G fé. 07 MEMORIE DELLA li. ACCADEMIA DELLE SUENZI DELL'ISTITUTO DI BOLOGNA Sebbeviti=:T.0 MO-::HÉ Fascicoli Primo e Secondo. za Si ei S BONONIENSI® è CIENTIARVMINST Ce ACADEMIA Z BOLOGNA TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI 1905 MEMORIE DELLA h. AGGADEMIA DELLE SUENZE IDE RESISHINRB RIO DI BOLOGNA SERIE E RMRSINIONE As, NOENSIS in) M CN Quirino eco BOLOGNA TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI 1905 PURPURA ANNULARIS TELEANGIECTODES MEMORIA Prof. DOMENICO MAJOCCHI DIRETTORE DELLA CLINICA DERMO-SIFILOPATICA NELLA R. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA (letta nella Sessione del 12 Febbraio 1905) PARTE II. Seconde ricerche istologiche su pelle tolta dal vivo. (Caso VI). — E ora passo alla descrizione del reperto, ottenuto dall’ esame istologico della pelle della paziente Masi Giulia, sulla quale ho potuto fare due diopsie, come dissi più sopra nella storia clinica. Questo reperto sarà messo a riscontro con quello precedentemente eseguito sulla pelle del neonato (Caso I.), affine di vederne le somiglianze e di vagliarne le differenze. I due lembetti di pelle furono conservati per due terzi in a/coo! assoluto, e per il rimanente nel liquido di Flemming e da questo successivamente in alcool a diversi gradi di concentrazione. Da ultimo i lembetti cutanei, divisi in più parti, furono tutti chiusi in paraffina. In questo caso importava investigare segnatamente le alterazioni vasali, rivelantisi clinicamente colle felangettasie e colle emorragie, e nell’ istesso tempo era d’uopo ricercare le ragioni dello stato ipotrofico della pelle, consecutivo alle alterazioni suddette. A tal fine furono messi in opera diversi metodi di colorazione, perchè meglio spiccassero alcune parti costitutive della pelle, e perchè così risaltassero le lesioni più importanti in questa dermatosi. Fra i diversi metodi di colorazione furono prescelti: 1° La soluzione di emallume ; 2° La doppia colorazione di tionina e di eosina; 3° Di orceina sola (lànzer-Unna) DEA rat e di tionina e orceina; 4° Di ematossilina e di carminio ; 5° di saffranina sola o di saf- franina e di ematossilina; 6° di carmallume e di carmallume ed orceina. Premetto che nell’ esame istologico ho tenuto conto, sia della pelle compresa entro la figura annulare (area atrofica), sia di quella formante 1 anello emorragico-telangettasico. Più tardi si comprenderà la ragione di questo modo di procedere nel detto esame. A) Esame della pelle compresa entro la figura anulare. — Osservando con piccolo ingrandimento qualsiasi taglio microscopico, colorato con uno dei diversi metodi sopra mentovati, si fa subito palese una notevole riduzione di tutti gli strati della pelle. L' epidermide, ove è sottilissima e mancante di zaffi malpighiani (Fig. 1° Tav. HI), ove è alquanto più spessa e fornita di rudimentali sporgenze coniche, o semilunari, o rotondeg- gianti appena accennate, avanzi dei zaffi malpigliani stessi. Inoltre essa non si presenta sopra un piano orizzontale, ma forma una linea irregolare per molteplici affondamenti imbutiformi, talvolta equidistanti. Lo strato Mal/pighiano in alcuni tratti risulta di pochi ordini cellulari, fatti da cellule piccole, specie nello strato basale, e poco recettive per le sostanze coloranti: in altri è alquanto più spesso ed ivi figurano le sporgenze malpighiane. Lo strato granuloso non è evidente in qualche punto della sezione microscopica, altrove invece apparisce costituito da un solo ordine di cellule alquanto rigonfie e pallide e assai povere di granuli di cheratojalina. Negli strati soprastanti al graruloso gli elementi epiteliali non caratterizzano in maniera , distinta lo strato /ucido; si mostrano qui tutte cellule piatte, sottili, assai ampie e specie quando sono isolate, alcune fornite di un nucleo eccentrico, di scarso protoplasma, colo- rabile appena con emallume, o con saffranina: altre invece in minor numero di aspetto squamiforme, costituenti lo strato delimitante esterno ; in una parola gli elementi epidermici sì trovano qui imperfettamente cheratinizzati (stato paracheratosico). In qualche sezione però si scorgono negli affondamenti imbutiformi sudescritti ammassi di elementi cornei sottili, secchi in atto di distaccarsi dal rimanente dell’ epidermide sottostante. Mancano elementi emigratori negli spazi intercigliari e questi sono assai poco appariscenti: scarsa è la quantità del pigmento nello strato basale. Il derma anch’ esso molto ridotto nella pars papillaris, mancando di papille, o essendo queste appena abbozzate in alcuni punti del taglio microscopico : e ciò in correlazione colle condizioni su descritte dell’ epidermide. Al contrario quei grossi rialzamenti conici, 0 rotondeggianti del derma, posti tra gli affondamenti dell’ epidermide, non possono consi- derarsi come papille, sibbene come sollevamenti accidentali del derma, dovuti a fatti di retrazione del connettivo in punti bon determinati, come si dirà più tardi. In alcuni tagli però, come effetto di maggiore retrazione dermica, si scorgono grandi sporgenze dermo-epidermiche assai lunghe, leggermente curve, di solito in forma conica, acuminata, o anche semilunari, quali sì incontrano in produzioni papillomatose. D’ ordinario si trovano due, o anche tre per ogni taglio microscopico, e sono costituite da una sottile lingua di derma, rivestite da uno strato fine di epidermide. Lo stesso fatto non è raro in altre malattie della pelle, allorchè questa per condizioni morbose analoghe viene a cadere in atrofia e a subire retrazione in punti diversi. pia Anche lo strato areolare del derma è dappertutto ridotto, sebbene irregolarmente, per modo che risulta di varia spessezza, ora divaricandosi in alto verso lo strato papillare, ora rientrando con lunghe propaggini entro il derma. Sebbene si mostri assai compatto a mediocre ingrandimento, nullameno apparisce qua e là cribrato da piccoli vani di varia forma e grandezza, ì quali devono riferirsi a lacune linfatiche ettasiche, come meglio dirò più tardi parlando dell’ anello emorragico-telangettasico. Tuttavolta i: fasci collageni sono fortemente serrati fra di loro, di aspetto ja!ino e disposti in direzione orizzontale e obliqua, intrecciantisi colle maglie della trama elastica. E qui cade a proposito di rilevare che nei tagli colorati coll’ orceina il tessuto elastico ha subito notevoli cambiamenti, sia nella sua quantità, sia nella sua disposizione ; infatti nella pars papillaris mancano i reticoli elastici delle papille, essendo queste scomparse, mentre la trama elastica sì conserva abbastanza bene con piccole e regolari maglie nello strato subpapillare. Al contrario nel corion propriamente detto la stessa trama elastica, sebbene non apparisca diminuita quantitativamente, nullameno ha perduto la sua confor- mazione a maglia di rete per assumere la disposizione a fascicoli orizzontali ondulati, fatti da fibre di varia grandezza e assai stipati, risultato ultimo della retrazione del derma. Della circolazione papillare non esistono più le anse per la scomparsa deile papille (Fig. 1° Tav. III), e nemmeno la rete vasale subpapillare mantiene la regolare sua distri- buzione, nè la sua continuità : solo in qualche prominenza residuale del derma si spinge un capillare, che in sezione obliqua o trasversa appare ettasico e circondato da un mani- cotto di elementi cellulari piatti, o di forma alquanto fusata. Del resto sono scarsissimi i capillari non solo nello strato subpapillare, ma in tutto il derma e solamente accanto agli organi ghiandolari sudoriferi se ne scorgono ancora alcunì più o meno ettasici. Scarse sono ancora le cellule fisse del connettivo, sebbene assai evidenti spicchino esse tra i fasci collageni sotto forma fusata o stellata: ma soprattutto attorno ai capillari mostrano una manifesta ipertrofia. Pochi sono i muscoli lisci superstiti in questi tratti di cute, e quei pochi si mostrano variamente alterati, siano essi i follicolari, siano gli intradermici (muscoli diagonali della cute); che anzi in alcune sezioni della pelle mancano affatto, e in altre essi appariscono ove molto assottigliati, ove ipertrofici: ma questa loro ipertrofia è del tutto apparente, finchè si fa l esame con piccolo ingrandimento; che se invece si faccia uso di medio e forte ingrandimento, allora scorgesi che il nastro muscolare ha perduto la propria com- pattezza, tanto che i fascetti di fibrocellule sono fra di loro allontanati, lasciando vani di vario numero, di varia grandezza e ficura (Fig. 14* Tav. IV). Ma a schivare inutili ripetizioni, siccome queste particolarità istologiche, riguardanti i muscoli lisci, trovansi più spiccate nella pelle corrispondente all’ anello emorragico-telangettasico, così mi fermerò più tardi e più di proposito su di esse, allorchè sarà parola dei muscoli stessi in detta sede. L’ipoderma trovasi in condizioni di maggior deperimento; esso non solo è ridotto nella sua spessezza, ma i lobuli adiposi non sono più riconoscibili, non essendo più divisi e circondati dai sepimenti collageni del derma (Fig. 1° Tav. III). Infatti i cosìdetti conì CRggigs fibro-elastici interlobulari del derma sono anch’ essi ridotti, ovvero hanno pigliato una dire- zione assai svariata, come si è detto più sopra. Le cellule adipose offrono I° aspetto di vesciche vuote, molte assai impicciolite, altre pieghettate e retratte, e in generale tutte assai trasparenti: sotto I’ azione dell’ acido osmico ben poche di esse si colorano e di solito parzialmente, lasciando vedere da un lato della vescica adiposa raccolta una piccola quan- tità di massa nera, d’ ordinario in forma semilunare. Il pannicolo adiposo dunque trovasi manifestamente in preda ad una notevole atrofia, la quale, come si dirà più sotto, lascia vedere meglio alcune particolarità istologiche nella pelle corrispondente all’ anello emor- ragico-teleangettasico. Rispetto alla circolazione del pannicolo adiposo, farò rilevare che tanto i capillari, quanto i piccoli vasi venosi ed arteriosi sono assai diminuiti di numero, ma in compenso sono notevolmente dilatati. In quanto poi ai piccoli vasi, soprattutto arteriosi, presentano lesioni così importanti, che meritano di essere descritte a parte. Dirò intanto che le alterazioni atrofiche del derma e dell’epidermide hanno fatto risen- tire i loro effetti dannosi sopra i follicoli pilo-sebacei (Fig. 1° Tav. II), colpiti anch’ essi da vario grado di atrofia, e sugli organi ghiandolari sudoriferi. Infatti, in quasi tutti i preparati microscopici si incontra la sola regione dello sbocco del follicolo, ovvero riman- gono piccoli avvallamenti imbutiformi, corrispondenti agli sbocchi stessi follicolari, dei quali si è fatto parola più sopra. Nella retrazione atrofica del follicolo viene coinvolta anche la ghiandola sebacea annessa, e del muscolo arrector pil rimane appena qualche sottile lacerto : per la stessa ragione anche i vasi capillari della circolazione follicolare vengono in gran parte a scomparire. Nè mi ferro oltre a descrivere le particolarità delle alterazioni nei follicoli pilo-sébacei, dovendo anche su queste tornare più tardi. Rispetto alle ghiandole sudorifere, notasi un migliore stato di conservazione delle seba- cee, malgrado che quelle in%radermiche sieno molto ridotte nel loro glomerulo. In quanto alle ipodermiche, queste si mostrano nel loro gloimerulo deformate, per le condizioni speciali del pannicolo adiposo (Fig. 1° Tav. III): infatti alcune sembrano quasi libere, essendosi lace- rati i rapporti coi lobuli adiposi atrofici circostanti ai glomeruli ghiandolari: altre invece sono circondate dà scarse e pallide cellule adipose pieghettate, nelle quali manca assolu- tamente il grasso, come rilevasi nei tagli trattati colla soluzione osmica. Ma fra tutte le alterazioni, trovate nella pelle dell’area centrale atrofica, la più nota- bile è, senza dubbio, 1’ ostruzione delle piccole arterie, che si trovano fra il derma e 1° ipo- derma, in una parola l’ endo-arterite obliterante (Fig. 1°, 2* Tav. IN). Di solito per ogni taglio uno solo è il vaso ostruito, ma in qualcheduno però havvene due e anche tre, spesso vicini tra di loro. Se ci facciamo a studiare il processo di endoarterite obliterante, ci sor- prende il fatto di non trovare una infiammazione attiva nell’ avventizia, in altri termini manca qui un processo di esoar/erite. Notasi inoltre'la tunica esferra, costituita da fasci connettivali assai densi piuttosto assottigliata, ma uniforme nella sua spessezza, contenente scarse cellule fisse. La media invece appare ingrandita regolarmente in tutta la sua circon- ferenza, ma osservata con medio e forte obbiettivo, allora si scorge che il suo ingrossamento RE IA non è in ragione della sua compattezza : infatti si mostra essa come rilassata, permodochè i fascetti di fibro-cellule, invece di essere strettamente serrati, come rinviensi in una tunica muscolare normale, vedonsi allontanati tra di loro, specie nel limite periferico della tunica stessa (Fig. 2° Tav. II): anzi in qualche taglio microscopico alcuni fascetti di fibro-cellule, distaccatisi dai prossimi, si trovano compresi entro l’ avventizia, o talvolta fanno spor- genza al di là di questa tunica. Non in tutti i tagli microscopici le fibro-cellule mostrano di avere subìto notevoli cambiamenti, ma in parecchi di essi appariscono alquanto rimpicciolite, ed hanno un nucleo più esile ed un protoplasma chiaro e poco tingibile colle soluzioni coloranti. Per quanto è facile riconoscere il limite fra la media e | avventizia, altrettanto non riesce agevole riconoscere il confine fra la media e l intima. Questa alla sua volta si mostra nelle sezioni trasverse molto ingrossata e fortemente inspessita, permodochè il lume vasale di essa non solo è ristretto e ridotto anche ad una sottile fenditura, ma talvolta anche interamente ostruito (endoarterite obliterante). In questo momento il vaso arterioso ostruito appare come un cordone di aspetto fibroso compatto, specie nella sua parte cen- trale. Volendo studiarne la struttura, è d’ uopo rilevare che non si riesce nei molti tagli mi- croscopici a sorprendere le prime fasi di neoformazione nell’ intimza delle piccole arterie ipodermiche, per le quali si arriva all’ ostruzione delle medesime. D’ ordinario trovasi il processo endoarteritico assai progredito, per modo che il tessuto neoformato dell’ intima si mostra costituito da connettivo fibroso compatto, disposto in fasci, parte circolari e con- centrici, parte longitudinali e. decorrenti lungo l’asse del lume vasale. Intercalati tra i fasci fibrosi trovansi cellule ovali e leggermente fusate, o anche ramificate, intensamente tinte, sia con carmallume, sia con emallume aventi i caratteri delle cellule fisse del con- nettivo. Quando il vaso è interamente ostruito, più compatta appare la struttura del tes- suto neoformato e più povero di elementi cellulari; laddove, se ancora esiste un piccolo vano sotto forma di fenditura trasversa, o triangolare, allora le cellule connettivali fisse sono più ricche, più evidenti per la colorazione, e il contorno del piccolo vano, ultimo residuo del lume vasale, è rivestito da cellule piatte di aspetto endoteliale, sebbene molto alterate nel loro protoplasma, siccome appariscono quando siano esse distaccate e libere entro il lume stesso. Di globuli rossi e di detriti ematici non mi venne fatto mai di rinve- nirne traccia alcuna entro il detto residuale lume del vaso. Per poter sorprendere l’ inizio di formazione del processo endoarteritico è d’ uopo uscire fuori dell’ area atrofica e venire, o sull’ anello emorragico-telangettasico, ovvero sulla cute sana circostante alla figura anulare. Qui vi si trova qualche sezione trasversa di arteriola, situata di solito nella parte alta dell’ ipoderma, la quale mostra al disotto del rivestimento endoteliale dell’ intima una neoformazione di cellule ovali e rotondeggianti intensamente colorate, o coll’ emallume, o colla tionina, le quali dispongonsi in una o due serie al disotto dell’ endotelio, il quale appare più rigonfio e più chiaro. Mentre si nota questo fatto nel- l’intima, sì scorge attorno all’ accentizia un’ipertrofia ed iperplasia degli elementi connet- tivali fissi. Ma, tranne questo primo apparire della lesione endoarteritica, non si hanno altre fasi successive di graduale organizzazione nella medesima. e Ca Queste sono le particolarità istologiche dell’ endoarterite, trovate in questa dermatosi; nè sulla natura dei vasi obliterati può, a mio avviso, sollevarsi dubbio alcuno: infatti la robustezza e spessezza della loro tunica media, la forma rotondeggiante, che essi presen- tano in sezione trasversa, anche quando non siano interamente ostruiti, li fanno ritenere veramente per vasi di natura arteriosa. Merita però di rilevare che il tessuto di neoformazione dell’ intima mostra in tutti i tagli un’ organizzazione uniforme per grado: nè è dato di scorgervi gli strati concentrici interni di aspetto più giovane degli esterni, che stiano a significare fasi diverse di sviluppo della lesione dell’ intima, come bene spesso si incontra nell’ endoarterite sifilitica : ondechè devesi ritenere che il processo endoarteritico sia stato continuo e progressivo senza avere subìto, nè soste, nè accensioni nel suo decorso. Per terminare quanto si riferisce alla lesione endoarteritica, aggiungerò che in alcune sezioni microscopiche, colorate colla soluzione di orceina semplice, ovvero doppia con solu- zione di orceina e tionina, spicca assai distintamente il tessuto elastico fatto di fibrille assai sottili, riunite in tanti fascicoli spiraliformi e con disposizione concentrica, i quali assotti- gliandosi, vanno a terminare sotto | endotelio dell’ intima. Questi fascicoli elastici circolari e concentrici si riuniscono fra di loro per fibrille intermedie, formando un reticolo continuo dell’ avventizia fino a tutto il nuovo tessuto del l’intima; in una parola il tessuto elastico è quello, fra i componenti delle pareti arteriose, meglio rappresentato e che ha mostrato maggiore sviluppo e resistenza. L’arteriola così ostruita, vista con piccolo ingrandimento, piglia in sezione trasversa l'apparenza di una piastra rotondeggiante, o ovale, di struttura fibrosa che giace, come dissi, poco al di sotto del derma, circondata da scarso pannicolo adiposo atrofico, tenendosi però in rapporto col derma stesso mercè lacinie fibro-elastiche, delle quali alcune assai lunghe e robuste. La sede topografica così elevata delle piccole arterie, quale non sì rin- viene mai nello stato fisiologico, devesi quì alle condizioni atrofiche del pannicolo adiposo, in seguito alle quali i grossi vasi arteriosi sottocutanei possono spingere rami cospicui nella spessezza dell’ ipoderma ovvero anche sotto il derma stesso, mancando la normale resistenza dei sovrastanti tessuti. Inoltre non in tutti i tagli microscopici, ma in parecchi di essi notansi attorno all’avventizia alcuni capillari più o meno sviluppati, e taluno di essi anche ettasico, aventi, pei loro rapporti topografici, i caratteri dei vasa vasorum, sebbene questi, come è noto, manchino quasi sempre nelle piccole arterie. Al difuori dell’ avventizia, e alquanto discosti da questa, trovansi anche capillari e piccoli vasi, circondati di una sottile parete di tessuto connettivo fibroso e bene spesso ettasici. Da ultimo, non è senza interesse il rilevare ch’ è oltremodo raro trovare un capillare, o un piccolo vaso arterioso infarcito di sangue sia nel derma, sia nell’ ipoderma: e nem- meno s’ incontrano mai focolaj emorragici nell’ area atrofica, malgrado le descritte altera- zioni vasali; tuttavolta in alcuni tagli sì può vedere, in vicinanza dei follicoli pilo-sebacei atrofici, i fasci collageni subtinti in giallo chiaro, senza però scorgere in essi, nè corpuscoli rossi, nè detriti ematici, e neppure granuli di pigmento nero. Lo stesso fatto notasi pure raramente nel pannicolo adiposo, ove la tinta giallastra appare più intensa. Questa suffu- 9 — sione emoglobinica, unitamente alla leggiera pigmentazione dell’ epidermide, deve portare quella tinta giallastra, o bianco-giallastra della pelle, compresa entro la figura anulare. B) Esame della. pelle nell’ anello emorragico-telangettasico. — Ma non meno impor- tante è il reperto istologico nella pelle investigata in rispondenza dell’ anello emorragico- telangettasico. In questo punto le sezioni microscopiche mostrano d’ ordinario una maggiore spessezza degli strati dermo-epidermici; ma, come si vedrà più tardi, questa maggiore spessezza, anzichè riferirsi ad uno stato di più ricca nutrizione della cute, devesi attribuire invece ad una speciale condizione di rilasciamento della medesima. E per cominciare dail’ epidermide, questa è quivi alquanto più spessa e mostra piccoli zaffi conici o. cilindrici, sebbene non ordinati in serie continua. Tuttavolta notansi anche qui alcuni tratti, in cui l’ epidermide sottile è priva di zaffi malpighiani, o appena accen- nati qua e là da piccole sporgenze coniche, o rotondeggianti: anzisdi tanto in tanto ve- donsi pure avvallamenti dell’ epidermide più o meno profondi, presso a poco come si è riscontrato nella pelle dell’ area atrofica. Gli strati epidermici non sono tutti ugualmente rappresentati; dappoichè mentre la rete di Malpighi in alcuni punti è fatta di pochi ordini cellulari, in altri sono questi più numerosi formando zaffi più sviluppati. Le cellule spinose sono discretamente ricche di protoplasma e si colorano assai bene colla fionina e coll e- mallwne ; tuttavolta colla safranina non si scorge alcuna di esse in cariocinesi. Le cellule dello strato basale contengono scarsa quantità di pigmento sotto forma di fini granuli. Non è raro però trovare nelle sezioni microscopiche qualche punto assai ristretto in cui le cellule malpighiane mostrano l’ idrope nucleare e perinucleare, e quivi anche gli spazi intercigliari si mostrano alquanto dilatati. Nessun fatto però di essudazione, o di emigra- zione leucocitaria interepidermica mi fu dato di notare, e neppure nessun accenno alla formazione di trabecole vescicolose. Assai povero è lo strato granuloso e non continuo su tutta | epidermide malpighiana : dove: esiste però, di solito è composto di uno, o due ordini cellulari, i di cui elementi con- tengono scarsi granuli di cheratojalina. Del pari poco evidente è lo strato Zucido, per modo che esso si confonde collo strato corneo sovrastante, e questo, alla sua volta più spesso del primo mostra nel margine deli- mitante esterno una certa tendenza ad esfogliarsi. Nel tutt’ insieme l’ epidermide, tranne piccole differenze di grado nella sua nutrizione, non sì discosta di molto da quella entrostante alla figura anulare (Fig. 14%, 15°, 16° Tav. IV). Venendo al derma, questo appare fornito di maggiore spessezza : ma i suoi fasci colla- geni si mostrano più rigonfi, rilassati e allontanati fra di loro. Il rilassamento però dei fasci collageni si presenta con una certa regolarità, formando spazi rotondeggianti, ovali, più spesso angolosi, perfettamente vuoti, i quali si fanno più evidenti attorno ai muscoli lisci e nel corion propriamente detto, anzichè nello strato subpapillare. Talvolta si esten- dono essi fino all’ ipoderma e nei sepimenti connettivali fibro-elastici del pannicolo adiposo. I detti spazi, più sopra accennati, per la loro forma e disposizione sono, a mio avviso, da ritenersi come lacune linfatiche fortemente distese, sebbene siano state trovate Serie VI. — Tomo II. 2 Ripe prive di linfa e di leucociti. A questa ettasia del sistema canalicolare plasmatico si deve la maggiore spessezza, o per dir meglio, l apparente ipertrofia del derma. Ma sull’ impor- tanza di questa lesione e intorno alle sue particolarità dovrò tornare più volte. Anche il tessuto elastico appare nei tagli colorati coll’ orceina e tionina disposto a maglie assai grandi e distese, a differenza di quanto si è visto nella cute dell’ area atro- fica, in cui le fibre elastiche sembrano come raccolte in fascicoli ed ammucchiate in al- cuni punti. In corrispondenza invece dello strato papillare e subpapillare la rete elastica conserva anche qui la sua normale distribuzione, laddove essa è scarsissima nei tramezzi fibrosi del pannicolo adiposo. Questo a sua volta è fortemente rilassato e come slargato; i tramezzi fibro-elastici ipodermici sono troncati e spostati, per modo che i lobuli grassosi superficiali vengono separati dagli altri circostanti e formano le così dette isole grassose. Di queste se ne ha più di una in tutti i tagli microscopici. Importanti sono le alterazioni distrofiche del pan- nicolo adiposo stesso : infatti le cellule adipose sono in massima parte ridotte a vesciche vuote, pallide, grinzose, e nei tagli colorati coll’ acido osmico si tingono soltanto in nero piccoli gruppi di esse, disposti qua e là nella massa dell’ ipoderma; alcune cellule però non si mostrano ripiene di grasso, ma contengono soltanto goccioline tinte in nero, ora sparse, ora raccolte in un angolo della vescica cellulare. Inoltre si hanno ancora altri elementi cellulari assai grandi, piatti, sottili o rotondeg- gianti o ovali, aventi un protoplasma finamente granuloso, subtinto anch’ esso in violetto 0 in rosso violetto dall’ eosina e tionina, nel quale si trovano vacuoli chiari di varia gran- dezza, ed un nucleo pallido, rigonfio, o in forma di anello, e di solito eccentrico. Tali elementi stanno entro alcuni spazi lasciati dalle cellule adipose scomparse, e sono, a mio avviso, da considerarsi anch’ esse come cellule adipose in via di atrofia. Ma non basta. In qualche punto dell’ ipoderma trovansi gruppi di cellule connettive giovani in varie fasi di sviluppo raccolte entro vani, lasciati dalle cellule adipose atrofiche, ovvero entro il corpo cellulare delle vecchie cellule stesse. Tali elementi giovani molto probabilmente sono dovuti all’ attività proliferante del nucleo delle cellule adipose atrofiche (atrofia pro- liferativa), quantunque in essi non mi fosse dato mai di vedervi alcuna traccia di cario- cinesi. Spesso entro il pannicolo adiposo, e di solito vicino ai capillari, notansi colorate in violetto chiaro parecchie mastzellen. Concludendo, anche in corrispondenza dell’ anello telangettasico-emorragico notasi uno stato distrofico del pannicolo adiposo, che è in rap- porto con disturbi nutritivi, trovati anche negli altri strati della pelle. Ma degne di maggiore attenzione sono le alterazioni del muscoli lisci non solo per se stesse, ma per l’ analogia che presentano con quelle della tunica media delle piccole arterie, che descriverò più tardi. Nello stesso tempo è d’ uopo aggiungere alcunchè sulle partico- larità istologiche degli organi follicolari e ghiandolari, avendo detto che vi sarei tornato sopra per farne una sola descrizione, che comprendesse anche quelle, trovate nella cute dell’ area atrofica. La muscolatura cutanea mostra profonde alterazioni, sia nei suoi rapporti col derma, sia nella sua minuta tessitura. I muscoli lisci tanto i follicolari e tanto gli intradermici, IGN (diagonali della cute) appariscono anche a piccolo ingrandimento ipertrofici, specie nella loro sezione trasversa. Ma, come dissi più sopra, la loro ipertrofia è apparente ; dappoichè, osservando bene i tagli microscopici con medio e anche con forte ingrandimento, si vede che il nastro muscolare ha perduto la sua compattezza, mostrandosi ora uniformemente, ora irregolarmente rilassato. Infatti in alcuni dei muscoli i fascetti di fibrocellule sono allontanati o dissociati in guisa da far prendere al nastro muscolare un’ apparenza a ven- taglio, o a scopa, o ad arista (Fig. 14°, 15°, 17° Tav. IV). In altri invece si vedono vacuoli rotondeggianti, o ovali, o irregolari, che danno loro un aspetto cribrato. Per questa diminuzione della loro compattezza i nastri muscolari si mostrano, come dissi, di volume assai maggiore del normale in una parola ipertrofici; ciò è quanto appare nella sostanza del muscolo liscio. Ma un’ attenta osservazione fa rilevare che le alterazioni muscolari si trovano in cor- relazione con quelle del derma: dappoichè fin dall’ inizio della lesione si vede che il nastro muscolare non è più a contatto diretto coi fasci collageni circostanti; invece intorno al medesimo si vedono spazi chiari di varia grandezza, limitati da fibrille trasparenti a mar- gini assai netti, le quali tengono fisso il muscolo liscio al derma stesso (Fig. 17° Tav. IV). Tali spazi, o loculi, appariscono vuoti, o vi è appena in alcuni di essi una sostanza finamente granulosa assai scarsa; e mentre alcuni sono chiusi, altri comunicano, sia con gli spazi circostanti del derma, sia con quelli del muscolo. Questa singolare parvenza loculare endo e perimuscolare può seguirsi assai bene e per gradazioni diverse nei tagli trasversi, obliqui e longitudinali dei muscoli stessi: se non che nei tagli longitudinali sì nota anche 1’ inser- zione ben distinta dei tendinetti, i quali si mostrano così perfettamente isolati fra di loro, da poterli enumerare, specie nei tagli colorati coll’ orceina ed cosina, e anche colla sola saffranina (Fig. 15°, 17° Tav. IV). Ora, come sì è detto per il derma, questi spazi sono da significarsi come lacune linfa- tiche perimuscolari, le quali subirono una ettasia più o meno notevole insieme con quelle circostanti del derma stesso. Tutto questo si incontra assai presto nei muscoli lisci, ma in seguito, allargandosi sempre più gli spazi su descritti, sia interni, sia circostanti ai muscoli stessi, questi si rarefanno gradatamente nella loro compage. A questa dissociazione delle fibrocellule del nastro muscolare si accompagnano guasti non lievi di struttura negli elementi, che lo compongono: infatti le fibrocellule, che in prin- cipio sembravano soltarito patire gli effetti meccanici della dissociazione, ben presto addi- vengono più piccole, di aspetto jalino e il loro nucleo si fa granuloso, irregolare nei con- torni, e spesso spiraliforme. Più tardi molte delle fibrocellule perdono anche il loro nucleo, sì fanno perfettamente jaline riducendosi a masse nastriformi omogenee; non è raro che esse totalmente scompariscano, che è quanto dire, cadono in completa atrofia lasciando vani e interruzioni lungo il nastro muscolare. Allora rimangono per qualche tempo fascetti di fibrocellule, aderenti al connettivo circostante per sottili fibrille, rotte le quali, i frustuli musculari si liberano dal derma circostante, permodochè essi si staccano nell’ eseguire il taglio ; inoltre nelle manipolazioni della preparazione, ovvero nel momento della chiusura in balsamo vengono spostati e fissati sulla superficie della sezione microscopica, ove spesse COLORI volte furono da me trovati. All’ atrofia e al distacco dei muscoli lisci restano vani roton- deegianti, o ovali, o cilindrici, nei quali riposava il nastro muscolare. Questi fatti presi nel loro insieme si incontrano nei muscoli lisci sia intradermici, sia follicolari (arrectores pilorum); ma è opportuno di vedere qualche particolarità dei mede- simi relativa ai loro rapporti colla trama elastica, coi follicoli piliferi e cogli organi ghiandolari. Nei tagli colorati coll’ orceina si nota che la rete elastica, rivestente il nastro musco- lare, in molti punti è interrotta, interruzione corrispondente ai loculi endomuscolari sopra descritti, o alle dissociazioni delle fibrocellule ; inoltre appare formata da sottili fibrille granulose debolmente colorate. In alcuni muscoli profondamente alterati manca affatto la rete elastica, involgente il nastro muscolare. Al contrario la rete elastica perimuscolare, che tiene in rapporto il muscolo liscio colla trama elastica del derma, è sufficientemente conservata, ed è fatta da fibre più grosse e intensamente colorate: se non che le maglie di detta rete sono assai dilatate e distese, dilatazione e distensione dovute all’ ettasia dei canalicoli plasmatici perimuscolari. Le alterazioni degli arrectores pilorum si svolgono in comune con quelle dei follicoli pilo-sebacei e però stimo opportuno di riassumerle contemporaneamente. Come si è detto, clinicamente i punti emorragici avvengono in rispondenza o intorno ai follicoli piliferi. L'esame istologico mostra qui una forte ettasia dei capillari follicolari e perifollicolari, e contemporaneamente anche le lacune linfatiche subiscono una notevole dilatazione, come nel rimanente del derma, estendendosi anche al muscolo arrector pili sopradescritto. Inoltre gli stravasamenti emorragici notansi, come descriverò appresso, più profondamente, ma d’ ordinario in rispondenza ai follicoli piliferi stessi. In questo primo periodo, all’ ettasia vasale e linfoplasmatica succede una forte proliferazione delle cellule fisse del connettivo perifollicolare.. Il follicolo pilosebaceo risente ben presto gli effetti di questa alterazione e comincia a ridursi nella sua parte profonda; infatti la sua regione papillare in conseguenza di questa viva proliferazione connettivale è la prima a scomparire e il pelo piglia tosto i caratteri del pelo matrice. All atrofia della papilla pilifera sussegue la formazione di una massa epiteliale dall’ epitelio del bulbo pilifero, avente ì caratteri malpighiani, tendente alla forma conica colla punta in basso, la quale si assottiglia gradatamente finchè le cellule epiteliali addivenute pallide e granulose si atrofizzano completamente. In questo momento il follicolo si mostra notevolmente ridotto e la sua riduzione va progressivamente salendo in alto, e mentre il pelo-matrice cade atrofico e sì elimina, rimane superstite la regione dello sbocco sotto forma di un grosso zaffo conico. Contemporaneamente la ghiandola sebacea annessa viene anch’ essa colpita gradata- mente da atrofia nei suoi acini, i quali si impiccioliscono, mentre lo strato interno perde la sua funzione secretiva : più tardi pigliano 1’ aspetto di bottoni epiteliali con carattere malpighiano, e rimangono superstiti. per breve tempo, finchè spariscono completamente sotto la retrazione del connettivo circostante. E mentre tali lesioni sì ordiscono, il muscolo arrector pili subisce i guasti sopra de- Sa 1: scritti, allontanandosi dapprima dal follicolo e dall’ annessa ghiandola sebacea: e dippoi per l'invasione progressiva del processo sopra descritto si va esso riducendo sempre più, finchè non ne rimane che qualche fascicolo fatto di fibrocellule, o atrofiche, o in degenerazione jalina. Inoltre per la divaricazione del connettivo circostante la sede, in cui il muscolo si trova, è a tale distanza dal follicolo stesso, da non far credere a tutta prima che si tratti del- l’arrector pili, ma di un muscolo intradermico. Bene spesso però si ha la scomparsa com- pleta del nastro muscolare, come più sopra fu descritto. Dai fatti più sopra riferiti è d’ uopo concludere che le lesioni follicolari, incominciate con una perifollicolite cronica accompagnata da ettasia vasale e dei canalicoli plasmatici; vennero a terminare coll’ atrofia completa degli organi pilo-sebacei e più tardi con sclerosi del connettivo nella sede del follicolo e colla scomparsa dei vasi ettasici: in pari tempo da queste conseguenti e molteplici atrofie follicolari si viene a stabilire, come dissi nel mio primo lavoro, lo stadio atrofico della dermatosi. In quanto agli organi ghiandolari sudoriferi è d’ uopo notare che essi presentano presso a poco le stesse particolarità istologiche di quelle sopradette nell’ area atrofica. Se non che le ghiandole intradermiche, ridotte in un maggior grado di atrofia che non quelle ipodermiche, mentre mostrano un lume assai ristretto nel tubulo ghiandolare, e 1 epitelio delle anse del glomerulo assai impicciolito, non lasciano più vedere gli elementi fusiformi contrattili (fibro-cellule muscolari) attorno all’ epitelio stesso. Altrettanto dicasi dei rap- porti colla trama elastica del derma, i quali sono completamente perduti con questi or- ganì per l’ enorme ettasia dei canali plasmatici perighiandolari. Mi sono riservato di dare per ultimo una descrizione breve, ma particolareggiata delle alterazioni vasali e degli stravasamenti emorragici, consecutivi alle medesime per met- tere meglio in evidenza tutta la loro importanza in questa rara dermatosi. Rispetto alla circolazione corio-papillare, questa, sebbene sia modificata nella sua disposizione, nulla- meno è più ricca di quella trovata nell’ area atrofica delle chiazze anulari. Ma, se si confronti essa collo stato fisiologico della pelle, appare in molti punti assai povera di capillari, mentre in altre questi abbondano : infatti anche qui la mancanza delle anse papillari è in correlazione colla scomparsa delle papille. Tuttavolta in quei tratti, ove trovansi papille, o sporgenze papilliformi, grossi capillari ripiegati e tortuosi sì spingono entro le medesime; mai però si incontrano in esse tralci vasali così rigogliosi come nelle produzioni papillomatose; parimente la rete subpapillare ha perduto la sua disposizione a maglie rettangolari o rombiche, per assumere una costituzione in gruppi e in gomitoli, sia isolati e posti a distanze varie, sia in rapporto fra di loro per capillari comunicanti. In questi si vedono sezioni trasverse, oblique e orizzontali di capillari, le quali mostrano la direzione diversa, da cui essi vasi provengono e la maniera differente, colla quale si intrecciano. Ma il carattere spiccato di questi capillari è la notevole ettasia a cui essi pervengono, la quale non è sempre uniforme, sibbene più spesso irregolare, perchè fatta da una certa varicosità dei medesimi. Talvolta nel taglio trasverso dei gomitoli vasali sembra di vedere Se sezioni di vasi dentro vasi : il che accade quando qualche capillare ha subito una dilatazione cospicua a contatto di un altro meno dilatato (Fig. 15°, 16° Tav. IV). Questi intrecci di vasi capillari ettasici si trovano anche nella medietà del. corion, sia attorno ai follicoli piliferi, che si vanno atrofizzando, sia vicino alle ghiandole sudorifere, come propagine della rete mirabile del glomerulo; più raramente invece si scorgono nel pannicolo adiposo, ove però i capillari dilatati e isolati scorrono in varia direzione. L’ endotelio si mostra assai ben distinto e raramente esso trovasi distaccato e penetrato entro il lume vasale, e ciò che più colpisce è la proliferazione di numerose cellule di aspetto endotelioide attorno ai capillari di questi intrecci vasali subpapillari. Queste cellule sono piatte, di figura roton- deggiante, ovale, o leggermente fusata, costituite da un protoplasma chiaro, finamente gra- nuloso, che debolmente si tinge colla tionina ; il loro nucleo è piuttosto grande e più inten- samente e uniformemente colorato, ma poco distinto nei suoi contorni. Tali elementi non hanno affatto i caratteri delle plasmacellule e solo potrebbero, a mio avviso, essere signi- ficati come produzioni del perifelio vasale. In alcuni tagli queste cellule periteliali formano vere nidiate attorno ai capillari ettasici (Fig. 16° Tav. IV). Non si notano però fatti di essu- dazione acuta attorno ai vasi ettasici, ma soltanto una proliferazione delle cellule fisse del connettivo in diverse fasi di sviluppo. D’ordinario i capillari ettasici, o isolati, o riuniti in svariati ìntrecci contengono scarsa quantità di sangue, specie in quelli del derma corio-papillare, laddove nei capillari del corion propriamente detto, o in vicinanza dei follicoli piliferi, e principalmente nell’ipoderma, sì trovano alcuni capillari ripieni di emazie, o di detrito ematico, o anche qualche vasel- lino arterioso ettasico pur esso infarcito di sangue. Attorno ai capillari si ripete lo stesso fatto, già notato in altre parti del derma, la presenza di spazi plasmatici ettasici perivasali, i quali non contengono, nè linfa coagulata, nè linfociti, ma soltanto scarso e fino detrito in qualcheduno dei medesimi. Siffatte lesioni vasali, come fu descritto più sopra, furono trovate anche nella cute dell’ area atrofica, sebbene in proporzioni diverse, o con qualche speciale particolarità relativa alla loro distribuzione. Ma in corrispondenza dell’ anello emorragico-telangettasico havvi una lesione delle piccole arterie, che si differenzia essenzialmente da quella sopradescritta, essendo essa caratterizzata da ettasia di vario grado del lume vasale. E non è tanto il grado dell’ ettasia arteriosa, che colpisce 1° occhio dell’ osservatore, quanto invece interessano i guasti anatomo-patologici delle tuniche arteriose e principal- mente della tunica media, la quale, come si disse più sopra, presenta certe particolarità istologiche, analoghe a quelle dei muscoli lisci del derma. Delle arteriole ettasiche trovasi di solito «na per ogni singolo taglio microscopico : talvolta però se ne possono trovare due e fre di varia grandezza, aventi il loro lume più o meno dilatato. Si presentano le dette arteriole ettasiche d’ ordinario in sezione trasversa, ora rotondeggiante, ora ovale, ora elittica schiacciata, ora espansa irregolarmente, o da un solo lato. Benchè si trovino esse accanto a molti capillari ettasici dell” ipoderma, pur nulla meno risaltano su questi non solo per la loro grandezza, sibbene per la spessezza delle loro pareti. La sede dell’arteriola ettasica è presso a poco quella stessa descritta per | endoar- terite obliterante: ma qui il vaso dilatato trovasi spesso ad un livello anche più elevato, poichè risiede non solo nel limite superiore del pannicolo adiposo, ma talvolta in certi ri- entramenti che fa il derma profondo nelle sue retrazioni atrofiche. Come ho detto più sopra, questa sede insolita di vasi arteriosi così cospicui nel derma devesi alle condizioni anato- miche, apportate dall’ atrofia del pannicolo adiposo: e soprattutto merita di far rilevare i rapporti anatomici, che acquista il vaso ettasico, in quantochè, come si vede anche nelle figure 5, 14, trovasi esso in vicinanza di una glandola sudorifera e talvolta anche in mezzo a due delle dette glandole, e più costantemente al di sotto del follicolo pilifero atrofico. Questo medesimo fatto di topografia vasale fu da me verificato in chiazze atrofiche di Lupus teleangiectodes disseminatus, in cui piccole arterie ispessite ed ettasiche vennero ad occupare la medietà del derma. Le arteriole ettasiche sono quasi costantemente vuote, ed è estremamente raro trovarne qualcheduna, contenente scarso numero di emazie, o di detrito ematico: invece il sangue stravasato si vede raccolto vicino all’ arteriola ettasica, come sarà descritto qui appresso. Fermati pertanto questi pochi caratteri anatomo-patologici più comuni dei piccoli vasi arteriosi dell’ ipoderma, vediamo quali alterazioni abbiano subìto le loro pareti. Per meglio riuscire nell'intento, fisserò la mia attenzione sopra alcuni dei molti preparati microscopici, classificati per il grado dell’ ettasia e dell’ alterazione delle loro tuniche. Non è in modo assoluto che | eftasia si accompagni con guasti anatomo-patologici delle tuniche vasali; dappoichè in qualche taglio microscopico trovasi | arteriola dilatata senza apprezzabile alterazione delle sue pareti, se il processo duri da poco tempo, come avviene nelle chiazze iniziali. Tutto al più l’ avventizia si presenta alquanto slargata per l’ettasia dei capillari circostanti (casa vasorum) e soprattutto dei canali plasmatici perivasali. D’ ordinario però havvi stretta correlazione fra la dilatazione del lume e le lesioni delle pareti del vaso, e soltanto le differenze variano per il grado e forse per la durata maggiore o minore delle lesioni medesime. Ma un’altra più notevole differenza sta nell’inizio del processo anatomo-patologico, che qui appresso verrà descritto, inquantochè mentre esso sì ordisce nell’ avventizia e nella parte periferica della media, talora prende anche punto di partenza dall’ intima e procede verso l’ esterno. Esaminiamo intanto queste diverse particolarità istopatologiche delle pareti vasali delle arteriole ettasiche. In un grado lieve appare colpita una piccola arteria ipodermica, quando si verificano in essa, oltre il rilasciamento dell’ avventizia, anche un certo disgregamento e allontana- mento dei fascetti più periferici delle fibrocellule della tunica media. Questa, come si può vedere nelle Fig. 4°, 7° Tav. III, trovasi apparentemente ingrandita : ma (come si è notato più sopra pei muscoli lisci della cute) siffatto ingrandimento è dovuto alla dissociazione delle fibrocellule muscolari, le quali, così spostate e allontanate tra di loro, fanno prendere una maggiore spessezza alla tunica media. Siffatto disgregamento dei fascetti di fibrocellule muscolari piglia talora una certa uniformità in tutta la tunica media, ostentando così l’ ipertrofia di essa: talaltra invece esso SG avviene parzialmente, cioè più da un lato, dando al vaso ettasico un’ evidente deformità. Tra i fascetti di fibrocellule divaricate rimangono cavità e fessure di varia grandezza e forma, delle quali le più periferiche stanno in rapporto cogli spazi plasmatici ettasici del- l’avventizia e del connettivo perivasale. In questo momento la tunica media perde la sua normale compattezza e appare come cribrata, discontinua, e piglia quelle stesse parvenze che furono notate più sopra nei muscoli lisci follicolari ed intradermici. Siffatte alterazioni della media sono in parte compensate dalla resistenza della elastica esterna, la quale nei tagli colorati coll’ orceina si presenta ancora con fascicoli di fibre intensamente tinte, robuste, riunite per sottili fibrille tortuose e spiraliformi, sebbene alquanto divaricate soprattutto alla periferia. Non basta: in alcune sezioni trasverse di piccole arterie sì vede che il divaricamento è parziale, ed avviene di solito in focolai molteplici alla periferia della medesima, mentre il rimanente della tunica conserva la sua compage di apparenza normale. In tali evenienze sì può notare non solo il diseregamento di uno o più fascetti di fibrocellule attorno alla media, sibbene il distacco e l'isolamento di essi, per modo che vengono spinti lontano dal- l’avventizia e portati nel connettivo lasso circostante e spesso in mezzo al focolaio emor- ragico perivasale (Fig. 1°, 14° Tav. III, IV). Talvolta i lacerti muscolari della tunica media sono a tale distanza dall’arteriola che si stenta a credere che appartenessero veramente alla medesima. Ma con un’ attenta osservazione fatta su preparati microscopici, nei quali le dette lesioni arteriose si trovino in graduali passaggi di sviluppo, si può acquistare ferma con- vinzione che lacerti della tunica muscolare vengano cacciati a distanza del vaso arterioso molto verosimilmente dal divaricamento, portato dall’ ettasia continua e progressiva degli spazi plasmatici circostanti. Il che può chiaramente emergere da quei tagli microscopici, nei quaii si vede un fascetto muscolare della media, sebbene allontanato da questa, tuttavia con questa ancora in connessione per fibrocellule assottigliate e in atto di distaccarsi; del pari in alcune sezioni trasverse di arteriole ettasiche si può scorgere nel margine esterno della tunica media alcune smangiature, le quali stanno in rapporto per grandezza, forma e direzione coì fascetti muscolari staccati e allontanati dal vaso arterioso. Di queste par- ticolarità istopatologiche riguardanti il diseregamento della tunica media delle arteriole ettasiche, alcune furono rappresentate nelle fig. 3, 7 della Tav. III. Ma è principalmente dall’ esame attento e ripetuto sopra i preparati. microscopici che si può avere la dimo- strazione esauriente di questa singolare alterazione. In tali condizioni d’ettasia delle arteriole ipodermiche le altre tuniche, o sono normali, o presentano lievi alterazioni. Rispetto all’ elastica esterna, non ho altro da aggiungere a quanto ho detto sulla resistenza e sul divaricamento più o meno forte delle sue fibre. Pa- rimenti l’endotelio appare ben distinto, e nel maggior numero delle sezioni, si colora intensamente colle soluzioni d’ emallume e di tionina, e di più aderisce molto bene alla tunica intima del vaso: in alcune sezioni soltanto le cellule endoteliali si mostrano rigonfie e allora si distaccano e rimangono libere entro il lume vasale. Nè qui finiscono i guasti delle tuniche arteriose e specie della media: dappoichè, come sì è visto per i muscoli lisci della cute, anche per le arteriole ipodermiche avvengono fatti IGT, Ge degenerativi nelle loro tuniche : infatti in molti tagli microscopici si può vedere la tunica media che, sebbene non lesa nella sua compattezza, appare tuttavia assai trasparente, e le sue fibrocellule non lasciano più vedere i loro contorni nè il loro nucleo, tranne poche nelle quali si può scorgere il nucleo granuloso, retratto, e irregolare nei suoi margini : tutta la tunica ha pigliato un aspetto bianco lucente, omogeneo, semidiafano, e non è più recettiva per le sostanze coloranti, tranne in debole grado per l’ eosina; in altri termini, l’arteriola è caduta in degenerazione jalina, degenerazione che non solo può invadere tutta la spessezza della tunica media, ma talvolta uno o più punti della tunica stessa (Wie. 6, Tav. III). Questa alterazione degenerativa della media trovasi talvolta associata a quella soprade- scritta del diseregamento e vacuolizzazione della medesima, sebbene questo fatto non sia tanto frequente in queste condizioni del vaso arterioso. In tale evenienza anche le altre tuniche vengono a subire non lievi alterazioni istologiche: infatti l’intima di solito non mostra più il suo endotelio, come si vede nelle arteriole soltanto etfasiche, ovvero se esiste qualche cellula endoteliale, questa trovasi distaccata entro il lume vasale, rigonfia, granu- losa, irregolare nei suoi contorni e col nucleo in cariolisi. L’ avventizia appare costituita da fasci collageni rilassati e rigonfi, e così anche l’elastica esterna appare alquanto diva- ricata nelle maglie della sua rete più specialmente verso la periferia (Fig. 4, 5, 6, Tav. III). Per questo duplice processo l’ uno di disgregamento, in apparenza meccanico, V altro degenerativo, le tuniche arteriose, e principalmente la media, vengono a cadere in un lento e progressivo rammollimento, permodochè la pressione endovasale, anche in grado lieve, deve portare nelle arteriole già ettasiche una maggiore dilatazione, specie in quei tratti, nei quali esse tuniche sono maggiormente rammollite. Da questa diminuita resistenza delle tuniche arieriose viene la formazione di quelle piccole ampolle, ora uniche, ora molteplici nel contorno del vaso, le quali pigliano l’ appa- renza di aneurismi migliariformi, siccome avviene nelle arteriole cerebrali (Fig. 8,9, Tav. III). Esaminando una sezione microscopica di una arteriola, in cui sì vada formando una di queste espansioni ampollari, balza subito all’ occhio dell’ osservatore che essa incomincia dall’intima. Infatti nella fig. 8 si vede in un punto del lume vasale un lieve avvallamento, che incomincia coll atrofia e distacco dell’ endotelio e a mano a mano le fibrocellule ven- gono anch’ esse atrofizzate nel punto degenerato, permodochè la media sì espande assotti- gliandosi sotto forma di una piccola ampolla. Poca resistenza offre l’ avventizia, d’ ordinario precedentemente rilassata, e soltanto alcune fibrocellule muscolari, insieme con qualche fascetto di fibre dell’ elastica esterna, conservano per poco tempo l'integrità della piccola espansione aneurismatica. Nelle figure 9, 10 si può scorgere il graduale passaggio dell’atrofia delle teniche arteriose, alle quali rimane appena superstite qualche fibrilla pallida, incolora, come a difesa del lume vasale. Ma questa tenue barriera viene superata facilmente, sia per il progresso dell’ atrofia degenerativa, sia anche per una debole pressione endovasale, di guisa che si verificano |’ erosione totale delle tuniche e la rottura dell’ aneurisma migliari- forme sopradescritto. Allora si dà luogo alla formazione di un focolaio emorragico più o meno esteso attorno all’ arteriola ettasica. Serie VI. — Tomo II. 3 DARI ZA Se noi ci fermiamo per un momento sopra quei tagli microscopici, che contengono un’ arteriola erosa e rotta in corrispondenza delle piccole espansioni aneurismatiche, vi tro- viamo che essa si presenta con un’ apertura di varia grandezza, che ci riehiama 1’ estensione maggiore o minore dell’ atrofia degenerativa e la grandezza dell’ espansione aneurismatica medesima. Infatti mentre alcune sezioni trasverse di arteriole ci mostrano una sottile aper- tura delle tuniche vasali, simile ad una fenditura, a margini rotondati e alquanto diver- genti, altre invece lasciano vedere una breccia assai estesa, che fa pigliare alla sezione dell’ arteriola la forma di un fer70 di cavallo, come nelle fig 11, 12,13. In queste arteriole erose più o meno estesamente si nota la tunica media bene spesso in preda a degenerazione jalina, permodochè essa ci si presenta come una fascetta semilunare alquanto assottigliata, le di cui fibrocellule hanno perduto il loro nucleo, o questo è retratto, granuloso e poco tingibile. In questi punti di arterioressi l’ elastica esterna, mentre si vede espansa e divaricata nel resto della circonferenza vasale, invece in corrispondenza della rottura mostra le sue fibre strappate e non più in rapporto colle maglie della rete circostante. Come si è detto più sopra, all’ erosione delle tuniche vasali in corrispondenza delle piccole espansioni aneurismatiche (amewrismi migliariformi) sussegue la formazione del focolaio emorragico: da questo punto procede l’ infiltrazione ematica per un certo tratto lungo il vaso, finchè cessa. Il che verrebbe a spiegare perchè si trovi bene spesso il fo- colato emorragico accanto ad una sezione trasversa di arteriola ettasica fornita ancora di pareti integre. Avvenuto il focolaio emorragico, sì presenta questo come una piccola raccolta di sangue nella quale trovansi talvolta emazie ancora integre, ma alquanto scolorate: più spesso queste si mostrano a contorni irregolari, ovvero frammiste a detrito ematico: più raramente ancora si nota nella sede del focolaio emorragico una suffusione giallastra del connettivo lasso circostante, che lentamente viene a scomparire per lasciare un leggiero grado di pigmentazione, come fu trovato nella cute dell’area atrofica. La sede dello stravasamento emorragico, come si è detto più sopra, trovasi tra il derma e l’ipoderma, e di solito attorno all’ arteriola ettasica ed erosa; ma talvolta ad un lato di questa, ovvero fra questa e il glomerulo della ghiandola sudorifera. L’ infiltrazione ematica sì estende anche all’avventizia e al connettivo circostante: e in qualche taglio piccole emorragie risiedono nel pannicolo adiposo profondo accanto ad un’ arteriola ettasica. Prima di chiudere questo purto tanto importante del reperto istopatologico, farò rile- vare, come al focolaio emorragico periarterioso possano contribuire quei capillari ettasici, che stanno attorno all’ arteriola, dei quali alcuni si vedono manifestamente lacerati. Che ciò sia vero, lo dimostra anche la localizzazione ben distinta e molteplice dello stravaso sanguigno, inquantochè mi fu dato scorgere in qualche taglio che, oltre l’emorragia attigua all’ arteriola ettasica, si scorgevano ancora piccoli focolai ematici, da quella separati per un breve tratto, risiedenti attorno ad uno o più capillari ettasici lacerati, circostanti al- l avventizia e alla ghiandola sudorifera. Con questa particolareggiata descrizione, riguardante 1.° l’ ettasia arteriosa e conse- deo, —- guentemente la formazione di anevrismi migliariformi, 2.° la produzione di focolai emor- ragici perivasali, furono messi in chiaro non solo due fatti anatomo-patologici della mas- sima importanza nella pelle, corrispondente all’ anello emorragico-telangettasico, ma più ancora vennero dilucidati i due caratteri clinici più spiccati, vale a dire la felangettasia e l’emorragia, caratteri dai quali fu tolta, come dirò in appresso, la denominazione mor- fologica di questa singolare dermatosi. E così pure, dopo le risultanze istologiche sopraesposte, parrà superfluo di far rilevare, come le lesioni arteriose, trovate nella purpura annularis, non abbiano alcun riscontro con quelle ben note da sifilide. Infatti l arterite sifilitica, che potrebbe essere quì messa in discussione, sarebbe soltanto quella sotto forma, o obliferante, o ettasiante. Dell’ endo- arterite sifilitica obliterante già più sopra feci notare qualche particolarità differenziale, riguardante le nuove accensioni del processo neoformativo nel connettivo dell’ intima. Ma v'è da osservare che l endoarterite sifilitica obliterante sì accompagna quasi sempre, sebbene in differente grado, coll’ esoarterite, avente bene spesso caratteri d’ infiltrazione gommosa e talora anche con panarterite. Il che non si è verificato mai nelle lesioni arteriose della purpura annularis. Del pari la forma di arterite sifilitica etfasiante può avere una lontana somiglianza coll’ arteriettasia della purpura annularis:; ma mentre la prima è preceduta e seguita da endoarterite ed esoarterite, la seconda invece è dovuta ad un rammollimento delle pareti vasali per degenerazione jalina delle medesime, e più specialmente della tunica media. Qualche considerazione sul reperto istopatologico dei casi I° e VI° — La descri- zione delle alterazioni istopatologiche, sia del I°, sia del VI° caso, mentre ce ne fa risaltare l’importanza, ci permette in pari tempo di fare qualche considerazione di ordine clinico ed anatomo-patologico, e di tentare un’ interpretazione intorno alla patogenesi della dermatosi. Innanzi tutto da questi due reperti istopatologici sorge naturale la domanda : se havvi identità o analogia fra i due casi sopradescritti, 1.° nel senso anatomo-patologico, 2.° nel senso clinico. Sotto il primo punto di vista si palesano alcune differenze fra il I° e il VI° caso, che qui appresso vengo a mettere a riscontro. 1.° Come nel I°, così nel VI° caso esisteva l' ettasia dei capillari della circolazione corio-papillare e del pannicolo adiposo: ma se nel I° caso l’ettasia era in un grado assai maggiore che nel VI°, in questo invece i capillari della rete subpapillare formavano in- trecci vasali assai cospicui. 2.° Nel I° caso i capillari erano interamente infarciti di sangue e fortemente distesi, nel YI° invece i capillari erano d’ordinario vuoti, o contenenti scarsa quantità d’ emazie e di detrito ematico, e rarissimi quelli ripieni di sangue. 3.° Una notevole ettasia nelle lacune linfatiche del derma e dell’ ipoderma, specie nei coni fibrosi ipodermici, nonchè attorno ai muscoli lisci, ai vasi arteriosi e agli organi ghian- dolari e follicolari, si notava nei tagli della cute corrispondenti alla zona emorragico-telan- gettasica del VI° caso, mentre la circolazione plasmatica non presentava alcuna alterazione nel I° caso. PAR 3 4.° Nel VI° caso due fatti importantissimi sono usciti fuori dal reperto istopatologico : il primo costituito dall’ endoarterite obliterante nella cute dell’ area atrofica, e il secondo dall’ ettasia delle arteriole nella zona emorragico-telangettasica, e dalla successiva forma- zione di aneurismi migliariformi delle medesime. Di queste due alterazioni non sì rinvenne traccia alcuna nell’ esame della cute del I° caso. 5.° Un’ altra importante alterazione istopatologica, trovata nel VI° caso, è quella che sì riferisce ai muscoli lisci, tanto follicolari, tanto intradermici, alterazione caratterizzata da degenerazione jalina e da dissociazione delle fibrocellule muscolari, per modo che il nastro muscolare si disgrega, si frammenta e da ultimo si atrofizza interamente. Siffatta altera- zione mancava affatto nel I° caso, tranne che per i muscoli arrectores pilorum, i quali venivano coinvolti secondariamente nell’ atrofia degli organi pilo-sebacei, mai però, come nel VI° caso, erano essi colpiti da degenerazione jalina e da disgregamento delle loro fibrocellule. 6.° Una non lieve differenza notavasi ancora nella sede delle emorragie: dappoichè mentre nel VI° caso il focolaio emorragico stava accanto all’ arteriola ettasica e spesso in corrispondenza dell’ aneurisma migliariforme, nel I° caso invece le piccole emorragie risiedevano soltanto attorno a qualche capillare ettasico infarcito di sangue, fornito di pareti delicate, e sottoposto a continua e crescente pressione. 7.° Rispetto allo stato del pannicolo adiposo havvi pure qualche differenza fra i due casi, poichè mentre nel I° rinvenivasi atrofia del pannicolo adiposo nell’ area atrofica, man- cava invece, a differenza del VI°, nella zona emorragico-telangettasica ; inoltre nel I° caso l’atrofia dell’ ipoderma è data da una diminutio substantiae di tutta la sua massa (atrofia semplice), nel VI° invece |’ atrofia era accompagnata da neoformazione di elementi giovani entro cellule adipose nella loro fase atrofizzante, nonchè dalla dissociazione dei lobuli grassosi. D'altra parte non mancavano fatti anatomo-patologici, se non per grado, certo per natura identici nei due casi, dei quali come i più manifesti sono da ricordarsi: 1.° la distinzione delle due zone atrofica ed emorragico-telangettasica : 2.° l’atrofia dei follicoli pilo-sebacei e degli organi ghiandolari: 3.° il grado di pigmentazione: 4.° il meccanismo di formazione dei focolai emorragici, dovuto in ambedue a rottura dei vasi (emorragia per reaim). 5. Havvi ancora fra i due casi un’altra particolarità, riferentesi ai fatti reattivi sopradescritti, che li ravvicina tanto intimamente: la quale consiste in ciò, che mentre nel I° si nota una discreta, ma evidente infiltrazione parvicellulare perivasale, nel VI° spicca pure una ipertrofia e iperplasia delle cellule fisse attorno ai capillari subpapillari, non che una proliferazione di elementi con caratteri periteliali (?). 6.° In base alle ricerche istologiche sopra esposte, si viene a confermare sempre più e con maggior chiarezza quanto si è trovato nel I° caso: che la pelle delle aree emor- ragico-telangettasiche, per le sue condizioni distrofiche (dovute a endoarterite obliterante con sclerosi del derma e atrofia dell’ipoderma, dei follicoli pilo-sebacei, dei muscoli lisci) ha subìto quelle alterazioni, che conducono i tessuti cutanei ad uno stato d’ involuzione precoce (stato presenile) tenuto conto dell’età dei pazienti, colpiti da questa dermatosi. bionogii il Ma ammessa l’ analogia, o anche l'identità d’alcuni fatti anatomo-patologici fra i due casi sopradescritti (I° e VI°), sono essi da ritenersi identici sotto l’ aspetto clinico ? Sotto questo rispetto, sebbene, come io dissi più sopra, vi sieno differenze per l°età e per il decorso alquanto più rapido nel I° caso, nullameno sono d’ avviso che questo debba ritenersi nel senso morfologico identico al VI°, e conseguentemente anche agli altri casi sopradescritti, dei quali ci manca l'esame istopatologico. Che sia così lo mostrano, sia la forma elementare emorragico-teleangettasica, sia la figurazione anulare, caratteri morfo- logici perfettamente identici in ambedue i casi. Una sola differenza clinica, che poteva a tutta prima oscurare il quadro nosografico della dermatosi, era data dalla topografia; dappoichè mentre in tutti gli altri casi la dermatosi occupava, ora esclusivamente, ora prevalentemente gli arti, nel I° caso invece essa risiedeva quasi esclusivamente nel tronco e soprattutto nel dorso. Tale differenza però non può sminuire l’ importanza clinica degli altri caratteri sopra- descritti, sopra i quali viene fondato il diagnostico della dermatosi. Del resto per la pochezza dei casì clinici non c’è dato ancora di stabilire quali varietà di tipo possa vestire questa dermatosi. Certo è che 1 e/à può costituire un coefficiente capace di modificare alcuni dei caratteri tanto anatomo-patologici, quanto clinici. E sopra tutto l’età infantile potrebbe contribuire (al decorso suo piuttosto rapido) nel senso di una minore resistenza organica della pelle, non avendo questa raggiunta ancora nelle sue di- verse parti quelle giuste proporzioni di sviluppo, nè quel grado di stabile organizzazione, che presenta nell’età della gioventù e della virilità. A questo grado di immatura organiz- zazione nella pelle del neonato potrebbe ascriversi la mancanza di arteriole nell’ ipoderma, essendo queste poco sviluppate nell’ infante e così pure la mancanza di alterazioni dei mu- scoli lisci per il poco sviluppo loro nella detta età. Anche nel decorso della dermatosi po- trebbero trovarsi altre differenze cliniche, inquantochè la durata maggiore o minore del processo potrebbe influire a dar luogo ad un’alterazione più o meno spiccata di alcuni tessuti e di organi contenuti nella pelle. Comunque non ci è dato per ora addurre altri fatti clinici ed anatomo-patologici, che valgano a risolvere la questione relativa a qualche varietà di tipo della dermatosi su descritta. Ed è però che noi dobbiamo attenerci ai mas- simi caratteri morfologici per stabilire l’identità clinica della dermatosi suddetta, come io ho stimato di fare per il I° e VI° caso. Ma il punto più importante che rimane da interpretare, dopo le descritte alterazioni istopatologiche del VI° caso, si riferisce alla patogenesi della dermatosi. Sulla base delle prime ricerche (caso I°) era troppo ardito fondare un’ipotesi, adatta a farci intendere il meccanismo di sviluppo delle lesioni cutanee sopra descritte. Vediamo ora se le indagini ultime ci aprissero un campo più vasto, se non per illuminare la oscura questione pato- genetica, almeno per spiegare i caratteri morfologici della purpura annularis teleangiectodes. Come si è detto, il punto di partenza per il meccanismo di sviluppo della dermatosi è senza dubbio l’endoarterite obliterante. Qualunque sia lo stimolo che la determini, questa per i caratteri di una progredita organizzazione, occludente il lume vasale, si palesa come la lesione prima, in una parola, la più antica delle altre sopradescritte, Sia AT All’endoarterite obliterante d’ un’ arteriola cutanea, e alla chiusura del circolo san- guigno in un dato distretto, dovrebbero seguire quelle stesse lesioni, che s’ incontrano nel- l'infarto anemico. Ma nel VI° caso il processo morboso si è compiuto assai diversamente, non essendosi verificati mai fatti necrotici, come sogliono avvenire nell’ infarto anemico tipico. Infatti l’ endoarterite obliterante si è ordita gradatamente, per modo che, non es- sendosi verificata una rapida ostruzione del vaso, non avvenne nemmeno la soppressione completa della circolazione. Dunque il concetto dell’ infarto anemico, preso nel suo siretto senso, deve essere applicato nelle lesioni consecutive all’ endoarterite obliterante della pur- pura annularis, in una maniera differente da quella, di cui ordinariamente ci serviamo. Pertanto di mano in mano che si va restringendo il lume d’ un’ arteriola ipoder- mica, si comprende come tutta la zona, irrigata dal detto vaso, che si avvia alla totale ostruzione, venga a subire un processo di lenta, ma progressiva involuzione. Ora fra gli elementi istologici, che si trovano in queste condizioni di alterato trofismo, vi sono anche quelli, che costituiscono le pareti dell’arteriola suddetta e dei vasi che direttamente, o in- direttamente partono dalla medesima, già in via di ostruzione. Per questi disturbi trofici ne segue, nel tratio superiore al punto ostruito, un rammol- limento degenerativo sotto forma di degenerazione jalina delle tuniche arteriose e princi- palmente della media, la quale, come si è visto, viene a disgregarsi nei suoi elementi. In pari tempo fa risentire una pressione sempre crescente nella circolazione venoso- linfatica dei distretti, circostanti al vaso ostruito. Allora il sangue, che distende i capillari della circolazione superficiale e in parte della profonda, penetra nel tratto periferico, superiore al punto obliterato (nonchè nei ra- muscoli che partono da esso tratto), e trovandone le pareti indebolite, le sfianca in ragione diretta della pressione endovasale e del grado di rammollimento degenerativo delle pareti medesime. Avvenuta l’effasia dell’arteriola e successivamente dei capillari della rete subpapillare ad essa sottoposti, cominciano a presentarsi e a fare trasparenza dalla pelle macchiette puntiformi, rosso-livide, tondeggianti, ben distinte, alquanto discoste fra di loro, corrispondenti alla forma e grandezza dei coni vasali della circolazione corio-papillare, le quali caratte- rizzano l’inizio di formazione delle figure anulate. È d’uopo tener conto che la stasi e l’ettasia sono favorite, oltre che dalla pressione endovasale, dal fenomeno di gravità del sangue stesso : il che è in perfetto accordo col fatto clinico, che si riferisce alla topografia della dermatosi, la quale, come risulta dalle storie cliniche, risiede prevalentemente negli arti inferiori. Ma la stasi e l'ettasia capillare possono determinare per un certo tempo una vivace ipertrofia e iperplasia delle celluie fisse del connettivo perivasale, e queste più tardi colla loro metamorfosi fibrosa contribuiscono alla retrazione atrofica e alla sclerosi del derma, come sì rinvenne anche nel I° caso. Non basta. Dal rammollimento degererativo prende le mosse la formazione di quelle piccole ettasie arteriose, che dà luogo allo sviluppo di aneurismi migliariformi. Orbene nei punti, ove questi aneurismi con lenta, ma progressiva, dilatazione fanno assottigliare perio ie sempre più le tuniche arteriose, avviene la rottura di essi e conseguentemente l'emorragia perivasale. Lo stravasamento emorragico, insieme all’ettasia arteriosa e alla telangettasia, fa meglio spiccare le macchiette rosso-livide delle chiazze anulate, cosicchè in questo momento il carattere morfologico essenziale della dermatosi è completo. Tuittavolta, oltre i fatti anatomo-patologici di endo-arterite obliterante, di ettasia vasale e di stravasamenti emorragici, furono notate altre lesioni nel derma, caratterizzate da ettasia dei canali plasmatici, e da guasti notevoli a carico dei muscoli lisci tanto follicolari, quanto intradermici. Ora, come possono spiegarsi tutte queste alterazioni cutanee, e quale valore possono avere nello sviluppo e nella nosografia della purpura annularis? Partendo sempre dall’ endoarterite obliterante e dalla conseguente ettasia delle arte- riole ipodermiche, è d’uopo ammettere, come si è detto più sopra, un forte ristagno nel circolo venoso linfatico, e necessariamente anche nel sistema canalicolare plasmatico. Da ciò ne consegue che i canali plasmatici del corion, fortemente e lungamente distesi, ven- gano a portare un certo grado di lassezza della cute, distendendo anche esageratamente i fasci collageni e la rete elastica. Ma non finisce qui. Dappoichè l’ettasia dei canali pla- smatici si fa risentire anche sugli organi contenuti nella pelle, specie sui follicoli pilo-sebacei e sui muscoli lisci. Ma è principalmente sopra i muscoli lisci, così intimamente connessi col derma e pei rapporti loro coi fasci collageni e colla rete elastica, che l’alterato circolo dei capillari sanguigni e linfatici e dei canali plasmatici viene a portare i disturbi trofici sopradescritti. Infatti i canali plasmatici perimuscolari, dilatandosi, vengono come si è descritto più sopra, ad isolare il muscolo liscio dal connettivo circostante : in pari tempo i detti spazi plasma- tici sì continuano entro il nastro muscolare, diseregandone dapprima le fibrocellule più periferiche e gradatamente penetrando nella spessezza del medesimo. Talvolta si vedono, come sì è detto, piccoli spazi di varia forma e grandezza nella sostanza del muscolo che lo rendono cribrato e rilassato e allora il muscolo stesso degenera, si frammenta e si atro- fizza. Questo stesso fatto si verifica, presso a poco colle stesse condizioni, nella tunica mu- scolare delle piccole arterie per l’ ettasia dei canali plasmatici del connettivo perivasale e dell’ avventizia. Ora è logico il pensare che le gravi alterazioni istologiche dei muscoli lisci, facenti riscontro a quelle trovate nella tunica media delle arteriole ipodermiche, debbano apportare disturbi notevoli nelle varie funzioni della pelle. Infatti colla loro involuzione prima e poi colla loro soppressione, la pelle viene a perdere quel grado di tonicità, di cui gode prin- cipalmente per opera di questi piccoli e molteplici regolatori della pressione vasale, nonchè delle secrezioni cutanee medesime: in una parola la cute cade in un certo stato di lassezza (cutis lassa), perchè in essa è annientato I’ elemento dinamico, il sistema muscolare liscio, Pequivalente della tunica media delle arterie. Da ciò si comprendono meglio gli effetti sulla circolazione venoso-linfatica, sulle ettasie dei capillari e dei canalicoli plasmatici, e i danni sulla nutrizione della pelle, permodochè le condizioni distrofiche di questa devono riconoscere un altro fattore, nei guasti anatomo-patologici dei muscoli lisci. Bono RA Rispetto agli altri caratteri clinici è facile comprendere la loro genesi dopo quanto si è detto più sopra. La sclerosi del corion e l’atrofia del pannicolo adiposo nei primitivi punti emorragico-telangettasici sono dovute all’ endoarterite obliteranie, che equivale a soppres- sione, 0 a riduzione di campi vasali e successivamente a diminuzione di materiale nutritivo nei tessuti sottoposti ai distretti vasali alterati. Ma, come ho descritto più sopra, un altro fattore delle condizioni distrofiche della’ pelle è dovuto alla retrazione, che subisce più tardi il connettivo per la metamorfosi fibrosa delle cellule fisse proliferate, nonchè per 1’ atrofia dei muscoli e così pure degli organi pilo-sebacei con successiva alopecia. A questa stessa retrazione atrofica sono intimamente legate quelle apparenti produzioni papillomatose sopra- descritte. Per tutte queste alterazioni unite insieme, l’area di cute, ove si erano formate le prime macchiette emorragico-telangettasiche si atrofizza, leggermente si avvalla, o si retrae sotto forma di sottilissime pieghe. Nello stesso tempo il sangue stravasato lascia scarso deposito di pigmento nel connet- tivo del derma e anche nelle cellule epidermiche malpighiane, da cui si ha un colorito leg- germente giallogno]o, caratteristico per un certo tempo, delle chiazze anulari. Ma progre- dendo le condizioni distrofiche della cute, la scarsa pigmentazione scompare e rimane la pelle della chiazza anulare leggermente acromica. Ed ecco come l’azrofia, la pigmentazione, V acromia e alopecia nelle chiazze della purpura annularis, caratteri importanti anch’ essi nel quadro nosografico della detta der- matosi, ci si possano presentare chiaramente nella loro genesi come esito delle alterazioni vasali sopradescritte. Questa serie di fatti istopatologici assume, come si è visto più sopra, una determinata disposizione e figurazione, caratteri anche questi, che la rendono sempre più interessante all’occhio dell’osservatore. Per rispetto alla disposizione, che è costantemente bilaterale, si è notato che la der- matosi suol prendere in molte regioni una spiccata simmetria: la quale, a mio avviso, potrebbe mettersi in correlazione con alterazioni del sistema nervoso vasomotorio, 0 col- l’agente (qualunque esso sia) che venisse ad attaccare il detto sistema. Ma su questo punto farò ritorno più tardi nel trattare dell’ etiologia. Rimarrebbe da ultimo a spiegare quella elegante figurazione anulare delle chiazze emorragico-telangettasiche, che costituisce il carattere morfologico culminante della der- matosi. A tal proposito feci rilevare nel precedente mio lavoro la grave difficoltà di spiegare l'origine di questo singolare segno grafico; il quale, come dimostrai nella storia clinica del VI° caso si formerebbe in due distinte maniere : l’ una per dilatazione centrifuga del processo morboso da un punto emorragico-telangettasico e questa è la maniera più comune: l’altra per avvicinamento e disposizione a segmento di cerchio di punti emorragico-telan- gettasici, la quale poi si va di mano in mano ad integrare in forma anulata: e questa è più rara. Tuttavolta amendue queste maniere di sviluppo verrebbero a dare lo stesso risul- tato per la costituzione delle figure anulari. i ge La prima interpretazione, che si affacciò alla mia mente, fu da me fondata sulla sede principalmente foZlicolare della lesione cutanea, permodochè la configurazione anulata delle chiazze emorragico-telangettasiche potevasi ritenere dipendente dalla disposizione a vortice dei follicoli stessi. Tuttavolta mi parve che tale modo di vedere non si potesse adattare ad amendue i modi di fleurazione delle chiazze anulari: dappoichè oltre la localizzazione del processo nei follicoli piliferi potevasi verificare anche una sede estrafollicolare; di più in alcune chiazze la scomparsa di punti emorragico-telangettasici in conseguenza di atrofia si osservava una nuova formazione centrifuga di altri punti identici, cosicchè sembrommi che questa formazione di figure dovesse riconoscere qualche altra origine. Ed è però che la disposizione a vortice dei follicoli poteva tutto al più adattarsi alla seconda maniera di for- mazione delle figure e specialmente a quelle circinate. D'altra parte per pensare all'influenza del sistema nervoso (come appare più verosimile per la disposizione) nell’interpretare questo singolare meccarisino della figurazione, man- cavano argomenti, atti a dare una dimostrazione sicura. Senza pretendere di dare qui la ragione intima intorno alla formazione di questo sin- golare atteggiamento della dermatosi, noi possiamo tutto al più restringere la nostra osser- vazione al fatto, che la prima macchietta puntata emorragico-telangettasica si forma at- torno ad un’arteriola ostruita. Quando questa area puntiforme di cute è caduta in atrofia, avvengono in forma circolare attorno ad essa nuovi focolai emorragico-telangettasici per effetto della pressione, che si fa risentire dal vaso obliterato nei distretti vasali circostanti. Alla loro volta i detti focolai, dopo una certa durata sull’area di cute, in cui essi si svi- lupparono, vengono a dileguarsi; ed è in questo momento che, spentosi per atrofia il pri- mitivo focolaio emorragico-telangettasico, si palesa immediatamente la prima figura anulare, alla quale per le stesse vicende distrofiche della cute faranno seguito altre zone concen- triche, in guisa da dare figure simili, ma più grandi, variamente fra di loro consociate, colle quali viene unicamente a rappresentarsi la purpura annularis teleangiectodes. Denominazione della Dermatosi. Dalle cose dette intorno ai caratteri morfologici della dermatosi, e al suo reperto isto- patologico, dovrebbe sembrare più agevole di classificarla e in pari tempo di assegnarle un nome bene appropriato. E pure, come già feci notare nella mia comunicazione preli- minare e nell’ ultimo mio citato lavoro, per soddisfare a tale intento s'incontrano non poche difficoltà, occorrendo sopra tutto approfondire l’ indagine sulla vera natura della malattia. È solo in base a questa intima conoscenza che si può procedere ad una giusta denominazione. Per schivare sempre i gravi ostacoli che si parano d’ innanzi, allorchè si voglia creare nuove voci per aggiungerle alla già troppo ricca nomenclatura dermatologica, avvisai dap- prima fosse utile di determinare, se questa dermatosi rappresentasse una forma tipica, 0p- pure se fosse una varietà d’un noto e ben definito gruppo dermatologico. Era questo il quesito, propostomi fin da quando incominciai a seguire lo studio clinico di questa singolare dermatosi. Ma allora non era facile rispondervi: oggi però, dopo le Serie VI. — Tomo II. 4 ds O ri ultime ricerche istopatologiche, è molto appianata la via per una risposta, se 700n assoluta, più adeguata, certo, all’ importanza del quesito suddetto. È A tal fine, non ostante il numero ancora scarso dei casì, caduti sotto la mia osserva- zione, ho stimato opportuno di dovermi fermare sopra i caratteri morfologici più appari- scenti, preponendone i due importanti, forma e figurazione. Rispetto alla prima ho tenuto conto delle macchiette rosso-livide, costituite, parte da emorragie e parte da angettasie, in base alle quali sono stato d’avviso d’includere la dermatosi nella classe delle maculose, e più particolarmente nel genere delle Porpore. Intorno a questo primo punto non vi può essere discussione, in quanto che oltre l’ osservazione clinica, rivelanie, specie colla lastra diascopica, gli stravasi o le angettasie, havvi oggi anche l’ indagine microscopica che con- ferma pienamente ambedue questi fatti con reperti istopatologici ineluttabili. Rispetto alla seconda, trattasi del carattere più evidente, e dirò più essenziale della dermatosi, la confi- gurazione anulare; onde che la denominazione, sia per il genere, sia per i qualificativi di figurazione e di angettasia, viene a delinearsi nella seguente formula « Purpura annularis teleangiectodes ». Se non che potrebbe obbiettarsi che la denominazione, da me proposta, quantunque per evidenti ragioni accettabilissima, non avrebbe designato una nuova specie di esantema emorragico, o in altri termini una 2uo0va forma tipica di porpora, ma piuttosto avrebbe indicato una varietà di porpora, già nota e descritta sotto il nome di purpura teleangie- ctodes. Al che io potrei rispondere che la purpura teleangiectodes, sì pel costante inizio con emorragie cutanee di tutte le varietà di configurazione, di estensione, e di profondità, sì pel suo decorso vario e per la minore durata, sì per gli esiti diversi, ma sopra tutto per la mancanza delle Delle figurazioni anulari, non ha nulla da vedere colla purpura an- nularis teleangiectodes: onde che ]a pretesa identità dei due esantemi maculosi, emorra- gici, non può essere che un apparente omonima nell’enunciato diagnostico, mai però nel rispetto clinico obbiettivo. Per le suddette ragioni la dermatosi, da me descritta sotto il nome di purpura an- nularis teleangiectodes, rimane nel concetto clinico, come una forma tipica ben definita, appartenente al gruppo delle porpore. Ma per quanto siffatta denominazione possa apparire acconcia ad esprimere è cardat- teri esteriori più salienti della dermatosi, altrettanto potrebbe sembrare insufficiente a de- notare la natura intima di essa, e segnatamente il suo modo d'’ iniziarsi. Infatti le emor- ragie non sono una manifestazione ériziale, e neppure, sempre spiccata, sebbene, costante, ma solamente conseguono all’ettasia dei capillari cutanei, e questa alla sua volta all’ ar- terite obliterante, siccome ho detto più sopra: in altri termini, l’angettasia rimane in or- dine crorologico, come il primo fenomeno clinico obbiettivo nello sviluppo di questa eru- zione porporiforme. Ed è però che in base a queste considerazioni cliniche si potrebbe concludere sull’opportunità di togliere l’allusione ad una forma clinica di porpora e di abbandonare come non giustificata la denominazione di purpura annularis teleangiecotdes. Ma qui è d’uopo riflettere se, adottando altra denominazione, possiamo meglio designare la dermatosi nei suoi caratteri morfologici e nella sua patogenesi. Vediamo dunque se da SE 1 ASS uno studio più intimo delle lesioni cutanee, chiarite da ricerche istopatologiche, ci fosse dato di trarre un’ altra formola diagnostica più precisa e significativa della dermatosi. E sotto tale rispetto, tenendo presente questo triplice ordine di fatti obbiettivi, assai importanti nel quadro nosografico dell’ eruzione, vale a dire: 1°) le angiettasie capillari, prima manifestazione obbiettiva della dermatosi. 2°) la sua sede follicolare. 3°) la sua par- ticolare e costante configurazione anulare, discende chiaramente che la denominazione mi- gliore sarebbe quella di Teleangiectasia follicularis annulata (1). In tal modo noi riusciremmo ad otienere un concetto clinico ben definito dell’affezione, facendola rientrare sempre nella classe delle malattie #2@culose e nel genere delle feleangectasie, dalle quali però si distingue- rebbe per caratteri tutti suoi propri e particolarmente per la sede anatomica follicolare. Non ostante che questa formola diagnostica apparisca, sotto molti rispetti, più precisa ed espressiva, pure è da osservare che neanche essa abbraccia tutti i caratteri propri della dermatosi: anzi n° esclude due importantissimi, quali sarebbero le emorragie e l atrofia della pelle. Siffatta esclusione però non offrirebbe una seria obbiezione, in quanto che questi due caratteri, sebbene abbiano molta importanza nel quadro clinico della dermatosi, tuttavia conforme alle sovraesposte considerazioni, potrebbero ritenersi come esili: onde che non dovrebbero entrare nella denominazione della dermatosi stessa. Ma, come sì è visto più sopra, questi due fatti entrano fra i caratteri morfologici della dermatosi, e soprattutto la emorragia costituisce uno dei periodi più culminanti della medesima. Dopo ciò, stando all'antico adagio « a potiori fit denominatio », è logico pensare che la formola clinica d'una dermatosi debba contemplare solamente i suoi caratteri principali e non quelli secondari, o comunque di minore importanza. E per non fermarmi oltre misura sopra una questione di pura forma, la quale per altro non è priva d’interesse dermatologico, trovandomi in sulle prime dubitoso, avvisai, e dichiarai in altro mio precedente lavoro, d’intitolare la malattia con ambedue le suddette formole diagnostiche, senza dare la preferenza, nè all’una, nè all'altra. Infatti parendomi la prima « Purpura annularis teleangiectodes » denominazione incompleta, ritenni oppor- tuno d’accoppiarla all'altra « Teleangiectasia follicularis annulata » perchè più compren- siva, come quella che abbraccia i principali caratteri morfologici e sopratutto la sede ana- tomica della malattia. Ma, come ho già detto più sopra, dopo le ultime indagini micro- scopiche, le quali hanno meglio illustrato il meccanismo degli stravasamenti emorragici, io mi appiglio di nuovo alla prima denominazione come la più semplice e nello stesso tempo più conforme all’uso dermatologico, in quanto che col carattere ordinario dell’ emorragia cutanea, riporta la dermatosi ad un gruppo clinicamente ben definito: laddove | altra, benchè contenga qualche pregio, si allontana di troppo dal consueto linguaggio pratico. Dopo queste considerazioni deponendo il pensiero di cercare altra migliore designa- zione, mì piace però di far notare che in parecchie dermatosi, osservansi parimenti angiet- (1) Majocchi — Purpura annularis teleagiectodes. « Teleangiectasia follicularis annulata » — Klinische Beobachtungen und histologische Untersuchungen — (Festschrift zu Ehren von Filipp Josef Pick), 1898. = ge tas'e con susseguenti emorragie e pigmentazioni : è d’uopo anzi convenire che in alcune havvi sempre un vero stadio teleangettasico. Infatti, oltre la sopramentovata « purpura teleangiectodes », tanto differente dalla no- stra « purpura annularis teleangiectodes » voglio accennare a qualche altra dermatosi per differenziarla clinicamente da quella ch è oggetto del presente studio. Tra queste ricorderò le telangettasie piane da erifema-pernio, le quali sotto tanti rispetti offrono qualche rassomiglianza colla nostra porpora, sia per macchie telangettasiche, molteplici, puntiformi e lenticolari, sia per le emorragie e pigmentazioni, sia in parte per Jla topografia. Altrettanto dicasi dell’ Acne rosacea e specialmente di quella forma, che per l'enorme sviluppo vasale ettasico fu chiamata dal Kaposi molto propriamente Acne telean- giectodes (1). Ma in ambedue queste dermopatie riescirebbe superfluo un dettagliato diagno- stico differenziale colla purpura annularis teleangiectodes, avendo ognuna di esse una impronta tutta propria e mancando ambedue della figurazione anulare. Porrò fine al novero degli esempi, ricordando una forma di lupus, che fu descritta da me con il nome di « Lupus teleangiectodes disseminatus (2) », in cui le ettasie vasali si manifestano nel territorio delle chiazze lupose e intorno ai nodi medesimi. Queste angiet- tasie formano reticoli rosso-lividi, e chiazzette lenticolari, o macchiette puntiformi rosso- brune (mai però configurazioni anulari) accompagnate da evidenti emorragie, differenzia bili, sì queste, che quelle, mercè la lastra diascopica: ben presto alle chiazzette emorra- giche sopraggiunge la pigmentazione; in altri termini si ha la stessa evoluzione di fatti come nella porpora da me descritta. Ma havyi pure un’altra analogia colla Purpura an- nularis teleangiectodes, ed è la successione di evidenti aree atrofiche sulle chiazze lupose telangettasiche, nelle quali, l'esame microscopico mostra, o riduzione, o scomparsa totale dei vasi èttasici in conseguenza della retrazione del circostante tessuto connettivo (sclerosi del derma). Tuttavolta dinanzi a tanta identità di fatti clinici ed anatomo-patologici, sin- golarmente presi, quanta differenza invece non si contrappone nei suoi caratteri morfologici, presi nel loro insieme, fra queste due dermatosi? Riesce quindi inutile qualsiasi confronto clinico a scopo diagnostico, dopo quanto si è detto più sopra intorno alla forma, figura- zione, decorso ed esiti della dermatosi, da me descritta. È d’uopo quindi concludere che, sebbene il carattere felangettasico ed emorragico sia proprio di altre malattie cutanee, tuttavia nella Purpura annuluris teleangiectodes esso assume tali atteggiamenti morfologici e piglia una parte tanto importante nella patogenesi di essa, che basta di per sè a farla differenziare da tutte le altre dermatosi affini. Etiologia. Se non è agevole di trovare una giusta denominazione per questa dermatosi, difficoltà maggiori s' incontrano nell’ investigarne la etiologia. Nei pochi casi, da me raccolti, non mi (1) Kaposi — Ueber einige ungewòhnliche Formen von Acne (Folliculitis) Acne teleangiectodes. (Arch F. Derm. und Syph. 1894). (2) Majocchi — Lupus teleangiectodes disseminatus. (Berliner Klin. Wochenschrift, p. 465 - 1894) CAISG CO fu dato di porre in sodo, se vi fosse stata una condizione patogenica, capace di determi- nare l’erompere della dermatosi. Tuttavolta dirò delle cause piu appariscenti, le quali potrebbero disporre l’ organismo allo sviluppo della dermatosi stessa. Quanto alle cause predisponerti, non mi sembra improbabile che il sesso abbia una certa influenza sulla genesi della malattia: infatti dei sette casi da me raccolti sei appar- tengono al sesso maschile. Il che si accorda perfettamente con quanto avviene in rapporto all’età per l’aferomasia delle arterie, sebbene questa sia tanto diversa dalla forma d’endo- arterite trovata nella purpura annularis. Ma allorchè pensiamo alle ragioni, che possono esporre più di frequente il sesso maschile allo sviluppo della dermatosi, non c'è dato di trovarne una soddisfacente, per modo che il fatto clinico acquisterà valore, solo quando sarà confortato da una più ricca statistica. Per lo contrario l’efà non pare v° influisca, essendosi la malattia sviluppata tanto pochi giorni dopo la nascita, quanto in pazienti dai 25 ai 35 anni. Comunque a stabilire con maggior sicurezza il grado di frequenza del male secondo l’età, è d’uopo d’ un numero maggiore di osservazioni cliniche. Il medesimo avviso si può esprimere intorno alla pro- fessione e alla condizione sociale del paziente. Nell’ indagine etiologica non trascurai anche di verificare, se i pazienti avessero qual- che vizio congenito di cuore, come per es.: la persistenza del forame di Botallo, che po- trebbe perturbare meccanicamente la circolazione della pelle, come avviene nel morbo, cosìdetto, ceruleo. Ma la ricerca ebbe risultato negativo in tutti i casi, nei quali non potè riscontrarsi mai traccia alcuna di vizio cardiaco, nè congenito, nè acquisito. Medesimamente è da escludere la possibilità d’ una influenza #raumatica, come contra- zioni violente dei muscoli del braccio, o degli arti inferiori, le quali in qualche soggetto, predisposto all’ emofilia (siccome avviene talvolta in coloro, usi a cavalcare di frequente), potrebbero determinare lesioni dei vasi e stravasamenti di sangue, formanti macchie rosso- livide di varia grandezza, estensione e figura. Contro questa ipotesi, oltre l’ anamnesi, sta il fatto della costante configurazione annulare dei focolai emorragici ed angioettasici. In base alle storie cliniche potei certificarmi che tutti gl’ infermi furono esenti da in- fezione sifilitica. Ma, anche ammesso il sospetto di una pregressa sifilide, la presente der- matosi non potrebbe trovare posto conveniente entro la svariata classe dei sifilodermi. È pur vero che talvolta si hanno emorragie nei sifilitici e, come complicazione, anche in al- cuni sifilodermi: non però è ammesso un sifiloderma emorragico. A togliere poi qualunque dubbio basterebbe pensare alla lunga persistenza della Purpura annularis teleangiectodes capace di rimanere immutata per anni, laddove le sifilidi cutanee hanno un corso più ra- pido, bene spesso si accavallano e in genere mancano di quella stabilità propria della der- matosi sopra descritta. Rimarrebbe soltanto a vedere, se la sifilide abbia potuto intervenire nella genesi della malattia non come processo infettivo, sibbene come causa intossicante. Sotto il primo rispetto risulta dalle storie cliniche che nel V° caso fu ammessa erronea- mente la esistenza della sifilide ritenendo la Purpura annularis come un sifiloderma! Ma come ho detto testè, prescindendo dai caratteri morfologici della dermatosi, l' esame clinico 2A sul paziente, e la sospensione della cura specifica fecero allontanare qualunque sospetto di sifilide. E neppure mi parve che si potesse pensare che cause reumatiche (freddo, umidità) avessero potuto portare la loro influenza nell’ insorgere della dermatosi, benchè uno dei pazienti desse gran peso a questa contingenza : infatti il Zappoli (II° Caso) incolpava del suo male i bagni di mare! Ma è d’ uopo riflettere che in lui la dermatosi apparve mani- festa dopo 8 o 10 bagni: e joi Egli stesso conveniva di non poter precisare con sicurezza l’inizio del male, anzi non escludeva che potesse preesistere alla cura balneare: e giusta- mente, poichè, come ho detto, trattasi di una eruzione, che in sul principio dà poco sul- l'occhio per la piccolezza e scarsezza dei suoi elementi, e perchè non cagiona prurito. Ciò non ostante si potrebbe addurre in favore di questa patogenesi che il freddo può de- terminare lentamente una forma cutanea asfittica con stasi, emorragie ed angettasie. In- fatti, prescindendo dall’ oscurità della sua origine, si è detto più sopra che la 2urpura annularis teleangiectodes presenta una certa analogia morfologica colle teleangettasie piane e verrucose puntiformi e lenticolari da eritema-pernio, purchè non si tenga conto della sua figura anulare. Ma nelle felangettasie piane e verrucose è facile convincersi dell’ azione pa- togena lenta del freddo sulla circolazione cutanea, in quanto che si assiste sempre al pe- riodo prodromico eritematoso asfittico, e ripetentesi per anni, periodo eritematoso asfittico che manca sempre nella purpura annularis teleangiectodes. È d’ uopo quindi concludere che, stando alle storie cliniche sopraesposte, noi non possiamo trovare nelle cause reumatizzanti in genere una condizione, nè predisponente, nè determinante per la genesi della dermatosi suddeseritta. Ammessa pure l’ influenza di tutte queste condizioni etiogenetiche sulla descritta der- matosi, rimarrebbe sempre ad investigare quale sia la causa efficiente, il primum movens delle alterazioni vasali di essa: dappoichè, come si è potuto vedere dalle ricerche istolo- giche nella purpura annularis, il processo patologico prende le mosse dai vasi cutaneì, arrecando più tardi ettasia di essi e distruzione delle loro pareti, specie delle piccole ar- terie. Se riflettiamo per un momento che all’inizio di questa eruzione manca ogni segno apprezzabile di flogosi, e d’altra parte che, in alcuni pazienti precedettero frequenti ne- vralgie degli arti inferiori, e che dopo queste si ebbero disturbi della circolazione cuta- nea, non sembrerà inverosimile che l’ origine della malattia abbia a trovarsi in un disor- dine primitivo dei centri vaso-motori, 0 delle fibre vaso-motrici, decorrenti sulle pareti dei vasi, il quale deprima in vario grado e per un tempo più o meno lungo il fono vasale. Gli esperimenti fisiopatologici avrebbero anche appoggio da questo concetto teoretico : dap- poichè il taglio del simpatico nei cani favorirebbe l’aortite ateromatosa: e del pari nelle paralisi sintomatiche per lesioni unilaterali del cervello (Botkin) | endo-arterite sarebbe più frequente e più rapida nel lato paralitico, ove trovasi il disturbo vaso-motorio. Or bene diminuita l’attività dei centi vaso-motori e conseguentemente la tonicità dei vasi cutanei, potrebbesi avere, per il rallentato circolo sanguigno, quella serie di alterazioni patologiche e di fatti morfologici, che comincia coll’ettasia e rottura dei capillari e suc- cessivamente va alla formazione di macchie rosso-brune, dovute ad emorragie, e a pig- mentazione. SISRO IENA Ma, com’ è ben noto, dai disturbi vaso-motori a quelli trofici è breve il passo; onde che nella purpura annularis i tessuti cutanei presentano ben presto nuovi fatti, che si ri- feriscono a Zeso trofismo: ed ecco che all'ettasie vasali tengono dietro la stasi e la dia- pedesi, e queste alla loro volta seguite da aumento temporaneo dei poteri nutritizi dei tessuti stessi; d’onde un’ accresciuta attività formativa delle cellule fisse del derma, le quali colle successive trasformazioni in fibre collagene vengono a subire una retrazione di vario grado e come conseguenza necessaria si ha da ultimo una corrispondente atrofia della pelle nelle chiazze anulari, specie in rispondenza dei follicoli. Concludendo, la dermatosi da me descritta potrebbe entrare nel gruppo delle forme cutanee di natura vaso-motorio-trofica: in una parola, sarebbe un’ Angioneurosi. Il che, ammesso per i concetti fisiopatologicìi sopra esposti, verrebbe convalidato dal fatto clinico della disposizione bilaterale e simmetrica dell’ affezione. Nè a questo modo di vedere farebbe obbiezione il reperto istologico dell’endo-arterite obliterante : dappoichè, secondo le ricerche del Thoma, ammesso un rallentamento di circolo, sia per la dilatazione vasale, sia per deficienza della massa del sangue, i vasi si contraggono e allora per la diminuzione del loro calibro la circolazione tende a riportarsi al suo indice normale. Ma la tunica media, avendo perduto le sue proprietà contrattili, ì’ endo-arteria s° inspessisce per ristabilire il calibro dei vasi, quale deve essere normalmente. Ecco come potrebbe essere applicata la teoria vaso-motoria all interpretazione della patogenesi della Purpura annularis. Ma, per quanto seducente e verosimile mi apparisse fin dal primo momento l'ipotesi della genesi neuropatica di questa dermatosi, nullameno mi parve che non si dovesse ac- cogliere in tutta la sua estensione, essendo che il ciclo, col quale si svolgono i fatti clinici ed anatomo-patologici, non s’ accorderebbe con essa. Infatti Vl endo-arterite obliterante, se- condo le mie ricerche, precede le altre lesioni cutanee vaso-motorie e trofiche, per modo che essa non potrebbe essere spiegata mercè la sola teoria neuropatica. Ed è però che, sotto questo rispetto, io non osai di dare alla malattia una denominazione definitiva in conformità della presunta patogenesi, per modo che la formola diagnostica, che per prima mi era balenata alla mente, e che sonava « Angioneurosis follicularis annulata » fu da me esclusa da quelle già sopramentovate e prescelte, come meglin acconce a designare il tipo morfologico della dermatosi. Che se la