DU da CL),
ae T og dP )x,
ove a è un vettore costante arbitrario. Moltiplicando ambo i membri per UA, ed
osservando che
risulta in virtù della (8)
dy° 1 @ d d ] 3
Ra="a— -Roty®.a A = pu ( 20) oa A
per conseguenza, posto
(a) — Rol a\=0a,
DS A gf
(') « Analyse Vectorielle générale » pag. 133, formula (5).
(*) Memoria citata.
x
la quale, insieme al fatto che a, è una isomeria, determina effetti
zione di y; e quindi, per la (5), la a; e infine lo spostamento s mediante wi
DETERMINAZIONI QUALITATIVE E QUANTITATIVE
DEI
LIPOIDI CEREBRALI NELLA NARCOSI CLOROPORMICA
NOME
SAGGIO SPERIMENTALE
DELL'ACCADEMICO BENEDETTINO
Prof. IVO NOVI
DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI FARMACOLOGIA DELLA R. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
(Letta nella Sessione dell’ 8 Febbraio 1914).
I. La meccanica dei farmaci.
I farmaci esercitano sull’organismo e sui tessuti azioni biologiche molto diverse a
seconda dello stato di salute o di malattia in che l'organismo stesso si trova, a seconda,
delle dosi, a seconda delle vie e delle maniere di somministrazione, a seconda di un cumulo
‘di circostanze, che possono sconvolgere profondamente l’ intensità dell’azione, la meccanica,
l’effetto biologico 0 terapeutico medesimo.
Di rado ad effetti biologici o terapeutici eguali corrispondono eguali azioni chimiche
e fisiche sui tessuti ed organi. La maggior parte dei medicamenti è chimicamente indiffe-
rente, non può produrre dal punto di vista chimico nessuna notevole modificazione nei tes-
suti e le azioni rispettive spesso sì producono per dosi così piccole che non può neppure
pensarsi ad influenza dei rapporti stechiometrici.
. I fenomeni di disintegrazione per disidratazione, per doppia decomposizione ‘che da
molti anni dimostrai per opera specialmente del cloruro sodico 1), la liberazione e perdita
di calce, di magnesia, di potassa, di soda, che fu dimostrata in circostanze varie dalle mie
esperienze 2) e da quelle di parecchi miei allievi 3), sono fatti che si verificano ben rari
in confronto di quelli cui assistiamo per la massima parte dei medicamenti, che possiedono
azioni biologiche propriamente tali e dirette sul protoplasma cellulare. Così per esempio le
azioni meravigliose ben localizzate e determinate, che si estrinsecano sopra certi organi e
tessuti per opera degli alcaloidi.
Afferma il Tappeiner 4) che gli alcaloidi probabilmente producono modificazioni pas-
seggere della struttura colloidale del protoplasma cellulare e che l’intervento di una par-
ticella di medicamento nel gran numero di molecole di elevatissima composizione, quali
sono quelle dei corpi albuminosi, delle lecitine e simili può alterare 1’ edificio molecolare
come un grano di sabbia può arrestare il complicato meccanismo di un orologio.
Serie VII. Tomo I. 1913-1914. 32
— 246 —
Il paragone non ci dice in verità nulla di chiaro e di tangibile, ma ci mette in vista
condizioni in cui finora. l’analisi chimica fisica non ci illumina affatto sul modo di agire
di taluni farmaci, come essa non ci spiega il modo di agire dei prodotti dovuti alle secre-
zioni interne, alle complicatissime elaborazioni dei processi immunizzanti, alle misteriose
influenze degli ormoni.
Ma se anche nei limiti del noto cerchiamo di renderci conto del meccanesimo col quale
agiscono sostanze che possiedono un medesimo effetto terapeutico e biologico, come ad esem-
pio gli antiseitici, noi vediamo che i meccanesimi rispettivi sono quanto mai disparati e
che talora un effetto finale antisettico non esprime affatto una diretta influenza del far-
maco, ma un’azione indiretta lontanissima, che nel momento in cui si produce non ha
nulla a che vedere col farmaco introdotto. i
Ricordo per esempio l’ iniezione endovenosa del sublimato in dosi singole di 1 cen-
tigramma contro varie forme di piemia, secondo la indicazione data dal Baccelli.
Chi può mai pensare che quel centigramma di sublimato, il quale sparso nel torrente
della circolazione sanguigna, dato che qua o là non si perda, formerà una diluizione di
1 in 500 mila circa, possa anche esercitare una azione antisettica o simile all’ antisettica,
mentre è noto dalle esperienze del Behring che la presenza del siero di sangue toglie al
sublimato la massima parte della sua azione antisettica 2!
E: pure con questo mezzo si è ottenuto qualche buon effetto. sembra anzi che parecchi
buoni risultati si siano avuti da cure di questo genere, per quanto sia illogico il credere
‘ad una reale e diretta azione antisettica di questo sublimato sui germi che mantengono
determinate forme di piemia!
Nel fatto si è potuto osservare che in questi casi e per effetto del sublimato si pro-
duce un cospicuo aumento della fagocitosi, alla quale può attribuirsi il vantaggio osservato.
Ecco dunque una sostanza indubbiamente antisettica, che anche in fuori di una spe-
ciale azione, quale potrebbe essere l’ antisifilitica, opera una disinfezione prendendo una via
del tutto indiretta.
L'importantissima serie di farmaci che sono detti « ricostituenti » ci offre un altro
eloquerite esempio di azione indiretta. Il ferro che dovrebbe possedere un’azione sostitutiva,
perchè la costituzione del sangue ce la indica, il fosforo che dovrebbe compensare special-
mente coi numerosi preparati organici, che inondano il mercato farmaceutico, alle perdite,
alle deficienze, ai bisogni del sistema nervoso, io non credo che abbiano cotesto ufficio sem-
plice e diretto.
Il nostro organismo si trova costantemente provveduto di preparati organici di ferro
e di fosforo dagli alimenti, che nello stato di salute gli somministrano il materiale più
adatto per compensare alle sue perdite fisiologiche. Le condizioni varie più o meno artifi-
ciose che si sono credute idonee ad impedire l’ utilizzazione del ferro e del fosforo alimen-
tare non hanno retto alla critica sperimentale, nè si comprende come l’ organismo che non
2
sappia profittare di questo ferro e di questo fosforo organico, sia poi in caso dì far tesoro
di tutte le altre sostanze alimentari altrettanto necessarie ai suoi bisogni quanto il ferro e
il fosforo!
— 247 —
Noi crediamo invece che ferro e fosforo, quest’ ultimo specialmente sotto forme orga-
niche, più che sotto forma minerale, che ha altra più intensa azione, siano eccitatori di
funzioni, siano agenti piuttosto che mezzi.
È noto che il ferro nell’inizio della sua azione terapeutica aumenta il numero dei glo-
buli rossi e non già il rispettivo valor globulare, perchè solamente in un secondo tempo
l’emoglobina aumenta, l’ emoglobina che è l’elemento che richiede ferro. Il fosforo, come
io e alcuni miei allievi 5) dimostrammo per la fitina (sale calcico magnesiaco: dell’ acido
inosit-fosforico), produce una diminuzione delle perdite di fosforo e anche di azoto, donde
un notevole risparmio dell’ organismo.
Ciò è ben tutt'altro che un deposito di materiale preparato per diventar cervello, nervi
e nuclei cellulari, è il caso di un’ amministratore che impedisce le perdite non già di quello
che paga i debiti.
Gli esempi mi porterebbero lontano dalla mia esposizione, che riguarda particolarmente
i narcotici, ma ho voluto trattenermi sopra confronti per dimostrare che non ai soli nar-
cotici spettano diverse e spesso inspiegabili maniere di agire, ma anche ad altri che sem-
brano di una semplicità primitiva.
Le azioni dei narcotici, comprendendo sotto questo termine farmaci, che di fatto hanno
varia graduazione di effetti sia per la loro localizzazione, sia per la intensità, sia per: il
modo di introduzione, sia per l’uso, non possono rappresentarsi sopra un medesimo schema
meccanico. Dalla morfina al cloralio, all’ alcoo], al cloroformio, al solfato di magnesio, si
intravedono meccanesimi molto diversi, che le diverse teorie sull’ azione dei narcotici non
valgono a mettere in evidenza.
Neppure per i soli ipno-anestetici può ammettersi eguaglianza di meccanesimo. Il pro-
tossido d’azoto non funziona come l’ etere o il cloroformio e neppure questi due farmaci,
che hanno un uso differente solo in ragione delle rispettive azioni accessorie, possono rite-
nersi atti a svolgere lo stesso meccanismo d’azione.
Sostanze che producono l’arresto funzionale o il sonno dei centri nervosi, specialmente
superiori, evidentemente devono esercitare un’ azione biologica, quale essa sia, sopra gli
elementi di cui il sistema nervoso risulta.
Una serie numerosa di sperimentatori genialissimi fra i quali basti il citare il Liebig,
Hermann, lo Schulinus, Lallemand, Perrin e Duroy, Bibra ed Harless
avevano fissato la loro attenzione sui rapporti che dovevano esistere fra i narcotici o al-
meno certi narcotici e le sostanze grasse che si trovano abbondanti nel sistema. nervoso e
rappresentano componenti integrali importantissimi anche nelle cellule di tutti i tessuti e
specialmente nei loro nuclei.
Oggi dopo la designazione dell’Overton siamo soliti chiamare con termine generale
tutte queste sostanze col nome di « lipoidi » e lo studio di questi ha preso una grande e
forse esagerata diffusione.
Importante si dimostra uno studio particolare di detti corpi per la loro diffusione
in rapporto con la costituzione chimica, piuttosto che una determinazione quantitativa com-
plessiva che poca luce può procurare nella interpretazione di fenomeni quanto mai complicati.
II. Meccanica dei narcotici specialmente in rapporto
con le sostanze lipoidi.
Se i narcotici hanno relazioni particolari di affinità, di dissoluzione. di assorbimento
coi lipoidi è ovvio che la ricerca della distribuzione, della composizione e della importanza
di questi corpi nel sistema nervoso e nei tessuti debba premettersi a qualunque altro esame
in proposito. )
Fra i lipoidi hanno un valore speciale e diverso anche dal punto di vista biologico
oltre che da quello chimico e fisico chimico alcuni, che vengono distinti massimamente dal
punto di vista del loro contenuto in fosforo e azoto in confronto dei grassi e della colesterina.
Sono certamente interessanti anche certi dati d’ insieme che stabiliscono 1’ importanza
generica di questi prodotti, come si è fatto per esempio per la dimostrazione del valore dei
componenti minerali degli alimenti prima di distinguere la rispettiva azione dell’ uno o del-
l’altro di essi.
Sono note in proposito le classiche esperienze del Foster sull'esito letale di una ali-
mentazione priva di sali e noti sono i tentativi per formare un cibo artificiale che risul-
tasse di: tutti gli elementi che si trovano negli alimenti naturali.
Per i lipoidi si è creduto che l'organismo ne richiedesse la presenza negli alimenti e
mentre è noto che una dieta del tutto priva di grassi in genere non può ritenersi perfetta
in quanto richiede un maggior contenuto di altri costituenti per esempio degli albuminoidi,
si è ritenuto che nello stesso processo digestivo i lipoidi esercitassero una particolare fun-
zione che rendesse necessario il loro intervento.
Le determinazioni eseguite da Osborne, Mendel e Ferry 6) hanno dimostrato
che almeno per i topi la alimentazione e lo sviluppo corporeo può compiersi perfettamente
formando alimenti artificiali e cioè costituiti dai singoli elementi nutritivi allo stato di pu-
rezza senza l'intervento di lipoidi.
lo Ste 7) invece ha dimostrato precisamente nei topi che non si riesce ad ali-
mentarli, nutrendoli con un cibo a loro congruo e consueto, ma privato di lipoidi mediante
estrattori Soxhlet con alcool o con etere. Anche una ebullizione prolungata in alcool o in
etere toglie all’alimento un materiale che si dimostra necessario e che se pure venga ag-
giunto al cibo non lo rende per questo sufficiente all’ alimentazione.
In tutti questi casi i topi muoiono di inanizione e ciò può impedirsi solamente se la
estrazione sia fatta a bassa temperatura, nel qual caso l’aggiunta del materiale estratto
può dare al cibo quanto occorre perchè esso divenga sufficiente. Lo Stepp descrivendo gli
effetti di alimentazione resa così insufficiente, li paragona a quelli di una infezione da
Beri-Beril.
In conchiusione tuttavia delle sue esperienze lo Stepp non può asserire la necessità
di certi lipoidi, perchè neppur l’ aggiunta di lipoidi non alterati impedisce sempre il danno
e perchè la ebullizione in acqua o in alcool può alterare oltre ai lipoidi anche e ben altri
costituenti alimentari, di cui senza dubbio vi è necessità nella alimentazione normale.
— 249 —
Alcune prove già si possiedono di determinazioni quantitative e qualitative di vari
lipoidi nel sangue, prove anche che tendono a stabilire qualche rapporto con casi patologici.
Così Grimbert e Laudat 8) dopo aver determinato che un litro di siero di sangue
umano conteneva in 3 casi:
Grassi neutri
Colesterina Lecitina e acidi grassi liberi
Te 1,65 1,26 ILSTO
i 1,74 1,19 UEZA
3° 2,60 2,10 4,46
hanno eseguito determinazioni in casi di nefrite ed hanno trovato in questi una maggior
copia di tutti i lipoidi, massima poi in uno nel quale si trattava anche di infezione sifilitica
Grassi neutri
Colesterina Lecitina e acidi grassi liberi
1° nefrite SHOOT 2,24 3,66
2° nefrite 4,70 2,06 7,35
3° nefrite e sifilide 5,04 4,62 10,49
Nel cervello secondo il Linnert 9) la composizione in generale è abbastanza co-
‘stante anche considerata in diversi animali e cioè : coniglio, gatto, cane, maiale, bue, ca-
vallo, uomo, scimmia.
. Questa costanza è riferita dal Linnert al rapporto fra sostanza secca cerebrale, lipoidi
totali e di taluni gruppi.
Così egli vide che la corteccia cerebrale, che come è noto è più ricca di acqua che
non la sostanza bianca, è invece più povera di colesterina.
Secondo lo stesso Linnert nella sostanza bianca oltre al trovarsi maggior quantità
di colesterina, si riscontra anche maggior copia di fosfatidi non saturi, i quali però non
possono ritenersi rappresentati dalla lecitina, bensì da cefalina e mielina.
Lo stesso Linnert col Kirschbaum e sotto l'indirizzo del Frànkel 10) ha ese-
guito determinazioni del contenuto di colesterina nell’ encefalo umano valendosi del metodo
del Windaus e cioè della precipitazione con digitonina. Le determinazioni fatte sulla s0-
stanza fresca hanno dato per la corteccia 1,15%, per la sostanza bianca 2,47, per il cer-
velletto 1,31, per il ponte e il midollo allungato 4,03.
Questi risultati corrispondono alla funzionalità delle parti rispettive e alle osservazioni
precedentemente fatte.
Il Kutanin 11) ha studiato in molte specie di animali il contenuto di fosforo e di
azoto del cervello e cioè nel gatto adulto e neonato, nel topo adulto e neonato, nel bue
e nel vitello, nel maiale e nel porcellino di latte, nel cavallo, nel coniglio, nella scimmia,
nell'uomo, nella rana, nel salmone, nel lepre, nella talpa, nella pecora, nell’ anitra, nel pic-
cione, nel pollo, nel gallo di montagna, nel co
Si è trovato che per cento di sostanza secca cerebrale il fosforo sì aggira intorno
a 1,6, mentre l’azoto presenta grandi oscillazioni essendo di 8,2 il valore medio.
In generale Carbonio e Azoto sono più abbondanti nell’età giovine, che in quella adulta,
— 250 —
la colesterina oscillerebbe intorno al 9% e quanto alla lecitina afferma l’autore che non
si può fare assegnamento sul metodo di estrazione.
Un'altra serie di ricerche riguardanti il fosforo contenuto nella sostanza cerebrale,
estesa anche particolarmente al contenuto dei lipoidi è stata fatta da Dhérè e Mau-
rice 12); le ricerche avevano però lo scopo di determinare le variazioni prodotte dal cre-
scere delPetà nei cani.
Il risultato delle prove da questo punto di vista fu che il fosforo totale della sostanza
nervosa scema con l'avanzare dell’età. ‘
Così mentre in 100 parti di sostanza nervosa secca di un cane di 4 settimane d’età
sì trovavano 1,24 di fosforo, nella stessa quantità di sostanza nervosa di un cane di 8 anni
non se ne trovarono che 0,42. i
Questa determinazione riguarda il fosforo totale, che dunque scema con l’ avanzar del-
l’età, mentre cresce il fosforo dei lipoidi e molto più quello della nucleina.
Queste osservazioni meritano certamente ulteriore conferma e del resto presentano una
grande verisimiglianza sapendosi le condizioni di sviluppo del sistema nervoso nelle sue
diverse parti, che hanno anche composizione determinata.
Mayer e Schaeffer 18) che in pubblicazioni precedenti hanno comunicato i risul-
tati delle loro determinazioni di colesterina e grassi nei tessuti, hanno voluto procedere a
determinazioni riguardanti particolarmente altri lipoidi.
Si sono dati quindi come prima prova al dosamento dei fosfatidi, ma, visto che nello
stato attuale delle nostre conoscenze una tale determinazione è poco sicura hanno modifi-
cato la loro tesi proponendosi di cercare se il fosforo legato ai lipoidi fosse una costante
caratteristica di ogni tessuto.
Essi hanno prima estratto gli organi con alcool e il residuo secco di questa estrazione
è stato alla sua volta estratto con etere, che lascia indietro varie sostanze insolubili.
Sebbene le ricerche di questi autori non riguardino il sistema nervoso, ma per ora
solamente il fegato, il rene, il polmone, il pancreas, i muscoli, i genitali, il loro risultato
merita attenzione in quanto si è trovata una certa costanza nel contenuto di fosforo dei
lipoidi così estratti. Esso è più abbondante nel rene e nel fegato che non nei muscoli e
fra le diverse specie animali non vi è differenza molto notevole, anzi secondo Mayer e
Schaeffer il rapporto del fosforo dei lipoidi al peso dell’organo fresco è una costante
che caratterizza la specie cellulare cui l’organo appartiene.
È notevole inoltre che secondo queste ricerche le medie del contenuto dei lipoidi in
fosforo non variano nè nella inanizione, nè nella sovralimentazione.
Una costanza simile era stata trovata dagli stessi autori per la colesterina, alla quale
pure oltre che ai fosfatidi spetta una importanza molto notevole e che vediamo ben deli-
nearsi anche in condizioni patologiche.
Così il Lemoine 14) ha trovato che le pareti vasali dei tubercolosi contengono pic-
cola quantità di colesterina e ne contengono invece quantità elevate negli arteriosclerotici.
In questo caso però le oscillazioni sono molto cospicue da individuo a individuo.
E appunto negli ateromatosi ha dimostrato il Windaus 15) che la colesterina ed
O
i suoi eteri aumentano di molto dallo stato normale. Mentre nelle arterie normali la cole-
sterina libera variava da 0,119 a 0,103 per cento di tessuto esaminato, diventava questo
rapporto nelle arterie ateromatose di 0,741 a 0,673.
Gli eteri di colesterina da 0,047 a 0,032 in casi normali salirono a 1,053 e 0,792 nei
casì di ateroma.
Queste osservazioni dimostrano l’importanza estrema che i lipoidi assumono, importanza
che si accresce ancora di più quando si considerino le varie specie di lipoidi e specialmente
la colesterina in confronto coi fosfatidi in genere, che nel sistema nervoso sono contenuti
in copia notevole e rappresentano lo sviluppo speciale della sua parte più nobile, cioè del
complesso cellulare.
Non è d’oggi certamente la tesi se ì narcotici raggiungano i lipoidi del sistema ner-
voso ed agendo sopra di essi compiano l’ effetto farmacologico e terapeutico che conosciamo!
Fin dal 1847 Bibra ed Harless 16) pubblicavano-un lavoro riguardante esperienze
eseguite mediante narcosi da etere solforico.
Un numero notevole di animali fu sacrificato per confronto con altri sottoposti a ripe-
tute narcosi con etere e si è trovato, che nel cervello e nel fegato variava il contenuto dei
grassi sotto la narcosi eterea in confronto di quello che si verificava negli animali normali.
E precisamente si trovò il cervello più povero e il fegato più ricco di grassi negli
animali eterizzati, che non in quelli di confronto, Bibra ed Harless conchiusero ammet-
tendo una estrazione di grassi dal cervello per opera dell’ etere circolante nel sangue du-
rante la narcosi e posero in rapporto di causalità la diminuzione della eccitabilità cerebrale
con questo fenomeno.
Cotesti fatti furono ancora illustrati successivamente dal Bibra 17).
L’accorrere dell’etere o dell’alcool al cervello è stato notato anche dal Liebig a
detta del Gubler 18) attribuendolo al fatto che i corpi grassi e le resine sembrano diri-
gersi particolarmente al-sistema nervoso una volta introdotti nell’ organismo.
E nel cervello infatti secondo il Gubler si trovano quantità cospicue di etere e di
alcool per l’ affinità speciale che questi solventi possedono verso alcuni componenti del
sistema nervoso.
Nel 1860 Lallemand, Perrine Duroy 19) trovavano che l’ alcool si localizzava
nel cervello e nel fegato piuttosto che nel sangue e in altri tessuti nei quali più scarsa è
la copia della lecitina e dei grassi.
Lo Schulinus 20) nello studiare la durata del soggiorno dell’ alcool nell’ organismo,
rispettivamente nel sangue e negli organi notò fin dal 1865 che il cervello assorbe la mag-
gior quantità di alcool, e la minore copia resta nel sangue.
Per tal modo il sangue sarebbe bensì in un primo tempo il portatore dell’ alcool o delle
altre sostanze narcotiche, ma non sarebbe per nulla il più ricco, come volle ammettere lo
Schmiedeberg, perchè scorso un certo tempo che varia a seconda delle sostanze tro-
viamo queste nei vari organi e tessuti e poco o nulla ne riscontriamo nel sangue.
L’Hermann 21) nel 1866 osservava che tutti i narcotici della serie alifatica produ-
cono una dissoluzione più 0 meno notevole dei globuli rossi e ne diminuiscono il contenuto
%
— Dogi
in lecitina e ne conchiuse che la lecitina, la colesterina e i grassi che si trovano nel tes-
suto nervoso e nello stroma dei globuli rappresentano il materiaie a cui aderiscono le
sostanze narcotiche. —
Etere e cloroformio che esercitano appunto tale doppia azione sul sistema nervoso e
sui globuli si fisserebbero secondo |’ Hermann sul materiale che il Liebreich chiamò
protagone e che oggi si discute se possa ritenersi veramente un individuo chimico a sè.
Questi fatti pur tanto importanti che portavano chiare note sul meccanismo d’azione
dei narcotici non furono apprezzati se nen più tardi, molto più tardi, mentre essi rappre-
sentano il fondamento delle dottrine più recenti.
I rapporti diretti fra le sostanze narcotiche e il tessuto nervoso erano tuttavia dimo-
strati ed approfonditi dalle esperienze diverse che si venivano eseguendo.
Così l’Hitzig 22)nel1873 aveva dimostrato che le inalazioni di etere rendono ineccitabile
la corteccia cerebrale a stimolazioni prodotte da una corrente indotta che prima erano efficaci.
Si deve al mio Maestro Albertoni 23) la geniale esperienza che dimostra la loca-
lizzazione dell’azione dei bromuri sulla corteccia cerebrale, esperienza che successivamente
fu ripetuta sempre, ogni .volta che voleva dimostrarsi l’azione diretta di una sostanza sul
tessuto nervoso centrale.
Se .non che come lAlbertoni e ]XH itziogncosì alt Berna Malone ns
Bernstein avevano ammesso che l’azione dei narcotici e particolarmente quella del clo-
roformio si esercitasse unicamente sul sistema nervoso e il sangue non servisse che da
intermediario, da portatore, dimenticando il concetto svolto già dall Hermann.
_Il Pohl 24) invece ha messo in vista il fissarsi del cloroformio, anche sui globuli rossi
come su tutti i tessuti più o meno ricchi di lecitina e di colesterina.
Proposizione questa che pochi anni sono il Nicloux 25) apertamente convalidava af-
fermando che i narcotici si fissano in maggior copia sui tessuti ed organi che contengono
una maggior quantità di sostanze lipoidi.
Tutte queste più o meno chiare designazioni del modo d’agire dei narcotici evidente-
mente richiamavano l’attenzione dei biologi su modificazioni chimiche o fisiche chimiche
del sistema nervoso centrale e taluna anche indirettamente portava alle ipotesi recenti che
vanno oggi sotto il nome di Overton e Meyer, ma erano pur lontane dalla interpreta-
zione che il Meyer particolarmente ci ha dato.
Nel 1884 il Du Bois 26) notava un fenomeno molto interessante per la biologia. Sot-
toponendo all’azione di vapori diversi alcuni vegetali in cui vasi e vacuoli sono scarsi nel
parenchima delle foglie, e particolarmente sottoponendo campioni di Echeveria glabra al-
l’azione del cloroformio, della benzina, dell’ etere, del solfuro di carbonio, dell’ alcool, si
osservano sulla superficie delle gocciole di liquido acquoso, che stanno certamente a dimo-
strare una disintegrazione organica, che deve evidentemente modificare almeno provvisoria-
mente le condizioni fisiche chimiche del parenchima vegetale.
È un fatto questo che ha servito di punto di partenza alle interessanti considerazioni
del Meyer di cui diremo fra poco e che si riferiscono al rapporto fra acqua dei tessuti e
vapori di sostanze che possono esercitare varia azione dissolvente.
— 253 —
Ma lo studio più importante che riguarda il meccanismo di azione dei narcotici con-
siderato come effetto della diffusione e fissazione loro sopra determinati tessuti ed organi
è quello dell’ Ehrlich 27), che dimostra una volta di più l’acutezza e la genialità del
biologo. | i
Già nel suo lavoro della reazione del bleu di metile sulla sostanza nervosa l Ehrlich
aveva affermato che con grande verisimiglianza un dato materiale tossico innanzi tutto
ed in primo luogo attacca quegli elementi ai quali giunge di fatto e da cui viene assorbito
in modo speciale. Ne veniva come diretta conseguenza l’importanza di determinare le leggi
di distribuzione di una sostanza tossica o terapeutica e successivamente si sarebbe potuto
mettere in rapporto questi risultati con l’azione biologica.
Naturalmente la dimostrazione dell’ assorbimento di determinate sostanze da parte del
sistema nervoso deve richiedere una dissoluzione di queste nel sangue, ma lo stesso Ehr-
lieh aveva già dimostrato che l’alizarina e l’indofenolo anche sospesi finamente, se pur
non disciolti, ma suddivisi, come egli crede di essersi potuto esprimere, in particelle mo-
lecolari possono dare colorazione del sangue, quando il menstruo di sospensione sia appro-
priato, per esempio non sia l’acqua, ma il siero sanguigno.
Studiando poi i prodotti di sostituzione formatisi per l’ entrata dell’ acido solforico nella
molecola di sostanze neurotrope come l’alizarina, la flavanilina, l Ehrlich ha veduto, che
essi non colorano più il sistema nervoso.
Oltre a ciò l’Ehrlich notava il rapporto interessante che esisteva fra sostanza grigia
e tessuto adiposo dal punto di vista della fissazione di un certo numero di sostanze spe-
«ciali, portate dal sangue bensì, ma legatevi debolmente e formava in questa maniera il
concetto di quel coefficiente di distribuzione fra acqua del sangue e lipoidi dei tessuti, che
rappresenta il nucleo della dottrina di Meyer e Overton.
In quella sua pubblicazione 1’ Ehrlich annunziava anche che fra le sostanze che pos-
sono essere assorbite tanto dal tessuto adiposo, quanto dalla materia cerebrale si trovano
il verde di metile e la tallina.
‘Ripetiamo che le diverse osservazioni che siamo venuti esponendo e che precedono di
molto le considerazioni e le esperienze del Meyer e quelle dell Overton erano qualche
cosa più di fatti isolati e di vaghe affermazioni, sicchè troviamo ben giusto il richiamo
dell’Archangelsky 28) alla priorità dell’ Ehrlich, mentre consentiamo nell’affermazione
del medesimo che vi siano altre misure per determinare il valore dei narcotici oltre al
coefficiente di distribuzione fra plasma sanguigno e sostanza nervosa.
Prima dell’Overton e del Meyer e cioè nel 1891 il Pohl, che abbiamo citato più
sopra determinava la fissazione del cloroformio precisamente sui tessuti e organi ricchi di
lecitina e di colesterina e quindi nel sangue sceglieva i globuli rossi, schivando il plasma
ove l’abbondanza di acqua è la maggiore caratteristica.
Nel 1893 il Richet 29) occupandosi della tossicità degli alcool e degli eteri aveva
affermato che essa è inversamente proporzionale alla loro solubilità nell’acqua e dal suo
allievo Houdaille faceva determinare le dosi massime non mortali e le minime mortali
per i pesci immersi durante 24 ore in soluzioni di varie di queste sostanze.
Serie VII. Tomo I. 1913-1914. 33
— 254 —
Le cifre interessanti che seguono rappresentano le dosi in un litro
massima minima
non mortale i mortale
alcool etilico . . . . gr. 20 gr. 40
ClereasoloGicomzent Da DI LOI)
VIETA O ME Satie » 9
paralderde: 7... SAS dI
alcool amilico. . . . >» 70,5 >» 1,-
acelofenonernti i... >» 0,15 05
assenza d’assenzio . » 0,0025 » 0,005
La legge dettata dal Richet è abbastanza esplicita, ma già incontra eccezioni gravi.
Ciò che valeva per il metil uretano, il sulfonale, il trionale, non valeva per il cloralio e
per il bromalio, la solubilità nell'acqua è un buon dato di raffronto, ma non è il solo e la
solubilità nei lipoidi rappresenta l’altro fattore che |’ Ehrlich aveva pur contemplato nella
sua esposizione.
Tuttavia la chiara espressione della attuale teoria sull’ azione dei narcotici quale emerge
dalle osservazioni altrui e dalle proprie si trova solamente molto più tardi e cioè nel 1899
nei lavori del Meyer 30) e del Baum 31) e in quello delPOverton 32) del tutto
indipendente dalle osservazioni dei due autori precedenti.
Secondo il Meyer l’ osservazione del Du Bois riguardante l’azione di certi vapori su
parenchimi vegetali fa pensare che la narcosi sia il risultato di una gara fra acqua e so-
stanze eteree in proporzione delle loro masse e della rispettiva affinità per corpi contenuti
nei parenchimi diversi.
Corpi così fatti sono la lecitina e sue combinazioni con altri composti albuminosi. Che
poi l’acqua asportata dalle sue soluzioni solide apparisca alla superficie come nel caso
della Echeveria glabra o si raccolga in vacuoli o spazi lacunari, oppure imbeva i tessuti
è la stessa cosa, il fatto importante secondo il Meyer è questo che certi aggregati impor-
tanti per la funzione normale del protoplasma, come la lecitina e corpi simili, possano
essere spostati dalle loro ordinarie miscele o dai loro rapporti di soluzione per opera di
nuovi rapporti di solubilità con sostanze che si fanno intervenire dall'esterno.
In seguito alla considerazione testè esposta ed alle osservazioni che sono state special-
mente eseguite dal Baum sulla diversa solubilità e sul coefficiente di distribuzione di varie
sostanze narcotiche, su acqua e grassi, il Meyer stabiliva la legge che va sotto il suo nome
e che mette in rapporto l'intensità di azione dei narcotici, noi diciamo anzi l’azione stessa
dei narcotici col coefficiente di distribuzione dei narcotici medesimi in una miscela di acqua
e sostanze lipoidi, quale si verifica nell’organismo e in certi tessuti specialmente.
Il Baum ha studiato la distribuzione di vari narcotici fra acqua e grassi e cioè il
sulfonale, il trionale, il tetronale e il dimetilsulfodimetilmetano, l’etilmetiluretano, 1° alcool
butilico e l’amilico, le acetine, il cloralio.
L'Overton partendo da altro punto di vista e valendosi di ricerche su cellule vege-
tali e su infusori collocati in soluzioni di sostanze narcotiche ha cercato le influenze eser-
— 255 —
citate sopra questi esseri da molte sostanze che non hanno affinità coll’ ossido di carbonio
e con deboli basi organiche ed è giunto alle affermazioni del Meyer creando il termine
oggi comunemente usato di sostanze lipoidi, con le quali l’Overton ha inteso di designare
particolarmente una proprietà fisica, quella cioè di sciogliere, come fanno i grassi, certi
prodotti o rispettivamente di sciogliersi in essi.
La conclusione cui è giunto l’Overton è quella che le sostanze del tipo dei prodotti
indifferenti della serie alifatica « solubili negli olii grassi e in simili solventi e rispettiva-
mente poco solubili nell'acqua, penetrano con grande rapidità nel protoplasma vivente,
mentre i prodotti molto solubili nell'acqua e poco o nulla negli olii grassi attraversano
il proltoplasma o male 0 con straordinaria lentezza ».
Che il modo di agire, dal punto di vista farmacologico e terapeutico, dei narcotici
della serie alifatica, che esercitano la loro influenza sulle funzioni superiori corticali, sia
tutto speciale non vè dubbio di sorta, ma quando si pensi alle azioni pure deprimenti del
sistema nervoso e anche, per certe dosi, di determinate e ristrettissime parti di esse, quali
alla fin fine potrebbero chiamarsi azioni narcotiche sul centro respiratorio in riguardo
alla tosse (morfina e derivati), azioni narcotiche sui centri spinali per il solfato di magnesia,
azioni narcotiche per gli stati patologici di eccitamento dei centri motori per i preparati
di bromo e cerchiamo di renderci conto di quello che avvenga di queste sostanze così
diverse che pur devono penetrare nel protoplasma delle cellule nervose, noi non sappiamo
veramente convincerci che l’ affermare la solubilità di un preparato nel lipoide cerebrale
spieghi neppur da lontano la intimità del fenomeno che deve svolgersi nel protoplasma
cellulare ! E perciò nell’ammettere la importanza biologica della legge di Meyer e Over -
ton, crediamo si debba anche tener conto di tutte le altre interpretazioni che nulla hanno
a che fare con questa legge, ma si appoggiano pure a fatti indiscutibilmente importanti e
altrettanto dimostrati.
Non vogliamo certamente passar in rivista le varie teorie che sono state proposte per
interpretare il fenomeno della narcosi e che si raggruppano più o meno fedelmerte alla
interpretazione del sonno fisiologico.
Ad una anemia rapida dei centri superiori o anche dei nervi può far seguito la sospen-
sione funzionale, ma ciò come è noto, avviene anche per una iperemia improvvisamente
prodottasi, sia essa attiva o passiva. Sostanze atte a produrre una anemia o altre capaci
di determinare una iperemia cerebrale possono dunque, negarlo a priori non è possibile,
condurre ad un medesimo risultato, ma il concetto dell’anemia cerebrale nella mancata
funzione dei centri nervosi superiori ha regnato a lungo e non può neppur oggi essere
escluso.
Fin dal 1877 il Binz 33) negava all’ anemia una importanza notevole nella produzione
del sonno, affermando che questo può prodursi anche senza di essa e che il verificarsi di
uno stato anemico nel cervello durante il sonno indica piuttosto che l’anemia è effetto in-
vece che causa del sonno. Il Binz ritiene che l’azione degli ipnotici sia collegata ad una
influenza chimica sulla sostanza corticale, una specie di coagulazione, che altre sostanze
anche di composizione simile, ma non ipnotiche non possiedono.
— 256 —
Per il Binz la morfina, il cloralio, l'etere, il cloroformio possiedono una grande affi-
nità con la sostanza nervosa della corteccia cerebrale, ne alterano il ricambio intimo così
da.renderla inetta ad adempiere le funzioni dello stato di veglia.
Con le interpretazioni del Meyer e dell’Overton o con la concezione primitiva del-
lEhrlich si comprende qualche cosa di più preciso che regola cotesta grande affinità dei
narcotici per la sostanza nervosa, che dal Binz è solamente affermata, ma in verità se
consideriamo un po’ da vicino cotesta funzione dei lipoidi sui quali ì narcotici tendono a
fissarsi e si fissano, noi vediamo che nella vita cellulare essi hanno una importanza ben
diversa l’ uno dall’altro il che facilmente s’ intende sol che si confronti la colesterina con
la lecitina !
. Dove si fissano dunque i narcotici? si fissano, e semplicemente per questo fatto produ-
cono la modificazione funzionale della cellula nervosa ? oppure cotesta fissazione rappresenta
una modificazione del ricambio materiale o una alterazione, quale il Binz disse una specie
di coagulazione, o un fenomeno di ossidazione, o un arresto delle ossidazioni come alcuno
ha voluto ammettere ?
Coi dati che si possiedono oggi non è certo facile rispondere e non crediamo che la
risposta possa mai essere semplice o unica. Vari devono essere i modi di agire dei narco-
tici e neppure quelli che sembrano dirigersi nel medesimo senso verso il chimismo cellulare
come ad esempio l'alcool e l’ etere, possono nel fatto ritenersi eguali nella maniera di
assalire e impegnare la funzione della sostanza nervosa.
Si dirà che l’ alcool ha una notevole molteplicità di azione perchè esso agisce come
tale e per i prodotti di trasformazione cui dà luogo, ma ciò non toglie che la massima
parte delle osservazioni sulla teoria della narcosi sia stata eseguita appunto sull’ alcool,
che determina di fatto ì fenomeni suoi più comuni quando agisce in natura per sè e non
per i suoi derivati.
Del resto si sa già che l'alcool e l'etere hanno diverso valore di solventi dei lipoidi,
devono quindi attaccare l’ individuo cellulare da punti diversi e già a priori e grossolana-
mente sembrerebbe che la loro azione dovesse diversamente estrinsecarsi.
Ma: anche di recente sì è proposto un diverso meccanismo di azione dei narcotici, un
meccanismo che direttamente interessa uno degli elementi più importanti per la vita dei
tessuti cioè |’ ossigeno.
Il Verworn 84) fa risiedere la causa della narcosi in una deficienza di ossigeno
nella respirazione interna del cervello, prodotta dal farmaco. Dimostrare tuttavia il modo
col quale i diversi narcotici possano produrre questo risultato non è semplice. Se può
imaginarsi un’ azione riducente dell’alcool, mentre si ossida nell’organismo e quindi sot-
{rae ossigeno, è anche necessario riflettere che l’ azione narcotica avviene massimamente
mentre il farmaco rimane come tale nei tessuti e non quando dà luogo ai suoi prodotti di.
ossidazione. L'azione depressiva più lunga dell’alcool metilico in confronto di quella del-
l’etilico è dovuta appunto al perdurare che fa l'alcool metilico lungamente in seno ai
tessuti e specialmente al sistema nervoso senza subirvi alterazioni.
E che non sia così semplice il fenomeno della narcosi può desumersi secondo il Win-
— 257 —
terstein 35) dall’osservazione che gli ascaridi, i quali vivono in mezzi privi di ossigeno sen-
tono tuttavia l’ influenza dei narcotici, come gli animali che respirano in ambiente ossigenato.
L’osservazione a parer mio non avrebbe tuttavia che un’ apparente importanza, perchè
non è detto che gli ascaridi, se vivono in ambiente privo di ossigeno libero, non sappiano
usufruirlo dalle sue combinazioni e che quindi anche in essi il narcotico non possa arrestare
o rallentare quei meccanismi intimi che servono alla liberazione o alla circolazione del-
l’ossigeno stesso.
Molto più convincente è l’opposizione fatta l’anno scorso da Loeb e Wasteneys 36)
al concetto del Verworn mediante lo studio del fenomeno sugli embrioni di pesci.
Argomentano Loeb e Wasteneys che se la narcosi dipendesse da arresto o rallen-
tamento dei processi di ossidazione, il consumo di ossigeno dovrebbe diminuire in ragione
del potere inibitorio di un narcotico e del suo effetto specifico sulla narcosi.
Le esperienze eseguite dai due autori ora indicati dimostrano invece che da un lato
il cianuro potassico non ha azione narcotica, benchè riduca la velocità di ossidazione ad }/,
del suo valore normale, d’altra parte il cloroformio produce una narcosi molto profonda
senza limitare la velocità delle ossidazioni organiche.
Il prof. Albertoni 37) valendosi del mio apparecchio per la determinazione dell’ os-
sigeno mobile del sangue ha dimostrato che il cloroformio può far aumentare e non dimi-
nuire questo gas, e per tal modo se non si offre un argomento di assoluta opposizione al
concetto del Verworn, non aumentano certamente per nulla le probabilità di dimostrazione.
Nel mio Istituto il Dott. Martelli 38) ha studiato mediante esperienze in vitro e nel-
l'organismo di cani normali come si comporti |’ ossigeno mobile del sangue durante le ina-
lazioni di etere e di cloroformio.
Il Martelli ha trovato nelle sue esperienze in vitro che mettendo in contatto con
campioni di sangue defibrinato di cane piccole quantità di etere o di cloroformio si osserva
che i campioni contenenti etere dimostrano una maggior quantità di ossigeno mobile nelle due
prime ore e successivamente lo perdono, mentre il cloroformio attacca rapidamente i globuli
e dà luogo immediatamente a diminuzione dell'ossigeno mobile.
Nelle esperienze in vivo l’etere produsse sempre un aumento della quantità dell’ ossi-
geno mobile, e il cloroformio invece una diminuzione, fenomeno che fu veduto ripetuta-
mente in parecchie esperienze.
Il color rutilante del sangue in seguito all’azione del cloroformio è forse dovuto al-
l’azione emolitica di questa sostanza ed alla liberazione immediata di ossigeno, che viene
tosto eliminato e non è quindi utilizzato dal tessuti.
Queste esperienze dunque non permettono affatto di attribuire importanza alla ossige-
nazione del sangue come fattore della narcosi, dacchè così oppostamente sì comportano due
sostanze che nella pratica comune vengono adoperate nelle medesime contingenze e con
effeili terapeutici simili.
Secondo il Traube può il concetto del Verworn essere ammesso anche senza respin-
gere la legge della distribuzione dei lipoidi, che per le considerazioni del Traube stesso
prenderebbe una importanza secondaria.
258
Fin dal 1908 il Traube 39) notava che ove sono presenti: molti lipoidi come nelle
cellule gangliari, le sostanze che hanno una piccola tensione superficiale nella fase acquosa
possono passare rapidamente e condensarvisi. i
E però finchè la concentrazione è minore nella membrana lipoidea, che nel liquido
ambiente la differenza di pressione non porta modificazioni funzionali nella cellula, ma a
poco a poco secondo la legge di distribuzione la concentrazione diviene maggiore nella fase
lipoidea, che nell’acquosa del mezzo ambiente e la pressione superficiale e interna viene
così alterata da produrre il fenomeno della nareosi.
In. una sua pubblicazione successiva il Traube 40) più chiaramente mette in vista il
rapporto della sua teoria fisica chimica col concetto del Verworn. Egli ammette che i nar-
cotici siano sostanze che possiedono una debole tensione adesiva nell'acqua, se così possiamo
tradurre la parola Za/fedritck che il Maraghini 41) rende con quella di intensità di coesione.
Per tale proprietà i narcotici diminuiscono la tensione superficiale e l interna dell’acqua
e dei liquidi acquosi dei tessuti.
La diminuzione o l'arresto esercitati dalle sostanze di debole adesione all’ acqua sulle
ossidazioni prodotte per l’intervento dei colloidi cellulari e sui fenomeni elettrici delle su-
perfici di contatto, devono ritenersi secondo il Traube la causa della narvcosi.
Il Bubanovic 42) crede insostenibile la teoria del Traube perchè già teoricamente
non vi è parallelismo fra pressione osinotica e forza adesiva nel senso voluto dal Traube.
Così il Bubanovic ha dimostrato che il cloroformio e l’ alcool etilico non influiscono sulla
tensione superficiale dell’olio, dal quale certamente sono attirati in confronto dell’acqua.
In contrasto pure con la concezione del Traube sono le osservazioni del Viale 483),
che precisamente nella narcosi da cloroformio non ha potuto verificare quasi alcuna modi=
ficazione della tensione superficiale del siero sanguigno, mentre con diversi altri narcotici
sl osserva una diminuzione della tensione stessa.
Oltre a ciò anche nei casi in cui tale diminuzione si effettua non si nota un valore
costante che corrisponda al momento della narcosi, così da doversi conchiudere che 1° ab-
bassamento notato sia piuttosto un fenomeno legato alla composizione del liquido circolante.
Esperienze eseguite in vitro con siero cui si erano aggiunti diversi narcotici hanno tuttavia
dimostrato che l’abbassamento osservato non è dovuto alla semplice miscela o dissoluzione
del narcotico nel siero, ma ad un fenomeno vitale che si compie in seno all’ organismo
narcotizzato.
Il Viale prudentemente aggiunge che sebbene le sue esperienze non appoggino il con-
cetto del Trauhbe, deve tuttavia ricordarsi che il siero di sangue sul quale sì sono ese-
guite le dimostrazioni non rappresenta di fatto il liquido nel quale si trovano immerse le
cellule nervose, liquido che può variare quindi notevolmente così in confronto col proto-
plasma cellulare come in confronto col siero di sangue.
Comunque sia, non è lecito negare al contenuto di lipoidi cerebrali una importanza
nella produzione della narcosi, il meccanismo potrà essere diversissimo, puramente fisico,
o puramente chimico, o biologico, ma i lipoidi con le modificazioni loro in quantità o qua-
lità devono certamente contribuire alla produzione del fenomeno.
— 259 —
È interessante a questo proposito il fatto notato dallo Sciortino 44) in cervelli di
animali sottoposti a narcosi cloroformica. Saggiando la resistenza elettrica col ponte del
Kohlrausch egli ha osservato che in seguito all’azione del cloroformio il cervello presenta
un aumento di detta resistenza e rispettivamente una diminuzione della conducibilità.
Senza fantasticare sopra una diminuzione della trasmissione degli impulsi cerebrali
degli stimoli che accedono ai centri in queste condizioni sperimentali è pur possibile il
pensare che la modificazione della resistenza sia dovuta ad una modificazione bio-chimica
dacchè indubbiamente essa esprime l'alterazione di un importante proprietà fisica chimica.
L'importanza infatti di questa proprietà è messa in vista dalle esperienze del Loew e.
Notiamo dapprima uno studio del Loewe 45) nel quale è affermato che la colorazione
che può essere assunta dai vari lipoidi cerebrali dimostra che essi si trovano allo stato
colloide e non di soluzione.
I narcotici quindi si fisserebbero sui lipoidi per adsorbimento e non per un processo
di dissoluzione.
In secondo luogo notiamo in un altra pubblicazione del Loewe 46) clie i lipoidi
eccettuata la colester’ina, in contrapposto coi colloidi idrofili del tipo albumina hanno ten-
denza alla dispersione tanto nei mezzi acquosi inorganici come in quelli organici. Essi sono
dunque ambofili e nell’uno e nell'altro mezzo di dispersione esercitano un forte potere di
adsorbimento per una numerosa serie di sostanze.
Ammessi questi dati di fatto il Loe we 47) annunzia che la narcosi deve ritenersi come
un’alterazione della membrana cellulare, i narcotici sarebbero veleni di questa membrana.
La struttura microscopica, la plurifasicità, la natura colloide rappresentano condizioni
che permettono l’azione dell’uno o dell’ altro narcotico sulle membrane.
Il Loewe ha studiato l’ influenza dei narcotici sulla conducibilità elettrica delle varie
membrane, definendo egli le membrane in primo luogo nel senso fisico come sistemi carat-
terizzati dalla loro forma (variazione di tensione superficiale e rapporto fra due sistemi affini)
e in secondo luogo caratterizzati da una speciale struttura proveniente da costituzione isto-
logica, da tensione adesiva, da natura colloidale.
Il Loewe ha veduto che mentre membrane di natura lipoidea, immerse in soluzioni
di narcotici presentano una diminuzione della conducibilità elettrica, questo fatto non si
osserva se le membrane studiate non risultano di materiali lipoidi.
Di più le sostanze lipoidi delle membrane immerse in soluzioni narcotiche per l’ adsor-
bimento del narcotico da idrofile divengono idrofobe (sit venia verbo) senza perdere l’acqua
di combinazione.
Di qui nasce evidentemente una diminuzione di permeabilità e un danno generico della
funzione specifica dell’organo. E però secondo il Loewe tutte le teorie che non posano
comunque sui rapporti fra narcotici e lipoidi devono essere respinte.
Gli studi eseguiti dal Lillie 48) sulle ova di stelle di mare e di riccio di mare sono
una dimostrazione della importanza che deve attribuirsi alle osservazioni del Loewe.
Nelle ova sopra accennate il Lillie ha veduto che la permeabilità alle soluzioni di sali
neutri di sodio e di potassio e l’azione citolitica di queste sono ritardate dalla presenza di
SE)
vari anestetici in concentrazioni diverse. Un’ azione protettiva analoga viene esercitata seb-
bene in grado inferiore dalla calce e dalla magnesia.
Evidentemenie gli anestetici devono aver esercitato la loro azione sui lipoidi delle mem-
brane cellulari e certamente l’azione esercitata dall’ anestetico merita di più l'aggettivo di
biologica in confronto con quella della calce o della magnesia, che possono anche essere
puramente chimiche e neppure biochimiche.
L’ importanza biologica generica dei lipoidi in rapporto alle azioni farmacologiche risulta
anche bene dimostrata dalle esperienze del Meyer 49). Sostanze che attaccano i lipoidi
cellulari le rendono più sensibili alle influenze esterne, si intende che questo termine di
attaccare dovrà riferirsi ad alterazioni diverse, ma non può ammettersi che qualunque modo
di colpire i lipoidi cellulari conduca sempre ai medesimi risultati.
Se parliamo con termini grossolani e consideriamo i lipoidi come grassi ci rendiamo
perfettamente conto che altro sarà porli in contatto con calce e altro con soda o potassa,
nel primo caso la funzione del lipoide sarà modificata nel senso che esso sarà divenuto
come una barriera inerte o quasi inerte a seconda dei casi, invece per la formazione di
saponi alcalini solubilissimi la funzione dei lipoidi si troverà ben diversamente cambiata.
Secondo il Meyer gli antisettici devono in gran parte la loro attività alla loro solu-
bilità nei lipoidi, la emolisi è forse dovuta ad una modificazione della struttura dei lipoidi
dacchè in ispecie il cloroformio che scioglie i lipoidi stessi ha una notevole azione emolitica,
I lipoidi hanno pure grande influenza nell’ assorbimento degli alimenti.
Una apparente contraddizione alla importanza dei lipoidi cerebrali nel rapporto della
narcosi risulterebbe dalle osservazioni di Mansfeld e Liptàk 50) sul contenuto di
lipoidi della sostanza cerebrale nelle varie età.
È certo che i cani e la massima parte degli animali sono più sensibili alla narcosi
nella tenera età che non in quella avanzata. Si sa che il bambino non tollera affatto le
dosi di narcotico che sono proporzionate alla sua mole in confronto con un adulto, ebbene,
i due autori ora citati hanno trovato che nel cane i lipoidi cerebrali vanno crescendo con
l’età in maniera progressiva.
Le esperienze che qui riportiamo riguardano veramente la colesterina e i grassi neutri che
non possono ritenersi come i soli e neppure i più notevoli rappresentanti dei lipoidi cerebrali.
Una delle esperienze riguarda una madre e 4 suoi nati, l’altra una madre e 5 suoi
nati in varie età e cioè:
Colesterina Grassi
1° nato di 4 giorni 7399 26,05
Rec eno 9,97 29,68
Idi 60 de 15,83 40,27
ai OO ob 18,74 44,48
Madre È 22,95 47,76
2° nato di 4 giorni 10,88 23:29
id. Lot 8,14 23,99
id. id. 8,72 22,28
id. Id. 9259 23,26
id. di 40 giorni 13,19 38,03
Madre sensate 12973 47,87
-— 261 —
Queste cifre rappresentano le percentuali in rapporto alla sostanza cerebrale secca.
Se la copia dei lipoidi dovesse rappresentare la ragione di fissazione di maggior quan-
tità di narcotico, certamente dovrebbe ritenersi che più pericoloso, più tossico dovesse
riescire il narcotico o per dir meglio più attivo nell’età avanzata che non in quella più
tenera, nella quale la copia dei lipoidi è minore.
Mansfeld e Liptàk osservano però che il progredire dell’età aumenta la importanza
e lo sviluppo delle vie di conduzione e che la quantità maggiore dei lipoidi da loro ricercati
è dovuta non alle cellule nervose, ma alle fibre, quindi negli adulti la maggior parte del
narcotico è impiegato a fissarsi sulle fibre nervose e non sulle cellule, alle quali solamente
devesi il fenomeno della narcosi.
La maggiore sensibilità degli individui più giovani deve ritenersi dovuta appunto alla
piccola quantità di lipoidi che anche da piccole dosi di narcotico sono impegnati e alterano
quindi rapidamente la funzione cui sono deputati entro le cellule nervose.
È tanto vera questa interpretazione che se per condizioni sperimentali diverse noi
aumentiamo nell’organismo altri lipoidi atti a fissare narcotici, vediamo che la sensibilità
per questi farmaci va diminuendo o se diminuiamo i lipoidi sparsi nell’organismo per es.
in forma di grasso del pannicolo adiposo, la sensibilità per i narcotici cresce.
Questo caso si è verificato nelle esperienze dello stesso Mansfeld 51) riguardanti
l'influenza del digiuno sulla narcosi.
. Egli ha trovato che l'organismo inanito diviene ipersensibile verso certi narcotici e
ciò dipende da una ricchezza relativa del cervello in lipoidi in confronto con la diminuzione
e perdita di grassi che si verifica in tutto |’ organismo.
I narcotici trovano minor copia di grassi sparsi nell'organismo su cui fissarsi e accor-
rono quindi maggiormente a saturare i lipoidi cerebrali, donde il maggior effetto narcotico.
Interessanti sono a questo proposito le osservazioni del Lattes 52) sugli effetti della
lipemia nella narcosi cloroformica.
Una alimentazione ricca di grassi così da produrre lipemia o introduzioni di emulsioni
grassose nelle vene sottraggono cloroformio ai lipoidi cerebrali così, da richiedersi dosi
maggiori di cloroformio perchè si produca la narcosi. Si osserva inoltre che durante la
narcosi i grassi dei tessuti contengono minor copia di cloroformio.
In altre esperienze il Lattes 53) ha proceduto ad introduzione endovenosa di cloro-
formio o solo 0 con olio di olive, o con lipoidi cerebrali preventivamente estratti con alcool
e poi con cloroformio. Ne è risultato che il cloroformio si manteneva a lungo in circolo,
che molto doveva trovarsene nel sangue per produrre la scomparsa dei riflessi, che maggior
effetto si notava per le introduzioni con olio o con lipoidi cerebrali, durante le quali intro-
duzioni i grassi dei tessuti fissavano una minor quantità di cloroformio.
Evidentemente l’ olio introdotto in circolo non ba mostrato importanza diversa dai li-
poidi cerebrali e non si potrebbe quindi ammettere che i lipoidi del cervello avessero mag-
gior attitudine a fissare il cloroformio, che non gli altri grassi dei tessuti, dacchè una
introduzione di lipoidi cerebrali in circolo non impedisce per nulla la fissazione del cloro-
formio sul cervello e aumenta anzi l’ effetto narcotico.
Serie VII. Tomo I. 1913-1914. 34
— VE
Tuttavia è sempre lecito chiedersi se eventualmente l’ estrazione dei lipoidi non ne
abbia modificato quelle proprietà speciali che essi possedevano e. per le quali erano atti
a fissare il cloroformio durante la cloronarcosi. L° esperienza del Lattes non è sufficiente a
negare ai lipoidi cerebrali « in situ » l’attitudine di fissar cloroformio più degli altri grassi.
Tuttavia vien fatto naturalmente di porre la questione se il meccanismo affermato già
da Bibra e Harless sia esatto e se possa affermarsi che specialmente per opera del-
etere, del cloroformio od anche dell'alcool si effettui una qualunque estrazione dei lipoidi
dlel cervello e di aliri organi. î i
Si è visto che secondo Bibra ed Harless per opera della narcosi eterea diminuivano
i grassi nel cervello e si accrescevano nel fegato, che secondo Hermann anche i lipoidi
del.sangue scemavano, sicchè doveva anche ritenersi che vi fosse un momento in cui nel
sangue circolassero dei lipoidi cerebrali disciolti dall’ etere.
Risponde in parte a questo quesito il risultato di altre esperienze eseguite dal Lat-
tes 54) estraendo il sangue con etere di petrolio nel cane.
Secondo il Lattes i cahi sottoposti a ricca alimentazione grassa o avvelenati con
fosforo o con florizina presentano un aumento di grassi nel sangue, che raggiunge una cifra
quasi doppia della normale. Ciò invece non si verifica nella narcosi cloroformica e sebbene
sia anche possibile che quello che non si ottiene per il cloroformio possa aversi per l’etere,
dobbiamo tuttavia per analogia di tutte le esperienze notate, ritenere che non sia verisimile.
Intanto è interessante il notare come il Calabrese 55) nella nostra Clinica Chirur-
gica abbia potuto verificare una specie di imbibizione adiposa nel rene per opera della
narcosi cloroformica, la quale porterebbe dunque o una dissoluzione dei lipoidi renali, come
ritiene il Calabrese o una dissoluzione di altri lipoidi che dal circolo andrebbero ad
arrestarsi in parte nel rene.
Dobbiamo al Sieber 56 e 56°) una ricerca molto chiara sopra questo argomento, però
eseguita non con etere o con cloroformio, ma con alcool. Egli ha confrontato il contenuto di
fosfatidi, lecitina e jecorina, di vari organi in 3 cani normali, col contenuto di altri 3 cani
cui erano state somministrate in un tempo più o meno lungo dosi elevate di alcool.
I tre cani avvelenati con alcool avevano ricevuto il 1° cc. 4320 di alcool assoluto per
bocca in soluzione al 40%, di acqua e nel periodo di tempo di 2 mesi. Esso pesava al-
l’inizio: Kg. 12.7 ed alla fine Ke. 13,150.
Il 2° cane di Kg. 12 con pause di riposo aveva ricevuto durante 10 mesi cc. 21600 di
alcool assoluto, ma all’ ultimo ebbe vomiti. iù
Il 3° da Kg. 22 ‘salì a 22.800 non ricevette che cc. 532 di alcool e per 4 mesi rimase
senza somministrazione.
In tutti gli organi esaminati il Sieber trovò minor copia di lipoidi nei cani alcooliz-
zati in confronto dei cani normali, ma la massima diminuzione di fosfatidi si notò nel cer-.
vello, nel quale la perdita raggiunse I° 11 % del contenuto normale.
Il metodo di determinazione dei fosfatidi era certamente degno di fiducia, per quanto
questi mezzi possono ispirarne, esso corrispondeva a quanto indicano ì più recenti trattati
in proposito e anche la monografia di Ivar Bang.
R63 —
Gli organi erano prosciugati in corrente d’aria a bassa temperatura e si determinava
così il contenuto in acqua. Il residuo secco era estratto con alcool a 85 % e l'estratto
alcoolico era trattato con etere e da questo ulteriore estratto si separava con acetone la
colesterina e i grassi e rimanevano precipitati i fosfatidi, che potevano essere pesati.
Per cento parti dei fosfatidi rispettivamente ottenuti in media dai 3 cani normali il
Sieber trovò una diminuzione di :
1l1,— nel cervello
4,15 nella mucosa gastrica
3,22 nell’ intestinale
1,10 nella parete dello stomaco
0,57 in quella dell’ intestino
3,18 nella milza
2,74 nel fegato
2,52 nel cuore
1,54 nel polmone
Se i risultati così ottenuti hanno una reale importanza per sè, non possiamo tuttavia
nasconderci che una introduzione di alcool avvenuta in. un tempo molto lungo non può
confrontarsi con la rapida somministrazione di etere o di cloroformio, quale avviene nella
pratica della narcosi.
Opportuna quindi si dimostrerebbe una determinazione fatta in seguito a rapida introdu-
zione di alcool o in forma di vapori per inalazione o come ingestione per bocca o per la
“via endovenosa.
Questa. serie di ricerche già intrapresa nel mio laboratorio accenna a dare risultati
molto ragguardevoli che differenziano bene gli effetti della velocità di introduzione nell’or-
ganismo, a seconda che si tratta di alcool o di etere o di cloroformio.
Già nell’anno scolastico 1912-913 avevo fatto eseguire dal Dott. Ernesto Carati 57)
come tesi di laurea una serie di determinazioni quantitative sopra cani sottoposti a narcosi
cloroformica.
Alcuni di questi animali erano stati uccisi durante la cloronarcosi, altri invece lasciati
morire per opera del cloroformio.
Il cervello «di detti cani dopo essiccato era sottoposto a doppia estrazione negli
apparecchi foxhlet e cioè prima aa estrazione alcoolica e poi il residuo era sottoposto ad
estrazione con etere. I due estratti erano riuniti, seccati fino a perdita di peso e pesati.
I lipoidi estratti in questo modo in 4 cani normali raggiunsero un massimo di 11,6
e un minimo di 8,5 © di cervello fresco con una media di 9,92 %.
I lipoidi estratti da cani cloroformizzati oscillarono da un massimo di 9,8 a un minimo
di 7,1 con una media di 7,6 %, di cervello fresco.
Adunque mediante queste esperienze era dimostrato che la massa dei lipoidi cerebrali
subiva una diminuzione di 2,32 % di cervello fresco per opera della cloroformizzazione
ossia per le inalazioni di quantità di cloroformio atte a produrre la. cessazione dei riflessi
e anche la paralisi bulbare.
—- 264 —
Se analogamente a quello che è stato fatto dal Sieber stabiliamo le perdite in rap-
porto alla quantità dei lipoidi normali designate come 100 vediamo che la diminuzione
ottenuta nelle esperienze del Carati raggiunge il 23,88 %, del valore normale da che si
arguisce che l’azione del cloroformio da questo punto di vista è veramente notevole.
Ma a queste determinazioni non si arrestarono le ricerche del Carati, perchè seguendo
i risultati delle prove eseguite da Jzar e Fagiuoli 58) sull’azione tossica dei lipoidi dei
tessuti, tentò la somministrazione dei lipoidi da lui estratti nelle condizioni sopradette,
sospesi in emulsioni acquose con carbonato sodico al 3 %,. Detta somministrazione fu ese-
guita o per infusione nella vena giugulare esterna o per perfusione in una delle carotidi.
