pira Rag ae sa comi erp seo "n NARICI ARDA IC, RUAT v hi LAVATOI NR ) 7 bi tin VE Et MEMORIE DELLA hi. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DELL'ISTITUTO DI BOLOGNA serena FO MOT: Fascicoli Primo e Secondo. BOLOGNA TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI 1907 thsonian ‘35% i Si Up: 74 “dé NOV ] $ \UROZA8E / VAR Ti » Puo a ME Liz) PS" MEMORIE DELLA I ACCADEMIA DELLE SCIENZE DELL'ISTITUTO DI BOLOGNA ti SERIETA TSETO MO» IV BOLOGNA fi TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI 1907 RI RO SIA Aeapi di BIO ICH HE-DEAA DUCE Du V. MEMORIA DI sIACOMO CIAMICIAN £ PAOLO SILBER (Letta nella Sessione dell’ 11 Novembre 1906). Des Sonne bringt es an den Tag. ADALBERT von CHAMISSO. Allo scopo di formarci un concetto sempre più largo intorno agli effetti prodotti dalla luce sui composti organici fondamentali, abbiamo creduto necessario di studiare il contegno delle aldeidi e dei chetoni in presenza di acido cianidrico. Non era da escludersi che la luce determinasse delle azioni chimiche che andassero oltre alla for- mazione delle semplici cianidrine e realmente con 1’ acetone la previsione si è verificata ; esperienze preliminari ci insegnarono ben tosto che il prodotto dell’ insolazione in questo caso è un miscuglio assai complesso, il di cui studio prometteva resultati in- teressanti. Le aldeidi invece sì mostrarono assai meno pronte ed ora possiamo affermare che le cianidrine aldeidiche resistono in soluzione diluita acquosa all’ azione della luce, anche in presenza di acidi organici, alterandosi soltanto in minime proporzioni. In seguito a questo contegno indifferente delle aldeidi abbiamo tentato 1° azione dell’ acido cianidrico sui loro composti ammoniacali e però segnatamente sulla ordinaria ammo- nialdeide e ciò tanto più volentieri, che le vecchie esperienze di Erlenmeyer e Passavant (1) stavano a provare come la luce non fosse senza effetto sul contegno dei detti corpi. Questo effetto non è però specifico e riguarda, come si vedrà, soltanto l’ andamento quantitativo della reazione, che si compie anche all’ oscuro sebbene con minore velocità. Questa parte della ricerca potrebbe però essere trattata anche sepa- ratamente e se noi preferiamo pubblicarla sotto al titolo suindicato egli è per non turbare il quadro generale dei nostri studi intorno alle azioni della luce, che deve comprendere tntti i nostri tentativi e però anche quelli in cui gli effetti delle radia- zioni luminose sono meno rilevanti. (1) Liebigs Annalen der Chemie, vol. 200, pag. 120 (1880). 2 ye Ammonialdeide ed acido cianidrico. Intorno all’ azione dell’ acido cianidrico sulla aldeide ammoniacale esiste una lunga serie di osservazioni fatta da diversi autori. Per restare entro i limiti della questione che ci riguarda, non faremo una esauriente citazione di tutti i lavori pubblicati sul- l’ argomento, ma soltanto di quelli che col nostro stanno in stretta relazione. Dopo gli studi fondamentali di Adolfo Strecker, che ottenne ) alanina dai due corpi suin- dicati, E. Erlenmeyer e S. C. Passavant, ripetendo ed estendendo le sue esperienze, dimostrarono nella già citata Memoria, che per azione dell’ acido prussico al 30 peto. sull’ aldeide ammoniacale in presenza di acido cloridrico 0 solforico si forma oltre all’ a-aminopropionitrile ed altri composti, 1’ a-iminopropionitrile che era già stato descritto da Urech (1), il quale I’ ebbe dall’ ammonialdeide per trattamento con cianuro potassico ed acido cloridrico. Prima però delle ricerche di Erlenmeyer e Passavant, W. Heintz (2) aveva ottenuto, sempre dalla ammo- nialdeide, col metodo di Strecker, ma operando in modo che egli non riuscì a ben precisare, per caso, un acido cristallino che con quel nitrile dovea stare in stretta relazione. Di questo acido Heintz preparò e descrisse tutta una serie di sali, ma non ne dette il punto di fusione. Ora Erlenmeyer e Passavant saponificando il loro nitrile ebbero un’ acido che secondo loro sarebbe amorfo. Da qui tutta 1’ incer- tezza, che, intorno alla natura di questi acidi, rimase per lungo tempo nella letteratura. Recentemente Marcel Delépine si occupò di questo argomento ed in una serie di lavori pubblicò molte interessanti osservazioni, ma sul punto, per noi essenziale, non credette di dovere insistere in modo esauriente. Egli saponifica l’ iminopropionitrile con barite, e ottiene un’ acido cristallino, che per l’ aspetto del suo sale di zinco ri- tiene identico a quello di Heintz. Così egli considera risolta la questione, senza però dare il punto di fusione (3) dell’ acido iminopropionico da lui ottenuto e senza neppure analizzarlo. Ora c’è a notare sopra tutto che 1’ a-iminopropionitrile, come il corrispondente acido a-iminopropionico contengono due atomi di carbonio assimmetrici uguali tra di loro e che devono però presentare le stesse isomerie degli acidi tartrici : CH, CH, COOH CH, | ja | LES BI (=> ME= = JE e H C NAZ4IOZZIA | | Î | COOH COOH (CHEL COOH 3 (1) Berichte 6, 1114. (2) Annalen der Chemie 160, 35 (1871); 165, 44 (1873). (3) Centralblatt 1904, I, 157, 353, 360 e segnatamente Bull. Soc. chim. de Paris [3] 29, 1190 (1903). RESO (gg e La prima forma sarebbe inattiva, come l’ azido mesotartrico, e la seconda race- mica sdoppiabile, corrispondente all’ acido racemico. Di acidi iminopropionici ne devono dunque potere esistere due, di differenti proprietà fisiche e però la questione era tut- t’ altro che risolta, malgrado le ricerche di Delé pine. A questo punto stavano le cose quando noi abbiamo incominciato le nostre espe- rienze. Facendo agire sull’ ammonialdeide 1° acido cianidrico diluito nel rapporto di 70 gr. della prima per un litro della soluzione al 3 peto. del secondo, per un periodo di circa 6 mesi, si formano, tanto alla luce che all’ oscuro, ma con rendimenti diversi, le seguenti sostanze : Due composti isomeri della formola C,H,,0,N,, di cui quello meno solubile nel- l’acqua fonde a 232°, mentre il più solubile fonde a 210°, una sostanza solubile nell’ etere della formola C,H.0,N,, che fonde a 186° ed alanina. Oltre a questi corpi ben cristallizzati e facili a caratterizzarsi si ottengono in notevoli quantità ma- terie gommose non direttamente definibili, I due composti della formola C,4,,0,N, sono le monoamidi dei due acidi a-iminopropionici suddetti che la teoria faceva prevedere e precisamente all’ amide fusibile a 232° corrisponde 1’ acido meno solubile nell’ acqua, dal punto di fusione 254°- 255°, all’ altra amide, che fonde a 210°, il secondo acido che ha il suo punto di fusione a 234-235°. La ccstituzione di queste due amidi deve però essere la seguente : CH, CH, COOH CH, | | | | E 0 00 e ignori Ì | | COOH CONH, CH, CONH, Il composto della formola C,H,0,N, non è altro che 1’ imide corrispondente all’ acido dal punto di fusione 234-235° e però anche all’ amide 210°. La sua costituzione sarà da esprimersi nel seguente modo : CH, CH, CH--NH —CH | | CO-NH—-C0. Ora è evidente che malgrado tutti gli studi fatti finora sul famoso a-iminopropio- nitrile di Erlenmeyer e Passavant, non era possibile decidere a quale dei due acidi esso corrispondesse o se fosse un miscuglio dei due relativi isomeri. Noi abbiamo dovuto ripetere le esperienze dei citati autori e; come si vedrà più avanti, abbiamo trovato che facendo agire sull’ ammonialdeide 1’ acido cianidrico nel modo praticato da Strecker, Erlenmeyer e Passavant e da Delépine, l’ a-iminopropioni- trile risultante, dal punto di fusione 68°, è un composto corrispondente all’ acido a-iminopropionico che fonde a 254-255°. Questo è dunque 11 composto che ebbero fra PURE le mani Erlenmeyer, Passavant e Delépine. Riguardo all’ acido descritto da’ Heintz è impossibile esprimersi con sicurezza, mancando i dati necessari per definire la quistione. Senza dubbio esso sarà stato formato da uno dei nostri due acidi o forse dal miscuglio dei due. Non è però da escludersi che Delépine abbia indovinato e che si tratti dell’ acido che fonde a 254-255°. Ammettendo ciò, l’altro isomero fu- sibile a 234-235°, non si formerebbe che per azioni lente e noi saremmo stati i primi ad ottenerlo. i. Esperienze alla luce. Il procedimento da noi seguito nella ricerca può essere riassunto nel seguente modo. Noi abbiamo impiegato, come s° è già accennato, sempre una soluzione di acido cianidrico al 3 pceto., debitamente titolata, ed abbiamo, tanto alla luce che all’ oscuro, fatto agire in fiaschi di vetro bianco chiusi alla lampada, 70 gr. di ammonialdeide per ogni litro della soluzione cianidrica. In tutto vennero esposti alla insolazione dal maggio all’ ottobre o novembre 420 gr. di ammonialdeide. Ad esposizione finita .il contenuto dei fiaschi, in cui non v'è pressione, è un liquido bruno nerastro, che con- tiene in sospensione un po’ di materia carboniosa. Si sente l’ odore dell’ ammoniaca, non quello dell’acido cianidrico. La prima operazione, che ha la massima importanza, è quella di decolorare il liquido col nero animale; senza questa precauzione tutto l'ulteriore trattamento diverrebbe estremamente difficile, poichè la presenza delle ma- terie che il carbone trattiene, ritarderebbe o impedirebbe addirittura la cristallizza- zione dei singoli prodotti. Il contenuto di ogni singolo matraccio venne però, diluito colla metà del suo volume d’acqua, agitato ripetutamente con un buon nero animale coll’ agitatore di Plancher mediante un piccolo motore a gas. Il liquido filtrato dal carbone deve avere soltanto un lieve colore paglierino ; concentrato prima a pressione ridotta a d. m. e poi sull’acido solforico del vuoto, dà un residuo in parte cristallino, colorato lievemente in bruno. L’ ulteriore trattamento di questo prodotto nelle sue linee generali è stato il se- guente. Esso venne anzitutto bollito a ricadere con alcool assoluto, si ottiene così una separazione di una parte insolubile che indicheremo con A, dalle materie solubili che chiameremo 2. La prima, cristaliizzata dall’ acqua, dà subito come primo prodotto l’amide iminopropionica dal punto di fusione 232°, che si separa allo stato puro senza difficoltà; nelle acque madri si rinvennero poi, oltre alla detta amide, ma in minori quantità, l’altra amide che fonde a 210° ed in fine, come più solubile, 1 alarina. La porzione solubile nell’alcool 2. liberata dal solvente e seccata accuratamente nel vuoto, si presenta in forma di una massa bruna, gelatinosa e deliquescente. Per procedere ad una ulteriore separazione delle sostanze in essa contenute, venne trattata in soluzione di alcool assoluto con etere anidro. Si ottiene un’ abbondante precipitato amorfo, caseoso, che indicheremo con a, mentre resta sciolta nel liquido fitrato la parte che chiameremo d. Il precipitato (a) attira facilmente l’ umidità atmosferica, va in deliquescenza e lo sciroppo risultante diventa a poco a poco in parte cristallino. I a i cristalli che si possono facilmente separare dallo sciroppo, sono dati dall’amide fondente a 210°, che in questa frazione è contenuta abbondantemente. La frazione indicata con d, liberata dal solvente, è anch’essa sciropposa, per trattamento con benzolo si può estrarre da essa una sostanza cristallina, che è l’imide fusibile a 186°. Nel seguente specchietto sono indicate le quantità dei diversi prodotti, ottenuti nelle singole preparazioni, esse si riferiscono sempre a 70 gr. di ammonialdeide ed un litro di soluzione cianidrica al 3 pcto. Frazione A Frazione B Numero | Prodotto | Posli ARIE Amide 232° “TI Porzione db d’ ordine totale Complessiva | separata |Complessiva ; I direttamente Amide 210° Lommmoso LO 1. Qi e 22,0 gr. TIRATI 67,0 gr. 7,6 gr. 28,7 gr. 10,0 gr. 2. 71 » 16,6 » 7,4 » O 0 200245 10,5 » DI 76 » 19,9 >» 11,4 » 58,5 » 10205 OO 10,8 » 4. 80 » 160208» Tae 60,0 » DO 22,0 » 10,5 >» 5 80,5 » o i » 58,5 » 10,0 » 24,0 » 10,5 » 6. 76,0 » Lo MO « — (9 10,5 >» 21,2 >» Hd » Medie 79,6 gr. 18,6 gr. 0 Gr | DO Er 9,0 gr. 23,9 gr. 10,6 er. (1) La quantità non venne determinata. Maso nz dCIENTTAZIONENA La prima separazione del prodotto totale nelle sue singole parti venne fatta, come s'è detto, per trattamento con alcool; il residuo secco, proveniente dalla lavorazione di ogni singolo matraccio, venne bollito a ricadere con 250 ce. d'alcool assoluto. Durante l’ebollizione la massa si scioglie in parte ed in parte si deposita in forma d’una polvere cristallina, mentre sul tubo del refrigerante si forma sempre un subli- mato di carbonato ammonico. Della parte disciolta (8) diremo più avanti. La parte cristallina contiene principalmente l’amide iminopropionica fusibile a 232°, che si separa assai facilmente come primo prodotto. Sciogliendo questa frazione nell’ acqua e concentrando, dopo averla filtrata dai residui del nero animale, la solu- zione a b. m., questa si ricopre da fogliette cristalline prive di colore, che aumentano pel raffreddamento e costituiscono « l’ amide 232° separata direttamente » dello spec- chietto soprastante. Si purificano ulteriormente, dall’ acqua senza che il punto di fusione abbia a mutare. i Concentrando le acque madri si separa ancora dell’ altra amide 232°, ma poi per 23 Ra ulteriore concertrazione, tutto il liquido si rapprende in una massa cristallina formata da aghetti bianchi e sottili. Dalle sei singole esperienze, indicate nello specchietto, si ebbero in totale 111,6 gr. di sostanze insolubili nell’ alcool (fraz. A), da cui risulta- rono 59,2 gr. dell’amide fusibile a 232°, dalle acque madri, provenienti dalle singole sei preparazioni che vennero riunite, si poterono ottenere in totale 48 gr. di prodotto, di cui si tratterà un po’ più oltre. La monoamide a-iminopropionica dal punto di fusione 232°, cristallizza dall’ acqua in tavole esagonali, che a 232° fondono con sviluppo di gaz. La soluzione acquosa ha reazione acida e dà una bellissima reazione del biureto. Dagli altri ordinari solventi non viene attaccata, nell’ acqua fredda non è facilmente solubile. Analisi : Sostanza 0,1748 gr.; CO, 0,2894 gr.; H,0 0,1226 gr. Sostanza 0,1354 gr.; azoto, misurato a 16° e 763 mm., 20,7 c.c. In 100 parti: trovato calcolato per C,H;503N, TT rss T—__m _ ss —_ —tta_ C 45,14 —_ 45,00 DET) TUO — 7,50 N —- 17,88 17,50 Peso molecolare : In soluzione acquosa peso molecolare concentrazione abbassamento trovato calcolato Ci — gr — is? — care —>TTTTaTE=- JRli6o 0°, 140 157,2 160 ZE OE 157,6 Come è stato già accennato, a questa amide corrisponde un’acido dal punto di fusione 254-255°, ma di questo acido e degli altri suoi derivati immediati diremo più avanti nel prossimo capitolo, per non interrompere qui 1’ ulteriore esposizione re- lativa ai prodotti contenuti nella frazione A. La suindicata porzione avuta dalle acque madri (48 gr.) venne anzitutto bollita a ricadere con alcool assoluto ; questo processo, che diremo quasi di lavaggio, esporta una materia gommosa. Il residuo insolubile (40,5 gr.) fu quindi sottoposto ad un lungo e paziente lavoro di cristallizzazioni frazionate parte dell’acqua e parte dall’ alcool di- luito. In questo modo riuscimmo a separare dell’ altra amide 232°, ma dopo di essa ottenemmo una frazione più solubile che da principio fondeva a 225°, ed aveva 1’ a- spetto di minuti aghettini bianchi; da questo prodotto si ebbe in quantità non molto rilevante, una sostanza bene definita, cristallizzata in grossi prismi senza colore, che fondevano a 210°. Questo composto è isomero al precedente e costituisce 1° amide imi- Aa nopropionica fusibile a 210°, che è contenuta più abbondantemente nella frazione 2 e che sarà li ulteriormente descritta. A differenza dell’amide meno solubile, questa cristallizza dall'acqua in forma di idrato, che può essere deacquificato a 100°, La sua formola più semplice sarebbe : Il CHOONTTZIE SHOE STTIASOE Sostanza 0,5985 gr.; perdettero a 100° 0,0875 gr. di 4,0. In 100 parti: trovato calcolato per C,H,,0,N, + 114 H,0 -T—rFr SE li — H,0 14,62 14,51 Sostanza, seccata a 100°, 0,1458 gr.; CO, 0,2394; 4,0 0,1111 gr. Sostanza, seccata a 100°, 0,1495 gr.; azoto, misurato a 18° e 777 mm., 22,5 c.c. In 100 parti: trovato calcolato per C,H4,,0,N, -———— —_t_t—_6€ ss —— T_ ss — PP > lan C 40,43 40,45 Va 8,18 7,86 Prima di procedere alla descrizione dei corpi contenuti nella seconda frazione prin- cipale indicata con 5, vogliamo intercalare un capitolo per trattare dell’ acido che corrisponde all’ amide fusibile a 232°. L’ acido a-iminopropionico che fonde a 255°. L’amide fusibile a 232° si saponifica facilmente e nettamente tanto per tratta- mento con acido cloridrico, che con barite. Serie VI. — Tomo IV. 2 cli) Saponificazione con barite. Abbiamo bollito a ricadere fino all’ esaurimento dello sviluppo d’ ammoniaca, 8 gr. di amide sciolti in 80 c.c. d’acqua con una soluzione di 40 gr. di barite in 400 c. c. d’ acqua. L'operazione dura dalle 3 alle 4 ore. La soluzione risultante venne liberata come di consueto dall’eccesso di barite per trattamento a caldo con anidride carbonica e portata a secco. Si hanno così cca. 12 gr. di un sale baritico. Purificato dall’ alcool diluito e poi dall’ acqua, si presenta in forma di aghetti raggruppati della composizione (CH N0,),Ba . AMOOSOS Sostanza, seccata nel vuoto sull’ acido solforico, 0,2528 gr.; BaCO, 0,1082 gr. Inidi00fparof trovato calcolato per CH, NO; Ba a_n re ssa ei Ba 29,76 29,98 Si tratta come si vede di un sale acido. Esso non è molto solubile nell’ acqua. Trattandolo con la quantità voluta di acido solforico sì ottiene il relativo acido a-imi- nopropionico. Il liquido filtrato dal solfato baritico dà, per concentrazione, un prodotto, che si presenta in grossi cristalli privi di colore, che a tutta prima fondono a 249- 250°; purificandoli ulteriormeute dall’ acqua il punto di fusione s’ innalza fino a 254- 255°. L'acido fonde con sviluppo gassoso decomponendosi. La sua composizione corri- sponde alla formola : CORANO, Amato s Sostanza, fondente a 250°, seccata nel vuoto sull’ acido solforico, 0,1768; C0, 052 905EREZONO UA Sostanza, come sopra, 0,2051 gr.; azoto, misurato a 11° e 761 mm., 15,1 c.c. In 100 parti: trovato calcolato per CH, 0, Fe ei > — — —— ——_—_ C 44,81 — 44,72 JEl Tico — 6,84 N — SHI9 8,69 Da 16 gr. di amide si ebbero così 15,8 gr. di acido fondente a 250°. Saponificazione con acido cloridrico. Essa avviene tanto per ebollizione a ricadere che per riscaldamento in tubo. Noi abbiamo scaldato 3 gr. di amide con 60 c. c. di acido cloridrico concentrato ordinario a 130-140° per 10 ore. Il liquido rimane senza colore ; evaporato, dà un residuo bianco e cristallino, che è formato. da cloruro am- monico e dal cloridrato dell’ iminoacido. Per togliere il primo si estrae con alcool assoluto e si ottiene così il secondo, che dall’ acqua viene facilmente idrolizzato ; per SR ottenere l’ acido libero si tratta con solfato argentico, indi con idrogeno solforato e si scompone il solfato ottenuto con barite. Dal sale di bario si ha l’ acido nel modo già descritto. Il prodotto così ottenuto fondeva a 249-250°. Analisi: Sostanza 0,1719 gr.; CO, 0,2820 gr.; 4,0 0,1131 gr. In 100 parti trovato calcolato per C,H#,,0 ar —d>— sù ei CO 44,74 44,72 H To 6,84 Ugualmente bene avviene la saponificazione bollendo l’ amide con acido cloridrico a ricadere. Proprietà dell’acido a-iminopropionico fusibile a 255°. Non è molto solubile nel- l’acqua, poco nell’ alcool allungato, punto in quello assoluto e negli altri solventi or- dinari. La soluzione acquosa ha reazione acida ben marcata. Col cloruro di benzoile, operando secondo E. Fischer (1), non potemmo ottenere un composto benzoilico ; neppure ci fu possibile di combinarlo coll’ isocianato di fenile. Con l’acido cloridrico dà un cloridrato cristallino molto solubile, la di cui solu- zione non precipita nè col cloruro di platino, nè con quello d’oro, nè con l’acido picrico. Esso si comporta colle basi come un acido monobasico. Operando colla fenolfta- leina la colorazione compare già dopo avere aggiunto poco più d’ una molecola di potassa; questa soluzione contiene il sale monopotassico, C;H.0,N- K; concentran- dola a b. m. si ha uno sciroppo, che per aggiunta di alcool sì intorbida. Dal liquido non tarda a depositarsi il sale in prismetti senza colore. Analisi: Sostanza, seccata nel vuoto sull’ acido solforico, 0,2360 gr.; XA,S0, 0,1024 gr. In 100 parti: trovato | calcolato per CH, O,NK in Ts — Tea JE 19,45 19,59 ‘Sali e composti argentici. Saturando la soluzione dell’ acido con una molecola di potassa o di ammoniaca ed aggiungendo nitrato argentico, si separa dopo qualche tempo, massime soffregando le pareti del vaso, una polvere bianca e cristallina, formata da piccoli mammelloni. Siccome il prodotto annerisce alquanto se si tenti di cristalliz- (1) Berichte 34, 459. SS O zarlo dall’ acqua bollente, lo abbiamo analizzato direttamente, dopo averlo seccato sul- l’acido solforico nel vuoto. Esso ha la seguente composizione COISO NERA SE 1005 e sarebbe un composto doppio del sale monoargentico. Analisi: Sostanza 0,2038 gr.; CO, 0,1256 gr.; 4,0 0,0503 gr. Sostanza 0,1'966 gr.; CO, 0,1210 gr.; H,0 0,0496 gr. Sostanza 0,1655 gr.; azoto, misurato a 5° e 772 mm., 9,5 c. e. Sostanza 0,2720 gr.; argento 0,1338 gr. Sostanza 0,4366 gr.; AgCI 0,2834 gr. In 100 parti: calcolato trovato per CH N50749, ic, Tr LU loi mr — == __—__6 O. 16080 16,78 — — ni 16,44 H 2,74 2,80 — — —- 2,28 N — — TI _. — 005 Ag — — —- 49,19 48,85 49,31 Si può però avere anche il sale biargentico C.H,0,N-Ag,, del nostro acido, trattando la sua soluzione colla quantità corrispondente a due molecole di potassa ed aggiun- gendo indi il nitrato d’argento. Si ottiene, così facendo, un precipitato gelatinoso, che sì stenta assai a lavare sul filtro. Seccato sull’ acido solforico, dà una massa cornea grigiastra, che venne polverizzata e nuovamente ripresa con acqua, in cui però non è del tutto insolubile. Scaldato, deflagra leggermente ; però è necessario premunirsi nell’ analizzarlo onde evitare perdite. Analisi: Sostanza 0,1600 gr.; argento 0,0924 gr.. In 100 parti: trovato calcolato per C,H,VN0,A9, 2 —1_sr — —_____sss®— - — sù, Ag DINO 57,60 Etere dietilico C,H,NO,(C,H,),. Lo abbiamo preparato seguendo il metodo di E. Fischer, (1) saturando a freddo 5 gr. dell’ acido sospesi in 100 c. c. d’ alcool asso- luto con acido cloridrico gassoso e scaldando poi per circa un’ ora a ricadere. La soluzione risultante, distillata a pressione fortemente ridotta a lieve calore, dà un re- (1) Berichte, 34, 453, cu fg = siduo che tosto cristallizza. Il cloridrato dell’ etere venne, nello stesso pallone, sciolto in pochissima acqua e, raffreddando esternamente con ghiaccio, trattato con etere ed un forte eccesso di carbonato potassico; agitando energicamente la poltiglia acquosa coll’ etere, si ottiene facilmente 1’ estratto, che venne seccato con carbonato potassico anidro e con ossido di bario. Svaporando il solvente resta indietro un liquido oleoso che fu rettificato nel vuoto; a 15 mm. bolle a 123-124°. L’ analisi non dette risultati molto esatti, ma noi non insistemmo ulteriormente, perchè più dell’ etere ci interes- sava il suo derivato nitrosilico. Analisi: Sostanza 0,2302 gr.; CO, 0,4700 gr.; 4,0 0,1988 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C.H90,N i ss —_ | — pr —=_ C 55,69 55,29 H 9,59 8,96 Il nostro prodotto non si è solidificato nel miscuglio di anidride carbonica solida ed etere. Ha reazione neutra, è senza odore. Si scioglie bene nell’ acqua ; la soluzione cloridrica non precipita ne col cloruro platinico, ne con quello d’ oro, nè coll’ acido picrico. Composto nitrosilico dell’ etere dietilico, C,H,0,N(C,H.),: NO. Per la sua natura » di base secondaria, l’ etere del nostro acido doveva dare con facilità il derivato nitro- silico. Per prepararlo, trattammo la soluzione acquosa del cloridrato dell’ etere, con acido solforico e nitrito sodico. Si separa subito uno strato oleoso giallognolo, che venne tosto ripreso con etere, e nella sua soluzione eterea lavato con potassa diluita e con acqua ed indi seccato con solfato sodico anidro. Il composto nitrosilico è un liquido oleoso, lievemente colorato in giallo, che a 18 mm. bolle a 177°. Dà in modo marcatissimo la reazione di Liebermann. Analisi: Sostanza 0,2460 gr.; C0,0,4413 gr.; H,00,1652 gr. Sostanza 0,2242 gr.; azoto, misurato a 10° e 753 mm., 22,3 c. c. trovato calcolato per C,H,g0;N Tn —_s —__ ssp n °__ C 48,92 — 48,88 Vel 7,46 — US N — 11,80 INS Come abbiamo detto nell’ introduzione e come si vedrà con maggiori particolari più avanti, l’ acido da noi ora descritto, dal punto di fusione 255°, corrisponde LAST all’ a-iminopropionitrile di Urech, Erlenmeyer e Passavant e di Delépine; [I siccome la costituzione di questo nitrile è ben provata dalle ricerche di questi Autori, anche quella del nostro acido rimane fuori di dubbio. Nessuno però fin qui lo aveva sufficientemente caratterizzato, sicchè, si può dire, che esso comparisce appena ora bene accertato nella letteratura; Erlenmeyer e Passavant lo ottennero come materia amorfa deliquescente (sic!) (1), mentre come si vide esso è cristallino e ben poco solubile nell’ acqua fredda. Delépine (2) lo ebbe in forma cristallina, ma la sua descrizione è troppo incompleta, egli ne fa menzione appena per dichiararlo identico all’ acido di Heintz, ciò che, come si disse, non è per nulla provato. La sua costituzione è senza dubbio da rappresentarsi con la formola CH, CH, CHT--NH CH COOH COOH, mentre la sua configurazione rimane ancora a discutersi. » Sebbene sia un’ acido bibasico si comporta con gli alcali come monobasico, eviden- temente perchè i suoi sali bimetallici solubili sono per metà idrolizzati. La sua biba- sicità è però dimostrata dal sale biargentico e dall’ etere dietilico ; il derivato nitro- silico di quest’ ultimo prova la presenza dell’ imino. LI SORIA TRIAVODO BD La parte del prodotto totale che nel primo trattamento resta sciolta nell’ alcool, sì presenta, come s’° è detto in principio, dopo lo svaporamento del solvente, in forma d’ una materia colorata in bruno, gommosa e deliquescente. Questi residui provenienti dalle singole esperienze furono trattati separatamente nel seguente modo. Ciascuno di essi, dopo essere stato seccato nel vuoto sull’ acido solforico, venne sciolto in 200 c. c. d’ alcool assoluto ed alla soluzione si aggiunse agitando, tanto etere anidro, dai 1000 ai 1200 c. c., fino a che il precipitato formatosi non aumentava più. Si ottiene, così facendo, una materia bianca, caseosa, che venne tosto raccolta su filtro. Essa costi- tuisce la ‘ porzione 4 ,, dello specchietto. Della parte che rimane disciolta d nel liquido alcoolico etereo diremo più avanti. La porzione a. Lasciandolo esposto all’ aria, il precipitato suddetto attira 1 umi- dità atmosferica e va in deliquescenza, formando una massa gommoso-sciropposa, per facilitare questo processo è utile spruzzarvi un po’ d’ acqua. Lo sciroppo abbandonato a se stesso, dopo qualche giorno cristallizza parzialmente, in modo che si può alla (1) Liebigs Annalen der Chimie, 200, pag. 130. (1870). (2) Bull. de la Soc. Chim. de Paris, 29, pag. 1192 (1903). n SA pompa separare la materia solida della parte gommosa. La prima venne indi distesa su piastra porosa ed infine bollita a ricadere con alcool assoluto, perchè una volta separata dalia gomma la sostanza cristalina non si scioglie quasi più nell’ alcool. I filtrati, tanto gli acquosi che gli alcoolici, tutti riuniti e portati a secco costituiscono « le sostanze gommose » dello specchietto che saranno trattate più dopo. La parte cristallina è costituita dall’ amide a-iminopropionica fusibile a 210°; come risulta dai singoli rendimenti indicati nello specchietto, la quantità di questo prodotto allo stato greggio ammontava in totale 53,8 gr.; cristallizzato una volta dal- l’ acqua, in modo da raggiungere il punto di fusione indicato, la sua quantità scese a 44 gr. Per l’analisi il composto venne purificato ulteriormente senza però che mutasse il punto di fusione. La nuova amide si separa dalle sue soluzioni non troppo diluite in aghi lunghi finissimi, che danno al tutto l’ aspetto d’ una massa bianca feltrosa. Da soluzioni più diluite. per lento deposito, si formano prismetti allungati raggruppati a stella. A differenza di quella fusibile a 232°, questa nuova amide, che si rinvenne in piccola quantità anche nella frazione A, cristallizza, come si è già dimo- strato, dall’ acqua in forma di idrato della composizione. CHO; + 1 A H,0 ; VIRA Sostanza, seccata sul cloruro calcico, 0,7000 gr., perdette a 100° 2,0 0,1016 gr. Sostanza 0,1698 gr., seccata a 100°, CO, 0,2800 gr.; 4,0 0,1162 gr. Sostanza 0,1396 gr., seccata a 100°, azoto, misurato a 21° e 759 mm., 21,6 cc. In 100 parti: calcolato trovato Pera Cra Ape ON 0 A ee e Une T— Cc — — i AROrniA;oi — 14,51 o 45,00 — ale re0,, — 7,50 "e 17,59 17,50 —_ Peso molecolare: In soluzione acquosa peso molecolare concentrazione abbassamento trovato calcolato 1,52 0°, 190 148 2,60 0°, 305 175,9 160 22 TG Le due sostanze isomere delle formole C,H,,0,N,; che costituiscono la parte prin- cipale del prodotto cristallizzabile della reazione, hanno altresì la composizione del dipeptide 1’ alanilalanina ; siccome al momento in cui noi incominciavamo queste ricer- che il detto composto non era stato ancora descritto, ci rivolgemmo al Prof, Emilio Fischer, il quale gentilmente ci offrì un campione della detta sostanza, che egli aveva appunto preparato. Così potemmo subito convincerci che i due nostri composti erano diversi dall’ alanilalanina. Noi porgiamo qui sentite grazie all’ illustre chimico di Berlino per averci così risparmiato un inutile lavoro (1). Il composto fusibile ha 210° è anche esso, come si è accennato nell’ introduzione, un’ amide, che corrisponde ad un altro acido @-iminopropionico. Essa è più solubile nell’ acqua dell’ amide fusibile a 232° ed a stento si scioglie a caldo alquanto anche nell’ alcool metilico ed in quello ordinario; negli altri solventi consueti è insolubile. La sua soluzione acquosa ha reazione marcatamente acida e dà con alcali e solfato di rame una colorazione azzurro intensa. Prima di poter proseguire nella descrizione delle altre sostanze contenute nella brasione B, è necessario, per intendere l’ ulteriore svolgimento della ricerca, intercalare qui un capitolo sull’ acido che corrisponde all’ amide di cui ci siamo occupati. L'acido a-iminopropionico fusibile a 235°, IL’ amide che fonde a 210° si saponifica con la barite senza difficoltà, ma la idro- lisi è in questo caso accompagnata da un fenomeno che non comparisce con l altra amide del punto di fusione 232°, perchè questa volta si separa il sale insolubile CH,0,NBa. Saponificazione dell’ amide con barite. Bollendo a ricadere 5 gr. dell’ amide in 50 c. c. d’ acqua con una soluzione di barite 25 gr. in 250 c. c. d' acqua, si svolge ammoniaca, ma a poco a poco il liquido limpido si ricopre d’ uno strato di cristalli bianchi, che con la continuata ebollizione vanno al fondo ed incrostano le pareti del pallone. Dopo due o tre ore, quando lo sviluppo d’ ammoniaca è cessato, si può facil- mente per decantazione separare e lavare questo prodotto, che aderisce così al vetro che non è agevole staccarvelo, Come s’ è detto, esso è il sale baritico neutro del nuovo acido, della formola : GC:HSO,N-'Ba, che in questo caso tanto facilmente si ottiene, perchè poco solubile nell’ acqua. Analisi: Sostanza 0,2056 gr., seccata a 100°, dette in tubo aperto, 0,1376 gr. di BaC0, (1) L’ alanilalanina fonde, come ora si sa, a 276° (corr,) Vedi E. Fischer e K, Kautzsch. Berichte, vol. 88, pag. 2375. (1905). gu Wp ed inoltre 0,1528 gr. di CO, e 0,0586 gr. di 4,0. Tenendo conto del carbonato baritico si ha per CO, 0,0307 + 0,1528 = 0,1835 gr. Sostanza 0,2406 gr., seccata a 100° ed ordinariamente calcinata, dette 0,1616 gr. di Ba00,. i In 100 parti: — trovato calcolato per C,H;0,N - Ba C 24,34 —- 24,393 H 3,28 — 3,06 Ba 46,54 46,70 46,28 Bollendo questo sale con acqua e facendo passare nel liquido una corrente d’ ani- dride carbonica, esso a poco a poco si scioglie mentre si separa carbonato baritico ; la soluzione contiene ora il sale acido, che, per il consueto trattamento, può ottenersi anche dal liquido baritico da cui per decantazione si separarono i cristalli del sale ora descritto. Svaporando il liquido liberato dal carbonato baritico, resta indietro una sostanza amorfa, dall’ aspetto gommoso che non volle cristallizzare ; sciolta in pochis- sima acqua, si ebbe per aggiunta di alcool un precipitato caseoso, che col riposo indurisce e diviene fragile. Seccato a 100° ha la composizione del sale baritico acido (CH 0,)V),Ba AMATTST: Sostanza 0,2595 gr., seccata a 100°; BaCO, 0,1133 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,,H,0N,Ba Ba 30,06 29,98 Per evitare la formazione del sale baritico neutro, che riesce assai difficile dopo separato portarlo in soluzione, conviene operare con un grande eccesso d’acqua; noi abbiamo però in seguito impiegato per 5 er. di amide e 25 gr. di barite, 2 litri di acqua. La saponificazione procede più lenta, ma il liquido rimane limpido. Aggiun- gendo poi alla soluzione la quantità voluta d’ acido solforico e concentrando il. liquido liberato dal solfato baritico, si separa il nuovo acido a-iminopropionico, CH ,;0,N, in prismi privi di colore, che dopo alcune cristallizzazioni dall’ acqua fondono con sviluppo gassoso a 234-235°. Analisi: ‘ Sostanza 0,1594 gr.; CO, 0,2624 gr.; H,0 0,1022 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,H,j0,NN pro SS —_—_g9> — lle — © C 44,89 44,72 H 1512 6,84 Da 15 gr. di amide si ebbero così 12,8 gr. di acido puro. Serie VI. — Tomo IV. 3 dg Proprietà dell'acido a-ininopropionico fusibile a 235°. Esso è molto più solubile nell’ acqua del suo isomero, che fonde a 255°, negli altri solventi non si scioglie punto; l’alcool allungato lo scioglie notevolmente e da questo miscuglio si deposita in prismi più grossi. La sua soluzione cloridrica non precipita ne col cloruro di platino, ne con quello d’ oro, ne coll’ acido picrico. I Con gli alcali caustici il nuovo acido si contiene come il suo isomero, apparisce monobasico. Titolando colla fenolftaleina il passaggio è incerto, ma la colorazione com- parisce già dopo avere aggiunto poco più d’ una molecola di potassa caustica. Sali e composti argentici. Il comportamento corrisponde quasi del tutto a quello dell’ isomero fusibile a 255°, anche qui trattando la soluzione dell’ acido con ammo- niaca fino a reazione neutra ed aggiungendo nitrato d’argento si ha per soffregamento delle pareti del vaso, un precipitato bianco abbondante, formato da piccole squamette cristalline di un sale doppio. Esso è alquanto solubile nell’ acqua e, seccato nel vuoto sull’ acido solforico, ha la composizione 2CHn0,NAg + AgNO, , che è diversa da quella del composto proveniente dell’ acido 255°. Analisi: Sostanza 0, 1467 er.; CO, 0,1114.er.; 4,0, 0,0435071. Sostanza 0,2000 gr.; AgCI 0,1226 gr. Sostanza 0,2364 gr.; per calcinazione, Ag 0,1084 gr. Ti LOOoIAIOE trovato calcolato por C,,H,0, 3495 i ie e=””P_.- __ oss — ta TT C 20 —- — 20,39 H 929 — — 2,55 Ag — 46,13 45,85 i 45,89 Il sale biargentico, C;H,0,NAg,, sì può ottenere come nel caso precedente, trat- tando la soluzione dell’ acido con la quantità di potassa corrispondente a due molecole ed aggiungendo alla soluzione nitrato argentico. Il liquido tosto s’ intorbida ed all’ in- torbidamento segue, agitando, la deposizione d’ un precipitato polverulento. Seccato sul- l’acido solforico diventa corneo. Fu ripreso una seconda volta con acqua e nuovamente seccato. Il sale scaldato bruscamente deflagra. FATATO: Sostanza 0,3010 gr.; per calcinazione, Ag 0,1748 gr. In 100 parti: trovato calcolato per CH 0,NA9, — i___T—__s5>T_ Ag 58,07 57,60 - —_—Pr = —-. » «— ——_ __m 2 ‘og Etere dietilico, C,H,0,N(C,H.),. Venne preparato seguendo il metodo di E. Fi- scher nello stesso modo come il suo isomero già descritto. Dopo avere saturato la soluzione alcoolica con acido cloridrico gassoso, scaldato a ricadere e distillato a pres- sione ridotta, si ottenne un residuo sciropposo del cloridrato che questa volta cristal- Jizzò molto lentamente e in grossi mammelloni bianchi. Da questo residuo, seguendo le norme già indicate, venne posto l'etere dietilico in libertà. È un liquido oleoso che a 15 mm. bolle a 121-122°, Analisi: Sostanza 0,1934 gr.; CO, 0,3910 gr.; 4,0 0,1610 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,H190,N C 55,14 55,29 HI, 9,24 8,76 Posto nel miscuglio frigorifero si solidifica facilmente e fonde a — 5°. Ha reazione neutra, è quasi senza odore. La sua soluzione cloridrica non precipita ne col cloruro d’ oro, ne con quello di platino, ne coll’ acido picrico. Bollito con barite si saponifica facilmente, formando il caratteristico sale baritico neutro insolubile e trasformandosi quantitativamente nell’ acido fusibile a 235°. A differenza dell’ acido libero, l’ etere dietilico dà col metodo di E. Fischer il derivato benzoilico, in forma d’un olio vischioso, che nel miscuglio di anidride carbo- nica solida ed etere si rapprende in una massa vetrosa amorfa. Anche questo pro- dotto non da coll’ acido picrico un composto insolubile. Esso non serve quindi a carat- terizzare ulteriormente l’ acido da cui proviene. Composto nitrosilico dell’ etere dietilico, C,H,0,N(NO)(C,H.),. Anche l'etere dieti- lico dell’acido fusibile a 235° dà con grande facilità il derivato nitrosilico, che venne preparato nello stesso modo come quello proveniente dall’ altro isomero, trattando la soluzione acquosa del cloridrato dell’ etere, con nitrito sodico ed acido solforico. Non ne ripeteremo qui la descrizione. Il composto che bolle a 17 mm. a 163-164°, è un liquido oleoso lievemente colorato in giallo ; esso dà con grande facilità la reazione del Liebermann. Analisi: Sostanza 0,2271 gr.; CO, 0,4044 gr.; 4,0 0,1525 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,H,g0;N C 48,56 48,88 H 7,46 02 RO (Le Per tutto il suo contegno così analogo a quello dell’ acido fusibile a 255°, per il fatto che esso è come quello un acido bibasico, che contiene l’imino, perchè il suo etere dietilico dà la corrispondente nitrosammina, si deve ammettere che anche l’acido ora descritto, fusibile a 234°, è un’ acido a-iminopropionico della formola CH, CH, | | eZ — CE Ì | COOH COOH che differisce dal suo isomero precedente per una configurazione diversa, che discute- remo in fine. Relativamente alla questione se quest’ acido sia già stato descritto, come s’è detto nella introduzione, è difficile formarsi un concetto preciso. Esso potrebbe essere iden- tico all’acido ottenuto per caso una volta dal Heintz, ma questo autore non dà di- sgraziatamente il punto di fusione del suo prodotto. Vi sarebbe corrispondenza nella solubilità (1), perchè Heintz asserisce che il suo acido è facilmente solubile nel- l’acqua e lo è un po’ meno dell’ alanina, ed inoltre nell’ aspetto del sale baritico (2), che questo autore descrive pure quale composto amorfo, ma di cui non dà l’analisi. Tenendo però conto che questi acidi se sono impuri diventano più solubili e danno sali che crisiallizzano difficilmente, ogni affermazione sarebbe azzardata. Continuazione dell’ esame della porzione a. Dopo avere separata 1° amide fusibile a 210°, si ebbero per concentrazione dei filtrati « le sostanze gommose » dello specchietto, che sommando le singole preparazioni ammontano complessivamente a 141,1 gr. Questo prodotto ha l aspetto di una materia amorfa, gommosa, che all’aria va in delique- scenza formando une sciroppo. Non ci fu possibile separare da esso ulteriormente delle sostanze cristalline in quantità apprezzabili e, siccome queste materie gommose costi- tuiscono una parte rilevante dei corpi che si formano nell’ azione dell’ acido cianidrico sulla ammonialdeide, abbiamo tentato di riconoscere almeno indirettamente la loro na- tura per mezzo della saponificazione con barite. Saponificazione con barite. È da notarsi anzitutto che il prodotto trattato con potassa o barite svolge già a freddo ammoniaca, ciò che dimostrerebbe in esso la presenza di sali ammonici. Senza tener conto ulteriormente di ciò, una parte della gomma (34 gr.) venne bollita a ricadere fino al termine dello sviluppo d’ ammoniaca con barite (175 gr.) in soluzione acquosa diluita (circa 2 litri). Il sale baritico, ottenuto nel modo ordinario, ha l'aspetto gelatinoso (46,7 gr.} e da esso, per trattamento con acido solforico, si ebbe un residuo (27 gr.) che a poco a poco in parte divenne cristallino. (1) Liebigs Amnalen der Chemie, vol. 160, pag. 37 (1871). (2) Ibid. vol. 165, pag. 52 (1873). bri STA Questa parte cristallina, purificata dall'acqua, dette in fine i noti prismi (circa 3 gr.) dell’acido a&-iminopropionico fusibile a 251°. Analisi: Sostanza 0.1618 gr.; CO, 0,2704 gr.; 4,0 0,1002 gr. In 100 parti : trovato calcolato per C,H,jO,N C 44,76 44,72 H 6,76 6,83 Tutte le acque madri riunite furono portate a secco e bollite con alcool assoluto. In questo modo si riesce a separare una nuova porzione di materia solida (10 gr.), che purificata a sua volta dall’ alcool diluito e dall’ acqua venne riconosciuta per alanina. La parte maggiore del prodotto resta però sempre nei filtrati acquosi ed alcoolici, da cui si ottiene ancora allo stato gommoso. Per estrarre da questa gomma ulteriori sostanze hene definite, abbiamo trovato assai vantaggioso trasformarla in sali di rame coll’ idrato rameico preparato col metodo del Heintz (ì), da quantità volute di soi- fato di rame ed idrato di bario. Trattando la soluzione acquosa della detta gomma con questo preparato si ottiene un filtrato azzurro, che venne portato a secco a b. m. ed indi bollito con alcool assoluto. L’ alcool asporta alcune materie resinose, che non abbiamo ulteriormente studiato, e lascia indisciolto un prodotto solido azzurro verdastro incompletamente solubile nell’ acqua. Togliendo il rame coll’ idrogeno solforato e concen- trando il filtrato, si ottiene un residuo che da principio è ancora sciropposo, ma che non tarda a cristallizzare. I cristalli purificati dell’ acqua fondevano fra 240 e 244°, ma in fine ci fu possibile ottenere dalle acque madri |’ acido iminopropionico fusibile a 235°. La porzione a è formata dunque oltre che dall’ amide fusibile a 210°, da una ma- teria gommosa la quale per saponificazione con barite dà, con forte svolgimento d’am- moniaca, segnatamente un miscuglio dei due acidi a-iminopropionici e di alanina. In quale stato tali corpi sieno contenuti nel prodotto primitivo non lo possiamo dire, forse diamidi dei primi e dell’ amide dell’ ultima. La porzione b. Le sostanze che nel trattamento con etere della frazione 5 riman- gono sciolte nel liquido alcoolico etereo, costituiscono dopo svaporato il solvente un residuo sciropposo che stando nel vuoto dimostra tendenza a cristallizzare. Senza tener conto di ciò esso venne bollito a ricadere con benzolo, in cui a poco a poco si va sciogliendo per la maggior parte; ciò che resta indietro (circa un quarto del tutto) è una materia resinosa. L’ estratto benzolico, sciropposo da principio, dopo qualche tempo cristallizza parzialmente in modo da poter separare alla pompa la parte cri- stallina da quella sciropposa. (1) Liebigs Annalen der Chemie vol. 198 pag. 49. Bro La prima, purificata dall’ etere acetico e dal benzolo, si presenta da principio in pagliette gialle, che coll’ ulteriore purificazione assumono l’aspetto di aghi o prismi senza colore, che fondono a 186°. Il nuovo composto ha la formola CH N50 AMANI Sostanza 0,1799 gr.; CO, 0,3348 gr.; H,0 0,1196 gr. Sostanza 0,2062 gr. azoto, misurato a 27° e 756 mm., 37,2 c. c. INEAI0IO partie: trovato calcolato per C,H,,0N C 50,75 — 50,70 vel 1,90) — 7,04 N — 19,80 OZ Esso è neutro; solubile nell’ acqua, nell’ etere, nell’ alcool ed a caldo nell’ etere ace- tico e meno nel benzolo. Da 63,5 gr. si ebbero 4,5 gr. di prodotto puro. Il nuovo composto come s° è accennato nella introduzione, è da considerarsi come l’imide dell’acido a-iminopropionico fusibile a 235°, CH, CEE CH —NH—CH | CO —NH—- 00, perchè per ebollizione con barite si trasforma facilmente e completamente nell’ acido fusibile a 235°. Il trattamento venne fatto su di 1 gr. di imide in 10 d’acqua ed una soluzione di 5 gr. di barite in 50 d’acqua. Durante 1 ebollizione si svolge am- moniaca e si separa il caratteristico sale baritico neutro. Diluendo con altri 300 gr. di acqua e boliendo ulteriormente esso passa in soluzione, da cui per aggiunta di acido solforico in quantità voluta e concentrazione del filtrato si ebbe 1’ acido in forma di prismetti riuniti, dal punto di fusione 235°. Analisi: Sostanza 0,1798 gr.; CO, 0,2947 gr.; 4,0 0,1126 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,H,;0,NN de —_—__ ls — __T——_ _ C 44,70 44,72 H 6,96 6,84 Scaldando l’ amide fusibile a 210° alla sua temperatura di fusione fino che cessa l’effervescenza, si ottiene una massa giallastra, da cui per ebollizione con etere acetico cpr #90) ir sì estrae l’imide fusibile a 186°; la parte che resta indietro è amorfa e non venne studiata per ora. La parte sciropposa suaccennata della frazione d, da cui venne separata 1’ imide ora descritta (40,45 gr.), venne anche questa volta trattata con barite perchè diret- tamente non decifrabile. L’ operazione venne eseguita come per le gomme della por- zione a. Il prodotto liberato dalla barite, contiene rilevanti quantità d’ acido acetico, proveniente dall’ ammonialdeide (che lo conteneva forse allo stato d’ acetato ammonico), e portato a secco a b. m. ha l’aspetto sciropposo; non accennava a. cristallizzare. Anche qui condusse a buon fine il trattamento coll’ idrato rameico, preparato col me- todo di Heintz. Il sale rameico ottenuto, purificato dall’ alcool e liberato dal rame con idrogeno solforato, dette per evaporamento un residuo sciropposo, che però per ag- giunta d’ un po’ d’alcool si solidificò completamente. Purificandolo dall’ acqua si ebbe un prodotto che fondeva a 248°, formato evidentemente in prevalenza dali’ acido «a- iminopropionico della frazione A. Anche in questo caso non potemmo decidere in quale forma esso sia stato presente nel prodotto esaminato. 2. Esperienze all’ oscuro. L'esperienza fatta all’ oscuro, che ordinariamente noi non tralasciamo di eseguire allo scopo di controllo, ha nel caso attuale un rilevante interesse perchè, come s° è detto nell’ introduzione, la reazione fra l’ammonialdeide e l’ acido cianidrico avviene tanto alla luce che all’ oscuro qualitativamente nello stesso modo. La differenza, come ora si vedrà, consiste nei rapporti quantitativi. Noi abbiamo conservato all’ oscuro per circa 6 mesi (dal 18, V al 20, XI) due matracci contenenti ciascuno 70 gr. di ammonialdeide ed 1 litro di acido cianidrico al 3 peto. Il prodotto è un liquido bruno nerastro, che contiene in sospensione della materia carboniosa; ha odore d’ammoniaca, ma non di acido prussico. L’ ulteriore trattamento venne fatto come pel prodotto ottenuto alla luce. Dopo di avere decolorato il liquido con nero animale si passò alla prima separazione con l’ alcool assoluto. La massa resiste qui maggiormente all’ azione del solvente e richiede una ebollizione pro- lungata per due o tre giorni. La frazione A non è inferiore a quella ottenuta alla luce, ma ha una composi- zione quantitativa assai diversa. Come s'è visto, allora essa risultò formata principal- mente dall’amide fusibile a 232°, che si potè separare colla massima facilità per di- retta cristallizzazione dall’acqua. Il prodotto ottenuto al buio contiene invece la detta amide in quantità così esigua che non ci fu possibile separarne neppure un grammo per diretto trattamento con acqua; tutta la frazione A corrisponde in questo caso a quella parte che, operando alla luce, è contenuta nelle acque madri dopo la separa- zione della amide 232°. Concentrando la soluzione acquosa della intera frazione A, il liquido ad un certo punto si rapprende in una massa cristallina bianca, formata da finissimi aghi; per separare le singole sostanze in essa contenute abbiamo dovuto ri- Ro o correre ad un lungo e paziente lavoro di frazionamento dell’ alcool diluito. Così facendo siamo riusciti a stento ad ottenere (dai due matracci soltanto 7 gr.), come meno so- lubile, l’amide dal punto di frazione 232°. In quantità relativamente maggiore si presenta invece in questo caso l’ amide fu- sibile a 210°, che riuscimmo ad avere cristallizzata in prismetti raggruppati a stella della nota composizione : C,H,,0,N, + 144,0 TOTI Analisi: Sostanza 0,1482 gr.; CO, 0,2092 gr.; H,0 0,1162 gr. Sostanza 0,1867 gr.; azoto, misurato a 15° e 770 mm., 23,4 c.c. In 100 parti: trovato calcolato per C,H,,0,N,+1!4H,0 CT _— e — C 38,49 Za 38,50 H 8.71 DE 8.02 N pred 14,88 14,97 Dalle ultime acque madri come più solubile si ebbe in fine 1’ alarina. La frazione B è per quantità assai inferiore a quella ottenuta alla luce. Venne anche qui trattata in soluzione alcoolica con etere anidro ed il precipitato caseoso formatosi, sottoposto allo stesso processo. Esso è deliquescente e lo sciroppo a cui dà origine dopo un riposo di 10 giorni cristallizza in parte. La sostanza cristallina (dai LS due matracci se ne ebbe soltanto 4,2 gr.), anche operando al buio, è costituita dal- l’amide fusibile a 210°. La maggior parte del prodotto corrisponde alle gomme che furono già descritte a proposito delle esperienze fatte alla luce. Senza insistere ulteriormente nella descrizione del processo seguito, crediamo suffi- ciente comparare nel seguente specchietto i risultati ottenuti alla luce ed all’ oscuro. Noi riportiamo qui soltanto le medie delle 6 esperienze eseguite alla luce, mettendole in relazione con quelle che risultarono dalle due esperienze fatte all’ oscuro. Frazione A Frazione B Medie Prodotto 9 delle TR Porzione 4 : esperienze JI i i Amide 232 2 * Porzione db eseguite totale Complessiva | separata | Complessiva SR Qaplsta sti gio direttamente Amide 210 gommose alla luce | 79,6 gr. 13,6 gr. OMRON 59,3 gr. 9, 0fgr. 23,5 gr. | 10, 6 gr. all’oscuro| 60,7 gr. 19,9 gr. = 36,7 gr. 2,1 gr. 24,25 gr. | $,4 gr. Da questo specchietto risulta anzitutto che all’oscuro la quantità assoluta di pro- dotto è minore di circa un quarto; le quantità della frazione A si corrispondono, = mentre invece la frazione B è all’ oscuro assai inferiore, ciò forse dipende anche dalla circostanza che nella lavorazione del prodotto ottenuto all’oscuro, la parte maggiore dell’ amide fusibile 210° passa nella frazione A. Quello che apparisce più evidente è la esigua quantità dei prodotti cristallini che si ottiene operando senza l’ intervento della luce e parrebbe inoltre che l’insolazione favorisse segnatamente la formazione dell’ amide fusibile a 232°. Si potrebbe però pensare che per azione della luce 1’ amide dal punto di fusione più basso si trasformasse in quella che fonde a temperatura più alta; su ciò stiamo appunto eseguendo delle esperienze che speriamo potranno risolvere la questione. 3. Svaporando a bagno maria. Dopo quanto è stato succintamente detto nella introduzione, appariva indispensabile ripetere le esperienze di Erlenmeyer e Passavant per stabilire quale sia o quali siano i prodotti della saponificazione dell’ a-iminopropionitrile descritto da questi au- tori. Essi ottennero tanto coll’ acido cloridrico che con la barite un acido amorfo, di cui analizzarono i sali di bario e di calcio amorfi essi pure (1). È assai strano che le loro analisi sieno concordanti, perchè, come si vedrà, nella saponificazione dell’ a- iminopropionitrile si forma anche alanina. I dati di Erlenmeyer e Passavant, non hanno però più che un interesse storico e sono da eliminarsi dalla letteratura. Per preparare il detto nitrile abbiamo preferito seguire il metodo di Strecker, che come dimostrarono Erlenmeyer e Passavant conduce facilmente al prodotto voluto (2). Svaporando a b. m. quantità equimolecolari di ammonialdeide e di acido cianidrico in soluzione di circa il 12 p.cto fino a consistenza sciropposa si ottenne un prodotto che a freddo si solidifica in gran parte. Il rendimento in materia cristallina dipende a quanto pare assai dalla purezza dell’ ammonialdeide impiegata. Senza tener conto della parte cristallina, anzi senza attendere che lo sciroppo si solidifichi, lo ab- biamo ripreso alcune volte con etere. L’ estratto cristallizza quasi subito parzialmente e per separare il nitrile solido dalla parte oleosa, di cui diremo più avanti, abbiamo raffreddato il tutto con ghiaccio e filtrato su imbuto del pari raffreddato a zero. L’iminopropionitrile greggio così ottenuto, torchiato fra carta e cristallizzato dall’ etere, ci dette facilmente un prodotto puro, fusibile a 68°, come indicano gli autori citati. La saponificazione dell’ a-iminopropionitrile, tanto con acido cloridrico, che con barite, non procede, come s’ è accennato più sopra, in modo netto. Si elimina sempre in parte acido cianidrico con formazione di alanina ed aldeide, la quale si modifica poi ulte- riormente per suo conto dando origine a prodotti di condensazione, che inquinano il prodotto principale. Verisimilmente si può ammettere che in via intermedia si formi (1) Liebigs Annalen der Chemie vol. 200, pag. 129. (2) Ibid. ibid., p. 137. Serie VI. — Tomo IV. 4 il composto ossidrilato, CH. CH. CH. ad toe CR CH, CRIINETSIOH IMOLA, CHO, CN OH COOH che per idrolisi darebbe poi origine all’ alanina ed all’ aldeide acetica. Noi abbiamo preferito saponificare con barite, visto che l’ acido cloridrico non dava ‘risultati migliori ed abbiamo ordinariamente impiegato per ogni 10 gr. di ni- trile, 40 gr. di idrato di bario cristallizzato e 600 c. c. di acqua. Durante 1° ebolli- lizione 11 liquido si colora in giallo e l’ ammoniaca che si svolge trascina con se dei composti aldeidici di odore sgradevole, che ricorda quello dell’ aldeide crotonica. Ces- sato lo sviluppo d’ammoniaca, il liquido venne saturato a caldo con anidride carbonica; durante questo processo si libera l’ acido cianidrico, che, per la reazione secondaria suindicata, si trovava nella soluzione allo stato di cianuro di bario. Il liquido filtrato dal carbonato baritico dà per svaporamento un residuo brunastro gommoso, che Er- = gr — lenmeyere Passavant analizzarono direttamente, considerandolo sostanza unica, Esso contiene invece, oltre al sale baritico dell’ acido iminopropionico, rilevanti quantità di alanina. Per procedere ad una prima separazione, abbiamo decolorato il prodotto greggio con nero animale e lo sciroppo riottenuto estratto a caldo con alcool diluito. Così sì asporta gran parte dell’ alanina, che però contiene a sua volta del sale baritico. Pu- rificata dall’ acqua e poi dall’alcool allungato, la si ebbe allo stato puro dal punto di fusione 273°. Analisi: Sostanza 0,2133 gr.; CO, 0,3150 gr.; 4,0 0,1527 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,4,0,N Ù 40,280 40,45 El 1,95 7,86 Il sale baritico greggio rimasto indietro e che nel trattamento con alcool allun- gato era divenuto cristallino, venne senz’ altro sciolto in acqua, in cui non è più tanto solubile, ed alla soluzione aggiunto quel tanto d’ acido solforico necessario per togliere tutto il bario. Il liquido filtrato dal solfato baritico, dà per svaporamento un residuo che tosto cristallizza e che tolto dall’ acqua madre fonde subito a 240°. Il punto di fusione stenta assai ad innalzarsi ulteriormente, ma dopo una serie di cri- stallizzazioni dall’ acqua, ottenemmo i prismi dell’ acido a-iminopropionico fusibili a 254-255°. La sostanza è di certo identica all’ acido avuto dall’ amide 232°, perchè mescolando i due prodotti il punto di fusione non si altera. O Analisi: Sostanza 0,1962 gr.; CO, 0,3226 gr.; 4,0 0,1218 gr. Sostanza 0,1972 gr.; azoto, misurato a 10° e 756 mm., 14,8 c. c. In 100 parti: trovato calcolato per C,H,,0,N C 44,84 — 44,72 ; H 6,89 — 6,83 N — 8,95 8,70 Restava ora a vedersi ciò che, oltre all’ alanina, era contenuto nelle acque madri da cui si separarono i cristalli ora descritti. Per togliere dal prodotto 1’ alanina ab- biamo pensato di ricorrere al trattamento con cloruro di benzoile, sapendosi che i nostri acidi non danno composti benzoilici mentre 1° alanina reagisce facilmente con questo reattivo. Seguendo il metodo di E. Fischer tutto il prodotto ricavato dalle acque madri venne agitato in presenza di bicarbonato sodico con cloruro di benzoile, Il liquido filtrato ed acidificato con acido cloridrico dà un’ abbondante precipitato, da cui si potè facilmente estrarre con etere petrolico la benzoilalanina dal punto di fusione 163° (1). La soluzione cloridrica venne prima esaurita con etere per togliervi le ultime tracce d’ acido benzoico e poi concentrata ; essa contiene ora, a canto al cloruro sodico, il cloridrato dell’ acido iminopropionico. Il primo si separa in gran parte per la con- centrazione, ma per eliminarlo del tutto, si portò a secco e si estrasse il residuo con alcool assoluto. La parte solubile venne in soluzione acquosa trattata con ossido d’ ar- gento ed il liquido filtrato, liberato dall’ argento con idrogeno solforato, finalmente svaporato a b. m. Il residuo è uno sciroppo che non ha tendenza a cristallizzare — da cui si apprende quanto sia difficile il lavoro con questi corpi e quanto sia indi- cato il premunirsi nelle conclusioni — sebbene contenga, come si vedrà, notevoli quan- tità dell’ acido che fonde a 255°. Anche qui condusse a buon fine il trattamento con idrato rameico. La soluzione acquosa del detto sciroppo dà col preparato di Heintz un liquido azzurro. Portato a secco e ripreso a caldo con alcool assoluto, quest’ ultimo estrae una sostanza verdastra gommosa, da cui non si poterono ottenere sostanze cri- stalline. Il residuo è un bel sale colorato in azzurro intenso dai riflessi violacei, che si scioglie bene nell’ acqua collo stesso colore. Tolto il rame con idrogeno solforato e concentrata la soluzione, si ebbe questa volta subito un prodotto solido, dal punto di fusione 240°, da cui per ulteriore cristallizzazione dall'acqua si ottenne 1’ acido dal punto di fusione 254-250°. (1) Vedi E. Fischer, Berichte 32, pag. 2454. 28 — Dalle acque madri non ci fu possibile avere altre sostanze e però ci sembra lecito concludere che all’ a-iminopropionitrile fusibile a 68°, corrisponde l° acido «-imino- propionico fusibile a 255°. Certamente, in vista delle enormi difficoltà che si incon- trano nella separazione di questi corpi, non si può del tutto escludere la possibilità che nel prodotto di saponificazione del detto nitrile siano presenti anche piccole quan- tità dell’ acido che fonde a 235°; per risolvere in modo assoluto la questione biso- gnerebbe fare delle ulteriori ricerche, che non abbiamo creduto opportuno di eseguire, perchè la cosa non ci è sembrata meritevole di tanto interesse. Infine abbiamo voluto esaminare se nella parte oleosa del prodotto dell’ azione dell’ acido cianidrico sulla ammonialdeide a b. m. fosse forse contenuto, oltre al nitrile dell’ alanina ed al iminopropionitrile corrispondente all’ acido iminopropionico fusibile a 255°, in quantità apprezzabile 1° altro isomero, corrispondente all’ acido che fonde 35°. Per questa parte della ricerca ci furono utili le recenti esperienze di Delé- pine (1). Tutto il prodotto oleoso (204 gr.) venne sottoposto ad .vina distillazione frazionata alla pressione ridotta di 18 mm. Sebbene il miscuglio non distilli del tutto SCE inalterato pure la scomposizione non è rilevante. Furono separate le seguenti frazioni, che corrispondono a quelle avute dal citato autore. Da 45 ai 55° — 33 gr. >» 55 ai 95° — 77 gr. » 95 ai 150° — 66,5 gQr., il residuo si solidifica ed è formato dal nitrile già esaminato. Le prime porzioni con- tengono invece, come lo dimostrò Delépine il nitrile dell’ alanina, il di cui punto d’ ebollizione è intorno ai 62°. Delépine trovò a 20 mm. €8-73°. Noi abbiamo voluto esaminare il contegno della terza porzione, che secondo Delèé pine è un miscu- glio di aminopropionitrile e d° iminopropionitrile; la sua porzione corrispondente, a 20 mm., passava a 110-125°. Questa frazione venne saponificata con barite nei modo ora descritto per 1° iminopropionitrile, ottenendosi dal sale baritico un miscuglio di acidi in forma d° uno sciroppo brunastro. L° ulteriore trattamento fu del pari il mede- simo. Lo sciroppo venne sottoposto all’ azione del cloruro di benzoile per togliervi tutta l’ alanina ed infine trasformato in sale rameico. Questo, estratto con 1’ alcool assoluto, dette il solito sale azzurro, da cui coll’ idrogeno solforato si ebbe l° acido fusibile a 255°. Per azione dell’ acido cianidrico sull’'ammomialdeide a b. m. non sì forma dunque in quantità apprezzabile il nitrile corrispondente all’ acido fusibile a 235°, almeno entro i limiti da noì osservati. (1) Bull. Soc, chim. de Paris, vol. 29, pag. 1184 (1902). è ta — bb. es @ Dore —— in è n = 99 — 4. Finale. Le esperienze che abbiamo descritto nei precedenti capitoli insegnano che l’° azione lenta dell’ acido cianidrico diluito (3 p.cto) sull’ ammoniaideide dà risultati assai diversi da quelli che si possono conseguire operando rapidamente a caldo ed in soluzione concentrata. L’ azione lenta è più inoltrata e ricca di maggiori particolari. In luogo dei soli nitrili, si formano le amidi e gli acidi: cioè si hanno come prodotti cri- stallini segnatamente 1° alanina libera e le monoamidi dei due acidi a-iminopro- pionici. Ma per ottenere risultati migliori conviene agevolare il processo col concorso della luce. Il risultato più importante di questi siudi è quello d’ avere potuto ottenere i due acidi a-iminopropionici isomeri; noi li vogliamo ora distinguere colle lettere A e B e chiamare acido A a-iminopropionico quello che fonde a 255° ed acido B &a-iminopro- pionico quello fusibile a 235°. Non sarà inutile, crediamo, riunire in uno specchio le proprietà più salienti di questi due acidi e dei loro derivati. Composti Acido A «-iminopropionico Acido B «-iminopropionico Acido |P. f. 254-255° p. f. 234-235° Sale baritico acido aghetti raggruppati - gommoso Sale baritico neutro solubile nell'acqua fredda insolubile nell'acqua fredda Composto argentico C5H,004N- Ag + AgNOz 2C:Hx504N- Ag + AgNO, Sale biargentico precipitato amorfo gelatinoso precipitato amorfo polverulento Etere dietilico p. eb. 123-124° a 15 mm. p. eb. 121-122° a 15 mm.; p. f. — 5° Composto nitrosilico dell’etere p. eb. 177° a 18 mm. p. eb. 163-164° a 17 mm. Monoamide C:H90N,; p..f. 232° Col<03N +1%/,H;0;. p. f. 210° Imide — -_. p- f. 186° Nitrile | p. f.. 68° = I due acidi devono avere la stessa costituzione e sono però da considerarsi stereo- isomeri, essi naturalmente non hanno potere rotatorio, ne possono averlo; la loro isomeria corrisponde, come s’ è già detto, a quella degli acidi racemico e mesotartrico, perchè contengono come questi due atomi di carbonio asimmetrici uguali tra di loro. Per risolvere la questione quale dei due acidi sia il racemico e quale l’ inattivo, biso- gnerebbe tentare lo sdoppiamento, ciò che, seguendo le norme trovate da E. Fischer per gli acidi amidati, potrà farsi crediamo agevolmente per mezzo degli eteri. Questo ci proponiamo di fare in seguito ; però fino d’ ora ci sembra possibile dire qualche cosa in proposito. Confrontando i nostri due acidi con quelli tartarici e ricordando che il racemico ha il punto di fusione più elevato, 205-206,° del mesotartrico, 140-143°, vien fatto di supporre che l’ acido A a-iminopropionico sia il racemico e l'altro l° inat- tivo. Con ciò concorderebbe la minore solubilità del primo, che si ripete pure nella sua amide. Ro) pet Volendo dare forma a questa supposizione le configurazioni dei due acidi in pro- iezione sarebbero p. es. le seguenti : DeL CeUs dir Ca, HT-CT-NH_-CT-H HT-CT-NH—-C—- H. COOH CI, COOH COOH acido A-iminopropionico acido 5-iminopropionico Quelle delle due corrispondenti monoamidi di conseguenza p. es. CH, COOH CH CH, 3 3 | | H-CT-NH_-CT-H e H-CT-NH-C-4JH | | | CONH, CH, CONH, COOH ; ande nipoti i2828 amide p. f. 210° qui però c'è da osservare, che non essendo più in queste ultime i due atomi di car- bonio asimmetrici uguali tra di loro, le due forme devono essere entrambe racemiche, cioè sdoppiabili, Finalmente Il imide corrispondente all’ acido B-iminopropionico e però anche all’ a- mide fusibile a 210°, verrebbe, sempre secondo la supposizione fatta da principio, ad avere la seguente configurazione CH CH, | 3 | 3 HT-C —NH—-CT_-H CHT-NH— CO e sarebbe però, al pari dell’ acido a cui si riferisce, inattiva. Dei due acidi quello indicato con 8, dovrebbe essere, per più ragioni, il meno stabile, e con ciò starebbe in buon accordo il fatto che esso non potè essere ottenuto che per azioni lente a temperatura ordinaria. Se la luce tende, come vorrebbe parere, a trasformarlo nell’ altro isomero per ora non lo possiamo affermare con sicurezza ; questo speriamo potranno risolvere le esperienze che, come si disse, ora stiamo facendo. Per ultimo, quale appendice a quanto abbiamo esposio ora intorno all’ azione del- l’acido cianidrico sulla ammonialdeide, vorremmo aggiungere poche parole sull’ azione dell’ acido cianidrico sulla isovalerammonialdeide. Noi abbiamo esposto alla luce per quasi un anno intero (dal 20, VI, 1905 al 17, V, 1906) complessivamente 150 gr. del composto ammoniacale dell’ isovaleraldeide in 1300 c. c. di soluzione d’ acido prus- sico a circa il 3 peto. Anche dopo una così lunga insolazione il detto composto non si scioglie nel liquido acquoso ; il prodotto è formato però da un olio brunastro, che PA nu 9] surnuota sopra il liquido acquoso bruno nerastro esso pure e contenente in sospensione della materia carboniosa. Ha l’ odore dell’ aldeide e di ammoniaca, ma non quello del- l'acido cianidrico. Essendovi presente ancora della sostanza primitiva, tutto l’ assieme venne distillato con vapore acqueo; passa un olio più leggiero dell’acqua ed il liquido ha, per am- moniaca libera, marcata reazione alcalina. La parte oleosa dopo qualche tempo co- mincia a mettere cristalli, in seguito al riformarsi del composto ammoniacale del- l’aldeide isovalerianica. Il residuo della distillazione contiene in sospensione una notevole quantità di ma- teria nera peciosa, che venne tolta per filtrazione; il liquido rossobrunastro che per concentrazione dà dell’ altra materia resinosa, venne portato a secco. Riprendendo con acqua, la resina resta indietro e la parte disciolta, in conveniente concentrazione, inco- mincia a cristallizzare. Però la quantità di materia cristallina era assai esigua: posta su piastra porosa per liberarla dalla parte oleosa, non pesava che 2 gr. Lavata con alcool e purificata dall’ acqua, questa sostanza cristallizza in mamelloncini bianchi, ma in vista delle difficoltà che tali ricerche presentano, non abbiamo creduto opportuno di proseguire nell’ esame. Il rendimento era troppo scarso per permettere uno studio anche superficiale della reazione. Pare dunque che in questo, come in tanti altri casi analoghi, il processo che si compie abbondantemente nei primi termini della serie, diventi assai tardo in quelli più elevati. Per ottenere rendimenti maggiori sarebbe forse bastato ricorrere a temperature elevate, ma naturalmente ciò ci avrebbe condotto fuori dei limiti che avevamo imposto ai nostri studi. Noi non cerchiamo le reazioni forzate, ma quelle che spontaneamente si com- piono, perchè soltanto queste a nostro avviso possono servire di avviamento allo studio di quei fenomeni che interessano la fisiologia vegetale ed a cui noi intendiamo di accostarci. Acido cianidrico ed acetone. Lo scopo della presente ricerca era quello di vedere se per azione della luce la reazione fra queste due sostanze andasse oltre alla formazione della cianidrina e dei suoi derivati immediati. Come s’° è detto nella prefazione, la luce determina qui un complicato processo, per cui, assieme a sostanze amorfe e gommose che non siamo riu- sciti ancora a decifrare, si producono i seguenti composti. In quantità meno rilevanti: 1’ acido osstisobutirrico (acetonico) e la sua amide o 9 — In quantità prevalente l’acetonilurea di Urech ed il corrispondente acido a-ami- noisobutirrico. CLIO dei, CE, 7 i NY CT NH e C. NH, Î } CO Î COT— NH COOH ed inoltre poco abbondantemente, ossalato ammonico. La formazione dei due primi si intende senz’ altro, essi sono i successivi prodotti di idrolisi dell’ acetoncianidrina; meno facile a comprendere ed a prevedersi è invece la sintesi dei secondi. L'acido ossalico era già stato notato fra i prodotti di decom- posizione dell’ acido cianidrico alla luce. L’ acetonilurea o meglio dimetilidantoina è stata ottenuta per la prima volta dall’ Urech (1) facendo agire sull’ acetone il cianuro po- tassico contenente dei cianato in presenza d’acido cloridrico, mentre col cianuro puro non si forma che l’acido acetonico e la diacetoncianidrina. Lo stesso autore i ebbe poi ancora per azione del cianato potassico sull’ acido a-aminoisobutirrico. La sintesi dell’ acetonilurea dall’ acetone con gli acidi cianico e cianidrico è espressa evidentemente dall’ equazione di Urech C,H,0 + CNH+ CNOH= 6,H,0,N,. Per intendere la formazione di questo composto dall’ acetone ed acido cianidrico puro, bisogna invece ammettere che la luce determini un processo di ossidazione © meglio di disidrogenazione, che sarebbe rappresentabile con lo schema : C,Hy0 + 2CNH + LIO, = CHHROSNE -—- (Er, \ acetone acetonilurea il quale processo di disidrogenazione bisogna invocare anche per poter spiegare la sintesi dell’ ossalato ammonico : 2CNH + 4H,0 = CRFROBNA deb ossalato ammonico Che la luce determini simili processi di disidrogenazione non è senza esempio, ma quasi sempre riesce difficile a rendersi ragione del modo in cui l’ idrogeno (che natu- ralmente non si libera) viene impiegato ed assorbito dall’ insieme della reazione. In questo caso forse potrebbe ammettersi, che l’ idrogeno venga tolto dall’ acetone e noi non pos- siamo certamente escludere che fra i prodotti della reazione non sia stato presente l’alcool isopropilico o il pinacone. Spiegata o per dir meglio resa meno oscura la formazione dell’ acetonilurea, appa- (1) Liebigs Annalen der Chemie vol. 164, pag. 255 (1872). —v reo bel Gio a risce assai. probabile che quella dell’acido aminoisobutirrico sia dovuta all’ idrolisi dell’ urea CHOMOLIE, CHE CO NA N C—- NH \. € DEL, | vale oe sa de crao CO— NH È COOH i Comunque siano da interpretarsi questi processi, apparisce senza dubbio interessante il fatto, che per azione della luce l’acetone con l’ acido cianidrico in soluzione diluita dia origine ad un’ aminoacido; si sarebbe tentati a pensare che a simili processi sien dovute le sintesi degli aminoacidi nelle piante, perchè sovente si riscontra in esse la presenza d’acido cianidrico libero. Giova però riflettere per non lasciarsi sedurre da questo concetto, che, come s° è detto nella prefazione, le aldeidi, e sono sostanze ben più importanti dell’acetone per la vita vegetale, si mostrano assai indifferenti. Che simili processi possano compiersi nelle piante forse anche con l’aiuto di enzimi, non è da escludersi, ma noi non abbiamo ancora sufficienti ragioni per ammetterlo. Certamente apparisce necessario lo studio di altre aldeide e segnatamente di quelle appartenenti alla serie del gliossale. Noi crediamo che nel caso nostro la ragione del fenomeno sia da ricercarsi nella, certamente non spiegabile, tendenza dell’ acetone a dare il composto ureico; la luce col favorire la disidrogenazione, rende possibile la sintesi di esso anche col solo acido cianidrico. Oltre ai composti cristallini ora accennati, per azione dell’ acido prussico sull’ ace- tone in presenza della }Juce, si producono in quantità prevalenti, sostanze gommose molto solubili nell’acqua, anzi addirittura deliquescenti, che in soluzione acquosa danno intensamente la reazione del biureto colla potassa ed il solfato di rame. Non vogliamo nascondere che da principio questi corpi hanno attirato in alto grado la nostra atten- zione, perchè speravamo che si trattasse di prodotti condensati, che; data la loro ori- gine, per le proprietà fisiche ed il contegno chimico, avrebbero potuto essere di assai notevole interesse. Queste sostanze gommose almeno in parte danno per idrolisi con gli acidi diluiti, colla massima facilità, l’ acido aminoisobutirrico. Ma per quanto sì fosse insistito nella loro purificazione, il peso molecolare di queste sostanze si mantenne basso e tale da escludere quella complessità molecolare che da principio credevamo doversi presupporre. Del resto anche gli studi fatti quasi contemporaneamente sui prodotti del- l’azione dell’acido cianidrico sull’ammonialdeide e precedentemente descritti, ci inse- gnarono che l’ aspetto gommoso può molto spesso trarre in inganno e non dà nessun criterio per giudicare della natura dei corpi che si stanno esaminando. Che i prodotti ora menzionati sieno dovuti all’ insolazione lo provò in questo caso l’esperienza fatta all’ oscuro. Conservando al buio per 5 mesi, una soluzione acquosa di 20 gr. d’acetone in 230 c. c. d’acido cianidrico al 4 pcto, il liquido rimane sco- lorato; concentrandone una porzione a b. m., resta indietro un liquido incoloro lieve- mente acido, che scaldato sulla lamina di platino brucia con fiamma azzurrognola senza Serie VI. — Tomo IV. 5) ste age lasciare residuo. Tutto il prodotto venne dopo ciò estratto con etere, seccato con sol- fato sodico anidro e distillato. Esso passa dai 40° a 130° ed il distillato ha 1’ odore soffocante dell’ acido cianidrico e dell’acetone. Evidentemente s° era formata in parte l’acetoncianidrina, che Urech ebbe analogamente dall’ acetone con acido prussico anidro. Questo autore asserisce inoltre che anche a 100° il risultato non è essenzialmente diverso (1). È strano che l’azione dell’ acido cianidrico diluito sull’acetone alla luce, venga impedita anche da piccole quantità di acidi minerali. Esponendo al sole dal 5, VI(1905) fino al 17, III (1906) una soluzione di 60 gr. d’ acetone in circa 1 litro d’acido cia- nidrico al 3 pceto, contenente 1 c. c. d’ acido solforico al 20 pcto, il liquido si man- tiene quasi incoloro. Concentrandolo nel vuoto passa tutto l’ acetone e 1’ acido prussico e non rimane che un piccolo residuo di circa 2 gr. contenente, oltre all’ acido solfo- rico, un po di solfato ammonico e di materia organica (acido acetonico ?). Esposizione particolareggiata delle esperienze. Vennero esposti alla luce in più riprese durante i mesi estivo autunnali in ma- tracci chiusi alla lampada in complesso circa 500 gr. d’acetone in circa 7 % litri di acido prussico dal 3 al 4 peto di concentrazione. L'acido prussico era stato in parte preparato da noi in parte proveniva da Kahlbaum. Durante 1° insolazione il liquido si colora in bruno fino ad assumere un colore quasi nero con deposito carbonioso. È da notarsi che il rendimento sta in relazione coll’annerimento del liquido; in alcune espe- rienze, forse perchè l'acido cianidrico impiegato conteneva tracce di acido solforico, il liquido stentò a colorarsi e la quantità di prodotto fu assai scarsa. Dopo 1’ insola- zione, se l’ operazione è ben riuscita, il liquido contiene poca cianidrina e svaporato direttamente dà un grosso residuo nero, pecioso, semisolido. L'elaborazione del prodotto fu eseguita nel seguente modo. Il contenuto d’ogni ma- traccio, concentrato alquanto a b. m. per eliminare l’ acido prussico rimasto inalterato, venne allungato coll’ egual volume d’acqua ed agitato a lieve calore con un buon nero animale per mezzo dell’ agitatore di Plancher, mosso da un piccolo motore a gaz. Filtrando dal carbone animale, si ottiene una soluzione appena colorata, che per con- centrazione nel vuoto a b. m. dà un residuo sciropposo a caldo, che a freddo si rap- prende in una massa gelatinosa. Nelle operazioni ben riuscite, da p. es. 175 gr. di acetone si ebbero 134,8 gr. di questo prodotto greggio; se invece l’ annerimento del liquido era stato ritardato, il prodotto risultò più scarso cioè p. es. da 120 gr. di acetone soltanto 60 gr. di residuo gelatinoso. Il primo trattamento della massa greggia conviene farlo con alcool metilico; in questo modo si elimina buona parte dell’ ossalato ammonico. Scaldando il prodotto greggio a b. m. con il doppio o triplo volume d’ alcool metilico, tutto passa in soluzione al- (1) e. pag. 256. — 35 — l’infuori di un piccolo residuo; p. es. partendo da 250 gr. di acetone, > gr.; questo residuo insolubile nell’ alcool metilico, che contiene un po’ di nero animale e di silice, purificato dall’ acqua, ci dette aghi lunghi, incolori che si scomponevano a 255°, i quali furono riconosciuti per ossalato d’ ammonio. Analisi: Sostanza 0,1692 gr.; CO, 0,1042 gr.; 4,0 0,1122 gr. Sostanza 0,0974 gr.; azoto, misurato a 15° e 768 mm., 16,4 c.c. In 100 parti: trovato calcolato per C,H,0,N, + H,0 E = Ls — — te - C 16,19 16,90 H DST 7,04 N 19,94 TOSZI Per procedere alla separazione delle singole sostanze contenute nella soluzione me- tilica, questa venne da prima portata a secco e la massa gelatinosa che resta indietro, in adeguata diluizione acquosa, dibattuta con un agitatore meccanico circa 20 volte con etere acetico. Questo scioglie molto meglio dell’ etere ordinario l’ acetonilurea ed è però più conveniente. Tutio il prodotto resta così diviso in due parti, nella frazione eterea (A) ed in quella acquosa (2). A. Le sostanze solubili nell’ etere acetico. x L’ estratto ottenuto con questo solvente, seccato completamente nel vuoto, è una massa prevalentemente cristallina, alquanto colorata in bruno. Da 280 gr. di acetone se ne ebbero 45 gr. Essa venne anzitutto ripresa con acqua e decolorata nuovamente con nero animale ; il liquido incoloro che ne risulta, dà per concentrazione una ma- teria cristallina, la quale purificata sistematicamente dall’ acqua fonde circa a 170°, per ulteriore cristallizzazione dall’ etere acetico si hanno grossi prismi senza colore, che fondono a 174°. Questo composto ha tutte le proprietà dell’ acetonilurea, come venne descritta dagli autori che ebbero ad occuparsene (1). Analisti: Sostanza 0,1950 gr.; CO, 0,3334 gr,; 4,0 0,1168 gr. Sostanza 0,0974 gr.; azoto, misurato a 13° e 756 imm.,. 18,2 c.c. In 100 parti: trovato calcolato per C,H4,0,N, _-T i —Tt_ gg —_—_ ___ gn — leon C 46,62 -- 46,87 H 6,65 —_ 6,29 N — ZARE 21,88 (1) Vedi Urech, Liebigs Annalen der Chemie 164, 264. — Heilpern. Monatshefte fir Chemie 17,238; Errera, Gazzetta chimica, 26, I, 210. Le acque madri, da cui venne separata l’ acetonilurea, danno per evaporamento un residuo sciropposo, alquanto deliquescente, giallognolo. Seccato nel vuoto e ripreso con etere, passa quasi tutto in soluzione. Il residuo resinoso è trascurabile. La soluzione eterea s’ intorbida per raffreddamento e deposita accanto a dei cristalli bene sviluppati un olio denso giallognolo. I cristalli, che si possono separare meccanicamente dallo sci- roppo, purificati dall’ etere e finalmente dall’ acetone, si presentano in prismi dal primo, in squame dal secondo e fondono a 96°. Questo composto è l’amide dell’acido a-ossiiso- butirrico, ottenuta per la prima volta dal Pinner (1). Analisi: Sostanza 0,1718 gr.; CO, 0,2942 gr.; H,0 0,1416 gr. Sostanza 0,1744 gr.; azoto, misurato a 10° e 758 mm., 20,2 c.c. In 100 parti: trovato calcolato per C,H#30,N ce A — co © TT_____ss > — mn C 46,70 _ 46,60 Job Salo — 8,74 N 13,82 — 13,99 Essa è solubile nell’acqua, nell’ etere solforico, nell’ etere acetico e nell’ acetone ; sì scioglie pure nel benzolo da cui sì separa in pagliette che all’ aria sfioriscono. La soluzione acquosa dà una assai intensa reazione biuretica colla potassa e solfato di rame. Crediamo che questo contegno, che le amidi degli a-ossiacidi hanno in comune con quelle degli a-aminoacidi, trovato da Ugo Schiff, non sia stato fin’ ora osser- vato. L’ amide a-ossiisobutirrica è stata descritta, come si disse, da A. Pinner; egli l’ottenne, purificandola dall’ acetone, in squamette fusibili a 98°. Per togliere ogni dubbio sulla identità del nostro prodotto con l’ amide «-ossiiso- butirrica, lo abbiamo saponificato con barite ed abbiamo ottenuto l'acido acetonico (a-ossiisobutirrico) di Morkownikow (2) che sublima facilmente in aghi dal punto di fusione 80°. Questo autore lo ebbe fondente a 78°. Più sopra s’ è detto che i cristalli dell’amide ossiisobutirrica di Pinner si de- positano dall’ etere assieme ad una materia oleoso sciropposa deliquescente, da cui ven- nero separati meccanicamente. Questa sostanza oleosa ci dette molto da fare credendo potesse nascondere qualche altro corpo, ma dopo un lungo ed assai paziente esame, mutando spesso solvente, potemmo convincerci che essa conteneva in prevalenza le due sostanze già descritte, cioè l’ acetonilurea e l’amide ossiisobutirrica. Per arrivare a decifrare questa materia sciropposa la trattammo, bene essicata nel vuoto, con benzolo bollente, che Jascia indietro poca materia resinosa. La soluzione benzolica, per raffredda mento, deposita un miscuglio cristallino formato da squamette che sfioriscono e da (1) A. Pinner. Die Imidoather, Berlin 1892, pag. 37. . (2) Liebigs Annalen der Chemie 146, 339 e Beilstein vol. I, pag. 563. se RS prismi che si mantengono incolori. Riprendendo con etere e concentrando con molta cautela, si riesce a separare prima l’acetonilurea, che purificata ulteriormente dal- l’acqua diede i caratteristici cristalli fusibili a 174°, e poi per ulteriore concentra- trazione lamide di Pinner, che cristallizzata ancora dall’ acetone, si presentò in tavolette dal punto di fusione 96°. B. Le sostanze che restano sciolte nell’ acqua. Il liquido acquoso esaurito con etere acetico, concentrato nel vuoto a b. m. e poi sull’ acido solforico, dà una massa gelatinosa che, proveniente da 280 gr. d’acetone ammontava a 64 gr. Essa è deliquescente, scaldata su lamina di platino dà un odore di corna bruciate e lascia un abbondante residuo carbonioso. La sua soluzione acquosa si colora intensamente in rosso violetto (reazione biuretica) colla potassa e solfato di rame. Per l’ulteriore trattamento, essa venne in soluzione acquosa scolorata con nero ani- male, portata nuovamente a secco e ripresa a caldo con alcool assoluto. Per 60 gr. di prodotto si impiegarono prima 200 e poi altri 400 ec. c. d’ alcool. In questo modo si separano dei precipitati amorfi, colorati in bruno in quantità di circa 26 gr. Questa materia, sciolta in acqua, scolorata con nero animale e lasciata a se nel vuoto sul- l’acido solforico, deposita dei cristalli di ossolato ammonico, filtrando da questi ed aggiungendo al liquido a poco a poco dell'alcool assoluto si ottengono delle altre cri- stallizzazioni formate dall’ acetonilurea e dall’ acido a-aminoisobutirrico ; quest’ ultimo si ritrova più abbondantemente nei liquido alcoolico. La soluzione alcoolica, da cui separammo il precipitato amorfo era descritto, concentrata a circa due terzi, deposita questa volta una sostanza solida cristallina pulverulenta. Purificata dall’ acqua si pre- senta in tavolette esagonali, che sublimano completamente senza fondere, ha un sapore intensamente dolce. Essa è il già menzionato acido a-aminoisobutirrico, che Urech ottenne per la prima volta per idrolisi dell’ acetonilurea e che fu poi per più volte descritto da altri autori (1). Analisi: Sostanza 0,1842 gr.; CO, 0,3153 gr.; 4,0 0,1526 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,H30O,N C 46,75 46,60 JEl 9,20 8,74 Le proprietà del nostro prodotto corrispondevano perfettamente con quelle descritte dagli indicati autori. (1) Heintz, Annalen der Chemie 198, 51; Tiemann, Berichte 14, 1972; Heilpern, Monats- hefte fiir Chemie 17, 241; Gulewitsch, Berichte 33, 1900; Hellsing, ibid. 37, 1923. o, Dopo la separazione dell’ acido aminoisobutirrico, il liquido alcoolico in discorso venne portato a secco. Si ottiene così nuovamente una massa amorfa, gommosa deli- quescente, che pesava 38 er. Dopo essere stata seccata nel vuoto, l’ abbiamo, in solu- zione di alcool assoluto, trattata con un’ eccesso d’ etere anidro. Si forma così un precipitato (a), che venne separato per filtrazione dal liquido (0), e seccato tosto nel vuoto. La porzione a. Questo precipitato, quando è secco, ha ’ aspetto d’ una materia amorfa, fragile, lievemente colorata in giallo ed è estremamente deliquescente : in soluzione acquosa dà la reazione del biureto. Fu questa sostanza che, per le sue pro- prietà fisiche e per la facilità con cui per idrolisi dà 1° acido aminoisobutirrico, cre- demmo potesse essere un prodotto di condensazione, una specie di peptone, dal peso molecolare elevato. Le ulteriori ricerche che qui descriveremo, ci convinsero però che c’ eravamo illusi. Da principio avevamo tentato di purificare questa materia, proveniente da altre esperienze, precipitandola con acido fosfotungstico in soluzione solforica, ma 1° abbon- dante precipitato che si forma, scomposto con barite, non ci dette che ammoniaca, proveniente forse dall’ ossalato ammonico. Dal filtrato della combinazione fosfotungstica, trattato anch’ esso con barite e poi scomposto coll’ acido solforico, si riottenne la sostanza primitiva. Questa, precipitata dalla soluzione alcoolica con etere, nel modo anzidetto, venne sottoposta all’ analisi. Analisi: Sostanza 0,2062 gr., ceneri 0,0034,; CO, 0,3176 gr.; 4,0 0,1456 gr. In 100 parti: CEE Hi {\T.9E Peso molecolare : In soluzione acquosa concentrazione x abbassamento peso molecolare __—e—P —__s> TT —T8i——__ e _ —_ —_T—t_->T—. 0,946 1,372 Oto 005 TY 114,1 Dopo questo insuccesso, credendo che la materia amorfa contenesse delle sostanze cristalline estranee che ne abbassassero il peso molecolare, 1’ abbiamo ripresa con alcool assoluto, che realmente lasciò indietro un residuo insolubile, formato dall’ acido a-ami- noisobutirrico già menzionato. La parte solubile venne nuovamente precipitata con etere ed il prodotto, seccato con cura, nuovamente analizzato. Analisi: Sostanza 0,1952 gr., ceneri 0,0034 gr.; CO) 0,2892 ‘gr:; VA,00,1310 gr. — 39 — Sostanza 0,1569 gr., tenendo conto delle ceneri; azoto, misurato a 9° e 767 Mm, 259n ee. In 100 parti: CMAIRIZE 1 MMM EEE N 20,04 Peso molecolare: In soluzione acquosa concentrazione abbassamento .peso molecolare I:SA48MAn2:03 0°,330 0°,405 104 105 La sostanza, come si vede, contiene più azoto dell’ acido aminobutirrico (che ne richiede 13,59), ma ha un peso molecolare poco diverso da questo (C,Z,0,N = 103). Per arrivare a qualche risultato più concludente, col prodotto di una nuova pre- parazione, trattato nel modo descritto in principio, cioè ottenuto per precipitazione con etere dalla soluzione alcoolica, abbiamo proceduto nel seguente modo. La massa deli- quescente venne ripresa con acqua, decolorata con nero animale e lasciata a sè per qualche tempo sull’ acido solforico. Si separarono così dei cristalli dell’ acido aminoiso- butirrico, che vennero tolti per filtrazione. Col prodotto sciropposo, liberato dall’ ami- noacido, abbiamo tentato anzi tutto di ottenere un derivato benzoilico, operando nel modo indicato dal Fischer, ma il tentativo non riuscì. Il precipitato che si separa coll’ acido cloridrico è formato soltanto dall’ acido benzoico ; il filtrato acido portato a secco e trattato nel modo consueto ci dette l’ acido a-aminoisobutirrico, che evi- dentemente s’ era formato per idrolisi della sostanza gommosa nella evaporazione a b. m. coll’ acido cloridrico. Va notato che l’ acido a-aminoisobutirrico trattato con cloruro di benzoile col metodo di E. Fischer (1), si trasforma, come era da aspet- tarsi, nel relativo composto benzoilico, che fonde a circa 203°, ma che per ora non abbiamo ulteriormente studiato. Non potendo per questa via arrivare allo scopo, siamo infine ricorsi alla salifi- cazione coll’ idrato rameico, preparato col metodo del Heintz dal solfato di rame e barite. Lo sciroppo trattato col detto preparato diede un liquido verde, che portato a secco a b. m., lascia un residuo vischioso dello stesso colore. Estratto con alcool, la parte maggiore passa in soluzione dando un liquido verde cromo. Il residuo inso- lubile, liberato dal rame, non dà la reazione del biureto e contiene acido ossalico. Venne però messo da parte. La porzione solubile nell’ alcool, che è la principale, dà invece una bellissima colorazione rosso violetta per aggiunta di potassa; liberata essa pure dal rame in soluzione acquosa e portata a secco, si presenta sempre in forma sci- ropposa. Per trattamento con alcool si poterono separare da essa ancora piccole quantità di ossalato ammonico e di acido aminoisobutirrico ; liberata da questo venne infine (1) Untersuchungen iber Aminostiuren, Polypeptide und Proteine. Berlin 1906, pag. 166. ANI nuovamente precipitata con etere. Il prodotto così ottenuto ha però sempre un peso molecolare semplice. Peso molecolare: concentrazione abbassamento peso molecolare ECIOSEZIonRE: 0°,38 0°,86 9NS9 99,3 Dopo ciò convenne arrendersi; non si tratta già di una sostanza di natura com- plessa, ma di qualche derivato dall’ acido a-aminoisobutirrico, che, per le impurità che lo accompagnavano e di cui non siamo riusciti a liberarlo, non potè essere fin’ ora isolato allo stato cristallino. Non è improbabile si tratti di un prodotto di parziale idrolisi dell’ acetonilurea come sarebbero i seguenti : EL CEL, GEL CEL WAR: INZINOÌ O NH—00— NE, I or NH— C00H Ì COOH CONH, Il primo è stato descritto dall’ Urech (1), che l’ ottenne e per azione del cianato potassico sul solfato dell’ acido aminoisobutirrico in forma sciropposa, che però per aggiunta di un po’ di acido nitrico diluito cristallizza e fonde a 160°. Il secondo non è stato ancora descritto. L' idrolisi di questa materia gommosa, che conduce facilmente, come s° è detto, all’ a- cido a-aminoisobutirrico, fu eseguita sopra un altro campione di sostanza nel seguente modo. La massa gommosa sciolta in acido cloridrico venne bollita a ricadere per circa 3 ore e la soluzione brunastra risultante portata a secco. Siccome conteneva del cloruro ammonico formatosi nella reazione, venne liberata da questo per estrazione con alcool assoluto. La parte disciolta, decolorata con nero animale, dà per svaporamento un abbondante residuo completamente cristallino, formato dal cloridrato del suddetto acido aminoisobutirrico. Per ottenerlo allo stato libero abbiamo ripreso il residuo con acqua e trattata la soluzione con solfato d’ argento ; liberato il liquido dal cloruro argentico formatosi, vi abbiamo aggiunto barite in eccesso per decomporre il solfato dell’ acido amidato ed indi, senza filtrare dal solfato di bario, scomposto il sale baritico a caldo con anidride carbonica. Filtrando ora e concentrando il liquido, sì ebbe l acido a-ami- noisobutirrico con tutte le sue caratteristiche proprietà. Venne purificato dall’ acqua e per l’ analisi anche dall’ alcool diluito. Sublimava completamente senza fondere. A MMaliste Sostanza 0,1766 gr.; CO, 0,3036 gr.; /,0 0,1436 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,H}0,N C 46,88 46,60 H 9,03 8,74 (1) Liebigs Annalen der Chemie 164, 274 e Beilstein I, 1311. Luni A Questo risultato dell’ idrolisi sta naturalmente in buonissimo accordo tanto con una che con l altra delle due citate formule. La porzione b. Il liquido alcoolico etereo, da cui venne separato per filtrazione la materia amorfa, di cui purtroppo ci siamo così lungamente occupati, dà per sva- poramento del solvente un residuo gommoso che ha poca tendenza a cristallizzare. Estraendolo a freddo con etere assoluto resta indietro una materia resinosa, che non abbiamo più oltre esaminato. La parte solubile invece, dopo eliminato |’ etere, cri- stallizza parzialmente. I cristalli, purificati dall’ acqua, fondevano infine a 96° e si dimostrarono identici all’ amide a-ossiisobutirrica già menzionata più sopra. Lo sciroppo, filtrato dall’ amide, è intensamente acido. Venne però saturato con carbonato sodico, e la soluzione alcalina estratta ripetutamente con etere. Acidificando quindi con acido solforico ed estraendo nuovamente, si ha un residuo sciropposo, che però ora nell’ essi - catore dopo qualche tempo cristallizza. Questo residuo ben secco, purificato dell’ eter> petrolico è sublimabile e dà così i lunghi aghi incolori dell’ acido a-osstisobutirrico (acetonico) che fondono a 79°. Analisi: Sostanza 0,2244 gr.; CO, 0,3800 gr.; H,0 0,1588 gr. In 100 parti: trovato calcolato per C,H,0, C 46,18 46,15 Hi 7,86 1009 Esso ha le proprietà indicate degli autori che ebbero ad occuparsene (1), e segna- tamente il punto di fusione 79°. Infine, quale appendice ai nostri studi sull’ azione dell’ acido cianidrico sull’ acetone vogliamo aggiungere qualche dettaglio intorno al contegno delle aldeidi. Nella intro- duzione s’ è già detto che questi corpi si mostrarono assai indifferenti rispetto all’ acido prussico. L’ acetaldeide venne esposta alla luce in soluzione di 54 gr. in un litro di acido cianidrico al 3 pcto. durante un’ anno dal 3, VI, 1904 al 11, VI, 1905. Dopo Vl in- solazione il liquido si presenta incoloro e venne concentrato a pressione ridotta; il residuo brunastro, mobile, che arde con fiamma azzurrognola senza lasciare indietro materia carboniosa, è formato precipuamente dalla cianidrina dell’ acetaldeide. Svapo- rando a secco completamente, il lieve residuo dà una debole reazione biuretica. Abbiamo poi fatte alcune esperienze colla cianidrina dell’ acetaldeide, esponendone 100 gr. in un litro d’acqua coll’ aggiunta di 5 o di 45 gr. d’ acido formico per (1) Vedi Beilstein I, pag. 563. Serie VI. — Tomo IV. 6 cui Yoga a un intero anno alla luce solare. L’ effetto fu però completamente negativo, giacche sva- porando il liquido, che resta quasi completamente scolorato, non rimase alcun residuo ; ciò che prova la cianidrina rimane del wtto inalterata. Diremo per ultimo che abbiamo fatto un’ esperienza anche con 1° aldeide benzoica. Si impiegarono 20 gr. sospesi in 125 c. c. d’ acido cianidrico al 3 peto., ma anche dopo un’ insolazione d’ un intero anno, l’ aldeide e 1° acido prussico restarono inalterati. Anche questa volta vogliamo pubblicamente ricordare con gratitudine : 1’ aiuto ef- ficace che il dott. Egisto Pavirani ci ha prestato durante questa lunga e difficile serie di ricerche. Bologna, agosto 1906. INDICE GRITICO DELLE BILOGULINE FOSSILI D'ITALIA MEMORIA DEL Dottor CARLO FORNASINI presentata nell'adunanza del 25 novembre 1906 (CON TRE TAVOLE) CRE INCI pour faire abandonner la légende des Bilo- culina bulloides et ringens encore vivantes...... » SCHLUMBERGER, 1891. « The differentiation of internal structures, as shown by MM. Munier-Chalmas and Schlumberger, . raise hopes of a better distinetion of forms..... » RUPERT JONES, 1895. Al contrario di ciò che abbiamo notato nel genere Spiroloculina (1), noi troviamo che Biloculina ha subìto profonde alterazioni, tanto che la frase con la quale esso fu definito da d’ Orbigny nel 1826 (2) è divenuta oggidì insufficiente. Non intendo di accennare a quelle modificazioni dell’aspetto esteriore, che derivano, per esempio, dall’ incompleto sviluppo della penultima camera di B. lucernula quando questa assume carattere di Triloculina, nè a quello svolgersi singolarissimo ‘li B. depressa che, secondo le osservazioni di Flint, passerebbe gradatamente a Spiroloculina robusta, ma bensì al fatto normale del dimorfismo, il quale nelle biloculine, a differenza di altri tipi di foraminiferi, conduce ad una modifi- cazione pseudogenerica che interessa la prima parte della conchiglia. Infatti, se, come Schlumberger ebbe più volte occasione di dimostrare, nella forma cosidetta megalosfe- rica di una biloculina l’ ordinamento delle camere è tale da essere in armonia completa con la definizione orbignyana, nella microsferica, invece, un primo giro costituito da cinque camere circonda la microsfera; ad esso possono seguire altri giri quinqueloculinari, ma poi le camere si riducono a quattro, poscia a tre per ogni giro, e riescono infine al comune ordinamento delle biloculine. La risultante per le due forme, se si eccettuano forse le mag- giori dimensioni della seconda, è dunque la stessa, e gli stessi sono i caratteri esteriori. I quali però, se nella maggior parte dei casi possono bastare alla determinazione generica, non sono altrettanto validi per una esatta determinazione specifica, poichè ad ottenere quest’ ultima è indispensabile, secondo Schlumberger, la conoscenza dell’ intima struttura (1) Bollettino della Società Geologica Italiana, vol. XXIV (1905), pag. 387. (2) « Loges embrassantes, opposées sur un seul plan, denx d’ entr’ elles apparentes ». TARA della forma microsferica. Ora, tale conoscenza non si può avere che tagliando con diligenza gli esemplari, in modo che la sezione sia. normale all’asse longitudinale e passi per la mi- crosfera, operazione questa che, per riescire perfetta, presenta non poche difficoltà. Ed è appunto in conseguenza di tante difficoltà che scarseggiarono le determinazioni specifiche delle biloculine eseguite col metodo sopra indicato; chè, se da un lato Sechlumberger, nella sua « Révision des Biloculines des grands fonds », ci ha fornito un ricco e splendido materiale d’osservazione, noi vediamo, dall’altro lato, che le poche ricerche mie e di Sil- vestri sulle biloculine microsferiche italiane ci lasciano nella sfavorevole condizione di dover giudicare della buona o della cattiva determinazione delle specie sulla base unica dei caratteri esterni, non sempre fedelmente riprodotti, e discretamente variabili per giunta. co Giova però notare, che l’osservazione accurata dei caratteri esterni nelle biloculine, e particolarmente di quelli dell’orificio, ha sempre grandissima importanza, non solo perchè molte volte non si riesce a rinvenire la forma microsferica di una data specie, e, rinve- nutala, spesso mancano i mezzi, il tempo o l’abilità per sezionarla convenientemente, ma anche perchè alla diversità nella struttura intima sembra corrisponderne altrettanta nei caratteri esterni. Comunque sia, è indubitato che le ricerche di Schlumberger, a parte il valore che posseggono in relazione al fatto del dimorfismo iniziale, hanno avuta per con- seguenza la necessità di una maggiore distinzione di nomenclatura fra le biloculine eoce- niche e le neogeniche e recenti, e ciò in opposizione a quanto conclusero da prima i rizopodisti inglesi, i quali, alla loro volta avevano creduto di potere sopprimere senz’ altro le distinzioni proposte da d’ Orbigny. 53 EE Nel presente indice vengono considerate soltanto forme neogeniche. Se la memoria non mi tradisce, due sole biloculine furono raccolte in Italia in terreni preterziari, vale a dire : quella che Reuss rinvenne negli strati di San Cassiano, e che egli confrontò con la sua Bb. amphiconica (1), e l’altra che Mariani osservò in sezione nel calcare liasico di Nese in Val Seriana, e che egli ascrisse, non vedo per quale ragione, a 2. liasina T. e B. (2). aequilabiata Terquem (tav. III, fig. 6). Fornasini 1886. Boll. Soc. Geol. It., V, p. 261. — 1898. Mem. Ace. Se. Bologna, 5, VII, p. 207, o Oui Per la sua forma lenticolare ricorda B. depressa; ma, come giustamente fece notare (1) Sitzungsber. k. Akad. Wiss. Wien., vol. LVII (1868), pag. 105, tav. I, fig. 10. (2) Boll. Soc. Geol. Ital., vol. X (1891), pag. 723, tav. I, fig. 1. — 2. liasina di Essey-les- Nancy è forma compressa e carenata, tanto che da Brady fu tenuta inseparata da 2. depressa e riguar- data come la più antica rappresentante di quest’ultima specie e del genere Biloculina. Ma la forma di San Cassiano appare molto più prossima di 2. liasina a B. depressa, di guisa che, ammettendo una identità specifica della quale dubiterei fortemente, la biloculina illustrata da Reuss sarebbe da riguar- darsi come la più antica rappresentante di B. depressa, nonchè del genere Biloculina. VT pere pe Terquem, £. cequilabiata, tanto per il contorno ovale, quanto per i caratteri dell’orificio, sì distingue benissimo da qualunque altra biloculina lenticolare. Riproduco per confronto (tav. III, fig. 7) la figura terquemiana di £. aequilabiata. Nel neogene del Ponticello di Savena presso Bolo&na e di San Pietro in Lama presso Lecce. aequivoca Costa. Costa 1856. Atti Acc. Pontaniana, VII, p. 308, t. XXIV, f. 5. Non ha i caratteri esteriori di una biloculina, nè si comprende come l’autore la con- siderasse come tale mentre scriveva: « Questa conchiglia, guardata da uno de’ suoi lati si annunzia per una Quinqueloculina, dal lato opposto è una vera Biloculina; Vl apertura è di Nonionina ». Probabilmente egli vi fu indotto dall’averla trovata « affine alla contraria per la compressione e contrarietà di andamento delle cavità ». Ma la cosidetta 5. con- traria non è una biloculina. Nel neogene di Lucugnano in Terra d’ Otranto e di Reggio in Calabria. affinis d'Orbigny (tav. II, fig. 14). Mantovani 1874. Descr. geol. Campagna Romana, p. 47. — Seguenza 1880. Mem. Acc. Lin- es NI .p. 152. Seguenza ascrisse a questa specie « piccoli esemplari un po’ dubbi », e Mantovani non diede figura di quelli da lui osservati; così che non possiamo con sicurezza affermare se la biloculina di Baden presso Vienna si trovi anche in Italia. Nel neogene del Monte Mario presso Roma e di Benestare in Calabria. affinis d' Orbigny (tav. III, fig. 15). Fornasini 1891. Tavola con foram. del Ponticello di Savena, fig. 3. Meglio forse che con 5. affinis del Bacino di Vienna, l’ esemplare da me figurato sa- rebbe da confrontarsi con certe biloculine recenti, quale, per esempio, è quella illustrata da Schlumberger nel 1891 sotto il nome di 5. elongata d’ Orb. Nei neogene del Ponticello di Savena presso Bologna. amphiconica Reuss (tav. II, fig. 3). Reuss 1850. Denkschr. k. Ak. Wiss Wien, I, p. 382, t. XLIX, f.5. — Costa 1856. Atti Acc. Pontaniana, VII, p. 305. — Seguenza 1880. Mem. Ace. Lincei, 3, VI, p. 65, 92, 158, 811, 334. È lenticolare, prossima, almeno in apparenza, a 2. depressa, tanto che i rizopodisti inglesi la ritennero da essa inseparabile. Anche Seguenza, benchè mantenesse distinte le due forme, ne riconobbe però la grande affinità. E, quanto a Costa, mi limiterò a ricordare che, in un tubetto della sua collezione del Museo di Napoli, contenente esemplari di San Pietro in Lama determinati come B. amphiconica, ebbi ad osservare tanto 5. de- pressa quanto B. aequilabiata (Mem. Acc. Sc. Bologna, s. 5°, VII, 1898, p. 207). Nel neogene di Castellarquato nel Piacentino, dell’isola d’ Ischia, di San Pietro in de MRS Lama presso Lecce, della valle del Lamato e di vari luoghi della provincia di Reggio in Calabria. borchi Silvestri (tav. I, fig. 17). Silvestri 1901. Atti Acc. Zelanti, n. s., X, p. 18, t. I, f. 6. Simile, secondo l’autore, a £. inornata, ne differirebbe « per la minore regolarità dei segmenti, più rigonfi e di dimensioni meno decrescenti ». La 5. borchi pare vicina a quella che lo stesso Silvestri illustrò sotto il nome di 52. inornata d’ Orb. (v. tav. I, fig. 10); ma non è dimostrato che quest’ultima sja identica alla forma del Bacino di Vienna. Nel pliocene di San Giovanni presso Caltagirone in Sicilia. brachyodonta Fornasini (tav. II, fig. 9). Riompiasini 1836. BolliSoc Geol it VP r200 2601 IVA SE VER RED 1893. Ibidem, XII, p. 306. — Fornasini 1894. Mem. Acc. Sc. Bologna, 5, IV, p. 229. Avendo io esaminata la interna struttura di questa biloculina, ho potuto verificare (Riv. It. Paleont., 1896, p. 336) che la sua forma microsferica ha una certa analogia con quella di B. fischeri. E evidente, d’altra parte, che i caratteri esteriori di quest’ultima sono ben diversi da quelli di B. drackyodonta (v. tav. II, fig. 17). Nel neogene di Trinité Victor nel Nizzardo, del Ponticello di Savena presso Bologna e dei dintorni di Messina. bradyi Fornasini (tav. HI, fig. 18). Fornasini 1886. Boll. Soc. Geol. It., V, p. 261. È una delle biloculine che nel 1884 furono da Brady ascritte a 8. depressa, ed è quella precisamente che egli rappresentò con la figura 15 della tavola II. A me parve che tale forma dovesse distinguersi dalla specie orbignyana, e proposi di designarla col nome del suo illustratore. Nel 1891 Schlumberger denominò 2. dbradyi una specie ben di- versa; ma è chiaro che a me spetta la priorità di nomenclatura. Nel neogene del Ponticello di Savena presso Bologna. bulloides d’ Orbigny. Nicolucci 1846. Nuovi Ann. Sc. Nat., 2, VI, p. 206. — Malagoli 1888. Boll. Soc. Geol. It, VII, p. 363. — Sacco 1889. Ibidem, VIII, p. 302. — Silvestri 1896. Mem. Ace. Nuovi Lincei, XII, p 15. — Burrows e Holland 1897. Mon. Foram. Crag, p. 375. — Sangiorgi 1906. Riv. It. Paleont, XII, p. 83. Istituendo questa specie su esemplari dell’eocene parigino, d’ Orbigny citò una figura di Plancus e due di Soldani, e Ja indicò fossile, non solo nei dintorni di Parigi, ma anche in quelli di Bordeaux, e vivente nell’Adriatico. Più tardi s° accorse dell’ errore, e nel Prodrome, citando 5. bulloides fossile a Grignon, Parnes e Mouchy, aggiunse tra paren- tesi « non Bordeaux, non Rimini ». Evidentemente, l’autore volle riservata tale denomi- nazione alla biloculina eocenica, che intendeva diversa dalle neogeniche e recenti, e le os- nuca Afp servazioni di Schlumberger del 1877 hanno dimostrato che egli aveva ragione (vedasi tav. I, fig. 1)) — Nicolucci si riferì contemporaneamente alle figure del Tableau e ad altre di Soldani, e così anche le sue indicazioni hanno valore puramente generico. Quanto ai rimanenti autori sopra citati, possiamo dire con certezza che, qualunque sia la specie da loro osservata, questa non è 5. du/loides. Essi, probabilmente, si sono atte- nuti al concetto di Brady, il quale comprese in 58 dulloides la forma eocenica figu- rata da d’Orbigny, quella di Rimini figurata da Plancus, nonchè 2. lucernula di Selwager'(v..tav. Il fig. 12, 13). Nel neogene del Piemonte in genere, di Bordighera in Liguria, di Cà di Roggio in provincia di Reggio Emilia, delle vicinanze d’ Imola, di Cellamonti nel Senese, e di Casal- bore, Gravina e Lecce nell’ Italia Meridionale. bulloides d’Orbigny (tav. I, fig. 2). Costa 1856. Atti Acc. Pontan., VII, p. 299, t. XXIV, f. i. — Seguenza.1862. Notizie terr. terz. Messina, p. 21, 88. — Atti Acc. Gioenia, 2, XVIII, p. 114. — 1880. Mem. Acc. Lincei, 3, VI, p. 92, 152, 310, 334, 376. — Cioppi 1881]. Paleont. Modenese, p. 133. Dopo quanto ho sopra esposto, facilmente si comprende che la biloculina figurata da Costa sotto il nome di dulloides non è da ascriversi alla specie orbignyana. Essa ricorda, tra le forme neogeniche, quella che fu da me designata col nome di £. intermedia (v. tav. II, fig. 5); ma qualunque determinazione specifica basata sulla semplice ficura costiana è da accogliersi con riserva. Anche ]° esemplare incompleto indicato nella collezione Costa come 2. bdulloides e da me figurato nel 1898 (Mem. Ace. Sc. Bologna, 5, VII, p. 207, t. 0, f. 2), non fu determinato specificamente. È probabile che la illustrazione costiana del 1856 abbia servito di base a Seguenza per le sue citazioni, o almeno per una parte di esse ; a Coppi, senza dubbio. Nel neogene di Monte Gibio, della Fossetta e di Cianca nel Modenese, di San Pietro in Lama presso Lecce, della valle del Lamato e di parecchi luoghi della provincia di Reggio in Calabria, di Catania e di Messina, nonchè nel quaternario di Reggio in Calabria. bulloides d’ Orbigny (tav. I, fig. 6). Hornasini 1886. Boll. Soc. Geol. It., V, p. 257, 261, t. IV, fi. l;t. Vf Come e quanto differisca la biloculina da me illustrata sotto il nome specifico orbi- gnyano dalla vera dulloides, fu già splendidamente dimostrato da Schlumberger nella sua nota del 1877. E d’altronde assai notevole la somiglianza che si osserva nella interna struttura fra la forma microsferica della mia biloculina pliocenica e quella di 5. comata (Riv. It. Paleont., 1896, p. 336), tanto che riterrei potersi la prima riguardare come var. laevis della seconda. Nel neogene del Ponticello di Savena presso Bologna. bulloides d’ Orh., var. calostoma Karrer (tav. I, fig. 5). Seguenza 1880. Mem. Acc. Lincei, 3, VI, p. 152. _ Karrer, non si sa con quale fondamento, vide una grande affinità fra la biloculina cs AR del Banato e la specie di d’ Orbigny, e i rizopodisti inglesi la videro anche maggiore fra essa e 5. ringens Lamarck. sp. Ma è evidente la diversità delle tre forme. — 8. calo- stoma ricorda B. intermedia (v. tav. II, fig. 5). Nel neogene di Benestare in Calabria. bulloides d’ Orb., var. inornata d’ Orbigny (tav. I, fis. 3). Seguenza 1880. Mem. Ace. Lincei, 3, VI, p. 152. Seguenza si è attenuto a Reuss, che nel 1867 associò 2. inornata a B. bulloides. E superfluo insistere sulla inopportunità di tale identificazione specifica. I rizopodisti inglesi (Mon. Foram. Crag, p. 98) preferirono di riguardare 5. inornata quale B. elongata in cui è piriforme la parte esposta della penultima camera ; e, sotto un certo aspetto, i rapporti di atfinità, almeno apparenti, fra B. inornata e certe forme illustrate sotto il nome di B. elongata (quale sarebbe, ad esempio, B patagonica) non sono trascurabili. Con la precedente. bulloides d’Orb., var. truncata Reuss (tav. I, fig. 4). Seguenza 1880. Mem. Acc. Lincei, 3, VI, p. 152. — Mariani 1888. Atti Soc. It. Sc. Nat., Lexi p. 094 Per quel che concerne i pretesi rapporti d’affinità di questa biloculina con 5. dulloides, valga l'osservazione fatta nei paragrafi precedenti. In complesso, si direbbe che le maggiori somiglianze fossero anche qui con la cosidetta 2. elongata. Nel neogene di Savona in Liguria e di Benestare in Calabria. circumcelausa Costa (tav. II, fig. 4). Costa 1856. Atti Acc. Pontaniana, VII, p. 307, t. XXIV, f. 6. — Seguenza 1862. Notizie terr. terz. Messina, p. 15, 21. — 1880. Mem. Ace. Lincei, 3, VI, p. 311. Costa non conosceva 52. depressa del Tableau; perciò si limitò a confrontare la circumclausa con l’amphiconica, con la quale, secondo lui, aveva maggiore affinità che con la lunula. Seguenza, pur tenendole distinte, ebbe a trovare che queste tre biloculine erano « troppo affini ». Per parte mia ho potuto verificare che un esemplare di Lucugnano indicato nella collezione Costa del Museo di Napoli come 2. circumelausa non appare diverso dalla comune depressa (Rend. Acc. Sc. Bologna, n. s., I, p. 48). Lo stesso dicasi di altro esemplare di Messina della collezione Seguenza (Mem. c. s., 5, IV, p. 229). Nel neogene di Lucugnano in Terra d’ Otranto, di Reggio in Calabria e dei dintorni di Messina. clypeata d’Orbigny (tav. II, fig. 4). Seguenza 1862. Notizie terr. terz. Messina, p. 15, 21. — Atti Acc. Gioenia, 2, XVIII, p. 114. — Conti 1864. Monte Mario, p. 42. — Schwager 1876. Boll. Com. Geol. It., p. 473. — Ciofalo 1878. Atti Acc. Gioenia, 3, XII. — Coppi 1881. Paleont. Modenese. p. 133. Fu da Brady associata a 5. ringens Lam. sp., dalla quale, evidentemente, è diver- sissima. Quanto alle precedenti determinazioni, sarà prudente accettarle con riserva. Per citare un esempio ricorderò, che esemplari di Messina, determinati da Seguenza per 5. clypeata nella sua collezione di Napoli, furono da me trovati riferibili a forme ben diverse, quali B. intermedia e B. brachyodonta (Mem. Acc. Sc. Bologna, 5, IV, p. 229). Nel neogene della Fossetta nel Modenese, del Monte Mario presso Roma, e dei dintorni di Messina, di Catania, di Girgenti e di Termini Imerese in Sicilia. comata Brady (tav. III, fig. 25). Fornasini 1883. Boll. Soc. Geol. It., II, p. 179. Illustrata nel 1891 anche da Schlumberger, che ne fece conoscere la struttura interna. i Nel neogene del Ponticello di Savena presso Bologna. complanata Michelotti. Michelotti 1841. Mem. Soc. It. Sc., XXII, p. 347, t. III, f. 2. Confrontata con 2. depressa, questa pretesa biloculina fu male descritta e peggio figu- rata. Si direbbe piuttosto una miliolina. Nel neogene di Villavernia (Villarvernia ?) in Piemonte. compressa Costa. Costa 1856. Atti Acc. Pontaniana, VII, p. 310, Non figurata. A giudicare dalla descrizione, sembrerebbe trattarsi di una biloculina sul tipo depressa; ma non si capisce perchè in tal caso l’autore non l’abbia almeno confrontata con l’amphiconica o con la circumcelausa. Nel neogene di Santa Severina e di Reggio in Calabria. constricta Costa (tav. I, fig. 7). Costa 1856. Atti Acc. Pontaniana, VII, p. 301, t. XXIV, f. 2. — Seguenza 1862. Atti Acc. Gioenia, 2, XVIII, p. 114. — Coppi 1881. Paleont. Modenese, p. 133. Costa la confrontò con B. clypeata, ma pare simile piuttosto a certe forme che so- glionsi designare col nome di 5. elongata d’ Orb. (v. tav. I, fig. 3 e 9). Nel neogene del Tiepido e di Grizzaga nel Modenese, di Casamicciola in Ischia e di Catania. contraria d’Orbigny. Citata quale Biloculina da d’ Orbigny e da parecchi altri autori per parecchie lo- calità italiane, non appartiene a questo genere, come Steinmann dimostrò per primo. È una Planispirina. depressa d’ Orbigny (tav. III, fig. 1). D’Orbigny 1826. Ann. Sc. Nat.,. VII, p. 298, mod. 91. — O. Silvestri 1862. Atti X Congr. Sc. It., p. 82. — Seguenza 1880. Mem. Ace. Lincei, 3, VI, p. 153, 230, 311, 334, 376. — Coppi 1884. Boll. Com. Geol. It., XV, p. 194. — Fornasini 1886. Boll. Soc. Geol. It., V, p. 261. — 1894. Mem. Ace. Se. Bologna, 5, IV, p. 229. — 1897. Rend. c. s., n. s., I, p. 48, 53, 113. — Serie VI. Tomo IV. Mi oO 1898. Mem. ce. s., 5, VII, p. 207. — De Amicis 1895. Natur. Sicil., XIV, p. 54. — A. Silvestri 1901. Atti Acc. Zelanti, n. s., X, p. 19. Molto probabilmente le precedenti citazioni concernono soltanto la tipica depressa, quale fu rappresentata da d’ Orbigny nel 1826 e da Schlumberger nel 1891. Nel neogene di Castellarquato nel Piacentino, del Ponticello di Savena e della Casa del Vento presso Bologna, della Tagliata, del Capriolo e di Montagnana nel Modenese, della Coroncina e di Volterra in Toscana, di Palidoro nel Lazio, di San Pietro in Lama e di Lucugnano in Terra d'Otranto, di parecchi luoghi della provincia di Reggio in Calabria, di Messina, di Bonfornello, della Croce e di San Giovanni presso Caltagirone in Sicilia, nonchè nel quaternario di Reggio in Calabria. depressa d’Orbigny. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., XVI, p. 802, prosp. — Fornasini 1883. Boll. Soc. Geol. It., II, p. 179. — Neviani 1887. Ibidem, VI, p. 208. — 1889. Ibidem, VIII, p. 450. — Mariani 1888. Rend. Ist. Lomb., 2, XXI, p. 498. — Atti Soc. It. Sc. Nat., XXXI, p. 93. — Mala- goli 1888. Boll. Soc. Geol. It., VII, p. 368. — Mariani 1890. Note geol. pal. dint. Girgenti, p. 8. — Malagoli 1892. Boll. Soc. Geol. It., XI, p.83. — De Amicis 1893. Ibidem, XII, p. 307. — Ter- rigi 1893. Rend. Acc. Lincei, 5, II, p. 412. — Mariani 1893. Ann. Ist. Tecn. Udine, 2, XI. — Corti 1894. Rend. Ist. Lomb., 2, XXVII. — Silvestri 1896. Mem. Acc. Nuovi Lincei, XII, p. 21. — 1900. Ibidem, XVII, p. 241. — Burrows e Holland 1897. Mon. Foram. Crag, p. 375. La maggior parte di queste determinazioni fu fatta certamente secondo il concetto com- prensivo dei rizopodisti inglesi, e di Brady in particolare. E probabile quindi che, oltre la tipica depressa di cui al paragrafo precedente, siano state osservate altre forme che deb- bonsi distinguere da essa. Delle biloculine illustrate da Brady sotto il nome di 2. de- pressa d° Orb., quella rappresentata dalla fig. 15 della tav. II fu già da me designata nel 1886 col nuovo nome di 2. bradyi (v. la qui unita tav. III, fig. 18); quella rappresentata dalla fig. 2 della tav. III ricorda moltissimo 2. aequilabiata (v. tav. II, fig. 13); quella, infine, rappresentata dalla fig. 12 della tav. II presenta grande affinità con 2. carinata, che del resto fu dallo stesso Brady associata a 2. depressa (v. tav. III, fig. 11). Parec- chie sono le forme illustrate da altri autori sotto quest’ultimo nome, le quali, anche per i soli caratteri esteriori, differiscono notevolmente dalla specie orbignyana, ed è, fra le altre, degna di considerazione quella figurata da Egger nel 1893 (v. tav. III, fig. 8). Nel neogene di Trinité Victor nel Nizzardo, di Bordighera, di Albenga e di Savona in Liguria, di Taino, Val Faido, Nese e San Colombano in Lombardia, del Rio Crasale nel Bellunese, di Castellarquato nel Piacentino, di Cà di Roggio in provincia di Reggio d°’ E- milia, del Passo Stretto presso Sassuolo nel Modenese, del Ponticello di Savena presso Bologna, di San Sepolcro, della Coroncina e di San Quirico in Toscana, di Roma, del Ca- tanzarese e dei dintorni di Girgenti. depressa d’Orbigny (tav. III, fig. 5). Fornasini 1885. Boll. Soc. Geol. It., IV, p. 108. — 1889. Tavola con foram. di S. Rufillo, f. 1. Non è da ascriversi a B. depressa, ma piuttosto a quella forma illustrata da Brady SiR quale 5. depressa, che sino dal 1886 proposi di distinguere col nome di 2. bradyi (v. tav. III, fig. 18). Nei miocene di San Rufillo presso Bologna. depressa d'Orb., var. denticulata Silvestri (tav. III, fig. 16). Silvestri 1901. Atti Acc. Zelanti, n. s., X, p. 20. L’autore propone di distinguere con questo nome gli esemplari denticolati di 5. de- pressa, i quali non sono da confondersi, anche per il carattere orale, con 5. serrata, come egli aveva fatto nel 1893. Nel pliocene della Croce presso Caltagirone in Sicilia. depressa d’ Orb., var. murrhyna Schwager (tav. II, fig. 9). Terrigi 1891. Mem. Com. Geol. It., IV, p. 114. Fu Brady che volle riguardare B. murrAhyna di Sechwager quale varietà di 5. de- pressa. Ma Schlumberger, nel 1891, mediante l’ esame della struttura interna, dimostrò la diversità specifica delle due biloculine, diversità che Schwager aveva stabilita da prima in base ai soli caratteri esteriori. Nel neogene di Roma. disjuncta Seguenza (tav. III, fig. 24). Seguenza 1880. Mem. Ace. Lincei, 3, VII, p. 153, t. XIV, f. 11. Somiglierebbe, secondo l’autore, a B. cyclostoma Reuss, pur differendone per essere più gibbosa, con le camere disgiunte da un solco ben distinto. Regione orale depressa e incavata ; orificio piccolo, ellittico, con dente a T. Nel neogene di Benestare in Calabria. divaricata Costa. Costa 1856. Atti Acc. Pontaniana, VI, p. 310, t. XXIV, f. 8. L’autore, dopo di avere accennata la presenza di molteplici varietà e anomalie di Bilo- culina fossili di Calabria, scrive che la figura sopra citata rappresenta appunto una di tali anomalie « le cui cavità divaricando ..... affettano la struttura di Zriloculina », e la distingue col nome di 2. divaricata. —- È una Triloculina. Nel neogene di Reggio in Calabria. dolomieui Silvestri. Silvestri 1900. Boll. Acc. Gioenia, fasc. 64, estr., p. 7. Non è stata dall’autore descritta nè figurata. Nel pliocene di San Giovanni presso Caltagirone. elongata d’Orbigny (tav. I, fig. 8). Fornasini 1883. Boll. Soc. Geol. It., II, p. 179. — 1889. Minute forme Ponticello, f. 1. — 1891. Tavola Foram. Ponticello, f. 2. Un lodevole tentativo di separazione delle numerose biloculine ascritte dai rizopodisti inglesi a B. elongata fu fatto da Millett nel 1895 (Mon. Foram. Crag, p. 97), il quale propose di dividere tali biloculine in due gruppi, di cui l’ uno sarebbe qualificato dalla con- figurazione ovale, non piriforme, della penultima camera, mentre l’altro avrebbe per carat- tere appunto la configurazione piriforme della camera stessa. Brady aveva mantenuto indistinti questi due gruppi; ma la sua fig. 9 della tav. II (v. la qui unita tav. I, fig. 14) rappresenta evidentemente un esemplare spettante al primo. Il secondo gruppo di biloculine già ascritte a 5. elongata, e che è qualificato come sopra è detto dalla configurazione piriforme della penultima camera, fa capo evidentemente a B. patagonica (v. tav. I, fig. 9). Ad esso spetta la biloculina sopra citata e da me figu- rata nel 1891, nonchè quella che Schlumberger illustrò, studiandone anche l’ intima struttura, sotto il nome di elongata. Nel neogene del Ponticello di Savena presso Bologna. elongata d’ Orbigny. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., XVI, p. 302, prosp. -—- Seguenza 1880. Mem. Ace. Lincei, 3, VI, p. 834, 376. — Malagoli 1892. Boll. Soc. Geol. It., XI, p. 83. — De Amicis 1893. Ibidem, XII, p. 308. — Burrows e Holland 1897. Mon. Foram. Crag, p. 375. Tali determinazioni possono riferirsi tanto all’uno quanto all’altro dei due gruppi di biloculine allungate, di cui nel paragrafo precedente. Nel neogene di Trinité Victor nel Nizzardo, di Bordighera e d’ Albenga in Liguria, di Castellarquato nel Piacentino, del Modenese, di Monosterace in Calabria e del Monte Pel- legrino presso Palermo, nonchè nel quaternario di Reggio in Calabria. elongata d’ Orbigny (tav. I, fig. 11). Fornasini 1891. Tavola con foram. del Ponticello di Savena, fig. 1. I rizopodisti inglesi (Foram. Crag, p. 99) riguardarono la biloculina da me figurata quale modificazione di 8. elongata prossima a B. ringens. Ammesso, come è detto in altra parte della presente memoria, che 5. rigens sia specie eocenica, ben diversa dalle biloculine neo- geniche e recenti, è evidente che la forma del Bolognese nulla ha a che fare con 3. ringens. Grande, al contrario, è, almeno esternamente, l’affinità tra essa e 2. inornata quale fu illustrata da Silvestri (v. tav. I, fig. 10), ed è nota, d’altra parte, l’affinità tra B. inor- nata d Orb. e B. elongata del gruppo patagonica. Nel neogene del Ponticello di Savena presso Bologna. gioenii Silvestri (tav. II, fig. 16). Sulviestai 1901. Atti Acc. Zelanti) nS st piste I Robusta, globosa, parzialmente plicata, con orificio ampio e privo di dente, sarebbe assal vicina, secondo l’autore, a certe forme che assume talvolta B. globulus Reuss. Nel pliocene di San Giovanni presso Caltagirone. globosa Soldani (tav. II, fig. 8). Silvestri 1896. Mem. Acc. Nuovi Lincei, XII, p 16, t. I, f. 1,2 (Soldani 1780. Saggio, p. 111, t. IX, f. R, S). — 1889. Atti Acc. Nuovi Lincei, LII, estr., p. 1-5, f. 1-3, 4, 5. BOI e L’autore designò questa biloculina col nome di globosa Soldani sp. perchè essa in realtà fu illustrata per la prima volta da Soldani, che descrivendola le applicò l’agget- tivo globosa. Ma, appunto per il carattere descrittivo delle denominazioni soldaniane, queste non vanno riguardate mai, come altra fu detto, quali denominazioni specifiche secondo il concetto di Linneo; così che anche nel nostro caso il termine globosa deve considerarsi come specificamente applicato da Silvestri. Il quale, pertanto, della 58. g/obosa ha fatto conoscere, non solo i caratteri esterni, ma anche la struttura interna della forma micro- sferica. Nel pliocene della Coroncina, di Cellamonti e di Volterra in Toscana. globulus Bornemann (tav. II, fig. 21). Coppi 1881. Paleont. Modenese, p. 133. L’autore si riferì alla illustrazione che di 5. globulus Born. fu data da Reuss nel 1863, la quale specie non corrisponde a 2. globulus di Bornemann, che è una planispi- rina, ma bensì a 58. globulus Born. quale fu illustrata da Schlumberger nel 1891; dimodochè le forme osservate da Reuss, da Coppi e da Schlumberger sarebbero da ascriversi ad una stessa specie : B. globulus Reuss. Nel pliocene della Fossetta nel Modenese. globulus Schlumberger (tav. II, fig. 13-15). Silvestri 1901. Atti Acc. Zelanti, n. s., X, p. 17, t.I, f. 1-8. — 1906. Riv. It. Paleont., p. 20. Giustamente l’autore fa notare che schlumberger, nel 1891, ha erroneamente ap- plicato ad una biloculina, da lui studiata anche nella struttura interna, il nome globulus di Bornemann. Infatti, come è detto nel paragrafo precedente, 2. globulus Born. è una planispirina, mentre 2. globulus (Born.) Schlumb. 1891 non è altro che 5. globulus (Born.) Reuss 1863, così che il nome 2. globulus Schlumb. andrebbe mutato in 5. g/o- bulus Reuss. Quanto alle tre forme illustrate da Silvestri, due di esse (fig. 13, 14) non si allontanano molto da quella figurata da Schlumberger. La terza (fig. 15) è priva di dente; ma l’autore crede, ciononostante, di poterla ascrivere « con tutta sicurezza alla specie in questione ». Nel neogene di Tor Caldara presso Anzio nel Lazio e di San Giovanni presso Caltagi- rone in Sicilia. guerrerii Silvestri (tav. II, fig. 10). Silvestri 1900. Boll. Acc. Gioenia, fasc. 64, estr., p. 3, f. 1-5. Apparterrebbe al sruppo di B. brachyodonta e di B. fischeri (v. tav. II, fig. 9 e 17), fra le quali sarebbe intermedia. L'autore ne ha ricercata la struttura interna; ma, non avendo egli potuto esaminare che la forma megalosferica, la specie rimane tuttora alquanto inde- finita, al pari di 5. intermedia, che sembra non esser molto lontana (tav. II, fig. 5). Nel pliocene di San Giovanni presso Caltagirone. Bi inornata d’ Orbigny (tav. I, fig. 3). Seguenza 1862. Notizie terr. terz. Messina, p. 21. — Silvestri 1862. Atti X Congr. Sc. It., p. 82. — Fuchs 1878. Sitz. Ak. Wiss. Wien, LXXVII, p. 472. — Seguenza 1880. Mem. Acc. Lincei, 3, VI, p. 92. — Coppi 1881. Paleont. Modenese, p. 133. — Mariani 1888. Rend. Ist. Lomb., 2, XXI, p. 498. — Trabucco 1890. Cron. terr. prov. Piacenza, p. 39. — Corti 1892. Boll. Soc. Geol. It., XI, p. 224. — Rend. Ist. Lomb., 2 XV, pi 1998, i. IV di = 11394. Jibid'em SXV ip. 202! Le precedenti determinazioni furono fatte in base alla illustrazione orbignyana del 1846, la quale concerne una biloculina, affine, almeno in apparenza, a quelle varietà di 5. elon- gata che hanno piriforme la parte esteriore della penultima camera (5. patagonica). Nel neogene di Sciolze presso Torino, della Folla d’ Induno, di Almenno, di Castenedolo e di San Colombano in Lombardia, del Piacentino, della Fossetta nel Modenese, del Senese, di Malochia in Calabria e di Messina. inornata d’Orbigny (tav. I, fig. 21). Costa 1856. Atti Acc. Pontaniana, VII, p. 302, t. XXIV, f, 4. La biloculina illustrata da Costa fu da lui riguardata come una varietà della specie orbignyana; ma neppure è tale. Avendo io avuta la fortuna di trovare nella collezione Costa del Museo di Napoli l’ esemplare figurato dall’ autore, ho potuto convincermi che si tratta di forma ben diversa da 5. inornata, e che ricorda invece, per alcuni caratteri, B. intermedia (Mem. Acc. Sc. Bologna, 5, VII, p. 207, t. 0, f. 1). Nel pliocene di San Pietro in Lama presso Lecce. inornata d’Orbigny (tav. I, fig. 10). Silvestri 1901. Atti Acc. Zelanti, n. s., X, p. 19, t. I, f. 7. L’autore trova che i suoi esemplari « corrispondono piuttosto bene al tipo del bacino terziario di Vienna »; ma, a giudicare dalla figura, non pare che si possa avere sicurezza assoluta sulla identità delle due forme. Nel pliocene di San Giovanni e della Croce presso Caltagirone in Sicilia. intermedia Fornasini (tav. II, fig. 5). Kornasini 1886. Boll. Soc. Geol It, VW, p. 259, 261, dt. IV, f2:; td. VE RAD mates 1893. Ibidem, XII, p. 306. — Fornasini 1893. Mem. Ace. Sc. Bologna, 5, III, p. 438, t. I, f.l. — 1894. Ibidem, IV, p. 228, 229. -- 1898. Ibidem, VII, p. 207. -- Corti 1894. Rend. Ist. Lomb., 2, XXVII. — Checchia Rispoli 1904. Boll. Soc. Geol. It., XXIII, p. 293. Benchè io non abbia potuto osservare che la forma megalosferica di questa biloculina, ritengo tuttavia probabile che si tratti di una specie da conservarsi, molto più estesa forse di quanto fin qui si è creduto, dovendosi ascrivere ad essa molte varietà neogeniche e recenti designate coi nomi di 5. ringens, B. bulloides, B. simplex, ecc. Nel neogene di Trinité Victor nel Nizzardo, di Val Faido in Lombardia, del Ponticello di Savena presso Bologna, di San Pietro in Lama presso Lecce, di San Giovanni in Piano presso Apricena in Capitanata e di Rometta presso Messina. La laevis Defrance. Fornasini 1886. Boll. Soc. Geol. It., V, p. 261. Citando questa specie, mi riferii alla fig. 13 della tav. II di Brady, notando però che l’esemplare da me osservato aveva l’orificio lineare ed unico della comune £. depressa. Ma le due biloculine figurate da Brady col nome di /aevis sono veramente da ascriversi alla specie eocenica di Defrance? Il carattere di doppia carena, assegnato da Brady a B. laevis, molto probabilmente si riscontra in diverse specie; nè è fuori di proposito il ri- tenere che, se da un lato la biloculina eocenica designata da Defrance col nome di laevis non è che una forma bicarenata di B. dulloides, dall’ altro, certe biloculine neogeniche e recenti designate col nome defranciano non sono che forme bicarenate di varie specie, fra le quali non sarebbe da escludersi 2. depressa. Nel neogene del Ponticello di Savena presso Bologna. larvata Reuss, var. breviuscula Seguenza. Seguenza 1880. Mem. Acc. Lincei, 3, VI, p. 153. L’autore ha ritenuto di dover distinguere dal piccolo tipo reussiano, del quale ripro- duco la figura nella qui unita tav. I (fig. 15), una forma più breve e con la penultima samera più larga. Si confronti la varietà seguente. Nel neogene di Benestare in Calabria. larvata Reuss, var. ventricosa Mariani (tav. I, fig. 16%. Mariani 1888. Atti Soc. It. Sc. Nat. XXXI, p. 94, t. I, f. 1. Mariani non fa cenno della varietà precedente, che del resto non era stata figurata. Potrebbe darsi che si trattasse della stessa forma. Nel neogene di Savona in Liguria. lobata Reuss (tav. III, fig. 22, 23). Seguenza 1880. Mem. Acc. Lincei, 3, VI, p. 152. A. giudicare dalle figure reussiane. questa biloculina è molto variabile nei suoi carat- teri esteriori, tanto che, tenuto calcolo particolarmente della forma dell’ orificio, non sarei alieno dal ritenerla assai prossima a 2. globulus dello stesso Reuss (tav. III, fig. 21). Nel neogene di Benestare in Calabria. longirostra d’ Orbigny (tav. I, fig. 20). D’'Orbigny 1826. Ann. Sc. Nat., VII, p. 298. — Fornasini 1902. Mem. Ace. Sc. Bologna, 5, Gb 18, 19, 06 d0k, Pubblicando, nel 1902, la figura inedita orbignyana che ci ha fatta conoscere £. /on- girostra del Tableau, non ho mancato di mettere in evidenza l’ affinità, almeno apparente, che si osserva tra essa e 2. tubulosa di Costa. Nel pliocene di Castellarquato nel Piacentino. E lucernula Schwager (tav. I, fig. 12, 13). Fornasini 1894, Mem. Ace. Sc. Bologna, 5, IV, p. 229. Trattasi di esemplari della collezione Seguenza del Museo di Napoli, da lui deter- minati, fino dal 1862, come 5. tubulosa, e che a me parvero doversi ascrivere alla specie di Schwager. Quest ultima fu studiata nella sua interna struttura da Schlumberger nel 1891; ma 5. tubulosa non può dirsi altrettanto conosciuta, sia perchè la figura co- stiana non è perfetta (v. tav. I, fig. 19), sia perchè non siamo certi che l’ esemplare figu- rato da Brady sotto il nome di 5. tubulosa sia veramente da ascriversi alla specie di Costa (v. tav. III, fig. 17). Pare tuttavia che la diversità esteriore fra 2. fubulosa e B. lu- cernula consista principalmente in questo: che la prima ha margini angolosi, arrotondati la seconda. Nel neogene dei dintorni di Messina. lunula d’Orbigny (tav. III, fig. 2). Costa 1856. Atti Acc. Pontaniana, VII, p. 304. — Seguenza 1862. Notizie terr. terz. Messina, p. 21, 33. — Doderlein 1862. Atti X Congr. Sc. It, p. 93. — Conti 1864. Monte Mario, p. 42. — Crespellani )}875. Ann. Soc. Nat. Modena, 2, IX, p. 35. — Fuchs 1878. Sitz. Ak. Wiss. Wien, LXXVII, p. 472. — Seguenza 1880. Mem. Acc. Lincei, 3, VI, p. 153, 311, 334. — Coppi 1881. Paleont. Modenese, p. 133. I rizopodisti inglesi hanno sempre identificata 52. lunula con B. depressa. I caratteri esteriori delle due forme sono infatti tanto somiglianti da lasciar eredere con fondamento che esse appartengano ad una stessa specie. Nel neogene di Sciolze presso Torino, di Monte Gibio, di Savignano e d’altri luoghi del Modenese, del Monte Mario presso Roma, di Santa Severina e di Reggio in Calabria e dei dintorni di Messina. ovata Silvestri. Silvestri 1900. Boll. Acc. Gioenia, fasc. 64, estr., p. 3. Dall’autore non è stata descritta nè figurata. Nel pliocene della Croce presso Caltagirone in Sicilia. ovula Michelotti. Sismonda 1871. Mem. Acc. Sc. "l'orino, 2, XXV, p. 261. Nel 1841 (Mem. Soc. It. Sc., XXII, p. 347) Michelotti volle sostituire il nome spe- cifico bulloides proposto da d’Orbigny nel Tableau con ovula di Soldani. Ma, come sopra notai all’articolo globosa, le denominazioni soldaniane vanno abbandonate se usate specificamente. Quanto al valore del termine dulloides applicato a forme neogeniche o re- centi, vedansi gli articoli du/loides della presente memoria. Nel miocene di Stazzano presso Tortona. perremutoi Silvestri Silvestri 1900. Boll. Acc. Gioenia, fasc. 64, estr., p. 8. Non è stata dall’autore descritta nè figurata. Nel pliocene della Croce presso Caltagirone. cdi glo plana Karver (tav. II, fig. 12). Seguenza 1880. Mem. Acc. Lincei, 3, VI, p. 376. Spetta al gruppo della depressa, e ricorda, sino a un certo punto, la aequilabiata. Nel quaternario di Reggio in Calabria. ringens Lamarck sp. Jones e Parker 1860. Quart. Journ. Geol. Soc., XVI, p. 302, prosp. — Fornasini 1883. Boll. Soc. Geol. It., II, p. 179. — 1884. Ibidem, III, p. 92. — Lovisato 1885. Boll. Com. Geol. It., XVI. — Neviani 1889. Ibidem, VIII, p. 450. — Mariani 1888. Rend. Ist. Lomb., 2, XXI, p. 498. — 1890. Note geol. pal. Girgenti, p. 8. — Dervieux 1892. Atti Acc. Sc. Torino, XXVII. — i - rigi 1889. Mem. Ace, Lincei, 4, VI, p. 107, t. IV, f. 1. — Boll. Soc. Geol. It., XI, p. 82. — Ter- rigi 1893 Rend. Acc. Lincei, 5, II, p. 412. — Corti 1894. Rend. Ist. Lomb., 2, XXVII, p. 202. — De Amicis 1895. Natur. Sicil., XIV, p. 53. — Silvestri 1896. Mem. Ace. Nuovi Lincei, XII, p. 18. — Burrows e Holland 1897. Foram. Crag, p. 375 Dopo la pubblicazione della nota di Schlumberger del 1887, crederei superfluo insi- stere nel dimostrare le enormi differenze, anche soltanto esteriori, che esistono fra la vera B. ringens di Lamarck dell’eocene parigino e le biloculine neogeniche e recenti che ì rizopodisti inglesi, e gli autori che ne seguirono il metodo, designarono con la denomina- zione lamarckiana. Mi limiterò, a titolo di confronto, a riprodurre la figura data appunto da Schlumberger (v. tav. II, fig. 1) e quelle date da Brady (tav. II, fig. 2, 3), nonchè una terza lasciataci da Goés (tav. III, fig. 19). Aggiungasi che Brady associò alla ringens anche la simplex e la clypeata del Bacino di Vienna, cosicchè è probabile che le citazioni di B. ringens posteriori al 1884 comprendano altre forme, diverse da quelle da lui figurate. A quali e quante specie siano da ascriversi le biloculine illustrate da Terrigi, da Brady, o citate da tanti autori come rirgens, è difficile per ora di stabilire, occorrendo ulteriori, accurate e minute ricerche. Quella figurata da Brady ricorda 5. intermedia. Nel neogene di Bordighera e d’Albenga in Liguria, di Villarvernia in Piemonte, di Almenno e San Colombano in Lombardia, di Castellarquato nel Piacentino, del Rio Landa e del Ponticello di Savena nel Bolognese, di San Frediano, della Coroncina, di Cellamonti e di Volterra in Toscana, di Roma e di Palo nel Lazio, di Serra di Spina presso il Lamato e del Catanzarese in Calabria, di Girgenti, di Palermo e di Bonfornello in Sicilia. serrata Brady (tav. III, fig. 10). Fornasini 1886. Boll. Soc. Geol. It., V, p. 261. Citando questa specie, mi sono riferito alla fig. 3 della tav. III di Brady. Si tratte- rebbe quindi della vera £. serrata, quale fu studiata da Schlumberger nel 1891, e che Brady aveva riguardata erroneamente come varietà di B. depressa. Esiste in realtà una forma serrata di B. depressa, ed è quella che Silvestri propose di denominare 5. depressa var. denticulata. Nel neogene del Ponticello di Savena presso Bologna. Serie VI. — Tomo IV. 8 e simplex d’ Orbigny (tav. II, fig. 6). Doderlein 1862. Atti X Congr. Sc. It, p. 93. — Conti 1864. Monte Mario, p. 42. — Cre- spellani 1875. Ann. Soc. Nat. Modena, p. IX, 34. — Fuchs 1878. Sitz. Ak. Wiss. Wien, LXXVII, p. 472. — Coppi 1881. Paleont. Modenese, p. 133 — Jones 1882. Cat. Foss. Foram. Brit. Mus., p. 50. — Parona 1883. Rend. Ist. Lomb., 2, XVI, estr., p. 13. — Malagoli 1886. Rend. Soc. Nat. Modena, 3, II, p. 126. — Trabucco 1890. Cron. terr. Prov. Piacenza, p. 40. — Fornasini 1894. Foram. Coll. Soldani, p. 20 (O Silvestri in schedis: M-seo di Firenze, vaso 79; Soldani: Sag- gio, t. IX, f. R, S) — Dervieux 1895. Boll. Soc. Geol. It., XIV, p. 306. — Silvestri 1900. Boll. Ace. Gioenia, fasc. 64, estr., p. 8. — Toldo 1905 Boll. Soc. Geol. It., XXIV, p. 370. Non è specie ben definita. Sarebbe necessario lo studio minuto ed accurato, tanto degli esemplari del Bacino di Vienna, quanto di quelli del neogene italiano, per potere stabilire se e quali di questi siano da ascriversi a B. simplex. Senza dubbio, sono state designate con tal nome forme specificamente diverse, ed una di esse è, a parer mio, 2. globosa. Brady, come sopra ho detto, associò 2. simplex a B. ringens, e Goés illustrò sotto il nome di siplex una biloculina (tav. II, fig. 11) che, anche per i soli caratteri orali, nulla ha a che fare con quella d’Austria. Lo stesso, probabilmente, è a ritenersi di quella del- l'Adriatico da me illustrata col medesimo nome (tav. II, fig. 12). Nel neogene di Sciolze presso Torino e di Sant'Agata Fossili, di Taino in Lombardia, del Piacentino, di Monte Gibio, della Sarsetta. di Savignano, della Fossetta e di Guana nel Modenese, dell’ Imolese, d’ Orciano, di Siena e di Volterra in Toscana, del Monte Mario presso Roma e della Croce presso Caltagirone in Sicilia. simplex d’ Orbigny (tav. II, fig. 7). Costa 1856. Atti Ace. Pontaniana, VII, p. 300, tav. XXIV, f. 38. — Seguenza 1862. Notizie terr. terz. Messina, p. 15, 21, 83. — 1880. Mem. Acc. Lincei, 3, VI, p. 92, 152. Che 5. simplex secondo Costa sia identica a 5. simplex d’ Orb. del neogene d'Austria, è cosa da dimostrarsi. A buon conto, Costa trovò la sua simplex poco dissimile dalla sua bulloides, la quale, come dissi, è ben diversa dalla vera bulloides eocenica. E, a proposito dell’affinità delle due biloculine costiane, ricorderò che, studiando gli esemplari delle collezioni Costa e Seguenza, sempre osservai che quelli determinati per simplex erano quanto mai somiglianti a 5. intermedia (Mem. Ace. Sc. Bologna, 5, I p..438, dt: I,f. db INpi225E VII, p. 207), dalla quale, sino dal 1886, non mi parve punto separabile 3. dul/loides secondo Costa. Nel neogene di San Pietro in Lama in Terra d’ Otranto, di Malochia e di Benestare in Calabria e di Messina. i sphaera d’Orbigny. Seguenza 1880. Mem. Acc. Lincei, 8, VI, p. 376. D’'Orbigny la credette una biloculina, e come tale fu citata in seguito da parecchi autori. È invece una planispirina, come dimostrò per primo Schlumberger. Nel quaternario dei dintorni di Reggio in Calabria. tarantoi Silvestri (tav. I, 18). Silvestri 1901. Atti Acc. Zelanti, n, 8,4, p.19,t.1L fe9. Fu confrontata dall’ autore con 5. inornata, da cui differisce per la penultima camera non piriforme, per il contorno più tondeggiante, per le suture un po” flessuose, per l’orificio trilobato e per il dente bifido con diramazioni curve. Nel pliocene di San Giovanni presso Caltagirone. tubulosa Costa (tav. I, fig. 19). Costa 1856. Atti Acc. Pontaniana, VII, p. 309, t. XXIV, f.7. — Seguenza 1862. Notizie terr. terz. Messina, p. 15, 21. — 1880. Mem. Acc. Lincei, 3, VI, p. 230, 311, 376. Nel 1894, esaminando gli esemplari determinati da Seguenza per 5. /ubulosa (Mem. Ace. Sc. Bologna, 5, IV, p. 229), credetti di vedervi soltanto 2. lucernula. Quest’ ultima è hen conosciuta, anche per lo studio fattone da Schlumberger nel 1891; ma non può dirsi altrettanto della prima, come sopra accennai nell’articolo Zucernula. Nel neogene dell’isola d'Ischia, di Lequile in Terra d’ Otranto, di Gerace, Ardore, Riace e Bovalino in Calabria e di Messina, nonchè nel quaternario di Reggio in Calabria. ventricosa Reuss (tav. III, fig. 20). Seguenza 1880. Mem. Acc. Lincei, 3, VI, p. 153. x Prossima, secondo lo stesso Reuss, al tipo di B. contraria, che è, come si disse, una planispirina. Brady, dal canto suo, non esitò a ritenerla inseparabile da 2. irregularis d’ Orb., per la quale pure non sembra infondato il sospetto che possa trattarsi di una planispirina. Nel neogene di Benestare in Calabria. E facile comprendere, percorrendo l’indice precedente ed esaminando con diligenza le fisure qui unite, che la conoscenza delle biloculine in generale è quanto mai incerta e in- completa, e che un prospetto della distribuzione delle singole specie in Italia rappresente- rebbe un tentativo inutile di sintesi. Era mio unico intendimento di offrire, con la presente memoria, una relazione per quanto possibile esatta intorno allo stato attuale delle nostre cognizioni sull’argomento, e d’indicare in pari tempo la via verosimilmente migliore da seguirsi per comporre una monografia completa delle biloculine che sì raccolgono nel neo- gene italiano. E voglio sperare che il fine sia stato raggiunto. [ultime bozze: 20 marzo 1907]. iS) [e 9 NES Spiegazione delle figure. TAVOLA T. . Forma eocenica dei dintorni di Parigi, da Sehlumberger (1887) denominata Biloculina bulloides d’Orb., e da riguardarsi, secondo lui, quale vera rappresentante della specie istituita da d’ Or - bigny (1826) con tal nome. — Ingrandita 35 volte. . neogenica di Terra d'Otranto e di Calabria, da Costa (1856) denominata 2. bdulloides d’ Orb., da Fornasini (1886) ascritta a B. intermedia Forn., e da Goés (1894) a B. simplex d’ Orb. — Ingrandita circa 14 volte. . neogenica dei dintorni di Vienna, da d’ Orbigny (1846) denominata 2. ‘nornata, da Reuss (1867) ascritta a B. bulloides d’ Orb., e da Millett (1895) a B elongata d’ Orb. — Ingrandita circa 22. volte. . neogerica di Galizia, da Reuss (1867) denominata 2. dulloides d’Orb. var. truncata, e da Foés (1894) ascritta a 2. elongata Ad Orb. . neogenica del Banato, da Karrer (1868) denominata 2. dulloides d’Orb var. calostoma, da Goés (1894) ascritta a B. simplex d’Orb., e da Rupert Jones (1895) a 5. ringens Lam. sp. — Ingrandita circa 15 volte. . neogenica del Bolognese, da Fornasini (1886) denominata B. dulloides d’Orb. e da lui stesso (1896) trovata simile internamente a 5. comata Brady. — Ingrandita circa 15 volte. . neogenica d’ Ischia, da Costa (1856) denominata 5. constricta, e da Goés (1894) ascritta a B. elongata d Orb. — Ingrandita circa 40 volte. . neogenica del Bolognese, da Fornasini (1891) denominata 2. cf. elongata d Orb. — Ingran- dita 45 volte. . recente di Patagonia, da dOrbigny (1839) denominata 2. patagonica, e da Brady (1884) ascritta a B. elongata d’Orb. -- Ingrandita circa 65 volte. neogenica di Sicilia, da Silvestri (1901) denominata 5. inornata d’ Orb. — Ingrandita 34 volte. . neogenica del Bolognese, da Fornasini (1891) denominata 2. cf. elongata d’ Orb. — Ingran- dita 37 volte. 13. Forme neogeniche delle Nicobare, da Schwager (1866) denominate 2. lucernula (fig. 13 « triloculine Varietàt »), da Brady (1884) ascritte a B. dulloides d’ Orb., e da Goés (1894) a B. tubulosa Costa. — Ingrandite circa 40 volte. . Forma recente dragata dal « Challenger », da Brady (1884) denominata 5. elongata d’ Orb. — Ingrandita 45 volte. F. neogenica di Galizia, da Reuss (1867) denominata 2. larvata, e da Goés (1894) ascritta, con dubbio, a B. arctica Goés. — (« Sehr kleine Species »). F. neogenica di Liguria, da Mariani (1888) denominata B. larvata Reuss, var. ventricosa. — (« Piccolissimo esemplare »). F. neogenica di Sicilia, da Silvestri (1901) denominata 58. dorchi, e avente, secondo lui, carat- teri di somiglianza con 2. inornata d° Orb. — Ingrandita 49 volte. F. neogenica di Sicilia, da Silvestri (1901) denominata 2. tarantoi, e molto prossima, secondo lui, a B. ‘nornata d’ Orb. — Ingrandita 84 volte. F. neogenica di Terra d'Otranto e d’ Ischia, da Costa (1856) denominata 5. tudulosa. — Ingran- dita circa 25 volte. F. recente dell’Adriatico, fossile nel Piacentino e in Francia, da d’Orbigny (1826) denominata B. longirostra, e da Fornasini (1902) confrontata con B. tudulosa Costa. F. neogenica di l'erra d’ Otranto, da Costa (1856) denominata 2. inornata d’ Orb. varietas, e da Fornasini (1898) ascritta a B. ‘intermedia Forn. — Ingrandita 27 volte. Iuuri, GI TAVOLA II. 1. Forma eocenica dei dintorni di Parigi, da Schlumberger (1887) denominata 2. ringers Lam. sp., e da riguardarsi, secondo lui, quale vera rappresentante della specie istituita da Lamarek (1804) con tal nome. — Ingrandita 17 volte. 2, 3. Forme recenti dragate dal « Challenger », da Brady (1884) denominate 2. ringens Lam. sp., da Fornasini (1886) ascritte a B. intermedia Forn., da Schlumberger (1891) in parte (fig. 2) a B. bradyi Schlumb., e da Goés (1894) a B. simplex d’ Orb. — Ingrandite 25 volte. 4. Forma neogenica dei dintorni di Vienna, da d’ Orbigny (1846) denominata 5. clypeata, da Brady 12 a 13-15. F. + E. F. (1884) ascritta a B. ringens Lam. sp., e da Goés (1894) a 2. simplex d’ Orb. — Ingrandita circa 46 volte. 1 neogenica del Bolognese, da Fornasini (1886) denominata 2. intermedia, da Goés (1894) ascritta, con dubbio, a 5. simplex d’ Orb., e da Rupert Jones (1895) a 5. ringens Lam. sp. — Ingrandita circa 17 volte. . neogenica dei dintorni di Vienna, da d’ Orbigny (1846) denominata 5. simplex, e da Brady (1884) ascritta a B. ringens Lam. sp. — Ingrandita circa 15 volte. . neogenica di l'erra d’ Otranto, da Costa (1856) denominata 2. simplex d’ Orb. — Ingrandita circa 15 volte. . neogenica del Senese, da Silvestri (1896) denominata 2. globosa. — Ingrandita 10 volte. . neogenica del Bolognese, da Fornasini (1886) denominata 5. brachyodonta, da lui stesso (1896) trovata alquanto simile internamente a 2. fischeri Schlumb., e da Rupert Jones (1895) ascritta a B. ringens Lam. sp. — Ingrandita circa 14 volte. . neogenica di Sicilia, da Silvestri (1900) denominata £. guerrerii, e da lui ritenuta assai prossima a 5. brachyodonta Forn. — Ingrandita circa 20 volte. recente di Scandinavia, da Goés (1894) denominata 2. simplex d’ Orb. (« apertura parva, lingua cruciformi »). — Ingrandita circa 22 volte. recente dell’Adriatico, da Fornasini (1900) denominata 2. simplex d’ Orb. -- Ingrandita 45 volte. Forme neogeniche di Sicilia, da Silvestri (1901) denominate 2. glod6ulus Schlumb. — Ingran- dite 49 volte. 16. Forma neogenica di Sicilia, da Silvestri (1901) denominata B. gioenii, e da lui ritenuta assai prossima a 5. globulus Schlumb. — Ingrandita 49. volte. 17. F. recente del Golfo di Guascogna, da Schlumberger (1891) denominata 5. fischeri. — Ingran- dita 385 volte. AVASVIOASSIUE l. Forma recente dell’Atlantico e del Mediterraneo, da Schlumberger (1891) denominata 5. de- F. F. pressa d’ Orb., e da riguardarsi, secondo lui, quale vera rappresentante della specie istituita da d’ Orbigny (1826) con tal nome. — Ingrandita 17 volte. . neogenica dei dintorni di Vienna, da d’ Orbigny (1846) denominata B lunula, e da Brady (1884) ascritta a B. depressa d’ Orb. — Ingrandita circa 36 volte. . neogenica dei dintorni di Vienna, di Galizia e del Piacentino, da Reuss (1850) denominata B. amphiconica, e da Brady (1884) ascritta a B. depressa d’ Orb. — Ingrandita circa 20 volte. . neogenica di Calabria e di Terra d’ Otranto, da Costa (1856) denominata 2. circumelausa, e da Fornasini (1897) ascritta a B. depressa d’ Orb. — Ingrandita circa 25 volte. neogenica del Bolognese, da Fornasini (1889) ascritta a B. depressa d’ Orb., e da lui stesso più tardi (1896) a 2. bradyi Forn. — Ingrandita 20 volte. neogenica di Terra d’ Otranto, da Costa (in schedis: 1856 ?) denominata B. amphiconica Reuss, e da Fornasini (1898) ascritta a B. acquilabiata Terquem. — Ingrandita 27 volte. . F. neogenica di Rodi, da Terquem (1878) denominata 5. aequilabiata. — Ingrandita 20 volte. 10. DI 2, F. Sui RE TE, . recente dragata dalla « Gazelle », da Egger (1893) denominata 2. depressa d’ Orb. — Ingran- dita circa 50 volte. . neogenica delle Nicobare, da Schwager (1866) denominata B. murrhyna, da Brady (1884) considerata come varietà di B. depressa d’ Orb., e da Schlumberger (1891) come specie di- stinta. — Ingrandita circa 45 volte. . recente del Golfo di Guascogna, da Sehlumberger (1891) denominata 2. serrata Brady, la quale da Brady (1884) era già stata considerata come varietà di B. depressa d’ Orb. — Ingran- dita 20 volte. . recente delle Antille, da d’ Orbigny (1839) denominata B. carinata, e da Brady (1884) ascritta a B. depressa d’ Orb. — Ingrandita circa 35 volte. . neogenica d’ Austria, da Karrer (1867) denominata 2. plana, e da Goés (1894) ascritta a B. depressa d’ Orb. . recente dragata dal « Challenger », da Brady (1884) denominata £. depressa d’ Orb., e da Silvestri (1893) 5. depressa d’ Orb. var. separans. — Ingrandita 40 volte. . neogenica dei dintorni di Vienna, da d’Orbigny (1846) denominata B. affinis, e da Goés (1894) ascritta a B. simplex d' Orb. — Ingrandita circa 35 volte. . neogenica del Bolognese, da Fornasini (1891) denominata 2. cf. affinis d’ Orb. — Ingrandita 27 volte. . recente del Mare Jonio, da Silvestri (1893) denominata B. depressa d’Orb. var. serrata Brady, e più tardi (1901) da lui stesso 5. depressa d’ Orb. var. denticulata. — Ingrandita 15 volte. . recente dragata dal « Challenger », da Brady (18384) denominata B. tubulosa Costa. — In- grandita 35 volte. . recente dragata dal « Challenger », da Brady (1884) denominata 2. depressa d’ Orb., e da Fornasini (1886) 2. dradyi. — Ingrandita 40 volte. . recente del Mare Caraibico, da Goés (1882) denominata Miliolina ringens Lam. sp., (« sphe- roidal variety »). — Ingrandita circa 11 volte. neogenica di Galizia, da Reuss (1867) denominata B. ventricosa, e da Brady (1884) ascritta a B. irregularis d’ Orb. oligocenica di Prussia, da Reuss (1863) denominata 2. globulus Born., e da Brady (1884) ascritta, con dubbio, a 5. rregularis d’ Orb. 23. Forme oligoceniche di Prussia, da Reuss (1863) denominate £. lobata, e da Goés (1882) ascritte a Miliolina ringens Lam. sp. (« magis ovalis »). 24. F. neogenica di Calabria, da Seguenza (1880) denominata 2. disyuneta. — Ingrandita 44 volte. 25. F. recente del Golfo di Guascogna, da Schlumberger (1891) denominata B. comata Brady. — Ingrandita 20 volte. ME # da da i Ue | Mem.r. Acc. Sc.Bologna, s.6° vol.IV. C.Fornasini: da vari autori, E.Contoli lit. Stab. Lit. Fototip F.Casanova e Figlio - Bologna C.Fornasini: da vari autori. E.Contoli lit. Stab. Lit. Fototip F.Casanova e Figlio - Bologna. = —_—> e pprrpopne paper nn -- po CIA TRIAL IZ n ME Ao Saba 5.62 vol.IV. Tav. II 902000 SOPRA LE DIMOSTRAZIONI DELLA FORMULA DEL CAGNOLI RELATIVA ALLA DURATA MINIMA DEL CREPUSCOLO SS NOTA DEL PROF. MICHELE RAJNA (letta nell'adunanza del 9 dicembre 1906) In un luogo di data latitudine geografica p indichiamo con 7, e #, rispettivamente gli angoli orarî del Sole all’ istante del tramonto vero e alla fine del crepuscolo ve- spertino; con Ò la declinazione del Sole, quantità che si può ritenere costante nel- Îl l’ intervallo gf —£ ed uguale al valore che corrisponde all’ istante gala e final- mente con € la depressione dell’ almucantarat che determina la fine del crepuscolo ©), Allora le formule che risolvono il problema del crepuscolo minimo sono le due se- guenti ‘#**; 1 (1) sind =— tg50 sin P [Giov. Bernoulli, 1698] fa 1 gl ; (II) sinz (8, —_ 4) = Sim 5 c sec P ì [Ant. Cagnoli, 1786] Si sa inoltre che la condizione della durata minima del crepuscolo, cioè dti=t)_( dò ; equivale alla condizione geometrica (111) d,=%> 6° 30' SA i civile 180 RESA IO EESOoO ) astronomico. (**) Vedi D’ Arrest, Astron. Nachrichten, vol. 46 (1857), pag. 70. Nella mia Memoria intitolata « Nuovo calcolo dell’ effemeride del Sole e dei crepuscoli per l'orizzonte di Bologna » (Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, tomo I, serie VI, 1904, pag. 69 [11 dell’ Estrazto|) ho attribuito, per equivoco, al Bernoulli la formula (II) invece della (I). Serie IV. — Tomo IV. 9 (® Si ha quindi e= DERE dove con gq è indicato genericamente l’ angolo parallattico del Sole ‘#. La dimostrazione della formula del Cagnoli si fa di solito mediante una costru- zione geometrica che per maggior chiarezza indicherò brevemente ‘**. Rappresentiamo (fig. l).con ASH" l’oriz: | zonte e con KS,K' l’almucantarat corrispon- dente alla depressione HK =c. Per'un dato giorno sia .S, il punto dove il Sole tramonta e $S, il punto corrispondente alla fine del cre- puscolo. Si traccino i circoli orarî e i verticali dei due punti S, e S,. E noto che nel caso VA del crepuscolo minimo sì ha ang PS.Z = ang PSZ. Ciò posto, si prenda sul verticale Z$,, a partire dallo zenit, l’arco ZQ=VS$S, =c, e si tracci il circolo orario del punto @. I due 0 o 00 . Fig. 1 triangoli sferici PS, PS,7 sono uguali e È congruenti fra loro: infatti, oltre all’eguaglianza degli angoli parallattici, si ha PS. = 90° — di PS Qs = 90°= 8. Dunque sarà PQ=PZ=90° — © ang ZPS, = ang QPS e di qui segue ang ZPQ = ang SPS =t%,7 bk: Allora il triangolo sferico isoscele ZPQ dà cose — sin°P cos(f — {)= 3 (i o) cos Ne segue i I l L0 cose — sin? loeskh=4)= 2 sin el con 2 ossia 2isineee ca) l1— cosc 2) 2sn-({—t)= 5 = 3 2! Z 0) cos cos (4) Rimando al luogo citato di D’ Arrest per la dimostrazione della relazione (III) e della for- mula del Bernoulli. Ivi sono date indicazioni storiche e bibliografiche sul problema del erepuscolo minimo, che fu celebre nel secolo XVIII, e altre se ne trovano presso R. Wolf, Handbduch der Astro- nomie, ihrer Geschichte und Litteratur, Zurigo, 1890-93, vol. I, pag. 477. (**) Cfr. F. T. Schubert, Traité d’Astronomie théorique (Hamburg, 1834, vol. I, pag. 138). e finalmente sin" 2 mo 3 Soi, 0) cos Pi’ che è la formula del Cagnoli. Una costruzione geometrica è pure sottintesa dal D’ Arrest nel luogo citato ($ 5, pag. 72). | Si congiungano i due punti $,, $, con un arco di circolo massimo (fig. 2). Il trian- golo sferico SPS, è isoscele e quindi se si divide per metà l’angolo al vertice, mediante l’arco di circolo massimo PX, questo arco è perpendicolare alla base S,$, e la divide per metà. Poniamo SS, =_= À 3 allora il triangolo rettangolo S, KP dà a sinz (4, == 4) 1 1, i "ieosd" dl) sin34 Lei Fig 2 Se indichiamo genericamente con a l’azimut del Sole, contato dal sud verso ovest, è facile vedere che nel caso del crepuscolo minimo sta la relazione o (0) ON_MS04ZIa (2) Infatti avendosi in generale ci e: : cos j sina, = così sing, cos @ sina, = così sing, ne segue che per q, = 9, si ha Sn d, —= Sn 4, 9 e non potendo manifestamente essere a, = a,, rimane dimostrata la relazione (2). Ciò posto, nel triangolo S,VS,, che è rettangolo in V, si ha Vs =c, Vs=a = 180° — 2a, e quindi risulta SATA ; COSA ME 3 sin 4= — cose cos 2a, in Tt+ cosc cos 2a sini e et 0 2 2 Mo e per la (1) smi (i, Se 1 + cos Se 24, 2 2 cosà Ma essendo in generale sino) Cna; È ne segue O N COS 20, = Sud — l COS P e quindi sin° d' 1 \+-coscle a E AA era 2 cos°d Pa 2 cos $) cos'd 1 A 4 È peo cos-2sinze+2(1—2sin*0) sin°d 41 (e 6) cos°d (1 — cosc) + 2 cose sind n 2 2 sin (£— t)= i = Za] È 2 cos° P cosìd 2 cos°p cos'd Qui bisogna sostituire per sin°d e cos'dò i loro valori dati dalla formula del Bernoulli, cioè: ni SE . pi sin c sin°—c sind © cosòtd=1— cos'e così—c 2 2 Le) sind = sin°@ e così, dopo alcune riduzioni che ometto per brevità, si ottiene la formula del Cagnoli. A me pare che a questa formula si arrivi in maniera più naturale seguendo una via puramente analitica, come segue. Essendo 48, = 90° ZS =90°+ ce, le formule fondamentali della Trigonometria sferica applicate ai due triangoli ZPS,, ZPS, danno luogo, fra le altre, alle seguenti relazioni : sing, = cos @) sint, (3) cosce sing, = cos P sint, (4) 0 = sing sind + cos @ così cost, (5) — since = sin 9) sinò + cos gì così cost, . - (6) Per g,=% SÌ deduce dalle (3) e (4) n relazione semplice fra i seni degli angoli orarî del Sole al principio e alla fine del crepuscolo minimo. Di qui si ha ossia E 3 Roli sno smi ==? si e Sin DE (7) D'altra parte le (5) e (6) dànno per via di sottrazione Gal 1 È 2 sin—c cos—c SIN € 2 2 cos fd così — cos@ così (8) COS t, — C0S È, == relazione generale che non è limitata al caso del minimo. Ora le equazioni (7) e (8) equivalgono rispettivamente alle seguenti : 1 Pal persa A cos3 (È, “Pl sini == sin esin to TO : in—c cos=c 2 2 D) mel eno (O) sin— me dee_n_a ZI i i i li cos @ così da cui FRE MOL sin c cos'_c 2 2 cos°@ cos°d 1 Ugl ro sin (£— 4) = sin'_ e sin°/, + Nel secondo membro bisogna eliminare sin?,, e ciò si ottiene per mezzo della re- lazione notissima cost, = — tgPigà. Così avremo ani sin° @ sin° .) Pe 1 1 ua =) = sin'3e(1 = — e, TRO ii) AA cos cos°ò cos° d cos° d 1 1 1 IST 2 2 +2 +. 29 ; 2 2 Sn 50(cos 1) COS Ò — Sin P Sin Ò) -| SIN Dive =G così P così d 22 *_2 *__2 *-_2 N . al pl cos°@ (1 — sin°d) — sin° @ sin°d | + sin 3000830 2 così di così d a] sin*=c 2 1 Il I sin'—c (cost — sin°d sin*—c così-c 3 P == > 3 cos° @ cos°d RE Ora introduciamo qui per sin°d e cos°d i loro valori particolari corrispondenti al caso del crepuscolo minimo, cioè aa Ì Milia sin°—c cos°-—c — sin°—c sin° @ *«_2 OLL9) 29 2 2 sini sin°@, costò = —— i così — € così c ZI 2) e avremo 1 | pi Sala. 008° 0 così dj — sin°3 c sind : . lr O DI D Sin =O li suse Sc 2 2 2 all COST=C 2 soul sino (al ol . al "2 cos —C — sin —c sin così @ ; così c DÌ Lei ] ol 5 dl 31 I sin'e)(1 — sin* 0) cos d — sin e(1 — cos) + sin'5 e c08°7 c cos° d 1 1 I gli=o — gine g(l = gog Le— sintze(1 — cos") Je ll Nessi a PRIN e (cos°g a sin'3 0) = sin'3e (1 — sine) DI . Il f . 0 DI cos @ (1 — 2 sine + sin'50 cos $) so (sin, cos? no Ss 2 sin'50 + sine) in*=c(sin°-c cos — sin'=c 2 g= + p 2 P Z 2 2 3 i N | cos @ (1 — 2 sine + sin'3 e cos' È) e finalmente DR: sin—=c cos)’ che è la formula del Cagnoli, da lui pubblicata nell’ articolo Crépuscule della grande Enciclopedia (1786). I sin (4, — 4) = CAI Dell'azione degli acidi cloridrico e nitrico concentrati sul cloruro e mitrato di Bari NOTA DEL Prof. DIOSCORIDE VITALI (Letta nell’ Adunanza del 13 Gennaio 1907). È noto che, volendo ricercare 1’ acido solforico o i solfati nelle loro soluzioni, si acidi- ficano queste con acido cloridrico e poi si aggiunge cloruro di. bario che precipita : quei composti allo stato di solfato baritico. Ora, quando nell’ aggiungere l’ acido cloridrico lo si impieghi concentrato e in eccesso forte si ha precipitato bianco anche allorchè nella solu- zione non si trovi traccia di acido solforico o di solfati; il che naturalmente può indurre in errore nelle ricerche analitiche; errore però che si potrà sempre evitare non impie- gando grande eccesso di acido cloridrico concentrato, o avendo impiegato questo eccesso, avvenuta la precipitazione, aggiungendo al liquido torbido molta acqua, la quale farà scom- parire il precipitato se nella soluzione primitiva non erano presenti acido solforico o solfati, mentre esso persisterà se formato dal solfato di bario: e ciò perchè il precipitato che si forma aggiungendo eccesso di acido cloridrico concentrato alle soluzioni di cloruro bari- tico è costituito da questo sale reso insolubile dall’ eccesso di quell’ acido, il quale colla molta diluzione di questo ritorna in soluzione. Ora ho voluto constatare se questo fenomeno si produce anche nelle soluzioni di altri cloruri; poichè, quando ciò non si verificasse, si avrebbe in questo risultato negativo un mezzo non solo per distinguere il bario dagli altri metalli, ma altresì un mezzo per sepa- rare quello da questi. Ho voluto inoltre vedere se la precipitazione del bario allo stato di cloruro col mezzo dell’ acido cloridrico concentrato ed impiegato in grande eccesso è com- pleta, nel qual caso si avrebbe un mezzo di determinazione quantitativa del bario una volta che fosse trasformato in cloruro. Ed ecco i risultati di queste ricerche. Non s° intorbidano e molto meno precipitano con grande eccesso di acido cloridrico concentrato le soluzioni dei cloruri degli altri metalli terralcalini, stronzio e calcio. Ciò torna utile nelle analisi perchè, com’ è noto, i sali di quei metalli ànno in comune col bario alcune reazioni e il poterli separare da questo è quindi un mezzo per evitare un equivoco, MT Nessuno dei metalli terrosi o pesanti ha verso 1’ acido cloridrico un comportamento simile a quello del bario. Solo il piombo e l’ argento precipitano coll’ acido cloridrico ; però la precipitazione avviene anche coll’ acido cloridrico estremamente diluito, ed inoltre il precipitato o è affatto insolubile anche per aggiunta di molta acqua, come nel caso del- l'argento, o è pochissimo solubile come nel caso del piombo. Questo fatto o fenomeno dell’ insolubilità del cloruro di bario nell’ acido cloridrico concentrato ed impiegato in eccesso può essere utilizzato anche per la determinazione quan- titativa del bario una volta che lo si sia trasformato in cloruro. Questo metodo di dosa- mento è molto facile e semplice : poichè basta aggiungere alla soluzione del cloruro bari- tico più concentrato che sia possibile un fortissimo eccesso di acido cloridrico concentrato (8 vol. circa di acido per 1 vol. della soluzione salina) perchè tutto il cloruro sia preci- pitato : il che è dimostrato dal fatto che, nel liquido acido separato dal precipitato, 1’ acido solforico diluito non vi produce il ben che minimo intorbidamento. ed inoltre dal fatto che detto liquido acido evaporato a secchezza non lascia residuo, la cui soluzione s° intorbidi coll’ acido solforico. Per dosare con questo metodo il bario basta evaporare in capsula tarata il liquido acido insieme al precipitato e quando è perfettamente secco pesare e dal peso del cloruro così ottenuto dedurre quello del bario. Per ottenere risultati esatti quando il cloruro di bario si trovi mescolato a cloruri 0 a sali di altri metalli non precipitabili dall’ acido cloridrico concentrato è necessario dopo avere aggiunto questo lasciare a se il miscuglio perchè il cloruro baritico si deponga totalmente, lasciando limpidissimo il liquido acido soprastante, per il che non occorre molto tempo non essendo il precipitato polveroso ma cristallino e pesante, poi decantare e aggiun- cere al precipitato, agitando, nuovo acido cloridrico concentrato fino che questo più non presenti le reazioni di detti sali estranei coiì quali il bario era mescolato e sino a che l’acido evaporato non lasci più residuo. Avendo eseguita l’ operazione in capsula tarata non occorre altro che evaporare, come si disse, a secchezza e pesare per avere il peso del cloruro di bario dal quale poi dedurre il peso del metallo. Questo metodo può applicarsi alla separazione e determinazione del bario anche quando esso si trova in combinazione con altri acidi diversi dal cloridrico poichè gli altri sali e composti del bario sì possono sempre facilmente trasformare in cloruro e facendo agire l'acido cloridrico direttamente su di essi, se si tratta dell’ ossido, idrossido, del carbonato e di altri sali facilmente decomponibili da quell’ acido, come 1° acetato, il valerianato, l’ossalato, il succinato ecc, o ricorrendo alla disaggregazione con carbonato sodico, qualora si tratti di sali non attaccabili dall’ acido cloridrico, come ad esempio il solfato e trattando poi il carbonato baritico, uno dei prodotti della disaggregazione, coll’ acido cloridrico. Fra i sali di bario che non possono essere, almeno totalmente, trasformati in cloruro dall’ acido cloridrico, avvi il nitrato. Quando ad una soluzione di nitrato baritico si aggiunga forte eccesso di acido cloridrico concentrato si produce immediatamente precipitato : il liquido acido, separato da questo, non contiene neppure una traccia di bario, il quale si trova tutto nel precipitato. Ho voluto accertarmi se il precipitato è costituito solamente da cloruro di bario i+ e o da solo nitrato oppure da un miscuglio di entrambi questi sali. Nel primo caso nel liquido acido soprastante al precipitato si sarebbe trovato acido nitrico, e non nitrato nel precipitato; nel secondo caso nel precipitato non si sarebbe trovato cloruro e non acido nitrico nel liquido acido; nell’ ultimo caso infine sarebbesi rinvenuto cloruro nel precipitato e acido nitrico nel liquido acido. Le ricerche che ho a questo scopo ese- guite m’ hanno convinto che il precipitato è costituito in parte da nitrato e in parte da cloruro, e che quindi nel liquido acido soprastante si trova acido nitrico. Ed ecco come ho potuto dimostrar ciò. Ho lavato il precipitato con acido nitrico concentrato e puro fino che questo più non intorbidasse col nitrato d’ argento : poi ho sciolto il precipitato così lavato in acqua: Ja soluzione intorbidò fortemente col nitrato argentico ; ciò che sta a dimostrare che nel precipitato si trovava cloruro di bario, formatosi per azione dell’ acido cloridrico sul nitrato di bario. Una prova ulteriore che l’ acido cloridrico concentrato nel mentre precipita il nitrato di bario in pari tempo lo decompone in parte la sì ha nel fatto che l’acido cloridrico soprastante al precipitato contiene acido nitrico. Per la ricerca di que- st’ acido nell’ acido cloridrico ho proceduto nella maniera seguente. Ho neutralizzato parie di questo acido con carbonato sodico purissimo e quindi affatto esente da nitrati e ho evaporato il liquido a secchezza: poscia distillai il residuo insieme ad acido solforico pari- menti privo di acido nitrico e di prodotti nitrosi, e a rame: ottenni così uno stillato che coll’ acido solforico purissimo e colla difenilammina manifestò un’ intensa colorazione azzurra prova della presenza di acido mtrico o nitroso: e questa colorazione azzurra si produsse non ostante che nel distillato fosse presente dell’ anidride solforosa prodottasi per la ridu- zione dell’ acido solforico operata dal rame. Per ciò che riguarda la ricerca del cloruro di bario nel precipitato parrebbe che se ne fosse potuto dimostrare la presenza raccogliendo il precipitato, asciugandolo il più che fosse possibile fra carta bibula a più doppi, poi scaldandolo per scacciare le piccole quan- tità di acido cloridrico interposto nel precipitato medesimo e in fine ricercando nella solu- zione di questo il cloruro col nitrato d’ argento. Ma non ho praticato questo metodo di ricerca ed ho invece dato la preferenza a quello sopradescritto perchè con esperienza pre- liminare ho potuto dimostrare che facendo intervenire il calore anche quantità minime di acido cloridrico sono capaci di decomporre il nitrato di bario formando cloruro baritico. L’azione quindi dell’ acido cloridrico concentrato sul nitrato di bario, per la quale tutto il bario di questo sale, è, come si è visto, precipitato totalmente, non può essere utilizzata per la determinazione del bario in detto sale, collo stesso metodo col quale lo si dosa allo stato di cloruro precipitandolo dalla sua soluzione con eccesso di acido clori- drico concentrato. Siccome però anche in questo caso si ha nel precipitato tutto il bario che era contenuto nel nitrato sottoposto all’ azione dell’ acido cloridrico, così in questo fatto non solo si ha un metodo per separare quel metallo da altri metalli i cui nitrati non sono come quello di bario precipitabili dall’ acido cloridrico, ma si ha altresì un modo di dosare il bario nella soluzione del precipitato allo stato di solfato di bario seguendo in ciò le norme dell’ ordinario metodo. Quando una soluzione di nitrato di bario venga trattata con fortissimo eccesso di acido Serie VI. — Tomo IV. 10 MRI nitrico concentrato tutto il sale baritico precipita nello stesso modo col quale, come si è visto, precipita dalle sue soluzioni il cloruro di bario, quando ad esse si aggiunga pure grande eccesso di acido cloridrico concentrato. Che la precipitazione sia totale è dimo- strato dal fatto che il liquido acido separato dal precipitato non s° intorbida per aggiunta dì acido solforico diluito, ed inoltre evaporato a secchezza non lascia residuo. Quindi è che il bario quando si trovi allo stato di nitrato lo si potrà dalle sue soluzioni separare me- diante l’ acido nitrico concentrato e in eccesso dagli altri metalli i cui nitrati non sono precipitati da quell’ acido, e lo si potrà dosare, scaldando il precipitato per liberarlo dal- l'acido nitrico interposto, nella capsula stessa, precedentemente tarata, in cui sì è formato e, dopo completo essiccamento, pesando : dal peso del nitrato si deduce poi quello del bario. Naturalmente per dosare il bario allo stato di nitrato in altri composti di questo metallo fa duopo trasformarli in quel sale: ciò che si potrà fare facilmente trattandoli con acido nitrico (ossido, idrossido, carbonato di bario, ed altri sali facilmente decomponibili dal- l'acido nitrico quali, acetato, valerianato, ossalato, succinato ecc.). Per ciò che riguarda i composti non decomponibili dall’ acido nitrico, anche in questo caso come quando si tratta di trasformarli in cloruro, fa duopo ricorre alla disaggregazione col mezzo del carbonato sodico, con che il bario si trasforma in carbonato facilissimamente trasformabile in nitrato coll’ acido nitrico. Il fatto della precipitazione del cloruro di bario coll’ acido cloridrico concentrato e del nitrato coll’ acido nitrico parimenti concentrato parrebbe potesse ricevere spiegazione me- diante i principî della teoria della dissociazione elettrolitica, secondo la quale la dissocia- zione dei composti chimici è proporzionale alla loro conducibilità elettrica, e diminuisce coll’ aumentare in essi dei loro joni; pel quale aumento la dissociazione retrocede. Così si spiega per esempio come aggiungendo ad una soluzione di cloruro di potassio del cloro, retrocedendo la dissociazione, si separi di quel composto salino. Altrettanto si dica per ciò che succede quando ad una soluzione di solfato di potassio si aggiunge dell’ idrossido di questo metallo, nel qual caso si ha separazione di detto solfato, il che accade perchè per l’ aggiunta della potassa si aumenta il jone potassio nel solfato e perciò la dissocia- zione retrocede e quindi quel sale precipita. Volendo applicare questo principio ai fatti che hanno formato oggetto di questa nota, cioè alla precipitazione del cloruro di bario per aggiunta di acido cloridrico, e del nitrato di bario per aggiunta di acido nitrico, essi sì spiegherebbero ammettendo che la precipi- tazione avvenga per l’ accumularsi del jone cloro nel 1° caso e del jone NO, nel 2°, per la quale concentrazione di joni, retrocedendo la dissociazione di quei due composti baritici, avverrebbe la loro separazione. Se non che parmi che quel principio della dissociazione elet- trolitica non si possa applicare ai fatti su esposti. Innanzi tutto perchè nel caso del cloruro di bario non avviene la sua separazione se invece dell’ acido cloridrico concentrato si im- pieghi acido cloridrico diluito anche in grandissimo eccesso; nel qual caso si avrebbe parimenti aumento di joni e quindi la dissociazione dovrebbe pure retrocedere. Altrettanto dicasi del nitrato di bario il quale non precipita quando invece dell’ acido nitrico concentrato si aggiunga anche nel più grande eccesso l’ acido nitrico diluito. SAL, STA Del resto è evidente che l’ anzidetto principio della dissociazione elettrolitica non si può assolutamente invocare per spiegare la precipitazione del nitrato di bario mediante l’acido cloridrico concentrato: poichè aggiungendo quest’ acido alla soluzione del nitrato non si introducono dei joni contenuti già in quel sale di bario e quindi non avvi aumento o concentrazione di essi. Questi fatti invece non si possono plausibilmente spiegare, se non ammettendo che tanto il cloruro che il nitrato di bario precipitano dalle loro soluzioni per l aggiunta di eccesso di acido cloridrico e nitrico, perchè affatto insolubili in questi ultimi quando si trovano in uno stato di grande concentrazione. Hi resa Sp De | il x dl i nu | ATTILIO STRATI pur fi Ifito, Si 4 CONA e ele io [RITIRI A TLST RO LOI È (LIMITA #0 Th AMO } sasa dalia annata Lib gp til COLLO SRP Wal Bi ifatirzià PIA: GE ATTRATTI $/; DE dio De ia ICrAYi nh AN I Lie Ln È I cn o Le viaria mitra i uprpiità Au Ac once ‘vi È, fini aio ario frni icai cld E ADI fp, fiati ci Epensoge cito iulm eat Kaori tifi Ì i | j sere deine Ur D E N È Ù i % se i oa pi l'aedi f ui PRO n Ci i na x È ni hi L4 (P là hi cinto ssi ian i i Mpgane | tei ct i: ae Dif AM # E VAT a VOLI 4A i Riina asino mates IRR IE E DOTT i pakinat co CE Ar e pe US TRE TLO =: è pi FIA 5, Nb Ni eta vita ale viva sie eat jja > Ve SUR, ti +2 6 Li TALI ì I dit CHO | ì tue e x Ta Canale utero-vaginale in rapporto con genitali maschili normalmente sviluppati NOTA DEL Prof. GIULIO VALENTI letta alla R. Accad. delle Scienze dell’ Istituto di Bologna nella Seduta del dì 11 Novembre 1906 (CON TAVOLA) Vari casì di permanenza dei canali di Miiller, fusi o separati fra loro, o di perma- nenza di un solo di essi, furono descritti nell'uomo. Ciò non ostante, tale anomalia, che quasi sempre si trovò accompagnata ad arresto di sviluppo dei genitali maschili e spesso alla mancata discesa dei testicoli nello .scroto, è da considerarsi come straordinariamente rara se trattisi di individui aventi i genitali maschili al completo grado di sviluppo. Per tale considerazione non stimo inutile la descrizizione di un canale utero-vaginale rudimentale, occorsomi di osservare esaminando, in più di 200 cadaveri, la prostata e le vescichette seminali accuratamente preparate per altre ricerche, tanto più che l’anomalo canale, per alcune particolarità, differisce dagli altri finora descritti. BIBLIOGRAFIA — Già nel 1850 dal Betz (8) in un neonato, insieme ai canali de- ferenti bene sviluppati, fu trovato un canale utero-vaginale, per cui venne rifiutata 1’ opi- | nione primitiva di Arnold relativa allo sviluppo dei condotti escretori dei testicoli e del- l’ovaia da una identica formazione. I. A. Boogaard (6) in un uomo di 66 anni ha notato la persistenza di ambedue i canali di Miiller che separatamente sboccavano nella porzione prostatica dell’ uretra. Situati internamente agli ureteri, si estendevano, ciascuno, dalla prostata all’ estremità superiore del rene dello stesso lato, terminando, il destro in modo appuntato, ed il sinistro con una vescichetta rotondeggiante, del diametro di circa 8 cm. Senza prendere alcun rapporto con i calici o con il bacinetto, contornavano i reni dal lato interno. Il destro misurava 3,5 cm. di circonferenza ed il sinistro da 7 ad 8 cm. Il loro sbocco nell’ uretra avveniva per mezzo di stretti orifizi, simili a quelli dei condotti eiaculatori, presso la linea mediana e poco più Serie VI. — Tomo IV. 11 ET AE in alto del « colliculus seminalis ». L'A. fa rilevare che sopra a questo non esisteva l’or- dinaria apertura dell’ otricolo prostatico e che un piccolo foro situato 4-5 mm. più in basso dello sbocco dei canali eiaculatori, corrispondeva ad un canalino comunicante con il canale di Miiller del lato sinistro, il quale così veniva ad essere in comunicazione con 1’ uretra per mezzo di due orifizi. Si ha di tal caso una relazione nel « Journal de l’ Anatomie et de la Physio- logie » (*) sottoscritta con le iniziali G. P., che per quanto si apprende nello stesso gior- nale da una comunicazione di Remy (21) sulla quale avremo da intrattenerci, corrispondono al nome di G. Pouchet. In tale relazione si riconosce come indiscutibile il significato di condotti di Miller per i due canali anomali descritti dal Boogaard, a causa specialmente del loro rapporto con l’uretra prostatica; ma, notandosi che la loro estremità superiore non avrebbe seguìto la discesa delle ghiandole genitali, si emette il dubbio « qu’on ait cru à tort retrouver les restes de cette extrémité entre le testicule et 1’ épididyme » (2). Si trova poi di un certo interesse la differenza di diametro di quei canali che ricorderebbe l’atrofia unilaterale dei corrispondenti organi nella femmina degli uccelli. Barth (2) descrive in un bambino di 6 anni, morto per idronefrosi doppia, un con- dotto cilindrico situato anteriormente all’ uretere di destra ed esteso dal livello della cor- rispondente capsula surrenale alla parete posteriore della vescica. Tale condotto terminava in alto con una estremità assottigliata ed a fondo cieco, in rapporto con un piccolo gruppo di cisti trasparenti, nel quale lA scorge un resto del corpo di Wolff; ed in basso, dopo essersi insinuato fra la tunica muscolare e la tunica mucosa della vescica, sollevando quest’ ultima in modo da formare una specie di valvola capace di ostruire l’orifizio del collo vescicale, si apriva nell’otricolo prostatico per mezzo di un orifizio che senza difficoltà permetteva l’ introduzione di « un stylet de gros calibre ». Nulla di simile si trovava dal lato opposto ; e normali erano, da ambedue i lati, tanto i canali deferenti che le vescichette seminali, 1 canali eiaculatori, la prostata, e le altre parti genitali. Il Barth, pur ricono- scendo in quel canale anomalo il rappresentante di un condotto di Miiller, mette più spe- cialmente in rilievo l'interesse clinico del caso, poichè a causa di quel sollevamento della mucosa vescicale si aveva tale ostacolo alla emissione dell’ orina, che fu causa della morte dell’ individuo. | Remy (21) prendendo in esame il caso già descritto dal Barth, ne rileva altre par- ticolarità, ed aggiunge alcune proprie considerazioni. Riguardo al volume dell’ anomalo ca- nale, nota che questo va gradualmente ingrossando dall'alto al basso, presentandosi dap- prima come una penna d’oca e raggiungendo poi il diametro di un piccolo intestino : Le sue pareti, dello spessore di '/, di millimetro, resultano di una tunica fibrosa esterna, di una tunica media muscolare, e di una mucosa. Quest’ ultima, liscia, presenta delle valvole sparse per la lunghezza del canale; al livello della vescica prende un aspetto reticolato ed è provveduta di diverticoli. Riconosce il Remy, nel caso del Barth, « una evidente dimo- strazione del significato di utero mascolino attribuito generalmente all’ otricolo prostatico, (*) Anno 1877, p. 200. Bic 7 gn dopo che Weber (29) lo considerò come tale » ("). Avendo poi ricercato e riscontrato nello stesso caso la presenza, da ambedue i lati, delle idazidi sessili di Morgagni, lo stesso Remy esprime il dubbio già emesso da Pouchet, riguardo al significato attribuito a quest’ ultime formazioni dal Waldeyer (28), osservando che la loro presenza è in disac- cordo con la mancata discesa delle estremità superiori dei canali di Miiller, delle quali vengono considerate omologhe. E poichè anche l'organo di Giraldés esisteva nello stesso individuo, e bene sviluppato da ambedue i lati, pure riguardo a questo il Remy emette il dubbio che debba considerarsi come un resto del corpo di Wolff, che sembra vi sia rap- rappresentato dalle piccole cisti trasparenti aventi rapporto con l’ estremità superiore del- l’anomalo canale. Soggiunge tuttavia, che una sola osservazione non può distruggere ciò che hanno edificato i lavori di Waldeyer e di Giraldés, ed inoltre: « Si d’ une coté l’observation de cette monstruositéè est defavorable à Waldeyer, elle tourne en sa faveur par un autre point de vue. Ainsi, il est certain que le testicule est tout à fait bien formé malgré la persistance du corps de Wolff, ce qui n’ aurait pas dù avoir lieu si les tubes testiculaires naissaient de tubes de Wolff. Si l’on admet avec Waldeyer la formation des tubes testiculaires aux dépens de l’epitelium germinatif, l’explication du fait actuel ne rencontre aucune difficulté » (!). Riguardo al confronto che fa Pouchet fra l’ineguaglianza di sviluppo dei due canali di Miiller nel caso del Boogaard, e l’atrofia unilaterale degli organi genitali femminili degli uccelli, Remy osserva che lo stesso confronto non è possibile per il caso di Barth, ove unicamente il canale di destra era sviluppato, cioè quello appunto che negli uccelli si atrofizza. E. Martin (17) descrive come caso di persistenza dei canali di Miller, la loro man- cata riunione in un feto di 7-8 mesi, ove, a guisa degli ureteri, questi sboccavano nella vescica urinaria. Ma tal caso, ove non fu possibile stabilire il sesso per la mancanza delle ghiandole genitali, interessa più che altro la patologia del feto. C. Langer (15), in un giovane soldato suicida, descrive un organo anomalo, della lunghezza di 8 cm. e provveduto di una cavità rivestita da mucosa, che inferiormente si insinua nella prostata per continuarsi con l’otricolo prostatico, e termina in alto biforcan- dosi in modo simmetrico per dare origine a due corni appuntati, lunghi circa 2 cm. Per i differenti caratteri che la mucosa, anche se macroscopicamente osservata, presenta a varie altezze di quell’organo, si possono distinguere in esso tre porzioni: Una porzione inferiore, con mucosa liscia, estesa per quasi !, della lunghezza totale, che l’ A. considera come rappresentante la vagina; una porzione media, ove la mucosa presenta delle rilevatezze paragonabili alle « plicae palmatae », che egli ritiene corrispondente alla porzione cervi- cale dell’utero; e finalmente una terza porzione che insieme ai corni con i quali si (*) Da Thiersch (1852) fu denominato vagina maschile V’otricolo prostatico 0 « sinus novus di Morgagni », ma è da notare a tal proposito che già Malacarne (Memorie della Società Italiana, IX, 1802, p. 109) lo paragonò alla vagina, in conformità delle più recenti vedute (Mihalkowics: Untersuchungen iber die Entwickelung des Harn-und Geschlechtapparates der Amnioten. Intern, Mo- natschrift fiir Anatomie, II, 1885). uu. Sigg cai continua, rappresenta il corpo dell’utero. Si trovano poi, distaccate da quest’ organo, ed in rapporto con i ligamenti larghi, insieme con i canali deferenti e con i testicoli (non discesi) i rudimenti delle trombe uterine. Un caso simile fu descritto dallo stesso Langer nel 1855 in un individuo di 63 anni. Con ambedue i casi del Langer presentano grandissima so- miglianza i casi del Petit (19), del Franque (9) e del Baeckel (5) che si trovano citati pure nel trattato di Anatomia del ‘l'estut (1905, T. IV, p. 512). Lookwood (16) descrive in uomo di 38 anni, un cordone parallelo all’ uretere di destra, che dal livello dell’ilo renale dello stesso lato, ove terminava in modo da sembrare un secondo bacinetto, scendeva in basso, e, giunto presso la fossa iliaca, abbandonava l’ure- tere per unirsi al canale deferente. Il cordone resultante da quella unione seguiva il corso ordinario del canale deferente e terminava nello stesso modo di questo. L’otricolo prosta- tico nulla presentava di anormale. In accordo con il significato di condotto di Miller da assegnarsi a tale cordone anomalo, e con il significato attribuito dal Waldeyer alla ida- tide di Morgagni (differentemente alla osservazione sopra citata del Remy) il Lookwood trova, nel suo caso, mancante l’idatide del Morgagni presso il testicolo di destra (*). Iacques (18), in uomo di 81 anni, descrive un organo di forma conica, situato po- steriormente alla vescica, della lunghezza di circa 7 cm. e della larghezza massima di 18 mm., provveduto di una cavità in continuazione con l’otricolo prostatico. Le pareti di quest’ organo sono lateralmente fuse con quelle delle ampolle dei canali deferenti, ed in basso con i canali eiaculatori. Di questi, il destro solamente sbocca alla superficie del veru montanum, ed il sinistro nella stessa cavità dell’otricolo. La descrizione di tal caso è specialmente interessante perchè accompagnata da un diligente esame istologico e da nuove considerazioni sopra il significato dell’ organo anomalo. Nella parte più alta di questo, ove le pareti presentano uno spessore di 4 mm., si distinguono tre strati di fibre muscolari liscie : nello strato esterno queste presentano una direzione longitudinale, nel medio una direzione trasversale, e nell’interno, che è il più spesso, una direzione irregolarmente obli- qua, in modo da presentare una disposizione plessiforme. Ognuno di questi strati diminuisce gradualmente di spessore dall’alto al basso, finchè tutti si fondono insieme. Scarsa quan- tità di tessuto connettivale si trova fra i fasci muscolari. La cavità dell'organo è tappez- zata da una mucosa di spessore non uniforme, e rappresentata più specialmente da uno strato di connettivo che si continua con il connettivo intermuscolare. L’epitelio, mal conser- vato, è formato da elementi di varia altezza (verso i 100 p), ma dello stesso tipo per tutta l’estensione dell’organo, per cui in questo non è possibile fare alcuna distinzione fra por- zione uterina e porzione vaginale. Diverse villosità si notano alla superficie della mucosa, più sviluppate e più numerose nella parte inferiore, mentre che in alto vi si osservano delle (*) I Lookwood si propone di tornare sopra il caso descritto dopo aver praticato l’ esame isto- logico del preparato; ma non mi è stato possibile di trovare altra sua comunicazione sopra lo stesso argomento. È da notare inoltre che nel Trattato di Anatomia del Poirier (T. V, 1901, p. 398) ci- tandosi il caso del Lookwood (senza l’ indicazione bibliografica) si considera questo come uno dei casi eccezionalissimi in cui si è osservata « la persistance presque totale du conduit miillerien, sous forme d’un cordon qui accompagne l’uretére, puis le déferent jusqu à l épididyme ». vere cripte. Ciò che più specialmente mette in rilievo il Iacques, è la presenza, nello spessore della parete muscolare, di un gran numero di cavità tappezzate da un epitelio. Queste sono di forma irregolare e di varie dimensioni (da 50 a 500 p), sono sparse tanto nello strato medio che nell'interno, più numerose in alto, e mancano affatto nella porzione inferiore dell’organo. L’epitelio, nei punti ove è meglio conservato, si presenta come un epitelio cilindrico stratificato, ma per lo più è rappresentato da uno o due strati di cellule allungate. La massima parte di quelle cavità sono affatto isolate dalla cavità centrale, e soltanto dei rarissimi orifizi si trovano a farne comunicare alcune con questa, per cui sembra all’A. che a ciascuno di questi orifizi corrisponda un sistema lacunare vasto ed esteso. Nell’interno di tali cavità sono dei gruppi di grosse granulazioni costituiti da una sostanza finamente granulosa e disposta a strati concentrici, simile a quella dei gra- nuli di amido. L'A. riconosce tali granulazioni come identiche alle concrezioni azotate che normalmente si sviluppano, nell’ adulto, negli acini delle ghiandole. Numerosi vasi, arteriosi e venosi, decorrono nello spessore delle pareti muscolari, ed al di fuori di queste, delle arterie voluminose a direzione trasversale. In considerazione che la struttura della mucosa dell'organo descritta dal Jacques, non corrisponde alla struttura della mucosa uterina o vaginale, egli osserva che « morpho- logiquement l’organe utriculaire étudié ne saurait éire comparé à l’utérus, el moins en- core au conduit utéro-vaginal entier. Per rispondere poi alla questione se quell’ organo possa considerarsi come il resultato di una ipertrofia dell’ otricolo prostatico, non ha dati precisi sopra la struttura di questa, che fu dagli autori variamente descritta. Ed in base alla ingegnosa spiegazione data da Tourneux (°) della divergenza di opinioni sopra la forma dell’ otricolo prostatico, ritiene possibile che la cavità dell’ organo anomalo rappresenti « un diverticule de l’urèthre limité par une muqueuse très analogue à la muqueuse uré- trale ». Tuttavia, per ciò che riguarda l’inviluppo muscolare non esclude che esso possa appartenere ai canali di Miller. i Sopra il significato delle cavità epiteliali intra-muscolari non emette alcuna opinione, ritenendo difficile attribuire ad esse il significato di ghiandole non ostante l’esistenza nel loro interno di concrezioni simili alle concrezioni della prostata che le avvicinano alle ghiandole di quest’ organo. Primrose (20), in un giovane di 23 anni con i testicoli nella cavità addominale, de- scrive un utero con canale cervicale ben distinto ed in continuazione con la vagina, che sboccava nell’ otricolo prostatico. L’ utero, insieme con il collo, misurava 7 cm. in lunghezza, possedeva una cavità larga, nella parte centrale, circa 6 cm., e terminava in alto con due trombe rudimentali. All’ esame istologico, presentava, nelle sue pareti, fibre muscolari liscie, e ghiandole. Non vi era traccia di canali deferenti nè di vescichette seminali. Stonham (26) in un ragazzo di 9 anni, pure affetto da criptorchia, trova un utero con vescica bene distinta, e con canale cervicale provveduto di « plicae palmatae ». Man, cavano le vescichette seminali, ma vi era il canale deferente in rapporto con l’ epididimo. (*) Vedi nota a pag. 83. Serie VI. — Tomo IV. 12 RE Willet (30) descrive un utero con vagina e tube rudimentali, in uomo ammogliato e con due figli. I testicoli, con epididimo, non erano discesi, ma il pene era normalmente svi- luppato. L’utero, sprovvisto del collo, possedeva una cavità che non sì estendeva alle tube. La prostata era normale. Vi erano i canali deferenti, ma non le vescichette. Siegenbeek van Heukelom (25) descrive un caso molto interessante di utero ma- scolino bicorne in un giovine supposto affetto da ernia inguinale irriducibile, ove si trovava nel sacco erniario il corno sinistro dell’utero. Il testicolo sinistro era disceso nello seroto e non presentava alcun rapporto con l’utero anomalo, mentre il testicolo destro era nella cavità addominale in rapporto con il ligamento largo. Il collo uterino presentava le sue caratteristiche « plicae palmatae », ed immediatamente al di sopra di questo sorgevano i due corni uterini divaricati fra loro ad angolo retto. Il testicolo destro era accompagnato dall’ epididimo e dal canale deferente, e presentava bene sviluppati l’ organo di Giraldés e la idatide di Morgagni. Quest’ ultima era manifestamente in continuazione con le tube fal- loppiane, in appoggio alle vedute di Fleischl e Waldeyer sopra il significato dell’ ida- tide stessa. Molti altri casi potrebbero essere ricordati di presenza dei canali genitali femminili nor- mali od atrofici insieme a genitali maschili più o meno sviluppati, che rientrano nella catego- ria degli ermafroditismi; ma troppo questi si allontanano dal caso che sono per descrivere perchè ora su di essi mi intrattenga. Mi limito perciò a citare : -— il caso di androginìa del- l’Ackermann (1): — il caso descritto dal De-Crecchio (7) di un utero con vagina, trombe e padiglioni in rapporto con ovaie atrofiche, in un individuo di 40 anni con pene affetto da ipospadia; — l ermafrodita esaminato da Friedreich (10), Schultze (24), Franque (9) e Rokitansky (22), e qualificato da Friedreich come caso di erma- froditismo laterale vero: — il caso di Griiber (11); edi casi di Heppner (12), di Obo- lonsky (18), di Schmorl (23), e di Blacker e Lawrence (4) che erroneamente, come Primrose fa osservare, furono considerati come casi di vero ermafroditismo. OSSERVAZIONE ORIGINALE — L’organo anomalo presentatosi alla mia osserva- zione, che già ho denominato canale utero-vaginale, si trovava in un individuo di 63 anni, sopra il quale, tanto per la conformazione generale del corpo che per la presenza di te- sticoli bene sviluppati e discesi nello scroto e di un pene perfettamente normale, non pote- vasi avere alcun dubbio riguardo al sesso, nè potevasi sospettare di alcuna malformazione interna dei genitali. La sua prostata misurava in lunghezza 31 mm., era larga 50 %, mm. e spessa 24 mm. Delle vescichette seminali, ambedue di forma regolare e ben distinte dai canali deferenti, la destra misurava in lunghezza 7,3 cm. ed aveva una larghezza massima di 2 cm.; la sinistra era lunga 7,2 cm. e larga 1,5 cm. I canali eiaculatori sboccavano, ciascuno iso- latamente, ai lati del veru montanum, circa 1 mm. più in basso dello sbocco dell’otricolo prostatico, che presentavasi normale per forma e situazione. Esaminando la prostata dalla sua parete posteriore, era facile accorgersi della presenza di un organo anomalo cordoni- forme, della lunghezza di più che 11 cm. (fig. 1), che sorgeva dalla fossetta interessante Reason la zona posteriore della sua base, e precisamente framezzo ai due canali deferenti che in quella fossetta si insinuavano, come normalmente, insieme alle vescichette seminali, per dare origine ai condottini eiaculatori. Tale organo, che alla palpazione si dimostrava co- stituito da un tessuto piuttosto resistente, dalla base della prostata si portava in alto ed indietro, essendo addossato insieme ai canali deferenti, al basso fondo della vescica. La sua parte inferiore, di forma regolarmente cilindrica e del diametro di 6 mm., era tenuta aderente ai condotti deferenti semplicemente da tessuto cellulare lasso, in modo che riusciva facile di poterla isolare da questi con un leggero stiramento manuale; ma dopo un decorso di circa 2 cm. esso si univa tanto intimamente con il condotto deferente di si- nistra per un tratto di circa 4 cm., e poco più in alto con quello di destra per circa 1% cm., che neppure con una accurata dissezione era possibile continuare ad isolarlo senza in- cidere un tessuto duro, comune ad esso ed ai condotti deferenti stessi, che anche macro- scopicamente si rivelava per un denso tessuto muscolare liscio. Da quella unione risultava un cordone appiattito in senso antero-posteriore, avente un diametro trasverso di 1 1 cm. ed uno spessore di 6-7 mm. Dopo che nuovamente l’ organo anomalo si era reso libero dai condotti deferenti, andava gradualmente assottigliandosi, seguitando a decorrere framezzo al tessuto sotto-peritoneale, finchè terminava con una irregolare e bilobata dilatazione di apparenza cistica (fig. 1. c.), lunga 1 '/ cm. e larga 9 mm., alla quale faceva seguito un cordoncino che presto si sperdeva nello stesso tessuto sotto-peritoneale. Da una puntura praticata in tale parte, è sgorgato un liquido limpido ed incolore, del quale, a causa della scarsa quantità, non è stato possibile praticare l’ esame chimico. Avendo insinuato nell’ orifizio dell’ otricolo prostatico un sottile specillo bottonato, fa- cilmente ho potuto constatare che la cavità di questo era in diretta continuazione con un canale che si estendeva per quasi tutta la lunghezza di quel cordone e precisamente sino alla dilatazione cistica ora notata. Tale canale si è presentato direttamente all’ osservazione in sezioni trasversali praticate allo scopo di eseguire l’esame istologico; ed in corrispon- denza della parte più larga del cordone, nel tratto, cioè, per cui questo trovasi intima- mente unito ai condotti deferenti, misurava in senso trasversale circa 3 mm., mantenendosi sempre distinto dal lume di questi (fig. 2). L'esame istologico di numerose sezioni praticate in varie parti del canale anomalo ora descritto, ha rivelato che le sue pareti sono principalmente costituite da un tessuto musco- lare liscio, a fasci di varie direzioni, e parzialmente rivestito all’interno da un epitelio : Questo si presenta soltanto nella parte media e più bassa dell’ organo, e per lo più è in via di disfacimento o distaccato. Ciò non ostante, è possibile distinguere in esso due forme differenti, e cioè, nella parte media (fig. 3), un epitelio cilindrico ad un solo strato, e nella parte che direttamente sta al di sopra dell’ otricolo prostatico un epifelio pavimentoso stra- tificato con cellule basali rotondeggianti (fig. 4). Riguardo ai fasci muscolari, si osserva che in corrispondenza della parte media, ove le pareti presentano il massimo spessore, questi sono distintamente disposti in due strati, dai quali l'interno è costituito quasi esclusivamente di fibre circolari strettamente serrate fra loro (fig. 3. s. i.) e l’esterno di fibre longitudinali (fig. 3. s. e.). I fasci di fibre longitudinali aumentano in spessore verso la periferia del canale e sono intercalati con essi dei sottili fasci aventi una obliqua direzione. In corrispondenza della unione con i condotti deferenti, i fasci muscolari più esterni si continuano senza distinzione con lo strato muscolare di questi. Ovunque, framezzo ai diversi fasci muscolari, sì trova insinuato del tessuto connettivo fibrillare. Lo strato muscolare interno è poi attraversato da numerosi vasi (fig. 3. ©.) attorno ai quali sono circolarmente disposte delle fibre muscolari. Nella parte inferiore dell’organo, in quella parte cioè ove le traccie del rivestimento epiteliare rivelano un epitelio pavimentoso stratificato (fig. 4), lo spessore delle pareti è circa î/, dello spessore delle pareti della parte media, lo strato circolare delle fibre muscolari è sot- tilissimo, non vi appariscono vasi, ed in mezzo alle fibre longitudinali molto più abbondante è il tessuto connettivo. In alcune sezioni, la cavità si presenta divisa in due parti (fig. 5) da un sepimento diretto in senso antero-posteriore formato da tessuto muscolare, sembrando che ivi non sia avvenuta la fusione completa dei due canali di Miiller. Tanto nella parte media che nella parte inferiore dell’ organo ora descritto, gli strati più interni delle sue pareti sono scavati da una grande quantità di lacune, varie per forma e dimensione, delle quali le maggiori sorpassano 1 mm. di diametro (fig. 6). Tali ;Jacune sono quasi tutte indipendenti dalla cavità centrale e soltanto due o tre fra le più piccole sembrano comunicarvi per stretti ed irregolari condotti, in prossimità dell’ otricolo pro- statico. Presentano un incompleto rivestimento di epitelio cilindrico in via di disfacimento, che in diversi punti risulta di un solo strato di elementi, e che si rileva come stratifi- cato nelle parti ove è meglio conservato. Esso è formato da cellule corte e decisamente poliedriche, identiche alle cellule di rivestimento delle normali ghiandole prostatiche, come dal confronto delle figure 7 ed 8 può rilevarsi. Le stesse lacune contengono delle produ- zioni brunastre (fig. 6. c. p.) che in sezione si mostrano di forma circolare, ovoidale, od anche triangolare, e che, per presentare delle sottili striature concentriche, si presentano identiche alle concrezioni azotate (corpuscolîi amiloidi) che normalmente si formano nelle ghiandole prostatiche dell’adulto. Le più voluminose di tali produzioni presentano dei dia- metri di circa 100 p, mentre le più piccole misurano appena 20 o 30 p. Se ne possono contare fino a 20 o 25 in una sola cavità. Nella parte più alta del canale, ed in corrispondenza della dilatazione cistica che si trova alla sua estremità, lo strato muscolare, molto assottigliato, sì presentava costituito quasi esclusivamente da fasci longitudinali disposti irregolarmente in vari strati frammisti a tessuto connettivo; mancava poi in tale parte qualsiasi traccia di epitelio. CONCLUSIONI — Non ostante che per l’esame macroscopico del canale ora descritto non fosse possibile distinguere in esso, come in altri simili casi (C. Langer) fu fatto, le diverse porzioni differenziate del canale genitale femminile, pure per la struttura delle sue pareti, e tanto per ciò che riguarda lo strato muscolare che il rivestimento epiteliare, fa- cilmente possiamo venire alla conclusione che almeno due parti fossero in esso rappresentate, e cioè l’utero e la vagina, rispettivamente nelle sue porzioni media ed inferiore; restando soltanto il dubbio per la sua parte più alta, a causa dell’ estremo grado di atrofia in cui trovavasi, che essa possa rappresentare le tube falloppiane fuse insieme, od una. sola di = esse. Paragonando la struttura della parte media dello stesso canale con ia struttura delle pareti uterine a completo sviluppo, molte differenze certamente ci si presentano, nè è pos- sibile distinguere nelle pareti del canale anomalo tutti gli strati che in queste ultime si de- scrivono. Ma tali differenze, nello stato di atrofia dell’organo possono facilmente trovare la loro spiegazione; e come nello strato interno a fibre circolari ed abbondante di vasi, pos- siamo riscontrare il rappresentante dello strato principale o medio (stratum vascolare di Kreitzer) dell’utero normale, così nello strato a fibre longitudinali è facile riscontrare lo strato esterno. Notandosi poi che nella parte inferiore lo strato a fibre circolari è molto ri- dotto, che per i caratteri sopra notati lo stesso strato chiaramente si differenzia dallo strato corrispondente della porzione sovrastante, e che le traccie del rivestimento interno rivelano un rivestimento epiteliare pavimentoso stratificato, niente mi sembra si opponga a conside- rare quest’ ultima narte come rappresentante della vagina. Riguardo alle lacune con produzioni prostatiche, circondanti l’ ultima porzione del de- scritto canale utero-vaginale, per la grandissima somiglianza che esse presentano con i di- vertico'. ghiandolari della prostata, sia per ciò che riguarda il loro rivestimento epiteliare che il loro contenuto (produzioni simili alle concrezioni prostatiche) è da ritenere che il più probabile significato da attribuirsi loro, sia quello di diverticoli di origine prostatica svilup- patisi attorno all’ estremità inferiore dello stesso canale e che successivamente, per l’ allun- garsi di questo si sono dalla prostata stessa resi indipendenti. Il Jacques riguardo al significato delle stesse cavità che nel suo caso si presentavano in rapporto con ia parte media e superiore dell’organo anomalo e mancavano nella parte inferiore, crede difficile poterle considerare come formazioni ghiandolari, sia a causa del loro rivestimento epite- liare che trova a un solo strato come quello della cavità centrale del canale col quale sono in rapporto, sia per la loro irregolarità. Ma come quest’ ultima. potrebbe facilmente trovare ragione nella differenza di amb'ente in cui si sono accresciute (pareti di un canale muscolare piuttosto che tessuto prostatico) così non mi sembra che sia da darsi gran peso alla identità che il Iacques riscontra fra il loro rivestimento epiteliare e quello della cavità centrale dell’ organo anomalo, per venire ad una conclusione diversa da quella ora esposta: Primieramente perchè si tratta di un epitelio in via di riduzione, per cui sì in- tende facilmente come esso possa presentarsi (come appunto nel caso da me osservato) in alcune parti a più strati ed in altre ad un solo strato, oppure mancante; ed inoltre è da considerare che il Jacques, senza venire ad una decisiva conclusione riguardo alla ori- gine del canale anomalo da lui descritto, accenna alla ipotesi che esso possa rappresentare (almeno con la sua parete mucosa) lo stesso otricolo prostatico straordinariamente svilup- pato anzichè un rudimento dei canali di Miiller (°). (*) Per intendere come tale ipotesi che sembra trovarsi in contraddizione con il significato ordina- riamente attribuito all’otricolo prostatico, di un rudimento delle estremità inferiori dei canali di Miller, possa essere emessa, è da considerare che questo stesso significato non è da accettarsi senza riserva. Come infatti Tourneux (27) ha sostenuto la partecipazione dei canali di Wolff alla formazione della parte inferiore della vagina, così il fatto che i condotti eiaculatori non sempre sboccano alla superficie dell’uretra, ma in alcuni casi nella cavità dell’otricolo prostatico, può dimostrare che alla formazione 235 QUI: edi Riguardo alla dilatazione cistica che sormontava l anomalo canale utero-vaginale, è probabile che essa rappresenti, come ritiene il Barth per le cisti osservate nel caso da lui descritto, un rudimento del corpo di Wolff; ma sia a causa della sua semplicità, sia per la mancanza nelle sue pareti di qualsiasi traccia di epitelio, niente mi sembra che auto rizzi, per il caso da me descritto, a ritenere per certo tale significato. di questo concorrono talvolta gli stessi canali di Wolff, fondendosi come nota il Iacques, con la parte inferiore del canale genitale. Inoltre, per le diverse descrizioni che vengono date dagli autori, del rive- stimento epiteliare dell’otricolo, è pur possibile pensare che, almeno questo, non sempre abbia una iden- tica origine. E sebbene il 'ourneux stesso abbia sempre riscontrato nell’otricolo prostatico del feto e nel neonato un epitelio pavimentoso stratificato e perciò attribuisca a quest’ organo il valore di un rudi- mento vaginale, pur cerca di mettere in accordo le diverse descrizioni, rilevando che l’osservazione di un rivestimento cilindrico semplice indicherebbe la persistenza di una porzione del segmento uterino del canale genitale, e che la presenza di un epitelio cilindrico stratificato potrebbe essere considerata come una invaginazione dell’ epitelio uretrale nell’otricolo stesso. BIBLIOGRAFIA 1 Ackermann — Infantis androgyni historia. 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SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fig. 1. — Da una fotografia del canale utero-vaginale in rapporto con la prostata e con i condotti deferenti (faccia posteriore - circa ”/ del vero). C. u. v. — condotto utero-vaginale. c. — cisti situata presso la sua estremità superiore. d. d. -— condotto deferente di destra. d. s. — condotto deferente di sinistra, P. — prostata. Fig. 2. -— Da una sezione della porzione uterina del canale utero-vaginale, corrispondente alla sua unione con i condotti deferenti (ingr. di 10 diametri). c. — cavità del condotto utero-vaginale. c. d. — cavità del condotto deferente di sinistra. v. — Vaso sanguigno. Pan Fig. 3. — Dimostra la struttura della porzione uterina del canale utero-vaginale (ingr. di 110 diametri). e. — epitelio cilindrico ad un solo strato. s. i. — strato muscolare interno, a fibre circolari, con numerosi vasi (v.). s. e. — strato muscolare esterno, a fibre longitudinali. I. — lacune epiteliari intra-muscolari. Fig. 4. — Dimostra la struttura della porzione vaginale dello stesso canale utero-vaginale (ingr. di 110 diametri). | e. -- epitelio pavimentoso stratificato, con cellule basali rotondeggianti. s. î. — sottile strato di fibre muscolari circolari. s. e. — strato di fibre muscolari longitudinali. Fiv. 6. — Da una sezione del canale utero-vaginale, corrispondente alla divisione della sua cavità centrale per mezzo di un tramezzo (#.) antero-posteriore (ingr. 10 di diametri). I. — lacune epiteliari. Fig. 6. — Da una sezione della parte più bassa del canale utero-vaginale. Dimostra la pre- senza di lacune epiteliali. (Z.) contenenti delle produzioni (c. p.) identiche alle con- crezioni azotate della prostata (ingr. di 15 diametri). c. u. v. — cavità del canale utero-vaginale. s. î. —- strato muscolare interno (fibre circolari). s. e. — strato muscolare esterno (fibre longitudinali). Fig. 7. — Epitelio delle lacune circostanti all’ anomalo canale utero-vaginale. I gruppi iso- lati di cellule corrispondono al centro delle lacune (ingr. di 475 diametri). ol do g. 8. — Epitelio di una ghiandola prostatica normale di adulto (ingr. di 475 diametri). N. B. — Le figure n.° 7 ed 8 furono disegnate con la camera chiara di Zeiss e le altre (eccettuata la prima) con l’embriografo di His. G. Valenti — Canale utero-vaginale ecc. Ta PR ARI SUI LI LICIA I TLISIROAI _RAO RITI CONTI PONE RIEN STO MOI LEUR CONSIDERAZIONI SULLA SPINTA DELLE TERRE MEMORIA DEL PROF. SILVIO GANEVAZZI (letta nell’ adunanza del 27 Gennaio 1907) (CON TAVOLE) $ I. — Fra gli argomenti che formano oggetto della statica delle costruzioni la determinazione della spinta, che un masso di terra produce contro una parete di so- stegno, è quello che allo stato attuale delle cognizioni presenta maggiore varietà nei concetti fondamentali invocati per la risoluzione del problema. Senza entrare nell’ esame degli studî speciali fatti al riguardo e rimanendo entro la sola cerchia dei procedi- menti tecnici consigliati nei trattati usuali di meccanica applicata alle costruzioni, per valutare la spinta, che un masso di terra produce contro una parete resistente (muro di sostegno) si incontrano tre modi differenti o, come suol dirsi, tre diverse teorie. a) L’ antica teoria di Coulomb basata sul concetto che la spinta di un masso di terra contro un muro di sostegno sia quella prodotta da un cuneo limitato dal pro- filo superiore del terreno, dalla parete del muro e da un piano tracciato nell’ interno del masso in guisa, che la spinta stessa risulti massima fra quelle prodotte da cunei similari. La risoluzione analitica di questa questione riesce alquanto complessa: Po n - celet con felice intuito ha dato una soluzione geometrica, la quale permette di de- terminare con somma facilità il cuneo di massima spinta. Altri sono arrivati allo stesso risultato impiegando diagrammi ottenuti per punti in seguito a tentativi, come ad esempio Callignon e Pillet. In questa teoria, che per lungo tempo è stata quasi unicamente seguita dagli in- gegneri, ed è usata da molti anche attualmente, sì ammette che la spinta delle terre faccia colla normale alla parete resistente un angolo costante », che si ritiene uguale all’ angolo d’attrito @' fra terra e muro, e conseguentemente non molto diverso, e quindi in via d’ approssimazione uguale, all’ angolo @ d’attrito fra terra e terra, os- sia all’ inclinazione della scarpa naturale del terreno. Qualcuno però ha applicato que- sta teoria ritenendo » = 0, cioè la spinta normale alla parete resistente. L° obbiezione principale, che viene fatta a questa teoria è che assegnando all’ angolo » il valore Serie VI. Tomo IV. 13 Pai o, costante P' 0 @ si arriva in generale all’ assurdo di considerare il cuneo di spinta in equilibrio sotto l’ azione di tre forze, la spinta S = —— contro la parete resistente, COS V il peso P del prisma spingente e la reazione È del piano di scorrimento, le quali, rite- nendo lineare e proporzionale alla profondità il diagramma di distribuzione di S ed È lungo le superficie resistenti, non si incontrano in un punto. La teoria indicata può quindi dare risultati più o meno largamente approssimati, ma non può avere forma di ricerca condotta con metodo rigoroso e razionale. S° aggiunga, osservano molti scrittori, che in questa ricerca si considera la spinta prodotta da un masso di terra contro la parete resistente variabile col piano di distacco supposto, mentre in realtà essa non può avere che un solo valore determinato dalle condizioni fisiche del masso stesso. b) La teoria più recente del piano di più facile scorrimento, che Rebhann ha dimostrato essere determinato dalla condizione che la retta che lo rappresenta sul piano della figura divida in due parti equivalenti 1° area limitata dalla parete resi- stente, dalla scarpa naturale delle terre, più esattamente dalle due rette che le rap- presentano sul piano della figura, dal profilo del terreno e da una retta condotta dal punto in cui la retta (o piano) di scorrimento interseca il profilo superiore del ter- reno parallelamente alla direzione che fa col profilo rettilineo del muro un angolo + ». La retta BC condotta dall’ estremo superiore B della parete resistente AB (Fig. 2, Tav. I°) ed inclinata alla medesima dell’ angolo +» fino ad incontrare la scarpa naturale del terreno in C viene detta retta di direzione, perchè appunto serve a de- terminare la retta poc’ anzi considerata. La determinazione analitica del piano di scorrimento richiede un certo sviluppo di calcolo, però anche in questo caso si può risolvere il problema con procedimento geometrico analogo a quello impiegato da Poncelet per la determinazione del cuneo di massima spinta (Costruzione di Mueller-Breslau) ed in ultima analisi concor- dante con esso. Se l'angolo » si fa uguale costantemente a @' si ottengono gli stessi risultati forniti dalla teoria di Coulomb, se invece si attribuiscono a » valori di- versi da p' si ottengono risultati similari, ma numericamente differenti. I diversi va- lori dell’ angolo » vengono consigliati dalla condizione che le tre forze S, P ed È debbono concorrere in un punto (Teoria di Weyrauch). Se la parete resistente è verticale ed il masso è limitato superiormente da un piano BM inclinato all’ orizzonte di un’ angolo e < @ la condizione che le tre forze P, S ed concorrano in un punto è verificata quando » = e. In base a questo fatto autorevoli trattatisti (Muller- Breslau e Seyring) consigliano di determinare sempre la spinta colla condizione di Rebhann supponendo la parete interna del muro resistente verticale e » = £. Se poi la parete effettivamente non è verticale gli stessi trattatisti consigliano (Fig. 1°, Tav. I°) di determinare la spinta S contro una parete verticale AV ideale e di com- porla in seguito col peso 7 del prisma compreso fra il profilo del terreno, la parete ideale AV e la parete reale 45, ottenendo così la spinta S realmente agente sopra il muro di sostegno. c) La teoria matematica viene dedotta dalla teoria ordinaria dell’ equilibrio mo- lecolare nell’ ipotesi che gli elementi materiali siano incoerenti e soltanto atti a re- sistere a compressione ed a sviluppare una reazione d’ attrito, come avverrebbe appunto in un ammasso di sabbia ben lavata e perfettamente secca. In questa ipotesi si arriva alla conclusione che l'equilibrio del masso è possibile in generale in infi- niti modi diversi, tutti compresi fra due stati estremi, detti appunto stato limite in- feriore e stato limite superiore. Lo studio può essere svolto con: metodo analitico relativamente semplice, oppure con procedimento geometrico facendo dipendere la so- luzione della questione dalla costruzione di un circolo speciale detto circolo moleco- lare. Il problema per altro della determinazione degli stati di equilibrio possibili non è risolubile in modo determinato altro chè nel caso che il terrapieno sia limitato su- periormente da una superficie piana facente coll’ orizzonte un angolo e < 9. Gli scrittori che si sono occupati di questa teoria sono d’ accordo che per deter- minare la spinta che un masso di terra produce contro una parete resistente si debba considerare lo stato d° equilibrio limite inferiore, ma non convengono circa le condi- zioni, nelle quali la teoria stessa è applicabile Raukine e Considère ritengono applicabile in ogni caso la teoria matematica dell’ equilibrin delle terre Winkler e Levy la ritengono applicabile solo quando una delle superficie di scor- rimento coincide colla parete resistente Weyrauch e Miller-Breslau ammettono questa teoria quando 1° Le due direzioni delle forze principali incontrano la superficie del terreno nell’ interno del masso 2° L’ angolo » che fa la spinta, calcolata colla teoria matematica, colla nor- male al paramento del muro di sostegno non supera 1’ angolo d’ attrito. Mohr e Ceradini opinano che la teoria matematica della spinta delle terre possa essere usata tutte le volte che, tracciate le direzioni delle forze principali in cor- rispondenza ad un elemento della parete del muro resistente, la forza principale minore cada nell’ interno del muro di sostegno con direzione inclinata e giacente nell’ angolo compreso dall’ orizzontale e dalla parte di verticale diretta verso 1’ alto. Roussinesqg finalmente ritiene applicabile la teoria matematica completandola col- l’ aggiunta della condizione di scorrimento dell’ ammasso contro la parete del muro che lo sostiene (condizione ai irmiti del masso). Quest’ ultima considerazione non è ammessa da molti perchè ritengono che un muro stabile potrà presentare defor- mazioni elastiche, ma non un cedimento da permettere un inizio di scorrimento. Da questo cenno riassuntivo appare la moltiplicità dei criterì che sono stati auto- revolmente seguiti nella determinazione della spinta prodotta da un masso di. terra contro un muro di sostegno. Sembra quindi possa non essere del tutto privo d’ inte- resse uno studio di confronto dei valori che si ottengano applicando le diverse teorie e più particolarmente la teoria del cuneo di massima spinta, quella del piano di più facile distacco rispetto ad una parete resistente verticale, reale od ideale, passante per la base del muro di sostegno e finalmente la teoria matematica della spinta delle terre: non appare opportuno considerare il caso di sovracarichi poichè l’ esistenza di questi non modifica, come è noto, specificamente I° essenza del processo di calcolo. Il caso di profili di terreno alla parte superiore diversi da un piano non presenta spe- ciale interesse in questo studio, perchè questi casi in via d’ approssimazione con pro- cedimenti ben noti, non potendosi far meglio, si riducono al caso della superficie su- periore piana. La ricerca dei valori delle spinte può essere fatta analiticamente coll’ uso di for- mule, ma contenendo queste elementi trigonometrici, il loro uso riesce alquanto labo- rioso. Ci limiteremo quindi all’ indagine geometrica, come quella che risulta più sem- plice e di facile apprezzamento senza ricorrere a quadri numerici. In questo studio considereremo quattro diverse inclinazioni della superficie piana superiore del terreno e due disposizioni diverse della parete resistente, una verticale e l’ altra inclinata verso l’ esterno del masso spingente. $ 2. — La costruzione grafica indicata da Poncelet per la determinazione del cuneo di massima spinta si riassume nel modo seguente. (Fig. 2% Tav. I°) Sia AB la parete resistente, BM il profilo superiore del terreno ed AM la scarpa naturale delle terre {più correttamente le intersezioni di dette superficie dal piano della figura supposta normale alle generatrici delle superficie stesse}. Per A si conduca una retta AO che faccia con AB un angolo P+v=P+ P' ad incontrare in O il pro- filo BM del terreno sufficientemente prolungato, e per 8 una retta parallela ad incon- trare in C la scarpa naturale delle terre: le due rette sono dette entrambe rette di direzione, ma più particolarmente con questo nome si indica la BC. Per B si conduca una parallela alla scarpa naturale delle terre AM ad incontrare in N la A0 e si determini con una delle costruzioni ben note OX media proporzionale fra ON ed OA in guisa che sia OX = ON X OA. Si tiri XD parallela ad AM ad incontrare in D il profilo del terreno e DK parallela alla retta di direzione, la retta AD determina il cuneo di massima spinta ABD. Dalla figura, ricordando che 40, BC, DK sono parallele e che sono pure fra loro parallele BN, DX, AM si ricava ON _0X OBOMON Aa OLITTROLO 0D OM’ AK AM e quindi OVINI O0D=| 0B Xx OM BK= AC X AM Queste tre relazioni permettono di determinare il punto D, e quindi il cuneo di massima spinta DAB, oltrechè nel modo indicato sulla 0A, anche direttamente sulla 0M come media proporzionale fra 08 ed 0M, oppure prendendo sulla AM una media pro- porzionale AK fra AC ed AM e conducendo per X una parallela alla retta di direzione ad incontrare in D il profilo di terreno, Q1 — La retta AD, individuata dal punto D trovato con uno dei tre metodi indicati, limita il prisma BAD di massima spinta ed essendo BX parallela ad AD il valore della spinta S, prendendo AX,= AX, nella teoria di Poncelet e dato da Sit sen 0 AM=7 AX° sen0AT = 7 area XAX, nella quale 7 esprime la densità o peso specifico del terreno. Supponiamo condotta da D la normale DV = 7 alla linea AM e poniamo DK = y allora, in causa del paral- lelismo esistente fra le rette tracciate nella figura, AX = DK DE? sen DKA= 2 DK X DVv=5 wa S= FAX sen0AT= l Se si prende KK'= DK il triangolo DKXK, ha per area 5% per cui moltipli- cando la sua area per 7 si ottiene la spinta S e quindi viene indicato col nome di triangolo di spinta. Qualche volta il triangolo di spinta si costruisce in AXX, pren- dendo AX = A4X =DK=y. infatti area AXX, = “ ; Se si tira KE ad incontrare in G la retta A58, GK è parallela a BM; infatti, essendo BC parallela a DX, risulta E boia au AD AM ed EK è necessariamente parallela a BM. Se si tirano GC e BK, essendo GK parallela a BM, BC parallela a DK, sarà AG__AE AC ABITA DI AK: e quindi sarà necessariamente GC parallela a BK. La figura BDKE è un parallelogramma, perchè BE è parallela a DK e KE è IT ED] = . . . = parallela a BE, quindi BE=DK, S= 000: sen DKA ed i due triangoli ABD, DKA hanno la stessa base e le altezze uguali, quindi sono equivalenti. Il piano AD di- vide quindi Vl area ABDKA in due parti equivalenti, proprietà caratteristica del piano di più facile scorrimento, dimostrata per la prima volta da Rebhann e che vale ad individuarlo. La dimostrazione che questo scrittore dà di tale proprietà è diversa, ma poichè dalla costruzione grafica di Poncelet si può dedurne il teorema di Reb- hann si comprende come Mueller-Breslau abbia potuto dedurre dla questo teorema una costruzione geometrica in tutto analoga a quella di Poncelet, a parte il valore attribuito all’ angolo ». Una considerazione importante è che queste proprietà sussistono qualunque sia il valore dell’ angolo », quindi sia che si faccia v=@'= 9 come si usa nell’ antica E GO teoria di Coulomb e Poncelet, sia che si prenda »v = £, come viene proposto nelle teorie più moderne, considerando l’° azione del masso contro. una parete verticale (reale od ideale secondo i casi) sussistono sempre le relazioni indicate. A parte quindi il valore dell’ angolo »v, e dei criterî che lo determinano. una volta fissato il suo valore la teoria del cuneo di massima spinta e quella del piano di più facile scorri- mento si equivalgono completamente ed in ultima analisi ron sono che due forme diverse di un’ unica risoluzione dello stesso problema. _$ 8. — Nella costruzione geometrica indicata superiormente EX deve esser pa- rallela a BM e DK parallela a BC (retta di direzione); ne segue che il piano AD di più facile scorrimento, che stacca il cuneo di massima spinta, può anche essere determinato nel modo seguente. Per A (Fig. 3, Tav. I) si conducano due rette AU ed AW ad intersecare in u'w' la BC ed in u'w' la BM. Pei punti B, v', w'.... si tirino tante parallele a BM, ed analogamente per 8, w', e, si conducano tante pa- rallele BC in guisa da ottenere due fasci prospettivi alle punteggiate Bu'w'... bu'w'"'.., le quali alla loro volta sono prospettive fra loro. Se colla AM si intendono sezionati questi due fasci si otterranno due punteggiate M, w,. w,.... ©, %,, %,-.. che sono necessariamente proiettive, ed il punto unito di queste, che cade necessariamente fra C ed M perchè gli elementi coniugati non sono separati, sarà il punto X che determina il piano di più facile distacco AED. Ciò risulta anche dal fatto che in base alla pro- prietà delle rette parallele si ricava ACCES MA AVETITAO TT ANI e quindi AK = AC X AM. Punteggiate analoghe si possono ottenere sulle rette BO e BM. È interessante os- servare che i punti C ed MM delle due punteggiate considerate sì corrispondono in doppio modo per cui AC KM determinano un’ involuzione, della quale A è il punto central» e K un punto doppio, e per conseguenza soddisfa alla relazione AK = AC X AM. Il punto X può quindi essere determinato colle note costruzioni che servono a trovare i punti uniti delle punteggiate proiettive, oppure i punti doppi di una involuzione (Me © Toni Se dal punto dell’ infinito della retta BM si proietta la punteggiata ACKM, e più precisamente la serie dei punti in involuzione sulla retta di direzione BC, si ottiene la serie in involuzione LCEB (Fig. 4, Tav. I), nella quale Z è il punto centrale ed £° il punto doppio. Da questa considerazione si deduce subito un metodo pratico per de- terminare il piano AED di più facile scorrimento, che in casi determinati potrà essere molto conveniente. Condotta la retta 45, la linea di direzione BL, la scarpa naturale ACM ed una parallela al profilo superiore BM da A ad incontrare in Z la retta di direzione, E rimane determinato da OAZIANTINETE cu li@a Se si traccia un circolo passante per BAC, e per ZL la tangente al medesimo LN, Il punto E può essere ottenuto ribaltando LN in LE. Oppure, costruito un circolo sopra LB considerato come diametro, si tiri CC, normale a questo ad incontrare il circolo stesso in C,, LE sarà eguale ad LC, . È importante osservare che qualora si prenda l’ angolo », che la spinta fa contro la parete AB ritenuta verticale, uguale non al- l’ angolo @' d’attrito fra terra e muro, ma bensì uguale all’ angolo €, che il profilo superiore del terreno fa coll’ orizzontale, la retta Az, condotta per A con direzione orizzontale, incontra necessariamente il circolo ACB all’ estremo 5, del diametro con- dotto per 8, perchè l'angolo BAz è retto (Fig. 5, Tav. I). L'angolo ABB, è uguale ad e e così pure per costruzione LAz = £ quindi l’arco AB, = arco B,A, e A,BB, = 6, per cui AL è l’asse radicale di tutti i circoli passanti per A ed A, e determinanti sulla BZ un’ involuzione di cui Z è il punto centrale e C e B due punti corrispondenti. Fra gl’ infiniti circoli passanti per AA' ve ne sarà uno tangente in X alla retta di dire- zione e potrà servire, costruendolo, a determinare il punto £ e quindi anche il piano AED di più facile scorrimento. Questo circolo è determinato dalle condizioni seguenti : deve passare per A ed A,, cioè passare per 4 ed avere il suo centro sulla B5, normale a BM in 5B ed essere tangente alla retta di direzione BL, facente colla ver- ticale AB un angolo D+ e. Oltre il punto doppio £ ne esisterà un altro simmetrico ad L in E, che viene determinato in modo analogo, esso ha il suo centro sul prolun- gamento della BB, e passa per A riuscendo tangente in E, alla retta BL. $ 4. — In uno studio sull’ Equilibrio molecolare, presentato a questa R. Acca- demia delle scienze nel 1878, abbiamo dimostrato come profittando delle proprietà proiet- tive esistenti fra il poligono funiculare e quello delle forze relative ad un punto in equilibrio sul piano, nonchè di quelle dei sistemi reciproci nello spazio, era possibile rappresentare le intensità e direzioni delle forze agenti intorno ad un punto di un si- stema continuo di punti materiali attenendosi ad un procedimento esclusivamente geo- metrico. Abbbiamo inoltre dimostrato come la risoluzione dei problemi di equilibrio molecolare possa farsi dipendere unicamente da costruzioni geometriche eseguibili colla riga e col compasso servendosi di un circolo, che appunto per questo ed in confor- mità alle ricerche di Rankine e di Mohr, abbiamo chiamato circolo molecolare. Nel caso di un ammasso di materie incoerenti, limitato superiormente da una superficie piana, il problema dell’ equilibrio molecolare è determinato, pcichè si hanno i dati sufficienti per poter scrivere le equazioni di equilibrio, oppure, cosa equivalente, si hanno gli elementi necessari per costruire il circolo molecolare. Infatti (Fig. 6, Tav. I) sono note le direzioni di due elementi coniugati m'w'' (parallelo al piano limitante supe- riormente il masso di materie incoerenti) ed 7'x'' (disposto verticalmente), poichè la direzione del peso è verticale, e tutti gli elementi analoghi ad w'm', prolungamento del medesimo, sono tutti in egual modo sollecitati delle materie sovra- stanti. Essendo note le direzioni w'm' ed »'n'' è necessariamente conosciuto anche l’angolo d di deviazione corrispondente ai medesimi, cioè la differenza fra un angolo esistenti sul è: (opa retto e l’angolo compreso dai due elementi coniugati, angolo che nel caso che si con- sidera è uguale ad e. È conosciuta la pressione p' sull’ elemento w'm'"' prodotta dalla colonna di altezza % di materia sovraincombente. Sia 7 la densità del materiale, y la distanza di 0, punto d’ incontro dei due elementi m'm'' ed 7'»'' dalla BM, la pressione p' su m'm' sarà data da __ hda da COSE Di Coste) Finalmente è determinato il massimo valore che può essere assunto dall’ angolo di deviazione d, perchè d non può superare 1° angolo d’ attrito 9 corrispondente al ter- reno considerato come ammasso di materie incoerenti (per es. sabbia ben lavata e secca). Con questi elementi (vedi memoria citata) notoriamente si può costruire il circolo molecolare d’ equilibrio e precisamente vengono determinati due circoli limiti, uno limite inferiore e 1° altro limite superiore, che rappresentano due stati di equilibrio limite, fra i quali sono compresi infiniti stati d’ equilibrio possibili. Si ritiene ordina- riamente che lo stato limite inferiore rappresenti 1’ equilibrio di un masso limitato da una parete resistente ed abbandonato a sè stesso, cioè all’ azione del proprio’ peso e di carichi sovrastanti, mentre invece lo stato limite superiore rappresenterebbe lo stato d’ equilibrio che si verifica quando un azione esterna, agendo sulla parete resistente, tende a disturbare lo stato d’ equilibrio nel quale il masso si era costituito sotto l’azione del proprio peso. disaggregandolo in apposizione al peso stesso ed all’ azione dell’ attrito esistente fra i suoi elementi. La possibilità di più stati di equilibrio com- presi fra due stati. limiti viene spiegata dal fatto che l’ attrito è una reazione, di sua natura passiva, che si sviluppa fra due elementi in quanto viene eccitata, cioè in condizioni da poter assumere infiniti valori diversi, compresi tutti fra due estremi uguali e di segno contrario. In altri termini il circolo limite inferiore rappresen- terebbe 1’ azione attiva delle terre, cioè 1’ azione del peso dimimuito dell’ effetto massimo, che può produrre l’ attrito interno, mentre lo stato limite superiore rap- presenterebbe la reazione passiva delle terre, cioè quella del peso congiuntamente all’ effetto massimo che può produrre l’ attrito interno. Nella teoria matematica del- equilibrio delle terre si considera lo stato limite inferiore quando si vuole calcolare la spinta che un masso di terra produce contro una parete resistente, mentre invece si considera lo stato limite superiore quando si vuole determinare la controspinta di un masso di terra sotto l’ azione di una parete resistente, che si appoggi e sia spinta contro il medesimo. La costruzione del circolo molecolare di equilibrio è la seguente (Fig. 8, Tav. II): aMparureNdagegsi prenda BA—Mhi== iu direzione verticale, dall’ alto al basso, COS £ come rappresentativa della parete resistente e per 8 si conducano By normale a BM e Bz e Bz' inclinate alla By dell’ angolo @ in guisa che 2By=2'By= P, ABy=" 6, ABz = + €. Il circolo molecolare di equilibrio limite deve passare per A, avere de Ra il centro sulla By normale a BM in B, ed essere tangente a Bz, quindi risulta deter- minato il problema e la risoluzione è fornita da due circoli, dei quali noi conside- riamo solo il minore, tangente in £ a 2z. Se si ricorda quanto è stato detto superior- mente considerando le teorie del cuneo di massima spinta e del piano di più facile scorrimento quando la parente resistente è verticale e si prende » = € si vede che il circolo molecolare di equilibrio coincide con quello passante per AA' e tangente alla BL nel punto £, infatti entrambi passano per A, hanno il centro sulla normale in 8 alla BM e sono tangenti alla retta di direzione facente colla BE un angolo p+ e. Tracciato il circolo, la pressione p'' sull’ elemento #'w'', coincidente colla direzione AB e posto alla profondità A = AB, è data da Br cose, e la sua direzione Am è determinata conducendo da » la retta 77. passante pel polo della BM rispetto al cir- colo molecolare. Il piano di più facile scorrimento è dato da AED (un altro piano di scorrimento è dato da A£"D') pel quale l’ angolo d raggiunge il suo valor massimo $. Le direzioni delle forze principali sono date da AT" ed AT" ed i loro valori rispet- tivamente da BT" e BT'. Finalmente l’ angolo compreso fra la direzione di più facile P . I] . . . . ARES IT è scorrimento (AE, AE) e la direzione principale AT è dato da Pad: precisamente come viene dato dalla costruzione di Mueller Breslau applicata ad un rettangolo ) premuto normalmente ai suoi lati du SE A DT (intatti triane. ADK = triang. ADB, Ap A 2 ATTO La spinta S fornita dalla teoria ordinaria è data da IT IE) S= > DEK° cose ma EE' è parallelo a BM e passa per £, quindi passerà anche per X, e per conse- guenza si può anche scrivere I 9 S= — BE cose 2 Dalla teoria del circolo molecolare risulta che la pressione sull’ elemento verticale (r'72'') in A è data da 7TBn cose=p"' e quindi su tutta la parete AB da I. I Se DITE h Bn cos E Lenz ma per le proprietà del circolo f X Bn = BE? quindi 2 NAZ BE? cos € la COSIE=US Da queste considerazioni si deduce che la teoria matematica e quella usuale per la determinazione della spinta contro una parete verticale, qualora si faccia 1’ angolo » uguale all’ angolo € d’ inclinazione della superficie superiore, conducono agli stessi ri- sultati. Serie VI. Tomo IV. 14 — 96 — $ 5. — Dalle cose esposte risultano le conseguenze seguenti : 1° L’antica teoria di Coulomb e Poncelet e la teoria di Rebhann, quan- tunque riposanti in apparenza su principî diversi, tuttavia si confondono in un unico procedimento e conducono agli stessi risultati, qualora per l’ angolo » si assumano gli stessi valori. Questo procedimento essendo il più usato dagli ingegneri, indicheremo il complesso dei principî che lo informano col nome di teoria usuale della spinta delle Uerne: 2° Oltre le costruzioni equivalenti di Poncelet e Mueller-Breslau per la determinazione del cuneo di massima spinta o del piano di più facile scorrimento si può usare una costruzione analoga da eseguirsi sulia retta di direzione, che in casì determinati, cioè quando il punto O od il punto M escono dal foglio del disegno, può riescire assai conveniente. 38° Se la superficie resistente è verticale e si prende l angolo v = € tanto la teoria usuale come la teoria matematica conducono allo stesso risultato. 4° La teoria usuale e quella matematica conducono necessariamente allo stesso risultato quando £ = , cioè quando il terreno ha 1’ inclinazione della scarpa naturale. 5° Il procedimento semiempirico, col quale si determina la spinta contro una parete inclinata componendo la spinta agente contro una parete ideale verticale col peso del prisma compreso fra questa parete ideale e la parete reale del muro resi- stente, costituisce una forma di soluzione del problema della determinazione della spinta delle terre contro una parete resistente, intermedia fra la teoria matematica e quella usuale, per cui la indicheremo col nome* di teoria intermedia della spinta delle terre. A complemento delle cose dette nelle tavole Il* e III*, Fig. 10, 11.... 17 diamo i valori della spinta delle terre per otto casi diversi, e precisamente considerando quattro muri colla parete resistente verticale e quattro colla parete resistente incli- nata, attribuendo all’ angolo € quattro valori distinti in ciascuno dei due casi. In ogni esempio la spinta è stata calcolata colla teoria usuale (Su) ritenendo v = @, con quella intermedia (Sì) ritenendo » = € e colla teoria matematica (.$m): naturalmente quando la parete resistente è verticale, i risultati della teoria intermedia coincidono con quelli forniti dalla teoria matematica. ae ed CSI ; d = ETRE PE PRE (MA ST f 600 K, 3 g - K_ 4500 g Im Il Ke) Cp) K_ 5393 = 6831 A KERAZ0O0TA VÀ $;= K, 14418 S,=K, 16686 Sri Ka 16380 Fi Soc) Kg eee Sulla deviazione elettrostatica dei raggi catodici nel tubo di Braun MEMORIA DEL Prof. AUGUSTO RIGHI (letta nella Sessione del 14 Aprile 1907). Una delle esperienze dimostrative, che presentano la maggior importanza rispetto alla teoria degli elettroni, è senza dubbio quella della deviazione dei raggi catodici prodotta da un campo elettrico, per la quale si suole impiegare un tubo di Braun munito di due lastrine metalliche, fra le quali passa parallelamente il sottile fascio di raggi catodici, e che si portano a differente potenziale mercè una batteria di piccoli accumulatori. Avendo avuto bisogno di mostrare in un corso questa esperienza, mi è venuto in mente di renderla possibilmente più semplice e facile, per esempio col far a meno della batteria, o ancora delle due lastrine, cioè impiegando in quest’ultimo caso semplicemente l’ ordinario tubo di Braun. Ho avuto così l’occasione di osservare certi effetti speciali, che recano qualche utile indicazione intorno ai fenomeni che si compiono in quel tubo, in quanto che. pur riducendosi in fondo ad una deviazione dei raggi catodici, presentano modalità nuove e curiose, la cui spiegazione non sempre è stata facile a trovarsi. Per esempio, invece d’osservarsi il brusco spostamento della macchia luminosa pro- dotta sul disco fluorescente dai raggi catodici, qualche volta si vede la macchia stessa in pari tempo deformarsi, o allungarsi in causa di rapide oscillazioni, o spostarsi con insolita lentezza. Gli effetti osservati, sono differenti, secondo che si adopera il tubo ordinario, a cui debitamente si accosta un conduttore elettrizzato o no, oppure il tubo a lastrine pa- rallele, una delle quali si elettrizza in una data maniera. Inoltre sì osservano effetti diversi modificando la capacità delle lastrine, modificando la resistenza di certe comunicazioni ecc. Di qualcuno dei fenomeni osservati la spiegazione mi sfugge ancora, od almeno quella pensata non mi sembra soddisfacente; ma per la maggior parte di essi ho potuto rendermi conto del modo presumibile di loro produzione. A scopo di concisione e di chiarezza, alla descrizione di questi fenomeni farò imme- diatamente seguirne la giusta spiegazione, od almeno quella che tale a me sembra. 