teoria meuropatica non può da per sè sola essere invocata a spiegare inte- ramente l’ etiogenesi della Purpura annularis teleangiectodes, può nullameno in via indi- retta coadiuvare l' interpretazione d’ alcuni fatti di leso trofismo, quando essa si accompagni alla teoria dell’ autointossicazione. Ed è questa, a mio avviso, l’unica sorgente di luce, a cui si può ricorrere in tanta oscurità intorno alla causa prima di questa dermatosi. Am- mettendo infatti, come si è proclivi oggidì a ritenere, che una sostanza zossica, formatasi, sia nell’apparato gastro-intestinale, sia per l’ alterazione di prodotti di secrezione e di escre- zione, venga a passare per il sangue, deve portare in un primo tempo uno stimolo sopra l’intima dei vasi, e da ciò una proliferazione dell’ intima stessa, e conseguentemente un endo-arterite di vario grado, fino all’ostruzione totale del lume vasale (endo-arterite obli- terante): e di questa ce ne darebbe una prova lampante il reperto microscopico del VI° caso, ammettendo per un momento l'origine tossica della purpura annularis. Ora è facile comprendere, come sì è detto più sopra, che, da una parte per la diminuzione, o sottrazione dei materiali nutritivi si abbiano (per quel dato distretto) gravi alterazioni trofiche nei vari tessuti della pelle e negli organi in essa contenuti (atrofia), e dall'altra per |’ aumentata pressione sul circolo refluo e su quello collaterale si formino stasi, ettasie e stravasamenti emorragici, caratteri propri della purpura annuluris teleangiectedes. Ma | azione patogena della sostanza tossica può spiegarsi contemporaneamente, o su i centri vasomotori, o sulle fibre vaso-motorie dei cordoni nervosi periferici, con diminuzione, o abolizione del tono va- sale e da ciò, oltre i disturbi circolatori locali (stasi, ettasie), possono verificarsi altera- zioni distrofiche dei territori cutanei sottoposti all’ influenza del sistema nervoso. Non basta: nel territorio, privato del plasma nutritivo e dell’ influenza nervosa, gli elementi dei tessuti possono subire fatti di necrosi, e da questi generarsi prodotti tos:ici secondari locali (cito- tossine), dai quali si avrebbero guasti non lievi di struttura (come nell’ ultimo caso sopra- descritto), la dissociazione della tunica media delle arterie e l’ erosione delle medesime. Che siffatto modo di concepire la lesione arteritica nella purpura annularis abbia un fondamento positivo fisiologico-clinico, lo proverebbero alcuni fatti di endo-arterite atero- matosa, ottenuti coll’ esperimento sugli animali mercè l’azione di diverse /ossine, difteri- che, streptococciche.... (Thérèse e Claude). Del pari lesioni arteriose si osservano più o meno costantemente in tutti i processi infettivi acuti per intossicazioni microbiche. E non basta; fatti identici sì hanno in casi di avvelenamenti come nel safurrismo cronico, e così pure nell’ a/coolismo, per modo che il principio sopraesposto sull’ azione irritante delle sostanze tossiche per l’intima dei vasi rimane fermo e indiscutibile. Partendo pertanto da questo concetto patogenetico, sembrerebbe facile d’ interpretare i fatti clinici più salienti della purpura annularis. Ma vediamo se nei casi sopradescritti vi fossero condizioni morbose a carico dei pazienti, capaci di dare luogo ad intossicazioni. Mi affretto a dire che su questo punto non può affermarsi nulla di preciso, in quanto che le storie cliniche, sebbene siano particolareggiate nei rispetti della morfologia cutanea, fanno difetto dal lato clinico generale, non avendo potuto avere che un solo dei pazienti a disposizione entro la Clinica per questo genere di ricerche. Malgrado ciò, si è potuto escludere dapprima ]' a/coolismo, perchè di questo tacciono le singole storie cliniche : e pa- rimenti fu messa in disparte la sifilide: dappoichè, se questa poteva anche sospettarsi nel neonato come forma di sifilide ereditaria tarda per le diverse deformità, trovate nel me- desimo, nullameno non si ebbero a riscontrare documenti sicuri sopra la madre per con- fermare questo precedente etiologico. Ponendo l’artritismo accanto a processi tossici lenti, sì potrebbe, e non senza fonda- mento di ragione clinica, ricorrere ad un’intossicazione artritico-gottosa per trovare la genesi di questa dermatosi, tanto più che in taluno dei pazienti fuvvi qualche precedente gentilizio, e in qualche altro si verificarono artralgie di alcune articolazioni. Nè devesi di- menticare che nelle dermatosi emorragiche s’ incontrano non infrequenti le artropatie, per modo che queste possono essere recate ad argomento di prova per ammettere l'influenza dell’artritismo sulla genesi delle medesime. Ma chi può dire quanta possa essere stata De ia de ini quest’ influenza patogenetica nella purpua annularis, mancando ricerche apposite nel ri- cambio organico dei pazienti? D'altra parte quale contribuzione ci offre la statistica per ammettere siffatta origine della dermatosi ? Fatti d’ autointossicazione d’ origine renale non fu dato di verificare in nessuno dei casi sopradescritti; laddove più verosimile ci parve la compartecipazione d’alcune /esioni epatiche in questo genere di affezioni. Questa infatti dal Gilbert e dall’ Herscher fu notata nello sviluppo di nevi telangettasici. Del pari in un caso di felangettasia a placche molteplici, descritta dal Brocq, si ebbe Za precedenza di coliche epatiche. A conferma di questa influenza epatica nella patogenesi delle telangettasie, si può recare il VI° caso, in cui si ebbe lifiasi diliare, seguita da disturbi gastro-intestinali, per la quale la paziente fu sottoposta ad un atto operativo. Ma in ordine di frequenza è d’uopo pensare a qualche aufointossicazione di origine gastro-intestinale, derivata da disordini di secrezione. Certamente che oscura è la pato- genesi dei processi auto-tossici gastro-epatici e gastro-intestinali: ma della loro influenza sul sistema vasale e nervoso vaso-motorio, si hanno oggidì molti esempi, anzi le prove si vanno moltiplicando di giorno in giorno; ed una assai dimostrativa possiamo ricavarla dal V° caso e anche dal VI°, testè ricordato. Ma, come ben si comprende, tutto ciò sfugge ad una ricerca scientifica rigorosa, e di tutte queste condizioni patologiche, atte a provocare fatti autotossici, non possiamo dare per alcuna di esse, rispetto ai casi sopradescritti, nemmeno prove cliniche bastevoli per dimostrare quale parte abbiano potuto prendere nella patogenesi della dermatosi. Dobbiamo per ora tenerci paghi soltanto al reperto microscopico sopraesposto, dal quale (siccome viene d’ordinario ammesso) ogni qual volta si hanno lesioni dell’ intima dei vasi, specie con neoformazione di essa, giustamente si presume che siavi stato l'intervento di qualche sostanza tossica ch’ abbia provocato uno stimolo nell’ intima stessa. Ecco fin dove oggidì possiamo spingere le nostre vedute sulla etiogenesi della Pur- pura annularis teleangiectodes; e ponendo termine a questo mio lavoro pel quale mi sono studiato di curare la parte nosografica e insieme la ricerca istopatologica, nutro speranza che ben presto altri casi clinici vengano sott’ occhio di osservatori più abili e di me più fortunati, i quali con nuove indagini giungano a dilucidare la natura di questa singolare dermatosi. > reo unt Serie VI. — Tomo IT. ce BUIO SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tavola 1. Arti inferiori della paziente, Masi Giuria, per ia distribuzione della dermatosr.. Favola Hl. Natica e coscia sinistra della medesima per il dettaglio delle figure anulate. Fiore ep Tavola EHEH. * - Sezione verticale della pelle in rispondenza dell’area atrofica. (Oc. 2. Ob. 1). - Epidermide con avvallamenti atrofici. - Derma con sclerosi. - Capillari della rete subpapillare con proliferazione di cellule fisse. - Glandole sudorifere. - Ipoderma in istato di atrofia. - Endoarterite obliterante d’ una arteriola ipodermica. Fig. 22 - Arteriola ostruita per endoarterite obliterante (end), vista con maggiore in- end grandimento. (Oc. 3. Ob. 4). v - Avventizia. - Media, rilassata maggiormente verso la periferia. - Capillari ettasici periarteriosi (Vasa vasorum ?). - Endoarteria - Connettivo dell’ intima proliferato. Fig. 3a - Sezione trasversa d’ un’ arteriola ettasica ipodermica. (Oc. 2. Ob. 3). m - Media rilassata. av - Avventizia con ettasia degli spazi plasmatici. f - Fascetto disgregato di fibrocellule della media. Fig. 48 - Sezione trasversa di arteriola ipodermica ettasica (ect). (Oc. 3. Ob. 4). VII CIN CEc - Media rilassata e in qualche punto cribrata. - Emorragia. - Capillari ettasici (Vasa vasorum ?). Fig. 52 - Sezione trasversa di arteriola ipodermica ettasica. (Oc. 3. Ob. 3). (CX) VII - Avventizia rilassata. i - Media assottigliata e rilassata alla periferia. - Fascetti della media dissociati e allontanati. - Emorragia. - Glandole sudorifere. Capillari. * 'l'utte le figure della III e IV Tavola furono copiate mercè la camera lucida di Zeiss e col Microscopio di Reichert. Os —-__ 35 _— Fig. 62 - Sezione trasversa d’arteriola ipodermica. (Oc. 3. Ob. 5). em - Emorragia. dj - Degenerazione jalina della media. Soltanto qualche fibrocellula mostra il pro- prio nucleo. Fig. 78 - Sezione trasversa d’ un’ arteriola ipodermica ettasica. (Oc. 3. Ob. 4). Media rilassata e con degenerazione jalina. Fascetti dissociati di fibrocellule della media. Emorragia. m ff em Fig. 82 - Sezione trasversa d’ un’ arteriola ipodermica ettasica. (Oc. 3. Ob. 4). min - Media rilassata e finestrata. am - Aneurisma migliariforme incipiente. av - Avventizia rilassata per ettasia degli spazi plasmatici. Fig. 9 - Sezione trasversa d’ un’ arteriola ipodermica ettasica con pareti parzialmente atrofiche. (Oc. 3. Ob. 4). am, am - Aneurismi migliariformi. Fig. 102 - Sezione trasversa d’ un’ arteriola ipodermica ettasica con atrofia parziale delle sue pareti. (Oc. 3. Ob. 5). m - Media ridotta ad una sottile lacinia. Fig. 112 - Sezione trasversa d’ un’ arteriola ipodermica, ettasica a ferro di cavallo. (Oe-3- Ob. 4). m - Media con degenerazione jalina. av - Avventizia. u - Erosione delle pareti arteriose. Fig. 122 - Sezione trasversa d’ un’ arteriola ipodermica. (Oc. 3. Ob. 4). m - Media assottigliata in degenerazione jalina. av - Avventizia. u - Erosione delle pareti arteriose con detrito ematico in corrispondenza dell’ a- pertura. Fig. 13 - Sezione trasversa d’ un’ arteriola ipodermica. (0c. 3. Ob. 4). im - Media assottigliata, finestrata in degenerazione jalina. av - Avventizia. u - Erosione delle pareti arteriose con detrito ematico in corrispondenza dell’ a- pertura. Tavola IV. Fig. 142 - Taglio verticale della pelle in rispondenza dell’ anello emorragico-telanget- Lasico-M Oc MOIO: ep - Epidermide assottigliata. fl - Follicolo nel suo sbocco. m - Muscolo liscio follicolare disgregato in fascetti. m' - Muscolo liscio intradermico. d - Derma con iperplasia delle cellule fisse. et - Arteriola ipodermica ettasica. fff - Fascetti di fibrocellale muscolari, distaccati e allontanati dalla media. gl - Glandole sudorifere distaccate dal connettivo circostante. Fig. 152 - Sezione verticale della pelle in un punto teleangettasico. (Oc. 3. Ob. 5). ep - Epidermide discretamente conservata. c - Capillari ettasici della rete subpapillare con proliferazione di cellule fisse n° connettivo circostante. m - Muscolo liscio intradermico dissociato. ve - Spazi plasmatici ettasici perimuscolari. Fig. 162 - Sezione verticale di pelle in un punto telangettasico. (Oc. 3. Ob. 5). ep - Epidermide. d - Derma con proliferazione di cellule fisse. p - Cellule piatte perivasali (periteliali ?). c - Capillari ettasici aggrovigliati. Fig. 17 - Sezione longitudinale di un muscolo liscio intradermico. (Oc. 3. Ob. 4). m - Muscolo liscio con incipiente degenerazione jalina e in parte disgregato. v,v,v - Spazi plasmatici ettasici perimuscolari. Fig. 182 - Sezione trasversa d° un muscolo liscio intradermico. (Oc. 3. Ob. 4). m - Muscolo liscio con spazi plasmatici perimuscolari ettasici, di cui le fibro- cellule sono scomparse per degenerazione jalina. Vacuoli scavati entro il nastro muscolare in dipendenza cogli spazi plasma- tici perimuscolari. Fig. 192 - Due porzioni di muscoli lisci intradermici in degenerazione jalina. (0c. 3. ODE Frammento di muscolo liscio con piccole cavità atrofiche, dovute a degenera- zione jalina. a' - Frammento di muscolo liscio. Cellule fisse proliferate alla periferia. ci e el IZ di fceli to eangeTav.Ill: dee tati A | TH sette coi Lila RI. \k) renne x SSL LZZZA dl \ N > DEA avan 5 Pi a - ones la] DA i VMATAIIA Yi Pi a | 4 do} 1 Tom PARE DTT oI° ti ” a i RIINA Pe Cie dii PE PI) i . Lo 3 Dl ° 3 ì PreMa ijocchi — Purpura annul.teleang-Tav.IV. ITA LEOPIVOOORE AOT A re ENI Ped n gd è » Più RAIL () è € Lit. BRizzoli e Figlio - Bologna. pe: SS SULLA PERMANENZA DELLO PNKCMOCOCCO DEL FRANKE] NEL SANGUE DEGLI INDIVIDUI GUARITI DI POLMONITE. FIBRINOSA MEMORIA DEL Prof. GUIDO TIZZONI e Dott. LUIGI PANICHI (letta nella Sessione del 15 Gennaio 1905) Nel riferire i risultati degli esperimenti « sulla distruzione dello pneumococco del Frinkel nel sangue degli animali immunizzati ed ipervaccinati », a pag. 9 delia nostra Memoria (1) fu notato che il termine allora stabilito serviva per giustificare le conclusioni di quel lavoro. In una successiva nota ci proponemmo di dare il risultato finale dei singoli esperimenti, nei quali il sangue sarebbe rimasto definitivamente sterile. Alla distanza di più che tre mesi dalle osservazioni registrate allora come ultime fatte, vale a dire dopo 11 mesi dacchè ) animale (più a lungo rimasto in osservazione) fu iniet- tato con coltura di pneumococco resa inattiva da siero, oggi possiamo dire che i risultati non sono diversi: è sempre possibile riavere il germe specifico mettendo in coltura poche gocce di sangue dei singoli animali, che si mantengono tutti nella più perfetta salute. Non potendosi così ritenere chiusa la serie delle osservazioni sul coniglio, non avremmo avuto ragione di tornare presto sull’ argomento, se per i risultati di analoghe ricerche com- piute sull’ uomo non ci fosse sembrato opportuno di richiamare su essi ) attenzione degli scienziati e dei pratici. Per gli ammaestramenti forniti dalle ricerche di laboratorio, per l’ opportunità che uno di noi aveva di trovarsi in un ambiente ospitaliero, a Roma, era naturale che si ripetesse sull’ uomo presso a poco quello ch’ era stato già fatto sull’ animale. Vale a dire sì volle ricercare se nell’ individuo in seguito ad un attacco di polmonite, decorsa rego- larmente, senza complicazioni apprezzabili contemporanee o successive, si dimostrassero germi specifici in circolo e, nel caso affermativo, per quanto tempo fosse dimostrabile la loro presenza nel sangue. Il problema posto in siffatti termini, se non può dirsi nuovo nella prima parte, manca (1) Pubblicazione dell’ Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, 1904. Serie VI. — Tomo II. 6 ZE di soluzione nella seconda. Al Baduel spetta invero il merito di aver constatato per primo che dal sangue e dalle urine dei polmonitici convalescenti si può coltivare lo pneu- mococco per giorni e per settimane pur dimostrando l’ individuo, che li sopporta, pieno benessere e urine normali (1). Ma per quanto lo stesso Baduel nella interessante sua pubblicazione informi che in una paziente potè coltivare lo pneumococco dal sangue e dalle urine anche due anni dopo l’inizio della malattia, rappresentata da un angina tonsillare, ci mancano gli elementi per risolvere la seconda parte del nostro quesito non essendo stabilito il momento in cui il microbo non fu più coltivabile dal sangue : per di più il caso riportato non è scevro di qualche obiezione perchè si riferisce a persona mai tornata nella completa salute (la paziente aveva sempre albuminuria e, ad intervalli, edemi). Nè dati sufficenti per la nostra tesi sì trovano nella pubblicazione del Baduel comparsa nel 1899 (2). Pur constatata la presenza dello pneumococco in una donna (oss. I) ristabilita in salute al 59° giorno dall’ inizio della polmonite a decorso regolare, l’ osservazione non fu protratta ulteriormente; e negli altri casi la scomparsa del germe non fu mai assolutamenle stabi- lita perchè anche quando l'A. riferisce negativa la ricerca (II. XXXII. XL osservazione) può sospettarsi che non fosse definitivamente tale : è possibile infatti che una presa rimanga sterile mentre la successiva torna a dimostrare la presenza del germe. Per tanto deve meravigliare che le belle ricerche del Baduel non siano state riprese da altri; ma la meraviglia sarà pure maggiore quando si pensi che esse sono quasi dimenticate, cosicchè il Prochaska (3) nel 1901 crede meritevole di considerazione 1° occor- renza, verificatasi nella clinica dell’ Eichhorst, per la quale si trovò lo pneumococco cir- colante nel sangue di un paziente al 3° giorno dopo la crisi di una polmonite a lungo decorso. È con piacere quindi che riprendiamo la questione, che può dirsi italiana, appoggiata oggi sulla solida base dell’ esperimento, i cui risultati furono da noi per primi riferiti. Per le ricerche compiute sull'uomo e di cui diamo relazione, si ebbe cura di scegliere gli individui nei quali il processo polmonare decorse regolarmente, senza complicanze rile- vabili, e nei quali non si avesse a lamentare pregressa azione nociva sull’ organismo per qualunque altra causa. La tecnica per raggiungere lo scopo stabilito fu identico a quella seguita nello studio sull’ animale ; colla sola differenza di prendere sangue da una delle vene nella regione anteriore del cubito, anzichè dalla vena marginale dell’ orecchio del coniglio. La difficoltà di trovare malati di polmonite nella stagione estiva, che corrispondes- sero alle condizioni richieste dall’ indole dell’ indagine speciale, veniva aggravata dal fatto di dover rinunziare a quelli individui i quali, pur corrispondendo ai requisiti sopra ricor- (1) G. Baduel. Nefriti diplococciche e diplococcemie secondarie alle angine tonsillari. Policlinico. Sez. medica, 1897 pag. 220. (2) G. Baduel. L'infezione diplococcica. Pubblicazioni del R. Istituto di studi superiori pratici e di per- fezionamento in Firenze. (3) A. Prochaska. Untersuchungen uber die Anwesenheit von Mikroorganismen im Blute bei der Pneumoniekranken. Deutsch. archiv. fiùr KI. Med. Bd. 70. p. 559. — 39 — dati, erano costretti dalle circostanze della professione a lasciare Roma dopo essere usciti dall’ ospedale : si aveva bisogno invece di pazienti che, guariti, potessero offrirsi alle ripe- tute osservazioni, pur non trascurando i loro affari. Contro la scarsezza del materiale di studio fu riparatrice la gentile generosità dei colleghi; e si deve appunto al chiarissimo Prof. Feruccio Schupfer, Vl opportunità di aver osservato il caso seguente : OSSERVAZIONE I. Bianchetti Claudio di anni 14 calzolaio entra il 5. VIII 04 nel padiglione IV del- l'ospedale al Policlinico Umberto I. È malato da due giorni con febbre. I medici curanti stabiliscono la diagnosi di polmonite erupale sinistra, con prevalente localizzazione nella parte alta del lobo inferiore. La malattia decorre accompagnata da lieve albuminuria e termina per crisi dopo 7 giorni dall’ inizio. Già un giorno dopo questa il so%io bronchiale e 1 ottusità nella corri- spondente zona del polmone, che fu sede del processo morboso, sono scomparsi: solo per tre giorni ancora la temperatura per brevi momenti sorpassa l’ altezza fisiologica elevan- dosi non oltre 37.5. Ai 26 di Agosto i Sanitari congedano il piccolo paziente indicando sulla tabella noso- grafica l esito della malattia in guarigione. Sl prende sangue dalla vena il giorno 11. VIII. 04, vale a dire 24" dopo la crisi: messo nella quantità di 7-8 gocce in tubo contenente cc. 5-6 di brodo, sviluppa dopo essere rimasto per 4 giorni alla stufa. La coltura che se ne ottiene lascia vedere i germi della polmonite e spesso con quelle apparenze nella forma che sono caratteristiche per il gono- cocco (1): apparenze, di cui sarà tenuta parola più sotto, dove si dirà ancora dei caratteri speciali delle colture avute da questo e dagli altri malati, della non dubbia identificazione loro con quelle dello pneumococco del Frinkel. 22. VIII. 04. Colle stesse modalità sopra ricordate si riprende sangue che sviluppa il 24. VII. 04. 3. IX. 04. Questa volta il sangue messo in brodo sviluppa presto, perchè il 4. IX. se ne ebbe coltura di germi specifici. 10. IX. 04. Con tale presa di sangue nascono germi specifici e una impurità. Da questa epoca il Bianchetti non volle più sottoporsi alla innocente manovra neces- saria per l’ esame colturale del suo sangue. Nel caso ricordato, dunque, si dimostra la presenza dello pneumococco del Friénkel nel sangue fino a 30 giorni dall’ avvenuta crisi. È da rilevare poi che nel malato in questione Jo sviluppo dello pneumococco ricavato (1) Di queste modificazioni nella forma scrissero il Marchiafava e Celli, il Guarnieri (R. acc. med. di Rom., Vol. IV. Serie II. 1888). SATA E dal sangue si faceva ad ogni presa sempre più rapido: così mentre nella prima prova si ebbe lo sviluppo della coltura al 4° giorno, nella seconda avvenne dopo due e nella terza dopo un giorno solamente. OSSERVAZIONE II. Nel secondo paziente osservato, Perinelli Giuseppe, carrettiere di anni 60, il processo polmonitico era già al 4° giorno di decorso quando l’ infermo venne ai 12. IX. 04 nel- l'ospedale (VIII. padiglione), dove fu fatta diagnosi di pleuropolmonite sinistra (lobo infe- riore). Dalla cavità pleurica sinistra fu estratto liquido sieroso (che dall’ esame fisico sul malato dimostravasi in poca quantità raggiungendo appena l’ altezza di 4 dita trasverse sopra |’ ultima costola, posteriormente) giallo citrino, leggermente torbido; liquido che alla indagine microscopica dimostrò la presenza di elementi istologici a nucleo polimorfo e qualche germe qualificabile per 1° aspetto come pneumococco. Il decorso della malattia fu a regolare, con crisi alla fine della 7% giornata, e con scomparsa dell’ essudato pleurico dopo 11 giorni dall’ inizio del processo morboso: la risoluzione dei fatti fisici polmonari fu completa. La prima presa di sangue dalla vena nella piega del cubito fu praticata il 20. IX. 04, cioè 5 giorni dopo la crisi: non se ne ebbe sviluppo di germi pur lasciando il sangue nel brodo alla stufa fino al 4 Ottobre 1904. tipetuta la prova il 25. IX. 04 compare lo pneumococco al 5° giorno di permanenza del tubo con brodosangue nel termostato. Fu positiva la ricerca dello pneumococco riprendendo sangue il 29. IX. 04. e questa volta i germi cominciarono a moltiplicarsi dopo 5 giorni, ma tanto lentamente che la col- tura raggiunse il grado di sviluppo ordinario solo dopo 12 giorni. L'ultimo saggio di san- gue fu fatto i 16. X. 04 ed il 3. XI. 04 si constatò lo sviluppo dei germi specifici; la cui presenza fu così dimostrata nel sangue fino a 81 giorni dopo la crisi. Per ragioni indipendenti dalla nostra volontà non fu possibile seguire ulteriormente questo ammalato. Se si paragonano i due casi di polmonite, di cui sì è scritto, avendo cura di raffron- tare il tempo richiesto per lo sviluppo dei germi specifici del sangue messo in coltura, sì rileva che mentre nel Bianchetti (I caso) ad ogni presa lo pneumococco impiegava minor tempo per moltiplicarsi, nel Perinelli (II caso) ha dimostrato un comportamento di sviluppo proprio inverso. OSSERVAZIONE III. Damarra Emilio, calzolaio di anni 16, ricoverò nell’ ospedale (VIII padiglione) il 14. VII. 04 perchè da 6 giorni soffriva per un attacco di polmonite a carico del lobo infe- riore sinistro. Fu possibile constatare il processo morboso nell’ acme della sua intensità; ma già 24" dopo l ingresso nel luogo di cura si verificò la crisi, cui seguì miglioramento DET Re progressivo fino alla guarigione completa che avvenne in modo abbastanza rapido, permet- tendo | uscita dell’ infermo dall’ ospedale ai 22. VII. 04. Il sangue del paziente fu messo in coltura, in brodo, per la prima volta il 20. VIZI. 04. e già dette sviluppo di pneumococchi il 27. VII. 04. Egualmente rapida fu la moltiplica- zione dei germi in un secondo saggio ripetuto il 37. VIZI. 04. Si notò un ritardo di 48° nel germogliamento del microbo specifico quando si riprese sangue ai 25. [X. 04, ai 26. IX. 04, al 10. X. 04; mentre il saggio del 3. X. 04 aveva germi abbondanti subito dopo le prime 24" in stufa. Per i risultati riferiti in questo caso la presenza dello pneumocco nella circolazione fu dimostrabile anche 56 giorni dopo la crisi. Volemmo vedere allora se lo stesso fatto fosse egualmente possibile per un tempo molto più lungo: per questo scopo ci valemmo con profitto di ammalati che avevano sofferto di polmonite nell’ anno antecedente e che noi conoscevamo benissimo perchè sotto- posti alla cura col nostro siero; ammalati la cui storia non credemmo dover pubblicare perchè nulla aggiungeva a quanto da uno di noi fu esposto in una nota riguardante appunto ì risultati ottenuti per la polmonite (durante un trimestre del 1902) con la cura del siero. (1). OSSERVAZIONE IV. Il soggetto che ci ha servito fu Vigrati Giuseppe, muratore di 46 anni, che nel pas- sato (a 26 anni di età) aveva sofferto per polmonite destra, in seguito alla quale fu ope- rato di toracentesi, essendosi stabilito un empiema. Ricoverò nell’ ospedale di S. Spirito nella sezione diretia dal primario Prof. Achille Angelini, il 24 Agosto 1903 perchè malato dal 21 dello stesso mese per un processo mor- boso che dai sanitari fu diagnosticato per polmonite del lobo destro inferiore. La malattia decorse accompagnata da lieve albuminuria, con crisi in 9° giornata, senza ulteriori con- seguenze morbose per il Vignati. Questi informa che uscito dall’ ospedale verso la metà del Settembre 1903, ha goduto sempre buona salute, lavorando come poteva fare prima della malattia da noi osservata : solo riferisce che avverte contratture fugaci nei muscoli della regione posteriore delle gambe quando | atmosfera è più ricca di umidità. Per le condizioni fisiche che il Vignati dimostrava, rivedendolo ultimamente ad un anno di distanza dalla nostra prima conoscenza, si doveva giudicare come un individuo in completa salute. Gli si prese sangue, per metterlo in coltura nel brodo, il 3. X. 04, il 27. X. 04, il I. XI. 04; e se ne ebbe sviluppo di pneumococco, ad ogni singolo saggio, dopo 48" di permanenza nella stufa. In questo caso lu presenza dello pneumococco nel sangue fu dimostrata nel 15° mese (1) Primo saggio di applicazione all'uomo del siero antipneumonico. Tizzoni-Panichi. Osservazioni Cli- niche pel Dott. L. Panichi. Gazzetta degli Osped. e delle Cliniche, N. 47. 1903. SR RYo dopo la guarigione di una polmonite; senza che nel frattempo fossero avvenute condizioni nuove che permettessero il passaggio, in circolo, dello stesso germe indipendentemente dalla polmonite sofferta. OSSERVAZIONE V. Risultato affatto contrario si ebbe in altro individuo, Boria Luigi, sottoposto pure alla cura sieroterapica. Verniciaro di 31 anni, rimasto sempre sano, ammalò per polmonite lobare destra il 12 Agosto 1903. Il processo pneumonico decorse con lieve albuminuria e terminò per crisi alla fine del VII giorno. Uscito dall’ ospedale di S. Spirito (Sezione Ba- gliori) il 12. IX. 08 il paziente assicura di aver sempre lavorato quantunque avverta stan- chezza facile ad ogni fatica un po’ grave: quando ci si ripresenta dimostra | aspetto di buona salute. Gli si prende sangue il 30. IX. 04, il 6. X. 04, il 12. X. 04; e mai se ne ottiene sviluppo di germi. Ci è impossibile stabilire per quale ragione in questo caso il reperto batteriologico del sangue fu negativo, mentre nel precedente fu positivo. Ricapitolando 1° esposizione fatta si ha che su 5 individui, i quali precedentemente avevano sofferto di polmonite senza complicanza, e che dopo la crisi avevano sempre goduto buona salute, in 4 fu possibile dimostrare la presenza in circolo dello ppeumococco del Frénkel da 1 a 15 mesi dopo avvenuta la guarigione clinica. Che poi in questi indi- vidui la salute fosse buona /u affermato da loro stessi che non avevano ragione di men- tire; fu comprovato dalla ripresa del lavoro nelle condizioni di completezza quali erano prima della malattia, lavoro continuato per 1-2-15 mesi, vale a dire per tutto il tempo durante il quale lo pneumococco fu presente nel sangue. L’ esame fisico dei singoli orga- nismi poi non lasciava dubbio alcuno sulla integrità di ogni funzione; per quanto è rile- vabile coi mezzi di indagine oggi posseduti. Ma con questo stato apparentemente fisiolo- gico noi non vogliamo negare qualche effetto subdolo e lentamente deleterio conseguente alla presenza di un germe patogeno nel tessuto più vitale del corpo umano. Venendo ora a parlare dei caratteri delle nostre colture e della loro identificazione con quelle dello pneumococco del Frànkel, ecco quanto abbiamo potuto rilevare. I germi ottenuti dalla coltura originale (in media 7-8 gocce di sangue, pari a %, di cem', in 5-6 cm' di brodo comune) non prensentavano sempre la forma loro caratteristica ; ma per lo più avevano |’ aspetto proprio dei gonococchi : plù di rado apparivano sempli- cemente rigonfi e quasi arrotondati. Tuttavia 1’ aspetto microscopico anormale, che corri- sponde a quello osservato da noi nelle colture avute direttamente dagli animali immu- nizzati e rilevato dal Neufeld (1) in vitro per l’ azione del siero antipneumococcico, non » (1) Neufeld. Ueber die Agglutination der Pneumokokken und ùber die Theorien der Agglulination. Zeitsch f. Hygiene. Bd. XL. 1902 S. 57. — 43 — era un carattere stabilmente acquisito dal microbo stesso, perchè furono sufficienti in tutti i casi semplici trasporti della coltura su altro terreno nutritivo (brodo, sangue) per riavere le caratteristiche forme a fiamma di candela. D'altra parte nei passaggi del germe sull’ agar, e tanto su piastre alla Petri quanto in coltura in tubi, si avevano in tutti e quattro i campioni, da noi studiati, colonie e rispet- tivamente colture che rivestivano tutti i caratteri di quelle dello pneumococco. Innesti in gelatina di tali colture sì comportarono sempre come quelli dello pneumo- cocco attenuato, cioè dettero in ogni caso colture lungo la infissione dell’ ago coi caratteri di quella dello streptococco, colla sola differenza che pei germi provenienti dalle osserva- zioni I-II (Bianchetti e Damarra) sì ebbe una lenta ma completa fluidificazione della gela- tina come nei casì osservati da Kruse e Pansini (1) da Mac-Callum e Hastings (2), e da Kindborg (3), che ricorda un’ analoga descrizione fatta da Eyre e Wash- bourn. Tale fluidificazione cominciò sempre dopo 4-5 giorni dallo sviluppo della coltura e procedè in ogni caso dalla superficie della gelatina verso la parte profonda: fu più sol- lecita nel germe isolato dal Bianchetti che nell’ altro avuto dal Damarra. Tutti e 4 i campioni nacquero sulla patata; tutti, meno quello del Vignati (osserva- zione IV) coagularono il latte; tutti, eccezione fatta per il germe avuto dal Bianchetti, si coloravano col metodo di Gram. L'azione patogena fu provata in due casi con la coltura ricavata direttamente dalla vena; scegliendo espressamente per tale ricerca quelli ammalati (Damarra e Vignati) nei quali la permanenza del germe in circolo era più protratta. Per eseguire siffatta prova si fece un trasporto del germe dalla coltura in brodo-sangue (che può considerarsi come matrice, perchè in essa il germe veniva trasportato diretta- mente dall’ individuo) in sangue defibrinato di coniglio. Avuto lo sviluppo del microrga- nismo in questo mezzo nutritivo, si ripeteva il trasporto in nuovo sangue defibrinato di coniglio, che dava una coltura sufficientemente ricca e che perciò poteva servirci benis- simo per essere inoculata nell’ animale. Questi passaggi furono necessari non solo per abi- tuare il germe allo stato saprofitico, ma per evitare ancora una possibile azione immuniz- zante del siero contenuto nel sangue dell’ individuo guarito dalla polmonite, col quale san- gue veniva praticato il primo innesto in brodo : il siero avrebbe potuto in un grado più o meno completo mascherare gli effetti dei germi sviluppati nella coltura diretta. Due conigli, aventi un peso di 1 Klg. circa, furono iniettati nella V. A. con cc. 0,5 di virus per ciascuno : prima morì, in 3 giorni, quello che ebbe lo pneumococco del Damarra ; più tardi soccombette, in 9 giorni, il coniglio infettato con lo pneumococco del Vignati. Le lesioni nell’ animale non erano appariscenti : solo qualche coppia di germi, identica a (1) W. Kruse und S. Pansini. Untersuchungen iber den Diplococcus pneumonicae und verwandte Steptokokken. Zeitschr. f. Hygiene Bd XI, 1892 S. 279. (2) W. G. Mac. Callum und T. W. Hastings Ein bisher nicht beschribener peptonisierender Micrococcus der akute Endocarditis hervorrift. Centr. f. Bakt. Bd. XXV. S. 384, 1899. (3) A. Kindborg. Ein die Gelatine werflissigender Pneumococcus. Centr. f. Bakt. Bd. XXXII Origi- nale 1902. S. 573. Pramag V quella del microbo specifico, potevasi distinguere nel sangue del cuore, che messo in brodo dette sviluppo a colture caratteristiche di pneumococco. Successivi innesti fatti nel topolino bianco (mus musculus albinus) in cavità peritoneale, e nel coniglio nel sottocutaneo ci fecero stabilire sia con I esame istologico della milze (per il topo) sia con la constatazione di un infiltrato locale gelatinoso (per il coniglio) che i 4 campioni di pneumococco, ricavati dai soggetti dopo la guarigione clinica della polmo- nite, appartenevano alla varietà edematogena. Le nostre osservazioni sul potere patogenetico dei microrganismi isolati concordano quindi con quella del Baduel (1), il quale riferisce che lo pneumococco avuto dal sangue di un paziente con poliartrite diplococcica dimostrava sul coniglio potere patogeno atte- nuato. Altrettanto constatò Frànkel A. (2) con germi isolati da pneumonici, sebbene questo autore riferisca che spesso ne abbia avuto campioni avirulenti.. Riguardo poi alla quantità di germi che presumibilmente si trovano nel sangue cir- colante, noi solo in parte ci troviamo d’ accordo con il Kohn (3), perchè se per il detto A. il numero delle colonie oscilla fra 2 e 200 in 1 cm', noi non ne contammo più di 1, 2, 7 per di cc. di sangue: quindi cop un rapporto medio di 15 germi per cc. di sangue. La differenza fra le osservazioni nostre e quelle del Kohn deve per altro trovare la sua ragione nel fatto che noi abbiamo ricercati il germe in individui guariti, già da tempo, dalle polmonite; mentre il Kohn si riferisce ad individui nel periodo acuto della malattia. Questi i fatti da noi riscontrati sull’ uomo dopo la guarigione della polmonite ; fatti che. stanno in perfetta armonia con quanto fu da noi stessi precedentemente osservato negli ‘esperimenti sugli animali. Tali fatti ci dimostrano, invero, che la stessa inattivazione dello pneumococco, ottenuta nel coniglio per mezzo del rispettivo siero specifico con la con- seguente sua lunghissima, inoffensiva, ed inavvertibile permanenza nella circolazione (fino a 11 mesi) sì verifica pure nell’ uomo in seguito alla guarigione naturale della polmonite, che determina una identica inattivazione del germe e ne permette una dimora altrettanto lunga ed innocente nel sangue (fino a 15 mesi). Così, mentre da un lato si può concludere che per gli effetti sul germe il processo di guarigione naturale della polmonite si può interamente ravvicinare a quello *che si deter- mina sperimentalmente colla immunità, dall’ altro lato sì viene meglio e più largamente a mettere in luce la condizione per la quale anche nell’ uomo un germe eminentemente patogeno può lungamente vivere nel corpo allo stato saprofitico e senza determinare alte- razione alcuna. Spetterà ad ulteriori ricerche di determinare più precisamente la frequenza di questo fatto ed il tempo durante il quale lo pneumococco può rimanere in circolo dopo la guari- (1) G. Baduel. Poliartrite diplococcica. Riforma medica n. 26. (29 Giugno) 1904. (2) A. Frànkel. Ueber Pneumokokkenbefunde im Blute und iber das Verhalten des arteriellen Druckes bei der menschlichen Lungenentzindung. Baumgarten' s Jahresbericht. 1902. S. 66. (3) Hans Kohn. Bacteriologische Blutuntersuchungen, inbesondere bei Pneumonie. Deutsche Med. Woch. n. 9. 1897. S. 85. gione della polmonite. In ogni modo pei dati da noi raccolti si viene facilmente a com- prendere quanto gravi possano essere le conseguenze di una polmonite, per quanto com- pletamente risoluta, anche in epoca lontana, in seguito alla lunga permanenza nella circo- lazione di germi inattivati : i quali, se nelle condizioni di vita saprofitica in cui sono pas- sati possono riuscire completamente inavvertiti, lo stesso non deve avvenire quando | a- zione di nuove cause ne reattivi la virulenza o diminuisca la resistenza di un tessuto o di una parte. Così si comprende come pessano insorgere forme morbose che hanno tutto il carattere di spontaneità e le cui cause apparenti (reumatiche, traumatiche ecc.) non fanno che ridestare l’ attività di elementi patogeni, i quali preesistono nell’ organismo allo stato latente. Così si comprende come molte affezioni specifiche di parti interne (nefrite, endo- cardite, poliartrite) il più spesso non debbano corrispondere alla introduzione misteriosa (criptogenetica) di germi nel momento stesso nel quale la malattia si manifesta, ma pos- sano rappresentare le conseguenze ultime di un processo lontano, in apparenza spento, del quale verrebbero semplicemente a costituire altrettanti Jocalizzazioni postume. Serie VI. — Tomo II. 7 CONTRIBUTO ALLO STUDIO CHIMICO-TOSSICOLOGICO DELL'IDRAZINA NOS DEL Prof. DIOSCORIDE VITALI (Letta nella Sessione del 18 Dicembre 1904). Questa base, e ì suoi composti salini sono abbastanza venefici. Secondo il Le - win (1) i sali di idrazina (il solfato) producono nel sangue morto della metemo- globina, e traccia di ematina; però immediatamente dopo la morte degli animali, egli non ha mai potuto constatare alterazioni sanguigne; mentre, lasciato a sè per ventiquattro ore, il sangue contiene già della metemoglobina. La morte degli animali a sangue caldo avvelenati con sali di idrazina avviene lentamente in mezzo a scosse muscolari, a disturbi respiratorii, a fortissimo abbassamento di temperatura e a para- lisi. Nelle rane, nel quadro clinico, predomina la paralisi, e 1’ energia cardiaca s°’ affie- volisce per modo da fermarsi completamente. Il Walcott, il Gibbs, e il Reichert invece ritengono che i sali di idrazina agiscono sul sangue, e siano veleni ematici. Secondo essi agiscono sui globuli san- guigni, ostacolando lo scambio gassoso; tolgono la coscienza, abbassano la temperatura, agiscono, sebbene in modo non molto energico, come convulsivanti, arrestano i moti del cuore in diastole, e producono la morte per paralisi del cuore e degli organi respiratorii (2). Secondo Oscar-Loew (3), l idrazina sarebbe un veleno protopla- smatico, che agirebbe alterando la costituzione chimica del protoplasma, senza però produrre alterazioni chimiche grossolane, direttamente riconoscibili. Avendo, nel corso delle esperienze che formano oggetto di questa nota, dovuto fare avvelenare dei cani, nulla di abnorme rilevai nel loro sangue; sicchè contra- (1) Traité de Toxicologie, traduit et annoté per G. Powchet 1903. (2) Amier 13. 289. (3) Chem, Zeit, 22. 349. CORRA SE riamente all’ avviso dei citati Walcott, Gibbs, e Reichert, pare che i composti salini dell’ idrazina non debbano essere annoverati fra i veleni ematici. Se l’ azione fisiologica, e tossicologica di questi composti furono oggetti di studio, per quanto mi è noto, niuno si è occupato della loro ricerca chimica nei casi di vene- ficio; del che è da attribuirsi la causa al fatto, che avvelenamenti sia casuali, sia a scopo criminoso non trovansi registrati nella letteratura. Ciò però non toglie che, se non sono avvenuti, non siano possibili. Ora in questa eventualità è bene che la scienza possegga i mezzi per scoprirli. Ed è per questa ragione che ho creduto cosa non affatto inutile il fare oggetto di studio la ricerca chimico-tossicologica di questi composti. Innanzi tutto mi sono occupato delle reazioni chimiche, delle quali avrei dovuto valermi per scoprire quella base una volta isolata dai visceri degli animali avvelenati con essa o da altri materiali. Parecchie sono queste reazioni, e tutte fondate sul suo potere ridut- tore assai energico, e superiore a quello dell’ idrossilamina. Una delle più sensibili è quella basata sulla riduzione dell’ acido jodico, riduzione che si rende manifesta o colla nota reazione della salda d° amido, o col cloroformio, o col solfuro di carbonio. Essa è sensibilissima, e la riduzione dell’ acido è completa, tanto che su di essa il Prof. E. Rimini (1) ha fondato un metodo di dosamento di quella base, come può rilevarsi dalle seguenti equazioni : I° 15H2N — NH?,H°S0' + 10KIO® = 15N° + 30H°0 + 5K®S0' + 10HI + 10H?SO* II° 10HI + 2KI0* + H°S0* — K°S0' + 6H°0 + 61° La quantità di idrazina, come può vedersi da queste equazioni, si può dedurre, 0 dalla quantità di jodo, che si rende libero, determinata con soluzione titolata di ipo- solfito di sodio, o dal volume di azoto, che nella reazione sì mette in libertà in quan- tità proporzionale a quella dell’ acido iodico, e della idrazina. A questo proposito non sarà fuor di luogo osservare, come recentemente Schl16t - ter (2) ha proposto un metodo di dosamento volumetrico dell’ idrazina, fondato sulla stessa reazione di quella del Rimini. La sola differenza sta in questo che invece del jodato di potassio, egli impiega il bromato, e che per spiegare la reazione, anzichè di due equazioni, si vale di una sola : 2Na Br0} + 3NH° — NH° = 2NaBr + 6H°0 + 3N°. Come dissi, la reazione fondata sulla riduzione dell’ acido iodico è sensibilissima. Essa si manifesta ancora per mezzo del iodo, che si rende libero, in modo distinto con una goccia di soluzione di solfato di idrazina al 1 o (1) Gaz. Chimica Italiana 29. I. 265-269. 2) z. t. anorg. chem. 39 Heft 1 p. 172. 1903. Ì Per gr: —e. Altra reazione pur essa sensibile, è quella basata sulla riduzione in presenza di alcali caustici, dei sali mercurici. Anche questa reazione è sensibilissima, ed è tanto completa che su di essa il citato Prof. Rimini ha basato un altro metodo di dosa- mento dell’ idrazina. La riduzione del sale mercurico per mezzo di questa base avviene secondo questo meccanismo dl reazione : H?N — NH°.H°S04 + 6KHO + 2HgC1? = K°S0' + 4KC1 + 2Hg + N° + 6H°0 La quantità dell’ idrazina è dall’ autore dedotta dal volume dell’ azoto, che sì rende libero. In questa reazione la riduzione del composto mercurico si manifesta colla nota colorazione cinerea. La sensibilità di essa è tale che col mezzo di essa si può sco- prire l’ idrazina in una goccia di soluzione al 1//yoo di solfato, operando a caldo. È pure sensibile la reazione fondata sulla riduzione dell’ acido cloroaurico. Il suo grado di sensibilità, in presenza di alcali, è quello delle due precedenti. Potere riduttore di energia pari a quella che manifesta sull’ acido cloroaurico, spiega la idrazina sul cloruro di palladio in presenza di alcali. La riduzione del- l’ acido cloroaurico nelle soluzioni estremamente diluite, si manifesta con colorazione azzurro-violacea, mentre la riduzione del cloruro di palladio con colorazione bruna. Pure energico è il potere riduttore che 1° idrazina manifesta sui sali rameici in pre- senza di alcali caustici. La riduzione avviene a freddo con soluzione di solfato di idrazina al 1»: € a caldo anche con una goccia di soluzione al 1,0% La ridu- zione del nitrato d’ argento ammoniacale si manifesta con colorazione bruna con una goccia di soluzione al 1 di solfato di idrazina a freddo, e con una goccia di solu- zione al 1/50 2 Caldo. Altre reazioni dell’ idrazina, pur esse basate sul suo potere riduttore, e che pos- sono essere utilizzate pel suo riconoscimento, sono le seguenti ; I.° Le soluzioni di resorcina, che hanno assunto color violetto per aggiunta di traccia di cloruro ferrico, sono decolorate dai sali di idrazina. II.° Sono pure decolorate le soluzioni di pirogallolo, che hanno assunto color rosso con detto composto ferrico. IIT.° Le soluzioni dei sali di idrazina riducono, decolorandole, le soluzioni di solfocianato ferrico. IV.° È pur decolorata dall’ idrazina la soluzione di antipirina, che venne prece- dentemente arrossata col cloruro ferrico. V.° I sali di idrazina decolorano anche le soluzioni di tallina, che hanno assunto colorazione verde per aggiunta di questo persale di ferro. VI.° Qualora si scaldi il ferricianuro di potassio con solfato di idrazina, ha luogo anche in questo caso riduzione, ma si ha nello stesso tempo sviluppo di acido cianidrico, la cui presenza è resa manifesta dal suo odore caratteristico, e dalla for- na e mazione di ferrocianuro ferrico, che si rende palese per la colorazione azzurra che assume il liquido. La riduzione del ferricianuro a ferrocianuro può rappresentarsi nel modo che segue : 4K*Fe(CN)° + H°N — NH°H°SO' — 3K*Fe(CN)° + FeSO' + 6HCN + N° Il ferrocianuro ferrico, al quale sarebbe dovuta la su accennata colorazione azzurra, può formarsi, per azione del ferrocianuro di potassio prodottosi per la riduzione del ferricianuro sul ferro del solfato ferroso passato a ferrico per ossidazione subita all’ aria, e che questa sia la causa più probabile di detta colorazione è dimostrato dal fatto, che questa non avviene istantaneamente, ma con lentezza ed agitando il liquido. VII. Una reazione, cui dà luogo la fenilidrazina allo stato di solfato, è quella, che avviene, quando la sua soluzione venga trattata con solfato di rame, il quale vi produce precipitato di colore azzurrognolo, che per aggiunta di potassa caustica per riduzione passa al giallo. Questa reazione, che non è sensibile nella sua prima parte, è sensibile nella seconda, cioè nel passaggio dal color azzurrognolo al giallo, cioè nella fase della riduzione. VIII.® Finalmente una reazione che può servire a riconoscere l’ idrazina, quando si trova in combinazione coll’ acido solforico è la seguente : scaldando il solfato di idrazina anche in piccola quantità allo stato solido entro tubetto d’ assaggio, esso decomponesi svolgendo acido solfidrico, anidride solforosa, e formando solfato d’ am- monio che insieme a solfo che prende origine dall’ azione reciproca fra il gas solfi- drico, e l’ anidride solforosa si sublima nella parte fredda del tubetto. I detti due gas che non hanno reagito fra loro, si riconoscono all’ odore, e il primo alla colora- zione violetta che produce su di una cartolina imbevuta di una soluzione diluita, e debolmente alcalizzata con potassa caustica di nitroprussiato di sodio, ed entrambi alla colorazione azzurra che producono su di una cartolina umettata con soluzione di acido jodico, contenente della salda d° amido. Il solfato d’° ammonio lo si riconosce nel subli- mato trattandolo con acqua, e cimentando la soluzione con un sale solubile di bario, e col reattivo del Nessler; la parte del sublimato lasciata indisciolta dall’ acqua, è costituita da zolfo. Questa reazione sì può ottenere anche da quantìtà molto piccola di solfato di idrazina, quando si abbia 1° avvertenza di prima mescolarla con un po’ di qualche sostanza inerte, non decomponibile dal calore, quali sarebbero la polvere di porcellana o di vetro. L’ idrazina si distingue come l° idrossilamina pel suo potere riduttore. Ora sic- come questa nell’ organismo umano, come venne dimostrato dal Prof. Giacomo Bertoni, trasformasi in parte in acido nitroso, così pensai potesse avvenire la stessa cosa per l’ idrazina, nel qual caso, quando si riescisse a scoprire nel sangue e nei visceri delle persone avvelenate con essa quell’ acido dell’ azoto, si avrebbe in ciò una prova dell’ avvenuto veneficio. Ed innanzi tutto ho voluto constatare în vitr0 con una esperienza preliminare, se trattando l’ idrazina con qualche ossidante, fra i suoi pro- dotti di ossidazione si trovasse anche per traccie acido nitroso. Perciò sottoposi all’ azione del permanganato di potassio una soluzione di solfato di idrazina, filtrai per separare il biossido di manganese formatosi, al filtrato, acidi- ficato con acido acetico, aggiunsi qualche goccia di soluzione di ioduro di zinco con- tenente salda d’ amido, la quale però non si colorò in azzurro ; parte dello stesso filtrato acidificato con acido acetico, evaporai a secchezza, disciolsi il residuo in acido solforico puro, e alla soluzione solforica aggiunsi un cristallino di brucina, senza che però si svolgesse colorazione alcuna. Con ciò fu dimostrato, che nell’ ossidazione del- l idrazina col permanganato di potassio non formasi nè acido nitroso, nè acido nitrico. Però non è a tacersi che scaldando | idrazina con soluzione di permanganato di po- tassio, e filtrando, si ottiene un liquido che trattato nel modo or ora indicato con soluzione di ioduro di zinco contenente salda d’ amido, svolge colorazione azzurra seb- bene non intensa. Ma questa non è dovuta ad acido nitroso, perchè distillando il liquido, nello stillato non si ottiene più l’ anzidetta colorazione. Avendo osservato che la colorazione azzurra si manifestava solo quando lasciavo raffreddare il liquido all’ aria, pensai che dovesse attribuirsi a traccie di un composto manganico che si formasse da quantità pur esse piccolissime di ossido manganoso prodottosi nella reazione fra il solfato di idrazina e il permanganato di potassio nel modo seguente : 5H?N — NH? H°?S0' + 4Mn0‘K = 2K°S0* + 3MnS0* + 5N° + Mn0 + 15H°0 IL’ idrossido manganoso all’ aria passerebbe ad idrossido manganico, il quale ren- derebbe poi libero dal joduro di zinco del jodo, causa dell’ accennata colorazione azzurra. Risultato poi anche negativo per la produzione di acido nitroso ottenni trattando la soluzione di solfato di idrazina in presenza di potassa caustica con solfato di rame. Tanto in questo caso, come nel precedente, cioè ossidando l’ idrazina, con perman- ganato di potassio, si ebbe sviluppo di un gas, che fu dimostrato essere azoto per essere esso inetto ad alimentare la combustione. Non cstante questo risultato negativo în vitro, pensando, che nell’ economia animale, in cui il processo di ossidazione è predominante per le condizioni affatto speciali e diverse in cui esso si compie, pure non perfettamente identici a quelli che si otten- gono fuori dell’ organismo animale potessero essere anche i prodotti di ossidazione dell’ idrazina, e fra questi si potesse trovare dell’ acido nitroso, ho fatto somministrare a dei caui del solfato di idrazina, appunto per verificare, se la mia supposizione fosse o no conforme al vero. Ma prima di andare in cerca dell’ acido nitroso nel sangue e nei visceri di detti animali, ho voluto intraprendere esperienze per vedere quale fosse il metodo conve- niente per isolare dai miscugli animali quell’ acido. Tra i diversi metodi proposti dal Bertoni e Raimondi, dal Kammerer e SO) dea da altri, quello che ha dato buon risultato, fu quello della distillazione di detti mi- scugli con acido solforico diluito. Per assicurarmi della bontà e della sensibilità di questo metodo ho preparato una soluzione titolata di nitrito di potassio purissimo, che ottenni sciogliendo in cc. 200 di acqua gr. l di nitrito d’ argento puro, aggiungendo a questa soluzione del cloruro di potassio in lieve eccesso, filtrando, lavando il precipitato, ed evaporando il filtrato fino ad ottenere 200 cc. di liquido, del quale cc. 1 corrispondeva a gr. 0,00123 di N°08. Orbene cc. 1 di questa soluzione allungata con cc. 100 di acqua acidulata con acido solforico, sottoposto a distillazione, ha dato un liquido, dal quale marcatissima si ottenne la reazione col joduro di zinco contenente salda d’ amido. L’ acido nitroso trovasi in generale quasi tutto nel primo terzo dello stillato. Durante queste esperienze ho osservato un fatto che non credo affatto privo di interesse per la ricerca dell’ acido nitroso, ed è che quando si distillano soluzioni contenenti minime proporzioni di que- st’ acido, nello stillato non si può dimostrarne direttamente la presenza col joduro di zinco contenente la salda d’ amido; però se si acidifica lo stillato con acido acetico, allora la reazione si manifesta subito. Di questo fatto mi sono dato ragione, riflettendo che |’ acqua, sebbene in modo debolissimo, attacca il vetro, togliendogli traccia di alcali, che neutralizzando quella minima quantità di acido nitroso, ne impedisce la reazione, la quale invece ha subito luogo quando si acidifica il liquido. L’ azione dell’ acqua sul vetro è aiutata dal calore, e dalla presenza dello stesso acido nitroso. Ora prima di procedere alla ricerca dell’ acido nitroso nel sangue e nei visceri di animali avvelenati con idrazina, Po voluto assicurarmi, se con eguale certezza e sen- sibilità avrei potuto col descritto metodo constatare minime quantità di acido nitroso in miscugli animali. Per questa esperienza ho impiegato gr. 50 di carne finamente divisa, che mescolai con gr. 150 di acqua distillata, alla quale aveva aggiunto cc. 1 della soluzione tito- lata di nitrito di potassio su accennata, poi acidificai il miscuglio con acido solforico diluito e procedetti alla distillazione. Nello stillato ottenni la reazione dell’ acido nitroso quasi colla medesima intensità, come se la distillazione si fosse compiuta colla sola acqua contenente l’ indicata quantità di nitrito. È noto che, quando l’° urea venga a reagire coll’ acido nitroso, si decompone in anidride carbonica, acqua e azoto : CO + 2N0.0H = CO° + 3H°0 —- 2N° XNH? E siccome urea si trova nel sangue, e negli altri liquidi animali che formano il materiale di ricerca nei casi di veneficio, e specialmente nell’ urina, così parrebbe che la ricerca dell’ acido nitroso, quando in esso | idrazina si trasformasse nell’ animale economia nel modo anzidetto, fosse inutile. Ma ciò non è. Il Bences Jones già da tempo aveva proposto per dimostrare nell’ urina la presenza dell’ acido nitroso di distillarla, previa acidificazione, e di ricercarlo nel prodotto della distillazione. Fin d’ allora però dai chimici, e specialmente dall’ Hoppe Seyler si fece a questo metodo di ricerca dell’ acido nitroso nell’ urine acerba critica, che appare molto razio- nale, tanto più' che su questa reazione è fondato, come è noto, un metodo di deter- minazione quantitativa volumetrica dell’ urea. Ma questa critica per quanto possa appa- rire razionale, non regge di fronte al fatto; poichè avendo io distillato er. 109 di urina normale, alla quale avevo aggiunto ce 1 della soluzione titolata di nitrito di potassio e piccola quantità di acido solforico diluito, dal prodotto della distillazione potei ottenere in modo evidentissimo la reazione dell’ acido nitroso. Il che si può spie- gare ammettendo che la reazione fra 1° urea e l’ acido nitroso non avvenga, o avvenga incompletamente quando la quantità dell’ acido nitroso sia, come nel caso presente, pochissima. Assicuratomi così, che, quando nell’ avvelenamento pei sali di idrazina si formasse acido nitroso, io avrei potuto dimostrane la presenza nei visceri, nel sangue, e nel- l’ urina della vittima, pregai il Chiarissimo collega Prof. Novi, perchè volesse com- o) piacersi di somministrare del solfato di idrazina a qualche animale ed egli, gentil- mente aderendo al mio desiderio, ad un cane del peso di Cg. 11 per via esofagea e col mezzo di sonda somministrò prima gr. 0,25 di detto sale sciolti in cc. 50 di acqua, e poi nel giorno successivo altri gr. 0,25, e finalmente nel giorno susseguente a questo altri gr. 0,30 sciolti sempre in cc. 50 di acqua. Il veleno produsse dap- prima vomito, l’ animale perdette 1° appetito, e si mostrò assai abbattuto. Dopo altra somministrazione di gr. 0,30 di solfato di idrazina, il cane stette malissimo, non si reggeva più in piedi, e fu quindi sacrificato. Mi furono inviati i visceri dell’ animale (fegato, reni, mi)za, stomaco, intestini) l’ urina, ed il sangue. Parte di questi visceri, e del sangue fu sottoposta alla ricerca dell’ acido nitroso. I materiali solidi furono finamente tagliuzzati, e mescolati alla parte liquida, e previa acidificazione con acido solforico diluito, il miscuglio fu distil- lato. Ma nello stillato non rinvenni la benchè minima traccia di acido nitroso. L’ idra- zina dunque, sebbene pel suo potere riduttore si rassomigli assai alla idrossilamina, pure nell’ organismo animale si comporta assai diversamente, poichè non dà, come questa, ira 1 prodotti di sua decomposizione origine ad acido nitroso. Il che è dimo- strato anche dal fatto, come verrà indicato più avanti, che il sangue degli animali avvelenati con quella base, non si presenta alterato, nè nella forma dei globuli rossi, nè nel colore, nè nei suoi caratteri spettroscopici, e s’ accorda eziandio con quanto ebbe ad osservare, come già si disse, il Le win nel sangue degli animali avvele- nati subito dopo la morte, il quale non presentò mai alterazione alcuna apprezzabile, e con quanto ammise il già ricordato Oscar-Loew, che cioè l’ idrazina anzichè un veleno ematico, sia un veleno protoplasmatico. Serie VI. — Tomo II. 8 a Poichè è dimostrato che 1° idrazina nell’ organismo animale non dà origine ad acido nitroso, e poichè d’ altra parte essa, ossidandosi, sì trasforma in acqua e azoto, prodotti poco utilizzabili pel suo riconoscimento, nel caso che questa trasformazione avvenisse nell’ animale economia nei casi di veneficio, non rimaneva che a constatare se essa, almeno in parte, si conservasse inalterata, e come tale fosse possibile isolarla dai visceri delle vittime dei venefici e riconoscerla alle sue reazioni. Oggetto quindi ulteriore di questo mio studio furono i metodi di separazione dell’ idrazina dai miscugli animali. Due ne sperimentai. Uno di essi fondato sulla volatilità dell’ idrazina, con- sistette nell’ aggiungere al miscuglio animale, contenente il sale idrazinico, della potassa caustica per liberare la base, nel sottoporla a distillazione per poi riconoscerla nello stillato. Praticando questo metodo su visceri (fegato, stomaco, milza, cervello, inte- stino) come pure sul sangue, e sull’ urina di un cane, al quale era stato sommini- strato del solfato di idrazina, ottenni un liquido di reazione alcalina, il quale, acidi- ficato con acido acetico, annerì col cloruro d’ oro, ridusse l’ acido jodico, rendendone libero il jodo, e il solfato di rame in presenza di potassa caustica, caratteri questi che avrebbero potuto far credere fossero dovute ad idrazina passata alla distillazione. Se non che avendo neutralizzato con acido solforico diluito parte dello stillato, ed avendola evaporata a secchezza, ottenni un residuo, che, scaldato in tubettino da sag- gio, svolse vapori che non avevano nè l’ odore dell’ acido solfidrico, nè quella del- l'anidride solforosa, e non coloravano una cartolina imbevuta di soluzione di nitro- prussiato sodica, alcalizzata debolmente, in violetto, nè in azzurro altra umettata con soluzione di acido iodico contenente salda d’ amido ; reazioni queste che, come abbiamo visto, sono date dal solfato di idrazina, quando allo stato solido viene scaldato con- venientemente. Questo risultato negativo, mi fece pensare che i fenomeni di riduzione ottenuti dal prodotto della distillazione dei visceri previamente alcalizzati con potassa caustica del cane avvelenato, fossero dovute a causa diversa dall’ idrazina. Constatai infatti che detti fenomeni erano prodotti da acido solfidrico reso libero da piccole quantità di solfuro di ammonio, passata colla distillazione, il quale erasi formato fra 1’ ammoniaca prodotta dall’ alcali sulle sostanze proteiche dei visceri dell'animale avvelenato, e l’ acido solfidrico del solfuro alcalino, prodottosi per azione della potassa caustica sul solfo delle sostanze proteiche medesime, e reso poi libere dall’ anidride carbonica. La opalescenza del liquido, che si manifestò lentamente quando ad esso aggiunsi acido jodico, era dovuta a piccola quantità di zolfo reso libero da questo acido dall’ acido solfidrico, e 1° annerimento che si manifestò nel medesimo quando dopo averlo acidi- ficato lo cimentai con acido cloroaurico, anzichè a ‘fatto di riduzione, constatai che era da attribuirsi a piccola quantità di solfuro d’ oro. Il risultato negativo ottenuto, praticando il metodo or ora descritto, starebbe a pro- vare che l idrazina una volta penetrata nel circolo sanguigno s1 decompone per modo da non essere più possibile constatarne la presenza. Prima però di venire ad una con- clusione definitiva volli sperimentare un altro metodo, e a ciò m’indussi tanto più dI — perchè quello che ho descritto, poteva, come si è visto, dar luogo a qualche equivoco. Il nuovo metodo, che prima avevo provato sopra un miscuglio di er. 100 di carne e di gr. 0,30 di solfato di idrazina, ottenendone buon risultato, consiste nell’ aegiun- gere ai visceri del cane avvelenato con solfato di idrazina ben divisi un po’ di cloruro di bario, per trasformare il solfato di idrazina, nel caso si trovasse ancora inalterato, in cloridrato, nell’ evaporare il miscuglio a bagno maria a secchezza, e nel riprendere il residuo con alcole anidro, nel quale il solfato di idrazina è affatto inso- lubile, mentre vi si scioglie bene il cloridrato, nel filtrare, lavare con alcole assoluto il residuo, e nell’ evaporare i liquidi alcoolici a consistenza estrattiva, e nel ripren- dere il nuovo residuo con acqua. Ottenni così un liquido assai torbido per grassi ed altre materie, che teneva in sospensione in istato di massima divisione, e che non fu possibile ottenere limpido per filtrazione anche più volte ripetuta. Per togliere questo incoveniente e per decolorare nello stesso tempo il liquido, e meglio purificarlo, lo trattai con acetato basico di piombo che impiegai in lieve eccesso, e lo filtrai; sottoposi il filtrato all’ azione dell’ acido solfidrico, e filtrai di nuovo, ottenni per tal modo un liquido, che oltre all’ essere perfettamente limpido, era anche affatto incoloro, il quale effetto decolorante è principalmente dovuto al sol- furo di piombo, il quale, come risulta da esperienze da me eseguite in altra circostanza, è fornito di gran potere scolorante. Prima però di sottoporre a questo trattamento il liquido mi assicurai, con un esperimento preliminare, che il solfuro di piombo preci- pitando non trascina con se le più piccole quantità di idrazina, come fa il carbone animale, il quale, come è noto, mentre toglie ai liquidi, con cui si fa agire, le ma- terie coloranti, trasporta con se altre sostanze che con queste si trovano in solu- zione, e specialmente gli alcaloidi vegetali. Il liquido limpido e incoloro per tal modo ottenuto fu evaporato nuovamente a consistenza di estratto a bagno maria, e il resi- duo si riprese con alcole assoluto. Il liquido così ottenuto era bensì senza colore, ma torbiccio ; si potè però averlo limpido, lasciandolo in riposo per un tempo conveniente e rifiltrandolo. Alla soluzione alcoolica aggiunsi qualche goccia di acido solforico diluito allo scopo di precipitare la idrazina allo stato di solfato, che, come si accennò, è affatto insolubile nell’ alcole anidro. Il liquido s° intorbidò, e col riposo lasciò deporre una materia bianca, che sciolta in poca acqua presentò le principali reazioni della idrazina, cioè la riduzione dell’ acido iodico, del cloruro mercurico, del cloruro di palladio, del cloruro d’ oro, la riduzione del solfato di rame; inoltre in presenza di potassa caustica il liquido evaporato a secco insieme a polvere di porcellana, ha lasciato un residuo che calcinato ha svolto anidride solforosa, ed ha dato un subli- mato di zolfo, e di solfato d’ ammonio. Assicuratomi che il metodo rispondeva bene allo scopo, pregai il Dott. Pugliese, assistente del Prof. Novi, a volere somministrare ad un cane del solfato di idrazina fino a gravissimo avvelenamento, e poi a sacrificarlo inviandomi l° urina, il sangue, e i visceri per la ricerca di quel veleno. Ad una cagnetta del peso di Cg. 7,5 fu in due volte alla distanza |} una dal- l’altra di circa due ore, somministrato un grammo di solfato di idrazina sciolta in acqua; dopo un ora dall’ ultima somministrazione, essendosi manifestato sintomi gra- vissimi d’ avvelenamento, | animale fu ucciso. Mi furono consegnati l’ urina, il sangue e i visceri (fegato, cervello, milza, reni). L’ urina sottoposta al secondo dei metodi descritti ha fornito una soluzione alcoolica finale che per aggiunta di piccole quantità di acido solforico diluito, ha dato origine ad un precipitato gelatinoso molto abbondante, il quale sciolto nella quantità minore possibile di acqua ha ridotto in modo manifesto 1° acido iodico, il cloruro d’ oro, il cloruro di palladio, e il cloruro mercurico specialmente in presenza di alcali, ma mescolato con polvere di porcellana e calcinato in tubo d° assaggio, non ha dato i prodotti di decomposizione che dà il solfato di idrazina (SO°,H°S,S,(NH')S04). Natomi il sospetto, che nell’ urina del cane indipendentemente dalla somministrazione del- l’ idrazina, fossero contenute normalmente delle sostanze fornite di potere riduttore, e capaci di formare coll’ acido solforico dei composti insolubili nell’ alcole anidro, come l idrazina, ho sottoposto al metodo su descritto dell’ urina normale di un cane. Il risultato ottenuto confermò il dubbio che erami sorto nell’ animo. Ottenni le reazioni fondate sul potere riduttore dell’ acido iodico, del cloruro mercurico, del cloruro di palladio, e del cloruro d’ oro. Il sangue, e i visceri sottoposti allo stesso trattamento hanno dato lo stesso risultato che 1° urina del cane avvelenato, e I’ urina normale, e non hanno offerto la reazione fondata sulla formazione dei prodotti di decomposizione del solfato di idra- zina sottoposta ad elevata temperatura. Per cui è a ritenere dalle esperienze esposte nella presente nota che 1 idrazina non possiede reazioni caratteristiche, ed esclusive, e che il suo riconoscimento è fon- dato sopra fenomeni di riduzione, fenomeni comuni ad altre sostanze, fra le quali alcune si trovano nei visceri, e liquidi animali normali, in cui si fa ricerca di quella base nei casi di veneficio. La reazione che avrebbe potuto servire ad identificare l’ idrazina allo stato di solfato nella ricerca tossicologica, non si è potuto ottenere malgrado siasi proceduto con ogni cautela. Epperciò non si può con sicurezza stabi- lire se l’ idrazina si conservi inalterata almeno in parte, o invece venga ossidata, trasformandosi totalmente in acqua ed in azoto. Se si tien calcolo poi che 1° idrazina per azione degli ossidanti si trasforma appunto in azoto e acqua, e se si tien conto del fatto che il processo predominante dell’ eco- nomia animale è ossidante, si rende molto probabile che essa in questa non si man- tenga inalterata, ma subisca l° anzidetto processo di ossidazione, per cui una volta entrata in circolo non sarebbe più reperibile. Ciò è anche confermato dai caratteri, che presentava il sangue dei cani avvelenati con idrazina, il quale nulla all’ aspetto presentava di anormale. Esso era di color rosso vivo, come suol essere il sangue arterioso. Sottoposto all’ osservazione spettroscopica sia allo stato normale, cioè senza avergli fatto subire trattamento di sorta, sia cimentato con solfuro d’ ammonio, tanto in soluzione acida, che alcalina, presentò gli stessi spettri di assorbimento del sangue normale posto nelle medesime condizioni. Ti — 5 Queste osservazioni furono fatte di confronto con sangue di altro cane non sotto- posto a trattamento con idrazina. Le emazie, ad eccezione di pochissime che presen- tavano î bordi frastagliati a guisa di stellette, avevano la loro forma normale. Questi caratteri del sangue dei cani avvelenati con idrazina, mentre confermano che questa sostanza ossidandosi nell’ economia non dà fra i prodotti di sua ossidazione acido nitroso, sono altresì una prova che l° idrazina non è un veleno ematico, come ammisero Walcott, Gibbs e Reichert, ma molto probabilmente sia un veleno protoplasmatico, come opinò Oscar-Loew. ea e tante sb vo era Dai ci EA 4 toe A PATTI oi SAVER FIRE nai STIRO RI RI } DE E CE E, oi e AI n FEDE ì i ; i da FILE 0g) LEE sù) si ì bt ha RA Da (SI 12 1 A gi ILLUSTRAZIONE DI SPECIE ORBIGNYANE DI MILIOLIDI IShbRURNEgNEL 1326 1 MEMORIA DEL Dottor CARLO FORNASINI presentata nell’adunanza del 27 novembre 1904 (CON QUATTRO TAVOLE) Genere TRILOCULINA d’ Orb. Triloculina affinis (tav. I, fis. 1). Di questa specie d’ Orbigny fece conoscere soltanto la erande affinità con la Tr. tri- gonula, poichè a la citazione di essa nel « Tableau » egli aggiunse: « Peut étre une variété « de la précédente (Tr. trigonula) » ; e nel « Prodrome »: « Espèce voisine du Trigonula, « mais moins anguleuse ». Terquem, in base al disegno delle « Planches inédites », il- lustrò, sotto il nome di 77. affinis, una forma con angoli acuti e camere rigonfie: diversa quindi da la 7r. trigonula, che ha camere appena convesse ed angoli subacuti. Nella figura terquemiana la terzultima e la penultima camera appaiono anche più rigonfie di quelle rap- presentate nel disegno inedito di d° Orbigny. Hab. Fossile a Dax (faluniano B), e, secondo Terquem, nell’eocene dei dintorni di Parigi, a Septeuil. Triloculina angularis (tav. I, fig. 2). Fu nuovamente citata nel « Prodrome » come « espèce très-anguleuse, triangulaire ». Terquem, conoscendo il disegno inedito di d’ Orbigny, riferì a la Tr. angularis due forme con camere alquanto convesse, senza dente, luna ad angoli subacuti, l’altra ad angoli ottusi. Nessuno dei due autori confrontò questa specie con la Tr. tricarinata, da la quale essa non appare lontana. Hab. Fossile a Pauliac, a Blaye (parisiano A), e, secondo Terquem, nell’eocene dei dintorni di Parigi, a Septeuil. (1) Tableau méthodique de la classe des Céphalopodes. Ann. Se. Nat., vol. VII. — Le figure che accom- pagnano la presente memoria sono state fedelmente copiate da lucidi, che Berthelin aveva eseguiti sui disegni originali delle « Planches inédites » di d' Orbigny, e che egli mi lasciò in eredità nel 1897 (Rend. r. Acc. Sc, Bologna, n. s., II, p. 14, nota 2: adunanza del 14 novembre 1897). LEI Triloculina rugosa (tav. I, fig. 3). La figura delle « Planches inédites » non rende conto del grado di rugosità del nie- chio, nè dell'aspetto orale di questa specie, la quale d’altronde ci si presenta coi contorni della 7r. tricarinata. Hab. L° Atlantico all’ isola di Sant’ Elena. Triloculina reticulata. (tav. I, fig. 4). Due soli elementi furono messi innanzi da d’ Orbigny a illustrazione di questa specie: 1° due figure di Soldani; 2° un confronto con la 7r. carinata di Cuba. Quest’ ultimo è molto più valîdo del primo, poichè ci fa conoscere, non solo l’ornamentazione, ma anche il carattere di convessità delle camere e di rotondità del margine della 7. reticulata. La forma illustrata da Brady sotto il nome di Miliolina reticulata (4° Orb.) corrisponde abbastanza al disegno inedito orbignyano, ed è una Quirnqueloculina. Anche la Tr. carinata di Cuba è probabilmente una quinqueloculina, poichè credo che la forma studiata da Schlumberger nel 1893 sotto il nome di @. reticulata sia, per le sue camere triangolari e carenate, inseparabile da la forma di Cuba (Mém. Soc. Zool. Fr., VI, p. 72-73). Hab. Il Mediterraneo, l’ Atlantico all’isola di Sant’ Elena, e la Baia dei Cani Marini in Australia. Triloculina inflata (tav. I, fig. 5, 6). Descrivendo la 7r. inflata del bacino di Vienna, d° Orbigny non si riferì per nulla a la specie da lui istituita nel « Tableau », ciò che lascierebbe credere come egli dubi- tasse dell’ identità delle due forme, essendo quella di Nussdorf liscia, mentre l’ altra è per- corsa da rughe o strie trasversali. Ma Terquem, che aveva sott’ occhio il disegno inedito orbignyano, non esitò ad associare la Tr. inflata del 1846 a quella del 1826. Hab. Il Mediterraneo. Fossile nei dintorni di Dax, di Bordeaux, di Soissons e di Castellarquato. È comunissima, secondo Terquem, nel pliocene superiore di Rodi, e si trova anche nell’eocene dei dintorni di Parigi, a Septeuil e a Vaudancourt. Triloculina flavescens (tav. I, fig. 8). Una certa somiglianza nella forma generale indusse d° Orbigny a fare il confronto di questa specie con la Tr. fichteliana e con la Tr. labiosa di Cuba. Ma null'altro sì sa- peva finora della 77. /avescens. Hab. L’ Atlantico, lungo le coste di Francia. Triloculina strigilata (tav. I, fig. 7). Nel « Tableau » la specie fu istituita col nome di 77. strigilla, ma nel « Prodrome » il termine specifico fu modificato in strigilleta, con l’aggiunta delle sole parole « espèce courte, renfiée ». In base a la figura delle « Planches inédites », Terquem illustrò la Tr. strigilata, la quale non appare molto lontana da la 77. fichteliana. al = Hab. Fossile a Valognes (parisiano A), e, secondo Terquem, nell’eocene dei dintorni di Parigi, a Septeuil. Triloculina echinata (tav. I, fie. 9). Era prima d’ora interamente sconosciuta. Hab. L° Atlantico all’ isola di Sant’ Elena. Triloculina laevigata (tav. I, fig. 10). È specie benissimo conosciuta, non tanto per la illustrazione datane da Terquem, quanto per quella splendida di Schlumberger (Mém. Soc. Zool. Fr., VI, 1893, p. 68, 64, fie. 9; tav. I, fig. 45-47) fatta in base al disegno inedito orbignyano. Hab. Il Mediterraneo, e precisamente, secondo Schlumberger, il golfo di Mar- siglia, a 30 o 40 metri di profondità. È comunissima, secondo Terquem, nel pliocene superiore di Rodi, e si trova anche nell’eocene di Parigi, a Septeuil e a Vaudancourt. Triloculina elongata (tav. I, fig. 11). D'Orbigny confrontò con questa specie la 7. gualtieriana e la Tr. eburnea di Cuba, le quali certamente non sono da confondersi con essa. Per i caratteri esterni, la 7. elon- gata ricorda la Tr. laevigata. Hab. Il mare d'Australia a Rawack. Triloculina deformis (tav. I, fic. 12). « Espèce très-allongée, gibbeuse (Prodrome) ». Illustrata da Terquem, che conosceva il disegno inedito di d° Orbigny, essa ricorda, esternamente, la Tr. oblonga. Hab. Fossile nei dintorni di Parigi, a Grignon e a Chaumont (parisiano A), e, secondo Terquem, anche a Septeuil e a Vaudancourt. È rarissima nel pliocene superiore di Rodi. Triloculina cylindrica (tav. I, fig. 13). La ficura delle « Planches inédites » ci rivela questa specie finamente striata. Nel « Prodrome » essa fu indicata semplicemente come « espèce cylindrique ». Hab. Fossile nei dintorni di Dax (faluniano B). Triloculina reversa (tav. II, fig. 1). Sconosciuta finora quanto la precedente. Nel « Prodrome » fu di nuovo citata con l’aggiunta delle sole parole « espèce costulée, globuleuse ». Hab. Fossile nei dintorni di Dax (faluniano B). Triloculina tricostata (tav. II, fig. 2). La figura di Soldani, citata con dubbio da d’ Orbigny, è realmente incerta. l'er- quem, in base al disegno inedito orbignyano, illustrò questa specie, la quale, secondo lui, Serie VI. — Tomo II. 9 a BI presenterebbe una grande variabilità di caratteri marginali. Nel « Prodrome », nessuna frase descrittiva. Hab. Fossile nei dintorni di Parigi, a Grignon (parisiano A), e, secondo Terquem, a Vaudancourt e a Septeuil. Triloculina dubia (tav. II, fig. 33). Non è una Triloculina, come lo dimostra la stessa figura delle « Planches inédites ». E molto probabile che si tratti della forma adulta dell’ Adelosina laevigata (Schlum- berger: Bull. Soc. Zool. Fr., XI, tav. XVI, fig. 19-21). Hab. Il Mediterraneo. Triloculina maurini (tav. Il, fie. 4). I caratteri generali di questa specie sono quelli della Tr. fricarinata, da cui essa differisce per la singolare ornamentazione. Ricordo la Tr. terquemiana e \la Tr. ber- theliniana (Brady), le quali somigliano parimente a la 7. tricarinata e ne differiscono ciascuna per l’ornamentazione superficiale. Hab. L' Atlantico all'isola di Sant’ Elena. (renere QUINQUELOCULINA d’Orb. Quinqueloculina birostris (tav. II, fig. D). Veramente questa specie fu istituita da Lamarck nel 1804 col nome di Midiolites birostris. Parker e Jones, nel loro studio su le specie lamarckiane, riguardarono la M. bi- rostris come una varietà, piccolissima, delicata e allungata, della M. sarorun dello stesso Lamarck, la quale, da d' Orbigny in poi, fu sempre ascritta al genere Quinqueloculina. Nel ]882, Munier-Chalmas istituì sopra la M. sarorum il novo genere Pentellina. Le pentelline sono quinqueloculine « trematoforate », vale a dire con apertura munita di tre- matoforo costituito da trabecole che si anastomizzano e formano una rete di minute per- forazioni. Ma la M. birostris non è « trematoforata »: almeno non la fanno tale la figura inedita di d'Orbigny e la descrizione data da Terquem nel 1882. Di modo che, fino a prova contraria, è conveniente riguardare la M. birostris come una vera quinqueloculina, ben diversa quindi da la Pentellina sarorum. — Nel « Prodrome » nessuna frase descrittiva. Hab. Fossile nei dintorni di Parigi (parisiano A), a Chaumont, secondo Lamarek, a Septeuil e a Vaudancourt, secondo Terquem. Quinqueloculina costata (tav. Il, fig. 6). Trattando della Q. poeyana di Cuba, d'Orbigny la confrontò con questa specie, e scrisse: « Par sa grande largeur, par ses stries longitudinales, elle se rapproche de la (. costata de la Méditerranée; néanmoins elle s' en distingue, au premier apergu, par sa forme plus oblongue, par ses sutures moins marquées, et surtout par le manque de ce SITI (1 large péristome réfléchi qui orne l’ouverture de l’ espèce ». In realtà le due specie diffe- riscono tra loro ben poco in apparenza; ma, a precisarne i rapporti d’ affinità, bisognerebbe conoscere l’ intima struttura di entrambi. Lo stesso dicasi delle due forme fossili, che Ter- quem illustrò nel 1878 e nel 1882 sotto il nome di @. costata, riferendosi al disegno ine- dito di d Orbigny. — Brady associò la @. costata d’° Orb. di Terquem (1878) a la Q. boueana del bacino di Vienna, e anche in questo caso l'identità delle forme andrebbe dimostrata mediante l’ esame della struttura interna. — Di quest’ ultima sì occupò nel 1893 Schlumberger per quel che concerne la Q. costata del « Tableau », cosicchè può dirsi che il tipo orbignyano è ora perfettamente conosciuto (Mém. Soc. Zool. Fr., VI, p. 212, tav. III, fig. 75, 76). — La Q. costata di Karrer, del neogene di Lapugy, ricorda pure in grado notevole la specie orbignyana. Hab. Il Mediterraneo, e precisamente, secondo Sehlumberger, il. golfo di Mar- siglia, a profondità di 30 o 40 metri. Fossile, secondo Terquem, nel pliocene superiore di Rodi e nell’eocene di Septeuil e di Vaudancourt presso Parigi (?). Quinqueloculina striata (tav. II, fig. 7). « Espèce fortement striée, comprimée » è la frase descrittiva che leggesi nel « Pro- drome ». La figura inedita orbignyana fu, a quanto pare, riprodotta in due edizioni delle opere di Cuvier, ma servì principalmente a Terquem per ascrivere a la Q. striata alcune forme dell’ eocene parigino delle quali egli diede illustrazione. Il disegno di d’ Or- bigny presenta, in ogni caso, notevole interesse. Hab. Fossile a Grignon (parisiano A), e, secondo Terquem, a Septeuil e a Vaudancourt nei dintorni di Parigi. Quinqueloculina parisiensis (tav. II, fig. 9). La figura di questa specie data da Terquem nel 1882 corrisponde abbastanza, in com- plesso, al disegno inedito orbignyano, nel quale però non sono segnate le serie di punteg- giature che occupano gli spazi intercostali. — Nel « Prodrome » troviamo indicata la Q. pa- risiensis come « espèce renfiée et striée ». Hab. Fossile negli stessi luoghi della precedente. Quinqueloculina laevigata (tav. II, fig. 8). Lo stesso d' Orbigny fece conoscere più tardi la @. laevigata illustrandola tra i fora- miniferi delle Canarie, e Brady associò di poi la pretesa specie orbignyana a la Q. semi- nulum, a la quale lontanamente somiglia. Terquem, dal canto suo, ascrisse a la Q. laevi- gata due forme dell’ eocene parigino aventi sezione trasversa subcircolare, diverse perciò da quella disegnata da d’ Orbigny. — Nel « Prodrome » leggesi soltanto: « espèce al- longée ». Hab. Il mare delle Canarie. Fossile a Grignon (parisiano A), e, secondo Terquem, a Septeuil e a Vaudancourt presso Parigi. Quinqueloculina glomerata (tav. II, fig. 10). Nel « Prodrome » fu indicata dall’ autore come « espèce très-irregulière ». Terquem, nel 1882, illustrò, sotto il nome di @. glomerata, quattro forme che non corrispondono troppo al disegno inedito orbignyano. Egli scrisse però di aver preso per tipo un esemplare meno irregolare di quello figurato da d° Orbigny e di averne considerate quali varietà le forme più irregolari. Comunque sia, la figura orbignyana rappresenta un miliolide con aspetto diverso da quello delle comuni quinqueloculine. Hab. Fossile a Grignon, a Chaumont, a Neuville-Bosc (parisiano A), e, secondo Ter- quem, a Septeuil e a Vaudancourt presso Parigi. Quinqueloculina plana (tav. II. fig. 11). Terquem ha per tre volte illustrato delle miliole sotto il nome di @Q. plana d’ Orb. La forma della spiaggia di Dunkerque riferita a tale specie è cosa ben diversa da quella rappresentata dal disegno inedito orbignyano, e ricorda piuttosto la Spiroloculina nitida. Neanche la quinqueloculina del pliocene di Rodi corrisponde a la figura inedita: essa fu da Brady associata a la Q. seminulum, ma ricorda abbastanza certe forme giovani della Massilina secans. Infine, il miliolide dell’ eocene parigino figurato sotto il nome di Q. plana, < ha apertura « trematoforata », mentre quello disegnato da d’ Orbigny ha orificio sub- circolare fornito di dente. — Nel « Prodrome » la specie fu citata con la indicazione se- guente: « Espèce subanguleuse. Grignon (non Méditerranée) ». Ciò significa che l’autore, avendo nel 1826 scritto che la @Q. plana abita il Mediterraneo e si trova fossile nei din- torni di Parigi, si accorse più tardi che la forma fossile non era da confondersi con la recente. La figura delle « Planches inédites » riproduce probabilmente la forma eocenica ; ma la specie è in ogni caso tutt’ altro che ben definita. Hab. Il mare Mediterraneo (?), e, secondo Terquem, la spiaggia di Dunkerque (??). Fossile a Grignon (parisiano A), e, secondo Terquem, a Septeuil e a Vaudancourt presso Parigi, nonchè nel pliocene superiore di Rodi (?). Quinqueloculina bulloides (tav. II, fig. 12). Le tre forme fossili di Rodi, che Terquem, in base a la figura inedita orbignyana, ascrisse a la @. dulloides, sì allontanano più o meno da essa figura inedita, e sembrano rappresentare piuttosto delle triloculine. Hab. L’Atlantico all’ isola di Sant’ Elena e al Capo di Buona Speranza ; inoltre : la Baia dei Cani Marini e il mare di Rawack. Fossile, secondo Terquem, nel pliocene superiore di Rodi (?). Quinqueloculina subcarinata (tav. II, fig. 13). Questa specie trovasi nel caso della precedente. La forma illustrata da Terquem sotto il nome di @. subearinata d Orb. ha bensì l aspetto di una quinqueloculina, ma non corrisponde troppo al disegno inedito orbignyano. ion = Hab. L’Atlantico, lungo le coste di Francia. Fossile, secondo Terquem, nel pliocene superiore di Rodi (?). Quinqueloculina aspera (tav. III, fig. 1). La figura soldaniana, citata con dubbio da d’' Orbigny a illustrazione della @. aspera, non è, a parer mio, da ascriversi ad essa specie, nè a la @. seminulum, come vorrebbero i rizopodisti inglesi. Questi ultimi sono poi d’avviso che anche la Q. Raverina del bacino di Vienna debba associarsi a la Q. seminulum, ciò che non è ancora ben dimostrato ; mentre d'Orbigny, trattando della @. hRaverina, scrisse: « Voisine du @. aspera, elle s° en distingue par sa surface lisse et non rugueuse ». Arenacea appare infatti la forma fossile di Rodi illustrata da lerquem sotto il nome di @. aspera d’ Orb.; ma nella figura ter- quemiana le camere appaiono subangolose, e si presentano invece arrotondate nel disegno delle « Planches inédites ». Hab. Il Mediterraneo. Fossile, secondo l'erquem, nel pliocene superiore di Rodi (?). Quinqueloculina elegans, varietates (tav. III, fig. 2, 3). Allorchè pubblicai, nel 1902, il disegno inedito orbignyano della @Q. elegans (Mem. r. Ace. Sc. Bologna, s. 5°, X, p. 24, f. 19), manifestai l’ opinione che esso rappresentasse una forma di Adelosina bicornis. È quindi molto probabile che siano da ascriversi a la stessa specie quelle che trovansi disegnate quali varietà della @. elegans. Hab. I° Adriatico presso Rimini. Quinqueloculina semistriata (tav. III, fig. 4). « Chaque loge est striée à ses extrémités » è la frase descrittiva che leggesi nel « Prodrome ». La figura inedita ricorda moltissimo la varietà precedente, vale a dire le forme parzialmente striate dell’ Adelosina bicornis megalosferica. Hab. Fossile nei dintorni di Parigi, a Grignon (parisiano A). Quinqueloculina crassa (tav. II, fig. 5). Le forme eoceniche, illustrate da Terquem nel 1882 sotto il nome di @. crassa d' Orb., sono molto irregolari, e differiscono im ciò da quella che è rappresentata dal disegno ine- dito orbignyano. Nel « Prodrome » la @Q. crassa fu citata come « espèce suborbiculaire, renflée, striée ». Hab. Fossile a Grignon (parisiano A), e secondo Terquem, a Septeuil e a Vaudancourt presso Parigi. Quinqueloculina variabilis (tav. II, fig. 6, 7). Il disegno delle « Planches inédites » rappresenta due forme arenacee che d’Orbigny ascrisse a la medesima specie, luna giovine con l'aspetto di una quinqueloculina, l’altra adulta con quello di una spiroloculina: la prima, somigliantissima a la Miliolina alveolini- formis di Brady, la seconda, a la Spiroloculina arenaria di Brady secondo la fig. 18 astio ee (tav. VIII) dello stesso Brady. Stando a d’Orbigny, questa specie, nel suo primo stadio avrebbe ordinamento quinqueloculinare, ma in seguito le camere si disporrebbero sopra un solo piano presen'andosi con quel biformismo che è proprio del genere Massilina. Hab. Il mare d'Australia, a Rawack. Quinqueloculina rawackensis (tav. III, fig. 8). È specie bicostata, e, nel tempo stesso, foveolata. Hab. Come la precedente. Quinqueloculina limbata (tav. III, fig. 9) È specie con camere angolose, col margine percorso da cinque a sette coste. Hab. Il Mar Rosso. Quinqueloculina disparilis (tav. III, fig. 10). Fu splendidamente illustrata da Schlumberger nel 1893 (Mém. Soc. Zool. Fr., VI, pag. 212-213, tav. II, fig. 55-57). Hab. Il Mediterraneo, e precisamente, secondo Schlumberger, il golfo di Marsiglia, a profondità di 30 o 40 metri. Quinqueloculina punctulata (tav. II, fig. 11). Fu citata nel « Prodrome » con la frase « ponctuée en long ». Le sue camere bi-an- golose appaiono infatti percorse da serie longitudinali di punteggiature. Hab. Fossile nei dintorni di Parigi (parisiano A). Quinqueloculina angularis (tav. II, fig. 12). I caratteri generali di questa specie erano prima d’ora abbastanza noti, poichè, trat- tando della @. juleanu del bacino di Vienna, d’ Orbigny scrisse: « Voisine, par ses loges bicarénées, du Q. angularis, cette espèce a ses loges bien moins détachées, son ouverture plus petite et sa dent non fourchue ». Hab. L’ Atlantico all’ isola di Sant’ Elena. Quinqueloculina rugosa (tav. II, fig. 18). Descrivendo la @Q. agglutinans .di Cuba, d° Orbigny accennò come segue a la somi- glianza di essa con la @. rugosa : « Parmi nos espèces anciennement observées, nous trouvons, dans la @. rugosa, quelques rapports éloignés ». Nel « Prodrome » leggesi semplicemente: « espèce bicarénée ». -— Il confronto con la Q. agglutinans e il disegno inedito orbignyano farebbero credere che si trattasse di una forma arenacea; ma Schlumberger, il quale studiò accuratamente la @. rugosa, ebbe a dimostrare che soltanto all’esterno il nicchio ha una tale apparenza (Mém, Soc, Zool, Fr., VI, p. 69, tav. IV, fig. 91-93). egg Hab. 11 golfo di Marsiglia, secondo Sehlumberger, a profondità di 30 0 40 metri. Fossile a Castellarquato nel Piacentino (subappennino). Quinqueloculina irregularis (tav. III, fie. 14). Che le due forme fossili di Rodi, illustrate da Terquem sotto il nome di 9. irregu- laris A Orb., corrispondano veramente al disegno inedito orbignyano, è cosa di cui è lecito dubitare. Hab. Il Mediterraneo. Fossile, secondo Terquem, nel pliocene superiore di Rodi (?). Quinqueloculina variolata (tav. IV, fig. 1). D'Orbigny ne fece il confronto con la Q. antillarum di Cuba, della quale scrisse : « Voisine, par ses petites fossettes, de la @. variolata de V île de Sainte-Hélène, elle en diffère néanmoins par des fossettes plus petites, plus rapprochées, par sa forme moins ré- gulière, par une carène unique au lieu de deux, enfin par la dent de son ouverture, bifur- quée à son estrémité et non simple ». — Le due forme fossili di Rodi illustrate da Ter - quem, e particolarmente la seconda, non corrispondono troppo al disegno inedito orbignyano. Hab. Il mare Mediterraneo, quello delle Antille, e l'oceano Atlantico all’isola di Sant’ Elena. Fossile, secondo Terquem, nel pliocene superiore di Rodi (?). Quinqueloculina undulata. Pubblicando, nel 1902, la figura delle « Planches inédites » che rappresenta questa specie, dopo aver tenuto calcolo del confronto fattone da d’ Orbigny con la @Q. nussdor- fensis, e del giudizio di Brady che associò quest’ultima a la Q. doueana e la disse più prossima al tipo dicorrnis (Mem. r. Acc. Sc. Bologna, s. 5%, X, p. 27), io credetti di poter riferire la Q. undulata a la forma microsferica dell’ Adelosina bicornis. Evidentemente, mi era sfuggita la splendida illustrazione della Q. urndulata data da Schlumberger nel 1898, da la quale risulta che trattasi di una vera quinqueloculina (Mém. Soc. Zool. Fr., VI, p. 72, tav. II, fig. 60, 61). — Nel « Prodrome » leggesi: « espèce striée, ondulée ». Hab. L’ Adriatico presso Rimini, e, secondo Schlumberger, il golfo di Marsiglia a profondità di 30 o 40 metri. Fossile a Castellarquato (subappennino). Quinqueloculina carinata (tav. IV, fig. 2). « Espèce lisse, obtusément carénée » è la frase che nel « Prodrome » accompagna la citazione di questa specie. — La forma illustrata da Terquem nel 1882, sotto il nome di Q. carinata, ha camere più convesse e sezione trasversa meno triangolare. Hab. Fossile nei dintorni di Parigi (parisiano A), e, secondo Terquem, nell’ eocene di Vaudancourt. Quinqueloculina suborbicularis (tav. IV, fig. 3). Schlumberger illustrò, nel 1893, una forma raccolta nel Mediterraneo, riferendosi al disegno inedito orbignyano della @Q. sudorbicularis e in pari tempo a la Triloculina sub- SOI GIR a orbicularis di Cuba (Mém. Soc. Zool. Fr., VI, p. 215-216, tav. II, fig. 63, 64; tav. III, fig. 67). Quest’ ultima è costata, e in ciò, per lo meno, le somiglia la forma descritta da Schlum- berger. Ma la @. suborbicularis del « Tableau » come ce la rappresenta la figura delle « Planches inédites » è perfettamente liscia. Hab. Il Mediterraneo. Quinqueloculina fiavescens (tav. IV, fig. 4). È parimente liscia e con margine arrotondato, ma molto più larga delle due precedenti. Hab. IV oceano Indiano al Madagascar. Quinqueloculina prisca (tav. IV, fig. 5). l'erquem, nel 1882, illustrò questa specie in base al disegno inedito orbignyano, e la trovò molto variabile anche nell’ apertura, che in talune forme è semplice (come nella figura inedita), in altre è « trematoforata ». — Nel « Prodrome » leggesi soltanto : « espèce renfiée ». Hab. Fossile nei dintorni di Parigi (parisiano A), e, secondo Terquem, nell’ eocene di Septeuil e di Vaudancourt. Quinqueloculina subrotunda (tav. IV, fig. 6). La specie fu veramente istituita da Montagu nel 1803 col nome di Vermiculum sub- rotundum, ed ebbe poscia varie illustrazioni, tra cui quella di Brady nel 1884. È da ve- dersi se tutte le forme da questo citate a sinonimi siano proprio specificamente identiche a la Q. subrotunda. Comunque sia, è certo che la forma rappresentata dal disegno inedito di d’Orbigny appare inseparabile da la specie di Montagu. Hab. L’oceano Atlantico lungo le coste di Francia e all’ isola di Sant’ Elena, e, secondo Montagu, i mari della Gran Brettagna. Quinqueloculina orbicularis (tav. IV, fig. 7). Trovasi citata nel « Prodrome » quale « espèce presque tranchante ». — La forma illustrata da Terquem, nel 1876, sotto il nome di Q. orbicularis d Orb., non fu descritta, e la figura non rende conto per nulla del carattere marginale. Non so quindi spiegarmi come Brady abbia potuto riguardarla come sinonima di @Q. subrotunda. — La @. orbicu- ‘aris differisce da quest’ ultima appunto per il carattere del margine, e ricorda certe forme di Massilina secans. Hab. Fossile nei dintorni di Bordeaux (faluniano B). Secondo Terquem, s° incontra su la spiaggia di Dunkerque (?). Quinqueloculina depressa (tav. IV, fig. 8). Fu illustrata da Terquem nel 1878, e da tale illustrazione facilmente si rileva che trattasi di una Adelosina, di cui d’ Orbigny aveva considerata la forma adulta. -- Nel « Prodrome » fu citata quale « espèce tranchante ». Hab. Fossile a Castellarquato (subappennino). — 69 — Quinqueloculina lamellata (tav. IV, fie. 9). « Une lame carénée au partour » son le sole parole che leegonsi nel « Prodrome ». —- Non è improbabile che si tratti anche qui di un’ adelosina. Hab. Fossile nei dintorni di Parigi (parisiano A). Quinqueloculina punctata (tav. IV, fig. 10). Ricorda moltissimo la @. affinis di Rimini e di Rawack, di cui pubblicai la figura Melni902 (Mem... (Ace. Se. Bologna, :s. 5%, X, p. 23). Hab. Il Mar Rosso. Quinqueloculina pulchella (tav. IV, fio. 11). Istituendo questa specie, d’ Orbigny citò una figura di Soldani, e più tardi, trat- tando della @. schreibersi del bacino di Vienna, scrisse : « Voisine, par ses còtes, du Q. pul- chella, cette espèce est plus large, plus raccourcie ». I rizopodisti inglesi, con tali dati, credettero di potere definire esattamente la specie, a la quale assegnarono una estensione esagerata. Conoscendosi ora il disegno inedito orbignyano, è facile vedere, ad esempio, che le due forme illustrate da Brady sotto il nome di Miliolina pulchella (tav. VI, fig. 13, 14) non appartengono a questa specie, mentre sono invece da essa meno lontane quelle ch’ egli stesso fisurò sotto il nome di M. linnacana. — L'esame dell’ interna struttura della @. pul- chella metterà in chiaro se si tratti piuttosto di una Adelosina, come risulterebbe dall’ il- lustrazione terquemiana del 1878. Hab. L’ Atlantico, lungo le coste di Francia, e il Mediterraneo. Fossile, secondo Ter- quem, nel pliocene superiore di Rodi. Quinqueloculina longirostra (tav. IV, fig. 12). Fu illustrata più tardi da lo stesso d’ Orbigny nella sua memoria sui foraminiferi del bacino di Vienna. — Noto che la forma disegnata nelle « Planches inédites » ricorda moltissimo gli adulti dell’ Adelosina laevigata (Schlumberger: Bull. Soc. Zool. Fr., XI, paoiegtav. DVI, dig 19-21). Hab. Fossile a Castellarquato nel Piacentino (1826, 1852), a la Coroncina presso Siena e a Baden presso Vienna (1846). Quinqueloculina dubia (tav. IV, fig. 13). Fu citata nel « Prodrome » quale « espèce presque enroulée comme une spiroloculine ». Infatti, il disegno inedito orbignyano non rappresenta una quinqueloculina, nè è improba- bile che si tratti di una Massilina. Il disegno medesimo è accompagnato dall’ annotazione « mauvaise esquisse ». Hab. Fossile nei dintorni di Bordeaux (faluniano B). Serie VI. — Tomo II. 10 e a Spiegazione delle figure. TAVOLA I. . Triloculina affinis d’ Orb. (cf. Tr. trigonula 8. Triloculina flavescens d’ Orb. Lam. sp.). (0) » echinata d’ Orb. » angularis d’ Orb. (cf. Tr. tricari- 10. » laevigata d’ Orb. nata d’ Orb.). Il, » elongata d’ Orb. (cf. Tr. laevigata » rugosa d’ Orb, d’Orb.). » reticulata d Orb. (cf. Quinquelo- }2° » deformis d’ Orb. (cf. Tr. oblonga culina reticulata d’ Orb.). Montagu sp.). DIO » inflata d’ Orb. 13. » cylindrica d’ Orb. » strigilata d’ Orb. (cf. Tr. fichte- liana d’ Orb.). TAVOLA II. 210 . Triloculina reversa d’ Orb. 7. Quinqueloculina striata d’ Orb. » tricostata d’ Orb. 3. » laevigata d’ Orb. » dubia d’ Orb. (cf. Adelosina lae- 9 » parisiensis d’ Orb. vigata d’ Orb.). 10. » glomerata d’ Orb. 5 » maurini d’ Orb. JO » plana d’ Orb. . Quinqueloculina birostris d’ Orb. 12. » bulloides d’ Orb. » costata d’ Orb. 13. » subcarinata d’ Orb. TAVOLA III. . Quinqueloculina aspera d’ Orb. 8. Quinqueloculina rawackensis d’ Orb. OL » elegans d’ Orbigny, varietates OL » limbata d’ Orb. (cf. Adelosina bicornis W. 10. » disparilis d’ Orb. CRISASP9) TRE, » punctulata d’ Orb. » semistriata (cf. come sopra). 12. » angularis d’ Orb. (cf. Q. Ju- SI Quinqueloculina crassa d’ Orb. variabilis d’Orb. (cf. Q. al- 13. veoliniformis Brady sp.). 