Naturalmente gli effetti nel primo caso si ottengono dopo l'introduzione di dosì molto
maggiori di lipoidi che non nel secondo, nel quale però l’azione è anche più fugace se
l’emulsione è ben fatta. |
Ebbene, il Carati salve alcune eccezioni di cui non potè dimostrare la ragione d° es-
sere, trovò che la introduzione dei lipoidi estratti da cani normali produceva fenomeni di
eccitamento più o meno intenso fino alla formazione di cloni, di contrazioni toniche o anche
di tetano generale, e i lipoidi di cani eloroformizzati non davano mai convulsioni, ma bensì
fenomeni di depressione, di paralisi, di coma o di intorpidimento generale come di sonno.
Era ovvio quindi il pensare che una modificazione avvenisse per opera del cloroformio
sulla qualità o sul rapporto quantitativo reciproco dei vari lipoidi cerebrali, perchè sem-
plicemente la diminuzione della quantità dei lipoidi, se poteva dar ragione sufficiente del
fenomeno della cloronarcosi non ispiegava per nulla l’azione biologica diversa dei lipoidi
stessi estratti nelle condizioni sopra dette di esperimento.
È noto che fra i lipoidi cerebrali la colesterina e la lecitina hanno azioni biologiche
diverse, per certi riguardi anzi opposte, come è stato affermato dallo Stuber per rispetto
alla fagocitosi, è noto che la lecitina possiede certe azioni protettive contro veleni come è
stato messo in vista anche recentemente dal Lawrow, è noto da esperienze del Bang
e del Luzzatto che la lecitina può promuovere per converso azioni emolitiche altrimenti
non osservabili e però ho creduto opportuno di ricercare quali variazioni almeno grossola-
namente dimostrassero i lipoidi cerebrali estratti da animali cloroformizzati.
III. Azioni biologiche della colesterina e della lecitina.
Una letteratura molto ricca riguarda già questi due lipoidi, ma noi non faremo che
dave uno sguardo alle ricerche che possono interessarci dal punto di vista dei fenomeni
provocati dai lipoidi introdotti in circolo.
L'avidità della colesterina per il cloroformio è dimostrata da esperienze di Calu -
greanu 59) in confronto con l’attività di colloidi organici. Se secondo le indicazioni di
questo autore si fa sovrapporre una sospensione acquosa di colesterina sopra cloroformio,
si osserva che le particelle lipoidi assorbono il cloroformio e crescono in volume, il quale
fatto non avviene per opera di soluzioni colloidali organiche. Questo fatto spiega la fissa-
zione del cloroformio alla colesterina dei tessuti, la sottrazione del cloroformio dal circolo
— 265 —
per opera della colesterina medesima, la eventuale liberazione di colesierina dai tessuti che
la contengono.
Kepinow nel 1914 ha veduto nei conigli l'aumento del numero dei globuli rossi in
seguito a iniezioni endovenose o ipodermiche di estratti di eritrociti. Molti possono es-
sere i fattori di questo fenomeno, ma intanto interessa conoscere il fatto osservato da
Thomas e Lebert 60) che cioè un aumento di eritrociti persistente anche per due mesi
può notarsi per iniezioni di derivati della colesterina quale l’oleato 0 suoi prodotti di
ossidazione.
Esperienze numerose e interessanti sono state eseguite dallo Stuber 61) sul fenomeno
della fagocitosi in rapporto con la presenza di lecitina e di colesterina.
Il fenomeno è stato studiato in vitro e in vivo. Nel primo caso emulsioni di colesterina
e di lecitina mescolate in parti eguali con liquidi contenenti spore in sospensione furono
centrifugate dopo un certo soggiorno e numerati i fagociti contenenti spore.
In vivo le esperienze procedevano iniettando nel sangue emulsioni di colesterina e leci-
tina e contando i fagociti, che avevano operato |’ inglobamento delle spore.
Si è trovato che la colesterina da sola abbassa fortemente l'indice fagocitico in en-
trambi i casì, cioè in vitro e in vivo, che la lecitina sola è inattiva in vitro ed esercita in
vivo una eccitazione insignificante.
Le mescolanze di lecitina e colesterina si dimostrano inattive, se in vivo la dose di
lecitina è doppia di quella di colesterina.
L’azione della colesterina come si è visto per l'aumento di numero dei globuli rossi
@ pure assai duratura per la fagocitosi, in quanto la diminuzione che può toccare perfino
il 50 % può notarsi anche dopo 6 giorni.
Se l’iniezione di lecitina si fa precedere a quella di colesterina di 24 a 60 ore, può
ancora notarsi la sua azione protettiva, ma la diminuzione della leucocitosi è solamente
più limitata riscontrandosi nel rapporto del 30 al 35 %.
In un’altra pubblicazione lo Stuber 62) ha cercato se gli eteri della colesterina del-
l’acido oleico, dei palmitico, dell’ acetico, del benzoico esercitino la medesima azione con-
traria alla fagocitosi e se la lecitina possa impedirla. L’etere palmitico si è dimostrato il
più attivo, l’acetico e il benzoico invece inattivi del tutto, sembra, dunque che l’attività
sia dovuta all’acido. i
Si è trovato inoltre che questi eteri e al massimo l’oleico, accelerano la coagulazione
del sangue.
Infine la lecitina si è veduto che riscaldata a 70° perde la sua proprietà di neutraliz-
zazione e ciò può anche spiegare la mancanza d’azione biologica che talvolta si osserva
da campioni di lecitina che furono essiccati a temperatura troppo elevata.
Già PHeubner 63) ha dimostrato che la lecitina bollita in alcool al 95 % e quindi
portata oltre a 70° perde gruppi contenenti azoto.
Secondo lo Stuber l’azione della colesterina dovrebbe consistere nella formazione di
. una combinazione speciale dissociabile con gli elementi della membrana, causa di diffusione
all’interno della cellula.
— 266 —
Altri fosfatidi estratti dal cervello possono comportarsi come la lecitina in contrapposto
con la colesterina, da che si vede come l'indice opsonico e le relative opsonine. possano
essere l’effetto di coteste azioni di sostanze che fanno già parte dell’ organismo e possono
venire liberate in circolo per influenze diverse e non rappresentare affatto una azione od
elementi particolari.
Un fatto molto strano è quello comunicato dal Walbrun 64) che sembra contraddire
alle osservazioni dello Stuber. -Secondo il Walbrun iniezioni endovenose di miri7:e quan-
tità di colesterina raddoppiano l’azione fagocitica del siero di coniglio. Evidentemente nelle
esperienze dello Stuber si tratta di una influenza diretta della colesterina sui fagociti e
invece in quella del Walbrun devono intervenire altri fenomeni che indirettamente con-
ducono alla liberazione di sostanze nel siero del coniglio precedentemente iniettato.
Il Walbrun poi in questo suo lavoro ha studiato l’azione svelenatrice della coleste-
rina sulla saponina, solanina, tetanolisina, cobralisina ed ha veduto che essa è massima
quando essa si trovi in soluzioni colloidali.
La sostituzione di gruppi idrossilici, alla liberazione dei quali secondo il Walbrun
si deve l’azione della colesterina come antigene nella reazione del Wassermann, la sottra-
zione dei doppi legami modifica |’ infiuenza della colesterina.
Combinazioni con alcool superiori e inferiori modificano l’azione della colesterina contro
certe tossine, non contro certe altre.
A proposito delle azioni di questi lipoidi sul sangue sono ben interessanti le osserva-
zioni del Meyerstein ed altre che esporremo sul fenomeno della emolisi.
-Il Meyerstein 65) sperimentando sopra sangue di uomo e di montone e prendendo
come sostanze emolitiche la saponina, l’oleato e il taurocolato di soda e il veleno del cobra,
ha studiato l’azione che può essere esercitata contro o in favore della emolisi dalla cole-
sterina, dalla lecitina d’ovo, dalla cefalina, dal cerebrone, dai lipoidi dei globuli rossi ed
ha trovato che tutte queste sostanze proteggono contro le emolisine studiate. Solamente si
sarebbe notato che la colesterina non ha influenza sulla emolisi da bile in complesso.
Evidentemente l'influenza arrestatrice riposa sopra il formarsi di una combinazione
fra lipoidi ed emolisine, quando si voglia ammettere che i lipoidi che furono oggetto di
studio vadano a formare come uno strato di difesa sulla membrana dei globuli rossi, il
che potrebbe dimostrarsi procedendo prima alla introduzione dei lipoidi e poi a quella delle
emolisine, oppure alla introduziore di miscele degli uni con le altre e notando le differenze
di risultato. i
In appoggio del concetto di una combinazione dei lipoidi con le emolisine vengono le
osservazioni di Rosenheim e Shaw-Mackenzie 66) sull’influenza della colesterina
sopra la lipasi pancreatica. i
Anche l’azione emolitica della lipasi pancreatica sarebbe arrestata dalla colesterina
e insieme sono arrestate anche le azioni acceleratrici della digestione pancreatica eserci-
tate dall'acqua, dall'alcool e dall’etere, dai saponi, dalle saponine, dalla digitonina.
La lipasi pancreatica. era preparata dai due autori sopra citati triturando finamente
il pancreas, ponendo la massa in due parti di glicerina e passando questa su garza dopo
24 ore di soggiorno.
— 261 —
Trattandosi in questi casi .di azioni digestive enzimatiche l’ interpretazione più ovvia
è che la colesterina abbia agito o sul fermento o sulle sostanze acceleratrici, non già sul
materiale fermentescibile sul quale essa non poteva influire.
La combinazione dunque dei lipoidi con le sostanze tossiche ci sembra la più verisimile
e probabile.
L'intervento della colesterina come mezzo di protezione è stato anche messo in. vista
dal Pighini 67), il quale ha trovato colesterina nel liquido cefalo rachideo e nel siero
di paralitici e le attribuisce anzi la attitudine di rendere positiva la reazione del Wasser-
mann, avendo trovato che anche minime dosi di colesterina da 1 a 5 milligrammi valgono ad
arrestare la emolisi e quindi a funzionare da complemento.
Tuttavia il Noguchi 68) crede che la colesterina nei sieri sifilitici non dia formazione
di complemento, essi sono più ricchi di globulina e il mereurio che come è noto impedisce
la reazione del Wassermann non fa diminuire il contenuto di globuline.
A noi sembra che questa osservazione dovesse condurre ad altro concetto e non auto-
rizzasse ad escludere a priori una influenza della colesterina sopra la reazione del Was-
sermann o del Bordet come si voglia chiamare: Se il mercurio impedisce questa reazione
e non fa variare il contenuto di globuline dei sieri sifilitici, è lecito conchiudere che non
sono le globuline che impediscano la reazione, invece il mercurio potrebbe eventualmente
agire sopra la colesterina.
Sta di fatto però che secondo il Quarelli 69) ripetute introduzioni di lipoidi in indi-
vidui non sifilitici possono rendere positiva la prova del Wassermann e per contro talvolta
possono produrre l’effetto opposto in individui certamente sifilitici. I Quarelli in 12 indi-
vidui sifilitici con reazione positiva eseguì iniezioni di lecitina e notò che talvolta la reazione
stessa non era modificata, ma talora essa scompariva del tutto sotto l’ influenza della lecitina.
Il Calceaterra 70) dopo aver fatto osservare che si possono trovare conigli nuovi
che danno la reazione del Wassermann, nei quali tuttavia egli avverte che probabilmente
sl trattava di coccidiosi, aggiunge che nei casi positivi la reazione non veniva modificata.
per nulla dalle iniezioni di lecitina.
Il Keutzler 71) afferma che la lecitina ha maggiore affinità per il complemento che
per l’ambocettore. Essa riattiverebbe 1° immunilisina resa inattiva, mentre non agirebbe.
sulla siero albumina denaturata o sul siero inattivo mantenendo la sua azione. emolitica.
In riguardo all’azione della lecitina sul sangue, varie influenze le sono ascritte e ap-
punto l’azione emolitica esercitata dalla lecitina in vitro sui globuli rossi sì sa che. viene
impedita dal siero normale.
Il Freund 72) ha già dimostrato che rapide iniezioni endovenose di 30 centigr. di
lecitina in 10 ce. di soluzione a 1 per mille di carbonato sodico -producono la morte nei
conigli per trombosi da coagulazione nei vasi sanguigni.
Invece dosi piccolissime o iniettate lentamente danno solamente coagulazione nei
vasi addominali ove la corrente sanguigna venosa subisce influenze rallentatrici e varie,
‘oppure ritardano o impediscono anche la coagulazione del sangue.
Ma per quello che si riferisce direttamente all’azione emolitica della lecitina, sebbene.
— 268 —
essa sia generalmente ammessa, dobbiamo notare tuttavia che lo Sehipper 73) crede che
questa azione non sia posseduta da tutte le lecitine con cui si esperimenta e reputa come
talvolta l’azione emolitica sia dovuta invece al modo col quale sono formate le emulsioni.
E affermata anche una influenza sollecitatrice dell’emolisi prodotta da varie sostanze.
Il Bang 74) che ha già sostenuto la formazione di un composto della lecitina col
veleno dei serpenti, composto da lui chiamato « cobralecitide », ammette che la lecitina
produca una maggiore attività nella emolisina del veleno del cobra in quanto che essa
farebbe entrare il veleno nel globulo rosso. Deve tuttavia avvertirsi che la lecitina rende
anche più sensibili i globuli alla influenza della diluizione del menstruo, diminuisce cioè
la resistenza alle soluzioni ipotoniche.
La pura emolisi da lecitina secondo il Bang consisterebbe nel rendere più permeabili gli
eritrociti alle sostanze che sì trovano sciolte nel siero, per esempio anche allo zucchero di canna.
Interessante si presenta da questo punto di vista il fatto dimostrato dal Luzzatto 75)
in seguito ai suoi studi sui telluriti. Egli ha osservato che i telluriti per introduzione ipo-
dermica o endovenosa nei conigli e nelle cavie esercitano un’ azione emolitica. Questa però
non si osserva se i globuli sono sospesi in soluzioni di cloruro sodico, o tutt'al più il fatto
può notarsi in tali condizioni dopo alcune ore di contatto per il sangue dei corigli, che è
particolarmente sensibile.
Il sangue del rospo è invece resistentissimo alla emolisi, eppure i suoi globuli possono
disciogliersi sotto l’azione dei telluriti quando al menstruo siano aggiunti da 1 a 10 millli-
grammi di lecitina e la emolisi è compiuta dopo alcune ore.
. Le sieroproteine non hanno invece influenza veruna sopra il fenomeno.
Forse in questi casi in cui il fatto sembra svolgersi in modo semplice e chiaro sarebbe
opportuno il contrapporre l’infiuenza della colesterina per poter dimostrare meglio l’azione
antagonistica e meglio affermare ii meccanismo della emolisi da telluriti.
Importante ci sembra il notare come il veleno delle api, che secondo le più recenti
indagini è una prolecitina ha un'azione emolitica che varia nei diversi animali.
Secondo il Carpi 76) esso si comporterebbe come una vera tossina con carattere di
ambocettore, è termoresistente e la colesterina arresta la sua azione emolitica, la quale è
pure arrestata dal succo gastrico e dal pancreatico, da quest’ ultimo però in minori
proporzioni.
Molti studi sono stati eseguiti sulle azioni acceleratrici e ritardatrici delia colesterina
e della lecitina verso varie sostanze tossiche.
E caratteristica la serie di esperienze eseguita dal Karatlow 77) sul cuore di rana
isolato. Determinata l’azione tossica della saponina estratta dalla quillaia saponaria, della
digitonina, il Karatulow ha fatto circolare un liquido contenente colesterina ed ha veduto
che si ha prontamente un’azione svelenatrice.
Questa influenza si osserva pure, ma meno notevole contro l’'elleboreina, ma non si
osserva affatto contro i farmaci del cuore.
Ottenuta infatti sul cuore di rana l’azione propria dell’infuso di digitale o della stro-
fantina o della digitaleina, questa non viene tolta nè impedita dall’ aggiunta di colesterina.
Neppure l’azione dell’antiarina è impedita dalla colesterina.
— 269 —
Il Vignes 78) ha dimostrato che l'estratto di ova d’aringa e quello di ovaia di
scrofa polverizzate e sgrassate dopo essere state disseccate nel vuoto a bassa tempera-
tura hanno un’azione tossica lenta, se iniettati con soluzione fisiologica nelle cavie femmine
tanto da produrre progressiva perdita di peso fino alla cachessia ed alla morte, e successi-
vamente ha saggiato l'influenza rìspettiva della lecitina e della colesterina sopra questa
_ sorta di avvelenamento.
L'azione tossica è diminuita dalla lecitina, meno dalla colesterina, entrambi i lipoidi
possono rendere innocui gli estratti suddetti.
L’Hanschmidt 79) ha studiato l’azione svelenatrice della lecitina negli animali
superiori contro il curaro, la stricnina, la morfina, l’ alcool etilico, il cloralio idrato, il vero-
nale, ed ha veduto che questi avvelenamenti e rispettivamente le azioni farmacologiche
caratteristiche di queste sostanze possono essere sospese o arrestate dalla lecitina introdotta,
nelle vene, nel peritoneo, sotto cute senza disturbi di sorta.
Invece l’ avvelenamento da ricina che è solamente alleggerito da piccole dosi di leci-
tina è aggravato da dosi maggiori.
Queste differenze così cospicue di azione della lecitina sono anche ben affermate e messe
in vista dal Lawrow.80) con esperienze sulla rana.
La lecitina fu preparata ad hoc dall’ovo e provata mediante iniezioni precedenti che
dimostravano la sua innocuità. Gli effetti svelenatori furono confrontati con gli effetti di
iniezioni di soluzione di cloruro sodico al 0,6 %. Le sostanze studiate furono: la stricnina
il curaro, l’aicool etilico, il cloralio, il fosforo, il fenolo, l’ etere.
Gli effetti furono diversi, il che significa intanto che la rana si comporta diversa-
mente dagli animali superiori anche di fronte a queste azioni speciali, che non devono sem-
plicemente essere considerate come esempi di antidotismo, nè di antagonismo, ma richiedono
per ognuna interpretazioni talora complesse.
La lecitina nelle esperienze del Lawrow aumenta l’azione tossica del fenolo e del
fosforo, in piccole dosi aumenta anche quella della stricnina, in grandi dosi quelle del
curaro e dell’alcool etilico.
Introdotta in grandi dosi invece la lecitina combatte l’ avvelenamento strienico, mentre
per combattere l’avvelenamento da curaro e da alcool etilico giovano piuttosto le dosi
piccole del lipoide.
Avverte il Lawrow che queste azioni diverse per i diversi veleni e per le diverse
dosi devono mettersi in rapporto con le varie affinità dei veleni per i lipoidi.
Noi crediamo anche che debbono considerarsi le azioni rispettive della lecitina o del
lipoide in genere sull’ elemento cellulare sul quale il veleno va a determinare 1’ influenza
tossica, in guisa da prodursi una vera e propria protezione nel caso benefico o una sensibiliz-
zazione nel caso in cul il lipoide dimostra un peggioramento delle condizioni di intossicazione.
Il De Waele 81) a questo proposito è pur, d’avviso che si tratti di solubilità dei
veleni, alcaloidi o tossine, nei lipoidi c ad esempio cita la lecitina.
| Egli afferma che in generale piccole quantità di lipoidi come la lecitina facilitano
l’azione degli alcaloidi, il che non corrisponde davvero all’ osservazione del Lawrow sul-
Serie VII. Tomo I. 1913-1914. 35
— 270 —
l’avvelenamento da stricnina. Gli alcaloidi sciolti nella lecitina o fissati a questa, se vo-
gliamo seguire il concetto più recentemente invalso, vengono assorbiti più facilmente dalle
cellule che con la lecitina hanno affinità speciale. Dosi più forti invece di lipoidi portano
via gli alcaloidi e ne impediscono l’ entrata nelle cellule.
Ciò, continua il De Waele, si produce anche per le tossine batteriche fino a un certo
punto e -richiama i fenomeni, che hanno servito di base alla dottrina di Overton e
Meyer sulla narcosi. -
Pur troppo le numerose eccezioni che si trovano in tutte queste esperienze non ci per-
mettono troppo grande sicurezza di interpretazione e anche rispetto alle tossine batteriche
non sì osserva una grande concordanza di risultati.
Il Filia 82) sperimentando su colesterina e lecitina ha veduto che la prima ha
un'azione neutralizzante in vitro sulla tossina difterica, ma non esercita nessuna azione
protettiva sull’animale inoculato con una dose mortale di tossina. Invece la lecitina non
solo non possiede nessuna azione neutralizzante sulla tossina difterica, ma affretta la morte
dell’animale in esperimento.
Solamente su questo ultimo punto coincidono le esperienze di Laroche e Grigaut 83)
con quelle del Filia, giacchè secondo questi due autori i lipoidi non hanno nessuna azione
neutralizzante vera delle tossine, ma anzi abbreviano il periodo rispettivo di incubazione !
Infatti Laroche e Grigaut avevano già osservato che la sostanza cerebrale fissava
la tossina difterica e così poteva divenire tossica, il che non voleva dire certamente che
essa la neutralizzasse. Il medesimo fenomeno hanno veduto prodursi fra lipoidi fosforati come
lecitina e cefalina e tossina difterica, mentre la colesterina, i cerebrosidi e i corpi albuminosi
precipitabili con solfato ammonico dal cervello non esercitano nessun potere di fissazione.
La tossina così fissata come quella libera può essere neutralizzata dall’ antitossina.
Se si trattasse di contraddizione fra esperienze eseguite con lecitina potremmo spie-
garla col modo di preparazione o di estrazione, ma ciò non è ammissibile per la coleste-
rina, la quale a meno di impurezze che si devono poter rilevare si può ottenere con costanza
di effetti.
È noto ancora che uno dei prodotti di scomposizione della lecitina contenenti azoto e
secondo Thudichum l’unico importante cioè la colina esercita un’ azione biologica e
tossica notevole.
Il Calcaterra 84) ha veduto che iniettando insieme colina e tossina difterica nelle cavie
si ottiene un’azione tossica più intensa che non si abbia dalle due sostanze introdotte sepa-
ratamente, anzi i sintomi dell’avvelenamento da colina sono accelerati e aumentati e richia-
mano il quadro dell’ anafilassi.
Lo stesso Calcaterra col Bruschettini 85) ha saggiato l’azione della lecitina
sulla tossina difterica. Secondo queste prove si avrebbe veramente quella neutralizzazione
che gli altri autori sopraindicati negano assolutamente.
Ma una importanza speciale hanno le esperienze eseguite da questi due osservatori
quando hanno cimentato un siero sanguigno normale per 24 ore con una miscela di tossina
difterica e lecitina ed hanno veduto che questo siero diviene antitossico e può salvare una
cavia da una dose di tossina difterica decupla della mortale.
OT
Il fenomeno che già deve prodursi è certamente molto complesso ed evidentemente
deve intervenire qualche elemento contenuto nel siero normale, chè altrimenti 1° effetto del
contatto fra lecitina e tossina difterica dovrebbe limitarsi al più alla formazione di un
corpo indifferente e innocuo.
Del resto a proposito di neutralizzazione della tossina è bene di ricordare che oggi non
si ammette affatto che la mescolanza di tossina difterica con l’antitossina specifica dia un
corpo nuovo perfettamente indifferente ed innocuo, perchè se tale fosse, esso potrebbe essere
inoculato con lo stesso resultato negativo tanto a cavie nuove, come a quelle che hanno
sopravissuto a precedenti inoculazioni di tossina. E invece queste ultime per l’iniezione di
una mescolanza perfettamente neutralizzata di tossina difterica e di antitossina presentano
gravi fenomeni di intossicazione o anche muoiono.
Se dunque la lecitina esercitasse anche un’azione specificamente antitossica non si
potrebbe attendere da essa più di quello che si ha dalle. antitossine vere e proprie e però
il giudizio della mancata neutralizzazione delle tossine deve essere accettato col beneficio
dell’ inventario !
Sulla tetanotossina la lecitina produce un fenomeno ben strano secondo le esperienze
del Marie 86), essa ne favorisce cioè l’azione in modo straordinario.
Infatti se si iniettano dosi 100000 volte inferiori a quelle che non danno neppure rigidità
dell’arto, ma commiste con tuorlo d’uovo, si possono provocare effetti tetanici locali, mentre
una mescolanza con l’ albume d’ovo non produce la più piccola azione.
Noi ameremmo che in queste esperienze si scegliessero le condizioni più semplici, mentre
qui la semplicità è solamente nel modo di procurarsi il materiale d’ esperimento. Il tuorlo
d’ovo non è sola lecitina; secondo il Bergell 87) da Kg. 2,200 di tuorlo d’ ovo si possono
ottenere circa 120 gr. di lecitina pura e però nella esperienza interessantissima del Marie
non possiamo riconoscere unicamente l'influenza della lecitina.
Cotesta influenza non è meglio dimostrabile neppure dalle esperienze del Centanni 88)
eseguite mediante estratti eterei del tuorlo d’ovo, di fegato, di intestino, di sangue e di
altri organi. Egli ha veduto che questi estratti aumentano l’attività della diastasi epatica,
che massima è l’azione dell’estratto d’ovo, mentre un estratto di lievito è inattivo! La diastasi
stessa estratta con etere è inattiva, ma diviene attiva se venga trattata con l'estratto d’ovo.
L’ebullizione, la dialisi non indeboliscono questa azione attivatrice e quì veramente
troviamo che l’effetto è anche troppo forte per la sola lecitina oltre che per una chinasi,
perchè come abbiamo veduto già temperature superiori a 70° alterano più o meno forte-
mente la lecitina medesima.
Bisognerebbe adunque ammettere che le azioni attivatrici notate dal Centanni fos-
sero dovute se non alla lecitina ad altri fosfatidi od a gruppi azotati che dai fosfatidi
possono staccarsi.
Un'azione attivante sulla diastasi pancreatica, sulla salivare, su quella del siero è
stata dimostrata dal Minami 89) negli estratti eterei, ottenuti anche con etere di petrolio
. 0 con benzolo dal fegato e dal rosso d’ovo.
Invece secondo questo autore la lecitina o in sospensione acquosa o sciolta in etere
o in etere ed alcool o in alcool metilico arresta tutte queste diastasi.
ao
Più particolarmente furono esposte osservazioni di questo genere già dal Lapidus 90).
Egli si è valso della lecitina (agfa) ed ha notato che con questa nei rapporto di 1:5000
di.menstruo e alla temperatura ambiente si arresta l’azione della ptialina. A questa tem-
peratura non si arresta l’attività dell’amilopsina, ma bensì alla temperatura del corpo.
Quanto alla diastasi del siero essa è resa inattiva alla temperatura ambiente e invece
a 37° ora è inattivata, ora accelerata.
La diastasi del succo enterico è sempre attivata alla temperatura del corpo.
Merita poi speciale attenzione il fatto che i sieri inattivati dall’etere sono resi attivi
dall’aggiunta di lecitina. Parrebbe quasi che questa aggiungesse ai sieri, quello che l’etere
aveva tolto o modificato, mentre si è visto più sopra che la semplice aggiunta di lecitina
a siero normale attivo gli toglie l’azione diastasica ! i
Si è fatta anche la questione se i lipoidi nell’ esercitare azioni di difesa contro veleni,
contro enzimi, possano agire anche contro germi e già da Wassermann e Leitz 91)
troviamo affermato che la lecitina non ha vera azione battericida, ma rende l’ organismo
più resistente alle infezioni.
Secondo Renshaw e Atkins 92) l’azione battericida della lecitina e dei sali di colina
non può negarsi, ma però essa manca nel 10 %,, dei casi esaminati e questo è già un grave
argomento contro l’azione stessa !
Il Calcaterra 93) ha osservato che l'aggiunta di piccole dosi di lecitina ai brodi
culturali favorisce lo sviluppo del bacillo del Loffler e può aumentarne la virulenza,
mentre dosi elevate arrestano lo sviluppo del bacillo della difterite e nuociono quindi alla
produzione di tossina.
Una infezione molto diffusa e purtroppo di prima importanza merita di essere ricordata
a proposito del suo rapporto con la lecitina.
È noto un aumento di lipoidi nel siero durante il trattamento con tubercolina, o pre-
parati simili. Il Calmette ha attribuito appunto alla lecitina un’ azione svelenatrice sulla
tubercolina, ma già questo fatto non si è potuto confermare dal Beyer 94) nè mediante
iniezioni ipodermiche, nè con l’aiuto della cuti od oftalmoreazione. Ma oltre a ciò nelle
esperienze del Beyer non si è potuto dimostrare un’ azione battericida della lecitina e suoi
preparati sulle culture difteriche, e ciò veramente contraddice anche alle osservazioni ben
ripetute di Bruschettini e Calcaterra.
Secondo il Beyer l’aumento dei lipoidi nel siero è un fenomeno comune delle infezioni.
Si è dibattuta la questione se colesterina e lecitina valessero a neutralizzare il virus
rabbico.
Era interessante il rispondere a questo quesito perchè come è noto il virus rabbico
prospera specialmente sulla sostanza nervosa ove si ha abbondanza appunto di lecitina e
di colesterina.
L’Almagià 95) ha affermato che la colesterina opera tale neutralizzazione, ma poco
dopo il Marie 96) comunicava che nelle sue esperienze eseguite sopra virus fisso la cole-
sterina e la lecitina non avevano dimostrato di possedere alcuna azione lissicida.
Venne in seguito il Fermi 97) con numerosissime esperienze eseguite con materiale
— 273 —
molto vario. Secondo il Fermi sperimentando sopra virus fisso sì osserva che la lecitina,
la colesterina, il tuorlo d’ovo, la bioplastina sono sprovvisti di azione lissicida in vitro,
non solo se usate in emulsione oleosà, ma anche emulsionate nello stesso virus fisso, anche
se il contatto di dette sostanze col virus si sia prolungato fino a 3 ore alla temperatura
di 37° e per 24 ore a 20°.
Inoltre il Fermi avrebbe ancora dimostrato che lecitina e colesterina non possiedono
azione battericida in soluzioni al 2,5 % anche alla temperatura di 35° e i germi sui quali
questa azione fu provata sono lo stafilococco dorato, il micrococco tetrageno settico, la
sarcina lutea, il bacillo del tifo, un paratifo, il bacillo del carbonchio, il bacillo sottile,
il difterico, il saccaromyces albus, il penicillum glaucum.
In una seconda pubblicazione il Fermi 98) ha cercato anche se queste sostanze eser-
citassero un’ azione vaccinante o immunizzante contro l'infezione rabbica da virus fisso e
da virus di strada ed ha confrontato dette sostanze con un suo vaccino antirabico formato
con virus rabbico neutralizzato da acido fenico in modo speciale.
Gli animali di prova erano muridi infettati per iniezione sotto cute, che, secondo il
Fermi, produce costantemente lo sviluppo della rabbia. Ora, degli animali previamente
infettati con virus di strada sopravissero :
per l’uso del vaccino Fermi il 100 %
per iniezione di tuorlo d’ uovo . 87 »
di colesterina e lecitina . . 80 »
cli Sola iena co o BS
cip oplastn aes 00
di colesterina ..... Sola
Degli animali poi infettati con virus fisso sottocute e trattati con iniezioni come i
precedenti sopravissero : >
0% di quelli trattati col vaccino Fermi
33%, trattati con lecitina e colesterina
30%, trattati con sola lecitina.
I risultati sono veramente straordinari e non si sa come non si siano successivamente
cimentate contro altre infezioni certo non più gravi della rabbia coteste sostanze che
come il tuorlo d’ ovo sono proprio alla portata di tutti !
Il Repetto 99) ha ripreso le prove in riguardo alla colesterina ed ha riconfermato
i risultati del Fermi e del Marie sperimentando sopra 3 cani e 16 muridi e non ha
trovato nessuna azione lissicida nella colesterina, attribuendo alle esperienze dell'Almagià
il valore di pura accidentalità in ragione del piccolo numero di prove.
Ma recentemente il Fukuhara 100) è tornato sull’ argomento e sperimentando sul
virus rabbico in vitro ha veduto che esso è ucciso dall’ acido oleico, dall’ oleato di sodio
‘e dalla lecitina. L’ acido oleico, è atto ad uccidere anche il virus della peste aviaria e il
vaccinico.
— 2714 —
Effetti lusinghieri dall’ uso della lecitina nell’ organismo, contro infezioni, contro lesioni
da condizioni varie patologiche, difese esercitate dalla colesterina e da molti, da tutti
forse i lipoidi che si riscontrano nell’ organismo sono ormai sufficientemente dimostrate,
sono i fatti negativi che hanno bisogno ora di essere illustrati più dei positivi, che sono
molto numerosi.
E anche i buoni risultati ottenuti dai lipoidi contro infezioni che attaccano proprio i
tessuti più ricchi di lipoidi attivi come il cervello e il midollo spinale ci dicono come si
debbano ammettere modificazioni speciali nei lipoidi degli organi affetti da alterazioni che
la lecitina o la colesterina possono combattere.
Già Porges e Neubauer 101) hanno veduto che emulsioni di lecitina sono modifi-.
cate dagli elettroliti come quelle di albumina a seconda delle sostanze liotrope. La lecitina
agirebbe più dell’ albumina in ragione dello strato lipoide che involge le cellule, perchè il
magnesio si comporta come metallo alcalino terroso con lecitina e come alcalino con
albumina, perchè le concentrazioni saline fisiologicamente possibili agiscono sulla lecitina
e non sull’ albumina.
Le modificazioni che-avvengono nella lecitina si possono vedere del resto anche dagli
effetti della introduzione per bocca. Il Franchini 102) ha notato che l° alimentazione
contenente lecitina fa aumentare il contenuto di lecitina del fegato e dei muscoli, ma non
quello del cervello.
L'aumento notato nel fegato si mantiene al massimo per 15 giorni dopo la cessazione
della somministrazione. Nelle urine si trova un lieve aumento dell’ acido fosfoglicerico,
non si rinviene colina, ma bensì acido formico quale prodotto di scomposizione della
colina.
Nelle fecce ricompare una lieve quantità di lecitina. Oltre all’ aumento di lecitina nel
fegato e nei muscoli si ha pure aumento di acido fosfoglicerico. Queste esperienze sono
state fatte nei conigli.
Importante è anche il vedere quale sia il contenuto di lecitina nei diversi tessuti ed
in varie condizioni che riguardano alterazioni del sistema nervoso : Il Glikin 103) ha
osservato che nel midollo delle ossa la lecitina cresce con l’ età fino ad un certo periodo
ed in certe specie animali.
Il materiale è stato estratto con alcool e cloroformio e 1° estratto trattato con etere.
Su questo prodotto ultimo di estrazione seguendo l’ indicazione di Diakonow il Glikin
ha determinato 1’ anidride fosforica e da questa è risalito alla quantità di lecitina.
In un vitello giovanissimo si trovò il 6,76% in un montone altrettanto giovane il 6,51.
In un maialetto di 20 ore 30,16%, e in un altro di 24 ore 31,16 %. In un cane appena
nato riscontrò il 37,70. In un bimbo di 13 mesi e mezzo 29,24, in un altro di 16 mesi
24,93 ed in uno di 2 anni 13,38%.
In altra pubblicazione il Glikin 104) ha rivolto la sua attenzione al contenuto di leci-
tina nel sistema nervoso di vari malati, ed ha veduto che nei tabetici se ne irovano ap-
pena tracce, in casi di paralisi progressiva si notano o quantità normali, o diminuzione e
talora anche mancanza assoluta di lecitina.
— 275 —
Proseguendo poi le sue ricerche sulla lecitina complessiva di un organismo animale
il Glikin 105) ha rilevato che si trova una maggior copia di lecitina in quelle specie in
cui come per l’uomo si ha bisogno di assistenza subito dopo la nascita, mentre gli animali
che appena nati corrono liberamente o possono anche procurarsi il cibo senza bisogno di
aiuto e non nascono ciechi, implumi, deboli, come gli altri, il contenuto di lecitina totale
è molto minore. i
Ciò si verifica anche per gli uccelli. I piccioni, le tortore, gli uccelli di nido che ri-
chiedono l’ assistenza dei genitori, nascono da ova che contengono una quantità molto
maggiore di lecitina che non siano i polli, che appena usciti dal guscio razzolano intorno
a procurarsi il cibo.
È importante anche la limitazione del ricambio materiale che segue alla introduzione
di lecitina o di prodotti analoghi e che si è scambiato da molti come un fenomeno di
sostituzione di prodotto, di reintegrazione del fosforo deficiente.
Già in mie esperienze (5) avevo notato che l’iniezione di glicerofosfati o di fitina pro-
duceva un risparmio nella eliminazione del fosforo e nel mio laboratorio il Dott. Fratta 106)
dimostrò che questo fatto si osservava anche per la iniezione di lecitina e si riferiva oltre
che all’ azoto anche al fosforo eliminato mediante le urine e le fecce.
Ho citato più sopra le mie esperienze nelle quali la fosfaturia da cura antirabica può
essere completamente sospesa dall’uso contemporaneo di fitina cioè di un sale inositfosforico
del calcio e del magnesio e interessanti sono quelle ulteriori dei miei allievi Dott. Venturi
e Massella 107), che hanno particolarmente saggiato 1° eliminazione delle varie forme di
azoto e del fosforo per le urine e per le fecce in uomo sano. In tutte queste prove si è avuto
costantemente la dimostrazione di un risparmio in fosforo e in azoto da parte dell’organismo.
Una ritenzione di azoto del 10,9 a 16,4% si è notata anche dall Yoshimoto 108)
in cani cui sì erano somministrate dosi di 2 a 4 gr. di lecitina, e inoltre si è osservato
anche da questo stesso autore una diminuzione dell’ eliminazione del fosforo.
Sono questi certamente fenomeni molto complessi, perchè da molte circostanze può
dipendere il risparmio di un organismo e innanzi tutto da due fatti principali cioè da un
minore consumo dell’ organismo e da maggiore profitto dei materiali introdotti con 1’ ali-
mentazione.
Si consideri a questo proposito il fatto osservato dal Wilczinski 109), esso pure
complesso, ma che rappresenta indubbiamente in ultima analisi un risparmio dell’ or-
ganismo. Il Wilezinski ha veduto che la lecitina in dosi giornaliere di mezzo gramma
ritarda o diminuisce lo scolo mestruale.
Certamente se i soggetti di osservazione fossero stati mal scelti, e cioè fra loro sì
fossero trovate delle donne sofferenti per lesioni guaribili con l uso di preparati di fosforo
qualunque esse fossero, il fatto perderebbe molto della sua importanza, ma se invece si
è sperimentato su donne normali e si è ottenuta la diminuzione ricordata, dovrà ammet-
tersi che 1° osservazione ha notevole importanza riferibile o a modificata funzione del si-
stema nervoso, o dell’ ovaia, o dell’ utero, o delle condizioni vasali sanguigne.
IV. Esperienze proprie.
Fra così grande e così notevole serie di fenomeni aggiudicati ad influenza dei lipoidi
o più particolarmente della colesterina e della lecitina, evidentemente aveva grande in-
teresse la ricerca di una prima distinzione fra i lipoidi estratii dal cervello per effetto
della cloroformizzazione e per dir meglio, interessante si presentava il determinare quali
lipoidi oltre che quanto di essi, rimanessero nella sostanza cerebrale di animali profon-
damente addormentati con cloroformio, per arguirne sulla importanza degli uni e degli
altri nella produzione della narcosi.
Le esperienze di Bibra ed Harless, avevano affermato una diminuzione dei lipoidi
cerebrali per la eterizzazione ed un aumento dei lipoidi del fegato, il Sieber ha dimo-
strato una diminuzione notevole dei fosfatidi cerebrali nell’ avvelenamento da alcool etilico,
il Calabrese ha veduto nel rene una copia notevole di grasso nella cloroformizzazione
e tuttavia il Lattes non ha potuto dimostrare che nel sangue aumenti la quantità dei
lipoidi durante la cloroformizzazione, come dovrebbe notarsi se il cloroformio esportasse dai
centri nervosi una certa quantità dei lipoidi medesimi.
Finalmente il Carati riescì a provare nei cani una deficienza di lipoidi cerebrali per
opera della cloroformizzazione e una influenza biologica speciale, opposta anzi fra i lipoidi
estratti da cani normali, e quelli estratti da cani cloroformizzati.
Le notizie che ho dato più sopra dimostrano che indubbiamente la lecitina e forse
altri fosfatidi hanno azioni varie, aleune comuni con altri lipoidi, altre essenzialmente diverse,
sicchè la opporiunità di distinguere almeno i fosfatiai dalla colesterina e grassi nei lipoidi
cerebrali di cani sani e di altri sottoposti a cloronarcosi si presentava evidente. Io avrei
desiderato di eseguire una estrazione accurata e sicura dei lipoidi in modo da poter rigo-
rosamente separare la lecitina e i fosfatidi principali e poi la colesterina e gli altri grassi.
Già le osservazioni di vari autori, che hanno dovuto tralasciare i metodi anche più
moderni di separazione avevano raffreddato il mio entusiasmo che poi fu del tutto con-
gelato dalla lettura delle note fornite molto diligentemente da Ivar Bang 110), il quale
non ammette che siano sicure le notizie che sono diffuse sul contenuto di lecitina dei
vari organi. Il Bang per ammettere che nel cervello si trovi veramente lecitina sente
il bisogno di richiamarsi alle osservazioni del Thudichum 111) il quale ne avrebbe de-
terminata la presenza, dopo gli studiosi che |’ hanno preceduto in un tempo, in cui l’indagine
era meno sicura.
Il Fraenkel 112) tuttavia valendosi del metodo stesso del Thudichum col clo-
rura di cadmio ha trovato nel cervello un triaminofosfatide invece della lecitina che come
è noto è un monoaminomonofosfatide. i
È cotesto un effetto di alterazione della sostanza durante la estrazione? Secondo il
Bang (loc. cit. pag. 52) anche il metodo del cloruro di cadmio si deve respingere perchè
altera la lecitina e si deve ricorrere piuttosto al metodo di Erlandsen, che è un pro-
cesso fondato su estrazione con etere dapprima poi con alcool e successive precipitazioni
or
dall’ estratto primitivo valendosi dell’ acetone e della soluzione dei residui in alcool a
freddo e poi in alcool bollente.
A questo proposito tuttavia ricordiamo che il Thierfelder 113) nella ottava edizione
del trattato dell’ Hoppe Seyler mette in dubbio appunto la separazione esatta della lecitina
fondandosi sulla difficoltà di ottenere detta separazione per i rapporti non fissi e sicuri di
solubilità dei vari elementi nei solventi indicati, alcool, etere, acetone.
Il Bang e i recenti non ammettono che la lecitina possa determinarsi dal contenuto
di fosforo dell’ estratto alcoolico etereo, come aveva proposto l Hoppe-Seyler 114) e
sì trova descritto nella 5* edizione del trattato, metodo che fu diffuso dal Diakonow e
che anche recentemente è stato adoperato dal Glikin.
Il Fraenkel 115) crede opportuna per ottenere i lipoidi cerebrali una estrazione
frazionata. Egli consiglia di estrarre dapprima con acetone per allontanare principalmente
la colesterina e poi successivamente estrarre con etere di petrolio, benzolo, alcool assoluto,
alcool a 85 ed etere.
Secondo questo metodo il Fraenkel avrebbe determinato nel cervello umano in
cifre tonde %/, di sostanze lipoidi e '/, di albuminose nel residuo secco totale. Dei lipoidi
il 17% sarebbe dovuto a colesterina, il 48,29 a combinazioni non sature, il 34,48 a com-
binazioni sature e le estrazioni parziali in un cervello umano che conteneva il 23% di
sostanza secca avrebbe dato per cento di questa i seguenti valori :
COlesterna ee e 10:96
Estratto acetonico age
fosfatidi e altre sostanze . 9,64
dalle reresdiepetro 0 RS RSM eee ee 21836
dollebenzo ore o 58
dallgalc00l e ea 0,296
dall’alenan o eo esa ee o e e OI
Resco di prove elet oo te 8 ISIS
Abbiamo riportato questo quadro come saggio del metodo, che tuttavia non crediamo
giusto, anche in corrispondenza di quanto è accennato da Thierfelder e da molti altri.
Il Nerking 116) dopo aver esposto il metodo di Hoppe-Seyler-Diakonow e
notato che non è sufficiente neppure una determinazione sussidiaria dell’ azoto contenuto,
che oltre al fosforo esprimerebbe una caratteristica della lecitina, afferma che giova
allo stato attuale della questione contentarsi della determinazione del fosforo. Il dissec-
care la sostanza in esame, il bollirla nell’ alcool ritiene anche il Nerking che sia peri-
coloso, e quanto al metodo tenuto dal Fréànkel, il Nerking nota che già l Altmann
dapprima e poi lo Zilzer l hanno adottato, ma secondo | esperienza propria circa il
50% della lecitina non è precipitato dall’ acetone, ma resta sciolto nella soluzione eterea
o cloroformica contenente acetone.
Ciò segue quando si ricorra al metodo che abbiamo indicato col nome di Erlandsen
«come lo designa Ivar Bang e cioè quando si voglia procedere a precipitazioni successive
dalla estrazione eterea primitiva.
Serie VII. Tomo I. 1913-1914. 36
— 278 —
Il Fraenkel nel caso attuale ha precipitato addirittura con acetone o a dir meglio
ha lasciato che |’ acetone esiraesse solamente quello che poteva prendere in soluzione, ma
si .vede già dal saggio di estrazione che abbiamo riportato, come |’ acetone abbia estratto
oltre al 10% di colesterina il 9% di fosfatidi, che hanno bisogno di altra determinazione
per essere individuati come tali.
Dopo molte prove fatte dal Nerking per valersi dell’ estrazione mediante acetone,
egli ha trovato che la soluzione acetonica è priva di fosforo, cioè non contiene più tracce
di lecitina, solamente quando si sia aggiunta alla dissoluzione eterea primitiva un po? di
cloruro di magnesia sciolto in alcool. Tuttavia è bene ricordare che il permanere del
fosforo nella dissoluzione acetonica non vuol dire permanenza di lecitina bensì di fosfatidi,
coi quali la lecitina non può essere confusa perchè essa non li rappresenta tutti !
Il Collison 117) ha fatto un confronto fra tre metodi usati per |’ estrazione della
lecitina, ma sembra che egli chiami lecitina tutto quello che può ottenersi da una estra-
zione eterea successiva ad altre manipolazioni o da una estrazione con cloroformio acido.
Infatti egli confrontò il metodo a) e cioè estrazione con alcool anidro, e successiva
estrazione dall’ estratto alcoolico secco con etere anidro e filtrazione.
5) Estrazione con alcool a 95° ed estrazione dell’ estratto alcoolico secco con etere
anidro e filtrazione.
c) Estrazione con alcool a 95° ed estrazione dall’ estratto alcoolico secco con acqua
di cloroformio acida.
Coi metodi b e c il Collison ha trovato valori del 10° più forti che col metodo
a il quale per questa ragione egli dice, non merita di essere accolto. i
Il processo di esame è molto spiccio e se noi riteniamo che non porti a conchiusione
erronea, ciò avviene per un dato di fatto molto importante e cioè che è dimostrato come
la estrazione da materiale assolutamente disidratato con alcool assoluto dà una quantità
minore di prodotto, ma per la qualità non è facile certamente il pronunziarsi. L’ Elfer 118)
anzi sì è studiato di proporre un metodo per disidratare il materiale di esperimento avanti
di procedere alla estrazione dei lipoidi. Egli consiglia di trattare la sostanza in esame
col 50°, di fosfato bisodico previamente disidratato fra 150° e 170° e poi far seccare su
acido solforico.
Se si potesse fidare tranquillamente alla osservazione del Thudichum, che la
lecitina si altera a secco solantente a 100°, o anche far conto della più timida dichiara-
zione del Mac Lean 119) che la estrazione con alcool può essere portata fino a 50°,
senza timore di alterare la lecitina, noi consiglieremmo di seguire un metodo proposto dal
Virchow 120) e che non è altro se non una applicazione di quello dato da Hoppe-
Seyler e Diakonow e seguito da Glikin. Esso avrebbe anche il grande vantaggio di
richiedere una piccolissima quantità di sostanza, un solo gramma, dal quale tuttavia dato
il rapporto percentuale della lecitina e il contenuto di questa in fosforo non potrà atten-
dersi se non 10 2 milligrammi di fosfato, che certamente non danno una grande sicurezza
di pesata, ma si potrebbero sicuramente determinare con altro metodo analitico. Ed ecco
il metodo del Virchow: un gramma di sostanza viene bollita tre volte in 10 ce. di
MMI
alcool assoluto. Si filtra la soluzione alcoolica così ottenuta, si distilla l alcool e l° estratto
alcoolico viene trattato con etere. È in questo modo che si intenderebbe di aver ottenuta
la sola lecitina, se essa non fosse stata in parte distrutta dalla ebullizione in alcool.
Il processo successivo non è che uno dei modi di determinazione del fosforo come
pirofosfato di magnesia e cioè: si allontana |’ etere, si ossida il residuo con acido nitrico
fumante, la soluzione evaporata in crogiolo di platino è addizionata di 5 gr. di miscela di
nitro e di soda. Si riprende il sale fuso con acqua acidula, si neutralizza con ammoniaca fino
a precipitazione come pirofosfato di magnesia.
Questi i metodi di determinazione in uso oggi, ma è evidente che esperienze biolo-
giche di confronto dirette a stabilire la presenza di composti fosforati cui possano attri-
buirsi azioni speciali diverse da quelle di un grasso neutro o della colesterina, non ave-
vano il bisogno di una sicurezza matematica, che d’ altra parte nessuno dei processi chi-
mici a tutt’ oggi proposti e adoperati ci poteva fornire.
Io ho quindi scelto una via simile a quella tenuta dal Glikin, dal Nerking, da
Mayer e Schaeffer, da Virchow, ho seccato la sostanza cerebrale rapidamente
sopra bagno maria in modo che la temperatura non raggiungesse quella di ebullizione
dell’ acqua sottostante e ciò ho ottenuto distribuendo la sostanza nervosa in piccoli bran-
delli sopra un piatto di porcellana collocato sopra un bagno maria piuttosto profondo. Un
termometro collocato in mezzo alla sostanza non dimostrò mai una temperatura supe-
riore a 60°.
La sostanza nervosa così disseccata e sminuzzata era posta in un cartoccio di carta
da filtro e collocata in un estrattore Soxhlet con collegamenti lavorati a smeriglio senza
sughero.
Per l’ estrazione in queste prime esperienze mi sono servito piuttosto dell’ etere, perchè
mi ero prefisso di ricercare nel modo migliore le sostanze lipoidi contenenti fosforo e
particolarmente la lecitina ed è noto che questa specialmente si estrae con 1° etere, mentre
molti altri prodotti azotati si estraggono dall’ alcool. Tuttavia ho eseguito anche la estra-
zione con alcool, facendo qualche prova con la precedenza dell’ etere, qualche altra con
la precedenza dell’ alcool e cioè sottoponendo rispettivamente la sostanza prima ad uno e
poi all’ altro dei solventi.
È noto che non è la stessa cosa estrarre prima con alcool o con etere, sembra che
l'alcool renda solubili in etere sostanze che prima non lo erano, quando cioè contenevano
un po’ d’ acqua e l Erlandsen particolarmente si è occupato di questa questione.
Io ho veduto che col mio metodo di estrazione e cioè prolungando | operazione nel
Soxhlet per 24 ore con etere e successivamente sottoponendo il residuo di sostanza cere-
brale già sgrassato dall’ etere all’ azione dell’ alcool per altre 24 ore, si ottiene sempre
qualche po’ di materiale e cioè dal 6 all’ 8 per cento di sostanza cerebrale secca, quando
da questa si siano già ottenuti circa 45 di lipoidi per cento di sostanza cerebrale trattata
per 24 ore con l’ etere.
Quando invece ho fatto precedere la estrazione con alcool ed ho ottenuto dal 48 al
53 di lipoidi estratti da cento di sostanza cerebrale secca, sottoponendo poi il residuo
— 280 —
all’ azione dell’ etere o non ho ottenuto nessuna traccia pesabile di lipoide o questa si è
limitata all’ 1 o anche solamente al 0,1 di estratto lipoide per cento di sostanza cerebrale
secca. i i
Mi propongo in una seconda comunicazione di cercare nel medesimo materiale le dif-
ferenze che si riferiscono precisamente a questa maniera di estrazione e il contenuto ri-
spettivo. in fosforo dei lipoidi così ottenuti, dacchè nelle presenti ricerche non mi sono
curato in particolare di questo fatto premendomi di stabilire solamente i rapporti fonda-
mentali fra lipoidi fosforati e lipoidi totali.
Il mio allievo Carati aveva invece seguito |’ indicazione fornitagli dal Fukuhara e
cioè aveva cercato di ottenere la massima quantità di lipoidi dalla sostanza cerebrale e
perciò prima aveva estratto con alcool e poi con etere riunendo le due sorta di lipoidi
in un solo campione. Se veramente si ottenga maggior copia di lipoidi facendo precedere
l’ estrazione con alcool, io non posso per nulla affermare, crederei anzi che avvenisse 1° op-
posto, ma per una recisa soluzione del quesito occorre operare le due estrazioni sullo
stesso materiale di prova il che io non ho fatto. I lipoidi estratti erano evaporati prima sopra
bagno maria e poi collocati entro essiccatori con cloruro di calcio tenuti in termostato a 40°.
Per procedere alla determinazione chimica, allo scopo di aver un materiale omogeneo,
il che non si ha se si lascia il lipoide a evaporare, notandosi precipitazioni in seno alla
soluzione eterea o alcoolica, scioglievo il lipoide con etere o con alcool e mettevo una
piccola quantità del soluto più concentrato che mi fosse possibile in vetri da orologio
accoppiati che portavo a secchezza assoluta fino a costanza di peso.
Da questi campioni prelevava le quantità occorrenti per la determinazione del fosforo
Per questa ho scelto il metodo di cui già mi sono valso altre volte e che ho altrove
descritto cioè quello dell’ Hermann determinando |’ anidride fosforica in forma di fosfo-
molibdato d’ ammonio, esso è presso a poco lungo come |’ altro indicato anche dal Vir-
chow e che conduce alla pesata del pirofosfato di magnesia, ma è più esatto e permette
di dosare con grande sicurezza molto meno di un milligramma di anidride fosforica perchè
1 cc. di una soluzione norm. di soda corrisponde a milligr. 0,2586 di P,0.. Il processo
analitico da me tenuto è stato descritto nei miei lavori già citati sulla fosfaturia.
Le presenti esperienze sono state eseguite sopra cani adulti di razze e condizioni
anche varie, come di varia età, 5 normali e 5 uccisi mediante inalazione di cloroformio.
Devo notare innanzi tutto che fra i normali è compreso un cane ottenuto dal canile mu-
nicipale, ove si trovava in osservazione per sospetto di idrofobia. Quando fu ucciso non
presentava però nessun sintomo della malattia, il che non esclude per nulla che la infezione
non potesse già essere in corso. Molte prove che ho fatto eseguire da mio figlio su animali
certamente idrofobi dimostrerebbero una diminuzione dei lipoidi estraibili con etere, saranno
falte con questo ricco materiale anche le determinazioni del fosforo, dalle quali spero di
ottenere risultati interessanti. Intanto sopra questo caso nel quale si è {trovata una quan-
tilà un po’ scarsa di lipoidi eterei e una copia notevole di fosforo non si può evidente-
mente fare assegnamento come sopra caso normale e per questo non l° ho compreso nella
determinazione delle medie eseguite.
— 281
Il quadro I riguarda in complesso i lipoidi ottenuti mediante etere o alcool dai cani
normali e da quelli cloroformizzati e il computo rispettivo per cento di cervello fresco.
ABELLA I.
Lipoidi cerebrali estratti dall’etere e dall’ alcool.
Lipoidi dall’ etere | Lipoidi dall’ alcool |Lipoidi in complesso
Condizioni dell’ esperienza %/, i °, di °, di per Kg.
estratti | cervello | estratti | cervello | cervello | di cane
I E) bracco bastardo Kg. 17 normale 8,60 9,88 - — — —
II la) lupetto bastardo Kg. 7,6 Sata
tato idrofobo. A 5,80 9,76 —_ _ = —
III Q setter bastardo Kg. 18, normale | 10,80 10,49 2,59 2,51 13,— 0,743
IV o) danese bastardo Kg. 26 normale 0,00 0,00 3,14 12,28 12,28 0,505
V E) pastore vecchissimo Kg. 41,8 di-
giuno da 4 gioni . 0,35 0,36 NALI 11,51 11,87 0,277
Medie . = 10,04 == 11,89 12,38 =
VI li) bastardo Kg. 7 —- gr. 8. cloro-
formio in 20' 6,30 10,16 l,— 1,61 ]zazi 1,040
VII È bastardo vecchio Kg. 18 — gr. 13
: cloroformio in 45°. ; 10,34 10,55 D7 1,29 11,84 0,644
VIII È bracco bastardo Kg. 32,5 ucciso
per cloroformio, circa 20 gr. . 9,92 10,33 0,71 0,74 11,07 0,327
DOO aldo Kg. 7 gr 15. clorofor-
mio in 15! : 6,44 9,61 1,35 2,01 11,62 IZ
X barbone adulto Kg. 9,2 gr. 8 clo-
ROLOr NORD AE 0,04 0,05 7,93 ez N27 0,866
Nader AO. si SEN SISI di
Se confrontiamo le cifre complessive dei lipoidi estratti tanto con alcool come con etere
dai cani III, IV e V troviamo che essi hanno dato una media di 12,33 °/ di cervello, più
| trovato 9,92. I
Credo di poter attribuire la differenza al-
alta cioè di quella ottenuta dal Carati, che aveva miei valori estremi
furono da 11,87 a 13 e i suoi da 8,5 a 11,6.
l’apparecchio di estrazione col quale egli ha eseguito tutte le sue prove e che non dava
una ricaduta abbondante, sicchè forse l’ estrazione non potè riescire esauriente.
I nuovi apparecchi che io ho avuto a disposizione corrispondono molto meglio allo
scopo specialmente se vengano vigilati, dal punto di vista della regolarità d’ accesso del-
l’acqua nei refrigeranti e delle fiamme nei bagni maria. Ciò naturalmente non porta nes-
‘suna modificazione alle deduzioni del Carati, perchè egli ha usato sempre lo stesso me-
todo, come ho fatto io tanto per i cani normali, come per quelli cloroformizzati.
— 282 —
Osservo che nel cane V che era vecchissimo, ed era rimasto a digiuno da 4 giorni,
essendosi rifiutato di mangiare e si muoveva a stento, si è trovata la minor copia di lipoidi
complessivi, non posso dire però particolarmente di quelli eterei, perchè essi furono estratti
dopo il trattamento con alcoo] e la quantità ricavata fu minima e tale da non potersi
prendere in considerazione come elemento a sè.
Se sì confronta la media di lipoidi ottenuti dall’ etere, con quella ottenuta dall’alcool
si trova che la prima fu di 10,04 per cento di cervello fresco e la seconda fu di 11,89.
Si estrae dunque effettivamente di più col solo alcool, che non col solo etere, il che si com-
prende dalle nozioni che abbiamo esposto precedentemente.
Si vedranno meglio nelle esperienze che pubblicherò in seguito le influenze rispettive
dell’estrazione primitiva con etere o con alcool, il che qui non si può ben rilevare.
Si osserva bensì dal cane III in cui precedette l'estrazione con etere, che essa potè
ricavare il 10,49 di lipoidi e che successivamente l'alcool estrasse ancora 2,51, mentre nei
casi IV e V dopo l’estrazione primitiva eseguita con alcool e che diede rispettivamente
12,28 e 11,51 non si estrasse con etere, nulla nel primo caso e 0,36 nel secondo!
Ne verrebbe dunque, se questa scarsa prova fosse sufficiente a dimostrare un fatto di
questo genere, che l'alcool può estrarre tulto o quasi tuito quello che può estrarre l’etere,
mentre: questo non toglie tutto quello che l’ alcool può togliere al cervello.
Anche ciò sta perfettamente coi dati di fatto riguardante le rispettive solubilità dei
lipoidi.
Le cifre segnate nell’ ultima colonna della tabella hanno un valore relativo alla massa
cerebrale di ogni cane. I tre cani III, IV, V erano tutti tre grossi poichè pesavano 18, 26,
42 Kg. circa, le loro masse cerebrali non ostante le differenze notevolissime |’ una dall’altra
erano quasi eguali e cioè 103, 107 e 97 gr. Si sa benissimo che nei cani a seconda delle
razze si trovano delle enormi differenze nella massa del cervello e anche qui si ha una
prova del fatto. Il cane di 42 Kg. con una mole molto più che doppia aveva un cervello
più leggiero e in ragione di questo presentò un rapporto bassissimo fra i lipoidi del suo
cervello e il peso del corpo, melto più poi da che anche in via assoluta la quantità dei
suoi lipoidi cerebrali era bassa.
Tuttavia dare un’ importanza al rapporto fra lipoidi cerebrali e peso del corpo non è
possibile, se non sottoponendolo a quello fra peso del cervello e peso del corpo, e per questo
non abbiamo segnato le medie di questi valori, che così per sè non sono paragonabili.
Per comodità di trascrizione abbiamo riunito nella medesima tabella anche i casì che
si riferiscono agli animali cloroformizzati.
Per quello che si riferiscé alla cloronarcosi eseguita in questi cani dobbiamo notare
che gli animali collocati sulla tavola di contenzione erano costretti a respirare nell’imbuto
speciale che chiude l’accesso alla bocca e alle narici. Solamente qualche animale più grosso
come il N.° VIII può aver introdotto dalla bocca, che non entrava tutta nell’ imbuto, qualche
po’ d’ aria non carica dei vapori di cloroformio provenienti dalla spugna collocata nel fondo
dell’ imbuto dietro la rete metallica, che lo chiude. Così sì è misurata la quantità del clo-
roformio impiegato dalla perdita in peso della bottiglia che serviva ad imbevere la spugna.
— 283 —
'laseLLA II. Anidride fosforica contenuta nei lipoidi estratti.