219 Esperienze coll’ ordinario tubo di Braun eccitato con macchina ad influenza. Ho successivamente adoperato due tubi; uno grandissimo nel quale il diaframma forato, che delimita il fascio catodico, è metallico; l’altro di dimensione usuale, e che ha il diaframma di vetro. La natura nel diaframma non ha verosimilmente notevole im- portanza, mentre ne ha una considerevole il grado di rarefazione dell’ aria nell’interno del tubo. Il grande mostrò in modo evidentissimo gli effetti che andrò descrivendo: il piccolo invece li offrì in modo assai meno palese. Dall’ aspetto del fenomeno luminoso che si osserva in questi tubi si riconosce, che nel secondo la rarefazione è minore che nel primo, ed è quindi da ascriversi alla ionizzazione del gaz residuo una azione disturbatrice. Un terzo tubo, nel quale la macchia luminosa è brillantissima, e la rarefazione assai poco spinta, non mostrò affatto i fenomeni, tanto evidenti nel grande tubo. Eccitato questo tubo per mezzo di una macchina ad infiuenza privata dei suoi conden- satori, e mantenuta in azione continuata da un motore elettrico, gli si accosti un condut- duttore € (fig. 1), ponendolo presso quella porzione del tubo che sta fra il diaframma forato, ed il grande recipiente in fondo al quale è fissato il disco fosforescente, e si faccia comunicare il conduttore o con uno degli elettrodi o col suolo. Ecco Pig. 1° quanto ho osservato nei casi principali. ie a) Se il conduttore C comunica col catodo si osserva uno sposta- mento da M verso M' della macchia luminosa, vale a dire la ripulsione esercitata dalla carica negativa del conduttore sui raggi catodici. Questa deviazione è più o meno stabile a seconda del grado di secchezza del vetro del tubo e a seconda della rarefazione del gas entro il medesimo. + Il miglior modo di eseguire l’esperienza consiste nell’ applicare in C e C' esternamente al tubo due striscie parallele di stagnuola, che poi mediante un commutatore si fanno alternativamente comunicare col ca- todo. D’ ordinario il fenomeno che si osserva è il seguente. Invece della macchia in M, si vede una striscia luminosa che si estende da M ad M'° oppure da M ad M' secondo che la stagnola comunicante col catodo è quella in C o quella in Cl’, e che mostra una vibrazione del fascio ca- todico facile a spiegarsi. Infatti la carica del conduttore ad ogni emis- sione di raggi catodici subisce necessariamente una variazione, donde la variabile ripulsione, che segue lo stesso ritmo delle successive scariche nel tubo. b) Se il conduttore C comunica coll’ anodo non si osserva lo sposta- mento della macchia da M ad M', che si poteva prevedere. Essa al con- trario non si sposta affatto, o tutto al più si sposta pochissimo. Ma se si allontana dal tubo il conduttore C la macchia luminosa si sposta alquanto per un istante verso M'°. Questa esperienza può farsi più semplicemente mantenendo l’ anodo in comuni- cROgr cazione col suolo e toccando il tubo col dito, giacchè nell’ atto di allontanarlo si osserva la descritta momentanea ripulsione dei raggi catodici. Secondo me questo fenomeno non preveduto indica che entro il tubo, oltre agli elet- troni costituenti i raggi catodici, si trovano sempre molti altri elettroni, muoventisi indif- ferentemente in ogni direzione, dei quali la probabile origine è la seguente. Alcuni degli elettroni formanti raggi catodici incontreranno le rare molecole del gas residuo, e le ionizzeranno per urto; i nuovi elettroni così generati, insieme agli elettroni urtanti, i quali naturalmente dopo l’ urto avranno una direzione di moto generalmente diversa da quella primitiva, costituiscono appunto quegli elettroni mobili in qualsiasi direzione, ai quali mi sembra necessario ricorrere per spiegare l’ultima esperienza descritta. Ecco come. La carica positiva del conduttore C, attirando i detti elettroni, rimane prontamente dissimulata da una carica negativa sulla superficie interna della parete del tubo, e perciò l’aspettata attrazione del fascio catodico non ha luogo. Allontanando il conduttore C la carica negativa della parete non sparisce tanto presto, sia perchè i ioni positivi entro il tubo sono meno numerosi degli elettroni negativi, sia perchè si muovono con velocità mi- nore. Ne consegue che la detta carica negativa, prima di rimanere eliminata, ha tempo di manifestare la sua ripulsione sui raggi catodici. c) Quando entrambi gli elettroni del tubo siano isolati e quindi a potenziali presso a poco uguali e di contrario segno, oltre ai due casì esaminati a) e 0) v'è luogo di consi- derarne un terzo, e cioè quello del conduttore € messo in comunicazione col suolo. Per esempio si tocca semplicemente con una mano il tubo nella posizione C. Così facendo sì osserva una momentanea ripulsione del fascio catodico, giacchè la macchia luminosa si sposta bruscamente da M verso M' per tornare tosto in .M, pur mantenendosi intanto il contatto della mano col tubo. Per rendere conto di questo fenomeno parmi necessario supporre, che il tubo si cari- chi spontaneamente nel suo interno di elettricità positiva, la quale può giungervi per esempio lungo la superficie del vetro a partire dall’anodo. Non è questa una gratuita supposizione, giacchè ho verificato sempre che in un tubo di Braun munito delle lastrine metalliche parallele destinate a produrre la deviazione elettrostatica, queste si elettrizzano spontaneamente in più, salvo il caso in cui l’ anodo sia mantenuto in comunicazione col suolo. La carica positiva della parete interna non può crescere oltre un certo limite, perchè continuamente in parte neutralizzata dagli elettroni negativi, di cui si è parlato a propo- sito dell’ esperienza 2). Toccando col dito il tubo, il dito stesso si elettrizzerà per influenza di elettricità negativa, e di qui l’ osservato spostamento verso M' della macchia luminosa. Ma ben tosto la carica positiva interna aumenta, e la deviazione del fascio catodico cessa. Un brusco allontanamento del dito dovrebbe provocare una momentanea attrazione del fascio catodico; ma l’ abbondanza e la grande mobilità degli elettroni negativi ne rendono malagevole la constatazione. d) Affinchè tutte queste esperienze riescano bene, occorre fra altro che la superficie esterna del vetro sia ben asciutta; certe irregolarità mi sembrarono dovute al non essere — 100 — questa condizione soddisfatta Se poi si rende espressamente assai umida, e quindi alquanto conduttrice, la superficie esterna del tubo, qualcuno dei fenomeni descritti più non si produce, qualche altro resta modificato. Per esempio nel caso @), cioè avvicinando al tubo un conduttore comunicante col catodo si osserva bensì la ripulsione dei raggi catodici, ma in modo momentaneo e non permanente. La spiegazione di ciò è assai facile. Infatti ll ritorno della macchia in M è evidentemente dovuto al formarsi, al disotto di € o all’ intorno sulla superficie esterna del tubo, di una carica positiva d’ influenza. Se così difatti avviene, siccome questa carica non si dissiperà istantaneamente allon- tanando o scaricando il conduttore C, dovrà in tal caso notarsi una temporanea attrazione del fascio catodico. Questo fenomeno realmente si osserva. Esperienze col tubo di Braun eccitato col rocchetto. Gli effetti che si osservano in questo caso ripetendo le precedenti esperienze, sono sempre meno marcati, o anche mancano affatto, specialmente se al rocchetto è congiunto un interruttore lento. Può dirsi in generale, che coll’ uso del rocchetto meglio si osserva l’effetto dell’ intermittenza della carica dell’ interruttore C, allorchè esso comunica con uno degli elettrodi. Se per esempio C comunica col catodo, il fenomeno che ho osservato è il seguente. La macchia luminosa sembra rimanere in MM, mentre un’altra simile com- pare in M', congiunta alla primitiva da una pallida striscia di luce. Si ha dunque una oscillazione regolare del fascio catodico prodotta dalla variabile ripulsione del conduttore C. Esperienze col tubo a lastrine eccitato colla macchina ad influenza. I fenomeni che si osservano con questo tubo, allorchè si fa comunicare col suolo 0 con uno degli elettrodi una delle due lastrine, sono più pronunciati e più costanti di quelli offerti dal tubo semplice. Per chiarezza di quanto segue supporremo sempre che la lastrina messa in comunicazione con un elettrodo o col suolo sia la A (fig. 2), per cui uno sposta- mento della macchia verso M' o verso M” indicherà una ripulsione, o rispettivamente un'attrazione, esercitata dalla lastrina A sul fascio catodico. a) Un primo effetto a constatarsi è quello di una momentanea ripulsione, che ha luogo se si tocca col dito, o altrimenti sì mette in comunicazione col suolo, una delle lastrine A, mentre i due elettrodi sono entrambi isolati. Come si è detto più sopra, le la- strine sì caricano positivamente, e il toccarne una equivale a dargli una carica negativa, donde l’osservata ripulsione, la quale dura poco per la ragione che in breve la tempo- ranea dissimetria di cariche sparisce. Se si rende grandissima la capacità delle lastrine mettendo ciascuna di esse in comu- nicazione con una armatura di un condensatore, di cui la seconda armatura comunica col suolo, il fenomeno descritto si produce ancora; ma, come era prevedibile, se l’esperienza viene ripetuta più volte, la deviazione momentanea del fascio catodico riesce tanto più ampia quanto più tempo si lasciò trascorrere fra una esperienza e l’altra. — 10ì — 5) Se i due elettrodi essendo sempre isolati, si mette la lastrina A in comunicazione coll’anodo, si ottiene un momentaneo spostamento della macchia luminosa verso M” evi- dentemente dovuto all’ attrazione esercitata dalla detta lastrina sul fascio Fig. 2° catodico. Lo spostamento si rende lento, se le lastrine comunicano con con- z densatori. c) Se si ripete la precedente esperienza, mentre si tiene l’anodo in comunicazione col suolo, nel qual caso naturalmente non è più necessaria la comunicazione della lastrina coll’ anodo, ma basta toccarla, si osserva ancora la momentanea deviazione dei raggi catodici verso di essa; ma si presenta altresì un fenomeno nuovo, e cioè una nuova attrazione momen- tanea del fascio catodico nell’ istante in cui si toglie il contatto della mano colla lastrina. Questo fenomeno finale manca qualora le lastrine comuni- chino con condensatori. d) Quando non l’anodo ma il catodo venga mantenuto in comunica- zione col suolo, facendo comunicare coll’ anodo la lastrina A la macchia luminosa sembra rimanere in .V, ma intanto si forma un prolungamento di essa verso 2", che indica l’ esistenza di una oscillazione del fascio catodico, evidentemente dovuta all’ attrazione intermittente della lastrina su di esso. L'aggiunta di condensatori alle lastrine fa sparire questa inter- mittenza, in quanto che la lastrina comunicante coll’anodo resta carica anche durante l’intervallo di riposo fra le successive scariche nel tubo; si ha quindi uno spostamento permanente della macchia luminosa verso M”. In quest’ ultimo caso si produce inoltre il fenomeno seguente. Stabilite le comunicazioni delle lastrine coi loro condensatori, e quella della lastrina A coll’ anodo, la macchia luminosa sparisce; però poco a poco ricompare, ma pallida e grandissima, di forma elittica coll’asse maggiore parallelo al piano delle due lastrine. Poco a poco la macchia stessa diminuisce di grandezza e cresce di splendore sinchè assume l’aspetto con- sueto ; perciò se inizialmente non si vedeva, ciò dipendeva dal fatto, che in principio essa era oltremodo dilatata. Basta mettere le lastrine per un istante in comunicazione coì suolo e scaricarle così della elettricità positiva, che via via vanno acquistando, perchè la macchia luminosa nuovamente sparisca e poi passi per le descritte fasi di grandezza decrescente e luminosità crescente. Lo spostamento della macchia luminosa, dovuto all’ attrazione esercitata sui raggi catodici dalla lastrina comunicante coll’ anodo suol essere così grande, che la macchia stessa esce dal disco fiuorescente. Ma si può rendere meno grande lo spostamento, e far sì che la macchia resti visibile, dando alla comunicazione fra anodo e lastrina una resistenza gran- dissima, per esempio facendo tale comunicazione mediante un filo da cucire. umido, o un lungo tubo da termometri pieno d’ alcool. Se inoltre mediante un commutatore si stabilisce alternativamente la comunicazione coll’anodo dell’una o dell'altra lastrina, si realizza una esperienza dimostrativa della deviazione elettrostatica dei raggi catodici, la quale si effettua così in modo perfetto senza l’ intervento di una batteria di accumulatori. — 102 — e) Se si stabilisce una comunicazione fra una delle lastrine A e B, non più coll’ anodo ma col catodo, gli effetti che si osservano, e che passo a descrivere, sono sensibilmente gli stessi, sia che i due elettrodi siano isolati, sia che l’ uno o l’altro comunichi col suolo, Ciò che sempre si osserva è uno spostamento della macchia luminosa verso MM”, se A è la lastrina comunicante col catodo. Mentre sì sposta, la macchia impallidisce e si dilata, e generalmente si sposta tanto da uscire dal disco fluorescente. Anche in questo caso si riesce a far sì che rimanga visibile, col dare alla comunicazione fra la lastrina ed il catodo una resistenza enorme. Qui pure l’aggiunta di un commutatore, che permetta di far co- municare col catodo ora la lastrina A, ora la 5, fa sì che l’esperienza divenga più com- pleta ed istruttiva. Se poi si rende grandissima la capacità delle due lastrine, col metterle in comunica- zione colle armature non comunicanti col suolo di due condensatori, l esperienza assume un particolare interesse. Infatti, così facendo, lo spostamento della macchia quando si al- lontana dalla posizione normale M, e più specialmente quello con cui vi ritorna, si rendono assai lenti, sì che la macchia stessa si può seguire collo sguardo nei suoi movimenti. Come si è detto, Ì essere o no in comunicazione col suolo uno degli elettrodi non ha sensibile influenza sul risultato. Si nota soltanto questo particolare, e cioè che se il catodo è in comunicazione col suolo, la macchia luminosa è dapprima, come nel caso precedente, pallidissima e assai dilatata, e solo poco a poco essa riprende l’ aspetto consueto. Esperienze col tubo a lastrine eccitato col rocchetto. I fenomeni che si osservano operando in tal modo differiscono in molti punti da quelli che si ottengono eccitando il tubo colla macchina ad influenza, particolarmente poi se si fa uso di un interruttore a mercurio, in ragione della frequenza incomparabilmente minore delle scariche. Accennerò solo alle più notevoli varianti dovute all’uso del rocchetto, indi- cando con lettere accentate esperienze corrispondenti a quelle designate colle stesse lettere nel paragrafo precedente. a') la maccchia luminosa assume la forma di ventaglio, ciò che si deve al fatto che essa oscilla fra la posizione normale e quella deviata, aumentando di dimensioni du- rante lo spostamento di 4% verso 1° e diminuendo di nuovo nello spostamento inverso. D'), c'), d') In queste esperienze si osservano effetti assai meno distinti che coll’ im- piego della macchina ad influenza. Tutto sembra ridursi ad una oscillazione di piccola ampiezza, che assume il fascio catodico per l’ azione intermittente della lastrina comuni- cante coll’ anodo. Se però alle lastrine A e B sono connessi i soliti condensatori, che loro conferiscono grande capacità, si osservano fenomeni alquanto diversi da quelli dati dalla macchina ad influenza. Così, se il catodo essendo isolato si mette la lastrina A in comunicazione coll’ a- nodo, si constata l'oscillazione del fascio catodico dovuta alla attrazione intermittente della lastrina; ma nell’ atto in cui s' interrompe la comunicazione suddetta si produce una brusca e momentanea deviazione in senso inverso, come se alla lastrina A venisse comunicata per un istante una forte carica negativa. — 103 — Mi sembra verosimile che tale carica provenga dagli elettroni negativi che, come fu detto più sopra, vagano nell’interno del tubo, e da non confondersi con quelli che co- stituiscono il fascio catodico. e') Questa esperienza riesce pressochè identica alla e). Essa pure costituisce dunque una buona esperienza dimostrativa della deviazione elettrostatica dei raggi catodici. Anche qui l’aggiunta di un commutatore, che permetta di far comunicare col catodo ora una, ora altra delle due lastrine, rende l’esperienza più completa, mentre rimane utile l’impiego di una enorme resistenza nella comunicazione delle lastrine col catodo, onde evitare che la macchia luminosa sparisca. Infine è opportuno in questa esperienza col rocchetto, come in quella analoga colla macchina ad influenza, dare grande capacità alle lastrine mediante due condensatori, perchè così facendo gli spostamenti della macchia luminosa divengono lentissimi. Marzo 1906. Serie VI. — Tomo IV. 15 dario er alii snai pato, db où ea slo Br Pg SE Ù nb gioni tie I Pupa peli pa cas da Pin Po stanti x fg td idlialoo; Naaggrn a: 0} eoiluteratbora - RUVOAA EU, RICER VALE o esaltati, aan nta ata. i, LAPIS IAA, ea age Povia Ao. pa, fot vpgra: PALISICTE ri saga MADRE A 390 7 agli Depia ipse colti 1) eps Abin pe MOORE, e no a olmo racigirti! dilaga astio b MINTIALOT aaa, Do seta Satta i Far aura petra aisi su A a wa Qt stila sgtdiiatio ri stili sa ie so PREGIO tal agg ti Dr du sans incetfiaia, » pre sé Prete 7 Bag ill; i il La we n Ent de bg ; ainsi fi alii Re a n lado ao Pa did PRES i tds i ori pa 6, pvt cr ione aa licenzia die x moti eplajii asprsago 54 M00 det pa Lia RE de pn size sO “ dormo: da J voga, ab A sà: dave a MOSAICI #1sta, cato Gnrt 47 tub LAGRTTTI n pei ‘ Sea spetto p at A ERI OI dice. di Suna Fatanialtterito: dia A tO mosnrissanasasteni, - gn) Lo. sug sas) ni ea a snoonti di ic ‘ jja rotto Ae SETA ia eten tone ccundii pnPi pupi AI i Ema: ctE1 At + GLI ai vi La) tei — ae sr. RISULTATI OTTENUTI PROLASSI COMPLETI DELL'UTERO COLrMERODO+:PROPRIO MEMORIA DEL PROPLEIUSBPEPFP BUCCI DIRETTORE DELLA GLINICA CHIRURGICA DI BOLOGNA (letta nella Sessione del 25 Novembre 1906). Sebbene il metodo che mi appartiene per la cura radicale dei prolassi completi della matrice, sia stata più volte da me e da altri resa di pubblica conoscenza (1), desidero non pertanto tornare a parlare di esso stante l’importanza dell’ argomento e gli ottimi risultati ottenuti da tutti che |’ accennato metodo reiterate volte applicarono. Come è a voi noto, molti sono i metodi ed i processi proposti ed applicati per la cura radicale dei prolassi completi della matrice; ma certo non è qui il caso di doverne parlare. A ricordo invece di quanto più direttamente mi appartiene, vi rias- sumerò quello che più d’importante si riscontra nelle già accennate mie pubblicazioni. Il metodo del quale da dieci anni io mi servo per la cura dei prolassi completi della matrice non è il risultato di un solo mio lavoro mentale, di un solo esperimento, bensì la conseguenza di un lungo studio razionalmente condotto, frutto di osservazioni ripetute e di riflessioni molteplici, basate su prove per molto tempo continuate. Passando dal cistocele vaginale allo studio dei prolassi semplici della matrice, venni successivamente occupandomi dei casi complicati con o senza ipertrofia della porzione sopravaginale del corpo della matrice, La razionalità del metodo riposa tutta sul concetto che il prolasso completo della (1) Ruggi — Intorno alla cura del cistocele vaginale e del prolasso completo della matrice. (Bull. Scienze Mediche di Bologna, 1894). Ulisse Dott. Gardini — Metodo Ruggi per la cura dei prolassi completi della matrice. (Ri- forma medica, N.° 40, Vol. III, agosto 1896). Ruggi — Metodo nuovo per la cura radicale dei prolassi completi dell’utero (Atti della Società ital. di Chirurgia 1897-1898). Metodo per la cura radicale ecc. (Zanichelli, Bologna 1897); e Policlinico Memorie chirurgiche, 1898. — 106 — matrice null’ altro significa che Io spostamento di un viscere ricoperto dal peritoneo avente rapporti intimi di connessione con esso. A mio avviso noi ci troviamo in tali casi di fronte ad un’ ernia sui generis, avente un involucro peritoneale al. quale 1 utero aderisce tenacemente. essendone fuori; che lo stesso utero in basso trascina nella sua discesa e che in esso s’ insacca allorchè spontaneamente o ad arte venga fatto risalire per entro il bacino. In base a tali considerazioni la. cura per essere efficace doveva naturalmente diri- gersi anzitutto alla distruzione dell’ accennato sacco, il quale principalmente di due larghe logge si compone; anteriore l’ una, posta fra la vescica e l’utero; posteriore l’altra, più ampia e più profonda della prima, posta fra 1’ utero ed il retto intestino. L'indicazione come vedete era evidente perchè il peritoneo che nei prolassi com- pleti dell’ utero scende a formare le accennate insaccature, costituisce in avanti ed in addietro dell’ utero due piani di scivolamento su i quali l’ utero stesso, in associa- zione costante della vescica (cistocele) e qualche volta del retto intestino (rettocele), si sposta scorrendo in basso sospiuto dalle potenti forze endo-addominali e contro le quali non havvi elemento o disposizione alcuna che possa valere. Da ciò ’ insuffi- cienza di tutti i metodi e processi che furono a questo scopo ideati, compresa l’aspor- tazione della stessa matrice perchè, togliendo questa, non si modificano per nulla le condizioni relative ai mutati rapporti del peritoneo pelvico che ha assunto in tali casi disposizioni anormali per non dire evidentemente patologiche. Si comprende di conseguenza che se nel prolasso dell’ utero rimangono incolumi gli accennati piani di scivolamento non è possibile pensare ad una cura radicale di quello, perchè tal fatto corrisponderebbe a lasciare intatto il sacco o porzione di questo in un’ ernia inguinale o crurale e sperare nella guarigione radicale e duratura delle accennate condizioni patologiche. i Ma l’idea fondamentale che mi doveva servire di guida per ottenere, dopo la distruzione dei due sacchi peritoneali (anteriore. e posteriore all’ utero), la fissazione salda e duratura della matrice nell’ interno del bacino, mi venne suggerita da altra operazione ideata da me allo scopo di facilitare la cura degli annessi uterini per la via vaginale. i In simili casi, avendo attraverso della vagina distaccato 1 utero dalla vescica e dall’ intestino retto, nonchè dalle parti laterali di esso fino alle trombe faloppiane o poco meno, in modo da lasciarlo attaccato per le sole comunicazioni vasali e nervose utero-ovariche, notai che, rimesso il viscere in sede normale e fissato quivi mediante il tamponamento vaginale, non solo poteva l’ utero vivere e normalmente fissarsi, ma funzionare ancora nel modo più fisiologico, da rendere possibile nello stesso soggetto parecchie gravidanze (1). Pensai allora di servirmi di un mezzo analogo per cruentare l’ utero prolassato nella sua periferia, accorciando contemporaneamente le due insacca- ture peritoneali e cioè la vescico-uterina e l’utero rettale o piega del Douglas. (1) Ruggi — Metodo nuovo per l’ovariectomia vaginale. (Clinica Moderna. Anno II. N. 21. 1896). — 107 — A questi concetti originali e fondamentali nella cura delle accennate affezioni, aggiunsi per ultimo un processo di plastica vaginale il quale, senza coadiuvare in modo diretto la fissazione in alto della matrice, modificasse l’ allargato canale vaginale restringendolo in modo naturale e relativo a quel determinato soggetto. Anche sulla vulva, spesso assai allargata, eseguii talora un limitato processo di perineo-cheilorafia, collo scopo di rendere efficace il tamponamento della vagina che doveva servirmi di base per la fissazione della matrice in alto, durante i primi giorni di cura. Ed ora in breve i ricordi del metodo che non pertanto ha subito dalla sua origine alcune lievi modificazioni le quali lo hanno reso più facile, più semplice e quindi più spedito, senza togliere nulla che potesse modificare l’ intima essenza di esso. Operazione — Messa la donna nella posizione dorso lombare propria all’ istere- ctomia vaginale, pongo due assistenti ai lati in modo che, mentre sostengono gli arti inferiori, m1 possono coadiuvare durante 1 operazione. Afferro quindi l’ utero al muso di tinca con le pinze uncinate che mi appartengono e raschio l’ interna cavità del collo e della matrice disinfettando e sterilizzando con cura quella e questa. Fatto ciò pratico attorno al collo, là dove dovrebbero corrispondere i fornici, una incisione circolare (Fig. 1° AA) la quale, interessando ovunque la mucosa, mette allo scoperto il. cellu- lare sottostante. A questa prima incisione faccio tener dietro altre due che cadono sulla parete an- \ ÒÒ Ò AN ÎÒ TL Ò Ò teriore vaginale, una per parte della colonna anteriore. (Fig. 1% BB) le quali incisioni da un lato terminano nell’ incisione circolare sopraindicata e dall’ altra, s° incontrano — 108 — ad angolo con altre due incisioni condotte per piccolo tratto in senso orizzontale, cor- rispondentemente all’ osculo vaginale (Fig. 1* €C). Limito in tal modo un lembo (Fi- gura 1° E) di mucosa mediano, allungato, che comprende la colonna, che distacco in parte e che parzialmente escido, come si vede di già fatto nella (Fig. 2° A). Le pre- dette incisioni limitano anche due lembi laterali quadrilateri che distacco e sollevo come è appunto dimostrato nella Fig. 2% e indicato dalle lettere BB. Tale distacco è facilissimo perchè, specialmente ai lati della colonna, la mucosa vaginale si isola dai sottostanti tessuti anche senza bisogno del tagliente cioè col semplice stiramento e coll’ incisione di piccoli lacerti connettivali. Fatto questo, approfitto dei praticati scollamenti della mucosa per distaccare con cura la vescica dalla faccia anteriore dell’ utero; in addietro mi servo del taglio circolare già praticato per distaccare con esattezza la matrice dall’ intestino retto e dall’ insaccatura peritoneale posteriore (piega del Douglas). Durante il distacco dell’ utero dalle parti annesse, collo scopo d’evitare qualsiasi emorragia, applico al lati della matrice dei punti preventivi di sutura dati con filo robusto di catgut (N. 5 di Rognone), isolando poi i tessuti allacciati dall’ utero mediante incisioni verticali eseguite con robuste forbici. Con due aghi, uno per parte, montati di catgut, come sono solito di fare per la isterectomia (1), dando punti a catenella successivamente da una parte e dall’ altra e verso l’ alto, isolo l utero ai lati. Fatto questo per circa i due terzi della lunghezza dei bordi della matrice, apro in avanti ed in addietro le insaccature peritoneali, distaccando ancora per quanto è possibile in alto il peritoneo dalla faccia anteriore del retto intestino. Pratico dipoi il capitombolo anteriore dell’ utero ; ed, afferrato con pinza il lembo di peritoneo viscerale che ricuopriva la faccia posteriore della vescica, lo rivolto verso l’alto e lo vado ad attaccare al bordo superiore della faccia anteriore dell’ utero. Uso a tale scopo piccoli aghi tondi, ricurvi montati di sottile catgut (R0- gnone N; 1), coi quali dò 5 o 6 punti staccati. Rimesso l’ utero in posizione ricon- ducendolo in cavità, faccio eseguire ad esso il capitombolo posteriore, manovra anche questa facilissima, stante il prolasso e le condizioni nelle quali è artificialmente messa la matrice. Afferrato infine il lembo posteriore di peritoneo che scendeva a formare la piega del Douglas, la distacco dalla faccia anteriore dell’ intestino retto; ed il bordo libero di quello, rivolgendolo verso 1’ alto, l’ attacco alla parte superiore della faccia posteriore della matrice. So Ora la semplificazione del metodo è riposta nell’ avere soppressa la cruentrazione delle facce anteriore e posteriore del corpo della matrice come ero solito fare nei primi casi operati, allo scopo di facilitare l’ adesione delle parti, ma che ora ho veduto non necessarie perchè il peritoneo, ricoperto di endotelio, quanto una superficie cruen- tata, si presta ad assumere con essa rapporti intimi e di sollecita adesione. Amputo per ultimo l’ utero nella sua posizione sopra vaginale, asportando buon (1) Ruggi — Dell’isterectomia vaginale ecc. (Bullet. delle Scienze Med. di Bologna. Serie VII, Vol. IV. Anno 1898). = 109 + tratto di collo; e, attacco direttamente in addietro la mucosa vaginale al moncone dell’ utero stesso, cercando che la mucosa vaginale posteriore si metta in rapporto di continuità con quello del collo uterino, che le corrisponde, mentre in avanti mi regolo in modo assai diverso. Quivi le cose debbono essere dirette al duplice scopo di ottenere | accorciamento della parete anteriore nel senso della lunghezza e la riduzione delia stessa in senso orizzontale, vale a dire a seconda della sua ampiezza, senza uscire, come dissi, dalle norme fisiologiche proprie a quel determinato soggetto. A tale scopo con punti di sutura intercisa dati con fili di catgut, attacco da prima il lembetto mediano, già accorciato in lunghezza, al moncone uterino, facendolo aderire alla parte corrispondente, senza che si-metta in rapporto di contiguità colla mucosa della porzione mediana anteriore del collo. (Fig. 2* A). In detta figura poi la dimo- strazione non è perfettamente esatta dovendo, a questo punto dell’ operazione, essere di già stata amputata la porzione intravaginale della matrice: ad ogni modo, amputato il collo, il lembo mediano viene fissato al punto indicato della Fig. 3* dove non può raggiungere la mucosa interna al collo dell’ utero. Cruentato dipoi detto lembo mediano in tutta la sua superficie mucosa mettendo a nudo così il tessuto sottomucoso, ricuopro detta su- perficie sanguinante con gli altri due lembi la- terali quadrilateri (Fig. 2* BB) i quali vengono con punti di sutura dati sempre con catgut, fra di loro esattamente fissati nel loro bordo libero in modo da aversi la configurazione indicata dalla Fig. 3* AAA e BBB. Questi due lembi, coi bordi superiori debbono raggiungere e met- tersi in rapporto di contiguità con la mucosa anteriore ed interna propria alla parte alta del collo uterino, che coll’ amputazione preindicata, viene messa in vista. Metto infine un sottile ma lungo stuello di garza sterilizzata per entro alla matrice, tam- ponandone la cavità e dò termine all’ operazione, sospingendo verso l’alto il viscere, mediante il tamponamento della vagina, eseguito con garza sterilizzata e cotone ste- rilizzato. La Fig. 4* dà un’ idea delle condizioni nelle quali si trova l'utero, rispetto al peritoneo ed alla vagina, prima del tamponamento di questa. I lembi di peritoneo ante- riore A e posteriore B si vedono in detta Figura distesi, mentre che la mucosa vaginale si mostra pieghettata e protrusa. Sospingendo ora l’utero in alto, mediante il tamponamento della vagina, si ha naturalmente la riduzione di questa in cavità e la riformazione delle — 110 — ‘pieghe peritoneali vescico-uterina ed utero-rettale, ma accorciate da quello che erano prima di tutto quel tratto di peritoneo, che ricuopriva le facce anteriori e posteriori della matrice In alcuni casi essendo la insaccatura posteriore oltremodo ampia è. ne- cessario esciderne una parte. La Fig. 5%, messa a confronto della Fig. 4°, mi sembra più che sufficiente a dare un’ idea esatta delle cose. L’utero cruentato nei suoi bordi laterali, la vagina distaccata e. fatta riaderire alla parte rimasta di collo di utero ; le parti vescicale e rettale per un certo. tratto pure cruentate, danno origine, coi loro reciproci rapporti, ad uno spazio sanguinante assai ampio dove le superfici preparate al coalito, vengono a mutuo contatto pren- N Fig. 4% \ dendo disposizioni naturalmente assai nuove, ma che debbono riuscire oltremodo etffi- caci per l'assetto fisiologico di tutte quelle parti in antecedenza patologicamente spostate. (dd I concetti fondamentali adunque di una cura del prolasso dell’ utero rimangono sempre quelli da me annunciati nelle precedenti mie pubblicazioni e cioè : 1° Di modificare anatomicamente il parametrio in modo che quando l’ utero viene rimesso in posto e per un certo tempo mantenuto nella fisiologica sua posizione . per mezzo del tamponamento vaginale, trovi in unione alle altre parti spostate la maniera di fissarsi e di rimanere fissato. 2° Di spostare, accorciare e modificare i lembi di peritoneo che formano i piani di scivolamento, lembi che debbono essere cambiati nelle loro. disposizioni, in guisa da non potere più servire al facile scorrimento delle parti le une sulle altre. 3° Di trovare infine la maniera di modificare nel modo più fisiologico le con- dizioni della vagina e della vulva, stringendo l’ apertura di questa, qualora ve ne sia bisogno e raccorciando non che rafforzando le pareti di quella in avanti senza modi- ficare però dette parti oltre i limiti voluti, costantemente guidati dal concetto razionale di volere alle singole parti ridare quelle disposizioni normali che sono loro proprie. — lll — Avendo in questi dieci anni di prova dell’ accennato metodo operato in sedi diverse con risultati costantemente buoni ho cercato di conoscere le conseguenze tardive del metodo ed ho avuto la fortuna di avere dal collega Prof. Ulisse Gardini che fu mio aiuto all’ Ospedale Maggiore, dove allora io funzionavo da Chirurgo Primario, una statistica di 7 casi operati nel 1896 e 1897; fra i quali l’ultimo è più che mai interessan- tissimo, non tanto per il risultato ottenuto che ricorda gli altri tutti, quanto perchè, trascorsi nove anni si è potuto constatare la persistenza dell’ ottimo successo. La qual cosa fu dallo stesso Gardini verificata, essendo la donna in parola, attualmente ricoverata nell’ Ospizio dove Egli è Direttore sanitario. Ed ora ecco quanto il Gardini mi scrive in proposito : « B. Clementa, d’ anni 73, degente ora al Ricovero di Mendicità, entrava nel « Gennaio del 1897 all’ Ospedale Maggiore colla diagnosi di Prolasso dell’ utero di « terzo grado, che datava da 4 anni. Venne operata nello stesso mese ed uscì guarita « dall’ Ospedale nel successivo Febbraio. « Dopo l’operazione, la B. non ha più avuto accenno di prolasso ed anche al « presente, dopo più di 9 anni, l'utero si trova fissato in alto ne vi è accenno di « cistocele o di rettocele. All’esplorazione vaginale il corpo dell’utero appare assai « impiccolito, quasi atrofico, ma fisso in alto tenacemente. » La mia statistica su tal genere di cure è di 27 casi operati in 10 anni, e cioè: 7 all’ Ospedale Maggiore fra il 1896 e 1897 (Storie del Gardini); 12 alla Clinica di Modena (Storie raccolte dal Vaccari); 8 in quest’ anno nella Clinica di Bologna (Storie raccolte dal Calabresi). I risultati, come si potrà vedere dalle storie stesse, furono sempre ottimi. Storie raccolte dal Prof. Ulisse Gardini. 1° R. Olimpia, d’anni 67 di Bologna, donna di casa. Entra nell’ Ospedale Maggiore il 12 Marzo 1896. _Nnamnesi. -- L’ inferma da circa 6 mesi, avverte un corpo, che tende a fuoriuscire dai genitali esterni, e che le impedisce di camminare a lungo. Tale corpo le produce con- tinuo senso di peso. Ha mestruato a 15 anni, e le mestruazioni furono regolari fino all’età di 41 anno, epoca nella quale cessarono affatto. Ha avuto 17 gravidanze tutte regolari ed a termine, e 2 aborti. Non ha mai sofferto malattie degne di nota. La madre è morta per carcinoma dell’ utero, nient’ altro a carico dell’ ereditarietà. Diagnosi. — Prolasso totale dell’ utero. tto operativo. — 19 Marzo 1896. Isteropessi col metodo Ruggi, piccolo drenaggio endo-uterino, zaffi. Il decorso post-operatorio è regolare; non si ha la più piccola elevazione di tempera- tura, e l’ammalata lascia 1’ Ospedale completamente guarita il giorno 27 Aprile 1896. Serie VI. — Tomo IV. a 16 — 112 — 2° G. Luigia, d'anni 44 di Zappolino, contadina. Entra nell’ Ospedale Maggiore il 21 Aprile 1896. _Nnamnesi. — L’inferma ha avuta 5 gravidanze a termine. Dopo il 2° parto, avvenuto 5 anni or sono, ha avvertito senso di peso nei genitali. Solo però da 4 anni avverte un corpo, che gradatamente è disceso lungo la vagina, fino a mostrarsi fuori dei genitali esterni durante la stazione eretta. Tale corpo le procura dolori nelle regioni lombari, e la mette nella impossibilità di attendere, come prima, ai lavori campestri. Non ha mai sofferto malattie degne di nota. Nulla a carico della ereditarietà. Diagnosi. — Prolasso totale dell’ utero. _Nftto operativo. — 30 Aprile 1896. Isteropessi col metodo Ruggi, piccolo drenaggio endo-uterino, zaffi. Il decorso post-operativo è normale. Non si ha elevazione di temperatura, se sì eccettua un 37,4 nella sera del 3 maggio successivo. L’ammalata abbandona 1’ Ospedale completamente guarita il 2 Giugno 1896. 8° G. Gaetana, d’anni 38 di Barletta, donna di casa. Entra nell’ Ospedale Maggiore l]1l Giugno 1896. i _Nnamnesi. — L’inferma in questi ultimi 5 anni ha abortito 3 volte. In seguito a tali aborti ha avvertito, che l’ utero discende lungo la vagina, e fuoriesce dai genitali esterni, tutte le volte che è costretta a sollevare qualche peso da terra. Tale corpo le dà impedi- mento alla deambulazione e dolori nelle fosse iliache. I l Ha mestruato giovanissima, e le mestruazioni successive furono sempre accompagnate da dolori al capo. A diciotto anni prese marito, dal quale non ebbe figli. Rimase vedova depo 2 anni di matrimonio. i A 21 riprese marito, dal quale fu contagiata di sifilide. Da quel momento cominciò una sequela di mali. Rimase incinta, ma per 2 volte dette alla luce due bambini che morirono, dopo pochi giorni. Si fece curare della sifilide, e migliorata, partorì per 2 volte bambini che sono ancor sani. Il padre è morto di un tumore nell’addome, null’ altro degno di nota. Diagnosi. — Prolasso totale dell’ utero. tto operativo. -- 18 Giugno 1896. Isteropessi col metodo Ruggi, piccolo drenaggio endo-uterino, zaffi. Il decorso post-operatorio è normale. La temperatura anche essa normale, tranne che nel giorno 24, in cui raggiunse un massimo di 37,6. L’ammalata abbandona 1° Ospedalo completamente guarisa il giorno 18 Luglio 1898. 4° G. Maria, d'anni 44 di Barletta, donna di casa. Entra nell’ Ospedale Maggiore il giorno 12 Giugno 1896. osi Nnamnesi. — L’inferma venti anni fa, circa, cominciò ad avvertire che l’ utero tendeva ad abbassarsi, ciò però non gli ha impedito di partorire a termine dei figliuoli, che sono tuttora vivi e sani. — 113 — Maritatasi a 18 anni, contrasse la blenorragia, che è scomparsa ed è ricomparsa ad intervalli più o meno lunghi. La prima gravidanza fu condotta a termine, e il nato vive ed è sano, la seconda finì a 4 mesi con un aborto. Ebbe in seguito tre altre gravidanze, tutte a termine, ma dei 3 figli, 2 soli vissero, il 3° morì dopo pochi giorni. Da qualche mese avverte dolori al basso ventre ed alle gambe, e non può attendere, come prima, alle ordinarie occupazioni. Quattro anni fa ebbe la malaria, dalla quale pare è guarita. Le mestruazioni furono quasi sempre regolari. Ebbe solo abbondanti perdite bianche. Nulla dal lato ereditario. Diagnosi. —- Prolasso totale dell’ utero. tto operativo. — 27 Giugno 1896. Isteropessi col metodo Ruggi, piccolo drenaggio endo-uterino, zaffi. | Il decorso post-operatorio è normale. La temperatura sempre normale. L’ammalata abbandona 1’ Ospedale completamente guarita il giorno 28 Luglio 1896. 5° B. Rita, d’anni 47 di Persiceto, donna di casa. Entra nell’ Ospedale Maggiore il 21 Settembre 1896. Nnamnesi. — L’inferma sì è accorta, da circa 1 anno, che la matrice si sposta verso il basso, specialmente quando è costretta a rimanere per molto tempo in piedi. Tale fatto le procura senso di peso e lievi dolori in fondo al bacino. Mestruazioni quasi sempre regolari. Nulla nell’anamnesi remota; muta l’ ereditarietà. Diagnosi. - - Prolasso dell’ utero. tto operativo. -- 3 Ottobre 1396. Isteropessi col metodo Ruggi, piccolo drenaggio endo-uterino, zaffi. Il decorso post-operatorio è normale. La temperatura non raggiunge che una sol volta 37,4. Il 3 Novembre l’ inferma ha la mestruazioni, le quali sono regolari per quantità e qualità, e non si accompagnano con nessun disturbo. L’ammalata abbandona 1° Ospedale completamente guarita il 15 Novembre 1896. 6° R. Elena, d’anni 57 di Bologna, servente. Entra nell’ Ospedale Maggiore. il 5 No- vembre 1896. _Nnamnesi. — L’ inferma, da 8 anni, s'è accorta che nella vagina esiste un corpo, il quale tende a discendere verso i genitali esterni. Dice che tale corpo fuoriesce da questi, da solo un anno, e che si fa più appariscente quando sta alzata e lavora. Siccome le pro- duce senso di peso e impedimento alla deambulazione, lo contiene con una fasciatura a T. Lamenta sopratutto il bisogno di urinare spessissimo e dice che l’° urinazione si compie a goccie e con dolore. Ha avuto tre aborti e tre parti a termine. Le mestruazioni si sono sempre mantenute regolari, e sono cessate a 53 anni. Non ha mai avuto malattie degne di nota; nulla a carico dell’ ereditarietà. — 114 — Diagnosi. —- Prolasso totale dell’ utero. tto operativo. — 16 Novembre 1896. Isteropessi col metodo Ruggi, piccolo drenaggio endo-uterino, zaffi. Il decorso post-operativo è normale; e l’ammalata abbandona 1’ Ospedale completa- mente guarita, il 23 Dicembre 1896. 7° B. Clementa. Storia già sopra esposta. Storie raccolte dal Dott. Luigi Vaccari. 8° Z. Anna, d’anni 45 di Modena, contadina, maritata. Entra il Clinica in giorno 1 Gennaio 1897. _Nnamnesi. — Ebbe 8 figli sani, nati dietro parto normale. È ancora mestruata, partori l’ultima volta due anni fa. Dopo |’ ultimo parto, ebbe a risentire senso di peso al perineo. Soffriva di perdite bianche e di quando in quando, se compieva sforzi, notava la fuoriuscita dall’ostio vaginale del muso di tinca. €same obbiettivo. -—- Essendo la paziente in posizione eretta, divaricando le grandi labbra, si vede sporgere il muso di tinca. L’orificio uterino è ampio, irregolare e presenta qualche ulcerazione. La parete vaginale anteriore, è leggermente sporgente come la po- steriore. Diagnosi. -- Cistocele e rettocele, ProJasso uterino di 2° grado. _Ntto operativo. — 3 Gennaio 1897. Isteropessi col metodo Ruggi. Il decorso post-operativo fu ottimo. Dopo 15 giorni la paziente poté lasciare la Clinica perfettamente guarita. 9° S. Giuseppa, d'anni 48 di Saliceta (Modena), sartrice, maritata. Entra in Clinica il giorno 29 Gennaio 1897. _Nnamnesi. — Diede alla luce 4 figli, ora viventi e sani, con parti laboriosi, che le produssero la lacerazione del perineo. Da due anni è amenorroica. L’ ultimo parto seguì 7 anni or sono. Da tempo la paziente nota abbondante secreto vaginale, talora striato di sangue, e avverte un senso di stanchezza ai lombi per le più lievi fatiche, che l’ obbligano a sdraiarsi. Esame obbiettivo. —- I° esplorazione vaginale nota una considerevole ipertrofia del collo dell’ utero. Il corpo è retroflesso e di volume piccolo, facilmente spostabile. La parete po- steriore della vagina, se l’ammalata preme, viene a fare prolasso. Diagnosi. — Rettocele, ipertrofia del collo uterino, retroflessione dell’ utero. _Ntto operativo. —- 4 Febbraio 1897. Isteropessi col metodo Ruggi. Il decorso post-operatorio regolare. La paziente esce guarita dopo 20 giorni di degenza in Clinica, — 115 — 10° M. Matilde, d’anni 45 di Correggio, massaia, maritata. Entra in Clinica il giorno 5 Maggio 1897. : fnamnesi. — Partorì 6 volte. Sofferse febbri reumatiche dopo l’ ultimo parto avvenuto 3 anni fa. Anche attualmente ha mestruazioni regolari. Accusa dolori ai quadranti inferiori dell'addome con senso di peso al perineo ed ai lombi dopo gli sforzi fisici. €same obbiettivo. — Posta la paziente in posizione ginecologica, esaminando i genitali esterni, si vede sporgere dall’ ostio vaginale il muso di tinca assai arrossato, e dall’ orificio uterino si vede fuoriuscire una discreta quantità di muco filante. Anche le pareti vaginali anteriore e posteriore sono prolassate. Diagnosi. — Prolasso uterino di 2° grado. Cistocele e rettocele. _Ntto operativo. -—- 5 Maggio 1897. Isteropessi col metodo Ruggi. Il decorso post-operativo fu buono. La paziente venne congedata dopo 25 giorni. 11° P. Aldegonda, d’anni 20 di S. Felice sul Panaro, contadina, maritata. Entra in Clinica il giorno 30 Novembre 1898. _{namnesi. — Partorì bene e a termine 3 figliuoli, poi ebbe un aborto in seguito al quale si sentì notevolmente indebolita, essendosi aggiunta anche una diarrea ostinata. In appresso, ristabilitasi, fu presa da altri disturbi e cioè da leucorrea abbondante, da cefalea e da nausea. In questo periodo che risale a 4 anni or sono essa si accorse che negli sforzi scendeva all’ orificio vaginale un corpo, che le causava senso di peso e le dava un certo impedimento alla deambulazione. Inoltre di quando in quando essa avvertiva a livello della piega inguinale destra la fuoriuscita, dietro i colpi di tosse, di un viscere dal cavo addo- minale entro al quale colla pressione poteva facilmente ridursi, si trattava di ernia cru- rale destra. Esame obbiettivo. — La parete vaginale anteriore è assai prolassata, e sporge moltis- simo, se si invita la paziente a premere. L’ utero scende fino fra le grandi labbra ed è ipertrofico nella porzione del collo. Esplorando in vagina, esso viene spinto in alto, e si nota che è mobilissimo. Gli annessi sono integri. Diagnosi. — Cistocele, proiasso uterino di 1° grado. tto operativo. — 6 Dicembre 1898. Isteropessi col metodo Ruggi. Esito dell’ operazione, buonissimo. - L’ammalata esce guarita il giorno 30 Dicembre 1898. 12° M. Romilda, d’anni 34 di Novi (Modena), massaia, maritata. Entra in Clinica il giorno 24 Gennaio 1900. _Nnamnesi. — Nove anni fa la paziente, dopo un puerperio, avvertì all’ ostio vaginale un corpo duro, indolente, che veniva a fare una maggiore sporgenza, se contraeva i mu- scoli dell’addome. Fino da allora essa cominciò a provare senso di peso a tutta la regione ipogastrica e talvolta ai lombi, disturbo che negli anni successivi, dopo altri due parti, venne man mano accentuandosi. Soffriva anche di tenesmo vescicale. 22 {N02 €same obbiettivo. — Esaminando la paziente in posizione ginecologica, si osserva una vulva ampia dalla quale sporge la parete vaginale anteriore. Il dito introdotto nella vagina incontra a 3 cm. dall’ostio il muso di tinca, e nota che tanto il collo che il corpo uterino hanno volume normale. Quest’ ultimo è leggermente retroverso. Nella posizione eretta, il muso di tinca si abbassa maggiormente, giungendo a livello delle Sat SON Diagnosi. — Cistocele. Prolasso dell’ utero di 1° grado. _Étto operativo. — 19 Febbraio 1900. Isteropessi col metodo Ruggi: La guarigione seguì nel periodo di circa 20 giorni. 13° F. Albina, d’annì 36 ci Ravarino, contadina, vedova. Entra n Clinica il giorno 23 Aprile 1900. Anamnesi. — Per la prima volta, dieci anni fa, la paziente, gravida di 2 mesi, sentì, compiendo uno sforzo, un corpo abbassarsi entro la vagina. Partorì, e in appresso notò che comunemente dalla vulva fuoriusciva un corpo roseo, tondeggiante, avente la grossezza di un pugno. Pertanto non risentiva che qualche dolore all’ ipogastrio, e solo se si Maionera a lungo in piedi. Ha avuto cinque figli ora viventi e sani. €same obbiettivo. — Essendo la paziente in decubito dorsale, esplorando in vagina, si sente l’ utero in posizione regolare ma notevolmente abbassata. Con facilità lo si può spin- gere in alto e si nota che ha volume e forma normale. Se si invita l’ ammalata a premere, lo si vede fuoriuscire completamente dalla vulva e scendere fra le coscie. Diagnosi. — Prolasso uterino di 3° grado. _Étto operativo. — 9 Maggio 1900. Isteropessi col metodo Ruggi. Seguì la guarigione operatoria regolarmente, e notizie ulteriormente assunte circa la salute generale e le condizioni dei genitali dell’operata sono oltremodo soddisfacenti. 14° M. Teresa, d’anni 33 di Modena, servente, vedova. Entra. in Clinica il giorno 19 Gennaio 1901. Znamnesi. — Ebbe 6 figli, dei quali due per parto gemellare. È mestruata regolar- mente, ma soffre di copiose perdite bianche, e di quando in quando, massime se si affatica nei proprii lavori di casa, prova un molestissimo senso di peso all’ ipogastrio ed al perineo. €same obbiettivo. — Essendo la paziente supina, se si divaricano le grandi labbra, si vedono notevolmente sporgenti le pareti anteriore e posteriore della vagina. L° esplorazione vaginale rileva una notevole ipertrofia del collo uterino. Il corpo è retroverso e di volume leggermente aumentato. L’ orificio dell’ utero presenta qualche uleerazione, e da esso fuori- esce abbondante catarro gialliccio-mucoso. Diagnosi. — Cistocele e rettocele. Ipertrofia del collo uterino. Retroversione. tto operativo. — 1 Febbraio 1901. Isteropessi col metodo Ruggi. I’operata esce guarita il 20 Febbraio 1901. 15° De L. Carolina, d’anni 43 di Ganaceto (Modena). massaia, maritata. Entra in Clinica il giorno 21 Marzo 1901. — ll7 — _Nnamnesi. — Ebbe un primo parto distocico, pel quale subì l’ applicazione del forcipée, e successivamente partorì in modo regolare altre due volte. Da qualche tempo essa sente, che quando compie sforzi fisici, entro la vagina si sposta in basso un corpo che viene a sporgere dall’ ostio vaginale. Ha senso di peso all’ ipogastrio ed al perineo nella deambu- lazione e nella stazione eretta. Esame obbiettivo. -- Divaricando le piccole labbra, si osserva il prolasso delle pareti anteriori e posteriori della vagina. Invitando la donna a premere, dall’ ostio vaginale fuo- riesce il muso di tinca, che scende ancor più, se la paziente fa pressione, ponendosi in posizione eretta. Ridotta la parte prolassata, si avverte la vagina corta, l’ utero in leggiera retroversione, grosso, mobile, indolente. Gli annessi sono integri. Diagnosi. --. Cistocele e rettocele. Prolasso uterino di 2° grado. Mito operativo. — 3 Aprile 1901. Isteropessi col metodo Ruggi, Esito dell’ operazione, buonissimo. L’operata esce perfettamente guarita dopo 25 giorni. 16° A. Clorinda, d’ anni 86 di Pievepelago, servente, vedova. Entra in Clinica il giorno 15 Maggio 1901. _f{namnesi. — Ebbe solo un figlio 10 anni fa e non fu mai ammalata. Due anni or sono cominciò a sentire dolori ai quadranti inferiori dell’ addome, specie a sinistra, e senso di peso al perineo. Le mestruazioni si fecero irregolari per epoca di comparsa e si mostra- rono abbondanti perdite bianche. Non di rado l’ammalata veniva colta da. nausea e da vomito, ed ultimamente con una certa frequenza da cefalea.. Esame obbiettivo. -- Esaminando i genitali esterni, si vede la parete vaginale anteriore prolassata tra le piccole labbra. L’ esplorazione vaginale desta qualche dolore, e rileva una leggiera ipertrofia del collo uterino. Questo viene spinto fino in prossimità dell’ orificio, vaginale, se l’ammalata contrae la parete addominale. Il corpo uterino è molto mobile, regolare di volume, e leggermente retroverso. Diagnosi. — Cistocele. Prolasso uterino di 1° grado. Nitto operativo. — 20 Maggio 1901. Isteropessi col metodo Ruggi. Esito : guarigione. 17° F. Geltrude, d’anni 42 di Marzoliro (Castelfranco dell’ Emilia), contadina, maritata. Entra in Clinica il giorno 1 Maggio 1903. Nnamnesi. — La paziente ebbe otto parti normali, e fra il 4° e il 5° un aborto, pel quale fu febbricitante per diversi giorni. Molti anni fa s’ accorse che l’ utero aveva tendenza a scendere fino all’ orificio vaginale, ma ciò non le dava alcun disturbo. Cinque mesi or sono per accidente cadde dall’ alto, riportando diverse contusioni, che la obbligarono al letto. Guarita ritornò al lavoro ma sentì di non potere attendere a fatiche per un senso di peso all’ ipogastrio e dolorabilità ai lombi. Nel frattempo notò che il prolasso uterino si era accentuato. i €same obbiettivo. — Fra le grandi labbra sporgono le pareti anteriore e posteriore — 118 — della: vagina, e tale sporgenza s’ accentua, se la paziente si alza in piedi o se preme. L’ esplo- razione vaginale apprezza che il muso di tinca, causa l’ipertrofia del collo, giunge all’ostio vaginale. Diagnosi. — Cistocele e ralicale Prolasso uterino di 1° grado. _NÎtto operativo. — 11 Marzo 1904. Isteropessi col metodo Ruggi. Decorso post-operativo, buono. L’operata lascia la Clinica il 3 Aprile 1904. 18° B. Emilia, d’anni 38 di Rolo, contadina, vedova. Entra in Clinica il giorno 9 Marzo 1904. _Nnamnesiîi. —— La paziente 6 anni fa nel mingere si accorse che l’ utero veniva a sporgere in modo anormale dai genitali esterni. Ripetute volte venne curata con pessari, senza risultato, poichè provava egualmente senso di dolorabilità ai lombi e talvolta, specie nelle ore del mattino, provava difficoltà nell’ emettere l’ urina. Ebbe 6 figli a termine, dei quali 5 sono morti. €same obbiettivo. — Esaminando la paziente in posizione supina, e divaricando le grandi labbra, si vede al livello dell’ostio vaginale il muso di tinca. La parete vaginale posteriore è pure sporgente. Invitando la paziente a premere il prolasso s’ accentua. Pra- ticando l’ esplorazione vaginale, si sente 1’ utero di volume normale, leggermente retroverso e mobilissimo. Gli annessi sono integri. Diagnosi. — Prolasso uterino di 2° grado. tto operativo. — 13 Marzo 1904. Isteropessi col metodo Ruggi. L’esito operativo è buono. La paziente vien congedata dalla Clinica il giorno 5 Aprile 1904. 19° R. Clonice, d’anni 44 di S. Cesario sul Panaro (Modena), levatrice, maritata. Entra in Clinica il giorno 17 Maggio 1904. _Nnamnesi. — La paziente dopo un primo parto pel quale le fu applicato il forcipe, notò che negli sforzi }’ utero scendeva fino all’ostio vaginale. Tale prolasso per altre 4 successive gravidanze s’ accrebbe tanto che essa, oltremodo disturbata, fu costretta a sot- toporsi ad una cura cruenta all'Ospedale di Castelfranco-Emilia. Otto mesi dopo che fu operata le sue condizioni erano le seguenti : €same obbiettivo. - Quando la paziente è in piedi tutto l’ utero viene a trovarsi fra le coscie, è piccolissimo e privo di collo. La vagina interamente prolassata è coperta da mucosa scabra e secca. Diagnosi. — Prolasso totale dell’ utero. Recidivo a cura chirurgica. _Îtto operativo. — 23 Maggio 1904. Isteropessi col metodo Ruggi. La guarigione seguì nello spazio di circa 20 giorni. L’operata è stata visitata anche pochi giorni or sono, ed è stato constatato che l’ utero si trova fissato in posizione normale e che le condizioni generali sone ottime. — 119 — Storie raccolte dal Dott. Calabresi. 20° B. Emilia, d’anni 65 di Bologna, servenie. Entra in Clinica il giorno 26 Gen- naio 1906. _Nnamnesi. — L’inferma, da 10 anni circa, avverte un cerpo, il quale tende a fuori- uscire dagli organi genitali esterni. Tale corpo gradatamente si è reso molesto; dà un continuo senso di peso, e a volte impedisce all’ inferma il disbrigo delle sue ordinarie occupazioni. Da due mesi soltanto, detto corpo, sporto in fuori dagli organi genitali esterni, è au- mentato di volume, e non rientra più, come prima, nella posizione supina. La presenza di questo tumore viene attribuita dall’ inferma ad una sequela di lavori faticosi, che è costretta a fare giornalmente, non ultimo, la pulizia dei pavimenti. Ha mestruato a 18 anni, e le mestruazioni, che sono cessate ai 55, furono sempre regolari per epoca e durata, non così per qualità, essendosi, a volte accompagnate per- dite bianche. Prese marito a 25 anni, ed ebbe 3 figli; due morirono in tenera età, l’altro è vivente, ed è sano. I parti furono tutti regolari, ed a termine. Le gravidanze anch’ esse normali. Non ha ai sofferto malattie degne di nota. Nulla dal lato ereditario. €same obbiettivo. — 29 Gennaio 1906. Esaminando l inferma nella posizione supina, e a gambe divaricate, si vede sporgere fra le grandi labbra un tumore della grandezza e della forma di un uovo di tacchina. Divaricando le grandi e piccole labbra, il tumore appare di colorito rosso, a super- ficie liscia. Il meato urinario, che è subito all’ innanzi di detto tumore, è più beante del normale, coi contorni un po’ tumefatti, un po’ arrossati e frangiati. Il tumore si può spingere in alto. In tale momento si riesce a palpare l’ utero, che presenta l’orificio dilatabile ed il collo molle. I quattro fornici sono abbastanza deprimibili ed indolenti. Gli annessi, d’ambo i lati, non presentano nulla di anormale. Se facciamo tossire la paziente, e portiamo il dito esploratore gradatamente verso l'esterno, si avverte che il tumore segue il dito, quasi fino all’ostio vaginale. Esaminando la paziente invece in posizione eretta, il tumore sporge fra le grandi labbra, in vicinanza della forchetta ; e sì riconosce l’orificio uterino, che è beante, di forma ovalare, allungato ; si riconosce il collo, a superficie liscia e di colorito rosso scuro, cui segue una superficie arrossata e rugosa. Null’ altro di rimarchevole. Fegato e milza nei limiti normali. La palpazione renale è negativa d’ambo i lati. Apparato circolatorio, respiratorio e digerente normali, così pure l'apparato urinario. Urine normali. Serie VI. Tomo IV. 17 — 120 — tto operativo. — 2 Febbraio 1906. Isteropessi col metodo Ruggi, piccolo drenaggio endo-uterino, zaffi. Il decorso post-operatorio è normalissimo. La temperatura, tranne che nei primi 6 giorni susseguenti l’ operazione, nei quali sì ebbe verso sera un massimo di 38,1, si man- tenne normale fino al giorno in cui | inferma abbandonò la Clinica. Esaminata l inferma, 24 giorni dopo l'operazione, si trova che l’ utero è intimamente fissato nella parte alta del bacino; nè gli sforzi di tosse, nè quelli del ponzare fanno per- cepire al dito esploratore alcun impulso. L’inferma abbandona la Clinica completamente guarita il giorno 5 marzo 1906. 21° B. Teresa, d’anni 60 di Bologna, donna di casa. Entra in Clinica il giorno 28 Febbraio 1906. _Nnamnesi. — Da due mesi avverte un corpo che, discende lungo la vagina ed esce dalla vulva, quando fa degli sforzi per sollevare grossi pesi da terra. Ha perdite bianche e dolori, quasi continui, ai quadranti inferiori dell’ addome. La sensazione però come di un corpo, che tendeva a fuoriuscire dei genitati esterni, la avverte da circa dieci anni; ma ciò non le ha mai impedito di attendere alle sue ordi- narie occupazioni. Ha mestruato a 18 anni, e le mestruazioni si sono sempre ripetute regolarmente per epoca e durata, non così per qualità, essendo spesso precedute e accompagnate da abbon- danti perdite bianche. A 20 anni prese marito dal quale ha avuto 3 figli, che sono vivi e sani. I parti furono tutti a termine e regolari. Assicura di non aver mai sofferto malattie degne di nota; è andata solo soggetta, ad intervalli più o meno lunghi, a cefalee intense, ma di poca durata. Nulla di notevole dal lato gentilizio. €same obbiettivo. — 1 Marzo 1906. Esaminando l’inferma nella posizione supina, si vede sporgere tra le grandi labbra, un tumore oblungo, della grandezza di un uovo di tacchina. Divaricando le grandi e piccole labbra, il tumore appare di colorito rosso; a superficie liscia, e si continua colla parete superiore della vagina. Il meato urinario, che è subito all’ innanzi di detto tumore, è più beante del normale coi contorni un po’ tumefatti, arros- sati e frangiati. Il tumore si può spingere in alto. In tale momento riusciamo a palpare 1’ utero, che presenta l’orifizio facilmente dilatabile, il collo molle e tutti quattro i fornici assai rilasciati. Gli annessi appaiono normali e sono indolenti. Se colla mano, situata sull’addome, cerchiamo di spostare il corpo dell’ utero, questo può essere portato talmente in alto, da non avvertirlo piò col dito esploratore. Se facciamo tossire la paziente, e portiamo il dito esploratore gradatamente verso l’ esterno, sì avverte che il tumore segue il dito, quasi fino all’ostio vaginale. Facendo camminare la paziente, e poscia esaminandola in posizione eretta, sì osserva che il tumore sporge tra le grandi labbra in vicinanza alla forchetta ; si riconosce l’ orificio — RI = uterino, che è beante, di forma ovalare allungata; si riconosce il collo a superficie liscia e di colorito rosso scuro, cui segue una superficie arrossata e rugosa. La palpazione renale fa avvertire a destra il polo inferiore del rene; è negativa per il rene sinistro. Il fegato e la milza sono normali, così l'apparato respiratorio, digerente e cardio- vascolare. Urine normali. _Ntio operativo. — 6 Marzo 1906. Isteropessi col metodo Ruggi, piccolo drenaggio endo-uterino, zaffi. Il decorso post-operativo è normale. La temperatura, nei cinque giorni susseguenti all’ operazione, raggiunge un massimo di 38,8, quindi ritorna normale, e si mantiene, fino al giorno 11 Aprile, nel quale l’ inferma abbandona l’ Ospedale col suo utero quasi inchio- dato nella parte alta del bacino. 22° B. Anna, d’anni 61 di Bologna, donna di casa. Entra in Clinica il giorno 12 Marzo 1906. _Mnamnesi. — L’inferma racconta che verso i 53 anni, col cessare delle mestruazioni, ha cominciato ad avvertire un dolore lieve, ma continuo in corrispondenza dei genitali esterni, specie quando era costretta a lavori faticosi, che la obbligavano di rimanere per lungo tempo in piedi. Solo però da cinque mesi ha la sensazione come di un corpo, che tende a fuoriuscire dai genitali esterni, impedendole la normale deambulazione. Tale sensazioue si rende più manifesta quando tossisce o fa sforzi per sollevare qualche peso da terra. Costretta a rimanere per qualche ora in piedi, il detto corpo si rende molesto, e pro- voca la fuoriuscita d’ urina senza che la inferma sia capace di trattenerla. Mestruò a 19 anni e le mestruazioni successive furono sempre regolari per epoca, quantità, qualità e durata. Prese marito a 22 anni dal quale ebbe 4 figli, 3 tuttora viventi e sani, uno morto a 18 anni, pare di tubercolosi polmonare. Tutte le gravidanze furono normali, e così i parti successivi. Non ha mai sofferto malattie degne di nota. Nulla nel gentilizio. €same obbiettivo. — 13 Marzo 1906. Esaminando l’ inferma nella posizione eretta, dopo averla fatta camminare, si osserva tra le grandi labbra in vicinanza della forchetta un tumore oblungo, del volume di un uovo di tacchina, a superficie liscia, di colorito rosso scuro, il quale sì continua con la parete superiore della vagina. Il meato urinario è subito all’ innanzi di detto tumore e si presenta un po’ più rosso del normale. Invitando la paziente a tossire, il detto tumore si rende più appariscente. Introducendo un dito nell’ ostio vaginale, il tumore si può spingere in su e ridurre completamente. Se colla mano, situata sull’addome, cerchiamo di spostare il corpo dell’ utero, questo può essere portato talmente in alto, da non avvertirlo più col dito riduttore. = ge Se facciamo tossire la paziente e portiamo il dito esploratore gradatamente verso l'esterno, avvertiamo che il tumore segue il dito fine all’ostio vaginale. Gli annesssi appaiono normali, tanto a destra quanto a sinistra. Una esagerata pressione sul tumore, che si vede chiaramente essere costituito dal- l'utero, provoca la fuoriuscita di urina. Negativa la palpazione renale. Apparato circolatorio, respiratorio e digerente normali. Urine pure normali. _Ntto operativo. — 14 Marzo 1906. Isteropessi col metodo Ruggi, piccolo drenaggio endo-uterino, zafli. Il decorso post-operatorio è dei migliori. Non si ha elevazione di temperatura nei giorni susseguenti all’operazione, se si eccettua un 37,4 avuto la sera del 15 Marzo. L’inferma abbandona il letto il 29 Marzo. Fsaminandola in posizione eretta si avverte 1’ utero, fissato nella parte più alta del bacino ; e invitando la paziente a tossire, il dito esploratore non avverte alcun impulso, essendo l’ utero stesso come inchiodato nella sua nuova sede. L’ inferma lascia l’ Ospedale guarita il 2 Aprile 1906. 23° F. Rosa, d’anni 59 di Bologna, donna di casa. Entra in Clinica il giorno 18 Aprile 1906. {namnesi. — L’ inferma riferisce che un anno e mezzo fa, mentre prendeva un bagno, palpò un piccolo tumore, situato fra le grandi labbra. Non se ne preoccupò, perchè detto tumore non le arrecava disturbi insoliti, nè le impediva di attendere alle sue ordinarie occupazioni. Notò pure che detto tumore, grosso quanto un uovo di gallina, appariscente nella stazione eretta e sotto i colpi di tosse, scompariva nella stazione supina. Da due mesi però il tumore è un po’ aumentato di volume e arreca all’ inferma dolori nelle fosse iliache e continuo senso di peso che le impedisce di lavorare a lungo. Le mestruazioni, iniziatesi a 15 anni furono sempre regolari. Ha partorito 4 volte a termine ed ha avuto un aborto. Non ha mai sofferto malattie d’ importanza. Nulla a carico dell’ ereditarietà. €same obbiettivo. — 22 Aprile 1906. Esaminando la paziente in posizione supina, e a gambe divaricate, sì nota l’ostio vaginale molto ampio, mentre il perineo è assai ridotto. Il meato urinario è di forma regolare, ma molto arrossato. Il tubercolo anteriore della vagina, è assai sviluppato, e al disotto di esso si osserva la parete vaginale liscia e pallida. Invitando la paziente a far degli sforzi, come per andar di corpo, la parete vaginale anteriore viene a fare prominenza verso l’ esterno, formando un tumore del volume e della forma di un uovo di tacchina. Tale tumore si rende più appariscente, se si osserva la donna nella posizione eretta, e la si invita a tossire. Coll’esplorazione si sente la vagina molto allungata, le sue pareti sono floscie e molto levigate; si sente il muso di tinca discretamente sviluppato, e l’orificio uterino dilatato e beante. — 123 — I fornici si presentano normali ed indolenti; così pure gli annessi d’ambo i lati. Null’ altro riscontrasi degno di nota. Apparato circolatorio, respiratorio, digerente normali. Fegato e milza nei limiti fisiologici. Urine pure normali. _NÎtto operativo. — 2 Maggio 1906. Narcosi morfio-cloroformica, incisione circolare, scollamento della vescica, sutura del peritoneo anteriore alla parte alta anteriore del corpo dell’ utero, amputazione sopravaginale del collo uterino, drenaggio nel fornice posteriore e piccolo drenaggio endo-uterino, zafîi. Il decorso post-operatorio è ottimo. Non si ha elevazione di temperatura durante la degenza dell’ inferma in clinica. Tanto la parete vaginale quanto l’ utero sono ritornati nella loro fisiologica posizione. L’inferma abbandona la Clinica guarita il giorno 25 maggio 1906. 24° L. Marianna, d’anni 59 di Poggiorusco, donna di casa. Entra in Clinica 1l giorno 8 Maggio 1906. _Nnamnesi. — L’inferma sei anni fa, abortì a cinque mesi. Poco tempo dopo l’ aborto cominciò ad essere molestata da un senso di peso nei genitali. Ben presto da essi fuoriuscì un piccolo corpo, il quale si faceva più appariscente durante le ore di lavoro, e scompariva del tutto nella posizione supina. Da qualche mese soltanto l’ inferma avverte dolori nelle fosse iliache, ma ciò che le arreca più fastidio, è un continuo ed invincibile bisogno di mingere. Ha mestruato a 18 anni, e ha avuto mestruazioni regolari per epoca e durata, non così per qualità, essendosi quasi sempre accompagnate ad abbondanti perdite bianche. Ha partorito 9 volte a termine ed ha avuto l'aborto surricordato. Dei 9 figli, 7 sono morti in tenera età, quasi tutti affetti da rachitismo, 2 sono viventi e sani. Non ha mai sofferto malattie degne di nota. Nulla dal lato ereditario. €same obbiettivo. — 10 Maggio 1906. Vulva ampia. Il meato uretrale è spinto in avanti causa una speciale prominenza, data dal tubercolo anteriore della vagina, e da tutta la colonna anteriore delle pieghe vaginali. All’ostio vaginale osservasi una massa globosa, del volume di un uovo di tacchina, coperta dalla parete vaginale anteriore. L’ esplorazione fa avvertire molto abbassato il muso di tinca, che è di forma regolare. L’ utero non si riesce a palpare. I fornici si presentano deprimibili ed indolenti. Gli annessi normali d’ambo i lati. Nul- l’altro degno di nota. Fegato e milza nei limiti normali. Apparato circolatorio, respiratorio e digerente normali. Urine anch’ esse normali. tto operativo. — 14 Maggio 1906. Isteropessi col metodo Ruggi, piccolo drenaggio endo-uterino, zaffi. Il decorso post-operatorio è regolare. Solo nei primi giorni susseguenti all’ operazione, — 124 — sì ha un massimo di temperatura di 37,5 ma dopo questa diventa normale, e si mantiene fino al 7 Giugno successivo, in cui l’ammalata abbandona la Clinica completamente guarita. 25° G. Rosa, d’anni 66 di Bologna, contadina. Entra in Clinica il giorno 9 No- vembre 1906. _Nnamnesi. — Ventinove anni or sono l’inferma in seguito ad un parto laborioso, per compiere il quale fu necessaria l’ applicazione del forcipe, cominciò ad avvertire senso di peso in fondo al bacino. Passato qualche mese si accorse che dai genitali esterni fuoriusciva un corpo il quale le impediva di camminare a lungo. Non ha avuto disturbi di sorta fino a 4 anni or sono epoca in cui il detto corpo, aumentato considerevolmente di volume, le impediva di accudire alle sue ordinarie occupazioni. Pochi giorni fa l’ inferma ebbe capogiro e cadde battendo col bacino sul suolo. Da quel giorno la tumefazione, che generalmente scompariva nella posizione supina, non è più rientrata in cavità. Per questa ragione si è recata nella Clinica. Mestruazioni sempre regolari, cessarono 5 anni or sono. Nulla nella anamesi remota e nel gentilizio. Diagnosi. — Prolasso totale dell’ utero. tto operativo. — 15 Novembre 1906. Isterapessi col metodo Ruggi. Il 23 Novembre si procede alla prima medicatura. L’ utero è gia in alto nella posi- zione normale. 26° C. Cesira, d’anni 37 di Bologna, lavandaia. Entra in Clinica il giorno 25 Set- tembre 1907. _MNnamnesi. — Da cinque mesi l’inferma avverte senso di peso in fondo al bacino. Solo da un mese ha dovuto abbandonare il suo mestiere perchè un corpo, fuoriuscito dai genitali esterni le impedisce di stare in piedi a lungo. Ha partorito due volte; nel primo parto occorse un'applicazione del forcipe. Non ha sofferto mai malattie. Mestruazioni sempre regolari. Nulla dal lato ereditario. €same obbiettivo. — Colonna anteriore della vagina sporgente pel suo terzo inferiore dall’ ostio vaginale che è relativamente ampio. Invitando la paziente a premere il cistocele sì accentua e con esso si scopre il muso di tinca il quale è ipertrofico e un po’ estroflesso. Il corpo uterino pare di volume normale. Gli annessi non si palmano distintamente. Tutta la tumefazione si può ridurre facilmente, ma se in questo momento facciamo tossire la paziente e gradatamente portiamo all’esterno il dito esploratore, essa segue il dito stesso fino all’ostio vaginale. Null’altro degno di nota. Diagnosi. -- Prolasso dell’ utero di 2° grado. _Nftto operativo. -- 8 Ottobre 1906. Isteropessi col metodo Ruggi. L’ammalata abbandona la Clinica il 8. Novembre completamente guarita. L’ utero è fisso in alto e tanto i colpi di tosse quanto l’atto del ponzare non l’abbassa neanche di un centimetro. — 125 — 27° P. Teresa, d’anni 50 di Lodi, possidente. Entra in Clinica il giorno 15 Ottobre 1906. Anamnesi. — Dodici anni or sono l’inferma partorì a termine un bambino molto sviluppato. Dopo un mese dal parto notò che dai genitali esterni tendeva a fuoriuscire un corpo grosso quanto una noce, il quale si faceva più evidente durante le ore di lavoro e scompariva nella notte o nella posizione seduta. Si fece visitare da un medico il quale le disse trattarsi di prolasso dell’ utero e le consigliò 1’ operazione. L’inferma non volle saperne, ma oggi che la intumescenza si è fatta voluminosa e rimane permanentemente fra le coscie impedendole di camminare e dandole un bisogno continuo di urinare, si reca in questa Cli- nica per l’ opportuna cura. Ha partorito quattro volte ed abortito due. Mestruazioni regolari, Nulla di ereditario. €same obbiettivo. — Esaminando l’ inferma nella posizione supina si vede subito im- mediatamente al di fuori dei genitali esterni una tumefazione piriforme della grossezza di un cedro, la quale è data dall’ utero che presenta il muso di tinca ulcerato ed estroflesso. La superficie superiore del tumore è di colorito roseo e rugoso specie nella sua parte più alta, mentre l’ inferiore è di colorito più pallido ed è liscia. Il meato urinario è subito al disopra della base del detto tumore. Per quante manovre si faccia non è possibile far rientrare in cavità il detto tumore. È perfettamente indolente. Nulla a carico degli altri organi e tessuti. Diagnosi. — Frolasso totale dell’ utero. Mito operativo. —- 22 Ottobre 1906. Isteropessi col metodo Ruggi. Dopo 15 giorni l’ inferma guarisce. L’ utero è fisso in alto, nè si sposta sotto i colpi di tosse o nell’atto del ponzare. Esce dalla Clinica il giorno 25 Novembre. 9) AR ZA % MOT andtono LI ostia Li aigtit) af REN ASILO i VA TATA A DALIA °° POI Mal fi: 1 ARA E PIMITA [/0t "RR ARA"O ftt Da attovbi Îara. AL dieta ae sveva fa. alano Di | i Fate plicarae ASA Tra ADIDA ripe o ata So dilyianon. 24 3 olo "a FOT nta dg vottpi Agri: 4 nolisin (ton tion! 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È chiaro adunque che quando si tratta di omologia fra penne e peli, è necessario distinguere le prime in due categorie: quelle embrionali che sì formano costantemente per estroflessione del derma, ricoperto dall’ epidermide sollevata, e quelle definitive, le quali hanno invece origine da una invaginazione epiteliale, preceduta o no dal solleva- mento del derma. Io mi sento portato a stabilire che non vi è omologia fra penna primitiva o filopluma embrionale e pelo, bensì fra questo e la penna definitiva. È giusto quanto affermano in generale gli autori che il mammellone epidermico, il quale precede il primo abbozzo del pelo, costituisce 1’ unico ricordo riferibile alle produzioni rilevate del tegumento degli altri vertebrati, in altri termini rappresenti 1’ omologo della papilla della filopluma embrionale ; è altrettanto giusto riconoscere che il fol- licolo della penna corrisponde al follicolo pilifero, tanto è vero che nel melopsittaco, nel quale probabilmente troviamo un caso estremo, la punta della penna sorgente si apre un canale attraverso lo zaffo epiteliale, appunto come fa il pelo. Secondo questo mio modo di vedere, i mammiferi primitivi avrebbero posseduto peli sorgenti al di sopra del piano cutaneo da estroflessioni dermo-epidermiche, follicolate se- condariamente e scomparse nel corso della filogenesi, e questa mia opinione si accorda coll’ ipotesi teorica dei peli primitivi del Ficalbi. — 194 — VIII. Conclusioni. Riassumendo i fatti e le considerazioni esposte, ho provato: 1°: nella Fulica atra, | esistenza di penne embrionali, che per la loro struttura e per il loro modo di sviluppo, rappresentano uno stato intermedio fra le produzioni rilevate della pelle dei rettili e le filoplume embrionali degli uccelli. Tali produzioni ci consentono di ritenere fondata l’ipotesi, che le filoplume abbiano avuto origine da tubercoli cutanei a struttura raggiata, nei quali si siano costituiti raggi cornei, resi liberi in seguito per la disgregazione della guaina esterna. 2°: nel Melopsittacus undulatus, la quasi totale atrofia della piuma di nido e la formazione di piumini definitivi che si sviluppano da zaffi epiteliali preceduti da un leggero mammellone dermo-epidermico. Questa maniera di sviluppo simile nelle sue linee generali a quella del pelo, consente di precisare l’omologia fra le due categorie di organi, ritenendo omologa al pelo soltanto la penna definitiva, mentre con quella primitiva può compararsi soltanto il leggero mammellone, col quale il pelo dà il suo primo accenno. 3°: nel /odicers cristatus la presenza della macchia parietale, in rapporto con par- ticolare distribuzione delle penne sul capo. 4°: nell’ Ephialtes scops, la presenza di germi in parte transitorii di penne, distri- buiti in gruppi sulle squame dei piedi, come De Meijere ha provato per Strix Aammea. Tali rapporti forse generali a tutti gli uccelli con tarsi pennuti, accreditano la teoria di Emery, sostenuta in seguito come propria dal Keibel, che penne e peli non siano omo- loghi a intere squame rettiliane, ma solo a determinate porzioni di esse. Quest’ ultimo punto ha tuttavia bisogno di essere ulteriormente chiarito, mediante estese ricerche sullo sviluppo delle produzioni squamose negli uccelli, ciò che formerà oggetto di altro lavoro. — l95 — BIBLIOGRAFIA AvvERTENZA — Degli scritti sulla Morfologia delle penne, pubblicati anteriormente al Trattato di Gadow e Selenka, Bronn's Klassen und Ordnungen des Thier-Reichs, Vogel, sono qui ricordati soltanto quelli citati nel corso del mio lavoro. Boas — Ueber die Mittelkralle der Vogel. in: Morphol. Jahrb. 26 Bd. 1898. Bonhote — On the Evolution of Pattern in Feathers. in: Proc. Z. Soc. London. Vol. 2. 1901. Burckardt — Der Nestling von Psophia crepitans und das Jugenkleid von Rhynochoetus jubatus. in: Nova Acta Leop. 72 Bd. N.° 1. 1901. Davies — Beitrige zur Entwicklungsgeschichte der Feder. in: Morphol. Jahrb. Bd. XIV. 1888. 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Stieda, in: Anat. Hefte V. Bd. 1895. Fig. 1, 2,3, 4 — Embrioni che mostrano la distribuzione delle appendici claviformi in vari stadi di sviluppo. Fig. 5 — Tratto di pelle di un embrione corrispondente a quello rappresentato dalla fig. 2, in età di circa 15 giorni, che porta un gruppo di appendici claviformi. Fig. 6 — Appendice claviforme isolata di un embrione di circa 20 giorni. Fig. 7 — Appendice claviforme di un pulcino di 4 giorni. Figo. 8 — Filopluma di struttura intermedia fra la setola diritta e l’ appendice claviforme. Fig. 9 — Setola diritta del vertice. Fig. 10 — Setola arricciata con tratto basale piùmoso, del collo. Fig. 11 -- Filopluma dorsale, con estremo ravvolto nella guaina. Fig. 12 — Filopluma ventrale. Fig. 13 — Sezione attraverso un gruppo di appendici claviformi in un embrione di 19 giorni. Fig. 14 — Sezione trasversa di una appendice claviforme dello stesso embrione, nel tratto apicale. Fig. 15 — id. nel tratto mediano della parte clavata. Fig. 16-17 — id. nel tratto basale. Fig. 18 — id. nel tratto apicale di un pulcino nascente. Fig. 19 — id. nel tratto mediano della parte clavata di un pulcino nascente. TAVOLA II — Melopsittacus undulatus. Fig. 20 — Sezione attraverso una papilla primitiva e relativo germe della penna definitiva, — 198 — SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA I. — Fulica atra. in un embrione di 15 giorni. La leggera protuberanza che sì nota superiormente alla base della papilla è l’abbozzo del piumino. Si vede chiaramente lo strato epi- trichiale che riveste l’ una e l’altra papilla. — 199 — Figg. 21-24 — Tagli in serie del germe di una penna definitiva del capo, in un giovane di 2 giorni. È scomparsa qualunque traccia della papilla primitiva, nè si è ancora formata la tasca follicolare, nè la guaina della penna. Figg. 25-28 — Tagli in serie del germe di una penna definitiva del capo, in un giovane di 4 giorni. La guaina della penna raggiunge l’ esterno. Fiog. 29-32 — Tagli in serie del germe di un piumino in un giovane di 6 giorni. Fig. Fig. 38 — Sezione obliqua dei germi di una penna e di un piumino nello stesso giovane per mostrare la reciproca posizione. 34 — Sezione longitudinale ad una penna dell’ occipite in un pulcino di 7 giorni. La guaina della penna è spuntata. . 35 — Sezione longitudinale ad una penna della fronte nello stesso. :. 36 — Sezione longitudinale a due penne di un pulcino di 12 giorni, nella quale si può vedere il processo di formazione delle barbe. . 37 — Sezione trasversa ad una penna del medesimo. . 38 — Sezione obliqua ad una serie di penne dello stesso. . 89 — Sezione normale a due serie di penne dello stesso. ST » 40 » 2,0 Larghezza » » St OL VA a > — » — YRND:0) VANEZIO Spessore » » AMRITA —_ » MAO >, 0/5 INISOO eMac o LOT ARIE L703 180° 170° 165° — 205 — Ha somiglianze notevoli con l’ Orthis Kielcensis Roemer (1) della Polonia, la quale però se ne distingue per la maggiore convessità e il numero maggiore di pieghe (11 se- condo la descrizione del Roemer, ma 14 e 15 secondo le figure date da lui), nonchè per le dimensioni molto più grandi; lo stesso può dirsi riguardo all’O. moneta Eichwald (2), che il Girich (3) ritiene anzi identica all’ 0. KAielcensis. Infine non posso a meno di no- tare la grande somiglianza che passa fra la specie descritta e alcuni esemplari di Vitulina pustulosa figurati dall’Hall (4) e dal Thomas (5). Fui anzi tentato a riferire la specie carnica al genere Vitulina; ma non essendo riuscito a mettere in evidenza l’area nè i ca- ratteri interni dei miei esemplari, non mi azzardai ad ammettere nel Neodevonico un ge- nere esclusivo di formazioni assai più antiche e di una provincia geografica ben lontana dalla europea (6). L’Orthis forojuliensis è abbastanza frequente nei calcari presso la Cas. Primosio di Mezzo. Fam. Atrypidae Dall. Atrypa Dalman. 2. Atrypa cfr. desquamata Sowerby. 1840. Atrypa desquamata Sowerby. Devonshire "Transac. Geol. Soc., ser. 2, vol. V, pt. 3, tav. LVI, fig. 19-22. 1865. — — Davidson. A Morograph of British devonian Brachiopoda. Palaeont. Soc., vol. XVII, pag. 58, tav. X, fig. 9-13, e tav. XI, fig. 1-9 (cum syn.). 1905-07. — — Gortani. Contribuzioni allo studio del Paleozoico carnico. II. Faune devoniane. Palaeont. Ital., vol. XIII, pag. 9 [93] (cum syn.). Rara nel Devoniano superiore, questa forma sembra rappresentata quasi certamente nel mio materiale da una valva ventrale di piccole dimensioni (mm. 6,5 di altezza per 6 di larghezza), a contorno largamente ovale. L’ apice è prominente, conformato in guisa (1) F. Roemer. Geognostische Beobachtungen im Polnischen Mittelgebirge. Zeitschr. Deut. geol. Ges., vol. XVIII, 1866, pag. 676, tav. XIII, fig. 12-14. (2) de Vernueil. Palcontologie de la Russie, vol. II, 1845, tav. XIII, fig. 10. (3) G. Girich. Das Pulaeozoicum im Polnischen Mittelgebirge. Verh. k. Russ. mineral. Ges. St. Petersburg, ser. 2, vol. XXIII, 1897, pag. 238. (4) J. Hall. Paleontology of New York, vol. IV, 1867, pag. 410, tav. LXII, fig. 1 a, d. (5) I Thomas. Neue Beitrige zur Kenntniss der devonischen Fauna Argentiniens. Zeitschr. Deut. geol. Ges, vol. LVII, 1905, pag. 267, tav. XIV, fig. 43. (6) Il genere Vitulina, come è noto, fu trovato sinora rappresentato nel Mesodevonico dello stato di N. York e in parecchi di quei giacimenti dell'America meridionale, la cui età fu a lungo discussa e sembra doversi fissare per tutti fra 1’ Eodevonico superiore e il Mesodevonico inferiore : Icla (Ulrich in N. Jahrb. f. Min., Beil. Bd. III, 1892, pag. 71-73), Rio Sicasica (id.) e isola di Coati (lago Titicaca: Derby in Bull. Mus. Compar. Zool. Harv. College, vol. III, 1876, pag. 282) in Bolivia, province di Parà (Rathbun in Bull. Buffalo Soc. nat. Sc., vol. I, 1874, pag. 255), Mato Grosso (Derby in Arch. Mus. Nac. Rio Janeiro, vol. IX, 1890, pag. 76) e Paranà (Derby in N. Jahrb. f. Min., 1888, vol. II, pag. 173) nel Brasile, Cerro del Fuerte (Kayser in Zeitschr. Deut. geol. Ges., vol. XLIX, 1897, pag. 296) e Cerro del Aqua Negra (Thomas, l. cit.) nell’ Argentina occidentale. Venne pure scoperto nella Colonia del Capo (cfr. Ulrich, l. cit., pag. 104-107) in terreni verosimilmente sincroni coi precedenti. — 206 — analoga all’ A. desquamata var. rugosa del M. Germula (1); la superficie non è però ornata dai cercini concentrici distintivi di questa varietà. Le costicine radiali sono fittissime, in numero di 4 o 5 per ogni millimetro d’ intervallo nella regione mediana della valva. Calcari sopra la Cas Primosio di mezzo. Fam. Rhynchonellidae Gray. Rhynchonella Fischer. 3. Rhynchonella acuminata Martin sp. var. platyloba Sowerby sp. — Tav. I [VI], fig. 6 a-d. 1825. Terebratula platyloba Sowerby. The Mineral Conchology of Great Britain, vol. V, pag. 155, tav. 496, fig. 5, 6. 1836. — acuminata var. platyloba Phillips. Zlustrations of the Geology of Yorkshire, vol. I, pag. 222, tav. XII, fig. 7-9. 1844. Atrypa platyloba Mac Coy. Synopsis of the characters of the Carboniferous Limestone fossils of Ireland, pag. 155 1845. i — de Verneuil. Geologie de la Russie d’ Europe et des montagnes de l’Oural, vol. II, pag. 76, tav. IX, fig. 14. 1860. RAynchonella acuminata var. platyloba Davidson. Palaeont. Soc., vol. XIII, pag. 96, tav. XXI, fig. 14-20. 1882. — — var. platyloba Davidson. Mon. Brit. foss. Brachiopoda. Devonian and Silurian Supplements. Palaeont. Soc., vol. XXXVI, pag. 47, tav. II, fig. 20 a, db. 1884. — — var. platyloba Tschernyschew. Materialen zur Kenntniss der de- vonischen Ablagerungen in Russland. Mem. Com. géol. St. Petersb., val. I, n. 3, pag. 21 e 65, tav. III, fig. 14 a-c. 1887. — = var. platyloba de Koninck. Faune du calcaire carbonifere de la Belgique. VI. Brachiopodes. Ann. Mus. Roy. Hist. nat. Belg., vol. XIV, pag. 38, tav. XII, fig. 1-15? e 23-35. 1889. — — var. platyloba v. Voll. Wissenschaftliche Resultate der zur Erfor- schung des Janalandes und der Neusibirischen Inseln angesandten Expedition. Mem. Ac. Imp. Sc. St. Petersb., ser. 7, vol. XXXVII, 8) PA ZII tav 106 dia 8 10. Esemplare giovane, poco rigonfio. Contorno reniforme-ovale, trasverso, di un quarto più largo che alto, arrotondato ai lati, quasi rettilineo in basso, in angolo ottusissimo su- periormente Convessità maggiore nella metà apicale; apici piccoli, non prominenti, poco rigonfi, subeguali in altezza; seno ampio, ma superficiale e mal limitato, al pari del lobo. Percorrono il seno 5 larghe pieghe molto superficiali, con rilievo debolissimo, separate da leggiere depressioni lineari, visibili soltanto nella metà frontale ; 6 pieghe con uguali carat- teri ornano il lobo; le une e le altre sono così lievi che la commessura frontale appare molto leegermente crenulata. Le regioni laterali delle valve hanno superficie liscia. Ai lati la sinuosità della commessura è minore che alla fronte. Altezzazdellasivalva ventrale LT4/ i der a o » » dorsalera i! umensti a (80 att OSE 8 Irashezzagi cite peli ciel. Li di ar RR eta e oto IIPESsorent arse saligegii. zo dle ata 3,5 Amneologapicalier histra i (COISE e A 125° (1) Gortani. Op. cit. Palaeont. Ital., vol. XIII, 1905-07, pag. 10 [94], tav. I [IV], fig. 1 a-c. — 207 — IL’esemplare non è facile a determinarsi con precisione, perchè gli individui giovani delle RA. pugnus Mart. sp. (1), RA. reniformis Sow. sp. (2), RA. subreniformis Schnur sp. (3) e RA. acuminata, sono molto simili fra loro. Particolarmente difficile è la distin- zione fra i giovani di &%. reniformis e Rh. acuminata var. platyloba, perchè uno dei pochi caratteri distintivi fra esse, cioè il rigonfiamento dell’ apice nella piccola valva della R%. re- niformis, si perde allora quasi completamente. Tuttavia ritengo esatta la mia determina- zione, mancando nell’esemplare di Primosio ogni accenno alla convessità dei lobi laterali, ed essendo perfetta la sua corrispondenza con le figure del Davidson e dello Tscher- nyschew. Calcari sopra la Cas. Primosio di mezzo. Class. Lamellibranchiata. Fam. Aviculidae Lamarck. Leptodesma Hall. 4. Leptodesma sp. ind. L’ unica valva destra ha contorno obliquamente ovale, subrombico, un po’ più alto che lungo; margine inferiore regolarmente curvato e raccordato in curva continua col poste- riore rettilineo, non rientrante ; linea cardinale diritta; ala anteriore sconosciuta, la poste- riore espansa ma non protratta in addietro; convessità notevole nella regione mediana su- periore e sull’ umbone; superficie percorsa da strie di accrescimento a intervalli irregolari. La valva è alta mm. 7, lunga mm. 6,5; la linea cardinale misura mm. 5,5. La mancanza della porzione anteriore della conchiglia rende arrischiato ogni confronto, nonchè ogni tentativo di più sicura determinazione. La forma ricorda il L. mytiliforme Hall (4) del Neodevonico superiore (gruppo di Chemung). Calcari presso la Cas. di Primosio di mezzo. Posidonia Bronn. 5. Posidonia primosica n. f. — Tav. I [VI], fig. 7 a, d. Conchiglia piccola, equivalve, appiattita, quasi simmetrica. Il contorno ha la figura di un ovale in traverso, troncato al margine superiore, così da ricordare grossolanamente un fagiolo ad ilo non rientrante; ìl polo più ottuso corrisponde al margine posteriore. Il rap- porto fra altezza e lunghezza varia, negli esemplari esaminati, da %/w 2 Ao. Dei margini, il posteriore segue una curva a raggio più lungo dell’anteriore ; quello ventrale è arcuato; il cardinale è rettilineo e collegato agli altri due contigui in angolo ottuso. Su di esso sporge (1) Cfr. de Koninck. Op. cit., pag. 39, tav. XIII, fig. 1-15. (2) Cfr. Davidson. Palaeont. Soc., vol XIII, pag. 90, tav. XIX, fig. 1-7. (3) J. Schnur. Zusammenstellung und Beschreibung simmtlicher im Uebergangsgebirge der Eifel vorkommenden Brachiopoden. Palaeontographica, vol. III, 1858, pag. 174, tav. XXII, fig. 5 a, d. (4) J. Hall. Pal. New York, vol. V, 1885, pagg. 235, tav. XXV, fig. 7, 11, e tav. XCI, fig. 22-25. — 208 — alquanto l’umbone, situato quasi sulla linea mediana, poco rigonfio, piccolo, prominente appena. La superficie esterna delle valve è percorsa da numerose e fitte costicine concen- triche, estese anche all’ umbone, parallele ai margini laterali e ventrale e piegate verso l’umbone poco prima di toccare il cardine, così da arrivare al margine anteriore più o meno inclinate. Se ne contano da 20 a 30 su tutta la valva e da 5 a 6 in ogni millimetro di intervallo; le distanze fra esse sono irregolari, come il loro rilievo. Fra due ben rilevate consecutive sonvene talora 2 o 3, talora 1 o nessuna, delle più minute; le più forti sono spesso sdoppiate nella parte ventrale del loro percorso; la loro forma è quella di cercini; i solchi interposti sono minori di esse. Il guscio è sottile. Le dimensioni piccole. I II Altezza: (dellla valva eee amo mm. 3,2 Lunghezza» RZ POI A O et Dì >» 50 Spessore » RE e ea » 0,5 » 05 Lunghezza della 4lineafcardina eee D3;9 E molto vicina alla P. intercostalis Richter (1) del Sopradevonico della Turingia, questa però ha un numero di costicine molto minore, l’angolo supero-posteriore retto an- zichè ottusamente arrotondato, e la scultura assai più regolare e uniforme. Somigliano alla specie carnica anche talune forme del ciclo della P. venusta Mstr. (vedi più sotto); ma la nostra ne differisce sempre per la convessità molto minore, la scultura meno fitta e più irregolare, il contorno meno asimmetrico e con maggior tendenza alla forma rettangolare. Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. 6 Posidonia venusta v. Munster. — Tav. I [VI], fig. 3. 1840. Posidonia venusta v. Miinster. Beitrdige zur Petrefactenkunde, III, pag. 51, tav. X, fig. 12 a-d. 1891. — — Frech. Die devonischen Aviculiden Deutschlands. Abhandl. z. geol. Speciak. Preuss., vol. IX, fasc. 3, pag. 70, tav. XIV, fig. 15-15 2 (cum syn.). Tre piccole valve con guscio sottile, convessità notevole, umbone poco spiccato e poco eccentrico. Regione anteriore quasi piana, estesa per un terzo della lunghezza della valva; regione posteriore molto ampia e mal definita dalla porzione centrale. Linea di massima convessità diretta dall’ umbone verso l'angolo postero-inferiore. La scultura più grossolana è visibile in tutti tre gli esemplari; meno conservata è la finissima striatura che sì nota fra le costicine primarie. Altezza della valva destra... .......... mm. 5,5 mm. 3 Irinehezza Meno alette e Eee eo >» 4 SPESSOLe: slider i rl LT RCN REM O » 0,8 Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. (1) R. Richter. Bestrag zur Paldontologie des Thiringer Waldes. I. Th. Denkschr. k. AK. Wiss. Wien, math.-nat. Cl., vol. XI, pag. 127, tav. II, fig. 56-61. — 209 — 7. Posidonia venusta v. Miinster var. carinthiaca Frech em. — Tav. I [Vi], fig. 9. 1891. Posidonia venusta var. carintiaca Frech. Abhandl. z. geol. Specialk. Preuss., vol. IX, fasc. 3, pag. 71, tav. XIV, fig. 16. Conchiglia piccola, rigonfia, un po’ allungata trasversalmente, a contorno ovato sub- triangolare, meno alto che lungo, molto inequilaterale. Margine posteriore in curva ampia, l'anteriore in curva ristrettissima; questo riunito al superiore con una curva continua, quello con un angolo ottuso appena smussato. Umbone eccentrico, così da cadere nel terzo anteriore della valva. Guscio sottile; superficie come nel tipo, da cui sì distingue sopra tutto per la posizione dell’apice e la forma dell’ala anteriore. L'angolo infero-posteriore è nell’ esemplare di Primosio molto più strettamente arrotondato che nell’ esemplare del M. Pal Grande illustrato dal Frech. iNiitezzatdelavalva: SE A SMf Re 8 REA RAZER 0 » .. Mm. 28 ltar=he/ ose e ai ren id, 9,6 SPESSOLENI MO E N ta ARTT ROOT Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. Fam. Arcidae Lamarck. Macrodon Lycett. 8. Macrodon (?) Taramellii n. f. — Tav. I [VI], fig. 10. Valva destra piccola, molto inequilaterale, poco rigonfia, obliquamente allungata. Con- torno ovale trasverso, troncato obliquamente dalla linea cardinale; quest’ultima, più breve della lunghezza della valva, diritta, un po’ arcuata in avanti dell’ umbone, forma una brusca curva col margine anteriore e si riattacca ad angolo ottuso col posteriore. Il margine vi- scerale, arcuato ed obliquo, unisce in una curva continua i due margini laterali, di cui l'anteriore è il più breve e il meno largamente arrotondato. L’ umbone ha convessità e rilievo mediocri, è poco prominente e cade nel terzo anteriore della conchiglia. La regione posteriore si espande largamente, costituendo oltre metà della valva, mentre è breve e ri- stretta la regione situata avanti all’umbone. Il guscio è sottile e ornato di strie concen- triche fittissime, fra le quali taluna acquista maggiore importanza e rilievo. AltezzasdellatvalVase Scese eee e e. mm. 6 IUNSNEZZaà AR A OE E RE sc ISPESSOPe:* 681 125 IIC DEE © AE E Sr DR Eunshezza,idelimarsimeXcordinale ife e. >» 50 Si accosta in parte al Macrodon (Parallelodon) Faba de Kon. (1) del Dinantiano del (1) de Koninck. Faune carb. Belg. V. Lamel'ibranches. Ann. Mus. Roy. Hist. nat. Belg., vol. XI, 1885, pag. 150, tav. XXV, fig. il, 12, 14, 16, 17. — 210 — Belgio. Questa forma ha contorno molto variabile, ma sempre più allungato della specie carnica; inoltre ha il margine cardinale relativamente maggiore e la convessità più forte. Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. C) Fam. Conocardiidae Neumayr. Conocardium Bronn. 9. Conocardium sp. ind. Un frammento di conchiglia molto rigonfia, minutamente costulata, ad alta carena; è la parte mediana di un individuo assai giovane, con lo spessore uguale all’ altezza. Fam. Praecardiidae Hoernes. Cardiola Broderip. 10. Cardiola Beushauseni Holzapfel. 1895. Cardiola Beushauseni Holzapfel. Das obere Mitteldevon im Rheinischen Gebirge. Abhandl. k. Preuss. geol. L.-Anst., N. Folge, fasc. 16, pag. 227, tav. XI, fig. 12, 12 a; tav. XII, fig. 17, 18; tav. XVI, fig. 10, 10 a. Valva destra quasi equilatera, molto convessa, poco meno alta che lunga. Margine cardinale rettilineo nella sua parte mediana, ricurvo alle estremità per attaccarsi ai mar- gini laterali. Umbone maggiormente protratto in alto che negli esemplari dell Holza pfel; tutta la regione apicale è spostata in alto così da far prendere una forma subrombica al contorno. Area piccola e subtriangolare. Irraggiano dall’ umbone 8 pieghe radiali principali, di cui le esterne s° incurvano verso i lati; 8-10 pieghe meno forti si interpongono fra le prime, alternando con esse; le une e le altre sono minute, sottili, ma ben rilevate, a se- zione acutamente triangolare, separate da intervalli più larghi di esse, e con tendenza ad appaiarsi. Negli intervalli appaiono tracce di finissime costicine concentriche. Altezzardella valva 0! 0709040 EMO, CERRO EEA IURNSNEZZA alal dara ARE RR >. ISPOSSOLen. i e n Linn e » 2 Con la valva descritta se ne trovano due più minute, a contorno ovale troncato, per- corse da costicine appaiate, spettanti probabilmente al medesimo gruppo. Calcari sopra la Cas. Primosio di mezzo. 11. Cardiola (Buchiola) retrostriata von Buch sp. 1882. Venericardium retrostriatum von Buch. Ueber Ammoniten, pag. 50. 1837. Cardium palmatum Goldfuss. Petrefacta Germaniae, vol. II, pag. 217, tav. CXLIII, fig. 7 a, 6 1843. Avicula speciosa Hall. Geological Survey of New York. Report on the Fourth District, pag. 2A43Mav. GV figlia 1846. Cardiola retrostriata von Keyserling. Wissenschaftliche Beobachtungen auf einer Reise in das Petschora-Land, pag. 254, tav. XI, fig. 3. — 211 — 1830. Cardium retrostriatum d Orbigny. Prodrome de Palcontologie, vol. I, pag. 79. 1850. — palmatum Roemer. Beitrdge sur geologischen Kenntniss des nordwestlichen Harz- gebirges. I. Palaeontographica, vol. III, pag. 26, tav. IV, fig. 11 a, d. 1850. — anguliferum Roemer. Ibid., pag. 27, tav. IV, fig. 12 a, d. 1852. Cardiola retrostriata Naumann. Geognostisches Atlas, tav. XI, fig. 2. 1852. — — Sandberger. Die Versteinerungen des Rheinischen Schichtensystems in Nassau, pag. 270, tav. XXVIII, fig. 8-10. 1853. Cardium retrostriatum Geinitz. Die Versteinerungen der Grauwwackenformation in Sachsen, pag. 47, tav. XII, fig. 7 1880. Cardiola retrostriata Gosselet. Esquisse geologique du Nord de la France, fasc. I, tav. IV, fig. 16. 188]. — (2) retrostriata var. Bohemica Barrande. Systeme Silurien du centre de la Boheme, vol. VI, tav. 181, fig. II, 1-10. 1881. — (2) — var. praecursor Barrande. Zbid., con la precedente. 1881. Buchiola — Barrande. Accphalcs silurien de la Boheme, pag. 95. 1883. Cardiola speciosa Hall. Pal. New York, vol. V, pt. I. Plates and Explanations, tav. LXX, fig. 2-9. 1884. — retrostriata Tschernyschew. Mém. Com. géol. St. Petersb., vol. I, n. 3, pag. 8 e 61, tav. I, fig. 14. 1 1885. Glyptocardia speciosa Hall. Pal. New York, vol. V, pt. I, pag. XXXV e 426, tav. LXX, fig. 2-9, e tav. LXXX, fig. 10. 1894. Cardiola (O) retrostriata Frech. Karn. Alpen, pag. 269. 1895. — — ferruginea Holzapfel. Abhandl. k. Preuss. geol. L.-Anst., N. Folge, fasc. 16, pag. 229, tav. XI, fig. 16-16 d. 1895. = = sagittaria Holzapfel. Ibid., pag. 230, tav. XI, fig. 17-17 c. 1895.? — — aquarum Holzapfel. Ibid., pag. 230. 1905. Buchiola speciosa Williams. Contributions to devonian Paleontology 1903. Bull. U. S. Geol. Surv., n. 244, pag. 51 ecc. Gli esemplari di Primosio hanno contorno ovato trasverso, di circa un terzo più lungo che alto, regolarmente arcuato ai lati e in basso, quasi rettilineo superiormente ; umbone eccentrico, così da cadere nel terzo anteriore della conchiglia, poco rigonfio e poco spor- gente sul cardine; convessità mediocre; coste radiali basse, in numero di 8 a 11, poco ricurve, separate da solchi stretti e profondi e ornate da esilissime costicine trasversali appena arcuate e raramente visibili. Altezza, lunghezza e spessore stanno fra loro come Borat8.piati. Dal quadro sinonimico che ho esposto si rileva come al ciclo della C. retrostriata ap- partengano, secondo il mio modo di vedere, numerose forme che debbono esservi raggrup- pate. Il polimorfismo della specie in questione dipende sopra tutto dalla sua larga diffusione nello spazio e nel tempo; e nella moltitudine delle sue variazioni, tutte collegate fra loro da insensibili passaggi, soltanto alcune, meglio caratterizzate come razze geografiche o evo- lute in una determinata direzione, possono ancora distinguersi con un nome speciale. Queste forme passeremo rapidamente in rassegna, per vedere a quale di esse meglio si avvicini la nostra. Una prima e accurata revisione critica venne già fatta nel 1881 dal Barrande, con idee analoghe a quelle ch’ io seguo. Egli però, mentre insiste giustamente nel considerare la sua var. bohemica distinta dalle forme americane (Cardiola o Glyptocardia speciosa Hall), sembra ritenere la C. speciosa indipendente dalla tipica C. retrostriata. Secondo il Serie VI. — Tomo IV. 29 — 212 — Barrande, parrebbe che la differenza tra le due forme stesse nel numero delle coste radiali: 10 a 15 negli esemplari americani, 6 a 9 negli europei. Ma va notato che, fra le stesse iconografie citate dal Barrande per la tipica C. retrostriata, l’ esemplare figurato dal Gosselet (1880) ha 13 coste, e l'esemplare disegnato dal Roemer come Cardium pal- matum (1850) ne ha 12; che altrettante ne ha la valva riportata dallo Tschernyschew (1884); che d’altra parte la fig. 10, tav. LXXX di J. Hall (1885) rappresenta una valva con sole 8 pieghe e identica in ogni altro carattere alle sue conterranee; che infine lo stesso Hall, così restìo a riconoscere l’identità fra specie europee e americane, dice che la sua Glyptocardia speciosa « is probably identical with the Cardiola retrostriata (von Buch) of various authors, and with Cardium palmatum of Goldfuss » (1). Tutto ciò mi persuade a ritenere identiche le due forme discusse. Quanto al genere Glyptocardia, istituito da Ha}l per la sua specie, esso evidentemente deve passare in sinonimia del ge- nere (o meglio sottogenere) Buckiola, fondato dal Barrande quattro anni prima. Con la C. speciosa deve anche abolirsi la C. ferruginea descritta da Holzapfel. Nella forma tipica di C. retrostriata sì hanno numerose e instabili mutazioni sia riguardo al numero e al rilievo delle pieghe, sia riguardo alla convessità più o meno spiccata delle sottilissime strie e costicine trasversali che intersecano le pieghe stesse e che assumono tutte le modalità possibili da una retta a una curva ogivale. Quando si noti che tali mi- nute costicine variano anche moltissimo nel loro numero e nella loro frequenza, s’ intende facilmente come le combinazioni diverse di questi diversi caratteri si prestino a creare un’ in- finità di nomi specifici che non hanno ragione di esistere, e come sia del tutto vano anche distinguere con un nome speciale soltanto le forme estreme delle combinazioni stesse. La C. ferruginea non è che una C. retrostriata con pieghe forti e rade, intersecate da costi- cine trasversali notevolmente arcuate. La C. aquaruii (Beushausen) Holzapfel, de- scritta soltanto e non figurata, rientra pure quasi certamente in questo gruppo. Nel caso estremo in cui le costicine trasversali seguano una linea spezzata con un angolo rivolto verso l’umbone, si giunge alla forma descritta dal Ro emer (1850) sotto il nome di Cardium anguliferum. Senza identificarla con la tipica C. retrostriata, come alcuni hanno fatto (2), mi sembra però di poterla a buon diritto inglobare nel ciclo della nostra specie, come sua varietà. È naturale che in essa le pieghe siano variabili e in rilievo e in numero, come nel tipo; e per:la medesima ragione dovrà abolirsi il nome di C sagittaria dato da Holzapfel (1895) a una valva con costicine angolose e con 8-10 pieghe soltanto. Il quadro delle principali variazioni che rientrano nel ciclo della C. int.rrupta si può dare come segue : (1) J. Hall. Pal. New York, vol. V, pt. I, 1885, pag. 426. (2) Vedi ad es. Tromelin e Lebesconte. Observations sur les terrains primaires du Nord du département d’ IMe-et-Vilaine. Bull. Soc. géol. France, ser. 3, vol. IV, 1876, pag. 605. — 213 — 1. Forma relativamente poco allungata. — Terreni devoniani. 2. Margine cardinale intero. Area nulla. 3. Costicine trasversali diritte o arcuate. 4. Coste radiali da 6 a 15. Valve molto inequilatere (= Venericardium v. Buch - Cardium palmatum Goldf. - Avicula speciosa Hall - Cardium d° Orb. - Cardiola speciosa Hall - Glyptocardia speciosa Hall - Cardiola ferruginea Holz.). . . «x typica. 4'. Coste radiali da 14 a 17. Valve meno inequilatere. . . . B dohemica Barrande. 3. Costicine trasversali piegate ad angolo (= C. sagittaria Holz.). y angulifera (Roemer sp.). 2'. Margine cardinale minutamente denticolato. Area piccola e bassa. è XAeyserlingi Barrande. l'. Forma allungatissima. — Terreni siluriani . . .°. . . . . . . e praecursor Barrande. Gli esemplari carnici, raccolti in buon numero presso la Cas. Primosio di mezzo, ap- partengono evidentemente al tipo. Fam. Grammysiidae Fischer. Edmondia de Koninck. 12. Edmondia Clymeniae n. f. -- Tav. I [VI], fig. 11 a, d. Conchiglia molto piccola, equivalve, inequilatera, a convessità mediocre. Contorno ovale trasverso, di quasi un terzo meno alto che lungo; margine anteriore largamente arroton- dato, il posteriore più breve e in curva più stretta, l’ inferiore in curva ampia e regolare. Linea cardinale un po’ convessa nella parte anteriore, diritta verso l’ addietro; umbone pro- minente, rigonfio, non molto spostato dalla linea mediana. Valve regolarmente convesse, con lo spessore più forte nella regione apicale. Ala anteriore più breve ma molto più alta della posteriore. Superficie liscia, con rade strie di accrescimento. Alieza:iala ai. A ei ea Lunghezza » RAPE) det, AME AMI a > DR Spessore » te. (al sot A SEMO >» 0,4 L’ E. Clymeniae somiglia, nella sua forma generale, ad alcuni esemplari della E. sub- ovata Hall (1), propria del Neodevonico americano (gruppo di Chemung). La forma ri- stretta dell’ala posteriore basta però a tenerla distinta, quando non si voglia ricorrere anche anche alle sue minime dimensioni. Calcari sopra la Cas. Primosio di mezzo. Class. Gastropoda. Fam. Bellerophontidae Mac Coy. Bellerophon de Montfort. 13. Bellerophon tuberculatus Féruss 3 cetdOrbigny. 1840. Bellerophon tuberculatus Férussac et d Orbigny. Monographie des Céfalopodes, tav. VIII, fig. 7-10. (1) J. Hall. Pal. New York, vol. V, pt. I, pag. 389, tav. LXIV, fig. 18-20 e 26-28, e tav. XCV, fig. 9-12. — 214 — 1876 Bellerophon Maera Hall. ZUlustrations of Devonian Fossils: Gasteropoda, tav. XXII. 1870. — Neleus Hall. Ibid., tav. XXII. 1879. — Maera Hall. Pal. New York, vol. V, pt. II, pag. 119, tav. XXV, fig. 9-14, e tav. XXVI, fig. 19-24. 1884. _ tuberculatus I schernyschew. Mém. Com. géol. St. Pétersb., vol. I, n. 3, pag. 58, tav. I, fig. 5 a-c (cum syn.). 1887. —_ — Tschernyschew. Die Fauna des mittleres und oberen Devon am Westabhange des Urals. Mem. Com. géol. St. Pétersb., vol. III, n. 3, pag. 33: e 171, tav. VI, fig: 4. L’ unico esemplare che son riuscito a ottenere è mal conservato, in gran parte ridoito al solo modello interno, in cui rimane soltanto una debole traccia della carena mediana. Ma la determinazione è sicura perchè è tuttora ben riconoscibile il tipo della scultura superficiale, costituita da numerosissime granulazioni a forma di minute pustolette discoidi, che caratterizzano la specie nel modo migliore. L’ esemplare ha dimensioni ridotte; 1° ul- timo giro è meno espanso e la bocca si apre alquanto più rapidamente che in molti indi- vidui europei, ma senza uscire dal ciclo di variabilità della specie. DIPIMEtrO MASSIMO RARO RR RE AT Altezza massima (larghezza della bocca) . . /././..... » 8 » del. penultimo: (QIro ire ci Ce fa i ORO Il 5. tuberculatus, segnalato nel Mesodevonico degli Urali e nei terreni meso e neode- vonici dell’ Europa centrale, compare anche nell’ America settentrionale, ove Hall lo descrisse sotto il nuovo nome di 58. Maera. Nessuna differenza notevole può riscontrarsi fra gli esemplari europei e gli americani, come lo stesso Hall ammette implicitamente. Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. 14. Bellerophon Frechi De Angelis. - Tav. Il [VI], fig. 1 a-e. 1899. Bellerophon an sp. n. (Frechi) De Angelis. Mem. R. Acc. Lincei, ser. 5, vol. III, pag. 27, fig. 8. L’ esemplare descritto dal De Angelis, e da lui giustamente riconosciuto come una forma nuova, è pur troppo l’ unico finora isolato. Il De Angelis dimostrò in modo chiaro la sua pertinenza al genere £ellerophon, facendo anche notare come nessuna delle specie devoniane finora descritte gli si possa avvicinare. Una nuova preparazione dell’ esemplare mi ha permesso di trarne ]’ esatta figura sche- matica, che presento nella tav. II [VII], fio. 1. Da essa appare evidente il carattere più singolare del fossile in esame, e cioè la sua forma nettamente asimmetrica, analoga a quella di molte specie neopermiane. Il 28. italicus, da me ultimamente descritto tra 1 fossili del calcare a Bellerophon della Carnia (1), può venire paragonato all’ esemplare in que- stione, che appartiene forse al suo medesimo gruppo. Il tipo dell’ asimmetria, il modo di avvolgimento, la mancanza di carena mediana, la natura liscia della superficie sono comuni ad entrambi. Il B. Frechi ha però conformata molto diversamente 1 apertura boccale e (1) M. Gortani. Za fauna degli strati a Bellerophon della Carnia. Riv. ital. di Paleont., vol. XII, 1906, pag. 122, tav. VI, fig. 14 a, d. — 215 — tutta l’ ultima parte del giro esterno : caratteri che bastano per individualizzarlo in modo assoluto. DiametroMnassimoWdeli ultimo sifone 0 mm. 13 » minimo » Vaio e cea O » Id Altezza massima » SMIISI R . . » 15 » CEMBRA E O >» 5 Calcari sopra la Cas. Primosio di mezzo. — Museo geologico di Pavia. Fam. Capulidae Cuv. Platyceras Conrad. 15. Platyceras punctillum n. f. — Tav. I [VI], fig. 12 a-e Conchiglia minutissima, conoidea, a lati quasi diritti, con una lievissima concavità presso l’ apice e una convessità leggera del pari verso la base. Apertura ellittica, di un quarto meno larga che lunga. Altezza di valore intermedio fra quelli del semiasse mag- giore e del semiasse minore dell’ apertura; angolo apicale fra 100° e 110°. Apice subot- tuso, centrale, in modo che la sua proiezione orizzontale cade nel centro dell’ apertura. Superficie ornata di esilissime strie di accrescimento. IuncehezzaMimassimagd ella pertura Re RE oe Larghezza » » RR RI TE I OTO ANI GeZza. Pisa )3: IMITA 4 sraeoeMOA Angolo apicale in ia dell’ Asse ina sore RR LIO » » » INNO en 00 Per la forma sembra quasi riprodurre in miniatura il PI. extensum Barrois (1), nel quale però (tralasciando le dimensioni) i lati sono convessi e 1’ angolo apicale è alquanto minore. È pure molto simile alla forma del nostro esemplare il Zepetopsis Whitei de Ko0- ninck (2), la cui base ha tuttavia un contorno ovale. Come già ebbi ad osservare per una di esse (3), io ritengo però che entrambe le specie ora nominate debbano rientrare nel ciclo del Platyceras selcanum Gieb. sp., sia per la variabilità di questi organismi, sia perchè, non conoscendosi i caratteri interni dell’ apertura, non vi è alcuna ragione per ascrivere la forma belga al genere Lepetopsis invece che a Platyceras (4). Ma il fossile di Primosio ha. un'impronta speciale; esaminato |’ apice delle specie ora nominate, esso non può ritenersi un esemplare giovane di esse, e la sua piccolezza estrema, unita alla forma del suo pro- filo, è quindi sufficiente a caratterizzarlo come specie distinta. Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. (1) Barrois. Faune du calcaire d° Erbray (Loire Inférieure). Mém. Soc. géol. Nord, vol. III, 1889, pag. 194, tav. XII, fig. 10 a-c. (2) de Koninck. Faune carb. Belg. IV. Gasteropodes. Ann. Mus. Roy. Hist. nat. Belo, vol. VIII, pag. 193, tav. XLVIII, fig. 21, 22, 43, 44. (3) Gortani. Palaeont. Ital, vol. XII, 1907, pag. 46 [130]. (4) Anche il Barrois (op. cit., pag. 194) osserva che la maggior parte almeno delle forme de- scritte come Lepetopsis dal de Koninck sono probabilmente Platyceras. —. Ilio — Class. Cephalopoda. Nautiloidea. Fam. Orthoceratidae Mac Coy. Orthoceras Breyn. 16. Orthoceras cfr. lineare v. Minster. — Tav. I [VI], fig. 13. 1850. Orthoceras lineare (v. Miinster) Roemer. Palaeontographica, vol. III, pag. 17, tav. III, fig. 23. Frammento della parte apicale di una conchiglia conico-cilindrica allungatissima, con sifone centrale, divisa in camere poco più Jarghe che alte. L’ altezza di queste varia da mm. 0,7 a 1,1; il loro diametro da mm. 0,9 a 1,4; il rapporto fra altezza e diametro oscilla fra ?/,, e “4. Non vi è traccia di ornamentazione superficiale ; esternamente la posizione dei setti è rivelata da solchi leggeri non tutti in ugual modo visibili. Tunchezzagdelkira nm ento Re RE MAO Diametrowallapicehan. i aio ARR RE NIRO » alla "basetta hetsa, Ct eno Ue arse e D 045 Salvo le dimensioni molto ridotte, 1’ esemplare corrisponde pienamente a quello fisurato dal Roemer, anche per il leggero restringersi dell’ angolo apicale verso la sommità della conchiglia. Gli è simile l O. fragile Roemer (1), che se ne distingue per la forma più schiettamente cilindrica : distinzione difficile a riconoscersi nei giovani esemplari, per l’ an- golo apicale acutissimo che in essi presenta anche 1’ O. lineare. Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. 17. Orthoceras cfr. conulus Roemer. 1850. Orthoceras conulus Roe mer. Palaeontographica, vol. III, pag. 39, tav. VI, fig. 6 a, d. Conchiglia di forma conica, allungata ; superficie apparentemente liscia ; angolo apicale di circa 18°; sifone quasi centrale. Altezzagidella con chela e E EE RO Diametrosall'apicemnostate «nta e CONI SR A65 » alla Dase,. Lelli coli (RL AR O Non sono riuscito a mettere in evidenza le concamerazioni della conchiglia, e il rife- rimento è perciò assai dubbio. Nell’ esemplare del Roemer, proveniente dai calcari fra- sniani di Grund, le camere sono tanto larghe quanto alte, e il sifone, centrale dapprima, si fa più tardi espanso e diviene eccentrico. Calcari sopra la Cas. Primosio di mezzo. (1) Roemer. Palaeontographica, vol. III, 1850, pag. 18, tav. III, fig. 24 a-c (nella spiegazione della tavola è indicato, per errore, come 0. cylindricum). — 217 — 18. Orthoceras sp. ind. Frammento di forma conica, molto allungata, con angolo apicale acutissimo (7° od 8°); superficie liscia; sifone centrale; sezione molto largamente ovale. TLunsnezza (delffiraimIMento N ie i A... mm. 28 Diametrofalliapice MEER RI e e 2 » HAAS EA A I IO A MN n » 4,5 Ricorda da vicino l’ 0. sub/exuosum descritto dal von Miinster (1) e l esemplare ascritto con incertezza a tale specie dal Roemer (2); ma ogni riferimento preciso sarebbe azzardato. Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. Ammonoidea. Fam. Clymeniidae v. Miinster. Clymenia v. Miinster. 19. Clymenia (Cyrtoclymenia) laevigata v. Mùinster. — Tav. I [VI], fig. 18 a, d. 1832. Planulites lazvigatus v. Mùnster. Goniatiten und Planuliten, pag. 5, tav. I, fig. 1. 1839. Clymenia laevigata v. Minster. Beitr. 2. Petrefactenk., I, pag. 6, 7. 1863. = (Cyrtoclymenia) laevigata v. Gùmbel. Ueder Clymenien in den Uebergangsgebilden des Fichtelgebirges. Palaeontographica, vol. XI, pag. 137, tav. XVI, fig. 5-9 (cum syn.). 1897. Cyrtoclymenia laevigata Frech. Lethaca palaeozoica, vol. I, tav. XXXII a, fig. 2 A. 1899. Clymenia (Cyrtoclymenia) laevigata De Angelis. Mem. R. Acc. Lincei, ser. 5, vol. III, pag. 22 foJy landand] 1902. — - —- Frech. Uedber devonische Ammoneen. Beitr. z. Palaont. Oest.-Ung. u. Or., vol. XIV, pag 31 [5], tav. V [IV], fig 2, e pag. 34 [8], fig. 4 D. i Questa notissima forma, largamente diffusa nel sopradevonico europeo, fu già trovata in numerosi esemplari anche sul M. Pal Grande (Frech) e sul M. Primosio (De Ange- lis); è pure indicata in Carnia al Passo di M. Croce (De Angelis). Il calcare fossilifero da me raccolto presso la Cas. Primosio è zeppo di giovani esemplari e di vesciche embrio- nali riferibili senza dubbio alcuno alla CI. laevigata; uno di essi è rappresentato nella tav. I [VI], fig. 18. Le superficie erose della roccia fossilifera mostrano spesso sezioni di grandi esemplari (fino a 8 o 10 centimetri di diametro) che molto probabilmente appar- tengono pure alla medesima specie. Gli individui che son riuscito a separare dal mio materiale sono oltre una cinquantina. Un esemplare, preparato dal De Angelis, si con- serva nel museo geologico universitario di Roma; tre in quello di Pavia. Presso e sopra la Cas. Primosio di mezzo; presso la Cas. Primosio alta. (1) v. Mùnster. Bettr. 4. Petrefactenk., ILI, 1840, pag. 10, tav. XIX, fig. 9. (2, Roemer. Palaeontographica, vol. III, 1850, pag. 27, tav. IV, fig. 13. — 218 — 20. Clymenia (Cyrtoclymenia) angustiseptata v. Miinster. — Tav. I [VI], fig. 19 a, d. 1882. Planulites angustiseptatus v. Miinster. Goniat. u. Planul., pag. 8, tav. I, fig 3. 1843. Clymenia angustiseptata v. Minster. Beitr. 3. Petrefactenk., I, ed. II, pag. 4 e 86, tav. I, fig. 3. 1863. —_ (Cyrtoclymenia) angustiseptata v. Gimbel. Palaeontographica, vol. XI, pag. 120, tav. XV, fig. 1-6 (cum syn.). 1899. — — angustiseptata De Angelis. Mem. R. Acc. Lincei, ser. 5, vol. III, pag. 21. 1902. — — angustiseptata Frech. Beitr. z. Paldont. Oest.-Ung. u. Or., vol. XIV, pag. 30 |4]. 1902. — — plicata Frech. Ibid., pag. 30 [4] e 33 [7]. IL’ unico esemplare ben conservato che posso riferire alla Cl. angustiseptata è quello già preparato e descritto dal De Angelis. Come appare dall’ accurato disegno che ne dò nella tav. I NAGg 103 VIS, dla conchiglia è percorsa da numerose costicine trasversali relativamente spiccate, così da rispondere al carattere della C7. plicata Mstr.; forma che, seguendo il Giimbel a preferenza del Frech, ritengo una semplice varietà o mutazione della CI. angustiseptata. Calcari sopra la Cas. Primosio di mezzo (museo geologico di Roma). — Due piccoli esemplari, probabilmente della stessa specie, si conservano nel museo di Pavia con l’indi- cazione: Passo di Primosio. i 21 Clymenia (Cyrtoclymenia) annulata v. Minster. 1832. Goniatites annulatus v. Mùnster. Goniat. u. Planul, pag. 32, tav. VII, fig. 6. 1839. Clymenia annulata v. Minster. Beitr. 3. Petrefactenk., I, pag. 14, tav. XVI, fig. 7. 1863. — (Cyrtoclymenia) annulata v. Gi mbel. Palaeontographica, vol. XI, pag. 130, tav. XV, fig. 11-13 (cum syn.). 1902. — _ annulata. Frech. Beitr. z. Palàont. Oest.-Ung. u. Or., vol. XIV, pag. 31 [5], tav. II [I], fig. 6, 7. La variabilità che molte Climenie presentano nella scultura superficiale, si riscontra anche nella specie in esame. Come la forma ultima di cui ci siamo occupati, anche essa può avere le pieghe trasversali a rilievo più o meno spiccato; ma varia inoltre sia nel- l'andamento, sia nella frequenza delle pieghe medesime. Questo fatto, mentre giustifica l’idea di riunire la CI. plicata alla CI. angustiseptata, mi persuade anche a ritenere una mutazione secondaria della (/. annulata la forma che il Frech ne separa come var. den- sicosta (Op. cit., pag. 31 [5], tav. II [I], fig. 7), e che ne è distinta solo dal numero mag- giore delle sue pieghe. Tale forma è rappresentata nel mio materiale da un frammento di conchiglia ben conservato, con 4 giri di spira; sul giro esterno le pieghe sono a meno di un millimetro di distanza fra loro e si biforcano in generale a poca distanza dalla sutura. La sezione relativamente bassa e allargata dei giri e lo sviluppo rapido della spirale distinguono bene il nostro esemplare dalla €. aegoceras Frech (Op. cit., pag. 31. [5], tav. II [I], fig. 5 a, d), a cui è simile per il tipo dell’ornamentazione e l'aspetto generale. Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo, — 219 — 22. Clymenia (Cyrtoclymenia) flexuosa v. Munster. 1840. Clymenia flexuosa v. Minster. Beitr. z. Petrefactenk , III, pag. 92, tav. XVI, fig. 4. 1856. = brevicostata (non v. Minster) Richter. Denkschr. k. Ak. Wiss. Wien, vol. XI, pag. 112, tav. I, fig. 24-26. 1887. — flexuosa Tschernyschew. Mém. Com. géol. St. Pétersb., vol. III, n. 3, pag. 18 e 168, tav. I, fig. 23-26 (cum syn.). 1902. = flexuosa Frech. Beitr. z. Paliont. Oest.-Ung. u. Or., vol. XIV, pag. 82 [6], fig. 2. Un solo esemplare, a conchiglia quasi liscia e pochissimo involuta, con sviluppo più rapido della 07. Dunkeri. Sezione dei giri ovale, di un quinto circa più alta che larga, appena intaccata alla base dalla rientranza del giro precedente. Linea lobale semplice- mente sinuata, con sella e lobo esterni in curva larga e dolce. La somiglianza maggiore è con gli esemplari della Russia figurati dallo Tschernyschew; quello sassone riportato dal Frech si allontana più di tutti gli altri dal nostro. Le dimensioni sono le seguenti : Diametro e e Seta dl A ti MI. 22 Altezza dell’ ultimo giro in rapporto al diametro . . . . ... . 0,45 Spessore massimo » » a cairo 0030) Altezza della bocca (1) » » e I E 037 Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. 23. Clymenia (Cyrtoclymenia) cfr. Dunkeri v. Munster. 1839. Clymenia Dunkeri v. Mùnster. Beitr. 3. Petrefactenk., I, pag. 15, tav. XVI, fig. 1. 1843. — _- v. Mùnster. /bd., ed. II, pag. 42, tav. XVI, fig. I. 1863. — (Cyrtoclymenia) Dunkeri v. Gimbel Palaeontographica, vol. XI, pag. 135, tav. XVI, Ma a 4 1899. — — * cfr. Dunkeri De Angelis. Mem. R. Acc. Lincei, ser. 5, vol. 1II, pag. 22. i 1902. — — Dunkeri Frech. Beitr. z. Paliont. Oest.-Ung. u. Or., vol. XIV, pag. 30 [4], pag. 29 [8], fig. 1 a, e pag. 34 [8], fig. 4 c. La presenza della Cl. Dunkeri nei calcari del M. Primosio era finora assai dubbia, perchè l esemplare studiato dal De Angelis e conservato nel museo di Pavia è una sezione mal conservata che può dare soltanto un’ idea dell’ involuzione dei giri. Nel materiale raccolto dal prof. Vinassa e da me ho potuto isolare una conchiglia poco involuta, a superficie liscia, con uno svolgimento della spirale meno rapido che nella CI. flexuosa e meno lento che nella Cl. laevigata. Non sono riuscito a mettere in evidenza la linea dei lobi; ma questi caratteri mi persuadono ad avvicinare con fondamento 1’ esem- plare alla CI. Dunkeri. Anche la sezione dei giri corrisponde a quest’ultima specie: è ovale, un po’ attenuata superiormente, di un quarto circa più alta che larga, e occupata dal giro precedente per un sesto della sua altezza. (1) Avverto qui una volta per tutte che in nessuna delle Ammoniti studiate in questo lavoro, è conservata l'apertura boccale. L° espressione « altezza della bocca » da me adoperata è quindi pura- mente convenzionale; e va intesa come l'altezza della sezione trasversale dell’ ultimo giro sulla linea mediana. Serie VI. — Tomo IV. 30 — 220 — Diam etto vpi eta e lare (ia oe e VT 21 Altezza dell’ ultimo giro in rapporto al diametro . . . ...... 