con la cifra di 1,4. Modena, Reggio Emilia, S. Marino, l'eramo presentarono 2,7, Bologna e Parma 2,3, Forlì e Mantova 2, Ancona, Ascoli, Rovigo, Pesaro Urbino 1,6. Queste cifre non ci dicono tuttavia, a mio parere, che la facilità con cui in un luogo o in un altro si ricorre alla prova scientifica, ma questa facilità maggiore o minore può — 150 — essere dovuta a molte circostanze e assai varie per es. il desiderio di risparmiare la spesa e l’incomodo delle cure o invece il desiderio di consultare gli individui competenti appena un sospetto sorge. Data una diversità così grande di probabili cause, una discussione sul fatto è perfet- {tamente inutile, molto più che molle perizie, come si disse, non riguardano affatto le per- sone presentatesi per la cura al nostro Istituto e molti morsicati, venuti in cura da noi, erano stati feriti da animali esaminati altrove. $3 — Metodo di cura e materiale di inoculazione. Non ho modificato essenzialmente, neppure in questi ultimi anni, il processo di cura, nè quello di preparazione del vaccino antirabico. E quindi tuttora il metodo del Pasteur quello cui io mi attengo. Ne ho veduti passare diversi altri che erano accompagnati da esperienze più o meno eloquenti, ma in verità non mi sono ritenuto autorizzato a tentare sull’uomo una prova nuova che poteva riescire mortale, come riescì altrove replicatamente, quando il metodo antico meritava ogni fiducia. Virus fisso emulsionato, attenuato dal calore, virus fisso fresco, virus attenuato o spento da antisettici e primo fra questi dall’ acido fenico, rappresentano variazioni più o meno importanti ed anche radicali del classico metodo del Pasteur, fondato come è noto sulla attenuazione dei midolli col calore a secco. Le prove di Babes, di Hiigyes, di Puscariu e Vesesco hanno dato dei risul- tali che non ingannano sui pericoli che si portano dietro, e quanto alle prove con vaccini fenicati che caratterizzano il così detto metodo italiano, o meglio chiamato metodo del Fermi, io non credo che sia detta )’ ultima parola in proposito. Recentemente un ottimo nostro discepolo, dico nostro perchè uscito dalla nostra Uni- versità, il Prof. Puntoni si è occupato con amore e con perspicacia del metodo del Fermi e ha conchiuso col persuadersi che questo meriti di essere anteposto alla cura del Pasteur. Il Puntoni (1) nel suo lavoro distingue molto opportunamente l’ effelto antisettico dell’ acido fenico in quanto spenga la virulenza per iniezione ipodermica, da quello che spegne la virulenza anche per l’ iniezione sottodurale e confronta gli effetti vaccinanti, quali furono ottenuti dal Fermi con materiale non virulento e virulento cogli effetti otte- nuti dal Semple con materiale costantemente non virulento. Il lavoro del Semple citato dal Puntoni (2) avrebbe dimostrato con ricerche sopra scimmie, cani e conigli, il prodursi di una valida vaccinazione con un materiale che conterrebbe il 4% di sostanza nervosa (1) V. Puntoni — L'azione dell’ acido fenico sul virus rabbico fisso e la preparazione dei vac- cini antirabici fenicati. -. Annali d’ Igiene XXIX. (2) Semple — The preparation of a safe and efficient antirabic vaceine — Scientific memoire by offices of the medical and sanitary departements of the governement of India — New series N. 44 Calcutta — Superintendent gouvernement printing India, 1911. rabbica resa sterile dal soggiorno in acido fenico a 37° per 24 ore. La sterilizzazione viene eseguita ponendo una emulsione di virus fisso all’ 8% di una soluzione fisiologica conte- nente 1° 1% di acido fenico. Avvenuta la sterilizzazione si aggiunge in parti eguali solu- zione fisiologica sterile e si ha così il vaccino sopradetto, che non trasmette mai la rabbia neppure per iniezione sottodurale. L'uso di un materiale di questo genere ha evidentemente due grandi vantaggi, l’ uno di permettere la cura a distanza a mano di chiunque, |’ aliro di non dare mai pericoli di trasmissione rabbica. Ma poichè già dal Fermi si è dimostrato che un periodo di 3 0 5 mesi rende inat- tivo il suo vaccino e l’oscillazione così ammessa è veramente troppo elastica, è da ritenersi che altrettanto o peggio avvenga di quello del Semple e allora i vantaggi del materiale pronto in ogni momento del bisogno spariscono, se la sua attività in un tempo vario dalla preparazione può essere spenta. Una questione grave è quella promossa dal Babes e da molti altri sostenuta, com- preso il Fermi, se sia necessaria la virulenza del materiale vaccinante, come è necessaria nella pratica del metodo del Pasteur. Il Semple non lo crede e pare abbia risultati ottimi. Certo la parte sperimentale di tutti i lavori che sono apparsi a questo proposito e che devono condurre all’ abbandono di un metodo e alla adozione di, un altro, è secondo me deficiente. Si leggono delle prove eseguite su 8,10, animali, fossero pur cani, ma non sono, e che dovrebbero dettare delle norme fondamentali sulla virulenza, sulla sterilità di una soluzione, sulla costanza di trasmissione della rabbia, sull’ efficacia di un processo. Si sono lette percentuali di guarigioni o di mortalità formate sopra 10 o 12 casì operati con somministrazioni che non danno affidamento costante di trasmissibilità. Perchè mai è così varia la trasmissibilità della rabbia per morsicatura di animale idrofobo ? È vero sì che la virulenza della saliva nei cani idrofobi è incostante ed ineguale, ma è sopratutto vero che l’ innesto sottocutaneo è il più incostante fra quanti mai ne esistono per la necessità dimostrata già dai nostri Di Vestea e Zagari della trasmissione ad elementi nervosi. Si venda pur abbondante e sicura la quantità di germi introdotti per via sottocutanea ma non si parli di sicurezza di attecchimento perchè le lesioni nervose in questo caso non son necessarie ed i poteri di difesa dell’ organismo sono moltissimi. Nelle sierose infatti l’ attecchimento è difficile perchè l’ elemento nervoso è lontano e la difesa organica è massima. ‘Le dimostrazioni sperimentali sono dunque per me del tutto insufficienti, almeno come si sono avute finora e le differenze enormi che si osservano nei risultati dei vari autori dal Fermi e dalla sua scuola, dal Puntoni, dal Semple e da altri, da Babes, da De Blasi e Russo Travali d'altra parte non riguardano solamente gli effetti steri- lizzanti dell’acido fenico sul virus rabbico, ma sono dovute al metodo sperimentale. Iniezioni ipodermiche, che vengono ritenute costanti nella loro contagiosità, iniezioni intracerebrali che hanno dato i più strabilianti effetti ai vari sperimentatori in ragione naturalmente delle località scelte, delle dosi iniettate, delle condizioni fisiche chimiche del materiale introdotto, della età e razza dell’ animale scelto, degli incidenti vari che una dilacerazione nella sostanza cerebrale può produrre, comprese le emorragie parenchimali, preparazioni infine che non sono dosate per nulla nel loro contenuto virulento 0 sterile, rappresentano altrettante incognite che uno sperimentatore oculato deve togliere dal campo della ricerca. Ho detto che il materiale d'inoculazione non è dosato. o è mal dosato e ciò si verifica anche nelle esperienze interessanti e accurate del nostro Puntoni. Questi ha notato bene e ripetutamente come sia necessario tritare a lungo in mortaio la sostanza nervosa virulente per farne |’ emulsione 0 sospensione in soluzioni fisiologiche più o meno fenicate ed ha fissato il termine di 15° minuti per una triturazione in mortaio di vetro o porcellana. Dieci minuti dunque e sono già molti e molti sarebbero anche cingue, sono insufficienti allo scopo, ma le superfici del pestello e del mortaio più o meno ampie, la rapidità della ma- novra, la pressione esercitata, l’ aggiunia più o meno lenta del liquido non sono forse elementi di grande importanza, non possono essere causa di minore o maggiore suddivisione e quindi di varia influenza sterilizzante dell’ acido fenico, dal momento che la maggiore o minore suddivisione rende conto di così grande disparità di effetti? E poi, emulsionata la sostanza nervosa, il Puntoni, e con lui i più attenti, consigliano e usano di passar il liquido sopra setaccio, per tener indietro certamente un materiale più grosso che altri 5 o 10 minuti di triturazione avrebbe ulteriormente suddiviso. E allora se nel mortaio abbiamo messo 5 di sostanza nervosa in 100 di liquido, che cosa resterà di quel 5 nella emulsione filtrata? Io dico questo perchè con ciò mi spiego i diversi risultati, ma son persuaso che dall’ 1° in su tuite le emulsioni di virus portate su parti certamente vulnerabili dalla rabbia devono raggiungere lo scopo. To ricordo le esperienze eseguite da nostrani e stranieri per attenuazioni artificiali di virus fisso e le graduazioni esemplari che si avevano (e certamente dovevano essere veri- tiere) nei protocolli sperimentali relativi. Ì E per dirne una rammento |’ effetto del riscaldamento come era stato vantato da Puscariu e Vesesco secondo i quali la permanenza di virus per 10° da 60° a 80° produceva la sterilizzazione, e relativa sopravvivenza dei conigli inoculati, 1’ esposizione a 50° riduceva la virulenza in modo che i conigli morivano dopo 11 giorni e mezzo, a 45° dopo I a 40° dopo 10, a 35° dopo 9, a 30° dopo 9, mentre il virus fresco uccideva dopo 8 giorni dalla inoculazione. Ebbene, una prova che io feci e che pubblicai nella mia terza comunicazione statistica mi dimostrò che una emulsione all’ 1%, non filtrata, mantenuta a 70’, per 15° era perfet- {amente sterilizzata e questo dato di fatto io utilizzo anche oggi e quindi ho potuto mille volte riprodurre. A 50° si ebbe l’ incubazione al 6° giorno e la morte al 7°, a 45° in 3 casì si ebbe nel 1° l’incubazione al quarto giorno, nel 2° l’incubazione al sesto, nel 3° l° in- cubazione al settimo e la morte avvenne rispettivamente al 5°, al 7° e all’ 8° giorno. Il soggiorno a 35° non produsse differenza dal controllo e cioè incubazione al 4° e morte al 6° giorno. Questa prova mi rese molto incredulo sulle graduazioni dell’ attenuazione ammesse — 153 — dagli Autori, che se ne sono occupati, molto più che la eraduazione della virulenza è tutt altro che precisa anche nei midolli attenuati alla Pasteur. L’ asserzione, per me gratuita, che le recenti esperienze del Semple e anche quelle del Fermi tendono a contraddire, e cioè che il materiale non più virulento sia inutile e non possieda azione vaccinante, ha condotto secondo me ai gravi risultati, avuti da Babes, da Hiigyes ed in Russia specialmente e cioè dello sviluppo della rabbia paralitica negli individui curati. To credo mal fatto l’ incominciare le vaccinazioni con midolli inferiori al N. 10 e per mio conto continuo ad iniziarla col N. 12 o con l’ 11, perchè ritengo che i quattro giorni di preparazione dell’ organismo con materiale non più virulento, ma contenente prodotti tossici della rabbia ne disponga le energie così da renderlo idoneo a sopportar senza danno l’ iniezione del materiale virulento. Per il grande concorso di persone nel nostro Istituto e per non gravare troppo sul bilancio con l'acquisto di un numero molto forte di conigli io ho adottato da tempo l’uso di emulsioni ottenute da prolungato stemperamento di sostanza encefalica fresca di coniglio di serie e riscaldamento per 15° a 65°. L’ emulsione viene poi diluita con altra soluzione fisiologica in modo che per un encefalo intero che pesa 8 o 10 gr. si hanno 60 cc. di emulsione. Somminisirandone 3 cc. ad ogni individuo si ha che così si saranno introdotti 40 o 50 centigrammi di sostanza nervosa fresca. Che l’ introduzione di midolli non più virulenti non abbia punto effetto vaccinante, 10 non voglio discutere; forse anche questa questione che si dà per risoluta e non è, andrebbe più metodicamente studiata. Io nego invece assolutamente che il disseccamento tolga del tutto gli effetti almeno chimici dovuti alla infezione rabbica e renda quindi la sostanza nervosa di un animale idrofobo eguale a quella di un animale sano. Intanto posso ricordare che esperienze eseguite nel mio laboratorio da giovani allievi, i Dottori Bellucci, Dalmastri, Majara hanno dimostrato un’ azione notevole della cura antirabica sul ricambio materiale e specialmente una spiccata fosfaturia ed azoturia. Il Dott. Majara (1) ha poi illustrato specialmente il raffronto con inoculazioni eseguite mediante midollo di coniglio sano, le quali non produssero effetto di sorta. Più tardi in autoesperienze io (2) confermai le osservazioni eseguite dai miei allievi e vidi che l’uso contemporaneo di fitina e l'iniezione di glicerofosfati abolivano o facevano grandemente scemare la fosfaturia stessa. Dalle dette esperienze apparisce che la fosfaluria era presso a poco la medesima per P inoculazione di midolli non più virulenti e per quelli virulenti cioè dal 5 al 2 e preci- samente mentre in condizioni normali il ricambio fosforato totale si chiudeva con una media giornaliera di 0,3117 in avanzo, il periodo di midolli non virulenti produceva un deficit di 0,0327 e quello dei virulenti un deficit di 0,0346. (1) Dott. Leonida Majara — Se la fosfaturia e l’azoturia nella cura antirabica dipendano dal virus o dalla sostanza nervosa iniettata. — Bullet. Scienze Mediche, Serie VIII, vol. IV. Novembre 1904. (2) Ivo Novi -- L'eliminazione dei fosfati durante la cura antirabica e le sue modificazioni per opera della terapia fosfoglicerica. — Memorie R. Accad. Scienze Bologna, Serie VI, tomo I, 1904. Lo stesso — l'erapia della fosfaturia con preparati organici del fosforo. — Zbidem, Serie VI, tomo V, 1907-08. Serie VII. Tomo VII. 1919-1920, 18 — 154 — Comunque si interpreti la fosfaturia dovuta alla cura antirabica, è certo che essa si accompagna al lavorio di immunizzazione attiva della cura stessa e però è ben lecito l’attribuire come faccio io una notevole importanza anche alle introduzioni di materiale non più virulento. Il quale oltre a tuito possiede veramente anche una azione tossica, come è staio dimostrato da esperienze eseguite nel mio laboratorio da mio figlio (1) sui lipoidi estraiti da animali idrofobi. Già De Blasi e Russo Travali (2) avevano messo in vista fenomeni di paralisi in cani, che avevano ricevuto grandi quantità di filtrato rabbico ed alla necroscopia di- mostravano che il loro cervello non era virulenio. Mio figlio potè dimostrare che mentre i lipoidi cerebrali di cani sani avevano una tossicità limitatissima o anche nessuna tossicità, anche se si trattava di animali sottoposti a cura antirabica, invece i lipoidi di animali idrofobi erano fortemente tossici e quando le dosi non erano mortali causavano un depe- rimento notevolissimo dell’ organismo con perdita progressiva del peso del corpo. Evidentemente di nessuna virulenza specifica si può parlare per i lipoidi che erano estratti: fra 40° e 60° da etere o da alcool in apparecchi Soxhlet. Certamente il materiale fenicato possiederà azioni tossiche, non forse quelle colossali che pare ammetta il Babes, ma almeno quelle altrimenti possedute dal materiale viru- lento, ma come poi la sua virulenza si spenga, io non credo ancora che si sia precisamente dimostrato e ciò per le ragioni sopra dette. Io vado leggendo da iutii o quasi iutti i reso- contisti di cure antirabiche che nessun fenomeno paralitico si è mai osservato. È vero che non ho avuto a lamentare mortalità negli individui colpiti da forme para- litiche, ma è anche vero, che vari casi si sono presentati a me nel lungo giro di anni del nostro servizio. Erano quelli altrettanti casi di rabbia paralilica o non piuttosto come sosteneva accani- tamente il compianto Ruata rappresentavano casì di trasmissione della rabbia dal coniglio all’uomo? Io non sono persuaso certamente di questa interpretazione neppur oggi, la rabbia paralitica nell’uomo è stata osservata prima che la cura antivabica esistesse e la trasmis- sione della malattia dall’ uomo agli animali di prova non ha dimostrato per nulla che si trattasse di virus fisso, spesso si sono trovati nell’ encefalo degli uomini deceduti per simili forme i reperti istologici caratteristici della rabbia di strada. Con tutto ciò io credo che sintomi di paresi, specialmente di paraparesi, si possano riscontrare durante la cura antirabica, alla quale qualche disturbo può pure essere attri- buito, se tanti ne sono i vantaggi. La fosfaturia di cui ho fatto cenno più sopra io penso debba attribuirsi piuttosto al lavorio della immunizzazione che non a lesioni nervose che accompagnino la fenomenologia spinale. Infatti l'intervento pronto con iniezioni di lecitina, per es. come bioplastina, fosfoplasmina, ovifosfina, nucleogenina e simili, o di glicerofosfati (1) Dott. Mario Novi — Azione tossica dei lipoidi cerebrali nella infezione rabbica. — Bullet. Scienze Mediche, 1915. Anno LXXXVI, serie IX, vol. 3.° (2) De Blasi e Russo Vravali — Rendiconto delle vaccinazioni profilattiche ed esperimenti eseguiti nell’ Istituto Antirabico in Palermo — Riforma Medica, 1889. Anno V, pag. 602. — 155 — o }’uso interno di fitina possono rapidamente far sparire detti sintomi e insieme arrestare la fosfaturia. Ma sono anche persuaso che l’uso rapido e abbondante di midolli alti, virulenti possa condurre precisamente alla trasmissione dell’infezione rabbica da virus fisso, come è notorio essere avvenuto nei casi del Babes, dell’H6gyes ed altri. Io mi permetto dunque di dubitare degli studi eseguiti fino ad oggi e non perchè l’età mi renda « iners timidusque futuri » ma perchè le innovazioni proposte non mi sembrano nè opportune, nè ragionevoli. E poichè l’unica possibile è quella ideata dal Fermi, coltivata dal Semple e sostenuta vigorosamente dal Puntoni, mi preme di notare che se sì voglia contentarsi di vaccino non virulento, si potrà certo ricorrervi con comodità dei lontani, sempre usu- fruendo di materiale di recenie preparazione, che se invece come pare dimostrato anche dal Puntoni si reputi opportuno |’ uso di materiale ancora virulento, in tal caso come il soggiorno del virus nell’ acido fenico ne altera da giorno a giorno la virulenza, così io non ci so trovare proprio alcuna ragione di comodità in confronto alla preparazione diretta secondo il metodo del Pasteur! Non ho nulla da dire quanto al metodo di preparazione del vaccino, quando ho ripe- tuto che comincio dal N.° 12, eseguisco due iniezioni al giorno, mattina e sera nei primi 3 giorni e continuo aumentando ogni volta la virulenza del midollo fino al N.° 2. Riprendo dal N.° 6 ed inietto così tanti cicli dal 6 al 2 fino al termine che mi sono prefisso e che è sempre quello già pubblicato, cioè da un minimo di 20 ad un massimo di 80 giorni. Se il morsicato sì presenta in ritardo o la morsicatura è molto grave per estensione, per molteplicità di ferite, per l° ubicazione, eseguisco le iniezioni doppie per 4 o 5 giorni cominciando dal N.° 10 invece che dal N.° 12, ma non inietto mai nella stessa giornata i due midolli più forti cioè il N.° 3 e il N.° 2. Il virus fisso è sempre il medesimo che ebbi dal collega Zagari fin dal 1888, | in- cubazione che era di 8 giorni è ora di 4 e nei conigli più deboli e più giovani si riduce spesso a 3. La morte si avrebbe in 5* giornata, il N.° di passaggio. dal cane è ora il 2126 (Luglio 1919). Ho scritto che la morte dei conigli avverrebbe in 5° giornata dall’ inocula- zione sottodurale, ma nel fatto io non attendo mai che i conigli muoiano, ma li faccio dissanguare con la recisione delle carotidi, quando l’ animale è in fin di vita. Questo provvedimento io credo che sia molto opportuno e sia la ragione per la quale non ho mai avuto bisogno di mutare il virus di laboratorio, come fu eseguito a Parigi, a Torino, a Faenza, il che mi consta per diretta comunicazione ricevuta. Per quanto si sostenga che lo speco vertebrale è l’ultimo ad essere invaso dai microbi, che migrano dopo la morte dell’animale e provengono specialmente dall’intestino, pure io mi sono preoccupato di questa migrazione ed ho adottato il metodo del dissanguamento, effettuato il quale, si procede alla ‘estrazione del midollo. E noto che si possono avere fatti reattivi nel luogo delle inoculazioni, questi sogliono presentarsi a metà della cura dall’ 8 al 12° giorno di essa. Spesso un po’ di edema locale da forte prurito ed.i morsicati possono peggiorare le condizioni grattando o strofinando — 156 — la pelle coi vestiti, specialmente dannose le grosse maglie di lana sulla parte dolente. Ebbene, in qualche caso si sono avute anche ascessi e, per quanto rari sieno questi casi, nessuna ragione può indurre a nasconderli. Sapendo le cure metodiche di sterilizzazione e i provvedimenti usati, bisogna ammettere che si tratti o dei così detti ascessi di fissazione o di materiale settico contenuto nei midolli. Ritengo doveroso l’osservare, qualunque sia l’ interpretazione che si dia alle forme di paresi o paralisi durante la cura, che i casi che si presentavano nei primi anni del ser- vizio non si sono più riprodotti, sebbene la cura non parta più dal 14 e arrivi al 3, ma parta dal 12 e anche più basso per arrivare fino al 2. Il Puntoni afferma che il virus del suo Istituto ha già una virulenza incostante nel midollo N.° 5 e allora quando attecchisce ha un’ incubazione di 10 giorni e più. Il virus fisso del nostro Istituto comincia a presentar virulenza, sebbene incostante, col midollo N. 7 ed incubazione al 18° giorno e morte al 20,° Il N.° 6 dà incubazioni da 6 a 9 a 16 giorni e morte all’ 8°, 10°, 12° giorno. Vanto il N.° 3 come il 2 hanno la stessa viru- lenza del midollo fresco saggiata naturalmente con iniezioni sottodurali sul coniglio. La temperatura del termostato e mantenuta sempre da 20° a 22° e quest’ ultima si ha nell’ estate. Da quando la potassa è salita a prezzi proibitivi, io l'ho abbandonata come materiale di essiccamento nelle boccie dei midolli e mi valgo in sua vece di cloruro di calcio puro poroso, che si può ricondurre a secchezza con piccola spesa e permette di realizzare un’ economia ingente. Noto ancora che la lunga e ininterrotta serie di passaggi sul coniglio deve aver con- fevito al nostro virus delle proprietà speciali modificando profondamente la propria viru- lenza, che il Fermi trovò elevatissima nelle sue esperienze sui muridi, ma che è invece minima verso altri animali e specialmente il cane e | uomo. In luogo della virulenza io credo che il nostro virus abbia acquistato un potere vac- cinante elevato, al quale probabilmente sono da ascrivere gli ottimi risultati ottenuti. Una questione interessante è quella che si presenta a proposito dell’uso di siero anti- rabico. Non voglio dire di una cura fondata solamente sull’ uso di un siero, perchè gia è stato osservato da molti che per lo meno le prove faite fino ad ora non hanno dato ri- sultati usufruibili, ma voglio intrattenermi in brevi termini sull’uso di siero antirabico contemporaneamente alla classica cura del Pasteur. Il Fermi unisce al suo vaccino un siero antirabico e parecchi già hanno fatti tentativi in proposito. Per parecchi anni io ho mantenuto con ripetute vaccinazioni delle pecore a cui pra- ticavo salassi per ricavarne un siero ben usufruibile, ciò dal 1909 in poi. Il valore di questo siero di fronte alla virulenza del materiale rabbico non sì è dimo- strato mai notevole, come del resto è siato veduto da quelli che sì sono occupati di questo argomento. Ma confesso che più volte volendo affiettare la somministrazione di midolli molto virulenti in casi gravi, ho iniettato contemporaneamente 8 a 10 cc. di siero antirabico e che in alcuni casi, di cui una parte andò a guarigione, un’ alira invece ebbe esito letale, — 157 — ebbi ad osservare l’ improvviso cedere di sintomi anche bulbari. Noterò in seguito alcuni di questi casi interessanti, ma intanto mi preme di osservare che tralasciai queste prove perchè mi è sembrato che sarà più opportuno e più logico eseguire l’immunizzazione degli animali con virus di strada che non con virus fisso. $S 4 — Classificazione dei morsicati. La tabella IX comprende gli individui curati nel ventennio 1899-1919 divisi come di consueto in 8 categorie A, B, C, a seconda cioè del modo di accertamento diagnostico riguardo agli animali feritori. Nella categoria A si trovano gli individui morsicati da animali accertati idrofobi mediante esame istologico o prove biologiche, nella categoria B sono comprese le persone morsicate da animali dichiarati idrofobi dall’ esame veterinario, nella categoria C sono riuniti i casi in cui si ha sospetto che l’animale fosse idrofobo, Ima per una ragione o per un’ alira non si potè avere un accertamento decisivo, Quadro statistico delle persone ammesse alla cura dal 10 Luglio 1899 al 9 Luglio 1919. TABELLA IX. Morsicature alla testa ed alla faccia Cauterizzazione Morsicatura alle mani. Cauterizzazione Cauterizzazione Con lacerazione dei vestiti Morsicature a nudo . Cauterizzazione Con lacerazione dei vestiti Morsicature a nudo . Le morsicature furono inferte da : (Canti cas GOUM so Equidi Maiali. Bovini. . . Si ebbe poi contatto di ferite recenti con Morsicature alle membra ed al tronco . semplici multiple | efficace . < inefficace | nessuna semplici multiple efficace | inefficace nessuna semplici multiple efficace inefficace nessuna Morsicature multiple in diverse parti del corpo . . |, efficace ; inefficace nessuna Totali 'l'otale generale in 9168 casi SR S SES) 1S » ME SS » 3 » 361 | 431 1690 \Violputegeste MODI 5 ca Conigli .. » Scimmie . » Cavie Risto saliva di animale idrofobo in 311 casi di cani 22 casi di uomini In cinque casi si ebbe innesto di virus rabbico di coniglio. — log -= Le cifre complessive delle 3 categorie sono un po’ diverse nei loro rapporti da quelle notate nel primo decennio, si osserva cioè un numero molto rilevante di casi della cate- goria C vale a dire di quelli sospetti, essi sono bensì inferiori ai casi della categoria B come nelle statistiche precedenti, ma mentre in quelle rappresentavano meno della metà, nel ventennio attuale sono appena ‘, di meno. La ragione del fatto si può rilevare di leggeri dalle tabelle delle provenienze rispettive dei morsicati, sono cioè i morsicati provenienti dalla zona di guerra che in numero supe- riore a 900 pesano per la massima parte nella categoria C, non essendosi potuto accertare a loro riguardo la diagnosi di rabbia degli animali feritori. Se infatti si togliessero dai 2078 della categoria C questi 900, ne resterebbero 1178 che sarebbero meno della metà dei 2748 della categoria B, come nelle statistiche prece- denti. Numerosissimi, come di solito, i casi della categoria A e già il numero notevolis- simo di perizie eseguite rende conto di tale risultato. Quanto alla ubicazione delle morsicature è importante |’ osservare che in 819 casi, esse furono riportate sulla testa e sulla faccia e cioè 1° 8,3%, sulle mani 4191 volte e cioè 42,4%, sulle membra e sul tronco 4664 volte cioè 47,2%. 261 individui furono mor- sicati in varie parti insieme ed essi rappresentano il 2%, circa. Noi chiamamo efficaci le cauterizzazioni eseguite entro 15 minuti dalla morsicatura e col termo o galvano cauterio o nitrato d’argento ed inefficaci tutte le altre, ma evidente- mente quella efficace che pure abbiamo potuto così denominare in 64 casi sopra 9865 deve essere un mito, perchè un materiale come il virus rabbico non è un veleno, che si possa rapidamente distruggere, ma è tale da fissarsi sui tessuti per i quali abbia affinità qual’ è Il sistema nervoso e non è certo una causticazione e neppure la barbara esportazione dei tessuti intorno alla ferita come l'avrebbe voluta Ippocrate e qualche raro collega ha eseguito, quella che impedirà il contagio, quando non lo diffonderà ad altri elementi prima non tocchi. Il maggior numero di individui 8067 vale a dire 1° 81% non furono sottoposti a cau- terizzazione veruna ed è già questo un fatto da mettere in vista in rapporto ai risultati ottenuti. Riguardo alla protezione esercitata dai vestiti, quando questi furono lacerati o perfo- rati dal dente dell’animale feritore notiamo che in 6423 casi le morsicature furono ripor- tate in parti scoperte, a nudo, cioè nel 65%, dei casì. Infine in relazione con quanto abbiamo esposto a proposito delle perizie, osserviamo che nel 92% le morsicature furono inferte da cani e nel 3% da gatti, il rimanente 5% va diviso fra altri animali domestici oltre a 4 volpi e 2 scimmie. La tabella X comprende la classificazione di tutti i casi curati nel trentennio dalla fondazione dell’ Istituto fino al 9 Luglio 1919. TABELLA X. Quadro statistico delle persone ammesse alla cura dal 10 Luglio 1889 al 9 Luglio 1919. A B Cc | semplici — DAOÙ A goa — 40) — — soi — Morsicature alla testa ed alla faccia . . . | SAI 255 | 258 (ostie | || i |A | ! | | | ua Maia sia is 0 | Cauterizzazione inefficace 70) ME e 53| — 22 Z| =- | pr Î nessuna 46] = — 202) — = Dal — | == | | semplici — |1634| — _ 39 = 307) — Morsicature alle mani. | 3243 | 1521 | 807 multiple — | 1639] — —_ Teni\_== — | 500) — | | | ( efficace 44\| — | = l6l — | = 13] — cs | | | | Cauterizzazione inefficace | 545| — (= 329| — = 1670 nessuna 25994 | — MIO — 627 | — = Dia — || 1350] — sali E MR — | 470) Morsicature alle membra ed al tronco . 2896 | 1776 | multiple — | 1546] — — |1041| — — | 885 eflicace DT) = = 17 | La - l1 | MA A Cauterizzazione inefficace Teli Sailin= 526 | — | — 343 | > a | nessuna 2122 -- | 1233 | ale ZA ONI | de | Di Gonglacenazione sel Qvestiti ft e 2.029] E | — | _- 1125 | È | 5 Morsicaturexainudo;:fi. te otto st ao zie (es e Morsicature multiple in diverse parti del corpo. . . .| — Jo7i bri 03 | 93] — | 46| 460 efficace ] | | (Hr) Da e — Cauterizzazione inefficace 46| — | — 33 Pia MS 1910 ==> Re | nessuna 1101) lan 60 | - | — pil e | Conilacerazione te Ave Stiti I E ENO RIDI | DEVA E e MONSICAtU re NA gnu RR e o) e ! = 70 | = | = zia Ì Ì Ì 'Votali 6837 3645 2466 'l'otale generale 12948 N. B. Nella colonna A sono riuniti i casi di morsicature nei quali si è dimostrata con esperimenti la rabbia dell’ animale feritore.. Nella colonna B quelli in cuì le morsicature vennero inferte da animali dichiarati idrofobi nell’ esame veterinario 0 «iii presentarono sintomi indubbi di rabbia. Nella colonna @ sono i casi solamente sospetti. t { Le morsicature furono inferte da : Cani 12070 Equidi 23 Volpi 4 ‘l'opi 3 Cavie 1 Gatti 398 Maiali. 19 Scimmie 2 Conigli 3 Uomini 1 Si ebbe contatto di ferite recenti con saliva di animale idrofobo in 353 casi per cani 35» per uomini 2 >» per buoi 1 » per cavalli In 19 casi si trattò di contatti di ferite recenti con sangue e carni di vari animali idrofobi, — l6l — Sono così in complesso 12948 casi di inorsicature 0 comunque di infezioni da virus rabbico vario di origine ed intensità, che abbiamo combattuia in via preventiva con la cura antirabica. Riassumendo in percentuali le varie cifre, notiamo che nell’ 80,9% le morsicature furono inferte da animali accertati idrofobi o con l’esame istologico 0 con prove biologiche o con l’ esame dei sintomi presentati. Gli animali che hanno prodotto le lesioni nel 93,2%, furono cani, nel 3%, gatti. Rimane il 3,8% da dividere fra le altre specie di animali fra cui 35 uomini che hanno però cau- sato col contatto della loro saliva o di virus proveniente comunque dal loro organismo il sospetto d’infezione rabbica. Dopo quelli suddetti gli animali feritori furono, in via decre- scente, equidi, poi maiali, poi volpi, scimmie, topi, conigli, cavie, una volta sola si ebbe un caso di morsicatura da un uomo idrofobo. Per l’ ubicazione delle ferite si ebbe 1° 8,1% di morsi sulla testa o sul viso, il 43% sulle mani, il 46,5 sul tronco e sugli arti e il rimanente 2,4%, in varie parti del corpo insieme. L'efficacia per quanto relativa delle cauterizzazioni potè affermarsi appena nell’ 1,2°° e invece nel 77,6% dei casi non fu eseguita cauterizzazione veruna. Le morsicature a nudo si ebbero nel 65%, dei casi e cioè in 8535 individui S5 — Risultati. Per l’ esame dei risultati dobbiamo anzi tutto togliere dal computo quegli individui, che ammessi alla cura perchè la gravità del caso lo richiedeva, furono poi dimessi perchè sì potè dimostrare che il sospelto di rabbia dell’animale feritore era infondato. Tratto qui del ventennio 1899-1919 e noto che gli individui che si trovarono nelle condizioni sopra deite furono 203, in numero vario nei diversi anni e naturalmente senza norma, talchè la media di 10 per anno non sarebbe giusta se non aritmeticamente perchè si va da un minimo di 2 nel 1906 ad un massimo di 21 nel 1913, anno veramente di una delle mag- giori affluenze. Nei 203 che tralasciarono vi erano 119 morsicati sulla testa e sulla faccia e 84 in varie parti del corpo contemporaneamente. Si devono dunque togliere dal totale di 12948 individui questi 203 e la cifra viene perciò ridoita a 12745. Nel ventennio 1899-1919 sono morti complessivamente con forme rabbiche 30 individui sopra i 9662 che residuano dopo detratti i 203 come si è detto. Di questi 80, solamente 6 rappresentano veri insuccessi in quanto morirono più di 15 giorni dopo il termine della cura, 6 morirono entro i 15 giorni e 18 durante la stessa cura, sicchè non poterono sen- tirne gli effetti terapeutici. La statistica quindi della mortalità secondo il computo usuale porterebbe in questo ventennio una percentuale di 0,062 calcolata sopra 9646 individui Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 19 ele Che se si faccia il calcolo globale o la statistica pura. comprendendo indistintamente tutti i casi di morte, anche quelli che non eseguirono se non parte della cura, avremmo una percentuale di 0,32 sopra 9662 individui curati. Nel decennio 1889-1899 tali statistiche erano state di 0,39 quella pura e 0,064 quella modificata, si sono dunque conservati presso a poco i rapporti precedenti, avendosi cioè in complesso per la statistica pura 7 12070 sopra 322 individui e nel primo decennio era stato 1 morto sopra 251. Per la statistica modificata nel ventennio presente 1 m0rt%0 sopra 1607 e nel primo decennio era stato 1 morto sopra 1538. Le cifre sono elequenti di per sè e non hanno bisogno di illustrazione. Riserbandomi di trattare più innanzi di alcuni casi di speciale importanza voglio qui riferire, studiandoli dai particolari della morsicatura, i rapporti fra questi e la mortalità. Cominciando dalla classificazione da noi fatta a seconda dell’ accertamento della dia- gnosi di rabbia osserviamo che dei 80 decessi in 20 si trattava di morsicature prodotte da animali accertati idrofobi e in 10 si era avuto solamente il sospetto della rabbia dell’animale. Dei 6 casi che rappresentano veramente insuccessi 4 appartenevano alla categoria C, cioè dei sospetti. Riguardo alla ubicazione delle morsicature, notiamo che nel novero dei 30 decessi si trovavano 15 morsicati della testa o del viso, 7 delle mani, 6 delle membra e 2 di varie parti del corpo insieme. Tra i sei insuccessi veri troviamo invece un solo morsicato della faccia, gli altri cinque presentavano ferite delle mani o multiple di varie parti del corpo. La caulterizzazione è seguita in 5 casi in modo che si sarebbe dovuto ritenere efficace, in 8 fu eseguita male per modo o per tempo ed in 17 casi non fu eseguita. Quanto ai 6 insuccessi in uno solo si eseguì una cauterizzazione che poteva ritenersi efficace, in 3 essa non avrebbe mai potuto dar buon effetto, in 2 non fu eseguita. Il ritardo a presentarsi alla cura fu rispettivamente di giorni 36, 21, 15, 12 in due casi, 10, 9 in quattro casì, 8 in due, 7, 6 in tre, 5 in due, 4, 3 in due, 2 in due, l in quaitro e in tre casi fu inferiore alle 24 ore. Nei sei insuccessi il ritardo era stato rispet- tivamente di 5,3 in due, 1 in due ed in un caso fu di poche ore. Si noti che in quest’ ul- timo le ferite erano gravi sì per vastità e numero, ma erano state riportate in una gamba. Interessante si presenta la ricerca dell’ influenza esercitata dall’ età. A prima vista, se sì osservi che sopra 30 morti, 19 erano ragazzi e 11 adulti parrebbe che si dovesse con- chiudere per una maggiore mortalità nell’ età infantile. Ciò tuttavia non emerge più, se richiamando la tabella II° che divide i morsicati se- condo l’età cerchiamo quanti siano stati nel ventennio i ragazzi morsicati e quanti gli adulti. I primi furono 6168: contro 3505 adulti, un rapporto cioè di 7 a 4. Questo rapporto stesso si trova fra i 19 ragazzi deceduti e gli 11 adulti cioè 7 a 4. (Il rapporto aritmetico sarebbe 6,9 a 4). Ma se poi ci riferiamo ai 6 morti, che rappresentano i soli insuccessi, vediamo che essi furono 4 ragazzi, 1 giovine di 20 anni ed 1 adulto. Questo fatto ha certo una grande — (GS — importanza perchè ci conduce a conchiudere in due sensi, che i ragazzi sono più sensibili alla rabbia che non gli adulti, e ciò veramente si osserva anche negli animali di espe- rienza, oppure che in essi la immunizzazione antirabica riesce più difficilmente che negli adulti. Questa induzione ci farebbe pensare che la vaccinazione antirabica debba nei ragazzi essere particolarmente intensa, non limitando il materiale vaccinante come vorrebbe la minor mole dell’ individuo da proteggere. $S6 — Individui morti durante la cura nel ventennio 1899-1919. è 1° N. 7871 — Avanti Cerioli di 4 anni, di Cavriago, ha riportato il 14 Settembre 1910 una quan- tità di ferite non numerabile sul cuoio capelluto e sui padiglioni auvicolavi da un cane accertato idrofobo. Due altri morsicati insieme a lui si sono conservati in ottima salute. Si presenta alla cura il 283 Settembre, con 2 giorni di ritardo, non ha naturalmente avuto cauterizzazioni di sorta. Appena ammesso riceve una iniezione di siero antirabico e si procede ad una vaccinazione inten- siva. Il 5 Ottobre ha febbre e alle 12 del 6 muore rapidamente con fatti convulsivi senza che sia possibile nessun ulteriore intervento, 2° N. 8459 — Antonia Durillo di Giulianova, di anni 12, ha riportato il 1° Luglio 1912 a nudo sull’avambraccio sinistro ed attraverso ai vestiti che furono lacerati sulle gambe 18 ferite ampie e profonde da un cane randagio non rintracciato. Si presenta con 7 giorni di ritardo, non aveva avuto cauterizzazioni. Il 80 Luglio accusa dolori alle gambe, ha febbre violenta, riceve iniezioni di siero antirabico, ma il 31 è paraplegica e il 1° Agosto muore. 