Ciorotonmio Anidride fosforica
CANE somministrato in gr.
o per Kg. ° di lipoide | °/, di lipoide | °/ di lipoidi
Part LS; e minuto etereo alcoolico complessivi
I norm. ——- 1, 78 —— —_
II idrofobo ? —— 2,62 I —
III norm. —— 2,42 1, 68 22
IV norm. —_— duro: DZ) 2,20
V norm. a —_ 232 2,82
Medie —_— —_ DAT 2,26 2,26
VI 1,14 0, 057 2,49 —— --—
VII 0,72 0, 016 25 (01 2,92 ZON
VINI 0, 61 si 2,90 1,91 32, 50
IX 214 0 142 2,76 23 a 2g
X 0, 869 0, 057 —— 2429) RAI
Cd E aa 2,60 2,59 2,52
Si è potuto determinare come si vedrà nella tabella II la quantità di cloroformio im-
piegata per Kg. d’animale e riferendo questa alla durata della cloroformizzazione si è potuto
anche segnare la velocità della somministrazione.
Certamente queste determinazioni valgono più che altro come norme delle condizioni
di esperienza, ma non hanno un rigore assoluto perchè nella spugna un po’ di cloroformio
doveva rimanere e rimaneva, nè dal peso di essa poteva arguirsi alcun che, perchè essa
accoglieva anche vapor d’acqua dalla espirazione del cane e così il suo aumento dal peso
iniziale non era dovuto che in minima parte a cloroformio rimastovi non inalato, ma bensì
ad acqua della espivazione.
Come si vede le dosi di cloroformio riferite al peso degli animali hanno variato abba-
stanza l’una dall’aitra propriamente per diversa resistenza degli animali e la durata della
cloroformizzazione da 15° a 45’ dimostra che in nessuno la morte fu improvvisa. Le dosi
da noi adoperate rappresentano altrettante dose mortali, perchè l’animale non fu ucciso
altrimenti e non crediamo possa essere avvenuta nessuna distruzione del cloroformio nel-
l’organismo quale è indicata dalle esperienze del Lehmann e del Nicloux.
Il Lehmann 121) ha somministrato cloroformio per lungo tempo in dosi però non
mortali a uomini ed a animali ed ha veduto che nell’uomo già dopo i primi 20° 1’ assor-
bimento del cloroformio scema; mentre da principio esso varia da 74 a 80 %, successiva-
mente si riduce al 10%.
Rogge
Negli animali, da principio l’ assorbimento è del 27 al 30 7 alla fine della 2* ora è
al 20%, alla fine della 3* ora al 10%. Dopo 2 a 3 ore si ha una saturazione approssi-
mativa dell’ organismo con cloroformio. Secondo il Leh mann dal 42 al 90 “x del cloro-
formio assorbito viene eliminato, sicchè la -distruzione talora sarebbe minima.
Secondo il Nicloux 122) dopo 30’ di prolungata narcosi profonda nei cani si è di-
strutto circa gr. 0, 10 di cloroformio per Kg. d’ animale, e come prodotto di distruzione del
cloroformio si trova solamente un aumento dei cloruri delle urine.
(Na rapidità della cloroformizzazione adunque nei nostri casi dovrebbe render conto di
una fissazione massima nell'organismo e di quelle azioni che si fanno sentire direttamente
sul sistema nervoso e devono determinarne le modificazioni funzionali e presumibilmente
quelle chimiche.
Leggendo dunque il risultato delle estrazioni dei lipoidi negli animali cloroformizzati,
vediamo che anche in questi l’aver fatto precedere il trattamento dell’ etere a quello del-
l’alcool ha lasciato nel residuo cerebrale una quantità di lipoidi estraibili con alcool, va-
riabile da 0,71 a 1,35 °/, di cervello fresco. L’estrazione primitiva con alcool ha lasciato
appena 0,052 di lipoide estraibile con etere da 100 di cervello ed anche da queste prove
di cani cloroformizzati si è rilevato che l'alcool da solo estrae dal cervello anche nei cani
cloroformizzati una quantità maggiore di lipoidi e cioè in una prova 11,22 in confronto del-
l’etere da solo, che ha estratto in una media di quattro casi 10,16.
Come si comportano i lipoidi eterei e quelli alcoolici, dopo la cloroformizzazione ?
‘La tabella II non ci mostra nessuna differenza nella quantità di lipoidi estratti con l’ etere
dai cervelli cloroformizzati in confronto con quelli normali. Anzi le medie mostrerebbero un
lieve aumento di 12 centigr. per cento di sostanza cerebrale. Il contenuto di lipoidi eterei
nei cervelli normali era di 10,04%, quello dei cervelli cloroformizzati fu di 10,16.
Se con l’etere oltre alla colesterina e ai grassi si estrae principalmente lecitina e
non altri corpi azotati, che invece l’ alcool può togliere, ne .verrebbe già di conseguenza,
che il non veder scemare l’ estratto etereo, mentre il complesso dei lipoidi nelle esperienze
del Carati e anche nelle mie è scemato, corrisponda a che la lecitina non diminuisce
affatto sotto la cloroformizzazione.
Se guardiamo ora ai lipoidi complessivi, troviamo che la media arriva a 74,57 contro
a 12,388 che abbiamo trovato rappresentare i lipoidi complessivi degli animali normali.
Si nota dunque anche nelle mie esperienze una diminuzione dei lipoidi totali estratti
«con etere ed alcool dal cervello dopo la cloronarcosi e la diminuzione avviene tutta a carico
dei lipoidi estraibili con alcool dopo esaurito il cervello con etere e non dunque a spese
della lecitina.
Alle esperienze ulteriori l’illustrar meglio questo fenomeno senza dubbio interessante.
Passando ora alle determinazioni dell’ anidride fosforica, riassunte nella tabella II
dobbiamo osservare che questa prova non fu eseguita per errore sul lipoide estratto con
alcool dal cervello del cane VI.
Dopo aver pesato il tipoide ottenuto, questo per inavvertenza fu gettato via.
Le analisi hanno dato come si disse più sopra un valore elevato per il lipoide estratto
Seo g
dal cane sospettato idrofobo. Anche se si ponga questo dato nella media di questi lipoidi
eterei troviamo che essa arriva a 2,27 ‘% dei lipoidi stessi, mentre le determinazioni ana-
logamente eseguite sui lipoidi dei cervelli cloroformizzati hanno dato una media di 2,60.
I lipoidi estratti con alcool per prima estrazioue contenevano in media 2,26, la prova del
cane III nella quale il cervello fu prima estratto con etere e poi con cloroformio dimostrò
che i lipoidi così ottenuti avevano un contenuto inferiore di P,0, e cioè 1,68.
Quanto agli animali cloroformizzati osserviamo che i lipoidi alcoolici di prima estra-
zione contenevano precisamente la stessa quantità di P,0, cioè 2,29 quale si trova come
media dei valori rappresentanti i lipoidi di seconda estrazione cioè ottenuti dai cervelli già
esauriti dall’ etere.
Il contenuto di fosforo dei lipoidi complessivi nelle sue medie ed anche nei singoli
valori si mostra più basso nei cani normali, che non in quelli cloroformizzati e la diffe-
renza non è certo indifferente, perchè da 2,26 trovati nei lipoidi normali si sale a 2,52 in
quelli cloroformizzati, aumento tutto dovuto ai lipoidi eterei, che contengono la maggior
copia se non tutta la lecitina.
L'aumento sarebbe di più che |’ 11%, del valore normale, mentre la diminuzione della
quantità dei lipoidi complessivi fu del 7 circa per 100.
Questi risultati dunque ci permettono di affermare che i lipoidi dei cervelli di cani
cloroformizzati estratti dall’etere presentano un contenuto superiore di fosforo che quelli
dei cervelli normali.
Che i lipoidi estratti dall'alcool hanno invece presso a poco il medesimo contenuto di
fosforo tanto nei cani normali, come in quelli cloroformizzati.
Uhe i lipoidi estratti coll’alcool da cervelli esauriti con etere hanno lo stesso contenuto
di fosforo di quelli prima non esauriti, ma ciò solamente nei cani cloroformizzati.
Invece in un cane normale i lipoidi estratti coll’alcool dal cervello già esaurito dal-
l’etere presentavano un contenuto di fosforo molto inferiore a quello di due altri cani nor-
mali trattati nello stesso modo.
Questo fatto che sarà oggetto di più estesa esperienza permetterebbe di pensare che
nei lipoidi estraibili con alcool dopo esaurimento prodotto dall’ etere ed allontanamento
presumibile di tutta la lecitina debba passare per opera della cloroformizzazione una certa
quantità di materiale fosforato che prima non si trovava nell’ organo analizzato.
Le considerazioni di ordine analitico che abbiamo fatto più sopra, cioè la sicurezza se
non assoluta almeno relativa, che il fosforo dei lipoidi estratti con etere sia dovuto a
lecitina anche nella mancanza di mezzi migliori che determinino quantitativamente la leci-
tina stessa, e più ancora la considerazione che il nostro interesse ci porta per ora solamente
a distinguere i lipoidi che possono avere l’azione dei grassi acidi o neutri o della coleste-
rina da quelli che contengono fosforo congiunto anche con azoto come nella lecitina ed
in altri fosfatidi, queste considerazioni ci permettono per il nostro caso di calcolare dall’ani-
dride fosforica la quantità di lecitina corrispondente e risalire così per differenza ai lipoidi
residui sia ottenuti dall’ etere, sia totali.
Serie VII. Tomo I. 1913-1914. 37
Questi computi si trovano riassunti nella tabella III:
TABELLA III,
Lecitina e lipoidi residui.
— 286
Lecitina calcolata Lecitina Lipoidi Lipoidi Ti
dal P50 Jo Sr à 0
Cane WIGAN, SERIE eterei totali lo
: dei lipoidi eterei | dei lipoidi a RS di Rae
%, di questi totali Re ERO
I 20523 —— 79,.78 == 1,98
II idvof. 29,70 == 70,24 _ 2,90
III 27, 49 22,17 2) 77,88 2,88
Media I, II 23,85 _ 76,15 == 2,43
VI 28, 28 24, 40 az 75,60 2 SI
VII 29, 64 26, 20 70, 36 73,75 3, 12
VIII 28, 96 21,02 71,04 72,98 2890)
IX 31,35 25,91 68, 65 74,09 3,01
Medie 29.55 25,89 70,45 74,10 2,99
Finchè non sarà dimostrata la importanza fisiologica speciale dei vari fosfatidi in con-
fronto con la lecitina e particolarmente di quelli che possono essere estratti dall’etere si
potranno questi fosfatidi mettere tutti insieme, voglio dire riunire alla lecitina, quel po’ di
cefalina, di cuorina e quelle tracce di jecorina che secondo Erlandsen possono essere
estratte con etere, molto più che esse sono tutte monoaminomonofosfatidi fuori della
cuorina.
E si potrà quindi, valutata così la parte dei lipoidi contenenti fosforo, ottenere per dif-
ferenza dalla somma dei lipoidi eterei o da quella dei totali, i lipoidi residui fra i quali
particolarmente merita menzione la colesterina con i grassi neutri.
Si vede così dalla tabella che nei casi normali la quantità di lecitina fu in media
di 23,85 °/, dei lipoidi estratti con l’etere e 22,17 dei totali, ed in corrispondenza la lecitina
che si trovò in media su cento di cervello fresco fu di 2,43.
Poichè da prove più volte eseguite ho veduto che i cani da me studiati contenevano
nella sostanza cerebrale complessiva circa il 77% di acqua, ne risulta che la lecitina con-
tenuta in cento di sostanza cerebrale secca sarebbe stata di 10 circa il che corrisponde
alle analisi di Petrowski ed altri. $
La colesterina e i grassi residui avrebbero raggiunto nei casi normali la cifra del 77,83
per cento di lipoidi totali.
Se ora guardiamo ai risultati del computo per i cani cloroformizzati vediamo che la
cifra media rappresentante la lecitina raggiunge il 29,55 invece del 23,85 trovato per i
casi normali sopra 100 di lipoidi eterei e 25,89 invece di 22,17 dei lipoidi complessivi.
> urna cre felt age
— 287 —
La lecitina dei cervelli cloroformizzati salirebbe a 2,99 per 100 di materiale fresco
invece di 2,43 dei cervelli normali e calcolato per 100 di sostanza secca invece di 10 come
si è visto per i normali si avrebbe 13 e cioè un aumento del 10 °, circa del valore primi-
tivo normale, come abbiamo detto a proposito delle determinazioni del fosforo.
La colesterina e i grassi residuati scemerebbero quindi di altrettanto sicchè da 77,83
dei casi normali scenderebbe a 74,10 nei cervelli cloroformizzati. 3
Questi dati di fatto ci conducono dunque alla conclusione che per opera della cloro-
formizzazione la lecitina cresce nel cervello e scema invece la colesterina insieme agli altri
lipoidi.
Le determinazioni tuttavia che per le cognizioni sopra esposte ci siamo creduti in
dovere di eseguire almeno come prova anche sui lipoidi estratti con alcool ci hanno dimo-
strato che anche in questi si trova del fosforo e sarebbe evidentemente inesatto il computo
fatto più sopra in riguardo alla colesterina e lipoidi residui.
D'altra parte non sappiamo quale formula attribuire agli altri fosfatidi che abbiamo
trovalo fra i lipoidi estratti con alcool dopo |’ estrazione eterea.
Thudichum ha isolato dal cervello un diàminomonofosfatide che ha chiamato sfingo-
mielina e che rappresenterebbe (vedi Bang. op. cit. pag. 72) un componente del protagone,
cui darebbe luogo unendosi con cerebrosidi.
Questo fosfatide è insolubile in etere ed è invece solubile in alcool e però potrebbe
passare negli estratti alcoolici che seguono alla estrazione con etere.
Anche un altro diaminofosfatide è stato estratto da Erlandsen dai muscoli ed ha
pure la proprietà di essere insolubile nell’etere e passare invece nell’ estratto alcoolico.
Secondo Rosenheim e Tebb (cfr. Bang. loc. cit.) il contenuto della sfingomielina
in fosforo sarebbe di 3,46%, mentre per la lecitina dai diversi autori si danno le percen-
tuali di 4-3,95-3,79%.
Crediamo quindi di poter calcolare complessivamente tutto il fosforo che abbiamo tro-
vato nei lipoidi come se appartenesse a lecitina e da questo punto di vista modificare il
residuo di colesterina e grassi dei lipoidi totali estratti con etere ed alcool.
Nella tabella IV sono riuniti questi computi col calcolo delle percentuali di fosfatidi
e di lipoidi residui ossia colesterina e grassi per cento di cervello.
Le medie normali portano 25,70 di fosfatidi contro 74,30 di altri lipoidi, e per 100 di
cervello 3,17 di fosfatidi e 9,21 di colesterina e grassi.
Contro questi dati normali le medie che riguardano i canì cloroformizzati portano 28, 62
di fosfatidi sopra 71,38 di colesterina e grassi e per cento di cervello 3,27 di fosfatidi
e 8,10 di colesterina e grassi.
Queste cifre che riguardano le percentuali sulla sostanza cerebrale fresca ridotte a
quella secca divengono rispettivamente :
per i cervelli normali 13,8 di fosfatidi e 40 di colesterina e grassi
per i cervelli cloroformizzati 14,2 di fosfatidi e 35,2 di colesterina e grassi.
La cloroformizzazione fa dunque aumentare i fosfatidi del cervello e diminuirne la
colesterina e i grassi.
l'ABELLA IV.
2) a
dei lipoidi totali.
Fosfatidi calcolati come lecitina dalla P,0;
Fosfatidi Lipoidi Fosfatidi Tipoli Fosfatidi
Cane | ei liSoidi I AITRCO Nn per Kg.
totali dei totali | di cevelloli ooo A icane
III 25,78 74,22 3,85 9, 65 0,191
IV 24,99 75,01 3,06 9,22 0,125
Vv 26,35 30007 3,12 8,65 0,072
Medie | 25,70 74,30 3,17 9,21 ASI
VII 29,19 70,81 3,45 8,39 0, 187
VII 28, 40 71, 60 3,14 7,83 0, 093
IX 30, 89 69,11 3,58 8,04 0,342
x 26,01 73,99 2,98 8,24 0, 226
Medie 28,62 71,38 3,27 8,10 _
Se era per lo meno ovvia e semplice la spiegazione che si presentava a interpretare
la diminuzione dei lipoidi quale era stata veduta per l'etere anche da Bibra ed Harless
e dimostrata per il cloroformio dal Carati, se alla stessa stregua può comprendersi la
diminuzione di colesterina e grassi residui, quale è dimostrata dalle attuali nostre espe-
rienze, non può intendersi invece puramente col dato delle solubilità rispettive 1’ aumento
dei fosfatidi e particolarmente della lecitina della quale indubbiamente il cloroformio
potrebbe operare la soluzione.
Il cloroformio infatti scioglie tutti i lipoidi, è ammissibile che i fosfatidi vi sì sciolgano
un po” meno di quel che non faccia la colesterina, ma oltre a non aversi prove decise,
non crediamo neppure che determinazioni eseguite sopra sostanze pure che hanno sostenuto
l'influenza di vari solventi e di processi talora dimostrati dannosi alla loro costituzione
chimica, meritino grande fiducia. i
Nel nostro caso tuttavia non abbiamo da discutere sopra l’estrazione più o meno ab-
bondante dei fosfatidi o degli altri lipoidi per opera del cloroformio, ma invece ci troviamo
di fronte ad un aumento di fosfatidi da 13,8 % di sostanza cerebrale normale secca a 14,2 si
di sostanza cerebrale cloroformata .e nel tempo stesso a una diminuzione da 40% a 35
degli altri lipoidi compresa la colesterina.
È possibile che dai muscoli dello scheletro, dal fegato, dal rene, dal sangue, dovunque
insomma è stata dimostrata la presenza della lecitina, sotto l’azione del cloroformio si sia
operata una estrazione di essa con deposito sul cervello, quasi ad operare un lavoro di difesa
quale è stato dimostrato dallo Stuber e da parecchi altri.
— 289 —
Ma cotesta è una ipotesi che ha fondamento solamente nel risultato che se ne attende
e nel fatto che si è osservato.
Per interpretare invece il fenomeno dell’ aumento dei fosfatidi o a dir meglio di un
aumento nel prodotto di estrazione eterea di fosfatidi, può anche porsi l’ ipotesi che sostanze
contenenti fosforo e forse azoto non solubili per sè in etere o poco solubili divengano tali
sotto l’influenza del cloroformio. Così vediamo cellule e componenti cellulari divenir più
facilmente aggressibili da medicamenti o da veleni sotto l’azione di un altro prodotto, così
la narcosi mista di etere e cloroformio dà maggiore effetto di quel che non si abbia dalla
stessa quantità dei due farmaci adoperati separatamente, così i narcotici agiscono più
intensamente e più prontamente dopo la introduzione di un po’ d’ alcool, così non è indif-
ferente nell’operare l'estrazione dei lipoidi con alcool ed etere, far precedere l'alcool 0
l’etere, giacchè la primitiva esposizione all’ etere, anche nelle nostre esperienze ha dato
luogo ad una raccolta di maggior quantità di prodotto.
Ora, tra i fosfatidi il Thudichum ha isolato dal cervello, come si è accennato più
sopra, la sfingomielina che è insolubile in etere e quindi non passerebbe nel primo estratto
etereo. Potrebbe anche darsi che l’etere la rendesse meno solubile anche nell’ alcool suc-
cessivamente impiegato.
Questa spiegazione è specialmente applicabile a interpretare il comportamento dell’ e-
stratto etereo, nel quale la quantità dei fosfatidi è minore nei cani normali che nei cloro-
formizzati, ma non ci aiuta affatto a comprendere come le estrazioni eseguite con alcool
fin da prima abbiano dato una minore quantità di fosfatidi tanto nei cervelli normali come
in quelli cloroformizzati.
La sfingomielina non è però a quanto se ne sa, libera nel protoplasma cellulare, essa
è forse riunita in quel corpo che un dì rappresentava per eccellenza gli individui chimici
della sostanza cerebrale, vogliamo dire il protagone, al quale oggi si dà importanza secondaria.
Fu il Thudichum che a lungo e vivacemente combattè contro l’importanza del pro-
tagone come individuo chimico, sostituendogli i vari fosfatidi che presentano infatti costitu-
zione diversa. Ciò poi si è ben riconosciuto in seguito, la morte ha colto il Thudichum
prima che egli assistesse alla vittoria del suo concetto.
Oggi come protagone si intende la combinazione della sfingomielina di Thudichum
coi cerebrosidi ed è noto (Bang. op. cit. pag. 78) che esso non si estrae con etere 0 alcool
a freddo, ma estratta la sostanza cerebrale con questi due solventi, si ricorre ad una estra-
zione ulteriore con alcool bollente non prolungata però per più di due minuti.
Queste limitazioni di tempo non ci persuadono molto della sicurezza del metodo ed è
per questo che noi abbiamo dei dubbi sulla composizione di questo corpo.
È noto tuttavia non solo per le esperienze di Rosenheim e Tebb, ma anche per
quelle di Kitagawa e Thierfelder che si può ottenere la separazione dei due corpi
valendosi di alcool che contenga cloroformio e noi appunto attribuiamo al cloroformio
della cloronarcosi l'attitudine a liberare altri fosfatidi estraibili poi con alcool partico-
‘larmente ed anche con etere.
Questa interpretazione non ci serve solamente per la spiegazione del fatto da noi di-
AZIO
mostrato circa la estrazione di maggior copia di fosfatidi, ma essa vale anche a dimostrare
la possibilità di una liberazione di corpi fosforati in seno al protoplasma cellulare o nei
liquidi interstiziali, tale da render conto dei fenomeni biologici che si osservano nella nar-
così 0 che possono prodursi con l’iniezione di questi lipoidi in animali sani.
Abbiamo riferito più sopra che il Carati nel nostro laboratorio dimostrò un'azione
veramente opposta dei lipoidi di cervello normale e di quelli di cervello cloroformizzato, nel
senso che i primi producevano” fenomeni di eccitamento, gli altri invece fatti di depressione
o di narcosi o di coma. i
Dacchè le mie determinazioni mi avevano dimostrato un aumento dei fosfatidi nel
cervello dei cloroformizzati e una diminuzione della colesterina e grassi o a meglio dire
dei lipoidi residui, era naturale che mi chiedessi se iniezioni eseguite nel modo stesso di
quelle dei lipoidi, ma con emulsioni di lecitina o di colesterina, presa questa come tipo dei
lipoidi residui porlassero fenomeni simili a quelli riscontrati nelle esperienze del Carati.
Innanzi a tutto ho voluto vedere se i lipoidi che io avevo estratto e che erano in
quantità maggiore di quella ottenuta dal Carati possedessero le medesime proprietà.
Osservo che anche al Carati avvenne talvolta di imbattersi in cani che non presentavano
fenomeni di sorta per le iniezioni degli uni o degli altri lipoidi, forsanche erano lipoidi che
talora non presentavano gli estremi per la produzione di questi dali effetti.
Nella tabella V sono riuniti per sommi capi e per desiderio di brevità i protocolli delle
esperienze eseguite a questo scopo. Ho voluto ricavare dalle tabelle precedenti le dosi dei
‘singoli componenti dei lipoidi adoperati per formarmi un concetto delle rispettive azioni.
Si nota intanto che il cane a, ha resistito tanto alla iniezione dei lipoidi normali come
a quella del cervello cloroformato.
Il cane c ha presentato solamente agitazione per l'iniezione dello stesso materiale ed
anche in dosi maggiori di quelle iniettate per la stessa via nel cane d in cui si sono osservati
fenomeni caratteristici.
Le iniezioni endovenose hanno dato minor risultato anche al Carati, che non le ca-
rotidee, ricordo anzi di avergli consigliato di ricorrere alle perfusioni perchè la quantità
di lipoidi era scarsa e troppa ne occorreva per le introduzioni endovenose.
Può anche darsi che il minor effetto sia dovuto alla diluizione usata per queste inie-
zioni, ma nel cane a se iniettai la prima volta 300 ce. di soluzione, la seconda volta non
ne introdussi che 100 e ricordo di un altro cane nel quale iniettai nelle vene solamente
44 ce di liquido in soluzione filtrata di 3,80 di lipoidi e si ebbero violenti convulsioni e
la morte. i
Disgraziatamente non segnai l'origine del lipoide usato, non so cioè se appartenesse al
cane I o al II e però non ne ho tenuto conta neila tabella.
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A illustrazione di questi casi, come si rileva già a colpo d’ occhio, osservo che avanti
di procedere ad una seccnda iniezione si aspettò in ogni caso che i fenomeni determinati
dalla prima fossero scomparsi e se fenomeni non si osservavano si attesero 10‘, 15‘, 30°.
La dissoluzione dei lipoidi si operò aggiungendo lentamente in mortaio la soluzione
di carbonato sodico al 3% in modo da ottenere una emulsione che filtrata su tela fitta
non dava residuo di sorta.
Trascrivo come esempio dal diario delle esperienze quanto riguarda il cane e):
Si sciolgono gr. 4,50 di lipoidi del cane III normale in cc. 60 di soluzione di carbonato sodico al 3 °/o.
Si iniettano in due riprese nel termine di 2' nella carotide sinistra di un cane $ pomero bastardo
adulto del peso di Kg. 12,800 ce. 22 della soluzione a 37°.
Si ha immediatamente dopo breve agitazione un arresto del respiro con contrazione tonica dei
muscoli respiratori del collo e della parte superiore del torace.
Il cuore rallenta fortemente e presenta aritmia, si procede al massaggio del cuore e alla respira-
zione artificiale.
I riflessi corneali e la sensibilità della pelle del muso sono vivaci, la lingua è contratta e presenta spasmi
nella sua metà sinistra, i muscoli degli arti inferiori sono rilasciati, sono contratti quelli del lato destro.
‘Tolto dalla tavola di contenzione e posato in terra il cane fa qualche passo incerto e lento, dimena
la coda e si guarda intorno.
Eseguita un’altra iniezione di 22 cc. nella stessa carotide e a distanza di 20' della prima si ripe-
tono i fenomeni di spasmo sopra detti, ma tolto il cane dall’ apparecchio si presenta più debole e resta
nelle posizioni in cui si mette senza tentar di coricarsi.
Dopo 10' minuti si eseguisce una terza iniezione di 1) ce. che ripete i fenomeni di prima e dopo
altri 20' una quarta iniezione di 20 cc. che contengono una quantità minore di lipoide essendosi
diluita la soluzione rimasta.
Quest’ ultima iniezione non provoca nessun effetto.
Però il cane tolto dalla tavola e posto in terra vi rimane inerte per mezz'ora, trascorsa la quale
esso si lamenta, stende le zampe posteriori in contrazione tetanica e presenta accessi convulsivi che si
ripetono 8 volte con intervalli di 5' a 10'. Il respiro è frequente e profondo, manca la sinergia fra i
muscoli respiratori addominali e quelli toracici, la coda si trova in estensione, anche i muscoli delle
labbra si contraggono.
Il cane è tuttavia cosciente, quando le contrazioni lo permettono si volge se chiamato, non riesce
però a camminare.
Dopo 5 ore dalla prima iniezione il cane è lasciato a sè e sembra dormire, ha presentato nella
notte qualche accesso convulsivo più lieve e si è poi lentamente rimesso.
Ed ecco il diario della esperienza col cane g:
Si uniscono i lipoidi etereo ed alcoolico estratti dal cane VII cloroformizzato si sciolgono in
alcool ed etere, si lasciano evaporare muovendoli così da ottenere un materiale omogeneo.
Si sciolgono 3 gr. di questo in 40 della soluzione di carbonato sodico al 3° e se ne iniettano
1] ce. nella carotide sinistra di un cane & volpino bastardo adulto del peso di Kg. 5,400, l’animale
grida e si agita, compie rapidi atti di deglutizione, mentre il respiro si fa superficiale e il torace si
trova in posizione inspiratoria.
Il riflesso corneale è conservato e così la coscienza, nessun fatto spastico.
Trascorsi 10' si eseguisce una seconda iniezione che provoca il medesimo movimento di inspira-
zione profonda con arresto del torace in questa posizione, schiuma alla bocca, grida. Si nota qualche
spasmo di muscoli isolati del tronco e degli arti, specialmente a destra, ma nessun vero fenomeno
contratturale, mentre il respiro è lieve e superficiale.
Eseguita una terza iniezione il respiro si arresta completamente, ma si riesce a ripristinare la respi-
razione con trazioni metodiche .della lingua e compressione ritmica del torace. L’ animale però non si
muove nè si lamenta affatto, tiene gli arti abbandonati, un po’estesi i posteriori, emette feci pultacee.
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Dopo 75 minuti dall’ ultima iniezione il cane tende ad alzarsi, ma non ci riesce, sembra traso-
gnato, aiutandolo col prenderlo per la groppa non riesce a reggersi sulle gambe. Il respiro è lentissimo,
come in una ebbrezza profonda da alcool, a 2 ore circa dall’ inizio dell’ esperienza, il cane è tuttora
coricato, tende a muovere le zampe posteriori come per camminare, ma non si alza e non dà retta.
È rimasto così per 24 ore, e si è trovato morto la sera successiva alla esperienza.
Queste mie esperienze corrispondono in complesso a quelle particolarmente descritte
dal Carati e le dosi usate da me sono in qualche caso superiori, in qualche altro infe-
riori a quelle del Carati.
I lipoidi adunque estratti da cani cloroformizzati e contenenti una maggior copia di
fosfatidi che non quelli normali, e quindi una minor quantità di colesterina e grassi
possiedono una azione deprimente, che si fa sentire anche sul centro respiratorio, ma in
generale su tutto il dominio cerebro spinale.
I lipoidi invece di cervello normale che contengono - minore quantità di fosfatidi e
relativamente maggiore copia di colesterina e grassi provocano fenomeni di eccitamento
e convulsioni anche in forma accessuale.
Richiamiamo dalle notizie che abbiamo dato più sopra sulla lecitina e sulla colesterina
due fatti che ci sembrano connessi coi fenomeni da noi illustrati.
Le ova degli uccelli che appena rotto il guscio possono trovarsi il cibo, come gli ani-
mali che appena nati corrono liberamente senza bisogno di aiuto, sono più povere di lecitina,
più ricche son quelle di animali che nascono bisognosi di ogni cura, che sono implumi,
torpidi, inerti, inetti alla vita libera e individuale.
Può dunque la lecitina fatta circolare direttamente nel cervello o introdotta in genere
in circolazione produrre simili fenomeni di inerzia, che ricordano la narcosi cerebrale ?
Evidentemente se ad un aumento di fosfatidi o di lecitina potesse ascriversi il feno-
meno della narcosi e ad un aumento della colesterina il fenomeno opposto, sarebbe tanto
più importante il risultato delle mie determinazioni e la mia interpretazione acquisterebbe
la migliore conferma sperimentale.
Era quindi opportunissimo il cercare se iniezioni di lecitina potessero produrre fenomeni
simili a quelli notati per opera dei nostri lipoidi di cani cloroformizzati, e invece iniezioni
di colesterina dessero risultato opposto o fenomeni contratturali, come i lipoidi dei cani sani.
Si sa infatti. che lecitina e colesterina possono presentare azioni contrarie e spesso
antagonistiche e anche quelle influenze che esse esercitano contro dati avvelenamenti pos-
sono essere opposte.
Prove con lecitina per osservarne l’azione specifica non si potrebbero eseguire secondo
il Nerking 128) se non ricorrendo a materiale puro, preparato espressamente, giacchè a
suo avviso i prodotti del commercio sono tutti impuri.
Secondo il Lawrow 124) la lecitina in dosi diluite a meno di 0,10 % di menstruo
stimola il cuore, ma in dosi più concentrate lo rallenta. Essa tuttavia può neutralizzare
l'influenza deprimente dell’ alcool, del cloralio, dell’etere, del cloroformio, della muscarina,
‘ma per ottenere tale effetto secondo il Lawrow occorrerebbero dosi di qualche decigramma
per Kg. di animale, dosi che possono riescire altrimenti dannose.
Serie VII. Tomo I. 1913-1914. 38
— 294 —
Da queste stesse esperienze risulta che cani, conigli, topi, cavie tollerano bene la lecitina
in iniezioni endovenose, ipodermiche, intraperitoneali fino a dosi di gr. 0,5 a gr. 2 per Kg.
L'azione del curaro, della stricnina, del veronal, della morfina sarebbe annientata dalla
lecitina, la quale avrebbe invece una vera azione sensibilizzante verso la ricina e anche
nei casi di avvelenamento di fosforo parrebbe che dosi di gr. 0,20 per Kg. dessero una
attenuazione dei fenomeni, ma di 1 gr. per Kg. ne aggravassero gli effetti.
Lo stesso Nerking 125) che abbiamo più volte ricordato ha cercato se la lecitina
potesse esercitare una influenza sulla narcosi prodotta da etere e da cloroformio, conti-
nuando le prove che altri hanno fatto sull’ azione di difesa esercitata dalla lecitina medesima.
Secondo le esperienze del Nerking infatti le iniezioni endovenose di emulsioni di leci-
tina all 1%, e quelle ipodermiche di emulsioni al 10 °/, abbreviano la durata e attenuano
i postumi della narcosi.
Ciò però non è confermato dalle osservazioni del Kramer 126) il quale ha veduto
che l'iniezione endovenosa di 5 a 30 cc. di una emuisione di lecitina al 5 o al 10% in
soluzione fisiologica di cloruro sodico, non indebolisce affatto l’azione dell’etere, non aiuta
per nulla il prodursi del: risveglio, anzi essa darebbe un risveglio più lento.
Possono ritenersi contradditori questi risultati? Noi non lo crediamo, perchè non c'è
forse una lecitina che sia eguale all'altra, non ci sono dosi che si equivalgano, e, prepara-
zione, estrazione, conservazione sono circostanze che tendono a far variare gli effetti.
Teniamo conto che la lecitina può avere una influenza a volta attenuatrice, ma sola-
mente nei postumi e nella durata e talora anzi ritardatrice della durata medesima, ma
comunque che essa non è indifferente nella produzione della narcosi.
Quanto alla colesterina non troviamo neppure per questa una concordanza di risultati
a proposito della narcosi.
Il Marchand 127) muovendo dalle esperienze del Dubois 128) che durante il pe-
riodo di ibernazione le marmotte contengono nel fegato una maggior quantità di colesterina
in confronto dello stato normale, ha eseguito delle iniezioni di colesterina sciolta in lanolina
ed ha veduto che nelle cavie e nei conigli queste iniezioni non danno alcun effetto ipnotico.
Brissemoret e Ioanin 129) hanno estratto da diversi cervelli un campione di cole-
sterina, che hanno poi iniettato in animali ed hanno trovato che essa contrariamente al-
l’asserzione del Marehand possedeva azione narcotica.
Qui ci soccorre di nuovo quello che abbiamo detto più sopra, che cioè l’ estrazione, la
preparazione di questi composti può rendere conto di effetti molti diversi.
La colesterina nel fatto non è difficile a purificarsi o almeno non è difficile lo stabilire se
un dato campione di colesterina sia pura, ma avranno fatto questa prova i due autori francesi?
La colesterina commerciale può aversi ottima, cristallizzata e la prova non dovrebbe
riescire difficile, mentre la estrazione dal cervello è abbastanza complicata e può trascinar
seco impurità.
Con questi precedenti io ho tentato una prova del fenomeno premendomi almeno di
possedere un argomento sperimentale in prova della mia interpretazione, e riserbandomi
di sperimentare in seguito sopra base molto più larga di indagine.
|
— 290 —
Mi sono servito di lecitina Merk purissima « ex ovo », di consistenza molle, nella quale
mediante una prova a parte ho determinato il contenuto in acqua e cioè 5,245 per 100
di sostanza. — Presi 2 gr. di questa sostanza l’ ho sciolta in 80 cc. della soluzione di car-
bonato sodico al 3%. La soluzione è riescita perfetta come quella dei lipoidi.
Un cane barbone È di Kg. 8 viene iniettato nella carotide destra con 11 cc. della soluzione con-
tenenti gr. 0,26 di lecitina cioè cg. 3 per Kg. di animale, dose certamente molto piccola e diluita suffi-
cientemente per non dare disturbi speciali. L'animale grida, senza agitarsi, ma mentre si procede ad
una seconda iniezione portando quindi la dose a 0,52 di lecitina, il respiro si arresta in inspirazione
profonda, 11 cuore rallenta i suoi battiti, ma il riflesso corneale persiste, e pare anche la coscienza,
perchè il cane volge gli occhi, se venga chiamato, tenendo il corpo immobile. Dopo alcune compres-
sioni ritmiche sul torace il respiro ritorna e con esso il cuore riprende regolarmente, il che significa
che la modificazione cardiaca dipendeva più che altro dall’ arresto respiratorio e non dalla diretta
azione della lecitina.
Decorsi 10' sì iniettano altri 22 ce. di soluzione e si riproducono i fenomeni sopra notati, ma il
respiro ritorna naturalmente.
Dopo altri 10' si inietta il rimanente della soluzione preparata e cioè altri 80 ce. l’animale
emette qualche grido, il respiro rallenta, ma non si arresta affatto.
Si toglie l’animale dal tavolo dopo 35' dall’ inizio dell’ esperienza, esso ha ricevuto gr. 7,80 di
lecitina cioè 22 centigr. per chilogramma, lasciato a sè il cane sta sdraiato come intontito, stimolato
e tirato per il collare si alza traballando, fa qualche passo come ignaro di quanto lo circonda e lasciato
a sè si accuccia. l'iene la testa eretta, non appoggiata sulle zampe e queste flesse in posizione nor-
male. Trascorsa un’ ora dall’ inizio, i fatti di depressione sono anche più manifesti.
Forzato a camminare il cane cammina con le zampe divaricate come ebbro, le posteriori semi-
flesse, cade frequentemente sul fianco s7727s0r0, infine lasciato libero si accuccia, posa la testa sulle
zampe anteriori e resta così tutta la giornata.
I fenomeni osservati in questo cane sono tanto simili a quelli ottenuti dai lipoidi degli
animali cloroformizzati, che non vi è bisogno di illustrare il diario riportato integralmente.
In questo cane è mancata qualunque traccia di fatti spastici, il che può benissimo
comprendersi quando si pensi che coì lipoidi cerebrali non si inietta soltanto lecitina, ma
anche colesterina e altri grassi, cui deve ascriversi di certo diversa, se non opposta azione.
Per appoggiare questo concetto ho preso della colesterina di Kahlbaum favoritami dal-
l’illustre collega Ciamician, lho sospesa nella quantità di 5 gr. in 85 cc. di soluzione di
carbonato sodico al 3% addizionato di 5 cc. di olio di olive che aiuta la sospensione, la
quale tuttavia non riesce perfetta.
A. un cane da pagliaio, o) vecchio del peso di Kg. 20,200 si iniettano 11 ce. della soluzione
nella carotide sinistra. Immediatamente si ha tetano di estensione nell’ arto posteriore destro, profonda
inspirazione, arresto del respiro, assenza del riflesso corneale.
Il cuore seguita a pulsare per 5' durante la respirazione artificiale, tralasciata la quale esso pure
si arresta.
Alla necroscopia non sì osservano segni evidenti di embolia, si ba però uno stato anemico
nell’emisfero sinistro in confronto di uno stato di iperemia che si osserva nel destro. Può
darsi dunque che lo stato di emulsione non perfetta abbia causato il fenomeno notato, e
però filtro la emulsione e sul filtro rimane della colesterina come una pasta appiccaticcia.
‘Abbiamo notato più sopra che le emulsioni dei lipoidi furono filtrate e non lasciavano
mai sulla tela fitta che si era usata la minima traccia di sostanza.
— 296 —
Un cane & setter bastardo di Kg. 17,900 che ha servito il giorno innanzi per esperienze con
preparati digitalici ed ha ricevuto sottocute 25 centigr. di digitalina Merk, presentando dispnea e vomiti
per 5 ore, viene utilizzato per questa esperienza. È un po’ depresso. Gli si iniettano nella carotide sini-
stra 11 ce. della soluzione filtrata di colesterina e il tetano segue dopo 10 o 12 secondi. È preceduto
da estensione dell’ arto posteriore destro, da profonde inspirazioni, che finiscono con arresto del respiro.
Si osserva anche opistotono. Si tenta la respirazione artificiale, ma il cuore non resiste, probabilmente
per la dose tossica di digitalina ricevuta il giorno innanzi. Durante il tetano era anche avvenuta scom-
parsa dei ‘riflessi corneali. Il cane per l’ iniezione cavotidea, aveva ricevuto al massimo gr. 0,60 di
colesterina, dico al massimo perchè- come si è notato, nella filtrazione una parte della colesterina andò
perduta.
Con questa soluzione filtrata si è eseguita un’altra prova e precisamente si è adope-
rato quel cane barbone che aveva servito due giorni prima per l’ iniezione di lecitina.
Era ancora debole non si reggeva sulle gambe per quanto cercasse di mettersi a éamminare.
Si trova ancora la carotide destra. pervia e per questa si eseguisce una iniezione di soli cc. 6,5
della soluzione di colesterina. Immediatamente si ha tetano di estensione degli arti posteriori, inspira-
zione profonda e prolungata, arresto del respiro, perdita dei riflessi corneali.
Si eseguisce la respirazione artificiale il cuore continua a pulsare, ma scorsi 10' dall’ iniezione dopo
qualche clono degli arti inferiori l’ animale muore. Esso aveva ricevuto non più di gr. 0,35 di cole-
sterina.
Da queste esperienze risulta ben chiaro l’effetto della lecitina e della colesterina intro-
doiti mediante perfusione nel cervello.
Con le iniezioni di colesterina abbiamo anche introdotto una certa quantità di grasso
in forma di olio di olive emulsionato nella soluzione di carbonato sodico, nè all’olio è pos-
sibile attribuire azione del genere di quella che si è osservata, perchè da molti autori che
abbiamo più sopra citato sì sono eseguite direttamente in circolo iniezioni di abbondanti
quantità di olio e di grassi senza ottenere ombra di simile risultato.
Noi troviamo quindi in queste esperienze la conferma che l'aumento di fosfatidi nei
lipoidi di cani cloroformizzati renda conto della loro azione deprimente o narcotica, mentre
la diminuzione della colesterina tende a coadiuvare cotesto risultato, e così anche il tro-
varsi nei lipoidi normali un contenuto maggiore di colesterina e grassi favorisce il prodursi
dei fenomeni di eccitamento e le convulsioni, che con la iniezione di sola colesterina sì
osservano evidentissime.
Si comprende hene come introducendo da sole lecitina e colesterina anche nelle dosi
che furono somministrate, quando sì eseguirono le esperienze dei lipoidi, sì sieno ottenuti
risultati molto più forti e gravi che non introducendole in forma di lipoidi estratti dal cer-
vello, perchè l’una sostanza tende ad annullare o a diminuire |’ effetto dell’ altra, sicchè
a parer nostro durante la narcosi, almeno per quella prodotta dal cloroformio i fosfatidi e
i grassi modificandosi nella loro quantità e distribuzione rendono conto del fenomeno com-
plesso della narcosi stessa, fenomeno, che anche illustrato in questo suo particolare si trova
naturalmente alla dipendenza dei processi biologici e fisici chimici che si esplicano nel
cervello.
Conchiusioni.
È confermato che nella cloronarcosi si abbia una diminuzione dei lipoidi cerebrali e
che la iniezione di questi in animali sani produca fenomeni di depressione, di paralisi ge-
‘nerale, di sopore, mentre i lipoidi di animali sani danno fatti di eccitamento e anche di
spasmo e convulsioni. ; | i
I lipoidi cerebrali di cani cloroformizzati contengono maggior copia di fosfatidi e minore
di grassi e colesterina, in confronto dei normali ed a queste condizioni può attribuirsi rispet-
tivamente il fenomeno della narcosi e quello della veglia.
La lecitina infatti iniettata come i lipoidi dei cloroformizzati ne produce i medesimi
effetti esagerandoli, la colesterina pura riproduce ingigantendoli i fenomeni causati dalla
iniezione dei lipoidi normali. |
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53) Lo stesso. Uedber den Einfluss den das im Blute zirkulierende Fett auf die Giftwirkung
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53bis) Lo stesso. Ricerche sopra l’ influenza dei grassi sulla tossicità dei farmaci alcoolici.
Nota 4% Influenza dei lipoidi sulla narcosi cloroformica. Giorn. della R. Accad. di Medic. di Torino.
1911, LXXIV, pag. 358-61.:
54) Lo stesso. Ueber den Fettgehalt des Blutes des Hundes unter normalen und unter verschie-
denen esperimentellen Verhdltnisse, (Verdauung, Hungevn, Phosphor, Phloridzin, und Chloroform-
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— B00 —
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106) Dr. Aldo Fratta. Rapporto fra l’azione della cura antirabica e quella dei glicerofosfati
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XLVII pag. 830-31, 1895.
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stérine. Compt. rend. soc. biolog. LXXII, pag. 824-25.
RICERCHE SULLA EREDITÀ NEL PICGIONI DOMESTICI
I
EREDITÀ DI CARATTERI GRANICI
IN RAPPORTO ALLA ORIGINE DELLE RAZZE DOMESTICHE
MEMORIA
Prof. ALESSANDRO GHIGI
letta nella Sessione del 22 Marzo 1914.
I
(CON 2 TAVOLE E 5 FIGURE NEL TESTO)
Sommario.
I. Impostazione del problema, materiale e metodo.
II. Serie genealogiche ibride.
III. Misure craniche in Columba livia ed altre specie.
IV. Variazioni delle misure craniche negl’ ibridi domestici ed in C. livia
V. Riassunto dei risultati e conclusione.
JE
Impostazione del problema, materiale e metodo.
Uno dei maggiori argomenti portati a favore delia teoria deli’ evoluzione è stato
tratto dalla variazione degli animali e delle piante allo stato domestico; tra i primi,
ì piccioni hanno sempre fornito uno dei migliori esempi, sia per la loro estrema va-
riabilità, sia per la loro derivazione da un presunto. stipite unico, la Columba livia.
Questa ipotesi, nella opinione comune degli autori, è passata nel campo delle cose
certe e provate, in seguito ad una esperienza di DARWIN ed all interpretazione datale
da lui stesso ed accettata universalmente, cosicchè oggi non v’ ha libro di testo e
perfino di coltura popolare, il quale non contenga queste due affermazioni :
l° I piccioni domestici d’ ogni razza derivano esclusivameute dalla Columba Livia ;
2° I piccioni domestici d’ogni razza, incrociati fra loro, riproducono l’ antenato
Columba livia.
Il Cugnor in un suo libro recente, parlando dell’ atavismo così si esprime :
« Ricorderò innanzi tutto | esempio classico di DaRrwIN (Variazione, p. 100): egli
« incrociò fra loro due razze perfettamente definite e costanti di piccioni, due nere,
Serie VII. Tomo I. 1913-14. 40
-—— 304 —
« una bianca a coda rossa ed una bianca, ed ottenne ibridi scuri che accoppiò :
« quest’ ibridi alla lor volta, dettero piccioni di un magnifico bleu col groppone bianco,
« una doppia sbarra nera sulle ali, le piume caudali rigate di nero ed orlate di bianco,
« insomma il preciso ritratto del piccione di roccia (Columba livia), che è lo stipite
« delle razze domestiche ».
Ciò: premesso, è facile spiegare il risultato di DARWIN senza ricorrere all’atavismo
verso la Columba livia. In due delle razze incrociate dal DARWIN, il pavoncello ed il
barbo, esistono le varietà bigie con verghe nere e nella terza razza, |’ hReur/è bianco
a coda rossa, esiste la varietà a coda bigia. Il color bigio a verghe nere della Co-
lumba livia, come il grigio del topo selvatico, proviene evidentemente da un certo
numero di determinanti suscettibili di mutazioni progressive e regressive : queste incro-
ciate fra loro riproducono il color bigio a verghe nere.
Ma vi sono nei piccioni dei colori fenotipici : per esempio bianco e nero, i quali
non sono mutazioni di bigio a verghe nere, ma di giallo e di rosso uniforme. Quei
colori incrociati assieme non. producono mai il bigio a verghe nere, ma il giallo, il
rosso ovvero una tinta. intermedia fra queste.
Questa mia asserzione ha una prova nel colore del cappuccino inglese, quale almeno
è stato allevato negli ultimi quindici anni. Io ho avuto degli esemplari di primissimo
ordine e ne ho ottenuto circa duecento prodotti: gli adulti erano tutti bianchi, ov-
vero.a disegno e colorati di rosso, di giallo o di nero. Mai ho ottenuto un esemplare a
disegno bigio con sbarre nere. Nei piccioni triganini di Modena il Bowzzi registra
152 colori diversi, nè fra questi è indicato il bigio a verghe nere.
Questi fatti ed altre considerazioni mi hanno indotto a pensare che i piccioni
domestici non abbiano per unico antenato la Columba livia, e che altre specie, come
la Columba leuconota e la Columba rupestris, possano essere annoverate fra gli antenati
di alcune almeno fra le razze domestiche. Tale concetto ho svolto in una mia nota,
ma non ho potuto ottenere alcuna conferma sperimentale, perchè dalle Colombe leuconote
importate dal Tibet non ho avuto fino ad ora riproduzione di sorta.
Frattanto ho voluto vedere quanto sia rispondente a verità il secondo postulato,
che i piccioni domestici d’ ogni razza, incrociati fra loro, riproducano il presunto an-
tenato Columba livia.
L’ esperimento del DARWIN fu ripetuto da STAPLES-BROwNE con risultati analoghi.
Più recentemente il Bonmore e lo SMALLEY eseguirono ricerche sull’ eredità di colori
e di macchie nei piccioni, col proposito di giungere ad ottenere i medesimi risultati
di DARWIN, ma con precisione maggiore, ed in modo da potere attribuire ai fatti os-
servati una interpretazione rigorosamente scientifica.
Gli esperimenti di Bonnorr e SmarLeYy danno risultati i quali, uniti a fatti generali
già accertati con metodo scientifico e ad altri che la lunga esperienza degli allevatori
rende non meno sicuri, permettono di attribuire all’esperimento di DARWIN una inter-
pretazione che io credo: verrà confermata in seguito.
Il Bonxnore e lo SmaLtEv hanno, fra 1° altro, riconosciuto che il colore bleu (tipico
— 305 —
della Columba livia) è dominante sull’ argentato (silver, che nella nomenclatura
colombofila italiana corrisponde al colore di pietra chiara ; così almeno risulta dalla
figura colorata del lavoro del BonHorE). Lo scagliolo (chequer) ché è un bleu più
o meno abbondantemente macchiato di nero è dominante sul bleu privo di nero. È
già noto per molteplici e svariate ricerche che il pigmento è dominaute sull’ assenza
«del medesimo, ossia che un manto colorato è dominante sul manto bianco; questo fatto
io ho trovato applicabile anche per quanto si riferisce ai ‘piccioni. In oltre il bleu
rappresenta in qualche caso una mescolanza di bianco e di nero, la qual cosa è pro-
vata per le galline andaluse. Finalmente, sebbene le osservazioni di LorseL sulla discen-
denza dei piccioni viaggiatori abbiano condotto quest’ autore alla conclusione che al
loro colore non siano applicabili le leggi di MENDEL, conclusione erronea giacchè è
noto che i piccioni viaggiatori non sono mai puri di colore, tenendosi sempre inesco-
lati i neri, i bigi vergati (bleu) gli scaglioli ed 1 mugnai (mealy, meuniers), le
statistiche dello stesso autore tendono a provare che il bigio e nero, sia questo ultimo
colore a scaglia o soltanto a sbarre, appare in maggior numero del mugnaio (109
contro 79), dal che si può presumere che in serie pura di colore il primo sia domi-
nante sul secondo.
Fin dal 1912, in una nota pubblicata nei rendiconti di questa Accademia, rilevai
l’ opportunità di sperimentare su larga scala l° ibridazione dei piccioni domestici, per
vedere quanto risponda a verità l’affermazione, che dalla fusione delle più importanti
variazioni che si riscontrano in essi, risorga per reversione la Columba livia, o se
invece si ottenga un tipo di piccione diverso.
Con quella nota portai un primo contributo alla soluzione del quesito, esponendo
i primi risultati di incroci fatti tra otto delle razze più diverse di piccioni domestici,
le quali erano state accoppiate due a due, e successivamente gli ibridi erano stati
pure accoppiati fra loro, in modo che nei prodotti della terza generazione incrociata
ciascuna delle razze stipiti è rappresentata per un ottavo.
Concludevo che questi bastardi differiscono dalla Columba livia non quanto i pic-
cioni delle piazze, che con essa sono spesso incrociati, ma quanto i piccioni domestici
che si sogliono incontrare nelle campagne. La fronte è più convessa, il becco più
robusto che non nella C. livia; il petto più ampio, la statura maggiore, le narici. più
turgide, i tarsi più alti.
Nel biennio successivo al 1911 ho allevato una nuova generazione F, che pro-
viene da quella che indicherò come F, (*/g), e poichè di quella e di questa ho ucciso
la maggior parte degli esemplari conservandone il cranio, è mia intenzione di studiare
ora le misure craniche, in modo da potere determinare per mezzo di numeri la diffe-
renza esistente fra questi ibridi e la C. livia.
Per tutto ciò che si riferisce all’ aspetto esteriore dei riproduttori di razza pura
e delle generazioni ibride, mi rimetto, salvo brevi cenni, alla citata nota, alla quale
‘sono unite otto figure tratte da fotografie dei vari ibridi e di un piccione torraiuolo.
Io qui mi limito allo studio del cranio, tanto più che nel corso degli esperimenti e
— 306 —
delle osservazioni fatte, ho potuto persuadermi che le maggiori variazioni sche-
letriche sono. quelle che si riferiscono. precisamente al-'eranio;
mien'tre: ile ralitinelttosista via nam porco.
Le razze scelte per questo incrocio furono le seguenti, delle quali ritengo oppor-
tuno dare una diagnosi brevissima.
l. Gozzuto — Piccione di mole grande, eretto sulle gambe altissime, capace
di gonfiare l’ esofago a guisa: di palloncino. Il suo capo, molto grande, non offre par-
ticolarità strutturali, salvo una maggiore robustezza del becco.
2. Romano — È il colombo che raggiunge le maggiori dimensioni. Le sue
forme non si discostano in modo rimarchevole dalla Columba livia, ma il capo ha
palpebre e narici più sviluppate, cosicchè esso appare più massiccio.
3. Bagadese — Più grosso, più alto e più corto della O. livia ha il collo
più lungo ed il becco lunghissimo; esso è fortemente curvato nella razza del Bagadese-
cigno da me scelto per l’ incrocio. Narici e palpebre molto sviluppate.
4. Maltese — Dimensioni del bagadese. Il corpo è più alto, la coda assai
breve e rialzata, il collo eretto cosicchè questa razza somiglia sensibilmente per la
forma alle galline, Il becco è forte, non troppo lungo e le narici normali. i
5. Pavoncello — Dimensioni normali; capo come nella Columba livia. Timo-
niere non meno di 18, portate a ventaglio. Uropigio assente. Corpo agitato da un tre-
mito paralitico.
6. Cappuccino — Dimensioni normali, capo con becco più breve che nella
C.. livia. Le penne del collo sono straordinariamente allungate e disposte in due vor-
tici, uno dei quali forma un cappuccio dietro all’ occipite, e 1° altro un boa ai lati
del collo.
7. Barbo — Dimensioni normali; capo con becco brevissimo e largo; palpebre
enormemente sviluppate in grandi caruncole perioculari. Corpo allungato e basso.
8. Chinese -— Dimensioni normali o più piccole che nel torraiuolo. Capo con
becco assai breve, narici e palpebre normali. Penne del petto formanti una rosa tut-
t'intorno ad un punto centrale, da cui parte una cravatta che sale lungo la gola e
forma un bavero ai lati del collo.
Le otto razze suddette possono essere divise in due gruppi, nel modo seguente :
1° Colombi di mole maggiore, più o meno fortemente dolicomorfi: Gozzuto, Ro-
mano, Bagadese, Maltese.
2° Colombi di mole minore, salvo il Pavoncello decisamente brachimorfi : Cap-
puccino, Barbo, Chinese ed il nominato Pavoncello. |
Gli accoppiamenti furono eseguiti nel modo seguente :
— 307 —
Num. ì Si} Q Q
d’ordine
l Gozzuto Romano
2 Bagadese Maltese
3 Pavoncello Cappuccino
4 Barbo Chinese
Le misure da me prese sono le seguenti :
1° lunghezza totale dello scheletro del capo dall’ apice della mascella
superiore alla cresta sovrastante il forame occipitale ;
2° lunghezza del cranio da questo ultimo punto, al punto nel quale i processi
nasali del premascellare si saldano colla fronte ;
8° lunghezza del becco dall’apice della mascella all’ estremità dei processi nasali
del premascellare ;
4° larghezza massima del cranio.
A queste misure reali vanno aggiunti due altri valori: l'indice cefalico che è
calcolato dividendo ]a larghezza massima moltiplicata per 100 per la lunghezza totale
del capo, ed il rapporto fra la lunghezza del becco e quella del cranio, calcolato
dividendo la prima moltiplicata per 100 per la seconda.
Come istrumenti misuratori mi son valso di compassi di spessore a branca scor-
«‘revole, quali si usano comunemente in antropometria.
Degli otto riproduttori non ho potuto sacrificare il Gozzuto, il Romano ed il Barbo;
le misure ed i valori cranici degli altri cinque risultano dallo specchietto seguente :
Ria RA Large Lunghezza | Lunghezza Indice Rapporto fra
O ae delecraniog Sdelibecco cefalico |cranio e becco
del capo | del cranio
Bagadese . .. | mm. 64,8 | mm. 22,2 | mm. 37,5 | mm. 83,1 3452 88,0
Maltese . . D OI D2ZI4 DI1809, VM 31 39,1 65,2
Pavoncello . » 48,9 > IEO » 29,8 » 20,6 38 69,1
i Cappuccino . » 46,8 » 20,3 > SILO DA 097 43,3 D208
Chinese . . ». 43,4 DI NIIONI Di 08 » 14,9 44 I 49,2
DI
<
308
II.
Serie genealogiche degl’ ibridi.
La tabella seguente dà le misure ed i valori dei quattro ibridi di prima genera-
zione che furono scelti come riproduttori.
Lungh. tot. | Larghezza
T 3 » Ù
Natura dell’inerocio d. scheletro | massima
del capo | del cranio
Gozzuto x Romana mm. 643 | mm. 22,6
Bagadese x Maltese » 61,6 VI
Pavoncello x< Cappuccina > iMo083 DR05
Barbo x Chinese » 44,6 » 192
Lunghezza
del cranio
mm. 39,2
D 3959
DOZZA
VIZIO,
Lunghezza
del becco
mm. 27,2
» 27,9
DINE20)3
Di GO
Indice
cefalico
43,0
Rapporto fra
becco e cranio
55,0
Come ho detto precedentemente non ho potuto preparare il cranio del Gozzuto, del
Romano e del Barbo, quindi non posso fare confronti tra gl’ ibridi provenienti da queste
razze e le razze pure medesime. Ho detto peraltro come entrambe queste coppie siano
omogenee rispetto alla lunghezza del capo, dolicomorfa l una e brachimorfa | altra,
cosicchè è da presumere che i valori
quelli di ciascuna delle razze pure.
degli
ibridi corrispondano presso a poco con
Le misure ed i valori della coppia Bagadese e Maltese in confronto a quelle del-
l’ibrido, risultano dallo specchietto seguente.
Media delle
Misure e valori
dello Signo (el 06 Bagadese Maltese
Lunghezza totale mm. 64,8 | mm. 57,2
» del cranio . DST » 36,3
» del becco » 331 DINI
Larghezza massima VN22)9 DMI ZIA
Indice cefalico —- 34,2 — 39,1
Rapporto fra cranio e becco — 88 — 65,2
razze pure
mm. 61,0
» 36,9
Dez 8I4:
DIM:
-—- 36,6
— 76,6
Ibrido
mm. 61,6
» 35,9
DU 270
DM,
— 95,7
— 772
— 309 —
Le misure dell’ ibrido corrispondono, salvo lievissime differenze che non hanno
‘importanza, alla media aritmetica delle misure nei genitori di razza pura. Le minori
dimensioni del cranio in confronto a quelle dei due genitori si debbono certamente al
fatto che il bagadese è g' mentre l’ibrido è 9; nei piccioni bagadesi le dimensioni
sono sensibilmente diverse nei due sessi.
Le misure della coppia Pavoncello e Cappuccino, in confronto a quelle dell’ ibrido,
risultano dallo specchietto seguente.
Misure e valori o Media delle i
dello scheletro del capo Pavoncello | Cappuccino | razze pure Ibrido
Lunghezza totale . . . .| mm. 48,9 | mm. 46,8 | mm. 47,8 | mm. 50,8
» (Alano: (6 » 298 >» 831,9 » 30,8 » 32,4
» del becco . . . » 20,6 DIMMMIONT » 18,6 » 20,3
Larghezza massima... . » 18,6 » 203 DIO rA » 20,5
Iman'eeRreeta ico MARE — 38 — 433 — 40,6 >» 40,7
Rapporto fra cranio e becco — 69,1 — 529 — 61,7 -—- 622
Le misure dell’ ibrido sono tutte superiori alla media, ed anche a quelle dei geni-
tori: tale accrescimento è dovuto alla maggiore robustezza dell’ ibrido in confronto
ai genitori lungamente selezionati. Ciò si desume anche dal fatto che }awmento delle
diverse lunghezze è correlativo, tanto che l indice cefalico dell’ibrido cor-
risponde a quello calcolato risultante dalla media degl’indici rile-
vati nei genitori puri, L’ibrido è dunque intermedio fra il cappuccino ed il
pavoncello, e poichè lo stesso fatto è osservato nel prodotto dell’ accoppiamento fra
bagadese e maltese, possiamo concludere che i vari ibridi appartenenti
ad F, hanno le dimensioni del capo e del becco intermedie fra
Rule deuliicie nitore, qualunque sial:sitata cal razza calla quale
questi appartenevano.
F, (1)
Gli esemplari di questa generazione che indico sempre con F, perchè provengono
Il
da un nuovo incrocio, contengono un quarto di sangue di ciascuna delle razze pure
progenitrici.
Essi appartengono a due gruppi: quello delle razze dolicomorfe e quello delle razze
brackimorfe. Del primo gruppo allevai una ventina di esemplari molto omogenei per
forma, dimensioni, e per la lunghezza apparente del becco, cosicchè ho creduto suffi-
ciente limitarmi a prendere le misure di 3 crani. Del secondo gruppo allevai solo 7
esemplari, i quali hanno mostrato maggiore variabilità; di essi ho misurato 5 crani.
io
Misure cefaliche nella serie dolicomorfa.
(Gozzuto x Romana) x (Bagadese x Maltese)
Il
Num. Lunghezza | Larghezza | Lunghezza | Lunghezza Indice Rapporto fra
d'ordine totale massima | del cranio | del becco cefalico |cranio e becco
1 mm. 60,7 | mm. 22,4 | mm. 36,8 | mm. 26,7 36,90 72,20.