0,27 Spessore massimo » » ERA RIO] Altezza della bocca » » IR VISIVE WR 23 Calcari sopra la Cas. Primosio di mezzo. 24. Clymenia (Oxyclymenia) undulata v. Minster. — Tav. II [VII], fig. 6, 7. 1832. Planulites undulatus v. Minster. Goniat. vu. Planul., pag. 9, tav. II, fig. 2. 1839. Clymenia undulata v. Miùinster. Bettr. 3. Petrefactenk., I, pag. 10. 1863. — (Oayclymenia) undulata v. Gimbel. Palaeontographica, vol. XI, pag. 140, tav. XVII, fig. 1-9; non tav. XVIII, fig. 12 (cum syn., excl. Cl. bisuleata et linearis). 1870. — undulata 'V'ietze. Ueber die devonischen Schichten von Ebersdorf in der Grafschaft Glatz. Palaeontographica, vol. XIX, pag. 133, tav. XVI, fig. 9. 1892. — —_ Loewinson-Lessing. Zes Ammonces de la zone à Sporadoceras Mun- steri dans les monts Gouberlinskya Gory (Oural inéridional). Mém. Soc. : Belge de geol., paléont. et hydr., vol. VI, pag. 16. 1892.? — dubia Loewinson-Lessing. Ibid., vol. VI, pag. 22, tav. II, fig. 3. 1397. = (Oxyclymenia) undulata Frech. Lethaea palaeozoica, tav. XXXII a, fig. 1 a-c. 1899. —_ -- undulata De Angelis. Mem. R. Acc. Lincei, ser. 5, vol. III, pag. 23. È frequente nei calcari del M. Primosio, ove costituisce la specie più abbondante dopo la CI. laevigata. Numerosi sono gli individui molto giovani, come quello che ho riprodotto in modo schematico nella tav. II [VII], e le vesciche embrionali; ma sono comuni altresì frammenti di esemplari bene sviluppati, in cui è sempre riconoscibile la caratteristica orramentazione della superficie. Infine, uno di tali frammenti è molto simile a quello del M. Pal Grande disegnato dal Frech nella Lethaea palaeoz ica (tav. XXXII a, fig. 1 a, d): mostra cioè la sua parte esterna percorsa da un rilievo longitudinale mediano, inclinando in tal modo alla forma della CI. bisulcata Mstr. (1). Calcari presso e sopra la Cas. Primosio di mezzo. 25. Clymenia (Oxyclymenia) striata v. Miinster. 1832. Planulites striatus v. Mùinster. Goniat. u. Planul., pag. 13, tav. III, fig. 2-5. 1839. Clymenia striata v. Miinster. Beitr. 2. Petrefactenk., I, pag. 11. 1863. —. (0xyclymenia) striata v. Gùmbel. Palaeontographica, vol. XI, pag. 144, tav. XVIII, fig. 1-8 (cum syn., excel. CI. ornata). 1899. — striata De Angelis. Mem. R. Acc. Lincei, ser. 5, vol. III, pag. 28° Si distingue dalla precedente sopra tutto per 1° involuzione molto maggiore della con- chiglia i. probabile che taluni dei numerosi frammenti di giri da me riferiti alla CI. undu- luta possano invece appartenere al CI. striata; ma il solo esemplare spettante senza dubbio alcuno a quest’ ultima forma è sempre quello raccolto e descritto dal prof. De Angelis. Mi limito qui a darne le dimensioni. (1) v. Mùnster. Beitr. <. Petrefactenk, ILI, 1840, pag. 93, tav. XVI, fig. 6; — Frech. Beitr. z. Palàont. Oest.-Ung. u. Or., vol. XIV, 1902, pag. 34 [8], tav. II [I], fig. 12. — 221 — DEI ae iii TDI. 28 Altezza dell’ ultimo giro in rapporto al diametro . . . . . . . 0,48 Spessore massimo » » RR e 020) Altezza della bocca » » roi alle ani ala 0532 Calcari sopra la Cas. Primosio di mezzo. — Museo geologico di Pavia. 26 Clymenia (Sellaclymenia) cfr. angulosa v. Miinster. 1839. Clymenia planidorsata v. Mùnster. Beitr. 3. Petrefactenk., I, pag. 7. 1839. — angulosa v. Mùnster. ZIbid., pag. 12, tav. XVI, fig. 3. 1843. Goniatites planus v. Minster. Beitr. 3 Petrefactenk., I, ed. II, pag. 32, tav. VI, fig. 4. 1843. Clymenia planidorsata v. Minster. Ibid., pag. 36. 1843. — angulosa v. Mùnster. Zbid., pag. 40, tav. XVI, fig. 3. 1863. = (Sellaclymenia) angulosa v. Gimbel. Palaeovtographica, vol. XI, pag. 149, tav. XIX, ma 1902. = — angulosa Frech. Beitr. z. Paliont. Oest.-Ung. u. Or., vol. XIV, pag. 35 [9]. Riferisco con leggera incertezza a questa forma un esemplare guasto, ridotto a porzione dell’ ultimo giro. Caratteristica ne è la sezione subrettangolare, oltre due volte più alta che larga, con il lato superiore (esterno) rettilineo, e i laterali molto leggermente con- vessi. In conseguenza, il giro è appiattito esternamente e sui fianchi. La superficie appare liscia. Della linea lobale si vede soltanto in parte il segmento laterale, e sembra concordare con la figura del v. Giimbel. Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. 27. Clymenia (Sellaclymenia) cfr. bilobata v. Minster. — Tav. II [VII], fig. 2, 3. 1839. Clymenia bilobata v. Miinster. Beitr. 3. Petrefactenk., I, pag. 11, tav. II, fig. 6. 1843. —- — v. Minster. /bid., ed. II, pag. 39, tav. II, fig. 6. 1863. — (Cymaclymenia) bilobata v. Gimbel. Palaeontographica, vol. XI, pag. 147, tav. XIX, fig. 4, D. 1902. — (Sellaclymenia) — Frech. Beitr. z. Palàont. Oest.-Ung. u. Or., vol. XIV, pag. 35 [9]. Due piccoli esemplari, di cui il maggiore è sezionato trasversalmente. Tanto la forma esterna del primo, quanto il modo d’ involuzione nettamente rivelato dall’ altro, corrispon- dono ai caratteri della CI. dilobata ; vi corrispondono altresì la larghezza dell’ ombelico e la forma che ha la sezione dei giri; sembrano corrispondervi anche le tracce della linea lobale, ma queste sono troppo deboli e indecise perchè se ne possano ricavare elementi decisivi. Ecco le dimensioni dell’ individuo completo : DIAMETRO e e A e im, 10 Altezza dell’ ultimo giro in rapporto al diametro . . . . ... 0,42 Spessore massimo » » Ae 050 Altezza della bocca » » Ra MIO Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. — 222 — 28. Clymenia (Gonioclymenia) speciosa v. Miinster sp. — Tav. II [VII], fig. 5 a, db. 1832. Goniatites speciosus v. Minster. Goniatit. u. Planul., pag. 27, tav. VI, fig. 1. 1863. Clymenia (Gonioclymenia) speciosa v. Gùmbel. Palaeontographica, vol. XI, pag. 150, tav. XIX, fig. 6-8, e tav. XX, fig. 1-4 (cum syn.). 1899. = — speciosa De Angelis. Mem. R. Acc. Lincei, ser. 5, vol. III, pag. 24, fig. 7 1899. — _ — Frech. Beitr. z Pala&ont. Oesterr.-Ung. u. Or., vol. XIV, pag. 39 [13], tav. II [I], fig. 2; pag. 86 [11|, fig. 5, e pag. 38 |12], fig. 6 a (cum syn.). Per quanto il Frech, con la solita sua noncuranza dei lavori italiani, ammetta la presenza della Cl. speciosa soltanto in Germania e nella località carnica da lui scoperta, senza confutare nè citare il lavoro del prof. De Angelis, si deve ritenere certa l’ esi- stenza della specie stessa nel calcare del M. Primosio. Ricorrendo a vari procedimenti, ho potuto ricomporre e preparare di nuovo il fossile completo che già il De Angelis era riuscito a isolare; e ne ho tratto il disegno sche- matico ma fedele che riporto nella tav. II [VII]. Esso concorda pienamente con gli esem- plari tedeschi, e ogni ulteriore descrizione, dopo quanto ebbe a dirne il nostro paleonto- logo, sarebbe superflua. Le dimensioni dell’ esemplare sono le seguenti : IDIBIMENO 5 o SUI li i MMI Altezza delia | giro in Sen al o pel ia dio) 0) Spessore massimo » » SPESO CI SAR BM ORLO, Altezza della bocca » » cai AAT. RE UO Calcari sopra la Cas. Primosio. — Museo gelogico di Pavia. Fam. Goniatitidae v. Buch. Anarcestes v. Mojsisovics. 29. Anarcestes cfr. Denckmanni Holzapfel. 1895. Anarcestes Denckmanni Holzapfel. Abhandl. k. Preuss. geol. L.-Anst., N. Folge, fasc. XVI, pag: 72, tav. JI, fig: 22-24" Conchiglia piccola, globulosa, con lunga camera d’ abitazione, giri molto più larghi che alti, a sezione largamente ovale, occupata per metà della sua altezza dal giro prece- dente. Ombelico stretto e profondo. Superficie quasi liscia. Linea lobale appena sinuata, con lobo esterno minuto e lobo laterale rappresentato da una bassa e leggerissima curva. I due esemplari che presentano tali caratteri lasciano dubbioso il riferimento solo per il loro stato giovanile e la natura quasi liscia della superficie. Dimensioni : I II Diametro della conchiglia . . . a I BO Tn 22 Altezza dell’ ultimo giro in rapporto Boi diametro 07 0 013 Spessore » » sly GSO MR CO 7! Altezza della bocca » » MOT TOZZI Larghezza dell’ ombelico » » + Oi a 08 Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. — 223 — Tornoceras Hyatt, em. Frech. 80. Tornoceras cfr. convolutum Holzapfel. — Tav. I [VI], fig. 14 a, d. 1895. Tornoceras convolutum Holzapfel. Abhandl. k. Preuss. geol. L.-Anst., N. Folge, fasc. XVI, pass, ave EVASE» La conchiglia globulosa, con i primi giri molto rigonfi e i successivi alquanto ap- piattiti esternamente ; l’ ombelico ampio e profondo; la bocca reniforme, una volta più larga che alta; infine la linea lobale appena ondulata, con il solo lobo esterno manifesto, mi persuadono a considerare gli esemplari in esame come individui giovani di 7. convo- lutum. Essi concordano pienamente con le figure dell’ Holzapfel e permettono una deter- minazione relativamente sicura, per quanto cioè è possibile con esemplari non bene svilup- pati. Le dimensioni sono le seguenti : I II Diametro della conchiglia Da mm. 5 I. Min Altezza dell’ ultimo giro in rapporto al diametro . . 0,46... .. — Spessore » » SIMO SO Altezza della bocca » » MRO e e 020 Larghezza dell’ ombelico » » n OA e OO Calcari presso la Cas. Primosio. 31. Tornoceras cinctum v. Keyserling sp. 1844. Goniatites cinctus v. Keyserling. Beschreibung einiger Goniatiten aus dem Domanik-Schiefer. Verh. k. Russisch. mineral. Ges., pag. 227, tav. A, fig. 2, 3. 1895. Tornoceras cinctum Holzapfel. Abhandl. k. Preuss. geol. L.-Anst., N. Folge, fasc. XVI, pag. 90, tav. VI, fig. 12; tav. VII, fig. 4, e tav. VIII, fig. 8 (cum syn.). 1898. Parodoceras — Haug. Etudes sur les Goniatites. Mém. Soc. géol. France, vol. VII, fasc. 4, pag. 18, fig. 5 d. 1899. Tornoceras /‘“— —De Angelis. Mem. R. Ace. Lincei, ser. 5, vol. III, pag. 26. Agli esemplari illustrati dal De Angelis, uno dei quali risponde perfettamente a ogni carattere degli individui renani, non posso aggiungere che una porzione dell’ ultimo giro di un individuo mediocremente sviluppato. La forma del giro stesso, il decorso e 1’ aspetto dei due solchi longitudinali sugli spigoli esterni, l’ andamento delle strie di accrescimento e delle tracce visibili della linea lobale, appoggiano la determinazione. Calcari sopra la Cas. Primosio di mezzo (museo geologico di Pavia) e presso la Casera stessa. 32. Tornoceras simplex v. Buch sp. — Tav. I [VI], fig. 15 a-c. 1832. Ammonites simplex v. Buch. Ueber Goniatiten, pag. 42, tav. II, fig. 4. 1832. Goniatites ovatus v. Minster. Goniat. u. Planul., pag. 18, tav. IV, fig. 1. 1856. — retrorsus Beyrich. Bettrige sur Bestimmung der Versteinerungen des Rheinischen Uebergangsgebirges, pag. 30, tav. I, fig. 10. 1867. —_ — typus Trenkner. Palciontologische Novitdten von nordwestlichen Harsze. I. Abhandl. Naturf Ges. Halle, vol. X, pag. 127, tav. I, fig. 5, 6. 1887. ni (Tornoceras) simplex Tschernyschew. Mém. Com. géol. St. Pétersb., vol. III, n. 3, pag. 23 e 169, tav. I, fig. 22, e tav. II, fig. 9 (cum syn.). — 224 — 1895. Tornoceras simplex Holzapfel. Abhandl. k. Preuss. geol. L.-Anst , N. Folge, fasc. XVI, pag. 95, tav. IV, fig. 8, 9; tav. VI, fig. 11, e tav. VII, fig. 9 (cum syn.). 1896. — circumflerus var. inflata Gùrich. Verh. k. Russisch. mineral. Ges., ser. 2, vol. XXIII, pag. 338, tav. XIII, fig. 5 a-c. (1) 1896. _ = var. applanata Giùrich. Ibid., pag. 338, tav. XIII, fig. 8 a-c. (1) 1897. — simplex Frech. Lethaea palaeozoica, vol. II, tav. XXXII a, fig. 11, 12. 1902. _ — mut. ovata Frech. Beitr. z. Paliont. Oest.-Ung. u. Or., vol. XIV, pag. 47 [21], tav. III [II], fig 21 a-b. Due esemplari mediocremente sviluppati e parecchi individui giovani hanno conchiglia discoidale o lenticolare, con giri debolmente convessi sui fianchi e molto più alti che larghi, ombelico nullo o molto ristretto, solchi radiali pochi o nessuno, linea lobale poco ondulata. Gli individui giovani sono strettamente ombelicati e presentano più sovente solchi tra- sversali; i due più sviluppati sono senza ombelico, e uno solo di essi (quello figurato nella tav. I [VI]) ha un’infossatura trasversale sinuata. La linea lobale per il suo andamento dolce si accosta alla mut. angustelobata di Holzapfel (1. cit., pag. 99), mentre gli altri caratteri si avvicinano alla mut. ovata dello stesso autore (1. cit., pag. 99-100). Il lobo esterno non è molto profondo, e la sella esterna ha la medesima altezza della sella late- rale. Dimensioni : T II III Diametro tt £ Rm MA co ian IS . . mm. 8 Altezza (dell'’ultimosiro in rapportoralidiametro ttt 0; 62 0 IRR] Spessore » » A OSO ee OZ e ot, 048 Altezza della bocca » » ee O ate Oc 01 Calcari presso e sopra la Cas. Primosio di mezzo. 33. Tornoceras Escoti Frech var. carnicum n. f. — Tav. I [V]], fig. 17 a-c. Conchiglia discoide-lenticolare, con i primi giri completamente nascosti dall’ ultimo, a ombelico ristrettissimo e quasi interamente chiuso. Guscio sottile, con superficie liscia. Fianchi leggermente convessi; spessore massimo verso il mezzo; regione esterna arroton- data. Sezione trasversale dell’ ultimo giro semiellittica, con un rapporto di 7 fra altezza e larghezza, occupata dal giro precedente fino a un terzo della sua altezza. L’ unico esemplare intero e ben riconoscibile è concamerato sino alla fine. Sull’ ultimo giro di esso riuscii a mettere in evidenza (mediante attacco con HCl diluito) quasi tutte le linee lobali, che sono circa 17. Ciascuna possiede due lobi laterali e due selle laterali (l’ interna incompleta), oltre al lobo e alla sella esterni. Il lobo esterno è ristretto, oltre due volte più lungo che largo, a lati quasi paralleli, arrotondato all’ apice ; la sella adia- cente è ampia e tozza, in forma di U rovesciata, quasi simmetrica, talora con una lieve sinuosità all’ attacco con il lobo esterno. Il lobo laterale esterno, più profondo del primo, è appuntito e asimmetrico, come un dente di sega, il lato esterno essendo quasi diritto e verticale, l’ interno concavo e obliquo. La sella laterale segue un’ ampia curva, superando (1) Cfr. Girich. Nachtrage zum Palacozoicum des Polnischen Mittelgebirges. N. Jahrb. f. Min. etc., Beil. Bd. XIII, 1900, pag. 342. — 229 — notevolmente in larghezza, altezza e apertura la sella esterna e occupando da sola un terzo dell’ altezza del giro. Infine il lobo laterale interno, allargato e poco profondo, rag- giunge tutt’ al più il livello del lobo esterno, e la sella laterale interna, interrotta a metà, è a mala pena accennata. Le dimensioni sono le seguenti : Diametro, Sena e e nm a90). Altezza dell’ ultimo giro . . » 18 . . e inrapporto al diametro . . 0,60 SPEssone e inn ie » » sti: GOLA Altezzande]laM#b0cca RR » » so US x La forma descritta è molto affine al 7. Escoti Frech (1), di cui io la considero una semplice varietà. La differenza sta unicamente in alcune particolarità della linea lobale, e cioè il maggiore sviluppo della sella laterale in confronto della sella esterna, la forma simmetrica di quest’ ultima e il suo modo di attacco con il lobo esterno. Nel 7. Escoti la sella laterale è bensì più elevata della esterna, ma la sua curva ha un raggio minore, e la sella stessa appare minore del lobo laterale, inversamente a quanto si ha nella forma carnica ; la sella laterale è nel 7. Zscoti asimmetrica, curvata dal lato interno e inter- rotta ad angolo retto dal lato esterno al suo attacco con il lobo omonimo. , Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. Cheiloceras Frech. 34. Cheiloceras sp., aff. lagowiense Guùrich. — Tav. I [VI], fig. 16 a, d. Conchiglia ovoidale, leggermente compressa ai lati, con giri alti e rigonfi. Ombelico interamente nascosto dal guscio. Superficie percorsa da sottili strie trasversali molto fine e minute, alquanto sinuose sui fianchi e diritte sul lato esterno; esistono pure due solchi radiali, quasi in continuazione uno dell’ altro. Sezione dell’ ultimo giro semilunare, circa tanto alta quanto larga; oltre metà dell’ altezza è occupata dal giro precedente, che vi è insinuato. Linea lobale sconosciuta; camera d’ abitazione lunghissima. Dime nteeiti ahaeioatt. darioo faenesl Grida oggi 16 Altezza dell’ ultimo giro in rapporto al diametro . . . . . .. .. 050 Spessore » » O RI OTO Altezza della bocca » » E ici to (0090) Il riferimento generico è assicurato dalla forma d’ involuzione, dalla lunghezza della camera d’ abitazione, dall’ andamento delle strie trasversali. La specie che più si avvicina alla forma descritta è il CR. lagowiense Girich (2) del Neodevoniano polacco: la sola differenza notevole con essa è data dalla sezione dei giri, che è relativamente più larga nell’ esemplare carnico, in modo da rendere la conchiglia meno lenticolare e più globulosa. Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. (1) Frech. Beitr. z. Paliont. Oest.-Ung. u. Or., vol. XIV, 1902, pag. 48 [22]; pag. 50, fig. 13 d, e tav. II, fig. 19. (2)fGuriieh, N° Jabrb. £ Mimetco Bel Baden 900* pas, 344, tav. XIV, fis. 4,5; — Frech. Beitr. z. Palîont. Oest.-Ung. u. Or., vol. XIV, pag. 74 [48[, tav. IV [III], fig. 8 a, d. — 226 — Aganides de Montfort em. 35. Aganides sulcatus v. Miinster sp. 1832. Goniatites su’catus v. Minster. Ueber Clymenien und Goniatiten des Fichtelgebirges, pag. 23, AVA ce 1862. == _ v. Giimbel. Revision der Goniatiten des Fichtelgebirges. N. Jahrb. f. Min. etc, pag 298, tav. V, fig. 14 (cum syn.) 1862. — linearis v. Giimbel. Ibid., pag. 317, tav. V, fig. 9-12 e 15-18 (cum syn.). 1873. = sulcatus Kayser. Studien aus dem Gebieten des rheinischen Devon. IV. Zeitschr. Deut. geol. Ges., vol. XXV, pag. 614, tav: XIX, fig. 5. 1884. Brancoceras sulcatum Hyatt. Genera of fossil Cephalopods. Proced. Boston Soc. Nat. Hist., vol. XXII, pag. 325. 1384. Prionoceras divisum Hyatt. Ibid., pag. 328. 1887. Goniatites (Tornoceras) sulcatum Frech. Die paldiozoischen Bildungen von Cabrières (Lan- guedoc). Zeitschr. Deut., geol. Ges., vol. XXXIX, pag. 449, 453, 485. 1894. Parodoceras sulcatum Frech. Karn. Alpen, pag. 268. 1899. Paradoceras — De Angelis. Mem. R. Acc Lincei, ser. 5, vol. III, pag. 25. 1902. Aganides sulcatus Frech. Beitr Paliont. Oest.-Ung. u Or., vol. XIV, pag. 76 [50]; pag. 77 [51], fig. 32 0, e tav. IV [III], fig. 19. Una dozzina di esemplari, che si aggiungono a quello determinato dal De Angelis e conservato nel museo geologico di Pavia. E tutta una serie da individui giovanissimi a individui bene sviluppati; sempre forti, netti e profondi i tre solchi radiali, che talora sono così spiccati da rendere nettamente trilobo il contorno della sezione longitudinale ; sezione dell’ ultimo giro sempre in forma sottilmente semilunare, occupata come è in massima parte dal giro precedente, che ne resta celato. Dimensioni variabili nei miei esemplari da mm. 4 a 15 di diametro; mm. 20 misura l’ esemplare del De Angelis. I rapporti delle varie dimensioni negli individui meglio conservati, sono i seguenti : I II II Diametro e e in do ima JN oo nau 4 Altezza dell’ ultimo giro in rapporto al diametro . . 0,50 0 i 0,54 00,90 Spessore » » 1 ERMETE e E OZZANO ARP A DIS) Altezza della bocca » » oe e ROLO A DO) Calcari presso e sopra la Cas. Primosio di mezzo. Sporadoceras Hyatt. 36. Sporadoceras Minsteri v. Buch sp. — Tav. 1I [III], fig. 4. 1832. Ammonites Minsteri v. Buch. Ueber Ammoniten, pag. 42, tav. II, fig. 4. 1897. Sporadoceras Mtinsteri Crich e Foord. Catalogue of the Fossil Cephalopoda in the British Museum, pi. III, pag. 129 (cum syn.). 1898. — — Haug. Mém. Soc. géol. France, vol. VII, fase. 4, pag. 18, fig. 5 f. 1899. Clymenia (? Discoclymenia) Haueri (non v. Miinster) De Angelis. Mem. R. Ace. Lincei, ser. 5, vol. III, pag. 24. 1902. Sporadoceras Minsteri Frech. Beitr 7. Paliont. Oest.-Ung. u. Or., vol. XIV, pag. 79 [33], fig. 34 c; pag. 81 [55], fig. 35 e, e tav. IV [OI], fig. 13 a, d. L'attacco con HCl diluito mi ha permesso di render visibile nei più minuti particolari — 227 — la linea lobale dell’ esemplare determinato dal De Angelis come Clymenit Haueri. Il risultato ottenuto mi rese possibile un accurato confronto del fossile con la specie germa- nica; confronto che mi pareva tanto più necessario dopo che il Frech ebbe dimostrato la pertinenza della CI. Haueri al genere Sporadoceras e la sua identità con lo Sporado- ceras cucullatum v. Buch. sp. (1), mentre il De Angelis asserisce che l’ esemplare da lui studiato ha il sifone « addirittura vicino alla superficie interna ». Il De Angelis fu evidentemente tratto in inganno dal doppio strato che forma la conchiglia in esame e che nella sezione longitudinale di essa dà l’ apparenza di un piccolo sifone addossato alla superficie interna del giro ed esterna del guscio. Invece il sifone non appare, per essere il taglio molto obliquo al piano longitudinale mediano della conchiglia. La linea dei lobi presenta a sua volta notevoli discordanze con quella della così detta Cl. Haueri, poichè le manca il lobo accessorio laterale-esterno e ha la prima sella laterale nettamente arrotondata anzichè appuntita. Con lo Sporadoceras Minsteri sono invece complete le analogie. La forma della con- chiglia, ben più rigonfia dello .S. cucullalum, è come nello S. Minsteri tipico, con sezione trasversale ovata; la linea lobale ha i due lobi laterali della stessa lunghezza, e la prima sella laterale arrotondata al pari della esterna e alquanto più ampia di essa ; la superficie è percorsa da esilissime strie di accrescimento, visibili con la lente soltanto. L’ esemplare doveva misurare circa mm. 29 di diametro e mm. 18 di spessore. Calcari presso il Passo di Primosio. — Museo geologico di Pavia. Class. Crustacea. Trilobitae. Fam. Phacopidae Salter. Trimerocephalus Mac Coy. Il genere Trimerocephalus venne fondato dal Mac Coy nel 1849 (2) sopra il Trinucleus laevis del v. Miinster (3), assumendo come diagnosi i principali caratteri di tale forma. Dalla diagnosi, completata dallo stesso Autore nel 1855 (4), risulta come la sola distin- zione che valga a separare nettamente il nuovo genere da Phacops, sia la mancanza degli occhi e la conseguente forma particolare delle guance ; in via subordinata, la mancanza di solchi laterali sulla glabella. In progresso di tempo, si riconobbe come vari Phacopidi con occhi piccolissimi pre- sentassero affinità tali con il Trimerocephalus laevis, da consigliare a riunirli nel mede- simo genere; parve anzi che la mancanza assoluta di occhi fosse dovuta a imperfetta (1) Vedi Frech. Beitr. z. Pal&ont. Oest.-Ung. u. Or., vol. XIV, 1902, pag. 83 [57]. (2) Mac Coy. On the Classification of some British Fossil Crustacea etc. Ann. Nat. Hist., ser. 2, vol. IV. (3) v. Mùnster. Beitr. 3. Petrefactenk., V, 1842, tav. X, fig. 6. (4) Mac Coy. Description of the British Palaeozoic Fossils in the geological Museum of the Uni- versity of Cambridge, London, 1855, pag. 178. Serie VI. — Tomo IV. 31 — gg conservazione degli esemplari (1); e tale concetto fu seguito dallo stesso Zittel nel suo Trattato di Paleontologia e nel suo Compendio fino alla più recente edizione. L’ uno e l’altro infatti (2) portano la diagnosi caratteristica del sottogenere o genere Trimeroce- phalus così concepita: « Occhi piccoli, composti di poche grandi faccette soltanto ». Ben diversamente si era espresso il Mac Coy, descrivendo il suo genere « evenly convex, without eyes or facial sutures » (3). Ma si andò ancora più avanti. Il Giirich (4) credette di poter mettere in seconda linea il carattere della presenza o della relativa grandezza degli occhi, e preporgliene uno che il fondatore del genere non aveva accennato. Questo nuovo carattere vorrebbe rispec- chiare l’ habitus particolare che sogliono avere parecchie forme di 7rimerocephalus, e sì riassume, secondo il Giirich, nell’ apertura dell’ angolo che fanno tra loro i solchi assiali. L'angolo sarebbe acuto, e oscillante di poco intorno ai 50°, nei Trimerocephalus; quasi retto, e variabile da 80° a 90°, nei PRacops. E il chiaro geologo di Breslavia riferisce al genere Phacops un Phacopide cieco (che chiama appunto Phacops caecus), basandosi sul- l’angolo di 80° o 90° formato dai solchi assiali. Effettivamente le varie forme cieche o quasi di Phacopidi hanno spesso una somi- glianza di portamento fra loro. Ma tale somiglianza, oltre a non essere estesa a tutte le specie, male si presta a una descrizione, perchè ciascuno dei caratteri che possiamo pigliare in esame si presenta molto variabile. L’ assenza o lo sviluppo ridottissimo degli occhi porta con sè un mutamento nell’ aspetto del capo; per molte forme le piccole dimensioni, l'andamento del lembo, il contorno regolare, tozzo e arrotondato, contribuiscono a dar loro una certa aria di famiglia; per le altre si potranno forse istituire nuovi generi 0 sottogeneri, quando sian meglio note e studiate. Ma, in tutte, l’ angolo formato dai solchi assiali è ben lungi dall’ esser costante. Pur tendosi in generale inferiore a 90°, offre tutte le variazioni da 50° a oltre 80° non solo nelle diverse specie, ma anche fra gli individui stessi che siamo costretti a riunire sotto uno stesso nome specifico. E la cosa non deve sorprendere, poichè tale variazione si collega con la maggiore o minore larghezza del capo, che già il Barrande indicò oscillante fra limiti molto estesi in ogni singola specie. Basti citare del resto il PRacops cristatus Hall em. (5), in cui l’ angolo dei solchi assiali varia da 60° a 100°, e il Phracops rana Green (6) in cui varia da 65° a 100° e più. Infine, mi sembra di capitale importanza il fatto che la specie su cui il Mac Coy fondò il genere Trimerocephalus, ossia il Trinucleus laevis Mstr., ha un angolo così aperto che oltrepassa anche i 90°. Evidentemente non è ammissibile di togliere alla diagnosi di un genere il ca- rattere principale datole da chi 1)’ ha fondato, per sostituirne uno contrario a quelli offerti (1) Vedi ad es. Salter. A Morograph of British Trilobites. Palaeont. Soc., vol. XVI, 1864, pag. 17; — Richter. Denkschr. k. Ak. Wiss. Wien, vol. XI, 1856, pag. 117. (2) v. Zittel. Handbuch der Palaeontologie. Palaeozoologie, vol. II, 1885, pag. 614; -- Idem. Grundzige der Palcontologie, II ed., pt. I, 1903, pag. 509. (3) Mac Coy. Brit. Palaeoz. Foss., pag. 178. (4) G. Gùrich. Verh. k. Russisch. mineral. Ges., ser. 1, vol. XXIII, 1896, pag. 362 (5) Hall. Pal. New York, vol. VII, 1888, pag. 11, tav. VI. (6) Vedi Hall. Pal. New York, vol. VII, 1888, pag. 19, tav. VII e VIII. = è — dalla specie su cui il genere fu istituito. Se il concetto del Giirich trovasse appoggio nella serie delle forme in questione, sarebbe quindi necessario di istituire un genere nuovo. Ma ho già dimostrato come questo non sia, e come perciò dobbiamo ritornare alla prima e più giusta diagnosi del paleontologo inglese. Per concludere adunque, noi riterremo carattere fondamentale del genere Trimero- cephalus la mancanza o la riduzione fortissima degli occhi. A tale carattere, altri se ne aggiungono volta a volta, ma senza una fissità costante. È probabile che sottogeneri diversi sì possano distinguere in seguito, quando nuove ricerche ci abbiano fatto conoscere un numero maggiore di tali forme e se ne possa meglio rintracciare la filogenesi. Per ora mi sembra opportuno di dare importanza massima al carattere fondamentale accennato, e di scindere in relazione ad esso il genere Trimerocephalus in due sottogeneri : Eutrimero- cephalus, senza occhi; Microphthalmus, con occhi ridotti. Le forme sopradevoniche riferibili a questi due sottogeneri si possono raggruppare come segue. ‘Subg. Eutrimerocephalus. — Occhi nulli. 1. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) laevis v. Miinster sp. (= Trinucleus laevis Mstr. Beitr. z. Petrefactenk. V, 1842, tav. X, fig. 6; — Zrimerocephalus laevis Mac Coy. L. cit., 1849 e 1855; — 7. laevis Salter. Palaeont. Soc., vol. XVI, 1862, pag. 16, tav. I, fig. 5-7; — Phacops eryptophthalmus [non Emmr | Roemer. Palaeontographica, vol. III, 1850, pag. 42, tav. VI, fig. 14). — Capo una volta più largo che alto; glabella largamente securiforme, un po’ meno alta che larga, estesa quanto le due guance riunite; angolo dei solchi assiali da 70° a 100°; lembo sottile e ristretto. — Tav. II [VII], fig. 8-10. 2. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) anophthalmus Frech, con le forme typhlops (Girich) e Richteri Gortani, e le varietà caecus (Gùrich) e Tietzei Gortani. — Vedi descrizione e sino- nimia a pag. 230. — Tav. II [VII], fig. 12-18. 8. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) carinthiacus Frech. — Vedi descrizione e sinonimia a pag. 281. — Tav. II [VII], fig. 11. 4. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) carnicus Gortani. —. Vedi descrizione a pag. 232. — Tav. I [VI], fig. 24 a-c, e tav. II [VII], fig. 19. Subg. Microphthalmus. — Occhi ridotti, con poche faccette. 5. Trimerocephalus (Microphthalmus) cryptophthalmus Emmrich sp. — Vedi descrizione e si- nonimia a pag. 282. — Tav. I [VI], fig. 20, 21, e tav. II [VII], fig. 20, 21. 6. Trimerocephalus (Microphthalmus) pseudo-granulatus Gortani. — Vedi descrizione e sino- nimia a pag. 234. — Tav. II ]VII], fig. 22. 7. Trimerocephalus (Microphthalmus) acuticeps Kayser. — Vedi descrizione e sinonimia a pag. 235. — Tav. I [VI[, fig. 23 a-c, e tav. II [VII], fig. 23, 24. 8. Trimerocephalus (Microphthalmus) mastophthalmus Richter sp. (= Phacops mastophthalmus Richter. Deukschr. k. Akad. Wiss. Wien, vol. XI, 1856, pag. 118, tav. II, fig. 7-12; — ? Calymene laevis [non Mstr.] Phillips. Figures and descriptions of the paleozoic fossils of Cornwall, 1841, pag. 129, tav. LV, fig. 250). — Capo a contorno semicircolare o subtriangolare; glabella molto sollevata, rigonfia e protratta in avanti, a figura spatolata o irregolarmente rombica, occupante meno della metà del capo: solchi assiali profondi, concorrenti con un angolo di 55° a 70°; lembo largo un quarto delle guance ; tracce di due solchi laterali sulla glabella. — Tav. II [VII], fig. 25, 26. 9. Trimerocephalus (Microphthalmus) Roemeri Gortani (= Phacops laevis [non Mstr.|] Roe- mer. Beitr. z. geol. Kenntn. nordw. Harzgeb., III. Palaeontographica, vol. V, 1855, pag. 38, tav. VII, fig. 17 a, b)) — Capo una volta più largo che alto, a contorno largamente triangolare arrotondato ; o — glabella subpentagonale, più larga che alta, a margine anteriore angoloso; angolo dei solchi assiali da 80° a 90°; lembo molto ristretto. Simile al 7. laevis, da cui si distingue sopra tutto, oltre che per la presenza degli occhi, per l’angolosità del margine anteriore. — Tav. II [VII], fig. 27. 10. 2 Trimerocephalus (Microphthalmus) macrocephalus Richter sp. (= Phacops macrocephalus Richter. Denkschr. k. Akad. Wiss. Wien, vol. XI, pag. 117, tav. II, fig. 6). -- Capo molto granu- loso, a contorno rettangolare trasverso, assai più largo che alto; glabella enorme, trapezoidale, estesa per una superficie quasi doppia delle guance riunite: angolo dei solchi assiali di 100°; lembo ristretto. . — Tav. II [VII], fig. 28. 11. 2 Trimerocephalus (Microphthalmus) incisus Roemer sp. (= Phacops incisus Roemer. Beitr. z. geol. Kenntn. nordw. Harzgeb., V. Palaeontographica, vol. XIII, 1866, pag. 212, tav. XXXV, fig. 4). — Capo semicircolare, marginato su tutto il contorno; glabella granulosa, securiforme, strozzata in addietro, estesa per un terzo circa della superficie del capo, incisa da tre solchi laterali per parte; guance liscie; anello occipitale molto rigonfio; angolo dei solchi assiali di 70°. — Tav. II [VII], fig. 29. 37. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) anophthalmus Frech. Tav. I [VI], fig. 22, e tav. HI [VII], fig. 12-18. 1848. Asaphus laeviceps (non Dalman) Richter. Erster Beitr. Pal. Tmir. Waldes, pag. 22, tav. II, fig. 3. 1856. Phacops cryptophthalmus (non Emmrich) Richter. Denkschr. k. Ak. Wiss. Wien, vol. XI, pag. 116, tav. II, fig. 2-5. JS6 0 se = (non Emmrich) Roemer. Zeitschr. Deut. geol. Ges., vol. XVIII, pag. 674, tav. XIII, fig. 6, 7. 1870. — — (non Emmrich) Tietze. Palaeontographica, vol. XIX, pag. 126, tav. XVI, fig. 1. 1894. — (7rimerocephalus) anophthalmus Frech. Karn. Alpen, pag. 270-71. 1896. Z7rimerocephalus typhlops Gùrich, Verh. k. Russisch. mineral. Ges., ser. 2, vol. XXIII, pag. 359, tav. XV, fig. 7 a, db. 1896. Phacops caecus Gùrich. Ibid., pag. 362, tav. XV, fig. 4 a-c. 1899. _ (Trimerocephalus) anophthalmus De Angelis. Mem. R. Acc. Lincei, ser. 5, vol. III, pag. 19, fig. 5 A-C. Capo a contorno variabile dalla forma semicircolare alla semiovale o semiellittica, troncato o sinuato in addietro, sempre molto convesso, con gli angoli posteriori arroton- dati. Il rapporto fra altezza e larghezza oscilla, anche negli esemplari tipici, fra "x @ “Ao La glabella, molto rigonfia e protesa in avanti, nasconde e oltrepassa il margine frontale. Il suo contorno è ora securiforme, ora spatolato, ora flabellare, con i solchi assiali diritti o concavi verso l’ esterno e il margine anteriore arcuato fino a esser talvolta semicirco- lare. L'angolo dei solchi assiali varia fra 50° e 80°, mantenendosi per lo più vicino ai 70°. Il solco occipitale è per lo più sinuoso ; dei solchi laterali è presente soltanto quello basale, diretto orizzontalmente, ridotto talora a due segmenti laterali che non arrivano a con- giungersi e che non appaiono sulla faccia interna del guscio. Il lobo o i lobi basali che ne risultano hanno la stessa altezza dell’ anello occipitale, che ha forma lineare, un po’ in- grossata nel mezzo. Notevole è la convessità delle guance, che sono subtriangolari, un poco più alte che larghe, arrotondate sopra tutto all’ angolo inferiore esterno. Del lembo riman- gono soltanto le parti laterali e la posteriore, essendo fusa con la glabella la parte fron- tale: esso ha larghezza notevole, ridotta in addietro, rilievo spiccato e superficie convessa; internamente è limitato da un solco in generale netto e profondo, che appare assai più = Soi forte sul modello interno del guscio e si attenua spesso in corrispondenza degli angoli posteriori. La superficie è quasi sempre liscia o un po’ scabra, con alcune granulazioni verso la fronte; esse però si estendono in rari casi a tutta la testa. Tali sono i caratteri del capo in questa forma poco nota, quali si possono ricavare dagli esemplari delle Alpi Carniche e dell’ Europa centrale, dando al nome specifico il senso più largo. Rientrano nel ciclo del 7. anophthalmus le varietà e mutazioni seguenti : a typicus. Capo con angoli posteriori largamente arrotondati, troncato in addietro; glabella ampia, glabellare o trapezoidale, raramente (mut. typAlops [Girich]) spatolata ovvero (mut. Richteri n. nom. [= Phacops cryptophthatmus (non Emwmr.) Richter. L. cit., 1856]) securiforme e ristretta, mai semicircolare in avanti; superficie con granulazioni soltanto alla fronte. — Tav. II [VII], fig. 12-14; fig. 15 (mut. typAlops); fig. 16 (mut. Rzchtert). 3 Tietzei n. nom. (= Phacops cryptophthalmus [non Emmr.| Tietze. L. cit, 1870). Capo molto sinuato in addietro, con angoli posteriori appena ottusi; glabella nettamente semicircolare in avanti; superficie c. s. -—— Tav. II [VII], fig. 18. y caecus Gùrich sp. (= Phacops caecus Girich. L. cit., 1896). Capo sinuato in addietro ; gla- bella c. s.; superficie tutta granulosa. -— Tav. II |VII], fig. 17. Della Carnia conosco un solo esemplare intero riferibile al 7. anophthalmus. È un capo ridotto al modello interno e conservato nel museo geologico di Pavia; vari altri fram- menti sono mal conservati e hanno scarso interesse. L’ esemplare, che ho disegnato accu- ratamente nella tav. I [VI], fig. 22, è forse lo stesso che il De Angelis studiò e figurò nel suo lavoro: me ne toglie la certezza |’ imperfetta corrispondenza tra l’ esemplare e la fisura. A ogni modo, il capo conservato a Pavia è, fra tutti quelli a me noti, il più somi- gliante al disegno originale del Roemer (1866) su cui il Frech istituì il nuovo nome specifico. Il Frech cita bensì anche la figura del Tietze; ma essa, come abbiam visto, rappresenta una forma diversa da quella dei Roemer. Le dimensioni dell’ esemplare carnico sono le seguenti : IMEZA IA KERI I o e e IE RESNEZZ AR A fo n n ae EE OLO NltezzazdelatalabellaBf, 2 Sese RE e e >» 6 Larghezza » RR ERA sco BIRRA. SOMIONNROAR NERI PST » 63 » Massima delMle nb RR ee » 1,2 Anoologdei solehiLassiali 3 . alate doca deb. erat. 70° Calcari sopra la Cas. Primosio di mezzo. 33. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) carinthiacus Frech em. — Tav. Il [VII], fig. 11. 1894. Phacops (Trimerocephalus) carinthiacus Frech. Earn. Alpen, pag. 271. 1899. —_ — — De Angelis. Mem. R. Acc. Lincei, ser. 5, vol. III, pag. 20, fig. 6 A-C. Il capo rinvenuto dal De Angelis è ancora il solo frammento di questa specie che sia stato isolato dai calcari del M. Primosio. La descrizione del De Angelis e la figura che l’ accompagna (da cui ho ricavato il lucido della tav. II [VII], fig. 11) mi dispensano da _ 2382 — ogni cenno descrittivo. Le dimensioni dell’ esemplare, stando all’ accennata figura, sono le seguenti : Ailtezzafidellicapo (o. << CER eee e 0 IRSA NE ea 10 lultezza della\alabella Ml, (HH AREE RE (TRE ORARI ESE AOT ao e 13: Larghezza » vid EROE A RAIN ISO » massima del lembo Re Rea 1,4 mn cologdessolchilass LR NOP Calcari sopra la Cas. Primosio di mezzo. — Museo geologico di Roma. 89. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) carnicus n. f. Tav. I [VI], fig. 24 4-c, e tav. II [VII], fig. 19. Contorno del capo semiellittico, con tendenza alla forma ogivale, un po’ meno largo che alto; convessità e spessore molto forti; margine posteriore concavo esternamente ; angoli posteriori acuti o appena ottusi, non arrotondati. Glabella molto rigonfia, in modo che la sua superficie superiore prende in sezione trasversa un contorno semicircolare ; forma della glabella flabellare, coi lati un po’ concavi verso le guance e il margine ante- riore semiovale; un po’ strozzata in addietro dopo il solco intercalare, che è il solo dei laterali presente e che è parallelo al soico occipitale. Guance subtriangolari, fortemente convesse. Porzione anteriore del lembo fusa con la glabella ; porzioni laterali e posteriore non molto larghe, a rilievo mediocre. Estensione della glabella uguale a metà circa del capo. Superficie liscia. AICEZZA \del'CAPpoo tie Ci TI AI OA ANSA O Earehezza; "cy: MH a Rf pl, RERRRNV ARE. IP VIUTOO, SE VU) CE CSO) OTO Spessore >» ric. tagnuie ibi. sett ERESIA BIS: Altezza della-glabella 0 ea Rei Larghezza » sa O Ro ni O e TO » massima deldembo ft ee eee ATROo det sgontesgàli sd so 0 Se a oe Gina TO È prossimo al 7. anophthalmus, da cui si distingue però nettamente per il contorno più slanciato del capo, la sua convessità fortissima e il conseguente spessore, la poca lar- ghezza del lembo e la forma degli angoli posteriori. Ne ho isolato anche una parte del torace, ma è troppo malconcia per poterne rilevare i minuti caratteri. Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. 40. Trimerocephalus (Microphthalmus) cryptophthalmus Emmrich sp. Tav. I [V]], fig. 20, 21, e tav. II [VII], fig. 2021. 1845. Phacops cryptophthalmus Emmrich. Veber die Trilobiten. Leonhard u Bronn's N. Jahrb. Io INDI (GG, ja 276 dI). Go, 1850. — = Sandberger. Verst Rhein. Schicht. Syst. Nassau, pag. 13, tav. I, fig. 6 (partim). 1870. = sp. indet. Tietze. Palaeontographica, vol. XIX, pag. 126, tav. XVI, fig. 2 (non fig. 1!). 1894. _ (Trimerocephalus) cryptophthalmus Frech. Karn. Alpen, pag. 270-71. — 233 — Per i motivi accennati trattando del genere Trimerocephalus e per la mancanza di u esame critico accurato, si produsse e continuò a lungo una confusione non indifferente tra le forme giustamente ascrivibili al 7. cryplophthalmus e quelle attribuite per errore alla medesima specie. E merito del Frech avere in gran parte dilucidato la questione, che dal nostro De Angelis fu pure meglio chiarita, ma in cui altri punti debbono essere ancora trattati. Ritornando agli esemplari originali dell Emmrich e alle pochissime forme che ne ripetono i caratteri essenziali, la descrizione della specie può essere fissata come segue. Capo a contorno semicircolare, un po’ sinuoso o troncato in addietro. Glabella rigonfia e convessa, al pari delle guance; a contorno flabellare, strettamente curvato a semicerchio in avanti. Solchi assiali netti e profondi, leggermente concavi verso l’ esterno, diretti uno ‘verso l’ altro con un angolo prossimo ai 70°, Dei solchi laterali sono presenti soltanto due basali, uno per lato, ricongiunti nel mezzo in un solco unico soltanto nel modello interno del guscio; i lobi o l’ anello basale così limitati sono alti quanto l’ anello occipitale, che è rilevato a cordoncino. Le guance occupano insieme un’ area minore della sola glabella ; hanno contorno subtriangolare-equilatero, con gli angoli smussati e i lati debolmente con- vessi verso l’ esterno. Gli occhi piccoli, formati da poche lenticelle, sono come due minu- scoli ma ben netti rilievi emisferici nell’ angolo anteriore delle guance. Il lembo, largo come l'anello occipitale, è ben delimitato dal solco omonimo e si fonde con la glabella in avanti. Gli angoli laterali sono smussati o arrotondati. La superficie appare minutamente granu- losa sotto la lente. Il pigidio è così definito dai fratelli Sandberger: « breve obrotundatum, ex arti- culis 8, pseudopleuris 5, compositum ». Nel materiale da me raccolto si trovano un capo e un pigidio che senza dubbio alcuno appartengono al 7. cryptophthalmus. Il capo corrisponde appieno ai caratteri su- esposti. È troncato alla base e con gli angoli posteriori arrotondati. Ha un’ altezza massima di mm. 3 e una larghezza di mm. 4; la glabella è alta mm. 2,7 e larga altrettanto. Nel pigidio non sì possono veder bene i segmenti dell’ asse, a cui manca la parte superiore. Le pleure lasciano scorgere 5 coste, di cui la prima bifida; tutte però a rilievo debolissimo. L’ asse non tocca il margine posteriore; è largo appena la metà di ciascuna pleura ; i suoi lati formano un angolo di circa 25°; è molto rigonfio, mentre le pleure hanno convessità debolissima. Non vi è separazione netta fra il lembo e il resto del guscio; il solco del lembo è indistinto. Il contorno generale del pigidio forma un arco molto aperto e non giunge a descrivere un semicerchio; I° altezza (mm. 2,8) è metà circa della larghezza (mm. 6). Dalla sinonimia che ho riportato più sopra si ricavano le località dove la specie fu con certezza rinvenuta sinora: bacino del Reno ed Ebersdorf. Le altre località indicate vanno tutte escluse o messe in quarantena, come si può vedere nella breve rassegna che mi sembra opportuno di farne. l. Strati a Ciprinidi della parte occidentale dell’ Harz, nella Lautenthal (Roe mer. Palaeontogra- graphica, vol. III, 1850, pag. 42, tav. VI, fig. 14). È una forma cieca, con i solchi assiali concorrenti ad angolo ottuso, glabella poco protratta in avanti, guance molto sviluppate in larghezza, capo una volta più largo che alto è molto affine, se non identica, al 7. laevis. =— foi = 2. Selva di Turingia (Richter. Denkschr. k. Ak. Wiss. Wien, vol. XI, 1856, pag. 116, tav. II, fig. 2-5). È la mia mut. Richteri del 7. anophthalmus sopra descritta. 8. Newton Bushell, nell’ Inghilterra meridionale (Salter. A Monograph of British Trilobites. Palaeont Soc., vol. XVI, 1864, pag. 17, tav. I, fig. 8). È un vero Phacops, con occhi molto svilup- pati, semilunari; i suoi caratteri si accostano molto a quelli del PR. latifrons Bronn sp. (1), a cui giustamente la riporta il Whidborne (2). 4. Fra il Kanzelberg e la città di Kielce, in Polonia (Roemer. Zeitschr. Deut. geol. Ges., vol. XVIII, pag. 674, tav. XIII, fig. 6, 7). Già il Roemer aveva notato la assoluta mancanza degli SG È l'esemplare su cui il Frech istituì il 7. anophrthalmus. . Ebersdorf: appartiene al 7. cryptophthalmus l’esemplare descritto e figurato dal Tietze cm. e, come Phacops sp. ind.; quello da lui determinato per Phacops cryptophthalmus (L. cit., tav XVI, fig. 1) è il 7. anophthalmus var. Tietsei. 6. Strati a Ciprinidi e a Climenie del Waldeck (Holzapfel. VÀ Goniatiten-Kalke von Adorf in Waldeck. Palaeontographica, vol. XXVIII, 1882, pag. 232). La mancanza di figure e di qualsiasi cenno descrittivo impedisce di stabilire di qual forma si tratti. 7. Neodevonico medio presso Cabrieres (Frech. Zeitschr. Deut. geol. Ges., vol. XXXIX, 1887, pag. 438). Come sopra. 8. Versante meridionale del M. Pal Grande, in Carnia (Geyer. Verh. k. k. geol. R.-Anst., 1894, pag. 118). Neppure il Geyer figura nè descrive gli esemplari; ma la nota accuratezza dell’ autore, che probabilmente potè tener conto delle osservazioni del Frech, rende probabile l’ esattezza del riferimento. Nei calcari del M. Primosio il 7. cryptophthalmus fu raccolto presso la Cas. Primosio di mezzo. 41. Trimerocephalus (Microphthalmus) cfr. pseudo-granulatus n. nom. — Tav. II [VII], fig. 22. 1848. Phacops limbatus Richter. Erster Beitrag sur Paldontologie des Thiringer Waldes, tav. II, fig. 18-21. 1848. — (2) granulatus (non v. Minster sp.) Richter. Zbid., pag. 20, tav. II, fig. 23-31. 1856. = - (non v. Miinster sp.) Richter. Denkschr. k. Ak. Wiss. Wien, vol. XI, pag. 107, tav. I, fig. 1-5 (sym. eacl.). Un pigidio molto piccolo, con superficie assai minutamente granulosa, a contorno semi- circolare, un po’ più largo che alto; asse fusiforme, ben rilevato, ottuso all’ apice, largo alla base meno delle pleure, con segmenti poco numerosi e poco ricurvi; pleure a con- vessità leggera, con segmenti quasi indistinti, separati da solchi leggeri e lineari; lembo mal definito, non raggiunto dall’ asse; guscio piuttosto esile. ANGEZZA NT REPERTI n e n RESO ASSOC NICOTRA NANI Larghezza » Alla base. MEO TR RZ ESE. » 3,0 Tunehezza delli asse az I AIeSNt le beni deste NA Per quanto si può giudicare dai caratteri del pigidio, si tratta quasi certamente della forma descritta e figurata dal Richter sotto il nome di Phacops granulatus. Tale forma è però ben diversa dal Phacops granulatus Mstr. sp. (3), sia nei caratteri del pigidio, sia (1) Vedi Burmeister. Die Organisation der Trilobiten, Berlin, 1843, pag. 105, tav. II, fig. 4-6. (2) Widborne. Palaeont. Soc., vol. XLII, 1888, pag. 6. (3) Vedi Salter. Palaeont. Soc., vol. XVI, 1864, pag. 18, tav. I, fig. 1-4; — Kayser. Bestrdge zur Kenntniss von Oberdevon und Culm am Nordrande des rheinischen Schiefergebirges. Jahrb. Preuss. geol. L.-Anst. f. 1881, pag. 56, tav. I, fig. 1, 2. — 239 — im quelli del capo. Il pigidio infatti è nella specie del v. Miinster molto più allargato, avendo larghezza doppia dell’ altezza.; la sua. granulosità è più accentuata, 1’ asse meno ottuso all’ apice e coi lati concorrenti ad angolo maggiormente aperto. Il capo del vero Ph. granulatus è provvisto di due occhi molto sviluppati, reniformi, con un gran numero di faccette; le sue guance sono profondamente incise; la glabella è flabellare e rigonfia; la granulosità forte e grossolana. La forma disegnata dal Richter ha invece occhi molto ridotti, con 5 a 12 facette soltanto; glabella ora ovale, ora. subcircolare; granulazione minuta. È insomma un vero Trimerocephalus della sezione Microphthalmus, distinto sopra tutto per la forma della: glabella e il suo notevole avanzarsi sopra il margine , anteriore del..capo. L’ esemplare carnico proviene dai calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. 42. Trimerocephalus (Microphthalmus) acuticeps Kayser. Tav. I [VI], fig. 23 a-c, e tav. Il [VII], fig. 23, 24. 1889. Phacops (Trimerocephalus) acuticeps Kayser. Ueber ciniger neue oder wenig gehannte Ver- steinerungen des rheinischen Devon. Zeitschr. Deut. geol. Ges., vol. XLI, pag. 288, tav. XIII, fig. 6-6 d. LS La specie è caratterizzata dalla fortissima convessità del capo, dalla forma rombica della glabella che dà al contorno del capo medesimo una figura nettamente ogivale, e che presenta un solco anulare nella parte inferiore della fronte; dalla forma rigonfia delle guance, che, unita alla convessità della glabella, rende quasi ogivale anche la sezione trasversale del capo; dalle tracce di solchi trasversali che la glabella presenta nella sua metà posteriore. L’ angolo dei solchi assiali è di circa 70°. L’ unico esemplare che son riuscito a scoprire nel materiale di Primosio, per quanto mal conservato e incompleto, presenta in modo tipico gli accennati caratteri. I solchi tra- sversali sono però molto meno evidenti che negli individui renani, e la glabella è un po’ più slanciata. Inltezzagdel®capor Prima Ala Va I UM Parehezza gione ee a ani (8aL Spessore IRR Be AG Altezzardellatelapellate has gi Vitara Se csiinotr,. e DIAZ Larghezza » ii ana rene ae E re Vir Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. Fan. Proétidae Barrande. Proétus Steininger. 43. Pròetus cfr. Phocion Billings. — Tav. I [VI], fig. 25. 1874. Proétus Phocion Billings. Palaeozoie Fossils of Canada, vol. II. Mem. Geol. Surv. Canada, pag. 63, tav. I, fig. 31. 1888. —_ —_ Halle Clarke. Pal. New York, vol. VII, pag. 125, tav. XXV, fig. 9, 10. Due pigidi. a uno dei quali è unita parte degli ultimi segmenti del torace. Contorno Serie VI. — Tomo IV, 32 — 236 semiellittico, ma col margine anteriore notevolmente convesso ; larghezza quasi doppia della lunghezza ; superficie liscia. L’ asse, con la maggior larghezza alla base, occupa quivi un terzo del pigidio; è composto di 8 o 9 segmenti, ben visibili soltanto ove sia asportata parte del guscio : in caso diverso i primi soli sì posson distinguere, non rimanendo alcuna traccia dei successivi all’ infuori di lievissime linee trasversali che vanno man mano obli- terandosi. I segmenti sono un po’ arcuati lateralmente, e rettilinei nella parte mediana. L’ asse vien limitato da un leggerissimo solco ; il suo apice ha un contorno semicircolare e tocca il margine interno del lembo, da cui si eleva con inclinazione dolce e graduale. Caratteri analoghi ai segmenti dell’ asse hanno i segmenti delle pleure ; sono rilievi debo- lissimi, ben presto evanescenti. La convessità delle pleure è molto debole, come è debole il rilievo dell’ asse. Il solco del Jembo è appena accennato da una depressione leggera e sfumata ; il lembo stesso è ingrossato, largo, a superficie convessa. i II Altezza: del &bpisid 0A e ORO mm. 5,9 Larghezza » MRO EL > 10,5 » 9 Munshezzaita eliltass eee » 4,5 dd Larghezza » ae e gi GI RE DMr3;0 » 39 Larghezza massima del lembo . .....° >» 1,2 » bl Dalla semplice descrizione appare subito la somiglianza grande fra gli esemplari car- nici e il P. Phocion. Particolarmente notevoli sono, fra i caratteri comuni, la larghezza del lembo con il solco omonimo così superficiale, l’ asse e le pleure con rilievo debole e segmenti così poco spiccati. Questi ultimi sono forse ancor più minuti nei miei due pigidi, e, a quanto sembra, in numero alquanto minore. Le dimensioni dei pigidi americani sono doppie delle nostre; ma un particolare nanismo è carattere generale della fauna primo- siana. Noterò da ultimo come gli esemplari in questione abbiano pure affinità con il P. Rowi Green sp. (1), che però a una statura maggiore unisce un rilievo dei segmenti costitutivi molto più forte. Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. 44. Proétus sp. ind. Alcune glahelle poco rigonfie, con superficie apparentemente liscia e contorno semio- vale, non o appena più lungo che largo. Manca ogni traccia di solchi e lobi laterali. Sol- chi assiali e solco occipitale poco profondi; quest’ ultimo diritto o poco sinuoso. Anello occipitale con scarso rilievo ma notevole altezza. Dimensioni piccole : da 3 a 5 millimetri per l’ altezza, da 3 a 45 per la larghezza. La forma della glabella ricorda il P. batillus Whidborne (2) e il P. lepidus Bar- rande (3); la levigatezza e il rilievo sono come nel P. superstes dello stesso autore (4). Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. (1) Cfr. Hall e Clarke. Pal. New York, vol. VII, 1888, pag. 119, tav. XXI, fig. 2-6 e 24-26, e tav. XXIII, fig. 20-29. (2) Whidborne. Palaeont. Soc., vol. XLII, 1888, pag. 20, tav. I, fig. 23-26, e tav. II, fig. 1-4. (3) Barrande. Syst. Silur. Boheme, vol. I, 1852, pag. 466, tav. XVI, fig. 28-30. (4) Barrande. Z%d., vol. I, 1852, pag. 441, tav. XV, fig. 5-9. — pesi Dechenella Kayser. 45 Dechenella Vinassai n. f. — Tav. I [V]], fig. 26, e tav. II [VII], fig. 31. Glabella depressa, ben poco rigonfia, a contorno un po’ obcordato. Il margine ante- riore è arrotondato; il posteriore quasi rettilineo, appena sinuato; i laterali dolcemente arcuati a convessità esterna, con una leggera sinuosità rientrante nella parte anteriore. Dei solchi laterali non vi è altro accenno se non due lievi e strette impressioni arcuate, in forma di virgola, disposte una per lato presso la base della glabella, e dirette obliqua- mente; ciascuna di esse occupa un quinto della larghezza della glabella. Il solco del lembo e quelli assiali sono distinti, ma accennati soltanto da un’ impressione lineare; più netto, più profondo e alquanto più largo è il solco occipitale. L anello occipitale, abbastanza ben rilevato, è leggermente convesso in addietro, e la sua massima altezza uguaglia un quinto della larghezza; nel mezzo porta un minuto tubercolo arrotondato. Il lembo è conservato soltanto in parte della regione frontale ; è largo un po’ meno dell’ anello occipitale e rimane separato dall’ apice della glabella da un intervallo spianato di uguale larghezza. La super- ficie è liscia. Alltezzafideltcapotdallafirontefalifoceipite ti ii 355 Se della otabella: Gf e eh e O EE e 2,0. Larghezza » MI eee n Re Rassomiglia notevolmente al Proétus unguloides Barrande (1), che io ritengo una vera Dechenella, e del quale riporto un lucido nella tav. II [VII], fig. 30. Nell’ esemplare descritto la glabella ha però un contorno più allargato alla base e relativamente più atte- nuato in avanti; i suoi margini laterali e il solco occipitale presentano una leggera sinuo- sità che manca nella forma boema; 1 due leggeri solchi basali sono meno estesi ; 1° anello occipitale è in proporzione più alto. Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. 46. Dechenella italica n. f. — Tav. I [VI], fig. 27, e tav. II [VII], fig..32. Glabella depressa, a contorno slanciato, ovale oblungo, poco ristretto in alto, un po’ di- latato alla base. Margine anteriore regolarmente arrotondato a semicerchio, il posteriore appena leggermente sinuato, i laterali quasi paralleli fra loro in avanti, poi convessi all’ e- sterno. Solco del lembo, solchi assiali e occipitale come nella forma precedente. Solchi laterali conformati anch’ essi come nella D. Vinassai, ma un po’ più estesi, così da occu- pare ciascuno un quarto della larghezza della glabella. Anello ocgipitale quattro volte più largo che alto, a lati anteriore e posteriore paralleli, fuorchè nella zona mediana, dove l’anello tocca il massimo della sua altezza ed è provvisto di un tubercolo centrale molto piccolo e appena ottuso all’ apice. Lembo frontale largo come l’ anz!lo occipitale, separato (1) Barrande. Syst. Silur. Boheme, vol. I, pag. 443, tav. XV, fig. 23-27. = Waoig a dall’ apice della glabella da un intervallo spianato un po’ più largo dal lembo stesso. Super- ficie liscia. Altezza fdellisapo;tdalla fronte (all'focceipliie RR ea » della glabellat it ee io A RO O Larghezza » E I td ZI Anche la D. italica assomiglia alla D. urnguloides, ma se ne distingue facilmente per la forma della glabella e dell’ anello occipitale. Per il contorno della glabella, è intermedia fra la D. Vinassai e la D. unguloides da un lato, e la D. pusilla Girich (1) dall’ altro. In quest’ ultima, la glabella è ancor più allungata, più attenuata in avanti, e vi sono le tracce di un secondo paio di solchi laterali. I semplici contorni deila fig. 33, tav. II [VII], che ho ricavato dalla. figura del Giirich, permettono di apprezzare facilmente le diffe- renze notate. Calcari presso la Cas. Primosio di mezzo. CONCLUSIONI Il quadro a pag. 240 e 241 dà il prospetto generale della fauna studiata e riassume i suoi rapporti con le devoniane più note. La forte percentuale di forme neodevoniche superiori risulta evidente anche all’ esame più sommario; ma la presenza delle dieci Climenie ci dispensa da ogni altro confronto diretto a stabilire 1’ età della fauna e dei calcari che la racchiudono. La presenza di forme ritenute proprie di livelli più antichi è uno dei risultati paleontologici e stratigrafici del nostro studio, in quanto ci fa meglio conoscere la diffusione di tali organismi nel tempo. Tali sono la Cardiola Beushauseni, il Tornocerus cinctun, il Trimerocephalus acuticeps ; e, in via subordinata, gli Orthoceras lineare e conulus, Vl’ Anarcestes Denckmanni, il Tor- noceras convolutum, il Proétus Phocion. È singolare a questo proposito come nella fauna in esame, la quale spetta al Sopradevonico più recente, compaiano forme identiche o molto simili a specie mesodevoniche, e nessuna invece propria del Carbonifero anche più antico. Negli strati a Climenie della Carnia la facies dominante è quella distinta dal Frech (2) come facies a Cefalopodi, e più precisamente dei calcari varicolori a Cefalopodi; facies a cui spettano nel Devoniano superiore i calcari del Fichtelgebirge. È particolarità generale della fauna la dimensione ridotta di tutte le specie, come negli scisti e marne a Cefalopodi dell’ Europa occidentale e centrale. Il carattere paleontologico prevalente dei fossili primosiani è determinato sopra tutto da alcune specie che vi sono oltre modo frequenti: Clymenia laevigata, Orthis foroju- (1) Gùrich. Verh. k. Russisch. mineral. Ges., ser. 2, vol. XXIII, 1896, pag. 373, tav. X, fig. 1; — Id. N. Jahrb. f. Min. etc, Beil.-Bd. XIII, 1900, pag. 365, tav. XV, fig. 10. (2) Frech. Lethaea palaeozoica, vol. II, 1897, pag. 134. — 239 — liensis, Clymenia undulata, Aganides sulcatus, Cardiola retrostriata. È singolare 1’ abbon- danza della Ortis forojuliensis, che non è prossima ad alcuna forma neodevonica e che viene seconda pel numero degli esemplari, da cui la roccia è talora gremita. D’ altra parte, va segnalata la totale assenza di Coralli, di Briozoi e specialmente di Ciprinidi, che nei depositi europei sincroni al nostro sono spesso copiosi, e non mancan neppure nella piccola faunula a Climenie delle Alpi Stiriane (1). La grande povertà di forme dei Brachiopodi, comune con molti giacimenti sopradevoniani dell’ Europa centrale, sì accompagna con la scarsezza dei Gasteropodi e in numero di specie e in numero di individui. --Lamellibranchi hanno una proporzione veramente notevole di forme endemiche, che può aver la sua causa nella lontananza del bacino carnico dai luoghi ove si svolgeva più rigogliosa la vita nei mari sopradevonici europei. I Cefalopodi, tutti identici o affini a quelli già noti, parrebbero forse oppugnare questo concetto. Ma non va dimenticato che .molto probabilmente le loro larve potevano, come organismi planktonici, subire trasporti passivi per opera dei flutti e delle correnti marine; che la varietà carnica del Torno- ceras Escoti ha i caratteri di una mutazione locale ; che infine sul vicino M. Pal Grande il Frech giunse a scoprire l’ endemica CIymenia aegoceras. Delle numerose Climenie, che da sole costituiscono una quarta parte della nostra fauna, son nuove per l’Italia CI. an- nulata, CI. flexuosa, CI. angulosa, CI. bilobata ; il fossile guida Sporadoceras Miinsteri è nuovo per l’Italia continentale, e fu citato di Sardegna, non so su quali fonti e quali basi, dal Frech nella LetRhaea palaeozoica. Un buon numero delle nostre specie è dato infine dalle Trilobiti, che in parte almeno son degne di nota. Le due nuove Dechenelle sembrano collegare la D. pusilla, loro con- temporanea ed affine, della Polonia, con la più antica D. unguloides della Boemia. Il ge- nere 7yrimerocephalus compare con sei forme distinte, tre con occhi ridotti e tre cieche, di cui due sono finora endemiche; esse hanno permesso di sistemare e raccordare fra loro le specie note, e di studiare i caratteri diversi e mutabili di questi interessanti Crostacei. Se ora ci proviamo a confrontare la fauna del M. Primosio con le coetanee più cono- sciute, dobbiamo constatare per prima cosa la sua decisa indipendenza dalle faune d’Ame- rica, d’ Inghilterra e del bacino franco-belga. Scarsi legami si notano con le province renane; quattro sole specie (Posidonia venusta, Cardiola retrostriata, Orthoceras cfr. conulus, Clymenia striata) sono comuni ai giacimenti nostri e a quelli dell’ Harz. Quattro dei fossili carnici (RAynchonella var. platyloba, Clymenia annulata, CI. flexuosa, Torno- ceras simplex) sono pure state segnalate negli Urali; ma la scarsa messe paleontologica ivi scoperta rende ben maggiore la percentuale delle forme comuni. Le analogie più spiccate si riscontrano in ogni modo con i depositi della Selva di Turingia e del Fichtelgebirge, della Polonia e della Slesia, e dei dintorni di Cabrières in (1) Vedi A. Penecke. Das Grazer Devon. Jahrb. k. k. geol. R.-Anst., vol. XLIII, 1893, pag. 589. — Le specie rinvenute nella Stiria sono: RAynchonella sp., Posidonia venusta Mstr., Cardiola sp., Orthoceras interruptum Mstr.. ? Trochoceras sp., Clymenia laevigata Mstr., CI. flexuosa Mstr., Cl. undulata Mstr., CI. planorbiformis Mstr., CI. speciosa Mstr. sp. (?), CI. sp. n. ?, Gephyro- ceras retrorsum v. Buch sp. (?), Cyprilina cfr. serratostriata Sandb, — 240 — Je o19jJiuogieg | +|+|+|+|+ + sla +# +|+|+|+|+|+ + -|+|+|+ "IBA "IRA | ‘IRA| + "IVA + se las sin ST) Je als A#- | “IVA | "IRA "IRA| + “IRA SR Sk sap | “GER Zoe © | &| see le [See as ES E n. 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I monti della Polonia centrale hanno comuni con noi Posidonia venusta, Cardiola retrostriata, Clyimenia laevigata, Cl. annu- lata, CI. undulata, CI. bilobata, Cheiloceras lagowiense (aff.\, Sporadoceras Munsteri, Tri- merocephalus anophthalmus ; tutte queste forme, a eccezione del Cheiloceras e della CI. bilobata, compaiono nel classico giacimento di Ebersdorf nella Slesia, ove riscontriamo pure Clymenia striata, Cl. speciosa, Tornoceras Escoti, e un Trimerocephalus probabilmente i identico all’ anophthalmus o al cryptophthalmus. Le alture di Cabrières infine, diedero campo al Frech di scoprirvi, insieme a una quantità di materiale prezioso, una diecina dei fossili che abbiamo notato a Primosio. Oltre la solita Posidonia e la non meno diffusa Cardiola, vi sono le CI. laevigata, Dunkeri, undulata, striata e speciosa; vi compaiono il tipo del Tornoceras Escoti, l’ Aganides sulcatus, lo Sporadoceras Minsteri, e non manca un Trimerocephalus certamente affine ad alcuno dei nostri. È opportuno osservare da ultimo come si abbia concordanza completa tra le faune del M. Primosio e del M. Pal Grande, le quali spettano al medesimo piano non solo, ma anche allo stesso orizzonte, e mantengono l’ identica posizione rispetto alle faune contemporanee. Riassumendo adunque, la fauna a Climenie delle Alpi Carniche ha innegabilmente un carattere suo proprio, di cui la sua posizione isolata può farci interpretare la causa; ma, sopra tutto nei Cefalopodi, ha altresì rapporti di affinità non trascurabile con le faune sincrone della Linguadoca, della Germania centrale e della Polonia. E siccome dobbiamo oggi ritenere che non soltanto i Brachiopodi e i Molluschi inferiori, ma anche le Ammoniti paleozoiche vissero nei mari sul fondo dei quali ine ritroviamo le spoglie, così possiamo concludere che nel mare relativamente basso, che ricopriva la regione carnica sul finire del periodo devonico, regnavano condizioni fisiche e biologiche molto simili a quelle domi- nanti sull’ Europa centrale. Bologna, R. Istituto geologico, maggio 1907. vc eni pr » UE Il a, db. a-c. a, db. AC. a-d . a-C . a, bd. a, db. A-C . I SPURGAZIONENDERIAAAVOLAL VI]: Orthis forojuliensis n. f. Valve dorsali; ingr. 3, — pag. 204. Orthis forojuliensis n. f. Valve ventrali; ingr. 3, — pag. 204. Rhynchonella acuminata Mart. sp. var. platyloba Sow. sp. Esemplare giovane: 6 a dal lato ventrale, 6 è dal lato dorsale, 6 c di fianco, 6 d dal lato frontale ; ingr. 3, — pag. 206. Posidonia primosica n. f. Valva destra: 7 a l'esemplare di faccia, ingr. 3 volte; 7 db fram- mento della superficie a forte ingr., — pag. 207. Posidonia venusta Mstr. Valva destra; ingr. 3, — pag. 208. Posidonia venustà Mstr. var. carinthiaca Frech em. Valva sinistra; ingr. 3, — pag. 209 Macrodon (?) Taramellii n. f. Valva destra; ingr. 3, — pag. 209. Edmondia Clymeniae n. f. Valva destra: 11 a di faccia, 11 b dal lato superiore; ingr. 10, — pag. 213. Platyceras punctillum n. f. Esemplare ingr. 10 volte: 12 @ dal lato superiore, 12 d di fianco, parallelamente all'asse minore, 12 c id., parallelamente all'asse maggiore, — pag. 215. Orthoceras cfr. lineare Mstr. Esemplare visto di fianco; ingr. 5, — pag. 216. Tornoceras cfr. convolutum Holz. Esemplare giovane; ingr. 2, —- pag. 223. Tornoceras simplex v. Buch sp. Fig. 15 a, © esemplare giovane, in grand. nat.; 15 c linea lobale dello stesso, — pag. 223. Cheiloceras sp., aff. lagowiense Gir. Esemplare in grand. nat., — pag. 225. Tornoceras Escoti Frech var. carnicum n. f. Fig. 17 a, b esemplare in grand. nat.; 17 c linea lobale dello stesso, — pag. 224. Clymenia (Cyrtoclymenia) laevigata Mstr. Esemplare giovanissimo ; ingr. 3,5, — pag. 217. Clymenia (Cyrtoclymenia) angustiseptata Mstr. Esemplare giovane, conservato nel Museo geologico dell’ Università di Roma; ingr. 2,9, — pag. 218. Trimerocephalus (Microphthalmus) cryptophthalmus Em mr. sp. Pigidio; ingr. 3, — pag. 232. Trimerocephalus (Microphthalmus) cryptophthalmus Emmr. sp. Capo; ingr. 3, — pag. 232. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) anophthalmus Frech. Capo, conservato nel Museo geologico dell’ Università di Pavia; ingr. 3,3, — pag. 230. Trimerocephalus (Microphthalmus) acuticeps Kays. Capo: 23 @ dal lato superiore, 23 b di fianco, 23 c dal lato inferiore ; ingr. 3, — pag. 235. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) carnicus n. f. Capo: 24 a dal lato superiore, 24 b di fianco; 24 e dal lato anteriore; ingr. 3, — pag. 232. Proétus cfr. Phocion Bill. Pigidio; ingr. 2, — pag. 235. Dechenella Vinassai n. f. Capo; ingr. 3, — pag. 237. Dechenella italica n. f. Capo; ingr. 3, — pag. 237. N. B. - Salvo indicazione contraria, gli esemplari figurati appartengono alla mia collezione, conservata nel Museo geologico dell’ Università di Bologna. Serie VI. — Tomo IV. 30 » LOSE. a, d. e 9. SPIGNO NI AEREA de AT] Bellerophen Frechi De Ang. Esemplare conservato nel Museo geologico di Pavia: 1 @ di faccia; 1 b dal lato destro; 1 c dal lato sinistro; grand. nat., — pag. 214. Clymenia (Sellaclymenia) cfr. bilobata Mstr. Esemplare giovane, della mia collezione ; grand. nat., — pag. 221. Clymenia (Sellaclymenia) cfr. bilobata Mstr. Sezione trasversale; mia collezione; ingr. 2, -— pag. 221. Sporadoceras Minsteri v. Buch. Esemplare del Museo geologico di Pavia; grand. nat., — pag. 226. Clymenia (Gonioclymenia) speciosa Mstr. sp. Esemplare del Museo geologico di Pavia; grand. nat., — pag. 222. Clymenia (0xyclymenia) undulata Mstr. Sezione longitudinale; Museo geologico di Pavia; grand. nat., — pag. 220. Ciymenia (0xyclymenia) undulata Mstr. Esemplare giovanissimo, della mia collezione ; ingr. 2, — pag. 220. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) laevis Mstr. sp. Capo degli esemplari inglesi figurati dal Salter (1862); grand. nat., — pag. 229. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) laevis Mstr. sp. Capo dell'esemplare del Lauten- tal figurato dal Roemer (1850); grand. nat., — pag. 229. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) carinthiacus Frech ms. em. Capo figurato dal De Angelis e conservato nel Museo geologico di Roma; ingr. 3, — pag. 231. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) anophthalmus Frech. Capo figurato dal De An- gelis; ingr. 3, — pag. 230. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) anophthalmus Frech. Capo disegnato nella tavola precedente (fig. 22); ingr. 3,3, — pag. 230. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) anophthalmus Frech. Capo disegnato dal Roemer (1866) e proveniente da Kielce; ingr. 3, — pag. 230. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) anophthalmus Frech, for. typhliops (Gir.). Capo disegnato dal Giirich (1896); ingr. 3, — pag. 231. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) anophthalmus Frech, for. Richteri n. nom. Capo figurato dal Richter (1856); ingr. 3, — pag. 231. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) anophthalmus Frech, var. caecus (Gùr. sp.). Capo figurato dal Guùrich (1896); ingr. 2, — pag. 231. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) anophthalmus Frech, var. Tietzei n. nom. Capo figurato dal Tietze (1870) e proveniente da Ebersdorf; grand. nat., — pag. 231. Trimerocephalus (Eutrimerocephalus) carnicus n. f. Capo disegnato nella tavola precedente (fig. (2% a); imgn 8, — pag. 232. Trimerocephalus (Microphthalmus) cryptophthalmus Emmr. sp. Gapo figurato dal Tietze (1870) e proveniente da Ebersdorf; grand. nat., — pag. 232. Trimerocephalus (Microphthalmus) cryptophthalmus Emmr. sp. Capo disegnato nella ta- vola precedente (fig. 21); ingr. 3, — pag. 232. Trimerocephalus (Microphthalmus) pseudo-granulatus n. nom. Capo disegnato dal Richter (1856); grand. nat., — pag. 234. Trimerocephalus (Microphthalmus) acuticeps Kays. Capo figurato dal Kayser (1889) e proveniente dal Martenberg pr. Adorf; ingr. circa 2,5, — pag. 235. Trimerocephalus (Microphthalmus) acuticeps Kays. Capo disegnato nella tavola precedente (fig. 23 a); ingr. 3, — pag. 235. » — 245 — Trimerocephalus (Microphthalmus) mastophthalmus Richt. sp. Esemplari della Turingia figurati dal Richter (1856); grand. nat., — pag. 229. Trimerocephalus (Microphthalmus) Roemeri n. nom. Capo disegnato dal Roemer (1855) e proveniente da Schulenberg ; ingr. circa 2, — pag. 229. Trimerocephalus (Microphthalmus) macrocephalus Richt. sp. Capo dell'esemplare di Tu- ringia figurato dal Richter (1856); ingr. 4, — pag. 230. Trimerocephalus (Micropthalmus) incisus Roem. Capo figurato dal Roemer (1866) e pro- veniente da Rùbeland; grand. nat., — pag. 230. Dechenella unguloides Barr. sp. Capo figurato dal Barrande (1852); ingr. 3, — pag. 237. — In questa figura e nelle tre seguenti, per errore dell’ incisore, il contorno è chiuso agli angoli posteriori, mentre dovrebbe essere aperto per indicare la presenza del prolungamento spinoso. Dechenella Vinassai n. f. Capo disegnato nella tav. preced. (fig. 26); ingr. 3, — pag. 237. Dechenella italica n. f. Capo disegnato nella tav. preced. (fig. 27); ingr. 3, — pag. 237. Dechenella pusilla Gir. Capo figurato dal Girich (1896); ingr. 2, — pag. 238. piatt ‘'abtuti Matra 40 TAV. venato dI it: fra sr pla Api sl viti snai in) aranteani TIA, mont ani (ner aa "a MUR gal 0 rata ptt sputa "ati Lem S0 TA Penati ed cip af A atta n PRRNIIRRRE anta Nun at I 6, MI dt ù ptt) taslsih ind II prog AR MI bt oh bagagli set | il per CGICCUT Di i ; e: "uo ohMUbh, «Apt n RIST UR dii D : 4U Mal di! | i [ap s° "0 uni i Segre è ef in spirit pina, A "% nua meli n def n (Pacini silente ira ptt po ni — Mi Di i ME IRA 90) (Na slot AA PRA Ag 8 A fr Wi i ì A dal pf i ; i $ [URB INCI nta Edad da 9 pr Vasi a disivaind 8 se i st SRI Severi. SR aprirne gipo) 1 nallaoti attestati ; { pier Ì Ùu x ga ARRE ROL TL LATI a GEN at RI li Le } 4 . i . Î dIDv a Tn o a a‘ si N ile qpacozioe DL) Vl ADE | - ; È e lg DAT AA n Li: i è 7A Riuigrta zii ba ita i sii î x 5 dl 04° RI iti] 099 Laion Det ig adi i ER EP Aci ji Abc el sese: er i è) ‘Ul a ,) Meic® fata (SIE cok Leon Vprhoò hit moda Up a td i Lon agg 2 nio DT î h | n LP, Pel ai heat intel cd Pre è Copio Yematò gf TULI scopi Ka iore ‘È * Tape cale ISU if Ar e è Sa 1 sei Ro Lom, b pia: x P0 Ta Die st9A A % | pae inpaiz, Livm Peer i 3 pur Siani. trp blega: Maat] Birfofà è. 11009 TRINO. net tati n 1) val! DL) Ù 1] #1 En ù Y n lati GORTANI— Paleozoico carnico Mem.R.Acc.Sc. Bologna, Ser.VI.Tom.IV. IL Fauna a Climenie —TavI.(VI), 23 b 23 Cc 24a 24 b 24 c E.Contoli dis.e lit. Bologna- Lit e Fototip. F° Casanova e Figlio > «| ECONTOLI ING, AIA IZ IE ERA EI no TETI E AZIZ LIAN SIA NILE VIZIATA: | POTE. EE IIZE IZ TTI N ” sen Sia SULLA DISIDRATAZIONE E PRESA DEL GESSO MEMORIA DEL PROF. ALFREDO CAVAZZI (letta nella Sessione del 26 Maggio 1907). Nel 1888 il Le Chatelier potè dire con ragione, in una sua memorabile pubblica- zione intorno alla costituzione e presa dei cementi, che lo studio sulla disidratazione del gesso era rimasto incompleto. Oggi, non ostante le numerose esperienze fatte al medesimo fine, i chimici non sono ancora d’ accordo sullo stabilire il grado di calore a cui la sele- nite perde tutta l’ acqua di cristallizzazione. Secondo le ricerche del Payen ciò avver- rebbe fra 115° e 120°: secondo Shenstone e Cundall a 70° soltanto, laddove Millon e Plessy affermano che la disidratazione totale del gesso non è raggiunta che a 300°. Nella precitata pubblicazione il Le Chatelier pone come fatto ben accertato che la disidrata- zione del gesso crudo è incompleta a 155° e completa a 194°. Non minore incertezza rimane sulla temperatura a cui la disidratazione incomincia : a 115° secondo Payen, a 80° secondo altri e a 40° soltanto secondo Shenstone e Cun- dall. Di fronte a tanta disparità di affermazioni, le quali a mio avviso non sono da attri- buire a differenza dello stato molecolare del minerale cristallizzato nella forma propria della selenite, chiunque abbia obbligo di trattare di questo argomento nell’ insegnamento teorico e specialmente poi in quello della chimica tecnica, ben presto viene nel convinci- mento che senza l’ aiuto e l’ accertamento della propria esperienza non è possibile fornire sul fenomeno della disidratazione del gesso notizie abbastanza sicure e bastevoli rispetto alla preparazione ed uso di questo materiale cementante. Per uscire quindi dalle incertezze sopra un soggetto che è parte essenziale e obbliga- toria del mio insegnamento, intrapresi questo lavoro in cui riferisco brevemente i risultati delle prove eseguite sui voluminosi cristalli di selenite raccolti nelle ricche e rinomate ges- saie bolognesi e sopra un saggio ancor più perfetto e purissimo dello stesso minerale che ebbi in dono cortese dall’ amico Boeris, professore di Mineralogia nella nostra Università. E siccome nel fenomeno di disidratazione la quantità di acqua che il gesso perde, durante un certo periodo di tempo, dipende pure dalla grossezza delle sue particelle, così Serie VI. — Tomo IV. 34 — 248 — debbo dire che in tutte le mie esperienze ho operato sempre sulla polvere del minerale passata allo staccio di 4900 maglie e tenuta per molti giorni in essiccatore alla tempe- ratura ordinaria per privarla interamente dell’ acqua igroscopica. In ciascun esperimento introducevo gr. 5 di questa polvere entro un recipiente conico dell’ Erlenmeyer esatta- mente pesato. Alla bocca del recipiente era applicato un tappo di sughero portante un lungo tubo di vetro aperto ai due capi, il quale terminava di sopra in punta esile. Quindi immergevo il recipiente così preparato nell’ acqua o in un bagno ad olio e scaldavo per parecchie ore a temperatura determinata e costante, ripesandolo a periodi di tempo con- venientemente scelti. Ogni quarto d’ ora toglievo il tappo alla bocca del recipiente e aspi- ravo con tubo di vetro ricurvo l’ aria in esso contenuta, più o meno ricca del vapore pro- veniente dalla disidratazione del gesso. Così sottoposi in prove separate la selenite fornitami dal Prof. Boeris a 80°, a 100°, a 120°, a 140° e a 200°. Questa selenite, per disidratazione completa in crogiuolo di platino a temperatura non superiore al color rosso scuro, perde 20,915 di acqua su 100 di mine- rale, invece di 20,925 secondo la formola CasSO0,-24,0 calcolata per Ca= 40,10 — S 1921004016 4—1008° Esperienza I. — Dopo 5 ore di riscaldamento in bagno ad acqua a 80°, gr. 5 di sele- nite avevano perduto gr. 0,0462 di acqua, ossia 0,924 per 100 di minerale, ma la disidra- tazione incomincia senza dubbio a temperatura anche più bassa, come fu osservato da Shenstone e Cundall. Esperienza II. — In bagno ad acqua a 100° e dopo 24 ore di riscaldamento, gr. 5 di gesso cedettero 0,783 di acqua, ossia 15,67 per 100 di minerale, poi la disidratazione sì arresta: questo numer) corrisponde quasi esattamente ai %, dell’ acqua di cristallizzazione del sale messo in prova: in altre parole, per riscaldamento abbastanza prolungato a 100°, la quantità di acqua che viene da esso trattenuta corrisponde a quella dell’ idrato ben definito e conosciuto 2CaSO, : 4.0, che il Millon ottenne scaldando il gesso idrato a 110°. Il gesso cotto a 100°, ridotto in pasta con quantità bastevole di acqua, fa presa rapida e forte. Esperienza III. —- In bagno ad olio a 120° la disidratazione si arrestò dopo 18 ore di riscaldamento e la quantità di acqua trattenuta dal gesso fu di 0,631 e quella elimi- nata di 20,284 per 100 di minerale. È opportuno però aggiungere che dopo le prime tre ore di riscaldamento la perdita di acqua era già salita a 16,60 e dopo 9 ore a 18,94 per 100 di sale idrato. Esperienza IV. — In bagno ad olio portato a 140° la disidratazione della selenite si arrestò dopo 12 ore di riscaldamento : l’ acqua trattenuta per 100 di minerale fu di 0,513 e quella eliminata di 20,402. Dopo le prime 2 ore e '/ di riscaldamento l’ acqua perduta da 100 parti di minerale fu di 16,94 e dopo 5 ore e % di 20,36. Il gesso disidratato a 140° si comporta nella presa come quello cotto a 120°. Esperienza V. — In bagno ad olio a 200° la disidratazione si arrestò dopo 6 ore soltanto di riscaldamento : l’ acqua trattenuta a questa temperatura sarebbe 0,283 e quella — 249 — perduta 20,632 su 100 di selenite. Certo è che a 200° una piccola parte dell’ acqua resta, la quale, secondo il Millon, non può essere scacciata interamente che a 300° Questo arresto della disidratazione alle diverse temperature non si può spiegare che in due modi: o ammettendo che in ogni caso non tutte le molecole sono ugualmente disidratate o che l’acqua che in esso rimane sia ripartita uniformemente fra di esse. Nella seconda ipotesi il numero degl’ idrati che il gesso può formare sarebbe indefinito. Dopo queste prove parziali di disidratazione eseguite sopra saggi distinti di selenite riscaldata in ciascuna delle prove medesime ad un grado costante di temperatura, ho voluto pur io studiare l’intero andamento del fenomeno seguendo le indicazioni di un termometro immerso nella polvere di selenite sottoposta a riscaldamento progressivo. Ho detto pur io, perchè il merito di aver applicato questo metodo di ricerca al gesso spetta interamente al Le Chatelier, il quale, com’ egli dichiara nella precitata sua pub- blicazione, ha esteso a questo minerale il metodo di riscaldamento progressivo che fu immaginato dal Regnault per studiare le trasformazioni allotropiche dello zolfo fuso. Nelle esperienze del Le Catelier il gesso polverizzato era contenuto entro tubo di vetro immerso in un bagno di paraffina, ed un termometro indicava ad ogni istante la temperatura del sale. E da osservare che il bagno salì da 100° a 200° nello spazio di 36 minuti primi, cioè in tempo molto breve. Così operando il Le Chatelier trovò nella curva di riscaldamento del gesso due punti di arresto: uno a 128°, l altro a 163°, i quali a suo giudizio corrispondono a due fasi distinte della disidratazione. Egli afferma inoltre che durante la prima fase la quantità di acqua che il sale perde è perfettamente definita e che il prodotto ottenuto può essere rappresentato dalla formola Caso, -0,54,0. L'apparecchio da me adoperato si compone di un tubo d’ assaggio alto cm. 19 avente un diametro interno di cm. 3 e pareti con spessore di 1 mm. circa. Nel tubo introducevo a poco a poco della selenite più pura delle nostre colline bolognesi ridotta in polvere e passata allo staccio di 4900 maglie, finchè, battendo colle dita sui tubo per togliere i vani maggiori sulla massa del gesso, lo strato di polvere avesse raggiunto l’ altezza di cm. 6. Ciò fatto affondavo il tubo in un bagno ad olio tanto che, a temperatura ordinaria, il livello del liquido fosse di cm. 2 circa p.ù alto della superficie del gesso esi- stente nel tubo. Questo poi era ben fermato con pinzetta e così pure il termometro che facevo penetrare nel centro dello strato di polvere del minerale tanto che la parte più bassa del bulbo restasse a 2 cm. almeno di distanza dal fondo del tubo. L’ olio era con- tenuto in un largo bicchiere di vetro a fondo piatto, il quale poggiava sopra un sottile strato di sabbia posta sopra una padelletta di ferro che veniva riscaldata da un fornello a gas munito di molti fori disposti in ordine di circoli concentrici. Era necessaria una precisa indicazione delle condizioni in cui ho operato, perchè i risultati finali variano entro certi limiti col variare delle condizioni medesime. Il Le Cha- telier stesso nel suo lavoro più volte citato ha trovato che la temperatura di decompo- sizione del gesso varia colla rapidità del riscaldamento. L’artifizio usato nelle mie esperienze consisteva principalmente nel mantenere, per quanto mi fu possibile, fra la temperatura del bagno e quella del gesso contenuto nel tubo — Qa0 — una differenza di 30°, anche nel caso di arresto o di retrocessione nella temperatura segnata dal termometro interno. Per essere ben certo della retrocessione di temperatura era neces- sario regolare la fiamma in modo che il termometro del bagno restasse in qualche. caso stazionario e considerarla come apparente ed accidentale ogni qualvolta che essa corri- spondesse ad un abbassamento anche lieve di temperatura del bagno. Io ho scelto una differenza di temperatura di soli 30°, affinchè avvenendo la disidra- tazione colla debita lentezza, riuscisse più chiaro e fedele tutto il quadro relativo all’ an- damento del fenomeno. Nel corso delle mie esperienze toglievo le goccioline d’ acqua, che si condensavano nella parte interna più alta del tubo, mediante un sottile bacchettino di vetro intorno al quale avevo arrotolato un ritaglio di carta da filtro, e notavo il tempo che impiegava il termometro a salire alle diverse temperature con un semplice orologio a secondi. Nello specchio seguente presento i risultati di tre esperimenti eseguiti in uguali con- dizioni e fra loro molto concordanti. Per innalzare Per innalzare la temperatura del gesso Tempo impiegato la temperatura del gesso Tempo impiegato da TO a 26° ore 0, 2' da 140° a 145° ore 0, 3' > Ta 80 STI032: » 145° a 150° >» 0,3! > Pa 88 YO, » 150° a 155° » 0,3 di RE a 0° SON! » 155° a 160° > 0 > 90° a 95° » 0, 2',30" » 160° a 165° » 0,3 » 05° a J000 VORO, » 165° a 170° NORRIS > IO0 a 05 » 0,320 Ya 176) > 0,4 > 105° a MO. >» 0,8 » 175° a 180° >» 0835" Y UO IM? > 1,26 > 180ra 1859 > 0,35' » 115° a 120° > 0,29' » 185° a 190° » 0,2 > IO a 2 > 0, 141,30" » 190° a 195° > 0% » IZ5? a 1800 > 0,9 » 195° a 200° > 052; > 130° a 135° » 0,525! >» 200° a 205° > 0,2 > n35% allo? OR 231 Da questo specchio si vede che la temperatura del gesso si eleva regolarmente nello spazio di 5 minuti primi fra 70° e 90° come se nulia accadesse all’ infuori del semplice riscaldamento. Difatti nel breve periodo di 8 minuti primi l’ effetto della disidratazione del sale non può manifestarsi in modo abbastanza sensibile. Questa regolarità nell’ innalza- mento di temperatura comincia a venir meno palesemente fra 95° e 100°, e |’ effetto della disidratazione raggiunge il valor massimo fra 110° e 115°, poi va degradando sino alla temperatura di 140°, alla quale segue un periodo di riscaldamento regolare che si estende sino a 165° e che a mio avviso corrisponde abbastanza chiaramente ad un grado appena — 251 — sensibile di disidratazione. Questa regolarità cessa di nuovo distintamente fra 170° e 175° per un ritardo nel riscaldamento del gesso che è rilevantissimo fra 175° e 180°, ed assume il valor massimo fra 180° e 185° a cui segue un periodo regolare di riscaldamento con- forme a quello che avviene fra 70° e 90°, cioè di 5° in 2 minuti primi. Si noti che il gesso è passato da 100° a 200° nello spazio di 3 ore e 48', laddove il Le Chatelier non impiegò al medesimo fino che 36 minuti primi. In tre esperimenti nei quali diedi tutta la fiamma al bagno di sabbia sin da principio e produssi con ciò un riscaldamento del gesso piuttosto rapido, tanto che il sale passò da 100° a 200° nello spazio di 1 ora soltanto, trovai anch’ io un arresto fra 127° e 128° e un altro fra 185° e 190°, ma la temperatura crebbe colla maggiore uniformità fra 150° e 180°. Negli altri esperimenti, come vedesi uel precedente specchio, si ha uguale uniformità fra 140° e 165°. In conclusione, io credo di poter escludere in ogni caso e con tutta certezza un punto di arresto a 163°. Negli esperimenti in cui ho tenuto una differenza di 30° fra la temperatura del bagno e quella del gesso non solo si ha un ritardo nel riscaldamento del sale ben manifesto fra 170° e 185°, ma anche una retrocessione immanchevole nel grado di temperatura del gesso : la quale retrocessione incomincia generalmente fra 179° e 180° dove la temperatura si arresta per alcuni minuti, poi questa si abbassa di 2 o 3 gradi per riprendere poscia il suo cammino ascensionale. Or bene, questo ritardo nell’ innalzamento della temperatura del gesso fra 175° e 185° è l’effetto di un periodo distinto della disidratazione del sale o di un semplice cambia- mento molecolare ? A mio parere la causa più probabile del fenomeno è la seconda, sia perchè esso avviene quando il gesso ha perduto la massima parte della sua acqua di cristallizzazione dopo un lungo periodo di riscaldamento (3 ore e 10° circa), sia perchè l’ acqua che in esso rimane viene esplusa molto difficilmente, sia anche per il valore della sopra detta retro- cessione della temperatura, il quale, a mio giudizio, non può corrispondere al fatto, se pur avviene, di una disidratazione lievissima. Cosa notabile, e forse non casuale, è che nei tre esperimenti che mi fornirono i dati del precedente quadro, il tempo impiegato per riscaldare il gesso da 95° a 100° fu mag- giore di quello occorso nei 5 minuti successivi, ossia per condurlo da 100° a 105°. Non è improbabile che fra 95° e 100° oltre 1’ influenza della disidratazione si faccia risentire mag- giormente quella del passaggio della selenite alla forma 2Caso, - H}0. Notando poi il tempo occorso per riscaldare il gesso di grado in grado da 100° a 115° ho trovato che il ritardo maggiore nell’ innalzamento di temperatura del sale si ha fra 110° e 112° con un periodo di arresto che dura talvolta parecchi minuti. Questi sono i fatti che io ho potuto rilevare nella disidratazione della selenite sotto- posta a riscaldamento progressivo e lento. La facoltà poi che ha il gesso cotto di riprendere l’ acqua perduta per effetto del riscaldamento e la rapidità di questo assorbimento, come ognun sa, dipendono sopra tutto dal grado di calore cui il gesso fu sottoposto. Quello cotto a temperatura relativamente — 252 — bassa (100°-140°) la riassorbe presto, completamente e fa presa rapida: cotto invece fra 320° e 330° fa pure presa in due o tre minuti e abbastanza forte, purch8 venga ridotto in pasta soda, ossia stemprato con poc’ acqua: ma in questo caso l’ idratazione non è completa. Di fatti con selenite polverizzata, passata allo staccio di 4900 maglie e poscia cotta a questa temperatura elevata, feci delle pallottole di pasta consistente che dopo indurimento lasciai seccare all’ aria alla temperatura di 25° circa. Nel gesso così indu- rito trovai in due prove distinte poco più del 15° di acqua invece di 20,92, quan - tunque la quantità di acqua impiegata a formare pasta soda fosse non poco superiore a quella che sarebbe bastata a produrre l’ idratazione completa del sale. Aggiungerò inoltre che con una parte di questo gesso cotto fra 320° e 330° feci un latte piuttosto denso che, sbattuto per cinque minuti a 15° circa e passato su filtro, fornì una soluzione forte- mente soprassatura, non forse al medesimo grado, ma simile a quella che si ottiene col gesso ben cotto. Da questi. fatti viene in chiaro che il gesso disidratato fra 320° e 330° non possiede la rapidità: di presa che distingue lo stesso minerale cotto a tempe- ratura moderata, ma che praticamente, ossia nelle condizioni in cui le malte di uso - comune vengono confezionate e di forte umidità in cui rimangono per parecchi giorni, spe- cialmente nella costruzione dei muri, non opera certamente come corpo inerte nel fenomeno della presa. È quindi pratica buona e consigliabile, seguita nell’ unica fornace continua delle gessaie bolognesi, quella di far arrivare il gesso, tosto che esce dal forno, nell’ appa- recchio di macinazione e da questo nella camere di deposito a temperatura relativamente elevata. Con tale artifizio il gesso poco cotto continua a disidratarsi e quello troppo cotto assorbe acqua, producendosi così un materiale in cui l’ acqua è ripartita con conveniente uniformità e utilmente nella intera massa. A proposito della idratazione del gesso vale il pregio di accennare i due seguenti esperimenti. Nel primo misi del gesso cotto a 120° in capsùla di porcellana e lo scaldai a 100° entro stufa ad acqua: poscia impastai il gesso stesso con acqua bollente e, impedendo per quanto fu possibile il raffreddamento, lo ridussi a forma di piccola focaccia che posi subito sopra una lastra di vetro anch’ essa riscaldata sul piano della stufa, in cui mantenni l im- pasto per 1 ora e *, a fine di scacciare l’ acqua non combinata. In queste condizioni il gesso cotto a 120° cristallizza in forma di esilissime squamette birefrangeti, non indurisce che debolmente e contiene 6,5 per 100 di acqua: esso quindi si trasforma essenzialmente in Caso, -0,5 H.0 in cui la dose dell’ acqua combinata è 6,20 per 100 di sale. Ugualmente si comporta il gesso cotto a 140°. Nel secondo esperimento introdussi entro matraccino di vetro del gesso finamente pol verizzato cotto a 120°, su cui versai dell’ acqua bollente. Mantenendo la temperatura a 100° agitai il recipiente per alcuni minuti, indi lo immersi in acqua fredda e filtrai a 15°. Come effetto di questo abbassamento rapido di temperatura il CaS0, :0,54,0 si trasforma nell i- drato più solubile della selenite per cui il liquido raccolto riesce fortemente soprassaturo. In quanto alla presa debbo ricordare che in altra Memoria pubblicata negli atti del- l’ Accademia, avendo dimostrato che questo fenomeno non può effettuarsi secondo l’ ipotesi — 253 — immaginata dal Le Chatelier, fui tratto a supporre che il fatto precipuo ed essenziale che produce l’ indurimento delle malte di gesso, anche ben cotto, non fosse la totale sua cristallizzazione. A questa conclusione non sarei giunto qualora avessi posseduto nel mio laboratorio un microscopio polarizzatore Sono perciò gratissimo alla cortesia dell’ amico Boeris, il quale non solo mise a mia disposizione questo istrumento, ma tutta 1° espe- rienza e la sicurezza che egli possiede in così delicate ricerche. Or bene, dalle osservazioni insieme fatte su alcuni campioni di gesso indurito che era stato cotto a 100°, 120°, 130°, 140°, 320° a 330°, venne in chiaro che la massa totale del gesso è costituita in ogni caso di finissime squamette o di prismi esilissimi birefrangenti, cioè di particelle cristalline che presentano una larga superficie di contatto, giustamente considerata dal Le Chatelier come condizione di loro mutua e forte aderenza e conse- guentemente del fenomeno meccanico dell’ indurimento. Il Boeris mi scrisse pure da Ronco Canavese che prima di lasciare il laboratorio guardò di nuovo e attentamente parecchi preparati dei due campioni di gesso indurito che erano stati cotti l'uno a 120° e l'altro a 140°, e che in tutti vide molti granuli che ave- vano conservata la forma originaria del gesso. Ciò posto la presa del gesso ben cotto, che è quanto dire atto alla più rapida e com- pleta sua idratazione avviene secondo me nel modo seguente : Nel primo contatto dell’ acqua il gesso cotto moderatamente o quella parte di esso che non ha perduto della sua efficacia per troppo forte riscaldamento, produse un idrato più ricco di acqua della selenite e più solubile, formando col liquido eccedente nella malta una soluzione soprassatura, come di fatto avviene. La massa maggiore del medesimo idrato, che non si scioglie e assume aspetto quasi gommoso, rapidamente si risolve in CasSO, - 2H,0 e cristallizza : le squamette o ì prismi così generati aderiscono fra loro e col disseccamento la massa indurisce alla maniera dell’ argilla plastica. Molto probabilmente i primi cristalli si formano per decomposizione dell’ idrato instabile esistente nella soluzione soprassatura e la loro presenza agevola la trasformazione di tutta la massa amorfa non disciolta nel- l’acqua dell’ impasto. “© — ano prote p pese; iv Sat) spad parsa pe dpr conio atene enna ciel otte sioni 0 agro at! cdi etto? anita girtog Ilmeniniei } stra sila pREA a vob DA Loti Mimi abbi ‘ida sii pit dita Ae nta sii ì {nba fuso Cbfe- A robi i Ù Gpulgtatat ii rinihegl ii amiagiaà ‘onsiteta(fcsnes Lene & i tri È; futò Su dar er bia dti Dateodmisidorenia stre o siva pata Da iron aber Diva E 1% Sb pestati enni Unica i VAS ONT iù di DATI ino ati ti ; i 4 unto a BUA it uti ogni Stivale pranzato» pate ci almarsse ctieneda ini aferta sites sui abi. 1 a zliuup sc aldangiataforI ato siasess lomna Mato pupo sù Tor Fargo ai insinal ian ratalaoggarirandi siopolit» sua cabala nigi aires) pofiztainen ifetpio: cis. zo gt: aniisili in feet va A are eta AA vi: ai ra sai ci) (TR TM RO IU ENTIII CLAS PIER, a cilgoina pe enrico mort anta donata: fenal iepniemioi di catia gere E i peli; tioihio: n) the, asattaig sii tilab STAI sila: aloe fafifasenane crinimion glian cinese tara dint Flip rtnitine a ara cet rr sa cd ET “be puvoditazate seibent” spl san dai i il 4 furpesdle pions pprtassaiire: otra: det PIRO na vata, Lt ad 6A ciù vita sa bcantanadi, Dn ave dana seo k «oi agnese Da feto sti Bol dh: e io "% un LELE TROTA. 24 br estati SMRATUDLI è Li cao DEL ateo LA TAMA, i Ae ot ea SA Paptbfca, da set O so mprrtan rata eni (pedi. Alta du UnSo,- G901 si iepativnse® i cHuo fo art e i Laden Legni deg Lidi SILLA DEVIAZIONE DEL IONI GENPRANTI LE SCINTILLE DOVUTA AD UN CAMPO BLETTRICO TRASVERSALE MEMORIA DEL Prof. AUGUSTO RIGHI (letta nella Seduta del 26 Maggio 1907). (CON CINQUE FIGURE NEL TESTO) I. Ricerche anteriori dell’ Autore. Secondo i concetti oggi dominanti intorno al meccanismo delle scariche, l’ appa- rizione della scintilla fra i due elettrodi è preceduta da una convezione di elettricità compiuta da ioni, che si muovono sotto l’ azione della forza elettrica. Quando la dif- ferenza di potenziale fra i due elettrodi aumenta a partire da zero, i moti dei ioni divengono di più in più veloci, per cui cresce sempre più il numero di quelli, i quali fra un urto e l’altro contro le molecole neutre acquistano velocità sufficienti, affinchè sì produca la ionizzazione delle molecole stesse. Il numero dei ioni aumenta quindi con crescente rapidità, sinchè giunge la fase finale, in cui si ha l’ emissione di luce, e cioè la scintilla. Fra l’ istante in cui una prima molecola resta ionizzata per urto dei ioni preesi- stenti, e quello in cui appare la scintilla, trascorre necessariamente un certo intervallo di tempo, durante il quale il fenomeno visibile sta preparandosi. L’ esistenza di questa fase preparatoria fu da me ammessa sino da trenta anni fa (1), in base a considerazioni speciali assai simili a quelle testè richiamate, ma se- condo le quali erano in giuoco, non dei ioni, ma delle molecole gassose elettrizzate dagli elettrodi. Però il concetto della ionizzazione dei gas, sorto più tardi, proietta tanta luce sui fenomeni di cui qui si tratta, che non si potrebbe menomamente esitare ad addottarlo, quand’ anche numerosissime altre bnone ragioni non militassero in suo favore. Perciò continuerò qui ad esporre le idee, che mi guidarono in quelle antiche ricerche, adoperando i termini suggeriti dalle odierne teorie. (1) Ricerche sperimentali sulle scariche elettriche. Atti della R Acc. di Bologna 1876. — Il N. Cimento, 2° serie, t. XVI, pag. 80 e 97. Serie VI. — Tomo IV. 35 == QI) Poichè a determinare la ionizzazione per urto occorre innanzi tutto, che i ioni già esistenti arrivino ad acquistare una certa determinata velocità sotto l’ azione della forza elettrica, così è chiaro, che qualsiasi causa capace di aumentare in una porzione qualunque del campo, a parità di differenza di potenziale fra gli elettrodi, la detta forza, dovrà favorire la produzione della scarica, cioè dovrà far sì che questa si pro- duca con differenza di potenziale minore, di quella che è necessaria, quando la detta causa non esiste. Così per esempio, se si mette in comunicazione col suolo uno degli elettrodi, si aumenta la densità elettrica sull’ elettrodo isolato, esposto com’ è all’ in- fiuenza dei corpi non isolati circostanti, e quindi si aumenta l’ intensità della forza elettrica presso la sua superficie. Da ciò dovrà restare facilitata la scarica, come ap- punto risultò da apposite misure riportate nella Memoria citata. Seguendo quest’ ordine di idee giunsi a prevedere la produzione d’ un fenomeno vi- sibile, quello cioè del cambiamento di forma delle scintille, allorchè sugli elettrodi agisce un campo elettrico trasversale. I ioni, che partono dagli elettrodi, tendono infatti a seguire le linee di forza del campo nel quale si muovono, e questo, quando esista anche il campo trasversale, è quello che risulta dalla composizione del campo trasversale stesso con quello principale dovuto ai due elettrodi. Perciò si può dire, che i ioni subiscono per opera del campo secondario una deviazione, la quale naturalmente avviene in opposte direzioni pei ioni dei due segni. Ne consegue che il luogo, ove comincia la ionizzazione per l’ urto contro le molecole gassose prodotto dai ioni respinti dall’ elettrodo presso cui il campo ha la massima intensità, verrà spostato, o nella direzione del campo trasversale o in dire- zione contraria, secondo che il detto elettrodo è quello positivo o quello negativo. Necessariamente sarà altresì spostata nel suo complesso tutta la regione nella quale si compie il lavorio preparatorio della scintilla, e quindi la scintilla stessa. Questa previsione fu da me con opportune esperienze più tardi verificata (1), sempre però operando nell’ aria all’ ordinaria pressione. I due elettrodi erano collocati uno sotto l’altro in una stessa verticale, a metà distanza fra due grandi dischi verti- cali e paralleli mantenuti a potenziali di segno opposto da una macchina elettrica. Con tale disposizione potei constatare, che la scintilla si spostava e s’ incurvava verso il disco negativo o verso il positivo, secondo che era presso l’ elettrodo positivo 0 presso il negativo che la forza elettrica aveva la massima intensità, ossia secondo che presso l’anodo o presso il catodo si iniziava la ionizzazione per urto. Solo in qualche raro caso osservai, che la scintilla assumeva una forma assai simile a quella della lettera ,S, ciò che indicava l’ iniziarsi simultaneo della ionizzazione presso i due elettrodi. Con elettrodi di dimensioni non troppo piccole osservai inoltre, che le estremità della scintilla si spostavano sulla loro superficie ; ciò che si spiega facilmente riflet- tendo, che per effetto del campo trasversale cambiano posto i punti nei quali la den- sità elettrica è massima, e presso i quali per conseguenza comincia la ionizzazione. (1) Mem della R. Acc. di Bologna, 12 maggio 1881. = Ro — Poichè questi fatti sono intimamente connessi alla teoria dei ioni, e valgono ad illustrarla, ho creduto utile riprenderne lo studio, per estenderlo al caso delle scariche nell’ aria più o meno rarefatta, a ciò consigliato anche dalle seguenti considerazioni. Coll’ aria alla pressione ordinaria non si resta in generale dubbiosi, quando sì cerca di prevedere se ed in qual senso sarà deformata o spostata la scintilla dal campo elettrico trasversale, in mezzo al quale si fa scoccare, giacchè si ha motivo spesso di prevedere presso quale dei due elettrodi il moto dei ioni è più veloce. Così, per pren- dere un esempio differente da quello scelto più sopra, nel caso in cui un elettrodo è in forma di grande sfera o di lastra piana e l’altro in forma di piccola pallina o di punta, è certamente presso il secondo elettrodo, ove il campo elettrico possiede la massima intensità, che ha principio e sede principale la ionizzazione preparatrice della scintilla. Si resta invece in dubbio nel caso di due elettrodi eguali ed a potenziali eguali e di segno contrario; ma l’esperienza mi dimostrò, che la scintilla accenna a deformarsi nel camoo trasversale in senso tale da indicare, che il fenomeno della io- nizzazione si inizia presso l’elettrodo negativo. Ora, rammentando il modo nel quale oggi si spiega la formazione della scarica nei gas rarefatti, appare verosimile, che diminuendo la pressione dell’ aria si accentui quella dissimetria, e cioè che la ionizzazione per urto cominci presso il catodo, anche quando coi medesimi elottrodi ma coll’ aria alla pressione ordinaria accadrebbe 1’ op- posto. Mi parve quindi interessante l’ esaminare questo punto, riprendendo quell’antico studio sulla forma delle scintille producentisi in un campo elettrico trasversale, ma disponendo le cose in modo da potere rarefare alquanto l’aria, nella quale il fenomeno sì produce. E siccome le deformazioni delle scintille si osservano in modo particolar- mente notevole, allorchè si opera con scariche non oscillanti ma continue (o intermit- tenti), così ho quasi sempre incluso nel circuito di scarica una resistenza, facile a graduarsi, e costituita da una colonna d’acqua distillata. Inoltre ho quasi sempre fatto uso d’ una batteria di condensatori avente grandissima capacità, quella stessa anzi che impiegai nelle mie ricerche sulle scintille globulari (1), avendo constatato, che anche la grande capacità contribuisce a rendere i fenomeni più netti e pronunciati. Siccome poi l'apparecchio improvvisato, che descriverò fra poco, non mi permetteva di raggiungere facilmente grandi rarefazioni, così in tutte le esperienze, che saranno qui riferite, la pressione dell’ aria fu ridotta solo sino ad essere compresa fra uno e 10 centi- metri di mercurio. Entro questi limiti l’ essere la pressione più o meno ridotta non ha grande influenza sui fenomeni studiati; perciò mi dispenserò d’ indicare il valore della pressione stessa in ciascuna particolare esperienza. Mi parve d’altronde che a queste pres- sioni, che sono quelle stesse delle quali si deve far uso cogli apparecchi delle dimensioni più usuali per osservare i fenomeni delle scariche globulari, le modificazioni prevedute nella forma e nell’ aspetto delle scintille si manifestassero colla massima evidenza; perciò non ho creduto necessario, almeno per ora, di sperimentare con grandi rarefazioni. (1) Mem. della R. Acc. di Bologna, 25 gennaio, 19 aprile, 26 aprile 1891; 10 aprile 1892; 19 maggio 1895. se og II. Principale disposizione sperimentale. L’ apparecchio adoperato nelle nuove esperienze consta di un grande pallone di vetro P (fig. 1) a grosse pareti del diametro di 25 centimetri circa, il cui collo è fissato con ceralacca in un manicotto d’ ottone A chiuso in fondo e munito di due tu- bulature laterali, una delle quali 8 porta un manometro, mentre Il’ altra Z conduce, attraverso due rubinetti di vetro, a due tubi di gomma, che terminano l’ uno alla macchina pneumatica, l altro ai tubi dis- Fig. 1. seccanti, pei quali passa l’aria che sì fa rientrare nel pallone onde produrvi la vo- luta pressione. Una grossa colonna d’eba- nite C, su cui il manicotto A è fissato a vite, serve di sostegno all’ intero apparec- chio, di cui ecco le parti essenziali. Sul fondo del manicotto è saldata un’ a- sta verticale d’ ottone D, all’ estremità della quale può avvitarsi un elettrodo di forma qualunque, sfera, punta, disco ecc. Una si- mile asta 4, all’ estremità inferiore della quale si può avvitare un secondo elettrodo, si trova sul prolungamento della prima, essendo fissata con ceralacca al centro di un grosso disco XY di vetro da specchi, il quale serve di chiusura ad una larga aper- tura praticata alla sommità del pallone. L’orlo di questa apertura è smerigliato, di modo che, applicandovi il disco spalmato di grasso da rubinetti, sì ottiene una buona chiusura. E fra i due elettrodi, avvitati alle estre- mità prospicienti delle due aste d’ ottone, che si fanno scoccare le scintille. La lun- ghezza di queste può variarsi allungando o accorciando le due aste, le quali a questo scopo furono costituite di più pezzi avvitati assieme; ma è bene che la distanza fra gli elettrodi rimanga sempre minore delle distanze fra essi ed i grandi dischi LM, NO, che servono a creare il campo elettrico costante destinato a modificare le traiettorie dei ioni. Questi dischi comunicano coi serrafili G, A esterni al pallone, fissati a questo sempre mediante ceralacca, e introdotti in due piccoli fori. espressamente praticati nel vetro. I dischi constano poi di sottilissime lastre circolari d’ ottone ben rincotto, le quali, introdotte accartocciate nel pallone, e poi fissate ai serrafili mediante dadi a -— REG vite stagnati su di esse, vennero distese contro le pareti in modo da assumerne la forma concava. La fig. 2 mostra il modo in cui vennero generalmente disposte le esperienze. Gli elettrodi A, B comunicavano colle armature del condensatore caricato da una grande macchina ad influenza N, mossa da un motore elettrico. Generalmente 1’ elet- trodo inferio:e comunicava coll’ armatura positiva. Lungo i conduttori di comunicazione fra gli elettrodi e le armature erano inseriti uno spinterometro C e la resistenza rego- labile & costituita da una colonna d’acqua distillata. Generalmente l uno e 1° altra erano collocati nel luogo indicato dalla figura, e cioè entrambi fra l’ elettrodo positivo 2 e la rispettiva armatura. Una seconda macchina ad influenza M, messa in moto essa pure da un motore elettrico, forniva ai dischi £, / le ne- cessarie cariche. Però fra essi e la macchina era intercalato un inversore (1), il quale per- È metteva d’invertire istantanea- R Ta } vio mente, quando occorreva, le ca- riche. Siccome poi era spesso S necessario limitare l’intensità del campo orizzontale creato dai due dischi, si era stabilito in derivazione fra essi uno spinterometro .S, i cui elettrodi erano formati da sottili fili di platino. Fra questi trascorreva continuamente & un torrente di esili scintille, di cui poteva variarsi a piacere la lunghezza, ciò che permetteva di regolare la D differenza di potenziale fra i dischi e quindi l’ intensità del campo. Una colonna capillare di alcool, o altra enorme resistenza, fu messa qualche volta al posto di S per raggiungere il medesimo scopo. III. Esperienze preliminari. L'apparecchio descritto è quale venne definitivamente adottato ; ma dapprima in- vece dei grandi dischi concavi LM. NO (fig. 1) il pallone conteneva due grossi dischi metallici piani di circa 7 centimetri di diametro, e fu in queste condizioni che intra- presi le mie esperienze. I risultati di queste mi consigliarono ad ingrandire alquanto i dischi, onde evitare una causa d’ errore, che non tardai a rilevare. (1) Mem. della R. Accademia di Bologna, 26 aprile 1891. e, Le scintille fra gli elettrodi venivano bensì deformate, spesso anzi in modo con- siderevole, allorchè venivano caricati i due dischi, ma non si ottenevano però queste deformazioni in alcuni casi, e specialmente alle pressioni più basse, che a patto di caricare i dischi a potenziali così elevati, da generare piccoli fiocchi luminosi in vari punti del loro contorno, ciò che poteva essere causa di perturbazioni. Infatti quei fioc- chi dovevano verosimilmente generare il noto venticello elettrico, e spostare la scin- tilla, come farebbe una qualunque corrente d’aria diretta contro di essa. La circostanza del cambiar di senso della deformazione coll’ invertire la carica dei dischi non elimi- nava quel sospetto, giacchè è da ritenersi, che il soffio prodotto dai pennacchi di luce positivi non abbia eguale intensità di quello prodotto dai pennacchi negativi. Ma mi convinsi dell’ esistenza di una tale causa di deformazione delle scintille, quando constatai effetti inversi di quelli che ragionevolmente erano a prevedersi, ed inversi di quelli, assai meno pronunciati, che intravvedevo allorchè abbassavo i poten- ziali dei dischi sino a far cessare la produzione dei fiocchi luminosi sull’ orio di essi. Desiderando tuttavia di constatare direttamente il fatto della deformazione mec- canica delle scintille per opera delle correnti d’aria generate dai pennacchi luminosi, eseguii la seguente esperienza. Tolto di posto uno dei dischi, per esempio # (fig. 2), lo sostituii con un ago da cucire orizzontale, la cui punta era rivolta verso gli elettrodi A, B. Vidi allora la scin- tilla piegarsi fortemente verso Y, qualunque fossero gli elettrodi, e qualunque fosse il segno della carica data alla punta. Questo risultato rendeva verosimile, che anche i fiocchi luminosi che si formavano sull’ orlo dei dischi producessero un analogo effetto, e mi decisi ad impiegare i grandi dischi ZM, NO della fig. 1. Anche sugli orli di questi si formano, se i loro potenziali sono troppo elevati, i fiocchi luminosi; ma dato il luogo che essi occupano, essi non possono evidentemente influire sensibilmente sulia forma delle scintille. Ecco ora gli effetti osservati con elettrodi di varie forme. IV. Risultati. Elettrodi entrambi sferici e di equal diametro. — Due sfere d’ ottone di circa due centimetri di diametro erano avvitate sulle estremità vicine delle aste D, £ della fig. 1; la distanza fra l’ una e l’altra era di circa quattro centimetri. Quando i dischi ZM, NO erano scarichi, la scintilla fra gli elettrodi aveva forma sensibilmente rettilinea, ed era più o meno grossa e sfumata a seconda della maggiore o minore rarefazione. Con resistenza relativamente moderata nel circuito di scarica (per esempio colonna d’acqua d’ un centimetro di diametro e di tre o quattro centi- metri di lunghezza) la scintilla era giallastra, e diveniva poco a poco rossa se si au- mentava la resistenza. La parte attigua all’ anodo assumeva infatti allora 1° aspetto di — 261 — una fiamma rossa, corrispondente a quello delle scariche globulari. La differenza fra i due aspetti sì riduce infatti a questo, che, mentre in tubi cilindrici si focmano con gran facilità masse luminose, che si staccano dall’ elettrodo positivo e poi cam- minano verso il catodo, in uno spazio libero le luminosità rosse si allungano in forma di fiamma senza abbandonare l’ elettrodo su cui si producono. Per avere masse lumi- nose staccate o quasi in un largo recipiente, gioverebbe dare all’anodo la forma di punta e al catodo quella di largo disco piano, e inoitre occorrerebbe condizionare op - portunamente la resistenza del circuito, la capacità del condensatore, la pressione del- l’aria ecc. L'azione del campo elettrico orizzontale si manifesta particolarmente bene su queste scintille a fiamma. Caricando i due grandi dischi vidi infatti la fiamma incurvarsi verso il disco positivo. Naturalmente invertendo ripetutamente mediante 1’ inversore le cariche dei due dischi, e quindi la direzione del campo elettrico fisso, si vede la fiamma piegarsi ora da una parte ora dall’ altra. È quasi inutile aggiungere, che per una data direzione del campo orizzontale la deviazione della fiamma cambia senso, quando si inverte la direzione della scarica. Il risultato non mutò adoperando elettrodi sferici di diametro maggiore. Ne risulta dunque, come si era previsto, che nell’ aria rarefatta, come nell’ aria alla pressione ordinaria ma in modo più spiccato, la ionizzazione per urto comincia per opera dei ioni negativi; ciò che, del resto, è in pieno accordo con molti fatti noti. Punta positiva e disco negativo. — Il caso più interessante era, come fu già detto, quello di elettrodi a curvatura molto diversa, pe: esempio una piccola sfera od una punta di fronte ad una grande sfera o ad un disco piano. Nel caso d’ un elettrodo positivo di piccolissimo raggio di curvatura posto di fronte ad un catodo di curvatura piccola, o affatto piano, è presso l’ anodo che, almeno quando la scintilla si forma nell’ aria alla pressione ordinaria, comincia la ionizzazione per urto preparatrice della scintilla; ma vista la tendenza, che si manifesta, quando l’aria è rarefatta, all’ iniziarsi del fenomeno per opera dei ioni negativi, l’ esperienza sola può decidere, se in questo caso il fenomeno si produca nell’ una o nell’ altra maniera. Dalle molte esperienze eseguite mi parve di poter concludere che, quando la dif- ferenza di curvatura dei due elettrodi non è grandissima (p. es. piccola sfera come elettrodo positivo e grossa sfera o disco piano come elettrodo negativo) la deviazione della scintilla ha luogo nello stesso senso, come se gli elettrodi fossero eguali; e che quando invece la differenza di curvatura è grandissima (p. es. punta positiva e grande sfera o disco piano negativi) la scintilla si piega verso il disco negativo. Ecco infatti i fenomeni osservati in questo caso, con qualche accenno all’ aspetto offerto dalle scintille. Quando non esisteva il campo elettrico orizzontale (e cioè con dischi scarichi), e quando la resistenza inclusa nel circuito del condensatore era assai grande, la scintilla presentava i seguenti caratteri. 