3° N. 3367 — Giuseppe Amieni di Girolamo, di 3 anni, da Valmozzola (Parma). Un cane randagio che presentava evidenti sintomi di rabbia gli aveva inferto il 27 Luglio 1900 sul braccio destro, sul dorso, sulle natiche, strappandogli la camicia, 15 ferite che furono cauterizzate col ferro rovente dopo 16 ore. La cura fu intrapresa il 2 Agosto con un ritardo di 6 giorni. Il 15 Agosto il bambino aveva un po? di febbre, ma senza disturbi nervosi, solamente aveva lingua impaniata. Il 17 si rilevarono veri sintomi di idrofobia e la mattina del 18 avvenne la morte con fenomeni di rabbia convulsiva. Le inoculazioni su conigli eseguite con bulbo del bambino provocarono la rabbia con inoculazione di 14 giorni e morte al 15° giorno. Due altri ragazzi i N. 3862 e 3368 di 7 e 10 anni morsicati dallo stesso cane si sono mantenuti in ottima salute. 4° N. 6651 — Gino Marini di 6 auni, da Pergola (Pesaro), morsicato il 21 Marzo 1908 sul- l’avambraccio sinistro a nudo, riportando 6 ferite che furono cauterizzate, ma in modo inefficace cioè con ritardo. Una scrofa morsicata dallo stesso cane morì idrofoba e il suo cervello, inviato al nostro Istituto, produsse la morte di due conigli in 23 e 24 giorni dopo incubazione di ‘22 e 23. Il bambino fu condotto alla cura dopo la morte della scrofa e con un ritardo di 36 giorni dalla morsicatura, cioè il 26 aprile 1908, fu curato fino al 16 Maggio, nel qual giorno sopravenne febbre che si prolungò anche il 17 e il 18; mentre d’ ordinario la temperatura febbrile non si mantiene più di 24 ore, anzi spesso poco più di 12, il 19 si ebbe aerofobia, idrofobia e convulsioni, poi fatti di pa- ralisi progressiva che condussero a morte nel 21. Nel corno d* Ammone del bambino si dimostrò la presenza dei corpi del Negri e il bulbo inoculato in un coniglio trasmise la rabbia con incubazione di 14 giorni e morte dopo 15 dall’ inoculazione. 5° N. 8590 — Silvio Bertolani di anni 8, da Serravalle al Po, ha riportato il 17 Agosto 1912 sulla guancia e sull’ovecchio sinistro 8 ferite, punture e lacerazioni, da morsicature prodotte da un cane — 164 — randagio von rintracciato. Si presenta il 25 Agosto, con ritardo di 8 giorni, ma il 3 Settembre ha febbre, è agitato, il 4 ha sintomi netti di rabbia convulsiva ed il 6 muore. Dei 80 giorni di cura che avrebbe dovuto ricevere non ne ha quindi avuto che dieci. 6° N. 5450 —- Mario Alberghini di 5 anni, da Cento, ha riportato insieme ad altri sette individui curati con buon esito nel nostro Istituto, 4 ferite sulla mano destra e sulla faccia per morsicatura di un cane accertato idrofobo con esame istologico e con prova biologica. La morsicatura avvenne 1° 8 Febbraio 1906 e la cura fu cominciata il 23 con un ritardo di 15 giorni. Nessuna cauterizzazione fu eseguita. Dalla notte dal 7 all'8 Marzo si presentarono febbre e vomito, con eccitamento fortissimo e idrofobia caratteristica la sera dell’ 8. Si eseguirono iniezioni endoperitoneali di midollo 5, si applicò per 6 ore sull’ occhio sinistro un campione di 5 milligr. di bromuro di radio, ma la mattina del 10 Marzo si ebbe il decesso. Il bulbo trasmise la rabbia a conigli per inoculazione sottodurale con incn- bazione di 14 giorni e morte al 17.° 7° N. 3832 — Francesco Lorenzi di 10 anni, da Lojano, fu morsicato insieme ad altre 5 persone curate e sopravissute, da un cane accertato idrofobo, il 20 Marzo 1902. Egli aveva riportato due ferite sulla guancia sinistra in forma di punture e non era stato caute- rizzato. Venne portato alla cura il 1° aprile cou un ritardo di 12 giorni. - I sintomi si presentarono non ben netti, sicchè si potrebbe anche pensare che ad altra infezione si fossero sovrapposti i fenomeni della rabbia. Si ebbe infatti il 2, cioè il 2° giorno da che si trovava in cura, sensazione di dolore ad un orecchio e deglutizione penosa. Il 6 febbre alta e disfagia. Si notò una placca difterica sulla tonsilla sinistra, il bambino fu isolato, inoculato con siero antidifterico (1000 U. I.) ma 18 si osservava subdelirio, caduta la temperatura a 36,7 si erano continuate iniezioni endo- peritoneali fino al N.° 3. Il 10 aprile si avevano scosse convulsive e paralisi generale, il 12 aerofobia, il 14 il decesso. Alla necroscopia si rilevò lepto e pachimeningite della volta, catarro tracheobronchiale. Il midollo cervicale del bambino, inoculato sotto la dura madre a due conigli, diede sviluppo del- l’ idrofobia dopo 19 giorni di incubazione nell’ uno, 17 nell'altro e morte in 17 e 18 giorni. Evidentemente in questo caso la morte deve essere stata causata più dalla meningite che dall’ in- fezione rabbica, che forse non ha fatto che mettere in vista qualche sintoma proprio. 8° N. 8183 — Angelica Alboni di 56 anni, da Bologna. Insieme al N.° 8181 curato e sopravis- suto, essa era stata morsicata il 22 Luglio 191] da un cane accertato idrofobo. Le lesioni riportate al braccio erano 3 punture e una lunga e profonda lacerazione cutanea. Venne in cura il 27 Luglio cioè 5 giorni dopo il fatto, ebbe 3 inoculazioni di siero antirabico saltuariamente durante la cura intensiva. Il 22 Agosto si presenta dolore al braccio e si eseguisce allora una iniezione endorachidea di siero antivabico del Marie (20 c. c.) il 23 si iniettano 15 c. e dello stesso siero nelle vene, ma il 24 ha luogo la morte con fatti di paralisi bulbare e senza fenomeni convulsivi. 9° 10017 — Santa Guercioni di anni 13, da Castellalto, morsicata il 3 Settembre 1915 sul labbro superiore da un cane certamente idrofobo. Non era stata cauterizzata e si presentò alla cuva il 12 Settembre con 9 giorni di ritardo. Rice- vette siero antivabico frapposto alle iniezioni dei midolli. Il 6 ottobre si nota febbre alta, si eseguisce una iniezione di lecitina sotto cute, il giorno dopo compaiono i sintomi classici cioè aero ed idrofobia, si inietta altra lecitina, ma si accentuano fenomeni di paralisi progressiva che conducono a morte la ragazza la mattina del 14 Ottobre. Un coniglio inoculato col bulbo morì 23 giorni dopo l'iniezione, con incubazione di 22. 10° N. 46384 — Gaetano Cervellati dì 45 anni, da Brisighella, ha riportato 3 ferite sul labbro inferiore e sulla guancia destra il 22 di Ottobre 1903 da un tane che fu accertato idrofobo con prova biologica. Non venne cauterizzato e si presentò all’ Istituto con un ritardo di 8 giorni e cioè il 30. Ottobre. ion Venne curato fino al 22 Novembre, ma il 20 accusava malessere, nausea, il 21 vomito, il 22 disfagia, idrofobia, debolezza degli arti inferiori. Il 23 paralisi generale e morte. L’ inoculazione del bulbo in conigli trasmise la rabbia con una incubazione di 1] giorni e la morte nell’ uno alla 21%, nell’ altro alla 23% giornata. 11° N. 11821 — Vito Bregoli di anni 58, da Cento, morsicato il 1° Giugno 1918 sul labbro infe- riore da un cane accertato idrofobo. Ha due ferite a spessore che furono cauterizzate in maniera inef- ficace. Si presenta con ritardo di 6 giorni il 7 Giugno e già il 21 accusa formicolio sul labbro. Presto sì presenta l’idrofobia e i fenomeni di eccitamento sono diminuiti da due iniezioni di 50 centig. di lecitina al giorno. Però i fatti bulbari si accentuano mano a mano e la morte avviene a mezzogiorno del 24 appunto per paralisi bulbave. 12° N. 4920 — Guido Forni di 6 anni, da Persiceto, è stato morsicato il 26 Luglio 1904 sul braccio destro da un cane accertato idrofobo, che gli ha prodotto quattro profonde ferite. Si presenta alla cura con ritardo di 12 giorni il 7 Agosto. Le ferite non erano state cauterizzate. Il 24 si ha febbre, aerofobia, disfagia, il 25 la febbre è scomparsa, ma intervengono rapidamente fenomeni bulbari e la morte si ha per questi il giorno 26. Col bulbo si ha la trasmissione della rabbia al coniglio in 17 giorni e. la morte in 19° giornata. 13° N. 3879 — Ellero Lui di 7 anui, da Schiavenoglia (Mantova), ha riportato il 31 Luglio 1900 sulla mano destra sette ferite per morso di un cane randagio. Nessuna cauterizzazione. 1 sottoposto alla cura il 9 Agosto, cioè con un ritardo di 9 giorni. Il 21 è febbricitante, la serva del 22 ha idvofobia che si presenta più intensa il 23 e si accompagna ad aerofobia, la deambulazione è tuttavia possibile. Ma il 24 in preda a convulsioni il ragazzo muore. Una emulsione ottenuta tritutando le ghiandole sottomascellari uccide un coniglio in 9 giorni dopo 8 di incubazione, l’emulsione del bulbo invece dà incubazione di 16 giorni e la morte in 18° giornata. Probabilmente la saliva conteneva uno di quei diplococchi di cui ho trattato nelle mie precedenti statistiche e che sono stati presi per il microbio della rabbia. 14° N. 10703 — Cesare Golinelli di 65 anni, da S. Pietro in Casale, si presenta il 2 Febbraio 1917 con una ferita lacera di 4 centim. sulla mano destra dovuta al morso infertogli il 23 Gennaio da un cane accertato idrofobo. Nessuna cauterizzazione, ritardo di 10 giorni. Già il 10 Febbraio ha formicolio alle mani ed ai piedi, il 12 paraplegia, il 13 avviene la morte con paralisi bulbare. 15° N. 8817 — Armando Leuforbia di 22 mesi, da Castellalto, ha riportato due ferite sulla mano destra il 15 Dicembre 1912 per morso infertogli da un cane certamente idrofobo. Non è stato caute- rizzato, è portato alla cura il 5 Gennaio 1913, ma già il 9 ha febbre alta e sintomi bulbari e il 10 muore per questi. Il ritardo era stato di 21 giorni. 16° N. 8165 — Giovanni Facchini di anni 15, da Baricella, è stato morsicato il 2 Luglio 1911 da un cane certamente idrofobo che gli ha prodotto due punture a spessore nel naso. Si presenta il 6 Luglio con ritardo di 4 giorni, gli si inietta siero antirabico ed insieme si procede alla cura intensiva. Ma il 25 ha vomito, il 26 febbre alta e i sintomi caratteristici, aerofobia e idrofobia. La morte av- viene il 27. 17° N. 6662 — Adamo Mustini di 10 anni, da Modena, ha avuto il 27 Aprile 1908 tre morsi- cature sul labbro superiore e sulla gamba destra da cane accertato idrofobo. Si presenta il 29 Aprile con ritardo di 2 soli giorni, non era stato cauterizzato. Il 14 Maggio ha febbre e vomito il 15 trisma, disfagia e poi aerofobia, dispnea e scialorrea. La morte avviene il 16. Nel corno d’Ammone non si trovano i corpi del Negri, però il bulbo trasmette la rabbia ai conigli con incubazione di 17 giorni e ne uccide uno in 18 e l’altro in 19 giorni. La saliva inoculata in una cavia in via endoculare la uccide consunta in 45 giorni senza fenomeni netti di idrofobia. ag — 18° N. 7697 — Armando Masini di 8 anni, da Bologna, ha riportato il 1° Giugno 1910 gravis- sime morsicature sulla faccia con lacerazione dell’ angolo labiale destro per 4 centim. e cingue altre sulle guancie e labbro superiore da un cane randagio non rintracciato. Non furono eseguite cauterizza- zioni tuttavia il bambino fu condotto alla cura nella giornata medesima e per questo non ostante la gravezza eccezionale delle ferite l’ abbiamo collocato per ultimo fra gli individui deceduti prima di esaurire la cura. Il Masini fu curato fino al 27 Giugno, ma il 26 aveva già vomito, come fenomeno iniziale. Gli si iniettò siero antirabico, che non impedì il procedere dell’ infezione. Il 27 ebbe febbre ed ‘idrofobia ed il 28 con fatti di edema polmonare avvenne la morte. $7— Individui morti nei 15 giorni successivi alla cura. : Enumeriamo questi casi, come i precedenti in scala decrescente per importanza e gravezza di morsicature e cominciamo da uno di singolare intensità in quanto il virus rabbico fu deposto entro il globo oculare! 1° N. 8088 — Benedetto Zamorani di anni 53, da Ferrara, è morsicato sulla faccia il 9 Marzo 1911 da un cane accertato idrofobo mediante esame istologico e prova biologica. Lo Zamorani nel volersi sottrarre alla morsicatura cade e il dente del cane gli penetra attraverso la cornea sinistra producendo anche uno spostamento della lente cristallina e poi una lacerazione a spessore della palpebra inferiore fino a metà della guancia. Naturalmente nessuna cauterizzazione potè essere praticata, nè si volle. Un'ora dopo il fatto viene inoculato con siero antirabico e successivamente e durante lo sviluppo della malattia riceve altre iniezioni simili anche nelle vene. La cura antirabica è continuata fino al 18 Aprile ed il 21 il morsicato accusa dolori vaganti alla faccia ed ha vomito, Succedono i sintomi consueti idrofobia, aerofobia, stato intenso di eccitamento, che viene frenato con successo dalle iniezioni di siero antirabico, mentre la morfina, il cloralio, il bromuro non davano beneficio. Il 27 si ha subdelirio e nella sera avviene la morte per edema polmonare. In questo caso l’ evidenza dell’infezione in località che rappresenta una via costante di trasmis- sione della rabbia cioe l’ endocularve mi ha fatto ricorrere ad una cura lunga ed intensa, come non ho praticato a nessun altri. La famiglia sa che io avevo fatto prognosi infausta, tuttavia non può dirsi che questo sia stato un insuccesso della cura perchè lo sviluppo della rabbia si ebbe 3 giorni dopo il termine e la morte 8 giorni. 2° N. 7258 —- Domenico Aldo Fabbri di 12 anni, da Ravenna, ha riportato 6 ferite profonde e molte altre non numerabili sulia faccia il 29 Aprile 1909 da cane accertato idrofobo. Nessuna caute- rizzazione. Si presenta dopo 2 giorni cioè il 1° Maggio 1909. Riceve una iniezione di siero, la curva viene continuata fino al 25 Maggio essendosi avuto vomito sull’ inizio della cura cioè 1° 11, ma non accompagnato da febbre. L’ ufficiale sanitario di Ravenna annunzia che il 4 Giugno il ragazzo è morto con i seguenti sin- tomi: 1° Vomito incoercibile. 2° Contrazioni cloniche della faccia e degli arti superiori. Lingua ingros- sata. 8° Disartria. 4° Dolori spinali e temp. a 39.° 5° Collasso rapidissimo. 3° N. 9186 — Vittorio Ragazzi di anni 14, da Copparo, fu morsicato il 12 Luglio 1913 sulla mano destra da un cane certamente idrofobo, riportando 8 ferite non cauterizzate. Si presenta il giorno dopo ed è dimesso il 1° Agosto. Si ha notizia da Copparo che la morte è avvenuta il 5 Agosto con sintomi di rabbia. 4° N. 8499 — Carlo Trevisani di anni 3, da Galliera, è stato morsicato sulla guancia sinistra e sulla fronte da ‘un cane che presentava sintomi certi di rabbia. Ha riportato 3 ferite, che furono cauterizzate con nitrato d’argento 8 ‘ore dopo il fatto, il.28 Maggio 1912. Si presenta il 29 Maggio, riceve siero antirabico il 80, continua regolarmente la cura ed è dimesso = or il 27 Giugno 1912. Il 28 ha febbre, gli si ripete una iniezione di siero, che non vale però ad arrestare o modificare lo sviluppo, la morte infatti ha luogo per paralisi bulbave il 1° Luglio 1912. 5° N. 60376 — Maddalena Vagnoni Ciechi di anni 58, da Monteprandone, ha riportato 7 ferite profonde ed ampie sull’ avambraccio sinistro il 4 Novembre 1907 da un cane certamente idrofobo. È sottoposta a cura dal 10 Novembre al 4 Dicembre 1907. Il medico che ha visitato la donna afferma di aver asportato dalle ferite brani di tessuto per operare una buona disinfezione ! £L°8 Dicembre la morsicata presenta sintomi di idrofobia e il 9 si ha la morte. 6° N. 95384 — Ezio Montecuechi di anni 10, da Staffolo, è stato morsicato sulla mano destra il 27 Marzo 1914, riportando 3 ferite da un cane accertato idrofobo. È stato cauterizzato in maniera inefficace. Si è presentato il 5 Aprile, con nn ritardo cioè di 9 giorni, è dimesso in ottima salute il 29 di detto mese. Si ha notizia dal medico che il ragazzo ebbe dolori di capo il 5 Maggio, l 8 era feb- bricitante con 40,5 e sviluppatisi sintomi netti di idrofobia avvenne la morte il 9 Maggio 1914. @ $S8- Insuccessi. Individui morti trascorsi 15 giorni dal termine della cura. 1° N. 3869 — Pietro Chiericatti di anni 8, da Ficarolo, ha riportato il 1° Agosto 1900 sulle mani e sul dorso tredici ferite da cane non identificato. l'ali ferite erano superficiali e però essendosi presentato il ragazzo il giorno dopo l'infortunio fu assoggettato ad una cura semplice di 20 giorni, che terminò quindi il 21 Agosto 1900. Ma 178 Settembre essendosi sviluppati fenomeni sospetti ed avendo il medico indagato sulle condizioni della morsicatura, apprese dal ragazzo che egli era stato addentato anche sulla testa in molte parti. Il Chiericatti fu ricondotto all’ Istituto, ma in condizioni pietose, egli presentava i sintomi della rabbia convulsiva più classici, che poche ore dopo |’ arrivo a Bologna lo condussero a morte. Sul cuoio capelluto furono numerate 40 cicatrici recenti di cui il ragazzo non aveva fatto parola. Inoculazioni sui conigli col bulbo del Chiericatti diedero lo sviluppo della rabbia con 16 giorni di incubazione e morte in 17% e 18% giornata. 2° N. 4955 — Antonio Sarti di 7 anni, da Vigarano Mainarda, fu morsicato sulla faccia nella regione infraorbitavia il 14 Settembre 1904 riportando due ferite lineari da un cane randagio non rin- tracciato. Le ferite non furono cauterizzate e il ragazzo condotto all’ Istituto il 15 Settembre fu curato fino al 9 Ottobre, Il medico riferì che il 27 il ragazzo presentava cambiamento di carattere, febbre con dolore al costato, ove si rilevava una ottusità con sintomi di polmonite. Ma il 28 sopravenne aero- foto ed idrofobia, coi quali sintomi il bambino morì il 28 Ottobre. Il suo bulbo inoculato in conigli diede incubazione di 15 e 16 giorni, morte in 17 e 18, era quindi certamente virulento, ma è lecito chiedere, senza l’inizio della polmonite, senza l’ aggressione del pneumococco, il Sarti sarebbe stato colpito dall’ idrofobia o questa sarebbe stata vinta? 3° N. 4191 — Gactano Franchi di anni 11, da Stienta, ha riportato sulla mano sinistra 18 Febbraio 1903, 12 ferite da morsicature infertegli da un cane accertato idrofobo mediante prova bio logica. Non fu cauterizzato. La cura fu intrapresa con ritardo di 5 giorni il 13 Febbraio e durò fino al 4 Marzo, fu cioè una cura ordinaria di 20 giorni mentre avrebbe dovuto prolungarsi almeno per 25. Il medico ha riferito che il 20 o 21 Aprile il ragazzo aveva cefalea, era melanconico e presentava come una sensazione di paura, Il 23 aveva occhi lucenti, midriasi, disfagia, fotofobia, scosse convulsive per rumori. Il 24 idrofobia, salivazione, vomito, spasmi clonici, il 25 paralisi generale e morte. 4° N. 7659 -— Eva Pelucchi di 60 anni, da Ferrara, ha riportato due ferite profonde sulle mani il 18 Aprile 1910 da un cane accertato idrofobo. La cauterizzazione fu eseguita in modo inefficace. La donna fu ammessa alla cura il 21 Aprile e terminò il 10 Maggio. Il 18 Giugno ebbe febbre di poche — 168 — ove e formicolio nelle mani, il fenomeno però non venne annunziato ai medici. Il 19 ebbe senso di angoscia e affanno di respiro, tuttavia attese alle sue faccende fino al 21 e solamente il 22 si mise in letto per la dispnea. Ma a questa fece seguito paralisi generale e la morte nella giornata stessa. Col cervello che ci fu inviato furono eseguite inoculazioni sui conigli e questi morirono di rabbia in 25% giornata cen incubazione di 24 giorni. 5° N. 4898 — Filippo Frontini di 8 anni, da Casalecchio di Reno, riportò a nudo sulla gamba sinistra lacerazioni cutanee e punture in numero di 3 per morsicatura di cane non identificato. Fu cauterizzato con nitrato d’argento un’ora dopo. Fu curato il giorno stesso della lesione, cioè il 9 Luglio e la cura durò fino al 28, Il 1° Settembre apparvero i primi sintomi di idrofobia, il 2 si aggiunse aerofobia, febbre, indebo- limento dei riflessi, il 3 fatti di paralisi e morte. Col bulbo del bambino si inocularono due conigli l’uno è sopravissuto e l’altro ha presentato la paraplegia dopo 19 giorni ed è morto in 21% giornata. 6° N. 4607 — Anacleto Castiglioni di 20 anni, da S. Marino, riportò due punture ed una lace- razione cutanea sulla mano destra per morsicatura infertagli il 1° Ottobre 1903 da un cane randagio non rintracciato. Le ferite furono cauterizzate 5 minuti dopo con nitrato d’ argento. Fu curato dal 4 al 23 Ottobre con ritardo cioè di soli 3 giorni. La morte per rabbia convulsiva avvenuta nella notte dal 24 al 25 Dicembre 1903 fu annunziata dal medico locale, il quale a mia richiesta spedi il bulbo per esame. I inoculazione di questo in due conigli diede luogo allo sviluppo dell’idrofobia con incuba- zione di 17 giorni e morte rispettivamente in 19 e 20 giorni. $ 9 - Discussione sui casi di morte per idrofobia e per altre forme concomitanti. Molte considerazioni si possono fare sopra questo materiale di casistica, ma io prefe- risco ed ho creduto doveroso di somministrare al pubblico i dati di fatto senza osservazioni, piutiosto:che portar qui discussioni che esorbitano dal mio compito. Vi sono solamente delle note che meritano rilievo e che si possono desumere dallo spoglio dei casi che ho comunicato nelle mie precedenti comunicazioni. Il ritardo massimo col quale si sono presentati individui che poi finirono per idrofobia fu di 36 giorni, l’ incubazione da noi verificata fu al massimo di 86 giorni, la minima di 16 giorni. È evidente che incubazioni così brevi rendono difficilissimo il successo di una cura che si fonda sopra una immunizzazione attiva di per sè lenta a prodursi! Ma se osserviamo i nostri 6 insuccessi notiamo che in essi l’ incubazione fu in generale delle più lunghe, iroviamo veramente i massimi di 86, 72, 61, 54, 43, 39 giorni e però lo sviluppo della rabbia non ostante la intera cura non può attribuirsi al fatto di una iroppo breve incu- bazione. Neppure a ritardo presentato a intraprendere la cura può attribuirsi |’ insuccesso, perchè proprio in questi 6 individui il ritardo fu rispettivamente di giorni 0, 1, 3, 5, ritardo minimo invero. A che cosa dunque attribuire 1° effetto nullo della cura? Appunto non resta altra interpretazione se non quella di una immunizzazione mancata il che sì osserva così facilmente in simili tentativi di terapia. Nelle prove che io avevo tentato quando operavo con siero antirabico ho fatto qualche esperienza sopra il siero di persone sottoposte alla cura. Ho trovato casì in cui facilmente sì raggiungeva un siero con proprietà lissicide sopra virus di laboratorio, altre invece in i E e e et — 169 — cui questo risultato si raggiungeva tardissimo o mai. Interessante sarebbe stato il tentare prove simili in casi di insuccessi, ma sì possono trovare varie ragioni di contrasto che alterino il risultato, così per esempio ) eventuale presenza di virus nel sangue, presenza talora provata, sebbene non comunemente ammessa. La preparazione del siero antidifterico porta « «d abundantiam » contingente a simile dimostrazione ed io stesso potei notare oltre al fatto delle differenze individuali, una per- sistenza assai breve dell’ immunizzazione. Il mio siero dopo uno dei periodi di cura cui ebbi occasione di sottopormi (furono 6 in 30 anni) possedeva un determinato potere lissicida, sempre tenue, come fu dimostrato bene dal Marie, ma pure notevole e ben deierminabile, appena io ebbi terminato quel dato periodo di cura. Ebbene, 10 mesi dopo il mio siero era del tutto inefficace contro quel dato virus, che era l’ ordinario nostro di laboratorio. Adunque solamente a quell’oscuro e complesso fenomeno, che è il processo di immu- nizzazione dovrà attribuirsi l’insuccesso vero dei nostri casi e di quelli degli altri Istituti. Però ci fu anche e specialmente in passato qualche caso in cui si sarebbe dovuto applicare una cura più lunga, ma tutti i medici sanno come non si riesca sempre a otte- nere dai malati tutto quello che nel loro interesse si dovrebbe e si vorrebbe ottenere. Si-è già esposto più sopra che nei 30 casi di morte in 15 si traitava di morsicature sulla testa o sulla faccia e se si considerano i soli 6 casì d’ insuccesso, si nota che in 2 di essi le morsicature riguardavano la testa e la faccia. Se richiamiamo la tabella IX, che sì riferisce alle classificazioni dei morsicati, rileviamo che 1° 8% dei morsicati presentavano le lesioni del capo, il 42 nelle mani e il rimanente nelle membra e ironco. Adunque è molto piccolo il numero di morsicati della testa e invece il numero di morti con lesioni del capo è ingentissimo e cioè il 50% nella statistica globale, il 33% in quella modificata. Da che emerge che i morsicati della testa danno un contingente di nella statistica globale e 0,25% nella statistica modificata, cifre queste che morti del 2° 3 lo sono di gran lunga superiori a quelle che abbiamo ricavato dai calcoli di mortalità sopra tutto il novero dei morsicati. Un'altra considerazione è necessaria e cioè quella sulla durata della forma rabbica. Il decorso che ho descritto dimostra una durata minima di 2 giorni che si può osser- vare anche in sasi di morsicature delle mani oltre che in quelli della testa ed un massimo di 9 che si osserva in una bambina curata con siero e con iniezioni di lecitina. La durata ordinaria oscilla intorno ai 3 giorni, e le durate maggiori si riferiscono proprio ad inter- vento terapeutico speciale come nel N. 8033 in cui sì fece un’assidua e forte introduzione anche endovenosa di siero antirabico. Però vi è un caso il N. 3882 in cui la cura si protrasse per soli 10 giorni, il ritardo a presentarsi fu di 12, la morsicatura era alla testa e la forma rabbica o quella almeno che condusse a morte durò 13 giorni. Come è esposto nel breve cenno clinico, si ebbe in questo caso una forma difterica che iniziò il processo, terminato però con netti sintomi di rabbia. In aliro caso si ebbe un processo polmonitico finito coi sintomi evidenti della rabbia. Io ho numerato pure questi casi, ma anche l’ aver trovato che il sistema nervoso di questi indi- vidui era virulento non autorizzerebbe a conchiudere che essi sieno veramente morti per la Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 20 — 170 — rabbia. Le due infezioni combinate possono aver prodotto il decesso che altrimenti forse nè luna, né |’ altra staccate avrebbero causato. Che una forma specialmente di origine infettiva sopraggiungendo in un individuo mor- sicato da cane idrofobo possa richiamare almeno i sintomi della rabbia o anche associarsi al virus rabbico nell’ opera malefica è dimostrato da alcuni casi che qui riporto e che hanno un notevole interesse. N. 2962 — Augusto Amadesi di anni 3, da Argenta, ha riportato il 30 Marzo 1899 due ferite sulla faccia, luna sul naso e l’altra lunga 25 millimetri sul Jabbro superiore, da un cane accertato idrofobo dall’esame veterinario, Il ragazzo fu condotto all’ Istituto il 3 Aprile cioe con un ritardo di 4 giorni. Mentre la cura si svolgeva regolarmente il 14 di Aprile il ragazzo è preso da febbre con vomito e aerofobia caratteristica. Tuttavia la forma rabbica non procede, si mantiene la temperatura febbrile, mentre la cura antirabica continua e il 17 si rivela un focolaio polmonitico. Il Prof. Murri fa diagnosi di influenza. La cura antirabica termina il 22 Aprile e il ragazzo viene dimesso convale- scente ed apirettico. N. 8458 — Fioravante Bacchiega di anni 12, da Melara (Rovigo), ha ricevuto il 4 Novembre 1900 sette ferite profonde sul naso e sulla fronte da un cane accertato idrofobo con la prova biologica (2 conigli con incubazione di 15 giorni e morte 16% e 17% giornata). Ù Si presenta alla cura dopo 5 giorni cioè il 9 Novembre ed è curato con processo intensivo fino al 3 Dicembre. Il 22 Novembre vale a dire in 18% giornata dal morso è preso da febbre, cefalea, vo- mito. L’ ingestione d’acqua produce i caratteristici trasalimenti muscolari e così le correnti d’ aria sul viso, pupilla quasi inerte: Si eseguiscono il 23 e il 24 quattro iniezioni endoperitoneali di midolli viru- lenti e poi si riprendono quelle ipodermiche. Il 24 sera le condizioni sono migliorate, I idrofobia e l’aerofobia sono scomparse, ma si dichiara una polmonite cruposa che il 3 Dicembre è in crisi carat- teristica. Guarigione perfetta. N. 6408 — Cesare Bartoli di 4 anni, da S. Felice sul Panaro, ha riportato il 23 Novembre 1906 due profonde ferite sull’avambraccio destro da cane accertato idrofobo. È ammesso alla cura il 25 No- vembre e la continua fino al 14 Dicembre. Ma il 7 Dicembre è febbricitante a 38°, accusa dolore alle ferite che nel frattempo erano cicatrizzate, lla convulsioni. Il giorno dopo i fatti nervosi sono cessati, ma la febbre permane e ii 12 si osserva una eruzione morbillosa caratteristica. Il ragazzo è dimesso in perfetta guarigione. N. 3967 — Lucia Sabbioni di 18 anni, da Casalfiumanese (Bologna), è stata morsicata sulle mani il 24 Agosto 1902 da un cane accertato idrofobo che ha lambito anche |’ alluce destro ferito di recente della ragazza. Viene curata dal 30 Agosto al 18 Settembre e dimessa in tal giorno in ottima salute. Il medico curante rileva un anno dopo e cioè il 21 Agosto 1903 che la ragazza, la quale dopo un bagno fatto nel fiume a corpo estuante e con l’effetto di una forte impressione di freddo accusava lolore sulle cicatrici delle morsicature, febbre e fatti convulsivi, presentava veramente sintomi di rabbia. Il 24 Agosto, tra le convulsioni avvenne la morte. Interessatomi alla cosa ottenni 1° esumazione della salma, che trovai ancora in ottime condizioni, asportai il bulbo e me ne valsi per iniezioni sottodurali ed endoculari in conigli. Tutti gli animali sopravissero al di là dei 5 mesi, uno di essi iniettato in un occhio fu ucciso per errore in 11° giornata dall’iniezione, ma il suo cervello non era virulento. È noto che il raffreddamento improvviso come il sopraggiungere di una nuova infezione può condurre allo svi- luppo dei sintomi dell’ idrofobia, ma in questo caso la distanza di un anno dalla morsicatura doveva già assicurare che di rabbia non poteva trattarsi. Il passato medico è ricco di casi di idrofobia svilup- pata non dico dopo 1 ma bensì dopo 7 e anche 20 anni, ma di vero in essi non c'è altro che il fatto della morsicatura avvenuta tanti anni indietro, la verifica invece della diagnosi di rabbia è un mito. Evidentemente nel caso della Sabbioni i conigli inoculati non avrebbero potuto sopravvivere specialmente — Ido poi essendosi eseguito la prova tanto per iniezione endoculare come sotto la dura madre cerebrale. Non mi è avvenuto mai di trovare sterile il cervello o il bulbo di un uomo morto di idrofobia, bensì ho trovato virulenta anche la saliva sebbene il Pasteur una volta abbia negato che nell’uomo idrofobo la saliva possa trasmettere la rabbia. N. 6942 — Bernardo Di Sante di anni 52, da ‘leramo, aveva riportato il 17 Settembre 1908 sulla mano sinistra da un cane accertato idrofobo nna vasta lacerazione comprendente tutti i tessuti molli e della lunghezza di 10 centimetri. Si presentò il 19 Settembre, naturalmente non poteva essere stato cauterizzato, data 1’ estensione della ferita. La cura seguì regolarmente, ma il 27 il morsicato accusava dolori vaghi alla mano e al braccio, e così dolori alle gambe e alla nuca. Il 1° Ottobre si inietta siero antirabico 5 ce. e ripetono 2 volte le iniezioni fino al giorno 4. In questa giornata compaiono aerofobia ed idrofobia, si esegui- scono giornalmente altre iniezioni di siero 10 cc. per giorno fino al 15 Ottobre. Il 24 i fenomeni acuti erano scomparsi, restava una paralisi del facciale sinistro e della cornea, che aveva condotto ad una cheratite. Il Di Sante esce di clinica medica ove noi l'avevamo curato il 22 Dicembre e ritorna al suo domicilio in condizioni migliorate poichè non aveva più che una paresi del facciale sinistro. Nel Febbraio 1909 ho diretta notizia dal medico curante a Teramo che il Di Sante era morto il 6 Febbraio di rabbia convulsiva dopo 5 giorni di malattia. Il medico aggiungeva di aver tentato a lungo di ricondurre alla norma la mobilità degli arti inferiori nel malato ricorrendo ad iniezioni di stricnina, ma che l’idrofobia era scoppiata appunto nel frattempo! Ora è evidente che in questo caso la concausa è stata rappresentata dalla strienina invece del- l’ infezione e dell’azione del freddo nei casi precedenti. In un altro caso che si vedrà poi e cioè nel N.