2 (008 do 28 DMB0N SI CoZzol 39,91 73,30
3 DIRO di 220 NM nh9 >M2.0t8, 36,56 70,75
Medie mm. 60,7 | mm. 22,0 | mm. 36,9 | mm. 26,7 36,25 72,08
Musure clefa li'eh'e mella tsterite bra ehi noe
(Pavoncello x Cappuccino) x (Barbo x Cravattata)
° Num. Lunghezza | Larghezza | Lunghezza | Lunghezza Indice Rapporto fra
d’ordine totale massima | del cranio | del becco cefalico |cranio e becco
4 mm 48,7 | mm. 19,5 | mm. 32,5 | mm. 18,5 40,04 56,90
5 DA959 D 1089 DI TZO,9 do II 41,18 59,11
6 SIA I9 DIR20 » 29,6 » 18,0 43,76 60,32 |
7 » 47,8 » 18,4 DEI » 18,9 38,49 60,57
8 ». 47,9 » 189 > 093 DO 39,47 61,10
Medie mm. +7,2 | mm. 39,1 | mm. 30,9 | mm. 18,4 40,59 59,48
Confrontando le misure medie ed i valori medi degl’ ibridi dolicomorfi con quelli
dei genitori, si ha la tabella seguente.
Misure e valori À ] Media fra Media dei
dello scheletro del capo Gozz. x Rom. | Bag. x Malt. | i due ibridi prodotti F, (1/4)
precedenti
—__———T_—_—_—_ o |__| —_
[]Eunenezza totale eee mm. 64,3 mm. 61,6 mm. 62,9 mm. 60,7 |
\ 3 |
Larghezza massima... . DMIZZIO DINE Di ZO ZA 0) |
Indicercetiico Rea — 85,1 — 35,7 — 35,4 — 86,2
Lunghezza del cranio. . . mm. 389,2 mm. 35,9 mm. 37,5 mm. 36,9
» DAMD EC COMMON. 2 Dei:9, de ZI VIMZ.O I
Rapporto fra cranio e becco — 69,1 —- 772 — 78,1 — 72,0
— 311 —
Si deduce che le misure non sono trasmesse uniformemente ed in correlazione. La
lunghezza totale in mm. 60,7 è inferiore a quella dei due ibridi progenitori, ma è
superiore a quella di uno degli antenati, il Maltese, che misura mm. 57,2. Confron-
tando le altre misure e | indice cefalico coi valori delle due razze pure stipiti mag-
giormente antagoniste, Bagadese e Maltese, si vede come esista una considerevole
rassomiglianza; come i valori dei prodotti F,(%) siano compresi nel campo di varia-
‘ zione e si avvicinino ai valori intermedi delle razze pure maggiormente divergenti.
Confrontando ora gl’ ibridi brachimorfi coi genitori loro, si ha lo specchietto
seguente.
Misure e valori i È Media fra Media
dello scheletro del capo Pav. x Capp. | Barb. x Chin.| i due ibridi di Fi (4%)
i precedenti
Munenezzaltotale ee mm. 50,3 mm. 44,6 mm. 47,4 mm. 47,2
Larghezza massima . . . > 20,5 >» 19,2 » 198 > CIO
nce Gili ii ge — 40,7 — 43 — 41,8 — 40,6
Lunghezza del cranio... mm. 32,4 mm. 29,9 mm. 31,1 | mm. 30,9
» DIRO CCC ORO >» 20,3 » 16,5 DA l374: » 18,4
Rapporto fra cranio e becco — 62,2 50 — 58,6 — 59,4
Nella serie brachimorfa le misure sono trasmesse con. assai. maggiore uniformità
che non nella serie dolicomorfa. I valori medi tratti dai prodotti misurati, coincidono
quasi completamente con quelli medi dedotti dai genitori ibridi mezzo sangue; anzi
la lunghezza del becco è, nell’ uno e nell’ altro caso, calcolata in mm. 18,4.
È interessante confrontare la media reale di questa generazione ibrida con quelle
calcolate dei genitori ibridi e dei progenitori di razza pura che si possono considerare
come maggiormonte antagonisti nella serie, e precisamente il Pavoncello ed il Chinese.
Misure e valori ea Sg Medie calcolate | Medie ottenute
dello scheletro del capo De e o in F1(/) in Fi(/)
Lunghezza totale . . . . mm. 46,1 mm. 47,4 mm. 47,2
Larghezza massima... . ». 19,4 >. 19,8 DEMO] |
indico carlo pulse = ‘Al — 41,8 Li 400
Lunghezza del cranio... . mm. 30,1 Tae SII mm. 30,9 |
» DEMI ECCO pie » 18,4 PIMS
Rapporto fra cranio e becco — 59,1 — 58,6 — 59,4
Serie VII. Tomo I. 1913-14. 41
— 312 —
Come si vede, i valori sono quasi identici, e si può dire che la iedia ottenuta
negli ibridi VA: i quali sì potrebbero anche considerare come seconda generazione
d’ incroci, sono quasi coincidenti colle medie aritmetiche dei valori spettanti agli ante-
nati delle razze pure maggiormente distanti.
Noto inoltre che qualche misura media di F,(*) coincide colla misura reale di uno
degli antenati puri o di uno dei genitori ibridi. Per esempio la larghezza massima
del cranio è di mm. 19,1 tanto in F, (a) quanto nel Pavoncello, e 1° indice cefalico
medio corrisponde a quello dell’ ibrido Pavoncello x< Cappuccino.
F, (a)
‘ Gli esemplari di questa generazione contengono dunque un ottavo di sangue di
ciascuna delle razze progenitrici, e provengono dall’ incrocio di un ibrido di mole mag-
giore e dolicomorfo, con un ibrido di mole minore e brachimorfo. L’ incrocio in questa
generazione è stato reciproco. È
Riproduco nella tabella seguente le misure delle due categorie di riproduttori, con
accanto la media tratta dalle medesime.
|
Re Serie dolicomorfa | Serie brachimorfa| Media calcolata |
Lunghezza totale . . . . mm. 60,7 mm. 47,2 mm. 53,9
Larghezza massima. . . » 22,0 DANNO] vr 1205
IndiceWce falco Rea — 36,2 — 40,6 -—- 38,4
Lunghezza del cranio. . .. mm. 36,9 mm. 30,9 mm. 33,9
| » DIMID e Econ du ZO Pmi NZ
| Rapporto fra cranio e becco — 72,8 — 59,4 — 66,1
Nella nota che ho già citato, ho fatto menzione dei caratteri esterni appartenenti
a 14 esemplari allevati nel primo semestre del 1911. L'allevamento di questa gene-
razione fu continuato nello stesso anno, raddoppiando il numero dei prodotti. Prima
di dare le misure del cranio, credo utile riprodurre e completare le osservazioni fatte
sui caratteri esteriori riferibili alle razze progenitrici.
Del gozzuto due esemplari hanno ricordato imperfettamente i disegni bianchi su
fondo colorato, mentre nessuno offre caratteri di forma riferibili a quella razza.
Del romano tutti gli esemplari riproducono più o meno imperfettamente la forma,
con notevole attenuazione di statura.
Del bagadese un esemplare riproduce quasi esattamente la macchiatura. Tutti gli
esemplari hanno palpebre pronunciate; carattere attribuibile ad eredità di questa razza.
Del pavoncello otto esemplari riprodussero un maggior numero di timoniere; alcuni
di questi ed altri con timoniere normali riprodussero il tremolio del collo.
4
E
A
4
:
— 313 —
Degli ornamenti speciali del cappuccino o del cravattato nessuna traccia; così pure
si perdono le traccie del maltese. Le palpebre pronunciate del barbo si fondono con
quelle del bagadese; mentre il becco corto di quello e del cravattato, sono ereditati
da un certo numero di esemplari. Concludendo, i caratteri etnici esterni degli antenati
presenti e riconoscibili in questa generazione riguardano :
1° il maggior sviluppo delle caruncole, riferibile al barbo ed al bagadese;
2° il sopranumero di timoniere ed il tremolio del collo riferibili ai pavoncello.
I caratteri che si riferiscono alle dimensioni, si desumono dalla seguente tabella,
nella quale sono contemplati quindici esemplari. DI questi ve ve sono dieci, già descritti
nella mia predetta nota, mentre gli altri cinque appartengono al gruppo allevato dopo
la pubblicazione della stessa. Degli altri esemplari non ho potuto tener conto o perchè
scomparsi, o perchè uccisi troppo giovani, nel qual caso il crario no» perfettamente
sviluppato, è tale da non potersi comparare cogli esemplari divenuti perfettamente
adulti ed uccisi in età di circa diciotto mesi a due anni. Posso peraltro affermare che
tutti questi esemplari non misurati appartenevano alle classi medie, perchè mi sono
sempre preoccupato di conservare a lungo in vita e di misurare poi tutti quei soggetti che
offrivano qualche particolarità e che, in rapporto alla statura, appartenevano a gruppi
estremi.
Misure craniche della serie F,(%/)
Num. di | Lunghezza | Larghezza Indice Lunghezza | Lunghezza | Rapporto fra
matricola totale massima cefalico del cranio | del becco |cranio e becco
Jul mm. 594 | mm. 22,1 39,89 mm. 35 mm. 23,5 67,50
12 >» 54 DNSZON] 9N22 > 00 vi 2334 76,81
13 » 56,5 VIBNZIO 37,69 » 34,4 » 24 69,26
14 » 55,9 > 29 38,46 » 95 > 29,1 67,25
1481 » 59,5 DA2074 38,13 Di O VIZIO 60,112
1482 > eo > ZI, 38,09 >» 84 ». 24 75,80
1484 » 56,7 DIR 37,39 » 394,6 DAMIZ43 12,10
1485 > 2 Di 0 97,45 DI » 23 69,23
1486 >» 61,9 ». 1132/89 36,83 DAMS 02 MZ 78,26
1487 » 50,8 » 20,6 40,95 SS MIeTERDO 59,33
1488 DID Di IZ 987,41 >» e. di QU 72,30
MASON Vo » 19,6 36,3 DENZA v02378 73,14
1496 29044 Do DI 37,94 » 34,6 VIZI] 69,22
oi oo I 37070) RE 69,26
1499 DEM 039 DIO 88,27 va 39,2 VIZIO 67,25
Medie mm. 55,3 | mm. 21 37,98 mm. 84,1 23,6 70,18
— 314 —
Confrontando le medie ottenute con quelle calcolate nella tabella precedente a
quest’ ultima, risulta che la lunghezza del cranio è maggiore di quella prevista, e
poichè la larghezza è eguale (la differenza di un decimo di millimetro è trascurabile)
si ha una diminuzione nell’ indice cefalico ossia un aumento di dolicomorfismo.
La prevalenza del dolicomorfismo risulta anche da un altro fatto. La lunghezza
totale del cranio nella serie dolicomorfa, dalla quale fu scelto uno dei riproduttori, era
in media di mm. 60,7, misura superata dal cranio N. 1486 lungo mm. 61,9; nella
serie brachimorfa invece la lunghezza del cranio è di mm. 47,2 in media, la qual
misura decrescente non soitanto non è oltrepassata, ma neppure è raggiunta da alcun
esemplare della generazione F, (*/g), nella quale il cranio più corto misura mm. 50,3.
. Il campo di variazione della lunghezza totale del cranio nelle razze pure proge-
nitrici, ha gli estremi determinati dal Cravattato chinese e dal Bagadese, ed è com-
preso fra mm. 43,4 e mm. 64,8. Il campo di variazione della serie ibrida, della
quale ci occupiamo, è compreso fra mm. 50,3 e mm. 61,9; è dunque più limitato.
Di questa serie ho scelto alcuni esemplari come riproduttori, seguendo il concetto
di selezionare possibilmente i caratteri atavici delle razze pure e di attenermi per le
dimensioni alle misure medie, come quelie che appaiono più comunemente. Una coppia
fu costituita coi N.N. 1496 (cg') e 1499 ( £), il primo dei quali aveva 14 timoniere nella
coda e la seconda 16; entrambi con collo piuttosto tremolante, con becco sormontato
da narici robuste e con palpebre pronunciate.
Un’ altra coppia venne formata col N. 1482 (d'),
Norimberga, e col N. 1481 (9) interamente bianco. Questi due esemplari avevano. le
colorato come il Bagadese di
timoniere in numero normale, il becco robusto, narici e palpebre turgide.
La lunghezza totale dello scheletro del capo è risultata per ia prima coppia di
mm. 56,4 (g'*) x mm. 53,3 (), e per la seconda coppia di mm. 55,3 (d') X mm. 53,5
(9). La media di questi quattro esemplari è mm. 54,6.
F
2
Questa è la prima generazione nella quale i produttori non hanno subito alcun
nuovo incrociamento. Durante il 1912 ed una parte del 1913 furono allevati oltre
una trentina di esemplari, alcuni dei quali sono ancora viventi e perciò non misurabili,
mentre altri si dovettero uccidere per necessità di spazio in età ancor giovane. La
tabella seguente reca le misure di 16 crani adulti appartenenti a piccioni di questa
generazione, uccisi quando avevano oltrepassato l’anno di età.
Cd
Misure craniche della serie F
2
Numero di Lomazzo Larghezza Indice Lunghezza | Lunghezza | Rapporto fra
matricola totale massima cefalico del cranio | del becco |cranio e becco
1 MID II 283 37,69 Mimi 8599, |M 294 (OZ
2 » 56,1 AZIORS 38,86 Di SE PZA 771,20
3 ti Eaa | 205 38,46 >» 32,9 >» 224 68,28
4 Di >» 21,4 38,56 » 94,8 dD Dr 68,36
9) » 54,8 do ZOO 36,86 Di DIO De 235 71,16
6 SL 22 OO US SR 66,26
7 vo » 20,6 37,18 D'EZO DIMIZIIO 69,20
8 IMSA Di 203 STA Se VI133;8 » 228 67,15
9 > 51,1 > RIC .6 38,34 21 5218 67,29
10 > 0 SO?) 36,67 ao, 68.24
ll VA o254 » 204 38,93 Pi 08 2183 64,51
2 » 55,6 > 313 88,31 Dar Yo ZLI IZZO
|
13 vi 1508 VARIA 37,62 DNA DIA] 71,63
14 DE DINACLIOTA 36,13 dI SZ Y2316 73,94
15 > 59 » 19,6 36,98 DA 25) DMN 22:8 Ai
16 > 105,5 »' 20,6 SIAE » 34,2 Dr 22:0 66,28
Medie mm. 54,8 | mm. 20,6 37,76 mm. 39,8 | mm. 23,2 69,28
Confrontando -la lunghezza totale media del capo ottenuta, con quella calcolata sulle
misure dei quattro produitori, risulta che esse sono quasi coincidenti; la lunghezza
media del capo è peraltro alquanto inferiore alla lunghezza corrispondente in F, Voi
la qual cosa si verifica per tutte le altre misure, cosicchè è lecito affermare che in
F, le dimensioni sono leggermente diminuite e si delinea una tendenza oltremodo tenue
invece ad un aumento di dolicomorfismo.
È inoltre più ristretto il campo di variazione, ma di questo importante argomento
tratterò in modo speciale nel capitolo seguente.
In questa generazione attendevo di veder comparire in modo abbastanza pronun-
ciato alcuni dei caratteri atavici, come è lecito aspettare secondo le regole di MENDEL.
Invece io posso affermare che anche sotto l° aspetto esteriore questa generazione offre
presso a poco la medesima uniformità che si è riscontrata nella generazione precedente.
Meritano speciale attenzione due esemplari di sesso maschile. Uno è un grosso indi-
— 316 —
viduo che riproduce assai bene la forma del piccione romano con palpebre rosse ben
marcate, quali si trovano in questa razza; l° altro è un individuo non molto grosso,
cor becco assai robusto ma breve e curvo. Si scorge in questo carattere 1’ eredità
della arcuazione del becco del bagadese, la qua!e si presenta in correlazione ad una
assai minore lunghezza.
Colla serie F, ha termine la ricerca che io mi ero proposto, tendente a vedere
se questi ibridi complicati corrispondano o no alla C. livia. La selezione dei caratteri
atavici investe un altro problema, che sarà studiato in seguito, quando dal materiale
che è oggetto di questo scritto avrò potuto allevare nuove generazioni successive.
IDG
Misure craniche in Columba livia ed altre specie.
Per trarre qualche utile conclusione dalle tabelle di misure craniche spettanti a cia-
scuna serie genealogica, é necessario studiare innanzi tutto il cranio del piccione torraiuolo
(Columba livia) e di altri piccioni selvatici, collo stesso metodo. A tal uopo mi sono pro-
curato dalla Toscana un gruppo di torraiuoli purissimi dei quali la tabella seguente dà le
misure. . 3
Misure craniche di Columba livia d’ Italia.
Numero | Lunghezza | Larghezza Indice Lunghezza | Lunghezza | Rapporto fra
di matricola| |, totale MESENLatE) cefalico | del cranio | del becco |cranio e becco
| del capo | del cranio
l mm. 53,6 | mm. 20,1 37,50 mimi. 33,3 | mm. 22,9 69,13
2 Sena 38,07 vino ie 75,40
3 siga Oo 37,52 iso 67,55
4 » > 51,8 > 1974 37,45 VIls2,8 ZII 67,59
5 ERO SII 38,41 vieni 25 72,82
6 li eng 37,16 ve gia 22 72,27
| 7 vi 503) Da ON 37,62 >» 30,8 YIEZINA 69,14
| 8 oi eo 37,55 ANNO 68,72
| 9 92,9 DI U94 36,607 SI) N ZZIo 69,21
10 » 50,5 > 19,1 371,62 Vv 305 DA 68,26
ERRO » 58 Rae 3 ag Di VE Nno 66,88
| iz: > 59258 OSO) | 37,69 SIM da 2 68,71
IRFRSS 32 O 37,87 Cesto 295 67,32
14 DOLO ROERO, 36,18 > ozio, » 22,9 75,28
15 DINOICZ > 0 37,95 >» 32,1 > 2159 65,72
| Medie mm. 53,2] mm. 19,6 37,56 mm. 31,9 | mm..22,0 69,76
ì
î
i
ti
’
I
i
i
i
— èlir_
Al gruppo di piccioni torraiuoli (C. Zivia) europei ho potuto aggiungere un cranio
di Columba livia schimperi proveniente dall’ Egitto, e due crani provenienti dalla Libia.
Le loro misure risultano dalla ‘tabella seguente.
Nfigmuee raniehe dr AWIWITiAIITIE
Numero | Lunghezza | Larghezza Indice Lunghezza | Lunghezza O fra la
d’ordine totale massima cefalico del cranio | del becco unghezza del
del capo | del cranio cranio e del becco
(È
1 (Egitto) | mm. 50,9 | mm. 183,4 86,34 mm. 298 | mm. 21,9 73,14
2 (Libia) » 25 > 109 36,95 » 30,6 Di 2293 74,15
8 (Libia) 5 B06 >. I185 36,56 » 295 D 220.) 76,18
Medie mm. 51,3 | mm. 18,7 37,61 mm. 29,9 | mm. 22.6 74,49
Queste poche misure dimostrano come le livie della costa affricana da me esami-
nate, abbiano il cranio più piccolo ed il becco più lungo delle livie europee, per la
qual cosa i’ indice cefalico risulta minore. Questo reperto è confermato dalla osserva-
zione di numerosissimi esemplari vivi e morti di provenienza libica ed egiziana, i
quali provano che i piccioni torraiuoli delle coste dell’Affrica sono effettivamente più
piccoli e più spiccatamente dolicomorfi di quelli europei.
Due esemplari di Colwnba leuconota, specie tibetana e che potrebbe avere avuto
parte nella produzione di alcune razze domestiche, hanno dato le misure seguenti.
Misure craniche di Columba leuconota.
Numero Oa Larghezza Indice Lunghezza | Lunghezza | Rapporto fra le
d’ordine otale DU OSSAla cefalico | del cranio | del becco lunghezze del
del capo | del cranio cranio e del becco
Ji mm. 52,3 | mm. 20,3 38,81 mm. 31;5 | mm. 20,8 66,10
2 DINA OSTI >» | 193 38,83 DON Di 20 68,33
Medie mm. 5I mm. 19,8 38,82 mm. 30,8 | mm. 20,8 QUI
Le misure del capo e del cranio della ©. Zeuconota sono poco diverse da quelle
della C. Zivia, ma il becco è sensibilmente più breve, cosicchè 1’ indice cefalico risulta
maggiore specialmente in confronto delle livie affricane.
‘Ecco finalmente le misure di due crani di C. palumbus, che mi parvero i più dif-
ferenti per grandezza fra una dozzina di capi.
È dsl nec
Pa
3 _—esgi ne — - - Ma
otro
2
Misure craniche di Columba palumbus.
— Sl
x
r n n 10 D
Numero | mnghezza Larghezza Indice Lunghezza | Lunghezza | Rapporto fra le :
d’ordine totale LEIRRI, cefalico | del cranio | del becco lunghezze del :
del capo | del cranio cranio e del becco :
Ò
] mm. 55 mm. 20,8 36,9 mm. 33,7 | mm. 24,8 73,21
2 DION. ON SEA SZ » 34 Di 28 75,82
Medie mm. 56,3 | mm. 20,8 IU mm. 33,8 | mm. 25,3 74,51
Il cranio del colombaccio è dunque maggiore di quello delle tre forme precedenti,
ma. la correlazione delle misure è quale si verifica nella Zivia, cosicchè 1° indice cefalico
è piuttosto basso.
|
Riunisco, per maggior chiarezza, le medie di queste quattro forme di piccioni sel-
va
vatici in una tabella unica.
E sa NOE Larzbezza imcies Lunghezza | Lunghezza Rapporto fra le
p totale massima TA aleanio Egea Hedd lunghezze del
del capo | del cranio cranio e del becco
Colunba livia (Europa) | mm. 52,2 | mm. 20,3 37,56 mm, 31,9 | mm. 22 69,76
» » (Affrica) d 05918 DO KA) 306,61 » 299 DINZZZIO 74,49
» leuconota . Sio » 19,8 38,82 » 30,8 » 208 MOTI
|
>» palumbus .| >» 568 YOR. DIS 253 74,51
Come si desume dall’ indice cefalico, la Columba leuconota è la forma più brachi-
morfa, mentre il massimo dolicomorfismo s° incontra nella Columba livia d’Affrica. Il
colombaccio (C. palumbus) sta fra le due forme di Livia.
Passerò ora allo studio particolareggiato e comparativo di ciascuna misura, con-
siderando come tipiche e fondamentali quelle che spettano alla Columba livia europea.
— 319 —
IV.
Variazione delle misure craniche negl’' ibridi
dei piccioni domestici ed in C. livia.
Jonunig'ihiezzia it'omalletdee.lt'o’’seh'el'ettro del ‘capo.
Misure e valori C. livia F. (1/8) F,
Misura media iN EM RR: mim 5327 mimo imm 548
Di MMI IO » 50,5 » 50,3 DIO
Do TIN@SSINE, e a o DdD_ 55,0 » 61,9 » 60
Centro del campo di variazione Do 2A] di 0 » 5505
Campo di variazione . . . . » 3,1 Di IU,6 » 8,9
Classe di maggior frequenza . Dal » 55 >» 05
La prima osservazione da farsi in ciascuna serie è che la misura media è molto
simile al centro del campo di variazione, e che entrambi questi valori entrano o si
avvicinano assai negli ibridi alla classe di maggior frequenza.
Le classi di frequenza nella variabilità corrispondono per maggiore semplicità nelle
mie tabelle a mm. interi, ma in realtà se si considera lo specchio generale delle
misure della Columba livia si troverà che la maggioranza dei crani compresi nella
classe 51, sono assai prossimi alla classe 52.
Confrontando la Columba livia colla serie degli ibridi, si osserva che in questi le
misure assolute sono maggiori; che le medie, il centro del campo di variazione e la
classe di maggior frequenza non sono coincidenti; e finalmente che il campo di varia-
zione è molto più esteso nelle serie ibride che non nella Columba Livia.
Tutto ciò appare chiaramente dalla ficura seguente.
DO) A o i I I
Fig. 1 — Curva della frequenza nella variabilità della lunghezza totale dello
scheletro de) capo. A, Columba livia; B, serie genealogica. F,('/3).
Serie VII. Tomo I. 1913-14. 42
—_ Se
Si può concludere che la lunghezza totale dei cranio IMSA oypital ii
dei piccioni domestici è maggiore e più variabile che non nella
Columba livia. |
Se poi si confrontano le due generazioni ibride, si vede che in F, il campo di
variazione della lunghezza totale dello scheletro del capo è più ristretto che in F, (*).
2a oh elzizia mia ss ima Male za nuto
Misure e valori C. livia F.(0/8) F,
NUSULa MENTRE mM oi mm. 20,6
» IMI: lo e Do JO, DIARIO DIMIOTA
» MASSIVE RE D Z074 Di 223 DIM,
Centro del campo di variazione » 19,7 Da ZI di 207
Campo AMENEIARZAOMO e » IIS) » RO AZIO
Classe di maggior frequenza . » 9 pad » 20
5 > « 9 Lin Sx OE 3
10 #20 21 99:
Fig. 2 — Curva della frequenza nella variabilità della larghezza massima
del cranio. A, Columba livia; B, serie genealogica Fi (!/s).
La misura media coincide quasi esattamente in ciascuna serie col centro del campo
di variazione. | “ |
L'uno e l’ altro valore sono compresi in ciascuna serie nella classe di maggior
frequenza.
Il campo di variazione è limitatissimo nella Colwnba livia; più che doppio nelle
‘serie ibride, le quali mostrano peraltro una differenza considerevole tra loro, nel senso
che il campo di variazione di F, è più ritretto di quello di F
2 1
— 821 —
3° Linelnrezza dale:
.
Misure e valori C. livia F1(/8) Fs
Misuta media in mm... | mm. 31,9 | mm. 34,1. | mm. 33,8
» MUIMNE 6 o d 30,5 dD. a di SZ
» MAGIA o 0 DMM39 0) DI DINO OA
Centro del campo di variazione | » 32 | » 8343 SIA
Campo di variazione . . . . Do 9 DO DAMA
Classe di maggior frequenza . DN » 34 » 34
d Sai 3
ò AO
DI II ARE RA NO SEI d
2) SIATE 4
3 RARI
2 i no
1 INGO,
gere II E; 0
SOR SI AL II
Fig. 3 —— Curva della frequenza nella variabilità della lunghezza
del cranio. A, Columba livia; B, serie genealogica F1 (1/8).
Anche la lunghezza del cranio misurata, come ho già detto, dal forame occipitale
al punto in cui i processi nasali del premascellare si saldano sul frontale, offre press’ a
poco gli stessi caratteri delle altre misure. Noto peraltro che la coincidenza della
misura media col centro del campo di variazione è meno sensibile che non nelle pre-
cedenti misure. Ma il ceutro del campo di variazione entra nella classe di maggior
frequenza.
Il campo di variazione nella Columba livia è superiore a quello che abbiamo os-
servato per la larghezza del cranio e poco inferiore a quello della lunghezza totale;
nelle serie ibride invece si notano due fatti. In primo luogo il campo di variazione
di F, e superiore a quello di F,(*/g) ed in secondo luogo quest’ ultimo supera di poco
quello della Columba livia.
i La lunghezza del cranio nei piccioni domestici ibridi è dunque alquanto maggiore
che non nella Columba livia; la sua variabilità nei confronti di quest’ ultima specie
è minore della variabilità osservata nella lunghezza totale e nella larghezza massima
del cranio.
4° Lunghezza del becco.
Misure e valori C. livia F, (°/8) F,
Misura media in mm... .| mm. 22 Mio 279 no Ze
» MIMO o Mez Di 19 » 213
» Mass NO eee DIM 218 dD 200 DZ
Centro del campo di variazione pi ZILO >» 24 Di 28311
Campo di variazione . . . » 1,3 » 8,9 » 0
Classe di maggior frequenza . Di 22 » 24 >» 23
ee n (I "n I RR OE SO A 700]
9 i i
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0
art --/3
QI i
AMT BOSIO ORO SI QI 023) 25,
Fig. 4 — Curva della frequenza nella variabilità della lunghezza
del becco. A, Columba livia; B, serie genealogica Fi, (//8).
La misura media, il centro del campo di variazione e la classe di maggior fre-
quenza sono coincidenti (un decimo di millimetro è quantità trascurabile) in Columba
Livia ed in F,. In F, (£*/3) la misura media è inferiore in modo un poco più sensibile
al centro del campo di variazione.
Questo è assai limitato nella Columba livia; abbastanza esteso in F,; estesissimo
RZ) :
Tale maggiore estensione del campo di variazione è in rapporto col fatto non.
ancora osservato della misura minima, che in F,(*/g) è sensibilmente minore di quella
osservata nella Columba livia. Anche la lunghezza massima è considerevolmente supe-
riore a quella della C. Zivia.
5e Indice cefali co.
Valori C. livia F.(‘/8) F,
NC OR ee ese INA 0 MORRA MONO
MEDIO ME A DIME3:01488 Mx) 30] Mad 360,13
Massimo ee » 3841]|] » 40,95 dD USSAIO
Centro del campo di variazione i » 37,44 » 38,62 » 37,66
Campo di variazione TEO SM 4,65 N30
Classe di maggior frequenza .| » 37 DIRSI 293
Fig. 5 — Curva della frequenza nella variabilità dell’ indice cefalico.
A, Columba livia; B, serie genealogica F,(/,)
Il rapporto fra la maggiore lunghezza e la massima larghezza dello scheletro. del
capo è considerato come il valore più importante per lo studio quantitativo del cranio.
Nella Columba livia l'indice cefalico da un minimo di 36,48 sale ad un massimo
di 38,41, ed offre una media di 37,56 quasi coincidente col centro del campo di
variazione, compresi l’ uno e l’altro nella classe di maggior frequenza. Il campo di
variazione è molto limitato.
Nella prima generazione ibrida l’ indice cefalico da un minimo di 36,37 sale ad
un massimo di 40,95, la qual cosa ci dice subito che in confronto della Columba livia
gl’ibridi domestici hanno un campo di variazione più ampio (4,65) e più sviluppato
mel senso del brachimorfismo. L’ indice medio, calcolato in 37,98 non coincide col centro
del campo di variazione e conferma l’ aumento, sebbene leggero, di brachimorfismo.
— 324 —
Nella seconda generazione ibrida l'indice cefalico sale da 36,13 AO O NcOnMMin
campo di variazione di 3,06, minore di quello di F,/, ma sempre molto maggiore di
quello della Zivia. Il centro del campo di variazione è al di sotto dell’ indice medio:
l’uno e | altro non sì trovano nella classe di maggior frequenza. Anche in È v° ha
maggiore variabilità in direzione brachimorfa che nen in Columba livia.
6° Rapporto fra la lunghezza del cranio
e la lunghezza del becco.
Valori C. livia F, (1/8) F.
MEDORO A 69,76 70,18 69,28
NITTO: i LO 66,38 59,38 64,51
MASSIMO TOO e 75,40 78,26 771,20
Centro del campo di variazione TA 68,79 70,85
Campo di variazione . . . . 8,52 18,93 12,69
Classe di maggior frequenza . 63 69 68 - 71
Questo rapporto, se considerato nell’ ambito di ciascuna serie, fa vedere come
non esista una correlazione necessaria fra la lunghezza del cranio
e quella del becco. In nessuna serie infatti v'è coincidenza fra la media misura
ed il centro del campo di variazione: l uno e 1° altro di questi valori non son com-
presi nella classe di maggior frequenza.
Confrontando poi tra loro le 3 serie si vede come il campo di variazione sia
più ampio negli ibridi domestici e segnatamente in F, (1/2). Rilevo che questa varia-
bilità è notevole anche in Columba livia: assai grande anzi se si confronta con quella
dell’ indice cefalico, il quale ha una deviazione limitata ad 1,93. Per tutte queste
ragioni il rapporto fra la lunghezza del cranio e quella del becco non rappresenta un
valore utile per istituire confronti.
829 —
Te Coerncente di. venlgzion”o,
Raggruppiamo ora in una tabella unica i campi di variazione delle diverse misure
e dell’indice cefalico.
Misure e valori ‘C. livia F.(0/) F.
Lunghezza totale del capo . . | mm. 3,1 MELE MSI
Tarshezza massima... Se » 3,2 > 30
Lunghezza del cranio. . . . DIN DOS Di dL5)
» dellibecco nane DIMNNINS » 8,9 DU
Melice calo! i lo ee IR — 4,65 — 3,06
Rapporto fra cranio e becco . -- 8,52 — 18,93 — 12,69
Per rendere tali valori facilmente comparabili, è opportuno ricavare un coefficente
di variazione, che ottengo considerando eguale all’ unità per ciascuna misura il campo
di variazione di Columba livia e facendo la proporzione. Do qui, per esempio, quella
che si riferisce alla lunghezza totale in F,(*/g)-
nella quale
ia] ppHCis ciniuafi acioenifae Nemitef diekvanitazi ione: dell'a. una hieizzia itto.ta lle
del capo:in F, 5 ragguagliata alla lunghezza totale del capo del
pilceione torraluolo, presa come unità.
Procedendo analogamente si ottiene la tabella seguente.
Misure e valori C. livia- Fi F.
Lunghezza totale del'capo. . . |}:3;1 =1 mm. 8,7 mm. 2,8
RLarshezza gina ssi ee e SM SUO Di
Lmaieza: del'ennios 0 ui az » 1,4
» delllbeccollgenne Salsa =) » 49 DIEMZIO
Iiles cena Sigg e ei — 2,40] — 1,58
Rapporto fra cranio e becco. . | 8,52 =1 —- 2,23 — 1,46
— 326 —
Queste cifre sono interessanti perchè provano :
1° che la prima generazione ibrida F,(*/g) è notevolmente più variabile della
seconda generazione ibrida (F,).
2° che la massima variabilità si ha nella lunghezza del becco, cosicchè la va-
riabilità notevole che si riscontra nella lunghezza totale è determinata precisamente
dal becco, molto variabile, e non dal cranio la cui lunghezza varia meno ancora della
larghezza. i
3° che l'indice cefalico, ossia il rapporto fra la lunghezza e la larghezza mas-
sima varia poco in F,, dove il becco è meno variabile, mentre in F, (4) risente
dalla maggior variabilità della lunghezza del becco.
NE
Riassunto dei risultati e conclusione.
Il capo dei piccioni domestici nelle diverse razze è variabile in modo considerevole,
ed assai più di quanto non si osservi nelle specie selvatiche ed in particolar modo
nella Columba livia.
Tale variabilità interessa la larghezza e la lunghezza della scatola cranica, ma in
ispecial modo la lunghezza dei becco. A questo fatto devesi |’ aspetto così differente
delle razze domestiche dei piccioni; nè si tratta di fatto anormale giacchè è noto che
nell’ intera classe degli uccelli il becco è una delle parti più variabili in seguito a
speciali adattamenti ed all’ isolamento geografico, mentre il cranio varia in modo
incomparabilmente minore.
Incrociando otto razze domestiche molto distinte, tante volte quante è stato neces-
sario per ottenere ibridi complicati contenenti ciascuno un ottavo di eredità dei pro-
genitori, le misure si sono via via trasmesse secondo la media corrispondente appro-
simativamente alla media aritmetica risultante nei genitori. Nell’ ultimo incrocio peraltro
derivante dall’ accoppiamento di individui provenienti da una serie prevalentemente
dolicomorfa con altri di serie prevalentemente brachimorfa, i prodotti sono ordinati
in una serie che offre un campo di variazione esteso, il quale, derivato specialmente
dalla. variabilità del becco, interessa anche la lunghezza dello scheletro del capo.
Questa serie variabile può essere distinta in tre gruppi: uno a dimensioni inter-
medie è numericamente il maggiore; due estremamente scarsi d’ individui sono separati
dal primo, a ciascuno dei suoi estremi; l uno di essi è fortemente dolicomorfo e
l’ altro brachimorfo. i 7
La generazione successiva che ho indicato con F, può paragonarsi a quella pre-
cedente, ma il suo campo di variazione è meno esteso : vi mancano le misure estreme
riscontrate nella serie precedente.
Questo fatto merita un rilievo. Gli autori che negli ultimi anni si sono occupati
della eredità delle dimensioni, come PauLuips ed altri, hanno provato che F, è uni-
= 321 —
forme e le cenerazioni successive sono variabili. Non credo che i miei risultati siano
in contraddizione sostanziale con quelli degli antori suddetti, giacchè la generazione
che io ho indicato come F,(*/) è di fatto, in rapporto alle misure, una terza gene-
razione. Nella mia serie maggiore e prevalentemente dolicomorfa 1’ incrocio del Baga-
dese col Maltese, ed in quella minore e prevalentemente brachimorfa 1’ incrocio del
pavoncello col cappuccino danno, nei rapporti della misura, un F, presumibilmente
uniforme. Quando poi avviene 1’ unione dell’ una coll’ altra serie, in F, (4a) si determina
la disunione di quei valori che nella generazione precedente erano rimasti fusi.
Comunque è chiaro questo fatto, che negli incrociamenti che si fanno tra ibridi
complicati di piccioni domestici, la disunione in serie dei valori parentali si determina
fin dalla prima generazione proveniente direttamente da tali incroci complicati.
Nella seconda generazione poi è possibile limitare o spostare il campo di varia-
zione secondo la natura degli esemplari destinati alla riproduzione. Infatti la mia ge-
nerazione F,, meno variabile di F,(*/) proviene da individui medi di questa serie.
Confrontando il cranio della Columba livia d° Europa con quello degli ibridi com-
plicati di prima e di seconda generazione risulta quanto segue.
]° Le dimensioni assolute sono aumentate (lunghezza totale del
capo, larghezza massima, lunghezza del cranio, rispettivamente nelle tre misure mas-
sima, media e minima), e sono più vicine a quelle del colombaccio
(Columba palumbus).
2° indice. oeatlieo © alquanto NSOE
IMliWWNiewiannog dil'questi tende al brachimorfismo come nella Columba
leuconota, mentre le forme affricane della C. livia mostrano in questo
lla tendenza a variare in senso dolicomorfo, per l’ aumento della lun-
ghezza del becco.
aaa ebraici er ima gglioreleh'e non
nella Columba livia, e le curve di variazione non coincidono per la diversa estensione
del campo di variazione, e per la diversità delle classi di maggior frequenza.
Questi fatti mi sembrano provare che il capo dei piccioni domestici
provenienti dall’incrocio di numerose razze tra loro distanti, non
rassomiglia affatto a quello della Columba livia, ma offre caratteri
propri, antagonistici con quelli della Zivia, ed in qualche caso più
prossimi ad altre specie di colombi selvaggi, come la Columba
palumbus e la C. leuconota.
Esclusa adunque l’ identità degli ibridi domestici colla Columba livia, viene a
mancare uno degli esempi più notevoli che si sogliono citare come prova che
le razze mPe00000 Inorogiate ia l0r0 rip Loiicamo Ri NCEIDONWHID LO,
la qual cosa non dovrebbe recar meraviglia perchè diversamente le mutazioni
non potrebbero fissarsi per via naturale. Potrebbe darsi tuttavia che la
Columba livia non fosse il solo antenato dei piccioni domestici, ma questo fatto pro-
babile non è sufficiente a dar ragione di quei caratteri dei piccioni domestici che
Serie VII. Tomo I. 1913-14. 43
snai
deviano non solo da questa 0 quella specie, ma dall’ intera famiglia delle colombe
selvagge.
L’atavismo formerà oggetto di speciali ricerche, ed a questo scopo ho conservato
alcune coppie della generazione fa) per esaminare nei loro discendenti |’ eventuale
ritorno di caratteri appartenenti alle singole razze progenitrici (1).
(1) Questo lavoro era in parte stampato, quando ho ricevuto un lavoro di Cole sulla eredità di
alcuni colori e sui loro rapporti nei piccioni domestici. Secondo questo. sperimentatore il colore bleu
è dovuto ad uno speciale fattore che limita V estensione del pigmento nero sulle barbe ; l’ argentato è,
come già Bonhote e Smalley avevano trovato, una diluizione del bleu, ed il bianco è dovuto ad
un numero vario di fattori che impediscono la produzione del pigmento su quelle aree che ognuno di
essi influenza. La reversione poi al colore bleu della Columba livia nei piccioni domestici, è dovuta |
semplicemente alla ricostituzione di quella particolare combinazione di fattori che è presente nella
Columba livia. È quindi confermata dal Cole la conclusione alla quale io ero venuto come allevatore,
e cioè che il bleu compare solo in determinate combinazioni di colori.
QUE
1876.
1912.
1914.
1911
1908.
1908.
1908.
MEINE
1904.
1914.
1912.
1914.
1908.
— 329 —
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SraPLES-BrownE, R. — On the inheritance of colour in domestic pigeons, with special reference
to reversion. P. Z. S. 1908, p. 67-104. i
— 330 —
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
TAVOLA T.
Fig.l — Piccione ibrido g* (N. 8) della serie Fo.
» 2. — Capo del medesimo, grandezza naturale.
» 3. — Columba livia d’ Egitto O
» 4 — Capo della medesima, grandezza naturale.
» 5,6 — Cranio di Columba livia, esemplari europei.
> 7. — Cranio di Columba livia, esemplare egiziano,
» 8,9 — Crani di Colombaccio (Columba palumbus).
» 10 — Cranio di Columba leuconota.
> ll — >» » Bagadese.
ubi. a » Maltese.
>» 13 MI » Pavoncello.
» 14 — » >» Cappuccino.
Malo oo » Cravattato chinese.
TAVOLA IL
Fig. 16 — Cranio di ibrido Gozzuto x Romana.
IZ _ » » » Bagadese x Maltese,
>» 18. — » » » Pavoncellox Cappuccino.
>». 19 — » » =» — Barbo Xx Chinese.
» 20 — » >» » Fi(/) (Gozzuto x Romana) x (Bagadese x Maltese).
VIZI 2 » (Pavoncello x< Cappuccino) x (Barbo x Chinese).
» 22-27 — Crani di ibridi della serie F, (2/,).
DIRO Si » » » »Fa:
+ «TE
Memorie. Serie VII. Tomo I. 1913 - 14 A. GHIGI. Ricerche sulla eredità nei piccioni domestici. |. Tavo
FOTOGRAFIE DI F, ALZANI
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Memorie. Serie VII. Tomo I. 19138 - 14 A. GHIGI. Ricerche sulla eredità nei piccioni domestici. |. Tavo il
OTOGRAFIE DI F., ALZANI
LA NEOFORMAZIONE DELLA CISTIFELLEA SI
HA NELL’ UOMO DOPO LA COLECISTECTOMIA ?
RICER SERI INIEIOE
DEL
Prof. ALEONSO POGGI
(letta nella Sessione del 24 Maggio 1914)
(CON TRE FIGURE).
In qual modo si comportino le vie biliari e come sia sostituita la funzione della cisti-
fellea in seguito alla colocistectomia sono questioni anche al presente oggetto di interes-
santi ricerche sperimentali e di osservazioni anatomo-patologiche. L’ argomento è impor-
tante poi specialmente per la terapia chirurgica perchè, a vero dire, non è ancora asso-
dato quali conseguenze possa avere l’ asportazione di tale organo che oggi i chirurgi hanno
tanto tendenza a togliere colla ectomia, per sopprimere una causa di recidiva alla calcolosi.
Ma a questa pratica si comincia da alcuni ad opporre la questione se sia buona regola,
senza ragioni ben determinate, lasciar troppo in disparte !a colocistomia e la colocistectomia
parziale, che risparmiano in tutto o in parte un’ organo disegnato dalla natura ad una
funzione. Invero vi è una corrente di autori che assegnano alla cistifellea un alto potere
funzionale, il Murphy, il Browulee e lo Stéinthal ecc., e tanto importante da asse-
rire che l’ ectomia rappresenta una causa atta ad accorciare la vita all’ operato. Certo che
l'opinione che oggi prevale è ben diversa, giacchè dalla maggioranza si crede che l’ e-
scissione della cistifellea non porti nessun danno transitorio nè permanente, ritenendola
semplicemente come un serbatoio della bile, non assolutamente necessario. L’Huschinson
va tanto oltre da giudicare la cistifellea una sorgente continua di pericoli ed un residuo
embrionale privo di funzione.
Ora spero di non fare cosa sgradita a cotesta Accademia se comunico ulteriori ricer-
che in continuazione ed a complemento di quelle che ebbi 1 onore di presentare l’anno
decorso, sulla supplenza funzionale della vescica biliare, appunto quale serbatoio, nel caso
della sua asportazione.
Le indagini presenti sono indirizzate ad un obbiettivo nuovo, non tentato da altri e
cioè a ricercare se realmente nell’ uomo si avveri quanto si è ottenuto, presso che costan-
Serie VII. Tomo I. 1913-14. 44
BOO E
temente, nel cane in riguardo alla riproduzione della cistifellea ed alla dilatazione dei
dotti extra-epatici.
‘ Forse in questo argomento, come in tanti altri si è stato troppo proclivi nell’ applicare
all’ organismo umano le conquiste della patologia sperimentale, mentre non si deve dimen-
ticare che non sempre le condizioni anatomiche e funzionali di un dato organo sono iden-
tiche tra 1’ animale e l uomo e che nell’ esperimento in genere si cimentano organi sani.
Già nel citato lavoro mentre asserivo nelle conclusioni :
1° Che il nuovo serbatoio della bile per la configurazione sua di sacca con sbocco
ristretto può presentare, come la cistifellea, condizioni favorevoli alla formazioni di calcoli.
2° Che stando ai risultati ottenuti nel cane, dovrebbe consigliarsi di accopiar alla
colecistectomia |’ asportazione del dotto cistico, aggiungevo « resta a dimostrarsi però se
nell'uomo come nel cane il dotto cistico abbia altrettanta facilità a lasciarsi distendere
da ricostruire una vescichetta ».
Ma come è possibile nella specie umana istituire ricerche che si prestino a tutte le
modalità dell’ esperimento, ed alla comodità di verificare a piacimento irisultati nello
stesso modo che nei bruti?
Se nell’ uomo non è dato |’ esperimento sul vivo, non è esclusa la possibilltà di poter
far ricerche nel cadavere con risultati abbastanza attendibili. Alle osservazioni sugli ani-
mali viventi, a scopo di controllo, aggiunsi prove anche sul cadavere di cane e di coniglio
ed ottenni risultati, rispetto alla neoformazione della cistifellea ed alla dilatazione dei
dotti extraepatici, assolutamente analoghi a quanto avevo ottenuto nel vivo (1).
‘In detti animali, previamente sacrificati, asportavo il fegato con l’ apparecchio esere-
tore unitamente alla corrispondente porzione del duodeno. Introducevo per breve tratto
nel coledoco, per la via della papilla, un sottile ago cannellato che veniva fisso con lega-
tura, poi vi iniettavo un liquido con tal pressione da equiparare quella di un colonna
d’acqua alta mm. 675, che per le ricerche dell’ Oddi segna la pressione maggiore a cui
può nel cane resistere lo sfinctere di sbocco del coledoco.
Con questi esperimenti sul morto ho avuto tanfo nel cane che nel coniglio lo stesso
risultato che agendo sul corpo vivo. E sì noti, e questo è importante, che gli effetti del-
l’ asportazione della vescichetta biliare, s’ intende nel vivente, sono alquanto diversi tra
cane e coniglio, nel primo la dilatazione periforme del cistico rimasto in posto è costante,
nell’ altro manca quasi sempre.
Inoltre si consideri che il cambiamento di capacità che avviene nei dotti epatici per
la mancanza della cistifellea si collega coll’ aumento di pressione cui essi sono soggetti
per l’accumolo di bile negli intervalli dei pasti, qualora lo sfinctere sia funzionante e
continente. Gli esperimenti recentissimi del Franz Best dimostrano appunto che il rac-
cogliersi della bile nei grossi dotti e la loro conseguente dilatazione compresa quella peri-
forme del cistico per l° ectomia negli esperimenti sul cane, è dovuta allo sfinctere termi-
nale del coledoco, perchè, per mezzo di una fistola duodenale, potè verificare che quando
esso sia incontinente sì che la bile si versi di continuo, manca qualsiasi dilatazione.
(1) La ricostituzione della cistifellea dopo la colecistectomia. Anno 1913.
a
i IRR 7 ——___—u
— 333 —
Per tutte queste ragioni è giusto il presupporre che il detto modo di esperimentare
applicato al cadavere umano debba dare gli stessi effetti, rispetto alla dilatazione dei vari
tratti dei dotti extra-epatici, che si avrebbero, se si potesse provare sul vivo.
Prendendo in considerazione le differenze anatomiche esistenti fra il dotto cistico del
cane con quello dell’ uomo relativamente alla lunghezza, alle tuortusità, alla robustezza
delle tuniche, all’ obliquità di sbocco nell’ epatico e all’ esistenza o nò di valvole spirali,
è facile presuporre a priori una diversità di resistenza nelle pareti. Non credo opportuno
fermarmi intorno a tale parallelo di confronto che non potrebbe portare a conclusioni
definitive ma solo di probabilità, sebbene che recentemente lavori sulla anatomia chirurgica
delle erosse vie biliari, quali quelli di Ruge e del Kunze, abbiano rilevate importanti
particolarità anatomiche anche pel dotto cistico.
Intanto sperimentando nel cane con l’ iniezione di liquido fatta nell’ albero escretore,
per la via della papilla, si osserva che il liquido dal coledoco si dirige nel cistico e nella
cistifellea dilatandoli, mentre successivamente avviene la dilatazione del coledoco e del-
l’ epatico e ciò conseguentemente alla disposizione anatomica del cistico che col suo asse
longitudinale si trova nella stessa direzione del coledoco mentre | epatico vi sbocca obli-
quamente. Eseguendo la stessa pratica nel cadavere di uomo è evidente che il liquido di
iniezione dilata prima il coledoco e |’ epatico e poi successivamente invade il cistico per
dilatare con lentezza la cistifellea, la qual cosa è dipendente dall’ obliquità d’ immissione
del cistico nell’ epatico e dalle sue valvole spiroidi, mentre 1° epatico col suo asse è sul
prolungamento del coledoco.
Ma vengo addirittura agli esperimenti più decisivi fatti nel fegato umano asportato
assieme al suo apparecchio escretore con la porzione annessa del duodeno. Ho eseguito
due serie di esperimenti; una 1° serie nella quale asportavo la cistifellea in toto previa
legatura del cistico: una seconda serie caratterizzata da una incompleta asportazione della
vescichetta biliare, lasciando in posto una porzione del collo (previamente legato) unita-
mente a tutto il dotto cistico. Queste due modalità di casi a me parvero sufficienti per
l'obbiettivo delle mie ricerche. Anche in questi esperimenti ho usato lo stesso modo di
iniezione del liquido come nel cane con una pressione a presso a poco dello stesso grado
e costante.
Ho cominciato dapprima ad esperimentare l’azione dell’iniezione in fegati nei quali
avevo in precedenza asportato completamente la cistifellea o l’ aveva esclusa per mezzo di
un laccio posto nel dotto cistico: in ambo i casi la porzione del cistico lasciato pervio
variava a secondo la sede delle allacciature, il più delle volte ho risparmiato tutto il
dotto, alle volte nè lasciavo la metà, in qualche caso lo legavo e lo asportavo a poca
distanza dall’ epatico.
In tutte queste esperienze vi è stato una singolare costanza di risultato, il moncone
del cistico, qualunque ne fosse la lunghezza, non ha mostrato di dilatarsi e solo in grado
insignificante, assolutamente mai ha dato luogo alla dilatazione cistica quale accenno alla
riproduzione della cistifellea, che costantemente si osserva nelle stesse prove eseguite sul
cane nel quale per l’ iniezione si ha una dilatazione del moncone cistico da simulare in
-— 334 —
piccolo la cistifellea, analoga a quella che si ottiene negli esperimenti sul cane vivente :
al contrario colpiva l’ occhio la notevole dilatazione a rigonfiamenti del dotto coledoco 0
biliare o di tutti e due, molto superiore di quella che si produce nel cane. i
Nell’ altra serie di ricerche nelle quali facevo l’ asportazione parziale della cistifellea,
o l esclusione, lasciando in posto il collo o solo parte di esso, l’ iniezione causava egual-
mente la dilatazione del coledoco e dell’ epatico ma accadeva pure la dilatazione del collo
residuato dando luogo ad una vescichetta identica a quella che in analoghe condizioni si
osservava avvenire operando nel cane tanto vivo che morto.
Le figure che riporto sono fotografie di alcuni pezzi anatomici ricavati dai descritti
esperimenti e dimostrano ad evidenza quanto ho asserito.
. Le fig. 1° e 2° rappresentano i pezzi anatomici ottenuti dalla 1° serie di esperimenti :
si vede il dotto cistico allacciato con nessuno accenno a dilatazione cistica nè d’ altra
natura e la cistifellea esclusa vuota, mentre si vedono notevolmente ingrossati ed in
alcuni tratti a bozze, il coledoco e l’ epatico, in grado diverso.
La fig. 5° riporta fotografata l’ imagine dei pezzi anatomici di un esperimento della
2° serie nel quale fu lasciato in posto buona porzione del collo della cisti biliare esclu-
dendone il corpo; è evidente la dilatazione periforme di detto collo, la ricostituzione della
cistifellea nelle dimensioni e forma quali si osservano negli esperimenti di ectomia par-
ziale nell’ animale: si rileva pure la dilatazione dell’ epatico e del coledoco ben manifesta.
Non ho creduto necessario riprodurre figure di controllo di dilatazione periforme del
moncone cistico ottenuta negli esperimenti sul cane perchè numerose si trovano nel mio
precedente lavoro.
Le presenti ricerche che io ho fatto su larga scala con risultati costanti, ci dimo-
strano che nell’ uomo, a differenza del cane, il moncone del dotto cistico residuato dal-
l’ectomia della cistifellea non ha tendenza a dilatarsi per ripristinare una nuova vescica
biliare, al contrario essa si forma, come nel cane, quando rimanga in posto il collo o una
parte di esso.
Riguardo adunque alla supplenza funzionale della cistifellea, come serbatoio della bile,
possiamo asserire che nel cane in caso di colocistectomia totale essa avviene per opera
in parte della dilatazione del moncone cistico che origina sì una vescichetta analoga alla
primitiva, ma in proporzioni molto ridotte, ed in parte dalla dilatazione del coledoco e
dell’ epatico che realmente avviene sebbene da molti esperimentatori sia stata trascurata.
La supplenza funzionale della cistifellea nell’ uomo invece, come sì può indurre dagli
esperimenti riferiti, avverrebbe tutta a spese della dilatazione del coledoco e dell’ epatico
se lo sfinctere è contenente, e per nulla. a carico della dilatazione periforme del cistico.
Perciò nell’ uomo ‘non si avrebbe la ricostituzione della cistifellea nemmeno in minime
proporzioni, eccetto che nel caso di una colocistectomia parziale.
Bisogna pur confessare che la maggior parte degli osservatori nell’ interpretare i risul-
tati dei loro esperimenti riguardo alla ricostruzione della cistifellea, sì sono lasciati tra-
sportare oltre nel valutarne l’ entità del fatto.
Certo che il risultato dell’ esperimento sul cane nel caso di ectomia totale della cisti-
ee. Tetra rr TTT
— 335 —
fellea impressiona molto in quanto che nel moncone del dotto cistico si vede riprodotta
una vescichetta contenente bile, tappezzata internamente dalla mucosa.e con. la configu-
razione di quella normale; ma quando si confronti la nuova cistifellea con quella aspor-
tata, apparisce tanto piccola da non potersi ritenere sufliciente a supplirla. interamente
nella funzione, insufficienza che poi è compensata dalla dilatazione degli altri due dotti.
Così si volle dalla formazione di una nuova cistifellea nel cane, venir all’ induzione che
pure nell’ uomo dovesse originarsi, senza pensare che 1° anatomia del cistico umano per
molte particolarità ed ispecie per la spessezza delle sue pareti e per |’ esistenza di valvole,
differenzia non poco da quello del cane.
Il risultato di queste mie ricerche serve poi a delucidare certe osservazioni in appa-
renza contradittorie, che si sono avute nella dissezione anatomo-patologica delle vie biliari
in operati da tempo di colocistectomia, ed anche a chiarire alcuni reperti necroscopici di
esclusione patologica della cistifellea.
Fermiamoci prima sulla esclusione patologica della cistifellea che infine è analoga,
negli effetti all’ esclusione sperimentale.
È noto dall’ anatomia patologica, fatta anche durante atti operatori chirurgici, che
per calcoli biliari incuneati sul collo o nel dotto cistico, come pure per processi infiammatori
o di altra natura in dette sedi, la cistifellea può rimanere segregata dalle vie biliari e
quindi impedita nella sua funzione. Se ne conoscono non poche di queste osservazioni fra
le quali 5 raccolte dal Couvvisier. In questi ultimi tempi s’° apprende da Riedel che
«quando la cistifellea per calcolo o per altra malattia è incapace di funzionare interviene
una dilatazione del coledoco, quale compenso della cistifellea perduta: perciò il Riedel
afferma che è bene, quando è possibile, conservare la cistifellea, poichè dopo la sua aspor-
tazione si forma una dilatazione del coledoco, antifisiologica, che potrebbe condurre alla
formazione ulteriori di calcoli.
Il Convoisier oppone non essere queste osservazioni dimostrative per una sostitu-
zione della cistifellea mediante la dilatazione del coledoco, poichè tutti i reperti ottenuti
sì possono spiegare col passaggio precedente di calcoli biliari. Questa obbiezione è giusta
in sè, in quanto che è innegabile che il passaggio di calcoli, per azione dilatante sulle
pareti o per ostacolo al corso della bile, può determinare nei dotti una dilatazione molto
più notevole di quello che si possa avere dalla resistenza dello sfinetere: questo è incon-
testabile.
Non è giusto però, col troppo generalizzare il fatto, essere esclusivisti perchè non si
può negare la possibilità di calcoli primitivi incuneati e perchè nelle esclusioni della cisti-
fellea di altra natura |’ elemento calcolo manca.
D'altra parte perchè mettere in dubbio | evenienza possibile di dilatazioni semplici
del coledoco e dell’ epatico quando gli esperimenti sugli animali avevano già dimostrato
avvenire la dilatazione dei grossi dotti oltre quelle ampollare del cistico. Ora poi che le
ricerche sul fegato umano hanno rilevato la facilità del dilatarsi dell’ epatico e del. cole-
doco ad una pressione corrispondente a quella della resistenza sfincterica, si deve pur
tener conto della possibtlità di una dilatazione suppletoria.
— 336 —
Intanto è bene far notare che in parecchi casi di esclusione patologica ben constatati,
sia per calcoli incuneati nel collo come per altra affezione, non fu trovato alcuna dilata-
zione del cistico.
Le osservazioni anatomo-patologiche nei casì di asportazione operatoria della cistifellea
presenterebbero senza dubbio certamente le condizioni rigorose di un esperimento sull’ uomo
per decideré sulla supplenza funzionale dell’ organo asportato. Però è evidente che a tale
scopo occorrono due termini ben precisati, un’ esatta ricerca necroscopica del fegato e
dell’ apparato dei dotti, e dall’ altra parte la conoscenza esatta delle particolarità opera-
torie, se fu tolta in parte o completamente la cistifellea, se in parte o completamente
il dotto cistico, e se questo era in istato normale oppure dilalato già dal passaggio pre-
gresso di calcoli o da altre cause. Il primo termine è in potere del necroscopo ma il
secondo ben specificato il più delle volte manca per tante ragioni ed è assai, se il settore
sa in genere dell’ avvenuta operazione.
Ho trascorso la letteratura medica circa i casi di operati di ectomia caduti poi sotto
l'osservazione anatomica. Finora questi non sono numerosi e riguardo alla ricostituzione
di una vescichetta biliare non concludenti perchè essa non sempre è stata verificata e
perchè anche se trovata, il più delle volte si ignoravano i particolari operatori e lo stato
del dotto cistico prima dell’ operazione.
Nei casi di verificata ricostituzione della cistifellea dopo |’ operazione sarebbe indi-
spensabile per una giusta valutazione, sapere in modo assoluto se per avventura non fosse
stato lasciato in posto un pezzo di cistifellea oppure e più di tutto sapere se il dotto
cistico era in condizioni anatomiche normali, perchè se fosse stato previamente dilatato
per opera di calcoli, (e si sono osservati perfino casi di tal natura con dilatazioni peri-
formi del cistico) tale condizione patologica spiegherebbe facilmente la neoformazione,
senza contradire al risultato degli esperimenti eseguiti in dotti normali.
Così al contrario i casi nei quali non fu trovata la cistifellea neoformata dopo |’ ecto-
mia totale. acquisterebbero maggior valore quando con sicurezza si sapesse che non tutto
il cistico fu esciso.
Perciò appare chiaro che le ricerche esistenti anatomo-patologiche per decidere della
supplenza funzionale «della cistifellea nell’ uomo in seguito alla colocistectomia, debbono
essere valutate con rigorosa disamina, come pure non appaiono sempre concludenti, lo si
è già detto, le osservazioni necroscopiche in caso di esclusione patologiche della cistifellea,
a meno che con sicurezza non sia stata esclusa | azione pregressa di altri calcoli biliari.
Adunque restava ancora evidente l’importanza dell’ esperimento e per conseguenza
l'opportunità di indagare se il risultato avuto negli animali colla cistectomia si poteva
applicare senza altro all’ uomo. h
Ora alcune delle osservazioni anatomo-patologiche ben accertate che erano in contra-
dizione colle conoscenze della patologia sperimentale riguardo agli effetti dell’ asportazione
della cistifellea, trovano spiegazione da queste mie ultime ricerche sul fegato umano. Non
è quindi più da far meraviglia se all’ ectomia delle cistifellea od alla sua esclusione pato-
logica nell’ uomo, non si è osservato il riprodursi della vescichetta biliare come negli
animali.
CONCLUSIONI
Queste mie ricerche sul cadavere che dimostrano la facilità al dilatarsi di vari tratti
dei dotti extra-epatici dell’uomo ad una pressione quale. può dare la resistenza dello
sfinetere terminale del coledoco, e che nel cane e nel coniglio hanno dato lo stesso effetto
che l’ asportazione della cistifellea nel vivo, non permettono di riportare incondiziona-
tamente, come si è fatto, i risultati della patologia sperimentale, riguardo alla ricosti-
tuzione della cistifellea, all’ uomo.