262 — All’ estremità della punta positiva si osservava una stelletta di viva luce bianca, da cui partiva una fiamma rossa Y (fig. 3, a), la quale terminava a qualche distanza dal catodo. A) centro di questo vedevasi un bagliore violetto 2 e, a poca distanza da esso, un fiocco tronco-conico di luce rossa €, che non arrivava sino alla fiamma 7. Fa- cendo agire il campo elettrico trasversale tutto il fenomeno luminoso s° incurvava tosto ER verso il disco negativo (fig. 3, D). Adoperando una batteria di capacità di A grandissima la scintilla acquistava una no- BA tevole durata, fin’ anche di più minuti se- È 7 si condi. La fiamma £ (fig. 3, 0), una volta | lui prodotta, s’ inclinava di più in più verso | i il disco negativo. Hi a. b. Tutto ciò sempre nella ipotesi, che la resistenza del circuito fosse grandissima. Ma anche con resistenza moderata la scin- tilla, che in tal caso era gialla e formava una striscia di uniforme larghezza da un elettrodo all’altro, sì spostava verso il disco negativo. La scintilla € (fig. 2), che non è necessaria quando, come nel caso precedente, nessuno dei due elettrodi ha grandissima curvatura, è naturalmente indispensabile quando, come nel caso attuale ed in quello seguente, uno degli elettrodi è in forma di punta. Il luogo occupato dalla scintilla C nel circuito, e quello occupato dalla co- lonna d’acqua A, non sono senza qualche influenza sull’ aspetto assunto dalla scintilla e sul deformarsi di essa per opera del campo trasversale; ma per amore di brevità non terrò parola di questi piccoli dettagli. Come facilmente si comprende, la lunghezza della scintilla C ha non piccola importanza. Punta negativa e disco positivo. —- È in questo caso che si ottsngono gli effetti più rimarchevoli. La ionizzazione comincia infatti indubbiamente presso l’ elettrodo ne- So , a alla forma fig. 4, b; e precisamente la fiamma rossa Y, che prima si gativo, e la scintilla deve spostarsi notevol- ol SE DS mente verso il disco positivo. Inoltre il fe- nomeno presenta particolarità di dettaglio degne d’ essere rilevate. w Mentre la scintilla assumeva, quando _B SIC LS i grandi dischi erano scarichi, un aspetto F C assai simile a quello che presentava nel caso precedente, essa si modificava assai, non appena si creava il campo elettrico tra- sversale, passando bruscamente dalla forma formava al centro dell’ elettrodo positivo, si presentava invece in un punto assai più vicino al disco positivo, ciò che dimostrava essere in tal caso prevalente 1’ azione del campo trasversale sui ioni negativi respinti dalla punta. — 265 — Ma se, oltre che includere nel circuito di scarica una grandissima resistenza, impie- gavo un condensatore di capacità grandissima (tutte le 108 grandi giare collegate in modo da formare un'unica batteria, la quale richiedeva parecchi minuti primi ad essere sufficientemente caricata da una grande macchina di Holtz a quattro dischi) il fenomeno diveniva assai notevole. Infatti la scarica luminosa assumeva in tali condizioni una durata di più secondi, e la fiamma rossa camminava sull’ elettrodo piano dirigendosi verso il disco positivo sino a raggiungere l'orlo dell’elettrodo stesso, ove, rimanendo ferma alla sua base, s’inclinava all’infuori prima di spegnersi. Come si è già fatto osservare questa scarica a fiamma corrisponde alle scintille globulari, e precisamente nel caso attuale a quelle che chiamai composte, costituite cioè dall’emissione di successive luminosità mobili dall’elettrodo positivo, ed ha perciò un certo carattere d’intermittenza, che suggerisce l’idea di considerarla come costituita da una serie di successive scariche parziali. L’osservare la fiamma in uno specchio girante ne porge una conferma. È quindi probabile che la presenza dei ioni dovuti ad ogni scintilla parziale contribuisca a rendere successivamente sempre più grande lo spo- stamento del fenomeno luminoso per opera del campo trasversale. Anche nel caso attuale lo spostamento e il cambiamento di forma della scarica luminosa non cessano di prodursi, quando si adopera una resistenza non tanto grande nel circuito di scarica. Così per esempio se la detta resistenza è tale da conferire alla scintilla l'aspetto d’ una colonna luminosa giallastra sensibilmente ininterrotta da un elet- trodo all’ altro, questa, che in assenza del campo trasversale mostra una forma quasi rettilinea andando dalla punta al centro dell’ elettrodo inferiore, assume inve ;e una forma curva non appena i dischi vengono caricati, e va ad incontrare l'elettrodo positivo in un punto situato fra il centro di esso ed il disco positivo. V. Altre esperienze. Le esperienze fin qui descritte furono eseguite colla disposizione della fig. 2, cioè mediante la scarica di una batteria attraverso un circuito contenente una colonna d’ac- qua. Ma si possono ottenere effetti analoghi abbastanza visibili anche impiegando con- densatori di piccola capacità, oppure utilizzando semplicemente le scariche di un grande rocchetto o di un trasformatore. Non mi fermerò a descrivere tutti gli effetti osservati in tal modo, i quali tuttavia presentarono in certi casi alcune particolarità, che potreb- bero divenire oggetto di ulteriori ricerche; mi limiterò a descrivere un solo fenomeno, quello offerto dalle scintille fornite da un grande rocchetto adoperato a guisa di tra- sformatore. Nel primario del rocchetto facevo passare la corrente alternata stradala a 42 periodi, senza porre sul suo cammino verun interruttore, mentre le estremità del secondario erano in comunicazione cogli elettrodi contenuti nel solito apparecchio della fig. 1, i quali Serie VI. — Tomo IV. 36 — 264 — erano costituiti da due eguali sfere d’ ottone di circa 2 centimetri di diametro. L’ effetto del campo trasversale sulle scintille è rappresentato nella fig. 5. Ogni scarica luminosa consta principalmente d’una fiamma o lingua luminosa di color rosso, che per effetto del campo trasversale risulta incurvata verso il disco positivo; ma le lingue rosse, che alternativamente si formano sull’uno o sull’altro elettrodo, assu- mono successivamente una curvatura di più in più grande sino a lambire quasi il disco positivo. Questo progressivo aumento della curvatura delle scintille costituisce un fenomeno analogo a quello del moto della fiamma rossa sull’elettrodo positivo piano, descritto più sopra. Raggiunto un certo limite di deformazione la scintilla Fig. 5. riappare poco deviata, mentre le successive lo sono nuovamente di = più. Per la rapidità, con cui sì seguono le scariche del trasfor- matore, si vede sempre simultaneamente un certo numero di lingue luminose incurvate formanti sugli elettrodi due larghi ventagli, e con questa particolarità facile a spiegarsi, e cioè che le lingue rosse formanti uno dei ventagli si prolungano negli intervalli esistenti fra quelle che for- mano l’altro ventaglio. Ogni fiamma o lingua luminosa, che si forma su quell’elettrodo,. il quale momenta- neamente funziona da anodo, è accompagnata da un vivo bagliore bianco violaceo sul catodo. Ne consegue che sulle due palline, oltre ai ventagli di luce rossa, dei quali la fig. 5 dà una qualche idea, veggonsi pure tante stellette di luce bianca, nella figura stessa non rappresentate, che rendono più bello il fenomeno luminoso complessivo. DI UN PARTICOLARE METODO DI GINNASTICA ATTIVA |. PER LA RIRDUCAZIONE: RESPIRATORIA e ore IL RINVIGORIMENTO GENDRALE DELL ORGANISMO CUUICICILILI. MEMORIA Prof. GIOVANNI D'AJUTOLO SPECIALISTA PER LE MALATTIE DELL ORECCHIO, DEL NASO E DELLA GOLA A BOLOGNA (letta nella Sessione del 26 Maggio 1907) (con 27 FIGURE) Cento e cento vivono vita corta ed infelice o la trascinano dietro, uggiosa come una maledizione li emio]e) b) perchè non sanno respirare. (MantEGAZZzA. Elementi d’ Igiene.) Otto anni or sono ebbi l’ onore di intrattenere questa illustre Accademia su di un mio ‘particolare metodo di Ginnastica attiva per individui deboli ed in ispecie per convale- scenti (*), e ll Accademia colla usata sua benignità volle onorare di stampa e di premio quella mia comunicazione. Incoraggiato da quel lusinghiero successo, avevo in animo di parlare qui di un altro metodo di vinnastica attiva, che ho trovato utilissimo nella cura post-operatoria della insufficienza di respiro, in individui che erano affetti di stenosi nasale, faringea o naso- faringea contemporaneamente, e che, se non può esser detto del tutto mio — come l’altro — pure in gran parte m’appartiene, sia per la semplicità da me data all’ apparecchio ginnastico da renderlo tascabile, sia pel gran numero di esercizi nuovi introdotti, sia infine per lo scopo a cui esso mira, e che consiste nel rinvigorire sollecitamente gl’individui con insulficienza di respiro, a base di una speciale ginnastica respiratoria. Ma poi rifiet- tendo, che la ginnastica di respiro è il vero fondamento alla ginnastica medica ed educa- tiva e che sarebbe stato meglio raccogliere in un sol quadro tutti i miei esercizi di ginna- stica attiva e vecchi e nuovi, ho preferito di scrivere una memoria sulla ginnastica attiva per la rieducazione respiratoria e per il rinvigorimento generale di qualsiasi persona e in qualsiasi stato di salute. Ed è appunto la Memoria, che ho l’onore di presentare. Com’è risaputo, la ginnastica respiratoria — a scopo igienico e curativo — non è cosa nuova, essendo stata praticata dagli antichi in non pochi casi (1). In tempi più recenti essa è stata vieppiù racecomandata (2) e non solo nelle scuole di vociferazione e di canto e (*) Memoria letta nella Sessione del 29 maggio 1899 (con tavola) V. Mem. della R. Accad. delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, Serie V, om. VIII. Bologna, 1900. (1-10) Vedi in fine i Lavori citati nel testo. — 266 — negli Istituti per balbuzienti e sordomuti (3), ma ben anco nella cura di molti stati mor- bosi. Così, per es.: dal Manuel (de Tolosa) è stata usata nella anemia (4); dal Broat nel- l’asma (5); dal Natier nel falso adenoidismo per insufficienza respiratoria nei nevropa- tici (6), e nella laringite nodulare (7); dal ‘l'issier nella cura delle aderenze pleuriche (8); dal Rosenthal (9) per la rieducazione respiratoria nella insufficienza della respirazione e dal Jacob (10) nella cura postoperatoria dei rino-adenoidei. E come è facile pensare, a seconda dei proponenti e delle varie indicazioni curative, la ginnastica respiratoria è stata eseguita con una tecnica più o meno diversa. Di fatti, mentre il Mantegazza, ad ‘es., con- siglia profonde inspirazioni, anche con una narice chiusa, ovvero respirazioni attraverso un particolare tubo, il Broat invece adopera la ginnastica da camera, il Tissier il massaggio addominale, ed altri altre modalità tecniche. Ma chi ha veramente sviscerato l'argomento — seguito in ciò dal Jacob — e l’ha magistralmente trattato, è stato Giorgio Rosenthal. Questi, di fatti, — dopo di aver premesso, che un apparecchio respiratorio per dirsi normale dev'essere immune da qualsiasi infezione o lesione e deve avere una funzione nor- male —- ha preso a studiare tutti gli attributi di una respirazione fisiologica, e dopo accu- rate ricerche ha trovato, che essa deve essere: esclusivamente nasale, bilaterale, sufficiente e completa. — a) Esclusivamente nasale e per le due fosse nasali, perchè queste rappresen- tano l’anticamera dei polmoni, dove l’aria si umidifica, si riscalda, abbandona i germi e la polvere, che può essere più dannosa dei germi stessi, e dove si eccita, per mezzo del riflesso naso-inspiratore, il gioco regolare della respirazione. — 5) Sufficiente, perchè nelle inspirazioni l’aria deve penetrare sufficientemente ed egualmente nei due polmoni. — c) Completa, perchè nell’atto inspiratorio si debbono dilatare egualmente tutti tre i dia- metri del torace, non potendo essere considerati come normali « i tipi (respiratorii) sotto- clavicolari, costali, mediani e diaframmatici dei fisiologi ». E per assicurarsi dell’effetto dei profondi atti respiratorii, egli ricorre alla ascoltazione ed alla misurazione. La prima difatti gii rivela, se il murmure respiratorio è diffuso a tutto l'ambito toracico; e la seconda (fatta con un suo speciale nastro metrico) gli dimostra un ampliamento del perimetro toracico di 10 a 12? centimetri nello stato normale, mentre è di soli 4, 3 e perfino di wx solo centimetro nella insufficienza respiratoria. Posto ciò, il Rosenthal considera come respiratoriamente insufficienti tutti coloro, che mancano di qualcuno degli. attributi della respirazione normale, e quindi: gli adenoidei, i falsi adenoidei, i convalescenti di malattie acute, gli individui con pseudo-ipertrofia car- diaca durante lo sviluppo, i tubercolotici, ecc. Ed in conseguenza a tutti costoro egli sug- gerisce la ginnastica respiratoria. Questa — secondo Rosenthal — comprende quattro gruppi di esercizi, colla impor- tante avvertenza, che: « Ogni esercizio per esser valevole deve essere accompagnato da una respirazione fisiologica, volontaria, profonda, lentamente presa e controllata 1medi- calmente ». 1° Gruppo. Respirazioni in differenti attitudini regolari. 2° Gruppo. Respirazioni accompagnate da movimenti passivi del tronco, delle braccia e delle gambe. — 267 — 3° Gruppo. Respirazioni accompagnate da movimenti attivi del tronco, delle braccia e delle gambe. 4° Gruppo. Respirazioni nei differenti atti della vita: marcia, parola, canto, lettura, scrittura, ecc. Oltre tutto questo, il Rosenthal, in casi speciali, raccomanda anche il massaggio del ventre, Îe pressioni esercitate sui lati colle mani, cioè la spremitura del torace, le vibrazioni, l° elettrizzazione di certi muscoli e i bagni d’aria e di luce. Da ultimo il Rosenthal avverte, che con questi esercizi sì ottengono vantaggi notevoli e solo lievi inconvenienti. I vantaggi sarebbero : a) Lo sviluppo del petto ; b) una diuresi considerevole ; c) un aumento rapido del peso. Gli inconvenienti invece si ridurrebbero : a) alla coryza iniziale, per eccitazione della mucosa nasale per la polvere dell’aria; b) alla diminuzione iniziale del perimetro toracico, per l abbassamento più com- pleto dei lati alla fine della espirazione ; c) ai capogiri, durante la guarigione, per la ebbrezza di ossigeno determinata dagli esercizi. Per sommi capi son queste le idee principali espresse dal Rosenthal sull’impor- tante argomento, ed io ho voluto riassumerle, anche per invogliare i colleghi alla lettura del lavoro originale, che è pieno di savie considerazioni. Per mio conto, mi associo volentieri alle vedute del Rosenthal,e se me ne di- scosto in qualche punto, ed in ispecie intorno al metodo da seguire nella ginnastica respi- ratoria, è perchè reputo, che si possa ottenere più sollecitamente una eccellente ricduca- zione respiratoria per mezzo di una peculiare ginnastica attiva, fatta con particolari appa- recchi e con criteri e norme determinate, che offre anche l’ altro e non lieve vantaggio di favorire il rapido e generale rinvigorimento dell’ organismo. Secondo me, affinchè la ginnastica respiratoria consegua presto e bene il suo fine, è necessario, innanzi tutto, che gli individui con insufficienza respiratoria siano divisi in due grandi categorie : in quella, cioè, de’ deboli e dei convalescenti ed in quella dei sani; a motivo, che quelli non possono sopportare gli esercizi prescritti per i sani, senza pericolo di stanchezza pel loro cuore. E del pari necessario mi sembra il distinguere i bambini ed i ragazzi dagli adolescenti e dagli adulti, per la ragione, che i primi richieggono un’ assi- stenza ed una vigilanza, che gli altri quasi affatto non domandano. Oltre a ciò, è necessario che gli esercitandi abbiano tutti i requisiti per compiere respirazioni normali. Onde, se per caso vi siano pinne nasali floscie, occorre che esse siano sostenute, o dal dilatatore metallico del Feldbausch, o meglio, dai tubetti ela- stici alla Guy e. Se vi ha stenosi nasale o faringea, vi si deve tosto rimediare, aspor- tando polipi, creste, turbinati ipertrofici, spine, correggendo deviazioni e rimuovendo vegeta- zioni adenoidi, tonsille palatine ipertrofiche, ecc. eventualmente esistenti. Per la stessa ra- gione, si rimuoveranno colletti, cravatte o busti stretti, e si elimineranno del pari tutte le — 268 — cause di rigonfiamento gastro-intestinale. Sola eccezione dev’ esser fatta (e per ovvie ragioni) per le ventriere e per i cinti ernarii; che anzi, se ne dovrà raccomandar l’ uso, tutte le volte che havvi, o che vi sia a temere, ptosi dei visceri addominali. Ed affinchè poi la circolazione sanguigna non sia inceppata durante gli esercizi ginnastici, è altresì necessario rimuovere le giarrettiere e le scarpe, che siano troppo strette. E non meno necessario è del pari, che siano osservate scrupolosamente tutte le norme che governano gli esercizi ginnastici, tanto da un punto di vista generale, quanto speciale — l° Fra le norme generati richiedesi, prima di tutto, che /’ esercitando nell’ accin- gersi a rare I ULI ] ITA |) J Roba DEL PROF. FEDERIGO GUARDUCCI (letta nella Sessione delli 26 Maggio 1907) CON TAVOLA Nell’ astronomia e nella geodesia è elemento della più alta importanza la conoscenza della verticale locale, e il mezzo semplice e classico per procurarsi tale elemento riposa, come è noto, sull’uso della livella a bolla d’aria; se non che questo istrumento, pur ri- manendo indiscutibilmente prezioso e meritevole di tutta la nostra riconoscenza pei grandi servigi che esso ci rende, diviene però alquanto infido allorchè si chiedono ad esso alte precisioni, giacchè la sensibilità che bisogna in tal caso conferirgli (un millimetro circa di spostamento della bolla per un secondo di arco) è tale che solo un leggero disequilibrio di temperatura o l'irraggiamento termico di un oggetto yicino od una non sufficiente attesa a lasciar fermare la bolla bastano a renderne fallaci le indicazioni. -— Se poi la livella serve già da molto tempo, si va incontro anche al pericolo che speciali e non avvertite incrostazioni che si formano nell’interno del tubo ostacolino più o meno la bolla mentre si avvia ad assumere la sua posizione di equilibrio, e da ciò, nuovi errori. A tal proposito giova qui invocare l’autorevole opinione dell’ illustre e compianto fisico Cornu il quale, in occasione di una riunione tenuta a Bruxelles nel 1892 dall’Associazione geodetica internazionale ed alla quale anche il sottoscritto ebbe l'onore di assistere, non esitò a mostrare una certa diffidenza nelle indicazioni delle livelle molto sensibili ritenendo assai probabile le indicazioni di esse soggiacciano spesso ad influenze completamente estranee alla gravità (1). Ciò del resto era stato anche in precedenza notato, tantochè da molto tempo si era già pensato ad un surrogato della livella che non presentasse gli accennati inconvenienti, e si ebbe ricorso dapprima al così detto bagno nadirale consistente in un semplice bagno di mercurio che si collocava al disotto del cannoochiale puntato verticalmente in basso; facendo coincidere la imagine oculare dei fili colla imagine dei medesimi (convenientemente (1) Comptes rendus des Séances de l’ Association géodétique internationale reunie à Bruxelles en 1892 Serie VI. — Tomo IV. 38 — dsl = illuminati) riflessa dalla superficie del mercurio sì ottiene evidentemente l’asse di collima- zione del cannocchiale rettificato sul nadir. E peraltro troppo noto il fatto che la superficie del mercurio, al più leggero fremito del suolo o dell’aria circostante, dà luogo a instabilità e deformazioni dell’ imagine ; negli Osservatorii delle grandi città, ed in particolare in quello di Parigi, la circolazione dei veicoli turba le imagini a tal segno che per la maggior parte della giornata riesce difficile determinare con detto mezzo il nadir. — Molti tentativi sono stati fatti per attenuare questi effetti però con scarso risultato; ed allo scopo di ricorrere il meno possibile all’ uso del bagno nadirale o, per meglio dire, di ricorrervi solo quando è possibile ottenerlo in quiete, l’astronomo Faye propose (1) l'adozione di un piccolo cannocchiale murato supe- riormente all’ Istrumento dei passaggi in modo che i due obbiettivi rimangano voltati 1’ uno contro l’altro quando i cannocchiali sono verticali, si rende verticale l’asse di collima- zione del primo cannocchiale mediante il bagno nadirale dopodichè, togliendo detto bagno, se ne collima il crocicchio dei fili col cannocchiale dell’ Istrumento dei passaggi il quale rimane così rettificato sullo zenit anzichè sul nadir, il che è vantaggioso trovandosi lo zenit nella stessa regione del cielo che si osserva e non essendovi così bisogno di passare per la graduazione del cerchio per dedurre lo zenit dal nadir. Successivamente Ignazio Porro propose (2) di guardare col cannocchiale verticale, il disotto di una bacinella col fondo trasparente a faccie parallele e contenente un liquido trasparente. — I fili, convenientemente illuminati, divengono visibili per le riflessioni che hanno luogo sopra le tre superficie di separazione dei mezzi e si producono così tre ima- gini che coinciderebbero fra loro se le superficie del vetro fossero parallele e bene oriz- zontali, e si confonderebbero con quella del filo da cui derivano se il cannocchiale fosse esattamente verticale; impiegando però un liquido e un vetro i cui indici di rifrazione siano pochissimo differenti, la superficie superiore del vetro non produce nè imagine nè rifrazione apprezzabili e basterà procurare la coincidenza fra le altre imagini perchè il cannocchiale risulti verticale. — Ottenuto ciò si toglie la bacinella e si opera come col procedimento di Faye. — Questo metodo avrebbe dunque il vantaggio di sostituire al mer- curio un liquido meno instabile e inoltre di darci pure lo zenit anzichè il nadir. Nel 1896, Deichmiiller propose l’uso di uno specchio natante in un bagno di mer- curio per ottenere una minore ‘mobilità della superficie di questo; la superficie riflettente sì sposta così sotto l'influenza delle grandi perturbazioni ma rimane sempre piana e si ottiene la direzione nadirale prendendo la media delle direzioni corrispondenti alle coinci- denze colle imagini riflesse del crocicchio dei fili per posizioni dello specchio facenti fra loro un’angolo di 180°. Altri ha suggerito uno specchio sostenuto orizzontalmente (colla faccia riflettente in basso) da un pezzo foggiato a toro natante in un recipiente anulare contenente del mer- curio collocato superiormente ai cannocchiale, col quale specchio, al solito, si guarda |’ ima- gine riflessa dei fili in posizioni del natante che differiscono di 180° l’una dall’ altra; ed (1) Cfr. Comptes rendus des Séances de l’ Academie des Sciences pour l’an 1846 (Vol. 36, p. 871) (2) Cfr. Comptes rendus ete. (Maggio 1858, pag. 482). da altri finalmente ha proposto di frenare le trepidazioni del mercurio mediante un sistema di molle (1). Nella riunione plenaria dell’ associazione geodetica internazionale che ebbe luogo in Parigi nel 1900, il prefato fisico Cornu, a giustificazione, in certo modo, delle critiche da lui mosse otto anni prima al funzionamento delle livelle ad alta sensibilità, suggerì un nuovo espediente mirante appunto a liberarsi dall’ uso della livella stessa nelle misure de- licatissime di latitudine che sistematicamente vengono eseguite in organizzazione interna: zionale, per lo studio dei piccolissimi movimenti del polo geografico; movimenti la cui entità è di circa 0".5 e per misurare la quale Cornu giudicava dubbiamente sufficiente la precisione e/fettiva che ragionevolmente si poteva chiedere, secondo lui, alle livelle. La disposizione da lui suggerita, cui ha dato il nome di Apparato zenito-nadirale, consiste in un cannocchiale puntato pressochè orizzontalmente sopra due specchi posti fra loro ad angolo retto sovrapposti ad un bagno di mercurio e collocati in modo da lasciare vedere nel campo del cannocchiale tanto l’imagine dei fili del reticolo riflessa da uno di essi quanto l’imagine di un’astro riflessa dall’ altro. — Con tale disposizione, la distanza dell’astro dallo zenit si può misurare direttamente e speditamente colla vite micrometrica che sposta il filo mobile dall’ oculare. — Cornu dimostra poi che il retto funzionamento di questo con- gegno non ha bisogno di una rigorosa perpendicolarità degli specchi ed è indipendente dalla rotazione degli specchi stessi attorno al loro comune asse. Siamo così completamente sba- razzati dalla livella ed, in teoria, tale istrumento nulla lascia a desiderare; esso ha però, a comune cogli apparecchi precedentemente accennati, il difetto di dipendere dal bagno di mercurio e di necessitare di un’ obbiettivo di grande apertura che possa comprendere ambedue gli specchi. — È stato proposto anche di utilizzare un pendolo sul quale è trac- ciato un segno di ritrovo da guardarsi con un microscopio a forte ingrandimento e final- mente un cerchio con tre punte distribuite su di esso secondo un triangolo equilatero le quali si fanno andare a contatto (contatto che viene accusato elettricamente) colla su- perficie libera del mercurio (2). Si vede dunque che il problema della determinazione della verticale ha dato da fare e dà tuttora da fare agli scienziati e, sempre a riguardo di tale argomento, il Lalle- mand (3) ha creduto conveniente di procedere ad una analisi comparativa delle preci- sioni che possiamo aspettarci dal metodo del contatto a tre punte da quello del pendolo, dal bagno nadirale e dalla livella, e le sue conclusioni sono le seguenti : pel contatto a tre punte: errore probabile della verticale = 3" » bagno nadirale . ..: » » » » ="90 » ‘pendolo: a » » » = riivellaneenzgnes in ona: SBLS » » » iz (1) Cfr. Hamy. Sur l’ammortissement des trepidations cl. cl. an moyen de ressort. (Comptes ren- dus etc. 1900, pag. 990). (2) Cfr. Perchot et Ebert. Comptes rendus etc. pour lan 1897 (Vol. 125 pag. 1009). Questi stessi autori hanno proposto, basandosi sempre sul principio dello specchio natante un ap- parecchio che fornisce visuali inclinata di 45° all’ orizzonte. (3) Cfr. Comptes rendus etc. (1897, vol 124, pag. 991). — 282 — Si comprende che questi risultati si riferiscono più alla sensibilità intrinseca degli ap- parecchi che non alla precisione che essi possono dare realmente in pratica tenuto conto delle cause esterne di errore; e si intuisce che anche la livella, per quanto apparisca tanto su- periore agli altri mezzi, possa eventualmente dare in atto pratico precisioni minori delle precedentemente registrate a causa delle influenze perturbatrici accennate e specialmente delle irregolarità termiche dell’ atmosfera (1). Trovandomi consegnatario da parte della R. Scuola di applicazione per gli ingegneri di Bologna di un buon cerchio meridiano di Starke nel quale manca però il modo di determinare la posizione dello zenit (certamente perchè destinato per costruzione esclusi- vamente ad osservazioni di ascensione retta e declinazione) ho pensato che tornerebbe conveniente il poterlo utilizzare anche per osservazioni che implicassero la conoscenza della verticale, quali quelle di latitudine; e mal prestandosi d’ altronde l’istrumento alla aggiunta di pezzi a sostegno di adatte livelle, ed essendo d’altronde lenta ed incomoda la sua inversione sugli appoggi, mi sono valso, per determinare la verticale, di un espediente non nuovo ma che, per quanto mi consta non è stato sinora utilizzato precisamente nel modo che vengo ad esporre (2), modo che, oltre al riuscire più pratico, fornisce direttamente la direzione della verticale con una precisione, a mio avviso, maggiore di quella che possono fornire gli altri espedienti già accennati in sostituzione della livella. Si tratta qui (v. Fig. annessa) di un cannocchiale sospeso su due coltelli di acciaio fissati su di esso in vicinanza dell’ oculare e che, a somiglianza del fulcro di una bilancia poggiano sopra un cerchio di acciaio orizzontale che può ruotare, traendosi dietro i coltelli, attorno ad un asse verticale passante pel suo centro. Questa rotazione, onde riesca il più possibile dolce, si effettua sopra una corona di piccole sfere di acciaio contenuta fra due scanala- ture circolari a sezione di V. l La parte di questo apparecchio che deve rimanere fissa viene assicurata al disopra dell’ i- strumento dai passaggi (3) in modo che il canocchiale di questo, quando è verticale possa guardare per l’ obbiettivo dell’ altro che pende liberamente. Se ora i due cannocchiali si riducono in posizione felescopicit, o in altri termini se il reticolo dei fili è condotto per ambedue nel piano focale principale del rispettivo obbiettivo, il cannocchiale dell’ istrumento meridiano vedrà l’ imagine dei fili dell’altro come se questi si trovassero a distanza infi- nita. i Se disponiamo il cannocchiale sull’apparecchio coi due fuleri in direzione Est-Ovest e lo facciamo quindi ruotare di 180°, il piano determinato dal filo che è in direzione dei (1) Nelle misure sistematiche e continue di latitudine che si eseguiscono in organizzazione inter- nazionale per lo studio dei movimenti del polo geografico, è prescritto che durante le operazioni si asportino le pareti del casotto entro il quale si trova l’istrumento appunto per evitare le influenze nocive dell’irraggiamento di dette pareti sulle indicazioni delle livelle. (2) Cfr. D. Luigi Volta. Le determinazioni fotografiche di latitudine e le ricerche recenti del Prof. Schwarzschitd. Torino. 1905. (3) Deve essere assicurata in modo stabile e indipendente dalla cupola ; ciò non è stato possibile fare in questo mio primo saggio sperimentale. — 283 — fuleri stessi assumerà delle posizioni rigorosamente simmetriche rispetto al verticale Est- Ovest, per cui la media delle letture del cerchio corrispondenti alle collimazioni di questo filo ci darà rigorosamente la lettura corrispondente alla posizione zenitale del cannocchiale meridiano. Disponendo poi il cannocchiale dell’apparecchio in due posizioni normali alle precedenti, si potrà anche nel cannocchiale meridiano correggere l’asse di collimazione sul piano Est-Ovest ed ottenere così l’ asse stesso corretto sullo zenit. Allo scopo di smorzare le oscillazioni sono state aggiunte al cannocchiale dell’ appa- recchio, dalla parte dell’ obbiettivo, delle appendici che pescano in un recipiente anulare contenente olio o meglio glicerina, ed inoltre è stato chiuso tutto l’ apparecchio entro due tronchi di cono di lamina di zinco per proteggerlo dalla influenza del vento. I fili sono illuminati per di sopra da una lampadina elettrica attraverso un diaframma di vetro smerigliato. Con tali disposizioni si ottiene un quasi completo annullamento delle oscilla- zioni (anche quando spira un poco di vento) e una illuminazione tranquilla e costante del campo del cannocchiale e si possono eseguire i puntamenti con comodità e precisione. Una prima serie di valori ottenuti per la lettura corrispondente alla posizione zeni- tale del cannocchiale meridiano è la seguente, e, come vedesi, essi non sono disprezzabili per quanto l’ apparecchio richieda ancora alcuni miglioramenti. — 284 — E Lettura ottenuta scostamenti z per la posizione |gella media 5 zenitale 7 DO > del cannocchiale I 90°. 00". 38”, 9 + 1.3 1.69 2 Sa +0,7 0.49 3 SINO 0.0 0.00 4 386.0 — 1.6 2.56 5 38.3 OA 0.49 6 SUGO, — 0.i 0.01 7 DID +0.4 0.16 8 959.9 — 1.7 2.83 9 ERXS IAA +2.1 4.41 10 39.9 +2.3 5.29 TI 9971 +1.5 LINZI iz 37.4 — 0.2 0.04 13 DON — 0.9 0.81 14 36.5 — 1.1 TI] 15 BORN — 0.9 0.81 16 37.8 +0.2 0.04 171 38.1 +0.5 0.25 18 36 8 — 0.8 0.64 19 86.2 — 1.4 1.96 20 SU 02 — 0.4 0.16 152. 6 26 . 16 Media 90.00.37. 63 Error medio di una determinazione = # e = 9 » 2 cella mmeila soa 4/9 =0 .26 Una seconda serie di letture fu fatta intercalando fra i diversi valori dello zenit le letture corrispondenti ai passaggi al meridiano di alcune stelle, e se ne ricavarono così al- trettanti valori per la latitudine dell’ istrumento. La media delle letture zenitali fu adottata come corrispondente allo zenit strumentale per tutta la serata, ed i risultati furono i seguenti : — 285 — 18 Giugno 1907 e ere RI Nun: | Letture zenitali [Stelle osservate|Latitudine risultata Il LOI SST0 p Bootis 44°, 29". 29". 8 2 36.2 o) » 20.1 3 41.7 DI » 31.9 4 41.5 mn Draconis 32.8 5 38. 6 Gr. 2377 208 6 41.2 3 Draconis 81,4 7 40.8 W Herculis 30.1 8 38.4 $ Draconis 30.0 9 38.3 W >» 291.18 10 37.6 E » ORA 11 39.1 431.4 801.5 Media = 89.57.39.2 + Media =44.29.30.18+0",5 Valore dedotto (mediante elementi geodetici) dalla latitudine dell’Osservatorio dell’Uni- 44.29.29. 96 versità. . È Differenza 0.22 ty (da é È i TO \ Toi n a TAI ROFILO TEA bilie ario dei TS mei; irish i por | lee dei } hse Se CARAT DI Li tei Le et Dgr girata Aa porci ag st Vi, FTRACA Li DR i | LN sd ssinvi, «ella ì LAlero È LO meo th PDA, tI adito Gailati. Pie Atore i A p", imita %) Ta Ù __ _Mem.R.Ace.Sc.Bologna, Ser.VI. TomIV. /H D- Li = i [fm di I | tft ] do {i I ! Den {Pipe i i I I i | UT I LI SITO iI I I NITTI n I ' ' Udi Il LICIA I I uu di I ri 7 I ba 4 Ù h ìÌ I O) i ' VIDI DIONITT EER eni ma OLI) AÀÎ - è NÒ SN CURVA AUTOMATICA ISOTONICA CONIUGATA E VELENI DELLA FATICA MUSCOLARE COMUNICAZIONE PRELIMINARE DEL EP ERENVNIOTINVO NF (letta nella Seduta del 12 Maggio 1907). CCN TAVOLA Le pubhlicazioni che da me 1), dai miei allievi Mastri 2), Acquaderni 3), Spada 4), dal Blàzek 5), dal Kuliabko 6), dal Filippi 7), dal Pasanisi 8) sono state fatte sulla curva automatica della fatica muscolare mi esimono dal dirne oggi dopo tanto tempo da che io l’ ho indicata. Poichè non mi è venuto fatto mai fino ad oggi dall’ ultima mia pubblicazione di occu- parmi più di cotesto genere di ricerca debbo una risposta brevemente al Filippi, il quale ha conchiuso in un suo lavoro, come la immersione in liquidi alteri le particolarità della curva, leda le proprietà del muscolo. Gli allievi del mio laboratorio che si sono occupati di studiare 1’ influenza di alcune sostanze si sono certamente preoccupati della possibilità del fatto ricercato dal Filippi, se ne sono preoccupati tanto che hanno confrontato sempre i risultati ottenuti da solu- zioni di cloruro di sodio nel rapporto di probabile isotonia, con quelle delle sostanze tos- siche, che si dovevano studiare e che erano fatte sempre con altrettali soluzioni saline contenenti inoltre il veleno. Apprezzando le differenze fra le due azioni, cioè il semplice cloruro di sodio, e il clo- ruro di sodio col veleno da studiare, evidentemente non si poteva cadere e non si cadde in alcun errore. E d’ altra parte le curve, che i miei allievi hanno dato come normali otte- nute mediante immersioni in soluzioni di cloruro di sodio, corrispondono del tutto a quelle ottenute dai muscoli non immersi. Chi voglia confrontare queste curve o le mie con quelle portate dal Filippi per esemplari, potrà convincersi di una differenza enorme, per regolarità, per costanza, per estensione, la somiglianza è unicamente nel tipo. Quanto alle variazioni di lunghezza del muscolo durante la sua fatica, io avevo già formato un piccolo apparecchio atto a produrre l’ allontanamento del contatto elettrico per quanto il muscolo si fosse andato allungando, non potevo però provvedere all’ avvici- namento e del resto non ce n’ è punto bisogno. La mia curva si presta bene allo studio dei vari veleni o farmaci, ha un tipo a sè, Serie VI. — Tomo IV. 39 — 288 — presenta delle modificazioni particolari a seconda delle alterazioni che i farmaci portano sulla elasticità, sulla contrattilità, sulla eccitabilità del muscolo, il Filippi si domandava fin d’ allora se quella era la curva automatica della fatica, e trovava di dover rispondere per parte sua, francamente di no. Ebbene e perchè ? Se il muscolo si allunga più rapidamente aumentando della sua ela- sticità e toccando prima il contatto, non è questo per una proprietà sua intima ? Se per fatto di contrattura, perdendo quindi di elasticità esso tocca più tardi il contatto e quindi i sin- coli piccoli tetani si fanno più rari, non è questo un effetto di variazione propria del muscolo? In alcune prove eseguite pure nel mio laboratorio dal Dott. Tullio, allonta- nando appunto mediante una vite di breve passo il contatto elettrico sottoposto al muscolo abbiamo veduto che la curva si allungava, ma che per ciò? Lo scopo nostro è di aver una curva di lunga durata? Il mio scopo fu quello di lasciare a sè il muscolo, libero di scegliersi il suo stimolo, libero di accorciarsi o di allungarsi, anche di allungarsi, perchè il contatto è rappresentato da una laminetta a molla e non da un punto fisso; ma natural- mente questi allungamenti o questi accorciamenti portavano un’ alterazione della curva ed è qui l'interesse, perchè si rilevavano per tal modo più facilmente e più notevolmente. Esatta invece mi pare l’ osservazione del Pasanisi, che la mia curva automatica non rappresenti tutto il lavoro possibile del muscolo dacchè, come io stesso ebbi a rile- vare e i miei allievi pure pubblicarono, dopo esaurito il muscolo per un determinato sti- molo, aumentando la intensità di questo si può ottenere altro lavoro. Il Pasanisi confessa di non aver potuto rimediare a questo inconveniente, che però non ha importanza pratica ed ha esaurito il muscolo aumentando a periodi |’ intensità dello stimolo. Ho in mente un meccanismo per ottenere questo risultato automaticamente mediante l’ interposizione di un reostato e spero di raggiungere lo scopo. Intanto avverto che l’ inconveniente esposto del Pasanisi è reale, ma può diminuirsi d’ assai ricorrendo sul principio a stimoli massimi per intensità, che diverranno certamente sottomassimi successivamente, ma con differenze assai meno notevoli di quelle che non si abbiano scegliendo fino da principio uno stimolo medio come io ho indicato nelle mie pub- blicazioni. Ma poi devo anche qui notare che non occorre punto di ottenere tutto il lavoro che un muscolo può compiere, il determinismo sperimentale in questo caso indicava di met- tersi in condizioni tali da ottenere dal muscolo il massimo non assoluto, chè 1’ assoluto è sempre irrealizzabile, ma relativo per quelle circostanze di ambiente create dalla disposi- zione sperimentale. E questo con la mia curva si ottiene. Premesse queste considerazioni ho voluto qui esporre uno speciale adattamento con che si può contemporaneamente ottenere un tracciato di confronto normale, prodotto dagli stessi stimoli, con ì medesimi intervalli, con la stessa durata e ciò sempre per lo scopo di avere risultati comparabili, giacchè in biologia tutto è relativo e relativo a cumuli di circostanze talora inafferrabili. Posto adunque ‘che nella solita disposizione sperimentale da me usata, oltre al muscolo Loasgp— che automaticamente interrompe o chiude il circuito che deve stimolarlo, si introduca un altro muscolo, l’ omonimo del lato opposto dello stesso animale, o di altro se così richiede lo sperimento, si comprende di leggeri che cotesto secondo muscolo dovrà obbedire alle condizioni del primo e se esso era normale metterà più in rilievo le alterazioni che 1° altro presenta, se era anormale per influenze esterne o intime dimostrerà per confronto il suo diverso modo di contenersi per degli stimoli di muscolo normale. Si dirà facilmente che per tal modo quella specie di arbitrio che io avevo invocato per il muscolo, sparisce, che per il secondo muscolo, quello della curva coniugata 0 indotta, sarà scomparso l’ automatismo, ma veramente basta porre in simile relazione due gastrocnemi dello stesso animale sano, non alterati durante la preparazione, e ciò vuol dir molto, non eccitati da tagli o stimoli sullo sciatico, non stirati da pesi o dalle mani dell’ operatore e le curve si vedranno identiche, per quanto possono dirsi identici i due miografi usati. Se i miografi non sono eguali per sensibilità, per lunghezza della leva, per Il applica- zione dei pesi, le curve presenteranno sempre differenze. Il tracciato 1° che unisco mostra appunto una curva automatica, isotonica, coniugata ottenuta nel modo anzidetto. Evidentemente se il secondo muscolo, quello che potremmo dire influenzato, avesse una elasticità maggiore o si allungasse col tempo o si accorciasse, noi potremmo osservare tutto ciò e osservarlo per degli stimoli, per delle condizioni comandate da un muscolo, per quanto può credersi eguale a lui. Non é già un vantaggio cotesto ? Il vantaggio però più notevole si riferisce all’ uso dei medicamenti, questa mia comu- nicazione ha il solo scopo di indicare una disposizione nuova ed un fatto anche inaspettato. Interessatomi alla ricerca dell’ azione dell’ adrenalina per dimostrare la esattezza delle teorie più reputate sulla sua funzione e specialmente quella di antitossico contro i veleni della fatica muscolare, mi venne fatto di cercare quale influenza esercitassero questi pro- dotti direttamente portati intorno al muscolo. Volli però semplificare la disposizione sperimentale che avevo preparato per i miei allievi. Invece di servirmi di un tubo di vetro sul fondo del quale fosse fissato il femore e dalla apertura superiore uscisse il filo assicurato al tendine d’ Achille, filo che doveva poi scorrere sopra due carrucole per sollevare il miografo, pensai di usufruire la pelle della stessa zampa di rana nella quale rimanesse compreso il solo gastrocnemio. La preparazione semplicissima è la seguente : taglio la coscia alla sua radice e lego un filo attorno alla zampa al disotto della inserzione del tendine d’ Achille, filo, che ser- virà ad innalzare la leva del miografo. Questa legatura deve essere stretta sì, ma non tale da tagliare la pelle, il che è facile avvenga se si usa spago di canapa cerato. Scuoio allora le zampe diligentemente ponendo mente di non lacerare la pelle di contro al ginocchio presso il quale essa ha aderenze forti. Tolgo le masse muscolari della coscia e di un colpo netto recido lo sciatico o lo lascio intatto se voglio servirmene per l’ eccitamento, come faccio per certi casi speciali. Asporto la tibia per tutta la diafisi e i muscoli che l’ abbracciano e poi tenendo la zampa per le dita, rovescio la pelle come un dito di guanto. — 290 — Ho così costruito una specie di astuccio naturale che può servire benissimo di serba- toio per i liquidi di prova da introdursi poi con una sottile pipetta e fissando 1’ estremità superiore della pelle in alto, come fosse un gambale da cavallerizzo o da motociclista ! La preparazione riesce in un momento, è più facile anche di quella che facevo un tempo, se non si voglia adoperar l'quidi ha lo scopo di proteggere il muscolo dall’ essiccamento e quindi è sempre utile. Mi premeva dunque di vedere per tal modo gli effetti già noti di un estratto di muscoli affaticati in confronto di un estratto simile di muscoli normali. Ripeto che qui voglio solamente fissare il fatto. I rapporti con le cognizioni che pre- cedono la mia osservazione verranno poi, quando avrò chiarito diversì altri risultati. Per affaticare l’ animale, naturalmente scelsi la rana per non promuovere azioni com- plesse, piantai un ago sul muso dell’ animale e con un altro riunii le estremità delle zampe posteriori. Applicai ai due aghi i reofori di un circuito indotto, nel rocchetto primario del quale era interposto il mio (1) interruttore pendolare a 1 oscillazione per secondo. Avvicinai i rocchetti di 5 cm. ogni 5 minuti partendo da una distanza di 15 cm. e così ottenni che dopo un quarto d’ ora di tetani che duravano ciascuno circa !, secondo i muscoli non si contraevano più qualunque fosse lo stimolo e dovunque applicato. Il cuore però continuava a pulsare e io sacrificavo rapidamente l’ animale ne toglievo tutto il tes- suto muscolare o il più che mi era possibile, lo pestavo finamente in mortaio di vetro e aggiungevo mano mano il doppio in peso di soluzione di Na C? a 0,75%, dopo un contatto di 10' circa talora anche fino a mezz’ ora spremevo su tela e raccoglievo il succo. In modo eguale mi contenevo per ottenere il succo di muscoli normali. Orbene il succo dei muscoli normali diede sempre una diminuzione del lavoro mu- scolare in confronto del succo dei muscoli affaticati; dimostrarono i muscoli trattati col succo di materiale fresco una eccitabilità più facile ad esaurire, una elasticità minore. E questi fatti si osservarono ora più ora meno tanto operando appena introdotto il succo intorno al muscolo, come lasciandolo in contatto per 5° prima di incominciare la curva, tanto se il muscolo portava il peso durante questi 5 minuti, quanto se non lo por- tava, tanto se il muscolo irrorato da succo di materiale affaticato era quello che inter- rompeva il circuito, quanto se era quello influenzato. A che cosa sia dovuto il fenomeno che è certamente paradossale sarà mio compito di cercare, l’ attività del succo di muscolo affaticato ha mostrato di mantenersi per 24 ore a 10°; ricerche dirette a dimostrare l’ azione di questo succo sopra muscoli ancora uniti all’ animale saranno comunicate in seguito, esse tendono a confermare quanto ho già osservato sui muscoli staccati. Il tracciato 2° presenta uno di questi casi molto caratteristico, 1’ effetto fu evidente non solo nella prima curva, ma anche in una successiva ottenuta dopo 15' di riposo. Infatti misurate le due curve e detratto 1° effetto dell’ ingrandimento cioè diviso per 3 (1) Ivo Novi — Un apparecchio, che segna le frazioni di secondo fino al centesimo e i multipli fino al terzo secondo ece. ecc. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Bologna. Seduta del 26 Maggio 1901. —- 291 — il lavoro compiuto, si trova che la curva dovuta al succo di muscolo normale diede un lavoro di srammetri 2,45, mentre l’ altra ne diede 6,70! I materiali della fatica muscolare avevano dunque stimolato il gastrocnemio ad un lavoro triplo, di quello che si era potuto ottenere dal contatto con materiali provenienti da muscoli freschi. Pensando che la diluizione cui sottoponevo il succo muscolare fosse troppo notevole, dacchè il succo medesimo era trattato con due parti di menstruo, ne preparai altre con una parte sola di soluzione e con questo solo procedimento ottenni il risultato notato dal Weichardt (1) e dagli altri Autori. Il tracciato 3° dimostra benissimo questo risultato. In questo caso il succo muscolare fu ottenuto pesando 5 gr. di muscoli di rana e triturandoli per 10° in mortaio con 5 cc. di soluzione di Na CI al 0,75%. Il lavoro compiuto dal gastrocnemio immerso nel succo di muscolo fresco fu di grammetri 7,09 e quello del gastrocnemio immerso in succo di muscolo affaticato fu di grammetri 5,75. Probabilmente con materiale anche più concentrato sì otterranno risultati più note- voli, intanto credo interessante mettere in vista il fatto osservato, che cioè piccole dosi di prodotti della fatica muscolare possono causare nel muscolo uno stato speciale, che andrò analizzando in altra comunicazione, stato speciale, che dà luogo ad un maggiore lavoro, mentre dosi più forti mettono in vista i caratteristici fenomeni della fatica. A questo proposito faccio osservare che le curve automatiche ottenute sotto 1’ in- fluenza dei prodotti di fatica, o per essere più esatto dirò, dei succhi di muscolo affati- cato, presentano i caratteri dell’ ultima fase che io ho descritto nella mia curva auto- matica, di quella cioè simile al tracciato del Kroneker. Nella curva ottenuta in tali condizioni manca precisamente quella 4% fase che, a mio parere, esprime il prodursi di fatti anabolici durante il più lento rilasciarsi del muscolo non ancora stanco. L’ azione eccitante delle piccole dosi di prodotti di fatica rende conto del fenomeno detto di allenamento durante un determinato periodo di lavoro muscolare. (1) È noto che il Weichardt (*) da muscoli affaticati ha isolato una tossina capace di determi- nare per iniezione i fenomeni propri della fatica, non solo, ma ha pure potuto produrre una antitossina atta a combattere gli effetti della tossina stessa, però il succo usato dal Weichardt era diluito in 10 parti di soluzione salina. (*) Minch. med, Wochenschrift, Tomo XLVIII pag. 2121 — idem, Tomo LII pag. 1234. oo — NOTA - Durante la correzione delle bozze di stampa è uscito un lavoro del Dott. Panella, sull’azione del principio attivo surrenale sulla fatica muscolare (1). Il Dott. Panella ha usufruito della disposizione sperimentale usata da me e dai miei allievi e nel presente lavoro modificata, per lo studio dell’ azione di liquidi su muscoli isolati. Con- frontando questo metodo col processo delle iniezioni e l’ uso dei muscoli in sito, il Pa- nella ha trovato che il contatto diretto dell’ adrenalina non dà per nulla gli effetti delle iniezioni di questa sostanza e si propone di studiare le ragioni di questo fatto. Io debbo dichiarare che nelle prove mie e dei miei allievi la differenza fra le due con- dizioni fu semplicemente in ragione delle dosi usate e che nella sua tesi di laurea discussa due anni sono il Dott. Pietro Boriani dimostrò che nella rana sotto l’ influenza di adre- nalina si aveva un lavoro muscolare più lungo e più cospicuo. (1) Dott. Amilcare Panella. Annali delle Università Toscane. Vol. XXVI. Estratto. — 293 — BIBLIOGRAFIA 1). Ivo Novi — La cura della fatica muscolare — Bullettino delle Scienze Mediche 1897. Se- rie VII Vol. VIII. Idem — Azione della temperatura sulla curva automatica della fatica muscolare — Bullettino delle scienze Mediche 1900. Serie VII Vol. XI. Idem — Die automatische Curve der Muskel-Ermidung. Erwiderung. — Pfliger’ s Archiv fùr die ge- sammte Physiologie. Bd. 88. 1901 pag. 301. 2). Dott. Carlo Mastri — Azione della veratrina e della caffeina sulla curva aut. della fatica. 1907 — Bullettino delle scienze mediche serie VIII Vol I. 8). Dott. Augusto Acquaderni — Azione della cocaina e del Cloruro di Ba ecc. 1901 — Bullet- tino delle Scienze Mediche. Serie VIII Vol. I. 4). Dott. Gaetano Spada — Azione dell’ anidride carbonica sulla curva ecc. 1901. Archivio di Far- macologia e Terapeutica, Vol. IX. 5) Boleslaw Blazek — Ein automatischer Muskelunterbrecher, 1900. Arch. fiir die ges. Physiolo- gie pag. 529. 6). Dott. Kuliabko — Arch. fir die ges. Physiologie 1901. 7). Dott. Ed. Filippi — Influenza dell’ immersione del muscolo in vari liquidi sopra la curva auto- matica della fatica, 1902. — Arch. di Farmalog. sperim. e scienze affini. Anno I Vol. I. 8). D. R. Pasanisi — Sulla curva della fatica muscolare Arch. di farmacologia sperim. e scienze affini Anno II Vol. II. "LS ( ; N ma - 4 i 5 PNE), I° PAIA RO A ir SPORE IE adora ei cai tici 0 di it, tr i . tI PE 10 Ù c MR, hi Mi 3 LE I i Ù e; f PER ea * Mar) hi RITRAE A e I RANA REA SERI > f EROI TERA x eg a a LIRE, (RD FrELP Dai H hi Ha I agli “alti visi LEM E, nad rn Ri RON via = ia NA; Vo ceri (TA SSTITICO DA sino pae sa PE vile: DR = PRE ect, fia d ” EI tdi crali ade spit hs) sob iale «iso “ala (PR 1A i ha Ja sr ANN £ iiig;;g;,:;SItITtTTtt.(i men È iI N di È 1 4 Tr È : Ù f puo: AS bi ra ov Nu ero ica isofonica coniugata © veleni della fatica muscolare. a) Gurva indu {g Aprile 1907 - Rana 9 di gr. 25, peso gn AH ngrandi Ingrandimento 13 > VM NN VI AMIIIVENIMNENITIINTINMININNNMANMNnI ARRE, ISCVIIANINUVVOO ninni = ——ESTZEES6AREAAT ET in AA i 5 Maggio 1907 - Rana di gr. 25, peso gr. 14 sN MINNA [Miti MINFITIIAITE ANNA YA NNANMN NAM MMM ì atti NI stuzione AAVV VIA IAA VARA AMA AAA gh CELLULE CROMAFFINI E “ MASTZELLEN , NE RREREGIONESSCX\RDIICO SIDERNO MMTEFERIÌ MEMORIA DEL Dottor GIULIO TRINCI (letta nella Sessione del 26 Masgio 1907) CON UNA TAVOLA Le più recenti ricerche hanno del tutto modificato il concetto che si aveva di quel tessuto dapprima scoperto come costituente la parte midollare nelle capsule surrenali dei Mammiferi. Allo stato presente delle nostre cognizioni gli elementi di questo tessuto, altrimenti distinto come « cromaffine » 0 « feocromo » per la sua proprietà di colorirsi più o meno in giallo quando venga trattato con miscele cromiche, si considerano come un particolare tipo cellulare, geneticamente ed anatomicamente legato al sistema nervoso simpatico, trovantesi soltanto in linea secondaria, negli Amnioti, in rapporto con la sostanza corticale delle capsule surrenali. Nei Vertebrati inferiori infatti non esistono organi che, nello stretto senso della parola, possano designarsi come capsule surrenali; esistono invece due categorie di corpi ciascuna costituita da uno dei tessuti che nelle capsule surrenali dei Mammiferi rappresentano la sostanza corticale e la midollare. Tutta una serie di for- mazioni descritte nei Vertebrati, in varie epoche e da vari autori, come « corpi soprarenali », « nidi cellulari », « gruppi di cellule brune », « corpuscoli feocromi », « paragangli », etc., costituisce, secondo le odierne vedute, un sistema autonomo di organi diversamente distri- buiti negli animali delle cinque classi ma perfettamente omologhi per derivazione embrio- logica come per proprietà strutturali e fisiologiche: organi di cui base anatomica comune è la cellula cromaffine. Il sistema feocromo ed il simpatico derivano entrambi dalla stessa matrice e conservano anche nell’ adulto intimi rapporti, poichè se in gran parte gli ele- menti del primo si dispongono lungo le pareti dei grossi vasi o contraggono relazioni ana- tomiche con la sostanza corticale delle capsule surrenali, in parte rimangono intercalati fra i gangli ed i nervi del simpatico stesso. Una conoscenza abbastanza estesa della distribuzione dei corpi cromaffini nell’ organismo dei Mammiferi la possediamo per opera di Kohn (11, lla, 12, 13) e Kose (15). Secondo le ricerche di Kohn, alcuni di tali corpi, che egli distingue colla denominazione di « pa- Serie VI. — Tomo IV. 40) 9, ragangli », godono secondariamente nell'adulto di una certa indipendenza dal simpatico; altri invece conservano stretti rapporti con i gangli ed i nervi di codesto sistema, rimanendovi inclusi sotto forma di nidi cellulari o di cellule isolate (*). Kohn dimostra infatti la pre- senza di giacimenti cromaffini nei gangli cervicali superiori, nei gangli dei cordoni limitrofi e in numerosi gangli e nervi dei plessi simpatici periferici, segnatamente del Plexus coe- liacus, aorticus abdominalis, mesentericus inferior, hypogastricus superior et inferior. Kose da suo canto li ha osservati nei gangli simpatici del collo, in quelli toracici e lombari dei cordoni limitanti e in quelli del Plexus solaris e mesentericus inferior. Lo scopo per cui ho iniziato il presente studio è stato di stabilire se anche nei nervi e gangli simpatici della regione cardiaca dei Mammiferi esistessero inclusioni di elementi cromaffini. A ciò mi ha indotto specialmente la notizia di Schwartz (24) che alla super- ficie del cuore di topo, insieme a cellule ganglionari, esiste un numero di particolari elementi più piccoli dei nervosi e più intensamente colorabili, i quali, isolati o in piccoli gruppi, accompagnano i nervi ed i vasi o dimorano nell’interno dei gangli stessi. Mio primo pensiero nel lesgere il lavoro di Schwartz è stato che tali elementi, da lui denominati « cellule granulose del cuore » e con una certa dubbiezza ravvicinati alle « Mastzellen » di Ehrlich, fossero di natura cromaffine; la quale ipotesi sembravami sostenuta dalla loro particolare distribuzione come dalla circostanza che recentemente Valedinsky (27) ha accennato alla probabile presenza di giacimenti cromaffini nella regione cardiaca del vitello. Valedinsky infatti descrive e raffigura occasionalmente, presso un ganglio nervoso del cuore (ventricolo), un cumulo di particolari cellule comprese entro una capsula connettivale. Egli pensa che tali cellule, le quali costituiscono una formazione nettamente separata dalla massa ganglionare e si distinguono per una certa scarsezza di contenuto citoplasmatico e per il volume piuttosto rilevante del nucleo, rappresentino uno « Zellnest » di Sigmund Mayer, vale a dire un nido di cellule cromaffini. Se da quanto ho esposto risulta, in conclusione, che nessun dato preciso possediamo sinora intorno all’ esistenza di paragangli cardiaci nei Mammiferi, altrettanto non può dirsi relativamente ad altri Vertebrati; poichè nei Ciclostomi e negli Uccelli, si sono ottenuti per opera di Giacomini (7) e di Kose (16) risultati positivi, i quali mi hanno permesso di ritenere non infondata l'ipotesi che mi consigliò le presenti ricerche. Giacomini infatti ha osservato che, nella regione cardiaca di Petromyzon marinus, il tessuto cromaffine sì dispone sulla faccia ventrale del seno venoso facendo sporgenza nel suo lume e che un certo numero di elementi nervosi si intromette fra la sostanza del tessuto stesso: di più anche nella regione cardiaca di Am;nocoetes branchialis egli ha notata la presenza di straterelli di sostanza midollare. Kose a sua volta ha dimostrato che in diverse parti delle orecchiette cardiache degli Uccelli esistono gruppi più o meno numerosi di cellule cromaffini (paragangli cardiaci), i quali regolarmente si trovano in stretta connessione con i nervi simpatici: infatti tali (*) L'esistenza nel simpatico di elementi identificabili con i midollari delle capsule surrenali, prima che da Kohn, è stata segnalata nei Mammiferi da Stilling (26a e 26b). — 297 — gruppi posseggono alla loro superficie un esile rivestimento connettivale costituito in gran parte da una prosecuzione dell’ epineurio dei nervi stessi. Ai risultati di Giacomini e Kose è da aggiungere che anche dagli Anfibi anuri, in una regione molto prossima alla cardiaca, cioè presso l’ ilo polmonare, sono stati descritti da Smirnow (25) nidi cellulari di Sigmund Mayer. Ho già rilevato che presumibilmente i corpi cromaffini nel cuore dei Mammiferi do- vrebbero risiedere nell'interno o in prossimità dei gangli nervosi appartenenti a tale organo. Avanti di esporre i risultati delle mie indagini ritengo perciò opportuno richiamare qualche notizia sull’innervazione ganglionare cardiaca di cotesti Vertebrati. Degli autori che si sono occupati dell’ argomento, parte |[Koplewsky (14), Ott (21), Eisenlohr (5), His jun. (8), Lomakina Nadina (17)] hanno descritto la presenza di gangli o di elementi nervosi isolati soltanto nel distretto delle orecchiette ; parte |[Remak (22), Visnal (28), von Openchowsky (20), I. D. Dogiel (4), Jacques (9 e 10), Schmidt (23b), Noc (19), Shuk (24a)| li hanno rinvenuti anche in quello dei ventricoli. Contro la negazione recisa di Schwartz (24) ed Engelmann (6) che il sistema ganglio- nare si estendesse al disotto del solco atrio-ventricolare, di recente anche Valedinsky (27) e Smirnow (26) hanno dimostrato che in realtà numerosi gangli trovansi nella regione dei ventricoli, non escluso l'apice. Per quanto la questione dell’innervazione intracardiaca dei Mammiferi non sia ancora completamente delucidata, tuttavia dall’insieme delle descrizioni degli autori si traggono sufficienti notizie sulla distribuzione dei relativi cumuli gangliari. I rami cardiaci pro- venienti direttamente o indirettamente dal pneumogastrico si uniscono alla base del cuore insieme ai rami cardiaci del simpatico cervicale formando un plesso principale, munito di gangli, distinto come « cardiaco »: da esso deriva secondariamente, nello strato profondo del pericardio subito al disopra del miocardio, un secondo vasto plesso, che per la sua posizione fu designato da A. S. Dogiel col nome di « subpericardiale ». Questo plesso, contrariamente all’altro più profondo « subendocardiale », è caratterizzato dalla presenza di gangli diffusi su tutta la zona da esso occupata alla superficie delle orecchiette e dei ventricoli, ma specialmente frequenti nella regione auricolare presso gli orifici delle vene cave e delle vene polmonari ed in quella ventricolare presso il solco coronario. I gangli, circondati e compenetrati da tessuto connettivo, giacciono lungo il decorso o in rapporto con le trabecole del plesso. Essi constano di un numero estremamente variabile (1, 3. 5, 10, sino a centinaia) di cellule nervose distinguibili in due categorie: cellule unipolari meno numerose appartenenti al sistema cerebro-spinale e cellule multipolari perfettamente simili a quelle dei gangli dei cordoni limitrofi. In conclusione i gangli cardiaci contengono, diversamente mescolati, elementi cerebro-spinali e simpatici e debbono perciò riferirsi alla categoria dei gangli misti. 22 (2084 Aggiungasi da ultimo che cellule gangliari anche nello spessore del miocardio sono state osservate da Berkley (1), A. S. Dogiel (3), Jacques (10) e Smirnow (26) (*). Per il mio studio mi sono valso di cuori tratti da rappresentanti delle seguenti specie : Mus decumanus var. alb. adulto, Cavia cobaya adulto, Felis domestica neonato, Erinaceus europaeus adulto, Ovis aries giovane. Avendo constatato direttamente quanto sia difficile l’ ottenere sezioni intere e suffi- cientemente sottili se le cavità cardiache rimangono occupate da grumi sanguigni, ho ucciso gli animali per dissanguamento resecando i grossi vasi del collo. I cuori, asportati con il pericardio, sono stati fissati in sublimato acetico o in liquido di Zenker o in liquido di Miller con aggiunta di formolo. Quest ultima miscela, secondo il comune consenso degli autori, è fra le più appropriate per una buona conservazione del tessuto cromaffine cui di solito conferisce una colorazione gialla di varia intensità. Per la ricerca delle « Mastzellen » è stato impiegato come fissativo l’ alcool assoluto, l’uso del quale si rende indispensabile quando vogliasi accertare la presenza o la mancanza di tali elementi nei tessuti sotto- posti all’ osservazione. Si sa infatti |Maximow (18)] che, in seguito alla solubilità mag- giore o minore nell’acqua della sostanza che costituisce le granulazioni caratteristiche delle « Mastzellen », non è possibile in molti casi riconoscere le medesime se non evitando, durante le varie manipolazioni, l’acqua stessa e qualsiasi soluzione acquosa. Dopo essere stati ridottti in pezzi, i cuorì furono inclusi in paraffina e sezionati serialmente. Le colorazioni furono ottenute mediante emallume ed eosina oppure, per la ricerca delle « Mastzellen », mediante una soluzione di tionina in alcool a 50° seguendo le norme del metedo Nissl. 20 % Le osservazioni relative alla distribuzione ed alla situazione dei cumuli ganglionari coincidono in massima con le notizie sopra enunciate : ritengo perciò superfluo entrare in maggiori dettagli che riuscirebbero del tutto estranei al tema propostomi. Esporrò subito piuttosto quanto mi è risultato a proposito delle cellule granulose de- scritte da Schwartz; di quelle cellule, cioè, che avevo supposto potessero essere di natura cromafline. l Nei preparati di cuore di topo fissati con alcool assoluto od anche con sublimato acetico (*) Chi desiderasse maggiori notizie sull’innervazione intra- et extracardiaca dei Vertebrati in genere può consultare la recentissima edizione della monografia di Cyon sui nervi del cuore (2), per quanto l’ argomento vi sia trattato in massima dal lato fisiologico. — 299 — e trattati secondo il metodo Nissl1, lo stesso metodo adottato da Schwartz nelle sue ricer- che, apparisce un numero sorprendente di cellule che, dalla speciale colorazione e dalle pro- prietà morfologiche, ho subito riconosciuto per quelle descritte sotto il nome di « cellule gra- nulose » (fig. 1 e la). Esse trovansi, isolate o in piccoli gruppi, in tutte le parti in cui esiste tessuto connettivo, ma specialmente nella regione auricolare : giacciono cioè nello spessore del pericardio, nel tessuto adiposo, alla superficie dei tronchi nervosi, alla periferia e nell’interno dei cumuli gangliari, nell’avventizia dei vasi, nel connettivo intermuscolare, etc. Lungo la parete dei vasi non è raro incontrarle ordinate in file più o meno estese. In quanto ai loro caratteri particolari, si presentano piuttosto vo- luminose in confronto degli altri elementi del connettivo (diam. p_ 12-15) e prevalente- mente sotto forma ovale, ma spesso sono anche sferiche, fusiformi o poligonali con angoli acuminati. Una proprietà che permette di distinguerle a prima vista, per quanto comune anche alle cellule ganglionari, è quella di presentare la massa citoplasmatica intensa- mente colorita, mentre la totalità degli altri elementi assumono una colorazione azzurra esclusivamente nucleare. Non è possibile però alcuna confusione tra le cellule nervose e quelle in discorso, poichè le prime differiscono sensibilmente dalle seconde sia per il volume e la struttura del corpo citoplasmatico e del nucleo, sia per il tono generale della colorazione. Le cellule nervose infatti, sebbene variino molto in dimensioni, appariscono in ogni caso più grandi e sopratutto si differenziano per la presenza di vistose zolle tigroidi perinucleari intensamente azzurre ; le granulose invece si distinguono in special modo per la tinta rosso vinosa o rosso-violetta del citoplasma riccamente consparso di granulazioni rotondeggianti brune. Il nucleo è piuttosto piccolo, sferoidale, spesso situato nel centro, talora «alla peri- feria e presenta una membrana e corpuscoli cromatinici intensamente coloriti in azzurro, ma talora risalta sul fondo rosso-vinoso del citoplasma sotto l’ aspetto di una formazione tinta omogeneamente in azzurro cupo. Allo scopo di ottenere una distinta differenziazione del nucleo e dei granuli contenuti nel citoplasma, è necessario spingere ad un alto grado la decolorazione con alcool ed olio di anilina; in caso contrario la cellula apparisce come un corpo opaco rosso-bruno in cui non è possibile riconoscere nessuno dei particolari ora descritti. Nel materiale fissato con liquido di Zenker e colorito con tionina i risultati sono identici; in quello fissato con liquido di Miiller e formolo e colorito con emallume- eosina è molto difficile distinguere le cellule in parola perchè le granulazioni, visibili cogli altri trattamenti, passano del tutto inosservate. I risultati esposti mi fanno escludere assolutamente la mia ipotesi primitiva che le cellule granulose di Schwartz siano da considerarsi di natura cromaffine, poichè mancano loro tuttii caratteri che distinguono gli elementi di tale tessuto; mi pongono anzi in grado di identificare le medesime con le « Mastzellen » di Ehrlich, confermando così la dubbia opinione dell’ autore che primo le descrisse. In completo favore di questa identificazione depongono la loro residenza esclusivamente connettivale e le loro reazioni di fronte alle sostanze coloranti. Conosciamo infatti che le « Mastzellen » come particolari elementi del connettivo, i quali vengono caratterizzati dalla presenza di numerose granulazioni diffuse nel citoplasma e dalla proprietà di assumere con i colori basici di anilina una tinta speciale — 300 — diversa da quella che il reattivo comunica agli altri elementi; una tinta, cioè, metacro- matica. E precisamente la tinta comunicata alle « Mastzellen » dai colori azzurri è, come nel nostro caso, d’un rosso violaceo. Tanto più fondata riesce l’identificazione quando poi si prenda nota dei dati che Maximow (18) fornisce nel suo recente ed accurato lavoro sulla varie forme cellulari del connettivo dei Mammiferi. Egli ci dà col suo studio una estesa illustrazione delle « Mastzellen » di molti Mammiferi e fra gli altri del topo e del ratto; nelle quali forme, contrariamente a quanto si verifica in altri Roditori, le « Ma- stzellen » raggiungono il più alto grado di sviluppo e si trovano diffuse in tutti gli organi. Le mie osservazioni coincidono perfettamente con quanto egli dice e raffigura a proposito di quegli elementi che distingue dai « Mastleucocyten » come « histiogenen » o « Binde- gewebsmastzellen ». Ricorderò da mia parte, in aggiunta alle notizie fornite da Maximow sulla loro distribuzione, che essi si rinvengono pure in discreto numero nel connettivo in- terstiziale del timo e nell’involucro delle capsule surrenali (*). Anche nella regione cardiaca del gatto ho riscontrato la presenza di « Mastzellen » le quali mostrano la stessa distribuzione di quelle del topo, ma ne differiscono sensibilmente per i caratteri citologici e per il numero (fig. 2, 2a, 2b, 2c). Il corpo cellulare si presenta alquanto meno voluminoso (diam. p 8-10), la granulazione diffusa nel citoplasma più mi- nuta, quasi pulverulenta, il nucleo, in proporzione delle dimensioni dell’ elemento, più grande (diametro p 4-5): circa la frequenza con cui si incontrano tali cellule nel connet- tivo, essa è molto minore che nel topo. Questi dati trovano piena conferma in quelli che Maximow fornisce a proposito delle « Mastzellen » osservate in altre regioni del gatto stesso. Esaurito quanto concerne la presenza di « Mastzellen » nella regione cardiaca, vengo ad esporre ciò che mi è risultato a proposito del tessuto cromaffine. — Mus decumanus adulto. — Comincerò dal rilevare che, nei preparati fissati con liquido di Miiller e formolo, invano ho ricercato elementi, se si escludano i corpuscoli sanguigni, che presentassero la caratteristica reazione gialla delle cellule cromaffini. Una tale constatazione, che in altre circostanze mi avrebbe forse indotto ad abbandonare la ricerca, nel caso presente non mi ha invece recato sorpresa, sapendo per gli studi di Kohn (12) che anche nei paragangli intercarotici del ratto e del topo gli elementi cromaffini sono difficilmente colorabili con le soluzioni cromiche. Aggiungasi che pure Kose (16), negli Ue- celli, ha osservato che le cellule le quali costituiscono i paragangli del collo e del cuore, contrariamente a quelle dei paragangli soprarenali (sostanza midollare delle capsule sur- renali), non si coloriscono in alcun modo in seguito a fissazione con miscele cromiche. Kose inoltre ha rilevato che tali elementi, da lui designati come « cromaffini incolori », possono (*) « Mastzellen » nell’ involucro e nell’ interno delle capsule surrenali dei Mammiferi e d’ altri Vertebrati sono state ultimamente descritte anche da Sabrazès-Husnot (23 e 28a). — 301 — anche trovarsi intercalati fra quelli colorabili in altri paragangli: così, ad esempio, in al- cuni gangli toracici e cervicali dei cordoni limitanti, in diversi nervi simpatici addominali e talora anche, in grande quantità, nel paraganglio soprarenale. D’ altra parte è certo che, per il loro peculiare abito morfologico e per la loro distribuzione (Kose) come per lo sviluppo diretto da cellule gangliari embrionali (Kohn), tali elementi incolori debbono considerarsi di natura cromaffine. La mia aspettativa infatti non è rimasta delusa perchè, in rapporto col plesso subpe- ricardiale e sopratutto con i cumuli ganglionari, ho rinvenuto formazioni che, in base ai precedenti risultati di Kohn e di Kose, ho tutta ragione di considerare come giacimenti di tessuto cromaffine. Tali formazioni si presentano per lo più sotto forma di piccoli cumuli cellulari non colorabili in giallo col fissativo cromico e giacciono di preferenza alla periferia dei gangli nei punti di entrata od uscita dei fasci di fibre (figg. 3 e 4); ma talora si rin- vengono anche completamente compresi fra gli elementi simpatici oppure a lato o inclusi nei tronchi nervosi che costituiscono le trabecole del plesso (fig. 5). Molte volte, anzichè di cumuli più o meno grossi e variamente conformati, si tratta di file cellulari o di cellule isolate che possono trovarsi anche disposte lungo la parete dei vasi di piccolo calibro. I cumuli assumono l’ aspetto di veri nidi cellulari quando sono circondati da un sottile ri- vestimento di connettivo; ma spesso sembrano mancare d’ un involucro proprio e giacere in diretto contatto con gli elementi ed i fasci nervosi. Nel loro interno si notano numerosi e sottilissimi capillari, i quali costituiscono una rete intercellulare che caratterizza molto bene i piccoli organi; vi si distinguono inoltre, per la forma e le dimensioni, parecchi nuclei connettivali, la cui presenza fa supporre che gli elementi più voluminosi siano com- presi fra le maglie d’ uno stroma. Come è noto, ambedue queste disvosizioni sono state osservate in molti altri paragangli. Relativamente ai caratteri citologici delle cellule che costituiscono i cumuli in parola, osserverò che le medesime, ner preparati fissati con Miiller e formolo e coloriti con emallume, si distinguono abbastanza facilmente sia dalle cellule nervose sia dalle connet- tivali per le particolari proprietà morfologiche come per il tono della colorazione alquanto più intenso. I limiti cellulari generalmente sono poco distinti, tanto da non potersi escludere che in qualche punto esistano masse sinciziali simili a quelle osservate da Kose nei pa- ragangli carotici degli Uccelli e da altri autori in altri paragangli. Soltanto in pochi casi sono riuscito a distinguere il contorno poligonale delle cellule reciprocamente compresse oppure la forma rotondesgiante di quelle isolate. La massa citoplasmatica si presenta meno abbon- dante che nelle cellule midollari delle capsule surrenali dello stesso animale : ha struttura omogenea finemente granulosa e, con le doppie colorazioni, assume una leggera tinta mista. Il nucleo, perfettamente distinguibile da quello delle cellule nervose e connettivali, è quasi sempre sferoidale (diam. ® 4-5), colorato piuttosto intensamente e consparso di poche e mi- nute granulazioni cromatiniche. In conclusione le cellule da me descritte, per i rapporti costanti con i gangli e di nervi simpatici del plesso subpericardiale, per il frequente raggruppamento in nidi compe- netrati da uno stroma connettivo e da una ricca rete di capillari sanguigni e per il par- — 302 — ticolare abito morfologico, si dimostrano della stessa natura di quelle osservate da Kohn e da Kose nei paragangli intercarotici e cardiaci. I giacimenti da essa costituiti, perfet- tamente simili ai nidi raffigurati da Kohn in Taf. IV e da Kose in Taf. XXIV e proba- bilmente corrispondenti a quelli veduti da Valedinsky (Taf. 19-20, Fio. 2) nel cuore di vitello, debbono perciò riportarsi al sistema generale feocromo e considerarsi come veri paragangli. — Cavia cobaya adulto. — In tale specie ho riscontrato disposizioni identiche a quelle descritte nella precedente. Gli elementi cromaffini cardiaci difficilmente rimangono coloriti in seguito a trattamento con miscele cromiche ; soltanto in via eccezionale ne ho osser- vato qualche piccolo gruppo che presentava una reazione giallo-bruna. — Felis domestica neonato. — Il plesso subpericardiale si distingue per una grande ricchezza di tessuto cromaffine le cui cellule, al contrario di quanto abbiamo constatato in Mus e Cavia, assumono di fronte al liquidi cromici una colorazione giallo-bruna o giallo- orange più o meno accentuata ma sempre evidente. Questa reazione caratteristica prova decisamente l’ esattezza delle conclusioni formulate a proposito delle due specie per prime sottoposte all’ osservazione ; conclusioni quasi esclusivamente stabilite sui caratteri morfo- logici e citologici dei corpi da me designati come cromaffini. Anche nel gatto tali corpi trovansi in stretta connessione con i ganglî nervosi (fig. 6) e presentano un volume varia- »bilissimo. I piccoli giacimenti risultano costituiti di un solo nido che può contenere anche un numero molto scarso di cellule; i grandi invece constano d’ un sistema di nidi compresi in un rivestimento connettivale comune ed alla loro volta circondati ciascuno da una capsula propria. La struttura dei nidi è la medesima descritta, nel topo: le cellule cromaffini, cioè, giacciono fra le maglie d’ un trabecolato connettivale, di cui generalmente non sì distin- guono che i nuclei, e si trovano in rapporto più o meno diretto con i numerosi capillari che irrigano l’organo e che al medesimo conferiscono un aspetto veramente caratteristico. Le cellule cromaffini, se si eccettui la loro reazione gialla con le miscele cromiche, pre- sentano caratteri presso a poco identici a quelli descritti nel topo, compresa la proprietà di riunirsi in masse sinciziali. Oltre che in contatto e nell’ interno dei gangli, ho osservato piccoli nidi anche fra le fibre dei rami nervosi che costituiscono il plesso (fig. 7), come pure cellule isolate o in gruppi lungo la parete deì vasi di calibro minore decorrenti in prossimità dei gangli. Non mancherò infine di ricordare che, cefalicamente alla regione auricolare, nel territorio del plesso cardiaco propriamente detto, ho pure incontrato, fra i grossi vasi che fanno capo al cuore, importanti depositi di tessuto cromaffine sotto forma di corpi piuttosto voluminosi perfettamente simili nella struttura ai paraganglî carotici. — Erinaceus europaeus adulto. — I giacimenti cromaffini cardiaci sono qui anche più numerosi e in genere più voluminosi che nel gatto. Del resto mantengono gli stessi rap- porti con i gangli ed i rami del plesso subpericardiale descritti nelle specie precedenti e mostrano la medesima costituzione : forse sono meno riccamente vascolarizzati (figg. 8 = 808 — e 9). Le cellule del tessuto specifico raggiungono dimensioni piuttosto considerevoli e, con- trariamente a quanto abbiamo verificato sin’ ora, presentano limiti assai ben distinti con- ferendo agli organi un aspetto d’ insieme del tutto paragonabile a quello rappresentato da Kohn (12) per i paragangli carotici del gatto (Taf. IV, Fig. 4). Anche qui però non man- cano casì in cui si verifica un raggruppamento sinciziale di più cellule. Mediante l’impiego dei fissativi cromici, alcune cellule reagiscono intensamente in giallo, altre rimangono del tutto incolori : tanto le une quanto le altre possono costituire nidi a sè, oppure rinvenirsi mescolate in un medesimo nido. Non mi trovo peraltro in grado di stabilire se sì tratti di due varietà distinte o piuttosto d’ una stessa qualità d’ elementi colpiti in diverso stadio funzionale. Certo si è che fra i due non esistono differenze di struttura apprezzabili. — Ovis aries giovane. -- Di tale specie ho sezionato soltanto una piccola porzione della regione auricolare contenente un ganglio. Nell’ interno di questo ho incontrato un bellissimo nido di cellule cromaffini colorite in giallo-citrino. Il nido è rivestito da una capsula connettivale propria e mostra la stessa struttura già descritta nelle altre specie. Giunto al termine della presente memoria con la quale ho avuto occasione di dimo- strare l’ esistenza, nel cuore dei Mammiferi, di due tipi cellulari entrambi caratterizzati, sebbene del tutto autonomi l’ uno dall’ altro, dalla proprietà comune di ritrovarsi nelle più diverse parti dell’ organismo, mi sia concesso di istituire un paragone fra i medesimi e di passare a qualche considerazione d’ indole generale. Come gli elementi cromaffini, per la loro derivazione, per la loro struttura, per le loro reazioni di fronte ai reagenti della tecnica microscopica, per la loro distribuzione ed i rapporti anatomici, rappresentano un tipo cellulare comprendente più varietà ma perfetta- mente definito, altrettanto le « Mastzellen », giusta i risultati dei recenti studi di Maximow, significano una forma specifica cellulare del tutto individualizzata e nettamente distinta da ogni altra dell'organismo. La presenza costante e la diffusione di queste due specie cellu- lari, non solo nel corpo dei Mammiferi, ma altresì in quello dei rimanenti Vertebrati, de- pongono con sicuro indizio per un’ alta funzione ad ambedue riservata nell’ economia ani- male. Per quanto limitate le attuali cognizioni sulla natura di queste funzioni ed incompleto l'accordo fra gli autori, prevale tuttavia l’ opinione che in entrambi i casi si tratti di attività secretrici. l'anto gli elementi cromaffini infatti, quanto le « Mastzellen », si distin- guono per la presenza nel citoplasma di inclusioni del tutto paragonabili ai granuli di secrezione degli elementi ghiandolari tipici, non che per gl’ intimi rapporti da cui son legati al sistema vascolare; rapporti i quali non possono riuscire che altamente favorevoli all’ esercizio di una funzione secernente. Aggiungasi, per il tessuto cromaffine, la partico- lare distribuzione del connettivo nell’ interno dei paragangli, il quale venendo a limitare intorno alle cellule un completo sistema di aperture e di lacune, sembra a bella posta ordinato, secondo il giusto pensiero di Kose, nel modo più favorevole all’ eliminazione di Serie VI. — Tomo IV. 41 —- 30 prodotti secreti. Se adunque le proprietà dei due tipi cellulari in parola coincidono anche nel valore secretivo della loro attività, a me pare che entrambi possano distinguersi dai restanti organi ghiandolari per il carattere della dispersione nell’ organismo, la quale forse corrisponde a particolari contingenze del loro ufficio. Si tratta perciò d’ una ben definita categoria di organi secretorii, i quali, indipen- dentemente dalla loro derivazione embrionale e dalla natura dei prodotti elaborati, hanno in comune la proprietà di trovarsi disseminati nelle regioni più varie del corpo. Alla quale categoria che, in contrapposto all’ altra degli « organi ghiandolari a residenza localizzata », potremo distinguere come quella degli « organi ghiandolari diffusi », debbono forse ascri- versi pure altri tipi di cellule, le quali, secondo le vedute più recenti, sarebbero investite di una funzione secretrice specifica |vedi i paragrafi di Prenant-Bouin-Maillard (2la) sulle cellule adipose e pigmentarie|] e, come le cromaffini e le « Mastzellen », si distin- guono per una larga distribuzione nell’ organismo animale. Per concludere, possiamo ricapitolare quanto venne esposto precedentemente nei seguenti termini: a) Nella regione cardiaca dei Mammiferi esistono, variamente distribuite, « Mast- zellen » e cellule cromaffini. b) Le « Mastzellen » si rinvengono, isolate o in piccoli gruppi, in tutte le parti ove esiste tessuto connettivo; cioè nello spessore del pericardio, nel tessuto adiposo, alla super- ficie dei tronchi nervosi, alla periferia o nell’interno dei cumuli gangliari, nell’ avventizia dei vasi, nel connettivo intermuscolare, etc. Per quanto varia, la distribuzione delle « Mast- zellen » è prevalentemente perivascolare. c) Le cellule cromaffini giacciono, talora isolate, per lo più sotto forma di nidi diversamente voluminosi o di aggregati di nidi, alla periferia o nell’ interno dei gangli e dei nervi del plesso subpericardiale. Qualche elemento sì osserva anche lungo la parete dei vasi di minor calibro prossimi ai ganglî cardiaci. Nella regione extracardiaca imme- diatamente soprauricolare si rinvengono pure grossi depositi cromaffini in relazione con i gangli del plesso cardiaco principale. I nidi possono essere muniti o no d’ un involucro connettivo proprio : in ogni caso le cellule, singolarmente o in gruppi, sembrano disposte fra le trabecole d’ un delicato stroma connettivale e si trovano in stretto rapporto con i capillari sanguigni che numerosi circolano fra di loro. Mediante trattamento con miscele cromiche, in talune specie esse rispondono con la caratteristica reazione gialla da cui derivò il loro nome, in altre rimangono del tutto incolori: talora, in numero più o meno grande, si riuniscono a formare masse sinciziali. In complesso i giacimenti da me osservati nella regione cardiaca dei Mammiferi presentano gli stessi caratteri morfologici dei para- gangli carotici e le stesse relazioni col sistema simpatico e col vascolare dei paragangli in genere. La loro esistenza dimostra sempre più ampio il territorio di distribuzione del tessuto cromaffine nell’ organismo dei Mammiferi, — 305 — d) « Mastzellen » e cellule cromaffini, in base alla loro natura secretice e alla loro dispersione nell’ organismo, vengono a costituire una categoria a parte di organi ghiando- lari distinguibili come « diffusi »; tra i quali forse sono da annoverarsi altri tipi di cellule del pari disseminate in diverse regioni del corpo e presumibilmente investite d’ una fun- zione secernente. Dal Laboratorio di Anatomia comparata della R. Università di Bologna, maggio 1907. BIBLIOGRAFIA 1) Berkley H. — On complexe nerve terminations and ganglion cells in the muscular tissue of the heart ventricle. Anaf. Anz., Bd. 9, 1894. 2) Cyon E. v. — Die Nerven des Herzens. Ihre Anatomie und Physiologie. Berlin, 1907. 8) Dogiel A. S. — Zur Frage iiber den feineren Bau der Herzganglien des Menschen und der Saugethiere. Arch. f. mikr. Anat., Bd. 55, 1899. 4) Dogiel I. 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Vol. 2, 1899. 24) Schwartz S. — Ueber die Lage der Ganglienzellen im Herzen der Sàugethiere Arch. f. mikr. Anat, Bd. 53, 1899. 24a) Shuk N. N. — Ueber die Nerven des Herzens. Woprossy nerivno-psich. med., Bd. 8, Kiew, 1903. (Russo). 25) Smirnow A. — Die Struktur der Nervenzellen im Sympathicus der Amphibien Arch. f. mikr. Anat., Bd. 35, 1890. 26) id. — Einige Bemerkungen iber die Existenz von Ganglienzellen in den Herzven- trikeln des Menschen und einiger Siiugethiere. Anat. Hefte; S1 Heft. (Bd. 27, H. 1), 1904. 26a) Stilling H. — A propos de quelques expériences nouvelles sur la Maladie d’Ad- dison. Aevue de Médecine, 1890. 26b) id. — Die chromophilen Zellen und Kéòrperchen des Sympathicus. Anaf. Anz, BAGS) 27) Valedinsky I. A. — Zur Frage iiber die Nervenknoten im Herzventrikel einiger Saugetlere. tAnat. Hefte; 81 Heft (Bd. 27, H. 1), 1904. 28) Vignal — Recherches sur l’appareil ganglionnaire du coeur des vertébrés. Arch. de III, I SIP, IPB SR SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Indicazioni comuni a tutte le figure: c.cr, giacimento di cellule cromaffini, cg, cellula: gangliare, cs, capillare sanguigno, n, tronco nervoso. Figg. 1 e la — Mus decumanus var. alb., adulto. « Mastzellen » e nuclei connettivali della regione cardiaca. Il citoplasma ed i granuli di secrezione delle « Mastzellen » si presen- tano coloriti metacromaticamente in rosso-vinoso; i nuclei invece, come quelli delle cellule connettivali, sono coloriti in bleu. Sublimato acetico; tionina secondo il metodo Nissl. — Ingrandimento diam. 1120. Figg. 2 2a, 2b e 2c —- Felis domestica, neonato. « Mastzellen » e nuclei connettivali della regione cardiaca. Le « Mastzellen » hanno un corpo cellulare meno voluminoso di quelle del topo ma invece un nucleo più grande. Il citoplasma ed i minuti granuli di secrezione mostrano la stessa reazione metacromatica. Alcool assoluto: tionina alcoolica. — Ingrandimento diam. 1120. Fig. 3 — Mus decumanus var. alb., adulto. Porzione di ganglio del plesso subpericardiale (regione auricolo-dorsale) in contatto, peritericamente, con un nido di cellule cromaffini. fa, fasci di fibre amieliniche sezionati longitudinalmente; 7, fascio di fibre mieliniche sezionato trasversalmente. Nel preparato le cellule cromaffini non presentano la reazione cromica. Liquido di Miller + formolo; emallume, eosina. — Ingrandimento diam. 486. Fig. 4 — Mus decumanus var. alh., adulto. Giacimento cromaffine nell’interno di un ganglio del plesso snbpericar- diale (regione auricolo-dorsale). Nel preparato le cellule cromaffini non presentano la reazione cromica. Liquido di Miller +4 formolo; emallume, eosina. — Ingrandimento diam. 552. Fig. 5 — Mus decumaus var. alb., adulto. Giacimento cromaffine nell’interno di un grosso tronco nervoso del plesso cardiaco (regione soprauricolare). — 308 — Nel preparato le cellule cromaffini non presentano la reazione cromica. Liquido di Miiller + formolo; emallume, eosina. — Ingrandimento diam. 224. Fig. 6 — Felis domestica, neonato. Porzione di ganglio cardiaco della regione auricolare in rapporto con un giacimento di cellule cromaffini. Nel preparato le cellule cromaffini presentano la reazione cromica (colo- razione giallo-citrina). Liquido di Miller + formolo; emallume, eosina. — Ingrandimento diam. 552. Fig. 7 — Felis domestica, neonato. Nido di cellule cromaffini nell’interno di un nervo del plesso subpericar- diale (regione auricolare). Nel preparato le cellule cromaffini presentano la reazione cromica (colo- razione giallo-bruna). Liquido di Miiller + formolo; emallume, eosina —- Ingrandimento diam. 283. Fig. 8 — ZErinaceus europaeus, adulto. Veduta d’insieme di un grosso paraganglio cardiaco della regione auri- colare. ap, porzione della parete dell’arteria polmonare (schematica). Nel preparato si osserva che alcuni nidi contengono cellule cromaffini incolori; altri tutte colorite in giallo-citrino o giallo-bruno; altri infine cellule incolori e colorite mescolate insieme. Liquido di Miiller + formolo; emallume, eosina. — Ingrandimento diam. 100. Fig. 9 — £Erinaceus europaeus, adulto. Piccolo paraganglio cardiaco della regione soprauricolare. fc, teca con- netivale di rivestimento comune al deposito cromaffine ed al ganglio nervoso. Nel preparato gli elementi cromaffini sono quasi tutti intensamente colo- riti in giallo-bruno e presentano contorni ben definiti. Liquido di Miller + formolo; emallume, eosina. — Ingrandimento diam. 560. ISO Memorie R. Acc. Sc. Bologna, Serie VI, Tomo IV. G. TRINCI — Cellule cromaffini ecc. P. Gregori dis. | 1 PAT sali LL-TERIORI RICSKCHE SUL RESTI DEL SACCO VITELLO DEGERINVOSUCRIEMBRIONALEEZDENEORO RISPERNTIVI VASI NELLE TESTUGGINI E NEI COCCODRILLI NFEERINE SERIE DEL PROF. ERCOLE GIACOMINI (letta nella Sessione del 10 Marzo 1907) (CON DUE TAVOLE DOPPIE) In una mia breve nota di quattro anni fa « sui resti del sacco vitellino nelle Testug- gini » (1) feci rilevare che in questi Rettili resti del sacco vitellino si riscontrano sempre, non solo durante la prima età ma per tutta la vita, insieme a certe disposizioni vascolari, ossia persistenza della vena e dell’ arteria onfalo-mesenteriche, come traccie delle antiche disposizioni embrionali, e mostrai inoltre che nelle l'artarughine nate da pochi giorni sulla faccia dorsale dell’ ombelico cutaneo trovasi un corpicciuolo sferico od ovale discretamente grande che a poco a poco regredisce e scompare. Cotesto corpicciuolo, al quale si attacca l’ apice della vescica urinaria, io paragonai al corpo allantoideo (corpus allantoideum) già da me osservato nei neonati di Zacerta e di Tropidonotus e dovuto a parti dell’ amnios e dell’ allantoide, che in questi, agli ultimi tempi della vita embrionale, per il meccanismo di recezione del sacco vitellino, entrano nella cavità addominale (2). Sin da quando pubblicai la suddetta nota, ebbi in animo di studiare la disposizione degli involucri embrionali nelle 'l'estuggini e il meccanismo per mezzo del quale in esse il sacco vitellino viene introdotto nella cavità dell’ addome, poichè era soltanto colla conoscenza di tale meccanismo che potevasi spiegare la formazione del corpo allantoideo Ma ad onta di replicati tentativi per avere uova di Testudo graeca o di Emys lutaria sulle quali com- piere la desiderata ricerca, non mi fu possibile raggiungere lo scopo, perchè ottenni sol- (1) Monit. Zool. Ital. Anno XIV, Firenze 1903 (Rendio. della IV assemb. ord. e del Convegno dell’ Un. Zool. Ital. in Rimini, 12-16 Srtt 1908). (2) Giacomini E. — Nuovo contributo alla migliore conoscenza degli annessi fetali nei Rettili. Recezione del sacco vitellino e dell’allantoide nella cavità addominale. Monit. Zool. Anno IV. Fi- renze 1893. Sul meccanismo di recezione del sacco vitellino nella cavità sonale degli Uccelli paragonato a quello dei Rettili. bid. IV. 1893. — 310 — tanto uno scarso numero di uova e perchè queste poche o non mi si svilupparono o mi morirono già nei primi tempi. Tuttavia, studiando la struttura microscopica del corpo al- lantoideo, del quale volli pure seguire il processo di regressione, arrivai a persuaderini che la mia interpretazione era giusta, poichè tra le parti costitutive di quel corpo si trovavano residui epiteliali provenienti senza dubbio dall’ epitelio dell’ allantoide. Recentemente però Hochstetter (1) che raccolse in gran copia uova di Emys lutaria, una parte delle quali riuscì a fare completamente sviluppare in laboratorio fino alla schiusa dei piccoli, ebbe agio di esaminare la disposizione degli involucri embrionali, i loro rapporti col sacco vi- tellino e di assistere pertanto al meccanismo del tutto speciale pel cui mezzo questo entra nella cavità viscerale e si determina contemporaneamente la formazione del corpo allan- toideo. Or bene, le ricerche di Hochstetter dimostrano che appunto alla formazione del corpo allantoideo concorre per la massima parte l’ allantoide, poichè allantoide e amnios nell’ £mys, come forse in tutti i Cheloni, non vengono abbandonati al momento della schiusa, ma, effettuandosi l° apertura di detti involucri in corrispondenza od in vicinanza della connessione siero-amniotica, i medesimi, ossia l’amnios lacerato e specialmente 1° al- lantoide che, senza subire lacerazione, si conserva integra, mentre cooperano a sospingere il sacco, sul cui polo distale si raccolgono e si contraggono, nella cavità dell’addome, vi penetrano anch’ essi dando luogo alla formazione del corpo allantoideo (2). Ora con la presente memoria intendo di illustrare più ampiamente, corredandoli di figure esplicative, i fatti nella mia breve nota accennati. Vi aggiungo nuove osservazioni relative al processo di riassorbimento del sacco vitellino, alla struttura del corpo allan- toideo e alla sua regressione ed ai vasi allantoidei. Per le osservazioni, particolarmente per quelle sui vasi allantoidei, oltre alle Tarta- rughe neonate, giovani e adulte, dissecai embrioni di Zestudo graeca e di Emys lutaria già fissati e conservati in alcool, e mi giovai poi molto dello studio delle serie di sezioni trasverse di embrioni a vario grado di sviluppo sì dell’una che dell’altra specie messe a (1) Hochstetter F. -- Ueber die Art und Weise wie die europàische Sumpfschildkròte ihre Eier ablegt und wie die Jungen dieses Tieres das Ei verlassen. Sonderabdruck aus: Berichte des na- turwiss.-mediz. Vereines in Innsbruck. Jahrgang 1905-1906. (2) Quando l'embrione si libera dagli involucri embrionali, di regola col suo arto anteriore destro li rompe nella regione della connessione siero-amniotica in modo da spingere l’arto tra i due lobi dell’allantoide situati ai lati della predetta connessione, sicchè il lume dell’allantoide non viene affatto aperto. Mediante i movimenti dell'arto, primo uscito, l’ apertura s’ ingrandisce rapidamente e tosto sporgono attraverso ad essa anche la testa e l’altro. arto anteriore. Gl’ involucri embrionali, da cui frattanto si sono liberati anche la parte posteriore del tronco, la coda e gli arti posteriori, si addossano al sacco vitellino, il quale è ora contenuto in una sacca formata da una parte dell’amnios, in corri- spondenza di quella porzione del sacco. vitellino prima rivolta verso il piastrone, e dalle due lamine dell’allantoide, all’esterna delle quali è saldata una membrana costituita in parte dalla sierosa e in parte dalla porzione dell’amnios che prima avvolgeva l’embrione Dalla detta sacca, per la retrazione sempre maggiore dell’allantoide, il sacco vitellino è gradatamente spinto nella cavità viscerale (Hochsteiter). Similmente in Clemmys zaponica, come osservò Mitsukuri, gl’involucri embrionali vengono aperti per fenditura lungo la sutura siero-amniotica dai membri anteriori dell'embrione che sta per schiudere, in modo che quasi sempre l’allantoide si mantiene integra. -= sli — mia disposizione dal collega ed amico prof. Bertelli, al quale esprimo qui i miei vivissimi ringraziamenti. Che anche nelle l'artarughe il sacco vitellino venisse accolto nella cavità addominale degli embrioni giunti al termine del loro sviluppo e prossimi a schiudere dall’ uovo, era già noto a Duvernoy (1), il quale così ne fa menzione: « Les Chéloniens se rapprochent davantage des Oiseaux pour les changements qu’éprouve leur vitellus. Il diminue sans doute à proportion du développement. Cependant M. Tiedemann l’a trouvé encore considé- rable dans un foetus très avancé. Le sac vitellin entre dans l’abdomen encore volumineux, chez un foetus près d’éclore ». i Tiedemann (2), che portò il primo eontributo all’ embriologia delle ‘’estuggini, descrivendo due uova di Emys amazonica con embrione quasi maturo, trattò degli invo- lucri e del sacco vitellino, circa al quale dice che, ancora discretamente grande, ovale e ricco di vasi, era situato sotto l’addome e congiunto per mezzo del suo collo, attraver- sante la guaina amniotica e l’apertura ombelicale, alla parte media dell’intestino tenue senza che però il sottile tratto d’ unione fosse cavo, sicchè non esisteva più una comuni- cazione pervia tra sacco vitellino e intestino. Rathke (3) in un giovane esemplare di E£wmys europacea, il cui scudo dorsale misu- rava linee 11%, di lungh. e 10%, di massima larghezza, vide che esisteva ancora una cicatrice ombelicale di figura romboide e con superficie scabra, lunga linee 2‘ e larga al massimo 1’, mentre nella cavità addominale trovavasi ancora un sacco vitellino sfe- rico del diametro di 24, /. Rathke nota anche che i feti di Emys possono schiudere più tardi del solito, sia perchè le uova furono deposte tardivamente, sia perchè la stagione fu poco favorevole al loro sviluppo, e, appena schiusi, cadere in letargo (4). Egli ebbe al 28 di maggio un gio- vane esemplare in cui si trovava ancora una grande cicatrice ombelicale e nella cavità addominale un sacco vitellino discretamente grande. (i) Duvernoy — Articolo « Ovologie, Anat. et Physiol. » nel Dictionnaire universel d’ histoire nature!le dirigè par M. Charles D’Orbigny. Paris 1849. Tome IX. Pag. 807. (2) Tiedemann F. — Zu Samuel Thomas Soemmerings Jubelfeier. Heidelberg und Leipzig 1828. (Citato da Duvernoy e da Rathke). (3) Rathke H. — Ueber die Entwickelung der Schildkròten Braunschweig 1848. (4) Secondo Rathke non è da credersi che questi giovani lascino in primavera le loro uova le quali abbiano passato l’inverno nella terra e siansi poi sviluppate. Rollinat (Sur l’accouplement automnal de la Cistude d’ Europa. Bull. de la Soc zool. de France. T. 24, N. 2, pag. 103-106) afferma che l'accoppiamento della Cistudo Europaea accade pure nell’autunno (in novembre) ma non dice se uova vengano deposte anche in quest’ epoca, la qual cosa del resto sembra poco probabile. Sic- come però nella primavera si raccolgono moltissimi giovani delle dimensioni circa di quelli appena sgusciati dall’uovo, è certo che, avendo essi schiuso nell’ autunno, il loro accrescimento durante il lasso di tempo trascorso in letargo è quasi inapprezzabile [Miram (Beitriàge zur Naturgeschichte des Sumpfschildkvòte, Emys europaea, in: Bull. de la Socicté imperiale des Naturalistes de Moscou. An- nee 1857) riferi che nei dintorni di Kiew le uova deposte dall’ Emys curopaea rimangono sotterra fino alla prossima primavera (fino all’Aprile) sicchè i giovani ne schiuderebbero dopo dieci od undici mesi circa]. SARONIO o 42 — 312 — Notevole è il fatto che Rathke in un embrione di Testudo non ancora schiuso trovò il sacco vitellino che stava per entrare nella cavità addominale. Esso era discretamente grande con la forma di un ovale o di una pera, situato ancora fuori della cavità addomi- nale, ma in maniera che la sua estremità più sottile penetrava alquanto nell'ampia aper- tura ombelicale e la sua estremità più grossa si dirigeva verso l’avanti. La sua estre- mità più sottile passava nell’apice di un’ ansa dell'intestino tenue di guisa che tra l uno e l’altra esisteva soltanto un restringimento ma non uno speciale peduncolo o ductus vitel- larius; mancava però una comunicazione cava tra il sacco vitellino e l'intestino, talchè le cavità di ambedue erano manifestamente separate l’una dall’altra. Anche nei giovani di Chelonia, di Trionyx aegyptiacus, Sphargis coriacea, Terrapene tricarinata, Emys e Pla- temys Rathke vide che esisteva ancora nella cavità viscerale, sessile o appeso alla parte media dell’intestino per mezzo di un peduncolo solido estremamente corto, un sacco vitellino rotondo, assai piccolo, sicchè esso era già molto vicino alla sua completa scom- parsa. Dalla parete del sacco vitellino sì elevavano verso l’interno grosse pieghe, discreta- mente alte, di diversa lunghezza e irregolarmente ripiegate, ognuna delle quali conteneva una rete di delicati vasi circondati da una guaina formata dalla membrana interna del sacco vitellino, alla quale era attaccato un sottile strato di tuorlo. Rathke fece inoltre interessanti osservazioni sui vasi onfalo-mesenterici e sui vasi ombelicali (allantoidei), le quali dovrò riferire più sotto parlando di detti vasi. Dalle ricerche di Rathke bisogna venire al lavoro di Mitsukuri (1) sulle mem- brane fetali delle Testuggini giapponesi per avere qualche altra notizia sui resti del sacco vitellino in questi Rettili. Mitsukuri stesso vi accennava però soltanto incidentalmente notando che in Clemmys japonica e Trionyx.japonicus il sacco vitellino persiste per parecchi mesi dopo la nascita nella cavità addominale, avendolo egli trovato in giovani Tartarughe nella primavera dell’anno seguente a quello in cui erano nate. Voeltzkow ritiene che nelle T'estuggini il sacco vitellino scompaia assai presto poichè, secondo le sue ricerche in Chelonia imbricata, esemplari giovanissimi di questa specie, esaminati otto giorni dopo la schiusa, mostravano quell’organo già ridotto alla grandezza di un piccolo pisello. Se per i dati bibliografici surriferiti si conosceva sin da molto tempo che nelle Testug- gini, come accade, salvo qualche rara eccezione (Lacerta vivipara, Seps chalcides), negli altri Rettili e negli Uccelli, il sacco vitellino viene accolto nella cavità addominale del- l'embrione poco tempo prima che questo schiuda dall’ uovo, non si sapeva per altro con quale meccanismo il fatto si svolgeva. Tale meccanismo, alquanto diverso da quello che si verifica negli altri Rettili (2), compresi i Coccodrilli (3), e negli Uccelli (4), fu, come sopra (1) Mitsukuri K. — On the Foetal Membranes of Chelonia. Ze Journal of the College of Science, Imperial University, Japan. Vol. IV. Part. I. Tokyo 1891. (2) Giacomini E., l. c. (3) Voeltzkow A. — Beitrige zur Entwicklungsgeschichte der Reptilien. IV. Keimblàtter, Dot- tersack und erste Anlage des Blutes und der Gefiisse bei Crocodilus madagascariensis Grand. Abhand. herausg. von der Senckenberg. naturf. Gesellschaft. Bd. XXVI Heft III. 1901. (4) Virchow H. -— Der Dottersack des Huhnes. Znternat. Beitrige zu wiss. Medicin Festschrift, Rudof Virchow gevidmet sur Vollendung seines 70 Lebensjahres. Bd. I. — 313 — ricordai, recentemente studiato da Hochstetter(1)in Emys lutaria. Per le Testuggini non si conosceva nemmeno il processo di regressione del sacco vitellino. È noto che generalmente nei Sauropsidi il sacco vitellino, passato nella cavità addominale, ben presto regredisce fino a scomparire del tutto senza lasciare traccia di sè. Ma, a parte che in alcuni Uccelli, cioè nei Palmipedi e nel massimo numero degli Uccelli palustri, rimane, come segno del sacco vitellino, un diverticulum coecum vitelli a guisa di un corto cieco, inserito nel mezzo del- l’intestino medio, con urna cavità che sbocca nel lume intestinale (2), e che nei Ratiti molto a lungo, ovvero per tutta la vita,si conserva, sebbene in forma degenerata, anche un resto del tuorlo medesimo (2), in alcuni Rettili resti del sacco vitellino possono acci- dentalmente trovarsi pure nell’adulto. Infatti Strahl (4) rinvenne resti del sacco vitellino in alcuni esemplari adulti di Lacerta e in giovani orbettini (Anguis fragilis) di mezzo anno. Per le Tartarughe però, se ne togli l’accenno di Rathke e di Mitsukuri che videro il sacco vitellino negli esemplari giovani sgusciati di corto o solo da qualche mese, nessun autore aveva mostrato che resti di quest’ organo embrionale si hanno, normalmente, pure negli adulti. Inoltre, mentre nella Lacerta fu anche studiato da Bersch (5) il pro- cesso di regressione del sacco vitellino, dopo la sua penetrazione nella cavità addominale, e uno studio simile venne fatto da Voeltzkow (6) per il sacco vitellino del Crocodilus madagascariensis Grand. (Crocodilus niloticus Laur.) nel quale scomparirebbe assai presto, e affatto recentemente ricerche sul riassorbimento del sacco vitellino residuale furono ese- guite da L. Cohn (7) nell’Anguis fragilis L., per le Testuggini mancavano ancora ricerche in questo senso, donde la ragione deile mie indagini che mi condussero così a rilevare altri fatti relativi alle traccie che nell’adulto rimangono di quelle disposizioni legate nel- l'embrione alla presenza ed alla funzione degli annessi fetali (8). Le mie osservazioni si fondano sopra un abbondantissimo numero di esemplari di Te- studo graeca L. e di Emys lutaria Marsili (Emys europaea Gray). Per l Emys lutaria esaminai una serie di oltre 60 esemplari, la quale va da gio- vani schiusi da poco tempo. con un piastrone della lunghezza di mm. 20, su su agli adulti con piastrone lungo cm. 13,5. Un’ altra serie consimile esaminai per la Testudo graeca dai (1) 1. c. Quanto ai particolari di questo meccanismo rimando al lavoro di Hochstetter. (2) Gadow H. — Versuch einer vergleichenden Anatomie des Verdauungssystems der Vogel. II Theil. Jenaische Zeitschrift fin Naturwissenschaft. Bd 13. Jena 1879. (3) Siebold und Stannius — MHandbuch der Zootomie. II. T. Die Wirbelthiere. (4) Strahl H. — Ueber Dottersacksreste bei Reptilien. Anatom. HMefte. Erste Abteilung. X Heft (III Bd., Heft III) Wiesbaden 1894. (5) Bersch C. — Die Rickbildung des Dottersackes bei Lacerta agilis. Anatom. Mefte. Erste Abtheilung VI-VII Heft (II Bd, Heft ITI-IV). Wiesbaden 18983. (6) Voeltzkow A. — 1. c. Keimblatter, Dottersach etc. bei Crocodilus madagascariensis Grand. (7) Cohn L. —- Ueber die Resorption des Dotterrestes bei Anguis fragilis L. Zool. Anseiger, Bd. XXX. 1906. (8) Per gli Uccelli ricerche sulla regressione del sacco vitellino furono eseguite da H. Virchow (I. e., Das Dottersach des Huhnes) come pure da Charbonnel-Salle et Phisalix (De l'evolution postembryonnaire du sac vitellin chez les oiseaux. Comptes rendus de l’Ac. des se. de Paris, T. CII). — 314 — piccoli, nati soltanto da qualche giorno, il cui piastrone misurava mm. 24,5 di lunghezza, sino ad adulti con lo scudo ventrale di 11 cm. Mi fu pertanto possibile di seguire passo a passo tutto il processo di regressione del sacco vitellino ed osservare che il medesimo avviene lentamente, quantunque in alcuni esemplari più lentamente, in altri meno (1). Di più riuscii a stabilire che nell’adulto perdurano normalmente, quali segni della pree sistenza del sacco vitellino, certe disposizioni da considerarsi come resti di quest’ organo. Sacco vitellino e vasi onfalo-mesenterici. Regressione del sacco vitellino. Il sacco vitellino nelle Tartarughine (7estudo) schiuse da pochi giorni è ancora assai voluminoso relativamente alla grandezza del corpo dell’ animale, misurando 21 mm. nell’ asse maggiore e 11 mm. nell’ asse minore; ha forma ovoidale con superficie esterna liscia ed occupa buona parte della cavità dell’ addome nella quale si dispone ventralmente tra il fegato e la vescica urinaria, con \° asse maggiore diretto in senso trasversale (Tav. I, Fig. 1). S' inserisce ad un’ ansa dell’ intestino medio, dal lato opposto all’ inserzione del mesenterio, e può dirsi che manchi addirittura di un peduncolo vitellino, talchè 1’ organo è affatto sessile sulla parete dell’ intestino (Tav. I, Fig. 2); dalla parte del suo polo distale non aderisce all’om- belico addominale nè alla vescica e mostra così di non avere durante la vita embrionale connessioni, nemmeno vascolari, con l’allantoide, il che risulta anche dalle ricerche di Mitsukuri (2), mie (2) e di Hochstetter (4). Ad esso arrivano di solito due arterie onfalo-mesenteriche (arterie vitelline) che sono due rami di un’arteria staccatasi dalla mesenterica. Anzi l'arteria onfalo-mesenterica, che è poi l’ arteria mesenterica dell’ adulto, originatasi dalla radice sinistra (arco sinistro) dell’ aorta, subito dopo 1° arteria gastroepi- ploica (Bojanus) e molto vicino all’arteria celiaca o quasi insieme con questa, cammina diritta tra le lamine del mesenterio per dirigersi direttamente al sacco vitellino, ma poco avanti di raggiungerlo, ad una distanza maggiore o minore, variabile secondo gl’ individui, sì divide d’ ordinario in due rami, le due arterie vitelline (onfalo-mesenteriche), che cin- gono a guisa di laccio l’ intestino di fronte al luogo in cui s'inserisce il sacco vitellino e sì gettano sul suo polo prossimale |Tav. I, Fig. 3-7, a. v. (a. om.), a. v' (a. om.)]. Sono per lo più sostenute da pieghe del mesenterio bene evidenti. Similmente Rathke (5) (1) Come estremi della rapidità di regressione del sacco vitellino ricorderò che per la estudo graeca di fronte ad esemplari con piastrone lungo mm. 28 e sacco vitellino molto voluminoso ne trovai altri con piastrone lungo mm. 26,5 e sacco vitellino già piccolo quanto un grano di miglio. S’ intende pertanto che in esemplari della stessa età il sacco vitellino può avere grandezza assai diversa. (2)atte: (3) Giacomini E. — Contributo alla migliore conoscenza degli annessi fetali nei Rettili. 2' Nota prev. Monit. Zool. Ital. Anno II. Firenze 1892. (4) I. c. (5) 1. e. Anche nei Coccodrilli manca ogni connessione del sacco vitellino con l’ombelico addominale e con la vescica urinaria. — 315 — nell’ embrione e nei giovani di Chelonia, come anche di Sphargis, e in un giovane esem- plare di Emys europaea, trovò due rami dell’ arteria onfalo-mesenterica, mentre in un embrione di Zestudo graeca potè riconoscere seltanto una semplice arteria, ma suppose che pure in questa specie fosse doppia. Ora io ho rilevato che tanto nell’ Emys quanto nella Zestudo, a seconda che |’ arteria onfalo-mesenterica si biforca o meno, si possono avere due rami o un ramo solo (il sinistro), ossia due arterie vitelline od una sola (la sinistra), se non che quest’ ultimo caso mentre è abbastanza frequente in Testudo, raramente invece s'incontra in Emys; e difatti nella Testudo trovai un’ unica arteria in un terzo circa degli esemplari osservati, nell’ #y2ys all’ opposto soltanto nella proporzione del 10 per cento degli esemplari presi in esame. Pur esistendo due arterie, 1’ una di esse (la destra) può essere molto ridotta; rarissimamente si presentano ambedue fortemente regredite. Dal polo prossimale del sacco vitellino presso al punto di sua inserzione al- l’ intestino si parte la vena vitellina od onfalo-mesenterica |vo. (v. 07.)], la quale corre poi cranialmente lungo l’intestino sino alla porzione duodenale, passa, volgendo verso l'inserzione del mesenterio, fra il duodeno ed il pancreas e giunge al fegato formando una radice della vena porta: s' adagia per un tratto più o meno lungo sulla parete intestinale nel lato opposto all’ inserzione del mesenterio ed è sostenuta per mezzo di una piega pe- ritoneale tesa tra l'intestino e la vena medesima. Questa vena, che diverrà la vena duo- denale dell’adulto, confluisce nell’attraversare il pancreas con la vena mesenterica prima di aprirsi nel tronco della vena porta, posto trasversalmente sulla faccia dorsale del fegato, nel cui lobo destro penetra camminando parallelamente al dotta coledoco (1). Il sacco vitellino, che continua a fornire materiale nutritizio ai piccoli, dopo alcuni giorni dalla nascita comincia a lentamente regredire e a diminuire a poco a poco di volume, cosicchè scende alle dimensioni di mm, 9 X 5,5, 8,5 X 4 mantenendo ancora una figura ovoidale (Tav. I, Fig. 3), poi rimpiccolendosi maggiormente assume una forma sferica e sì riduce sino alla grandezza di un chicco di canapa o di miglio oppure si mostra a guisa di un tubercoletto aderente con larga base all’intestino (Tav. I, Fig. 4-7) (2). Per un certo tempo, finchè il suo volume è ancora notevole, conserva la situazione tra il fegato e la vescica urinaria, ma diminuendo molto di volume il sacco vitellino coll’ansa che lo sostiene si situa di consueto sul lato sinistro dell’ addome. Col regredire l’organo cangia pure di co- lore ed acquista una tinta giallo-rossastra o giallo-aranciata o bruna. Sebbene estrema- mente ridotto, non giunge mai ad una scomparsa completa, cosicchè in esemplari dell’ età di parecchi anni (3) si scorge ancora in suo luogo attaccato all’intestino (Tav. I, Fig. 8, 9) (1) Questa parte della vena porta e il suo sbocco sono situati alquanto medialmente alla vena cava inferiore (vena spermatica di Bojanus) che attraversa il fegato raggiungendolo pure per il lobo destro. (2) In giovani esemplari di E£wmys raccolti nella primavera dell’anno seguente a quello in cui nacquero, può essere ancora discretamente grande giungendo talvolta a misurare mm. 6,5 nell’asse maggiore e mm. 4 nell’asse minore. (3) È noto che l'accrescimento delle ‘l'artarughe avviene molto lentamente. Veggasi la tabella data a questo proposito da Agassiz e riportata da Hoffmann (Bronn's Klasse und Ordnungen des Thier- reichs, VI Bd., III Abt. Reptilien. I. Schildkròten). L’ Ewys picta, ad es., a 2 anni ha il piastrone lungo 25 mm. — 316 — un piccolo corpiccinolo che talvolta apparisce soltanto a guisa di un minuto tubercoletto di color brune o giallo-aranciato, nel quale, come rivela l’ esame microscopico, sono sempre contenute cellule vitel'ine residuali cariche di tuorlo modificato o di piomento. Ed infine negli adulti in corrispondenza della primitiva sede del sacco vitellino vedesi un le&giero rilievo, sia di forma ovale s'a rotonda, oppure un piccolo avvallamento che, tenuto conto della sua derivazione, chiamerò ombelico intestinale (Tav. I, Fig. 10-13). Di regola il sottile canale vitellino o vitello-intestinale (1) si oblitera più o meno tardi, non di meno talvolta, essendo pure scomparse tutte le cellule vitelline, nel tubercoletto che mostrasi alla super- ficie dell’ intestino come resto del sacco, rinvenni, anche in esemplari d’età avanzata, un diverticolo della cavità intestinale rivestito di un epitelio simile a quello dell’intestino, il quale diverticolo deve ritenersi derivato dalla persistenza del condotto vitellino (2). Ma pur scomparso il sacco e il canale vitellino, rimangono sempre nell’ adulto segni della preesi- stenza dell’organo e appunto ano di questi segni è rappresentato da un ombelico intesti- nale più o meno distinto, talvolta sporgente alla maniera di un piccolo tubercolo sur un’ ansa dell’ intestino tenue nel punto in cui si inseriva il sacco vitellino, tal’altra volta visibile soltanto a mo’ d’una piccola cicatrice. Negli adulti però, anche quando al posto del sacco vitellino si ha solamente un piccolo ombelico intestinale, altri segni più importanti e più caratteristici sono dati dalla persistenza dei vasi vitellini, arteria e vena. Infatti 1’ arteria vitellina od onfalo-mesenterica, sostenuta, come nell’ embrione e nei giovani, da una speciale piega del mesenterio (3), permane o con una sola diramazione o con ambedue le dirama- zioni che allora abbracciano a guisa di cingolo l’ intestino nel punto (ombelico intestinale) dell’antica inserzione del sacco vitellino [Tav. I, Fig. 10-13 a. v. (a. om.)]. La vena vitellina od onfalo-mesenterica [v. ©. (v. 0m.)|] corre ora lungo la porzione duo- denale dell’ intestino; è divenuta la vena duodenale (« vena duodenalis » Bojanus) del- l’adulto e come tale permane sempre, ma ciò che più interessa si è che essa, costantemente in Testudo non sempre in £wmys (4), si estende ben distinta, o direttamente o con una sua diramazione, fino all’ ombelico intestinale, ricordando lo stato embrionale. Va per altro av- (1) Attraverso a questo canale, anche quando è pervio, non passa mai tuorlo nella cavità dell’ in- testino. (2) Quanto al modo d’inserzione del sacco vitellino, vi è differenza tra ciò che si verifica nelle ‘l'artarughe e nei Coccodrilli da un canto e quello che dall'altro canto si riscontra nella maggior parte dei Saurii e negli Ofidii, poichè mentre nei primi come pure in qualche Saurio, ad es. nel Gorngylus, il sacco vitellino, similmente che negli Uccelli, s'attacca, con o senza peduncolo. direttamente all’ in- testino, nei rimanenti Lacertilii e negli Ofidii, dove il canale vitellino scompare precocemente, l’organo perde ogni diretto rapporto con l’ intestino e s'appende invece al mesenterio con un picciuolo più o meno lungo, contenente i vasi onfalo-mesenterici. In quei rari casi, come in qualche esemplare di La- certa, ìn cui trovasi nell’adulto un resto di sacco vitellino, questo è attaccato al mesenterio e non mostra alcuna connessione con la parete dell’ intestino Pei confronti gioverà altresì notare che negli Uc- celli, come nelle Tartarughe e nei Coccodrilli, l'arteria onfalo-mesenterica si divide in due rami che abbracciano l’ intestino nel punto ove a questo s'inserisce il sacco vitellino. (3) Le pieghe del peritoneo mesenteriale, che sostengono i due rami dell'arteria vitellina, quando sono molto sviluppate, formano ciascuna una tasca rivolta per lo più cranialmente. (4) Probabilmente a cansa della maggior lunghezza dell’ intestino tenue. — 317 — vertito che in questo tratto distale la vena, sempre più sottile che nell’ ampio tratto pros- simale, può essere per la sua obliterazione ridotta ad un sottilissimo cordoncino solido, il quale non di meno risalta per il suo aspetto bianco opaco (Fig. 10 e 11). Il vaso nel suo tratto prossimale mantiene i rapporti che già possedeva agli ultimi tempi dello sviluppo embrionale e che corrispondono a quelli dal Bojanus descritti per la vena duodenale (1), la quale, come sopra rammentai, sì dirige verso il pancreas, passa tra questo e |’ inte- stino, e nell’ attraversare il pancreas si congiunge con la vena mesenterica, formando in- sieme ad essa le radici della vena porta che ne è come la continuazione. Secondo Rathke la vena onfalo-mesenterica sarebbe già completamente scomparsa nelle giovani Tartarughe. Merita però di essere qui riportato quanto egli scrisse relativa- mente a questo vaso e che mostra tuttavia. l’ accuratezza delle sue osservazioni: « La vena onfalo-mesenterica in prossimità della vena porta passava nella vena mesenterica ed era ancora discretamente ampia non soltanto negli embrioni di ‘l'estudo e di Chelonia ma anche nel giovane esemplare di Sphargis, all’incontro di un’ ampiezza soltanto insignifi- cante negli esemplari più avanzati e nei giovani di Chelonia e di Emys europea. Nelle ri- manenti giovani tartarughe non si lascia più affatto ritrovare alcuna traccia di essa » (2). Noi invece abbiamo veduto che anche negli adulti non solo se ne riscontrano traccie sino in vicinanza dell’ ombelico intestinale, ma se ne trova ben conservato il suo tratto prossi- male come vena duodenalis, la quale mantiene i rapporti che la vena onfalo-mesenterica possedeva negli embrioni a termine e nei giovani (3). Esame microscopico del sacco vitellino nelle varie fasi della sua regressione. 