° 10858 solamente 2 milligr. di stricnina iniettati sottocute per vincere appunto i fenomeni di paresi bastarono a produrre fenomeni di eccitamento cere- brale e fortunatamente io potei intervenire per dissuadere da simili tentativi i colleghi che avevano voluto provarcisi. La stricnina è quanto mai adatta a coadiuvare il virus rabbico nella sua azione deleteria sul sistema nervoso. È importantissimo questo caso perchè il morsicato aveva già avuto tutti i sintomi della idrofobia fin dal 4 Ottobre e cioè 4 mesi prima e ne era guarito sia col processo della immu- nizzazione alla Pasteur, sia con quello della immunizzazione passiva mediante siero antirabico. Certa- mente la stricnina ha trovato un sistema nervoso su cui più facilmente poteva far presa e il bulbo è caduto in preda alla paralisi che appunto è caratteristico effetto finale così della rabbia, come del- l’avvelenamento stricnico. Ma non vi ha dubbio che anche nel decorso di una eventuale infezione rabbica non possa attec- chire una seconda infezione di altra sorta, che giunga da sola a produrre esito letale. 'l'roppo facilmente ‘in un individuo morsicato e in cui si teme sempre lo sviluppo della terribile malattia, si attribuisce a questa tutto ciò che di morboso viene in campo. Esempio di questo asserto è il caso seguente: N. 10801 — Bruna Gennari di 6 anni, di Poggiorusco. È stata morsicata il 28 Marzo 1917 sulla gamba sinistra da cane accertato idrofobo che ha prodotto 4 ferite. Si presenta in cura il 31 Marzo e il 15 presa da violente convulsioni muore improvvisamente emettendo col vomito e con le fecce numerosissimi ascaridi lombricoidi. Gli ascaridi possono render conto anche dei fenomeni convulsivi, che talora in casi simili furono attribuiti alla terapia con la santonina! Può anche accadere che la forma rabbica in corso o anche, vogliamo pur ammetterlo il virus introdotto per l’ immunizzazione possano far peggiorare mediante alterazioni fun- zionali da loro prodotte lesioni preesistenti e così anche condurre il morsicato ad esito lelale come è provato dal caso che segue, 2 go N. 5996 — Marone Pennesi di 32 anni, sordomuto, di S. Elpidio a Mare. Fu morsicato il 28 Aprile 1907 sulla coscia destra riportando due lacerazioni cutanee da un cane accertato idrofobo con prova sperimentale sul coniglio. Si presentò alla cura con ritardo di 17 giorni cioe il 12 Maggio e fu curato fino al 8 Giugno. Egli presentava disturbi urinari e alterazione anche chimica delle urine. La mattina del 4 Giugno fu preso da febbre con cistoplegia e paraparesi; si notavano fatti di stasi sulle cicatrici, esisteva ammoniuria. Il 5 il morsicato era quasi incosciente, temperatura elevata, la morte avviene la sera del 5 con fenomeni paralitici. La necroscopia dimostwa una cistite emorragica for- tissima, Inoculazione sui conigli con liquido cefalo rachideo estratto il 4 Giugno non da risultato, cosi pure sopravvivono conigli inoculati coi nervi periferici sopra le cicatrici. Le inoculazioni con sostanza mi- dollave e bulbare danno morte rapida dei conigli probabilmente per forme setticoemiche. Altri decessi si sono avuti senza sintomi di rabbia, ma con diverse forme morbose riconosciute tali da medici curanti. Sanitari non oculati avrebbero potuto facilmente con- fondere un fenomeno con un altro, come talora avvenne. Ecco questi casi: ‘N. 3491 — Giuseppe Boccafogli di 36 anni, da Bondeno, ha riportato il 12 Gennaio 1901 sulla mano destra 3 morsicature in forma di puntura da cane accertato idrofobo mediante prova biologica. È ammesso alla cura il 16 Gennaio e continua regolarmente fino al 4 Febbraio, ma nel frattempo è colto da polmonite. Dimesso convalescente ritorna al suo domicilio dove ricade e secondo la diagnosi del suo medico muore per ascesso polmonare. Col bulbo che mi viene inviato per esami vengono ino- culati due conigli che sopravvivono in ottima salute al di là dei 3 mesi. N. 5836 — Ugo Provasi di 40 anni, da Ferrara, è morsicato il 15 Agosto 1905 sul ginocchio sinistro con lacerazione dei vestiti da cane accertato idrofobo mediante prova biologica. Viene curato dal 25 Agosto al 4 Settembre, si presenta quindi con ritardo di 11 giorni. Però essendo egli affetto da un antico vizio mitralico composto, è ricoverato in clinica medica il 81 Agosto, dove viene conti- nuata la cura antirabica. Le condizioni del cuore peggiorano però rapidamente e il 4 Settembre avviene la morte per sincope cardiacà. Col midollo spinale e col bulbo si inoculano 4 conigli che sopravvivono tutti in ottima salute. N. 7TAT1 — Enrichetta Albenghi di anni 7, da Reggio Emilia, riporta il 14 Gennaio 1909 due ferite sulla faccia per morsicatura infertale da un cane accertato idrofobo. Le ferite sono cauterizzate dopo mezz’ ora col termocauterio. La bambina è condotta alla cura con ritardo di 2 soli giorni e ter- mina il 9 Febbraio, nel qual giorno è dimessa in ottima salute. Il medico curante scrive che tornata a casa la bambina dopo pochi giorni è stata presa da febbre e sintomi di meningite della quale è morta il 22 Febbraio, nessun sintomo di idrofobia. N. 10816 — Antonio Bandini di 38 anni, da Modena, morsicato il 6 Giugno 1916 sulla mano destra da un cane certamente idrofobo, ha riportato 8 ferite che furono cauterizzate in modo inefficace. Venne curato il 9 Giugno e si continuò regolarmente la cura fino al 3 Luglio in cui fu dimesso in buona salute. L’ ufficiale sanitario di Modena rifevisce che il Bandini tornato a Modena presentava disturbi generali e fenomeni di nefrite acuta della quale moriva il 10 Luglio senza aver dato sintomi di idrofobia. . N. 12241 — Bruna Montanari di 6 anni, da Modena, morsicata il 16 Ottobre 1918 sulla gamba destra da un cane rimasto ignoto. Si presenta alla cura il 20 e 1’ intraprende, ma il 25 colta da influ- enza è riaccompagnata dalla madre al suo domicilio. Però dopo 2 giorni e precisamente la sera del 27 la madre riporta la figlinola a Bologna nonostante presenti una temperatura di 41°, e la mattina del 28 chiamato presso il letto della bambina la trovo morente per congestione polmonare acuta, che la con- duce a morte nella mattinata. ie inn entra — 173 — $ 10 — Casi interessanti per condizioni della infezione o della cura. Riunisco in questa ultima rubrica alcuni casi di grande interesse per la terapia anti- rabica specialmente dal punto di vista del risultato ottenuto, sebbene anche nella descri- zione precedente abbia riassunto casi di esito felice non ostanti le complicazioni presentatesi. Innanzi tutto cito un caso inviatomi con diagnosi di rabbia paralitica dal medico curante. N. 3828 — Aristide Tassinari di 19 anni, da Sant’ Agostino (Ferrara), è stato morsicato il 10 Aprile 1900 sul piede sinistro da un cane ignoto. Ai primi di Giugno ha presentato disturbi ed è stato assalito dal timore dell’ idrofobia non essendosi curato per nulla. Secondo il medico si rilevano fatti di paresi nel dominio del rigonfiamento lombare, diminuzione dei riflessi spinali, difficoltà nella deam- bulazione e stazione, cisto e rettoparesi. L’ 11 Giugno il Tassinari è ammesso in clinica medica e riceve come prima iniezione 8 ce. di un’ emulsione di midollo 6 nelle vene, riceve poi in 8 riprese i midolli dall’ 8 al 5 sottocute. I fenomeni che il morsicato presentava spariscono e questi lascia la clinica in buone condizioni. Il caso non è certamente eloquente, ma sta di fatto che i disturbi spinali che vera- mente esistevano per quanto non gravi, sparirono col seguire delle iniezioni. Due degli antichi casi di paraplegia o di rabbia paralitica dei quali ci siamo occupati già in pubblicazioni a parte io, il Poppi e successivamente il nostro Maestro Prof. Murri son quelli che seguono : N. 4720 — Libero Albertoni di 20 anni, da Borgoforte. È stato morsicato il 4 Febbraio 1904 sulla mano destra riportando cinque ferite non cauterizzate. Il cane fu accertato idrofobo mediante prova biologica. Si presenta alla cura il giorno dopo la morsicatura e viene curato fino al 26 Febbraio. Il 14 Febbraio il morsicato presenta sopore, vomito e debolezza degli arti inferiori con diminuzione dei riflessi rotulei. Si continuano le iniezioni e nello stesso tempo si introducono sottocute giornal- mente dal 15 al 18 Febbraio 35 centig. di glicerofosfato di sodio. I disturbi rapidamente scompaiono e l’ Albertoni si rimette perfettamente, tanto che al termine della curva cioè il 26 Febbraio non pre- sentava fenomeni di sorta. Anche i riflessi erano ritornati normali. N. 5058 — Lorenzo Mataloni di 34 anni, da S. Elpidio a Mare, è stato morsicato il 5 Set- tembre 1904 da un cane sospettato idrofobo e come tale ucciso. Riportò 3 ferite sulle gambe, due pun- ture ed una lacerazione cutanea, non venne cauterizzato. Si presentò alla cura con 14 giorni di ritardo il 19 Novembre e fu curato fino al 18 Dicembre 1904 nel qual giorno venne dimesso. Il 4 Dicembre si presentava paresi degli arti inferiori che rendeva difficile la deambulazione, inoltre difficoltà della minzione e defecazione. Mentre si continua la cura si inietta pure sottocute del glicerofosfato di sodio 30 centigr. I disturbi si attenuano e il Mataloni viene dimesso il 18. Dicembre con una lieve paresi del facciale di ambo i lati e un po’ di debolezza degli arti, che non gli impe- disce però affatto la deambulazione. L’ uso di iniezioni di fosforo organico in dipendenza e come applicazione delle espe- rienze da me fatte per vincere la fosfaturia della cura antirabica (1) dimostrata con ricerche sperimentali di vari miei allievi e prima dal Dalmastri (2) .mi ha fatto ricor- (I) I. Novi — Terapia della fosfaturia con preparati organici del fosforo (glicerofosfato sodico e fitina). — Memorie della R. Accademia delle Scienze, Bologna 1908 — Serie VI, tomo V. (2) A. Dalmastri — Il ricambio dell’ azoto e del fosforo durante la cura antirabica — Bullettino delle Scienze Mediche, Serie VIII, Vol. I, 1901. — 174 — rere oltre che al glicerosfato o alla fitina anche ad iniezioni di lecitina, che mi hanno dato veramente ottimi risultati. Parlano in questo senso i casi che seguono: N. 10824 — Giuseppe Buttafochi di 33 anni, da Poggiorusco, ha riportato una morsicatura il 31 Marzo 1917 sulla gamba destra da un cane accertato idrofobo. Si presenta alla cura il 5 Aprile e mentre la cura prosegue regolarmente si osserva il 19 pavaplegia. Si eseguiscono allora a giorni alterni 2 iniezioni di lecitina e canfora, usufruendo fiale di preparazione militare contenenti 5 eg. di lecitina e pochi milligrammi di canfora, In seguito si inietta fosfoplasmina ed al termine della cura cioè il 17 Aprile l’individuo venne dimesso molto migliorato. L'8 Maggio la funzione sensorio-motrice degli arti era tornata normale. N. 10858 — Teresa Doati Ved. Fabbri di anni 69, da Berra (Ferrara), e morsicata il 18 Aprile 1917 sul braccio sinistro riportando cinque ferite gravissime da un cane accertato idrofobo. Si presenta in cura il 21 Aprile 1917, ma dopo una incubazione di 16 giorni e cioè il 4 Maggio la donna è presa da febbre e da vomito cui fa seguito una paraplegia che comprende anche le funzioni della vescica e del retto. Sospesa la cura usuale si eseguiscono due iniezioni di lecitina 15 centigr. per volta a distanza di qualche giorno l’ una dall’ altra. Si nota miglioramento che poi prosegue gradual- mente fino all’uscita dell’ inferma dall'ospedale in buone condizioni. Durante la paraplegia si tentò da giovani colleghi di vincere con un po’ di stricnina la paresi e per fortuna si somministrarono solamente 2 millig. che bastarono però a dare imponenti fenomeni di eccitamento cerebrale. Ho accennato più sopra all’ uso di siero antirabico di pecora fatto nel nostro Istituto. Riporto qui alcuni casi in cui detto siero diede buoni risultati : N. 6933 — Attilio Spiller di 29 anni, da Mantova, ha riportato il 12 Settembre 1908 sulla faccia 5 ferite in parte lacerazioni in parte scalfittuve delle labbra pev morsicature infertegli da un cane accertato idrofobo mediante prove biologiche, che hanno anzi dimostrato nel cane stesso un virus di breve incubazione, 14 giorni, inoltre si sono anche riscontrati i corpi del Negri nel corno d’Ammone. La cura viene incominciata il giorno dopo la morsicatura e continuata fino al 12 Ottobre, cioè per un mese. Il 4 Ottobre però il morsicato era colto da febbre con vomito, e sensazioni penose al collo e alla nuca, oltre a debolezza degli arti inferiori. Già il 17 Settembre egli aveva avuto l'iniezione di 6 ce. di siero, altri 9 gliene furono iniettati il 4 Ottobre e poi gli si consigliò l’uso di fitina, mentre durava la cura antirabica. Lo Spiller migliorò rapidamente, sparirono i disturbi e il 12 Ottobre quando venne dimesso si trovava in buona salute. N. 7162 — Mario Minardi di anni 4, da Bologna, ha riportato cinque ferite sulla guancia sinistra per morsicatura infertagli il 26 Febbraio 1909 da un cane accertato idrofobo. Viene curato il 27 e riceve subito un'iniezione di siero antirabico ed altre durante la cura. Terminata questa il 23 Marzo ha febbre alta che dura qualche ora, si eseguisce un’altra iniezione di siero e ‘nulla più si presenta di patologico. ; N. 7614 -- Amico Galloni di 28 anni, da Bomporto, morsicato il 14 Febbraio 1910 sulla faccia da cane accertato idrofobo con virus di brevissima incubazione (8 a 9 giorni). Il morsicato riportava due ferite in forma di puntura profonda, non cauterizzata. Si presentò il 15 Febbraio e si iniettò siero antivabico in principio e in fine di cura. Dal 21 al 25 Febbraio il Galloni accusava malessere generale, leggera ipertermia, sensazioni moleste in corrispondenza delle ferite. ‘'utto ciò scomparve in pochi giorni e 1’ 11 Marzo il Galloni era dimesso in ottima salute. N. 7748 — Ezio Navalesi di 10 anni, da Fornovo Tara, è stato morsicato 1° 1] Luglio 1910 sulla gamba destra dove ha riportato quattro ferite larghe e profonde a nudo (una di esse di cm. 4) da un cane accertato idrofobo. Si presenta il 14 Luglio e viene subito iniettato con siero antirabico, iniezione che si ripete il 29 perchè il ragazzo aveva avuto febbre e vomito. Tali sintomi scompaiono e nulla di patologico si ripete, sicchè il morsicato viene dimesso in ottima salute il 7 Agosto 1910. — Miro N. 7923 — Serafino Alvoni di 38 anni, da Bologna, é morsicato il 23 Novembre 1910 sulla mano destra sulla quale riporta 3 profonde ferite da un cane accertato idrofobo. Si presenta il 26 No- vembre, ma il 9 Dicembre ha febbre, disfagia, e debolezza degli arti infeviori, che gli impedisce di recarsi all’ Istituto. Il 10 gli si inietta siero antirabico, la febbre scompare e i movimenti degli arti inferiori migliorano così che il giorno 11 torna all’ Istituto per la cura. Si inietta siero e si ha ulteriore miglioramento, ma il 13 tornando a peggiorare per fatto della pavesi si ripete |’ iniezione di siero. Ma la notte sul 14 passa molto agitata, il morsicato accusa dolori dell'arto destro sicchè si ricorre ad iniezione di 21 ce. di siero nello speco vertebrale dopo estrazione di liquido cefalo rachideo. Il 15 e il 16 le condizioni migliorano, ma qualche peggioramento si va notando dal 23 Dicembre fino al 27, nel qual giorno si iniettano altri 7 ce. di siero nelle vene. Il 28 il quadro si rischiara nuovamente, si ripete l’ iniezione endovenosa il 29 ed altri 7 ce. si iniettano sotto la cute. D’ allora il miglioramento progredisce continuamente ed ogni disturbo sparisce. Rivedo il morsicato quattro mesi dopo in per- fetta salute. N. 8003.— Augusto Collina di 10 anni, da Copparo, ha riportato il 3 Febbraio 1911 tre ferite profonde sul labbro inferiore e sulla mano sinistra per morsicature infertegli da cane accertato idrofobo. Si presenta alla cura il 12 Febbraio con ritardo non indifferente data la doppia localizzazione del virus e viene iniettato con siero oltre che col solito vaccino Pasteur. L’ iniezione di siero è ripetuta il 1° Marzo perchè si era manifestata febbre, questa cade, ma si ripete più alta dal 9 al 10 Marzo. Si rinocula con siero e la forma cede cosicchè il 13 il ragazzo può essere dimesso in buona salute e vi si conserva. N. 8057 — Licinia Ramponi di 3 anni, da Argenta, è stata addentata sulla testa il 19 Aprile 1911 da cane accertato idrofobo, che le ha prodotto 5 ferite profonde con lacerazione cutanea sulla nuca. Si presenta in cura il 20 Aprile e durante le vaccinazioni riceve siero antirabico quattro volte. Il 27 Maggio si nota febbre, dolore sulle cicatrici che sono fortemente iperemiche. Dopo |’ inie- zione di siero i fenomeni cedono e il 31 Maggio la bimba è dimessa in ottima salute. N. 10170 — Domenico D'Ascola di 37 anni, da Reggio Calabria, morsicato il 14 Febbraio 1916 sulla gamba destra da cane certamente rabbioso. Si presenta alla cura il 22 Febbraio e la continua fino al 6 Marzo 1916, nel qual giorno è colto da fenomeni di paraparesi che scompaiono con le iniezioni di siero antirabico continuate in luogo delle vaccinazioni alla Pasteur. Anche prima della paresi si erano eseguite 3 iniezioni di siero. i Gli effetti terapeutici certamente specifici del siero antirabico si sono dunque bene affermati in questi casi, che avrei potuto anche moltiplicare perchè fino a che potei di- sporre di siero ebbi sempre a lodarmene. Così sono ben evidenti i risultati ottenuti dalla lecitina sotto varia forma, talchè riesce facile una terapia su questa base. Con ciò non si dice che siero o lecitina riescano sempre allo scopo, ma certo essi sono presidi ed aiuti e talora correttivi utilissimi durante la vaccinazione antirabica. Due casi ancora mi preme di citare che mi sembrano importanti, l'uno è la ripetizione di un fatto che altra volta ebbi ad esporre e cioè la cessazione di accessi epilettici per la cura antirabica. N. 9472 — Ottorino Vincetti di 20 anni, da Ancona, ha riportato il 28 Gennaio 1914 due ferite sul ginocchio sinistro da morsicatura di cane ignoto, fu sottoposto alla cura antirabica ordinaria dal 7 Febbraio al 22 nel qual giorno venne dimesso, Egli presentava accessi epilettici ogni 10 giorni e nel periodo della cura avrebbero dovuto verificarsi 3 volte. Invece in questo tempo non ne ebbe nessuno. Nell’ altro caso ho potuto dimostrare la virulenza rabbica del liquido cefalo rachideo in un ragazzo che dopo aver presentato la febbre premonitoria guarì. = 16.= N. 10888 — Adolfo Giuliani di 9 anni, da Bologna, ha riportato una morsicatura sulla gamba destra il 27 Aprile 1917 da un cane accertato idrofobo. Si presenta il 30 Aprile e viene curato nel modo consueto, normale. Il 12 Maggio è sorpreso da febbre altissima con fenomeni nervosi gravi, se non caratteristici della rabbia. Si eseguisce la puntura lombare e col liquido cefalo rachideo si inocu- lano due conigli, l'uno sotto la dura madre, | altro nella camera anteriore. IL 1° presenta paralisi in 6° giornata e muore in 7, Il 2° dopo una incubazione di 19 giorni muore con la paraplegia caratte- ristica in 20% giornata. Deve ritenersi che in questo caso fosse il virus fisso. della vaccinazione quel che si {rovava nel liquido cefalo rachideo del morsicato, oppure che altri germi come le forme diplococciche che accompagnano spesso il virus rabbico, avessero prodotto |’ infezione del coniglio? Io non credo in una interpretazione di questo genere, lo sviluppo caratteristico in seguilo alla inoculazione endoculare mi fa ritenere che il virus dello speco vertebrale fosse quello della morsicatura del cane abbreviante la sua incubazione per via endocranica forse in coniglio più giovine del consueto. Ci resterebbe ora da svolgere qualche considerazione sui ritardi massimi al presentarsi in cura e sulla intensità massima delle morsicature riportate. Vogliamo però trattenerci brevemente su questi punti senza ricorrere ad un esame circostanziato dei casi relativi. Abbiamo visto che furono frequenti le cure eseguite poche ore dopo avvenuta la morsicatura, ma enormemente più frequenti i casi in cui i morsicali si presentarono con ritardo variabile da una settimana a due o tre. Da tre seitimane in su i casi sono più rari, ma abbiamo notato ritardi al di là di 40, 50 fino a 63 giorni. Nelle descrizioni che abbiamo riportato si irovano già esempi di sviluppo della malattia per ritardi fino a 36 giorni, e di decessi avvenuti dopo pochi giorni di cura appunto perchè troppo lungo era stato il ritardo a presentarsi al nostro Istituto. Per quanto riguarda esempi importanti di intensità notevole dell’ infezione rabbica, si possono certamente quà e là nelle descrizioni fatte trovare casi che meriterebbero speciale menzione, ma oltre a quelli mi limito qui a riportarne uno che è molto interessante. N. 9807 — Vito Fornari di 12 anni, da Spilamberto, ha riportato il 4 Ottobre 1913 morsicature multiple sulla testa, sull’ avambraccio sinistro, sulla gamba sinistra e sul piede destro da un cane ac- certato idrofobo mediante esame istologico del cervello. Le ferite sommavano a quaranta, oltre al- l'asportazione del padiglione auricolare sinistro. Sei ferite a spessore di tessuti molli si contavano sul collo e nella gamba si notava strappamento dei muscoli dall’ inserzione tendinea !! Per fortuna il ragazzo si presentò il giorno successivo, si iniettarono ogni giorno e per un mese di seguito dosi doppie di emulsione di midolli, arrivando già dopo 2 giorni ai viruleuti. I cieli parti- rono non dal 6 ma dal 5 e si alternarono iniezioni ipodermiche di 7 ce. di siero antirabico. La cura terminò il 13 Novembre 1913, ma il 4 Novembre sì procedette ad una puntura lombare per saggiare eventualmente la vivulenza del liquido cefalo rachideo. Il liquido era limpido come normale, ma inoculato nel bulbo oculare di coniglio trasmise la rabbia con una incubazione di 20 giorni e la morte al 21.° Col cenno di questo caso tanto grave mi ritengo esonerato dalla descrizione di altri che pure rappresentano una eloquente dimostrazione della efficacia della cura antirabica. — 177 — $S 11 — Conchiusione. Nel ventennio 1899-1819 fino al 10 Luglio 1919 si sono presentate all’ Istituto Antirabico di Bologna 12545 persone di cui solamente 9662 ritenute bisognose di cura furono tratte- nute fino al termine della vaccinazione alla Pasteur, nel primo decennio se n° erano pre- sentate 3545 di cui 3083 curate. In totale abbiamo curato nel trentennio dalla fondazione dell’ Istituto 12745 persone e ne abbiamo rimandato 3345 che abbiamo ritenuto non avessero necessità di cura. La mortalità corretta secondo il concetto generale che siano insuccessi solamente quelli che riguardano persone prese dall’idrofobia e decedute 15 giorni dopo che |’ esauri- i nel trentennio mento della cura nel ventennio 1899-1919 /u di 1 sopra 1607 cioè 0,062 %/ fu 1 sopra 1575 cioè di 0,063 %,. Se poi si calcoli la mortalità pura comprendendo anche gli individui che avevano solamente iniziato la cura, la mortalità nel ventennio sarebbe di 1 sopra 322 cioè 0,35% e nel trentennio / sopra 286 cioè 0,35%. Fra le persone curate e Quarite abbiamo avuto parecchie con sintomi già ben chiari di rabbia non solo paralifica, ma anche convulsiva. Hanno efficacemente aiutato la cura col metodo del Pasteur, l’uso di siero antirabico ottenuto da pecore vaccinate con lo stesso metodo, la sommistrazione per via ipodermica ‘od endovenosa di iecitina. E nella compiacenza forse immodesta per l’ esito del nostro lungo lavoro, abbiamo la gioia di confessare che esso non sarebbe riuscito o sarebbe stato vano senza | opera del fondatore dell’ Istituto, il prefetto Giacinto Scelsi, senza il nome, la sapienza, la guida del nostro Direttore Augusto Murri. Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 21 — 178 — INDICE Pubblicazioni precedenti e scopo della presente comunicazione 07h) UN (ZA) UM _ WD (77000 ZA) UN UM _W Io DO) (I D 10. TG Numero delle persone presentatesi all’ Istituto ed ivi curate. — Morsi- cati respinti. — Influenza dell’ età, del sesso e delle stagioni. Provenienza dei morsicati e divisione per capoluoghi e provincie nel trentennio e rispettivamente negli ultimi decenni. — Periodi della morbilità nel CIRCVACITNO MA GIN Lc ARIETE Perizie eseguite e risultati ottenuti. — Animali consegnati. — Periodi della morbilità per rabbia negli animali e rapporti con quelli della morbilità per morsicatua nell’ vomo. — Influenza della putrefazione sull’ esito dei reperti istologici e di quelli biologici. — Risullati gene- rali delle perizie del ventennio. — Provenienze delle perizie da capo- luoghi e provincie. . Metodo di cura e materiale di inoculazione. — Osservazioni su altri metodi e specialmente sull’ uso di siero antirabico e di lecitine. — Effetti fisiologici della cura antirabica . . . Classificazione dei morsicati. — Quadro statistico del ventennio 1899- 1919 e del trentennio dalla fondazione . Risultati del ventennio e confronto con quelli del primo decennio Individui morti durante la cura nel ventennio. — Uenno nosografico e brevi osservazioni in proposito . Individui morti nei 15 giorni successivi alla cura . Individui morti trascorsi 15 giorni dal termine della cura. — Insuccessi. Discussione sui casi di morte per idrofobia e per altre forme conco- UOUCORNUO: a 0 Casi interessanti per condizioni dell’ infezione o della cura . Conchiusione . . IAT pai » » 129 14] IL VIAGGIO BOTANICO DEL PANCICH NEL MONTENEGRO (1875) MEMORIA Prof. ANTONIO BALDACCI letta nella Sessione del 30 Maggio 1920. Fino all’epoca dell’ esplorazione del Pancich (1), la flora del Montenegro comin- ciava ad essere nota principalmente per le raccolte e gli studi del botanico ungherese Pantocsek (2), che nell’anno precedente aveva fatto un lungo viaggio nell’ Erzego- vina, nel Montenegro e nella Dalmazia. Quando il Pancich fece il suo viaggio memo- rabile del 1873 (3), non conosceva però, probabilmente, che soltanto in parte i risultati del suo collega. Il Pancich, come botanico e come naturalista in genere, fu 1] investigatore della flora della Serbia e di altri paesi serbi e della Bulgaria. ‘rovandosi dal 1866 a capo dell’insegnamento delle scienze naturali nell’ Università di Belgrado, cominciò a coltivare l’idea di un viaggio botanico nel Montenegro Per varie circostanze quel viaggio, che in quei tempi si presentava molto arduo, faticoso e dispendioso, venne ritardato fino all'estate del 1873. Il resoconto del viaggio lasciatoci dal botanico serbo è assai ristretto e mi pare perciò doveroso ampliarlo e commentarlo sulla scorta di un altro suo studio (4). Per recarsi nel Montenegro, egli scelse la via di mare, ossia quella che va da Trieste a Cattaro, evitando la via del Sangiaccato per le condizioni difficili dei luoghi, allora soggetti alla Turchia; in quei tempi sarebbe stato pericoloso per un serbo fare la strada dal confine della Serbia al confine del Montenegro, com’era quella terra infestata dal brigantaggio. Nel 1873 non esisteva ancora la bella carrozzabile, che fu costruita molto più tardi, tra Cattaro e Cettigne e perciò il nostro viaggiatore dovette prendere da Cattaro la vecchia mulattiera dei « Vladika », la quale saliva da Praciste e da Krstac a Njegus e poi per Dugi dò e il Bukovik continuava per Cettigne. A Njegus, il Pancich cominciò alacremennte a erborizzare. Nella capitale montenegrina egli formò la sua carovana con quattro nomini e quattro cavalli e ottenendo salvacondotti e lettere per le autorità dell’ interno. Mentre ciò si andava preparando, compì un’escursione molto proficua sul gruppo del monte Lovcen, salendo le due punte del Jezerski Vrh e dello Stirovnik (Sella) (5): ne ricavò un materiale assai prezioso. — 180 — Di ritorno dall’ escursione del Lovcen, il. Panecich era pronto per l’ interno. Aveva fretta di giungere al Durmitor e al Kom, perchè la stagione incalzava, essendo già agosto inoltrato. « Plantas in elenchum hunc compositas plerasque ipse legi mensibus augusto ac septembri » (6): se ne può arguire, giacchè il suo viaggio fu in complesso di cinque seltimane circa, che egli dovette trovarsi a Cettigne sul principio della seconda decade di agosto. Anche nel Montenegro, come per tutti i paesi montuosi dell’ Europa meridionale, la stagione più indicata per l'esplorazione delle alte mon- tagne va sempre dal luglio fino alla prima metà di agosto e ciò principalmente perchè le greggi che invadono i pascoli più elevati non hanno ancora fatto strage della vege- tazione erbacea. Nonostante la fretta di avanzare, non trascurò il polje di Cettigne. Nell’ « Elenchus », la località di. Cettigne figura un gran numero di volte e per un numerò assai cospicuo di specie, per raccogliere le quali sarebbero occorse non meno di due o tre giornate; io suppongo, pertanto, che le citazioni per quella località siano in gran parte provenute dalla sosta che il Pancich vi fece tanto nell’ andata verso l'interno del paese, quanto nel ritorno, non meno che dall’ esame della collezione del Frilley e delle piante raccolte dal Novakoviceh (7). Inoltre, egli dovette notare assai anche nell’ escursione del Lovcen che probabilmente venne compiuta con un itine- rario circolare, durante il quale toccò certamente il villaggio di Bajce (m. 500: sopra il ]. d. m.) dove notò e forse raccolse la Punica Granatwmn. Nella sua lettera al Janka, il Pancich dice: « Hierauf trat ich meine langere Fahrt in die Brda an ». Quale strada egli dovette seguire per andare verso il Nord, tendendo al Durmitor che era il suo principale obbiettivo? « Die Fahrt auf den Dor- mitor (8) nahm volle 5 Tage in Anspruch ». E molto verosimile che egli da Cettigne seguisse la strada della. Rijecka nahija e della Zeta, attraversando i Bijelopavlici e passando per Danilovgrad, per salire poscia ad Ostrog, dove sorge il celebre monastero che ogni buon slavo deve visitare, perchè sacro a S. Basilio. i Certo Ostrog fu un punto di tappa del Pancich nel suo viaggio tra Cettigne e il Durmitor. Da quel celebre monastero, dove evidentemente si fermò un giorno e una notte, egli continuò l’indomani per Niksic, che in quel tempo era soggetta alia Turchia. Probabilmente pernottò in quella borgata, nei cui dintorni raccolse anche buon numero di. piante, essendo citate nell’ « Elenchus » due località, Niksicka Zupa e Lukovsko polje, che fanno ritenere certa la cosa. Per giungere ai piedi del Durmitor, egli seguì la vecchia strada che univa Niksic a Plevlje con Savniki e Zabljak. Del Durmitor, che è un gruppo orografico alpino costituito di un gran numero di cime con molti polje e laghetti glaciali, egli probabilmente salì le tre cime Slijeme, Savin Kuk e Stulac, che sono citate e passò anche per il Crno Jezero raccogliendo e annotando; non salì certamente, però, nè la più alta cima del Durmitor, la Cirova Pecina, nè il Megied, che sono le due più difficili da scalare. È supponibile che Il Pancich abbia dedicato al Durmitor non più di cinque giorni, invece dei quindici che gli sarebbero occorsi per esplorarlo bene, ed abbia messo quartiere a Zabljak. e Re Dal Durmitor egli volse direttamente verso il Kom, ossia al secondo dei massicci più imponenti del vecchio Montenegro. Per giungere al Kom passò per il gruppo del Javorie dove raccolse ottimo materiale, scendendo quindi al monastero di Moraca, per salire poi le montagne dei Rovci che si interpongono fra Ja Moraca e Kolasin. È assai pro- babile che il Pancich mettesse il campo nel territorio dei Vasojevici (come si può arguire dalla menzione che ne fa quando accenna al ritorno verso Cettigne) e in tal caso si può ritenere tanto nella località di Margariti come di Ljubanj, dalle quali si possono facilmente scalare ambedue le cime della montagna. Dedicò due giorni interi al Kom, ma, certo, dovette lavorare faticosamente e affrettatamente per salire in un giorno solo le due cime (Kom Kucki e Kom Vasojevicki). Dal Kom cominciò il suo viaggio di ritorno verso Cettigne per i Bratonozici e raggiungendo nuovamente la Moraca e la Zeta, dove pernottò senza che sia precisabile il luogo (forse in un villaggio della Lijesanska nahija), proseguì il giorno dopo per il Gornje Blato. Da questa dipendenza settentrionale del lago di Scutari, nelle cui sponde erborizzò, passò nel lago di Scutari, per recarsi a Vir nella provincia della Crmnica. Durante la traversata del lago rac- colse materiale ‘assai copioso e scelto e ne: prese nota. Da Vir si recò per la vecchia strada di Antivari nel gruppo del monte Sutorman e salì il Lonac. Dal Sutorman ritornò stanchissimo a Vir, poi a Rijeka e quindi a Cettigne dopo un viaggio di circa ven- ticinque giorni, da quando aveva lasciato la piccola capitale, nella regione tra la Brda, il Durmitor e il Kom. Rimaneva da esplorare la parte Nord-Ovest del Montenegro. Per questo. intra- prese, dopo breve riposo a Cettigne, l’escursione, con l’ obbiettivo principale delle mon- tagne della Bijelagora. Per la vecchia strada della Katunska toccò Ceklici e Cevo. Sebbene non risulti, è probabile che il nostro viaggiatore abbia voluto fare questo itinerario con lo scopo di vedere a Ceklici qualcuno della famiglia dei Matanovich (che era allora molto in vista nella gerarchia dello Stato) e a Cevo i membri della famiglia principesca, appartenenti ai Vukotich, presso i quali si trovava forse lo stesso Prin- cipe Nicola a passare l’ estate. Da Cevo è da ritenersi che il Pancich sia avanzato per la strada di Pisine Strane (dove cita la SfapAhylaea pinnata) e di là sia giunto a Grahovo. Nel gruppo della Bijelagora esplorò il Vuci Zup e l Orien. Scese a Risano per il Krivosije, raccogliendo sempre e tornò a Cattaro, dove era sbarcato al principio della spedizione e si imbarcò per Trieste. L° « Elenchus » consta di 1266 citazioni di specie, di cui pochissime non sicura- mente determinate o determinate solo nel genere o incerte per mancanza di caratteri sufficienti. Di ogni specie il Pancich, quando potè, raccolse esemplari in diverso stato di sviluppo, in fiore e in frutto. Le specie raccolte risultano scelte con grande cura scientifica.e dimostrano che egli era già profondo conoscitore della flora di quei paesi. Benchè 1 « Elenchus » non comprenda che una piccola parte della flora. del Montenegro, dovendosi tenere conto che l’ esplorazione del paese era avvenuta nella stagione meno adatta per la flora mediterranea e delle zone medie, l’opera del Panciclh mette in piena evidenza quale fosse l’importanza non solo delle’ alte regioni, ma — 182 — dell’ intero principato: con la scorta dell’ « Elenchus », egli ci ha fornito il materiale per tratlare qualungue argomento fitogeografico di quel paese (9). La flora delle alte regioni è vantaggiosamente rappresentata ed è naturalmente quella che presenta il maggiore interesse per il botanico. Il Lovcen, il Durmitor, il Kom, la Bijeiagora, che sono i quattro caposaldi del prezioso indice, vennero dal Pancieh accuratamente esplorati, come dimostrano le località dipendenti (rupi, laghetti, spelonche, valichi, praterie, boschi, nevai, ghiaie, ecc.). Benchè il Pancich abbia dedicato soltanto un giorno e mezzo o due al più al gruppo del Lovceen, egli non trascurò nulla per completare le osservazioni dei suoi predecessori. Quel massiccio, prescindendo dall’ escursione che l’anno preceaente vi aveva fatto il Pantocsek, era stato fino allora la sola montagna conosciuta dal lato botanico nel Montenegro. Esso era stato sfiorato dal Tommasini nel 1827 e, successivamente, appena toccato dal Re Federico Augusto di Sassonia (il quale fece col Biasoletto una gita nel 1832 da Cattaro a Cettigne) (10), poi salito dall’ Ebel (11) nel 1841. L'indicazione che il Pancich da per il Loveen dell’ Ampho- ricarpus Neumayeri, la quale è sempre stata da me veduta nelle rupi occidentali che vengono a terminare al Krstac, fa supporre a ragione che il nostro viaggiatore non si sia solamente limitato all’ esplorazione della parte orientale (versante di Cettigne) del gruppo, ma si sia spinto anche nel versante di Cattaro. Ciò è confermato eziandio dalla località della spelonca Ledenitza nel monte Stirovnik (Sella). dove venne raccolto il Hieracimn Schlosseri. Nel Durmitor egli trovò un gran numero di specie alpine e subalpine che gli erano note dalla Serbia. Fu il Kom che dovette esercitare sull’ animo del grande botanico un fascino assai vivo, essendo quella mole la più avanzata del- l’immenso gruppo orografico Nord-albanese, così ricco di endemismi e di specie rare e rarissime, che fu possibile esplorare solamente in questi ultimi tempi. Il Kom è vera- mente una montagna caratteristica e grandiosa e senza dubbio una delle più imponenti e pittoresche dell’ Illirio. Nel Kom egli trovò un numero notevole di specie nuove, ecregiamente intravvedute fin dal momento della raccolta e poi fissate, che permangono tuttora e attestano la diligenza con la quale seppe scegliere il materiale e studiarlo. Questi endemismi vennero da me trovati, durante le mie escursioni, nelle località clas- siche del botanico serbo. Il Pancich, che doveva lottare col tempo contato e con la stagione che andava incalzando, non potè naturalmente compiere che un viaggio circolare del quale i car- dini furono appunto le montagne suddette. Qualche deviazione di poco conto venne cer- tamente fatta qua e là, ma rimase in lui indubbiamente il desiderio dell’ esplorazione del sistema orografico centrale del Montenegro, ossia della regione che si può chia- mare del Moracko Gradiste e che si presenta allo sguardo del viaggiatore come un altro sistema, per quanto più piccolo, delle Alpi albanesi settentrionali. A Cettigne si trovava al tempo del Pancich il suo antico discepolo Bozo Nova- kovich, che gli fu compagno nel viaggio e dal quale seppi la prima volta nel 1886 (12) quanto il Pancich fosse entusiasta della flora del Montenegro e come avesse in animo di continuarne lo studio, per pubblicare un’opera completa. A quest’ o- Cillo — pera non potè giungere per cause indipendenti dalla sua volontà, essendo egli diven- tato sempre più indispensabile al Governo di Belgrado che non gli lasciava più libero alcun tempo. Il Novakovich raccolse per conto del Pancich alcune piante nelle vicinanze di Cettigne, di Rijeka e di Vir nella primavera del 1874, tra cui diverse Gigliacee e Orchidee, le quali tutte figurano nell’ « Elenchus », sebbene senza citazione del raccoglitore. NOTE (1) Il Pancich è indubbiamente come scienziato uno degli uomini più eminenti della Serbia e del serbismo. Uscito dalla Scuola di medicina di Budapest nel 1842 (egli era nato nel 1814 a Bribir presso Novi in Croazia), si portò ben presto in Serbia, dove, abbandonato dopo qualche anno l’ esercizio della medicina, si dedicò esclusivamente agli studi e all'insegnamento delle scienze naturali, perfezio- nandosi gradatamente nella botanica nella quale doveva poi acquistarsi riputazione e fama notevolissime. Morto nel 1888, anche oggi egli è ritenuto il maestro dei botanici serbi e una delle più belle illustra- zioni scientifiche della sua patria. Al tempo del Pancich vi era in Serbia tutto da fave; gli intellet- tuali e organizzatori indigeni erano pochissimi e lo Stato, che aveva bisogno di svolgersi progressiva- mente, accoglieva volentieri coloro, specialmente jugoslavi, che per la loro intelligenza promettevano benefici: il Pancich, infiammato di quel fervore patriottico per il quale gli Slavi del Sud hanno potuto salire al cammino politico attuale, corrispose pienamente alle speranze che di lui si nutrivano; accanto all’opera che egli potè svolgere come scienziato, sta tutto il patrimonio dell’uomo politico più sicuro che egli mise a disposizione della nazione. Veggasi la biografia del Pancich di H. Braun (Dv. Josef Pancich. Ein Nachruf, in Oest. bot. Zeitschr. 