14. variabilis d' Orb. (cf. Spiro- loculina arenaria Brady). IPA NVIOLL'ASSFIAVE variolata d’ Orb. carinata d’ Orb. suborbicularis d’ Orb. 10. flavescens d’ Orb. prisca d’ Orb. subrotunda Montagu sp. 12. orbicularis dA’ Orb. (cf. Mas- silina secans d’ Orb. sp.). Ji3Ì depressa d’ Orb. (cf. Adelo- sina sp. ?). — oto. 9. Quinqueloculina » leana d’ Orb.). rugosa d’ Orb. irregularis d’ Orb. lamellata d’ Orb. (cf. Adelo- sina sp. ?). punetata d’ Orb. (cf. Q. affi- nis d’ Orb.). pulchella d’ Orb. longirostra d’ Orb. (cf. Ade- losina laevigata d’ Orb.). dubia d’ Orb. (cf. Massilina sp. ?). Tav.l. Mem.r. Acc. Sc. Bologna, siesvolgll: 2a Lit. Rizzoli e f iglio -Bologna. La E Contoli inc. G. Fornasini : dai dis.ined. dî d’Orb. si Tav.Il Mem.r. Acc. Sc. Bologna, sieavolslh Lit. Rizzoli e f, iglio -Bologna. E.Contoly inc. G. Fornasini : dai dis.ined. dî d’Orb. ‘Tav. Ill. Mem.r. Acc. Sc. Bologna, s.6 vol. II. Lit Rizzoli e figlio -Bofogna G. Fornasini : dai dîs.ined. dî d’Orb. Tav. IV. Mem.r. Acc. Sc.Bologna, s. 6°, vol. Il. E.Contoli, ine. Lit.Casanova € figlio Bologna. C.fornasini: dai dis. ined. di d’Orb, BALENE FOSSILI TOSCANE e I] CCRIUSEGU]lCCARDINIA MEMORIA DEL Prof. Sen. G. CAPELZLINI letta nella Sessione del 29 Gennaio 1905. (CON DUE TAVOLE). Nel 1875 il Prof. Cesare d’ Ancona, allora Direttore del Museo di Geologia e di Paleontologia in Firenze, metteva gentilmente a mia disposizione, per studio, tutti i nume- rosi resti di Cetacei fossili che si trovavano in quel museo e che per la maggior parte non erano ancora stati classificati. Tra quei resti, alcune porzioni di cranio, alquante vertebre e costole costituivano gli avanzi di un misticeto distinti con un solo cartellino che portava il N. 1071, e dal quale si rilevava essere essi stati scavati a Montopoli nel Valdarno inferiore e donati dal Conte Luigi Guicciardini nel 1854. Ed ora, alquanto tardi a dir vero, sone lieto di poter mante- nere la promessa fatta ai colleghi Lincei nella seduta del 2 gennaio 1876. In una Nota manoscritta che trovasi a pagina VIII del Volume III « Atti dell’ Acca- demia dei Fisiocritici » della biblioteca del Museo di Siena, ove è citato il mastodonte illustrato dal Baldassari, di pugno del Canonico Baldacconi, che fu per lunghi anni Direttore del museo dei Fisiocritici, si legge: Nel 1854 nel luglio presso Montopoli fu ritrovato lo scheletro di una piccola Balena donata a S. A. I. R. Essendomi stato concesso di avere quelle ossa a Bologna al fine di poterle accurata- mente studiare e confrontare, persuaso delle notevoli differenze, per le quali non mi era possibile di riferire la balena di Montopoli ad alcuno dei generi di misticeti già conosciuti, nel 1876 in una Nota su/le Balene fossili toscane proposi di distinguerla col nome di /diocetus (Cetaceo singolare). Accennate fin d’ allora alcune delle più importanti caratteristiche mi riservai di tornare a dirne più diffusamente rendendo conto di alcune particolarità relative alla scoperta e al suo giacimento. A completare questa notizia intorno alla scoperta e al dono di quelle ossa fossili, assunte informazioni in Firenze e in Montopoli ove mì recai espressamente nel Settembre 1875, ecco quanto posso aggiungere. ZENO I Nella vigna del frantoio della villa oggi del Conte Francesco Guicciardini, a Monto- poli, mentre nel Luglio 1854 si eseguiva una trincea furono messe allo scoperto alcune ossa voluminose e, poichè da poco tempo in quelle vicinanze era stato scoperto lo sche- letro di un Mastodonte del quale tanto si era inteso parlare, fu tenuto conto del nuovo ritrovamento e ne fu subito dato avviso al museo di Storia naturale di Firenze. Direttore del museo era allora il Prof. Mazzi e questi appena avvisato si recò a Montopoli e assi- stito dal Sienor Giovanni Lusini diresse lo scavo di tutte quelle ossa che il Conte Luigi Guicciardini donava al Granduca Leopoldo II perchè figurassero nel Museo della Specola in Via Romana. Ora dirò brevemente del giacimento da me esplorato e studiato più che venti anni dopo che era avvenuto lo scavo di quel fossile. Fra il Poggio di Montopoli e la valle del fiume Chiecinella, o come alcuni dicono Cecinella, vi ha una collinetta sulla quale sì trova un podere detto di Montoderi. A mezzogiorno sull’ alto vi è la chiesa della Madonna del Soccorso, mentre sulla collina di Montopoli quasi di faccia al podere di Montoderi si trova la Villa Guicciardini. Una piccola valle detta la valle di Boldrace ha origine sotto la chiesa della Madonna e sbocca presso le Capanne separando nettamente la collina di Mon- topoli da quella ove è il podere di Montoderi. Malgrado che i fianchi della valle siano rivestiti da bella vegetazione, si vede che la parte più profonda di essa è costituita da argille sulle quali stanno sabbie gialle disgregate che superiormente passano a depositi ghiaiosi dei quali fa parte il giacimento ove nel 1852 fu scavato uno scheletro di Masto- donte. Dal contadino Angiolo Ciulli, che nel 1875 quando mi recai a Montopoli era logaiuolo del Conte Francesco Guicciardini, potei avere esatte indicazioni sul luogo ove furono sca- vate le ossa della piccola balena e seppi che la scoperta era avvenuta casualmente, ese- guendo una trincea per piantar viti e precisamente presso il frantoio e sotto la Villa. Gui dato sul posto potei constatare ove le ossa fossili erano state scavate ; notai in quelle vici- nanze molte piccole sorgenti e infiltrazioni o Pollini come le dicono i Toscani, e verificai che lo scavo era stato cominciato a circa m. 8,10 sul livello della piccola valle. Le ossa fossili giacevano a poco più di sette metri di profondità, sepolte in argilla turchina un poco sabbiosa sormontata, come già accennai, da sabbie gialle ricche di avanzi di conchiglie da confrontarsi, sotto ogni rapporto, con le sabbie gialle plioceniche di S. Lorenzo in Collina e col Crag rosso di Anversa. Ho ricordato S. Lorenzo in collina, nel Bolognese, perchè cronologicamente e litologi- camente notai subito i rapporti tra il giacimento della balena di Montopoli e quello della balenottera e del delfino di S. Lorenzo; alquanti molluschi fossili raccolti a caso a Mon- topoli riferibili ai generi Pecten, Ostrea, Cardium, Panopaea, Dentalium, non lasciavano alcun dubbio in proposito. Dal piano dello scavo, come ho sopra indicato, salendo fino al piano della fattoria Guicciardini ho calcolato un dislivello di circa m. 32 i quali unitamente ai metri sette circa, notati in precedenza, danno per dislivello totale dal fondo della valle circa metri trentanove. L’argilla o mattaione sabbioso si trova in forma di grandi masse amigdalari inter- PARI 1 Vegan calate fra sabbie azzurrognole le quali fanno passaggio a sabbie decisamente giallastre. D’ ordinario alla base della massa argillosa le sabbie frammiste all’ argilla. sono congluti- nate e quasi da essa cementate col concorso del carbonato di calce derivato dalle conchi- glie e dalle ossa che appunto in esse masse cementate si incontrano. Ho parlato di argilla turchina (mattaione) che può variare non poco nella sua costi- tuzione secondo i diversi giacimenti e ì piani ai quali appartiene. D’ ordinario le argille plioceniche più antiche sono molto fine e sovente glauconitiche, mentre quelle degli strati superiori sono piuttosto grossolane un poco marnose e sovente sabbiose, e a poco a poco sì confondono con sabbie argillose grigiastre che negli strati decisamente superiori sono d’ ordinario giallastre o giallo-rossastre. È noto, e sarebbe qui inutile di insistere, che quantunque trattando di terreni terziarii e quaternari si parli sempre di sabbie gialle e sabbie grigie, come in Francia e altrove si volle distinguere il Diluvium grigio dal Diluvium rosso, queste colorazioni non hanno alcun serio valore stratigrafico perchè la diversa colorazione è dovuta al grado diverso di alte- razione della sostanza ferruginosa, in rapporto sovente con la influenza degli agenti atmo- sferici. Van den Broeck ed altri da più di trenta anni hanno trattato questa quistione con molta chiarezza, e sempre più si è potuto apprezzare il grande valore da attribuire ai fosssili accuratamente raccolti in posto, piuttosto che ai caratteri litologici, quando si tratta di fare della buona stratigrafia e della seria paleontologia stratigrafica. IDIOCETUS Nella terza parte dell’ Opera colossale sulle Ossa fossili dei dintorni di Anversa, il prof. P. I. Van Beneden, tenendo conto di quanto avevo pubblicato sulle Balene fossili toscane nella già citata Memoria pubblicata negli Atti della R. Accademia dei Lincei nel 1876, fino dal 1882 notava il mio /diocetus Guicciardinii e ne indicava i principali carat- teri generici (1). Nella parte quinta di quella stessa Opera pubblicata nel 1886, dopo aver trattato dei generi Amphicetus, Heterocetus, Mesocetus discorre del genere Idiocetus fondato coi resti della balena di Montopoli, e al medesimo riferisce gli avanzi fossili che prima aveva fatto conoscere col nome di Mesocetus laxatus. Il sommo cetologo, dopo avere accennato la importanza del nuovo genere, di cui avevamo avuto opportunità di discorrere insieme più volte e pel quale parmi anzi di ricordare che il nome generico Idiocetus (03 peculiaris, e xn=.s, cete) mi fosse da lui suggerito, riferendosi alla mia Nota già più volte citata dice: Les principaux caractères, qui ont determiné la formation du nouveau genre qui nous occupe sont tirés de la forme des os du crane, du condyle de la mandibule, de l’ Omo- plate, ainsi que des os de la colonne vertebrale. (1) Van Beneden P. I. Description des Ossements fossiles des environs d’Anvers. ‘Troisième partie. Annales du Musée Royal d’ Hist. nat. de Belgique. Série paléont. T. VII. Page 24. Bruxelles MDCCCLXXXII. IE AM Dopo aver indicato che ricostituito il cranio e il rostro, il primo era rimarchevole pel modo col quale i parietali si riuniscono davanti all’ occipitale e ricoprono i frontali, così ne precisa le altre caratteristiche generiche. Le condyle de la mandibule, tout en s° etendant sw le boid posterieur de l’ 0s, comme dans le genre précédent (Mesocetus), s' étend bien plus en largeur que dans les Mésocètes. L’ apophyse du rocher est très allongée et aplatie sur la longueur: su surface est couverte de légères dépressions. L’omoplate a un acromion fort large et une apophyse coracoide très developpée. Les vertèhres cervicales sont fort épaisses et la dernière, comme les pre- mières dorsales presente une facette articulaire pour la téte des cotes. Il Van Beneden conchiude ripetendo quanto io avevo annunziato nel 1876, che cioè l’Idiocetus era una piccola balena ma alquanto diversa da quelle fin qui note; che nella mandibola era ben distinto il solco miloioideo e che, d’ altra parte, per l’ omoplata aveva maggiori rapporti con le balenottere. E poichè a Anversa nel 1865 e 1866, mentre si costruivano le nuove fortificazioni presso le porte: Turnhout à Deurne e d° Herenthals come pure scavando il nuovo canale di Herenthals erano state raccolte numerose ossa riferibili a un tipo di misticeti diverso da quelli ben noti già trovati pure nei dintorni di Anversa, il Prof. Van Beneden credette di riconoscere in quei resti fossili tutti i carat- teri del genere Idiocetus, e coadiuvato dal bravo preparatore De Paw ne ricostituì il cranio e con eccellenti figure in gran parte di grandezza naturale ne illustrò tre diverse specie coi nomi di Idiocetus laxatus, Idiocetus longifrons, Idiocetus Depawvii. (1) L° Idiocetus Guic- ciardinii che aveva servito per fondare il nuovo genere è ritenuto come buona specie da unirsi a quelle del bacino di Anversa. Nel catalogo degli scheletri ed ossa di Cetacei viventi e fossili che si trovano nei diversi musei di Europa il Van Beneden registra l° Idiocetus Guicciardinii tra i fossili del museo geologico e paleontologico di Bologna, ma effettivamente in questo museo vi si trovano soltanto i modelli dei resti più importanti escluse le mandibole. Tracciata, così, la storia completa dei resti della balena di Montopoli e della origine del genere /diocetus, accennate le specie attribuite allo stesso genere provenienti dal bacino di Anversa riccamente illustrate dal Van Beneden, passerò a descrivere i resti coi quali fu fondato quel nuovo genere di Mistacoceti, notando, fin d’ ora, che tutti i dise- gni furono cavati dagli esemplari originali, non dai modelli come si potrebbe sospettare dopo ciò che ho sopra ricordato. IDIOCETUS GUICCIARDINII, Capellini. resti della balena fossile di Montopoli conservati nel Museo di Geologia dell’ Isti- tuto di Studi superiori di Firenze sono : 1.° Notevole porzione di occipitale. (1) Van Beneden P. I. Description des Ossements fossiles des environs d’ Anvers. Cinquieme partie ecc. Cetacés. Pag. 61. Bruxelles MDCCCLXXXVI. 2.° Le ossa temporali. 3.° Basilare e sfenoide. 4° Apparato dell’ udito; il destro completo e del sinistro soltanto la cassa tim- panica. 5.° Le due mandibole; però della sinistra manca la estremità anteriore. 6.° L’ Omoplata destro. 7.° L’Atlante e alcuni corpi delle prime vertebre dorsali. 8.° Numerose coste, delle quali parecchie intere benissimo conservate. 9.° Un ossicino che ritengo essere un lagrimale. Come si rileva della fig. 1 Tav. I. nella quale ho riunito i resti del cranio, si hanno miseri avanzi dell’ occipitale e dei frontali, tanto che riesce difficile di istituire serii con- fronti con le specie illustrate dal Van Beneden e con altri Cetacei di generi affini. Che l’ occipitale dovesse ricoprire per gran parte i parietali e che non fosse scavato nella regione mediana si riconosce abbastanza dal frammento che ce ne è rimasto. Del frontale destro vi ha un piccolo avanzo e qual ne fosse la vera forma si può appena indovinare. La fig. 7 Tav. I rappresenta in grandezza naturale un ossicino che ritengo essere por- zione di un osso lagrimale. Per l’ Idiocetus laxatus il Van Beneden avendo avuto a sua disposizione abbondante materiale ha potuto ricostruire un interessante porzione di cranio ed ha verificato che quando questo si colloca verticalmente la sua base tocca il piano sul quale riposa non soltanto coi temporali ma eziandio coi condili occipitali, ciò che costituisce una grande differenza tra gli Idioceti e le vere Balene. I temporali confrontati con quelli della Balena di Montaione mostrano così stretti rapporti che più volte mi sono posto il quesito se l’ Idiocetus in fin de’ conti s° avesse a confondere con quella balena, ma per risolvere il quesito sarebbe necessario di poterne confrontare le ossa nasali delle quali non si ha alcun avanzo nell’ [diocetus Guicciardinii mentre sono così ben conservate nella Balaena Montalionis, e più di tutto avrebbero potuto far luce gli apparati auditivi benissimo conservati per quel che riguarda il nostro Idioceto, ma molto sciupati e da non poterli confrontare nella Balena di Montaione. Il basilare che si trova. tra i resti del cranio ci ha permesso di potere, con molta approssimazione, fare la ricostruzione del cranio stesso quale si vede nella fig. 1 ‘lav. L senza tema di cadere in errore per la sua larghezza. Nella figura 1 ridotta a ‘4, della grandezza naturale si notano in posto le mandibole delle quali ora accennerò le principali caratteristiche. Mandibole. —- Quando fondai il nuovo genere Idiocetus accennai che le mandibole offri- vano tutti i caratteri delle vere balene. Della balena di Montopoli essendosi ben con- servata la mandibola destra e gran parte della sinistra mì fu agevole di poterne apprez- zare tutte le particolarità per giungere a quella conclusione. Come si può rilevare dalle fig. 7, 8 Tav. II, nella quale la mandibola destra dell’Idiocetus Guicciardinii è rappresentata vista per due lati, quest’ osso si svolge elegantemente dall’ interno verso l’ esterno nella ART GS sua porzione anteriore o distale, precisamente come si verifica nelle vere balene. Il condilo ne è robusto e approssimativamente altrettanto alto che largo, ampia è la apertura del canale dentario e nella faccia interiore ben distinto il solco miloioideo. L’ apofisi coronoide appena accennata; si contano sulla faccia esterna sel fori del mento e sul margine supe- riore si riscontra pure ben distinto un solco corrispondente dei fori dentarii. La lun- ghezza di questa mandibola, seguendo la curva esterna dell’ osso, è di m. 1,68. Della mandibola sinistra, come si può riconoscere nella figura 1 Tav. I, manca la por- zione anteriore per una lunghezza di circa m. 0,35; pel rimanente nulla di particolare vi ha da notare. Il Van Beneden non ha avuto la fortuna di osservare mandibole intere del suo Idiocetus laxatus e, per conseguenza, mentre ne ha rilevato i caratteri principali che si accordano con quelli che ho notato nell’ [diocetus Guicciardinii ne ha bensì intraveduto ma non ha potuto affermarne in modo assoluto i rapporti strettissimi con il vero genere balena. Ed ora dirò dell’ apparato auditivo, per fortuna ben conservato per poterne fare ogni più opportuno confronto. Come ho sopra accennato, tra i resti dell’ [diocetus Guicciardinii si trovano |’ appa- rato auditivo destro completo e la cassa timpanica dell’ apparato sinistro. Un primo confronto istituito con gli apparati auditivi delle vere balene ci permette un ravvicinamento con la giovane balena di S. Sebastiano, specialmente per quanto riguarda la porzione periotica; per la cassa timpanica occorre di avvertire subito che la forma alquanto turgida meglio ricorda quella del genere balenottera. Fu infatti riconosciuto come norma costante che, mentre la cassa auditiva delle vere balene somiglia ad una borsa vuota e un poco schiacciata, quella delle balenottere potevasi giustamente paragonare ad una borsa piena e rigonfia. In seguito a queste considerazioni, deliberai di far rappresentare quell’ osso in gran- dezza naturale, dopo aver conferito in proposito con lo stesso eminente cetologo Van Beneden che pel primo aveva dimostrato la grande importanza delle casse auditive dei mistacoceti per riconoscerne e decifrarne le varie specie viventi e fossili. La fig. 2 Tav. I rappresenta l’ apparato auditivo destro visto per la faccia superiore o interna per la quale se ne possono immediatamente apprezzare i rapporti con l’ apparato auditivo delle giovani vere balene e, quantunque possano riescire superflue, noterò le prin- cipali dimensioni del relativo osso timpanico. Diametro maggiore, antero-posteriore m. 0,122; diametro trasversale della columella, ossia alla metà della sua lunghezza e misurata esternamente m. 0,063; altezza in corri- spondenza della prima piega anteriore m. 0,050. Nell’ interno di questa cassa aderisce una piccola ostrica, ciò che sta ad indicare che quelle ossa non furono sollecitamente ricoperte dai sedimenti nei quali furono poi con- servate. La fig. 8 rappresenta lo stesso apparato visto per la faccia inferiore. La sezione condotta attraverso la cassa timpanica in corrispondenza della piega alla e) = quale è saldato il martello è disegnata nella Tav. I fig. 5; essa era già stata pubblicata nel 1877 nella Memoria sulla dalerottera di Mondini quando per la prima volta indicai il modo di avere esattissime tali sezioni, tanto utili per confronti, senza pregiudizio degli esemplari originali (1). E dopo ciò non è senza grave sorpresa che io devo constatare che il prof. Van Be- neden nell’ Opera già più volte citata attribuisce al suo /diocetus laratus casse timpaniche le quali discordano completamente con quelle che servirono a caratterizzare il genere Idiocetus. Il Van Beneden ha dato parecchie figure le quali da nessun punto di vista si possono accordare con quelle della Balena di Montopoli, e pur tenendo gran conto della sua dichiarazione delle apprezzabili variazioni in rapporto con la età dell’ animale, conviene concludere che quelle casse timpaniche ricordano troppo le balenottere e sono piuttosto da riferirsi al genere Heterocetus. Van Beneden cita la cassa timpanica incompleta del Cero- theriophanes Capellinii del museo di Bologna e non ricorda affatto nè quanto avevo scritto dell’ apparato auditivo dell’ /diocetus Guicciardinii nè la sezione dell’ osso timpanico, già pubblicata, con la quale avevo potuto istituire utili confronti. Nulla ho da aggiungere per ciò che si riferisce alla cassa timpanica sinistra pure rap- presentata per la faccia superiore, Tav. I fig. 6. Nella Tav. I fig. 4 è rappresentata la rocca vista per la sua faccia superiore per farne apprezzare la forma caratteristica che ricorda quella che sì riscontra nel vero genere Balena. Colonna vertebrale. — Della colonna vertebrale importantissimo è |’ atlante che nella Tav. II fig. 1 e 2 è rappresentato per le sue facce anteriore e posteriore e nella fig. 3 visto pel lato destro, ridotto a !/ della grandezza naturale. Questa vertebra sulla quale si basa forse la principale caratteristica dell’ /diocetus, per la forma si accorda abbastanza bene con l’ atlante del genere Bal/aenula di cui ebbi resti importanti dopo che avevo cercato qualche rapporto tra l’ atlante del nuovo genere e quello del genere Balaenotus. Meritano particolare attenzione la forma, del foro rachidiano e le facce condiloidee delle quali è facile di rendersi conto dalla fig. 1 Tav. II. Le fig. 2 e 3 Tav. II permettono di apprezzare che nell’ esemplare del museo di Firenze si trovano quasi saldate con )’ atlante porzioni di apofisi della seconda vertebra; ciò mi indusse altra volta a ritenere che l atlante non fosse perfettamente libero ma che quel principio di saldatura delle apofisi accennasse a più stretti rapporti cor il genere Balaena. Con un esame più accurato mi sono in seguito persuaso che quella saldatura è più apparente che reale e sono disposto ad ammettere che l’ atlante dell’ /diocetus fosse completamente libero come quello delle balenottere e come pare fosse altresì nel genere Balaenula. Importantissimo sarebbe stato di avere le altre vertebre cervicali, perchè da esse avremmo constatato se erano realmente tutte libere come nelle balenottere, e come ha (1) Capellini. Sulla Balenottera di Mondini Rorqual de la mer adriatique Mem. dell’ Accad. delle Scienze dell’ Istituto di Bologna Serie III T. VII p. 418. Bologna 1877. Serie VI. — Tomo II. Il SIR I notato il Van Beneden per i misticeti fossili da esso riferiti al genere /diocetus ; oppure se erano tra loro più o meno saldate per costituire un gruppo unico come si verifica nei generi Balaenula e Balaenotus. Dal corpo di una vertebra che per le sue dimensioni avrei riferito ad una cervicale potrei con maggior probabilità ritenere che almeno per quella parte della vertebra fossero realmente libere, forse in parte saldate per mezzo delle rispet- tive apofisi. Alcuni corpi di vertebre assai male conservati ho creduto di riferire alle prime dorsali, ma nulla azzardo di dire al riguardo. Parecchie coste assai bene conservate sono rimarchevoli perchè meno rotonde di quelle delle vere balene e meno piatte di quelle delle balenottere. Questo carattere ebbi pure a notare per le coste del Balaerotus scavato a Monte Aperto presso Siena. Omoplata — Mi resta a dire qualche cosa dell’ Omoplata abbastanza ben conservato e che nella Tav. II fig. 4, 5, 6 è rappresentato a * della grandezza naturale visto per tre lati che permettono di apprezzarne le principali caratteristiche. Sebbene quest’ osso per le relative proporzioni tra la larghezza e 1° altezza ricordì l’omoplata delle balenottere ; pure per la forma e segnatamente per la mancanza dell’ apofisi coracoidea, si risonosce spettare al tipo delle balene. Fino dal 1875 studiando nel museo di Leida alcune ossa di balene attuali misurai un omoplata esattamente di grandezza doppia di questo della balena di Montopoli e ne feci cenno nella mia prima notizia pubblicata un anno dopo. Van Beneden ha descritto e figurato l’ omoplata del suo Idiocetus laxatus e dopo avere constatato che si tratta di esemplare perfettamente adulto, e che per rapporti tra i diversi diametri quell’ osso s’ accorda col tipo delle balenottere, ne descrive l’ apofisi cora- coide, lunga, piramidale, troncata all’ estremità e che per la sua forma giustifica assai bene il nome che porta. Dell’ acromio dice che: è sviluppato non meno del coracoide e che quan- tungue meno completo di esso se ne rileva la enorme estensione. Ora è da notare che l’ omoplata dell’ I/diocetus Guicciardini non presenta traccia di apofisi coracoide ma soltanto può dirsi che | acromio doveva essere sufficientemente sviluppato se si giudica dalle sua base troncata. V. Tav. II fig. 4 e 5. Anche questa circo- stanza milita in favore dei rapporti tra l’ Idioceto di Montopoli e le vere balene, a diffe- renza dei misticeti di Anversa attribuiti al genere Idiocetus, e che offrono indubbiamente strettissimi rapporti con le balenottere. Nella Tav. II fig. 6 quest’ osso è rappresentato per la faccia che permette di apprez- zare la forma ovale della cavità glenoide col suo diametro maggiore eguale a m. 0,15 e il diametro minore eguale a m. 0,11. — Tanto nella figura quarta, quanto nella figura sesta ho cercato di ricostruire approssimativamente 1’ acromio con linee punteggiate. Da quanto ho avuto occasione di rilevare, descrivendo concisamente i resti della balena di Montopoli coi quali nel 1876 fondai il genere I%iocetus resulta evidente che le sue prin- cipali caratteristiche giustificano i rapporti con le balene e con le balenottere, ma che non bisogna disconoscere che in generale si accorda meglio con le prime che non con le seconde. Le ossa fossili di Anversa riferite dal Van Beneden a più specie del genere Idio- cetus offrono invece le più importanti caratteristiche dei misticeti riferiti alle balenottere. ag Ora che sono pubblicate le ficure degli apparati auditivi, delle mandibole, dell’ atlante, delle scapole riesce facile di istituire confronti con i misticeti di Anversa riferiti al genere Idiocetus e convincersi che volendo mantenere per essi il nome del genere fondato coi resti della balena di Montopoli, bisognerebbe prima dimostrare che per quei resti non dove- vasì creare un nuovo genere, ma che invece si potevano riferire al vero genere balena, ciò che non torna in nessuna maniera. Dai resti conservati della balena di Montopoli si può argomentare che molti altri importanti avanzi di quel cetaceo siano andati perduti, per essere stati scavati senza la intelligente direzione di qualcuno che per lo meno avesse pensato a raccogliere con cura anche frammenti apparentemente insignificanti. Sopratutto non so persuadermi che mentre furono raccolte numerose coste ben conservate non si siano trovati o siano stati raccolti soltanto pochissimi corpi delle prime vertebre dorsali; nulla delle lombari e caudali. “5a AZARN a SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA I. — Ricostruzione parziale del cranio, visto per la faccia superiore, %., del vero. — Apparato auditivo destro visto per la faccia superiore, grandezza naturale. — Lo stesso visto per la faccia inferiore. — La rocca vista per la faccia superiore. — Porzione di osso lagrimale ; grandezza naturale. — Cassa timpanica dell’ apparato auditivo sinistro. — Sezione della cassa timpanica dell’ apparato auditivo destro condotta in corri- spondenza della piega del martello. TAVOLA II. — Atlante visto per la faccia anteriore. — La stessa vertebra vista per la faccia posteriore. — La stessa vista per il lato destro; l’ osso è rappresentato con la faccia ante- riore rivolta in alto. — Omoplata destro visto per là faccia esterna. — Lo stesso visto per il lato anteriore. — Lo stesso visto per la faccia articolare o cavità glenoide. — Mandibola destra vista per la faccia esterna. — La stessa vista per la faccia superiore. B. Tutte le figure sono ! della grandezza naturale. Mem. Serie VI. Tomo II° \apellini-Balene fossili Toscane —Tav. I° (IM) SE dI Haro VI E. Contoli dis. dal vero edin pietra. Lit. Rizzoli e Figlio Bologna. G.Capellini-Balene fossili Toscane —Tav. I° Rigo (im) IDIOCETUS GUICCIARDINII, Capellini Lit. Rizzoli eFiglio— Bologna. ellini-Balene tossili Toscane Tav. II? (II) SR 4 St Tac 07 E.Contoli dis. dal vero e in pietra. Lit. Rizzoli e Figlio -Bologna. î Fi cri VI Tomo I° TEO G.Capellini- Balene fossili Toscane Tav. Il? (ID) IDIO (GIE DU) Ò GUICCIARDINI I 9 Capellini Lit. Rizzoli e Figlio -Bologna. É.Contoli dis. dal vero e în pietra. ae ai Ùu Î) (2: i Sor E 0 AO VER “i safe o. to di VR ARRE 19908 pe Sulla determinazione dell’ asse neutro o di rotazione, nelle sezioni trasversali di un solido in mutatuta, simmetrico rispetto ad un piano assiale e sollecitato da forze agenti nel piano di simmetria MEMORIA DEL PROF. SILVIO CANEVAZZI (letta nella Sessione del 19 marzo 1905). (CON UNA TAVOLA) Equilibrio delle murature 1. La considerazione dei solidi presentanti un piano assiale di simmetria, sollecitati da forze agenti nel piano stesso (sollecitazione piana e retta) sebbene appaia come un caso particolare, tuttavia nella scienza delle costruzioni riveste carattere di gene- ralità, poichè comprende il maggior numero, per non dire la quasi totalità dei pro- blemi, che si incontrano nell’ arte dell’ ingegnere. Il vantaggio di questa ipotesi par- ticolareggiata rispetto ad una trattazione fatta in base a supposizioni più ampie e generiche si rende manifesto pel fatto che l’asse neutro o di rotazione di ogni sezione dovendo essere coniugato d’ inerzia coll’ asse di sollecitazione, questo essendo asse di simmetria, e perciò asse principale d’ inerzia, l’asse di rotazione è necessariamente normale al medesimo. Im queste condizioni, riferendo la sezione a due assi coordinati ortogonali e baricentrici, l’asse VV, di sollecitazione e l’asse VU, normale ad esso, l’asse neutro, o di rotazione della sezione, ZZ, è necessariamente parallelo ad ZVU,, e quindi una sola coordinata v=w parallela all’ asse VV, basta a determinarne la posizione, e gli sforzi unitarî subiti dal materiale lungo rette parallele all’ asse VU, hanno valore costante. Sirion (Mig 1a ek23):: o una sezione qualsiasi del solido considerato fatta con un piano normale al suo asse ; A l’area della sezione 0; I il momento d’inerzia della sezione o rispetto all’ asse VV,, baricentrico e normale all’asse di simmetria VV,; I B=7 il quadrato del raggio di girazione della sezione o rispetto all’ asse VU, ; X la componente normale alla sezione o delle forze esterne alla medesima. Serie VI. — Tomo II. 12 spie Ò la distanza del centro di pressione @, nel quale X incontra la sezione o, dal ba- ricentro O della sezione stessa ; M= XÒ il momento delle forze esterne alla sezione o rispetto al baricentro O della medesima, oppure anche, cosa equivalente nel caso che si considera, rispetto al- l’asse UU, ; ZZ, Vl asse neutro, o di rotazione della sezione 9 sotto l’azione delle forze esterne ; w il valore della coordinata v misurante la distanza fra i due assi paralleli VU, e ZZ,; 3 la distanza di un punto qualsiasi nella sezione o dell’ asse ZZ, ; u e v le coordinate rispetto agli assi UU, e VV, di un punto qualsiasi della se- zione O. E il modulo di elasticità del materiale ; 60 l'angolo di rotazione della sezione G ; K'e K'i due punti, nei quali 1’ asse VV, interseca il perimetro della sezione, rite- nendo che X' corrisponda alla parte compressa se l’ asse ZZ, interseca la sezione, ed alla parte più compressa se non l’interseca (Fig. 1°); Ki e Kj' i due punti nei quali l’asse VV, interseca il profilo generato da una retta che si muove inviluppando la sezione (Fig. 2*). Spesso i punti Xj e Xj' coinci- dono coi punti X' e X'" (Fig. 1°); N' ed N" i due punti in cui l’asse di sollecitazione VV, interseca il nocciuolo cen- trale d’ inerzia della sezione, detti anche semplicemente punti di nocciuolo, rite- nendo che N' sia dalla stessa parte di Xj ed N" dalla parte di Xj'; v' e z'e o" e 2" rispettivamente le distanze dei punti X, e XKj' dagli assi UU, e ZZ,; i l'allungamento od accorciamento unitario assiale del solido in guisa che i=0@w; R lo sforzo unitario subito dal materiale in un punto qualsiasi della sezione @; R' ed R'' lo sforzo unitario subito dal materiale rispettivamente nei punti X' e K'' (oppure corrispondente ai punti X, e X1'); C la distanza del centro di pressione @ dall'asse di rotazione ZZ, ; u=X$= X(d.+%w) il momento delle forze esterne alla sezione considerata rispetto all’ asse di rotazione ZZ,; © l’ elemento d’ area resistente della sezione ; I il momento statico dell’ area resistente della sezione o rispetto all’ asse ZZ, ; W il momento d’ inerzia dell’area resistente della sezione @ rispetto all’ asse ZZ,; d=v—0 = —{ la distanza del centro di pressione @ dal punto X' (fig. 1°) op- pure Kj (fig. 2°). È noto che 154 50 == I (1) : R' M_ZSRBIAONEO (2) 7 O y/ 2 ( 7 R' u=X— Ros E4Zag= EOW=—W (3) - 5 = = u 202) __W (È = — = = 4) x elnali 1 (3) M —X0E0T (5) Mi DE dv R=E0z=EO(w+v= Ei + E00= A +3 = al (6) p° È w = — 3. (/ FD ) Queste equazioni sono generali e servono sempre ed in ogni caso a risolvere i problemi di elasticità e resistenza quando il materiale componente il solido è tale da poter resistere ugualmente bene a sforzi di tensione e di compressione. Se il mate- riale invece, come si ritiene dagli ingegneri che avvenga per la muratura, è incapace di resistere a tensione e può sviluppare soltanto sforzi resistenti a compressione allora le formule superiori possono cadere in difetto. Infatti se il centro di pressione @ cade entro il nocciuolo centrale d’ inerzia della sezione 0, ossia fra i punti di nocciuolo N' ed N‘, l’asse di rotazione ZZ, in causa della (7), è esterno alla sezione e questa, se X è, come si suppone, sforzo di compressione, è tutta compressa e perciò intera- mente attiva e tutta utilizzata come sezione resistente, quindi sono sempre facilmente calcolabili le quantità I, gp, A, T, W, e le formule superiori possono senz’ altro essere applicate al caso che si considera. Se invece il centro di pressione @ cade fuori dal nocciuolo centrale d’inerzia, allora l’ asse di rotazione ZZ, taglia la sezione dividen- dola in due parti, una Q' compressa, e quindi effettivamente resistente, l’altra Q" che sarebbe tesa e per conseguenza, in causa della natura del materiale supposto in- capace di resistere a tensione, affatto inattiva e parassita. In queste condizioni è as- solutamente impossibile calcolare le caratteristiche di sezione A, I, T, W poichè la estensione dell’area realmente resistente Q' è determinata dalla posizione dell’ asse di rotazione ZZ,, posizione che è appunto l incognita della questione. Le formule quindi che contengono le dette caratteristiche cadono in difetto rispetto ai calcoli numerici e non permettono in via generale di risolvere direttamente i problemi di elasticità e resistenza. Nei trattati di meccanica applicata alle costruzioni si usa in base a speciali considerazioni ed utilizzando la formula (4) determinare una o due soluzioni particolari del problema, quelle cioè che corrispondono alle sezioni aventi forma di rettangolo o di triangolo isoscele perchè più interessanti per la pratica, dopo di chè la questione viene ordi- nariamente abbandonata. In questa nota ci proponiamo di mostrare come servendosi delle proprietà del poligono funicolare e delle forze sia sempre possibile con alcuni tentativi, sistematici e facili ad eseguire, arrivare a determinare con sufficiente ap- prossimazione la posizione dell’ asse di rotazione ZZ, e per conseguenza anche i valori di R, di R' e di 6, risolvendo così con sufficiente approssimazione ed in modo com- pleto il problema di stabilità. RU 2. In un solido soggetto a compressione indichiamo con % la deformazione subita in un punto qualsiasi della sezione o dal materiale effettivamente resistente. In base alle ipotesi fondamentali della resistenza dei materiali, la deformazione riducendosi ad una rotazione della sezione o intorno all’ asse ZZ, sarà h==0z. Se si ritiene che il solido resistente sia in muratura, e più generalmente in materiale incapace di resistere a tensione, le formule (1), (2), (3) e (4) diventano RO AII == = La) (8) Xx EOXzo = E3(0z)0.=EZho (9) ud PESI IZ (10) SZ, 00) ZO nia Adv Zoo ID di nelle quali @ esprime un elemento qualsiasi dell’ area A quando il centro di pressione Q cade entro il nocciuolo centrale d’ inerzia della sezione 0, ed esprime invece un elemento qualsiasi dell’area Q' effettivamente resistente nel caso che @ cada fuori dal nocciuolo centrale d’inerzia. Conseguentemente nel primo caso le sommatorie si riferiscono a tutta la sezione 0, mentre nel secondo esse debbono essere estese solo alla parte di A effettivamente attiva £', limitata da parte del contorno della figura o e dall’ asse incognito di rotazione ZZ,. Dalle equazioni (9), (10), (11) si ricava: a) Lo sforzo risultante X di compressione normale alla sezione o è direttamente proporzionale al volume di deformazione alla compressione 0, come può anche dirsi, al volume di condensazione. Si usa questa speciale locuzione per mettere bene in evidenza che rimane escluso dal computo il volume di deformazione dovuto ad una eventuale sollecitazione a ten- sione di parte della sezione o, perchè nel caso, che si considera, questa parte deve essere ritenuta come inattiva e parassita. D) Il momento & delle forze esterne rispetto all’ asse di rotazione ZZ, è diret- tamente proporzionale al momento statico, o di primo grado, del volume di condensa- zione rispetto allo stesso asse. c) Il centro di gravità del volume di condensazione si proietta sulla sezione @ nel centro di pressione @, determinato dalla posizione della risultante delle forze esterne alla sezione stessa. In altri termini detta 4 l’ ordinata = del baricentro del volume di condensazione 62. 0) WES) (SR Lasciando da parte il caso, in cui il centro di pressione @ cada entro il nocciuolo centrale di inerzia, nel quale abbiamo visto essere determinate A, f, I, I, W, e quindi a A applicabili le formule da (1) a (7) e completamente risolubile il problema di elasticità e resistenza, occupiamoci di quello, in cui @ cada fuori del nocciuolo centrale d’iner- zia. In queste ultime condizioni in via generale non si possono utilizzare le relazioni (8), (9), (10) ed (11) perchè le sommatorie sono estese all’ area resistente Q', inde- terminata di estensione essendo indeterminata ed incognita la posizione dell’ asse di rotazione ZZ,. In qualche caso particolare però, riuscendo possibile prevedere la forma del volume di condensazione, si arriva ad esprimere I° e W in funzione della varia- bile =' e quindi, dovendo essere a=i—t=s—t (12) a trovare una relazione fra d e =', che permette di assegnare facilmente la posizione dell’asse ZZ,. In generale però I e W non saranno esprimibili in funzione di z', 0 per lo meno non lo saranno con formule semplici e di facile applicazione, quindi la formula (12) o cadrà realmente in difetto o non sarà praticamente applicabile ai pro- blemi della scienza delle costruzioni. 8. Sia 48 K'yÒ K' la sezione trasversale del solido resistente (fig. 3%), VV, l’asse di sollecitazione e simmetria e @ il centro di pressione determinato dalla risultante delle forze esterne e necessariamente cadente sulla direzione dell’ asse VV,. Con una di serie rette /f (ff; f5f:; fsf3-..) parallele e normali all’asse VV, si divida la figura in tante striscie, la cui altezza Az sia abbastanza piccola perchè il raggio di girazione i di ciascuna possa essere ritenuto piccolissimo rispetto alle quantità che interessano nella questione. Indichiamo con 0,3 0,, O,... ordinatamente le aree delle varie striscie, incominciando dall’ estrema dalla stessa parte del baricentro nella quale cade il centro di pressione @; Z,3 #9) &--- le distanze dei baricentri delle singole striscie dall’ asse incognito di ro- tazione ZZ, ; 3' la distanza dall’ asse ZZ, del punto della sezione più lontana dal medesimo nella parte compressa, cioè dove cade il centro di pressione. Ordinariamente questo punto coincide col punto X' in cui VV, interseca il contorno della sezione (fig. 1°), ma può avvenire anche diversamente ed allora =' e l’ ordinata del punto Xj in cui lo stesso asse VV, interseca il profilo generato da una retta inviluppante la sezione (fig. 2°); d la distanza del centro di pressione Q dal punto (X' oppure Xj a secondo dei casi) più compresso, cioè più lontano dall’asse di rotazione dalla parte del medesimo in cui cade il centro di pressione @ ; 03 Xi: o) X3--. le distanze delle rette //' dividenti in striscie la sezione o con- 3 tate a partire dal punto più lontano dall’ asse ZZ, e soggetto a. compressione in guisa che dia til zig di (0) e & Zi 9 PER) DI So x; = 2 Bg 9 "O n dia N Za %, =3 7 9 Res “k 2 08 A À, tre basi di riduzione, arbitrarie ma costanti per uno stesso calcolo ; ??;: 7) Ny--- dei segmenti proporzionali alle aree delle successive striscie @,, @,, 0}... in guisa che sia M= di ii= Ho E E= 0g MO li gi 9 Ri O aaa À, À, À, À, ed ai baricentri delle aree @ riteniamo applicati i corrispondenti segmenti 7° con direzione normale all’ asse VV,. Si costruisca il poligono dei segmenti n'(101, 05 273,+++Mx +-+) e con distanza polare 4, si deduca un poligono funicolare collegante i segmenti 7°, avendo cura nel tracciare i singoli lati di segnare anche i loro prolungamenti dal lato verso il quale si genera e svolge il poligono funicolare (fig. 3°). Per la facile applicazione del metodo i segmenti 7° debbono essere di- sposti nel poligono delle forze con ordine progressivo, alternandoli si avrebbero nel poligono funicolare dei regressi incomodi. Così pure sarà opportuno scegliere il polo del poligono delle forze sulla normale al poligono stesso condotta pel suo punto origine e converrà sempre farlo a meno che i raggi proiettanti non diven- tino troppo inclinati, ciò che sarebbe poco favorevole per un conveniente traccia- mento del poligono funicolare. Attraverso alla sezione o e con direzione normale all’ asse VV, si conduca una retta arbitraria Z'Zj, ordinariamente converrà assumerla coincidente con una delle rette f/' dividenti in striscie la sezione (nella figura è stata scelta la no) i lati del poligono funicolare coi loro prolungamenti determineranno sulla Z'Zj una serie di segmenti 27/71, 72; 73---7--+) ciascuno ordinatamente proporzionale ai momenti delle aree @(@,, ©,...) precedenti all’ asse Z Zi rispetto all’ asse stesso, e quindi pro- So porzionali agli sforzi di compressione che si svilupperebbero nelle stesse aree @ qua- lora la sezione resistente ruotasse intorno a ZZ. Con distanza polare 4, si proietti il poligono dei segmenti 77'(271", 772...) e, Sup- posti questi segmenti applicati ai baricentri delle aree (0, @,,...@p) con direzione normale a VV,, sì colleghino con un poligono funiculare dedotto dal poligono delle forze (9, Y5-.-7x). Il punto 7" di incontro dei lati estremi di questo secondo po- Ria ligono funicolare dà un punto della risultante dei segmenti 271'(271°, 22°... 7,). e la risultante stessa potrà essere tracciata conducendo per 7" una parallela a Z'Z). I lati del secondo poligono funicolare, convenientemente prolungati determineranno sull’ asse ZZ', dei segmenti 27(27,, #5" O(0,, 0,...@x) rispetto all'asse stesso. Se con 3 si indica l° ordinata z del centro del ir . . . . 9° . + x ) proporzionali ai momenti d'inerzia delle aree volume di condensazione generato per una rotazione 0 della sezione o intorno all’ asse Z'Z, e corrispondente all’ area compressa £', per le proprietà del poligono funicolare e delle forze e dei baricentri dei volumi sarà k k lE Sio =A4 2 pi (0) 0 k k i — So — ANA 0 0 E È 2 È URALI st Tina Z0s Wii A3Z7 sE = Sqp=- ho 0Z0z 3y'' 0) (0) (0) Se la risultante dei segmenti 77°" condotta per 7" passa pel centro di pressione @, ossia, cosa equivalente, se 2 =, l’asse arbitrario Z'Z; in causa delle (9), (10) e (11) . / coincide coll’ asse reale di rotazione della sezione ZZ, e quindi k Dy!' ; R 3 R se 0 AME ; RZ À 5 II 1: Call 2 u=F0W=W=R'AA, 0; RAA,= 7h 5 II AZ” 0 equazioni, coll’uso delle quali il problema di elasticità e resistenza rimane senz’ altro risoluto. Se la risultante dei segmenti 7'' condotta per 7'' passa superiormente od infe- riormente a @, ossia, cosa equivalente, se 3 è maggiore o minore di €, allora vuol dire che si è considerato un numero di striscie @ troppo piccolo o troppo grande; spostando convenientemente l’ asse Z'Zj, in Z"'Zj'...si potrà con pochi tentativi tro- vare una posizione tale che 3 o sia uguale a É od almeno ne differisca meno di ciò che nel caso particolare si ritiene apprezzabile, e così si arriverà facilmente ad una soluzione abbastanza approssimata della questione. È importante osservare che per questi tentativi è solo il secondo poligono che bisogna rifare, il primo rimane inva- riato e solo cambiano i segmenti %° che i suoi lati determinano sulle rette Z'Z/', Z"Z;"... rappresentanti le successive posizioni dell’ asse arbitrario Z'Zj opportuna- mente spostato. 4. Questo procedimento, applicato da persona versata in simili calcoli, conduce indub- biamente con pochi tentativi al risultato cercato, tuttavia manca di un criterio siste- matico, che guidi necessariamente per ogni nuova prova ad un risultato sempre più approssimato. Si può togliere facilmente questo inconveniente, osservando che negli spostamenti successivi dell’ asse Z'Z, il valore di W varia necessariamente più rapida- mente di quello di I°, poichè il primo contiene i quadrati delle ordinate 2 mentre il secondo contiene solo le prime potenze delle stesse quantità. Per questa ragione ‘il segmento £'7'' fornito dalla relazione kh Vo Diga 0 È k sarà più prossimo al vero del segmento 27" dato dal primo poligono funicolare. 0 Approfittando di questa proprietà, dopo eseguito un primo tentativo coll’ asse ar- bitrario Z'Z,, si calcoli colla costruzione di una quarta proporzionale k ricavando dalla figura i valori di 4,, È e 27" relativi all'asse Z'Zj considerato e 0 si inserisca questo segmento %'7"' fra i lati del primo poligono funicolare mantenendolo parallelo a Z'Z. Per raggiungere questo risultato basterà portare 2'y'' sopra una retta normale a VV, a partire dal suo incontro col primo lato del primo poligono funicu- lare, per es. RS, e per $S condurre una parallela al detto primo lato ad incontrare in Sil primo poligono funicolare: una retta normale a VV, passante per .S' rappre- senterà una posizione Z''Z;' dell’asse di rotazione più approssimata della prima scelta Z'Z,. Ripetendo per l’asse Z'Z' la stessa operazione si otterrà una nuova posizione Z'"'Z;"" ancora più approssimata e si potrà continuare collo stesso procedimento finchè due risultati successivi differiscano fra loro meno di ciò che si ritiene apprezzabile. In questa serie di tentativi, sistematicamente. applicati col criterio di inscrivere k i À Zn'' 3 nel primo poligono funiculare segmenti £'7' ricavati dalla Sua consiste il processo enunciato per la determinazione per approssimazioni successive dell’ asse neutro, o di rotazione delle sezioni nei solidi in muratura aventi un piano di simmetria e soggetti a sollecitazione piana e retta da forze agenti nel detto piano di simmetria, da applicare tutte le volte che il centro di pressione cade fuori del nocciuolo centrale di inerzia. Questo metodo risulta abbastanza semplice ed approssimato per le appli- cazioni tecniche ed in generale al secondo od al terzo tentativo si arriva a risultati soddisfacenti. i Nella risoluzione dei problemi della pratica si presentano casì, e fortunatamente Ci sono ì più frequenti, nei quali il solido di condensazione ha forma semplice e la po- sizione del suo baricentro è facilmente determinabile in funzione delle sue dimensioni. In queste condizioni succede spesso che si possa esprimere la distanza @ = 3'— x del baricentro del solido di condensazione proiettato sul piano o dal punto estremo X' o K, del profilo della sezione resistente in funzione della distanza ' dello stesso punto dallo spigolo, asse di rotazione della figura Q' generatrice del solido di condensazione. Dovendo la proiezione del baricentro del solido di condensazione cadere nel centro di pressione dovrà essere x=d e ne risulterà una relazione che condurrà facilmente a detérminare z' e quindi anche la posizione dell’ asse di rotazione ZZ,. Le formule ge- nerali (9), (10) ed (11) permettono in questi casì di risolvere direttamente il problema di resistenza. Infatti : se la sezione o ha forma rettangolare il solido di condensazione ha forma di prisma a base triangolare pel quale 3 e aes == ai ; 3 3 Le formule generali danno > ti a [a = e eo 0 ARS SOTA, U % 7A 3 Sw zdz — D) (È 0 fe Se la parte Q' della sezione o ha forma di triangolo isoscele il solido di conden- sazione ha forma di tetraedro, detto «a il semiangolo al vertice, le formole generali danno = 1 4 Il 13 I 12 n = sen FPF—=z'’sene O'—=z'sena vena Vi Si A 3 30 za =-5 We = ANIA = 4-4 == 6 IR 2 È 2 r '?sen a Q' Questi due esempi costituiscono le soluzioni particolari dell’ equilibrio delle mura- ture solo parzialmente: compresse, che, ricavate ordinariamente con ricerche speciali e non dedotte dalle formule generali sopraindicate, vengono per solito riportate nei trattati di meccanica applicata alle costruzioni. In realtà usando le formule superiori si possono risolvere anche altri casi particolari; il metodo essendo sempre il mede- simo non sembra necessario moltiplicare gli esempi, pec IT, W e È si trovano facil- mente espressioni algebriche lunghe e complesse, e per ciò poco adatte per la loro Serie VI. — Tomo TI. 13 forma ad essere impiegate nei calcoli usuali d’ ingegneria. In questi ultimi casì con- viene, ed è preferibile, ricorrere al metodo per successive approssimazioni esposto : si è poi costretti a ricorrervi sempre, nè si potrebbe altrimenti, tutte le volte che non r riesce possibile esprimere con formule algebriche definite I, W e È in funzione di #'. 5. Naturalmente al metodo geometrico per poligoni funicolari corrisponde un procedi- mento aritmetico o tabellare equipollente, che, divisa come si è detto la figura in striscie medianti le rette //", si può applicare riempiendo il quadro seguente : { | Î Valore rispetto alla retta /,/). assunta come | Az, È, : Te ZIA; = | È Sn asse di rotazione Z'Z di | Ordinata a,=2'— 24,533 O DO £ | I si I I a Si W Si della retta /,/ assunta co- G Q z T W Padre 7 E mM © me asse di rotazione Z'Z1 3 ; : i !' | (desunti dal disegno) |(calcolati numericamente) | | | | | | | | è | | SÙ Questo procedimento consiste nell’ assumere successivamente come asse di rotazione Z'Z; \e singole rette di divisione in striscie della sezione resistente ed a calcolare per ciascuna di esse &=z'—d, IT, W e zi disponendone sistematicamente i valori nel quadro indicato. L’ asse di rotazione corrisponderà a quella posizione di Z'Zj per la quale risulta f=3. I quadro potrà fornire la soluzione esatta, ma in generale ciò non sarà, l’asse neutro di rotazione si avrà interpolando nella striscia per la quale il valore di È cessa di essere inferiore a 3 e gli diventa invece superiore : se le striscie sono sottili, ossia se Az è relativamente piccolo sarà sufficientemente approssimato inter- polare proporzionalmente. 6. Per non sprecar tempo in calcoli inutili converrà riempire il quadro superiore soltanto coi valori corrispondenti alla zona, nella quale presumibilmente cadrà | asse neutro e così pure nel procedimento grafico converrà scegliere il primo asse arbitrario Z'Z, in una posizione presumibilmente non molto diversa dalla vera. Per questa de- terminazione largamente approssimata, oltre I abitudine a simili calcoli, possono ser- vire i criteri seguenti : a) se il punto @ (centro di pressione) cade vicino al punto N' del nocciolo centrale d’ inerzia in guisa che QN' sia piccolo relativamente ad NX' od N'X, in via — 91 — di prima approssimazione si potrà ritenere Q2'= A, poichè necessariamente 2" sarà D) relativamente piccola, e valutare = E come se la sezione fosse tutta attiva, e coi successivi tentativi correggere l° errore nel quale si è incorso. b) Se il centro di pressione cade distante da N' in guisa che QN' non sia pic- colo rispetto ad N'X' ad N'X,, allora tenendo presente i due casi particolari risoluti l’asse ZZ, cadrà presumibilmente nella zona compresa fra si 2 died nella sua vicinanza, più vicino all’ uno od all’ altro limite a seconda che la figura della se- zione resistente si distende in modo da avvicinarsi più alla forma triangolare oppure a quella rettangolare. iti TEX si ' N ‘PuDojog- 01]Bl] 2 1fozziy 917 ‘31 1)03UO9 3 ; d-- rane) Ie Et NRRIE TAI IaStaia la vegetazione autunnale della Volovica (Montenegro) in rapporto all influenza della bòra |’ MEMORIA DI ANTONIO BALDACCI (letta nella Seduta del 13 Gennaio 1905) (CON UNA TAVOLA) Nell’ autunno scorso intrapresi col Dott. Pirro Zanotti della R. Università di Bolo- gna un altro dei miei viaggi scientifici annuali nell’ Albania e nel Montenegro. Il Dott. Zanotti si occupò di scavi antropologici, mentre io mi riservai la continuazione delle osservazioni botaniche e fitogeografiche sopra quelle regioni. La flora autunnale dell’ Illirio albano-montenegrino non venne mai studiata da altri, che io sappia, e se ne conosce soltanto qualche cosa in rapporto a quanto venne fatto per la fiora dalmata e la fiora greca, fra le quali quella è compresa. Avendo dovuto partir tardi dall’ Italia, mi era dato di sperare che, una volta giunto sul posto, non mi sarebbe mancato il mezzo di occuparmi della flora in relazione alle perturbazioni atmosferiche e climatiche, le quali, specialmente dalla fine di ottobre e nel novembre, cominciano a rendere burrascoso il mare Adriatico, alterando sensibilmente il normale decorso della vegetazione. Alludo in particolar modo all’ influenza della bora, ossia di quel vento più d° ogni altro freddo, asciutto, violento e periodico che si scatena così di frequente nell’ Adriatico colla forza dei fortunali durante l’ autunno e l’ inverno, ed è causa di tanti disastri. Restammo a Vallona dal 12 al 18 ottobre senza che io potessi aggiungere una sola osservazione alle altre già fatte negli anni precedenti intorno alla vegetazione di quel distretto. Il tempo fu mite, quasi caldo; la flora mediterranea seguiva le sue fasi autun- nali di impoverimento senza alcuna evidente alterazione, così, press” a poco, come avviene, in condizioni normali, per tutta la flora mediterranea del bacino adriatico-jonico. I prati (ì) Si annettono per maggiore chiarezza, in fine a questa Nota, quattro tabelle meteorologiche, redatte dai Capitanati di Porto di Antivari e di Dulcigno, le quali sono le prime compilate per essere pubblicate intorno alla regione presa a studiare. Qi Serie VI. — Tomo IT. 1 DENARO dei terreni pliocenici protetti da olivi erano formati principalmente da Bellis hybrida e da Spiranthes autumnalis; i dumeti avevano grande quantità di Jofhrenia Pichleri. I terreni scoperti mostravano l’ Erica verticillaris in fioritura autunnale, bellissima. Nei dumeti sì avevano pure in fiore lArDultus Unedo e la Smilax aspera. In generale stavano già oltre- passando l antesi tutte le piante settenbrine, come la Scilla autummnalis fra le bulbose e l Arundo Pliniana fra le erbe. In mezzo a questo fondo vegetativo rimanevano, natural- mente, tutte le specie che dall’ estate si protraggono facilmente fino all’ inverno quando il clima non subisce perturbazioni notevoli; le xerofite erano però in numero minore delle piante umicole, ciò che sta precisamente in relazione colla temperatura assai mite e umida di quei giorni: ricordo splendidi esemplari di Datura Stramonium e di Solanum nigrum che sembravano in vegetazione primaverile. Il 19 ottobre arrivammo nel Montenegro e mettemmo sede a Pristan dove restammo fino al 23 novembre, facendo escursioni in tutto il distretto di Antivari. Durante il sog- giorno nel Montenegro si presentò l’ occasione desiderata pel mio studio, e qui appunto offro una relazione completa delle osservazioni compiute nella fiducia che 1 argomento possa meritare qualche attenzione. A tutte le latitudini e a tutte le altezze le piante si distribuiscono in gruppi partico- lari, o, in altri termini, si presentano in associazioni di specie che dipendono dalla natura del suolo; a questa legge però bisogna aggiungere che anche le cause climatiche d’ ogni intensità debbono di pari passo venire considerate in rapporto alla latitudine, all’ altezza, al substrato e, aggiungo, alla temperatura, non meno che alla stazione. Nelle coste del bacino adriatico-jonico, le piante, più che altrove nel dominio medi- terraneo, formano speciali zone climatiche che generalmente corrispondono alle isoterme, e si trovano in diretta relazione col substrato. Queste zone sono in gran numero. Basti considerare che nella costa orientale la flora è distribuita da N. a S. nelle regioni libur- nica, illirica e greca con tanti anelli floristici, molto più numerosi e ben differenziati che non nella costa italiana, per la grande variabilità dell'ambiente che quella costa presenta rispetto alla nostra, segnando altrettante zone tfitogeografiche. Questa catena floristica, che ha tutti i caratteri più classici delle flore calcicole, soffre interruzioni abbastanza notevoli là dove manca la calce, come, p. es., nelle alluvioni formate dai fiumi o dal mare, e più di tutto nella pianura quaternaria fra Vallona e Durazzo, o in quella del Drino, o nell’ altra del bacino del lago di Scutari e così via, le quali agiscono come refrigeranti entro il dominio calcicolo mediterraneo. Nella costa occidentale od italiana di questo stesso bacino adria- tico-Jonico ed alle stesse latitudmi delle coste orientali, abbiamo una differenza sensibi- lissima nella flora sì erbacea come forestale, ciò che si prova suflicientemente colla pre- senza della quercia coccifera (Quercus coccifera), di quella di Grisebach (Q. Grisebachii) e della vallonea (Q. Aegilops), le quali arrivano nelle coste balcaniche rispettivamente al 44°, 43° e 40°, 50' circa di lat. N., mentre nelle coste italiane si arrestano al 42°, al 41° e al 40° circa di lat. N. — Nella nostra costa, più che lo squilibrio della temperatura, agisce sopra la fiora la variabilità del suolo e perciò la fiora risulta più omogenea, e, in causa dell’ influenza più diretta degli agenti climatici del Nord, alquanto meno mediter- SRI ranea che non sia nella costa orientale, dove per ragioni geologiche e fisiche, le stazioni climatiche di vegetazione sono assai importanti e numerose, e provano, una volta di più, che tutte le coste orientali dei yari bacini mediterranei sono sempre più calde delle occi- dentali. Sul principio della terza decade di ottobre, la flora autunnale del distretto di Antivari, sia nel piano che nel monte fino a 800 metri circa sopra il livello del mare, non aveva, in generale, che le stesse caratteristiche di una vegetazione povera e sofferente, per quanto tardiva, e sì presentava in condizioni molto inferiori a quella osservata una decina di giorni innanzi nel distretto di Vallona, a meno di 200 Chilometri più a Sud: la regione della Volovica faceva però eccezione a questa regola (1). La piccola catena della Volovica costituisce lo sprone meridionale marittimo che chiude l’insenatura definita dall’ anfiteatro antivarino, il quale risulta formato dai monti Lisinj, Rumija, Sutorman, Vrhsuta che scendono da ogni parte, ben dirupati al confine dalmato- montenegrino e nel territorio del Principato, fra Sutomore e il torrente Zeljeznica e la conca di Zaljev, racchiudendo fra la Zeljeznica e la punta Volovica (dove oggi sorge la stazione radiotelegrafica Marconi) il piano di Antivari, il « barsko polje ». L’ insenatura suddetta è chiusa a N. 0. dalla penisoletta che termina alla punta del Crni Rat, la quale si trova a circa cinque secondi di grado dalla punta della Volovica e a circa tre secondi e mezzo più ad O. di questa ed è molto riparata contro i venti di settentrione, mentre è battuta da mezzogiorno, al contrario della penisoletta della Volovica che per la sua posizione resta esposta a tutti i venti, sia di settentrione, sia di ponente e di mezzogiorno. In questa regione, considerata nella sua estensione, la vegetazione dell’ ultima decade di ottobre era differenziata nelle seguenti zone : 4) in una zona diffusa nello zoccolo di tutta la (1) La Volovica risulta tettonicamente di una stretta piega allungata nello stesso verso della direzione stratigrafica N. W.—S. E. e a S. W. dell’ alta catena litoranea del Rumija e delle alture triassiche del Lisinj, segna l’ inizio di quella serie di rilievi minori che si prolungano da maestro a scirocco, suc- cedendosi fra la Valle di Mrkojeviti e Dulcigno. I calcari che la costituiscono per intero sono compatti, più raramente suberistallini, gialiastri nelle fratture fresche, ed esternamente corrosi dagli agenti me- teorici e incrostati da licheni. Detti calcari vennero pel passato erroneamente ritenuti eocenici e come tali segnati nelle carte geologiche del Tietze, Hassert e Vinassa de Regny, mentre secondo le osservazioni del mio amico e collega Martelli debbono riferirsi al cretaceo superiore. Le frequenti traccie di Rudiste sulle superficie corrose della roccia calcarea e la perfetta analogia litologica e pale- ontologica con i calcari che in diretta continuazione affiorano sul successivo rilievo di Muzura, di cui costituiscono l’ impalcatura, attestano in modo non dubbio la corrispondenza geologica dei terreni della Volovica con quelle formazioni calcaree tanto sviluppate lungo le coste orientali dell’ Adriatico e con- cordemente riferite al cretaceo superiore. L’ uniformità dei banchi calcarei della Volovica viene solo interrotta dai frequenti, ma poco estesi adunamenti di terra rossa nelle cavità doliniformi di questa groppa di calcare cretaceo, il cui piano S. W. dal margine meridionale della baia di Antivari, dà luogo fino alla punta di Dobravoda ad un tratto di costa poco frastagliata, ma con ripe alte ed erose in re- lazione al lento ritiro della costa di fronte al mare. — Regolarmente inclinati a N. E., i banchi del Rudistenkalk vanno dalla parte di terra ad immergersi sotto agli argilloscisti eocenici della valle di Mrkojevici. — Notevole è finalmente sotto il punto di vista morfologico il fatto che nella piega stretta ed allungata della Volovica si ha corrispondenza fra la direzione stratigrafica e quella predominante direttiva di rilievo che sulle sponde adriatiche orientali mostra il sistema dinarico. Serie VI. — Tomo II. 15 gg e regione, specialmente nei promontori, tanto del substrato calcareo, come di quello calcareo- scistoso ; 5) in una zona del piano compresa fra lo zoccolo suddetto e il mare ; c) nella zona della Volovica propriamente detta, compresa fra il mare e il torrente Rikavac o Ricanac. Questa zona, la più caratteristica delle tre, sì può dividere in due sottozone : 1° una interna, o continentale, e 1’ altra peninsulare o marittima. Quest’ ultima offre argomento principale per la presente nota. Definendo innanzi tutto la sottozona peninsulare nei suoi limiti topografici in rapporto a quelli climatici e geologici, si vedrà, da quanto segue, l’importanza dei rapporti che esistono tra il clima ed il suolo, e tra questi e quelli topografici. Il territorio che studiamo costi- tuisce un vero sprone di calcare che si sprofonda nel mare in direzione O. N. O. e si innesta al tronco interno o alla sottozona continentale lungo una linea segnata fra la casa del Mono- polio dei Tabacchi a Pristan e la valle Bigova a Sud, passando presso il punto trigono- metrico più alto di questa penisoletta, quotato m. 188 nella carta austriaca 1: 200000. La Volovica peninsulare ha una lunghezza massima di meno di 2 Km. e una massima larghezza di 1200 metri e costituisce una penisoletta di calcare assai ripida in ogni versante, compreso il settentrionale, lungo il quale, a mezza costa e a varia altezza dal mare (da 10 a 50 metri), è tagliata la strada che conduce alla stazione Marconi ed al Faro: la costa è ripida a settentrione, accidentata nel versante Sud, mentre il massiccio è ricco di Rarren. Nella terza decade di ottobre questa penisoletta mostrava una flora assai rigogliosa e superiore a qualsiasi altra della regione antivarina. Essa era costituita non soltanto dagli avanzi della vegetazione dell’ estate e della primavera, che aveva ripreso colle brezze miti e coll’ umidità dopo 1 equinozio, ma eziandìo da una vegetazione sua propria, ricca di specie e di esemplari, che presentava il suo maximum nel versante settentrionale fra Pristan e la stazione Marconi fino a circa 100-150 metri dal capo a O. N. O. e si trovava sotto l’ influenza diretta del mare, essendo sempre meno diffusa verso la cresta. Il mag- gior grado di sviluppo si aveva nella piccola conca, protetta da magri dumeti, che s° in- contra fra Pristan e la Punta. Non bisogna dimenticare che la Volovica possiede diverse stazioni vegetali. Senza dubbio la più estesa, che occupa i !%, della sua superficie totale, è rappresentata dal suolo calcareo più tipico ; il resto è dato da limitate aree, qua e là disperse fra i blocchi di calcare, che racchiudono altrettante stazioni umicole o igrofile (presso il molo raggiun- gono la massima estensione e si collegano direttamente alla pianura), mentre presso il Faro e l’ antico fortilizio turco si ha una piccola caratteristica stazione ruderale, come lungo il mare sorge la stazione marittima, differenziata in psammica e xerofila. Ciascuna di queste stazioni offriva specie di piante sue proprie, oltre ad un esiguo numero di indifferenti. La prima era rappresentata principalmente dalle seguenti piante calcicole in fioritura : Berteroa procumbens, Aethionema procwnbens, Tunica Saxifraga, Dianthus dalmaticus, Seseli Tommasinii, Asperula longiflora, Bellis hybrida, Thrincia tuberosa, Reichardia picroides, Hieracium stuppeum, Vincetoxicum Huteri, Linaria dalmatica, Calamintha parviflora, Satureja cuneifolia (taluni esemplari con caratteri di passaggio alla S. m0n- Bo tana), Cyclamen neapolitanum, Thesium divaricatum, Euphorbia spinosa, Molinia sero- tina, Andropogon pubescens, Ceterach officinarum, fra le quali tenevano il primato per maggior numero di individui il Seselî. Tommasinii, il Hieracium stuppeum, il Bellis hybrida, la Berteroa procumbens etc., che formavano in complesso una vegetazione ricca e continua. con predominio di fiori a colore giallo e bianco, più di rado rosa (unica Saxifraga con corolle ampie e grandi). A queste piante fiorite si accompagnava un impor- tante numero di specie estivali perenni che, dopo il periodo di fioritura e fruttificazione avvenuta nella stagione più calda, riprendevano un’ attiva vegetazione ; fra queste, le prin- cipali e più diffuse erano: Pofertilla recta (con qualche fiore), Cephalaria leucantha (id.), Pyretrum cinerariaefolium, Centaurea Nicolai (id.), Podanthum limonifolium, Convolvulus argenteus, Micromeria Juliana (rami fogliferi completi: i rami fertili sviluppavano una seconda vegetazione), Teucrium Polium var. (1d.). Nella stazione umicola o igrofila di prato (formata con elementi di diseregazione calcarea) erano fiorite (2° fioritura, o fioritura autunnale, molto elegante): Diplotaris tenuifolia, Silene inflata, Anchusa italica, Verbascum sinuatum, Salvia Verbenaca. Fra le umicole propriamente dette notai fiorite: Pulicaria annua?, Solanun nigrum, Datura Stramonium, Nicotiana Tabacum (qualche esemplare presso le ultime case ad O.). Fra le specie annue del primo gruppo che incominciavano il loro periodo vegetativo fogliare e che forse negli anni più miti arrivano a fiorire durante l’ inverno, togliendo così ogni inter- ruzione nel loro ciclo vegetativo, presi nota delle seguenti: Fumaria capreolata, Erodium cicutarium, Medicago sp. (aff. M. maculatae), Ervum sp., Euphorbia Peplis etc. Fra le perenni che tentavano di riprendere il loro ciclo vegetativo, notai principalmente la Malva silvestris, il Sambucus Ebulus, la Centaurea rapontica? ecc. Nella stazione ruderale notai un numero assai grande di specie; mi limito a citare il Lepidium ruderale ed il L. graminifolivm. Fra le marittime psammiche 1’ Atriplex mari- tima?; fra le xerofile il Chrithmum maritimum e la Statice dicothoma, nelie quali, ben- chè fosse quasi terminato il ciclo di fioritura, persisteva il ciclo vegetativo, specialmente nelle foglie e rosette basilari. In mezzo a tutte queste specie trovavano rigogliosa esistenza funghi, licheni, epatiche, muschi e selaginelle. La fiora erbacea della Volovica assurgeva al massimo di sviluppo e di fioritura presso la zona inferiore, quasi a mezza costa della piccola catena, fra le roccie battute dai marosi e una linea parallela press’ a poco al sentiero che conduce alla stazione Marconi ed al Faro; superiormente a questa linea la fiora stessa differenziava gradatamente il periodo vegetativo, che veniva a trovarsi ritardato di almeno una diecina di giorni verso la cresta, dove sì esercita maggiore l’ influenza ed il contrasto dei venti. Accennato brevemente alle erbe, non è il caso di spendere lunghe parole per i suffrutici ed i frutici. La Volovica ha macchia assai povera, che deperisce sempre più causa il pascolo libero, ed è formata principalmente da specie sempreverdi, quali Cytisus Weldeni, Myrtus communis, Punica Granatum, Pistacia Terebinthus, ecc. con Clematis Flammula, Lonicera etrusca e Smilax aspera (quest’ultima in piena fioritura); fra le specie a foglie caduche sono da ricordare il Paliurus australis e qualche individuo di Vifea. Agnus BERO 9 castus. In un angolo della collina presso la stazione Marconi si trova un alberello di Prunus insititia con Rubus tomentosus. Al primo è maritata una grossa vite. Il Prunus e il Aubus erano in seconda fioritura, mentre altri congeneri riparati fra le case di Pristan e la parete della Volovica, si trovavano già in frutto (seconda fruttificazione). Non bisogna dimenticare a maggiore spiegazione delle osservazioni seguenti che la fora che andiamo studiando si trova completamente esposta a Nord. Nell’ opposta parta della rada (Spizza), esposta a Sud, la flora, in quei medesimi giorni di ottobre, era già ridot- tissima, come ridotta era nella parte di S. 0. della stessa Volovica, fra il Faro e la punta 3igova. La continuità della vegetazione, mentre andava spezzandosi in tutte le altre parti della zona di Antivari e di Spizza, non solo resisteva, ma si andava specializzando nella Volo- vica peninsulare, quasi a formare una florula di transizione e di unione fra la flora esti- vale ed autunnale dell’ anno in corso con quella primaverile dell’ anno veniente. Molte delle specie perenni il cui periodo vegetativo è proprio della primavera o dell’ estate, germo- gliarono nuovamente all’ autunno colle prime umidità prodotte dalle notti più lunghe o da qualche pioggia benefica dopo il periodo del sollione : quelle dell’ estate sembravano anzi dimostrare, con percentuale più alta, una maggior vigorìa di tutte le altre, e anche se il periodo della riproduzione era in loro terminato, si osservava una valida ripresa delle funzioni vegetative (Micromeria, Teucrium, Centaurea, Podanthum). Per le specie annue o bienni si ebbe un germogliamento efficacissimo nelle specie primaverili e non di rado la comparsa di qualche fiore (Erodium); questo germogliamento fu più lento o mancò nelle specie annue estivali i cui semi, verosimilmente, non avevano ancora a sufficienza dimorato nel terreno, e per la mancanza di umidità e conseguente abbondanza di calore, non avevano in modo esauriente preparato i loro teeumenti agli effetti opposti, ma necessari, cui devono sottostare per arrivare alla germinazione. 5 La stagione era rimasta relativamente buona, fino al 12 novembre; salvo qualche leggiera perturbazione atmosferica saltuaria, che negli ultimi giorni aveva fatto discendere la temperatura, da una media normale di + 8° a #- 4° fra il 20 ottobre ed il 10 novembre, null’ altro di interessante si era verificato fino a quel giorno. La vegetazione sì manteneva invariabile e rigogliosa nella penisoletta della Volovica, mentre andava continuamente ritirandosi verso il mare dalla base dell’ anfiteatro antivarino, dove, oltre la 7Arincia tube- rosa e la Bellis hybrida nei prati, VArundo Pliniana lungo le vie e il Seseli globiferum e la Campanula pyramidalis nelle roccie, non si notava più altro, fra le cose più note- voli, che la seconda fioritura del Cornus sanguinea, della Putoria calabrica, dell’ Asperula n scutellaris, della Phlomis fruticosa. A Tudjemili, a circa 400 m. sopra il livello del mare, come a Mucibabà sopra Dobravoda, non si avevano che 7unica Sarifraga, Dianthus dal- maticus, Seseli globifermn, Centaurea alba, Campanula pyramidalis, Satureja montana : sopra questi 400 metri non s’ incontravano più, al principio della seconda decade di novembre, che gli ultimi avanzi della vegetazione autunnale. Il faggio non aveva più foglie e le specie forestali dei « Berewàalder » si andavano rapidamente svestendo. Il 13 novembre incominciò un primo e forte periodo di bora. Nella notte dal 13 al 14 ae il termometro discese a — 6°; di giorno salì a + 2°. Nella notte dal 14 al 15 sì ebbe un minimo di — 2° ed un massimo nel giorno successivo di + 3°. Durante il giorno 15 feci una lunga e minuta escursione nella Volovica, fra Pristan e la Punta. Notai che avevano piuttosto sofferto i peduncoli fioriferi del Bellis Aybrida, i quali, da eretti, si erano fatti nutanti, mentre erano rimasti rigidi ed intatti, forse per minor presenza di succhi e tessuti giovani, i peduncoli fruttiferi; le piante più esposte di Arisarum vulgare presenta- vano le foglie più giovani bruciate sui margini, mentre quelle riparate nelle piccole macchie di Cytisus Weldeni dimostravano di essere state difese molto bene; pochissimi fiori di Hieraciuwm stuppeum si erano alterati nelle linguette. Tutte le altre « saxicolae » non avevano minimamente sofferto, come avviene, del resto, nelle piante delle flore alpine nei casì di forti brine o di bufere estivali che talvolta fanno abbassare la temperatura di parecchi gradi. Le « humicolae » al contrario avevano finito di vivere. Del tabacco, della Datura Stramoniwn, del Solamun nigrum, come di molte ruderali, non restavano più che gli avanzi, e ciò senza dubbio pel fatto che queste piante, grazie ai succhi che conten- gono, offrono le migliori condizioni pel gelo. Nelle piante legnose erano bruciate tutte le foglie di Vifex Agnus castus, avevano leggermente sofferto quelle della Pisfacia Tere- binthus e quelle di Myrtus (nella punta fogliare), mentre le altre sempreverdi si mostravano intatte. Colle foglie del Vitex erano scomparse o abbruciate le foglie di tutti gli alberi a foglie caduche di Pristan (Robinia Pseudoacacia, Ailanthus glandulosa, Platanus orien- talis ecc.). L’Eucalyptus globulus ebbe disseccate molte foglie. Restarono distrutte tutte le piante ortensi e di giardino che non possono tollerare l’ inverno. Le vicende atmosferiche del giorno 16 non modificarono le condizioni del 15. Il 17 fece vento di N. e di N. E. e finalmente di E. Termometro: minimo — 6° (nella notte); mas- simo + 5° (durante il giorno). La vegetazione della Volovica, nonostante il nuovo freddo delle due notti precedenti, si mantenne inalterata se si eccettua qualche raro esemplare fiorifero di Hieraciwm stuppeum danneggiato: le rosette delle specie che si stavano formando per la vegetazione della prossima primavera erano bellissime e i cauli gracili, alti 6-8 cm., di Ervum sp., nulla soffrirono. Il 18 di notte si ebbe una temperatura minima di — 5°. che in alcuni momenti raggiunse anche — 7°, mentre di giorno sì ebbe un massimo di + 2°. Tutti i canali d’ acqua della pianura antivarina furono gelati, con una crosta di gelo di 4-5 cm. di spessore : lo stesso torrente Rikavac rimase gelato in molti punti. Il tempo in quel giorno fu nuvoloso e coperto e cadde neve sul Rumija (1593 m.) fino a Mikulié (circa 700 m.), alla distanza di 8-9 Km. da Pristan. Le quote massime e minime non si mantennero che bre- vemente e in relazione alla forza della corrente che fu sempre molto variabile: da una massima che poteva durare un’ ora o una mezz’ ora, si discendeva rapidamente anche ad una media non indifferente. Nel pomeriggio del 18 feci le mie regolari osservazioni. La Berteroa procumbens aveva resistito benissimo e le sue siliquette avevano acquistato un . colore lucido-scuro. Il Seselî Tommasini si mantenne fioridissimo; i suoi diachenii si fecero rosso-scuri. Sopra 100 fiori di Bellis hybrida, ne soffrirono soltanto 20 e furono quelli in stato meno avanzato di antesi colpiti nei primi giorni del fortunale. Il Mieraciwn stup- peum mostrava di aver superato il momento critico dei primi giorni, perchè, nonostante la — 100 — temperatura mantenutasi assai bassa, soltanto il 10% dei fiori aveva sofferto. La Linaria dalmatica perdette tutti i fiori, ma le foglie non soffrirono minimamente. Il Vincetoricum Huteri continuò la regolare maturazione delle sue capsule, ma talune piante soffrirono. Tutte le altre xerofile si mantennero intatte e allo stesso grado in cui si erano trovate alla prima osservazione del giorno 15. Al contrario, la vegetazione di tutte le umicole e ruderali (eccettuate le giovani piantine che si andavano preparando per la primavera pros- sima) si poteva dire finita, menire rimaneva intatta la vegetazione marittima tanto psam- mica quanto xerofila. La variabilità della corrente del 18 segnò il preludio del ritorno al tempo buono. Infatti, il 19 tacque la bora e fece vento di levante, poi di S. E. La temperatura oscillò da un minimo di 0° di notte ad un massimo di + 7° di giorno. Il 20 il termometro segnò il minimo di + 2° di notte e il massimo di + 10° di giorno. Ma resta il fatto che un periodo così forte e così lungo di bora, come quello che si ebbe in quei giorni, non era ricordato a memoria d’ uomo, massimamente per il gelo che si formò in tutte le acque della pianura. Come si spiega il fenomeno che in rapporto a questa grave perturbazione atmosferica, mentre tutta la flora dell’ anfiteatro antivarino rimase completamente distrutta, la sola flora della penisoletta della Volovica sì mantenne quasi intatta, e riprese a vegetare, subito dopo il periodo della crisi, così da restar rigogliosa e promettente fino alla prima decade di gen- naio? (1) E perchè anche nella stessa Volovica il versante settentrionale conservò uno sviluppo floristico di gran lunga superiore a quello meridionale, sia considerando la Volo- vica stessa quanto la penisola. del Crni Rat, che è molto più riparata della precedente ? È forse la bòra, in determinate condizioni di luogo e di suolo. un vento favorevole alla vegetazione ? Restringendo le nostre osservazioni alla Volovica, che è I’ unica parte del paese intorno alla rada di Antivari rimasta floristicamente positiva, abbiamo che nella regione continentale della catena, ogni accenno di flora è completamente scomparso, mentre nella peninsulare e in quella parte di essa esposta a Nord e in vicinanza del mare, la flora ha sostenuto una crisi molto forte con vento e gelo, tanto più forte quando si considera che a Pristan tutte le piante legnose a foglie caduche, le quali fino al giorno 12 erano vestite, hanno perduto inte- ramente le foglie, e le piante umicole, selvatiche e coltivate, sono rimaste distrutte. È dun- que l influenza marina in rapporto alla calce che protegge la flora. Ma il vento? E la temperatura a — 7°? Il vento ed il freddo sono senza dubbio elementi negativi per lo sviluppo dei vegetali o, per meglio dire, delle faneragame e crittogame superiori, e ne (1) Gli intervalli di freddo non furono rari dal 18 novembre alla prima decade del gennaio. La flora non solo non mostrò di soffrire, ma migliorò continuamente. Fra le piante raccolte e mandatemi in esame il 6 gennaio noto numerosi esemplari fioriti di Centaurea Nicolai, Daucus maritimus, Dian- thus Armeria, etc. e fu soltanto dopo le tempeste dell’ 8 e successivi di gennaio, le quali resero gelate tutte le acque del Primorije, che la flora della Volovica cominciò a deperire. Nonostante, fra le piante ricevute in esame, ricordo il Seseli tomentosum, Vl Asperula longiflora, il Bellis hybrida, il Hiera- cium stuppeum e quasi tutte le altre xerofite menzionate in questo studio. — 101 — abbiamo avuto la prova non solo nella campagna, ma anche in ogni luogo più recondito e più riparato dell’ anfiteatro di Antivari. Certo, fra i venti sono i più pericolosi per tutti gli organismi, e quindi anche per i vegetali, gli umidi e i freddi, che non quelli asciutti e freddi, perchè i primi contribuiscono a generare e a mantenere più facilmente il gelo. La bora è un vento freddo, ma non umido, e forse, in determinate condizioni di luogo e di suolo, è molto meno micidiale alla flora che non sia il vento di scirocco, o di levante, o di libeccio. Ma, comunque, è essa stessa sempre pericolosa, o, in altri termini, è un nemico della flora. Sono, dunque, l° influenza diretta del mare e la calce che neutralizzano gli effetti perniciosi della bòra. Da quanto si è detto, la risposta è affermativa sotto ogni rispetto e veniamo perciò a concludere, con prova irrefragabile, che il vento di tramontana, sotto l’ influenza del mare e della calce, come in presenza di piante povere di succhi, ha un effetto pernicioso minimo sulla vegetazione, ciò che è ampiamente dimostrato qualora si aggiunga che la calce essendo igrofoba e per conseguenza conservatrice di calore, può tener fronte al freddo con maggiori facilità che non l’ argilla, o qualsivoglia altra roccia, tanto più poi se 1’ equilibrio calorifero della calce stessa viene appoggiato dall’ influenza delle correnti calde e super- ficiali dell’ Adriatico orientale. Riassunto delle osservazioni estratte dal Giornale Anno 1902 | Gennnaio . Febbraio . | Marzo . Aprile . | Ma Neao) (0 (01°) Luglio . | Agosto | Settembre Ottobre Novembre | Dicembre . e Numero di giorni 26 24 Vento Stato del . : a : aro- Direzione | Forza Cielo Baro metro | | N. E. DI Sereno 776 SB, 4.6 Annuvolato TU Si 45 Annuvolato 762 NG .6 Piovoso 766 PI DI) z| o AIA E. DOT Semisereno 770 N. 0 3.4 Sereno 763 | N. 0 3.6 Sereno 765 x ni 7 lar EX So 86 1.6 Piovoso 703 N. 0 3.4 Semisereno 704 2 Di o 35) S. E. 2.0 Semisereno 102 INMRO! 5.4 Sereno 770 N DI DI 9 urderd a N. O. ae) Semisereno (10 NEMO, 24 Sereno 764 N. 0 34 SR 764 E. 2.3 Semisereno 760 N. (0) 4.9 Sereno 767 SL 20) Annuvolato 762 S. E. 5.6 Annuvolato 770 INMISRI 3.2 Piovoso 759 N Bi. 5.6 Annuvolato 768 ISTRIA DI, Piovoso 766 SUMIRT 6.5 Annuvolato 760 SÌ 6.7 Piovoso 761 Annotazioni Variabile Pioggie e venti ad intervalli Variabile Variabile e piovoso Variabile Variabile Bello Bello Bello Variabile e alquanto piovoso Venti più o meno forti con pioggli Variabile Vento forte alla fine del mese Venti forti Variabile eorologia del Capitanato di Porto di Antivari. —_———————===; | Numero | Vento Stato del | di | Annotazioni | cjorni ini. È: IS RaTSaI 3 Direzione Forza Cielo Baro metro 20 N. E 6.5 Piovoso TTD) | Variabile JRE STE 3.0) Piovoso 778 | 25 N. Hi. Do Piovoso 776 o) Bello 3 E 3.0 Piovoso TUO 6 STUB 3.4 Annuvolato 776 Variabile 25 INCIODE 5.4 Annuvolato TIA 15 S. JO 4.5 Piovoso 764 Variabile 15 JOE 3.4 Piovoso 766 22 N. E. 4.5 Annuvolato 769 Variabile 9 N. 0 DIS, Annuvolato 762 11 N. O DIS Sereno 763 Bello 19 INSO Do) Sereno 765 10 Sp 196 5.6 Piovoso 756 Variabile 21 N. 0 23 Sereno 764 Bello 4 SENIO 3.4 Annuvolato 759 Pioggie ad intervalli 27 NMO 3.4 Sereno 764 Bello 2 Si (O DIS Semisereno 765 Variabile 28 N. 0 2.0 Sereno 771 Bello 9) Sb BL 2.3 Semisereno 769 Pioggie e tempo instabile 16 N. 0 3.4 Piovoso 764 5 INDUB 3.4 Piovoso 764 Variabile 26 SAR 3.4 Piovoso 707 18 S., DB 7.8 Semisereno 766 Fortunale da S. 13 S. 3.6 Annuvolato 768 Variabile Riassunto delle osservazioni estratte dal Giornale di'y eteorologia del Capitanato di Porto di Antivari. Anno 1902 | Gennnaio. . - Il Febbraio. , < Ì Il Marzo. + » è» APRIRE I | | | | | | | | | | | | I | I I | Maggio . . . ) | Î | Giugno, . . - Ì mato, eo ì [RAONTO MET Settembre . . Ì Ottobre | Novembre | Dicembre. e —“_\{‘o[ ———r7—@*‘“»*»‘*:°Ò‘Ò‘D‘|)ì‘i'i-t1YILLY7z—9%)55 Numero di giorni Stato del Vento (E ; Baro- Direzione | orza Cielo ASA | ———___——_—€_————m@—@——& N. E 3.7 Sereno 776 s. E 4.6 Annuvolato 775 SAD S. E 4,5 Annuvolato 762 NE pl) Piovoso 700 E. 3.2 Semisereno 170 N. 0 34 Sereno 763 36 76: N. 0. 3.0 Sereno dI ) ; ; 763 S. E. 4.6 Piovoso Lea b > 764 N. 0 3A Semisereno 764 DR a 762 S. E 3.6 Semisereno Die: N. 0 DA Sereno 770) N. 0 23 Semisereno 1716 N. 0 2A Sereno 764 N, 0 3A Sereno 764 = o) N. 0 dA Sereno (02 B. 2.3 Semisereno 760 N 0. db Sereno 767 | i 5 S. E | 2.6 Annuvolato 102 | S. E DO Annuvolato 770 ENO 32 Piovoso 750 | NIDI | 5.6 Annuvolato 768 | Sir i e25) Piovoso 70606 S._E 6.5 Annuvolato 760 Si 6.7 Piovoso 761 Annotazioni Variabile Pioggie e venti ad intervalli hile Varia Variabile e piovoso Variabile e alquanto piovoso Venti più o meno forti con pioggia Variabile Venti forti » Vento forte alla fine del mese Ù Anno 1903 Gennaio Febbraio . Marzo . Aprile. Variabile Maggio | »® Variabile Giugno Î Bello Luglio . Bello Agosto. i Bello | \d Settembre Ottobre Novembre Dicembre. Variabile a | Numero di giorni 18 18 Vento Stato del Direzione | Forza Cielo Baro- metro SEIT N. E 6.5 Piovoso 75 S. B 5.0 Piovoso 778 N. B 2/8) Piovoso 776 10) 3.0. Piovoso 775 S. Bi 3.4 Annuvolato 776 N. E D.d Annuvolato 774 S. E 4.5 Piovoso 7604 DI 3.4 Piovoso 766 N. E 4,5 Annuvolato 7609 N. 0 2.9: Annuvolato 762 NG (0) 215. Sereno 763 N. 0 218 Sereno 765 S. E 5.6 Piovoso 756 N. 0 2,3 Sereno 764 S, Bi 914 Annuvolato 759 N. 0 3.4 Sereno 764 S. 0 219 Semisereno 765 NO 20) Sereno 771 Sì Bi 2,3, Semisereno 769 INNO) 3.4 Piovoso 764 N. E 3A Piovoso 764 SU 34 Piovoso 767 Sì. B 7,8 Semisereno 760 S. 3.0 Annuvolato 708 ANI Annotazioni Variabile Bello Variabile Variabile Variabile Bello Variabile Bello Pioggie ad intervalli Bello Variabile Bello Pioggie e tempo instabile Variabile Fortunale da S. | Variabile | Riassunto delle osservazioni estratte dal Giornale Anno 1902 | Gennaio Febbraio . | Marzo . Aprile . Maggio | Giugno | Luglio. Agosto . Settembre Ottobre Novembre Dicembre . = =. Numero di giorni 20 11 Vento Stato del Direzione Forza Cielo Baro- metro N. E. DV Sereno 767 S. E 3.9 Annuvolato 759 ST 4.1 Piovoso 760 S. E 4.8 Annuvolato 761 N. 3) Sereno 763 N. 0 3) Sereno 764 S. E. 3.4 Annuvolato 763 N. 0 2,8 Sereno 7604 SÒUE 3.6 Annuvolato 763 N. 0 39, Sereno 765 S. E. 3.5 Semisereno 764 N. 0 2.5 Sereno 766 E. 2.0 Sereno 768 N. 0 DI Sereno 766 S. 3.0 Sereno 764 N. 0 ZI Sereno 765 S. 3.5 Annuvolato 762 S. 3.8 Piovoso 761 N. O 2.0 Sereno 763 INGD 4,5 Sereno 768 S. E 4.0 Annuvolato 762 INUA: 1.5 Semisereno 769 STU 4.2 Annuvolato 763 Annotazioni Variabile Vento di Nord a qualche interval Burrascoso Variabile Variabile a brevi periodi Piovoso ad intervalli Calma durante le ore notturne Calma durante la notte e leg brezza da terra Bello Variabile e ventoso verso 1’ equin Variabile e burrascoso Prevale vento da N. piuttosto for: Variabile teorologia del Capitanato di Porto di Dulciono. Anno 1903 Numero di giorni Direzione N E. ISSUE N. E. S. E. N19 S. E. N. S. Vento (C Stato del Forza Cielo Semisereno Annuvolato Sereno Annuvolato Sereno Annuvolato Sereno Piovoso Sereno Semisereno Sereno Semisereno Sereno Sereno Sereno Annuvolato Sereno Annuvolato Semisereno Annuvolato Sereno Annuvolato Sereno Annuvolato Baro- metro Annotazioni Nei giorni 11] e 12 fortunale da S. Variabile Pioggia e vento da S. ad intervalli Variabile Variabile e piovoso Variabile Variabile con tendenza al bello Bello con piccole variazioni presso l’ equinozio Venti più o meno forti da S. con pioggia Fortunale da S. nei giorni 29 e 80. Fortunale da S. nei primi due giorni, poscia variabile Riassunto delle osservazioni estratte dal Giornale il yeteorologia del Capitanato di Porto di Dulcigno. Anno 1902 Rebbraio . | Marzo . | Aprile. | Maggio Giugno | Luglio. | Agosto. | Settembre Ottobre | Novembre Stato del 7, Numero MERLO di iorni tiel Baro- SIOE | Direzione | Forza Cielo nero | EEA pon 20. N, E. 337) Sereno 767 11 SS. 3,9 Annuvolato 759 28 S. E. 4.1 Piovoso 760 21 S. E. 4.8 Annuvolato 761 10 N. 3.5 Sereno 763 20 N. 0. 3.0 Sereno 764 10 S. Bi. 3.4 Annuvolato 763 | 10 N. 0. 2.8 Sereno 7604 Ì 21 S. B. 3.6 Annuvolato 763 12 N. 0. 32: Sereno 765 8 S. E. 3.5 Semisereno 764 18 Ss. 3 | 29 N. 0. 2.5 Sereno 766 (22 E. 2,0 Sereno 768 \ 28 N. 0. 251 Sereno 766 Ì 3 S. 3.0 Sereno 764 ( 29 INSO? 2.1 Sereno 705 I 7 Sì Ho) Annuvolato 762 22 S. 3.8 Piovoso 761 9 N. 0. 2.0 Sereno 768 ( 20 N. E 4.5 Sereno 768 E Sì. E. 4.0 Annuvolato 762 | 23 N. Bi 1.5 Semisereno 769 8 S. E. 42 Annuvolato 763 Annotazioni Variabile Vento di Nord a qualche intervallo Burrascoso Variabile Variabile a brevi periodi Piovoso ad intervalli Calma durante le ore notturne Calma durante la brezza da terra notte e leggera Bello Variabile e ventoso verso 1’ equinozio Variabile e burrascoso N. piuttosto forte Prevale vento da Variabile Anno 1903 Gennaio = Febbraio . Mbaizo n o 6 n Nafl Aprile . —_ Maggio . . . DI O ooo ) Melone ) Agosto, Y Settembre. . Ottobre i Novembre. . ) | Dicembre, Numero di giorni ‘% Vento Stato del Direzione Forza Cielo Baro- metro == ZZZ aa N E 4.0 Semisereno Q71 S. E. 4.1 Annuvolato 765 NH. 3.8 Sereno 770 S. E. 4.0 Annuvolato 766 NE 3.5 Sereno 778 S. E. 3.0 Annuvolato 768 N. 3.0 Sereno 770 S. 6) Piovoso 765 N. 0 2.0 Sereno 771 S. E. 2.8 Semisereno 766 N. 0 245) Sereno 770 S. 22; Semisereno 766 N. 0 2.1 Sereno 769 Ss. Ha) Sereno 763 N. 0 21 Sereno 768 S. E. GHao Annuvolato 763 N. 0 ZAl Sereno 767 S. E 3.8 Annuvolato 765 S. E. to}t9) Semisereno 766 SdL 4.1 Annuvolato 768 N. E 2.5 Sereno 764 SURI 4.5 Annuvolato 759 N. H 2,8 Sereno 764 S. 1.8 Annuvolato 758 Annotazioni Nei giorni 11 e 12 fortunale da S. Variabile Pioggia e vento da S. ad intervalli Variabile Variabile e piovoso Variabile Variabile con tendenza al bello Bello Bello Bello con piccole variazioni presso l’ equinozio Venti più o meno forti da S. con pioggia Fortunale da S. nei giorni 29 e 80. Fortunale da S. nei primi due giorni, poscia variabile a î i) È 7 ? i ML da ì ; ì Î Ki VI 1 < È î A j ; 5 Ì { î fa i N: È Tubi Senza Enia N; Fl cv. ro : } Mem. R. Ace. Se. Bologna: Ser.T. Tom. IL. 500 Vrsuta Pe kréevac _R.di SPIZZA 9.950 Cuga galin lia Raltec o 1113 Skala Ga Voloviea: LA VEGETAZIONE AUTUNNALE DELLA VoLovica IN RAPPORTO ALL'INFLUENZA DELLA BORA Scala 1:75000 I LTimite superiore della flora nella 3“decade di Ottobre I Limite medio della flora monta al L? Novembre I Limite medi dellafora dello zoccolo di Antvari al 12 Novembre tO ADI Flora della pianura la IL riposte Sa Sei VI ‘Pecurica te» Sviluppo massimo della flora dopo la bora, al B.Novembre "fa" Corsi d'acqua gelati di Stab. ht. Sauer e Barigaxar. Eologna,. A.Baldacci dis. REVISIONE DELLE SPECIE DEL GENERE ATTA APPARTENENTI AI SOTTOGENERI MOELLERIUS E ACROMYRMEX MEMORIA DEL Prof. CARLO EMERY letta nella Sessione del 9 Aprile 1905 (CON FIGURE INTERCALATE NEL TESTO) Il genere Affa è attualmente uno dei più difficili della intera famiglia dei Formicidi. Il maggior numero delle specie che lo costituiscono sono polimorfe in un grado ele- vatissimo, e presentano inoltre una grande variabilità individuale, delle operaie. Questo vale sopratutto per le specie piccole e mezzane che vanno comprese nei sottogeneri Acromyrmex Mayr e Moellerius For. In questi due gruppi, le proporzioni delle spine del capo e del torace variano da un nido all’ altro, e ancora nelle operaie di uno stesso nido; molto spesso i due lati del capo dello stesso esemplare offrono differenze notevoli. La difficoltà dello studio è ancora accresciuta dalla qualità del ma- teriale raccolto alla rinfusa, senza separazione di quanto proviene dai singoli formicai. Aggiungasi che di poche specie soltanto si conoscono con certezza le diverse forme sessuali e le loro correlazioni. Dopo di avere per molti anni accumulato materiali per una revisione delle specie di Acromyrmex e Moellerius, materiali che ritenevo ancora insufficienti, mi sono trovato nella necessità di addivenire allo studio di essi, per potere determinare le formiche raccolte dal Prof. FiLirPo SILVESTRI nell’America meridionale, non essendo possibile una determinazione sicura, senza avere prima discriminato le diverse forme conosciute, e messo un poco di ordine nella confusione attuale. Il risultato di questo mio studio offro oggi al pubblico mirmecologico, pur riconoscendone i difetti e le lacune, ma col sentimento di aver fatto fare un progresso notevole alla conoscenza di un gruppo dif- ficile e mal noto. Sono stato lungamente incerto se dovessi mantenere distinto il sottogenere Moelle- rius o pure riunirlo con Acromyrmex. Mi sono poi deciso per la prima alternativa, modificando però l’ estensione del primo, col farvi entrare l Affa striata Roc. e lA. versicolor PERG. Nelle chiavi e descrizioni che seguono, designo col nome di spina occipitale quella che termina gli angoli posteriori del capo; chiamo spina post-oculare (fig. 1) quella Serie VI. — Tomo II. 16 — 108 — che sporge sul contorno laterale del capo a breve distanza dietro l’ occhio e che manca nelle specie del sottogenere Moellerius; in alcuni Acromyrmex, essa è ridotta ad un tubercolo acuto ma non spiniforme. Il torace delle operaie porta tipicamente sei paia di spine, delle quali tre spettano al pronoto : un paio inferiore e due paia superiori disposte in serie trasversale (il paio mediale manca in alcune specie). Due paia spet- tano al mesonoto, e sono entrambe dorsali, l'uno anteriore, l’altro posteriore. Infine vi a b C N06 \ 00 PER (7 < È < > - - sa ’ Fig. 1 - a Capo di A. subterranea For.; b di A. emilii For.; c A. heyeri For.: oc spina occipitale, po spina o tubercolo postoculare. 5 sono le spine dell’ epinoto. — Nelle sue descrizioni, RoGER considera a torto le spine anteriori del mesonoto come spettanti al pronoto. L’armatura genitale maschile mi pare atta a fornire buoni criteri per la sepa- razione delle specie. Ne ho tenuto conto, nella misura del materiale di studio e di confronto che ho potuto esaminare, e ho dato la figura dello stipite di tutte le specie da me vedute. Chiave analitica per la determinazione delle operaie maggiori. I. - Spina sopraoculare nulla; capo largo con lobi occipitali sporgenti e ritondi ; mandibole corte, debolmente curvate sul piatto e col margine laterale non distintamente sinuato. Sottog. _)Moellerius FoR. JRXGastro disco roNstriato MNSENZA MUSEO ET Gastro pio imenoftubercolato FNONNStia ORNAGO 2. Gastro lucido o un poco striato alla base; occipite lucido nelle operaie grandi . . striata Ros. Segmento basale del gastro in massima parte striato; occipite opaco. . . . . sé@vestrii n. sp. Se ea Occhi convessi . . i î di alle der esavosia be Ita RO 4. Nessun tubercolo innanzi Coi angoli asgl ae e e tando tore Alcuni tubercoli innanzi agli angoli occipitali. . . . 5 . . +. +. Dbalzani Emery 5. Spine del torace corte e molto grosse, in ispecie quelle dal RE capo fittamente punteggiato e grossolanamente reticolato. . . . . . È . . + versicolor Perc. Spine del torace di grossezza mediocre; capo plagio e non AR ironia reticolato, almeno nella parte posteriore: i io IRAN See EE TR LC UE RROrA e II. Spina sopraoculare sviluppata, o almeno rappresentata da un tubercolo (1). Sottog. Vfcromyrmex. 1. Epinoto senza cresta o punta anteriormente alla spina. . . . ....... emilii For. Epinoto fornito di una punta o di una cresta sporgente longitudinale, anteriormente alla spina 2 2. Spina inferiore del pronoto piatta e ‘ritondata alla estremità . . . . . octospinosa Reich SFIDO IO RORE CETO AZ LO ANO A RA IR E: suiScapo; formito=di lobo alla base > . i i. 3 >. 0/41. dobicornis Emery con var. ferruginea n. var. SERIO SEMO: MOIO o e ci SI E A E 4. l'egumento non distintamente punteggiato, opaco, e scabro per un sistema di minuti tubercoli più o meno sviluppato; qualchevolta una fitta pubescenza cela la scultura NO Tegumento fittamente punteggiato; la scultura non è mai totalmente celata dalla a 13 pegUcehimtipiati'otdebolmente convessi: .0 0.00.00 0 muticinoda For. con var. Romalops n. var. Occhi fortemente convessi . . . . . pai ; MR Var 6 6. La pubescenza densa e alquanto sericea ione stona o cun spina postoculare debole o tuberiforme ; o) maggiore con ocello; spina inferiore del pronoto distintamente curvata in EE O A DI ro, MITA COSCHE MAR = Pubescenza meno densa e non sericea ; spina OI del pronoto generalmente curvata in avanti 7 7. Il capo va ristringendosi fortemente dalla spina postoculare in dietro, fino alla spina occipitale ; spina occipitale lunga; spina postoculare fortemente sviluppata. /././././.....0. 8 Capo poco ristretto dalla spina occipitale in dietro. . . . ; Eee 0 S. Spine del pronoto molto piccole e molto più corte di quelle del ionotal regno n. Sp. Spina laterale del pronoto più lunga della mesonotale anteriore î ae ATO) 9. Spina occipitale diretta lateralmente o leggermente obliqua, alquanto curva; essa sta nel prolun- gamento o quasi del margine posteriore del capo ; ©) maggiore gno fornita di ocello moelleri For. con var. meinerti For. e panamensis For., sottosp. modesta For. e var. andicola n. var. Spina occipitale obliqua e diritta; essa non sta nel prolungamento del margine occipitale; 9 mag- giore senza ocello. . . . MO AE ECORONAteg(R5) TEOR: 10. Spina postoculare bene Coilippata IRC ; = RE ERE E e RI] Spina postoculare debole, più o meno ridotta za un ubezsolo Cu E i se p MAR 15 fig: Golorefmolto scuro, almeno nelle 4 maggiori Wo. 0. nia. nigra F. Sm. Colore chiaro, giallo o giallo bruno. . . 5 20 ++ + +. SUbterranea For. 12. Capo molto largo, con lobi occipitali si e convessi ; statura più grande . Zaticeps n. sp. Capo meno largo, con lobi occipitali meno ritondati: statura minore . ... . aspersa F. Sw. con var. rugosa F. Sm. 13. Spine mediali del pronoto bene sviluppate, le laterali molto più piccole delle anteriori del mesonoto ; occipite in parte lucido . . . . LI 7 . . . ambigua Emery Spine mediali del pronoto bene Sio le Tic deal RIC nicata del mesonoto o poco più piccole; occipite in parte un poco lucido . . . . ; . . +. +. Doliviensis n. sp. Spine mediali del pronoto nulle o piccolissime, le Coi più a delle mesonotali anteriori o quasi eguali ad esse; occipite opaco; pubescenza copiosa, ma non tale da celare la scultura pubescens n. sp. con var. Donariensis n. var. e decolor n. subsp. (1) Nell’A. emilii il tubercolo che rappresenta la spina sopraoculare è molto piccolo, ma i lobi occipitali non sono ritondati e le mandibole sono fortemente sinuate a loro margine laterale. — ano Chiave analitica per la determinazione dei maschi. 1. Mandibole strette con margini paralleli . . . .. . .. . ..... +. -. Striata Roc. Mandibolettriangolaris dentate 0 MOR I. Gastro lUCIGISSIMO Li i Rio n e EA O AT Gastro\0paco, 0 SUDOPaco 0. Ue e OSIO E E O. 3, Gastro tubercolato,. n 0 sula RR PR O0VIEnRSISI) GASULOMS CI ZAURI GOOSE SVI SONO E CONAI IT O TI al 4. Capo posteriormente ritondato, senza denti . . Re oi Voto da ‘lobicornis EMERY Angoli posteriori del capo più o meno marcati e moli di una cresta, con o senza denti . . 5 5. Margine esterno dello stipite genitale prolungato in dietro a punta ottusa; margine masticatorio delle mandibole più lungo . . 3 ola IRR URTO Margine esterno dello stipite ilaria A sua parte posteriore; margine masticatorio delle man- ANDOLE PIA COLLO IA A - il n RCUERBROE 6. Capo debolmente ristretto in dietro, con paga aston ACUTO i feti o RO AI Capo notevolmente ristretto dagli occhi in dietro. . . . . . MIR E 0 e © î. Colore scuro; capo più allungato, con angoli posteriori più Oo stipite con lungo tratto ter- minale ripiegato in dentro . . . . . «ea pen ei Ch aio ACAICEPSAOE Colore chiaro; capo meno allungato, con poli posteriori meno marcati; stipite con margine in- terno nico come nell’ A. subterranea. . . . . Mmuticinoda var. homalops n. var. S. L’estremità dello stipite porta inferiormente un incavo marginato a forma di scodella discigera Mayr Stipite, conformato in'altro Md 9 Stipitexbisinuato al Mato Media ee RISI Stipite.conformato. inaltro Md RR 10.:Colore scuro... uu ang Gaesi Colore ‘chiaro... 5 hei ela ge ao SULA BANCABRORI 11. Stipite con dente nalliole So Goaîtia da un incavo riempito da una lamella trasparente sp. ? (ambigua ??) Stipite con dente mediale acuto, seguìto da un incavo non riempito da lamella trasparente . 12 12. Più grande, (ala ant. 8-9 mm.); colore giallo chiaro, con disegni bruni sul torace e sul gastro moelleri For. Più piccola, (ala ant: % mm.)