1l sacco vitellino esaminato poco dopo che venne accolto nella cavità addominale offre ancora, come dicemmo, un notevole volume. Nel suo interno non contiene una massa sciolta di deutoplasma, sibbene mostrasi percorso da numerose appendici che, sorgendo dalla sua parete a guisa di villosità, si dirigono verso il centro e ne riempiono quasi completamente la cavità, giacchè solo nel mezzo di questa può trovarsi una certa quan- tità di tuorlo libero, non percorso dalle dette appendici. Notevole è il fatto, già in parte rilevato da Mitsukuri, che mentre l’arteria vitellina si distribuisce alla superficie del sacco vitellino, la vena, che è molto più grande dell’arteria, non raccoglie rami dalla (1) Devo però far notare che dalla descrizione e dalla figura che ne dà il Bojanus, non risulta che questa vena nel duodeno giaccia colla sua porzione distale sul lato opposto all’ inserzione del me- senterio e sia sostenuta da una speciale piega del peritoneo. (2) Rathke, l-e., pag. 242-243. (3) Traccie della porzione prossimale della vena onfalo-mesenterica lungo il tratto iniziale dell’ in- testino tenue s’ incontrano pure in esemplari adulti di Gongylus ocellatus, nei quali è inoltre ricono- scibile un resto dell'arteria vitellina. Un residuo di questa arteria Strahl (1. c.) rinvenne in adulti di Lacerta. In qualche Mammifero, così nel Gatto (Dexter Franklin, On the vitelline vein of the Cat. Amer. Journ. of Anat. Vol. 1) i vasi del sacco vitellino e più specialmente la vena permangono fino ad aleuni giorni dopo la nascita. — 318 — superficie del sacco vitellino, ma col tronco principale penetra direttamente dentro la massa del vitello dove si ramifica mettendosi in rapporto con i capillari delle appendici, i quali ne formano le radici; ed infatti è facile vedere che diramazioni della vena attraversano il sacco vitellino approfondendosi dalla sua parete prossimale sino al polo distale (1). Tale disposizione facilita certamente il trasporto dei materiali nutritizi che, elaborati ed assor- biti dalle cellule vitelline rivestenti le appendici, passano nel lume dei capillari della rete vascolare contenuta nelle appendici medesime e di là giungono nella vena onfalo-mesente- rica. Le appendici ad un’ osservazione superficiale hanno l’aspetto di grosse pieghe di varia lunghezza, ma generalmente molto alte, con decorso ondulato o irregolarmente circonvolute, strettamente addossate luna all’altra. Dispiegate, il che è agevole ad ottenersi esaminan- dole a fresco nella soluzione fisiologica di cloruro di sodio, ciascuna di esse risulta costi- tuita da una rete di delicati vasi sanguiferi a maglie più o meno larghe le quali. in seguito si rimpiccoliscono, si modificano e si alterano coll’avanzare della regressione del sacco vitellino. I sistemi capillari delle varie appendici si anastomizzano tra loro. Sui capillari sanguiferi, accompagnati da scarso connettivo, s'impiantano grandi cellule ento- dermiche vitelline (epitelio delle appendici) che, determinando piccoli rilievi emisferici, dànno alla superficie dei filamenti vascolari un aspetto bernoccoluto. La stessa parete del sacco vitellino alla sua faccia interna è rivestita da cellule vitelline (epitelio della parete) un po meno grandi di quelle delle appendici, ma contenenti pure voluminosi globuli di tuorlo. A questo stadio le cellule delle appendici (Tav. I, Fig. 14), sebbene di forma alquanto irregolare, possono dirsi cilindriche. Le medesime con la loro estremità basale (prossimale), ove di solito risiede il nucleo, poggiano direttamente sulla parete del vaso e con l’estre- mità apicale (distale) arrotondata formano le piccole sporgenze, che conferiscono l’aspetto bernoccoluto alla superficie dei filamenti o cordoncini, dei quali le appendici si compongono Il loro citoplasma alla periferia forma come una esilissima parete delimitante il corpo cel- lulare e nell’ interno un retico.:. a sottili trabecole che circoserivono amplie maglie in cui stanno racchiusi i globuli d. tuorlo (2); esso è alquanto più abbondante alla base della (1) Similmente nel Coccodrillo alcuni rami venosi più grossi attraversano il sacco vitellino e fun- zionano come da vasi collettori (Voeltzkow). Nel sacco vitellino di Lacerta e di Tropidonotus non solo attraversano l’organo ma si anastomizzano con i vasi allantoidei. (2) L. Kohn (Lc., Zool. Anzeiger 1906), seguendo il concetto di Voeltzkow, ammette che le sfere di vitello per giungere nelle cellule dell’ epitelio vitellino, che riveste la parete e le appendici dell'organo, si disgreghino in granuli vitellini, i quali, entrati nelle cellule, cominciano poi a fondersi tra loro formando le grosse sfere in esse contenute. Voeltzkow e L. Kohn non credono pertanto che intiere sfere di vitello, come ritiene H. Virchow, vengano incluse dalle cellule epiteliali. lo mi accordo invece con Virchow e penso che anche grossi globuli di tuorlo possano essere inchiusi dalle cellule dell’epitelio vitellino. A tale convinzione mi conduce il confronto tra le cellule delle appendici e della parete distale da una parte e quelle della parete prossimale dall’altra nel sacco vitellino di Lacerta, Gongylus, Seps. Mentre nelle prime sono contenuti grossi globuli di tuorlo, nelie seconde che appunto assumono il tuorlo sciolto, disgregato in granuli, raccolto nella cavità subgerminale, i granuli non si uniscono a costituire grosse sfere I globuli vitellini in seno alle cellule subiscono le modifi- cazioni chimiche per le quali si sciolgono fornendo materiale nutritizio digerito, che sotto forma liquida viene assorbito e passa nel lume dei vasi della parete e delle appendici. — 319 — cellula attorno al nucleo. I globuli di tuorlo di forma sferica, ovoidale, ellissoidale oppure meno regolarmente configurati a causa della reciproca compressione, hanno varia dimen- sione, ma generalmente sono grandi. Vario è pure il loro aspetto essendo alcuni omogenei altri finmamente granulosi quasi fossero gremiti di minutissimi vacuoli, mentre altri conten- gono gocciolette o vacuoli alquanto meno minuti, e dai globuli con quest’ ultima apparenza si passa per gradi a globuli pieni di vacuoli discretamente grandi e infine a globuli che contengono pochi ma cospicui vacuoli a guisa di grosse vescicole, derivati probabilmente dalla fusione di quei più piccoli. Questi diversi aspetti dipendono dal vario grado di ela- borazione subìta dai globuli nell’interno delle cellule vitelline. La parete prossimale del sacco vitellino, specialmente presso la sua inserzione allo intestino, è più spessa (fatta astrazione dalle appendici parietali, le quali per altro qui mancano) che la parete distale; procedendo dal polo prossimale al polo distale dell’organo, lo spessore della sua parete va sempre più diminuendo. Al centro della parete prossimale sì riscontra una struttura pressochè simile a quella offerta dalla parete dell’intestino. Lo studio microscopico delle sezioni seriali di sacchi vitellini a vario grado di regressione dimostra che il canale vitellino o vitello-intestinale talvolta si oblitera ben presto, tal’altra invece scompare assai tardivamente, ovvero anche permane come un piccolo diverticolo della cavità intestinale. Se, quando il sacco vitellino è voluminoso, il canale esiste ancora, l’epitelio della mucosa intestinale si continua, lievemente modificato, lungo il breve canale e si espande sul centro della parete prossimale del sacco, passando poi a poco a poco ad assumere la struttura dell’epitelio vitellino, col quale infine si continua e nel quale, in questa zona, si hanno anche cellule che sembrano occupate da un solo grosso vacuolo, da una sola grossa gocciola adiposa. Un rivestimento simile all’ epitelio intestinale sulla parte centrale della parete prossimale s'incontra anche quando manca il canale vitellino. Più manifesta si rende la somiglianza di struttura tra parte centrale della parete prossimale e l'intestino, se si considera che nella detta parte trovasi all’esterno il rivestimento fatto da un sottile strato di cellule simili a quelle dell’ epitelio peritoneale e che procedendo verso l'interno segue ad esso uno strato muscolare discretamente spesso, le cui fibre liscie decorrono in senso circolare, ed infine un epitelio eguale a quello che tappezza l’intestino (1), possedendo persino delle cellule mucipare (caliciformi). Lo spessore della parete prossimale è in gran parte occupato dalle sezioni di numerosi vasi di vario calibro, che altro non sono se non le diramazioni dei vasi onfalo-mesenterici. Quanto alla funzione delle appendici parietali, non vi ha dubbio che esse compiano l’ufficio di elaborare ed assorbire il tuorlo, la qual cosa è dimostrata dal fatto che i vasi vitellini persistono, e che anzi la vena vitellina si mantiene molto ampia per lungo tempo anche nel suo tratto distale. (1) Strahl nel sacco vitellino residuale di un giovane Anguis fragilis (raccolto nella primavera successiva alla sua schiusa) osservò che una parte della parete era rivestita da un alto regolare epitelio cilindrico, simile a quello dell’ intestino. Serie VI. — Tomo IV. 43 20 — Le appendici parietali del sacco vitellino delle Tartarughe, vedute pure da Clark (1) in Chelydra serpentina e da Voeltzkow (2) in Chelonia imbricata, sono molto simili a quelle del sacco vitellino dei Coccodrilli studiate e descritte da Voeltzkow per il Croco- dilus madagascariensis (C. niloticus). Con la diminuzione di volume del sacco vitellino decresce l’altezza delle sue appen- dici parietali, ma queste esistono sempre, benchè modificate, anche quando il sacco è sceso alla grandezza di un cece o ‘di un pisello. La superficie del sacco vitellino anche così rim- piccolito si mantiene liscia, non afflosciandosi mai. All'esame microscopico di sacchi vitel- lini già molto rimpiccoliti si trova che la loro parete prossimale continua ad essere per- corsa da numerosi e larghi vasi, ramificazioni dell’arteria e della vena orfalo-mesenteriche; essa è più grossa della distale, possiede nello strato intermedio connettivale cellule musco- lari lisce e all’interno è rivestita o completamente dall’epitelio del sacco vitellino o nella sua parte centrale da un epitelio simile a quello dell’ intestino anche se non v’ ha più traccia del canale vitellino. La parete distale è sottile e, procedendo dall’ esterno verso l’ interno, mostra, dopo l’esile rivestimento peritoneale, un tenue strato connettivale con rari e fini vasellini, a cui segue l’epitelio del sacco vitellino, il quale però in alcuni tratti è costi- tuito da cellule molto basse, riconoscibili come cellule vitelline soltanto dal loro contenuto in granuli di tuorlo. Le cellule dell’ epitelio del sacco vitellino, di quell’ epitelio cioè che riveste sì la parete che le sue appendici, sono adesso relativamente grandi, ma non delle dimensioni che le medesime possedevano allorchè il sacco vitellino era molto voluminoso. In confronto sì mostrano basse e per la maggor parte contengono, come in un ampio vacuolo, una sola grossa sfera di tuorlo (Tav. I, Fig. 15). Il loro nucleo, situato nella loro parte basale, vario di forma, talvolta triangolare o semilunare, è grande, ricco di sostanza croma- tica e con grossi corpuscoli nucleari. Laddove è avvenuto il riassorbimento del tuorlo, i vasi delle appendici anzichè da distinte cellule sono circondati da uno strato protoplasmatico, come da un sincizio in cui si scorge soltanto qualche rara sfera di deutoplasma e in cui stanno disseminati grossi nuclei, parte dei quali con caratteri di cromatolisi. Negli spazi tra le appendici si rinvengono cellule vitelline libere, le quali in alcuni punti si radunano anche in forti cumuli. Successivamente la regressione del sacco vitellino procede in varia maniera, sicchè l’organo che siasi ridotto al volume di un chicco di canape o di miglio, ovvero ad un piccolo tubercoletto più o meno incorporato con la parete dell’ intestino, offre nelle sezioni microscopiche un aspetto talmente svariato da non potersene dare una descrizione unica che valga per tutti i casi. Come carattere generale si ha che le appendici parietali sono (1) Agassiz L. and Clark H. J. — Contributions to the natural history of the United States of America. Vol. ZI, Parte III, Boston 1857. Embryology of the Turtle. (Citato da H. Virchow e da Voeltzkow). (IMA —- 8821 — regredite e disfatte in gran numero (Tav. I, Fig. 16), e quelle che ancora rimangono sono divenute molto più corte o cortissime, ma tuttavia posseggono un rivestimento di grandi cellule epiteliali con nucleo voluminoso, ricco di sostanza cromatica, nel quale spicca un distinto nucleolo Il citoplasma di queste cellule contiene ancora qualche rossa sferula di tuorlo, oppure solamente deutoplasma elaborato e ridotto in fini granuli. Tra le poche appendici rimaste si trovano cumuli di cellule vitelline libere, una parte delle quali provengono certamente da cellule dell’ epitelio vitellino distaccate, come s° ar- guisce dai caratteri del loro nucleo piuttosto grande, mentre il nucleo delle cellule vitel- line, libere fin dalla loro origine, è piccolo. Il protoplasma delle cellule vitelline libere è d'aspetto vacuolizzato o reticolato e contiene dei pallidi granuli di tuorlo. Alla fine, effetiuatasi la scomparsa delle appendici parietali, nell’ interno del sacco vi- tellino si riscontrano svariatissime apparenze dovute senza dubbio ad un diverso processo seguìto nella regressione dell’ intiero organo, ad una diversa partecipazione che vi pren- dono le cellule linfoidi, ad un diverso contegno del tessuto connettivo e alia varia dege- nerazione che colpisce le cellule vitelline residuali. Spesso nell’ interno del sacco vitellino estremamente ridotto si trovano delle lacune vuote (1) più o meno ampie. In qualche caso non si notano più appendici di sorta e allora la cavità del resto del sacco vitellino, deliminata da una parete piuttosto sottile, si mostra piena di cellule vitelline libere con protoplasma vacuolizzato e contenenti fini e pallidi gra- nuli di tuorlo, la quale massa di cellule si può prolungare lungo il canale vitellino sino alla cavità dell’ intestino se il canale esiste ancora (Tav. I, Fig. 18). o Altra volta invece l’ avanzo del sacco vitellino mostra la parte esterna, periferica, del- la sua parete fortemente infiltrata di cellule linfoidi, mentre al centro lascia scorgere una O più cavità, non molto ampie, rivestite di cellule epiteliali con nucleo piccolo, assai sti- pate fra di loro e prive di granuli di tuorlo (Tav. I, Fig. 19 e 20). Questo epitelio, che . invia perifericamente delle corte gettate, apparisce in alcuni punti (Fig. 20) sotto forma di masse protoplasmatiche disseminate di molti nuclei (2). Nell’interno delle cavità stanno racchiuse zolle granulose di tuorlo di colorito giallo aranciato e anche detriti di nuclei caduti in disfacimento. Alla periferia, presso la superficie del resto del sacco vitellino, possono trovarsi piccoli cumuli di cellule vitelline degenerate, che non contengono più deutoplasma bensì granulazioni pigmentarie giallognole. Un aspetto del tutto particolare, meno frequente ad incontrarsi, è quello che si ha quando il sacco vitellino residuale è solido ed offre nelle sezioni la struttura d’un tessuto glandulare. Poichè allora (Tav. I, Fig. 17) un fine reticolato connettivale partendosi dalla parete suddivide lo spazio da questa compreso in tante piccole maglie rotondeggianti, riem- pite da cellule epiteliali col nucleo situato verso la periferia di ciascuna delle aree da esse occupate, sicchè sembra d’ aver sott’ occhio come tanti acini od alveoli glandulari: alcune (1) Nell’organo fresco occupate da un liquido limpido, incolore o citrino. (2) Anche Strahl e Bersch nei resti del sacco vitellino di Lacerta e di Argwuis trovarono, a stadì avanzati della regressione, cellule o masse protoplasmatiche plurinucleate. ne. (Gap, 6 di queste cellule contengono granulazioni o zolle vitelline d’ aspetto omogeneo di un colore giallo aranciato o giallo paglierino, altre ne sono prive. Tuorlo può essere contenuto nel centro di taluni dei detti alveoli, mentre qualche altro alveolo apparisce vuoto. Quando il sacco vitellino è molto ridotto, s° impianta con più larga base sulla parete dell’ intestino (Tav. I, Fig. 21) oppure vi rimane in parte incorporato, e i suoi avanzi pos- sono essere rappresentati da un tessuto connettivo particolare, essendosi in gran parte sclerotizzato e mostrando perciò abbondante sostanza fondamentale d’aspetto jalino e rari nuclei. Tratti connettivali circoscrivono piccoli spazi, i quali contengono cellule vitelline con protoplasma vacuolizzato e pallidi granuli di tuorlo, oppure racchiudono masse proto- plasmatiche plurinucleate. Altra volta il resto del sacco vitellino, già ridotto ad un pic- colo tubercoletto solido, racchiude soltanto qualche rara cellula vitellina o gruppetti di cellule vitelline con scarsi granuli di tuorlo, come ultimo residuo degli elementi propri del sacco vitellino, e risulta formato da connettivo fortemente infiltrato di cellule linfoidi sparse o riunite in piccoli cumuli; tra i fasci del connettivo s’ interpongono fibre muscolari liscie in dipendenza della tonaca muscolare dell’ intestino. Qualche gruppo di cellule epi- teliali con o senza residui di tuorlo si può eccezionalmente incontrare sulla superficie esterna dell’ intestino ad una certa distanza dal resto del sacco vitellino. Finchè il sacco vitellino non si riduce ad un tubercoletto, la sua parete prossimale, mediante la quale esso s’ attacca all’ intestino, si conserva sempre più spessa della distale, contiene fibre muscolari liscie, che raramente invece trovansi in questa, e inoltre nume- rosi vasi che le dànno quasi l’ aspetto di un tessuto cavernoso. Il sacco vitellino dapprima comunica costantemente con l’ intestino per via di un bre- vissimo canale vitellino o vitello-intestinale. Or bene, detto canale può obliterarsi e scom- parire più o meno tardi, completamente o parzialmente, ma talvolta persistere molto a lungo o per tutta la vita. Quando si estende dall’ intestino al sacco vitellino (Fig. 16 e 18, c. ©.) presenta due orifizi, uno nel lume intestinale, 1’ altro nella cavità del sacco; più o meno stretto, è rivestito da un epitelio del tutto simile a quello intestinale, il quale sul contorno dell’ orifizio vitellino passa a tappezzare un tratto più o meno esteso della parete prossimale del sacco, dove si conserva anche allorquando il canale, lungo il tratto di congiungimento coll’ intestino, è scomparso. Talvolta, pure essendo scomparse tutte le cellule vitelline, nel tubercoletto che mostrasi alla superficie esterna dell’intestino come resto del sacco, ho trovato, anche in esemplari molto avanzati d’età, un diverticolo della cavità intestinale (Fig. 22) rivestito da un epitelio affatto simile a quello dell’ intestino, il quale diverticolo, perfettamente paragonabile al diverticulum coecum vitelli di alcuni Uccelli, deve ritenersi derivato dalla persistenza del condotto vitellino. La Fig. 22 che ne rappresenta un caso mostra anche, all’ intorno del diverticolo, una ricca infiltrazione di cellule linfoidi. Finalmente, sebbene siano del tutto scomparsi il sacco e il canale vitellino, rimangono sempre nell’ adulto segni della preesistenza dell’ organo dati da un ombelico intestinale più o meno distinto e dalla persistenza dei vasi vitellini, arteria e vena. — 323 — Ombelico addominale e corpo allantoideo. Nelle Tartarughine nate da poco o per l’ Emys anche negli esemplari raccolti nella pri- mavera dell’anno seguente alla loro schiusa, è ancora visibile, sulla faccia esterna dello scudo ventrale, l’area dell’ombelico cutaneo, situata tra le piastre cornee del quarto e quinto paio, la quale va poi sempre più restringendosi, finchè negli esemplari maggiormente avan- zati, quindi dopo varii mesi dalla nascita, scompare, confondendosi con la linea di sutura delle lamine cornee medie del piastrone. Nelle piccole Ewmys con piastrone lungo da mm. 20 a 23,5 l’area ombelicale od ombelico cutaneo; discretamente ampio, ha figura fusata o rom- boide con l’asse maggiore di circa mm. 5 in media diretto in senso sagittale e l’asse mi- nore di mm. 1--1,5 in senso trasversale. È chiusa da un tegumento più sottile o meglio da una membrana ombelicale di colorito biancastro o bianco-gialliccio la cui superficie ventrale può avere vario aspetto: raramente è liscia, più di frequente mostra leggiere pieghe o increspature longitudinali; talvolta apparisce leggermente invaginata verso l’ in- terno, qualche altra volta è al contrario lievemente rialzata verso l’ esterno od ha nel mezzo come una piccola sporgenza a guisa di tubercoletto di colorito più scuro. L'area ombeli- cale, restringendosi sempre più, finisce coll’ assumere una forma lineare e col coincidere con la sutura mediana longitudinale delle piastre cornee con la quale si confonde. La mem- brana ombelicale, per il restringersi dello spazio dalla medesima prima occupato, va a poco a poco scomparendo (1). Negli esemplari di Testudo graeca nati da poco l’ ombelico cutaneo è lungo mm. 5 e largo mm. 2 circa, negli esemplari col piastrone lungo mm. 25 è già ridotto ad una stretta fessura e in quelli col piastrone lungo 30 mm. non se n’ ha più traccia. Specialmente degno di nota è però il fatto che sulla faccia dorsale o peritoneale del- l'ombelico cutaneo aderisce un corpicciuolo di forma sferica oppure di figura ovoidale, di colorito bianco-roseo, che sporge verso la cavità viscerale (Tav. I, Fig. 1, Tav. II, Fig. 23 e 24, c. 4.). Il peritoneo sui lati e caudalmente al detto corpicciuolo è lievemente infossato ad imbuto. Questo corpicciuolo nelle Tartarughine (Testudo graeca) schiuse da pochi giorni (Fig. 1 e 23) ha una lunghezza di mm. 3,5 ed una larghezza di mm. 2,5, poi si riduce e sì rimpiccolisce assumendo una forma conica con l’apice rivolto cranialmente (Fig. 24) e non presentando che una lunghezza di mm. 1,5 —1 e-una larghezza alla sua base di (1) L'ombelico cutaneo quantunque ben visibile è assai più piccolo dell’apertura ombelicale nel mezzo dell’abbozzo del piastrone dell'embrione. La forma affusata od ellittica dell’area ombelicale con gli estremi craniale e caudale acuminati dipende dal fatto che nell’embrione l’integumento al davanti e al di dietro dell’apertura ombelicale, come fu notato da Rathke, nella linea mediana della parete addominale è più sottile che ai lati di essa, sicchè al davanti e al di dietro dell’ombelico si presenta una doccia longitudinale discretamente profonda, la quale è più larga negli embrioni meno avanzati nello sviluppo, mentre manca quando le due metà del piastrone si addossano maggiormente tra loro. ia mm. 1,51 (in esemplari col piastrone lungo mm. 30), finchè a poco a poco scompare (1). Similmente nei giovani di £7ys, sulla faccia dorsale dell’ombelico cutaneo, trovasi allogato in un lieve infossamento del peritoneo, che lo ricopre, un corpicciuolo rotondo od ovale di colorito giallognolo del diametro di poco più di 1 mm., misurato trasversalmente. Negli esemplari di £ys alquanto più avanzati si restringe maggiormente ed acquista una forma fusata o cilindroide. Tanto in Testudo quanto in Eys all’estremo caudale di questo cor- picciuolo aderisce la vescica urinaria per mezzo di un corto tratto ristretto a guisa di peduncolino (uraco); in altre parole può dirsi che caudalmente il corpicciuolo aflilandosi si continua con la vescica. Ai lati il descritto corpicciuolo è fiancheggiato dalle vene addominali (Fig. 23 e 24, e. a. d., v. a. s:) che corrono in avanti verso il fegato e che nelle Tartarughe, come fra poco cercherò di dimostrare, derivano, secondo il mio parere, dalle vene ombelicali 0 allantoidee. Il corpicciuolo, del quale ora ci occupiamo, sebbene non prenda adesione col sacco vitellino, tuttavia mostra gli stessi rapporti topografici del corpo allantoideo che io già Fig. ll STE: Lig.A. Nig.B. Fig. 1. — A - Porzione posteriore del tronco di una Lacerta muralis'appena sgusciata dall’uovo. Fu asportata la parete] anteriore e laterale dell’addome'e per; semplicità non fu- rono disegnati gli altri visceri. Il preparato è veduto dalla faccia ventrale. a//., corpo al- lantoideo formato dall’ allantoide e dall’ amnios accolti nella cavità addominale ; sac. viît., sacco all. vitellino veduto dal polo distale; 0., ombelico cutaneo ; ves., vescica urinaria; a. o., arterie ombelicali (allantoidee). Il sacco vitellino e il corpo allantoideo furono spostati in alto per metterli meglio in evidenza. Ingrandi- mento diam. 7 circa. VEIZZA IL. IAC. VIE. Ves. B - La stessa veduta di profilo per me- glio mostrare le connessioni tra ‘corpo allan- toideo, ombelico, sacco vitellino e vescica. p., parete dell’ addome. Ingrandimento diam. 7 circa. descrissi nella Lacerta e nel Tropidonotus (vedi le Fig. 1-3 nel testo) e al quale io .0 identifico, ritenendolo del pari derivato da parti dell’amnios e dell’ allantoide, entrate nella cavità addominale per il meccanismo col quale in questa viene accolto il sacco vitellino. Ma la prova certa che il medesimo sia veramente dovuto all’amnios e all’allantoide ci è (1) In esemplari con piastrone lungo 33 mm. è ancora discretamente visibile. Le Tartarughe adulte non ne posseggono più aleuna traccia. All’ incontro per le Lucertole, secondo le osservazioni di Bersch e Strahl, non sarebbe affatto raro il caso di riconoscere anche negli adulti un ultimo resto dello zaffo vescicale ossia del corpo allantoideo. 320 — fornita dalla sua struttura, quale ci si rivela all'esame microscopico delle sue sezioni trasversali. La Fig. 25, Tav. II, rappresenta la sezione trasversa del corpo allantoideo di un giovane esemplare di Testudo graeca schiuso da poco. Il corpo allantoideo è rivestito superficialmente dal peritoneo, nel suo interno risulta di lamine connettivali ripiegate su loro stesse, forte- mente stipate; vi corrono pochi vasi e qua e là si notano delle aree occupate da masse epiteliali con una parte delle cellule, che le costituiscono, in disfacimento (Fig. 25, e, Fig. 26). In coteste masse epiteliali si riconosce l’epitelio che rivestiva la superficie interna delle lamine dell’ allantoide. All’ intorno delle masse epiteliali od anche in altri punti si può vedere un’invasione di cellule linfoidi. Il connettivo ha un aspetto particolare mo- strandosi omogeneo, povero di nuclei, mentre abbonda di sostanza fondamentale grossola- namente striata; esso a poco a poco, anche per rimpiccolimento ed obliterazione dei vasi sanguiferi, sì sclerotizza e va incontro al raggrinzameato cicatriziale. In altri corpi allan- toidei, in certi punti della loro periferia, si veggono sezioni di numerosi vasi sanguigni che sono i resti delle diramazioni dei vasi allantoidei. Nelle Fig. 27-30, Tav. II, sono rappresentati corpi allantoidei di £ys pure in sezione trasversa. Nella Fig. 27 si ha alla periferia una parte distinta a guisa di una membrana che circonda la porzione centrale, la quale parte periferica è forse dovuta all’ amnios. La porzione centrale possiede una struttura particolare, poichè vi si scorgono delicate trabecole connettivali che formano un reticolo nelle cui maglie sono comprese cellule epiteliali in via di disfacimento. Questa porzione proviene più specialmente dall’ allantoide. Fig. 2. — Porzione posteriore del tronco di un esemplare di 7ropidonotus natrix appena uscito dall’uovo. Fu tolta la parete anteriore e laterale dell'addome. Il preparato è veduto un po’ di profilo. a/Z., voluminoso corpo allantoideo, diretto cranialmente, nel quale si distingue un grosso picciuolo (peduncolo cutaneo rovesciato) lungo mm. 7 circa ed una porzione lobulata, lunga mm. 7 e larga mm. 4-5 circa, costituita in parte dall’allantoide ed in parte dall’amnios. Qui il corpo allantoideo rappresenta la sacca musco- lare che circondava il sacco vitellino, rovescia- tasi all’interno della cavità viscerale; su di esso spiccano i vasi ombelicali. @. o., arterie ombeli- cali (allantoidee); 0., ombelico cutaneo; wr. (ves.) uraco o rudimento di vescica urinaria congiunto al corpo allantoideo; ov., ov.', ovidutti, sinistro e destro; »., r.', reni; è., ultima porzione dell’in- testino medio; è. #., intestino terminale. Ingran- dimento diam. 3 circa. Fig. 3. — Sacco vitellino (sac. vit.) e corpo allantoideo (a//.) di un esemplare di Tropidonotus natrit appena uscito dall’ uovo, insieme congiunti per mezzo di un lungo e sottile ponte, nel quale corrono i vasi che dalla lamina interna dell’allantoide si gettavano sul sacco vitellino. 0., ombelico cutaneo ; pv., peduncolo vitellino; ?., intestino medio. Ingrandimento poco più di diam. 114. — 826 — La Fig. 28 riproduce la sezione di un altro corpo allantoideo di £wys, la cui parte apicale contiene tra fasci connettivali cellule epiteliali in distruzione, mentre la parte ba- sale consta unicamente di tessuto connettivo cicatriziale. Nella Fig. 29 e 80 sono ritratte sezioni di corpi allantoidei maggiormente ridotti, es- sendo stati presi da esemplari alquanto più avanzati d’età : esse valgono anche a mostrare il rapporto che i corpi allantoidei hanno con la vescica urinaria. Non è raro il caso di vedere, seguendo la serie delle sezioni, l’ epitelio dell’ uraco, ossia del peduncolino che con- giunge la vescica col corpo allontoideo, continuarsi poi con la massa epiteliale di questo. Nelle Fig. 25, 28 e 29 si rileva inoltre che gli strati superficiali dell’ epidermide che ri- copre la membrana ombelicale sono destinati, col restringersi e collo scomparire dell’ om- belico, ad essere eliminati. Le ricerche di Hochstetter sulla disposizione degli involucri embrionali (amnios e allantoide) rispetto al sacco vitellino e il meccanismo, dal medesimo Autore illustrato, per mezzo del quale il sacco vitellino viene introdotto nella cavità addominale, dànno completa ragione della formazione del corpo allantoideo (1). Vasi allantoidei od ombelicali. ARTERIE ALLANTOIDEE. — l'iedemann (2) ricorda che negli embrioni di Emys ama- zonica da lui esaminati le arterie, le quali si ramificavano nell’ allantoide, provenivano dai tronchi arteriosi del bacino. Anche Duvernoy (3) accenna per i Cheloni a due arterie provenienti dal bacino, le arterie ileo-ombelicali che « escono dall’addome col peduncolo dell’ allantoide e si espan- dono con fine ramificazioni su tutta l’ estensione di questo doppio sacco ». (1) Se però la formazione del corpo allontoideo in certi Saurii (Zacerta) e in certi Ofidii ( 7ropi- donotus), come pure negli Uccelli, dipende dal fatto che il sacco vitellino aderendo nel suo polo distale all’allantoide trae con sè più specialmente quelle parti dell’allantoide medesima e dell’amnios che for- mavano la sacca in cui il sacco vitellino, prima di passare nell’ interno del feto, era racchiuso e dalla quale viene sospinto nella cavità addominale, nelle "l'estuggini invece la formazione del corpo allantoideo è determinata unicamente dal modo speciale con cui l'embrione a termine si libera degli involucri, lasciando integra l’allantoide, e dall’azione che questi retraendosi esercitano sul sacco vitellino per spingerlo nella cavità viscerale. D'altra parte nella Vipera e nel Gongylus, come io ho osservato, dove mancano aderenze o connessioni vascolari del sacco vitellino con l’allantoide, sebbene la recezione del sacco vitellino si effettui mediante un meccanismo simile, non si verifica la formazione del corpo al- lantoideo. Di più è notevole che, mentre nelle Tartarughe e nella Zacerta l’entrata del sacco vitellino nella cavità addominale si completa solamente quando l'embrione ha già cominciato a liberarsi dagli involucri e a rompere il guscio, nella Vipera e nel Gongylus è già avvenuta prima che il feto abbia rotto le membrane (amnios e allantoide), dalle quali perciò esso si vede ancora completamente circondato, quando, al posto esternamente occupato dal sacco vitellino, non trovasi più che la sacca amnio-allantoidea (costituita dal peduncolo cutaneo e dalla lamina interna dell’allantoide), nella quale il sacco vitellino stesso era contenuto e la quale è adesso retratta e appesa al peduncolo cutaneo. (e (3) l. c. cui) ia Più precisa menzione delle arterie allantoidee degli embrioni di Tartarughe si trova fatta da Rathke, il quale le vide anche in giovani esemplari di £wys, di SpRargis, di Chelonia, e notò che erano in numero di due e correvano sotto la vescica urinaria tra questa e la parete addominale, ai lati del piano mediano del corpo, non molto distanti luna dall’ altra. Io le osservai negli embrioni di Testudo e di Ewmys, dove vidi appunto che decorrono sotto la vescica, tra questa e la parete dell’ addome, mentre in certi altri Rettili, partico- larmente nei Saurii, così ad es. nella Lacerta e nel Gorgylus, camminano molto lateral- mente alla vescica, fino alla loro uscita dall’ombeilico insieme al peduncolo allantoideo per passare sull’allantoide. Negli embrioni le arterie allantoidee nascono dall’ aorta addominale sotto forma di due grossi rami (1) che però sembrano piuttosto derivati per biforcazione della medesima, la quale immediatamente dopo la loro origine diviene molto sottile e si continua quale arteria (aorta) caudale. Esse scendono subito ventralmente a guisa d’ arco sulle pareti della regione pelvica e sì portano dapprima a lato del tratto che unisce la vescica alla cloaca, poi al disotto della vescica ai lati della linea mediana e si dirigono cranialmente per raggiungere poi l’uraco o peduncolo allantoideo (Tav. II, Fig. 32, 4. 0mb.. Il Rathke riferisce che negli esemplari giovani, ma non già molto avanzati, di Emys e di Plate.rys le arterie ombelicali erano in grandissima parte o anche conpleta- mente scomparse. Io invece le ritrovai ancora pervie in esemplari discretamente avanzati d’età e inoltre le rintracciai costantemente sin negli adulti, tanto di 7estudo quanto di Emys, dove per altro sono ridotte ad esili cordoncini connettivali solidi che funzionano come da ligamenti. Essi sì staccano però dal tronco dell’arteria ischiatica e si portano ventralmente nella faccia inferiore della vescica sin presso il suo apice. Ho voluto dare risalto pure a questo fatto, sembrandomi non del tutto superfluo il mettere in evidenza che negli adulti delle Testuggini, come nei Mammiferi, persistono resti delle arterie ombelicali quale traccia delle condizioni relative alla precessa esistenza d’ uno degli involucri embrionali. Il Mitsukuri, accennando ai vasi degli annessi embrionali e alla loro disposizione nell’ombelico durante gli ultimi stadi dello sviluppo, sembra ritenere, se si. giudica anche dalla figura schematica da lui datane (2), che, in Clemmys japonica e Trionyx japonicus, esista una sola arteria allantoidea, la quale subito dopo la sua uscita dall’ombelico si di- vide in due rami, destro e sinistro. Si tratta invece, almeno per quello che io ho riscon- trato in Testudo e in Emys, di due vere e proprie arterie allantoidee (3). VENE ALLANTOIDEE. — Passando ora a discorrere delle vene allantoidee, importa che io cominci col riferire quanto a proposito di questi vasi scrisse Rathke: « Dalla regione (1) Da ciascuno di essi sorge, come piccolo ramo, l'arteria ischiatica. (2) Mitsukuri — Ie. Tav. IN His. 75. (3) Io soltanto per eccezione una volta in un embrione di Gorgylus ho veduto che esisteva unicamente l’arteria allantoidea di un lato. Serie VI. — Tomo IV. 44 dell’ombelico, non soltanto nell’embrione di Chelonia ma anche nei giovani di Chelonia e di Sphargis, decorreva una vena considerevolmente ampia sulla parete addominale verso la faccia inferiore del lobo sinistro del fegato e, a una distanza non melto grande del mar- gine anteriore del medesimo, si univa manifestamente alla vena epatica di questo lobo. Senza dubbio era questa la vena umbilicalis per la quale mancava però un ductus venosus. Ma verso il medesimo lobo anche nelle Testuggini adulte si porta una vena, la quale nella metà del lato sinistro del corpo proviene dall’ arto posteriore e dal bacino, fa il proprio cammino sulla parete addominale, penetra nella vena epatica sinistra e dal Bojanus è stata chiamata la vena ombelicale sinistra. Io potrei però presumere molto che questa vena del corpo negli embrioni delle Testuggini sta alla vena ombelicale vera e propria nel rapporto di un ramo col suo tronco ». Mitsukuri accenna alla vena allantoidea negli embrioni di Clewmmys e di Trionya, ma non ne descrive il decorso nel corpo dell’ embrione. Bojanus nella sua opera « Anatome Testudinis europaeae » (1) illustra per |’ adulto due vene che egli chiama ombelicali, ciascuna delle quali sorge come continuazione della iliaca, decorre lungo la parete dell'addome tra il muscolo obliquo e il traverso e raggiunge il fegato. Le due vene sono congiunte mediante la vena anastomotica transversa umbilicalis. La vena ombelicale sinistra con decorso sinuoso si reca al fegato e similmente la vena ombelicale destra. I due tronchi, raggiunto il fegato, si congiungono per mezzo di un ansa trasversa che costituisce la vena porta. Dalle vene ombelicali partono numerosi rami che penetrano nel fegato. Il vero tronco della vena porta è disposto trasversalmente sulla faccia superiore del fegato ed è continuo ad ogni suo estremo con la rispettiva vena ombelicale, mentre nella sua parte di mezzo risulta costituito dalle vene duodenale, mesenterica e pancreatica. Si tratta ora di stabilire se le vene indicate dal Bojanus nell'adulto col nome di ombelicali corrispondano o provengano almeno in parte dalle vene allantoidee dell’ embrione, poichè gli studi di Hochstetter sullo sviluppo del sistema venoso dei Rettili, partico- larmente dei Saurii, dimostrarono che, negli stadii più avanzati, delle vene ombellicali, dap- prima pari, perduta la loro unione col rispettivo dotto di Cuvier, rimane, per la scom- parsa della destra, la quale nella Zacerta non prende nemmeno alcun rapporto colla rete venosa epatica, soltanto la vena ombelicale sinistra, che si congiunge colla detta rete e sì sposta ventralmente per raggiungere il mezzo della parete ventrale del corpo e decorrere così dall’ombelico addominale al fegato. Dopo la nascita, cessata la funzione dell’ allantoide, la vena ombelicale sinistra sì oblitera e scompare, nel mentre acquista maggiore impor- tanza una vena già formatasi nell’embrione al di dietro dell’ allantoidea e rappresentante la vena addominale che proviene con due radici dalle vene ischiatiche: raccogliendo il sangue dai corpi grassi e dalla parete addominale, le due radici raggiungono la linea mediana ventrale, si uniscono in un tronco impari, la vena addominale propriamente detta, la quale poi si allontana dalla parete addominale e, decorrendo sul margine libero del (1) Vilnae, 1819-1821. — 329 — mesenterio epatico ventrale verso il fegato, va a sboccare nel ramo sinistro della vena porta, ossia si unisce alla vena mesenterica per formare la vena porta (1). La vena addo- minale si era per l addietro scambiata colla vena allantoidea, la quale si sarebbe perciò conservata nell’ adulto. Il destino delle vene ombelicali degli altri Amnioti, è simile a quello che abbiamo ricordato nei Rettili: soltanto negli Uccelli si mantiene un resto della vena ombelicale sinistra per tutta la vita (2) e, quanto ai Mammiferi, solo nell’ Echidna sembra che la detta vena non si obliteri ma piuttosto entri in unione con le vene della ve- scica urinaria e persista durante tutta la vita rappresentata da quel vaso che il Beddard indica come vena addominale (3). Nei Coccodrilli allo stato embrionale esistono una vena allantoidea e due vene addo- minali, come fu già osservato da Rathke (4) e come risulta dalle belle ricerche di Hoch- stetter (5) sull’anatomia e sullo sviluppo del sistema vascolare dei Coccodrilli. Per le Tartarughe adulte esistono due vasi che, come si è detto, Bojanus chiamò vene ombelicali, e che al presente dagli autori vengono indicate come vene addominali. Ora queste due vene addominali sono già formate e posseggono già i loro peculiari rap- porti nell’embrione a termine, dove l’una di esse, la sinistra, ha certamente relazione con l’allantoide ed è la vena allantoidea sinistra, l’altra, ossia la destra, non invia ramificazioni all’allantoide, ma nel corpo dell’embrione ha una posizione simile a quella del lato opposto: sembrerebbe pertanto che negli embrioni avanzati o a termine dei Cheloni esistesse una vena ombelicale (la sinistra) e una vena addominale; questa però, secondo il mio avviso, corrisponderebbe alla primitiva vena ombelicale destra. Quindi io ritengo che le due vene (Tav. II, Fig. 23, 24 e 28-30) le quali nei giovani di 7e- (1) Il luogo in cui penetra nel fegato la vena porta é situato più caudalmente rispetto a quello in cui vi entra nell’embrione la vena ombelicale sinistra. La vena addominale fu già descritta con molta precisione da Delle Chiaje (Dissertazioni sull’anatomia umana comparata e patologica. Mono- grafia sul sistema sanguigno degli animali Rettili. Rendiconto della R. Accademia di Napoli. T. VII. 1848). (2) Tale vena è descritta da Milne Edwards (Lecons sur la Phys. et l’ Anat. comp. de l homme et des animaue, T. III, pag. 470) e da Vogt et Yung (Zraité d’ Anat. comp. pratique, T. IL, pay. 830) Vedasi anche Rathke, Ueber den Bau und die Entwickelung des Venensystems der Wir- belthiere (Dritter Bericht ber das Naturwissenschaftliche Seminar zu Kònigsberg 1838, pag. 12). (3) Vedi in Hochstetter, Die Entwickelung des Blutgefisssystems. (Mandbuch der vergl. und exper. Entwickelungslehre der Wierbeltierez herausg. von O. Hertwig, Jena. 1903). Nell'uomo lo stretto lume vascolare che non di rado può trovarsi lungo la parte centrale del cordone fibroso della vena ombelicale, ritenuto da Baumgarten (Centralblatt fiir die med. Wiss. 1876, N. 40-41) similmente che da altri precedenti osservatori, quale resto di questa stessa vena incompletamente obliterata, fu al contrario considerata da Wertheimer (Journal de l’ Anat. et de la Phys. T. 1, 1866) come una vena di nuova formazione (vena centro-umbilicalis) sviluppatasi dopo la nascita, in seno alla vena ombelicale obliterata, per vascolarizzazione del trombo che l’otturava. (4) Rathke H. — Untersuchungen iber die Entwickelung und den Kòrperbau der Krokodile. Bra- unschweig 1866. (5) Hochstetter F. — Beitrige zur Anatomie und Entwickelungsgeschichte des Blutgefàsssy- stemes der Krokodile. In: Voeltzkow Reise in Ostafrika in den Jahren 1903-1905. Bd. IV. Stuttgart 1906. -— 8380 — studo e di Emys fiancheggiano il corpo allantoideo per raggiungere, ognuna dal proprio lato, il rispettivo lobo, sinistro o destro, del fegato, derivino dalle primitive vene ombelicali, pari nelle Testuggini come negli altri Rettili e in tutti gli Amnioti, le quali indietro sì sono messe in rapporto con le vene ischiatiche. Ma nell’embrione effettivamente è la sola vena sinistra che funziona da vera e propria vena allantoidea, da vena cioè che riconduce il sangue dall’allantoide. Però questa stessa vena riceve caudalmente presso l’apertura ombe- licale un ramo che la congiunge con l’ischiatica. La vena ombelicale destra, che caudal- mente si congiunge pure con l’ischiatica del suo lato, negli stadî avanzati di sviluppo o non raccoglie affatto rami dall’allantoide o soltanto qualche tenue e breve ramo, che pro- venendo dalla membrana ombe'icale segue il peduncolo allantoideo. La vena ombelicale sinistra nell’ embrione è molto più ampia della destra, e similmente nell’adulto la vena addominale (ombelicale) sinistra si mantiene di calibro alquanto maggiore della destra. Dichiarato quale sia per me il significato attribuibile alle vene addominali (vene om- belicali, Bojanus) degli adulti delle Testuggini, passerò a dare altre prove, segnata- mente embriologiche, che credo stiano a sostegno della mia interpretazione. Ho già detto che negli stadii precoci di sviluppo delle T'estuggini si hanno due vene ombelicali o allantoidee. Queste due vene, similmente che negli altri Rettili e in tutti gli Amnioti, decorrono dapprima sulle pareti laterali del corpo (Tav. II, Fig. 31) a quel modo che ben mostrano le sezioni seriali di un embrione della lunghezza di mm. 5,8 (1) da me esaminato. Nei preparati che ebbi in istudio non mi fu possibile seguire cranialmente con esattezza le due vene ombelicali, ma è da ritenersi che esse si aprano nel seno venoso. Nelle sezioni seriali d’un embrione di Testudo alquanto più avanzato (lunghezza dal capo alla radice della coda mm. 7, distanza fra gli arti ant. e post. mm. 3,8) le due vene ombelicali corrono ancora lungo le pareti laterali del corpo, ma caudalmente in corrispondenza del- l'ombelico si vede che soltanto l'una di esse, la sinistra, possiede rapporti coll’ allantoide mentre per la destra non si riesce a scorgere relazioni con quest’organo. Al didietro del- l'ombelico, nella parete latero-ventrale del corpo, due vasi, uno per lato, appariscono come la continuazione caudale delle vene allantoidee; sono certamente due vene che si congiun- gono alle allantoidee nella regione dell’ ombelico. In un embrione di Testudo graeca dell’età di 37 giorni le due vene ombelicali hanno perduto la loro unione col seno venoso e si mostrano ambedue in rapporto col fegato: nella rezione dell’ombelico le due vene, di cui la sinistra è più grande della destra, decor- rono sui margini laterali dell’oimbelico cutaneo, subito cranialmente a questo esse assu- mono una posizione più ventrale avvicinandosi maggiormente alla linea mediana senza però raggiungerla mai, poichè si mantengono sempre ai lati del piano sagittale. Alquanto più in avanti ciascuna delle vene ombelicali corre per breve tratto ai lati della porzione cau- dale del pericardio in una plica pericardiaco-peritoneale, e volgendo un poco dorsalmente raggiunge la faccia ventrale del fegato per mettersi in unione, quasi allo stesso livello (la destra arrivando al fegato alquanto più presto della sinistra), colla rete venosa epatica. (1) Tolto dall’ uovo 25 giorni dopo la deposizione. — 331 — In un’ embrione di Testudo graeca dell’età di 41 giorni e in un altro di 46, dalle sezioni trasverse del quale sono state ricavate le Fig. 32-37, sì sono maggiormente accen- tuati i rapporti ora descritti e che dalle figure appaiono assai manifesti. Nella regione dell’ombelico ambedue le vene ombelicali (©. 0m0. d., v. omb. s.) decorrono sui margini laterali di esso. Esaminando in questa regione la vena ombelicale destra si vede che riceve una diramazione (rappresentata nelle Fie. 33 e 34 dal vaso posto più ventralmente) dal peduncolo cutaneo, ma essa col tronco principale si. continua caudalmente. Anche per la vena ombelicale sinistra si scorge che la medesima, quantunque provenga col suo tronco principale dall’allantoide, tuttavia è in unione con un vaso venoso, che giunge dalla parte posteriore della parete addominale. I vasi adesso ricordati, che derivano dalla parete addo- minale posta caudalmente all’ombelico e che si aprono nelle vene allantoidee, possono considerarsi come vere vene addominali. Lungo il loro decorso dall’ombelico fino al fegato le vene allantoidee ricevono ramuscoli dalla parete ventrale dell’addome. E i rapporti ora descritti si mantengono pure negli embrioni di 51, 57, 70 e 73 giorni di età, ossia fino al termine dello sviluppo (Tav. II, Fig. 38 e 39). La vena ombelicale destra in questi stad. più avanzati non mostra d’aver relazione col peduncolo allantoideo, corre lungo il margine corrispondente dell’ombelico e caudal- mente si congiunge con una vena che proviene dalia parete ventrale del bacino. La vena ombelicale sinistra, più ampia, si divide, presso il margine caudale dell’ ombelico in due rami, uno grosso che vi giunge dal peduncolo allantoideo ed uno piccolo che vi arriva dalla parete ventrale del bacino (1). Uguali disposizioni si riscontrano con lo studio delle sezioni seriali di embrioni di Emys lutaria. Completai la ricerca dissecando embrioni avanzati di Testudo graeca [uno di 65 giorni d’età (2) e due di 73 giorni (3)|] già fissati e conservati in alcool. Asportato il clipeo e sollevato l’intestino posteriore in modo da porre allo scoperto la faccia dorsale dell’ ombe- lico, rilevai l’esistenza di due sole vene da me ritenute l'una e l’altra come ombelicali, quantunque soltanto la sinistra, molto più ampia, riconduca il sangue dall’allantoide. Con- simile dissezione eseguii pure su embrioni di E£wys riscontrandovi egualmente due vene ombelicali con le disposizioni indicate per gli embrioni di Testfudo. Io non ho veduto che a lato di queste vene ombelicali si sviluppassero quelle vene che nell’adulto vengono chiamate addominali, e pertanto sono indotto a credere con fon- damento che le vene in questione derivino dalle allantoidee. Nelle Tartarughe non si hanno due vene addominali e una vena ombelicale come nei Coccodrilli. Inoltre, dopo la nascita non avvengono significanti cambiamenti, e nei giovani e negli adulti si riscontrano due vene (vene ombelicali, secondo Bojanus) che, decorrendo o ai lati dell’ombelico e del corpo allantoideo nei giovani o ai lati dell’antica regione ombeli- (1) Nell’adulto il ramo venoso che si continua colla rispettiva vena addominale, staccato che si sia dalla vena ischiatica, si dirige ventralmente e in avanti. (2) Dimensioni del clipeo: lungh. mm. 18, largh. mm. 17,5. (3) Clipeo rispettivamente mm. 25 x 27,5 e mm. 13,5 x 19,5. di cale negli adulti, si portano cranialmente, risalgono lungo la plica pericardiaco-peritoneale del rispettivo lato per mettersi in rapporto col fegato e con la vena porta; caudalmente invece si continuano ciascuna con la vena ischiatica del proprio late. In corrispondenza dell’apice della vescica urinaria e dell’antica regione ombelicale raccolgono rami venosi, provenienti da queste parti. Forse del tronco dell’ombelicale sinistra che giungeva dal peduncolo allantoideo rimane soltanto un piccolo ramo, proveniente dall’ antica regione ombelicale, tributario della vena addominale sinistra. Dopo la vita embrionale, cessata la circolazione allantoidea, assume maggiore impor- tanza e sviluppo il tratto venoso che da ogni lato congiunge indietro con la ischiatica la rispettiva vena allantoidea, la quale, anzichè scomparire, serve ora al deflusso del sangue dalle parti posteriori del corpo al fegato. Sicchè nelle Tartarughe, a differenza degli altri Rettili e degli Amnioti in genere, si verificherebbe- la persistenza delle vene allantoidee che assumono però altro ufficio, o meglio permangono coll’ ufficio che originariamente avevano, prima di prendere rapporto con l’allantoide, funzionando come vene del corpo. Di più a favore della mia tesi mi sembra che stiano i risultati delle ricerche di Hochstetter sullo sviluppo delle vene ombelicali nel Coccodrillo. Qui le due vene ombe- licali da principio si aprono ambedue nel seno venoso, poi tutte e due, perdendo il loro sbocco nel detto seno, entrano in rapporto con la rete venosa del fegato (1) e frattanto si spostano verso la linea mediana, ed anzi la sinistra, cranialmente all’ombelico, giace quasi precisamente nel mezzo. La vena ombelicale destra caudalmente passa lungo il lato destro dell’ombelico e, senza contrarre connessioni colla vena ombelicale sinistra, si con- tinua con la vena marginale tibiale dell’arto posteriore destro, alla quale si uniscono rami venosi della parete del tronco che, decorrendo verso il bacino, giacciono là dove nella La- certa trovasi la vena laterale del tronco. È certo adunque che nel Coccodrillo la porzione craniale della vena ombelicale destra si conserva e insieme alla vena marginale tibiale, con la quale si continua, forma l’ abbozzo della vena addominale; la quale pertanto nella sua porzione prossimale deriva evidentemente dalla vena ombelicale corrispondente, dive- nuta così una via di deflusso del sangue che prima a lei correva dalla vena marginale tibiale e dalle vene laterali del tronco. Il comportamento è alquanto diverso nel lato si- nistro, ma pure durante lo sviluppo embrionale vi si verificano certi rapporti tra la vena ombelicale sinistra e la vena marginale tibiale dello stesso lato, i quali, secondo il mio avviso, varrebbero a spiegarci come mai nei Chelonî possa conservarsi anche la vena om- belicale sinistra per divenire poi la vena addominale sinistra dell’ adulto. Infatti nel Coc- codrillo ad un certo stadio (stadio 59 di Voeltzkow) anche nella vena ombelicale sini stra sbocca, a livello dell’ ombelico, un ramo venoso che, come la radice della vena om- belicale destra, riceve il suo sangue dalla vena marginale tibiale dell’arto posteriore ri- (1) A tale proposito, sempr: in appoggio del mio concetto, giova ricordare che nel Pollo, talvolta, e nei Mammiferi (così almeno nel Coniglio, nel Gatto e forse nell’ Uomo) la vena ombelicale destra assume pure, sebbene transitoriamente, rapporto con la rete venosa del fegato, rapporto che nel Gatto si conserva per un tempo relativamente più lungo (Hochstetter). | | Ì | | } — 333 — spettivo e dalle vene laterali del tronco. Cotesto ramo venoso rappresenta l’ abbozzo della porzione caudale della vena addominale sinistra ed esso perde poi (in qual modo Hoch- stetter non potè stabilire per difetto di materiale) il suo sbocco nella vena ombelicale sinistra, e si forma la porzione craniale della vena addominale sinistra con la quale esso sì continua. Orbene, quantunque io ignori le ragioni che determinano il fatto (1), nelle Testuggini il ramo venoso proveniente dall’ arto posteriore non perderebbe il suo sbocco nella vena ombelicale sinistra e, anzichè formarsi la porzione craniale della vena addominale, persi- ste come tale la vena ombelicale sinistra. D'altro canto, infine, sempre a conforto della mia interpretazione, è da tenersi conto anche del fatto che pure nella Lacerta ad un certo periodo dello sviluppo, cioè in giovani embrioni, quelle vene pari, che più tardi sì uniscono per formare la porzione caudale della vena addominale, si aprivano nella vena ombelicale prima che si costituisse la porzione craniale dell’ addominale. Tutto considerato, adunque, mi sembra più che lecito concludere: 1° che nelle Testuggini le vene addominali dell’ adulto derivano dalla conservazione della porzione intraddominale delle vene allantoidee (ombelicali) in rapporto con le vene ischiatiche per mezzo di un ramo o di un tratto, il quale soltanto sarebbe omologo alle vere vene addominali degli altri Rettili (2); 2° che pertanto sotto questo punto di vista le vene addominali delle Te- stuggini possono meritare ancora il nome di ombelicali (venae umbilicales) loro imposto da Bojanus; e 3° che nelle Testuggini si mantengono a tale riguardo condizioni di uno stato primitivo. Sui resti del sacco vitellino dei Coccodrilli paragonati a quelli delle Testuggini. Il sacco vitellino dei Coccodrilli e il processo della sua penetrazione nella cavità addomi- nale come quello della sua regressione furono, pochi anni or sono, studiati da Voeltzkow. Io voglio qui rilevare soltanto la somiglianza di disposizione che vi ha con i Chelonî in ordine a ciò che particolarmenie concerne il resto del sacco vitellino, l’ombelico intestinale, le arterie e la vena onfalo-mesenteriche, e terminare con un cenno sulle particolarità micro- scopiche offerte dall’ organo durante le ultime fasi della sua involuzione, paragonandole a quelle che abbiamo osservato nelle Tartarughe. Intanto dirò che il modo d’inserzione del sacco vitellino alla parete intestinale nei Coccodrilli è del tutto simile a quello che abbiamo veduto per le Testuggini (si confron- (1) Forse una delle cause può consistere nella particolare configurazione del tronco e quindi della parete ventrale dell’ addome delle ‘l'artarughe che è assai larga e corta. (2) Nei Coccodrilli per altro la vena addominale destra sarebbe veramente omologa a quella omo- nima delle 'l'estuggini, poichè in ultima analisi deriva anch’ essa dalla vena ombelicale destra, — 384 — tino le nostre Fig. 2-5 con le Fig. 57, 58 della Tav. XXXVII del lavoro di Voeltzkow e con la Fig. 40 delle nostra Tav. II). Anche nei Coccodrilli il sacco è sessile sulla parete intestinale e si ha un canale vitellino estremamente breve. Al suo polo distale non pos- siede alcuna connessione nè con l’ombelico addominale nè con la vescica urinaria. Non risulta che nei Coccodrilli si formi un corpo allantoideo. In un giovane di Crocodilus niloticus della lunghezza totale di cm. 34,5 trovai appeso ad un’ansa dell'intestino medio (Tav. II, Fig. 40) un resto del sacco vitellino sotto l’aspetto di un corpicciuolo piriforme della grandezza di mm. 5,5 nell’asse maggiore e di mm. 4 nell’asse minore, il quale s’ inseriva con larga base alla parete intestinale (1). Ad esso, come nelle l'estuggini, giungeva un’arteria onfalo-mesenterica che si divideva in due rami (le due arterie onfalo-mesenteriche) che abbracciavano l'intestino a guisa di laccio (2). Dal lato craniale del resto del sacco vitellino si dipartiva un vaso venoso che, sostenuto da una piega del peritoneo mesenteriale, correva cranialmente lungo l’intestino fino al duodeno, dove la detta piega diveniva più alta e la vena si gettava poi nella vena mesenterica. Il vaso era situato dal lato opposto all’inserzione del mesenterio ed era molto lungo, se si considera che la inserzione del sacco vitellino trovavasi quasi nel mezzo dell’intestino tenue. Tale vaso corrisponde alla vena onfalo-mesenterica dell'embrione, in cui è molto ampia, dovendo riportare il sangue dal sacco vitellino pienamente funzionante. Traccie, simili a quelle descritte per le Tartarughe, dell’antica esistenza del sacco vitellino e dei suoi vasi sì rinvengono pure in esemplari di Alligator lucius già discreta- mente avanzati d’età. Io ebbi agio di esaminare due esemplari di Alligator lucius della lun- ghezza totale di 76 cm. e vi riscontrai ancora distinto un ombelico intestinale, costituito di un piccolo tubercoletto, come mostra la Fig. 41, al quale giungevano pure due arterie onfalo-mesenteriche mentre ne partiva, a guisa di un cordoncino, la vena onfalo-mesenterica sostenuta da una piega mesenteriale, la quale vena decorreva, come nell’ esemplare di Crocodilus, cranialmente lungo l’intestino sul lato opposto a quello dell’inserzione del mesenterio e giungeva fino al duodeno, fin presso al piloro, per gettarsi nella vena mesen- terica. Siffatte disposizioni, osservate in esemplari già discretamente avanzati, m’inducono a supporre che anche negli adulti dei Coccodrilli in genere, persistano a questo riguardo traccie delle antiche condizioni embrionali. Io non posseggo osservazioni dirette sugli adulti, (1) In un altro esemplare della stessa specie lungo cm. 31,58 il sacco vitellino era già ridotto ad un piccolo tubercoletto. Voeltzkow, parlando della regressione del sacco vitellino nel Coccodrillo dichiara che non può dire precisamente a qual tempo ne sia compiuto il riassorbimento, ma afferma che « in ogni caso esso scompare senza lasciare traccia anche innanzi la fine del primo mese dopo la nascita », la quale affermazione secondo ciò che fu da me osservato non sembrerebbe assolutamente esatta. (2) Negli embrioni di Coccodrillo Rathke, Voeltzkow e Hochstetter rilevano che l’arteria onfalo-mesenterica giunta all’ intestino si biforca in due rami, i quali dopo esser passati ai suoi due lati giungono al sacco vitellino. Nei Coccodrilli però l’arteria onfalo-mesenterica (la futura arteria mesente- rica), anzichè dall’arco sinistro dell’aorta come nelle 'l'artarughe, si stacca, a stadì avanzati, dalla parete destra dell’aorta ad una certa distanza dall’arteria coeliaco-mesenterica, che proviene dalla radice sinistra dell’aorta dorsale presso al punto di sua unione con la radice destra (Hochstetter). — 339 — ma la supposizione testè espressa sarebbe confermata dalla seguente circostanza che io rilevo dalle ricerche di Hochstetter (1) sul sistema venoso dei Coccodrilli. Esiste cioè negli adulti. una vena lungo la prima porzione dell’ intestino tenue, ossia lungo il duodeno, la quale decorre proprio nel lato opposto all’ inserzione del mesenterio, e per essa si ha inoltre una lamina peritoneale di sostegno, diversamente alta nei vari esemplari, che risiede sulla parete intestinale sin dove la vena giunge. Tale vena, che sì apre nel tronco della vena mesen- terica, corrisponde certamente a quella da me descritta nei giovani esemplari di Crocodilus e di Alligator ed è senza dubbio un resto della vena onfalo-mesenterica che perciò per- siste anche negli adulti: essa corrisponde alla vena duodenale delle Tartarughe che, come sappiamo, ha lo stesso significato. L'esame microscopico delle sezioni seriali del sacco vitellino di Crocodilus niloticus rappresentato nella Fig. 40 mostra che esso possiede una spessa parete, la quale delimita la sua cavità relativamente ampia. Il cospicuo spessore della parete è dovuto allo strato connettivale che può suddividersi in due piani: l’ uno esterno, di gran lunga più spesso, il quale è assai compatto, con scarsi nuclei e sembra a sua volta costituito di due ordini a causa del diverso andamento delle fibre; l’ altro interno, sottile, fatto di connettivo lasso ricco di nuclei, sul quale riposa l’ epitelio vitellino che riveste la superficie interna del sacco. Qua e là nella parete connettivale, fra lo strato compatto e lo strato lasso, si notano dei focolai di connettivo cicatriziale con abbondante sostanza fondamentale di aspetto jalino e scarsi nuclei. Alla sua superficie esterna la parete del sacco vitellino è ricoperta dal- l’epitelio peritoneale. Alla sua superficie interna è tappezzata, come ho già detto, dall’epi- telio od entoderma vitellino, il quale è formato da un semplice strato di cellule basse od anche, in certi punti, massimamente nella porzione prossimale della parete, molto appiattite con nucleo grande e citoplasma di aspetto vacuolare, che contengono soltanto rari e piccoli granuli di tuorlo o ne sono anche prive. Questo epitelio nella parete prossimale, laddove esso è più basso, si distacca facilmente per l’azione dei reattivi, sicchè in talune sezioni sembra qua e là interrotto. La parete prossimale è liscia, dalla parete distale invece sorgono le appendici parietali che quantunque molto ridotte sono ancora bene evidenti. Le mede- sime nel loro asse, percorso da vasi sanguigni venosi, contengono una maggior quantità di connettivo in confronto alle appendici parietali delle Testuggini. In qualcuna di esse il connettivo per tratti più o meno estesi, è sclerotizzato. Generalmente le appendici, e massime verso il loro apice, sono invase da una ricca infiltrazione di piccole cellule linfoidi. Alla loro superficie le appendici sono rivestite da un epitelio costituito di un semplice strato di cellule vitelline di forma cilindrica, con il loro estremo libero rotondeggiante, più o meno alte, in alcuni tratti anche basse, ma non mai tanto quanto quelle dell’ epitelio della parete. Dette cellule hanno il citoplasma vacuolare e racchiudono soltanto pochi e piccoli granuli oppure minute zolle di tuorlo, ma non mai grandi sfere: il loro nucleo è general- mente voluminoso, in alcune più che in altre. La cavità è ripiena di cellule vitelline libere o distaccate che hanno forma globosa, (1) 1. c., Anat. und Entw. des Blutgefisssystemes der Krokodile. Serie VI. — Tomo IV. 45 — 390 — vescicolare, nucleo non molto grande situato per lo più eccentricamente, citoplasma reticolato contenente piccoli e pallidi granuli di tuorlo, del quale per altro possono essere anche affatto prive. Una parte delle cellule che si trovano libere nel sacco vitellino si caratteriz- zano perchè più piccole, di forma più regolarmenre rotonda, con citoplasma omogeneo e nucleo posto nel centro. Mucchi di cellule vitelline distaccate si trovano inoltre interposte fra le appendici parietali. Alle cellule vitelline libere o distaccate si frammischiano detriti di cellule e di nuclei disfatti, nuclei in cromatolisi e qua e là dei leucociti. Tutti questi diversi elementi nel fresco nuotavano in un liquido che nei preparati apparisce coagulato e di aspetto granuloso. Nel mezzo della cavità del sacco esiste una certa quantità di tuorlo residuale modificato, granuloso e con vacuoli di varia grandezza, circondato in parte da cellule plurinucleate, più o meno regolari per forma, e in parte da masse protoplasmatiche sinciziali con numerosi nuclei aggruppati in diversa maniera, spesso a guisa di cerchis. Nella parte centrale della sua superficie interna la parete prossimale del sacco, con la quale esso aderisce all’intestino, mostrasi rivestita, come nelle Tartarughe, da un rego- lare epitelio, simile a quello dell’ intestino, sebbene più basso, il quale perifericamente si continua con l’epitelio vitellino. È poi notevole la persistenza del canale vitello-intestinale che perciò anche nei Coccodrilli, almeno in certi esemplari, non scompare così presto come Voeltzkow crede. La parete intestinale sporge verso la cavità del sacco vitellino a guisa di una papilla nella quale il lume dell’intestino forma un diverticolo imbutiforme, la cui parte ristretta, seguendo un decorso alquanto tortuoso, si apre con un piccolo orifizio nella cavità del sacco. In corrispondenza di questo orifizio l’ epitelio di rivestimento dell’ intestino che si era continuato nel diverticolo si riflette, divenendo più basso, per seguitarsi «cn quello che, come sopra si è ricordato, tappezza la parte centrale della parete prossimale. La mucosa che delimita il lume del canale vitello-intestinale presenta alcune ripiegature dirette secondo l’asse del canale medesimo, il cui lume in alcune delle sue sezioni trasverse assume, a causa di tali ripiegature, una figura irregolarmente stellata. Per i confronti con le Tartarughe interessa che io riferisca anche quanto rilevai con lo studio delle sezioni seriali del sacco vitellino residuale di un altro esemplare di Croco- dilus niloticus lungo cm. 31,5. In questo esemplare il sacco vitellino che macroscopicamente appariva come un tubercoletto irregolare, col maggior diametro di poco più di 2 mm., possiede caratteri microscopici simili a quelli riscontrati nel sacco vitellino di Ewmys rappresentato nelle Fig. 19 e 20 della nostra Tav. I. Esso ha perduto completamente le appendici parie- tali e nelle sezioni sembra diviso in due !obi. Uno di questi due lobi è solido, posto di lato e costituito da tessuto connettivo cicatriziale denso con scarsi nuclei; mostra pochissimi vasi sanguigni, fatta astrazione di un gruppo di vasi piuttosto grossi, residuo delle dira- mazioni dei vasi onfalo-mesenterìci; vi si notano nel mezzo pochi resti epiteliali. L’altro lobo, più grande, può suddividersi in due parti: una prossimale cava, ed una distale piena, sebbene fra loro continue. La parte cava contiene nel suo lume, e sovrastante alla parte piena, una massa costituita da sangue stravasato e coagulato, da leucociti che tengono incorporati detriti cellulari, da cellule epiteliali distaccate atrofiche e in via di disfaci- mento, da frammenti di nuclei e da zolle granulose di deutoplasma residuale, profonda- — 337 — mente modificato. La cavità, che nella sua metà prossimale ha la parete rivestita da un regolare epitelio cilindrico, alto, contenente anche cellule mucipare e del tutto simile al- l’epitelio intestinale, si prolunga in uno stretto canale, tappezzato dallo stesso epitelio, che si dirige verso il lume dell’ intestino ma senza raggiungerlo poichè cessa poco prima di arrivarvi. Il descritto canale è un resto del condotto vitellino che sì è soltanto parzial- mente obliterato. Nella parte distale piena si notano delle grandi cellule plurinucleate e delle grandi masse protoplasmatiche, masse sinciziali, con moltissimi nuclei, le quali sono più specialmente addossate alla parete connettivale di questa porzione del sacco vitellino. Qui la parete connettivale, fortemente ispessita, è riccamente infiltrata di cellule linfoidi. Ricorderò per ultimo che alcune delle masse protoplasmatìche plurinucleate si trovano in via di disfacimento, poichè il protoplasma vi è divenuto molto più scarso, più granuloso e i nuclei sembrano residuati alla sola loro membrana, sulla quale si vedono attaccati dei piccolissimi granuli cromatinici. Possiamo adunque conchiudere che un confronto istituito tra i Coccodrilli ed i Che- lonî dimostra pure che è consimile la struttura delle appendici parietali e dell’ epitelio del loro sacco vitellino, struttura la quale invece differisce alquanto da quella del sacco vitel- lino dei Saurî e degli Ofidî, e che finalmente anche i processi di regressione dell’ organo del vitello studiati nelle Testuggini e nei Coccodrilli offrono completa somiglianza. P.S. - Di recente Hochstetter (1) nelle Memorie dell’I. Accademia delle scienze di Vienna ha pubblicato per esteso il lavoro (gentilmente inviatomi dall’Autore) sul modo come gli embrioni dell’ Emys lutaria lacerano i loro involucri e come i giovani di questa Tartaruga lasciano l’uovo. Egli con più precise osservazioni ha potuto stabilire che l'aper- tura della cavità amniotica non avviene perchè gli elementi cellulari della connessione siero-amniotica sì allontanino gli uni dagli altri, ma si effettua per una lacerazione degli involucri embrionali vicino a questa connessione. La rottura degli involucri accade senza partecipazione della connessione siero-amniotica nel lato destro di essa e ad ogni modo la lacerazione non determina l’apertura della cavità allantoidea, sicchè mentre l’amnios è lacerato altrettanto non succede per l’allantoide. Da questo fatto e dall’altro che gl’ invo- lueri vengono intieramente accolti nella cavità addominale, Hochstetter è stato ben a ragione indotto a ritenere che il processo di recezione del sacco vitellino e degli involucri embrionali nell’ £,ys è molto più primitivo che nella Zacerta e nel Tropidonotus. (1) Hochstetter F. — Beitràge zur Entwickelungsgeschichte der europàischen Sumpfschild- kròte (Zwmys lutaria Marsili). ]. Ueber die Art und Weise, wie die Embryonen der Sumpfschildkròte ihre Hillen abstreifen und wie die Jungen dieses T'ieres das Ei verlassen. Besonders Abgedruckt aus dem LX XXI Bd. der Denkschriften der math.-naturwissensch. Klasse der K. Akad. der Wissen- schaften Wien 1907. __ er Fig. — 338 — SPIEGAZIONE DELLE FIGURE TAVOLA LIL 1° — Tronco di un giovane esemplare, schiuso da poco tempo, di Testudo graeca, nel quale fu asportato quasi completamente il piastrone, lasciandone soltanto la porzione corrispondente alla regione ombelicale che venne rovesciata caudaimente. Veduta dalla faccia ventrale. sv, sacco vitellino; ca, corpo allantoideo ; vw, vescica urinaria; 7, fegato. Appena un poco più grande del naturale. 2° — Sacco vitellino di un giovane esemplare di Testudo graeca schiuso da poco. Il sacco vitel- lino, sv, fu asportato insieme all’ansa intestinale, è, alla quale s’inseriva. «om, arteria onfalo-mesenterica; vom, vena onfalo-mesenterica. Ingrand. diam. 1 !/, circa. 8° — Sacco vitellino di un giovane esemplare di Zestudo graeca schiuso da non molti giorni. sv, sacco vitellino, già assai rimpiccolito in confronto a quello delle figure precedenti; av (aom), av' (aom'), arterie onfalo-mesenteriche (arterie vitelline), destra e sinistra, che abbracciano l'intestino, 2; vv. (vom), vena onfalo-mesenterica (vena vitellina) che corre nel ramo craniale dell’ansa intestinale ed è sostenuta da una piega del peritoneo. Ingrand. diam. 3 1/e. 4° — Sacco vitellino di un giovane esemplare di Zestudo graeca, alquanto più avanzato d’età dei precedenti. Il sacco vitellino è già molto ridotto. Vi si vede la divisione dell’arteria onfalo-mesenterica in due rami, destro e sinistro, che abbracciano l'intestino. Le lettere come sopra. Ingrand. diam. 3 !/s. 5° — Sacco vitellino, già molto ridotto, di un giovane esemplare di £mys lutaria. Le lettere come sopra. Ingrand. diam. 3. 6° — Sacco vitellino, già molto ridotto, di un giovane esemplare di £mys lutaria. Sono assai manifeste l’arteria e la vena onfalo-mesenteriche. L’altro ramo (il destro) dell’arteria era molto esile. Le lettere come sopra. Ingrand. diam. 3. 7° —- Sacco vitellino estremamente ridotto di un csemplare di E£mys di media età. Le lettere come sopra. Ingrand. diam. 4. 8° — Intestino tenue, ?î, di Zestudo graeca di media età. Il resto del sacco vitellino, rsv, ridotto ad un piccolo tubercoletto. La vena onfalo-mesenterica corre per lungo tratto cranial- mente sull’intestino e colla sua porzione prossimale rappresenta la vena duodenale. Ingrand diam. 2. 9° — Da un esemplare adulto di Testudo graeca. "ratto dell'intestino tenue, i, visto dal lato opposto all’ inserzione del mesenterio. Il resto del sacco vitellino, rsv, ridotto ad un tuber- coletto, è quasi incorporato colla parete intestinale. Vi si vedono ancora manifesti i due rami dell’arteria onfalo-mesenterica e la porzione distale assottigliata della vena onfalo- mesenterica. Ingrand. diam. 2. 10° — Da un esemplare adulto di Z’estudo graeca. Rappresenta l'intestino tenue, #, con l’ombelico intestinale, 07, all’antica inserzione del sacco vitellino. Vi si vedono ancora i vasi onfalo- mesenterici, arteria, 40m, e vena, vom, la quale con la sua porzione prossimale forma la vena duodenale. c, cieco dell'intestino crasso. Grandezza naturale. — 339 — Fig. 11° — Da un esemplare adulto di Testudo graeca. L’intestino tenue, i, con l'ombelico intestinale, oî, al quale giungono i due rami dell’arteria onfalo-mesenterica e dal quale parte la vena onfalo-mesenterica, che corre cranialmente sull’intestino sino al duodeno, dove rappresenta la vena duodenale. Presso questa porzione dell’ intestino si vede il pancreas, p, e nel mezzo del mesenterio la milza. Grandezza naturale. Fig. 12° — Da un esemplare adulto di 7estudo graeca. Tratto dell’ intestino medio, è, coll’ombelico inte- stinale (ultimo resto del sacco vitellino), 0i(7s0), visto dal lato opposto all’ inserzione del mesenterio. Sono ben visibili i vasi onfalo-mesenterici, le arterie, av (aom), av (aom'), e la vena, vv (vom). Ingrand. diam. 2. Fig. 13° — Da un esemplare adulto di Ewys lutaria. Tratto dell'intestino tenue, #, coll’ombelico inte- stinale (ultimo resto del sacco vitellino), o? (sv), visto dal lato opposto all’ inserzione del mesenterio. Le arterie onfalo-mesenteriche, av (40m), av' (aom'), sono ben manifeste. La vena onfalo-mesenterica in questo esemplare non giunveva sino all’ombelico intestinale. Ingrand. diam. 2. Fig. 14° — Parte d’un’appendice parietale del sacco vitelllino di Testudo rappresentato nella Fig. 2, da una delle sezioni trasversali del quale la figura fu ricavata. L’asse dell’ appendice è per- corso da un vaso sanguigno, vs, sulla cui parete poggiano le cellule vitelline che tengono inclusi grossi globuli vitellini, gv. x, nucleo delle cellule vitelline; pa, parete del sacco vitellino. Ingrand. diam. 130. Fig. 15° — Parte d’un’ appendice parietale di un sacco vitellino di Testudo graeca già discretamene ridotto, essendo presso a poco della grandezza di quello disegnato nella Fig. 3. Anche qui sulla parete del vaso sanguigno, vs, poggiano le cellule vitelline che però sono più basse e contengono quasi ognuna un solo globulo di tuorlo, gv. 2, nucleo delle cellule vitelline. Ingrand. diam. 130. Fig. 16° — Sezione del sacco vitellino molto ridotto, tolto da un giovane esemplare di Emys lutaria. sv, sacco vitellino nel quale le appendici parietali sono per la massima parte scomparse. Ad un lato della sezione trovasi un ampia lacuna vuota. Esiste ancora il canale vitellino (canale vitello-intestinale) pervio, cv, rivestito dall’epitelio intestinale che si continua in esso fino a riflettersi sulla parete prossimale del sacco. i, intestino; ep, epitelio intesti- nale. Ingrand. diam. 42. Fig. 17° — Sezione del sacco vitellino molto ridotto di un giovane esemplare di Emys lutaria. Il sacco vitellino, sv, è solido: nel suo interno un delicato reticolo connettivale circoserive numerose piccole aree che sono occupate da cellule epiteliali (cellule vitelline) contenenti tuorlo degenerato. L'insieme offre quasi l’aspetto ‘di un tessuto glandulare. aom, arteria onfalo-mesenterica; v, sezioni di vasi sanguigni (rami dell’arteria e della vena onfalo- mesenteriche); i, parete dell’intestino; ep, epitelio intestinale. Ingrand. diam. 42. Fig. 18° — Sezione del sacco vitellino di Emys lutaria, ridotto ad un piccolo tubercoletto. Sono scom- parse le appendici e nell’interno del sacco, sv, si trova una massa di cellule vitelline non contenenti più tuorlo, la quale s’ insinua anche nel canale vitellino, cv, che è ancora pervio. è, intestino; ep, epitelio intestinale che si continua nel canale vitellino e sì riflette sulla parete prossimale del sacco; 7, mesenterio. Ingrand. diam. 54. Fig. 19* — Sezione trasversale del sacco vitellino estremamente ridotto di un esemplare di Emys lutaria. Nell’interno del resto del sacco vitellino si trovano due piccole cavità conte- nenti zolle granulose di deutoplasma modificato e rivestite da uno strato epiteliale a guisa di sincizio, che nella figura è rappresentato in chiaro con gruppi di nuclei seriati. Sulla parete del sacco vitellino, subito al di fuori dello strato epiteliale, si ha una forte infil- trazione di cellule linfoidi. 7, intestino; ep, epitelio intestinale. Ingrand. diam. 54. Fig. 20* — Un tratto della parete inferiore del sacco vitellino estremamente ridotto rappresentato nella figura precedente. d, zolle granulose di deutoplasma modificato contenute nella cavità Fig. — 340 — del sacco vitellino residuale; 720, masse protoplasmatiche (strato epiteliale) plurinucleate che a guisa di sincizio rivestono la cavità e sono in parte incluse nella sua parete con- nettivale come grandi cellule plurinucleate. Le granulazioni scure nel limite tra deuto- plasma e strato epiteliale sono frammenti di nuclei disfattisi per cromatolisi. 7, cellule linfoidi che formano una forte infiltrazione periferica; #c, tessuto connettivo della parete; ep. p, epitelio peritoneale. Ingrand. diam, 250. . 21* — Sezione del resto del sacco vitellino di un esemplare adulto di Testudo gracca. Il resto del sacco vitellino, sv, quasi incorporato nella parete intestinale, mostra una cavità rive- stita da cellule vitelline atrofiche e a lato di questa una parte solida costituita da una massa di cellule vitelline atrofiche, ma contenenti ancora tuorio, sebbene in forma dege- nerata. v, vasi sanguigni (ramificazioni dei vasi onfalo-mesenterici residuali); ep, epitelio intestinale. Ingrand. diam. 42. . 22% — Sezione de! resto del sacco vitellino d'un esemplare di £7mys di media età. Sono scom- parse le appendici parietali e le cellule vitelline. Il sacco vitellino residuale, sv, è incorporato colla parete dell’intestino, é, si è però mantenuto un diverticolo intestinale derivato dal. canale vitellino, cv, (diverticulum coecum vitelli), rivestito dall’ epitelio del- l'intestino, All’ intorno del diverticolo numerose cellule linfoidi. ep, epitelio intestinale Ingrand. diam. 42. TAVOLA II 23% — Porzione posteriore della parete inferiore dell’addome d’un giovane esemplare di T'estudo graeca schiuso da poco. È veduta dal lato dorsale e corrisponde principalmente alla regione dell’ombelico. ca, corpo allantoideo; vu, vescica urinaria; vad, vas, vene addominali (vene ombelicali) destra e sinistra; i, intestino posteriore; r, rene, sopra al quale si scorge il corpo genitale (gonade). Ingrand. diam. 2 !/» circa. . 24° — Da un giovane esemplare di Testudo graeca schiuso da parecchi giorni. Regione dell’om- belico addominale, veduta dal lato dorsale, col corpo allantoideo, ca. già abbastanza ridotto. vad, vas, vene addominali (vene ombelicali) destra e sinistra. Ingrand. diam. 2//s circa. . 25% — Sezione trasversale della regione dell’ombelico cutaneo e del corpo allantoideo di un gio- vane esemplare di Z'estudo graeca, schiuso da poco. ca, corpo allantoideo; e, cumuli epi- teliali costituiti dai resti dell’epitelio allantoideo; ep, epidermide; ep', strati superficiali dell’epidermide che in corrispondenza dell’ombelico, 0, si sfaldano e cadono. Ingrand. diam. 20, . 26° — Uno dei cumuli epiteliali della figura precedente visto a più forte ingrandimento. Nella parte centrale del cumulo sono raccolti detriti di cellule epiteliali disfatte. Alla periferia del cumulo epiteliale stanno sparse numerose cellule linfoidi. Ingrand. diam. 160. . 27° — Sezione trasversale del corpo allantoideo di un giovane esemplare di Ewmys lutaria raccolto nella primavera successiva alla sua schiusa. Il corpo allantoideo, ca, si solleva con un piccolo peduncolo dall’ombelico, non rappresentato nella figura. Ai lati il peritoneo, , sollevato. Alla periferia del corpo allantoideo una parte distinta a guisa di membrana (forse l’amnios) che circonda la porzione centrale. Nell’interno di questa numerose cellule epiteliali in disfacimento. Ingrand diam. 52. . 28% — Sezione trasversale della regione dell’ombelico cutaneo, 0, e del corpo allantoideo di un giovane esemplare di Emys lutaria, raccolto pure nella primavera successiva. Il corpo allantoideo, ca, è maggiormente ridotto: esso nella sua parte basale aderente all'ombelico è costituito da connettivo cicatriziale, invece nel suo apice da scarso connettivo e da numerose cellule epiteliali in disfacimento. La membrana ombelicale è leggermente infossata e 1’ infossamento Fig. Fig. — 341 — contiene i detriti degli strati superficiali dell’epidermide quivi distaccatisi. va (0mb) d, va (omb)s, vene addominali (vene ombelicali) destra e sinistra; ep, epidermide. Ingrand. diam. 20. . 29° — Sezione trasversale dell’ombelico cutaneo e del corpo allantoideo di un giovane esemplare di Emys lutaria. Il corpo allantoideo, ca, molto ridotto è unito per mezzo di un tratto ristretto, l’uraco, w, alla vescica urinaria. La membrana ombelicale è infossata e nello infossamento trovasi una massa epidermica distaccata e disfacentesi. Le altre lettere come nella figura precedente. Ingrand. diam. 20. 30% — Sezione trasversale dell’ombelico cutaneo e del corpo allantoideo di un altro giovane esem- and? plare di Ewys lutaria. Anche qui il corpo allantoideo, ca, fortemente ridotto è ancora unito mediante l’uraco con la vescica urinaria, vu. Esso contiene sempre epitelii in distruzione. La membrana ombelicale è sollevata e sporge ventralmente. Le altre lettere come sopra. Ingrand. diam. 20. Sezione trasversale. di un embrione di Testudo graeca della lunghezza di mm. 5,8 (tolto dall’uovo 25 giorni dopo la deposizione). La figura è data per mostrare le vene ombelicali (vene allantoidee), v. 022, che corrono nelle pareti laterali del corpo. ms, mi- dollo spinale; gs, ganglio spinale; cd, corda dorsale; «ao, aorta; rp, rene primitivo. Ingrand. diam. 36. Le Fig. 32 a 37 furono tutte ricavate dalla serie delle sezioni trasversali di un embrione di Testudo graeca di 46 giorni d’età. 382% — Sezione poco al didietro dell’apertura ombelicale. vw, vescica urinaria; «@. 0mb, arterie 33° . 34° 35° 36° DUE ombelicali (arterie allantoidee) situate fra la parete addominale e la faccia ventrale della vescica urinaria; pa, peduncolo allantoideo; a. 0w0', arterie ombelicali che corrono insieme al peduncolo allantoideo; ©. 0m20.s, vena ombelicale (v. allantoidea) sinistra; *, ramo venoso che si apre nella vena ombelicale sinistra, della quale rappresenta il ramo destro. Ingrand. diam. 20. Sezione vicino al margine caudale dell’ombelico. pa, peduncolo allantoideo; pa' (v) uraco; a.omb.d,a. omb. s, arterie ombelicali destra e sinistra; v. 0w0.s, vena ombelicale sinistra; v.omb.d, vena ombelicale destra; 7 fegato; , intestino; rp, rene primitivo. Ingrand. diam. 20. Sezione quasi nel mezzo dell’ombelico. pa, peduncolo allantoideo; ®v. 0m.s, vena ombe- licale sinistra; v. 0m0.d, vena ombelicale destra; 7, fegato; i, intestino; rp, rene pri- mitivo. Ingrand. diam. 20. Sezione nel mezzo dell’ombelico. v. 0md.s, vena ombelicale sinistra; v. ombd. d, vena ombe- licale destra; i, intestino; «', ansa intestinale che sporge dall’ombelico e sulla quale s’in- serisce il sacco vitellino; f, fegato; cf, cistifellea. Ingrand. diam.. 20. Sezione subito davanti al margine craniale dell’ombelico. v.0mbd.s, vena ombelicale si- nistra; v. 0mb. d, vena ombelicale destra che si apre nel fegato, f; cp, estremo caudale della cavità pericardica. Ingrand. diam. 20. — Sezione alquanto più craniale della precedente. v. 02b.s, vena ombelicale sinistra che si apre nel fegato, 7; rp, ramo pettorale destro che affluisce alla vena ombelicale destra; cu, cuore (ventricolo); cp, cavità pericardica. Ingrand. diam. 20. Le Fig. 38 e 39 furono ricavate dalla serie delle sezioni trasversali di un embrione di Z'estudo graeca di 70 giorni di età (quasi a termine). 38° — Sezione quasi nel mezzo dell’ombelico. pa, peduncolo allantoideo con una delle arterie —- 342 — allantoidee ; v. omb. s, vena ombelicale sinistra; v:0m0.d, vena ombelicale destra; 7 fe- gato. Ingrand. poco più di 5 diametri. Rue: 89% — Sezione al davanti del margine craniale dell’ombelico. v. 0md.s, vena ombelicale sinistra; v. omb. d, vena ombelicale destra che si apre nel fegato; 7, fegato; c7, cistifellea; cu, cuore colpito all’apice del ventricolo. Ingrand. poco più di 5 diam. Fig. 40° — Rappresenta il resto del sacco vitellino con i relativi vasi di un giovane esemplare di Crocodilus niloticus della lunghezza totale di cm. 34,5. sv, sacco vitellino; 40m, arteria onfalo-mesenterica (dei suoi due rami, che abbracciano l'intestino, si vede soltanto il sinistro); v0m, vena onfalo-mesenterica; i, ansa intestinale a cui il sacco vitellino è inse- rito. Ingrand. diam. 1//,. Fig. 41° — Rappresenta il resto del sacco vitellino di un esemplare di Alligator lucius della lun- ghezza totale di em. 76. Il tratto intestinale figurato è veduto dal lato opposto all’ inser- zione del mesenterio. oi (sv), ombelico intestinale (resto del sacco vitellino): av (10m) arterie. vitelline od onfalo-mesenteriche ; vv (vom), vena onfalo-mesenterica. Ingrand. diam. 1 '/e. cb Dai RIE Mem. R. Acc. d. Sc. Bologna, Serie VI, Tomo IV. aD(om P. GREGORI dis ecco av. I Ù, L res he su tori ricerc E. GiracoMINI. — Ulter Fig. 21 Fig. 22 Mem. R. Acc. d. Sc. Bologna, Serie VI, Tomo IV. va. vad VA Fig. 24 P. GREGORI dis. fig. 23, 24, 40, 41. R. RISTORI dis. fiv. 25-39, Si a SCI Sa CA I È Dre ad } EM IT iS er ORO vomb.d - E. Giacomini. — U/feriori ricerche sui resti, ecc. - Tav. Il OSSERVAZIONI CRISTALLOGRAFICHE SOPRA ALCUNI COMPOSTI ORGANICI DI ADDIZIONE MEMORIA PRIMA DI FO VrAN'NTRESOESIS (letta nella Sessione del 12 Maggio 1907) CON 7 FIGURE NEL TESTO Nella presente memoria raccolgo i dati cristallografici relativi ai seguenti composti di addizione : isoapiolo d’aneto e s-trinitrobenzolo ('), naftalina e s-trinitrobenzolo (*) naftalina e cloruro di picrile (3), naftalina e s-trinitrotoluolo (5). b) I due primi di questi composti mostrano la più stretta somiglianza di forma cri- stallina rispettivamente coi composti di addizione isoapiolo d’aneto e acido picrico, naftalina e acido picrico, già da me altra volta studiati (°), e dai quali differiscono per la sostituzione di un atomo di idrogeno a un ossidrile. Qui adunque si ripete la relazione già nota da tempo che intercede fra s-trinitro- benzolo e acido picrico. Lo studio delle forme cristalline dei composti naftalina e cloruro di picrile, nafta- lina e s-trinitrotoluolo, e il loro confronto con quelle del composto naftalina e acido picrico presentava un certo interesse. Sono infatti composti della stessa costituzione chimica, che mostrano una relativamente piccola differenza in parte della loro grande molecola e si prestano quindi meglio di altri a un controllo delle regole morfotropiche stabilite dal Groth (0). (1) Bruni e Tornani. -Sui picrati e su altri prodotti di addizione di composti non saturi. Gazz. chim. ital., 1905, II, 804. (£*) Hepp. Ueder Additionsproducte von Nitroderivaten mit Kohlenwasserstoffen. Liebig s Ann. 215, 375, 1882. (*) Liebermann u. Palm. Veber Verbindungen von Kohlenwasserstoffen mit Abkommlingen der Pikrinsiure, Ber. d. d. chem. Ges., 8, 377, 1875. (YH'epp.. VIS e. (°) Determinazioni cristallografiche di composti organici (serie prima) Atti Soc. ital. S. N., XLI, 31, 1902. Per quanto riguarda il peso molecolare del prodotto di addizione della naftalina coll’ acido picrico efr. Paternò e Nasini, Gazz. chim. itat., 1889, 202, e Bruni e Carpenè, ib., 1898, II, 75. (°) Einleitung in die chemische Krystallographie, 24 e seg., 1905. Serie VI. — Tomo IV. i 46 — 344 — E dalle mie osservazioni risulta che se i cristalli di naftalina e cloruro di picrile e quelli di naftalina e s-trinitrotoluolo hanno una simmetria minore di quella presen- tata dai cristalli di naftalina e acido picrico, non mostrano di avere con questi rela- zioni angolari, nemmeno parziali, evidenti. Tra i cristalli di naftalina e cloruro di picrile e quelli di naftalina e s-trinitrotoluolo si ha però una relazione degna di nota, ed è che sono tra loro strettamente isomorfi. Ricordando le considerazioni che fa il Jaeger (’) sulla equivalenza di CH, edidi Br a spiegare l’ isomorfismo che egli trovò fra il 1-2-4-6 tribromotoluolo e il 1-2-3-5 tribromotoluolo, si è tratti a pensare che CH, e CZ abbiano nei nostri due composti la stessa funzione modificatrice, ove naturalmente la loro somiglianza di forme cristal- line tanto stretta non sia del tutto casuale. Sarebbe opportuno cercare se questa somiglianza si mantenga in altre coppie di composti analoghi ai due nostri, e questo mi propongo precisamente di fare, perchè mi riservo di estendere le mie ricerche a quanti composti di addizione mi sarà possibile dell’ acido picrico, del s-trinitrobenzolo, della trinitroresorcina, del cloruro di picrile, del s-trinitrotoluolo, della s-trinitroanilina. Jsoapiolo d’ aneto e s-frinitrobenzolo CERIMONIE SRLIENERO, P. di fus. 76°-77°. Sistema cristallino : monoclino oe = 090908 13 OLIO = 1890%8 Forme osservate: {100} }010% 3110} {120} 3101} }1O1| {111 Angoli Limiti delle osserv. Media Calcolato | N (100) (Ul) eRnimeeRe ag uo ne x 10 (110) (010) <7 So = 07 59 2 43 47° 44° 7 doi RI (120) (010) | 26° sono 3 28 SI 2319 2 (100) (101) 6 eee di 229 | 64 27 6 (') Ueber molekulare und krystallographische Symmetrie von stellungsisomeren Benzolabkòm- mlingen. Zeitsch. f. Kryst. u. Min. 88. 555, 1904. — 345 — Angoli Limiti delle osserv. Media Calcolato | N (ONION 0 a 9 CONE, MEO E DIGA * 7 (010) : (111) | 68 58 — 69 10 GO, 608,-2 4 (Re) CO004 PROAIRE Io 2056 200058 5 (111) : (101) nua DOZZA I (TI) (DIO) Se 8/28 | 158. 34 2 (Da (0) — _ 87 42 | — (DODO) - CONmoni eo 1 (Dbbetd%0) — SME 9 230 1 (ATO (L000) — CNS eno 1 (000 Re TMT, all 28 9 Tedde Re 7a38 M2i 02030 9 (101) : (120) _ _ 98 0. (101) : (120) — —_ 78 42 | — Cristalli da miscela a freddo di alcool e di etere. Sono tutti molto allungati secondo l’asse [001], e non sempre terminati da entrambe le estremità di questo. È costante la contemporanea presenza delle due forme {101} e {101{: quest’ ultima ha però le sue facce sempre alquanto meno estese di quelle dell’ altra. La }I11{ ha in ogni caso facce subordinate alle rimanenti ter- minali ed è forma piuttosto rara nei cristalli esaminati. Forma costante è la }110}; non su tutti i cristalli invece si osserva la }120}, la quale ha facce che da strettissime arrivano fino ad essere grandi quanto quelle di {110}. La }100} è più frequente di }010}, e non sono rari i cristalli sui quali sono contemporaneamente presenti, ma le facce di }010} sono sempre poco ampie, mentre quelle di }100} hanno di sovente discreta estensione. Anzi sì trovarono alcuni cristalli con una faccia grandissima di }100}, o sola, o colla parallela assai stretta. Le facce delle forme terminali sono di regola molto piane e ri- flettono bellissime immagini; quelle della zona [001] sono sempre più o meno striate secondo l’asse della zona stessa e di rado danno immagini semplici e nette. Sfaldatura abbastanza facile e abbastanza perfetta parallelamente alle facce }110}. = Bd0 Il colore dei cristalli è rosso granato scuro. Una direzione di estinzione è quasi normale allo spigolo [101]. Per il composto di addizione dell’ isapiolo d° aneto coll’ acido picrico si determina- rono le seguenti costanti : GRIM AI 04220 0A 8995 e si riscontrarono le forme {100} {010} }110} {120} {101} {101}, le quali corrispon- dono a quelle di egual simbolo osservate sul composto isoapiolo d’aneto e trinitroben- zolo che presenterebbe adunque una forma di più, cioè la }111}. L’aspetto poi dei cristalli dei due composti è somigliantissimo, perchè le piccole differenze che si potrebbero far rilevare nell’ estensione delle facce delle forme del- l’uno e dell’altro, non sono sufficienti a modificarlo di molto. Anche le proprietà fisiche delle facce delle forme di entrambi i composti sono iden- tiche, identica è la sfaldatura e identico il colore. Per il composto isoapiolo d’aneto e acido picrico, tra i cui cristalli se ne trova- rono dei geminati ad asse normale a }101}, non riscontrati, almeno con sicurezza, fra quelli di isoapiolo d’aneto e trinitrobenzolo, si poterono istituire più complete osser- vazioni ottiche dalle quali risulta che gli assi ottici sono in piani normali a }010} e le bisettrici acute sono approssimativamente perpendicolari a }101}. Naftalina e s-trinitrobenzolo CA H, i G, H, N, O, PAS 20 Sistema cristallino : monoclino GI 0 ZENTO 3 I 3 £0OG1 083024] Forme osservate : }100} |101{ ,001} {102} 3TO1} {110} {012} 31121. Angoli Limiti delle osserv. Media Calcolato | N (00) (00M ea DIO do Di 0) 8 (101) è (001) 652002508 o DI È n) (LO0) = (001) | 88 isa 83 24 È 7 (001) : (L102) | 44 25 — 44 46 Ce 95 | DI 9 ai Angoli Limiti delle osserv. Media Calcolato | N (02) 0) 0 12 | 21°15' | 3 (101) : (100) | 30 41 — 31 10 2 LO O 5 CIO và eee eo DS, 4201 /58-49 4 (100): (110) | 66.29 — 66 88 0 BIG 8 (110) : (110) AG 41/3 47, 4 46 58 5 14 (100) : (012) n BOO STO 0 1 (O2MEER) _ 250 | 21 40 1 (112) : (100) — 7 CORTI TANT 1 (001) : (012) —_ — (SCORE RE (012) : (012) i — so Di | (001 i orosi —_ 6802 CELEDAI oo (112) : (110).| 24,82. 24 35 QAS 2A dan 3 (000) svn 9795 eno Mtar32 2 (102) : (112) — SN ET 1 (112): (132) —_ 63003 630028 1 (102) : (012) — Rao c4Re, 1a 1 (012) : (110) — Oa e) 1 | (110) : (102) — (O 03 l (101) : (112) — 60:40 | 60 41 1 (IR) No) _ 49 16 | 49 17 I (110) : (101) fia TO a E (110) : (101) == 69026. | 69 22 1 (110) : (012) —_ SONA TS CI) 1 (012) : (101) Da 043 Da 3A 1 (012): (101) — oz 7930 1 (012) (102) - — on a (1a) 0 Re NET AS8 SANT 84° 48 2 Dall’ etere, dall’ etere acetico, dall’alcool e dall’ acetone, nei quali solventi, a freddo, non è molto solubile, non ottenni cristalli molto atti a misure nemmeno sciogliendo in Serie VI. — Tomo IV. 46% — 348 — quanto liquido occorre e lasciando spontaneamente svaporare. Si scioglie assai più nel cloroformio, e da miscela, a freddo, di questo liquido con alcool ricavai discreti cristalli. Sono tutti quanti molto allungati secondo l’asse [010] e terminati sempre ad una sola estremità di questo. Forme costanti sono }101}, {001}, {101} e {110}; frequenti sono }100}, }102{ e {112}; meno frequente è {012}: Quanto alle forme della zona |100 : 001] si nota che {101} è in generale a facce qualche poco più estese di quelle delle altre, e lo è tanto alcune volte che i cristalli riescono laminari secondo tale forma. Si hanno poi anche dei cristalli tabulari secondo {100}, ma questo non avviene molto frequentemente, avendo la {100} per lo più facce subordinate e talvolta anche molto ridotte. In parecchi cristalli inoltre si ha prevalente sviluppo delle facce della {101}, e qui si ha, secondo i casì, 0 {101} con facce estese, meno però di quelle di {101}, e {100},,}001}, {102} con facce strette o strettissime, oppure }101}, }100}, {001}, }102} tutte con facce egualmente e discretamente ampie. La {001} e la {012} non sono adunque mai forme dominanti. Vi sono ancora dei cristalli che nella zona [100 : 001] presentano solamente facce di {001}, }101} e }101} tutte estese quasi ad un modo, sicchè i cristalli stessi vengono ad assumere un contorno esagonale. E quando in certi cristalli tabulari secondo }100)} o con facce di questa forma solo alquanto estese, compaiono, come effettivamente av- viene qualche volta solo facce di {110} all'estremità dell’ asse [010] dalla quale sono terminati, e sotto e sopra solo facce di }101} e di {101} egualmente ampie, si viene ad avere un deciso abito trimetrico. Per quanto riguarda poi le forme comparenti a terminare i cristalli sempre da una sola parte, come si è detto, dell’ asse [010], si osserva che {110} ha di regola facce più estese che {112} e {012}, e che solo per eccezione si trovano cristalli sui Fig. 3 Fig. 4 quali sono presenti tutte e tre queste forme con facce presso a poco egualmente estese. Le facce delle forme }110}, {112} e {012} sono in genere più piane e brillanti che quelle delle rimanenti. — 349 — Numerosi abbastanza sono i cristalli geminati che venne fatto d’ incontrare, e sono tutti geminati per giustaposizione ad asse. normale ‘a }100}. Sono anch’essi terminati tutti quanti ad una sola estremità dell’ asse [010], e del- l'aspetto di uno dei più perfetti e dei più ricchi di facce osservati dà una idea la figura 3. Ma non sono rari altri, paragonabili a dei cunei molto allungati nel senso del fen- dente, per il fatto che, come mostra la figura 4, superiormente sono terminati da strette facce di }001{, di {100} e di }101} e inferiormente da due grandi facce di {101} che si tagliano immediatamente secondo uno spigolo, non comparendo da questa parte altre facce che stiano fra queste due. Altre volte, pur avendosi questa identica disposizione di facce, quelle della }100} assumono una estensione di molto prevalente su quella delle altre. Le zone [100 : 001] e quelle [100 : 110] dei due individui, in ogni gruppo, coin- cidono esattamente. La misura di alcuni spigoli di geminazione diede i seguenti valori : | f) È UTO, (00 RS calo «(GO eo (001) : (001) = II SI, SII (012): (012) => 5 50 » 5 48 (2) 05 15 46 » oetoz (MIO (101) = 24 81 DM 1122 (LO (101) i I To Le costanti del composto di addizione della naftalina coll’acido picrico sono le seguenti: | MORE 4: 846 = 83°8T2! 2 e nei suoi cristalli si osservarono forme ciascuna delle quali ha la sua corrispondente tra quelle del prodotto di addizione della naftalina col trinitrobenzolo. Sono {101}, {001}, TOO IO Quest? ultimo prodotto sarebbe adunque alquanto più ricco dell’ altro in forme cri- stalline ; infatti i suoi cristalli mostrano con una certa frequenza facce di }100} e di {012j, forme che nel composto naftalina e acido picrico non si poterono mai osservare. Carattere comune ai cristalli dei due composti è il costante marcato allungamento secondo l’asse [010]; presentano poi la stessa variabilità di estensione delle facce delle loro forme e, conseguentemente, la stessa variabilità di abito. In entrambi i composti è molto comune la geminazione secondo la normale a }100)} e le particolarità di certi gruppi secondo tal legge testè descritte, altro non sono che la ripetizione di quelle che già altra volta ebbi a far notare a proposito dei gemi- nati del composto naftalina e acido picrico. — 8680 — Naftalinà e cloruro di picrile Gi HA, 4 Ad P. di fus. 95°- 96°. Sistema cristallino : triclino avo: e 004940005 u == 100° 59 Ri MIS y = 90. Z0 Forme osservate : {010} {110} }110} {101} {011} {001} {011} {121} {121{. en SE MIE PSE Angoli Limiti delle osserv. Media Calcolato | N (010) : (110) | 66° 14° — 66° 45' | 66° 28' ti 18 (MIO C CON Re 0 Sn ORRORE USS IE (0) (00) | 00 2 — 60.31 60092268 coi (00) (ID 57 — 57 39 OT Dr 13 di (0) 3 (0010) | 2 6 — 23 N DS (I AZIONI 5 (001901250 34 29.82 il 3 CINÀ .10 Teri 750026 7 12 s 13 (00) (ZI) | #8 10 — 48 29 48 22. | 48.18 5 (121) (2) | 68 21 — 68 34 08 25. | 6821 5 (MIS (0T0) | 0a 6 SZ No e O (110) (101) | 603 ==.58 8 560 ci o 06 3 (101) AX01D | 46 (2 —— d6. 32 46 20 | 46 29 4 (Oli): 23 950 00 Dro 85. 36 4 (21): (MO) | 4 dg — a 41 55 Ano 4 (110) : (101) | 47 22 — 47 48 47 38 | 47 4l 7 (00) 0 44 41 ki 9 (0200 4206 — 42 80 42 24 AZ CIO INR) EA) 4. de — 45. 26 45: 418, 45442, DIO (011) : (110) | 87 29 — 87 48 87 38 * 13 =iRole=- Angoli Limiti delle osservi. (101) : (001) _ (101) : (010) — (00M: GIO) - (001) : (110) — (001) : (121) _ (001) : (121) — (QI (0) -- (201, (011) : (110) DA (OMO, (20) — CZINEi NO) MOR aS 020 (ZIO) —- Si ottengono bei cristalli di questo composto lasciandone soluzioni sature a freddo in acetone. Sono di regola molto allungati secondo l’asse [001] e nella zona [110 : 010] suole predominare colle sue facce la }010}, che è forma costante, e talora predomina tanto che i cristalli assumono un abito laminare secondo questa forma. Delle forme che terminano i cristalli all’ estremità dell’ asse [001] la {001} ha sempre facce subordinate, le rimanenti si mo- strano con facce a sviluppo piuttosto variabile. La combinazione di tutte le forme osservate fu trovata un numero rilevante di volte. Si ebbe anche un geminato ad asse normale a }110}: in questo il piano di geminazione è anche piano di contatto. Le Media Calcolato | N _ 40° 13° | — _ 84 43 | — — 82 11 | — — ILS — _- do Ren2 ie — 56 42 _- _ Qi 24 | T2SC0I 72 40 Il —_ T9 29° | — 69 22 CO 26 1 79 58 SOI 2 — 80 49 | — lentamente svaporare le zone [110 : 010], [110 : 101] e [{21 : 010] dell’un gemello coincidono esattamente i DL a Td: = JIMI 4621581 73 41 ZIONI 4 50 40.0 tre i seguenti spigoli di geminazione : cale. colle corrispondenti dell’altro. Si misurarono inol- — 392 — Ho procurato di ritrarre il più fedelmente possibile questo geminato colla figura 6 nella quale l’asse cristallografico x è scambiato coll’ asse 2. Nella parte sua superiore (l’anteriore della figura) il gruppo ha facce di ;121} {121} )OI1} {011} sull’individuo in posizione normale, e facce di {121} {121} j{011{ sull’ individuo che è con quello in-posizione di geminazione: nella parte inferiore en- trambi gli individui hanno facce di {101} e {011}. Affatto simmetrica rispetto al piano di geminazione è la distribuzione delle facce appartenenti alle zone [110 : 010] dei due individui componenti il gruppo. Sfaldatura non osservata. Cristalli di color giallo citrino. Naftalina e trinitrotoluolo CH SC ERO) P. di fus. 97°-98°. Sistema cristallino : triclino AZIO TTGEMESTI IS VISO ae = 99° 16° OMM y = ZI DO Forme osservate : {010} {110} {110} {101} {011} j011} {121} }[21{. Angoli Limiti delle osserv. Media Calcolato | N (000).s VUl0) | GEO Sii 960 5° | 66045) ni 6 (0) (IO) 2A 0 923 25 6 (0 0) IR COCO) SO CE TOO) GONMNZS 60 44 6 (00) (000) | 5320 = 58 Se 93.93 58 67 | 3 (000): (001) ae 2 23 22002356 1622 noi o (001) (0024 6325038 240 È 3 (01000110) 7 e a GAI È 5 (OLO) 3 (2 — 48 55 49 24 1 (121); 2 (01290) n CZ SA O (121) : (010) | 62 33 — 62 39 620 GAI Nozio Si o = d05 — Angoli Limiti delle osserv. Media Calcolato | N (MOSCONI ese DE 0 eo (01): (01008 6 SI 16,19 RO (GIORN) — 36018 | STE l (121) : (110) —- 42 53) 42 26 1 (TO) (L00] ereenn8 480 LTS (1010) (01608 ER 40018) a 4 (0/00) SS ISO ZA 1902 42 10 4 (121) (00. <> ea 45 463000 (Olio) (7 37 — 87 59 87 49 5 6 (101) : (001) — — solo (101): (000) | 8° 50. — 86 2 Soon sos 2 (001) : (110) —- —_ 8 18] = (001) : (110) - _ 00 25 | (001) (00211) - — 50. 8 | = (001) : (121) -- — 5 2 | = (CNEiONO) — - 74 33 | — (ONCE (GRZ) — 1-2 (000)t (LION ade reo 18 22 Ia Dea (011) : (121) — — 00 » 24 » » media 759,2 » media il 6) Nebbia nei giorni 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 26, 29, 30, 31. Brant or Ri 2 e 9 IA 15, 16, MITO 2 Os 0001 _——————T_u__—_——m_t_mTmr—m—m—_—T—È€——_—mm——m—m—Ty—mmm—k1———_———t——————##@+—_—_—2=1=1==<=-=y_——=—=—=» >» —» media 4,2 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 100 g. 4 e 19 j ai ; Sa, N NE E SE S SW w NW inadeaì | » » media 78 OSSA E 35; Cir 5 (i) Comprende anche I° evaporazione dei giorni precedenti in cul l’ evaporimetro era gelato. — 362 — OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservarorIo DELLA KR. Università pi BoLogna (alt. 83", 8) a ® a FEBBRAIO 1906 — Tempo medio dell’ Europa centrale |£ © E a E Ra orma © (CI È Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada FEE delle DE do E Media l'9 S| precipitazioni : gh 15h 242 | Media] 45h 21% | Mass. | Min. [mass.min.|g@'= 2 RSS mm. mm mm. Inui. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. 1 | 761,4 | 761,8 | 762,1; 761,8 2,8 5, 8 29) 9 [03 2,8 Rogi 55,6. M03,01 100,13 2009 6,9 4,1 6, 6 1,6 3, 6 3. e | 72,4] 74,9 | 656 1,4 5, 4 2 DROIZIONO Dod) 4 | 740,3 | 740,3 | 742,4 | 741,0 a 2,0 14 ORO 0,7 1,8 0,5 neve 5 VERO ene e 60) 49 153 DA 6 | 753,4 | 750,4 | 747,9 | 750,6 1,7 ino 1,4 3,0 1,0 1,8 1,6 | neve e pioggia i TA? | RO US SI 4,0 4,4 4,4 2 OS 6,2 | neve e pioggia 8 | 751,1 | 750,5 | 749,8 | 750,5 12 2 3,8 7,6 3,3 4,9 9 | 740,3 | 748,8 | 742,4 | 743,8 Oo IO 02 118 6,9 neve 10 | 746,9 | 747,6 | 748,9 | 747,8 0,3 2,4 4,1 290 105 1,0 Id | 747,8 | 746,3 || 746,3 | 746,8 |— 3,2 Q4 |(-05 Dod o? fan Ao,o | 74359) | UIL TL TAL 16 0,6 O ei ==i 6,7 neve 9 | 29 | 25 | 01 742.5 2 1,8 4 2010 OSO Tee 3,8 | neve e pioggia MA || T702 | TI | OO | TATO 1,6 3,3 Do? 4,8 0, 8 24 4,5 | neve e pioggia 15. | 7004 750,5 | 761,6 750,7 1,7 3,0 201 Da È Î 7 29) 199, pioggia 6] 921611526) Mero 0) e OR 3,4 WI 9a een 26 4,0 18. | 757,0 | 756,8 | 757,0 | 756,9 29 5, 0 DIRO. 0, 4 2,0 9,2 119 | 756,5 | 765,3 | 765,4 | 765,7 3,4 6,7 9,4 7,5 AS 4,5 DI 796 769,0. 694 | 76005 3,8 51 5,0 8,0 2,0 4,7 0, ò pioggia N ZI 7028 7635 | 765 0) 3, 3 Q8 5,0 2,9 Ia 8,8 pioggia DTT 950) 79056 0,4 1,4 QI 25, 0, 1 1,4 6,3 | neve e pioggia Agli 2851 98) Nei 0 0 0 er Met 0 2,4 24 | 745,4 | 745,3 | 747,3 | 746,0 0, 8 2016 50 3, 0 0,5 1,8 2900 neve 9 | OLI | 0450 | 2 3,8 UÈ 6,4 2 280 4,9 di RO, | ea 0650 4,1 Ce 6,2 9,0 dA 5,6 ARG 0 e da 28 | 744,0 744,0 | 746,6 | 744,9 | 10,7 | 12,8 TDI IR o 9,8 7,6 pioggia 700,4 | 760,1 | 750,3 | 750,3 299 4,6 3,4 | 5,3 1,3 3, 1 54,8 Altezza barometrica massima 762,1 g 1 Temperatura massima 13,4 g. 28 » » minima 740,3 » 4 » minima —4,1 » 12 » » media 750,3 » media 3, 1 NebbIame ie On RO OS; 09 12 o 20 2220 O 0027) Brina nei giorni 4, 2, 3, 9. — ol OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIo DELLA R. Università pi BoLogna (alt. 83”, 8) - FEBBRAIO 1906 -- Tempo medio dell’ Europa centrale s 3 29 oe Molo Pu SE SS È {Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza 2 | E° | ‘£ in millimetri in centesimi in decimi del vento sisi > ISS ia deo 5 | 9®* | 45» | 21. | Media | gn | 15" | 210 | Media | gn | 1snlomf gn is om 28° mm. SA 35298 38 osa so Neon 1658 OR OR OR ve ot wet ceto 0 SNO ZIA A 6 66 34 95 92 6 0 0 {SW | SW W 4 2-0 eri ei 56) 31 GRAZ ETTI 64 CAIO 8] W S SW DEO9 Ie ZERO. to | 10| t0|Nw|Sw| NE] 9 |0,5 19 [obo | 57 4,3 SO) 60 | 83 Li 10 9 10 {NW | NE ? 4 1,3 AT A) 4,5 OI 89 85 S$ 10 10 10 | NW W W 8 1,0 Ro ea 95 | 90 | 87 91 10 RIONE OR EVVAS ESIVVIT INVE 01:98 (009 ee ot ra a) ra | 68 0/2 0|NW|Sw|swl 6 |2 35|44|46| 42 92 | 91 83 ARTO O vo ai 5 i SPIRI MSFO) Suol 09) EZIO 61 0 0 O0{ W {SW}|SW | 10 |gelato Le 4 2,8 51 58 75 61 0 0 0 SE SE ? 6 |gelato seo 300) 42. 3g ls 96088] 87 10 | 10| 10| ? |NW|NW]| 4 gelato 13 { 44|4,8| 4,9 4,7 89 | 93 | 98 93 10 | 10 | 10 | W |NW|NWI] 13 |gelato I SA NoTAL oS2 5,0 93 88 96 92 È 7 10 SE | NW N 12 |gelato e ZOO) 255 ZI 9 et 3618 82 86 10 | 10 2 {NW | SW | NW 9 | 4,80 eo e 9 dr 5| 0|40|NW| w|nw]| 9 |16 1398 (Reza 0 BL DI | 48 | 65 64 0 0 2 {NW|NW| W CM N25 TOS AS 02 DINI 63 54 73 63 0 0 O0|JNW/|INW| W 7 1,6 IO ea 00/53 SRO DI 4 | 63 98 0 0 0{JSW |NW ? 6 1,8 208/34 oO 59 DAN. 80 66 | 90 79 0 8 10 ? NW ? I e 259 | 250 DAN 9] $$ $9 $9 10 10 10 | NW | NW W 16 0,9 PRAIA NN 8 4,8 98 | 96 | 88 94 ORE 6{INW| W N 14 | 0,4 eo ie) 7 78 Ut 70) 10.|ISW| SE? 8 |42 DATO EC TI AT 96 86 | 83 S8 10 9 0 i NW | SW W ORO 20] NEO NUO, LOR. 67 58 59 61 0 0 0 |J SW | NE S 8 5% COR eo) 0588 D,4 75 70 | 82 Il 6 I O { NW | SE ? 2 1,6 TR SS oe o sat Sa 9 CORE LON5 CONO 6,8 74 59 S9 74 Ti 5) 10 S W W 15 2,1 Tao | | LR ZO LOR NIACITI 4,4 77 mal 79 76 6 5 6 ta) a) Tens. del vapor acq. mass. 700) g. 27 Proporzione Media nebulosità » » » » min. o ail Ù a j Dmedia dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 98 g. 13 e 22 o pa o i, N NE E SE 8 SW W NW ‘prog » » media 76 IO O RIO O ROL AS 27 6 == rr ——r—r—i (1) Comprende anche l’ evaporazione dei giorni precedenti in cui l’ evaporimetro era gelato. Serie VI. — Tomo IV. 48 Soda USssERVAZIONI METEOROLOGICHE vatTE NELL'Osservatorio peLLA R. Università DI Borogna (alt. 83”, 8) ® ° (Si (cò) È MARZO 1906 — Tempo medio dell’ Europa centrale 225 n < Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada ES delle De= api 0 Si OMO . . S | Media |9 ® £| precipitazioni € dh Aol 2h | Media | 9 9 QUA Mass. | Min. |mass min.|f = °° fo) | gu, 29 |& ® mn mm. mn mu. (0) (0) (0) (0) (0) (0) Mu). lori 59924 5388 oo 76 11,5 9,4 12, 5,4 8,7 4,1 pioggia DT] 7938 | 624] 7080 SS ZIONI MON MER 7,6 9,8 3] 793,0 | 754,5 | 760,6 | 756,0 9,0 13,0 8,0 13,6 6,7 9,3 NOTI IO 050 oe 6,8 9 CRON MON 5,0 Tod) 5 | 768,1 | 766.7 | 767,4 | 767,4 TAL 1259 9,4 13,0 di 7 8, 6 6 | 768,6 | 767,4 | 768,0 | 768,0 ONG MCO MURS, 14,7 6,6 10, 6 EGO TRE 9 | YBh6 | 6005 | 7602) ZO 95 50 | o | 148 8,0 10,9 O 79456 | 76062 49,0] 7053 dt | 09 | 6 | 415,8 70 11,4 10 | 718,9 | 749,9 | 752,8 | 750,5] 15,3 | 444) 100) 17,2 | 10,0 | 43,4 Tei Mo at 0250 SASn DÌ 6,0 8,9 Rolo e eo 107 0,9 pioggia 13. 7475 | 750,4 | 763,9) | 750,6 9,0 11,4 d54 11,5 2 8,9 4 | 754,2 | 759,4 | 157 4A 6,6 10, 4 8,2 10,4 4,1 189 15.0] 708,7 | 769,7 | 760,6 | 769,7 SM 13,2 DA || 419,0) 6,0 UND 6. 761007595 | 759,0 | 159,8] 67 | 146480 | 6380 e i oO 6828 Ro SAN Mosto 8,4 | 15,8 10,8 | 16,3 19 10,9 RSI eee eigen 2 9,8 19 | 748,5| 742,7 741,6 | 744,3) 96) 143) 99 14454) 53 9, 8 90 | 742,5 | 743,8 | 745.7 | 744,0] 86) 99) 84 103) 54 ga 2 | 745,0 | 748,9 | 749,3 | 749,1 7,8 9,6 8,0 10,0 9,0 To È DI | TA, 746,5 | 745,9 | 747,0 43) 4.3 4,8 8,0 3,9 DAR, 2295 pioggia Bien mero on ro] 8 ae 8,0 | 11,8 3,2 7,0 3,6 pioggia 24 | 740 DAVE ee an a TA 0,3 pioggia 25 | TA 6 | 742,15 | 44 2,9 052 7,0 DI | 10% 5,6 2 0,3 | neve e pioggia 26 | 748,7 | 748,7 | 747,8 | 748,4 7,0 6,1 4,5 8,4 9,0 59) 10,4 pioggia TO Za 758) 715,8 905 8,6 6,9 9,6 1,8 5) 11,4 | neve e pioggia ae ded et 2 EASO ee00 |) 8,4 29 | 745,9 | 745,4| 746,7 | 745,9] 44 7,6 5,0 © 27 5,0 30. |[17495:6 | 7504 | 753,8 | 76,3 4,0 8,0 4,3 854 VI 4,8 ITALO ROLO | 667 4,0 7,6 9,9 8,5 1,9 DA n | da OSTIA TO | TEZ0| TOT | 7008 760 | 11,6 8,5 | N29 5,5 8,5 93,9 ‘ ‘À° O 1 ——————___» —mmm mm _ÒoououeOEeEeEe -:[ [1/1 I. —_1u@# Altezza barometrica massima 768, 6 6 Temperatura massima 17, OTNZAMZIO » » minima 736,1 20) » minima (hO > 27 » » media 752,5 » media 8,5 Nebbia nei giorni 11, 18, 19, 23. Roe OssERVAZIONI METEOROLOGICHE x FATTE NELL’OsservatorIo DELLA R. Università pi BoLoona (alt. 83", 8) d s MARZO 1906 — Tempo medio dell’ Europa centrale S Sl ee E ooz| 383 N; ERRO È |Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza 22 g| E° = in millimetri in centesimi in decimi del vento sz 2| a© E pero sil a, SS Fi © | rà 3 GO Te RENT [OA Sha 218 Media. i S9E" A5E 24 gh og | Zi - =D E min iO O ZI GIA) 3,4 5I 20 | 42 40 0 7 0|) W W S 16 91 REI OI 053 5, 8 5) 98 | 65 60 6 5) OMAV N S 10 o 3 GONO 7,0 SON ZO 74 2 0 | 10 | SW | NE E 13 2 AES 4,6 Di | 70 59 0 0 0 | SE N SW | 14 DO Da 2 DX 99. 45 | 70 98 0 0 OR VERS RENE W 5) 3, 0 SRI MOTEA AT 5, 0 DI IU 49 0 0 0 | W SE | SW Ù AO) SITE) o DUI Da TOO (nf |] Di i) UT (4°) _- 62.0 DI (Dai to d Di (SEMAS) l>ieri<°) (36) (dI) Ut (Jo) 9 (30) (lo o}=) = Do (===) z MI c2} < 1 OI (SES 1 (Dai (dai (4°) 1 => (où) (©P} (10 0120) © DU (ir < 22) v Gi => i TO I DI DD UTD 3) quoto oa Do ss (2°) O 00 UT DI (Jo) (ZIO) DD DI DO 9 D9 Do - ORI 63 | 49 | 64 59 4 5 3 Il 3, 1 Tens. del vapor acq. mass. 7,8 g. 3 Proporzione Media nebulosità » » » » min. il » A) Di) 2 DD » » media 5,1 dei venti nel mese relativa nel mese 2 l Umidità reiativa mass. 95 g. 22 i ;cimi 7 TR N NE E SE S SW W NW ca on 5 » media 59 e A 1 i“ ''_'11___—r—r rr _‘——’’’’c_mi@E,.r..———_—_______6 e E........é—é..iirTT-.ecnteni WI 9 09 vo 09 d0 tO 00 00 tO TO = = = _ i il 0 IDO ORSO] = DO DO LD CO De Da UU Utd di Ale (Dai RAZIOn Goa o ae ID (a L c De = oierts®) too Di lie ©) 2 (SO)! I DIN (Jo er}[<») to WI UT (D,i US ole AI TODO uuwur nl 29 —1 09 71 = SI 10,5 Dì I 9 Di TO L' SU —_ = DO = DI i DOC da SR) > > DO DUITI [ierlo 0] UTI a Ser) tut ot DO Da Ut (eri >}.Jo) Ut 00 0 = 2 DIS CS DDA n iz nz DZ Ho [A°) DO > COLI) © Sd DD ———_—_——_—_—É€—@————_—rsus' agg USSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL Osservatorio peLLA R. Università pi BoLocna (alt. 83", 8) ® A Deo © APRILE 1906 — Tempo medio dell’ Europa centrale SIE È R SAR Forma Losa] pi fe] O S Barometro ridotto a 0° G. Temperatura centigrada Si delle = & 0 E | | Media | LE] precipitazioni O RASO QAR Media] (OR IDE 2j® | Mass. | Min. |mass min|®'3,°° 5 | | | gra È mm. mm. m0)lm. mm. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. 759,0 | 758,0 | 759,4| 758,8) 6 76202 | 17608 | 761,5 | 761,5. 7 762,8 | 761,7 | 765,4| 763.3] 7 WII oro} 0) 0 I eo Me eo 2 164,7) 765,0Ì 46 | 104) 7,5 762.9 | 763,4| 763,81 64 | 113 | 8 PUO 2 DI T9 cDer => n (er ps (4°) DI 1 11 (a f(©r) (dol=W3t 3ON LI 1 OTO pioggia 16 | 761,1 | 759,0 | 758, Imi 5603) (175355 | 6 1: Rione fazie8 ee SA] Dio 5 a LAI 14, 4 ol 7020 ri a 08 2800 eo 12,4 | 16,0 pioggia 20] 752.6 | 754,3 | 755,7 | 754,2] 15,6 | 18,0 | 15,6 | 18.8 | 10,4 15 0 ost) o selen iera28 013088) 70 e IS QUE 14,9 14,5 1,6 pioggia Si (>) UE SS ULSS 19 PES SI fis FS 25 | 747,6 | 748,2) 750,0 | 748/6| 10,0 | 11,6 QI IRA 8,2 10, 1 2,2 pioggia DS 60 0A TORI 08 oo E 16,0 SUN 12,3 i V| m402 7402 | 410 | MM0T5| 7,8 9, 6 8, 11,6 6,7 8,6 | 140 pioggia 59) pioggia 756,0 | 754,9| 755,4 | 755,4] 14,7 | 15,2 | 12,5 | 16700 990 RZ 30 Altezza Dbarometrica massima 768,0 9g. 4 Temperatura massima 20 » » minima 740,2 » 19 e 27 » minima 2 » » media 755,4 » media 12, Nebbia nei giorni 17, 19. Temporale nel giorno 14. === oa NESS onicxfier) (=]No}=) D= LUI ESTR (op>1 Ki SIL (> {{o.o}er} LI 1 SGDISUON 5 Foo IDE 105 daferler] 1090 01 dI CSI 11 ui (Da >) (oro1go erlerier) PO TOO OD > © d° dI Ut =1 O = elia) == eKer) POD 00 a DO ooo (ell) == => 39. SS = 00 D QQpO == (Dai Gu 9 DSS Da to 09 => (Jolveior = — do — = > (DONI = DD De - Da = DI DI CD = y (SU x Da UTO — —= 10 0 = = — > = a OI (DAI UT SS OT Wo OPS, 5 i ——————»»@I;;;:;;.;.-«-—i{ee—r--;;&&F-—FYY+__m6m++TTYTr.5bv/—-rrr—_r_——r — 367 — OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIo DELLA R. Università pi BoLoana (alt. 83”, 8) d - APRILE 1906 — Tempo medio dell’ Europa centrale 5 _Sl:.::......:.... OssERVAZIONI METEOROLOGICHE — o FATTE NELL OsservatoRIO DELLA R. Università pi Boroena (alt. 83", 8) dà = MAGGIO 1906 — Tempo medio dell’ Europa centrale S Slas | O Sal Sd ee === Essa $ {Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza to 2 E i = in millimetri in centesimi in decimi del vento Fic = 3 Ò oe (SE O, td 28 Me dali More er E Media OR RT 2 Aeg e Co cali mm iRior9 ai esi gl (6422 [1506 [655 | 70 |) 058 CRIMINI SW No | Wal! (e: |13,8 RAOSSA era I 6,1 ZO) SH) Nos 58 6 5) 0|SW| W S 2,8 DE ONZe Mora 6 6,4. | 56 | 36 | 64 DE 0 0 0 W |NW | SW 206 ICE | T39 DT N 60 52 0 0 0 | SE E SW 3, 8 DE ISNO] NoxtoN Nes? 7,6 d9 | 0097 49 0 2 O {NW | N S 4,1 OO 0.498 TU OS o 54 2 6 0 ? NE | SE 3) dl TESO 108 900 Gi | Gi a 65 8 9 3 I W_LSW | W 54 8 [10,3 [10,3 (10,1| 10,2 | 75 | 82 | 78 78 7|10| 4|SW|NE|SW 3,6 9 [10,2 | 8,8 |10, 997 $0 | 66 | 85 TU 8 | 10 4|NW)| E N 2,4 ORO 0r84 02 9,8 | 600 | 75 69 | 40 DI TNA SE | SW 20 WR iSsog et 057 8,5 60 | 40 | 65 56 0 ] 4|SW| SE | SE 2,8 TN 9 6040, SI Co Mozn BIS 73 10 D) 1| SW E SW 2) 13 |10,4|9,0|10,4| 99 | 72 | 49 | 64 62 olo Olivi ww | Sw 4 MES 8,0 49 | 36 | 47 44 0 il 0 ? NE | SW 9,6 15] 9,3 [10,5 [10,6 | £0:1 Dio ioni 69 4 l S| NW | NE E 17 5, 8 16 {41,4 [11,9 |11,5| 41,6 | 93 | 87 | 89 90 10 | 10| 10| wW|SW| w 7 2a fin LORDI LORO RONDA 088 TO | TO 2 no 4 | AO 4_| NW S E 7 TSO) 18 GTA] 658 SS To4 4k | 39 | 62 48 0 6 3 {SW | SE N 18 CN 19 | 8,9] 5,4 | 5,9 6,4 TO |M00 047 93 3 3 2 W | SW S 18 3, 6 20M MOSSA MORSI 0 Di CUS 59 96 2 7 4 W SE | SW | 10 3, 6 21 | 9,8 | 0,6] 7,8 6,4 45 SS 0 DI 6 6 T|SW|SW|SW| 27 LT 2 So 2 SAU 77 | 560 | 64 66 10 9) 3 W W_ | SM Ù 3, 6 29, 000103 8,1 DU SN N69 93 0 0 ORIESMA PINE SE 9 4,1 DN 02 ii 005. I Cioe (646 637 53 50 WET ZIE) NEW 5 | 43 2 ET 854 8,7 96 | 35 | 50 47 2 3 0 {NW[NW | SW | 10 9,9 Za EEC] 40,0 Se 48 0 i ZARA W_ | SW | 10 6,9 Or NOR 11958 L0NSA MIO 50 | 50. 57 95 0 5) 2 | SE | NE | SE 13 4,3 28 IR. M,,5 13,4 332 64 | 56 | 65 62 Il 0 |NW SE 10) 5) 4,8 20) [0 I RSI] 9,0 (67 i MEZ CO) ol 4 z OINW|| W S 5 4,3 30 | 9,7 |13,0 |10,6 al 4I | 44 | 43 43 6 6 0 | SW S SW | 22 TO 3] 26 |) bce SONS 9 44 0 0 0 | W |NWY]|SW 14 8,9 | 9,0|8,7 | agi | gag lea teso, Ga se ERO | 4,2 | | Tens. del vapor acq mass. 107 2. 34 Proporzione Media nebulosità » » » pi iinime Ap 2 ; È DIO » » media 9,0 dei venti nel mese relativa mel mese Umidità relativa mass. 93 g. 16 i imi Soa li I N NE E SE S SW W NW a deci » » media 58 CE A 2 4 r———_——————___________r_r___—_—_—_—___—_———— (1) NB. — Fino al giorno 14 manca l’ indicazione della velocità del vento per guasto avvenuto all’ anemometro. — 370 — OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIio DELLA R. Università DI Boroana (alt. 83", 8) O È GIUGNO 1906 — Tempo medio dell’ Europa centrale S03 S Rio Forma — [ic] D $ Barometro ridotto a 0° G. Temperatura centigrada JELS delle si ir) Dal Go) si ‘alt, . . E Media |9 > E] precipitazioni .9 gn 15ì Quh Media gn 15h ZI Mass. | Min. |mass.min. Ò SE D GRA ni O mm mm. mu. mm. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. ON RT46N8) UNO 46,901 220570 25592550 2950 2,6 25, 4 2 WR eo |A 20,6 27,6 21,8 27,9 ZII 2439 TEO 6a, 600 A 60 2002 IO 22,0 15, 18, 1 AO 60 Se 0 | 18,3 5 |A 4eZs | Meo 0 1852 IO, 20,8 14 8 IT, 4 0,3 pioggia 6 | 755,6 | 754,9 | 754,3 | 704,9 6 203 19,5 22,0 13,6 17,9 TVD 45396 (e22] JO LINO 20,4 24,1 odi 20, 5 TOR 40 | 5560) dd QI 23,0 18,7 2085 14,5 OR dre Me 6 IZ 00, IGT 230. | 13,6 18,0 0, 4 pioggia {0 753,2 |1753,8 | 754,3 | 763,8 | i4,0| 45,5) 167 | 16,2 (390 Muto (MO pioggia ODO | 028 | 701 | 703,8 || 02 20,5 19,0 255) 13,7 18,0 IR REV EA LCA, SS RC RQO0E | Zoo | 0 18,1 6,7 pioggia 13 | 749,3 | 748,4 | 749,4 | 749,0 | 19,0 18,6 9a 20,4 14,7 17,9 fel vasto mune | ans | ans | 2050) 1906 220) Mo ela 15 | 748,4 | 747,4 | 749,2 | 748,3 | 17,6 21,9 2073 22,6 14,2 18,7 GAI ANO ZON 09 SORA 204234608 2200 228 00 21,0 7 | 709 | TELA | 701,8 | 767 || 2,6 29,2 24,4 26,5 10,9) 23,0 IRR SR ESE 2860 MORRA 02700 227 o ZII 249 IO TO TT 755,3 | 00 ZI QUA 2,9 2 20,4 22,3 0, 6 pioggia SL NZ EE SS AZIO 268, 2 2506 9,4 QUI 21 | 756,8 | 756,0 | 757,5 | 756,8] 22,6 | 26,5 I Reso Mena Mor VISI | 765,80) 7063 | 7664 | VIA 24.6 22,8 26,4 19,7 22,6 RT | Mi | EER N20 (025020 16,8 23,6 24 | 754,9 | 754,0) 759,7 | 754,2) 24,6 | 28,6 | 25,2 | 29,4 | 220 | 25,2 25. | 7505 | 766,9 | 650] 070 | 200 24,0 Zani 25,5 15,5 2200) 26 | 759,1 | 758,2 | 758,6 | 758,6] 25,3 | 27,4 | 25,2 | 28,3 | 251 | 25,0 Di SSA MESS) | LO63 || 1659259 N00 | 29 | 9001 | 23,3 26,0 28 | 758,4 | 756,0| 755,9. 767,0) 26,4 ,6 | 28,8 | 30,9 | 27,3 coi) os razo 1152564 53004237 es en 0 Mes 30 | 751,2| 7494] 750,4) 750,3] 25,6 | 25,1 | 234 | 284 | 23! 25, 1 DIS pioggia 7536 | 752,9 | 753,9 | 7532) 21,2 | 24,4 | 215,7) 254 | 8,20) 206 | 130,6 Altezza barometrica massima 759,4 g. 27 Temperatura massima 31,8 g. 29 » » minima 742,9 » 2 » minima 13,6 » 6e 9 » » media 753,2 » media 21,6 Temporale nei giorni 5, 30. OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservaroRIO DELLA R. Università DI BoLocna (alt. 83”, 8) -—_—_—_______—____—<—<—©=©=T_________Trr_—_—_—_._.—._—r—r——r—r——_—r——_—_——_—_—_—_—r——r—__—r—r—r——P—F———F——————PP—_— = GIUGNO 1906 -- Tempo medio dell’ Europa centrale S 3 ® © CES SS 4 rg HE | Sa +3 |Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza 2 E Ea = in millimetri in centesimi in decimi del vento Eicie ee E au TIMER ssh E SR Ao QI Ve dai RODI REA AZIO Media OO Rini AZIO O fon Le 1000001 MORO; 61,9 9, 6 46 | 3 9% 38 3 8 DES NV SMI lag il T9r6 RICO NA 24. A 3 SR ZA BI 3 0 DIS AN (SSW 30008 IUesn B60N 8 O 49 | 34 | 51 45 0 I 0 | NE | NE E 6 9,3 4 |ES#9 6,58 19,4 8, 1 51 | 34 | 60 48 0 3 2J W.:|NW | SE Ù 5, 4 5 EDITO ION 9, 6 66 | 58 | 70 65 3 6 6{NW|NW)} E 7 4,5 6|7,4|46|6,2 6, 1 59 | 24 | 37 38 0 5 0{NW| NE | SW 8 4,3 Mede o 9 8,2 | 60 208 s27 | 246 33 6 6 0{SW| W | SE 14 $,8 Smeg 6,7 159,0 8, 1 48 | 32 | 56 45 0 0 0 E NE | NE 15 6,9 Cei LOST NERA [Leo MELLO 98 | 49 | 84 64 6 DLO N SE | NW | 12 9,8 029 1054/10) 9 LR s$6 | 80 | 82 83 LORO T|{NW|W |NW 5 2,6 Ai O RONN UEON ALONI 66 | 54 | 67 62 0 9) 3 {SW]|SW | SW 6 2, 6 di MUSA LONG MON 05S 65 | 61 | 69 65 4 $ 4| W|SW|SW 8 3: 5 13 [11,4 [11,4] 9,5 | 10,8 10) ZA 63 68 6 | 10 3 ? SE | SE 6 2,4 O NT 96 I (OS ZO 99 0 4 0 | W | SE S ONE MEZI 19 VO NSA RS LORA MONO Miga MO: \Rot 58 6 2 4{SW| SE ? 7 5, 4 16 {10,6 8,6 (12,7 410,6 DOì NMZO i (63 54 0 9) LMISAN N NE 5 5,0 17 |10,7 [10,4 |11,8| 10,9 | 56 | 46 | 52 5 O 20 Se IT 130/200 290 320 MISSO 99 | 48 | 56 d4 1 5) RENANIA INI (SSN GIN OnZ NON 2A 13,4 1419) UST 63 | 66 | 76 68 10 8 NENTI 9 6,1 20 |15,4 [13,0 |14,0 | 14,1 80. | 54 | 64 66 5 6 9 {INW| N ? 4 4,2 Aia 16 15, 01 1957 i TAG | 18 65 2 BA ASI | NW (| NE 8 6, TE LO 2A NE, 62 | 47 | 62 57 0 4 7 W |NW|SW 6 4,2 29 UPON MONS IR SOR INIO 50 | 43 | 63 52 0 0 3 | W N SE 3 4,2 24 MAO 12,8 AI | 1240 DEA NIMZZ ZIO 47 0) 3 | 10 1SW| SE S 13 5,9 ROR:2 1361130 LA29 10) |M64 1h (59 63 8 5 0| W | NE Ù Il 6, 0 RO Me 12,0 3,0 AZIO OI AME 57 ol 0 0 0 | SE | NE | SE 8 5,3 RIT 13:3 (10,9 (19,6 10 12,8 D0. NZ 55 48 0 0 0 | W | SE | SE 6 1,4 28 {10,9 [10,9 {10,7 | 10,8 42) (1133 |! 86 37 0 0 0|{NW]| N | SW OMINIMORO, 29 (10,9 (11,2 (24 | divo 38 | 32 | 44 38 0 4 2ISW|SW| S O 310) [207 |IZEC) eu 70 49 | 69 | 56 56 ò 8 3 | NW | NW | SE SER 102 10,8 |10,0 (11,0| 10,6 DA | 46 | 58 54 3 | 4 4 LONAIMO9 I | Tens. del vapor acq. mass. 15,4 20, | Proporzione Media nebulosità MR AS pt crani Z : i >» >» imedia/0,6 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativi ss. 86 g. 10 i imi Re i gere No N NE E SE S SW W NW a ceonai » » media 54 ORSONO ZAN 0 19) de 55 4 SER OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIo DELLA KR. Università pi BoLocna (alt. 83», 8) 1 OL 2 LUGLIO 1906 — Tempo medio dell’ Europa centrale BIDE S R2 3 Forma | DI 3 q È Barometro ridotto a 0° GC. Temperatura centigrada CIEE delle A ED E Media |'d 3 Z| precipitazioni .S gh 9 245 | Media] 9 oe 215 | Mass, | Min. |[mass.min.|g = °° Si ZI Sane RIA EE e I b) mm. mm. mm. mm. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm Io 364 ES o 5906 1907) (270 RTRT On 0,3 pioggia 2 7053 | DAT 7559) 7003200 | 24 220 | 258 | 73 21,0 Sto 0 5 I RITA 507 2020 2508 (0220608 evi 22, 6 RIDI MEI RAZER ESE RZIcO 2a 0,0 21,6 9,0 pioggia DE RoA SARO 17902) Moie 20 Ve ZIA ROIO 20,7 ZII pioggia GRIS 82 TIZIO TESTO 20240908 2288 0268 do 298] 0,8 pioggia TIRO TIA T5T| 657] 236 | 20 | 227 | 27 | 204 2099) 2,59 pioggia MMS META OSE Mor A MTA 2228 2338 2000 I IO ZIO 0, ò pioggia O NOD ee 66220 258950 | 185 22,4 IO. TEO | 795,7 | 7554 | 755 LO NQ QI 2a5| A1066 22009 MES OLI Lo | 7682 259 206 | 20,9 | 232 218 24,8 2 NOO | 7614 | 762. 7 Vo 26 220 20001 9 58 | 7959 | 7630 | 76341 239 26,10 | 257 | 269 | 21 2302 MLT 731 | 764,0 29 20,2 |I250 | 201 | 220 | 4752 19,9 19 | Oi | 7052 | 765,5 | 75 IG | 24, 0] 25 SI MIS 22,0 0 MO RS Ri 02 ROERO RI 2 2 23,0 i | 758,2 (757,9) 757,9 758,0] 23,0 |27,3.| 265 284 0, 1 23,9 N88 OSSA oIAICA Morti ora | 25300 2878 Ro 84 RR 25,9 19 75047 | 72755 1009 | 202 (303 | 232 | 31,3 | 21,5 26, 6 OO VIT MO esi P2588(/0300, [26,90] gio | 22,4 ZIO, DI OZ ZO, e I RE NS 980) 24,3 29 22 | 755,3 | 754,9] 755,0] 755,1] 25,8 |/28,6 | 26,2 | 293 | 22,8 | 26,0 % 1010 749 798 | 70570 26,2 | 292 | 2,2 294 | 24 26,1 DAI TOT | 79,9 | 715,0 | 7 QI | 250 26,2 | 18,7 22, 6 2090 pioggia ROBA RINO, RSA 6a] 2356827920269 232 220 Do DO NOLO VOTI 7030 | 7028 202 | 2922708 | 20.5 ZIA 9 pioggia RI OZION RIOT ro Ro 09 2300 2708 N25r0 8 i 22 24,5 | 28 | 751,2 | 750,6 | 750,7 | 750,8] 21,7 |/25,2| 245 | 262 | 251 | 234 2,5 pioggia 29 | 751,3 | 750,6 | 751,0 | 755,0| 25,0 | 27,5 | 27,2 | 28,5 | 207) 25,6 O 7021 | 752, O ONI RIOT MRONS 252) 2008 RS 205, 20,8. 34 | 755,0] 7549 | 756,0 | 755,3] 25,2 |.27,8 | 26,3 | 28,7] 20,9 25,9 O 9 ES ER) 058), 00 22 VISA 22 | 20,8) Mio 720 Altezza barometrica massima 758,8 g 18 Temperatura massima 31,9 g. 20 » » minima 748,2 » 6 » minima 16,2 » 1 » » media 753,9 » media 2a), LI Nebbia nei giorni 22, 23, 25, 26. Temporale nei giorni 5, 24, 26. OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE = bia FATTE NELL OsservatorIo DELLA R. Università DI Borogna (alt. 83, 8) LUGLIO 1906 — Tempo medio dell’ Europa centrale Ci E I | Giorni del mese (SONO i PU Tens. del vapor acq. mass. | Tensione del vapore acqueo in millimetri Umidità relativa in centesimi Nebulosità relat. Di = > O 29 69 do DO DI 16201 d=L4 - TS Raiano) 109 UT GR | UE 68 58 62 48 45 4 ni: 69 89 87 57 50 57 55 69 66 68 48 60 46 48 41 57 QU 38 29 42 33 39 29 46 33 66 49 59 44 50 31 Dn 49 34 35 73 54 66 5I 83 89 78 50 64 5 70 59 85 68 69 53 60 45 d7 48 61 | 50 » » » » min. 6,1 » I » » » » media 12,9 Umidità relativa mass. do e 24 » » min. 12 » » media 57 e = CD dI © w sz n S| ten Si 9 Cis is ® S cia = a e I el Sa Co) >) Ss AMARO mm 8 4,0 4 4,6 8 1,3 5 DR 13 9 9 DIN 16 5,9 7 AE 5) 4,0 5) d, 2 6 5,4 13 | 6,2 20 LE DI i 25 SPE -LO O UTI DI plz 253 355 6 | 9,2 T| 654 HM | 93 8 | 5,3 (00 20h 8 4,8 a | 809) 4 4,3 i 3,8 9 | 3,9 5 | 3/8 il | 528 soi 8 | 5,5 (Sb) Media nebulosità dei venti nel mese relativa nel mese in decimi 3 — S74 — OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ Osservatorio DELLA R. Università pi BoLoana (alt. 83m, 8) D) $ AGOSTO 1906 — Tempo medio dell’ Europa centrale So È E RE o) Forma —_ a (cf SS Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada ICE delle CA DE E Media |9 2 £| precipitazioni È gh 15” 249 | Media| 9 15% 24% | Mass. | Min. [mass min.