1888) e di J. M. Zujovich in Ann. géolog. de la pen. Balcanique, Belgrad, 1899. (2) J. Pantocsek: Adnotationes ad Floram et Faunam Hercegovinae Crnagorae et Dalmatiae, in Verh. des Ver. fir Naturkunde Pressburg, 1874. Questa pubblicazione venne annunziata anche nella Oest. bot. Zeitschr. 1874 (maggio). Il Pantocsek aveva compiuto il suo viaggio nel 1872. (3) J. Pancich: Botanische Bereisung von Montenegro im Jahre 1873. Ein Schreiben an Janka. In Oest. bot. Zeitschr. 1874 (marzo). (4) J. Pancich: Elenchus plantarum vascularium quas aestate a. 1873 in Crnagora legit Dr. I. Pancich, Belgradi 1875. (5) Nel tempo andato la cima dello Stirovnik era conosciuta sotto il nome di monte Sella, col quale si comprendeva anche da molti l’intero massiccio del Lovcen. « Sella » si doveva intendere per « valico », cioè a dire il valico tra Cattaro e Cettigne. La definizione era tuttavia impropria e molto grossolana perchè la strada per Cettigne passava anche allora per Krstac e Njegus, dove passa oggidì, lambendo i fianchi settentrionali del massiccio. Ciò dimostra come si aveva una scarsa conoscenza di quei luoghi prima della grande guerra russo-turca (1877-78) alla quale prese parte anche il Montenegro. (6) J. Pancich: Elenchus, pag. III. (7) Ibidem. (8) L'antica grafia di questa montagna è infatti Dormitor, non Durmitor. (9) Cfr. G. Beck v. Mannagotta: Die Vegetationsverhéltnisse der illyrischen Lander, Leipzig, 1901. (10) M. Tommasini: Botanische Wanderungen im Kreise von Cattaro (Flora, 1835, Beiblatt II). (11) W. Ebel: Zwélf Tage auf Montenegro I-II. Kònigsberg, 1842-44. (12) ... Itineris mei socius et discipulus olim... Elenchus, pag. II. — Io giunsi la prima volta a Cettigne nel luglio del 1886, chè, l’anno precedente, non avevo potuto oltrepassare, per mancanza di mezzi, il confine austro-montenegrino. Avevo fatto a piedi, con risorge minime, gran parte della Dal- — 184 — mazia. A Cettigne: conobbi subito il Bozo Novakovich, oriundo del distretto di Ragusa, che era diventato botanico nella stima del popolo montenegrino perchè aveva aecompagnato il Pancich in una parte del suo grande viaggio. Nel Montenegro, che conservava ancora in quel tempo il suo pieno carattere patriarcale, era assai facile farsi un nome. Col Novakovich, che insegnava al ginnasio della piccola Capitale, conobbi nello stesso giorno. il suo collega Elia Beara, di Zara, uomo di cuore e insegnante stimato che finì poi miseramente per suicidio a Cettigne. Accanto a questi due amici, diventati per me benefattori, pongo come terzo il Neso Ivanovieh, di Medun (Kuci), allora divet- tore delle Poste e dei V'elegrafi del Montenegro. Poi venne quarto, Niko Tatar, di Cettigne, e così, uno a uno, dieci a dieci, tutti i miei amici e conoscenti di quel bel tempo antico del prisco Monte- negro, che ricorda al mio cuore la tribù, gli eroi, la gusla e il kolo e la grandezza mistica del paese arcaico e fieramente indipendente. Devo a quegli amici la ragione principale che mi doveva far conti- nuare a studiare il Montenegro. La maggior parte di essi sono ora morti, ma la loro memoria scen- derà con me nella tomba e sarà sempre circondata di quella gratitudine, che si deve agli uomini sem- plici e forti. Nel 1886 io conobbi il Principe Nicola, al quale venni presentato dal Padre Cesare Tondini de’ Quarenghi, barnabita, che compiva una missione per incarico del Papa per il concordato di Anti- vari. Fu il Padre Tondini che mi consigliò di pubblicare la flora del piano di Cettigne, intorno alla quale avevo raccolto un materiale notevole; quella pubblicazione apparve come appendice nel Giornale ufficiale del Montenegro (Glas Crnogorca) del 1886 sotto il titolo « Bilje cetinjskoga polja ». OSSERVAZIONI METEOROLOGICI DELL ANNATA 1919 ESEGUITE E CALCOLATE DALL’ Astronomo R. PIRAZZOLI NELL'OSSERVATORIO DELLA R. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA INIOMEA DEL Prof. MICHELE RAJNA letta nella Sessione del 30 Maggio 1920. Avvertenze generali. Le osservazioni meteorologiche vengono eseguite ogni giorno alle ore 9, 15, 21 di tempo medio dell’ Europa centrale, secondo le prescrizioni del R. Ufficio centrale di Meteorologia e Geodinamica. Inoltre si eseguisce un’altra osservazione alle ore 8, la quale serve alla compilazione dei telegrammi che si trasmettono al mattino a Roma (Ufficio centrale) e a Venezia (Magistrato alle Acque). La pressione barometrica è data da un barometro « Fortin » corretto dell’ errore costante: + mm, 0,46. Il pozzetto del barometro è collocato all’ altezza di m. 83,8 sul livello del mare. La temperatura dell’ aria, all’ istante dell’ osservazione, si legge sul termometro asciutto del psicrometro, e i valori estremi sono indicati da termometri a massima e a minima. I termometri sono collocati sulla banchina della gabbia meteorica, sporgente a nord della torre, a perfetta circolazione d’aria, il cui piano si trova all’ altezza di m. 90,81 sul livello del mare. Le precipitazioni si ottengono in millimetri e decimi di altezza di acqua mediante il pluviometro registratore di « Fuess », provvisto di un sistema di riscaldamento a immersione, che serve a dare la fusione della neve. Il pluviometro è posto nel punto più elevato della torre, coll’ apertura a m. 49,20 sul suolo e a m. 101,62 sul livello del mare. La tensione del vapore acqueo e l’ umidità relativa sono determinate col psicro- metro di « August ». La nebulosità del cielo si ottiene colla stima a occhio dei decimi di cielo coperto dalle nubi. La provenienza del vento è data dalla banderuola dello anemoscopio, e la velocità oraria in chilometri, dall’ anemometro registratore elettrico. La banderuola dell’ ane- Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 22 — 186 — moscopio e il mulinello a coppe dell’ anemometro sono sulla sominità della torre a m. 49,50 di altezza sul suolo. L’evaporazione dell’acqua è misurata ogni giorno alle ore 15 nell’ evaporimetro, posto nella gabbia meteorica. A complemento delle osservazioni dirette, si leggono pure le indicazioni dei dia- grammi degli apparecchi registratori: Barografo; termografo; igrografo. Riassunto dei quadri mensili (1). Barometro. La escursione barometrica dell’ anno, ossia differenza fra la minima e la massima pressione osservata, fu di mm. 32,2, compresa fra i due valori estremi di mm. 734,6 del giorno 8 aprile e mm. 766,8 del giorno 19 ottobre. Tale escursione. paragonata con ciascuna delle corrispondenti escursioni annue dell’ ultimo ventennio, risulta la più piccola di tutte e alquanto inferiore alla escursione normale annua, che è di mm. 37,6. Il valore massimo osservato è più basso di tuiti i valori massimi osservati negli anni precedenti, ad eccezione di quello dell’anno 1912 che fu di mm. 766,7; mentre il valore minimo è il più alto fra tutti, sempre relativamente all’ ultimo ventennio. Il ravvicinarsi simultaneo dei due valori estremi determinò la eccezionale piccola esten- sione della oscillazione annua. Inoltre mancarono nei primi mesi dell’anno le alte pressioni atmosferiche, caratteristiche di tali mesi, e così pure mancarono quelle rapide oscillazioni, che d° ordinario sono abbastanza frequenti durante l’anno. Le variazioni di pressione avvennero, in generale, con moto lento e regolare, se si eccettui quella piuttosto rapida e intensa del mese di aprile, dove il barometro, dalla depressione di mm. 734,6 del giorno 8, salì, in solo quattro giorni, alla pressione di mm. 760,6. La media generale barometrica dell’anno fu mm. 753,3, inferiore alquanto at valore normale annuo, pari a mm. 754,6. Temperatura. La temperatura media dell’anno risultò di 13°,2; la minima fu — 5°,2 il giorno 9 febbraio; la massima 339,2 il 21 agosto. Questi tre valori furono quasi identici ai corrispondenti valori normali che sono: 13°,4; — 50,1; 33,1, rispettivamente per il medio, minimo e massimo. Relativamente alla data dei valori estremi osservati, risulta. alquanto tardiva sia quella del 9 febbraio per il minimo, che quella del 21 agosto per il massimo. Le temperature medie mensili furono in generale molto discoste dai (1) In causa delle attuali gravissime difficoltà dell'industria tipografica l’ Osservatorio è costretto. a rinunziare alla pubblicazione dei consueti quadri mensili. — 187 — valori medî mensili normali. Eccezionalmente alta fu la media di gennaio, 5°,1, contro il valore normale 1°,8; assai bassa invece quella di luglio 22°,1 (valore normale 24°,0); quella di ottobre 11°,9 (valore normale 14°,1), e quella di novembre 5°,9 (valore normale 8°,2). Una irregolarità notevole si verificò fra i mesi di giugno e di luglio; nel primo la temperatura salì a gradi assai più alti di quelli propri della stagione; ma poi si ebbe un abbassamento sensibile e permanente nel mese di luglio, sicchè la temperatura media di questo mese risultò inferiore a quella di giugno, e i calori estivi, che si temevano precoci, furono invece ritardati, essendo poi risultata la temperatura massima assoluta quella del giorno 21 agosto. Precipitazioni. I giorni con precipitazione furono piuttosto frequenti, 113 in tutto l’anno, cioè 15 più della frequenza normale annua. Con tutto ciò, la quantità totale dell’ acqua caduta, misurata dal pluviografo, fu solamente di mm. 481,4, appena 5A del valore normale della precipitazione, che, in base alle osservazioni pluviometriche di cento anni, risulta di mm. 663,8. La quantttà di pioggia caduta mensilmente non seguì l’ andamento normale rela- tivo al nostro clima, ma in generale vi si allontanò alquanto, e più specialmente, per valori inferiori ai corrispondenti valori normali in febbraio, maggio, agosto, ottobre e dicembre; e per valori superiori ai corrispondenti normali, in gennaio, luglio e novembre, come si vede dall’ esame della tabella seguente : ALTEZZA IN MILLIMETRI DELLE PRECIPITAZIONI MENSILI genn. | febbr. | marzo | aprile |maggio|giugno| luglio | agosto |settem-|ottobre\novem.|dicem. Anno 1919 | 69,8) | 189 | 38,6. | 54,2 | 21,5 | 19,8 | 89,4 || 20,8 | 28,6 | 25,8] 920 | 2,0 Valori normali 38,7 | 41,4 | 51,6 | 57,9 | 66,3 | 56,3 | 35,2 | 41,6 | 62,6 | 87.5 | 74,1 | 50,5 Rispetto alla qualità della precipitazione, si ebbero 104 giorni di pioggia; 2 giorni di neve (altezza totale cm. 10); 5 giorni di pioggia e neve; 2 giorni di pioggia mista a grandine minuta. Fra i giorni con precipitazioni non furono compresi quelli nei quali caddero poche gocce o pioggiarelle incalcolabili, 11 giorni in tutto. Temporali. I temporali, che svolsero attività elettrica sopra la città, furono i seguenti: 1° - Il giorno 10 aprile, proveniente da nord-ovest e diretto verso sud-ovest, fra le ore 16 e le 18, con tuoni molto forti; lampi a zig-zag, ramificati, intensi; pioggia MIST ordinaria; vento debole, da prima di levante, poi di ponente e in fine di libeccio. Durante 1’ imperversare delle scariche elettriche, un fulmine si abbattè in una casa in frazione di Bertalia, danneggiando parte del fabbricato e investendo alcune persone, che rimasero momentaneamente tramortite. 2° - Il giorno 18 maggio, proveniente da nord-ovest e diretto verso nord-est, con tuoni e lampi deboli, fra le 15 e le 18 ore; con poca pioggia ordinaria; vento moderato vario. Il temporale era del tutto finito, quando sulle ore 20 si vide un lampo intenso, seguìto tosto da un colpo secco di fulmine, caduto presso il vicino orto botanico della R. Università, nello stabile dell’ educatorio delle Dorotee, cagionandovi un piccolo incendio. 3° - Il giorno 28 maggio, proveniente da sud e diretto a sud-ovest, fra le 5 e le 7 ore, con tuoni, da prima deboli e prolungati. poi a scariche secche e forti di fulmine; pioggia forte e a tratti violenta; vento debole di nord-ovest. 4° - Il giorno 6 luglio, proveniente da levante e diretto verso nord-ovest, fra le ore 16 e le 17, con lampi deboli e diffusi in generale, ad eccezione di due potenti scariche elettriche ; pioggiarella leggiera; vento moderato, da prima di nord-est, poi di sud-ovest. 5° - Il giorno 10 luglio, proveniente da sud-ovest e diretto verso sud-est, con debole attività elettrica; con poca pioggia a grosse goccie, e con vento debole vario. 6° - Intorno alla mezzanotte fra il 21 e il 22 luglio, proveniente da ponente e diretto a nord-est, con lampi intensissimi, frequenti; con tuoni generalmente prolun- gati, piuttosto forti ed uno scoppio secco di fulmine, preceduto da lampo abbagliante; pioggia forte, a {ratti torrenziale; vento, da prima di nord-est moderato, poi di nord- ovest alquanto forte. 1 7° - Il 24 luglio, proveniente da nord-ovest e diretto a est, fra le ore 19 e le 21, con tuoni deboli, prolungati; lampi a zig-zag e diffusi; pioggia da prima a grosse gocce, seguìta da parecchia grandine, per alcuni minuti secca a chicchi grossi come nocciole, poi pioggia ordinaria; vento debole di ponente da prima, poscia iurbine violento di tramontana. 8° - Il giorno 29 luglio fra le 16 e le 17, con debole attività elettrica di lampi diffusi e di tuoni prolungati, proveniente da sud-ovest e diretto a sud-est; pioggia piuttosto. forte e talvolta violenta; vento debole, prima di sud, poi di ovest. 9° - Il giorno 6 agosto, fra le ore 1 e 2, proveniente da sud-ovest. diretto a nord-est, con lampi deboli, diffusi; tuoni prolungati, alcuni alquanto forti; pioggia, in principio forte, poscia ordinaria; vento vario. 10° - Il giorno 16 agosto, fra le ore 21 e le 23, proveniente da nord-ovest, diretto a sud-ovest, con lampi frequenti, intensissimi a zig-zag, ramificati; tuoni deboli, prolungati; breve e scarsa pioggia; vento piuttosto forte, ora del terzo, ora del quarto quadrante. i 11° - Il giorno 23 agosto, fra le 6 e le 7 ore, proveniente da nord-ovest con nubi oscure a cumolo-nembo, diretto a nord-est; con lampi frequenti intensi a zig-zag: — 189 — tuoni generalmente deboli, prolungati, ad eccezione di due a colpo secco e forte di fulmine; pioggia forte a grosse gocce; vento moderato occidentale. 12° - Il giorno 29 settembre, dalle 17 alle 18, proveniente da ponente e diretto a levante, con attività elettrica poco intensa; con pioggia dirotta, violenta, mista a rari chicchi di grandine; vento debole, prima settentrionale, poscia occidentale. Oltre i temporali locali sopra descritti, furono segnalati tempornli vicini nei giorni: 19 e 20 giugno; 5 e 25 agosto, e 9 ottobre. Furono pure osservati lampi, così detti muti, nella sera dei giorni: 21 luglio; SMuinizz le l30Nazosto, e 21 settembre. Tensione del vapore acqueo e umidità relativa. Il valore medio della tensione del vapore acqueo fu di mm. 8,0, quasi eguale al valore medio normale: mm. 8,2. La massima tensione fu osservata il siorno 14 agosto (mm. 19,0); la minima il giorno 9 febbraio (mm. 1,3). I valori medî dei varì mesi presentarono anomalie simili a quelle che furono considerate trattando della tempera- tura, come si vede meglio esaminando la tabella seguente : 1919 genn. | febbr. | marzo | aprile [maggio] giugno] laglio | agosto | sett. |ottobre| nov. | dic. 'l'ensione mm. mm. mm. mm. | mm. mm. mm. mm. mm. mm. mm. mm. ai è Î lo; Li * [= ro) . media 5,6 4,9 6,4 7,0 | DONE ICONE MNITO|zZ%IT Da 4,3 ‘l'emperatura o o o o o o o o O, o o o media 9,1 ON O 2 25 1091) 622938 622/910 624058 821.08 008 50 39 Anche per la tensione risulta relativamente troppo elevata la media di gennaio in confronto di quella di febbraio; e così quella di giugno e di agosto in confronto di quella di luglio. L'umidità relativa dell’ aria raggiunse il grado di saturazione nei giorni 3 e 27 gennaio, 23 febbraio, 27 ottobre e 1° novembre. Il minimo grado di umidità fu 14, osservato il 16 ottobre, giornata con cielo sereno, atmosfera limpida, vento moderato occidentale. Il valore medio annuo fu pari a 65, quasi identico al valore normale medio annuo che è 66, Provenienza e velocità del vento. La provenienza del vento fu registrata in 917 osservazioni; nelle rimanenti 178 osservazioni non se ne tenne nota, poichè l’ anemometro indicava la calma assoluta. Il vento di maggiore frequenza fu quello di ponente, osservato 218. volte; poi quello del terzo quadrante, 195 volte; poi quello del quarto quadrante, 178 volte; poi del secondo quadrante, 133 volte, e ciò conformemente alla frequenza normale dei venti Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 23 — 190 — per Bologna. Le altre direzioni furono tutte assai meno frequenti, e la più rara fu quella di sud. La velocità media oraria dell’anno fu di chilometri 7. Le giornate con vento forte o quasi forte furono 50, con maggiore frequenza in aprile, maggio, giugno e luglio e con provenienza predominante dal terzo quadrante. Un uragano violentissimo da ponente fu quello del 24 giugno nel pomeriggio; e colpi di vento impetuoso meridio- nale si ebbero nella notte fra il 9 e il 10 novembre. Nebulosità, nebbia, brina, rugiada. I giorni sereni, cioè con nebulosità, somma delle tre osservazioni giornaliere, non superiore a 3, furono 122; i giorni misti, cioè con nebulosità compresa fra 3 e 27, furono 186; i giorni coperti, cioè con nebulosità superiore a 27, furono 57. La nebulosità media dell’anno, valutata in decimi di gielo coperto dalle nubi, risultò eguale a 4, valore inferiere al grado normale della nebulosità media annua, che è quasi pari a 5. Le giornate con nebbia furono 79, quasi tutte nei primi due e negli ultimi due mesi dell’anno. Aprile e maggio ne furono privi del tutto. La brina apparve ben di rado, cioè 1 giorno in gennaio, 3 in febbraio e 8 in dicembre. Ancor meno frequente fu la rugiada abbondante: 2 giorni in gennaio, 1 in marzo e 2 in dicembre. ‘SULLE CONDIZIONI DI ESATTEZZA DEGLI ISTRUMENTI DI GEOMETRIA PRATICA NOTA Prof. FRANCESCO CAVANI letta nella Sessione del 21 Marzo 1920. Nella Geometria pratica un argomento dei più importanti, se non il più importante di tutti, si è quello che riguarda lo studio delle ‘condizioni di esattezza a: cui debbono soddisfare i molteplici istrùmenti che si adoperano nelle operazioni di rilevamento plani- metrico ed altimetrico del terreno. Le condizioni di esattezza si accertano tutte colte così delte verificazioni e poscia vengono soddisfatte colle relative rettificazioni, ma è diverso il modo col quale si verificano le singole condizioni stesse, e diverso pure il modo, ed anche in alcuni casì il tempo, con cui tali condizioni si mantengono in un dato istrumento. Le verificazioni e rettificazioni degli istrumenti, come le definizioni esatte di varie Toro ‘parti, specialmente di quelle ottiche, e delle loro funzioni, erano poco curate dagli antichi Autori, come non sono neppur curate da parecchi Autori moderni. Inoltre sì ri- scontrano spesso errori‘ di concetto, gravi inesattezze di dicitura ed esami e studi di con- dizioni di esattezza che non hanno importanza, mentre si trascurano quelle che sono fon- damentali. Un rapido cenno di alcuni di questi errori, di queste inesattezze tante volte ripetute, per dimostrare | importanza dell’ argomento e la necessità di curarne sempre lo svolgi- mento in modo conveniente; una razionale distinzione delle varie condizioni di esattezza a cui i singoli istrumenti debbono soddisfare ed un cenno di una classificazione degli strumenti stessi per semplificarne lo studio, formano l’ oggetto di questa nota. L’ esame della composizione e del funzionamento del cannocchiale astronomico negli istrumenti di Geometria pratica, è forse il più trascurato e quello nel quale si riscontrano più errori e maggiori inesattezze. Dimostrano molti Autori di non conoscere la teoria dei sistemi diottrici che ad, esso devesi applicare. Così si legge in un antico Autore (1) che « La parte interna del cannocchiale ove vengono a dipingersi con chiarezza gli oggetti esterni si denomina fuoco; un Autore, re- cente dice che il cannocchiale astronomico più perfetto è quello che ha la lente anallattica (1) Ing. A. G. Trattato elementare di livellazione topografica e di altimetria Milano, A. Monti 1851. Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. f i DI — 192 — e sarebbe quello del Porro ad anallattismo centrale, dimostrando di non sapere quale svantaggio presenti, per la parte ottica, la lente anallattica, diminuendo essa | ingrandi- mento del cannocchiale (1). Un riputato Autore francese espone che il micromeiro deve sempre essere nel fuoco interno dell’ obbiettivo, lo che porterebbe alla conseguenza di dover essere sempre fisso di posizione; ed un altro chiama asse ottico di un cannocchiale il piazzo passante per il filo verticale del reticolo e per il centro ottico dell’ obbiettivo. Errori ed inesattezze maggiori si trovano nella definizione della linea di collimazione del cannocchiale, da alcuni chiamata asse o linea di mira e da altri anche asse ottico del cannocchiale. Quest’ ultima denominazione, che può ritenersi giusta, dà luogo spesso ad un errore, a quello cioè di confondere un tale asse ottico, che serve alle collimazioni, con quello del sistema diottrico centrato che costituisce il cannocchiale e che è ben diverso dal primo. L'autore A. C. (2) già citato ed altri fra i quali pure il Curioni (3) nel suo corso di l'opografia, che non è privo di pregi, specialmente per il tempo in cuni fu pubblicato, definiscono la linea di collimazione per la retta che unisce il centro dell’ oculare, dice il primo e | occhio applicato all’ oculare dice 1° altro, colla croce o intersezione dei fili, senza neppure preoccuparsi dell’ obbiettivo. Altri Autori irascurano anche |’ oculare, definendola quella linea immaginaria che partendo dall’ occhio dell’ osservatore passa per il punto incrocicchio dei fili e va ad un oggetto. Alcuni chiamano asse ottico la retta che passa per i fuochi delle due lenti oculare ed obbiettiva ed altri, un po’ meno erroneamente, quella retia che unisce i centri delle due lenti e sulla quale dicono doversi trovare l’ incrociechio dei fili del micrometro, fa- cendola diventare linea di mira. Un altro Autore recente per verificare se | asse ottico di un cannocchiale coincide con quello di figura, prescrive di far passare la visuale per l’inerociechio dei fili. Altri errori ed inesattezze si riscontrano, ripetute anche più volte, sulla così detta parallasse dei fili nelle collimazioni. Molti Autori la fanno dipendere dall’ adattamento del cannocchiale alla vista dell’ osservatore ed anche da altre cause, ma non dall’ adattamento del cannocchiale alla distanza dell’ oggetto a cui si traguarda. Altri Autori, anche reputati, non dichiarano esattamenie la causa da cui proviene la parallasse dei fili e non spiegano chiaramente il modo di toglierla. Così vi è confusione, ad esempio, nel pregievole trattato di Geodesia delio Schiavoni (4). Così in una recente istruzione sull’ uso del cannocchiale è detto che se vi è parallasse bisogna ritoccare la posizione dell’ oculare rispetto ai fili, per poi dopo rimettere 1° oggetto a fuoco, lo che teoricamente non è esatto e solo può convenire praticamente in alcuni casì speciali e con speciali avvertenze. Un altro recente Autore scrive che i fili sono a fuoco dell’oculare se, (1) Prof. Francesco Cavani — Il cannocchiale anallattico del Porro ad anallatismo centrale. Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, Serie V. Tomo III. 1893. () An, (3) Curioni Giovanni — L'arte del fabbricare - Operazioni topografiche — 'l’orino, Augusto Federico Negro, Editore, 1884. (4) F. Schiavoni — Principii di Geodesia — Napoli, Stabilimento Tip. dell’ Unione, 1880. muovendo l° occhio, l’ inerociechio dei fili resta fisso sullo stesso punto dell’ immagine e da questa dichiarazione conseguirebbe 1° esserne conseguenza che si dovrebbe muovere solo l’ oculare od i fili rispetto ad esso per togliere la paralasse. Passando a considerare le verificazioni e rettificazioni degli istrumenti vi sarebbero maggiori osservazioni e più numerose critiche da fare non tanto per veri errori, quanto per inesattezze di concetto e di procedimenti. Si trova, ad esempio, esposta per prima condizione di esattezza di uno strumento, che la livelletta sia esatta mentre, se può servire, lo è sempre e converrebbe dire che può convenire, ma non importa, fissare un centro speciale su di essa, col quale far coincidere il centro della bolla, e neppure sarebbe necessario dire che essa sia rettificabile, poichè, per regola di simmetria, il centro della livelletta può essere comunque variabile di posi- zione, naturalmente entro determinati limiti. Alcuni Autori nel rettificare una livelletta colla sua inversione, non considerano una retta d’ appoggio e l’asse o corda del suo arco direttore oppure la tangente a quest’ arco nel suo punto di mezzo, ma bensì il piano di sostegno della livelletta e un piano che dicono tangente e passante per quel punto di mezzo. Si trova spesso prescritto per i Goniometri di rendere orizzontale il piano del lembo invece che verticale | asse generale di rotazione dello strumento, senza riflettere che non si sa se il lembo sia o no un piano e tanto meno, se è un piano, come renderlo orizzon- tale, se non in via di supposizione. Così un autore straniero vuole si verifichi se il piano di collimazione sia perpendicolare al piano del lembo. L'ordine successivo delle verificazioni è alle volte scambiato, mentre ciò non potreb- besi fare. Così il Pelletan (1) scambia per i livelli a cannocchiale mobile e livella fissa al sostegno del cannocchiale (Tipo Egault) l'ordine di successione delle due verifiche della coincidenza della linea di collimazione coll’ asse dei collari e della orizzontalità di detta linea, facendo precedere questa a quella, mentre nella rettificazione della coincidenza si può togliere la orizzontalità. Si trovano prescritte alle volte condizioni in più di quelle necessarie. Così, ad esempio, che nei livelli del tipo Egault l’asse della livella sia nello stesso piano verticale del- l’asse ottico del cannocchiale; che la tangente centrale della livella sia orizzontale mentre in qualsiasi strumento si può rendere orizzontale quella di un altro punto qualsiasi del- l’arco direttore della livella; che nei Teodoliti a livella mobile sull’ asse di rotazione del cannocchiale, reso quest’ asse orizzontale, si verifichi la perpendicolarità della linea di collimazione all’ asse di rotazione, tenendo tale linea in direzione orizzontale, senza dire che ciò ha influenza solo per gli errori residui. Altre inesattezze si riscontrano in Autori antichi e moderni, come, ad esempio, in un Autore che prescrive di verificare se il piano di collimazione sia perpendicolare al piano dell’ istrumento ; in altri Autori che fanno verificare nei livelli a cannocchiale ruotante attorno all’ asse dei suoi collari se la linea di collimazione coincide con tale asse di rota- zione con due letture di stadia e con uno spostamento in senso verticale ottenendo che (1) A. Pelletan. — Traite de Topographie — Paris, Baudry et C.ie 1893. — 194 — la linea di collimazione sia nello stesso piano orizzontale dell’ asse dei collari, ma non coincidente con esso. Molti Autori nello studio dei livelli a cannocchiale mobile non si curano della diver- sità dei diametri dei collari, nè dello scentramento dell’ obbiettivo e neppure dello spo- stamento della linea di collimazione che può aversi nell’ adattamento del cannocchiale alla distanza. Per tutto l’ esposto è ovvio concludere come sia necessario insistere perchè gli Autori curino maggiormente la parte ottica degli istrumenti di Geometria pratica e le verifica zioni e rettificazioni degli istrumenti stessi, non appoggiandosi ad antichi trattati, come spesso succede, dimostrandolo il ripetersi degli stessi errori, ma studiando gli ottimi trat- tati recenti che fortunatamente non ci mancano. Considerando ora gli Autori in generale e specialmente quelli che curano la parte ottica e svolgono esattamente la teoria sulle verificazioni e rettificazioni degli istrumenti di Geometria pratica, si trova che sotto la denominazione di condizioni di esattezza da verificare e rettificare: sono sempre comprese tuite quante le condizioni a cui un istru- mento deve soddisfare. } «e Si hanno così riunite insieme e trattate nello stesso modo tanto quelle condizioni di esattezza che non sono insite nella natura dello strumento e che non possono mai yve- rificarsi se non si fanno speciali operazioni collo strumento stesso, come quelle altre che per costruzione dello strumento dovrebbero sempre verificarsi e solo per cause speciali si trova che alle volte non sono soddisfatte. Riesce quindi opportuna una razionale distinzione fra le une e le altre; fra quelle condizioni di esattezza che non si debbono assoggettare ad una verificazione perchè si sa già a priori che non sono e non possono essere soddisfatte e le alire condizioni che in generale sussistono in un istrumento e si deve non sempre, ma solo di tanto in tanto, verificare la loro sussistenza e al caso, se sarà necessario, procedere alle opporiune retti ficazioni. i Per le.prime sono necessarie operazioni speciali che debbono sempre farsi iutie le volte che si adopra un istrumento o che lo sì trasporta da luogo a luogo. ] Così non si può confondere in un insieme di verificazioni e. rettificazioni, o di condi- zioni d’ esattezza da verificare, |’ operazione colla quale adoperando un istrumenio qualsiasi se, ne rende verticale l’ asse generale, che non lo è mai a priori, colle altre, ad esempio di. rendere orizzontale 1’ asse di rotazione di un cannocchiale neì goniometri, o la linea di collimazione in un livello; condizioni queste che in generale saranno soddisfatte quando lo strumento è in. istazione, per servire in un dato lavoro, e non abbisogneranno di veri ficazioni che a dati intervalli. ed operazioni speciali: di. rettificazione ad. iniervalli, ancora maggiori. | i Conviene quindi adottare il procedimento razionale di distinguere. in due parti quelle operazioni che sino ad ora. sono sempre state comprese sotto il titolo generico di condi, zioni di esattezza da verificare, o di verificazioni e rettificazioni od anche di. correzioni degli istrumenti. ME Questa distinzione riguarda naturalmente le operazioni che comunemente si debbono fare cogli istrumenti di Geometria pratica prima di servirsene nei lavori sul terreno, € non già lo studio degli errori residui istrumentali che inevitabilmente rimangono, più © meno sensibili, dopo eseguite tali operazioni. Questi errori debbono essere considerati tutti nello stesso modo e nel loro studio non deve farsi distinzione se le relative condizioni di esattezza che non sono completamente verificate, provengono da una operazione speciale ripetuta di continuo o dalla costruzione dello strumento. Così, ad esempio, debbono studiarsi allo stesso modo, nei goniometri, errore di verticalità dell’ asse generale dello strumento e | errore di orizzontalità del- l’asse di rotazione del cannocchiale. lutto ciò ammesso, debbonsi considerare, nell’ uso degli istrumenti di Geometria pra- tica, due serie ben distinte di operazioni. I. Collocamento in istazione. II. Verificazioni e rettificazioni. Il collocamento in istazione comprende varie operazioni che in generale sono comuni a tutti gli istrumenti di Geometria pratica muniti di cannocchiale e solo la seconda di esse può in certi casi non essere necesaria. Tali operazioni sono le seguenti : 1° Rendere verticale |’ asse generale dello strumento. 