}; colore variabile E TTvEARev me iMi a spersa ae I g' delle A. silvestrii, landotti, balzani, versicolor, emilii, muticinoda (tipo), mesonotalis e coronata sono ignoti; non conosco quello di A. octospinosa; il g' di A. pu- bescens è presumibilmente identico ad A. Zaendi; è molto incerta l'attribuzione tentata da me di forme maschili alle A. ambigua e boliviensis. Sottogenere MoeLLerIvs Forel (Emery sensu latiore). A. striata Roc. —— Specie molto ben definita e facile a riconoscere. — Abita lAr- gentina e il Sud del Brasile (Rio Grande do Sùl). Il o' è differente da tutti i congeneri per la forma delle mandi- Fig. 2. Armatura Pole, descritta già dal Roger. Anche l'armatura genitale è caratteri- genitale di A. stica, come mostra la figura che ne do in questa pagina. striata d' . A. silvestrii n. sp. — È molto affine alla precedente, alla quale rassomiglia nella forma delle diverse parti del corpo e nella disposizione delle spine e le loro propor- —- Ml — zioni. L’ operaia è un poco più grande e più snella, col capo proporzionalmente meno largo a eguale statura ; il tegumento è più opaco, e le rughe longitudinali elevate del capo più distanti luna dall'altra, lasciando vedere in ciascun intervallo una ruga più debole e talora interrotta; lo stesso si osserva nelle rughe del torace. Il segmento basale del gastro è in massima parte coperto di sottile e fitta striatura, interrotta dai punti pubigeri. — Lunghezza degli esemplari osservati 7-8 millimetri. La Carlota (prov. Cordoba), raccolta dal Prof. FiLIPPO SILVESTRI. A. versicolor PERG. — Ho ricevuto questa specie da diverse località del Messico e dall’Arizona, e credo di averla esattamente determinata. PERGANDE descrive la scul- tura come granulosa, mentre ilo trovo una punteggiatura fitta, come nell’ A. heyeri, con sovrapposto un sistema fittissimo di rughe contorte, formanti reticolo sul capo e sul torace, meno appariscenti sul gastro: ma questa scultura riesce molto difficile a districare se non sì adoperano buonissime lenti. Il peziolo varia molto nella disposi- zione e grandezza dei denti di cui è armato. Nei grandi esemplari, due denti dorsali sono molto sviluppati e più o meno spiniformi. A. heyeri For. — La sinonimia di questa specie, ben descritta dal FoREL è la seguente : ? A. lundi Roc. 9, non OMinecto!: A. lundi EmeRY, 1890 in: Bull. Soc. ent. ital. v. 19, p. 358; 1894 in: Berlin. ent. Zeit. v. 39, p. 387. Non è stato possibile ritrovare al Museo di Berlino la $ tipica descritta dal RoGER, e riferita da lui alla specie fondata da GuERIN sulle forme sessuate : dallo studio della sua descrizione, ricevo l'impressione che egli ebbe innanzi a sè delle 9 di A. heyeri; questa mia opinione si fonda sulla nessuna menzione della spina postoculare nella descrizione di ROGER, sull’assenza delle spine mediali del pronoto e sulla colorazione indicata. La descrizione di RoGER fu mia guida nella de- terminazione delle formiche raccolte da von JHERING a Rio Grande. — Per lungo tempo, io non conobbi di questa specie che sole 9, e soltanto ultimamente ricevetti dal R. P. Wasmann la 9 e il o. Il sig. Fig. 3. A. lundi, P. LEsNE del Museo di Parigi, al quale inviai i di- Fig. 4. A. heyeri, gl, I . Capo e arma- 5 5 . . . ». Ca e arma- SAI ; segni dell’ armatura genitale di questo g* e di altre Si Seno 3 tura genitale. Ss a Me tiurat genitale: forme della mia collezione, ebbe la somma cortesia di confrontarli col tipo di GuÉRIN conservato in quel Museo. Da tale esame risulta : 1) che il g' di A. heyeri non è lA. lundi GuER. 2) che il tipo di GvéRIN corrisponde ad una forma d' che ho ricevuta ripetu- tamente dall'Argentina e da Rio Grande, della quale tuttavia la $ non è stata finora identificata. La sua armatura genitale è caratteristica e la figura che ne do, comple- Serie VI. — Tomo II. 17 — 112 — tando la descrizione del RoGER, varrà a farla riconoscere con sicurezza. Verosimilmente lA. lundi è il g' dell'A. pubescens EMERY. Il 3 dell’ A. heyeri differisce da quello dell’ A. Zundi per le antenne più corte, le mandibole meno allungate e più larghe, e per la forma dell’ armatura genitale. Non ho saputo scoprire altre notevoli differenze. La < è distinta da quelle di specie del sottogenere Acromyrmex per 1’ assenza della spina postoculare ; da quella di A. balzani, per gli angoli occipitali meno riton- dati e muniti di spina distinta, come pure per gli occhi convessi. A. balzani EMERY. A. landotti FoR. Non ho nuove osservazioni da aggiungere a quanto è stato pubblicato finora intorno a queste ultime due specie. Sottogenere Acromrrmex Mayr (Emery sensu str.). A. emilii For. — Località tipica : Parà (GoELDI, ScHULZ); probabilmente in tutto il bacino dell’Amazzone ; lho ricevuta dalla ditta STAUDINGER & BANG-HAAS proveniente da Marcapata nel Perù. — E specie facilmente riconoscibile dalla mancanza di creste o punte sulla parte basale dell’ epinoto. Anche la forma del capo è caratteristica, come rilevasi dalla figura ; la spina postoculare è ridotta ad un tubercolo conico meno spor- gente delle spinette vicine, e in alcuni esemplari ancora meno vistoso che nella figura (fig. 1, d). (©) A. octospinosa REIcH (hystrix LATR. con la var. echinatior For. è ancora essa una specie ben distinta. Ai caratteri noverati finora, si aggiunga quello della spina inferiore del pronoto piatta e ottusa alla estremità, cafattere che non si ritrova in nes- suna delle specie che seguono, e soltanto in grado più debole nell’ A. emilii. — I tipo abita la Columbia e la Guiana ; la varietà pare propria dell’ America centrale; ne ho un esemplare con cartellino « Cuba », proveniente dalla coll. DE SAUSSURE. ForEL dà una descrizione sommaria del g* che mi è ignoto in natura. A. moelleri For. — Località tipica Santa Catharina nel Brasile ; ho veduto forme Fig. 5. Capo di A. moelleri: a tipo; d var. panamensis ; c var. meinerti; d modesta var. andicola. Se go apparentemente identiche al tipo, provenienti da Rio Janeiro. Nella forma tipica, gli occhi della 4 sono meno convessi che nelle varietà e sottospecie di cui dirò più innanzi. Del o' do la figura del capo e dell’ armatura genitale. var. panamensis For. 1900, in: Biol. centr. am., Hym. v..3 p. 35. Ho esaminato due 9 tipiche di Chiriqui. Alle lievi differenze se- gnalate dal FoREL, bisogna aggiungere che il margine posteriore del capo è distintamente incavato e che gli occhi sono un poco più grandi | ) e molto più convessi e sporgenti. | i k Due % del Perù sembrano intermedie fra il tipo e la varietà. SI / | dA Fig. 6. A. moelleri, d'. Capo e arma- tura genitale, var. meinerti For. — Il FoREL ha istituito questa varietà sopra la sola 9, proveniente dal Brasile; due esemplari determinati dal ForEL nella mia collezione provengono da Minas Geraes; ne ho altri apparentemente simili del Perù. — Riferisco, almeno fino a prova del contrario, a questa stessa varietà delle 9 raccolte a Parà, le quali differiscono dal tipo della specie pel colore giallo uniforme, la spina postoculare ancora più forte, il capo più ristretto indietro e gli occhi più convessi. Anche nelle 2 di Minas Geraes, gli occhi sono più convessi che nella 9 del tipo. sottosp. modesta For. 1901, in Mitt. nat. Mus. Hamburg, v. 18, p. 49. Non ho veduto esemplari tipici. Dalla mia corrispondenza in proposito col prof. FOREL risulta che in questa forma il margine posteriore del capo è fortemente incavato, ma le spine occipitali ne continuano la linea, incurvandosi un poco in avanti, come nel tipo della specie. i Provenienza tipica: Ceara nel Brasile. var. andicola n. var. — Il prof. FoREL ha avuto la cortesia di confrontare questa varietà col tipo della sottospecie : essa ne ha la pubescenza, lunga e copiosa molto più che nel tipo della specie; come nella modesta, il margine occipitale è distinta- mente incavato, ma è ancora più fortemente ristretto dietro la spina postoculare, che è fortemente sporgente. La statura è un poco maggiore (massima 5,5 mm.); il colore I più pallido. Provenienza : Loja nell’ Ecuador (racc. dal sig. GAUJON). A. coronata (F.) For. 1904 in: Ann. Soc. ent. Belgique, v. 48, p. 176. % A. coronata F. — For 1898 ibid., v. 37 p. 600. In un recente lavoro, il FoREL ha creduto potere attribuire alla descritta dal FABRICIO sotto il nome di A. coronata una forma di 9, della quale egli dà una de- — 114 — scrizione eccessivamente breve. Siffatta attribuzione che lo stesso FoREL riconosce non esente da dubbio, deve essere accolta con riserva. Nondimeno questa forma di % è ben distinta. Ne ho d’ innanzi un esemplare tipico di Ceara mandatomi dal FoREL e quattro di Espirito Santo (FRUH- STORFER). In essi, il capo è mani- festamente ristretto dietro la spina postoculare, ma meno che nell’A. moelleri e sue varietà, più che nell’A. subterranea ; il capo è in generale meno spinoso che nelle i forme di moelleri, il margine oc- Fig. 7. A. coronata 9 . a esemplare di Ceara (tipo di Fo- Ra RR cipitale distintamente incavato, con REL); è, c esemplari di Espirito Santo. I Fas) le spine occipitali diritte o quasi, rivolte obliquamente più indietro che lateralmente ; la spina postoculare è meno spor- gente e meno spiniforme che nell’A. m0elleri; gli occhi ancora un poco meno convessi che in questa specie, ma non depressi come nell’A. muticinoda e var. homalops. Negli esemplari che ho esaminati (lungh. mass. 6,5 mm.), manca qualsiasi vestigio di ocello. Le spine del pronoto sono sottili, poco più lunghe delle anteriori del mesonoto. A. mesonotalis n. sp. — Forma molto affine all’ A. moelleri : nella 9, il capo è fortemente ristretto dietro la spina postoculare che è forte e talvolta bifida ; il mar- gine occipitale è sensibilmente incavato, le spine occipitali oblique e poco curvate; gli occhi sono molto grandi e convessi; nel mas- simo esemplare (7 mm.), non v'è ocello, ma una piccola fossetta ne segna il luogo. Sul torace, le spine del pronoto sono debolissime, molto più sottili e più corte delle anteriori del mesonoto. La colo- razione generale è scura e contrasta fortemente col colore chiaro delle mandibole, delle zampe e delle spine ; il gastro è giallo, con i lati e una fascia longitudinale mediana bruni. Fig. 8. A. mesonota- Marcapata nel Perù: due esemplari nella mia collezione da lis, g. Capo. STAUDINGER & BANG-HAAS. In una recentissima pubblicazione, il FoREL (1905 in: Biolog. Centralbl. v. 25, p. 181), avendo esaminato il tipo fabriciano dell’ A. coronata, crede dovervi riferire come sottospecie l° A. m0elleri ; prendo nota di questa dichiarazione, facendo le mie riserve sulla applicabilità della medesima alla $ descritta sopra, sotto il nome di coronata. Se si vuol dare una estensione così grande alla specie, converrà compren- dervi ancora come sottospecie 1° A. mesonotalis. Non descriverò le 9 riferibili a sottospecie o varietà delle A. m0elleri e coronata non volendo contribuire ad accrescere la confusione già grande in questo gruppo. =» — 115 — Questa specie è stata ben descritta nelle sue tre -forme A. discigera MAYR sessuali dal Mayr. Nelle $ massime, il capo si ristringe notevolmente dietro le spine postoculari, ma queste sono poco svi- luppate, ed hanno l'aspetto di tubercoli acuminati, non sensibilmente maggiori di quelli che si trovano fra esse e le n 2}: } A . SERIE . \ Î spine degli angoli occipitali, che sono \ td. ) lunghe e alquanto curvate in fuori, ue mentre i lobi occipitali non sono note- volmente rigonfiati. Evvi spesso un 0- Fig. 9. A. discigera. a 2 tipica di S.t® Catharina ; cello ben distinto. — Per questi fatti 1 aa 1 i b varietà di Rio Janeiro; e armatura genitale del g. VA. discigera si avvicina al gruppo delle A. moelleri e coronata, dalle quali è però ben distinta. Località tipica Santa Catharina nel Brasile. Esemplari di Rio Janeiro hanno il capo un poco più ristretto posteriormente. Do una figura dell’ armatura genitale del S*. A. muticinoda FoR. A. nigra razza muticinoda For. 1901 in: Ann. Soc. ent. Belgique v. 45, p. 386. Le differenze di forma che separano que- sta formica dall’ A. nigra sono egregiamente descritte dal FOoREL; a queste bisogna ag- x ; ; at Fig. 10. a A. muticinoda O) esemplare tipico giungere che gli occhi sono molto più pic- gi Ceara; 5 var. homalops di Espirito Santo. coli e fortemente depressi ;. carattere questo che mi sembra importante e m° induce a separare l'A. muticinoda come specie a sè. — Provenienza tipica Ceara ; l’ ho ricevuta pure da San Paul.o var. homalops n. var. — Questa varietà differisce dal tipo della specie pel colore generale della $ giallo bruno più o menc scuro : si trova perciò verso muticinoda nella medesima relazione come subterranea verso nigra. Non mancano esemplari di colorazione intermedia. - Rio Janeiro, Espirito Santo, Santa Catharina. C) = : 5 : ) Dal P. WasmannN ho ricevuto, con alcune $ di questa ultima \ Se provenienza, un d' il quale differisce da quello che attribuisco al- nta lA. subterranea, pel capo meno ristretto in dietro e per gli occhi cinoda var. homa- un poco più piccoli e meno convessi. L’armatura genitale, come ‘ops d': GEO E mostra la figura, rassomiglia molto a quella del g* di subterranea, a RIaWuro (genitale. ma gli stipiti sono più ampiamente curvati e circoscrivono tra loro un’ apertura più larga. A. nigra F, Sm. — 116 — A. hystrix For. 1884 in: Bull. Soc, vaudoise sc. n. (2) v. 20, p. 355, part. A. octospinosa For. 1893 in: Ann. Soc. ent. Belg. v. 37, p. 590. Fig. 12. a A. nigra b A. subterranea FoREL; c esemplare del Paraguay. massima di Joinville (S.t2 Catharina); massima di Blumenau (S.t® Catharina), tipo di Sono caratteristici per questa specie il colore scu- ro e la grandezza della 7, come risulta dalla descri- zione di SMITH. Ritengo per- ciò esatta l’ attribuzione a questa specie della forma scura raccolta a Blumenau in S.! Catharina dal MoEL- LER, e descritta dal FOREL. A farla riconoscere con maggior sicurezza, varrà la figura del capo della 9, nella quale è da notare la grandezza degli occhi fortemente convessi. Tutti gli esem- plari che Do la DE agli \S/ Fig. 13. a Capo di A. nigra gd; a* estremità sporgente dell’arma- tura genitale. d Capo di A. subter- ranea? d', esemplare di Pachitea (Perù); d* stipiti dell'armatura ge- nitale interamente scoperti. ho veduti provengono da Santa Catharina. fivura del capo e dell’ armatura genitale del cf. Per ulteriori particolari, rinvio il lettore alla par- ticolareggiata descrizione delle tre forme sessuali data dal ForEL nel suo lavoro del 1893. A. subterranea For. — Il FoREL descrive anche questa forma sopra esemplari di Blumenau raccolti dal MoELLER. Come lo stesso FoREL riconosce, le differenze sono insignificanti, se si prescinde dal colore, chiaro anche nei più grandi esemplari della 9. È forma molto diffusa : io V ho veduta proveniente da diverse parti del Brasile, dal Perù, dalla Bolivia e dal Paraguay. Sembra in Rio Grande do Sùl. differenze etologiche notate dal MOELLER, che manchi — Nonostante le io ritengo che si debba considerare piuttosto come sottospecie di A. nigra che come specie a sè. Non ho veduto 9 un d' di colore chiaro del Perù, che credo dovere attribuire a questa nè g' di determinazione sicura; in forma, l armatura genitale non differisce da quella dell’ A. zigra. A. aspersa F. Sw. A. rugosa (non F. Sm.) For. 1904 in: Rev. Suisse Zool. v. 12, p. 33. A. rugosa var. rochai For. ibid. p. 34. SwirH descrive e figura la S, e la sua descrizione che FoREL chiama « énigme in- — 117 — déchiffrable » mi pare invece una delle migliori tra quelle del poco accurato autore. Essa conviene benissimo ad esemplari del Paraguay della mia collezione e a due 9 rac- colte nel Matto Grosso con i rispettivi 9 e g* dal SiLvestRI. Ed a quelli stessi esem- plari conviene ancora la descrizione che ForeL dà della 9 della sua rugosa, dalla quale la vera rugosa F. Sm. differisce per la colorazione molto più chiara. Ho ricevuto dal FoREL esemplari tipici della forma da lui considerata SM, come rugosa e della sua var. rockai, di MR on dî e non so trovare tra l’una e l’altra | \ ) differenze di qualche importanza, per S| c A P cui credo conveniente sopprimere IM: quella varietà. > À La 9 differisce da quella di A. ed Fig. 14. a A. aspersa 9 massima del Matto Grosso ; $ i i b esemplare tipico di rocha? For. ; e var. rugosa ©) media minore (massima 6,6 mm.) pel capo al Paranor È ,, / / D GI) . subterranea per la grandezza molto relativamente più largo, coi lati più fortemente arcuati, la spina occipitale più corta, la postoculare ridotta ad un tubercolo talvolta ottuso, e in generale per avere tutti i tubercoli e spine meno lunghi e spor- genti, i tubercoli del gastro poco numerosi, quasi nulli sulla parte posteriore del segmento basale; i due tubercoli dorsali del peziolo sono poco pronunziati, non spi- niformi. Il colore varia dal bruno scuro al giallo ferrugineo chiaro; in generale i grandi esemplari sono più scuri dei piccoli. La 9 non oltrepassa la lunghezza di 8 mm.; essa offre, relativamente a quella di A. subterranea analoghe differenze, in quanto allo sviluppo delle spine e tubercoli del capo e del gastro; i due tubercoli dorsali del peziolo sono lunghi e più o meno spiniformi, come nella figura di SMITH. Il g' è lungo circa 7 mm, di colore giallo pallido, con la parte posteriore del capo e tre striscie longitudinali più o meno distinte sul mesonoto, tinte di bruno di bigio. In alcuni esemplari, gli angeli posteriori del capo portano una spinetta acuta che è rudimentale in altri; le spine e tubercoli del peziolo e del post- peziolo sono poco appariscenti, mentre sono molto sviluppati nei g'* di subterranea e di nigra. Per l'armatura genitale veggasi la figura. var. rugosa F. Sm. ? A. pallida F. Sm. Questa non è a mio avviso altro che una varietà dell'A. aspersa, da cui differisce soltanto pel colore più chiaro, giallo pallido nella 9, più scuro e alquanto bruniccio nella 9: il g' non differisce da quello Fig. 15. A. aspersa della forma tipica. J'. Capo e arma- L’A. aspersa e la sua varietà sono poco meno diffuse dell’ 4, "a genitale. subterranea ; ne ho veduto esemplari della Columbia, del Brasile (Ceara, Bahia, Ama- zonas, Matto Grosso) e del Paraguay. — 118 — A. laticeps n. sp. A. nigra Emery 1894 in: Bull. Soc. ent. ital. v. 26, p. 220, part. (non F. Sm.). Ho confuso per lungo tempo questa specie con lA. nigra di Santa Catharina. Si riferiscono ad essa tutti gli esemplari di Rio Grande do Sùl raccolti dal v. JHERING. La © differisce da quella di A. nigra per la forma più tozza, il capo molto più N 5 | \ o -_ \ ] Fig. 16. a A. laticeps 9 massima del tipo ; b var. di colore più chiaro. largo, con i lobi occipitali più sporgenti e b specie di Acromyrmex, ma meno che nel- 0° E) È \ «fortemente ritondati, più che nelle altre Gi \ lA. (Moellerius) heyeri. Le spine occipitali sono sottili, dirette obliquamente in dietro e un poco curvate ; le spine postoculari ri- dotte a semplici tubercoli. Gli occhi sono più piccoli e meno sporgenti che nelle A. 2i- gra e subterranea. Le mandibole sono più corte che in quelle specie, ma distintamente sinuate al margine laterale. Le spine del torace sono generalmente più deboli e più corte che nell’A. nigra, le mediali del protorace bene sviluppate. I tubercoli del pe- ziolo e del postpeziolo sono meno pronunziati che in quella specie. Scultura e pube- Fig. 17. A. laticeps g'. Capo e arma- tura genitale. scenza pressochè come nigra; colore generalmente scuro ; però non mancano forme più chiare, aventi il colore dell'A. subferranea. — Lungh. mass. 8 mm.; capo al mass. 2,3 X 2,8. La £ è un poco più piccola di quella di A. wigra, ha il capo e il torace più rugosi, le spine e tubercoli di quello meno sviluppati. Nel g', il capo è molto meno ristretto posteriormente che nelle forme affini, con gli angoli occipitali più marcati e armati di uno o due denti più o meno spiniformi. Gli occhi sono piccoli, convessi e situati molto in avanti. L’armatura genitale rassomiglia più a quella di A. lundi e heyeri che a quella di nigra e subterranea. Stati del Sud del Brasile (Rio Grande, Santa Catharina, Rio Ja- neiro), Paraguay, Bolivia. Le tre specie che seguono, per la fitta punteggiatura del loro tegumento (che hanno comune con alcune specie di Moellerius), costituiscono un gruppo naturale di forme tra loro molto affini : al medesimo gruppo si deve verosimilmente riferire VA. lundi, di cui non è stata finora determinata l’ operaia. A. ambigua EMERY. A lundi var. ambigua EmeRrvY, 1887 in: Bull. Soc. ent. ital. v. 19, p. 358. Ho descritto questa forma sopra esemplari di Rio Grande; il SiLvestRI l’ha poi ritrovata nell’ Argentina (località incerta). Fra le specie dal tegumento punteggiato, — 119 — la 9 è agevolmente riconoscibile per la brevità delle spine laterali del pronoto, tal- volta solo poco più lunghe delle mediali (che sono bene sviluppate), e sempre di molto più corte delle anteriori del mesonoto. Il capo è profondamente incavato posteriormente, coi lobi occipitali ritondati e lucidi, le RIS spine occipitali lunghe e mediocremente divergenti, la spina /s postoculare ridotta ad un tubercolo minuto; occhi piccoli e convessi. Gastro più o meno lucido. — Lungh. mass. 7 mm. ; capo 2 X 2,4. La 9 e il d' sono ignoti. A. boliviensis n. sp. — La 9 è più piccola che quella di Fig. 18. A. ambigua © - A. ambigua ; il capo meno largo, meno incavato posteriormente, con i tubercoli dei lobi occipitali più sviluppati e la spina postoculare più forte e sporgente. La superficie posteriore dei lobi occipitali è più o meno lucida; occhi come A. ambigua. Sul pronoto, le spine mediali sono bene sviluppate, le laterali eguali alle mesonotali ante- riori 0 poco più corte. Gastro opaco; pubescenza breve e rada. — Lungh. massima osservata 6,3 mm.; capo 1,5 X 1,7. E presumibile esistano esemplari più grandi. Bolivia, diverse provenienze. Questa forma è in qualche modo intermedia per Fig. 19. A. boliviensis Q. i suoi caratteri tra ambigua e pubescens, per cui ho esitato alquanto a farne una specie propria. Se si troveranno più tardi forme intermedie, sì potrà riunirla come sottospecie all’A. ambigua. A. pubescens n. sp. — Prendo per forma tipica di questa nuova specie delle 9 del Paraguay raccolte dal BaLzan. Esse sono di colore oscuro, con capo e gastro opachi; la pubescenza è molto più copiosa che nelle forme affini, ma non tanto da nascondere la punteggiatura del tegumento. Il capo è lar- gamente incavato posteriormente, i lobi occipi- tali meno ritondati che nell’A. ambigua, con le spine degli angoli posteriori mediocremente di- vergenti e alquanto curvate in fuori, la spina postoculare variabile, ma sempre fortemente spor- gente; occhi piccoli e convessi, come nelle pre- cedenti. Sul pronoto, la coppia delle spine me- Fig. 20. A. pubescens 9. a tipo del Pa- raguay ; % subsp. decolor della stessa pro- diali manca o è rappresentata da un rudimento MORIRORO impercettibile, mentre le spine laterali sono lun- ghe, robuste, lucide, maggiori delle mesonotali anteriori. — Lungh. massima 7 mm.; CAPORIESSTR. LE Oltre gli esemplari tipici del Paraguay, ne ho uno del Matto Grosso con spine occipitali molto divergenti; altri di Resistencia nel Chaco argentino fanno passaggio alla varietà seguente : var. bonariensis n. var. — Differisce dal tipo per la pubescenza meno fitta e per le spine laterali del pronoto meno sviluppate, soltanto di poco più lunghe delle meso- notali anteriori. Buenos-Ayres e varie altre località dell’ Argentina. sottosp. decolor n. subsp. — Colore chiaro come nell’ A. subterranea ; il tegu- mento è un poco meno opaco che nel tipo della specie ; il gastro in parte lucido. Pubescenza ancora meno copiosa che nella var. donariensis. Le spine mediali del pro- noto sono talvolta ben visibili, benchè sempre cortissime. Paraguay (BoRELLI), Prov. Tucuman (SILVESTRI). Questa sottospecie è in certo modo intermedia tra I’ A. pubescens e VA. ambigua. A. lobicornis Emery 1887, 1. c., p. 358. Questa specie è facile a riconoscere dalla presenza del lobo alla base dello scapo : la scultura che ho descritta nell’ istituire la specie è intermedia tra quella tuberco- lata dell’ A. nigra e affini e quella punteggiata delle A. ambigua e seguenti. La specie è dif- fusa in gran parte della Repubblica Argentina e in Rio Grande del Brasile (località tipica). La 9 ha il lobo antennale come la 7. Nel g' di cui ho esaminato un esemplare privo di ali (racc. dal StLvEsTRI) il capo è ritondato di dietro, senza tubercolo nè spina agli angoli Fig. 21. A. lobi occipitali ; il gastro è lucidissimo, come nel- coOrnais 0 È o 0 Li lA. lundi; V armatura genitale, della quale do la figura rassomiglia a quella di A. laticeps. Fig. 22. A. lobi- cornis J'. Capo e var. ferruginea n. var. — Differisce dal tipo della specie pel i armatura genitale. colore ferrugineo chiaro; la scultura tende maggiormente ad as- sumere il tipo della fitta punteggiatura come nelle specie precedenti. S. Ana, Missiones (SILvESTRI). Lo stesso SiLvestrI ha raccolto una var. di colore meno chiaro nella prov. Mendoza. Delle specie seguenti mi è noto il solo cf. A. lundi GuÉR. — GufrIN ha descritto di questa specie il gt e la 9, ridescritti poi sopra gli stessi tipi dal RoGER. Non ho veduto femmine riferibili con certezza al — 121 — tipo; dal confronto dei miei disegni dell'armatura genitale maschile fatto dal sig. LESNE col g' tipico del Museo di Parigi risulta sicuro il riferimento alla specie di GuéRIN di un I molto frequente nell’ Argentina, del quale ho dato sopra la figura dell'armatura genitale (Fig. 3), a complemento della descrizione del RoGER. È presumibile, come ho detto sopra, che I° A. Zundi sia il g' di una delle tre specie a scultura punteggiata; io propendo per attribuirla all’A. pubescens, la quale, se la mia ipotesi si dimostrasse rispondente al vero, dovrebbe assumere il nome di /undi, più antico. A. sp. — Senza darle nome, voglio segnalare un’altra forma della quale posseggo da molto tempo il g' proveniente da Rio Grande do Sùl. Colore oscuro, capo rugoso, mesonoto longitudinalmente striato, gastro subopaco, nome in A. migra e coperto di tubercoli larghi e ottusi. Il capo ha gli occhi grandi e convessi, dietro i quali va ristringendosi forte- mente, armato agli angoli occipitali di forte dente; le mandibole sono fortemente curvate e non molto lunghe. Le spine superiori del pronoto sgno nulle o piccolissime. Il peziolo e postpeziolo pos- sono dirsi quasi inermi, i tubercoli della loro superficie essendo ottusi e poco sporgenti. L’armatura genitale ha gli stipiti massicci: innanzi alla loro estremità, offrono al margine mediale un incavo riempito da una lamella sottile, trasparente. — Lungh. 9 mm. — Un esemplare del Matto Grosso è un poco più piccolo e di colore più chiaro. : . BEE Mies 23, dL_ go WU Per lo stato rudimentale delle spine superiori del pronoto, sono Gio 2) DI) indotto a supporre che questo sia il maschio dell’ A. ambigua, finora Capo e armatura ignoto. genitale. A. sp. — Un gd del Chaco boliviano è notevole pel capo allungato e poco ristretto in dietro che ricorda A. Zaticeps, con gli angoli posteriori terminati da una spina ancora più pronunziata che in quella specie, e dalla quale parte una piccola cresta, armata di altre due spinette ; le mandibole sono un poco meno allungate ; il gastro è lucidissimo come nell’ A. lundi, ma fornito di piccoli tubercoli che mancano in quella specie. Colore molto scuro, il tronco quasi nero. Non ho preparato l’ armatura ge- nitale, che si trova retratta nell’ unico esemplare della mia collezione. Fig. 24. A. sp. ? g. 24. A. sp. ? Suppongo che questo sia il g' dell’ A. boliviensis. (boliviensis ?) J'. APPENDICE Descrizione di una nuova forma del gruppo dell’ Atta cephalotes L. A. cephalotes polita n. subsp. Di questa nuova forma ho ricevuto dalla ditta STAUDINGER & BanG-Haas una serie di piccole operaie della dimensione di 3,5 a 6,5 mm. Esse si distinguono a prima vista dalle 9 di eguale dimensione delle altre forme della specie, per la superficie di tutto il corpo levigata e lucidissima, con pubescenza scarsa. La forma del capo e del torace corrisponde a quella di esemplari della medesima grandezza della forma tipica. Località : Mapiri nella Bolivia. ND CO NURERRTERTI TO ALLA PATOLOGIA DELL' EPITELIOMA CANCROIDE MEMORIA Prof. VINCENZO COLUCCI letta nella Seduta del 9 Aprile 1905 (CON UNA TAVOLA) Nel Novembre del 1902, venne consegnato all’ Istituto Anatomo-patologico della R.® Scuola Veterinaria — mandato dal Sig. Dott. Antonio Feroci, distinto Medico di Pisa — il cadavere di un gatto, fatto uccidere perchè da 18 mesi soffriva di una malattia ingua- ribile al naso, la quale egli, il Feroci, aveva creduto, per l’andamento clinico, potesse essere di natura tubercolare (lupus). Necroscopia. -— Dall’esterna ispezione si rilevò essere quel gatto di sesso maschile, dell’età di circa anni 11], di media taglia, con mantello nero largamente chiazzato di bianco, e in uno stato discreto di nutrizione. Nessuna anormalità nell’ apertura boccale, anale e agli organi genitali esterni, nè in altre parti esterne. Il naso solamente era quasi totalmente distrutto da un vasto processo ulcerativo, esteso da 5 mm. al di sopra del margine del labbro superiore fino quasi ad altrettanta distanza dell’angolo interno delle aperture palpebrali, misurando in lunghezza mm. 85, e mm. 30 di massima larghezza a livello quasi delle aperture nasali, di cui la destra era del tutto scom- parsa e della sinistra esisteva una piccola porzione, comprendente circa mm. 3 del margine cutaneo anteriore e posteriore che formano l’ angolo esterno della narice medesima. Tale ulcera aveva una forma in certo modo triangolare colla base in basso, curvilinea come i lati, e convessa in fuori; la sua massima larghezza era al terzo inferiore della sua esten- sione e giungeva un po’ più in fuori della linea perpendicolare dell’ angolo interno dell’ occhio destro : in breve, aveva quasi la forma di un cuore di carta da giuoco, rovesciato e posto obliquamente, ma più a destra della linea nasale, così che la punta giungeva al livello orizzontale dell’angolo palpebrale suddetto, dal quale distava 7 mm. I margini di essa erano tagliati a picco, il fondo grigio nerastro e rugoso, ed in esso, verso l’alto spiccava bernoccoluta e alquanto rosea una elevazione che, all’ aspetto, potevasi Serie VI. — Tomo IT. 18 — 124 — credere una nodosità di natura sarcomatosa, ma che, coll’ esame microscopico di un piccolo frammento, si trovò che era epiteliale, e si fece quindi diagnosi di ulcera cancerigna, tro- vandovisi ancora le perle o globi epidermici. Non esisteva traccia di cavità, visibile dall'esterno, della narice destra; e da un lieve avvallamento, che scorgevasi a sinistra fra quei due avanzi del margine cutaneo esterno dell’apertura nasale, riuscì vano il tentativo di introdurre wn fino specillo: non vi era dunque nessuna apertura del naso; ed infatti dall’anamnesi si seppe che il gatto negli ultimi mesi respirava per la bocca, che teneva quasi sempre aperta. Si seppe inoltre che mangiava bene e deglutiva liberamente, e non presentò alcuna alterazione nella funzione visiva. Circa lo stato delle cavità nasali, niente altro potevasi scorgere esteriormente ; per- tanto si procedette alla sezione sagittale della testa, incidendo la pelle con un taglio esteso dall’ estremo superiore dell’ ulcera fino all’ occipite, e allontanati, dissecandoli, i lembi tanto da permettere l’applicazione della sega, si ottenne la divisione abbastanza netta e simme- trica non solo della faccia, ma anche del cranio. In tal modo si potè rilevare che l’epitelioma, originatosi dalla pelle che ricopre la parte inferiore del naso, sì estese man mano in alto, lateralmente ed in basso, fino ad in- vadere tutta la parte destra del labbro superiore, distruggendo quasi completamente l'ala destra del naso e buona porzione della pelle della guancia e parte dei muscoli sottostanti, nonchè quasi tutto il piccolo mascellare destro, restando la sola radice dell’ incisivo esterno impiantata ancora nel tessuto della mucosa e parte del margine anteriore del gran ma- scellare. Meno esteso a sinistra, aveva invaso solo per poco la parte corrispondente del labbro superiore è non in tutto l'ala del naso, della quale vi è rimasto l'angolo esterno ; in profondità aveva intaccato l’ osso incisivo nella sua parte superiore rispettando gli alveoli. Distrutta completamente la cartilagine del naso, si era esteso alla metà circa inferiore della cavità nasale invadendo quasi il terzo inferiore dei turbinati ed occludendone in maggiore estensione il meato anteriore, un po’meno il meato medio, e meno ancora il posteriore, più a destra che a sinistra, di tal che l’apertura nasale destra venne occlusa prima e poscia la sinistra. Non si rinvenne traccia di tumore nei seni frontali, poichè esso aveva invaso par- zialmente i turbinati, dei quali la porzione superiore in gran parte era completamente libera e inferiormente, distrutta la cartilagine del setto nasale, la parte ossea di questo appariva intatta e le estremità inferiori dei turbinati, specialmente a destra, erano in gran parte distrutte e pochi avanzi di essi ancora rilevabili, immersi nella massa del tumore. Procedendo nell’ esame necroscopico, veduto che nella testa non vi era altro fatto ap- prezzabile, si passò a quello della regione del collo; e anche qui di notevole non sì rin- venne che un aumento in volume di tre glandole linfatiche cervicali superiori, la più grossa delle quali, che inferiormente trovasi al lato esterno della parotide, misurava in lunghezza cm. 2, un centimetro di larghezza e mm. 7 di grossezza. Era essa meno resistente delle altre due al tatto, e infatti incisa si trovò al suo centro una cavità elissoidale lunga 1 cm. circa e larga 5 mm. tutta circondata da uno strato di tessuto grigio e compatto largo 2 ee mm. 0,5 -0,7 che ben si differenziava dal parenchima proprio della glandula, e piena di detritus che al microscopio si vide composto di sostanza granulo-erassosa, con avanzi di cellule corneificate e di elementi epiteliali ben distinti. Le altre glandule linfatiche ed i vasi linfatici della regione, nulla presentavano di anormale. Nella cavità toracica il polmone intero era gonfio, non si afflosciava perchè resistente ed elastico, di color rosso oscuro bluastro e sparso di macchie bianco-grigiastre di varie grandezze e sfumate alla periferia, alcune delle quali un po’ avvallate, altre rilevate alla superficie dell’organo. Scorrendo sopra col dito, si avvertivano piuttosto dure e rispondenti a nodicini sottoposti, più o meno grandi, da un grano di miglio ad un cece, in relazione alla grandezza delle macchie superficiali. Il parenchima polmonare incidendosi, strideva sotto il taglio, e alla superficie di questo notavansi i noduli sunnominati sparsi nella pro- fondità dell'organo, il quale, dappertutto, mostra lo stesso colore e la stessa densità e resistenza alla pressione e al taglio, e delle strie fibrose ben distinte, alcune delle quali anche abbastanza larghe. Notavansi inoltre molti vasi venosi turgidi di sangue, e non pochi trombosati. Nella radice del lobo posteriore destro, alla sezione, il bronco principale appa- riva grigio oscuro con pareti ingrossate, e il ramo arterioso polmonare ad esso accosto era in gran parte occupato da grumo nerastro. Vi erano ancora per tutto il parenchima polmonare dei focolai emorragici, in vicinanza specialmente di vasi venosi turgidi o trombosati. Tali lesioni erano più marcate nel lobo posteriore destro ed esistevano pure in altri lobi, ma meno rilevanti, e in proporzione relativa alla quantità dei noduli; i quali trova- vansi in discreto numero nel lobo anteriore e posteriore sinistro, rari nel lobo medio di questo lato, come nel medio posteriore destro e mancavano nell’ anteriore e medio anteriore destro. Nessuna alterazione sulle pleure costali; mentre la viscerale appariva ingrossata ed ispessita, e in maggior grado in corrispondenza ai noduli e tutto all’ intorno di ciascuno di essi per un'estensione di uno a tre millimetri. Nel mediastino e in vicinanza dei grossi tronchi vascolari, della trachea e delle sue biforcazioni non si trovarono gangli linfatici ingrossati od in altra guisa alterati. Il cuore presentavasi alguanto ipertrofico e relativamente un po’ più nel ventricolo destro. Il miocardo apparentemente normale, la sierosa interna ed esterna pure normali e sulla prima, per quanto attentamente esaminata, specialmente nell’ orecchietta e ventricolo destro, non si è trovata alterazione o neoformazione alcuna. Nella cavità addominale tutti i visceri perfettamente normali, e il tessuto adiposo del- l’epiploon e perireneale piuttosto abbondante. Ct e Istologia patologica. L’esame microscopico fu fatto in tutte le parti ammalate, dopo conveniente indurimento dei pezzi asportati ed appropriato trattamento delle sezioni microscopiche mercè reagenti e tinture con carminio, ematossilina ed altri colori di anilina basici e acidi. È Esaminando varie sezioni dell’ ulcera nasale — compresavi parte di margine cutaneo — approfondate, specialmente nella parte superiore, fino alle lamine ancora esistenti dei tur- binati immersi nel neoplasma, si è potuto concludere che il cancro ebbe origine dalla epidermide e di là si estese, attaccando la cartilagine nasale e poscia la parte anteriore ed inferiore dei turbinati, che invase gradatamente dal basso all’ alto, fino alla distanza sopra designata. E di ciò n° era prova, che i cordoni o zaffi epiteliali indistintamente erano pieni, con globi epidermici o perle in quasi tutti ed anche nei più giovani, nelle cui estre- mità esse vedevansi in grado diverso di loro formazione; e pare che tale comparsa e rapi- dità di sviluppo delle perle, non che il loro numero erano dipendenti dall’ essere essi zaffl più vicini ai luoghi ove maggior resistenza opponevano al loro accrescimento le parti dure, come osso, cartilagine e tessuto fibroso. La maniera poi onde | osso, e specialmente la cartilagine venivano atrofizzandosi per il progressivo sviluppo del tumore, mi sembrò degna di nota. Imperocchè, resistendo ancora gli elementi del pericondrio, malgrado la compressione esercitata dall’ avanzarsi degli zaffi epiteliali — come dimostra 1’ appiattimento di quegli elementi, mentre le cellule con- nettive circostanti sono abbastanza grosse e proliferanti -- le cellule cartilaginee superfi- ciali, a quelli sottoposte, erano in gran parte scomparse ed altre, più profondamente situate, atrofiche a grado diverso, e la sostanza cartilaginea assai meno rifrangente e quindi da ritenersi come rammollita. Dai quali fatti parmi potersi dedurre: 1° che la compressione esercitata dal neoplasma sulla. cartilagine nasale, non era (per la notevole elasticità di essa, dipendente non tanto dalla sua struttura quanto dalla sua conformazione laminare) a tale grado da apportare la immediata atrofia degli elementi pericondrici, ma bensì suffi- ciente ad intralciare la circolazione locale e da ciò 1° atrofia progressiva delle cellule car- tilaginee sottoposte e il rammollimento della sostanza intercellulare. 2° Che tale atrofia della cartilagine, di fronte allo svilupparsi progressivo del cancro, deve ascriversi al fatto di semplice compressione e non ad usura per partecipazione degli elementi pericondrici e cartilaginei al processo neoformativo locale. Ciò che non avviene nelle neoplasie di natura connettiva e specialmente nel sarcoma, in cui gli elementi pericondrici, all’ avanzarsi del tumore, ordinariamente s’ ingrossano e proliferano determinando il rammollimento e con- secutivo riassorbimento della sostanza cartilaginea circostante, di guisa tale che la carti- lagine si osserva incavata dalle cellule pericondriche divenute sarcomatose, ed appare perciò come corrosa dalla neoplasia, onde a poco a poco quella scompare con una relativa rapidità, mentre nel caso di cancro epiteliale, com’ è questo che sto descrivendo, essa persiste a lungo. Circa l atrofia delle ossa turbinate, non riscontrai che essa sia avvenuta in maniera DE a diversa che nella cartilagine, sebbene pare siasi effettuata in più breve tempo per la rapida scomparsa degli osteoblasti periostali, che non ho potuto riconoscere in alcun punto delle lamine ossee invase e compenetrate della neoplasia epiteliale. Le sezioni microscopiche della glandola linfatica cervicale più grossa, convenientemente tinte col carminio, mostrano al centro di essa un vano di forma elissoidale allungata, circondato da uno strato di epitelio piano alto mm. 0,19 - 0,45 - 0,65, fig. 1° 5 a disposizione ondulata per larghe papille c, poggianti sul tessuto adenoide, che ivi è alquanto modificato, e sparso di perle epidermoidali più o meno grandi e. Le cellule dello strato più profondo non hanno nè forma, nè disposizione costanti e ben definite: alcune, e son le meno nume- rose, hanno la forma cilindrica e disposte verticalmente al piano ondulato dello strato epiteliale, là dove questo poggia sopra le trabecole di tessuto fibroso; altre sono piane, ed in maggior numero sono quelle poliedriche ed ovali in senso parallelo al piano delle papille, siano queste più larghe o più strette. Nello strato epiteliale cancerigno sono numerose le forme mitotiche. La cavità da esso circoscritta, è piena di detritus, in cui sì osservano gli avanzi di cellule epidermoidali piatte f o allungate come quelle che stanno ancora aderenti alla superficie interna di detto strato onde deriva il detritus, e ad esse commiste si vedono anche masse granulose intensamente tinte dal carminio, g e granuli simili distinguonsi pure fra le cellule epidermoidali e nel loro interno, i quali ricordano per la loro apparenza i granuli di eleidina, ed inoltre globuli bianchi immigrati. Nel resto della glandola non ho potuto trovare altri focolai cancerigni, ma ipertrofici erano i follicoli in mezzo al paren- chima di aspetto normale; lo stesso mi è risultato dall’ esame delle altre due glandole che erano meno ingrossate. Come ho disopra notato, parlando, nell’ esame macroscopico del polmone, dello stato della pleura, questa presentavasi ispessita ed anche ingrossata specialmente in vicinanza dei noduli cancerigni sotto-pleurali, e sopra questi essa vedevasi assai più ingrossata e di colore bianco-grigiastro opaco. L'esame microscopico ha solo in parte confermato quanto ad occhio nudo vedevasi; poichè la pleura in ogni parte della superficie del polmone, e in modo speciale del lobo posteriore destro, non era più grossa di mm. 0,06, e il connettivo sottosieroso ispessito ed aderentissimo al tessuto fibroso interalveolare. La pleura dunque, benchè così ispessita, non era che del doppio circa più grossa del normale; e quella resi- stenza rilevata col tatto sull’ organo fresco, era dovuta invece al parenchima polmonare ad essa sottostante, il quale era addensato a diverso grado e in profondità varia da mm. 0,05-0,35-0,60, e specialmente alla periferia dei noduli cancerosi per un’area circa di mm. 5-10 di diametro, dove appunto i setti interalveolari, come gli alveoli, erano infiltrati di elementi cancerigni. Tale addensamento era pure notevole in corrispondenza dei focolai fiogistici peribron- chiali sviluppatisi alla periferia dell’ organo per un complicato processo, che andrò man mano descrivendo. Esso consisteva in un ingrossamento notevole delle pareti degli alveoli, le quali in pari tempo erano afflosciate in maniera che la cavità alveolare era ridotta da Serie VI. — Tomo II. 19 — 128 — uno spazio lineare ora più ora meno visibile, e in moltissimi punti totalmente scomparsa per adesione cellulare delle pareti alveolari fra loro opposte. E questo stato appunto del parenchima polmonare offriva quell’ aspetto particolare, che facilmente potevasi attribuire esclusivamente all’ ispessimento della pleura ingrossata. 1 Le modificazioni istologiche del polmone erano in generale quasi le medesime che si osservano nelle comuni pneumoniti croniche interstizia;i; se non che per le speciali lesioni vascolari e bronchiali eranvi, per notevoli estensioni, fatti di enfisema vescicolare. L’ingrossamento più notevole dei setti interalveolari era al margine superiore del lobo polmonare posteriore destro, ed attiva la proliferazione degli elementi connettivali. Il lume, relativamente non molto ristretto, degli alveoli era libero e 1° epitelio dove esfoliato, dove ancora esistente, ma atrofico, lasciando vedere nei tagli obliqui delle pareti da esso rive- stite, degli spazî chiari così da aversi quasi come l’ apparenza di una membrana fenestrata. La proliferazione degli elementi connettivi dei setti interalveolari era pure attiva, mal- grado che grossi e densi fasci fibrosi fossero in maggior parte a rappresentare le loro pareti ; e verso la periferia al di sotto della pleura, pure esistendovi di simili spessi fasci fibrosi, una più o meno notevole estensione era costituita di tal connettivo proliferante al punto da saldare e confondere insieme le pareti degli alveoli, la cui preesistenza solo potevasi rilevare dalla disposizione dei grossi fasci fibrosi che indicavano i limiti degli spazî alveo- lari, e dal ritrovarsi ancora esistenti le fibre elastiche che normalmente entrano nella loro costituzione. Oltre che nel connettivo delle pareti alveolari, notavasi la proliferazione degli elementi del connettivo sottosieroso della pleura, onde ne risultava | ingrossamento al doppio di quella membrana. Il suo strato endotelico in generale era poco visibile, ma in alcuni punti, al di fuori della lamina fibrosa elastica, esistevano focolai più o meno estesi di cellule endoteliali proliferanti. La lesione più notevole e che maggiormente attrasse la mia attenzione, era lo sviluppo del cancro metastatico, il quale ebbe, secondo ogni apparenza, il suo principio nel lume delle arterie polmonari. Nelle numerose sezioni praticate del parenchima polmonare e spe- cialmente nel lobo posteriore destro, ho potuto esaminare codesto sviluppo endovascolare del tumore nelle sue varie fasi; ed ora, senza particolareggiate descrizioni delle singole osservazioni, riassumerò per sommi capi i fatti istologici principali e più importanti. Ho notato sopra, che all’ esame macroscopico del polmone vedevansi dei vasi arteriosi e venosi principali turgidi di sangue ed alcuni trombosati, e macchie emorragiche sparse nel parenchima. All’ esame microscopico, di tali trombosi se ne rilevavauo in alcune arterie di più piccole dimensioni, e moltissime vene erano turgide di sangue. Qui è uopo ricordare che il gatto era stato ucciso per asfissia. Proseguendo nell’ esame dei vasi sanguigni polmonari, trovai in vicinanza di uno dei più notevoli nodi cancerigni un piccolo tratto di ramo arterioso moltissimo dilatato fig. 3° che conteneva, nel suo interno, del tessuto epidermoidale e bene sviluppato su una base papillare formatasi dall’ intima ingrossata e proliferante, d. La parete arteriosa era distesa e assottigliata, con fibrocellule in gran parte fra loro disgregate, e di esse molte in dege- — 129 — nerazione ialina, c. Al di fuori di questa parete arteriosa così alterata eravi uno zaffo epiteliale anch’ esso a forma ondulata a, limitato all’ esterno da cellule allungate e poste coll’ asse maggiore verticalmente e con nel mezzo tre perle, mentre di altro zaffo la parte mediana era disgregata e in parte distrutta d. In altra sezione di arteria egualmente alterata, fig. 6%, la parete sua mostrava le fibro- cellule della media così disgregate e rotte, da vedersi nettamente che il cancro, sempre a forma papillare, erasi fatto strada, infiltrandosi attraverso la parete dallo esterno ed inva- dendo il tessuto da cui precedentemente era in gran parte occupato il lume arterioso e che derivava da organizzazione del trombo. Questo trombo erasi evidentemente formato in seguito alla grave alterazione del tratto arterioso, nel cui interno erasi sviluppata la neoplasia cance- rigna. Questa, che aveva inoltre invaso il tessuto circostante, da qui era arrivata alla parte trombosata della medesima arteria, e penetratane la parete seguitò a svilupparsi in seno al trombo. Dall’ esame di questi preparati parrebbe doversi ammettere che la neoplasia cancerosa dall’ esterno sia primitivamente penetrata nel lume arterioso; ma, meglio considerando la maniera onde il primo tratto dell’ arteria è stato dilatato e la sua parete distesa dall’ ac- crescimento interno del tumore, mentre nel tratto periferico della stessa è molto più grossa e il lume del vaso notevolmente ristretto, e meglio ancora confrontando le sezioni di questa e di altre arterie con varie gradazioni di sviluppo del medesimo epitelioma, non può rimanere dubbio circa la sua primitiva formazione endarteriosa. Invero la dilatazione grande e circoscritta dell’ arteria, come rilevasi dalla fig. 3°, senza che in corrispondenza della massa principale del neoplasma endovascolare vi sia una disgregazione o rottura della parete, come si vede essere avvenuto in altra arteria della fig. 6°, al di fuori della quale lo sviluppo del tumore ha preso più vaste proporzioni, la circoscritta dilatazione del vaso, dico, parmi una prova evidente dell’ iniziarsi lo sviluppo del neoplasma nel suo in- terno. E poi è inoltre a considerare che, se I’ epitelioma avesse invaso l’ arteria infiltrandosi dall’ esterno, dov’ esso è più esteso, — ciò che del resto è generalmente messo in dubbio ed anche negato che possa avvenire nelle arterie in condizioni normali di struttura — la limitata alterazione del vaso e la notevole iperplasia dell’ intima nel tratto maggiormente dilatato non troverebbero, secondo a me pare, una tanto facile spiegazione, chè anzi l’ ar- teria avrebbe dovuto all’ opposto mostrarsi compressa, ed il neoplasma con disposizione papillare concentrica, come in quello sviluppatosi nel suo lume precedentemente occupato da trombo. Inoltre, procedendo, in ulteriori ricerche, all’ esame dei vasi arteriosi, ho potuto vedere l’iniziarsi dello sviluppo del neoplasma in arterie di minor calibro ; dalle quali osservazioni posso sinteticamente affermare quanto segue: 1° Al giungere e soffermarsi di elementi cancerigni nel lume arterioso, il primo fatto ad osservarsi è l’ apparire di un trombo par- ziale costituito in buona parte da leucociti fra i quali vedonsi alcune cellule epiteliali giovani — facilmente riconoscibili pel nucleo più grosso e nucleolo ben distinto e pel pro- toplasma più o meno abbondante ed omogeneo a contorno netto ed uguale — e da globuli rossi in maggiore o minore quantità, e perciò il lume del vaso ora trovasi in parte libero, — 130 — ora, ma assai più di raro, occluso. Ad una fase più avanzata della formazione del trombo, nelle cellule epiteliali osservasi l’ ingrossamento dei nuclei, seguita dalla divisione nucleare e cellulare, per cui sono ora in maggior numero. A questo stadio esiste ingrossamento e infiltrazione dell’ intima, la quale così rigonfiata sporge in forma papillare, concorrendo anch'essa a restringere il lume vasale e sulla sua superficie ondulata vedonsi ancora ben distinte le cellule endoteliali, che poscia si distac- cano e trovansi frammiste agli altri elementi cellulari del trombo. Nella figura 2°, in cui è ritratta una sezione longitudinale di arteria circondata all’esterno da una massa neopla- stica glandolare peribrenchiale infiltrata, vedonsi appunto due rilevatezze a guisa di promon- torio, derivanti da ingrossamento dell’ intima per infiltrazione e proliferazione degli elementi propri, e nel trombo ivi esistente distinguonsi i leucociti e gli elementi cellulari epiteliali, nonchè l’ endotelio distaccatosi dall’ intima. Progredendo questi fatti proliferativi, si ha da una parte l'aumento della neoplasia epiteliale e dall’altra l’ ingrossamento graduato dell’ intima, la quale ora assume forma papillare corrispondente a quella periferica della massa epiteliale. Nell’ intima fig. 5, 0, vedonsi gli elementi proprì ingrossati e proliferanti, leucociti in- filtrati ed anche cellule epiteliali sparse, ma alla sua superficie interna vedesi attraversata da ciglia che provengono dalle cellule epiteliali immediatamente sovrastanti e che in essa s'impiantano nella stessa maniera onde si stabilisce il rapporto fra I’ epidermide e il derma. E difatti, ben considerato il modo con cui la massa neoplastica è disposta verso l’ intima ingrossata, non vi sì trova gran differenza, se ne togli la ineguale lunghezza ed ampiezza delle papille epiteliali, e la irregolare e non uniforme disposizione delle cellule più profonde a quelle pertinenti. Queste le abbiamo veduto essere disposte coll’ asse maggiore verticale nel tumore sviluppatosi nelle varie parti delle narici; mentre che nel ganglio linfatico cer- vicale, tale disposizione si osservava solo in quei punti dove esse poggiavano su tessuto connettivo fibroso, ed erano quasi tutte poliedriche in corrispondenza del tessuto adenoide. E qui fa d’uopo accennare ad alcune riflessioni, donde potrassi, secondo io credo, trarre una plausibile spiegazione circa il trovarsi nei tumori epiteliali metastatici, non solo l’ iden- tità e il tipo della forma delle cellule, ma ancora la loro disposizione papillare. E prima di tutto è necessario il rilevare che nell’ epitelioma papillare sviluppatosi se: condariamente in un ganglio linfatico cervicale, gli elementi epiteliali periferici del tumore, pur serbando fra loro una regolare disposizione come nel neoplasma primitivo (che è quello che si osserva nell’epidermide e nelle mucose in genere) le papille da essi formate in relazione al tessuto adenoide circostante sono molto ampie, ondulate e proporzionatamente pochissimo profonde. Differiscono quindi sotto questo punto di vista notevolmente da ciò che si è osservato nell’epitelioma del naso, non solo per la forma papillare, ma anche nella maniera onde il tumore invase i tessuti circostanti. Le differenze sono ancora più notevoli considerando gli stessi fatti circa lo sviluppo, la forma e la disposizione cellulare dell’ epitelioma endovascolare. Difatti all’ inizio evolutivo di questo non si vede alcuna tendenza nei suoi elementi cellulari a prendere una deter- minata posizione e nemmeno un differenziamento morfologico ben marcato fra quelli posti — 181 — alla periferia e quelli che formano il centro della massa del neoplasma. È solo ad un pe- riodo più avanzato del suo sviluppo che tale differenziamento viene accennato dalla forma ovale e poi allungata in senso verticale delle cellule più periferiche, le quali ora poggiano sul connettivo dell’ intima, scoperto per la caduta dell’endotelio, e proliferante. Si nota ancora in questa fase una manifesta dilatazione del vaso pel continuo accrescimento della neoplasia, i cui elementi rigogliosamente proliferano, e per l’ingrossarsi più o meno notevole dell’ intima. E mentre questa ectasia vascolare si avanza, si vedono gradatamente apparire e poi crescere le papille epiteliali, in rapporto al corrispondente avvallamento dell’ intima, e in contrapposto, l’avanzarsi delle papille connettive dell’ intima fra quelle epiteliali. Il tu- more ora ha assunto la forma papillare. È però a notare che le cellule periferiche, benchè provviste di ciglia impiantate nella sostanza connettiva, non serbano la loro posizione col- l’asse maggiore perpendicolare alla papilla connettiva, ma, com'è ben manifesto nella fig. 5, ee esse si dispongono in isvariato modo, mentre che in un periodo meno avanzato di sviluppo esse conservano ancora, fig. 4°, a, benchè alcun poco mutata, la prima dispo- sizione. Ora, confrontando la disposizione e la forma delle cellule e delle papille del tumore sviluppatosi nel naso, nelle glandule linfatiche e nei vasi, a me pare evidentemente pro- babile che la disposizione papillare dell’ epitelioma metastatico non debba ritenersi assolu- tamente come una proprietà di tali tumori metastatici a riprodursi necessariamente colla stessa forma e disposizione caratteristica degli elementi loro costitutivi, ma che questa possa, almeno in parte, dipendere dalle circostanze locali e cioè, dalla natura dei tessuti invasi e dallo spazio ivi esistente per lo sviluppo del tumore. Nel caso attuale, quindi, la forma papillare del cancro parmi dipendere per buona parte dalla resistenza opposta al suo sviluppo dalla parete vascolare e dalla proliferazione del connettivo dell’intima. Di fatti gli elementi epiteliali, proliferando, si avanzano verso il centro del lume vascolare fino a riempirlo, rimanendo le sue cellule periferiche allungate ed applicate al connettivo dell’ intima, proliferante per l’ irritazione dal neoplasma deter- minata. Una volta ostrutto il vaso, i nuovi elementi epiteliali incessantemente moltiplican- tisi, non potendo portarsi verso il centro dove trovano molta resistenza, spingono eccentri- camente lo strato periferico, cedendovi la parete vascolare elastica. La spinta infuori non è uniforme per tutta Ja periferia del neoplasma epiteliale, ma più forte in quei punti dov'è più attiva la proliferazione delle cellule, le quali necessariamente portansi in fuori formando così il principio della papilla epiteliale, che, premendo sul connettivo dell’ intima lo avvalla e questo nei punti intermedî, trovando meno resistenza e proliferando, si avanza verso il centro e formansi così le papille connettive che rimangono interposte a quelle epiteliali. Dove la moltiplicazione epiteliale è molto attiva e la resistenza vascolare più forte, le papille sono acute, più numerose e molto vicine; le cellule periferiche non sono rego- larmente disposte, bensì allungate verticalmente in senso parallelo alle papille e poste così ai loro lati, mentre nelle parti rientranti od avvallate sono allungate in senso orizzontale, ed anche curve quando la distanza fra le papille è molto breve. Allorquando l'arteria è molto distesa e dilatata, le papille epiteliali, atrofizzando il Serie VI. — Tomo II. 20 — 132 — connettivo che le separa dalla tunica muscolare, si fanno strada attraverso le fibroceliule, comprimendole e diseregandole ed invadono il tessuto circostante all’ arteria medesima. Poscia, come vedesi nelle sezioni microscopiche del medesimo ramo arterioso, là dove è trombosato, penetrando dall'esterno all’ interno il cancro si sviluppa eziandio in forma pa- pillare traverso la massa del trombo in via di organizzazione (fig. 6°). Chie la forma papillare dell’ epitelioma secondario dipenda in gran parte dalla resi- stenza opposta al suo sviluppo dai tessuti da esso invasi, parmi ancora provato dal fatto, più sopra notato, che nelle glandule linfatiche dove la resistenza opposta dal parenchima adenoide è minima, presenta poco rilevate e ampiamente ondulate le sue papille. Invece laddove il medesimo neoplasma diffuso dalla pelle nella cavità delle narici, estendendo i suoi zaffi epiteliali incontro a lamine ossee dei turbinati o a membrane fibrose resistenti, ed avendo essi zaffi raggiunto un certo volume, mostrano alla loro periferia numerosi ac- cenni di formazione di papille, non molto dissimili da quelle osservate nell’ interno delle arterie. A queste considerazioni, che, a parer mio, valgono a dimostrare in certo modo |’ ori- gine della forma papillare degli epiteliomi secondarì, io fui condetto, per analogia, da fatti simili osservati nell'esame di alcuni preparati microscopici di osso di pollo per lo studio sperimentale della formazione del callo osseo nelle fratture, eseguito l’anno scorso dal Dott. Umberto Scarso nel mio Laboratorio e che diede argomento alla sua tesi di laurea (1). Le alterazioni riscontrate nei bronchi, dalle prime loro divisioni fino ai più piccoli rami, sono di tal maniera ed a mio parere, di tanta importanza, che meritano una descrizione, quanto più breve possibile ma pur minuta, onde poterne stabilire una ragionata patogenesi. E questa lesione dei bronchi non può essere considerata indipendentemente da quella riscon- trata negli alveoli polmonari, per quanto specialmente riguarda l epitelio degli uni e degli altri. Ho già detto di sopra, circa le lesioni in generale osservate nel parenchima polmonare (1) In quei preparati, già fin dal 2° giorno dalla praticata frattura della tibia e dell’ ulna, vedevasi molto attiva la proliferazione dello strato osteoblastico in prossimità dei monconi ossei. Questo formava dapprima uno strato di nuove cellule applicate contro l’osso, che mostrava nette le lacune di Hoswip, e penetrante ancora nei canali Aversiani; ma presto fra il 2° e 3° giorno, quando i primi nuovi strati osteoblastici erano divenuti osteodi, alla sua esterna periferia apparivano bene spiccate delle papille che crescendo in lunghezza s’ internavano nel tessuto circostante occupato da flogistica infiltrazione, da cel- lule proliferanti e progressivamente organizzantisi in giovane connettivo con metaplasia condrogena, e quelle papille erano costituite da uno strato ben netto di cellule giovani osteoblastiche poliedriche o poco allungate verticalmente al corpo della medesima papilla e questo progressivamente trasformato in tessuto cartilagineo ed osteoide. Tali papille in seguito, accrescendosi e diramandosi, fondevansi fra loro in guisa da formare un trabecolato a maglie, onde risultava formato il callo provvisorio condro-osteoide. In tale processo era evidente il modo in cui per la resistenza opposta dall’osso (ora rivestito dalle strato neoformato osteoide) l’avanzarsi in dentro della neoproduzione osteoblastica era impedito, e quindi questa spingevasi all’esterno in forma papillare analogamente a quanto ho sopra descritto circa l’ ac- crescersi ed il formarsi della papilla nel cancro epiteliale metastatico endarterioso. — 133 — e particolarmente in quello circostante ai nodi cancerigni, essere quelle che comunemente osservansi nelle pneumoniti interstiziali croniche. Nel caso attuale però, tenendo conto delle particolari lesioni vascolari e bronchiali onde il processo pneumonico è stato indubbiamente influenzato, è d’uopo distinguere le alterazioni generali da quelle locali circostanti ai noduli. Le prime sono quelle comunemente osservate nelle bronco-pneumoniti croniche, se non che oltre l’ ingrossamento più o meno notevole delle pareti alveolari, secondo che si osservano in vicinanza delle produzioni neoplastiche o nei punti da queste discosti, le alterazioni dell'epitelio degli alveoli e il contenuto di questi ne sono diversi. Infatti le cellule epiteliali degli alveoli posti in vicinanza ai focolai cancerigni sono in gran parte esfoliate, senza aver subito notevoli modificazioni accennanti a fatti degenera- tivi, e più spesso aumentate di volume ed avendo assunto forme rotondeggianti, e così trovansi a riempire il vuoto di alcuni alveoli, nel maggior numero dei quali si vedono irregolarmente sparse e di volume e forma poco dissimile, commiste a leucociti ed altri elementi atrofici. Non vi ho riscontrato essudato marcatamente fibrinoso, e solo in vari punti alruni alveoli, notevolmente distesi, contenevano un liquido omogeneo che, a somiglianza di so- stanza colloide, tingevasi in roseo sbiadito, col carminio; e tale credo che sia, considerata l'assenza di elementi cellulari, e la rara esistenza di granuli o di piccoli avanzi di proto- plasma in essa immersi. Negli alveoli più vicini e quasi fusi nella massa del tumore, la proliferazione dell’ epi- telio loro è molto attiva sì da aversi in alcuni una fusione cellulare, per la quale è assai difficile distinguere la natura degli elementi avendo, tutti, caratteri embrionali; e sono quasi scomparsi, o appena rilevabili i limiti dei singoli alveoli. A misura però che si va verso il centro del nodulo, la natura epiteliale di quelle cel- lule si rende manifesta, avendo esse raggiunta una maggiore grandezza, con nucleo ben distinto dal protoplasma aumentato e divenuto omogeneo, quale osservasi nelle cellule epi- teliali ingrossate, fin dal principio della lesione degli alveoli suddescritta. Qui ora è mani- festo che il nodulo — diagnosticato di natura cancerigna — è costituto da alveoli ripieni di cellule epiteliali derivanti da proliferazione di quellè che ne rivestivano le loro pareti. Rappresenta, così considerato, una specie di cancro alveolare, ma per la sua deriva- zione e per la natura essenziale e morfologica, diverso da quello che propriamente con tale denominazione vuolsi comunemente intendere. FE dico appositamente una specie di cancro alveolare, perchè come meglio risulterà dalla descrizione delle lesioni della mucosa bron- chiale, tale mia riserva sarà giustificata da fatti analoghi ivi chiaramente osservati. Intanto fin da ora debbo far notare, che la forma del cancro epiteliale papillare si con- serva in quei noduli che, avendo avuto origine dai rami dell’arteria polmonare, si sono sviluppati ed estesi nel tessuto connettivo interlobulare e peribronchiale, e per tanto esso sì vede ben distinto da quello di altri noduli vicini, o più o meno discosti, sviluppati nel parenchima polmonare e che risultano formati dall’ epitelioma di forma e disposizione spe- ciale, ora brevemente descritta, — 134 — Circa alle lesioni osservate nei bronchi, avendole ben vagliate e considerate, parmi doversi, per la gradazione e qualità loro, aggruppare in tre ordini : 1° Rami bronchiali, cioè, in cui trovasi una lieve infiltrazione cellulare sotto-mucosa ed interacinosa delle glandule peribronchiali; le cellule epiteliali del rivestimento della. mucosa presentansi alquanto più granulose, e quelle delle glandule sembrano anche au- mentate di numero. Questi rami bronchiali così leggermente modificati, trovansi in quelle parti dei lobi polmonari privi di noduli cancerigni ed in cui non esistono lesioni endova- scolari di natura specifica, le arterie bronchiali non ipertrofiche nè affette da endarterite iperplastica, e il parenchima polmonare quasi normale o con lieve enfisema alveolare. Tale grado di lesione esisteva solo nei lobi privi di noduli cancerigni (lobo anteriore e medio anteriore destro). 2° Rami bronchiali in cui l’infiltrazione cellulare sotto mucosa è assai più abbon- dante, l’epitelio di rivestimento in posto — co’ suoi elementi rigonfiati, a nucleo grosso e distinto nel citoplasma omogeneo — o in parte sfaldato. Non è bene evidente la prolifera- zione dell’epitelio, quantunque fra gli elementi cellulari infiltrati, dei quali è in gran parte ripieno il lume del bronco, se ne trovino di quelli che, pur avendo i caratteri di cellule endoteliali per la forma, la natura del protoplasma però li fa alquanto rassomigliare alle cellule epiteliali distaccate e commiste all’ essudato, onde è quasi ostruito il bronco. Le glandule mucose peribronchiali sono aumentate sì da formare un completo rivestimento parietale esterno che, in sezione trasversa, figura come un anello peribronchiale, risultante di glandole acinose vescicolari rotonde od allungate, con elementi proliferanti e con infil- trazione cellulare interstiziale più o meno notevole. Questo strato glandulare anulare è ben limitato all’esterno da tessuto connettivo fibroso in diretta continuazione al tessuto delle pareti alveolari ingrossate libere e rivestite da elementi epiteliali normali talvolta ingros- sati, o afflosciate e aderenti fra loro per neoformazione abbondante connettivale. Queste lesioni dei bronchi le ho osservate in quei lobi meno infarciti (lobo medio po- steriore destro, medio anteriore e posteriore sinistro) nei bronchi, cioè, circondati da tes- sutc polmonare che ne era privo e nel quale erano meno pronunziate le lesioni interstiziali, e in quelli ancora nel cui tessuto peribronchiale, benchè notevoli le alterazioni flogistiche croniche, non esistevano elementi cancerosi. 3° Rami bronchiali che mostravano alterazioni della mucosa, direi quasi caratteri- stiche e relative alla lesione principale polmonare osservata in questo gatto: la neoplasia cancerigna metastatica. In quei punti infatti ove questa è sviluppata in modo prevalente, i rami bronchiali compresi nella sua massa, o ad essa più o meno vicini, presentano nel loro epitelio di rivestimento e in quello delle glandole mucose peribronchiali modificazioni tali, che io credo importanti e meritevoli di speciale descrizione. L’epitelio nei minimi bronchi (bronchioli) mostra come primitiva alterazione, un ingros- samento del nucleo e del corpo cellulare analogo a quello notato nell’ epitelio alveolare, a cui segue quasi contemporaneamente la divisione nucleare e il distacco delle cellule dalla mucosa fig. 10°, a, le quali, continuando a proliferare, ne riempiono ed ostruiscono il — 135 — lume; mentre che nella membrana connettiva e muscolare del bronco non esistono fatti flogistici di rilievo, dai quali potrebbe trar ragione quel notevole e costante distacco epite- liale. Da questi piccoli ed estremi rami bronchiali, risalendo a quelli di maggior calibro fig. 7° i fatti relativi all’epitelio non mutano se non per la più tardiva occlusione del lume rela- tivamente alla sua ampiezza maggiore, e la partecipazione al processo, quantunque non costante, del connettivo sotto mucoso, i cui elementi vedonsi pure parzialmente proliferanti. Tale processo diviene più notevole nei bronchi più grossi, nei quali l’ epitelio proliferante riveste uniformemente la interna superficie della mucosa, a guisa di epitelio pavimentoso formante uno strato uniforme parietale progressivamente più alto, e tale da restringere gradatamente il lume dei bronchi di cui alcuni trovansi occlusi dalla neoformazione epite- liale, ma altri ancora pervî, fig. 7°, a 0. In questi infatti si trova quasi immediatamente applicato tutto ingiro all’interna superficie della membrana muscolare (che ora da sola ne forma la parete) lo strato epiteliale, costituito da cellule di forma prevalentemente rotonda fig. 8° e 9*, poche essendo fra esse quelle aventi forma poliedrica, con nucleo bene visibile ma sempre più piccolo in ragione inversa della grandezza delle cellule, il cui citoplasma diviene progressivamente e in ragione diretta del suo aumento sempre più omogeneo. In breve essi hanno più l apparenza di elementi endoteliali, e per tali potrebbero essere rite- nuti da chi, come a me è avvenuto, non trovando più in certi piccoli bronchi alcuna cellula coi caratteri distintivi dell'epitelio a loro proprio e vedendoli applicati immediatamente sulla tonaca muscolare, facilmente si persuade essere essi un prodotto della proliferazione delle cellule connettive, costituenti l’ esilissimo strato connettivale sottoepitelico, ora quasi scomparso come tale. L'altro e pur notevole fatto, è quello della iperplasia neoformativa glandolare peri- bronchiale. Una tale lesione si osserva costantemente nelle bronco-pneumoniti croniche del gatto, specialmente dipendenti da disturbi circolatorî in cui vi ha notevole rallentamento del corso del sangue, ed io ebbi a descriverne un caso molto importante consecutivo e parziale atrofia degenerativa del cuore, dipesa da lesione nervosa (1). Ebbi poi ad osservarla in altri gatti affetti da bronchite verminosa, però in questi l’ipertrofia glandolare non è sempre così notevole. Fra il primo caso e questo che ha dato argomento al presente scritto, vi sono molte analogie tanto circa alla forma e al grado deila ipertrofia adenomatosa, quanto per la patogenesi, in entrambi dominando la lesione circolatoria : in quello per indebolita azione cardiaca, in questo per le gravi lesioni indotte dallo sviluppo endarterioso dell’ epitelioma ; donde stasi, catarro bronchiale cronico, iperplasia del connettivo interalveolare, affloscia- mento e aderenze delle pareti degli alveoli. Vi ha differenza però nella progressiva neo- formazione glandolare, poiché, mentre nell’un caso e nell'altro evvi neoformazione adeno- matosa diffusa e uniformemente distribuita attorno alla parete bronchiale, in questo non è (1) Sopra un caso di atrofia parziale degenerativa del cuore da lesione nervosa in un gatto. — Memoria della R_ Accademia delle Scienze di Bologna. Serie IV, tomo IX, 1888. — 136 — limitata dappertutto dal tessuto fibroso proveniente dai setti interalveolari ingrossati, ma in quei bronchi vicini alla massa cancerigna, gli acini o tubi glandolari posti verso la pe- riferia divengono più grossi per più attiva proliferazione del loro epitelio e, pieni di questi elementi, perdono il carattere glandolare e confondonsi con quelli del cancro epiteliale i quali li rassomigliano nella prima loro fase di sviluppo. In alcuni, fra tanti preparati mi- croscopici, una tal maniera di comportarsi delle glandule mucose peribronchiali di fronte al progressivo sviluppo dell’epitelioma, che verso di loro si avanza, è così evidente che non può rimanere dubbiosa la differenza morfologica e genetica della duplice qualità dei due prodotti epiteliali. Da una parte la neoplasia epiteliale metastatica, irrompente da un’arteria in cui erasi sviluppata, avendo invaso il connettivo circostante e raggiunta la periferia dell'anello glandulare iperplastico attorno al prossimo ramo bronchiale, conserva sempre la medesima forma con disposizione papillare caratteristica dei suoi elementi. Dal- l’altra parte i cordoni epiteliali più periferici e pieni, provenienti dalle glandole, mostrano i loro elementi più grossi pel maggior sviluppo del citoplasma divenuto più trasparente, ed i nuclei anche più grossi e più trasparenti con pochi nucleoli. A questo punto la coesione fra questi elementi cellulari diminuisce e la forma cilin- drica dei prolungamenti glandolari va facendosi sempre meno distinta fino a trovarsi cumuli di cellule a protoplasma assai chiaro e con grossi nuclei ovali — apparendo perciò come affette da degenerazione mucosa — sparsi fra abbondante infiltrazione leucocitaria. Avvici- nandosi agli zaffi epiteliali, che rimangono sempre ben distinti per forma e disposizione dei loro elementi costitutivi, quelle cellule così trasparenti vanno facendosi più opache e più grosse, mentre i loro nuclei rimpiccioliscono e in molte scompaiono e la loro sostanza omo- genea assume una tinta rosea dal carminio, per cui meglio distinguonsi per una apparenza molto simile a quella già notata nelle cellule proliferate dell’ epitelio bronchiale : anche qui trovansi leucociti infiltrati, ma in numero minore. La sola differenza notevole è che mentre nel lume bronchiale, anche se occluso da loro, le cellule epiteliali proliferate e così modificate non cambiano notevolmente la loro forma, pure assumendo quella opacità e colorabilità proprie della degenerazione colloide ; in queste cellule provenienti dalle glandule e in vicinanza dell’epitelioma, in certi focolai limitati, è manifesta la scom[arsa totale del loro nucleo e il loro cambiamento di forma per cui divengono irregolarmente allungate ed angolose e qualche volta con tendenza a disporsi concentricamente, senza però giungere a formare dei globi epiteliali come nelle papille epiteliomatose. Tal fatto che non si osserva nelle glandole peri-bronchiali discoste dai noduli cance- rigni, fa supporre che molto probabilmente esso derivi da influenza esercitata sul potere neoformativo glandolare dallo sviluppo, in prossimità, del processo cancerigno; di guisa tale che, mentre in quelle abbiamo la produzione semplicemente adenomatosa, in questi esso degenerasi in epitelioma cancroide speciale, i cui elementi muoiono e trasformansi in una massa irregolare colloide, mentre le cellule dell’ epitelioma metastatico sì dispongono a formare dei globi epidermici di aspetto corneo e poi, disfacendosi in una massa granulare, scompaiono in mezzo ad abbondante infiltrazione leucocitaria, — 137 — Patogenesi. Nella patologia umana è ormai stabilito, che il maggior numero -— e questo è molto notevole — dei casi di cancro polmonare è di origine primitiva, mentre in patologia com- parata prevale il numero di cancri sviluppati secondariamente in quest’ organo, e pochissimi sono quelli primarî, che sono sempre studiati e descritti come rarità anatomo-patologiche. L’epitelioma non si trova nel polmone, secondo Rinafleisch, che allo stato di tu- more secondario. Lo Stazzi (1) ultimamente ha riferito ed accuratamente descritto un caso di Adeno-carcinoma primitivo del polmone in un cane. Il caso da me osservato e che ha dato argomento al presente lavoro (dopo tutto quello che si è detto circa i cancri secondarî o metastatici, accuratamente studiati e descritti sì nell’uomo come negli animali) non sarebbe apparso, a prima vista, meritevole di un cir- costanziato studio, e meno ancora di essere illustrato, nè io l’avrei fatto se le osservazioni istologiche che ho riferite non mi fossero sembrate di una certa importanza e degne di pubblicità. Ed è precisamente di alcuni di questi fatti che ora mi argomento di rintracciare la genesi e dedurre possibilmente qualche dato di patologia generale e trarne ancora una possibile ipotesi sulla genesi del cancro. È della genesi del cancro metastico del polmone che io debbo occuparmi e non della sua origine alla pelle del naso, donde poi si estese alle partì vicine, alle glandole linfatiche cervicali e da queste, per la via sanguigna, al polmone. Nonostante l'attenta osservazione del processo evolutivo dell’ epitelioma in discorso, non ho potuto confermarmi circa la teoria del processo formativo dei tumori cancerosi per modificazione della orientazione della divi- sione cellulare degli epitelîi, di Fabre-Domergue (2), teoria ingegnosa e seducente, per la quale tanto facile sarebbe di stabilire la patogenesi non solo, ma la diagnosi degli epi- teliomi, in molti casi abbastanza dubbia. Quel che parmi poter affermare circa la propagazione del presente neoplasma, è di essere essa avvenuta pei linfatici della faccia fino alle glandole cervicali, e da una di queste, in particolare, il materiale infettivo aver preso la via sanguigna e pel cuore destro essersi portato nei rami arteriosi polmonari. E a ciò credere sono indotto dalla mancanza assoluta di elementi o prodotti dell’ epitelioma in vicinanza immediata o mediata di dette glandole o nei tessuti del collo, o delle spalle o delle pareti toraciche, la cui esistenza nel caso di trasporto per la via linfatica avrebbe dovuto trovarsi, come è stato descritto in nume- rosi casi di metastasi cancerigna pei linfatici. Fra questi è a ricordarsi uno dei tre casi di cancro secondario nell’ uomo, riferiti da Velpeau (3) e comunicatigli da Wirchow, e relativo precisamente al caso di epitelioma propagatosi dal labbro alle glandole mascel- lari, iugulari e sternali, dando luogo a consecutivo sviluppo della neoplasia alle spalle, (1) Adeno-carcinoma primitivo in un cane. — Z Moderno Zooiatro, 1903. (2) Le cancers epitheliaux. — Paris 1898. (3) Gazzette Mèdicale de Paris, 1855. oe Le al tronco e da qui penetrato nella cavità toracica e dalla pleura al polmone. Nulla di simile trovai nel gatto, ed il polmone benchè infarcito inegualmente di noduli neoplastici e contenente altre alterazioni anatomiche che sopra ho descritte, era perfettamente libero, non aderiva, cioè, ad alcun punto della pleura costale o mediastinica, la quale non pre- sentava lesione di sorta, e quelle osservate nella pleura viscerale erano limitate ai punti corrispondenti ai noduli neoplastici superficiali del polmone. oltre i gangli linfatici bron- chiali non erano ipertrofici nè in altra guisa apprezzabile alterati. Le lesioni rilevate coll’ esame microscopico nei rami delle arterie polmonari, quelle relative, cioè, allo sviluppo dell’ epitelioma nel loro interno, hanno, a mio credere, molta importanza tanto per se stesse, quanto per il rapporto onde stanno colle altre lesioni ri- scontrate nel parenchima polmonare. L'origine e lo sviluppo dell’ epitelioma endarterioso 1 ho descritto, illustrandolo con figure, abbastanza dimostrative, di quei vasi arteriosi in cui esso erasi sviluppato primitiva- mente e di quegli altri punti delle medesime arterie in cui il trombo conseguente all’ occlu- sione del loro lume, da quello prodotta, aveva servito di base al suo ulteriore sviluppo. L’alterazione della parete vascolare per la presenza e le successive modificazioni del coa- gulo sanguigno conducenti alla sua, cosidetta, organizzazione, ha favorito la penetrazione, nel nuovo tessuto cicatrizio degli elementi del tumore o per la via circolatoria dei vasa- vasorum, 0 direttamente dall’ esterno per disgregazione dei tessuti della parete, come evidentemente rilevasi dalla fig. 6°. Nè è a credersi che il neoplasma metastatico siasi solo sviluppato nell’interno delle arterie, ma sibbene che gli elementi epiteliali infettivi siano arrivati in più piccoli vasi ed anche nei capillari embolizzandoli ed ivi s7iluppandosi in piccoli noduli dapprima, in alcuni dei quali è ancora possibile rintracciare la parete endoteliale e connettiva, ma in altri più numerosi non riesce di poterla trovare, tali essendo le modificazioni del tessuto determi- nate dallo sviluppo del neoplasma. È notevole che nei piccoli noduli è spiccata sempre la disposizione originaria dell’ epitelioma : uno strato periferico di cellule ovoidi coll’ asse mag- giore in direzione raggiata, e cellule poliedriche e piatte conglomerate concentricamente nel mezzo. Nodi e noduli cancerigni, dunque, dentro i vasi e fuori, nel parenchima polmonare, aventi tutti i caratteri di iniziale sviluppo localizzato, e non ne mancano nel tessuto peribronchiale, dove occupano probabilmente anche vasi linfatici; ma ivi, per la loro vasta estensione. deb- bonsi ritenere come sviluppati secondariamente all’ invasione dei vasi sanguigni. Ed infatti i gangli bronchiali apparivano macroscopicamente quasi normali, e coll’ esame microscopico non ho potuto trovare degli elementi epiteliali ben distinti, quali vedevansi nei gangli cervicali meno ingrossati. Tutto ciò vale, secondo io penso, a dimostrare che la metastasi dell’epitelioma è av- venuta esclusivamente pei vasi sanguigni, dai quali ebbe origine lo sviluppo del cancro metastatico polmonare e consecutivamente invase i linfatici peribronchiali, donde, se l’ani- male fosse stato lasciato vivere più a lungo, sarebbesi esteso ai gangli bronchiali. — 139 — Le lesioni anatomo-istologiche del parenchima polmonare e dei bronchi, osservate e descritte, sono riferibili in generale al processo flogistico cronico di tali parti; se non che, essendo esse state determinate alcune direttamente dalla genesi e sviluppo dell’ epitelioma metastatico, ed altre indirettamente per via dell’ostacolo circolatorio da quello cagionato e per la partecipazione del tessuto connettivo, è delle prime in modo speciale di cui cer- cherò esporre la patogenesi, ovvia essendo tale conoscenza circa le seconde. La mucosa degli alveoli come quella dei bronchi, mostra in generale le alterazioni della bronco-pneumonite cronica, fra le quali notevole è l ipertrofia, per neoforma- zione, delle glandule mucose peri-bronchiali; ma tanto gli alveoli quanto i piccoli bronchi che stanno in immediata vicinanza dei focolai epiteliomatosi o in questi compresi, mostrano modificazioni epiteliali specifiche e diverse da quelle della comune bronco-pneumonite cronica. Quelle isole quindi, in mezzo alla massa neoplastica cancerosa, di parenchima cogli alveoli ripieni di epitelio proliferato avente le speciali apparenze già descritte, nonchè i piccolissimi bronchi anch’essi ostrutti da epitelio apparentemente alquanto simile a quello degli alveoli — dal che deriva in gran parte l’ enfisema localizzato in varî punti. del pol- mone — debbono, come ho detto, ascriversi a speciale condizione locale determinata dallo sviluppo cancerigno. E questa è, come io credo, dovuta alla secrezione infettiva delle cel- lule cancerigne ammessa da tanti fra i quali il Noeggherash, il quale descrive specie di condotti emananti dai nuclei vacuolari che verserebbero il loro prodotto negli interstizî delle cellule cancerose, e dimostrata dal Galeotti (1) con ingegnose ed originali osser- vazioni. Tal secrezione, per i fatti ora osservati, pare avere azione solo sulle cellule epiteliali, perchè gli elementi connettivi, al contrario di quanto avviene nelle comuni infiammazioni croniche, non risentono primitivamente tanto forte lo stimolo come l’epitelio, in cui deter- mina ingrossamento e proliferazione nucleare e cellulare, il cui prodotto però differisce, per natura e disposizione degli elementi, da quello caratteristico del cancroide, in presenza del quale esso avviene. Si ha in breve un prodotto cellulare che nelle altre forme di car- cinoma può essere confuso con gli elementi proprî di questo, mentre nell’ epitelioma lobulato metastatico rimane distinto e ben differenziato. Ed è questo fatto appunto che mi è sem- brato importante e meritevole di pubblicità, perchè per esso si potrà in tanti casi accertare la diagnosi istologica di certi epiteliomi in cui le differenze cellulari spesso si ascrivono a fasi diverse del loro sviluppo, oppure’ si interpretano con diagnosi di tumori misti. E mi è sembrato inoltre poter in esso trovare la ragione di una plausibile ipotesi sulla etiologia del cancro, oggi tanto discussa, ipotesi che si allontana, senza però contraddirla assoluta- mente, dalla teoria parassitaria oggi dominante ma non ancora positivamente dimostrata. (1) Sulle granulazioni cellulari nei carcinomi. — Policlinico 1895. — 140 — Etiologia. Dell’esistenza o meno di blastomiceti in questo caso da me studiato, non voglio ora discutere : anch'io ho trovato i corpuscoli di Russel tingendo i preparati con carminio alluminoso e litico e colla saffranina ed acido picrico (metodo Kourloff) ed altri corpi diversi, ma a vero dire non mi persuasi sulla loro natura di esseri vivi parassitarî e bensì li ho creduti, come tanti altri osservatori — fra i quali il succitato Noegsherash — prodotti degenerativi di cellule epiteliali e di nuclei, poichè varî per grandezza e forma ed anche per la sede, onde il Bard (1) li fa derivare da multiple ed irregolari cariocinesi descritte dal Cornil. Ultimamente Keit W. Monsarrat (2) avrebbe isolato, in sette sopra dodici casi di cancro mammario, un parassita appartenente ai saccaromiceti, le cui culture inoculate pro- vocarono negli animali tumori epiteliali, e quindi lo ritiene patogeno del cancro mammario. Secondo le osservazioni di Jaboulay (83), il cancro epiteliale è dovuto ad un paras- sita vicino agli ematozoari, che diviene sporifero dopo la sua penetrazione nell’ epitelio. Le spore nascono nei nuclei i quali esse disgregano e che riprodurranno le cellule paras- sitiche. Il glicogene cellulare è trasformato in acido formico che correde i tessuti (donde l’ulcerazione) e in acido butirrico (donde l’odore speciale). Quindi la neoformazione morbosa cellulare, dovuta al protozoario, è quella che secerne sostanze velenose per l’ organismo. Loeb Leo (4) non esclude l'ipotesi dell’esistenza di un virus intracellulare ultra mi- croscopico, o di un virus extracellulare abbastanza grande per essere veduto, ma che non apparisce su tagli fissati. Malgrado queste ed altre osservazioni analoghe, la teoria parassitaria, che tanti hanno voluto sostenere, appoggiandosi alle loro osservazioni di corpuscoli nell’ interno delle cellule ritenuti come parassiti sporozoarì, e da tanti altri contraddette con osservazioni e studî non meno positivi, oggi è quasi abbandonata, e l’attenzione degli osservatori si è rivolta alle varie modificazioni cellulari, in seguito all'indirizzo dato dal Fabre-Domergue che è stato il più coscienzioso oppositore alla teoria parassitaria. Bashford e Murray (5) hanno confermato le conclusioni di Former, Moore e Walker, e cioè, che mentre nelle cellule periferiche dei tumori epiteliali maligni si osservano le figure cariocinetiche normali, in quelle profonde le loro mitosi avvengono come nelle (1) Cornil et Ranvier — Histologie pathologique. 3®e Edition. Paris 1902. (2) Bullettin Pasteur 1904. (3) Recherches sur la pathogenie des Cancers epiteliaux. — Journal de Physiologie et de Patho- logie generale 1903. (4) On transplantation of tumors. — American Medicin 1903. — Ueber des endemische Vorkommen des Krebses. — Centra2batt f. Bakter. (5) The significance of the zoological distribution, the natura of the mitoses and the transmissibility of cancer. Lancet 1904. — Bulletin Pasteur 1904. — 14l — spore dei vegetali e negli spermatozoi, e da ciò conclusero che i tumori maligni sarebbero paragonabili a tessuti di riproduzione anormali e godrebbero come tali di un potere accre- scitivo paragonabile a quello del testicolo dei mammiferi. Questo modo di mitosi però non sì osserva nei tumori metastatici, nè nel cancro del sorcio e concludono che la mancanza di tali forme non può far presumere della benignità di un tumore e che la malignità ri- siede soprattutto nella tendenza ad infiltrare e distruggere i tessuti. Il Campbell (1) ammette che le cellule dei nostri tessuti, comunque irritate, potreb- bero ritornare allo stato ancestrale, e così proliferare indefinitamente dando luogo a sar- comi e cancri. Le cause di tali retrocessioni sarebbero multiple e banali, irritazione di ogni specie (calcoli biliari, vecchie ulcerazioni, metriti croniche ecc.). Il Macintyre (2) combatte l'opinione circa la natura microbica del cancro, fondata sul fatto che i raggi Ròntgen sono parassiticidi ; poichè egli ha veduto che gli elementi cancerigni subiscono un'azione evidente da parte di tali raggi: essi, e specialmente le giovani cellule periferiche, perdono il loro contorno, il loro nucleo si frammenta, in seguito a che una inclusione fagocitaria fa scomparire i loro avanzi. Charles Powel White (3) nella sua Patologia, trattando della patogenesi dei tu- mori, dopo una critica delle varie ieorie sulla genesi del cancro, ammette che i tumori sono dovuti ad un equilibrio instabile delle cellule: una causa minima irritante basta per distruggere l'equilibrio normale. La dimostrazione della contagiosità del cancro parve, agli antichi fino ai più moderni osservatori, che dovesse fornire migliori positivi risultati circa la vera natura della causa determinante lo sviluppo di tal neoplasma. Ed a tale concetto erano condotti dalle osser- vazioni fatte e riferite, di molti casi di sviluppo endemico di cancro in certe località, di trasmissione per contatto immediato, di autoinoculazione, 0 per operazione estirpando il tumore ed inavvedutamente impiantando residui di tessuto canceroso, o di trasmissione al medico o all’infermiere osservando o curando l’ammalato, ecc. Dopo di che si pensò alla trasmissione sperimentale, innestando agli animali, in varia maniera, del tessuto neoplastico cancerigno dell’uomo, o da animale ad animale, e da più d’ un secolo si intrapresero tali esperimenti e sempre con risultato negativo. Non è che da un ventennio circa, che simili esperimenti furono ritentati su più vasta scala con risultati in maggior parte negativi e pochissimi positivi, ma dubbî circa alla natura del tumore riprodotto. Ultimamente (1904) il Dagonet (4), sperimentando, mercè iniezione di frammenti tri- turati e diluiti di un epitelioma pavimentoso epidermico dell’uomo nel cavo addominale di un ratto bianco, otteneva lo sviluppo del tumore su varì organi ivi contenuti, avente (1) Bulletin Pasteur 1904. (2) Journal de Physiologie et de Pathcl. gener. 1901. (3) Journal de Physiologie et de Pathol. géner. 1901. (4) Archives de Med. experimentale 1904 (Maggio e Settembre). e identici caratteri istologici di quello inoculato e quindi egli giustamente concluse per la contagiosità dell’ epitelioma pavimentoso. Successivamente lo stesso Dagonet e con lui il Mauclaire (1) sperimentavano in- nestando nella stessa maniera un adeno-carcinoma rettale dell’uomo nella cavità perito- neale di un ratto bianco. Il risultato è stato positivo e lo sviluppo del tumore in questo caso è avvenuto molto più rapidamente e l’animale è morto un mese e mezzo dopo l’in- nesto. All'esame istologico però non sì trovarono le cellule epiteliali cilindriche, bensì il tumore presentava caratteri difficili ad essere apprezzati dal punto di vista istologico, poichè le cellule che lo costituivano erano poliedriche, poste le une accanto le altre e per cui il tumore rientrava piuttosto nella classe dei sarcomi. Ripetuta l’inoculazione da questo in altro ratto, si ebbe pure un risultato analogo. È notevole il risultato positivo del primo esperimento coll’ innesto di epitelioma epi- dermico, ma quello del secondo per innesto di adeno-carcinoma rettale non esclude il dubbio circa una possibile coincidenza di un endotelioma addominale, che con una certa frequenza vassi osservando nei ratti albini. Ad ogni modo è dimostrata chiaramente la trasmissibilità dell’epitelioma cutaneo; e questo fatto sperimentale, ravvicinato a quanto ebbi ad osservare nella metastasi di analogo tumore al polmone del gatto, vale ad illuminare alquanto la patogenesi. Lo sviluppo dell’epitelioma endarterioso dimostra che le cellule portate in circolo, impiantandosi sull’intima vascolare, determinano un punto degenerativo locale e la caduta dell’ endotelio, e consecutivamente un processo flogistico-cronico con ingrossamento dell’ in- tima, sulla quale poi si localizza il progressivo sviluppo neoplastico. Non diversamente, credo, sia avvenuto, per l'esperimento fatto dal Dagonet, sulla sierosa peritoneale. Sono adunque le cellule cancerigne le quali, per virtù da loro acquisita di rapida e continua proli- ferazione, moltiplicandosi, dan luogo al prodotto neoformativo canceroso, il tessuto con- nettivo dell’intima servendo di semplice sostrato nutritivo. Ma donde deriva tal potenza proliferativa delle cellule epiteliali è il punto oscuro, e si tentarono le diverse spiegazioni surriferite, che colla stregua dei fatti clinici ed anatomici non reggono alla prova scientifica. Allato a quelle interpretazioni credo poter allogare un’altra, che mì viene suggerita dal fatto più importante osservato nel caso presente: che gli epitelii, cioè, dei bronchi e degli alveoli vicini o compresi nella neoproduzione cancerigna, proliferando continuamente hanno dato luogo a prodotti epiteliali dotati di caratteri proprî, per cui rimangono ben distinti da quelli epiteliali pavimentosi epidermici onde il tumore metastatico risulta esclusivamente formato. In modo analogo si è svolto il processo neoformativo nelle glandole peribronchiali, il cui epitelio proliferando normalmente ha dato luogo a semplice adenoma, ma all’ appros- simarsi delle papille cancerose, gli elementi di quello, più attivamente moltiplicandosi, hanno subìto una modificazione nella loro progressiva differenziazione arrestandosi ad una fase che potrebbesi interpretare come uno stadio intermedio fra le cellule proprie delle glandole (1) Archives de Med. axperimentale 1904 (Maggio e Settembre). — 143 — e quelle più giovani del tumore, ed anche, per la loro disposizione, reputarsi elementi de- rivati dal connettivo interglandolare, quantunque attentamente osservati riconoscesi induh- biamente la loro vera origine. Tali fatti mi condussero ad ammettere che le secrezioni cellulari canceriene, della cui esistenza ormai nessuno più dubita, hanno influito sull’ epitelio degli alveoli, dei bronchi e delle glandole, determinando la progressiva sua proliferazione, da cui ne derivano prodotti diversi dal cancro epiteliale, e invece poca influenza hanno spiegato sugli elementi connettivi. Ciò stabilito, con criterio analogico potrebbesi ammettere un’ ipotesi anche sulla genesi primitiva del cancro. Quando infatti si pensi che le secrezioni epiteliali fisiologiche, negli individui predisposti ad affezioni cancerose, possono per eredità o per altre condizioni so- matiche essere mutate o deviate dalla loro normale composizione e perciò modificata 1° at- tività nutritiva delle cellule rispettive, può eziandio accadere che uno stimolo qualsiasi che agisca su di queste ne svegli a preferenza l’attività proliferativa. Le secrezioni loro sarebbero pertanto maggiormente mutate — acquistando proprietà tossiche specifiche — e ritenute, spiegherebbero la loro influenza sugli elementi congeneri vicini come ebbe anche a vedere lo Israel (1) in due casi di carcinoma gastrico e il Marshall, il quale ammise che le cellule cancerose secernino prodotti stimolanti all’intorno una infiammazione reattiva. Tale genesi del cancro sarebbe autotossica, dipendente da condizioni particolari di origine eredi- taria e determinata da cause comuni o specifiche di varia natura. CONCLUSIONI Ed ora riassumerò in brevi conclusioni i fatti principali e le deduzioni derivatene, che sono: 1° L’epitelioma cancroide sviluppatosi nella pelle della faccia in un gatto di 11 anni, invase tutte e due le cavità nasali, distruggendole quasi completamente, si estese pei lin- fatici ai gangli cervicali del lato destro e di qui, pei vasi sanguigni, al polmone, dove si trovarono noduli di varia grandezza diffusi nel parenchima del maggior numero dei lobi dell’ organo. 2° Lo sviluppo di tali noduli metastatici ebbe origine nei rami dell’ arteria polmonare, conservando nel suo progresso la tipica struttura e disposizione degli elementi, come nel caneroide primitivo. Dalle più piccole di queste arterie e forse anche dai capillari il tumore invase di seguito il connettivo peribronchiale, estendendovisi nella forma papillare originaria. 3° Per l’occlusione delle arterie, dovuta al crescere del cancroide, ne seguì trombosi, per cui si rese possibile la penetrazione del neoplasma dall'esterno nelle arterie, disgre- gando le fibro-cellule muscolari della media, in gran parte degenerate per la difettosa nu- trizione dal trombo cagionata. 4° Da tali multiple occlusioni vascolari arteriose ne seguì grave disturbo circolatorio, (1) Ueber die ersten Aufange de Magenkrebses. Berlin Klin. Wochenschr. 1890. — 144 — stasi e trombosi venose, donde cronica broncopneumonite generale con prevalenti lesioni interstiziali. 5° Le alterazioni dei bronchi e degli alveoli in vicinanza dei noduli cancerosi, con- sistevano massimamente in proliferazioni del loro epitelio, onde restavano ostrutti gli uni e gli altri da una massa di cellule epiteliali neoformate, aventi caratteri speciali e diffe- renti da quelle proprie del cancroide. 6° Un fatto simile era avvenuto nelle glandole mucose peribronchiali. Delle quali (oltre al trovarsi ipertrofiche in tutto il polmone, come di solito avviene nelle bronco- pneumoniti croniche consecutive a disturbi circolatori) nei punti vicini ai noduli cancerosi, gli acini e tubi glandolari ipertrofici mostravano una attivissima proliferazione del loro epitelio, per cui, perduta l'apparenza dell’adenoma, acquistavano caratteri di neoplasma carcinomatoso, ma ben distinti da quelli dell’ epitelioma metastatico. 7° Tal fatto neoplastico speciale localizzato ai piccoli e minimi bronchi, nonchè agli alveoli ed alle elandole peribronchiali vicini al noduli cancerosi, ho creduto doversi attri- buire ad influenza esercitata sull’ epitelio degli uni e delle altre dalle secrezioni tossiche cellulari del cancroide metastatico. 3° La metastasi dell’ epitelioma cancroide è avvenuta pel trasporto delle cellule, le quali, come evidentemente risulta dalla presente osservazione del suo sviluppo endarterioso, essendo dotate intimamente di virtù tossico-parassitaria, inducono alterazioni del tessuto ove esse si soffermano, preparando così il terreno propizio alla loro nutrizione, ed attiva- mente proliferando dànno origine per se stesse allo sviluppo del nodulo metastatico, che è un vero e proprio trapiantamento del neoplasma primitivo. 9° Infine, con criterio analogico, mi è sembrato potere avanzare la probabile ipotesi : che l’ origine primitiva del cancro epiteliale si possa attribuire ad un mutamento delle .se- crezioni epiteliali normali in individui predisposti, per eredità o altre condizioni somatiche, alle aifezioni cancerose; nel quale stato l’azione di qualsiasi causa, comune o specifica, determinerebbe una straordinaria attività proliferativa degli epiteli, le cui secrezioni acqui- stando una tossicità specifica agirebbero come stimolo morboso sui prossimi elementi con- generi e da qui l’estendersi, per continuità, del neoplasma cancerigno. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1° —— Sezione trasversale di glandola linfatica cervicale affetta da cancro epiteliale metastatico. — Ingr. 100 volte. a parenchima glandolare. b strato epidermoidale cancerigno limitato all’esterno dal tessuto della glandola e li- mitante all’interno una cavità occupata in gran parte da detritus del tessuto cancerigno. c larghe papille del tumore poggianti sul parenchima glandolare. Fio. Fig. SI d papille del tessuto glandolare limitate da uno strato continuo di cellule epiteliali cilindriche. e perle o globi epidermici. f cellule epiteliali sformate e in via di disfacimento, rimaste aderenti alla faccia in- terna dello strato cancerigno. g granuli, e masse di granuli di eleidina. 2° — Sezione longitudinale di una piccola arteria polmonare nel cui interno si inizia lo sviluppo del cancro epiteliale metastatico. -- Iner. 260. a neoplasia epiteliale perivascolare, propagatasi dalle glandole peribronchiali nei linfatici. b media dell'arteria. c proliferazione degli elementi connettivi dell’ intima. d elementi epiteliali frammisti. e trombo con elementi endoteliali esfoliati, leucociti, e cellule epiteliali. . 