|f' = °° (do) ga ® i _ a n mm mm mm mm (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. pri ord BRR To tt 25780) 084 20 RI 26,9 2 TERA] 50,5 | 709 7009] Zi66 31,4 27,8 31,6 DAT 27 0) 30] 668] 290 6 | 807 | 1) 25,5 29,9 LO] TO e 102845 87 | 902 | 7) 208 290 5 | 7958] 700 66 202 00 | 904 9159 || 226 Did 050 | 662 254 | 20,8 | 290 | 812 | 24,2 28,0 TOI | ELMA 7566 294 20] 20,0] 290 | 23,8 26,0 TO || TA | TO8 Qt | 207) 269 |) 302 | 239 26,9 O IR 029 60,7% 70,8) 2650 250 | 2a 2904 | 218 25, 6 LOR 1 ASS9 TOI ROOARRZIA ZA TROIE 24,5 I OLO | AO | ESA ERO da 272 | 267] 232 | 21,8 2089 0,1 pioggia 2 TORO 022 | 1932 | 7024 02455 | 250 | 29,4 ZIO || 2148 24,8 | 13 755,3 | 754,5 | 754,5 | 754,8 QQ 29,2) 203) 21,6 253 Ii TAO | Teo A | 4080) | 25,4 | 298 | 25 | 804 | 27 RON TOR 9 80) 7a 8928 9 28 RR RU 2RIRZA 2 IO | 961 7090 i 209 | QI 270.) 34,1 23,0 26, IA EL 089 AZ 90) 9 6 2406] | 2820 2403 230 02288 2082 Ie RO R98 ZOO ARZONON IZ Ror 290 22508 28 21,8 dz pioggia 8 ie e eee 0 ee 2,6 pioggia "DI | 7962 | 7508 | (050 | 7062) 866 | 27 | 206) 20 | 15,7 19,7 MOSTRA MTA RTa8: 80810) ROTA MR 22408 258 21,4 200 RT O N SS) | ATSOrSt Re RO 123 2702 | 1651 22 I CORIO SAI MSOMT Nest MaoNoNi 22900) 12386 256 20 06 24,5 24 | 150,160 | 704, | 704,6 | 104,8 | 244 | 29,6 | 264 | 30,5 |/231 26, 1 ZO O OTT 290 20027 81,9 | 2,2 26,3 20) O TOI 684 |A 20 32284 | 8659 | 240 QUE? 2 OZ 2 RL M238 262) 207 220 Quod 23 95 | 6024607 | 6006522 O IS | 202 198 2298 29) MOLO Ra e0 o ea 20 IO | 226] 147 18,4 SONATA 611 6A 618897 20M IZ 14,7 19, 6 DITO AI 6020 TORTA N 60N9 20797 Moon 2 2566 16,9 21,3 o:10) | 194,0 | 04,80 105,0 2359) | 2758 | 25720) 28700200 24,8 4,1 Altezza barometrica massima 762,7 g. 30 Temperatura massima 33/7 g. 4 » » minima 747,5 » Il » minima 13,9 » 19 » » media 755,0 » media 24,8 Temporale nel giorno 19. _r_—»-—eorrrrrre_-_-—-_-.—rr——@t@Y+4À>@è%#èkòr—r—t—r—t—}t—.-—/[T-À4:G5]::.....-i — 375 — OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL Osservatorio DELLA R. Università DI BoLoona (alt. 83”, 8) | - AGOSTO 1906 — Tempo medio dell’ Europa centrale = 3) SO | E “Sri foto sa SES £ [Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza 2 E Ea ‘ in millimetri in centesimi in decimi del vento Eliche 2.9 S aly. “Fi 335 È © GE OE SEE RM Media LE ZI II Megtaei oe 5 EZIO 9 LORI Dai = | | mm 1072) 141539 ISS 61 | 45 | 58 5 0 0 0 {SW |NW ? 6 | 6,0 2 {15,6 |14,2 (15, D 2 DU IZ da 0 0 0 {SW | NE | SE 7 7,6 SE 320 1128 EDI N23 46 | 35 | 34 38 0 0 0 S |NW| SW 7,6 ZAN1079% 10533 oa |T1082 SV AR ISO) 31 0 0 0 W | SE | SW] IL [11,0 5 [19,1 [14,4 [16,1] 14,5 DÌ | 44 | 51 49 0 0 i WNW ? 5 7,9 6 {16,0 [16,5 [11,4 | 14,6 59 | 50 | 38 49 0 9 6 N |NW | SW 5 6, 6 27 6101 Lox:2£ [EGNA TR STE (8 61 63 10 5 O NE | N SE ZO 8 [17,9 |15,8 |L6,8 | 16,6 CO Mo Mo 6l O) 3 0 | SW | NE | SE 9 4,2 9 -[13, 4 |15,5 [16,3 | 15,4 93 | 59 | 69 60 0 5 2|{|SW|NW| SE $ 5,8 LOR IMAA LO N6R LA 6A 62 Tai TR 69 3 8 O0{ WNW SE d 3, 8 DEAR TAR 17098 AS TE 165 | 73 71 0 5) NE | NW ? Ù 30) Rione 152/1170) |l 1650 OSt oz TR 66 $ 5) DMN INS SMVATE 10 4,1 ISS 133811539) (19 67 | 46 | 67 60 0 0 0 ? NE S 5 4,6 14 |13,9 (12,4 [15,8 | 14,0 59 | 40 | 62 54 0 0 0 | NE | NE | NE 9 6,6 5 [15,6 [13,0 [12,3 | 13,6 60 | 40 | 43 48 0 $ 2 IRNYI E SE 10 6,3 LORIZASt Mi30 945 (414159 65 | 37 | 36 46 0 5 3| WI|NE| w 9 09 A I2N9N 6709485 2-98 56 | 23 | 43 4l 10 4 $ ? S S 17 8,7 118: (N96 0,2 (13,3% | 4150 49 | 43 | 71 54 0 8 T|NW|NW | W 9 6,7 19 [10,3 { 81|8,5) 9,0 69 | 49 | 55 58 3 5 0|{NW|NW|SW | 12 4,2 20|94|6,9/10,7| 9,0 99) (34 (1.59 51 0 9) O0| W|NW| NE (CO LIA Li RS MSG USA PS 43 | 32 | 55 43 0 0 0| wW W E 7 5,0 22 {10,0 | 8,9 [10, 9,8 DR 95) 48 45 0 0 0 E NE E CARRI CO) 29810057 (1178/1400) PAZ4A dI 40 | 57 49 0 (0) 0 W W SE È) 5,9 21 |12,4 [13,9 [11,8] 127 | 55 | 45 | 46 49 DE oe ivi a | Swwtli 077 pes TE te LAV MIO FIS: 36 | 35 | 36 36 0 0 O NW | NB | W 10 IO 26130) (14,2 [14,9 | 1278 55 | 33 | 50 46 0 3 0| W VV SSA e) QTA SOIT SON AZ OST NZEZAN MOD 97 $ 2 0 W |NW| SE 5) 6,4 28 [11,6 |6,4/8,9 9,0 DDR NSX 46 6 0 0 | NE | NE 24 7,9 QAR EST 2I 9 9A ORE 989 DIL | 00 53 0 0 ORENAVE ENIVE 1088S 6 2 SORTA | 8-3 [1006 5,9 48 | 38 | 57 48 0 0 0| W N SE d 4,8 SASA SO RI Cp 49 | 38 | 47 45 0 0 0| W|NW| W 4 4,1 120712081238 | 12,5 57 | 43 | 54 51 2 p. | 1 9 6,2 Tens. del vapor acq. mass. 17,9 g.Sell Proporzione Media nebulosità DX LD » > mina eni 828 5 ; DI » » media 12,5 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativ Meo i imi TIPI lee gio SIE N_NE 5 SE S i W NW Inidcco | » » media 5I 14 LONN5 MAIS 2 | Serie VI. — Tomo IV. 50 OssERVAZIONI METEOROLOGICHE — 576 — FATTE NeLL'OsservatorIOo DELLA R. Università pi BoLogna (alt. 83m, 8) | Giorni del mese DID DUI SETTEMBRE 1906 - Tempo medio dell’ Europa centrale Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada 15° RIb Media mm. 756,0 | 756,5 | 756,5 gn 18,0 Altezza barometrica massima 766,8 » » » » minima media Temporale nel giorno 11. 146,2 756,9 1 do +0 19 I dO dI (ti) QRS DOae (e ierioe) DTD pi 9h Mass. | Min. > e) o) (o) (e) - DIO 0 DO top» o (do) DO 9 do IM 9) DOTI LU DD = 9 Media mass. min. O DIA e grandine fuse Precipitazione pioggia, neve (0) min. En tO 19 09 oro DID DO 09 to ou (DA 100 =D 18, $ 66, 4 o Temperatura massima 30, 6 » » 2 18,8 minima media precipitazioni pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia g. 6 » 26 ()SsERVAZIONI METEOROLOGICHE — amc FATTE NELL’OsseRrvaToRIO DELLA R. Università pi BoLogna (alt. 83m, 8) = SETTEMBRE 1906 -- Tempo medio dell’ Europa centrale 5 Sloy © El 6 a BESIS 3 |Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza È E “Di = in millimetri in centesimi in decimi del vento Sg 22 E 38 CABI == no) de > (©) 5 | 9a | asn | 210) Media | 90 | 150 | aim | media | @ | asta] gn | non | mm Li 7902106) 2! usi | So) 2 iS or (E sei 6 fa all'ialoa folli Voce Mot Ius l33 (è | 2 o} 0) 0| WNW Ss i 3405 | 78107) 97 | 52/28 | 8 | 48 o|o o/Nnw|/Nw|sw| 7|72 LINO NS ESTOR ROSO 9,4 i RATZI 38 0 0 0{SW|NW| SW 8 7,0 Sito] 1 urta | 0 0080 ad gNiGi3 6] 0,4]|8,3 | 6,6 6,8 224261126 25 0 0 O0| SW|SW | SW | 12 8,7 ia iorol9 gi fon coat dia5. tao o 7 gori cotifswe lst | aio 8.|15/3 (13/8 |I24 | a405 | 69. 46 | 60 | 58 o| ol ofsw|sw|sw]| 8 | 56 gUi2io nsimi i28 | (300° |/56 43 so | 50 gli tosti (onltoma |Lsw sw | 5065 10 {17,1 (12,8 (15,0 | 15,0 Mo z46 03 65 2 6 10 SE NE | NE 16 SN9 100 RA TIE 1068 ISS 82 | 81 82 82 (0 | 40 5) E E NW 11 3,0 ts ale cela 65 lag | Nu Roi Bite (avi a | ato Ria allen 8 Mao ia e) 0 DES a MO d46 Missga Colsi ino “907? (Nes. 5a | 68. ei 5I | 0 evi Ly i 3 | 355 15 [10/5 |109 [432] 1005 | 70| 55 | 77) 67 Es Ren e er | oo 16/02; 10,:81/16,7 | 10.1 TO | 43 35 49 10 a) ÙU | SW S SW 20 3,9 17 | 8,5 6,9 |9,4 8,2 65 | 4L TE 60 4 O) 0 {NW | NW B 8 4,6 18|82|96|94| 941 |:73|8g9| s4| se |ua0| 10 t0|sw|Sw|w 6 (1256 D Q0 0006058354 o oi Ts ea ROS A SO $, 1 64 | 45 | 61 97 3 3 0 W W S 13 2,6 2|74|78/104| 85 | 55 | 46 | 69) 57 o|5|9g[w|nwlwl| 2 ]|£2 22 09182 OS ON ‘63 | 43 | 69 98 0 0 0 W |NW| wW 5) 3, 1 239 | 77 |M d|i224| 104 | 55 | 60 | 81 | 65 4 ia 6 |\28 24 (11,3 | 940 8i8| 90m 1/87.| 54 |-\e01| 67 | u0| 3) olnw/nw|nw]| 5 |/22 piso eta et 0 Mr e e o 80 0 ww] 9 o a a eat io 60 b58 ONE doV ey (ey (00s 9 | 33 27|63|68|73| 68 |:59 | 48|65| 57 ie ol oo 2giisso 6.0 5 0 ga done (a Teiiaso 29 | 71| 701182) 74 |i64 | 48 | 69 | 60 gica Roio) as To 3.078 MTETISA SON SSD 8,2 Odi 007 69 $ 7 20 YSINVDA IESIVVARI IONI 4 2,4 9,3| 8,895) 92 |er|4|59| 56 Sti 8 | 4,3 | Tens. del vapor acq. mass. ATA g. 10 Proporzione Media nebulosità d » > cod LT IZ : ; » » » » media 9,2 dei venti nel mese relativa nel mese ETA SR SRI | Aa CON elio sell ani N NE E SE S SW W NW 1a deciali » » media 56 AG 49 2 22 18 3 = sie OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservarorIo DELLA R. Università DI BoLocna (alt. 83m, 8) ® È OTTOBRE 1906 - Tempo medio dell’ Europa centrale SoÈ S 5 ici SH Forma 2 Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada Ss delle si En S Media |'3 P£ precipitazioni = ge | 15 2 | Media] 9 15h 215 | Mass. | Min. [mass.min.|® = 2 Re mm. mm. mm. Inni. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. 1 | 759,2 | 759,2 | 760,3 | 759,6 | 12,6 | 16,2 | 15,2 | 47,1 | 10,6| 13,9 2 l 760,6 | 759,2 | 7591 | 7596] 146 | 18/3 | 45/4 | 18/5 | (200) 15/1 Il 7052 | 103,9 | 7054 5 15,6 02 16, 6 19,5 15,0 16,7 ’ 16,8 | 21,8 | 47,6 | 22,0 | 14,7 ag 19,9 20,9 18,3 Dil 4 14,9 17,6 16,6 | 49,5 | 16,8 | 198 | 15,5.) 4152 | 0,5 pioggia 69 el 0 Dios 16,5 | 20,2 | 4708 | 2073 | 15,0| 174 72 | 2000] dre | 202] 155 HO: | 759,7 | 759,4 | 759,8 | 759,60) 15,6 | 19,00) 45.0 | 19,4 | 14,5) 164 ia | 15900 | messo | 16603 ano] ale leto | 1300 | des ole a 12 | 755/41 | 7540 | 75404 | 754,4] 116 | 16/0 | 1400 | 162 | 100 | 43,2 7 30 pioggia CSI (Di, TESO 9 UT (2°) (SS Si DI [A°] (a) Si ODEù (a lA°) 9,4 pioggia RZ 8,7 8,4 pioggia 8,7 IMI pioggia O | 42 AS 14,5 6, dl MS RAD pioggia 756,4 | 755,4 | 755,9 755,9] 13,7 | 16,9) 14,8 | 474 | 12,5) 14,6 |593 Altezza barometrica massima 7 » » minima 7 » » media 7 n 3 C) ORAZIO] Temperatura massima 22,0 g. 4 42,0 » 31 » minima AS 9 DD,9 » media 14,6 Nebbia nei giorni 5, 6, 7, 8, 10, 11, 14, 15, 16, 17, 25, 26, 27, 29, 30, 3I. 2 DOH DU I HU AIA st Tu ut UTO LI 6 (Cop Rio) IL x ) : DES Volorice) AdLdA SENTE UT UT = ti JI t T UU OI UT UTOT G ) c C i ienico 10 É > CO UT = US dini SENESI UT UTO Ul OTO D I DD DAL 5 DUWE Noller}er) dL1 4 du DS UTUOTOI UT UU DS) SLIM DUI I CIS i E FF. , i I ,"*.1.__—___.—r—r—r—@—@m——_—#——=—121z21221121xp111ÌÀ _——————_————— —_———— LOI GTA ES IN Nei MO IRON Ra 24) 20 15,0 I pioggia Rd 0 SA e RS o 7 pioggia pioggia — 379 — OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL Osservatorio peLLA R. Università pi Borocna (alt. 83”,8) È Aa O N NE E SE S SW W NW in decimi » » media 79 Ob ZL 6 LOMNS25TO 5 d = OTTOBRE 1906 — Tempo medio dell’ Europa centrale = NI O Z| 56 da BE SIS 2 [Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità relat. Provenienza «2 £ a E, in millimetri in centesimi in decimi del vento Sg = E - S35| SE? i 9° | ile eiedive ORA gi 0 Gole, det SA nà Za mm 1 GS 8.3) 0 TN 72 | 60] 55 62 7 9) 0 | W N W 7 ZO RA SSOR MIC2A 7,4 65 | 46 | 55 55 0 3 3 W_ | NE | SE 6 de BIINOHO I 0L Oto |) LO (0 MOTORIO 72 6 7 4|SW| W | NE 6 2018 IO (Mo ZIO no TO SO | 80 72 ò 0 0 ? N S 3 2,4 51209 [1590 |I259 MIZSE | | 82 I 4 ? NE | SW 4 209 6. {132 (13,2 5 0 94 | 78 | 88 87 10 8_| 10 W\SW| W 6 1,4 2A 1257] 1220) 1255 95 | 74 | 84 84 10 2{SW/|NW S 4 1,6 Sulle i2, 24376) 142,4 Sil A 69) 4483 78 8 4 0 ? NE ? 4 1,4 9 jd 712,0) (13, IRE 80 | 65 | 36 TI 0 0 3 W N SE 5 1,9 To l125,9/ | 8560705 9,5 99. 59) | 163 70 10 4 2 ? NE 6 II Sez Rin 359 8,3 Siae SS 70 0 o) 3 NW S 3 2,9 (29) SAAS) SM 8,4 S108 MICI 1 10 8 0 W N SE 3 2,9 (13) || 2665 I Sol Moni N62 Vi 6 2 4| W | NE E 4 SNO IMOOA VIS 020 1057 Ba dl ‘(69 di 678 84 PAIONO S NE | NE 8 209) 15 [10,5 [14,6 [11,3 | 44,1 SO | SI | 97 93 10 | 10 | 10| W |NW|SW 8 7 TENONS 1028 UUEEZA TAI US 4099498 93 10 | 10| 10) W |SW| W 8 (3 17 |11,0 [10,5 [10,9 | 10,8 008 1057 83 9 3 4 ? NW | SW Z 2,8 18 |10,3 [11,2 (10,8 | 10,8 do 79 | 89 83 10 5 7| SW ? W 4 1,3 19} 9,4 [10,1 (44,0. | 10;2 7 68 | 87 78 0 3 0 È N SE 6 i 20 ER 6 O os 79 | $0 | 84 81 0 5) 0 W NE ? 5 1.6 21 |10,3 |10,8 (10,6 | 10,6 83 | 68 | 82 78 0 0 0 W NV S 4 1,8 DORIA e ESA? O | 282 TI 0 0 0 | W | NW ? 3 Da 23 0 IO IA SR A IR 79 0 0 8 | W N W 4 REQ 24 {11,0 [11,4 |1L,7| 411,4 SJ TG DI 68 76 0 0 0 | W \V S 5 200) 258 LORO UNESA UURORAZIORO to Mes 07 80 0 0 0 ? NW | N 4 2,6 26 {10,9 |10,5 |10.0 | 10,5 99 | 83 | 89 89 LO} AO I LO N NV (SV 2 de DM 2 8,0 92 | 85 | 76 84 +00 08 LORI ENVY NAV 2 1,6 o ROIO 6,9 SSA 08 q4 10 | 10 | 10 {NW} NE N 2 1,3 RONNIE MISA 1,4 A SIMS $9 Ton O 0 E SW ? 1 eb SDA ASA 152 7,8 S| 00 | SS 92 10 LIO LIONS IV W_ | NE 2 0,9 31] 9,2 [10,4|8,4 93 GIS | 4 86 10 7 8 E N N 16 0, 4 CRON One 052 O S4& | 72 | 81 79 6 5 O 5 2,0 Tens. del vapor acq mass. 13,2 GODI Proporzione Media nebulosità » » » Pn AO RS \ e d » » media 10,2 dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 97 g. 15,25 e31 — SU) — USssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservarorIo DELLA R. Università DI BoLoona (alt. 83”, 8) ui do DU = Pn co) NOVEMBRE 1906 — Tempo medio dell’ Europa centrale 528 È NQC orma (ci D Barometro ridotto a 0° GC. Temperatura centigrada is delle AE Media [9 3 £| precipitazioni i gh 15h 21: | Media] 9 15h 2% | Mass. | Min. |mass.min|? =. gh 29 © mm mm. mn. mm. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. TR 789608 NZ I] 010) 28 MA 858 9,9 ARA RAZZI pioggia 746,4 | 746,7] 747,4 | 7468] 10,7 | 13,4) 128) 13,6) 401 11,8 292 pioggia TR oi 461 rz6t30] i On] 200 Mas 9,1 11,0 1,0 pioggia 190,3 | 7924. 70452 | 7923.) 10,5 IR 1R59 13,5 9,6 1017 OL 7 pioggia 1994 | OL 7981] 772 1 ILS 14,4 12,4 15,4 110 ARA 19/4 | 1048 | 7538 || 700,9 11,0 15,0 14,0 1O,3 11,0 12,8 TOO TUst6i 46 NI 7850) 0 eV 68) RARA 0,8 pioggia 746,1 | 748,0 | 750,4 | 748,2] 14,9 6-80 Mo 6 i 155) 4,3 pioggia TRN AOSTA | IA406) MAST RO Ra MIRO oa 12,8 DO pioggia 745,6 | 749,5 | 754,1| 749,7] 14,8 | 19, 11,6 | 14,0 | 109 | 12,1 I3 pioggia 10058 07 63828 6085 99 12,0 10,2 12,6 9,3 10,5 026) | 09 | 7005 | 7619 7,6 9,6 11,4 Ts) 8,9 10088 76024 6.108 607 (68, 9) 7,9 O% 6,8 To © 761,9 | 761,2.) 762,2 | 761,6 6,4 9, 6 S,1 0) 9,8 7,6 Toi | 765] 7035 | 700,7 3,6 3,8 30) 8, 1 A 4,4 161,0 | 709,2 | 76596. | 759,9 3,4 4,0 Goal DIL 295) 4,1 1919 | 760,7 | TOLA1 | 7072 9,0 7,6 6,8 S2 4,2 6,1 GO | 650 IVO | 72782 9,6 BA ON 6,5 8,07 44,5 | 740,8 | 742,8| 741,7) 15,6 | 142 | 12,2 | 16,2 (2 IRR 4,7 pioggia MASSA ASN 8 Bro 02 Moto Tod UR? 7,8 8,9 Tea 6240) ee] rozen 008 3 oo Mo 7,9 0 0NSN 6095 6808 607,02 Td 10.2 0 10,3 Ddl 7,6 770,4 | 769,5. | 770,4 | 770,0 6,4 10,6 8,8 11,0 5,8 8,0 Moni restii 768,20 Mestsli oo | nes enne 6,6 9,2 109, 2764, 645 20646 10,2 16,7 13,0 16,6 10,0 RSS 16160] 758980 (580 590] 16 | eni 809 ro Mor 15/030 753988 Moni og 8 io ee 7,0 | 10,9 99 0 e | ERO 0 3 11,6 | 13,2 7,9 10,2 N68 60921 6005 M60A80]i 808) I 108 en 6 6,8 8,7 1019) || 9A 62 : 7,0 8,9 2,9 6,3 oe 62 68 RR ei 9,0 {0A | 434 _—_—T —rrrrr-_r_—__—_—r—r.rrrr ————————————————————1—————11—@———1—@ - . ISTOVA \ d o Altezza barometrica massima 770,1 g. 23e 24 Temperatura massima 188 g. 7 » » minima 739,1 » A » minima 2,5 » 15 e 16 » » media 756,1 » media 10, 4 Nebbia nei giorni 1, 6, 12, 13, 15, 16, 17, 18, 27, 28, 29, 30. — 381 — OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatoRrIO DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83”, 8) ® È s È NOVEMBRE 1906 — Tempo medio dell’ Europa centrale £ Sl) vu (20) DI do Co CO Do a DI = ODO=> Mojo. 9124 (12,2 | A4,5 32 ET 88 83 6 | 10 | 10 N | NE S Ir 22 SRIFAIO A NG 72 60 | 44 | 64 56 6 90 | USE S SE | 18 | 2,6 ONIASASt MONO] 1928 |f (9% 780 99 6:93 86 SR Moi OSE NE NE] 2] o Oni sno | (S3,)E 30 e OS 78 10 9 o0|{SW| Www ME NUNe TL verno de 0 84 | 85 3 84 7 8 1|SW| E SE AI, PROMO Ot 89 86 10 1 OgIUNAYVA e? W IR NOs9 FONINGRSA Ong] 55681 SSR on 0 75 8 0 0| W|NW|W 6; t 1,3 Mea el 42 Honor 68 65 0 0 O0| w/|NW| W MORTO 9 ga ERG Ga o) 33% 6991 95 90 7|10| 10 {NW|NW| W 6 | 41,6 Gee e 93 | 93 | 89 92 10 | 10 | 10| W | W W ZIONI lagiioS31 N66 ani 89 | 80 | 85 85 10 710] W W ? AO ISEIMGRE RA E 4 90 | 92 | 86 89 10 9 4 ? ? E 4 | 1,3 NORION6N RSA 65 73 | 60 |-52 62 10 8 2|SW|SW|SW] 23 | 1,6 ROSE Ro 7 Roi uo 68 8 5 6|SW|SW| W ZAR DO, 25.660,93 5,5 | 5,8 74. | 68 | 71 71 2 | 10 Oa E Shrill 1242 RR MA be | bel 640 62 0 0 0|SW|NW]|NW 9.1 2,5 2353 (N6SOR 5,1 565 73 | 63 | 60 65 0 0 O0|WwW|SW e 26 RN. er Zi 6:80 (601 69 | 62 | 78 70 1 1 OAV ve LORRIIZAT 25 N55. (6,9 | 604 | 653 59 50 58 56 0 0 0| W I 13 | 4,3 2600950 5-6. SIA 502 49 | 40 | 42 44 0 0 OCIGONV E AVE OWV 8 0695 LI EMAC Cosa 67 | 59 | 60 62 0 4 ORINONVE. LOW Wi (CAN ERO ERROR NT GS N 6R9 93 ATO 63 10 0 0 ORIANA Ba 245 ROBI NGI 640 56 DDRNALESiTINTe 65 2 3 el ay TRN 2A8 30 | 4,6|614|5,8| 3,5 Ei 72 4 3 6 | W ? ? 35 BS CL ou 10 | 2,0 mm Tens. del vapor acq. mass. 12, » » » Dr III » » » » media 7 Go Proporzione Media nebulosità » dei venti nel mese relativa nel mese Umidità relativa mass. 97 g. 6 : PARE SOC SOR RIO N NE E SE S SW W NW in decimi » » media 74 3 BI O RT IT ONCE 9 DUI DOT (DA fi) = [mli>) DUI ON © UT 69 (etere) OTO 0 O 0 —1 0 CO 0 La co 0 so 0 (J®]{0/0) TOA _ 2 UT 0 —109 a co 0 Sg ‘ sei les) E î | DASLAID) x HS as DU a === = DO UT ——_—_——___—_—_m___@_——+__———_—@—#—_—_—_—>->>>e aIaE BEP-i ùè;€ 1091,50 1038,66 526.33 488— 897,50 9125 » 2105 1597 29 31 Domenico Teresa 619,5 456,6 543 755. 484,—- 699,5 1582 23 591,75 617,25 952 980,— 498 807.5 1398 23 Fedele 287,75 291,— 483 720,33 406,66 462,50 779 14 di cibo introdotta nello stomaco dai nostri individui. Le minestre ricche di acqua come la polenta e le tagliatelle, e i legumi, mangiate con molto pizzorullo: così si equilibra la massa e il valore alimentare del pasto. La pizza, ricca d’acqua e calda, era preferita al pizzorullo. furono mangiate con poco pizzorullo o pizza ; mentre le verdure vennero Diamo ora la media delle sostanze alimentari introdotte giornalmente. MEDIE DELLE ENTRATE GIORNALIERE IN GRAMMI (4-10, III) Famiglia De Dowrnicrs Ae ei Sede e | logorio Sl. gt. gl. RENI: O Li gr. | gr. Pasquale . . | 2186 | 569,90 | 70,14 | 11,22 | 35,53 | 31,36 | 43287 | 2393,77 Pietro... .| 2074 | 592,74| 72,21 | 1155 | 3416 29,63| 45774| 2490,48 Domenico. . | 1718 | 496,18 | 60,21| 9,63 | 28,29) 2454 383,14 2080,83 Teresa. ...| 1894 | 543,37 | 66,94| 10,71| 3109| 26,8! | 418,53 | 227956 Fedele: ...|1303 | 317,80 | 44,24| 7,08| 2457| 13,12] 230,87 | 1356,45 Da questa. tabella risulta evidente la scarsità grande di sostanze albuminoidi e di rassi, scarsità che non è compensata, da una mage >) twlw) iore quantità di idrati di carbonio. Il totale delle calorie è quindi dei più bassi che si hanno nella letteratura, e raggiunge in Fedele un minimo che solo si riscontra nei casì patologici. Serie VI. — Tomo IV. o? — 392 — Ecco la composizione giornaliera media delle feci. MEDIE DELLE PERDITE GIORNALIERE CON LE FECI IN GRAMMI (4-10, III) Qugp: | Pesto | unto | aste | Gras | Generi | MS | cosa Gr Di Di Da) a Da gie Pasquale . . | 256 45,34 ORI MIA S250 95) 9,74 15,43 171,81 Pietro. . 309,9 | 56 QI | ATI | 428 930) 24,76 | 212,54 Domenico. . | 158,7| 34,63 | 446 | 9412) 4 7,48 | 14,08 | 13241 MDeresari o Nolo 53,94 HO | Os | 307 9,91 20,75 201,16 R'edele sati IU) M25 1,08 ol 49 105 9,89 108,30 Le feci, come si vede, sono molto voluminose, e a prima vista le perdite in azoto e in grasso non parrebbero grandi, ma se si confrontano colle piccole quantità introdotte, si può avere una idea delle loro entità. Infatti ecco le percentuali delle perdite. PERCENTUALE (%, Sartnz (Sosa! Grassi | come | HS [catovi REA SARA | VS | 066) 350) 16 Pietro. ...| 945 | 2405 | 12,53 | 33,50) 544| 8,53 Domenico. . | 6,98 15,15 | 14,14 30,48! 3,66 | 6,35 Teresa. . 9,93 | 28,85 | 42,77 | 36,96 | 496 | 8,82 Redle Se |A] #28 ue | 220] 428 | 796 ) DELLE PERDITE GIORNALIERE CON LE FECI (4-10, III) Risulta per ciò ancora più misera la quantità di alimenti veramente usufruita dal corpo. MEDIE DELLE SOSTANZE ASSIMILATE GIORNALMENTE IN GRAMMI (4-10, III) ; 3 Albu- È Calorie Staz [Saxon] ima | Grusi | Comes | 8 | cori | prio or gi gr. gr gr. gr. corporeo Pasquale .. | 524,56! 54,89 0,93 | 30,58 | 21,65| 417,44 | 2221,94 | 37,53 Pietro... ..| 536,74 | 54,84 | 0,97 | 29,88 | 19,04 | 432,98 | 2277,94 | 40,38 Domenico. . | 461,55 | 51,09! 0,81 | 24,29! 17,06| 36911! 1948,72 | 30,93 Teresa. . .. | 48943 | 57,63 | 0,88 | 27,12 | 106,90 || 397,78 | 207840. | 3177 Fedele. ...| 292,80 | 37,49] 0,83 | 20,26| 1407] 22098 | 124815 | 27,61 Il ricambio azotato è dato dal seguente specchietto. Pasquale . . Pietro . . Domenico. . Teresa... . Fedele. . . . x . Meraviglioso — 393 — BrLancIO DELL'AZOTO (4-10, III) Azoto Azoto zato Eliminato gt. RESO a | gr. en. gl. 190 Ron i so Os a TR e 9638 carie en Mo 27 fo (3:00) isa eno 087 7,08 | 1,08 _| 5,99 | 483 | +1,16 è il fatto che malgrado la scarsa introduzione di albumina e di calorie, l'organismo di questi individui abbia potuto trattenere dell’ azoto. Ciò è dovuto alla intro- duzione nelle loro alimentazione dei legumi; quel poco di azoto che così viene introdotto più del normale precedente, è dall'organismo trattenuto avidamente. Scorrendo le tavole del Chittenden (1) sugli individui a cui egli ridusse artificial- mente l’ introduzione di azoto, si vede che ogni qualvolta egli diede ad essi una quantità di azoto superiore a quella della media di tutto l’ esperimento, tolti i primi giorni in cui l’azoto introdotto fu rapidamente diminuito, essi lo trattennero. Secondo le recenti esperienze di Sechreuer (2) però un’accidentale introduzione di albu mina in eccesso non ha valore duraturo, perchè essa non è trattenuta dal corpo, e va di nuovo rapidamente perduta, quando l’individuo ritorna al suo abituale regime alimentare. TABELLA DELLE ORINE (4-10, III) Quantità Peso Quantità Peso Quantità Peso media specifico massima specifico minima specifico ce. ce. ce. Pasquale . 1095,71 1024 1860 1017 600 1030 Pietro . . . 1531,43 1019 2110 1014 1200 1023 Domenico. . | 1695 1014 2130 1014 1445 1016 Teresa... | 1424,29 1018 1780 1016 1250 1021 Hedelesgtont 901,43 1020 1200 1016 580 1023 In generale le urine erano poco acide. La famiglia Paoloni stette in bilancio 5 giorni, dal 12 al 16 Marzo (3). Alle 6 del mattino la famiglia era al lavoro: zappatura della vigna, lavoro intenso e (1) Russel H. Chittenden — Physiological economy in Nutrition, with special reference to the minimal proteid requirement of the healthy man. — London, W. Heinemann 1905. (2) Max Schreuer — Ueber die Bedeutung iberreichlicher Eiweissnahrung fir den Stoffwechsel. Pfliiger’ s Archiv. Bd. 110, pag. 227, 1905 —- Vedi anche Karl Bornstein: Ein neuer Beitrag zur Frage der Eiweissmast. Pfliiger' s (3) Temperatura. . Pressione . Archiv. 106, pag. 66, 1904. minima + 5,08 massima + 15,06 minima mm. 736,93 massima » 738,61 — 394 — faticoso. Alessandro, Camillo davano la battuta seguiti dal padre Antonio e da Cristina. I primi in media davano ogni 5° 90-95 colpi di zappa, Antonio ne dava 80-85 e Cristina 75. Per quattro giorni tutti lavorarono insieme, al quinto Camillo si assentò per un lavoro meno gravoso. L’orario di lavoro era: dalle 6 alle 8; poi dalle 9° alle 13; dalle 13% all’imbrunire: ai periodi di lavoro seguivano i pasti. Santa invece aveva incombenze più leggere; stava in cucina, pascolava le pecore, e raccoglieva le erbe. Per colazione il 12 mangiò pizza con spalletta di porco, il 13 e il 16 pizzorullo unto con olio di ulivo, il 14 pizzorullo con spalletta di porco, e il 15 pizzorullo con salaghe condite con olio ed aceto e patate lesse in insalata. A desinare mangiò la minestra di fagioli il primo giorno, di polenta con pomidoro e formaggio il secondo, di cime di rape il terzo, di lenticchie il quarto, e di fagioli con silique al quinto. La cena consisteva in insalata di erbe di campo e pizzorullo: solo il 12 mangiò minestra di verdura di cavoli. Fu aggiunto ai pasti, come dicemmo, del vino. Ecco la composizione centesimale di questi alimenti : Secco Grassi Sea o Ceneri PAR Pizzorulo - 13-14-15-16 III. . . . 50,15 1,94 5,06 ALA 42,03 Pizzorullo - 15 III - 2° pasto . . . 40,76 1,87 5,56 1,02 32,31 Polentarbadi Mas to anali lio 23,15 2,02 2,06 1,87 17,20 Rizza di GRMOI® do 39, — 1,935 3,50 1,25 28,90 ENTE ER 24,23 3,95 9,87 QI 12,41 Spalllettadiporco PRE RE NE E 12,91 47,83 16,40 7,90 0,24 SUlaghento Seo O SSR 9,81 912 0,28 Broccoli di eavali.o o o 0 645 0 0 11,21 3,66 2,— 1,99 3,06 Cime Area pe SE ERO ARE RT O 9,80 2,08 2,50 1,80 3,42 Insalate Mz [MIR zeE 12,38 5,90 1,37 1,25 3,86 nale del Ji 000 505 65 0 60 17,90 10,76 1,94 1,42 3,78 Fagioli . TRE NE A 27,86 4,34 = 2,30 15,22 REgioli eva silicue; è o ed 6 80 15,97 1,80 3,20 1,25 9,42 Paine tn insalalao o 5 004 0 600 23,96 1,46 125 1,46 19,79 Vino conservato . . . . Alcool % 9,70 WMO DIEIOO è + 566 » 4,56 Diamo la quantità media di questi alimenti mangiata giornalmente da ogni singolo individuo. Camillo Alessandro Antonio Cristina Santa Rizorulo > ‘IRA JUL 5 ooo ole we 75990 803,20 818,50 683,60 833,80 Spalletti e poreo Ra CAI RATE ES 0 39 97 34 39 Olio d'alo = AHI NOE 5 005 » 12 15 16 19,50 17,50 Minestra di legumi - 12-15-16 III. . . . » 300 ypI 572 496 452,39 Polenta ezio e i del a. » 1037 1394 1314 1253 1080 Verdure di cavoli e di rape - 12-14 III . » 585,5 728 629 437,50 420 Salacheettbo Ilese (ANS t oa 29 19 22 23 Rainie io ipa 6 MIL» 1155 192 135 111 78 TER a VEE SIG 806 5 See 5 22570 162,75 150,50 187,75 157,25 Di vino fra conservato e bianco bevettero : Dose Dose Dose Quantità | Quantità antità È dla : Ù Quantità | Quantità massima | minima media massima | minima media d'alcool || dalecol | d*alecol ce. ce. ce. ce. ce. ce. Camillo. . . 1176 392 823,20 60,63 17,88 44,07 Alessandro . | 1372 196 862,40 | 78,89 8,94 4T,26 — 395 — Quantità Quantità Quantità dei Ri toa MESSO ESE media d’ alcool | d’ alcool | d’ aleool ce. ce. ce. ce. ce. ce. Antonio, . . 980 196 588 51,69 8,94 30,90 Cristina... | 1176 392 | 74480) 60,63 | 17,88 | 40,03 Santa 980 196 988 51,69 8,94 31.95 Da queste tabelle vediamo come la massa delle minestre e del pane sebbene? rilevante, è minore che nella famiglia precedente: tuttavia il numero di calorie, della dieta è mag- giore. Inoltre i cibi sono più ricchi di grasso, alimento necessario per fornire l’ energia per il lavoro. MEDIE DELLE ENTRATE GIORNALIERE IN GRAMMI (12-16, III) Famiglia PaoLonI Sostanza | Sostanze | Az0t0 Tarati Quantità FATOA Sane : 6,25 Grassi Ceneri di C. Alcool Calamo gr. gr. gr. gr. gr. gr. GR Li ge Camillo. ..| 1739 |53982| 6741 | 10,79 | 5858 | 2641|387,72| 4407 | 272041 Alessandro . | 1875 | 578,59 | 71,49 | 1144 | 62,35| 2859 | 41616| 47,26 | 2910,04 Antonio. ..| 1804 | 589,99 | 70,48 | 11,28 | 60,41| 25,93 | 433,17 | 30,90 | 2843,08 Cristina. ..| 1666 | 54419 | 6285 | 10,06 | 58,86 | 25,26 | 367,22 | 40,03 | 259089 Santa ....| 1657 | 55134| 66,97 | 10,72 | 529,87] 2452 | 406,98 | 31,95 | 265854 Come si vede dalla tabella le albumine e i grassi sono in maggior quantità che nella dieta della famiglia precedente. Gli idrati di Carbonio sono quasi in egual quantità. Ne deriva che la dieta, a cui sì aggiunge l’ alcool, è più ricca in calorie : ciò nonostante, come vedremo, risulta insufficiente, in vista del lavoro faticosissimo a cui abbiamo accennato. MEDIE DELLE PERDITE GIORNALIERE CON LE FECI IN GRAMMI (12-16, III) Sostanze MINE Quantità SE Azoto | azotate | Grassi | Ceneri dl alone X 6,25 gui gr. gr. gr. gr. gi. gr. Camillo... | 293,6 | 56,48 | 3,38 | 21,12 | 5,90| 799| 2147 | 22949 Alessandro . | 397,2 | 74,86 | 4,33 | 27,06 |10,47 | 9,64| 27,69 | 321.85 Antonio... | 3725 | 63,50 | 443| 27,69 | 955| 829) 1797 | 276,02 Cristina... | 265,6 | 52,02 | 275] 1719 | 6,74] 6,90| 21,19 | 220,04 Santa ....| 316,6 | 59,84 | 3,06| 1912 | 691| 905 | 24,76 | 24447 La perdita di azoto è più notevole che nella famiglia precedente, in vista della. mag- gior quantità di azoto introdotto. — 396 — PERCENTUALE (°%,) DELLE PERDITE GIORNALIERE CON LE FECI (12-16, III) Sostanze | Sostanza GIOSLI Consi Idrati sec'a azotate ch dit, Calorie gr. gu. gr. gr gr. Camillo. . . 10,60 31,33 10,07 30,60 9,94 8,44 Alessandro . 12,94 37,85 16,79 SIN 6,65 11,06 Antonio. . . | 40,76 | 39,28 | 15,81 | 3497 | 4415 | 97 Cristina... | 4041 | 2735 | 1145 | 2782 | 577 | 849 Santa . . 10,86 | 28,55 | 13,07 | 36,94 | 6,08 9,18 La tabella dimostra che le perdite percentuali di azoto sono maggiori che nella famiglia precedente. Ciò è individui, logorato da un continuo lavoro digestivo laboriosissimo, e le grandi ghiandole digestive poco nutrite, si rifiutano ad ogni lavoro che per poco superi l’ abituale. Notevole è pure la perdita dei sali così preziosi per gli erbivori; la perdita percentuale dei grassi dovuto molto probabilmente al fatto che il tubo intestinale di questi è diminuita in rapporto alla maggiore introduzione. La perdita di azoto per Antonio egua- glia quasi quelle del vegetariano di Voit (41%) (1). MEDIA DELLE SOSTANZE ASSIMILATE GIORNALMENTE IN GRAMMI (12-16, III) gr. gr. gr. gr. gu. gr. gr. CONPOLEO Camillo... | 476,34 | 46,29 | 0,767 | 52,68 | 18,12 | 366,25 | 44,07 | 2490,62 | 41,30 Alessandro . | 503,73 | 44,43 | 0,639 | 51,88 | 18,95 | 388,47 | 47,26 | 258819 | 37,2 Antonio. . . | 526,49! 4279 | 0,70! 5086 | 17,64 415,20| 3090! 256706! 42.08 Cristina... | 462,27 | 45,66 | 0,827 | 52,12 | 18,36 | 346,03 | 40,03 | 2370,85 | 42,95 Santa ....|49150| 47,85 | 1,187 | 45,96 | 15,47 | 38222 | 31,95 | 241437 | 59,9 Risulta che la quantità di calorie è sempre inferiore a quelle stabilite da Voit per il medio lavoratore. Non parliamo poi delle diete dei lavoratori agricoli delle altre nazioni nel periodo di maggior lavoro, in cui raggiungono anche le 5000 calorie, come appare dalla seguente tabella : SOS Grassi Fari Calorie Ghinesi agricoltori nella California (Atwater). 144 95 640 4098 Agricoltori di Novogorod (Griaznov) . DOO 151 56 798 4412 Operai agricoli del Cantone di Vaud (Gasparin) 160 92 714 4439 Lavoratori svedesi (Bultgren e Landergren). 189 101 673 4473 Fornaciai italiani a Monaco Baviera (Ranke) . S PSA IS 167 117 675 4540 Operaio agricolo del Mezzogiorno della Francia (media annuale - Gautier) 149 79 830 AT49 Garzoni di fattoria di Laufzorn (Ranke). 143 108 788 1821 (1) C. Voit — Untersuchungen iber die Kost eines Vegetarianers. - Zeit. f. Biol. XXV, 282, 1889. — 397 — Si Re Grassi Lapati Calorie AGricoltoniimniandestt(Suud stro 11) RES e 220 118 685 4828 Teenarolita WA stralkani(Sfouid'e kw RCN Re 2 93 867 0299 Gontadino Emiliano (Albertoni e Novi) estate... 0/0... 14T 63 624 3751 Contadino tinulano Afeoya nei oO) ee ee eee 125 113 719 4540 BILANCIO DELL'AZOTO (12-16, III) Azoto IZalo Azoto Aroto tnt | nto | asiiito | l'lmao | Difrenz gr. | gr. gr. | gr. gr. Camillo ...| 10,79 3,38 741 eg [EST Alessandro . 11,44 A 00 RO Sud — 2,66 Antonio . . . 11,28 4,43 | 6,85 8,11 — 1,26 Cristina ...| 40,06 QUO | T31 8,84 — 1,53 SERRE i ole 10,72 3,06 7,66 6,69 + 0,97 Come si vede il bilancio dell’azoto è per tutti in perdita, meno che per Santa la quale non lavorava. Riassumiamo in fine nell’ unita tabella le medie e le quantità massime e minime re- lative all’ eliminazione delle urine. TABELLA DELLE URINE (12-16, III) ia o o in E specifico specifico specifico ce. ce. ce. Camillo . . . 806 1026 1650 1022 750 1028 Alessandro . 1636 1026 2960 1044 440 1027 Antunio. . . 990 1025 1270 1023 730 1030 Cristina . . . 1494 1020 2385 1016 615 1028 Santa 997 1024 1385 1022 980 1030 La famiglia Di Felice stette in bilancio 4 giorni, dal 20 al 23 Marzo (1). Il primo giorno Michele zappò la maggesa, aiutato per mezza giornata da Candeloro: il secondo giorno seminarono la lupinella e sarchiarono un campo di fave : il terzo sarchiarono ancora le fave e misero i paletti alle viti della vigna: l’ ultimo giorno zapparono la maggesa. Il lavoro non era molto faticoso nei due giorni di mezzo, e non si faceva per l’ intera giornata: Maria si occupò delle faccende di casa. Si fece due pasti al dì: verso le nove la colazione e alle 17 '/ il pasto più abbondante colla minestra. Per colazione si mangiò il A) { massima + 143 emperatura . pot P minima 4-9 IO ) massima mm. ‘126,1 Pressione. . . . sà l minima » 725,89 — 398 — primo giorno la pizzonta, il secondo la pizza di granone con sarde fritte, il terzo il pizzorullo. con pancetta di porco, il quarto pizzorullo con ‘sarde fritte e olio. Maria il secondo giorno mangiò una verdura di cime di rape. A cena mangiarono il primo giorno una minestra di fagioli con pizza di granone, il secondo una minestra di tagliatelle di farina di fru- mento, il terzo una minestra di ceci con pizzorullo e il quarto verdura con foglie di cavoli e pizzorullo. La composizione dei cibi fu la seguente : Iarati Residuo Sostanze ; Di Grasso Ceneri di C. secco azotate PIZZO DEAN a N NN I RN ZO RE 58,36 3,94 SRI 1,78 46,87 Pizza Gi EMO o 0 dd add dl 0 45,10 4 1,71 1,40 37,99 PIZZOLU O ARRE A CAI 61,37 Dl 2,33 ORSI I RASO A o ee as RARI 23,65 4,81 1,70 1,70 15,44 CRANE I N nolo 23,97 6,22 DA 1,91 12,70 Machatelless: Alen on IC E 17,25 2,19 1,60‘ 1,96 11,50 Fare raliie infaminale di co 5 8 0 0 8 dè SITIORIIS) 60,95 3,60 3,83 1) Yad di Gia diano do Sa LR SE SRI 5 13155 Rrogcoli ci avallio. o 4 00 0 PEGI RE 18,59 3,93 6,88 2,30 5,48 Pancetta di porco o grasso e OSIO Me va 70594 11,54 5D;=- 4,10 0,30 (1) Farina usata nel friggerle. Come si vede, questi cibi sono ricchi di grasso aggiuntovi e le ministre di legumi sono molto nutrienti e ricche di sostanze azotate. Giornalmente mangiarono in media le seguenti quantità di cibo : Michele Maria Candeloro Rizza di eran on RO gr. 453 275,5 310 PBIZZOnta a. 10180 Ro RESI gr. 763 288 ATA Prole eee gr. 873,36 590 741,66 OOO AO 14 Il: 17,50 Sendo lie. olo (È eri Mor 26,5 14 Rolo Grasso e magro di Don SS gr. 92 40) 62 Taclatelle dk, sog Ca can gr. 1954 619 1256 RAGIONI tt e ti MATO 00 392 937 Ceca ar TI 955 563) 873 Verdura . i FO ORTA CARICO rar gr. 642 054,90 521 Maria l’ ultimo giorno bevette 300 cc. di vino (con 5,03% di alcool). MEDIE DELLE ENTRATE GIORNALIERE IN GRAMMI (20-23, III) Famiglia Dr Felice quantità | Sesta | Sostanze | Arsto | Grassi. | Comi | Taio | Ago ecioni gr. gr. gr. giu gi. gr AZZ a ia Michele. ..| 2091 | 80992 | 92,70 | 1483 | 77,46 | 33,19 | 60657 |—— | 358739 MA 1192 459,62 04,18 8,67 62,54 24,42 318,48 3,07 | 2135,92 Candeloro. . | 1671 | 657,29 | 78,08 | 12,49 | 6987 | 2644 | 48340 |—,— | 294724 La dieta di Michele è dunque la più abbondante di tutte, abbastanza fornita di albu- mine e grassi, e in calorie. Infatti egli è il più agiato di tutti i contadini e col figlio Can- — 399 — deloro, che per i suoi 15 anni ha pure dieta abbondante, è in guadagno di azoto. Il loro lavoro poco faticoso permette che approfittino della dieta primaverile più ricca di azoto. MEDIE DELLE PERDITE GIORNALIERE COLLE FECI IN GRAMMI (20-23, III) ., | Sostauza di e SI Conor Idrati Quantità | secca zoto i 6.85 Grassi eneri Toi Calorie gr. gr. gr. gr. gr. gr. gr. Michele. ..| 461 | 73,94 | 3,61 | 2256 | 13,12 | 1062 | 2764 | 32784 Men E 310 51,70 3,10 19,37 9,64 8,21 | 14,48 228,44 Candeloro. . 246 48,51 2,67 16,69 | 42,32 6,81 | 12,69 235,04 La perdita di azoto per le feci non è notevole vista la quantità di albumine introdotte, salvo che per Maria. Quindi la perdita percentuale non è grande relativamente agli altri. PERCENTUALE (°%,) DELLE PERDITE GIORNALIERE CON LE FECI (20-23, III) e a Grassi | Ceneri Aa Calorie Michele . . . 9,193 | 24,94 | 16,94 | 32 4,96 | 9,14 Maria... .| 11,25 | 35,75 | 15,41 | 33,62 | 4,55 | 10,69 Candeloro. . iS I SRLIT6R 201 22658 9 I De Dominicis, sebbene introducessero poco albumina, avevano delle perdite simili alle soprascritte. Solo;Maria che introduce poca albumina e ne perde colle feci come gli altri, ha una percentuale più forte. MEDIE DELLE SOSTANZE ASSIMILATE GIORNALMENTE IN GRAMMI (20-23, III) SEI Sine Albumina | Grassi Ceneri o Alcool Calata Calorie per Kg. ; per Kg. gr. gr. gr. gr. gr. gu. Michele... | 735,98 | 70,14 | 134 | 6434 | 2257 | 57893 |—— | 3259551 60,98 Maria... .| 40792) 3481 | 0,73 | 52,90 | 16,21 | 304— | 3,77]| 1907,48| 3974 Candeloro. . | 608,78 61,39 | 1,72 | 57,05 | 19,63 | 47071 |—— | 271247] 76,18 BILANCIO DELL’ AZOTO (20-23, II) Azoto Azoto Azoto Azoto ANI introdotto | delle feci | assimilato | delle urine! Differenza BT. gu. gu. gr. gr. Michele . . . 14,83 3,61 11,22 10,20 | -+1,02 Maria ....| 8,67 3,10 5,57 55 | = 066 Candeloro . . 12,49 2,67 9,82 7-98) + 2,43 Come si vede i due uomini sono in guadagno, la donna che male digeriva e mal si x nutriva, è in perdita. L'aumento del ragazzo sta anche in rapporto colla crescita. Serie VI — Tomo IV. 53 PSA: jY(3 a TABELLA DELLE URINE (20-23, II) uantità Quantità Quantità SEE Peso massima Peso minima Peso specifico specifico specifico ce. ce. Ces Michele . . . 995 | 1026 1450 1023 770 1029 RA 5 500 97970 1023 1210 1023 980 1025 GCandeloro. . | 1092,50 1020 1620 1018 720 1023 I. Costo della dieta, bilancio economico. Interessante è il costo della dieta che poi raffronteremo coi bilancio economico delle 3 famiglie. La famiglia De Dominicis (5 persone) consumò nei sette giorni di prova : Farina di granoturco... ... gr. 14600 @ db OG diko, I 20 Resia Re ». 2340 >» 030 » 0,70 Patate FeRRo 10 Mei e. RAMI » 200 >» 0,10 » 0,02 MErdurest. e a » 1700 po == 0,33 Rarinaf die rano RR OR » 1780 d»_ 025 » 0,45 Lattea seen oe > 1225 > (085 0,31 Olio e DINT LOS » 350 >» 150 » 0,53 Tardo n I SAN » 235 DI 5.05 0:35 Salestteb ada te ivano » 590 » 040. » 0,22 TWANOT25 r— La spesa per la dieta di 5 persone per 7 giorni fu in tutto di L. 5,25. Quindi L. 0,15 per persona e giorno. La famiglia Paoloni (5 persone) consumò : Ran nai distano ne RANE gr. 11800 QUERIDO dx, 6 VSS Enticehie i ee » 350 Di 0R0 0,10 ERO ani a de » 420 » 0800 > 0,12 Regio. n siligue, oe 66 » 600 PD 029 » 0,15 SA Ate RR AA » 487 “n= > 0,16 IVICIOUNE STA a 0 EMO I CORSE » 615 » —— >» 0,21 Baal Ae ela o ee » 265 > IO » 0,03 Grasso e magro di maiale. . . . » 361 605. 0,58 (CR e e I » 730 SO. » 1,09 SAleche Ae eee » 3 d == 0,10 SACRA Tn » 320 ) = 0,13 NIRO 9002 LR e AO 3,49 L. 8,04 La spesa della dieta di 4 persone (Camillo, Alessandro, Cristina, Santa) per 5 giorn- e di Antonio per 4 giorni fu complessivamente di L. 8,04. Ogni individuo spende giornali mente circa 33 centesimi. In questa famiglia, il valore più alto è rappresentato dal yino, che assorbe quasi la metà di tutta la spesa. — 401 — La famiglia Di Felice (3 persone) consumò in 4 giorni : Rarmagdiigranone e gr. 5850 a be (0 I I 056) RAGIONI » 520 » 0065 016 CO eta A 520 » 0,30 » 0,16 Farinà di frumento . . . .. . » 600 » 0,25 >» 0,15 Verduratdit cavo Re » 360 » =. 0,10 (Gimme cli anast di ea » 210 » —_ e 0,07 SECRET EIA i N. 6 » —— » 0,15 SPall'etta ip orco PRE E gr. 160 » Lo 0,25 Olio culto ss do 8 60 » 525 » IS0 0,78 SUE e On » 210 » 0,40» 0,08 Vimornatai tolo DU ce. 300 » —— >» 0,05 L. 2,88 La spesa di tre persone per 4 giorni fu di L. 2,88, con una media giornaliera per persona di L. 0,24. La spesa di questa famiglia è apparentemente minore della precedente, perchè la donna e il ragazzo abbassano la media del solo uomo. Poi manca quasi il vino, che essa beve in altra stagione. BILANCIO ECONOMICO DELLA FAMIGLIA DE DOMINICIS. -- L'estensione della masseria è di Ettari 9,676 circa. (Tommolate 24). Il raccolto dell’anno 1906 è stato : ano. (Ga iO) e ele o Mt QAS a L. 23,-- = L. 553,84 Granone » (RON ea » 8,40 » 16 134,40 Orzo » SM » 1,10 » 16,— 17,60 Fava » LI AR » 2,80 » 19, 53,20 REGIO TRE RO RO A » 0,10 » 0,30 3,00 NOIBIO: ee IA » 0,79 » L— US Ubilersastramimalit I a = d» == 209, ATO a ir e A; 6,— » 6,— 36, Ronmagsio, o e ve a e aes 9g 14 » 2,00 10,— Lacchimieg e RE el e N e Mo 48: de 48, L. 1220,04 Al ennio a unmnolà Let Re MEIER AE L. 610,02 » DID AIONET cn DTA I oa ci lai » 12— Polli 10 Re i Ae NV E NANA RO IENE URTO IO ETERO » 10,— La rendita lorda di questagtamigliatefstalatdt o fe e L. 632,02 Da essa si debbono togliere le seguenti tasse padronali (regali) : i2uovatalonese parlo ann RE I UR 7,20 LEPORE IRE RE I O » 4 API O RR i » 2 ARCA MO ZARA MEV! CR MO o sn » d= FO a Noia. ingiurie ti ii RS » 3, WMasnelora Pasqua aa e n ta As » È = Estaglio per le vacche (1 salma frumento) 0... » 30— Speser#dellefsementite rano NA NoN RR SIZE 15) L. 109,35 Perfantovdlasrermiita nette tane. TAM do ASI 0 I IE LR. a, L. 522,67 Il foraggio non si è calcolato poichè va sull’ utile degli animali. — 402 — Su questa somma la famiglia De Dominicis preleva le spese seguenti : Aftito al medico (1) (6 pedi game i 000 6 IL. 7,90 » al farmacista » PIENE e i iii de » 7,90 SalEveterinariol(il@enezzetto OTTO SECCO » d,—- alii. (00 eee IE oe a » 7,90 NECA Mono ARR a, » 7,90 patalibfabbrostAfsalman. ca sa » 15, asso @Desti ilMeteo i e e n RA > d9= IMASSARIOCAMICONMI N SO n go n VOTI » 4 CARICO PERACA TO NA ENO Cei i ta A e n » 30, Noale 5 i 99= Per cui all’ intera famiglia di 6 adulti e due bambini debbono bastare per tutte le necessità L. 423,67. BILANCIO ECONOMICO DELLA FAMIGLIA PAOLONI. — Estensione della masseria: Ettari 10,080 (Tommolate 25). Il raccolto del 1906 è stato : Gano (Calme 14) 5 06 seo QU 18/48 all 9 = 2250 Granone Me» e 2 A » 15 » 16,-— 240, Orzo » sali) E » 1,53 >» 16,— 24,48 Fava (1 salma e l mano) Re » 1,60 >» 19 30,40 Giecrcliia, (l EODPE) è è 0 a 0 0 0 0 i Id » 0,16 0,80 Ugille suali animali. a 0 0 06 6 00 —_— » —— 600,— TEGHOAARNE co E ee na, io » 4h 16,— MOSTO ae ei e e RI n e O Ia Po l0= CECINSICOPPe A CI oo » 0,30 4,50 Fagioli e RA » 15° » 0,30 4,50 LD. 1420,72 Al contadino la metà . . MO Ho 0 L. 710,36 Olivo (salme 10): Q.li 6 a L. fi al gono 1,, 3 : TEMERE peo PERE » 30 Maiale Kg. 109 L. 100 di cui (L. 30 al padrone) e al aialaiino MISI ca » 70, Tutte al contadino - Uova IND ODI E a E RIE INTRA » 15 Polli det ER » 39, PonnidoroRestratORK Me » 12-- La randa, lov di quesia nmigla, è Siamo dii o a 6 6 o 6a 4 ds 06 L. 872,36 Il contadino paga al padrone le tasse seguenti : Giorno, di tutti i santi - Uova 30 e 4 paio di galline . 0. L. 4,50 Carnevale » 30 » MERE ato » 4,50 Natale » 40 » pae ele » de Pasqua » 40 » Ro » 5D,—- In varie altre feste Polli 30 » 10655 7 Cl “Ro, PERI ORIRT OA » 30,— HstacLogsulle ya CCR Re AOC COR > IÙ= S PESCARE II CNIT STAMO NE ME EC I » 47,95 L. 126,95 Periantogiagrenditagnettaenstiata i e RESISTE e. L. 745,41 (1) In questi calcoli abbiamo conservato le misure ancora in uso fra.i contadini del Teramano. I cereali vengono misurati a salme, tomolo, mezzetto, coppa. La coppa varia di capacità da sito a sito: nel luogo delle nostre prove essa è la 4% parte del mei questo la metà del tomolo; ed il tomolo la 3 parte della salma. Usualmente la coppa viene valntata L. 1,25; il mezzetto L. 5: il tomolo L. 10; la salma L. 30. La salma di grano corrisponde a litri 166,68. — 403 — Su questa somma il contadino preleva : Atfiviotalimedico ((#tomolo di STADE RR e e I in L. 10— DIRI AVE LEE NATO FECOPPe): A CAZIONE ct » 3,90 » al sarto SAT AE ORE EA iui » 7,50 DNA CI ZO ION 0 DIMETTE MN RI A ta » 7,90 » al fabbro (OLMI SS AI a TCA CT AE RIA Ae PO, LIUTO SO PIO GIA IRPINO VRTII PENNE II » 7,90 » albfarmacista Mai ea ea ni » 8,75 Massasbestiametnva tei To Seo a nu in » 7° IRISSUFTOCAICONE: MIRI TE SATO AT LA SI RAR IE i » 3,80 Totale . . . TNNI6or5Ò Alle occorrenze della famiglia restano dunque L. 679,86. BILANCIO ECONOMICO DELLA FAMIGLIA DI FELICE. — Estensione della masseria: Ettari 4,838 circa (Tommolate 12). Il raccolto del 1906 è stato : Frumento (salme 8) COMES e geSos (CL) Mag: LOSSIO) a L. 29,— = L. 242,88 Granone » sc liommoh2 edo > 0 vs lo 160,— Fava DIA SN SARE ra Al >» 120,— » 20— 2 Fagioli (OOO) N OS » == » --— 10,— Male E i eni » 146,— » —— 146,— Born Ue ee _— » —— 120,— AE A AE n a o » 0,75 18,— ROMA Sslo Viano dio e a » 2° » 2,50 9; ERA LI E LEI » 3 » —— 9= RO e ana Ni I » —_— Z4,— L. 768,88 Alcontadimonloagnefadio Petali ia n en A L. 384,44 Mosto SO lie ZIE aliconta dino ge. to Aeree n a » 20— [Uova MEN ze: S0 = Rtuttesalecontadimore, Roio a e » 14—- L. 418,44 Su queste il contadino paga al padrone: Uova 0Nmensi pari REN RR A L. do 2 O0EIpereNa talegetcamnevale: Rot eee e SE » dt GallimerziperzNatalesegearnevale tt en » (a INCH] OPPERBRASO TARE ARE RETTO RR nn » 8— 2 pal ale Me”aa slo: aa 9° 0 O GROTTA TO PIO » 2= AREA OSTO N MI I N N IRA SIA a E a » 4 CERI EE oi e a e ae i a) CP » 2 Sementi del grano, granone, ecc. E » 35, ID = ARTENA MCTC MASSERIE I O n er n O IÙ, 392,44 Dalfpropriotondoghat/arenditàMo terre eee e E » 390,— Im inale cs L. 702,44 La spesa per il medico, calzolaio, farmacista, fabbro, sarto, è di... ep Ri W'ArASSAMTON A At] ARA ARR RE RE E RE TOMI O e e DIS). I, dla » FOCAII CONI URI ORO I RI, TESI SOTTESA » 2—- Canonempertentieusit a eloro prioRiOnNC OMR ato A >» 15— Moale cs sos L. 59,—- 2 404 a Questa famiglia vive con circa L. 647,44 con un’entrata minore della famiglia Pao- loni, ma è da notare che nella famiglia Di Felice vi sono tre soli individui adulti, gli altri sono tutti bambini il cui vitto è molto meno costoso. Infatti computando l’entrata di ogni famiglia, secondo Atwater (1), per uomo adulto della famiglia De Dominicis tocca un'entrata annua di L. 66,19, giornaliera di L. 0,18; per adulto della famiglia Paoloni un’ entrata annua di L. 103,00, giornaliera di L. 0,23: e all’adulto della famiglia Di Felice spettano L. 147,14 all’anno, L. 0,40 al giorno. Quindi Ja spesa per la dieta giornaliera oscilla dai 15 ai 33 centesimi. Mombert (2) dà come costo per la dieta giornaliera necessaria in Germania i seguenti dati: Pfennig (centes. 1,25) 39,5 (Rademann), 59,8 (Kalle), 58-64 (Hirschfeld) e 62 (Mombert), la quale ultima cifra egli ritiene la più esatta computando un bisogno di 3100 calorie a 20 pf. ogni 1000 grandi calorie. Abbiamo ricercato il numero delle persone che dormono insieme nella stessa stanza, estendendo tale ricerca a 60 famiglie. Queste erano composte di un numero di individui variabile da 3 a 24, ed abitavano al massimo in 4 ambienti. L’ affollamento massimo si riscontrò in 2 famiglie, di cui 9 individui abitavano in una sola stanza; gli altri erano di- stribuiti così: in 5 famiglie abitavano 2 individui per stanza, in 18 famiglie 3 individui per stanza, in 12 famiglie 4 individui per stanza, in 9 famiglie 5 individui per stanza, in 9 fa- miglie 6 per stanza, in 3 famiglie 7 individui per stanza, in 2 famiglie 8 individui per stanza. 5. Condizioni fisiologiche e psicologiche. Dalio studio del bilancio alimentare di questi 13 individui noi possiamo dedurre che la dieta del contadino abruzzese è una delle più misere che esistano. Essa è per gli uomini della famiglia De Dominicis : Residuo Sostanze Idrati Quantità secco azotate Grassi Ceneri di Carb. Alcool Colori gr. gr. gr. gr. gr. gr. gr. DOLO 1992:66. 552/04 67152 32/660 28182198 ME 22: per gli uomini della famiglia Paoloni: 1806,-— 569,48 69,79 60,45 26,88 412,35 40,74 2824,14; per gli uomini della famiglia Di Felice : SS 1ET88 (60 85:39 ASIMMETRIE La media giornaliera del contadino fu : 1894,75 604,30 72,84 53,27 28,10 450,08 15,28 2746,38 con minima: 1718,— 496,18 60,21 28,29 QUA 3881460 2080,83 e massima: 2091,— 809,92 92,70 77,46 33,19 606,58 == 3587,39 La media giornaliera della contadina fu : 1542,40 477,26 59,04 45,99 23,83 348,40 15,15 2204,26 con minima: 1303,— 317,80 424 21,57 18,12 230,87 —— 1356,45 e massima: 1657,— 501,94 66,97 52,87 24,92 406,98 31,95 2658,54 (1) L’Atwater computa il consumo in rapporto al sesso ed all’età relativamente: uomo adulto 1, donna adulta 0,8, ragazzo dai 14 ai 17 anni 0,8, ragazza dai 14 ai 17 anni 0,7, fanciullo dai 10 ai 18 anni 0,6 fanciullo dai 6 ai 9 anni 0,5, fanciulli dai 2 a 5 anni 0,4, bambino sotto i due anni 0,3. (2) P. Mombert — Das Nahrungswesen. Weyl-s Handbuch der Hygiene. IV suppl. Band, pag. 106-112. Fischer, Iena 1904. — 405 — Queste diete sono comparabili a quelle che Rechenberg (1) ci dà per i tessitori sassoni, Play far (2) per le cucitrici di Londra e Manfredi (3) per il popolo minuto di Napoli. Esse sono deficienti in primo luogo di albumina, e quasi mancanti delle albumine animali. Infatti noi vediamo il tasso azotato nelle urine ridursi fino a gr. 4,83 di azoto in media al dì. Il Chittenden stesso, nelle sue esperienze non è arrivato a tal limite; nella propria persona egli ridusse l'eliminazione di azoto a gr. 5,4 pro die, introducendo circa 2000 ca- lorie. Domenico De Dominicis che avendo 40 anni ne mostrava 55 gli sta vicino eliminando gr. 5,4 e introducendo 2080 calorie. Noi crediamo poter attribuire a questa povertà di azoto la maggior parte delle deficienze fisiche e intellettuali che, come vedremo, affliggono la popolazione di questa regione. Anche la quantità dei grassi è scarsa: la famiglia De Dominicis ne introduce da 25 a 35 grammi al dì; ma buona percentuale di essi va perduta per le feci. Ora noi crediamo che anche ad essi aspetti un posto speciale nella nutrizione dell’ organismo, nè possano essere facilmente e completamente sostituiti. L’ esperienza medica insegna come certi or- ganismi rifioriscano sotto l’ influenza di pochi cucchiai di olio di fegato di merluzzo, così da far credere che essi abbiano come le albumine un compito speciale nella nutrizione. Inoltre tale dieta è deficiente anche nella sua totalità. Gli idrati di carbonio sono in modica quantità, tale da non compensare le deficienze suddette e sono forniti in forma (1) Rechenberg ha studiato le condizioni alimentari ed economiche dei tessitori del distretto di Zittau in Sassonia. Essi compiono un lavoro non molto faticoso, ma prolungato (d’estate 13-14 ore, d’ inverno 14-16 ore). Sono deboli di costituzione corporea e, in generale, incapaci ai lavori campestri: pesano in media gli uomini Kgr. 52, le donne Kgr. 41. La maggior parte dei loro guadagai sono spesi nel mangiare, ovvero in media il 69,3 °/, con un massimo dell’ 83,3 %/. Il loro cibo e dei più semplici e consta in media di 35 gr. di carne (in parte salsiccia, in parte aringa), di 567 gr. di pane e di 705 gr. di patate. La somma delle sostanze assimilate per adulto è in media in gr. Sostanze albuminose Grassi Idrati di Carbonio Calorie 51 45 475 2596 con un minimo di: 36 26 318 1693 Il costo medio del vitto pro die è di 34 pfennig con un massimo di 64 e un minimo di 19. La ricerca fu estesa su gran numero di persone, però la composiziene dei cibi fu calcolata sulle tabelle del Konig e d’altri, la digeribilità della dieta, erroneamente, da quella dei singoli alimenti, stabilita con esperienze di laboratorio. Die Ernihrung der Handweber, Leipzig 1890; citato dal Mombert (v. s.) pag. 100 e W. O. Atwater: Methods and result of investigations on the Cheministry and economy of food. U. S. Depart. of Agricul. Bull. N.° 21, pag. 163-173. (2) Per le cucitrici di Londra ci dà i seguenti dati, in gr. : Albumina Grassi Idrati di Carbonio Calorie 54 29 292 1699 Si noti che si tratta di donne sottoposte a un lavoro poco faticoso. (3) I dati che Manfredi ci dà per il popolo minuto di Napoli sono in media: album. gr. 70,25, grassi gr. 381,9, idrati di carb. gr. 363,9. Arch. d’ Igiene Sp. 17, 1893, pag. 552. — 406 — poco assimilabile. Ricchi di cellulose rendono non solo la digestione dispendiosa per l’ or- ganismo, ma anche impediscono l’assimilazione degli altri principi alimentari, ed irritando l’ intestino producono feci voluminose, che sottraggono acqua e sali ad organismi di essi tanto bisognosi. Ne risulterà un continuo deperimento dell’ organismo, anzi diremo meglio un continuo adattarsi di esso ad una vita minima. Da ciò la sua facile vulnerabilità alle malattie, la sua debolissima resistenza a tutte le cause perturbanti, e il fatto che ogni richiesta di maggior lavoro, viene seguita da una perdita da parte dell’ organismo. Così per la famiglia Paoloni l’ accresciuto lavoro primaverile causa uno sbilancio di azoto, che non è compen- sato da legumi introdotti, in buona parte non usufruiti. Tale stato di miseria alimentare e fisiologica, protratta per generaziomi deve condurre necessariamente a una decadenza e degenerazione fisica e intellettuale della razza. Ed infatti i dati statistici sopra la forza, la statura, il peso, lo scarto di leva, l’ emi- grazione, l’analfabetismo, concordano tutti nel fare della popolazione dell’ Abruzzo una delle più misere dell’ Italia. La statura dei Teramani è fra le più basse d’Italia : risulta per gli individui abili al servizio militare di cm. 162,6. Al di sotto non sono che le provincie di Caltanisetta con 162,5, Sassari 162,4, e Cagliari con 161,6 (1). Tutte le altre danno altezze maggiori. An- che il Marina trovò in giovani di 20-24 anni l'altezza di 158,31 per Teramo, 160,3 per Chieti, 162,97 per Aquila. Inoltre le stature basse sono così distribuite per : Inferiori a 1,60 e superiori a 1,70 Teramo QI % 3% Chieti 2959) 10,3 Aquila 19,4 15,7 E la percentuale maggiore delle basse stature è data dai contadini : Hanno statura inferiore a 1,60: Teramo Chieti Aquila di 100 Contadini 30,2 28,9 26,7 » Studenti 13, ——- 8,7 » d’altre professioni e condizioni ATO) 20, 15,3 Inoltre sono gli Abruzzesi quelli che sotto le armi crescono di più: mentre l’accresci- mento medio per tutti gli italiani dal 1° al 2° anno di servizio militare è di mm. 6,4, per gli Abruzzesi sale a 7,3, superato solo dalla Basilicata con 7,4 e dalle Puglie con 8. Anche questo accrescimento è maggiore per i contadini (7,8) che per gli studenti (4,6) Abruzzesi. Forza muscolare. Noi abbiamo misurato la forza dinamometrica di molti contadini e ne diamo 1 risultati confrontandoli con quelli del Pagliani. (1) R. Livi — Antropometria Militare. Roma 1898-1905. —- Vedi anche: Alfredo Niceforo, Forza e Ricchezza. l'orino 1906, Bocca. — 407 — En Roger acri Contadini abruzzesi Età al grande |.) fi SI Dale Mano destra | Mano sinistra circolo circolo circolo al grande circolo | al grande circolo Anni 9 45 32 _ 34,37 312 > 10 55 45 67 | 44,91 39,08 DIM 65 92 68 DI 2 68 59 SO) 18, 41,75 SE. 65 95 iI RAT EA suleng | agg 68 105 62 51,33 D_dù 100 80 Mo, pateigi Seniga lan 120 644 566 > 47 125 — 135 >» 18 130 —_ 143 106,31 93,29 » 19 140 — 150 Lo scarto di leva è molto rilevante, ed è dovuto in gran parte alla deficenza di to- race e di statura. RIFORMATI TOTALI SU CENTO INSCRITTI ALLE LISTE D' ESTRAZIONE Leva del 1881 1882 1883 1884 1885 Teramo 2A,T2 18,81 26,51 20,58 18,36 Chieti 19,89 17,16 14,86 19,14 17,66 Aquila 17,28 14,92 92 17,55 18,89 RIFORMATI PER DEFICIENZA DI TORACE SU CENTO INSCRITTI Teramo 6,69 2,87 4,33 3,59 3,85 Chieti 4,38 N 2,32 4,42 319 Aquila 3,65 2,67 2,73 3,27 3,59 Regno 3,70 3,51 3,51 3,90 374 RIFORMATI PER DEFICIENZA DI STATURA SU CENTO INSCRITTI Teramo 5,94 9,70 7,06 9,29 5,05 Chieti 5,19 5,—- 4,92 4,62 452 Aquila 4,32 4A 4,66 4,17 4,50 Regno 4,53 4,45 4,38 4,34 4,39 L'emigrazione, fino al 1893 era quasi nulla negli Abruzzi specie nella provincia di Teramo : * EMIGRANTI PER 100,000 ABITANTI 1889 1890 1891 1592 1593 Teramo 23 39 60 58 120 Chieti 536 879 799 744 1291 Aquila 849 763 491 COVE 704 Regno 767 796 1032 784 865 Serie UE — Tomo IV. 54 — 408 — Dal 1901 si è avuto però un forte aumento, in modo che gli Abruzzi, particolarmente per il rapido sviluppo emigratorio della provincia teramana, hanno dato l'aumento percen- tuale maggiore di tutta l’ Italia. NUMERO DEGLI EMIGRANTI Media del periodo Media del periodo Aumento percentuale 1895-1900 1901 1902 1903 1904 1901-1904 1895-1900 1901-1904 Aquila, 4529 16182 14951 12626 10555 13529 100 290 Chieti SIA 12884 13092 12996 9673 12154 100 327 Teramo 494 17959 6768.6589 4056 8843 100 1790 Questo tardivo muoversi dei contadini è dovuto alla mancanza di energia morale, che li te- neva attaccati alla miseria. Analfabetismo. La percentuale degli analfabeti nell’Abruzzo è fra le più alte del regno. Nel 1881 sopra cento abitanti da 5 anni in su era: Teramo 84 — Chieti 82 — Aquila 75 Nell’ ultimo censimento è stata : Teramo 74,9 — Chieti 74,1] — Aquila 60,1 Superiori sono Siracusa con 75,2 7 — Girgenti 75 — Caltanisetta 75,7 — Reggio Ca- labria 78,7 — Cosenza 79,2 -- Catanzaro 78,3 — Potenza 75,4. Si è avuta una diminuzione del 10-15‘, di analfabeti: ma la cifra si mantiene sempre ad una altezza impressionante e vergognosa. In corrispondenza all’ analfabetismo, basso è il livello intellettuale di queste popolazioni : ciò si rivela subito dalle loro fisonomie che portano l’ impronta di una miseria mentale spaventevole. La mimica è senza attività, l’ occhio senza espressione, la bocca impassibile e semiaperta, gli zigomi sporgenti. La gioventù presto sparisce e già al 25° anno le rughe segnano nella faccia la senilità invadente. l'uttavia, come osservava Leopoldo Franchetti gà nel 1874, l'indole è buona, il carattere è mite: smisurata è la deferenza dei dipendenti verso il padrone. Abbiamo voluto fare un’ inchiesta sulla condizione di questa mentalità ed a tal uopo abbiamo usato di tre mezzi. Prima quello di far risolvere dei facili problemi, e di segnare il tempo neces- sario al lavoro mentale. Ora per quanto facili fossero questi problemi non venivano mai ri- solti bene, salvo rarissime eccezioni. Quindi questo metodo sì dimostrò inadatto agli individui. In secondo luogo abbiamo rivolto delle domande direttamente, chiedendo la spisga- zione di certe parole, che sono quelle adoperate da Paola Lombroso e Mario Car- rara nel libro « Nella penombra della civiltà ». Delle parole igiene, colonia, università nessuno dei 24 adulti interrogati seppe spiegare il significato. La parola missionario è stata riferita a prete o frate che va predicando, in quanto da qualche tempo i missionari vengono a predicare a Pasqua nell’ Abruzzo; ma non fu riconosciuto da nessuno il fine speciale della predicazione fra gli infedeli. Della parola aggio alcuni hanno un concetto abbastanza esatto « quando si dà il bronzo per avere la carta si paga un soldo di aggio » ; per due è il guadagno illecito, e infatti nei cambi di moneta spesso essi vengono imbrogliati: la massima parte non ne sa il significato. — 409 — Alla parola parziale una sola fu la risposta appropriata, e data da un contadino fer- roviere avventizio che sa leggere e scrivere: alcuni avvicinano la parola parziale a porzione « dare la parte al padrone »; i più non ne sanno il significato, o danno risposte sconclusionate. Tribunale; per la massima parte la parola è legata all’idea di dibattimento « dove sì fanno le cause » « dove stanno i giudici ». Le risposte errate furono solo 4: lo si confuse sia col municipio, sia col comune, o lo si identificò col deputato. La parola Tribu- nale è famigliare ai contadini in quanto sono vicini a Teramo sede di Tribunale, e perchè spesso vengono citati in giudizio specialmente per cause economiche (sequestri, sfratti). Antichità; fu identificata da un solo; gli altri ne riconobbero in parte il significato confondendola con vecchiaia. Economia ; sei ignoravano il senso della parola; i più la legavano all'idea del risparmio, specie del mangiare « quando si risparmia uno deve mangiare una cosa e ne mangia mezza » « uno che non mangia e non beve risparmia » « quando si mangia un po’ poco » « è il poco mangiare » « si deve fare economia di mangiare in ogni cosa » « uno che tiene poco mangiare » « quando si mangia oggi poco e domani più poco » « è il ri- sparmiare nel mangiare ». Da queste risposte risulta come essi, pressati dal bisogno, abbiano un solo mezzo per risparmiare del danaro, quello di mangiar meno, la qual cosa, in vista della già misera dieta, significa deperimento rapidissimo dell’ organismo. Alla parola commercio da cinque fu dato il giusto significato di compra e vendita: due la identificarono con danaro, molti avvicinavano l’idea di commercio a quella di ami- cizia e riunione di amici che spendono. Sangue per cinque persone indica parentela: per molti è il sangue dell’ uomo « quello che teniamo nelle vene » « quello che esce quando ci tagliamo » « il sangue è la vena » « è un’acqua rossa » « materia che sta entro le vene »: uno ha risposto che è il vino, « il vino fa sempre sangue ». La parola microscopio da una donna che era stata in uno stabilimento bacologico fu definita strumento che serve a vedere le cose piccole: tre lo identificarono a canocchiale; gli altri ignoravano il nome. La parola emigrazione fu identificata da uno solo « è il popolo che parte »: uno ri- spose « è il mondo » tutti gli altri dissero di non sapere. Cosa notevole che nell’ Abruzzo donde partono giornalmente emigranti a frotte, di tale fenomeno i contadini non conoscano neanche il nome. Il telegrafo non è stato usato da nessuno dei nostri interrogati. Alla domanda che cosa pensino delle stelle, della luna e del sole, e della grandezza del mondo risposero « il sole è la luce, e così le stelle e la luna » « il sole è una palla, lo stesso è la luna, le stelle sono luci » « il sole è Gesù Cristo che mantiene il mondo, la luna è pure Iddio per illuminare, le stelle credo pure siano lo stesso Iddio perchè stanno in cielo » « le stelle, la luna, il sole sono la luce di Dio (4 persone). « stelle sono altret- tanti paesi, la luna è un mondo gelato, il sole è un raggio di fuoco ». Il fatto che col- pisce tutti è la luminosità di questi corpi; uno sapeva che dalla posizione della stella si può conoscere l’ora della notte: nessuno però ne immagina e misura la grande vastità: — 410 — solo uno disse che del mondo non si può trovare la fine per quanto si cammini, e un altro che il mondo non ha fine, « perchè è come una ruota, e infatti la ruota gira sempre e mai finisce. » Interrogati quali sono i grandi uomini che conoscono, sei risposero di non conoscerne alcuno : altri risposero: Garibaldi, Vittorio Emanuele, Musolino, il Guerrin Meschino, Geno- vieffa. Nominarono pure il generale Pepe, Cialdini e Napoleone e Baldisserra. Per molti, grandi aomini sono il prete, o grandi proprietari del luogo. Infine uno rispose : di grandi uomini ne ho conosciuti due soli, ma sono morti. Gae- tano Marcelli che non aveva paura di tre o quattro carabinieri, e Bernardo Zilli che sceri- veva « Io mi chiamo B. Zilli scorritore di campagne: chi ha da prendere me deve spargere sangue ». Le idee astratte e quelle politico-sociali sono quasi mancanti : ad esempio non sanno chi sia un deputato, e chiamano deputati gl’ incaricati di raccogliere denaro per le feste religiose « il re è quello che comanda ai soldati e a tutti gli altri » « le tasse si pagano perchè le mette il governo e il comune » « i ricchi e i poveri ci debbono essere perchè così vuole Iddio » « perchè Cristo ha fatto il mondo con i ricchi e i poveri » « perchè senza ricchi non si potrebbe lavorare » « perchè i ricchi ci sono per divertirsi e i poveri per lavorare ». In terzo luogo ci siamo procurati moltissime lettere, in gran parte di emigranti. Il maggior numero non contengono che saluti, e avvisi di spedizioni di denari: però alcune con- tengono brani, che nella loro rozzezza dipingono scultoriamente la miseria atroce di quella popolazione, e che meriterebbero di essere riprodotti, se ciò mon uscisse dai limiti del nostro lavoro. INTO BLA I calcoli sono stati fatti colla macchina calcolatrice Bunzel, fornita dalla società « Macchine da scrivere ed affini » con sei decimali: fu tenuto conto di soli due decimali, arrotondando l’ultima cifra sulle omesse. Il procedimento tenuto fu il seguente: ottenute le tabelle della composizione dei cibi (pag. 390, 394, 398) in cui le sostanze azotate vennero ricavate moltiplicando l’azoto risultante dall’analisi chimica per 6,25 e gli idrati di carbonio, sottraendo l’albumine, i grassi e le ceneri del residuo secco, si moltiplicò le cifre di detta tabella per la quantità di cibo mangiato dai singoli individui ottenendo così i bilanci giornalieri dettagliati (pag. 411, 413, 416, 420, 428). Sommando i principi alimentari contenuti in ogni singola vivanda consumata nella giornata ab- biamo ottenute le diete giornaliere (pag. 414, 421, 424). La cifra degli idrati di carbonio fu inquadrata in modo che la somma di essa più quelle delle albumine, grassi e ceneri, corrispondesse a quella del residuo secco. La media delle diete giornaliere di ogni singolo individuo fu ottenuta dividendo la somma delle diete giornaliere per il numero dei giorni dell'esperimento e la cifra degli idrati di carbonio inquadrata come sopra (pag. 391, 395, 398). Dalle medie individuali furono ottenute quelle dei maschi e delle femmine (pag.404) con eguale pro- cedimento. Nella tabella delle medie giornaliere l’azoto fu ottenuto dividendo le sostanze azotate per 6,25 e arrotondando l’ultimo decimale. Queste cifre per l’azoto servirono a costruire la tabella del bilancio azotato (pag. 393, 397, 399). 4 Marzo 5 Marzo 6 Marzo 7 Marzo S Marzo 9 Marzo 10 Marzo 4 Marzo 5 Marzo 6 Marzo 7 Marzo 8 Marzo 9 Marzo 10 Marzo Mattina Sera Mattina Ore 16 Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera — 411 BILANCI GIORNALIERI (Famiglia DE DOMINICIS). PASQUALE DE DOMINICIS Qualità del cibo e quantità Pizza di granone . Polenta e fagioli Polenta e fagioli . Pizza di granone . Pizza di granone . Verdura di cavoli . Pizza di granone . Pizza di granone . Fagioli, lenticchie e piselli. Pizzorullo . Pizzorullo. Lardo fritto . Polenta. Polenta. Tagliatelle Verdura di cavoli . Pizzorullo . Minestra fagioli, piselli, patate. Pizzorullo . Pappa di pizzorullo . Verdura di cavoli . Pizza di granone . 937 1321 590. 510 186 IL 654 675 965 273 504 23 1045 . 1410 2105 480 333 830 245 882 982 635 Secco 262,65 253,76 113,34 231,69 84,50 65,40 249,76 211,88 205,25 132,79 25,15 ur PIETRO DE DOMINICIS Pizza di granone . Polenta e fagioli . Polenta e fagioli Pizza di granone . Verdura di cavoli . Pizza di granone . ‘Pizza di granone . 5 Fagioli, lenticchie e piselli. Pizzorullo. Pizzorullo . Lardo fritto . Polenta. Pizzorullo . Tagliatelle Verdura di cavoli . Pizzorullo. Minestra fagioli, piselli, patate. Pizzorullo. Pappa di pizzorullo . Verdura di cavoli . Pizza di granone . 540 190) 990 485 438 437 917 889 430 197 31 1387 615 1597 d15 600 940 126 rr. 1388 511 515 264,011 218,80 113,34 220,83 5541 166,89 184,12 188,24 209,15 387,66 I 211,52 299,14 333,29 60,20 291,84 207,93 61,29 362.27 72,31 213,42 Sost. azotate 20019 USESSI 41,21 1841 19,43 7,09 16,13 21,25 17,68 62,15 12.61 23,28 13,69 18,47 42,10 13,49 15,38 49,80 11,32 22,05 21,07 DI 22,25 95.54 18,41 18,48 13,67 14,20 15,12 56,90 19,87 36,82 18,17 28,41 31,94 14,47 27,72 56,40 5,82 34,70 18,50 18,02 Grassi 8— 21,14 944 7,09 2,58 14,48 7,59 6,48 15,83 3,63 6,70 23 19,85 26,79 14,31 9,74 4,13 1444 3,26 6,26 15,66 8,00 8,05 821 9,44 6,74 12,26 5,07 5,54 14,51 5,72 10,60 ui 26,35 8,18 10,86 10,45 7,98 16,36 1 68 9,85 13,75 6,49 Id, di carb. 223,51 171,33 76,52 19721 71,93 22,49 212,35 180,43 110,58 113,98 210,43 114,12 153,97 351,75 21,94 139,02 103,— 102,29 197,39 92 223,90 224,74 L4T,T4 76,52 187,54 19,06 141,90 154,23 101,43 179,52 332,75 134,47 256,77 266,85 23,54 250,50 116,65 52,61 310,64 28,10 181,60 > 1 Marzo Marzo Marzo Marzo Marzo Marzo Marzo Marzo Marzo Marzo Marzo Marzo Marzo Marzo =. rr —e @_——f1 -< 7 —<”<'} Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera — 412 —- DOMENICO DE DOMINICIS Qualità del cibo e quantità Secco Sost. azotate Grassi Pizza di granone . i er 908289166 20,19 7,30 Polenta, fagioli e piselli . . » 1012 194,41 81,57 16,19 PolentaWe fagioli i ei ario 66,27 10,76 9,92 Riza di Gago e RO LIO 16,— 9,84 Werdura idi cavoli... i. > Slo 655 16,07 14,42 Pizza di granone . . . . . >» 44 169,18 14,40 5,14 Pizza di granone . . . . gm. 908) 285,02 23,79 8,72 Fagioli, lenticchie e pisa . >» 685. 145,70 44AA 11,23 Boroli TRE MAR 65,06 6,24 LINO) Pizzo rallo e e o LO O 075 32,34 9,31 Lario ini e I 2 — QdB- Rolenta SSN RO e e N SO 11,89 17,25 Pizzoli: 5 5 so 00 Sh 4801 23490 QI) 6,40 Mogliate CREA T Ne e 5829006 31,64 10,76 Verdura olieavo ee e a nA290 33,90 8,15 5,89 Pizzorullo, 0. » 510 248,06 23,50 6,78 Minestra, fagioli, Sn patate » 714 157,87 42,84 12,42 Pzoilio. o o e» 102 49,81 4,71 1,36 Pappa di pizzorullo . . . . gr 045 A%0R 13,97 3,89 Pizzorullo semplice . . . . » 355 172,67 16.40 4,12 Verdura di cavoli. . . . . >» 647 91,50 23,42 17,40 Pizza tia ra none e e e? 1 0192 7,59 2,73 TERESA DE DOMINICIS Pizza di eranone . 0. 0 gr. 462 (22007 18,62 6,73 Polenta e fagioli . . . . . >» 1483 284,88 46,27 O3018, Polenta e fagioli . . . . . gr. 422 81,07 13,17 6,75 Pizza di arme 5 600 5 IO 231,69 19,43 7,09 Verdura di cavoli. . . . . >» 585 T4— 18,25 16,38 Pizza di granone . . . . . >» 444 169,56 14,43 5,15 Pizza di granone . . + rn. 493 154,75 1292 4,75 Fagioli, lenticchie e gal . >» 692 145,06 43,92 11,18 Rolo: 5 ere a ded 820° 19905 14,78 4,26 Pizomilo, e oo oe so Re DIR 400 42,13 12:13 Lardo miao oe ele oe dI 23, 23, Rolenta i e ele ee AVI LI 13,56 19,66 PRzovilio. cs e e deo en 60. II 22,118 6,38 Taglie dg ceo ee ao » 89829176 27,96 9,51 Verdura di cavoli. . . . . gr. 380 44,42 10,68 7,71 Rizzorullo iene De 210.08 26,56 7,65 Minestra, fagioli, diga pale » 933 206,29 90,98 16,23 Pizouilio oe cd dg la ® 482 88,52 841 2,412 Pappa di pizzorullo . . . . gr. 95% 248.47 23,80. 6,76 Verdura di cavoli. . . . . » 529 74,89 19,15 14,23 Ra di Sano i ele 0 10594 16,38 9,90 Ceneri 8,23 15,38 5,24 6,56 12,26 5,80 9,81 11,85 1,27 6,58 10,17 4,52 2341 6,61 4,79 13.99 0,96 277 3,34 15,14 3,08 Id. di carb. 203,94 134,27 44,75 16241 22,40 143,84 212,70 78,51 56,36 292,25 99,16 200,82 264,3 13,25 212,93 88,62 12,58 121,53 148,21 35,59 76,52 188,13 192,34 54,TA 197,21 25,45 144,16 134,78 78,16 133,60 380,77 113,03 200,40 233,60 17,37 240,07 115,79 75,98 213,06 29,09 165,01 4 Marzo 5 Marzo 6 Marzo 7 Marzo S Marzo 9 Marzo 10 Marzo ) Mattina Sera Mattina Sera Sera | Mattina O Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera Mattina Sera — 413 — FEDELE DE DOMINICIS Qualità del cibo e quantità Secco Sost. azotate Grassi Ceneri Latte di vacca . CERI 20,86 9,67 5,39 1,29 Pizza di granone . » 240 117,38 9,89 3,08 4,03 Polenta e fagioli >» 51 182,69 29,67 15,22 14,15 Latte di vacca . er. I7a 20,86 5,67 5,99 129) Polenta e fagioli » 385 73,96 12,01 6,15 5,85 Pizza di granone . >» 2450 109,03 Q,14 3,94 3,74 Verdura di cavoli . » 460 58,19 14,35 12,88 10,95 Pizza di granone . » 143 54,61 4,65 1,66 1,87 Latte di vacca . gr. 175 20,86 5,67 5,95 1,29 Pizza di granone , - > 206 93,54 7,81 2,86 2 Fagioli, lenticchie e piselli. » 470 99,97 30,27 FI sl Pizzorullo . > Qi 60 12,70 3,66 2,58 Latte di vacca , gr. 175 20,86 5,67 5,39 1,29 Pizzorullo . » 246 119,65 11,36 BENI 2,31 Lardo fritto . >» 14 14 —— 14 _— Polenta. > 825 125,81 10,81 15,67 49,2 Latte di vacca . e JU 20,86 5,67 5,95 1,29 Pizzorullo . » 305. 148,35 14,09 4,06 2,87 Tagliatelle. DATO 62358 15,58 5,90 11,59 Latte di vacca . gr. 175 20,86 9,67 5,35 1,29 Verdura di cavoli . » 360 42,08 10,12 Tx 8,21 Pizzorullo . a » 338 164,40 15,62 448 3,18 Fagioli, piselli e patate . » 455 100,60 27,30 NAS? 8,92 Pizzorullo . » — — —_ Latte di vacca . gr. 175 20,86 5,67 5,95 1,29 Pappa di pizzorullo . >» 483 126,06 12,07 3,43 2,46 Verdura di cavoli . > 400 56,60 14,48 10,76 9,36 Pizza di granone . >» 230 95,31 8,05 2,90 2 Id. di carb. 8,54 99,88 123,35 8,55 19,94 92,81 20,01 46,43 8,55 79,65 53,86 114,82 8,55 102,71 90,09 8,55 127,33 130,17 8,55 16,44 t4L,LA 56,46 8,55 108,10 22 81,09 RIASSUNTO E MEDIE DEI BILANCI GIORNALIERI (Famiglia DE DOMINICIS). 4 5) 6 Ù 8 9 10 Domenico 4 » Pasquale . » »I Teresa.... » » » » © 00 + Do OI Marzo » Media Media Media Media Media gr. — 414 — Quantità Secco 1679 482,91 1950 555,97 1892 578,51 2215 630,18 2212 632,43 2181 621,16 Q4A 4 648,— 2074 592,74 1502 434,07 1723 491,41 1728 496,38 1631 501,95 2063 564,12 1616 189,44 1762 495,86 1718 196,18 1858 516,41 2457 744,69 1913 549,92 1572 427,54 3515 654,33 1888 520,76 2099 575,69 2186 069,90 1935 905,05 1961 906,92 1495 455,46 1970 674,44 1878 525,23 2070 618,91 1949 517,26 1894 043,97 1366 321,53 1403 316,65 1218 348,13 1260 280,32 1259 331,79 1328 327,94 1288 298,83 1303 317,80 Sost. azotate 57,79 64,76 91,98 54,99 60,35 104,41 71,22 72,21 51,76 57,23 TANA 44,23 53,86 79,26 60,98 60,21 63,33 82,31 92,44 36,97 60,57 89,99 65,34 70,14 64,89 65,28 71,62 55,69 50,14 101,63 59,33 66,94 15,23 15,82 56,45 27,84 35.34 58,71 40,27 44,24 Grassi 26,26 33,51 25,77 67,95 19,04 36,47 30,09 34/16 23,49 30,92 24,74 19,56 17,16 26,45 28,70 28,29 29,14 41,18 25,94 49,55 41,10 31,87 29,92 39,93 30,46 35,37 20,17 54,79 15,89 34,01 26,89 31,09 18,80 2241 14,23 32,94 9,36 19,72 17,09 21,57 Ceneri 26,98 32,68 25,58 23,02 29,42 36,98 26,35 28,63 23,61 29,86 22,93 16,75 27,93 26,35 21,33 24,54 29,10 40,70 26,55 16,44 46,94 32,64 Q7A4 31,36 30,13 34,11 20,13 20,16 25,20 34,06 23,88 26,81 18,48 21,04 13,93 11,55 14,40 20,31 15,09 18,12 Id. di carb. 372,48 425,02 435,18 484,22 523,62 443,30 520,34 450,74 335,21 373,40 37757 39141 465,17 357,38 381,85 383,14 394,84 580,50 404,99 324,55 505,72 366,26 153,29 432,87 380,47 421,56 343,54 193,80 134 44921 107,16 418,53 223,23 209,19 248,33 192,80 257,50 214,01 214,19 230,87 Pietro 4 Marzo » 5 » » 6 » » 7 » » $ » » 9 » » 10 » Media Domenico 4 Marzo . » 5 » » 6 » » T » » 8 » » 9 » » 10 » Media Pasquale. 4 Marzo » 5) » » 6 » » tr » » 8 » » 9 » » 19 » Media Teresa.... 4 Marzo . » 5 » » 6 » » 7 » » 8 » » 9 » » 10 » Media Fedele.... 4 Marzo » 5 » » 6 » » Yi » » 8 » » 9 » » 10 » Media Serie VI. — Tomo IV. — 415 — URINE - FAMIGLIA DE DOMINICIS 1200 2110 1210 1465 1650 1835 1250 1531,03 1550 1445 1530 1570 1680 1960 2130 1695 750 1105 759 600 1560 1860 1020 1095,71 1250 1480 1310 1560 1050 1510 1780 1424,29 935 625 910 980 1025 1200 1035 901,43 Peso specifico Peso specifico Peso specifico » Peso specifico » Peso specifico » 1023 1014 1020 1021 1014 1019 1023 1019 1016 1016 1014 1014 1014 I014 1014 1014 1029 1021 1027 1030 1021 1017 1027 1024 1021 1018 1021 1016 1018 1018 1016 1018 1021 1023 1023 1013 1016 1016 1021 1020 Azoto Azoto Media totale totale gr. gr. 12 Marzo 13 Marzo 14 Marzo 15 Marzo 16 Marzo Mattina Mezzog. Sera Mattina Mezzog. Sera Mattina Mezzog. Sera Mattina Mezzog. Sera Mattina Mezzog. Sera — 416 — BILANCI GIORNALIERI (Famiglia PAOLONI). CAMILLO PAOLONI Qualità del cibo e quantità Pizza di granone . Spalletta di porco . Vino conservato Fagioli . Verdura di cavoli . Pizzorullo . Vino conservato Pizzorullo . Olio d'ulivo . Vino conservato Polenta. Polenta. Pizzorullo . Insalata Vino bianco . Pizzorullo . Spalletta di porco . Vino conservato . gr. Verdura di cime di rape Pizzorullo . Insalata Pizzorullo . Vino bianco . Pizzorullo . Salaghe. Patate in insalata . Pizzorullo . Lenticchie. Vino bianco . Pizzorullo . Insalata Pizzorullo . Olio d' ulivo . Vino conservato Fagioli con silique. Pizzorullo . Vino conservato Insalata Pizzorullo . 2 UBI . 196 Do DI da SO ‘Alcool 33,81 22,94 IMEZN 17,88 33,81 26,82 17,88 Secco Sost. azot. Grassi Ceneri Iqr. di carb. 183;40. 18,34 7,07 6,55 154,44 20,99 4,75 13,87 2,29 0,08 112,28 2418 17,49 9,27 61,34 1230 156 1383 50 86 158,47 15,59 6,13 354 132,81 212,73 24,49 9,39 5,42 203,43 R- —— 1- —— —- 240,06 21.36 20,95 19,39 178,36 113,84 1449 440 254 95,40 36,77 4:07 17,52 3,71 14,47 183,55 18,52 7,10 410 153,83 36.91 8,36 2439 403 0,13 TI 19,82 16,49 1427 2013 122,87 1240 475 274 102,98 26288) 129 90 62 8424 820 314 1,841 ‘68:09 105,98 14,46 486 2,65 8401 20,22 441 1427 4140 044 37A4 194 2,26 2,26 20,68 86,41 11,79 3,96 216 68,50 68,53 16,55 41/14 5,64 35— 150,95 15,23 5,84 3,37 12651 OR e (Os 889 137,41 13,86 5,32 3,07 415,16 130,15 28,52 14,67 10,19 76,77 ONTO) (9187 13078 208) (81096 Opi 2 MA 26 27 115,94 1164 446 2,58 96,66 EA ALESSANDRO PAOLONI Qualità del cibo e quantità Alcool Secco Sost. azot. Grassi Ceneri Jar. di carb. Mattina Pizza di granone . . . gr. 627 QIWO ZIA BIZ 5, S4 181,21 Spalletta di porco... > 08 20,26 459 13,39 22% 0,07 Vino conservato . . . gr. 5988, 33,81 Mezzog. Fagioli. . . SURE » 374 104,20 22.44 16,23 8,60 56,93 Verdura di alli SITO >» 708 NOTA (25:91 09 25024] Sera Rizoallo: dg so » 202 DOES DIST) 2 19 222 SA Vino conservato . . . gr. 392 22,54 12 Marzo Mattina Mii: rU lE o gr. 405 dI 2070) 6, 49 0:22 Olio d'almo ae MMI 12, 19: Vino conservato r. 196 1UE2a7 Mezzo = siRolenta MAR e » 1090 20299 224 Sera Polenta Mg eo ione » 304 70,38 6,2 Rizzoli: So » 209 104,81 10,5 lipsalatafnti. cf. 0 » 103 QSISOMMEZIO IVATO RD ae ORME AREE o 06 8,94 (0 (e) = 13 Marzo Spalletta di porco. . . > 50) SONS 202308195 0,12 5,08 HS Ss Vino conservato . . . er. 78 to) Mezzog. Cime di rape . . . . » 748 73,30 148,70. 15,56 1 14 Marzo 3 3 5 Rzoauilo; 3 sso DIS? 66,20 6,68 2,56 3 I Sera Insalata an » 188 Ri 205 09 2a Rizzoli » 280 WMO? 6 bb 08 INiporbianeo Mar 588 26,82 Mattina Pizzorullo . Sr Crt 140}62% 9218) (6045 3,52 dHML07 Salaehetto hs » n 29 130 284 92010590 0,09 Patate in insalata. . . >» 192 4o— 240 280 280 38.06 Mezzos. NEizzonullo Di 1292 94,56 1 Trentiechiest Re e » 1946) 91,83. 2 NINO IDIEIMOO se IO 8,94 15 Marzo Sera Riz; nullo; e eo » 234 O oi AI O 3 TS SE » 160 TOSO 19 O ZNNOZ 6,17 Mattina Rizza Rie oe gr. 350 178,03 17,96. 6,59 3,98 149,20 Olio denim o DIMNS, 18,—- —— 418—- ——- —- Vino conservato . . . gr. 784 45,08 Mezzog. Fagioli con silique. . . » 750 IRA RISO) AA I 078) RZzonilo: alota ae » 182 iS 2) 5 NOZIO 00) Vino conservato . . . gr. 588 39,8 1 16 Marzo Sera Imsalata Ms E AO SE >» 110 IO 2018) UR9 156 4,16 Rizzorullo Ri ME > 218 109 SME NR RI CAR E68 È Rizzo ru o ER A gr. 595 295,40 30,51 11,54 6,66 250,09 Mattina 2 Mezzog. 13 Marzo © Sera Mattina 15 Marzo Sera Mattina 16 Ma:zo < MEZZO, Sera Mezzog. Mattina 14 Marzo. Mezzog. Sera — 418 — ANTONIO PAOLONI Qualità del cibo e quantità Pizzorullo . Olio d’ ulivo . Vino conservato Polenta. Polenta . Pizzorullo . Insalata Vino bianco . Pizzorullo . Spalletta di porco . Vino conservato Cime di rape Pizzorullo . Insalata Pizzorullo . Vino bianco . Pizzorullo . Salaghe. Patate in insalata . Pizzorullo . Lenticchie. Vino bianco . Pizzorullo . Insalata Pizzorullo . Olio d’ ulivo . Vino conservato Fagioli con silique Pizzorullo . Vino consacrato Insalata Pizzorullo . gr. 195 . gr. 392 gr. 588 . gr. 392 o Ln JI gr. 392 gr. 196 Alcool LIETI 17,88 17,88 8,94 22,54 MSI Secco 156,97 = 28,10 55,79 97,29 23.77 257,77 41,25 61,64 159,48 12,38 92,78 158,96 8,54 32,34 89,26 85,05 145,43 18,20 126,64 117,85 29,17 130,89 Sost. azot. 15,84 Grassi Censri 3,51 20,06 4,51 2,17 2,10 Idr. di carb. 131,55 184,57 4445 81,54 741 216,03 0,14 21,59 123,66 3,86 77,76 12 Marzo 13 Marzo 14 Marzo 15 Marzo 16 Marzo Mattina Mezzog. Sera i Mattina \ \ Mezzog. Sera Mattina Mezzog. Sera Mattina Mezzog. Sera Mattina Mezzog. Sera — 419 — CRISTINA PAOLONI Qualità del cibo e quantità Pizza di granone . Spaletta di porco . Vino conservato Fagioli . Verdura di cavoli . Pizzorullo . Pizzorullo . Olio d'ulivo . Vino conservato Polenta. Polenta. Pizzorullo . Insalata Vino bianco . Pizzorullo . Spalletta di porco . Polenta. Vino conservato Cime ei rape Pizzorullo . Insalata Pizzorullo . Vino bianco . Pizzorullo . Salaghe. Patate in insalata . Pizzorullo . Lenticchie. Vino bianco . Pizzorullo . Insalata Pizzorullo . Olio d'ulivo . Vino conservato Fagioli con silique Pizzorullo . Vino conservato Insalata Pizzorullo . (0/e) = Der Mor OR r. 784 ?. 196 588 588 pad 92 *. 588 o IO Alcool 45,08 11,27 33,81 26,82 17,88 83,81 22,04 Secco 172,90 21,71 106,70 53,36 51,15 259,27 LA 211,13 78,94 62,19 32,93 208,12 27,50 71,30 39,10 29,59 22,53 76,23 132,06 9,88 26,80 107,61 71,96 79,24 20,30 196,59 e 129,04 136,41 24,88 URTO Sost. azot. 17,29 4,92 22,98 9,52 5,16 Grassi 6,67 14,35 16,62 17,42 1,98 10,03 Ii 18,42 6,89 2,41 15,69 8,05 18,17 6,22 8,30 L,l4 10,74 2,95 Ceneri 6,17 2,37 8,81 9,47 CIA Idr. di carb. 142,77 0,07 58,29 16,95 42,87 AME, 156,87 58,65 52,12 10,28 174,42 0,10 52,98 13,65 281 7,03 63,89 104,69 0,05 21,97 85,30 36,86 66,42 6,32 12 Marzo 13 Marzo 14 Marzo 15 Marzo 16 Marzo Mattina Mezzog. Sera Mattina Mezzog. Sera Mattina Mezzog. Sera Mattina Mezzog. Sera Mattina Mezzog. Sera SANTA lAOLONI Qualità del cibo e quantità Pizza di granone . gr. (617 Spalletta di porco . DZ, Vino conservato SINDOR Fagioli . » 460 Verdura di cavoli . » 423 Pizzorullo . ; PN233 Vino conservato 5 a 16 Pizzorullo . gr. DID Olio d’ ulivo . Di IR Vino conservato gr. 196 Polenta. » 904 Polenta. » 176 Pizzorullo . » “= Insalata » 184 Vino bianco . gr. 196 Pizzorullo . gr. 434 Spalletta di porco . » DI Vino conservato gr. 588 Verdura di cime di rape > 24 Pizzorullo . » 359 Insalata >» 133 Pizzorullo . » 295 Vino bianco . gr. 392 Pizzorullo . gr. 349 Salaghe È d 23 Patate in insalata . d TO Pizzorullo . > 181 Lenticchie . ; » 236 Vino bianco . . gr. 196 Pizzorullo . » 282 Insalata » 196 Pizzorullo . gr. 559 Olio d’ ulivo . DS. 93 Vino conservato gr. 588 Fagioli con silique » 661 Pizzorullo , >» 185 Vino conservato gr. 196 Insalata >» 116 Pizzorullo . DIM GO, Alcool 22 54 -S) 27 8,94 33,81 17,88 8,94 Secco 215,95 19,54 128,16 47,42 141,92 258,27 12,— 209,28 40,74 22,88 217,65 36,91 40,87 180,04 16,46 147,94 142,26 10,33 16,96 73,78 57,18 141,42 21,26 280,34 Sost. azot. 21,59 4,13 27,60 8,46 14,32 Grassi 8,33 12,91 19,96 15,48 5,49 Ceneri lar. di carb, 178,31 0,07 70,02 15,06 118,94 234,96 62,27 56,74 ) Camillo.... Alessandro » » Antonio... » » » Cristina... » » » » 13 14 15 16 IR 13 14 15 16 Marzo » » » » Marzo » Media giornaliera gr. Media giornaliera gr. Media giornaliera gr. — 421 — RIASSUNTO E MEDIE DEI BILANCI GIORNALIERI (Famiglia PAOLONI). Quantità Secco Sost. azot. Grassi Generi Idr. di carb. Alcool 1650 5I75I 7082 58,39 29417 35913 56,35 2057 = 64540 6446 6426 31,06 48867 29/45 (8270 52328 OI ‘68962957. 36027 5063 1485. 49750 = 67,53 55,90 20,35 35372 17,88 1680 510,40 = 67,11 46,09 20,38 376,82 56,35 1739 532,82 67,41 58,98 26,11 387,72 44,07 1939 5 35 0 3 348032 15653 2213 666,52 62,41 63,46 35,39 005,30 20,21 1993 = 637,77 80,44 70,09 34,04 456,20 71,90 {571 5234900 73.600 bia 210795 376:06 8,94 1663) (540189 ‘67/63 15853. {9,7 38496 78,39 1875 57859 = 7149 6235" 28,59 41616 47,26 2020 089,32 55,90 59,90 32,65 146,52 29,15 1803 625,30 77,90 65,97 2846 45297 51,69 1564. 537,78 7469 4754 20,88 39467 8,94 {S32/ 60m sie gioni ngiga o ano aggio | 3381 1804 989,99 70,48 60,41 259,93 43317 40,03 1485 405,82 59,87 57,04 27,96 260,95 45,08 2174 658,46. 61,88 6744 33,939. 49521 2021 1553 47437. 56,7 55,57 25,22 . 336,88 60,63 1340 447,65 = 63,94 4407 18,06 32161 417,88 1781 584,64 7494 70,19 24,13 42441 56,35 1666 = 51429 62,85 5886 25,26 367,22 40,03 {8I0f ‘552.99 Meo = 6217 32010 382,41 3381 1791 543,07 = 50,83 54,66 28,26 409,32 20,21 1689 = 639,87 75,65 6201 25,38 476,83 51,69 1345 466,18 63,40 4459 1749 340,70 8,94 1654 = 554,60 68,59 40,94 1947 425,60 45,08 1657 591,34 66,97 52,87 24,92 406,98 31,95 Alessandro Gamillo... Antonio... » »d » Cristina... » » San An 12 13 14 13 14 15 16 Marzo Media .... Media .... Media .... Media .... Media .... — 422 — URINE - FAMIGLIA PAOLONI cc. 1240 Peso specifico 1025 Azoto totale >» 14110 » 1027 » » 2560 » 1014 » » 1400 » 1018 » » 1870 » 1014 » ce. 1636 1020 Media..... ce. 1300 Peso specifico 1024 Azoto totale » 750 » 1028 » » 1650 » 1022 » » 800 » 1028 » » 700 » 1928 » cc. 806 1026 Media.... ce. 1100 Peso specifico 1024 Azoto totale » 1270 » 1023 » » 860) » 1023 » » 730° » 1030 » ce. 990 1025 Media.... ce. 2020 Peso specifico 1016 Azoto totale » 1260 » » 1023 » d Q905 » 1016 » » 615 » 1028 » >» 1190 » 1018 » ce. 1494 1020 Media.... @e. SIMO Peso specifico 1023 Azoto totale >» 1090 » 1023 » >» 1385 » 1022 » » 580 » 1030 » » 820 » 1023 » ce. 997 1024 Media .... gr. 10,29 > N04 » 10,24 » 10,92 SIM 0 O a gr. 10,30 DI » 10,19 » 6,42 » 6,86 gr. 8,74 DICANANIA >» 10,14 » TRON >IMNRI02) gr 811 gr. 8,99 » 8,69 Do LI VE SMMIS998 gr. 8,94 Go TI » 781 » 6,86 » 6,03 » 0,04 gr. 6,69 — dzo — BILANCI GIORNALIERI (Famiglia DI FELICE). MicHELE DI FELICE Qualità del cibo e quantità Secco Sost. azotate Grassi (ensri Id. di carb. NERD AETZONI O SOS RE o SOA 0:29) 30,06 44,02 13,58 357,63 20 Marzo SA Minestra di i SS DS A] 41,12 14,53 14,53 132,03 za diaanone Bolo eo 68 204 18,12 7,75 6,34 172,09 Pizzone SR o SNO a BRA 34,33 14,70 D,02 332,59 21 Marzo I Mattimay Olloragzior pt e 16 do 16-- —— —,— hi Sardellgettà ei 20) 16,24 2.56 12,19 0,72 0,77 Sera Tagliatelle Et SA 195887506 42579 B120 38,90 224,71 ai PEZZO UO E TO rr COLO DI27 36,01 15,42 9,89 348,95 iano Grasso CAMMATTONNI MR 92 36,89 6,00 28,60 20108) 0,16 de Pizzorullo SR RE a De MA) 13,87 5,94 2,27 134,41 i IMI ESE AIA Ce GRES > Ob 22318 59,40 24,26 15,24 121,28 Riza clio o eee ZI 37,81 16,19 6,18 366,34 \ MACINA O NOR O 12 —,— 12 —,— —,— 23 Marzo SALARI TN DI 18,67 2.95 14,02 0,83 0,87 Sn Verdura tdlica VON st o 64280811995) A) 44,17 14,77 35,18 i nuoro sette ss eh © 800. 20108 20,56 8,81 3,36 199,25 MARIA DI FELICE { Marina PIZ0 0 ta e A e 2 SS 6 8108, 11,35 16,62 5,13 134,98 20 Marzo Sta Minestra tal ta go 92 92001 18,85 6,66 6,66 60,54 ( SEB. Pizza di granone:. 0... Li» 228. 9967 (884 378. 3,09 83,96 Ri Pizza di granone . cea 330 dI 113,20 5,64 4,62 125,37 21 Marzo Verdure di cime di OE o e 2008 23,16 85,46 29,70 72,76 (Sea, “Abigliaidlie o 00 Sd 0 03 GL 09 13,56 9,90 ZLI 71,19 [ È Mzzonniilo: ss 0 0 tetto ov ie VR 26055 23,01 9,86 3,76 222.96 | Mattina Gn agr up 8A Pro ol 16 0,12 99 Marzo rasso € Magro. . . > 338 di 2a, 64 MO ) La red ee e 9,30 3,98 1,52 90,1% \ Rimes dii egli 0 dee Ro 35,02 14,30 10,75 71,50 Rizzoli cd ae se ee VU Ze 24,21 10,37 3,96 234,56 | Mattina Olio e Re ee Sa Id, —.— Y—- _—- -,— 23 Marzo Sardagna e o Sar 1010977 (79) 8,53 0,50 0,55 Si Verdura faina: pe fee o 56102085 22,16 38,50 12,97 30,92 s Rrzoilio: a >» 141 86,59 7,67 3,28 1,25 74,33 Vino gr. 300 con gr. He: 09 eog]. i CANDELORO DI FELICE ( Mattina SP zona Re SZ 2640977 17,85 26,14 8,06 212,32 20 Marzo Ser Minestra dia 0 ee ee 0372260 45,07 92 15,92 144,69 e e or 300) ( Eizo ere e ce 10 9088 33,67 14,42 5.51 326,28 2 Marzo i Mattino RO lt e eee ARR LIO 16,— —.— 6/— —,— —, Sardo ee e a o 1 20,17 3,97 18,89 142 NG, Sera Tagliate] ee ee O 125 000216166 RION 20,10 24,62 144,43 Maina Rizoazilio a oloito cod ant 008. 7006 32,80 14,05 5,97 317,84 99 Marzo \ Grasso Remaster SOR 43,98 7,15 34,10 2,54 0,19 i Î E Pizzo ul oe e 101 (120190) 10,72 4,59 1,70 103,84 Minestre dieci RR Re 2002 54,30 QI 16,67 110,88 Rizoaillo, è 0 e ss eo ee 04 850) 34,87 14,93 5,70 337,88 Mattina Ol0]E RE STO lidi —,— is == —— 23 Marzo SATO a O 16,24 2,56 12-19 0,72 0,77 SU Neca ci Nolo SI 96,85 20,47 35,84 11,98 28,56 Pizzone e e o CO L0R26 8,98 3,84 1,47 86,97 Serie VI. — Tomo IV. 56 Michele... » » » Candeloro » » » Michele .. » » Candeloro » » » 20 29 SI to 0 (9) (AS) (>) TO 9 do GSi (30) Media Marzo. » Media Marzo . Marzo. » » » — 424 — RIASSUNTO E MEDIE DEI BILANCI GIORNALIERI (Famiglia DI FELICE). Quantità Secco Sost. azotate Grassi Ceneri Jdr. di carb. gr. 2071 851,80 89,30 66,30 34,45 661,75 >» 2621 706,54 79,68 74,15 44,64 558,07 >» 1924 822,83 115,28 74,22 28,53 604,80 » 1750 808,52 86,5) 95,19 29,14 601,64 gr. 2097 809,92 92,70 77,46 33,19 606,57 gr. 901 360,46 39,04 27,06 14,88 279,48 >» 1494 166,69 49,92 101,— 46,45 269,32 > 1197 524,48 71,95 90,14 17,67 384,72 DI HIV 486,85 55,93 71,98 18,68 340,36 gio IM? 459,62 54,18 62.54 24,42 318,48 gr. 1724 625,78 75,93 47,36 26002 474,78 >» 1922 637,71 65,15 69,41 31,25 471,90 » 1735 738,96 104,97 74,91 26,33 532,75 d. 11800 626,73 66,88 85,80 19,87 454,18 ge VII 657,29 78,08 69,37 26,44 483,40 URINE - FAMIGLIA DI FELICE ce. 920 Densità 1025 Azoto totale » 770 » 1029 » >» 1450 » 1023 » » 840. » 1028 » Media.... cc. 995 1026 Media .... CEMMIOSO Densità 1025 Azoto totale » 965 » 1025 » > AZIO » 1023 » DI IMZO » 1018 » Media fSeeNie cia 1023 Media.... ce. 810 Densità 1023 Azoto totale » 720 » 1023 » >» 1620 » 1018 » DIMIR20) » 1018 » Media.... cc. 109250 1020 Media... . gr. » » » gr. Alcool 15,09 3,77 Pag. 394 »397 » ivi » 400 » ivi » 404 > ivi » ivi » 407 » 411 » ivi » ivi » ivi » ivi » 412 >» 413 >» ivi »_ ivi » 414 » 415 » ivi ivi » ivi » ivi » ivi » ivi Pag. 414 >» ivi » Vivi » ivi » ivi » ivi > ivi » 419 » ivi linea 17 » » » 11 12 Errata Pizzorulo 806 fece giorn giornali 069,48 450,08 606,58 14,92 139,02 220,83 0,42 56,90 207,93 49,81 14,15 49,2 4,48 505,05 1531,03 4,62 5,65 7,87 1960 6,79 T,21 18,79 Corrige Pizzorullo 1040 fecero giorni giornal- 569,47 450,09 606,57 14,62 159,03 220,39 10,42 56,99 207,83 49,61 14,45 9,24 4,49 905,95 1531,43 4,67 5,40 7,97 1580 6,92 T24 Errata 18,80 22,41 14,93 32,94 9,36 19,72 17,09 18,42 17,05 18,48 24,04 13,93 11,55 14,40 20,31 15,09 156,87 223,23 209,19 218,33 192,80. 257,50 214,01 211,19 g. 415 ivi 416 417 Ivi 418 ivi Ivi ivi 419 ivi 420 ivi Ivi ivi ivi 421 ivi ivi ivi ivi ivi ivi 422 ivi 320,93 Corrige 4,20 1023 15,99 193 23,27 196 14,33 133,66 121,88 25,60 33,81 178,32 22,78 14,27 142,25 135 60,63 539,82 56,35 394,96 54,80 30,90 514,19 1040 9,75 231,78 217,74 256,88 201,35 266,05 222,56 219,74 Errata linea 39 4,16 > 40 1013 » 09 JA550 » 6 108 Di Re 2290 So 195 » & 1023 DITO 23i600 ». 29 265 DIS 26:30 » 36 83,81 » SÌ TSI » 16 22,88 dio 44,7 » 26 142,26 > 30 15 >» DD 5069 DD 53282 > 10 36,53 >» 14 384,96 Dv dI7. SO » 22 40,03 » 29 514,29 » 45 806 Do MV AO Corrige ATO AOL 27,76 25,33 19,58 15,22 38,29 12,84 14,71 15,69 25,07 21,60 Q2,44 16,38 18,79 18,42 417,05 156,87 ta x h «|a a it ch E > 120 TLT n "a I) É quo ù Ù LET i i 09,00: 0° BOS Sit had | 3 FI), Pa 9 i} È Ps I da a, bia » Ùi 9 sn E de ka ì tel ea è; i b4 In Ki RIA di ALI À i Upi "get ) bi | (RR DR Pe ERRE MM i ì 4 } toi AGI i Li ARSA, REP darai i ti ù Ù sì Uh i \F } Mart SET > EI } la} È ) di PUT Di) “tudo: fall i | MITRA IAT th 644 dà ta « vob % IC tici? wi LA ca 4 TA5 (WD ha 10614 ha Ù dì ol Ei di (I: D'Rstt ii IR Li RITI terg di A a i siacua ( Ì Mpa di 1 uni è dd pets CA d / t UL ANCA ia [a DE a ia i , 4) "MR. MPA; 145 i i it ia ra î f' UE è bal # i ni } Hi ca F) I) | he pc ha "N dh si nb i i se Ma a 3 he > INTORNO ALLA DUPLICATIO SUPERCILII MEMORIA DEL FROrC-aDOMENICOnN JOEL] (letta nella Sessione del 26 Maggio 1907) (con UNA FIGURA INTERCALATA NELLE NOTE ED UNA TAVOLA IN FINE) Da qualche tempo avevo in animo di raccogliere in uno studio sintetico alcune ano- malie pilifere, da me osservate durante i 25 anni del mio insegnamento; ma non potendo ora, per diverse ragioni, trattare di tutte, ho pensato di cominciare da una delle più sin- golari e oltremodo rare nella storia della teratologia. Questa concerne un caso, occor- somi quattro anni or sono, di formazione soprannumeraria delle sopracciglia, che per le sue particolarità feci ritrarre in un disegno, come si può vedere nella tavola qui unita al lavoro. Aggiungerò ancora che appena osservato il caso, essendo in quel momento intento a ordinare alcuni rari esempi di Zrichiasi e d’ ipertricosi, sembrommi a tutta prima che la Duplicità delle sopracciglia meritasse un posto fra queste anomalie pelose. Ma ben presto m’avvisai che fosse meglio descrivere il caso a parte come speciale anomalia delle soprac- ciglia, staccandolo dalle altre produzioni ipertricotiche, A siffatta anomalia ho dato il nome di « Duplicatio Supercilii » (1) perchè non si avesse a confondere con qualche altra affine, come la « &ifidità delle Sopracciglia », e soltanto esprimesse il raddoppiamento delle medesime, che è quanto dire, la formazione di due distinti ordini di peli sopraccigliari, posti con regolarità e simmetria nella regione sopraorbitaria. E senza fermarmi per ora sulla importanza del caso, passo subito a darne una breve descrizione. il ® * Nel Giugno 1903 fu condotto nell’ambulatorio della Clinica Dermosifilopatica un infante di circa 10 mesi, per essere curato di una malattia cutanea, che manifestamente si rive- lava con i caratteri di eczema e seborrea del cuoio capelluto, eczema estendentesi anche ai padiglioni delle orecchie e alle pieghe del collo. Ma, più che dalla dermatosi, fu la mia attenzione attirata da una anomalia delle sopracciglia che ritenni meritevole di essere descritta. Questa era fatta da un raddoppia- LR e mento delle sopracciglia, le quali si presentavano disposte in due ranghi, uno superiore e l’altro inferiore, divisi tra loro da un piccolo tratto di cute glabra, piana e misurante qualche millimetro in larghezza. Tanto a destra, quanto a sinistra, le doppie sopracciglia sono conformate leesermente ad arco, ed ambedue situate allo stesso livello e perfettamente s mmetriche; nullameno i due ranghi di ogni sopracciglio non sono paralleli fra loro: ma, mentre verso l° interno convergono alquanto, verso 1’ esterno invece divergono. Inoltre è da rilevare un fatto importante, che le sopracciglia inferiori corrispondono esattamente alle arcate sopraorbitarie, e queste chiameremo sopracciglia « normali » 0 « vere »; le superiori sono distanti dal- l’arcata sopraccigliare per mm. 8, o 10, e queste, a mio avviso, sono da ritenersi come « soprannumerarie >. Ambedue i ranghi delle sopracciglia sono formati da peli abbastanza fitti, sottili, di colore tendente al castagno chiaro, presso a. poco come quello dei capelli. La loro dire- zione è varia; dappoichè nelle due sopracciglia inferiori, o cere, i peli vanno dal basso all'alto e dall'interno all’ester n0, laddove in quelle soprannumerarie i peli vanno dall’alto al basso, e alquanto obliquamente dall'interno verso l'esterno. Alcuni peli più sottili, in forma di peluria, trovansi fra i quattro ranghi sopraccigliari in corrispondenza della gla- bella, diretti dal basso all’alto, e divergenti fra di loro. Non havvi alcuna differenza di sviluppo tra l’arcata sopraccigliare destra e quella sinistra. Sollevata la pelle di ciascuno dei due ranghi sopraccigliari, non si avverte in essa alcuna differenza di spessezza, tanto cioè nel rango superiore, tanto nell’ inferiore; nessuna protuberanza, o cresta ossea, si riscontra in corrispondenza di ognuno dei quattro ranghi sopraccigliari. Nei movimenti di contrazione della pelle delle sopracciglia, che fa il bam- bino durante il pianto, non si scorge differenza alcuna nello spostamento dei quattro ranghi sopraccigliari: ambedue, sì da un lato che dall’altro, si spostano contemporaneamente in basso e in alto. Ma nonostante questa anomalia così spiccata delle sopracciglia, appare non alterata la fisionomia dell’ infante e non si nota alcuna asimmetria della faccia. Le palpebre sono regolari per forma, provviste di ciglia normali, soltanto l’ orificio palpebrale si mostra alquanto più ristretto, tenuto conto dell’ età dell’infante; così pure il bulbo oculare appare alquanto più piccolo del normale, per modo che esiste un leggero grado di microftalmia. A colpo d’occhio il cranio del bambino si presenta più grande del normale e piut- tosto sviluppato in alto; tale sviluppo, secondo quanto viene narrato dalla madre, è avvenuto poco dopo la nascita, ma, stando alle affermazioni di questa, il volume del cranio si è arrestato da parecchi mesi. Tuttavolta non v’ ha dubbio che si tratti d° idro- cefalia, certo non considerevole, ma pur sempre ben appariscente incominciata, forse, nella vita endouterina. In accordo con questa alterazione, la madre narra che il bambino ebbe qualche accesso convulsivo, sebbene leggerissimo, nel primo mese di vita: ma d’al- lora in poi non è avvenuto mai più alcun disturbo di questo genere. Del resto, la forma del cranio, quale ci apparve al momento ‘del primo esame, come pure in qualche esame successivo, sì direbbe quella di un acrocefalo. Manca la misura dei diametri del cranio, che in questo caso sarebbe stata di grande Importanza; soltanto, non essendo riuscita la ‘fotografia, potei far ritrarre in acquarello da un abile disegnatore la testa del bambino, per fissare quanto a me interessava, vale a dire, l’anomalia delle sopracciglia. La testa è discretamente fornita di capelli sottili, abbastanza lunghi, specie sul Sin- cipite. Il colore loro è castagno chiaro, ma alquanto meno carico di quello delle sopracciglia. La peluria è poco sviluppata, tranne che nel dorso, ove è più visibile sulle regioni scapolari e nella parte più bassa della regione cervicale. Non havvi alcuna alterazione congenita del pigmento. Nel rimanente del corpo non si nota alcuna altra anomalia; anzi il bambino non solo appare ben conformato, ma si mostra di costituzione robusta. Devo far rilevare che nell’infante non fu trovato alcun segno di sifilide ereditaria: la madre è donna sana e robusta, e lo ha allattato. sempre e continua ad allattarlo. Non presenta alcuna lesione sifilitica, nè pregressa, nè in atto. Essa poi assicura che il marito è sano. Fu prescritta la cura dell’eczema, e fu eseguita la prima medicatura nella nostra Clinica. Rig Se Feci nello stesso tempo calda raccomandazione alla madre, perchè riportasse qualche volta il bambino, sia per certificarmi degli effetti della cura, sia per vedere i possibili cambiamenti nelle sopracciglia. Mi riservavo infatti di riesaminare il bambino, sempre per fissare meglio qualche par- ticolarità dell’anomalia descritta, e soprattutto per convincermi se le sopracciglia sopran- numerarie rimanessero ferme nel loro sviluppo, ovvero in parte andassero incontro ad una involuzione. Dopo cinque mesi potei rivedere il bambino, e trovai che in esso le doppie sopracciglia erano pressa poco nelle identiche condizioni per rispetto alla loro postura e alla loro reciproca distanza, senonchè il rango inferiore sembrommi che tendesse a prendere un maggior sviluppo del superiore. Se questo sviluppo del sopracciglio inferiore (0 vero) potesse un giorno farsi più spic- cato, oppure se il superiore (0 soprannumerario) dovesse subire qualche speciale cambia- mento, era ciò che io desideravo di vedere nelle successive visite all’ infante. Ma non mi fu dato di continuare l'osservazione di un fatto tanto importante, perchè la madre del fanciullo, che aveva promesso di tornare a Bologna, non si fece più vedere dal 1903. L’anomalia sopra descritta interessa soprattutto per la sua rarità, tanto che, quando mi sono imbattuto nella medesima, ho creduto di essere il primo a vederla e a darne per la prima volta la descrizione. Ma cercando un po’ a dentro nelle opere di oftalmojatria e di anatomia, mi fu dato di trovare nel Poirier un cenno di un caso visto da Holub, in cui le sopracciglia erano costituite da una doppia fila di peli. Il caso è riportato in brevi tratti nell’ opera di W. Mackenzie (2), nella quale si dice che Holub ha visto un doppio rango di sopracciglia, di cui il superiore, meglio fornito, partiva da una emi- nenza ossea soprannumeraria. Per togliere siffatta deformità, aggiunge che il chirurgo fece radere le sopracciglia superiori e passarvi tre volte al giorno una soluzione di jJodio, che impedì la riproduzione dei peli (!). Mancano particolarità anatomo-teratologiche che possano dare una descrizione del caso importantissimo, osservato da Holub e da questo riferito, forse verbalmente, al Mackenzie. Spicca soltanto nella fugace descrizione di questa anomalia (come particolarità anatomica notabile) la eminenza ossea sopra- mentovata nelle sopracciglie superiori. Manca però qualsiasi ragguaglio sulla lun- ghezza di questo doppio rango di sopracciglia, sulla distanza loro, sulla loro posizione simmetrica, o asimmetrica, e sul colore dei peli, e non può a meno di sorprendere la scomparsa di questi col metodo curativo sopraccennato. Comunque, questo è l’ unico caso perfettamente identico a quello da me ora descritto, che figuri nella letteratura medica. Tuttavolta non lascierò qui di ricordare qualche altra anomalia delle sopracciglia, la quale potrebbe avere, o una somiglianza, o qualche altro rapporto teratogenetico colla « Duplicatio Supercilii ». E innanzi tutto la duplicità delle sopracciglia si rinvenne non di rado in una grave mostruosità, nel Ciclopismo. Infatti 11 Cornaz (3), nel suo diligente lavoro sulle anomalie congenite del” occhio e dei suoi annessi, afferma in modo reciso che le sopracciglia non sono mai doppie o triple altro che nei Ciclopi. Ma intorno a questa duplicatio Supercilii (e talora anche #riplicatio) nel Ciclopismo è d’ uopo intendersi, perchè non si confonda -— 428 — colla vera duplicità, non complicata da altra anomalia. Infatti nei Ciclopi d’ ordinario avviene il saldamento delle due sopracciglia, o meglio la fusione in uno delle medesime, formando così un solo rango di varia lunghezza e direzione, il quale non sempre occupa la sua normale postura. Talora però le due sopracciglia, nel loro avvicinarsi, non si fon- dono, ma si sovrappongono in parte, formando due canghi, di solito disposti irregolar- mente, o anche in direzione obliqua sull’ arcata sopraccigliare del Ciclope. Ora è troppo evidente che qui si tratta delle due sopracciglia del mostro, le quali, o si sono fuse, o sovrapposte, laddove nella duplicità vera delle sopracciglia, come quella sopramentovata, si ha sempre la formazione di un rango sopraccigliare soprannumerario (4). Un’ altra formazione anomala delle sopracciglia, che merita di esser qui riferita, è il « bifidismo ». Il concetto morfologico di questa anomalia sta in uno sdoppiamento parziale delle sopracciglia nella loro lunghezza, sdoppiamento che può cominciare, presso la testa ed arrivare fino alla coda, ovvero dalla medietà, o anche verso la coda stessa del sopracci- glio; ed è però che il difidismo, anche nei suoì diversi gradi, si distingue sempre dalle Dw- plicatio supercilii, nella quale ì due ranghi sopraccigliari sono interamente divisi fra di loro. Di siffatta anomalia un esempio singolare viene descritto dal Gallenga, e che non trova riscontro nella letteratura teratologica (5). Mi piace riferirlo colle stesse parole del- l’autore: « Si tratta di una anomalia di impianto di peli del sopracciglio, osservata in una A ragazza di 7 annì presentatasi alla Clinica il 1° Luglio 1897. In essa si notava che, « mentre a destra le sopracciglia erano di color castagno, discretamente scuro, e regolar- « mente disposte, a sinistra invece la serie dei peli era disposta secondo una linea quasi « rettilinea di circa 5 centimetri, e all’ unione quasi di % interni con i î4 esterni dal li- « mite superiore si dipartiva una serie di sopracciglia, abbastanza folti ed oscuri diretti « obliquamente in alto e all’ esterno per un tratto di oltre un centimetro. Per questa di- « sposizione la fisonomia acquistava un aspetto abbastanza caratteristico. Si aveva così una » specie di bdifidità del sopracciglio, la quale costituiva la sola anomalia di formazione « riconoscibile in questa ragazzina ». Orbene, tale deformità delle sopracciglia venne qui riferita perchè essa può condarre ad ammettere un possibile sdoppiamento nei due ranghi dei peli sopraccigliari. Ma intorno a tale questione mi fermerò or ora, parlando della teratogenesi della « Duplicatio Supercilii ». Nè, a mio avviso, devesi lasciare senza qualche considerazione |’ « Ipertricosi delle Sopracciglia » : dappoichè siffatta anomalia può talvolta simulare il difidismo e forse la duplicità stessa delle sopracciglia per la disposizione che hanno i peli nel loro impianto. E sotto questo rispetto |’ ipertricosi delle sopracciglia può presentare talvolta, dalla coda fin verso la testa, una divisione abbastanza netta, da pigliare la parvenza del sopracciglio bifido. Non occorre certo che tra queste due parti delle sopracciglia s’ abbia un tratto di cute glabra: basta tener conto della direzione che hanno i peli delle sopracciglia iper- tricotiche (che talora fanno vedere una facile scriminatura), per stabilire questo ca- rattere di analogia, o col « difidismo » o colla « Duplicatio Supercilii ». Vero è che la divisione dei peli d’ordinario è assai varia nelle ipertricosi sia nella testa, sia nel corpo, sia nella coda ; infatti notasi bene spesso verso la testa un certo numero di peli ispidi, — 429 — grossi, talvolta più lunghi e più intensamente colorati degl altri, che sollevansi in dire- zione quasi verticale dal piano del sopracciglio stesso, divergendo alquanto fra di loro. Questi avrebbero il carattere di peli tattili, simili. a quelli delle vibrisse di alcuni mam- miferi. Se non che talvolta notasi una biforcazione verso la coda, ove i peli del rango su- periore si ricurvano ripiegandosi in alto, laddove quelli del rango inferiore si ripiegano in basso verso l’ angolo esterno dell’ occhio. Di solito però, nell’ ipertricosi i peli dell’ ordine superiore ricoprono quelli dell’ inferiore e vengono a sporgere così sotto l’ arcata orbitaria, dando un aspetto truce al soggetto. Una simile disposizione di peli notavasi nelle sopracciglia del Masor, detto 1 uomo peloso. Sebbene la fronte di lui fosse riccamente fornita di peli, nullameno le sopracciglia si mo- stravano assai sviluppate, e una parte di esse, la superiore, tendeva a cadere in basso, ricuoprendo le palpebra. Ma, a proposito del Mason, è d’uopo rilevare che i peli delle so- pracciglia nella è'sufies adnata (come nell'uomo cane russo e nel suddetto Mason), quan- tunque abbondanti e lunghi, sono sempre sottili, setacei, mai irsuti e grossi. Al contrario nell’ ipertr'icosi acquisita le sopracciglia hanno peli grossi, setolosi a guisa dei tattili, e divergenti, specie in corrispondenza della loro testa (6). E qui è d’ uopo rilevare che, se in qualche caso di ipertricosi è facile scorgere a tutta prima una spartizione in due ordini di peli (Aumina pilorum) dalla coda fino presso alla testa del sopracciglio, in guisa da ottenere un lieve grado di difidismo, in altri casi invece, perchè si possa vedere la somiglianza con questo, è d’ uopo studiare con attenzione la di- sposizione dei peli, spartendoli nelle loro naturali direzioni. D’ ordinario però nelle ipertricosi delle sopracciglia la testa delle medesime sfugge ad una biforcazione orizzontale dei peli, 1 quali alla loro volta si dispongono a vortice, ovvero s’ irradiano in alto, formando un flumen divergente. In qualche caso di ipertricosi sopraccigliare i due vortici delle soprac- ciglia si facevano vicini, o si fondevano (SyropAhrys), impartendo una speciale fisionomia grave al soggetto. Queste particolarità delle sopracciglie ipertricotiche ho potuto osservare in più di un caso, scorgendovi una manifesta tendenza al difidismo, e lontanamente una certa correlazione colla duplicatio supercilii. Che se non è possibile riconoscere l’ identità morfologica tra difidismo e duplicatio supercilii, nullameno non può negarsi nel rispetto teratogenetico qualche punto di ravvicinamento, che gli studi successivi metteranno in miglior luce. Altra anomalia, che a tutta prima sembrerebbe che non avesse affinità alcuna colla duplicatio supercilii, ma che con questa potrebbe avere sotto un certo rispetto una qualche analogia, e nella stesso tempo rendere più agevole una spiegazione teratogenetica, è l « Ectopia Supercilii ». Alcuni casi di questa anomalia furono raccolti da oftalmologi e teratologi, i quali della lesione suddetta fecero diversi gradi. A questo proposito mì piace ricordare che il Fuchs in alcuni individui ha visto una posizione anomala delle soprac- ciglia, essendo queste situate in una sede molto più elevata del consueto e talvolta fino a 2 centim. al disopra dell’ arcata orbitaria. Inoltre in questi soggetti il Fuchs notò che non di rado le sopracciglia ecfopiche occupavano un livello differente, in altri termini vi era una asimmetria tra le due sopracciglia (Arc/l. f. Ophtalm. Bd. 31. II). Ora io sono — 430 — d’ avviso che all’ Ectopia supercilii debba essere rivolta nuovamente 1° attenzione del tera- tologo, giacchè in simili casi (senza sollevar dubbio sull’ esattezza degli osservatori) sorge il sospetto che, oltre al sopracciglio ecfopico, esistesse anche in corrispondenza dell’arcata orbitaria, nella sua normale sede, un sopracciglio rudimentale, fatto da scarsi e sottili peli. Del resto questo sospetto non è escluso dalla semplice descrizione dei casi teratologici fin qui raccolti, mancando ricerche in proposito, ricerche che, a mio avviso, meritano di essere fatte nelle osservazioni future. E non solo occorrono ricerche teratologiche, sibbene anche istologiche, dirette a determinare, se vi siano follicoli piliferi rudimentali, provvisti di sottile peluria endofollicolare. In tali contingenze l’ Ectopia Supercilii si avvicinerebbe grandemente alla Duplicatio ; sarebbe per così dire una duplicatio supercilii, nella quale il sopracciglio ectopico avrebbe preso uno sviluppo esagera'o. Del pari sarebbe opportuno mettere in chiaro la disposizione e direzione che hanno i peli del sopracciglio ectopico, per assicurare, se questo fosse costituito dal solo rango superiore di peli, laddove nella sua sede naturale si trovasse il rango inferiore in condizioni atrofiche : allora si avrebbe una bipartitio supercilii, della quale dirò brevemente più tardi. All’ectopia supercilii potrebbero avvicinarsi alcune formazioni anomale, di peli della regione sopraorbitale, alquanto discoste dalle sopracciglia, le quali alla loro volta mostre- rebbero qualche riscontro colla Duplicatio supercilii. A questo proposito dirò che in tre soggetti, forniti di sopracciglia molto rigogliose (che però non potevano dirsi ipertricotiche) ho potuto scorgere, alla distanza di qualche millimetro da esse, alcuni peli robusti, posti in una, 0 due serie non sempre regolari, diretti più spesso dall’ interno verso 1’ esterno, e più raramente dal basso all’ alto in maniera raggiata, formanti un rango non molto fitto che poteva mentire un sopracciglio soprannumerario. In uno di questi soggetti, i peli, benchè radi, sia per la loro robustezza, sia per il colore bruno, formavano un rango ben appari scente da mentire la Duplicatio supercilii. Non ostante tali parvenze, io sono d’avviso che questi non sieno peli sopraccigliari aberranti, o ectopici, ma piuttosto rappresentino un resto dei peli frontali, saliti all’ ipertricosi in uno sviluppo successivo, da considerarsi come accessori, o satelliti, dei sopraccigliari, senza però vestire il carattere della Dupli- catio supercilti. Pertanto alla duplicatio supercilii ho cercato di avvicinare altre anomalie, in appa- renza assai disformi dalla prima; ciò feci, perchè lo studio più diligente di queste possa un giorno portare un po’ di luce nell’ oscura teratogenesi delle duplicità delle sopracciglia. Del resto debbo dichiarare che di altri esempi, identici al mio e a quello di Holub, non si fa menzione nella letteratura medica e nemmeno nelle opere più reputate di Tera- tologia: infatti nessun esempio di queste anomalie rinviensi nelle grandi opere di Otto e di Gurlt. Anche la stessa Storia della teratologia del Taruffi, ove è raccolta una ricca suppellettile di anomalie dell’occhio e dei suoi annessi, non registra il caso di Holub, nè altri esempi di deformità affini delle sopracciglia, come la difidità, 1’ ipertricosi, l’ ectopia delle medesime. Su di queste dovrò tornare più volte, di mano in mano che verrò stu- diando la teratogenesi della Duplicatio supercilii. Ma se noi tentiamo d’ addentrarci nella questione teratogenetica, ci avvediamo subito che mancano fin qui argomenti positivi per trattarla con fondamento scientifico e per ca- varne la spiegazione vera di questa rara anomalia. In mancanza di fatti bene accertati, non ci rimane altro che procedere sulla via delle ipotesi per trovare almeno una qualche interpretazione del singolare fenomeno. Invocare il potere della legge di ereditarietà nella genesi delle anomalie, è cosa tanto naturale per il teratologo, che questo non può a meno di ricorrervi anche per la Dupli- catio supercilii. Ma in simili contingenze è molto difficile mettere in chiaro le condizioni gentilizie degli individui, colpiti da anomalie, dovendo talvolta risalire assai in alto per trovare il germe delle medesime. Nel caso della Duplicatio supercilii occorrerebbe prima vedere, se tale deformità si fosse ripetuta più volte, e in quale grado, negli antenati, e in pari tempo ricercare, se vi fosse stata la doppia influenza dal lato paterno e materno per la riproduzione delle deformità stesse (7). E sotto questo rispetto crescono le difficoltà per la ricerca e l’ accertazione dei fatti, dai quali possa emergere alcun che di ereditario nella genesi della detta anomalia. Comunque, quello che si può dire oggi, è che nel caso di Holub non si fa parola delle condizioni gentilizie dell’ individuo colpito dalla duplicità delle sopraccigiia; e così pure nel caso, da me osservato, (sebbene nulla mi risulti da parte del padre) non rinvenni nulla di anomalo nelle sopracciglia della madre. È neces- saria perciò una osservazione più larga e più attenta nella scala. gentilizia per stabilire l’ influenza dell’ eredità in siffatta anomalia delle sopracciglia, tenendo conto dei minimi gradi della medesima per risalire ai maggiori. Nè per ora ci è dato di ricorrere all’ influenza della innervazione segmentale, o meta- merica, della cute per spiegare la doppia formazione delle sopracciglia. Infatti sin qui non è stata dimostrata che la distribuzione dei peli abbia rapporti diretti coi territori nervosi radicolari, dei quali non in tutte le parti della superficie del corpo è facile stabilire la to- pografia. E, per servirmi delle parole stesse del Van Rynberk: « nella cute del'capo e « dei territori cutanei dei nervi encefalici, la metameria rappresenta dei problemi mor- « fologici troppo complicati », e perciò nella regione frontale e sopraorbitaria non sono stati fin qui determinati nei loro limiti i campi segmertali, e conseguentemente non può farsi un’ applicazione sul valore dei medesimi per la duplicità delle sopracciglia. Per.con- cludere, oggi siamo ben lungi dal vedere elevata a legge la distribuzione mefamerica dei peli, la così detta 2ricomeria, laddove la melanomeria, secondo Haache, sostenuta va- lidamente da Van Rymberk, va ogni giorno più acquistando saldo fondamento (8). Ma se lo sviluppo topografico dei peli sfugge alla metameria della cute, non è però estraneo ai campi nervosi cutanei, i quali possono alla loro volta risultare di più meta- meri. Nelle condizioni fisiologiche della vita fetale lo sviluppo dei peli si farebbe, secondo il Voigt, su certe topografie cutanee che egli chiama « campi pelosi », e più tardi, nella vita estrauterina, i peli vedonsi sviluppare principalmente attorno agli orifici naturali. Gli studi del Voigt, sotto molti rispetti, meritano tutta l’attenzione per lo sviluppo e per Serie VI. — Tomo IV. DI — 432 — l’ assetto definitivo delle topografie pelose sopra certe aree nervose. E, per riguardo alle sopracciglia, secondo lo stesso Voigt e Vl Eschricht, da un punto d’irradiazione, corri- spondente al forame sopraorbitale, ciascun sopracciglio sarebbe diviso in due porzioni di- suguali: l’ interna più piccola (testa del sopracciglio) formata dal /lumen divergente, e l'esterna più lunga (corpo e coda del sopracciglio), dal /lumen convergente. Sotto questo rispetto lo sviluppo delle sopraccigiia nelle due parti, testè ricordate, potrebbe essere in rapporto col punto di uscita del nervo sopraorbitario. Ma siffatta divisione nel senso ver- ticale delle sopracciglia non potrebbe adattarsi a spiegare la genesi delle duplicità delle sopracciglia medesime, o tutto al più (quando queste due parti fossero allontanate) la formazione del Coloboma supercil'i. E nemmeno se tengasi conto dei campi cutanei circoscritti dai nervi frontali, interno ed esterno, possiamo avere, per la loro sede e per il loro decorso, alcuna spiegazione e sulla postura delle sopracciglia soprannumerarie, e sulla loro genesi. In siffatte topografie dei rami del nervo sopraorbitario si ha bene spesso la distribuzione di alcuni mei vasco- lari, pigmentari, e verrucoso-pelosi, disposti verticalmente talora in due zone quasi paral- lele, e mai nella direzione delle sopracciglia duplici. Non basta; talvolta nella regione sopraccigliare s'incontrano rei che hanno contemporaneamente una direzione verticale e trasversa; di questi possiedo un esempio bellissimo in acquarello di un néo verrucoso-pi- gmentario-peloso, il quale con una chiazza allungata sostituisce interamente il sopracciglio sinistro, mentre altre piccole chiazze del medesimo trovansi disposte in direzione verticale lungo il ramo frontale interno della prima branca del trigemino. Del resto, pur ammettendo l° evidente rapporto topografico di alcune produzioni nei- formi pelose e di qualche trichiasi unilaterale, z0riforme, congenita, con un ramo, o con un plesso nervoso periferico, altrettanto non ci è dato rilevare per la duplicatio supercilii. Occorre pertanto entrare in altro ordine di studi e di ricerche per stabilire, se i loco vi sieno condizioni embriologiche ed anatomiche, derivanti queste seconde da altri sistemi, dei quali fin ad ora non si tenne conto, specie del sistema muscolare ed osseo. Ma un ostacolo per siffatte ricerche provenne sempre dalla mancanza (come d’ ordinario sì ri- tiene) delle sopracciglia negli animali, per modo che non fu possibile fin qui uno studio comparativo sulle medesime. Il che però non è esatto: dappoichè, se è vero che nel mas- simo numero dei mammiferi non si possa distinguere il sopracciglio, per lo sviluppo dei peli prossimi, nullameno in alcuno di essi (come nel Camello) vedesi ben distinto e spie- gato (9). Ma havvi di più: negli stessi mammiferi, (e prima di tutti negli antropoidi) durante la vita fetale, si può assistere allo sviluppo delle loro sopracciglia, come una delle prime formazioni pilifere della testa, la quale poi col crescere dei peli prossimi d’ordinario scompare. Ora io non entrerò nelle particolarità di questi studii: ma credo opportuno al- meno di accennarli, perchè se ne possa ricavare un’ utile applicazione all’ argomento della Duplicatio supercilii (10). * O: Riconosciuta l° insufficienza delle interpretazioni sopraccennate, passiamo a vedere, se nelle sopracciglia possa esservi qualche ragione embriologica, per la quale si abbia a ve- ai rificare uno sdoppiamento delle medesime in due serie di peli. Intorno a questo punto però sappiamo soltanto che lo sviluppo dei peli sopraccigliari ha una sede bene stabilita, la quale, secondo le diligenti ricerche di Voigt intorno ai campi pelosi cutanei del feto, sa- rebbe limitata dal campo frontale medio, che si estende dalla glabella alla croce delle sopracciglia. Del pari è noto come i germi pelosi appariscano con ordine cronologico fisso; e in- fatti quelli delle sopracciglie (assieme a quelli della fronte e delle vibrisse) si mostrano nel feto alla XIII° settimana. In base a queste conoscenze, ho voluto investigare la disposizione dei peli e delle so- pracciglia in due feti, dei quali uno era già entrato nel IV° mese, l’ altro era giunto alla fine del V°. Tale ricerca era diretta a stabilire, se i peli delle sopracciglia nel primitivo loro sviluppo s1 disponessero su linee prestabilite, in guisa da costituire nel loro inizio due or- dini; e a questo fine ho fatto numerosi tagli, tanto in direzione orizzontale e tanto in di- rezione trasversa sulle sopracciglia stesse; ed ho potuto certificarmi che, sia nel periodo di sviluppo dei germi pelosi, sia nel periodo di uscita dei peli dall’orifizio del follicolo, si disponevano questi, non già su due linee e in due serie regolari, sibbene si trovavano equidistanti e impiantati alcuni più profondamente, altri più superficialmente e quasi in modo alterno, ma sempre su parecchie linee comprese entro un’area cutanea assai ri- stretta, la quale dapprima contiene la testa del sopracciglio, e di poi ben presto si di- stende per formare il corpo e la coda del medesimo. Questa successiva e graduale forma- zione del sopracciglio dalla testa alla coda ci spiega perchè si trovino peli in diverse fasi di sviluppo nei tagli longitudinali del sopracciglio stesso. Inoltre dalle poche ricerche, fatte in questo primo inizio di sviluppo delle sopracciglia, ho potuto vedere che i peli presentano una sola direzione, obliqua e dall’ alto al basso, di guisa che sarei d’ avviso che dapprima si formasse il rango superiore, o sopraccigliare, e di poi comparisse l’ altro avente peli in direzione opposta. Ma intorno a questo punto oc- corrono più estese osservazioni. Che se nel feto al principio del IV° mese i peli delle sopracciglia non prendono una disposizione ben determinata e, come ho detto testè, distinta ip due ordini, non così si diportano essi più tardi: al VII° e VIII° mese, e più decisamente dopo la nascita, i peli sopraccigliari mostrano di ordinarsi in due file distinte. La qual disposizione deve rite- nersi, tranne rare eccezioni, come una legge nelle sopracciglia umane, laddove negli an- tropoidi, come dirò più tardi, havvi una disposizione diversa, la quale può talvolta ripro- dursi anche nell’ uomo. Ora queste due distinte file di peli, costituenti le sopracciglia, sono determinate dal loro naturale corso verso una data direzione (Amina pilorum): una superiore, o frontale, che ha una direzione discendente, e in essa i peli volgono dall’ interno verso l’ esterno ; l’altra inferiore, o pal/pebrale, ha direzione ascendente e anche in questa i peli vanno dal- l'interno verso 1° esterno. Per tal modo i peli sopraccigliari vengono ad incontrarsi colle loro punte verso la linea mediana in una specie di spina di pesce. La unione dunque di queste due file di peli formano il soppracciglio nello stato — 4394 — che noi chiamiamo normale, perchè questa è la più comune maniera di costituirsi delle sopracciglia stesse. ‘Tutto questo è di facile osservazione, come bene avverte il Perusini (10), specie dopo qualche anno dalla nascita, e soprattutto nei giovani, nei quali le due serie di peli, (Aumina pilorum), sono talvolta perfettamente distinte dalla testa alla coda delle soprac- ciglia. Vero è che l’ età (soprattutto nei vecchi), l’ ereditarietà e principalmente la razza influiscono grandemente sulla quantità, sulla direzione e sulla diversa disposizione dei peli delle sopracciglia. Ma anche alle anomalie primitive delle sopracciglia (per es. 1’ ipertricosi di queste) o a quelle dell'occhio e de’ suoi annessi devonsi bene spesso svariate altera- zioni nella direzione e disposizione delle sopracciglia medesime. E sotto questo rispetto anche la: conformazione delle sopracciglia degli antropoidi potrebbe avere la sua impor- tanza per le possibili analogie colle sopracciglia umane. E qui stimo opportuno di dire brevemente quale sia la disposizione dei peli nelle so- pracciglia degli antropoidi. A dir vero gli studi in proposito sono tutt’ ora poco progre- diti: possiamo soltanto stabilire, in base alle ricerche del Denicker (11), che negli an- tropoidi la costituzione anatomica delle sopracciglia si mostra assai ben distinta durante la vita fetale, laddove nell’ animale uscito alla luce, i peli delle parti circostanti, confon- dendosi con quelli delle sopracciglia, non lasciano più vedere i caratteri delle medesime, come si è detto anche per altri mammiferi. Pertanto, secondo il Denicker, nel feto del gibbone il sopracciglio è fatto da un doppio ordine di peli: di questi gli imn’'erniì si diri- gono in alt), divergendo colle loro punte in forma raggiata: gli esterni volgono all’ in- fuori, e vanno obliquamente verso l’ esterno, terminando in coda. Osservando la tavola XXII (tolta da una fotografia), unita alla memoria del Denicker, è facile riconoscere che i due soprammentovati ordini di peli, formanti le sopracciglia del gibbone, corrispondono a due Aumina, flumen divergente superiore (peli interni), Aumen inferiore (peli esterni). Orbene, ammessi questi due Awwxina nelle sopracciglia del gibbone, possiamo per analogia avvicinare siffatta disposizione a quella dell’uomo, seguendo l’Eschricht e il Voigt, i quali, come si è detto più sopra, ammettono che da un punto d' irradiazione corrispondente al forame sopraorbitale, ciascun sopracciglio umano venga diviso in due parti impari, una inferza, piu piccola (Aumen divergente) ed in parte ascen- dente, ed una esterna (flumen convergente). Sotto questo rispetto, come ben si vede, vi sarebbe analogia di conformazione fra le sopracciglia dell’uomo e quelle degli antropoidi durante la vita fetale di questi. Ma a vagliare bene questa analogìa occorrerebbe verificare se nel gibbone il fiumen divergente superiore corrisponde al forame sopraorbitale: su di che mancano osservazioni apposite. Del pari importerebbe conoscere se l’ordine esterno dei peli sopraccigliari (flumen esterno, o inferiore) del gibbone sia costituito da uno o due ranghi; ma di questa particolarità non havvi alcun cenno nel lavoro del Denicker. In ogni modo, prescindendo anche da queste particolarità anatomiche del gibbone, ciò che spicca come carattere differenziale nelle sopracciglia dell’uomo è che il /wmen divergente superiore ha una sede diversa ed un’ estensione minore che non negli antropoidi: infatti, il fiumen divergente è assai ie piccolo (Eschricht e Voigt), e trovasi sulle estremità della testa del sopracciglio umano, facendo continuazione con questo, mentre nel gibbone il detto flumen (peli interni di Denicker) formano un’ espansione assai estesa sul flumen inferiore (peli esterni). Di siffatte differenze fra le sopracciglia dell’uomo ‘e ‘degli antropoidi, devesi tener conto nello studio ‘delle anomalie di queste parti; dappoichè si verifica talvolta una certa disposizione dei peli nelle sopracciglia umane, che. può richiamare quella studiata nel gibbone dal Denicker. Ed è perciò che ricerche più precise fatte sulla guida di quelle del Denicker nel sopracciglio degli antropoidi, potrà anche meglio illustrare il bifidismo e la duplicatio supercilii. Ciò premesso, tornando alla spiegazione dell’ anomalia sopradescritta nella duplicatio supercilii, può senz’ altro esser posta innanzi l'ipotesi che le due fila di peli siensi allon- tanate, formando due distinti ranghi; in altri termini, due sopracciglia. Vedremo più tardi quali fattori abbiano potuto operare questa spartizione, ed allontanamento delle due. fila di peli. Comunque il concetto di uno sdoppiamento delle sopracciglia umane a tutta prima si adatta bene alla interpretazione della dupl'catio supercilii. Infatti, riandando brevemente sulla storia del caso sopraesposto, si trova che il sopracciglio inferiore, o vero, era fatto da peli in direzione ascendente, e il superiore da peli in direzione discendente. Per questa duplice direzione dei peli, trovata nel nostro infante, ne consegue che i due ranghi soprac- cigliari del medesimo, quando fossero idealmente riuniti, verrebbero a formare un soprac- ciglio intero. Ecco perchè l'ipotesi dello sdoppiamento delle sopracciglia normali apparve subito alla mia mente bene appropriata alla interpretazione del singolare fenomeno. della duplicatio supercilii. J * * Ma se lo sdoppiamento autoctono delle sopracciglia (Bipartitio supereilii) ci appare a tutta prima molto verosimile, non così agevole si presenta lo studio dei fattori che po- trebbero in diverse maniere determinarlo. In siffatta disamina non si può procedere che per via di ipotesi, dando la preferenza a quelle che più davvicino possono sussidiarci nella spiegazione della genesi di questa anomalia. Innanzi tutto mi pare di necessità rivolgere l’attenzione a qualche anomalia dei mwu- scoli delle sopracciglia e principalmente del muscolo sopraccigliare (12) che, sebbene fisso interamente allo scheletro, serve tuttavia a corrugare la pelle del sopracciglio stesso. Ora sì può pensare che la divisione, o in due ventri, o in più fasci del muscolo sopraccigliare possa portare lo sdoppiameuto delle sopracciglia, allontanando, mercè stiramento della pelle, le due fila sopradescritte dei peli. Infatti il Double (8) ha raccolto alcune anomalie del Sopraccigliare, avente una divisione longitudinale in un certo numero di fascicoli separati. In questo caso i fasci di inserzione all’ arcata sopraccigliare possono essere, o carnosi, 0 ten- dinei. Ma nonostante la dimostrata esistenza di questa anomalia del sopraccigliare, nulla- meno non ci è nota l’ influenza di questo muscolo sulla duplicatio supercilii. Anzi nei pochi casi, fin qui descritti, di divisione del muscolo sopraccigliare non è fatta menzione di alcuna anomalia delle sopracciglia. Rispetto poi al caso sopradescritto si fece già rilevare che nei — 436 — momenti di contrazione delle sopracciglia, fatte dal bambino durante il pianto, notavasi lo spostamento contemporaneo di ambedue i ranghi sopraccigliari, sì da un lato, sì dal- l’altro, fatto che non si potrebbe avverare se il muscolo sopraccigliare risultasse di due ventri distinti ed autonomi. Ciò che si è detto per il muscolo sopraccigiiare vale anche per il muscolo occipito-frontale e per l’orbicolare, i quali possono anch’ essi presentare la stessa anomalia, rispetto alla divisione dei loro fasci muscolari. Ma è d’uopo ancora tener conto della parte scheletrica nella teratogenesi della Du- plicatio supercilii, per vedere quale influenza possa avere quella su questa. E qui ci si offre allo studio un gruppo di anomalie del frontale e principalmente di quelle fatte dalla presenza di creste ossee, di suture soprannumerarie, o di fori molteplici, o anche di fes- sure e di fontanelle frontali (13). Quale fattore della duplicità del sopracciglio potrebbe essere ricercato in una rileva- tezza, o cresta ossea, la quale, sviluppatasi al disotto e in corrispondenza dell’ area so- praccigliare, determinasse la divisione dei due ranghi delle sopracciglia Siffatta cresta ossea potrebbe anche svilupparsi al disopra, e alquanto a distanza, del sopracciglio, pro- vocando nella pelle sovrastante la neoformazione di un altro ordine di peli. Il che però non trova alcun appoggio nel caso sopradescritto; dappoichè di creste ossee non si rin- venne traccia alcuna, sia fra i due ranghi sopraccigliari, sia in corrispondenza del soprac- ciglio soprannumerario. Del resto, come testè si è detto, non è inverosimile che la for- mazione di una cresta ossea, (paragonata per un momento al margine superiore dell’orbita), portando quasi uno stimolo neoformativo al disotto della cute, possa influire sulla produ- zione di nuovi pali e, conseguentemente, di un sopracciglio soprannumerario. Infatti nel caso descritto da Holub, il sopracciglio superiore partiva da una eminenza ossea; e seb- bene la descrizione di questa eminenza manchi di quelle minute particolarità, atte a far conoscere i rapporti col rango sopraccigliare superiore, nullameno non si deve negare ad essa un qualche valore nella genesi di questa anomalia. Ma occorrono nuovi fatti, identici, o analoghi a quelli di Holub, prima di stabilire con sicuro fondamento siffatta correlazione. Che l’ osso frontale possa presentarsi talvolta diviso in più pezzi, dei quali uno rap- presenti l’ osso sopraorbditale, anche dagli antichi anatomici se ne fece menzione; i primi a darne un cenno furono l’ Albinus e il Kerckring, i quali però videro soltanto nel feto la divisione dell’ osso frontale in diverse parti. Devesi però al Maggi uno studio si- stematico sul frontale e la descrizione dell’ osso sopraorbitale in molti animali, perfino in alcuni antropoidi e nell’ uomo stesso. Con queste ricerche anatomiche comparative il Maggi ha precisato meglio l’ autonomia delle ossa sopraorbitali, stabilendo nei mammi- feri, che ciascun sovraorbitale sta nella parte superiore dell'orbita e, più precisamente, nella cintura ossea orbitale, unentesi in sutura col frontale medio, tra il prefrontale e il postfrontale, coi quali pure trovasi in sutura. Siffatta anomalia, assai rara nell’ uomo, merita di essere presa in considerazione per la genesi della duplicità delle sopracciglia, potendo anch’ essa, sia per l’ autonomia dell’ osso sopraorbditale, sia per la sutura sopra- orbito-fronto-mediana (Maggi) a cui dà luogo, influire sulla formazione di un nuovo sopracciglio, o sullo sdoppiamento del medesimo in due ranghi. i, Ma siffatti rapporti teratogenetici fra la parte scheletrica dell’ orbita e la produzione di sopracciglia sopranumerarie, possono ricercarsi in altre anomalie del frontale come in quelle testè ricordate, fatte da deiscenze, fessure e fontanelle, in corrispondenza delle quali possono svilupparsi raccolte di peli. Infatti chi ignora come la trichiusi sacrale, dorsale, e cervicale sia stata trovata fin qui in relazione con la spina bifida, o manifesta, o occulta ? Troppi ermai sono gli esempi raccolti dalla teratologia per poter sollevare dubbii sull’ori- gine di queste trichiasi: anzi la stessa anomalia trichiasica si rinvenne in casi di fonta- nelle craniche anomale, come pure di meringocele, e d’ idromeningocele, di guisa che oggidì per il numero delle osservazioni deve riconoscersi che le aperture anomale delle ossa (specie la spina bifida) sono altrettanti fattori delle trichiasi (14). Venendo ora alle sopracciglia soprannumerarie e per un momento riportandole alle trichiasi, è facile vedere in queste una certa analogia con quelle. In base a tale concetto noi possiamo ammettere la seguente ipotesi: come la trichiasi sacrale, dorsale, cervicale trovasi in rapporto colla spina bifida, così lo sviluppo delle sopracciglia soprannumerarie può avere lo stesso rapporto di origine da persistenti fontanelle e fessure frontali. Siffatto modo di vedere è pienamente giustificato dallo sviluppo maggiore e più duraturo di capelli intorno a fontanelle craniche, o ad ernie del capo, come nel meningocele. __ Ma per tornare alle fessure, mi piace qui rilevare che questo stesso concetto e- ratogenetico fu espresso dal Gallenga per la difidità sopraccigliare; colla quale, come dissi più sopra, ha qualche analogia la Duplicatio supercilii. A tal proposito credo utile riferire qui le stesse parole dell'autore: « se si tien conto di quanto si sa sullo sviluppo « della faccia, e specialmente sulle fessure oblique che si continuano al fronte prima del- « l’ unione dei vari processi, che convergono attorno alla regione oculare, si può pensare « che in corrispondenza di questo punto del sopracciglio si abbia avuto un ritardo di sal- « datura di poca ‘entità, di breve durata e che in conseguenza di ciò si abbia avuto in « seguito un ostacolo allo sviluppo regolare dei peli della parte esterna del sopracciglio, e « che di essi una parte diventati ettopici si sieno disposti anormalmente in direzione verso « l’alto e l’ esterno ». Con questo modo di vedere intorno all’ origine delle difidità del sopracciglio, io mi accordo pienamente : e del pari sono d’ avviso che la presenza di fes- sure, di fontanelle, di deiscenze frontali possa fornire una qualche spiegazione intorno alla genesi della duplicità delle sopracciglia, tenuto conto della somiglianza di detie anomalie colla spina bifida. Ma qui si fanno innanzi alcune questioni : 1° Quali sieno queste fessure, e quale sia la loro frequenza e quale la loro direzione: 2° Se le fontanelle e deiscenze frontali possano equivalere le fessure: 3° Se nel caso sopradescritto vi fosse qualche fatto che potesse far sospettare o ammettere alcune delle anomalie ossee sulla regione sopraccigliare : 4° Se per la Duplicatio supercilii occorra sempre una delle descritte anomalie della parte scheletrica sopraorbitaria. Rispetto alla prima questione è d’° uopo subito rilevare che le dette fessure oblique della faccia continuantisi nella regione frontale, sono dovute alla mancanza di saldamento — 438 — dei vari bottoni, componenti la faccia stessa, e anche di quelli che convergono at- torno all’ orbita, ed è su queste anomalie che si appoggia l’ ipotesi del Gallenga per la bifidità del sopracciglio. È noto infatti che in corrispondenza della coda del sopracciglio formansi non di rado cisti dermojdi e altre produzioni anomale, le quali sono in diretto. rapporto con resti della fessura facciale obliqua. Ora è in questa stessa sede che avviene la difidità del sopracciglio, e ammettendo che in maniera eccezionale 1° estremità della fessura obliqua si estenda con una porzione riflessa e in direzione orizzontale al disopra dell’ arcata orbitaria, potrebbe anche svilupparsi sulla medesima un sopracciglio soprannu- merario. Però se la permanenza dell’ estremità della stessa fessura può spiegarci la genesi della bifidità del sopracciglio, non può per ora adattarsi alla spiegazione della dupli- catio supercilii, in quanto che per questa occorre ammettere, come altra condizione anomala, un prolungamento della stessa fessura al disopra dell’ arcata orbitaria. Di questa singolare particolarità teratologica (sebbene sia molto verosimile) non fu data fin qui alcuna dimo- strazione anatomica, ed è per ciò che siamo sempre nel campo delle ipotesi. D'altra parte non è inverosimile che le fessure suddette possano anche essere sosti- tuite da piccole fontanelle soprannumerarie, delle quali una assai frequente fu rinvenuta in vicinanza della radice del naso negli idrocefalici, e per ciò denominata fontanella naso-frontale, o glabellare; ma questa, come si vede a tutta prima, non può per la sua sede entrare nella questione della Duplicatio supercilii. Potrebbero però fare lo stesso uf- ficio altre aperture craniche, sia dovute a ernie del capo (crarioschisi), già sopra descritte, sia a forami molteplici, posti in serie nella regione sopraorbitale, sia anche a suture, sic- come si è detto nella persistenza dell’ osso sopraorbitale. Certo è che siffatte anomalie sono piuttosto rare negli animali, rarissime nell’ uomo: ma nullameno, sono tutte quante fra loro morfologicamente affini: e come esse sono tenute in conto per lo sviluppo delle trichiasi, così potrebbero invocarsi nella genesi della Duplicatio supercilii. Rispetto poi al terzo punto, è facile dedurre, dalle cose dette più sopra, di quanta importanza sarebbe dare una dimostrazione positiva di tutti questi fatti anomali, pas- sati in rassegna, dai quali può derivare la duplicità delle sopracciglia. Ma nel caso sopradescritto non si potè fare alcuna investigazione anatomica per assicurare |’ esi- stenza di alcuna delle varie anomalie sovramentovate. Nullameno ho stimato opportuno di tenerne conto come di possibilità teratologiche, capaci di portare sopracciglia sopra- numerarie. Forse un giorno sarà possibile tale dimostrazione sul vivo per le parti dure, profittando della radiografia, mercè la quale furono disvelate tante e sì minute particola- rità delle ossa, da chiarire la genesi di alcune alterazioni di queste e dei tessuti circostanti. Venendo ora all’ultima questione dobbiamo rispondere, dopo le cose dette più sopra, che se è giusto ammettere il possibile intervento di una delle suddescritte anomalie della parte scheletrica sopraorbitaria per spiegare la teratogenesi della Duplicatio supercilii, non è altrettanto agevole dimostrare praticamente la correlazione di essa con la Duplicatio mede- sima. E sotto questo rispetto la questione teratogenetica può formularsi nel modo seguente: « Lo sviluppo topografico delle sopracciglia é costantemente legato alla formazione dell 0r- bita, e perciò dell’ arcata sopraorbitaria >»? Costantemente no: ecco la risposta che sca- — 439 — turisce netta dall’ osservazione anatomica: dappoichè in alcuni casi di Ciclopia « le soprac- ciglia erano indicate ul luogo naturale » come afferma il Riviera (15), e come rinvenne il Littré (10). Il fatto deve essere molto raro: poichè tranne questi due autori, non mi fu dato di trovare altri teratologi che nei casi di Ciclopia avessero notato le sopracciglia nella loro sede naturale. Comunque questi pochi esempi sono sufficienti a dimostrare che siffatta correlazione fra lo sviluppo della parte scheletrica dell'orbita e lo sviluppo del sopracciglio non può elevarsi a legge (11). Del pari anche la stessa Ectopia supercilii verrebbe a mostrare che non sempre v’ha rapporto topografico fra lo sviluppo del sopracciglio e la presenza dell’ arcata sopraorbi- taria. Ma, siccome ho fatto rilevare più sopra, io ho sollevato qualche dubbio sulla man- canza del sopracciglio vero nei casi d’ Ectopia, ritenendo piuttosto che in corrispondenza dell’ arcata dell’ orbita esista un rudimento del sopracciglio normale, costituito da sottilis- sima peluria. Tuttavolta questi rari esempi, che si allontanano dalla consueta legge di correlazione anatomo-fisiologica fra la parte cutanea e la parte ossea dei Ciclopi umani, non possono togliere valore alla legge stessa, in quanto che nelle condizioni normali è troppo evidente la topografia di sviluppo delle sopracciglia sull’ orlo superiore dell’ arcata orbitaria: in altri termini, havvi una corrispondenza costante fra la cintura ossea superiore dell’ orbita e la comparsa su questa delle sopracciglia. E tornando allo sviluppo delle sopracciglia sopra- numerarie (lasciata in disparte la rara discordanza che s° incontra nella Ciclopia fra la sede delle sopracciglie e la formazione dell’ orbita), non ci sembra inverosimile che qualche anomalia della parte scheletrica della regione orbitaria possa portare questa condizione anatomica cutanea, che si estrinseca colla Duplicatio supercilii. * *& * Ma non voglio lasciare questo studio teratogenetico senza fermarmi brevemente sul- l’importanza dell’ acrocefalia nello sviluppo della Duplicatio supercilii. Come risulta dalla storia clinica, l’idrocefalia di modico grado, forse incominciata durante la vita endouterina dell’ infante, deve avere certamente influito a imprimere al cranio del medesimo la forma acrocefalica abbastanza spiccata. Ora è qui giustamente, che verrebbe fatto di domandare, se l’ acrocefalia avesse potuto produrre lo sdoppiumento (\bipartitio) delle due sopracciglia normali. Il che riescirebbe facile a comprendersi, supponendo che siffatto sdoppiamento fosse provocato dalla distensione che, per lo stato idrocefalico, ebbe a soffrire d’un tratto la pelle del sopracciglio, allorchè sviluppossi maggiormente il cranio nel suo diametro ver- ticale. Ma se l’ ipotesi appare a tutta prima verosimile, non ha però nei casi d’ acrocefalia l’ appoggio di fatti, riguardanti, o la duplicità delle sopracciglia, o altre anomalie delle medesime. Tuttavolta ho voluto raccogliere anche questa particolarità anatomica del capo per le future osservazioni sulla Duplicatio supercilii. Oltre l’ acrocefalia, possono derivare dall’ idrocefalia (16) anche i sopraricoraati vizi di formazione del cranio per mancato saldamento delle suture, come fessure, forami mol- teplici e fontanelle. Di queste ultime principalmente frequente è la sopramentovata fonta- Serie VI — Tomo IV. 58 — 440 — nella naso-frontale, o glabellare (Vestut). Ma se tutte queste anomalie possono trovarsi in correlazione coll‘ idrocefalia, non può dirsi altrettanto (almeno per ora) che da esse debba necessariamente derivare nel caso sopradescritto la Duplicatio supercilii. Merita in fine che sia fatto cenno della Micruftalmia (17), che nella storia del caso sopranarrato viene registrata di grado leggiero. Siffatta anomalia fu trovata dai teratologi in condizioni assai differenti e per cause di varia natura. Ma restringendo la questione al caso speciale, qui mancano argomenti per mettere in rapporto il Microftalmo colla Du- plicatio supercilii; tuttavolta ambedue queste anomalie oculari possono trovare un qualche legame coll’ idrocefalia. Nella grande opera di Otto l’ idrocefalia era accompagnata da Anoftalmo dell’ occhio sinistro, da sopracciglie piccole e da labbro leporino. Potrei aggiun- gere io stesso un caso d’ idrocefalia con anomalie del padiglione, con microcriptoftalmo, con microblefaria, con teratomi preauricolari.... A questo proposito mi sia concesso di accennare ad un lato della questione sulla Du- plicatio supercilii, procedendo per via indiretta nello studio delle anomalie per difetto delle sopracciglia. Infatti non poca luce potrebbe venirci, in tanta oscurità di argomento, da ri- cerche sistematiche fatte principalmente nella mancanza totale, o di parti delle soprac- ciglia, avvenuta nei casi di microcriptoftalmo, e di anoftalmo.... In tali contingenze non dovrebbe trasandarsi l’ esame anatomico rigoroso dei muscoli, e specie del sopraccigliare, di cui ho parlato più sopra nella teratogenesi della Duplicatio supercilii: dappoichè la mancanza, il diverso grado di sviluppo, e la divisione in fasci dei muscoli di detta regione potrebbero influire sulla genesi delle varietà anomale delle sopracciglia. Or bene sono ci- tati in teratologia molti casi di anomalie del bulbo oculare (micro-cripto-anoftalmo) con varie deformità delle sopracciglia senza che sia tenuto conto dei muscoli e della parte scheletrica. Ponendo termine alle molte discussioni teratogenetiche, alle quali sono stato condotto dallo studio del singolare caso sopradescritto, stimo non inutile qualche considerazione ge- nerale sulla Duplicatio supercilii. Quale sia coll’ andar degli anni la sorte ultima, riservata alle sopracciglia soprannu- merarie, non è dato per ora di stabilire, perchè troppo pochi sono gli esempi di siffatta anomalia. Si potrebbe pensare a molte possibilità : e dapprima alla loro scomparsa spon- tanea per atrofia, siccome avviene di altre produzioni accessorie congenite. Ma di questo esito non abbiamo alcuna prova certa, e il ricercarlo porterebbe a stabilire in quale età potrebbe pur avvenire questa scomparsa. Ora nel caso di Holub, quale è riferito dal Mackenzie, si afferma (senza far parola dell’ età del paziente) che la scomparsa delle sopracciglia accessorie fu provocata mercè rasure ripetute delle medesime, trattando nello stesso tempo la parte rasa con pennellature di tintura di jodio fino ad ottenerne l’ atrofia dei peli. Da ciò si potrebbe arguire che le sopracciglia accessorie nel caso di Holub non avessero una grande persistenza, tanto che con intervento curativo molto semplice sì ottenne la loro scomparsa. Tale esito però lascia non pochi dubbi, sapendo le difficoltà che si incontrano anche oggi nella cura delle trichiasi, mettendo in opera potenti mezzi fisici. — ‘441 — E che può dirsi di altre possibilità? Se le sopracciglia soprannumerarie si mantengano nelle stesse proporzioni per tutta la vita, ovvero prendano un più rigoglioso sviluppo, 0 sì fondano insieme colle sopracciglia vere per l’ intervento di nuovi peli, fino a terminare coll’ ipertricosi, è tutto ciò che rimane ancora a dimostrare. Intanto nel caso da me de- scritto le sopracciglia soprannumerarie, dopo alcuni mesi dalla prima visita, non mostravano alcuna riduzione, sebbene apparissero alquanto più piccole per uno sviluppo maggiore delle sopracciglia vere. Quale significato possa darsi alla Duplicatio supercilii, è difficile per ora poterlo sta- bilire con qualche fondamento scientifico. Nel rispetto antropologico si potrebbe dapprima pensare che siffatta anomalia rappre- sentasse un fatto degenerativo, come è stato ammesso da alcuni per la confluenza delle sopracciglia (Syrophryon), per l ipertricosi sopraccigliare e per i vortici sopraccigliari e supercilio-frontali. Ma intorno alla fusione delle sopracciglia e ai vortici supercilio-frontali sembra, secondo gli studi del Perosini, che sia stato esagerato di troppo, nel considerare questi vizi come caratteri degenerativi; le stesse riflessioni possono farsi per l’ ipertricosi sopraccigliare. Rispetto poi alla Duplicatio supercilii, oltre che occorre un maggior numero di casi per studiare le varietà e vagliarne il significato morfologico, teratogenetico e an- tropologico, è d’ uopo per ora tener conto, che nelle razze umane non ha riscontro alcuno l'anomalia suddetta, tranne che lontanamente nel difidismo delle sopracciglia; e se è vero che presso qualche popolo si trovano le fronti umane totalmente coperte da peli di varia lunghezza e disposizione, nullameno non si rinvennero in esse, nè difidismo, nè Duplicatio supercilii. Per concludere, la Duplicatio supercilii, anche perchè accompagnata da altre ano- malie (acrocefalia, microftalmia) è da ritenersi per ora come una produzione teratologica, anzi che come un carattere degenerativo per l’ individuo, che n’ è colpito (18). Certo è che uno studio più esteso intorno al difillismo delle sopracciglia nei suoi di- versi gradi potrà un giorno verire in aiuto per rivelarci in qualche modo il significato morfologico della Duplicatio supercilii. Del pari ricerche comparative, fatte sullo sviluppo delle sopracciglia degli antropoidi e di alcuni mammiferi, durante la loro vita fetale, sarà di qualche utile applicazione nella interpretazione di alcune anomalie delle sopracciglia umane non che di quella, da me descritta. Finalmente, che la Duplicatio supercilii possa dirsi | indice di una abnorme ricchezza del sistema pilifero, i fatti raccolti fin qui non verrebbero in appoggio a tale ipotesi : dappoichè tanto nel caso di Holub, quanto nel mio non si ebbe un eccesso di sviluppo nei peli del corpo. 1 Dopo ciò non rimane, come fatto positivo nel caso sopradescritto, che la Duplicatio supercilii siasi formata per uno sdoppiamento (bipartitio) di ambedue gli ordini di peli sopraccigliari (/lumina pilorum), fatto che ancora è d’ uopo studiare come anomalia, dap- prima nelle sue varietà, e di poi nella sua feratogenesi. fo NOTE (I) Zatorno alle voci Duplicatio e Bipartitio. — La voce Duplicatio (e dicesi anche triplicatio, quadruplicatio), tolta da me per esprimere la duplicità delle sopracciglia, è usata da Seneca e da Ulpiano, per modo che non v'è questione sulla schiettezza e bontà della medesima - (Forcel- lini - ZTotius Latinitatis Lexicon). Inoltre essa si adatta a significare genericamente la formazione di due file sovrapposte di peli, aventi i caratteri di sopracciglia. Ma non esprime la maniera di formazione di questi due ordini di peli sopraccigliari. Il che po- trebbe essere diverso nei diversi casi. Ora come ho detto più sopra, la Duplicatio supercilii si ebbe a formare nel caso sopranarrato per uno sdoppiamento delle sopracciglia normali nei suoi due fiumi, per modo che la Duplicatio non sarebbe altro che una Bipartitio supercilii. E qui è d’ uopo rilevare che la voce latina Bipartitio non è registrata nei Vocabolari classici, mentre in questi si cita il verbo dipartio, bipartitus: nullameno trovasi la voce partitio usata da Cicerone (in Ant.) e da altri, cosicchè coll’ aggiunta della numerale dis può formarsi il composto bipartitio senza perdere nulla della sua classica dignità. Dopo ciò si potrebbe osservare che la denominazione di Duplicatio supercilii dovesse essere sostituita dall’ altra Bipartitio supercilii, essendo che questa ci sta a significare il modo di sviluppo della dupli- cità delle sopracciglia. Or bene, siffatta sostituzione non può essere accettata: dappoichè la denomina- zione Duplicatio supercilii è più comprensiva e, nello stesso tempo, più significativa nel dare il concetto preciso della duplicità. Infatti la voce Bipartitio, oltrecche più ristretta, potrebbe riuscire equivoca ; basterà rilevare che essa potrebbe farci credere ad una divisione parziale del sopracciglio (bi/iditd), ovvero totale, ma in direzione trasversa (coloboma): in una parola ci condurrebbe a ritenere che la Duplicatio sia sempre una Bipartitio. Il che per ora non possiamo ammettere in maniera assoluta. Che se nel caso sopradescritto la divisione del sopracciglio si operò mercè lo sdoppiamento dei due fiumi sopraccigliari, in altro caso la duplicità potrebbe vperarsi in altra maniera. (2) Mi piace di riferire qui il brano, contenuto nell’opera del Mackenzie, in cui è descritto il caso di duplicità delle sopracciglia, caso che non sembra sia stato pubblicato da Holub, ma da questo soltanto comunicato verbalmente al Mackenzie stesso: perciò il brano suddetto sarebbe 1’ unico do- cumento storico intorno al medesimo. Chap. Ill - Maladies du sourcil et des paupières - Section I.”° - Abnormites congenitales - pag. 141. - Tom. Iv ... dans un cas, Holub a vu une double rangée de sourcils, la supérieure, mieux fournie, par- tant d’ une éminence osseuse surnuméraire. Ce chirurgien y remedia en faisant raser les sourcils supé- rieurs et passer trois fois par jour une solution d’jode, qui empecha la reproduction de ces poils. — W. Mackenzie - Traité pratique des maladies de l Oeil - Quatrième édition - Paris, 1856 - Traduite de l’ Anglais et augmentée de notes par le Doct. E. Warlomont et A. Testlin - O IE IE, (3) E. Cornaz. — Des abnormités conginitales des Yeua et leurs annewxes - (Losanne 1848). Cap. VI - Paupières et leurs pourtowrs, pag. 28. L'A. ha raccolto nella sua memoria un ricco materiale teratologico sull’ occhio, che sebbene d’ori- ginale contenga ben poco, nullameno può riescire di molta utilità a chi si occupa di questo genere di studii. Rispetto alle sopracciglia, lA. discorre brevemente di una certa duplicità nei Ciclopi, che però, come ho fatto rilevare più sopra, non è quella da me descritta nel presente lavoro. Comunque nel rav- vicinamento e fusione delle quattro palpebre può verificarsi un accostamento e anche una sovrapposi- zione delle due sopracciglia, sebbene, come io ho descritto, queste possono rimanere nella loro naturale sede, nonostante che le orbite fuse siano portate alla base della fronte e in corrispondenza Sea della glabella. Tuttavolta nei casi di Ciclopismo occorre una maggiore attenzione sulla postura e direzione delle sopracciglia. (4) Voglio qui ricordare, come pura curiosità storica, che l’Aldrovandi (*) nel suo Atlante inedito « Parte dei Mostri », riporta la figura cromolitografica di un Ciclope, la quale non è stata fatta disegnare dall’A., ma tolta dal medesimo (a quanto pare) da un opera di viaggi scritta in dialetto veneto. In questa figura, certamente parto di pura fantasia, è disegnato il Ciclope coll’ occhio in fronte, e col naso normalmente costituito; bastano questi due soli fatti per mostrare la falsità della rappre- sentazione. Rispetto al sopracciglio, questo sembra nel disegno assai sviluppato, e ciò, che più spicca in esso, è una porzione riflessa che a guisa di coda curva sale da sinistra a destra, formando un secondo sopracciglio. Ma questa duplicità potrebbe essere semplicemente apparente, dovuta ad una specie di ruga frontale, continuantesi col sopracciglio, frutto anche questo della fantasia del disegna- tore. Ecco le parole che trovansi sotto la figura del Ciclope: » Sopra lisola probana si trova tale creature humane, ma sono male formati, hanno ghabe curte, spale alte, collo sutile, el capo gradissimo cò unochio in fronte, vanno trovando soglie et altre belle cose, sono fieri et bestiali, é6no cognoscono quale sia maschio o femina se né quando sono gravide, vano nudi e vivono di cose selvatiche, e nò bevono se nò rosada, no hanno orechie, ma aldono sutilmente, ct una certa generatione de tavani li da gradissimo fastidio, stano nel sadio ascosi tato che quelli tavani passono sopra lisola ». (5) C. Gallenga. — Cenni statistici sulle alterazioni congenite dell'occhio e dei suoi annessi, osservati nella Clinica di Parma dal 1889 al 1900. (Comunicazione fatta all’ Associazione Medico -Chirurgica di Parma nella seduta del 27 giu- gno 1902) - Parma, Tip. R. Pellegrini, editore. (6) Zpertricosi acquisita universale. — È il famoso Giuseppe Mason di Susegana (Treviso), soprannominato 1’ 0720 peloso, il quale venne a farsi visitare nella mia Clinica ai 15 febbraio 1905. Nell’esame rapido, che mi fu concesso di fare sul Mason, tenni conto principalmente della lunghezza dei peli nelle singole regioni del corpo. Testa: Capelli folti, lanuginosi, di colore grigiastro, misuranti in lunghezza: a) sul vertice i più lunghi 100mm; 5) nella regione occipitale 140mm; c) nelle regioni parietali 100%"; d) nelle regioni temporali 130mm, Peli frontali: i più lunghi 35m, Sopracciglia: peli setacei, i più lunghi 80m. Peli nasali: della regione dorsale, i più lunghi 35m", Peli genieni: i più lunghi 80m, Barba: peli mentonieri grossi, bianco-grigiastri, lunghi in media 180". Fra i peli della barba notansi peli lanuginosi e peli bianco-giallastri setacei. Orecchie: peli auricolari disposti in ciocche sul trago, antitrago, conca, fossa scafoidea, gronda. — O. S. Peli tragici bianco-giallastri, setacei, lunghi in media 70m . peli dell’antitrago 59" - peli del lobulo 65m - peli della gronda 259% - peli della fossa scafoidea 30% - peli della conca 30M, — O. D. Presso a poco le stesse misure del sinistro. Collo: peli bianco-giallicci, setacei, disseminati 60M, Tronco: numerosi peli lanuginosi setacei disseminati e in fiocchetti. Più numerosi nelle parti late- rali e nella parte anteriore: meno numerosi nella regione dorsale. Parti genitali: scarsi peli pubici. Arti superiori : peli sottili abbondanti nel braccio ed avambraccio. Discreto sviluppo nella regione orsale della mano. Misurano in media nel braccio ed avambraccio 45m, d Arti inferiori: peli lanuginosi disseminati e in discreto numero e presso a poco di uguale lun- ghezza come nell’arto superiore. (*) Aldrovandi — Tomo VI, Animali - Carta 388. Serie VI. — Tomo IV. 59 — 414 — Ho voluto riferire brevemente il risultato dell'esame, fatto sul Mason, perchè si scorgano a colpu d’occhio le differenze dei peli rispetto alla loro lunghezza nelle varie regioni del corpo. Certamente che sarebbe stato di maggiore importanza l’aver tenuto conto della disposizione dei capelli, e dei peli della faccia, soprattutto delle sopracciglia, nelle quali l’ipertricosi era veramente cospicua. Infatti, non ostante i peli frontali lunghi, come si è detto, 35"", ciascun sopracciglio faceva spicco sull’arcata orbitaria, costituito da un grosso fascio di peli setacei, bianco-giallicci, lunghi da 50m a 80mm, In questo grosso fascio alcuni peli cadevano in basso ricoprendo in parte la palpebra superiore e l’occhio. Molto sviluppata era la coda del sopracciglio. (7) Per spiegare la duplicità di certe produzioni negli animali, il prof. Piana è ricorso alla doppia influenza paterna e materna sul feto: così per la moltiplicità delle corna negli ovini e nei bovini egli avrebbe emesso l'ipotesi formulata nel modo seguente: se in una coppia di animali il maschio presenta nello sviluppo delle corna un’esagerazione di postura in alto della testa e ai lati di questa e la femina un’esagerazione di postura nella parte mediana e in basso, il feto può nascere coi quattro germi, situati nelle regioni omotopiche a quelle dei genitori. Del pari per rispetto alla dupli- catio superciliî sarebbe d’uopo ammettere che in uno dei genitori esistesse un lieve grado di ectopia delle sopracciglia e nell’altro invece si avesse la normale postura delle medesime; allora. nel feto potrebbe svilupparsi un doppio germe sì da un lato che dall'altro, capace di dare origine a quattro sopracciglia, riproducenti la sede di quelli dei genitori stessi. (Piana - Lezioni litografate di Ana- tomia patologica veterinaria). (8) G. Van Rynberk — Z disegni cutanei dei vertebrati in rapporto alla dottrina segmen- tale (Estratto dall'Archivio di Fisiologia. Vol. III, fase. 1° novembre 1905). Tralascio di citare altri autori che si occuparono della dottrina segmentale, perche nella sudetta memoria sono riportati molti lavori intorno alla disposizione metamerica dei peli e del pigmento. (9) Sulla esistenza delle sopracciglia în alcuni mammiferi, e specie nel Camello. -- Come più sopra ho accennato, gli Antropoidi, durante la vita fetale, presentano assai ben distinte le sopracciglia, sebbene differentemente conformate da quelle dell’uomo (Deniker). Ma tranne gli antropoidi, si è detto e ripetuto da molti, ed anche da scrittori insigni, che gli animali non hanno sopracciglia distinte; soltanto alcuni peli tattili si troverebbero in luogo di esse, laddove le sopracciglia sarebbero confuse con i peli della regione frontale, e con quelli delle regioni vicine. Ora se ciò venisse affermato in modo assoluto, non sarebbe conforme a verità: dap- poiche in alcuni mammiferi, o temporaneamente, o durevolmente s'incontrano vere sopracciglia, che si sviluppano, mostrando una netta distinzione nella vita fetale. Il che fu già studiato e descritto da tempo e oggidì ci viene confermato da coloro che si occuparono principalmente dell’anatomia del Cavallo e di altri mammiferi domestici. Ho voluto anch’io seguire nei feti bovini lo sviluppo delle sopracciglia ed ho potuto certificarmi che questi, al principio del 4° mese, mostrano il rudimento delle medesime : anzi, mentre in tutte le altre regioni della testa del Vitello al 4° mese e mezzo man- cano i peli, i primi che appariscono, sono quelli delle sopracciglia e del contorno delle narici, assai bene visibili, sebbene in scarso numero. Hanno una lunghezza di 3 a 5", sono in numero di 5 o 6 e formano un solo rango: sono d’un colorito piuttosto intenso e vario secondo il manto dell’animale. D’ordinario però il colore è nerastro. Ciò che sorprende in questo momento è la direzione di questi peli, dei quali 4re, che formerebbero la testa del sopracciglio, vanno fra di loro obliqui e paralleli con impianto del basso all’alto e dall’ interno verso l’ esterno, e gli altri tre diretti quasi orizzontalmente, vanno uno in fila all’altro verso l'esterno. Da questo sembrerebbe che si formasse come primo il rango inferiore del sopracciglio. A questi primi peli si aggiungono altri grossi e neri, e al 6° mese le sopracciglia si mostrano assai ben conformate e distinte dai peli delle regioni prossime. Nella vita estrauterina collo sviluppo rigoglioso dei peli prossimi, le sopracciglia vengono a confondersi con quelli, e non si scorgono che i pochi peli setolosi, sottili che sporgono in direzione orizzontale, e in maniera divergente. Un fatto importante notasi rispetto alla postura del sopracciglio dei bovini durante la vita fetale: la sede del medesimo non corrisponde all’orlo sopraccigliare, ma — 445 — alquanto più in basso di questo: e, tenendo conto dell’età, il sopracciglio di un feto bovino al quinto mese formerebbe un arco parallelo al disotto del cerchio dell’orbita. Il forame sopraorbitrario dei bo- vini è molto alto, e dista dall’orlo dell’orbitra parecchi millimetri secondo l età dell’animale: trovasi nel mezzo d’una doccia abbastanza profonda nel frontale del Vitello a questa età (5° mese). Il soprac- ciglio pertanto non corrisponde al forame sopraorbitario, nè alla doccia frontale, e non trovasi nem- meno in direzione di questa. Vi sarebbero (secondo alcuni) razze bovine, fornite di un rudimento di sopracciglio anche in età adulta. Questo fatto (che sarebbe di grandissima importanza), ha bisogno di essere confermato e sistematicamente studiato. (Vedi bibliografia a) d) c) d). Ma più manifesto è il sopracciglio nel Camello, come io stesso ho potuto verificare: anzi in questo animale, oltre il sopracciglio, havvi ancora un rango di peli alla base della palpebra inferiore (sotto- ciglio), corrispondente circa all’orlo inferiore del cerchio osseo orbitale. Nel Museo anatomico della scuola veterinaria di Bologna, diretto dall’ottimo collega ed amico prof. Papi, mi fu dato, per squisita gentilezza del medesimo, di studiare, fra le molte. e splendide preparazioni, gli occhi di due Camelli adulti in preparati secchi e conservati in formalina forniti delle palpebre e della cute circostante. Ora in uno di questi preparati il sopracciglio si mostra ben conformato, corrispondente esattamente all’orlo dell’orbita, assai sporgente a forma di gronda sull’occhio, fatto da peli lunghi, robusti, setolosi, disposti obliquamente dall’interno verso l’esterno. La lunghezza del sopracciglio alla sua base, ossia nel suo impianto, è da 8 a 9 centimetri, mentre nella sua parte libera, dalla testa alla coda, misura qualche centimetro di più (da 10 a 12). Ma la sua lunghezza e grossezza varia secondo l’ età e lo sviluppo dell'animale È costituita da due ranghi, o Aumina pilorum, dei quali: a) l’' inferiore, fatto da peli più lunghi (da 6 a 8 centimetri), e questi vanno dal basso all’alto e dall’interno verso l’ esterno : b) il superiore, formato da peli più corti (da 4 a 6 centimetri, e come minimum anche 3 centimetri), e questi vanno dall’alto al basso e si addossano sul rango inferiore, seguendone la stessa direzione. La forma, la disposizione e la sede dei due ranghi pelosi ci fanno ritenere che questi costituiscono un vero sopracciglio. Ma (come ho detto più sopra) nell’occhio del Camello, oltre il sopracciglio, trovasi una fila di peli alla base della palpebra inferiore, distante dalle ciglia inferiori 1 centimetro circa, corri- spondente al contorno inferiore dell’orlo orbitario, peli di varia lunghezza (da 4 a 5 e da 6 a 7 cen- timetri), anch'essi robusti e setolosi, i quali nel preparato secco mostrano una direzione dall’alto al basso, poggiando sulla pelle con disposizione a raggiera; tale aderenza alla pelle ritenni che dipen- desse dalla vernice, colla quale fu spalmato il pezzo anatomico. Ma la stessa direzione e postura si notavano nel preparato conservato in formalina. Inoltre, da informazioni avute dal distinto professore Fogliata (che ha osservato i Camelli di S. Rossore), apprendo che anche nel vivo i peli hanno una direzione dall'alto al basso, e sono aderenti alla pelle. Questo rango di peli per la sua postura e per la sua analogia col sopracciglio potrebbe chiamarsi Sottociglio. (Subtercilium). È presso a poco costante per sviluppo, per conformazione e lunghezza di peli in tutti i preparati, tranne in uno conservato in formalina che presenta peli alquanto più lunghi. Deve esso funzionare, come organo di protezione, in correlazione col sopracciglio stesso, allontanando dall’ occhio dell'animale corpi estranei, mosche, insetti..: anzi esisterebbe, secondo alcuni, un muscolo elevatore, o retrattore della palpebra inferiore che in questo animale solleverebbe il sottociglio, avvicinandolo alle ciglia della palpebra inferiore stessa. Non avendo la possibilità di studiare sul Camello vivente qualche particolarità funzionale del sopracciglio e sottociglio, mi sono rivolto di nuovo al prof. Fogliata, perchè nei Camelli della Z’ernuta Reale di S. Rossore volesse verificare come questi organi di protezione operassero sotto l’azione di stimoli esteriori e cioè, quando la funzione loro si esercitasse concordemente, e quando in maniera indipendente. Ecco la risposta avuta dal medesimo: « Pisa 28 agosto 1907 - Mi sono recato nuova- « mente a osservare un Camello alla razza e rispondo alla domanda che Ella mi rivolge. Il sottociglio « è distante dalle ciglia inferiori circa 1 centimetro e in questo spazio libero, quando si compiono le « contrazioni, si forma una piccola grinza. « Toccando la pelle all’angolo esterno, verso la parte inferiore, il sottociglio compie un piccolo « movimento di contrazione indipendente: ma a stimolo maggiore la contrazione avviene di tutti due « sopracciglio e sottociglio » con chiusura dell’ occhio. « Nelle contrazioni del sottociglio avviene avvicinamento del medesimo, coi peli ritti, alle ciglia « inferiori. L'indipendenza nelle contrazioni è più manifesta, sempre a leggieri toccamenti nel soprac- « ciglio ». — 446 — Sebbene la funzione del sopracciglio e sottociglio nel Camello potesse intuirsi, tenendo conto della sola postura loro, nullameno la conferma di persona competentissima, che ha sott’occhio quest’ ani- male, riuscirà in proposito di maggior valore. Il che, quantunque non abbia rapporto diretto coll’argo- mento della Duplicatio Supercilii, tuttavia ho voluto accennare in questa breve nota per mostrare che il sopracciglio trovasi non solo durante la vita fetale negli antropoidi e nei mammiferi, ma in qualche mammifero anche nell’età adulta. Laonde il sopracciglio anche negli animali deve essere stu- diato nella sua costituzione anatomica, nella sua morfologia e nelle possibili sue anomalie per poterne fare studi comparativi con quello dell’uomo. Preparato anatomico d'un occhio di Camello, fornito del Sopracciglio e Sottociglio. Museo di Anatomia Veterinaria diretto dal P.° Papi. a) Goubaux et Barrier. — De l’eaterieur du cheval. - Ediz. 2°, Paris 1890, pag. 51. Quelques auteurs ont admis chez le cheval une région des sourcils. Hwzard père et Merche nient absolument leur existence. Lecocq (Extérieur du cheval. Ediz. 4°, pag. 215), réfute avec raison cette dernière opinion en faisant remarquer que l’arc des sourcils se voit chez le foetus, d’une facon tres apparente, un peu avant que le corps ne se recouvre de poils. Plus tard, ils se confondent avec les parties voisines et perdent, pour ce motif, tout intérét au point de vue de l’extérieur: aussi nous ne vous y arréterons pas. b) Marchi. — Eszoognosia. - Enciclopedia Veterinaria Italiana. Milano 1901, Vol. 1°, pag. 6. « Arcate orbitali - Formano la parte superiore delle orbite. Vi stanno i sopraccigli (pochi e lunghi « peli grossolani) nel cavallo ». ce) Montani. —— L'eatérieur du cheval. - Encyclopedie vetérinaire de Cadéac. Paris 1908, p. 162. « Le sourcil, tel qu'on le connait chez l’homme au niveau de l’arcade orbitaire, n’existe que chez le foetus ou le très jeune animal: il s’attenue très vite apres la naissance. Les vieux chevaux czllent, c'est a dire blanchissent au sourcil. d) Chauveau. — Zrattato di Anatomia comparata degli animali domestici. - 'raduzione Italiana. Torino 1888, Vol. 2°, pag. 995. — 447 — « Nel feto la pelle presenta a livello del contorno dell’arcata sopraccigliare, quando è ancora « nuda altrove, un arco di peli ben apparenti, costituenti le sopracciglia ». (10) G. Perusini. — Swi caratteri detti « degenerativi » delle sopracciglia (vortici sopracciglio- frontali) - Atti della Società romana di Antropologia - Vol. XI1, fasc. III, 1906. L’A. nel suo importante lavoro, oltre le molte particolarità, riguardanti i vortici sopraccigliari, si- ferma molto giustamente sulla divisione delle sopracciglia umane in due Aumina, fatto che, sebbene sia di osservazione comune, nullameno devo dire che è trascurato dagli anatomici ed antropologi. A me colpì siffatta disposizione dei peli delle sopracciglia, quando presi a studiare il caso sopradescritto, perchè m’apparve subito l’importanza che poteva avere nell’interpretazione sulla genesi della Dupli- catio Supercilii. Inoltre l’A. in una nota, alla fine del suo scritto, riferisce, il lavoro di Miklucho-Maday, il quale nell’ Zsola di Jap e nel Arcipelago Pelau ha osservato fronti totalmente coperte di peli con dire- zione, esattamente indicata, della lunghezza da 3 a 23mm, In un caso esisteva nel mezzo della fronte un triangolo glabro: i vortici sopraccigliari erano chiaramente disegnati, benchè le sopracciglia non fossero riunite. Del resto ai vortici sopraccigliari non viene accordata alcuna speciale attenzione. A tale proposito furono consultati anche i seguenti lavori: G. Perusini. — Contributo allo studio dei vortici dei peli. - (Arch. di Psichiatria, Vol. XXIV, fasc, III, 1903). Battistelli. — Sistema pilifero nei normali e nei degenerati. - (Atti della Società romana di Antropologia, Vol. V, fasc. I, 1897. 98). Sergio Sergi. — Sulla disposizione dei capelli intorno alla fronte - Atti della Società romana di Antropologia, Vol. XIII, fasc. I, Roma 1907. (I) J. Deniker. — Recherches anatomiques et embryologiques sur les Singes Anthopoides. (Archives de Zoologie expérimentale et générale, Serie II, tom. XIIIbis 1885). « Les poils des sourcils sont les plus longs (5 à 7°): ils sont noirs plus raides que les autres, et « diriges, les internes en haut, les externes en dehors. (Fig. 2 et P1. XXII pag. 18) ». (Foetus de Gorille et de Gibbon compares aux Foetus humains, et aua anthropoides jeunes et adultes). (12) Avendo discusso nel presente lavoro l’influenza del sistema mescolare nella duplicità delle sopracciglia, riporto qui quanto havvi di più importante intorno alla bibliografia di questo argomento. Uno studio più attento potrà in avvenire verificare con ricerche anatomiche se in queste anomalie delle sopracciglia si trovino alterazioni muscolari e fra queste la divisione in più ventri dei muscoli soprac- cigliare, orbicolare. Siffatto studio deve essere esteso, come ho detto testè, nei casi di Microcripto- anoftalmo. Le Double. — (Variations au système musculaire de l’ Homme) a pag. 49. e dice: « Le sourcilier pont étre partage longitudinalement, en un certain nombre de fascicules separés. Dans ce cas, les faisceaux d’insertion à l’arcade sourcilière pouvent étre charnus (Macalister) on tendineux ». a pag. 2: Chudzinski. « (Quelques observations sur les muscles peauciers du cràne et de la peau dans le races humaines. Paris 1896, pag. 11), a trouvé chez une Annamite une intersection tendineuse de ]2mm au-dessous de l’angle supéro-externe du muscle en question ». Halbertsma. — Musculus frontalis in: Verslagen en Mededeelingen der K. Akademie van We- tenschappen - afd. Natuurkunde. Deel VII. Stuk I pag. 1-9. Amsterdam 1857. Greff. -- Die Stirnmuskulatur des Menschen. Th. ‘l'ubingen 1888. (Parla diffusamente del muscolo frontale). Lesshaft. — Ueber den Muse. orbicularis orbitae. Arch. de Reichert 1868, pag. 265. (Parla dif- fusamente del muscolo orbicolare delle palpebre). (13) Varie anomalie ossee, specie del frontale, sono state poste in discussione per interpretare la — 448 — teratogenesi della Duplicatio Supercilii. Riferirò qui alcune citazioni, cominciando da quelle che riguar- dono l’esistenza dell’osso sopraorbitale. Fra gli antichi accennano all’esistenza di un osso sopraorbditale l’Albinus e il Kerckring, dei quali si riportano qui i brani riguardanti siffatta anomalia ossea. Albinus. — <« In abortu juniore, cui totum os magnitudinis unguis. mediocris utramque illam « partem (os frontis) inveni divisam-in tres: superiorem, quae ad frontem pertinet, inferiorem, quae « ad foramen oculi, tertiam quae ad caput supercilii ». Kerckring. — « At supra orbitam se prodit semilunaris quaedam ossea substantia, quae se « extendit per circumferentiam ad os sincipitis, mediam relinques cartilagineriem ». Fra i moderni meritano d’essere ricordati i lavori del Maggi sulla divisione del frontale e sulla esistenza delle ossa sopraorbitali. Siffatte anomalie non furono trovate mai insieme alla Duplicatio Supercilii: almeno non si parla dal Maggi mai di deformità delle sopracciglia in simili contingenze. Tuttavolta un’attenta osservazione potrà giovare in avvenire per stabilire se esista questo legame teratogenetico. L. Maggi. -- Le ossa sopraorbitali nei mammiferi. (Reale Istituto Lombardo di Scienze e Let- tere) Rendiconti, Serie II, Vol. XXXI, 1898, pag. 1088. In questo lavoro le ricerche furono fatte principalmente nei cani. Il concetto dell'Autore si può riassumere così: nei mammiferi ciascun sovraorbitale sta nella parte superiore dell’orbita, o più pre- cisamente nella cintura ossea orbitale in sutura col frontale medio, e tra il prefrontale e il postfrontale coi quali pure trovasi in sutura. « I sovraorbditali esistono autonomi, ossia distinti, e quindi in sutura « colle ossa vicine, dando luogo alle suture sovraorbdito-fronto-mediana, sovraorbito-prefrontale. L. Maggi. — Postfrontali e sovraorbitali negli animali e nell’uomo adulto (Rendiconto del R. Ist. Lomb. di Scienze e Lettere). Serie II, Vol. XXXV, 1902, pag. 335. Un brano del lavoro merita d’essere citato per quanto riguarda l’autonomia di queste ossa. « All’idea che i postfrontali possano essere ossa accessorie del frontale, e i sovraorbitali essere « delle ossa sopranumerarie, contrapporrò la loro diflusione nei vertebrati crarzoti, e l’ubicazione al « loro primo presentarsi, che come nei Ganoidi formano appunto l’orlo orbitario, non che il fatto del « loro continuarsi, mantenendo sempre il loro primo posto ». (14) A spiegare la teratogenesi della Duplicatio Supercilii è stata invocata l’ ipotesi delle fessure cramniche. Ora nel discorrere delle fessure non ho inteso di dire esclusivamente delle fessure dranchiali, ma principalmente delle fessure oblique faciali, di cui una va a terminare con una sua estremità all’angolo esterno dell’orbita, e in quaiche caso si prolunga alquanto sul sopracciglio. In questo estremo punto fessurale, corrispondente alla coda del sopracciglio, pigliano sede alcune produzioni teratologiche come angiomi, cisti dermoidi, nei verrucoso-pelosi. Però, oltre queste anomalie, non è inverosimile che anche la trichiasi possa quivi svilupparsi e pigliare i caratteri d’un sopracciglio sopranumerario. l'uttavolta altra cosa è parlare delle fessure dranchiali, e altro delle fessure craniche congenite e avventizie: queste sono aperture di varia forma e grandezza, e corrispondono a tutte le varietà di Cra- nioschisi. Nel frontale sono possibili queste fessure per la divisione, a cui può andar soggetto quest’osso (frontale medio, prefrontale, postfrontale), e per lo sviluppo autonomo dell’osso sopraorbitale. Ora può venir meno il saldamento di alcane delle suture, rispondenti alle ossa sudette, e da ciò derivarne altrettante fessure. Fra coloro che ammisero la frequenza delle fessure sull’osso frontale, merita di essere ricordato il Foester, il quale non solo trovolle nella parte centrale, ma anche nelle parti laterali della regione sudetta (Manuale di Anat. Pat., Trad. del dott. Michele Del Monte, pag. 410). In correlazione con le aperture craniche (crarioschisi) si verificarono, come nei casi di spina bifida, forme diverse di Meringocele, o d’Idromeningocele con trichiasi più o meno spiccate. Di queste ano- malie mi piace riportare una osservata dal l'aruffi in un Mewringocele del Sincipite « Il tumore « esciso era ricoperto da pelle di colore rosso-livido e fornito di lunghi capelli in vicinanza del pedun- « colo » - (Delle ernie congenite del Capo, Memoria. Estratto dalla Rivista di Clinica Medica, Marzo 1873 - Bologna, l'ip. Fava e Garagnani). Sotto questo rispetto un qualche valore deve essere attribuito anche ai fori molteplici sopraorbi- tari, dei quali è stata studiata la genesi dal Maggi - Intorno alla formazione del foro sopraorbitale (Rendiconti, R. Istit. lomb. di Scien. e Lett., Serie II, Vol. XXXI, 1898, pag. 706). A Va ricordato in proposito il solco soprafrontale descritto dal Zoja, sostituito talvolta in tutto o in parte da un canaluccio. Decorre dal basso all’alto, e dall’avanti all’indietro sulla faccia anteriore del frontale tra la gobba e la cresta temporale del frontale stesso. — Zoja- Sopra un solco men noto dell’osso frontale (Memorie del Reale Istit. Lomb. di Scien. e Lett., Vol. XV, sesto della Serie III, 1885). Secondo il Maggi, il solco sopraorbitale del Zoja sarebbe in relazione con un foro sopraorbi- tario o con due. — Maggi - Intorno alla formazione del Foro sopraorbile (mem. cit.). Comunque il Zo]a, neldare la descrizione del solco soprafrontale, non si ferma affatto sulle con- dizioni anatomiche delle sopracciglia nè sulle anomalie di postura, di lunghezza, di direzione e di numero delle medesime. Che se lo studio del solco sudetto fu fatto su crani già preparati, nullameno non man- carono osservazioni istituite dall'A. sul cadavere, in cui, se vi fossero state anomalie delle sopracciglia, non sarebbero sfuggite ‘all’attenzione di quel dotto Anatomico. l'uttavolta ammessa l’influenza di questo solco sullo sviluppo della duplicità sopraccigliare, la direzione obliqua del medesimo non potrebbe spie- gare nel caso sopradescritto la posizione orizzontale, o in armonia coll’arcata sopraorbitale delle soprac- ciglia sopranumerarie. (15) Riviera — Storia d’un monocolo con alcune riflessioni - (Con una tavola) - Bologna 1793 (Per le stampe di S. Tommaso d’Aquino). È una monografia di pag. 98, adornata in fine di una tavola ben disegnata e incisa, tirata con una leggiera tinta rossastra - Biblioteca universitaria. Rispetto all’occhio, ecco quanto viene descritto: « Un occhio solo collocatosi fra il labbro supe- « riore e il naso (ossia cilindro cartilagineo-cutaneo) ..... fuori dei sopraccigli che erano indicati « nel luogo naturale ..... » pag. ll. Littré. -— Citato dal Taruffi per la sede naturale delle sopracciglia in un Ciclope - Storia della Teratologia - Parte 1%, Tomo VI, Bologna 1891, pag. 370. (16) Nei molti casi di 2drocefalia descritti da Otto, o non si parla delle sopracciglia, o appena se ne fa un cenno. Nullameno nell’opera « Monstruorum sexcentorum descriptio » Vratislaviae 1841, al N.° CCCCXLVIII, Tab. VI, Fig. 1°, pag. 289, si limita VA. a descrivere il caso con brevi parole: « In summa frontis parte tenue superciliorum vestigium cernitur: dexter oculus sanus videtur: in « sinistro autem latere nullus est oculus. (Monstrum Rhumanum hydrocephalo et labio leporino de- « forme ». Osservando la tavola, si vedono le rime palpebrali ad un livello diverso: la destra più alta, la sinistra più bassa. Le sopracciglia pure partecipano a questo stesso dislivello delle rime palpebrali: le dette sopracciglia appariscono nel disegno costituite da peli sottili e posti parte in serie trasversali e parte irregolari. Anche sotto questo rispetto occorrono altre osservazioni dirette a dimostrare la correlazione fra le anomalie delle sopracciglia e 1’ idrocefalia. (17) Stato delle sopracciglia nel Micro-cripto- anoftalmo. Riporterò dall’opera del l'aruffi « Storia della Teratologia » qualche caso di queste anomalie del bulbo oculare, accompagnato da deformità per difetto delle sopracciglia. ‘lutto ciò, è vero, non ha alcun rapporto diretto colla Duplicatio Superciliit: ma, come feci rilevare più sopra, lo studio di queste anomalie con soppressione totale, o parziale delle sopracciglia servirebbe a stabilire quale e quanta influenza potrebbe avere sullo sviluppo delle medesime lo stato dei muscoli e delle ossa. Ecco un cenno ‘di alcuni casi: 1° Otto. -- (Op. cit. pag. 79, N° 134 - Vedi Taruffi, Op. cit. pag. 439, Tomo VI, parte 1°) In un caso di Cr:iptoftalmo, osservato in una ragazza sordo muta e cieca, trovò mancanza delle sapracciglia. Non si parla dello stato dei muscoli della regione sopraccigliare. 2° Chiari. — Congenital Ankylo et Symblepharon und congenitale Atresie — Prager-Zeitsch. fiir Heilkunde, Tom., IV, s. 143 — 1883, (V. Taruffi, Op. cit., pag. 446). Occhio sinistro con sopracciglio poco sviluppato. Atresia Microftalmia. Esistevano tutti i muscoli oculari, compreso l’elevatore delle palpebre. Non si parla del muscolo sopraccigliare e degli altri, — 450 — 3° Frîderic. — Monsirum humanum rariss.: Lipsiae 1717 (Varuffi, op. cit. pag. 444). Un neonato privo di occhi e di sopracciglia, che in luogo delle palpebre aveva un grosso orlo cutaneo circolare. Nulla si dice dei muscoli della regione sopraccigliare. (18) Intorno al significato della Duplicatio Supercilii volli domandare prima il giudizio del caris- simo e dotto mio amico prof. Mingazzini, e di poi quello del dott. Perusini, che si è molto occupato delle sopracciglia umane, ed ambedue furono concordi nel riconoscere la detta anomalia di natura teratologica, anzichè di carattere degenerativo. Confortato da questi giudizi, ho mantenuto il concetto teratologico sopra espresso intorno alla Duplicatio. Mem. Ser VI. Tom. IV. D. Majocchi — Duplicatio Supercilii Riproduzione da un acpuarello Graduatore di tensione atto a regolare l’ intensità luminosa delle lampade nelle distribuzioni a corrente alternativa NOLA DEL Peppo Tr E D'ONTA TRE (letta nella Sessione del 9 Dicembre 1906) Guardando al modo d’azione di un trasformatore statico a corrente alternativa, si vede che non è sempre necessario avere due spirali distinte e che in certi casi si può con vantaggio sopprimerne una, specialmente quando il rapporto di trasformazione non si discosta molto dall’ unità. L’apparecchio di cui qui si tratta rappresenta un’applicazione pratica di questo concetto, ed è in sostanza un trasformatore con una spirale sola, nella quale si trovano riunite le funzioni primaria e secondaria, potendosi mediante un doppio sistema di contatti mobili impegnare per l’ una e per l’altra un numero variabile di spire, con sovrapposizione, in parte delle spire o in tutte, delle due correnti (primaria e secondaria). Per questo una porzione della spirale è suddivisa, per mezzo di punti di accesso interni, in m tratti comprendenti ciascuno lo stesso numero di spire corrispondente ad una certa ì 1 Mi 5 i 3 3 frazione - - del numero totale, con che — viene ad esprimere il rapporto fra il numero di n n spire comprese nella parte suddivisa e il numero totale (nel modello cui qui mi riferisco, m 1 } È E : {eZIEAEDE= 25,75) = iiludicheroteoni A,d5, br bi. B,n, ordinatamente, i successivi punti di accesso, A e B,, rappresentando i capi esterni e B,, B,; Ba, Bm_i gli accessi interni; e indicherò inoltre con A', B' le due prese sulla linea di distribuzione e con A', B' i due capi del circuito secondario esterno, che si suppone non induttivo (circuito di lampade). A' ed A'' sono tenuti in comunicazione permanente con l’ estremo A della spirale, mentre B' e B'' possono, ciascuno indipendentemente dall’altro, essere messi in relazione con uno qualsivoglia dei punti B,, Bj; Ba. Bir Per il resto l’apparecchio ha i caratteri e i requisiti di un ordinario trasformatore a nucleo di ferro chiuso costrutto secondo le buone regole. Il numero delle spire è poi scelto in modo che anche quando nel circuito primario è impegnata solamente la parte indi- visa AB, della spirale, ossia il minor numero possibile di spire, la corrente primaria a vuoto (circuito delle lampade aperto) che indicherò con i, la quale è sensibilmente Serie VI. — Tomo IV. 60 — 452 — in quadratura con la differenza di potenziale impressa, e si confonde con la così detta componente di magnetizzazione che entra a costituire la corrente primaria a secondario chiuso, risulti piccolissima rispetto a quest’ ultima. La resistenza delle spire è pure scelta in modo che la caduta di tensione dipendente da essa sia in ogni caso piccolissima rispetto alla f. e. m. indotta. In tali condizioni, denotando con s' e s'' due valori quali si voglia (che possono anche essere uguali) presi nella successione 0, 1, 2,.... #, se B' comunica con B,. € B' con By, la f. e. m. indotta nelle spire dell’ intervallo AB,» sarà prossimamente uguale ad a P, P essendo la differenza di potenziale impressa ai capi dell’ intervallo AB; ed a il rapporto dei rispettivi numeri di spire, o rapporto di trasformazione, rappresentato da na mt s! Mn MESI == La corrente secondaria I'' (circuito delle lampade) sarà quindi prossimamente uguale ad a I, dove I significa la corrente normale, che si avrebbe mettendo direttamente A" e B'' in relazione colle prese A'e B'; e sarà in fase con P come la 7. Essa, cir- colando nelle spire dell’ intervallo secondario A B,, determina colla sua azione magne- tica una corrente opposta di compensazione nelle spire dell’ intervallo primario A By, corrente rappresentata da a I'' = &°/I. La corrente primaria /' (alle prese A', 8') può considerarsi come la risultante di questa e della piccola è in quadratura, da cui pos- siamo prescindere: onde resta per /' il valore a®I Le due correnti I' e J'' si so- vrappongono elidendosi in parte nelle spire comuni ai due intervalli, nelle quali si ha quindi una ‘corrente ridotta j=J' — I' =a°IT—aI/=u%(a-—I)I, mentre nelle spire differenziali comprese nell’ intervallo B,: 58,» circola la sola I' o la sola I", se- condo che s' è maggiore o minore di s''. — Riassumendo, si ha prossimamente Di= 0A (ZA Queste relazioni semplificate sono ottenute trascurando la caduta di tensione dovuta alla resistenza delle spire (e quindi sostituendo la differenza di potenziale in A, B;. e A, Bs» alle rispettive f. e. m. indotte) e la corrente di magnetizzazione (che si confonde colla corrente è a vuoto), e prescindendo inoltre dalla dispersione magnetica, dall’ iste- resi e dalle correnti di Foucault. Esse tuttavia non si scostano molto dalla realtà in un apparecchio fatto a dovere, come ho potuto verificare sperimentando sul modello da me costrutto. Ad ogni modo esse bastano allo scopo attuale che è quello di dare nella forma più semplice un’ idea delle funzioni dell’ apparecchio. SilivedeWchexguando s' eds’ coincidono, (sta lia 0000 corrente delle lampade è la normale, le spire non sono attraversate da corrente (sono attraversate solo dalla corrente i trascurabile), e le condizioni restano sensibilmente le stesse come se l’apparecchio non fosse inserito. Quando invece s' ed s'' sono differenti, secondo che s'è maggiore o minore di s', — 453 — sì ha a maggiore o minore di 1, e quindi, rispettivamente, aumento o diminuzione di I' =aI,e in più forte misura, di Z = *I, mentre la corrente interna ridotta j=a(a — 1) I cangia segno e diviene più piccola passando dal primo al secondo caso, ma rappresenta anche nel privo caso una frazione di Z per valori di a non troppo discosti da 1 (a < 1,68). La potenza assorbita (proporzionale ad 7') e quella erogata nelle lampade (proporzionale ad I''*) variano entrambe proporzionalmente ad a, mentre la luce, per l'influenza della temperatura sul rendimento luminoso, varierà in ragione più rapida. Nel modello in discorso essendo, come si disse, m = 5, n = 25, a può variare fra fili e ossianfras0,8te 1,25; 1", fera 0,8 lelli255; Ira 0,64. Je 1,56. I, ed j resta sempre inferiore a 3 I.-— La parte indivisa della spirale, sempre comune ai due intervalli, comprende A del numero totale delle spire; e questa, non dovendo sop- portare che la corrente ), potrà farsi di filo più fine, riservando alle spire seguenti una sezione commisurata al massimo valore di /I''. — Accrescendo # e » senza alterare il MO SA : 3 . rapporto TA si può avere una regolazione più dolce (con maggior numero di gradi intermedi). Queste sono in breve le caratteristiche del mio apparecchio, pei quale reputo su- perfluo entrare nei particolari di costruzione. Infatti, per ciò che riguarda la dispo- sizione e le proporzioni delle parti in ferro, il circuito magnetico, il computo del nu- mero delle spire, ecc., valgono i criteri e le norme che si hanno per gli ordinari tra- sformatori; e quanto alle disposizioni speciali proprie del sistema, esse sono così sem- plici ed ovvie che non occorrono schiarimenti. — Le qualità per cui un tal regolatore si raccomanda sono: Semplicità e praticità; Non dar luogo a sfasamento sensibile della corrente; Non essere attraversato da corrente apprezzabile, e quindi non dissipare energia, quando la luce è al normale; ed anche quando funziona la regolazione, essere le per- dite per effetto Joule ridotte al minimo, perchè solo le spire differenziali (di maggior sezione) sono attraversate dall’ intera corrente, mentre la maggior parte delle spire porta solo la corrente ridotta j. Quest’ ultimo carattere conferisce al sistema un van- taggio evidente rispetto ad un trasformatore ordinario adibito alle stesse funzioni di regolatore, mentre poi permette di risparmiare almeno due terzi del peso del rame, per il fatto che vi è una spirale sola e questa per la maggior parte colla sezione ridotta ad un terzo. O Erspe) TE Fobditr È CR ERA RT OZ e ts RATE sa) ti mig tata fuel. ( ; MITA A ai A) A DN È MAMMIFERI QUATERNARI DELL'ISOLA DI CANDIA MEMORIA Prof. VITTORIO SIMONELLI letta nella Sessione del 26 Maggio 1907 (CON DUE FIGURE NEL TESTO E UNA TAVOLA) Negli « Appunti sopra i terreni neogenici e quaternari dell’ isola di Candia » (1) pubblicati da me parecchi anni or sono, menzionavo certi depositi ossiferi ch'io stesso avevo rinvenuti ed esplorati durante un viaggio fatto in quell’ isola, assieme coi caris- simi colleghi Prof. A. Baldacci e Dott. A. Cecconi. La costa di Retimo — scrivevo allora — tra C. Karakia e Balì presenta, in più luoghi, vaste caverne, che s’ addentrano nelle roccie mioceniche o cretacee, a 10, 15 m. e più sul livello del mare attuale, ma che certamente debbono 1’ origine loro alla erosione marina, perchè presentano nelle pareti sforacchiature di litofagi. Si son depositate in queste caverne, e spesso in strati molto regolari, delle argille rosse miste a frantumi angolosi di calcare e qualche volta anche ad ossami di mammiferi. Citerò fra questi — continuavo — i magnifici avanzi di Elephas priscus (mandibola, omero completo, atlante, diverse coste, ecc.) e di Cervidi non ancora determinati, che potei raccogliere nelle grotte di A. Antoni, di Kuluridi, di Balì, ecc. e che ora fanno parte delle collezioni del Museo di Bologna con tutto il resto del materiale che riportai da Candia. Tornando a consultare i vecchi miei taccuini di campagna, trovo di poter dire qualche cosa di più preciso circa le condizioni di giacitura di tali depositi ossiferi. I più cospicui e produttivi mi si offersero nelle balze precipitose che scendono al mare fia Agios Nikolo e Mavro Muri (2), circa 3 chilometri a ponente di Retimo ; balze che per quasi tutta l’ altezza loro son formate di calcari teneri, bianco-giallicci, punto diversi da quelli che a Candia sogliono rappresentare la /ucies elveziana del Miocene medio. Solo nella parte più bassa mostrano a luoghi qualche spunto di (1) Rendie. della R. Acc. Lincei. Vol. III. 2° sem., serie 5°, fasc. 7, 8. Roma 1894. (2) Vedi la Carta di Spratt, pubblicata dall’ Ufficio idrografico inglese. Serie VI. — Tomo IV. 61 — 456 — un calcare compatto grigio nerastro, simile in tutto al calcare grigio-nerastro con Radioliti, che in altre parti dell’isola vedesi soggiacere immediatamente alle stratifi- cazioni mioceniche. Il piè loro è contornato e difeso da una frangia di panchina, emergente al massimo quattro o cinque metri sul medio livello del mare ; di pan- china uguale precisa a quella onde sono orlate per lunghi tratti anche le coste più prossime a Retimo, e quelle che pure vanno da Retimo a Canea. Dissi già come tale panchina sia per solito costituita da minuzzoli di conchiglie marine e da gusci di foraminiferi, agglutinati da cemento calcareo; e dissi di non avervi mai riscontrato alcuna traccia di specie che non vivan tutt’ oggi nel mare vicino. Più ancora mi giova ricordare la scoperta di ossa umane fatta nel 1836 dal Caporal vicino al Lazzaretto di Canea, proprio in un « calcaire sableux grossier tendre, jaunaàtre, renfer- mant beaucoup de coquilles marines dont les couleurs sont encore conservées (1) » ch'è tutt’ una cosa con la nostra panchina, e ricordare, a conferma di tale scoperta, gli avanzi umani rinvenuti da me personalmente nella panchina onde son formati gli scogli prossimi al fanale di Canea (2). A Grida Avlaci, presso Aghios Antoni, ia pila degli strati miocenici vedesi spaccata verticalmente, quasi da cima a fondo. Una dozzina di metri sopra il livello del mare lo spacco è largo quasi otto metri, e su per giù a tale altezza le sue pareti mostrano numerosi fori di litodomi. Buona parte della grande anfrattuosità è occupata da terra rossa, mista ad avanzi di mammiferi (Cervus, Elephas, ecc.) e a minuto spezzame di calcare stalagmitico, e frammezzata a diversi livelli da filari di sassi grandi e piccoli, angolosi, fatti generalmente di calcare elveziano. Nei pressi di Grida Avlaci altre numerose anfrattuosità della costiera trovansi pure occupate, in tutte od in parte, dalla medesima terra rossa mista ad ossami. Segnata- mente furono per me produttive certune addirittura minuscole, incavate come loculi di colombario nello spessore di un singolo strato di calcare elveziano; una fra l’ altre, larga alla fronte due metri appena e non più alta di cinque o sei decimetri, era letteralmente stipata di avanzi di Cervidi, parecchi dei quali in assai buono stato di conservazione. Oltremodo scarso e malconcio fu invece il materiale da me raccolto in un altro deposito ossifero, in quello di Karakas, località posta nella marina fra Capo Khon- drò e Capo Stavros, circa 4 chilometri a levante del piccolo porto di Balì. Contraria- mente a ciò ch» m’avean fatto sperare le assicurazioni degli indigeni, concordi nel vantar la profusione di ossami giganteschi frammezzo a certe pietre di Karakas, quivi ebbi soltanto a vedere pochi mozziconi d’ ossa e di corna cervine, contenuti in uno esiguo lembo di breccia rossastra, così basso, che ad ogni burrasca un po’ forte i marosì l’ investono e lo flagellano tutto, dal piede alla cima. In complesso, gli avanzi di mammiferi rinvenuti da me nei vari depositi sopra indicati sembrano rappresentare non più di tre specie: un Elefante, un Bove ed un (1) Raulin. Descr, phys. et naturelle de l'ile de Crete. Partie géologique, pag. 626. Paris 1869. (3) Simomelli. Op. cit, pag. 267. — 457 — Cervo. Dell’ Elefante e del Bove discorrerò un’altra volta, per oggi mi limito a di- scorrere del Cervo. Già subito dopo il mio ritorno da Candia, appena ebbi racconcia e ordinata la mia raccolta di ossami, riconobbi che tutta una copiosa serie di crani, di vertebre, di ossa lunghe, di denti isolati, di corna, doveva essere riferita ad una unica specie di Cervide; ad una specie però che per un verso o per un altro si staccava da tutte le altre congeneri a me note, sia fossili, sia viventi. Non ebbero successo diverso 1 confronti che in seguito tentai replicatamente, mettendo a profitto quanto mi fu possibile apprendere da libri, da collezioni, dalla viva voce di esper- tissimi conoscitori. Un maestro sommo tra i sommi, il Gaudry, visti ben bene gli avanzi del mio Cervo, concludeva trattarsi di « un Cerf qui n° est pas encore assez Cerf »; e msisteva neil’ avvertirmi che un siffatto animale non poteva assolutamente aver fatto parte della fauna quaternaria, e che le terre rosse dove io l’ avevo trovato sepolto non potevano essere meno antiche del Pliocene. E all’ opinione del Gaudry pienamente assentiva un altro paleontologo valorosissimo, il Boule, di cui tutti sanno le competenza speciale in ogni quistione che riguardi le faune mammalogiche del Plio- cene e del Quaternario. D'altra parte, uno zoologo come Troucssart mi dichiarava non conoscere alcuna specie vivente di Cervidi cui potesse attribuirsi o per lo meno ravvicinarsi la forma cretese ond’io gli mostravo gli avanzi. Ma veniamo senz’ altro a descrivere particolarmente le più significative fra tali enigmatiche reliquie cervine. Prendiam le mosse dai crani, e fra i crani guardiamo anzitutto quello bellissimo di maschio adulto ch’ è rappresentato dalle fig. 1, 2, 3 e 4 della tavola. Subito 1’ occhio si ferma sui robusti e tozzi peduncoli delle corna, ambidue sor- montati ancora, per buona fortuna, dalla mola quasi intatta e da un mozzicone del fusto rispettivo. A guardare il teschio di sopra, si vede che l’asse dei peduncoli fa con la linea mediana del frontale un angolo di 55° all'incirca; guardando di dietro, i peduncoli stessi, coi rispettivi mozziconi di corna, vengono a far press’ a poco an- golo retto con l’asse verticale del cranio, su per giù come nell’ Alce. A parte la ca- ratteristica disposizione dei peduncoli ed altre particolarità relative alle corna, sopra cul discorreremo a lungo più mnanzi, troviamo subito da notare anche l’ insolita gran- dezza dei fori sopra-orbitari e l’insolito loro avvicinamento ai margini esterni delle arcate sopra-orbitarie, qui più robuste assai che d’ordinario. Nell’ occipite abbiamo da segnalare la forte prevalenza del diametro trasverso rispetto al verticale. Fra il margine superiore del foramen magnum e il colmo della cresta occipitale misuriamo 45 / 1009 esterni delle due faccette posteriori con che le porzioni tuberose dei temporali qui una distanza equivalente a circa del massimo intervallo fra i margini vengono a ricinger l’ occipitale. Nel Cervus elaphus quella distanza uguaglia invece SI l») D2 all’ incirca di questo intervallo. Al contrario la distanza massima fra i margini 100 esterni dei condili occipitali, in rapporto col diametro trasverso dell’ occipite, risulta sensibilmente inferiore a quella che si riscontra nel C. elaphus. — 458 — Le squame temporali concordan pel contorno, e, proporzionatamente, per la esten- sione, con quelle del Cervus elaphus; qui pure han la massima parte nella formazione delle fosse omonime, le ali scendenti del parietale trovandosi ridotte a due strettissime lingue, pigiate fra dette squame e i margini postero-laterali del frontale, che tendono a respingerle verso l’ indietro. Ben altrimenti vanno le cose nel Capriolo, dove le ali del parietale formano metà buona dei tratti di muraglia cranica rispondenti alle fosse temporali; van pure assai diversamente nell’ Alce, fra i cui caratteri distintivi Ruti - meyer cita per l’ appunto « die Schlafengruben, an welchen auch im erwachsenen Alter die Schlàfenschuppe nur einen geringen Antheil nimmt » (1). Nell’ intervallo fra le basi delle corna, il frontale offre trasversalmente una lieve concavità ; poco più innanzi, tra foro e foro sopraorbitario, presenta invece nella linea mediana un sensi- bilissimo rilievo, che si prolunga fino all’origine dei nasali. — Precisamente l’opposto di ciò che accade nel C. elaphus, dove il frontale, a cominciar da una linea tirata da foro a foro sopraorbitario per andar fino alla radice dei nasali, mostra nel mezzo una considerevole infossatura. -— Notevole è la disposizione dei margini esterni delle arcate sopraorbitarie. Tali margini, debitamente prolungati in avanti. verrebbero a fare con l’ asse del frontale un angolo di soli 21°. Così debole obliquità costituisce una sensibile differenza rispetto al C. elaphus, dove l’ angolo in parola sale a circa 28°; e per converso accenna una qualche analogia con il ©. euryceros dove sempre lo stesso angolo ha un valore di circa 18° Le principali misure che è dato prendere su questo esemplare sono le seguenti : Lunghezza del cranio dalla cresta occipitale alla radice dei nasali. . . mm. 180 » deliffirontalegsullagiimeatSme diana RRS eee » TE » del parietale nel mezzo. . . SR RES po MEI Minima distanza fra le basi dei peduncoli dello COLNA NIN Sha e Massima larghezza del frontale in corrispondenza ai fori ci. MIOATTSS cca Diametro massimo dei fori sopraorbitari . . . De e e rar So Ln) 15 Distanza fra i margini esterni dei condili camino SIMERREO r ARERE no Diametro trasversale dell’ occipite . sad CTER er AIRIS Diametro trasversale del foro occipitale . . . . » 2 ) Distanza fra il margine superiore del foro i e la fin ie » 41-42 Diametro trasversale della scatola cranica in corrispondenza delle suture partieto-temporalittà}e (1. pih) RO RO a RS o RO, Nell’ esemplare rappresentato nella Tavola dalle fig. 5, 6 e 7,resta della scatola craniana solo il frontale, e neppur questo completo; ma in compenso troviamo conservate bene abbastanza le ossa della faccia. Il grado di logorazione che mostrano i denti tuttora in posto nei mascellari ivdican trattarsi di un individuo ‘assai Yecchio=gegie proporzioni del fossile in complesso sembrano accennare a una femmina Quel che ci appare di più notevole nell’ avanzo in parola è, anzitutto, il brusco assottigliamento del muso a partir da un piano verticale passante per gli orifict anteriori del condotto dentario superiore; poi la grande estensione dei nasali nel senso antero-posteriore e (1) Naturliche Geschichte der Hirsche — Abh. d. Schweizerischen palàontol. Ges., Vol VIII, pag. 55. Zurich, 1881. — 459 — la grande lunghezza del tratto di mascellari che va dal termine anteriore del bordo alveolare al punto ove dovevano aver principio le aperture incisive. Il foro sopraor- bitario, di forma decisamente ellittica, misura oltre 6 mm. di maggior diametro. Nella regione antiorbitaria notasi una lieve concavità che può parere un accenno di lacrimatoio : per converso manca qualsiasi traccia degli spazi evvoti (Ethmoidallicke) soliti a vedersi nei Cervicorni. Le dimensioni principali son le seguenti : Distanza tra i due fori sopraorbitari . . . RR E SI INI 40PC1rca Lunghezza, misurata tra il margine smbetiore dei nasali e una linea condotta da foro a foro sopraorbitario . . . SIA Diametro trasverso del muso, in corrispondenza dei fori aiar a RM o Diametro trasverso del muso, al principio degli intermascellari. . . . >» 28 [MunshezzafidelMbuaremeralveolare (deil'mascellani Rame Rd 09) Distanza ima sini interni ideglialveoli posteriori i Mel ld 96 Distanza fra i margini interni degli alveoli anteriori . . Sgt SAMSIZIO) Distanza fra il margine alveolare esterno del 3° molare e il margine in- feriore dell’ orbita . . . ; EMIR E ey TA i Rei Diametro verticale del muso Subito diewro agl’ intermascellari . . . . 29 Distanza minima tra i fori sopraorbitari e i sottorbitari ./././... » 68 In un terzo esemplare, ch’ è quello rappresentato dalla fig. 8, 9 e 10, manca pure tutta la parte cranica postorbitaria, e per di più quasi tutto il mascellare destro ; non Solo, ma, quel ch’ è peggio, manca tutta la parte anteriore del muso, ch’ è tronco verticalmente quasi subito innanzi ai fori sottorbitari. Si aggiunga che oltre a tali mutilazioni, subite verosimilmente prima o nell’ atto dell’ inumazione, il fossile mostra pronunziatissime certe asimmetrie, che con tutta probabilità son da imputare a pres- sioni sofferte più tardi, nel seno stesso del deposito ove 1’ abbiamo trovato sepolto. Comunque sia, questo esemplare, oltre ad offrirci splendidamente conservata tutta la dentatura del mascellare sinistro — denunziante un robusto individuo nel fior della età — ci fa veder nitidissimi i confini anteriori dei frontali e i limiti rispettivi di parecchie delle ossa faciali. Pure in questo i sopraorbitari dovevano esser amplis- simi; a giudicar da quel po’ di margine che ci rimane del sinistro, non dovevano misurare meno di 6 mm. di diametro. Il lagrimale partecipa sol per brevissimo tratto alla formazione del margine orbitario anteriore; questo è per buona metà formato dall’ iugale, che sale qui più alto assai che non faccia di solito nei Cervi. Anterior- mente all’ orbita, in corrispondenza della sutura iugolagrimale, si nota una lievissima infossatura, che con uno sforzo di buona volontà potrebbe prendersi per un rudimento di lacrimatoio. Ma per quanto si guardi non si riesce a trovare nemmen quì il più piccolo indizio di finestra etmoidale. Le misure ch’ è dato prendere sopra un esem- plare così mutilato e deformato son queste sole : Distanza tra i fori sopraorbitari. . . DRAgI I ere o ban 3 Cina Minima distanza tra i fori a e gli orifici Attici del con- dotto dentario. . . aC LI Ae RBBETROERTO ABITI MT TRELARE DIRE I O Lunghezza del margine ii O gg RPRREL E TINO NP SMETTO Distanza fra il margine alveolare esterno de 3° unlora e il margine in- ferloregdelil orbita, (0 DT sa » 30 — 460 — Del mascellare inferiore si rinvennero pochissimi avanzi; una branca destra con la serie completa dei molari e dei premolari, ma tronca in avanti subito dopo il foro mentoniero e priva indietro di quasi tutta la parte ascendente; altre due branche; una di destra e una di sinistra, rotte entrambe poco dopo | inizio della espansione postero-inferiore, e tronche anteriormente, questa in corrispondenza del primo molare, quella in corrispondenza dell’ intervallo fra il primo premolare e il secondo; una por- zioncella di branca destra, recante gli alveoli dei tre premolari e nella faccia interna, verso l’ estremo anteriore, ia protuberanza segnalante il principio del contatto con la. branca opposta; più qualche dente isolato e qualche altro frammento che non vale la pena di ricordare. Nell’ avanzo che abbiamo ricordato per primo (v. fig. 12 e 18) trovasi di notevole anzitutto la estrema brevità dell’ intervallo compreso tra I° alveolo del premolare an- teriore e 1’ orificio esterno del condotto dentario. Tale intervallo uguaglia circa due terzi della lunghezza sommata del primo e del secondo premolare, mentre nel Daino sorpassa la lunghezza complessiva dei tre premolari, e nel Capriolo, nel Cervo nobile, nel Cariaco virginiano, nell’ Ippelafo, nella Renna, nell’ Alce, o supera o è di poco in- feriore a metà della lunghezza dell’ intera serie dei molari e dei premolari. Anche mi sembra insolitamente pronunziata la convessità del margine inferiore della mandibola, tra il punto ov’ è accennato il principio della espansione postero-inferiore e quello su cui cadrebbe una verticale tangente il lato anteriore del primo premolare. Nel tratto indicato esso margine descrive un arco, che sopra 95 mm. appena di corda, misura 1l mm. vantaggiati di saetta; mentre in una mandibola di C. elaphus che ho sott’ occhio, trovo, fra gli stessi punti di riferimento, un arco misurante solo 12 millimetri di saetta per ben 160 mm. di corda. Le misure relative alla mandibola meglio conservata son quelle che seguono. Lunghezza dal foro mentoniero al termine posteriore dell’alveolo del M. 3. mm. 89 Lunghezza Tdellofispazionalveolareti ee ER ee e Distanzagde Moro Men toner Rido » 10,6 Altezza, dellla parieforizzonta esso IIa » » » » » CSI i IRE I » 20 » » » » in corrispondenza del foro mentoniero. . . >» li Nulla o quasi nulla si è detto fin qui circa la dentatura del nostro singolaris- simo Cervo cretense. A tal proposito ci conviene riprendere in esame la serie di molari completa e quasi intatta ch’ esibisce il mascellare superiore sinistro nel- l’ avanzo rappresentato dalle fig. 8-10. Quivi riconosciamo, in complesso, le ca- ratteristiche essenziali solite a riscontrarsi nei molari superiori d° ogni Cervino : i soliti conetti interlobari sorgenti dal colletto nella faccia interna di ciascun molare vero, la solita striatura dello smalto, al solito parecchio più pronunziata nelle mura- glie interne che nell’ esterne, e via dicendo. Le coste verticali esterne son rilevate, su per giù, come nei molari superiori del Cervo nobile; la sezion trasversa dei mo- x lari veri è, come nei molari veri del Cervo nobile, press’ a poco quadrata : molari — 461 — veri e molari spurii son quì pure impiantati quasi verticalmente nel mascellare. Son però da notare certe particolarità, che, pei conoscitori consumati della odontologia. cervina, possono essere parecchio significative. Anzitutto 1 molari sono in complesso più ipselodonti di quelli del Cervus elaphus. L° ipselodontismo è particolarmente ac- centuato nel P. 3, dove la maggior lunghezza della corona non supera mm. 10, 5, e altezza, fra il colletto e la cuspide mediana esterna, raggiunge 12 mm. Nel ma- scellare di un Cervo nobile di età, quasi uguale, se mai un po’ più giovane, il P. 3, sopra mm. 16,7 di massima larghezza, non ha più di 16 mm. di altezza. Del resto, anche nel M. 3 del nostro Cervino, per mm. 15,3 di larghezza si misurano mm. 12,3 di altezza; mentre in un M. 3 del Cervus elaphus, di fronte a ben 28 mm. di lar- ghezza massima offerta dal margine esterno, la cuspide più eminente non sorge a più di 20 mm. sul. livello del colletto. Il P. 1 anteriore ofre nella faccia esterna solo tre coste verticali, corrispondenti una allo spigolo anteriore-esterno, un’altra allo spi- golo esterno-posteriore, una terza intermedia, però molto più prossima alla prima che alla seconda; quindi solo due solchi, uno posteriore larghissimo, uno anteriore stretto e profondo. Nel Cervus elaphus lo stesso premolare ha nella muraglia esterna un solco di più, veramente lievissimo, che bipartisce la costa posteriore. Il P. 3 con- frontato al corrispondente del Cervus elaphus, del Capriolo, dei fusa e, in genere, dei Cervini viventi e fossili che ho potuto esaminare, offre ridotta al minimo la por- zione rappresentante il semicilindro posteriore dei molari. veri. Manca nella parete in- terna il solco verticale quasi mediano che suole vedersi nel P. 3 del C. elaphus ; nella faccia di sfregamento la linguella emessa dal margine concavo della mezzaluna in- terna, decorre tanto prossima al margine posteriore della corona, da ridurre a un semplice tratto lineare l’ area infossata che sta a rappresentare l’ incavo semilunare mediano posteriore dei veri molari. Dato che le misure valgano a qualcosa, ecco qui sotto, nella 1* colonna, quelle che ho rilevate dalla serie di molari tuttora in posto nell’ esemplare riprodotto dalle fio. 8-10; nella 2° quelle che si riferiscono ai denti di un mascellare superiore appartenuto verosimilmente al teschio rappresentato dalle fig. 1-4; nella 3% quelle dei molari esibiti dall’ esemplare riprodotto dalle fig. 5-7. I I III Distanza minima tra la faccia INESINE del P. 1, e lo spigolo posteriore esterno del M. PRA OO E AS, 12 0255 Lunghezza del tratto occupato dai tre M. dani margine colore esterno del mascellare... . CRT ue SM 0) 41 37 Lunghezza del tratto occupato nello dibsaod margine dai ne BE aims 32 29 Lunghezza del M. 3 sulla linea mediana della faccia di sfrega- I) CIO RA A E e » 14 14 15 Limcdiezza dell’ NE 2 pres Comes Re ot 15 12,5 12 » ®' Moll » » Re e ci PR TA 14,5 ll 10,5 » Dies sì » » DA ENER ORI CREME: » 9,7 7, DA » DREI slo » E e ia ATE » 10,6 10 8,5 » o » » Le e cal I LO 10 10,3 — 462 — Circa i molari inferiori non abbiamo da dire più di quel che dicono le misure riportate qui sotto e le figure 12 e 13. Solo questo notiamo : che la lunghezza del terzo premolare, misurata sia nella linea mediana della superficie triturante, sia nella faccia interna, subito sopra al colletto, risulta uguale, se non leggerissimamente inferiore, alla lunghezza del premolare anteposto. Nel Cervus elaphus, nel Daino, e in genere nei Cervini attuali la lunghezza rispettiva dei premolari inferiori cresce invece assai regolar- mente dal primo all’ ultimo. Non mi è dato sapere come vada la cosa nelle forme estinte; unicamente so che nel Cervus Cazioti di Corsica, pochi anni addietro illustrato dal D e - péret (1) i premolari, sono, in confronto di quelli del Cervus elaphus, più raccorciati ; e che il raccorciamento, a detta del Depéret, « porte surtout sur la 3° premolaire, dont le lobe posterier est comme atrophié ». « Le sillon qui se voit sur la face externe de cette prémolaire — seguita il Depéret .-—- presque au milien de la muraille dans le Cerf élaphe, est iei rejeté tout 4 fait en arrière de la dent ». Nel Pm. 3 della mandibola che sto descrivendo, il solco di cui parla Depéret trovasi collocato anche più indietro ; tanto che, a non guardar da vicino, si confonde con |’ infossa- tura intercedente fra il Pm. 3 e l’ attiguo M. 1. Le misure relative ai denti della mandibola son le seguenti : Lunghezza complessiva dei tre M. presa al livello dei colletti, nella fac- cia Antenati e re ehe RIO 46,5 Lunghezza dei tre P. presa come sopra . Md ae doi i » 20 = Lunghezza del P. 2 nella linea mediana della superficie triturante. . . —» —10 9,4 Luiieza: del 9, 3 pres come Sona se 00666 10 8,8 » DMI » » » INI © MOT MERI, SIE » 11,5 12 » DONO S » » bi alal eo et e » 14,3 ]13/5 » YAN IN N < » » PARE AO nno PT » 19,4 18 I resti che ho descritti finora non ci fanno, per verità, molto avanzare nella ri- cerca del posto che il nostro Cervo deve occupare tra i suoi affini. Ma per fortuna ci vengono in soccorso gli avanzi copiosissimi di corna che si sono rinvenuti assieme coi resti già detti. Si sa difatti che i criteri migliori per la determinazione dei Cervi, non importa se fossili o attuali, sono in pratica, quelli forniti dalla armatura frontale. Invero non è stato possibile rinvenire un sol corno in stato di integrità perfetta. Ma a forza di mozziconi coscienziosamente aggiustati, non è stato difficile ricostruire le feste successive del nostro Cervo, dall’ età più giovanile alla più matura. Non mi soffermo a descrivere il malconcio esemplare che, a mio giudizio, rappresenta lo stadio di daga ; "un gracile fusto senza traccia di rami, leggermente curvo all’ in- dietro nella parte superiore, fornito alla base di una larghissima mola eccentrica e obliqua. Guardiamo piuttosto gli avanzi che secondo me corrispondono allo stadio im- (1) Etude de quelques gisements nouveaua de vertebres pleistocenes de l’ile de Corse. Ann. de la Soc. Linnéenne de Lyon. 1891. uo Agg mediatamente successivo ; quali ad esempio, i due rappresentati dalle figure 14 e 15. Il primo dei due consiste di una pertica lunga in complesso circa 18 centimetri, di- latata alla base in una corona misurante circa 36 mm. di maggior diametro, e indi in poi gradatamente assottigliata fino alla vetta. Fino ‘a circa 6 cm. dalla base, la pertica procede quasi diritta; a partir da quel punto descrive un arco dolcissimo, con la concavità volta all’ indietro, e contemporaneamente offre una curva — però molto più lieve — convessa verso 1’ infuori. Anteriormente, circa 54 mm. sopra la corona, principia una superficie di frattura, a contorno semiellittico, di cui | asse maggiore —- disposto verticalmente, nel piano stesso della faccia interna della pertica — è lungo poco. meno di 3 cm., mentre ]’ asse minore non giunge a più di mm. 11,5. Tal superficie di frattura accenna chiaramente a un ramo anteriore, simite in tutto a quello che ci esibisce il secondo esemplare, 1’ esemplare rappresentato dalla fig. 12. In questo la pertica è troncata circa 8 cm. sopra la mola, ma per compenso è quasi integralmente conservata un appendice che si spicca dalla pertica nella faccia ante- riore, circa 65 mm. sopra la corona; appendice che si protende 7 buoni centimetri in avanti, descrivendo un arco pronunziatissimo con la convessità volta all’ insù, e in pari tempo una curva più lieve, convessa nel primo tratto verso 1 esterno e verso l’ interno nel tratto successivo distale. Altri esemplari vengono a mostrarci come fosse foggiata l’ armatura frontale del nostro Cervo in età più ancora avanzate. Il più istruttivo di tutti è l’ avanzo rappre- sentato dalla fig. .16; un corno destro quasi completo, solo un po’ logoro nella superficie e purtroppo anche un po’ mal concio nella vetta, cioè. proprio nella. parte che più ci premerebbe vedere intatta. La pertica, munita alla base di una corona ellittica fortissimamente obliqua, che misura circa 35 mm. di asse maggiore e poco più di 30 mm. di asse minore, offre, a seguirne la curvatura, una lunghezza di i75 mm. Anteriormente, circa 7 centimetri sopra la corona, emette un ramo lungo poco più di tre centimetri, l’ asse del quale viene a fare un angolo di circa 115° con l’asse verticale del fusto sottostante. Mentre si dirige all’ insù, detto ramo non manca di offrire una curva sensibilissima, concava verso l’ interno, precisamente come fa il tratto prossimale del ramo anteriore, nel corno più giovanile di cui tastè si è parlato. A metà distanza’ fra la corona e l’ ascella del ramo, la pertica accenna già una sensibile compressione in senso laterale. La differenza tra il diametro antero-posteriore e il trasverso oltrepassa però di poco una diecina di centesimi; per diciotto millimetri di diametro antero-posteriore, abbiamo 16,5 mm. di diametro trasverso. Sempre più si accentua la compressione man mano si procede verso l’ estremo del corno. Il tratto di pertica sovrastante al ramo misura, a metà della sua lunghezza, 15 mm. trasver- salmente e 20 mm. dall’ indietro all’ avanti: presso all’ estremità solo 12 mm. nel primo senso e qualcosa più di 21 mm. nel secondo. Ciò che rimane dell’ ultima por- zione del corno vien quindi ad apparirci come un esordio di pala. Una lieve infossatura mediana che si osserva nel bordo terminale superiore del. fusto in discorso, sembra accennare la originaria scissione del margine superiore di detta pala in due rebbi, su Serie VI. — Tomo IV. 62 — 4164 — per giù comparabili a quelli che offre la pala terminale nei corni delle Alci giova- nissime (1). Circa la scultura superficiale, così gli avanzi di cui si è discorso finora, come altri copiosissimi mozziconi di corna che stimiamo inutile descrivere partita- mente, concordano nel dimostrarci sviluppatissimi i tubercoli — le gemme — della corona basale; be» pronunziate le strie longitudinali della pertica, specie nella metà inferiore, di dietro. Nei corni più vecchi si nota per solito, tra l’ ascella del ramo anteriore e la corona, un rilievo longitudinale più largo e più profondo delle solite strie. Circa la collocazione e la mossa dei corni, siamo ampliamente istruiti dal teschio rappresentato dalle fig. 1-4, teschio di cui già si è parlato a lungo qualche pa- gina innanzi. Pure ammettendo che il prezioso massacro, oltre le mutilazioni subite prima del seppellimento, abbia potuto soffrir qualche deformazione anche dopo, nel seno stesso del deposito entro cui fu coinvolto, è sicuro, sicurissimo che i peduncoli di corna tuttora esibiti dal suo frontale, non han cambiato menomamente nè di forma, nè di positura. Già si disse che tali peduncoli, coi brevi monconi di pertica adesi, accennano una posizione e un andamento di corna fuor del comune. Si dirigono l’ uno verso dritta, l’altro verso mancina, e contemporaneamente volgono entrambi verso l’ indietro e anche un po verso l’ alto. Secondando tal mossa, le pertiche rispettive dovevano sin dal principio dirigersi pure obbliquamente dall’ avanti all’ indietro, così da formare reciprocamente un angolo di circa 120°, e per tutta la loro lunghezza dovevano mantenersi come sdraiate in un piano leggerissimamente inclinato dall’ in- dietro verso l’ avanti, presso che parallelo alla faccia superiore del frontale. i Ecco, per finire, qualche misura relativa agli avanzi di corna meglio conservati della raccolta. 1 Il N ivi ev vr Massimo diametro del peduncolo alla base . . . mm. 50 48° — — —- — + + » » » » SUPERIORMI CN COMP RR Cee Cee Massima distanza fra il cercine basale del pedun- colo .e..la.corona. rispettiva... vu. afe nl 200 Massimo ‘idiametro-della ‘corona |. 0 e 09 3 o Minimo » » » TRGASS Dl 19600 23 ITS MASSO Lunghezza della pertica, fra Asccio del ramo an- teriore e il margine inferiore della corona. . » = — 75 75 80 63. 65 7 84 Lunghezza totale del corno. . . . LUBE » — — — 165 — 180 -- — Diametro ant. post della pertica a metà cisti fra l'ascella del ramo anteriore e la corona. /» | — (25. 14° 19 210201770023 Diametro trasversale della pertica nel punto stesso.» — 20. 14 17. 20 17,5 16 18,5 Diametro ant. post. ‘della pertica a metà distanza fra il ramo superiore e la vetta del corno. .. » — — — 20 — 13 - —- Diametro trasv. della pertica nel punto stesso... / >» /— —— — 15 — 13 —- - Lungliezza del ramo anteriore. . . » — — .—— 831 - — 7 Massimo diametro di esso ramo a meta liighoveo » — — — ll5 — — l4 13,5 (1) Vedere, ad esempio, quello figurato da Cuvier in Rech. sur les Oss. foss. T. IV, PL IV, fig. 23 Paris 1823. — 465 — Veniamo ai confronti. Nessuna delle specie di Cervini a me note — e dico dell’estinte come delle attuali — presenta corna foggiate e disposte come quelle onde ho parlato finora. E sì che, oltre i non pochi libri consultati, ho fatto ricerche in collezioni impareggiabili, zoologiche e paleontologiche, come quelle del Jardin des flantes di Parigi — cui mi fu dato accedere liberamente grazie alla cortesia squisita dei Professori Boule e Trouessart. — Troviamo però nelle corna del nostro Cervo due caratteristiche molto significative; in primo luogo la compressione della pertica tra il lato esterno e l’in- terno, già sensibile nel tratto inferiore e di più in più accentuata man mano si pro- cede verso l’estremo distale; in secondo luogo la distanza grande fra la corona e l'ascella del primo ramo (potremmo dire primo ed unico) che si spicca dalla pertica anteriormente. Tali caratteristiche fanno venire in mente, di primo acchito, le corna del Capriolo. Ma tra queste, così bene armonizzanti con lo snello, elegantis- simo corpicino che armano e adornano, e i pioli sgraziatamente contorti del Cervo cretese, è troppo grande la differenza per non escluder subito ogni possibilità di parentela. Continuando a cercare troviamo che quelle due caratteristiche medesime si ritrovan congiunte nelle corna di taluni Cervi pliocenici di Alvernia, quale il Cervus ardeus e il C. ramosus che Croizet e Jobert illustravano quasi ottant’ anni or sono, fondando, sopra di esse due specie, un sottogenere che nominavano Anoglochis, appunto per indicarne il distintivo essenziale, cioè la mancanza di ramo basilare nelle corna; in opposizione a un altro sottogenere Cataglochis, cui riferivan tutte le specie di Cervi fossili alverniati, offerenti nelle corna un ramo basilare. Aggregando le due predette col Cervus cladoceros Pom., il Gervais stabiliva in seguito un sottogenere Polycladus, definito con questa breve diagnosi: Bois en partie aplatis comme ceux des Da:ms, sans andouiller basilaire; andouillers du reste de la perche plus ou moins nombreua (1). Il Depéret (2) riprendeva più tardi in esame le preziose reliquie di ruminanti scoperte da Croizet e da Bravart nel pliocene e nel quaternario di Alvernia; e a proposito di Cervi, dichiarava inaccettabile la distinzione in Cataglochis e Anoglochis, proposta dai primi illustratori di quella fauna, Croizet e Jobert, e tenuta per buona dai loro successori immediati Bravart e Pomel, Tal distinzione, secondo il Depéret, oltre a non esser punto naturale, non rende in pratica servigio alcuno, osservandosi una transizione insensibile fra le specie in cui il ramo maestro (maitre andouiller) tocca la mola — come Cervus issiodorensis, C. Perrieri ecc. — e quelle in cui detto ramo nasce ad altezza più o meno grande sul fusto; esempio il C. borbonicus Dép. et Croiz. che potrebbe riferirsi a piacere tanto all’ uno come all’ altro dei due sottogeneri Anoglochis e Cataglochis. II De péret preferisce accet- tare il sottogenere Polycladus Gerv., definito, oltre che dalla nascenza del primo (1) Gervais. Zool. et Pal. frangatises. 2° edit. Paris 1859, P. 146. (2) Nouvelles études sur les Ruminants. pliocènes et quaternaires d’ Auvergne. Bull. de la Soc. Geol. de France, III Sér. 1°. XIII. Paris 1884, pag. 247. Serie VI. — Tomo IV. 62* — 466 — ramo ad altezza notevole sopra la mola, dalla forma piatta che la pertica assume particolarmente verso l’ estremo superiore, senza però giunger mai a formare una pala vera e propria « une veritable empaumure ». Contro il parere dell’ insigne paleonto- logo di Lione sta quello di un gran conoscitore di cervi come il Lydekker. Nella signorile opera sua « The Deer of all Lands » il Lydekker esuma non solo il vecchio sottogenere Anoglochis di Croizet e Jobert, ma l’innalza a dignità di ge- nere, incorporante Polycladus Gerv., ed Eucladocerus Falconer. Tra i confini del genere Anoglochis si possono allogare non solo le forme plioceniche descritte coi nomi di Cervus ramosus Cr. et Job., C. ardeus Cr. et Job., C. polycladus Gerv., C. ambiguus Pom., C. cladoceros Pom., C. cylindroceros Dawk., C. borbonicus Dep., che per il Lydekker son da riferire ad un’ unica specie: Anoglochis ardeus ; ma vi si possono allogar pure, sempre secondo il Lydekker, forme come il Cervus tetraceros Daw- kins, come il C. Segdwichi Falc. (C. dicranius Rutimeyer ex Nesti). Un Amoglochis è molto probabilmente anche il Cervus Cazioti Dep. (1) scoperto una diecina d’ anni or sono in una grotta posta sulla marina tra Nonza e Farinole, poco lontano da Capo Corso. Così stando le cose è lecito riferire al genere Amnoglochis anche il nostro Cervo di Candia, che ha le corna sfornite di ramo basilare, schiacciate fra un lato e l'altro forse più che meno di parecchie tra quelle che si attribuiscono all’ Anoglochis ardeus, munite di un ramo soprabasilare anteriore che fa con 1’ asse della pertica un angolo quasi retto, come quelle dello Amoglochis Cazoti, dirette verso l’indietro e sdraiate sv per giù come i fusti maestri dell’ Aroglochis Segdwicki. A parte però queste lontane affinità generiche, se prendiamo ad esaminare partitamente le corna dei vari Aroglo- chis e le mettiamo in confronto con quelle del nostro cervino dobbiamo rinunziare a qualsiasi tentativo d’identificazione specifica. Oltre ai crani, ai denti, alle corna il nostro Cervo ci ha lasciato, come si disse, avanzi numerosi di vertebre e gran copia di ossa delle estremità, tra cui parecchie in ottimo stato di conservazione. Non potendo disporre del materiale di confronto che occorrerebbe, rinunzio ad entrare in un esame particalareggiato di tali resti, e mi li- mito a riferirne le principali misure, che son però abbastanza significative. (1) Depéret. Etude de quelques gisements nouveaua de vertebrés pleistocenes de l ile de Corse. Ann, de la Soc, Linn, de Lyon. 1897, — 467 — ATLANTE Massima larghezza da una estremità all’altra delle ali . Diametro trasverso della cavità articolare dei condili occipitali . Lunghezza del corpo . Lunghezza dell’arco superiore. ASSE Lunghezza del corpo, non compreso il processo odontoide Lunghezza del processo odontoide Diametro della cavità articolare posteriore . Altezza dell’apofisi spinosa dal margine infero-posteriore del foro rachidiano . Larghezza massima in corrispondenza della postzigapofisi . OMERO Lunghezza totale gti ci Diametro della superficie articolare della testa . Massimo diametro dell’ estr. superiore . Massimo diametro dell’estr. inferiore . Diametro antero posteriore a metà della diafisi. Diametro trasversale nel punto stesso . RADIO Lunghezza totale . Larghezza della estr. sup. Diametro ant. post. della estr. sup. Largh. a metà della diafisi Diam. ant. post. a metà della diafisi . Larghezza della estr. inferiore Diam. ant. post. della estr. inf. METACARPO Lunghezza totale. . Diam. trasv. dell’ estr. sup. » ant. post. dell’estr. sup. Diam. trasv. dell’estr. inf. » ant. post. dell’estr. inf. Diam. ant. post. a metà della diafisi » trasv. » » » I mm. 121 » » » 32,5 nu” 1 13 26,5 19 I Il mm. — 90 circa 48 50 22 IU 2) — mm. 52 » 10,5 » 20 » 34 » 36 I II mm. 158 — Dai, 92 28 » 55 — » 35 — » 29 20 » 19 15 II ITI IV V — 17 18 14,5 — 145 12 13 30 0 25 25,5 21 20 105 JE mm. 131 » OD » 16 D (VE3O » 14,5 » 975 » 16 -—- 468 — FEMORE Massimo diametro trasverso della estremità inferiore . Diametro ant. post. della stessa, fra il margine anteriore della riva trocleare in- terna e il colmo del condilo corrispondente . Diam. ant. post. della estr. inf., fra il margine della riva trocleare esterna e il colmo del condilo esterno . Massima larghezza della troclea comprese le sponde » » della scanalatura trocleare Corda dell’arco formato dalla riva trocleare interna » » » » Lunghezza totale . Larghezza della estremità superiore » esterna TIBIA Diam. ant. post. della estr. superiore. Larghezza a metà della diafisi . » della estremità inferiore Diam. ant. post. della estr. inferiore . Massima larghezza dell’ astragalo . » lunghezza » Diam. ant. post. dell’ astragalo . TARSO I mm. 165 39 35 15 24 13 Lunghezza del calcagno, dall’apice al margine superiore della faccia d’ articolazione con l’astragalo. Diam. ant. post. del collo del calcagno a metà lunghezza Diam. trasversale del cubo-scafoide » ant. post. » » Altezza del cubo-scafoide posteriormente Lunghezza totale . : Diam. ant. post. all’ estr. sup. » trasv. » » Diam. ant. post. all’ estr. inf. » trasv. » » Diam. ant. post. a metà della diafisi . » trasv. » » » METATARSO I mm. 123 135 20 13 22 12 11,6 mm. » mm. 42 12,5 23 = gore Nel diagramma qui unito (fig. 1) le lunghezze rispettive dell’ omero, de radio, del metacarpo, della tibia e del metatarso del Cervo di Candia son poste di contro a quelle che offrono le ossa corrispondenti di altri cervini fossili o attuali, come Cl. euryceros, C. elaphus, C. dama, C. capreolus, Anoglochis ardeus. Si può giudicare da tal dia- gramma come doveva essere minuscola la statura del nostro Cervo in proporzione degli affini; basta considerare che la tibia (la tibia misurata mostra d’avere appartenuto a un individuo pienamente maturo) è di un buon terzo più corta di quella di un Capriolo di mezza età. Il nano aveva in compenso grosse e robuste fuor dell’ ordinario le ossa degli arti. Basta vedere in proposito que- c st’ altro diagramma (fig. 2) dove le principali sol misure di un suo metatarso vengono poste in confronto con quelle del metatarso di un Cervo nobile e di un Capriolo. Emerge dalle cifre che abbiamo riferite un’ altra, caratteristica del nostro Cervo, consistente nella quasi completa ugualità 2° _-- di lunghezza fra metatarsi e metacarpi; mentre nei cervini prevale di solito notevolmente la lun- ghezza del cannone posteriore rispetto a quella dell’ anteriore. | 40} 2 Da Concludendo, le reliquie cervine da me rin- venute nei depositi ossiferi della costa setten- trionale di Candia, spettano ad una forma sino ad oggi non descritta, che solo accenna qualche legame di parentela col gruppo estinto Amnoglochis o e che io propongo di chiamare Anoglochis cre- Hi tensis. Salvo la specie di Corsica descritta dal, _- Cervus curyceros Depéret col nome di Cervus Cazioti, che lo b- C. elaphus. stesso Depéret non sa dire esplicitamente se e Fig. 2. sia pliocenica o quaternaria, tutti gli Anoglochis e - C. capreolus. Metatarso - a di finora conosciuti vengon da giacimenti pliocenici, f - Aroglochis oretensis. Cervus claphus foss. I. Omero - II. Radio - b di €. capreolus - III. Metatarpo - IV. foss. - c di Anoglo- nel quaternario di Candia armonizza pienamente Tibia-V.Metatarso(1/,)). chis cretensis (1). con un fatto, messo in rilievo parecchi anni ad- dietro dal Forsyth Major, e recentissimamente dal Boule (1); col fatto del frequente ricorrere nelle faune mammologiche quaternarie delle isole Mediterranee, di (o) s=e= == Ma la presenza di un cervino di tipo pliocenico (1) Les Grottes des Grimaldi. Résumé et conclusions des études géologiques. L’ Anthropologie, t. XVII. Mai-Aoùt 1906. — 470 — elementi affini piuttosto a forme plioceniche che a forme quaternarie continentali. « C° est ainsi — dice il Boule — qu’ on trouve en Corse et en Sardaigne: le Pro- lagus sardus voisin des Prolagus pliocènes; un carnivore, l’ EnAhydrictis apparenté avec Mustela Majori du Pliocène de M. Bamboli, en Toscane. Les petits Hippopotames de Crète et de Chypre ne seraient pas des diminutions de l’ 7. amphibius mais des espèces voisines d’ une forme des ligniteS pliocènes de Casino » Come l’ Ippopotamo di cui Raulin (1) trovò le reliquie a Katharos, nel cuore delle montagne di Lassiti, il nostro Cervo è pure, verosimilmente, il superstite immiserito di una razza penetrata in Candia nel Pliocene, durante qualcuna delle fasi negative, che in quel periodo dovet- tero mettere in temporanea comunicazione l’ isola odierna col continente europeo. (1) Description physique et naturelle de V ile de Crète. Paris. 1861. Fig. 1-4 Fig. 5-7 Fig. 8-10 Fig. 11 Fig. 29 — 471 — SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Anoglochis cretensis Sim. Testa di maschio vecchio, vista di sopra (fig. 1) di sotto (fig. 2) di lato (fig. 3) di dietro (fig. 4). Testa di femmina molto vecchia, vista di sopra (fig. 5) di sotto (fig. 6) di lato (fig. 7).. Testa d’individuo giovane, vista di sopra (fig. 8) di lato (fig. 9) di sotto (fig. 10). Mascellare superiore destro, probabilmente appartenuto alla testa rappre- sentata dalle fig. 1-4. Branca destra del mascellare inferiore, vista di lato (fig. 12) e di sopra (fig. 13). Corna. Atlante : faccia inferiore. Idem: faccia superiore. Asse, visto di lato. Omero destro : faccia interna. Idem: faccia posteriore. Radio sinistro : faccia anteriore. Idem: faccia posteriore. Metacarpo destro : faccia anteriore. Idem: faccia posteriore. Tibia destra: faccia posteriore. Idem: faccia esterna. Metatarso destro: faccia anteriore. Idem: faccia posteriore. La figura ll è in grandezza naturale: tutte le altre, all’ incirca a ‘4 della grandezza naturale. Den a 2370 Ù Goal pr \ PR AN AT "mag nati i) i é i Ù i 10 Il I i n SODA i VT I RIU ARTO Mem. Serie VI. Tomo IV. CASTELLI FOT SIMONELLI, Mammiferi quaternari dell’ isola di Candia. ELIOT CALZOLARIA FERRARIO- MILANO G. 0. M. SE PNID LGE: Ciamician e P. Silber — Azioni chimiche della luce. — V. Memoria . Fornasini — Irdice critico delle biloculine fossili d’ Italia ; con tre tavole . Rajna — Sopra le dimostrazioni della formula del Cagnoli relativa alla durata minima del crepuscolo ; con due figure nel testo . Vitali — Dell’azione degli acidi cloridrico e nitrico concentrati sul cloruro e nitrato di Bario . Valenti — Canale utero-vaginale in rapporto con genitali maschili normal- mente sviluppati; con una tavola Canevazzi — Considerazioni sulla spinta delle terre; con tre tavole Righi — Sulla deviazione elettrostatica dei raggi catodici nel tubo di Braun; con due figure nel testo . Ruggi — Risultati ottenuti nei prolassi completi dell'utero col metodo pro- prio; con cinque figure nel testo . G. Capellini — Mustodonti del Museo geologico di Bologna. — I. Memoria . A. Baldacci — Un erbario bolognese del secolo XVII . A. Ghigi — Ricerche sulla Morfologia della piuma; con due tavole e quattro fivure nel testo M. Gortani — Contribuzioni allo studio del Paleozoico carnico. — III La Fauna a Climenie del Monte Primosio; con due tavole A. Cavazzi — Sulla disidratazione e presa del gesso . . A. Righi — Sulla deviazione dei ioni generanti le scintille dovuta ad un campo elettrico trasversale ; con cinque figure nel testo G. D’Ajutolo — Di un particolare metodo di ginnastica attiva per la riedu- cazione respiratoria e per il rinvigorimento generale dell’ organismo ; con ventisette figure . MPa » » » » » » » » » » » » 3 43 63 69 G. E. V. Guarducci — Sulla determinazione diretta dello zenit; con una tavola Novi — Curva automatica isotonica coniugata e veleni della fatica muscolare ; con una tavola Trinci — Cellule cromaffini e « Mastzellen » nella regione cardiaca dei mammiferi; con una tavola. Giacomini — Ulteriori ricerche sui resti del sacco vitellino degli involucri embrionali e dei loro rispettivi vasi nelle testuggini e nei coccodrilli; con due tavole doppie Boeris — Osservazioni cristallografiche sopra alcuni composti organici. di AR SS . . addizione ; con sette figure nel testo Rajna -- Osservazioni meteorologiche fatte durante l anno 1906 nell’ Osser- vatorio della R. Università di Bologna. . . . Albertoni e F. Rossi — Bilancio nutritivo del contadino abruzzese e sue condizioni flsiologiche, psicologiche ed economiche . Majocchi — Intorno alla duplicatio supercilii; con una figura intercalata nelle note ed una tavola in fine . Donati — Graduatore di tensione atto a regolare l’ intensità luminosa delle lampade nelle distribuzioni a corrente alternativa Simonelli — Mammiferi quaternari dell’isola di Candia ; con due figure nel testo e una tavola 0 . ‘ . FINITO DI STAMPARE GENNAIO 1908 . O a a (01 » » » » » » » » » 343 385 Paleozoico carnico. — IIL La Fa Ole e % 3 x D$L ” ” Ao Red) a Piu i i i TI Di un partio ne ne ; a ried sa oria. vi 7 da determin diretta EI RI: API » ti vutoma 4 ca OTON i } Va È 3 \ t, st dello zenit ; con una tavola... ita © veleni della fatica muscolare OT e RO TO « Mastzellen » nella regione cardiaca MAIS A Die pa 7 rato N feti SR Ar TORO ; Mir i SI de ® 6 CRIMRETÀ . » VARIE # li involucri. o de # au a A M Rie Tee e nei coccodrilli; con. AR CHAp 3 MV a CIRRTTCASI NOTI OMAR INS L0) E ta È c sÉ pra alcuni omposti organici di ETA APRO, ORI SERE na I atte durante. l’anno 1906 nell’ Osser= ‘Mu SAT MIIARO PORSI RA IC e ART dino abruzzese e sue re l'intensità luminosa delle e go VÉG dt di Di Asha BI i 451. i È i Da 5 1 3 \ ” Sgrtaar | | | PERSE © n E ousele Au7i ‘ei AMM RANA A Tai a A i PA ‘i tt E PR pe Ma UA "$ LITI 3 9088 01305 0802