2° Far passare la verticale di detto asse per il punto di stazione. 3° Adattare il cannocchiale alla vista dell’ osservatore. Le verificazioni e rettificazioni si faranno successivamente, di tanto in tanto quando se ne presenti il bisogno, dopo il collocamento in istazione che si deve sempre fare, e varieranno a seconda del tipo d’istrumento che si considera. Una tale distinzione di operazioni fu da me usata in una non recente pubblicazione (1) e non trovasi mai seguita nei trattati di Geometria pratica. Solo il Prevot (2) nel suo pregievole trattato di ‘l’opografia la usa per i Goniometri ma in via accidentale poichè successivamente per i livelli non fa più alcuna distinzione. Alcuni Autori |’ usano per la Îl’avoletta pretoriana per ciò che riguarda 1’ orizzontalità dello specchio ma i più mettono anche questa fra le condizioni di esattezza da verificare. Nei trattati di Geometria pratica o di l'opografia si indicano sempre, per ogni singolo istrumento, le necessarie condizioni di esattezza da constatare e si espongono le relative operazioni di verificazione e di rettificazione coi procedimenti da seguire in ognuna di esse. Ciò da luogo a molte ripetizioni che sono da ritenersi inutili non solo, ma anche dannose, perchè allungano lo studio di ogni singolo istrumento ed alle volte possono lasciar supporre che vi siano differenze di operazioni e di procedimenti che in realtà non vi sono. (1) Cavani ing. Francesco. — Corso di celerimensura. — Bologna, Tip. Gamberini e Par- meggiani. 1883. (2) Prèvot Eugene. — 'l'opographia, Livre I° Instruments. — Paris V.° Ch. Dunod. Editeur. — 196 — Il Prevot (1) in una nota a pag. 145 del volume I° lamenta questo fatto e vi proy- vede in parte nel suo trattato, ma non vi sono altri in seguito che si siano occupati di tale argomento. Riesce quindi ovvio l’ osservare come fra tutte le varie operazioni che si svolgono e si spiegano per ogni singolo istrumento si debbano scegliere e riunire insieme quelle co- muni a tutti o a molteplici fra gli strumenti stessi ed includerle nei trattati e nei corsi di insegnamento in un Capitolo speciale che spieghi le condizioni generali d° uso degli istrumenti di Geometria pratica. ‘l'ale capitolo dovrebbe avere delle suddivisioni e pri mieramente essere diviso nelle due parti sopra indicate, in quella cioè che riguarda il collocamento in istazione degli istrumenti di Geometria pratica e nell'altra che si riferisce alle verificazioni e rettificazioni. Sulle verificazioni e rettificazioni dovrebbero. farsi alire suddivisioni a seconda dei tipi d’ istrumenti che si considerano. Una prima distinzione deriva dal doversi raggruppare nelle due grandi categorie a cui possono appartenere, in quella cioè degli istrumenti a visuale libera e mobile in senso azi- mutale e zenitale, comunemente detti Goniometri e nell’ altra degli istrumenii a visuale obbligata e mobile soltanto in senso azimutale, denominati livelli. I Goniometri presentano tutti di comune le principali verificazioni che sono quelle riguardanti la linea di collimazione e |’ asse di rotazione del cannocchiale. I livelli hanno di comune le principali verificazioni, quelle cioè relative alla linea di collimazione: del. cannocchiale ed al suo asse ceometrico ed anche le secondarie che si riferiscono alle posizioni dei fili del micrometro. l'anto i Goniometri che i Livelli presenteranno altre distinzioni, sempre comuni a molti tipi e dipendenti dalle particolarità di costruzione che contraddistinguono i tipi stessi. A queste verificazioni ed alle relative rettificazioni di carattere generale da trattare in un capitolo speciale generico, si dovranno poi far seguire nell’ esame e nello studio di ogni singolo istrumento, quelle particolari verificazioni che fossero necessarie per esso ed in aggiunta alle prime. Lo studio così importante, e spesso così trascurato, della teoria e della pratica del- l’uso dei singoli istrumenti, riescirebbe più organico, più chiaro e comprensivo a chi deve farlo ed applicarlo nelle operazioni e nei lavori di Geometria pratica. Le conclusioni a cui conduce lo studio svolto in questa Nota sono le seguenti : 1°. Necessità di curare meglio nei trattati di Geometria pratica e di topografia la teoria dell’uso degli istrumenti, specialmente per quanto riguarda la parte ottica di essi. 2° Convenienza di distinguere sempre in due parti speciali le operazioni di colloca- mento in istazione e quelle di verificazione e rettificazione di un istrumento. qa 5° Convenienza di trattare in un capitolo speciale tutto ciò che riguarda l’ uso gene- vale degli istrumenti e che può ritenersi comune ai vari tipì in cui sono distinti. (0) Plxewvot le. - VERTEBRATI DI CIRENATCA raccolti dal Prof. ALESSANDRO GHIGI nella escursione organizzata dal Touring Club Italiano - 15-24 Aprile 1920 MEMORIA Prof. ALESSANDRO GHIGI letta nella Sessione del 830 Maggio 1920. I. Introduzione. Nelle memorie di questa Accademia ho pubblicato fino dal 1913 un lavoro (1), nel quale ho riassunto tutto ciò che sulla fauna libica era noto fino al giorno della nostra occupazione. Ba quelle mie ricerche risultò che la fauna della Cirenaica è meno cono- sciuta di ogni altra fauna dell’Africa settentrionale e che essa presenta notevoli rapporti colla fauna di Siria e Palestina, mentre ne offre pochi con quella contigua d’ Egitto. Queste deduzioni mi hanno fatto desiderare di compiere, ove le circostanze me lo avessero permesso, una escursione zoologica in Cirenaica, per farmi un concetto perso- nale di quella fauna, e perciò ho approfittato con entusiasmo della occasione offerta dal Touring Club Italiano che, nell’aprile del 1920, organizzò una carovana che attraversò la Cirenaica da Bengasi a Derna, passando per |’ altipiano. Vi presi parte, accompagnato dal preparatore dell’Istituto Zoologico di Bologna, Sio. FEDERICO ALZANI, avendo potuto ottenere per lui un concorso nella spesa da parte dei Ministeri dell’ Istruzione, dell’Agricoltura, delle Colonie, ai quali rendo vivissime grazie. Esprimo pure la mia gratitudine a S. E. il Senatore De MARTINO, Governatore della Cirenaica ed al Comm. TepescHI, Direttore della Carovana, i quali agevolarono con ogni mezzo le mie ricerche. In una pubblicazione in corso, curata dal Prof. MARINELLI, nella quale la Cirenaica viene illustrata scientificamente e quale è apparsa agli studiosi che facevano parte della carovana, ho esposto alcune considerazioni generali sulla fauna di quel paese, così come mi erano suggerite da un esame preliminare e grossolano del materiale raccolto. (1) Gaiei, A. — ‘Materiali per lo studio della fauna libica. — Mem. R. Accad. Scienze Bologna. Serie 6, T. 10, pp. 46, 1912-13. Serie VII, Tomo VII. 1919-1920, 24 So Ripromettendomi di trattare la questione faunistica, quando tutto o quasi tutto il materiale sarà stato studiato dagli specialisti cui 1’ ho affidato, esporrò ora l’ itinerario seguito, con alcuni cenni sulla natura del terreno. 16 aprile. -— Esplorazione della pianura bengasina nei dintorni di Fuehat e della caverna del Lete; il terreno è coperto di un sottile strato di terra rossa, alternato con larghi tratti di tavolato calcare: vegetazione in via di disseccamento, campi d’ orzo, pochi giardini intorno ai pozzi. 17 aprile. — Ascesa al primo gradino dell’ altipiano, salendo rapidamente da una quota di m. 102 (Benina) ad una di 310 (er Régema), attraverso una zona dove la roccia è affiorante quasi da per tutto ed è ricca di caverne carsiche. Segue fra er Régema ed el Abiàr un tratto di 28 chilometri di altipiano più o meno ondulato, con tratti di roccia scoperta sulle creste, ma generalmente rivestito di abbondante vege- tazione cespugliosa, nella quale domina la Phlommys floccosa, labiata dai fiori gialli. Ad el Abiàr, centro abitato che dispone di 19 pozzi, non fu considerato prudente fer- marsi, data l’ostilità degli indigeni; poi il percorso, dopo essere stato simile per circa 20 chilometri al prececente, diviene fortemente accidentato, con rocce affioranti ed è coperto di boscaglie di ginepri e di lentischi, fino a che discende rapidamente nella grande conca alluvionale di el Merg, grosso centro abitato a 228 m. sul livello del mare. x 18 aprile. — Esplorazione del laghetto di el. Garigh nel fondo della conca di el Merg. I cacciatori della carovana passarono la giornata nel bosco di Frejna, ricoprente le pendici occidentali della conca. 19 aprile. — Ascesa al secondo gradino dell’ altipiano attraverso un terreno in forte. pendìo, su roccia calcare e stratificazioni orizzontali in mezzo a boschi delle solite essenze, e a praterie di timo, raggiungendo alla Zauia di el Gsur la quota di 496 metri, quella di 510 a Maraua, di 605 a Bir Gandula, di 785 a Slonta, sullo spiovente meridionale dell’ altipiano fino allo spartiacque. La via segue poscia il ciglio del terzo. terrazzo, su ‘terreno ancora più roccioso e scoperto e finalmente scende a Cirene, seguendo ondulazioni più o meno accentuate, alternate ad ampie spianate. 20 e 21 aprile. — Esplorazione dei dintorni di Cirene (m. 525-600). Località molto accidentata, con rocce affioranti in mezzo a praterie ed a campi d’ orzo: molte rovine di antiche costruzioni: cisterne romane piene d’acqua stagnante ricca di plan- cton, fontane d’acqua perenne e freschissima che volge a valle entro uidian scavati nella roccia: 22. aprile. —. Viaggio da Cirene a. Derna. Da prima si sale dal secondo gradino al ciglio del terzo, dove trovasi il castello di Ghegab sul crinale che divide la linea di displuvio occidentale da quella orientale. Terreno molto ondulato, attraversato da molti uidian, ricco di sorgenti. Poco bosco: verso el Gubba il terreno è tutto scoperto :: . — og_ ad el Gubba una’ grossa fonte romana di acqua perenne che alimenta un’ oasi di colos- sali fichi. Dopo el Gubba (m. 580) per un percorso di circa 50 chilometri la strada scende lungo il ciglione del uadi Derna fino ad una quota di 340 metri, pianeggiante, su un terreno a roccia affiorante, alquanto cespugliato con vari alberi d’ olivi: nel- l’ultimo tratto si attraversa una macchia di ginepro e lentisco frammischiata ad oli- vastro, in complesso meno fitta e meno alta di quella attraversata precedentemente. La scarpata del primo gradino strapiomba, al mare, su Derna. 23 aprile. -—— Visita di Derna: palmeti altissimi con ricco sottobosco di albicocchi, fichi, agrumi, oleandri. 24 aprile. — Escursione nel uadi Derna fino alla cascata. Il ruscello, ricco. d’ acqua corrente e fresca, scorre in una gola dalle pendici altissime e scoscese, e presenta una abbondante vegetazione di oleandri e di giunchi. Attenendomi al metodo che ho seguìto nella mia citata Memoria, prima di esporre l’elenco del materiale raccolto e che, per quanto si riferisce ai Vertebrati, ho perso- nalmente studiato e determinato, darò alcune indicazioni generali su quel che si conosce già per ciascuna classe, avvertendo subito che il materiale più notevole, tranne che per gli Uccelli, è quello raccolto dal Dott. KLAProcz nell’ estate del 1906 a Bengasi e a Derna ed illustrato da lui stesso per quel che si riferisce ai Mammiferi, e dal WERNER, per quel che si riferisce ai Pesci, Anfibi e Rettili. Il lavoro del KLaAProcz (1) e quello del WERNER (2) sono anzi due buone monografie, perchè in essi è tenuto conto anche delle indicazioni pubblicate precedentemente da altri. Pesci. — Il KLaprocz raccolse Cyprinodon fasciatus e Blennius basiliscus nei laghi salsi intorno a Bengasi, ed il MamotLi (3) raccolse anguille nel Uadi Derra. Io non ho trovato pesci nè in quest’ultima località, nè al Merg. ‘Anzi avendo quî interrogato un ragazzo arabo sulla presenza eventuale di pesci nel lago di El Garig, costui mi rispose : «pesce essere al mare e questo non essere mare ». Tale risposta che associa intera- mente il concetto di pesce col concetto di mare, sembra escludere 1’ esistenza di pesci in quelle acque dolci dell’ altipiano. Similmente non ho veduto pesci nel corso del Uadi Derna fino alla cascata: il torrente era ricco d’ acqua in quel momento; formava in vari punti gore favorevoli alla vita dei pesci, ma non era in comunicazione col mare, (1) KLaprocz, B. — Beitrag zur Kenntniss der Siuger von Tripolis und Barka, — Zool. Jahrbiich.! Abt. Syst. 27 Bd., pp. 237-272, 2 figg. 1908. (2) WERNER, F. — Reptilien, Batrachier und Fische von Tripolis und Barka, — Zool. JaArbich. Abt. Syst. Bd. 27, pp. 595-646, 1 'l'af., 1909. (3) Trovo questa indicazione in HiLpeBRANDT, La Cirenaica ed il suo avvenire, trad. di Tomei, Roma, Franck e C. p. 170. Il Mamoti nell’ Esploratore del 1882 a pag. 202 aveva dato un elenco dei pesci che si pescano nella rada di Derna. — 0 — perchè, ‘a circa due chilometri da Derna, l’ acqua viene sottratta al fiume per usi agri- coli ed industriali. Anfibi. —- Rane e rospi sono stati raccolti e variamente determinati dall’ Hammanx; come ho già detto nella mia Memoria precedente, è probabile che in Cirenaica si tro- vino soltanto Rana ridibunda e Bufo viridis, raccolti dal KraProcz e da me. Rettili. — Alcune specie di Rettili erano state raccolte dal PancERI e donate al Museo Zoologico di Roma ; furono illustrate dal ConpoRELLI-FRANCAVIGLIA (1) insieme ad altre di Tripoli. Coi reperti del KLaprocz i Rettili di Cirenaica ascendono a 20 specie, così distribuite : Chelonii 1- Testudo ibera. Saurii 13 - Sfenodactylus elegans, Hemidactylus turcicus, Tarentola mauritanica, Agama inermis, Acanthodactylus boskhianus, A. pardalis, Lacerta muralis, Eremias guitulata, Ophiops elegans, Mabuia vittata, M. quinquetaeniata, Chalcides ocellatus, Chamaeleon vulgaris. Ofidii 7 - Zamenis algirus, Z. florulentus, Macroprotodon cucullatus, Coelopeltis monspessulana, Psanumophis schohavi, Naja haje, Echis carinatus, Cerastes cornutus. Uccelli. — L’avifauna cirenaica è quasi sconosciuta. Il primo contributo fu dato dall’ HAIMmANN (2) che raccolse Motacilla alba, Lanius senator (pomeranus SPARRM.), Falco vespertinus, Neophron percnopterus, Pteroclurus senegallus, Houbara undulata e Plegadis falcinellus, compiendo un viaggio attraverso |’ altipiano, da Bengasi a Derna, quasi corrispondente al mio. Egli osservò pure la presenza di una pernice che indicò simile alle nostre, ma più grossa. Il WHITAKER, nel 1901 (3) esponendo i risultati ornitologici della spedizione Dopson, compiuta specialmente in Tripolitania e Fezzan, elencò le seguenti specie raccolte tutte nei dintorni di Bengasi, in agosto: Sazicola deserti, Saxicola moesta, Sylvia rufa, Scotocerca saharae, Lanius elegans e Galerida theklae cyrenaicae: quest’ultima sembra essere una razza locale. Il SaLvaporI ed il Frsra, recentemente (4), hanno descritto la pernice della Cire- naica, nuova per la scienza, col nome di Caccadis callolaema ed hanno citato le seguenti specie, nuove per la Cirenaica: Mondicola cyunus, Sturnus vulgaris, Galerida arenicola, Melanocorypha calandra, Columba livia, Turtu» turtur, Coturnia coturnia, Eudromias morinellus, Ardeola ralloides, Phalacrocorax desmaresti, Asio accipitrinus. In tutto 12 specie. (1) ConporeLLi-FrRANcAvIGLIA, M. — Sopra diverse specie di Rettili (Saurii ed Ofidii) raccolti presso Tripoli. — Boll. Soc. Rom. Stud. Zool. Vol. 5, fasc. 1-2, pp. 80-48, 1896. (2) Hamann, G. — Cirenaica. Estr. Boll. Soc. geogr. ital., Roma, 1882. (3) WHiragErR J, I. S. — On a small Collection of Birds from Tripoli, Zbis (8) Vol. 2, pp. 643- 656, 1902. i i ..& — Rare: Species, of Birds from Tripoli. — Bull: Brit. Ornith. Club. Vol. 13, pag. 15-17, 1903. i‘ (4). SaLvapori e Fesra. — Aleuni uccelli della Cirenaica, colla descrizione di una nuova specie del genere Caccabis. Bull. Zool. Anat. comp. Torino, Vol. 31, N. 714, 1916. — 201 — Sono complessivamente 25 specie di uccelli, la cui presenza è stata accertata in Cirenaica. Mammiferi. — L’ Hamann ha citato la Jena (Hyaena Ahyaena), lo Spalace (Spalax aegyptiacus), l’Istrice (Hystrix cristata) su informazioni d’indigeni ed il Cinghiale (Sus scropha). Il Dopson ha raccolto nei dintorni di Bengasi Gerbdillus pyramidum tarabuli e Jaculus orientalis che sono stati illustrati dal THomas (1); il KLaprrocz Erinaceus deserti, Gerbillus eatoni, Gerbillus grobbeni e Mus musculus orientalis. Come si vede in tutto 10 specie. II. Elenco del materiale raccolto. Anfibi. l. Rana ridibunda Part. Ho raccolto 6 esemplari nel Uadi Derna, che variano in lunghezza dai 30 ai 56 mm.; tutti forte- mente macchiati, Il maggior esemplare raccolto dal KLarrocz nella stessa località ai primi di set- tembre raggiungeva i 67 mm. La Rana non è certo abbondante nel Uadi Derna perchè pochissimi furono gli esemplari da me visti, oltre quelli catturati. Mi è stato assicurato che si trovano Rane nelle cisterne di Cirene e nel laghetto di El Merg, ma io non ne ho vedute affatto. 2. Bufo viridis Laur. Ho portato un solo esemplare di 65 mm. preso a Bengasi, ma ho visto grandi quantità di questa specie, sia nei fossi di irrigazione al Fuehat presso Bengasi, intorno al lago di El Garig, nelle cisterne di Cirene e nel Uadi Derna. Il Rospo verde sale adunque sull’altipiano e si diffonde ovunque siano condizioni favorevoli: il KLapTocz in Tripolitania l’ha trovato fin sui monti del Garian. All’epoca del nostro viaggio non si trovarono affatto girini, ma tutti esemplari completamente metamorfosati e già abbastanza cresciuti, di circa 80 mm. di lunghezza. Sulla variabilità del colore in questa specie, si è ampiamente trattenuto il WERNER nel suo studio sulla raccolta KLaP1OCz. Rettili. 1. Stenodactylus elegans Firz. Bengasi, esemplare di 68 mm. Parti superiori del corpo bruno chiare con larghe fascie trasversali a contorno irregolare, bruno rosse, interrottamente punteggiate di nero sul loro bordo: qualche punto nero è sparso anche sulla regione fondamentale chiara. El Gubba, mm. 73. Corpo grigio chiaro punteggiato di bianco e di nerastro. i Il Kraprocz ha trovato questa specie solo a Bengasi; l’esemplare più grosso è di 48 mm. senza la coda. (1) THomas, 0. — On the Mammals collected during the Whitaker Expedition to Tripoli. — Proc. zool. Soc. London, 1902, Vol. 2, pp. 2-18, 1 PI. o a a 2: Tarentola mauritanica L Bengasi, Maraua, Gubba. Abbondante. L’esemplare più grosso misura 116 mm. ed è quasi unico- lore; gli altri, più piccoli, sono, macchiati o rigati di bruno scuro. Tutti gli esemplari trovati erano sulle rocce e sotto i sassi. 3. Agama inermis Rss. O ‘lolmetta, 185 mm., capo e tronco 80 mm. Colori vivaci. Tutta la parte inferiore della gola ed i fianchi sono azzurro-intensi. Nella parte anteriore della gola si contano 7 strie azzurre, in parte interrotte. Quattro strie brune sul tronco, dodici anelli completi sulla coda e 6 sulla zampa posteriore. I pori preanali non sono distribuiti regolarmente, tuttavia nella regione mediana se ne contano chiaramente, in ordine antero-posteriore, 3; la fila preanale ne conta 9. O' Bengasi. Lunghezza totale 193 mm.; capo e tronco 83. Colorazione azzurra appena accennata alla base della gola; 13 strie brune sulla coda, limitatamente alla regione dorsale: 6 macchie chiare a losanga nel mezzo delle strie dorsali e delle due prime caudali, 7 pori preanali, disposti in unica fila. O Bengasi. Lunghezza totale 203 mm.; capo e tronco 84. Gola, guance e fianchi azzurri; macchie e strie dorsali brune e chiare, assai poco distinte. Pori preanali disposti regolarmente in due file, l’an- teriove di 8, la posteriore di 10. O' Marsa Susa, mutilato della coda e di una zampa. Lunghezza del capo e del tronco 82 mm Gola azzurro chiara con 16 linee longitudinali azzurro cupe, ben manifeste. Tre macchie chiare dorsali subellittiche evidenti, circondate da un orbita scura. Una fila regolare di 11 pori preanali grossi è pre- ceduta da una di 7 e seguita da una di 9 molto piccoli: la fila posteriore è ‘interrotta nel. mezzo. Ventre bianco. O Oasi di Guarscia. Lunghezza totale 180. mm.; capo e tronco 57 mm. Pori preanali disposti in due file di 12 ciascuna. Gola con molte linee sinuose longitudinali azzurre. Fianchi appena macchiati di azzurro. Ventre bianco. Coda con 15 strie trasversali brune, interrotte da una riga longitudinale bianca, che scorre continua dalla base della coda, fino quasi all’apice, Q Bengasi. Lunghezza mm. 202. Capo e tronco 94 mm. Colore delle parti inferiori uniforme- mente color di sabbia rossa, con strie longitudinali brune nella coda; macchiatura dorsale indistinta. Questa specie si dimostra dunque molto variabile, non solo nella colorazione e nella diversa gran- dezza della squamatura dorsale, ma anche nel numero e nella disposizione dei pori preanali che, come si è visto, sono distribuiti in una, due e fino tre file. Mentre il Kraprocz vide in estate pochissime Agame e le raccolse nascoste sotto ai sassi, io ne lio vedute molte nella steppa a sud di Bengasi: si riscaldavano ai raggi solari e fuggivano con estrema velocità, Alcuni compagni di carovana me ne hanno portate da altre località della costa, mentre sul- l’altipiano non ne ho veduta alcuna. Confrontando i mier reperti con quelli del KraPToCz, ne deduco che l’Agama inermis teme la siccità estiva, mostra pieno vigor di vita in primavera ed è forma pre- desertica che non sale sull’altipiano o che vi sì mostra più tardi. 4. Acanthodactylus pardalis LicHm. 3 esemplari dei dintorni di Bengasi ed uno di Maraua di lunghezza totale fra 150 e 175 mm. Il numero dei pori femorali è rispettivamente di 17-17, 17-19, 21-21, 21-22. La macchiatura del tronco è più o meno chiaramente leopardina colle tipiche macchie chiare distribuite in quattro strie, e cir- condate da orbite nere, collegate a reticolo, Tre esemplari sono a fondo bruno chiaro. Questa specie è stata trovata a Bengasi dal RHumER, non dal Kraprocz; ciò fa supporre che d'estate si nasconda molto, giacchè io l’ho vista frequentemente, tanto alla costa, quanto sull’altipiano roccioso. i 5. Eremias guttulata LicHr. 3 esemplari dell’altipiano, rispettivamente di 94,95 e 110 mm. Questi esemplari sono assai diversi di colore, uno rassomigliando ad una comune Zacerta muralis, un secondo ad Acanthodactylus pardalis, ed il terzo intermedio fra i due. 6. Ophiops elegans MENÉTR. 3 esemplari di Bengasi e Maraua rispettivamente di 116, 119 e 135 imm. Il Dott. KLaPTocz ne aveva portati 7 da Derna. È questa la specie più importante sotto l'aspetto della sua distribuzione 203 — eografica, giacchè essa abita la Siria, Asia Minore, Caucaso, 'l’ranscaspia e Persia. Col reperto del ’ 8g ’ di 3) KLaprocz e mio, risulta in tal modo propria di tutta la Cirenaica. 7. Ophiops occidentalis BHyR. 1 solo esemplare a Bengasi di mm. 120. Questa specie è nuova per la Cirenaica, avendola il KLaprocz trovata soltanto in Tripolitania, i 8. Mabuia quinquetaeniata LicHr. 1 esemplare di 195 mm. ed uno di 200 mm. di Bengasi. Il primo è a fondo bruno scuro e le due strie bianche laterali sono fiancheggiate da entrambe le parti da strie nere, mentre l'esemplare più grosso è più chiaro e le strie laterali bianche non sono nettamente bordate da una stria nera nella parte inferiore. 9. Chalcides ocellatus ForsK. Merg, 233 mm. lunghezza totale e 140 mm. capo e tronco. Parti superiori bruno oliva, due strie nere quasi ininterrotte corrono dalle orbite alle zampe posteriori e separano sui fianchi la regione dor- sale da quella ventrale. Squame nerve ocellate, numerose sul dorso, mancanti nella coda che forse è riprodotta. Maraua, 190 mm., dei quali 105 spettano al capo ed al tronco; più scuro del precedente, macchiato anche nella coda, ocelli delle squame nero pallidi, non bianchi, strie nere nei fianchi non ben marcate. Merg, 230 mm., dei quali 108 spettano al capo ed al tronco; colore oliva pallido, senza righe nere sui fianchi, regolarmente ocellato. Merg. Esemplare tutt'ora vivente di 250 mm., con tronco di circa 140, Ocellato, strie nere laterali limitate alla regione anteriore del corpo. Derna. Esemplare tutt'ora vivente di quasi 130 mm., bruno quasi senza macchie, con strie laterali nere limitate al quarto anteriore del corpo. Oasi di Guarscia. 'ronco mm. 59. Oliva pallido, non ocellato, strie nere laterali, limitate alla parte anteriore del tronco. Non ho visto Gongili a Bengasi, dove peraltro sono stati raccolti dal RHuMER, dall’ HAIMANN e dal KLaPTocz: altrove erano piuttosto frequenti e vivacissimi. 10. Chamaeleon vulgaris Daup. Marsa Susa, mm. 83; Derna mm. 220; un esemplare raccolto dal Sig. PassavaLLI mm. 285; un altro raccolto dallo stesso mm. 116. I Camaleonti a detta di tutti sono frequentissimi in Cirenaica, sulla costa, ma durante 1’ inverno stanno nascosti: al momento della mia escursione cominciavano a vedersi i primi. 11. Cerastes cornutus ForsK. Un esemplare secco mi è stato donato a Bengasi da P. Viro ZANoN; è lungo mm, 395, dei quali mm. 45 spettano alla coda; i cornetti soprorbitali sono ben sviluppati e lunghi mm. 4. Nessuno degli esploratori noti cha trovato questa vipera in Cirenaica; il WERNER dice: « Cyrenaika » (Bruce, hier dusserst zahlreich). Io non ho trovato Testuggini, ma un componente della carovana ne trovò una a Tolmetta, che non ho potuto vedere. Delle 13 specie di Saurii note, io ne ho trovate ben 9: mi mancano Hemidactylus turcicus, Acanthodactylus boskianus, Lacerta muralis e Mabuia vittata, che ad ecce- zione di quest’ ultima però non furono trovate neppure dal KLaprocz. Ho trovato invece Ophiops occidentalis, che non era stato trovato oltre la Tripolitania. Di Ofidi non ho visto che una pelle di Zameris presso il Lete; mi è stato accer- tato dal FrontaLI che la Naia è frequente nei dintorni di Cirene. — pod Uccelli. 1. Corvus corax L. Diversi esemplari nella regione più elevata dell’altipiano, fra i 700 e gli 800 metri, specialmente ad ovest di Maraua e ad est di Slonta. Non è citato per la regione libica. 2. Oriolus oriolus L. Una coppia volava e cantava sugli alti fichi dell’oasi di El Gubba. Citato per la Tripolitania, ma non ancora per la Cirenaica. 3. Fringilla spodiogenys BoNAPARTE. Ne ho lungamente osservato una coppia camminare a poca distanza da me lungo il Uadi Derna e potei apprezzare immediatamente le differenze morfologiche tra questa forma ed il nostro fringuello. La prima è sensibilmente più grossa; ha le parti superiori più variegate dominando sul dorso un bel verde; inferiormente è molto più chiara, quasi rosea. Un altro esemplare vivo fu comprato a Derna da un mio compagno di viaggio e potei osservarlo a mio agio. Il canto è appena diverso da quello di 7. coelebs, ma soltanto persona molto pratica può distinguerlo. L’Arzani lo ha sentito nel bosco di Bir Gandula. Di questa specie non era ancora citata per la regione libica, abbondante in Tunisia, Algeria e Marocco, fu catturato un esemplare il 2 decembre 1895 a Prato di Toscana. 4. (?) Passer hispaniolensis (‘l'eMmM.). L’ALzani ha veduto alcuni passeri a Cirene, senza poterli avvicinare in modo da determinarli con sicurezza: gli parvero molto prossimi alla nostra specie. Io non ho visto un passero in tutta la Cire- naica, neppure nei grossi centri abitati come Bengasi e Derna. Del resto il Dopson ha incontrato in Tripolitania solo il P. salicicola Viet. ed il P. saharae (Ert.),ma l’ HarteRt ne afferma l’esistenza in tutta l'Africa settentrionale, compresa la Tripolitania. 5. Melanocorypha calandra L. Abbondante in tutta la zona erbosa del primo gradino dell’altipiano. Nel pianoro fra Saf-Saf e Guba trovammo un nido con cinque uova. 6. Galerida arenicola T'Wstr. È senza dubbio l'uccello più comnue e più abbondante di tutta la Cirenaica, tanto nella pianura bengasina quanto sull’altipiano. Posso dire che le cappellacce furono gli unici e costanti nostri com- pagni di viaggio, che si alzavano al passaggio dell’autocarro per fermarsi a poca distanza. Se si pensa che la colonna comprendeva una quarantina di autocarri, è a meravigliarsi che le ultime macchine potessero ancora levare uccelli sulla loro strada. Non posso stabilire a quale delle numerose sottospecie appartengono i due esemplari che ho portato in pelle: certo essi sono molto diversi per le dimensioni. N. 1 lunghezza totale mm. 185; becco mm. 21; ala 105; coda 63; all. ed u. 24 Di » » DI DI MIO » 0999 > _ eo » 20 Il Conte SaLvapori che ha gentilmente esaminato i due esemplari non esclude che quello minore sia di forma distinta, stante la differenza nelle dimensioni e nel colorito rossigno del vessillo interno delle remiganti. 7. Anthus cervinus PALLAS. Pispola dalla gola rossa. Un esemplare a Cirene. Nuova per la Libia. 8. Motacilla flava L. Cutrettola gialla. Un esemplare al Merg. Nuova per la Cirenaica. 9. Lanius senator L. Questa specie, già citata dall’ Harmann per Bengasi, è forse, dopo la Cappellaccia, l'uccello più diffuso e più comune, senza essere abbondante, nei boschi della Cirenaica. Ne furono uccisi parecchi esemplari, dei due sessi, nel bosco di Frejna: ne vedemmo altri nel bosco di l’ecnis, in quello di Bir — 205 — Gandula e finalmente a Derna. Una femmina uccisa a Frejua, forse giovane, ha lo specchio alare così ridotto che aveva, sulle prime, fatto pensare al LZ. badius. 10. Muscicapa collaris BrcHst. Balia dal collare. Comune a Bengasi, Cirene e Derna, non è stata ancora citata per la Cirenaica. 11. Sylvia simplex LarHam. Beccafico. Alcuni esemplari in un giardino della steppa bengasina. Non ancora citato per la Libia. ]2. Saxicola oenanthe L. Culbianco. Abbondante nella steppa di Fuehat, presso Bengasi. Non ancora citato per la Cirenaica. 13. Saxicola stapazina VIEILL. Monachella. Un solo esemplare nella steppa di Fuehat, presso Bengasi. Non ancora citata pèr la Cirenaica. 14. Agrobates galactotes (‘l'emm.). Usignuolo d’Affrica. Un esemplare fu catturato vivo a Derna. Non ancora citato per la Cirenaica. 15. Luscinia luscinia L. Usignuolo. Due esemplari vivi a Derna, catturati con laccio da ragazzi arabi. Non citato per la Libia. 16. Chelidon rustica I.. Abbondante sulla costa: scarsa sul primo gradino dell’altipiano: non ne abbiamo viste nella regione più elevata. Anche la Rondine non è stata ancora citata per la Cirenaica. 17. Apus apus L. Rondone. Scarso a Bengasi; abbondante a Cirene. Non ancora citato per la Libia. 18. Apus melba L. Rondone alpino. Abbondante a Cirene. Non ancora citato per la Libia. 19. Upupa epops L. Due esemplari furono uccisi dall’Arzani in un giardino nella steppa ad ovest di Fuehat. L’upupa era stata segnalata dal Dopson in Tripolitania, ma non in Cirenaica. 20. Cuculus canorus L. Un esemplare, di sesso maschile, trovato morto nella steppa di Fuehat. Non citato per la fauna libica, 21. Athene glaux (SaAv.) Dintorni di el Merg, dintorni di Cirene ed altrove sull’altipiano. Nuova per la Cirenaica. Abbiamo catturato due esemplari e molti altri ne abbiamo veduti volare in pieno meriggio e posarsi su alberi e pali: una ne vidi al mattino, a Nord di Cirene, posata su un’antica pietra sepolcrale. Sono carat- teristiche le abitudini diurne di questa Civetta. 22. Falco vespertinus L. Cirene e Derna. Già citato dall’ Hartmann. Uno stormo di circa un centinaio si aggirava vicino a terra sull’altipiano, a venti chilometri da Derna, evidentemente cacciandovi acridi e locuste che vi erano numerosissime. 29. Falco tinnunculus Naum. Bengasi ed altrove durante il tragitto. Scarso. Non ancora citato per la Cirenaica. 24. Astur palumbarius. El Gubba. Nuovo per la Cirenaica. Un esemplare, cui fu tirato con esito negativo, si aggirava sulla fonte che alimenta l'oasi di el Gubba. 25. Hieraaétus fasciatus (VIEILLOT). Aquila del Bonelli. "l're nidiacei mi furono portati vivi al Merg. Gli arabi dissero di averli presi nelle montagne a sud della città. Due esemplari erano assai più svilupati del terzo, perciò credo venis- Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 25 So sero da due nidi diversi. Sono riuscito a portarne due vivi in Italia, ma il più piccolo è morto appena arrivato e l’altro dopo avere completamente cresciute le penne. In questo esemplare il tarso è lungo mm. 93 e il dito medio senz’unghia mm. 60. Questa specie non era ancora stata citata per la Libia. 26. Neophron percnopterus L. Capovaccaio. Numeroso nei dintorni di Cirene. Qualche esemplare a Gubba e nel territorio fra Cirene e Derna. L’HAIMANN lo aveva già segnalato a Ghegab, località intermedia fra Cirene e Gubba. Questa specie risulta, dunque, fino ad ora, citata per la Cirenaica orientale e non per la occidentale : dal Dopson non fu raccolta in alcun punto della Libia. L’ALZANI e lo ScorTEGAGNA ne uccisero cia- scuno un esemplare presso il cadavere di un mulo a nord di Cirene: anch'io ne feci alzare due esem- plavi dallo stesso punto. 27. Gyps fulvus (HABLIZL). Una pelle conciata nel mercato di Derna. Non ancora citato per la Libia. Può darsi peraltro che questa pelle provenisse dall’ interno 0, magari, dall’ Egitto. 28. Ardea purpurea L. Airone rosso. Vari esemplari a Derna. Non ancora citato per la Libia. 29. Ardea cinerea L. Airone cenerino. Comune dovunque. Ricordo fra gli atri alcuni esemplari uccisi al Merg, a Cirene, a Saf-Saf, a Derna. Non ancora citato per la Libia. 30. Ardeola ralloides (ScoPoL1). Garzetta dal ciuffetto. re esemplari sulla spiaggia di Bengasi. Due esemplari nel wadi Derna. 31. Ardetta minuta L. 'l'arabusino. Un solo esemplare ucciso nel uadi Derna. Non ancora citato per la Libia. 32. Nycticorax nycticorax L. Nitticora. Parecchi esemplari a Derna e lungo il uadi Derna. Non ancora citato per la Libia. 