In base ai dati delle mie esperienze occorre fare una distinzione (qualora il dotto
cistico si trovi anatomicamente e fisiologicamente in condizioni normali) a seconda che
l'asportazione della cistifellea sia stata totale o parziale :
1° perchè nell’uomo il moncone cistico, che rimane in seguito alla colecistectomia
o alla sua esclusione, non ha alcuna tendenza a dilatarsi o solo in proporzioni insignificanti,
mai poi a dar luogo ad una dilatazione periforme come si osserva costantemente nel
cane, mentre si ha la dilatazione dell’ epatico o del coledoco oppure di entrambi.
2° perchè vi è analogia di comportamento nella neoformazione della cistifellea tra
l’uomo ed il cane quando la colecistectomia non sia totale e rimanga in posto il collo 0
porzione di esso, giacchè anche nell’ uomo in tali condizioni, si ha una dilatazione a
vescica da riprodurre in proporzioni più piccole e variabile a seconda dei tratti aspor-
tati, una nuova cistifellea, oltre, s° intende, la dilatazione dei grossi dotti,
— 338 —
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
Fig. 1" — Rappresenta un caso di esclusione di cistifellea totale.
a - cistifellea — d, cistico -— e epatico — c, coledoco.
Fig..2° — Tolta da un caso di asportazione totale della cistifellea.
b, cistico — e, epatico — c, coledoco.
Fig. 3° — Esclusione parziale della cistifellea lasciando pervio il collo.
a - cistifellea — @' collo dilatato — c, cistico — e, epatico — c, coledoco.
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a
db
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A. Poggi. — La neoformazione della cistifellea si ha nell'uomo dopo la colecistectomia ? Ricerche sperimentali.
1
Fig. l.
(0)
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e
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SUL CONTEGNO
DI
ALCUNE SOSTANZE ORGANICHE NEL VRGRTALI
VII MEMORIA ©
DI
GIACOMO CIAMICIAN £ CIRO RAVENNA
(letta nella Sessione del 17 Maggio 1914).
Nella presente Memoria descriviamo alcune esperienze che servono di complemento
a quelle pubblicate nei nostri precedenti lavori.
Come prosecuzione degli studi sul contegno delle sostanze organiche nel tabacco,
abbiamo sperimentato i tre cresoli, 1’ acido fenolsolfonico, la pironatechina, 1° idrochinone
ed inoltre abbiamo voluto vedere come si comportasse la nicotina stessa.
In un’ altra serie di esperienze abbiamo cercato di portare qualche contributo alla
formazione dell’ isoamilamina nel tabacco, eseguendo delle prove di confronto sui semi
‘in quiete e germinanti e sulle piante in via di sviluppo, relativamente alla presenza
della nicotina e dell’ isoamilamina.
Inoltre, poichè avevamo a nostra disposizione una notevole quantità di cloridridrati
di alcaloidi da noi ottenuti dal tabacco durante la lavorazione degli anni precedenti,
vi abbiamo ancora ricercate le basi pirroliche trovate da Pictet, ma che noi non
potemmo mai rintracciare.
In questa stessa Memoria, descriviamo infine alcune esperienze eseguite inoculando
l’ acido gallico nel mais e 1° acetone neì mais e nel sorgo. Ciò in prosecuzione dei
nostri studi relativi alla formazione dei glucosidi nei vegetali, da cui era risultato
che, facendo assorbire alle piante certe sostanze organiche prendevano origine i cor-
rispondenti glucosidi.
IO,
Contegno di alcune sostanze aromatiche nel tabacco.
Per meglio studiare il comportamento delle sostanze aromatiche nelle piante di
tabacco che, secondo le esperienze descritte nelle nostre precedenti Memorie (1) ave-
vano determinato, in certi casi degli aumenti e in altri delle diminuzioni nella quantità
(1) Queste Memorie, serie VI, Tomo VIII, pag. 47 (1910-11); serie VI, tomo IX, pag. 71 (1911-12)
serie VI, tomo X, pag. 143 (1912-13).
Serie VII. Tomo I. 1913-1914. 45
-— 340 —
di alcaloidi, abbiamo eseguita, fin dall’ estate del 1913, qualche altra prova, sia con
alcune delle sostanze già adoperate, sia con nuovi corpi.
Le sostanze prescelte per le esperienze che ora descriviamo furono le seguenti :
o-cresolo, m-cresolo, p-cresolo, acido fenolsolfonico, pirocatechina e idrochinone. Le
due ultime sostanze erano state da noi altre volte sperimentate. La resorcina non
potè essere oggetto di studio perchè, come già si disse, ha, sulle piante di tabacco,
un’ azione fortemente tossica.’ i
Come esperienze di controllo abbiamo tenuto due serie di piante delle quali 1’ una,
costituita da individui che venivano semplicemente privati dei germogli e cimati,
come è in uso nella pratica colturale del tabacco ; nelle piante dell’ altra serie deter-
minavamo, oltre a ciò, una lesione nel fusto simile a quella che serviva, nelle piante
trattate, ad inoculare la sostanza. Ciò perchè, come fu detto altrove, ci risultò che
tale lesione determina, per se stessa, degli aumenti nella quantità totale di alcaloidi.
Per le prime operazioni di estrazione delle piante abbiamo approfittato, come
negli anni scorsi, della cortesia della Casa Erba di Milano nel cui stabilimento di
Dergano vennero preparati gli estratti cloridrici che noi prendemmo poi in esame. Ci
è grato esprimere alla Casa Erba. al suo procuratore Cav. Dott. Giovanni Morselli ed
al Dott. Raffaele Pajetta che tali operazioni diresse, i sensi della nostra viva ricono-
scenza.
Allo Stabilimento di Dergano, le piante da noi inviate vennero triturate, la pol-
tiglia fu posta a digerire per qualche tempo in una soluzione di carbonato sodico ;
la massa ottenuta fu sottoposta alla distillazione in corrente di vapore ed il liquido
raccolto, acidificato con acido cloridrico e concentrato a piccolo volume, venne spedito
a noi per l ulteriore lavorazione.
Le prove coi tre cresoli e coll’ acido fenolsolfonico furono iniziate il 4 agosto 1913;
quelle colla pirocatechina e 1° idrochinone, il 27 dello stesso mese. Come testimoni
abbiamo perciò prescelto due serie di piante per le prime quattro sostanze ed altre
due per i diossibenzoli.
ORTO cRESOLO. — Allo scopo di somministrare questa sostanza allo stato solido
e solubile, l abbiamo trasformata in sale di calcio mescolando intimamente in un
mortaio le quantità calcolate di cresolo (una molecola) e di ossido di calcio (mezza
molecola). Si ottiene così una massa che in poco tempo solidifica ed è solubile in
acqua. Per l’ impiego, non venne ulteriormente elaborata.
Si prescelsero, per il trattamento, 4 piante che vennero inoculate, nel modo più
volte descritto, nei giorni 4, 13, 25 agosto, 2, ll, 23 settembre e 2 ottobre con
gr. 54, complessivamente, della sostanza. Le.piante furono raccolte il giorno 7 ottobre
1913 e pesavano in totale, al momento della raccolta, Kg. 6.
Per purificare la soluzione cloridrica intensamente colorata giuntaci dallo Stabili-
mento Erba, questa venne distillata a secco a pressione ridotta; il residuo, disciolto
in poca acqua, fu reso alcalino con carbonato sodico ed il liquido ottenuto fu distil-
lato col vapore sovrariscaldato, raccogliendo il distillato nell’ acido cloridrico diluito.
— ail —
Si distillò a secco, a pressione ridotta, il liquido raccolto ; il residuo venne estratto
ripetutamente con alcool per. eliminare i sali ammonici e ) estratto fu seccato a 100°
in stufa Gay-Lussac e pesato.
Si ottennero gr. 16 di cloridrati corrispondenti a 2,67 per mille di piante.
META cRESOLO. — Anche questa sostanza venne inoculata nel tabacco allo stato
del suo composto di calcio che fu preparato in modo analogo a quello accennato per
l’o-cresolo. i
Le inoculazioni vennero eseguite nei giorni 4, 13, 25 agosto, 2, 11, 23 settembre
e 2 ottobre 19138, in 5 piante, colla quantità totale di gr. 61 di sostanza. Le piante,
che furono prelevate il 7 ottobre, pesavano complessivamente Kg. 9,5. Da esse sì otten-
nero, operando nel modo indicato per l’o-cresolo, gr. 18,5 di cloridrati, corrispondenti
a 1,95 per mille parti di piante fresche,
PARA CRESOLO. — In conformità delle prove eseguite cogli isomeri orto e meta,
abbiamo adoperato anche il para cresolo allo stato del sale di calcio. Le inoculazioni
con questa sostanza vennero anch’esse eseguite nei giorni 4, 13, 25 agosto, 2, 11,
23 settembre e 2 ottobre 1913, in 5 piante, colla quantità complessiva di gr. 64.
Le piante prelevate il 7 ottobre avevano un peso totale di Kg. 9,5. Da esse col metodo
dianzi descritto, si ottennero gr. 29,5 di cloridrati, pari a 3,10 per mille di piante verdi.
ACIDO FENOSOLFONICO. —— Questo corpo venne somministrato al tabacco allo stato del
corrispondente sale potassico. Si prescelsero, per la prova, 5 piante alle quali venne
inoculata la sostanza, come per le esperienze precedenti, neì giorni 4, 13, 25 agosto,
2, 11, 23 settembre e 2 ottobre 1913 nella quantità complessiva di gr. 99. Ci fu
dunque possibile introdurre una quantità abbastanza elevata di sostanza perchè le piante
non soffrivano affatto per questo trattamento mentre le alte dosi di cresoli determina-
vano, negli individui sperimentati, qualche segno di sofferenza.
Le piante vennero prelevate il 7
raccolta, Kg. 8. Da esse si ottennero gr. 17,5 di cloridrati, corrispondenti a 2,19 per
mille di piante verdi.
ottobre e pesavano in totale, al momento della
TESTIMONI NON LESIONATI. — Si prescelsero, per questa prova di controllo, 5 piante
in condizioni di età, di sviluppo e di ambiente simili a quelle che ricevettero i singoli
trattamenti. Vennero anch’ esse raccolte il 7 ottobre e pesavano Kg. 9,4. La quantità
di cloridrati da esse fornita fu di gr. 17, equivalenti a 1,81 per mille di piante fresche.
TESTIMONI LESIONATI. — Questa seconda esperienza di controllo aveva lo scopo, come
già si disse, di poter osservare l’ azione delle sostanze introdotte nelle piante, indipen-
dentemente dalle variazioni causate dalla lesione nel fusto. Si impiegarono, a tal fine,
5 individui nei quali venne determinato, nel giorno 4 agosto, una lesione nel fusto
simile a quella che, nelle piante inoculate, serviva per l'introduzione della sostanza
da sperimentare.
Anche queste piante vennero prelevate il 7 ottobre ; il loro peso complessivo, al
momento della raccolta, era di Kg. 9,4 e fornirono gr. 21 di cloridrati, corrispondenti
al 2,23 per mille di piante verdi.
Serie VII. Tomo I. 1913-14. 45*
— 342 —
PIROCATECHINA. — Le inoculazioni con questa sostanza si eseguirono nei giorni
29 agosto, 11 settembre, 23 settembre e 1 ottobre in 5 piante e nella quantità com-
plessiva di gr. 12,5. Non se ne poterono somministrare quantità maggiori perchè questo
fenolo è mal tollerato dal tabacco. Le piante furono prelevate il 7 ottobre; pesavano
Ke. 5,3 e fornirono gr. 13,5 di cloridrati corrispondenti a 2,55 per mille di piante fresche.
IDROCHINONE. — L’idrochinone venne inoculato contemporaneamente alla pirocate-
china in 5 piante nei giorni 29 agosto, 11] e 23 settembre e 1 ottobre nella quantità
totale di gr. 27,5. I soggetti, prelevati il 7 ottobre, avevano un peso complessivo di
Kg. 6,3. Si ottennero da essi gr. 20 di cloridrati, corrispondenti a 8,18 per mille
parti delle piante impiegate.
TESTIMONI NON LESIONATI. — Poichè le esperienze con pirocatechina e idrochinone
erano state fatte in epoche diverse da quelle prima descritte coi cresoli e coll’acido
fenolsolfonico, abbiamo prescelto, per i due biossibenzoli, delle piante testimoni a parte,
che fossero in condizioni di vita analoghe a quelle delle piante sperimentate. Gli indi-
vidui prescelti a tal fine vennero anch’ essi prelevati il 7 ottobre e pesavano Kg. 8.
Fornirono gr. 6,5 di cloridrati, corrispondenti a 0, 81 per mille di piante.
TESTIMONI LESIONATI. -— Nelle 5 piante destinate a questo ufficio, abbiamo deter-
minato, nel giorno 29 agosto, la lesione nel fusto. I soggetti, prelevati il 7 ottobre,
pesavano in totale Kg. 6,1. La quantità di cloridrati ottenuta fu di gr. 17; vale a
dire che le piante ne fornirono il 2,78 per mille.
RIASSUNTO
Riuniamo, nel seguente prospetto i risultati delle esperienze che abbiamo finora
esposte :
2 Numero Peso Peso Peso Cloridrati
Trattamento delle della sostanza } i È A È
È « delle piante dei cloridrati per mille
piante inoculata
Oro eraolo: old eo 4 gr. 54,0 Kg. 6,0 gr. 16,0 2,67
Metatereso ore 5 » 61,0 DIMNIONO DIMESSO 1095
Para tereso] Meg, Ae 5 » 64,0 DINO » 29,5 3,10
Acido fenolsolfonico . . . . 5 » 99,0 >» 8,0 DABRIv/ho 2,19
Testimoni non lesionati . È 5 -- DIMORA DISIAO) 1.81
Testimoni lesionati. . . . . 5) | _ >» 94 » 21.0 2073
; c
Pirocatechina . H) > 12,9 DIM to » 13,9 2,99
Idrochinone 5 NIN2IO ». 171653 » 20,0 3,18
Testimoni non lesionati . 5 = DIRIS:O, Da N6:5 0,81
Testimoni lesionati. .. . . . #5 — DAGHI >» 17,0 2,78
— 343 —
Nell’ esecuzione di esperienze successive a quelle testè descritte, abbiamo potuto
accertare che col metodo da noi seguito per raccogliere la nicotina, cioè mediante la
distillazione in corrente di vapore, non tutto 1° alcaloide passa nel distillato, poichè
quando questo si dimostra neutro alle carte di tornasole, una certa quantità di nicotina
può ancora oltenersi dal residuo della distillazione, soprasaturandolo con potassa ed
estraendo con etere il liquido alcalino. Sebbene, avendo operato sempre in analoghe
condizioni, si debba presumere che le esperienze da noi eseguite siano, ciò malgrado.
comparabili, tuttavia ci asteniamo da qualsiasi considerazione sui risultati ottenuti, fino
a che essi non siano rigorosamente controllati da ulteriori esperienze.
IE
Contegno della nicotina nel tabacco.
Sono note le vecchie esperienze di O. Réveil, citate dal Dehérain (1) secondo le
quali, le piante alcaloidiche vengono avvelenate, facendo loro assorbire, per la via delle
radici, i sali degli alcaloidi che esse contengono.
Per vedere se questa osservazione potesse essere confermata, abbiamo somministrato
alle piante di tabacco, col solito sistema delle inoculazioni, la nicotina sotto forma di
tartarato acido.
Furono a tal fine prescelte 25 piante alle quali venne inoculato il sale dell’alca-
loide nei giorni 15 agosto, 26 agosto, 2, 12 e 23 settembre 1914. La quantità com-
plessiva di sostanza introdotta fu di gr. 2350 corrispondenti a circa gr. 85 di nicotina.
Per controllo dell’ esperienza, abbiamo determinato in altre 25 piante una lesione
nel fusto simile a quella che, nei soggetti inoculati, serviva per l’ introduzione della
sostanza.
Tutte le piante trattate colla nicotina si mantennero in ottimo stato. L'esperienza
provò dunque che il tartarato di nicotina non si dimostra affatto tossico per il tabacco.
Le dette piante furono tolte dal terreno il giorno 5 ottobre. Il loro peso comples-
sivo, al momento della raccolta. era di Kg. 54,1 e quello delle 25 piante testimoni
di Kg. 56,5. i
Per vedere se la nicotina introdotta si fosse accumulata nelle piante o fosse stata
distrutta analogamente a quanto osservammo per altre sostanze, abbiamo estratto gli
alcaloidi tanto delle piante inoculate come di quelle di controllo. A tal fine le piante
furono spedite alla Casa Erba, nel cui stabilimento di Dergano vennero preparati rispet-
tivamente gli estratti acquosi che, dopo concentrazione nel vuoto a piccolo volume,
furono inviati a noi per l’ elaborazione ulteriore.
I due estratti (delle piante inoculate e dei testimoni) vennero portati entrambi, con
acqua, al volume di 8 litri. Per dosare gli alcaloidi, venne prelevata, da ciascuno di
(1) Traite de chimie agricole, 1902, pag. 260.
— 344 —
essi, una parte aliquota (1 litro). Il liquido prelevato si trattò con un forte eccesso
di potassa (300 gr. sciolti in 200 c. c. di acqua) e si estrasse ripetutamente con etere
fino ad esaurimento delle basi organiche. In queste condizioni si ha l'estrazione com-
pleta dopo 5 o 6 trattamenti con etere. I liquidi eterei vennero concentrati a circa
metà del volume ; il liquido concentrato fu dibattuto con acido cloridrico diluito per
trasformare gli alcaloidi in cloridrati; la soluzione acida venne evaporata a secco nel
vuoto ed il residuo seccato a 100° in stufa di Gay-Lussac. La stessa operazione si
eseguì sull’ etere distillato allo scopo di trasformare in cloridrati anche le basi più
volatili eventualmente passate coll’ etere.
} dell’estratto totale)
r. 58,35 di cloridrati e cioè gr. 58 provenienti dalla soluzione eterea concentrata e
r. 0,35 dall’etere distillato. Le piante testimoni fornirono gr. 54,22 di cloridrati dei
quali gr. 54 ottenuti dalla soluzione eterea concentrata e gr. 0,22 dal distillato. La quan-
tità totale di cloridrati ottenuti perciò rispettivamente dalle 25 piante è di. gr. 466,8
per le inoculate e di gr. 433,76 per i testimoni.
Con questo procedimento si ottennero, dalle piante inoculate (
(O)
(©)
(0)
lo)
I cloridrati precedentemente ottenuti vennero disciolti in poca acqua; la soluzione
fu resa fortemente alcalina con potassa ed il liquido estratto ripetutamente con etere.
Dopo evaporazione dell’ etere a bagnomaria, il residuo venne distillato frazionatamente
e si raccolsero due porzioni bollenti, la prima fino a 110° contenente dell’ etere; la
seconda .a 240-255° costituita da nicotina. La quantità di nicotina ottenuta fu di gr. 36
per le piante inoculate e gr. 35,5 per i testimoni.
La parte più volatile fu trasformata in cloridrato che venne aggiunto ai cloridrati
precedentemente ottenuti dall’ etere distillato. Complessivamente (sempre per l’ottava
parte dell’ estratto totale) questi cloridrati pesavano gr. 0,42 per le piante inoculate
e gr. 0,26 per i testimoni. Essi vennero disciolti in acqua e trattati con cloruro d’oro.
Si ottenne un precipitato cristallino che ricristallizzato dall’ acido cloridrico diluito si
presentava in forma di aghi ramificati fondenti, con decomposizione, intorno ai 200°. Esso
era quindi costituito dal cloroaurato di nicotina trascinato dall’ etere nella distillazione.
Dalle acque madri contenenti il cloruro d° oro si ottennero, per concentrazione, delle
grandi tavole che nel vuoto sfiorivano e fondevano a 150°. Erano dunque formate dal
cloroaurato di isoamilamina la cui presenza fu già da noi riscontrata nelle piante di
tabacco.
RIASSUNTO
DO
Nel seguente specchietto riassumiamo le esperienze descritte in questa seconda parte
della Memoria :
Numero | Peso della | Nicotina Peso Peso dei | Nicotina | Nicotina
delle sostanza | corrispon- delle cloridrali | corrispon- | trovata
piante | inoculata dente piante ottenuti dente per mille
Piante inoculate . 25 gr. 250 gr. 87 Kg. 54,1; | gr. 466,80 | er. 322 5,95
Piante testimoni . 25 — - » 56,5 | » 433,76 » 299 5,29
— 345 —
Risulta dunque che le piante inoculate contenevano il 0,66 per mille di nicotina
in più delle piante testimoni. Tale quantità corrisponde, per i 54,1 Kg. di piante, ad
una quantità assoluta in più di gr. 35,7 in confronto degli 87 inoculati.
Se non sono quindi intervenute altre cause a determinare questo aumento, si può
concludere che la nicotina è stata dalle piante in parte distrutta, ma in misura minore
di quanto abbiamo osservato con altre sostanze.
TUNE
Sulla formazione dell’iscamilamina nel tabacco.
Per avere qualche indizio sull’ origine della nicotina, ci parve interessante ricercare
se l’isoamilamina, che noi abbiamo sempre ritrovata nelle piante di tabacco, preesi-
stesse nei semi o si formasse durante lo sviluppo delle piante. A tal fine abbiamo
eseguito una ricerca sui semi in quiete e germinanti e sulle piante a diversi stadi
di sviluppo.
EsPERIENZE SUI SEMI. — Abbiamo triturato con una macina 1 Kg. di semi di ta-
bacco. L’ operazione riesce peraltro difficilmente perchè la sostanza grassa contenuta
nei semi determina, ad un certo punto, limpastamento della massa, che impedisce
l'ulteriore polverizzazione. Per ovviare a questo inconveniente, abbiamo visto che è
sufficiente estrarre la poltiglia con etere e seccare il residuo nel vuoto. In tal modo
si ottiene una massa polverizzabile.
I semi così trattati vennero estratti a freddo con due litri di acido cloridrico al
2 per cento; poi per due volte con acqua. Glì estratti riuniti vennero evaporati a
secco nel vuoto ed il residuo, disciolto in poca acqua, venne reso fortemente alcalino
con potassa (300 gr. di potassa in 200 c. c. di acqua). Il liquido ottenuto fu estratto
ripetutamente con etere ; l’ etere evaporato a circa metà del volume ed il liquido con-
centrato, dibattuto con acido cloridrico diluito. La soluzione cloridrica, evaporata nel
vuoto, lasciò un residuo secco di gr. 0,162.
L’etere distillato venne esso pure dibattuto con acido cloridrico diluito, evaporato
il quale, si ottenne un piccolissimo residuo (gr. 0,042).
I due residui riuniti furono trattati con cloruro d’oro. Si ottenne un precipitato
giallo, che cristallizzato dall’ acido cloridrico diluito, si presentò in forma di aghi rami-
ficati, fondenti, con decomposizione, intorno a 200°,
L'analisi di questo sale diede i numeri richiesti dal cloroaurato di nicotina.
gr. 0,1006 di sostanza diedero gr. 0,0472 di Au.
to)
In 100 parti :
2
<
T_T - ZIE re er ae
Au 46,84 46,92
calcolato per C.H,,N3(HAUCI,) trovato
Le acque madri separate dal cloroaurato di nicotina non dettero, per concentrazione,
i caratteristici cristalli di isoamilamina. Ciò prova che questa base non si trova pre-
sente nei semi in vita latente.
Dopo l’ esperienza sui semi in quiete, la ricerca venne eseguita sui semi germi -
nanti. A tal fine si pose a germinare alla luce, in istrato sottile, su carta da filtro
bagnata con acqua distillata, 1 Kg. di semi. A germinazione avanzata le piantine ven-
nero prelevate e si preparò con esse, dopo averle passate attraverso ad un trituratore,
un estratto cloridrico. La soluzione cloridrica ‘venne evaporata nel vuoto e le basi fu-
rono poi estratte e di nuovo salificate nel modo precedentemente indicato per i semi.
Si ottennero complessivamente gr. 0,848 di cloridrati (gr. 0,727 nel liquido etereo
concentrato e gr. 0,121 nell’etere distillato).
I cloridrati, disciolti in acqua e riuniti diedero, con cloruro d’oro, un cloroaurato
che per la forma cristallina ed il punto di fusione (intorno a 200°) fu identificato per
cloroaurato di nicotina; dalle acque madri si ottenne, per concentrazione, una picco-
lissima quantità di cristalli tabulari che sfiorivano nel vuoto e fondevano, deacquificati,
a 130°. Data la poca quantità, non fu possibile 1° ulteriore purificazione; ma è pra-
babile che la sostanza in questione fosse il cloroaurato di isoamilamina il cui punto
di fusione è 150-151°.
Da questa prova risulta dunque che durante la germinazione, avvenuta in assenza
di composti azotati, la quantità di nicotina dei semi è aumentata, a spese quindi delle
riserve. Dalle riserve azotate dei semi prende anche origine 1’ isoamilamina, che non fu
trovata nei semi in quiete, mentre venne rintracciata la nicotina.
ESPERIENZE SULLE PIANTE IN VIA DI SVILUPPO. — Queste esperienze furono eseguite,
come si disse, sopra piante a differenti stadi di sviluppo.
Abbiamo cominciato collo sperimentare sulle piantine giovanissime appena prelevate
dai semenzai. Si operò sopra 2 Kg. di materiale ossia sopra 750 piantine. Queste
vennero triturate ed estratte con acido cloridrico dilnito. Operando nel modo descritto
per i semi si ottennero complessivamente gr. 1,254 di cloridrati (gr. 1,044 dalla so-
luzione eterea concentrata e gr. 0,210 dall’ etere distillato). Per trattamento della
soluzione dei cloridrati con cloruro d’oro, precipitò un cloroaurato giallo che fu ricono-
sciuto per cloroaurato di nicotina. Dalle acque madri non sì separarono, per concen-
trazione, quantità apprezzabili di cristalli,
Alla prova sulle piantine dei semenzai abbiamo fatto seguire una analoga ricerca
sopra giovani piante di tabacco maggiormente sviluppate, prelevate nel mese di giugno,
da una nostra coltivazione nell’ orto agrario deli’ Università. La quantità di piante
impiegate fu ancora di 2 Kg. costituiti da 20 piantine. Da esse si ottennero comples-
sivamente gr. 2,90 di cloridrati (rispettivamente gr. 2,857 nella parte meno volatile.
e gr. 0,043 nell’etere distillato). La quasi totalità di questi cloridrati era costituita dal
sale di nicotina, riconosciuto per mezzo della trasformazione in cloroaurato. Dalle acque
madri da cuì si separò il cloroaurato di nicotina, si ebbe una piccolissima quantità di
cristalli prismatici fondenti, con decomposizione, a 218-220°. In causa della quantità
esigua non poterono essere identificati.
LES. ee
Un’ ultima esperienza venne eseguita sopra piante maggiormente sviluppate delle pre-
cedenti. Poichè il fusto delle piante di queste prove era già lignificato, si prelevarono
soltanto le foglie, nella quantità di 2 Kg. (foglie di 5 piante). Da esse si ottennero
DMS cloridrati (gr. 3,29 nella parte meno volatile e gr. 0,040 nella parte più
volatile). La soluzione acquosa diede, per trattamento con cloruro d’ oro, il cloroaurato
di nicotina e dalle acque madri in cui era avvenuta la precipitazione si ottenne, per
conceutrazione, una certa quantità di cristalli tabulari che nel vuoto sfiorivano e fon-
devano, deacquificati, a 140°. Ricristallizzati dall’acido cloridrico diluito, il punto di
fusione si innalzò a 147°. Per la piccola quantità non fu possibile una ulteriore puri-
ficazione, ma ci risultò che, con ogni probabilità i cristalli, sia per la forma, sia
per il punto di fusione, erano costituiti da cloroaurato di isoamilamina, che fonde
a 150-151°.
RIASSUNTO
Nel seguente specchietto riassumiamo i dati relativi ai risultati ottenuti in questa
terza parte della Memoria :
Peso, Numero| Peso
del materiale delle dei Nicotina Isoamilamina
impiegato piante |cloridrati
Semi in quiete . . SAR I, 1 Kg = gr. 0,204 | presente | Non osservata
Semi germinanti. . ... . . . .|dal Kg.disemi = » 0,848 » Presenza probabile
Piantine dei semenzai. . 0/0... 2 Kg. 750 » 1,204 » Non osservata
Piante dal terreno (primo prelievo) . 2 Kg. 20 » 2,900 » Non osservata
Piante dal terreno (secondo prelievo). DIS, 5 »i 191920 » Presenza probabile
È risultato dunque che |’ isoamilamina o non è presente nei semi in quiete o si
trova in quantità tanto piccola che non potè essere osservata. Nei semi germinanti in
ambiente privo di composti azotati, tale base fu constatata non con assoluta certezza,
ma con molta probabilità, mentre la quantità di nicotina appariva aumentata.
Analogamente avviene nelle piante in via di sviluppo. Nelle piante più giovani,
l’isoamilamina non fu ritrovata; in quelle più sviluppate, mentre aumenta la nicotina
si può osservare la presenza di isoamilamina,
Da queste esperienze non è però possibile dedurre in modo certo se fra nicotina
e isoamilamina vi sia una relazione genetica o se le due basi si formino indipenden-
temente una dail’ altra.
— 348 —
TIVES
Ricerca delle basi pirroliche nel tabacco.
Abbiamo avuto, altra volta, occasione di osservare che, nelle nostre ricerche sul
tabacco e su altre piante (1), non potemmo mai rintracciare le basi pirroliche (pirro-
lidina ed N-metilpirrolina) trovate, nelle stesse piante, da Pictet e Court (2). Poichè
avevamo a nostra disposizione una certa quantità di cloridrati degli alcaloidi estratti
dal tabacco nelle lavorazioni degli anni precedenti, abbiamo voluto ripetere su di essi,
la ‘ricerca delle basi pirroliche, nella presunzione che, data la notevole. quantità di
materiale, si potessero questa volta rintracciare.
Abbiamo, a tal fine, operato sopra 730 gr. di cloridrati. Questi vennero sciolti
nella minor quantità possibile di acqua e resi alcalini con un forte eccesso di potassa
(gr. 1800 di potassa in 1200 c.c. di acqua). Il liquido, alla cui superficie si era
separato uno strato oleoso di alcaloidi, venne estratto ripetutamente con etere; 1’ etere
venne distillato a bagnomaria e le basì residue furono frazionate a pressione ordinaria.
Si ottenne una prima frazione fra 65 e 110° contenente un poco di etere ed una se-
conda porzione bollente intorno ai 245°, nella quantità di gr. 390, costituita da nicotina.
La prima frazione venne distillata ancora per due volte allo scopo di lasciare in-
dietro il poco di nicotina che era passata colla parte più volatile; il distillato fu
quindi soprasaturato con acido cloridrico, la soluzione ottenuta evaporata a secco e il
residuo seccato a 100° in stufa di Gay-Lussac. Il suo peso era di gr. 5,4.
I cloridrati, disciolti in poca acqua, vennero trattati con cloruro d’oro. Si ottenne
un precipitato abbondante che. cristallizzato dall’ acido cloridrico, si presentò in forma
di grandi lamine commiste con una piccola quantità di cristallini minuti, colorati in giallo
pallido. Mediante opportuni trattamenti con acqua tiepida, si separarono le lamine che
erano molto solubili, dai piccoli cristalli pressochè insolubili. Questi ultimi erano in
quantità così esigua che non si potè tentare in alcun modo di identificarli. La loro
formazione ci apparve però causata da impurezze accidentali.
Le lamine, cristallizzate dall’ acqua, sfiorivano nel vuoto e fondevano, deacquificate,
a 151°. L’analisi dimostrò trattarsi del cloroaurato di isoamilamina.
gr. 0,1032 di sostanza diedero gr. 0,0475 di Au.
In 100 parti:
; calcolato per C,H.,N-HAuCI, . trovato
46,18 46,03
(1) Queste Memorie, serie VI, tomo X, pag. 147 (1912-13).
(2) Archives des sciences physiques et naturelles, XIX, 329 (1905).
— 349 —
Poichè una parte delle basi più volatili poteva essere stata trascinata dall’ etere
distillato dopo Vestrazione delle basi, abbiamo dibattuto questo etere con acido clori-
drico e la soluzione cloridrica venne evaporata a secco nel vuoto. Il residuo, seccato
fino a peso costante, in stufa di Gay-Lussac, pesava gr. 7,5. I cloridrati vennero trat-
tati con cloruro d’oro ed il precipitato ottenuto, cristallizzato dall’ acido cloridrico
diluito, fornì un miscuglio costituito da cristalli di tre differenti forme e cioè da
grandi lamine, da aghi ramificati e da cristalli a spina di pesce.
Mediante opportuni trattamenti sì poterono separare meccanicamente le lamine che,
cristallizzate dall’acido cloridrico diluito sfiorivano nel vuoto e fondevano a 150°.
Erano dunque costituite dal cloraurato di isoamilamina.
I cristalli delle altre due forme furono separati per trattamento con acqua tiepida
la quale scioglieva le spine di pesce, lasciando pressochè inalterati gli aghi. Questi
ultimi, cristallizzati dall’ acido cloridrico diluito, fondevano intorno ai 200°; la forma
cristallina era identica a quella del cloroaurato di nicotina e l’analisi ne confermò la
composizione.
gr. 0,1029 di sostanza diedero gr. 0,0484 di Au.
Ingio0npartit:
calcolato per CH, ,Ns(HAUCI,), trovato
> —_>—
46,84 i 46,91
I cristalli a spine di pesce si ottennero per concentrazione delle acque madri del
precedente trattamento. Cristallizzati dall’ acido cloridrico diluito fondevano a 225° e
stropicciati energicamente svolgevano |’ odore caratteristico della trimetilamina. L’ana-
lisi però non diede il risultato richiesto dal suo cloroaurato.
gr. 0,1007 di sostanza diedero gr. 0,0487 di Awu.
INEo0l paris
calcolato per C,H,N- HAUCI, trovato
49,42 48,33
Il cloroaurato di trimetilamina fonde, secondo Zay (1) a 220°. Noi abbiamo invece
trovato altra volta (2) che il punto di fusione di questo sale è più alto, cioè intorno
al 250°.
Forse il cloroaurato da noi ottenuto era quello di trimetilamina, ma per la sua pic-
cola quantità non si potè ulteriormente purificarlo, nè stabilirne con certezza l° identità.
Dalle esperienze ora descritte risulta dunque che, pure operando sopra una notevole
quantità di alcaloidi estratti dal tabacco, non ci fu possibile osservare la presenza
delle basi pirroliche trovate da Pictet.
(1) Gazzetta chimica, XIII, 420 (1883).
(2) Queste Memorie, serie VI, tomo X, pag. 151 (1912-13).
900
Contegno dell'acido gallico nel mais.
Fino dall’ inizio delle nostre esperienze sul contegno delle sostanze organiche nelle
piante, avevamo potuto stabilire che introducendo nei vegetali certi composti aromatici,
questi sì univano al glucosio ‘per dare i corrispondenti glucosidi.
In prosecuzione di tali esperienze e dopo le recenti importanti ricerche di E. Fi-
scher (1) sul tannino, abbiamo voluto provare se, inoculando nel mais l’acido gallico,
potessero prodursi, nei soggetti, sostanze simili al tannino.
Vennero a tal fine prescelte 28 piante di mais coltivate nell’ orto agrario dell’ Uni-
versità. Le inoculazioni furono dapprima eseguite coll’acido gallico libero. Poichè peraltro
tale sostanza, per la sua piccola sclubilità, veniva difficilmente assorbita, 1 abbiamo
somministrata in seguito, allo stato del sale potassico ottenuto trattando, in soluzione
alcoolica, due molecole di acido gallico con una molecola di potassa.
Le inoculazioni vennero eseguite nei giorni 22 giugno, 2, 10 e 16 luglio colla
quantità complessiva di gr. 83 di acido gallico libero e gr. 68 di gallato potassico.
Le piante, prelevate il 28 luglio, pesavano Kg. 18 ed avevano sopportato le inocu-
lazioni senza punto soffrire.
Altre 28 piante, prelevate nello stesso giorno, ma che non subirono alcun tratta-
mento, avevano l’ ufficio di testimoni.
‘Tutto il materiale fu inviato allo stabilimento Erba, dove venne fatto un estratto
acquoso tanto delle piante inoculate, come di quelle di controllo. I due estratti, concen-
trati a piccolo volume, furono poi presi in lavorazione da noi.
Una parte aliquota (un ottavo) del liquido acquoso, venne ripetutamente estratto
con etere. Evaporato l’ etere, si ottenne un piccolo residuo ceroso che fu trattato con
acqua calda. Sul liquido raffreddato e filtrato si eseguì la reazione col sale ferroso-
ferrico per vedere se fosse presente acido gallico inalterato. Si ebbe una colorazione
verde sporco non molto intensa. Analoga reazione, sebbene più debole, diede l’ estratto
dei testimoni.
L’acido gallico, dunque, non si trovava o era presente in traccie minime, nell’ e-
stratto del mais inoculato.
Per vedere se la sostanza introdotta nelle piante si fosse trasformata in un glu-
coside, abbiamo aggiunto un poco di emulsina, al liquido acquoso residuo dell’ estra-
zione eterea. Dopo 24 ore di riposo si estrasse ancora con etere. La reazione del sale
ferroso-ferrico eseguita sull’ estratto etereo -dopo evaporazione del solvente, dimostrò
però che l’ enzima non aveva liberato alcuna traccia di acido gallico.
Abbiamo infine ricercato se, dall’ acido gallico inoculato nelle piante, avesse preso
origine qualche composto della natura dei tannini.
(1) Berichte, XLV, 915 (1912); XLV, 2709 (1912); XLVI, 1116 (1913).
LI e
A tale scopo abbiamo voluto sperimentare il metodo di Jean (1) per dosare il
tannino accanto all’ acido gallico, basato sulla titolazione con iodio, prima e dopo aver
aggiunto al liquido da saggiare, dell’ albumina per separare il tannino.
Risultò però che l’albumina non diede coi nostri estratti alcun precipitato e che
la quantità di iodio richiesta dalle piante inoculate e da quelle di controllo era pres-
sochè uguale e precisamente nel rapporto di 100 (per i testimoni) a 107 (per le
inoculate).
Queste esperienze provano dunque che l’acido gallico era pressochè scomparso dalle
piante inoculate e che questo corpo, non diede origine a composti di natura glucosi-
dica, nè a sostanze simili al tannino.
VI.
Contegno del mais e del sorgo coll’acetone.
Le esperienze di inoculazione delle piante coll’ acetone avevano anch’ esse lo scopo,
come quelle testè descritte per l’ acido gallico, di vedere se da questo chetone pren-
dessero origine, nella pianta, dei glucosidi simili a quelli che si trovano in natura.
Le prime esperienze vennero eseguite sopra tre piante di mais alle quali fu ino-
culato l’ acetone, allo stato del suo composto bisolfitico, nella quantità di gr. 1,5 per
pianta. I soggetti non sopportarono il trattamento, così che morirono tutti in breve
tempo.
Noi supponemma che l’azione tossica, più che dall’ acetone, fosse determinata dal-
l'acido solforoso ; perciò, seguendo le indicazioni di Bokorny (2) abbiamo mescolato il
composto bisolfitico dell’ acetone con circa ugual peso di fosfato bipotassico. Con questo
miscuglio si inocularono 5 piante di mais, il giorno 25 giugno, introducendo in cia-
scuna pianta gr. 2 di sostanza, corrispondenti ha un grammo di composto bisolfitico
dell’ acetone. Le piante non soffrirono affatto per questo trattamento, tanto che il 3 luglio
si potè fare una seconda inoculazione, colla stessa quantità di sostanza. I cinque indi-
vidui ricevettero dunque, complessivamente, 10 gr. di composto bisolfitico.
Come controllo dell’ esperienza abbiamo prescelto altre 5 piante di mais, nelle quali
venne determinata la lesione nel fusto il giorno 25 giugno, ma senza introdurvi al-
cuna sostanza.
Le piante vennero prelevate il 6 luglio. Tanto quelle inoculate, come le testimoni
pesavano, complessivamente, Kg. 3. Si presero in lavorazione soltanto le foglie, che
vennero tagliate nell’ acqua bollente allo scopo di evitare una eventuale scomposizione
dei glucosidi per azione enzimatica. Le foglie vennero quindi passate per un trituratore
ed estratte coll’ acqua che era prima servita per distruggere gli enzimi. L’estratto
acquoso venne quindi concentrato nel vuoto a piccolo volume.
(1) Chemisches Centralblatt, 1900, 1107.
(2) Biedermanns Centralblatt fin Agrikulturchemie, 1893, 68.
Serie VII. Tomo I. 1913-1914. 46
— 352 —
Per vedere se nelle foglie delle piante inoculate si trovasse del composto bisolfitico
dell’ acetone, inalterato, abbiamo trattato il liquido concentrato con carbonato sodico e
distillato in corrente di vapore. Il liquido distillato dava debolmente le reazioni del-
l’acetone (formazione del iodoformio, colorazione col nitroprussiato sodico) le quali
erano date poi costantemente e con uguale intensità anche proseguendo la distillazione
per intere giornate.
Poichè anche le piante testimoni avevano un simile contegno, pensammo che le
piccole quantità di acetone che distillavano, provenissero, anzichè dal composto bisol-
fitico, da qualche altro principio normalmente contenuto nei vegetali e precisamente
dalle sostanze zuccherine. Una tale supposizione si dimostrò esatta poichè distillando
in corrente di vapore una soluzione diluita di glucosio resa alcalina con carbonato
sodico, si ottennero, nel liquido distillato, delle quantità ben apprezzabili di acetone.
Per ricercare se l’ acetone si fosse combinato per dare origine a composti gluco-
sidici, abbiamo trattato il residuo della distillazione, dopo acidificazione con acido
tartarico, con un poco di emulsina ed abbiamo distillato di nuovo in corrente di va-
pore. Il liquido distillato non diede però la reazione dell’ acetone.
Questa operazione venne eseguita un’altra volta sul mais, tralasciando però il trat-
tamento. dell’ estratto con carbonato sodico e così pure sul sorgo. Furono, a tal fine,
eseguite in 5 piante di mais e di sorgo nei giorni 11 e 16 luglio, le inoculazioni
col miscuglio di acetone bisolfito e fosfato potassico, nella quantità di 2 gr. per volta
e per pianta. Si eseguirono, come precedentemente gli estratti con acqua all’ ebollizione
e nei liquidi concentrati nel vuoto venne aggiunto un poco di emulsina. Per distilla-
zione in corrente di vapore non si ottennero nè dall’ estratto del mais, nè da quello
del sorgo, quantità apprezzabili di acetone.
Da queste esperienze è dunque risultato che 1’ acetone, inoculato nelle piante, non
dà origine a composti glucosidici scindibili dall’ emulsina, ma viene dalle piante eli-
minato, verosimilmente per un processo di ossidazione.
Esprimiamo infine i nostri vivi ringraziamenti al dott. Gaetano Bosinelli, per
l’efficacissima sua cooperazione in queste esperienze.
LA REGOLA DELLA SINMETRIA IN GROMETRIA PRATICA
INFO
DEL
Prof. FRANCESCO CAVANI
(letta nella Sessione del 17 Maggio 1914).
Nell’ uso degli istrumenti e nella applicazione dei diversi metodi di rilevamento plani-
metrico ed altimetrico del terreno, come pure in altre diverse e svariate operazioni di Geo-
metria pratica, vi sono regole speciali che si debbono seguire, allo scopo di ottenere nei
risultati che si cercano il grado maggiore possibile di approssimazione al vero.
Molte di queste regole, per non dire quasi tutte, si possono unificare facendole dipen-
dere da quella della simmetria, ossia estendendo il principio ed il metodo delle osservazioni
coniugate a tutte od a quasi tutte le operazioni di Geometria pratica.
Si debbono, in tesi generale, determinare le posizioni di punti, di rette e di piani e sì
può stabilire di ricorrere ad altri punti, rette e piani, che simmetrici fra loro rispetto ai
primi, servano convenientemente alla determinazione di questi.
Colla regola della simmetria applicata in diversi modi, a seconda dei casi, si potrà
determinare l’esistenza e l’entità di certi errori regolari; si potrà eliminarli per semisomme
se di segno contrario, per differenze se dello stesso segno.
. Procedendo in tale maniera è facile spiegare e dare ragione delle regole da seguire nei
singoli lavori; è facile stabilire quale sia il modo migliore con cui procedere nei lavori stessi.
A dimostrare l’applicabilità di questo semplice principio ed i vantaggi che ne derivano, ba-
sterà considerare sommariamente alcune fra le principali e più svariate regole ed operazioni
della Geometria pratica e vedere come la regola della simmetria sia ad esse applicabile.
Lasciando a parte certe regole generali, come ad esempio quella della media aritmetica,
sia semplice che ponderale, d’uso continuo in Geometria pratica, e che proviene essa stessa
da una regola di simmetria, si può incominciare dal considerare alcune operazioni semplici
elementari, come la stima delle frazioni delle scale graduate, l’ orizzontamento di rette e
di piani e la misurazione delle distanze.
Nell'uso degli apparecchi che servono a stimare le frazioni delle divisioni delle
scale graduate, sia rettilinee che circolari, e più specialmente nell’uso dei nonii e dei mi-
croscopi a più fili fissi, o microscopi a stima, si applicano norme, per ottenere letture più
approssimate al vero, che dipendono dalla regola della simmetria.
AIA —
Così coi nonii per stabilire quali siano le due divisioni della scala graduata e del
nonio che coincidono, sì debbono osservare le divisioni laterali a quella del nonio per ve-
rificare se a destra e sinistra di essa tali divisioni sono spostate di eguali quantità dalle corri-
spondenti della scala graduata; e questa è una regola di simmetria che si deve applicare.
Nell'uso dei microscopi a stima si fanno le letture di più fili di numero impari per
avere con maggiore approssimazione la lettura di quello di mezzo che interessa di deter-
minare. Si applica una regola di simmetria dalla quale si deduce che i fili laterali a destra
e sinistra debbono essere equidistanti da quello di mezzo.
Nell’uso delle livellette a bolla d’aria cilindriche l’orizzontalità della retta di appoggio
si può ottenere muovendo questa sino a che la bolla si porti nella posizione di mezzo fra le
due ottenute coll’invertire la livelletta su tale retta Così si procede per regola di simmetria e
non importerebbe munire le livellette di viti di rettificazione; basterebbe, come alle volte si
usa, incidere una scala continua di divisioni graduate sul tubo scoperto della livelletta stessa.
Considerazioni consimili si possono fare per le livellette sferiche.
Nella misurazione delle distanze colla stadia si prescrive di fare la lettura così detta
mediana per servire di riprova alle altre letture dei fili, ai quali corrisponde un dato rap-
porto diastimometrico.
Qui .pure si applica la regola della simmetria e da tale applicazione si deduce subito
che la riprova è giusta solo quando la linea di collimazione del cannocchiale sia perpen-
dicolare alla stadia e i fili del micrometro misuratori delle distanze siano equidistanti da
quello della mediana.
In alcune pubblicazioni non si è tenuto conto di queste due condizioni e specialmente
della prima cadendo in un errore, poichè a stadia verticale, come si usa tenerla comune-
mente, se la linea di collimazione è inclinata in alto la lettura mediana deve essere mi-
nore della semisomma delle altre due letture e deve essere maggiore invece se è inclinata
in basso al disotto dell’ orizzonte.
Lo stesso dicasi per quegli istrumenti coi quali la determinazione delle distanze colla
stadia si fa con un numero maggiore di letture, verificando queste colla eguaglianza di
differenze fra le letture stesse; differenze che debbono essere eguali fra loro solo quando
la regola della simmetria sia esattamente verificata.
Passando a considerare le operazioni di rilevamento planimetrico si può facilmente
vedere come }a regola della simmetria abbia molteplici ed importanti applicazioni.
Se si procede nel rilevamento del terreno colla sola misurazione di lunghezze, sì sa
come si possano condurre allineamenti fra di loro paralleli, oppure perpendicolari, appli-
cando regole di simmetria.
Se si procede in tale rilevamento con istrumenti ad angolo costante, come cogli squadri
agrimensori si possono eliminare diversi errori strumentali colla regola della simmetria.
Così si potrebbero eliminare gli errori di parallasse nei piani di mira di tali istrumenti
quando fossero sensibili, facendo due collimazioni invertite fra loro di 180 gradi; si potreb-
bero eliminare gli ecrori di .-perpendicolarità nel tracciamento di allineamenti ad angolo
retto fra loro, adoperando l’istrumento in due posizioni simmetriche sull’allineamento di
base. Con tale regola si adoperavano gli antichi istrumenti detti falsi squadri.
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Nell'uso degli istrumenti a riflessione e rifrazione, allineatori e squadri, conviene ap-
plicare la regola della simmetria allo scopo, se non altro, di verificare |’ operazione fatta
con una sola posizione dell’istrumento nei rilevamenti comuni di planimetria. Così conviene,
tracciando un allineamento perpendicolare ad un altro, servirsi prima, ad esempio, della parte
di destra di questo allineamento di base, poi della parte di sinistra dell’allineamento stesso.
Ne consegue che i diversi tipi di istrumenti di tale specie debbono adoperarsi nei ri-
levamenti applicando la regola della simmetria, e che le armature metalliche nelle quali in
generale sono racchiusi, vanno sempre costruite in modo da poter applicare questa regola.
Per un principio di simmetria il Casorati dimostrò come il prisma Porro serviva
da allineatore e lo stesso ora può dirsi del prisma Iadanza. Colla regola della sim-
metria si verifica la perpendicolarità di uno specchio al suo piano di appoggio.
Nell'uso degli istrumenti misuratori o rilevatori degli angoli, goniometri e goniografi,
vi. sono molteplici ed importanti applicazioni delle regole di simmetria.
Nella verificazione e rettificazione delle principali condizioni di esattezza a cui questi
istrumenti debbono soddisfare e che riguardano i loro assi principali, di rotazione del circolo
orizzontale, di rotazione del cannocchiale e di collimazione del cannocchiale stesso, oppure
nella eliminazione o nella determinazione dei relativi errori strumentali, si ricorre a regole
di simmetria.
Qui torna opportuno far presente come convenga nell’uso degli istrumenti di qualunque
specie della Geometria pratica, distinguere razionalmente quelle operazioni che si debbono
fare tutte le volte che si mette a sito un dato istrumento e che si suole chiamarle ope-
‘razioni di collocamento in istazione sopra un punto, da quelle di verificazione e rettificazione
che necessita in generale di ripetere solo di tanto in tanto. Così nell’ uso degli istrumenti
goniometrici sarà operazione di collocamento in istazione quella di rendere verticale l’asse
del circolo orizzontale, che si deve fare tutte le volte che si inizia un lavoro, 0 che da
una stazione si passa ad un’altra, saranno operazioni di verificazione e rettificazione le
altre che conviene ripetere solo ad intervalli diversi di tempo a seconda dei casi.
Collocato un goniometro in istazione sopra un punto la perpendicolarità della linea di
collimazione all’asse di rotazione del cannocchiale si verifica comunemente con due posi-
zioni della linea di collimazione simmetriche rispetto ad una perpendicolare al detto asse
di rotazione.
In riguardo a tale verificazione si debbono poi distinguere due casi, quello cioè in cui
l’asse di rotazione del cannocchiale sia orizzontale, dall’altro in cui non si sappia se tale
asse sia o no orizzontale, poichè altrimenti colla regola dell’inversione in posizioni simme-
triche, sì confonde questo secondo errore col primo.
Se l’asse di rotazione non è orizzontale, perchè la regola della simmetria ci manifesti
il solo errore di collimazione bisogna che la linea di collimazione del cannocchiale sia di-
retta orizzontalmente; se l’asse di rotazione è orizzontale l’errore si manifesta per sim-
metria con qualunque direzione della linea di collimazione.
Il primo caso si verifica coi goniometri a livella fissa sul piatto dell’alidada od in
altra parte dell’istrumento, il secondo coi goniometri a livella mobile sull’asse di rota-
zione del cannocchiale.
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Nel primo caso rimane a verificare, ed all’uopo a rettificare, l’orizzontalità dell’ asse di
rotazione del cannocchiale e si può procedere colla regola delle due posizioni simmetriche
come nella prima verifica, ma tenendo la linea di collimazione molto inclinata all’ orizzonte.
Nel secondo caso l° orizzontalità dell’asse di rotazione del cannocchiale si verifica per sim-
metria con la livelletta mobile sull’asse stesso e facendo precedere questa verifica all’altra
riguardante l’errore di collimazione.
Per operare nei modi su indicati è evidente come necessiti far uso di goniometri a
cannocchiale invertibile che sono sempre da preferirsi e che attualmente sono d’uso quasi
esclusivo. È pure evidente come il semplice concetto della simmetria valga a spiegare |
procedimenti sopra accennati e come da esso si deduca che l’asse del circolo orizzontale
debba essere disposto verticalmente quando si eseguiscono le dette verificazioni, all'infuori
di quella dell’ultimo caso nel quale l’asse stesso sì può rendere verticale dopo aver reso
orizzontale quello di rotazione del cannocchiale, non importando neppure di avere un go-
niometro a cannocchiale invertibile.
Ì procedimenti sopra esposti sono consimili a quelli della regola del Bessel] o delle
osservazioni coniugate, per la eliminazione degli errori strumentali nella misurazione degli
angoli che, come si è già detto, sono fondati sulla regola della simmetria di cui conviene
estendere |’ applicazione.
Una tale regola ha pure applicazione nel determinare od eliminare l’errore d’ eccen-
tricità dell’alidada rispetto al lembo nelle misurazioni degli angoli colle letture dei doppii
nonii; ed ha ancora applicazione nelle misurazioni degli angoli verticali e nella determina-
zione del cosidetto zenit strumentale.
Le considerazioni svolte servono anche per l’uso dei teodoliti, delle bussole topografiche
e di tutti gli altri istrumenti che hanno un cannocchiale che gira attorno ad un asse oriz-
zontale, come gli strumenti di celerimensura e le diottre delle tavolette pretoriane.
Nell’orientamento dei rilevamenti planimetrici, coi vari metodi che si possono usare
in Geometria pratica, la regola della simmetria trova spesso applicazione.
Così se si usa il metodo delle altezze corrispondenti del sole, o quello dell’alzata e del
tramonto del sole stesso, metodi semplici e proprii specialmente dell’uso della tavoletta
pretoriana, è la regola della simmetria che serve al tracciamento della linea meridiana. Tale
regola può in certi casi avere applicazione anche nell’uso di metodi di maggiore precisione.
Le operazioni di livellazione si possono dire quelle nelle quali la regola della simmetria
ha la maggiore importanza e la più estesa applicazione.
Gli errori istrumentali ed in generale quelli pure inerenti alle operazioni di livella-
zione si eliminano per simmetria. Così si elimina la differenza fra |’ orizzonte apparente e
l'orizzonte vero, detta anche differenza fra livello vero e livello apparente; così si può ri-
tenere di eliminare l’ errore proveniente dalla rifrazione atmosferica.
Sono i procedimenti di livellazione dal mezzo o a distanze eguali, in ispecial modo, e
della livellazione reciproca, quelli che servono ad eliminare i detti errori per regola di sim-
metria. Il concetto di questa regola fa subito vedere come sia necessario che l’ asse della
rotazione azimutale del cannocchiale del livello debba essere esattamente verticale, poichè
— 357 —
altrimenti manca la simmetria e quindi non si ha l'eguaglianza degli errori nelle due collima-
zioni che si fanno con tali procedimenti per determinare la differenza di livello fra due punti.
Altri errori strumentali si eliminano pure per simmetria coi detti procedimenti; e così
si eliminano quelli dovuti alla differenza dei diametri dei collari nei livelli a cannocchiale
mobile; quelli dovuti allo scentramento dell’ obbiettivo e gli altri causati dallo spostamento
della linea di collimazione per l’addattamento del cannocchiale alla distanza.
Coi detti procedimenti e colla detta regola si rettificano i livelli a cannocchiale fisso.
Anche in altri modi si può applicare coi livelli la regola della simmetria e così, ad
esempio per eliminare l’errore proveniente dallo scentramento dell’obbiettivo si possono
fare due battute una col cannocchiale in posizione normale e l’altra col cannocchiale stesso
ruotato di 180 gradi attorno all’asse dei suoi collari.
Nella misurazione delle aree, quando si adoperano i planimetri polari comuni, con-
viene fare uso di quelli così detti a compensazione, i quali alla semplicità della costruzione
e dell’uso uniscono il vantaggio di eliminare errori, dando una maggiore approssimazione
nei loro risultati. La loro costruzione ed il loro uso permettono di applicare la regola della
simmetria, poichè tenendo fermo il polo e fissato il punto di partenza sul contorno del-
l’area da misurare, si può procedere ad una doppia misurazione con due posizioni del pla-
nimetro invertite fra loro e simmetriche rispetto alla retta che unisce il polo al detto
vunto di partenza. Molti errori istrumentali si eliminano così per la regola di simmetria.
Da tutto l’ esposto resta dimostrato come molte fra le regole da seguire per eliminare
. errori e per ottenere una maggiore approssimazione al vero, nell’uso degli istrumenti e
dei metodi di rilevamento della Geometria pratica, sì possono unificare facendole dipendere
da una semplice regola di simmetria.
Non era e non poteva essere scopo di questa nota lo svolgere questo concetto. Con-
viene fare uno studio speciale per stabilire in ogni singolo caso le relazioni di simmetria
fra punti, rette e piani, dalle quali dedurre i procedimenti da seguire cogli istrumenti e
nei rilevamenti della Geometria pratica.
Il concetto della simmetria tenuto sempre presente servirà a semplificare lo studio di
molte questioni; a dimostrare più chiaramente e più semplicemente diversi procedimenti;
a decidere della preferenza da darsi ad uno strumento piuttostochè ad un altro.
Tale concetto servirà pure a dare regole per la costruzione di certi istrumenti affinchè
servano con maggiore vantaggio nelle operazioni che con essi debbonsi eseguire; di regola
generale gli istrumenti della Geometria pratica dovrebbero sempre essere costruiti in modo
da poter applicare nel loro uso la regola della simmetria; i metodi di rilevamento dovreb-
bero in generale essere condotti in modo da non trascurare, almeno nelle loro parti prin-
cipali, l'applicazione della regola stessa tutte le volte in cui essa possa servire.
IGO
7
cd
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i
Contributo allo studio delle funzioni dei cationi .Na, A e Ga
nel tessuto muscolare striato
MEMORIA
DEL
Prof. LODOVICO BECECARI
(Letta nella Sessione del 26 Aprile 1914).
(CON 34 FIGURE)
Un indirizzo essenzialmente fisiologico venne impresso alle già diffuse e pregevoli ricerche
intorno all’azione dei costituenti minerali sull’organismo, quando il Ringer dimostrò per
primo quale importante funzione spettasse al calcio nel mantenimento dell’ eccitabilità auto-
matica del cuore di rana. Da allora più precisamente, si può dire, data il problema della
funzione di tali componenti costanti dei tessuti viventi e dei mezzi in cui questi vivono.
Lo stesso Ringer(1) estese lo studio delle funzioni dei costituenti minerali al tessuto
muscolare. Tuttavia da prima i suoi risultati non furono così evidenti e spiccati come quelli
ottenuti sul cuore; così, col metodo dell’immersione, sul muscolo sartorio della rana non
potè riconoscere l’azione del calcio così caratteristica sulla eccitabilità del cuore, nè preci-
sare bene quella del potassio (2). Ma poi, poco dopo, col Buxton, (8) riuscì a dimostrare
nelle tartarughe che, iniettando una soluzione di Na C/ contenente il calcio e il potassio
nei dovuti rapporti, pei vasi del parenchima muscolare, si poteva ristabilire la contrattilità
dei muscoli scheletrici quando questa era scomparsa per l’azione della pura soluzione
fisiologica.
Carslow (4) nell’ Istituto di Lipsia aveva già fino dal 1887 studiata l’azione delle
soluzioni di Na Cl di diversa concentrazione fatte circolare nei vasi stessi dei muscoli di
rana; ed aveva notato che le soluzioni a 0,7, cioè pressoche isotoniche, non riescono del
tutto indifferenti ma producono dopo un certo tempo contrazioni fibrillari e tremori, ed
una spiccata diminuzione della eccitabilità.
(1) Cfr. Journ. of Phys. VII, p. 291, 1886; ibid. VIII, p. 15, 1887.
(2) Journ. of Phys. VIII, p. 20, 1887.
(3) Ringer e Buxton. Jourr. of Phys. VIII, p. 288, 1887.
(4) Die Beziehungen zwischen d. Dichtigkeit und die reizenden Wirkungen der Na C/- Losungen.
Arch. f. (An. u.) Phys. 1887, p. 429. i
Serie VII. Tomo I. 1913-1914. 47
00
Blumenthal, (1) sotto la direzione di Gritzner, fece uno studio sistematico di
diversi agenti chimici sui muscoli della rana, con metodo molto più rigoroso, comparando
gli effetti dell’immersione in soluzioni equimolecolari di due. muscoli identici e studiando
col miografo il modo di reagire ‘agli stimoli elettrici (indotte di apertura). Fra queste
sostanze considerò i diversi gruppi di sali alcalini e terrosi, ma tendendo più a rilevare i
rapporti fra i termini dei singoli gruppi che ad indagare l’azione specifica dei cationi
fisiologici. Una osservazione interessante di questo autore è che certe sostanze agiscono
sul due processi dell’attività muscolare (accorciamento e allungamento) in modo diverso,
modificando alcune quasi esclusivamente il primo, altre quasi esclusivamente il secondo.
Un altro allievo di Griitzner, lo Zenneck (2) studiò il comportamento verso gli
stimoli chimici dei muscoli in condizioni ordinarie e dei muscoli curarizzati; lo scopo di
dissociare l’azione diretta sulla fibra muscolare striata da quella sugli elementi nervosi
del muscolo era evidente. Tali ricerche però non furono dirette allo studio precipuo dei
cationi fisiologici e quindi non portarono alcuna lnce su questo campo.
Loeb, e la sua scuola, in seguito ad una ricca serie di lavori (3) intorno all’ influenza
dell’ambiente minerale sui fenomeni vitali ha sostenuto che le soluzioni pure di cloruro
sodico (isotoniche) esercitano effetti fossici, asserendo che il MNa-ione, quando non venga
antagonizzato, agisce come un potente veleno. Non diversamente agiscono le soluzioni equimo-
lecolari degli altri sali minerali (di X, di Ca) presi individualmente. Secondo Loeb questo
fenomeno si spiegherebbe ammettendo che i diversi ioni possano formare con le sostanze
proteiche dei tessuti delle combinazioni nocevoli; questo effetto verrebbe a mancare quando
l’ambiente minerale sia tale che non possa aver luogo uno scambio di joni fra il proto-
plasma e la soluzione. La soluzione di Ringer è appunto quella che soddisfa a queste
condizioni, e Loeb l’ha denominata con felice espressione « plysiologically balanced salt
solution ». Senza accettare in alcun modo la ipotetica formazione di combinazioni fra proteine
del protoplasma e joni, è fuori di dubbio che lo stato di equilibrio fra i vari joni della
soluzione e quelli diffusibili del protoplasma è una condizione essenziale per mantenere
l'integrità della composizione minerale di questo, e quindi per conservare intatte le fun-
zioni; che da questi componenti dipendano. Secondo Loeb tale soluzione deve contenere
certi joni ed in proporzioni tali da annullare completamente gli effetti tossici che ciascun
componente eserciterebhbe se fosse solo nella soluzione. Come si vede in tale concetto pre-
domina l’idea di una funzione antagonistica, mentre forse |’ antagonismo non appare che
negli effetti.
Le idee teoriche di Loeb hanno subito successivamente notevoli e varie modificazioni.
Così nel 1901 (4) questo autore sostenne l’idea che l’ antagonismo dei cationi, indipenden-
(1) Ueber d. Wirk. verwandter chemischer Stoffe auf d. quergestreiften Muskel. Arch. f. d. ges..
Phys. Bd. 62, S'.513; 1896: i
(2) Ueber d. chemische Reizung nervenbaltiger und nervenloser (kurarisirter) Skeletmuskeln.
Arch. fi di. ges: Ehys. Bd: 70, SZ MIS99:
(3) Am. Journ. of Phys. Vol. III, IV, V.
(4) Arch. fùr d. ges. Physiol. Bd. 88, S. 68.
— 361 —
temente dalla loro azione tossica specifica, dipendesse dalla loro valenza. In un lavoro
successivo (1) egli attribuì l’antagonismo dei diversi ioni alla loro diversa carica elettrica.
Questa teoria, alquanto modificata, venne poi particolarmente sviluppata dal Mathews (2)
con speciale riguardo alla azione dei diversi joni sui muscoli.
Non è qui il luogo di discutere in modo particolare il valore di queste interpretazioni
generali, le quali tutte male reggono ad una critica severa. A mio parere manca ancora
una conoscenza abbastanza completa e precisa dei fatti, sui quali erigere una teoria; e
compito principale della fisiologia credo sia appunto lo studio e l’analisi dei fatti nelle più
rigorose condizioni di osservazione e di esperimento.
O. Nasse (3), fino dal 1869, per primo aveva studiato con metodo scientifico l’ influenza
delle soluzioni saline sulla vitalità delle fibre muscolari; egli determinò per un numero
notevole di sali alcalini la concentrazione più adatta a mantenere più a lungo la eccitabilità
dei muscoli di rana e trovò che tale concentrazione era pressochè proporzionale al peso
molecolare e che per il Na CZ corrispondeva al 0,6 %-
I lavori sistematici più recenti dell’Overton possono considerarsi come il complemento
di quelle prime ricerche, in quanto questo autore ha avuto di mira lo studio della permeabi-
lità della fibra muscolare rispetto alle sostanze contenute nella soluzione in cui il muscolo
viene immerso, e specialmente il contegno dello strato superficiale limitante della fibra. (4)
Insieme col fenomeno fisico-chimico della permeabilità l'Overton ha tenuto conto anche
delle modificazioni funzionali subite dai muscoli immersi per vario tempo nelle diverse
soluzioni, saggiando l’eccitabilità e la contrattilità muscolare.
Perciò che riguarda i componenti minerali fisiologici le ricerche di Overton hanno
stabilito molti fatti interessanti, che tenterò di riassumere brevemente.
La soluzione di Na CI isosmotica coi muscoli di rana corrisponde al 0,7%; verso il
cloruro sodico ed i suoi joni la fibra muscolare è pressochè impermeabile nelle sue condi-
zioni d’integrità.
Nelle soluzioni ipotoniche di Na C7 il muscolo assume acqua e il suo contegno dimostra
che non tutta l’acqua che il tessuto contiene trovasi sotto forma di semplice soluzione, ma
in parte notevole vi è come acqua di imbibizione (Quellungswasser); anzi Overton ammette
che nella fibra muscolare fresca manchi quasi totalmente la fase di semplice soluzione
acquosa. Nelle soluzioni ipotoniche, fino a 0.4 di Na C7, i muscoli presentano piuttosto un
aumento che una diminuzione di eccitabilità. Le terminazioni nervose del muscolo però
subiscono una rapida alterazione.
Nelle soluzioni contenenti solo 0,2% di Na C? anche la fibra muscolare perde rapida-
mente l’eccitabilità e, susseguentemente, le sue proprietà osmotiche per alterazione dello
strato limitante superficiale.
(1) Am. Journ. of Phys. Vol. 6, p. 411, 1902.
(@) Am. Journ. of Phys. Vol 11, 1904 e Vol. 12, 1905.
(3) Arch. fr d. ges. Phys. Bd. II, 1869. .
(4) Beitràge zur allg. Muskel- u. Nervenphysiologie. I u. II Abh. Arch. f. d. ges. Phys. Bd. 92,
1902, S. 115 e S. 346. - III Abh. ibid. Bd. 105. 1904. S. 176.
— 362 —
Nelle soluzioni ipertoniche di Na (7 i muscoli perdono acqua e presentano contrazioni
spontanee; per concentrazioni superiori al 0.9 7%, l’eccitabilità rapidamente scompare e la
fibra muscolare perde le sue proprietà osmotiche. Tuttavia sé la soluzione di cloruro sodico
a 0,65 % è resa ipertonica con un anelettrolita (es. saccarosio) allora l’eccitabilità si con-
serva a lungo.
Le ricerche con soluzioni isotoniche di anelettroliti (saccarosio) hanno permesso al-
l’Overton di dimostrare che Feccitabilità della fibra muscolare (e così pure delle termi-
nazioni nervose in essa) è legata alla presenza di Na-iori (non meno di 0,07 %, di Na C1),
ì quali possono essere surrogati dal Zi, e fino add un certo punto anche da altri cationi.
L’Overton ha pure studiati i sali di X, constatandone ) azione paralizzante sulla
fibra muscolare dovuta al K-ione. Nelle soluzioni isotoniche contenenti ad un tempo Na CI e
K CI l’avvelenamento delle fibre muscolari è più lento che in soluzioni di puro X 2 isoto-
niche. Con una concentrazione di X C7 del 0,15%, il muscolo sartorio della rana viene
ucciso in meno di 24 ore. Le quantità di X C7 inferiori al 0,065 %, determinano un paralisi,
che può essere riparata completamente anche dopo prolungata immersione. Soluzioni isoto-
niche di Na C? contenenti il 0,02 A € %, non modificano affatto 1’ eccitabilità del muscolo,
anzi la conservano meglio che le pure soluzioni di Na CZ. Ma la concentrazione minima
paralizzante del X C1. varia a seconda della concentrazione del Na CI; la diminuzione di
questo aumenta l’azione tossica del X CI.
Per ciò che riguarda il Ca-ione Overton ha verificato che la soluzione isotonica di
Na CI contenenti il 0,2 Ca CI, %, è del tutto inattiva sul muscolo. Concentrazioni maggiori
(fino a 0,4%) di Ca CI, diminuiscono l’eccitabilità, ed infine (1%) la spengono. Anche per
il Ca CI, la presenza di Na CI modera gli effetti tossici. La proprietà del Ca-ione di
attenuare od abolire gli effetti tossici dal Na e del K è stata confermata dall’Overton;
anzi per questo autore l’importanza di questo catione è anche maggiore, in quanto piccole
quantità di esso conferiscono al muscolo una maggiore resistenza verso la sottrazione di
acqua e verso l’azione paralizzante del X e di altri cationi affini; in questa ultima funzione
è necessaria la presenza del MNa-ione.
Come Locke e Cushing, VOverton ha_ verificato che la sottrazione del Ca abolisce
l’eccitabilità indiretta dei muscoli; anzi questa azione curarica della soluzione pura di Na C2
è resa più rapida dall’aggiunta di X C2; ed il Ca CI, è qui pure in grado di opporsi a
tale azione o di farne scomparire gli effetti. Secondo Overton la scomparsa dell’ eccita-
bilità indiretta dei muscoli per opera della pura soluzione di Na C/ sarebbe probabilmente
dovuta alla dissociazione parziale di una combinazione organica del calcio esistente nella
sostanza cementante che unisce la fibra nervosa alla fibra muscolare.
In questo campo la prima osservazione di fatto che si riferisce ad un differenziamento
dell’elemento nervoso dall’elemento puramente muscolare, viene generalmente attribuita.
al Locke.
Infatti F. S. Locke (1) immergendo il sartorio della rana in 100 cc. di soluzione pura
(1) Notiz ueber d. Einfluss ‘physiologischer Kochsalzlòsung auf die elektrische Erregbarkeit von
Muskel und Nerv. Centralbl. f. Physiol.: Bd. 8, pag. 166-167, 1894, (La comunicazione ha la data
del 19 Maggio 1894).
— 363 —
di Na CI aì 0,6%, ed esaminando l’eccitabilità indiretta sul nervo rispettivo mantenuto
intatto e fuori della soluzione osservò che dopo 1-2 ore l’eccitabilità indiretta è total-
mente scomparsa anche per correnti tetanizzanti mentre il muscolo conserva perfettamente
l’eccitabilità diretta, che si mantiene bene anche dopo 20 ore d’immersione. Se allora si
aggiunge alla soluzione il 0,02 di Ca CI, ®, dopo 3-5 minuti l’ eccitabilità indiretta ricompare.
Il nervo al contrario immerso direttamente nella soluzione pura di Na ©/ conserva la
propria eccitabilità anche dopo 25 ore. i 1
Ma è giusto che qui io ricordi, che un anno prima del Locke, in Italia, U. Stefani (1)
faceva osservazioni consimili intorno all’azione dal cloruro di calcio sulla eccitabilità nervosa,
giungendo alle identiche conclusioni. Questo autore era partito da una osservazione di poco
anteriore del Cavazzani (2) secondo la quale nelle rane avvelenate con ossalato potassico
era possibile fare scomparire la incipiente paralisi muscolare di origine centrale praticando
subito iniezioni di cloruro di calcio.
Lo Stefani, con esperienze comparative di immersione degli arti posteriori della rana
in soluzione fisiologica pura o addizionata di ossalato di sodio ed in soluzione fisiologica
contenente piccole quantità di cloruro di caleio, dimostrò che:
1° la soluzione fisiologica addizionata di Ca C0, in dosi convenienti conserva più a
lungo che la soluzione fisiologica pura la eccitabilità dei nervi della rana;
2° il Ca CI, aggiunto in dosi convenienti alla soluzione fisiologica, a contatto della
quale i nervi hanno perduta la loro eccitabilità, può ripristinare la eccitabilità stessa (8).
Anche più rigorosamente in questo indirizzo il Cushing (4), sotto la direzione di
Kronecker, ha investigato con metodi molto più esatti una parte del problema riguar-
dante l’azione de’ cationi fisiologici sul muscolo. Egli ha praticato la circolazione artifi-
ciale attraverso il treno posteriore della rana innestando una cannula nell’ aorta addominale,
portando così le diverse soluzioni a contatto immediato con tutte le fibre dei muscoli e coi
rispettivi elementi nervosi (fibre e terminazioni). Con una speciale preparazione e disposizione
egli poteva stimolare il gastrocnemio sia direttamente che indirettamente (per mezzo del
nervo), con stimoli uniformi (correnti indotte di apertura) e ritmici (ogni 2”), raccogliendo
col miografo la serie delle contrazioni muscolari, ed in tal modo poteva osservare quali
modificazioni funzionali venissero a prodursi sia nella fibra muscolare sia negli elementi
nervosi del muscolo.
Con questo metodo Cushing ha potuto dimostrare molto meglio di Locke e di
Overton che la soluzione isotonica di puro Na © abolisce in breve tempo l’eccitabilità
indiretta del muscolo mentre quella diretta rimane quasi inalterata. Poichè le fibre nervose
non perdono l’eccitabilità per immersione anche prolungata nella soluzione pura di Na C2,
(1) Stefani U. Intorno all’azione del cloruro di calcio sulla eccitabilità nervosa ecc... rivista
sperim. di Freniatria. Vol. XIX, p. 574-633, 1893. |
(2) Cavazzani A. Dell’azione dell’ossalato di potassio sul plasma muscolare, quale contributo
alla dottrina della coagulazione, e di un nuovo antagonismo farmacologico. Riforma Medica. Giugno 1892.
(3) ), c. pag. 580-586.
(4) H. Cushing. Concerning the poisonous effect of pure sodium chloride solutions upon the nerve-
muscle preparation. Am. Journ. of Phys., Vol. 6, p. 77, 1901.
— 364 —
così è logico localizzare l’azione paralizzante di questa soluzione sull’ apparecchio nerveo-
muscolare nelle terminazioni delle fibre motrici. Cushing appunto attribuisce alla soluzione
pura di Na © un'azione curarica sulla placca. Sostituendo alla soluzione sodica, la miscela
di Ringer (1) l’eccitabilità indiretta si ristabilisce con prontezza. Questo A. ha pure osser-
vato che l'aumento della quantità di Ca C7, (es: da 0,03 a 0,06 ‘) nella soluzione salina
rende questa più efficace nel ripristinare l’ eccitabilità dell’elemento nervoso; anzi il Cushing
ha osservato, a somiglianza di quanto Howell aveva veduto per il cuore, che se si irriga
il muscolo con la soluzione ordinaria di Ringet fino a che l’eccitabilità indiretta venga
a cessare, allora portando il contenuto di Ca C2, al 0,06 % tale eccitabilità si ripristina;
e ciò può ripetersi talora anche per una terza volta con un lieve aumento ulteriore del calcio.
. Più recentemente ancora, sempre seguendo l’ esempio del Cushi ng, abbiamo le ricerche
di Burridge (v. più avanti) relative ai fattori della fatica muscolare, e quelle di
R. Benda (2), che ha studiato con la circolazione artificiale e coi metodi della stimolazione
diretta ed indiretta le modificazioni dell’eccitabilità e delle altre fondamentali proprietà del
tessuto muscolare.
Altri molti lavori più o meno direttamente riguardano il presente argomento, ma
qui non ho citato che quelli, che o per i fatti investigati o per la tecnica seguita hanno
relazione con le mie ricerche.
I risultati dei numerosissimi lavori pubblicati su questo argomento, se si accordano
abbastanza bene su alcuni pochi punti generali riguardanti l’azione dei cationi fisiologici
sui muscoli striati, lasciano ancora molte lacune e presentano parecchie discrepanze. In
parte ciò è dovuto ai metodi di ricerca prevalentemente impiegati. Infatti per lo più gli
autori hanno usato il semplice metodo dell’immersione, che se può servire benissimo per
alcune indagini, come quelle, ad es:, dell’ Overton, non è molto adatto per mettere in
evidenza altre influenze. L'azione delle soluzioni in cui viene immerso il muscolo è lenta
e non è immediata su tutte le fibre costituenti il muscolo stesso; ciò è poco adatto a
cogliere modificazioni funzionali delicate o di breve durata e può essere anche causa di
errori od equivoci giacchè non tutte le fibre vengono a trovarsi al tempo stesso nelle
medesime condizioni. Infatti PV Overton ha dimostrato, ad es:, che l’ equilibrio osmotico di
un muscolo sartorio di rana è raggiunto solo dopo circa 3 ore.
Per tali ragioni ho creduto necessario valermi soltanto della circolazione diretta delle
soluzioni attraverso i vasi del muscolo. A tale scopo, dopo avere immobilizzata la rana o
con la distruzione del midollo o con la curarizzazione, scoprivo ed isolavo l’ aorta addomi-
nale, ed in essa innestavo una piccolissima cannula rivolta alla periferia. Per mezzo di
questa facevo giungere nelle arterie del treno-posteriore la soluzione salina, contenuta in
un recipiente adatto in cui mantenevo una pressione costante di 40 mm. di Hg; sotto tale
(1) l'A. adoperava la seguente soluzione: Na C? 0,6 XK CL 0,03, Ca Ct 0,03 %.
(2) Ueb. d. Einfluss des Traubenzuckers, dev Na-, A-, Ca- und Mg-Ionen auf die Reizbarkeit,
Leistungsfahigkeit u. s. w. Zeitsch. f. Biol. Bd. 63, 1913.
— 365 —
pressione la circolazione si compieva perfettamente negli arti posteriori dell’ animale e,
mediante una sottile pinza, potevo chiudere l’una o l’altra delle arterie iliache a seconda
che volevo usufruire dell'una o dell’altra zampa; il deflusso del liquido circolante veniva
agevolato col taglio’ delle vene iliache.
Adagiata e fissata la rana sopra una tavoletta mettevo in rapporto il tendine del
gastrocnemio con una leva isotonica caricata di un peso massimo uguale alla metà del
peso della rana stessa. Talora, a seconda dello scopo della ricerca, ho adoperato pesi minori.
Un'altra delle cagioni di oscurità e divergenze sta nel fatto che per lo più gli autori
non si sono preoccupati abbastanza di distinguere quali effetti fossero da attribuirsi alla
fibra muscolare stessa e quali agli elementi nervosi del muscolo. Ho già accennato agli
autori che fecero eccezione su questo punto, ed -all’indirizzo che essi così venivano a dare
alle ricerche e che avrebbe dovuto essere seguito generalmente. Perciò io ho sempre operato
in modo da potere, per quanto ci è oggi concesso, separare la funzione nervosa da quella
puramente muscolare, sia usando l’ eccitazione diretta ed indiretta (come fece ad es: il
Cushing) sia usando la curarizzazione dell’ animale.
Per eccitare ritmicamente il muscolo sia direttamente sia indirettamente con stimoli
di intensità nota e comparabile mi sono valso della slitta di Kronecker, che possiede la
graduazione in unità. Il circuito primario era costituito da una batteria termoelettrica di
8 volts e da un interruttore elettromagnetico a mercurio messo in movimento dall’ orologio
di Bowditch con intervalli di 2 a 5 secondi. Il circuito secondario era collegato con un
deviatore di corrente di Kronecker per eliminare la corrente indotta di chiusura ed
inviare al preparato fisiologico la sola indotta di apertura. Per l'eccitazione diretta del
muscolo un polo del circuito secondario era unito all’uncinetto infisso nel tendine del
gastrocnemio e l’altro polo era unito ad un sottile ago di acciaio, che veniva infisso nel-
l'inserzione prossimale del muscolo. Per l’ eccitazione indiretta i poli del circuito secondario
venivano collegati con un eccitatore di platino foggiato ad uncino e sul quale veniva adagiato
il tronco nervoso contenente le fibre motrici per il muscolo gastrocnemio. Un commutatore
di Pohl], usato come semplice deviatore, interposto fra il rocchetto secondario della slitta
e le due descritte derivazioni mi permetteva di lanciare lo stimolo al muscolo od al suo
nervo a seconda del bisogno senza interrompere affatto il ritmo dell’ eccitazione.
La scelta della intensità dello stimolo elettrico ha molta importanza per mettere in
evidenza certi effetti talora molto delicati sulla eccitabilità del muscolo. Perciò io ho im-
piegato, a seconda dei casi, ora stimoli massimali ora stimoli submassimali più o meno
prossimi alla soglia di eccitabilità del preparato.
«. La curarizzazione delle rane veniva fatta con una certa cura impiegando le dosi suffi-
cienti alla scomparsa dell’eccitabilità indiretta senza che l’eccitabilità diretta del muscolo
si mostrasse alierata; per fare ciò, com'è ben chiaro, conviene accertarsi con prove preli-
minari delle qualità del curaro, che si deve impiegare.
Le soluzioni saline adoperate per la circolazione artificiale erano isotoniche con quella
di Na Cl a 0,77; la diversa proporzione di XK C? o di Ca CI, che si voleva fare agire
sul muscolo veniva ottenuta mescolando volumi diversi delle varie soluzioni in modo che
la miscela rimanesse praticamente isotonica.
Azione dei cationi fisiologici
sul gastrocnemio di rana con integrità dell’innervazione.
In queste esperienze mi sono valso
di rane immobilizzate con la distru-
zione del midollo; in esse, adagiate
in posizione supina, isolavo | aorta
addominale per la circolazione arti-
ficiale nel treno posteriore, e preparavo
pure i due plessi lombo-sacrali. Me-
KCI 0,03, Call,
diante la disposizione generale già
(cd) » . .
E accennata potevo poi eccitare il ga-
5 strocnemio collegato al miografo sia
33 direttamente che indirettamente con
SE stimoli ritmici ad intervalli di 5°.
Sp)
S
Sodio. Le mie esperienze confer-
di
mano perfettamente i risultati ottenuti
ione dei nervi lombo-sacrali con stimolo massimale
S 3
33 da Cushing. Facendo cioè circolare
SG negli arti della rana una soluzione
Z85.. pura di NaCl a 0,7% mentre
538 gastrocnemio viene ritmicamente sti-
Z0p molato per la via del nervo con cor-
BE renti d’induzione massimali, si osserva
sE È O, una progressiva diminuzione dall’ al-
ze tezza delle curve di contrazione fino
Ececita
delle
loto)
alla completa ineccitabilità indiretta;
se a questo punto si saggia l’ eccita-
bilità diretta del muscolo si trova che
I’ altezza
A indiretta scompare :
contrazioni ricompaiono ra
essa è perfettamente conservata. Al-
lora sostituendo al liquido circolante
la soluzione di Ringer o la soluzione
stessa di .\a C/ a cui si sia aggiunto
— (Gastrocnemio di rana.
una piccola quantità di Ca C2,, si
ristabilisce prontamente | eccitabilità
indiretta: gli stimoli, prima inefficaci,
Tracciato 1.
danno di nuovo luogo a contrazioni
scolo e poi l’ ecc
immediatamente le
che in. breve raggiungono |’ altezza
primitiva.
Bg —
I due tracciati che porto qui ad esempio dimostrano molto bene il fenomeno.
Traccraro 2. — Gastrocnemio di rana. Azione del citrato trisodico (5 ce. di soluzionè isotonica in 100
di soluzione NaCl a 0,7) sulla eccitabilità indiretta del muscolo.
Fig. 1. N. Stimoli massimali (500 u.) ogni 5'' sui nervi lombo-sacrali. Ci: circola la soluzione di citrato
trisodico ; rapida discesa a zero del miogramma:; non si osservano fibrillazioni. Appena scomparsa l’ eccitabilità
del nervo si fa circolare nuovamente soluzione di Ringer () e tosto 1’ eccitabilità ricompare.
Fig. 2. Eccitazione dei nervi lombo-sacrali con stimoli di 1000 u. mentre circola soluzione di Ringer (KR):
in Ci si fa circolare la soluzione di citrato : appena l’ eccitabilità del nervo è scomparsa, si eccita il muscolo
direttamente (con stimoli di 1000-4000 u. (1, 2, 3, 4) in 2), che si mostra perfettamente eccitabile. In N si
eccita di nuovo il nervo (con 1000 u.): ineccitabilità completa ; facendo allora circolare la soluzione di Ringer (@)
l’eccitabilità indiretta prestamente si ristabilisce.
Dagli stessi risultati di: Locke e di Cushing risulta già a mio parere evidente,
sebbene quegli autori non lo affermino in modo esplicito, che | azione della pura. solu-
Serie VII. Tomo I. 1913-1914. 48
— 368 —
zione di Na Cl non sia da interpretarsi come una influenza specifica del MNa-ione, la
quale venga semplicemente neutralizzata dal calcio per una speciale funzione antagonistica
di questo, ma sia più ovvio e più logico
GGI . .
‘BOS pensare che la soluzione di puro Na C7 non
(i)
E= agisca che come un mezzo decalcificante
del tessuto per semplice fatto di diffusione
del Ca-ione, il quale sarebbe per l’ appunto
(©)
ee
8
Sd 7S
Dia)
I°
Sie
|
=
° ag
PI)
n
a
l'elemento essenziale per il mantenimento
., mentre circola soluzione
(©)
tari
O)
N
(o)
©
+
O)
(5)
fe)
Za
RS
o)
>
o)
È della eccitabilità delle terminazioni nervose
PIÙ del muscolo. Questo modo di vedere si ac-
SE corda con le esperienze del Novi (1) sul-
l’azione decalcificante che hanno le soluzioni
ua
==
rete
contraz
di Na Cl iniettate nell’animale vivente.
Ringer
le
A conferma e chiarimento di tale spie-
di
s eccitazione diretta del muscolo con 2
= ea
STR
“è
T*< n
gazione ho voluto sperimentare con lo stesso
2
(d)
7)
metodo 1’ influenza di piccole quantità di
citrato trisodico aggiunte alla soluzione di
Na Cl circolante. Come si sa dalle espe-
ss
e)
s
o)
Ò
2
®
=
3
-d
S
®
S
>)
3)
5
=
una soluzione
rienze del Sabbatani (2) il citrato triso-
(©)
N
=
i=
7)
S =
cERISE
ONLMRII®
gia 25
1346
Rieiziz
Oi e
Ces 8°
SER PS dico è un decalcificante in quanto immobi-
car ge ; i ; i SAR x
2 SIG= E lizza il Ca-itone in combinazioni non disso-
(\ Insj IO, ©) S . oWe N
3 É=£ > ciate pur essendo solubili. Come lo stesso
E O 2. PG ; Bau
È e JE Cushing ha osservato, spesso l’ azione
Gens Sme ò ù N
5OZE PE della soluzione pura di Na C7 è molto lenta
Z023 A RR o
LES e la perdita della eccitabilità indiretta av-
4, Dia O
O gcO0ORA . . .
I SÒ SR viene solo dopo una lunga serie di contra-
E FUN n O
e VD . . . . .
ELE _ zioni che vanno progressivamente dimi-
sel go ò 4 DES
SEG nuendo. Aggiungendo alla soluzione di Na
ESSE SC CI il 5% di soluzione isotonica di citrato
MOTORE ; ; 3 5 DIO 3
Sag? trisodico sì osserva una rapida diminuzione
PESTE ; Ò = RTAS 9
SE e scomparsa dell’ eccitabilità indiretta ap-
<9 NS 5 : 1
E Fu? S pena la miscela arriva in contatto dal
8° Q9I6 muscolo ; questo effetto scompare tosto
SSIS
0050 s 0° E 7 4 i S
2a facendo circolare la soluzione di Ringer,
252° e può essere più volte ripetuto. I tracciati
fee azNm ;
E 3 TO 2 e 3 mostrano appunto | andamento di
dei ii AMANI 130 | %
LEE una simile esperienza. Questa azione del.
(1) Azione disintegrante del cloruro sodico sul cervello. Mem. A. Acc. Scienze Bologna SEIMAVILE
. VII, p. 211, 1910 e T. VIII, p. 205, 1911 (Ivi trovansi pure citati i dati storici anteriori che
riguardano questo argomento).
(2) Funzione biologica dal calcio. Parte I. Azione antagonistica fra citrato trisodico e calcio. Mem.
R. Acc. Sc. Torino. Tomo 5], 1901.
citrato trisodico dimostra che molto
probabilmente anche il Na C? agisce
per un'influenza più o meno rapida:
decalcificante del tessuto, ma di-
mostra ancora che il Ca, come
elemento essenziale per l’eccitabi-
lità degli elementi nervosi del mu-
scolo, deve trovarsi allo stato di ione.
Calcio. Quanto precede serve
indirettamente a dimostrare almeno
parte della funzione del Ca nella
vita del muscolo.
Reintegrando, come usava. il
Cushing, la eccitabilità indiretta
del muscolo, abolita dalla soluzione
di Na CI, con la soluzione di Rin-
ger, la curva di contrazione ri-
prende i caratteri normali.
Se si fa invece circolare, dopo
la soluzione pura di Na CI, una
soluzione di Na C? che contenga
piccole quantità di Ca C‘, soltanto
allora si scorge bene che la rein-
tegrazione dell’ eccitabilità indiretta
è dovuta essenzialmente al Ca-ione;
e si può dimostrare ancora, come
aveva fatto il Cushing con la
miscela di Ringer, che l’aumento
della proporzione di Ca C2, ha una
azione più efficace e può aumentare
ancora l’ eccitabilità del muscolo.
Ma si manifesta ancora un altro
effetto molto interessante, che man-
ca totalmente se si adopera la mi-
scela di Ringer; si nota cioè uno
spiccato aumento del tono muscolare
ed una tendenza alla contrattura.
Nel seguente tracciato riporto un
esempio molto caratteristico del
fenomeno, che si presenta abba-
stanza costantemente ma con di-
versa intensità.
- 9g 2° ce
A
R. Ri Coin -8
SPENTONSTE
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l’ eccitabilità indiretta (nervo) torna a dileguarsi mentre anche la contr
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55
Si
gne, mentre |’ eccitabilità diretta della fi
alla contrattura, con modificazione caratteristi
emio di rana. N, ec
à indiretta si spe
Gastroc
a poco a poco l’ ec
Tracciato 4.
OI URE
stesso si manifesta una notevclissima tendenza
nuovo circolare soluzione di puro NaCl;
ad eccitare il nervo, che
di soluzione isotonica di
della fibra muscolare (M'') è conservata.
— 370 —
Potassio. Già Overton ha osservato che l’azione curarizzante del Na CI si fa più
pronta e spiccata se alla soluzione si aggiungono piccole quantità di XC7. Più recentemente
Benda (1) ha verificato col metodo della circolazione artificiale che aumentando la con-
centrazione dal XC/ nella miscela di Ringer al di sopra di 0,07 %, l’eccitabilità indiretta
diminuisce e si spegne mentre quella diretta si conserva inalterata. Su questo punto non
esiste alcun dubbio.
Dai risultati precedenti sull’azione comparativa delle soluzioni di puro Na (€42, di
Na CI + Ca CI, e della miscela di Ringer, quali rivelansi nei miei tracciati e che non
credo sieno finora stati ottenuti da altri autori, scorgesi molto chiaramente una proprietà spe-
cifica del ione K. Poichè mentre l’ aggiunta dal solo Ca-ione oltre ristabilire | eccitabilità
delle terminazioni nervose nel muscolo porta anche una spiccata tendenza alla contrattura,
questa non si verifica quando contemporaneamente è presente il X-ione (soluzione di
Ringer). In altre parole, anche nel preparato nerveo- muscolare esiste quell’antagonismo,
che il Ringer per primo notò nel cuore di rana, fra il Ca, elemento contratturante ed
il X, elemento rilassatore. Come meglio risulterà dalle mie esperienze sul muscolo curarizzato,
non potrà sfuggire ad alcuno l’importanza di questo fatto.
TE
Azione dei cationi fisiologici sul muscolo curarizzato.
I risultati, che ho ottenuto sui muscoli curarizzati possono fino ad un certo punto
considerarsi come esclusivamente dovuti alla fibra muscolare.
Le esperienze furono condotte nel modo già descritto; in questo caso il gastrocnemio
venne eccitato in via diretta portando gli stimoli elettrici ai due poli del muscolo.
Sodio. Dalle ricerche di Cushing risultava già che la eccitabilità diretta del muscolo
non veniva modificata in modo apprezzabile dalla circolazione di puro Na C; e la contrat-
tilità, per stimoli massimali, non appariva alterata. Mi parvero utili però esperienze compa-
rative sul muscolo curarizzato per mettere fuori causa tanto prima che dopo l’azione della
soluzione di Na C? gli elementi nervosi; di più la conoscenza del comportamento della
fibra muscolare verso la semplice soluzione di Na C/ poteva servirmi di punto di partenza
per lo studio sull'azione degli altri cationi. i
Se si adoperano, durante la circolazione di soluzione pura di Na C7, stimoli massimali,
anche sul muscolo fresco curarizzato non si osservano modificazioni apprezzabili, salvo il
graduale e lento abbassarsi delle curve di contrazione secondo la legge della fatica. Delle
numerose mie esperienze riporto come esempio il Tr. N. 5.
Ma se invece durante la circolazione della soluzione di cloruro di sodio si determina
la soglia dell’ eccitabilità sì vede che questa si innalza rapidamente; così che se si fanno
giungere, come nel Tr. N. 6, al muscolo stimoli submassimali poco al di sopra della soglia
(I) en pas 8850)
Sco d000 DOT
Tracciaro 5. — Gastrocnemio di rana curarizzata. Azione della soluzione isotonica di NaCl
sulla contrattilità della fibra muscolare. Nella prima .parte del tracciato si determina la curva di
eccitabilità : soglia = 500 u., stimolo massimale = 4000 u.; dopo breve intervallo il muscolo viene
eccitato ritmicamente (ogni 5') con stimoli di 4000 u. da prima a circolazione sospesa, poi (Ma)
facendo circolare la soluzione isotonica di NaCl.
si rileva tosto una diminuzione rapida e graduale della eccitabilità per cui il muscolo dopo
poche contrazioni in serie decrescente, diventa ineccitabile allo stesso stimolo.
|
vati
Na [, 06
Traccraro 6, — Gastrocnemio di rana
curarizzata. Azione della soluzione iso- Tracciaro 7. — Gastrocnemio di rana cwra-
tonica di NaCl sulla eccitabilità della rizzata. Azione della soluzioue isotonica di NaCl
fibra muscolare. Soglia = 300 u. Si eccita
ritmicamente (ogni 5'') il muscolo con
stimoli submuassimali (500 u.) prima a
circolazione artificiale sospesa, poi (Na)
facendo circolare la soluzione di NaCl.
L’ eccitabilità della fibra muscolare dimi-
nuisce tosto fino a sparire completa-
mente per gli stimoli di 500 u.
sulla eccitabilità della fibra muscolare. Nu: si fa
circolare attraverso i vasi la soluzione di NaCl
e si eccita ritmicamente (ogni 5‘) il muscolo con
stimoli submassimali (600 u.) ; l’ altezza delle con-
trazioni va gradatamente diminuendo; in A si
sospende la circolazione artificiale e tosto le con-
trazioni si fanno progressivamente più alte fino
al grado di prima.
Se sì sospende la circolazione, costantemente si osserva che il muscolo riacquista l’ec-
citabilità per quello stimolo submassimale ; ovvero con l’ aumento dell’ eccitabilità l altezza
delle contrazioni torna ad aumentare sì che sì possono spesso osservare (v. Tr. 7) due
scale inverse, una discendente durante la circolazione della soluzione di cloruro sodico ed
una ascendente a circolazione sospesa.
Queste modificazioni della eccitabilità e contrattilità della fibra muscolare per effetto
della soluzione pura di Na C7, si manifestano anche più intensamente se il muscolo è stanco
— 372 —
o sia già stato sottoposto all’azione di altre soluzioni modificatrici, come ad esempio, quella
di KC7; in questo caso il fenomeno si fa palese anche per gli stimoli massimali.
Nel muscolo curarizzato non ho mai osservato la comparsa di movimenti fibrillari, che
al contrario sono assai frequenti a presentarsi nei muscoli intatti per l’azione delle solu-
zioni pure di Na Cl; neppure ho mai osservato anche fugacemente un aumento di eccita-
bilità come ha veduto Overton. Forse in queste manifestazioni non è estraneo l’ elemento
nervoso del muscolo stesso.
Potassio. L’azione tossica dei sali di potassio sulle fibre muscolari è nota da gran
tempo. Il Biedermann (1) riassumendo i risultati dalle ricerche anteriori così si esprime :
«I sali di potassio agiscono in generale come veleni muscolari i quali abbassano più o
meno rapidamente la eccitabilità ed infine l’aboliscono completamente. Anche per diluizioni
molto grandi si ha sempre questo effetto, sicchè, come già sostenne Ranke, i sali di
potassio probabilmente hanno importanza essenziale fra le cause della fatica. È certo che
ì sali di potassio tanto per immersione quanto per circolazione determinano tutti i fenomeni
caratteristici della fatica muscolare, i quali possono già eliminarsi con la semplice lavatura
del muscolo con cloruro di sodio al UO.
Ma accanto a queste conclusioni esistevano da molto tempo altre osservazioni, le quali
senza contraddire l’azione tossica definitiva del potassio sulla fibra muscolare, avevano
rilevato che l’azione diretta del potassio sul muscolo poteva dare luogo ad uno stato di
contrazione. Bernard e Grandeau nel 1864 (2) infatti accennarono alla proprietà che hanno
i sali di potassio di determinare in conveniente concentrazione una contrazione dei muscoli
scheletrici. Questa osservazione passò per lungo tempo quasi inosservata. Passarono trent’ anni
prima che altri autori pubblicassero osservazioni analoghe: tali osservazioni, che confermano
i dati di Bernard e Grandeau, sono dovute a Griitzner e ai suoi allievi Blumenthal
e Zenneck. Il Gritzner(3) nel 1893 trovò che una soluzione al 4 °/, di cloruro di potassio
applicata direttamente al nervo motore non dà contrazione, mentre se applicata ad un
gastrocnemio di rana curarizzata determina una prolungata contrazione. Blumenthal (4)
e Zenneck (5) confermarono i risultati di Griitzner. Ma l’attenzione su questo fenomeno
venne specialmente richiamata da un allievo del Loeb, lo Zoethout (6), che sì occupò
per primo in modo particolare della proprietà che hanno i sali di potassio di determinare
una contrazione immediata e prolungata nei muscoli dello scheletro. Egli fece le sue espe-
5 i i mus A
rienze sul gastrocnemio della rana, immergendo il muscolo in soluzione 8 di cloruro di
potassio (corrispondente circa alla soluzione di Na C2 0,75 °/,) e raccogliendo con una leva
il tracciato.
(1) Elektrophysiologie. I, p. 94, 1895.
(2) Centralbl. f. med. Wiss. 1864.
(3) Arch, fr d. ges. Physiol. Bd. 53, S. 83, 1893.
(4) l. c.
(re
(6) The effects of K and Ca ions on striated muscle. Am. Journ. of Physiol. Vol. 7, p. 199, 1902.
— 373 —
La contrazione che si determina è pronta, energica e prolungata; essa ha un breve
periodo di latenza, raggiunge il suo massimo in 2-3 secondi e può durare anche da 20 a
100 minuti primi. Zoethont ottenne lo stesso effetto coi seguenti sali di X, oltre che
col cloruro: clorato, nitrato, solfato, ioduro, bromuro, cromato, bicromato, ferrocianuro,
ossalato, cianuro e tartrato. Adoperando soluzioni più diluite egli notò una minore altezza
e durata delle contrazioni. La concentrazione minima di XC? capace di produrre una con-
im SS IOMOBO da
80° diluendo la soluzione + di sale potassico con 9
parti di soluzione isotonica di glicerina. Diluendo invece la soluzione di KC? con quella di Na C7
trazione fu trovata corrispondente a
©)
isotonica trovò che la concentrazione minima del XC/ che ha ancora tale azione sul muscolo
è ridotta a -—; se pol diluiva con soluzione isotonica di Ca 27,, la concentrazione minima
m
40°
attiva del XC/ era ridotta a Ti cioè quasi ad a della concentrazione primitiva.
Lo stesso autore verificò che il Ca ©7, aveva un'azione antagonista sul muscolo con-
tratto per opera del AC; immergendo infatti il muscolo così contratto nella soluzione
isotonica di Ca C/, ottenne un rapido rilassamento del muscolo; sostituendo di nuovo la
soluzione di cloruro di calcio con quella di XC7 egli otteneva una nuova contrazione; e
così, alternando l’azione del XC7 e del Ca C7, sul muscolo, potè avere delle serie molto
numerose di contrazioni.
Dello stesso argomento ed anche più estesamente si è occupato in seguito il Gue n-
ther (1), che è giunto a risultati consimili, che possono così riassumersi: Immergendo un
. muscolo di rana nel cloruro di X si provoca una sola contrazione; sia che esso rimanga
nella soluzione o che questa venga levata il muscolo si rilascia completamente o quasi.
L’irritabilità scompare entro pochi minuti sicchè il muscolo non risponde nè a stimoli
meccanici nè a quelli elettrici. Trattando poi il muscolo sia con soluzione di Na C? che con
quella di Ca CY, si ristabilisce la proprietà del muscolo di rispondere nuovamente all’ azione
del KC? onde si possono ottenere lunghe successioni di contrazioni. Ma le serie di contrazioni
prodotte alternando KC/ a Na CI differiscono decisamente da quelle ottenute alternando
KCI a Ca CI,. La serie dì contrazioni di massima durata si ottiene solo impiegando le tre
soluzioni nel seguente ordine: XC7, Na CI, Ca CI,. Le contrazioni secondarie ottenute con
questa alternazione delle soluzioni si distinguono da quella primitiva perchè molto più lente
a prodursi. Guenther ha poi dimostrato che la contrazione da X è locale ed è dovuta
alle sole fibre muscolari che vengono in contatto con la soluzione.
Questi due autori, pure trattando una stessa questione molto limitata, arrivano a con-
clusioni teoriche assai diverse ed emettono ipotesi sulla azione reciproca dei diversi cationi,
che, a mio credere, non sono ancora sufficientemente giustificate dai fatti acquisiti. Io ho
voluto riferivne i risultati perchè io pure mi sono occupato della contrazione da potassio,
ma col metodo della circolazione artificiale. Riferisco in breve i risultati.
(1) A study of the comparative effects of solutions of X, Na and Ca clorides on skeletal and heart
muscle. Am. Journ. of Physiol. Vol. 14, 1905, pag. 73-104.
— 374 —
Facendo circolare attraverso l’arto posteriore di una rana curarizzata una soluzione
isotonica di AC? (dopo una breve lavatura preliminare con soluzione di Ringer) si ottiene
una energica contrazione spontanea del gastrocnemio (v. Tracc. 8); la fase di ascesa è
Tracciaro 8. — Gastrocnemio di rana curarizzata. Contrazione spontanea
da potassio. Il muscolo è collegato alla leva miografica ma non riceve stimoli
elettrici; per i vasi si fa circolare soluzione di Ringer. In X si fa subentrare la
soluzione isotonica di KCl: appena essa arriva al muscolo, questo entra in con-
trazione. La velocità del cilindro è uguale a quella dei precedenti tracciati
(=immiglis tall)
rapida, il muscolo resta contratto per pochi istanti, indi incomincia la fase discendente,
che suole distinguersi in due tempi: un primo tempo di rilassamento parziale abbastanza
rapido, a cuì segue un secondo tempo molto più lungo durante il quale la curva ritorna
lentamente all’ascissa. Questi caratteri si presentano con notevole costanza (v. Tr. 9, Fig. 1).
La contrazione spontanea da potassio si ottiene anche per concentrazioni minori; io
l’ho ottenuta costantemente anche con una miscela a parti eguali di soluzioni di Na Cl e
di XC isotoniche, meno costantemente con diluizioni maggiori.
Quanto alle contrazioni secondarie ottenute da Zoethout e da Guenther immer-
gendo il muscolo alternativamente nelle soluzioni isotoniche di XCZ, Na CI, Ca Cl, debbo
dire che raramente mi è accaduto di osservarle facendo circolare le predette soluzioni nei
vasi del muscolo nell’ ordine predetto. Tale insuccesso potrebbe dipendere da qualche difetto
di tecnica, tanto più che non è stato sempre costante. Anzi voglio riportare nel Tr. 9 il ri-
sultato di una esperienza nella quale alla contrazione primitiva da X, che si presenta col
descritto aspetto caratteristico, fa riscontro una spiccata contrazione secondaria ottenuta
facendo circolare pei vasi successivamente le soluzioni di Na €27, di Ca CI, e nuovamente
GM COIE
Dro RIO 00
— 375
Ho voluto ancora verificare, come era presumibile, se la contrazione da potassio ottenuta
b) »
dai detti autori per immersione del muscolo nella soluzione, fosse dovuta all’azione del
potassio sugli strati superficiali del muscolo
che vengono a contatto diretto con la solu-
zione. A tale scopo, dopo avere preparata la
rana curarizzata nel modo consueto ed avere
fatto circolare brevemente soluzione di Na (2,
ho messo allo scoperto il gastrocnemio ed ho
versato su di esso la soluzione isotonica di
KCl; ottenni così una contrazione energica
e ben marcata del muscolo. Allora facendo
circolare successivamente la soluzione di KC7
pei vasi dello stesso muscolo ottenni una
nuova bellissima contrazione da X coì suoi
soliti caratteri. In questa osservazione, che
ho avuto campo di ripetere più volte, trovasi
una ragione di più che dimostra essere la
contrazione da potassio una vera azione locale
sulla fibra muscolare, e potersi quindi chia-
mare una contrazione idiomuscolare da stimolo
chimico.
Ma questo modo di agire del X-ione sulla
fibra muscolare non può rappresentare cer-
tamente la sua funzione normale. Per inve-
stigare meglio questa funzione è necessario
studiare le modificazioni più importanti delle
proprietà fisiologiche della fibra muscolare,
cioè l’eccitabilità e la contrattilità, in rap-
porto alle soluzioni variamente concentrate di
KCI fatte circolare attraverso il muscolo.
Molti degli autori citati nella bibliografia
generale si sono occupati più o meno diret-
tamente dell’azione del X sulla funzione mu-
scolare; la maggior parte ne ha considerata
l’azione deprimente o paralizzante sulla fibra
contrattile. Per meglio completare i dati bi-
bliografici citerò ancora il lavoro di Fahr (1),
ione spontanea da potassio.
Contra
Gastrocnemio di rana curarizzata.
8).
Tracciato I.
L’ esperienza è condotta come
rs
Uontrazione primaria da potassio :
la. precedente (v.
ad
sostituisce
si
Sl
in
Dl
in X si fa circolare la soluzione isotonica di KC
di NaCl.
Il
essa la soluzione
Fio.
pete in X la circolazione con soluzione isotonica di KCI. Si ottiene una nuova contrazione più lenta
La velocità del cilindro è sempre la stessa (mm. 18. al 1’).
re secondaria da potassio. Dopo avere fatto circolare pei vasi del muscolo soluzione di NaCl e poi
e più ampia della precedente.
ri
tra
RESI
o
di. Cal
soluzione
(1) G. Fahr. Ueb. di Wirkung des Kaliumehlorids auf den Kontraktionsakt des Muskels (Zeitser.
f. Biol Bd. 50, 1907, pag. 203).
Serie VII. Tomo I. 1913-1914.
49
— 376 —
il quale ha trovato che una soluzione di Na C7 al 0.6 °, contenente il 0,03 XC7%/ in una
o due ore fa decrescere nel sartorio della rana la velocità di trasmissione del 39-75 %,
apportando una diminuzione dell’ altezza di contrazione, un aumento del periodo di latenza
ed un forte decremento dell’onda di eccitazione.
La paralisi da esso provocata è reversibile ed incompleta e la quantità di XC? a ciò
necessaria risulterebbe molto minore di quella stabilita dall’ Overton; ciò è attribuito
dal Fahr allo stato speciale di nutrizione delle rane da iui impiegate (fine dell’inverno).
| Più recentemente il Burridge (1) ha fatto delle ricerche sperimentali su alcuni fattori
chimici della fatica serverdosi della circolazione artificiale per la via dell’ aorta nelle rane
e stimolando il m. gastrocnemio per via diretta ed indiretta. Fra le sostanze studiate e
fatte circolare col liquido di Ringer vi è stato il X sotto forma di lattato e di cloruro.
Le terminazioni nervose si mostrano le più sensibili verso le varie sostanze. La concordanza
coì sintomi della fatica normale è specialmente evidente per l'acido lattico e per il XC8;
l’avvelenamento del muscoto per acido lattico scompare più lentamente di quello da XCI;
e secondo l’A. nella fatica normale queste sostanze probabilmente hanno un’ azione combinata.
Riferirò ora per sommi capi i risultati da me ottenuti sui muscoli curarizzati e diret-
tamente eccitati con diversi stimoli elettrici facendo circolare quantità diverse di KC7 e
NaCl sempre in soluzione isotonica.
1. La soluzione isotonica di AC fatta circolare nei vasi dell’arto mentre il muscolo
viene ritmicamente stimolato dà luogo ad una contrazione in tutto simile a quella spon-
tanea per semplice circolazione, sulla quale però talvolta sì notano singole contrazioni
dovute agli stimoli ritmici che colpiscono il muscolo; esse in breve sì fanno più piccole
e infine scompaiono dimostrando la scomparsa della eccitabilità muscolare. La forma della
curva generata dal X è simile a quella spontanea, ma le due fasi ascendente e discen-
dente appaiono, per lo più, più rapide (v. Tr. 10).
Traccraro 10. — Gastrocnemio di rana curarizzata. Azione della soluzione isotorzica
di KCI sulla eccitabilità e contrattilità della fibra muscolare.
Il muscolo viene eccitato ritmicamente (ogni 5'') con stimoli submassimali (800 u.).
\ In X si fa circolare la soluzione di KC1: si Ha tosto la contrazione spontanea da potassio
mentre l’ eccitabilità del muscolo va rapidamente diminuendo fino a spegnersi anche per
stimoli forti (1000 u.) come si vede nella linea discendente della curva; in Na si è sosti-
iwita la soluzione di NaCl a quella di KCl; l’ineccitabilità persiste ancora, e solo per
stimoli fortissimi (5000 u.) la fibra muscolare ricomincia a mostrarsi eccitabile con una
serie regolarmente crescente di contrazioni (scala), che poi dà anche per stimoli più
deboli (1000 U.).
(1) An inguiry into some chemical factors of fatigue (Journ of Physiol. Vol. 41, 1911, pag. 285).
Sea
Una notevole differenza, che presentasi in queste esperienze rispetto a quelle con la
sola circolazione, sta nel fatto che la contrazione da X può ripetersi più volte agevolmente
nello stesso muscolo purchè la lavatura con soluzione di NaC? si accoppi all’ eccitamento
ritmico del gastrocnemio; in queste condizioni non solo il muscolo a poco a poco diviene
eccitabile per stimoli sopramassimali, ma l’attività contrattile sopravveniente favorisce il
rapido svelenamento del tessuto. In tale modo il muscolo ridiventa atto a dare una nuova
Big. 2. g. 3.
Traccraro 1l. — Gastrocnemio di rana curarizzata. Azione ripetuta della soluzione isotonica di KCI
sulla eccitabilità e contrattilità muscolare.
Fig. l. Determinata la curva di eccitabilità (soglia = 500 u., stimolo massimale = 2000 u.) si eccita il
muscolo ogni 5'' con stimoli di 1000 u. In X si fa circolare la soluzione di KCl; si ha tosto la contrazione
spontanea associata a singole contrazioni dovute agli stimoli: ma ben tosto l’ eccitabilità scompare. Si cessano
allora gli stimoli elettrici (riposo) e si fa circolare (Na) la soluzione di NaCl per oltre 5°, dopo i quali il muscolo
è ancora ineccitabile per stimoli di 1000 u. Solo aumentando molto l’ intensità dello stimolo (5000 u.) riappare
l’ eccitabilità del muscolo, che dà una bella serie di contrazioni col fenomeno della scala.
Fig. 2. Sullo stesso muscolo si ripete la circolazione del KCl con stimoli di 2000 u. La contrazione
spontanea si ripete ma più bassa, e le singole contrazioni sovrapposte, dovute agli stimoli elettrici, sono più
alte che nella Fig. 1 e mostrano un fugace aumento dell’ eccitabilità, che però presto è abolita.
Fig. 3. Si ripete la stessa esperienza sullo stesso muscolo, con stimoli di 3000 u. La contrazione spon-
tanea si manifesta ancora più bassa, e così pure è più evidente l’ aumento iniziale dell’ eccitabilità, la quale
infine scompare totalmente.
contrazione quando si faccia circolare di nuovo la soluzione di X (2; e può darne una terza
ed una quarta purchè fra luna e l’altra si faccia la lavatura e si ecciti ritmicamente il
muscolo. Queste contrazioni secondarie, benchè abbiano la stessa forma caratteristica della
prima, sono però progressivamente più basse; e non solo, ma durante le loro fasi il mu-
— 378 —
scolo stesso conserva, e talora ‘accresce la sua eccitabilità; questa allora si palesa con
singole contrazioni che sono disposte sulla stessa curva della contrazione da potassio e più
specialmente sul primo tratto della fase discendente (v. Tr. 11).
Ho più volte osservato che per
mezzo di stimoli molto forti accom-
pagnati o preceduti da circolazione
con soluzione di cloruro sodico in
un muscolo reso ineccitabile da
KCI (in soluzione isotonica 0 meno
concentrata) si possono ottenere
| delle scale ascendenti molto rego-
Î lari, che stanno ad indicare un pro-
Li cesso di reintegrazione dell’ eccita-
ALE | bilità in dipendenza del lavoro di
Po i Pil contrazione. Così nel Tr. 10 dopo
È si È
Na A N un periodo notevole di ineccitabilità
lo stimolo minimale è di 5000 unità
Tracciato 12. — Gastrocnemio di rana curarizzata. e questo dà luogo ad una serie
Azione della soluzione isotonica di KCIl sulla fibra mu- È ra
scolare. Esperienza simile alle precedenti. Stimoli ritmici rapidamente ascendente, che si ri-
(ogni 5‘) di 2000 u.; in Na si fa circolare soluzione elia ) o)
isotonica di NaCl: in X si sostituisce ad essa la solu- pete SUDITO opo per uno sumolo
zione di KC1:; tosto avviene la contrazione spontanea di 1000 U. Un fatto identico si può
con perdita totale dell’ eccitabilità. Si fa di nuovo cir-
colare soluzione di NaCl, ma 1’ ineccitabilità persiste osservare dopo la prima contrazione
‘ anche per stimoli straordinariamente intensi (10.000 u.). Pa
Però sotto l’azione di questi a poco a poco l’ eccitabi- del Tr. 11. Un altro caso anche più
lità della fibra muscolare ricompare e si manifesta un
bellissimo esempio del fenomeno della scala. tipico è quello rappresentato dal
Tr. 12, in cui abbiamo la contra-
zione da X provocata dalla soluzione isotonica, a cui fa seguito l’ineccitabilità del mu-
scolo; mentre si fa circolare soluzione di Na C/7, dopo un minuto si fanno arrivare stimoli
molto forti (10.000 UV)
2. Facendo circolare una miscela costituita da '/ di soluzione isotonica di AC? e ‘4 di
, l quali determinano una bellissima scala.
soluzione di Na C7, sempre sotto lazione degli stimoli ritmici, si ha pure una contrazione,
che per forma ripete quella ottenuta con la sola soluzione isotonica. In questo caso però
il muscolo durante la contrazione non perde ma anzi aumenta la propria eccitabilità, come
dimostra l’ampiezza molto maggiore delle singole scosse, specialmente durante la fase di
discesa della curva da X, come può vedersi bene nel Tr. 13 in cui l’ aumento dell’ eccita-
bilità è spiccatissimo. Tale soluzione a *% però avvelena prontamente il muscolo, onde se
noi vogliamo vedere conservata l’ esaltata eccitabilità, dobbiamo rapidamente lavare i vasi
con soluzione di Na C/ mentre il muscolo percorre la fase discendente della curva da K;
altrimenti | eccitabilità del muscolo va progressivamente e rapidamente diminuendo.
Con la soluzione ad %, di KC? la curva può riprodursi facilmente 4 e 5 volte, purchè
fra luna e l’altra sì pratichi Ja lavatura con NaCl? e si continui l eccitamento del muscolo.
3. La soluzione di XK C2 a %, (1 vol. soluzione isotonica XC/ + 9 vol. id. id. NaC2)
“10
Tracciato 13. — Gastrocnemio di rana curarizza-
ta. Azione della soluzione a 1. di KCI. (sol. isot.
KCI 1. + sol. isot. NaCl. 4/) sulla fibra muscolare,
Fig. 1. Determinata la curva di eccitabilità (soglia
— 400 u.: stimolo massimale = 2000 u.) si eccita ogni
5' il muscolo con stimoli di 1000 u. facendo circolare
pei vasi prima (Ma) la soluzione di NaCl, poi (£) la
soluzione a ! . di KCl; subito dopo di questa si ha
una energica contrazione spontanea, sulla quale però
si sovrappongono le contrazioni dovute agli stimoli
ritmici; nella fase discendente della curva queste ac-
quistano altezza sempre maggiore e dimostrano un
evidente aumento di eccitabilità. Si lava (Va) con
soluzione di NaCl e si lascia il muscolo in riposo per
qualche minuto per ripetere sullo stesso l’ esperienza.
Fig. 2. Nella prova successiva si adoprano stimoli
più prossimi alla soglia (700 u.) per mettere meglio
in evidenza i cangiamenti di eccitabilità. In X e in
Na si fanno circolare le dette soluzioni a ! ; di KCI,
e isotonica di NaCl; in a si sospende la circolazione.
Alla prima circolazione del KCI si ottiene una grande
contrazione spontanea, simile a quella iniziale (Fig. 1) con aumento molto evidente dell’ eccitabilità tanto all’inizio
della curva quanto nella fase discendente e dopo di essa. A poco a poco l’ eccitabilità ritorna al grado di prima.
Allora una nuova circolazione di KCI. provoca una terza contrazione spontanea meno elevata, ma con uno spiccato
aumento dell’eccitabilità (contrazioni molto alte ad ogni stimolo elettrico), la quale però altrettanto presto si
dilegua. Con stimoli più intensi (900 u. e 2000 u.) l’eccitabilità si rialza gradatamente con una bella curva a scala
= 1380) —
determina ancora la curva da X ed aumenta in modo spiccato l’eccitabilità del muscolo;
però tale soluzione è ancora tossica e finisce per avvelenare quest’ultimo. Ma la curva
da K prodotta dalla soluzione a '/, differisce già in qualche punto da quella dovuta a
tutte le altre soluzioni più concentrate, poichè essa presenta una fase ascendente più lenta,
durante la quale il muscolo ad ogni stimolo si contrae ma non riprende la lunghezza pri-
mitiva e così ad ogni nuova scossa il muscolo si accorcia; la fase discendente della curva
da KX è un po’ più lenta e le contrazioni, che su di essa si succedono, indicano un mani-
festo aumento di eccitabilità, perchè sono di gran lunga più elevate di quelle che si osser-
vano prima della circolazione di X. Queste alte contrazioni si mantengono anche quando
il muscolo ha ripreso la sua lunghezza normale. Esiste però anche per questa soluzione un
limite oltre il quale essa diventa tossica ed agisce in modo opposto, diminuendo o anche
annullando la eccitabilità. Un bellissimo esempio di questi fenomeni è dato dal Tr. 14, che
riporto da una delle molte esperienze eseguite.
Traccraro 14. — Gastrocnemio di rana curarizzata. Azione
della soluzione di KCl a 1/, sulla eccitabilità e contrattilità della
fibra muscolare. (Vedi le spiegazioni nel testo, pag. 380 ).
Ad un muscolo, che risponde allo stimolo di 2000 U con piccole contrazioni di 6-8 mm.,
NEO. 1 d
si fa arrivare la soluzione di KCZ a Tù: Dopo poco compare la contrazione da X con
aumento dell’eccitabilità; al termine dell’ ascesa della curva si arresta la circolazione, ed
il muscolo incomincia la fase di discesa con uno spiccatissimo aumento della eccitabilità,
finchè raggiunta la sua normale lunghezza compie una trentina di singole contrazioni alte
circa 20 mm. A questo punto si riprende la circolazione col KC7 a TÒ che determina nel
muscolo una nuova curva da X con perdita completa della eccitabilità al termine della
fase di allungamento. Facilmente si può osservare questo ripetersi della contrazione da X
per le soluzioni a To Senza necessità di interporre la lavatura con soluzione di Na CZ; tut-
tavia di solito si osserva che dopo due o tre volte che il fenomeno si è ripetuto, il mu-
x -
scolo risponde solo con un aumento della eccitabilità e dell’altezza delle contrazioni e non
più con la curva da XK; raramente invece questo si può verificare ad una prima circola-
zione con KC? al 10 Un esempio caratteristico è dato dal Tr. 14 bis.
— 381 —
CRE raieroga l SAVANA i.
4. Le soluzioni di KCZ a 50 aumentano la eccitabilità della fibra muscolare senza rie-
scire immediatamente tossiche, onde la circolazione con queste soluzioni può anche protrarsi
a lungo senza produrre danni all'elemento funzionante. Non sempre si ha la così detta
Traccraro 14.is. — Gastrocnemio di rana curarizzata. Azione della soluzione di KCI a 1/4, sulla fibra
muscolare.
Fig. 1. Eccitamento ritmico (ogni 5’) del muscolo con stimoli massimali (2000 u.); in X si fa circolare
la soluzione di KCl a 3/, e poco dopo si verifica la contrazione da potassio senza che le singole contrazioni
da stimolo elettrico si modifichino nell’ altezza.
Fig. 2. Sullo stesso muscolo, dopo qualche minuto di riposo, si ripete l’ esperienza precedente a due
riprese (X, KX) intercalando però la lavatura dei vasi con soluzione isotonica di NaCÌ (Na, Na). Si usano stimoli
di 3500 u., ogni 5'. Ad ogni circolazione della soluzione potassica si ottiene un cospicuo aumento dell’ altezza
delle singole contrazioni senza che si manifesti la contrazione tonica da potassio come nella Fig. 1.
curva o contrazione da K; le pochissime volte che |’ ho osservata, si trattava di muscoli
molto freschi ed eccitabili; e quando compare essa è analoga a quella che si verifica per
pa l ta O
la soluzione di KC! a 10 £ che ho già descritta. Durante questa fase ad ogni contrazione
provocata dagli stimoli elettrici il muscolo non si allunga totalmente e perciò subisce un
accorciamento che va aumentando lentamente nelle contrazioni successive fino ad un mas-
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— 383 —
X
Tr. 16. — Fig. 2. (v. spiegazione pag. 382).
simo, dopo del quale ritorna gradatamente alla lunghezza primitiva; questi accorciamenti
e successivi allungamenti sommandosi vengono a formare una lunga e lenta curva che
potrebbe definirsi come un aumento transitorio del tono muscolare durante la prima fase
Su: s l Da 3 308 SI
di azione del AC? a 50° Il 7r. 15, ottenuto -in queste condizioni e con velocità un po’
Lei
maggiore del cilindro rende bene visibili 1 descritti particolari. Anche il 7r. 16, otte-
nuto pure con la circolazione di soluzione di KC2 a è molto dimostrativo perchè, oltre
20°
alla curva tonica descritta, mostra la influenza eccitomotrice del XK a tale concentrazione
senza che si rivelino fenomeni di intossicazione; infatti si ha una serie di 65-70 contrazioni
di altezza 5-6 volte maggiore di quella iniziale.
Quindi carattere precipuo di questa concentrazione di potassio è quello di determinare
aumento di eccitabilità e contrattilità della fibra muscolare con o senza curva tonica e
senza effetti tossici.