8% -— Sezione trasversa di ramo arterioso polmonare molto dilatato per avanzato svi- luppo di cancro epiteliale metastatico nel suo interno. — Ingr. 100. a cancro epiteliale perivascolare con tre globi epidermoidali e che ha in parte invasa la parete diseregando le fibre muscolari della media. b altro lobo epiteliale con disfacimento granuloso nel centro. c membrana arteriosa media atrofica e con fasci fibrosi diseregati. d intima ingrossata per proliferazione de’ suoi elementi e formante papille sulle quali poggia il e neoplasma epiteliale cancerigno con papille epidermoidali varie ed irregolari per forma e grandezza. f parte più stretta del vaso in cui non è arrivata la neoformazione epiteliale. . 4° — Sezione trasversa di ramo arterioso polmonare, con sviluppo progredito dell’ epi- telioma nel suo interno. — Ingr. 400. a tessuto epiteliale con papille che si insinua fra le fibre muscolari della media di- sgregate. d intima con pochi elementi proliferanti. ce media con fibrocellule scostate da elementi connettivi infiltrati. 5° — Sezione trasversale di arteria polmonare, nel cui interno vedesi molto sviluppato l’epitelioma cancerigno metastatico. — Ingr. 400. a media infiltrata di elementi connettivi. b intima con attiva proliferazione connettivale, infiltrata di cellule epiteliali, formante papille irregolari e ben rilevate. c cancro epiteliale papillare i cui elementi periferici sono irregolarmente disposti e mandano prolungamenti ciliari nel connettivo sottostante. d parte centrale del neoplasma con cellule disgregate ed infiltrata di leucociti. e cellule di varia forma e disposizione, dello strato profondo delle papille epiteliali. Fio. Fig. Fio. Fig Fig. — 146 — 6° — Sezione trasversa di polmone invaso dalla neoplasia cancerosa. — Ingr. 75. a.a epitelioma papillare, nelle sue parti centrali degenerato. b vaso sanguigno con trombo. c papille del neoplasma epiteliale impiantate sul tessuto dell’avventizia proliferante. d media dell’arteria i cui fasci di fibrocellule sono disgregate dagli elementi epiteliali infiltrati. e.e papille dell’ epitelioma penetranti nell’ interno del vaso da esse perforato e già prima occupato da trombo. f epitelioma sviluppatosi nel tessuto derivato dall’ organizzazione del trombo, ed ade- rente anche alla periferia interna del vaso mercè le ciglia delle sue cellule. 7° — Sezione longitudinale di un piccolo ramo bronchiale quasi ostrutto da neoforma- zione derivata da proliferazione del suo epitelio. — Ingr. 60. a neoformazione epiteliale. b apertura circolare corrispondente all’ apertura di un ramo laterale del bronco. c parete muscolare e fibrosa del medesimo. d neoformazione glandolare peribronchiale derivante da iperplasia delle glandole mu- cose preesistenti. 8° — Sezione trasversa di un piccolo ramo bronchiale, in cui si vede la proliferazione - dell’epitelio dalla periferia verso il centro del lume bronchiale — Ingr. 650. . 9* — Id. Id. ad un grado più avanzato. — Ingr. 650. Le cellule epiteliali più interne vanno man mano diventando più piccole, i nuclei pure fino a scomparire, e le cellule appaiono come placchette omogenee tinte in rosso dal carminio, fra le quali molti leucociti infiltrati. 10* — Sezione di un ramo bronchiale piccolissimo. — Ingr. 80. a.a epitelio sfaldato e proliferante. b tessuto connettivo della mucosa. c parete fibro-muscolare del bronco. d tessuto peribronchiale neoformato per proliferazione delle cellule epiteliali degli al- veoli circostanti. VI.Tomoll ® Serie em. fo) SS S 5 ca >il Qu DS) N at SS ui si lit. i E.Contoli dal vero. dis. Atajoechi — Purpia annularis teleangectodes. — Parte Il. . . 3%: zoni e L. Panichi — Sulla permanenza dello Pneumococco del Frinkel sangue degli individui guariti di polmonite fibrinosa . . ... . ife della idra: con una tavola .. ERRE o na Acromi dr: con i intercalate nel testo Pag. » 37 47 59 81 93 107 123 vt spera 2 acrger r negano ce E î ° 4 ° PA il PST Vetri DA MEMORIE DELLA ADEMIA D VAGO, PA scicoli Terzo e Quarto. PRA + E. Sini BOLOGNA È TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI 1905 ‘ ih E » ai dea PIE PRA e DEA E Li OSSERVAZIONI SULLA VITA RO SUL PARASSITIONO: DI ALCUNE SPRCIE DI PIPTOCEDKALIS NOTA DEL PROF. FAUSTO MORINI (letta nella Seduta del 7 Maggio 1905) (CON TAVOLA) E noto come una importante forma di Piptocephalis venne accuratamente investigata dal de Bary sotto la denominazione di Piptocephalis Freseniana; e che lo stesso Mico- logo fondò il genere nel 1865 (1). Poscia, abbiamo le importanti ricerche principalmente del Brefeld, del Van Tieghem e del Bonnier, dai quali sono state singolarmente ampliate le nostre conoscenze non solo sulla sistematica, ma anche sulla biologia di altri fungilli appartenenti al genere medesimo. Il complesso di queste osservazioni, è stato utilizzato da A. Fischer neila sua descrizione del gen. Piptocephalis e delle relative Specie (2). Piptocephalis Freseniana De Bary. Le ricerche intraprese su questa specie si riferiscono principalmente al suo parassi- tismo, ad alcune particolarità anatomiche del suo micelio e delle ife fruttificanti, ed allo sviluppo delle zigospore. Osservai la P. Freseniana parassita del micelio, ma principalmente delle ife frutti ficanti del Pilobolus crystallinus; questa diffusione della vita parassitica dal micelio alle (1) Abhandl. Senckenb. naturf. Gesellschaft; V, pag. 356. (2) Rabenhorst’ s Kryptogamen - Flora von Deutschland, Oesterreich und der Schweiz. — Erster Band, IV. Abtheilung: Pilze. Lief, 49, Phycomycetes pag. 287-294. Serie VI. — Tomo II. 2A — 148 — ife sporangiofore è molto importante, perchè le diramazioni austoriali della specie suddetta generalmente aggrediscono i filamenti del micelio. Preferentemente, le ife miceliali della P. Freseniana si raccolgono sulla trofocisti, che avvolgono con un denso intreccio, e quà e là sviluppano entro quella i soliti austori, che vengono prodotti anche dentro la vescicola sottostante. Stabilitosi questo parassitismo, è facile dar ragione con esso della vita rigo- gliosa e dello sviluppo lussureggiante degl’ individui parassiti, stante la notevole quantità di materiali nutritizi raccolti massime nella trofocisti. Le ife sporangiofore sono molto più lunghe e più cospicuamente ramificate che nelle forme comuni, e gli sporangi sono alquanto più grossi e più lunghi. Osservai la detta specie ancora parassita nel micelio del Mucor Mucedo; una parti colarità degna di essere menzionata è che gli austori deviano alquanto dalla forma tipica finora conosciuta, e cioè il ramulo ifico della Piptocephalis penetrato nei tubi miceliali del Mucor, si rigonfia acquistando forma più o meno regolarmente globulosa, ma da quasi tutta la superficie di questa appendice si diramano esilissimi filamenti semplici o ramificati che si allungano all’ intorno (fig. 3°). Nelle ife sporangiofore, pressochè sempre riscontransi, immersi nel protoplasma fonda- mentale, numerosi cristalloidi di mucorina (fig. 1°). La ramificazione è in generale dico- tomica come nelle altre specie di Piptocephalis, però talune volte si ha il predominio nello sviluppo di un ramo sull’ altro. Le così dette formazioni conidiali del Brefeld e del Fischer nelle nostre culture manifestamente palesaronsi come sporangi germinati dalla cellula basale corrispondente a ciascuna delle ultime diramazioni delle ife fruitifere. E nella specie qui studiata, si allungano in formazioni cilindriche, le quali simultaneamente danno origine ognuna, mediante segmentazione trasversale, a 3 o 4 cellule filiali, le spo- rangiospore, che poi sono messe in libertà mediante disfacimento della membrana della cellula materna. Le particolarità più importanti osservate, si riferiscono alla formazione delle zigo- spore. E noto che queste si costituiscono secondo il tipo di copulazione campilotropo (1) causa l’incurvazione dei due gameti ifici. Ora, non di rado accadde di osservare in questi soltanto un leggiero grado di curvatura (fig. 4°); una tale contingenza non è priva di interesse, ove si consideri la generalizzazione nelle specie di Piptocephalis del processo precedentemente indicato e 1’ approssimazione notevole che così si ha verso il tipo ses- suale ortotropo proprio dei Gen. Mucor, Sporodinia, Rhizopus, Absidia, Thamnidium e Chaetocladium. î i Riguardo alla germinazione delle zigospore, queste solo di rado diedero origine ad un micelio, però poco sviluppato, dal quale formaronsi le ife sporangiofore ; e nella grande maggioranza dei casi, dalla zigospora sviluppossi direttamente un’ ifa sporangiofora che dopo essersi scarsamente ramificata in via dicotomica, ha dato origine agli sporangi, i (1) Schencek — Handbuch der Botanik; Breslau, 1890 — B. IV: Die Pilze von Wilh. Zopf; pag. 341. cc quali per solito mostrano una depauperazione nella formazione delle sporangiospore, la quale può discendere anche a due solamente. II. Piptocephalis cylindrospora Bainier. Ho potuto osservare questa specie parassita in aleune specie di Mucor, e specialmente del Mucor Mucedo, M. racemosus ed anche del Ahizopus nigricans. Le particolarità più interes- santi in essa osservate si riferiscono al micelio, relativamente alle sue appendici austoriali, ed alla cellula basidiale. Gli austori mancano per solito di quel rigonfiamento globuloso, dalla cui porzione interna si dipartono numerose ed esilissime ife succhianti che si allun- gano nel protoplasma dell’ ifa miceliale ospitatrice; infatti, il ramulo ifico del parassita penetrato nel filamento miceliale del Mucor, senza prima rigonfiarsi a bolla, si ramifica direttamente in sottilissime ife assorbenti, con non grandi differenze di fronte a quanto è conosciuto in alcune Peronosporee. La cellula basidiale è piuttosto voluminosa ed è pres- sochè globulosa e nella sua faccia libera sviluppa numerose papille, da ognuna delle quali prende origine uno sporangio brevemente cilindrico, che genera da 3 a 5 spore. Mediante culture continuate a lungo in liquidi nutrizi molto concentrati, sì è potuto giungere ad ottenere, però con poca frequenza, da queste spore lo sviluppo di un micelio tenue e poco diffuso, dal quale sonosi formate alcune poche ife sporangiofore, ma molto sottili, brevi e generanti ognuna pochi sporangi assai tenui. L'importanza di questa osservazione risiede nel fatto che, nonostante abbiasi uno sviluppo tanto depauperato e ridotto, tuttavia 1’ evo- luzione del fungillo ha potuto aver luogo completamente ed indipendentemente dal fungillo ospitatore, a spese delle sostanze nutrizie contenute nel substrato in cui venre coltivato. Quindi, secondo queste osservazioni, detta specie di Piptocephalis non sarebbe un parassita rigorosamente obbligato, come ammettono il de Bary ed altri, ma in determinati casi, quantunque di rado, può ancora vivere saprofiticamente. II. Piptocephalis fusispora Van Tiegh. In questa specie, riscontrata parassita nelle ife miceliali di Phycomyces e di Mucor, mediante pazienti e prolungate culture, si è potuto osservare lo sviluppo delle zigospore (Fig. 5°). I caratteri di queste deviano notevolmente da quelli della P. Freseriana, nella quale sono state osservate le zigospore. Nella P. fusispora le zigospore sono globulose e l’episporio è provvisto di papille emiglobose alquanto allontanate le une dalle altre; il loro colorito è bruno nerastro ed il loro diam. trasverso oscilla. fra i p 42 e 50, quindi sono più voluminose che nella P. Freseriana. L° endosporio è sottile e scolorato. Lo svi- luppo di queste zigospore avviene nella modalità generalmente caratteristica per le specie di Piptocephalis, e cioè secondo il tipo campilotropo. — 150 — I due gameti contengono abbondante quantità di poliedroidi di mucorina. Nella germi- nazione di dette zigospore e dopo un tempo piuttosto lungo di vita latente (che varia da qualche settimana a circa due mesi), si sviluppa un’ ifa sporangiofora piuttosto breve (fig. 6), le cui ultime ramificazioni danno origine a sporangi corti, angustati alle due estremità, che scaturiscono da una cellula basidiale provvista di due o tre papille ; per cui da ciascun ultimo ramulo fruttificante si sviluppano infine solo da due a tre sporangi. Invece, negli individui sviluppatisi parassiticamente su ife miceliali di diverse Mucorinee, gli sporangi sono molto numerosi per ogni cellula basidiale, e lo sviluppo in generale è molto più rigo- glioso. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Piptocephalis Freseniana de By. Fig. 1°. — Tratto della porzione terminale di un’ifa sporangiofora: nel protoplasma sono immersi numerosi cristalloidi di mucorina. Fig. 2° — Alcuni sporangi: @, sporangi ancora interi; d, uno sporangio dal quale sonosi liberate le spore. Fig. 3* — Breve tratto di un’ifa miceliale di Mucor Mucedo con due diramazioni ifiche austoriali della Piptocepalis suddetta. Fig. 4° — Una zigospora coi due gameti lievemente incurvati, per cui questi rappresen- (©) _ lo 7 tano una forma intermediaria fra il tipo retto ed incurvato dei gameti stessi. JUL, Piptocephalis fusispora Van Tiegh. Fig. 5° — Una zigospora con papille emiglobose. Fig. 6° — Una zigospora che ha germinato direttamente un’ifa sporangiofora ramificata dicotomicamente. ERRO E.Contoli lit. Bologna -Lit.E. Rizzoli 1A NO SULLE CARICHE ELETTRICHE ACQUISTATE DAI CORPI COLPITI DAI RAGGI DEL RADIO PLILILEZA MEMORIA DEL Prof. AUGUSTO RIGHI (Letta nella Sessione del 14 Maggio 1905) INTRODUZIONE E noto che un corpo, quando è colpito dai raggi emessi dai corpi radioattivi, emette alla sua volta nuovi raggi, detti raggi secondari, i quali, almeno in parte, sono raggi catodici, e cioè constano di elettroni negativi lanciati con velocità più o meno grande. Conseguenza immediata di questa emissione di elettroni è la formazione di una carica positiva nel corpo stesso. Anche altre radiazioni producono lo stesso fenomeno, e cioè quelle scoperte dal Ròntgen, e le ordinarie radiazioni luminose e ultraviolette. Anzi 1° elettriz- zazione positiva per opera di radiazioni fu per la prima volta da me constatata, facendo cadere sopra il corpo dei raggi ultravioletti, mentre fu il Lenard che, mediante esperienze nel vuoto, dimostrò essere le particelle negative emesse non altro che elettroni. Ma le radiazioni agiscono altresì sui gas che attraversano rendendoli conduttori, in seguito alla ionizzazione da esse prodotta, cioè alla scissione delle molecole in ioni delle due specie, o in ioni positivi ed elettroni negativi. In causa di tale conducibilità la carica positiva, che va acquistando il corpo colpito dalle radiazioni, si disperde man mano, e quindi in certi casi resta difficile il dimostrarne l° esistenza, qualora non si escluda com- pletamente o quasi il gas, cioè se il corpo colpito non sia posto entro un recipiente, nel quale si sia fatto un buon vuoto. Però la ionizzazione prodotta dai raggi luminosi ed ultravioletti è assai debole, e finora è stata posta in evidenza soltanto nel caso dei raggi a brevissima lunghezza d’ onda, assor- bibili rapidamente da strati d’aria di pochi centimetri di spessore, che sono emessi in quantità apprezzabile solo da certe sorgenti, per esempio dalle scintille elettriche fra elettrodi di alluminio o di cadmio. Perciò quando si constatò la formazione della carica positiva nei corpi colpiti dalle radiazioni luminose o ultraviolette, non fu necessario sopprimere il gas che li circondava, mentre invece, quando si tratta dei raggi di Ròntgen o dei raggi emessi dai corpi radioattivi, i quali tutti ionizzano fortemente i gas, bisogna operare nel vuoto. Serie VI. — Tomo II. 22 — 152 — Nel caso dei raggi X il corpo che ne è colpito, oltre che emettere elettroni negativi, diviene anche sorgente di nuovi raggi X meno penetranti di quelli incidenti, cosicchè i raggi secondarî constano in tal caso e di raggi catodici e di raggi X. Altrettanto verosi- milmente accade per opera dei raggi del radio, ma è solo l'emissione di elettroni, che qui viene presa in considerazione. Nel considerare i fenomeni elettrici prodotti dai corpi radio- attivi non bisogna dimenticare inoltre, che la radiazione da essi emessa è di natura com- plessa. Essa in generale consta dei raggi «, analoghi ai raggi canali e costituiti dalla emissione di particelle cariche positivamente, dei raggi f, identici ai raggi catodici, e dei raggi Y, che si ritengono essere della stessa natura dei raggi di Ròntgen. È chiaro qnindi che alla carica positiva, che il corpo colpito acquista in seguito all’ emissione dei raggi secondarî, dovranno sovrapporsi le cariche prodotte dalle particelle « e dagli elettroni f. Generalmente però si può tener conto solo di questi ultimi, perchè i raggi « sono assorbiti rapidamente dall’ aria e dai corpi tutti anche in lamine relativamente assai sottili ; si può anzi praticamente ammettere, che la laminetta di mica, che di solito copre ed impri- giona il sale di radio nella capsuletta d’ebanite che lo contiene, assorba interamente i raggi «° In seguito alla semplificazione che ne risulta si può dire, che un corpo esposto ai raggi del radio tende ad elettrizzarsi negativamente in causa dell’ assorbimento da esso prodotto sui raggi f incidenti, ossia in causa degli elettroni che in esso restano trattenuti, e posi- tivamente in causa della emissione di raggi secondari provocata dagli stessi raggi f e dai raggi {. È verosimile però che l’ azione dei sia assai piccola in confronto di quella dei f, e che possa perciò trascurarsi. Si vede ad ogni modo che la carica prodotta nel corpo, la quale si è trovato esser sempre negativa, è la differenza fra le due cariche di segno opposto, essendo maggiore quella dovuta all’assorbimento di elettroni di quella dovuta all’ emissione. L'ammontare di questa carica risultante varierà, a parità di condizioni, mutando il corpo messo in esperienza, giacchè si sa che generalmente i diversi corpi per una me- desima radiazione incidente emettono in quantità diversa i raggi secondarì. Di qui la pos- sibilità di studiare con un metodo elettrometrico 1’ emissione dei raggi f_ secondarî, cioè dei raggi secondarî costituiti dalla emissione di elettroni negativi. È appunto un tal metodo che ho impiegato in una serie di esperienze, dei cui risultati dò notizia nella presente Memoria. Apparecchio. Ai corpi, che ho studiato col metodo elettrico, alio scopo di riconoscere in qual ordine vanno disposti relativamente a ciò che potrebbe chiamarsi potere emissivo pei raggi 8 secondarî, diedi sempre la forma di dischi, più o îeno grossi a seconda dell’ opportunità pratica, ma tutti col diametro di 5 centimetri. Il disco in esame D (fig. 1) è introdotto in un recipiente, nel quale è fatto un buon vuoto, costituito da una campana di vetro 45, congiunta ad un tubo di vetro GZ, avente la forma indicata nella figura, munito di un ramo laterale M comunicante colla pompa a mercurio. Contro la bocca della campana è applicata col grasso da rubinetti (1) una lastra piana CE munita di una finestra Y chiusa da una sottile laminetta d’ alluminio. È contro di questa che si colloca la capsuletta contenente il radio (quindici milligrammi di bromuro), allorchè si vuole che i raggi 8 da esso emessi colpiscano il disco D. Questo è avvitato all'estremità di un’asticella d’ alluminio ZZ circondata da un cannello di vetro e comunicante, per mezzo d’ un sottile filo metallico, col filo di platino 7° saldato attraverso il vetro all’ estremità del tubo GA. E da questo filo di platino che parte un lungo filo di rame 7'U, circondato da un tubo metallico V comunicante col suolo, e che serve a stabilire la comunicazione fra il disco D e 1’ elettrometro a quadranti. L'asta IL può scorrere nella propria direzione, guidata da due apposite strozzature del tubo GZ. Si può così variare a piacere la distanza fra il disco D e la finestra Y, ed a questo scopo basta spostare un rocchetto percorso dalla corrente e circondante il tubo GZ, il quale agisce sopra una massa di ferro dolce L fissata all’ asticella ZI. Questo rocchetto non è rappresentato nella figura. D'altronde non trovai necessario profittare molto della mobilità U ,*3°3|| «UR ,,}IÙÒ N ; pia a IAU A AoAÌÌÌÒ n del disco D; anzi nelle esperienze definitive la sua distanza dalla finestra Y fu invariabil- mente mantenuta eguale ad un centimetro. È importante far sì che i raggi del radio non colpiscano, per quanto è possibile, altri corpi all’ intuori del disco D, e segnatamente il filo 7U e 1° elettrometro. Servono all’ uopo due grandi lastre di piombo, di cui in AS e PQ è rappresentata la parte centrale, come pure un disco di piombo NO posto entro la campana e forato nel mezzo. Queste lastre di piombo devono comunicare col suolo, e così pure la faccia interna della lastra C£ che, come si vedrà fra poco, è in gran parte metallica, non che una reticella metallica rico- prente la parete interna della campana, e destinata a sopprimere le perturbazioni dovute alle eventuali cariche del vetro. (1) Da lungo tempo faccio uso con ottimi risultati d’ un miscuglio di cera bianca, sego e olio d’ uliva; le proporzioni variano a seconda della temperatura ambiente. — 154 — La lastra CE con relativa finestra Y merita una descrizione particolareggiata, giacchè essa deve produrre una perfetta chiusura, pure riducendosi a non essere costituita in Y che da una sottile lamina assai permeabile ai raggi f. La fig, 2 mostra la struttura che, dopo alcune prove, ha assunto definitivamente. La lastra AB è di grosso vetro da specchi, per cui attraverso ad essa si può ad ogni istante vedere se il grasso, di cui si è leggermente spalmato 1° orlo CD della campana, formi o no una perfetta chiusura, circostanza questa oltremodo utile nella pratica, e che mancherebbe, se la lastra AB si facesse tutta in metallo. Nella lastra di vetro AB è stata praticata una grande apertura circolare FG, che poi si è chiusa con un coperchio di ottone lavorato al tornio, la cui sezione ha la forma EFGH. Il coperchio venne ap- plicato al vetro dopo avere riscaldato l uno e l’ altro sino a fusione di ceralacca, e dopo avere applicato uno strato di questa sostanza sulle superficie che dovevano toccarsi. Un piccolo orlo di ceralacca, che vedesi in £, F, G, H, aumenta la sicurezza della buona tenuta. Nel coperchio è praticato un foro circolare OP di due centimetri di diametro, che è poi chiuso colla laminetta di alluminio. Stante la difficolià di ottenere una buona e durevole saldatura fra alluminio ed ottone, ho ricorso ancora alla ceralacca di buona qualità. La lami- netta d'alluminio, grossa circa 85 millesimi di millimetro, ha forma di disco ZL, premuto contro il coperchio NG da un anello di ottone MN, che provvisoriamente è tenuto a posto da morsetti. Mentre il tutto è caldo a fusione di ceralacca, si riempie con tale sostanza fusa len- tamente a parte in una capsula, lo spazio anulare restante fra |’ anello MN e il coperchio £7, formando una massa continua, che nella figura è rappresentata con punteggiatura. Allorchè il lavoro è compiuto, e mentre il metallo è ancora caldo, è bene, spingendo col pollice il centro della laminetta, dare a questa B una forma convessa verso l’ interno, come si vede in 0QP. La pres- sione atmosferica ad ogni modo la incurverebbe in tal modo più tardi, ma col pericolo di produrre qualche distacco. Se dopo un lungo uso si scorge, che la tenuta dell’ apparecchio non è più perfetta, basta scaldare il sistema AEMNHB sino a rammollimento della ceralacca, per ripararlo a dovere. Per fare il vuoto nella campana di vetro ho adoperato, oltre alla pompa a mercurio, anche una pompa ad olio a due cilindri, colla quale in pochissimo tempo si riduce la pressione a qualche inillimetro ; dopo di chè la pompa a mercurio, che comprende sei tubi di caduta, produce la rarefazione massima. In meno di mezz’ ora, a partire dall’ istante in cui l'apparecchio veniva chiuso, la pressione, misurata con un manometro di Mac Leod, scendeva al di sotto di un millesimo di millimetro; perciò nel corso di una giornata si potevano provare parecchie sostanze, pur ripetendo più volte con ciascuna di esse le espe- — 155 — rienze. Queste non si cominciavano che dopo aver lasciato agire la pompa a mercurio per qualche minuto ancora, dopo che la rarefazione era giunta al punto indicato, e dopo aver sospeso l’azione della pompa stessa. Mi accorsi infatti che, mentre agiva la pompa ed anche per qualche momento appresso, il sistema disco-elettrometro, una volta isolato, acquistava spontaneamente e irregolarmente qualche carica elettrica. Dopo avere fatto molte esperienze coll’ apparecchio descritto, ebbi bisogno di esporre ai raggi del radio dei corpi in polvere od in frammenti. Ciò rese necessaria qualche modificazione all’ apparecchio. Prima di tutto questo fu disposto col suo asse in direzione verticale: poi al posto del disco D posi una scatoletta cilindrica d’ alluminio sottile, alta circa un centimetro e di cinque centimetri di diametro, destinata ad essere riempita dal corpo in esame, che poi veniva coperto con una foglia di alluminio, la quale, come si vedrà più oltre, non modifica sensibilmente i risultati, mentre permette di mettere in esperienza anche i corpi non conduttori. Infine fissai | asticella ZI nel tubo GA, in tal posizione, che la distanza fra quella foglia e la finestra fosse di un centimetro. Naturalmente se non avessi in principio creduto di dover rendere mobile il disco Y, l ap- parecchio sarebbe riuscito assai più semplice, e tale lo farei se dovessi da capo costruirlo. Condotta delle esperienze. Se nell’ apparecchio si avesse un vuoto quasi assoluto, tale per esempio da non potersi in esso ottenere che con somma difficoltà delle scariche, le esperienze si eseguirebbero in un modo semplicissimo. Basterebbe cioè col contasecondi alla mano misurare di quanto devia l’ elettrometro in un dato tempo, allorchè il radio è messo contro la finestra, per dedurne subito la variazione di potenziale per secondo, o anche la quantità d’ elettricità acquistata dal disco, se la capacità del sistema conduttore costituito dal disco stesso e dall’ elettrometro è nota. Sostituendo poi a quel primo disco un altro di diversa natura, e facendo un’ analoga misura, si avrebbe subito modo di riconoscere quale dei due dischi emetta in maggior abbondanza i raggi f secondari. Infatti, essendo nei due casi identica la radiazione incidente, quello dei dischi, che emette maggior quantità di raggi secondari, si caricherà di elettricità negativa più lentamente dell’ altro. Ma anche coll’ aria rarefatta sino al millesimo di millimetro (tale essendo presso a poco la massima rarefazione otteni- bile nel mio apparecchio) la conducibilità da essa acquistata, allorchè è attraversata dai raggi del radio, è sufficente per falsare le misure. Infatti, ho sempre osservato il seguente fenomeno. Mettendo per un istante in comu- nicazione colla terra il sistema disco-elettrometro, e poi, isolato che sia, misurando la quantità di elettricità negativa acquistata da esso in ogni secondo, sì trova, che questa quantità va diminuendo, man mano che il potenziale negativo dell’ elettrometro cresce in valor assoluto. Si potrebbe pensare che questo fenomeno fosse dovuto alla ripulsione pro- dotta dalla carica negativa del disco sugli elettroni costituenti i raggi f incidenti; ma basta riflettere all’ enorme velocità che questi elettroni posseggono per convincersi della insostenibilità di simile opinione. Non resta altro modo di spiegare il detto fenomeno che Serie VI. — Tomo II. 295 — 156 — colla crescente perdita di carica dovuta alla conducibilità dell’ aria ionizzata, la quale perdita, che naturalmente cresce al crescere del valor assoluto del potenziale, finisce col compensare l’ acquisto dovuto alle radiazioni. In vero, se si lascia agire a lungo il radio, l'ago dell’ elettrometro finisce coll’ arrestarsi, indicando un certo potenziale negativo, tanto più grande in valor assoluto, quanto minore è la pressione. Se poi si dà al sistema disco- eletirometro un potenziale positivo, la variazione di potenziale per ogni secondo è mag- giore di quando si parte dal potenziale zero. In tal caso infatti la perdita per conduzione e l’effetto delle radiazioni cooperano a far diminuire il potenziale positivo del disco. Tuttavia, profittando della circostanza che la conducibilità dell’ aria fa apparire o più grande o più piccola del vero la carica acquistata dal disco nell’ unità di tempo, secondo che il disco stesso si trova ad un potenziale positivo o ad uno negativo, sì potranno ese- guire determinazioni soddisfacenti anche ad onta di quella conducibilità, se questa non è preponderante, e cioè se la rarefazione è sufficiente. Basterà misurare il tempo richiesto perchè il potenziale del disco passi, per effetto del radio, da un potenziale + al poten- ziale — ©, perchè dividendo 2 © per il detto tempo si abbia, con sufficente esattezza, la variazione di potenziale prodotta dal radio in ogni minuto secondo. Infatti la dispersione della carica del disco, prodotta dalla conducibilità dell’ aria ionizzata accelererà il pas- saggio dal potenziale + © al potenziale zero, e ritarderà sensibilmente di altrettanto il pas- saggio dal potenziale zero al potenziale — . Dapprincipio addottai pel potenziale © il valore 0,4 volta; in seguito valori alquanto più elevati. A rigore però anche questo modo di sperimentare è diffettoso, se, come in fatto accade, i conduttori contenuti nella campana (e cioè disco in esame, disco di piombo, reticella metallica, faccia interna della lastra in cui è praticata la finestra) non sono tutti della siessa natura. Quando si mette in comunicazione col suolo il disco, esso acquista un certo potenziale, differente da quelli degli altri metalli circostanti ; se allora il disco viene isolato e l’aria ionizzata in un modo qualunque, |’ elettrometro devia presso a poco come se l’ ap- parecchio venisse riempito con un elettrolito. Sarebbe perciò conveniente misurare, per lo scopo di valutare la carica generata dai raggi del radio, non già il tempo necessario perchè il potenziale passi da un valore positivo ad uno negativo numericamente eguale, ma bensì quello relativo al passaggio dall’ uno all’ altro di due potenziali equidifferenti da quello, che assume il disco sotto l’azione della sola conducibilità dell’ aria ionizzata. Se quest’ ultimo potenziale è, per esempio, + «, si dovrebbe misurare dunque il tempo richie- sto perchè il potenziale del disco muti da © a --v+ 2u. Praticamente ho però riconosciuto, che non ottenevo errori troppo grandi, in rapporto al grado di precisione desiderabile, e che I° ordine, nel quale risultano distribuiti i vari corpi rispetto alla quantità di raggi secondari emessi nell’ unità di tempo, non restava modificato, se trascuravo l’effetto delle differenze di potenziale di contatto. Una causa di errore, che si deve cercare di attenuare per quanto è possibile, dipende dall’ inerzia della parte mobile dell’ elettrometro, in virtù della quale non si può mai essere sicuri che ad un dato istante, mentre il potenziale decresce in modo continuo, lago mobile si trovi esattamente nella posizione in cui resterebbe fermo, se il potenziale conservasse — 157 — stabilmente il valore che ha nell’ istante considerato. L° inconveniente sarebbe trascurabile nel caso d’ un elettrometro a foglia d'oro; ma questo strumento è di gran lunga meno preciso d’un elettrometro a quadranti, e per tal motivo questo ho dovuto preferire. Il modello di Dolezalek, il cui sistema mobile ha piccolissimo momento d’ inerzia, è dunque da ante- porsi a quello di Mascart. In ogni modo ho giudicato opportuno regolare la sensibilità dell’ elettirometro in modo che il moto dell'ago, durante 1’ azione del radio, sia lentissimo. Inoltre ho sempre caricato il disco ad un potenziale positivo più elevato di quello, a partire dal quale intendevo fare la misura del tempo col conta-secondi, aspettando a liberare la lancietta di questo istrumento, che 1° ago dell’ eletirometro, già da qualche secondo messo in movimento per effetto del radio, indicasse il potenziale voluto; ciò per non includere nel tempo misurato il periodo iniziale di velocità crescente. Per ogni disco eseguivo di solito tre misure a qualche intervallo, rimettendo ogni volta in azione la pompa a mercurio onde mantenere il solito grado di rarefazione. Alcuni dischi vennero poi ripetutamente montati entro l apparecchio. In questi casi feci le medie dei valori (sempre abbastanza concordanti) successivamente ottenuti, per la variazione di potenziale al secondo. Oltre a questi valori darò, nella tabella dei risultati, anche la carica negativa (in coulomb) acquistata dal disco in ogni unità di tempo. Questa carica è ottenuta molti- plicando la variazione di potenziale al secondo per la capacità del sistema disco-elettro- metro, capacità che trovai approssimativamente uguale a 4.10-!! faraday. Emissione dei raggi secondarî dai diversi corpi. La quantità di elettricità negativa, che acquistava in ogni minuto secondo il disco D (fis. 1) del descritto apparecchio, risultò generalmente diversa, quando variai la sua natura, o anche solo la sua grossezza, come pure quando diedi al corpo studiato certe forme diverse da quella di disco piano. L'influenza che può avere la grossezza del disco sì elimina naturalmente, se si ha cura di renderla tanto grande, che i raggi incidenti f restino assorbiti in modo sensibil- mente completo. In tal caso gli elettroni costituenti i raggi $ incidenti in parte forse rim- balzano, dando così luogo ad una specie di riflessione diffusa, e gli altri rimangono nel disco. Insieme ai primi si allontanano dal disco gli elettroni, formanti i raggi secondarì. Non tenendo conto della fatta distinzione fra raggi diffusi e raggi secondarî, la quale difficilmente si potrebbe in modo preciso stabilire, la carica negativa acquistata dal disco nell’ unità di tempo sarà più o meno grande, secondo che è meno o più abbondante 1° emis- sione dei raggi secondari. I risultati da me ottenuti sono registrati nella seguente tabella, nella prima colonna della quale sono scritti i nomi delle sostanze, di cui erano formati i dischi, nella seconda ì pesi atomici di quelle chimicamente semplici, nella terza le grossezze dei dischi, nella quarta le variazioni di potenziale per unità di tempo, e finalmente nella quinta le quan- tità di elettricità acquistate dai dischi in ogni minuto secondo. — 158 — Disco di Carbone Alluminio. Solfo Ferro Nichel . Rame. . Zinco Argento Stagno . Tellurio Platino . Piombo. Bismuto Gomma lacca Ebanite Paraffina . Selenite Vetro da finestra Vetro da specchi Baritina Acido borico (piccoli cristalli) Garbonato di litio (polvere) Minio (polvere) . Ginabro (polvere) . Bisolfato di mercurio (polvere) . Nitrato d’argento (piccoli cristalli). Ioduro di bismuto (polvere) Peso atomico OG 107, 628 118,10 125 194, 83 206,911 208, 5 Spessore del disco in mm. Variazione di potenziale al secondo in volta — 53. 10-83 » 46 » » 45 » » 43 » » 4l » » 40 » » 40 » » 33 » DID » d 927 » » (21) » » 26 » » 23 » » 46 » » 40 » » 53 » » 30 » » 50 » » 43 » » 40 » » 60 » » 55 » » 31 » » 32 » » 29 » » 38 » » 30 » Carica negativa del disco per minuto secondo in coulomb —_—_—_—_—___+ 2412.1014 184» 180. » IT » 164.» 160.» 160. » 132 >» 99 > 108. » ($4) >» 104» OR 184» 160.» QQ» 120. » 200 » 172» 160. » 240» 220 » IR RSI) 116 >» 15M 120. » — 159 — Naturalmente, stante la natura stessa della ricerca, questi numeri non possono avere che un limitato grado di precisione. Fra le altre cose lo spessore dei dischi non era sempre tale da garantire, che i raggi è non ne emergessero in piccola parte dalla seconda faccia; anzi questo diffetto di spessore era certamente notevole nel caso del platino, tanto che il risultato avuto con questo corpo non può essere messo a confronto cogli altri. Per dare un’ idea del dette grado di precisione dirò che, mentre non si può considerare come veramente dimostrato che il cinabro si carichi più del minio, e che quindi quest’ ul- timo emetta più raggi secondari del primo, si può invece ritenere come sicuro che per esempio l’ alluminio ne emette più del carbone, e l’ argento più dello zinco. Con tutto ciò dall’ esame della precedente tabella si rileva una relazione importantissima, che è stata indicata anche dal Sie. Mac Clelland (1) in seguito ad esperienze d’ altro genere eseguite su pochi metalli. Tale relazione è la seguente: l emissione dei raggi se- condari è tanto pià abbondante, quanto più grande è il peso atomico del corpo messo in esperienza. Infatti, se si fa eccezione dal platino, il quale era nelle mie esperienze certa- mente troppo sottile, come già si è detto, si vede, che la quantità di elettricità negativa acquistata nell’ unità di tempo dai varî dischi è tanto più piccola quanto più grande è il loro peso atomico. Ciò vale naturalmente per i primi tredici corpi, che sono corpi semplici. Ma è verosimile, che la esposta relazione resti vera anche per i corpi composti, nel senso che quelli, i quali contengono elementi di peso atomico elevato, si carichino meno degli altri, e quindi emettano in maggior abbondanza i raggi secondarî. Se si osserva il risultato offerto dagli ultimi corpi della tabella precedente, questa supposizione sembra confermata. Infatti i cinque ultimi, i quali contengono elementi di grande peso atomico, si caricano notevolmente meno dei due che li precedono, i quali invece contengono soltanto elementi di peso atomico piccolo. Questa relazione notevole può mettersi in rapporto col fatto, che i corpi radioattivi hanno tutti un peso atomico assai elevato, di guisa che sì è condotti a pensare, che la complessità dell’ atomo sia condizione favorevole alla sua disaggregazione. Nel caso dei corpi naturalmente radioattivi questa disaggregazione è spontanea, mentre nei corpi tutti, in quanto emettono raggi secondarî, essa sarebbe provocata dall’urto degli elettroni costi- tuenti i raggi 8. Così considerata, l’ emissione dei raggi secondarî costituirebbe una radio- attività provocata dall’ urto degli elettroni, la quale meriterebbe forse il nome di radioattività indotta, se già non s’ indicasse così un fenomeno affatto differente. Fra i corpi studiati se ne trovano alcuni che sono veri coibenti. Ora, mentre nel caso dei conduttori le cariche acquistate si distribuiscono alla loro superficie, nel caso di un coibente è invece verosimile, che gli elettroni negativi trattenuti da esso si trovino in tutta la sua massa, quantunque in quantità decrescente partendo dalla faccia d’ingresso delle radiazioni, in causa del graduale assorbimento dei raggi 3 per parte del coibente stesso. Ora, per misurare la carica totale di un dielettrico basta racchiuderlo in un conduttore e misurare la carica di questo. Di qui la necessità di coprire i dischi non conduttori mediante un sottil strato metallico, il quale, come fu detto e come in seguito risulterà, non introduce (1) Phil. Mag. feb. 1905, — 160 — nessuna apprezzabile causa di errore nella valutazione della carica assorbita nell’ unità di tempo. Dal valore di questa carica si può poi dedurre il numero di elettroni negativi, che il disco trattiene in ogni minuto secondo. Perciò basta dividere i numeri dell’ ultima colonna della tabella per la carica di ogni elettrone, la quale in base alle esperienze del Wilson 3 può ritenersi uguale a circa 10-!° coulomb. Si trova così, per esempio nel caso dell’ acido borico, il numero 24 milioni, e, in quello del piombo, 10 milioni e 400 mila. Il numero di elettroni che in ogni secondo giungono al disco è dunque non minore certo di 24.10°; se questo disco è di piombo, il numero di elettroni in esso contenuti aumenta di 10,4.10° elettroni per ogni secondo, quindi almeno 13,6.10° elettroni al secondo sono lanciati in ogni senso a costituire i raggi secondarî. Influenza della forma e dello spessore. E chiaro che, se la superficie del corpo esposto ad essere colpito dai raggi del radio è tutta convessa verso l’ esterno, gli elettroni costituenti i raggi secondarìî non possono, una volta espulsi, tornare nel corpo dal quale sono partiti, salvo che in seguito all’ incontro di molecole del gas o di corpi circostanti; ma non è così se la superficie del corpo ha delle parti rientranti. Se, per esempio, il corpo esposto ai raggi ha la forma d’ uno specchio sferico concavo, potrà accadere che parte degli elettroni uscenti da esso, percorrendo una corda della sfera, rientrino nel corpo da cui furono espulsi; la conseguenza immediata d’ un tal fatto sarà un aumento nella carica negativa, che il corpo acquista in ogni unità di tempo, rispetto a quella che acquisterebbe se avesse la forma di disco piamo. Fig. 3 Per verificare questa previsione ho fatto la seguente espe- A D rienza. In posto del disco D della fig. 1, ho posto una scatola 7% cilindrica di lastra di piombo formata da due dischi paralleli AB, 7 CD (fig. 8) congiunti al contorno da una lastra piegata a cilindro. La faccia AB, che è quella rivolta alla finestra F della fig. 1, porta una larga apertura circolare E. I raggi emessi dal radio cadono in parte sulla faccia AB ed in parte sulla faccia interna più lontana del disco CD, ed è chiaro, che parte dei raggi secon- darî emessi da certi punti, come n, di quest’ultima incontrerà la faccia interna del disco AB. La carica negativa acquistata in ogni secondo dalla scatola ABCD fu in media 152.101, invece di 104.10-!', carica che acquistava la scatola chiudendone con piombo l apertura £. Resta dunque confermato il fatto preveduto. Si può del pari prevedere, che la carica negativa trattenuta in ogni minuto secondo da un disco di una data sostanza deve diminuire di più in più, se lo si prende di più in più sottile. Infatti, col diminuire dello spessore, deve bensì diminuire l’ emissione di raggi secondarî, e quindi il numero di elettroni che abbandonano il disco, ma deve altresì aumentare il numero di quelli che attraversano il corpo senza esservi trattenuti; ed è a — 161 — ritenersi che questo numero superi il precedente, non solo quando, come nelle precedenti esperienze, lo spessore del corpo è tale da assorbire in massima parte i raggi incidenti, ma anche quando lo spessore è comunque minore. D'altronde è chiaro, che col diminuire sempre più la grossezza del disco si deve avvicinarsi al caso, in cui il disco scompare. Bastavano dunque poche esperienze a confermare una così facile previsione, ed ecco i risultati che ho ottenuti, Variazioni Sostanza Spessore di potenziale in volta | I Oro foglia sottilissima insensibile Alluminio » » » 0,009 mm. -— 4.103 » 147 » — 45. » » 9,98 » I OR Carbone D » li, » 10 » 59h» Per potere sperimentare coi metalli in foglie sottilissime feci un cerchietto ABC (fig. 4) del diametro di 5 centimetri, formato da un filo di rame grosso poco più di mezzo milli- metro, cui saldai tre fili rettilinei AD, BD, CD riuniti ad un dischetto i forato, che può avvitarsi in posto del disco D sul filo ZL della fig. 1. Spalmato leggermente il cerchietto ABC (fig. 4), ma non in tutti i punti, onde assicurare il contatto metallico colla foglia, con un poco di grasso, lo si posa sulla foglia metallica, poi lo si solleva con pre- o % cl cauzione. Levando la parte eccedente, resta un disco di foglia teso nel cerchio e formante una specie di tamburello. D Come si vede, la carica, che riceve il corpo esposto ai raggi del radio, cresce insieme allo spessore, dapprima assai rapidamente e poi in modo assai lento, come era prevedibile. Inoltre, per grossezze piccolissime la detta carica è trascurabile, ciò ‘che giustifica | uso delle fogiie metalliche nelle misure relative ai corpi non conduttori, senza del quale molti dei corpi della tabella non avrebbero potuto essere studiati. Se dunque apparirà ancora scarso il numero dei corpi coi quali ho sperimentato, col presente lavoro avrò almeno indicato qualche metodo di ricerca suscettibile di più larghe applicazioni. — Be TAVOLE per calcolare il nascere e tramontare della Luna a Bologna @ per ridurre il nascere e tramontare del Sole e della Luna da Bologna a un altro luogo qualunque d'’ Italia INTO DEL PROF. MICHELE RAJIJNA (letta nell'adunanza del 12 febbraio 1905). Il lavoro che ho l'onore di presentare all’ Accademia riguarda il calcolo dell’ effe- meride lunare per | orizzonte di Bologna e costituisce un necessario complemento di quello che | Accademia già accolse l’ anno passato fra le sue Memorie (1). Per calcolare il nascere e tramontare della Luna in un dato luogo il metodo più semplice consiste, come si sa, nel profittare dei dati forniti per un altro orizzonte da un Annuario astronomico, eseguendone la riduzione al luogo considerato. Ragioni di relativa vicinanza rendono consigliabile a tale scopo, per noi in Italia, l’uso della Connaissance des Temps o dell’ Annuario del Bureau des Longitudes, che dànno i tempi del nascere e tramontare della Luna a Parigi. Perciò ho calcolato una tavola che serve a ridurre il nascere e tramontare della Luna dall’ orizzonte di Parigi a quello di Bologna. Indicherò brevemente il modo con cui fu ottenuta questa tavola. Trascuriamo — come è lecito in questo caso — il moto della Luna in declinazione durante l’ intervallo di tempo che passa fra il nascere (oppure il tramonto) della Luna a Parigi e il nascere (o il tramonto) a Bologna. Indichiamo con @, la latitudine geo- grafica dell’ Osservatorio di Parigi e con @, quella dell’ Osservatorio di Bologna, cioè poniamo PDA_AZISOII Pi 440291538; inoltre chiamiamo 4, e #, i corrispondenti archi semidiurni e Ò la declinazione della (1) Nuovo calcolo dell’effemeride del Sole e dei crepuscoli per l'orizzonte di Bologna. — Me- morie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, tomo I (serie VI), 1904. Serie VI. — Tomo II. 29 sese Luna. Allora avremo cost = — ie, ted cost, = — tg g, ted da cui cost = tgp, cot@, cost,= [9,93405] cos, (I) dove il numero in parentesi quadra è un logaritmo. Con questa formula si passa da 7, a 4, essendo entrambi questi archi espressi in misura angolare. In simili casi l unità più comoda è il grado ordinario, nonagesimale, suddiviso in parti decimali (1). Bisogna osservare, tuttavia, che la tavola deve avere per argomenti gli archi se- midiurni della Luna a Parigi, espressi in ore e minuti di tempo medio solare, cioè quali si ricavano dalla Connaissance des Temps o dall’Annuaire. Indichiamo con # questi argomenti della tavola, espressi in minuti di tempo, procedenti per intervalli uguali di 10 in 10 minuti e compresi tra i due limiti 3"10"= 190" e 9"10"—= 550" (2). Per esprimere i £ in gradi, cioè per convertirli nei f, da usarsi nel calcolo della for- mula (I), bisogna prima esprimerli in minuti di tempo vero lunare e poi ridurli in gradi mediante la divisione per 4. Ora nella prima parte dell’ operazione è lecito as- sumere come costante il ritardo diurno della Luna rispetto al Sole e adottarne il valor medio, che è = 50",5. Quindi in primo luogo si ha da calcolare la formula 2A IE OE = i = i 20 TT 100 0 ossia = 0201031 = [D,SS207] 7 (II) Ottenuti così i £,, la formula (I) serve a calcolare i #, e poi si formano le diffe- renze £{ —{,- Poichè queste risultano espresse in gradi, bisogna ora convertirle in minuti di tempo medio solare, con una operazione inversa a quella che ha servito a passare da #, a t,- Cioè le differenze ft, —, devono essere moltiplicate per il fattore 1490, 5 E: ì , costante i Gi aio è =0V 0705 (3) In questa maniera si tiene conto della differenza di latitudine tra Parigi e Bolo- gna. Per tener conto approssimativamente anche della differenza di longitudine, basta - considerare che la Luna in media ritarda ogni giorno 50",5 rispetto al Sole. La dif- (1) Per questa suddivisione del quadrante vi sono le tavole logaritmico-trigonometriche di Bre- miker, a 5 cifre decimali. (2) Veramente i due limiti da considerarsi sarebbero 3"20" e 9"0", perchè i valori estremi possi- bili per l’arco semidiurno della Luna a Parigi, espressi in tempo medio solare, sono 3"26" e 857%, come risulta da un facile calcolo dove ho tenuto conto delle correzioni per rifrazione e parallasse. Ma per lo scopo di una ulteriore interpolazione è utile considerare due valori esuberanti dell’argomento, uno in principio e l’altro in fine della serie. (3) Naturalmente si può facilitare la conversione calcolando per via di addizioni successive una tavola ausiliare che contenga i multipli del coefficiente. ferenza di longitudine tra i due Osservatorii è =36"3°,6 —=0% 02504 (1). Quindi usando il ritardo diurno medio della Luna rispetto al Sole si vede che l'ora della culminazione lunare a Bologna (in tempo medio locale) si ottiene sottraendo la quantità 50",5 X 0,02504 = 1", 26 dall’ora della culminazione a Parigi, che è data anch’ essa in tempo medio locale. Dal tempo medio di Bologna si passa poi al tempo medio dell’ Europa centrale aggiungendo 14"35°,5 =—=14", 59. In conclusione, indicando ora con (f,—%,)' le differenze f, —7, convertite, come fu detto, in minuti di tempo medio solare, si ha | per il nascere —(f,—-{) —1”,26+14"”,59=—(4—t) —12",33 { per il tramonto +(t,— 4) —1",26+14",59=+(y—4)—13",33 Riduzione I risultati dei calcoli finora descritti sono contenuti nel quadro I, che insieme agli altri quadri numerici viene dopo le spiegazioni. Im esso le ultime tre colonne costitui- scono due tavole di riduzione separate, una per il nascere e l’ altra per il tramontare. L'uso di queste due tavole diventa il più semplice possibile quando per ciascuna di esse sì cerchino quei valori dell’ argomento che limitano i successivi minuti interi nella colonna delle riduzioni; in altre parole quei valori dell’ argomento che corrispon- dono ai valori —14",50 —183",50 —12",50..... nella terz’ ultima colonna del quadro I, e quelli che corrispondono ai valori +40",50 +39",50 +38",50..... nell’ ultima colonna del quadro stesso. Questa operazione di reversione delle due tavole si può fare semplicemente come segue. Rappresentiamo ognuna delle due serie di numeri col seguente schema : Argomento Funzione AI AGI ES] YA at 2 Lo Yo 1 ò, G4L CEI Y41 TO Dai ta Wo Yo Se 2, è un dato valore dell’ argomento compreso tra @, e @_1; il corrispondente valore y, della funzione si potrà rappresentare con una formula d’ interpolazione, per esempio con la seguente nn 1) 1 — 1 RI e N Wny| RA Tt 9 A Sie Nel caso attuale la formula può arrestarsi al termine di 2° ordine, (1) I dati finora più sicuri relativamente alla posizione geografica della Specola di Bologna si tro- vano riferiti nella mia Memoria già citata. Serie VI. — Tomo II. AS) 4 lie Reciprocamente, se è dato y, e si cerca il valore corrispondente ,, dell’ argo- mento, sì ha DESIO n=

_ > _e°e————--—----------------------&CG= QUADRO I. (continuazione) — Elementi e risultati del calcolo che dà le riduzioni da Parigi a Bologna per il nascere e tramontare della Luna. | | : Riduzione Riduzione N.° È n tr | tit {41403 (h—%) tr | del nascere del tramontare | m 0) (0) | O) m om hm m 19 370 89, 366 89, 455 | + 0,089 | + 0,37 12,96 Oo dol | 13070 0 | | + 141 — dl 20 380 94, 781 91530 | = 70,251 SL 14,37 CRMONZO + 12,29 0 | + 141 — Idi 21 390 94, 197 93, 605 — 0,592 = 245 15, 78 + 1 630 | + 10,88 — 1 | + 12 — 14 22 400 96, 612 Joni — 0,935 Col 17,20 GIRI TOO MIEFORIONZIO — i + 143 — 148 23 410 99, 027 ONTAZSTI — 1,280 | — 5,30 18, 63 + 2 650) + 8,03 = + 145 — 145 24 420 101, 443 99,813. | — 1,630 — 6,75 20, 08 RI RAIORI RETSMIGNOS —.|l + 146 — 146 25 430 103, $5$8 101,875 | — 1,983 — MSI 21, 54 PS VA0 | SR — 8 + 149 — 149 26 440 106, 273 103,930 | — 2,343 — 9,70 23, 03 “2 8 2045 808 — 3 + 152 152 PAT 450 108, 688 105, 97 — 2,712 = MS22 24, 99 8 70 2 = 8 + 155 55 28 460 111,104 | 108,019 | — 3,085 | — 12,77 26, 10 + 4| 740) + 0,56 — @ + 159 — 159 29 470 113, 519 110, 050 — 3,469 | — 14,36 27,69 8.750 — 1,03 — E + 164 — 164 30 480 115, 934 112, 068 — 3,866 — 16,00 29739 = 60 SON N=2567 CENG + 170 — 170 31 490 118, 350 114,076 — 4,274) — 17,70 31,03 ses | O 7 = G + 175 — 175 32 500 120, 765 116,069 | — 4,696 | — 19,45 32,78 2 8 | 820 Ba —.@ + 181 — IS 33 510 123, 180 118,045 | — 5,135 | — 21,26 34, 99 NS IS 0 293 — 8 | + 189 — 189 34 520 129,596 | 420,004 | — 5,592 | — 23,15 36, 48 GIRO SII) — 9,82 = 6 + 198 — 198 35 530 | 128, 011 121, 942 — 6,069 | — 25,13 38, 46 +10 | 850 | — 11,80 — 10 + 208 — 208 36 540 130, 426 Reda = (a — 27,21 40, D4 9 ONION MIE--R13988 — 9| + 217 OT 37 950 132, S41 125,745 | — 7,096 | — 29,38 UZSTA 940 | — 16,05 170 — QUADRO II. — Risultati del calcolo di reversione eseguito sulle riduzioni del nascere e tramontare della Luna da Parigi a Bologna. Riduzione del nascere Riduzione del tramontare Yn Ln Yn Ln m la iam m ho m On SS 00258 Leni 30504 ASOMI9S 47 71 -— 13,90 5) VI) + 14,590 620.9 48 71 — 12,50 ONo.INÒ + 15,50 6 28,0 49 71 — 11,90 SNO + 16,50 ORO 50 70 —- 10,50 3} Mot + 17,50 6 42,1 52 70 —. 3 46,9 + 18,50 6 49,1 58 69 MSN) IMOLA + 19,090 6 56,0 54 69 > 50 3 57,0 + 20,50 PMO) DD 68 ZO RO O 56 67 —. 5.50 CIRIE SARTI + 22,50 FG RZ: DS 67 “gol 105 4 23:50) 7231 59 66 — 3,50 4 20,4 + 24,50 TL 59 65 — 2,50 AMO + 25,50 3092 61 63 LIO + 26,50 742,5 62 68 — 050 4 38,6 + 27,50 7 48,8 63 62 + 0,50 4 44,9 + 28,50 755,0 64 60 + 1,50 4 DS) + 29,50 SO, 65 5x1) e AS ADE 5 IE 8 9 66 58 + 3,50 9) (04 + 31,50 Si 1207 67 yi a 0 MSI + 32,50) 848,4 68 56 ESD.) DIVINO, + 39,00 824.0. 68 55 + 6,50 DAT + 34,50 8 29,5 69 54 SIMANA). SO + 39, 50 S 34,9 70 52 + $S,90 5 38,6 + 36,50 S 40,1 70 5I + 9,50 5 45, 6 +- 37,50 S 40,2 70 50 + 10,50 DO + 38,50 SRO 70 49 + 11,50 BIORIO + 39, 50 SESSI 71 47 + 12,50 (O + 40,50 S_ 59,8 JL î ia eo TERA, Yy n Yn Ly m Tot sani IR] 64195 71 + 11,50 6, 29,6 71 + 10:50 | 632.7 70 ue 050 639.7 70 TRAI 70 SR 57 69 6500 MNZIONIONO 68 Red, rai 68 0 67 SR 0) 00 66 SRO 0 25 65 SON ZARTNO 64 + 0,50) 740,4 63 — MOS500 IZZO 62 — 1,50 UMRORAI 6l a 0 TASSO 60 -W3C5O) 85,0 58 0 IO 57 2 III DT — 6,50 822,2 55 O SIT 54 PER 0 SR 53 — 9,50 8 38,4 p—___—_—_—_T ———————r——_——z7rr tT———t8_ù0ù1t1k1k14]40_cRcRKRTTaÌTWEEEEEEE A 171 TAVOLA A — Riduzione del nascere e tramontare della Luna dall'orizzonte di Parigi a quello di Bologna. L'argomento della tavola è l'arco semidiurno (in tempo medio) che si ottiene dalla Connaissance des Temps 0 dall’Annuario del Bureau des Longitudes prendendo la differenza tra l'ora del nascere (0 del tramonto) e l'ora della culminazione superiore a Parigi. I risultati sono espressi in tempo medio dell'Europa centrale. to +4 +44 +44 +44 Nascere Arco | Riduzione Arco semidiurno a semidiurno a Parigi Bologna a Parigi +++ +++ ++ Riduzione 3) Bologna + + di Ì chi Ì vo los) +++ + +4 ++ + + (Sb) (Db) (e 0) = + Tramontare Arco Riduzione semidiurno a semidiurno | al a Parigi Bologna a Parigi Bologna h m Do m } 25,3 sì 641,4 9; + 40 + 12 3 30,1 6 18,5 I + 39 +12 | } 95.0 6 25,6 + 38 sa eli 1 I 340,0 DNOZINT + 37 + 10 USI 6 39,7 + 36 + 9 3 50,3 6 46,7 So) I 4. 8 SMD 6 53,7 + 34 + 7 Hi 7 (0)-(S | = 36) | = 6 ROS Ud + 32 + 5 E, (2 + 31 i + 4 4 18,3 PAM I + 30 | + 3 4 24.3 Ti 215) | + 29 + 2 430,3 MISI, + 28 + 1 4 36,4 7 40,4 | + 27 | tI 0) 4 42.7 7 46,7 | + 26 si BU 4 49,4 4) CE?) DEDON2 SRO bi Ca) 6 11,4 Riduzione +4 +++ +++ +++ + A IGO) ] TAVOLA B — Riduzione del nascere e tramontare del Sole da Bologna a un altro luogo qualunque d'’ Italia. Avvertenza — Per ogni valore della riduzione il segno a sinistra vale per il nascere e quello a destra per il tramontare. Î Arco diurno del Sole a Bologna 100 10 30 AO 12 30 580 36° 37° 38° 39° 40° 41° Ca SI Riduzione ba = 2 ul m — 28,6+ 1, 47 — 24,2+ 1, 40 — 20,0+ 1937 — 15,9+ 1, 37 — {1,9 + 1, 33 — 7,84 1, 30 — 3,9+ 1,30 0,0 1,30 + 3,9— 1,30 + 7,8- 1, 33 + 11,8— 1, 37 + 195,9 — 1A137 + 20,0 — 1, 40 +24,2-- 1, 47 + 28,6 — 153 Se SES Riduzione | ST > lìl m — 25,7+ 1, 33 —21,7+ 1,27 — 17,9+ 99 —1142+ 1, 20 — 10,6+ 1,20 0 TR6I7 — 3,95+ 1,17 0.0 7 + 3,5— 1,17 + 7,0—- 1,20 +10,6 — 1,20 +14,2— mg +17,9—- 1,27 +21,7- 1, 33 +25,7— 1,37 + 29,8 Riduzione ul + 22,6 — 263 — 10” per Variazione m 1,10 1, 03 1,03 1, 03 1,03 10107 1, 10 Sa 05 Riduzione iS SIA [2° mm m — 19,5+ 1,10 — 16,5D+ 0, 97 — 13,6+ 0, 93 —10,8+ 0. 93 = 0 0, 90 — 5,3+ 0,90 — 20 0, 87 0,0 0, 87 * do- 0, 90 + 5.3— 0, 90 + S,0—- 0, 93 + 10,8 — 0, 93 + 13,6 — 0* 97 + 16,5 — 1,00 + 19,5 — 1,07 +22,7—- D CS Riduzione | $ _ GE (nel mu m — 16,2+ 0, 83 — 13,7+ 0, 80 IM 0, 80 — 8,9+ 0,77 — 6b,6+ 0, 73 = DA 095) = WE 0, 78 0,0 0, 73 alal 0, 73 + 4,4 0, 73 + 66—- 0, 77 + 89—- 0, S0 + 11,3 — 0, 80 + 13,7 — 0, 83 + 16,2—- 0, 90 + 18,9— D 3% Riduzione | $ 7 BE: Vea | Im n — 12,94 0, 67 —10,9+ 0, 67 — 8,9+ 0, 63 — 7,0+ 0, 60 MR 0, 60 — it 5a = {74= 0, 57 0,0 0; 57 ibi = 0, 57 4 o, 4= 0, 60 - Di= 0, 60 st. 0 0, 63 + 8,9- 0, 67 + 10,9 — 0, 67 + 12,9 — 0, 70 +15,0— TAVOLA B (Continuazione) — Riduzione del nascere e tramontare del Sole da Bologna a un altro luogo qualunque d'Italia. Avvertenza — Per ogni valore della riduzione il segno a sinistra vale per il nascere e quello a destra per il tramontare. (P] 6 o (8) o eo 43 44 45 46 47 | diurno = —— = Si E pazzi cd) | (3) | ® 5 | del Sa Ca (6 Se (= | : CE CÈ CE 25 \S Sole a | Riduzione | S _ | Riduzione | $ 7 | Riduzione 7 | Riduzione | ST | Riduzione Riduzione | S Bologna 3Q E 52 SE E > Pa a Pa |> gi m m mi m m ae — 1,9+; ai + 61— +410,4— | wo vw 0, 30 | 0, 10 0,10 | 0, 0, 57 0, 80 0, 10 | 0, 10 | 0, 30 | 0, 53 — 3,9+ — 13+ + 14- SER + 7,1- | | | 0, 27 0,10 | 0,10 0, 30 101150 = 14 — 1,0+ sp. iLd= + 3,3 “e o | 0, 27 | 0, 10 0, 10 0, 30 | 0,47 — 23+ — 0,7+ + 08- + 2,4—- + 4,2— 0, 27 {0,10 0, 10 0, 27 (0, 47 — 1,5+ — 04+ + 095— + 1,6—- + 2,8 | ne l'0,.07 0, 10 0, 27 l'o, 47 — 0,7+ = 0,2+ | + 02— + 0,8— + 1L4—- 0, 23 ! 0,07 0, 07 0, 27 0; 47 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 | 0, 23 0, 07 0, 07 0, 27 0, 47 + 0,7—- + 0,2—- -- 0,2+ | — 0,84 — L4+ 0, 27 | 0, 07 0,10 0,27 | 0, 47 + 15— He e — 05+ — 1,6+ — 2,8+ 0, 27 0, 10 0,10 0, 27 0; 47 + 2,3- + 0,7—- — 0,8+ — 24+ — 4,2+ 0, 27 10, 10 0, 10 0, 30 0; 47 SSA = URI 2 AE 9 g,S Aa 0. 27 0,10 0,10 0, 20 0, 50 + 3,9— + 13— — 14+ — 4,2+ — 7,1+ 0, 30 0, 10 | 0, 10 0, 30 OR530I +. 4,8 —- + 16—- — 1L7+ — 5,1+ — 8,7+ 0, 30 0, 10 0, 10 0, 33 0, 57 174 TAVOLA © — Riduzione del nascere e tramontare della Luna da Bologna a un altro luogo qualunque d' Italia. Avvertenza — Per ogni valore della riduzione il segno a sinistra vale per il nascere e quello a destra per il tramontare. Arco diurno della Luna a (Bologna TRA 30 Ss (>) 30 30 160 16 30 30 36° 37° 38° 39° 40° 41° Riduzione — 19,3 + Riduzione Variazione 1, 40 ,20 Riduzione + 13,0— + 16,3 — +19,6— + 23, 1 + 26,8 + 30, 6 — + 34, 6— (cb) Gaz ISO SC | Riduzione = > m m È lia 1, 30 — 25,3 + 07 _ 2914 1,20 — 19,0+ 17 —M(6,,0)5- 1,10 3; 1, 07 = 10, di 1, 07 = 1904 1,03 == 4,9+ 1, 03 — Got 1,03 + 0,4- 1, 03 4 3,0 - 1, 03 Ho die 1, 03 + S4—- 1,07 + 11,2—- 1,10 +14,0—- 1, 10 + 16,9— Ig +19,9— 1, 23 +23, 1— 1,97 RON 1, 33 ata t2O NO 1,00 0, 97 0,93 0,90 0, 90 0, 90 0, 87 0, 90 0, 93 Riduzione 0, 80 Riduzione to” Variazione per ee 2—2—- 0, 60 È (01 “a 0, 60 175 TAVOLA € (Contfinuazione) — Riduzione del nascere e tramontare della Luna da Bologna a un altro luogo qualunque d'Italia. Avvertenza — Per ogni valore della riduzione il segno a sinistra vale per il nascere e quello a destra per il tramontare. io 42° 43° 44° 45° 46° diurno | = @ vi. VARIE E NS della Se (2a Se Vea Luna a| Riduzione S| Riduzione | S = Riduzione iS =" Riduzione iS a Riduzione | Bologna Ei Si ie È FI "a a a a hm m m m m m | | m m m m MERONE 4 04 | — 8,6+ | — 2,9+. + 3,0— © 08 | | | 0, 60 | 0, 40 | 0, 13 0, 13 8 0]|-122+ I,4+ — 2,5+ | + 2,6- + 8&1—- 0, 53 0, 33 | 0, 10 0, 10 | 830 | — 10,6+ 64 + —. 2,2+ + 23— + 7,0—- | 0, 50 0, 30 0,10 0,10 0, 38 \0, 60 | 90|- 91+ SRG -— 41,94 | = Li e 0 Moi | 0, 50 0, 30 |0,10 0, 10 0, 33 |0,57| RO 764 1,6+ — 1,6 ua io se 0 a4=| | 0, 47 0, 27 | 0,10 0, 10 0, 30 | 0, 50 | (0000 CSA 3.84 — dî | a = BioeStoi 0, 43 0, 27 | 0, 10 0, 10 0, 30 0, 50 | ici ace 30 — 1,0+ | LA Sa gr | 0, 43 0, 27 0, 10 0, 10 0, 30 0, 50 | SOR 364 224 = = ig uo | 0, 43 0,27 | 0, 07 0, 10 0, 27 0, 47 | Ml 30|—- 2,3+ INZero = + 0,5— <- ,d5= n= | 0, 40 0, 27 | 0, 10 0, 10 0, 27 0, 43 i. 0 [= » > dopo Ria RO RION » » » » » » 30 » 0,088 » » » » » » ò ore 0,044 » » » » » » 24 » 0,000 » Mering in 4 cani esaminava contemporaneamente il sangue dell’arteria carotide e della vena giugulare (moncone) e in 100 p. di siero trovava le quantità seguenti di zucchero : Carotide Giugulare I O 70 0,150 II 0, 133 0,145 III 0,230 0,205 IV 0,143 0,151 Le oscillazioni, come si vede, sono molto notevoli e lasciano dubbi sul valore del metodo impiegato. Il lavoro più diligente e circostanziato riguardo alla quartità di zucchero del sangue mi sembra quello di Pavy (1). Una quantità ben pesata di sangue, circa 20 cc., viene da Pavy mescolata con 40 gr. di solfato di sodio. A questa mescolanza si aggiungono circa 30 cc. di una soluzione concentrata calda di solfato di sodio, e si fa bollire finchè la massa è diventata densa. Quindi si filtra e si lava finchè tutte le traccie di zucchero sono state esportate. Se il liquido dopo la filtrazione attraverso mussolina è torbido, si fa di nuovo bollire e si filtra attraverso a carta tanto da ridurlo limpido. Esso serve così per ia reazione coi sali di rame. Mentre bolle, si aggiungono circa 10 cc. di soluzione di tartrato di rame e potassa, o una quantità tale di soluzione che rimanga in eccesso, quindi si prolunga la bollitura ancora un minuto, ma non più a lungo. In questa ma- niera avviene una riduzione dell’ossido in ossidulo di rame. Il liquido viene filtrato (1) F. W. Pavy. Eine neue Methode um die Quantitàt des Zuckers in Blute zu bestimmen. Vor- trag, gehalt v. d. Royal Society in London. Juni 1877. Centralbl. f. Med. W. 1877, pag. 596. F. W. Pavy. Die Physiologie des Zuckers im Beziehung auf das Blut. Vortrag, ibidem. Centralbl. f. Med. W. 1877, pag. 630. — 179 — attraverso lana di vetro. L’ossidulo viene raccolto e lavato, disciolto con un paio di goccie di acido nitrico, aggiungendo una piccola quantità di perossido d° idrogeno per favorire la ossidazione e la soluzione. Il rame viene precipitato coll’ elettrolisi : 1 di rame corrisponde a 0,5678 glucosio. L'animale da cui si cava il sangue deve essere stato prima tranquillo e non sot- toposto all’ anestesia, altrimenti si altera la quantità di zucchero del sangue. Pavy otteneva il sangue dai vasi del collo tagliati per sacrificare gli animali. La quantità di zucchero in 1000 parti di sangue nel cane era: 0,751, 0,786, 0,700, 0,766, 0, 36, 0,922, 0,803; media dell’ intera serie 0,787. Il sangue di pecora diede le cifre seguenti : 0,470, 0,490, 0,517, 0,559, 0,569, 0,526 — in media 0,521 di zucchero per 1000. Il sangue di due: 0,703, 0,525, 0,492, 0,456, 0,499, 0,588 — in media 0,543. Il sangue di pecora e di bue contiene cioè circa Ao per 1000 di zucchero e quello di cane $/ per 1000. Il sangue della carotide e della vena giugulare contenevano nel cane la stessa quantità di zucchero, in media 0,879 per 1000. Pavy trova che lo zucchero scompare dal sangue dopo la morte, però lentamente e non nei rapporti indicati da Bernard. mn un'esperienza per es. la quantità di zucchero per 1000 era: subito dopo la morte 0,766 Un'ora» UST 2'SMOre DMOZ. Otto (1) obbietta che le ricerche precedenti alle sue a rigore non si riferiscono alla quantità di zucchero del sangue, ma alla quantità di sostanze in esso contenute, che riducono l’ ossidulo di rame: bisogna esaminare il potere riduttore del liquido prima e dopo la fermentazione. Secondo le esperienze di Otto con questo metodo nei cani e nei conigli il sangue contiene sempre zucchero e sostanze riducenti, con no- tevole prevalenza dello zucchero. La quantità di zucchero nel sangue arterioso è mag- giore che nel venoso : oscilla nel primo, secondo 14 esperienze nei cani, fra 1,10 e 1,47 per mille, nel venoso fra 1,02 e 1,29 %,. Nell’inanizione cessa la differenza fra la quantità di zucchero nel sangue arterioso e in quello venoso. In sangue d’ uomo, cavato con salasso, Otto ha trovato : sostanze riducenti totali 1,47 %,, sostanze non iermenteseibili 0,27 %,, zucchero 1,18. %,- Ma Seegen (2) ha obbiettato a queste conclusioni di Otto che nelle soluzioni deboli di zucchero con o senza aggiunta di liquidi animali o ricavate dai loro estratti, la fermentazione dello zucchero non è finita dopo 48 ore; e non è quindi giusto attri- (1) J. Otto. Ueber den Gehalt des Blutes an Zucker und reducirender Substanz unter verschiedenen Umstinden. PAuger s Archiv. Bd. XXXV, pag. 467. (2) Seegen. Pfger’s Archiv. Bd. XXXVII, pag. 369. Serie VI. — Tomo II. : 26 — 180 — buire la differenza della riduzione prima e dopo la fermentazione a sostanze riducenti non fermentescibili. Tuttavia le cifre di Otto sono generalmente riportate nei trattati. Bock e Hoffmann esaminavano il sangue carotideo di 8 conigli e trovavano sempre 0,07 fino a 0,11 % zucchero, titolato con soluzione di Fehling. In sette conigli alimentati col vitto ordinario di fieno, pane, verdura, Rose (1) trovò nel sangue una quantità di zucchero oscillante da 0,088 a 0,113 %, in media 0,098 %, solo eccezionalmente essa raggiunge il valore di 0,150 A e mai in condizioni normali arriva a 0,200 p4 usava il metodo di Abeles per separare gli albuminoidi e dosava lo zucchero col reattivo Knapp. Bernard, Mering, Schenck hanno veduto che lo zucchero aumenta nel sangue dopo le sottrazioni sanguigne. Secondo Schenek (2) dopo 10-15 minuti dal salasso si ha in media un aumento di 0,067 A che dopo due ore è quasi scomparso. Rose in conigli 1-3 ore dopo sottrazioni di sangue, due salassi di 30 gr. ciascuno, trovava nel sangue un aumento di zucchero da 0,088 a 0,106; da 0,092 a 0,150 %. L'apertura del ventre nel coniglio fa pure aumentare io zucchero nel sangue, più di altre operazioni (Schenck, Rose); Rose attribuisce il fatto ad aumento della peristaltica intestinale e a maggiore assorbimento di zucchero nell’ intestino. L’ estirpa- zione dei reni e la legatura dei vasi renali produce iperglicemia (Lewandowsky, Rose 1. c.); che si ha pure dopo la legatura delle vene renali, e manca invece per la legatura delle arterie e degli ureteri (Rose l. c.). La glicosuria prodotta dai diu- retici (Jacobi 1895) è preceduta da iperglicemia. Rose nelle sue esperienze sui conigli alimentati riccamente con zucchero o con barbabietole ai quali iniettava nelle vene 0,4 diuretina, riconobbe che nel diabete da diuretina l iperglicemia precede la glicosuria; la quantità di zucchero nel sangue dà una media di 0,113 YA saliva dopo la diuretina a 0,264 %. Le esperienze che più specialmente si riferiscono alla quantità di zucchero nel sangue in rapporto al cibo. sono quelle di Mering (l. c.), di Bleile (3), di Se- egen (4). I risultati di Mering sono poco dimostrativi riguardo alla quantità di zucchero nel sangue in rapporto al cibo, perchè le cifre da lui ottenute presentano delle note- voli oscillazioni, come si può vedere dalla stessa tabella riassuntiva di Mering: (1) Ulrich Rose. Der Blutzuckergehalt des Kaninchens, seine Erhòhung durch Aderlass und seine Verhalten im Diuretindiabetes. Arc. 7. ep. Pathol. vu. Pharmakot. Bd. L, pag. 15, 1903. (2) Schenck. Ueber den Zuckergehalt des Blutes nach Blutentziehung. P/liger's Archiv. Bd. LVII, 1894, pag. 553. (3) A. M. Bleile. Ueber den Zuckergehalt des Blutes (Laboratorio di Ludwig) in Du Bois-Rey- mond'’s Archiv. 1879, pag. 59. (4) Seegen. P/lriger’s Archiv. Bd. XXXVII e XXXIX. ic Zuechero in 100 p. Cane | Cibo siero del sangue | carotideo | - a | | I iamido € 025 | glucosio | i II idem 0, 235 | III pane 0, 130 | IV carne 0 Ul | | V carne 02) | | VI [digiuno da 0, 150 | 44 ore | VII |digiuno da 0, 145 | 48 ore | VIII (digiuno da 0, 138 | 5 giorni Ì Maggiore importanza hanno certo le esperienze di Bleile. Ad un cane, digiuno da 24 ore, egli cavava sangue dalla carotide e poi dava 100 gr. destrina e 50 gr. zuc- chero di canna, esaminando il sangue a vari intervalli di tempo : 100 gr. siero della carotide contenevano prima del pasto . . 0,216 zucchero: » » » 1 ora e 20 minuti dopo 0,252 » » » » 5) >» 40 » » 0,264 » » » » 9) DO » » 0,260 » Bleile conclude giustamente che la quantità di zucchero aumenta nel sangue arterioso dopo l'introduzione di sostanze zuccherine nello stomaco, ma non affatto in rapporto colla quantità di esse. Siccome il sangue portale contiene, avverte Bleile, sempre più zucchero del sangue generale e lo zucchero non viene decomposto nel- l'intestino, bisogna che lo zucchero subisca una metamorfosi dopo entrato in circolazione. Quantunque le esperienze di Bleile siano ben condotte, non possono essere accet- tate senza controllo quando si rifletta al metodo da lui impiegato. Il sangue non ve- niva esaminato subito, ma dopo alcune ore dall’ estrazione : l'A. avverte bensì che nel sangue abbandonato fino a 5 ore alla temperatura della stanza e ben coperto non si osservava diminuzione di zucchero rispetto a quello esaminato subito. Ma Bernard ed altri hanno avuto invece, come si è già detto, risultati ben diversi. Le cifre di Bleile di 1,60 per mille di sangue defibrinato sono poi troppo elevate e dipendono certo dal metodo imperfetto, che consisteva nella precipitazione dell’ albumina neu- — 182 — tralizzando il siero, o il sangue, con acido acetico e la bollitura, dopo di che si separava il coagulo colla filtrazione e si lavava. Per la determinazione quantitativa dello zucchero Bleile si serviva della titolazione con soluzione alcalina di ioduro di mercurio secondo Sachsse. Alle esperienze di Seegen hanno fatto obbiezioni Ellemberg e V. Hofmei- ster (Archiv. f. ges. Phys. T. XL, pag. 484). Seegen ha veduto che il più forte assorbimento di zucchero segue nelle prime due ore e che in questo periodo di tempo si trova anche il più alto contenuto di zucchero nel sangue portale 0,2-0,25 %, cifre però sempre inferiori a quelle del sangue sovraepatico. Il metodo impiegato per la determinazione dello zucchero nel sangue è stato poi oggetto di molte discussioni e controversie per parte di Schenk, di Ròohmann, di Salkowski, di Seegen e di altri, sia riguardo alla separazione dell’ albu- mina, sia riguardo al dosamento dello zucchero nel liquido purificato. La precipi- tazione dell’ albumina viene fatta da Abeles coll acetato di zinco; da Schenk col reattivo di Bricke; da Weyert coll alcool: Bernard coagula l’albumina coll’ag- giunta di solfato di magnesia e Pavy col solfato di sodio in eccesso; Schmidt- Miihlheim e Hofmeister usano la bollitura con aggiunta di acetato d’ ossido di ferro (percloruro di ferro e acetato di sodio); Seegen usa la bollitura con acido acetico 104 p. sp. e aggiunta graduale di soluzione di carbonato di sodio 20 Le De Meyer, che per ultimo si è occupato dell’ argomento, precipita 1’ albumina col reattivo di Bierry e Portier, soluzione di nitrato mercurico. Il dosamento dello zucchero nel liquido depurato è stato fatto in svariate maniere, col liquido di Sachsse, di Knapp, col reattivo di Fehling, colla fermentazione, pesando il rame dell’ossidulo col procedimento di Allihn, o ottenuto per elettrolisi. Le mie esperienze sono state fatte su cani nei quali ho determinato con sicurezza che a stomaco vuoto il massimo assorbimento del glucosio e del saccarosio avviene nella prime due ore dopo la somministrazione. L'esame del sangue è stato fatto quindi nei limiti di detto periodo di tempo e prima di dare lo zucchero. Per la separazione del glucosio nel sangue si è seguito il metodo di Bierry e Portier come è stato usato da J. De Meyer (1), ottenendo buoni risultati. Ecco come si è sempre proceduto : 25 cc. di sangue estratto direttamente vengono mescolati a 25 cc. di acqua e trattati immediatamente col reattivo mercurico (soluzione di ni- trato mercurico preparata secondo le indicazioni di J. De Meyer); dopo 10' si neu- tralizza esattamente la miscela con soluzione di Na0H e si aggiungano 50 cc. di acqua mescolando bene la massa. Si filtra su carta indurita ottenendo un primo fil- trato perfettamente limpido e dealbuminizzato. Il De Meyer estrae successivamente il coagulo a più riprese con 200 cc. di acqua spremendo per ben due volte il coagulo (1) J De Meyer. Note sur la desalbumisation et le dosage du glucose dans le sang. Travaua du Lab. de Physiol. Instituts Solvay. VT. VI, fasc. 8°, 1904, pag. 149 e seg. — 183 — al torchio. Noi invece abbiamo veduto che per un’ estrazione completa del glucosio è sufficiente staccare il coagulo raccolto sul filtro e finmamente pestarlo nel mortaio estraen- dolo per ben tre volte con 200 ce. di acqua, filtrando ogni volta sullo stesso filtro, fino ad ottenere una quantità di soluzione di 750 cc. circa. Questa viene saggiata di nuovo col reattivo mercurico e nel caso che qualche traccia di albumina sia passata, si filtra di nuovo. La soluzione limpida è poi trattata con 4,$ fino a saturazione, il precipitato di solfuro mercurico è separato per filtrazione, e l’eccesso di H,S scacciato a bagnomaria dopo avere aggiunta una quantità di acetato di sodio sufficiente a sa- turare l'acido nitrico libero. Indi, dopo neutralizzazione, il liquido viene concentrato a bagnomaria fino all’esatto volume di 25 cc. Su questa quantità viene dosato il glucosio secondo Fehling, op- pure col metodo di Allihn. Esperienza 1* - Cane di Kler. 16, digiuno da 24 ore e che nelle altre 24 ore precedenti aveva mangiato solo poco pane. Alle 16,10 del 30 Dicembre 1904 si estraggono 25 cc. di sangue (I sangue) dalla carotide sinistra e si mescolano immediatamente con 25 cc. di acqua, poi si aggiun- gono 20 cc. di nitrato mercurico. Si somministrano subito colla sonda 100 gr. glucosio Merck in 200 cc. acqua. Dopo 1 ora, si estraggono dalla carotide altri 25 cc. sangue (II sangue) e si trattano come i precedenti. 25 cc. del sangue I, cavato prima di dare il glucosio contengono gr. 0,021 glucosio (determinazione fatta col liquido di Fehling) » per mille gr. 0,84 » 25 cc. del sangue II, cavato un’ora dopo dato il glucosio contengono gr. 0,027 glucosio (secondo Fehling) » per mille er. 1,11 » Esperienza 2° - Cane di Klgr. 10 in buono stato di nutrizione, digiuno da 24 ore: alle 3 pomerid. si cavano 25 cc. sangue dalla carotide (I Saggio), mescolandolo subito con 25 cc. acqua e col reattivo di Bierry e Portier, poi si danno colla sonda 100 gr. glucosio sciolto in 200 acqua e alle 5 pomerid., cioè dopo due ore, sì prende il IL Saggio di sangue dalla carotide. I Saggio - Sangue dalla carotide cc. 25 - Glucosio contenuto gr. 0,025 (secondo Fehling) » per mille gr. 1,00 II Saggio - Dopo 2 ore dall’ ingestione di 100 gr. glucosio sangue dalla caro- tide cc. 25 - Glucosio contenuto gr. 0,030 (secondo Fehling) » per mille gr. 1,20 Esperienza 3° - Cane di Klgr. 17, digiuno da 24 ore. Si prende un saggio di ‘ sangue, poi alle 15,45 si somministrano 100 gr. di zucchero di canna in 150 d’acqua, alle 17,15, cioè dopo ore 1 ! s1 prende il secondo saggio. — 184 — I Saggio - Prima dello zucchero, sangue dall’ arteria femorale in 25 cc. sangue glucosio trovato . gr. 0,0156 (secondo Allihn) » per mille gr. 0,782 II Saggio - Ore 1 DÀ dopo lo zucchero, dall’ arteria femorale in 25 cc. sangue glucosio trovato . gr. 0,0228 (secondo Allih n) » per mille gr. 0,912 Esperienza 4° - Cane di Klgr. 14, digiuno da 24 ore I Saggio - 25 cc. sangue dalla. carotide Glucosio trovato . gr. 0,0190 (secondo Allihn) » per mille gr. 0,760 Si danno con la sonda gr. 100 glucosio in 150 acqua. Dopo ore 1 L, si leva un secondo saggio dalla carotide 25 cc. glucosio trovato . gr. 0,0217 (secondo Allihn) » per mille gr. 0,870 Durante il periodo di assorbimento degli zuccheri si verifica adunque costantemente un aumento nella quantità del glucosio del sangue, che è lieve ed oscilla da 10 a 20 centigr. su mille gr. di sangue. La quantità di zucchero che si trova nel sangue arterioso oscilla intorno ai limiti stabiliti da Pavy per il sangue di cane, cioè di gr. 0,85 per mille. La determinazione fatta col. metodo colorimetrico di Fehling dà di solito delle cifre un po’ più elevate di quelle ottenute col procedimento di Al - lihn, come si vede confrontando le esperienze 1% e 2% colla 3% e 4°. Allo scopo di verificare se la piccola sottrazione sanguigna di 25 cc. da un’ ar- teria, coll’ intervallo di un’ora fra le due cavate di sangue, potesse esercitare qualche influenza sulla quantità di glucosio abbiamo eseguita una speciale esperienza di controllo. A: tale scopo in un cane di 17 Klgr. in buono stato di nutrizione alle ore 3 pom. si sono cavati 25 cc. di sangue dall’ arteria femorale, mescolandolo subito con 25 cc. di acqua e trattandolo col reattivo di Bierry e Portier. Alle 4,30 pom. sì è ca- vato ancora dalla stessa arteria femorale la stessa quantità di sangue, 25 cc., trattandolo come il primo. Il dosamento del glucosio secondo Fehling ha dato i seguenti valori : Saggio I - Glucosio in 25 cc. gr. 0,0240 » mà 000 096 Saggio II - Glucosio in 25 ce. gr. 0,0238 » ia 000. » 095 In altra serie di esperienze io ho cercato di studiare se e come, il glucosio sì diffonda nei tessuti nel periodo del suo massimo assorbimento per le vie naturali. — 185 — Ph. Falk-Limpert e Forster hanno veduto che solo una piccola parte del glucosio iniettato nel sangue viene emesso colle orine, la massima parte viene trat- tenuta nell'organismo, e di questa una porzione depositata nel fegato sotto forma di glicogene (Luchsinger, Forster, Kilz, Heidenhain). Siccome però, osserva v. Brasol, la quantità di glicogene è piccola in rapporto al glucosio trattenuto, così una gran parte di detto glucosio deve avere una diversa destinazione. Brasol (1) per stabilire quale destinazione abbia detto glucosio, specialmente se Sì trova nei tessuti, ha praticato una serie di esperienze nei cani e nei conigli iniet- tando nelle vene soluzioni concentrate di glucosio. In un coniglio di Klgr. 2 al quale nel periodo di mezz'ora si iniettavano per la giugulare 50 ce. di liquido contenente 25 gr. zucchero e gr. 0,25 NaClI, si trovarono : nell’ orina emessa gr. 10,03 zucchero, — in 357 gr. di muscolo, rene, fegato gr. 0,613 = 0,17 %, — in 1000 parti di sangue 2,030 zucchero. Nei tessuti adunque, secondo queste esperienze di von Brasol, si troverebbe una piccola quantità dello zucchero iniettato 0,17 vo circa la quantità rinvenuta nel sangue : la rimanente quantità doveva aver subito una trasformazione. Anche Weyert (2) ha ricercato che cosa avvenga dello zucchero che scompare così rapidamente dal sangue anche quando vi è iniettato in quantità notevoli. Risulta da queste sue esperienze che i succhi dell’ organismo non si saturano di zucchero in rap- porto alla quantità introdotta, per cui una grossa porzione di zucchero deve venire rapidamente trasformata. Così in un cane di 26 Klgr., si iniettavano, dopo la legatura degli ureteri, 150 grammi di zucchero in soluzione 50 %. Finita l'iniezione nel siero del sangue si 0 (0) fosse del 75-80 °%/ e che lo zucchero si sia uniformemente suddiviso, dovevano in trovava 1,18 zucchero, Se ammettiamo che il contenuto in acqua dell’ animale 19,5-20,8 Klgr. di liquido trovarsi 0,77-0,72 zucchero. Invece ucciso il cane 3 ore dopo l'iniezione dello zucchero, si trovarono nel liquido cefalo-rachidiano, nella linfa del collo e nel siero del sangue 0,13-0,18 % contenevano 33 fino a 38 gr. zucchero. In tre ore erano stati trasformati più che zucchero. Cioè i liquidi dell’ organismo 100 grammi di zucchero. Appariva probabile che la trasformazione fosse anche più completa quando lo zuc- chero entrava a poco a poco per le vie naturali e attraversando prima il fegato. Nelle mie esperienze sacrificavo quindi i cani nel periodo del massimo assorbimento degli zuccheri, immergendo il fegato, i muscoli, il cuore, rapidamente cavati dall’ animale, nell’ acqua bollente allo scopo d’ impedire qualsiasi trasformazione cadaverica. (1) Leo von Brasol. Wie entledigt sich das Blut von einem Ueberschuss an Traubenzucker. Du Bois Reymonds’s Archiv. 1884, pag. 277 (Laboratorio di Ludwig) (2) Dr. F. Weyert. Der Uebergang des Blutzuckers in verschiedene Kòrpersifte. Du Bois Rey- mond’s Archiv. 1891, pag. 187. — 186 — Per il dosamento del glucosio nei tessuti si è operato nel modo seguente: una quantità pesata dell’ organo (fegato, muscoli) immediatamente gettata in cinque volumi di acqua bollente, è mantenuta all’ ebollizione fino a completa coagulazione della massa del tessuto; questo viene poi accuratamente triturato ed estratto all’ ebollizione col liquido primitivo ; l’ estrazione si ripete tre volte con le stesse quantità di acqua me- diante ebollizione, i liquidi filtrati e riuniti vengono dealbuminizzati col reattivo mer- curico di J. de Meyer, l'eccesso di mercurio viene precipitato con 7,S, e dal filtrato si elimina l'idrogeno solforato come per il sangue — infine la soluzione viene ridotta a piccolo volume per il dosamento del glucosio. La presenza di materie estrattive può di- sturbare la determinazione. Così per l'estratto del fegato e dei muscoli si è trattata la soluzione concentrata a piccolo volume con tre volumi di alcool a 96°, lasciando deposi- tare per 12 ore, filtrando e scacciando dal filtrato I° aleool a moderato calore. La so- luzione, ridotta al volume corrispondente al peso di organo impiegato serve per la ricerca e il dosamento del glucosio col liquore di Fehling secondo il metodo di AGI Riferisco qualche esperienza come saggio. Esperienza 1° - Cane giovane di Klgr. 7,500 digiuno dal giorno, precedente. Alle 4 pomerid, si introducono nello stomaco 100 gr. zucchero di canna in 200 di acqua, alle 5,30 pomerid. si sacrifica cavando sangue dalla carotide. Si estrae il fegato nell’animale ancora vivente e si immerge immediatamente nel- l’acqua bollente timolata per impedire qualsiasi processo di putrefazione anche nei lunghi trattamenti successivi. Il peso del fegato impiegato è di gr. 200. Si procede per l'estrazione dello zucchero col metodo generale precedentemente descritto. La soluzione definitiva, completamente dealbuminizzata e ridotta a consistenza sciropposa, è trattata con tre volumi di alcool a 96°; dopo la separazione del precipitato per filtrazione, l’alcool viene scacciato a lieve calore, e la soluzione residua diluita con acqua fino al volume di cc. 200. Questa soluzione riduce alquanto il liquore di Fehling, ma assai lentamente, e per di più l’ ossidulo resta sospeso finissimamente e non può raccogliersi ; la qual cosa lascia il dubbio che non si tratti di glucosio. Una parte del liquido viene perciò ancora precipitata con acetato neutro di piombo; il filtrato liberato dall’ ec- cesso di piombo è ridotto a secco, indi estratto con alcool a 96°; evaporato 1° alcool e saggiato la soluzione acquosa del residuo col Fehling, si ha una riduzione minima, anch’ essa assai lenta a prodursi e tale da non permettere un dosamento. In altra capsula con acqua bollente si immerge il cuore, privato di sangue, e muscoli della coscia, appena tolti dall’animale ancora vivente. Grammi 170 di muscoli tolti dall’ animale sono trattati immediatamente come si è detto sopra. La soluzione definitiva, completamente dealbuminizzata, ridotta a piccolo volume, è trattata con 3 volumi di alcool a 96°; separato il precipitato per filtra- zione, e scacciato tutto l’ alcool a debole calore, si ottiene una soluzione acquosa che non riduce affatto il liquido di Fehling, nemmeno per ebollizione prolungata, e che però non contiene affatto glucosio. Esperienza 2* - Coniglio digiuno dal giorno precedente, del peso di gr. 2060. Alle 9 ant. si iniettano nello stomaco 30 gr. glucosio in 100 cc. d’acqua, alle 10,10 si uccide il coniglio cavando il sangue dalla carotide e si estirpa il fegato nell’ animale ancora vivente, peso del fegato gr. 38. Si immerge subito nell’ acqua bollente e si estrae con essa completamente. I liquidi riuniti e dealbuminizzati nella stessa maniera usata per i tessuti del cane, vengono concentrati al volume di 38 cc. Col metodo di Allihn si dosa il glucosio. Glucosio totale gr. 0,065, corrispondente peer 0.11 per 100 di fegato. Esperienza 3° - Cane digiuno da 24 ore, giovane, del peso di 10 Klgr. Ore 3,40 pom. si iniettano nello stomaco 50 gr. glucosio in 100 acqua, alle 5 pom. si uccide, come al solito, per dissanguamento cavando il sangue dalla carotide. Durante .l’ agonia si estirpa il fegato per intero, salvo la cistifellea, immergendolo subito nell’ acqua bollente e tagliuzzandolo. Peso del fegato gr. 204. Si tratta come nell’ esperienza precedente, cioè si estrae il fegato ridotto a poltiglia con acqua bollente fino ad esaurimento, aggiungendo ai filtrati qualche cristallo di timolo, si dealbuminizza con reattivo mercurio e si elimina il mercurio dal filtrato con H, S. Nella soluzione presente I° abbondanza del glicogene rende difficile la sepa- razione del solfuro di mercurio, che si è potuto facilitare alcalinizzando con carbonato sodico. Il filtrato, esattamente neutralizzato con acido acetico, viene evaporato a bagno- maria e a moderata bollizione fino a circa 150 cc. Si separa in gran parte il glico- gene con l'aggiunta di un volume e mezzo di alcool concentrato. Dal nuovo filtrato si scaccia l’ alcool a bagnomaria, portando la soluzione residua a 100 cc. Questa dà una lieve reazione col liquido di Fehling e col reattivo di Nyl&ànder. Si con- centra la soluzione residua e dal liquido concentrato sì hanno appena traccie di ridu- zione del liquido di Fehling. I tessuti del cane (muscoli, cuore) nel periodo di massimo assorbimento del glucosio non ne contengono neppur traccie, il fegato non ne contiene affatto o appena pochi milligrammi. Il fegato di coniglio ne contiene una quantità un po’ maggiore (gr. 0,171%), ma bisogna avvertire che l’ animale, relativamente al peso, era sopracaricato di glucosio e non poteva forse colla stessa rapidità trasformarlo. Vedremo il valore di questi fatti, il loro confronto rispetto ad altre condizioni, in una prossima comunicazione. ND REVISIONE DEL Genere Gees AWVAGLER MEMORIA DEL Prof. ALESSANDRO GHIGI (Letta nella Sessione del 28 Maggio 1905) (CON UNA TAVOLA) Nell’ autunno dello scorso anno ricevetti dal naturalista di Marsiglia M. Rambaud un esemplare vivente di Guftera dal collo nero, che non mi fu possibile determinare seguendo la chiave data dall Ogilvie-Grant nel Catalogo del Museo Britannico. Più che ad altre specie si avvicinava a G. edouardi Hartlaub, ma la nota che il Grant appone a quella stessa specie, per la quale non vien data una diagnosi precisa come per le altre, mi spinse a studiare attentamente la questione. In seguito ad un accurato esame bibliografico ed alla lunga osservazione dell’ esem- plare in discorso, nonchè di parecchi esemplari viventi di G. pucherani, sono giunto alla conclusione che il mio esemplare sia il rappresentante di una specie non ancora descritta, alla quale do il nome di G. bdarbata. Inoltre ho acquistata la convinzione che sotto il nome di G. edouardi Hartl. si comprendano due specie distinte non solo per la struttura delle penne del mento e pel colorito della pelle nuda del capo, ma anche per distribuzione geografica diversa. Conservando il nome di edouardi per l esemplare tipico di Hartlaub, assegno il nome di G. lividicollis all’ altra specie. Scopo della presente nota è di esporre le ragioni che mi hanno condotto alle conclu- sioni accennate e determinare i caratteri delle specie di nuova istituzione, attenendomi in principal modo alle osservazioni che da me e da altri autori sono state fatte sopra esem- plari viventi, nei quali le parti molli non hanno subìto alterazioni. Debbo però premettere alcune parole sui caratteri del genere, il cui rappresentante più anticamente noto è G. cristata compresa in principio nel genere Numida. Yarrell per primo descrisse la particolare conformazione della sinfisi clavicolare dilatata in una specie di ampolla simile a labello di orchidea, nella cui cavità è adagiata un’ ansa della Serie VI. — Tomo II. 237 — 190 — trachea. Lo sterno in mezzo all’ inserzione dei coracoidi si prolunga anteriormente in un lungo processo che raggiunge quasi l’ estremo posteriore acuminato dell’ orlo dell’ ampolla e serve a rendere più ampia la curva del tratto ascendente della trachea. Questa struttura tutta speciale delle clavicole può essere interpretata come.un appa- recchio di risonanza, che consente la trasmissione della voce a considerevoli distanze. Ed il grido che questi uccelli emettono sull’ imbrunire è straordinariamente curioso e ricorda alquanto una ritirata militare; sono due note formanti una terza, emesse consecutivamente e ripetute più volte con differente rapidità e che potrebbero essere scritte colle sillabe : tata toga eva Mara aa are Nell’ aspetto esterno le Gutture si possono definire come Galline di Faraone, le quali abbiano sul capo un ciuffo eretto di abbondanti penne in luogo dell’ elmo osseo. Il ciuffo, per una particolare disposizione delle penne posteriori ricopre generalmente anche 1° occi- pite, ma l’ inserzione delle medesime è sopra un cuscinetto adiposo im- piantato in una impressione longitudinale della fronte. All’ infuori del ciuffo, il capo e la parte superiore del collo sono nudi e la pelle è variamente pigmentata. I bargigli mascellari fuori che in G. plumifera, sono rudimentali: esistono però in basso ai lati del collo, due pieghe, che si protendono come le falde di una giacca arrotondata davanti. Intendo fermarmi un momento su questi bargigli, tanto più che tutte le figure date dall’ Elliot nella sua monografia dei Fasianidi, danno un falso concetto della forma della pelle nuda del capo. Non è esatto che una duplicatura cutanea scenda obliquamente dal l occipite fino alla gola, limitando in tal modo una zona di pelle nuda ben distinta da quella del capo e delle gote. La pelle del capo, della nuca, delle gote e della gola è appa- rentemenfe sprovvista di penne e fortemente pigmentata. Essa si prolunga in una duplica- tura solo attorno alle prime penne del collo che ne vengono ricoperte e poichè la pelle della linea mediana della gola non prende parte alla piega, questa dà luogo a due appendici pendenti su ciascun lato del collo. Penne brevissime di aspetto piliforme e, poco appariscenti ad occhio nudo, sono sparse tuttavia in questa pelle, che non è dunque morfologicamente implume, ma provvista di penne con vessillo rudimentale, in cui le barbe sono completamente scomparse. Non v° è traccia di papille o di particolari scabrosità : I Nella monografia dei Fasianidi, Elliot dà la figura di cinque specie di Guttera che offrono i seguenti caratteri. G. plumifera. Bargigli mascellari ben sviluppati; ciuffo composto di penne setoliformi, rigide, più lunghe posteriormente che non avanti. Parti molli del capo azzurre; macchie ocellari nelle penne del collo che circondano la regione nuda, più scarse e più grandi di quelle del rimanente piumaggio. Le specie seguenti hanno bargigli rudimentali, ciuffo composto di penne soffici e vel- lutate, adagiate posteriormente sulla pelle nuda dell’ occipite. Differiscono per varia colo- razione delle parti molli e delle penne del collo. — 191 — G. cristata è figurata con parti molli azzurre, ad eccezione delle gote che sono dipinte in nero e della gola e mento che sono rossi. Penne attorno al collo uniformemente nere. G. verreauzxi. Simile alla specie precedente, fuorchè pel fatto che il nero del piu- maggio cireondante il collo, si protende fino al petto degradando chiaramente in castagno. G. pucherani. Le caruncole sono figurate come nelle specie precedenti, il piumaggio è uniformemente ocellato senza alcuna traccia di nero. G. granti. Piumaggio come in G. cristata. Pelle delle gote e dell’ occipite dipinta in rosso vivo come quella della gola. Elliot considerava (G. edouardi Hartlaub come sinonimo di G. cristata, ma lo Sclater rilevò che la verreauri Elliot è sinonimo della edouardi Hartlaub, perchè potè stabilire che il tipo dalla prima era lo stesso che aveva servito al Dottore Hartlaub per istituire la seconda specie. Questo esemplare posseduto dal Museo di Parigi, era stato con- servato vivo nel giardino d’ Acclimatazione ; un altro pure dei tipi di Hartlaub era pas- sato posteriormente al giardino della Società Zoologica di Londra e dopo morto, nel Museo Britannico. Lo Scelater che ebbe modo di studiare accuratamente questi esemplari, afferma che essi avevano senza alcun dubbio mento e gola rossi come G. cristata e che diffe- rivano da questa, unicamente per maggiore estensione del nero sul petto e per l’ evi- dente passaggio di questo colore ad un castagno bruno. l È da rilevarsi inoltre l’inesattezza della figura di G. pucherani, specie ben cono- sciuta, la quale ha le parti molli colorate come la G. grarti. In una sua nota pubblicata nel 1890 lo Sclater offre una bella figura di un esem- plare di Guttera proveniente da Pandamatanga, stazione commerciale situata presso il confluente del Chobè collo Zambesi; quest’ uccello era stato preso nei dintorni delle cascate Vittoria. L’ esemplare dello Sclater per la forma del ciuffo, pei bargigli rudimentali e per il colorito del collo si avvicina a G. edouardi Hart]. (verreauri Elliot), ma ne differisce pel fatto che il mento è coperto di penne discretamente lunghe e sottili, che la gola è azzurro plumbea e non rossa, che la pelle della nuca e dei lati del collo formante la nota dupli- catura è di un gialliccio-grigio pallido anzichè azzurra. Di fronte a questi caratteri lo Sclater dice: « I have taken considerable trouble to find a correct name for it, but as yet, I regret to say, not quite success fully ». E più oltre « I must therefore leave the question of the exact name of the Zambesi Guinea-fowl unsettled.... ». Ogilvie-Grant nel Catalogo dei galliformi contenuti nelle collezioni del Museo Britannico registra solamente quattro specie di Guttera : G. cristata Pall. G. edouardi Hartl. « Differ from G. cristata only in having the black collar surroun- ding the base of the neck extended over the whole chest and usually more or less washed with chestnut ». L’ esemplare innominato dello Sclater è compreso sotto questo nome. In una nota poi il Grant dichiara di comprendere sotto il nome di edouardi parecchi esem- — 192 — plari provenienti dallo Zambesi e dal Mozambico i quali concordano nei caratteri col pre- detto esemplare di Sclater. G. pucherani Hartl. L’ autore rileva in nota che la figura di Elliot non è esatta circa la colorazione delle parti molli e che deve attribuirsi evidentemente a questa specie G. granti, nella quale sarebbero state erroneamente colorate in nero le penne del collo. G. plumifera Cassin. Nel 1898 il Reichenow riprendendo lo studio delle faraone dal ciuffo, premessa la distribuzione delle quattro specie precedenti, delle quali la cristata abita il sud dell’ Affrica occidentale, la plumifera la Guinea inferiore, la pucherani l’Affrica orientale e l’ edouardi il sud-est, ricorda come l Ogilvie-Grant abbia considerato G. granti sinonimo di G. pucherani. Prosegue dicendo di avere ottenuto dalla regione dell’ Ugogo parecchi esem- plari di G. granti, i quali dimostrano che questa specie non è sinonimo di G. pucherani, ma che potrebbe tutt’ al più essere ravvicinata a G. cristata se le due forme non si vogliono considerare come specie distinte. Nel piumaggio non mostrano differenza alcuna; quanto alle parti molli del capo, il Reichenow rileva che in G. cristata il capo ed il collo sono bleu e la gola è rossa, mentre in G. granti sono rosse anche le gote e la regione occipitale. Però, prosegue il Reichenow, la colorazione di G. granti varia coll’ età e la stagione. Un giovane uccello col capo ed il mento ancora pennuti aveva le caruncole bleu, mentre soltanto la parte inferiore della duplicatura era rossastra vicino al piumaggio. Un altro uccello adulto offre la stessa colorazione, coll’ aggiunta di una macchia rossa sotto all’ occhio. È possibile, sempre secondo l’ autore tedesco, che la colorazione rossa del capo appaia solo nella stagione delle nozze e che questa colorazione sia egualmente presente in G. cristata all’ epoca degli amori, nel qual caso le due forme non sarebbero specifica- mente differenti. Nella stessa nota il Reichenow riferisce di avere ricevuto dal Kamerun due pelli di G. plumifera, una delle quali provveduta di collare nero, nel quale caso differirebbe dalla forma tipica per lo stesso carattere che divide G. pucherani da G. cristata. Se anche la presenza o l’ assenza di collare nero non fosse costante, G. cristata, G. edouardi, G. granti e G. pucherani rappresenterebbero soltanto aberrazioni individuali della stessa specie. Quest’ ultima ipotesi fu ben presto abbandonata dal Reichenow, poichè riconobbe che l’ esemplare di presunta G. plumifera a collo nero era il rappresentante di una specie nuova che egli indicò sotto il nome di G. sclateri. G. sclateri Reichenow, corrisponde nel piumaggio a G. cr'istata, ma ne differisce per la forma del ciuffo sostanzialmente aberrante : le penne della fronte sono setoliformi e corte, non frangiate; soltanto quelle della parte mediana del vertice sono lunghe e frangiate indietro. Questo ciuffo è più lungo ma non così folto come in G. cristata. I bargigli ma- scellari sono rudimentali; il colorito delle parti molli come in G. cristata. Reichenow espone quindi lo specchio delle specie nel modo seguente : — 193 — I. Penne del ciuffo frangiate; bargigli mascellari appena accennati. A. Ciuffo folto; penne della fronte e del vertice egualmente frangiate. i | cristata (Pall.). Sierra Leone fino a Togo con anello nero al collo $ c. grarti (Ell.). Affrica orientale tedesca. c. edouardi (Hartl.). Mozzambico, Zambesi, Natal, Zulù senza anello nero al collo — pucherani (Hartl.). Affrica orientale, Zanzibar B. Soltanto il vertice forma un ciuffo frangiato ; penne della fronte corte. con anello nero al collo — scelaterîi Rehw. — Kamerun (Edea). II. Penne del ciuffo setoliformi ed irte; bargigli evidenti. senza anello nero al collo -- plumifera (Cass.) Kamerun fino a Loango. Debbo ancora riferire alcune note sparse di pubblicazione abbastanza recente, riguar- danti G. edouardi. Lo Sclater riporta una annotazione di viaggio del Sig. Francis sopra un d' di Bana Point, Innambane. « L’ iride è rosso sanguigno brillante : le parti nude del collo e del capo sono di un nero-plumbeo lucente; la duplicatura cutanea pendente sul collo di un bianco bluastro sudicio ». Mr. Alexander così descrive un maschio ucciso lungo il fiume Zambesi: « Iride rosso; pelle nuda del capo, mento, gola e collo azzurro-lavagna; piega della pelle nuda sul di dietro del collo bianco gialliccio sporco; becco verdognolo; zampe color lavagna. Questa descrizione fu presa direttamente non appena ucciso l’ animale, e non vi era segno di rosso sulla gola come fu descritto dall’ Elliot nel suo esemplare del Natal ». Trovo finalmente interessante riportare quanto dicono i Signori R. B. e J. D. S. Wood- ward circa gli uccelli catturati intorno al lago S. Lucia nel Zululand: « Game birds are particulary scarce at St. Lucia,... Verreaux s Guinea-fowl (Numida verreauxi) was abundant ». IDE Ho riprodotto colla maggiore fedeltà quanto di più notevole ho trovato scritto intorno alle diverse specie di Guffera e ciò per rendere più chiare le conclusioni cui sono per giungere. La faraona dal ciuffo da me ricevuta nel decorso ottobre da M. Rambaud, prove- niva dal Madagascar, secondo quanto mi scrisse il negoziante. L’ esemplare giunto in ottime condizioni di salute aveva le remiganti leggermente scolorite e logorate, tanto da provare che la muta aveva avuto luogo da tempo e che si trattava di un esemplare adulto. Posto in libertà nel parco insieme ad un maschio di G. pucherani che trovavasi in mio possesso fino dal precedente inverno, spesso sì acquattava sul terreno starnazzando — e le ali ed emettendo piccole grida come soglion fare le femmine che desiderano esser coperte dal maschio. Da ciò supposi che si trattasse di una 2 nel periodo degli amori. L’indole di quest’ uccello si è manifestata però assai diversa da quella di parecchi esem- plari di G. pucherani da me tenuti: questi sono sempre stati in ottimi rapporti cogli altri animali, mentre quello facilmente insegue e batte fagiani e pernici. Di mole alquanto superiore ai maschi di G. pucherani, il mio esemplare è caratte- ristico per la presenza di un pizzo di penne discretamente lunghe sul mento, simili a quelle possedute dall’ esemplare innominato di cui Mr. Sclater ha dato un dipinto. Differisce poi da questo esemplare pel fatto che tutta la pelle nuda del capo, compresa la duplica- tura pendente sul collo, è di un colore azzurro plumbeo un poco più chiaro sui lati del collo che non sulle gote. L’ iride è bruno scuro: attorno al collo vi è un anello nero, il quale si estende inferiormente alla parte superiore del petto senza che vi sia alcuna traccia di castagno. Dal complesso di questi caratteri risulta che questo esemplare non può essere attribuito a nessuna delle forme precedentemente descritte, le quali hanno iride rosso sanguigno, pelle nuda del capo almeno di due colori: azzurro e rosso, oppure azzurro e giallo, oppure azzurro e biancastro. Inoltre sembra caratteristica l’ estensione del nero sul petto come in G. edouardi, ma senza che vi sia degradazione in castagno. E merita speciale considerazione il mento pennuto in un individuo che oggi ha non meno di due anni ed è quindi adulto. Si potrebbe esprimere il dubbio se le differenze di colorazione dell’ iride e della pelle nuda del capo non siano effetto di caratteri sessuali secondari. Ritengo questa ipotesi poco probabile perchè in nessuna specie della sottofamiglia Numidinae si. riscon- trano differenze sessuali secondarie espresse nel colorito del piumaggio, delle caruncole e dell’ iride. Di più io ho conservato per più di un anno una coppia di G. pucherani in perfetto stato; il maschio si riconosceva facilmente dalla femmina per essere più grosso, più ardito, più rumoroso e pel fatto che di grande estate la duplicatura cutanea appariva più turgida ed il suo colore azzurro aveva un tono più brillante, ma non ho osservato differenza alcuna nella distribuzione dei colori delle parti molli e neppure nell’ iride. La provenienza è inoltre di una certa importanza, poichè non risulta che alcuna delle specie fino ad ora descritte si trovi a Madagascar, dove peraltro esiste un rappresentante della famiglia, la Numida mitrata, specie diffusa anche nelle regioni equatoriali del- l’Affrica orientale. Per questi motivi io credo di possedere il tipo di una specie non ancora descritta, alla quale attribuisco il nome di G. darbata, considerando più impor- tante di ogni altro carattere quello del mento pennuto. Avendo potuto stabilire dal confronto di G. bardata con G. pucherani che le penne al mento negli adulti costituiscono carattere specifico (in G. pucherani mancano affatto) mi è venuto il dubbio che 1° esemplare innominato dello Sclater attribuito da Ogilvie- Grant a G. edouardi non abbia che fare con questa specie. Dalle descrizioni degli Autori risulta che le specie del genere Guttera, come G. cristata, G. pucherani, G. plumifera da maggior tempo note non sono variabili nel colorito della pelle nuda. E la supposizione del Reichenow che l’ estensione del rosso in G. granti vari 5 — 195 — secondo l’ età e la stagione mentre è accettabile nella prima parte, non lo è altrettanto per la seconda, in primo luogo per l' osservazione riferita circa G. pucherani e seconda- riamente per la regola generale colla quale si comportano i pigmenti. In quegli uccelli nei quali, come nei 7rragopan, la pelle che forma il bargiglio non è pigmentata, ma provvista di una rete mirabile di vasi sanguigni, si comprende come nel periodo degli amori essa passi per l’azione del sangue che riempie i vasi al rosso vivo; ma dove si tratta di pigmenti del derma, come nel caso della Gutfera, non si hanno spostamenti di colorito : la pelle può soltanto divenire alquanto turgida ed allora le cellule del pigmento trovandosi allontanate le une dalle altre producono un tono più chiaro. È inoltre difficile trarre con- clusioni su pelli disseccate, perchè ho osservato che poche ore dopo la morte dell’ animale i pigmenti si alterano, confondendosi spesso tanto l’ azzurro quanto il rosso in un’ unica tinta nerastra. Per G. edouardi invece, gli individui adulti potrebbero essere indifferentemente, coor- dinando le descrizioni degli Autori, pennuti al mento o no; la loro gola potrebbe essere rossa ovvero gerigio-plumbea e la duplicatura cutanea posteriore di un azzurro-chiaro ovvero di un gialliccio sporco. Ora i tipi che servirono ad Hartlaub per descrivere G. edouardi e ad Elliot per G. verreauxi, sono inoppugnabili perchè portati viventi a Parigi e a Londra dal Natal. La recente affermazione dei Signori Woodward di avere rinvenuto attorno al lago di Santa Lucia numerosi esemplari di G. verreauxri, indica chiaramente che essi hanno veduto degli uccelli che corrispondono alla figura della verreavxi data da Elliot, la quale come già più volte ho ripetuto, è sinonima della edowuardi. Dunque si può concludere che nel sud-ovest dell’Affrica realmente vive una specie di Guttera (edouardi Hart.) con mento nudo, gote nerastre, gola rossa e collare che si protende sul petto di un nero che passa gradualmente al castagno. Dalla regione dello Zambesi provengono invece gli esemplari con mento pennuto, gola plumbea e duplicatura cutanea posteriore di color giallo sudicio. Tipo di questa forma possiamo considerare l’ esemplare innominato di cui lo Sclater ci ha dato una figura, colla quale molto bene si accorda la descrizione di Alexander e forse anche quella del Francis. In base a queste considerazioni mi sembra opportuno designare con nome proprio la forma che vive nella regione dello Zambesi e poichè non è possibile dedicarla allo Scla- ter che primo l’illustrò, dal colorito caratteristico della duplicatura cutanea traggo il nome di Zividicollis, che mi sembra conciliare anche il « dirty yellowish white » di Ale- xander e Sclater col « dirty bluish white » di Francis. I caratteri principali delle specie del genere Guttera Wagler possono quindi riassu- mersi nel modo seguente : G. cristata (Pallas) — Ciuffo soffice, folto, piovente sull’ occipite ; bargigli rudimentali ; mento nudo; piumaggio provvisto di anello nero attorno al collo; pelle nuda del capo azzurra, fuorchè sulla gola che è rossa. Abita |’ Affrica occidentale dalla Sierra Leone fino a Togo. — 196 — G. granti (Elliot) — Regione occipitale e perioculare, rossa; nel rimanente simile a G. cristata. Abita l’ Affrica orientale tedesca. G. edouardi (Hartlaub) — Regione perioculare nero-lavagna. Anello nero attorno al collo, allungantesi sul petto dove passa al castagno bruno; nel rimanente simile a G. cri- stata. Abita il Sud-Affrica orientale. G. pucherani (Hartlaub) — Pelle nuda del capo come in G. granti. Piumaggio inte- ramente ed uniformemente ocellato senza anello nero al collo; ciuffo e mento come nelle specie precedenti. Abita la costa di Zanzibar. G. barbata n. sp. — Mento pennuto ; ciuffo come nelle specie precedenti. Pelle nuda del capo interamente azzurro-cupo. Iride bruno. Piumaggio con anello protendentesi sul petto come in G. edouardi, interamente nero. Abita il Madagascar. G. lividicollis n. sp. — Mento e ciuffo come in G. barbata. Pelle nuda del capo gialliccio sporco nella regione della nuca e della duplicatura cutanea. Piumaggio come in G. edouardi. Abita la: regione dello Zambesi. G. sclateri Reichenow — Penne della fronte brevi, semplici e diritte: penne del vertice formanti un ciuffo soffice e frangiato, più lungo e meno folto che non in G. cri- stata. Mento nudo : colore delle parti molli e del piumaggio come in G. cristata. Abita il Kamernn (Edea). G. plumifera (Cassin) — Penne del ciuffo diritte e setoliformi formanti una specie di spazzola; bargigli mascellari sviluppati. Piumaggio ocellato senza anello nero al collo; le macchie a perla della regione circondante il collo sono più ampie e più rare che non nel rimanente piumaggio. Parti molli azzurre. Abita il Kamerun fino a Loango. LETTERATURA Elliot — Monograph of the Phasianidae II, 1872, plt. 43-47. Sclater — On a Guinea fowl from the Zambesi allied to Numida cristata. Proc. Zool. Soc. 1890. Ogilvie-Grant — Catalogue of the Game Birds in the Collection of the British Museum. XXII, 1893. pp. 380-884. Reichenow — Ueber Haubenperlhiiner (Guttera). Orinthol. Monatsber. VI, 1898, N. 1. Reichenow — Guttera sclateri Rchw. n. sp. Ornithol. Monatsber. VI, 1898, N. 7. Sclater — On a Colletion of Birds from Inhambane, Portuguese East Africa. With Field-notes by H. Ri Rrancis. Ibis, 18997 pr0l2° Alexander — An Ornithological Expedition to the Zambesi River. Ibis, 1900, pp. 448-449. Woodward R. B. and I. D. S. — On the Birds of St. Lucia Lake in Zululand. Ibis, 1900, p. 524. (0) Mem. Serie VI. Tomo II A.Ghigi dis. È. Lit. E.Rizzoli- Bologna. i Lit. E.Rizzoli- Bologna. fa Cupi lit. A.Ghigi dis. — 197 — SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Schizzi rappresentanti il capo delle diverse specie di Guttera, per mostrare le diffe- renze di forma e di colorito. Colori convenzionati. Il rosso indica le aree che negli uccelli vivi hanno realmente tale colore; il giallo in G. lividicollis indica la regione di color bianco giallastro sporco. Le sfumature rosse sul nero del piumaggio esprimono il bruno castagno. Fig. 1 Guttera cristata, secondo Elliot. dai? » Deo » 4 4 » 5 » SI 0) » ir; » DIS » edouardi, secondo Elliot. lividicollis, secondo Sclater. barbata, schizzo dal vero. granti, secondo Elliot. pucherani, schizzo dal vero. sclateri, secondo uno schizzo gentilmente inviatomi dal Sig. Prof. A. Reichenow._ plumifera, secondo Elliot. PIE Serie VI. — Tomo II. 28 OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE CE rTrE DURANTE L'ANNO 1904 NELL’OSSERVATORIO DELLA R. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA TIVI Hi NEO DEL PROF. MICHELE RAJNA E DEGLI ASTRONOMI AGGIUNTI RINALDO PIRAZZOLI e ALBERTO MASINI (letta nell’ adunanza del 28 maggio 1905). Metodo di osservazione Le osservazioni di cui qui si presentano i risultati sono quelle delle ore 9, 15 e 21 di ciascun giorno, prescritte dal R. Istituto centrale di Meteorologia e Geodinamica. Non si riportano, invece, i risultati dell’ altra osservazione che si fa ogni mattina alle ore 7 dal 1° aprile al 30 settembre e alle ore 8 dal 1° ottobre al 31 marzo e che serve per il telegramma da spedirsi al predetto Istituto. L’ altezza barometrica si legge sempre a un barometro Fortin, cui si applica la correzione costante + 0"", 46 determinata anni addietro per cura dell’ Istituto cen- trale. Il pozzetto del barometro si trova a 83", 8 di altitudine sul livello del mare (1). La temperatura dell’ aria si legge sul termometro asciutto del psicrometro di A u- gust, posto nella gabbia meteorica, e le temperature estreme su termometri a mas- sima e a minima, collocati anche questi nell’ istessa gabbia, al nord e all’ ombra. La quantità delle precipitazioni si ottiene in millimetri di acqua mediante il plu- viometro registratore di Fuess provvisto di un sistema di riscaldamento ad immer- sione per ottenere la fusione della neve. A questo sistema di riscaldamento è innestato un termometro il quale permette di verificare che il liquido riscaldato non raggiunga una temperatura troppo elevata, da alterare, per evaporazione, la quantità di acqua caduta. Il pluviometro è collocato sul punto più elevato della torre, a un’altezza di circa 50 metri sul suolo. (1) Da misure dirette prese nell’anno 1904 risulta che il pozzetto del barometro sì trova a 28",76 di al- tezza sul caposaldo della livellazione di precisione situato alla base della torre dell’ Osservatorio, sulla facciata esposta a sud-ovest. Dietro cortese comunicazione dell’ Istituto geografico militare, tale caposaldo ha la quota di 55”, 066 sopra il livello medio del mare a Genova. Quindi il pozzetto del barometro ha l altitudine di SILUT U 70 = ETA — 200 — La tensione del vapor acqueo e l umidità relativa si determinano con un psicro- metro di August provvisto di ventilatore a palette, del solito modello adottato in Italia. L’apprezzamento della nebulosità si fa stimando ad occhio in ciascuna osservazione quanti decimi di cielo eran ricoperti dalle nubi. La provenienza del vento si desume dalla direzione della banderuola dell’ anemo- metro all’ atto dell’osservazione. Per la velocità si prende la media giornaliera dei chilometri indicati dall’ anemometro di Fuess a registrazione elettrica. L’ evaporazione dell’ acqua si misura ogni giorno alla sola osservazione delle ore 15 nell’evaporimetro posto al nord e protetto dai raggi solari e dalle precipitazioni. Il pluviometro e 1} anemometro di cul è fatto cenno furono collocati per cura del prof. Bernardo Dessau nel tempo in cui egli diresse interinalmente 1° Osservatorio (1900-03); a lui si deve pure l'acquisto di tre strumenti registratori di Richard, un barografo, un termografo e un igrografo i quali con le loro registrazioni continue servono di controllo alle osservazioni dirette. Riassunto dei quadri mensili. Barometro L’ intiera escursione barometrica dell’anno fu di 35"°,9, differenza fra la minima pressione di 736"", 5 osservata il 14 febbraio e la massima di 772°", 4 osservata il 15 novembre. Molte furono le oscillazioni secondarie fra le quali la più importante fu quella dal 15 al 24 novembre in cui da 772°" 4 si discese a 741"% 6. La depres- sione portò con sè un cambiamento notevole del tempo che da sereno divenne piovoso. La media pressione di tutto l’anno risultò di 756", 2 che, se si eccettua il febbraio, il quale fu il mese delle più basse pressioni, si discosta assai poco dalle medie dei singoli mesi. Temperatura La massima temperatura si ebbe il giorno 25 luglio e fu di 34°, 0, la minima il 23 dicembre di —4°,9; la media temperatura dell’anno risultò di 13°, 9. Dalle medie mensili si rileva l’andamento regolare della temperatura. Non si ebbe in quest’ anno una grande escursione termometrica, ma il periodo del caldo durò senza interruzione dalla metà di maggio alla metà di settembre. Il freddo fu abbastanza mite in gennaio, alquanto più sensibile nella seconda metà di dicembre. Precipitazioni La quantità totale di acqua caduta fu 629%" 1 in 95 giorni. Fra questi sono compresi i giorni 4, 5 e 17 gennaio e 1 e 31 marzo in cui si ebbe neve, quasi sempre mista a pioggia e che lasciò appena traccia di sè. Il mese più piovoso fu il marzo in cui si raccolsero 10%8"",7 in quattordici giorni. — 201 — Tensione del vapor acqueo La media tensione dell’ anno risultò di 8"", 4; fra le medie mensili la maggiore fu quella di agosto di mill. 12,1: in questo mese si verificò pure la maggior ten- sione di tutto l’ anno, cioè 18"" 5 il giorno 20. La minima mensile si ebbe in @en- naio e fu di >"", 0; mentre la minima tensione di 1"",7 fu riscontrata il 15 febbraio. Umidità relativa I mesi nei quali l’aria fu più carica di umidità furono dicembre e gennaio in cui rispettivamente 1’ umidità relativa raggiunse la media di 82/yw @ di 81 Ao: L umi- dità media dell’ intiera annata è risultata di 67 do Nebulosità Secondo le norme meteorologiche si considerano sereni quei giorni nei quali la somma della nebulosità delle tre osservazioni giornaliere è compresa fra 0 e 3; misti quando la detta somma varia da 4 a 26; coperti quando varia da 27 a 30. Nell’ in- tiero anno si ebbero 100 giorni sereni, 193 misti e 73 coperti. Il mese in cui più di frequente si ebbe cielo sereno fu luglio con 18 sereni e 13 poco nuvolosi. Quello con maggior numero di giorni coperti fu marzo con 14 giorni di cielo coperto. Provenienza e velocità dei venti Il vento di ponente o solo o in composizione col nord o col sud ha dominato più degli altri, essendosi osservata 281 volte la provenienza da NW, 274 volte da W e 159 da SW. Le altre provenienze stanno assai al disotto di queste, e quella che fu osservata il minor numero di volte fu il levante (31 volte). La media velocità oraria del vento nell’anno fu di km. 8. Maggio fu il mese più ventoso con 12 km. di media, e i meno ventosi furono il novembre e il dicembre con 5 km. di media. In marzo si ebbe la giornata in cui il vento soffiò con maggior veemenza e fu il 30 in cui la media oraria risultò di 33 km. Si ebbe in tal giorno una grande depressione, giacchè il barometro discese a 739,1; e il giorno successivo un abbassamento notevole di temperatura e un poco di neve. Evaporazione La totale quantità di acqua evaporata fu di 1405"",3; la media giornaliera di 2"" 8. Il mese in cui si ebbe l’evaporazione massima fu luglio nel quale evaporarono 276" 7; segue poscia agosto con 236"",0 e giugno con 195"",7; e ciò in accordo perfetto con le medie termometriche mensili. 202 — OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIo DELLA R. Università pi BoLogna (alt. 83”, 8) Forma delle GENNAIO 1904 — Tempo medio dell’ Europa centrale Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada 4A | Media {50 Quh Media OL ERI 24 Mass. | Min. |mass min OE 2:10 precipitazioni pioggia, neve e grandine fuse Precipitazione | Giorni del mese mm. mm. mm. mm. O) o O) o o o STA TOV0O. | TOSTIMEZI aoo, Dita) 3 TEO NOR 759598 75989 199, 9 DA 8 4, TORO IVO MIRINO 900 Zac 0, 4 pioggia (SRO 9 DD LI DI dI Sc eier) d: 3,8 | 753,9 | 754,1 4,0 I DIO IE VEST MOSSO E 008 1,0 3 IRA OZ ON ion De? 1,0 1,6 5,8 | pioggia e nuve 0, 1,0 0,8 | pioggia e neve 0 Da tO = d9 15 0 762.5 | 762,9 | 762, 761, 798, OTOUOTA SI UD tO Dr 5,0 0,1 pioggia 0 | 759,8! 758,9 | 759,41 759,4] 4, L | 759.1) 758,5 759,2| 758,9] 3 2| 760,0 | 759,5 | 760,0 | 759,8] 3, 24 pioggia e OA 000 a 100 DD LD (36) (0/0) Ss SI SI Ne) Jr) > Ge (30) CS —,,5b tO 2 HI 2,9 | . pioggia 41,9 | pioggia e neve (2°) 09 DS 4°) w 1 DO ci (AS) Ni DI i DI ni SS (erferXer) Ut I d9 — o) 190 W x ZA (o Moni puro DO (DA i Coli) [9] DI I (or) ES tO — 1.090 DO) = c SD = i 1 09 "SS a SW Da DI ol. feP) (o.0}o 01 DA (S©) UIL I DI (36) > (>) dl I (orfferXer) Or 029 oo è fi AO) (00) 1 (cp) fa (2°) nl DI (36) DA (© ©) 2 (ep) a S DI SS 2 > A ' (Dafoe 0) (d6) = I UT [AS] DI I (Dai (<>) (0/0) SI Do (DAI 750, 6 4,0 5,4 4,9 6,0 3,8 4,7 2 pioggia mr mr - mr n SO O G ta o | * TOSI TOSO] A7oSSI 1588 3), © 5,0 4,2 5,3 20 | 3,9. 550 C) Altezza barometrica massima 7 » » minima 74 » » media 7 nl 29 Temperatura massima 10, Do do SU » minima ( ,8 » media 3 Nebbia mneltgionnito: 419, (0 (809 OA RUI RE Brina nei giorni 28, 29. i O 3709 NON 75/709 0) Ì ODION 5A? 3,8 o ATO is ‘ DAD TONER SIA 490 5185 4,8 LIA 4,1 9,0 3,9 D, 749,3 ? DI I 191,2 54 ) 7 2 5) 2A 2 1 Il IR 20) [760,01 | 758,7 | 708,7 759, 1 1,8 3,9 39) 3,6 0,7 24 DIA o YA 0079089 3,4 6 8 5,4 7.0 TOSO) 4,5 a GENNAIO 1904 — Tempo medio dell’ Europa centrale afasia E Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza E 2 E 2a = in millimetri in centesimi in decimi del vento Sg AO 5 | 9" | 158 | 216 | Media | 9h | 151 [24°] Media | 9 |15 | ef gn | 15h fon f> 2|85 DM to, 45,5 9,3 93 O 95 93 10 | 10 10 W W W Il 1,0 e ERRI M Dez 87 84 | 85 85 7 10 10 ? W W 4 0, 8 Li O) ESTAZZA 52 DA 86 | 90 | 91 89 0 A0 10 | NW | NW | NW 10 2,0 4,7 |4,7 4,8 DOT Sco RO SA IO 94 10 | 10 | 10 W W W 9 12 4,6|4,7]|4,8 4,1 94 | 94 | 96 95 10 TONNZIO W W.__| NW 9 1,0 4,1 4,4|4,6 4,6 S6 | SI | 86 84 AO IO IO W_ |NW|NW 5 0,9 MS o: 9 il 074 5,2 SISI 88 sb TOR ION AIO W W_ | NW 4 12 0 6 6,0 Sl MS DI NO 89 10 9 10 W ? S 3 0,9 azero 60,5. 6,3 Io I 97 | 100 97 LO ION LO ? NW | NW 5) 0,7 N20 No, 430,4 6,3 O | 07 97 10 | 10 10 {| NW | NW | NW d 0, 6 SRO] Mor 15,9 DIN S6 | 75 | $7 83 4 9 10 W._ | NW ? 3 0,7 DIM, 70) 89 | 84 |.90 88 8 9 10 | SE ? ? 2 0,6 9 ROY 9, 6 9.008 7987 85 8 SI IO ? NW ? l 0, 6 DZ TONI lo, 6, 90 | 97 | 98 95 9 | 10 10 ? SE | NW 2 0,5 Si 420 4,4 80 | 44 | 42 55) 0 0 OI RENIVVARI AVV W b) 0,8 38 | 099 4,8 99 | 80. | 92 71 URSZIO) 10 | SE W ? 10 20) 4.8 | 5,05 4,9 4,9 89 | 86 | 85 87 10 10 3 | NW | NW | SW 7 0,5 50) SR IC 3,8 S4 | 49 | 64 66 1 1 0 W NE W 4 0 92 | db 44 SANI do (0 | 7 Ue $ 8 | 40 | NW|NW |NW Di) 24 SRO 10788 400 3) ©) GU | 09 | GS 67 0 ZIONE NOE ENVY ENVY NV I 1,6 TOTO] MET DL CURE 720 707 76 d 8 | 10 |NW/NW|NW | Il 1,8 o RON ROS O, 12 dd I 75 1 2 93 {NW |NWNW 10 1,9 444,6 | 5,0 4,7 ero SR) 80 U 410) 10 W_ | NW | NW 3 1,6 MRO A SAL: 4, 4 S4 | 70 | 74 76 D) 5) 8 | NW E | NW 2 Ti DI NES NE LR iO | 7 | 73 75 Do) OLO, W_|NW | W 3 1,0 IT AGIO 4,8 Sl | 2 | 82 78 10 10 | 10 | NW|NW | W 5) 102 Li oa d® 00M GS INI 76 4 0 0 W |NW)| W 4 7 LT | 404 0 4,7 io. (RA i 66 0 0 0 | SW |NW.| NW 7 250 39) | 5 4,7 CONS 64 0 5) 0 | NWI] W | SW 6 9) CSO MOSAR MONO 5,6 SOM 5 MS5 80 4 5) 7 | NE | NW | SE 2 al og ROSORMOO, 5,8 SS SS 02 89 10 10 10 | NW | NW S 3 0,7 4,8 | DO |a 2 5,0 SII IS 81 7 8 8 6 IRR Î | | ni a | Tens. del vapor acq. mass. 6,5 g. 9 Proporzione | Media nebulosità » » » » min. 2 2 49) . ° ì | d » » media 5,0 dei venti nel mese | relativa nel mese idità ARI OONSANNO ; a i cimi e do. i N NE E SE S SW w NW DI NERIONEtl | » media 81 ORO TO a RO O SL 8 FATTE NELL OsservarorIo DELLA R. Università pi BoLogna (alt. 83", 8 OssERVAZ IONI METEOROLOGICHE | =" | all’ora | — 204 — OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’UsservatorIo DELLA R. Università DI BoLocna (alt. 83”, 8) | Giorni del mese ® Ò D FEBBRAIO 1904 -- Tempo medio dell’ Europa centrale |E 2 2 dg DE Forma "RE Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada E dE delle A 0a Media |'9 2 £| precipitazioni gn 15. 2jh | Media] 9" 45% 2 | Mass. | Min. |mass min.|g =. Qu 29 (SÈ mu, Mu. mil. mm. O (0) (0) (0) (0) (0) nm. 741,9 | 744,6 | 747,6 | 744,6 4,0 5,6 5,5 6,0 4,0 4,9 10,4 pioggia Pon 520 5228 5241 4,2 7,0 6,2 2 3,8 9,4 i 9 MRAZ 52050) 052% SR 9,8 9,9 6,2 4,9 D,4 0,3 pioggia Doo | O 601 4,6 5,6 6,2 6,3 4,4 5,4 Tab CAO VO elio 0 a2) 20 60 DR 3,8 pioggia T4T.A | 748,0 | 750,0 | 748,4] 7,2 8,2 39 8,5 6,9 7007 7500887508568) 500 8,2 52 8,8 11,5 6,9 8,9 0, 1 pioggia OZ VOLO IV 60153) Ud 9,9 8,3 9,9 6,4 8, Mor. ARIA STANTON TASTO LETALI 6,7 13,6 ORC RAT 6,4 01 CANI pioggia 744,2 | 743,6 | 744,3 | 743,0 9,0 9,6 9,5 12,0 7,4 9,5 3,7 pioggia 744,3 | 743,4 | 742,6 | 743,3 6,9 8,0 8,4 9,7 6,0 Us OR MISTA 61920 OSIO, IMIION5 13,0 9,6 13, 1 7,8 10,3 759,7 | 799,6 | 759,2 | 756,8 Tod 13,1 8,1 13,1 6,9 8,8 750,8 | 743,6 | 736,5 | 743,6 9,0 7,8 10,7 12,5 DIO 8,0 741,5 | 742,5 | 742,4] 742,0) 10,0 | 1258 8,9 | 12,9 6,2 9,5 746,0 | 748,4 | 749,5 | 748,0 9,9 10,4 7,9 10,8 5,0 To 745,9 | 744,3 | 743,41 | 744,3 5,4 6,2 5, $ 7,5 5,3 6,0 br TRA IA MS8AST 1736988 5,6 4,6 6,6 6,8 3,5 5,6 14,8 pioggia LASA RISO 5388 W508 5,0 2 9,3 7,6 3,4 9,9 TOA TOA | 693 759,2 3,6 139) 5,0 7,6 3,0 4,8 RIO TORA | 1969 | VeRr 6,6 8,9 9,8 8,9 4,6 6,9 199,4 | 791,9, 750,3 | 752,4 5,1 9.8 6,5 10,3 SIL 6,3 745,6 | 745,9 | 744,8 | 746,3 4,8 10,5 8, 10,8 4,0 7,0 “ERE 146,6 || 46 TASTI IATA 550 7,0 4,4 9,8 3,5 DI 0,9 pioggia MOON RISONTA 6294 Mb 3,4 4,6 3,8 4,8 2,6 o)U 794,0 | 754,3 | 755,1 | 754,9 4,0 5,0 3,9 9,6 288 339 796,0 | 754,8 | 754,7 | 755,2 0,4 5,2 3,4 9,4 0,0 23 TZ] TLT 705410780 0,6 1,6 2,0 3,4 0,4 1,6 149,1 | 747,8 | 747,6 | 748,2 1,0 29) 1,8 2,6 1,0 1,6 749,4 | 749,0 | 749,4 | 749,3 5,9 7,9 6, 6 SI90I 4,5 6,3 36, 7 P>}>}>;>;>;}-’”””””””>;>“«>«>”>“+>;’>rrrrcrrrrr ’ ’”c® PqMqIqgdgqgb%8ttrr——————————————_—————t__——————————_—————tt@ttmtmtm1t——@m@@——t@—|-+—ttm (L) Altezza barometrica massima 761,2 . 12 Temperatura massima 13,7 g. 9 » » minima 736,5 » 14 » minima 0,0 » 27 » » media 749,3 » media 6,3 AGIO Mel gori ha Ge iui 4, dI6, 2, 25 2 DI Brina nel giorno 27. — Temporale nel giorno 24. — 205 — OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE Na ’ EN Tr n TSO ì r om > FATTE NELL'OsservarorIio peLLA R. Università DI BoLogna (alt. 83”, 8) | z FEBBRAIO 1904 — Tempo medio dell’ Europa centrale Ss S| ce DE o S=| 36 | È Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza sE S => = in millimetri in centesimi in decimi del vento 5 Sl DE 5 SS O e Ie dani MONA SA ARR Medal ASA 5 2: 9 15° | on E pu Dea MOCZITiOni 6,0 98/94 | 91 91 10 10 SJ SW|ISW | NW 17 0,4 2A Mo 2068/11 10,7 6,2 84 |. 9 94 90 îl 10 10 SE | SW | SW 5 0,9 | BEMbRbRE RON (6r0 6,5 98 | 98 | 98 98 10 10 | 10 | NW | NW | NW 5) 02. | | AMORE o, 6770 6,7 LOON ton 198 98 10 10 10 x SW | NW | NW 2 0,4 5 79 I00 | 97 | 92 96 10 | 10 | 10 2 SW | NW 00 BIle5Riio A 706 7,6 Oo) | (So Ch 95 10 10 10 S NW | NW 3 0,5 CO SSN TOS SI TOMM96 83 7 6 10 | SW I SW | NW 9 0,7 Sea zz 40 | 86 78 | 90 85 3 RN IONISSW SW |SSEE | dae ao 9} 6,1|3,8|5,0 5,0 82 32 59 56 0 0 6 I NW|NW | SW 17 1,9 LTONIRIENZA E 74) .6,,2 6,7 Mz) 0 76 10 0 0 SW | NW | SE 22 I) | AATAN iS da OR MO SI 91 10 10 4 I NW {NW NW 4 1,0 REN 0248, 13,6 Sil 32 29 40 2 0) 0) 0 W WNW SW (17; 5,0 MSN ZASA 5,0) 16,,0 0) OSL 44 | 4 60 5) 4 D SE | SW SW 23 3,6 14 | 6,0) 7,0 |6,6 6,5 SOM SI 09 82 9 9 10 | NE SE | SW 12 DEC 145|{1,7|2,4|4,2 Sil 19 | 30 | 49 33 5) 4 9 I SWISW|SW 24 4,0 16 {4,4| 3.1 | 3,8 3,8 65 | 33 | 49 49 2 i) 6 W_| NW |SW 12 8 OI IT | DES) DINT SI 82 | 86 83 10 10 {| NW | NW ? 9 ZIA ISRINONON 00405 DI 95 ST M62 81 10 | 10 9 {| NW | NW | SW 8 0,7 19. [4,8 | 4,8 | 5,3 9,0 in GS LS) 7 4 ù 4 SE SE | NW 14 2,3 ZORIMAIONI 2911350 3] 1) 67 | 38 | 69 58 0 0 0 { NW | NW | SW 8 DI DI E eZ Za 43 45 76 55 2 3 ORIUSIWAINE W 12 3, 1 RRRISSON Mo 502 5, 6 76 | 60 | So TA ° () 4 6 ? SE W 2 1,9 ROMS Po 49 ON TO È, 65 0 0.| 40 | NW | NW | SW 5) 1,8 A] AT SRI 4,3 Te 30 SI 65 6 î 10 | NW | NE | NE DI 3, 6, SI SANI 9 DI |) 12 61 8 3 6 N NE W 5 20 20M ZON ZIO 3,6 64 | 43 | 6$ 58 10 3 0 { NW | NE | SW 2 1,6 DI e OS R SU 7) | IS 66 0 10 10 { NW | NE | NE 4 1,6 RS ZZZ 4, 1 8 IU SR 80 10 10 | 10 | NW | NW | NW 6 12 FORZA 4204 4,4 So ei S9 84 LO. | 10 10 {NW | NE ? 5 182 DI EZIO 6) To | 0 70 73 6 6 7 10 1,9 | Tens. del vapor acq. mass. 8,1 CA Proporzione Media nebulosità » » » pe (by de ; 4 » » » » media 5,3 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità mass. 100 g. 4 e 5 a A in decimi SII Sig Sai N NE E SE S SW W NW ECO » media 73 N09; O Sa 25 REG RII 6 Serie VI. — Tomo II. 29 | Giorni del mese wWirior — 206 OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ Osservatorio DELLA R. Università DI BoLocna (alt. 83», 8) MARZO 1904 — Tempo medio dell’ Europa centrale Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada ala gu 19 v9 Altezza barometrica massima 7 minima » 15° mm. T44, 4 TODO 755,6 uUt=p- CQENSENI UT DI SC LU Q4h nm. Media mm. I t o) 109 09 D 105 o [> id 794,0 media } gu (= eKer) DO 1 UU o ZIE Mass. | Min. » 30 » » Nebbia mei giorni A 2 3 4 5 (6, AS RIONE 2526 277 Brina nel giorno 2. — Temporali nei giorni 23, 24. | Media imass.min. ORE Ah CHIESTO SS LU 8,3 Precipitazione pioggia, neve e grandine fuse mm. HS (Dai 14,0 108,7 o Temperatura massima 16,0 g. minima — 1,9 media 8,3 Forma delle precipitazioni | neve pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia neve e pioggia 23 d ® — 207 OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL OsservaTtoRIO DELLA R. UNIVERSITÀ DI n BoLogna (alt. 83”, di MARZO 1904 — Tempo medio dell’ Europa centrale 2 Slo 2 Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza RUE E =w = in millimetri in centesimi in decimi del vento irtio] NISS 5 SR Ao e MIMediagtN9Rt MST N20 | Mediat[9nr Mb 2 gh 15h ol cene: Da pene 45/46 | 4,8 4,6 91 92 96 93 10 10 10 W W W 6 0,4 AZ 43 4,9 98 S9 SO S9 10 10 6 ? NW W 7) 0,3 TISOIETRO NEGA ROSOT 58) 89 | 83 90 87 10 10 10 W NW | NW fl 1,6 TESarii No Sa 61 D9 92 77 S4 S4 8 10 10. NW | NW | NW 4 2 SAMbdD| 603° 64 | 6,2 82 (69 | 83 78 9 S 0INW| ? SE 5_| 4,9 GEM sonia ie 6.9 6, 7 92 S0 S6 | S6 10 10 do) Ù NE SE 3 2 Î | | | | | | malisto nero: voll 6,8. il 88 |87 | 09 | Loi o Oa 2 |. NE n dels ssi go | 79 | 099 87 | 92 93 [org ? SE | NW| 12 | 0,8 SIRO t811|8,1 fo6 OA SA: 92 SI (0) i) 10 W SE | NW 10 ii) IDRA Or 6,1 TE 930 92 N69 85 10 7 0 NW | SW SW | 13 0,8 Mr 1 (69172 7A COTONE) 79 (0-8 0 ? SE | NW $ 2,0 esi es 00. 79 | 81 | 84 gl BE CAO OMISNA SSE ? 10 | 1,9 | | NOMINE 6:24 1653 6,3 88 | 74 | 84 S2 10 9 $ I NW. | NW | NW l 5 1 LE OZZANO 5,6 Mr 60 0 0 0 | NW | NW| W ‘) 2,4 6 || EE DIO Da | CO 93 0 I 4 I. W.|NW| SW 8 ZO) 16/|/4,6|:5,0/| 7,9] 5,8 5020) 5 AEG 0 2 0 |NW| NE | SE 13 | 3,8 || AO 6,8 97 62 TI 79 10 10 10 2, NE S 9 2A 187,0) 5,6|6,6 6,4 SQ ZOO 65 | 2 0 {NW|NWI| W 6 1.9 | HORIZON 6,9 Si eee e 4 6 | 10 { NW | NW | NW 7 RAS, Q0RIN6N3: 42 | (601 RO) Mi 3 SRM60 5S 8 | 3 ? NE | W 6 2,9 Gaios NO N9R 115,0 4,9 GE I ai 49 0 0 0 N NE | SW 10 2,8 oi 72) 6.00] 53 |45 | 75 58 GA NoN Modi Mavi sw les 5 | 2,9 PIMIMONONI MOI 1602 6,2 63 | 47 | 84 65 0 9. J0.{ SE | SW| SW] 416 34 RASTA 0,2117733 6,3 SUA TA 89 SI 9 Gg | I0 S SE | NE 12 To DORIA ASTONIESNO 158 IMSS 04 SR IO ZOO N SE | W 10 1,0 20 |A EESTRAG 8,0 CRISI MO 9l 10 | 10 | 10 JI NW|NW| W 4 0, $ Zi || 9 | Cho 8,7 O/e8 MORO. 95 40 AO 10. NW | W SE 5) 0,9 28{8,4/8,3]|8,4 8,4 O 0 SO 81 10 6 0 {NW|W |SW 7 ST 291859 | 3,4) 8,8 8,5 do | ZO 82 10 3 2 ? SE SE 6 1,6 SOAIRONON NOS 52 5, $ a 0 58 8 9 8 | SW | SW|SW]| 33 SR Si oNOR 03098 DI? co | SO 87 1070 LO LOT W W 13 9) 6,3 | 6,4 | 6,5 6,5 S20 0 3 TI 7 7 6 8 1,8 Tens. vapor acq mass. 9,5 © ZI Proporzione Media nebulosità » » i ani Sd Si 3 : » » » media 6,5 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità mass. 99 g. 7e8 ; fron 2" ole 0APS NGN, N N NE E SE S SW W NW in decimi » media 77 IMRE 109 II 27 7 — 208 OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OsservatorIo DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83m, 8 a APRILE 1904 — Tempo medio dell’ Europa centrale S°5 S SI DI Forma È Barometro ridotto a 0° (. Temperatura centigrada FEE delle s PRA DE E Media {9 SE] precipitazioni € gh 5 21h | Media]. 9 15h 21° | Mass. | Min. |mass.min.|®'/= (do) qu 2 | DI mm. ; mm. mm. mm. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. eri oe | 757856 84 29 ON ol Me 5,4 9,3 2 | 759,3 | 760,3.| 762,8 | 760,8 | 1i,2 | 14,0) 102 | 44,8 TN6 11,0 3.1 765,7 | 764,2 | 764,1) 764,7 OT AO ORTA INA To 9,8 LATO NEO 08880 08521 MOTO 96 OR MOZZO Md TOI 10, 5 VOR ZO MObEZo0 9,8 12,4 10,7 13,6 (3 D 10,7 0,3 pioggia 07962 MO MISSA 1202 110, 2 120 IZ689 8,7 12, 6 Ti | 156,6 7544 | 154,0 | 755,0)]) 12/97 | 16040 AR ot ono 2 STORIE MIST IAA Mo 10 |A 16 14,9 ONT S408 76708150 NS CEI AZ 65 AI 11,5 10} 757,9 | 755,7 | 755,8 | 756,5] 103 | 17,2 | 15,6 (17,7 8,0 12,9 I CORO MERO eGo Me RZ 0 | 00154 15,7 N29 o SSIS 768828 070.855 N65 SS, ASIA MIAO RUSS MISTO SA 15,6 VOLE MOLE Meier 460 147 | 168 8,9 13,0 14 | 760, 6 100,0 | 60,0. 760.60 1208 db (600 dl 65 (67 | 21492 13,$ 15 758 OOo ISS 9 VISA GAZZ | 109 12,4 IE a 60 e 8 I 2) IG AE] MR EDO TEO E MORSO 63 |2 | 26 14,2 1 Egeo So 2] Me 10,8 IO AG4 | 43,0 14,3 0,9 pioggia | 19 | 754,0 | 754,3 | 754,5 | 754,3] 12,8 || 10,8 | 10,0 | 44,0 | 10,0 {Un 9,6 Danza 20] 754,1 | 754,1 | 755,0 | 704,4 OT LOS 208 ARZONI 10,5 9,5 10, 0 18,5 pioggia Co Meo ROSSI eSATA RR Re Mo 9,8 IRA OZ MUSO E SOT 29 | 2150 | 5, LO 13, 4 DE pioggia QI] ZETA TONO] RTAS IA O N29 5 5 OSS 12559 9,5 pioggia DATO ISO 2 022 IS 10.) 196 1752 | A10,6 14,2 1,4 pioggia | 25 | 753,4 | 753,2 | 753,8 | 753.5] 129 | 15,3 SOI 254 13,8 23,8 pioggia TOO | 07 MOSS 1909 448 | AL? 24] LASA RZ 14,8 ZIA SSN TA SS 107 75020 ZO NON IQNONE MIRS2 O AZIO 1298, 11,0 pioggia 268 o 00 SA 756 o OR OZ Og NA 08 sz IR ON pioggia 20 OS e ua est 22 62 88 | 165 | 64130 OOO 2 70080868 095 | 02 AGO | 100 | AQ 1939 | 0 0A o OTT 00; 20 0 ON SO Mo 250 Ro LO 12,8 89,9 Altezza barometrica massima 765,7 g 3 Temperatura massima 19, 9) & 30 » » minima T4T, 5 » 23 » minima iS I » » media 756, l » media 12,8 Nebbia nei giorni 9, 10, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 24. Temporale il giorno 24. — 209 -- OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatoRIO DELLA R. UnIversITÀ DI BoLogna (alt. 83m, 8) : APRILE 1904 -- Tempo medio dell’ Europa centrale = S 2 © © Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza Re E = | = in millimetri in centesimi in decimi del vento Sagl 22 | 5 | 9 | 15: | 215 | Media | 9g | 150 | 210) Media | gn | 1 | 21m] gn | is fan |85° Ser end USO, 4,1 42 | 34 | 54 43 0 1 4 W | NW | SW 12 3,1 PRIA 06,9 SL 46 47 74 56 2 5) I INW[|NW| SE 12 3} 0) 36,9] 4,4 | 6,0 5, 8 TO asi 40 61 l 0 6 ? E SE Il 3,0 6,38 | 6,5|6,4| 6,3 | 71|54 | 58 61 (06 LO SRI ON 200 6247 5| 6,51 5,4) 4,8 5,6 n 50) 50 57 8 4 ZIONE W | SW 5) 2,9 ses sgizi5 li ci {45 1028 | 70 48 DG] CASA iS 12 | 3.4 | DADAMOND 4 6,5 DI 47 68 DD 3 2 0 {NW | NE | SW 12 Di LET SS, 6,4 S| 68 52 3 0 0 { NW | NE | SE 18 DIST 8,1|8,4|8,8 8,4 S9 | 62 | SI TI 10 0 O0IjNW| N SE 6 2,9 #10 | 8,5 | 3,9 |-8,5 8,7 OG 73 10 0 2 W N | SW 6 200) 114 8,9 | 6,7 | 8,0 8,5 RAS MODI MG 63 0 2 3 { NW | NW | SW 13 84 IRAN 90 199 8,8 SO dI so 76 66 3 l 0 N |NW | SE Il DIS 13 | 9,4 |10,1 |10,8 | 10,1 Oi | 27 83 10 | 40 9 | NE | SW | SW d PAATI 14 {10,0 | 9,9 [10,1 | 10,0 CIT 82 83 10.| 10 6 | NE | NW E 2 MU 7) CERA (CRSRO 9,7 94 | 80 | 87 87 10 | 10 10 SE SE SE 10 LU 16 |10,2 (10,2 |10,4 | 10,3 OS SS: 92 TORNANO E NW N 6 i) 17 {10,2 [10,1 |10,4 | 10,2 GRANO 85 83 10 7 5) W {NW| SE 3 QUI 18 {10,2 [10,0 [11,1 | 10,4 o | 70] 8 84 10400 MMONESE N NE 4 2 NOR 18:20) 8.2 8,0 TO e $2 10 | 10 | 10 | NW| SE E 9 ZI LORIA 8:11] 18;/5 8,2 88 | 87 | 92 89 10 | 10 9 W |NW]| W 4 1,5 PARNISSI 8: 418,3 8,3 80 | 67 | 76 74 6 7 2 W SE W 3 1,6 2208 10 LONSAAOO. 80 | 89 | 9 87 100 | 4/0) (NA W W_ | NW 9 2,0) 23 | 9,6| 9,6 (10,7 | 10,0 SZ 93, 87 10 SAMO W S ? 6 3% 24 {10,6 |10,1 [10,1 | 10,3 | 92 OTT S0 5) 8 9 W W ? 4 1,6 25 [10,3 | 9,5 (10,3 | 40,0 CB | 79) 69 s4 10 8 8 W W S 4 12 RORMOMG OZ door] 404 80 | 66 | 88 78 6 To AVIO INTEN RINIEHO MUN.E 7 282 27 (10,2 0,1 | 9,2 978 O MOMO 94 10 10 | 40 | SW | NE | NWI 43 1,4 25M ONU 079 geni Sten Moi \M69 70 10 8 ASI N ? a) 29) RORIRON4A Morti (679 6,4 CONS 59 9? 0 4 0 W | NW | SW 3 4,9 306,8 | 6,6|8,4 io SRZONM62 5I 0 0 0) W NE | SW 8 4,8 AARON SRG (Szi Li 75 062 | 77 72 e DRG 8 | 28 Tens. del vapor acq. mass. | (1 g. 18 Proporzione Media nebulosità » » » yy svn e 3 i A ei 5 c » media 8,2 dei venti nel mese relativa nel mese | RETE Capi 5 ; ne ode DE N N NE E SE S SW W NW SIA SCI » media 72 SI 15 E 12 ES I SR 6 | rr _——_—_—__—— —1 __ — 210 — OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL Osservatorio DELLA R. Università pi BoLoona (alt. 83”, 8) ® D 6 () g GIUGNO 1904 — Tempo medio dell’ Europa centrale BE È Ù E no Horma Hi N _ 1 Cas 3 Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada RE 5 delle (E Media | 2 | precipitazioni .2 gun 15R Qjh Media gu 45h QU Mass. | Min. |mass.min.|®' =. DS gno Qh | v Ri S| n e DI ge DO mm mm. mm. mmm. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. Io A ES 6 o 750108 00: DIO QI 21,6 26,2 17,0 291] 8,8 pioggia 2 | 15607 | 75505. 757,3 | 756,5] 19,3 |/2280 4805 23,8 | dov 19, 6 Su 9 MICRO DO OO ooo 19,4 20,4 16,9 IO, 16,6 18,7 22. pioggia tl 1591 (7582) 759,1 758,8 re | 220 2088 230 Mast o AG DA 761467013018 76015997 6192056 22,8 82 24,1 16.8 20,7 0,4 pioggia CRlERA0N 6051 75955002081 24,8 QNT, 25,2 18,2 21,6 MASSON 756900 4 ROTA 2255, 26,6 25,9 ZI 19,6 23,9 8 | 55450 (594) 759,00 53] oz es 0r0 25:00 06 22008 08 bo: ORA ROIO) OZ NZIRIRI 22 4 24,4 26,1 20,9 23,5 4,5 pioggia 10} 753,4 | 753,1 | 754,1 | 703,9 | 24,5 26,4 19,8 ZIO 17,4 DIA 2A pioggia 411. | 755,0 | 753,5 | 759,0 | 754,9 | 24,0 26,9 22,4 RUI 19,4 2399 (2 | 75539 | 755,3.) 756,5. 755.9) 2003] 22 gi 236 89 2055 RR RIO Ro Meo ao 202 21,9 20,4 RI 17,8 20,2 2,4 pioggia TR ee sc 00 00259 2959 1 209 O ORI 7958 MET Zo81 | 24,6 UI83 ZO 27,6 19,6 24,1 16 | 761,3 | 761,6 | 762,6 | 761,8 | 24,0 ZIRO 25,4 28,9 5 24,8 An 6341 162051 reg 26021 eg Met 29 Mazzo 2600 {80|( 75955 (15658 156040 br ani sat ee 820 e 2700 19) {| 758,6 || 768,6, 759,3 | 768,6] 221 DID 22,5 26,9 ZIA ZIA 20 | 760,7 | 759,4 | 759,5 | 759,9] 23,4 | 25,8.) 222 | 22,8 | 1758 | 246 o 2 | 76013 | 7596] 759,8 | 15909] 2004 |'o5i9 0 oo 273 | aste | 2256 2,1 pioggia 22034008 702002198 0242 0: 22,5 Do I 17,8 22,1 5,8 pioggia 23 | 762,4] 760,5. 76017610] 21 | 27,8 | 243 | 282 | 188.) 23,9 94 | 759,7 | 757,2 | 756,6 | 757,8] 25.2 | 286 | 26/4 | 29,3 | 19, 25,4 25 | 754,8 | 752,2 | 751,8) 752,9] 25,4 | 298 | 25,9) 300 | 237 26,0 208/00 1920 5098 0587 Reali 30,7 26,8 31,0 24, A ZIO | 8 IT) 459 225 21,9 20,0. 26,8 20,0 22,9) 28 | 758,6 | 758,3 | 758,6 | 758,9] 21,5 293 22,5 25,6 18,7 DIA 2 MELO MIL ZOO | M968 | 26 20,4 22,4 Roi 17,8 QQ 30. | 756,3 | 754,9] 755,3 | 755,5] 23,2 | 25.6.) 23/3 | 25,6 | 17,9 | 225 mr | S sE — u S TORO TRL TORO. 069 || 230 | 27 | 229 | 26,7 19,4 2200) 38,3 Altezza barometrica massima 764,5 g. 17 Temperatura massima 32,1 g. 18 ,9 6 ] nl 8 » » minima 750,9 » 2( » minima 15,6 » 4 » » media 757,5 » media 22,0) Temporali nei giorni 1, 3, 10, 22. — 213 — OsseR VAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIo DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 85", 8) o IRE E GIUGNO 1904 — Tempo medio dell’ Europa centrale È Ss | = Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza 5 2 E D in millimetri in centesimi in decimi del vento Sa 5 e i "o S 5 gh LOR | 21% | Media | 9 IE Mico] SE 2a gh 5 Zi. 2 e | 1 {14,4 [16,1 |14,3 14,9 66 SI 74 74 2 4 6 NE | SW W 8 Canis NZA A) (129 1285 79 56 SI 72 3 7 10 { NW NE SW 9 BElSroganz (1230 49-2 SI TU 86 SI Di 10 S NE | NW W $ 4 [bk NESSO, 12,0 TI 9S 71 69 6 3 3 INW | NW E 5 SUIS 113,7 [13,7] 43,7 19 60078 72 Ù 7 8 W.| NW | SE 7 6 [12,5 M2,5 (13, 4 2,8 Ro 65 64 5) 4 0 JNW|NW| W 6 Te LE ZA TESSE 5 60 | 45 | 96 D4 0 0 0 I NW | W SE 9 6,8 SANRanO 9,9) [14,3 410,2 41 Sil 7 40 0 0 10 | NW | SW | SW 15 8,9 9 {14,0 |15,3 [13,4 4,2 66 | 76 | 59 67 Ì 8 SI NE | SW, W 6 TA, TORNSS0N URNE 568/1852 Dygi NZT MIS5 63 7 7 5 I SW | SW N 13 5,0 da [12,0 (12,3 |i41| 128 | 54 | 7 | 70 57 Qi Menisw3 (SW SE 8 | 4,3 IRAN HO, 711,7 la 0 TI DI TI 115) 9 do) 2 {NW | NW W 8 4,9 IRE2SSa IRSA TON ARI 79 || 08 || 70 74 4 9 7 W W W 8 4,7 VAI ONES A ZO 9,6 65 37 37 47 2 0 Il W NE | SW 8 4,6 TORNO 208] 185, I HI |a 48 0 6 n ? SW | SW 12 8,4 16 {13,1 [10,6 |12, 1) 11,9 DO) | O 49 2 i) 0 W NE SE î YI AZ [{LAIG IRE Go 47 37 45 43 0 0 0 NE NE S 8 8,5 18 {10,7 [11,5 | 6,4) 10,2 ko 9 | 2 35 0 4 9 SW Sw | SW Il 8,4 19 {15,4 [10,3 [10,9:| 12,4 TO | 8 58 6 0 0 { NW | SW E 15 3) 20 |I0, CIS ORG DIO 12 3 0 3 | SW | SW | SE 11 TA 21 IZ,0 | 9,6 10,37] 10,6 68 | 39 | 46 DI 8 6 0 W | NW |SW 7 6,4 22 {13,0 [141,5 [10,8.| 11,8 64 | 48 | 53 55 0 0 0. | NE | SE SE 12 5, 6 23) OE NESS ZAG Shu Za 23 || 60 41 0 0 0 E NE | NE 5 7,6 24 {10,0 |10,8 [11,5 | 10,8 LO ST | 40 41 0 0 2 {NW | NW | SW 11 8, 6 2% [ILS [NES VIZI i | 49 43 0 1 0 | SW SW SW 28 | 10,0 RO 1055 MAS28 AMS 43 DE 43 39 0 0 ] SW | SW | SW 23 S,9 27 [49 6 a T201 79 Gi 76 8 9 7 | NE | NE | NW 10 Ti Al 23 NZ | RO EG 9 | 56 0 3 0 | SW | NW | SE 6 4,5 LINO LO NSA MAZEN A(07 A RZ DT 49 0 0 0. | SW | NE SE Il 1,4 30) [IULO || ERO ZIO lea Son O MON DI 2 5 8 | NE | NE | SW 8 6,8 IRR OR 2408 RO, 6l E) | 56 3) 4 4 10 6,5 | | Tens. del vapor acq. mass. 16,1 Cal Proporzione Media nebulosità » » » » min. Goo 23, 7 : DA > eda 1159 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità mass. 86 g. 3 j imi co, N NE E SE S SW W NW i (Gu » media 56 i dO 3 9 zo do da 4 Serie VI. — Tomo II. 30 — 214 — OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE rante NELL'Osservarorio DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83”, 8) lel mese siorni d al ( DI TO DO A D) ° (cd) LUGLIO 1904 — Tempo medio dell’ Europa centrale SIE Rion Forma HD É (QUE Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada iS delle A 0 a Media [9 3 Z| precipitazioni DA 195 Qh | Media | 9h Jo 21% | Mass. | Min. [mass min|? 3," | | gh 92jb © | | SAR & mm mm. nm. mm. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. 755080 755.0) MISS M6S bl 2902 on 29 2300 200 248 TOT 5630 MTA 00096192692 29,0 24,8 29,2 21,0 25,9 Ri e ad o RO 288 (0202 2063 28 | 253 758356150 156,5) Tati 2560 IR e e 232 Me TOUS CO MORA OO 200 202 239 282 | 222 25,0 ONOR VSTi 22025020 | 258) 202 DI L60084 M615I 60 0178 RO? RO REA 2990] (0 Z| VOR 009 252 RZ | 20,0.) 203 19,4 2092 161015950 Ao MITA 265918 30310 SS 10 RR 27,6 ZA MA RO ZI 0 RE ZA 2 0) T6s1 5665 5684 700708 og Cee TIR TO? 208 | 259,4 (3150 | 23,6 26,8 M60 N24 760988 re 60870 24508 68 2200] 22 239 ZOO Robe zoo 222 262 220 29460) 253 23,1 do pioggia 76200 | MEI | reo zed 2403) 28040 2680) 098 20978 0258 030 | L05007 | M0L9: 254 301 DS ON ES OZ 232: 27,0 10110) 760959) 760828760800 MR 610 3 ON 823 SOR 21/5 15988. mero esete ieesi | on Man7A 2300) 2 N2503 es8 PIRA RO 80936825232 MOAN91 MIDANCA 199,107 |2/59071 269208 8068 SA 34 IIS DET ATOC.0O 60] 268 0281-38) 25,8 28,4 Too ei 5900) osti 2700) 31008 one 759,6. 758,2 | 758,0 | 758060) 25,6 || 30,60) 29,1 || 314% || 21006 126,9 TRO 007 Ii 02 220289 250295 | 28 ZON 0,2 pioggia Io Gee RR AO 236 TRITO | 4 29 | 3059 | 273 | 33 23,9 2801 Ro 2 8 A 309 | 22 DIVO 700 | 000 oso 5a | 263 29,3 | 204 223 25, 8 WD OLO 0O00 200269 | 260 269.202 Q4, 4 760,8 | 760,6 | 761,1 | 760,8 | 26,3 | 28,1 dg 26 | 22,0 29,7 TOI 10,2 7050 6,4 260) 803 | 2860 31,0 | 220 ZONO | | Ti ORO OSO] an 26) 294 26,8 | 3021225 | 29,9 64 Altezza barometrica massima 763,0 g. 8 Temperatura massima 34,0 g. 25 » » minima 752,7 » 26 » minima 19,4 » 8 » » media 758,1 » media 28,9 CR Oss ERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIo DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83”, 8) » » » » m i n. » » » » Umidità mass. » mono — Vl » media 46 media 1270 77 g: 13 e 14 6.6 »31 N NE do 4 dei venti nel mese SE S SW_ wW O 0-5 20 d LUGLIO 1904 — Tempo medio dell’ Europa centrale E E ® 5 p p ESE | e Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza pa ei = 2 = in millimetri in centesimi in decimi del vento Sal) = è | 9 | 15h | 21» | Media | 9% | 15h | 21% | Media | 9h | 15» | 21 ir |onf> |P cd E SINO ONOR MAL 6 E AA DONI 49 4 0 0 0 NW | SE 6 2 [IM LE eo] ER 41 32 59 A 0 3 6 NW W 9 10,6 | ei 16238 MB AZ 53 42 50 4 0 4 9 S S 5 4 {11,4 [12,4 [10,1 | 14,3 Sari 40 | 37 4 0 2 I NW | SW 10 5 [11,3 16,7 RSS 13,5 59 66 61 f 0 10 0) NW W. 10 FIRE Ro 6l 40 | SI 5) I 3 3 NW | W 7 RAiIeSA iS, 400954 SLO) 57 59 10 43 0 0 0 NE ? È Soon 97 nona | 49 (037 | 37) 39 Li (20 N|W 4 | 10.0 9 {I1,5 |[LO,t [10,0 | 10,5 14 30M MS 36 0 0 NW | N 8 OR fnoS2a 25 AGES AU 5 4l OLONA ISO 37 0 0 l SW S 8 AL [12,1 [11,8 [15,4 | 19,1 46 | 35 95 46 l I I W_ | SE 7 10, $ 12 [15,0 [15,7 {16,7 | 15,8 56 DI 69 59 0 9 d SW N 5 18 {15.3 (14,9/15,4 | 19,2 69 65 Vi 7 6 9 9 SE E 7 4 {15,4 5,7 (15, 19, 4 DI 62 74 7 7 8 7 NE ? 5 15 [1858 11,6 |14,2 | 413,2 61 40 | 54 bo 2 2 I NW | SW 5 | 16 [14,4 [11,5 [14,5 | 13,5 60 36 | 50 4 0 0 0 NE | S 5 ie RITA 7,9, 10.5 58 20) 25 37 0 0 3 NW ? È Nana HQ A LT | 12,0 46 | 35 41 } 0 0 Di NW | sw ni IGRII2A3N 223183 25 6 to | 0 45 42 0 1 0 NW S g I 20. {l5,5 |144 |I5,1 | 14,9 6l 42 | dI 0 il 0 NW | SE 3 DINO 12,4) 12,6 O) QI 4I 0 2 0 NW | W 8 22 [I4, 14,0 |14, 5) 14, 4 54 41 1) 49 0 $ 4 W W n 93 [115 00,6 |l2,3 |. dI 5 47 32 4 0 I 9 wWw | sw 7 ; 24 [13,8 [11,6 [13,6 | 13,0 62 | -36 3 DE 2 5 I NW | sw 9 25 [14,0 (11,1 10,4] 11,8 2 | I IR 38 0 0 0 SE | SW Il SaS Sti 6,19) (1 9;:9f | 39 (223 | 2629 Cnn IA RIO SW | sw | 15 | 104 28 [14,4 [12,0 [12,7 | 13,0 AQ 0 dI 0 4 0 NW | W 12 SORAZA 5 N83 E 10; 2 GO | 29 | 99 43 1 2 0 SE S 3 30|9,1|84|S,1 8,9 3a 300083 33 0 2 0 W SE 9g 341 {9,4 6,6 | 9,8 8,6 37 21 33 30 0 0 1 NE SE 6 12,6 11,4 |12,141| 12,0 52 | 38 | 47 A g è Tens. del vapor acq. mass. 16,7 g.5e 12 Proporzione ia onu relativa nel mese in decimi 2 nelle 24 ore 216 OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ OsservatoRrIo DELLA KR. UnrtversIiTÀ DI BoLocna (alt. 88", 8) lorni del mese gn s ì mm. 1 | 761,6 2 | 760,4 UO 4 | 764,1 DEMONIO 6 | 761,8 PINTO S| 761,1 CI TA) 10 | 755,5 LE 0N2 2 79705 I 70155 14 | 761,6 9: 70055) 1057007 SIA) 18. | 753,8 19 | 755,8 20. | 756,9 QI NIOZS ZITO 23. | 75 24 753,8 29 9A ZON OI ZI TOA 28 | 760, 4 O MIIMZIONENO 30 | 760,5 » » Temporali nei giorni ® ° D AGOSTO 1904 — Tempo medio dell’ Europa centrale 503 Rica Forma aL Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada SES delle A 0 E Media | > £| precipitazioni 15% 2A TediafMeton 15° 24% | Mass. || Min. [mass min.{@ =. Re Se mm. mm. mm. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. CONOR 76084 00x84 NO re 241 29, SSNONI MA22SS 2001 TO ON O RO ZIA 2260202 |» 208 24,5 4,8 pioggia OA 62:10] 020 MZ0NI0) 26:88] 20 RICA 2006 23,5 (OE OO IR ZÈ8 | 2662 | 25,7 UO | 2450 24,6 (ORO ZO 208] 255 041 27 29,8 Oi oh Nora 250 NS | 257 | SL | 52 QIs 1 T60N5i 613028618 330 a o 3 29 TREO O 2 300 02 23 29, 6 190: 9 MOSSA 29 MR SOT 83:08) 262 2900 PIO Moog 255 | 204 | 250 | 902 | 232 26,0 09) pioggia POE MOMO 259 | 2350204 | 283 | ZL 24,7 PRO SO a I 4 |A 26,3 Î MIO MOZZO 2 250 238 (236 29,0 206 25, 4 RO ZOO Q£4 303 | 282 | 305 | 224 26, 4 TOO Roe | SA 27 | 326 | 39 28,3 ORIO ZA oO ZIO SS 22 | SRO 25,9 28,7 DIO MORI QI 28 | 309 243 Za AIA TO 020] 2298 | 24 | LO 19,8 LOR 4,0 pioggia 900650. 766,9) 201 2a | 252 | 26,4 | 10;2 DR O MIO OZ || 204201 2159 24,4 TIE DITO 250] 287 239 | 291 ZIA QUI CR 20 2a | 232 | 25,9. 182 21,6 5,8 pioggia TITO IE] 282 | 247 20/5008 MOSS AZIONI 2211 1029 | 7059 | TOT) 204 | 24, SOLI 458 16,4 2089 T08SÀ 520) e Io IT 269 | 153 15,9 10, 5 pioggia 199 OI 163 | 227 NOS 23208 LIA 18,3 0,7 p1ogsla 1100950 RZ00850) CON LORI LEO | 240] 259 | 164 20, 5 09 | OO RC O SI MEO NONE 25128 22500) ER 21,8 (NO OLO 0002000 25/228 | 259 | 166 24,4 OI Lo IL 250 | 229 | 274 18,7 22,6 O TIT 00 OLA 264 | 20 2700 19,8 226 0,8 pioggia MRO ISO TOO LI | 24,6 | 2ONS MZONS 24,5 2085 Altezza barometrica massima 764,1 g. 4 Temperatura massima 33,8 g. 7 » minima 747,5 » 23 » minima 13,3 >» 25 » media 757,9 » media 245 2, 10, 181 (tre voltei, 22 OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL OsservartorIo DELLA R. Università pi BoLogxa (alt. 83”, 8) z AGOSTO 1904 — Tempo medio dell’ Europa centrale z 5 n Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza 7 È E = in millimetri in centesimi in decimi del vento Sa [Di ] i uo 3) | 5 | gr | 15" | 21 | Media | gn | 150 | 210 | Media | gn | ash|2inf gn | asnfonfo < | [SNO PRESE 10,7 35 32 39 DO), 0 0 5 {NW | NW N 9 11,4 RESA 2996 ASA WI I 55 8 10 | 10 W |NW| SE LORRIKIZI See O NS NTAZIO, |M 12,2 SL | 42 15 56 2 3 4 N NE W “ 4,8 4 {13,1 |10,4| 8,6 | 410,8 6373630 45 0 2 0 INW| W E 3 7.0) SalRNoNio:30 803 7,4 35 290 28 0 0 0 N NE W 6 9,0 BMBOSORIN8, 47858 SAU 34 24 | 30 29 0 0 0, W | NW S 6 {10,1 7 [10,5 98,8 8,7 Sor A ZI 2A 0 3 0 2 N SE 7 9,0 | SARESA 2/9 18 12,5 LT 39 0 0 I W N SW 12 {13,0 Ses Ron 9,7 | 1205 i I 30 10 0 1 0 W N SW 8 92 0A HRRbi iz, or5, 80 15,9 1246 S 62 l l 10 | NW | NW | W 12 8,5 MU, [16,3 (14,8 | 16,1 SO 5 SE 66 0 7 2 W S SW 6 4,1 ZARA SS SE 19,4 | 1330 599 | 44 49 2 0 {NW | NW | SW 6 IA TR ANI6 4 4, 211358 | 144,8 70 | 48 | 57 98 3 D) 0 N SE ? 5 6,6 IGNARO 7011255 I 12,8 67 | 33 | 44 48 0 0 0 | NW| SE SE 3) 6,3 LOEB Mz 12,2 LA 3 42 40 0 0 0 | NE | NE | SE SARRI CITAZIONI IONISHoN AR: 8,7 IL 13,8 90 | 37 | 48 45 I 0 | SW S SE 19M CIR gi 291404458 Le ZO A9 53 5) 3 0 N | NW S 7 18) 18 [15,8 [14,0 [14,9 49 99 | 685 | 78 67 S_|-10 {NW | W SW 15 8,1 19 {14,6 [14,0 (16,0 | 14,9 RS A 69 0 2 6 W. |NW | SE 5 4,6 20 LETO eo ne GSi Mo MS? TI 6 0 S SW |_W 5 6,8 20 VENGO RZZO 73 | 48 | 62 6l 2 A) 4 N W._ | NW 5) 4,7 22 {14,0 [14,4 (16,4 | 14,9 Ho MO MS2 74 8 $ 3 | NW N S D 4,7 23) || Pesa ea TRO OO 39 2 3 0 W W SE 14 9019 ZIA ON Mo 910,3 TOO) o4& | 26 | 52 37 0 0 6 ? NE | SE 5) 8,0 POOR AQ 07 N 1009 SO M90 92 50 CON NICO 10 | NW N NW 7 50) LOR oncRi 9 06 Rel 69 | 35 | 44 45 6 0 () S W_ | SW 9 4,8 RIO 6 904 8,8 DR 35, | 48 3 0 0 0 W_ | SW | SW 6 6,8 PIRA 1051 8,6 AT 0 43 0 0 0 | SWI| NE | SW 8 6,4 Cozie 28 4 116 67 | 46 | 60 58 0 0 0 W NE | SE 3 5,5 50) | A Za sl i | 4 54 0 7 5 W W E 4 5), (0) SARI 210 MIN 208 61 | 47 | 76 61 3 3 4 { SM W ? 5 5,6 CAT Uro 1282 12501 DS RZAZIo% DI 2 3 3 7 7,6 Tens. vapor acq. mass. 18,5 g. 20 Proporzione Media nebulosità » » malo Sha SZ ì ; » » » media 12,1 dei venti nel mese relativa nel mese (6 IOFISI 0 È 9 È a + Code pasa. i di 153 N NE E SE S SW W NW Dot Cioni » media 5l A 2 3 OssERVAZIONI METEOROLOGICHE — 218 FATTE NELL’OsservarorIo DELLA R. UnIversITÀ DI BoLocna (alt. 83m, 8) Giorni del mese SETTEMBRE 1904 — Tempo medio dell’ Europa centrale Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada Ca IL 24h Media gn mm. mm. mm mm. o TORO OLII OZ I2200) TO LARA TORSO MZ. oz: 18,8 TO ER Tea e den dl? 55,4 | 154,9 | 755,5 | 755,3] 20,7 756,8 | 7553 | 75610 | 756,0) 20,3 TE TO ON TOTO, VOTATO ALONE OSATO TOSTI 75808 ROS IRRMI6NS To SS SSA MSA o SA MR OSSONA oTA20 TSE IOANNIS | TRI) 561575609) 2756912079 756,6 | 709,4 | 750,0. | 755,7 | 21,4 TOTO] STO, ore Biore2A|2290 MOLO TS Tei 79009 | 259 TOSO RON SOA BIZ ZI 490 TURI N75204 508 MY ERI TS Ts A TOS NODO LISA CIO dI TO SAST AO SSoN NI59N6n 0908/881889 | OSANO SNA 0921 oo 9 757,8 | 756,5 | 756,2 | 756,8 | 10,0 5940] 70980928 0390 92 ZO RUE MC TOO Ro ZIONE 794,9 | 755,2 | 13,6 | | 154,9 | 754,7 | 754,2 | 754€ 14,2 (POE MEDI Boot MB RIN. IRRAIA 651988 IA 52 2 | | 10 A SA Mo 20 SOR MATA MOLIN TZ 5488 DANDO 194,7 | 754,1 | 754,8 | 754,5 | 12,8 | | 709,4 | 59 | ADS aa 8 | Altezza barometrica massima 759, 6 » » minima 749,0 » » media 755,1 Nebbia nei giorni 15, 23, 26, Temporali nei giorni 3, 14, 15. 1 5h DE w = 193 do tO 20 UT S (Dai 27, 29,380. 21” Mass. TO tO 9 SS UTO DI fo) S >DE 20, 6 Min. 14,8 Media mass.min. Gir QI O => d9 17,5 Temperatura massima » » minima media itazione ecip pioggia, neve e grandine fuse P mm. 3,4 0,3 Forma delle precipitazioni pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia 13 20 e 21 — 219 — OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL OsservatoRIO DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83”, 8) È SETTEMBRE 1904 -- Tempo medio dell’ Europa centrale È 2 © è, Brs9 35 £ |Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza 3 To = in millimetri in centesimi in decimi del vento ‘5 2 | = S SI] a) | ® SE | Riv ARTI ARI Media | 9h | 415% "|(24% | Media, | 98 (45h 24h | gh 15h | 2% > f< ( | | I Î 2460/12, 4//10;0. | 141,7 64 92 52 56 5 4 l NE | NW W 9 AR) 11,0 | 8,0 {10,6 She 68 39 63 D7 2 2 0 \\ W W 6 9,9 i ES R957 9,9 76 45 | 54 58 9 4 9 W |NW|NW 9 ATI GARR6,80|18,.6 Sie ol 31 46 43 0 2 O IJNW|NW| wW 3 5,0 9,9 | 8,9 |10, 6 9,6 53 IS 57 49 4 5) S | NE | NE | NE 15 LAO) 14,3 [10,2 (11,5 | 12,0 BENINO 07 63 3 2 0 {NW | NE SE do) 6,0 SR TONOR 9 AA Tal 46 | 63 60 0 l 10 W NE NE 5) 4,0 MeS5t 3: 27/13,0 | 12.9 78 | 83 | 88 83 10 | 10 5 | SE | NE ? ANSE) LEONI A48 TS | 93 | (67 66 0 2 4 W W E 3 200) MIRGNIAARST AZ5 | 12555 63 5) 73 62 6 l 9 | SW E E 5) 3, $ An (40,21 /08,16 | 10,2 (ICE N05) 48 0 0 0|JNW|NW| S 4 4,4 10,8 (10,5 |14,3 | 11.9 95 43 70 56 0 È 0 W | NW S ll 6,7 1,5) (Mete oa az OT O2 | 54 d4 0 3 4 W_ | NW | SW Ù 9,3 54 [15,5 |19,6 | 14,5 TT SZ 78 10 Do) 3) SE NE ? 13 4,5 iS MI2A20 MOSS AS 90 73 | 64 76 0 6 0 W | NW N 12 DR MERONE III 74 | 4T | 58 60 0 0 0 | W | NW | SI UOCESAO) imogMio:sti zia i 33. [yo 2 | 56 56 DON E E 16 | 4,5 s0RNor0X 6,6.) 69 68 | 45 | 54 56 5 3 Da CANTA E ? 7 4,2 GI6niNt: 5,2 5,0 DOGNSZIONI5D 46 10 4 9 | NE | NE | NE SAM IEONO SESBNoNORi i: 2 63 63 | 52 | 68 61 8 5 A {NW | NE | SW 5 4,7 een zl 680 | 730056 | 66 65 a EGO Or iva ri e eo 5030 | 73 1152 | 6a 63 2| 4 ? 9 W 3 | 9,8 mdilignolion2 i ‘s'e | 761.86 | 84 $2 10 | 10 | 1(0|NW| W| E DIRI SSA SL DCR OSSO) 9,4 DS 61 76 73 10 4 9 ? E S 4 20 TOR MRS 22 TR9) 89. | 93 | 90 9I 10 10 10 ? ? ? 8 2,4 i 208 2A 1293: 98 Toni eSS 85 5) A) 9 ìl NW | W 7 1057 12,3 [12,3 144] 12, 96 | 95 | 88 | 93 10 | 10) S$ |NW|NW| w 6-|/200 990] :8,01/1870 || 8,4 63 | 50 | 60 58 2 6 2 SW | SW ? 19 29 de OLI MORI ALON2 S4 | 89 lr 82 85 10 8 D W N W 9 25) 9,9 [10,3 {10,0 | 10,4 88 | 86 | 98 91 10 | 10 | 10 | W|NWÎ|NW 5 2 TOrONIE9 Ze L0N2: | 10.1 AO, 66 5) 5 5 8 3, 8 Tens. del vapor acq. mass. 1 5,5 g. 14 Proporzione Media nebulosità » » Di e 19 5 : » » » media 10), 1 dei venti nel mese relativa nel mese EA 92663 RENEE e 0 N'NE E SE S SW W NW o danni » media 66 di Ge (25) QU h) lr —_ _—————r —_ 22,0 OssERVAZIONI METEOROLOGICHE = ’ z )f D B m FATTE NELL'OsservatorIo DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83", 8) D) ai OTTOBRE 1904 — Tempo medio dell’ Europa centrale o È n 5 Res orma 5 Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada VEE delle 3 ne Ce clero E Media |’ ® | precipitazioni iS gn 150 2j%. | Media gh 45° DI M2ss. | Min. |mass.min.|? =. 2 OZ SE mm mm mm. mm (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. Lo 600] A 2 08 et (0850 pioggia OST SNO 58,6, 59M 13,4 17,6 16,0 18,2 12,8 LI NgI i 3 578 | veri | 75709 [sro] A 117,9) SRO |A Rie Ao 0,3 pioggia 1 | 758,5 | 758,5 | 758,8 | 758,6] 14,8 | 46,1 | 16,14 | 16,6 | 441 | 45,4 0,3 pioggia DITA EIA Ros Bo 0 20112 17,4 20,5 142 17,2 00 e ee | 208 2 Tarso 748121 i aste ani) Ro 2888 gl vagi2 | 748050 5100 499 80) 2080 e Mao 0 699 9 | 7512 | 75292] 7543 | 7526] 104 | 19,2 | 10,6 | 144 | 10,2) 167 ‘ IRA ire 2A 5990 8,6 9,8 9,9 10,6 8,2 O 16,9 pioggia 11 | 752,1 | 754,6 | 756,5 | 754,4 LO IZ | 190 9,4 10, 8 26, 4 pioggia 12 | ‘7590 | 7595 | 7609 76001) 104 | 12080) 102 8000 a 4,5 pioggia IRR 0590 63 NAR 623701031 10,0 14,2 12,3 14,9 10,0 11,8 14 | 7604 | 757,8 | 757,4] 7584] 1142 | 14,0 | 129 | 143 | 97) 120 159 STA 756968 W67ASA MARSA o 28 IZ MOI SAT 0,9 pioggia 0 MES | 792 IO TESO 4 64 RS IST ZON 1209) ATA 7600 760530 7(6.15(00 6070 9 155 MQ UG | 40,7 13,3 ISR|GFOSA0N 62048 63450 0763408 RIS MV MASS MNA6 9,0 13, 2 TON |7/63970 763710 7620010 763 67) Mo 0 Ro 2088 288 16,0 ONT 6270 L62101 7037820] 8 00 oso ORA 6 15, 1 21 | 759,7 | 7578 | 757,5 | 7583] 1464 | 1777 | 1552 | als | 1959) 09 228] ETOTCIOR 0.09 o MOON SRI or LI 14,2 E ME EI 19 I] 19 L09498 10,2 : 2% | 758,0 | 758,0 | 759,6 | 758,51 14,7 | 45,0 | 15,0 | 15,3 | 1444 | 149 | 10,2 pioggia 25 | 760,0 | 758,2 | 757,5] 758,6) 137 | 1779 | 15,4) 18,2 | 17) 15,0 26 | 757,6 | 754,9 | 752,3 | 754,9] 12,9 | 146 | 134 | 15,4 | 126) 13,5 27 | 754,0 | 754,2 | 756,0 | 754,7] 12,2 | 15,0 | 120 | 15,3 | 11,6 | 128 N00. 799,1] 7099 | 7019 OO US LOS MS 8,7 10, 6 0,2 pioggia 29005, | 756,161 M6S,01 756,18 8,7 OLA 9,0 | 10,8 7,4 9,0 30 | 758,4 | 757,6 | 758/1417580] 104 | 448 | 128 | 1550 | 86 | 14157 31 | 759,4) 758,6) 7594 | 758,9] 11,2) 144,4 | 12,8 | 144 | 10,2) 19,2 197,6 | 756,9 | 757,5 | 757,4 | 12,9 | 16,0.) 14,0) 16,4 | 14,6 137 9209 Altezza barometrica massima 764,8 g. 20 Temperatura massima 22,3 & 7 » » minima 747,3 » 7 » minima 7,4 » 29 » » media 757,4 » media 13,7 NebbiaMmerngiori AS 2 122230 O 2600278 dea OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ OsservatorIOo DELLA R. Università DI BoLoena “(alt. 85", 6) OTTOBRE 1904 — Tempo medio dell’ Europa centrale all'ora Velocità media (cd) uv £ |Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza E S = in millimetri in centesimi in decimi del vento È 5 | 9 | 15h | 21'| Media | 9 | 15% | 21° | Media | 9 | 150» /2h| ® LoL 2 £ tor SA ONOR 07 94 | 64 | S6 S1 10 6 0 | NW | NW W 6 249,6 (10,0. |10,S | 10,1 SA 67 SO Td 10 4 0 | NW N I 3 | | LE UR IS) 10, S SO 79 SY 83 2 10 10 \V NW | NW 6 4 {10,6 {11,0 (10,9 |: 11,0 SO | $4 | S0 $3 10 10 6 NW | AV W 9 SEMO TOA MES 10,9 79 60 SÙ 12 () () 3 W NE SW 6 6 [10,0 [10,9 (10, 4 |. 10,4 69 6 69 66 b) 10 2 W W W do) GR 12,6 (10,4 | 11 4 T4 | 64 | 60 66 0 4 PRIMISE SE | SW 16 2,6 Mz 6.9] il 55 | 32 | 56 18 4£| 3% 10 wW |NW{NwW] 20 {5,5 €10 RISRIOA RISRIOE MIRI 6,1 65 | 45 Til 61 10 10 10 W N W 15 SUNT IONE ESA 8,2 7,8 S6 | S9 | 92 S9 10. | 40. | 40. | NW | NW | NW 8 5) I NISERLO NOI So 8,6 89 | 86 | 89 88 10 10. | 410 | NW | SE S 10 0,8 i || SER RZ MOSO ), 6 OSS 9% OR 10 | 10 10 ? 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NE ? d 1,0 LEMON MOR O9 6,2 Moni Moio 63 0 1 0 | NW | NE W 5 2,0 29 | 6,51 69/7, pessimi ISO 0/82 sO LORA oe e ora gna SUASA RON 970 8,8 86 | 75 | SI SI 0) 0 0 |{NW| W |NW 7 JI Risa NSSSNST9 8,8 97 | Za | 0 s0 5) S 0 | NW 2, W 4 oa) e VA C0, Go aa te NR 632,1 Ì Tens. del vapor acq. mass 19, 6 dall Proporzione Media nebulosità » » » SI ami Sy ; ; DE » » media 9,2 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità mass. 99 g. 13 > * i vimi mesi 0 e N NE E SE SSW W NW dn dei » media 76 TON OI O SS O) SRI 3) Serie VI. — Tomo IT. 31 2992 OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIo DELLA R. Università DI Borogna (alt. 83”, 8) Giorni del mese era NOVEMBRE 1904 - Tempo medio dell’ Europa centrale Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada Media gh 59 IR | Media gu 15 eZ Mass. | Min. |mass.min. gn 21h mm mm. mm InuUi (0) (0) (0) (0) (0) (©) 160,7 59,7 | 759,9 760,10 14,0 | 70 io oa eno 7606 | 760.3 | 761,9 | 760,9 8-6 | 13,1 | 1007 | 1353 760 10,1 764,1 | 762,9 | 763,0 | 763,3 SAONA UO RELONOI IZZO, TU ® 9,5 | | 762,7 | 760,9 | 761,0 | 761,5 IDA AT IA 9 109 10, 6 TOTO 09N6n 594 99 ATAR2 15,1 SA 9,0 1099) TROIS? Meo Yes 9,6 AO TRMZIZAIONI IRIIAIO, 8,5 11,0 | | TIT TOR OSO 0,7 | A20 IO 10,9 TRS TSO OST IOSZA AMS 822 919 11,0 T5,8 | 15502 Tosse Ns 98 ri Ares Mo o | | TROVO ea 081 AZ IAA 220] 14606 |A lizso, TINO ROIO 7024 OA RELO 9288 ISO gn: 252 6, $ 10,2 763,6 | 761,9 | 761,8 | 762,4 QAR MILITA MO AG 9,0 10,7 (6181 76159) 6/06 62 RRERMo 9,2 169924) 76000)! ao) 70099 Meo 06 e 0 e GO 12,4 | 770,0 | 765,9 | 769,4 LO 070 DIO, 8,2 2-0 9,0 | 7619] 176050]) es Re e 0 SII 164,7 | 764,7 | 764,5| 764,6} 2,3 RI O 7,5 1,9 n 4 Tei Tor 620 7629008] Me oo Mae 2 7,3 Ì 0319, 03721 76310 0359 DN9 9,5 DOC 10 4.4 6,9 762,2 | 760,1 | 7599 | 760,7 | 64 | 10,4 79 | 108 | 5,2 7,6 TOSO 675500756082 DIO, 7,4 Ud 1,9 5, 4 6,6 Î TOO TOI | VED IDO 6,0 6,1 6,8 T,4 5, S 6,5 MARTA (ICON TARRA 2103 |0AY3 6,2 10,3 MASON RION 7/29 (259 5% 9,9 TA ICAO OO) 8.3 MASSO RTA2598 BT 20 393 5,0 4,2 3,8 o? 2,8 UT] re 831 5000) (r8854 208 Ai Moss ei o 2,6 19 RR RR Boo oi i 4,2 1 LO OS 2,0 | 1020) NECA ERA 2,8 0,9 939 0,0 1,0 PEZZI TDI II60| eo =D 2,4 0,5 40 37 |-01 798,9 | 757,6. | 757,9 | 708,4 |--0,2 SCSI 1,0 3.3 |—- 2,4 0), 4 797,5 | TI TOO 00 0, 7 GIA 9 10,3 | 9,4 7,9 | | Altezza barometrica massima 772,4 g 15 Temperatura massima » » minima 741,6 » 24 » minima -— » » media 757,3 » media Nebbia nei giorni 6, 7, 8, 10,13, 160 17, 19, 20, 21, 22, 25. 29. Brina nei giorni 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 27, 28, 29, 30. tazione ipi pioggia, neve e grandine fuse Prec mm. 1.0 0,8 Forma delle precipitazioni pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia ni — 223 — OssERVAZIONI METEOROLOGICHE r n TR "Os Sh r ùl “TT R Un TERS Tm) Bb UN ù | 83m 2 : FATTE NELL USSERVATORIO DELLA hh. UNIVERSITÀ DI DOLOGNA (alt. 83”, 8) z NOVEMBRE 1904 -- Tempo medio dell’ Europa centrale 5 Slo = |Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza È = Sa | = in millimetri in centesimi in decimi del vento Sai ae 5 | 9h | 15h | 21° | Media | ® | 15" | 210 | Media | 9 | 150 |28] 9 | non 2|]85° | | | | | | IMIESTO 08,2 8,0 82 | 61 78 74 0 0 0 W|SW| W 5 RN? DEA SO 79 709 OR ZA 82 S2 2 Ù 4 {NW | NW ? ‘ 1,5 BEla Nono] (64. 579 69 |: 55 | 70 65 9 4 2 {INWINWI| W 4 1,9 tg 60) 63 ez 59 | 59 62 )|olo|sw|nw|lw 7 (8 BIS 701 7,7 Tr I SORA 67 0) 0 0 W W | NW 3 1,6 Bale 201902 $, 6 82 SO SS Sd da Ss 10 E lO) W 6 1,6 malo 802 591 8,7 90 79 95 SS 10 10 10 Y SW | NW Ì 0, 7 SUIS Sn | 7 7,6 92 S4 D6 71 10 SÒ 0 { NW | NW | NW 5) 0,5 GRASS) 03,18! | 0,3 4,0 Li 32053 7 0 2 6|NW| W |SW 13 5,3 One 6,8 25 MS DS 61 2 d 2 W. | NE | NW 6 3p0 o STA ASI SR Usl Re ero NS Ti CINE MSO, 2 W._ | NE ? 242 12 || 74197 PERO TRS O 79 10 8 4 |NW|NW| W 2 1,5 (3). || AAIMATA IRA 7,6 90 | 85 | 86 87 6 DI TION NAVA IRAN ? 3 0,9 IE ENER, Z8S 4,4 SI 3560 59 0 0 8 ? NW | NW 6 1,6 IofionA BE2AZI0 3,6 3 | 40 8 94 0 0 0 {INW| N NW 5) 2,4 NOR: t90 no 2 4, 5 CO SSR 67 6 0 2 | NW | NE | SE 6 D.9) INA Re 5,0 /, gl 59 | 90 70 0 0 0 | W W W 8 26 SRI 2 e 3), 6) ‘3 ZITO 57 49) 6 () 0 |NW|[|NW|wW 10 DAR #9] 3,6 | 9,6. 4,9 4 IT Di (9 66 60 4 0 0 W |NW| W 3 RA 20/4, IL Do 68 | 65 | 76 îi 0 0 Of W |NW| W 6 AR 2 GdL 6,7 88 | 89 | 94 90 MO AO 40) ? ? W 2 19% 22 6 2 6,8 SO 9r7 95 0 LORO ? ? ? 2 0,8 RSMIESMON MII 8,9 8,0 79 | 98 | O S6 9 | 10 | 10|{SW|NWI}I W 9 NO Ra OnOR MSA 6,3 YI |_ 85 56 77 10 2) 0 {NW |NWY| W 10 1,0 23 [9 [050 5, 4 S4 | 90 | 83 86 IO ZAN dd NOI W 8 IND 29 || AE IG 4,9 93 | 88 | 80 87 10 8 3 INW| W | SW 10 0,8 RI SON 0 359) 9), 0) TO | 09 |A 12 5) Ì l N |NW| W a) iS DI eo E NZISO, 9n9 O | | 81 Ty 0 0 NW|NW| W 4 ,8 ZO 2 | os 3,6 O. | IZ | 40) 79 0 0 0 ? NW| W 3 0,9 BONIEZION Ro 9009 DR 64 | 50 | 70 6l 0 0 W | NW | SW 2 0,8 Ddl isooli 509; | 75. | 68. 175 7A pi 3 SS Tens. del vapor acq. mass. 9,2 CARO) Proporzione Media nebulosità » » » Tati Reno : 7 » » » » media 5,9 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità mass. 97 g. 22 È ; i imi TAR SIR N NE E SE SSW W NW Lt AGIO » media 71 I 3 ZA O AT VOLA 4 OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservarorIo DELLA R. UniversITÀ DI BoLoona (alt. 83", 8) | Giorni del mese ® : 9 È o DA DICEMBRE 1904 - Tempo medio dell’ Europa centrale |E © 2 MRO Forma x i x : = Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada ms delle Cieli=i Media |'9 $ Z| precipitazioni 9” 15° 21%. | Media] 9" 150 2h | Mass. | Min. |mass min.| ga gm el mm mm. mm. muni. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. 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A s 0 SI Altezza barometrica massima 769,8 g. 21 Temperatura massima 12,8 g. $ » » minima 740,5 » 13 » minima —49 » 23 » » media 757,0 » media 4,0 EINE, ii GRA E 02 TS) IZ 0, 20, II 22 BE 2 95, 26, 2729, 20, 30 RT, dei Viondi dh 2g, 9 Zoo 2 22 23 da 20 IL SL FATTE NELL'OsservatorIo DELLA R. Uxniversità DI BoLocna (alt. 83”, 8) Osse RVAZIONI METEOROLOGICHE Giorni del mese DI 9- Tens. del vapor acq » » Umidità mass. Tensione del vapore acqueo DICEMBRE 1904 — Tempo medio dell’ Europa centrale Provenienza del vento Nebulosità relat. , in decimi Umidità relativa in miliimetri in centesimi del vento qu DS + i 09 09 15 ui 1-1 (oO) OtTOTS » » » » | _____—_— ___Y—py——__—T7 TFT =—=—="=e=e=e=er-rremee=rrer s;rr ——————1ÉT——————————1k1@1mtmmm@mzzu@———#@@@--}}*%%}%%%**%%%%%%% DI 5 n0 VO 9 v0 CO LO O PADRI ACI ci (A (e i i i Do lO OT do Di 00 Pa DIO olor] Uta» 0 TO = DI [Leo of! > Cia Velocità media all'ora in chilom. | î J5R | 21% | Media gh | 15h RA RM ei ee SR A ARA gh ot ie | | | | Il | | I n Ò DET ZOO: DIS 56 49 $2 62 2 9 0 | SW W N 4 20 4,6 | 4,7 4,4 SEMI SOR 0 10) 10 ? W NW 2 )9 ORA N5:3 SO 89 | 95 | 9I 92 10 10 | 10 VSS W 4 1,0 Mela pra olio) | 87 90 10 | 10 2 W | w| W | 10 | 0.8 OE S4Al MeRTR8 83 0 0 0 | W | w N 5 | 22 (et RSS GAI, 91 | 94 | 92 92 10 | 10 | 10{ SW|NW| W f 14 GONG caga 95 | (08 0 00 E UNE 0 (O STES 7,0 1 SI 83 SO 9 4 3 | SW|SW]|SW 18 2,0 ORO. | 603 546 GomiszoR NR 78 3 4 4{SW| E ? 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Ma se da questi termini passiamo a considerare quelli di maggiore comprensione che vennero fin qui proposti dai diversi autori, cioè divisioni e classi, è facile dimostrare che non hanno un vero valore obiettivo, e che sono ordinazioni affatto artificiali e non naturali. Le classi ipostaminia, peristaminia. epistaminia, epicorollia, pericorollia, ipocorollia, epipetalia, peri petalia, ipopetalia, proposta da AnT. L. Jussieu non sono naturali, perchè troppo spesso, invita natura, uniscono famiglie tra loro eterogenee, e altre molte ne separano che vor- rebbero essere strettamente congiunte. Augusto P. De CanpoLLE volle semplificare la classificazione delle dicotiledoni, distri buendole in talamifiore, caliciftore, corollifiore, monoclamidee. Ma anche queste grandi classi peccano degli stessi difetti di quelle proposte da JussiEu: sono artiriziali, non naturali. Massimamente la classe delle monoclamidee include una quantità non piccola di famiglie che hanno i più stretti rapporti con famiglie inscritte fra le talamifiore. Nella mira di togliere o diminuire questo evidente difetto BRONGNIART divise le an- giosperme dicotiledoni in due grandi classi, cioè in gamopetale e aialipetale, comprendendo in quest’ ultime anche le apetale di Jussiru o le monoclamidee di DE CANDOLLE. Anche con questa emendazione le proposte divisioni sono artifiziali, perchè sempre comprendono piante appartenenti a tipi differenti. Ultimamente EnGLER suggeriva per le piante stesse la divisione in archiclamidee e metaclamidee, la quale ci sembra ancora più innaturale di quella proposta da BRONGNIART. 228 Se la teoria della pseudanzia chè abbiamo esposto in precedenti memorie rispondesse ‘ al vero, ne risulterebbero delle divisioni primarie assai più naturali. Si avrebbero tre serie egregiamente distinte: 1° piante euante, cioè piante a veri fiori (es. magnoliacee ecc.); 2° piante pseudante composte, a infiorescenze maschili contratte in modo da sembrare un fiore semplice (es. Euphorbia, Ricinus, malvacee ecc.); 3° piante pseudante semplici, ossia a più fiori contratti in modo da somigliare un fiore semplice (es. rosacee, mirtacee, li- trariee ecc.). Ma oltrecchè questa teorica sente il bisogno di essere corroborata da ulteriori studi, offre anche delle difficoltà che non si vede modo, nello stato attuale delle dottrine morfo- logiche, come poterle superare. Infatti nell’una e nell’altra serie di stirpi pseudante, può andare diminuendo di generazione in generazione il numero degli stami fino a uno o due cicli soltanto, e allora i loro fiori, così depauperati, vengono a prendere l'aspetto e i ca- ratteri dei fiori veri, benchè siano una derivazione da fiori composti ed arcicomposti. Dopo queste considerazioni parrà ragionevole di rinunziare per ora a qualsiasi divisione superiore o classe: e di limitare la classificazione a ben definiti gruppi naturali di piante, composti quando da molte, quando da poche famiglie. Ma questi gruppi devono essere naturali in tutta la significazione del vocabolo, cioè includere piante strettamente affini, ed escludere ogni altra di affinità remota e non dimostrabile. Quale sarà il numero di siffatti gruppi naturali nella giurisdizione delle angiosperme ? Gli studi analitici ce lo diranno. Di un gruppo naturalissimo e veramente naturale già ci siamo occupati, cioè delle monocotiledoni. Ora parleremo di alcuni altri. E in primo luogo di un gruppo naturalissimo che rannoda parecchie famiglie, e che già è stato come tale riconosciuto da molti fitografi. Alludiamo al gruppo delle i Ciclospermee o curviembrionate. I caratteri di questo gruppo sono assai evidenti, e consistono principalmente in un embrione applicato lateralmente ad un più o meno abbondante perisperma amilaceo e farinoso ; embrione raramente diritto, quasi sempre più o meno incurvo, sovente anzi con- formato ad un anello periferico attorniante il perisperma stesso; in pochi casi avvolto a spirale. In questo gruppo i caratteri florali, da famiglia a famiglia, da genere a cenere, sono estremamente variabili. Possono darsi variazioni senza numero; perianzio doppio, perianzio semplice colorato o non; ovario supero, semisupero, infero ; polispermo, oligospermo o ri- gorosamente monospermo; composto da uno fino a molti carpidii; placentazione varia, ma per lo più assile degenerante in centrale, sia per riassorbimento dei setti, sia per mancato sviluppo dei lobi carpidiali ovuliferi; ovuli quasi sempre poriati da lunghi funicoli umbi- licali; petali e sepali liberi o più o meno coaliti; stami da pochi a molti, in numero definito o non, in uno 0 più cicli, liberi o monadelfi, d’inserzione varia, ipogina, subperigina, peri- gina, epigina; foglie quasi sempre intiere, raramente lobate, rarissimamente dentate, sti- pulate o non, opposte od alterne. Malgrado tanta fluttuazione di caratteri, questo gruppo, senza contestazione, è natura- so RO ali lissimo. Anche poche famiglie che si potrebbero chiamare abnormi, se meglio e più pro- fondamente si valuta. la loro morfologia, facilmente si riconducono al gruppo stesso. Niun altro gruppo forse è atto al pari di questo a disvelare la mancanza di natura- lezza delle divisioni primarie adottate fin qui dai sistematici, JussiEu, DE CANDOLLE, ecc. E volendoci limitare alle opere generali fitografiche più recenti, per es. alla riputatissima opera di BENTHAM e HooKER, Genera plantarum ecc., basterà dire che le famiglie appar- tenenti a questo gruppo vennero da essi distribuite alcune fra le talamifiore, altre fra le caliciflore, altre infine fra le monoclamidee. E come suole avvenire per tutti i gruppi veramente naturali, che mentre è facile scorgere e dimostrare l’unità dei medesimi, poi riesce tanto più difficile ordinare una sa- piente classificazione dei singoli tipi morfologici compresi nella unità anzidetta, così è av- venuto anche in questo delle ciclosperme che la circoscrizione delle famiglie, delle tribù e sottotribù è stata soggetta a variare in modo assai notevole a seconda dei diversi autori. Queste discrepanze dipendono dalla importanza diversa data dai singoli fitografi ai criteri assunti per la ordinazione delle piante di cui è parola; ed occorre anche una volta insistere che non sempre i migliori criterii sono dati dalle varianti morfologiche degli or- gani fiorali, ma devono talvolta essere preferiti quelli desunti sia da organi della regione vegetativa, sia da varianti d’ ordine biologico e di adattamento all’ ambiente. Non è certamente scopo di questo scritto di porgere una completa radicale riforma della classificazione delle ciclosperme; compito troppo vasto che di gran lunga eccede la scarsa suppellettile delle nostre cognizioni e dei nostri studi, e per cui affatto inadeguato è il materiale delle piante che abbiamo potuto assoggettare alle nostre indagini. Pure forse non c' illudiamo, credendo di poter introdurre e suggerire alcune emenda- zioni in cosifatta classificazione, sia adoperando qualche nuovo criterio che il caso mise a nostra disposizione, sia valendoci di criterii generalmente noti, ma stati fin qui dai fitografi o trascurati o collocati in seconda linea, sia lasciandoci guidare dal nostro metodo d’ in- dagine filogenetica. A. Comprensione del gruppo delle ciclosperme. Distinguiamo tipi che con tutta evidenza appartengono a tal gruppo, e che general mente sono riconosciuti da tutti i fitografi come forme affinissime tra loro; distinguiamo tipi più o meno abnormi, che soltanto una più profonda considerazione dei loro caratteri disvela indubbiamente la loro affinità coi primi; finalmente forme dubbie, verisimilmente da eliminarsi dal gruppo. Fra i primi annoveriamo le silenee, le alsinee, le policarpee, le paronichiee, le scle- rantee, il genere Portulaca, vero centro del gruppo, le sesuviee, le calandriniee, le mollu- ginee, le basellee, le chenopodiacee e le amarantacee. Fra i tipi abnormi, almeno a nostro senso abnormi, annoveriamo le mesembriantemee, le cactacee, le fitolaccacee, le nictaginee e le poligonacee. Fra i tipi dubbii e da eliminarsi a mio parere si dovrebbero registrare le elatinee, le frankeniacee, il Theligonum Cynocrambe, le girostemonee. Serie VI. — Tomo II. SE ROME B. Ricerca delle forme archetipe e delle forme prototipe. Dato un gruppo di vegetali veramente naturale, qualunque sia la sua estensione e comprensione, è costituito da piante che senza verun dubbio sono collegate tra loro da vincoli d’affinità consanguinea. Quindi sono giustificate a parer mio le indagini delle forme archetipe, ossia delle piante da cui è scaturito il gruppo stesso, e delle forme prototipe ossia delle piante che possono vantare il titolo di primogenite. Naturalmente il campo di queste ricerche è tutto ipotetico e teorico. Ma il rintracciare le origini e le evoluzioni non solo è una necessità dell’ intelletto che pensa e ragiona, ma anche dottrinalmente è importante perchè dà la chiave di una più retta classificazione. Proponendoci di stabilire la teorica della evoluzione delle ciclosperme, e cominciando coll’ indagarne le origini, diremo senza esitazione veruna che le forme archetipe senza dubbio appartenevano al gruppo delle columnifere, e le forme prototipiche alle alsinee, ad una forma per esempio che dovesse essere molto affine alla Stellaria media dell’ epoca attuale. Quindi le alsinee devono essere messe a capo del gruppo delle ciclosperme. Questa conclusione è un mero risultato dello studio comparativo dei fiori di Geranium molle e di Stellaria media. Mentre la Stellaria media è una alsinea delle più tipiche, il Geranium appartiene invece al gruppo delle columnifere; anzi tal genere si può conside- rare come una emanazione quasi diretta delle malvacee mediante il genere Monsonia. Or bene i fiori delle due specie hanno non solo una identica architettura generale, ma anche i singoli organi sono perfettamente omologhi tra loro, con omologia bilaterale, così morfologica che biologica. Omologo perfettamente è il calice pentasepalo a sepali liberi; omologa la corolla co- stituita da cinque petali, perfino eguali nella configurazione, bilobi nel Gerarium, bifidi nella Stellaria; omologo l’androceo in due cicli pentameri; e i cinque filamenti episepali, tanto nel Geranium quanto nella Sfellaria, hanno alla base dalla parte esterna una cospicua glandola melliflua. Finalmente abbiamo omologia anche nei carpidii, salvo una variante destituita di valore morfologico, cioè che nella Sfellaria sono tre invece di cinque. Ma bisogna tener presente che in parecchie alsinee il numero dei carpidii è pure di cinque. Insomma tra il Geranium molle e la Stellaria media Vl omologia florale è tanto grande, che non si potrebbero quasi distinguere genericamente, se non fosse che nel frutto del primo vi sono i caratteri d’ una columnifera, cioè 5 mericarpii ruttili attorno a una colu- mella placentaria, e nell'altro i caratteri di una placentazione al tutto diversa, che nella maggior parte delle ciclosperme si risolve in centrale. Tutto ciò giustifica la veduta teorica che le ciclosperme siano scaturite dalle columni- fere; e questa veduta resta ancora convalidata dal fatto che, qualora nelle ciclosperme, stesse, sì produce per eccezione un gineceo costituito da un ciclo di molti carpidii, come accade in alcuni mesembriantemi, e in alcune fitolaccacee, si riproduce il carattere di pi stillo columellato. È giustificato anche nello stesso tempo che le alsinee (associazione A/sine-Spergula) sono da mettersi a capo di tutte le ciclosperme. Da quest’ associazione di forme prototipiche sarebbero scaturite due stirpi, le silenee e le paronichiee, dotata la prima di scarsa potenzialità riproduttiva, riccamente dotata di eotale potenzialità la seconda, per modo che a questa si rannodano con vincoli genealogici quasi tutte le rimanenti famiglie del gruppo. C. Famiglia delle Silenee. La scarsa potenzialità evolutiva di questa stirpe è probabilmente una conseguenza della perfezione de’ suoi adattamenti florali staurogamici. E questa perfezione consiste non tanto nella elaborazione degli apparecchi fiorali, che per verità non offrono niente di straordinario, quanto nella perfetta natura dei pronubi a cui è diretta. Il calice è diventato gamosepalo, ed è generalmente foggiato a tubo angusto più o meno prolungato. Questa contingenza giova ad escludere tutti i pronubi ad eccezione delle farfalle. Con ciò non si vuol dire che tutte le silenee siano sottratte per esempio alla visita delle apiarie o di quei pochi generi di mosche, che, come la Ahingia rostrata, Eumerus, Conops equivalgono alle api nell’ at- titudine di pronubi efficaci (1). La maggior parte però dei fiori delle silenee sono adattati alcuni alle farfalle diurne, altri alle serotine e notturne (fiori psicofili, sfingofili, falenofili). La spiegazione di questi adattamenti consiste tutta nel fatto che, fra tutti i pronubi, le farfalle, per la velocità dei loro movimenti, provano di essere i più efficaci e nello stesso tempo i più economici in quanto che non consumano polline. I fiori delle silenee psicofili ( Viscaria oculata ecc.) sono ornati di vivi colori, e spesso sono raccolti in cospicui corimbi densiflori. Si dirà che le Pieris ed altri lepidotteri diurni che li frequentano, coi loro movimenti irregolari, capricciosi, antimetodici, sembrano pronubi pessimi. Ma non bisogna perdere di vista che vi accorrono pure parecchie sfingi diurne, per esempio la Macroglossa stellatarum. Ora senza dubbio, fra tutti i pronubi florali europei, detta macroglossa è quella che esegue di gran lunga la maggior quantità di visite fiorali, e produce il massimo numero di nozze incrociate. Osservando i suoi diportamenti in piante fiorite di Plwrbago Zeylanica e Pelargonium zonatum io calcolai che ogni indi- viduo di detta sfinge impiega quattro minuti secondi per visitare un fiore, cosicchè in un giorno può visitarne non meno di ottomila; atti7ità non superata da verun altro pronubo. Le sfingi crepuscolari per energia di volo, per la rapidità delle visite florali vincono ancora l’ anzidetta macroglossa ; ma la loro azione è ristretta a un’ ora soltanto per giorno. Molte silenee hanno fiori ad esse appropriati. Finalmente vi sono le silenee falenofile, che hanno fiori adatti alla visita delle farfalle notturne. Bello è constatare che i loro fiori incospicui e flaccidi finchè dura la luce diurna, (1) Cito ad esempio la Lychnis Flos Cuculi, la quale è distintamente melittofila. Ma ne’ suoi fiori il tubo del calice è breve, e l’ apertura della corolla è assai larga. Io ne vidi i fiori visitati dalla Rhingia rostrata e da parecchie apidi. Medesimamente breve tubo calicino e fauce florale larga ha la Gypsophila paniculata, e i suoi fiori sono visitati da insetti i più diversi. Per altro queste sono ecce- zioni e confermano la regola che i fiori delle silenee sono in primo luogo diretti alla visita di farfalle, sia diurne, sia crepuscolari o notturne. — 232 diventano turgidi ed espansi sul far della notte, e in tal tempo sviluppano odori forti e soavi. Tale è la Silene nutans, S. nocteolens, S. noctiflora ed altre molte. Le falene per verità costituiscono una categoria di pronubi, la cui azione non si conosce bene perchè esercitata di notte tempo; ma che però si deve arguire che sia potentissima’ per più motivi, sia perchè molte falene gareggiano colle sfingi per la instancabile rapidità del volo, sia per il numero delle loro specie che è grandissimo, sia perchè tutte sono munite di una tromba suggente più o meno lunga, la quale ad altro non può riferirsi se non che al nettare dei fiori notturni. In conclusione la stirpe delle silenee si è staccata dalle alsinee, costituendosi sotto l’azione continua degli adattamenti fiorali lepidotterofili. D. Famiglia delle paronichiee. Interpretazione morfologica dei loro sepali. L'altra stirpe scaturita dalle prototipiche alsinee è quella delle paronichiee. E poichè, come abbiamo notato, dalle silenee non si è evoluto nessun altro tipo ciclospermico, ne segue che tutte o quasi le rimanenti famiglie siano da considerarsi, come altrettante dipendenze e figliazioni delle paronichiee. Non è a credere che le paronichiee primitive o protoparonichiee avessero un tipo florale così depauperato come le odierne. Verisimilmente eran munite di corolle, avevano molti stami e un ovario polispermo. Ma dovevano possedere quei caratteristici sepali, che si sono egregiamente conservati fino all’epoca nostra e che sono reperibili nella maggior parte delle odierne paronichiee. Con che nome distingueremo questi sepali? Ci sembra appropriato il termine di sepali cocleari o cocliosepali riservando il nome di sepali ordinarii o nomosepali agli altri. Poichè nelle diverse famiglie, tribù e generi di ciclosperme si è concretata o 1’ una o l’altra delle due forme di sepali, questa differenza costituisce a nostro parere un criterio non privo d'importanza per la loro classificazione, quantunque sia stato fin qui poco considerato. Ma per essere in grado di ben adoperare questo criterio, conviene prima esporre la teoria morfologica di questi sepali. I cocliosepali sono omologhi a foglie ligulate, delle quali abbiamo belli esempii, in molti generi di marantacee, zingiberacee, aroidee, bambusee ece. Una foglia ligulata sviluppa alla base una guaina più o meno larga ed amplessicaule, la quale senza discontinuità escorre e termina in una ligula più o meno sviluppata. Si forma così una sorta di organo cocleare costituito da due regioni, cioè guaina e ligula, e quest’ organo ha già conseguito eran parte delle sue dimensioni, quando sul suo dorso, nel preciso confine tra la guaina e la ligula, si sviluppa la regione laminare della foglia. Così la formazione della lamina è postuma rispetto a quella dell’ organo cocleare (1). o (1) A questo tipo morfologico debbono pure essere ragguagliate le foglie delle poligonacee, la cui ocrea in realtà altro non è che l’ organo cocleare in parola, intieramente amplessicaule, e coi margini longitudinalmente coaliti dalla parte opposta al punto d’ inserzione. e] PE. e Où. Nelle foglie quest’ organo suol essere molto più piccolo della lamina. Ma si comprende che può darsi il caso contrario; cioè che la lamina sia ridotta per esempio ad una sottile asta, e allora abbiamo la gluma dorsalmente aristata delle avene; può darsi che sia ridotta maggiormente, e allora comparirà sul dorso dell’ organo cocleare, come una emergenza in forma di cono, di spina, di breve ala, di un piccolo mucrone, e finalmente di una minima escrescenza gibbosa, che indicherebbe appena il primordio d° una lamina non sviluppata. Tale è la genesi dei sepali delle paronichiee ossia dei cocliosepali (1). Facile nota distintiva dei quali, posti a fronte dei nomosepali o sepali normali, si è che nei nomosepali l’ apice geometrico coincide coll’ apice organico, mentre nel cocliosepalo l’ apice geometrico coincide colla punta della ligula, e l’ apice organico bisogna cercarlo nell’ apice della emergenza dorsale. Ma se si dà il caso che nel dorso del cocliosepalo venga per aborto totale a scomparire anche il primordio della lamina, allora resterà difficile il pronunziarsi sulla vera natura del sepalo stesso. Questa contingenza deve essere accaduta più volte nella giurisdizione delle ciclosperme : per cui conviene andare molto guardinghi nello applicare tale criterio. Voglio citare un esempio calzante. È noto che il calice delle portulacacee è ridotto a due fillomi. Ora questi organi sono nomosepali o cocliosepali? Se noi li osserviamo nei generi Calandrinia e Claytonia, poichè non presentano nessuna escrescenza sul dorso, sembrerà che manchi ogni appiglio per considerarli cocliosepali. D'altronde può anche darsi che, sia per un ritorno atavico, sia per una congenita ripresa della regola che governa lo sviluppo dei fillomi, giusta cui debbono coincidere l’° apice morfologico coll’apice geometrico, si sia infatti nella maggior parte delle specie di detti generi ripristinata la forma normale. Per altro non bisogna perdere di vista che, mentre presso la maggior parte delle specie di Talizzzun dominano nei sepali caratteri di nomofillia, per contrario nel Talinun monandrum si ha certamente un calice costituito da due cocliosepali (vedasi la bella fisura che ne dà BAILLON nella Hisf. des pl., vol. IX, p. 58). Perciò l’ importante criterio di cui parliamo non ha un valore assoluto, ma soltanto relativo; e si deve essere preparati e pronti a riconoscere in piante affinissime quando la presenza quando l’ assenza del carattere dei cocliosepali. E. Estensione dei sepali cocleiformi nelle ciclosperme. Dobbiamo citare la quasi totalità dei generi delle paronichiee. Sono evidenti poi i cocliosepali nelle sesuviee (Sesuvium, Trianthema), nonchè nelle Molluginee (Glinus, Mollugo). Anzi quanto alla Trianthema monogyna abbiamo un bello studio di PAYER, illustrante la organogenia del calice di questa specie (vedi Ann. des sciences ratur., Botanique, III série, 1852, tome XVIII, tab. 12). Osservando le figure 2, 8, 5, 9, 17 che espongono cinque successivi periodi nella formazione di questi cocliosepali, si ha (1) È cosa degna di rilievo che questa forma di sepali è già iniziata nelle specie di Geranium ed Erodium. Ciò conferma quel che sopra esponemmo sulla grande affinità delle geraniacee colle ciclo- sperme. — 234 — piena conferma della interpretazione morfologica che ne abbiamo dato, nonchè della postuma evoluzione sul dorso del cocliosepalo della porzione omologa alla lamina del filloma. Quanto alle portulacacee (a cui vorrebbe essere avvicinato il genere Trianthema) abbiamo già esposto che sono manifesti i cocliosepali nel Talinum monandrum. Per altro dove i cocliosepali hanno preso un meraviglioso sviluppo è nel genere 7e- tragonia. In molte specie |’ espansioni florali colorate, oltre a colori vivaci, assumono anche dimensioni notevoli; a prima vista si prenderebbero per pezzi perigoniali normalissimi, mentre in realtà non sono altro che la porzione ligulare dei cocliosepali. E infatti se si guarda dalla parte esterna ben al di sotto di queste ligule petaloidi, si scorge per ognuna una piccola emergenza conica, la cui punta rappresenta il verace apice morfologico dei sepali di Tetragonia. Simili a quelli di Tetragornia sono i cocliosepali di Mesembrianthemum, se non che nelle numerose specie di questo genere giammai le loro ligule assumono funzione vessillare, e inoltre molto più sviluppata n° è la regione laminare, Finalmente è presso le chenopodiacee che la formazione dei cocliosepali è assai gene- ralizzata. Già nel genere Beta e in più specie di Chenopodium verso l apice dei sepali dalla parte dorsale si scorge un rigonfiamento, che, a nostro parere, è un preludio ossia un primordio d’ una regione laminare atrofica. Nella tribù delle camforosmee i cocliosepali sono coaliti anche nella regione ligulare; e postumamente si sviluppano le regioni laminari sul dorso d’ ogni cocliosepalo o separa- tamente come nella Parnderia pilosa e nella Bassia muricata, oppure formando un ala continua intorno all’ orciuolo calicino, come nei generi Kochia e Cycloloma, oppure cinque ale separate come nel genere Didymanthus. Tutte le salicorniee hanno ccocliosepali. Nel genere Salicornia guaine, ligule e lamine sono coalite presso a poco come nelle canforosmee, costituendo una piramide forata all’ apice, per lasciar passare gli stami e gli stimmi, e le lamine preparando un’ ala anemofila per la disseminazione. lutti gli altri generi sì diportano presso a poco analogamente. Senza dubbio pure nelle suedee il calice è composto di cocliosepali. In alcune specie di Suaeda, ossia nella sezione generica Eusuaeda, le porzioni laminari non si svolgono affatto. In altre si svolgono sotto forma di ale, o partite per sepalo, o foggiate ad ala circolare intiera. Infine nelle salsolee e nelle anabasee lo sviluppo delle lamine sul dorso dei cocliosepali è un fenomeno frequentissimo. Alcuni dureranno fatica ad ammettere questa nostra interpretazione delle ale anemofile nei frutti delle chenopodiacee, basandosi sulla postuma loro formazione, e sulla semplicità del loro tessuto per avventura mancante di elementi vascolari. Ma non sono ragioni valevoli. Infatti l’ organogenia insegna che le guaine e le ligule sono formate assai prima della relativa lamina, e la fisiologia rende ragione come tuttavolta che non vi siano parti da nutrire può mancare lo sviluppo dei fasci fibrovascolari. Un singolare fenomeno ha luogo nei fiori femminei del genere Sarcobatus. I sepali sono lateralmente coaliti dalla base all’ apice. Le regioni ligulari formano un cono fino — 235 — all’ apice, per ove si liberano gli stimmi. Le regioni laminari formano un larga ala cir- colare orizzontale. L’ovario deve essere considerato come semisupero. Nella parte inferiore la parete dell’ ovario è saldata col tubo formato dalle regioni guainanti, e nella parte superiore è saldata col cono formato dalle regioni ligulari. L’ ovario così deve essere con- siderato infero rispetto alle ligule e seminfero rispetto alle lamine. Ora possiamo venire a una conclusione. Le paronichee, le sesuviee, le molluginee, le portulacacee, le tetragoniee, le mesembriantemee, le chenopodiacee sono riunite in un gruppo naturalissimo mercè la presenza di questi singolari organi a cui abbiamo dato il nome di cocliosepali. Questi organi invece mancherebbero alle basellacee, policnemee, amarantacee, nicta- ginee, fitolaccacee, poligonacee e cactacee, senza che questa mancanza possa per avventura infirmare la loro affinità con tipi forniti di cocliosepali, massime colle portulacacee. Ma naturalmente si dovrà, per dimostrarla, ricorrere ad altri criterii. F. Criterio della eteromericarpia. Presso la Portulaca oleracea, nel maturare delia capsula circumscissa ha luogo un singolare fenomeno (1). La placentazione come è noto è centrale. Gli ovuli sono molti, tutti insidenti sopra funicoli umbilicali di diversa lunghezza. Due o tre ovuli del centro sono quelli che fra tutti hanno i funicoli più lunghi, e sono perciò sollevati alla parte più alta della cavità ovariana. Quivi la parete dell’ ovario si strozza sotto ad essi, e forma un globulo che li incarcera a perpetuità, ed è inferiormente forato per lasciar passare i funicoli che li hanno elevati. La capsula è un pissidio e la linea di deiscenza trasversale è un poco inferiore alla linea periginica ove cioè sono inseriti calice, corolla e stami. A maturità della capsula, al menomo urto si stacca l’ opercolo, a cui aderiscono stabilmente due sepali, la corolla e l androceo, entrambi marcescenti; e si trova all’ apice dell’ opercolo il sovra- mentovato globulo racchiudente da uno a tre semi. Così a maturità il frutto della porcellana comune diventa eteromericarpico, rompendosi in due pezzi, un pezzo superiore mono-trispermo chiuso, e un pezzo inferiore polispermo aperto. Il calice persistente e coriaceo, applicandosi strettamente al pezzo superiore, e la corolla e gli stami disfacendosi in una sostanza gommosa, rinforzano considerevolmente 1’ opercolo, il quale è così convertito in una samara 1-2 sperma, d’ eccellente fattura. In tal modo è provveduto a due modi di disseminazione; cioè alla disseminazione propinqua, mercè i numerosi semi che sono depositati nel fondo della capsula, e alla dis- seminazione longinqua mercè i pochi semi imprigionati nella samara anzidescritta, che può essere trasportata a notevoli distanze sia per mezzo del vento, sia per mezzo delle acque fluenti. Questo interessante caso d° eterocarpia, si è nel genere Portulaca realizzato soltanto nella P. oleracea. (1) V. DeLPINO, notizie fitobiologiche, nel Bollettino dell’ Orto botanico di Napoli, 1903, Vol. I, pag. 427. — 236 — Considerando questa contingenza e l’ estrema semplicità di tale apparecchio, ritenni dapprima che potesse essere un caso isolato e perciò di poca importanza. Ritenni che in nessun’ altra ciclosperma si fosse attuato l’ utile ripiego della eteromericarpia, il quale è stato dalla elezione naturale adottato e fissato in molte crucifere, in alcune ombrellifere; commelinacee ecc., in vista delle due disseminazioni longingua e propinqua. Ma era in errore. Poche settimane dopo, osservando alcune pianticelle di Trianthema monogyna, rilevai subito ch’ esse offerivano un bellissimo caso d’ eteromericarpia. Anche in esse il frutto è un pissidio, e l’opercolo che si stacca è convertito, con notevole elabo- razione morfologica, in una minuscola bacca monosperma, colorata, designata a provvedere alla disseminazione longinqua, probabilmente per opera di piccoli uccelli. Verificai che questa eteromericarpia compete anche all’ altre specie di tal genere. A questo punto si presenta subito il quesito: i due casi d° eteromericarpia, nella Por- tulaca oleracea e nel cenere Trianthema sono fenomeni d’omologia, ovvero di semplice analogia ? Il quesito è assai importante; perchè se si tratta d’omologia, allora è necessario am- mettere che 1° apparecchio, iniziato nella P. oleracea, si è andato perfezionando di stirpe in stirpe fino ad essere consegnato alle specie di 7riantRema, e bisogna concludere che questo genere dipende genealogicamente dalla portulaca anzidetta. Se invece si tratta di mera analogia allora non si può fare alcuna induzione sulla parentela dei due generi. Volli perciò perscrutare diligentemente i caratteri dell’ opercolo di Trianthema. Quanto ai caratteri esterni di configurazione e colorazione, certo son diversissimi. Anche diversis- simi sono i caratteri dei tessuti e dello strano inspessimento della parte superiore dell’ ovario. Ma di questa diversità può dar ragione l’ adattamento agli agenti disseminatori, e la con- seguente conversione dell’ apparecchio, da ala anemofila e cimba idrofila, in una minuziosa bacca zoidiofila. Bisognava quindi indagare i caratteri interni e vedere in che modo s° ingenera il seme entro quel fruttino. E qui rilevai un vero caso d’ omologia, perchè nella 7rianthema mede- simamente che nella Portulaca oleracea si pratica in alto della cavità ovariana un piccolo spazio globulare aperto da un piccolo foro in basso, per il quale entra non già la placenta, ma un funicolo ombelicale che solleva un ovulo sino al vacuo anzidetto. Accertata così la omologia dei due apparecchi, ne restano in pari tempo accertati i vincoli di stretta parentela : e poichè 1’ apparecchio eteromericarpico, semplicissimo e iniziale nella Portulaca oleracea, è mirabilmente elaborato e convertito in un fruttino commestibile nella Trianthema, parrà giusta l’induzione che il genere Trianthema sia una diretta ema- nazione del genere Portulaca. Questa conclusione sarebbe inoltre confermata da un altro singolarissimo fenomeno di cui parleremo infra, il quale è comune ai due generi anzidetti, mentre manca agli altri generi di portulacacee. Contro l’ accettazione incondizionata di questa conclusione non si dissimula che gravi obiezioni si possono fare dedotte dalla diversa architettonica fiorale nelle due specie sovracitate. Nella Trianthema 1 ovario è supero, la placentazione più assile che — 237 — ‘entrale (1), manca la corolla e il calice ha cinque sepali (cocliosepali). Nel eenere Por- tulaca invece l’ovario è semisupero, la placentazione più centrale che assile, esiste la corolla e il calice ha due soli sepali (ma poichè questi due sepali sogliono essere più o meno ineguali, potrebb° essere che uno sia una congenita concrezione di tre sepali e l’altro di due). Comunque sia, stanno sempre le due grandi obiezioni della presenza della corolla e dell’ovario semisupero. Malgrado ciò, io credo che i generi Trianthema Sesuvium e Cypselea vorrebbero es- sere avvicinati al genere Porfulaca, e costituire insieme con esso una tribù particolare nelle portulacacee, singolarizzata dal carattere della capsula circumscissa. Questo concetto si accosta a quello del fondatore delle famiglie naturali A. L. DE Jus- sIEU, che nel suo metodo colloca il genere Trianthema in vicinanza del genere Portulaca. Si accosta anche alla maniera di vedere che ebbe Fenzr. Infatti nella sua Monographie der Mollugineen und Steudelien (negli Annalen des Wiener Museums der Naturgeschichte, vol. I, 1836, p. 351 e segg.), divide la famiglia delle portulacacee in tre tribù, steudeliee che hanno frutto monospermo e indescente, portulacelle che hanno per frutto una capsula circumscissa, talinee che hanno una capsula con deiscenza valvare. Alle portulacelie poi ascrive i generi Cypselea, Portulaca, Sesuvium, Trianthema. Quattro anni dopo, lo stesso Fenzi (negli Armati anzicitati, vol. II, 1840, pagg. 289 e segg.), ampliando forse troppo la comprensione della famiglia delle portulacacee, conserva per altro, nella sua terza tribù delle (1) Il pistillo nel genere Zrianthema è generalmente bicarpidiale e la placentazione tende ad essere più assile che centrale, i funicoli ombellicali conseguentemente assai corti; mentre nel genere Portulaca la placentazione è più centrale che assile, e i funicoli sono lunghissimi. Nella Trianthema monogyna succedette poi un fenomeno strano, che non vedo fin qui rettamente interpretato. Nel pistillo evidentemente lo stilo e lo stimma sono unici (da onde il nome specifico); e se fosse unica pure la regione ovariana, allora l’ ovario dovrebbe essere uniloculare, e la placentazione suturale, come per es. nelle leguminose. Nella 7. morogyna invece, secondo il nostro modo di vedere, solo apparentemente la placentazione sembra suturale e 1’ ovario uniloculare. Ecco quel che succede secondo le nostre osservazioni. Pur nella Trianthema monogyna il pistillo è bicarpellare; le loggie dovrebbero essere due, ma una di esse è obliterata, in guisa che la placentazione che realmente è subassile, sembra suturale. In sostanza il pistillo di detta specie è fondato con due carpidii ineguaiissimi; un grande e ben costituito che svolge normalmente le sue tre regioni, ovario, stilo e stimma; l’altro piccolo e subatrofico, che accompagna l’altro soltanto nella regione ovariana, e che conseguentemente non svolge nè stilo, nè stimma. Le figure date da PaveER (l. c.), nel suo studio organogenico dei fiori di questa specie, corri- spondono al vero, ma sono state male interpretate, e laddove egli rappresenta il pistillo in un primis- simo stadio emergente con due primordii, uno grande e un piccolo, e laddove afferma che il grande sia il carpello unico e il piccolo la sua placenta, è manifestamente incorso in errore; poichè il grande primordio risponde al carpello bene evoluto nelle sue tre regioni, e il piccolo risponde al carpello atrofico che svolge soltanto la regione ovariana. Queste mie osservazioni e conclusioni sono inoltre d’accordo colla natura pluricarpellare nelle portulacacee, che non sarebbero giammai, per quanto so, costituite da un carpello unico. Serie VI. — Tomo IT. 33 20 Sie sesuvie, i quattro generi anzidetti, aggiungendovene qualche altro che ha pure il carattere della capsula circumscissa. Ma parecchi autori più moderni, sconvolgendo, a nostro parere, la naturale ordinazione delle portulacacee, allontanarono dal genere Portulaca i generi Trianthema ed affini. Anzi BENTHAM e HooKER nei loro Genera plantarum ete., con un arbitrio difficile a compren- dersi, collocano le portulacacee fra le talamiflore, rilegando i generi Trianthema, Sesu- vium e Cypselea fra le caliciflore, amalgamandoli in una famiglia, insieme coi generi Mol- lugo, Tetragonia, Mesembryenthemum. Si vede che questi due autori hanno tenuto in poco conto il carattere della capsula circumscissa. Anche ENR. BAILLON (Mist. des plantes, vol. IX, p. 73) non ha tenuto calcolo del carattere stesso, dappoichè colloca i generi Trianthema e Sesuvium nella tribù delle aizoidee, ma almeno questa tribù la subordina alle portula- cacee. ENGLEr e PRANTL infine collocano il genere Trianthema ed affini nella famiglia delle aizoacee, distinta ma prossima a quella delle portulacacee. G. Criterio della capsula circumscissa. Se gli autori moderni hanno generalmente tenuto in poco conto questo criterio, io sono convinto che nel gruppo delle ciclosperme lo stesso è fornito d’ una importanza veramente eccezionale. Già illustrammo il significato tassonomico che ha il carattere della capsula circum- scissa per i generi Portulaca, Trianthema, Sesuvium e Cypselea. Questo carattere si ritrova ancora nei generi Acroglochin, Hablitzia e Beta e final- mente in molte amarantacee. Anzi si può dire che in questa famiglia l’apertura del frutto per circumscissione sia la regola generale, mentre l’ eccezioni che si notano sono provocate da cause biologiche, cioè da conversione di pissidiù in bacche, di utricoli circumscissi in nucule. Nelle amarantace, salvo un caso inconcludente, non esiste nessun altro modo di deiscenza carpica. Questo rilievo, secondo il nestro modo di vedere, è importantissimo. Quasi tutti gli autori