33. Columba livia BonnATERRE. Piccione torraiuolo. Koefia, el Merg, Slonta, Cirene, cascate di Derna. Il piccione selvatico, nella sua forma tipica a groppone bianco, è diffuso in tutta la Cirenaica e nidifica nei pozzi e nelle caverne che sono abbastanza frequenti nella località. Evidentemente sceglie luoghi ove non possa essere disturbato da uomini e da armati; così nelle abitazioni trogloditiche di Slonta (800 m. s. l. del mare), ove qualche volta pernottano pecore, non vi erano traccie di piccioni, e la caverna del Lete, presso Bengasi, che soleva essere frequentata da questi uccelli, ne è stata abban- donata perchè visitata ora da cacciatori. 84. Streptopelia turtur SELBY. Questa specie è abbondantissima e diffusissima in Cirenaica, almeno durante il passo primaverile, tanto sulla costa come a Bengasi, quanto nell’interno come nel bosco di Frejua, vicino al Merg. Ne abbiamo viste alcune ansiose di dissetarsi ai pozzi di Maraua, dove una fu ferita con un colpo di revolver. S' incontrano egualmente in grandi ed in piccoli branchi, ed anche isolate. Si lasciano avvi- cinare molto più facilmente che da noi. 35. Burhinus oedicnemus (L). Occhione. Un solo esemplare fu visto ed ucciso dall’ALzani nella pianura di Bengasi, in direzione del Lete. Nuovo per la Libia. 36. Aegialitis dubia (ScoPoLi). È Corriere piccolo. Pochi esemplari intorno alla palude di Merg: molti nel porto di Derna. Non ancora citato per la Libia. — 207 — 37. Totanus calidris L. Pettegola. Slonta. Uccidemmo un esemplare in questa località, alta circa 800 m. in una pozza d’acqua prossima al marabutto. Un altro esemplare fu visto dall’ALzanI e da me nel porto di- Derna. Non ancora citata per la Libia. 38. Totanus glareola.L. Piro-piro boschereccio. Un solo esemplare fu ucciso nella già menzionata pozza di Slonta. Non ancora citato per la Libia. 39. Tringoides hypoleucus L. l Piro-piro piccolo. Abbondantissimo ovunque trovasi acqua, a qualsiasi altezza. Intorno alla palude del Merg, nella pozza di Slonta, alle cisterne di Cirene, isolato; lungo il uadi Derna e lungo la spiaggia del porto di Derna a branchi numerosi. Non ancora citato per la Libia. 40. Calidris arenaria L. Piovanello tridattilo. Un esemplare nel porto di Derna. Non ancora citato per la Libia. 41. Gallinago media (FRISCH). Croccolone. Alcuni esemplari nei dintorni di Cirene. Non ancora citato per la Libia, 42. Gallinago gallinago L. Beccaccino. Dintorni di Cirene e uadi Derna. Non ancora citato per la Libia. 43. Gallinula chloropus L. Gallinella. Un esemplare lungo il uadi Derna ed un altro preso vivo a Derna. Nuova per la Libia. 44. Alectoris callolaema (SaLvapoRI e FESTA). Pernice di Cirenaica. Una trentina di esemplari furono uccisi nei boschi che circondano la conca di el Merg dai cacciatori della carovana. Quattro esemplari maschi furono. conservati in pelle; una femmina ferita nella stessa località ed un maschio acquistato sul mercato di Bengasi furono portati vivi in Italia ed io li conservo ancora in ottimo stato. La pernice sull’altipiano del Barka fu segnalata per la prima volta dall’ Harmann, il quale la definì « simile alle nostre ma più grande », per la qual cosa io supposi che si potesse trattave della Coturnice, largamente diffusa nei paesi del Mediterraneo orientale, anche perchè dal Capitano medico De NapoLI avevo avuto in dono alcuni esemplari della pernice del Garian, tanto somiglianti alla per- nice di Sardegna (Alectoris petrosa), che io non fui capace di distinguerli da questa: e la pernice di Sardegna è sensibilmente più piccola delle due specie continentali di Alectoris. Nel 1916 il SaLvapori ed il Festa hanno descritto questa Pernice formandone una specie nuova, col nome di Alectoris callolaema. Essi han posto in evidenza che la differenza principale fra la specie cirenaica e la A. spatzi d’ Algeria e d’Egitto sta nel fatto che la gola e le guancie sono più scure e nettamente cerulescenti. Poichè la A. spatsi è pallidissima, fuorchè nei disegni castagni del capo e del collo che sono identici a quelli di A. petrosa, e poichè la A. callolaema ha tonalità generali simili a quelle di A. petrosa e non a quelle di A. spatzi, a meglio individualizzare la A. callolaema, non è fuor di proposito un'analisi comparativa tra questa e la A. petrosa. Le differenze riguardano: 1° la topografia del color castagno sul capo e sul collo; 2° il rapporto di tono tra il castagno ed il grigio nelle stesse zone; 8° il colore dei fianchi. Nella A. petrosa una larga stria color marrone carico, dal mezzo del pileo, scende, attraverso l’occipite, fino al livello del collare, ma è divisa da questo per mezzo delle strie bianco grigie che partendo dalle orecchie scendono sui lati del collo. Il collare marrone, cosparso di perluzze bianche è, davanti, laugo circa un paio di centimetri, nettamente distinto dalla zona bianco grigia della gola e dal cenerino del torace. Nella A. callolaema invece la stria mediana pileo-occipitale si unisce larga- mente ai lati del collare che è, davanti, strettissimo, quasi nullo, e non separa nettamente la zona sottogolare da quella pettorale. Mentre nella A. petrosa il marrone è molto scuro ed il grigio delle strie laterali e della gola quasi bianco, in modo da rendere ii contrasto dei colori evidentissimo, in A. callolaema il marrone è chiaro, tendente al fulvo, ed il cenerino è molto scuro, tendente all’azzurrognolo, cosicchè il contrasto dei toni è poco sensibile, quasi nullo. — ogni Nei fianchi, le sfumature ardesia e castagne delle caratteristiche piume troncate, estese ed evi- denti in tutte le altre specie del genere Alectoris, sono, in A. calloleama così ridotte da esser quasi nulle, Nel mio maschio vivo, quando esso non sia disturbato e cammina pettoruto, i fianchi appaiono esclusivamente bianchi, con strie trasversali nere. Insomma, nei fianchi, la A. callolaema mostra un contrasto deciso fra il bianco ed il nero, contrasto che è quasi completamente attenuato in A. petrosa per la sovrapposizione di azzurro ardesia e di castagno nella parte maggiore della penna. Prendendo per il confronto una delle maggiori penne dei fianchi, vale a dire una delle posteriori, si osserva in A. petrosa, come in A. saxatilis che nella zona apicale della penna esistono due strie trasversali nere, una delle quali subapicale e l’altra separante la porzione bianco giallognola o castagna da quella grigio-azzurrognola della penna. Quest ultima stria in A. callolaema è assente, come in A. rufa, cosicchè la zona grigio azzurra non è separata nettamente da quella bianco gialliecia. Solo nelle penne più piccole dei fianchi la stria appare molto incompleta e piuttosto come una sfumatura nerastra della zona apicale azzurra, Premessa questa differenza fondamentale che ci permette di ravvicinare la specie di Cirenaica ad A. rufa, contrapponendo entrambe a A. sazatilis e A. petrasa, noterò che mentre in petrosa ed in rufa è presente una vistosa frangia apicale castagno carica, in callolaema come in sagatilis la frangia al di là della stria subapicale nera è appena accennata ed è di color bruno. Final- mente la porzione chiava della penna è bianca, sporcata di gialliccio verso la parte azzurra e non offre tinta castagno-carica come nella petrosa. Lunghezza totate dei maschi mm. 355; ala 175. Quanto a differenze sessuali secondarie, sarebbe azzardato parlarne, non avendo io avuto agio di osservare bene, in confronto a cinque maschi, che una sola femmina. Questa però ha una macchia color corno, che spicca sul rosso del becco, fra le narici, e nelle penne dei fianchi il bianco non è candido come nel maschio. La mole della femmina è minore. La Alectoris callolaema abita specialmente nei boschi di Juniperus phoenicea e di lentisco for- manti, come già ho detto, l’unica macchia veramente estesa della Cirenaica. E abbondantissima nei dintorni di el Merg e nei boschi che stanno tra Cirene ed il mare, ad una altimetria variabile fra i cento ed i trecento metri. Gli esemplari studiati dal SaLvavori e dal Festa provengono, secondo le informazioni loro date, dal sud di Bengasi. È evidente che gli esemplari sono stati raccolti nel terreno accidentato e cespuglioso che forma l’accesso al primo gradino dell’altipiano verso el Regima, a circa 20 chilometri da Bengasi. Nella pianura bengasina, secondo le informazioni di P. Zanon, non si tro- vano pernici. 45. Coturnix coturnix BonnaT. Quaglia. Ne furono uccisi alcuni esemplari al Merg ed a Cirene. Durante il nostro soggiorno ne abbiamo sentite cantare in varie località, ma non frequentemente. Delle 45 specie elencate, ben trentatrè non erano state ancora citate per la Cire- naica e ventidue non sono state trovate neppure in Tripolitania. Considerando ora nel suo complesso 1° avifauna cirenaica, quale è apparsa a me, all’ALzanIi ed ai numerosi cacciatori della carovana, e tenuto conto delle informazioni di alcuni connazionali che abitano da qualche anno in quella nostra colonia, essa appare ricca di uccelli di passo sulla spiaggia del mare e scarsa d’ individui e di specie sul- I’ altipiano. L'assenza quasi totale di uccelli sull’altipiano stepposo è stato forse il fatto che mi ha colpito maggiormente durante il viaggio: si percorrono tratti di 50 e più chi- lometri senza vedere un uccello che interrompa 1° uniformità del cielo, ove si eccet- tuino le calandre e ie cappellacce che si alzano al vostro passaggio e calano a poca distanza. Ed anche queste due specie, assai abbondanti sul primo terrazzo, van diven- tando più scarse man mano che si sale, cosicchè al disopra dei 500 metri anch’ esse diventano una rarità. Quivi non abbiam visto che pochi piccioni, pochi corvi ed un — (209 — falco indeterminabile. Coordinando le osservazioni fatte, direi che il vento che spira sempre fortissimo, sia la causa che impedisce di fermarsi ad uccelli che troverebbero dovunque un’ abbondante pastura di cavallette. Questa scarsità di uccelli di passo potrebbe anche essere attribuita alla mancanza d’ alberi ed acqua per grandi estensioni di territorio, ma anche nei boschi ed intorno alle paludi del Merg si nota la solita scarsità. Nei boschi è abbastanza diffusa l’ Averla capirossa; qua e là s'incontra la Civetta diurna; molte tortore e, ordinariamente, null’altro. Gli uccelli stanziali più comuni della Cirenaica sono le pernici, le calandre e cappellacce, i piccioni, che vivono cia- scuno nell’ambiente che gli è particolarmente adatto. Ma una prova che la scarsità di uccelli sull’ altipiano deve dipendere dal vento, credo si possa trovare nel fatto che |’ uadi Derna, ben protetto dalle sue alte e sco- scese pendici è popolato di numerosi piccoli uccelletti, che per varie ragioni e special- mente per mancanza di tempo non si sono potuti catturare. Mi sembra anche meritevole d'interesse il fatto di avere trovato uccelli. palustri nelle scarse pozzanghere dell’ altipiano e particolarmente nella pozza di Slonta ad una quota di quasi 800 metri, pozza che non poteva avere più di 10 a 15 metri di diametro. Da quanto ho osservato credo di poter concludere che un’escursione attraverso l’altipiano del Barka, anche se il cacciatore disponga di tempo, non possa dare risul- tati che giustifichino la spesa e la fatica del viaggio. Credo invece che 1° avifauna locale cirenaica possa essere studiata con profitto, limitandosi ad una permanenza di qualche giorno in alcune determinate località, come la conca di el Merg, Bengasi, Cirene e sopratutto l’ oasi di Derna col suo uadi. » Mammiferi. 1. Zorilla lybica Hemp. ed EHREMB. Bengasi. Un esemplare in pelle, ucciso da pochi giorni, mi fu mostrato da P. ZAnon. Il KLAPTOCZ non ha trovato questa specie in Cirenaica, ma solo nell’oasi di Tripoli dove danneggia il pollame. Analoga informazione mi ha dato il P. Zanon per quanto si riferisce alla regione bengasina. 2. Genetta afra. Derna. Una pelle mi fu ceduta dal Sig. l'Rorano che aveva avuto l’animale in carne. Egli affer- mava che questa Viverra è frequente nell’oasi di Derna, ove danneggia i pollai; informazioni ana- loghe, per quanto concerne il territorio di Cirene, mi vennero fornite dal Sig. FrontaLi. Il Prof. Mau- GINI mi parlò di un Gattopardo vivo che era posseduto da un medico all’ospedale di Bengasi, ma non potei vederlo. È probabile si tratti della stessa Viverra. Il KLaProcz dice che nè dai dintorni di ‘l'ripoli nè dai monti del Garian potè ottenere informazioni sulla presenza di Viverre, il che, secondo lui. è notevole, data la vicinanza relativa del territorio di Gabes, dove è nota una forma di questa specie, la Genetta afra barbara WAGNER. Il mio reperto è dunque, sotto questo aspetto, interessante in quanto accerta la presenza di una viverra, mancante in ‘T'ripolitania, nella Cirenaica orientale. 3. Felis lybica cyrenarum 2. suDsp. Cirene. Due esemplari in carne. Uno dei due (femmina gravida) era in istato di iniziata putrefa- zione, cosicchè non si è potuto utilizzare, salvo la coda. L’altro fu da me acquistato da un arabo che lo aveva ucciso poco prima. — 210 — Dimensioni generali del corpo e della coda come nel gruppo 2Wybica; colore diverso specialmente per la mancanza di strie evidenti sul dorso, per l'assenza di bianco nelle parti inferiori e per la diffe- vente anellatura della coda. Pelliccia liscia e aderente nelle parti superiori; lunga, soffice ed a fiocchi diseguali nelle parti inferiori. La lanugine è per tutto il corpo bruno fuligginosa nel terzo o metà basale; fulva nei due terzi o metà apicale. Il fulvo è più acceso e tendente al rosso sul dorso e sui fianchi; è più pallido e tendente al giallo nelle parti inferiori. I peli lunghi e rigidi che rivestono la superficie esterna della pelliccia sono bianchi nella metà basale, mentre quella apicale è nera con. una fascia intermedia bianca, sfu- mata verso la punta in bruno rossiccio. Secondo chie questi peli sono più o meno numerosi e lasciano più o meno scoperta la porzione fulva della lanugine, e secondo che sono più o meno estesa la fascia subterminale bianca ed accentuata la sua sfumatura apicale bruna rossastra, cambiano i toni nelle varie regioni del corpo. 4 | ‘l'enuto conto adunque che la diversa colorazione è dovuta alla diversa consistenza e lunghezza dei peli ed alla diversa distribuzione del fulvo, del nero e del bianco su ciascun pelo, il colore generale di questo gatto può essere descritto nel modo seguente : Muso e gote bruno giallastre con sfumature rossicce specialmente ai lati del naso. Regione supe- riore del capo bruno nera, brizzolata di gialliccio pallido con quattro linee neve longitudinali pochissimo distinte,.che partendo dagli occhi raggiungono l’ occipite. Orecchie bruno rossiecie superiormente, con pennello apicale nero: inferiormente giallastre verso il margine anteriore, bianco sporche verso quello posteriore. Mustacchi bianchi. Colore fondamentale del corpo fulvo rossiccio brizzolato di bianco e di bruno nero, con mescolanza di colori che riesce più chiara e più pallida nei fianchi, più scura e vivace lungo la linea mediana dorsale, che ha sfumature rosso-castagne specialmente sulle spalle e sul terzo posteriore del ‘corpo, senza tuttavia che si possa parlare di una stria longitudinale mediana. Le zampe sono grigio giallastre: le anteriori hanno tre strie nerastre ben distinte sul lato esterno della gamba: quella di mezzo forma un intero anello. e dal lato interno posteriore di questo una larga sfumatura sale ad annerire tutto il bordo posteriore dell’arto, fino alla sua inserzione nel corpo. Sulla coscia si osservano quattro strie nerastre ben visibili sul margine anteriore. Piante dei piedi nere. Parti infeviori miste di fulvo e di grigio: di tinta assai pallida il mento, di un fulvo assai vivace la regione anale. Coda bvizzolata come il corpo con assenza quasi totale di fulvo: apice nero, tre anelli neri preapicali completi ed altri tre ben distinti solo alla parte superiore: complessivamente la metà della coda risulta anellata. Lunghezza del corpo mm. 540; coda 300; orecchio 52; avambraccio 177; tarso 123. Lunghezza del cranio mm. 94,2; larghezza zigomatica 65,6; larghezza mastoidea 41,7; costrizione postovbitale 33,7; id. interorbitale 18,4; larghezza rostrale, posteriormente ai canini 22,7; larghezza della scatola cranica 44,5; lunghezza del ‘dente fierino superiore 11,5. L’esemplare del quale ho dato descrizione e misure fu da me comprato a Cirene da un arabo che lo aveva ucciso nella giornata con un colpo di fucile; della seconda femmina gravida, che non si potè utilizzare per essere in istato di avanzata putrefazione, presi soltanto la misura totale che era di mm. 830. Le misure date dall’Anperson (1), dal Larasre (2) e dal MiLLER (3) (queste ultime si riferiscono a Felis sarda che appartiene al gruppo Iybica) vanno da un minimo di 83 mm. per le Q Q ad un massimo di S9 mm. per i maschi. Nel caso nostro abbiamo più di 94 mm. per la femmina. La larghezza mas- sima invece va dai 65 mm. per le femmine ai 70-72 mm. pei maschi e noi abbiamo trovato precisa- mente 65,5. A larghezza quasi pari (0,5 di differenza) la femmina di Cirene supera quella d’Abissinia (AnpERSON) di mm. 13,2 e quella di Haidra (Larasre) di mm. 11,2 nella lunghezza del cranio. Il valore di questa appariscente dolicocefalia nella forma di Cirene non può essere tuttavia stabilito se non col confronto di altro materiale, (1) Zoology of Egypt: Mammalia, revised and completed by W.E. pe Winron; Lendon, 1902. (2) Étude de la faune des Vertébrés de Barbarie. Catalogue provisoire des Mammiferes apélagiques sauvages. Act. Soc. Linn. Bordeaux, Vol. 39 pp. 129-289, 1885. (3) Catalogue of the Mammals of Western Europe ecc. London, 1912. 4. Vulpes aegyptiaca (DESMARESI). Bengasi. 3 piccoli lattanti. Questi animali erano stati acquistati da un compagno di viaggio nel mercato di Bengasi, senonchè, malamente custoditi, gli fuggirono nel percorso da Bengasi al Merg. Soltauto il THomas parla di un cranio di Volpe, simile a quello di V. aegyptiaca, trovato vicino ad un pozzo al sud di Bengasi. Il Kraprocz non ba raccolto materiale di questa specie. Gli esemplari che io ho veduto e che ho potuto esaminare a mio agio erano vere Volpi e non Fennec. Della presenza del Fennec nell’altipiano cirenaico non ho avuto notizia, mentre le Volpi, a detta delle persone, colle quali ho parlato, sono abbondanti dovunque. Ì 5. Canis sp.? Non mi è possibile stabilive a quale forma appartengano gli Sciacalli visti in Tripolitania: due esemplari vivi posseduti dal Presidio di Merg; due pelli mostratemi dal Sig. FRONTALI a Cirene, una delle quali misura dalla punta del muso all’apice della coda mm. 1120 e l’altra mm. 1270; alcuni giovani donati a Derna al Direttore della nostra carovana Comm. TepescHi. Per la mole dovrebbero riferirsi al C. lupaster EHREMB., ma pel colore somigliano al C. varzegatus CRETZSCHM. 6. Spalax aegyptiacus NEHRING. Dovunque in Cirenaica. Io ho avuto un solo Spalax vivo a Merg, dove mi fu portato da un arabo che lo aveva gravemente ferito con un colpo di vanga a mezzo del corpo: posto provvisoriamente in un vaso chiuso, l’animale riuscì a sollevare il tappo ed a fuggire. La presenza degli Spalaci in Cive- naica, dove sono ritenuti vere talpe cieche, fu accertata dal SorpELLI, che esaminò un esemplare recato dall’ Hamann. Ne ha parlato anche il Kraprocz, il quale, d’ accordo con altvi esploratori, esclude la presenza di questa specie dalla Tripolitania. Gli Spalaci hanno abitudini simili a quelle delle talpe, cosicchè la loro presenza è manifesta. per i caratteristici cumuli di terra smossa che si incontrano dovunque, alla costa come nell’ interno, nella steppa e nel bosco, dove la roccia non affiora. Si può dire che il suolo cirenaico è tutto un reticolato di gallerie di Spalaci. 7. Hystrix cristata L. Merg. Un esemplare vivo catturato con una tagliuola mi fu venduto da un arabo. L’istrice, secondo le notizie fornitemi, è abbastanza frequente in tutta la regione dell’altipiano e specialmente nelle località rocciose. : 8. Lepus barcaeus 2. SP. 2 Q Q nel bosco di Frejna presso el Merg. Forme più gracili ed orecchie meno lunghe che in ZL. aegyptius. La lunghezza delle orecchie cor- risponde ad una volta e mezzo quella del cranio. Tarso piuttosto breve; piede stretto e gracile. Pel- liccia costituita di peli brevi e rigidi nelle parti superiori, soffici e molto lunghi nei fianchi e special- mente nel ventre, ed al lato interno delle coscie. Nella regione anteriore dei fianchi vi sono alcuni peli lunghissimi e rigidi che sporgono dal resto della pelliccia oltre la metà della loro lunghezza. Schiena variegata di bruno e di gialliecio molto pallido (N. 146 Code des couleurs). I peli costi- tuenti il fondo della: pelliccia hanno la porzione basale gialliccia e quella apicale bruna: quelli più rigidi e più lunghi, i quali sopravanzano gli altri di circa 8 millimetri sono bruni con una fascia subapicale gialliccia, lunga circa 2 mm., mentre la zona bruna ha la lunghezza di 4 mm. L’alternanza abbastanza uniforme di queste tinte produce un tono grigio che si stende sui due terzi posteriori della regione dor- sale del corpo. ; Il terzo anteriore, cominciando dalla base delle orecchie, è, nella linea mediana, di un fulvo puro ed uniforme (N. 112 Code des couleurs); tutt'intorno sono peli nei quali bruno e chiaro si alternano press’ a poco come nei peli della schiena, ma la porzione basale bruna è assai limitata, mentre le por- zioni chiare sono nella maggior parte fulve e nella minor parte giallicce. Ai lati del corpo il bruno diminuisce fino a sparire, ed i fianchi risultano giallicci, mentre il collo e le zampe sono fulvi. T'aluni peli del collo hanno l’apice gialliecio, altri pochi presentano una stria bruna. Petto gialliccio, ventre bianco; coda nera di sopra e bianca di sotto e sui lati, senza tinte intermedie. Regione plantare delle dita coperta di una folta spazzola di lunghi peli rosso ranciati (N. 107 in un esemplare; 103 nel)’altro). — 212 — Capo variegato di nero e di gialliccio come la groppa; le tinte chiare predominano sul muso, mentre le strie nere sono manifeste sulla fronte e sulla regione temporale; intorno alle orbite vi è un cerchio molto appariscente di peli bianchi ed una stria biancastra scorre ai lati del muso dall’ orbita alla navice. Orecchie grigie per l'alternarsi di sottilissime strie nere e giallicce, con bordo bianco ai lati e nero all’apice; i peli bianchi del margine anteriore formano una vistosa frangia. Lunghezza dall’apice del muso alla base della coda mm. 420; capo 91; orecchia dal lato esterno 125; coda 85; tarso 98,8; braccio colla mano 143. Lunghezza massima del cranio mm. 82; larghezza zigomatica 36,5; lunghezza dei nasali 35,6; maggior larghezza dei nasali 18,5; minor larghezza dei nasali 11,9; larghezza intevorbitale, comprese le ali 27,8; larghezza della scatola cranica 27,8; diastema 21,9; lunghezza del palato 29,3; lunghezza degli alveoli dei molari 17,4; diametro antero-posteriore della bolla 13,4. La prima osservazione di notevole interesse faunistico, è che questa lepre è nettamente distinta da L. whitakeri di Y'vipolitania, la quale pel suo colore uniformemente fulvo ha spiccato carattere deserticolo. In confronto a ZL. aegyptius ha le orecchie molto più brevi ed a LZ. habessinicus sensibilmente più lunghe: dall’una e dall'altra differisce altresì pel colore della coda, che in esse è in buona parte gialliccia. Confrontando i caratteri di questa lepre con quelli delle lepri della costa barbaresca, riassunti dal CABRERA (1), Z. barcacus rientra nel gruppo delle piccole lepri, ma la fascia pallida preapicale dei peli dorsali è sensibilmente più stretta della fascia basale che è bruno-cioccolata, come in L. atlanticus. Per tutte queste ragioni mi sono convinto che la lepre della Cirenaica costituisca una forma locale ben distinta dalle altre dell’Affrica settentrionale. Delle 10 specie di Mammiferi già note per la Cirenaica, non ho raccolto che lo Spalace e 1° Istrice. Non ho visto Jene, ma le informazioni raccolte non consentono il più piccolo dubbio sulla effettiva presenza di questo carnivoro nell’ altipiano. Anzi, a Cirene, il Sig. FRONTALI mi condusse ad una specie di latomia, nel fondo della quale era stato trascinato il cadavere di un mulo. Il FRONTALI mi assicurò. che quella carcassa era stata abban- donata in un vicino campo d'orzo, e che una iena l’aveva trascinata nel fondo della latomia. 1 Non ho potuto raccogliere, al contrario, alcuna informazione sulla presenza del cinghiale: anzi i nostri coloni, cominciando dal Sig. FRONTALI, dicono di non averne mai sentito parlare. Io stesso, tenendo conto della configurazione del territorio, non esito a credere che la Cirenaica sia un luogo poco adatto per il cinghiale e che questa specie, se ha potuto vivere in passato in qualche località del paese, oggi deve essere completamente estinta. Non ho visto ricci, ma vi si dicono abbondanti. Non pipistrelli, ma la stagione era forse ancora troppo fredda. Non ho potuto catturare alcun gerbillo, ma ne ho trovato frequentemente le buche abitate, anche sull’ altipiano e specialmente nella conca di Merg. Sulle rive del laghetto vidi ‘il cadavere, in istato di avanzata putrefazione, di un grosso topo dalla coda corta. In compenso la fauna dei Mammiferi di Cirenaica cresce di 6 specie nuove per essa e precisamente Zorylla lybica, Genetta afra, Felis lybica cyrenarum n. subsp., Vulpes aegyptiaca, Canis sp.? e Lepus aegyptius n. sp. (1) CABRERA, A. l'he Barbarian forms of the genus « Zepus ». IX Congr. intern. Zool. Monaco 25-30 Mars 1913, pp. 522-527, 1914. aan ALTERAZIONI TERMICHE E LESIONI TROFICHE NEI PROCESSI MORBOSI OST PRIMA COMUNICAZIONE DEL Prof. Sen. PIETRO ALBERTONI letta nella Seduta del 23 Novembre 1919. Che la cute sia organo di sensibilità termica, sparsa di punti per il caldo e per il freddo, è chiaramente stabilito; ma tale verità viene ben poco utilizzata dalla pato- logia, sia dal punto di vista sintomatologico che patogenetico. La regolarizzazione del calore e della circolazione dipende in gran parte dagli eccitamenti che si dipartono da detti punti per il caldo e per il freddo: di ciò mi sono valso per lo studio di stati morbosi, ed in questa prima comunicazione ho preso a trattare della malattia di Raynaud, nella quale detti processi sono lesi, allo scopo di completarne la sinto- matologia e interpretarne la patogenesi. Nessuna ricerca del genere esiste sull’ argo mento, neppure nella recente accurata monografia dello svedese Marcus (1). Espongo brevemente alcune delle mie osservazioni cliniche e le speciali indagini fatte sull’ argomento da me trattato. Mengoli Caterina d’anni 55, donna di casa. Non ha precedenti personali o ereditari degni di nota. Ha avuto nove gravidanze felici. La malata fa risalire l’inizio dei suoi disturbi al 1913, essendo questa storia redatta il 13 Dicembre 1917. Dapprima cominciò ad avvertire, in seguito ad impressioni di freddo, un senso molesto di formicolio e di intorpidimento alle dita delle mani e più marcatamente agli indici e ai medi. Tali sensazioni non erano continue ma accessuali e cominciarono ad insorgere durante la stagione rigida, o quando teneva immerse per qualche tempo le mani nell’ acqua fredda. Durante gli accessi che comparivano preferibilmente il mattino la malata notava che le sue dita cam- biavano colorito, divenivano prima pallide e fredde indi bluastre, e aveva l'impressione che fossero pesanti, dure, insensibili. All’ infuori del freddo nessun altro momento occasionale capace di risvegliare l’accesso è stato avvertito dalla paziente. Nel secondo anno la malattia si accentuò, i dolori si estesero a tutta la mano e all’antibraccio, e ad ogni accesso si manifestavano sulla cute dei polpastrelli delle dita o in vicinanza dei bordi ungeali delle piccole macchioline nerastre. Col ripetersi degli accessi la pelle delle dita perdeva la sua elasticità, diveniva spessa, dura, pergamenacea. La malata non riacqui- stava più, completamente, come per l’innanzi, l’uso delle mani. Durante alcuni accessi intensi essa notò inoltre un improvviso e transitorio annebbiamento della vista e cefalalgia. Malgrado l’alimenta- zione abituale deperiva. (1) Henry Marcus, Studie iber die symmetrische Gangrin. Arkiv fur inve Medicin. Bd. 51 Hift 4 e 5. Stocolma, Maggio 1919. Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 26 — 214 — Esame obbiettivo del 18. Dicembre 1917. — Mengoli Caterina d’anni 55, costituzione regolare, robusta, stato di nutrizione piuttosto scadente essendo la pelle sollevabile in larghe pieghe. La tiroide non appare ingrossata. Nulla di notevole rispetto al sistema respiratorio ed al sistema digerente. Riguardo all’apparecchio circolatorio si nota che il limite sinistro del cuore trovasi quasi sull’ascellave ante- riore, il destro oltrepassa la marginale omonima dello sterno di circa 1 ctm. Al giugulo si palpa un debole impulso ed all’ascoltazione si percepiscono entrambi i toni di cui il 2° è marcatamente forte. Polso 64 con qualche aritmia: pressione arteriosa all’omerale destra millm. 190-200. Sistema nervoso — Nulla rilevasi a carico della motilità se si eccettua i movimenti di estensione delle dita delle mani che non sono possibili completamente. Le dita delle mani si trovano in atteggia- mento di lieve flessione palmare e presentano un colorito in alcuni punti bluastro, in altri pallido. In corrispondenza dei polpastrelli si osservano delle piccole cicatrici depresse di colorito bruno-ardesiaco. La pelle delle dita è spessa, inelastica, quasi completamente aderente ai tessuti sottostanti. Le dita delle mani sono fredde e paiono mummificate. A carico degli arti inferiori si deve rilevare un colorito bluastro della cute; i piedi sono freddi. Il risultato dell'indagine radiografica delle mani è stato il seguente : Lieve grado di decalcificazione di tutte le falangi della mano destra. L’estremo apicale della seconda falange del pollice, e della terza falange del dito indice, medio e anulare deila mano destra, presentano un limitato processo di carie ossea, con distacco di piccolissime scheggie ossee. Eguale pro- cesso di cavie si osserva a carico dell’apice della terza falange del dito pollice, medio e mignolo, della mano sinistra. L’ esame della sensibilità ha dimostrato un’ ipoestesia tattile, dolorifica e termica più manifesta alle dita, ma anche alle palme delle mani e alle piante dei piedi. Col compasso di Weber a 3 mil- limetri incerta la percezione delle due piante sui polpastrelli che venivano avvertite solo a 3! millm., mentre nelle persone normali la percezione avveniva a distanza di 2 millm. Le ricerche sulle reazioni vasomotorie, mediante il pletismografo, usando il guanto di Patrizi, hanno dato collo stimolo del caldo e collo stimolo del freddo lievissime modificazioni. Reflessi plantari superficiali deboli, profondi presenti, patellari pronti. Non vi è clono della rotula. Reflessi achillei presenti. Babinsky assente bilateralmente. Reflessi addominali talvolta deboli, più spesso assenti. Reflessi periostei debolissimi bilateralmente. Reflessi muscolari diretti normali. Pupille di ampiezza media, a contorno normale. La diagnosi di malattia di Raynaud fra il 2° e il 3° stadio era in questo caso evidente sia per la natura dei fenomeni descritti alle estremità e dei disturbi della visione, sia per il miglioramento col caldo e peggioramento col freddo. La sclerodat- tilia, la sola forma morbosa che potesse venire in questione nel caso presente, veniva esclusa perchè nel nostro caso la malattia ha cominciato a presentarsi alle mani con pallore, dolore, formicolio. Invece la sclerodattilia è progressiva, non accessuale, la pelle dapprima è rossa, edematosa e si fa poi scura, fredda, indolora; scompaiono le pieghe cutanee che nel caso in discussione sono evidenti. Stabilita la diagnosi di malattia di Raynaud ho ricercato il contenuto dei purti termici nelle estremità colpite ed anche alla faccia. Si è usato l’ apparecchio di Blix (e v. Frey) cioè il cono metallico a circolazione di acqua, provvisto di termometro e di una fina punta di contatto (cfr. l'’igerstedt, Marndb. d. physiol. Meth. Ba. III, p. 1%, p. 2°). Quanto alle temperature scelte come stimolo termico per la determina- zione dei singoli punti pel caldo e pel freddo, è da osservare che fu necessario adot- tare temperature più basse (+ 6°, + 8°) pel freddo, e temperature più alte (+ 46° — + 48°) pel caldo, di quelle usate dai citati autori, per gli individui normali, sint e inquantochè nei pazienti sottoposti alla ricerca /a soglia di eccitabilità tanto per le sensazioni di freddo che per quele di caldo era notevolmente più bassa di quella fisio- logica; il che è già un fenomeno di importanza notevole. Oltre di ciò anche le con- dizioni cerebrali di tali pazienti, sia per la facoltà di attenzione che per quella di esatta percezione si dimostrarono insufficienti a fornire dati abbastanza sicuri e costanti impiegando temperature non atte a provocare stimolazioni rapide e ben marcate. Fig. I. Fig. 2. Mengoli Caterina. — Punti per il /reddo (T. + 5°). Mengoli Caterina. — Punti per il caldo (T. + 42°). Palme delle mani dopo il miglioramento. Dopo il miglioramento. Fig. 8. Fig. 4 A. R. — Individuo normale. A. R. — Individuo r0rmale. Punti per il freddo (T. + 5°). Punti per il caldo (T. + 42°). La prima ricerca fatta nella Mengoli ha dimostrato esservi nelle mani malate una straordinaria diminuzione dei punti per il caldo e per il freddo, anzi maggiore ancora per il freddo, come risulta dalle figure e dal confronto rispetto a persona sana con mani ruvide e abusate in rozzi lavori manuali. Quest’ esame venne fatto nel Dicembre 1917 ed abbiamo quindi praticata una cura con corrente galvanica, che secondo la nostra esperienza in altri casi, come venne raccomandata dallo stesso Raynaud e da Barlow, porta giovamento. Si immergevano le mani, e in altre sedute i piedi, in un catino pieno d’acqua tiepida salata, ponendo un reoforo nel catino e l’altro alle radici degli arti, e facendo passare una corrente galvanica d’ intensità tollerabile senza disturbi. a) gi Dopo questa cura ripetuta l’ ammalata ha migliorato, ed ha passato discretamente l'inverno 1918-19. Nell’ estate 1919 è stata bene, le mani sudano, la pelle è abba- stanza elastica e molle. L’ esame dei punti del caldo e del freddo fatto il 23 e 24 Settembre 1919 ha mostrato un notevole miglioramento, però detti punti sono sempre assai più scarsi che nel sano. Veniamo ora ad esporre brevemente le osservazioni fatte in altri casi per passare poi a discutere il significato semeiotico e patogenico delle nostre osservazioni. 18 Dicembre 1917. - Pietro Punzo di Roma, d’anni 20, soldato d’artiglieria. Nulla di notevole nel gentilizio. Poliartrite acuta a 13 anni, fino da quest’ età nella stagione fredda ambedue le mani assumevano una tinta violacea. Nell’Aprile 1917 a Foligno, una notte mentre fuori era caduta abbon- dante neve e la temperatura era più rigida del solito, fu svegliato improvvisamente da forti dolori alla punta delle dita di ambedue le mani, accompagnati da sensazione di freddo e da violenti punture; i polpastrelli delle dita apparivano nerastri. Verso la metà del mese di Giugno il malato si accorse di soluzioni di continuo ai polpastrelli della mano destra. Il 1° Agosto 1917 fu inviato sul Monte Nero. Quivi il Punzo avvertiva martellamento delle dita, violacee specialmente al mattino ed alla sera, ed ‘ il 7 Novembre del 1917 mentre a S. Maria di Tolmino una mattina più fredda del solito uscì dal rico- vero per la pulizia del cannone e sebbene avesse la mano sinistra coperta da un guanto, ebbe una sensazione di fortissimo dolore, di puntura e di martellamento a tutte le dita della mano; si tolse il guanto e si accorse che tutta la mano aveva assunte una tinta intensamente bluastra; era intormentita e rigide nei movimenti. ‘ali manifestazioni si ebbero anche sebbene in grado molto minore, alla mano destra. Ora dopo la degenza in vari ospedali il P. continua a provare al mattino ed alla sera la sen- sazione di martellamento e di punture, le dita sono vioiacee, fredde. Stato presente, 13 Dicembre 1917. — Punzo Pietro d’anni 20 di Roma, soldato di artiglieria, modico bevitore, forte fumatore. Statura un po’ superiore alla media, costituzione scheletrica regolare, stato di nutrizione discreto, masse muscolari bene sviluppate e abbastanza toniche. Colorito della cute normale ovunque, ad eccezione delle mani che hanno una tinta violacea cerulea. Anche le dita dei piedi, e la pianta, questa però un po” meno, presentano una colorazione lievemente cianotica. La pelle del naso, delle guancie, dei padiglioni auricolari quando il malato trovasi nella sala è di colorito rosso violaceo. La temperatura appare normale ovunque al dermotatto, fatta eccezione delle mani e dei piedi che sono costantemente freddi, e algidi quando sono cianotici. Apparecchio respiratorio: qualche rantolo umido e qualche raro sibilo alle basi. Cuore in limiti, toni netti. Polso un po’ piccolo, compressibile della frequenza di 84 al m. ritmico. Pareti arteriose normali. Pressione 135 millm. Addome nulla di notevole. Sistema nervoso. — Nulla a carico della motilità dei nervi cranici, degli arti e del tronco, Reflessi plantari superficiali e profondi assenti. Riflesso del tendine di Achille presente. Riflessi patellari pro- vati d’ambo i lati. Riflesso del tibiale anteriore presente bilateralmente. Assenti i cremasterici. Deboli o assenti gli addomiuali e gli epigastrici. Riflessi mandibolare e masseterino deboli. Riflesso faringeo assente, assenti i congiuntivali e i palpebrali. Riflessi muscolari diretti pronti. Riflessi vasomotori sul- l'addome e sul tronco deboli. Pupille di ampiezza media, uguali, reagenti alla luce, all’ accomodazione, alla convergenza. Le varie forme di sensibilità sono ovunque ben percepite ed esattamente localizzate ad eccezione delle dita delle mani ove in corrispondenza delle ultime falangi degli indici, medi e anulari le sensa- zioni di contaito con un piumacciolo di cotone non sono avvertite, le punture di spillo o non sono avvertite o sono scambiate per sensazioni di-contatto; e parimenti non avvertite sono le sensazioni di freddo e di caldo. In nessuna parte del corpo, se si eccettuano le dita, si osservano alterazioni trofiche, queste sono unicamente localizzate all’esterno distale del medio e dell’indice della mano sinistra e del medio della mano destra. Alle dita dei piedi non si osservano notevoli alterazioni distrofiche; qualche placca bru- nastra si osserva alla pianta. ren La radiografia delle mani ha mostrato un lieve grado di atrofia ossea a carico delle epifisi distali dei metacarpi e di quelle prossimali delle prime falangi delle dita. Anche le epifisi della prima arti- colazione falangea appaiono lievemente decalcificate. Il senso di posizione degli arti è conservato; è pure conservato il senso stereognostico; anche il senso barico nelle mani non pare profondamente alterato. La diagnosi di malattia di Raynaud essendo evidente abbiamo fatto ricerche sui punti del freddo e del caldo alle mani, che hanno dimostrato una diminuzione notevole, rispetto al sano, nelle mani, mentre gli stessi punti sono stati invece ritrovati copiosi alle guancie e alla fronte. Fig. Bb Fig 6. Punzo Pietro. — Punti per il /reddo (T. + 5°). Punzo Pietro. — Punti per il caldo (T. + 429). Il malato è rimasto in Clinica dal 13 Dicembre 1917 al 29 Dicembre 1919: durante questo tempo la temperatura corporea ha oscillato da 36 a 36,5, il peso corporeo è aumentato da kg. 64 a 70. Polso, orine, funzioni corporee normali. Durante la stagione calda il malato si è sentito meglio e non ha avuto accessi di intormentimento e di dolore alle mani, salvo il caso che le esponesse al freddo. Alla sua uscita il 29 Dicembre 1919 le mani e i piedi avevano uu colorito più o meno cianotico e una temperatura inferiore alla norma; sono specialmente fredde le estremità delle dita un po’ più a destra che a sinistra. Le modificazioni di colorito e di temperatura divengono più intense per poco che il malato esponga le estremità medesime alla temperatura ambiente. Sulle medesime si nota spesso dia- foresi piuttosto intensa. Per quanto concerne le alterazioni trofiche si può dire che esistono cicatrici ben visibili ancora nella regione palmare delle dita della mano sinistra e che si scorge ancora l'usura di alcune falangi delle dita. ; In questo malato, durante la stagione calda, cioè verso la fine del Giugno 1918, abbiamo fatte estese ricerche sui punti del caldo e del freddo, quali risultano dalle annesse figure, che attestano note- voli modificazioni. Il terzo caso è stato oggetto di lunga osservazione. Tugnoli Olimpia d’anni 50, nulla nel gentilizio. La malata dice che da giovane ha costantemente lavato; essendo ortolana, per molti anni di seguito andava tutte le mattine al mercato a vendere i suoi prodotti, esponendo così le mani ai rigori del freddo. Ha goduto sempre ottima salute fino ai 27 auni, epoca in cui cominciò ad avvertire i distnrbi che anche ora la travagliano. Questi disturbi erano dati da forte senso di bruciore alle mani, specialmente alla sinistra; la malata dice che mentre avvertiva tali bruciori, le sue mani divenivano prima pallide, poi paonazze, specialmente in corrispondenza del letto ungeale. Questi disturbi, unici, persistettero per circa sei o sette anni, durante i quali la nostra gia — malata ricorse invano a medici che la curarono con unguenti. Il prof. Albertoni, diagnosticata la sua affezione, la sottopose per tre anni ad applicazioni galvaniche che migliorarono notevolmente le sue condizioni, sicche essa per circa dodici anni stette discretamente. Prima della cura elettrica aveva osservato più volte che nel polpastrello del dito medio della mano sinistra si era andato formando una crosta, che in pochi giorni cadeva, e lasciava la pelle in condizioni normali. Anche tale fatto cessò con la cura elettrica. Due anni or sono però i disturbi ricomparvero; questa volta la malata oltre ai fenomeni suddetti avvertiva senso di intorpidimento e di formicolio, seguiti da un dolore fortissimo che dalle mani si estendeva per tutto il braccio fino alla spalla. Inoltre in questo ultimo anno non ha notato alcuna sosta, o meglio alcuna altenuazione dei dolori durante la stagione estiva, cosa che invece aveva osservato nei primi anni di quest’affezione. Le mani, e più specialmente la loro porzione palmare, sono notevol- mente indurite. In questi ultimi mesi poi la nostra paziente ha sentito che anche i piedi si intorpi- discono durante la notte, specie se poggia con essi sul terreno freddo. La sensibilità di contatto e la dolorifica sono ben conservate anche nelle dita delle mani dove non si scoprono punti per il caldo e per il freddo. ma o Fig. 8. Tugnoli Olimpia. — Punti per il /reddo (T. + 5°). Tugnoli Olimpia. — Punti per il caldo (T. + 42°). Le parti tratteggiate indicano il senso di contatto Le parti (ratteggiate indicano il senso di contatto ben conservato. ben conservato. Le alterazioni funzionali dei punti termici nella malattia di Raynaud sono adunque ben dimostrate dai casi osservati e più o meno estese ed importanti a seconda dei casi e della gravità della malattia, come risulta dalle figure. Diminuzione e scomparsa dei punti termici si trovano anche dove la pelle ha caretteri normali e non sì può parlare quindi semplicemente di un effetto secondario. Quantunque in alcuni casi la sensibilità di contatto fosse indebolita, come si vede quando per esempio le mani siano state molto raffreddate, non si può parlare di ottundimento generale della sensibilità. Anzi la sen- sibilità dolorifica in questi malati è esagerata, cosicchè si lagnano di dolori vivi se la temperatura si abbassa; il che costituisce un carattere differenziale di notevole impor- tanza rispetto alla siringomielia. Resta adunque acquisito un nuovo fatto importante alla sintomatologia della malattia di Raynaud, la lesione dei punti termici. Si può obbiettare che il senso termico in casì della malattia di Raynaud viene notato come normale, ma conviene tener presente che esso veniva esplorato col metodo di portare a contatto di estese parti della mano acqua a diverse temperature, per cui — 219 — bastava l’° impressione portata su punti termici normali, perchè si giudicasse inalterato il senso termico. Sorge ora naturale la domanda dell’ importanza che può avere detta osservazione per la patogenesi della malattia. La quale domanda comprende l'altra se la malattia sia di origine centrale o periferica. Fa pensare all’ origine periferica il fatto che la malattia comincia alle mani ed ai piedi e più eccezionalmente colpisce altre parti esposte alle vicissitudini atmosferiche, che i peggioramenti e miglioramenti sono legati a dette vicissitudini di stagione e di luogo. Così il Punzo quasi non sì era accorto della sua malattia quando stava a Roma, mentre si aggravava al Monte Nero. È chiaro che i punti termici legati con nervi e centri speciali devono possedere un’ influenza capitale nel governare e mantenere la temperatura, la circolazione e la nutrizione delle varie parti del corpo, come dell’ unità corporea. I nervi termici sono necessariamente anche nervi trofici, perchè solo colla capacità che ha il sistema ner- voso di eccitare i processi biochimici che si riferiscono alla produzione del calore si comprende la capacità che ha l’uomo di mantenere la propria temperatura generale e quella delle singole parti. I meccanismi devono essere tanto più attivi quando si tratta di parti, come le mani, continuamente esposte a notevoli cangiamenti di temperatura, specialmente in alcune classi di persone. Dai punti termici cutanei partono gli stimoli che portati ai centri determinano reazioni vasomotorie e trofiche appropriate nel senso di aumentare o diminuire la pro- duzione o la dispersione del calore secondo le necessità del momento. Che i processi biochimici locali siano fino ad un certo limite indipendenti, lo dimostra il fatto che ad esempio nella poliomielite la temperatura dell’ arto paralitico è anche di molti gradi inferiore a quella dell’ arto sano, come ha osservato prima Heine e confermato ora Cescati, e che l’arto paralitico sottoposto a perfrigerazione non riacquista la tempe- ratura primiera se non con estrema lentezza rispetto al sano. Il senso di contatto non è necessario per | integrità trofica: nella siringomielia sì osserva l’ anestesia dissociata, cioè l’ ammalato non risente dolore, nè senso di caldo o di freddo, sebbene il senso del contatto sia conservato, e va incontro a notevoli lesioni trofiche. Si può ritenere come dimostrato che le fibre che hanno attinenza colle fun- zioni ‘nutritive dei tessuti sono identiche o si accompagnano a quelle che trasmettono le sensazioni termiche e dolorifiche. Se queste sono alterate nella malattia di Raynaud possiamo ben comprendere la patogenesi del processo morboso e spiegarne i fenomeni: il sistema va considerato infatti come il regolatore dei processi che si svolgono negli altri tessuti. In questi individui che vanno soggetti alla malattia nei suoi diversi stadi si può dubitare di un difetto congenito del serso termico, il quale secondo le osservazioni di Preyer non è ancora sviluppato nel neonato e si organizza a poco a poco. Senza dubbio influiscono le cause estrinseche di temperatura e di lavoro. ; Una conferma di questa interpretazione ho trovato in esperienze di perfrigerazione che esporrò nella seconda comunicazione. Sy La nostra dottrina non esclude, ma anzi concilia e comprende molte delle teorie già emesse per spiegare la malattia. Cioè ammette necessariamente | influenza dei nervi trofici, invocata da Samuel e da Friedel, la feoria nevritica periferica sostenuta da molti autori e fondata sull’ osservazione di casi nei quali mentre il sistema vasale era perfettamente integro, i nervi presentavano alterazioni di nevrite degenerativa. A questa teoria nevritica si obbiettò, che, se è vero che alcune neuriti, specialmente le traumatiche, possono accompagnarsi a disturbi trofici gravi delle parti innervate, si vedono però forme gravi di mneuriti alcooliche e saturnine che, anche perdurando a lungo, non portano alla gangrena. Ma noi sappiamo che il processo neuritico può inte- ressare varie sorte di fibre nervose, le motrici, le sensitive, le termiche e trofiche, e secondo la nostra dottrina sono le fibre termiche specialmente lese e base del processo morboso. E che esse possano essere isolatamente lese, e che la loro alterazione isolata si accompagni a lesioni trofiche anche profonde ne abbiamo esempio nella siringomielia nella quale non solo si osserva l’ anestesia dissociata, ma si è veduto che la sensibilità per il caldo può andare perduta, mentre quella per il freddo persiste. o riceversa. Arche la feoria vasomotoria creata da Raynaud, il quale ammise una esagerata eccitabilità autoctona o riflessa dei centri vasocostrittori, per cui in un primo periodo della malattia si avrebbe Io spasmo delle arteriole, e il ristagno del sangue nei capil- lari, la cianosi e l’ asfissia, rientra nella nostra dottrina in quanto presuppone uno stato di abnorme eccitabilità verso gli stimoli termici. Mentre da sola non regge all’ obbie- zione che lo spasmo vasale intermittente non basta a determinare la necrosi dei tessuti. Più facilmente ancora si compenetra' colla nostra la /eoria mecrosica periferica di Vulpian, la quale ammette che lo spasmo vasale cagionato dal freddo avvenga in primo tempo per stimolazione diretta dei vasi della pelle, però la causa più diretta starebbe nell’ azione riflessa vasocostrittrice molto energica provocata dalla eccitazione delle estremità dei nervi cutanei centripeti e prodotta per la mediazione dei gangli situati sul tragitto delle fibre vasomotrici. POCA == Contributo alla patogenesi ed alla terapia degli empiemi circoscritti, cronici, consecutivi a ferita penetrante delle pareti toraciche, nel cavallo, con due casi clinici MEMORIA DEL Prof. ANGELO BALDONI letta nella Sessione del 7 Marzo 1920. (CON TRE FIGURE) Gli empiemi circoscritti, consecutivi a ferita penetrante delle pareti toraciche, sono rarissimi negli animali domestici. Nel cavallo ne hanno osservati un caso Rousselot e due casi Vachetta. Rous- selot, partendo dal concetto non esatto che quando la pleura è ferita debba necessaria- mente avvenire una pleurite generalizzata, ritenne che la raccolta purulenta limitata, da lui osservata, fosse estratoracica, cioè fra la parete toracica ed il foglietto pleurico parie- tale discollato dalla parete stessa, ma non lacerato, dall’ agente traumatico; invece dai dati riportati nella storia clinica risulta in modo non dubbio che dovesse trattarsi di un vero empiema limitato. A questi tre casi crediamo di dover aggiungere quello di Cadèac perchè, nonostante il processo infiammatorio pleurico a principio non fosse suppurante e non fosse di origine traumatica, il cavallo, nel momento in cui Cadèac ne assunse la cura, presentava un empiema con tutti i caratteri dell’ empiema circoscritto, cronico, per ferita penetrante. Nelle altre specie degli animali non si hanno osservazioni in proposito. Hering riportò il caso di un cane morto in seguito a fratiura di coste e consecutivo ascesso nella cavità toracica, ma l’ osservazione ha valore unicamente dal lato anatomo-patologico. In alcuni trattati di chirurgia veterinaria non si parla affatto di questi empiemi circo- scritti; in altri, fra i pochi casi di suppurazione pleurica limitata, sono riportati quelli di ferita penetrante delle pareti toraciche, con o senza frattura di coste, complicata da limi- tata pleurite siero-fibrinosa, come ad esempio l'osservazione di Jacotin, di Mauri, di Uhlig, di Wiesner, di Cuillé, di Francis, ecc.; in altri infine sono accomunati processi suppurativi delle pleure limitati e diffusi, acuti e cronici, aperti e chiusi, senza accennare ai differenti loro caratteri, i quali hanno grande importanza per giudicare della convenienza di un intervento e per la scelta del metodo curativo. Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 2%) DIOR OE Inoltre il trattamento chirurgico delle raccolte purulente pleuriche in generale, il quale specialmente in questo ultimo mezzo secolo ha richiamato l’attenzione dei chirurgi dell’uomo, che hanno escogitato ed applicato metodi e processi operatori numerosi, non ha interessato in modo particolare i chirurgi degli animali domestici, sia per le difficoltà di tecnica, sia per l’ ambiente inadatto in cui ordinariamente si debbono tenere gli operati, sia per la mancanza di convenienza economica, avuto riguardo al valore degli ammalati ed alla durata e all’ esito incerto della cura, e sia specialmente perchè non si tratta sol- tanto di conservare gli animali in vita, ma per lo più di poterli utilizzare a diversi scopi, spesso di poterli adoperare al lavoro. I pochi interventi operativi fino ad ora pralicati nelle suppurazioni pleuriche degli animali non sono stati sempre razionali, perchè sopra- tutto in generale non si è tenuto conto delle condizioni del polmone indotte dalla pre- senza della raccolta purulenta nel sacco pleurico. i Crediamo pertanto non privo di interesse riportare i due seguenti casi di empiema circoscritto, cronico, che abbiamo osservati nel cavallo e di fare alcune considerazioni generali sulla patogenesi e sul trattamento curativo di questo processo. Y * > Caso I. — Puledra di mantello baio oscuro, di mesi 9. di razza incrociata, alta m. 1,22, appartenente al Sig. Stanzani Francesco di Budrio, entrò in Clinica il 7 Dicembre 1914. Il proprietario riferi che la puledra ai primi di Novembre era caduta sopra un erpice ed aveva riportato una ferita alla parete toracica destra e che in corrispondenza della regione lesa si era sviluppata una tumefazione. Nonostante frequenti irrigazioni con una soluzione antisettica, la ferita non tendeva a cicatrizzare; da essa usciva pus sempre in maggiore quantità e la tume- fazione andava acquistando lentamente proporzioni maggiori. Al momento dell’ ingresso in Clinica. la puledva presentava al terzo medio dell’ altezza del costato destro, in corrispondenza della 11% e 12* costa, una tumefazione rotondeggiante, del dia- metro di circa 10 cm., a limiti non ben netti, non molto prominente, poco calda e poco dolente, di consistenza fibrosa, nel centro della quale esisteva una ulcerazione irregolarmente rotonda, della grandezza di una moneta di cinque centesimi, coperta da granulazioni erigio-bluastre, procidenti, facilmente sanguinanti. Da questa soluzione di continuo usciva abbondante materiale purulento- sanioso, fetido, che in srande quantità era essiccato e aderente ai peli ed alla pelle delle parti sottostanti della parete toracica. La specillazione fece riconoscere la esistenza di un tragitto, il quale si apriva nel centro della ulcerazione, era diretto obliquamente dal basso in alto e in dietro, passava rasente il mar- gine anteriore della 12* costa, era lungo circa 6 cm. e metteva.in una cavità, in cui lo specillo in senso verticale penetrava per circa 25 cm. Alla percussione si rilevava una zona di submattità, che cominciava poco al di sotto della ulcerazione e si estendeva in alto fino alla porzione più superiore della parete toracica acqui- stando una ampiezza sempre maggiore, per modo che i limiti di essa zona formavano quasi un triangolo equilatero, i cui angoli corrispondevano presso a poco all'angolo dorsale della scapola, all’articolazione costo-vertebrale delle ultime false coste ed a qualche centimetro al di sotto della soluzione di continuo. In corrispondenza di questa zona il murmure vescicolare era legger- . mente indebolito. La respirazione era un pò più frequente del normale, ma conservava il ritmo regolare. Durante colpi di tosse provocati artificialmente, 1’ uscita di materiale purulento-icoroso dall’ ul- cerazione si faceva più abbondante. La temperatura era normale e l’appetito e lo stato generale erano ottimi. La diagnosi di fistola al costato destro e di empiema circoscritto era facilissima. Decidemmo di praticare l’ operazione. Il 9 Dicembre, dopo aver vuotato parzialmente il cavo mediante una sottile cannula spinta attraverso il tragitto fistoloso e mediante aspirazione con una grossa siringa, coricammo sul lato sinistro la puledra, alla quale circa mezz'ora prima ave- vamo iniettato nel retto 15 gr. di cloralio idrato sciolti in 200 gr. di acqua. Raso il pelo e fatta la disinfezione al dintorno della soluzione di continuo per una estensione corrispondente alla zona di submattità già rilevata all’ esame clinico, praticammo una incisione cutanea nello spazio intercostale fra la II* e la 12° costa dall’ ulcerazione verso la colonna vertebrale, lunga 18 cm., incisione che prolungammo in basso per altri 5 cm circa, fino al limite inferiore della tumefa- zione. Dissecati i margini cutanei, asportammo il tessuto connettivo sclerosato che circondava l’ulcerazione e costituiva la tumefazione. Indi approfondimmo a strati a strati la incisione seguendo il tragitto fistoloso, che passava vicino al margine anteriore della 12° costa, fino alla pleura. Il margine anteriore della 12* costa in vicinanza del tragitto era necrosato per un pic- colo tratto. Sulla guida di una sonda scanalata introdotta nel cavo, incidemmo la pleura dal basso in alto per circa 15 cm. Usci subito del materiale purulento-icoroso, fetido, misto a coaguli fibrinosi ed a pezzi di false membrane. Assorbito con batuffoli di garza ed allontanato tutto il liquido, introducemmo una mano nella cavità per rilevarne la estensione. Essa era di forma irregolarmente triangolare; aveva in alto, in vicinanza delle articolazioni costo-vertebrali il massimo diametro antero-posteriore di 22 cm., il quale gradatamente diminuiva in basso fino a livello dell’ ulcerazione, dove misurava appena 3 cm. e dove, poco al di sopra della inserzione costale del. diaframma, la cavità terminava ad imbuto: in senso verticale, dall’ apertura interna del tragitto, che era nella parte più declive della sacca, al limite più alto verso la colonna vertebrale, misurava 26 cm. ed aveva la pro- fondità massima, cioé la distanza fra parete esterna ed interna, di circa 6 cm. a metà circa del terzo superiore. Il limite posteriore corrispondeva al seno costo-diaframmatico e le pareti costale e polmonale erano in parte, specialmente verso la periferia, coperte da false membrane molto aderenti, nel resto erano a superficie irregolare, rugosa, di color rosso-giallastro e in alcune piccole zone di color verdastro. Raschiammo le pareti sotto un getto di soluzione di sublimato ad 1 per 1000, le irrisammo abbondantemente con la stessa soluzione e allontanammo poi tutto il liquido dal cavo che tam- ponammo con garza. Data la srande distanza fra parete toracica e polmone, per rendere possibile la guarigione. procedemmo alla resezione parziale di coste, Sollevato il margine cutaneo anteriore, isolammo dalla pleura ispessita e dagli altri tessuti molli un lungo tratto della 11% costa di cui aspor- tammo, valendoci della sega del Gigli per le due sezioni, una porzione lunga 10 cm. La stessa Fig. 1 operazione praticammo nella parte posteriore, cioè resecammo un pezzo della 12* costa, lungo parimenti 16 cm. circa, nel quale era compresa la piccola porzione invasa da necrosi. Ad emo- stasia completa allontanammo il tampone dal cavo, che irrisammo nuovamente con la soluzione SERA di sublimato, asciugammo e, dopo abbondante polverizzazione di iodoformio, riempimmo di garza, e riunimmo con punti di sutura provvisoria i margini cutanei per impedire |’ uscita della garza. Appena rialzato l’animale, coprimmo la regione operata con uno spesso strato di garza e di cotone, che mantenemmo in posto con un bendaggio circondante tutto il torace. Le medicazioni successive, ripetute una volta al giorno. consistettero in irrigazioni con solu- zione di sublimato e nel riempimento del cavo con garza tenuta in posto mediante i fili della sutura dei margini cutanei (fio. 1%). Il bendaggio non fu più rimesso dopo la prima medicazione. La suppurazione, molto abbondante nei primi giorni, cominciò tosto a diminuire e con la sua diminuzione si notò una progressiva modificazione delle pareti del cavo, le quali divennero di un bel color roseo. Il soffermamento di pus non era possibile perché la garza era rinnovata, come abbiamo detto, ogni 24 ore e perché |’ estremità inferiore dell’ incisione corrispondeva esattamente alla porzione più inferiore della cavità. Questa andava gradatamente restringendosi. La puledra, che in seguito all’ operazione non aveva avuto elevazione termica ed aveva con- servato sempre ottimo appetito, la mattina del giorno 11 Gennaio rifiutò l'alimento, presentò abbattimento e la temperatura di 39°. Alla medicazione si notò una sensibilità eccessiva in corri- spondenza del moncone superiore della 11% e 12* costa. Coricata subito la puledra. ad un esame più accurato si rilevò la presenza di due piccoli tragitti, che dalla superficie granulante della porzione più alta dei margini della breccia toracica andavano fino ai monconi delle due coste, le cui superficie di sezione si sentivano alla specillazione scoperte, rugose. Spaccati i due piccoli tragitti e messe allo scorperto le estremità dei due monconi, ne resecammo ancora, valendoci della sega del Gigli, circa 2 em., fino al punto cioè in cui l'osso appariva sicuramente sano. Ottenuta l’ emostasia, facemmo rialzare 1 animale e praticammo la solita medicazione. La tempe- ratura alla sera dello stesso giorno ritornò normale e l’animale mostrò subito buon appetito e la sua abituale vivacità. I monconi delle coste si coprirono presto di tessuto di sranulazione, il cavo continuò a restringersi e dopo un mese circa le sue dimensioni erano ridotte ad un terzo di quelle che esso aveva al momento del secondo intervento. Il 2 Marzo la puledra usci dalla Clinica completamente guarita. La respirazione era norma- lissima. Molto manifesto era nel punto operato un infossamento a forma di doccia, nel fondo del quale era ben visibile una lunga cicatrice. Caso IT. — Cavallo sauro, di anni 7, di razza sarda, alto m. 1.55. uso sella. proveniente dalla Infermeria presidiaria di Ravenna, entrò nella Sezione staccata dell’ infermeria presidiaria li Bologna, istituita presso questa Clinica chirurgica, il 10 Settembre 1918. Dal Capitano Veterinario Doit. Poggiolini avemmo. particolareggiati dati anamnestici, che riassumiamo. Il cavallo, appartenente al Resgimento Lancieri di Mantova, ai primi di Dicem- bre 1917 nei dintorni di Galliera, essendo il suolo coperto di ghiaccio. cadde sopra un moncone di un ramo di un albero abbattuto e riportò una ferita penetrante al costato sinistro, alla quale sesui una pleurite. A primo tempo fu fatta un’ accurata disinfezione e, sviluppatasi la pleurite, fu applicato al costato un vescicante e furono somministrati degli eccitanti. Date le disagiate condizioni in cui si trovava il Reggimento in seguito alla ritirata e data 1 impossibilità di man- dare in una infermeria di sgombero il cavallo. questo per necessità fu dovuto tenere sotto una semplice tettoia. Dopo una alternativa di miglioramenti e peggioramenti. si iniziò la risoluzione della pleurite. Una seconda frizione vescicatoria portò notevoli effetti sui fatti pleurici, i quali alla fine di Febbraio erano completamente risolti. A tale epoca la febbre era scomparsa, era cessata la tosse, il respiro era abbastanza regolare, la ferita era molto ristretta. In Marzo ed Aprile fu fatta una cura ricostituente e fu somministrato dello ioduro di potassio. il che con- tribui a rendere ottime le condizioni generali dell’ animale. Però nonostante le cure locali appro- priate, il processo di cicatrizzazione si arrestò e rimase un tragitto fistoloso. Passato il cavallo nella. Infermeria di Ravenna, fu curata la fistola prima con irrigazioni con diverse soluzioni antisettiche, poi con soluzioni leggermente caustiche e quindi con causticazioni con cilindri di nitrato d’argento. Visto che le cure fatte non avevano portato ad un risultato soddisfacente e che il tragitto era ancora assai profondo, il cavallo fu inviato in questa Sezione chirurgica. Il cavallo presentava al terzo medio dell’ altezza del costato sinistro, fra la 11% e la 12° costa, un leggero infossamento, nel fondo del quale si notava una cicatrice irregolarmente rotonda, avente al centro una soluzione di continuo ulcerosa, rotondeggiante, delle dimensioni di una moneta di un centesimo. dalla quale usciva del materiale purulento-icoroso, di odore disgu- stoso, che scorreva nelle parti sottostanti dove, in parte essiccato. aderiva. Lo specillo penetrava nella soluzione di continuo, dal basso in alto, per circa 80 cm. Muovendo la punta dello specillo dall’avanti all’ indietro e viceversa, si riconosceva facilmente l’esistenza di una cavità molto grande in alto. verso la colonna vertebrale. Durante la specillazione e durante colpi di tosse artificialmente provocati, usciva in gran copia il materiale purulento-icoroso. Alla percussione si aveva al di sopra dell’ apertura delia fistola un suono sopra chiaro in un territorio molto circo- scritto, il quale era circondato da una zona a suono ottuso, limitata anteriormente da una retta che da circa 5 cm. al di sotto della soluzione di continuo arrivava all'angolo dorsale della sca- pola, posteriormente da una altra retta che partendo dallo stesso punto, andava verso l’articola- zione costo-vertebrale delle ultime false coste. All’ ascoltazione in tutta questa zona il murmure vescicolare era fortemente diminuito. La temperatura era normale, la respirazione leggermente frequente, ma i singoli atti imspiratori ed espiratori si compievano e si succedevano in modo regolare. L'animale aveva buon appetito ed era in ottimo stato di nutrizione. Facemmo diagnosi di fistola alla metà del costato sinistro, nello spazio intercostale fra la 11° e la 12* costa. con empiema circoscritto. ma di enorme dimensione, e decidemmo di pra- ticare l’ operazione. i Il 13 Settembre coricammo sul lato destro il cavallo, il quale era digiuno da oltre 12 ore e da circa mezz ora aveva avuto per via rettale 20 gr. di cloralio idrato sciolti in 200 gr. di acqua. Preparata convenientemente la parte, praticammo una incisione cutanea lunga circa 18 cm. dal- l'apertura della fistola in alto e lesgermente in dietro. Approfondimmo a strati a strati Ja inci- sione fino a raggiungere la 10%, 11%. 12° e 15* costa, delle quali resecammo mediante la sega del Gigli, dopo averlo isolato dai tessuti molli e. dal periostio, un pezzo di circa 4 cm. L’emor- ragia fu di poco conto e presto arrestata. Ottenuta | emostasia completa, sulla guida di una sonda introdotta nel cavo, incidemmo la pleura e la fascia toracica per circa 15 cm. secondo la direzione dell’ incisione cutanea. Usci subito una grande quantità di pus fetido, con piccole masse grumose e pezzi di pseudomembrane fibrinose. Assorbito con garza ed allontanato tutto il materiale, si potettero rilevare le dimensioni del cavo. Questo si estendeva in alto fino in corrispondenza delle articolazioni costo-vertebrali, in dietro fino al seno costo-diaframmatico, in alto e in avanti fin sotto l'angolo dorsale della sca- pola, in basso fino all’apertura della fistola, la quale era nel punto più declive ed a pochi cen- timetri dalla inserzione costale del diaframma, per modo che la cavità aveva la forma di un triangolo equilatero, non perfettamente regolare, con lati di circa 35 cm. ciascuno. La profon- dità massima era di circa 8 cm. e corrispondeva alla porzione centrale del terzo superiore del cavo; gradatamente la profondità diminuiva da questo punto verso la periferia, dove le due pareti, esterna ed interna, formavano un angolo strettissimo e verso il seno costo-diaframmatico erano quasi a contatto. Le pareti erano in parte ricoperte da essudato fibrinoso molto aderente e nelle zone scoperte erano rugose, dure, di color rosso oscuro ed in alcune zone di color verdastro. Praticato un leggero raschiamento delle pareti, irrigato abbondantemente con soluzione di sublimato ad 1 per 1000 ed asciugato nuovamente il cavo, questo fu riempito, dopo una polve- rizzazione di iodoformio, con garza, la quale fu mantenuta nella cavità con punti di sutura provvisoria dei margini cutanei (fi. 2* e 3°). La parte operata fu lasciata allo scoperto, cioè senza medicazione occlusiva, per evitare soffermamento di pus. Il seguito dell’ operazione fu dei più regolari. L'animale conservò sempre ottimo appetito e temperatura normale. Le medicazioni. ripetute una volta al giorno, consistettero in irrigazioni di soluzione di sublimato, in una polverizzazione di iodoformio e nel riempimento della cavità con garza. La suppurazione, abbondantissima dei primi cinque o sei giorni, andò man mano diminuendo, mentre le pareti acquistavano un colorito roseo ed il cavo si riduceva in modo ben manifesto. Serie VII. Tomo VII. 1919-1920. 27° Ai primi di Dicembre, pur essendo scarsissima la suppurazione, il restringimento della cavità sembrò essersi arrestato. Per accelerare la guarigione, il giorno 11 Dicembre ricoricammo il cavallo, ampliammo l’ incisione e resecammo circa 8 cm. dei monconi superiori della 10%. 117, 12° e 13* costa, cioè tutta la porzione loro corrispondente alla parete esterna della cavità. Questa. ad emostasia completa e dopo un irrigazione con soluzione di sublimato e una polverizza- zione di iodoformio, fu riempita di garza. Anche in seguito a questo iniervento l’animale continuò ad avere temperatura normale ed ottimo appetito. Nelle medicazioni successive qualche volta applicammo sulle pareti una piccola quantità di acido salicilico e poi riempimmo come solito il cavo con garza. Fio. 3 La cavità continuò a ridursi in modo sensibile. Dopo un mese circa. non potendo più mantenere in essa la sarza, facemmo la medicazione con polvere di carbone sterile. contenente il 10° di acido salicilico, medicazione che ripetemmo ogni tre o quatiro giorni. Alla fine di Febbraio il cavallo era completamente guarito della fistola e dell’'empiema, presentava però un abbassamento di tutta la pareie toracica sinistra, un profondo solco verticale SIE DNA SR in corrispondenza «del punto operato e in fondo ad esso una grossa cicatrice irregolarmente fusiforme, sollevamento del costato sinistro durante le inspirazioni meno accentuato di quello del costato destro ed alterazione di respiro per enfisema polmonale: ma al trotto prolungato ‘anche per alcune ore l’animale non mostrava affanno notevole. Desiderando rilevare la estensione dell’ aderenza pleurica e le alterazioni del polmone, domandammo Ja cessione del cavallo alla Clinica a scopo di studio. L’Amministrazione militare, in considerazione anche del fatto che l’animale era affetto da bolsaggine, accolse favorevol- mente la domanda. Il cavallo fu utilizzato per diverse operazioni a scopo sperimentale ed il 80 Marzo fu abbattuto. Dal protocollo di autopsia togliamo i seguenti dati. Le due pleure, parietale e viscerale, erano a sinistra estesamente saldate. Il margine superiore del polmone aderiva completamente alla parete dalla 3* alla 15° costa, il margine inferiore dalla 8° alla 15* costa. L' aderenza, la quale aveva una forma irregolarmente triangolare, misurava l'altezza massima di 40 cm. a livello della 10 costa, la larghezza di 45 cm. vicino alla colonna vertebrale, di 30 cm. a metà circa dell'altezza e di 10 cm. nella parte più inferiore. Il margine superiore del polmone per una profondità da 5 a 7 cm. era trasformato in connettivo fibroso, al quale succedeva con limite di demarcazione quasi netto il tessuto polmonale. In tutto il resto del polmone prossimo all’ a- derenza non si notavano alterazioni apprezzabili. * * * In seguito ad una ferita penetrante, accidentale, delle pareti toraciche degli animali dome- stici si sviluppa per lo più una pleurite diffusa perchè 1° agente feritore, ordinariamente molto sporco, inocula microrganismi piogeni e settici assai virulenti. Perchè si formi un processo infiammatorio e suppurativo circoscritto è necessaria, oltre alla presenza di germi in scarsa quantità e dotati di poca virulenza ed alla notevole resistenza dell’ organismo, la forma- zione sulla pleura, attorno al punto ferito, di un coagulo sanguigno o di un essudato fibrinoso che, stabilendo rapporti di continuità fra pleura parietale e viscerale, separino il resto del sacco pleurico dal mondo esterno. Il coagulo e |’ essudato subiscono un processo di rammollimento, di fusione, per l’ azione dei microrganismi e dei loro prodotti, il quale comincia nella parte centrale, in corrispondenza cioè della ferita, mentre sulla pleura per l’ irritazione determinata dai prodotti microbici, da quelli del disfacimento cellulare, dal- l’essudato e dal coagulo, che agiscono come corpi estranei, avviene sfaldamento endote- liale e si sviluppa un processo infiammatorio, il quale verso la parte periferica del foco- laio, dove il foglieito parietale e quello viscerale tornano ad essere vicini, è a carattere produttivo e determina tutto attorno un’ aderenza. Quesia limita quindi nel cavo pleurico una cavità di nuova formazione, il cui contenuto acquista più o meno presto i caratteri di materiale purolento-icoroso per gli agenti piogeni e seltici che possono essere stati tra- sportati dal corpo feritore e che vengono aspirati insieme all’ aria attraverso la ferita durante gli atti inspiratori. I’ uscita continua di questo materiale man mano che si forma attraverso la ferita, la quale gradatamente si trasforma in un tragitto fistoloso, rende meno facile la distruzione della barriera limitante l empiema. Questa barriera, con la trasformazione del proprio tessuto di granulazione in connettivo fibroso e talora in cartilagine ed in osso, diventa — 228 fi fe sempre più resistente e finisce per costituire un solido mezzo di isolamento del focolaio dal resto dell’ organismo, per cui gli animali, superato il periodo acuto del processo, non accusano più fenomeni generali apprezzabili e di solito si mantengono in condizioni di salute apparentemente ollime. Dato questo meccanismo di formazione degli empiemi circoscritti, è logico pensare che l'apertura accidentale della parete toracica debba corrispondere presso a poco alla porzione centrale della cavità suppurante. Se però si tiene conto della legge di gravità, si deve ammettere che | empiema debba estendersi principalmente al disotto dell’ apertura, seguendo l’ inserzione obliqua del diaframma. Invece nei nostri due soggetti la raccolta purulenta era al di sopra del tragitto fistoloso, il quale trovavasi proprio nella parle più declive della cavità suppurante. Lo stesso fatto si è verificato in modo più o meno manifesto anche nelle altre poche osservazioni di empiema circoscritto nel cavallo, come risulta dalle relative storie cliniche, ma nessuno ne ha fatla particolare menzione. Nel caso di Cadèac la fistola era fra la 7° e la 8* costa al di sopra della vena degli speroni e la cavità, della lunghezza di 35 cm. e della larghezza di 15 a 20 cm., si dirigeva in avanti ed in alto verso il terzo superiore della spalla. Nel soggetto di Rousselot non fu indicata la estensione precisa della raccolta in relazione alla sede della fistola, ma fu notata la esistenza di una zona di submattità tutto attorno alla fistola e rimontante a 10 cem. al di sopra e in dietro, a 3-4 cm. sola- mente in basso ed in avanti. In una delle osservazioni di Vachetia la maggior parte della sacca purulenta era al di sopra della fistola; dell’ altra osservazione non sono stati riportati dati particolareggiati. Spiegare perchè la raccolta purulenta si formi preferibilmente al di sopra della ferita delle pareti toraciche non è facile, perchè si urta contro la legge di gravità. Tuttavia crediamo di poter fare delle ipotesi che, basate su alcune nozioni di meccanica respira- toria, sembrano abbastanza attendibili. È noto che in condizioni normali la tensione elastica del polmone esercita una tra- zione continua sul foglietto interno della pleura e che, siccome la pleura è chiusa in tutte le parti ed aderisce col suo foglietto esterno alla parete toracica, la trazione viene tra- smessa a questa parete. Nei quadrupedì questa trazione elastica polmonale è maggiore nella porzione superiore che in quella inferiore perchè il polmone superiormente ha uno spessore più grande che al margine inferiore: nella parte posteriore del torace, corrispon- dente alle coste asternali, la parete toracica è più rigida in alto perchè le coste si arti- colano col capo ad una cavità intervertebrale e con la tuberosità ad una apofisi irasversa e queste due articolazioni permettono movimenti limitatissimi, è invece dotata di mag- giore mobilità nella porzione inferiore per la presenza delle cartilagini e perchè il movi- mento delle coste diventa sempre più esteso andando dalle loro articolazioni vertebrali verso le cartilagini. Quindi superiormente maggiore è la trazione polmonale e minore la mobilità della parete; l’ inverso si verifica nella porzione inferiore. Da ciò si può dedurre che un essudato fibrinoso, o un coagulo, formatisi ad una data altezza del cavo pleurico in seguito ad una ferita penetrante, invece di sottostare alla Ag legge di gravità, si debbano estendere in alto perchè nella porzione superiore del torace la forte trazione polmonale, essendo esercitata sulla parete quasi rigida, agisce presso a poco come forza aspirante. Le due nostre osservazioni ci confermano l’ esattezza di tale interpretazione. In tutti e due i casi la ferita era avvenuta nello stesso punto, la raccolta purulenta aveva la stessa sede e quasi le stesse dimensioni e, quel che più importa, la larghezza delle cavità aumentava gradatamente in alto, il che sta ad indicare che il materiale formatosi nel sacco pleurico in seguito al ferimento aveva trovato, procedendo verso la colonna verte- brale, condizioni sempre più favorevoli per la sua espansione. L’empiema consecutivo a ferita penetrante nella metà inferiore della porzione: poste- riore della parete toracica deve estendersi invece al di sotto della soluzione di continuo perchè la diffusione del materiale purulento è unicamente subordinata alla legge di gravità. Questi concetti non possono essere infirmati dal caso di Cadèac, perchè 1 empiema aveva altra origine e l’ apertura della parete toracica, praticata al di sopra della vena degli speroni, aveva seguito e non preceduto la raccolta purulenta e perchè la raccolta stessa corrispondeva alla porzione della cassa toracica formata dalle coste sternali. La diversa intensità della trazione polmonale e la diversa mobilità della parete nella metà superiore ed in quella inferiore del torace spiegano anche perchè nei nostri due casi la profondità delle cavità ascessuali, cioè la distanza fra le loro pareti esterna ed interna, era maggiore nella porzione sup-riore che in quella inferiore e ci fanno ammettere che tale profondità, a parità di estensione e di altre condizioni, debba essere sempre più con- siderevole negli empiemi sviluppati nella parte alta del sacco pleurico che in quelli a sede inferiore. l'uttociò vale per gli empiemi circoscritti sviluppatisi posteriormente, in corrispondenza cioè delle false coste; non ha valore per gli empiemi situati anteriormente perchè anche qui è diversa la trazione polmonale in alto e in basso, ma la estensione del movimento delle coste sternali è massima nel terzo medio della loro lunghezza, è minore nel terzo inferiore e più piccola ancora nel terzo superiore. * >» * Nelle poche osservazioni di empiema circoscritto, aperto, nel cavallo, che sono a nostra conoscenza, sono stati usati metodi curativi assai diversi. Nella osservazione di Cadèac, che abbiamo riportato fra i casi di empiema circo- scritto per ferita penetrante, trattavasi di una cavalla, la quale aveva presentato una pleurite sierosa bilaterale, che in seguito a diverse toracentesi si era trasformata a sini- stra in purulenta. Blin che l aveva in cura, aveva praticato la toracotomia a sinistra fra la 7° e la 8° costa al di sopra della vena degli speroni ed aveva impiantato un grosso drenaggio. Durante una medicazione, il tubo di vetro dell’ estremità dell’ irrigatore si ruppe ed una porzione di esso, lunga 9 cm. e del diametro di 5 mm. cadde nel sacco pleurico — 230 — e non fu potuta. estrarre. La ‘cavalla lentamente migliorò, scomparvero i fenomeni gene- rali, ma rimasero, oltre ad un infossamento della parete toracica nel punto operato, un empiema circoscritto ed una fistola, dalla quale usciva abbondantemente il pus dell’ em- piema, per cui l’animale fu riformato e ceduto alla Clinica medica della Scuola veteri- naria di Lione. Cadèac, dopo un accurato esame dell’ animale, decise di estrarre il corpo estraneo, ritenuto causa della persistenza della suppurazione. A tale scopo praticò una incisione seguendo esattamente la cicatrice della prima operazione, ed un’ altra incisione perpendi- colare alla precedente e diretta in avanti per mettere allo scoperto la 7° e la 8* costa, il muscolo intercostale e la fistola; ingrandì leggermente il tragitto fistoloso; segò la 7° costa a 3 cm. circa al di sopra del tragitto e ne discostò 1’ uno dall’ altro i due monconi allo scopo di poter entrare prima con due dita, poi con la mano intera, nella cavità suppu- rante. Allontanato il materiale purulento, estratto il pezzo di tubo di vetro ed irrigata abbondantemente la cavità, lasciò la ferita beante per facilitare lo scolo del pus. Nono- stante accurale medicazioni, dopo 5 mesi esisteva ancora la fistola. Un giorno la cavalla si spaventò, si rovesciò e riportò una frattura all’ arto posteriore destro, per cui fu dovuta abbattere. All’autopsia si trovò, oltre ad una sinfisi pleurale estesa a tutto il sacco sini- stro, una cavità suppurante, larga 2-3 cm. e profonda 6 cm. a livello della fistola. Rousselot in un cavallo con empiema per ferita penetrante fra la 7° e la 8% costa del lato destro, prodotta da una estremità di un banco su cui | animale era caduto, si limitò a principio ad ingrandire leggermente la fistola e ad applicare un drenaggio a permanenza, il quale però dopo due giorni scomparve. Dopo quattro giorni sbrigliò ancora la fistola in modo da ottenere un’ apertura di 10 cm. Un mese e mezzo più tardi, persi- stendo la fistola, ripetette lo sbrigliamento. Siccome la cavità non tendeva a chiudersi, propose la riforma del cavallo. Rousselot dice di aver avuto occasione di vedere dopo un mese il cavallo, il quale faceva buon servizio, e di aver constatato che la fistola era chiusa. Vachetta in una puledra con frattura di una costa, prodottasi in una caduta, con fistola ed empiema, ampliò il tragitto, con un catetere vuotò il cavo e fece iniezioni con soluzione acquosa satura, calda, di acido salicilico. Ripetette varie volie quesie iniezioni e adoperò talora anche la soluzione borica e quella fenica. Di questa osservazione non sono stati riportati altri particolari, è detto soltanto che l’ animale dopo varie peripezie guarì. Nel secondo caso di empiema per ferita penetrante, prodotta dallo sperone in una caduta, Vachetta fece a livello della fistola, che risiedeva poco al di sotto della metà dell’ altezza della parete toracica destra, fra la 10% e la 11° costa, due incisioni parallele rasente il margine posteriore della 9% costa ed il margine anteriore della 11°, lunghe circa 10 cm.; le unì in alto ed in basso con due altre incisioni orizzontali; approfondì le incisioni fino alla pleura; troncò in alto ed in basso nelle ferite trasverse la 10° e la 11° costa ed asportò in tal modo uno sportello della parete toracica. Allontanato tutto il materiale purulento, in corrispondenza della parte più bassa della cavità fece una con- — 231 — {roapertura ed applicò un drenaggio. Le medicazioni successive consistettero in irrigazioni con soluzioni antisettiche. Dopo una ventina di giorni fu tolto il drenaggio e |’ animale non fu più medicalo. La guarigione avvenne in circa 6 settimane. Dai diversi metodi di cura usati e dai diversi risultati ottenuti nei casi sopra riferiti non è possibile trarre delle norme generali per la terapia di questi empiemi. Risulta infatti che in un empiema la guarigione si ottenne con le semplici iniezioni di soluzioni antiset- tiche; in un altro, in cui la toracotomia e le irrigazioni non avevano dato buon risultato, tanto che l’ animale era stato riformato, la guarigione avvenne un mese dopo che era stata sospesa la cura; in un altro dopo oltre .5 mesi che erano state praticate la toraco- tomia e la sezione di una costa non era avvenuta ancora la guarigione, e null’ ultimo, trattato con asportazione di una porzione di parete toracica, la guarigione avvenne in circa 6 sellimane. Inoltre gli interventi operatori impiegati non sono esenti da qualche critica. Ad esem- pio, la semplice sezione di una costa, fatta da Cadèac unicamente per permettere la penetrazione della mano nella cavità dell’ empiema, non sembra giustificata, perchè gli spazi intercostali nel cavallo sono tanto ampi che è possibile con la semplice toracotomia avere una breccia sufficientemente grande per il passaggio di una mano. La asportazione di una porzione di parete toracica, fatta da Vachelta nel secondo caso, è un metodo troppo radi- cale, il quale mentre non presenta nessun vantaggio di fronte alla toracotomia con rese- zione parziale di coste, porta ad una perdita di sostanza che difficilmente può ripararsi in un tempo pari a quello.in cui avvenne la guarigione del soggetto, nel quale il metodo fu applicato. Costituisce poi una inutile complicazione la controapertura con 1’ applicazione del drenaggio dopo aver fatto una grande fenestra sulla parete: per impedire il soffer- mamento di marcia sarebbe stato più razionale prolungare la grande apertura fino al limite più basso della cavità purulenta. : Sulla base delle nostre osservazioni e dei risultati ottenuti da altri con metodi cura- tivi diversi in casì di suppurazioni pleuriche unilaterali, chiuse, limitate e diffuse, cre- diamo di poter indicare i seguenti criteri che dovrebbero seguirsi nella terapia degli empiemi di cui ci occupiamo. Per impedire lo sviluppo della pleurite e per accelerare il processo di cicatrizzazione nelle ferite penetranti del torace, negli animali si è ricorso abbastanza spesso alla appli- cazione di un vescicante (Noguies, Mauri, Cuilié, Rousselot ed altri), metodo di cura delle ferite in generale esclusivamente veterinario, tramandatoci dai vecchi ippiatri. Il vescicante, auando la pleura è già infetta, non può impedire lo sviluppo dell’ em- piema; è inutile, dice Cadèac, chiudere la porta d’ entrata quando il nemico è già dentro. Tutto al più una forte frizione vescicatoria sulla parete toracica in questi casi può favorire ed accelerare la formazione di aderenze fra la pleura parietale e viscerale e con- tribuire perciò a rendere meno esteso il processo suppurativo. Ma di fronte a questo effetto discutibile, il vescicante presenta l'inconveniente di rendere per qualche tempo la parte in condizioni inadatte per un eventuale intervento cruento, per cui ad esso si deve prefe- rire la ordinaria medicazione rigorosamente asettica della soluzione di continuo. Formatasi la raccolta puralenta, non basta favorire la uscita del pus man mano che esso si forma ed iniettare frequentemente soluzioni antisettiche nel cavo. Tale procedi- mento, consigliato anche da Vachelta, da Moller e Frick e da altri, e impiegato mediante un sistema molto semplice di sifonaggio da Hoffmann in un empiema chiuso in un cavallo, può riuscire pericoloso per assorbimento della sostanza antisettica, non è sufficiente in generale a distruggere | infezione e, specialmente negli empiemi di vecchia data, non fa ottenere la necessaria modificazione delle pareti della cavità perchè possa avvenire la guarigione. Risultalo più sicuro si ottiene invece con lo sbrigliamento della fistola, con la con- troapertura nella porzione più declive della cavità, con | applicazione di un grosso dre- naggio, preceduta o non dal raschiamento delle pareti suppuranti a seconda delle loro alterazioni, e con le irrigazioni con soluzioni fisiologiche o con soluzioni antisettiche a scarso potere tossico. Blin propose la trapanazione della costa per dare passaggio al drenaggio, proposta che naturalmente nessuno ha creduto conveniente di mettere in pratica. La toracotomia, la fognatura e le irrigazioni sono state consigliate anche da Lan- zillotti, da Cadèéac, da Cadiot e Almy e da altri per le suppurazioni pleuriche in generale, e con questo metodo in empiemi chiusi ottennero la guarigione Bergeon in una vacca, Skott, Grae in cavalli, ebbero invece insuccessi. Hoffmann, Gautier in cavalli. Questo trattamento curativo può dare buon risultato negli empiemi recenti, o di vec- chia data, ma piatti; invece negli empiemi che hanno una notevole profondità, la tora- cotomia, la fognatura e le irrigazioni non fanno ottenere la guarigione perchè la parete toracica non può abbassarsi fino a raggiungere la superficie pleurica polmonale, nè il polmone per le alterazioni della relativa pleura e talora, nei processi molto vecchi, per le alterazioni del lessuto interstiziale e del tessuto proprio, può espandersi, per eni la cavità non si chiude. A ciò va aggiunto che | atlività neoformativa delle pareti del cavo è sempre molto scarsa. Di queste speciali condizioni, che sono ben note in chirurgia umana e che costitui- scono le cavalteristiche essenziali degli empiemi che indichiamo come cronici, in vete- rinaria soltanto Cadiot e Almy, Dauriac hanno fatto un brevissimo cenno. Per ottenere la guarigione di questi empiemi cronici, Tuffier fece nell’ uomo dei tentativi di obliterazione della cavità suppurante, dopo averla accuratamente sterilizzata, con innesti di tessuto adiposo. Nonostante i soddisfacenti risultati ottenuti recentemente anche da Taddei, questo metodo non ha incontrato molto favore presso i chirurgi del- l’uomo e non entrerà mai nella pratica veterinaria. La chiusura del cavo si può ottenere soltanto col riavvicinamento delle sue pareti provocando o l’ affondamento della parete toracica, o 1° espansione del polmone. Nella specie umana, come è noto, per 1° affondamento della parete si usano i metodi di toracotomia di Estlander, di Schade e di altri, oppure i metodi di toracoplastica di Ruggi, di Delorme, di Quenu, ecc., consistenti essenzialmente, î primi nella sop- — 2938 — pressione delle coste in tutta la estensione della sacca purulenta, i secondi nella forma- zione nella parete costale, mediante una doppia sezione, di un lembo, il quale si può spostare verso il polmone: per 1° espansione polmonale si adoperano il metodo della decor- ticazione del polmone, proposto da Delorme, col quale si libera il polmone dall’ involuero neo-membranoso che gli impedisce di dilatarsi e di riempire la cavità, oppure il metodo dell’ aspirazione continua proposto da Revilliod e da molti attribuito a Buelau. Negli animali domestici crediamo che debba essere sempre preferito 1° affondamento della parete toracica, perchè i metodi per 1° espansione del pomone sono meno pratici e danno risultati più incerti. La decorticazione polmonale infatti, la quale fino ad ora non è stata mai praticata in veterinaria, presenta gravi difficoltà, talora è impossibile eseguirla, come ad esempio nel secondo caso nostro, in cui il polmone nella porzione superiore era sclerosato fino ad una notevole profondità, e nell'uomo ha dato un gran numero di insuccessi. Tentata 71 volte da Violet, è riuscita 41 volte facile, 6 volte difficile e 24 volte impossibile. L’aspirazione, consigliala in veterinaria da Silbersiepe e adoperata recentemente con successo da Dauriac in varii cavalli con empiema acuto per ferita penetrante da arma da fuoco, non fa raggiungere lo scopo negli empiemi cronici perchè il polmone retratto, sia per |’ aderenza delle pareti alveolari prodotta dalla prolungata compressione esercitata dall’ essudato, sia per lo strozzamento degli alveoli stessi causata dalla retra- zione connettivale in seguito a polmonite interstiziale cronica per diffusione del processo infiammatorio pleurico, ha perduto la sua capacità di espandersi. Mmoltre il metodo del- l'aspirazione continua è difficilissimo ad applicarsi, specialmente nei grandi animali. Nei due cavalli con empiema cronico da noi curati, per |’ affondamento della parete toracica abbiamo creduto opportuno usare un metodo corrispondente a quello adoperato da Estlander nell’ uomo, poichè ci è sembrato il più semplice ed il più pratico nei grandi animali, nonostante che la toracotomia con resezione parziale di coste, secondo Moller, Degive, Frick e molti altri, non abbia trovato nessun impiego in veterinaria e sia stata ritenuta da Hoffmann una operazione non conveniente per la sua gravità e perche la cura è molto lunga. Il buon risultato di questo intervento dipende unicamente dalla estensione della rese- zione costale, la quale deve essere subordinata alla grandezza dell’ empiema. Non basta nella grandissima maggioranza dei casi resecare 10 cm. di una costa soltanto, come consi- gliano Silbersiepe, Frick e molti altri. In un cavallo con empiema chiuso, operato da Gautier di toracotomia con resezione di circa 8 cm. di una costa, dopo 16 mesi dal- l'operazione esisteva ancora la fistola. Piuttosto che praticare in una sola volta una vasta resezione costale, proporzionata alla grandezza della cavità suppurante, crediamo che sia preferibile procedere a tappe, cioè completare con una o più resezioni ulteriori i risultati di un primo intervento. È vero che in questo modo si ritarda di qualche giorno la guarigione, ma si ha il grande vantaggio di resecare le coste nella misura strettamente necessaria e di avere quindi la consecutiva deformità della parete toracica nelle minori proporzioni possibili. — 234 — Una questione di capitale importanza è quella della convenienza economica di un simile intervento negli empiemi circoscritti cronici. Esso naturalmente non può essere con- sigliabile che quando il valore e la destinazione degli animali lo consentano e quando l’empiema non è molto grande. Negli empiemi circoscritti, ma di dimensioni molto rile- vanti, deve tenersi presente che a secondo tempo, restando inevitabilmente una vasta ade- renza ed una corrispondente riduzione della capacità funzionale del polmone fissato, si possono avere enfisema più o meno esteso e forse scoliosi a concavità verso il Jato operato. BIBLIOGRAFIA Bayer. — Operationslehre. (Handbuch der tieràrzilichen Chirurgie und Geburtshilfe). Ediz. 4". Wien u. Leipzio 1910. Bergeon. — Pleurésie purulente traitée par la thoracentese chez la vache; suérison. Rev. Vét. 1907 p. 505. Blin. — Lavages antiseptiques dans. le sac pleural malade. Bull. de la Soc. centr. de Med. Vet. 1898 p. 375. Bourgeois et Lanormant. — Compendio di patologia chirurgica. Trad. Italiana. Vol. 2°. Milano. Edit. Vallardi. Cadéac. — Patologie interne des animaux domestiques. (Encyclopèdie vétérinaire). Vol. 5°. Paris 1897. 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UD Mod(1+-3tg°£,) , Modig’L, (0 Vflizz ped ; 12 Po 2: Nî (LI (14) log (Ssen0),) = log 8 — BA le quali ci danno in forma abbastanza semplice i valori di log(Scos@,) e log(SsenB,) da cui si deduce (15) logtg0, = log(Ssen9,) — log(Scost,) (16) logS= log (.Ssen0,) — log sen), = log (Scos0,) — log così, Il problema sarebbe così risoluto, giacchè avuto 0,, il Teorema di Clairaut ci darebbe; 7 (17) send, =— sen@ senB, = — sen0 ove #,, 7, sono respettivamente i raggi dei paralleli alle latitudini L, ed L, e »;, quello alla latitudine 4, che conosceremo fra poco. — Se non che, dal punto di vista del calcolo numerico, le precedenti (17) si trovano in condizioni critiche pei valori di 0, e 0, molto vicini a 90°, giacchè allora i seni di questi archi e, a fortiori i loro logaritmi, variano pochissimo, e non si può, colle ordinarie tavole logaritmiche a 7 cifre decimali, raggiungere una sufficiente precisione nel passaggio dal logaritmo del seno all’ arco corrispondente : è perciò preferibile tenere altra via procedendo nel seguente modo : III. Applichiamo la (3) come abbiamo fatto per la latitudine e per la longitudine, fra i punti 4/34, e M,3/,; avremo le equazioni ESS o cOSsìL > 0 o? NI (a) 2 S°sen9 cos + d —— S°così sen@ Le È Ù 8Nîsen JE: ù Ù (ZL 18) (@ == 1800 Soa (ESC) RENI Seni 0* 8Nisenl 5+62"9, o lPgiez, La +! S°sen0, cos, — 2% Sisenî9 +... 48Nîsenl' ù ° 48Nîsenl 9 gL 1+2I2°L, _ COTE lo{(O-==0998= 3602 === ie n Hosen siSenh RE 2 seni È 0° 8N?senl!"" OSO 8 Nîsenl!' 2 d 5+6tg°#, lepre» mis i S°sen°B, 30050 48 Visenl ( Sentleos== LL o 0° 48Nîsenl" le quali, combinate per somma e per differenza, ponendo per .Scos9 e Ssen@ i loro valori approssimati a e 8, riunendo in un solo termine i due termini in a68 ci danno 1+2ig°Z, +0dcos°L, Ò Ss Nisenl" ab+... O = fi Rane Do iL, SONO Jr So 1+-2t9 LN E 2 senl"' 48Nìsenl" 48Nisenl'"* 1 (0, —0,)=—90°+ le quali, alla loro volta, combinate pure somma e per differenza, ci danno finalmente (0,+0,) + 30%) 0,=10,+0)—10,—0). 0 2 IV. Tutto quanto precede presuppone però la conoscenza della latitudine £, del punto M, alla quale si riferiscono i valori di p,, N (£Zy; per avere questo valore Z,; s RR IAA, osserviamo che, sommando la (4) e (5), si trova, ponendo ZL, = Sa ioL i 3 ‘O NIUE S CIV /0 TANA 3 Lnu= LT = S°sen0,— —d - o__S°costo, +... 8P,Nsenl 16 p,Nsenl la quale ci dà, ponendo per Scos@, e Ssen0, i valori approssimati a e 6 spia 1 ia 5 5 È GODI 1 (23) I IE DI x ) (Pe (9) Sé 20 2 8senl pl 16 senl” p,A Oslo 90 la quale ci mostra che Z, differisce da L,, per quantità di 2° ordine; per cui possiamo, con sufficiente approssimazione, calcolare la precedente ponendo nei termini di 2° or- dine Z,, in luogo di L, e, per 8B e a respettivamente, i soliti Joro valori approssimati N,,c08Ly,A0''senl'' e PniL'senl" e si ottiene così senl!' N o” DI (24) L=Llmt ———" " sen2 Ly, Au" e ea 16 DE 16 Narn VE Le Formole riepilogate in ordine di calcolo sono dunque le seguenti (indicando con | ] i logaritmi delle respettive costanti) = (1 (/p Sn JE DE; Ao'!'— (O, =.) )O Io = -__| 2 2 1 9 = L,+[3 ARUST10] "sen A! Bf, 18590—10]f? oa Pm Na Lo = pel'senl' 8 = Moeosk,do'senl'" ci a Mod 1-+ 3te°L log (Scos0,) = loga + A4,6°+... (avendo posto : A = DA a 4 k o Alto Mod 1+ 3tg°L log (Ssen0,)=log8—B,a°+Ct2°L,l DL, » a CEL) 12 PA Mod ( » (= nti a ) 12° logtg0, = log (Ssen9,) — log (Scos),) = log (Ssen@,) + Colog (Scos?,) logS = log(Ssen@,) — log.Ssen9, = log(Scos@,) — logcos@, e le altre relative agli azimut 1 € 1+2t9°L+0dcos° ZL) = (eu 0) '— 970°+ O, + D,a8 +... (avendo posto D = Dia Sk na DAE 8N°senl LIT PES (gL, 6+E ae6—F.B+ ( Foe 5 + 6te°L DINI SOR TA Dr 2N,senl" Lat Q; Dod 4 —sni 1+2tg°Z \ : pr or ( f 48 N°senl n) 1 Il Ty; Il e nelle quali le quantità A, B, €, D e E ed Y possono essere ridotte a tavole. VI, Se i punti distano fra loro solo 70-80 chilom. si possono trascurare a, 8° e a8; 2 nella (24) si può anche trascurare il termine in AZ'' che è assai più piccolo di quello 9 in Ao", ed inoltre si può ritenere g = N, per cui in questo caso si ha L= Lm+[3.48145—10]sen2zyAo" +... Scos, = a = pAL'senl" SsenB, = 8 = N,cosL,Ao''senl" Uni oe N,cosL, Ao I PEA * / > 9 9 9 È 9 ri ( ) = i piAL''sen’1'+ Nicos°z, Ao'senÈ1 È pAL'senl' Neos, do''senl' N ICOS o en sen0, (*) Questa relazione ci mostra che, in questo caso, la lunghezza dell’arco è uguale alla ipotenusa formata sugli archi di meridiano e di parallelo sottesi respettivamente da AZ e Aw alla latitudine Zo, — 259 — e le altre relative all’azimut - (+0) = 370°+9,+.. l o tgL, SOIL DIO nl! (a) ao riu li s do senZ, Il ] ] 1 O,=-(0,+0)+- (0-0) (elena . Se i punti sono ancora più vicini (30-40 chilom.) si può assumere senz'altro LZ, = Zm, nel qual caso la (a) diviene (non considerando la costante — 270°) (0,—0,)'= A@'senLm e si ritrova così la notissima-espressione che ci dà la convergenza dei meridiani fra brevi distanze. VII. Il procedimento può essere ridotto ad un modello di calcolo del genere di quello qui unito, sul quale è stata fatta applicazione del metodo fra i punti compeusati della triangolazione di 1° ordine italiana (*) « M. Giovannicchio - Isola di Lissa » distanti fra loro circa 133 chilometri e, come vedesi, il ritorno è perfetto fino alla 7% decimale del logaritmo della distanza e fino ai centesimi di secondo negli azimut. — Applicando agli altri due punti (pure compensati) « Punta Maggiore di Monte Nieddu (Sardegna) - M. Capanne (Isola dell’ Elba) » distanti circa 232 chilometri, si trova la differenza di circa una metà nella 7% decimale del logaritmo. della distanza (corrispondente a circa 0".07) e di circa 0".2 negli azimut; — risultati questi che, data la relativa sempli- cità del calcolo (che solo per pochi logaritmi richiede la interpolazione esatta mentre per tutto il rimanente si possono adoperare cinque sole cifre dei logaritmi stessi) non possono dirsi disprezzabili dal lato teorico mentre si possono largamente accettare nel campo pratico. Si unisce anche una tavola nella quale sono dati di 10 in 10 primi a 8 de- cimali i logaritmi di psenl'" e Nsenl' e, a cinque decimali, quelli delle quantità A, B, C, D, E ed F. — Per quanto le variazioni di questi ultimi logaritmi non si mantengano troppo costanti, tuttavia colla interpolazione se ne possono avere i valori a meno di qualche unità della 5* decimale il che, nella massima parte dei casi della pratica è sufficiente. (*) Cfr. Elementi della rete geodetica fondamentale a Nord ea Sud del paraltelo di Roma, pub- blicati dalla R. Commissione Geodetica Italiana. - Firenze, lip. Barbera. - Anni 1908 e 1919. —_—__n-s 53 == nr_ omop md ue n Is0a LE0a [661 SFOl Q061 9GLI 6891 OSOI ‘o[iquinosemg ezuongui gun 10900 LIB 1 0aF69 ‘E GarLo ‘e terco ‘€ Pocso ‘e saLlo ‘€ F166S ‘€ cFISS ‘€ TIF9G ‘E dI SOI 6OSI OESI GLPI 9GFI OSSEI CI 6PEI [Sre(6}SOR) 10&F9 ‘0 8aec9 ‘0 ‘ 80609 Ia6FS 0 TFEES ‘0 coazS ‘0 SÌ SI60S mm ded — ‘1 UOSA 9806 LE0e 8861 SPOI SOSI PESI SISI SOLI 0agLa ‘I Daci GERE I _ 68860 T661a LEI0a SESSI ‘I 8€8F1 ‘I FIGI I SOFII I q $0] 19 | Ita ‘gomnad ur ‘ay a]euoep QuIpio 5 pod oqoue ‘mid EOLFO SOLF6 EO8F6 808F6 SISF6 ‘I 8ISF6 ‘I €8F6 ‘I 8&8F6 ‘I CE8F6 9 501 Gage Psee 9068 Gole cele L606 90€ Vede ‘ [e g1ng ‘o LPL6G | GepLe a | 8EISS | FOsee 88906 ‘a GISSP LBGOP ‘è OG6aFE ‘è gacar ‘è 00z0F ‘& coT8E | FFo9s OGEa 6806 Tlaa 890€ EE0T 666I 9961 8066a ‘a SUILS 688Fa ‘a 0F93 ‘a 6aFO0= ‘& CeagI ‘@ SIIOI 9IOPI ‘è 8FOII GI660 ‘è OT6LO 8 ‘193 9 ‘063 6 ‘8a I‘L7E 0 ‘che f' 6P66 (e 0) 696 COA40) 68816 6 PE68 è 898 st ° nm rt 0 8° €89L 8° 86PL P 9612067 ‘I u LUOSAZ SO] 10p garun ogogenb rp ezzogiooui ] gyoovis ope ;] ip egonh QQuUADpns ‘1joA ul UOSO auorojooo owrid od 0]08 2110900 opeid ga Ip QuozejodioruI ,T — "IN S ‘09. 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Ruggi — Ancora del taglio ad VU rovesciato delle pareti addominali (con una ficura) G. Martinotti — Sulla vaccinazione antitubercolare . A. Righi — Sulla teoria della relatività e sopra un progetto di esperienza decisiva per la necessità di ammetterla (con una figura). A. Razzaboni — Sulla trasformazione delle curve a torsione costante in Geo- metria iperbolica A. Cavazzi — Effetti dell'aggiunta di parecchi sali ad una soluzione satura di cloruro di sodio V. Peglion — Intorno ad alcune infezioni diffuse di Cuscuta racemosa Mart. osservate in Italia U. Puppini — La resistenza trasversale degli scafi (con due figure) I. Novi — Un trentennio di servizio antirabico nell’ Istituto di Bologna A. Baldacci — Il viaggio botanico del Pancich nel Montenegro (1873) M. Rajna — Osservazioni meteorologiche dell'annata 1919 eseguite e calcolate dall’ astronomo R. Pirazzoli nell Osservatorio della R. Università di Bo- logna » 69 UL») S3 S9 1S5 — 264 — F, Cavani — Sulle condizioni di esattezza degli istrumenti di Geometria pra- tica . A. Ghigi — Vertebrati di Cirenaica raccolti dal Prof. Alessandro Ghigi nel- l'escursione organizzata dal Touring Club Italiano (15-24 aprile 1920). P. Albertoni — Alerazioni termiche e lesioni trofiche nei processi morbosi (con 8 figure) A. Baldoni — Contributo alla patogenesi ed alla terapia degli empiemi circo- scritti, cronici, consecutivi a ferita penetrante delle pareti toraciche, nel cavallo, con due casì clinici (con 3 figure) D. Majocchi — Sopra due casi di Derinato-myiasis muscosa da Lucilia Seri- cata. Contribuzione clinico-istologica (con 4 figure) F. Guardueci — Su « problema inverso » delle coordinate geografiche (con una tavola) FINITO DI STAMPARE DICEMBRE 1920. Pas. » 191 197 213 PRINRZII DD «nr D? DID pp» DD ID ):»> Db 2) DI > )) IND > > IR). >. wp») Do PIPDI DI / DI >») »xibPp)» 2)D DE 2)» YI IO». 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