SAS Il ano
5. Le soluzioni anche meno concentrate (es. a 5) non manifestano che lievissime
influenze sulla eccitabilità, che esse tendono ad aumentare.
Riassumendo mi pare risulti evidente che nel KX-jone devono considerarsi due proprietà
ben distinte, le quali non si presentano nello stesso tempo e nello stesso grado nelle solu-
Wa
Tk
Tracciato 17. — Gastrocnemio di rana curarizzata. Azione della soluzione di KCL a 14, (1p. sol. is.
KC14+- 39 p. sol. is. NaCl) sulla fibra muscolare. Si determina prima la curva di eccitabilità (soglia = 300 u.,
stimolo massimale = 2000 u.), poi si eccita ritmieamente il muscolo con stimoli submassimali (1500 u.)
facendo circolare prima la soluzione isotonica di NaCl (Na), poi: quella KC1 a 1 (X). (Vedi testo).
397 2000 Mq
Serie VII. Tomo I. 1913-1914. 50
— 384 —-
zioni a diversa concentrazione di K CZ ma progrediscono secondo opposte direzioni, in quanto
mentre l’una aumenta l’altra decresce, e viceversa: voglio dire la tossicità e la proprietà
di aumentare la eccitabilità e la contrattilità della
fibra muscolare. Forse l’uno e l’altro effetto non sono
che due stadi di uno stesso processo, che si svolge
IS.
fra il K-ione ed il protoplasma della fibra muscolare,
sol
processo reversibile e quindi dipendente dalla con-
centrazione- dal K-ione presente nella soluzione che
bagna la fibra muscolare. Considerando così le cose
(pur senza conoscere la natura di questo processo) sì
potrebbe spiegare anche la genesi della contrazione
da X del muscolo in riposo, che si presenta special-
mente per le concentrazioni elevate in cui si mani-
festano essenzialmente le sole proprietà tossiche del X;
infatti questa contrazione si produce come primo
effetto immediato dell’azione del X C/ a cui fa seguito
tosto la scomparsa della eccitabilità del muscolo; €
poichè l’ aumento della concentrazione dei K-ioni
agenti sulla fibra, nel passare dalla misura fisiologica
(ad es.: quella del plasma intorno alle fibre muscolari)
a quella della soluzione (ad es. isotonica) che arriva
al muscolo, non possiamo concepirlo se non come un
ata. Azione della soluzione di CaCl, a 0,268 p. 1000 (2p.
processo graduale e progressivo per quanto rapido,
ZI
mi pare agevole pensare che vì possa essere un istante
in cui l’aumento de’ K-ioni esaltando rapidissimamente
l’ eccitabilità dell’ elemento contrattile provochi la
contrazione idiomuscolare. In tale ipotesi credo che,
aumentando molto lentamente la concentrazione del X
nella soluzione che bagna il muscolo, sì potrebbe rag-
in S si sospende la circolazione pei vasi.
giungere la fase paralizzante dell’ azione di questo
jone, senza provocare la contrazione spontanea della
fibra.
— (Gastrocnemio di rana curari
CaCl, + 98 p. sol. is. NaCl) sulla eccitabilità e contrattilità della fibra muscolare. Eccitamento ritmico (ogni 5'') del mu-
scolo con stimoli submassimali (600 u). In Na si fa circolare la soluzione isotonica di NaCl, in Ca si fa circolare la
detta soluzione di CaCl,;
Calcio. Ricerche dirette sull’ infiuenza del calcio
Tracciato 18.
sul muscolo curarizzato non credo esistano.
Nelle seguenti esperienze con la circolazione arti-
ficiale mi sono servito di soluzioni isotoniche di Na C?
a cui ho aggiunto volumi diversi di soluzione isotonica
di CaCl,..
1. Facendo circolare attraverso al muscolo solu-
zioni alquanto diluite di CaC7, ed eccitando ritmicamente il muscolo stesso con stimoli
massimali e submassimali non si ottengono apprezzabili modificazioni dell’ attività musco-
— oo
lare in quanto l’altezza di contrazione diminuisce di quantità
assai piccole e la forma della contrazione non si modifica
affatto
Il 7r. 18 mostra appunto una di tali esperienze con
soluzione contenente 2 vol. %, di soluzione CaCI, isotonica
0)
(corrispondente a gr. 0,268 p. 1000); mentre il muscolo viene
eccitato con stimoli submassimali (600 unità ogni 5°) si fa
circolare la soluzione; l’altezza della curva di contrazione
è scesa da 22 mm. a mm. 16 in quasi 4.
Anche soluzioni un po’ più ricche di Ca non manifestano
effetti apprezzabili, pure determinando un certo abbassamento
dell’ altezza della curva.
Il Tr. 19 è stato ottenuto facendo circolare una soluzione
contenente 10 vol. %, di soluzione isotonica di CaC2, (cor-
rispondente a gr. 1,34 p. 1000) e inviando al muscolo stimoli
massimali (2000 U.). Anche in questo caso. non si ha che
una lieve diminuzione dell’ altezza senz’ alcuna modificazione
della forma della curva; facendo circolare successivamente
soluzione pura di NaC/ l’ altezza della curva non si modifica;
essa si ripristina però facendo circolare siero di coniglio
allungato con soluzione fisiologica.
2. Per verificare un effetto apprezzabile sulla eccitabilità
della fibra muscolare bisogna ricorrere direttamente alla
soluzione isotonica di Ca Ct. Come mostra il Tr. 20, anche
con stimoli massimali la soluzione di Ca C?, determina un
rapido abbassamento delle ‘contrazioni fino anche a completa
ineccitabilità. La lavatura successiva con soluzione isotonica
di NaCl toglie solo in parte e assai lentamente gli effetti
dell’eccesso del Ca. È importante anche qui rilevare che
mancano sia ogni alterazione di forma della contrazione sia
ogni accenno di contrattura. Di ciò ho potuto anche accer-
tarmi raccogliendo i tracciati delle singole curve a velocità
maggiore del cilindro fino ad esaurimento completo della
contrattilità.
È bene qui richiamare quanto ho accennato (v. pag. 369)
a proposito della influenza del Ca sulla forma di contrazione
del muscolo provvisto della sua innervazione. Da molti autori,
incominciando da Brunton e Cash, è stato da tempo
notato che i sali di Ca aumentano la durata della contra-
zione muscolare e prolungano la fase di allungamento, pre-
sentando sotto questo riguardo un’azione contraria a quella
dei sali di K.
Na
S
vi
N
We
9
%
ata. Azione della soluzione di CaCl, a 1,34 p. 1000 (10 p. sol. is. CaCL + 90 p. sol. is. NaC1) sulla fibra
muscolare. Eccitamento ritmico del muscolo (ogni 5'') con stimoli di 3000 u.; in Ca si fa circolare la detta soluzione di CaCl,, poi in Na si fa circolare da
prima sol. is. di NaCl pura e quindi mescolata con siero di coniglio.
ZI
— (Gastrocnemio di rana curari
Traccraro 19.
i
=;
ca
3
as,
| i
I
Tracciato 20. — Ga-
strocnemio di rana cura-
rizzata. Azione della solu-
zione isotonica di Ca Cl,
sulla fibra muscolare, Ec-
citamento ritmico (ogni 5'')
del muscolo con stimoli di
3000 u.: in Na circola sol.
is. di NaCI, in Ca circola
la sol. is. di CaCl,. (Vedi
testo). 3
Tracciato 21. — Ga-
strocnemio di rana cura-
rizzata. Azione sulla fibra
muscolare dei reattivi de-
calcificanti : Soluzione iso-
tonica di ossalato di sodio.
Eccitamento ritmico (ogni
5!) del muscolo con stimoli
di 200001 MiinNossi sita
circolare la sol. is. di os-
salato : in Na si lavano i
vasi con sol. is. di NaCl,
Tracciato 22. — (Ga-
strocnemio di rana cwra-
rizzata. Azione della solu-
zione isotonica di ossalato
di sodio sul muscolo. rit-
micamente (ogni 5'') ec-
citato. Velocità maggiore
del cilindro (mm. 60 al 1‘).
Contrattura, modificazione
della fase espansoria delle
singole contrazioni, infine
perdita della eccitabilità.
— 387 —
Ora non è chi non veda come da queste mie osservazioni sperimentali risulterebbe
provato che tale proprietà del calcio non è effetto di una azione diretta sulla fibra musco-
lare ma piuttosto sull’elemento nervoso del muscolo o sopra processi dell’ attività musco-
lari, che stanno sotto la dipendenza assoluta di questi elementi nervosi.
Azione dei reattivi decalcificanti. Gli effetti dovuti ad un difetto del Ca nella fibra
muscolare non si possono studiare con la semplice lavatura del tessuto con la pura solu-
zione di NaCl, come avviene invece per le terminazioni nervose motrici del muscolo stesso.
Perciò, a questo scopo, ho voluto sperimentare sul muscolo curarizzato l’ azione di quei
Fig. |.
Rig. 2.
Tracciato 23. — Gastrocnemio di rana curarizzata. Curve di contrazione del muscolo sotto
l’azione dell’ossalato di sodio (sol. is.) ed eccitato ogni 5'' con stimoli di 2000 u.
Fig. 1. Curve iniziali.
Fig. 2. Curve terminali.
Velocità del cilindro == mm. 500 al 1°.
sali, che formando col calcio delle combinazioni assal poco dissociate (solubili o insolubili)
fissano il Ca-1one del tessuto muscolare. Ho. adoperato l’ossalato, il fluoruro ed il citrato
(tri-)sodico.
L'azione dell’ ossalato sedico nella, proporzione di 1-10-15 cc. di soluzione isotonica °,
non è molto notevole sul muscolo curarizzato. Se invece si fa circolare la soluzione isoto-
nica di ossalato di sodio e si stimola il muscolo con correnti massimali (2000 U. vedi
Tr. 21 e 22) appena la soluzione arriva alla fibra muscolare si ha una forte contrattura
— 388 —
con grande modificazione della forma della contrazione: la fase discendente è molto prolun-
gata ed acquista l’ aspetto caratteristico dovuto all’ avvelenamento per veratrina (v. Tr. 23).
La eccitabilità e la contrattilità diminuiscono progressivamente finchè si spengono. Spesso
| .
UA
AT
Na,
Tracciato 24. — Gastrocnemio di rana curarizzata. Azione sulla fibra muscolare dei reattivi decalci-
ficanti: Soluzione isotorica di NaF. Eccitamento ritmico (ogni 5‘) del muscolo con stimoli massimali (6000 u.).
In F si fa circolare la soluzione del fluoruro di sodio, che determina tosto contrattura e perdita dell’ eccitabilità.
A questo punto la circolazione con sol. is. di NaCl (Na) fa riapparire l’ eccitabilità e la contrattilità normale
della fibra muscolare. Una nuova circolazione di fluoruro fa sparire l’eccitabilità senza dare luogo a contrattura.
Traccrato 25. — Gastrocnemio di rana curarizzata. Azione sulla fibra muscolare dei reattivi decalcifi-
canti: soluzione isotorica di citrato trisodico. Eccitamento ritmico (ogni 5‘) del muscolo con stimoli massimali
(4000 u.); in Ci si fa circolare la soluzione di citrato trisodico: contrattura con fibrillazioni, e diminuzione
progressiva dell’ eccitabilità. Lavando con sol. is. di NaCl (Na) si ripristinano le condizioni di eccitabilità e
contrattilità primitiva della fibra muscolare.
non mancano fibrillazioni. La immediata e susseguente lavatura con soluzione di Ma C2
ristabilisce più o meno rapidamente la eccitabilità del muscolo.
Non dissimili sono gli effetti delle soluzioni isotoniche di Na e di citrato trisodico ;
il primo apparisce di azione più rapida ed energica dell’ossalato, il secondo al contrario
ha un’azione più blanda di questo. Ma come risulta evidente dai Tr. 24 e 25 la loro azione
sulla fibra muscolare striata è fondamentalmente identica. Questa identità di azione in sali
così differenti dimostra evidentemente che tutti agiscono in quanto fissano il Ca-ione della
fibra muscolare.
—- 389 —
Come si vede da questi risultati, è certo che il Ca possiede nei processi funzionali
della stessa fibra muscolare un ufficio importantissimo ed essenziale; ma da queste poche
ricerche, che hanno quasi ancora un carattere preliminare, non è lecito trarre, per ora, se
non lo stimolo e l'ispirazione ad ulteriori studi.
Considerazioni finali.
In queste ricerche, che vorrei ben più complete, mi è stato di guida il pensiero, che
solo una analisi precisa dei fatti riguardanti le funzioni dei costituenti minerali dei proto-
plasmi potrà avvicinarci alla interpretazione veramente scientifica di queste funzioni.
Ed in tale intento mi sono messo per la via già da qualche autore tracciata cercando,
tra l’altro, di sceverare possibilmente ciò che nel muscolo è funzione della fibra contrattile
e ciò che spetta all’ elemento nervose del muscolo stesso.
Alcuni dati possono essere riassunti. Così noi vediamo che l’elemento nervoso è molto
meno resistente alle variazioni dell'ambiente minerale e risente molto di più il difetto o
la mancanza di alcuno dei cationi fisiologici.
La fibra muscolare è molto meno sensibile alle modificazioni dell’ ambiente minerale
sia per le sue proprietà osmotiche e di permeabilità, sia per le notevoli riserve di compo-
nenti inorganici che essa possiede. Ecco perchè la fibra muscolare non reagisce alle pic-
cole modificazioni della soluzione con la quale viene in contatto se non con cangiamenti
funzionali che sfuggono spesso ad una ricerca superficiale. Mentre il Na non ha proba-
bilmente che infiuenze più o meno indirette, il X e il Ca sono invece due elementi stret-
tamente collegati alle funzioni di eccitabilità e di contrattilità della fibra muscolare. Ma
mentre il primo manifesta le sue azioni più profonde quando venga ad aumentare nella
soluzione circolante, il Ca al contrario dà sentore della sua grande importanza quando con
mezzi speciali (agenti decalcificanti) venga sottratto al muscolo stesso.
Fra i fatti degni d’essere rilevati come risultato delle presenti ricerche credo conve-
niente ricordare sopratutto i seguenti:
1°) L’antagonismo di azione che il Ca e il X esercitano sui muscoli scheletrici è da
riferirsi in massima parte all’ elemento nervoso di questi.
2°) Il potassio, nei limiti fisiologici con che viene a trovarsi nel tessuto muscolare, ha
piuttosto funzione stimolante che depressiva poichè aumenta l’ eccitabilità e la contratti-
lità della fibra muscolare.
IstrruTo DI FisroLoGIA DELLA R. UNIVERSITÀ DI BoLoGNA
DIRETTO DAI PROF. P. ALBERTONI
SULL’ ETEROMORFISMO DELLE FOGLIE DELL’ABIES ALBA
E DELLA PICEA EXCELSA, CONSIDERATO PRINCIPAL-
MENTE SOTTO IL PUNTO DI VISTA BIOLOGICO.
NOTA
DEL
Prof. FAUSTO MORINI
letta nella Sessione dell’ 1} Maggio 1914.
La foglia è un organo eminentemente variabile, capace dei più svariati e mirabili
adattamenti, specialmente in ordine alla luce, per cui essa può assumere diversissimi ca-
vatteri di forma, di posizione (migliore orientamento alla luce) e di interna struttura.
I detti adattamenti sono compresi fra questi due estremi lontanissimi fra loro :
a) foglie a lembo orrizontale il cui clorenchima presentasi bifacciale,
b) foglie aventi tali caratteri di forma ed anche di posizione, per cui risentono uni-
formemente l’azione della luce nell’ intera loro superficie ed il clorenchima mostrasi in
conseguenza omogeneo e quindi non differenziato.
Un caso importante di eterofillia fin quì poco studiato, massime sotto il punto di vista
biologico, [se ne trova qualche accenno specialmente nella classica opera dell’Ascher-
son e del Graebner (1)], è quello che si osserva negli Abeti. Ho avuto opportunità di stu-
diare questo fenomeno con qualche estensione in due specie : nell’ Abies alba (Abete bianco)
e nella Picea excelsa (Abete rosso).
_ Ora, mentre in un prossimo lavoro ci riserviamo esporre uno studio dettagliato in
proposito, la presente Nota considera soltanto i principali caratteri anatomici delle due
forme tipiche di foglie che si riscontrano nelle due specie menzionate di Abeti, con un
breve cenno sopra alcune considerazioni biologiche che si possono istituire sulla detta
eterofillìa.
I}
Abies alba Mill. (A. pectinata DC.)
(a, ea — SC95)
In questa specie, come anche nella Picea excelsa, distinguiamo due forme di foglie :
1°. quelle ordinarie, più giovani, le quali veramente costituiscono per la loro immensamente
(1) P. Ascherson u. P. Graebner — Syuopsis d. mitteleuropàischen Flora — I Band: Gym-
nospermae, pag. 190-199..
Serie VII. Tomo I. 1913-14. DI
— 392 —-
superiore importanza numerica, il fogliame della pianta: 2°. le foglie più vecchie; le quali
persistono sull’ asse primario.
Foglie rameali ordinarie. — (Fig. 1°). Queste foglie in confronto a quelle più vecchie
dell'asse primario, presentano una differente conformazione e dimensione ed il lembo è
più sottile; la Fig. 1° rappresenta appunto una sezione trasversa della foglia condotta circa
alla metà della lunghezza di questa. Uno
‘sguardo comparativo anche alla Figura 2°
(che mostra invece una sez. trasversa di
una foglia della regione superiore dell’asse
primario) contribuisce alla dimostrazione
Fic. 12 di tale differenza.
Passando alla generale caratteristica
anatomica, sotto l'epidermide riscontrasi una stratificazione di fibre sclerenchimatiche,
interrotta nella pagina inferiore in corrispondenza agli stomi. Un clorenchima a palizzata
bene sviluppato osservasi in rapporto alla pagina superiore, e si estende fino ad occupare
i margini fogliari. Nella pagina inferiore a breve distanza dai bordi della foglia, notansi
due canali resiniferi uno per parte. Nella regione centrale della foglia, tutt’attorno alla
stela ed anche in corrispondenza alla pagina inferiore, le cellule del restante clorenchima
diventano più brevi di quelle del palizzata, con tendenza alla conformazione isodiametrica;
sono disposte senz’ ordine e meno ricche di cloroplasti.
| Foglie dell’ asse primario. — (Fig. 2*. A parte la molto minor lunghezza di queste
foglie e la presenza di un mucrone alla loro sommità, massime nella regione superiore
dell’ asse primario, queste anzitutto presentano in corrispondenza alla loro linea mediana
longitudinale, una grossezza più eccen-
tuata che nella precedente categoria di
foglie, nella proporzione circa di 3 a 2.
La faccia superiore, alquanto appiattita
nel mezzo, è in generale manifestamente
convessa. Il carattere anatomico più sa-
liente è che il tessuto a palizzata conserva
press a poco la stessa entità, il mede-
simo grado di sviluppo che nelle foglie
della prima forma più sopra descritta, per cui risulta costituito da due piani od al mas-
simo talora di tre; non solo, ma lo spugnoso presenta uno sviluppo molto maggiore, per
cui veramente costituisce la maggior parte del clorenchima. Anzi, mentre nella forma
fogliare precedente il palizzata giunge quasi a contatto col cilindro centrale, qui invece
lo spugnoso già si presenta notevolmente sviluppato fra la stela e la faccia interna del
palizzata.
— 393 —
Il.
Picea excelsa Lk. (1)
(ROMS)
Questa interessante essenza forestale distinguesi per una notevole tendenza alla varia-
zione in molteplici forme.
Foglie rameali. — In queste foglie di cui la Fig. 3° rappresenta la sez. trasversa,
il clorenchima presentasi press’ a poco omogeneo in tutto il contorno della foglia fino al
Gilindro centrale, eccezion fatta delle cellule dello strato periferico le quali sì mostrano
alquanto più allungate. Più si pro-
cede verso | interno, le cellule,
diventano alquanto più voluminose
ed i cloroplasti vanno diminuendo
di numero. Il cilindro centrale ad
endoderma benissimo differenziato,
presenta le caratteristiche istolo-
giche studiate dal Daguillon (2.
Foglie dell’ asse primario. —
Fig. 3° Il tipo morfologico di queste foglie,
come può desumersi dalla sez. tra- Fig. 4°
sversa (Fig. 4°) presentasi invece tetragono con tendenza delle faccie a divenire più o meno
regolarmente convesse. Anche qui il carattere anatomico del clorenchima presentasi come
nella forma precedente di foglie, cioè è omogeneo; notasi però una notevole prevalenza nella
dimensione delle cellule verdi situate più internamente.
III.
Riassumendo, nelle due specie ora studiate, abbiamo un notevole grado di dimorfismo
fogliare per cui dobbiamo distinguere in ciascuna di esse due estremi di forme: 1° le foglie
più giovani, cioè quelle delle diramazioni laterali e quelle più vecchie che stanno più o meno
divaricate sull’ asse primario.
Nella 1% forma di foglie dell’ A. @/ba si ha l evidente differenziazione di tessuto a
palizzata nella pagina superiore e di spugnoso nell’inferiore, il che è in manifesta corre-
lazione colla forma e posizione delle foglie in ordine alla luce. Invece nella P. eacelsa le
foglie per la loro orientazione e forma potendo risentire |’ azione della luce in tutto il loro
contorno, è andata in esse scomparendo la duplice differenziazione del tessuto verde, il
quale è così ridotto a solo clorenchima omogeneo.
(1) P. Ascherson u. Graebner — l. c. pag. 196.
(2) A. Daguillon — Reécherches morphologiques sur les feuilles des Conifères (Revue gén. de
Bot., Tome II, 1890.
— 394 —
Ritormando ora all’ Abete bianco, il preponderante sviluppo dello spugnoso notato nelle
foglie dell’asse primario, è in relazione colla caratteristica conformazione che hanno dovuto
assumere queste foglie e colle differenti esigenze delle due forme di clorenchima di fronte
alla luce. Per contro, nell’ Abete rosso la caratteristica delle foglie dell’asse primario,
massime di quelle persistenti da più lungo tempo, presenta anche più spiccato che nelle
foglie rameali, il tipo fogliare che si è adattato a risentire uniformemente l’azione della
luce, tanto per la conformazione che è tetragona a faccie più o meno convesse, che pel
clorenchima omogeneo.
Ma il breve studio precedente ci conduce ad alcune considerazioni biologiche relative alle
condizioni generali di vita dei due Abeti suddetti. Il dimorfismo fogliare notato in questi
è diretto ad una migliore utilizzazione della luce nelle diverse e speciali condizioni in cui
ciascuna forma di foglia si trova.
L’Abete bianco è una pianta essenzialmente forestale dove molti individui sono atti
a crescere fitti ed insieme serrati, occupando il minimo spazio. La disposizione dei suoi
rami a verticilli orizzontali vestiti di foglie disposte con una complanazione distica, è in
armonia con tale carattere; le foglie presentando così la loro faccia superiore verso 1’ alto,
ivi risentono maggiormente l’ azione della luce. Invece le foglie dell’ asse primario sono
più o meno convergenti verso |’ alto e disposte polisticamente.
Allo stesso tipo biologico appartiene l’Abete rosso; senonchè qui i rami più giovani
inclinano ad assumere posizione pendola, per cui i relativi aghi fogliari tendono ad essere
rischiarati dall’ alto in ogni lato.
In conclusione, da quanto si è detto puossi riconoscere essere un pregiudizio ritenere.
come hanno fatto diversi Forestali che gli Abeti siano piante 0mbrofile, ossia poco Eliofile
rispetto ad altri alberi che crescono rari ed isolati; essi rappresentano piuttosto delle
specie dove il modo particolare di crescere dell’ asse primario e degli assi laterali, per-
mette la massima economia di spazio ed il vantaggio di poter fruire anche nelle regioni
più profonde, di quelle quantità di luce bastevole pel compimento dei processi dell’ assi-
milazione, senza alcun pregiudizio proveniente dall’ immediata vicinanza di più individui.
E poichè per una miglior utilizzazione della luce è necessario che i vari ordini di verticilli
rameali dello stesso tronco non si ostacolino nella loro funzione eliotropica (eliofila), così
essi sono reciprocamente alterni, anzi giammai si sovrappongono esattamente, in modo che
la luce può penetrare liberamente fino ai verticilli più bassi e profondi e quindi più vicini
al terreno, filtrando attraverso i vari ordini di ramificazioni secondarie, le quali nel loro
insieme e viste dall’ alto, formano una specie di reticolazione idonea al passaggio di quella
quantità di luce sufficiente pel compimento della funzione clorofilliana negli organi fogliari
che occupano le regioni più profonde della pianta.
I° Eteromorfia fogliare quì studiata corrisponde appunto a questa maniera di accre-
scimento e di vegetazione, e dimostra ancora una volta che le foglie di fronte all’ azione
della luce sono organi eminentemente plastici, capaci dei più diversi adattamenti.
—T LA WWWTSLI__—
(A FOLKCOKOKLN SULLA PELLE DAI LEM
=
MEMORIA
DEL
Prof. DOMENICO MAJOCCHI
DIRETTORE DELLA CLINICA DERMO-SIFILOPATICA DELLA R. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
(letta nella Sessione del 24 Maggio 1914).
(GON UNA TAVOLA)
Non v’ha chi non veda, come l’etiologia della Lepra abbia bisogno ancora di un lungo
e particolareggiato studio, soprattutto per stabilire, se, fra i diversi modi di propagazione
del virus leproso, debbasi ammettere anche quello della puntura, operata da insetti suc-
chiatori, capaci di trasportare il prodotto succhiato dal malato al sano, o di diffonderlo
sul paziente medesimo.
Molto fu scritto e discusso in proposito, e non pochi insetti furono incolpati del tra-
sporto del bacillo di Hansen dal malato al sano : fra i quali menzionerò i Muscidi (Musca
Domestica), la pulce (Pulex Irritans), la pulce penetrante (Sarcopsyllta Penetrans), le
zanzare (Culex, Anopheles..), le cimici (Acanthia lectularia), e infine anche gli Acaridi.
Che talvolta i bacilli leprosi sieno stati trovati nelle mosche (Romer), nel tubo dige-
stivo delle zanzare, dopo che ebbero succhiato il sangue dei leprosi (Ehlers, With,
Bourret, Noc, Arning e Blanchard), che uguale reperto siasi ottenuto anche nella
Pulce Irritante, non v ha dubbio alcuno, avendone date prove ineluttabili moltissimi
ricercatori. Infatti dal Leindsay Sandes nel Leprosario di Robben Island (Sud Africa)
furono istituite esperienze molto ingegnose sopra questi insetti per vedere se essi, portati
sopra la pelle dei Leprosi, fossero capaci di succhiare il bacillo di Hansen e di mostrarlo
al microscopio. In tutti si rinvenne la presenza del bacillo: ma a preferenza nelle Cimici,
che ne mostrarono in numero maggiore e con maggior frequenza.
D'altra parte è d’uopo osservare che, per tutti gl’insetti sopramentovati, non pochi
reperti negativi si ebbero nelle mani di ricercatori abilissimi. Ma soprattutto negative
riuscirono le ricerche nelle Zanzare, (Marchoux, Nicolas, Donald, Curiel.....): e
a questo proposito meritano di essere ricordate le esperienze senza reperto di bacilli di
Hansen, istituite sulle zanzare da una Commissione, inviata dal Governo inglese nelle
Indie. Tornerò più tardi ad accennare questo punto importante dell’ argomento: ma
intanto è d’ uopo fissare bene sotto il rispetto storico che fin qui non si è potuto dare
Serie VII. Tomo I. 1913-1914. 92
— 396 —
una dimostrazione sperimentale, che insetti succhiatori abbiano introdotto nell’ organismo
umano il bacillo di Hansen.
Sarebbe dunque una possibile evenienza (se vuolsi ben fondata su reperti microscopici)
l'innesto del bacillo di Hansen da parte delle zanzare, delle cimici, delle mosche, dei
pidocchi, degli acari, delle pulci, e della stessa Sarcopsylla Penetrans, sulla quale ulti-
mamente: molti si sono fermati con argomenti clinici per accreditare sempre più il sospetto
di una propagazione del virus per opera di questo afanittero. Ma anche di questo insetto
farò rilevare, sia per ricerche già note, sia sulla base dei casi da me osservati, che non
v'è ancora una prova diretta che dimostri siffatta trasmissione della Lepra per opera del
medesimo.
Uguale sospetto, come dissi più sopra, fu mosso contro gli acaridi (1) e fra questi il
Demodexa folliculorum è stato soggetto di molte ricerche per riguardo alla diffusione del
contagio e, come si vedrà, fin qui non sono ancora d’ accordo i vari ricercatori.
Ma qui sorge subito spontaneo il quesito: il Demodea folliculorum può trasportare
ed innestare nella pelle umana microrganismi ?
A tutta prima viene fatto di pensare che il Demodex è sfornito di mandibole speciali
e di congegni cornei perforanti, per modo che non è atto a scavare l epidermide per
immettere nel derma elementi micotici, da esso raccolti sulla pelle di un malato; e sotto
questo rispetto il Demodex non può nemmeno paragonarsi alla zanzara, o alla Sarcopsylla
Penetrans, essendo che questi insetti possono infiggere il loro succhiatoio, o il dardo
corneo, entro la cute di un leproso, o di un malato di altra dermatosi contagiosa.
.Non ostante queste deficienze, il Demodex profitta delle aperture già esistenti sulla
pelle, quali sono gli orifici delle ghiandole sebacee e dei follicoli piliferi, per i quali orifici
esso entra senza sforzo e, penetrato in detti organi, ivi abita, sì nutre, e si riproduce; è
d’ uopo poi notare che talvolta la presenza di questo acaride non è indifferente per gli
organi ghiandolari, potendo arrecarvi, perfino negli acini stessi, alterazioni più o meno gravi.
E su tal proposito devo richiamare le mie ricerche microscopiche, che sono le prime,
intorno all’ azione patogena, che può talvolta esercitare il Demodea negli organi ghiando-
lari sebacei e nei follicoli piliferi. Queste si trovano accennate nel mio primo Lavoro,
pubblicato nel 1879 negli A? dell’Accademia Medica di Roma, ricerche fatte sopra una
produzione calaziforme dell’ orifizio delle ghiandole meiboniane.
Ma ricerche isto-patologiche più minute, istituite con metodo comparativo, furono da
me esposte in due estese Memorie, presentate alla Accademia delle Scienze dell’ Istituto
di Bologna, la prima nella Seduta del 31 Maggio 1896, la seconda nella Seduta del 21
Aprile 1899; e soprattutto nella prima, avendo studiato il Demodex folliculorum nelle
ghiandole meiboniane dell’ ùomo e di. alcuni apimali domestici, potei dimostrare nei reperti
microscopici, assai evidenti, un fatto nuovo, riguardante |’ azione patogena di questo acaride.
sulla pelle umana, negata fino allora da parassitologi e dermatologi: anzi dal risultato delle
(1) L’acaro della Scabbia (Sarcoptes Scabiei, fu ritenuto capace di trasmettere la lepra (Joly,
Muglistou, Ernest von Basewitz) e si rinvenne molte volte sopra i leprosi: mancano però
anche per esso osservazioni dirette di trasmissione del Bacillo di Hansen.
— 397 —
mie ricerche venni nella convinzione, che il Demodea folliculorum non solo non poteva più
ritenersi innocente abitatore delle ghiandole sebacee dell’ uomo e di alcuni mammiferi,
ma fosse bensì capace di provocare fatti irritativo-flogistici, e in pari tempo di portare
entro gli organi ghiandolari sebacei microrganismi diversi, dei quali alcuni patogeni. Nella
seconda Memoria, oltre le lesioni dei follicoli cigliari, ho descritto anche alterazioni ana-
loghe, riscontrate con presenza del Demodea nei follicoli piliferi e sebacei delle vibrisse.
ale rarissimo reperto, fino allora non constatato, ci mette in evidenza che anche questa
insolita sede può essere occupata dal parassita.
Dopo queste mie Pubblicazioni vennero alla luce altri lavori sul Demodea folliculorum,
nei quali veniva confermato il risultato delle mie ricerche, mercè la dimostrazione che in
certe condizioni questo Acaride può dar luogo a lesioni ghiandolari e perighiandolari e
in pari tempo farsi portatore di microrganismi.
Come conseguenza naturale di questi studi, è facile pensare che alcune malattie infet-
tive e contagiose, delle quali non si conosce ancora il mezzo di trasporto dell’ elemento
virulento, sieno dovute al Demodea quale veicolo del medesimo : e fra queste malattie, ad
innesto ancora oscuro e quasi misterioso, si volse lo sguardo aila Lepra.
E che fosse giusto tale sospetto, non si troverebbe nulla a ridirvi sopra: occorreva
però dare una dimostrazione sul trasporto del bacillo leproso da parte del Demodex folli-
culorum.
E qui è duopo riconoscere che il Borrel è stato il primo a vedere nel Demodea il
portatore del contagio della Lepra: innanzi tutto in un precedente lavoro, dopo avere .
studiato la frequenza del Demodex nel cancro della faccia e del seno (sedi predilette di
questo acaride), inclina verso |’ ipotesi che il parassita possa provocare mercè speciale
stimolo questo neoplasma.
Ma siffatta ipotesi è dal Borrel ritenuta più affermativa per la Lepra. A tal pro-
posito egli si appoggia sopra alcuni argomenti che, ben riguardati, non sono privi di valore:
1° la sede topografica, nella quale vive d’ ordinario il Demodex, suole presentare lo svi-
luppo dei primi nodi leprosi (faccia soprattutto, naso e orecchie) 2° la presenza in questi
nodi iniziali di ghiandole sebacee, di follicoli piliferi, facilmente accessibili ai Demodea
8° il reperto microscopico del prodotto sebaceo, ricco di questi acaridi, che si mostrano
coperti di bacilli di Hansen, com’egli potè dimostrare in alcuni pezzi patologici tolti, per
biopsia, dalla pelle del naso di alcuni leprosi.
In seguito al risultato di queste ricerche microscopiche taluno è d’ avviso, che il
Demodex, insieme al grasso delle ghiandole sebacee, prenda anche i bacilli leprosi, e
appresso, emigrando dal naso del malato, li trasporti sul naso sano.
Al Borrel apparve tanto importante questo reperto, che, in base al medesimo, Egli
propose contro il contagio della Lepra una profilassi speciale : la quale sarebbe diretta ad
eliminare il grasso che si raccoglie entro le ghiandole sebacee, perchè avidamente ricer-
cato dal Demodex : e tale intento ottiene il Borrel mercè l’ uso del xilolo e del petrolio,
coi quali, mentre asporta la massa sebacea, impedisce al Demodex di trasportarvi i bacilli
leprosi e di fare dimora entro i detti organi.
SM OR,
Dopo le ricerche del Borrel, venne alla luce nel 1910 un breve lavoro del Pro-
fessore Ernesto Bertarelli (Parma) e del Dottor U. Paranhos, assistente nell’ /sti-
tuto Pasteur del Brasile, i quali nel Zeprosario di Guabira presso San Paolo, appro-
fittando del ricco materiale di leprosi ivi raccolti, hanno fatto indagini numerose per
stabilire, se l’ ipotesi del Borrel abbia un fondamento sicuro e se veramente possa effet-
tuarsi la trasmissione del contagio leproso per il veicolo del Demodex.
Or bene dalle ricerche microscopiche, fatte sopra 60 leprosi, i risultati ottenuti non
furono molto confortanti e, sebbene il Bertarelli- e il Paranhos non traggano conclusioni
assolute in rapporto all’ idea del Borrel, nullameno non possono favorire la possibilità
del contagio leproso da parte del Demodex, appoggiandosi per questo loro avviso sopra i
seguenti fatti :
1° Che in 2 soli leprosi su 60 si ebbe il reperto dei bacilli con Demodex.
2° Che i bacilli leprosi nelle loro ricerche furono assai rari, mentre invece i Demo-
dex si presentarono in discreto numero.
3° Che in molti leprosi con ricca eruzione di nodi sulla faccia, e specie sul naso
mancarono, 0 furono scarsissimi i comedoni: anzi secondo il loro avviso i comedoni sem-
bravano susseguire, anzichè precedere, la comparsa delle manifestazioni leprose nella faccia
medesima.
4° Che nei negri l’ invasione dei Demodea è sempre scarsa, mentre le lesioni leprose
erano estesissime, specie quelle della faccia.
5° Che il reperto positivo del Borrel, secondo il Bertarelli e il Paranmhos,
non prova nulla per il trasporto del contagio, potendo | invasione del Demodea essere
secondaria alla formazione dei nodi, ed allora il parassita, penetrato nella spessezza dei
medesimi, verrebbe a trovarsi a contatto con i numerosi bacilli di Hansen.
Ai lavori del Borrel, del Bertarelli e del Paranhos non fecero seguito altre
pubblicazioni intorno al Demodea sulla etiologia della Lepra.
(1) Questo acarino fu trovato dal Bertarelli e dal Paranhos 15 volte su 60 leprosi aventi
comedoni: in varia quantità e così distinti.
Comedoni con Demodex
Abbondanti . , 3
discreti. 1
Lario 9
CALI IE 2
Comedoni senza Demodex
ADDONAANLISSE RR IGEA IO CI OO
\ discreta sore aa e o IA RI
TAI OLA IRE OA SERRE ASCA LO ARI RATE NANDO)
rarissimi 2
Ma ciò che importa rilevare, è che in 2 soli casi il reperto fu positivo per la presenza del bacillo
di Hansen insieme a numerosi Demodea: ma al numero notevole dei Demodea faceva contrasto la
rarità dei bacilli leprosi.
— 399 —
Ma lo studio intorno all’ argomento non può dirsi chiuso alle investigazioni e alla
critica: anzi, non ostante le ricerche discordi sopraesposte, la questione dell’ etiologia della
Lepra in correlazione col Demodea folliculorun trovasi ancora sub judice: infatti se il
reperto microscopico del Demodex entro i follicoli sebacei dei nodi leprosi, in compa-
gnia coi bacilli di Hansen, conduce ad un fondato sospetto di un possibile trasporto
del virus da parte di quell’ acaride, rimane sempre il punto importante da dimostrare, se
veramente il meccanismo di trasporto avvenga dal malato al sano per mezzo del Demodex
medesimo; come è facile comprendere, lo studio di tale questione richiederebbe esperi-
menti sull’ uomo, per verificare siffatta propagazione del contagio.
La questione è certamente del più alto interesse clinico : il che è dimostrato dalle
numerose ricerche, istituite in proposito da illustri dermatologi e da anatomo-patologi; ma
alla questione fondamentale, intorno al trasporto del germi leprosi mercè il Demodex dal
malato al sano, può far seguito anche un’altra, sebbene di minore importanza, riguardante
la diffusione del detto germe sul malato stesso per opera del Demodex ; e sotto questo
rispetto si può formulare un quesito in limiti assai ristretti; il Demodex, cambiando
dimora, vale ad immettere il bacillo da follicolo a follicolo sullo stesso paziente ?
Tuttavolta, posto il quesito in questi termini, torna sempre in campo la questione della
propagazione del contagio leproso dal malato al sano per il veicolo del Demodex: anzi
la possibilità di questa propagazione si presenta più realizzabile.
Ma, come si è detto, la grave difficoltà di studiare la questione fondamentale per via
di esperimento sull’ uomo non ci concede, almeno per ora, di dare una risposta soddisfa-
cente intorno al trasporto del contagio leproso dal malato al sano mercè | intervento di
qualsiasi insetto, compreso il Demodex.
Dunque ci rimane soltanto a studiare il comportamento del Demodex sopra i leprosi;
poichè anche questo punto dell’ argomento, non ostante le ricerche del Borrei, del Ber-
tarelli e del Paranhos, non è ancora interamente chiarito.
A questo proposito molti anni or sono, e sovrattutto dal 1900 fino ad oggi, ho fatto
ricerche del Demodex, sopra alcuni leprosi di età diverse e in diverse fasi della malattia,
raccogliendo sopra ognuno di essi, per compressione, i comedoni e il grasso delle ghian-
dole sebacee, in diverse regioni della faccia e particolarmente sul naso.
Le prime ricerche, intrapprese parecchi anni or sono, non mi fecero nutrire grandi
speranze di risultato concludente per l’ argomento preso a trattare: e infatti in due leprosi,
di sesso maschile, dell’ età, uno di 38 anni circa, e |’ altro di 52, affetti ambedue da Lepra
nodosa e maculosa in diverse regioni dell’ ambito cutaneo e soprattutto nella regione della
fronte, delle sopraciglia, delle orecchie ed anche delle pinne nasali, non mi venne fatto di
trovare alcun Demodex nel grasso delle ghiandole sebacee, tantochè rimasi deluso nei
miei progetti di ricerche sulla diffusione del contagio leproso. Tuttavolta sul materiale
raccolto dalle pinne nasali di uno dei due pazienti (che presentava appena qualche nodetto
iniziale in questa sede), potei riscontrare la presenza di alcuni bacilli di Hansen, usciti
mercè la compressione insieme al grasso dei follicoli sebacei, ma non accompagnati dal
Demodex. |
— 400 —
Siffatto reperto poteva condurre a pensare, che l’ organo ghiandolare sebaceo si fosse
fuso con la massa neoformata del nodulo leproso, per modo che, nel fare la compressione,
fossero usciti insieme col grasso anche i bacilli.
| A mio avviso, però siffatta obbiezione non può avere valore alcuno, in quantochè
la raccolta della massa sebacea fu fatta in un punto, in cui non esistevano nodi leprosi :
comunque però la mancanza del Demodea in parecchi preparati microscopici, eseguiti con
abbondante raccolta di comedoni e di grasso, non mi incoraggiò a proseguire in questo
genere d’ indagine su questi stessi malati.
Più fortunato fu il reperto del Per:odex sopra un leproso, venuto nel Marzo del 1902
da S. Paolo del Brasile, il quale presentava sviluppatissime le ghiandole sebacee sulle
pinne nasali, nella regione della fronte e del dorso: in esso sono riuscito a mettere in
evidenza alcuni Demodex nel secreto raccolto dalle ghiandole sebacee.
Il paziente presentava la forma leprosa con caratteri abbastanza spiccati, tanto sulla
faccia, quanto sugli arti superiori e inferiori, mentre il tronco poteva dirsi quasi immune
dalla malattia: la dermatosi faceva mostra, ove con nodi in diverso grado di sviluppo,
specie sulla faccia [regione frontale, sopraciglia e pomelli], ove con nodi e macchie brune
[arti superiori e inferiori], ove infine con anestesie variamente estese, specie nelle regioni
estensorie degli avambracci.
Come ho detto, raccolsi i comedoni, tanto molli come concreti, dalle pinne nasali,
dalla regione frontale, dal dorso, e fattine molti preparati microscopici, rinvenni in essi
molti Demodex specie nei comedoni molli della faccia. Non sempre potei scorgere compa-
gno del Demodex il bacillo di Hansen; ma in alcuni preparati la presenza del micror-
ganismo leproso era in copia notevole, tanto attorno al Demodex, quanto aderente al
medesimo. E qui merita di ricordare che le pinne nasali, nelle quali i preparati micro-
scopici del prodotto sebaceo mostravano i bacilli di Hansen in discreto numero insieme
col Demodex, erano prive di nodi leprosi. Raramente e molto scarsamente rinvenni il
bacillo e il Demodex nei comedoni concreti di questo paziente.
Siffatto reperto mi animò a proseguire nelle ricerche microscopiche del Demodex nei
leprosi, non avendo potuto avere a mia disposizione il paziente che per tre soli giorni.
Mi sono ancora imbattuto nello stesso anno in qualche altro leproso, venuto qui di
passaggio, nel quale però non mi fu dato per ristrettezza di tempo di fare ricerche miero-
scopiche con tutta quella accuratezza, che si richiede in simili casi.
Fu soltanto in quest’ anno che ebbi 1° oppurtunità di vedere e studiare 77 leprosi, tutti
tornati dal Brasile, otto dei quali mi offrirono materia per svariate investigazioni e soprat-
tutto per studiare il Demodex in rapporto al bacillo di Hansen.
Nerò durante queste ricerche ho potuto convincermi, che le preparazioni mieroscopiche.
dimostrative non sono agevoli sulla pelle dei leprosi, come pure mi sono persuaso della
importanza che possono avere aleune condizioni sulla riuscita delle medesime. Gli osta-
coli vengono da diverse parti: di essi toccherò qui brevemente.
1°) Una prima difficoltà si incontra nella estrazione del prodotto dai follicoli sebacei;
dappoichè nel fare questa piccola operazione manuale sulle lesioni della faccia, specie
— 401 —
sulle pinne nasali..., non sempre si riesce a cacciare fuori lo scarso contenuto sehaceo,
sia per la piccolezza dei follicoli, sia per la compattezza dei nodi, o delle placche nodose,
in cui trovansi i follicoli stessi e, peggio ancora, per le vicine ulcerazioni leprose.
2°) Un altro ostacolo ci viene dalla consistenza maggiore o minore del contenuto
grasso, il quale per il diverso predominio dei sali, a base di margarina, o di oleina, può
dare, come ho detto più sopra, comedoni ora concreti ora molli : siffatta distinzione (basata
su quella della seborrea), se per i comedoni non è indispensabile, nè di grande importanza,
acquista però un certo valore, quando si vuole ricercare nei comedoni stessi il bacillo di
Hansen; e, come ho già accennato in precedenza, nei comedoni concreti il reperto del
bacillo e del Demodex riesce difficile, perchè difficile ne è il disgregamento sul. porta-
oggetti, laddove più agevole è la ricerca nei comedoni molli.
3° La raccolta del materiale può dare risultati diversi secondo la maniera di com-
primere i follicoli sebacei; così una compressione troppo forte, fatta sopra un nodo vicino
ad un follicolo, può provocare uscita dal parenchima del nodo stesso di elementi istologici
e, con questi insieme, uscita di bacilli leprosi, mentre una compressione delicata può dare
un risultato migliore, permettendo soltanto uscita del secreto.
4°) Una difficoltà non lieve si incontra nel fare la distensione sul porta-oggetto, in
quanto che è facile con questa manualità di frammentare i Demodex assai delicati nella
loro struttura : occorre pertanto, nel distendere sul vetro il prodotto follicolare, premere
leggermente anzichè strisciare, perchè non avvengano i guasti suddetti e in pari tempo
rimanga sottile lo strato.
5°) Il disseccamento del materiale sul porta-oggetto dovrà farsi a freddo, ovvero a
moderatissimo calore, perchè non si retragga, o si deformi il Demodex.
6°) Da ultimo fa d’ uopo qualche cautela nella tecnica di colorazione, per la quale,
come è noto, deve usarsi la ordinaria soluzione di ZieA di recente preparata: è neces-
sario ancora che la colorazione sia fatta subito, dopo aver disteso e disseccato il mate-
riale sul porta-oggetto, altrimenti i Demodex pigliano una tinta fortemente rosso-bruna
diffusa, la quale non permette di vedere i bacilli che si trovano in essi: inoltre occorre
una qualche cautela per la decolorazione, trattando il preparato per un tempo brevissimo
(qualche secondo) con soluzione alcoolica leggermente acida.
Premesse queste cautele per l’ esame microscopico, passo a descrivere in succinto le
storie cliniche dei singoli infermi.
CASO I. — LEPRA MACULO-TUBERCOLARE-ULCEROSA INcIPIENTE — B. L. di anni 55, industriale,
venuto nel mio studio il 2 Gennaio di quest'anno (1914). Ha vissuto molti anni a S. Paolo del
brasile. Data la sua malattia da 10 a 12 anni — E caratterizzata da nodi di varia grandezza, di
colore tendente al fulvo e alcuni anche al bruno, isolati, o aggruppati, lisci, lucenti e indo-
lenti; qua e là notansi anche macchie piuttosto larghe, di colore fulvo, altre brune, e altre
anche acromiche. Occupano la faccia, il tronco, e prevalentemente gli arti superiori (scarsamente
gli inferiori), ove alcuni mostransi ulcerati.
Notansi ancora larghe chiazze anestesiche, specie nella regione estensoria degli avambracci,
e anche delle gambe.
— 402 —
Esame microscopico — Fu diretto dapprima sopra il secreto nasale, in cui i preparati micro-
scopici mostrarono un numero assai notevole di bacilli leprosi, sia isolati, sia raccolti in fascetti,
sia racchiusi entro cellule: eguale reperto, sebbene con maggior numero di bacilli, si ebbe dai
preparati fatti da un nodulo raschiato superficialmente.
Ma un esame microscopico più accurato fu diretto sopra i comedoni delle pinne nasali e
della regione frontale: nei primi (comedoni molli) si rinvennero molti Demodex insieme con
bacilli leprosi, sparsi nel campo del preparato, ovvero a contatto coi Demodex medesimi: nei
secondi (comedoni duri) la preparazione riusci difficile per la distensione del materiale sul porta-
oggetti: tuttavolta gli scarsi Demodex, rinvenuti nei medesimi, non erano accompagnati da
bacilli leprosi.
CASO II — LEPRA TUBERCOLO-ULCEROSA, ANESTESICA - NEFRITE - CACHESSIA INCIPIENTE —
Andrea Baruzzi di anni 80, nativo di Savarna [P. di Ravenna], operaio, celibe, fu ammesso nella
mia Clinica il 21 Gennaio 1914. Dimorò per molti anni a Serranegra [S. Paolo del Brasile],
addetto alla coltivazione del caffé.
Circa 6 0 7 anni or sono, avverti l’ inizio della malattia cutanea, che più condi fu ritenuta
di natura sifilitica, e curata mercé preparati mercuriali, riusciti perfettamente inutili a modificare
la dermatosi; la quale si presentava con rilevatezze nodose, isolate, o in gruppi, di consistenza
dura, liscie, lucenti. accompagnate da chiazze, ove eritematiche, ove di colore fulvo, ove pig-
mentate, sparse in varie regioni della superficie cutanea, prevalentemente alla faccia, agli arti
superiori, e inferiori.
Oltre a queste lesioni morfologiche, il paziente mostrava chiazze anestesiche di vario grado,
di varia estensione, specie negli avambracci e nelle gambe. oltre al suo ingresso in Clinica
trovavasi in condizioni di forte deperimento, e con discreta copia di albumina nelle orine.
EsaME microscopico. — 4) Tubercoli cutanei — Le preparazioni, fatte con il materiale otte-
nuto mercé raschiamento di alcuni noduli, mostravano numerosi bacilli d’ordinario endocellulari.
b) Comedoni — Si tentò poi la ricerca sopra i comedoni: ma questa non potè in prin-
cipio riuscire sulla faccia, sia per l'edema abbastanza notevole, sia per l’eritema soprattutto delle
pinne nasali. Più tardi, cessato l’ edema, e diminuita la forma eritematosa, si raccolse tanto nella
regione frontale, quanto nelle pinne nasali, un certo numero di comedoni, la estrazione dei quali
riusci con una certa difficoltà. Nell’ esame dei pochi preparati, eseguiti con detto materiale, scarsi
sì rinvennero i Demodex, ma sempre accompagnati da un certo numero di bacilli leprosi, soprat-
tutto nei comedoni delle pinne nasali.
c) Muco nasale — Reperto di numerosi bacilli leprosi. ottenuto in molti esami miero-
scopici, ripetuti in diverse circostanze.
d) Saliva — Questa presentò in alcuni preparati scarsi bacilli leprosi.
e) Sangue — Preso mercé puntura nel polpastrello delle dita e in altre regioni, prive
affatto di lesioni leprose. Il risultato riusci positivo in alcuni preparati, sebbene scarsi si mo-
strassero i bacilli di Hansen.
f) Feci — Fu ripetuto più volte l'esame microscopico e in alcuni preparati si rinvenne
il bacillo di Hansen tanto isolato, quanto raccolto in piccoli fascetti.
9g) Urine — L'esame microscopico del sedimento urinoso non fece rilevare la presenza di
bacilli leprosi, sebbene l’ infermo avesse sofferto di Albuminuria.
h) Prodotti squamosi cornet — Come si dirà in appresso, questi furono raccolti in diversa
maniera dalla superficie epidermica, e nel maggior numero dei preparati microscopici, mostra-
rono la presenza di bacilli leprosi in numero più 0 meno cospicuo, aderenti alle lamelle epider-
miche, o liberi fra le cellule cornee, tanto isolati, quanto in piccoli fascetti.
i) Prodotti raccolti nella camera del leproso — Venne raccolto | humus grasso dal
pavimento, nonché il pulviscolo dalle pareti della camera, ove era degente |’ infermo: e con questi
prodotti furono eseguiti molti preparati microscopici, alcuni dei quali misero in evidenza i bacilli
di Hansen in discreto numero.
!) Uguale reperto microscopico si ebbe dai panni del leproso, dalle coperte e dal letto del
medesimo. i
m) Trovandosi il detto infermo nella Clinica a nostra disposizione, volli sul medesimo
ripetere l’ esperimento con le cimici | Acanthia Lectularia), per stabilire in quale misura siano
— 403 —
esse capaci di assorbire il bacillo di Hansen: per tale scopo chiusi alcune cimici sotto un vetro
da orologio, fissandolo per alcune ore sul braccio destro del paziente e, più precisamente, sul
terzo medio della regione esterna, sulla quale erano sparsi alcuni nodetti leprosi integri. Tolto il
vetro, e raccolte le -cimici, furono alcune di esse preparate a fresco, tagliandole nel mezzo.
Orbene, fatti alcuni preparati mercé il sangue, che usciva dalle medesime, vi si rinvennero molti
bacilli di Hansen. Le altre invece furono poste in alcool assoluto, indi in olio di garofano e
da ultimo chiuse in paraffina. Fatti alcuni tagli trasversali sulle medesime, apparvero bacilli
di ZMansen in discreto numero, liberi entro il canale alimentare.
CASO III — LEPRA TUBERCOLARE E ANESTESICA — Guglielmo Azzi di anni 47 nativo di Cene-
selli e ora dimorante a Mesola [P. di Ferrara], di condizione contadino, ammogliato, reduce dal-
l'America (dove dimorò per circa 12 anni in una località distante un giorno da S. Paolo del
Brasile), venne in Clinica il 23 Gennaio 1914, per farsi curare di una malattia cutanea, contratta
(egli dice) in America stessa 5, o 6 anni fa.
Il paziente si accorse di una insensibilità sull’ avambraccio sinistro, tantoché, pungendosi la
parte, vide uscire il sangue senza provare dolore.
Narra che della medesima malattia cutanea è affetta la-propria moglie e che ora la stessa affe-
zione si è sviluppata in un suo bambino.
L’eruzione cutanea dell’Azzi Guglielmo é generale, caratterizzata da macchie di varia gran-
dezza, alcune eritematiche, altre livide, e in maggior numero brune e bruno-fulve; ma più carat-
teristiche sono le rilevatezze nodose di vario volume liscie, lucenti, dure, di colore bruniccio,
isolate, 0 aggruppate, sparse in varie regioni della superficie cutanea.
A queste lesioni morfologiche se si aggiungano le anestesie cutanee, estese sul lato ulnare
degli avambracci e sul dorso delle mani e dei piedi, la diagnosi di Lepra rimane per sè evidente.
Esame microscopico — Ha dato il seguente risultato :
a) Col prodotto raschiato sopra i nodi i preparati, fatti per strisciamento, mostrano nume-
rose cellule leprose di varia grandezza, ripiene di bacilli di Mansen e molti ancora extracel-
lulari, sia isolati, sia uniti in fascetti sparsi fra le cellule stesse :
b) dal sangue ottenuto dal padiglione dell’ orecchio del paziente in un punto, in cui non
si avvertiva alcuna efflorescenza leprosa, si ottennero preparati per strisciamento, contenenti
caratteristici, sebbene scarsi, bacilli di Hansen:
c) anche il muco nasale (sebbene la mucosa del naso non presentasse apparentemente
alterazione alcuna, tranne senso di secchezza) ebbe a rivelare un discreto numero di bacilli
leprosi, tanto isolati, quanto in fascetti :
d) da ultimo nei comedoni le ricerche microscopiche furono ripetute, mettendo in evidenza
bacilli leprosi insieme col Demodex in alcuni preparati, eseguiti per strisciamento coi prodotto
sebaceo. Tale reperto si ottenne principalmente nei comedoni molli delle pinne nasali, ove più
numerosi erano i Demodex, accompagnati da maggior quantità di bacilli: anche nel prodotto
dei follicoli delle vibrisse, dopo avere estratto qualche pelo, si rinvenne un Demodex insieme
a bacilli leprosi.
E d’'uopo qui rilevare che sulle pinne del naso si notava già lo sviluppo iniziale di qualche
nodetto leproso, che però non era in rispondenza dei follicoli, nel paziente assai ben spiccati.
CASO IV. — LEPRA ERITEMATO-TUBERCOLARE ANESTESICA — Il caso riguarda la moglie di
Guglielmo Azzi, Emma Crociora in Azzi, di anni 47, nativa di Pomposa. Tornata dall’America
insieme col marito nel 1909, si accorse, soltanto 5 anni dopo il suo ritorno, delle prime efflore-
scenze cutanee sulla guancia sinistra. Ora la dermatosi dura da un anno, e tende da 3 mesi circa
ad estendersi sopra molte regioni della superficie cutanea, ove con macchie di varia grandezza,
di colorito rosso fosco, liscie, lucenti, e anche leggermente rilevate e alcune ricoperte scarsa-
mente di squame, ove con rilevatezze nodose di vario volume, disseminate, raggruppate, tendenti
alla configurazione circinata, indolenti, non pruriginose.
In corrispondenza, o in vicinanza delle chiazze nodose, la sensibilità dolorifica è notevolmente
diminuita. i
Esame microscopico — Nei preparati, fatti col raschiamento dei nodi e delle chiazze eritema-
to-nodose, grandissimo apparve il numero dei bacilli leprosi.
Serie VII. Tomo I. 1913-1914. 53
— 404 —
Non così felice. ma pur sempre positivo, riusci l'esame degli scarsi comedoni, raccolti dalle
pinne nasali, dalla regione frontale: infatti soltanto in un preparato microscopico si rinvennero
due Demodex insieme con qualche raro bacillo leproso.
Negativo fu l esame microscopico del muco nasale.
CASO V. — LEPRA TUBERCOLARE INCIPIENTE — Ultimo Azzi nato a Mesola nel Ferrarese,
dell’età di 20 mesi, è il figlio di Guglielmo e di Emma Crociora. Presenta da 6 mesi caratteri-
stiche efflorescenze nodose, di colorito rosso-fulvo, simili a quelle dei genitori, sulle quali, avendo
fatto un leggero raschiamento, si rinvenne un numero assai grande di bacilli leprosi.
Non avendo potuto raccogliere, né i comedoni. né alcun prodotto sebaceo dai follicoli, non si
potè eseguire l’ esame microscopico per la ricerca del Demodex e dei bacilli leprosi.
CASO VI. — Lepra anesrisica — Dante Bartolai di anni 19, nato nel Brasile da genitori .
italiani, si presentò il 7 Maggio 1914 nel mio studio, narrando che 2 mesi prima di partire dal-
l'America si accorse che la sensibilità dolorifica era assai diminuita negli avambracci e nelle
gambe: infatti avendo verificato quanto asseriva il paziente, rinvenni che era scomparsa la
sensibilità termica e dolorifica nelle regioni estensorie degli avambracci, sul dorso delle mani,
come pure nel terzo inferiore delle gambe, e sul dorso dei piedi. Inoltre narra il paziente che
alcuni mesi prima era stato colpito da forte corizza, la quale, soltanto dopo il suo ritorno in
Italia, era notevolmente migliorata.
Sebbene mancasse qualsiasi lesione cutanea sotto forma di macchie, o di nodi, il fatto delle
anestesie cutanee e la provenienza del Bartolai condussero alla diagnosi di Lepra anestesica,
che si tentò di dimostrare immediatamente mercé l’ esame microscopico.
Esame microscopico — 4) Dapprima si tentò la ricerca del bacillo leproso sulle aree aneste-
siche:.e per questo scopo si fece un leggiero raschiamento in punti circoscritti sulla regione
estensoria degli avambracci, e nel prodotto raschiato e disteso sopra porta-oggetti, opportuna-
mente colorato, non si rinvenne, nei primi esami, alcun bacillo acido-resistente coi caratteri di
quello leproso.
Allora si pensò di provocare, mercé l'applicazione di olio di croton, qualche formazione
flittenosa sull’ avambraccio medesimo, per ricercare sul territorio delle aree anestesiche la pre:
senza del bacillo specifico; e infatti, tornato il paziente dopo qualche giorno, trovammo alcune
flittene assai tese e ripiene di un liquido sieroso-torbido, rotte le quali, si mostrò una superficie
rosso-umida, da cui, mercé il raschiamento, si raccolse alquanto detrito per distenderlo sopra
parecchi porta-oggetti. Orbene in alcuni di questi emerse subito la presenza del bacillo di Hansen.
che, sebbene in scarsissimo numero, mostravasi però morfologicamente caratteristico. Eguale
reperto si ebbe nel siero, raccolto dopo il sollevamento della crosta ematica da alcune delle
escoriazioni provocate, come si è detto, sulla pelle anestesica degli avambracci.
5) Non avendo potuto dai primi esami assicurarmi della presenza del bacillo leproso,
ricercai questo nel muco nasale. Ma le prime ricerche non dettero un risultato soddisfacente
per la presenza del bacillo leproso: e anche dopo qualche giorno, ripetuto l'esame, non si ebbe
un reperto microscopico sicuro, quantunque si rinvenisse qualche bacillo acido-resistente.
c) Ma la prova indubbia si ebbe dal muco nasale stesso, dopo la somministrazione del
l’ioduro potassico per la durata di 4, 0 5 giorni: dappoiché, accesasi rapidamente una forte corizza,
si ottennero dal muco nasale preparati microscopici veramente dimostrativi per la presenza di
moltissimi bacilli leprosi, non solo isolati, ma riuniti in fascetti e fino anche raccolti entro cellule
con caratteri di leucociti mononucleati.
Fu ripetuto ancora l’ esame microscopico dopo aver sospeso l’ uso dell’ ioduro potassico, e
nullameno si rinvennero sempre numerosi bacilli di Hansen.
d) La ricerca dei bacilli leprosi nei comedoni portò ad un risultato abbastanza soddisfa-
cente: infatti sebbene i follicoli delle pinne nasali non fossero nel paziente molto sviluppati,
nullameno si potè da essi raccogliere un prodotto sebaceo in discreta quantità, da poter fare col
medesimo 4 0 5 preparati microscopici: in tutti si rinvenne la presenza del Demodex, ma soltanto
due preparati mostrarono il. Demoder insieme a bacilli leprosi. Ripetuto 1’ esame nelle visite
future, potei confermare in qualche altro preparato microscopico il medesimo reperto, che qui
ha una indiscutibile importanza, tenendo conto della mancanza di nodi sulle pinne nasali.
CASO VII. — Lkpra anEsrEsIca — Francesco Fasciani di anni 86, nativo di Porto S. Giorgio,
si recò nel 1899 in America, prendendo dimora a S. Paolo del Brasile, e precisamente nella
Provincia di Mines, ove nel 1904 si ammogliò con donna apparentemente sana, dalla quale ebbe
5 figli. Nel Maggio di quest’ anno 1914 fece ritorno in Italia, e presentossi al mio studio insieme
con la moglie e con un figliuolo di 2 anni, e tutti e tre furono da me riscontrati affetti da Lepra.
Narra il Fasciani che, 4 anni or sono, avverti per la prima volta una insensibilità della pelle
in corrispondenza del ginocchio destro e della regione estensoria delle gambe, e appresso delle
regioni estensorie degli avambracci. Per siffatti disturbi cutanei fu prescritta da un medico
americano la cura delle iniezioni di Nastna.
Nel momento presente non si riscontra alcuna lesione morfologica cutanea : spiccano soltanto
le aree anestesiche di varia grandezza, che occupano le regioni sopramentovate.
Esame microscopico — I preparati microscopici, instituiti col prodotto del raschiamento,
eseguito sulla pelle delle aree anestesiche, mostravano scarsissimi, ma caratteristici bacilli le-
prosi. Qualche raro bacillo specifico si rinvenne anche nel muco nasale, quantunque non si
notasse un aumento di secrezione da parte di questa mucosa.
Fu rivolto ancora l’ esame microscopico sopra.i comedoni delle pinne nasali e della regione
frontale, regioni che non presentavano alcuna apparente lesione leprosa. Mercé compressione,
fatta sulle pinne nasali, fu raccolta una piccola quantità di prodotto sebaceo molle [comedoni
molli] e distesa sopra alcuni porta-oggetti, i quali, colorati immediatamente, mostrarono tutti la
presenza del Demodex: ma soltanto in alcuni si poterono scorgere scarsi bacilli di Hansen in
compagnia del Demodex medesimo.
CASO VIII. — LepRA rUBERCOLARE — Giuseppina Fasciani di anni 33 è la moglie di Fran-
cesco (vedi Storia precedente). Convisse sempre con suo marito, e lo segui nei suoi viaggi in
America e nei suoi ritorni in Italia. L'inizio della presente malattia sarebbe stato avvertito dalla
donna alcuni mesi prima di sgravarsi del penultimo figlio, oggi leproso. Infatti avverti in que- .
st epoca la comparsa di qualche chiazza rossastra, ricoperta da rilevatezze, che oggi hanno assunto
i caratteri di nodi di vario volume, più o meno emergenti sul livello della pelle, isolati o riuniti,
in gruppi, di colore, alcuni roseo, altri giallo-fulvo e anche bruniccio, di consistenza assai dura,
che occupano tanto gli arti superiori che inferiori, e prevalentemente il lato estensorio : i detti
nodi sono indolenti, tanto che, cauterizzati col galvano-cauterio, si mostrano del tutto insensibili.
Non si notano chiazze anestesiche isolate.
Esame microscopico — Nella sostanza dei nodi, distesa su porta-oggetti, si rinvenne un numero
grandissimo di bacilli leprosi, ammassati entro cellule.
Si ricercò il bacillo anche nei comedoni, raccolti dalle pinne nasali, e con essi, non ostante
la scarsezza del prodotto sebaceo, si ottenne qualche preparato microscopico, contenente il
Demodex insieme a rari bacilli leprosi. Merita qui far rilevare, che sulle pinne nasali non si era
ancora sviluppato alcun nodo, od altra manifestazione leprosa.
Rarissimi ancora si poterono scorgere i bacilli leprosi in qualche preparato, eseguito con lo
scarso muco nasale.
CASO IX. — LEiPRA PAPULO-TUBERCOLARE INCIPIENTE — Giuseppe Fasciani di anni 2, figlio
di Francesco e Giuseppina [vedi storie cliniche precedenti VII° e VII°| avrebbe riportato la
malattia durante la vita fetale. Infatti, secondo quanto afferma la madre di lui, le prime due
chiazze della dermatosi, esistenti tuttora sul dorso delle mani, sarebbero state avvertite il giorno
dopo la nascita del bambino, sebbene allora fossero meno accentuate di quanto lo sono oggidi,
per lo sviluppo di rilevatezze papulo-tubercolari, di colorito rosso-bruno, situate con disposizione
simmetrica sul dorso delle mani: altri nodetti, con gli stessi caratteri dei primi, si trovano sparsi
in diverse regioni e sovrattutto sugli arti superiori.
Esame microscopico — Le ricerche microscopiche, eseguite sul prodotto del raschiamento di
alcuni nodi, fecero scorgere numerosi bacilli leprosi, sia endocellulari, sia extracellulari: le
stesse ricerche furono fatte sulla pelle sana, tentando mercé compressione la raccolta anche in
piccola quantità, di secreto sebaceo: ma sia per la scarsezza di questo, sia per la difficoltà di
SOMA
raccoglierlo, non si rinvenne nei preparati, né la presenza del Demodex, nè quella del bacillo
leproso.
Fu pure negativo l’ esame microscopico, eseguito sopra il muco nasale.
‘ CASO X. — Lepra macuLosa — Luigi Carnevali di anni 43, nativo di Stienta [P. di Rovigo],
di professione birraio, ammogliato, reduce da pochi giorni dall'America del Sud, si presentò nel
mio studio il 1° Agosto di quest’ anno 1914.
Dimorò per molti anni a Bara Bonita, borgata distante una giornata da S. Paolo del Brasile.
Ebbe dalla moglie 9 figli, dei quali il primo soltanto mori fanciullo, per malattia che egli non
sa precisare. Gli altri sono tutti viventi, e nessuno presenta la malattia, della quale egli è affetto.
(Questa si iniziò 3 anni or sono con malessere generale, con tormentoso formicolio alla regione
frontale, e più tardi con ripetuti attacchi di corizza: quando un giorno inaspettatamente si accorse,
per una ferita, fattasi sulla cute della regione estensoria dell’avambraccio sinistro, che la sensi-
bilità dolorifica era abolita. Provò allora il paziente stesso a pungersi in altre regioni della
superficie cutanea, e ne rinvenne alcune perfettamente insensibili.
‘Dopo qualche mese il paziente osservò la comparsa di una eruzione cutanea, la quale,
nello spazio di tre mesi, si estese a molte regioni della superficie cutanea. Presenta questa macchie
di varia grandezza, di colore prevalentemente giallo-fulvo e in alcuni punti anche lionato,
non pruriginose, non desquamanti, con disposizione simmetrica, ed occupa la faccia, il collo, il
tronco e sovrattutto gli arti superiori e assai meno gli arti inferiori.
Le aree anestesiche non sono molte estese, ma in esse è completamente spenta la sensibilità
dolorifica.
Esamk microscopico — 4) Nelle macchie fulve i preparati microscopici, eseguiti in buon
numero, mercé il raschiamento dermico superficiale, fecero immediatamente scorgere numerosi
bacilli, tanto isolati, quanto in fascetti: tale reperto si ottenne in 3, o 4 delle macchie fulve,
scelte senza alcuna prevenzione.
d) Anche le aree anestesiche hanno offerto all’ esame microscopico moltissimi bacilli leprosi:
ed è a rilevare che una di queste non presentava nemmeno la più lieve tinta giallo-fulva.
c) Furono estratti parecchi comedoni molli dalle pinne nasali, ma in questi si rinvennero
scarsi Demodex, accompagnati però da un numero discreto di bacilli leprosi: fra i diversi pre-
parati uno si rinvenne che mostrava presenza di bacilli e assenza di Demodewx. Tale reperto non
è senza importanza, se si tenga conto che la pelle delle pinne nasali non presentava alcuna infil-
trazione, ma soltanto una lieve tinta bruno-fulva, come il rimanente della faccia del paziente.
CASO XI. — Lepra TuBERCOLARE — Il 12 Settembre di quest’ anno (1914) venne condotta
nel mio privato ambulatorio dall’ egregio Collega Dott. Prof. Casarini una giovane di anni 18,
nata in America da genitori viventi e sani, e ora dimorante a Modena.
La madre sua, che ora ha 40 anni, si recò in America all’età di 14 anni, stabilendosi a
Cambinas, di San Paolo del Brasile. Ivi all’età di 17 anni contrasse matrimonio, dal quale
ebbe 12 figli e di questi 7 nati in America. L'inferma è la terza nella scala dei nati: ha goduto
sempre buona salute fino all’età di 5 anni, quando a quest’ epoca cominciarono frequenti ep?
stassi, durante le quali, dopo un anno circa, comparve una chiazza molto arrossata nel braccio
destro, che suari presto e senza cure speciali. i
— Ma le epistassi si continuarono fino al suo ritorno in Italia, che avvenne all’ età di 8 anni,
vale a dire due anni circa dopo l’inizio della prima efflorescenza al braccio.
Intorno all’ origine della malattia si è potuto apprendere, che nell’ ambiente, destinato a
bottega, si trovava spesse volte un famiglio, che aveva una mano retratta e che più tardi si seppe
essere stato inviato ad un Leprosario.
Tornata in Italia, come si è detto, all’età di 8 anni, riapparve l’ efflorescenza al braccio
destro, che pur essa guari spontaneamente. A 10 anni, entrata in Collegio, vi rimase per 2 anni,
soffrendo sempre di disturbi intestinali, e avvertendo la comparsa di qualche nodetto alle mani,
insieme a qualche macchia rossastra, efflorescenze però che non impressionarono |’ inferma,
perché prive di fenomeni subbiettivi.
Fu soltanto nell’ estate del 1913, vale a dire all’ età di 17 anni, che la paziente, dopo una
forma enteritica, accompagnata da febbre e da dolori colici [che la tennero in letto per 15 giorni],
— 407 —
avverti una spiccata eruzione alla faccia, alle mani e alle gambe, caratterizzata da noduli e da
macchie rossastre, prive assolutamente di prurito. In pari tempo si formò un forte intasamento
nasale con aumento di volume del naso.
Appena mi fu condotta l’ inferma dall’ Egregio Collega, mi fu agevole riconoscere in essa
un bell’ esemplare di Zepra tubercolare, sia per lo sviluppo di noduli duri e di varia gran-
dezza alla faccia, alle mani e agli arti, tanto superiori che inferiori, sia per il colorito rosso-
fulvo dei detti nodi, sia per la presenza di alcune chiazze anestesiche (1).
Riflessioni cliniche e reperto microscopico
dei comedoni nei leprosi sopradescritti.
Il risultato ottenuto dalle ricerche fatte sopra gli ultimi 77 leprosi è degno di qualche
considerazione anche sotto il rispetto delle sole cifre: poichè 8 volte su 77 si rinvennero
i Demodex insieme ai bacilli di Hansen. Siffatto reperto tanto più merita di essere
registrato, in quanto che, messo a confronto con gli altri reperti, che si ebbero fin qui da
alcuni osservatori, è certamente il più cospicuo e per la statistica e per il numero dei
preparati microscopici, eseguiti sulla raccolta dei comedoni.
Come si è detto più sopra, il Borrel fece le sue ricerche microscopiche, non già
sopra i comedoni estratti dai follicoli, ma sibbene sopra alcuni pezzi di pelle, tolti per
biopsia dalle pinne nasali di alcuni leprosi: nei bellisssimi disegni, tratti dai preparati
microscopici, si scorgono assal bene i Demodex, insieme ai bacilli di Hansen, entro le
sezioni trasverse e longitudinali dei follicoli; ma non è detto su quanti leprosi si ottenne
dal Borrel il reperto positivo.
Senza dubbio più numerose sono le ricerche del Bertarelli e del Paranhos, i
quali esaminarono i comedoni in 60 leprosi del Zeprosario di Guabira nel Brasile. Ma,
come sì è visto, scarsi furono i reperti positivi (2 su 60) del Demodex insieme al bacillo
leproso.
Appare pertanto evidente, quanto sia maggiore e più importante il risultato dei reperti
positivi, ottenuti da me sopra un ristretto numero di leprosi [N. 77], e in qualcheduno di
essi con un numero notevole di Demodex e di bacilli di Hansen.
È difficile stabilire le ragioni di questa notevole differenza nei vari reperti del Demo-
dex sopra i leprosi. Non nego che il reperto possa anche essere accidentale : in ogni modo
è d’uopo accettarlo come | osservazione lo ha dato, quantunque |’ insistente ricerca nei
comedoni di ogni singolo leproso può avere contribuito a portare questo resultato.
Fra i casi, che hanno offerto più chiaramente e più ripetutamente raccolti nei follicoli
e Demodex e bacilli leprosi, fu il N.° II: in questo paziente lo sviluppo dei follicoli era
assai spiccato, per modo che la frequenza maggiore del reperto microscopico si verificò nei
comedoni delle pinne nasali.
(1) Né a me, nè all’egregio mio Collega era riuscito fin qui di ottenere dalla paziente una ricerca
accurata sopra i comedoni della faccia: ma, poco prima della pubblicazione del presente lavoro, potemmo
insieme fare alcuni preparati di comedoni, nei quali si rinvenne qualche Demodea, non accompagnato
da bacilli.
= di
Rarissimamente si rinvennero Demodex e bacilli nei comedoni della regione frontale:
imai nei comedoni delle altre sedi, tranne una sol volta in un comedone della regione
dorsale.
| Questo diverso grado di frequenza si deve, non solo all’ indole del Demodea, di occu-
pare più spesso la pelle della faccia e specialmente delle pinne nasali, ma ancora alla
maggiore difficoltà che si incontra nel raccogliere e nel distendere la massa dei come-
doni delle altre regioni, siccome feci rilevare più sopra.
Nell’ istituire 1’ esame microscopico sopra i comedoni è d’ uopo registrare una parti-
colarità, che a tutta prima può sorprendere | osservatore per la incostanza dei risultati
fra il primo esame e quelli successivi: può accadere infatti che, ripetendo i preparati
microscopici sopra ì follicoli delle pinne nasali, nei quali una settimana prima si rinven-
nerò Demodea e bacilli leprosi, non lascino in seguito scorgere, nè 1 uno, nè l altro,
o tutt'al più il solo bacillo leproso: che se si lasci trascorrere un mese, o due, dal primo
esame, allora si ottiene di nuovo il reperto del Demnodex e del bacillo leproso. In alcuni
dei casi sopradescritti tale differenza fu così spiccata, che, a mio avviso, non può solle-
varsi dubbio alcuno sull’ esistenza del fenomeno.
Quale può essere la ragione di questo differente reperto microscopico? Sembra di non
andare lungi dal vero, pensando che ciò possa avvenire nella seguente maniera: dopo lo
svuotamento dei follicoli, eseguito nei primi esami, scarsissimo è il materiale rimasto nel
medesimo, ed è però che, tranne piccola quantità di grasso e di detriti cellulari, non si
trovano più entro la cavità follicolare, nè Demodea, nè bacilli leprosi. Ne consegue, che
occorre un certo tempo, prima che nuovi Demodea: penetrino nei follicoli, già precedente-
mente svuotati, ovvero che tornino a svilupparsi nei medesimi, se contenevano ancora
uova, o embrioni. La prova convincente di ciò si ha nel ritorno del reperto microscopico
con Demodex e bacilli leprosi, dopo alcune settimane, sebbene non sempre con tanta evi
denza, come nel primo esame, occorrendo forse un tempo maggiore nel fare investiga-
zioni Successive.
Merita ancora di essere registrato un altro fatto, che io ho potuto osservare in queste
ultime ricerche nei leprosi sopradescritti, ed è la presenza del Demodex e dei bacilli di
Hansen nei comedoni, tolti dalle pinne nasali dei due soggetti, segnati ai N.' VI e
VII, nei quali mancava qualsiasi manifestazione morfologica cutanea leprosa: soltanto
alcune aree anestesiche della pelle degli arti attestavano in essi l’esistenza della Lepra.
E qui mi è d’ uopo rilevare |come risulta dalla storia clinica sopradescritta] che nei primi
esami microscopici sul Bartolai non si rinvenne il bacillo leproso, nè sulle aree aneste-
siche, nè su altre regioni e nemmeno nel muco nasale, se non dopo aver provocato una
reazione sulla pelle, mercè |’ applicazione di olio di croton, e sulla mucosa nasale, mercè
l’uso interno dell’ ioduro potassico. Dopo siffatta reazione non solo si rinvenne il bacillo
leproso nel muco nasale (fatto già noto sotto l azione dell’ joduro potassico), ma anche
sulle chiazze anestesiche degli avambracci, in corrispondenza dei punti dermitici flittenosi :
di poi, avendo tentato l’ esame microscopico sopra i comedoni, tolti dalle pinne nasali dello
stesso paziente, il risultato fu' positivo, tanto per la presenza del Demodex, che del bacilo
— 409 —
leproso. In conferma del caso qui descritto, citerò un altro esempio di reperto microscopico
positivo per i comedoni, che fu trovato nel paziente Fasciani (v. storia N. VII), nel quale
le aree anestesiche. erano le manifestazioni uniche della Lepra.
Siffatti reperti microscopici sono, a mio avviso, di grande importanza, non solo sotto
il rispetto diagnostico generale della Lepra, ma ancora sotto il rispetto etiologico, poten-
dosi in base ad essi ammettere il possibile trasporto dei germi leprosi entro la cavità dei
follicoli per parte dei Demodex. Basterebbe rifletiere, che se nei pazienti sudetti la Lepra
avesse portato le sue manifestazioni morfologiche in corrispondenza dei follicoli sebacei
delle pinne nasali, sarebbe facile pensare, sia ad un trasporto di bacilli di Hansen entro
la cavità dei follicoli medesimi, operato dai leucociti, o dalla progressiva invasione delle
cellule leprose nella guaina epidermica follicolare, sia ad una penetrazione dovuta alla
compressione delle dita per espellere il comedone. Non insisto più su questo punto, abba-
stanza per sè evidente. dovendo anche tornare sul medesimo più tardi.
Premesse queste poche considerazioni generali sopra i reperti, ottenuti dai comedoni,
vengo a dare una breve descrizione dei preparati microscopici, disegnati nella tavola qui
annessa.
Dei molti preparati ho fatto ritrarre in disegno alcuni campi microscopici distinti,
perchè si vedesse a colpo d’ occhio la topografia che occupa accidentalmente il Demodea
in rapporto con i bacilli di Hansen. Ma per economia di spazio furono anche riuniti due,
O più campi microscopici in una stessa figura, quando il reperto presentava al microscopio
qualche particolarità importante, riferentesi soprattutto al Demodex medesimo.
E, prima di passare alla descrizione dei preparati, devo rilevare che nei comedoni dei
leprosi rinvenni le due varietà del Demodex, così ben descritte dal Wilson: la prima,
distinta per la grandezza dell’ animale, per la lunghezza dell’ addome e per la rotondità
dell’ estremità caudale del medesimo, era scarsissima: la seconda invece, caratterizzata
da un certo grado di rozzezza di forme, dall’ addome corto, e dall’ estremità caudale acuta,
prevaleva sulla prima pel numero assai ragguardevole.
Dando ora uno sguardo alla Fig. 1°, vedesi nel mezzo di essa un Demodex grosso,
tozzo, alquanto deformato, per effetto della preparazione e colorazione : la porzione ora-
cica è assai ampia, nella quale spiccano gli arti molto retratti, come anche retratta è la
testa dell’ animale: pure ampia è la porzione addominale, specie nel suo inizio e termi-
nante inferiormente a punta conica.
Non si scorge nulla di ben distinto entro la cavità addominale, sia per la spessezza
delle sue pareti e per la densità del suo contenuto, sia per 1’ intensa colorazione rosso-
bruna del medesimo. Giace il Demodex nella massa sebaceo-cornea, espulsa per com-
pressione dal follicolo: e mentre nella parte superiore del campo microscopico (corrispon-
dente alla testa del Demodex) si vedono alcune cellule piatte, sottili, corneoidi, colorate
in rosa-chiaro, che appaiono quasi tutte mancanti del loro nucleo, invece nella parte
inferiore del campo microscopico, (corrispondente alla parte caudale del Demodex stesso),
— 410 —
trovasi una massa sebacea insieme a numerosi detriti, che in parte si continua attorno
all'addome, colorata in violetto: ed è principalmente su questa che spiccano, tinti inten-
samente in rosso, i bacilli di Hansen, riuniti in fascelti ben distinti e di varia grandezza,
ovvero anche isolati, i quali si estendono in alto, specie attorno e aderenti alla porzione
addominale del Demodex medesimo : in minor numero i bacilli, d’° ordinario isolati, o rac-
colti in piccoli gruppi, si notano attorno alla porzione toracica, specie a contatto dell’ ul-
timo articolo degli arti e anche-sulla massa delle stesse cellule corneoidi.
Nella Fig. II° sono rappresentati due campi microscopici, ognuno dei quali è presso
a poco la metà dell’ intera figura: ciascuno di essi ha per centro un Demodex, circondato
da detriti corneo-sebacei del comedone: ambedue i Demodex appartengono alla 2° varietà
di Wilson: uno a sinistra, rivolto colla testa in alto, si mostra corto, tozzo, deformato,
alquanto schiacciato tra la sua porzione toracica e addominale, anche questa assai breve
e terminante a punta: l’ altro a destra in posizione inversa al primo, più piccolo, ma più
regolare di forma, e terminante nella estremità caudale a punta più acuta del suo
compagno.
Attorno ad ambedue i Demodex e sulla massa corneo-sebacea notansi numerosi bacilli
leprosi, sia isolati e disseminati, sia riuniti in fascetti o in piccole masse, intensamente
colorati per la fucsina: molti dei bacilli leprosi stanno a contatto con i Demodex mede-
simi, sul contorno della porzione, tanto toracica, quanto addominale, soprattutto aderenti
ai processi digitati dell’ ultimo segmento degli arti. La intensità di colorazione, come pure
la massa granulosa e spessa del contenuto addominale, non permettono di scorgere bacilli
dentro al canale alimentare.
Furono riuniti nella Fig. III° quattro distinti punti di un preparato microscopico, perchè,
oltre l’importanza per la presenza del bacillo di Hansen nei comedoni dei leprosi, mo-
strano ancora alcune particolarità di sviluppo del Demodex: infatti essi contengono due
uovi perfettamente maturi e due giovani Demodex a diverse fasi di sviluppo.
Degli uovi, uno è più grande, di forma elittica, di contorno regolare: 1’ altro è più
piccolo, meno regolare nei suoi contorni, essendo più espanso in un polo e più ristretto e
alquanto depresso nell’ altro. Il contenuto vitellino è fatto da una massa granulosa densa,
intensamente colorata in rosso bruno dalla fucsina di Ziek/. Non si distinguono in essa le
cellule germinative, così ben descritte dal Wilson: sono ambedue gli uovi rivestiti da
una sottile membrana, colorata in roseo, che, a primo aspetto, sembrerebbe assai spessa :
ma la sua spessezza è apparente, essendo questa dovuta all’ allontanamento del contenuto
vitellino dalla faccia interna della membrana stessa.
tispetto ai due Demodex, quello posto nel centro del campo microscopico è più lungo,
e alquanto più grosso (soprattutto in corrispondenza della sua parte cefalica) del suo com-
pagno; in esso non vedonsi ben distinte le due porzioni foracica e addominale, termi-
nante questa a punta molto acuta: al contrario spunta in esso un abbozzo della testa con
il rudimento dei palpi, mentre non si scorgono, nè i rudimenti degli arti [corrisponderebbe
alla Fig. 25 della T. III" del Wilson], nè traccia alcuna della striatura addominale.
— 4ll —
L’altro, situato di lato e vicino al primo, è più corto e in posizione inversa al mede-
simo; esso ha maggiore importanza del precedente, perchè trovasi [evenienza piuttosto
rara ad incontrarsi per il Demodex] nel periodo della muta, come si scorge dal sottile
invoglio di colore roseo che lo riveste; in esso sono già sviluppate le prominenze tora-
ciche laterali che formano le prime tre paia di arti, la cui impronta si vede accennata
nella membrana stessa della muta: nel giovine Demodex si distingue però il rudimento
della testa, nella quale appena appariscenti sono i palpi, come pure la porzione toracica
si differenzia già da quella addominale, terminante questa a punta meno acuta.
anto i giovani Demodex, quanto gli uovi giacciono in mezzo alla massa sebacea assai
bene distesa, nella quale, oltre un grande numero di nuclei e di detriti cellulari, sì scor-
gono elementi lamellari corneoidi, disposti in fascetti e intercalati da granuli grassosi.
Ma soprattutto spiccano nel campo microscopico i bacilli di Hansen raccolti in gran
numero intorno ai giovani Demodex e agli uovi stessi, più raramente sparsi sulla massa
sebacea sopradescritta. Sorprende il vedere tanta quantità di bacilli attorno e a contatto
dei Demodex, mentre non si riesce a scorgerne la presenza entro la massa granulosa dei
Demodex medesimi, forse per la loro intensa colorazione.
Da ultimo in un solo campo microscopico |Fig. IV°] vedesi un grosso Demodex con i
caratteri della 1° varietà, il quale giace sopra i detriti corneo-sebacei di alcuni comedoni
molli delle pinne nasali, distesi con una certa uniformità sul porta-oggetti. È d’uopo qui
rilevare che i follicoli, da cui furono estratti i comedoni, erano impiantati su base infil-
trata di nodetti leprosi, per modo che è facile comprendere come la compressione, eserci-
tata sulla pelle delle pinne nasali, abbia potuto provocare non solo 1° espulsione dei come-
doni, ma ancora |’ uscita di alcuni elementi istologici del leproma perifollicolare, soprat-
tutto se questo avesse invaso la guaina epidermica, e avesse subìto in qualche punto
un ramollimento degenerativo: dappoichè si scorgono non soltanto bacilli di Hansen,
isolati, o riuniti in fascetti attorno, o a contatto, del Demodex, specie nella sua porzione
addominale, ma ancora sì trovano in masse rotondeggianti, evidentemente contenute un
tempo entro cellule: infatti queste per la loro grandezza e per la loro conformazione non
sono che le cellule leprose, forse penetrate sotto la pressione delle dita entro il follicolo,
e da questo espulse insieme con la massa corneo-sebacea del comedone e col Demodex
medesimo, sebbene la spontanea invasione da parte dei bacilli di Hansen avvenga facil-
mente entro la cavità follicolare.
Ho voluto accennare a questa particolarità microscopica per mostrare, come ho detto
più sopra, la possibilità della penetrazione di bacilli leprosi nell’ atto della preparazione
dei comedoni. Tuttavolta, come ho notato ancora, tale evenienza può essere allontanata,
allorchè la preparazione dei comedoni venga fatta sulla pelle delle pinne nasali, priva
affatto di nodi leprosi.
In fine non voglio tacere, come anche qui io abbia spinto |’ esame microscopico entro
il canale alimentare del Demodex, il quale, essendo alquanto più trasparente degli altri
sopradescritti, poteva lasciare scorgere assai meglio il contenuto del canale medesimo : ma
Serie VII. Tomo I. 1913-1914. 54
— 412 —
non fu possibile illuminare convenientemente la parte mediana’ dell’ addome del paras-
sita, essendo questa occupata da una sostanza granulosa assai densa e intensamente colo-
rata in rosso-bruno ; potei soltanto scorgere bacilli leprosi aderenti alla superficie esterna
dell’ estremità caudale, essendo questa assai trasparente, e ben visibile la caratteristica
striatura.
Come dissi più sopra, nella tecnica di preparazione dei comedoni può accadere (nel
far la compressione) l’ uscita di cellule leprose dal leproma perifollicolare insieme con la
massa del comedone: ed è però che, oltre l’ investigazione microscopica dei comedoni stessi
nei leprosi, avrei desiderato di rivolgere 1° esame istologico anche ai follicoli sebacei delle
pinne nasali, come fece il Borrel con felicissimo reperto. Ma nei leprosi, da me studiati,
non fu possibile di recidere un lembetto di pelle in questa sede, non facile ad essere con-
cessa dai pazienti per una biopsia.
Ho potuto tuttavia fare l’ esame istologico di nodi leprosi, tolti da altre regioni: ma,
come è noto, non è facile trovare i Demodex in certe sedi, benchè ricche di follicoli
pilo-sebacei.
Comunque nei tagli, fatti sopra alcuni nodi leprosi, rinvenni scarsi follicoli, i quali,
sebbene privi di Demodex, presentano un’ abbondante neoformazione leprosa perifolli-
colare con numerose cellule ripiene di bacilli di Hansen. Ma ciò che merita di essere
annotato è la presenza di bacilli di Hansen, sia isolati, sia riuniti in fascetti entro la
guaina epidermica follicolare, bacilli che fanno mostra di sè anche dentro la cavità del
follicolo: e, quando pure questa contenga il pelo, i bacilli si vedono liberi fra la guaina
interna della radice e il pelo stesso. Laonde, se in detti follicoli sì fosse trovato il Demo-
dex, questo sarebbe venuto a contatto con i bacilli stessi, contatto seguito da tutti gli
accidenti, relativi all’ invasione del Demodea entro nuovi follicoli, come pure in queste
condizioni facile sarebbe stata 1° uscita dei bacilli sotto la compressione delle dita.
Come ben si comprende, siffatto reperto del Demodex e del bacillo insieme, entro i
follicoli sebacei nei preparati di taglio, avrebbe dato la rappresentazione obbiettiva della
topografia vera, occupata dai parassiti suddetti, facendo in pari tempo riconoscere la pos-
sibilità del trasporto dei bacilli in altre sedi per opera del Demodex.
Alla descrizione dei reperti microscopici nei comedoni. dei leprosi, è d’ uopo far seguire
la risposta ad alcuni quesiti che si presentano intorno alla correlazione fra Demodea e
bacillo di Hansen, come pure intorno al trasporto di questo, mercè la migrazione di quello :
in altri termini, è d’uopo vedere in quale legame possa trovarsi il Demodex con |’ etiologia
della Lepra.
x
I. QUESITO. — Il Demodex può assorbire, 0 in qualsiasi modo raccogliere, bacilli
di Hansen e in pari tempo può esso infettarsi?
Per rispondere al quesito è d’uopo analizzare le singole parti in esso contenute. Che
possa il Demodex assorbire i bacilli di Hansen, non vi può essere alcun ostacolo per am-
— 413 —
metterlo, in quanto chè, come esso sugge il grasso delle ghiandole sebacee, così può assor-
bire i bacilli stessi, quando questi vengano a contatto con il secreto ghiandolare. Ora nei
preparati sopradescrittì si è dimostrato in modo indiscutibile, che i bacilli di Hansen trovansi
nei comedoni insieme con il Demodea, fatto che è emerso con maggiore evidenza nei pre-
parati di taglio, eseguiti dal Borrél, sopra i nodi delle pinne nasali, e come rinvenni io
stesso, nei follicoli di altre sedi. È dunque naturale che il Demode, trovandosi in queste
favorevoli condizioni, possa col grasso, raccolto nei follicoli, assorbire anche i bacilli leprosi.
Ma se è logico questo modo di vedere rispetto al Demodex, non ha del pari l'appoggio
sopra fatti di osservazione: dappoichè per quante ricerche io abbia istituito sopra parecchi
: Demodex, colorati col liquido di ZieRl, non mi venne mai falto di vedere entro il loro canale
alimentare la presenza di bacilli di Hansen. È pur vero che la grande copia di sostanza
granulosa, raccolta nel canale alimentare e l’iniensità di colorito rosso-bruno della mede-
sima, potevano essere di ostacolo alla penetrazione della luce e alla netta visione dei bacilli;
in ogni modo per ora non mi fu dato, non ostante la maggior diligenza che io abbia usata,
di fare questa importante osservazione; alla quale avrebbe dovuto seguire l’altro punto
importante del quesito, se nel Demodea possano moltiplicarsi i bacilli medesimi, o per
meglio dire, se esso sia capace di infettarsi, come avviene per la zanzara malarica mercè
il Plasmodium: il quale, siccome è noto, non solo in essa sì fissa, vive e si moltiplica, ma
vi compie uno speciale ciclo della sua evoluzione. E questo sarebbe senza dubbio il punto
essenziale della questione per la etiologia della Lepra: dappoichè, ammesso che il bacillo
venisse assorbito dal Demodex, sarebbe d’ uopo vedere, se detto bacillo potesse fissarsi entro
l'intestino, o in qualche organo dell’animale, per essere di poi trasportato sull’ uomo. Ma
per ora le mie ricerche, anche su questo punto, condurrebbero ad escludere una speciale
localizzazione del bacillo leproso nel Demodex.
Che se non si è potuto dimostrare | assorbimento del bacillo leproso da parte del
Demodex, sta di fatto, che quello si è trovato quasi sempre a contatto, o anche sulla su-
perficie stessa addominale di questo: così pure in qualche preparato microscopico si rin-
vennero bacilli leprosìi aderenti alla parte cefalica e agli artì stessi. È pur vero che queste
sono piccole particolarità microscopiche, ma per la questione del trasporto del bacillo leproso
possono avere sempre non poca importanza.
Concludendo: dai reperti microscopici, ottenuti sopra comedoni e sul secreto grasso
ghiandolare si può stabilire che il Demodex, mentre non mostra di assorbire i bacilli di
Hansen, può raccogliere quelli, già penetrati nei follicoli pilo-sebacei.
II. QUESITO. — Ammesso che il Demodex abbia raccolto i bacilli di Hansen sopra
i leprosi, può esso trasportarli sopra individui sani, e immetterli entro i follicoli pilo-
sebacei e nelle ghiandole sebacee libere?
L’importanza della questione non può sfuggire ad alcuno; poichè tutto stà qui; dimo-
strare in quali condizioni possa il Demodex farsi portatore del bacillo leproso.
Che il Demodex possa trasportare il bacillo di Hansen dai malati ai sani, ovvero
sul paziente stesso, noi, in base ai reperti microscopici sopra esposti, potremmo rispondere
=
in modo affermativo. Ma, come dirò più tardi, non abbiamo ancora prove dirette per la
dimostrazione di questo trasporto.
Intanto è verosimile che questo avvenga in siffatta guisa, avendo visto il bacillo di
Hansen, aderente alla superficie esterna del Demodea. Ne consegue che in tale condi-
zione il Demodex nelle sue migrazioni, o sulla pelle del leproso stesso, o sopra quella di
individui sani possa trasportare il bacillo, di cui esso è carico, e depositarlo, ove egli
penetra. Ora è noto che il Demodex penetra soltanto nei follicoli pilo-sebacei, di cui è
abitatore costante, e mai fuori dei follicoli stessi; non potendo come si è detto più sopra;
pungere la pelle, perchè sprovvisto di speciali congegni cornei, deputati a quell’ uso. Occorre
dunque ammettere che, in queste speciali condizioni, il Demodea possa farsi veicolo del
bacillo di Hansen entro i follicoli pilo-sebacei, e nelle ghiandole sebacee libere.
III. QUESITO. -- Trasportato dal Demodex entro il follicolo pilo-sebaceo il bacillo di
Hansen, può questo uscire e fissarsi sulla superficie epidermica, per essere nuovamente
introdotto dal Demodex nel follicolo stesso: ovvero può esso staccarsi dall’ epidermide e
cadere nell’ ambiente, ove vive il leproso?
La sistemazione dei Lepromi in rispondenza dei follicoli, fin dall’ inizio del loro sviluppo,
[Babes] e la penetrazione dei bacilli di Hansen entro i medesimi hanno condotto a stu-
diare altre questioni, inerenti alla etiologia della Lepra. E soprattutto, dopo aver trovato
nei comedoni (concreti e molli) che i bacilli leprosi sono compagni del Demodex, ne con-
segue che essi, eliminandosi per l’ostio follicolare, o dal condotto escretore della ghiandola
sebacea, si versino all’ esterno, rimanendo aderenti alla superficie cutanea, o cadendo nel-
l’ambiente, in cui vive il leproso. A questo proposito Unna in base a ricerche proprie
afferma, che i bacilli possano uscire in grande copia dai follicoli pilo-sebacei, per modo che
questi sarebbero come tanti crateri, dai quali verrebbero espulsi i bacilli all’ esterno. Ma
l'affermazione di Unna non aveva avuto ancora una conferma e perciò non era condivisa
dai Leprologi.
A questo fine io presi a studiare in questi ultimi tempi alcuno dei leprosi sopramen-
tovati, investigando minutamente i prodotti cutanei liberi sulla superficie epidermica e fa-
cendone preparati microscopici in due modi:
a) raspando leggermente, con la lama del bisturi, o con un piccolo cucchiaio raschia-
tore la superficie epidermica in diverse regioni, ed il prodotto, così raccolto, |’ ho disteso
su vetri. porta-oggetti. 1
b) comprimendo i vetri porta-oggetti sulla pelle di alcune regioni ricche di follicoli. (1)
(1) Una cautela, assai utile nell’apparecchiamento dei preparati microscopici, è quella di bagnare
la superficie del porta-oggetto con acqua distillata cala, o anche con acqua di anilina mista a poche
goccie di acido fenico puro. Per fare ciò, basta porre sul porta-oggetti una goccia di acqua, e, striscia-
tala col dito, inumidire con essa la superficie del porta-oggetti. In tale maniera il prodotto squamoso-
sebaceo, raccolto mercè raspamento dalla superficie cutanea, si distende in sottilissimo strato, e distesolo,
si dissecca alla fiamma: allora la sostanza disseccata sul vetro si fissa, e rimane aderente così, da per-
mettere tutti i singoli trattamenti per la colorazione e per la lavanda del preparato: nello stesso modo
bagnata la superficie del porta-oggetto, si procede per compressione alla raccolta del prodotto cutaneo.
— 415 —
Apparecchiati così i preparati in buon numero e coloratili con il liquido di ZieX/, ecco
quanto mi fu dato di rilevare all’esame microscopico: (0b. imm: Omog).
1° — nei preparati fatti col prodotto raspato i bacilli leptosi spiccano inflensamente
colorati, più o meno numerosi, sia separati, sia riuniti in fascetti, d’ordinario liberi fra le
squame epidermiche, più raramente aderenti alle squame medesime: nullameno in qualche
preparato ben riuscito possono trovarsi molti bacilli di Hansen, riuniti in fascetti, o anche
isolati, assai aderenti alle lamelle cornee. È d’ uopo però rilevare, che dei molti preparati
fatti in tal guisa, non tutti danno un reperto sicuramente dimostrativo: ed è però che non
bisogna limitarne il numero, se vi si vuole ottenere un risultalo microscopico chiaro e
convincente.
2° — i preparati per compressione danno un reperto rarissimo di bacilli leprosi, sempre
isolati, o in mezzo a detriti e ad altri microrganismi. Ma la rarità dei bacilli leprosi devesi
qui alla scarsezza del materiale che si raccoglie col porta-oggetto, semplicemente compresso
sulla pelle.
Pertanto l’esame microscopico fu istituito su varie topografie cutanee, e dove riuscì
più di frequente e più dimostrativo, fu nella regione frontale, nelle pinne nasali, nelle
gote, nel padiglione e nella conca dell’orecchio e nel dorso: più raro fu il reperto nelle
regioni estensorie degli arti superiori.
Rispetto alla forma della Lepra è d’ uopo rilevare, che la ricerca microscopica è più
sicura nell’ eruzioni piuttosto inveterate, o in quelle in cui le efflorescenze sono asssai spic-
cale, ed è però che il leproso del N° II ha servito ottimamente a questo scopo; si può :
stabilire in generale che nelle forme nodose, 0 papulo-nodose, specie nel periodo di desqua-
mazione, e, meglio ancora, quando si hanno nodi in rispondenza dei follicoli delle pinne
nasali, delle sopraciglia, e del mento, il prodotto, raccolto dalla superficie epidermica con
lieve raspamento, mostra con maggiore o minor frequenza il bacillo di Hansen: laddove
nelle forme piane erifematose, maculose, Vl esame microscopico offre un reperto positivo assai
raro, 0 soltanto nello stadio desquamativo.
Or bene l’importanza di questo reperto microscopico, mentre dà piena conferma alle
ricerche di Unna (non ancora condivise da tutti), sì fa maggiormente palese sotto il rispetto
etivlogico e profilattico: dappoichè, oltre gli altri veicoli del virus leproso già noti, [muco
nasale, saliva, ovina, feci...... |, devesi tenere conto anche dei prodotti squamoso-sebacei,
che sì eliminano dalla superficie epidermica: questi, ben presto cadendo nell’ ambiente,
quivi per mancata igiene possono rimanere per un tempo più o meno lungo; e di poi sol-
levandosi sotto forma di pulviscolo, vengono a penetrare per la via nasale d’ individui sani,
provocando quivi il primo innesto. Ed ecco che nella trasmissione della Lepra, non solo
devesi tener noto della ereditarietà e dei contatti diretti, ma ancora dell'ambiente leproso,
che sì formerebbe per l'accumulo in un luogo circoscritto di tanti prodotti di esfogliazione
epidermica e di secrezione, sia delle mucose (muco nasale, saliva) sia della pelle.
IV. QUESITO. — Trasportato dal Demodex il bucillo di Hansen nel follicolo pilo-
sebaceo, può quivi formarsi il nodulo leproso?
aio
Non è senza interesse per l’etiologia della Lepra discutere questo punto della questione,
riguardante la sede follicolare del bacillo. Che i follicoli pilo-sebacei possano essere ricet-
tacoli del bacillo di Hansen, non può oggidì andare più incontro a dubbio alcuno, dopo
le accurate ricerche d’ illustri istologi (Babbes, Borrél, Bouzet, e Unna), e aggiungo
ancora dopo quelle ripetute e confermate da me, quali ho esposto più sopra.
Rimane però sempre aperto. alla discussione, il quesito posto qui: se il bacillo di
Hansen, portato nei follicoli pilo-sebacei e nelle ghiandole sebacee libere, possa trovare
un terreno adatto per la formazione del leproma.-
Ora è noto che il bacillo di Hansen trova il suo ambiente naturale nel connettivo :
anzi secondo Unna, i bacilli leprosi, penetrati nelle lacune linfatiche, qui piglierebbero
rigoglioso sviluppo, e, come egli afferma, darebbero luogo ad una vera coltura endolacunare
sotto forma di masse bacillari rotondeggianti: opinione che non può oggi più sostenersi,
poichè, dissociando le cellule leprose e mettendole in evidenza con il liquido di ZieAl, si
trovano bacilli erdocellulari, come dimostrò per il primo Hansen medesimo, e come ognuno
può di per sè confermare con il prodotto del semplice raschiamento di un nodulo leproso.
Comunque i bacilli leprosi, essendo immobili, verrebbero per fagocitosi raccolti dalle
cellule connettive, non differenti, secondo alcuni, dai leucociti mononucleati, e secondo il
Metchinikoff, identiche a questi, e da esso considerate come macrofage per questa loro
attività funzionale; entro queste cellule i bacilli si svilupperebbero in gran numero, dando
luogo, come dicono alcuni, ad una cultura pura dei bacilli suddetti. Ma queste così dette
cellule leprose, non hanno lunga vita, e presto, reagendo al bacillo, si vacuolizzano nel loro
protoplasma e cadono in necrosi; alla loro volta i bacilli, uscendo da esse, sono captati da
altre cellule macrofage, cosichè con questo succedersi di nuove generazioni di cellule le-
prose, accanto ad altre che si distruggono, si ha la formazione del leproma, alla quale,
oltre i mononucleati, prendono parte le plasmacellule, le mastzelle, le cellule fisse del con-
nettivo, e bene spesso fra tutti questi elementi, trovansi anche cellule giganti.
Se dunque il bacillo leproso vive e si moltiplica entro cellule connettive, ne consegue
che desso, portato dal Demo7ex entro i follicoli pilo sebacei, verrebbe a trovarsi a contatto
con il secreto grasso e coll’epitelio del follicolo, o degli acini ghiandolari, o del condotto
escretore: in altri termini, il bacillo di Hansen verrebbe quivi in presenza di elementi
istologici non adatti alla reazione infiammatoria specifica, e perciò rimarrebbe in loco, come
sequestro inerte: donde si potrebbe concludere che 1° opera del Demodex, portata sopra un
terreno inadatto allo sviluppo del Leproma, non riuscirebbe affatto dannosa anche col tra-
sporto del bacillo.
Tuttavolta il bacillo di Hansen, sebbene privo di movimento, potrebbe trovare una
via di uscita dal follicolo e dalla ghiandola sebacea per alterazioni dell’epitelio, sia della
guaina epidermica follicolare, sia dell’acino ghiandolare. A dir vero, mancano ricerche
apposite intorno all’azione patogena del bacillo di Hansen sull’epitelio del follicolo e
dell’acino ghiandolare: in ogni modo anche dopo le ricerche del Borrél, non sì può affer-
mare che avvenga la distruzione dell’ epitelio del condotto, o dell’acino ghiandolare per
degenerazione grassa del medesimo a contatto con il bacillo.
— 417 —
Ma devesi tener conto di altre condizioni patologiche, perchè avvenga la penetrazione
del bacillo di Hansen nel connettivo perifollicolare attraverso le pareti del follicolo pilo-
sebaceo. Fra queste accennerò dapprima alla presenza del Demodex, il quale può provo-
care sull’ epitelio dell’acino ghiandolare una maggiore rapidità nella trasformazione grassa
del medesimo, in guisa da portarne un più facile distacco: ed ecco allora che il
bacillo di Hansen, trasportato ivi dal Demodex, viene a trovarsi a contatto col derma
follicolare. Ma un’altra condizione patologica potrebbe condurre al medesimo risultato, e
questa sarebbe rappresentata da una follicolite e perifollicolite suppurativa, facile a veri-
ficarsi per molteplici cause nei follicoli delle pinne nasali. Comunque, avvenuto questo pro-
cesso infiammatorio perifollicolare, e distrutta la parete del follicolo, del condotto escretore,
o dell’acino della ghiandola sebacea, i bacilli, ivi contenuti, verrebbero ugualmente a con-
talto non solo con gli elementi del pus, ma ancora con le cellule connettive, alle quali
porterebbero il loro stimolo neoformativo, e dalle quali sarebbero di poi raccolti per fago-
citosi. Queste, a mio avviso, sono le evenienze più verosimili, che possono portare l'uscita
dei bacilli leprosi dalla sede follicolave nel derma perifollicolare, quando il trasporto di
essi sia stato compiuto per opera del Demodew.
V. QUESITO. — Vi sono prove dirette per riconoscere questa maniera di neoforma-
zione del Leproma? In altri termini: basta come prova sicura la sola presenza del bacillo
di Hansen nel follicolo pilo-sebaceo insieme al Deniodex, per ammettere che il trasporto
di quello avvenne per opera di questo?
Prove dirette e sperimentali intorno a questo speciale processo patogenetico della
Lepra mancano fino qui, non avendo alcun osservatore colto il momento in cui interviene
questo trasporto del bacillo di Hansen. Ciò non ostante come prova indiretta possiamo
addurre questa: che il Demodea è per eccellenza un parassita di famiglia [Borré]], abi-
tatore costante nei follicoli della pelle umana, cosichè esso è anche ereditario, e passa da
persona a persona nella stessa famiglia.
Ora tutto questo non può dirsi degli altri insetti, specie di quelli succRiatori, accusati
come portatori del virus leproso: dappoichè per essi si possono sempre sollevare obbiezioni
sotto molti rispetti e principalmente in riguardo dei loro rapporti fra leprosi e sani. Infatti
alcuni degli insetti, ritenuti come leprofori, non vivono in certe regioni colpite dalla Lepra,
come alcune specie di zanzare e certe famiglie di ditteri: e così pure la Sarcopsylla pene-
trans, tanto accusata come propagatrice del bacillo leproso, manca in alcuni paesi. Non
basta: la rigorosa igiene della casa, presso alcuni popoli, può tenere lontano dalle famiglie
altri insetti, sospetti per il trasporto del bacillo leproso, come la Cimea Lectularis, e lo
stesso Sarcoptes Scabiei: eppure, non ostante i) mancato intervento di questi insetti, si ha
la Lepra presso alcune famiglie.
Al contrario il Demodea ha il suo habitat fisso sull'uomo; donde può, per le sue migra-
zioni, trasportare coi prodotti della pelle il bacillo leproso dai malati ai sani. La difficoltà,
come si è detto più sopra, sta nel dimostrare il momento della migrazione del Demodea :
dappoichè, come ben si comprende, è assai malagevole imbattersi in questo periodo di
— 418 —
passaggio del Demodex da padre leproso a figlio sano, soprattutto nei primi anni della
fanciullezza.
. Comunque, dopo 1 reperti microscopici nei comedoni dei leprosi, esposti più sopra,
noi abbiamo un argomento presuntivo assai valido, per ammettere questo trasporto del
bacillo per opera del Demodex e lo sviluppo del leproma per la via follicolare. E sotto
questo rispetto un altro argomento, che favorirebbe la possibilità del trasporto del bacillo
leproso da parte del Demodex, è.il reperto di questo, ottenuto da me, nei follicoli delle
vibrisse, come potei dimostrare alcuni anni or sono in certe forme di follicoliti nodoso-
pustolose del contorno delle narici. E fu sovrattutto sul promontorio delle vibrisse, che io
rinvenni alcuni follicoli, contenenti molti Demodea insieme a microrganismi batterici, tra-
sportati nelle loro cavità dai Demodea medesimi. Lo stesso reperto ottenni una sola volta
in uno dei leprosi da me studiati: e sebbene la coesistenza del Demodex e del bacillo leproso
in un follicolo delle vibrisse possa attribuirsi ad una penetrazione accidentale del bacillo
stesso per il veicolo del muco nasale, nullameno il fatto ha di per sè un qualche valore, non
solo per la questione generale del contagio leproso, ma ancora per darci la spiegazione
del primitivo esordio della. Lepra, così frequente nella mucosa nasale. Certo è, che questo
fatto isolato non può bastare per risolvere il quesito posto più sopra: occorre tuttavia insi-
stere, perchè questo reperto microscopico possa avere altre e più luminose conferme.
Dinanzi ad una questione di tanta importanza per la etiologia della Lepra, sarebbe
stato opportuno appigliarsi all’ esperimento. Ma qui la via sperimentale è piena di ostacoli,
soprattutto per la scelta dell’animale adatto a questo fine, non potendo noi ricorrere
all’uomo. (1)
(1) Gli esperimenti sull'uomo furono fatti da alcuni Leprologi (Danilsen, Profeta, Arning),
ma i tentativi di innesto con materiale leproso non ebbero alcun risultato sicuro: si cita come esempio
di innesto positivo il caso di Keanr il quale, dopo |’ inoculazione del prodotto leproso morì di Lepra.
Ma anche su questo caso si solleva l’ obbiezione, che il delinquente Aeann fosse già precedentemente
leproso. Comunque i leprologi hanno continuato gli esperimenti di innesto sugli animali, che qui sarebbe
troppo lungo riferire di tutti. — In questi ultimi anni lo Stanziale ha ripigliato le ricerche speri-
mentali mercè l’ innesto di frammenti di nodi leprosi nella camera anteriore dell’ occhio dei conigli, e
ritiene di avere provocata a distanza dal trapianto, sia nella spessezza della cornea, sia nell’ iride, focolai
di lepromi con intervento e moltiplicazione di bacilli. — Malgrado le obbiezioni sollevate sul risultato
di questi esperimenti, il Chirivino, ripetendo gli innesti secondo il metodo dello Stanziale con
pezzetti di nodi leprosi, avrebbe ottenuto la neoformazione di piccoli lepromi ben distinti e isolati
nella cornea e nell’ iride a distanza dal trapianto. Ma il Serra avrebbe fatto un passo più innanzi,
ottenendo lepromi mercè |’ innesto nella camera anteriore dell’ occhio di conigli con culture di bacilli
leprosi. Anche il Verrotti ha ripetuto le ricerche d’ inoculazione con identici risultati: ma mentre
Egli conclude che le prime indagini fanno ammettere la possibilità di un tentativo di riproduzione,
invece negli ultimi esperimenti, fatti sopra una scimmia inferiore (Cercopithecus), mercè |’ inoculazione
di emulsione di leproma in/racardiaca e sottocutanea simultanea, ottenne, non solo la produzione di
un nodo primitivo nel punto d’ innesto (braccio sinistro), ma ancora una neoformazione di noduli
secondari nell’ antibraccio destro In seguito a questo risultato il Verrotti ritiene giustamente di
avere ottenuto la riproduzione di un leproma, che è quanto dire di aver riprodotto il processo leproso
in tutti i suoi caratteri istopatologici più evidenti, confermando così le esperienze dello Stanziale.
Si dovrà con ciò concludere, che si è ottenuta la riproduzione della Lepra nella sua forma clinico-
morfologica? La risposta a tale quesito si attende dalle future ricerche.
— 419 —
E d’uopo per ciò attendere che le prove, già da tempo iniziate dai Leprologi, e riprese
in questi ultimi anni, prima dallo Stanziale e di poi dal Chirivino, dal Serra e
dal Verotti..., abbiano a portare maggior luce su questo punto assai oscuro del contagio
leproso. In ogni modo, tenendo conto dei risultati sperimentali, ottenuti fin qui, se non fu
riprodotta la Lepra nei suoi caratteri clinico-morfologici, nullameno si potè riprodurre (col-
l'innesto di frammenti freschi) il processo leproso, mercè lo sviluppo di una neoformazione
coi caratteri d’ un leproma, più o. meno distante dall’ innesto medesimo. Il che è qualche
cosa: ma agli esperimenti futuri, e soprattutto tenendo alla scelta dell’ animale, (1) è
riposta la speranza di raggiungere la meta tanto desiderata.
CONCLUSIONI
Volendo ora riassumere in breve quanto fu detto fin qui, è d’uopo confessare, che le
ricerche fatte |non ostante le speranze concepite in sul principio di questo studio] non
hanno portato ancora quella luce sull’ argomento, da chiarire la cooperazione del Demo-
dex nella etiologia della Lepra. Comunque questo studio clinico-istologico, riguardato pure
nella sua modestia, non ha altra pretenzione che quella di aver servito a stabilire la
frequenza del Demodex nei follicoli pilo-sebacei del leproso, non che altre questioni ine-
renti all’ etiologia della Lepra; laonde, tenendo conto dei reperti microscopici, ottenuti nei
leprosi sopramentovati, ecco le conclusioni, alle quali possiamo venire :
1.° Il Demodea, come parassita di famiglia, e perciò ereditario, sarebbe il meglio
deputato al trasporto del bacillo di Hansen dal leproso al sano. Le condizioni per siffatto
trasporto sarebbero evidenti e favorevoli, come si è detto più sopra, specialmente quando
il Demodex reca sulla sua superficie il bacillo di Hansen: in tale momento, emigrando
da persona a persona, può portare l’ innesto del bacillo.
2.° Sebbene non vi siano prove dirette per siffatta maniera di contagio della Lepra,
nullameno è molto verosimile che il Demodex possa trasportare il bacillo di Hansen e
diffonderlo sul portatore stesso della malattia.
3.° Parimente non vi sono prove dirette per dimostrare che, portato dal Demodea
il bacillo di Hansen nei follicoli, possa qui svilupparsi il leproma; in ogni modo alcune
condizioni, esposte più sopra, potrebbero favorire la penetrazione del bacillo dal follicolo
(1) Per l’argomento che qui si discute, fra gli animali, anche il cane (specialmente di alcune razze)
potrebbe, sotto qualche rispetto, servire per la dimostrazione di una parte dell’ esperimento, che è
quanto dire, per il trasporto del bacillo leproso entro il follicolo, mercè il Demodex. Prendendo i cani,
soggetti alla rogna demodettica, si potrebbe sopra i medesimi portare, in un area circoscritta, il bacillo
leproso, e ricercare più tardi, se questo venisse immesso entro i follicoli dal Demodea medesimo. Ma,
come ho ‘etto testè, da questa prova non si potrebbe avere altro risultato che quello di mostrare il
Demodex quale veicolo del bacillo leproso sopra questo animale, mai però lo sviluppo della Lepra
nella sua forma clinico-morfologica.
Serie VII. Tomo I. 1913-1914. 55
— 420 —
pilifero, o dall’ acino ghiandolare nel derma perifollicolare, terreno adatto per lo sviluppo
del leproma medesimo.
4° Dalle ricerche sopra esposte si ha la prova dimostrativa, che il bacillo di Ha n -
sen, non solo piglia sua dimora nel follicolo, ma da questo può uscire e rimanere a fior
di epidermide e quivi, forse, ripreso dal Demodex, può tornare di nuovo entro i follicoli,
ovvero, staccandosi dalla medesima insieme alle lamelle cornee, si versa all’ esterno,
e cade nell’ ambiente, recando il: contagio in varie maniere.
5.° Il bacillo di Hansen può essere portato dal Demodex nei follicoli delle vibrisse,
fatto che, se avrà nuove e più evidenti conferme, potrà costituire un valido argomento
per ammettere il primitivo innesto del virus nella mucosa nasale.
Fig.
Fio..
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
1° Un campo microscopico, da un preparato di comedoni, con bacilli leprosi a
contatto con grosso Demodex.
2° —- Due campi microscopici di un preparato di comedoni, ravvicinati, contenenti
ognuno bacilli leprosi attorno ad ambedue i Vemodex, appartenenti questi
alla 2° varietà di Wilson.
3% — Comprende quattro distinti punti di un preparato microscopico di comedoni con
due uova mature, e due giovani Demodex, attorno ai quali vedonsi disse-
minati bacilli leprosi.
. 4° — Grosso Demodex (1° varietà di Wilson), preparato da alcuni comedoni, il quale
trovasi a contatto con bacilli leprosi.
Serie VII, Tomo I — 1913-1914 D. MajoccHi —- / Demodex folliculorum.
Iamiea 2
TRAI
dl —
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INDICE
Righi — Ricerche sperimentali sui raggi magnetici. in diversi gas. è
miscugli gassosi (con 19 Figure) .
Canevazzi — Sulla conservazione delle vpere cementizie in presenza degli
oli e dei corpi grassi in genere .
Guarducci — Determinazione di latitudine astronomica a Modena.
Capellini — Z/efanti fossili nel R. Museo Geologico di Bologna
Albertoni e P. Tullio — L'alimentazione maidica nel sano e nel pella-
grOSO.
Cavazzi — Determinazione dell’ anidride carbonica nei carbonati decomposti
dalle soluzioni di cloruro di ammonio.
Cavazzi — Osservazioni e proposte intorno ai saggi chimici del gesso
Razzaboni — Sulle superficie nelle quali i circoli osculatori delle linee di
curvatura di un sistema tagliano un piano fisso sotto un angolo costante.
Galdi — Sul calcare di Cresta del Gallo nell’ Avellinese
Ruggi — Intorno alla nefroptosi teoricamente e praticamente considerata
(con 6 figure nel testo)
Guardueci — Su! ripristinamento del centro trigonometrico di 1° ordine
sul nuovo campanile di S. Marco di Venezia .
Baldoni -- Contributo all’'esofagotomia nei solipedi (con una tavola doppia).
A 305 0 , , p_l
Enriques — Sul teorema d’ invarianza della serie canonica Gp _ 9 apparte-
nente ad una curva algebrica di genere p.
Rajna — Osservazioni meteorologiche dell’ annata 1913, eseguite e calcolate
dall’ astronomo R. Pirazzolie dall astronomo aggiunto G. Horn nel-
l’ Osservatorio della R. Università di Bologna.
Pag.
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3
59
1153
IS
143
189
195
GOA
A. Baldacci — Leonardo da Vinci botanico e fondatore del metodo speri-
mentale.
P. Burgatti — Sulle deformazioni finite dei corpi continui. .
I. Novi —- Determinazioni qualitative e quantitative dei lipoidi cerebrali nella
narcosi cloroformica .
A. Ghigi — Ricerche sulla eredità nei piccioni domestici. I. Eredità di ca-
ratteri cranici in rapporto alla origine delle razze domestiche (con 2 tavole
e 5 figure nel testo) . i
A. Poggi — La neoformazione della cistifellea si ha nell'uomo dopo la cole-
cistectomia ? (con tre figure) .
(. Ciamician e C. Ravenna — Sw! contegno di alcune sostanze organiche nei
vegetali. VII. Memoria
F. Cavani — Za regola della simmetria in Geometria pratica .
L. Beccari — Contributo allo studio delle funzioni dei cationi Na, K e Ca nel
tessuto muscolare striato (con 84 figure).
F. Morini —- Sw eteromorfismo delle foglie dell’ Abies Alba e della Picea
Excelsa considerato principalmente sotto il punto di vista biologico .
D. Majocchi — 7! Demodea folliculorum sulla pelle dei Leprosi (con una tavola).
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DICEMBRE 1914
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INDICE
A. Baldoni —— Contributo all’ esofagotomia nei solipedi (con una tavola doppia). Pag. 177
ù do i SA
F. Enriques — Su! teorema d' invarianza della serie canonica 9h __ 9 Apparte-
nente ad una curva algebrica di genere p.
M. Rajna — Osservazioni meteorologiche dell’ annata 1913, eseguite e calcolate
dall’ astronomo R. Pirazzolie dall’ astronomo aggiunto G. Horn nel-
V Osservatorio della R. Università di Bologna.
A. Baldacci — Leonardo da Vinci botanico e fondatore del metodo speri-
mentale.
P. Burgatti — Sulle deformazioni finite dei corpi continui. .
I. Novi —— Determinazioni qualitative e quantitative dei lipoidi cerebrali nella
narcosi cloroformica .
A. Ghigi — Ricerche sulla eredità nei piccioni domestici. I. Eredità di ca-
ratteri cranici in rapporto alla origine delle razze domestiche (con 2 tavole
e 5 figure nel testo) .
A. Poggi — La neoformazione della cistifellea si ha nell’ uomo dopo la cole-
cistectomia? (con tre figure) .
G. Ciamician e C. Ravenna — Sw! contegno di alcune sostanze organiche nei
vegetali. VII. Memoria
F. Cavani — La regola della simmetria in Geometria pratica .
L. Beccari — Contributo allo studio delle funzioni dei cationi Na, K e Ca nel
tessuto muscolare striato (con 34 figure).
F. Morini — Sul! eteromorfismo delle foglie dell’ Abies Alba e della Picea
Excelsa considerato principalmente sotto il punto di vista biologico .
D, Majocchi — Il Demodex folliculorum sulla pelle dei Leprosi (con una tavola).
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