assegnano alle amarantacee un posto poco naturale, approssimandole e quasi con- fondendole colle chenopodiacee. Ma le chenopodiacee hanno cocliosepali, mentre nelle ama- rantacee i sepali sono tutti normali. Da ciò si deve arguire, se non una diversa origine, almeno una notevole divergenza nelle due stirpi. Le amarantacee derivano da forme affini al genere Portulaca. Questa tesi è provata dal genere Pleuropetalum, che è stato più volte ballottato dalle poriulacacee alle ama- rantacee e viceversa; dalla tribù delle celosiee, presso cui l’ovario per i caratteri della polispermia, della placentazione e della deiscenza presenta i più grandi rapporti coll’ ovario delle portulache, e finalmente da un nuovo criterio, di cui parleremo in seguito. In conseguenza il carattere della capsula circumscissa del pericarpio pare assai im- portante, perchè assegna al genere Portulaca una posizione centrale quasi prototipica da cui irradiarono verso diverse direzioni le sesuviee, i generi Acroglochin, Hablitzia, Beta e le amarantacee. Forse il genere Beta sta a capo delle chenopodiacee. Così anche quest’ ultime potreb- bero essere considerate come una derivazione diretta del genere Portulaca. fanta E H. Criterio dell’ovario semisupero. Questo carattere, una rara evenienza morfologica, adunque più importante di quello dell’ovario decisamento infero, ha nel gruppo delle ciclosperme un valore tassonomico ron piccolo. Oltrechè nel genere Portulaca, trovasi nei generi Tetragonia, Mesembryanthemum, Beta e Sarcobatus. I quali così mostrano dì essere altrettante irradiazioni dal genere cen- trale Portulaca; le Tetragonia essendo alla testa delle mesembriantemee e le Beta alla testa delle chenopodiee. E da notarsi che i quattro generi succitati hanno tutti un calice costituito da coclio- sepali. I. Criterio dei ciuffi di peli ascellari. Questo criterio non è stato certamente fin qui consultato, perchè trattandosi di tricomi in regione vegetativa, pare diflicile accordare ad essi un qualche valore classificatorio, di ordine superiore al generico. Ma bisogna scuotere il pregiudizio che i caratteri tassonomici abbiano sempre ad essere desunti esclusivamente dagli organi florali. Veniamo al fatto. Nelle cactacee all'ascella dei fillomi vegetativi, come a tutti è noto, esiste una quantità di setole e di aculei più o meno rigidi e pungenti. Ora, nelle specie del genere Portulaca si dà nella stessa regione morfologica una quantità maggiore di peli che senza dubbio sono omologhi alle setole delle cactacee (1). Sono concordanti non pochi altri caratteri delle cactacee, l’ovario uniloculare, la placentazione parietale-centrale, gli ovuli portati da lunghi funicoli umbelicali. Nelle opunzie poi l’ovario non è del tutto in- fero, ma possiede anche una breve area semisupera. Inoltre, se nella Portulaca grandi- flora si riscontrano degli stami irritabili al contatto, lo stesso fenomeno ha luogo negli stami di Opuntia. Da ultimo, una valevole testimonianza della somma affinità che passa tra le cactacee e il genere Portulaca, ci è data da una delle forme prototipe delle ca- ctacee, quali senza dubbio sono le specie del genere Pereskia: ora nella P. aculeata ho notato che vi sono due ordini di ramuli, quelli che rappresentano il tipo di Pereskia adulta; e quei getti o rampolli giovanili che sogliono riprodurre le forme degli antenati; ora questi rampolli hanno totalmente l’ abito dei rami di una portulacacea. Per tutti questi motivi non potrebbe essere messa in dubbio la stretta affinità delle cactacee col genere Porfulaca, anzi la diretta loro discendenza da qualche forma estinta di detto genere. A. L. pE JussiEU notò questa affinità, ponendo nel suo metodo a contatto le due famiglie: così pure BRONGNIART, aggregando i cacti alle ciclosperme. Ma non tutti (1) ScHumann (in EncLer e PrantL, natiirlich. Pflanzenfam., IM parte, sez. 6°, 1894, p. 160) visto l’ eccessivo loro numero dice, a ragione, che non possono essere fillomi. Li considera adunque emergenze, na senza veruna omologia con altre, ed assume che abbiano in morfologia una posizione tutta sui generis e affatto isolata. Gli è sfuggito che questa omologia esiste veramente, ed è in palese rapporto coi vistosi ciuffi di peli che si riscontrano in alcune specie di Portulaca (P. lanuginosa ed altre). — 240 — gli autori furono felici a tal riguardo, avvicinando le cactacee altri alle cucurbitacee, o alle loasacee, o alle datiscee, ribesiacee ecc. K. Criterio del dimorfismo clorofilliano. Pochi giorni dopo aver notato il fenomeno della eteromericarpia nella Portulaca ole- racea, rilevai nelle foglie della stessa pianta un altro fenomeno non meno degno di essere notato. Gran parte del mesofillo è costituito da cellule incolore designate alla funzione di immagazzinare l’acqua. Altre cellule, debolmente colorate, contengono corpuscoli di cloro- filla, aventi i soliti caratteri di forma, dimensioni e posizione. Oltre a questi ve ne sono degli altri diversissimi. Tutti i fili che costituiscono la rete anastomotica vascolare stanno dentro un astuccio ermeticamente chiuso, formato da una serie semplice di grosse cellule, nel cui interno si scorge una quantità di grossi corpuscoli, di forme irregolarmente varie, di un color verde intensissimo, i quali, entro alla propria cellula, stanno in una posizione tutta diversa dai soliti corpuscoli di clorofilla; vale a dire che sono tutti radunati in un cumulo sul fondo della parete cellulare che è contigua col filo vascolare. Questo rivesti- mento verde delle maglie vascolari salta agli occhi come un fenomeno strano, e non pare che sia stato fin qui avvertito o descritto. Si tratta di un caso evidentissimo di dimorfismo clorofilliano. Ma siccome sembra fuor di regola e di ragione, che una pianta possa avere due sorta di corpuscoli di clorofilla, così io inclino a credere che i corpuscoli più grossi inclusi in detti astucci, siano propriamente alghe unicellulari simbiotiche, degenerate per effetto della simbiosi stessa (1). Dopo ciò s'imponevano indagini sulla estensione del fenomeno stesso, sia nelle altre specie di Portulaca. sia nelle piante affini. Trovai che il fenomeno era egualmente bene sviluppato in due altre specie di Por- tulaca, le uniche che ho potuto avere viventi; cioè nella P. grandiflora e nella P. la- NUgGiNOSa. Non esisteva invece in una specie di Talinum e nel Sesuvium portulacastrum. ticordando poi che la Trianthema monogyna combina colla P. oleracea nei raro fenomeno della eteromericarpia, previdi che questa specie dovesse altresì presentare nelle sue foglie il fenomeno del dimorfismo clorofilliano. La mia congettura era giusta. Anche da questo lato il genere Trianthema si accosta al genere Portulaca. Del fenomeno non ho fin qui visto traccia nelle alsinee, nelle silinee, nei generi 7etra- gonia, Mesembryanthemum, nelle cactacee, nelle poligonacee, nelle fitolaccacee, nelle bietole, nei spinaci, nella Boussingaultia baselloides ecc. (1) Questo fenomeno è stato testè studiato diligentemente dal mio coadjutore Dott. AurELIO DE GASPARIS, il quale pubblicò sull’ argomento una memoria intitolata: Considerazioni intorno al tessuto, assimilatore in alcune specie di Portulaca, negli Atti della Soc. R. delle Scienze di Napoli. L° A. considera siffatti corpuscoli analoghi a quelli che si osservano iu un verme, ossia nella Convoluta Ro- skoffensis. Così resterebbe confermato che si tratti veramente di alghe simbiotiche. — 241 — Così credetti per alcun tempo che il fenomeno fosse ristretto ai generi Portulaca e Trianthema. Ma un giorno mì occorse di esaminare piante di Gomphrena globosa e di Frelichia Flo- ridana, e con mia non piccola sorpresa constatai che esse pure nelle foglie offerivano un dimorfismo clorofilliano identico a quello del genere Portulaca. Perciò anche la famiglia delle amarantacee va fra quelle ciclosperme che presentane detto dimorfismo. Non tutti i generi per altro. Non riscontrai il fenomeno nel genere Celosia ed affini ; nel genere Pupalia e in parecchi altri. Per contrario lo potei constatare più o meno pro- nunziato in quasi tutte le specie di Gomphrena, Alternanthera, Amarantus che poterono essere da me esaminate (in stagione molto avanzata cioè in Novembre). Ora riferirò di un secondo caso d’intuizione e di previsione, che sortì un esito fortu- nato al pari del primo. Osservando una pianta bene sviluppata di GompWlrena globosa, mi colpì l’abito che ricordavami immantinente quello delle *Mirabdilis. Sempre tenni molto alla massima Linneana: Rabitus accurate consulendus est. Da molto tempo andava pensando quali potevano essere le relazioni genealogiche delle nictaginee. Che le stesse dovessero essere comprese nel gruppo delle ciclosperme, nessun possibile dubbio atteso i concordanti caratteri del seme. Per altro a qual tipo ciclospermico sì possano approssimare, considerando i singolarissimi caratteri del perigonio nelle Mira- bilis, il quale, divergendo dai perianzii di tutte le altre ciclosperme, imita invece e nella figura e nella preflorazione e in altri caratteri la corolla delle convolvulacee (1), è un problema di difficile soluzione. La somiglianza di abito e di portamento tra le Mirabilis e le Gomphrena è stato un raggio di luce. Pertanto pensai che se le nictaginee avevano realmente ‘vincoli di stretta affinità colle gomfrenee, in qualche genere di nictaginee si dovrebbe essere per avventura sviluppato il dimorfismo clorofilliano. Vane riuscirono le prime ricerche. Il dimorfismo clorofilliano manca alle Mirabdilis agli Oxybaphus, alle Bougainvillaca. Ma finalmente capitai nel genere BoerRaavia, che offre detto fenomeno nelle specie che ho potuto esaminare. Forse esiste non meno in alcune specie di Abronia e di Pisonia, ma non oso affermarlo perchè troppo imperfetto era il materiale che sottomisi alle mie osservazioni. Resta così per me assodato che le nictaginee sono genealogicamente correlate colle gomfrenee. Ben diverso è il sentimento degli autori. BENTHAM e HooKER (Genera plantarum etc.) dicono : ordo nulli arcte affinis sed evidenter juxta phytolaccaceas bene collocatus. Anche (1) Questa simiglianza notevole, che non può essere punto omologica, giacchè un calice non sarà mai omologo ad una corolla, è per altro ottimamente spiegata come un adattamento biologico agli stessi pronubi; e infatti in molte convolvulacee (specialmente nel genere Caloryction) e nelle Mirabilis, abbiamo nel perigonio dell’ un genere e nella corolla dell’ altro, concordanza sorprendente nei caratteri di forma, di nictanzia, di nictosmia, d’ effimerismo ; perchè così 1’ uno che l’altro sono stati elaborati in vista della azione pronuba delle sfingi. Medesimezza di funzione induce medesimezza di forme, anche se concretate in organi aventi diversa origine e diversa natura morfologica. a a HFIMERL (in ExGLER e PRANTL, natirl. Pflanzenfam.) è della stessa opinione. LE MAoUT e DECAISNE (Traité général de botanique) dicono : le nictaginee non sono strettamente le- gate a nessun altra famiglia (1). Considerazioni generali sulla ordinazione delle ciclosperme. Con questo criterio del dimorfismo clorofilliano terminiamo il nostro esercizio tasso- nomico sulle ciclosperme; perchè per ora non troviamo altro criterio nuovo. E concludendo diremo che quelli sovra esposti ci hanno condotto a una ordinazione delle ciclosperme, che ci sembra più naturale di quelle fin qui proposte. Salvochè per essere più completi dob- biamo aggiungere alcuni cenni intorno alla ordinazione delle basellacee, delle policnemee, delle fitolaccacee e delle poligonacee. Quanto alle basellacee, considerando l’ abito delle foglie, ì fiori aventi perianzio doppio e calice disepalo, concordo pienamente con VoLKENS (in ENGLER e PRANTL, natirl. Pfan- senfam.) e ritengo che si tratti d'una: stirpe direttamente emanata dalle portulacacee, e singolarizzata da un ovario monospermo. È però da tener presente che l'embrione è spi- rale, e che per questo riguardo le basellacee avvicinano le chenopodiacee spirolobee. Quanto alle polienemee alcuni le associano alle chenopodiacee, altri alle amarantacee. Il loro calice, manifestamente costituito da sepali normali e non da cocliosepali, parlerebbe piuttosto nel senso di avvicinarle alle amarantacee. Forse è preferibile considerarle come un particolare lignaggio delle portulacacee, collaterale alle amarantacee. Circa le poligonacee, quantunque appartengano senza dubbio alle ciclosperme, io non ho idee chiare sulla loro posizione e sulle loro affinità. Mi sembrano un ramo affatto iso- lato nel gruppo. Noto soltanto che le loro ocree sono morfologicamente equivalenti a co- cliosepali. Ma la forma, degli organi vegetativi può essere geneticamente influenzata da quella degli organi periantici? Se sì, allora le poligonacee avrebbero una tal quale affinità colle paronichiee. Restano le fitolaccacee, e a riguardo di esse le mie idee sono ancora più incerte. Ep- però non mi arrischio a congetturare la loro posizione nel gruppo delle ciclosperme. Quasi si direbbe che siano una diretta discendenza delle columnifere, indipendente e collaterale alle alsinee. Questo sia detto sopra tutto quanto alla tribù delle girostemonee, che sem- brano avere, se non erro, maggiori rapporti colle euforbiacee. Ciò premesso, qui proponiamo un quadro di classificazione delle ciclosperme secondo la loro evoluzione, e secondo i rapporti genealogici delle loro diverse stirpi, giovandoci dei nuovi criterii che abbiamo adoperato. Forma archetipa. Un tipo di columnifere, forse compreso nella famiglia delle gera- niacee. Forme prototipiche. Alsinee. Segue il quadro genealogico delle alsinee. (1) Recentissimamente trovai la stessa disposizione dei clorofillofori in alcune chenopodiacee, per esempio in più specie di Atriplex (A. rosea, hastata, laciniata, alba, polysperma Halimus), nella Kochia scoparia, nella Robieva multifida. Può essere che si ritrovi anche in altre ciclosperme; mi riservo ulteriori ricerche. Quadro monofiletico della evoluzione delle cielospermee Alsinee ? Silenee Protoparonichiee Paronichiee Portulaca ? | a Pereskia Tetraconia | Molluginee Calandriniee | Basellacee Trianthema Sesuvium Celosiee —Policnemee Opunziee Mesembryanthemum | Amarantee Gomfrenee Cactee È Beta Cypselea Chenopodiacee Chenopodiacee Sarcohatus Î cielolobe spirolobe Acroglochin Hablitzia Polìconacee Nictaginee Fitolaccacee F. Pax (in ENGLER e PRANTL, natirl. Pfanzenfamilien, p. III, sez. 1° b, 1889, p. 68), per dimostrare i rapporti di affinità che avrebbero tra loro le diverse famiglie delle ciclo- sperme, ha proposto il seguente schema : Cariofillacee Amarantacee | Aizoacee —— Fitolaccacee — Chenopodiacee | Nictaginee Portulacacee Confrontando questo schema col nostro, ne risulta una discrepanza completa. Il nostro quadro è desunto da rapporti naturali rivelati da una inchiesta genealogica. Lo schema di Pax è tutto artificiale, ed è fondato sopra dati di morfologia pura. Già la formola sim- metrica ci avverte della sua mancanza di naturalezza. Nella stessa opera (parte III, sez. 1°, a) ENGLER espone le sue idee intorno alla clas- sificazione delle ciclosperme come segue. « In questa nostra opera l'ordinazione delle famiglie che appartengono a tal gruppo (ciclosperme) non corrisponde ancora completamente ai rapporti di affinità, perchè i nostri egregi collaboratori non avevano potuto prima d’ora chiudere i loro studi al riguardo. Le chenopodiacee ed amarantacee che sono tra loro affinissime, formano un gruppo che, ri- spetto allo sviluppo del perianzio, occupa l’infimo posto. Sovra esse si elevano le nictagi- nee, le cinocrambee, le batidee, le fitolaccacee, le aizoacee, che in ogni caso rappresentano col loro complesso: una particolare diramazione dal tronco delle ciclospermee. Le nictaginee si distinguono fra tutte per il notevole sviluppo petaloide del calice. Le cinocrambee e le batidee si accostano alle forme infime delle fitolaccacee. Anche le aizoacee stanno molto da vicino alle fitolaccacee, ma cominciano a sviluppare un perianzio doppio, e quindi s0- — 244 — vrastano ad esse. Si forma poi un terzo ramo colle portulacacee e le basellacee, di cui VoLkENs ha riconosciuto l’ affinità ; e finalmente si costituisce una quarta diramazione colle cariofillee e colle loro quattro sottofamiglie ». L'evoluzione è una storia, cioè un decorso di azion: nel tempo; e, collo squarcio sur- riferito, ENGLER, se non siamo in errore, ha invertito di pianta il processo evolutivo delle ciclosperme, ne ha scritto la storia all’ inverso. ExGLER ha il difetto di partire da considerazioni di morfologia pura, e dal concetto che si diano nelle angiosperme diversi gradi di perfezione organica (morfologica) (1). Ma la inchiesta filogenetica è affatto contraria a questi concetti, e li abbatte senza remissione. Ogni specie è dotata d’una perfezione sui generis; nell'ambiente in cui è posta, facendo entrare nel calcolo anche gli ambienti in cui vissero i suoi antenati, rappresenta un’ equi- librio perfetto (ma protempore). Così sono perfette le specie di Forsythia, Syringa, Ligustrum col loro perianzio dop- pio e gamofillo, coi loro fiori entomofili e punto anemofili. Sono non meno perfette le specie di Phillyrea e di Olea colle loro corolle gamopetale e coi fiori ad un tempo entomofili ed anemofili. Perfetto è il genere Picconia semigamopetalo, i generi Fontanesia ed Ornus affatto dialipetali; tutti e tre poi aventi fiori ambidestri, entomofili ed anemofili. Final- mente nel genere Fraxinus la entomofilia cedette completamente il luogo all’ anemofilia, e totalmente scompare il calice e la corolla. Si dovrà dire adunque che il genere Fraxinus, perchè i suoi fiori sono nudi ed esclusivamente anemofili, non è perfetto? Così chi dovesse ordinare le oleacee secondo il concetto Engleriano ossia della morfologia pura, dovrebbe estendere la seguente serie evolutiva : Fraxinus Ornus Fontanesia Picconia Olea Ligustrum Syringa Forsythia. Bisogna convenire che questo schema armonizza magnificamente bene colla morfologia pura. i Ma questo schema ha un piccolo difetto ; il difetto cioè di essere campato totalmente nell'aria, e di rappresentare propriamente il rovescio della evoluzione storica delle olea- (1) Di perfezione organica non può parlarsi: tutt'al più si può discorrere e discutere di perfezione biologica. Ma anche ammettendo una graduale perfezione biologica, bisogna procedere con molto giudizio e discernimento. Sopra tutto non si perda mai di vista la grande antinomia, secondo cui ogni essere è perfetto nel genere suo, e ogni essere è imperfetto nel genere suo. — 245. — cee; le cui forme, nello spazio e nel tempo, comparvero senza dubbio nell’ordine se- guente : Forsythia. ... entomofila .... gamopetala. . . . capsula. Syringa. .... entomofila .... gamopetala. ... capsula. Ligustrum. .. . entomofilo ‘'. . . . gamopetalo. . . . bacca. CATIA NA ambidestra (1) . . gamopetala. . . . bacca. PECORINO ambidestra . ... semigamopetala . bacca. Fontanesia . . . ambidestra . . . . dialipetala . < . . samara. ONU O, 80, ambidestro . ., . dialipetalo .... samara. PRATNUS AS, Tanemofilo 44. 1.0. apetalortt. i . ‘samara: Per altro volendo acquistare una visione penetrante nella intrinseca natura degli esseri viventi non basta accettare la tesi, benchè verissima, che ogni essere è perfetto nel genere suo; conviene anche accettare la pur verissima antitesi che ogni essere è imperfetto ‘nel genere suo. E questa antinomia, che pare a prima vista contradditoria e assurda, facilmente è risolubile mediante una terza tesi, secondo cui ogni essere è suscettibile d’ acquisire una maggior perfezione, 0, per dirla con più precisione, un migliore adattamento alle condizioni esterne della vita. Per indeclinabile necessità l’ambiente in cui vivono le piante è in uno stato continuo di mutazione. E quando l’ambiente muta le perfezioni diventano imperfe- zioni. La tesi rende intelligibile la stabilità e la persistenza delle forme specifiche ; 1° anti- tesi rende intelligibile la mutabilità delle forme specifiche. Si comprende p. es. come la traslazione della forza pronuba dal vento agl’ insetti apporti grandi vantaggi quanto a economizzare le preziose sostanze contenute nel polline, a condizione per altro che gl’ insetti non scarseggino; e quindi si capisce come da una stirpe anemofila possa sorgere una stirpe entomofila. Ma si comprende pure, che se, in date condizioni di luoghi e di tempi, gl’ insetti ven- gono a scarseggiare, apporterà grande vantaggio ‘la traslazione della declinante forza pronuba degl’ insetti a quella del vento, inesauribile per natura; epperò si capisce come da una stirpe entomofila possa sorgere una stirpe anemofila. Tutti i caratteri delle piante sono di questa fatta che, a tenore dell’ ambiente, sono vantaggiosi 0 meno vantaggiosi 0 anche dannosi, e quindi si capisce l’ attuale diversa costituzione delle specie vegetali. E per citare altri esempii, talvolta l’ azione delle formiche è vantaggiosa (per difesa), ed ecco in molte specie sorgono organi speciali per attirarle; talvolta 1° azione delle formiche è dannosa, ed ecco in molte specie sorgono organi speciali per metterle in fuga. In conclusione, i caratteri delle piante sono perfetti e imperfetti, non già in sè o per sè, ma sibbene in rapporto al mondo ambiente. Laonde chi si prefigge di ordinare le piante secondo i concetti dell’ ascensione e perfezione, riesce immancabilmente a una classificazione artifiziale, non naturale, e che contrasta al grande aforisma Linneano « methodus naturalis (1) Cioè che può essere ad un tempo impollinata incrociatamente mediante l’ azione sia degli insetti sia del vento. Serie VI. — Tomo IT. 34 I ultimus finis botanices est et erit ». Questo aforisma procede da una vera intuizione divi- natrice ch’ ebbe LinxkOo. Il metodo naturale deve corrispondere colla successione geneologica delle diverse stirpi, e diventa in realtà l’ ultimo fine della botanica, la storia cioè dello sviluppo dal regno vegetale sulla terra. Vega Gli odierni tassonomi nel proporre i loro quadri di classificazione delle piante sono stati diseuidati dal non aver riconosciuto alcune verità fondamentali. Non videro che nella giurisdizione delle angiosperme l anemofilia non è giammai una disposizione primitiva ma sempre un fatto secondario. Le angiosperme anemofile dell’ at- tualità procedono sempre da antenati entomofili. Dal tronco dell’ entomofile rosacee si spiccò il ramo anemofilo delle poteriee, non viceversa; dall’ entomofile rubiacee il ramo anemofilo delle antospermee, non viceversa; dall’ entomofile composte le anemofile artemi- siacee ed ambrosiacee, non viceversa; dall’ entomofile poligonacee le anemofile rumicee ; dall’ entomofile sapindacee il genere anemofilo Dodonaea; dall’ entomofilo genere Erica l’anemofila Erica scoparia, non viceversa; dall’ entomofilo genere LBocconia, la Bocconia frutescens. Potrei prolungare di molto la citazione di consimili esempi. Ma qui mi arresto e soltanto dirò che dopo cinquanta e più anni d’ indagini sulla biologia dei fiori delle angiosperme, non mi si presentò giammai un caso di anemofilia primigenia. Delle piante attualmente viventi soltanto le gimnosperme offrono il fenomeno della anemofilia primigenia. Non videro che l’ anemofilia, quando si rende inveterata nelle stirpi angiospermiche, tende a diminuire gli organi florali, a sopprimere le corolle e i nettarii, a scindere i sessi prima per fiori e poi per infiorescenze e per individui, a depauperare i pistilli rendendoli monospermi. Tende insomma a conferire una falsa impronta di semplicità ai fiori delle anemofile inveterate. Non è semplicità, è semplificazione; non è un fenomeno primigenio ma un fatto postumo. Ed è in tal maniera che agli occhi ingannati di molti antichi e recenti tassonomi le orticacee, le ulmacee, le betulacee, le corilacee, le juglandee, le cupu- lifere, le casuarinee compariscono erroneamente come le forme infime e più antiche delle angiosperme dicotiledoni; e delle angiosperme monocotiledoni le ciperacee e le graminacee. Non videro che al comparire della prima angiosperma si è arrestata affatto la evo- luzione morfologica ed ebbe invece principio la elaborazione biologica delle stirpi secondo varie direzioni. Tutte le angiosperme sono pari in grado e dignità e occapano lo stesso gradino nella scala della perfezione organica. Non si può parlare di perfezione morfologica. Variano le angiosperme nel numero degli organi fiorali. Ma differenza di numero non importa differenza morfologica. Secondo le contingenze una stirpe policiclica, polisepala, polipetala, polistemone, policarpa, polisperma può procedere da una stirpe depauperata o viceversa. Variano le angiosperme nella coalizione laterale degli orgari florali. Ma anche questo non implica differenza morfologica. Anche qui secondo le contingenze una stirpe dialisepala, dialipetala, dialistemone, apocarpica può produrre una stirpe ad organi riuniti o viceversa. Le angiosperme poi variano nelle aderenze radiali degli organi. Neanche questo importa differenza morfologica. Le stirpi ad ovario aderente possono derivare da stirpi ad ovario libero e viceversa; le stirpi ad inserzioni periginiche da stirpi ad inserzione ipoginica e viceversa. — 247 — Adunque secondo il nostro modo di vedere, nel classificare le angiosperme, bisogna rinunziare ad applicare i concetti di una perfezione morfologica che non esiste, lasciandoci guidare e recolare dall’ inchiesta filogenetica, quale è rivelata dallo studiare gli adatta- menti e le elaborazioni degli organi sotto il punto di vista biologico e fisiologico. Ed è quel che abbiamo procurato di fare in questo nostro tentativo di classificare le ciclosperme. Considerando inoltre che ci siamo prevalsi di criterii o affatto nuovi, o fin qui poco adoperati, terminiamo esprimendo la lusinga di aver contribuito ad avviare una mi- gliorata ordinazione delle ciclosperme. Napoli, 1° Aprile 1905. DT 2 0 2A IA i 6 i RI Di Lan vi: i 1 Li " Ju “dg A A L . : RI ti i Mrs Di hs VE MR ME, MN SUINI PRA 6. î td ° Ln Î A na i Tae Si zi È x Hi È RS ù Ù E E n di Ni z i a “ ) È n ta) po a ag ao si RITA ui An RA IL sE ) è IRRITA a È O sati | ta i ) Mr Ò A È va TO 5 DSS 0? } i SULLA DIAGNOSI ISTOLOGICA DELLA RABBIA NOTE E OSSERVAZIONI SOPRA 494 CASI PRESENTATI DAL 1901 AL 1904 ALL'ISTITUTO ANTIRABICO DI BOLOGNA COMUNICAZIONE Eremo IVIOCTENIONZIE MEDICO OPERATORE DELL’ ISTITUTO (Letta nella Sessione del 21 Maggio 1905) (CON DUE FIGURE) Mentre si attende impazientemente un mezzo semplice e diretto di cura della rabbia, quale è annunciato dalla comunicazione del Prof. Tizzoni e del Bongiovanni 1) sugli effetti del radio, mentre si attende almeno dagli oppositori della cura antirabica Pasteur una seria dimostrazione della inefficacia della cura, dei suoi danni reali, della vanità di proposito in chi mira a salvare tante vite, che non sì vorrebbero veramente minacciate, è pur necessario provvedere ai bisogni del momento e continuare a somministrare volta a volta almeno le prove della idrofobia degli animali sospetti. Le molte pubblicazioni che vanamente si sono succedute annunciando con vario lusso di particolari la scoperta dei germi della rabbia, hanno lasciato presso a poco il tempo che avevano trovato. Solamente alla osservazione del Negri, sebbene gli stranieri non vi abbiano prestato che debolissima attenzione, si deve attribuire una importanza, che nessuno può negare, non già dal punto di vista biologico, ma più da quello morfologico. Ad alcuno è sembrato a quanto io so per private comunicazioni, nè mi è lecito scoprire un segreto oggi, ad alcuno è sembrato di trovare in casi di provata assenza dell’ idrofobia la presenza invece dei corpi del Negri e del rispettivo così detto parassita, ma fino a prova provata e pubblicata, noi abbiamo a che fare con un numero oramai rispettabile di casi, che la Studentessa Lina Luzzani nel suo lavoro 2) dell’ ottobre 1904 somma a 455 e nei quali i corpi del Negri furono trovati 287 volte cioè nel 63%, essendosi dimostrato con la prova biologica dell’ innesto nei conigli che nel 65% si trattava veramente di idrofobia. Siccome poi sopra 296 casi in 9 si ebbe la verifica biologica della presenza di virus Serie VI. — Tomo MNM. 39 — 250 — rabbico mentre erano assenti i corpi del Negri, così si può conchiudere che solamente in poco più del 3%, i corpi del Negri non si riscontrarono, benchè per indubbia esperienza di trasmissione il virus rabbico avesse dato prova della sua presenza. In verità non ostante questi ottimi dati di fatto e la perizia indubitabile degli osser- vatori, che ce li hanno presentati, non si trova ancora il legame tra la forma osservata e la biologia della rabbia. È vero sì, che le ricerche del D’ Amato 3) hanno affermato una maggiore virulenza del corno d° Ammone su quella del bulbo, che fino ad oggi era ritenuto come il luogo di predilezione del virus rabbico e quindi non ci deve più maravigliare la maggiore copia dei corpi del Negri nel corno d’ Ammone, che non nel bulbo e la precoce invasione di quello su questo. Ma le interessanti esperienze eseguite dal Remlinger 4), dal Di Vestea 5) hanno anche indubbiamente dimostrato di quali dimensioni debba ritenersi sia il germe produttore della infezione rabbica, germe, che potrà certamente essere progenitore o filiazione degli attuali corpi del Negri, ma non può per ora confondersi con essi, se non scomponendo come vorrebbe il Volpino 6) ciò che finora si è sempre mostrato complesso. E però ripugna per una diagnosi di così fatta importanza il servirsi della presenza di un elemento che è tutto un’ incognita; che, mentre dovrebbe essere precisamente il virus, può mancare là proprio dove le sue azioni sì manifestano, come principalmente nel bulbo. Ancora, si è ritenuto che il mancare dei corpi del Negri negli animali uccisi per virus fisso sia una ragione per negare valore patogenetico alle forme del Negri. Ma questo argomento non mi par sufficiente perchè io non credo alla eguaglianza fra virus fisso e virus di strada, e non credo affatto che sola differenza fra 1’ uno e l’ altro sia la durata della incubazione e che quindi il virus fisso sia semplicemente più forte, non altro che più forte del virus di strada. fi come suol dirsi un fiore non fa primavera, anche se il Wischl che pur crede alla inno- Anche se la recente esperienza del Wischl 7) di Charkow riescirà vana, perchè cuità del virus fisso nell’ uomo sopporterà senza danni la inoculazione che si è fatto, ma non proverà con questa semplice prova il suo difficile asserto, rimangono tuttavia molte altre differenze fra un virus e l’ altro, sicchè può darsi benissimo che il corpo del Negri nei morti per virus fisso non si trovi. Il tempo chiarirà il facile problema che non ha bisogno certamente dei valentissimi cui ho accennato. Nel nostro Istituto fin dalle prime ricerche istologiche del Babes, del van Gehuchten e Nelis, del Golgi, fu tentata ora dall’ uno ora dall’ altro dei miei collaboratori il metodo istologico di diagnosi. Ma le prove erano incerte, lo studio era lungo e complicato e il Golgi infatti, un maestro a nessuno secondo, aveva concluso fin dal 1894 che la diagnosi anatomica della rabbia non poteva farsi se non dal complesso delle alterazioni istologiche delle varie parti del sistema nervoso centrale. Così pure concluse più tardi il Daddi, mentre il Marinesco trovava incostanti i reperti di Babes di van Gehuchten e Nelis. — 251 — Uno studio molto esatto e metodico di questi reperti fu istituito fin dal 1900 nell’ Isti- tuto antirabico di Faenza dal Dott. Biffi 8) il quale ha specialmente messo in evidenza l’importanza di certi particolari del reperto istologico, quali la proliferazione cellulare diffusa in tutto il tessuto nervoso, e più ancora la infiltrazione perivasale. I noduli descritti già dal Babes e da van Gehuchten si trovano il più delle volte sul decorso di vasi profondamente alterati, sicchè il Biffi pensò già che la lesione peri- cellulare, la infiltrazione diffusa non fosse che un derivato di quella perivasale. E mentre con grande giustezza il Biffi conchiudeva che i noduli o le infiltrazioni pericellulari notate nel bulbo e nei gangli del vago, come le infiltrazioni perivasali non potevano dirsi per sè specifiche della rabbia, doveva però convenire che esse rappresen- tavano un reperto costante nei casi di rabbia del cane, del coniglio, della cavia; reperto tanto più facile a verificarsi quanto più lungo era stato il periodo della malattia, quanto più tardi l’ animale era stato ucciso, costante poi quando l’animale era morto naturalmente di una forma rabbica. Le belle esperienze del Biffi e la semplicità della ricerca che poteva limitarsi ancora trattandosi di un sussidio alla diagnosi che si faceva per mezzo dell’ innesto nei conigli, mi invogliarono ad attuare nel nostro Istituto il medesimo processo che in fatti fin dal 1901 10 stesso applicai senz’ altro. Naturalmente cercai di rendere più semplice ancora 1’ applicazione, trattandosi di dover operare sopra un materiale talora copiosissimo ; tuttavia il sopra carico di lavoro fece sì che dovetti affidarmi per aiuto agli ottimi miei collaboratori prima cioè al Lanzerini, e quando questi abbandonò l’ Istituto, al Dott. Pandolfini-Barberi, cui tuttora è conse- gnata questa parte del servizio antirabico. La fissazione in alcool con formalina fu pure continuata e, convenientemente condotta, può far sì che se il materiale era fresco sia possibile anche praticar qualche sezione suffi- cientemente sottile, 10 a 15 micromillimetri, entro le 36 ore. Per le prove ordinarie non facciamo mai inclusioni, il pezzo è abbastanza solido per resistere da sè, compreso tutto intorno da paraffina, alla lieve pressione del rasoio. Nelle mie prove io colorai sempre con soluzione acquosa di tionina e decolorai con olio di anilina, ma più tardi non avendo più trovato tionina solubile abbiamo ricorso semplicemente al bleu di L6ffler decolorando solo con passaggi in alcool. Certamente i preparati colorati così affrettatamente, quelli in ispecie colorati con tionina non si mantengono e non possono quindi conservarsi bene per ulteriori esami, ma a noi più che altro necessita rapidità di ricerca e chiarezza nel mo- mento dell’ esame. Per lungo tempo eseguimmo le osservazioni sui gangli del vago e sul bulbo, seguendo l'indicazione del Biffi quando trattavasi dei cani, ma poi avendo veduto che una costanza degna di ogni fiducia accompagnava le ricerche praticate sul solo bulbo fermammo l in- dagine a questa parte dell’ asse spinale, anche perchè molte volte le condizioni cattivissime in cui ci giungono le teste degli animali sospetti rendono difficile e indaginosa la pre- parazione dei gangli, che sono spesso maltrattati e tagliuzzati. Le prove di cui voglio dar conto qui riguardano parte del materiale presentato al 252 — nostro Istituto negli anni 1901, 1902, 1903 e 1904, solamente parte, perchè molte volte il materiale stesso giungeva in istato di putrefazione tale, da non prestarsi assolutamente a ricerche di nessun genere, altre volte era putrefatto in modo da non poter servire per la prova d’ innesto neppure dopo soggiorno in glicerina, come è consigliato dall’Abba, e quindi essendosi eseguita solamente la ricerca istologica senza la prova biologica mancava la verifica, e riusciva inutile riportare la esperienza ; altra volta infine, sempre in casi di sostanza nervosa putrefatta, si eseguirono bensì entrambe le ricerche, ma i conigli inoculati morirono senza poter giungere ai fenomeni rabbici, morirono setticemici in 24 o 48 ore e anche qui era inutile riportare il reperto istologico ottenuto. Non ostante queste numerose limitazioni, furono 494 i casì studiati, una cinquantina dunque più di tutti quelli raccolti dagli altri miei colleghi insieme e riportati dalla Luzzani, contributo, che mi pare abbia una seria importanza, molto più che i miei casi hanno tutti il raffronto della prova biologica, che gli altri non hanno. I casi sospetti presentati al nostro esame nell’ Istituto in questo periodo furono com- plessivamente 620 cioè 129 nel 1901; 147 nel 1902; 211 nel 1908 e 133 nel 1904 e riguar- darono 587 cani, 52 gatti, 1 maiale, 1 cavallo, 1 pecora, 4 buoi. Le provenienze rispettive di tutto questo materiale sono segnate nelle statistiche del- l’Istituto che sto riunendo in apposita pubblicazione ancora in arretrato dal 1899, pubbli- cazione che conterrà pure osservazioni cliniche importanti su taluni fatti osservati. Qui ho voluto solamente disporre dati che a mio parere raccomandavano un processo quanto mai semplice e alla portata di qualungue osservatore, purchè attento e scrupoloso, sebbene oggi anche la ricerca dei corpi del Negri non presenti più quella difficoltà che offriva un tempo per la colorazione col liquido del Mann, possedendosi |’ ottima formola del May usata anche dal Dott. Fasoli con molto successo. Nella tabella che segue riporto senz’ altro 1 risultati delle esperienze eseguite, divi- dendole per annate e con le indicazioni che ognuno può chiaramente rilevare a colpo d’ occhio. Sc : Reperto Reperto Reperto Reperto Numero Reperto Reperto istologico istologico istologico istologico | istologico istologico ì O. o) DO) Amata delle positivo SANTO negativo dubbio dubbio positivo "ERRO SNA sona con con con con osservazioni O fo esito positivo|esito positivo|esito negativolesito negativo 1 dell’innesto | dell’innesto | dell’innesto | dell’innesto 1901 Tati 39 26 s 0 3 1 1902 118 eta) 22, 5) 2 ] 0 1903 180 181 34 6 O) 4 0) 1904 119 78 30 0 2 2 1 ‘l’otali 494 336 118 19 9 10 Z Omoa — 253 — I reperti che hanno servito di argomento al giudizio diagnostico sono di due sorta Gli uni nettissimi ed evidenti risultano nella proliferazione o infiltrazione pericellulare più o meno diffusa o riunita in zolle quasi a costituire dei noduli circondanti o non, cellule nervose, e inoltre infiltrazione parvicellulare perivasale più o meno abbondante tutt’ attorno al vaso sanguigno; altri reperti invece portano solamente infiltrazione sparsa e lieve infil- trazione vasale ben discernibile però e facile a distinguersi dall’ apparenza normale dei vasi. Questi rappresentano per noi casi dubbi solamente allora, che si mostrano lesi alcuni vasi e non tutti quelli che sì osservano nel preparato. Spesso abbiamo anche operato sul ponte del Varolio e anche sul cervello e sul cer- velletto e sul midollo spinale e dobbiamo notare che alcuni giudizi furono formulati appunto perchè all’ esame istologico furono portati solamente il cervello o il midollo spinale. Conoscendo la storia di ognuno dei casi che venivano presentati ho potuto anche confermare pienamente le osservazioni fatte dal Biffi sui pochi casi da lui esaminati. Gli animali che andarono naturalmente a morte in seguito ad una forma rabbica, qualunque essa fosse, hanno presentato sempre più o meno evidente il reperto istologico sopra indicato, nessuno eccettuato. Perciò la vasta esperienza che abbiamo fatto ci rende perfettamente sicuri del nostro giudizio anche se fondato unicamente sul reperto istologico, purchè sia assicurato che l’animale sospetto era morto naturalmente e non era stato comunque abbattuto. Invece se l’ abbattimento avvenga nei primi momenti della malattia, nel primo giorno della comparsa dei sintomi sospetti, il reperto limitato alla infiltrazione perivasale e diffusa può interamente far difetto, noi vediamo però nella tabella che ciò non ostante furono solamente 19 in complesso questi casi sopra 494, sicchè non rappresenta questo una grave menda del metodo. È bensì vero che i corpi del Negri sono mancati solamente nel 3 circa %, dei casi accertati positivi, mentre nel nostro processo la mancanza delle alterazioni da noi ritenute caratteristiche della rabbia si ebbe nel 5%, dei casi accertati positivi (19 sopra 364). Ma evidentemente se noi chiamiamo caratteristico il reperto sopra descritto, non pos- siamo, nè vogliamo ritenere che la sua assenza escluda la presenza del virus rabbico, esso è un risultato dell’azione del virus e ben si comprende come una breve durata di una infezione porti dei danni anatomici assai più limitati di una durata tale che conduca a morte! Le lesioni anatomiche che riscontriamo non sono per sè quelle che conducono a morte, sono pur quelle che cagionano il danno irreparabile degli elementi cellulari nervosi ed è solamente quando sia avvenuta la morte, per quel dato cumulo di lesioni primitive e finali, che il reperto istologico, cui noi alludiamo sarà nel grado massimo e potrà quindi essere facilmente rilevato. Invece se i corpi del Negri o secondo il Volpino, i corpuscoli che vi sono conte- nuti rappresentano veramente il virus rabbico, perchè non trovarli sempre, senza eccezioni, anche se disseminati dove che sia e non ancora chiusi in quella specie di involucro che dovrebbe esserne presso a poco la bara !? Speriamo e confidiamo che col tempo si possano ritrovar altrove questi corpuscol semplici, partendo dal loro luogo di introduzione, cioè dal nervo più vicino alla ferita 254 — riportata e seguendoli ai centri, anche se la via non porti proprio direttamente al Corno d’° Ammone ! La tabella ci dimostra anche 10 reperti istologici dubbi che non furono confermati dalla prova d’ innesto e 9 invece che furono pienamente confermati; nello stesso tempo’ ci porta 2 reperti veramente positivi che non ebbero la conferma dell’ innesto sui conigli. A questo proposito devo notare che io non credo alla refrattarietà di qualche coniglio, affermata da parecchi, non ci credo perchè ho sempre veduto che un coniglio che ha resistito ad un innesto endocranico, talora anche fatto con virus fisso, ha poi contratto la rabbia ad una seconda infezione. Il fatto è semplicemente dovuto a che in quei casì ecce- zionali lago cannula sirisciò sulla dura madre cerebrale senza perforarla e il virus non deposto quindi sulla sostanza cerebrale non trasmise l’ infezione nei modi e termini che si dovrebbero attendere. La iniezione successiva fatta naturalmente con la cura, che nella prima iniezione era stata negletta, non permette al caso di ripetersi. A me personalmente non è mai accaduto di trovare un coniglio che resista a questo genere di trasmissione della rabbia e come sommano a qualche migliaia gli animali che ho inoculato (1), così non posso dubitare del mio asserto. In quei 2 casi adunque in cuì i conigli non hanno contratto 1° idrofobia, sebbene il reperto istologico fosse positivo, non posso attribuire il fatto a refrattarietà, potrei per comodità di interpretazione e seguendo il consenso altrui, ma non posso neppure attribuirli a trascuratezza operativa perchè le prove sono sempre fatte a coppie di conigli e non é possibile ammettere che succeda due volte di seguito di non forar la dura madre nel praticare l’ innesto. Il registro d’ altra parte avverte che non si trattava in nessuno di quei due casì di materiale putrefatto, così da pensare che il virus rabbico fosse stato attenuato o distrutto come qualche volta può succedere. Così che ci resta solamente di pensare che le lesioni che noi abbiamo indicato possano trovarsi in qualche rara volta (2 sopra 364) anche senza la presenza della rabbia. E per la ragione che abbiamo più sopra accennata la conclusione non cì ripugna affatto, come non toglie valore al processo. Noi non sappiamo veramente se i corpi del Negri si possano trovare in qualche altro caso di malattia infettiva o no, per ora dalle pubblicazioni fatte non risulta, ma ripetiamo che le infiltrazioni perivasali se non sono un virus specifico, sono bensì un effetto di esso e nulla si oppone all’ ipotesi che altri virus o altre malattie non possano condurre al medesimo risultato. Oggi intanto questo reperto non è affermato e l’ esperienza fatta ci permette di essere abbastanza recisi nel nostro giudizio. Ricordo fra gli altri un caso inviatoci nell’anno in corso da un collega di Berceto (Parma) il 24 Gennaio. Era un cane che aveva addentato una persona, che interessava moltissimo al collega e però sì chiedeva con premura la risposta, se dovesse essere mandato in cura il morsicato. (1) A tutt’ oggi 20 Maggio 1905 sono 11568 i conigli inoculati nel nostro Istituto è certamente più dei ?/3 inoculati da me. CR Il reperto istologico dimostrò solamente una imponente congestione della sostanza nervosa tutta, ma nessuna infiltrazione nè localizzata, nè diffusa, nè perivasale. Fu quindi pronun- ziato giudizio negativo sapendosi che il cane era venuto naturalmente a morte. I conigli inoculati hanno passata in perfetta salute i 4 mesi di osservazione e si seppe poi che il cane era stato avvelenato con strienina. Questa dunque se può dare fatti congestivi non porta alterazioni da confondersi con quelle da noi ritenute come caratteristiche, almeno fino a prova contraria. Di un altro caso mi pare ben fatto intrattenersi, non compreso nella tabella. Devo richiamare a questo proposito le osservazioni da me fatte nelle precedenti mie pubblicazioni 9) sulla esistenza di forme cliniche, che nel cane danno tutti i sintomi della rabbia, mentre i conigli inoculati muoiono bensì con sintomi simili a quelli della rabbia, ma con una incubazione di appena 20 o 24 a 48 ore. Passaggi ripetuti non alterano il quadro che può riprodursi anche dopo molti trasporti. Io isolai già un diplococco, la cultura del quale riproduceva gli stessi fenomeni, ma le pubblicazioni mie son rimaste a questo punto, giacchè altre prove eseguite sotto la mia direzione da allievi del Laboratorio non furono poi condotte a fine. Ora un caso del genere sì presentò precisamente il 6 Giugno 1902 in un cans prove- niente da Reggio Emilia, il materiale era in buone condizioni, il reperto istologico eseguito sul bulbo dimostrò la presenza di lesioni evidentissime, ma i conigli morirono entrambi in poco più di 12 ore. Un secondo passaggio fatto pure per iniezione sotto la dura madre diede la morte in 12 ore, un terzo in 8 ore e un altro coniglio iniettato con lo stesso materiale, ma in via ipodermica in 48 ore. Altre prove non furono eseguite. Se esistesse in questo caso quel diplococco che veramente teneva del lanceolato io non ho cercato, il fatto sta che anche in questa forma che io chiamai di pseudo-rabbia, ma che alcuno ha chiamato a dirittura di rabbia con rapidissimo sviluppo, si avevano le lesioni istologiche che si sogliono osser- vare precisamente nel sistema nervoso centrale degli idrofobi. Debbo ancora notare a compimento dei dati esposti come in un bambino che morì con una forma di rabbia convulsiva furono trovate le solite alterazioni, che del resto come fu osservato dal Biffi si vedono benissimo anche nei conigli. Il contributo che io ho portato con queste mie osservazioni mi pare renda un vantaggio notevole alla pratica, perchè permette la diagnosi di rabbia con un processo semplice che può anche applicarsi a materiale putrefatto. Talora dilacerando il tessuto nervoso spap- polato abbiamo estratto semplicemente dei vasi sanguigni che portati sotto al microscopio e opportunamente colorati facevano vedere nettamente la infiltrazione intorno alla loro parete, sicchè può dirsi quasi che non vi ha limite alla possibilità di questa ricerca. Micr. Zeiss — Ocul. 3 — Obb. E — lungh. tubo 160 mm. MARIO NovI fotografò dal vero. 21 Aprile 1902 — Perizia N. 82 da Came- 20 Ottobre 1904 — Perizia N.104 da S. El- rino. Reperto positivo classico. pidio a Mare. Reperto positivo classico. Lunghezza cm. 23 dell'apparecchio mi- Lunghezza massima cm. 46 dell’apparec- crofotografico Koristka. chio microfotografico Koristka. NOTE BIBLIOGRAFICHE 1). Tizzoni e Bongiovanni -— Azione del radio sul virus rabbico — Accademia delle Scienze di Bologna, Aprile 1905. 2). Lina Luzzani — Sulla diagnosi della rabbia — Archivio per le Scienze Mediche Vol. XXVIII, 1904. 3). Luigi d’Amato — Sulla etiologia della rabbia — Atti del Congresso di Medicina interna. Pa- dova, Ottobre 1903. 4) Remlinger et Riffat-Bey — Le virus rabique traverse la bougie Berkefeld — Compt. rend. Soc. biologie, Tom. LV pag. 730-732. Idem. — Sur la permeabilité de la bougie Berkefeld — C. R. Soc. biol. Vol. LV pag. 974-976. 5). A. Di Vestea — Dei più recenti studi circa la natura del virus rabido — Giorn. Internaz. delle Scienze Mediche, 1903 N. 6 e 7. | MA Ulteriori osservazioni circa la filtrabilità del virus rabido — La medicina italiana, 30 apr. 1904. 6). G. Volpino — Sulla fine struttura dei corpi del Negri nella rabbia — Rivista d’igiene e sanità pubblica, 1904 pag. 240. 7).R. Nitsch — Bemerkungen tiber die Pasteur’ sche Metode der Sehutsimpfungen gegen Tollivuth — Wiener klinische Wochenschrift 1904 N. 36. Idem. — Experiences sur la rage de Laboratoire. Bull. Accad. de sciences de Cracovie. Luglio De- cember 1904. 8). Ugo Biffi — Sulla diagnosi istologica della rabbia — Annali d’igiene sperimentale, Anno 1901 fascicolo 1.° 9) Ivo Novi — La cura del Pasteur nell’ istituto antirabico di Bologna — Bullettino delle Scienze Mediche di Bologna 1894, Serie VII vol. V. Idem. — Bullettino delle Scienze Mediche 1897, Serie VII vol. VIII. Idem. — Bullettino delle Scienze Mediche 1899, Serie VII vol. X. => = - SIGNIFICATO DEI BATTERI TERMOFILI, DI QUELLI DELLA PUTREFAZIONE E DEL GRUPPO COLI NELL'ESAME BATTERIOLOGICO DELLE ACQUE MEMORIA DEL Prof. FLORIANO BRAZZOLA (letta nella Sessione del 28 Maggio 1905) L'analisi batteriologica delle acque, come è noto, ha per iscopo di stabilire il numero dei germi contenuti complessivamente in un determinato volume di acqua, di determinare la qualità di questi germi, stabilirne cioè la specie, ed, eventualmente, cercare la presenza di microorganismi patogeni. Gli autori però sono disaccordi sul valore e sul significato delle analisi. batterio- logiche, rispetto alla potabilità o meno di un’ acqua, ed il grado di inquinamento della stessa : alcuni annettono all’ analisi batteriologica un significato assoluto, altri, anche recentemente, sostengono che « non si può giudicare del valore di un’ acqua dal numero e dalle specie dei germi (1) ». Non dobbiamo però, nè possiamo, essere unilaterali a questo punto. L’ analisi batterio- logica quantitativa generica delle acque, basata solamente sul numero dei germi, certo ha un valore molto relativo, poichè vi possono essere delle acque con un contenuto batterico, da microorganismi innocui, molto alto e le acque essere perfettamente potabili; mentre un al- tr’ acqua può essere inquinata e dannosissima per le specie, con un numero di germi molto limitato. L'analisi batteriologica delle acque deve essere qualitativa, e l’ indagine deve essere condotta con rigore scientifico. Le discrepanze sul valore e sul significato delle analisi batteriologiche, sono legate specialmente alla modalità della tecnica ed all’ apprezzamento dei dati riscontrati. L'analisi batteriologica, ben condotta, fornisce dei dati preziosi e sicuri per giudicare della bontà o meno di un’ acqua e del suo grado di inquinamento; ed è sovrattutto la ricerca di alcune specie microbiche, che ci da i criterî migliori. Abbiamo innanzi tutto i microorganismi patogeni e specialmente il bacillo del tifo, il bacillo dissenterico, quello del colera. Il significato che la presenza di questi germi ha (1) Congresso internazionale d’ Igiene di Bruxelles 1903. (Léòffler). Serie VI. — Tomo II. 36 aeoSia per un’ acqua è troppo ovvio. Bisogna però richiamare 1° attenzione sulle difficoltà, che nella pratica si incontrano, nell’ isolamento e nelle diagnosi di questi microorganismi. Ve- ramente, in quest’ ultimi tempi, furono indicati dei mezzi di indagine abbastanza sicuri ; richiedono però sempre un tempo molto lungo, una tecnica scrupolosa; e la diagnosi diffe- renziale sicura può essere fatta, solo dopo una serie di ricerche comparative con vari metodi e precauzioni grandissime. Ad ogni modo oggi si può sicuramente ottenere l’isola- mento di queste specie patogene, e sul loro significato non può essere sollevato alcuna eccezione. Vi sono però altre specie le quali nell’ analisi batteriologica delle acque hanno un’ im- portanza capitale, e le quali rappresentano dei veri indici di bontà o meno di un’ acqua e del grado di inquinamento. Queste specie sono rappresentate principalmente dal gruppo microorganismi termofili, da quelli della fermentazione ammoniacale e della putrefazione in genere, dal gruppo coli, e sovrattutto dal batterium coli comune, ed anche dagli anaerobi. Sul valore e sul significato di questi gruppi di microorganismi, prescindendo da altri lavori di minore importanza, hanno richiamato specialmente l’attenzione il Petruschky ed il Pusch (1) ed ultimamente il Vincent (2). Siccome è un argomento di grandissima importanza, e siccome da molto tempo mi oc- cupo di questo studio, ed ho avuto | opportunità di fare una serie di osservazioni com- parative su acque di svariatissima provenienza e composizione batterica, così credetti utile ritornare sulla questione, specialmente per quanto si riferisce al significato pratico. Io studierò separatamente il significato dei gruppi di microorganismi ricordati e cioè : dei termofili, di quelli della putrefazione e della fermentazione ammoniacale, di quelli del gruppo coli, e specialmente del bacterium coli comune; riservandomi di trattare in altro lavoro degli anaerobi. Batterî termofili. Per batterî termofili generalmente intendiamo quelli che si sviluppano a temperatura di 38 e più gradi. Questo gruppo contiene moltissimi microorganismi; alcuni di essi sono abbastanza ben conosciuti, altri invece lo sono molto meno. Prescindendo dal gruppo tifo-coli, di cui ci dovremo occupare più avanti, e che certamente è quello che ha la maggiore importanza, conviene nell’ esame delle acque, fare una prima prova generica sulla presenza dei termofili ed anche determinarne il titolo. Per la ricerca generica dei termofili il metodo che serve meglio nella maggioranza dei casì è il seguente : In matracci di Erlenmeyer della capacità di 250 cm? si mettono 100 cm? dell’ acqua da esaminare e 100 cm? di brodo a titolo forte (brodo col 2 al 8 p % di peptone, o brodo (1) Bacterium Coli als Indicator fir Fakal Verunreinigung von Wissern — Zettsehrift fiir Hy- giene und Infectionskrankeiten Bd. 43, pag. 304. (2) Sur la signification du Bacillus coli dans les eaux potables — Annales de l Institut Pasteur, 1905, N. 4, pag. 233. ae UU comune cui siasi aggiunto estratto Liebig nella proporzione dal 5 al 10 p. %,,) e si passan per 24 ore in termostato alla temperatura di 39 a 40°, Se vi è intorbidamento 1 acqua contiene termofili; se colla quantità di acqua adoperata di 100 cm* non vi è intorbida - mento, l’acqua si può ritenere sufficentemente pura : o non vi sono termofili, o per lo meno in proporzioni trascurabili. Stabilita la presenza generica dei termofili, è necessario determinarne il titolo, e suc- cessivamente isolare le specie. Per determinare il titolo sì adoperano quantità variabili di acqua e si fanno diluzioni diverse a seconda del presumibile grado di inquinamento. Nella maggioranza dei casi conviene usare nelle prime prove, le seguenti quantità di acqua: 100 cmì, 10 cm’, 1 cm, 1, di em$, ’/., di cm, cui si aggiungono rispettivamente 100 cm' di brodo, 10 cm' e 5 cm' per le quantità minori. Se l’acqua è più o meno fortemente inquinata, bisogna adoperare quantità molto mi- nori di acqua e fare delle diluzioni. Per le acque moderatamente inquinate, sì prendono tre provette contenenti ciascuna 10 cm° di acqua sterilizzata. Ad una di queste provette si aggiunge 1 cm' dell’acqua da esaminare, sì mescola bene, poi se ne prende un cm’ e si semina nella seconda, e da questa un altro cent. cubico che si passa nella terza provetta: si hanno così le diluzioni 1:10 — 1:1000 — 1: 100,000. Se l’acqua è ancora maggiormente inquinata, bisogna fare delle diluzioni più forti. Si prendono tre matracci contenenti ognuno 100 cent. cubici di acqua sterilizzata, si aggiunge al primo 1 cent. cubico, si mescola e se ne passa successivamente 1 cent. nel secondo, si mescola di nuovo, e se ne passa l cm* nel terzo matraccio. Si hanno così le diluzioni 1:100 — 1:10,000 — 1 : 1,000,000. In questo modo si possono avere diluzioni a grado diverso ed, a seconda del grado di intorbidamento, si può stabilire il titolo del contenuto dei microrganismi termofili. Per l'isolamento successivo dei germi, e lo studio dei caratteri morfologici e biologici, si usano i metodi generali di tecnica batteriologica, od anche quelli che indicherò per il gruppo tifo-coli. La presenza dei termofili in genere, e sovrattutto di alcuni di essi, è 1° espressione di un inquinamento. Ne vedremo più avanti il significato. Microorganismi della putrefazione in genere e della fermentazione ammoniacale. I microorganismi della putrefazione in genere e quelli della fermentazione ammoniacale, hanno un’ importanza speciale. Questi microorganismi, sovrattutto il germe proteo, il bacillo liquefaciente fluorescente verde, il bacillo fluorescente non fiuidificante, il batterium termo, il bacillo jantico, essendo, si può dire, satelliti dei termofili in genere e del gruppo coli-tifo in specie, devono sempre essere cercati. Questi microorganismi, come si sa, hanno una temperatura ottima fra i 15-25° e sì — 260 — sviluppano a preferenza in certi substrati nutritivi, ricchi di sostanze azotate. Per la loro ricerca servono benissimo i comuni substrati e la tecnica batteriologica generale: culture in brodo semplice od a titolo doppio, culture in gelatina. Anche per questi microorganismi conviene fare le culture con grandi quantità di acqua ed alle volte con piccole quantità od anche colle diluzioni. i Il titolo e la diagnosi di specie non implica difflcoltà; per questo gruppo è proprio la tecnica batteriologica generale che viene usata. Il significato di questo gruppo, come ho già accennato e come vedremo meglio più avanti, è notevolissimo e la sua ricerca oggi non deve mai esser trascurata. Microorganismi del gruppo coli. L'importanza maggiore certo è legata al gruppo coli, e coli-tifo. In questo punto non vi può essere alcun dubbio. I microorganismi che oggi si mettono in questo gruppo sono diversi e cioè il bacterium coli, il bacillo del tifo, i paratifi, il bacillo dissenterico, il bacillo alcaligeno delle feci, il bacillo paracolico anindolico; cui sì aggiungono anche una parte dei microorganismi del butulismo, il bacillo del tifo dei topi, il bacillo della pneumoente- rite dei maiali ecc. I metodi proposti per la ricerca e |’ isolamento dei microorganismi del gruppo tifo-colì sono numerosissimi: sappiamo però che vi sono serie difficoltà, specie per la differenzia- zione di alcune forme ecc. A noi interessano sovrattutto il bacterium coli, i paracoli, i paratifi, quello del tifo, l’ alcaligeno delle feci ed il dissenterico. La prima indagine che si impone è la ricerca generica del gruppo ed il titolo, sovrat- tutto del coli e specie strettamente affini. Il procedimento corrisponde a quello che abbiamo visto per ì termofili, solo che invece di adoperare dei brodi semplici, conviene usare. fin da principio, il brodo fenicato dal 0,75 QI odio diante ue Anche per questi microorganismi è necessario adoperare quantità diverse d’ acqua ed anche ricorrere alle diluzioni a seconda che sì tratta di acque più o meno inquinate. Le quantità che nella generalità dei casi conviene usare sono: 100 cmì, 10, 5, 2, 1,4 t/, di em'. Del resto si procede come venne detto sopra ed eventualmente si istituiscono ricerche con quantità maggiori di acqua, oppure, se le acque sono molto inquinate, si fanno le diluzioni che indicai. Le culture sono poste nel termostato a 40-41° per 12, 18, 24 ore. Le culture che non si intorbidano non contengono il coli, o gruppo, quelle che sono intorbidate lo possono contenere. Prima però di pronunciare un giudizio bisogna procedere all’ indagine batterio- logica qualitativa: qui certo sì possono incontrare certe difficoltà. Prescindendo dalla necessità di differenziare i diversi microorganismi del gruppo, va notato subito che vi sono anche altri microorganismi, non del gruppo, e che si trovano frequentemente in diverse acque, i quali intorbidano i brodi fenicati, e Parietti, e che sì sviluppano a 40-41 gradi; ricordo il bacillus mesentericus vulgaris, il bacillo piocianeo, il bacillus subtilis, lo stre- — 261 — ptococco corto, alcuni grossi diplococchi delle acque. Da qui la necessità di ulteriori indagini e della differenziazione assoluta. Conviene fare un secondo passaggio nei brodi fenicati e poi procedere ai metodi di indagine differenziale noti, e dei quali anch'io mi occupai in altro lavoro. I substrati che meglio corrispondono sono i brodi lattosati carbonati e trattati colla fenolftaleina, il latte semplice e col tornasole, i brodi lattosati al rosso neutro: l’agar glucosata, e colorata, le patate, il Conradi-Drigalski, le prove coi sieri agglutinanti ecc. Questa parte dell’ indagine batteriologica deve essere condotta con molto rigore, ed il giudizio della presenza del coli o d’ altro microorganismo, più o meno specifico, non può essere pronunciato, che quando tutte le prove siano espletate. Per il bacillo del tifo specialmente, ed anche col disenterico oggi dobbiamo essere molto guardinghi, sebbene coi metodi ultimamente consigliati se ne possa stabilire la pre- senza anche in proporzioni relativamente piccole; ma l’ indagine batteriologica, non ostante eli ultimi metodi di ricerca introdotti. implica sempre serie difficoltà. Non intendo fermarmi su questa parte, perchè il mio intento è quello di limitarmi al gruppo coli e specialmente al coli comune : d’ altronde la questione del bacillo di Eberth nelle acque è una questione tutta a se; coi metodi d’ indagine batteriologica che abbiamo e con una tecnica scrupolosa, il bacillo del tifo può essere rintracciato: il significato poi della sua presenza in un’ acqua non può essere discusso. Il microorganismo del gruppo che ha la maggior importanza e che oggi si può ritenere come indice dell’ inquinamento e del grado di inquinamento di un’ acqua è il bacterium coli comune. Noi consideriamo come bacterium coli comune solo quelli che si scolorano col Gram, che non fiuidificano la gelatina, che scompongono il lattosio producendo gas ed acido, che colorano intensamente in rosso la laccamufa. Il bacterium coli tipico, come è noto, ha il suo abitatum naturale nell’ intestino del- l’uomo e degli animali, e colle feci viene disseminato nell’ ambiente esterno. Perciò per un certo tempo la presenza del bacterium coli in un’ acqua venne considerata costante- mente come l’ espressione di un inquinamento da materie fecali. Successivamente, essendo stato trovato in moltissime acque, secondo alcuni persino in tutte le acque, venne un periodo di reezione in cui venne considerato quasi un saprofita innocuo. Oggi possiamo e dobbiamo stabilirne il vero significato. Innanzi tutto è necessario determinare se il bacterium coli si trova in tutte le acque © no, in quale proporzione si trova, con quali caratteri morfologici e biologici, quanto tempo può vivere in un acqua più o meno pura. Tutte queste questioni sono state ripetutamente trattate; ma risolte in modo molto diverso e disparato. Dalle numerose ricerche che io ho istituito su acque di diversissima provenienza, ho potuto stabilire che il bacterium coli non si trova in tutte le acque; anzi molte acque non ne contengono. Le acque di diverse sorgenti dell’ appennino (Penne, Lizzano), quelle delle sorgenti oo alpine che alimentano gli acquedotti di Lugano e Mendrisio non ne contengono, le acque dei pozzi trivellati profondi dei pressi di Bologna, Medicina, Castenaso, quelle dei pozzi Norton di Viserba egualmente non contengono bacterium coli: le acque che filtrano alle opere di presa dell’ acquedotto di Bologna sono prive del bacterium coli e gruppo. Moltissime altre acque invece contengono il bacterium coli o gruppo, e spesso in pro- porzioni grandissime. Trovai diverse acque di sorgenti non difese o acque di risorgenti, che contenevano il bacterium coli anche in proporzioni forti; tutti i pozzi di Bologna sono in- quinati dal bacterium coli, il quale si riscontra con un titolo elevatissimo. In generale si osserva che quanto meno le acque sono protette tanto maggiore è il numero dei coli. Vi sono dei pozzi in Bologna, e specie in alcune zone del forese, ed in alcune epoche dell’ anno, i quali contengono fino a 25-50 e più bacterium coli per cm’, vale a dire 25,000 a 50,000 per litro. Altre invece ne contengono meno, 4-10 per cm’, come vi sono delle acque nelle quali non si trova il bacterium coli che usando quantità piuttosto forti di acqua 10 cm? 100 e più. Esiste un rapporto costante fra presenza del bacterium coli e specialmente fra il numero dei coli e grado di inquinamento delle acque, e questi inquinamenti sono di origine fecale e possono avvenire o direttamente od indirettamente. Alla ricerca del gruppo coli, del bacterium coli in ispecie, appoggiata da quella dei termofili in genere o dei microorganismi della putrefazione e della fermentazione ammo- niacale, si deve dare il massimo significato nell’ esame bacteriologico delle acque. CONCLUSIONI Le conclusioni cui arrivo con queste ricerche sono le seguenti : Le analisi batteriologiche delle acque, fatte coi metodi semplici di numerazione dei germi nelle capsule di gelatina o mistura di gelatina ed agar, sono insufficienti e spesso fallaci. La ricerca dei termofili in genere è importantissima, e ci fornisce già un indice prezioso per giudicare la bontà o meno di un acqua. Non bisogna però accontentarsi della ricerca generica colle culture a temperatura di 38° o più: è necessario determinarne il titolo, il contenuto relativo ed assoluto, e saggiarne, eventualmente, il potere patogenetico. Insieme alla ricerca dei termofili bisogna istituire quella dei comuni microorganismi della putrefazione, a temperatura di 18-25° e quella dei microorganismi della fermentazione ammoniacale. Anche per questo gruppo bisogna determinare il titolo, ed eventualmente stabilirne i caratteri biologici. Questi microorganismi forniscono un altro criterio prezioso per stabilire la potabilità o meno di un’ acqua. Il gruppo coli poi, ed il bacterium coli comune in ispecie, è uno degli indici più im- portanti. È assolutamente necessario l’ identificazione sicura, ed il titolo. La sua presenza nelle acque, in proporzioni appena elevate, è 1’ espressione di un’ inquinamento. Siccome poi il bacterium coli comune nell’ acqua resiste un tempo relativamente breve, così è anche l’espressione di un’ inquinamento recente o continuativo. Intorno alcune singolari paleoicniti del Flysch appenninico. MEMORIA Prof. VITTORIO SIMONELLI letta nella Sessione del 28 Maggio 1905 (con figura intercalata nel testo) In un periodico bolognese di Filosofia naturale, intitolato « Il Pensiero aristotelico nella Scienza moderna » comparve qualche anno addietro una noticina del Dott. Lucio (abelli « Sopra un interessante impronta medusoide » dove s°' illustrava con mirevole sagacia una paleoicnite singolarissima fra le più singolari, scoperta nelle argille scagliose del Porrettano dal benemerito naturalista Lorenzini. Tolgo di sana pianta dalla noticina del Gabelli la descrizione del novissimo gero- glifico. « L' esemplare è costituito di calcare marnoso color grigio chiaro e presenta molta somiglianza coi calcari cretacei appenninici del tipo della pietra forte. Sopra una delle sue superficie si vede in rilievo una corona o stella formata di sedici raggi affatto disgiunti gli uni dagli altri, ma assai regolarmente collocati : essi nel loro insieme compongono il fossile in questione. Nel centro della stella da essi composta si nota una relativamente vasta areola, nella quale la roccia si mostra priva d’ ogni impronta. Tale areola comunica poi mediante 16 raggi interstiziali (compresi cioè ciascuno tra due consecutivi raggi rilevati componenti il fossile) colla esterna ossia periferica porzione della roccia, della quale mo- strano essi pure la nuda superficie al pari dell’ areola interna. I raggi sono, come ho già detto, in numero di sedici, e si avanzano col loro apice interno quali più e quali meno e in grado diverso nell’ areola interna, tanto che con sufficente chiarezza si vedono disposti secondo simmetria tetramerica. All’ esterno invece toccano all'incirca tutti una stessa circonferenza. All’ infuori di tale alternanza nella loro lunghezza essi non differiscono tra loro in niun altro modo, per cui la descrizione di uno di essi è quella di tutti gli altri. Sono essi dunque lunghi rispettivamente circa mm. 8, 11, Vl areola interna avendo un dia- metro di circa mm. 16. Verso il mezzo della loro lunghezza i raggi si mostrano alquanto più alti e verso le due estremità vanno gradatamente abbassandosi sino a confondersi colla roccia che improntano. I due apici cioè l’ esterno o periferico, e l’ interno od areolare hanno — 264 — ambedue la stessa figura ovale alquanto acuta. In tutta la loro lunghezza presentano i raggi nella loro superficie dorsale una caratteristica assai rilevante per la diagnosi generica del fossile; cioè presentano piccoli rilievi trasversali che in numero vario (da 6 a 8 nei raggi più lunghi) alternano con altrettanti infossamenti all’ incirca di uguale entità. Non tutti i: raggi sì rilevano dalla roccia ugualmente, ma una metà circa della corona è composta di raggi alquanto maggiormente rilevati che non quelli dell’ altra metà ; e nell’ insieme sì ha l'apparenza come che la corona si fosse affondata nel limo che poi ha costituito la roccia che ora sì sta studiando. I raggi nella corona sono assai irregolarmente e simmetrica- mente disposti: uno solo vedesi spostato ed appare come spinto entro l’ areola interna : ha la parte anteriore spezzata e dislocata lateralmente, e lascia una traccia nella superficie della roccia al posto che avrebbe dovuto essere occupato dalla sua porzione esterna 0 periferica. L’ altezza massima del rilievo dei raggi è, come ho detto, all’ incirca al mezzo della loro lunghezza ed è di circa mm. 8. La media grossezza è pure di mm. 3, e gli apici esterni distano 1’ uno dall’ altro di mm. 4, 6, 8, 10 ». Sentita la descrizione del geroglifico, stiamo a sentire come il Gabelli s' ingegna d’ interpretarlo. Anzitutto VA. esclude recisamente che si possa trattare di una pura e semplice 1m- pronta fisica. Egli sa bene che taluno, al primo esame della Zorenzinia apenninica (così il Gabelli battezzava la sua paleoicnite, in memoria dello scopritore e della provenienza) immaginò di attribuirne l’ origine « a una goccia di melma che cadendo, in specialissime condizioni, avrebbe fatto schizzare la melma del fondo attorno attorno. » Ma in tal caso, egli osserva, | areola interna dovrebbe essere rilevata e rilevati dovrebbero essere i raggi interstiziali, anzichè improntati come li vediamo; in altri termini il fossile dovrebbe essere l'inverso di quello che è, cioè formato dall’ areola e dai raggi interstiziali. Senza dire che la regolarità della corona, la simmetrica disposizione dei raggi, 1’ ornamentazione della superficie dei raggi stessi ecc., concorrono a far rigettare, come per lo meno assai infondata, l’ ipotesi dell’ origine fisica. Potendosi, d’ altra parte, escludere la derivazione della paleoicnite porrettana da un organismo vegetale « giacchè nulla di consimile ci offrono le piante » rimane assodato pel Gabelli che si tratta di una impronta animale; e, sempre procedendo per esclusione, finisce con allogare la sua Lorenzinia tra i Celenterati, e con additarcene i più stretti parenti nelle Brooksellidae del cambriano di Coosa Valley nell’ Alabama e in certe altre meduse fossili del paleozoico inferiore, come la Medusina radiata di Boemia e il Disco- phylum peltatum di Hudson River in America. La noticina del Gabelli termina con quattro righe dirette a me personalmente. « So che a Parma, presso il Prof. Simonelli, esistono alcuni esemplari di fossili che a detta del Prof. G. Capellini rassomigliano assai al presente. È quindi da desiderare che presto il detto Prof. Simonelli voglia renderli di pubblica ragione ». Esattissima l’ informazione avuta dal Gabelli. Appunto il Senatore Capellini. rispondendo con la nota sua liberalità ad un vecchio e vivissimo mio desiderio, mi aveva concesso, parecchio tempo prima, di portar meco a Parma e di studiare a mio bell’ agio wa una certa piastrella d’ arenaria, spettante a quel tesoro inesauribile di rarità ch' è il Museo geologico dell’ Università di Bologna; una piastrella d’ arenaria con sopra scolpiti due rilievi stelliformi, effettivamente poco o punto dissimili dalla Zorerzizia porrettana. Se ho lungamente esitato prima di rendere di pubblica ragione le osservazioni, le sperienze e le ipotesi mie circa tali enigmatiche stelle, si è perchè dopo averle bene guardate e riguar- date, e misurate e rimisurate con ogni serupolo, dopo averne tentato pazientemente la riproduzione almeno approssimativa con ogni mezzo, dopo averle confrontate con impronte, note o possibili, di ogni fatta, fisiche e organiche, dopo tutto questo nulla di positivo mi è riuscito concludere circa il loro vero significato. E se ora mi risolvo a pubblicarne la descrizione e la figura, lo faccio solo con l’ intendimento e con la speranza di dar mo- tivo di studio a qualcuno più chiaroveggente di me. La roccia ond’è formata la piastrella affidatami dal Sen. Capellini è un’ arenaria piuttosto grossolana, un po’ schistosa, di color tra il cenerino e il gialliccio, abbondante- mente micacea, a cemento in prevalenza siliceo, riferibile a qualcuna fra le tante varietà del macigno nostro appenninico. Sopra una medesima faccia di essa piastrella, non più di 9 mm. discosti l'uno dall'altro, son due rilievi stelliformi, l’uno più, l'al- tro meno nitidamente scolpito. Il più nitido si compone, proprio come la Lorenzinia apenninica, di sedici raggi disposti a corona intorno ad un ampia infossatura mediana che si approfonda sino al piano comune della piastrella rocciosa. Senonchè qui i raggi, invece di apparire affatto dis- giunti gli uni dagli altri, come accade, secondo il Gabelli, nella Lorenzinia, sembran con- nessi per circa metà della loro lunghezza da un lembo continuo, pressa poco come le braccia di un cefalopodo. Inoltre non si 0s- serva traccia nessuna nè della ornamentazione superficiale, nè della regolare alternanza di lun- ghezza che esibiscono i raggi del fossile porrettano. Ma è degno di nota che anche qui metà della corona ci offre raggi ben distinti e regolarmente distesi sul piano della piastrella: mentre nell’ altra metà i raggi Serie VI. — Tomo IT. 37 IA sono assai meno nitidi e taluni anche spiaccicati un contro l’altro e saldati assieme per quasi tutta la loro lunghezza. Nella icnite in parola 1 area crateriforme mediana misura secondo il maggior diametro circa mm. 13 e circa mm. 11,5 secondo il diametro minore. I raggi son lunghi in media circa 12 mm., larghi al massimo mm. 2,5 e non sporgono più di 2 mm. dalla superficie della pietra. La seconda impronta non fa che riprodurre indeboliti i lineamenti caratteristici della prima. Ci presenta essa pure come una corona di brevi tentacoli, terminanti con apice ottuso, simmetricamente disposti torno torno ad un ampia depressione circolare. Ma l’ orlo del cratere non si eleva più di un millimetro dalla superficie della piastrella e del cerchio di appendici radiali è quasi completamente cancellata una buona metà. L° infossatura mediana misura circa mm. 14,5 di diametro ; i raggi che a giudicar dal quadrante meglio conservato, dovrebbero essere stati qui pure in numero di sedici, non misuran più di un centimetro di lunghezza per 2-3 mm. di massima larghezza. Giudicando di prima impressione nessuno, credo, esiterebbe a collocare impronte cosiffatte tra i fossili veri e propri: certo non viene fatto di pensare, a vederle di primo, che disposizioni tanto complesse e simmetriche possano esser l’ effetto di azioni puramente fisiche. Pure, dopo quel che si sa di tanti geroglifici e di tanti grafoglipti del Flyseh, prima considerati come reliquie di piante e di animali, poi riconosciuti come semplici impronte fisiologiche o fisiche, anche questa ipotesi va presa in considerazione. È proprio fuor del possibile che una goccia di melma, cadendo in specialissime condizioni sopra un fondo melmoso, possa determinare qualche cosa di simile alla Lorenzinia e alle paleoicniti stelliformi del Museo di Bologna ? « In tal caso — dice il Gabelli -- lareola interna do- vrebbe essere rilevata e i raggi scolpiti in cavo ». Ma in questo io non posso consentire con lui. Sarebbe opportuno ricordare, a questo proposito, la interessantissima memoria del Worthinghon « The Splash of a Drop and allied Phenomena » pubblicata nel 1894 della Royal Institution e poco dopo riprodotta dalla Smithsonian Institution in uno dei suoi diffusissimi rapporti annuali (1). Il Worthington potè colpire in ogni fase, mediante un’ ingegnosa applicazione della fotografia istantanea, le rapidissime trasformazioni che subisce una goccia liquida, cadente da una certa altezza, quando viene a battere e a spiac- cicarsi contro una superficie solida o liquida, e — in quest’ ultimo caso — anche le simul- tanee trasfigurazioni della superficie battuta. Chi abbia esaminato le tavole ond’ è corre- data la memoria del Worthington, non può non riconoscere che le configurazioni suc- cessive assunte da una goccia che si spiaccica, uguagliano in regolarità le nostre paleoicniti, se pur non le sorpassano. Rammento, fra 1° altro, le forme stupendamente simmetriche colpite a volo dal Worthington durante lo spiaccicamento di una goccia di mercurio fatta cadere da un’ altezza di 3 centimetri sopra una lastra di vetro, e in più special modo quella ch è riprodotta nella fig. 20 della Tav. II; una corona regolarissima di dodici raggi uniformi di lunghezza, uniformemente crescenti in grossezza dalla base verso l apice, fra loro equidistanti con esattezza geometrica: e in mezzo alla corona un’ ampia depressione (1) Smiths. Rep., 1856, p. 197 e seg. — 267 — circolare, di diametro uguale press’ a poco alla lunghezza dei raggi circostanti. Una forma, come si vede, che alla fin fine non si discosta troppo da quella che ci offron le nostre problematiche paleoicniti. Ora bisogna sapere che talune delle forme fuggitive manifestatesi al Worthineton nell’ osservare lo spiaccicamento delle gocce liquide, si posson facilmente riprodurre e otte- nere stabili e fisse, quando si operi invece con gocce di melma discretamente fluida, fatte cadere da conveniente altezza sopra uno straterello anch’ esso melmoso. Là dove lo stra- terello vien colpito dalla goccia, si costituisce una debole infossatura, limitata da un orlo .circolare regolarissimo, sempre più rilevato della superficie circostante. E non di rado avviene che da tale orlo irraggino numerose appendici tentacoliformi, anch’ esse distin- tamente rilevate, così foggiate e disposte da non mancar di somiglianza con quelle che ci offron l’ enigmatiche nostre paleoicniti. — Si aggiunga che tali impronte non si defor- mano punto nel disseccarsi; e certo, ove in natura se ne producessero delle somiglianti, avrebbero attitudine alla fossilizzazione quanto e forse più delle butierature derivanti da gocce di pioggia, dei solchi tracciati da lombrichi marini ecc. ecc. lutto questo per fare da adwocatus diaboli. Im fondo, io son convinto come il Gabelli che la Lorenzinia apenninica sia un impronta animale, e convinto, convintissimo che siano impronte animali i due rilievi stelliformi scolpiti sulla nota piastrella del Museo bolognese. Non mi trovo però d’ accordo col Gabelli quando egli afferma che bisogna cercar tra i celenterati l’ animale che ha dato origine alla ZLorerzizia. AU’ ipotesi del Gabelli fa ostacolo anzitutto il modo di conservazione della Lorenzizia e in secondo luogo fa ostacolo la natura della roccia su cui la Zorenzinia è rimasta scolpita. Non trattasi già di un petrefatto vero e proprio, paragonabile agli « star cobbles » di Coosa Valley, da Walcott avvicinati alle Discomeduse, e nemmeno di un modello interno comparabile agli Spatar- gopsis del cambriano di Svezia; si ha che fare con una semplice impronta. Si considera come una maraviglia tra le maraviglie il ARizostomites di Solenhofen; non per nulla Haekel l'ha chiamato ARizostomites admirandus. È possibile che qualcosa di somigliante venga offerto da un sedimento grossolano come il Macigno nel nostro Appennino ? Di che animale si tratta, se non si tratta di un celenterato ? Se debbo dir francamente la mia opinione, a me vien fatto di pensare ad un oloturioide. La Pelagothuria natatria scoperta nel 1891 dai naturalisti dell’ A/batros e illustrata nel 1894 dal Ludwig (1) ha per l’appunto da 13 2 16 tentacoli. Se non proprio d’ una Pelagothuria potrebbe trattarsi di qualche forma analoga alle attuali Elpidiildee, da cui le Pelagothuriae si suppongono appunto derivate (2). Osservando sotto opportune incidenze di luce un modellino in gesso della Zorenzinia, gentilmente favoritomi dal Dott. Gabelli, ho potuto accertarmi che una larga zona sensibilmente rilevata fa seguito alla stella, proprio nel prolungamento (1) Reports on an exploration.... by the.... Albatross. XII. he Holothuricidea — Mem. Mus. Har- vard, vol. XVII. No. 3. Cambridge, 1894. (2) V. Bather The Echinoderma, p. 230 in Ray Lankester, Treahx of Zoology, p. II. London, 1500. dei raggi meno scolpiti. Nell’esemplare del Museo di Bologna sì può veder facilmente che la meno nitida delle due paleoicniti, è accompagnata da un rilievo analogo, pur situato nel prolungamento dei raggi quasi o del tutto obliterati, come appunto dovrebb? essere se fosse stata determinata da un animale a corpo cilindrico terminante in un disco frangiato. di tentacoli. DIAGRAMMA GENERALE PER TRASFORMATORI A CORRENTE ALTERNATIVA E MOTORI ASINCRONI POLIFASI NOTA DEL EROE Ur GRES INZAZIIE (letta nella Sessione delli 7 Maggio 1905) CON FIGURA INTERCALATA NEL TESTO Fra i vantaggi che presenta l'impiego del noto metodo simbolico degl’ immaginarii nello studio dei fenomeni delle correnti alternative, non ultimo è quello dell’ immediata corrispondenza fra il processo analitico e la rappresentazione grafica, onde si ha la evidenza figurativa associata alla precisione del calcolo. Qui mi propongo appunto di far conoscere un diagramma ottenuto per tal via, che con generalità congiunta a sem- plicità serve all’ illustrazione delle funzioni dei trasformatori sia monofasi che polifasi e dei motori asincroni polifasi. Denotiamo con R', L', 0', ordinatamente, la resistenza, il coefficiente di autoindu- zione e la capacità in serie (di cui per generalità si considera qui l’ eventuale inser- zione) del circuito primario, con £'", L'', 0° le quantità corrispondenti del secon- dario e con M il coefficiente d’ induzione mutua. — Supponendo impressa ai capì del primario una differenza di potenziale alternativa sinusoidale e indicando con d il valore istantaneo di quella, con è', i'' i valori istantanei delle correnti primaria e se- condaria, con d', d'' quelli delle differenze di potenziale sulle armature dei condensa- tori cui si riferiscono l', C'", si hanno le note equazioni , I di di' ° i e dt dt SRI di di' 1 pilo — eci engdi=0 dt dt Ora si osserva che d essendo supposta alternativa sinusoidale, avrà un’ espressione corrispondente alla parte reale o alla parte immaginaria dell’ espressione complessa «a ESTA 2 De’! o 1 Sai e 3 (= , == , T periodo) dove D, indipendente da 7, è la grandezza complessa, che chiamerò caratteristica, avente Serie VI. — Tomo II. 38 BOT per modulo V ampiezza di d che verrà designata con D, e per argomento l’angolo di ' Il fase; e che alle equazioni precedenti si soddisfa prendendo similmente per è, è e d', d''grandezze alternative sinusoidali corrispondenti del pari alle parti reali, o rispet- tivamente alle parti immaginarie, delle espressioni complesse analoghe I Lit I ivt A! pivt AI! pivt Tiglio << Jet Aes Ne purchè le caratteristiche /', I" e A', A" soddisfino alle equazioni che si ottengono facendo la sostituzione e sopprimendo il fattore e’*’ che viene ad essere comune a tutti i termini. Tenendo conto della dipendenza fra @', i" e d', d', la quale permette di esprimere A', A' per I°, I ‘’, si hanno così per queste ultime le due equazioni alge- briche di 1° grado 4 di i DIL 3 R'I+iLl'ol'+iMoI'— Te D a) s 4 = UIL R'I'+il'ol'+iMoI— am 08 / i I 6 i È che denotando con .S', S' le differenze LO— Go? LO costituenti le così O To) dette reattanze composte dei due circuiti, e poi con Z', 2!" (M"= Z/ei#', 2'=Z"'ei!) le quantità complesse R'+ iS", R'+ iS", costituenti le i#npedenze (adottando in ge- nerale la regola di distinguere con una linea sovrapposta, come per le caratteristiche suddette, le lettere che designano grandezze complesse, mentre le stesse lettere, senza la linea sopra, servono a significare le grandezze assolute o i moduli), assumono la forma semplice (1) ‘25 Così il problema è ricondotto alla determinazione per mezzo delle (I) delle carat- teristiche I", I", mediante le quali risultando determinate le ampiezze e le fasi delle correnti primaria e secondaria, e la frequenza (definita da @) essendo quella della differenza di potenziale impressa al primario, si ha quanto occorre per caratterizzare il regime dei due circuiti. Siccome poi tanto le caratteristiche come i coefficienti nella loro qualità di grandezze complesse sono rappresentabili mediante vettori in un piano, si vede senz’altro come questo modo di trattazione adduca direttamente alle costruzioni grafiche. Per moduli delle caratteristiche, invece dei valori massimi o am- piezze, si possono senza pregiudizio della validità delle relazioni, prendere i walori efficaci. Dalle (1), i cui termini sono espressi in misura di forze elettromotrici, dividendole rispettivamente. per Gi Lit si ottengono le equazioni dei due circuiti tradotte in misura di correnti. Esse assumono così la forma ==; D —, Mo I+uI=-+ con = (II) ; HA I'+u'I'=0 > EA Da queste, come dalle (I), si possono dedurre le equazioni stesse tradotte in mi- sura di flussi magnetici. Riferendoci al caso in cui i campi magnetici pertinenti alle correnti primaria e secondaria soro abbracciati allo stesso modo da tutte le spire del medesimo circuito (che è poi il caso pel quale principalmente riesce utile la considerazione dei flussi), e indicando con %' e »'" i numeri di spire costituenti i due circuiti; con D' la caratteristica del flusso del campo primario abbracciato per intero dalle spire primarie e con 4'D' quella della parte abbracciata anche dalle spire secondarie e quindi comune alle due spirali; con D''e 4'D'' le caratteristiche corrispondenti rela- tive al campo secondario, avremo da un lato 0 by Uni ' r ' mr I SA ee e E MO, ZARE pi mentre d’altro lato, per la legge dei circuiti magnetici, A'D' e A4'D'" saranno pro- porzionali a n'I'e '"I"" divisi per le rispettive riluttanze, che, avuto riguardo alla doppia espressione di MM, si vede essere uguali: onde si ha da considerare un valore unico, che rappresenteremo proporzionalmente con f, della riluttanza per il circuito magnetico comune (cioè che si concatena con ambedue le spirali) percorso dalle linee . dei fasci parziali cui si riferiscono A'D' e 4'D'". Ne risultano le relazioni FA nUx son DIST (A) 0 = Li bj E II 4' p A" p n'° DE n'n'' M° B ee ae = o nn, 8) 4' p A" p° p L'L Eliminando per mezzo delle (A) le /', I" dalle (I) o (II) si perviene alle equa- zioni corrispondenti in misura di flussi, riduttibili alla forma D'LHo'd' LA 7 con d= sg] i (111) P La ee er ui e x pure Fe 0 > pu CASI A Z Ritorniamo ora alle (I). Eliminando /'' dalla prima mediante sostituzione del valore ricavato dalla seconda, si ha Ù esi Coni ==> =p M° o? (I) II = ID con H=Z+-=<;, la quale determina J' in funzione degli elementi dati; dall’ altra si ottiene poi 7". —— Sulla (I°) si fonda la costruzione’ del nostro diagramma: e in virtù di essa è chiaro intanto che basta costrurre per mezzo degli elementi del sistema dei due circuiti il n l — vettore corrispondente ad 4 o ad — per dedurre sulla figura la D occorrente per una H “ data I', o rispettivamente la /' corrispondente ad una data D. ) sa i = Ciò posto, veniamo alla rappresentazione di H e —. Assunta la 0x (V. figura) come H direzione di riferimento (asse delle quantità reali), prendasi su questa 0a = R', e poi a partire da 4 in direzione normale alla 0x, prendasi an = S' (a. sinistra, per valori positivi di .S'): la risultante on ci darà l’ impedenza Z' del primario. Per avere 7 d_D dobbiamo ora dall’estremo n, indice di Z', condurre il vettore corrispondente al —- 2] Per questo osserviamo che se sopra la direzione della am si prende un punto tale che bar =0-an=0S', dove 0 indica un certo numero; su dr assunta come diametro si descrive un cerchio, e si conduce poi da la corda nk' che faccia l’ angolo «a' (a destra, se .S' è positiva) con la ws parallela alla 0%, il numero complesso rap- x 08 S! presentato da 7k' avrà per argomento — a' e per modulo @S'sena'= vo , che prendendo Mo? SOS M°o° M?0* fl, si riduce a pri onde xk' viene appunto a rappresentare —,-, e quindi il vettore Z ok', risultante di 0n e »k', viene a rappresentare 7, il cui indice £' al variare di ) a'' in dipendenza da A" (S'" supponendosi fisso) si muove sulla metà superiore della circonferenza procedendo per a'' crescente da x verso d, posizioni limiti che corri- e 9 "I ' T URI \ . , SpondonoMmispetivamenteMita difllos 00 Usi Medato: =3 (Le 0) Sepoltg è l’altro punto ove la retta cu appartiene ok' incontra la circonferenza, siccome il prodotto delle lunghezze o£', og' si mantiene costante per tutte le posizioni della retta ed eguale alla potenza dell’ origine o rispetto al cerchio, che indicheremo con » (per o interno al cerchio, » è da prendersi negativa), e ok', come si è visto, rappresenta l H tivamente, con iscala variata da 1 a » ed eventualmente con verso opposto (ove » sia ico x DV Nido] È x H= He'*, og rappresenterà gl ossia rappresentera con argomento preso nega- negativo). L'indice g si muove sul cerchio in verso opposto a £', a partire da 2, che è la posizione limite corrispondente ad %, fino al punto corrispondente a d: i due in- dici s'incontrano (quando o è esterno al cerchio) nel punto di contatto della tangente condotta da 0. 1 Così abbiamo la rappresentazione di He di , e dell'andamento delle loro va- riazioni, in un diagramma circolare di costruzione assai semplice. Indipendentemente dal significato attribuito qui agli elementi della figura, questa per la parte considerata finora è pienamente determinata dati che sieno gli angoli a' A bn i 2 ; e a'', il rapporto 9 = — e la lunghezza di una delle linee; e si hanno, per dedurre an dai dati gli altri elementi, delle relazioni di carattere geometrico che si rilevano fa- cilmente dalla figura stessa e di cui .indicherò alcune. — Si hanno in primo luogo per i rapporti di lunghezza delle varie linee le espressioni seguenti bn mn om mn 0 sen*a' o =0sena', —=0sen°a', —=1—bsen°a,, = sa on on on om 1-0 sen'a b) Ù) LU nh ok EE: : — —@sena' sena!. — =V/1+0°sen'a' sen'a''+ 20 sena'sena'cos(a'+a'"); on (01) îa potenza v=0m «on = 0g - ok' viene data da vario, se om v—=on°(1—0sena')= 3 ES nisenii SER per l'angolo $ che la direzione ok' fa con la 0 si hanno le relazioni ok'cosp=0n(cosa'+0sena'sena''cosa''), ok'senp = on(sena'—()sena'sen'a'), dalla prima delle quali, indicando per brevità con 7 il valore dato qui sopra per il ON rapporto —, si ricava on l Ù Ù ri ri cosd = —(cosa'+0sena'sena''cos a’), % mentre dividendo la seconda per la prima si ha l’espressione di tg nella forma te a'(1—0 sen'a'') 1+@sena'"cosa't9a'* io Ed espressioni della stessa forma, che sì ottengono da queste permutando fra loro a' ed a', si hanno per l’ angolo 8 che la retta condotta da » al punto g' fa con la mo, il quale è collegato a p dalla relazione semplice U I Pp_B=a'— a": e in particolare si ha per t868 te a''(1 — 6 sen°a') 1+@sena'cosa'tg a" È oo= Infatti tanto le espressioni relative a $ come quelle relative a 8 si possono, tenendo conto della detta relazione, dedurre da una medesima equazione che si ottiene confron- I Y î i nk 2 ; tando il valore 0 sena'sena' dato di sopra per il rapporto —, con l’altro che risulta (071) / - . nk'— sennok' A dalla considerazione del triangolo mok' : = —, dove nor'=a'—G=a''—8, ) È sennk'o AN nk'o=a'+@=a'+8: onde la doppia eguaglianza sen(a'— @) _ sen(a'— 8) G'senia sen ali n e sen(a''+@) — sen(a'+ 6)” da cui si ricavano facilmente le formule precedenti per @ come per 8. Queste relazioni sono perfettamente generali e valgono per tutte le forme svariate che può assumere la figura dipendentemente dalle grandezze e dai segni attribuiti agli elementi determinativi. Per la rappresentazione di H; questi si riferivano alle impe- denze dei due circuiti e al coefficiente d’induzione mutua. Quando, come nei casì or- dinarii, non intervengano le capacità, i valori di S','S°' si riducono ad L'@, L''@, ed 0h) n MEO M° Lana i il valore di 0=%7 sì riduce a Dl tanto S' e S" come 0 sono allora essenzial- ASSIMTA® d mente positivi e 0 è sempre minore di 1 (il valore 09=1 presentandosi solo come — 275 — caso limite), e si ha pure in corrispondenza »v sempre positivo, ossia 0 esterno al cer- chio. Il diagramma in tali condizioni ha sempre la disposizione generale che si vede sulla nostra figura, e possono variare da caso a caso soltanto le proporzioni. L’ inter- vento delle capacità può invece addurre valori negativi di S' e S", valori di 0 ne- gativi o maggiori di 1 e valori negativi di », e quindi dar luogo a cangiamenti cor- rispondenti nella forma e disposizione del diagramma, che rispecchiano le modificazioni profonde che può subire il regime dei due circuiti per gli effetti di capacità e per- mettono un apprezzamento a colpo d’ occhio degli effetti stessi. In ciò risiede a mio avviso l'interesse principale del diagramma considerato in tutta la sua ceneralità. Venendo ora propriamente al funzionamento del sistema dei due circuiti, possiamo senz'altro stabilire quanto segue : Diagramma delle forze elettromotrici: D=HI'. — Precessione di fase simistrorsa; ca= R', an=S', on=Z'. Per J' rappresentata da un segmento di lunghezza 1 diretto secondo 0%, ok'= H rappresenta la caratteristica D, della differenza di potenziale ai capi del primario che occorre per mantenere una tal corrente nelle condizioni definite dalla figura: cioè, l’an- golo p segna la precedenza di fase della predetta differenza di potenziale rispetto alla corrente primaria, e la lunghezza ok' dà la misura del rapporto D, della sua grandezza a quella della corrente primaria. La ok' corrisponde alla somma geometrica di 0n e nk', dove on= Z' rappresenta la caratteristica unitaria della contro-forza elettromo- trice derivante dall’ impedenza propria del primario, e #£' similmente quella della c. f. e. m. dovuta alla reazione del secondario. La direzione £'D, normale a »k', segna la fase della corrente secondaria, la cui grandezza unitaria è rappresentata dalla lunghezza nk' divisa per Mo. La proiezione della o&' sulla direzione 0» dà la misura unitaria della potenza im- pressa al primario, il cui valore effettivo si otterrà moltiplicando per il quadrato del- l'intensità efficace primaria; mentre la proiezione sulla medesima direzione della nk', corrispondente a MoI)'cosa', dà similmente la misura unitaria della potenza svi- luppata nel secondario, e la proiezione della on corrispondente a ', che equivale alla differenza delle due precedenti, dà ia misura unitaria del calore sviluppato nel primario. Qui abbiamo l'applicazione più immediata del diagramma, che serve direttamente nel caso di alimentazione del primario a intensità costante. 4 Diagramma delle correnti: I'= =D. — Precessione di fase destrorsa. H = 5 : v Per D rappresentata da un segmento di lunghezza 1 diretto secondo 0, og'= — H (il cangiamento di segno dell’ argomento è compensato, dal cangiamento di verso nel computo degli angoli) rappresenta proporzionalmente (e nel caso di » negativa, con verso opposto) la caratteristica unitaria I} della corrente primaria : cioè, l’angolo @ segna il ritardo di fase di questa rispetto alla differenza di potenziale impressa, e la lun- ghezza della 0g', divisa per »v, dà la misura del rapporto /j dell’ intensità primaria alla grandezza della detta differenza di potenziale. Se ora s’ intende che i lati 0a, an, O . x [ I] I 0 ì (Ri Si Zi on del triangolo 0a», anzichè ad R, S,Z come sopra, corrispondano qui ad —, —, —, VADA, rimanendo invariato il valore di 0, tutte le linee della figura subiranno la stessa ri- duzione, e così 0g' verrà a rappresentare precisamente /j. Il valore di », che si rife- . . ; i i ; ; CS risce ai dati precedenti (0a = R',....), è v=Z'(1—0 sen'a')=Z"— Mo: Possiamo veder subito come allo stesso risultato, ottenuto qui mediante inversione e riduzione proporzionale del diagramma precedente, si pervenga con semplici conside- razioni geometriche partendo dalle (II) e avvertendo che in esse i coefficienti «' e w'' DABECNA Mo Mo ; Mo Mo n hanno per modulo rispettivamente —--=—-sena e —- =—sena ,e per argomento 7. S' ki Qui ? #1 ,Ò IT TT Ù U piene — Ammesso come sopra che D sia rappresentato da un segmento Il va alla somma di I, e «'I;', se si suppone /j rappresentata sulla figura da 0g', Ij' da di lunghezza 1 diretto secondo 02, siccome, a senso della prima delle (II), equivale og! ed u'I,' da oe, sarà la risultante di 09g' ed oe rappresentata da un segmento fisso I om corrispondente ad —, e la gm sarà uguale e parallela alla oe. Conducendo da 0 Z 2} la og normale ad 0g' fino all’incontro in g della retta cui appartiene la q'm, si ha un triangolo 079 con la base 0m fissa e l'angolo in g costante ed uguale ad a': onde g si muove sopra un arco di cerchio avente per corda fissa 0m. Se poi da g' si con- duce la gw facente un angolo pure uguale ad «' (a destra) con la qg'm, per la simi- Ù U IRA SR 3 mn m Mm i litudine dei triangoli 90, 129» essendo — pi e Lo mantenendosi costante come om Mg mg ora vedremo, il punto » sarà pure fisso e g' si muoverà similmente sopra un arco di cerchio avente per corda fissa mn. — Invece del rapporto predetto considereremo mn qm =—-- la cui costanza implica la costanza di quello e pel quale si trova on qI9g l’ altro ' 5 sE 3 dI sen a un’ espressione più semplice. Avendosi dal triangolo ogg pel rapporto 206 ilivaloretf> q9 sen a'' 1 ae, ed essendo d’ altra parte og = —-—:g# (per la seconda delle (II), tenuto conto della uU relazione di I} e I con le lunghezze 0g' e q'm), ne viene per il rapporto cercato ai SI quin 1 pr SEN a' M° 0° I M°o* a nes WWW (071) dg =ia sento (iui akenoisenta) SS sen a." ISTSs che è un valore costante come si era detto. — Il centro c del cerchio su cui per- — 277 — tanto si muove g' si trova, come è facile vedere, sulla perpendicolare na condotta da n 7 ? nb l‘ma mn. alla. ox, ed inoltre il rapporto 90 =—=-—-—, ponendo per - il valore tro- na sena on on uu M°o° vato, risulta espresso da 9 = RI Come sopra. Siccome poi 0m ha, sena'sena'' 8°; 3 Agen Il on l l l come sì è visto, il valore + od — = ——_;-,, ne segue on =; —-; = Z, om 1-0 sena ZI1I—0 sen'a , me dove v ha il valore dato di sopra: onde infine 0n e conse- Z°1—@sena) » guentemente 04 e an vengono pure ad avere il medesimo valore; e perciò si ritrova identicamente lo stesso diagramma. Su questo la 09, che rappresenta /j, corrisponde alla somma geometrica della 07 e della 129, dove on=- rappresenta la caratteristica unitaria della corrente pri- . Sr . E al cy iMoI, maria a secondario aperto e mq =uI,=——- rappresenta quella della corrente Z indotta nel primario per la reazione del secondario. . . o : UE La direzione 90, normale a ng e distante (nel senso del ritardo) di on dalla qm e di 3 +a' dalla 09’, o la direzione 0g' ad essa parallela, segna la fase della corrente nel secondario la cui grandezza unitaria /j vien data dalla lunghezza q'm di- visa per «', e s'intende rappresentata sulla figura dalla 0g". Essa però non risulta determinata dal diagramma, il quale non dà direttamente che «'/) mediante la lun- I 1 . 5 ghezza qg'm, oppure - mediante la 0g : onde per determinarla occorre la conoscenza u di w o di v'', mentre il diagramma dipende dagli argomenti di u' e «' e dal pro- dotto «'u'' dei moduli, ma non dal valore individuale di questi ultimi. E infatti si possono collo stesso diagramma avere diversi valori di /j' considerando diversi valori di u' e u", tali però che i loro argomenti e il prodotto w'u' dei moduli rimangano gli stessi : il che, supposti fissi gli elementi £' e S' del primario, si riduce a far all 2-2 variare M, £'", S' in modo che Do e — La misura unitaria della potenza impressa al primario viene data dalla proiezione si mantengano costanti. della 0g sulla direzione 0x. Quella della potenza trasmessa al secondario viene data dalla . . . . . JINEELT r . . . proiezione sulla medesima direzione della 7g parallela a n& : il che si riconosce os- LÀ i STESA Tata 3 3 i r__MQq servando che per la similitudine dei triangoli 029, ogm si ha m'g = «0g =Mo0I;-I, om onde la detta proiezione, rappresentata da w2'g'- cosa'', corrisponde a MoI-I' -cosu'. E finalmente la proiezione sulla direzione 0x della 0, equivalente alla differenza delle due precedenti, dà la misura unitaria del calore svolto nel primario: e infatti dagli TIA) ; . È VARIO 0q” : 9 Stessi ‘triangoli 0mgi, 0g m' si ha ancora om'= —=ZI;, onde om'. cosa'=R'1)°; — 011 serie VI. — Tomo II. : 39 2 Dai detti valori unitarii si passerà ai valori effettivi moltiplicando per il quadrato del valore efficace della differenza di potenziale impressa al primario. Il diagramma serve direttamente pel caso più comune e importante di alimentazione del primario a tensione costante. Per mezzo delle (A) lo stesso diagramma si potrà tradurre facilmente in diagramma dei flussi; e come tale si potrà anche ottenere direttamente partendo dalle (III) cogli stessi ragionamenti applicati dianzi alle (II), notando che i coefficienti v', v'' delle (III) hanno gli stessi argomenti di «', «', e quanto ai moduli, sebbene individualmente differenti, risultano eguali i prodotti ve ed «'u', onde si ha lo stesso valore pel rapporto 0. Comunque si proceda, il risultato è naturalmente il medesimo, e si trova che il passaggio dalle correnti ai flussi implica una riduzione proporzionale di tutte le ' n 2 p presentino ®j, ®}, (0p', op" qui stanno sulla figura a rappresentare similmente 4'DI, 4'D!', e i punti 7, #'" sono gl’ indici di D+4"®", ®' + 4'D) corrispondenti. ai flussi risultanti). Indipendentemente dalla predetta riduzione proporzionale di tutte le ri ri ( 0 6 0 . . ci o il linee, la quale non altera il diagramma, siccome il rapporto è diverso da T ed n'7' Tee DI 1 C/ 1 x x . . . uguale a ——---i-, così sarà mutata in corrisponenza la lunghezza di 09; ma questa, DATE per quanto si è visto di sopra, non dipende direttamente dal diagramma, che rimane lunghezze nel rapporto da 1 a dopo la quale si potrà intendere che 0g', 0g'' rap- lo stesso passando dalle correnti ai fiussi. Crasformatori polifasi. — La considerazione dei fiussi rende agevole il pas- saggio al caso dei trasformatori polifasi, nei quali in luogo di campi magnetici sem- plicemente alternativi si hanno campi rotanti. —. Supponendo soddisfatte le condizioni di uguaglianza, simmetria e regolare orientazione tanto per il sistema dei circuiti primarii quanto dei secondarii, i cui numeri rispettivi indicherò con p' e p'', e sup- ponendo attivato il sistema primario mediante un sistema polifase di p' differenze di potenziale impresse ai capi delle p' spirali, ne risulta un sistema polifase di p' correnti alternative cui corrisponde un campo rotante primario, e quindi, per induzione, un si- stema polifase di p'' f. e. m. e p'' correnti nelle spirali secondarie ed un campo ro- tante secondario che reagisce sul sistema primario. Ciascuna delle spirali sarà quindi attraversata in ogni sua spira da un flusso alternativo risultante che colle solite notazioni avrà per caratteristica D' + A4"9D" per le spirali primarie e D''+7'D' per le secondarie. Qui i moduli di D', D' sono gli stessi. per tutte le spirali, corrispondendo al numero totale di linee di cui sono costituiti i due campi rotanti primario e secondario, mentre gli argomenti, i quali dipendono dall’orientazione della spirale che si considera, in relazione con la posizione per cui passano in un determinato istante (£=0) i detti campi rotanti, saranno di- versi per le diverse spirali; ma si potranno ridurre ai valori corrispondenti ad una — 279 — certa orientazione di riferimento sottraendone l angolo. € che intercede fra questa e l’orientazione della spirale considerata, il che equivale a moltiplicare le rispettive ca- ratteristiche per e °° che potremo chiamare fattore di riduzione. L’ osservazione è ap- plicabile evidentemente anche alle caratteristiche delle altre quantità, per le quali pure i moduli sono gli stessi per tutte le spirali e per gli argomenti si ha lo stesso pro- cesso di riduzione. Per ogni spirale primaria si avrà un’ equazione corrispondente alla prima e per ogni secondaria una corrispondente alla seconda delle due equazioni trovate pel caso del trasformatore monofase nelle loro diverse forme; e mediante il fattore di riduzione tutte le equazioni del primo sistema verranno a coincidere fra loro e così pure quelle del secondo sistema. Possiamo dunque limitarci alla considerazione di due sole equa- zioni ridotte alla medesima orientazione di riferimento e quindi associabili, ed istituire il confronto con la coppia di ugual forma relativa al trasformatore monofase. La dif- ferenza si manifesta solo in una variazione dei coefficienti derivante dalla mutata legge di dipendenza fra ®', D"' ed 7', I" per la quale invece delle (A) si ha nel caso presente , =) II 1171! + DEE a DRrrLnli (Ap) DEC -- AL ’ Da - DAI p' pi Per ridurrre formalmente al minimo tale differenza, poniamo e al; Leo O nr Sp; Zoy Zi i valori che assumono S', S'"; Z', Z'' per la sostituzione di Lî,, LZ), al posto di Z', Z'', intendendo che L', L'', e così pure M, seguitino a rappresentare le quantità definite dalle (B): per le quali è da notare che L' ed L' conservano il significato di coefficienti di autoinduzione per le singole spirali primarie e secondarie prese separatamente ad una ad una, ed M corrisponde al coefficiente di induzione mutua fra una spirale primaria ed una secondaria considerato nel suo valore prendiamo ad indicare con S7, 87; Z' massimo, che si ha supponendo che le due spirali abbiano la stessa orientazione. — Con ciò le equazioni corrispondenti alle (I), (I°), (II), (III) si riducono ordinatamente alle seguenti : I i ) ò II ==" VIE e toi = (00 9 9 2 => = O PVI o) = a nigi III IU P 03 3 PI D rd co gol == o pp =; 0 iM® a E a ST) e I) l'+u,I == con n=? -, D'+o0,d CA conio, = Z, 2 Z 24 PZ 7, (IL,, III) sa ai di a II RE rI P MO ARI! CIA mil dL,0 po, = » Ug= Dea Vel 2,2 nt i) » HE = p \ P e queste si possono come quelle tradurre in diagrammi riduttibili con le stesse av- vertenze ad un diagramma unico simile a quello dei trasformatori monofasi. Al qual SR proposito noterò intanto che la sostituzione di L),, Ly ad L', L'', e conseguentemente di ST, S' ad S' S". importa una variazione degli angoli a', a'' (eccettuato il caso pr Pp ’ ’ I to) ’ di p"=2, p'= 2), e che il valore comune di # che si desume da tutte le equazioni presenti è 00 PING) 2 I rr ( I ge PPM DICI L,0 L,® e RI aguie Reno 7 Qu TRN RINO xs pg Aa] SOS Mî che in assenza delle capacità si riduce al medesimo valore MIA hs nl nello stesso caso pei trasformatori monofasi. Riferendoci in particolare al diagramma delle correnti in relazione colle (II), vi è da considerare il cangiamento dei rapporti delle lunghezze 0g', 09g'', g'1m (= 0e) rappresen- Io o OG: Mr, tanti rispettivamente /,, I, , «,I,, avendosi ora per Za e Da” l valori wu, e uu, in- vece di «'' e «'u', cangiamento che si collega naturalmente con quello anzidetto dei valori di a', a'' e 0. Senza insistere sulle variazioni di forma che ne derivano al diagramma, delle quali è facile l’ apprezzamento, mi limiterò a rilevare una conse- guenza in ordine alla valutazione delle potenze. — Sul diagramma dei trasformatori monofasi le proiezioni sulla direzione 0a di 0g, om' e 'q rappresentavano rispet- tivamente, in misura unitaria, la potenza impressa al primario, il calore svolto nella spirale primaria e la potenza trasmessa al secondario, corrispondente sulla figura alla differenza delle due prime, in accordo col principio dell’ energia. — Per i trasforma- tori polifasi intervengono nel computo delle potenze i numeri p' e p'', e se qui le pro- iezioni di 0g, 0m' rappresentassero similmente la potenza impressa ed il calore svolto per una fase del primario, e la proiezione di 7g rappresentasse la potenza tra- smessa per una fase del secondario, il predetto accordo verrebbe meno evidentemente. Invece si può vedere che mentre le proiezioni di 0g" e 0m' danno realmente i valori per una fase del primario, invece quella di m'g' dà il valore relativo ad una fase UR ; RR ; P 5 ; Bea del secondario moltiplicato per il rapporto —, con che viene ristabilito l’ accordo. In- ’ P SEA ì mM 3 ; ST ao fatti la stessa equazione m'g'= —"—-09' desunta dai triangoli simili 0729", 0g'w', che om ci dette allora m'g'-cosa''= MoI,-I-cosa!, ora ci dà wi} I U p D P mg :cosa—=—-Mot-.I- cosa 2a _ MoI,-I-cosa', E ' I D el i dove Di cosa! rappresenta la potenza unitaria per una fase del secondario. Crasformatori polifasi rotanti: motori (0 generatori) asincroni po- lifasi. —— Se il sistema secondario supposto mobile (costituente quel che si dice il = 20) rofor) ruota con una velocità ©', computata positivamente nel verso della rotazione I del campo, e s’ indica con o lo scorrimento a, sarà 0 la velocità relativa del campo rispetto al secondario, dalla quale dipendono le f. e. m. indotte e la frequenza delle alternazioni nelle spirali secondarie. Alla variazione delle predette f. e. m. in dipendenza dai diversi valori attribuiti a © corrisponde la variazione di JI", D' e quindi della reazione sul primario, mentre la variazione di frequenza nei rispetti della rotazione del campo viene compensata dalla rotazione del secondario. Ora lo stesso effetto in ordine alle correnti secondarie ed alla reazione sul sistema primario, che deriva così da una rotazione del secondario cui corrisponda uno sposta- mento 0, si può ottenere modificando la resistenza e la capacità dei circuiti secondarii : | ORE 1 in modo che la prima risulti variata nel rapporto da 1 a —, e la seconda nel rap- o) porto da 1 a 0°: il che si rileva facilmente dall’ esame delle equazioni. E supponendo, nel caso dei trasformatori rotanti, l'assenza di capacità nei circuiti secondarii, si viene all’ equivalenza fra l’effetto di una rotazione del secondario e quello di una variazione della resistenza in ragione inversa dello spostamento corrispondente alla detta rotazione. Ne segue allora che il diagramma dei trasformatori polifasi statici è applicabile anche ai trasformatori rotanti ove s’ intenda che alle modificazioni di regime che a partire dallo stato di riposo (@' = 0, o =1) sono determinate in questi dai diversi valori assunti dalla velocità @', e quindi da 0, si facciano corrispondere quelle determinate in istato Uni 0 di riposo dalle equivalenti variazioni di resistenza, col prendere £''= —°, essendo R'' O il valore supposto fisso relativo al trasformatore rotante. Le une e le altre si tradu- cono allo stesso modo mediante le variazioni dell’ angolo a'', pel quale si ha in ogni caso IRE con h= Ciò che cangia, a parità delle indicazioni del diagramma, passando dal trasforma- tore statico al trasformatore rotante. è la forma delle manifestazioni energetiche, che nel secondo è in parte meccanica per il lavoro che nella rotazione è prodotto o as- sorbito dalla coppia, che indicheremo con X, dovuta all’ azione elettromagnetica del sistema primario sul secondario. Questa viene rappresentata proporzionalmenle sul dia- gramma dalla stessa proiezione della n2'g' sulla direzione 0x (moltiplicata per il nu- mero p' delle spirali primarie) che vedemmo rappresentare il valore unitario della potenza trasmessa al secondario, poichè tale potenza corrisponde quantitativamente in ogni caso al prodotto Ko. Le funzioni del trasformatore rotante cangiano a seconda dei valori di 0, variando con 0 la coppia X (che ha sempre il segno di 0), e quindi Xo, oKo, (1— 0)K@ che significano rispettivamente: la potenza elettrica trasmessa dal primario al secon- — 282 — dario, la potenza elettrica che si estrinseca in calore nelle spirali secondarie, la po- tenza che si estrinseca in forma meccanica mediante il lavoro della .coppia A; alle quali quantità nel trasformatore statico di confronto corrispondono ordinatamente : RT (0R'TE=RTO (1 0)R'MI= (RICREA Peo — Roo hanno le condizioni statiche; per o=0 (@'=@) si hanno quelle del sincronismo in cui vien meno ogni azione sulle spirali secondarie, come se queste non esistessero 0 EA fossero aperte, il che corrisponde a supporre = —= co nel trasformatore statico di confronto. — Per gli altri valori di o sono da distinguere tre catogorie : 1) o compreso fra 1 e 0 (0° compreso fra 0 e @): X è positiva e così Ko, e vi ha produzione di lavoro meccanico. L’ apparecchio funziona da motore asincrono restituendo sotto forma meccanica una parte Xo'=(1—0)K@ della potenza X@ tra- smessa dal primario, alla qual parte nel trasformatore statico corrisponde la parte (R'— Ri/)F'=(1—0)R'I'° della potenza elettrica che si estrinseca in calore nella resistenza addizionale. Nelle condizioni della pratica &,, generalmente piccolissima, rappresenta la resistenza interna delle spirali secondarie che nel trasformatore rotante o motore sono chiuse su sè stesse e nel trasformatore statico corrispondente si' chiu- dono sui circuiti esterni di utilizzazione: in ambedue gli apparecchi si ha una fra- zione o (che in condizioni normali di carico è sempre piccola) della potenza trasmessa dal primario dissipata in calore nell’ interno delle spire secondarie, mentre l’altra fra- zione 1—0 (poco diversa da 1) viene ricuperata nell’ un caso sotto forma di potenza meccanica sviluppata dal motore e nell’ altro sotto forma di potenza elettrica erogata nei circuiti esterni, con piena corrispondenza quantitativa fra i due casi. Il nostro diagramma rappresenta qui una forma generalizzata del noto diagramma di Heyland, al quale si riduce quando sì trascura la resistenza delle spirali primarie, con che l’angolo a' diviene retto e il punto 0 viene a cadere in 4. 2)o>]1 (@' negativa): la rotazione del secondario è opposta a quella del campo e serve ad aumentare la velocità relativa; X è ancora positiva, ma Ko'=(1-—0)K@ risulta negativa e significa un assorbimento di potenza meccanica che deve essere som- ministrata da una coppia motrice esterna contraria a X, necessaria a mantenere la rotazione. L'apparecchio funge da dinamo, ossia da generatore meccanico di energia elettrica la quale concorre con quella trasmessa dal primario (KX@) a far le spese del calore sviluppato nelle spirali secondarie (0 K@). Nel raffronto col trasformatore statico, I d0) siccome qui R'= — è minore di R,, si deve intendere. che si abbia in quest’ ul- O | timo una resistenza minore e però il calore R''/''* risulti minore di quello sviluppato nel secondario del trasformatore rotante (20'/''°=oR''I'"'°) e che la differenza corri- sponda al contributo che nel trasformatore rotante è dato dalla somministrazione esterna di lavoro meccanico. 3) o negativo (0' positiva e maggiore di @): qui XA è negativa e così Ko: onde il primario riceve energia elettrica dal secondario, invece di trasmetterne ; — 283 — Ko =(1—0)K@ è pure negativa e maggiore in valore assoluto di X@, onde vi ha come sopra assorbimento di energia meccanica, mentre o X@ resta sempre positiva a significare l’ energia che si estrinseca in calore nelle spirali secondarie. L’ apparecchio funge ancora da dinamo e con maggiore efficacia che nel caso precedente, in quanto che la somministrazione di energia meccanica che colà forniva solo un contributo sup- plementare al secondario che riceveva contemporaneamente energia elettrica dal pri- mario, ora fa le spese tanto dell’ energia ehe si estrinseca in calore nel secondario. quanto dell’ energia elettrica fornita al primario. — In questo caso viene meno il ‘affronto col trasformatore statico, non potendosi parlare di resistenze negative (come UR] (0) sarebbe ora ); ma non viene meno tuttavia la rappresentazione sul diagramma, ove sì possono considerare anche valori negativi dell’angolo a'', col passaggio del punto &' al di sotto di #, e quindi di g' al di sotto di #, nella parte della circon- ferenza sottostante alla on: nel qual caso l angolo iscritto in questa avente il vertice in g viene ad essere il supplemento dell’ angolo a'. Come si vede, il diagramma è applicabile ai trasformatori polifasi rotanti (subor- dinatamente all’ assenza di capacità nei circuiti secondarii) per tutto il campo dei va- lori positivi o negativi o. Il punto g' viene così a percorrere tutta la circonferenza, ed è facile delimitare le parti di questa corrispondenti alle diverse categorie dei valori stessi per mezzo dei valori di a'', che assegnano la posizione del punto £&', collegati ULI a 0 dalla relazione semplice tga''=#lo (h= RO)» o ai valori di 6 che assegnano A direttamente la posizione di g e vengono definiti mediante tg 8, la cui espressione già data di sopra, ponendovi Xo per te a'', diviene ho(1 — 8 sena') te 6 = ; mao 1+ Who sen a' cosa La limitazione relativa all’ assenza di capacità nel secondario non ha importanza dal punto di vista della pratica attuale. Senza di essa il diagramma può ancora essere utilizzato pei trasformatori rotanti in modo indiretto. Si può intendere cioè di far va- riare dapprima in relazione con o la resistenza £'' nel trasformatore statico di con- fronto, e quindi sulla figura così ottenuta si possono considerare le varianti che risul- tano dalla sostituzione di o°C'' a C'' (occorrente come si è visto per ritrovare il re- gime del trasformatore rotante) e che si desumono facilmente dalle variazioni che tale sostituzione adduce nei valori di 0 e di a''. Per brevità mi arresterò qui limitandomi alla trattazione generale e tralasciando le applicazioni e deduzioni particolari che pur presentano interesse. La semplicità del dia- gramma, del resto, le rende agevoli e ciascuno può farle traendone le conseguenze caso per caso. Per conseguire tale semplicità insieme con la generalità e col rigore formale, si è do- vuto naturalmente prescindere da tutte le cause secondarie di complicazione (deviazione 284 — dalla legge sinusoidale, peculiarità magnetiche, isteresi, correnti parassite, ecc.) : onde qui non abbiamo che uno schema ideale di fenomeni il cui andamento in realtà risulta modi- ficato più o meno per l'intervento di quelle cause. Tuttavia esso riesce utile per la rico- gnizione dei caratteri generali che si conservano attraverso le modificazioni, e perchè non è troppo difficile fare sui risultati ideali le relative correzioni, mentre sarebbe pressochè impossibile una teoria generale esatta che volesse contemplare fin da principio tutti quegli elementi di complicazione poco suscettibili di precisa determinazione. dn rata == e LA MERIDIANA D EI ti REMEITONDI SAN *PETRONTO TDI BOLOGNA RIVEDUTA NEL 1904 DA FEDERIGO GUARDUCCI MEMORIA LETTA NELLA SESSIONE DEL 28 MAGGIO 1905 (CON TAVOLA) NOTIZIE STORICHE Nel 1575 il P. Ignazio Danti dell’ ordine dei predicatori, pubblico lettore di matematica nello Studio di Bologna, costruì nella chiesa di S. Petronio di detta città una linea gnomonica destinata a regolare le date ecclesiastiche in rapporto a quelle astronomiche. Questa linea fu tracciata nella navata orientale di detta chiesa e prendeva il sole da un foro praticato nella parete posteriore della navata stessa. Sembra però che le osservazioni che vi fecero il P. Danti ed i suoi successori, fra i quali il P. Cava- itematM pure professore nello Studio bolognese, ed i PP. Riccioli, Grimaldi e Zeno della Compagnia di Gesù, non fossero troppo attendibili giacchè questi astronomi non si trovavano d’ accordo fra loro neppure sul valore da attribuire all’altezza del foro di detto gnomone sul pavimento della chiesa (1), tantochè nel 1653 Gian Do- menico Cassini fu invitato dai Senatori preposti alla amministrazione della Basilica di S. Petronio ad esaminare anch’egli questo strumento per apportarvi le correzioni che fossero del caso. Essendo stata peraltro presa in quel tempo la deliberazione di aggiungere alla navata una sesta volta dalla parte di mezzogiorno, veniva con ciò a togliersi il sole alla linea gnomonica, il che indusse Cassini a concepire il disegno (1) Cfr. la meridiana del tempio di S. Petronio tirata e preparata per le osservazioni astronomiche l’Anno 1655, Rivista e restaurata l’anno 1695, di Gio. Domenico Cassini astronomo primario dello Studio di Bologna, Matematico pontificio e dell’Accademia Regia delle Scienze. (Questo lavoro trovasi ristampato per intero, unitamente ad un’altro di Guglielmini sul medesimo soggetto, nella memoria di Eustacchio Zanotti portante per titolo: « La Meridiana del Tempio di S. Petronio rinnovata l’anno 1776. Bologna 1779 »). Serte VI. — Tomo II. 40 PRG di abbandonare definitivamente la detta linea per ricostruirla ex novo di dimensioni maggiori prendendo il sole dalla volta di una delle navate laterali anzichè dalla sua parete posteriore, coll’ intendimento poi che questo nuovo lavoro dovesse non solo servire a stabilire l'istante del mezzogiorno e le epoche solstiziali ed equinoziali, ma rimanere eziandio come istrumento in funzione permanente per studiare con grande precisione attraverso al tempo i moti celesti, GG, L’asse della chiesa di S. Petronio declina peraltro, come è noto, dalla direzione meridiana di un angolo tale da far dubitare a tutta prima della possibilità di trac- ciare entro la chiesa stessa, e nelle condizioni in cui voleva farlo Cassini, pren- dendo cioè il sole dalla volta della navata laterale, una linea meridiana senza che questa venga disturbata dai grossi pilastri esistenti fra la detta navata e quella cen- trale; e Cassini diede invero nuova prova della sua abilità se potè assicurarsi, mediante poche e, se si vuole, grossolane osservazioni di altezze di sole al passaggio di questo pel piano della facciata della chiesa, che una linea meridiana, per quanto a stento, avrebbe potuto passare indisturbata fra due dei detti pilastri. — E si legge anzi nella già citata relazione dello stesso Cassini che il tracciamento ebbe luogo nel 1655 sotto gli occhi di molti invitati che si mostravano increduli alla possibilità del medesimo. È prezzo dell’opera riportare qui testualmente le parole del Cassini che si rife- riscono all’ operazione in parola : « Preparate tutte queste cose, invitai li Professori di Matematica e di Filosofia e « gli altri curiosi per un’affissa (1) a vedere descrivere la Meridiana fra quelle colonne « che erasi creduto impedirne la descrizione, e vi concorsero particolarmente i Signori « Dottori Montalbani, Mengoli, Manzini, Laurenti, Manzi, Mariani, « Turchi e i Padri Riccioli, Grimaldi e Bonini con li signori Arciprete « Vittorio e Canonico Pinchiari. « Nel giorno dunque del Solstizio Estivo del medesimo Anno, subito che l° imagine « del sole, lasciata la Colonna, cade nel pavimento livellato, si cominciò a segnarvi « la Linea curva, che vi descriveva tanto il margine Settentrionale quanto il meri- (1) Il testo di questa affissa è riportato da Eustachio Manfredi (De gnomone meridiano bono- niensi. — Bologna 1736) nei seguenti termini : In hoc aestivo Solstitio caelesti Scientiae a Fundamentis instaurandae in "l'emplo D. Petroni primus lapis ponitur: praesens Solstitium observatur: via Solis circa meridiem describitur: ibi in pavimento meridiana linea quam Sol ab altissima orientalis fornicis parte intromissus toto anni decursu in ipso meridiei puncto illustrabit, quotidianis Solis, Lunaeque et insignorum siderum observationibus, physi- cisque experimentis accomodata, inoffenso tramite describitur, et publicae censurae exponitur die XXI et XXII Iuni, civilis horologii hora XV. — 287 — « dionale di quest’ imagine, indi con un travicello armato con due punte di ferro in « forma di Compasso, fatto centro il punto perpendicolare (1) segnato nel marmo, « con l'altra punta descrivevasi un circolo, che tagliava in due punti assai lontano « lVuno dall'altro una delle linee descritte dai margini, e la Linea curva che restava « dentro le intersezioni dividevasi nel mezzo con un punto che cadeva nella Meridiana « tirata dal punto perpendicolare. Per assicurarsi maggiormente di questa linea si « descrivevano altri circoli maggiori e minori che tagliavano la curva in due parti « uguali dal punto segnatovi nella precedente operazione, altrimente segnavasi un altro « punto, il che facevasi tante volte, quanto si vedeva bastare per avere una intera « evidenza del vero della divisione determinato per la maggior parte delle operazioni. « Tirossi dunque per questo punto e per lo verticale un filo ben teso, che prolungato « passava tra le dette due Colonne come fa al presente la Linea incastrata fra le due « strisce di Marmo. » DI Gli elementi costituenti la linea enomonica sono : a) L'esatta proiezione del centro del foro sul pavimento della chiesa ; b) l’altezza del detto centro sulla sua proiezione ; c) l’ orientamento della linea ; d) l’orizzontalità della medesima ; e) la demarcazione su di essa dei punti corrispondenti agli equinozi ed ai solstizi. È perciò importante, per un giusto apprezzamento della precisione che può atten- dersi dall’ istrumento, richiamare i metodi che furono allora seguiti in queste deter- minazioni. TIVE La ricerca della proiezione del centro del foro nonchè 1’ altezza di esso centro sul pavimento della chiesa fu intrapresa dal Cassini mediante un filo a piombo, e così la descrive dopo aver parlato di alcune particolarità di costruzione della lamina forata : « Ciò fatto fu mandato dal centro del foro un sottilissimo filo di rame tirato da « un gran peso, che si facea cadere in una fossetta cavata nel Pavimento, in cui si « incerociavano due fili che nella comune intersezione toccavano il filo perpendicolare « quando era in riposo, e segnato i luoghi dei fili nel margine della fossa vi si pose « primieramente una pietra di Marmo liscio in situazione Orizzontale in cui si notò « per mezzo de’ fili suddetti il punto perpendicolare corrispondente al verticale. Sopra « questo marmo fu elevata una catena formata di travicelli connessi insieme in modo « che tirandola con fuga non poteva slongarsi, e questa fu terminata al circolo supe- « riore della lastra per poter misurare la sua altezza che fu di piedi 71 e once 5 (1) S’ intende qui per punto perpendicolare la proiezione del foro del gnomone sul pavimento della chiesa. <« « « — 288 — del piede di Bologna esposto nel maestrato degli Illustrissimi Signori Tribuni della Plebe : questa fu divisa in mille parti ciascuna delle quali come si è accennato è uguale a un’oncia del piede Regio di Parigi. » Ziguardo al modo di orientare la linea ha già parlato Cassini e solo cade qui in acconcio riportare un altro brano che, ad illustrazione di quell’ operazione, egli ag- giunge : (1) « « Nel solstizio estivo un minuto dell’ angolo Orizzontale è poco più di un sesto di oncia e nel solstizio d’ inverno poco meno di tre quarti d’oncia. E perchè nella descrizione della meridiana nel Solstizio Estivo dell’anno 1655 per diversi punti presi fra eguali altezze avanti e dopo il Mezzogiorno, questi punti scielti non di- scordano più di un decimo d’ oncia (2), confidiamo di esser certi della retta situazione della Meridiana, almeno dentro a un minuto » (3). ziguardo poi alla livellazione della linea, ecco quanto dice Cassini: « Acciò che questa linea potesse servire a prendere esattamente le altezze meri- diane del sole, bisognava livellarla con ogni diligenza possibile ; Ciò si fece per mezzo di un alveo cavato nel Pavimento dal punto verticale fino al muro della Fac- ciata in cui si pose un Canale pien d’Acqua della larghezza che occupano oggidì le due striscie di marmo, e vi si fecero due argini di mattoni che si mettevano nella situazione orizzontale col Marmo del perpendicolo regolandosi sempre colla superficie di mezzo : Apparecchiati che furono questi Marmi si tolse via il canale che restava fra i due argini di mattoni e nel medesimo Alveo furono posti i marmi colla linea di ferro incastrata fra li due ordini e furono messi a livello cogli argini che erano stati posti in situazione Orizzontale. » Riguardo finalmente ai punti della linea sui quali cade il sole nelle diverse sta- gioni, egli dice: « « Si aggiunse l’ imagine del sole scolpita nel luogo ove si era osservata nel Mez- zogiorno del solstizio estivo dell’anno 1655 e si aspettò 1° Osservazione del solstizio a’ Inverno del medesimo Anno prima di mettervi l’ imagine del sole in quest’ altro Solstizio. Fu di poi calcolato ove doveva cadere il sole negli altri segni del zodiaco che vi furono scolpiti in pietre distaccate acciocchè, se bisognasse, potessero un poco avanzarsi o ritirarsi per accomodarsi alle Ipotesi delle refrazioni e delle parallassi del sole dopo che si sarebbero meglio discoperte (4) essendo queste necessarie al cal- colo dei principj de’ segni tirati dalle altezze Meridiane. » Tali furono i metodi seguiti da Cassini nella descrizione della sua meridiana. (ECO parciopa MIS (2) Un’oncia equivale a 0®,0270699....; un decimo a 0%,0027.... (3) S’ intende qui un minuto d’arco. (4) Come è noto l’entità di questi fenomeni era a quel tempo poco conosciuta; fu anzi Cassini che, dopo un lungo studio, dette una tavola molto riputata delle rifrazioni. Dalla memoria dello Zanotti sopracitata apparisce come, in progresso di tempo, gli astronomi non abbiano tralasciato di sorvegliare i movimenti del enomone, ed a tal proposito abbiamo appunto la seguente testimonianza del Cassini stesso il quale am- mette essersi verificata una scorrezione pochi anni dopo che fu costruito : « Dopo la mia andata in Francia l anno 1669, quindici anni dopo la costruzione « del gnomone, i signori Dottori Mengoli e Monari trovarono che 1° altezza del « foro che dà passaggio ai raggi del Sole alla Meridiana, era diminuita di 45. par- « ticole (1) di centomilla che ne contiene (2), e si servirono di questa correzione < senza rimettere la lamina del foro nella prima situazione. Ma il signor Dottore Gu - « glielmini rimise questa lamina nella situazione precisa ch’ avea da principio, « l’anno 1689 dimodochè da questa parte non vera poi bisogno d’alcuna correzione - to A5 « nell’ uso delle osservazioni. Ma quest’ anno 1697, avendo col medesimo signor Dottor « Guglielmini esaminata di nuovo la situazione di questa lamina, la trovammo « essersi ancora abbassata dopo la situazione precedente di qualche particella. Ed « avendo livellato diligentissimamente in compagnia del medesimo e di mio figlio col- « l’aiuto del signor Egidio Bordoni tutta la linea meridiana, l’ abbiamo trovata « ai piedi delle Colonne che quasi tocca alternativamente, più bassa che nella maggior « parte degli altri siti, in alcuni dei quali vedesi anche alzata. « Quanto al perpendicolo, sì è trovato questo terminarsi al principio Australe della « riga di ferro, che segna la Meridiana nella stessa maniera precisa che dal signor « Dottore Guglielmini vi era stato costituito, ma che declinava un poco verso « ponente di 30 particelle, che può essere indizio che la Volta laterale abbia conti- « nuato a seguire la principale, che si è ristretta come appare dalle Catene incurvate. » VI. In seguito a questi rilievi fatti da un uomo di tanta autorità, venve deliberato dalla Fabbriceria, presieduta dal Marchese Girolamo Capacelli Albergati, che fossero eseguite tutte le operazioni necessarie « per ristabilire nello stato primiero la Meridiana », ciò che venne fatto dal Cassini stesso aiutato dai di lui figlio, dal Dottor Guglielmini e dal Bordoni. Lo svolgimento di questo lavoro descritto da Cassini nella sua relazione merita pure di essere qui testualmente riportata. PRIMIERAMENTE. « Si è ritenuta per altezza del foro che introduce il Sole alla « Meridiana la misura delle 100 parti che dal perpendicolo si contano verso settentrione, (1) Una particola equivale a 0", 0002707. (2) Anche il Montanari nel 1673 aveva notato una variazione. «< « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « — 290 — ov'è segnato il grado 45 della distanza dal vertice e si è costruita una riga di legno per servire a misurare questa altezza. II. « Questa misura si è divisa prima sopra un rigone di legno in cento parti esattissimamente : Ciascheduna di queste parti centesime portata sul piede Regio di Parigi tirato dall’ Originale esposto pubblicamente nel Castelletto di Parigi si è tro- vata precisamente uguale a 10 once del medesimo piede, di modo che quest’altezza contiene precisamente 1000 oncie del piede di Parigi. III. « La Meridiana si è conservata nella primitiva situazione, per essersi trovata concorrere precisamente al meridiano Celeste per un gran numero di Osservazioni fatte avanti e dopo Mezzogiorno che non discordano insieme più di una o due seconde. IV. « Tutti Marmi, che sono a canto della linea e portano i numeri delle parti nelle quali è divisa, sì sono rimessi ad uno ad uno nella situazione Orizzontale a quelle ch° erano più basse vicino alle colonne, e questo per mezzo di un Canal d’acqua, ed uno strumento, che riportava la superficie dell’acqua alle medesime pietre, che costeggiava. V. « Queste medesime pietre si sono poste colla loro estremità Settentrionale alle divisioni del rigone con quell’ esattezza, che si è potuta avere nella costruzione, ri- servando a dividere la linea di ferro fra li due ordini di pietre con ogni esattezza dopo la situazione de’ Marmi. VI. « Accomodato di nuovo una Riga di Legno flessibile fra | estremità distanti di 100 parti prime, si è sollevata sopra il principio della linea già livellata, ed essendosi trovata l’ altezza del foro un poco maggiore, si è misurata la differenza, per abbassare il piano del foro alla dovuta altezza. VII. « Si è fatto una nuova lastra di metallo col foro conico, di modo che il taglio minore di esso è uguale in diametro a una millesima dell’ altezza, cioè a un’oncia precisa del piede di Parigi, questo diametro si è ritenuto tale, ch'era prima perchè si sa quanto il diametro apparente del Sole mostrato per li raggi sensibili, che passano per questo foro, che verso l’ estremità, si confondono colla luce riflessa da per tutto sia minore di quello, che è rappresentato per li vetri dei Cannocchiali, che uniscono i raggi estremi, che vengono dal medesimo punto della circonferenza del Sole a tutta la parte, che resta discoperta, in un punto o in una particella di pochissima larghezza; E che per le osservazioni fatte sin’ al presente, s'è trovato che questa differenza in tempo ben sereno è la sessagesima parte di tutto il diametro, di modo, che per trovare uno per l’altro, basta aggiungere al minore tante seconde quanto ha di minuti; L'altro taglio del foro nel piano della lastra è fatto in modo, che non possa in alcun modo impedire il libero passaggio de’ raggi del Sole nella sezione minore, particolarmente nel Mezzogiorno, e qualche ora avanti e dopo. VIII. « Questa lastra si è posta colla parte più angusta del foro all’ altezza pre- scritta sopra il principio della Linea, in modo che il suo centro precisamente è a piombo sopra il principio della linea Meridiana segnato in mezzo della larghezza del ferro che la porta. « « « IX. « Si è fatta dividere la Linea di ferro per opera del signor Cesare Costa detto il Mirandolano esattissimamente prima in 25 parti uguali, e poi in 100, af- finchè nelle osservazioni si abbia riguardo principalmente a questa divisione, la quale sarà mostrata per | estremità, e per il mezzo dei Marmi eguali segnati per il numero delle centesime. Quest’ ultima divisione si è fatta per evitare gli errori, che nella costruzione ‘si commettono nell’ unione de’ Marmi, che non sì può fare colla medesima esattezza, con cui può dividersi una linea, X. « Le altre pietre, dove son segnati i gradi delle distanze dal vertice, i segni del Zodiaco, e le ore del levare del Sole, si son lasciate ai luoghi, dove erano prima senz’ altro esame, perchè sono ben poste, quanto è permesso per le ipotesi Astrono- miche, che nelle due ultime bisogna necessariamente impiegarvi, le quali nondimeno ponno esattamente calcolarsi in ogni Ipotesi dopo le Osservazioni fatte delle distanze de’ margini del Sole dal principio della linea in parti uguali. XI. « Le pietre che mostrano le Seconde e le Terze della Circonferenza della Terra, si sono poste alla distanza che richiede la misura della Terra fatta nell’ Accademia Regia delle Scienze (1), che mostrano, che questa Linea presa dal principio fino al mezzo dell’ellisse, ch'è alla fine di questa Linea, è la seicentomillesima parte della circonferenza della Terra. XII. « Per poter conferire l’ altezza del Polo tirata dalle altezze solstiziali con im- piegarvi le parallassi, e le refrazioni del Sole con la medesima altezza tirata dalle Osservazioni della Stella Polare, impiegandovi la sua refrazione, si è aperta la fi- nestra Settentrionale della Chiesa, e si è misurata la sua altezza col medesimo ri- gone, che determina l'altezza del foro del Gnomone, ed essendovisi posto un Traguardo perpendicolare alla meridiana, si è trovato che questo è tanto più alto, che può collocarsi un altro Traguardo sul pavimento, la di cui altezza sottratta da quella del Traguardo posto alla finestra lasci la differenza delle altezze uguale all’ altezza del buco sopra i Marmi della Meridiana. E così la medesima divisione della Meri- diana servirà alle Osservazioni della Stella Polare da impiegarsi colla medesima regola. « E infine si è costrutta una Macchina che applicata con un lato alla meridiana porti con un regolo paralleio, e orizzontale il Traguardo all’ occhio. « Ma non essendo questa Macchina in istato di servire prima della mia partenza per Roma, che pressava, mi son servito dell’ altezza Meridiana della Stella Polare osservata nella parte superiore del suo cerchio li 30 dicembre 1694 per un Ottante a doppio canocchiale per cui si ebbe la più grande altezza Me- ricianà di LAME e RE Ta 0 e UU Sottratto errore dell’Ottante ben verificato di . . |. 0. » ORI IZARIO:I Leste lalieza Aeg Re o AGROSIII OL0E lagorsianzafdella:Stella) ‘polarevallipolo ni. n » DO) (1) Si allude qui alla misura dell’arco di meridiano francese eseguita da Picard verso i! 1670. (AS) ©) (AS) < Dovelaltezza apparente deliPolo è i Ae Ro « Refrazione talisottrarne i 0 0 Re » OSIO » —‘Gemelli-Leone. —. 0. id. 45145 « id. id. » > oro Vere 1l'e ENI id. 64953 « Id. id. » » Eee asilameno ANNA NIE Id. 983508 « id. id. » VM PESCIESCORPLONCR E id. 148170 « id. id. » » Acquario-Sagittario . . ZII « id. id. al punto estremo dell’asse principale del- I° Ellisse nell solstizio jemale i IAA 9SI00 « id. id. all’ altro punto estremo del detto asse . id. 250135 « Asse minore dell’ ellisse nel solstizio estivo... . . id. llz « id. id. id. id venale seine ee id. 3150 Procede quindi alla verificazione dell’ altezza del foro sul pavimento, ed avendo trovato che uno dei travicelli di legno costituenti la catena che già altra volta servì! era corroso, ne sostituisce un altro cambiando pure le due lastre di ottone delle estre- mità che servono a indicare con precisione ciascun termine di quella linea. La lun- ghezza della catena dovrebbe essere uguale precisamente alle prime 100 divisioni della parte orientale della linea ; senonchè « trasportata la catena più oltre e confrontata « con parti N. 100 della linea meridiana non si è trovato la stessa perfetta ugua- « glianza ond’è convenuto scegliere una misura mezzana. Sospesa la catena dal centro « del foro parrebbe che esso si fosse abbassato particole N. 30 incirca. » Nell'anno 1776, dopo ripetute esperienze, si accerta lo Zanotti che la lastra si è abbassata di particole 30 « piegando alquanto a mezzogiorno ». Ne attribuisce la causa alla contrazione dei cementi ed ai terremoti « quando però (egli soggiunge) non Bi: giare « si volesse attribuire in gran parte la colpa alla difficoltà e incertezza delle misure » e ne conclude che converrà ogni tanto procedere a nuove revisioni dello strumento. A dì 19 giugno 1776 Trova che la lastra in cui è praticato il foro non è perfettamente orizzontale e la corregge eseguendo anche la correzione dell’altezza del foro stesso che era stata tro- vata mancante di particelle 30. Sospesa quindi la catena dopo averla resa uguale alle 100 parti segnate sulla linea meridiana, fu trovata mancante di 9 particelle e, dietro tal risultato, lo Zanotti dice: « abbiamo tentato un altro esperimento dubitando che il peso valer possa ad « allungare la catena mentre sta sospesa onde per essa non resti determinato il gno- « mone coll’ ultima precisione. Lo stesso dubbio ebbe il Montanari nell’ esame che « fece l’anno 1673. Stando la catena distesa sulla riga di ferro e applicati gli estremi « a due divisioni, sì è procurato che un estremo restasse immobile mentre l° altro si « distraeva con quella forza a un dipresso che abbisogna per sostenere la catena so- « spesa. Parve allora che essa si allungasse più della metà incirca di quelle parti di « cui abbiamo detto mancare l’ odierno gnomone. Per la qual cosa si avrà riguardo « in avvenire di prendere una misura alquanto scarsa rispetto alle parti 100 della « linea in compenso del prolungamento che soffre la catena pendente del foro. » A dì 25 giugno 1776 Per la tortuosità della riga di ferro costituente la linea meridiana, non era ben definita la direzione della medesima e lo Zanotti traccia un allineamento con un filo dalla proiezione del foro fino al punto estremo, dopo di che inizia il disfacimento della meridiana trovando i marmi malissimo fondati e la riga di ferro molto corrosa, come gia fu accennato, dal gesso con cui era stata murata. A dì 6 luglio 1776 Viene proiettàto il centro del foro secondo il metodo già indicato e si incomincia la sostituzione della riga di ottone a quella di ferro. Questa nuova riga è costituita da due verghe di sezione trapezoidale poste 1’ una accanto all’altra che si fanno en- trare e si battono entro un solco a coda di rondine praticato nei marmi. La linea di separazione fra le due verghe costituisce la linea di fede della meridiana. A dì 11 luglio 1776 S’' incomincia il collocamento dei marmi coll’ assistenza del signor Dottor Sacchetti e del signor Landi « giovani molto versati nelle matematiche facoltà i quali sono « sempre intervenuti a tutte le operazioni. » Si ATTI ualtoriaio Viene osservato per la prima volta il mezzogiorno sulla nuova meridiana « già « prodotta fino al segno del Leone e, con soddisfazione di chi v’ era presente, abbiamo « conosciuto che tanto il tempo quanto le tangenti delle distanze dal vertice ponno « determinarsi con quell’ accuratezza che per avventura non era lecito di conseguire « sulla vecchia linea. » Continua il collocamento dei marmi sussidiato dalla doccia d’acqua per porli al dovuto livello. A. di 5 agosto 1776 Il lavoro viene ripreso dopo essere stato interrotto per 15 giorni, e, sospesa la catena al foro, viene trovata mancante di 25 particelle della scala. Viene essa distesa orizzontalmente sulla linea fra i due punti fissi lasciati come testimoni della sua lunghezza e viene trovata ugualmente deficiente delle stesse 25 particelle. Se ne attribuisce la causa a qualche colpo ricevuto. î A dì 16 agosto 1776 Sì procede ad una verificazione della nuova linea, ed è interessante riportare le parole stesse del diario. « . . + + + + . Terminata la collocazione dei marmi era in primo luogo da esa- < minare se sia precisa la loro direzione sulla linea meridiana, e. quantunque siasi « usata ogni diligenza per conservare la stessa primiera direzione, potea nonpertanto « nascer dubbio che fossero equivoche le indicazioni di un istrumento guasto dal tempo « e scomposto, com'era. Per eseguire un esperimento che sia decisivo, niente sì è « trascurato che possa conferire a renderlo esatto ; e poichè non era stata peranco « intromessa nel solco del marmo la riga di ottone, ne abbiamo provvisionalmente « applicata nel debito luogo una sufficiente porzione, poco importando che fosse sta- « bilmente unita al marmo : « Le altezze uguali del sole osservate prima e dopo il mezzogiorno e corrette quel « tanto che richiede il moto del sole in declinazione, danno il tempo preciso del pas- « saggio pel meridiano da paragonarsi poi col passaggio osservato sulla linea meri- « diana; ma queste altezze non ponno prendersi a molta distanza dal meridiano per « ie circostanze del luogo, onde si è creduto di meglio ottenere 1’ intento nel modo « che ora diremo. Si è trasportato dall’ osservatorio pubblico un esatto orologio per « situarlo presso il luogo ove in tal giorno cader dovea la specie solare sulla meri- « diana, e ciò perchè l'osservatore sentisse egli stesso il battere delle seconde senza « dipendere da altri. Si è fatta lo stesso giorno | osservazione del passaggio del sole « pel meridiano nell’ osservatorio ove erano state prese due giorni prima le altezze « uguali del sole, per cui era a noi manifesto lo stato di quella meridiana. Eseuite « « « « « « « « — 299 — le osservazioni altro non si richiedea che un esatto confronto degli orologi che hanno servito a determinare i tempi de° due mezzogiorni in S. Petronio e nell’ osservatorio per indi raccogliere la differenza in longitudine la quale dovrebbe trovarsi a quella conforme che il Manfredi calcolò dalle misure geodetiche di seconde 2 di tempo. Per questo confronto degli orologi siamo convenuti di notare in ambo i luoghi il momento in cui si sente l’ultimo tocco delle ore 16 della campana dell’ orologio pubblico, e parimente l’ultimo tocco nel ribattere, e che lo stesso si faccia per le ore 17. Avverto però che in tal giorno, conforme lo stile d’Italia, passa il sole pel meridiano alle ore {6,35 prossimamente, cioè nel mezzo incirca dell’ intervallo di tempo fra le ore convenute per il confronto degli orologi. Nel calcolare la differenza dei meridiani si è avuto il dovuto riguardo non solo al movimento di ciascun oro- logio, ma ancora alla propagazione del suono che abbiamo misurata in questo me- desimo giorno, come fra poco si dirà ; e intanto esporremo il risultato del calcolo 1/, del quale per cui sembra che la meridiana di S. Petronio anticipi di secondi 1 errore non bisogna far caso, poichè potrebbe essere errore delle osservazioni e non della linea e massimamente per riguardo alla osservazione fatta in S. Petronio ove il continuo tremore della specie solare non permette di determinare coll’ ultima pre- cisione il tempo del mezzogiorno. Conviene anche riflettere che lo stesso Cassini dà per giusta la meridiana entro una o due seconde. « Ci siamo opportunamente prevaluti di una favorevole circostanza per misurare il tempo che impiega il suono a propagarsi nel tratto che vi è tra l’orologio pubblico e l'osservatorio da cui si vede distintamente coll’ aiuto di un cannocchiale il mar- tello che batte le ore. « Dopo replicate prove si è concluso che tra il colpo e l’arrivo del suono ci corre una differenza di seconde 1 4% « Questo divario non dee valutarsi tutto intero, ma conviene diminuirlo quel tanto che esige la propagazione del suono per la distanza tra l'orologio pubblico e la meridiana di S. Petronio. Ricorrendo ad una pianta abbastanza esatta per questa ricerca risulta la distanza tra l’ orologio e l’ osservatorio di pertiche 230 e tra il detto orologio e la meridiana di pertiche :6, onde a rendere contemporaneo il segno concordato per il confronto degli orologi, basta sottrarre secondi 1 1, dal tempo che ha mostrato l’ orologio dell’ osservatorio allorquando è colà giunto il suono della CILE A dì 20 agosto 1776 Prima di incastrare definitivamente la riga d’ ottone nel solco vien fatto un esame generale dello strumento, viene cioè proiettato nuovamente il centro del foro e si trova che questa proiezione corrisponde esattamente col principio della linea. Viene control lata ancora una volta la superficie dei marmi col livello dell’acqua stagnante della doccia e si trovano differenze che non eccedono la grossezza di un. foglio di carta. — 300 — Finalmente viene controllata anche l’ altezza del foro e si trova una piccolissima dif- ferenza equivalente allo spessore di una carta da scrivere e della quale non si tien conto. A dì 80 agosto 1776 Viene eseguita la divisione della striscia in parti uguali aiutati in questa opera- zione dal fatto che ogni pezzo della riga di ottone misura quattro parti centesime del- l'altezza del gnomone ed inoltre vengono segnati sul marmo i numeri relativi a questa divisione nonchè gli altri sull’altra striscia che stanno ad indicare l’ora ed il minuto del mezzogiorno italiano. Terminata la costruzione della meridiana fu ordinato dalla fabbricieria che fosse restaurato tutto ciò che ad essa ha relazione, come è espresso nel seguente brano : « Si è ripulita la memoria del celebre Cassini posta nel pilastro vicino al prin- « cipio della linea. Si è inoltre ripulito, e rianimato con nuova doratura l’ornamento, « che sulla volta sta intorno al foro. Per qualche tempo si è tenuta coperta la me- « ridiana, acciocchè intanto si renda più consistente col rasciugamento della calcina. « Finalmente si è scoperta, e si è esposta alla pubblica vista il dì 4 ottobre giorno « festivo di S. Petronio. Non è certamente esagerazione il dire che di rade volte sì « vede un concorso di Cittadini così numeroso, ed è raro altresì che in opera pubblica « riesca tanto concorde il sentimento di approvazione, commentando ogniuno la saggia « risoluzione degl’ Illustrissimi ed Eccelsi Signori Senatori Fabbricieri di conservare una « meridiana sopra ogni altra celebrata, che forma uno dei principali ornamenti di « di questa Città. » IG00E Ciò accadeva nell’anno 1776 e due anni dopo, nel 1778, lo Zanotti si accinse ad un nuovo esame della meridiana in vista della possibilità che l’ asciugamento della calce usata nel nuovo collocamento dei marmi avesse potuto dar luogo a qualche movimento. La prima operazione fu di controllare la proiezione del centro del foro la quale fu trovata ancora esatta. Venne quindi sospesa al foro stesso la solita catena formata dai tre travicelli preventivamente confrontata colle cento parti segnate sulla linea; e tenuto conto di quanto essa si poteva allungare. per effetto del proprio peso, fu giudicato esi- stere una differenza in più a favore della lunghezza della catena di circa 6 particelle. Finalmente fu ripetuta l’ operazione di livellazione col canale di acqua e, in corrispon- denza delle varie divisioni, furono trovate delle piccole differenze rispetto alla proie- zione del foro la massima delle quali giungeva a 16 particelle. Lo Zanotti non corresse queste differenze le quali risultarono #u/fe negative, ma le riunì in una tavola unitamente alle relative correzioni che risultavano per le altezze del sole. — 301 — XXIV. Dal 1776 al 1778 lo Zanotti si servì della meridiana per determinare l°obli- quità dell’ eclittica e l'altezza del polo la quale determinò anche mediante 1 altezza della polare trovando coi due metodi due valori identici, cioè 44°, 29', 39". E poichè in queste deduzioni, che dipendono da angoli di altezza diversa, adotta le rifrazioni cal- colate nella ipotesi Cassiniana, conclude per la superiorità di questa rispetto alle altre ipotesi di La Caille, di Bradley, di Newton e di De la Hire. Prosegue poi lo Zanotti a parlare della deduzione che esso fece, mediante la meridiana, della lunghezza dell’anno tropico medio osservando il ritorno del sole allo stesso punto equinoziale e allo stesso punto solstiziale dopo un certo intervallo di tempo, e sì compiace dei servigi che la meridiana rende in questa ricerca esprimendosi colle seguenti parole : « La costruzione della meridiana può riguardarsi come l'epoca del ristabilimento « dell’ Astronomia, che poi è giunta a quel sommo grado di perfezione in cui trovasi « ai nostri giorni. Le prime osservazioni fatte con questo insigne strumento precedono « le ultime con intervallo di anni 120. Certamente questo numero di anni è molto « inferiore a quello di cui altri si sono serviti paragonando le osservazioni degli equi- « nozi fatti da Hiparco colle osservazioni dei moderni astronomi, con che si ottiene « un intervallo di circa anni 1920, sedici volte maggiore di quello che può aversi « per le osservazioni fatte in questa meridiana; pure, attesa la qualità degli istru- « menti adoperati nelle età più rimote, si rende probabiie che gli errori commessi « facciano perdere il vantaggio della maggiore distanza. » Riporterò a titolo di curiosità i seguenti valori trovati dallo Zanotti per la lun- ghezza dell’anno tropico medio : hgilisolsiizioNainverno 1655 e quello estivo. INN © —. 3608 5% 48% 4770 imiMegquinozio d’imverno 1656 e quello autunnale 1777 . 369,5, 48, 50,0 La formula che dà il valore dell’anno tropico medio per un’ epoca quantunque # è (cfr. Brunnow, Astronomie Spherique pag. 164): 3655 5% 48" 465 43 - 0500595 (# - 1800) riducendo questo valore all’ anno 1700 si trova : BA ZZIATA)8 Lo Zanotti dichiara e dimostra che si deve avere maggior fiducia nel valore che ha dedotto dai solstizii, per cui sì vede con quanta sagacia abbia egli condotto le sue osservazioni. DIVE Non era ancora terminata la stampa del lavoro di Zanotti quando in Bologna sl fecero sentire diverse scosse di terremoto alcune delle quali violentissime. Lo Za - Serie VI. — Tomo II. UR) Ago notti parla in particolare di quella che ebbe luogo il 10 giugno 1779 a ore 13 nei seguenti termini : « « « « « « « « « Persona degna di fede che allora trovavasi nella chiesa di S. Petronio mi ha fatto un tragico racconto di quanto aveva. osservato. Si vedevano, lia ella detto, agitati e commossi i muri del tempio e le colonne e particolarmente rendeasi ma- nifesto l’ondeggiamento della Tribuna che, sta sopra. l’Altare maggiore. « Contribuivano ad accrescere lo: spavento e il rumore tetro e cupo di una romba che risuonava d'ogni intorno e lo stridore delle vetriate e delle chiavi di ferro tese sotto le volte, e. soprattutto le ‘grida del popolo, ivi concorso in occasione di cele- brazsi: un. solenne. triduorizeto er RE RE CSO RE Un'altra scossa non. meno gagliarda di quella detta poc'anzi si fè sentire il dì 23 novembre di nottetempo nel mentre si eclissava la luna... ri 00 L’ondeggiamento della specola fu grande dall’ oriente all’occidente. Si fermò ‘1’ oro- logio e ciò fu cagione che il signor dottor Matteucci che facea 1’ osservazione dell’eclisse col signor dottore Sacchetti perdesse la voglia e il coraggio di pro- seguirla. » In seguito a tali avvenimenti lo Zanotti reputò necessario di procedere ad un nuovo esame della meridiana il quale ebbe luogo il 7 gennaio 1780. Da questo esame risultò una depressione della lastra nella. quale è scolpito il foro, depressione che « « « A « in seguito .a replicate prove fra loro ‘concordi, fu giudicata di parti centomillesime 12; e inoltre che il centro del foro si era. spostato rispetto alla sua proiezione di 8 parti centomillesime verso oriente., » A Lo Zanotti corresse l’uno e l’altro errore « ritirando la lastra verso occidente par- ticelle 8 e sottoponendo ad essa un’altra lastra di ottone della grossezza di parti- celle 12 e a questo modo. si è restituita la meridiana nel suo stato primiero. > Questa correzione alla meridiana fu l ultima che vi fece Zanotti essendo egli morto nell’anno 1782, e non risulta che il suo successore Matteucci, morto nel 1800, o altri fino al presente vi abbiano apportato ulteriori correzioni. NUOVO ESAME DELLA MERIDIANA ESEGUITO NELL'ANNO 1904 Da quanto è stato esposto emergono alcuni fatti che è necessario porre in rilievo, cioè : a) che il tracciamento della linea meridiana ha avuto luogo una sola volta per opera di Cassini il quale si servì unicamente delle altezze uguali del sole prima e dopo mezzogiorno all’ epoca del solstizio estivo, ossia quando l ombra ha la minima ga lunghezza (nè col sole era possibile scegliere altra epoca date le condizioni di luogo), e che nelle successive verificazioni eseguite, le quali occasionarono anche il rinnova- mento della riga metallica che individua la linea nonchè dei marmi, fu mantenuta come buona questa orignaria direzione. b) che nella determinazione della medesima Cassini si trovò di fronte a delle incertezze grafiche che cercò di attenuare come. meglio potè reiterando le misure e prendendo una media a vista (Notizie storiche II) e giungendo così a stabilire la situa- zione della linea in modo tale da « confidare della retta situazione della medesima « almeno dentro a un minuto » (Notizie storiche IV). c) che per quei tempi, in cui non si possedevano istrumenti capaci di misurare con grande precisione angoli orizzontali e, più specialmente, distanze zenitali, costituiva una grave difficoltà la misura precisa di una lunghezza verticale isolata, misura che bisognava ‘eseguire direttamente calando una catena od una corda o altro simile istru- mento soggetto, naturalmente, all’ allungamento causato dal proprio peso, del quale allungamento non si sapeva a quei tempi tener conto colla dovuta precisione. E nel nostro caso ognuno vede quanto appaia oggi difettoso il misurare l’altezza del gnomone mediante la già descritta catena formata dai tre travicelli che veniva « tirata su con « fuga onde non avesse il tempo di slongarsi » (Notizie storiche IV) e non è impossi- bile che tutte quelle discordanze che si riscontravano 0, forse, si credeva riscontrare, nelle successive verificazioni non fossero altro che incertezze inerenti al metodo di mi- sura adottato, come in un momento di felice intuizione è indotto a pensare anche lo stesso Zanotti (Cfr. Diario, 19 maggio 1776). Malgrado tutto ciò è peraltro doveroso rendere omaggio allo spirito scientifico e all’ accuratezza dimostrata da questi scienziati ì quali, per quanto provvisti di mezzi di osservazione così imperfetti, seppero nondi- meno giungere a risultati che anche oggi dobbiamo ammirare. Il. Passerò ora ad esporre le operazioni eseguite per la nuova verificazione, operazioni che, grazie alla perfezione dei moderni strumenti, risultano semplicissime e si riassu- sumono, come abbiamo veduto, nelle seguenti : a) determinazione della proiezione del centro del foro sul pavimento della chiesa. b) determinazione dell’ altezza del centro medesimo sulla sua proiezione. c) determinazione dell’ orientamento della linea. d) verificazione dell’ orizzontalità della medesima. e) determinazione dei punti corrispondenti ai solstizii, agli equinozi, ed ai pas- saggi del sole pei diversi segni dello zodiaco. Le due prime operazioni risultarono da una piccola triangolazione planimetrica ed altimetrica eseguita nella chiesa. Fu assunta a tale scopo come base la distanza 08 (v. figura) fra 1’ estremo australe O della riga di ottone, ed un altro punto 5 della riga stessa; e su questa base fu formato 804 — col punto A, scelto opportunamente sul pavimento della chiesa, il triangolo ABO del quale si misurarono i tre angoli all’ orizzonte ricavandone quindi i lati AB e A0. Dai punti A e B fu inoltre mirato il centro del foro del gnomone (dopo averlo individuato con precisione mediante una croce di sottili fili tesi secondo due diametri ortogonali del foro stesso) e si potè così formare colla proiezione P di questo centro il triangolo PAB coll’angolo in P concluso. Rimase così determinata rispetto ai punti A e B, mediante le distanze AP e BP, anche la posizione di P la quale dovrebbe essere identica a quella di O se l’ estremità della riga di ottone rappresentasse preci- samente la proiezione del centro del foro. i Dai punti A e 5 furono inoltre misurate le distanze zenitali del centro del foro nonchè della sua proiezione sul pavimento per cui fu possibile dedurre due valori fra loro indipendenti dell’ altezza del detto centro sul pavimento stesso. La terza operazione, cioè la determinazione dell’ orientamento della linea, fu eseguita misurando in un punto ausiliario $, presso la porta della navata orientale della chiesa, l’angolo «x fra il polo e il punto O, dal quale si ricava l’angolo BOS = a - 180° (1) che deve corrispondere con quello pure misurato in O fra la meridiana e il punto S se la meridiana stessa è ben tracciata. III. La determinazione dei punti solstiziali dipende, come è noto, dall’altezza del foro, dalla latitudine del luogo e dall’ obliquità dell’ eclittica. Questi punti sono ben definiti sulla meridiana attuale in quanto sono ivi scolpite sopra tavole di marmo le ellissi che costituiscono le immagini del foro in quelle due epoche, dimodochè è possibile fare oggi una verificazione delia loro posizione. Mancano invece le altre ellissi che corrisponderebbero agli equinozi e agli altri segni dello Zodiaco i quali si dovrebbero mettere a posto coll’ intermediario della divisione in parti uguali scolpita sulla lista orientale dei marmi. Questa divisione è oggi, pel grande attrito, molto consunta ed in alcuni tratti anche mal definita, per cui non vale la pena di tentare anche per questi punti una verificazione la quale riuscirebbe di precisione non paragonabile a quella che può aversi pei punti solstiziali che del resto sono sufficienti al nostro scopo. Finalmente l’ultima operazione, quella cioè della livellazione della linea, venne pure eseguita mediante la triangolazione determinando trigonometricamente le distanze di alcuni punti della linea stessa dal punto A e misurando quindi da questo le distanze zenitali dei detti punti. VE Gli strumenti che servirono nel lavoro, gentilmente imprestati dall’ Istituto Geografico Militare, furono : a) un nastro metrico d’ acciaio della lunghezza di 20 metri diviso in centimetri e millimetri. (1) S' intende che quì viene trascurata la convergenza dei meridiani fra S ed 0. b) un teodolite geodetico Starke e Kammerer di Vienna, a microscopi micrometrici, che fornisce nelle letture l’ approssimazione diretta di 2 secondi di arco. c) un orologio Longines a tempo siderale sussidiato da un cronometrografo a bot- tone pure Longines. d) fili a piombo, collimatori ecc. Vi La linea meridiana tracciata sulla riga d’ottone nonchè i punti speciali che su di essa sì considerano, sono ben lungi dal potersi ritenere come enti geometrici; in particolare poi la suddivisione della scala di parti uguali tracciata sui marmi è fatta con punti scolpiti del diametro di poco meno di un centimetro e per di più logorati dal grande attrito che hanno subito ì marmi stessi. Si comprende perciò facilmente come tanto i punti isolati quanto quelli che si considerano sulla linea debbano presentare oggi, come presentano di fatto, un certo grado di indeterminazione che può valutarsi ammontante a/r:e20 ad un mil- limetro, intendendo con questo di dire che ogni incertezza di determinazione di un milli- metro è innocua di fronte alla precisione cui possiamo aspirare. Segue da ciò che nelle m : os RO era 0", 001 misure angolari saranno trascurabili le quantità dell’ ordine Dare! essendo D la di- stanza di puntamento. Nel nostro caso otterremo un minimo di questa espressione ponendo per D la distanza massima che incontriamo nella triangolazione e che è di circa 68 metri ciò che fa risultare per questo minimo il valore di 3° circa. Potremo dunque, colla sicurezza di esagerare in precisione, fissare ad un millimetro e a 3 i limiti di approssimazione che si debbono cercare rispettivamente nelle misure lineari ed angolari; owni pretesa di una precisione maggiore sarebbe illusoria ed oziosa. Passeremo ora ad esporre con qualche dettaglio le operazioni sommariamente accennate. VI. Misure lineari. — Col nastro metrico d'acciaio furono misurati tutti i segmenti della linea meridiana determinati dai punti 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7,8, 9, B, 10, 11, 12, 13 e 14; ciò fu fatto distendendo lungo la linea stessa il nastro colla sua origine fuori della parte utile da misurare e facendo successivamente le letture in corrispondenza degli anzidetti punti finchè lo permetteva la lunghezza del nastro; dopo di che si proseguiva spostando il nastro stesso e ricomiciando le letture dal punto che fu considerato termine della portata precedente. Questa operazione fu ripetuta una seconda volta con risultati pochissimo dif- ferenti come appare dal seguente quadro nel quale figurano anche le medie dei detti, va- lori, che furono adottate, nonchè le rispettive riduzioni in metri legali secondo un coeffi- ciente che viene dopo determinato. î — 306 — Ridotta Punti SPECIFICAZIONE DEI. PUNTI 1° Misura | 2% Misura Media |. Si) (ra gr ni di Da 0 a | estremo australe della linea meridiana... /.... 0, 000 0,000 | 0,000 |. 0,000. a 1 | vertice australe dell’ellisse del solstizio d’estate. .:. | 10,239 | 10,239 | 10,239 | 10,242 a. 2 » boreale » » Vo IO 0 050 | 110,550 | 10, 5594 Di CO 11,880 | 11,878 | 11,879 | 11,883 a 4 12,554 | 12,558 | 12,553 | 12,557 a 5 li, 240172407 1732408 MAZZO a 0 INESINR MZASIEI Î INA OO ee 2007 26,276 | 26,274 | 26,275 | 26,284 a 8 |) Vedi figura | 26,950 | 26,948 | 26,949 | 26, 058 a 9 39, 770 | 39,768 | 39,769 | 39,788 a 10 40, 441 | 40, 489 40,440 | 40, 454 a JU 56, 798 | 56,796 | 56,797 | 56,817 9,008 57,129 | 57,129 | 57,129 | 57,149 a 12 57, 466 | 57, 466 | 57, 466 | 57, 486 a 183 | vertice australe dell’ellisse del solstizio d’ inverno. . | 65,866 | 55,866 | 65, 866 | 65,889 a 14 » boreale » » » Oi MONFO0DI TOTM0DO, | 67,695 | 67,718 L'unità metrica del nastro fu paragonata, sopra un comparatore di Ertel posseduto dall’ Istituto Geografico Militare, con un metro campione di Bamberg di equazione cono- sciuta, determinata dall’ Ufficio centrale internazionale di Pesi e Misure di Breteuil e ridotta quindi alla temperatura alla quale venne adoperata. Fu trovato così che 18",80 del nastro metrico alla temperatura di 15°, & equivalevano a metri legali 18, 805506. Perciò la lunghezza della stessa porzione di nastro portata alla temperatura di osservazione, che fu di 23°, C = 18°, 4, e ritenuto il valore 0", 0000153 per la dilatazione lineare unitaria dell’ acciaio, aumenta di 18", 805506 X 0,0000153 X 3, 4 = 0%, 0009782 ed il rapporto di riduzione in metri legali delle lunghezze lette sul nastro sarà dunque 18, 805506 +- 0, 00097818, 806484 18,80 + 0,006484 0, 006484 i 18, 80 18,80 18,80 du 18, 80 LO che è il coefficiente di riduzione adoperato. VII. Misure angolari. — Per queste misure fu adoperato, come già accennammo, un teodolite Starke e Kammerer a microscopi micrometrici avente il cerchio orizzontale di 27° di diametro e quello verticale di diametro poco minore. Sopra ambedue i cerchi sì — 307 — possono leggere direttamente due secondi di arco ed ottenere dalla media di reiterate mi- sure (previe convenienti. collimazioni)-gli--angoli. coll approssimazione di una frazione di secondo. Nel nostro caso le collimazioni erano costituite da fili a piombo sostenuti da piccoli treppiedi di legno e lasciati pendere sopra i punti considerati. Il filo era molto sottile (una frazione di millimetro) ed i piombini, perfettamente torniti e terminati a cono, avevano la punta in perfetta corrispondenza col filo di modo che si poteva essere sicuri del giusto collocamento di questi fili verticali a meno di quantità molto piccole e di conferire così alle collimazioni una precisione anche superiore a quella che è in relazione coll’ approssi- mazione fissata di 3° nella misura degli angoli. Per ottenere una maggiore precisione nei puntamenti si ebbe anche cura di osservare i fili a piombo proiettati contro schermi bianchi che venivano convenientemente illuminati quando ne era il caso. Per collocare esattamente l’asse del teodolite sopra i punti di’ stazione si ricorreva pure all’uso del filo a piombo che sì faceva pendere da apposito gancio portato dall’ istru- mento nella sua-parte inferiore ed in perfetta. corrispondenza col’asse. di. rotazione stru- mentale verticale. Il metodo di osservazione seguito fu quello a strati coniugati, consistenti, come è noto, nel puntare un primo punto, che viene assunto come origine, e successivamente tutti gli altri tanto col cannocchiale in posizione normale quanto in posizione rovesciata, e la media delle due letture ottenute costituiva la lettura unitaria definitiva, la quale veniva così ad essere completamente liberata tanto dall’errore dell’ asse di collimazione del cannocchiale quanto da quello di inclinazione dell'asse orizzontale del cannocchiale medesimo. Il solo errore che con tal metodo non rimarrebbe eliminato, ossia quello d’inclinazione dell’ asse verticale strumentale, veniva evitato col procurare che la bolla della livella rimanesse centrata in ogni posizione azimutale del cannocchiale. Riassumiamo qui le diverse stazioni colle respettive medie delle direzioni medie fra le coniugate, nonchè i respettivi errori medii temibili per ogni direzione media calcolati colla nota formula Dan [vr] ear n 1) ove [dr] sta ad indicare la somma dei quadrati degli scostamenti dei diversi valori dalla loro media ed x il numero dei valori stessi. Direzione ad S 0°, 00', 00", 0 Medie Direzione al Centro del foro S 0, 00‘, 00", 0 359°, 59/, Medie Direzione al Centro del foro 0°,00',00",0 Medie. . . . Direzione ad O 000405 000 IZ m==t IU 4 Direzione a B 275°,10',: Direzione ai punti 350°, 59, 59", = 3 208 STAZIONE AD O Direzione ai punti 2,8,10, 14, B VAI NO ZI 0 Qnli x DO) SAI 34,0 3 |" 231,0 350°, 02' 9 / 350°, 02', 32", 8 m=ee 05 STAZIONE A_B A 561,7 | 45°, 44,05%,5 565,0 04", 7 601,7 11”, 2 63", 0 055,7 61",0 ‘055,7 84 60",5 07,2 6 | 45°, 44,06%,7 ONT Mie NEO STAZIONE AD A Direzione a 14 2669, 44',04",6 Direzione ad 295°, 41/, 56" 2959, 41/,56,3 Direzione ad A 300°, 35‘, 49", 6 50", 3 50", 3 48",8 50", 3 485, ] 300°, 35/, 49", 6 Me VA Direzione a 10 3 Direzione a 14 IMOLA 179°, 59, 59”, 6 Direzione a 8 819°,00!, 28 6 319°, 00', 28", 6 Direzione a 346°, 49,19",6 346°, 49, 19",6 e, come vedesi, gli errori temibil) sopra queste direzioni sono assai inferiori ai 3° stabiliti come limite razionale di approssimazione, per cui siamo sicuri che le osservazioni hanno una precisione esuberante. VII. In base alle precedenti osservazioni furono calcolati i diversi triangoli occorrenti i cui elementi figurano nel seguente quadro : CALCOLO DEI l'RIANGOLI Nu- LINO Ea Nu- rà Sara SAS oo Noia Lati opposti Cc dai Lati opposti d’or- | tici SEE Calcglani misurati d’or- | tici S Aa misurati dine alcolati |qirettamentel| dine ralcolatl direttamente A | 84°,49',14",5 57”, 149 10 | 118°, 44,519 l B OA AO A 098 6 A 20 RIO LA ON EER O- MIGLA695 O | 499,26 405,8| 437,599 B| 45°,44,07',1| 34°, 110 I PD. 49°, 26, 48, 6 ts) 909, 261, 19! 6 2 A SARO RO AT Ù A RIA) 55 UR MIS OLO MES REMION B | 45°,44,065,7| 41,092 B| 45°,44,07"1| 317,223 37 170109/,3 8. | 899,33 3343 3 | 0 | 49°,26,43",2| 51",539 8 | 0 | 49°,26,43",2| 31m 223 A SERA MOrn723 ozio A 40°, 59! 434 5.| 262,958. | 26", 958 ia 2 Mono 4 li Ri Sal5 520] Mol2A537 9 A TASSINARI 605987 MA61595 A 8°, 26,505, 7 | 107,572 | 107,570 B| 45°,44,07",1| 357,159 | 10 COVO 2 IRVCN22/E2ZU05 5 0 OCZ ISZIURDIO 10 0 AO ORA TI «A CERRO Si NZ 508 RARA A REN R5Z5) MOr5528 MOLI554 A riguardo di questi triangoli dobbiamo osservare che il primo, (il solo che ha i tre angoli misurati), presenta un errore di chiusura di + 7,1 errore molto piccolo nel no- stro caso e che abbiamo distribuito in parti uguali sui tre angoli diminuendo ciascuno quilessivdi 2,4. Il secondo triangolo è quello che ci determina la posizione P della proiezione del centro del foro; e poichè, come si vede, dalla stazione in 8 le direzioni ad O e al centro del foro, che differiscono fra loro di solo 0,4 si possono ritenere identiche, così si vede che il centro di detto foro può ritenersi esattamente nel verticale della linea meridiana ; ed il confronto fra i lati BO e BP dei primi due triangoli ci mostra che il centro del foro troverebbesi oggi spostato verso nord di Srl 49c 9 I —10-1002- Serie VI. — Tomo IT. 13 — 310 — Di fronte ad un tal risultato non è lecito di fare troppe discussioni, e conviene invece concluderne che il centro del foro trovasi anche oggi sulla verticale dell’ origine 0 della linea meridiana, ossia della estremità della linea tracciata sulla riga d’ottone come ritiene di avervelo lasciato lo Zanotti il 7 gennaio 1780. Il terzo ed il quarto triangolo, i quali non avendo l’importanza dei precedenti hanno gli angoli misurati un minor numero di volte, rimangono controllati reciprocamente dalla concordanza dentro circa 2"" dei valori del lato comune 14-A, ed inoltre dalle misure di- rettamente eseguite dei lati 0 - 14 e B-14, e ci determinano la posizione del punto 14 sulla linea meridiana e rispetto al punto ausiliario A. io stesso dicasi per le altre tre coppie di triangoli che determinano i punti 10 Ste pei quali pure abbiamo dei controlli che si possono ritenere perfetti. Possiamo dunque rite- nere che anche le distanze A - 14, A - 10, A-3, A-2 che ci serviranno fra breve per la livellazione della linea siano determinate con precisione esuberante. TX. Altezza del centro del foro sulla sua proiezione. —- La determinazione di questa quantità risulta immediatamente dagli elementi già ottenuti della triangolazione e dalle distanze zenitali Z e z del centro stesso e della sua proiezione osservate dalle sta- zioni A e B. Indicando con H questa altezza abbiamo dal (punto ACGS CM icone co » Ii e = | oe, — 6 4, I valori osservati delle distanze zenitali sono i seguenti STAZIONE AL PUNTO A STAZIONE AL PUNTO B VA SA Zz SB SSA ZEIO RA ROZZANO RT Z| OI IO 08”, 8 20", 6 SS DI 09,9 PAIA DI D Medie 58°, 07’, 09", 6 | 92°, 06', 31", 7 Medie 65°, 53', 53", 6. | 91°,80/, 25", 0 MiA e ZI] mi= 300057 ed eseguendo i calcoli si trovano per Z i due seguenti valori completamente indipendenti (a°) 7 m ( 1 dal; punto4 SR Re4e = 7 69 NO, » » ME e a pe 0 NI 9) Malone medio del — 27070 == 0” 001 Il confronto di questo valore con quello antico si può fare anche senza passare attra- verso ai rapporti del piede bolognese al metro o del piede di Parigi al metro utilizzando un elemento intrinseco della meridiana e, conseguentemente, perfettamente armonico con essa. Lo Zanotti infatti ci ha tramandato ($ XII delle Notizie Storiche) la misura da lui fatta delle distanze fra l’ origine 0 della linea meridiana e diversi altri punti singolari della medesima, delle quali distanze alcune sono state oggi rimisurate. Abbiamo perciò quanto basta per ricavare il rapporto fra l’unità di misura di allora, qualunque essa fosse, e l’attuale. Prendendo infatti le due maggiori di queste distanze, quelle cioè fra il punto O e i vertici dell’ellisse solstiziale d’ inverno, che furono trovate rispettivamente da Za- notti di particelle 243379 e 250135 e da me 65”,889 e 67",718 ($ VI) si avranno per la lunghezza in metri di una particella i due valori indipendenti 65, 889 — 0", 000270726 248379 67, 718 ——— = 0", 000270726 250135 che risultano identici; e poichè Vl altezza del foro era fissata in 100000 di queste particelle, così si ha per questa altezza SEcCONdoRloeZia MOLLI 2A 0126 » la misura odierna .. . 27", 0700 differenza . . . 0",0026 quantità pressochè insignificante. Del resto passando attraverso al rapporto fra il piede regio di Parigi e il metro, tro- viamo un secondo controllo. Cassini dice infatti ($ IV delle Notizie Storiche) che l'altezza del foro « fu divisa « in 1000 parti ciascuna delle quali, come si è accennato, è uguale ad un’oncia del piede « regio di Parigi ». Ora poichè il rapporto di questo al metro è uguale a 0,3248394, ne segue che sla piede = un’oncia = H = 0,0270699 I 12 1000 * quindi HE 212406599 valore identico a quello trovato oggi. Le conclusioni più probabili che possiamo trarre dai precedonti risultati sono dunque che lo Zanotti eseguì benissimo le ultime correzioni dopo il terremoto, e che da allora in poi la posizione del foro è rimasta invariata. Livellazione della linea. — In vista del logorio irregolare e continuamente va- riabile cui è soggetta la riga di ottone, fu ritenuto sufficiente saggiare |’ orizzontalità della linea nei soli punti 0, 2, 8, 10, B e 14 intendendo così di controllare più che altro even- tuali abbassamenti di alcune parti del pavimento rispetto alle altre lungo la linea stessa, giacchè il metodo del canal d’acqua, che fu adottato nell’eseguire la livellazione, per quanto incomodo e macchinoso rispetto ai metodi precisi e semplicissimi che si posseggono oggidì, deve nonpertanto aver condotto ad una buona precisione. Si misurarono perciò dal punto A le distanze zenitali 3 ai punti accennati e, col sus- sidio delle distanze orizzontali D già trovate di essi al punto A, se ne dedussero me- diante la formula =) eu 4 le differenze di livello dei punti stessi rispetto al centro del cerchio verticale del teodolite I valori osservati per le distanze zenitali sono i seguenti : DISTANZE ZENITALI SUI PUNTI O 2 8 10 B 14 92°, 961,32", 4 | 92°, 28/. 13", 6 | 92°, 47,185, 1 | 929,32, 2655 | 91°,59,36% 0. | 91°, 417, 20%, 6 DOM 7 DI 7 Medie 92°, 065, 33", 0 | 92°, 28', 13", 6 | 92°, 477,18", 1 | 929,321, 265,5 | 919, 59,364 0 | 91°, 41,20%, 6 ed eseguendo i calcoli risultano le seguenti altezze dei detti punti rispetto al punto O preso come termine di paragone Punto O 0", 000 » 2 — 0%, 004 » 8 — 0", 008 >. IO — 0”, 001 » B — 0", 004 >» 14 — 0", 007 Come si vede queste differenze, tutte negative come risultano allo Zanotti, sono dell'ordine (se non di ordine minore), di quanto ci potevamo aspettare dal consumo del pavimento per l’attrito subito nel periodo di oltre un secolo (1); ad ogni modo terremo conto della loro influenza nel calcolo delle posizioni dei punti solstiziali. (1) Noto la singolare coincidenza che anche lo Zanotti trova il massimo valore di questa diffe- renza (16 particelle equivalenti a 4") in prossimità del segno dell’equinozio il quale corrisponde appunto al punto 8. — La depressione, (un poco maggiore rispetto alle altre), del punto 14 si spiega col maggiore attrito che ha subito il pavimento in vicinanza della porta principale. XII. Determinazione dell’ azimut della linea. — Questa operazione fu esegua come già sommariamente accennammo, osservando in un punto ausiliario S (V. ficura) presso la porta della navata orientale della chiesa, e dal quale sì poteva vedere la polare, un certo numero di volte l'angolo fra questa ed il punto O. Ridotti separatamente al polo i puntamenti sulla polare, ne risultò un certo numero di valori dell’angolo polo-S-0 la cui differenza da 180° non è altro che l’azimut del punto S in O la quale, se l’ orientamento della linea fosse giusto, dovrebbe essere uguale all’ angolo osservato in O fra l'estremo boreale della linea (punto 14) e il punto S. Le osservazioni sulla polare ebbero luogo la sera del 17 maggio 1904 e, per la deter- minazione del tempo, fu adoperato l'orologio Longines già menzionato del quale, dal giorno 9 al giorno 20, fu studiato l’andamento mediante osservazioni di altezza di stelle in vicinanza del primo verticale. Queste osservazioni ebbero luogo a breve distanza da Bologna e pre- cisamente a villa Girotti a Mezzaratta sulla via dell’ Osservanza, e furono eseguite collo stesso teodolite che servì per le osservazioni angolari in S. Petronio. La latitudine di Villa Girotti che occorreva, almeno approssimata, per queste deter- minazioni di tempo, fu dedotta in due modi; cioè da quella ben conosciuta dell’ osservatorio di Bologna (44° 29 53”, 0) togliendovi la differenza di latitudine fra l’ osservatorio e Villa Girotti ricavata da un buon rilievo topografico a grande scala, e direttamente mediante di- stanze zenitali di stelle ivi osservate dopo conosciuto lo stato e l’ andamento dell’ orologio : Si ottennero così due valori identici uguali a 44°, 23‘, 59”. I risultati dello studio dell’ andamento dell’ orologio sono riassunti nel seguente quadro : Data 9 Maggio 1904 10 Maggio 1904 12 Maggio 1904 13 Maggio 1904 Stelle osservate x Herculis id. x Ophiuchi id. id. E Aquilae id. id 2 $ Herculis id. x Ophiuchi id. Gamfad: id. 8 Herculis id. Ophiuchi id. id. Q 8 Herculis id. id. Gi 10L id. id. x Ophiuchi id. Ora media approssi- mata della serata 13%, 20% 121,30" 12%, 157 12%, 30" Correzione dell’ orologio —_—_ _——_° 0, 18, 44,9 44,8 45,6 44,0 45,6 44,0 45,4 44,9 media 44,9 media 55, 4 h m 0, 19, media DI SZ9 DO? 32,0 81,8 30,9 media 31,9 Variazione diurna 2 05 + 125.6 + 115,3 238 514 Data 14 Maggio 1904 15 Maggio 1904 16 Maggio 1904 20 Maggio 1904 Stelle osservate 3 Herculis id. CORGNAI de id. x Ophiuchi id. id. id. « Herculis g Ophiuchi id. id. Herculis id. (©7) x Herculis id. id. x Ophiuchi id. x Lyrae id. id. E LL nn] Ora media approssi- mata della serata 12%, 30 13%, 00% ZI. pom Correzione dell’ orologio media h_ m s 9, 19, h m S 0, 20, 59, 8 59,0 58, 6 media 59,1 Variazione diurna + 125,5 dal quale apparisce che l'orologio ha un andamento esuberantemente regolare per delle osservazioni sulla polare. Per tutta la sera del 17 maggio si può ritenere con approssimazione più che sufficiente per la correzione media dell'orologio a Villa Girotti il valore 0% 20" 215,0 il quale deve essere poi ridotto al meridiano di S. Petronio. Poichè per la differenza di longitudine in tempo fra i due meridiani dedotta in più modi col sussidio dell’ accennato rilievo a grande scala fu trovato il valore di 25, ed essendo S. Petronio più orientale dell’altro punto, riterremo per la detta correzione in S. Petronio il valore ia. XIII. Gli azimut « della polare relativi ai singoli puntamenti (i quali furono in numero di 6 coniugati) vennero calcolati colla nota formula cote è sec L sen # RES 1 — cotg è tg L cos 7 nella quale è, ZL e # sono rispettivamente la declinazione della polare, la latitudine della stazione (1) e l’angolo orario che ha la nota espressione t=ut+Au—a essendo « l’ora segnata dall’ orologio Av la correzione del medesimo e « l’ ascensione retta della polare. I valori calcolati di questa espressione vennero combinati coi relativi valori degli angoli osservati in S fra la polare e il punto 0, e ne risultarono altrettanti valori dell’ azimut del punto O. Il quadro seguente riassume le osservazioni e i calcoli relativi a questi valori nonchè la deduzione del disorientamento della linea meridiana. (1) Non è necessario avere questo valore con tutta la precisione. Nel caso nostro è stato dedotto dalla latitudine di Villa Girotti e da quella dell’ osservatorio utilizzando come precedentemente il rilievo e ottenendo i valori latitudine di S. Petronio dedotta da Villa Girotti. . = 44°, 29', 38" 5 S » » dall’osservatorio . = 36", 8 neilia co = 05 200870 Zanini novo co Gio io eo o ooo ia) — 316 — STAZIONE DI AZIMUT IN SIL 17 Maggio 1904 Pionomti asian) \ASGemsione Rua 10 2212 0 Correzione media dell’ orologio . Au= + 0%, 20", 285 0 della polare . . . . { Declinazione. . 88°,47/,31",7 Latitudine della, Stazione. i. SIAT Valore angolare li una parte di livella = 4", 76. No mere Tenno Direzione a Parti di livella Valori risultanti io \ i i per 1 Azimut GP@ANITO OSSCINALO Punto 0 Polare Destra | Sinistra (da N verso I) «-——--r,————.r r— | h m Ss i | (o) I " _ o I : (1) \ | IE IOL0O 172 | 195, 02, si, 0 SIRO, 06, DI Si Dl, 9 189°, 59/02" 8 32270] DS RI 109840) SDA) MAO MONO s 13, 40,54,0| D |225,02,34,0| 35,19,32,0| 8,5 | INECONI oe d IENA IST 45103N0040] 211542210445) MICI MO | Fi | ; 1AN0240608 20 2=>7032040] Res 29540) MS MURO 05" 5 g L02386 0839 269) 95 | 10,0 i | i AZIZ) VIZIO SVE501]00.| 10,5 02" 6 £ ; 114,,24.27,0.| S |105,05,00,0|275, 40,230) 10,0 0000 une | x ]4,44,12,9| D |815,04,45,0|125,48,01,5| 9,0 | 11,0 ua 19) E 3 RON SISTER TE Si. QAS, 9 14,47,45,0| S |135,05,55,0|305,50,39,0| 10,0 | 9,5 ) È I5A0 3420608 NOR 845105240) MAO 9,0 | 10.5 | 09". 8 SÌ n = 6 az NR z|omkz xo a 29 15, 05, 39,0 | S| 165,06, 18, 5 | 355, 57, 41,0) 10,0 10,0 Valore medio dell’azimut « di O sull’orizzonte di S .... x = 189°, 59,03"8 + 1", 4 (Da N verso E) a == 189% 595 034 8 — 180°, 00', 00", 0 Azimut di Sin 0...=9%,59,03",8 cv dd STAZIONE IN 0 Direzione ad S .. 020000!” .0 id. a l4.. 350°,02,32" 8° ANS: 6 08 ROTTI e OI Disorientamento della linea meridiana... . 0°, 01’, 36", 6 > dd corrispondente ad uno spostamento di 0”,032 dell’estremo australe 14 Me» > — 8317 — Come si vede, questo disorientamento è presso a poco in armonia colle previsioni d Cassini riportate al S IV delle notizie storiche e dà luogo ad un errore A/* nel tempo avente la espressione sen(£L— è) AA (1) AtS —'—- = = COS è 15 che si deduce dal triangolo fondamentale zenit, polo, sole, e nella quale è è la declinazione, L la latitudine e AA” l'errore dell’azimut. Applicando questa formula si trova pel passaggio dell’imagine solare per la linea al solstizio d’estate un ritardo di . . . 28,5 » d’ inverno » alivg ser0i XIV. Relativamente alle posizioni dei punti solstiziali sulla linea si osservi che, all’ infuori delle rifrazioni e delle parallassi, le rette che uniscono questi al centro del foro e al cen- tro del sole debbono fare colla verticale angoli respettivamente uguali ad w L—ÉE pel solstizio d’estate. L+E » d’ inverno essendo ZL la latitudine ed £ l’obliquità dell’ecclittica. Se indichiamo ora con d il semi-diametro apparente del sole, con 7 la rifrazione, con p la parallasse ed essendo il semi-diametro del foro uguale a 0",0135, dovrà essere Distanza nel solstizio d'estate. . 0 Artangi Eee) 0501385 (1) ( 0-2—-H-tang(L_Etd4+p—r)+ 0%,0135 4 » » d’inverno . ae i n a {0-14 = H-tang(L+E+d+p—r)+ 0",0135 ove d, p ed » hanno i valori che loro competono in relazione all’ epoca e alle distanze (1) Dal triangolo fondamentale zenit, polo, sole si ha infatti indicando respettivamente con #, A, 5 e è l’angolo orario, l’azimut, la distanza zenitale e la declinazione del sole sen gé sen 3 sen A cos d da cui facendo la variazione rispetto a A? si ha sen z cos A iN I Dl, la cos Ò cos È E poichè nel nostro caso il sole è in meridiano, sarà cos A = — 1, cost = 1, e = diverrà L - è, per cui la precedente espressa in tempo diverrà LS CO! PAIA cos è 15 Serie VI. — Tomo II. 44 — 818 — zenitali; e queste formole ci danno le distanze a cui si debbono trovare dal punto O i punti 1, 2, 13 e 14 vertici delle ellissi solstiziali. XV. Mediante le (x) possiamo in primo luogo controllare l’ originario collocamento dei punti solstiziali. Cassini infatti dice nella sua memoria che le ellissi solstiziali furono scolpite sui marmi mediante l’ osservazione, attendendo cioè di vedere sui medesimi le imagini solari nei solstizi dell’anno 1655; e dalla detta memoria e dalle successive del Guglielmini e dello Zanotti risulta che, per quanto in occasione dei diversi restauri della meridiana siano stati tolti, rimessi, ed anche sostituiti i marmi della linea, sì ebbe però sempre l’in- tenzione di lasciare invariate le posizioni delle ellissi solstiziali. Dovremmo perciò credere che queste posizioni siano ancora quelle originarie stabilite da Cassini nel 1655. Se ora riportiamo a quell’anno il valore dell’ obliquità dell’ eclittica e con questo calcoliamo le («) (adottando naturalmente per le rifrazioni i valori che competono ad uno stato medio dell’ atmosfera, cioè per la temperatura di + 10°C e per la pressione normale di 0”,760) troveremo dei valori per 0-1, 0-2, 0-13 e 0-14 che, a meno di piccole differenze trascurabili dipendenti dal non verificarsi il solstizio teorico precisamente a mezzodì del giorno in cui Cassini fece l’ osservazione, potranno essere paragonati con quelli attual- mente segnati sulla meridiana (1). Un calcolo analogo eseguito introducendo il valore della obliguità pel 1904 ci darà le posizioni occupate dai medesimi punti in detto anno, posizioni che ci è dato dedurre anche dall’ esperienza. Nel 1904 infatti, nei giorni 23 Giugno e 19 Dicembre, furono da me osservate le po- sizioni delle imagini solari rispetto alle ellissi solstiziali scolpite nei marmi, e ne risulta- rono le seguenti distanze dei vertici delle dette imagini dal punto O 23 Giugno 1904 19 Dicembre 1904 [030 10”,269 0-2 101.583 — 0-13 ———— OOON 0-14 — 0513 Riducendo questi valori ai mezzodì più vicini ai rispettivi solstizi mediante le varia- zioni delle distanze zenitali le quali equivalgono alle variazioni della declinazione (1), tro- veremo altri valori che dovranno concordare coi precedenti dedotti teoricamente. I risultati di tutti questi calcoli sono riassunti nel quadro seguente : (1) Im questo calcolo bisognerà tener conto anche degli avvallamenti v già determinati della linea in corrispondenza dei solstizii (0",004 presso il solstizio di estate e 0",007 presso quello d’ inverno), il che porta a correzioni e la cui espressione molto approssimata è ce Wanna 4 essendo Z la distanza zenitale. sealacitebc< PSI 0IL°99 | [IS I GOL ‘99 LYS I 98899 6481 €08 ‘99 QdordARUI 3 9Ssy 01309) [E9 29 |682°69 |ITE%0 8I0‘0+|L2I00+ GIO LO |LL ‘9 EI0/0.+|€I0°%0 — 009°L9 | GgL ‘69 G19‘59 |Fogc9 |gr8‘0 01 ‘0 +|160°0 + EIGUL9 | L01569 09L°59 |EI16°9 |OIE°0 8IO0‘0+|LI10°0 + IL'L9 |968°69 SI00.# [GIO = 6eL‘L9 |606‘9 BILLO |688°69 |1E%0 PI EI 2.10159VUI 2 OSSy GIF '0I 6IP ‘01 968 ‘01 868 ‘01 017u89 | 696 ‘0I ge3 ‘01 BERTO CRM MOLE DIO NA NURA AOU N NÀ oO-de ‘236[00]89 | <00 ‘0 + L96 ‘01 0040 +#+|% ‘© 8eui] e[]op 07uowte][eaag,] dod — « 9601 —— n FOGLI eoo= 3 e 1040 + © <> 040} [0p 0Igowrerpirutos [od ‘z0410) ouuy.[ d04 UT CAO Peg ‘0I |69601 |“ Z Suv 7 9QLG‘0I 29401 Vo OT GI LOT ORTO OR IO AI 1010 Ae ee QVALOSSO) 140040 —|90040—=|% 7% * © *izigs[os 10p 1UI013 18 IUOIZNPIM €820 |694°01 | eaquiooip GI JI © 0uSnS ga II IMMU9Y3O LORA [CGI TIPE‘0I CI RORESOI IORFO E TAG INR TEO ONE e IT VOI ve MONETA GTI VENI * 2Je]00]ed 4000 + 4000 +|% © eour] t[jop oguoute]peaar ] dod — « 6PS‘0I | 68301 €100 + 9ES ‘01 SENO) È SIONE) Si [od ‘z04109 Z SU) 77 ) 013 QUIRIPLutoS 0107 [Op 0179euteIpruros ouuv,] dog -@- £ ‘a SSa E eira Se 0I che 01 |" gu] es o9geusos aguowengge po IuIsSse) tp oqgalesso (IIZI)STOS! TR IUTOIA NICK IWIOIS TOP OI9A IPOZZQUI |M) I TINAd INA Q OLNOd TIVA UZNVISI(] UTVNUIANI UITVIZILSTOS USSITTH] VAILSH UTVIZILSTOS USSITTH — 320 — Da questi risultati si deduce : Che pel solstizio estivo del 1655 la posizione osservata del centro dell’ ellisse corri- sponde quasi perfettamente con quella calcolata. Che pel solstizio invernale del medesimo anno si riscontra invece fra I analogo centro e la sua posizione calcolata una differenza di 33”" la quale è ancora abbastanza piccola se si tien conto delle molte incertezze che accompagnano le osservazioni, quali la penombra, il tremolìo dell’ imagine, l incertezza della rifrazione e soprattutto le sfavorevoli condizioni di intersezione del raggio luminoso col pavimento; ad ogni modo, se non si vuole ammettere uno spostamento avvenuto nei marmi in occasione dei successivi restauri, si potrebbe spie- garla come dovuta ad una non perfetta identità nelle condizioni dell’ istrumento in queste due epoche così lontane, la quale, mentre influirebbe in modo inavvertibile al solstizio d’ estate, si farebbe invece sentire in misura maggiore al solstizio d’ inverno a causa della maggiore obliquità del raggio luminoso. Che pel 1904 le posizioni dei centri delle ellissi dedotte col calcolo si possono ritenere in perfetto accordo con quelle osservate. Per gli assi maggiori, poi, di queste ellissi, i quali risultano per differenza dalle di- stanze 0-1, 0-2, 0,13, 0,14, la paragonabilità non può aver luogo che separatamente fra i due valori calcolati e fra i due osservati, giacchè in questi ultimi entra in giuoco (senza per altro influire sulla posizione dei centri) la influenza dello spessore della lamina nella quale è praticato il foro, spessore che tende a diminuire l’ apertura pei raggi molto obliqui del solstizio invernale; e ciò è in accordo coi risultati giacchè, come si vede, i due valori dell’asse maggiore risultanti dalle osservazioni sono inferiori a quelli (quasi identici) provenienti dal calcolo. Di più, in queste piccole differenze che si riscontrano influisce anche la non perfetta orizzontalità della lamina forata e, soprattutto, le accennate incertezze che accom- pagnano queste osservazioni. Gli spostamenti che avevano nel 1904 i centri delle ellissi imagini solari rispetto a quelli del 1655 sono rispetto ai centri delle ellissi tracciate rispetto ai centri delle ellissi teoriche pel solstizio d’ estate .| 10,419 —10",398 = 0",021 (Nord) | 107,419 — 10",396 = 07,023 (Nord) >» » —d’inverno|66",709--66",803=0",094(Sud) | 66”,709 — 66",836= 0",127 (Sud) ed è naturale che questi spostamenti si manifestino in sensi opposti giacchè essi dipendono dalla differenza fra 1° obliquità dell’ eclittica nelle due epoche; ed è pure naturale, per le ragioni accennate sopra, che lo spostamento maggiore abbia luogo al solstizio invernale. La variazione annua dell’ obliquità della eclittica è di circa 0,48 in senso negativo, e con (1) La formola per queste riduzioni si ha facendo la variata rispetto a Z della espressione D= Htang Z ove D è la distaaza dal punto O. Si ha così lil H AK,= AD= CO S-ZAMNO I COSTIZA essendo è la declinazione. calcoli analoghi ai precedenti si trova che lo spostamento annuo dei centri delle ellissi solstiziali è pel solstizio d’ estate. . . 0",00007 verso Nord » » d’inverno . . 0",00045 » Sud il quale ultimo valore accumulato pel periodo di 249 anni (1904-1655) dà una somma che si avvicina più al numero 0",126 che non al numero 0,093 (1) il che darebbe ragione di pensare che la posizione del marmo su cui è scolpito l’ellisse solstiziale invernale non sia rimasta assolutamente invariata. XV. Le conclusioni che possiamo trarre dal presente lavoro sono dunque le seguenti: 1) Il centro del foro trovasi anche oggi sulla verticale dell’ origine della linea. 2) L'altezza di esso sulla sua proiezione è ancora quale fu iasciata da Zanotti nel 1780. 3) La linea meridiana trovasi disorientata verso Est di 1°,36, 6, il che dà luogo ad un ritardo nella indicazione del mezzogiorno vero di 2,5 al solstizio d’ estate 6°,5 » d’ inverno, e a ritardi compresi entro questi due limiti nelle altre stagioni. 4) La linea meridiana può, agli scopi pratici, ritenersi anche oggi in massima li- vellata, per quanto consunta più o meno irregolarmente. 5) L’ originario collocamento delle ellissi solstiziali rimane assai favorevolmente controllato dalla odierna verificazione. 6) Il cumulo dei successivi spostamenti dei centri di queste ellissi dai centri delle ellissi tracciate causati dal variare della obliquità dell’ eclittica ha raggiunto nel 1904 i valori pel solstizio d’ estate. . 0",021 verso Nord con variazione annua di 0",00007 verso Nord » » d’ inverno. 07,004 » Sud » » >» >» 07,00045 >» Sud. A queste conclusioni che riguardano unicamente l’ istrumento un’ altra interessante se ne può aggiungere; che cioè, secondo ogni probabilità, la stabilità dell’ edificio di S. Pe- tronio, almeno nelle parti aventi relazione colla meridiana, si mantiene da gran tempo pressochè perfetta. (1) Differenze 66",836-66",710 e 66”,803-66",710. Va i x sa e na CSS 120, LR th Mini ana La N di feridiat Tana del Scala n el rapporto di 1:0,006 :0,0066 ppi In _ INDICE D. Majocchi — Purpura annularis teleangectodes. — Parte II G. Tizzoni e L. Panichi — Sulla permanenza dello Pneumococco del Frénkel nel sanque degli individui guariti di polmonite fibrinosa D. Vitali — Contributo allo studio Chimico-tossologico dell’ Idrazina C. Fornasini — /Uustrazione di specie orbignyane di Miliolidi istituite nel 1826 ; RIDE UA UTO TAVOLO RI I G. Capellini - - Balene fossili toscane. — III Idiocetus Guicciardinii; con due tavole S. Canevazzi — Sulla determinazione dell'asse neutro 0 di rotazione. nelle sezioni trasversali di un solido in muratura, simmetrico rispetto ad un piano assiale e sollecitato da forze agenti nel piano di simmetria ; con una tavola A. Baldacci — La vegetazione autunnale della Volovica (Montenegro) in rap- porto all'influenza della bora; con una tavola. . . . . . C. Emery — Revisione delle specie del genere Atta appartenenti ai sottogeneri Moellerius e Acromyrmezx ; con figure intercalate nel testo V. Colucci — Contributo alla Patologia pitelioma dell’'Ecancroide; con una tavola F. Morini — Osservazioni sulla vita e sul parassitismo di alcune specie di Piptocephalis; con una tavola . . . . A. Righi — Sulle cariche elettriche acquistate dai corpi colpiti dai Raggi del Radio; con quattro figure intercalate nel testo . M. Rajna — Tavole per calcolare il nascere e tramontare della Luna a Bologna e per ridurre il nascere e tramontare del Sole e della Luna da Bologna a un altro luogo qualunque d’ Italia P. Albertoni — Sul contegno e sull’ azione degli Zuccheri nell’ organismo. — Mi COMUNICAZIONE, io 0 e i n A. Ghigi — Revisione del Genere Guttera Wagler:; con una tavola M. Raina — Osservazioni Meteorolugiche fatte durante l anno 1904 nell’ osser- uiimoldella@issUnivcrsità di Bologna L02064 IL F. Delpino — Applicazione di nuovi criterii per la classificazione delle piante. -— Settima Memoria I. Novi — Sulla diagnosi istologica della rabbia. Note e osservazioni sopra 494 casi presentati dal 1901 al 1904 all’ Istituto antirabico di Bologna; con Le IG, 0 CRIMEA PRATICA F. Brazzola — Significato dei Batteri termofili, di quelli della putrefazione e del gruppo coli nell’ esame batteriologico delle acque . V. Simonelli — Intorno alcune singolari paleoicniti del Flysch appenninico ; con dea imniercalala nellstestoliene tt... 0. au L. Donati — Diagramma generale per trasformatori a corrente alternativa e motori asincroni polifasi; con figura intercalata nel testo . F. Guarducci — La meridiana del tempio di S. Petronio di Bologna : con tavola ILIISLIS; » » » » » » » » » » » » » » 269 285 DERCES Ù dal ondi de fi INDICE — Osservazioni sulla vita e sul parassitismo di alcune specie di ina con una tavola . Righi — - Sulle cariche elettriche ae dai corpi colpiti dai Raggi del Rapa “con. quattro: figure intercalate nel festo . lare il nascere e tramontare della Luna a Bologna e tramontare del Sole e della Luna da Bologna a ue deltaliago Slot tegno e sull'azione degli Zuccheri nell’ organismo. — . . . . . 0 "è. . ra ire. . . dal 1901 al 1904 all Istituto antirabico di tolga; con SIRRET 0° 8 a, ac . . . . . . pria dei Batteri 03 di dati della putrefazione e 50 «IRA Fvmto DI RE | NoveMERE 1905. ras ra a . del tempio di Ss Lui di Bologna ; con ‘tavola . Pag. » » » » » DI » Ee0) » » 257 263 i 269. È 285. stà Le SI data e i Lea agi DE À, RNC pe LIL Il | | | | SMITHSONIAN INSTITUTION LIBRARIES 3 9088 01305 I 0786 NN inerte vr ron beii = ect: