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ACCADEMIA DELLE SCIENZE DELL'ISTITUTO DI BOLOGNA CLASSE DI SCIENZE FISICHE SERIE areali DIVI d) SS È ‘ ONONI IENSÌ fi È ds Vili 9 SILE BOLOGNA TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI 1917 RICERCHE MICROSCOPICHE SUI CONGELATI —» CONTRIBUTO ALLA PATOGENESI DELLA CONGELAZIONE 0/02) MEMORIA DEI Prof. G. TIZZONI e Dott. G. DE ANGELIS letta nella Sessione del 19 Novembre 1916. (CON DUE TAVOLE) E noto che la bassa temperatura esercita sull’ uomo un’ azione locale ed una azione generale, producendo nel 1° caso il congelamento, nel 2° l° assiderazione. Esempi di congelamento si trovano frequentemente nei paesi nordici, specie nei nuovi venuti, ma anche più frequenti si riscontrarono negli eserciti durante campagne invernali combattute in climi freddi o freddo-umidi. Tutti conoscono a questo riguardo le vicende dell’ esercito Napoleonico nella spedizione di Russia, e molti non ignorano che nella guerra di Crimea si ebbero molti congelati, che si fanno ascendere a 5290 casi con 1178 morti. Anche nella attuale campagna non mancarono casi di congelamento, e l’Italia, come le altre Nazioni, dovè pagare a questa malattia un largo tributo. È nota pure la sintomatologia del congelamento e la sua antica classificazione in 3 gradi: 1° della tumefazione con arrossamento cianotico ; 2° della vescicazione con produ- zione di flittene; 3° della necrosi, con le varie suddivisioni a seconda che i fenomeni distruttivi interessano solo le parti superficiali (epidermide-derma), invadono i tessuti molli sottostanti, o si estendono anche ai tessuti duri (cartilagini-ossa) determinando il distacco completo di una parte, vere e proprie automutilazioni. Inoltre si conosce che i fenomeni locali, rispettivamente 1’ azione del freddo sui tessuti, dipende, non solo dal grado della bassa temperatura e dal tempo della sua durata sul corpo, ma anche dalle condizioni del mezzo perfrigerante, cioè se umido o secco, se in calma od in movimento. Al quale riguardo distinguonsi appunto due forme di congela- mento; una data esclusivamente da temperature molto basse (40°-45°) e caratterizzata dalla rapidità con la quale si susseguono le varie fasi del processo, che in poco tempo arriva a determinare formazione di escare e caduta di parti; e 1’ altra in cui all’azione del freddo, tanto se di lunga durata quanto se più volte ripetuto, si unisce quella del- l’ umidità e talora quella del movimento dell’ aria; forma questa che è caratterizzata da un decorso assai più lento dei fenomeni morbosi, i quali solo in secondo tempo, talora Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. Ì a o dopo alcuni giorni, arrivano a produrre nelle parti congelate distruzioni più o meno pro- fonde. Con tutta probabilità le differenti condizioni igrometriche dell’ atmosfera sono la ragione per la quale dalla fronte delle alpi tridentine e delle alpi carniche, dove di solito si ha freddo intenso ma asciutto, si sono avuti pochi casi di congelamento, mentre se ne sono avuti moltissimi dalla valle dell’ Isonzo, dove il termometro oscilla intorno a 0°, o scende poco al disotto, ma dove l’aria nella stagione invernale è ricca di umidità, a causa della natura argillosa del terreno e delle condizioni topografiche ed idrografiche della regione. In queste circostanze, perciò, dominano le perfrigerazioni di lunga durata o spesso ripetute, con freddo umido e con aria mossa. Secondo Nansen i viaggiatori polari possono abituarsi poco a poco anche a tempe- ratura molto bassa, di — 45° C., quando l’aria è calma. Peraltro se molto si sa sui fenomeni, sul decorso, sugli esiti del congelamento, nonchè sulle condizioni sotto le quali esso si osserva più facilmente, invece poco o nulla si conosce sulle lesioni che 1° azione del freddo determina sui tessuti e sulla loro patogenesi. Questa lacuna, che le presenti ricerche mirano a riempire, è di somma importanza, oltre che per la scienza, anche per le sue pratiche applicazioni, perchè, senza la guida sicura che viene dalla conoscenza della patogenesi e delle lesioni anatomiche, non è pos- sibile fare una terapia razionale. Le ricerche relative alla congelazione furono faite sugli animali e sull’ uomo, sia al fine di ripetere sperimentalmente la malattia e di stabilire il rapporto che passa fra con- dizioni esterne note ed i varii gradi a cui può arrivare il processo, sia per studiare le alterazioni dei singoli tessuti e per rischiarare il meccanismo col quale esse si producono. Le esperienze furono fatte per la massima parte nell’ orecchio del coniglio; alcune nella coscia dello stesso animale o nella coda del topo; il congelamento della parte era determinato, ora con mescolanze frigorifere e con metalli fortemente raffreddati, ora con l abbassamento della temperatnra prodotta da polverizzazioni di etere o con aria liquida. Ma, come è facile a comprendere, in questi casi 1’ esperimento non riproduce per nulla, e non poteva riprodurre, le condizioni naturali nelle quali si verifica il congelamento, sia perchè la pelle degli animali, anche per la presenza dei peli, non può considerarsi del tutto identica nella struttura e nella funzione a quella dell’ uomo, sia perchè il mezzo usato non rappresenta che uno dei fattori i quali intervengono nel congelamento, la bassa temperatura, sia perchè la sua azione è troppo brusca, molto più brusca di quella che suole avvenire nell’ uomo. Perciò riteniamo che l esperimento sia insufficiente a risolvere i sopra indicati pro- - blemi ed a rischiarare il meccanismo col quale si determina il congelamento quale avviene per condizioni naturali, cioè per influenza del freddo-umido con aria più o meno mossa; al più i risultati ottenuti da tale esperimento potranno applicarsi al congelamento pro- dotto dal freddo asciutto e serviranno ad illustrare le alterazioni che la bassa temperatura è capace di produrre in modo diretto sui tessuti. Riguardo ai rapporti fra intensità del freddo e lesioni locali, il Cohnheim ha trovato con esperimenti sugli animali fatti a mezzo di mescolanze frigorifere che a — 6° C. si produce SSA un semplice arrossamento il quale presto sparisce ; che a — 7°, — 8° si ha arrossamento e leggera tumefazione pastosa che risolvono in 1-2 giorni; che a — 10°, --14° si produce una forte tumefazione che regredisce lentamente, spesso accompagnata da sollevamento di epi- dermide; che a —15°, —18°, —20° si ha più forte tumefazione, suppurazione, distruzione dell’ epidermide e mummificazione della parte. Intorno al rapporto fra la durata d’ azione del freddo ed i sintomi che ne susseguono, il Kriege stabilisce mediante esperimenti fatti sull’ orecchio del coniglio con polveriz- zazioni d’ etere, che se il raffreddamento della parte è di breve durata, dopo 4-6 giorni si ha la risoluzione completa dei fenomeni locali senza necrosi; se di più lunga durata, più gravi sono i fenomeni infiammatori e parte dell’ orecchio si mummifica. A sua volta Pictet, servendosi di lastra metallica raffreddata a — 80°, ha studiato la riproduzione sperimentale della malattia nell’ uomo; nel quale ha potuto osservare che se il contatto con questa lastra raffreddata a --80° è di breve durata, allora si ha un vivo dolore alla parte simile a quello che produce il pinzo di una vespa, e nel giorno succes- sivo sì osserva in corrispondenza di questa specie di bruciatura da frreddo, un forte arros- samento della parte, che dopo 24 ore assume una colorazione bluastra, e che produce moderato pizzicore e sparisce dopo 5-6 settimane. Con un più lungo contatto o con la diretta azione dell’ aria liquida, la pelle si discioglie molto rapidamente in un detrito, sotto una suppurazione di lunga durata. . Basta per poco considerare questi esperimenti per avere la piena conferma di quanto dicevamo sopra, cioè che i mezzi artificiali sono ben lungi da riprodurre le condizioni nelle quali ordinariamente si verifica nell’ uomo il congelamento; e che le lesioni con essi prodotte, in cui i fatti infiammatori hanno una parte non indifferente, sono molto diverse da quelle che si determinano spontaneamente per effetto del freddo-umido, e somigliano assai più a quelle che i bassi gradi di temperatura producono per azione direita sui tessuti. Riguardo alle alterazioni che conseguono alla congelazione sperimentale, molti hanno dato un valore speciale al disturbo di circolo, e ciò anche in considerazione dei fenomeni clinici che si producono in primo tempo nell’ uomo per azione del freddo, specie nelle perfrigerazioni di lunga durata o spesso ripetute con freddo-umido, anche se la tempera- tura oscilla verso 0°, cioè allo arrossamento della pelle che presto assume un colore cia- notico e si accompagna a rapida tumefazione della parle congelata. Così il Samuel, raffreddando |’ orecchio del coniglio con polverizzazioni d’ etere, vide prodursi dapprima un ristringimento delle arterie, seguito poco dopo da una dilatazione vasale con tutti i segni di un’ infiammazione acuta; quando l’azione del freddo durava più a lungo, allora il disturbo di circolo arrivava alla stasi, alla coagulazione del sangue nei vasi, alla gangrena. Quanto alle alterazioni microscopiche del sistema vascolare, il Kriege ammette che i disturbi di circolo sopra ricordati siano eccezionalmente accompagnati da una degene- razione jalina dei fasci connettivi e delle pareti vasali, specie della tunica media delle arterie; degenerazione che vuole sia distinta dalla necrosi da coagulazione nel senso di Cohnheim-Weigert. Rn A Invece Rischpler, sotto la guida di Marchand, avrebbe trovato costantemente nelle orecchie del coniglio congelato con polverizzazione d’ etere (--16°), alterazioni delle pareti vascolari con distacco delle cellule endoteliali e trombosi limitata solo ad alcuni distretti vascolari. Dei fenomeni infiammatori consecutivi a questa alterazione dei vasi, l'edema comincerebbe prestissimo, dopo 20‘, la posizione marginale dei leucociti dopo 3 ore. Che poi i muscoli lisci della tunica media delle arterie possano alterarsi per influenza diretta del freddo, questo è dimostrato dalle esperienze dello stesso Rischpler e con- fermato da quelle di Zoege von Manteuffel. Per riguardo alle alterazioni degli altri tessuti, Uschinsky dimostra nell’ orecchio congelato mediante polverizzazioni d’ etere, vacuolizzazione e caduta delle cellule epiteliali, che si manifestano appena la dilatazione dei vasi ha portato ad emigrazione dei leucociti; egualmente Fuerst, producendo con esperimenti simili raffreddamenti di breve durata ripetuti ad intervalli, trovò nei tessuti congelati leggieri fenomeni degenerativi, vacuoliz- zazione delle cellule e comparsa di corpi jalini; fenomeni degenerativi che erano seguiti più tardi da una rapida ed irregolare rigenerazione. Sempre con lo stesso metodo speri- mentale il Rischpler osservò che tutti i tessuti, epidermide, cute, cartilagine, nervi e vasi soffrono per influenza della bassa temperatura, e dimostrò in modo particolare che il disturbo di quei tessuti cresce col grado della perfrigerazione. Alla comparsa dei vacuoli nel protoplasma segue il disgregamento dei nuclei; finalmente si ha necrosi e distruzione nucleare e cellulare. Fra le varie alterazioni dei tessuti, richiamarono in modo speciale l’ attenzione quelle del tessuto muscolare ; anche perchè questo tessuto si presta meglio di qualunque altro a stabilire se le alterazioni riscontrate sono in rapporto diretto od indiretto con l abbassa- mento della temperatura, ossia se derivano direttamente dal congelamento o piuttosto dalla ischemia che questo produce. A tale proposito lo stesso Rischpler praticando eterizzazione profonda nella cavia, riscontrò nei muscoli congelati perdita della striatura trasversale, frammentazione e disfa- cimento della fibra in pezzetti irregolari, omogenei o granulosi. A questa prima fase dege- nerativa tengono dietro fenomeni rigenerativi in forma di moltiplicazione e di accumulo dei nuclei. Nella rana e nel coniglio ebbe risultati identici, cioè frammentazione delle fibre muscolari in blocchi grossolani splendenti ; ed in molte, la completa distruzione della sostanza contrattile in un fino detrito. Ciò prova che i muscoli striati sono molto sensibili alla azione diretta del freddo. Questi risultati sperimentali trovarono conferma nelle ricerche fatte sull’ uomo da Benndorf e Kraske, i quali in due casi di congelamento, che duravano rispettiva- mente 1-4 settimane, trovarono degenerazione cerea e granulare delle fibre muscolari, con contemporanea neoformazione cellulare rigeneratoria; più accentuata questa nel secondo caso dove era anche maggiormente ‘sviluppata l’ infiltrazione infiammatoria. Qui risulta chiara la differenza fra il reperto sperimentale e quello dell’uomo; diffe- renza che, con tuita probabilità, trova la sua ragione nel fatto di essere il primo un effetto diretto del congelamento, il secondo invece rappresentare niente altro che una lesione er E ischemica. Infatti nel congelamento di breve durata dei muscoli, come quello col quale sono state prodotte per la massima parte le lesioni sopra riferite, non può parlarsi mani- festamente di lesione ischemica. Al quale riguardo il Volkmann distinguerebbe anche nell uomo due specie di alte- razioni muscolari da freddo; una con disfacimento a zolle della sostanza contrattile senza la totale distruzione dei nuclei, come avviene nel tifo, ed una con disfacimento a dischi e con completa scomparsa dei nuclei. Intorno alla patogenesi di questo processo, vale a dire intorno al meccanismo col quale il freddo produce i sintomi e le alterazioni proprie del congelamento, le opinioni non sono del tutto concordi, mancando ancora una solida base anatomica per giudicare. In proposito bisogna considerare a parte i due momenti principali del processo e sta- bilire separatamente : 1.° Come si determina il congelamento. 2.° Come il congelamento conduce alle alterazioni secondarie dei tessuti ed alla gangrena. Il concetto patogenetico dominante è che il freddo agendo direttamente o per via reflessa sulla parete dei vasi determini un disturbo della circolazione, rappresentato dap- prima dalla contrazione delle piccole arterie che rapidamente si propaga alle arterie più grosse, alla quale tiene dietro con maggiore o minore sollecitudine la loro dilatazione, da cui il forte rossore della parte. Il disturbo della circolazione, poi, varierebbe secondo il grado della perfrigerazione, andando da una modica contrazione delle arterie, ad una sospensione completa della circolazione. Altri, come il Kriege, non limitano gli effetti primitivi del freddo a puri fatti biolo- gici dell’ apparecchio vascolare come quelli sopra indicati, ma pensano che la perfrige- razione produca, come primo fenomeno patologico, la comparsa di trombi granulari di pia- strine in seguito ad alterazione ancora indefinita della parete vascolare. Che se divergenze grandi si trovano nello spiegare i fenomeni primitivi, divergenze anche maggiori si riscontrano nello spiegare le conseguenze ultime della congelazione, vale a dire le alterazioni distruttive dei tessuti, la gangrena della parte. Qui è opportuno richiamare alla mente la distinzione fondamentale che abbiamo fatta altra volta, cioè la distinzione della gangrena da congelazione dalla gangrena da freddo ; la prima essendo prodotta dalla azione molto intensa del freddo di per sè che colpisce ad un tempo vasi e tessuti, e che trova ampio riscontro nella maggiore parte dei risultati sperimentali di sopra riferiti; la seconda essendo causata da modico freddo, ma col con- corso della umidità atmosferica e del movimento dell’ aria. È sopra quest’ ultima che bisogna fissare la nostra attenzione come quella che si adatta al caso nostro e che offre le maggiori divergenze d’ interpretazione. Esclusa in queste circostanze una diretta azione del freddo che leda profondamente la vitalità dei varii tessuti e porti in tal modo alla distruzione della parte, la maggio- ranza dei patologi, anche senza negare che l’ abbassamento della temperatura possa por- tare direttamente un certo disturbo delle cellule e delle pareti vascolari, fanno risalire le principali conseguenze della congelazione alla occlusione trombotica delle arterie afferenti» e AIR Così la pensano Marchand, Hodara; ed anche il Rischpler ammette che la necrosi sia favorita dalla stasi e dalla trombosi dei vasi. Analogamente Cohnheim riporta l'edema e l’ infiammazione alle alterazioni ignote delle pareti vasali; la necrosi alla stasi conseguente. Riassumendo, nella gangrena da congelamento il freddo intenso ma secco agirebbe contemporaneamente sui vasi e sui tessuti e produrrebbe lesioni cellulari distruttive dirette; invece nella congelazione prodotta da freddo-umido la bassa temperatura eserciterebbe la sua azione preferibilmente ed esclusivamente sull’ apparecchio vascolare, determinando, dapprima contrazione delle arterie, poi la loro dilatazione, il rallentamento del circolo, la stasi, la trombosi, da cui i fatti degenerativi secondari dei tessuti, la distruzione, la gan- grena della parte. Come si rileva da quanto si é finora riferito, la questione più oscura del processo in parola è quella che più interesserebbe conoscere per arrivare alla sua interpretazione scientifica e per dedurne razionali indicazioni terapeutiche, cioè come il freddo determina il disturbo vascolare primitivo, causa del congelamento da freddo-umido e delle sue con- seguenze; e più precisamente se tale disturbo vascolare avvenga per puro fatto biologico o per alterazione primitiva, finora sospettata ma non ancora chiaramente dimostrata, che la bassa temperatura determina sulla parete dei vasi. Anche maggiori dubbi e più dolorose incertezze abbiamo sulle ragioni che rendono permanente il disturbo vascolare o che ne aggravano gli effetti idraulici conducendo alle conseguenze ultime del congelamento, alla distruzione, alla gangrena della parte. Queste lacune abbiamo cercato di riempire con le presenti ricerche che riferiamo volentieri anche perchè, come abbiamo veduto, sono poche le conoscenze che si hanno finora sul reperto microscopico nei congelati; e tanto relativamente allo apparecchio vasco- lare quanto in rapporto agli altri tessuti. Tre sono i casì da noi studiati; due che ci pervennero dal Comando Supremo per squisita gentilezza del Magg. Med. Dott. Casali e del Cap. Med. Dott. Pullè che qui ci piace sentitamente ringraziare; ed uno che potemmo avere dall’ ospedale C. R. di Arta per la cortesia del Cap. Med. Dott. Rossi al quale porgiamo pure i nostri vivi ringra- ziamenti. Come si vede il numero delle osservazioni nostre è troppo limitato per conclu- dere in modo definitivo; nonostante crediamo opportuno riferirle qui brevemente, tanto per l’importanza del reperto microscopico da noi rilevato e per le applicazioni pratiche che possono dedursi, quanto perchè tali osservazioni possano servire ad altri di stimolo e di guida per più larghe ricerche nella prossima campagna invernale. Dei casi da noi studiati, due erano morti di forma lenta, il terzo di forma acuta in seguito a complicanza d’ infezione tetanica; in tutti e tre gli ammalati quando avvenne la morie si era già verificato la distruzione e la caduta di parti più o meno estese del piede. In questi tre casi, è bene dirlo fin d’ ora, le alterazioni riscontrate ‘al microscopio furono del futto identiche, tanto per sede quanto per natura del processo; solo tali alte- razioni presentavano intensità diversa in rapporto con la gravezza della malattia e con l’ acutezza con la quale il processo si era svolto. LE SRO La prima nostra attenzione fu portata sul sistema nervoso, dati i disturbi (dolori nevralgici, iperestesie, parestesie, anestesie, alterazioni trofiche) che precedono, accompa- gnano o seguono gli altri fenomeni proprii del congelamento, ma subito dovemmo con- vincerci della sua integrità, almeno per quanto riguarda i grossi tronchi nervosi che accompagnano i vasi e che facilmente poterono essere rintracciati e studiati in sezioni longitudinali e trasversali. Infaiti l’ attento esame di questi nervi, come riproduce benissimo la fig. 1, ci dimo- strava normale il connettivo di sostegno (epinevrio, perinevrio, endonevrio), mancanza in esso di qualsiasi infiltrazione di siero e di leucociti, normali e non affatto deformate le fibre nervose, nelle quali si riusciva ancora a distinguere il cilindro dell’ asse in mezzo ad uno spazio chiaro, a contorno regolare, formato dalla guaina midollare; nessuno aumento od alterazione dei nuclei della fibra nervosa. Con questo si esclude che il freddo-umido possa determinare alterazioni primitive del sistema nervoso spinale e che a questo si debbano principalmente gii effetti della perfri- gerazione. Ciò senza negare che disturbi od alterazioni primitive possano avvenire nelle estremità nervose; senza negare che anche nei tronchi nervosi possano verificarsi lesioni secondarie, sopratutto in corrispondenza dei focolai gangrenosi. Non possiamo affermare con le nostre osservazioni che fossero egualmente normali le fibre del simpatico; ma ci sembra che ciò sarebbe in contrasto con la permanenza e la durata dei disturbi di circolo e con le alterazioni che descriveremo nei vasi sanguigni. Dato quindi il reperto da noi ottenuto a riguardo del sistema nervoso, tutto porta ad ammettere che i nervi offrano una discreta resistenza di fronte al freddo-umido capace di dare fenomeni di congelazione ; quindi i sintomi nervosi che precedono ed accompagnano questo processo devono trovare la loro ragione in alterazioni di altre parti, o nel disfaci- merto che essi in seno al focolaio gangrenoso debbano subire come qualunque altro tessuto. Molto importanti sono invece le lesioni da noi riscontrate nei vasi sanguigni ed in particolar modo nelle arterie. Queste, anche ad una certa distanza dal focolaio gangrenoso, presentano costantemente lesioni a vario grado dell’ apparecchio elastico, della elastica interna, che nelle forme meno avanzate si presenta come spezzettata o con discontinuità più o meno grandi, conservando solo in brevi tratti del contorno dell’ arteria aspetto normale. Abbiamo quindi una forma distruttiva dell’ elastica che in primo tempo non è gene- rale, ma che più tardi acquista maggiore estensione interessando in ultimo tutto il lume del vaso, il quale così viene ad essere privo in ogni sua parte dello apparecchio ela- Sho: (11912), Quando il processo ha raggiunto il suo massimo sviluppo, anche gli ultimi resti del- l’ elastica spariscono ed al suo posto rimangono qua e là spazi lineari vuoti nella parete del vaso, subito al disotto dell’ intima già discretamente ispessita; spazi che indicano la posizione dove prima si trovava |’ elastica e che qualche volta arrivano a scollare |’ in- tima sovrastante in quelle parti dove apparisce più sottile (fig. 3). — 10 — Questo processo ha tendenza a diffondersi dall’ elastica alla tunica muscolare sotto- stante che interessa, talora in forma di grossi focolai di degenerazione come chiazze allungate di aspetto vitreo sopra alle quali l’intima apparisce ordinariamente sfaldata e sollevata a guisa di lembo (fig. 6), talora diffondendosi in modo uniforme alla contigua tunica media, determinando una necrosi generalizzata delle fibre muscolari che la com- pongono, il cui nucleo non si colora più con i soliti colori di anilina e la sostanza con- trattile apparisce come un blocco di materia omogenea tinta uniformemente in vio- letto sporco. Le fig. 4 e 5 fotografate a piccolo ingrandimento dimostrano chiaramente la presenza, la posizione, } aspetto di una o di due di queste placche necrotiche esistenti nelle pareti di una piccola arteria; la fig. 6 ritratta a più forte ingrandimento ne ripro- duce i particolari. Di contro alle alterazioni della elastica, estendentisi in modo. uniforme od a focolai nella sottostante tunica muscolare, la tunica interna non rimane indifferente. Già all’ inizio del processo, nei punti nei quali 1’ elastica è spezzettata ed in parte scomparsa, così da non osservarsene più che pochi resti, la corrispondente porzione dell’ intima è tumefatta, ingros- sata, più ricca di nuclei. Nell’ ulteriore progresso di questa lesione l’ ingrossamento del- l’ intima diviene maggiore e si sviluppano da essa mammelloni, bitorzoli, verrucosità di tessuto connettivo che sporgono nel lume dell’ arteria; la quale viene così ad essere ristretta od in parte ostruita, non interessando la neoformazione dell’ intima in modo regolare tutto il contorno del vaso. Nella sua ultima fase questa endoarterite obliterante mostra ten- denza a passare alla fase sclerotica, contribuendo anche per tale esito a determinare la deformazione dell’ arteria. Le fig. 4 e 5 dimostrano a piccolo ingrandimento l’ ingrossamento irregolare che avviene secondariamente nell’ intima ed il conseguente ristringimento, deformazione, ostruzione del lume del vaso. Le fig. 2 e 3 riproducono lo stesso fatto a più forte ingrandimento e ne dimostrano i particolari, tanto nelle fasi meno avanzate (fig. 2), quanto nelle fasi in cui il processo ha raggiunto il più alto sviluppo (fig. 3). Dunque l’ intima, di fronte al processo che interessa primitivamente l’ elastica e suc- cessivamente la sottostante tunica muscolare, non rimane del tutto indifferente, ma si com- porta in modo identico a quello che si verifica nell’ arteriosclerosi dopo avvenuta la lesione e la distruzione dell’ apparecchio elastico. Infatti in ambidue i casi la tunica interna subisce un rapido e considerevole ingrossamento, che ha la sua ragione nella rottura del- l'equilibrio fisiologico fra gli strati interni della arteria, ed al quale si è attribuito il signi- ficalo di una vera ipertrofia compensatrice, in quanto mira a compensare la minore resistenza del vaso che proviene dalla lesione distruttiva della elastica e di buona parte della tunica muscolare. Nulla di anormale si, osserva nella avventizia. Di contro a queste lesioni ‘delle arterie le corrispondenti vene presentano pure altera- zioni molto importanti, che si determinano in modo del tutto secondario, per effetto del conseguente rallentamento della corrente sanguigna. Tali lesioni consistono in una infil- trazione sieroso-sanguinolenta della parete della vena che smaglia i fasci delle fibre con- LE pe neltive e muscolari, portando ad una specie di tumefazione della parete stessa e venendo così a ristringere considerevolmente il lume del vaso (fig. 7). Alcune volte |’ infiltrato sieroso-emorragico si accumula in maggior quantità al disotto dell’ intima, la quale in tal modo viene ad essere scollata ed a formare come una piega che sporge entro il lume del vaso ostruendolo parziaimente (fig. 8). Dopo. i vasi sanguigni, i muscoli striati sono quelli che nella gangrena a frigore pre- sentano le maggiori alterazioni. Infatti esaminando i fasci muscolari della regione dove sono state trovate le alterazioni vascolari sopra descritte, vale a dire a qualche distanza dal focolaio necrotico, si vede anzitutto che ciascuna fibra muscolare è separata dal tes- suto connettivo di sostegno da un grosso spazio chiaro, dato con tutta probabilità da infiltrazione sierosa; più si notano, tanto in sezioni longitudinali quanto in sezioni tra- sversali delle fibre medesime, due forme distinte di alterazioni. In una prima forma la fibra muscolare ha completamente perduta la sua striatura e la sostanza contrattile apparisce come un blocco omogeneo, splendente, senza nuclei, spesso con fenditure nel suo interno, del tutto simile a quanto si osserva nella necrosi ischemica (fig. 9). Nell’ altra forma, la fibra muscolare ha perduto egualmente la striatura, ma conserva la sua forma ed apparisce a fondo granuloso, sul quale spiccano numerose gocciolette di varie dimensioni che si colorano fortemente con l’ ematossilina e con la fucsina e che somigliano molto alle gocciolette di cromatina che si formano nella cariolisi. Anche qui non è più possibile distinguere i nuclei della fibra muscolare (fig. 10). In una fase succes- siva queste fibre sono invase da globuli bianchi richiamati in discreta quantità da con- nettivo circostante; globuli che formano nello interno della sostanza contrattile delle fen- diture che la percorrono in tutti i sensi, provvedendo così al suo spezzettamento ed alla sua definitiva scomparsa (fig. 11). Queste due forme di alterazioni delle fibre muscolari, ora si trovano riunite nello stesso fascio, ora sono nettamente separate e riunite ciascuna in fasci distinti. Noi riteniamo che tanto luna quanto l’ altra forma di tale alterazione debba essere interpretata come lesione necrotica secondaria, vale a dire come vera necrosi ischemica, e che le differenze notate dipendano esclusivamente dal modo più o meno lento col quale avviene il disturbo di nutrizione e .si determinò la morte della fibra muscolare. All infuori dei vasi e del tessuto muscolare, gli altri tessuti presentano poche o nes- suna alterazione. Il connettivo nella generalità si presenta di aspetto normale; solo in alcune parti i fasci delle fibre connettive sono come rigonfiati, di aspetto più omogeneo, e gli spazi che li separano sono dilatati e come infiltrati di siero; eccezionalmente presenta aumento dei globuli bianchi, ciò che avviene di regola dove trovasi del grasso in riassor- bimento, delle fibre muscolari profondamente alterate e prossime ad essere allontanate e distrutte. In conclusione, l’ aumento dei globuli bianchi che si riscontra in punti limitati e ben determinati del tessuto connettivo non è affatto 1° espressione di un processo infiammatorio; bensì serve a testimoniare la presenza di focolai necrotici, attorno ai quali si raccolgono appunto i leucociti per concorrere con la loro azione fagocitaria alla distruzione ed alla a) Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. COSO scomparsa degli elementi colpiti da morte. Se ne deduce da ciò che la lesione dei vasi non è di tale ordine da condurre alle note caratteristiche del processo infiammatorio, ma da produrre esclusivamente fatti di distruzione. Questa conclusione trova piena conferma nello studio dei tessuti superficiali del corpo, i quali per la loro posizione meglio si trovano in condizione di reagire agli stimoli che ven- gono dall’ esterno, la pelle, cioè, e la superficie cruenta che risulta dal distacco della parte gangrenata, Infatti la pelle, salvo un leggiero rigonfiamento dei fasci del tessuto con- nettivo sottocutaneo con sensibile dilatazione degli spazi che li separano, si dimostra nor- male in tutte le sue parti; nè presenta in alcun punto apprezzabile aumento di leucociti. L’epidermide, il derma non si distinguono affaito da quelli di una persona sana ; così le glandule sudorifere, i peli e tutte le altre parti che compongono la pelle. Nè può darsi grande valore alla forma reticolare che si osserva nelle parti profonde dello strato corneo, e qualche volta al sollevamento dello intiero strato in forma di piccola bolla, ciò essendo la diretta e necessaria conseguenza dell’ edema che si riscontra in tutto il tessuto con- nettivo, derma compreso. La superficie cruenta che risulta dal distacco della parte necrosata è ricoperta inte- ramente da un tessuto connettivo di neoformazione; ma questo, in luogo di contenere buone granulazioni, ha tutti i caratteri di una piaga atonica a fondo calloso senza nessuna tendenza alla cicatrizzazione. Infatti, esaminando una di queste piaghe, si vede un primo strato esterno formato dal solito detrito granuloso, poi uno strato piuttosto sottile di tessuto connettivo giovane povero di vasi e di cellule, con sostanza fondamentale omogenea, mucosa ; e subito al di sotto un alto strato di tessuto connettivo stipato con grossi fasci fibrosi e con vasi a parete ben distinta come quella dei vasi adulti (fig. 12). Da ciò si comprende perfettamente perchè queste piaghe hanno un decorso lentissimo e perchè impieghino sempre molto tempo a guarire. Riguardo ai fenomeni generali che accompagnano la gangrena da freddo, essi sono ben noti nelle loro manifestazioni, ma non è possibile stabilirne sicuramente la causa e darne un esatta spiegazione scientifica. È fuori di contestazione che i congelati, specie quelli di 3° grado, presentano un qua- dro classico generale di qualche importanza che riveste sempre lo stesso tipo; mostrano cioè uno stato di prosirazione generale, di stupore; appariscono subcoscienti, e lasciano rilevare tremori muscolari come quelli che si osservano nei tifosi; il polso è frequen- tissimo, 120-130 puls., anche quando la temperatura non è troppo elevata (38-38.5); spesso notasi diarrea. Le orine in generale sono normali per qualità e quantità. La coltura del sangue fatta col metodo del lavaggio più volte ripetuto, come si usa con molto vantaggio in questo Istituto, in alcuni casi ci ha dimostrata la presenza di saprofiti banali, probabilmente penetrati in circolo dal focolaio gangrenoso, e null’ altro; per cui, data nelle singole osservazioni la variabilità del reperto batteriologico, che faceva rilevare ora dei cocchi, ora dei bacilli, variabilità che contrasta con la fissità del quadro clinico, si rende verosimile |’ ipotesi che tali fenomeni, più che a forme saprofitiche o settiche, siano dovuti all’ azione di speciali citotossine liberatesi dai tessuti in distruzione; tossine gior che per la loro azione elettiva sul cuore e sul sistema nervoso, dovuta forse alla loro speciale origine da determinati tessuti, si distinguono nettamente da quelle che devono formarsi nella ustione. Infatti, nella ustione, |’ epidermide ed il derma sono interessati in maggiore proporzione dei tessuti profondi, mentre nella congelazione la lesione colpisce sopratutto il tessuto vascolare ed il tessuto muscolare; ora, mentre nel primo caso si formano tossine che hanno azione elettiva sul rene, ed a mezzo della lesione di questo agiscono sul sistema nervoso, invece nella congelazione si formano dai vasi e dal muscoli prodotti che eserci- tano primitivamente la loro influenza sul cuore e sul sistema nervoso rispettando comple- tamento il rene. Alla congelazione di 3° grado si associano spesso altre infezioni, specialmente il tetano. Già Valette in 861 congelati aveva avuto 101 casi di morte di cui 6 per tetano; Chotart aveva a sua volta osservato 12 casì di tetano su 15 morti per congelazione; ed anche noi nella attuale campagna di guerra abbiamo dovuto registrare frequentemente il tetano nei congelati, specie prima che dallo Ispettorato di Sanità Militare fossero date le opportune disposizioni perchè l’ iniezione antitetanica preventiva in questi casi fosse ripe- tuta 2-3 volte. In proposito vedasi la Memoria del Cap. Prof. G. Vernuni di questo Isti- tuto riguardante i risultati ottenuti nella cura del tetano col nostro siero in cui sono riportati casi di tetano occorsi nei congelati. Qui vogliamo solo ricordare come il tetano nei congelati presenti una particolare gra- vezza ed un decorso rapidissimo, tanto da uccidere in 24 ore o meno per lesione bulbare, prima ancora che le scosse e la rigidità tetanica siano arrivati a grado molto elevato. Ciò devesi indubbìamente al fatto che in questi casi sì sommano gli effetti di due veleni che agiscono elettivamente sul sistema nervoso, specie sul bulbo, le citotossine che pro- vengono dalla gangrena da freddo e la tossina del tetano. Che la semplice distruzione di un tessuto qualsiasi non sia per se stessa sufficiente ad aggravare il tetano, e che le citotossine della ustione siano differenti nella loro azione da quelle della congelazione, questo ci fu chiaramente provato da un caso di tetano in un ustionato osservato in questa Clinica Chirurgica e da noi curato felicemente col nostro siero. Si trattava di un soldato che per lo scoppio di una bomba incendiaria ebbe ustio- nata, sopra l’ allipiano di Asiago, tutta la parte anteriore del corpo, meno la faccia e le braccia, e nel quale, dopo alcuni giorni, si manifestò il tetano. Ebbene in questo caso, nonostante l’° estesa e profonda ustione, l’ infezione tetanica fu di mediocre gravezza ed ebbe un decorso piuttosto lento, in modo da dare il tempo ad una cura efficace col siero; dimostrando in tal modo come le due malattie, a differenza di quello che accade nei congelamenti, siano decorse ciascuna per proprio conto senza influenzarsi a vicenda e sommarsi nei loro effetti dannosi. I risultati delle nostre ricerche ci permettono pertanto di arrivare a conclusioni molto importanti relative al modo di essere, alla patogenesi della lesione locale nella congela- zione da freddo-umido, ed alle relative indicazioni terapeutiche. a er Dai fatti sopra esposti apparisce chiaro che il freddo-umido, quando agisce a lungo o la sua azione si ripete più volte, determina una lesione primitiva della parete delle arterie, la quale ha origine dallo apparecchio elastico, che rapidamente si rigonfia, si spez- zetta e sì distrugge; da ciò la perdita del tono vascolare, il rapido abbassamento della pressione arteriosa locale, la dilatazione dei vasi, il rallentamento della circolazione, che domi- nano tutto il processo, e che per la loro lunga durata, come per le gravi conseguenze che ne derivano, non possono essere interpretati come semplici disturbi vaso-motori. I fenomeni vascolari primi insorti, ai quali si deve |’ arrossamento cianotico e la tumefazione edematosa che si riscontra nelle prime fasi del processo, sono aggravati più tardi dalla estensione della lesione dalla elastica alla muscolare e dalla endoarterite obli- terante che ne consegue come falto di compenso, nonchè dalla infiltrazione edematosa delle pareti delle vene con ristringimento del loro lume. In tal modo |’ ostacolo meccanico derivante dalla proliferazione dell’ intima, causa il ristringimento del vaso che essa produce, concorre con la perdita della elasticità e della contrattilità ad abbassare ancora più la pressione arteriosa, mentre dall’ altro lato la tumefazione della tunica delle vene, rende più difficile il deflusso del sangue venoso. Si comprende poi come, una volta costituitosi il disturbo di circolo, questo a sua volta conduca ad un difetto di nutrizione che aggrava la lesione della arteria. Si ha così un circolo vizioso: | alterazione delle pareti arteriose è causa del rallentamento della circolazione locale e degli altri fenomeni circolatori ricordati, i quali si ripercuotono sulle condizioni patologiche della parete del vaso, che arrivano così ai gradi massimi. I fatti fin qui enumerati non possono a meno di far risentire i loro effetti sulla nutri- zione dei tessuti, specialmente nelle parti più periferiche del corpo, dove la stasi deve rapidamente seguire al forte rallentamento della corrente sanguigna e determinare in secondo tempo le alterazioni necrotiche che caratterizzano la fase distruttiva della con- gelazione. Alla sua volta il riassorbimento delle tossine che si formano della distruzione del tessuto vascolare e muscolare deve produrre i fenomeni generali che accompagnano la gangrena a frigore. In conclusione: il freddo-umido agisce primitivamente sulla parete delle arterie deter- minando una arterite di probabile origine tossica; questa arterite s’ inizia con l’ altera- zione e la distruzione dello apparecchio elastico, si estende successivamente alla tunica muscolare e finisce col dar luogo ad una neoformazione compensatrice dell’ intima sotto la forma di endoarterite obliterante. Da ciò 1 abbassamento permanente della pressione locale, la dilatazione dei vasi ed il rallentamento della circolazione sanguigna fino alla stasi, alla gangrena; per la quale non è assolutamente necessario invocare come fanno alcuni AA. l'intervento della trombosi. Questa, quando si riscontra, come anche noi abbiamo in alcuni punti riscontrato, deve Avere il significato di un fatto secondario susseguente alla stasi. Questa alterazione «lella parete vascolare era stata già sospettata da altri, ed ammessa più come una necessità che come un fatto siecnramente provato; nè deve confondersi tale isso gee8 alterazione primitiva con quelle che possono riscontrarsi in secondo tempo nei vasi, specie in corrispondenza del focolaio necrotico. Accenni a questa alterazione si trovano nei lavori citati in principio (Kriege, Rie- schpler, Zoege von Manteuffel) ed indirettamente anche in recenti lavori sull’ argo- mento. Così Casali e Pullè richiamano |’ attenzione sulla correlazione di alcuni fenomeni morbosi che si osservano nei congelati colle alterazioni della tensione vascolare. Il Neri poi ammette che la predisposizione al congelamento risieda in una debolezza dei nervi vaso-motori, i quali sarebbero particolarmente sensibili al freddo, producendo per un difetto della loro azione disturbi propri della malattia in parola. In appoggio a questa idea egli riporta eleganti esperienze in cui si dimostra che nei congelati il tempo neces- sario per riacquistare la temperatura normale, dopo che la parte (mano) è stata raffred- data con acqua a 4° C. è, in generale, assai maggiore che negli individui sani, ed uguale a un dipresso a quella dei soggetti nevrotici. Ora nel gioco fisiologico del movimento vasale gli stessi effetti possono aversi, tanto per lesioni dei nervi vaso-motori, quanto per alterazioni delle pareti dei vasi; quindi i risultati citati dal Neri, anzi che effetto di un’ azione deficiente del sistema nervoso simpatico, possono dipendere da un difetto nel modo di rispondere della parete vasale per la lesione che |’ ha direttamente colpita. Più espliciti sono in proposito gli studi di Roussy e Lerond, i quali provano che le lesioni nervose e trofiche dei congelati sono determinate da supposte lesioni vascolari. Secondo questi AA. la topografia, l’ evoluzione dei dolori, degli edemi ecc. fanno pensare più ad arterite che a lesione dei nervi periferici. Allo stesso modo il Dott. Monter, secondo quanto riferisce il Dastre, avrebbe osser- vato che tutti i reduci dai campi di battaglia hanno ipertensione della radiale, qualunque sia l’ età, le fatiche e l’ alimentazione ; e ritiene che | affezione dei piedi congelati sia legata a disturbi del medesimo ordine, come pure certi dolori, certe atrofie, certi ritardi di cicatrizzazione o di consolidazione ossea. Peraltro, volendo dare un giudizio sopra questi lavori, dobbiamo dichiarare che essi, in generale, hanno il difetto fondamentale di essere stati fatti a periodo troppo avanzato della malattia, quando non è più possibile distinguere | effetto della azione del freddo dai fenomeni che secondariamente possono insorgere per l’ alterato ricambio materiale della parte congelata, e più ancora per il riassorbimento di citotossine che si sviluppano dalla lesione e dalla distruzione del tessuto muscolare. Così come non meraviglia che i reduci dal campo a causa dei veleni della fatica, con tanta chiarezza dimostrati dal Mosso, presentino ipertensione arteriosa, allo stesso modo non può escludersi che nei congelati l’ ipertensione egualmente dimostrata, anzi che essere la prova della esistenza di un’ arterite sia piuttosto la conseguenza del riassorbimento di veleni ipertensivi, provenienti specialmente dalle alterazioni e dalla distruzione del tessuto muscolare striato. Passando ora ad esaminare le indicazioni pratiche che emergono da queste ricerche e che riteniamo opportuno debbano essere seguite nei provvedimenti contro la congela- SA n zione, dobbiamo dichiarare subito che tali indicazioni sono di due ordini a seconda del fine che si propongono, e cioè : 1.° Impedire la congelazione. 2.° Avvenuta la congelazione impedirne le conseguenze ed attenuarne la gravezza. Del primo compito si occupa in particolar modo l’ igiene, cercando di eliminare tutti quei coefficienti esterni che il più di sovente concorrono col freddo a determinare la con- gelazione. Così sono state molto opportunamente prescritte calzature adatte, impermeabili all'umidità; sono state abolite le mollettiere per gli ostacoli alla circolazione che possono deferminare; si è disposto perchè il soldato non rimanga troppo a lungo nella immobilità, specie se esso deve mantenere la posizione eretta, per non permettere un troppo largo concorso della azione della gravità sulla circolazione venosa. Tutte queste prescrizioni igieniche, di cui oggi tanto si avvantaggia il nostro Esercito nella profilassi contro la congelazione e la gangrena da freddo, sono il frutto di sapienti disposizioni dello Ispettorato di Sanità Militare e dei risultati di speciali e molto diligenti ricerche compiute dal Magg. Med. Dott. Casali e dal Cap. Med. Dott. Pullè del Co- mando Supremo. Del resto base di tutti i provvedimenti è sempre quella di evitare ostacoli al circolo, che favoriscano la dilatazione dei vasi, il rallentamento della circolazione sanguigna ed in tal modo concorrano validamente col freddo a produrre fatti di congelazione ; e di ren- dere in pari tempo impermeabile la calzatura all’ acqua, all’ umidità, perchè 1° umidità appesantisce la calzatura stessa, esercita sulla cute dei piedi un’ azione macerante e ne ostacola la funzione di traspirazione ; infine costituisce un ottimo conduttore del calore che viene perciò sottratto in maggiore copia e più rapidamente ai tessuti. Ma non basta siano impartiti opportuni provvedimenti, bisogna anche che questi siano rigorosamente applicati, sopratutto bisogna evitare che nella volgarizzazione di tali prov- vedimenti le cognizioni in proposito acquistate possano servire in taluni casi a provocare, anzi che ad impedire il congelamento. Peraltro, nonostante tutte le precauzioni usate, date specialmente le difficili e disagiate condizioni in cui possono trovarsi, e si trovano effettivamente, i soldati nelle guerre moderne durante la stagione invernale, non è sempre possibile evitare il congelamento, per quanto ? possa essere il numero dei congelati considerevolmente ristretto. Ed allora occorre mettere in pratica quei rimedi razionali che la scienza suggerisce, per renderne almeno meno gravi le conseguenze ed evitare possibilmente che alla conge- lazione tenga dietro la gangrena. Molti, forse troppi, sono i mezzi messi in opera finora nel trattamento dei congelati; ma nessuno ha pienamente corrisposto ed i congelati segui- tano nel maggior numero dei casi ad essere colpiti da gangrena, che interessa le dita da sole od insieme ai metatarsi ed a buona parte del piede, dando luogo ad automutilazioni che stentano a guarire e che, oltre tutto, costituiscono negli ospedali un materiale ingom- brante e pericoloso ad un tempo, perchè questi ammalati possono farsi centro molto facil- mente di infezioni trasmissibili. IRE ge Per questo noi riteniamo che i congelati, piuttosto che essere disseminati in grande numero di Ospedali, dovrebbero esser raccolti in Unità Sanitarie speciali, studiati con criteri scientifici e curati con uniformità d’ indirizzo. Esaminando adesso i varii provvedimenti terapeutici messi in pratica, vediamo quale di essi ha veramente una base scientifica e trova il suo fondamento nelle presenti ricerche Massaggio secco, frizioni fredde. Il massaggio secco, le frizioni fredde fatte ordina- riamente con la neve, quali solitamente sono messi in pratica dai nostri alpigiani, hanno e possono avere effettivamente in circostanze speciali effetto benefico. 'ali pratiche, infatti, tendendo a determinare la contrazione dei vasi ed a ristabilire il tono vasale, devono vali- damente contribuire a ricondurre alla normale la circolazione locale ; esse possono quindi essere impiegate molto utilmente, ma solo in casi speciali, cioè nelle forme leggiere di congelamento e quando questo può essere sorpreso nella sua fase iniziale, vale a dire prima che si siano determinate alterazioni irreparabili nella parete dei vasi. Riscaldamento della parte. L° elevazione della temperatura locale oltre la normale, messa in pratica volentieri da alcuni medici al fine di contrapporre il calore al raffred- damento, anzi che portare utili effetti deve riescire di danno. Infatti, oltre al dolore vivo che producono le alte temperature, esse hanno per risul- tato di aggravare la dilatazione vascolare, di favorire il rallentamento della corrente cir- colatoria ; quindi i loro effetti, anzi che combattere i disturbi di circolazione, si sommano a quelli che derivano dal congelamento. Perciò basterà provvedere a ristabilire nella parte una modica temperatura nei limiti di quella normale, impedendo con una adatta protezione dell’ arto congelato una troppo grande dispersione di calore. Incisioni multiple. Queste hanno per scopo di dare esito al siero che infiltra i tessuti diminuendo la tumefazione edematosa e la pressione che esso esercita sui vasi venosi e sulle cellule dei tessuti. Se non che un tale risultato, che non mancherebbe se si trattasse semplicemente di disturbi circolatori di ordine puramente meccanico, invece in questo caso solo poco utile può portare causa 1’ alterazione permanente della parete vasale. Per contro tali incisioni possono riuscire di danno, perchè cadono su tessuti di scarsa vitalità ed offrono quindi il pericolo di facilitare la gangrena. Perciò le incisioni in parola devono essere assolutamente proscritte come inutili ed eventualmente pericolose. Rimedi razionali. Questi trovano il loro fondamento nelle conoscenze sulla patogenesi del processo di congelazione di sopra accennate. Date le alterazioni delle pareti arteriose descritte, dato il disturbo di circolo che ne consegue, occorre ristabilire la differenza nor- male fra pressione arteriosa e pressione venosa, favorendo il deflusso delle vene ed aumen- tando la pressione locale delle arterie col ripristinarne il tono od eccitare la loro contrat- tilità. E ciò deve farsi quanto più presto è possibile, prima che il disturbo di circolo abbia aggravato la lesione vascolare e questa abbia raggiunto un grado elevato, sopra- tutto prima che la neoformazione dell’ intima abbia rese inevitabili le conseguenze ultime del congelamento, la gangrena. Ogni intervento tardivo riescirebbe inutile, perchè la estesa e irreparabile alterazione delle arterie le rende insensibili alle nostre eccitazioni con i e mezzi terapeutici. Al fine di ottenere l’ effetto desiderato, bisogna agire tanto sulla circola- zione venosa quanto sulla circolazione arteriosa; nell’ una favorendo per quanto è possibile il deflusso del sangue venoso con la posizione elevata dell’ arto; nell’ altra cercando di ristabilire il corso regolare della circolazione arteriosa in modo che il sangue arrivi al sistema capillare ed alle vene con pressione e velocità normali, influendo sulla tonicità e sulla elasticità delle arterie con i mezzi terapeutici che sono a nostra disposizione ; ossia, da un lato facilitando il deflusso del sangue venoso, e dall’ altro favorendo |’ afflusso del sangue arterioso ; in altri termini mirando a ristabilire la differenza normale di pressione fra arterie e vene, col cercare di abbassare la pressione venosa locale e corrisponden- temente d’ innalzare quella arteriosa. I rimedi che possono condurre a questi effetti sono indubbiamente gli ipertensivi, fra i quali primeggiano la paraganglina, l’ adrenalina, la tiroidina, la stricnina ece., ed a tali rimedi infatti si dovrà ricorrere quanto più presto sarà possibile. La stricnina (solfato-nitrato) introdotta per iniezioni sottocutanee più volte ripetute, riteniamo dovrà dare segnalati servigi per la sicurezza e rapidità dell’azione sua. Fra i rimedi opoterapici si dovrà escludere |’ estratto ipofisario, perchè più difficile di altri pro- dotti a prepararsi in grande quantità; pure sarà da mettersi in seconda linea | adre- nalina, nonostante sia ottimo mezzo ipertensivo, per il dubbio che essa abbia a favorire la neoformazione della intima a cui questi ammalati sono già grandemente predisposti, ed attenersi invece alla tiroidina, che, per quanto di azione meno pronta della stricnina, ha il vantaggio su questa di dare effetti più duraturi. In sostituzione della adrenalina si potrà forse usare con vantaggio l’ estratto delle capsule surrenali (paraganglina di Vassale) che ha, in confronto alla adrenalina stessa, una azione assai più mite ma assai più completa. Quindi il trattamento terapeutico della congelazione si ridurrebbe a questo: inter- vento quanto più sollecito è possibile con massaggio e frizioni fredde; opportuna prote- zione della parte per impedire infezioni e mantenere il calore naturale; posizione elevata dell’ arto per favorire il deflusso del sangue venoso, ed uso sollecito di stricnina, tiroidina, adrenalina ecc., per ristabilire la pressione arteriosa normale nella regione congelata. Che l’uso degli ipertensivi nei congelati non stia in contradizione con quanto avrebbe trovato il Dott. Monter, questo risulta da ciò che è stato detto in altra parte del lavoro. Del resto se in tali ammalati fosse veramente dimostrabile ipertensione arteriosa anche nella prima fase della malattia, ciò non escluderebbe in modo certo che le arterie della’ parte congelata, pur restando indifferenti ai prodotti di ricambio e di regresso che deter- minano ipertensione generale, non potessero invece dimostrarsi sensibili ai farmaci sopra ricordati. ” Riguardo all’ uso della tiroidina nei congelati crediamo doveroso ricordare che il Dott. Neri per altra via era arrivato alle stesse nostre conclusioni. Peraltro deve essere ancora ‘osservato che le prove cliniche e terapeutiche da noi proposte occorre siano condotte con particolare metodica e con le dovute garanzie, perchè dalla prova pratica si possa addivenire a risultati definitivi. A questo fine sarebbe oppor- tuno che l'Autorità militare provvedesse perchè un certo numero di congelati fossero rac- o colti in Unità Sanitarie prossime alla zona di operazioni, in modo da poter esser seguiti fino dall’ inizio della malattia. Inoltre sarà necessario ricercare periodicamente in questi ammalati la pressione del sangue, come già avevano proposto il Casali ed il Pullè, e la temperatura della parte congelata, sia per avere un'idea abbastanza precisa della entità del disturbo di circolazione, sia per meglio valutare gli effetti che si ottengono con i rimedi ipertensivi usati. Non sempre la guarigione sarà possibile, sia per intervento terapeutico troppo tardivo, sia per la gravezza del processo. In questo caso sì può ventilare la questione se convenga intervenire chirurgicamente, per affrettare con 1° amputazione l eliminazione della parte distrutta, e render più sollecita la guarigione col sostituire ad una zona limitante torpida, irregolare, quella regolare e di buon aspetto che consegue alla operazione. Ebbene, mentre queste amputazioni sono state praticate un tempo su vasta scala e, purtroppo, da taluno lo sono anche al presente, oggi debbono essere del tutto abbandonate, lasciando che la parte gangrenata si elimini spontaneamente e che la superficie cruenta che ne risulta si avvii lentamente alla guarigione, e se ne comprende facilmente la ragione. Le lesioni vascolari estendendosi molto al di là del focolaio distruttivo, fanno sì che il coltello viene il più spesso a cadere sopra ad arterie ammalate, da cui la facilità con la quale i lembi muoiono e la gangrena si ripete sul moncone di amputazione obbligando il chi- rurgo a riamputare due o più volte, come avviene anche nella gangrena senile in cui abbiamo pure una profonda lesione delle arterie (arterio-sclerosi). Nè sarebbe giusto, per cadere con maggiore probabilità su tessuti sani, di sacrificare una parte troppo grande dell’ arto congelato, col solo fine di affrettare la guarigione. Meglio in questi casi mantenere, come abbiamo detto, la parte ben protetta e disinfettata, e di attendere che si formi la zona limitante ed avvenga il distacco spontaneo del pezzo gan- grenato. Per l’ intossicazione generale che precede ed accompagna la congelazione di 3° grado, poco si può fare al di là di una cura sintomatica, non essendo ancora stato fabbricato un siero specifico che possa efficacemente combattere le presunte citotossine che la determi nerebbero. Anche per la complicanza frequente della infezione tetanica, poco si può dire dal lato curativo perchè, per le accennate ragioni, il decorso del tetano in questi casi è così rapido che non è possibile o molto ditficile un intervento utile con siero antitetanico. Perciò in tali casi, più che curare occorre prevenire, ripetendo sullo stesso ammalato 1’ iniezione antitetanica 2-8 volte di seguito alla distanza di 1-2 giorni l’ una dall’ altra. Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. 3 BIBLIOGRAFIA I. Cohnheim. — Neue Untersuchungen iber die Entzindung. Berlin 1873, 52. Kriege. — Virchows Archiv. f, path. Anatomie. 1884, CXVI, 64. R. Pictet, -— Archives des sciences phys. et naturelles, 3, pér 1893. XXX, 293. S. 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Fase iniziale della lesione; distruzione incompleta della elastica con piccoli tratti residui e corrispondente ingrossamento dell’ intima. 1 X 90. Fig. 3. — Sezione trasversa di una piccola arteria in un congelato con lesione a fase più avanzata; manca in buona parte l’ elastica ed al suo posto si vede una sottile fendi- ditura sotto l’ intima; neoformazione irregolare, bitorzoluta della tunica interna; trombo parziale corrispondente alla parte più alterata del vaso. 1 X 90. Fig. 4. — Sezione trasversa di una piccola arteria in un congelato; una placca necro- tica interessante l’ intima, 1’ elastica e la media; endoarterite obliterante con ristringi- mento irregolare del lume del vaso. 1 X 40. Fig. 5. — Sezione trasversa di una piccola arteria in un congelato ; due placche necro- tiche come quelle della figura precedente : l’ endoarterite obliterante ha portato alla ostru- zione quasi completa di una parte del lume del vaso, di cui rimane una semplice rima irregolare. 1 X 40. Fig. 6. -— Sezione trasversa di una piccola arteria in un congelato; dimostra a più forte ingrandimento il dettaglio delle due figure precedenti. — Chiazza necrotica di aspetto vitreo, interessante l’ elastica e parte della tunica muscolare; al disopra distacco della tunica interna ; nelle parti vicine inizio della neoformazione della intima. 1 X 90. Fig. 7. — Sezione trasversa di una piccola vena in un congelato; infiltrazione sieroso- emorragica della parete con smagliamento dei fasci connettivi-muscolari; tumefazione della parete stessa e corrispondente ristringimento del lume del vaso. 1 X_70. Fig. 8. — Sezione trasversa di una piccola vena in un congelato; l’ infiltrazione sieroso-emorragica di cui alla fig. precedente ha portato al distacco parziale dell’ intima con formazione di una piega che sporge nel lume del vaso ostruendolo in parte. 1 X 90. Fig. 9. — Sezione trasversa di un fascio muscolare con necrosi delle fibre muscolari e accumulo di globuli bianchi nelle parti circostanti. 1 X 60. Fig. 10. — Sezione trasversa di un fascio muscolare in un congelato; degenerazione eranulare delle fibre muscolari con edema perifibrillare. 1 X 60. Fig. 11. — Sezione trasversa di un fascio muscolare in un congelato; fenditure della sostanza contrattile ed infiltrazione nel suo interno di globuli bianchi. 1 X 60. Fig. 12. — Sezione trasversa della piaga di un congelato dopo il distacco della parte necrosata ; si vede uno strato granulare esterno; al disotto un sottile tessuto connettivo embrionale povero di vasi e di leucociti che poggia sopra un terzo strato fibroso il quale forma la base della piaga. 1 X 70. Tizzoni & DE ANGELIS - Ricerche m lati. i conge he su . O icroscopic eso LIE Mem. R. Acc. d. Sc. Bologna, CI. d. Sc. Fis. -Serie VII, Tomo IV. i DI la, Ù Tav (È 1 Fig, AIRIS Tizzoni & De ANGELIS - Ricerche microscopiche sui congelat VII, Tomo IV. 1e - Ser S 7 da Sc i Bologna, C SG: d . Acc R Mem. SULLA DETERMINAZIONE DEL FOSFORO NELLA GHISA BROME Prof. ALFREDO CAVAZZI letta nella Sessione del 14 Gennaio 1917. Sui primi del novembre ultimo scorso avendo assistito, nei momenti di riposo e di svago, alle operazioni che due Dotiori in chimica facevano nel mio laboratorio per determinare la quantità di fosforo contenuta in parecchie ghise dietro incarico della Commissione di Collaudo per |’ Artiglieria; e avendo pur presente la conoscenza che in ricerche ormai lon- tane avevo acquistata sulle proprietà del solfato ferrico, dissi subito agli egregi Operatori che il processo per pesata da essi prescelto, e fedelmente eseguito secondo la descrizione e le norme date dal Treadwel], a mio avviso poteva essere modificato in guisa da renderlo meno incomodo e molesto, di più facile e sicura esecuzione, alquanto più breve e non meno esatto, sciogliendo la ghisa, come nel processo sopra accennato, nell’acido nitrico e tra- sformando poscia il nitrato ferrico. non in ossido e questo in cloruro, ma direttamente in solfato ferrico, nella soluzione del quale l'acido fosforico può essere parimenti precipitato in forma di fosfomolibdato di ammonio. Il fatto precipuo che ini confortava nella speranza di non fare inutili tentativi fu la stabilità del solfato ferrico a temperatura abbastanza elevata. Io ho provato che tenendo un sottile tubetto di vetro, in cui avevo introdotta una piccola colonna di solfato ferrico privo di acido solforico libero, immerso in olio pesante a 300° per 1 ora, non si ha il minimo segno di decomposizione, e così pure a 350°. Ma nel primo caso questo sale si scioglie prontamente in acido cloridrico bollente, formato con volumi uguali di acido fumante e di acqua: nel secondo invece, nelle stesse condizioni, si scioglie con difficoltà, e al contrario presto se si aggiunge al medesimo acido cloridrico alquanto di acido nitrico. Nel solo acido nitrico, alla temperatura dell’ebollizione, il solfato ferrico, riscaldato anche a meno di 300°, difficilmente si scioglie. Ora, in virtù della resistenza che offre a temperatura piuttosto elevata, il solfato fer- rico può essere facilmente e completamente separato da tutti gli acidi ordinari volatili, non escluso l'acido solforico; e le sue soluzioni nei predetti acidi possono essere svaporate con rapidità e senza inconvenienti alla temperatura dell’ ebollizione. Di guisa che il pregio e il vantaggio del processo che io propongo per preparare la soluzione, in cui sarà poi precipitato l’ acido fosforico col molibdato di ammonio, derivano principalmente, come dissi, Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. 4 SPO dalla conveniente stabilità del solfato ferrico all’azione del calore: non dico a temperatura molto elevata, alla quale questo sale, come è noto, finisce per convertirsi pur esso in sesquiossido. Non a caso ho detto principalmente. perchè l'opportunità di trasformare il ferro della ghisa in solfato ferrico ha pure la sua ragione nel fatto che, se reagendo in soluzione con sali ammoniacali, e in particolare col nitrato, si cambia in parte in solfato di ammonio, questo, come si sa, non aumenta notevolmente la solubilità del fosfomolibdato di ammonio, che è la forma in cui, anche nel processo per pesata raccomandato dal Treadwell, viene precipitato l’acido fosforico, per passare poi alla forma finale di pirofosfato di magnesio. Premesse queste considerazioni, descriverò il processo senza trascurare di proposito le più minute e non superflue particolarità. Descrizione del processo Siccome le ghise comuni contengono in generale poco di fosforo, così la determina- zione di questo elemento per pesata suolsi praticare su g. 5 di lega, ridotta in minuti granuli o sottili filamenti colla lima o col tornio o colla pialla. Dopo averli lavati con etere si fanno cadere sul fondo di un bicchiere da precipitato avente una capacità di 600 cme. circa, in cui si versano tutto in una volta 60 cme. di acido nitrico diluito, formati con 30 cme. di acido concentrato e 30 di acqua distillata, coprendo subito il recipiente con vetro da orologio. ; Nel maggior numero dei casì l’ acido intacca subito e discioglie più o meno le parti- celle di ghisa, provocando fortissima effervescenza per svolgimento rapido di vapori nitrosi. Qualche volta però accade che la ghisa resta passiva, ossia non reagisce subito coll’ acido, ed allora è necessario stimolare e iniziare la reazione con lieve riscaldamenio. Cessato lo svolgimento dei vapori nitrosi, si pone il recipiente sopra una rete metal- lica, la quale poggia a sua volta sopra un fornelletto a gas fornito di molti fori disposti in ordine di circoli concentrici come un pomo da annaffiatoio, e si porta e mantiene il liquido a lenta ebollizione sino a che scompaiono sotto il vetro da orologio i vapori nitrosi di colore giallo-rossastro. Così il ferro passa allo stato di nitrato ferrico, il fosforo a quello di acido ortofosforico, il silicio a quello di silice, mentre il carbone grafitoide rimane inalterato. Quando l'acido nitrico ha finito di agire sulla ghisa, si versa la soluzione, molto tor- bida se è ghisa grigia, entro una grande capsula di porcellana (diam. cme. 20) insieme all’acqua calda di lavaggio resa leggermente acida con acido nitrico, indi si pone la capsula sulla rete metallica poggiante sul fornelletto sopra indicato, perchè questo si presta meglio del cannello Bunsen al riscaldamento di una superficie più larga e a moderarne la intensità. Prima di riscaldare si aggiunge al liquido della capsula 15 a 20 cme. di acido solforico allungato, che si prepara precedentemente aggiungendo a poco a poco acqua distil- lata ad 8 o al massimò 9 cme. di acido solforico concentrato sino a condurlo appunto al detto volume. Accendendo il gas sotto la rete si porta e mantiene il liquido a lenta ebol- | | lizione e si agita blandemente con bacchetta di vetro soltanto sul fondo della capsula, senza preoccuparsi della parte di sostanza che si consolida e aderisce un poco più in alto sulle pareti del recipiente. Quando la soluzione, in principio scorrevole, ha perduto molto di acqua e di acido nitrico diventa vischiosa e poscia pastosa, e incomincia allora lo svol- gimento di fumi bianchi di acido solforico. A questo punto bisogna aumentare il riscalda- mento, regolando le fiamme in modo che la rete sottostante alla capsula raggiunga quasi il calor rosso-scuro incipiente: nelle quali condizioni anche il solfato ferrico che aderisce al fondo della capsula non arriva mai a superare i 210°, mentre potrebbe tollerare 350° senza scomporsi. Durante questo riscaldamento, relativamente forte, è bene smuovere, com- 2 primere e disgregare con bacchetta di vetro il solfato di ferro, che perdendo ognor più del- l’acido solforico libero, diventa friabile e assume una colorazione grigio-giallastra. Allorchè i fumi di detto acido sono prossimi a cessare, si lascia raffreddare, poi con spatola si stacca la sostanza che aderisce alla capsula e si polverizza piuttosto finamente nella capsula stessa mediante un pestello di vetro liscio. Ciò fatto si pone di nuovo il recipiente sulla rete metal- lica del solito fornello e si riscalda come prima finchè, smuovendo a brevi intervalli la polvere con bacchetta di vetro, non si vedono più vapori di acido solforico. A questo punto si lascia raffreddare la capsula e si versano in essa 40 cme. di soluzione formata con 20 cme. di acido cloridrico fumante, 5 cme. di acido nitrico concentrato e il resto, per arri- vare a 40, di acqua distillata: poscia si pone la capsula sulla solita rete metallica e sì riscalda quanto basta a portare e mantenere la soluzione a lenta ebollizione. Svaporati che siano i due terzi circa o poco meno della parte liquida, si aggiungono 50 cme. di acqua distillata, si lascia raffreddare e dopo breve riposo si filtra impiegando un filtro non pic- colo (diam. cm. 9) a molte pieghe che si lava 6 volte soltanto con acqua bollente acidi- ficata con acido nitrico, ricevendo il filtrato in altra capsula di porcellana grande come la prima. Sul fillro rimangono la silice e il carbone grafitoide. Indi la soluzione vien fatta svaporare come la precedente scaldando, sul solito fornello fornito di rete metallica, sino a lenta ebollizione, senza preoccuparsi della sostanza gialla, solfato ferrico, che apparisce sulle pareti della capsula. Arrivata che sia ad un certo grado di concentrazione, la solu- zione diviene vischiosa, e allora s' aggiungono 4 cme. circa di acido nitrico all’intento di poter scacciare dal-solfato ferrico ogni traccia di acido cloridrico. Seguitando a riscaldare e ad agitare con bacchetta di vetro, havvi un periodo di schiuma abbondante, ma nessun pericolo di proiezione e di perdita di sostanza. Al comparire di questa schiuma è neces- sario abbassare molto le fiamme e continuare un riscaldamento moderato sino a che la sostanza nella capsula, smossa accuratamente con bacchetta di vetro, assume da prima l'aspetto e la consistenza del miele, poi in parte prende forma di densa pasta ed in parte di polvere gialla (solfato ferrico). Giova comprimere la pasta con bacchetta di vetro contro il fondo della capsula. Si sospende il riscaldamento quando da tutta la massa, e special mente dalla pastosa, non esalano che pochi vapori di acido nitrico. Questo riscalda- mento moderato ha per effetto essenziale e importante di non rendere il solfato ferrico difficilmente solubile nell’ acido nitrico allungato. Al termine di esso, si lascia raffreddare, poi si versano nella capsula 30 cme. di acido nitrico allungato formati con 5 cme. di acido SRO RIE fumante del peso specifico 1,40 (65% circa) e 26 circa di acqua distillata, oppure 15 cme. di acido nitrico col peso specifico 1,153 (25%) portati a 380 eme. per aggiunta di acqua. Nel formare questa soluzione io regolo la quantità dell’ acido nitrico a seconda della quan- tità di molibdato di ammonio che sarà poi impiegato per far deporre l'acido fosforico in forma di fosfomolibdato di ammonio, in modo cioè che per ogni gramma di molibdato siano presenti nella soluzione finale 2 cme. circa di acido nitrico puro. Le prove nelle quali si volesse scarseggiare molto nella quantità dell’ acido nitrico, o non riuscirebbero affatto, 0, ciò che torna il medesimo o peggio, riuscirebbero male. Se dopo aver versato nella capsula l’ acido nitrico si riscalda ad una temperatura prossima all’ ebollizione, in pochi minuti il solfato ferrico è sciolto completamente, ed allora si versa la soluzione, sempre limpidissima in operazioni ben condotte, in bicchiere da preci- pitato insieme all’acqua di lavaggio, e se ne porta il volume a 50 cme. circa. Se per caso la soluzione versata nel bicchiere fosse leggermente torbida, basterebbero pochi minuti di ebollizione per renderla limpida. Alla soluzione così preparata s’ aggiungono g. 15 di nitrato di ammonio sciolti in 25 o 80 cme. di acqua, e si riscalda sino ad ebollizione: poi si versa nel bicchiere tutto in una volta, e nel tempo stesso agitando, 50 cme. di soluzione pur essa bollente che con- tenga g. 2 o 2,5 di molibdato di ammonio. Il fosfomolibdato giallo di ammonio sì : forma subito, ma credo che giovi alla sua completa precipitazione tenendo il bicchiere per mez- zora a sS0° circa, coperto con vetro da orologio. A compimento della descrizione del processo, per quella parte di esso che richiede dall'operatore molta attenzione e la massima diligenza, non mi resta che di suggerire qualche semplificazione di poco rilievo intorno alla preparazione e all’impiego dei reattivi e di tenermi sostanzialmente ai suggerimenti dei Trattati di chimica analitica e in parti- colare di quello del Treadwell. Dopo mezz’ ora che il fosfomolibdato si è deposto a 80° circa sul fondo del bicchiere, si filtra per decantazione (diam. del filtro cm. 7) e questo si lava quattro volte, sempre per decantazione, con soluzione bollente che si ottiene sciogliendo in 500 eme. di acqua g. 25 di nitrato di ammonio e 20 cme. di acido nitrico del peso specifico 1,153. Il liquido filtrato in questo lavaggio va trascurato. A fine di disciogliere quel poco di fosfomolibdato che è trattenuto sul filtro, si fa cadere a goccia a goccia, tutto all’intorno e sul margine superiore del filtro stesso, 10 cme. di una soluzione formata con 1 vol. di ammoniaca con- centrata e 2 vol. di acqua: meglio se questa soluzione è leggermente riscaldata al momento del suo impiego. Il liquido che filtra si fa cadere entro il bicchiere, in cui è rimasta la imaggior parte del fosfomolibdato, insieme all’acqua di lavaggio. Specialmente coll’ aiuto di blando riscaldamento tutto il fosfomolibdato si discioglie prontamente: se per caso ciò non avvenisse, bisognerebbe aggiungere al liquido qualche goccia della soluzione di ammo- niaca. Alla soluzione di fosfomolibdato così ottenuta s’ aggiungono g. 5 di nitrato di ammonio sciolti in 20 cme. di acqua e g. 1 di molibdato di ammonio sciolto in 30 cme. di acqua. Si scalda la nuova soluzione sino ad incipiente ebollizione, e si versano in essa tutto in una volta 20 eme. di acido nitrico col peso specifico 1,153 e pur esso bollente. Così il fosfo- molibdato precipita una seconda volta al grado necessario di purezza. MADONE Dopo mezz'ora di riposo e di raffreddamento si filtra per decantazione (dia. del filtro cm. 6) e, non occorrendo in questo caso il lavamento colla soluzione di nitrato di ammonio si fa cadere a goccia sul margine del filtro ammoniaca diluita (1 vol. di ammoniaca con- centrata e 4 vol. di acqua): scomparso sul filtro il precipitato giallo si lava nello stesso modo con solo acqua distillata, ricevendo il filtrato nel bicchiere dove trovasi quasi tutto il fosfomolibdato, la cui completa dissoluzione viene favorita con blando riscaldamento. Dopo raffreddamento si stillano in questa soluzione limpida una o due gocce per volta di acido cloridrico diluito (1 vol. di HC? concentrato e 3 di acqua) finchè, agitando ogni volta per 1 minuto circa con bacchettino di vetro, scompare il precipitato giallo che da principio si forma e intorbida la soluzione. Quando infine l’aggiunta di una o due gocce dell’acido dànno intorbidamento che permane a freddo nonostante l'agitazione, bisogna sospendere l’aggiunta dell’acido, e si fa scomparire il leggiero intorbidamento aumentando di poco la temperatura della soluzione. L'aggiunta dell’acido cloridrico ha per necessario effetto di rendere la soluzione acida, e con ciò atla a ricevere la mistura magnesiaca acida (la quale si prepara facendo 1 lilro di soluzione acquosa con g. 55 di cloruro di magnesio, g. 105 di cloruro di ammonio e un poco di acido cloridrico). Nella soluzione resa acida, come si disse, con piccole aggiunte di acido cloridrico, si versano 10 a 20 cme. di questa mistura magnesiaca: si porta a temperatura prossima all’ebol- lizione e, agitando sempre con bacchettino di vetro, si aggiunge lentamente a goccia a goccia ammoniaca. diluita (1 vol. di ammoniaca concentrata e 4 vol. di acqua) finchè appa- risce un lieve intorbidamento prodotto da fosfato ammonico magnesiaco che, in operazione ben condotta, deve essere minutamente cristallino e non gelatinoso; e così sì seguita ad aggiungere ammoniaca sino a che si sente in modo manifesto il suo odore caratteristico. Allora si lascia raffreddare e si versa nel bicchiere ammoniaca concentrata quanto basta per aumentare di %, o di , il volume primitivo della soluzione. Si copre il recipiente con un vetro da orologio e dopo mezz'ora di riposo si può filtrare ed eseguire sul fosfato ammo- nico tutte le altre operazioni ben note che occorrono per arrivare al pirofosfato di magnesio. Non ho mancato di sottoporre il processo da me modificato a prova rigorosa, scio- gliendo entro grande capsula di porcellana g. 17 di solfato ferrico, privo di acido fosforico e spogliato a 200° circa dell'acido solforico libero, in una mescolanza di 20 cme. di acido cloridrico concentrato, 5 di acido nitrico fumante e 15 di acqua e aggiungendo a questa soluzione g. 0,2 di fosfato bisodico, certamente un po’ disidratato. Operando su questa solu- zione come in quella del processo sopra descritto ho infine ricavato g. 0,0686 di pirofo- sfato di magnesio. Da altri g. 0,2 del medesimo fosfato bisodico sciolto semplicemente in 80 cme. di acqua leggermente acidulata con acido cloridrico, e operando debitamente, ne ho ricavato g. 0,0692. Ma dalla descrizione che ho data del processo nei più minuti particolari può nascere il dubbio che la sua esecuzione richieda troppo tempo. A mio parere la sobrietà, che è così opportuna e pregevole nei comuni discorsi, diventa nella descrizione dei processi analitici un difetto che spesso si riscontra nei trattati di chimica, e che non di rado reca imba- razzo ed è cagione di incertezza agli operatori, e porta anche talvolta a giudizi non favo- revoli su metodi analitici complicati, ma essenzialmente buoni. Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. Ò DO «)Q ilo In caso di necessità è possibile in una giornata di lavoro alacre e ben regolato deter- minare col processo da me modificato la quantità di fosforo contenuta in una sola ghisa. Al chimico però che non abbia ancora acquistata pratica nelle manualità del metodo e non si senta di fare questo sforzo di attività occorre una giornata e mezzo. Nel qual pro- posito aggiungerò che io non prenderei impegno di eseguire la stessa operazione col metodo per pesata descritto nel Trattato del T'readwell in meno di due giorni, senza considerare che sta a favore del processo da me modificato la maggior facilità e sicurezza di esecuzione. Dirò per ultimo che, colla modificazione da me proposta al metodo di determinazione del fosforo per pesata nella ghisa, non ho inteso di portare un utile coniributo agli sta- bilimenti siderurgici e ai laboratori speciali che hanno necessità di eseguire continuamente molti saggi di ghisa in breve tempo con processi rapidi, nei quali si fa uso di soluzioni titolate I processi per pesata, detti anche gravimetrici, per la determinazione del fosforo sono da preferirsi quando nelle condizioni normali un Laboratorio riceve, direi quasi casual- mente, un campione o due di ghisa, oppure quando occorre di assicurarsi della esattezza di un processo volumetrico. Nel primo caso il chimico applicando un metodo per pesata, non solo in generale guadagna tempo, ma risparmia pure tutta la cura che richiede e le difficoltà che presenta sempre la buona preparazione di soluzioni rigorosamente titolate e specialmente di quelle che non conservono a lungo il loro titolo. SULELEETSUPERFICIE con un sistema di linee di curvatura a flessione costante MEMORIA DEL Prof. AMILCARE RAZZABONI letta nella Sessione del 10 Dicembre 1916. In una precedente Memoria avente per titolo : Sulle superficie nelle quali i circoli osculatori delle linee di curvatura di un sistema tagliano un piano fisso sotto un angolo costante (*) dimostrai come tale ricerca, trasportata nello spazio iperbolico, equivalga a quella delle superficie in cui le linee di curvatura di un sistema hanno la medesima flessione costante, e come, nell’ipotesi che il valore di questa costante non sia inferiore all’ unità, esista sempre una costruzione reale, che permette il passaggio da una di tali superficie ad infinite altre della medesima specie. Può essere utile, anche per altre ricerche, conoscere le formole che risolvono tale questione per il caso che lo spazio anzi che l’ iperbolico sia l’ellittico ovvero l’ordinario euclideo, in vista anche del fatto che in allora il problema della trasformazione delle corrispondenti superficie ha sempre soluzione reale. Per questo, senza stare a ripetere tutti gli sviluppi e i calcoli relativi al caso che trattiamo, perchè non sostanzialmente diversi da quelli esposti nel caso iperbolico,_ mi limiterò alle formole fondamentali e agli sviluppi essenziali nell’ ipotesi esplicita che lo spazio cui ci riferiamo sia l’ ellittico. 1. Curve a flessione costante in Geometria ellittica. — Procedendo come nella Memoria surricordata, prendiamo a considerare una curva C a flessione costante l So A — =cotò, essendo d, in metrica ellittica, la distanza del punto della curva dal corri- spondente centro di curvatura; allora, indicando con #2; (i-= 0, 1, 2, 8) le coordinate di (*) Memorie di questa R. Accademia - Sezione delle Scienze Fisiche e Matematiche, Serie VIII, Tomo I, 1913-14. un punto variabile M di C, conduciamo per esso e normalmente alla curva un segmento MM' di lunghezza costante a, che formi con la normale principale alla curva un angolo @ variabile con legge di continità da punto a punto. Se denotiamo inoltre con x; le coor- dinate di M', con a;, È;, A; rispettivamente i coseni direttori della tangente, della nor- male principale e della binormale alla €, avranno luogo le equazioni (1) a'= xc0sa + (Écoso + Asen®) sena nelle quali per maggiore semplicità abbiamo omessi gl’ indici. Determineremo il valore di @ (in funzione dell’arco « di C) ponendo la condizione che la curva C' (luogo dei punti M') sia trajettoria isogonale sotto un angolo costante o dei cerchi di curvatura u = cost. della superficie canale, che ha per asse C e per raggio da. Derivando perciò le (1) rispetto ad « e facendo uso delle formole del Frenet (*), troveremo ; send Cos da do 1 (2) Aa'=(cosa— ——T_)—senaseno (--——)É+senacoso(-—-—-), p du T du T ove sì è posto per semplicità E) do? du ( senacoso\? iO AZ = COSA +sen'a (7 —_) V/8 ne) bai. V p ) du T e dove abbiamo indicati con a' i coseni direttori della tangente alla €'; ma poichè pei coseni degli angoli della tangente ai cerchi di curvatura considerati si ha Poi ; sata Eseno + 4c0s0, sena do dovrà sussistere l’eguaglianza A do! da 1 Sa' Acose = sena (F__ sena da i du T da cui 3A da I COSO (3) de (cos — 2) coto, i du T p avendo A il valore determinato dall’ equazione ; ] senacos® (4) == cosa — —__ |. seno p Facendo nella (2) le sostituzioni (3) e (4), essa si semplificherà nella (5) o' = aseno — E senocoso + 4cos@ coso da cui derivando e avendo riguardo alla (3) non che alle formole del Frenet, seguirà (*) Bianchi, Lezioni di Geom. diff. Vol. I, pag. 457. facilmante l’altra ’ Tesi 2 7] coso Seno seno cos°o a Sa <= + (sna— ) Acoso E + p P 10) sena 9 seno + (sen a —- Aseno-4, send rappresentando ' il saggio di flessione della C'. Vediamo ora qual valore bisogna attribuire a 0, affinchè la flessione della C' sia eguale a quella della C; dovremo perciò porre nella precedente equazione e nelle analoghe I 1 i Day debainna —-=—= cotd, dalle quali, quadrando e sommando e facendo opportune riduzioni, sì deduce l’ identità (sen‘acot’» — sen*acos’bcos'o — sen°o cos'o sen*a cos) costa + +(— 2sen’acosacotb + 2sena cosasendeosd costo + 2senacosasendcosbsen’o cos'g) cosa + +(sen’acos’a — cos'asen°b costo — sen’asen’dsen'o — sen’acos’b seno) =0 che dovrà essere soddisfatta per qualunque valore di @. Ciò esige che sieno contempo- raneamente verificate le uguaglianze : sen'acot’» — sen’acos’b costo — sen°o cos’g sen a cos = 0, — 2sen*acosacotb + 2senacosasendeosbeos'o + 2senacosa senbeosbsen?o costo = 0, sen’acos'a — cos'asen’dcosto — sen’asen’bsento — sen’acos’b seno = 0, le quali, come facilmente si verifica, equivalgono all’ unica (a) sena = sendcoso , che è una relazione tra le quantità a, bd, o che ne determina quindi una, quando siano note le alire due. Se ne conclude che per ogni valore di o che soddisfa la (a) si hanno oo! trasfor- mate della € con la stessa flessione costante, le cui equazioni non saranno altro che le (1) ove ad @ si sostituisca il valore che si ricava integrando la (3). Questa, essendo un’equazione differenziale ordinaria, facilmente riducibile al tipo di Riccati, il suo integrale generale dovrà contenere una costante arbitraria, ad ogni valore della quale verrà a corrispondere, per ciascuna 0, una particolare trasformata della C, le quali, nel loro insieme, formeranno quindi una doppia infinità di linee della stessa flessione costante. 2. Superficie dello spazio ellittico con un sistema di linee di curvatura a flessione costante. — Passando alle superficie e supposto per semplicità eguale a + 1 la curvatura del nostro spazio, consideriamone una determinata 8 della classe. Il suo elemento lineare, riferito alle. linee di curvatura « e v, sarà della forma ds? — Edu® + Gdo — 32 — e che determineremo ponendo l° ulteriore condizione che le linee di uno dei due sistemi, | 1 l . p. es. quello delle v, siano tutte della medesima flessione — = cost.° Seguiremo per ciò il metodo dato dal prof. Bianchi nel $ 10 della sua Memoria: Sopra i sistemi tripli ortogonali di Weingarten (*) ove trovasi posto e risoluto il problema in questione nel- l’ipotesi dello spazio ordinario. Indicando anzitutto con p,, f, i raggi principali di curvatura delle linee « e v e posto S—:iCOLDE NO 100809) p per una nota relazione tra la flessione e le curvature normale e geodetica di qualsiasi linea tracciata su una superficie, dovrà sussistere 1° eguaglianza aa PESTO 5 (7) sE la ) =—-!C0W05 p° VEG dv cui si soddisfa ponendo ] IDA (6) — = cotbseng, DEA Po VEG d = cotbeosP, denotando @ una funzione incognita di u e v. Ma affinchè l’elemento lineare (7) ds° = Edu° + Gdo appartenga ad una superficie, di cui « e v siano le linee di curvatura e ,, P, i cor- rispondenti raggi, è necessario e sufficiente che siano soddisfatte le equazioni È "E LIE PIL dv dv \p, l 1 OdlogAGIONDE I | (£-1)%0E,2 (1), PRO du du \p; LOS 1 DE E d/ E PiP° = VEGIU VE du ) do\/G do ) i che sono le note formole di Codazzi e Gauss (**). i dlogyg/ E Dalla 1.*, sostituendo ad — e a SR A i loro valori (6), si ricava subito p dv do (*) Annali di Matematica pura ed applicata. Serie II, Tomo XIV. (**) Bianchi, Lezioni ecc. Vol. I, pag. 499. ELA 1 1 Òd (8) — = cotbsenp += dpr P, VG dv mentre la 2.* si riduce alle °D Si dp 9 Ò b LL = (9) = +|/ Gcotbcos$ > 0 e la 3.*, dopo facili trasformazioni, si semplifica nella d/ 1 d/G EG " ( e + ==) du\VNE du send Quest'ultima, se si introduce la nnova incognita 0 determinata dall’ eguaglianza (10) pre |/Ed, — send. sì semplifica ulteriormente nella d/G ai nana: da cui, integrando, si ottiene /VG= V,cos (0+V,) ove V, e V, denotano due funzioni arbitrarie di v, di cui la 1.* potrà supporsi eguale a send e l’altra intenderla inclusa in 0. Si hanno così per Y/ E, y/G i valori sh d0 sal (11) VV Esend—, y/ G= senbcosì du e pei raggi di curvatura 0, € 3 20 1 d$ 1 12 —=:cotbsen@4- —_-_, —= cotbseng? DO P, = senbeosì) dv’ p, 7 soddisfacendo 0 e @ alle due equazioni simultanee a derivate parziali i) @_ du dv du 2 Ò du dv 30 (13) — cosb così cos — 20) + cosb così cos (ZA che seguono dalle formole precedenti dopo opportune sostituzioni. Vediamo dunque che nello spazio ellittico, analogamente a quello che abbiamo os- servato per l’iperbolico, per ogni superficie avente un sistema di linee di curvatura 1 : (p. e. quello delle v) a flessione costante — = cotb, l’elemento lineare corrispondente (7) è riducibile alla forma 0 (5) ds° = sen°b | n ) du° + cos°0dr° i du mentre i due raggi principali di curvatura hanno i valori (12), essendo 0 e e j due funzioni di « e soddisfacenti le (13). 3. Trasformazione delle superficie dello spazio ellittico con un sistema di linee di curvatura a flessione costante. Il problema, a differenza del caso iperbolico, ha sempre soluzione. Supposto infatti di partire da una superficie S della classe considerata, indichiamo con «; le coordinate di un suo punto arbitrario M, con È; i coseni direttori della normale alla superficie e con 7;, È; quelli delle tangenti rispettivamente alle linee © ed « ; allora, indicando con @ la lunghezza costante di un segmento MM' normale alle 2 e inclinato sulle corrispon- denti linee « di un angolo @ (funzione per ora incognita di « e ©), gli estremi M' del segmento stesso formeranno una superficie rappresentata dalle equazioni (14) x = acosa + (Eseno + Ècoso) sena. Vediamo ora di determinare © softo la condizione che la nuova superficie S' sia della stessa specie della S; dovremo anzitutto esprimere il fatto che le linee © della .S' sono curve della stessa flessione costante come le corrispondenti v della S. Per questo, avendo presente i risultati del N.° 1, basterà esprimere che le linee in questione sono trajet- torie isogonali, sotto l’angolo o determinato dalla relazione sena = send coso, dei cerchi di curvatura delle superficie canali, aventi per assi le linee v di S e per raggio a. A tale oggetto scriviamo le formole fondamentali da 00 da A a, 800057 > 3g Seno cosà ner DE 230 dn Ao) DO 20 i =ir0s0s = — senb —x — cosbsenPp — È — cosbcosp — 3g => 098 end — SAI send 2 — cosbsengì — È Da (8 dÙ A — == cosbcos) — (4 Se e ensbeosp o 7, IG\. è ) se _ (così così cosp + So) (e = sen L, vl sendeos0.a — | — (così così send + do È + sen0. 1 ‘7; le quali non sono altro che le (41) a pag. 498, Vol. I delle Lezioni del prof. Bianchi, 1 l È ove alle quantità £, G, —, — si sono sostituiti i loro valori (11) e (12). Derivando 1 2 le (14), ne deduciamo da CO |30 d@ (15) —=senacoso — E +| cosasend + senacosbeos (0 — PB) | — 7 — senasendseno CRA du du È | du du da cui, posto secondo il solito, segue ; I AMIAANE EE (16) == sena >” +| cosasend + senacosbeos (0 — P) (3) : 0) du mentre, derivando le stesse (14) rispetto ad ©, si ha da' —= (9 C0SO — c seno) sen = (Ecos® — Ésena) send e quindi Evidentemente, per quanto abbiamo osservato, le linee © della .S' saranno effettivamente a flessione costante se sarà soddisfatta 1’ eguaglianza eda: S(É coso — seno) SAREI) VE' du o l’ equivalente d0 => sena > = C050 VUE u fra cui e la (16) eliminando £' risulterà l’equazione differenziale VAT ti] d0 = (17) a cotasend + cosbcos (0 — P) | coto — . Ù) du Poniamo ora l'ulteriore condizione che le linee w e © della S' siano ortogonali, che cioè si abbia da' da' x du dv i siccome analogamente alle (15), derivando le (14) rispetto alla w, si ottiene da! d(O- (18) - = — senasendcoso così. + sena coso (- cosb così) send + PeR E + Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. 6 SO GIO d (0 — DI + senacos@così 7 + | cosasendeosì) — senaseno (- cosb cos send + cal GA (02) sostituendo ed eseguendo facili riduzioni, troveremo per @ la nuova equazione dad (19) ii SP + cosbsenP così? — t20 cosa sen9 + cotasenbseno così, UV dV che dovrà coesistere con la (17), a volere che la trasformazione in discorso sia possibile. Per questo dovremo verificare la condizione d’integrabilità pel sistema delle due equazioni (17) e (19) espressa dall’ eguaglianza 5 dò (d@\ __d (00 0) soa Intanto se deriviamo la (17) rispetto a v e sostituiamo a d@—-P) d0 loro do dudo valori che si ricavano dalla (18) e dalla 1.* delle (13) si trova Òò /00 ; (5°) —_ | — cos'bcoto send così sen (0 — GB) + cosbcoso senBsen (0 — P) — dv \du — cotasendeosbeoto seno così sen (0 — PD) + cotasendeosbeoto così cosd + 5 30 + cos°d coto così cos cos (0 — P) vr \ du e procedendo analogamente per la (19), avuto riguardo alla (17) e alla 2.* delle (13), risulta d /00 3 DS = | — cosbseng sen? + cosbsen0 seno cos (0 — P) — teo cosa così + c } 00 + cot'asen“dcoto cosa così + cotasendeosbeoto cosa così cos (@ — P) Î SÒ du per conseguenza, sostituendo questi valori nella (0), avremo l’eguaglianza — cos°bcoto send cos sen (0 — PB) + cosbcoso send sen (0 — PD) — — cotasend cosbeoto seno così sen (0 — D) + + cotasendcosbcoto così? cost + cos'bcoto così cosP cos (a — P) = — cosbsenF send + + cosbsen@ sena cos (a — ®) — — tg0:coso così) + cot’asen’beoto cosa così + cotasendeosbeoto cosa cos? cos (0 — P), che con opportune riduzioni si semplifica nella cos'bcoto = — tg0 + cot’asen’deoto PRO la quale è identicamente soddisfatta ricordando che tra a, bd e o sussiste la rela- zione (a), N.° 1. Con ciò resta provata la compatibilità delle due equazioni (17) e (19); di guisa che il valore di @ che figura nelle (14) sarà determinato dall’equazione ai differenziali totali 50 d do = | cotasenb + cosbcos (0 — PD) ]coto vai È + cosbsenp così — tg0 cosa send + ‘ + cotasendeosbseno così | dv e conterrà quindi una costante arbitraria. Di qui risulta che per ogni valore di o 0 di a vi sono co! superficie trasformate, e poichè a può farsi variare da o all’ co, se ne deduce che oo° sono le trasformate S' che possiamo ottenere con la costruzione su- indicata, appartenenti tutte, come ora andiamo a provare, alla classe medesima. 4. Verifiche relative alla superficie trasformata. — Per quanto abbiamo veduto sopra, basterà che ci limitiamo a riconscere che sulla ,S' le linee v e v, corrispondenti a quelle di curvatura di $, sono esse pure di curvatura per S'". Intanto, per essere « e © ortogonali, l’elemento lineare ds' della S' sarà della forma ds'*—= E'du° + G'dv ove E' avrà il valore 00 (20) E° = send (3) du dda 00 | 1 iL che risulta eliminando a tra le (16) e (17); quanto a G' osserviamo che se si eli- du . d(0@_ mina Mor) tra le (18) e (19) otteniamo dv da (21) Sd senacoso | — senbcos0 - x +(— tgo coso sen + cota send seno così) È + Ò' + sen0 -7 + (cotasend così coso + tg0 send seno) È da cui (22) a'=s( ) — sen? coso e quindi USI DI 0 È DI 9 DI ds = send Na du + sen°b costo dv. 2 QU Questo è dunque l’elemento lineare richiesto che, come si vede, non differisce da quello (7*) che abbiamo determinato per S. RESO A Passiamo ora a calcolare i coseni direttori della normale alla ,' e quelli delle tangenti alle sue liuee coordinate « e v i cui valori ci occorrono onde poter verificare che queste linee sono di curvatura per la superficie. Gioverà anzitutto considerare in- sieme alla (21) la do' d0 23 — == (cosasend + senacosd (@ — d) (coto COSO » È sea colo seno. È) Sn du u RE SI da S MRO che si ottiene dalla (15) elfminando > tra essa e la (17). Allora se con É; indichiamo du i coseni direttori della normale predetta, essi dovranno soddisfare le quattro equazioni simultanee da! da! o i ni SE x =0. S ea) e —-0 Stessi] ta i 5) GS: du p) ì do 5) (5, 9 da cui, avuto riguardo alle (14), (21) e (23), si deduce (24) È'= senasen0@ +2 — (cosasen0 seno + seno cos? cosa) È + coso così - 7 + +(— cosasen@ cosa + seno così seno) È ; mentre pei coseni direttori 7;, È; delle tangenti rispettivamente alle linee v ed w, os- servate le (21), (23), (17), (20) e (22), non che la (a), si trovano facilmente i valori | LOD = VAT” coso coso - È + seno + 7 — seno seno - È, (CD)EnE 1 da e a 3 E Sena così) -@ +(— seno coso sen0) + cosa seno 0080) È + G 0% + coso sen0l) - 7 + (cosa così coso + seno sen0 seno) È . Ora siamo in grado di dimostrare che anche sulla S' le linee coordinate « e v sono di curvatura; basterà. per ciò verificarlo per un sistema, p. e. per quello delle linee ©, che cioè sussiste la relazione dE; 1 da; du ps du (26) ASTI, I indicando —- un fattore di proporzionalità. 9 Derivaudo perciò la (24) ed osservando le (17) non che la (22) medesima, si avrà l'eguaglianza (27) — = AÉ + Bg +06 ove abbiamo posto per semplicità — 39 — A=|—cosacosOseno—(cosasen0coso —senocosbseno) (cotasend + cosbeos(9— P))coto + + seno send senB — coso cos0cosd sen@d u? | of [scnasenosend—costsen (cosasenBseno + seno coscos@) — coso sen0 + (28) 5 790 + cosbcosf(—cosasenBcoso + seno così seno —, du Gea | coso cosbeosBcosp +(cosasenBseno + senocos?cosa) (cotasenb+ cosbcos(a—P)) coto — — cosa cos?coso — seno senBseno - du A voler dunque clie sia soddisfatta la (26), bisognerà che i coefficienti di È, 7, $ delle due espressioni (23) e (27) siano proporzionali, che cioè sussista l’ eguaglianza dei rapporti A B C (29) i coto cosa Il — coto sen® o, ciò che è lo stesso, che siano identicamente verificate le due eguaglianze A— Bcotocoso =0, B-.-cotosend +C=0; ma poichè queste effettivamente lo sono, come risulta facendo in esse le sostituzioni (28) ed eseguendo calcoli elementari, che non differiscono da quelli già eseguiti nel caso iperbolico (*), ne concludiamo che le linee considerate v (e quindi anche db) saranno di curvatura per la superficie trasformata .S', mentre la quantità f) che figura nella (26) ne sarà il corrispondente raggio di curvatura. Per trovarne il valore, basterà nella (26) DICANO E: sa Sr: 2 DI —- sostituire le loro espressioni (23) e (27), ma a cagione della proporzionalità (29) du? du ’ dei coefficienti di È, 7, È delle espressioni medesime, avremo più semplicemente Il B ps cosasenb + sena cosbcos (0 — P) od anche, sostituendo a B il suo valore (28) e tenendo presente la (a) del N.° 1 (30) 1 {penacosbsend + cosasenbsenl? cos(a — FP) — senbseno così sen (0—P); —- Ze (00 Ps cosa send + sena cosbcos(@ — P) ma poichè, come andiamo ora a verificare, il coefficiente di cotb è in valore assoluto minor d’uno, potremo porre (*) Vedi Memoria surricordata. ge (31) — =cotbsenP', Il p: lvJoni ottenendo così per il valore del raggio di curvatura corrispondente alle linee v di ,S' un’espressione identica a quella che abbiamo trovata per il raggio di curvatura di S relativo alle sue linee ». Se infatti poniamo sen4cosò send + cosa send cos) —send seno così) cos DÒ cosasend + senacosb cos 07 p_- — ove V=oT-y; basterà mostrare che sussiste la disuguaglianza 1-D®>0 o l’equivalente (cosasend +senacosbeosi)— | (senacosb +cosasenbeosy) send — senbsenosenycos0 }* 0 (cosasend + sena cosbcosy))? Ai o infine l’altra (cosasend +senacosbeos)?— | (senacosb+cosasenbeosy) send — senbsenosenycos0}* > 0. Il primo membro di quest’ultima, qualora si moltiplichi il primo termine di essa per sen°?9 + così0, si vede subito che è un'espressione della forma (32) Lsen°9 + 24 sen0 così + Nsen®0 L= (cosasend + senacosbcosy) — (senacosb + cosasendcosy)”, M= senbseno seny (sena cosb + cosasendeosy), N= (cosasenh + senacosbeosy) —senbsen"o sen, e poichè, eseguendo facili riduzioni, si trova L= sen°bsen? o sen” N= (senacosb + cosasendeosy) >) D > quindi, osservate le (33), ZN= M?°, ne segue che la (32) sarà un quadrato perfetto, e precisamente il quadrato di y/ Lsend +|/ Ncosì . Questo prova che sussistendo allora l'eguaglianza SA AA (V/ Lsen9 +|/ Ncos@) (cosasenb + senacosbeosy)* ’ se sarà ® in valore assoluto minor d’uno, e quindi potremo effettivamente porre come abbiamo fatto d = seng', e conseguentemente y/ Lsend + ;/ Ncosì cosasend + senacosb cos copiose N . ove il segno da prendersi, come non sarebbe difficile provare, è il negativo. Ripetendo considerazioni e calcoli perfettamente analoghi a quelli svolti nella più volte citata Memoria, si troverebbe per il valore pi del raggio di curvatura di S' relativa alle linee v l’espressione l 1 dp' —-=cotbsend'+ ——_ — È send cos® dv uguale alla corrispondente (12) che abbiamo ottenuta per la ,$, soddisfacendo le due quantità @ e P' alle due equazioni alle derivate parziali do d0 °P' — cosb coso cosp' = 0 du dv p du ? dudv ) Ù IP + cosb coso cos — du le quali non differiscono, come si vede, dalle corrispondenti (18) concernenti la S. ARCHI ELASTICI RIBASSATI \}KOPOt:EBrREXKTOFDECAECOEO =D ont MEMORIA DEL Prof. SILVIO CANEVAZZI letta nella Sessione del 19 Novembre 1916. (GON UNA TAVOLA) 1. Nello studio dell'equilibrio degli archi elastici, fatto con metodo geometrico 0 misto, si usano ordinariamente due linee ausiliarie f a) Il luogo geometrico dei punti d’incontro della retta d’ azione di un carico mobile sull’ arco colle direzioni delle reazioni, cui dà origine il carico anzidetto — Linea delle intersezioni. b) Il luogo geometrico, inviluppo delle reazioni d’ appoggio corrispondenti ad un carico mobile sull'arco — Linea inviluppo delle reazioni. Le pubblicazioni fatte sull’ argomento da Winkler, Kulmann, Ritter, Guidi etc. hanno messo in evidenza l’ utilità e l’uso di queste linee per lo studio dell’ effetto che un carico mobile produce sopra un arco, e non é il caso di richiamare cose notissime e riprodotte ormai nei testi usuali di meccanica applicata alle costruzioni. Si può però osservare che se la linea delle intersezioni all’atto pratico dà un punto della reazione d’appoggio con sufficente approssimazione, non si può sempre dire altrettanto per la linea inviluppo delle reazioni, che, pel modo stesso col quale la curva viene tracciata, può lasciare qualche dubbio circa la precisione raggiungibile nel determinare la tan- gente, direzione della reazione cercata. In presenza di questa considerazione accade di pensare alla convenienza di sostituire alla linea inviluppo una curva tracciabile per punti, e la prima idea è di ricorrere al luogo geometrico dei punti di intersezione della retta d'azione della forza considerata coll’ orizzontale passante per la traccia delle rea- zioni sulle verticali agli appoggi. È intuitivo che nel caso generale ed in via astratia fra i due metodi non vi può essere gran differenza, ma in quei casi particolari, nei quali, sia per la forma dell’arco, sia per l’uso di ipotesi approssimate semplificative, correntemente impiegate dagli ingegneri, le curve ausiliarie prendono una forma facil- mente determinabile a priori, l’ impiego di linee che diano due punti della retta d’azione Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. ti DELA NI della reazione può presentare una maggiore utilità pratica apprezzabile. Tale condizione di cose si incontra nello studio degli archi circolari ribassati e degli archi parabolici incastrati alle estremità quando interessa una ricerca soltanto largamente approssimata, fatta trascurando la componente assiale e la variazione del momento d’ inerzia e tenendo conto del solo effetto del momento flettente. Questo caso può presentarsi tutte le volte che si intraprende uno studio di prima approssimazione, oppure quando la natura del materiale, per esempio il cemento armato, è tale che una ulteriore approssimazione non starebbe forse in relazione colla precisione attendibile per effetto delle ipotesi fonda- mentali relative al modo di resistere del materiale stesso. Per questi casi sembra possa essere praticamente utile studiare un metodo abbreviato di calcolo informato ai con- cetti superiormente esposti. 2. È noto che i costruttori ritengono approssimazione accettabile considerare gli archi circolari ribassati come archi parabolici aventi la medesima corda e la stessa freccia, per cui la teoria usuale pel calcolo degli archi ribassati, siano essi circolari o parabolici, viene svolta ritenendo 1° arco parabolico. Premessa questa considerazione, siano (Fig. 1 e 2) ACB l’asse di un arco parabolico, simmetrico rispetto alla verticale passanti per il vertice C, elastico ed incastrato alle estremità A e 2 AB la corda dell’arco, che si suppone presa come asse delle assisse & coll’ ori- gine in A V' e V' le reazioni verticali corrispondenti alle sezioni estreme in A ed in 8 CD la verticale passante per la chiave dell’ arco (vertice della parabola AC) ed asse di simmetria del sistema resistente LN la direzione di una forza verticale P distante « dall’ estremo A e d dal- l'estremo <8 Ay la verticale passante pel baricentro A della sezione estrema dell’arco in A, che si assume come asse delle ordinate y LO V orizzontale passante pel punto Z di intersezione della forza P colle reazioni d'appoggio R' ed PR", che le fanno equilibrio LS la direzione della reazione R' all'appoggio A ed S la sua traccia sull’ asse della 7 a' l'angolo che la direzione LS della reazione R' fa coll’ orizzontale LO T=2c la lunghezza della corda AB dell’ arco 74 la lunghezza OS misurata sull’ asse delle -y 0 lordinata y' della traccia S rispetto all’ asse A2 Q la spinta orizzontale prodotta dall’ arco: Q= R'cosa, VI — Pischa ri |A ] 25! . . . è 9 . . . . M ed M' rispettivamente i momenti d’incastro nelle sezioni estreme in A ed in B ig e U il punto d’intersezione della orizzontale passante per la traccia S colla dire- zione, o retta d’azione, della forza P considerata z l’ordinata rispetto all’ asse 45 del luogo geometrico dei punti Z, punti di inter- sezione della forza considerata colle reazioni che le corrispondono — linea delle inter- sezioni. y' l ordinata del luogo geometrico dei punti V, che indicheremo col nome di curva 0 linea delle tracce, perchè determinato dai punti d’incontro delle orizzontali passanti per le tracce .S colla retta d’azione della forza corrispondente : y'° è uguale ollfordinata 6 della traccia S, a=% Dalla figura si ricava VM AZIAT =4ZT- x che rappresenta l’equazione della linea delle tracce. Dato un carico P, la sua retta d’ azione determina sulle due linee A4'C'8' (delle intersezioni) ed aByò (delle tracce) i due punti Z ed U. Condotta per V una orizzon- tale ad intersecare in $ l’asse delle y, la LS è la direzione della reazione ali’estremo A; in modo analogo, cioè tracciando una curva simmetrica alla «By oppure una retta simmetrica ad ZN, rimane determinata la reazione all’ estremo 58. Un semplice triangolo delle forze (Fig. 3) dà le reazioni R'ed A", la spinta @ e le reazioni verticali V' e V''. 3. Premesse queste considerazioni di ordine generale prendiamo in esame il caso, assai frequente nella pratica, di dover calcolare un arco elastico simmetrico parabolico oppure circolare ribassato, che, come è stato osservato superiormente, può essere con- siderato come un arco parabolico, ed indichiamo con A l’area resistente di una sezione qualsiasi o I il momento d’ inerzia della stessa sezione qualsiasi @ A, ed IZ Varea ed il momento d° inerzia delta sezione o, di chiave x s la lunghezza dell’ asse (fibra media) dell’arco considerato yi Ho PRATT. | . Pa . °— eo? — 0; racei di cirazione di una sezione qualsiasi o e della sezione Zi 0 2 lo}e) l©) (0) di chiave (n, f la freccia CD dell’arco in chiave E il modulo di elasticità longitudinale del materiale £ il coefficente di dilatazione termica t il numero di gradi centigradi di variabilità ammissibile per la temperatura e supponiamo che le condizioni esecutive siano tali, che possa essere accettata come } DAS ds sufficentemente approssimata 1’ ipotesi che sia == > ossia I= I, > 79, 0 I trattati di scienza delle costruzioni e quelli sulla costruzione dei ponti dànno le SSA GNA formule risolventi per gli archi elastici, che si trovano nelle condizioni sopra indicate, ricavandole razionalmente coi metodi propri alla scienza delle costruzioni. Per lo studio che ci occupa appare sufficente riportare le furmule finali a) Nell'ipotesi di una variazione di temperatu di # gradi ss Qfc pì Af = ef + 1257, (1 _ eh) b) Nell’ ipotesi di un carico p uniformemente distribuito per metro corrente di corda pe 1 Q — X ) 2 Li Dr ona ee 2 2. Me pe l M'=M"'=— PEPE 3 i 3 (14-35) AIR 3 c° 2 2 , 1128 (1+5) (0) (6) 0 pe l 24ET, logo: 26 È +8 (1+35) MT 3 ce c) Nell'ipotesi di un carico isolato P agente della direzione verticale LN, distante a dall’ estremo A e 5 = (f — a) dall’ estremo B V'— 4c° li 15 Pa?b? 1 paso pei 45 pi eo 4 do .. Pad 5 a 7 Mez i 5 pì _— — l 5 2 - AI ha ii e i pi » ar= zo [pre ari+ tar] Per la prima e seconda ipotesi considerata non è il caso di fare speciali ricerche, AT poichè, calcolati V', @ ed M' e fatto il rapporto MAN si hanno gli elementi per tracciare la curva delle pressioni, e quindi per avere i valori delle caratteristiche di sollecitazione necessarî per conoscere in ogni sezione lo sforzo unitario subìto dal materiale. Il caso è diverso per la terza ipotesi poichè, il carico essendo mobile, occorre determinare le reazioni, che esso produce in ogni posizione, pra- ticamente pei ponti interessa stabilire il valore delle reazioni corrispondenti ai carichi trasmessi da ogni singolo traverso. E in questo caso che tornano utili le linee delle intersezioni e di inviluppo delle tangenti, oppure quella delle tracce superiormente pro- posta, per la determinazione delle reazioni d’imposta, ed è interessante vedere come per un arco ribassato tali curve possono essere tracciate a priori facilmente, con sufflcente approssimazione, semplificando molto i calcoli di resistenza in quei casi superiormente considerati, nei quali interessa soltanto una ricerca di prima approssimazione. Quando il calcolo dell'arco deve essere svolto nelle condizioni indicate, specialisti di autorità riconosciuta, come ad esempio il prof. Mesnager, ritengono che nelle for- mule che dànno le incognite iperstatiche. V*, @ ed M' possa essere trascurata 1’ influenza 2 Po della componente assiale X e quindi anche il coefficente PR In questa supposizione le formule superiori prendono la forma seguente bd (c+a a L Ei pu fe+0 4c 4c° ba /5 | ab /5b Motel 1) PIRA ID 4c° \4c 4e° \4c lo a”os Ù a al A} = 22 Q= etna da IRE Da queste formule si ricava immediatamente É n; toa = — =—-;(c É origano) i So pon ra = I8a (C+a)= Tn (8c+8a) ? 5 M' fi = = — 10a— 8c 6 4 Q 154 | i ) ' r Ù ' ' 18 = +0=n +y “il cioè la linea delle intersezioni è rappresentata da una retta orizzontale, e quindi paral- lela alla corda A2 dell’arco e distante da essa + ut 00 Ti f, in modo che può essere trac- ciata a priori con estrema facilità. Mesnager si è occupato di questa questione ammettendo le semplificazioni sopra indicate, e nel suo — cours de Béton armé — enuncia che la linea inviluppo delle reazioni si riduce in queste condizioni ad una iperbole, che ha per assintoto la. verti- cale passante pel baricentro A della sezione estrema ed il centro sulla stessa verticale 14 i a 3 con ordinata y = + DE f, (nel punto 7° Fig. 2) l’altro assiutoto taglia la verticale D passante pel baricentro della sezione estrema in 58 in un punto di ordinata +35 (punto 47) e l’iperbole taglia la verticale CD passante per la chiave C in un punto i 10 PILE i ] M di ordinata + ia sr Con questi elementi l’ iperbole rimane definita e può essere facilmente tracciata utilizzando i noti procedimenti grafici in uso per questa speciale curva di secondo grado, In conformità a quanto è stato detto superiormente, invece di ricorrere alla linea inviluppo delle reazioni si può, per la risoluzione dell’ arco e la conseguente determi- nazione delle incognite iperstatiche, usufruire del luogo geometrico, che abbiamo chia- mato linea o curva delle tracce. Per una data posizione del carico P l’ assissa @ del punto N è data da a—=a e quindi per la (1) 18 8cf 8 E IE ‘n Cn n ossia, riducendo, ME Ra; Ra (e) che rappresenta una iperbole aventi per assiutoti la verticale SA' ed una orizzon- ; 2 i 10 2 tale (parallela alla corda) aventi per ordinata y3 = + 3 fial(pertai—tcotyd== NE (25 Pc 9 Perta== 40 = +3gf cioè un punto della curva delle tracce è situato sulla verti- 9 cale di chiave DC, distante dalla corda + ui e posto superiormente alla medesima, quindi la curva rimane determinata e può essere facilmente tracciata geometricamente per punti, usufruendo di uno dei metodi sopra ricordati convenieuti a questa famiglia di curve di secondo grado. Se con n si indica un coefficente numerico variabile fra zero e due e si pone x=a= nc l'equazione (2) diventa cn= (FE AC, = (0,66 — 20°) f Ul 15n LISA OE Dando ad » valori successivamente crescenti si possono determinare in funzione di f le ordinate della curva delle tracce conveniente ad un arco qualsiasi, la quale permetta di valutare le incognite iperstatiche nel modo indicato, Eseguendo questi cal- coli si ottiene il quadro seguente Valori di » Valori di y' E 0510 y=— 4,64f ne-20520 y =— 1,997 i==10390 vi== T10f n= 0,40 y = — 0,66 f ni=10550) ye —0405f 05) y =— 0,04 f n= 100 I SIZE y=+ 0,24 f vi =#a1550 I IRINA la=aleato y = + 0,36 f Mi=200 y=+ 0,40 f La curva simmetrica serve per determinare la reazione all’ estremo 5. Si può anche usare un'unica curva, ma allora per avere il punto S (5°) bisogna tracciare la ZL!" N" simmetria ad LN. Disegnato l’arco (la fibra media) la retta delle intersezioni A'2' e 1° iperbole delle tracce aByd non che la sua simmetrica, le reazioni corrispondenti ad un carico P si determinano nel modo seguente a) Si tracci sul disegno la retta d’azione della forza P, prolungandola fino ad incontrare in Z la retta A'B' delle intersezioni ed ìn Y (U' 0") le due iperbole delle tracce 5) Per U (U' ed U") si conduca orizzontalmente US (U'S' ed U'"S") ad incon- trare in .S (.S' ed S°') la verticale passante pel baricentro della sezione estrema dell’arco c) Si tirino LS' ed LS", queste due rette dànno rispettivamente le direzioni delle reazioni P' ed R' d) Si decomponga la forza P secondo le due direzioni LS' ed LS "I con un trian- golo od un parallelogramma delle forze (Fig. 83) si ottengono così le intensità ed il senso d’agire delle reazioni £' ed AR" e) si decompongano le £' ed A' nelle loro componenti verticali ed orizzontali (Fig. 3) le quali daranno rispettivamente V' e Q' = Q, VV" e Q"=— Q f) Si misurino alla scala del disegno le lunghezze visi =ieodie BEIGE M' —QX AS = QU Mai Q Xx BS'= Ql' 50 — ed il problema iperstatico della determinazione delle reazioni prodotte da un carico isolato agente verticalmente sopra un arco elastico simmetrico, ribassato ed incastrato nelle sue sezioni estreme, risulta completamente risoluto. Il tracciamento della curva delle pressioni e d’influenza, non chè la valutazione delle caratteristiche di sollecitazione e di deformazione e degli sforzi unitarîì subìti dal materiale, rientra nella. teoria ordinaria degli archi e riescirebbe superflua qualsiasi ulteriore specificazione. 4. Se i due punti all’ infinito dell’ iperbole aByd, oc(GH) ed oc(GA) si riguardano come centri di due fasci paralleli, i cui raggi si intersichino ordinatamente sull’ iper- bole a8yò, questi costituiscono due fasci proiettivi, e proiettive sono pure le due pun- teggiate determinate sulla GA ed A'8' dai punti analoghi ad S ed L. Se si tirano le con- giungenti i punti corrispondenti analoghe alla LS (Fig. 2) queste, per un noto teorema di geometria, inviluppano una conica, che, nel caso che si considera, ha necessaria- mente due punti all'infinito, e quindi è una iperbole. Essa è tangente all’infinito alla retta GA, la quale per questo è uno degli assintoti, ed è tangente in 47 alla retta GH L0zco. po 3 e. di ordinata costante y = + n f, infatti il punto mobile sulla A'58' passando per l’infinito 5 riappare alla sinistra di A'. Una terza tangente è determinata dai punti corrispondenti Ee B' individuati dai raggi OF e d B'. Avute tre tangenti GZ4, GA ed EB', e due punti di tangenti V ed M la curva è determinata e può essere tracciata. A quest’ultimo intento conviene precisare la posizione del centro e degli assintoti; di questi uno è la retta GA e l’altro passa necessariamente per 4 essendo il punto MM di tangenza punto di mezzo della GH: Un altro punto dell’assintoto può essere trovato determinando il punto di contatto della tangente £8'. Fra i cavallarî derivati dal teorema di Brianchon sì trova il seguente: se un triangolo è circoscritto ad una conica, le rette congiun- genti i vertici coi punti di tangenza si incontrano in un punto. In base a questo teo- rema (triang. MGE) condotto FR parallela a GA ad intersecare in Rf la EM, la retta GR taglia la retta‘ E8' nel punto V, che è il punto di tangenza cercato. Se sì considerano i triangoli simili GE ed FMX, EFR ed EMX e finalmente EVG e VFI sì ricavano le seguenti relazioni FG: GE::GM — FG:MX da cui = iL E M 5 2 FPCOEBi CIO GALE E MX+ GE ; nes 4 P 3 15 Lo ed analogamente da cui Ape 05) 45 2 eo da cui 2 GE ml 8 E e I SFR+ GE 4 4 16 4, roi Da queste relazioni risulta che EV = VX e conseguentemente X è un secondo punto dell’ assintoto, che rimane così determinato. Tirata la XZ ad incontrare in 7 la GA, T' è il centro dell’iperbola, e la curva può essere facilmente costruita. I punti 7, X, H possono essere determinati indipendentemente dalle costruzioni precedenti osservando che ME FARE dee e para (e 10 9 12 DZ TE 15 15 10 td) La curva eÉ&VM0 è l’iperbole trovata da Mesnager per altra via, e coi dati superiori può sempre essere facilmente tracciata. Il calcolatore potrà servirsi indiffe- rentemente della iperbole inviluppo delle reazioni o dell’ iperbole delle tracce, od anche di entrambe ad intento di verifica. Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. 8 1916-17. S. Cankvazzi. — Archi elastici ribassati ecc. Memorie. - Serie VII. Tomo IV. p CECO PISA O B We < I () è v\ Ai \ \ Y ‘ I i) I v\ \ \ L) x x e i iL 19] ve it 1 Sulla ionizzazione prodotta dai raggi X nel campo magnetico MEMORIA Prof. Sen. AUGUS'FO RIGHI letta nella Sessione del 4 Marzo 1917. 1. — Scopo del presente lavoro. In seguito a numerose ricerche relative alle svariate modificazioni prodotte dal campo magnetico sulle scariche elettriche ho creduto di potere concludere, che esse non sono soltanto conseguenza del cambiamento di forma delle traiettorie percorse dai loni e dagli elettroni. Ed in particolare, avendo studiato a lungo e con ogni cura come un campo magnetico influisca, non solo sulla scarica in atto entro un gas rarefatto, ma anche sul valore della differenza di potenziale da applicarsi agli elettrodi perchè la scarica cominci, ossia sul « potenziale di scarica », ho potuto convincermi, contraria- mente all’opinione della maggior parte dei fisici che si sono occupati di tale questione, che col tener conto unicamente del variato cammino delle particelle elettrizzate (ioni ed elettroni) non è possibile spiegare tutti i fenomeni constatati. Ho stabilito infatti, che vi sono dei casì nei quali la variazione di p. d. s. (potenziale di scarica) prodotta dal campo è di segno opposto a quello, che le deviazioni magnetiche delle particelle fanno presagire. | Logicamente se ne deduce l’esistenza di una azione finora ignorata del campo magne- tico sulla ionizzazione, tendente a renderla più considerevole, che designai col vocabolo « magnetoionizzazione », e che nelle successive riprese delle mie ricerche ho cercato di definire in modo di più in più completo. Dapprima, in omaggio alla debita prudenza scientifica, mi sono limitato a rilevare, che il modo più naturale e spontaneo di spie- gare la nuova azione del campo si ha dalla considerazione, che la separazione da un atomo di uno dei suoi elettroni sattelliti deve esigere minor dispendio di energia, allor- quando il campo magnetico ha rispetto all’atomo tal direzione, che la forza eleltro- magnetica agente sull’ elettrone sia diretta verso |’ esterno della sua traiettoria. Ma non sì comprendeva ancora perchè dovesse esservi preponderanza dei casi di questo genere su quelli opposti, quelli cioè nei quali detta forza è centripeta. Ma alla fine mi sono i ne formato la convinzione, che il prevalere delle orientazioni degli atomi cui corrisponde la facilitata tonizzazione, si debba semplicemente all’ azione orientatrice del campo magne- tico. In altri termini ritengo, che il campo magnetico, agendo sulle traiettorie degli elettroni atomici come su correnti chiuse, tende a fare assumere agli atomi una certa orientazione, la quale, tenendo conto del senso in cui le forze agiscono, si riconosce essere precisamente quella, che rende minore V energia da spendere per ionizzarti. L’agitazione molecolare del gas introduce naturalmente una complicazione, che rende necessari alcuni schiarimenti. A tal fine giova considerare dapprima un atomo ideale, che potrebbe essere quello dell’idrogeno, contenente un solo elettrone sattellite, costituito (dato che si adotti il modello atomico di Rutherford) da un nucleo positivo intorno al quale giri circo- larmente 1° elettrone. Sotto 1° azione del campo l’ atomo tenderà ad orientarsi in modo, che il piano dell’ orbita divenga perpendicolare alla direzione del campo, e che l’elet- trone giri in senso contrario della corrente, alla quale può immaginarsi dovuto il campo stesso. Se ora si esamina qual direzione abbia la forza elettromagnetica agente sul- l’elettrone, agevolmente si riconosce, che tal forza è centrifuga, quindi precisamente tale da rendere |’ energia, occorrente a strappare l’ elettrone, minore di quello che sarebbe in mancanza di campo magnetico. In altre parole, il campo favorisce la ionizzazione. Questa conclusione resta valida anche per un gas reale, i cui atomi contengano più elettroni sattelliti. L'azione orientatrice del campo sarà l’effetto risultante di quelle relative ad ogni singolo elettrone, e tale azione risultante potrà essere eventualmente nulla per certi atomi o almeno per certe momentanee loro orientazioni. Inoltre essa varierà ad ogni istante in causa dei moti di cui gli atomi, e le molecole da essi for- mate, sono animati; cosicchè |’ orientazione, che il campo tende a produrre, non verrà forse mai completamente raggiunta da nessuna orbita elettronica, o lo sarà solo momen- taneamente. Ma ciò non toglie che il campo renda il gas più ionizzabile, donde gli effetti messi in rilievo dalle mie esperienze di scarica. Queste esperienze mi hanno dunque suggerito l'ipotesi della magnetoiorizzazione, e sì può dire che indirettamente la confermano; ma mi è sembrato desiderabile cercare una verificazione più semplice e più diretta. Per raggiungere tale intento ho pensato di istituire esperienze analoghe a quelle classiche, con cui si studia la ionizzazione prodotta dai raggi X, facendo però intervenire l’azione di un campo magnetico, ed a scopo di raggiungere la massima chiarezza di esposizione premetto qualche richiamo. Se si misura l’ intensità della corrente esistente fra due lastre metalliche parallele portate ad una certa differenza di potenziale, allorchè il gas che le circonda è traver- sato da raggi X, e poi si porta questa differenza di potenziale come ascissa e la detta intensità come ordinata, sì ottiene una curva avente forma simile a quella che mostra la curva della fig. 3, nella quale si scorgono le tre fasi principali del fenomeno. Nella prima fase (che nella figura è solo accennata), andando dai potenziali piccoli verso i grandi, il gas obbedisce approssimativamente alla legge di Ohm, e la curva è sensibilmente una retta passante per l’ origine delle coordinate; nella seconda (corrente di saturazione) A a si ha un tratto quasi rettilineo ed orizzontale; nell’ ultima fase poi la curva presenta una ripida salita, che rivela l'insorgere della ionizzazione dovuta all’ urto dei ioni già esistenti, cui il campo elettrico conferisce la necessaria energia cinetica. Se davvero il campo magnetico rende minore l'energia minima, che un ione deve possedere onde essere atto a ionizzare col. suo urto un atomo, la curva ottenuta in tal caso dovrà essere situata al disopra di quella trovata senza campo. Ma prima ancora d’ istituire simile esperienza mi sono reso conto della grave diffi- coltà cui si va incontro pel fatto delle deviazioni, che il campo imprime alle particelle elettrizzate, cioè ioni ed elettroni. Per chiarire questo punto giova prendere in consi- derazione i due casi principali, e cioè quello in cui il campo magnetico è diretto paral- lelamente al campo elettrico, e quello in cui è a questo perpendicolare. Nel primo caso, che si realizza quando si fa agire un campo magnetico perpendi- colare ai due elettrodi, le deviazioni delle particelle devono produrre un aumento della corrente, che si prevede di poca entità se il gas non è molto rarefatto. Infatti, mentre in assenza di campo magnetico ogni particella percorre una certa traiettoria comunque inclinata, al suo inizio, rispetto alla forza elettrica, il campo la modifica nel senso di accostarla alla direzione della forza magnetica. Se dunque si constata, che il campo magnetico aumenta |’ intensità della corrente, si potrà ciò attribuire alle deviazioni delle particelle, e l’esistenza della magnetoionizzazione resta dubbiosa (veggasi il paragrafo 1 della Nota in fondo). È però da notarsi, che l’effetto delle deviazioni deve essere tanto meno pronunciato, quanto maggiore è la pressione del gas (veggasi il $ 2 della Nota); di modo che il marcato aumento di corrente, che 1’ esperienza dimostra, deve logicamente attribuirsi alla magnetoionizzazione. Ma in ogni modo questa non viene messa in piena evidenza. Esaminiamo ora l’altro caso principale, in cui il campo magnetico è parallelo ai due elettrodi, e cominciamo col supporre il gas molto rarefatto. Analogamente a quanto accade nelle classiche esperienze di J. J. Thomson relative alle misure di e :m pei ioni generati dall’ azione dei raggi ultravioletti sui metalli, le particelle non si avvi- cinano indefinitamente all’ elettrodo che le attira, ed anzi le raggiungono in numero tanto più piccolo quanto più intenso è il campo (veggasi $ 3 della Nota in fondo). La diminuzione d’intensità di corrente, che effettivamente si constata, potrà mascherare la ricercata magnetoionizzazione. E tale conclusione rimane invariata, anche se si suppone il gas a non piccola pressione (v. il $ 4 della Nota). In seguito a tali considerazioni ebbi per un momento la tentazione di rinunciare ad una ricerca, che appariva così poco promettente; ma mi sovvenni a tempo, di un notevole risultato ottenuto nel corso delle mie ricerche sul potenziale di scarica in campo magnetico, e cioè quello di una dimiuuzione del p. d. s. che si constata con. piccoli valori di questo, se è diretto perpendicolarmente al campo elettrico, quantunque le devia- zioni imposte ai ioni tendano a produrre il risultato opposto. Ciò mi fece prevedere, che probabilmente facendo agire un debole campo magnetico di direzione perpendico- lare a quella del campo elettrico, la magnetoionizzazione avrebbe potuto superare |’ op- posto effetto delle deviazioni magnetiche. — 56 — Intraprese simili esperienze, che furono sul principio alquanto laboriose, esse alla fine mi diedero il risultato preveduto; ed oggi, avendole estese e perfezionate, posso presentarle come dimostrazione sicura della esistenza della magnetoionizzazione. 2. — Disposizioni sperimentali adottate. L'aria, che i raggi X ionizzano, è contenuta in un tubo di vetro AB (fig. 1) comu- nicante per mezzo di un giunto a smeriglio € colle pompe a vuoto. Esso contiene due lastre di rame parallele DE, FG, funzionanti da elettrodi, ed ha la parete di fondo A di piccolissimo spessore, affinchè assorba il meno possibile i raggi X, che escono da una pic- cola finestra O praticata in una grossa lastra di piombo vicinissima all’apparecchio. Uno dei due elettrodi, per esempio FG, è portato ad un certo potenziale mediante una batteria di piccoli accu- mulatori; l’altro DE è in comunicazione con un elettrometro a quadranti e col suolo. Togliendo quest’ ultima comunicazione per un tempo determinato, generalmente 10 secondi, dopo aver messo in azione il tubo generatore dei raggi X, si ottiene una deviazione elettrometrica proporzionale alla intensità della cor- rente esistente fra gli elettrodi, e che anzi dà modo di calcolarla, come si dirà in appresso. Accenno, solo di volo per amore di brevità, che furono da me prese tutte le pre- cauzioni necessarie ad assicurare l’ esattezza delle misure, e cioè il perfetto isolamento degli apparecchi, la difesa contro i raggi X dell’elettrometro e del filo di comunica- zione di esso coll’apparecchio (il qual filo era a tal fine collocato entro un tubo metallico pieno di paraffina), la costanza di qualità e di intensità dei detti raggi, la regolarità nel succedersi di misure comparative onde assicurare, per esempio, l’ attendibilità del con- fronto fra una certa misura e la media di due altre fatte una immediatamente prima e l’altra immediatamente dopo di quella. All'atto pratico riconobbi, che avrei potuto far a meno di attenermi a questo con- sueto metodo di confronti in grazia della costanza e regolarità di funzionamento del L'apparecchio della fig. 1 era collocato fra i poli della elettrocalamita modello Rhumkorff senza pezzi polari e con intervallo di 6 c. fra le faccie prospicienti dei rocchetti, ed anzi il cerchio punteggiato MN della figura sta ad indicare il contorno di tubo Coolidge adoperato (sempre con moderata eccitazione) per generare i raggi. uno dei nuclei di ferro. Come si vede, la direzione del campo magnetico risulta per- pendicolare a quella del campo elettrico esistente fra gli elettrodi. Questa è la più interessante delle possibili disposizioni sperimentali; ma qualche volta volli realizzare l’altra delle due principali orientazioni del campo magnetico, al quale scopo bastava far girare l’ apparecchio di 90° intorno al giunto C. DAI n Non starò a descrivere minutamente il modo in cui furono collegati i numerosissimi strumenti necessari alla mia ricerca, e solo li enumererò. Per il circuito della elettrocalamita occorsero un reostata a corsoio, un inversore ed un amperometro, dalle cui indicazioni, in base a determinazioni preliminari e con interpolazioni, si poteva valutare l’ intensità del campo magnetico agente sul gas del- l'apparecchio. Per la produzione dei raggi X occorsero, oltre che un gran rocchetto con interruttore ruotante a mercurio, reostata, e ampèrometro, anche un milliampèro- metro inserito nel secondario, e.poi un gruppo di sei accumulatori con interruttore, reostata ed ampèrometro di minuta regolabilità per 1’ arroventamento del catodo. Come d’ uso, per la maggior parte questi strumenti erano collocati entro una grande cassa foderata di piombo avente un’ apertura in corrispondenza della finestra O. Quella apertura era coperta da uno sportello di piombo, che si allontanva al momento opportuno tirando una cordicella, subito dopo di avere eccitato il tubo mediante 1° interruttore, posto a portata di mano. Trovo necessario indicare ora con qualche dettaglio la disposizione adoperata per le misure d’ intensità di corrente. Tale intensità variò entro limiti assai lontani; e sic- come le deviazioni elettrometriche non possono praticamente adoperarsi nè troppo pic- cole nè troppo estese, così, per non essere costretto a modificare troppo spesso la sen- sibilità dell’ elettrometro, (la quale veniva valutata di tanto in tanto per mezzo di una doppia coppia campione Weston) bisognava ricorrere a qualche altro artificio. Uno, del quale però assai di rado ho fatto uso, consiste nel variare la durata dell’ azione dei raggi. Ma in molti casi ciò non basta, ed ho invece trovato convenientissimo l’im- piego di condensatori. Una cassetta di condensatori campioni a mica, le cui capacità possono. colle solite spine metalliche sommarsi a piacere, è in permanente comunicazione coll’ elettrometro, le cui coppie di quadranti sono mantenute ai potenziali + 40 e — 40 volta. Il sistema conduttore formato dall’ago, dall’ elettrodo con esso comunicante, e dal filo di comu- nicazione aveva nel caso mio la capacttà c = 215.10 7° microfaraday; la cassetta di condensatori vi aggiungeva una capacità €, il cui valore poteva variare fra un mille- simo ed 1 microfarad. Scegliendo quindi opportunamente il valore di C era sempre pos- sibile fare in modo, che la deviazione elettrometrica raggiunta in 10 secondi corrispon- desse ad una deviazione sulla scala (posta a due metri e mezzo dall’ istrumento) di 100 a 200 millimetri. Ordinariamente ciò corrispondeva al potenziale di 2 a 4 volta. Ecco ora come si calcola 1’ intensità della corrente. Siano : c (= 215.107° microfar.) la capacità dell’ elettrometro; C la capacità del condensatore; d (in millimetri) la deviazione letta sulla scala; s la sensibilità dell’ elettrometro, cioè la deviazione cor- rispondente ad 1 volta; t (generalmente 10 secondi) il tempo durante il quale i raggi X attraversavano l’aria nell’ apparecchio. ERA O L'intensità i della corrente. sarà data in microampère da i c+C i= — d. st E i i . ) d Lap Infatti — è, in volta, il potenziale raggiunto dall’ elettrometro, e — (c + C) è in s s microcoulom)b la quantità di elettricttà da esso raccolta nel tempo t. Quella corrispon- dente all'unità di tempo sarà dunque espressa in miecroampère dalla precedente espres- sione divisa per 4. Aggiungerò in fine, che il più delle volte non aspettavo che |’ ago cessasse di oscil- lare, ma leggevo senz'altro le estremità d,, d,, d, di tre successive oscillazioni, assumendo poi g@ + 2d,+4d,) come posizione di fermata dell'ago. E noto come questo metodo sbrigativo sia accettabile se le d,, d,, d, non sono troppo differenti fra loro. 3 3. — Andamento delle misure; cause di errore. Poichè lo scopo principale della ricerca mia era lo studiare 1° influenza esercitata dal campo magnetico sulla ionizzazione, era necessario confrontare fra loro per ogni determinato complesso di condizioni sperimentali (ossia a parità di potenziale, di pres- sione dell’aria ecc.) i due valori dell’ intensità della corrente, misurati l’ uno senza, e l’altro. coll’ azione del campo magnetico. Adottai il partito di fare in immediata suc- cessione tre misure, e cioè prima una con campo magnetico avente una certa dire- zione, poi una seconda senza campo, e quindi la terza con campo di direzione opposta a quella di prima; dopo di che tenevo nota: della media fra il primo ed il terzo risultato, che scrivevo a fianco del secondo, e del potenziale adoperato. Ripetendo poi simile gruppo di misure con valori successivamente crescenti del potenziale, Si veniva a formare una tabella numerica a tre colonne, la prima delle quali (poten- ziali) forniva le ascisse per disegnare le curve rappresentatrici del fenomeno, la seconda (intensità di corrente senza campo) forniva le ordinate per la curva ordinaria, e la terza (intensità di corrente col campo) forniva le ordinate per la curva nuova. Le due curve fanno vedere a colpo d’occhio quale influenza abbia il campo sulla ionizzazione. Alcune irregolarità dei risultati numerici, che dapprincipio si manifestarono, ven- nero poco a poco riconosciute od eliminate. Una causa di errore, veramente assai banale, ma che appunto per ciò può sfuggire all’ attenzione dello sperimentatore, è l’azione elettrica di una carica negativa della cassa contenente gli apparecchi produttori dei raggi X, la quale può riescire percettibile anche quando un filo metallico colleghi la cassa stessa al suolo (tubi dell’ acquedotto). Certe parti di quel conduttore possono assu- mere un potenziale differente da zero, come accade di qualunque conduttore mentre è attraversato da una corrente elettrica. L'effetto si fa sparire mettendo parecchi fili di derivazione: al suolo. e Altro notevole disturbo è quello dell’ azione elettrostatica esercitata dagli avvolgi- menti della elettrocalamita sull’elettrodo comunicante coll’ elettrometro; ma si elimina coll’ interporre lastre metalliche in ottima comunicazione col suolo fra | apparecchio della fig. 1 e le faccie polari dei rocchetti. Non giudico opportuno dilungarmi ad indicare alcune altre cause di errori o di incertezze, che furono facilmente eliminate; ma debbo con qualche dettaglio segnalare una certa dissimetria nei risultati numerici, che mi preoccupò lungamente. Supponiamo che le lastre parallele o elettrodi DE, FG, siano, come nella fig. 1, parallele alla direzione del campo magnetico, ed anzi che quella inferiore NG sia man- tenuta ad un potenziale positivo, mentre la superiore DZ comunica coll’ eletirometro. Siano a, db, c, le tre intensità di corrente ottenute, la seconda senza campo, e la prima e la terza col campo nelle due direzioni. Come si dirà più oltre, se il campo ha una appropriata intensità, sl trova sempre 3 (€1+ c) > b, e cioè che il campo fa aumen- tare l’ intensità della corrente, benchè le deviazioni magnetiche dei ioni tendano a pro- durre il risultato opposto. Ma intanto le due intensità «4 e c non risultano eguali; per esempio si ha sistematicamente a < c, ed inoltre qualche volta può accadere, che si abbia «a 0D0 DAS Acido tartarico . . De XL0 DIRSI yogdoi » S988 Acido tartarico . . >» 10 DRS, Hi » 4,14 DITAIÒ (come tartrato) Acido tartarico . . >» 10 IO: PR STA O) (al sole) Acido salicilico. . ez » 1,48 panel =: 05 » 15 Acido salicilico. . DIE » 1,48 PROA06 > 09 (sale sodico) Acido benzoico . . Dune >» 1,64 0) TO) Acido benzoico . . PALEZ » 1,64 Di1068 » 20 (sale sodico) Riding n De IST, PA a) Piperidina . ... 2 — AZ (0) =“ Nicotindat./ tr, > 2 » 1,42 Dal PILLS Testimone. . . . . _ — _ » 25 Acido solforico . . — SÒ Un » 1 Da questo si rileva auzitutto che le sostanze sperimentate hanno un contegno diverso che sta naturalmente in relazione colla loro struttura. Le più alterabili sono la pirocate- china e la saligenina; l’ acido salicilico lo è meno della saligenina, ciò che corrisponde anche al suo comportamento col permanganato potassico perchè esso resiste un po” meglio della saligenina a questo reattivo. Il contegno col permanganato non è peraltro determi- nante in quanto l'acido tartarico scompare quasi per metà, mentre è stabile, entro i limiti caratteristici, al permanganato. La piridina resta quasi inalterata e più ancora la piperidina e la nicotina mentre queste ultime si autossidano sensibilmente alla luce la quale, viceversa, almeno come risultò dall’ esperienza fatta coll’acido tartarico, non aumenta affatto la trasformazione determinata dagli enzimi vegetali contenuti negli spinaci. Questi enzimi come lo dimostrarono le prove fatte cogli estratti e la saligenina, non passano in soluzione, ma sono insolubili o restano aderenti alla parte solida della pianta come lo fanno anche gli enzimi della fermentazione acetica e lattica. Noi avremmo creduto che si sarebbe manifestata una relazione fra | andamento della supposta ossidazione e la quantità di acido carbonico emessa durante |’ esperienza, dosata in forma di carbonato baritico. Si vede invece che lo sviluppo di anidride carbonica varia irregolarmente nei singoli casi; cio che apparisce evidente è che esso cessa se alla poltiglia spinaci si aggiunge un acido minerale forte come ci risultò da un’ esperienza coll’ acido solforico riportata nello specchietto. Noi pensammo perciò che anche gli acidi organici potessero paralizzare in parte l’ azione del fermento che catalizza la trasformazione, ma le prove coi sali degli acidi salicilico, benzoico e tartarico dimostrarono che la quantità di prodotto scomparso è quasi la stessa impiegando sia l’ acido allo stato libero che salificato. Le sostanze aromatiche che resistono bene agli ossidanii come l’ acido benzoico e la piridina, resistono pure all’ azione della poltiglia di spinacci. Ma ciò naturalmente non vuole ancora significare che esse restino inalterate, come pure la piperidina e la nicotina, se inoculata nelle piante viventi; anzi le nostre esperienze, fatte negli scorsi anni, dimo- strerebbero il contrario. In base alle prove ora descritte non si può ancora affermare che la forte diminuzione che sempre si osserva inoculando nelle piante le diverse sostanze, sia dovuta ad un’ autos- sidazione, la quale, nelle piante vive, dovrebbe verisimilmente essere assai più energica che in quelle morte; prima di poter dare una spiegazione del contegno delle diverse sostanze organiche in questi processi e del loro significato biologico, sono necessarie ulte- riori esperienze che stiamo ora eseguendo su più larga scala. Per ultimo vogliamo ricordare la Signorina Angela Puricelli che ci ha coadiuvato con intelligente assiduità nell’ esecuzione di queste esperienze. FiGura I* A sinistra piantine normali a destra piantine trattate con nitrile mandeilica. Ficura 1I* Ss agio 1 iù i A sinistra piantine normali a destra piantine trattate con nicotina. Di un errore non Lieve sulla solubilità del carbonato di calcio nell’ acqua bollente CABIN NOTA DEL Prof. ALFREDO CAVAZZI Letta nella 9* Adunanza Ordinaria del 22 Aprile 1917. In seguito agli esperimenti dì Hofmann, Weltzien, Fresenius e Pollacci si dà come fatto certo che il carbonato di calcio nell'acqua a 100°, specialmente dopo lunga ebollizione, è molto più solubile che a freddo, ossia a temperatura ordinaria. La qual cosa a me è parsa sempre poco verosimile per la seguente semplicissima riflessione. Se, com'è molto probabile, per non dire certo, la condizione precipua di solubilità dei sali nell’acqua, compresi quelli che si separano dalle loro soluzioni allo stato anidro, è un certo legame chimico fra il sale e il solvente, non sarebbe spiegabile la maggior solubi- lità del carbonato di calcio nell'acqua bollente, cioè ad una temperatura alla quale i suoi idrati, instabilissimi, non possono formarsi nè mantenersi. Anzi il concetto di questo legame chimico non sarebbe sostenibile, allorquando fosse dimostrato con esperimenti sicuri che il carbonato di calcio è più solubile nell’acqua a 100° che a freddo. Valeva quindi il pregio di ricercare se per avventura i chimici che .hanno determi- nata la solubilità del carbonato di calcio nell’acqua bollente fossero stati tratti in errore. Da uno specchio comparso nel Trattato di Chimica Minerale del Moissan vol. 8 pag. 580 (1904) ho preso i due dati seguenti: 1 parte in peso di CaCO, si scioglie a 100° in 9006 di acqua (Fresenius) Je» » » » » 7000 para Rollia:cc1) i quali corrispondono approssimativamenie ai seguenti: 1 litro di acqua a 100° scioglie g. 0,111 di CaCO, (Fresenius) ISS » » » g. 0,143 » (Pollacci) I UNAS » » » g. 0,034 >» (Hofmann) LS » » » g. 0,036 » (Weltzien) I due ultimi dati si trovano nel Trattato di Analisi chimica quantitativa del Fre- senius (6° Edizione francese 1891 pag. 129). Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. 13 SERRA Nel quale specchio colpisce subito il rilevare che da un minimo di g. 0,034 (Hofmann) o di 2. 0,036 (Weltzien) di carbonato sciolto in 1 litro di acqua bollente, si passa nien- temeno che a g. 0,111 (Fresenius) e a g. 0,143 (Pollacci). Di fronte a tali discordanze e alla indiscutibile valentia dei soprannominati sperimen- tatori bisognava pur pensare che esse derivassero da una causa probabilmente comune di errore, la quale fu appunto di credere, secondo la generale opinione, che il carbonato di: calcio fosse inalterabile nell’acqua a 100°, e conseguentemente di considerare come carbo- nato tutta la calce che passa in soluzione, quando si tiene a lungo la polvere di questo sale sospesa in acqua bollente. Spetta al Le Chatelier il merito di aver dimostrato nel 1886 che a 100°, in pre- senza dell’acqua, il carbonato di calcio patisce una lentissima dissociazione, ed egli potè raccogliere una piccolissima quantità di anidride carbonica facendo bollire nell’acqua della polvere di spato calcare. Evidentemente nell'acqua resiava disciolta la quantità di calce corrispondente a quella del sale dissociato. L'importanza del fatto scoperto dal Le Chatelier, a dir vero, non abbastanza cono- sciuto ed apprezzato, mi ha invogliato a confermarlo, non operando sullo spato calcare che talvolta contiene minime quantità di carbonato di magnesio, molto più facilmente disso- ciabile nell’acqua bollente del carbonato di calcio, ima sottoponendo ad esperimento del sale precipitato in tali condizioni da ottenerlo del tutto privo di carbonato di magnesio, di cloruro di ammonio e d’ogni altra impurezza. L'apparecchio di cui mi sono servito consisteva di un matraccio conico capace di 1000 cme. circa, a cui era applicato un tappo di gomma ad un solo foro portante un tubo di vetro piegato a squadra, il quale mediante tubo di gomma poteva essere congiunto ad un altro tubo di vetro, piegato pure a squadra, il cui ramo discendente aveva una lun- ghezza di 50 cm. circa, e questo era fermato con tappo ad una delle due bocche di una piccola boccia di Woulf in modo che la sua estremità inferiore giungesse ad una distanza dal fondo del recipiente di 1 cm. circa. All’altra bocca della boccia era adattato un tappo portante un tubo di vetro a squadra, il quale comunicava a sua volta con un tubo ad U contenente un poco di soluzione concentrata di soda caustica a fine di trattenere |’ anidride carbonica dell’aria che casualmente potesse entrare nella boccia. Prima di cominciare l’esperimentio facevo passare a lungo nella boccia di W oulf, fornita dei predetti tubi, una corrente di aria priva di CO,, poi iniroducevo in essa 50 cme. di acqua di calce precedentemente preparata facendo bollire moderatamente entro matrac- cino per alcuni minuti dell’acqua di calce satura a temperatura ordinaria, poi filtrata ancor bollente e lasciata raffreddare in recipiente di acconcia capacità e ben chiuso. Dopo di che introducevo nel matraccio 1000 eme. circa di acqua distillata che facevo bollire 10 minuti per scacciare dal liquido ogni traccia di CO,, poi, sospendendo per un momento l’ ebollizione, facevo cadere nel matraccio parecchi grammi di carbonato precipi- fato purissimo, e applicavo al recipiente il tappo di gomma col suo tubo a squadra. Allora portavo di nuovo il liquido ad ebollizione e dopo 2 o 3 minuti mettevo il tubetto a squadra in comunicazione coll’altro più lungo applicato alla boccia, la parte inferiore del quale affondava un poco nell’acqua di calce introdotta in questo recipiente. Raggi Dopo 10 minuti circa che il vapor d’acqua gorgogliava condensandosi nell'acqua di calce, questa intorbidiva sempre manifestamente, e l’intorbidamento andava poi molto len- {amente aumentando. Siccome la durata dell’esperimento è breve, così non è necessario tenere la boccia di Woulf immersa nell’acqua fredda, tanto più che il riscaldamento prodotto dalla conden- sazione del vapor d’acqua nell'acqua di calce esistente nella boccia aveva per effetto utile di favorire, insieme alla presenza di calce libera, la precipitazione del nascente carbonato calcico. Ho anche voluto rendere l’ esperimento più rigoroso, sostiluendo al matraccio conico di vetro un recipiente di latta press’ a poco della stessa forma e capacità, ma il risultato finale, come avevo facilmente preveduto, fu il medesimo. Due poi sono le ragioni per cui nella boccia di Woulf introdussi acqua di calce bol- lita e filtrata ancor bollente. La prima è che in virtù del riscaldamento prodotto dalla condensazione del vapor d’acqua, l’acqua di calce saturata a bassa temperatura sarebbe diventata torbida per semplice separazione di calce libera, essendo questa molto più solu- bile a freddo che a 100°: la seconda è che l’acqua di calce, mal conservata. nei recipienti o che per un motivo qualsiasi ha assorbito anidride carbonica a temperatura ordinaria, ossia a bassa temperatura, puo tenere in soluzione quantità ragguardevoli di carbonato. In tale proposito credo non inutile un cenno dei seguenti esperimenti. Se a 100 cme. di acqua di calce, satura a temperatura ordinaria e limpidissima, si aggiungono 2 cme. di soluzione pure satura alla pressione atmosferica di anidride carbo- nica, sì ha un intorbidamento lattiginoso che scompare subito per lieve agitazione. Dopo mezz’ora circa a 10° (temperatura del laboratorio) la soluzione comincia a farsi leggermente torbida e inclinando più tardi il recipiente per scoprirne il fondo e poterlo guardare per trasparenza, si vedono nel deposito minutissimi cristallini di carbonato. Il leggiero intorbi- damento, che avviene dopo soli 30 minuti, si spiega considerando che i 2 cme. della solu- zione satura di acido carbonico corrispondono approssimativamente a g. 0,008 di carbonato di calcio in 100 cme. di soluzione e quindi a g. 0,08 in 1 litro, cioè ad una quantità di carbonato molto superiore a quella della sua solubilità normale a bassa temperatura. Si rifletta che nella mescolanza delle due soluzioni la calce trovavasi in quantità molto supe- riore a quella che sarebbe stata sufficiente per formare carbonato neutro coll’acido car- honico in essa introdotto, e in ragione appunto di questa prevalenza è manifesto e certo che il carbonato si forma al momento stesso in cui le due soluzioni vengono a contatto, e se il primo intorbidamento lattiginoso scompare subito, è del pari evidente che esso non può essere prodotto da carbonato anidro, che si scioglie sempre nell'acqua con estrema lentezza, ma da carbonato idrato gelatinoso alquanto solubile e instabile, com'è e si con- serva per un certo tempo gelatinoso il carbonato che si ottiene mescolando a bassa tem- peratura una soluzione di solfato o di cloruro di calcio con altra di carbonato sodico. L'impiego, che feci in questo esperimenio di acqua di calce satura a bassa tempera- tura, toglieva la possibilità e il vantaggio di utili confronti degli intorbidamenti alla tem- peratura dell’ ebollizione, in quanto che, in causa della minore solubilità della calce a 100°, MO (Jr 2a l’intorbidamento sarebbe stato prodotto non solo da separazione di carbonato neutro, ma da quella ancora di calce libera. In un successivo esperimento, operando alla temperatura del laboratorio (10°), sciolsi in 250 cme. di acqua distillata, priva di acido carbonico, g. 0,086 di polvere finissima di selenite pura CaSO,.2 4,0; e in altri 250 cme., g. 0,053 di carbonato sodico anidro :quan- tità dei due sali che occorrono a generare g. 0,05 di carbonato di calcio. Mescolando iusieme le due soluzioni non ebbi intorbidamento, nè deposito di cristallini nel fondo del recipiente anche dopo 2 ore (a 10°). Passate invece 24 ore, e travasando il liquido in altro recipiente, vidi su tutte le pareti del primo numerosi cristallini trasparenti di carbonato di calcio. Se si ripete questo esperimento (a 10°) con soluzioni ridotte a metà di volume, ossia a 125 eme. per ciascuna, mantenendo invariate le quantità di selenite e di carbonato sodico, la loro mescolanza a 10° intorbida dopo pochi minuti. I precedenti esperimenti basterebbero a dimostrare che il carbonato di calcio, nascente nell'acqua a bassa temperatura in virtù di un’azione chimica, produce soluzioni soprassa- ture, ma ho riserbato per ultima la prova più decisiva e convincente, operando in modo che nel mescolare due soluzioni fosse certa la formazione immediata di carbonato di calcio e che nella mescolanza non si formassero altri corpi all’infuori di questo sale, o dirò più chiaramente, in modo che nella soluzione finale non restasse eccesso di calce o eccesso di acido carbonico, nè altri corpi. A questo fine feci bollire per alcuni minuti acqua di calce satura per ottenerla ad un tempo meno concentrata e priva di carbonato: filtrai il liquido torbido ancor bollente e raccolsi la soluzione filtrata limpidissima entro bottiglia fornita di buon tappo. A_100 cme. di questa soluzione, misurata a 10°, aggiunsi due gocce di acido solforico, e poscia la feci svaporare a bagno maria sino a secchezza entro piccola capsula di pla- fino, e questa fu portata a poco a poco al calor rosso all'intento di scacciare dal residuo l’eccesso di acido solforico, di distruggere ogni traccia di sostanze organiche e di disidra- tara interamente il solfato di calcio. L’aumento di peso della capsula, dovuto al solfato anidro, mi fece conoscere con esattezza la quantità di ossido di calcio esistente in 100 cme. della soluzione primitiva. D'altra parte preparai una soluzione di acido carbonico e determinai la quantità di anidride contenuta in 100 cme. precipitandola in forma di carbonato neutro mediante una soluzione fortemente ammoniacale ben preparata di cloruro di calcio, operando come si conviene. Con quesie ricerche potei stabilire che e. 0,056 di ossido di calcio erano contenuti in cme. 92,7 della sua soluzione, e g. 0,044 di anidride in cme. 28,6 di quella di acido car- bonico: quantità di ossido e di anidride esattamente occorrenti a formare g. 0,1 di CaC0,. A cme. 92,7 della soluzione di calce aggiunsi acqua distillata fredda (10°), ma bollita di recente, sino a portarne il volume a cme. 500, e altrettanto feci coi cme. 28,6 della soluzione di acido carbonico. Poscia versai le due soluzioni entro un unico matraccio di capacità un po’ superiore ad 1 litro, che chiusi con tappo di gomma. La soluzione così ottenuta rimase sempre limpida, ma, dopo non meno di 4 ore di riposo inclinando il reci- SO t: o piente e guardando il fondo così scoperto per trasparenza, vidi su questo pochi e tenuis- simi cristallini di carbonato di calcio. Dopo 24 ore di riposo (a 10°) i cristallini compar- vero numerosi su tutte le pareti del matraccio e prevalentemente sul fondo. Allora filtrai e raccolsi entro largo tubo d’assaggio 50 cme. della soluzione, a cui aggiunsi 2 cme. di ammoniaca concentrata e g. 0,005 di carbonato sodico in polvere. Scaldando il tubo ebbi un forte intorbidamento, anche prima che la soluzione giungesse alla ebollizione. Operando nello stesso modo su 50 cme. di una soluzione che conteneva in 1 litro g. 0,02 di Ca00,, questa divenne torbida soltanto alla temperatura della ebollizione, ma molto lievemente in confronto della prima. E quindi provato che il carbonato di calce che nasce in una solu- zione acquosa per azione chimica a bassa temperatura può formare, come il solfato di calcio, soluzioni soprassature, la stabilità delle quali dipende al solito dalla concentrazione della soluzione e dalla temperatura. Dopo questa non breve digressione torno in argomento facendo riflettere che il fatto scoperto dal Le Chatelier porta senz'altro a concludere che n0n è possibile ottenere una soluzione pura di carbonato di calcio tenendo sospeso a lungo la polvere di questo sale nell’acqua bollente, perchè la soluzione contiene sempre più 0 meno di calce libera, soprat- tutto secondo la durata dell’ebollizione e la concentrazione della soluzione. Ecco l’origine e la causa dell’errore in cui sono caduti ’ Hofmann, il Fresenius, il Weltzien e il Pollacci, e delle discordanze nei loro dati sperimentali. Credo che, ad eccezione del lavoro del Pollacci, tutli gli altri siano anteriori alle ricerche del Le Chatelier. Il nostro chimico italiano certamente le ignorava, e questa mia credenza è un’ attenuante da cui era ed è tuttora difficile salvarsi in tanta febbre, vastità e varietà di pubblicazioni. Accertata la dissociazione del carbonato nell'acqua bollente e considerando che la calce libera è base energica, alquanto solubile nell'acqua e mollo avida di anidride car- bonica, era facile prevedere che la sua dissociazione avesse un limite. Facendo uso del- l’apparecchio precedentemente descritto, ho potuto stabilire, non dico esattamente ma con sufficiente approssimazione, che la dissociazione del carbonato è impedita, ossia che l'acqua di calce introdotta nella boccia di Woulf non intorbida, quando ad 1 litro di liquido del matraccio si aggiungono 15 cme. di acqua di calce satura a temperatura ordinaria, i quali contengono all’incirca g. 0,019 di Ca0. Con altrettanta facilità si poteva pur prevedere che a questo limite di dissociazione non fosse soggetto il carbonato di magnesio, perchè l’idrato corrispondente è base debole quasi insolubile nell’acqua e che con molta difficoltà si combina coll’ anidride carbonica. Facendo bollire per 5 ore entro matraccio, comunicante con apparecchio a ricadere, 500 cme. di acqua che teneva in sospensione g. 0,5 di carbonato o idrocarbonato di magnesio precipitato, ho trovato che la sostanza rimasta indisciolta e raccolta su filtro non dava a contatto cdell’acido cloridrico il minimo segno di effervescenza. Ora viene in acconcio di considerare che il fatto scoperto dal Le Chatelier è suf- ficiente per affermare l'impossibilità di ottenere coll’acqua bollente una soluzione di solo carbonato di calcio, ma non basta a stabilire se nelle soluzioni, che si ottengono dopo pro- lungata ebollizione, prevale la calce libera o il carbonato. TGA Per giungere a questa dimostrazione ho eseguiti molti esperimenti, la descrizione dei quali riuscirebbe troppo lunga e senza reale vantaggio. Mi terrò quindi pago di far cono- scere il più semplice e bastevole a poterne trarre conclusioni sicure. In un matraccio conico avente la capacità di 3 litri introdussi 2500 eme. di acqua distillata e ron pochi grammi di carbonato di calcio puro ottenuto per precipitazione. Chiuso il mafraccio con tappo portante un tubo di vetro piuttosto lungo che terminava superior mente in punta non troppo esile, portai e mantenni il liquido per 3 ore in viva e continua ebollizione, durante le quali 1 litro circa di acqua s’era dispersa in forma di vapore e 1500 cme. erano rimasti nel matraccio. Sospesa l'ebollizione, versai subito tutto il liquido torbido, ancor bollente, entro un grande filtro e della soluzione filtrata limpidissima ne ricevetti poco più di 500 cme. in matraccino tarato da %, litro, e la rimanente in altro matraccio da 1 litro. Non poteva sfuggire alla mia osservazione che nonostante il raffreddamento la solu- zione filtrata, ben difesa dall’aria, si conservava perfettamente limpida e non dava depo- sito al fondo dei recipienti anche dopo 24 ore di riposo. Ora, dai 500 cme. di soluzione misurati a 15° e svaporati in sottile capsula di platino, dopo aver fatto passare in quella una corrente di anidride carbonica, ho ricavato g. 0,0348 di CaCO,, e quindi da 1 litro g, 0,0696, ossia più del triplo di carbonato che si scioglie in 1 litro di acqua priva di CO, a 15° dopo agitazione di parecchi giorni. Ne viene di conseguenza che se tutta la sostanza che passò in soluzione in questo sperimento fosse stata carbonato di calce, la soluzione bollente, in seguito a raffreddamento e a riposo, avrebbe dato intorbidamento e deposito. Della soluzione rimanente (1000 cme. circa) ne ho messo 200 cme. in ciascuno di due matracci conici forniti di tappo che distinguerò colle lettere A e .. Alla soluzione del matraccio A aggiunsi 10 cme. di ammoniaca concentrata preparata di recente e del tutto priva di carbonato, e portandola poscia e mantenendola per due o ire minuti a lenta ebollizione, essa rimase limpida, laddove operando nello stesso modo sopra 200 cme. di una soluzione che conteneva in 1 litro g. 0,02 di carbonato di calcio ebbi intorbidamento naturalmente non forte, ma den manifesto. Per dimostrare meglio la sensibilità di questi intorbidamenti introdussi in matraccio da 1 litro, per levigazione accurata, g. 0,01 di carbonato di calcio finissimo; aggiunsi acqua distillata sino a portare il volume del liquido a 950 cme. poi 50 cme. di acqua che era stata salurata a freddo di anidride carbonica, e agitai spesso il recipiente ben chiuso a bassa temperatura per due giorni durante le ore di lavoro. L'aggiunta dei 50 cme. di soluzione di acido carbonico fu fatta non solo per accelerare lo scioglimento del carbonato, ma per assicurare altresì la perfetta limpidezza della soluzione. Di questa ne introdussi 200 cme. in matraccio conico da 500 cme., l allungai con altri 200 cme. di acqua distillata, poi aggiunsi 20 cme. di ammonica concentrata e scaldai sino ad ebollizione. La soluzione, che conteneva g. 0,002 di carbonato, intorbidì assai legger- mente, ma abbastanza sensibilmente a giudizio pure di persone competenti e non compia- centi che chiamai in aiuto per non essere ingannato dai miei occhi un po’ influenzati da idee preconcette. =» È o gra Potei invece con tulla coscienza e sicurezza far a meno di giudici, ripetendo lo stesso esperimento con 400 cme. della medesima soluzione, non allungata con acqua e che con- tenevano perciò g. 0,004 di CaCO,: I intorbidamento fu ben manifesto, e dopo parecchie ore di riposo vidi distintamente nel fondo del recipiente un tenue velo di carbonato che non fu invece abbastanza appariscente nella prova precedente, ossia nella soluzione allun- gata con ugual volume di acqua. Il tenue velo di carbonato riesce ancor più distinto quando con sottile bacchelttino di vetro si Iracciano sul fondo del recipiente alcuni minutissimi solchi o linee la cui perfetta trasparenza fa risaltare subito il deposito circostante. Si può quindi esser sicuri che una soluzione di solo carbonato di calcio è priva di questo sale o ne contiene meno di g. 0,01 per litro, se, eseguendo su di essa la prova pre- cedente, rimane limpida. A favorire gl’intorbidamenti per carbonato di calcio, in soluzioni prive di calce libera, oltre l'eccesso di ammoniaca, è giovevole la presenza di piccole quantità di carbonato di ammonio 0 di carbonato sodico, come per scoprirli senza incertezza è necessario operare su grande volume di soluzione. Ai 200 cme. della soluzione del secondo matraccio 5, identica a quella che fu intro- dotta nel recipiente A, aggiunsi parimenti 10 cme. di ammoniaca concentrata, più alcune gocce di soluzione di carbonato ammonico. In questo caso la soluzione intorbidiva lenta- mente anche a freddo, e all’ ebollizione diede intorbidamento rapido e forte. Dal primo esperimento venne in chiaro che, dopo 3 ore di ebollizione di 2500 cme. di acqua in presenza di carbonato di calcio e con perdita di 1 litro circa di liquido per eva- porazione, Za soluzione rimanente, filtrata ancor bollente, conteneva in 1 litro molto meno di g. 0,02 ed anche meno di g. 0,01 di carbonato di calcio. Il forte intorbidamento che ebbi nel secondo esperimento fatto sulla soluzione del reci- piente B dimostrò con tutta certezza che la sostanza che passa in soluzione tenendo sospeso a lungo il carbonato di calcio nell’ acqua bollente è unicamente 0 quasi interamente calce libera: la quale alla temperatura dell’ ebollizione rimaneva disciolta in presenza di sola ammoniaca, laddove si separava in forma di carbonato in presenza di ammoniaca e di carbo- nato ammonico. Questa seconda conclusione è ad un tempo naturale conseguenza e conferma validis- sima della dissociazione del carbonato osservata dal Le Chatelier. Tralascio di riferire molti altri esperimenti, nei quali ho variato il modo (bagno-maria) e la durata del riscaldamento, non che accresciuta o impedita la concentrazione della solu- zione, in quanto che l’ esame chimico della soluzione finale ha condotto sempre e con sicu- rezza alle conclusioni sopra enunciate: conclusioni derivate da esperimenti che dànno ragione dell’errore in cui caddero i valentissimi chimici che si occuparono della solubilità del car- bonato di calce nell’acqua bollente e spiegano inoltre le enormi discordanze dei loro dati sperimentali, perchè tutti non operarono certamente nelle medesime condizioni. Ed in vero, si supponga di far bollire entro matraccio 3 litri di acqua con quantità forte di carbonato calcico e di mantenere, con debite aggiunte di acqua bollente, il volume del liquido costante sino al limite in cui la dissociazione del sale si arresta. Secondo le SO a mie ricerche questo limite è approssimativamente raggiunto quando 1 litro di acqua con- tiene 2. 0,02 circa di calce libera Ca0O. Allora se si facesse svaporare la soluzione sino a ridurre il suo volume ad un terzo, il litro che resterebbe della soluzione finale conterrebbe g. 0,06 di Ca0 corrispondente a g. 0,107 di CaCO,: numero che si avvicina al dato del Fresenius sulla supposta solubilità di questo sale a 100°, Ma è pur manifesto che aumen- tando molto la quantità dell’acqua, la durata del riscaldamento e la concentrazione della soluzione si potrebbero avere dei dati anche più elevati di quello trovato dal Pollacci, cioè di g. 0,143 di CaCO, per litro. Però, se in causa della sua dissociazioae non è possibile determinare la solubilità del solo carbonato di calcio nell'acqua bollente, ho pensato che si sarebbe potuto determinarne il limite in modo non rigoroso, ma abbastanza convincente, aggiungendo all’acqua una piccola quantità di un corpo atto ad impedire la dissociazione del carbonato a 100° senza alterare ad un tempo sensibilmente, sia per sua natura che per la sua piccola massa, la solubilità del sale. La sostanza acconcia a questo fine è appunto il carbonato di sodio. Se entro matracclo si fa bollire per 30 minuti 1 grammo di carbonato di calcio pre- cipitato con 200 cme. di acqua, a cui siasi aggiunto g. 0,01 di carbonato sodico anidro, mantenendo il volume del liquido costante con piccole e frequenti aggiunte dì acqua bol- lente e poi si filtra, la soluzione che si ottiene a 100° non intorbida affatto per aggiunta di alcune gocce di soluzione di ossalato di ammonio. Così raccogliendo sopra un unico filtro del carbonato di calcio precipitato di recente e lavandolo successivamente prima con acqua fredda, poi con acqua bollente e infine con acqua bollente contenente in 1 litro g. 0,05 di carbonato sodico anidro; ricevendo separata- mente entro tre matracci 200 cme. di ognuna delle soluzioni filirate, aggiungendo a ciascuna di esse alcune gocce di soluzione di ossalato ammonico e portandole tutte all’ ebollizione, accade che nel primo caso si ha, com'è noto, un lieve intorbidamento; nel secondo l’intor- bidamento è un po” maggiore quantunque il liquido bollente, attraversando lo stesso strato di carbonato, passi più rapidamente dell’acqua fredda; nel terzo caso la soluzione rimane limpida. Ma nel primo caso l’intorbidamento è dovuto alla presenza di piccole quantità di carbonato disciolto; nel secondo, almeno prevalentemente, alla dissociazione di questo sale, la quale nel terzo caso è impedita dalla presenza del carbonato sodico, talchè la soluzione resta limpida in ragione della completa o quasi completa insolubilità €31 carbonato a 100°, come dirò meglio appresso. Dopo queste prove preliminari ho eseguito il seguente esperimento. In un matraccio conico da 2500 cme. introdussi 2000 cme. di acqua distillata, parecchi grammi di carbonato di calcio precipitato purissimo e g. 0,1 di carbonato sodico anidro, ossia g. 0,05 per litro di acqua. Poscia feci bollire sostituendo di frequente con acqua bol-. lente il liquido che passava in vapore a fine di mantenere il suo volume press’ a poco costante. Dopo 2 ore e 30° di ebollizione filtrai e raccolsi 1 litro della soluzione limpida ed ancora bollente entro matraccio tarato, in cui fu poi misurata a 15°. Questa soluzione acidificata con poche ‘gocce di acido cleridrico, fu svaporata a bagno-maria sino a secchezza entro grande capsula di platino. Il piccolo residuo fu sciolto in pochi centimetri cubici di acqua e alla soluzione, versata in bicchierino da precipitato insieme all'acqua di lavaggio e quasi bollente, aggiunsi alcune gocce di soluzione di ossalato di ammonio. Dall’ossalato di calcio precipitato ricavai g. 0,0046 di carbonato di calcio, ossia poco più di un quinto del car- bonato che forma soluzione satura con 1 litro di acqua a 15°, ed ho: anche il dubbio che questo dato sia superiore al vero. In ogni modo, considerando che in questo esperimento . il carbonato sodico non può avere azione chimica sul carbonato di calcio, nè alterare sensibilmente la solubilità di questa in ragione della sua piccola quantità a confronto della massa tanto maggiore del solvente (1 parte in peso di Na,C0, e 20000 di acqua), credo di non errare pensando che il carbonato di calcio, qualora non fosse dissociabile a caldo, sarebbe insolubile nell'acqua bollente o molto meno solubile che nell’ acqua fredda. Con ciò si spiega perchè introducendo a temperatura ordinaria g. 0,01 di carbonato sodico in 200 cme. di soluzione priva di CO, e contenente in 1 litro g. 0,02 di carbonato di calcio, questa resta limpida, laddove, scaldandola a 100°, il carbonato di calcio, disciolto certamente in forma di idrato instabile, passa allo stato anidro e tutto o la maggior parte di esso precipita e intorbida la soluzione. Gli stessi effetti, ossia limpidezza a freddo e intorbidamento a 100°, si hanno aggiun- gendo a 200 cme. della medesima soluzione di carbonato, priva di C0,, 10 cme. ed anche meno di acqua di calce pura, la quale similmente al carbonato sodico impedisce a 100° la dissociazione del carbonato calcico e molto probabilmente, come l’ammoniaca, ne dimi- nuisce a questa temperatura la solubilità. Io porto opinione che la conoscenza di tutti i fatti messi in rilievo in questa mia nota sia necessaria al chimico analizzatore non meno che al tecnico, ad esempio nello studio e spiegazione dei fenomeni che avvengono nelle acque naturali non corrette impiegate nella alimentazione dei generatori a vapore, nei quali senza dubbio si avrà la decomposizione 0 dissociazione almeno parziale del carbonato di calcio e quella ancor più facile del carbo- nato di magnesio, a meno che l’acqua insieme ai bicarbonati terrosi contenga quantità notevoli e insolite di bicarbonati alcalini. È bensì vero che nelle caldaie a vapore inter- viene una particolare condizione, che è la pressione molto superiore a quella dell’atmo- sfera, ma è altrettanto vero che col crescere della tensione del vapore si eleva la tempe- ratura. La dissociazione del carbonato di calcio, che nel maggior numero delle acque natu- ralî comuni è il costituente predominante, recherà nel liquido della caldaia un lieve grado di alcalinità favorevole alla conservazione del ferro che trovasi a contatto continuo col- l’acqua di alimentazione del generatore. Nel tempo stesso la calce resa libera per la dis- sociazione del carbonato reagirà coi sali di magnesio e in particolare sul più nocivo alle pareti delle caldaie, cioè sul cloruro, generando cloruro di calcio stabile e idrato di magnesio quasi insolubile e inerte. I quali fenomeni, ben conosciuta che sia la composizione dell’acqua impiegata in un generatore, possono fornire altresì buoni argomenti per interpretare e spiegare la natura e la composizione delle incostrazioni. Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. 14 — 96 — D'altra parte la dissociazione del carbonato di calcio e quella ancor più facile del car- bonato di magnesio nelle acque non corrette sono accompagnate da svolgimento, sia pur lieve, di anidride carbonica, la quale, mescolandosi all’ anidride e all’ossigeno. libero appor- tati dall’ acqua di alimentazione, contribuirà in certa misura a facilitare | ossidazione del ferro in quelle parti «delle pareti del generatore che non restano costantemente coperte dal liquido. I fatti rilevati nella presente nota confermano pure che, neila correzione delle acque per caldaie a vapore mediante la calce e il carbonato sodico, il maggior effetto rispetto all’impedimento dei depositi può essere raggiunto soltanto quando, oltre il razionale e rigo- roso impiego di questi reattivi, si faccia intervenire un lieve eccesso di carbonato alca- lino nella misura bastevole ad impedire la dissociazione del carbonato calcico, non che il riscaldamento e il riposo prima che l’acqua corretta entri in caldaia. La correzione a freddo è ad un tempo lentissima e incompleta. Dirò infine che nella determinazione della calce precipitata in forma di carbonato sì può risparmiare molto tempo senza scapito di esattezza lavando il carbonato raccolto su filtro con acqua bollente che contenga g. 0,05 di carbonato sodico anidro per litro. Fatti i debiti lavacri, si comprime il filtro fra carta sciugante, poi si stende sul fondo di una piccola vaschetta di vetro, in cui si fa cadere da una buretta graduata della soluzione titolata di acido cloridrico sino a che il carbonato è interamente disciolto: alla soluzione sì aggiungono alcune gocce di aranciometile e con altra soluzione titolata di idrossido di sodio sì frova la quantità dell’ acido neutralizzata dal carbonato. Così operando si risparmia il tempo necessario per seccare il carbonato in stufa a 100°, per staccarlo dal filtro, per bruciare questo a parte e per altre operazioni ben note. L'errore che si commeile è trascurabile. Si supponga che nel carbonato di calcio com- presso fra carta sciugante rimangano 2 eme. della soluzione di carbonato sodico: questi corrispondono ad un’ alcalinità in carbonato alcalino di g. 0,0001: errore ben piccolo e forse compensato dalla tenuissima perdita di carbonato di calcio causata dai lavacri. Lo stesso risparmio di tempo non si avrebbe lavando sul filtro il carbonato di calcio con acqua bollente contenente il 5% in volume di ammoniaca concentrata, perchè il sale o dovrebbe essere seccato in stufa per scacciare ogni traccia di ammoniaca prima di scio- glierlo in soluzione titolata di acido cloridrico. tiassumo brevemente fatti, conclusioni e osservazioni. 1°. Confermato che nell’acqua bollente il carbonato di calcio molto lentamente si dis- socia perdendo anidride carbonica. 2°. In causa di questa dissociazione non è possibile ottenere una soluzione di solo car- bonato di calcio nell'acqua bollente. 3°. Questa dissociazione ha un limite ed è impedita quando il carbonato di calcio sta sospeso in acqua bollente, ad 1 litro della quale siasi aggiunto 15 cme. circa di soluzione di calce satura a temperatura ordinaria. t°. Questo limite alla temperatura dell’ ebollizione non esiste per il carbonato di magnesio, perchè la magnesia è base debole, quasi insolubile nell'acqua e poco avida di anidride carbonica, laddove la calce è base forte, alquanto solubile e avidissima. di CO,. LL e 5°. Dopo lunga ebollizione del carbonato di calcio nell’acqua, il corpo che passa in soluzione è interamente o quasi interamente calce libera. 6°. La quantità di calce libera che passa nell’acqua bollente che tiene in sospensione molto di carbonato dipende principalmente dal volume del liquido, dalla durata del riscal- damento e dalla concentrazione della soluzione. 7°. Piccole quantità di carbonato sodico, g. 0,05 per litro di acqua, bastano per impe- dire alla temperatura dell’ ebollizione la dissociazione e completamente o quasi completa- mente la solubilità del carbonato di calcio, tanto che il liquido filtrato bollente resta lim- pido dopo aggiunta di ossalato di ammonio. 8°. Il carbonato di calcio, che nasce in soluzione acquosa per azione chimica che avvenga a bassa temperatura, forma soluzioni soprassature, anche in presenza di calce libera, la stabilità delle quali, come quella di altri sali, dipende principalmente dalla concentrazione e dalla temperatura. 9°, La conoscenza di questi fatti ha interesse teorico per quanto riguarda la condi- zione di solubilità dei sali nell'acqua e interesse pratico nell’analisi chimica e nello studio di particolari quesiti di chimica tecnica. PAT Sui triangoli formati da tre qeodetiche sull’ Ellissoide terrestre ar NOTA Prof. FEDERIGO GUARDUCCI letta nella Sessione dell'11 Febbraio 1917 Ritengo non privo d’ interesse esporre un metodo che, per quanto mi risulta, non è stato ancora dato, per dimostrare che i triangoli formati da tre geodetiche sull’ El- lissoide terrestre si possono riguardare, quando siano trascurabili le quarte potenze di rapporti fra i lati ed uno qualunque dei raggi di curvatura dell’ Ellissoide stesso, come tracciati sopra una sfera di raggio V/ PN, (essendo pf ed N i raggi di curvatura prin- cipali in uno qualunque dei vertici) e risolverli perciò applicando il notissimo Teorema di Legendre. Le dimostrazioni che si hanno in proposito (fra le quali una di Gauss (*) che risulta indirettamente da altre considerazioni), non sono tanto semplici o, almeno, richia- mano teorie che non sempre vengono svolte nei corsi universitari. -— La presente dimo- strazione invece, svincolata da dette teorie, risulta con molta semplicità dai noti svi- luppi di Weingarten i quali, per la loro importanza, non vengono in generale omessi nell’ insegnamento della geodesia. Questi sviluppi ci dànno, come è noto, in funzione delle coordinate geodetiche polari, le coordinate cartesiane di un punto dell’ Ellissoide terrestre riferite ad un sistema di assi aventi l'origine in un punto dell’ellissoide stesso, l’asse della z normale alla super- ficie e colla direzione positiva rivolta verso l'interno di questa, e gli assi delle @ e delle secondo le tangenti principali, e sono le seguenti : Ei==SCOSA > cosa > Ò sen 2 L UTO + a + Ni 6 pie, 48 NR ni N 3 4 - T- ) sen2Lsenacosa + siena, pero oro Sl Led ) di ® 0 00 i NA LIMONER, 2 3 1 dar - =. 0sen2Lcosg ++.» 2Ra 4NR, ti (*) Cf. Disquisitiones generales circa superficias curvas. Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. 15 — 100 — ove s ed «x sono respettivamente l’arco di geodetica che unisce 1’ origine (nel nostro caso uno dei vertici del triangolo ellissoidico) ad un altro punto (altro vertice del triangolo), @ l’ orientamento di questo arco rispetto ad una delle tangenti principali, P, N ed R, respettivamente i raggi di curvalura delle sezioni normali secondo il me- ridiano, secondo il primo verticale e secondo la direzione a, ZL la latitudine dell’ ori- gine delle coordinate e 0 la costante —;=0.006719... 1—- 2° (e essendo l’ eccentricità dell’ellissoide terrestre), il cui quadrato si riguarda anch’ esso come piccola quantità del 1° ordine. Ricordando che si ha 1 Il 9 9 1 9 9 l Ò 2 — =_—(1+0cosZeosa)=-(1—0dcosLsena + +.) = —— (1+- cos°Zcos2a+ +) R, N p VpN 2 ed esprimendo negli sviluppi precedenti f, N ed R, per y/ pN, essi divengono 5) s3 si x =scosa—— =; +dcos'Lcos'a —-——;-Osen2L[9c0s°a + sen'a]+-- 6V pN° a o sì y =ssenad — — Sena + —=—=3 + dcos° Lsen® E 3*Òsen2 Zsenacosa + + 6V pN° vo 6 pN SÌ n) sì = >= + —=='0cos°Lcosa— ——-dsen2 Lcosa + - 2NpN 4V pN 4V pN° Moltiplicando e dividendo i secondi membri di queste espressioni per j/ p N e man- tenendo i soli termini di 3° ordine, esse si riducono .alle si = s s es Nessa | i _- - +. | Mii PN 6/4 pN È dl <= == sen SS AE Bo y=y pNsena 7a o 0) — s° Si 5 Lu ZZI| = -doosLcosa + -. | 2 pN° US VAIO e osservando che, colla approssimazione del 5° ordine si ha s Sì “pe ===> == == Nn VPN 6VpN° Za e coll’approssimazione del 4° s° Ss sil —icos = = 2800 2V pN° VpN 2 pN — 101 — 2 a, Ò . x 2 è = a : e osservando che nel secondo termine di z sì può porre sen in luogo di nr 4V pN N 2V pN le precedenti si semplificano ancora e divengono ME y/ p Ncosasen -—- Zon (1) y= y/ pNsena - sen a VpN L°) Ò sz =2 Nsen® È +5 cos'Leos2a + -. | /pN ma 9 e Facendo i quadrati di queste espressioni, sommando e indicando con % la corda del- larcols, si avrà: s C+ y + 3° = k° =pN [sen deere 4sen* o cp —= VpN Do) 2V pN + 40sen' SES os T,cos 2094 - | 2V pN e, coll’ approssimazione considerata, k°—4pN pNsen? vin da cul = N: V pNsen Jin la quale esprime la ]Junghezza della corda sottesa da un’arco s sopra una circonferenza di raggio VPN, e ci dice che sopra una medesima corda &, insistono archi uguali di una circonferenza di raggio VATI e di geodetica sull’ Ellissoide facente capo ad un punto nel quale i raggi di curvatura principali sono fg ed N. Per altre geodetiche partenti da un altro punto in cui i raggi di curvatura prin- cipali fossero f, ed N, le conclusioni sarebbero identiche e solo varierebbe il raggio della sfera; ma poichè per distanze fra questi punti dell’ordine di grandezza dei lati di tali triangoli geodetici i detti raggi differiscono fra loro di quantità del 1° ordine, così le dette conclusioni si potranno ritenere valide per ognuno dei tre vertici e, con- seguentemente anche per un punto interno qualunque del triangolo. Per vedere che la sostituibilità del triangolo sferico a quello ellissoidico ha luogo anche riguardo agli angoli, riprendiamo le (1) e applichiamole ad un altro punto di coordi- nate 2, Y, 3); le cui coordinate geodetiche polari siano s, ed a, ; avremo così analogamente : x,= pNcosa, sen ——— il zo È pa } N (2) yi VPpNsena, ui Ò = — 2/7 pNsen® |! + > cos°Lcos2a, + | 2V/pa Se Formando con queste e colle (1) il coseno dell’angolo V delle corde R e k,, ossia l’ espressione xe, + yy, + 23 e ene ! kk, troviamo, mantenendo la solita approssimazione, pIÒN s SI cosV = “— | sen —— - sen —L— cos (a — a) + 4sen° —— sen —L— + . kh VPN Vp.N Tan zo e, in modo analogo, sopra una sfera di raggio VPN e per due archi s ed s, uguali precedenti ed orientati secondo angoli 8 e 8,, sparirebbe il termine in Ò nelle (1) e (2) e si otterrebbe analogamente PN( 3 o cosV. = — ui 7 Sen °1__ cos ( (8 — 8) + 4senÈ i n. 1 kk, | VpN N PN 2V pN e poichè i triangoli delle corde sono uguali sull’ Ellissoide e sulla sfera, così sarà anche V= V, e conseguentemente a—a=b— 8, ossia ì due angoli corrispondenti dei triangoli ellissoidico e sferico saranno, nella ap- prossimazione ai termini del 4°, dine, uguali fra loro. Bologna, 2 Febbraio 1917. I teoremi del gradiente, della divergenza, della rotazione sopra una superficie e loro applicazione ai potenziali. TRACOTTE MEMORIA DEL Prof. PIETRO BURGATTI letta nella Sessione del 14 Gennaio 1917. I teoremi fondamentali del gradiente, della divergenza e della rotazione, espressi nello spazio ordinario dalle note formule sd) Seraara » — | gndo, divuds = fu X ndo, i rotuds = — fu \ ndo, a È g S Fs VS ove i simboli hanno significato manifesto, valgono beriò nella medesima forma — mutatis mutandis — per le aree piane, ma non per le superficie curve limitate da un contorno. Il Beltrami, nelle sue classiche ricerche concernenti la variabile complessa sopra una superficie, trovò alcune formule di trasformazione per gl’ integrali di superficie che fanno riscontro a quelle dello spazio; ma, ingombrate come sono di elementi introdottisi per l’impiego non necessario delle coordinate curvilinee, e limitate a speciali enti analitici, non si presentano in quella forma esplicita e generale atta a rivelarne la natura e l’intero campo delle loro applicazioni. A colmare questa lacuna provvedono le for- mule (10) (11) (11') (12) di questa Nota ; le quali sono state dedotte con mezzo facile e rapido dalle (0) relative allo spazio, previa introduzione di operatori superficiali ana- loghi agli operatori spaziali grad, div, rot. Fra le applicazioni più interessanti per la fisica matematica delle accennate formule ho scelto quella stessa che fece il Beltrami nello studio sulle discontinuità dei po- tenziali ; studio ripreso e completato recentemente dal Somigliana (*). Il lettore vedrà quanta maggior speditezza e rigore acquisti cotesta ricerca per se stessa complessa e delicata, e si renderà conto dell’origine dl certi enti geometrici che figurano nei risultati. (*) Beltrami « Intorno ad alcuni nuovi teoremi del SIE C Ne manaminiz i » opere complete Tomo III. Somigliana « Sulle derivate seconde della funzione potenziale di superficie e di doppio strato » R. Acc. Torino 1916. Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. 16 — 104 — 1. - Indicheremo con $@, U, a rispettivamente uno scalare, un vettore e una omo- grafia vettoriale funzioni dei punti M d’ uno spazio .S, nel quale è tracciata una superficie o' limitata dal contorno s; poi, con Pi punti di o, con n un vettore unitario (funzione di P) parallelo alla normale in P a o, che supporremo determinato in ogni punto e varia- bile con continuità. Chiameremo gradiente superficiale di @ (*), e lo indicheremo con grad;$, il vet- tore definito nei punti di o da (1) grad;$ = gradd — (N X gradp) n, essendo grad il solito gradiente spaziale. E nient'altro che la proiezione di grad@ sul piano tangente nel generico punto P. Risulta subito, per ogni spostamento d/° nel pian tangente, grad X dP=dP; ed è pur manifesta la formula 08) grad; (P-)) = Pgrad,) + yerad;P. Più generalmente il gradiente superficiale dell’omografia a sarà definito su o dalla formula Li) rad.a = grada (En) n ( grad;a = gra TP : Inoltre chiameremo divergenza superficiale di u, e la indicheremo con div;4, la gran- dezza scalare definita da . du 3 (2) div;U = divu — (T n) Xn: Essendo a un vettor costante, dalla (1) si trae per note formule gradd Xa= gradd X at (nX grad7) (a X n) = div-(@a) — (196 n) X n; per conseguenza (3) grad: Dadi (ap) 3 cioè vale per questi operatori superficiali la corrispondente proprietà valida per gli operatori spaziali. (*) Fu già introdotto da Burali-Forti « Fondamenti per la geometria differenziale.... » Rend. Cir. Mat. Palermo, "l'omo. XXXIII, 1912. — (°) Con questi operatori si esprimono i parametri diffe- renziali del Beltrami, Risulta Arp=(gradsp) Ao, 0) = gradipx grado), Asp=divogradop. — 105 — Più generalmente, ponendo nella (2) U = KXaa, e applicando note formule, si deduce dK. i div; Kaa = divKaa — (E n) X n da = grad — (— : grada X a (Fan)nxa; e quindi (4) div: Kaa = grad;a X a. È pur facile verificare che sussiste la formula (come per gli analoghi operatori spaziali) (5) div;(9U) = Pdiv;u + grad;d X u. Infine definiremo la rotazione superficiale di u mediante la formula 6) rot;u= rotu — N / Ai n | Sa dP °° Essendo rou Xa=div (a /\ u) = div, (a \u)— (190! n) X n : du —divs(ga AU —-2 75 sì deduce, anche per gli operatori superficiali, la relazione nxn, (17) rots5u Xa=div;(a /\ uu). Per gli scopi di questa Nota bastano queste poche definizioni e formule. dn ; i Avvertiamo che gp è una omografia funzione dei punti P di o e che Perciò dalla (2) si trae div;n=divf; e questa grandezza non è altro che la curvatura media della superficie (*). Inoltre è o: SETA du da notare che quando @ e u son definiti soltanto nei punti di o, gradp X n e ap! a (*) In coordinate cartesiane, detti X, Y, Z i coseni di direzione di n, si ha manifestamente GUN dI IZ dr de divyn= = DIL da dy 1 ds? che è appunto la nota espressione della curvatura media. — 106 — devono ritenersi nulli, rappresentando le derivate di @ e u nella direzione della nor- male; e però in tal caso sì avrà grad; = gradd, divu= divu, rotu= rotu. 2. - A partire da o prendiamo sulle direzioni positive delle normali un piccolis- simo segmentino £. Il luogo dei punti (8) P,=P+en è una superficie o, parallela a o. Noi considereremo lo spazio lamellare S compreso fra o, 0, e la superficie laterale 2 luogo delle normali estreme tirate pei punti del contorno s. Essendo per la (8) dn dn + dB, PA pe ORI 0 Pe 50, dP si deduce (trascurando i termini in e°) dn dn od )P)= DE Je) — dP NES 1) >) mod (4P, \ dP,)) = mod [e NOP e (334 A dF SpA e A dl )| — mod È dor (aivi — x 55) | (AP \ dP) (*). Ma, detti do e do, due elementi areali corrispondenti delle superficie o e 0, si ha dn dB. V0P=ido Med Ri PT _vodn Kan=0; perciò risulta (9) do,=(14+ edivn)do. Ciò posto, se u è un vettore funzione monodroma, finita e continua dei punti dello spazio lamellare di sopra definito ed ammette divergenza, si ha per un noto teorema (vedi le (0)) e [aivuas=— [us X ndo + fu, X ndo; — fu X vdQ S do I 0) d0Q essendo v un vettore unitario che definisce la normale interna in un punto generico di Q. Essendo u,, = U; (P + en), il 2° integrale del secondo membro diventa, usando la (9), . I | d fue+ en)(1+-edivn) to= fu X ndo + ef (5) DG ndo +e | divn-u X ndo ; ij Lego] lo) (o) (*) In generale «(4 A v) =Za-U\V—U/ Kav+v/ Kay (An. Vect. Gén. di Burali-Forti e Marcolongo - T. I - pag. 86). de d . Nel caso nostro poi è /, ea divn. dP — 107 — in cui si son trascurati i termini dell’ordine di e°. D'altra parte faivuas= de fdivuao, fu Dq via = de U X vds; S 0 le) Q 0 Ss talchè infine sostituendo e passando al limite per e = 0, risulta (ra du fi fivudo =/( n) XxX. ndo + f(a ni n) divndo sa X.vds.; ossia, per la (2), (10) faivsuto = f(u X n) divndo — fu MA Vdso ove qui v è in ogni punto di s normale al contorno e normale a n. In questa formula consiste il teorema della divergenza sulle superficie curve, 0, come diremo, è teorema della divergenza superficiale. Differisce dall’ ordinario teorema che gli corrisponde nello spazio e nel piano per la presenza di un termine in cui figura la curvatura media della superficie che si considera. Posto in (10) u= ga, ove a è costante, per la (3) si trae 10(C190) grad;Pdo = [qu -divndo — [Gua «0 (o 8 che esprime i teorema del gradiente superficiale. Più generalmente usando la (4) si deduce per le omografie » (0120) f grad; ado = fan . divido — f avis UU lo SES Infine, ponendo in (10) a /\ u al posto di yu e usando la (7) si ottiene funvds; e u (12) [ roisudo iI A n) divndo — (e) (o] che esprime il teorema della rotazione superficiale. Si tenga presente che queste formule valgono anche quando @, U, o gli elementi di a diventano, in qualche punto di o, infiniti come — (r = mod (P— @)), giacchè son 3 x state dedotte da un’analoga formula dello spazio che è valida, come si sa, anche in quel caso. Parmi notabile il fatto che dalla (10) si può tosto dedurre il teorema di Stockes. Invero, ponendo Uu= n / w, si trae faotwx ndo = — fn Awxwda= fwxnivas=fwxd2; — 108 — e poichè o può scegliersi ad arbitrio nel. campo ove è definito w, questa formula esprime appunto il teorema di Stockes. (D) 3. - Abbiasi il potenziale di semplice strato P D — | Le do (= mod (P— M)) CANNA e in cui l'integrale è esteso alla superficie o limitata dal contorno s, quale fu considerata nei paragrafi precedenti. Si ricava Îl gradyD = — fu grad p = do% co] Nel secondo membro tralascieremo 1’ indice P per non complicare la scrittura ; ma s’ intenderà che ogni operazione sotto l’ integrale è fatta rispetto ai punti P di o. Usando la (1) e la (1’) si ha 1 1 gradyD = — J u [rad 7. + (n X grad =) n| do (o) orad, di = — feraa, € do + feed fu — ndo . È r FRRcd7). FAN Al primo integrale si può applicare la (11) e si ottiene rad div n- di. (13) grady® = (Aa (Ea fut ndo + fLvas; ERICA È, dn ne Va formula dovuta sostanzialmente al Beltrami, a prezzo di calcoli laboriosi, per quanto elegantissimi. Nel secondo membro compaiono tre potenziali (vettori) continui attra- verso €, ed un potenziale vettore di doppio-strato (il terzo) che possiede una nota discontinuità. Si ha dunque (14) gradD). = — 47un, indicando in generale con [a]: la discontinuità di un ente qualunque a. Per un potenziale-vettore di semplice strato V(P u== = do , Vo Ta sì ha, in virtù della precedente, [grad (uX a): = — 47(VvXa)n, essendo a un vettore unitario costante. Ne consegue per note formule (*) (*) A. V. G. - T. I, pag. 8I. La Z7 (v, n) è una diade che vale l’operazione (VX ) n, e però HNma=(vxa)n. La 4 (n, v) è la sua coniugata; quella cioè che si ottiene dalla precedente con l’operatore X. la: — 109 — du [x EEA n) Coen dM |; e quindi du [= —T—-47H È Le (14) e (15) danno in forma assoluta le discontinuità degli enti derivati di primo ordine dei potenziali scalari e vettori di semplice strato, e perciò forniscono, quando occorra, la discontinuità d’una derivata in una qualsiasi direzione. Così [grad ® X n= [RE] =—4rxunXn=— 47u Òòn dà la discontinuità della derivata normale ; e du du —_— = — Te — Ireneo 5 4 ES RI 4rH(n,v)n ITV quella della derivata normale di u. Osservando poi che gl’ invarianti di IM e di Z (n, V) i sono rispettivamente divu e v X n, si deduce subito [divu];= — 47 (VvX n); e con una osservazione analoga [rotu|= — 47 (NAV. 4. - Consideriamo ora la funzione potenziale di doppio strato Ù v= (uterndr x md (R=7) dove 0, 4, N hanno il significato precedente. Si ricava dgradpR d FIA grad y V = fu grady (gradp R X n) do = [uk (o) (o) E J dgrad È nc Ta 165 dP i dn "] hegssS==)EeMada lat giacch IM a dalla formula d(ugrad R dgrad È | E U gp + (gradu X )gradE sì trae, per mezzo dell’operatore K, d(ugrad RK) dgrad R K “iran + (gradR x )gradu; per conseguenza si può scrivere peri eradyY = — fa sù ) ndo + [fear X n) gradudo . (0) Per ridurre il primo integrale a forma cui sia applicabile qualcuno dei teoremi del n. 2, bisogna trasformarlo mediante la formula du Il d SR ndgi== dP J( ida 5 DSG È A i che è una conseguenza di quella di Stockes (*), applicata allo speciale diaframma o. Facendo u= ugrad A sì trova oradyl = — faiv i grad R) ndo + f(erada X n) gradudo + fuerade NE: == — fedivaraa a ‘ndo — f (era X grad R)fdo + 000... (o) Uso) Ma | Il Je divgrad = —A—_0, ssradu_ gradi, serali 0 20 P gradu X gradk = grad;u X grad; ft = div;(Rgrad;u) — Rdivgrad;u ; per conseguenza grady VP = — faive (figrad;«) ndo + f Rdivsgrady ‘ ndo +/ (grad X n) gradudo + (o) (e) (e) + fuerada NIE D'altra parte la nota formula (**) dn grad H (4, n= = divu:n + dp u è pure valida per gli operatori superficiali, come è facile verificare; e cioè, fatto (*) Basta porre nella formula di Stockes nx rotudo = fU XxX dP ;} J u /\ a (a=cost) al posto di u, e sviluppare. A. V. G., T. I, pag. 117. (C)UA. VG man: TE, — 111 — u= Fgradu, si ha 4 grad; H (Rgradu, n) = div;(Rgradu)-n+ RI grad/. ; a talchè, applicando la formula (11°), e notando che gradu X n= 0, risulta dn i div; (Agradu)-ndo = — Rip eradudo - | R (gradu X v) ds . (o) o s Per mezzo di questa il grad'PY acquista l’espressione del Beltrami DI ldn STORE (al (17) grad Y =: gp Sradudo +|} div;grad u - ido +| o grad udo SI 1 } Il + |È (gradu X Vv) ds + I Ugl \\@PE i E Uhr P Poichè soltanto il terzo integrale rappresenta un potenziale-vettore di doppio strato, che ha nota discontinuità, risulta subito attraverso @ (18) [grad Y]-= 4rgradu . Se si ha un potenziale-vettore di doppio strato 05 wW= | — Udo, SAREGO allora per la precedente risulta [grad (W X a));= 47grad (W X a) (a = cost) ossia e quindi dW du 1 dr — , Se, [Fal ip Questa e la (18) danno in forma assoluta la discontinuità degli enti derivati di prim'ordine di W e w. In particolare si deduce subito VP l i (Gel =0 [divw];= 47divu, [rotw]: = 4rrotu . dn |; 5. - Le discontinuità degli enti derivati di second’ ordine delle ®, e ‘Y si ottengono immediatamente. Riprendendo la (13), e ponendo per comodo n 0 4) 1 gradu — udivn-n de URE= | Sat), 2000 | = — no ATER r 2 La dig est) Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. Lr? — 112 — che sono due potenziali-vettori rispettivamente di semplice e di doppio strato, si deduce dgradD] _ fdu, du, dM |; daM]; dM |; Applicando le (15) e (19) al caso presente, si trova derad® d(un) Î 2 ——_— [= 4n,H i SL (20) | dM Ì iz ove b= gradu — udivn-n, Analogamente dalla (17) si trae dgradY dN, dV, —_—_ [ =<[I—_-[J+{[{—-® dM Js; AM |; AM Kg ove cal a da l | VE «Mit == gradu = do (potenz. vettore di semplice strato) Ts dP ? SUR 0 V= | vi gradudo (potenz. vettore di doppio strato). I 0 Perciò, applicando ancora le (15) e (19), risulta dgradY deradu (200) (E 3 | EI in cul dn c=du-:n+ Tp eradu Queste formule pongono in evidenza la vera natura geometrica della discontinuità, Scri- vendo la (20) nella forma dgrad® sin Ri dun | 224 n E UE FTT ustdivn n, n) mi H(n,gradu) + ap \} si vede che la 1* omografia, trasformando ogni vetlore in un vettore parallelo a n, caratterizza la parte normale della discontinuità ; mentre la seconda, trasformando qua- lunque vettore in un vettore perpendicolare ad m, caratterizza la discontinuità tangen- ziale (*). Analoga osservazione vale per la (21). Considerando gl’ invarianti primi d’ambo i membri, si deduce in particolare per formule già ricordate le note proprietà espresse da [divgradD], == [Ad], ==) [divgradW]o == [AV], = * i > E: dun vi dn À È _ dn (*) Z (n, gralt)a = (nxa)gradh e doaxm=epfaxn=pax Kn=0. NNT Vr I FERMENTI DIASTASICI E LA MOBILIZZAZIONE DELLO ZUCCHERO NELL’ ORGANISMO RICERCHE DEL Prof. PIETRO ALBERTONI e LUISA DERTIL (Lette nella Sessione del 4 Marzo 1917). Bernard (1) basandosi sull’ osservazione che nel fegato subito dopo la morie si forma glucosio dal glicogeno, attribuiva la trasformazione all’ opera di uu enzima, e sosteneva che lo stesso processo dovesse verificarsi durante la vita. L'esistenza di questo fermento epatico fu confermata da v. Wittich (2), il quale fece osservare che anche dal fegato ben privato di sangue colla lavatura si estrae me- diante la glicerina un fermento saccarificante : un corpo del resto assai diffuso, aggiungo v. Wittich, perchè si ottiene indubbiamente, sebbene in lievi quantità, dal sangue, dallo siero, dal tessuto renale, dal cervello e dalla mucosa gastrica. Invece Seridan Lea e Florence Eves, Noèl Paton, E. Cavazzani, Monier negano la partecipazione di un fermento alla formazione dello zucchero nel fegato durante la vita, e la ritengone funzione del protoplasma delle cellule epatiche. Una veduta intermedia viene sostenuta da Dastre, da Pfliiger, da Pugliese, secondo i quali la formazione di zucchero nel fegato è un processo vitale, nel senso che la diastasi epatica si deve considerare come un prodotto delle cellule epatiche, un prodotto di scom- posizione del protoplasma sotto |’ influenza di stimoli specifici. Varie esperienze hanno messo fuori di dubbio che | estratto di fegato può esercitare potere saccarificante quando sia sospesa l’ attività cellulare. Infatti Salkowski e Cri- stina Tebb videro che un estratto di fegato con acqua di cloroformio, che sospende l’attività cellulare ma lascia intaiti gli enzimi, possiede potere saccarificante. Arihus e Huber (3) seguendo lo stesso concetto hanno dimostrato che una soluzione 1% di (1) CI. Bernard, Sur le mécanisme de la formation du sucre dans le foie. Compt. r. XLI. 461. 1855. (2) v. Wittich, Diastatiche Fermente in 'Thierkòrper. Pfligev s Archiv. Bd. III p. 342. 1870. (3) M. Arthus et Adolphe Huber, Ferments solubles et ferments figures. Arch. de physiol. 1892 [5] 4, p. 651. ie fluoruro di sodio sospende ogni attività cellulare, mentre lascia integra l’attività dei fermenti solubili. Ora un estratto di fegato preparato con soluzione di filuoruro di sodio conserva dopo settimane e mesi la capacità di trasformare il glicogene in zucchero. Pick (1) ho completamente confermato questi risultati; egli vide anche che il violetto di metile inibisce alquanto lazione della diastasi epatica, e che un potere inibitore molto più intenso ha la chinina. Arthus e Huber ritennero quindi dimostrati, in base a dette esperienze, i due concetti fondamentali di Bernard: 1° che nel fegato si forma zucchero dal glicogene, 2° che la formazione di zucchero dal glicogene nel fegato avviene per opera di un fermento diastasico. Bial (2) nelle sue accurate ricerche con- ferma che la trasformazione del glicogene in zucchero avviene nel fegato mediante un fermento diastasico, il quale è identico a quello del sangue e probabilmente deriva dal medesimo. Questo fermento non è un amilasi, perchè questa scompone il glicogene in acroodestrina e maltosio, mentre tanto il fermento diastasico del fegato, che del sangue, scompone il glicogene quasi esclusivamente in glucosio con lievi quantità di maltosio e di isomaltosio (Bial, Tebb, Borcharadt). L'idea di Bernard ha fatto ulteriori progressi dopo la dimostrazione di una diastasi diffusa nel sangue, nella linfa, nel fegato e in altri organi, data specialmente da v. Wit- tich, da Bòhm e F. Hoffmann, da Bial, da Rohmann, da Pick, da Borchardt, da Wohlgemuth. Viene ricordato che secondo Magendie (3) il sangue ha la capacità di trasformare l’amido in zucchero, che questa saccarificazione avviene tanto nell’ organismo per iniezione intravenosa di amido solubile, che fuori facendo agire il sangue e lo siero sulla colla d’ a- mido: ma vedremo che questo è solo in parte accettabile. Al tempo di Magendie non era facile un dosamento esatto dello zucchero del sangue e la sua esperienza si riferisce ad un coniglio nel quale il sangue che non conteneva prima zucchero dava la reazione di zuc- chero dopo l’ iniezione intravenosa di amido. Grohe ha trovato nel chilo un fermento diastasico proveniente dall’ intestino. E le osservazioni sull’ esistenza di fermenti diastasici diffusi nell’ organismo vennero confermate da Bernard, da Hensen, da Schiff, da v. Wittich, da Seegen, da R. Bòohm e Hoffmann ed ampliate nel senso che anche il glicogene viene saccarificato dal sangue come l’ amido. Tiegel e Pl6sz sostennero che il fermento saccarificante non era disciolto nel sangue, ma proveniva da disfacimento dei globuli rossi. Secondo v. Wittich il fer- mento è un prodotto generale del ricambio. Magendie (l. c.) osservava che facendo infondere cervello, cuore, polmoni in acqua a 40° quest’infuso trasforma l’amido come fa l’infuso di pancreas, quantunque in grado minore. Lussana, Seegen e Kratschmer hanno sostenuto che tutti i corpi albuminoidi hanno la capacità di trasformare |’ amido in (1) Fr. Pick, Hofmeister” s Beilrige B. III, p. 163. 1903. (2) M. Bial, Ueber die Beziehungen des diastatischen Fermentes des Blutes und der Lymphe zur Zukerbildung in der Leber. Pfliiger” s Arch. 1894 Bd. LV. pg. 434 e Bd. 54 pg. 72. 1893 e Bd. 52 p. 137. Vedi anche Archiv. f. Physiol. 1901 p. 249. (3) Magendie, Note sur la presénce normale du sucre dans le sang - Compt. r. de 1’ Accade- mie 1846 pag. 189. Bee. — lo — zucchero, ma le soluzioni sterilizzate di albumina non hanno quest’ azione (Dastre). M. Bial sotto la direzione di Ròohmann ha trovato che: 1°) nello siero del sangue e della linfa è contenuto un fermento diastasico, che non sì trova nelle ematie: 2°) il fermento diastasico del sangue e della linfa si differenzia da quello della saliva, del pancreas, del- l'orzo germinato perchè trasforma l’ amido non in maltosio e destrina, ma in destrosio ; 8) il maltosio e 1° acroodestrina vengono scomposti dal fermento diastasico dello siero sanguigno ; 4°) la glicerina impedisce l’ azione di questo fermento. Nelle sue esperienze Bial trattava 50 cc. colla d’ amido 1° con 5 cc. siero di sangue di cane, dopo 2 ore trovava 0,34%, di zucchero. Cristina Tebb (1) e Borchardi (2) hanno dato la dimostrazione che il fermento epatico asettico sdoppia il glicogeno con produzione di glucosio; e che l’ enzima epatico differisce dalla ptialina, dall’ amilopsina e dalla maltasi per la natura del prodotto finale che si ottiene, che è glucosio e non maltosio. L’ esistenza di maltasi nello siero venne affermata da E. Fischer e Niebel, da Gley e Bourquelot; e la separazione dell’ amilasi dalla maltasi è riuscita a Bial distruggendo la maltasi coll’ alcool, mentre rimaneva integra |’ azione diastasica. Invece Abderhalden e Brahm (3), valendosi del metodo ottico, concludono che lo siero normale di cane adulto non scompone nè 1’ amido, nè il saccarosio, nè il raffinosio, nè il lattosio. Sull’ origine del fermento e sulle condizione che ne regolano la produzione ricor- diamo le esperienze di Pugliese (4) e quelle di Moekel e Rost (5). Pugliese con- ferma l’esistenza nel fegato di un enzima capace di trasformare glicogene e amido special- mente in glucosio; fermento che non arriva al fegato dal sangue e dalla linfa, ma al con- trario viene versato in circolo dal fegato. L'azione diastatica del fegato è normalmente meno intensa in quegli animali che posseggono uno siero sanguigno poco attivo sull’amido e sul glicogene, ed è quasi nulla nei cani e gatti neonati. Dalle numerose esperienze di Moeckel e Rost, fatte cavando un po’ di sangue, facendolo agire su colla d’ amido, e determinando lo zucchero formato e da questo la quantità del fermento, rileviamo che il contenuto di amilasi nel sangue di varie specie è molto differente; corrisponde al potere digerente. Il sangue di diversi distretti vascolari non mostra differenze essenziali nel con- tenuto in amilasi, la quale diminuisce dopo l’ estirpazione del pancreas, tende ad aumentare per il treddo, per l’ astinenza e per la somministrazione di pilocarpina, di stricnina. Secondo Loeper e Ficai l’ enzima amilolitico dello siero deriva probabilmente dal pancreas: aumenta per l’uso di riso. (1) Christine ‘l'ebb, Hydrolysis of Glycogen. Jour. of Phisiology 1898. Vol. XXII N. 5. (2) L. Borchardt, Ueber das zuckerbildende Ferment der Leber. Pfliùger s Arch. Bd. 100, p. 259, 1903. (3) E. Abderhalden u. C. Braham, Serologische Studien mit Hilfe der optischen Methode II. Zeit. f. phys. Chem. Bd. 68 p. 429, 1910. (4) Angelo Pugliese, Contributo allo studio del fermento saccarificante del fegato. Archivio di Farmacologia e Terap. Vol XII f. 4. Agosto 1906. (5) K. Moeckel u. F. Rost, Ueber den Ursprung und die Bedeutung des amylolytischen Blutferments. Zeit f. phys. chem. Bd 67 p. 488. — 116 — Ammessa |’ esistenza nel fegato di un proprio fermento diastasico vari Autori, come Zegla, Wohlgemuth e Benzur, Schirokauer ed altri hanno anche ricercato le condizioni patologiche che influenzano il processo e cercato di interpretare certi stati morbosi con modificazioni quantitative del fermento (1). * * x Queste esperienze dimostrano con sicurezza |’ esistenza abbastanza diffusa di un fer- mento diastasico, ma essendo state eseguite in vitro non assicurano egualmente della sua esistenza e attività nell’ organismo vivente, e meno ancora danno luce sul significato e sulla funzione del fermento. Come si debba andare guardinghi in quest’ argomento lo insegnano i risultati negativi di Abderhalden e Brahm (I. c.), le nostre ricerche e quanto si sa intorno al fermento glicolitico, che ha dato luogo a tanti lavori fittizi, mentre Arthus (2) ha trovato che detto fermento si formerebbe solo fuori dei vasi dai leucociti e perderebbe ogni attività a + 55°. Oggi poi sappiamo da Abderhalden e da Weinland come siano diffusi i fermenti pro- tettivi per gli idrati di carbonio e come siano facili a prodursi e svilupparsi per | intro- duzione paranterale di zucchero di canna, di zucchero di latte, di amido solubile. Manca adunque finora una diretta prova che il glicogene sia destinato nell’ organismo a dare glucosio per opera di fermenti. Noi siamo riusciti a fornire questa prova con una serie di esperienze nelle quali abbiamo determinato lo zucchero del sangue carotideo prima e dopo l’ iniezione per la vena giugulare di una soluzione di takadiastasi di noto potere saccarificante. Venti minuti dopo l’ iniezione la quantità di zucchero è molto aumentata nel sangue; |’ aumento manca se la soluzione di takadiastasi venne prima sottoposta a bollitura. L’ aumento dello zuc- chero poi non si mantiene a lungo, ma è quasi scomparso dopo un’ ora. Riferiamo brevemente alcune esperienze a illustrazione dell’ argomento. La takadiastasi di Parkes-Devis usata per le esperienze venne esaminata nel suo potere digerente con colla d’ amido. A gr. 0,5 di amido solubile Erba disciolto in 50 c. c. acqua distil- lata si aggiunsero centgr. 5 della takadiastisi e la miscela messa a digerire in bagno- maria a 38° per 30 minuti. Si dosa in 20 c. c. il glucosio formatosi e si trova nell’intera quantità di 50 c. c. gr. 0,242 di glucosio. Taukadiastasi. 23 Gj. 1917 - Cane sano di Klgr. 10. Si cava sangue dalla. carotide sinistra, gr. 36, facendolo giungere direttamente nel reattivo nitrato mercurico (reattivo Bierry-Portier-Mayer), poi si iniettano per la vena giugulare 40 centgr. di taka- diastasi sciolti in 15 ce. ce. soluzione fisiologica. Dopo 20 minuti si cavano dalla stessa carotide gr. 37 di sangue che dalla cannula giunge direttamente nel reattivo mercurico. Il cane per |’ iniezione non presenta nessun fenomeno. Il sangue cavato venne privato di albumina e si ottenne un liquido puro, limpido, nel quale venne determinato lo zucchero secondo Allihn. (1) L'argomento è riassunto nel lavoro di Frieda Orkin, Die Leberdiastase bei experimenteller Nephritis. Zeit. f. Klin. Medecin Bd. 74 p. 483. 1912. : (2) M. Arthus, Glycolyse dans le sang. C. r. 1892 CXIV. p. 605. Arch. de physiol. 1891 p. 425 e 1892 pe. 337. — 117 — Primo sangue gr. 36 conteneva gr. 0,0472 glucosio e per mille gr. 1,3. Secondo sangue, dopo la takadiastasi, gr. 37 conteneva gr. 0,0763 glucosio e per mille gr. 2,06. Takadiastasi 6 Fbj. 1917 - Cagnetta deperita di Kgr. 5. Si cava sangue dalla carotide gr. 29. Si inietta per la giugulare centgr. 40 di: taka- diastasi sciolti in 12 c. c. soluzione fisiologica. Dopo 20 minuti dall’ iniezione sì cavano dalla stessa carotide gr. 19,4 sangue - e dopo 50 minuti si cavano dalla stessa carotide gr. 17 sangue. Tutti i saggi di sangue furono raccolti direttamente dalla carotide nei bicchieri con- tenenti 25 c. c. reattivo Bierry-Porlier e si è determinato il glucosio col metodo di Allihn, alcalizzando prima il liquido. 1° saggio - sangue gr. 29 contenente gr. 0,0285 glucosio cioè per mille gr. 0,98 glucosio. 2° saggio - sangue gr. 19,4 contenente gr. 0,0273 glucosio cioè per mille gr. 1,40. 3° saggio - sangue gr. 17 contenente gr. 0,0156 glucosio cioè per mille gr. 0,917. In tutie le esperienze ebbesi un aumento cospicuo nella quantità di glucosio del san- gue dopo l’ iniezione della takadiastasi, aumento che scompariva del tutto dopo un’ ora dall’ iniezione. Che si tratti di esclusiva azione del fermento lo dimostra il fatto che la bollitura aboliva ogni effetto. Takadiastasi bollita 14 II 1917 - Takadiastasi fatta bollire per un’ ora in apparecchio a ricadere, 1 gr. in 50 c. e. soluzione isotonica, si filtra. Si iniettano nel cane 20 c. c., sul resto si fa la prova con salda d’ amido che riesce negativa. Cane di Kgr. 7 - Si raccolgono 23 gr. sangue in 25 c. c. reattivo Bierry-Partier, si iniettano ‘20 c. c. della soluzione di takadiastasi bollita. Dopo 20 minuti si tolgono dalla carotide gr. 25 sangue fatto arrivare direttamente in reattivo Bierry-Poetier. Fatte le dovute operazioni e alcalinizzato in fine il liquido col metodo Allihn si trova. 1° saggio gr. 23 sangue con gr. 0, 1956 glucosio gr. 0,85 glucosio per mille. 2° saggio gr. 25 sangue con gr. 0, 02025 glucosio gr. 0, 85 per mille. Abbiamo eseguite anche delle esperienze col fermento epatico, estraendolo dal fegato col metodo di Arthus: il risultato è stato positivo, ma lieve ed assai inferiore a quello ottenuto mediante la takadiastasi. Però occorre moltiplicare queste esperienze in diverse condizioni. Fermento epatico - In un cane di 6 Kgr. che aveva servito per la precedente espe- rienza e non si trovava in buone condizioni e mangiava poco, si tagliano le carotidi, si lava il fegato per la vena porta con soluzione di floruro di sodio 0,5%. Dopo il lavaggio si prende una parte del fegato, si {ritura e se ne pesano gr. 100 che si mettono in infu- sione con 200 c. c. soluzione fluoruro di sodio 2%. Il giorno seguente si prendono 25 c. c. di quest’ infuso opalescente si pone in bagno- maria bollente per distruggere il fermento e coagulare le sostanze albuminoidi, aggiun- gendo alcune goccie di acido acetico, si filtra, si lava il filtro con acqua calda e si deter- mina il glucosio col metodo Allihn - Glucosio gr. 0,055 in 25 c. c. eguale a gr. 0,22%; Sempre dello stesso infuso si prendono 25 c. c. e si pone a digerire per 2 ore a 38° con colla d’ amido e poi si aggiungono alcune goccie acido acetico, si filtra, si lava con acqua calda e si determina il glucosio col metodo Allihn e si trova gr. 0,080 glucosio in più del precedente. Dunque potere saccarificante gr. 0,036 %,, cioè minimo. Si prende una cagna sana di Kgr. 14. Si cava dalla carotide un primo saggio di san- gue che viene mescolato con 25 c. c. reattivo Bierry-Portier, poi si iniettano per la — 118 — giugulare 20 c. c. dell’infuso di fegato, contenente il fermento, e dopo 20' si raccoglie un secondo saggio di sangue dalla carotide in 25 c. c. reattivo nitrato mercurico. 1° saggio gr. 26 sangue - glucosio gr. 0.021 e in °/, di sangue gr. 0,80 glucosio. 0, 2° saggio gr. 26,5 sangue, glucosio gr. 0,025 e in‘ di sangue gr. 0,96 glucosio. L'aumento di glucosio è lieve, ma anche il potere saccarificante dell’ infuso epatico era debolissimo. Dobbiamo quindi concludere che la mobilizzazione dello zucchero nell’ organismo viene determinata dall’ azione del fermento diastasico sul glicogeno, che viene trasformato in glucosio; ma delta trasformazione nelle condizioni normali ha un limite. Il fatto che |’ iperglicemia per iniezione del fermento diastasico cessa dopo un’ ora dimostra che |’ organismo possiede dei meccanismi che limitano o neutralizzano |’ azione del fermento. La tensione dello zucchero nel sangue è mantenuta normale dall’ azione equilibrata di fermenti e antifermenti. L’ esistenza e la produzione immunitoria di antifer- menti venne affermata da vari autori per la tripsina (anùtripsina), per la peps phi pepsina), per la chimosina. Riguardo all’argomento che specialmente ci interessa, + e Coggi (1) hanno trovato che il siero sanguigno inibisce |’ azione digestiva della 6, e della amilopsina, con maggiore evidenza quello estratto dal sangue venoso, che ne» + (;{| del sangue arterioso e che l’ influenza della temperatura di 58° per un’ora toglie au uv detta azione inibitrice. Ascoli e Bonfanti (2) trattando dei conigli con soluzioni intraperito- neali di pancreatina hanno trovato nello siero di sangue reso così inattivo un antidiastasi attiva contro la diastisi pancreatica. Si sa poi dalle importanti osservazioni di Hedin (3) e del suo allievo Iahnson-Blohm (4) che in generale le sostanze colloidali possono esercitare un’ azione di arresto sugli enzimi. xx Una conferma delle nostre risultanze sulla trasformazione del glicogene per opera di un fermento esistente nell’ organismo si ha nel fatto che 1’ iniezione in circolo di glicogene produce l’ iperglicemia, come abbiamo riconosciuto determinando il glucosio nel sangue prima e dopo l’ iniezione di glicogene. Su un argomento così interessante non esistono esperienze dirette e rigorose. Ad una cagnetta di Kgr. 5 si prende direttamente dalla carotide un primo saggio di sangue di gr. 23 che si mescola con 25 c. c. di reatlivo Bierry-Portier esi iniettano poi per la giugulare gr. 4,50 di glicogene epatico secco, conservato a lungo sotto l’ alcool, (1) A. Pugliese e C. Cog gi, Influenza del siero di sangue sugli enzimi. Bull. delle Scienze Mediche di Bologna, Giugno 1897. (2) M. Ascoli e A. Bonfanti, Ueber Blutserumdiastasen and Antidiastasen. Zeit. f. phys. Chemie Bd. 43 p. 156. 1904. (3) S. G. Hedin, Ueber Reaktionen zwischen Enzymen und anderen Substanzen, Zeit. f. phys. Chemie Bd. 82 p. 175. 1912. (4) G. Jahnson-Blohm. Die Einvirkung einiger Kolloiden Substanzen auf die Hemmung der Enzymwirkungen. Zeit. f. phys. Chemie Bd. 82 p. 178. — 119 — sciolto in 70 c. c. soluzione isotonica. Dopo 20 minuti si prende direttamente dalla carotide un secondo saggio di sangue di gr. 16 che si mescolano con 25 c. e. di reattivo 1° saggio di sangue gr. 23, glucosio gr. 0,0225, in 1000 di sangue gr. 0,97. 2° saggio di sangue gr. 16, glucosio gr. 0,031, in 1000 di sangue gr. 1,93. Alcune vecchie esperienze di Magendie, di Bernard, di Pavy ricevono così una facile spiegazione. Come abbiamo già ricordato Magendie per dimostrare la preesistenza del fermento diastasico nel sangue circolante iniettava nel coniglio digiuno colla d’ amido e trovava che già 10 minuti dopo l’iniezione non si aveva la reazione dell’amido, mentre si trovava zucchero. Bernard scopriva zucchero nelle orine dopo iniezione nel coniglio di 1 gr. di amido solubile; e questo gli avveniva una sola volta dopo l'iniezione di un decotto di fegato. Pavy scrive che dopo l’ iniezione di glicogene nei vasi dell’ animale vivente il sangue, e per grandi quantità l’ orina, diventa ricco di zucchero. Anche Tiegel ha osservato ‘’diabete per iniezione di soluzioni di glicogene. Schiff invece riferisce che dopo SUA one di glicogene non ha trovato nè nel sangue, nè nell’ orina zucchero. Dati da iWWiporta il lavoro: di ‘Tieffenbach, Dissertation,, Koòonigsberg - 1869, "il quale la glicosuria è un risultato raro e si osserva solo per iniezione di grandi quantità di glicogene. Bòhm e L. Hoffmann (1) dopo aver riferite le precedenti notizie aggiungono di aver iniettato da 3-10 gr. di glicogene nel corso di un ora nella giu- gulare del gatto e vedevano che esso produce una dissoluzione della materia colorante del sangue come fa la glicerina, e che |’ orina contiene un corpo riducente — e che un secondo carbo-idrato colle proprietà dell’ acroodestrina di Briteke o Nasse si trova nel sangue e nel fegato. Rohmann ha riconosciuto che nei vasi linfatici, senza che siano turbati i rapporti normali, avviene una trasformazione di glicogene in zucchero. Dastre ed altri hanno ammessa tale trasformazione perchè non si trova glicogene, o se ne tro- vano solo traccie, nella linfa e nel sangue. Se invece si introduce direttamente in circolazione dell’ @ido non si ha iperglicemia, e sì nota appena un lieve aumento di sostanze riducenti nel sangue. Cane di Kgr. 10,300, molto agitato e violento. Si levarono dalla carotide gr. J6 di sangue, mescolato con 25 c. c. reattivo Bierry-Portier. Si sono poi iniettati per la giu- gulare gr. 5 amido solubile. Erba sciolti in 809 c. c. soluzione isotonica e fatti bollire a lungo. Dopo 20 minuti dall’ iniezione si è preso un secondo saggio di sangue direttamente dalla carotide di gr. 25 mescolati con 25 c. c. reattivo Bierry-Portier dosamento del glucosio col metodo di Allihn. l° saggio gr. 16 sangue - Glucosio 0,020 in mille gr. 1,25. 2° saggio gr. 25 sangue - Glucosio gr. 0,0285 in mille gr. 1,14 glucosio. Questo risultato, sul quale dobbiamo ritornare in altra memoria, dimostra che mentre l’amido cotto, secondo le numerose esperienze già citate, viene saccarificato dal sangue fuori dei vasi, questo non avviene nel sangue circolante. (1) Bòhm e A. Hoffmann, Ueber das Verbalten des Glykogens nach Injection desselben in der Blutkreislauf. Arch. f. exp. Pathol. m Pharmak. Bd. VII p. 489. 1877. Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. — Medicina e Chirurgia. 18 -—— 120 — Moscati (1) nel suo esteso lavoro sul contegno dell’amido iniettato nelle vene, ammette una trasformazione di esso in glicogene che si deposita come tale, ma non menziona la trasformazione in glucosio. Shigenobu Kuriyama (2) in una comunicazione sull’ in- fiuenza delle iniezioni di peptone sullo zucchero contenuto nel sangue nota che | amido solubile non esercita azione sopra lo zucchero contenuto nel sangue del coniglio normale, o sopra l’iperglicemia e la glicosuria epinefritica. La patogenesi della glicosuria e del diabete si presenta in base a queste esperienze sotto un nuovo punto di vista, quello più naturale e più logico nella patogenesi delle malattie, cioè di un esagerazione e deviazione di una funzione fisiologica dovuta al fer- mento diastasico per esagerata sua attività o deficiente azione di antifermenti. Già vennero avanzate per il diabete ipotesi che si avvicinano a questo concetto. Così Schiff (3) fino dal 1855 emise l'ipotesi che il diabete potesse dipendere da maggiore produzione di un fermento. Secondo Schiff le rane d'inverno sono ricche di glicogene, ma manca il fermento che può trasformarlo in zucchero e non si può in esse produrre il diabete. Rohmann e Bial (1894) supponendo che la depolimerizzazione del glicogene in glu- cosio avvenga per opera dell’ enzima amilolitico della linfa, mettono in rapporto la forma- zione del glucosio nel fegato ed altrove, con la quantità di enzima diastastico della linfa e, quindi, con le cause che possono farla variare. Il diabete, ad esempio, consecutivo a disturbi circolatori del fegato, potrebbe essere causato dal fatto che, in queste condizioni circolatorie, si verifica, secondo detti A., il passaggio di una maggiore copia di enzima diastasico in circolo. Il diabete pancreatico si potrebbe così facilmente interpretare nel senso che la secre- zione interna del pancreas serva a moderare e governare la mobilizzazione dello zucchero per opera del fermento diastasico. Montuori ha già sostenuto che il pancreas eserciti un’ azione d’ arresto sulla trasformazione del glicogene in zucchero. (1) G. Moscati, Ueber das Verhalten der in den Organismus eingefiùrten Stàrkelosung, Abla- gerung der Stàrke und Umvandlung in Glykogen. Zeit. f. phys. Chemie Bd. 50 p. 73. 1906. (2) Shigenobu Kuriyama, Biological Chem. Bd. 29, pg. 125. 1917. (3) Schiff M., Untersuchungen uber die Zuckebildung in der Leber. Wirzburg 1858. CONCLUSIONE L’ipotesi del Bernard che il glicogene risparmiato nel fegato, nei muscoli ed in altri tessuti, venga mano mano trasformato, secondo i bisogni, in glucosio per opera di un fer- mento, manca ancora in una diretta dimostrazione, quantunque sia resa probabile dalle esperienze di vari autori sulla presenza di un fermento diastasico nel fegato e nel siero del sangue. Ma si tratta di esperienze in vitro e non în vita e sappiamo quanto bisogni in questo caso andare guardinghi nel concludere. Così ad es. il fermento glicolittico sul quale si sono costruiti tanti lavori fittizi si forma, secondo Arthus, soltanto nel sangue cavato dai vasi. Inoltre la scoperta fatta dei così detti fermenti protettori poteva far cre- dere che al fermento diastasico trovato nel sangue e nel fegato spettasse questo ufficio e non una funzione speciale regolatrice delia mobilizzazione dello zucchero nell’ organismo. Le nostre esperienze danno la diretta dimostrazione di siffatta funzione. Noi abbiamo trovato che iniettando in una vena una soluzione di takadiastasi sì produce un’ipergli- cemia: il sangue cavato dalla carotide 20 minuti dopo l'iniezione contiene almeno un terzo in più di glucosio: l’aumento non si conserva a lungo ed è quasi scomparso dopo un'ora. Si è prodotto in grado minore anche col fermento epatico in soluzione di fluoruro di sodio; il quale del restio anche in vitro aveva un lieve potere saccarificante per |’ amido. Che la takadiastasi agisca esclusivamente come fermento venne messo fuori di ogni dubbio perchè una soluzione bollita della stessa sostanza non produsse affatto iperglicemia, la quantità di zucchero del sangue rimase immodificata. Il fatto che dopo un’ora cessa l’azione del fermento dimostra che nell’ organismo esistono dei meccanismi che possono regolarne e moderarne gli effetti, rappresentati forse dagli antifermenti trovati da alcuni autori. Un’ ulteriore conferma si ha nel fatto che se il glicogene viene direttamente iniettato in circolo, si ha iperglicemia per la sua trasformazione in glucosio e si comprende quindi perchè esso non circoli come tale. Invece se si inietta dell’amido non si ha iperglicemia, quantunque l’amido venga saccarificato dal sangue fuori dei vasi; un contegno hen diverso in vitro che in vita. La patogenesi della glicosuria e del diabete viene da queste esperienze chiarita e si può considerare effetto dipendente o da esagerazione della funzione fisiologica del fermento diastasico, o da indebolita e mancante azione dei meccanismi fisiologici di neutralizzazione dei fermenti, cioè degli antifermenti. Il diabete pancreatico si potrebbe spiegare facilmente ammettendo che il prodotto di secrezione interna del pancreas eserciti nello stato normale un’ azione moderatrice e di arresto sul fermento diastasico; ipotesi analoga a quella già formulata dal Montuori. STRATIFICAZIONI E TEMPERATURA “= Gos NOTA DEL Prof. LAVORO AMADUZZI letta nella Sessione dell'11 Febbraio 1917 (CON 4 FIGURE NEL TESTO) 1. — Intorno al singolare ed interessante fenomeno della stratificazione della scarica in gas rarefatto sono note le seguenti particolarità più notevoli : 1°) A parità di tutte le altre condizioni, col progredire della rarefazione del gas, essa apparisce ad una determinata pressione nella colonna positiva, iniziandosi all’estremo di questa più prossimo al catodo e propagandosi grado grado verso l’anodo. 2°) Siffatta pressione varia colla natura del gas, e colla natura del gas varia anche, a parità di tutte le altre condizioni, la grossezza degli strati. 3°) La formazione degli strati in un tubo avente varia sezione nelle sue varie parti, apparisce prima e più facilmente nelle regioni a sezione minore. 4°) Secondo Goldstein (1) la grossezza degli strati varia colla pressione obbe- dendo alla legge espressa dalla seguente formula : Cc 000 (Pe) RI O aa 0 nella quale d e d, sono le distanze fra gli strati successivi alle pressioni p e p, rispet- tivamente, ed m è un numero positivo minore dell’ unità. Legge questa che secondo Ebert (2) esprime anche la grossezza dello spazio oscuro del Crookes, legata d'altra parte, come è ben noto, da una relazione di proporzionalità diretta, al valore del libero cammino medio delle molecole del gas. 2. — Mi è parso opportuno indagare l'influenza che sui caratteri e sugli elementi della scarica in genere abbia la temperatura, giacchè essa si fa sentire in maniera ben netta sul valore del libero cammino medio delle molecole dei gas, ed in generale sul processo cinetico degli aeriformi. (1) Wied. Ann. XV, pag. 277. 1882. (2) Wied. Ann. LXIX, pp. 200, 372. 1899. Serie VII. 'l'omo IV. 1916-1917, 19 — 124 -- Avendo ottenuti alcuni risultati qualitativi intorno al fenomeno della stratificazione, li comunico in riassunto con questa mia Nota. Le osservazioni, fatte con vari tubi a vuoto, dettero risultati concordanti. Qui, per chiarezza, mi riferisco ad un tubo cilindrico, contenente aria, munito di elettrodi fili- formi, collegato con una pompa pneumatica e con un manometro, e messo in azione con un rocchetto d’ induzione. Ecco i risultati : a) Raggiunta la formazione di una netta colonna positiva (Fig. 1) rosea, riscaldaado con una fiamma Bunsen la regione mediana di questa, si nota, in essa, il formarsi di finis- simi strati, di grossezza decrescente ai lati della regione direttamente riscaldata (Fig. 2). b) Proseguendo nel riscaldamento, gli strati aumentano di grossezza ed il pro= cesso di loro formazione si propaga verso 1’ anodo (Fig. 3) pur estendendosi, in misura assai minore però e più tardi, verso il catodo. c) Riscaldando tutto il tubo si ottiene la stratificazione regolare di tutta la co- lonna positiva; cresca, in conseguenza dell’aumento di temperatura, o si mantenga co- stante la pressione. Si può dunque concludere che il processo di stratificazione della scarica può raggiun- gersi oltre che per diminuzione di pressione e di sezione del tubo, anche per aumento di temperatura. Ho inoltre constatato : d) Che se si riscalda un tubo nel quale la colonna positiva sia già stratificata indipendentemente dal riscaldamento, apparisce un aumento della grossezza degli strati, — 125 — Tale aumento si direbbe avvenire in misura minore di quel che non avvenga cor- rispondentemente l’aumento di temperatura. La Fig. 4 a) riproduce la fotografia della colonna positiva stratificata di un tubo a vuoto. Vi si contano 26 strati. La Fig, 4 d) riproduce la fotografia della medesima colonna positiva riscaldata nella regione 7°. Gli strati sono ancora 26. L'aumento di grossezza degli strati è evidente, specialmente se si considera la colonna nel suo complesso e ci si vale delle due rette di riferimento AA' e BB'. A B 4' Fig. 4 B' 3. — Dalle osservazioni sinora eseguite, mi pare apparisca opportuno modificare la formula del Goldstein più sopra riportata includendo in essa la temperatura. Sembrerebbe che l’ elemento temperatura intervenisse nel fenomeno della stratificazione sa=(B) (2) d DI RO ASA 1 in modo da poter scrivere : ovega e d,, Pi PD, È, della pressione e della temperatura, ed 7: ed » numeri positivi minori dell’ unità. e t, sono i valori corrispondenti della distanza degli strati, Naturalmente indico questa formola come ipotesi, ben persuaso che a darle valore occorrono altre osservazioni, e misure. 4. — Dirò per ultimo e per incidenza di aver constatato che la variazione di tem- peratura di un gas attraversato dalla scarica determina oltre a variazioni nell’ aspetto della scarica stessa, una variazione nella intensità della corrente di scarica. Su ciò spero di poter riferire con altra mia comunicazione. SUGLI INSUCCESSI DELLA NEVRECTOMIA DEL TIBIALE ANTERIORE E POSTERIORE | | NEI SOLIPEDI | | MEMORIA DEL Prof. ANGELO BALDONI (Letta nella Sessione del 28 Gennaio 1917). Per combattere il disturbo funzionale che accompagna l artrite tarsica nei solipedi, come è noto, Spooner nel 1841 propose la nevrectomia dello sciatico (tibiale posteriore), la quale dette qualche buon risultato a Stanley, a Giinther ed a Renner, risultati negativi ad Hertwig, a Dieckerhoff e ad altri. Alla nevrectomia del tibiale poste- riore, Hertwig associò quella del lungo cutaneo alla faccia esterna della gamba, Die- ckerhoff quella del safeno interno e Mòller quella del lungo cutaneo, del safeno interno e del peroneo, ima non ottennero un miglioramento apprezzabile del disturbo fun- zionale. La questione della nevrectomia del tibiale posteriore nell’ artrite tarsica dei solipedi era stata completamente abbandonata in seguito ai numerosi esiti negativi e sembrava non aver più che un valore storico, quando Bosi nel 1897, dopo accurate ricerche anato- miche, le quali gli dimostrarono che il garretto è innervato da rami del tibiale posteriore e del tibiale anteriore, eseguì la nevrectonia di questi due tronchi nervosi ed in base ai buoni risultati ottenuti in 6 casi, di cui uno con artrite del garretto destro e cinque con artrite d’ ambo i garretti, consigliò questa operazione specialmente nei soggetti in cui tutte le altre risorse terapeutiche hanno fallito. Da questo momento la nevrectomia del tibiale anteriore e posteriore è diveniata comunissima e noi, persuasi da tempo che molti degli accidenti consecutivi alla nevrecto- mia in generale sono eliminati operando in modo rigorosamente asettico e che altri, dipen- denti da disturbi trofici, non sono così frequenti come taluni ritengono, in’ molti casi di artrite tarsica recenti o di vecchia data ma non curati, vi siamo direttamente ricorsi senza prima tentare l’ impiego di altri mezzi terapeutici, e ciò per risparmio di tempo e per la grande fiducia che sempre abbiamo avuta in essa. Abbiamo praticata la nevrectomia del tibiale anteriore più spesso nel punio indicato da Bosi che in quello suggerito più recentemente da Schmaltz e da Mensa, perchè non Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. 20 — .128 — è sempre vero che in quest’ultimo è più facile la ricerca del nervo e perchè possono prodursi con facilità delle lesioni dei rami motori destinati ai muscoli estensori delle falangi, come è accaduto un paio di volte a Frick. Invece nella nevrectomia del tibiale posteriore in questi ultimi tempi ci siamo attenuti al punto indicato da Mensa, perchè qui la ricerca del nervo riesce effettivamente più facile. Anche Frick, qualche anno prima della comparsa del lavoro di Bosi, aveva proposto di praticare la nevrectomia del tibiale posteriore 15-25 cm. al disopra della testa del calcaneo a seconda della taglia degli animali, cioè più in alto del punto indicato da Bosi e presso a poco in corrispondenza di quello suggerito recentemente da Mensa. In generale con la nevrectonia del tibiale anteriore e posteriore abbiamo ottenuto risultati ottimi ed anche in cavalli con artrite tarsica con rilevanti fatti obbiettivi non solo alla faccia mediale, ma anche alle altre faccie della regione, accompagnata da un disturbo funzionale gravissimo, abbiamo avuto la scomparsa immediata della zoppi- calura. In alcuni soggetti però, fortunatamente non numerosi, il disturbo funzionale è rimasto della stessa intensità di prima. Tali insuccessi, registrati anche da altri, non potevano essere legati, secondo l'ipotesi emessa da Mensa, a nevreciomia incompleta, nè alla gra- vità delle lesioni, perchè si erano verificati anche in cavalli con manifestazioni d’ artrite tarsica apparentemente non molto accentuate. Un caso d’ insuccesso completo capitatoci lo scorso anno ci ha permesso di riconoscerne la causa, essendoci stato possibile eseguire l’ autopsia. Trattasi di un cavallo sauro, di razza incrociata, alto m. 1,65, di anni 15, apparte- nente al R. Esercito (3° Reggimento di Artiglieria da Campagna), entrato in Clinica il 2 Ottobre 1915. Dall’ anamnesi si seppe che il cavallo zoppicava da più mesi dall’ arto posteriore sini- stro e che presso il Reggimento non era stata fatta alcuna cura. All’ esame d’ ispezione si notavano gli ordinari fatti obbiettivi dell’ artrite tarsica a livello dell’ articolazione tarso-metalarsica e mediotarsica, discretamente accentuati alla faccia mediale, lievissimi alla faccia laterale del garretto sinistro. Il disturbo funzionale, abbastanza grave, per i suoi caratteri era riferibile all’ artrite tarsica, però esso pre- sentava la particolarità, oppostamente a quanto si verifica nella grande maggioranza dei solipedi affetti da questa artrite, di rendersi più accentuato col moto. Il 4 Ottobre praticammo la nevrectomia del tibiale anteriore a 12 cm. al di sopra della piega del garretto, come consigliò Bosi, e la nevrectomia del tibiale posteriore nel punto indicato da Mensa. La ricerca dei due nervi riuscì facilissima e, come solito, di ciascuno di essi asporltammo 4 cm. circa. Le ferite operatorie cicatrizzarono di prima intenzione. Il disturbo funzionale però rimase della stessa intensità di prima; era meno accentuate il carattere di « molla a scatto » della flessione del garretto, ma questo si fletteva in una misura molto limitata. Non potendo spiegare l'insuccesso con un errore di diagnosi, perchè il caso clinico era chiarissimo e perchè con sicurezza poteva essere esclusa 1’ esistenza di lesioni in altre — 129 — regioni dell’ arto, pensammo che la nevrectomia del tibiale arteriore, fatta al terzo inferiore della gamba, per ragioni indipendenti dall’ aito operativo che era stato eseguito con la massima cura, fosse riuscito incompleta. Il 5 Novembre coricammo il cavallo e prati- cammo una nuova nevrectomia del tibiale anteriore nel punio d'elezione indicalo da Schmaltz e da Mensa ed asportammo 6 cm. circa di nervo. La ferita anche ora cica- trizzò di prima, ma la zoppicatura non si modificò. Nessun dubbio poteva rimanere relativamente alla nevrectomia del tibiale posteriore, la quale era avvenuta in modo perfetto e la breccia era cicatrizzata di prima intenzione e senza rilevante ispessimento. Tuttavia verso la fine di Novembre, nel cavallo coricato, mettemmo allo scoperto per un tratto notevole e senza emostasia preventiva, i due colla- terali dello stinco che trovammo molto sottili e su d’ essi applicammo stimoli elettrici e stimoli meccanici di varia natura fino a produrre un vero maltrattamento e la dilacera- zione, ma non ottenemmo neppure la più piccola reazione da parte dell’ animale. Il cavallo, dichiarato inguaribile, dietro nostra richiesta ci fu gentilmente ceduto a titolo di studio. Lo tenemmo. in vita per altri 7 mesi circa, durante i quali in molte occa- sioni tornammo ad esaminarlo e i risultati di tutte le possibili indagini cliniche ci con- fermarono sempre la esattezza della diagnosi. In questo frattempo la tumefazione del gar- retto era un po’ aumentata, specialmente al lato mediale, ed erasi estesa in alto fino al di sopra dell’ articolazione tibio-astragalica in modo che la distanza fra la estremità dei due malleoli della tibia sinistra appariva leggermente più grande di quella fra le estre- mità dei due malleoli della tibia destra. Il disturbo funzionale era sempre identico, aumen- tava durante il lavoro e dopo due o tre giorni di riposo assoluto diminuiva. Abbattuto il cavallo il 27 Giugno, facemmo l’ autopsia e nel modo più accurato pos- sibile esaminammo i varii tessuti della regione lombare, della regione sacrale e di tutto l’arto posteriore sinistro. Del protocollo d’ autopsia riportiamo soltanto i dati principali. I nervi tibiale anteriore e posteriore, sia per la loro posizione, sia per le loro dirama- zioni, non presentavano nulla di anormale; fra i loro monconi esisteva uno strato di tes- suto connettivo cicatriziale; i monconi inferiori e le loro diramazioni erano profondamente atrofici. Nei tessuti molli, nelle ossa e nelle articolazioni non fu possibile riscontrare, per quanto attentamente ricercate, lesioni apprezzabili, fatta eccezione del garretto in cui esistevano le lesioni caratteristiche dell’ osteo-artrite. La metà inferiore del garretto era circondata da neoformazioni ossee, le quali erano più accentuate a livello dell’ articolazione tarso-metatarsica al lato mediale, ove si esten- devano in alto, facendosi sempre più piccole e più rade, fino all’ astragalo ed alla por- zione antero-inferiore del calcaneo. I legamenti capsulari anteriore e posteriore dell’ articolazione tibio-astragalica erano molto ispessiti; la sinoviale corrispondente presentava piccole proliferazioni villose e ID arti- colazione conteneva scarsa quantità di sinovia torbida, con tinta leggermente rossastra. I metatarsi, il grande ed il piccolo cuneiforme, lo scafoide ed il cuboide erano in gran parte saldati fra di loro; la superficie articolare superiore dello scafoide e quella inferiore dell’ astragalo mostravano numerose erosioni, specialmente nella loro metà anteriore, di — 130 — dimensioni varie, colmate da tessuto midollare. Le due rive dell’ astragalo erano unifor- memente più grosse delle rive dell’astragalo destro, e la solcatura situata fra di esse era meno profonda del normale. La cartilagine di rivestimento delle rive e della solcatura era in parte assotiigliata e in qualche punto erosa. La epifisi distale della tibia era più grossa della stessa epifisi della tibia destra; inoltre mostrava il malleolo interno più voluminoso del corrispondente malleolo di destra, le due cavità glenoidi più ampie e meno profonde, il rialto mediano più arrotondato, la cartilagine in alcune zone assottigliata, in altre caduta. L'autopsia ha pertanto dimostrato che nell’arto esistevano esclusivamente le lesioni dell’ artrite tarsica e che esse lesioni interessavano in misura diversa tutte le articolazioni del garrelto. Data questa estensione del processo, è logico pensare che la nevrectomia del tibiale anteriore e quella del tibiale posteriore non potessero dare risultato soddisfacente perchè mediante esse non poteva esser soppressa la sensibilità in tutte le parti in cui avevano sede le lesioni. Il tibiale anteriore, come è indicato nei più recenti trattati di anatomia e più par- ticolarmente come hanno dimostrato le ricerche di Bosi e quelle di Caradonna, a li- vello dell’ articolazione astragalo-scafoidea si divide in due rami, cioè il laterale ed il mediale. Il ramo laterale od esterno alla distanza di un centimetro e mezzo a due centimetri dalla divisione del tibiale anteriore dà tre branche. La prima di queste, abbastanza con- siderevole va al muscolo pedidio. La seconda, più sottile, accompagnata dall’ arteria pedidia perforante, passa nel condoito tarsico, limitato dal cuboide, dallo scafoide e dal grande cuneiforme, manda dei filamenti al legamento cuboido-scafoideo profondo, al legamento scafoido-cuneiforme e si perde nella faccia profonda del legamento astragalo-metatarsico. La terza, parallela alla seconda, va sopra l' estremità inferiore del legamento laterale superficiale del garreito, penetra fra il metatarso principale ed il rudimentale laterale, ascende fra il cuboide ed il grande cuneiforme e sì esaurisce sul legamento cuboido- cuneiforme profondo. Il ramo laterale, dopo aver date le tre descritte branche, continua in basso e termina con numerosi filamenti sotto: Ja pelle della faccia laterale del nodello. Il ramo mediale invece non provvede affatto alla innervazione del garretto: esso scende obliquamente in dentro ed in basso, passa sotto il muscolo pedidio e sotto l’ ultima delle briglie tarsiche, segue la faccia mediale del metatarso principale e termina con varii filamenti sotto la pelle della faccia mediale ed anteriore del nodello. Il tibiale posteriore in corrispondenza della sommità del calcaneo, ora un po’ più in alto, ora un po’ più in basso, sì divide nei suoi due rami terminali, cioè il plantare late- rale ed il plantare mediale. Il plantare laterale a livello dell’ articolazione calcaneo-cuboidea si divide in due branche della medesima grossezza, una delle quali scende perpendicolarmente seguendo il margine esterno del tendine del flessore profondo delle falangi, l’altra, chiamata da Bosi — 131 — branca tarso-metatarsica, si dirige in basso, piega sensibilmente verso l'interno del gar- retto insinuandosi sotto il tendine del flessore profondo e viene a contatto con la faccia posteriore dell’ organo elastico del Ruini. Questa branca a livello dell’ articolazione tarso-metatarsica dà due collaterali mediali ed una laterale. La prima collaterale mediale, dopo aver mandato dei filamenti alla porzione superiore dell’ organo elastico del Ruini, si dirige in alto e internamente, sul margine posteriore «del grande cuneiforme si sdoppia ; una parte insieme all’ arteria pedidia perforante penetra nel condotto cuboido-scafoido-cuneiforme e va al legamento cuboido-cuneiforme profondo ed al legamento scafoido-cuneiforme ; | altra passa nello spazio compreso fra lo scafoide ed il grande ed il piccolo cuneiforme e si distribuisce esclusivamente al legamento sca- foido-cuneiforme. La seconda collaterale mediale manda dei filamenli al sospensore del nodello e fra il metatarso rudimentale mediale ed il metatarso principale, si dirige in alto, passa tra il grande ed il piccolo cuneiforme e si distribuisce ai legamenti intercuneiforme, calcaneo- scafoideo, calcaneo-cuboideo, calcaneo-cuneiforme e calcaneo-metatarsico. La branca collaterale laterale, dopo aver dato un ramo di rinforzo al ramo terminale, manda dei filamenti alla porzione superiore del sospensore del nodello ed al tessuto fibroso che unisce il metatarso rudimentale laterale al metatarso principale. La branca tarso-metatarsica continua il suo percorso sulla faccia posteriore del meta- tarso principale, fra questo ed il metatarso rudimentale mediale; riceve un ramo di rin- forzo dalla collaterale laterale già indicata; sì dirige obliquamente in dentro e termina con numerosi filamenti sotto la pelle della faccia interna del nodello. Il plantare interno non partecipa affatto alla innervazione del garretto. Per mettere meglio in evidenza la distribuzione dei nervi tibiale anteriore e poste- riore riportiamo il seguente quadro, nel quale i legamenti innervati dal tibiale anteriore sono sottosegnati con linee, quelli innervati dal tibiale posteriore con croci, e quelli che ricevono rami da tutti e due i tibiali con linee e con croci. Articolazione tibio-tarsica o tibio-astragalica. Articolazione fra le ossa della serie prossimale o astragalo-calcanea. Articolazione fra le ossa della serie distale. Articolazione fra le ossa delle due serie v medio- tarsica. Articolazione tarsica. tarso-meta- I — 132 — | superficiale legamenti laterali Sa ì profondo superficiale legamenti mediali mediano profondo legamento anteriore legamento posteriore legamento astragalo-calcaneo superiore legamento astragalo-calcaneo laterale legamento astragalo-calcaneo mediale legamento astragalo-calcaneo interosseo legamento interosseo scafoido-cuneo cuboideo legamento interosseo scafoido-cuneiforme arse ener aree rase gp ps legamento interosseo intercuneiforme legamento cuboido-scafoideo +tbt+t+t+t+t +++ legamento cuboido-cuneiforme SÒ SR Se SR SAR SS legamento calcaneo-scafoideo legamento calcaneo-cuneiforme legamento calcaneo-metatarsico legamento astragalo-metatarsico 5 DR BOE SR KH legamento plantare + +++++ legamento dorsale ++t+t+++ legamento cuneo-metatarsico — 133 — Dai brevi ricordi anatomici riportati e più specialmente dal quadro sopra esposto risulta in modo evidente che i nervi tibiale anteriore e tibiale posteriore si distribuiscono alla articolazione tra le ossa della serie distale, alla articolazione medio-tarsica ed a quella tarso-metatarsica, e che essi nervi non innervano |’ articolazione tra le ossa della serie prossimale, nè quella tibio-asiragalica. Va anche tenuto presente che i lunghi legamenti laterali superficiali tibio-astragalici, i quali terminano sui metatarsi e lungo il loro per- corso si fissano su varie ossa del tarso agendo anche come legamenti di diverse artico- lazioni, non sono innervati dal tibiale anteriore, nè dal tibiale posteriore. Non si può pensare che i rami che vanno alle articolazioni tarsiche inferiori mandino da qui dei filamenti anche alle articolazioni superiori e specialmente all’ articolazione tibio-astragalica, perchè i nervi, come i vasi, che si distribuiscono ad articolazioni molto mobili, debbono avere una disposizione diversa da quella che hanno i nervi che vanno ad articolazioni a movimenti molto limitati. Molto probabilmente i nervi che provvedono all’ innervazione dell’ articolazione tibio-tarsica debbono correre per un certo tratto, prima di giungere all’ articolazione, parallelamente alla tibia. Dato il campo d’ innervazione dei due tibiali, anteriore e posteriore, la nevrectomia di essi nervi in moltissimi casi dà ottimo risultato perchè il processo osteo-artritico in gene- rale è localizzato nelle articolazioni tarsiche inferiori e specialmente al lato mediale. Ma quando il processo interessa anche le articolazioni superiori, la nevrectomia potrà portare una modificazione sul carattere del disturbo funzionale, come abbiamo notato nel caso sopra descritto, ma non ne può modificare sensibilmente |’ intensità. La estensione del processo artritico alle articolazioni tarsiche superiori però non è sempre clinicamente dimostrabile, perchè l’ esame d’ ispezione semplice, di palpazione ed anche di misurazione nei soggetti con lesioni iniziali non dà risultato positivo, e non ha sempre un valore assoluto il fatto che col moto il disturbo funzionale invece di diminuire, come avviene di solito nelle osteo-artriti localizzate esclusivamente alle articolazioni tar- siche inferiori, aumenta, fatto ancora non messo in evidenza da altri, o per lo meno non riferito alla estensione del processo alle sezioni superiori del garretto. Per queste ragioni la nevrectomia dei due tibiali deve dare necessariamente un certo numero di insuccessi. Le ricerche già iniziate speriamo che ci permettano di stabilire in modo esatto quali nervi vanno alle articolazioni tarsiche superiori e di indicare eventualmente quale altra nevrectomia possa essere consigliabile nei casi in cui quella dei tibiale anteriore e quella del tibiale posteriore, per la notevole estensione del processo osteo-artritico, non hanno dato risultato soddisfacente. — 134 — BEBE GRAZRIEN Barpi. — Compendio di anatomia descrittiva del cavallo. Ediz. 2. Vol. 1. Pisa 1907. Bosi. — Contributo alla cura dello sparagagno. Il Nuovo Ercolani 1897 p. 328 e 344. Caradonna. — Ricerche sulla costituzione del plesso lombo-sacro, sulla origine e distri- buzione dei suoi rami terminali con particolare riguardo alla innervazione del gar- retto negli equini. Perugia 1906. Chauveau, Arloing, Lesbre. — Trattato di anatomia comparata degli animali dome- stici. Trad. del Prof. Mongiardino. Vol. 2. Torino 1910. Dieckerhoff. — Die Pathologie und Therapie des Spat der Pferde. 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Università DI BoLocgna (alt. 83", 8) ® 5 a È 5 GENNAIO 1916 -- Tempo medio dell’ Europa centrale Sura aa E oo Ziliorno Ù «o |'l'ensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità | Provenienza > E| 8° = in millimetri in centesimi in decimi del vento Sgal e z sali DIANO rar I ESIGSttah ESA) © D O) QeE GS | TEA | Media gole Lote e2ilà Mediana ole 2709] | ELA ZA ————|#kfaTT—_——mt—mTmÉrTmP_1aey—@rm__@.mPÉ&|v6t——————È____t——m—m—m—__———_———m——t—tm—— _ __bDprrru_ __ lo Ù_——_—t—t———r—m_————— TELE esa] e a n | mm IRA EA 1,4 9I 86 | 93 90 10 NI 10 ? ? ? 0 0,5 De MA 6, 6 89 | 39 .| 98 92 GR AELIO) 10 ? ? ? Gs OR 3026 MONO no 6,6 98 $8 94 93 10 10 10 ? W ? 0 0,2 A MOSOR CO 6,1 95 94 97 95 10 10 10 W W W I 0,3 DEloR0l AS NTo08 RL. 98 96 9$ 97 10 10 10 W W ? 2 0,4 CSS 60] SI 100 | 100 96 99 10 10 10 W W E 2 0, 6 7|49|5,2/5;0] 3,0 |l00 |100 |- 98 99 {0.| 10 | 10 ? ? ] 0 | 0,4 ©0004 (ST A CT 95 10 | 10 | 10 ? ? W l DR? ORIE2AGN Micor 306 304 37 | 49 | 50 45 0 0 DO ? 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E | l Media |'9 5 Z| precipitazioni sE gh 15" 9qn | Media BEE GI Qt Mass. | Min. |mass.min.|g 3° 2 | ECO da (IE a e ee eee dd e, mm. mm. mm. | mm. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. | 1 | 766,3 | 766,8 | 767,1 | 766,7 2010) 290) O: LES] Se 3,0 0,4 | pioggia e neve 21 766,6 | 765,8 | 765,5 | 766,0 QU] De 5,0 505 2,4 3,9 incale. pioggia 376459.) 762:8.) 76170] 70209 4,0 6,5 4,5 6,8 29, 1,6 UANTAS SORT Se a709 na eo0ni 1,8 5,0 4,1 dA | -0,6 2EIT{ BASSO 5A TS Ra RO 7,2 5,2 8,0 1,8 1,3 6 | 759,4 | 759,5 | 760,7 | 759,9] 6,4 a 5,7 dA 3,8 6,2 T010760,108 1758590 aSso 9, 0 10,2 Tea 10,3 2,4 6,2 8 | 7549 | 752,6 | 748,9 | 752,1 DI 6,8 5.7 1 3,4 5,4 Oi AZIO A007 | ZONA 4,1 6,6 5,0 1,2 4,1 5,1 2,0 pioggia 10 | 744,9 | 747,3 | 761,2 | 747,6 9,0 8,0 4,4 8, 4,1 5, 6 LI 5204508479068 75153 A 6,0 3,4 6,0 I DIR 12 | 751,4 | 754,4 | 757,3 | 754,3] LA 3,6 DR 6,0 0,1 3,0 a | TRAZIONE 610 N762598 015 2,8 7,6 5.8 7,8 2 4,3 [AN|763928 760958 Mb I 7010 4,6 9,6 Tor 9,9 21 6,1 « || 15 | 755,2. | 750,1 | 740,8 | 751,7 /- 6,2. 40,0 RR 00 4,3 TRO 16. |'749/10) asso (en oarnii 96 ae us aste 6,8 14,4 (7 | 74923 MASSE | aa A 60] 12008 Pron oa er se] 10. IRSIRTO IRA o.0 67 749940055 ot 12,0 8,2 1201 4,7 8, 19 | 744,5 | 743,5 | 7443 | 744,1 RE e 5,8 9,2 20 | 749,6 | 750,4.| 752,7 |- 750,9 1, 13,1 7,8 1859 4,7 8,2 2 | 758.0 | 758,2 | 759,1 | 758,4 ,3 14 3,9 7,8 3,9 5,2 PIRRO ML RARA ZIO 2,0 92 3,6 3,9 0,0 2,4 23 | 748,9 | 748,7 | 719,0 | 748,9 TR2 3,0 2,6 3,8 0,8 21° |[incale. pioggia 2 IETARIO | MATIZ (TZ AT 20 O 3,4 6,4 2,1 3,7 25 | 747,4| 745,7 | 746,7 | 746,6 3,6 14,0 8,9 14,7 20 165) 19) pioggia 26 | 748.8 | 7487 | 749,3] 748,9] 9,0 | 40,4 6.0 | 11,4 6,0 81° |incale. pioggia 27 | 749,4 | 748,8 | 751,8 | 750,0 1,0 6,7 4,1 7,6 1,0 4,9 2801 704,09. || 76348 (TORTA 3,8 9,0 (068) 9,4 3,1 5,6 2 NT II I ABSIOE IRTAS TOR 74605 DUO 6,4 6,5 6,5 9,0 6,0 DATO, pioggia 153,7 | 3759,8| 15904059; 2) SSA BIO Vo 0 6 Te ; i nm a i) È, Altezza harometrica massima 767,1 g. 1 l'emperatura massima 15,6 g. 16 » » minima 740,5 » 9 » minima— 0,6» 4 » » media 753,2 » media 5, 6 Nebbia nei giorni 1, 2, 5, 23, 24, 25, 27, 29 Gelo nel giorno 4. 165 — (ssERVAZIONI METEOROLOGICHk FATTE NELL'OsservatoRrIo DELLA R. Università pi BoLogna (alt. 83”, 8) ® ò c- £ FEBBRAIO 1916 — Tempo medio dell’ Europa centrale SM NZIO S| : è ISEl. 0 Si a I È |lensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità Provenienza qQ> o ov CE, in millimetri in centesimi in decimi del vento iaia E Stai Sa ©) Vv ta gf Soli ML zie Media {9 o #21" Media) {59% SSR SR bel ole pi um ORE Rod ono DAL OR PRON ALOS 95 10 10 10 \V W \W | IB7 ESA SAI SRO) DUO 96 | 81 | 89 89 LOR RIONI \V ? ? 2 Hb ORRORE Moon on 5,4 SIN LORI MISA SI 0 10 0 G ? ? 0 {29 ARARSR ROIO NONA dò 93 | 87 | 88 $9 10 10 10 È NW | SE $ a) DER o er Sonim ESO 84 10 0 01 W ? W SAR ORIROSte NOS2ilo, 500,8 80 | 71 | 80 77 0 0 0 | W i W Peo GAI di ERI GRUARO 5,6 ISARCO IZ 72 0 i () ? ? ? 3 1,4 SIRRONANO, 0,4 6,0 SI 082. | 94 86 10 10 10 W ? W | 0,2 QRov6, 54 | 0,8 DIO 92 74 89 85 10 8 10 W ? 7 4 1,0 ORIO 390 505 AT TORO IAA IST 69 2 8 6 ia, W S 4 1,3 LAS SIR N30 378 ONT 63 63 0 2 ORE W ? IENE IRIS NOni 39 42 3,9 71 58 | 66 65 3 8 0 : W ? 1 1,7 IRA 0 MEZAINAO 4,0 028706, | 00 59 0 I 0 ? ? ? 0 11 AA IE3H0N 05,1 4,3 4,3 O 0A oro 00 0 0 0 | Sw ? ? 4 ag lo RoRU od o-2 5,2 TORO OT 66 0 8 0 ? ? W I 1,0 16 {0,3 6,9] 5,0 5,7 9997143 59 0 0 0 {SW 2 SW lò 1,8 7a ee 33) OZ 21 RI 0 7) 0) W Www 2A 500 IRR A2ZON 20/6) 0203 209 91 E2A08 828 28 0 2 Ù W Wi1oSW tl SIT O ERRE 4,0 GALAN 42 42 0 2 ) ) W W ‘ 1,0 LORIA ES or 4A OOENEZINIM6O 52 0 0 S SE $ 19) AO ERTA IBRZA 850 3, 8 71 48 | 50 56 6 2 0 9 N SE 8 5,8 290|:3,4| 42/40) 3,9 64 | 73 | -67 68 10 | 10-| 10 o, ? 9 gi Ut 23 4,6 Ò, | 9,3 9, 0 9° 89 96 92 10 10 10 wW NW W Ù 1,0 2Iglnon0 64 [29,6 ),9 Chi 97 97 97 10 10 10 9 W W 2 0,0 O 6 I 6,9 9I TSO 86 10 $ 1 ? NERE: SVV 9 0,0 20048, 4 du 98 DI TI, 62 0) S 0) SW SW W 17 201 eo do Vos DIO Sarai SA 95 86 $ 10 10 ? W W O) duel 2 S@o2e PORIOIROA 59,9 87 TA S9 s2 5 10 10 9 ? ID 3 0,5 RORIFOFANI 60188 (679 6,7 94 94 95 94 10 10 10 ) W ? 2 0,6 4,8| 5,1 | 5,1 5,0 TORINO ZA 71 5) 6 ‘ 5 1,9 pri A A A, AT T'ens. del vapor acq. mass. 7,7 g. 25 Proporzione Media nebulosità VERO MAT SAT i ; À do o eediar5.0 dei venti nel mese nel mese Umidità relativa mass. 98 g. 1,24 in decimi 5 >» min. 2% > 17 N NE E O SBESC SW MI ONW in decimi ho? » media 71 1 1 / 3 2 6 31 3 h) ——reoeo-.. rr.rg————————-{W;+f@#p__G&£4(48#+V:" — ll60. — (SsERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservarorIo DELLA R. Università DI BoLocna: (alt. 83", 8) Nebbia nei giorni 1 1:99 780): - Forma delle precipitazioni pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia 9 5 ® ® 7 ® £ MARZO 1916 — 'lempo medio dell’ Europa centrale So pen] i 3 mi SISI i Barometro ridotto a 0° G. Temperatura centigrada rs E, © : È si ADS E 1 Media l'o LE iS gh 15h 21% |-Media | 19" 15” Lia Mass. | Min. |mass.min{®'3.°° 2 | Oo Sla min mm. mm. mm. (0) (0) (0) (0) (0) (0) miu. i | 7404 739,4] 740,0] 739,9] 6,4 7,0 6,0 708 3,6 6,4 | 10,5 MIR UIFIZT.T |-736,8 | 137070037, 456 7,6 6,8 84 3,3 DIGRli 31 736,9 | 736,4.) 736,5 | 736,6 6,9 9,5 il RIS 2539) 7,6 incalc. (| 734,2] 734,5] 736,8. 735,2) -,6,0 8,0 5,4 9,4 5,0 6,4 0, 5 SOI 799440740470) AREA 9, 0 95 6,8 SET i, l 6,4 6 74406 |-743200| 746700 743,1 7,4 8,4 DIR 9,6 ), 0 7,0 |incalc. ni TARS80 ra 8 ETA 8 IAONI DE ONE PRTIO A 2,9 6, 6 STATI ABS ETAOT0N 0703090 2 5,0 1,4 BAG ISIAS 5,0. | 16,0 GITA AS Ao 742,2 3, $ 6,8 6,0 tt 2,7 139 0,1 LO:| 746,8. 746,1 74660 TAG 0 AE et 25 RION 200 8,6 LIT T44:90 74207 ATTO TEU 10,8 8,7 11,4 USA 8,7 fincalc. 12 | 743,7 |742,7 | 742,6] 743,0| 6,3 Ta? 6,6. ‘1172 6,2 7,6 |incale. 13 741,7 | 744,2) 748,4. 744,8 9,2 AS? LiQSa7 15, 4 6,5 11,0. |incale. il 109204 | 7527647926] 702,9 [2587 5, 6 IMPES 16,2 8,0 22 OO TO DET ORA 759268 MOR RIN 16, 7 9,8 13,1 213 16.i11702,60] 1049 [7270 708: Le 2076 9 SEVERI IO 9,0 11,8 È 1.:|'153523 (275316755194 002 PA He OE 00 {edi 95800957: 075, I TA Fo AO 12,4 19] (75609 [2706.727000] Ma6 AIA 16, 0 SI 16,3 10,7 13,0 20%) 755; 4|/7ol,d |:750;5| 709,9 CAESEAERO 10,6 13, 8 8,6 10,5 21 |-742,2 | 738,6 | 740,41 740,3] 9,5 | 13,0 8,6 | 14,6 8,4 10,3 {11,5 99°) 740167 | MALI AD ALITALIA | TE0S8 00 8,1 12,6 1,3 93 li 743,5. | 744,2:| 744,8 |1744,20| 14790) 19,20 (IS TI 13,5 |incale: 21 | 746,8 | 746,8 | 746,4.) 746,7 | 15,40| 47,4 | 15,3 | 184 | 11,2 15,1 25 | 747,9 | 748,2 | 749,4 | 748,5] 15,8 | 19,8 | 15,6 | 19,9 13,1 Lo, | 260] 7501007485 008 402 0,‘ 15,8 12,5 16,0 10,4 IRSI9 incale. 1-97 | 151,0. | 75008 | 9 LeT 61 LE LEO A 72 9,3 12,8 IC2 CIN 248 7000 Anaao 13,4 17,6 IRSA ME/rs9 10,4 37 | 09. |:752:3%| 78201 ]UTSRITA ISOARDI Re 7 133 fincale. 9017755,9 | 157.4 | 760577380 | IL 2 CRON ESE 9,9 LION 04 (30 761,9] 7608 | 760,10] 76098010 SZ IC NOA 12,7 | | | i TATT2. | 146,8 | 74755 | 7AaTRr9 7 E AOA 136 , 10,3 | 54.4 | | | Altezza barometrica massima 761,9 g. 31 Temperatura massima 19,9 g. 25 » » minîma 734,2 » 4 » minima 2,7 » » media 747,2 » media 10,3 ge OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ratre NELLOsservarorio DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83",8) A + SARÒ di MARZO 1916 — Tempo medio dell’ Europa centrale È Slo È ESS, È [Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità Provenienza a E Ea ‘= in millimetri in centesimi in decimi del vento ano E Osel So E ! SO C|RAF Ot MSI CR Media 9Re NEL5h ZIA”) Media” |iv9h [45 SQ gl O o Le = Imm IRIEGRONNORoR Cos 6,5 95 | 88 | 88 90 10 10 È W W W Sn 02 REMO 6x9.::6,5 (31 yer MES ON ISS sò 10 8 0 E ? ? 2200] UNA DAN 949 5,0 OR RAR 60 1 D 10 SE W S 8 85 Alto: 0, be], DI S2 50) 84 79 10 10 6) ? ? \\ 7 0,5 ORD: 6,3. |.9,9 0, 8 DO Or Teri 7 8 2 W W | SW GRROnA 615,3 6,6 | 6,6 COMAMGOR CSI ) NI 8 | 10 | 103 W ? E 8/|4,4 MI IMOTON On 2300 4,2 SI 36 19 50 4 2 h) W SW | SW 13 9) SElioli Morse Dolo 5, 6 Tor SOTA CASf 86 10 10 10 E ? W 9 9 ORIO ona 058 5, A 88 7 76 s0 10 10 0 NVAMNNVA VV O IR ORE 9407 4,8 CORIO 62 6 SIE ? ? ? ARRINQIO NIRO Moss 012 6,9 84 70 Sé SO 10 Do) 10 W S 6 3, 0 28 NOS MSA IR0AGI 6,7 Re SH 91 10 10 10 NW W LIRA ila | ERA EERORZONI 7,8 QRS RZ Rn 76 10 S Ù ? ? Ù 3 10 IRSA MS S0R982 8,3 71 6 89 74 0 10 4 Ù ? N) DI 2001] LIOBIESSOR Zen 993 8,5 76 | 56 | 80 72 4 8 6 S SW W 7 1,4 LORIS ORSI 8,9 TO TZ PIO) 81 3 $ 5) ? S SW 2 1,8 Sher |ishee ero 8,8 CRCR Lo) 8S 8 10 Bi ar ? SW I 1,0 ISIZAZANS 7A 7,6 7,6 7086358677 67 0 ) 0 SW ? ? 2 1,4 LOR EOR Nerssl 7060 76550 ra 62 0 2? |NW) E pel 272 ROMITA Kai eee lol 790192 87 NO METORNEORI 2 NW? 6 | 3,2 DA Esso ie ge enegd91 | 680.0192 84 10 | 10° | 10 2 |NW |? 9 | 4,3 RRENTA0 RIE 6,0 657 69) 0 | 5 57 2 5 10 ? W |SW 10 865 20) | Re e 6,0 I AZZ Muta) dI | 8 4{SW| SW W QQAMZAO 2 |74|64|62| 6,7 7 AZ 48 44) Ugo ADE ISIS SAN lio ace 2EM|ROn9r M6S2e 6a] 6,2 SO O 12 $ 6 10 {SW |SWI|SW 19 1,6 LOBIRORIRI DOC Teo 6,4 OE erge OS 58 10 2 z W N {NW (ORO) MEZo RI ROS FONNI Mon DA DO 40 47 4T 0 5) 0 W NW |SW 16 2,8 SR NV dea) 5,0 ARESE DS 50 0 ) 4{SW| W SW 17 379 2ONIMO: 7,4|)6,6 6,8 61 | 97 | ‘60 19 8 8 O { SW|ISW | Sw SO ARCO) BIOL MEI RSYRS] A SI9) 8,5 SS] ERO ONE] 891 86 10 10 10 ? W ? 5) SR] DIES 9 FSE SZ 84 FS LO CH 73 3 $ 0 ? ? ? 3 (33 (EF-(0)20|LOLtSIR Lola] (0}5H7/ 74 64 TE) 70 6 8 5 9 18 Tens. del vapor acq. mass. 9,3 g.15,16,17 Proporzione Media nebulosità » » » DIRETMINARTO ONDA ; : » » » » media 6,7 dei venti nel mese nel mese Umidità relativa mass. 97 g. 8, 12, 13 SR LA in decimi 5 È I E N NE E SE S SW W NW » » media 70 tì 0) ‘1 gI 5 292 21 7 6 16 (0.0) OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE ratte NELL'Osservarorio DELLA R. Università DI BoLoona (alt. 83m, 8) É D co . & ® £ APRILE 1916 — Tempo medio dell’ Europa centrale cur = ica Forma [Res —=z “A = LISI qr SI È Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada ms delle soap] - ORE c TER IIC E - Media 9 3 Z| precipitazioni = qu Lol Qu Media gh A Zi Mass. | Min. |mass.min{g = D qu Qik ® SER? mm mm. mm. mm. (e) (0) (0) (0) (0) (0) mm. Il 759/8-|1758-8 17758050500 RR I (7A20 RO 13,1 2 158,40) 746 09 TSI (4,1 ITS OE 2 To SI DIO 13,4 18,2 14,6 19,0 954 14,1 ; | 757,0 (755,50) 254,8 |-755,8 | 1973 | snai o0 9,7 14,2 5_| 175355 [075353 75Aiar 7588 AO Re 0 9 14,1 2,4 pioggia 6O|MOIN6 258 Ro 2064250) 16,0 13,6 16,0 10,4 3,0 Ne pioggia Cà CORO io eee RS WE CORIO 10,7 13,8 RED) zo E 2A Berti 10) La 13,4 16,0 12,0 13,6 |incalc. pioggia gr o 4e 62270 2eE 62008 RI 18,9 16,6 19,6 12,9 15,8 10} 700,2 IAT 9 ATO TASSI AT 21,8 ITER 222 ASS IZ IO ZOOre 749808 NATA |e7A850, 119 1250 RES 170 Len 1239 Ret 12] 745,3 | 746,0 | 748,6 | 746,6 8,6 9,8 11,0 AMIRCO 8,6 10,0 0,3 pioggia fig TAI rg ZA ZA ENDS 20,6 16,3 26) d2) 91) TR fig] 740,9) 74204 | 748,2) 743,5 | olo 16,2 8,6 17,0 8,6 12,4. {incalc. pioggia 15 | 748, 7484748, 207489 AA 15,0 11,3 15,4 7,8 11,6 16] 749;4.| 749.4 | 750,4) 749;77) 40,2.) 13,2/| 40,8 | 43,6 6,0 10,2 p7i 250197 (74048 [749 ESTA SES 15,6 IZZAO) les 8,4 N22 Trai 18 | 744,2 | 742,0 | 742,6 | 742,9] 13,4 12,4 9,3 C| 16,6 9,3 12,2 |incalc. pioggia 19 | 742,4 (740,9: | 742,6] 742,0 10,3 916) 13,4 16,6 6,0 11,6 20. |744,7 | 74540] L747, 2) 749718 11,3 17,8 14,6 18,6 9,1 13,4 21 | 748,5 | 747,6 | 747,0 | 747,7 16,6 18,8 14,5 18,9 11,1 119353. 99 | TARA, 4% TABA! TABS] 1743: 90 50 ABS LAST IIS 16,0 1,3 pioggia 93 | 744;9 | ‘745.6.| 750,5: | 746,9 | 10,81 49,90 lO; 2 659 0 an pioggia 24 | 754,4 | 754,2 | 755,5 | 754,7 CLO 13,6 11,4 14,5 7,0 107% 28,7 pioggia 25 | 796,8 | 756.4 706, 9 (190,0 RAI 2 10,6 14,7 ISS 99 13,4 incale. pioggia 26 | 756,3 | 755,9 | 706,4 | 706,2] 14,0 18,2 16, 6 19,0 12,3 15,5 incale. pioggia 27 | 15459] 754605 | 155,60) 759,0. 2A8 40 STO 8 CARTONE IZ Mo 0 OI pioggia 28 | 755,7 | 755,6 | 755,6 |.755, ONIRIORO 13,0 11,9 14,8 10, 6 12, 0 0,8 pioggia 29 | 753,8 | 752.3 | 751,4 | 752,9 | 14,0 18, S 15,7 I9OR6 10, 6 6.0) ue: ò 30 | 751,8 | 751,4 | 752;2 | 751,3 14.9 19,9 1976 2), 1 11,8 15, 1 25,0 [pioggia e grand. 754,0 | 750,3 | 754,0) 750,8] 13,1 | 16,4 | 13,5 | re AEREO | AT AO OE SA I A E Altezza barometrica massima 759,8 g. 1 l'emperatura, massima 22,2 g. 10 » » ‘ minima 740,9 » 14,19 » minima 6,0 » 416,19 » » media 750,8 » media 13,6 Nebbia nei giorni 7, 8. Temporale nel giorno 30. 169 OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OsservatoRIO DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83”, 8) | si | 5 APRILE 1916 -- l'empo medio dell’ Europa centrale CREDE E ©e=| 53 2 |Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità Provenienza e) 2g SS NE in millimetri in centesimi in decimi del vento sz 2,0 S IOrorsi MC È 3 lcd: - o È cloni See RE 9 | 154 | 21" | Media | 9 | 45" | 2441 | Media | 9» [5h [20] gn [in 2bh>_c : ln MERA 04883 0 79 4 69 65 0 9) 0 | NW W ? 2 J6 ORINSE For N0N8 6,8 TI 36 58 55 0 0 0 W W W 4 1,8 SRO oe 7,0 52 | 48 | 62 5A 0 0 0 ? ? E DN BQ00 CSR BONS 02 CO 78 62 s2 74 0 6 3 ? W S 3 2,0 ORO MONSONONI 9,1 68 | 68 | 86 74 10 10 10 | SW W S 10 1,9 6RIr92n 0,4 098 9,8 88 70 SA 83 10 h) 5) ? W W 2 1,0 More So ora ag 57. 80 75 TOLSE 64210 200 CONE MW TERZINO gRidono [96 96.98 GONE RA 93 10 | 10 8 ? SW.| w 844 OSS 82992 8,6 67 5I 66 61 5 2 0 W W_ | NW 2 185 1054 | 8, 8,2 8,5 DD 45 57 92 0 2 5) SW W SW 22 2,8 MBNESSSR NG 99 ses sz ra | sg 82 (05 On MAONTENEE SES spl 164 (1308 IRA a79REZZ6 To 92 87 "7 S5 10 10 () NE W SW 9 1 Ron Soa 7 78 65 | 47 | 51 54 0 0 0{SW| Wil|swli. ui |-16 IU NONO FOA DRO 53 17 68 46 8 8 2 W W_ | NW INSSE SA) | Mogli Vo; 526.) 276 26 | 19 | 26 2U 0 5 2 {NW| W|Nw] 15 | 4,8 CRESTE) MONO 3,9 32 27 48 36 2 6 0 W |NW w 9 4,8 Ire BR 32 Ne 3,8 30 24 48 34 0 0 0 W W W 13 6,4 IST zUa RAS 6,7 52 65 83 67 9 10 0 SW W DI 28 02 lO RO 5,9 74 -|-38 | 50 5A 0 5 3 ? SW |sw| 20 | 2,6 LORETTA 59 602676 76398 749 55 5 8 0 ? W ? 10 | 1,8 QI LES RESA 9,0 59 | 5l 84 65 6 3 DI i W SE (9A Sr ZOONNA LOANO O 76637 75 71 be VSS i To MENE ESN SANI RIO SORTA 28 6 ri | 62 go] TA TORA PE TE NASL MEA ASA INbO tI E e e CAIMONONI Gn 78 00 1 731000) 78 69 4 5 SPINA RONN PONY Sa) 2500 1802 (84 81 Ta 193 AL68 68 9 6 A RENE EDIARO Faxpo DEGIOG 26-|10)5 (11,0 (10,8 | 40,8 | 89 | 71 | 76 79 (OR RETE NANO ? 3 | 2,3 27| 9,6 |10,1|9,1 ,6 (Sp aa LAT N) 70 7 8 3 N W SE pa NOE E SRINSSON E810 ceco 83 OE i 80 10 | 10 DARNE Pic ONE SA ZIBIMO:0. (606 | 6A Gue DO Me 46 0 2 o|NWÎ W ? TO SS) SORIEO0N Sresi gno esce TSE IONE 63 1 5 | 10 i N ? 13 | 3,4 TAR RTEZA 700 7,6 68 53 69 64 5 Obi RU 9 261 Tens. del vapor acq. mass. II, 0 g. 26 Proporzione Media nebulosità A) DENIAL 3 3 S n » media 7,6 dei venti nel mese nel mese Umidità relativa mass. 92 g. 8,12 imi i RA RES N NE E SE S SW W NW NIE » » media 64 2 DEA RE 2 ORE 5 170 (OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL OsservatorIo DELLA R. Università pi BoLogna (alt. 83”, 8) Ione taz » » me l'emporale nei giorni | x dia 193 753,4 Forma delle Media precipitazioni 2 Mass. | Min. [mass.min.| ® PILOSRAIO | o) o) 0) mm. 19,4 lil 14,6 6,0 pioggia 19,0 JU 14,9 612 pioggia ILE Î 3 incale pioggia ipi e grandine fuse pioggia, neve Prec sh | 49,9 Masa (e. . È MAGGIO 1916 — 'l'empo inedio dell’ Europa centrale s : = Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada 5 :9 gu 15" 2h Medi a | 09 | 15” QU Mass. | Min (5) mm. mm: mm. mm. (0) (0) 0) tl 753,4) 759,1|0759,4) 753,3 | 14,00] 872 lA3T6 2 2 | 754,4 | 754,3 | 754,3 | 754,3 | 13,8 | 16,4 Lor d 75480) 75448 | 94030) Vo o 8 SION 164 2007 | 16,0 i | 755,0 | 753,7 | 753,1 753,9 | 14,6 | 19,6..-45,7 | 20,4 12,1 15;7 5 | 7489 | 747,8 | 748,4 | 748,4 | 15,3 17,8 | 16,4 18,6 3,6 16,0 CRT 62 TOLSE 6 2N0N RTS 22,4 18, 6 2000 IRA STI 18,7 7 |.159;9 10344 | 192,2 | 109, 2199204 ISS 49 18,3 8 | 749,7 | 748,1-|:750,0 |-749,3 | 18,2122,6 | 18,2 23,60 10,4 18,8 Quo 2A 60 59 AA 709 080 201008 e 220 8] 17,6 0 110794750] 2752508 | 62864 07592) [1099 R024 76020 MI270 16, 6 8 RIDI APT ESA MM SESGLI PS DS HA eee i 18,1 128 [E 1109 0 oO) ETS240) 7029820 ed (Re 2400 13,0 17,6 13 {154 4127903 | 250,9) 77508. |2146; 20//7177200| 1049 14 | 750,4 | 749,8. | 750,6] 750,3 di 4259 «4,6. 13,9 15 75167504 |1753508 (7920015780 9281740 | 1A A TANT ET 00 O LO 22 19,8 17 | 759,8 | 759,1 | 759,9] 759,6] 19,7 | 22,4 | 20,0 189] 701,4 |1760,2 759 76019 AM 8 AR 70 ZIC6 n n-Q mire | me (ei NEDO c Ai S LONDON 756, | ao) INS 2308 201100: 2000 TT 000 IRA O 2A 760,30 | 760,1 10760, 28060; ROL 2379 94 220 TOUT 9, VODA St 00 20 2 ZIO 23- | 200591 |1754,9 7550475567 022,40 12080 2385 24 | 755,1 | 753,6 | 753,1 753,9] 21,4 | 24,8 | 23,0 | Pi ML a e prari e AV OZA 96. | 752,3 | 750,6 | 750,2] 751,0] 219 | (280 18.0 QU | TAI] TA 0 TTT ASA 18,0 | 14,4 19,4 14,0 16,0 28 | 747,0 | 746,3 | 747,0) 746,9] 17,2 | 19,0 | 16,6 | 20,3 | 13;1 16, 29 { 748,3 | 747,97] 750,2 | 74900] 17,8 | 206 | 190°) 22,4 | 14,9 18,4 SU SE I RR 0A 629/9246260 280 ACNE 6,0 20,4 Sil.| 709,2. |1794,D. | V65,00 754 9 ARR 0 250 100 2081 753,8 | (759,0 | 753,3:| 753,4 | 48, 00| (2405) 48440 22,88 eee I Altezza barometrica massima 761,4 g. 18 l'emperatura massima 28,4 Sp. » » ‘minima 746,6 » 27 » minima 18,4 » media h) QI 00 MII 16,2 17,1 | piogggia gr. lioto 12,9 13,8 4,4 pioggia ZIE 0 1 2 8 16, 1) 0, 9) pioggia Ra o) 18,8 23.4 | 449 | 1975 25 e AT ZON 284 | 17,7} 23,0 9520) 54] 199 MEO Lo ORI asa 000 26,8 | 188 | 229 26,9 | 189 | 226 oGUGLi ro CR2IS OSL E SI) 2150 6,4 pioggia pioggia pioggia | zl OSssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ OsservarorIo DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83", 8) 3 MAGGIO 1916 — 'l'empo medio dell’ Europa centrale 2 S| 22 p p i [i 3 g dIZ o se e. EE Sa -$ |l'ensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità | Provenienza si= E” = in millimetri in centesimi in decimi del vento sz] SÈ G —|— = 23.5| 5° ls) ; O °K e ROTA one 2108 Media (9h [5h 2 | Media! [9 dhe 21 | 9 | ole ziale ce mm 19,0 [10,2 Dj Or 76 67 84 76 3 10 I ? W S sa 2,3 PELO N2a NORM En 86 | 66 | 89 80 10 | 10 0 ? W SE I 1,6 3 [10,8-|11,0 [11,3 | 41,0 Sinni 76 3 2 0 ? NW | SE SIMIEZAO 4 |11,5 [11,3 [10,6 | 11,4 93 | 67 | 80 80 io) 8| 9|{ w|Nw| E 5 | 2,2 NZ IZ EEA RA 920082087 87 10 | 10 9 | NE |NW|NW 9 St GRSR2O INTRRAR 822 Tx Do St 0)! 47 6 5 01 SW|SW|SW | 21 400) Falsa LOTO: OX 8,9 46 | 52 | 65 54 0 6 4{SWI N ? 8 4,2 SASSO MOn2 00 8,1 52 | 45 | 45 47 10 5) 0 | SW | SW | SW] 14 3,6 OR fox97|5x81 118,9 6,9 OSIO MO Mo 44 0) z 2? {NW W W 10 5,8 10{9,4|90|94| 93 | 70 | 51 | 63 61 QIEO N| w E 2} 3,0 melissa nl 8000 lisa 42) 50 49 o| 3| 6] w W | S 7 | 3,3 12|8,8|90|0,4]| 94 | 57 | 49 | 70 59 USS ) E E | SE 5 {3,4 13 [11,0 [11,6 [11,6 | 11,4 82 | 80 | 88 83 0 | 10 7 ? NW | W 3 2,4 TUNLOR2E TONO? [MENA 90 | 88 | 92 9I TOMO 10 ? ? ? 0 ai 15] 9,8] 8,9 (10,4 È 15 RA 66 5) 5 0I{NWI|NW ? 2 1,9 16 {!0,6| 9,9 (10,9 | 10,5 00 RION MIL 59 0 2 0 E W ? 4 3,0 miO 0 76:11:88 SRO 53 | 38 | 5I 47 0 2 O0{NE|NW ? 3 3,6 18 [10,1 7,8|8,0| 86 | 64 | 33 | 41 46 QU On 0 NV SW Sw (7 MORIMOrAO IU, HO 60) 10,3 46 41 45 45 0 2 0 W NW | SW Il DIE 920 [12,7 |10,8|9,6| 1140 | 74 | 48 | 58| 60 o| 0) 0] w|NW]| SE] 12 | 4,8 QUO ZA OL 72 8,7 64 | 41 | 44 50 0 0 0 W N SE >) {44 294,4 (N40 [10,2] 10,9 65 | 45 | 62 57 0 0 0 W W SE 4,6 29910910) 14190 9720 10,2 48 | 48 | 43 46 0 5 4} SM ? SW | 14 SRO DIRE 5 SS 1005 Az 50 2 2 2 W W SW| I 5,4 2099 5 VII dI | 48 | 48 49 0 3 0 N W S 10 DRD 2 LUSZA LEA RSA CE: 92 53 83 63 3 8 10 | SW SW W 19 3,9 Org [l29 958 1018: 006 82 | 64 | 89 78 10 | 10 7 ? NW | W 4 DI) 2goi9, 20/1075 112,0) 40,6 63 | 65 | 85 Ti I 8 S|JNW ? W 6 | 2,6 29 [10,0 [10,4 |11,7| 10,7 | 66 | 54 | 72 64 5| 6] 3] w |NW|sw] ti | 3,6 30 [12,7 (11,1 [14, 12,6 66 | 53 | 84 68 3 8 9 E W W 4 DO Do IS IZ ARA 78 | 49 | 70 66 9 4 6 W N SE 5 2,8 10,0 {10,0 |10,2 10,1 66 ! 53. | 67 62 3 5) 3 7 3,9 Tens. del vapor acq. mass. lA, 0 8.30. Proporzione Media nebulosità DA AO) » >» min. 5,8 » 9 ; ; » » » » media 10, I dei venti nel mese nel mese Umidità relativa mass. 93 g.4 N NE E SE S SW W NW in decimi » >» min. 32, > 9 pi dol e rn 6 14 , » » media 62 Ae: ; ’ ù i n) Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. 172 OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservarorIo DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83”, 8) = =. 7 O P * n - EV 1% GIUGNO 1916 — Tempo medio dell’ Europa centrale SI , | E RIS Forma co F 1 ; = ta) Barometro ridotto a 0° C. l'emperatura centigrada Rs delle = __|&# E : | Media |d 3 Z| precipitazioni S gu 150 21" | Media| 9" 15° 21% | Mass. | Min. |mass.min.|? SO D I 9|1 q 21" |A mm. mm. mm. mm. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mn. {| 755,0 | 754,6 | 754,5 | 754,7] 19,5.) 22,8 | 20,6 | 22,8 16,0 L19587 pioggia e neve Qi 1580. | 752,2 | 704,60) 702,90] AS 240 RIS 25 LO 20,7 pioggia SITO TAO CATA A DIAZ 26,2 Re GIA Jo 2200 4 | 745,8] 745,9] 747,8] 746,5] 18,6 | 259 | 1454 | 22,5] 154| 18,0 5 | 749,2 | 749,2 | 750,9 | 749,8] 17,8 | 23,0 | 185 | 242 | 13,3 18/4 6 | 750,4 | 750,8 | 751,9 | 751,0] 20,8 | 25,2 | 20,6 | 26,0 | 17,2| 24,2 TA 1024/80 | TO 2060620 o 268 | 2339 |, 2753 17,8 22,6 8 | 753,8 | 753,3 | 753,6 | 753,6] 22,4 | 25/8 | 226 | 26/6 | 178 | 22,4 9 | 753,3 | 752,2] 752,0 | 7585 22,4 | 264 | 229 | 276 | in7| 296 LORO 028 TA 9A9 Az 70-19 R203 27,0 20,5 27,6 789 VOLI a ì È oi raf] dR5 ì) è) h) è] È) AROMI 900 20, 1 23,0 19 24,4 16,6 20,1 4 gg A FRESCA) n] Ca : ) e: ) ) EA Fra Ret Ar REINA EZzzzIO, 19,9 | 24,4 12,6 l99 A 3 | 750,6 | 750,1 | 750,6| 750,4] 20,0 | 24,6 | 20,2] 25,4 | 148 | 20,1 14 | 750,0 | 748,6 | 748,3 | 749,0] 19,4 | 24,4 | 21,7 | 25.6 15,1 20, 4 15 | 750,9 | 750,8 | 750,9 | 750,9] 204 | 25,4 | 2222 | 261 | 1551 | 20,9 16 TITO MO 6 ARR 280 2398285 17,8 23, 1 di ) La i) fa) a) ) aa i) ) ’ p) Tao 0864 753928 52 20, 1 23,6 20,4 24,0 IS) 204 incale pioggia 18 | 750,5 | 749,1 | 748,5 | 749,4] 20,3 22,97 | 20,8 | 23,6 a 20, 5 19 | 745,8 | 747,5 | 750,5| 747,9] 23,1 25,4| 244 | 276 | 18,2) 29,6 20 | 755,4 | 754,8 | 755,0 | 735,0] 217) 270 | 2355 | ar7 | INt | 295 21 | 756,1) 755,4 | 755,8] 755,8] 22,1 27,6 23,8 28,9 17,6 2004 incale. pioggia 22 | 757,5 | 756,1 | 706,7) 756,8] 21,7 20 231 28,0 17,5 Q207, 23 | 757,4 | 756,3 | 755,9] 756,5] 25,4 | 286 | 24,6 | 296 | 18,0 24,4 24 + 755,0 | 753,7 | 754,1 | 754,3] 22,8 | 28,4 20,2 || ‘20:0! 20;0 QUAD, 25 | 704,3 | 753,2 | 752,8 | 753,4] 26,0 | 30,0 | 26,8 343 EZIO 26,4 26 | 751,3 | 749,2] 748,7 | 749,7] 249 | 286 | 25/4 | 997 | 207 | 25/2 27 | 747,6 | 746,6 | 747,4] 747,2] 240 | 298 | 234 | 299 | 208 | 245 28 | 748,2 | 747,8 | 749,0] 748,3] 25,2 | 27,6 | 23,1 | 280 | 20,1] 241 29 {792,3 | 702,0. 753,2 | 752.5] 24,6 | 2772 | 252 | 27.6 19,0 23,4 30.4 756,1 | 755,7.) 756,9] 756,0.) 23.4 || 28.80/72553 || 299. | MO 24,4 752,3 | 751,6 | 752,0 |-752,0| 21,9 | 26,1 02 | 26,9 | AT4 22,4 \lincale: n _ d' |’ eee EJSy-5SC_C_ dd fut‘ $£*‘f£‘ffftfroteree«f«([RgPS9à» | » minima. 12,6 » 12 » media 752,0 » media 22001 Nebbia nei giorni 1, 2, 5, 23, 24, 25, 27, 20. Gelo nel giorno 4. RR —__—tmm——_—_— _ ls 173 — OSSERVAZIONI METEOROLOGICHk rate NELL'OsservatorIo DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83", 8) | $ GIUGNO 1916 — Tempo medio dell’ Europa centrale 5 n SE Ve IZZO È [Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità Provenienza > DIE Te in millimetri in centesimi in decimi del vento Bic SI 2 5 3° El Coe STE CIN 2] eMedia: [gh bh 24% Media | 9h RR | PSE (Sio e mm DE RR ESE 119 IO 80 | 44 | 66 63 9 5 10 W |NWI E 5 5,0 Qi OSIO IOT4A In] 1A1,0 64:| 47 | 62 98 0 8 0 W W SW 4 400) Salon 12537108: 9 10774 49 | 49 | 45 48 0 5) 0 ? NW | SW Il 4,5 7 RODA INA NUSO 6,0 SI | 23 | 59 10 9 1 2 {SW| SW | SW 26 6,4 3 MEAZZA RAG ti 43 | 31 | 48 42 0 8 0 ? W SW 12 5, 6 6RjiS, i | DATA dr 408220 9Il 2 5) 1{SW | SW SW 26 4,9 1 SO 1,8 12310183 35 0 2 2{SW| W | SW 16 3, 8 CROMO LO AZIZ IONE 48 | 38 | 60 49 a) 8 6 N W SE d OI OR28978 1200 1698872 Ie 61 0 $ 3 | SE W E 5) 5, 0 10 {10,7 | 4,8) 6,0 7,2 don ai 085 a 0 È 21 w W W 19 4,6 Mo, 4:87, 0h SORIA AT 35 0 6 0 {NWÎ|NWI| SE Il 8,6 (Qi 17,2 DAI QATIIZION (042 31 0 2è{sw| W |SW ll 5,6 133[78;9| 4,7 | 5,5 62 47 | 20 | 31 39 2 2 0 NW), W |SW 18 De ARRONE OSO 6,9 47 | 32 | 28 36 0 d 0 ? W |SW 10 6, 2 ERRO 309 709 6,0 36 139 31 0 0 0I{NWI| W ? 9 8,3 MR |NSSTO9n24 0672 8,0 42 | 33 | 29 35 0 3 7 ? W | SW 20 5,8 RION O: 7 02,6, ] IA 609 | 49 | 7A 61 10 | 10 | 10 N W SE 8 5,0 SR |t29T 12047 TB 1279 TRIO 69 8 ti 10 ? N SL 2 2,6 london 7,2, 1072) 10,3 64 | 30 | 54 19 0 5) 2 N SW | SW 16 5,2 Q0RMON2A Fon USO 8,8 48 | 21 | 53 41 0 5 7 W ? SE 12 6,0 QARORTO (140 (12,40 db 54 | 44 | 57 52 0 ) 1|NE| W SE A 5,6 DR Led 253] LI, UE | 58 4 2 0 ? NW S d UT QUAM (1018: [2,38 | 141,8 46 | 37 | 53 45 0 8 vo) VW SW SE 5,9 20004 AL 914,00] 131 65 |. 41 | 59 55 2 8 0INW|NW)| W 3 SY o 2 92 10,6 46 | 36 | 35 39 0 Oli MEN SW ca 26 {11,6 (10,8 |9,9| 10,8 50 | 37 | 41 43 8 Dea Ro ? W | SW | 15 | 5,9 23 REEAit SRO Sh 50 | 26 | 40 39 0 5) 0O|{NW]|W |SW 15 5,8 28094] 9,8/ 7,6 8,8 SOM DONO DI 0 6 0 {SW| SW | SW 26 6,9 SOREOST 69 8,4 50 | 28 | 33 37 0 2 0 VW W | SW > 7,4 309,9 9,1 8,9 RE 46 | 31 Au 38 0 i) 0 W |NW|W 8 6,6 9,9 | Si6n N99 51 | 34 | 46 44 2 5) 3 Il 5, 6 ‘l'ens. del vapor acq. mass. 14,9 9 Proporzione Media nebulosità » » » » min. 3,9 » 15 : : >» » » » media 9,3 dei venti nel mese nel mese Umidità relativa mass. 80 g. 1 AI ; bia ge LOTTO N NE È SE S SW W NW IOSCIDII | » » media 44 4 N N Se O 3 _——————T€È@_————_————————_—___—————» » DAMIANO : » » » » medial4,2 dei venti nel mese nel mese n ia LAT : bi: Va se Ha + g: di N NE E SE S SW W NW in decimi » » media 48 DA AZ OLO 28 12 3 {9 @..@0ozÉr P USsERVAZIONI METEOROLOGICHE 176 pATTE NELL'OsservarorIo DeLLA R. Università DI BoLogna (alt. 832, 8) | Giorni del mese [{efo Ke] AGOSTO 1916 — 'lempo medio dell’ Europa centrale Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada Media DI 15" 20 | Media, 94 15% 2 Mass. | Min. |mass.min. gu Qh Pte a STAI Pope a | AP7S ee | PEA hi dre mm. Mn. mm. mm. (0) (0) (0) (0) (0) (0) 156,8.) 256,1 | (756,4 150,40) 26:00) 23020 N20 NES 12250 ZOsD 190 D | TLT 00] VISTE 6 20 20 32 8 229) DT 157.6 | (756,0. |2548) W56,4.| 27,900 033100 R 82994 RSS RR 29,0 752,0 | 748,9 | 746,0 | 749,0] 29,0 | 34,0 | 29,5 | 34,4 | 25,6 29, 6 754,8 | 755,2 | 156,0 | 755,9 148,2 | 22,0 | 19:D | 2955 | 43,2 24 196; 4 | 7554 || 756,2 756,40]: 49750 | 2357 2507 REI 19,8 796,0 | 754,6 | 754,6 | 755,1] 23,4 20,6; (| 22209 RISOLTA 22,8 750,0.| 756,1, 757,6) 756,6] 23,84 274 0| 2290) 28,2 |-A18,4 2992 tRA9* 75958 | TO, 760.90] PON 26608 RI ZIO MO DA] 104,4" 275806. | 76859) 1759.0 fe 28087 ZIO 2330 TO, 9 | 759: D | 75559 (06, AI 9080 ZA 6 21,7 25, 18,6 2,4 754,4 | 759,7 | 753,9 | 754,0] 22,2 | 26,6 | 20,8 | 27,5 | 49,3 OB 794,3 | 752,0 | 751,6 | 752,6] 23,9 | 30,8 | 27,0 | 31,1 19,2 2503 Od] 760 G4 1 5076.) 750,741 2650.) ‘30,8 RO 342 2800 26097 752,2. | 752,2 | 753,0] 752,5 | 29,5 | 29,2 | 269. 30,9 | 202 25, 8 755,6 | 754,4 | 754,2) 754,7] 25,6 | 30,4 | 26,0 | 34,2) 226 | 26,3 152,9 | 748,9 | 747,2] 749,7] 25,6 | 33,2 | 29,0 | 33,5 | 24,6 | 27,4 745,0 | 743,0 | 744,5 | 744,2] 23,8 | 27,4 | 20,9 | 29,0 | 196 | 23,3 745,9 | 745,7 | 745,8) 745,9] 20,0 | 23,6 | 22,6 | 24,1 | 17,0 | 20,9 749,2 | 749,3 | 791,6 | 750,0] 20,9 | 25,3 | 212 | 26,0 | 17,6 21,4 751,7 | 749,6 | 749,8 | 750,4] 20,0 | 26,6 | 23,8 | 27,1 | 16,0 27 791,2 754,21 752,3 | 754,6 7,5 19,0 16,7 23,8 16,3 18,6 154,2 | 754,4) 754,2 | 754,2] 19,3 | 234 | 2651 | 244 | 44,0] 19,7 754,5 | 753,7 | 755.9] 754,7] 22,4 | 25.8 | 190 | 26,4 | 17,4 21,1 155,9 | 754,8 | 754,3 | 755,0] 20,0 | 25,8 | 22,0 | 26,3 | 15,9] 24,0 753,93 | 751,5 | 752,6 | 752,5] 23,0 | 29,2-| 24,4 | 29,9 | 18,7 24,0 752,2] 750,4 | 750,5 | 751,0] 24,1 | 29,0 | 25,4 | 29,3 | 19,0 dA, 4 719,8 | 747,8 | 748,4| 748,7] 24,7 | 29,4] 25,6 | 30,4 | 21,5 | 25,6 750,2.) 749,4 | 740,2 | 149,100] 2257 2781298002070 02 39, 4 748,9 | 747,5 | 747,9 | 748,1] 27,2 30,2 23,0 31.0 18,4 24,9 T4T,8 | 749,2 | 754,9 | 749,4] 29,4 0= 20720) 16:30] 24,8 (AGIO, 20,0 CO N N rca ia ci 595: | 752,3 1759, | 1628 232002705 MA RSI 230 Altezza barometrica massima » » mm 101,9 0 743,0 » MOZIA » ‘ minima » media ‘Temperatura massima » » minima media tazione ipi pioggia, neve e grandine fuse Prec mm. PZA incale. incale. 3,9 incale. 34,4 14,0 23,7 Forma delle precipitazioni pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia mu — 177 — OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OsservatorIo DELLA R. Università DI BoLocna (alt. 88", 8) KS) v A a 5 2 AGOSTO 1916 -- ''empo medio dell’ Europa centrale 5 Sio p - [a E do Id] cd si, Biet.|ust - [Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità Provenienza > E Sa = in millimetri in centesimi in decimi del vento ca 2,© ESM SEORE CADI 20 MiMedia. | 9 Abel 215 | Media | 9h! 45h 248] 9 III IP = mm Meloni 2 42 28 52 | 36 | 55 18 0 3 0 NW| E ATI PESTO ORE 014,60 | 13,2 SOI 9000 SÌ 45 0 0 0 ? NW | SE 5 |44 Fuil9n6s (19; 2 l6, 60] 14,5 49 b | 55 46 0 2 0 3 ? SE 4 {6,4 Maia S9A 1072416.) 1179 47 | 26 | 38 37 0 0 0 {SW | SW | SW RIPRIESRO SM 0n 7 9 TO, 10,0 76 | 40 | 60 59 10 0 0{ SE | SW ? 2 peri GRISORAa) 7,496 8,7 94 | 34 | 66 48 0 3 0 ? NE E Q |A4,4 MAGO LO, 714,6 9,4 42-| 30 | 57 13 0 0 0{SW)|SW | SE 6 16,3 8 [10,9] 9,6 [10,2 | 10,2 50 | 35 | 49 45 0 0 0 E |SW| SE 11 | 6,0 QNIOr279,5 10,5.) 10.1 SI | 37 | 56 48 0 0 0{ W|SW| SE 14 .{ 6,0 10 {10,4|9,4]|13,8| 11,2 L38167 49 0 6 3 ? NW | NE [OGNI DESIO To 2A 6030908127 (SET 66 10 D 5 N |NW | SE 3 {4,0 2A {205 (10714901 417 63 | 41 | 48 dI 0 3 0 ? NW ? (UR ASS) IRR 7,2 142,9] 10,5 52 | 22 | 48 41 0 d 0{SW| N E DORICO AMINONZA AA 8° (12:91 141,3 91.030 | 50 41 a 9 0 ? ? W 10 | 6,3 15: |15,0 |13,4|11,1| 13,2 | 62 | 45 | 43 50 DEgli doula Moti dp W S 5 | 5,7 lGRitoszi Monta do 42 | 33 | 56 13 0 7. IIC W S 8 | 6,4 17 [16,6 [17,7 |124]| 15,6 | 68 | 47 | di 52 o| 0) 3] ? |sw|su 9 | 5,8 18 [13,4|7,2/11,4| 10,7 61 | 26 | 62 50 3 ò 3 N |SW S 12 ), 6 (ORAl0F89 94 10,0%) 40,1 62 | 43 | 49 1 8 $ ’ ? ? 2? 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IT, (SIT Proporzione Media nebulosità ere o ii 2 1318 l l >» >» >» » media l1,5 dei venti nel mese nel mese Umidità relativa mass. 87 g. 22 x in decimi n Ro ART N NE E SE 8 SW W NW TReAecirni » » media 56 A 2 4 12 4 17 412 10 È n =" 1_ eetaTr—-——-————e-- ——r e—_"————--+————————>"=z 178 — OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatoRrIO DELLA R. Università DI BoLoana (alt. 83”, 8) Giorni del mese ® 7 D SETTEMBRE 1916 — 'l'empo medio dell’ Europa centrale |S © £ x S Sa Forma Barometro ridotto a 0° C. Tl'emperatura centigrada È SÉ delle f& E | Media |'9 3 £| precipitazioni JE 5h 21" | Media] 9” LO 2%" | Mass. | Min. [mass.min.|®'= °° | 9" 21° {A Li) mm mm mm. | mul. (0) (0) (0) | (0) (0) (0) mm. 754,7 | 754,7 | 759,9 | 759,1 19,5 | 23,2 | 20,3 | 24,0 19 19,9 757,8 | 756,7 | 757,1 757,2 | 20,6 | 24,8 | 21,0 | 25,1 | 147) 20,4 758,0 | 756,4 | 735,8 | 756,7, 18,1 25,8 QI 26,2 16, 1 20, 6 | | 104, 2 MToR20] oli, 23 Ea ZI I 0 2990) 748,1 | 745,8 | 746,3 | 746, TE: 22010 16,1 2996008 108 192 dI pioggia MTA NA 20 TASSA TATOO IA) MIAO 14,2 | 16,1 1209) 14,2 Q251 pioggia | | 754,6| 752,5 | 759,7 |.752,6.] 15,0) 18,4 | 16,4 | 18,9.| 43,9 16,0 8,8 pioggia 754,0 | 754,4 | 755,38 | 754,6] 15,2 | 194 | 18,2 | 20,7 | 15,0 | 47, 1,9 pioggia 767,1 | 757,2 | 757,6) 151:3 | 43900 22008 os o 6,9 | 19,4 0,6 pioggia | | Ì | 756,5 | 754,8 | 754,2 | 755,2] 18,5 | 22,0 18,9 | 22,1 I LOR? 752,3 | 750,1 | 750,0 | 750,8] 18,6 | 23,4 | 20,4 | 23,7 | 17,2| 20,0 Ri; 14960] 154,4] 793,9) 754,3 | (8500) VE6000 6,220 17,6 28, 6 plogg1a | | . Q 754,9 | 753,1 | 752,3 | 753,4] 19,1] 22,2 | 19,4.) 22,9 | 16,0 19,4 1,1 pioggia 750,6 | 748,8 | 747,8 | 749,1] 21,6 | 24,0 | 21,5 | 24,5 LT Za pg 759,02 | 75956 764,2 753,16. A5,90 | 62579 2560) 17,2 0,5 pioggia | | 754,6 | 754,4 | 755,7: 754,9] 14,3! 418,0 | 15,9! 19,0 | 14,1 | 15,8 757,3 | 756,4 150, 7 756, $ 16, $ 20, 6 Ufo) AO 13,4 ET 757,9 | 765,2. 703,50) 705,3 4 46,4 | T21700 | 8:85) 21500 [042,0 16,9 Ì 147,7 | 745,41 743,0 | 745,4] 21,4 | 20,8 | 20,1 RR Moro 20, 0 AR 428074108 ARA RI 6 | 17,4 | 13,0 | 20,6 13,0 16,0 3,8 pioggia 744,2 | 745,9 | 749,10 746,20 412,5 | 145,80) 14,50 | 1659 AI 13, 6 9, | pioggia | 755;0: 575 899 39 86 o AE 16,0 |incalc. pioggia 760,5 | 759,6 | 760,2 | 760.1] 15,2 | 18,0.| 14,0 | 18,7 | 14,0 | 44,7 OI 7995 Mo 900 OA RS 8 o STO 08 14,3 | | 100,0 | 7595616090760, 60 RITO RO TOT 9 MR 16,5 760,9 | 760,1 | 760,0 | 760,3 | 16,2 | 20,4 | 16,8 | 20,9 | 13,9 | 47,0 759,0 | 757,6 | 757,7) 758,1] 16,0 | 20,6 | 18,3 | 20,6 | 14,5 17,4 754,6 | 752,9 | 750,0 | 752,5] 47,1 | 18,0 | 17,9 | 19,6 | 16,7 | 17,8 6,8 pioggia 746,0 | 744,4 | 744,4 | 744,9 | 16,0 | 18,0 | 15,9 | 18,6 | 148 | 16,3 | 43,8 pioggia 244,2) 744,9 | 747,6 | 745,6] 16,2 | 20,0 | 18,0 | 20,4 | 13,8 | 17,0 5,1 pioggia | o SAS Lo e _————_———TT_—_—_——1T_——u 753, 4 | 752,8 | 753,1] 753,4| 17,2] 2001 | 17,71 24,2 | 146 | 417,7 [134,7 Altezza barometrica massima 760,9 £. 25, 26 ‘l'emperatura massima 28, g. 4 » » minima 741,8 » 20 » minima 10,3 >» 24 » » media 753,1 Rugiada abbondante nei giorni 18 Nebbia nei giorni 27, 28. Temporale nei giorni 12, 29. 24. è] » media 17,7 | n rr o10oo_ee#e—ye‘"‘"wmwuprFu_y,;:«»’—- -=è Sg; — 179 — OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatoRIO DELLA R. Università DI Boroena (alt. 83", 8) SETTEMBRE 1916 -— Tempo medio dell’ Europa centrale D n D GS È [Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità | Provenienza DE in millimetri in centesimi in decimi del vento E : 9 D del vento in chilom. all'ora Velocità media Sola 210 eMediat iughie5he 21 |) Media. [9h Moral 0a [15 RAI Evaporazione : nelle 24 ore W ? ? 2 î î | DD 09 => o) RAR ZINM) fe) O co OI {o DUO (o 221i (46) Ss ut (=; si (er) (— DSS v » v I DI WI DAY DUI (—») JI UT DO 25 lor) HS FS NI Ut! ur >= Sì 1 L LI ES 90 ro UT v »v 9) (<>) DO > te So DU (<>, co n= WU DO ue CO (da ES un (eri x o) o) DIL pi (co v i < v to (er) (<>) Sh pe) e 2 69 09 Di 69 > je, 10,6 [10,41 [11,2] 10,6 | 73 | 59 | 75 69 4 6) 5 SR 0, T'ens. del vapor acq Mass. 11,6 g. 28 Proporzione Media nebulosità » » » PARINI (LO » 22 . >» >» >» >» media 10,6 dei venti nel mese nel mese Umidità relativa mass. 99 g.12 N NE E in decimi » » min. Sh) co ; | I: 30052 » » media 69 _____—_—r——————————rT___r______—_———____—#@____@_______"—____©__#@__©_=——#_@__=—_—_+====212121.k11—=—=—2221212112=<147 <<—____& = (—») DOSI — — — > ° vo —_ — 9 (er) © uwu = RES (20) SKK) (= UTD = SEZ (Su I 29 le) D'RIL0O, CD to Ot UI 109 qu oi = 20 n 0.0) ud06 < 7 ) ptc ) ) (©) to DSH - Ferie] lor S SALSA eriior) uu ROSSE Seo SCSISÀ s DIRI K (0 0) dad £ ) a td) e DÒ, dI LU I —1 200 o ot DI UT IST DI to! e) wo Pa 2 3S23E ai vv n DU 9 vd = == 90 DO è de Ct do (36) [smo 1°) — Tì ———_—_rr_____—m—_tt—————————_————_—_—_—_T___=T——=x=x8ct&kaA@lkAM i (4°) i Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. — 180 OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservarorIo DELLA R. Università DI BoLogna (alt. 83”, 8) — - = - © : 3 ® £ OTTOBRE 1916 — lempo medio dell’ Europa centrale So E (Pla, Forma AZ i ag e È Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada ATE delle Seogi ER —| Ba 20 E poi FEAR 7 Media |'9 3 £| precipitazioni 9 gh 5 21" | Media gh [bi Pa IL Mass. | Min. |mass.min.|g'=% EM 9” 9h & v mm. mm. mm. | mm. (0) (0) (0) (0) (0) (©) MADAE 07228] 7688 MR A 16,0 16,8 14,2 18,0 13,8 15,9 incale pioggia RTS 0a 00 600: 707 14,5 17,2 1347 IA MISI ESS) DOTAOAZION MIDO OS o] 13,5 15,0 16,3 18,4 RIO 19, 1 4 | 760,5 | 760,6 | 760,5 | 760,6 14,7 18, 6 16,8 1399 SII 16,0 5 | 759,6 | 757,8] 758.6 | 758.7] 15,2 | 194 | 17,7 | 19,8 | 14,8 16,9 61 7608 | 7614 | 7611] 764,1] 15,9 | 20,2 | 1774 | 20,3 | 14,0 16,9 7 | 760,8 | 758,6] 7584 | 759,2] 17,0 | 24,8 | 17,8 | 24,8 | 14,3 n SATO 98/00 94000909 1g 22,7 19,0 229 16,5 19,4 QRL 70078 70:01 los P24910) 18,0 PE) 13,4 17,4 10 | 763,0 | 762,4 | 763,1 | 762,8] 16,7 | 20,8 | 17,0 | 21,0 | 14,2 17,2 LI RARA 202706278 17/0900 ay 20,0 16,6 20,5 12,8 16,2 L26627 07/63, 0076301 16,2 ZIO 16,9 21,9 so 17,0 13] 763,9 | 762,7 | 762,9 | 763,2] 16,4 | 20,4 | 16,3 | 206 | 14,0 | 16,8 14 | 7629 | 760,7 | 760,5 | 761,4 | 15,4 | 194 | 163 | 19/7 | 13/4 16,2 15 | 757,5 | 754,7] 753,4 | 755,2] 14,7 | 19,2 | 149 | 19,3 | 13,7 15.6 164 TATTO 76049 on MZLSS0 16,$ IR 20,4 258 15,8 3,4 pioggia IVO SIA|ROrO8 Or MLO705 LEA 15,0 10,8 Loro Ji 11,9 597595 RTS TDOTSIO LOSS 9,5 12,6 teneri 286 6,2 10,1 19 | 753,4 | 751,5 | 750,5 | 731,8] 10,8 | t4,t| 4194 | 1452) 93) 414,6 20 | 747,7 | 745,8 |.743,3 | 745,6] 10,2 | 10,2 7,4 | 19,1 7,4 93 | 23,4 pioggia QU 744,4 | 745,4 | 749,7 | 746,5 6,3 6,0 6,8 8,4 4,7 6,6 Z081) pioggia 220 RESI BA ee 13,0 11,0 13,6 6,6 10,3 230708 MB0N6R MST 00 SAONA 11,6 11,6 8,6 10,2 J 0 VAT ERO IE 10,7 9,6 ORO 11,6 HR(6) 10,4 1252 pioggia 25152924 Molto VOOR 05 Gra) 12,8 122] 13,8 SR Mo? 21,9 pioggia 26 | 748,6 | 750,4 | 752,3 | 750,4 I6s2 2 19,4 18,4 12,0 15,0 27 | 755,9 | 756,3 | 756,5 | 756,2| 125 | 142 | 13,3 | 107 | 10,383 | 127 28 | 756,1 | 754,6 | 744,1 | 754,9] 11,0 14,4 13,0 14,8 10,4 TERESA] GL pioggia Meo a 6) 108 12,6 LI, 13,0 10,0 INIFRI 1,6 pioggia 30 | 753,1 | 755,0 | 758,3 | 755,5] 10,7 | 14,2 | 11,8 | 14,2 | 10,3 | 14,8 21 pioggia 31 ‘| 761,8 | 761,8 |:762,3 | 762,0 | 12,3 LO 1252 L999 UNO RIE 757,0 | 756,4 | 756,9 | 756,8] 13,4 | 16,3 | 13,8 | 17,0 | 144 | 13,9 | 96,2 Altezza barometrica massima 763,9 g. 13 l'emperatura massima 22,9 g. 8 » » minima 743,3 » 20 » minima ASTI ZI » » media 756,8 Z media 13,9 Nebbia nei giorni 5, 6, 11, 19, 20, 21, 23, 30. Rugiada abbondante nei giorni 10, 13, 23, 31. —.131 —- OssERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatoRIO DELLA R. Università Di BoLogna (alt. 83”, 8) = —_——— D ° a 5 Bi OTTOBRE 1916 — Tempo medio dell’ Europa centrale 5 = 85 DS dl 00 i SIE S Sa © 9 “q-,0 . BR G VE ce) £ [Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità Provenienza az ol 5 3 in millimetri in centesimi in decimi del vento cio a 5 ] SCE lo) gh 15% | 21" | Media gh tt | C2RE Media gu J5R | 24! qu 15 JU E 10,4 |10,2| 10,4 79 73 SA (9 10 3 Il ? SE SE 3 ISO DU to 1I — nor — (49) e, TO 0 — » v («= co, 04 it = DSi (er) (o) DI 4 e DI (Her Ko) (©) (=> v v ei DEU © 9 ona (er) 0 -2LUI Csi Do TO LS do ore pe | ci DD uti 9 De CC 0 = I DI o eri fn: I Nertoo i. to Deo (=) vv ve vw DSL IR po = © 10 > = lo oe I = ca) dAIN t] ° Sii, = w v v = Sa (Si) (eri Dì To ur UU 0 €09 [{°}) =2 ASD 1 (19) 7 neo) tjre 2 (oo, LO) S => (©», S («= ne) v v v no D DD ,3 | 41 | 60 18 0 5 0|{SW|sw|sw I: DI Lo 2 (2°) ni o > (2°) x v a, (SI in n) LN DN va e nen È v x arr ara no] 25) = i > : : | mim CA) AR A 9 È ° n E L TT to A . l'ens. del vapor acq. mass. 13,0 g. 9, 10 | Proporzione | Media nebulosità » » » PARINI NOn | >» >» » » media 9,4 dei venti nel mese | nel mese Umidità relativa mass. 100 g. 20, 25. | » >» min. dl » 17, 26. N NE E SE S SW wW NW | in decimi » » media 77 o (0 00 4 E ZO 5 | USSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL OsservatorIO DELLA R. Università pi BoLogna (alt. 83”, 8) Nebbia nei giorni 2, 3, 4, 9 Rugiada abbondante nei giorni 1, 2, 26 5, 20, 21, 25, 28. A D) (od) x (DI E NOVEMBRE 1916 — 'l'empo medio dell’ Europa centrale |5 © £ di Ro S PGE 3 Barometro ridotto a 0° C. Temperatura centigrada pos, ne _— |Bo0os - Media |'9 SÈ ss gh 15° 21" | Media ghi 15" 25 0 Mass. | Min. [mass.min.|g'3.°° (do) | gu, 2h A d mm. mm. mm. mm. (©) (©) (0) (0) (0) (0) mn ii 763,1 | 762,4 [762,51 | 202,07 11,6 15,0 12,4 15,0 9,7 IRR 2 761,3 | 760,4 | 759,8 | 760,5 | 11,4 IHPES ez 12,6 9,4 IE 34 758.4 | 756,9 | 757,4] 757,4] 10,4 | 14,0 | 10,3 | 140 | 9,6 LI 41} 15009715970. INTn0r9 NT, O 12,0 12,0 IR): Si 11,0 incale. 5 | 74874 | 745,9 | 745,5] 746,61 16,5 | 19,0 | 17,6 | 19,2 | 14,9 16,3 |incale. 6 | 747,4 | 748,2) 750,1 | 748,6 | 14,1 16,4 12, 8 17,6 12,8 14,3. [imcale. 1199 Ta 249520 O 2A 15,0 dia 1550 9,8 12,2 Sul 74909 |S746, 2 | A9T1 | 7460720 VIR0I 13,0 ART 14,4 9,8 12,2 fincalc 9 | 743,2 | 743,8 | 744,7 | 743,9 056 9,4 dA DAT 9,2 TON 24,1 L04508 75599 0590 RION RS) 13,6 RAT 14,4 O50) 12,4 OJ 11 | 761,9 | 760,7 | 760,7 | 761,1 12,3 15,0 19,1 15,2 RZ] 192 055 L27600) 7687 OS: A 1090 11,5 Br e 13, 8 10,8 12,0 13 | 756,6 | 755,5 | 759,8 | 756,0] 11,2 4,8 IMSS 14,9 10, 8 2,2 AA TO RIO] 2008 753 70208 9,2 1,4 4,8 12,4 8,1 SRO incale 15 | 754,0 | 754,5 | 754,7] 7544] 8,4 9, 8 64 | 10,6 | 6,1 7,9 16 | 754,9 | 795,3 | 759 1 | 755,1 4, 6 0562 3, 6 6,8 DIO 4,6 17 | 75404 | 752,0 | 750,6 | 752,3) 3,0 4,4 20 | 4,8 1,4 2,7 0,1 18 | 743,2) 738,4 | 730,6 | 737,4 193 1,0 0,7 25) 0, i 11,4 19 | 732,9 | 736,9 | 739,9 | 736,6| 3,6 Roio 0,2 6,3 4,9 QI ZA6,I | TA410 N I9AN TAB 4,3 DIR 5A 10, 6 357 6,0 14,9 Q1 |738,9 | 740,9 | 743,5 | 741,4 5, 11,0 Udi 11,4 DA 7,6 11,5 299 TATO TANI 420704 90. 11,0 1) 10,6 dl 8,6 200) 23 | 758,9 | 739,9 | 762,4] 760,4] 68 | 102) 84 | 410,6 | 6,3 80 |incale. 2 | 766,0 | 765,0 | 766,0 | 765,7 6,0 9,2 8,I 9,3 DIO osi 25 | 763,1 | 7599 756,7] 7599] 82) 9,8 9,6 | 10,0 8,0 9,0 26 | 750,3 | 747,6 | 746,0| 748,0] 7,h 9,2 9,1 9,8 TA 8,4 0,1 27 | 747,3 | 75150 |755,4| 751,2] 7,3 | 10,0 85 | 10,3 6,8 sp 28 | 759,8 | 761,0 | 764,3 | 761,7] 6.7 64 66| 85 | 6,4 7,0 5,8 29 | 765,6 | 764,8 | 764,3 | 764,9 7,6 9,9 10 9,3 6,4 7,6 0, 3 30 | 763,6 | 762,6 | 762,4 762,9] 6,4 8,2 6,8 DID 5, 6,6 | 753,7 | 753,2] 753,4|.753,4| 8,7 | 10,7] 9,3 | 156] 7,4 9,2 |134.7 Altezza barometrica massima 766,0 g. 24 Temperatura massima 1972 g.- 5 » » minima 730,6 » 18 » minima 0,2 >» 19 » » media 753,4 » media 9,2 Forma delle precipitazioni bl pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia pioggia —_Y e _— ___———————Ò __—__———————————————————————@—@@@—@—@—@—@@@—@—@—@—@—@—————@—@—@—@—@——@——1—@1@—@—@—@—@—@——@——@———@—————114À—@_——————— 183 OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OsservatorIo DELLA R. Università DI BoLocna (alt. 83",8) ® . È E NOVEMBRE 1916 — Tempo medio dell’ Europa centrale 5 Sluo £ o 5 = ASTI SL È [Tensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità Provenienza 3 2 £ ES = in millimetri in centesimi in decimi del vento se =2 a — OT bs E | A : s_ cp 5 gh 15! QD Media gh 15” Qn Media 9g" 15. Q] gh 15° qb iP I mm 1 eo SR ee Ta 67 |73 73 0 2 0 ? ? ? { | 1,0 CI OE LI? 8,5 FAL ES SI S9% 84 0 10 10 È ? ? LORO ALUARZ: O ESRON MOrSa R90 SA? Ci ERA 96 9 7 0 10 ? ? ? 0 | 0,6 49,0 | 9,4 (10, OD STA MASON II. 94 10 10 10 ? W ? 2 | 0,6 5 {10,4 | 8,6 /12,1) 10,4 ILOAE gl 69 D) tI 8 | SE SE | SE TT DRIESsOr 75 065 1,9 6 oe N 65 9 2 0, SW ? W 1) 2 20 AI6 27,8 o OSO TE 68 0 0 0 W W ? IRR IEZZO Salmon (S,6-| 95 8, 6 (6 IST 79 6 10 | 10 ? W SE a) 5 Of 8r20 810083 o O IZ 96 93 10 10| 10 {NW|NW ? AMO] lo {10,7 |11,3 [10,7] 10,9 {400 | 98 | 92 97 10 10 10 | NE | NE ? 6 {0,2 MORDE ONOR MSs5 Di SIR TSAR ANZIO 81 8 2 0 ? W W I LOR IRA RSNSA Ton 8,9 85 | 76 | 86 82 7 0 ti W ? ? | 1.6 ISRIESNGL S.S 88 ‘8.7 86 | 70 | 85 80 4 2 0 ? ? ? VARIO TRAE Morse 8,3 S4 90 95 90 0 10 6 ? ? N 0 Il 15 | 6,0] 4,5.) 5,9 5,3 TRA SOR 6 66 5) 3 0 S NW | NW 10 {1,7 LORIRORZE ANO L 82 | 42 | 73 66 7 8 0 ? NW ? l 2,8 AMO R4:0£ | 4, 6.) 4,9 4,9 70|74| 9 79 10 10 10 {SW ? ? 0 1,0 ISRIEZOZO 4,8 407 4,7 92 | 96 | 98 95 10 10 10 ? NW ? VNEITOs2 LORIA Nor |17,3 ORO 80 | 76 | 79 78 3 6 3 W SE | SW Un K059 QRS 6, 26,6 6,2 93 | 94 | 97 95 10 10 10 W W W 9 {0,8 ANNO, 047,1 DI 93 | 65 | 90 83 10 8 10 ? W W 41,0 e TOT, 6,804 72.76.90.) 79 So on ? ? 2 | 0,6 23010090 10,0] 96 5, 8 78 | 65 | 68 70 10 8 <{INW]| W ? A RE QI Es ORO) DRS 64 | 69 | 68 67 10 8 10 W ? W 3 1,4 LOR|EONOr 6.7 6,4 6,3 TR TR tI 10 10 ? ? ? I 1,4 2OB[RO o: |, 0 | 7,9 7,0 70 88 92 SI 0 10 10 ? ? S I 0,8 RION T0 6,8 6,8 85 | 76 | 81 81 3 Di) 10 W ? W 0,5 28 |6,8|6,6/7,0| 6,8 | 93|91|95| 93 10 | 10|t0{Wj| Wil] w 2 {1,0 29{6,9|7,1{6,9] 7,0 | 89|81|90| 87 0 O ? ? 0 [0,5 30{6,2|7,0|6,5| 6,6 | 86 | 86 | 88 87 ol 6| 0 ? ? ) o {1,0 (00 EMAS fa 82 | 76 | 85 SI 6 7 6 3 {1,0 Tens. del vapor acq. mass. 19, esa Proporzione Media nebulosità » » » » min. 2,0» 16 È ; » » » » media 7,3 dei venti nel mese nel mese Umidità relativa mass. 100 g. 10 i 7 °° < in decimi Î ò u CORRONO N NE E SÉ SSW W NW | » » media SI I 20 Sai 3 vo) 7 6 I OSssERVAZIONI 184 METEOROLOGICHE rare NELL'Osservarorio peLLa R. Università pi BoLoGna (alt. 83r, 8) | Giorni del mese Nebbia nei giorni 2,3,4,5,8,9,10,16,17,18,19,20,21 Rugiada abbondante nel giorno 20. , 22, 23,24, 25,26, 27, 28, 29,30, 31. sn D ° & v DICEMBRE 1916 — Tempo medio dell’ Europa centrale |S ®£ ea Ì = N È, Forma Barometro ridotto a 0° C. l'emperatura centigrada md; delle E _ asia a & (cJoff=i )} È . - . Media 52 E precipitazioni Oh 155 QUI Media gr NO Qi Mass. | Min. |[mass.minjg + Ì dì ® gh 21” {fa - — pr e min mm. mm. mm. (0) (0) (0) (0) (0) (0) mm. 15007 MISSEnE ario Modo 4,9 5,8 6,1 6,8 DINI 5, 4 5} pioggia TO 68 | 750,5 | 70606) 790:/6 6, S 8,0 (O ) 9,0 6,1 na 1,0 pioggia TOO ODIA o 0 AD 7,8 810, 8,6 9,0 1,9 8,2 0,3 pioggia 10490 |A. | 74907 75158 6,8 7,0 6,5 8,6 672 T1 745,2 | 742,9 | 743,8 | 744,0 (3, $ 8,8 8,3 956 6,6 7,8 1,8 pioggia TASS20 TANO TI 49587 6,0 6,4 6,4 8,7 5,0 6,5 |incalc. pioggia 148,3 | 747,9 | 749,8 | 748,7 9,$ 6,4 6,0 6, 7 dA 6,0 108 pioggia 790,4 | 748,0 | 746,3 | 748,2 9,4 6,4 6,1 6, DUI 9,8 745,4 | 745,5 | 746,41] 745,7] 51 6,6 5,4 0 1,0 5,4 TOI TACITO ARS 11990 3, Ò 7,8 6,1 8,3 3,0 dae Ro) pioggia TROIA 083874 038 099 7,0 8,2 5,7 10,0 4,7 6,8 12, 6 pioggia TS, 2 TAO (74202 TA2,9 9,0 9,4 9,4 DT 06) Toi DARI pioggia 740,9 | 735,9 | 739,8 | 738,9 12,3 AA 10, 6 15,0 9,4 11,8 2 pioggia 743,6 | 744,0 | 745,5 | 714,4 8,6 10,0 6,7 11,0 6,7 Sez TAZIONE 20 ASIA TARA 6,4 } A 6,0 1052 5,6 MAO 293 pioggia 19058 || 76:18 11752590) Mok, 1,6 5,0 dae 6,0 1,4 spal 1 TOO SATA TAR TS 2,0 295 Len] 3,6 0,7 1,8 5,0 pioggia vo) IC n 2 a ‘ Ì € . 742,7 | 742,3 | 741,4 | 742,1 1,5 296 2,6 DR 0,8 21 e) pioggia 131,2 | 737,0) 740,8 | 738,4 2a, 5,4 4,0 507 Q4 3,6 |incale. pioggia 146,2 | 746,8 | 747,1.) 746,7 AO 4,4 4,1 5,0 2,0 3003, 0,4 pioggia n D) ES (INBSS dò ni a E 3 9a ; MOBZATO 749,6 | 749,4 | 749,8 | 749,6 3,4 5,8 9,5 6,2 32 4,2 293 pioggia ORE 50 66M 00 3AS Bd, 9,0 5,0 2,9 LR? Laz pioggia MOTO | Cose 754 Sb ro 5,0 BA 0, 2 6,0 4,3 DA6] 193,9 | 703,8 || 756000) #6454 DAO, I 6,5 te) UD) 6,0 TO 0079508475590 05929 6,0 7,0 DIO 133) 5,9 6,4 TODI 195,0 194,2 755, i ),1 6,2 0 790 5,0 (ON TO2810 | 759) 49 70810 6,2 8,8 8,9 St 5,8 17,4 761,0 | 762,4 | 764,7 | 762,7 6,7 8,4 6,0 8,7 6,0 6,8 764,2 | 762,6 | 761,5 | 762,6 DA 7,5 40 UGCO 4,4 6,2 701,9 | 705, 4 | 15441 | m0o,o 4,7 DEU SRI 7,0 DIRTI 4,8 1560991 MODA LO Ro 33) 7,6 8,8 9,2 4 5, 1 750,5 | 749,7 | 750,41) 7590, | DR TAR 6,1 AT 5,9 47,9 Î | unì o Altezza barometrica, massima 764,7 &. 28 Temperatura massima 15,0 g. 13 » » minima 735,9 » 13 » minima ORA » » media 750,1 » media DRO Soap OssERVAZIONI METEOROLOGICAE FATTE NELL’OsservaroRrIO DELLA R. UnIversITÀ DI BoLoona (alt. 83”, 8) % [01 d D n E Za di DICEMBRE 1916 -- Tempo medio dell’ Europa centrale HS TI E DIF] cd na = = 9008 Merci -$ |'l'ensione del vapore acqueo Umidità relativa Nebulosità Provenienza a? 5 ao = in millimetri in centesimi in decimi del vento GTczl ae 5 SS E i i i hl i o ?|AF Gi No] 45h | 21% | Media | 9 | 15» | 21" | Media | 9 | an 2%] ® | 150 | 2 mm 16,0 |6,7|6,8 GA 92 | 97 | 97 95 10 | 10 | 10 ? ? ? 0 | 0,0 NEMO 7,4 100 | 92 | 99 97 10 10 10 ? W W 0 0,2 ARS 99 7,9 99 | 92 | 9% 95 10 S 10 W W ? 25003 DIRLA 972 2 97 | 97 | 97 97 10 | 10 | 10 ? ? SE 0 {1,0 Due 820603 779 100 97 al YI 10 10 10 SE VV SW N 0,2 6 | ORO Mc 5,9 For RI Mer 80 7 8_| 10 E ? ? A |4,0 MOON oe 6,2 94 | 76 | 95 88 10 10 10 \V VW ? 2 | 0,7 SMI 57 5.3 5,6 S4 | 79 | 74 79 10 10 S W W W 3 {0,1 915,0] 5,8 | 6,1 SS SA 79 91 85 0 5 Ni 7 ? ? I 1,0 ORO 2702 N67 6,5 93 | 9 95 93 10 D) 10 ? SE W | 0,5 BININGSARI 7,0%] 658 6,7 85 | 86 | 98 90 3 8 | 10 S ? ? (a IRAN6:4 |-6,3) 6,7 6,4 94 | 71 | 76 80 10 S| 10 ? w | SW 3 {0,9 13 | 7,3] 6,3 | 5,3 6,3 68 | 51 | 56 )8 tI 8 | 10|SW|gw|SW 35 {1,8 14{5,9|7,0 | 5,9 093 70 | 76 | 81 76 10 ) 0) W ? ? Sr? IDR|MO 6.0. | 654 6,4 DR 69 Sil SA 8 S S SE sw | NW 8 0,8 16/48|4,9|5,6 5, 93 15 97 88 10 2 o |NW 5 ? D) 1,0 MAD: 506 47 5,2 |100 |I00 | 9 98 10 | 10 | 10 ? A W 2/00 BAINo 0 51 | 57 5,2 96 | 93 | 98 96 10 | 10 | 10 ? 9 ? 2 | 0,6 19, |5,4/55|5,4 Di 98 | 81 | 88 9 10 2 i \\ ? ? 210,4 20 14,5 9,9 5,8 05 89 | 93 | 95 92 0 10 10 ? ? 0 {04 21 |9,2|5,8/5,8] 5,6 | 90 | 85 | 96 90 Sgt 0 26 ) > ? 1 | 0,6 RQuibo 4 5. 7 LAI Da 90 | 87 | 9% 90 OI VENE CES E. LUI USI, ) ? {| 0,7 23 | 0,0 6,3 | 6,4 6,2 92 | 9I | 97 93 9 | 10 | 10 I ? ? 0 | 0,5 ZARA 40 6,6 94 SS 94 92 10 8 10 ? 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È pregio dell’ opera il fare uno studio di confronto fra le condizioni, specialmente di pendenza, in cui ora sì trovano le due principali "l'orri di Bologna, l’Asinelli cioè e la Garisenda, la Ghirlandina di Modena ed il Campanile di Pisa, a complemento di quelli precedenti nei quali traltai altre volte delle prime di tali Torri, e coll’aggiunta di quanto riguarda | ultima delle ‘Torri stesse. Non è naturalmente scopo di questo studio il ripetere ciò che trovasi negli altri miei studi precedenti sulle Torri di Bologna e di Modena e neppure di riferire estesamente sui lavori e sulle pubblicazioni fatte per il Campanile di Pisa, dalle quali dovrà solo dedurre, per qui esporre, quanto interessi ai confronti colle altre Torri. Nulla dirò quindi sulla parte storica delle Torri, ricordando solo le epoche della loro costruzione e farò solo cenno dei procedimenti seguiti nei rilevamenti planimetrici ed altimetrici e nelle determinazioni delle pendenze, senza richiami alle altre consimili ope- razioni fatte nei secoli scorsi. Il rilevamento della Torre Asinelli di Bologna e lo studio della sua pendenza e della sua stabilità furono da me fatti negli anni dal 1907 al 1911 (1) e quelli consimili per la Garisenda nel 1902 (2). Il rilevamento e lo studio della pendenza della Ghirlandina di Modena furono da me fatti nell’ anno 1901 (3) e nell’ anno stesso il Prof. Silvio Cane- vazzi fece lo studio della stabilità di questa torre. Il rilevamento del Campanile di Pisa e gli studi della sua pendenza e stabilità, furono compiuti negli anni dal 1908 al 1912 da (1) Cavani Prof. Francesco — Sulla pendenza e sulla stabilità della Torre Asinelli di Bolo- gna. Atti della R. Acc. delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. 'l'omo IX, serie VI delle Memorie. 1911-12. (2) Cavani prof. Francesco — Pendenza, stabilità e movimenti delle Torri, la Garisenda di Bologna e la Ghirlandina di Modena. Atti Società Ingegneri di Bologna. Tip. Gamberini e Parmeg- giani, 1903, (3) Cavani prof. Francesco. |. c. Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. 28 — 188 — una speciale Commissione (1) nominata dal Ministero della pubblica istruzione. I membri di tale Commissione Prof. Paolo Pizzetti ed Ing. Francesco Bernieri fecero il rilevamento del Campanile e la determinazione della sua pendenza, il compianto Ing. Gio - vanni Cuppari ne siudiò le condizioni di stabilità ed anche il regime idrografico sotter- raneo nelle sue attinenze colla stabilità del Campanile; il Prof. Mario Canavari fece studi geologici del sottosuolo e l’Arch. Agenore Socini illustrò 1’ attuale stato di conserva- zione di quel Campanile. Le quattro Torri di cui sì occupa questo studio sono state costruite poco dopo il 1000. ed in epoche presso a poco eguali, specialmente per ciò che riguarda l’inizio della loro costruzione. L’ Asinelli verso il 1100 o poco dopo; la Garisenda verso il 1110; la costruzione della Ghirlandina si ritiene forse iniziata nel 1099 e compiuta attorno al 1106 per la parte a sezione quadrata al disotto del piano delle campane, mentre poi questo piano si crede fosse costruito dopo il 1261, e le parti superiori, ossia la prismatica a sezione ottagona e la piramidale, furono di certo costruite dal 1261 al 1319: il Campanile di Pisa fu fondato nel 1174 così da terminarne presto la costruzione nei primi 7 degli 8 ordini di colonnate con arcate e cornici, in cui è diviso attorno al nucleo cilindrico centrale cavo interna- mente ; l’ 8° ed ultimo ordine vi fu aggiunto nel secolo XIV. Per gli studi sulla pendenza delle Torri Asinelli, Garisenda e Ghirlandina nulla qui è a dire, poichè basta, come ho accennato, fare il richiamo alle già citate pubblicazioni. Per il Campanile di Pisa è stato necessario di fare, sugli importanti lavori di quella Commissione, uno studio del quale esporrò qui i risultati, colla indicazione degli elementi analoghi a quelli che ho determinati per le altre Torri e che sono necessari per quei con- fronti che, dalle diverse condizioni di struttura delle Torri stesse, sono consentiti. Il Campanile, o Torre, di Pisa ha una forma ben diversa da quella delle Torri di Bologna e di Modena, poichè la sua sezione è circolare, mentre quella delle altre è, o meglio può ritenersi, quadrata, astrazione fatta per la Ghirlandina di Modena dalle parti superiori, prismatica ottagonale e piramidale, le quali avendo i loro assi quasi verticali, non interessano nella determinazione della pendenza, mentre interessano in quella della stabilità. Per questa diversità di sezione delle Torri ne consegue che se è possibile met- tere direttamente a confronto gli elementi principali riguardanti la pendenza dell’ asse ed anche la stabilità di tutte quattro le Torri che qui si considerano, non è possibile per altri elementi fare confronti altro chè in modo che può dirsi indiretto. Gli studi della Commissione riguardano tutto ciò che può interessare quell’ insigne monumento. (1) Relazioni compilate dalla Commissione tecnica per lo studio delle condizioni presenti del Campanile di Pisa. l'ipografia Galileiana, Firenze, giugno 1918. — 189 — L’Ing. Bernieri, coadiuvato dal tecnico Sig. Luigi Ficini (1) fece il rilevamento geometrico del Campanile e ne determinò la pendenza con misure dirette sul Campanile stesso appoggiate a linee di riferimento date da fili a piombo e con speciali livellazioni, come da me fu fatto per le due Torri di Bologna. Il Prof. Pizzetti fece un rilevamento ottico (2) come è da Lui chiamato, mediante misure angolari e collimazioni esterne dirette, tangenzialmente alle cornici 1% e 7% che meglio si prestavano, da 4 capisaldi formanti un quadrilatero attorno al Campanile. Questo quadrilatero fu determinato colla misura diretta di un lato e con misure angolari eseguite nei suoi vertici ed in un punto ausiliare interno al quadrilatero stesso. Un metodo consimile fu da me seguito nel rilevamento della Ghirlandina di Modena, mentre' non era possibile applicarlo a quello delle Torri di Bologna per le speciali condizioni topografiche del luogo nell’ epoca dei rilevamenti. Il Prof. Pizzetti calcolò pure la pendenza del Campanile e stabilì il modo dl potere in avvenire determinare le variazioni che potessero verificarsi nella pendenza stessa. L’ Ing. Cuppari fece lo studio delle condizioni di stabilità del Campanile (8) con risultati perfettamente paragonabili a quelli ottenuti dal Prof. Canevazzi per la Torre di Modena e da me per quelle di Bologna. Considerò Egli pure i tre casi del Campanile ad asse verticale, ad asse inclinato e ad asse inclinato coll’ aggiunta dell’azione del vento, supponendo per questa una pressione di 225 Kg. per m. q. mentre a Modena ed a Bologna fu supposta di 200 Kg. e quindi di soli 25 Kg. più piccola. La Commissione di Pisa ha riferito le pendenze all’ unità di lunghezza dell’ asse incli- nato del Campanile, calcolandole col seno dell’ angolo d’ inclinazione dalla verticale, mentre negli studi delle altre Torri sì sono sempre riferite le pendenze all’ unità di altezza deter- minandole colla tangente di detto angolo. Per i confronti ho quindi calcolato le pendenze del Campanile di Pisa riferendole all’ unità di altezza, ottenendo valori poco diversi e naturalmente un po’ maggiori, poichè i rapporti fra le pendenze date dalla Commissione e quelle da me calcolate, sono eguali ai coseni degli angoli d’ inclinazione dalla verticale ; angoli sempre piccoli, ossia di pochi gradi. Il Prof. Canavari nel suo studio geologico del sottosuolo (4) rilevò come le fonda- zioni del Campanile fossero immerse in terreni costituiti da sabbie argillose dove si tro- vano le acque freatiche e come sotto a questi vi fossero altri terreni argillosi e sabbiosi, di origine continentale alluvionale o lagunare con tracce di sostanze torbose; rilevò pure come il sottosuolo verso la parte sud avesse una costituzione più irregolare di quello dalla parte Nord. Di qui una delle cause della pendenza del Campanile. (1) Ing. F. Bernieri — Descrizione e rilevamento del Campanile. Pendenza attuale in confronto con quella di altri tempi. Relaz. Comm. Pisa l. c. (2) Prof. P. Pizzetti — Caratteristiche dell’ inclinazione desunte da operazioni geodetiche da ripetersi in futuro. Relaz. Comm. Pisa l. c. (3) Ing. G. Cuppari — Determinazione approssimativa degli sforzi unitari massimi nel terreno di fondazione e nelle murature, Relaz. Comm. Pisa, I. e. (4) Prof. Mario Canavari — Studi geologici del sottosuolo. Relaz. Comm. Pisa l c. —, 190 — L'Ing. Cuppari nell’altro dei due studi da Lui fatti per il Campanile di Pisa (1) rilevò gli effetti di abrasione e di trasporto di sabbia prodotti da una corrente d’acqua sotter- ranea, artificiosamente derivata in antico verso l’ esterno, che agiva specialmente sotto la parte Sud dell’ anello di fondazione dal Campanile. Altra causa speciale e molto impor- tante, che si collega a quella indicata dal Prof. Canavari, e che produsse la pendenza del Campanile. Il Campanile di Pisa non avendo, per la sua sezione circolare nè fronti nè spigoli, non si presta a dare sotto questo rapporto altri elementi di confronti diretti colle altre Torri; elementì che pure hanno molto importanza. Vi sì può supplire, traendo partito degli studi fatti dal Prof. Pizzetti e dall’ Ing. Bernieri sui due punti più alti e sui due più bassi delle sezioni corrispondenti alle cornici 1° e 7%; punti determinati dalla intersezione, cogli orli superiori di tali cornici, del piano di massima inclinazione dell’ asse del Campanile, che hanno supposto coincidente col piano verticale dei due centri di figura delle cornici stesse. Le rette che si può supporre uniscano i due punti a Sud più bassi di ciascuna di delte cornici e i due punti più alti a Nord, possono sostituire gli spigoli o le fronti delle altre Torri e condurre per il Campanile di Pisa alle importanti conclusioni che a tale riguardo si sono dedotte per le Torri stesse. I risultati ottenuti nello studio fatto sui lavori della Commissione di Pisa sono rias- sunti nello specchio seguente, compilato in modo da potersi unire di seguito a quello con- simile che riguarda le altre Torri e che trovasi pubblicato nella mia Memoria sulla Pen- denza e stabilità della Torre Asinelli (©). (1) Ing. G. Cuppari — Sul regime idrografico sotterraneo e sulle sue attinenze con la stabilità del Campanile. Relaz. Comuni. Pisa, l. c. (2) Cavani, l. c. CAMPANILE DI PISA (a sezione circolare) DA TERRA AL PIANO[FRA I PIANI DELLA peLLA 7% cornice|jl* e DELLA 7° con. Inclinazione dell'asse dalla verticale (1) Inclinazione della retta congiungente il punto a più basso della 1.* cornice col più basso della 7.8 Inclinazione della retta congiungente il punto più alto della 1% cornice col più alto della 7.° | Direzione del piano d’ inclinazione dell’ asse . Inclinazione dalla verticale di ognuna delle con- giungenti i due punti più alti e i due più bassi delle due cornici, dovuta alla rastre- mazione esterna del Campanile... /..| Pendenza massima dalla verticale | Strapiombo dell’ asse al piano terra . . Strapiombo dell’ asse fra le due cornici Strapiombo della congiungente i due punti più bassi. ; SRO Strapiombo della congiungente i due punti più DIL PRETI IN OSE Pendenza p. 100 dell'asse dalla verticale... . . Pendenza p. 100 della congiungente i due punti PIU@Dassig ea cen Pendenza p. 100 della congiungente i due punti più alti. A Itezze del Campanile. È uperficie della base del campanile . » del vuoto interno » del piano anulare di posa della fondazione eso totale del Campanile » » terreno » | » » materiale» | » » » » | Pressione tenendo conto pendenza - sul materiale p. c. q. » » terreno » » » materiale » » » » » » » terreno » Galileiana. struttura diversa da quella degli ordini inferiori e perchè Pressione nell'ipotesi del Gamp. verticale - sul materiale p.c. q. N (è) 9,350 Pressione aggiungendo azione vento - sul materiale p. c. q. . Risultati 29 metri 4,319 metri 46,194 NI UT (AS) Osservazioni 6 Verso Sud. 39 Punti nel piano di massima inclinazione dell’ asse dalla parte Sud. 53. | Punti nel piano di massima inclinazione dell’ asse dalla parte Nord. .— Devia dal meridiano di 2°, 25' da N. verso O. 10. | Differenza diametri cornici 1% e 7% metri 0,729. \ Fra la 1* e la 2* cornice m. 4,802 per tutta l'altezza. metri 3,248 » 2,896 Punti dalla parte Sud. >» 3,601 | Punti dalla parte Nord. 9,251 La Comm. dà 9,310 e 9,210 perchè si riferisce all’ u- nità sull'asse inclinato e non sull'altezza. 8,211 Punti dalla parte Sud. 10,301 Punti dalla parte Nord. metri 35,111 16,00 58,88 15,30 10,12 Di tutto il Campanile metri 54.586. __ ————+€«- »°-zt al piano terra. » con pesi unitari variabili da Kg. 2000 a 2800 a seconda dei materiali. al piano di posa dei plinti delle colonne del 1° ordine. nell'anello circolare nucleo interno - al 1° ripiano. sulle 30 colonne considerate indipendenti. al piano di posa dei plinti delle colonne del 1° ordine. nell'anello circolare nucleo interno - al 1° ripiano. sulle 30 colonne considerate indipendenti - al 1° ripiano. (o) al piano di posa dei plinti delle colonne del 1° ordine. NOTA - I rilevamenti furono fatti negli anni dal 1908 al 1912. Vedi memorie del Prof. P. Pizzetti, dell’ Ing. F. Bernieri e del compianto Ing, G. Cup- pari nelle « Relazioni compilate dalla Commissione teenica per lo studio delle condizioni presenti del Campanile di Pisa, Firenze giugno 1918. Tip, (1) Il tronco fra la 1° e la 72 cornice fu quello maggiormente studiato dalla Commissione. Non fu considerato 1’ 8° ordîne al disopra della 7° cornice perchè di il tronco meno pendente. — 192 — Le quattro Torri di cui qui si tralta sono tutte pendenti e per due di esse, per il Campanile di Pisa cioè e per la Garisenda di Bologna, che pendono maggiormente, si ha nella loro pendenza una caratteristica singolare che le ha sempre contraddistinte anche nei secoli passati. Sono diverse le altezze di queste Torri; primeggia |’ Asinelli ccn m. 97,20 al piede della palla superiore, segue la Ghirlandina con m. 88,24, pure al piede della sua palla superiore, poi il Campanile di Pisa con m. 54,586 al centro della piattaforma superiore e viene ultima la Garisenda con m. 48,16 al centro del piano dei parapetti superiori. Sono diverse le aree delle sezioni al piano terra con mq. 188,30 per il Campanile di Pisa, 121,00 per la Ghirlandina, 81,00 per 1’ Asinelli e 55,50 per la Garisenda, compresi sempre i vani interni. I pesi totali di queste Torri si possono supporre determinati nelle cifre seguenti ; Tonn. 14.486 per il Campanile di Pisa, 9.325 per la Ghirlandina di Modena, 7.345 per l’Asinelli e 4.120 per la Garisenda. Le quattro Torri hanno comune il difetto di essere state costruite, come si usava quasi sempre in quei tempi, colla loro base di fondazione pochissimo estesa in rapporto alla loro sezione al piano terra, alla loro altezza e quindi al peso considerevole della loro mole. L’Asinelli, la Garisenda e la Ghirlandina hanno la base di fondazione che si allarga rispettivamente tutto attorno di soli im. 0,70. 0,40 e 0,72. Il campanile di Pisa ha la sua base di fondazione, ad anello circolare vuoto internamente, del raggio esterno di soli m. 1,26 superiore a quello della sua sezione al piano terra, o meglio al piano di posa dei plinti delle colonne del 1° ordine. Dalle esposte condizioni ne consegue che in quelle Torti, il materiale di cui sono costruite e il terreno su cui poggiano, sì trovano assoggettati a sforzi di pressione molto forti. Tali sforzi se possono anche ritenersi ammissibili in via eccezionale per il materiale, poichè si hanno esempi di pressioni maggiori, non sarebbero ammissibili in alcun modo per il terreno di fondazione. Considerando le Torri ad asse verticale, ossia nell’ ipotesi che non fossero pendenti, si ha che il terreno sotto al piano di posa della fondazione sopporta le pressioni unitarie seguenti, espresse in chilogrammi per centimetro quadrato : nell’ Asinelli 6,97, nella Ghir- landina 6,37, nella Garisenda 5,38 e nel Campanile di Pisa, 5,14. Se si ammette che un buon terreno possa essere caricato al massimo da Kg. 2,5 a Ke. 3 p. cent. q. e che nel terreno di Pisa, come riferisce la Commissione, non si debba oltrepassare la pressione unitaria di 1 Kg. per cent. q. si vede subito come sia enorme la pressione che le Torri esercitano sul terreno ad esse sottostante. Questa pressione cresce ancora sensibilmente se si tiene conto della pendenza, senza o con l’ azione del vento. Per le due Torri più pendenti, ossia per la Garisenda e per il Campanile di Pisa si hanno rispettivamente nei due casi Kg. 11,01 e Kg. 12,60 per l’ una e Kg. 9,61 e Kg. 10,12 per l’ allra. Da tali enormi pressioni dipende la causa prima e principale della pendenza di tutte queste Torri. — 193 — Volendo ora considerare, in modo speciale, la pendenza delle Torrì, che tanto influisce sulla loro stabilità, e fare uno studio razionale e completo del fenomeno complesso che per la pendenza stessa si manifesta in questi insigni nostri Monumenti, con i possibili con- fronti dei risultati ottenuti per ognuno di essi, conviene prendere in esame le inclinazioni, pendenze e strapiombi degli assi e dei vari loro tronchi, nonchè delle altre parti principali di ogni Torre. Considerando per primo |’ elemento più importante che è quello della pendenza del- l’asse si hanno i risultati seguenti : Inclinazioni EER Torri degli assi Strapiombi 1 ‘100 Osservazioni dalla verticale Pb. 5 ; na metri Campanile di Pisa . | 5 | 20 | 29 4,319 9,350 Da terra al piano della 7° cornice. Torre Garisenda...| 3 | 49 | 52 3,220 6, 696 Per l’intera altezza. » Asinelli ....| 1 1-26 | 49 2,250 2,520 Da terra al piano del terrazzo superiore. » Ghirlandina. .| 1 | 14 | 16 1,050 2,160 Per la parte a sezione quadrata. Il Campanile di Pisa primeggia per la sua pendenza e lo si deve, come si è già detto, alle cattive condizioni del sottosuolo ed alle correnti sotterranee derivate verso l'esterno, che sono state pure la causa degli aumenti di pendenza verificatisi nel secolo scorso. Furono fatte correzioni d’ altezza nella costruzione degli ordini superiori al quarto, e specialmente nel basamento dell’ 8°, ma queste non riuscirono a modificare la pendenza e neppure ad impedirne |’ aumento. La Ghirlandina di Modena è la meno pendente, sebbene le condizioni del suo sotto- suolo non siano buone. Quel sottosuolo è acquitrinoso e molto compressibile, ma non ha, o si ritiene non abbia, correnti sotterranee come a Pisa. Per | omogeneità e |’ uniformità di quel sottosuolo la Ghirlandina ebbe due movimenti, uno di abbassamento generale con una forte compressione del terreno sottostante e 1° altro d’inclinazione, poiche la com- pressione finale su quel terreno non poteva essere la stessa e dare gli stessi risultati su tutto il piano di fondazione. Le correzioni di pendenza delle parti superiori, costruite attraverso ad un lungo periodo di anni, servirono a modificare la pendenza totale della Torre e ad impedire che potesse aumentare. Le due Torri di Bologna hanno un terreno di fondazione molto migliore, poichè privo di correnti d’acqua e non acquitrinoso. Assoggettato a fortissime pressioni, maggiori di quelle prodotte dal Campanile di Pisa sopra al terreno della sua fondazione, come sì è già osservato, non ha potuto comprimersi in modo uniforme e ha dato luogo alle pendenze di quelle due Torri, in senso contrario fra loro, sebbene siano molto vicine l’ una all’ altra, poichè la Garisenda pende quasi totalmente verso Est e l’ Asinelli verso Ovest. SATA AE Considerando ora i vari tronchi in cul si possono dividere le Torri, si trovano incli- nazioni diverse dalla verticale negli assi dei tronchi stessi. Per il Campanile di Pisa si va da un massimo di 5°. 45°. 24 nel secondo ordine ad un minimo di 4°. 32°. 10” nel settimo ordine escluso |’ 8°. Per la Garisenda mo da un massimo di 5°. 44°, 10” nella parte più alta ad un minimo di 2°. 20°. 17” nella parte più bassa Per |’ Asinelli da un massimo di 2°. 36°. 2° sopra ai merli intermedi ad un minimo di 0°, 37°. 17” sotto agli stessi merli intermedi Per la Ghirlandina da un massimo di 1°. 23°. 4°” nel terzo tronco ad un minimo di 0°. 56°. 42” nell’ ultimo tronco più alto della parte a sezione quadrata, escluse le parti superiori. Oltre a queste diverse inclinazioni dei vari tronchi degli assi delle Torri si hanno pure in ciascuna di esse diverse direzioni delle inclinazioni stesse, cosichè il vero asse sarebbe costituito da un poligono sghembo, il cui lato di chiusura si prende come asse della Torre, considerando poi il piano verticale di questo lato come quello secondo il quale è diretta la massima pendenza. Gli scostamenti però dei vertici del poligono dal suo lato di chiusura, ossia dall’ asse, non sono in generale molto grandi. Così nel Campanile di Pisa, escluso 1° 8° ordine, si ha uno scostamento massimo di m. 0,099 al 4° ripiano. Da ciò si deduce che i vari tronchi delle Torri sono contorti fra di loro; contorsioni che con opportune misurazioni, si sono chiaramente dimostrate nelle Torri di Bologna ed in quella di Modena; non sono state similmente riscontrate nel Campanile di Pisa forse a causa della sua sezione circolare. Le contorsioni delle Torri si spiegano coll’ influenza della diversa compressione e del diverso assettamento dei materiali di cui sono costruite. In certi casi, come nella Ghir- landina, vi hanno influito anche le correzioni di pendenza fatie ad arte dai costruttori; in altri casi, come nell’Asinelli, bisogna ammettere che vi sia stata anche trascuratezza nella costruzione. Considerando le fronti delle varie Torri, ossia le linee di maggior pendenza delle fronti medesime, nell’ ipotesi che siano piane, e per quella di Pisa le congiungenti i due punti più alti a Nord e quelli più bassi a sud delle cornici 1 e 7 più volte richiamate, si hanno i risultati seguenti per ciò che si riferisce alle massime e minime inclinazioni. Per il Campanile di Pisa Retta congiungente i due punti più alti a Nord. Inclinazione massima 5°. 52°. 53” Retta congiungente i due punti piu bassi a Sud. Inclinazione minima 4°, 41°. 39” Rod Per la Garisenda Fronte Ovest. Inclinazione massima 4°. 11°, 81” Fronte Sud. Inclinazione minima 0°. 23°, 15° Per |’ Asinelli Fronte Est nel tronco inferiore ai merli intermedi. Inclinazione massima 1% 51°. 19” Fronte Nord nel tronco inferiore ai merli intermedi, Inclinazione minima 0°. 14°. 14 Per la Ghirlandina Fronte Est. Inclinazione massima 1°. 15°. 44” Fronte Sud. Inclinazione minima 0°. 28". 9°” Questi dati non hanno molta importanza perchè non si tratta di fronti opposte, eccet- tuato per il Campanile di Pisa nel quale le rette considerate sono opposte fra loro nel piano di massima pendenza dell’ asse. Ne consegue che l'inclinazione media fr'a la massima e la minima, sopra indicate, corrisponde alla inclinazione dell’ asse fra le cornici 1° e 7° con una differenza di soli 8°. Hanno maggiore importanza i confronti fra le pendenze delle fronti opposte special- mente in riguardo alla rastremazione delle Torri. Risulta quanto segue: Per il campanile di Pisa la differenza fra le inclinazioni massima e minima è di 1°. 11° 14° e la inclinazione delle congiungenti opposte su indicate dovuta alla rastremazione del Campanile fra quelle due cornici è di 1°. 11°. 20” con una differenza dalla prima di soli 6”. Per la Garisenda alla inclinazione massima della fronte Ovest su riportata, è opposta quella della fronte Est di 3°. 29°. 50” con una differenza fra le due di 41°. 41° che diver- sifica di 1°. 37” dalla inclinazione dovuta alla rastremazione che è di 40°, 4°. Per l’Asinelli nel tronco inferiore, dei due in cui la Torre è divisa dai merli intermedi, alla inclinazione massima della fronte Est su indicata si contrappone quella della opposta fronte Ovest di 1°. 10°. 32” con una differenza dalla prima di 40°. 477, mentre la inclina- zione di quelle due fronti fra loro, dovuta alla rastremazione, è di 41°. 32°” con una diffe- renza di 45°. Le maggiori differenze per le due Torri Garisenda ed Asinelli dipendono dal fatto che il piano di massima pendenza non è esattamente in direzione normale alle fronti opposte su considerate. Per consimile ragione non si può fare un confronto analogo per la Ghir- landina, poichè in essa il piano di massima pendenza dell’ asse ha una direzione quasi diagonale al quadrato di base e quindi obbliqua a tutte le fronti. I confronti fra le due linee opposte nel Campanile di Pisa hanno poca importanza se sì riferiscono i dati allo studio fatto dal Prof. Pizzetti, poichè dalla pendenza dell’ asse sì passa a quella delle due linee opposte basandosi sulla differenza dei raggi delle due cornici; tali confronti offrono quindi solamente una verifica delle calcolazioni. I con- fronti stessi hanno importanza maggiore se si considerano i risultati ottenuti dal Prof. Pizzetti colle tangenti esterne al Campanile e più specialmente poi i rilievi fatti dall’ Ing. Bernieri, poichè le pendenze dell’ asse e le posizioni dei punti estremi delle rette opposte su indicate sono state determinate con misure fra di loro indipendenti. Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. 29 — 196 — Considerando da ultimo gli spigoli come si è fatto per le fronti e supponendo che le due rette del Campanile di Pisa rappresentino due spigoli, si banno i risultati seguenti : Per il Campanile di Pisa Retta a Nord. Inclinazione massima 5°. 52° 53”. Pendenza p. 100 - 10.301 zelta a Sud. Inclinazione minima 4°. 41°. 39”. Pendenza p. 100 - 8.211 Per la Garisenda Spigolo Nord-Ovest. Inclinazione massima 4° 29° 31”. Pendenza p. 100 - 7.827 Spigolo Sud-Est. Inclinazione minima 3°. 26°. 10”. Pendenza p. 100 - 6.005 Per |’ Asinelli (tronco inferiore ai merlì intermedi) Spigolo Sud-Est. Inclinazione massima 1°. 56°. 39”. Pendenza p. 100 - 3.387 Spigolo Nord-Ovest. Inclinazione minima 1°. 10°. 52”. Pendenza p. 100 - 2.073 Per la Ghirlandina Spigolo Nord-Est. Inclinazione massima 1°. 38°. 54”. Pendenza p. 100 - 2.880 Spigolo Sud-Ovest. Inclinazione minima 0°. 49°, 25”. Pendenza p. 100 - 1.440 Per ciò che riguarda le pendenze degli spigoli, in causa della osservazione fatta pre- cedentemente sulle direzioni dei piani di massima pendenza, non si possono fare utili con- fronti e trarne conclusioni altro chè per la Ghirlandina e per il Campanile di Pisa, per il quale ultimo però non hanno che a ripelersi quelle precedenti. Per la Ghirlandina, nella quale la pendenza massima dell’ asse è direlta presso a poco a Sud Ovest, si ha che la media delle inclinazioni su indicate differisce dalla inclinazione dell’ asse di soli 7° e la media delle due pendenze dà esattamente la pendenza p. 100 dell’ asse. In riguardo alla rastremazione, per la quale si hanno quei due spigoli inclinati |’ uno all’altro di 51°, si ha un divario di 1°. 31” colla differenza delle due inclinazioni su riportate. In riguardo agli spigoli si potrebbero anche considerare gli strapiombi, ma questi hanno poca importanza, poichè il loro valore assoluto dipende dall’ altezza dello spigolo 0 del tratto di spigolo che si considera. Limitando | esame alle Torri Garisenda e Ghirlandina si ha per la prima che lo spi- golo più pendente è quello di Nord-Ovest con uno strapiombo di metri 3.77 e il meno pendente quello opposto di Sud-Est con uno strapiombo di m. 2.89. La media dei due strapiombi è di m. 3.33, mentre lo strapiombo dell’ asse di m. 3.22 e la differenza di m. 0,11 dipende dal fatto che la pendenza massima dell’ asse non è nella direzione della diagonale della base che a quei due spigoli corrisponde. Per la seconda sì ha che lo spigolo più pendente è quello di Nord-Est con uno stra- piombo di m. 1.40 e il meno pendente è quello opposto di Sud-Ovest con uno strapiombo di m. 0.70. La media dei due strapiombi è di m 1.05 e corrisponde esattamente allo stra- piombo dell’ asse, poichè la direzione del piano di massima pendenza dell’ asse stesso è di poco diversa da quella della diagonale della base corrispondente a quei due spigoli. i LO Si è così esposto tutto ciò che di più importante riguarda la pendenza delle quattro Torri considerate in questo studio, colle osservazioni principali che conveniva fare nei confronti fra le condizioni in cui si trovano le Torri stesse. Altri confronti ed altre osservazioni si possono fare esaminando lo specchio esposto precedentemente per il Cam- panile di Pisa e quello incluso nella mia Memoria sulla Torre Asinelli (1) già citata, nel quale sono stati riportati tutti gli elementi di pendenza e di stabilità che si riferiscono a questa Torre ed alle altre due, Garisenda e Ghirlandina. I dati che si trovano esposti in tali specchi e gli studi fatti per ottenerli, possono servire a risolvere diverse questioni sulla determinazione delle pendenze delle Torri, rile- vando alcuni errori in cui si cadeva, specialmente nei secoli passati, e si cade tuttora, ma è conveniente trattare in un altro studio, di questo importante argomento. | Sarebbe pure molto importante ed utile, un altro confronto fra le 4 Torri qui consi- derate, quello cioè dei movimenti periodici, che con un certo grado di permanenza, più o meno lunga, si manifestano nelle Torri, sia per l’ azione del calore solare, come per quella del vento e per altre cause diverse, ma non si hanno ancora tutti gli elementi per farlo. Sono stati studiati i movimenti della Torre Asinelli (2) e della Garisenda (3) di Bolo- gna con importanti deduzioni sui risultati di tali studi, specialmente in riguardo alla stabilità, constatando che i movimenti di queste Torri sono normali e dimostrano le ottime condizioni attuali del terreno sottostante. Furono studiati dal compianto Prof. Dante Pantanelli (4) i movimenti della Ghir- landina di Modena, verificando che a causa delle variazioni di livello delle acque sotter- ranee si hanno tuttora movimenti anormali, così da essere necessario di tenere ben rego- lato il regime di quelle acque. Mancano studi consimili per il Campanile di Pisa e sarebbe utilissimo il farli poichè vi saranno di certo anche ora in esso dei movimenti anormali, forse più che nella Ghir- landina, a causa delle cattive condizioni di quel sottosuolo e delle correnti d’ acqua che possono attraversarlo. (Cavani Prof. F. ]. c. (2) Cavani Prof. Francesco — Movimenti della sommità rispetto alla base nella ‘l'orre Gari- senda di Bologna. Atti R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna. Serie VI Tomo VII, 1909-10. (3) Cavani Prof. Francesco — Movimenti ecc. nella l'orre Asinelli di Bologna. Atti R. Acca- demia Scienze Istituto Bologna. Serie VI, ‘l'omo X, 1912-13. (4) R. Faccioli — Relazione dei lavori compiuti dall’ ufficio regionale per la conservazione dei monumenti dell’ Emilia dal 1898 al 1901. Bologna, Ditta Nicola Zanichelli, 1901, De Patogenesi e cura delle lesioni del nervo radiale consecu- tive a ferita d'arma da fuoco del plesso vascolo-nervoso- ascellare e della parte alta ed interna del braccio. Oa NOTA PREVENTIVA DEL Prof. GIUSEPPE RUGGI DIRETTORE DELLA CLINICA CHIRURGICA DI BOLOGNA letta nella Sessione dell’ 11 Febbraio 1917. E a voi tutti noto quanto sono frequenti le lesioni del nervo radiale nei feriti e nei traumatizzati dell’ arto superiore. Questo deriva dal fatto che il nervo radiale, avendo stretti rapporti col corpo dell’ omero, direttamente od indirettamente viene leso nelle fratture dell’omero stesso, specie in quelle dovute a ferite d'arma da fuoco, Ma avendo io osservato che la lesione ner- vosa del radiale si manifesta con la massima frequenza anche nelle ferite alte dell'arto supe- riore, nelle quali il plesso vascolo-nervoso si trova più o meno compromesso, ho voluto stu- diare la patogenesi e stabilirne la possibile cura. Ho cominciato le mie osservazioni operando x È ua = di bel nuovo un giovane ufficiale che avevo i de curato da prima di aneurisma falso dell’ ascel- lare con la legatura della succlavia fuori dagli bre ia i n si ha è lesa scaleni. na tangen- . . . Casserio zialmente Mediante un taglio esteso dalla clavicola è perto- i Za alla parte interna e superiore del braccio, inci- \ O AIN) <. dendo in senso trasversale il muscolo gran pet- torale e successivamente il piccolo pettorale, dall’ aponeurosi clavi-coraco-ascellare, misi allo scoperto il fascio vascolo-nervoso. 0° Contemporaneamente distaccai con cura i tessuti oltremodo coartati ed infiltrati di sangue, e, solo allora, mi fu possibile esami- nare le singole parti. Misi perciò in evidenza innanzi tutto una ferita dell’ arteria, di forma elissoide, col suo maggior diametro parallelo all'asse del vaso. Tale ferita, situata Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. 30 — 200 — nella parete antero-esterna dell’ arteria, corrispondeva ad una perforazione tutta carat- teristica del nervo perforante del Casserio. (Fig. 1). Il nervo radiale sebbene fosse serrato in un grumo assai solido, che per di più lo ricacciava contro il bordo inferiore tagliente del mu- scolo sottoscapolare, fu trovato tuttavia integro. A questo primo caso, che destò in me il massimo interesse, ne seguì un secondo non meno importante. Anche in questo (un soldato) avevo in antecedenza allacciata la succlavia fuori dagli scaleni a cura di un aneurisma falso ascellare, consecutivo a ferita del plesso vascolo-nervoso. La paralisi del nervo radiale Nervo ©, radiale completa era evidentissima. All esame della parte, col metodo seguito nel primo caso, trovai 1° arteria ferita tangenzialmente ; il muscolo coraco-bracchiale squarciato; il nervo perforante del Casserio leso, A\\\ | 0) | »V Ad] Kjo 2 11 tratto dell'avtoriali SSN ma integro il nervo radiale. (Fig. 2°). ascellare sede della lesione, è resecato Il terzo caso preso a studiare riguardava un soldato avente un aneurisma artero-venoso dell’ a- scellare sinistra e la paralisi del nervo radiale in associazione a quella del perforante del Casserio. In questo soggetto riscontrai la presenza dell’arco ascellare, descritto dal Langer, la lesione del muscolo coraco-brac- chiale e del nervo perforante. Il nervo A radiale era assai voluminoso ed ap- pariva evidentemente infiammato, con suffusioni sanguigne (Fig. 3°). Nel quarto caso d’aneurisma trau- N. radiale tumefatto con emorragie perife- 1 ; N ? 9g » » a s riche più numerose matico più che |’ ascellare era stata 5a estese di quelle degli altri nervi N. perforante del Casserio assottigliato, dentellato ed ecchimotico colpita 1° omerale nella sua parte più E di Aneurisma arterio-venoso alta. Ad ogni modo anche in questo Quadrplice allacciatura soggetto, nel quale la paralisi del radiale era completa, si. aveva. la ROSTA f . " . . L'arco ascellare di compromissione di tutti gli altri Nervi. Langer è stato in- x ea ciso trasversalmente che si vedevano avvolti in una stretta ganga fibrosa. La sacca dell’ ema- toma si era svolta nello spessore del muscolo coraco-brachiale e del bra- chiale anteriore. Il nervo radiale non appariva molto compromesso. (Fig. 4°). Anche nel quinto caso di ferita d° arma da fuoco del plesso ascellare con completa paralisi del radiale, la lesione principale si vedeva nel perforante del Casserio (Fig. 5°). La vena basilica si notava ectasica e bozzuta, il nervo radiale ingrossato, roseo, e diviso in due fasci. (Fig. 6). 201 — Nel sesto caso, di ferita d’ arma da fuoco del plesso ascellare con paralisi di tutti i nervi del plesso stesso, le lesioni massime appartenevano ai principali tronchi nervosi mentre il radiale appariva escluso dal tes- suto cicatriziale che gli altri nervi avvol- x. radiale con suffu- sione sanguigna ed geva e deformava. (Fig. RE edematoso Nel settimo caso, pure non fu trovato Allacciatura della arteria q . C gh ascellare che un ingrossamento del radiale a spie- AP È "a ps N. brachiale cutaneo gazione dello stato paralitico osservato. ug interno resecato, es- L97° sendo strettamente (Fig. 8°). spit nel beso Il nervo radiale non l’ ho visto leso ba A ; —=V\ L’'arteria omerale è trom- che in due casì: T>&; bizzata JI N. mediano è assotti- gliato, dentellato con gravi ed estese ecchimosi In uno (caso 8°) era ferito in hasso, L’ematoma è stato svuotato ; il muscolo fuori dell’ascella, là dove sta per circon- coraco-brachiale e brace. ant. sono dare l’omero e passare dall’ interno al- Ci N. cubitale leggermente ecchimotico e assottigliato l’esterno lungo la doccia radiale (Fig. 9°). Nell’ altro (caso 9°) il nervo radiale era nettamente perforato e insieme con esso era stata lesa tangenzialmente anche |’ arteria ascellare (Fig. 10°). Questo è | unico caso della serie, di lesione veramente diretta del nervo radiale nella regione dell’ ascella ed è oltremodo caratteristico. A questi nove casi esaminati in vivo devo aggiungere un decimo caso studiato al tavolo anatomico, essendo il soggetto morto in N. perforante del Cas- serio ingrossato ede- gi PUERGRO . : È matoso ed imbrigliato conseguenza di una gravissima lesione toracica da tessuto cicatriziale . x PILA nel punto dove perfera —e addominale che complicava la ferita della il m. coraco-brachiale e quivi presenta un spalla. Qui parecchi tronchi del plesso nervoso sì mostravano lesi traumaticamente, mentre il Vena basi- lica con dilatazioni ampollari nervo radiale appariva esente dal traumatismo. Anche in questo soggetto durante la vita la caduta della mano, quindi la pa- ralisi funzionale del radiale appariva completa. Dai dieci casi finora raccolti, e bene studiati, di paralisi del nervo radiale nei feriti d’ arma da fuoco della spalla, non si possono trarre delle conclusioni generali di grande valore. Ad ogni modo mi è permesso dire che, nei casi da me osser- vati, il nervo anatomicamente più compromesso non è stato per certo il radiale, bensì di preferenza il perforante del Casserio e con esso il corrispondente muscolo coraco-brac- chiale. Questo fatto dovrebbesi mettere in relazione con la resistenza che, nell’atteegia- mento del soldato durante l’azione, può opporre questo nervo al proiettile feritore, e po- trebbe corrispondere per frequenza alla lesione, così facile a riscontrarsi, del nervo sciatico- popliteo esterno, e che è stata dall’ Hartmann (Sociétè de Chirurgie - Agosto 1916) messa in rapporto con la minore spostabilità di questo nervo di fronte ai proiettili feritori. — 202 — La lesione del perforante del Casserio fu ancora evidentemente riscontrata in un capitano di linea che, ferito all’ ascella da un proiettile, venne a noi con un ematoma pulsante assai superficiale della parete anteriore dell’ ascella destra e che fu curato con la legatura dell’ascellare fuori degli scaleni. In questo caso esisteva, ciò che persiste V. basilica in- grossata con dila- tazioni ampollavi N. radiale ede- matoso, roseo, con una solcatura verticale Figo: tuttora sebbene alquanto migliorata, la paralisi dei muscoli bracchiali anteriore e bicipite, sostituiti nella loro funzione dagli altri muscoli flessori dell’avam- braccio ed in ispecie dal lungo supinatore. Lo studio di questo soggetto ci ha dimostrato che l’ematoma dell’ ascella, quando sta al davanti del- l’aponeurosi clavi-coraco-ascellare non compromette funzionalmente la generalità dei tronchi ‘nervosi ascel- lari i quali si trovano per la presenza di questa stessa aponeurosi posti a riparo dall’ azione perturbatrice del versamento ematico, il che al contrario avviene nel caso inverso. Nell’accennato soggetto, palpando il cavo ascellare, questo si sentiva relativamente libero; ed il nervo radiale era perfettamente funzionante, come pure il mediano e il cubitale. Dagli accennati casi raccolti, mi risulta che la paralisi del nervo radiale, nella grande maggioranza dei feriti dell’ ascella e della parte alta del braccio con lesione del plesso vascolo-nervoso. si manifesta anche quando anatomicamente non si osservano sul nervo stesso lesioni grossolane o tali da potersi ritenere come la cagione diretta della soppressa funzione nervosa. Prima di procedere oltre nell’analisi dei fatti osservati, credo opportuno richiamare l’attenzione dei Colleghi sulla disposizione anatomica ritenuta più comune del plesso nervoso per entro l’a- scella ed in ispecie sulle origini del nervo radiale dai vari tronchi nervosi cervicali V°, VI°, VII° e VIII°. Da tale disposizione risulta ad evidenza la possibile compromissione funzionale del nervo radiale, qualunque sia la lesione che interessa gli elementi del cavo ascellare. Un proiettile che attraversa l’ ascella anche se non ferisce il nervo radiale, deve per il fatto stesso delle. vibra- zioni su tutto il plesso fare risentire un’azione inibitoria, talvolta di vera commozione sopra tutti i nervi del plesso medesimo con prevalenza sul radiale, dati i molteplici rapporti che esso ha con tutti gli accennati tronchi nervosi. Dal frequente ingrossamento notato del nervo radiale; dalle Il tessuto ci- catriziale av- volge tutto il fascio va- scolo-nervoso suffusioni sanguigne osservate nel suo nevrilemma e dal suo diffuso arrossamento, abbiamo ammesso nella maggioranza dei casi | esistenza di che poteva spiegare i. fenomeni clinici osservati. processo nevrite Anche la compressione apportata dal sangue versatosi è un altro elemento impor- Le tante da tenersi a calcolo, avendo constatato quale tenacia offrano alla loro remozione gli ematomi fattisi fibrosi. A questo proposito ricorderò una condizione meccanica tutta speciale che mi fu dato di osservare rispetto al solo nervo radiale. Ho veduto cioè talvolta questo nervo sospinto e compresso dall’ ema- toma contro il margine inferiore del muscolo sotto- scapolare ed una volta contro di esso fortemente strozzato dal tessuto fibroso. Ma oltre queste ragioni anatomiche normali e patologiche io credo che a spiegare la frequenza del fenomeno clinico inerente al nervo radiale, special- mente nei casi in cui questo non sia stato diretta- mente interessato dall’ azione del proiettile, altre ragioni ancora d’ indole fisiologica e funzionale pos- sano essere invocate. N. perfo- rante del V. basilica Casserio N. eubitale N. radiale grosso, tu- mido e roseo Io qui mi limito ad un semplice abbozzo della questione che ho ancora in istudio. Per me il mo- Vena basilica con dilatazio- ni ampollari sa \\/ attaccato alla parte alta ed interna del ! {debbono agire in modo assai obliquo, strisciando sull’ osso, e re. muovere una leva di terzo N.radiale lesio- nato all’inizio della doccia di torsione genere, il ‘cui’bracgio: breve e prossimale o in alto, e il braccio lungo è distale od in basso. Così pure, se paragoniamo fra di loro il movimento di supina- zione con quello di pronazione vediamo che il primo è un movimento di forza, il secondo di riposo. Per quest’ultimo movimento inoltre faccio osservare che, essendo la mano ar- ticolata al radio per mezzo delle ossa del carpo, si trova ad avere il suo asse di movimento in un punto eccentrico, per guisa che, lasciata a sè, essa cade in pronazione per il proprio peso, trascinando seco il radio che ruota sul eubito, il quale non è capace che di movimenti di estensione e di “0 di forza, mentre il secondo è Infatti i due muscoli radiali esterni, attaccati alla parte alta vimento di estensione e flessione dorsale della mano, parago- nato a quello di flessione palmare è un movimento di sforzo movimento di riposo. e posteriore del 2° e 3° metacarpo, ed il cubitale posteriore, metacarpo (Fig. 11) A. ascellare perforata N. radiale perforato sfi- brato, ecchi- motico flessione sull’omero. Quindi - a mio avviso - in condizioni normali anatomo-fisiologiche i movimenti che devono compiere i muscoli innervati dal radiale, richiedono uno sforzo molto maggiore a confronto di quello richiesto dai muscoli innervati dal mediano e dal Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. sl 204 — cubitale. Onde le lesioni anche leggere del nervo radiale, capaci di portare una sem- plice interruzione fisiologica del nervo, riescono sempre gravi. Ciò appare tanto di più quando si tenga conto che per i movimenti di estensione, flessione dorsale, nonchè di supinazione della mano è deputato un solo nervo - il radiale -, mentre per i movi- Fig. 11. menti opposti-agiscono due nervi - il mediano e il cubitale - che sì possono in parte coadiuvare. Quindi maggior sforzo per il primo, che è solo a funzionare, assai minore sforzo per i secondi. Da ciò si com- prende la facile e frequente compromissione della funzione del nervo radiale che si traduce con la caduta della mano e la mancata supina- zione attiva. Rispetto al trattamento di questi casi ben poco posso dire perchè della neurolisi da noi colla massima cura eseguita non risulta d’ im- portante che il successo immediato dell’ intervento operatorio, perchè tutti i malati guarirono di prima intenzione senza risentire il più pic- colo disturbo dal subito traumatismo. Del resto il tempo è troppo breve perchè si possa dir qualche cosa di positivo, circa i risultati ottenuti e che si potranno in seguito ottenere. Un fatto importantissimo che debbo registrare si è la conservata funzionalità dei muscoli pettorali così largamente squarciati per rag- giungere il cavo ascellare e dominarlo con tutta esattezza. Nei soggetti operati nessun disturbo sì rese manifesto, il che sta a dimostrare l'ottimo risultato operatorio in ciascun caso ottenuto. La stessa spiegazione fisiologica credo che si possa applicare, in alcuni casi, allo sciatico popliteo esterno, giudicato in generale più suscettibile di essere ferito a confronto col tronco principale dello sciatico. Anche qui, a mio modo di vedere, si renderebbe manifesto un fatto meccanico, essende il movimento di flessione dorsale e di valgismo del piede un movimento di sforzo 0 di forza; mentre che gli opposti movi- menti non sarebbero che di 7iposo, quindi più facili a compiersi a confronto con i primi. A_ parità di lesione, talvolta lieve, i fenomeni si manifesterebbero più gravi in funzione dei muscoli innervati dallo sciatico-popliteo esterno, stante il movimento di sforzo ad essi affidato. NOTA — Il lavoro completo verrà pubblicato nella « Chirurgia degli organi di movimento » Vol. I° Fase. 2° Maggio 1917. — TTR0wrLrL7s_—______ « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « INTORNO AL BOSSO DI ORICO NOTA STORICA DEL Prof. A. BALDACCI letta nella Sessione del 22 Aprile 1917. Pouqueville mi offre il motivo per questo studio (1). Egli scrive: « Une lieue et demie au nord de Ducatès, on trouve les ruines d’Oricum, ville attribuée tantòt à 1 Épire, tantòt à lIllyrie (2), qui est citée par une foule d’ auteurs anciens. Lucain lui donne le sournom de Dardanique (3), parce que Helenus et Tros régnèrent dans cette partie de |’ Epire; ou, suivant d’autres auteurs, Dardanus, qui était leur père. Mais ce n'est là qu’ une tra- dition mythologique très-incertaine (4). Denys Periègele assigne à cette position les limites de la Hellade (5) du còtè de l’Illyrie. Hérodote, Scymnus, et Hécatée cité par Stephanus, se contentent de la qualifier du titre de port de mer, sans parler de son gisement. Ainsi il est probable que ceux qui la placent dans la val Daorso (s’ils n° entendent pas par cette dénomination le golf d’ Avlone) ont été induits en erreur par un passage sans doute altéré de Polybe, dont le sens serait: Qu’elle se trouve à la droite d’un vaisseau por- tant le cap pour entrer dans |’ Adriatique. Mais il souffit d’un peu de réflexion pour reconnallre l’erreur, si on fait attention que César, débarqué sur la plage occidentale de 1’ Acrocéraune, employa une journée de marche pour se rendre de Paleste à Oricum, où Bibulus était mouillé avec la floite de Pompée, tandis que le dictateur prenait terre de l’autre coté de la chaîne des montagnes. Properce (6) prouve plus clairement encore que cette ville était située dans le golfe d’ Avlone, lorsque après avoir dit adieu à Cyn- thie, il souhaite qu’ un vent propice la conduise au-delà des monts Cérauniens, dans le port paisible d’ Oricum. Preuve évidente, comme le remarque Paulmier, que cette ville se trouvait dans |’ Epire, au-delà des. montagnes. Mais un fait parlant pour celui qui, comme moi, connaît le pays, c'est le dis renommé d’ Oricum, dont Nicandre (7) emprunte la comparaison, qui (sans les raisons que je viens d’exposer) suflirait seul pour me déterminer à placer cette ville è Porto-Raguseo. On ne trouve cet arbuste dans |’ Epire occidentale qu’ aux environs de Ducatès, pays froid ». Evidentemente nell'antichità, assai più di oggi, l'industria del legno del bosso doveva essere fiorente nell’ Acroceraunia e non si comprenderebbe in altra guisa la menzione che Nicandro fa di questo alberello, riferendosi ad un carattere di paragone tanto secondario frail colore diuna pianta erbacea, allora usata nella medicina, e un legno la cui distribuzione Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. VI (1) TO E geografica era a quei tempi poco più che conosciuta per la sua parte balcanica, la quale è sempre una delle più importanti dell’ « habitat » del Buaus sempervirens. « In Epirus « ist der Buchs héufig, in Albanien ebenfalls sehr verbreitet. In beiden Làndern wird er « ein schònes Biiumchen, welches die bulgarischen Tischler zugleich mit andern Arten « von Holzern bearbeiten. Der Buchs sieigt bis iiber 1300 m (Acroceraunia), und 1500 m « (Malj Seint in der Miridizia etc.) ist aber auch der mediterranen Region eigen (lings der « Strasse von Tepelen nach Klisura etc.). Im allgemeinen lebt er auf beschrànkten Arealen. « Er zieht den Kalk vor. Ich erinnere mich nicht, ihn auf andern Substrat gesehen zu « haben. In der mediterranen Region lebt er in Gesellschaft von Quercus Nea, Phlomis « fruticosa, Punica Granatwn ele, in der Waldregion steht er gern mit Coniferen zusammen N (Abies, Pinus, Taxus etc.) und fehlt auch nicht in Gemeinschaft der Buche » (8). Queste notizie che io comunicava al Christ nel 1913 sulle mie osservazioni personali, sono naturalmente indipendenti da quelle che si leggono in Boué. « Dans | Acrocéraune, « le Pinde, les montagnes de Thessalie, telles que 1 Olympe, et celles au S. E. du lac « d’Ochrida, le Buis (Buaus sempervirens) s'associe aux Pins ou précède cette zone, en « se tenant entre 2000 et 3000 p. ou méme un peu au-delà; mais on ne voit point cet « arbrisseau en Bosnie, en Servie, dans le Balkan, ou méme dans la Macédoine orientale. « Il atteint une hauteur assez grande, comme cela se voit encore dans | Olympe, et ca et A < là dans le Pinde; mais depuis qu’ ou en exporte beaucoup, les gros trones diminuent (9) ». In ogni modo, nell’antichità il bosso era molto utilizzato nell’industria e presso i romani anche nel giardinaggio. ‘l'eofrasto (10) e Plinio (11) principalmente ci fanno conoscere la distribuzione e gli usi cui quel legno serviva ai loro tempi; essi lo dicono indigeno della Grecia settentrionale (anche | Acroceraunia era considerata in Grecia), della Macedonia, dell’ Olimpo, nei quali paesi soggiungono, però, che raggiungeva soltanto grandezza media ed era nodoso e per luna e l’altra ragione non veniva adoperato come quello dei monti di Citoro nella Paflagonia (12), della Berecinzia, della Frigia e dei Pirenei dove pare fosse eziandio allora molto abbondante e rinomato, sebbene il più noto fra tutte le varietà che si distinguevano fosse il bosso di Corsica (18). Oltre Teofrasto e Plinio, molti altri scrit- tori ricordano il bosso (14). Il Blumner ha trattato l'argomento con forte erudizione; tut- tavia, gli è sfuggito il passo di Nicandro, che, appunto, forma oggetto di questa nota. Il bosso si trova oggi nell’ Acroceraunia soltanto nel versante settentrionale del passo di Logarà nel cui fondo passa la mulattiera della Himara: questa gola è circoscritta da N. a S. dai fianchi della Majethanasit e dipendenze (monte Atanassio; 1464 m.). Sen Ilia (Elias; 1497 m.), Dreri Rim (1343 m.) a ponente, e Chiore o Chiorre (2018 m.), Hon (1471 m.), Palisca (1405 m.) a levante. In tutti questi luoghi interni, il bosso concorre in gran copia a formare la boscaglia acroceraunica, la quale, come in Majethanasit, si presenta in parecchi punti densissima e quasi impenetrabile. Si trova anche allo stato sporadico nelle chine occidentali del Bregu i Detit (15), ossia nel versante del mare, a poca distanza dal Logarà, dove alligna stentamente sotto l'influenza degli alisei. L'antico suo nome greco, migos, bosso, è oggi cambiato in quello di svéder. Il greco diede il latino dbuaus. Nell’ at- tuale albanese la pianta si chiama Dusk 0 dbusk. Cone Per antichi diritti di usi civici, riconosciuti dalle consuetudini locali anche oggidì, le boscaglie a bosso appartengono in parte agli abitanti di Drimade (Himara) e a quelli di Ducati. I primi arrivano poco sotto il passo (versante settentrionale), mentre tutto il resto appartiene a Ducati; Bregu i Detit è naturalmente della Himara. Le aree spettanti agli uni e agli altri risultano discretamente stabilite, salvo, beninteso, le contestazioni inevitabili in un paese come l’ Albania, dove, nei tempi andati, la proprietà subiva tante oscillazioni e tanti muta- menti secondo il capriccio della forza e della sorte. Nonostante, la giurisprudenza per il taglio dei boschi fra i due villaggi era riconosciuta dall’ autorità ottomana che si contentava, quando poteva, di percepire i diritti forestali stabiliti dalla legge: però, anche in tempi recenti, le contestazioni portarono a gravi abusi che la nostra autorità potrà facilmente togliere, basandosi sui vecchi fap? del regime turco. Il bosso è siato eziandio causa di con- tese con spargimento di sangue. Durante gli ultimi cinquant'anni del dominio turco, il bosso venne abbastanza larga- mente sfruttato nell’ Acroceraunia seguendo le regole forestali; si tagliava per |’ esportazione e anche per la lavorazione sul posto a scopo di speculazione e di commercio. Vi furono notabili albanesi che, calpestando gli usi civici e i diritti consuetudinari di Ducati e di Drimade, posero senza riguardo la scure per conto proprio nelle boscaglie di bosso e vi tolsero grosse quantità di legno da mandare in Germania, Inghilterra (dove era molto richiesto), in Italia ed al- trove, distruggendo così quasi ad un tratto aree intere della pianta. Legnajuoli bulgari e valacchi delle regioni di Dibra e di Coritza lavorarono il legno sul posto in diverse riprese con quello di altre piante, ed io stesso notai la cosa durante le mie escursioni del 1892 nel- l’Acroceraunia: quei legnajuoli avevano anche impiantato una segheria che funzionava con la forza idrica della sorgente di Logarà, ora quasi perduta in seguito alla costruzione della strada nuova (16). Vi sono persone che ricordano come in un anno si esportasse in Germania per conto di una sola ditta tanto legno di bosso per 700 megidiè turchi (circa L. 3000): i legnajuoli di Dibra pagarono 100 megidiè (circa L. 450) per un anno col solo diritto di fare cucchiai e bastoni. I Corciani pagarono 200 megidiè, consegnando inoltre 400 tavole di pino per le chiese, col diritto di tagliare pure una certa quantità di bosso (17). La grossezza del legno utilizzabile è in media di dieci o quindici centimetri di circon- ferenza, ma sono frequenti i tronchi con diametri di.10-12 centimetri e qualche volta di più. L'altezza media che raggiunge il bosso è di 2-3 metri. Come anticamente, anche oggi gli abitanti dell’ Acroceraunia fanno col legno del bosso cucchiai, manichi di coltello, pet- tini, coppe, bastoni da pastore, secchie, flauti; di più pipe e bocchini (18). Con la corteccia si fanno alveari, abbastanza in uso presso i Himarioti e i Ducatioti e gli abitanti di altri villaggi acroceraunici, i quali da tempi immemorabili hanno in uso 1 industria del miele. Mentre Nicandro ricorda il bosso di Orico, sì deve porre la questione: questa pianta allignava ai tempi del medico alessandrino anche intorno alla città e nell’agro dipendente, oppure, come sembra più naturale, era allora diffusa eziardio nei dossi interni dei monti dove si trovava certo in proporzioni molto maggiori di oggigiorno? La soluzione di questo pro- Do Doo blema è difficile, ma a me sembra più probabile che anche ai tempi greco-romani il bosso == dovesse tenere, all'incirca, | altitudine che presentemente esso occupa sui monti e non scendere al livello del mare, presso o poco lungi da Orico. Nei tempi classici, 1’ attuale villaggio di Ducati non esisteva e tutto il paese fra Orico e Paleste era disabitato e costi- tuiva, tanto di qua, quanto di là dal passo di Logarà, una regione selvatica e abbando- nata compresa in gran parte nel territorio di Orico ed era percorsa dal ramo litoraneo della strada di traffico, la quale da Butroto (Butrinto) e Onchesmo (Santi Quaranta) veniva ad allacciarsi sopra Apollonia da una parte e Billi dall'altra e per altre città e castella meno note della regione fra il mare, |’ Aoo e il Celidno (Suscitza), tutte città della Taulantia, oggi scomparse, 0 in rovina o ridotte a poveri villaggi insignificanti sorti da commistioni etniche inestricabili. Indubbiamente, il territorio sul quale sorgeva Orico deve avere subìto qualche mutazione dai tempi classici nella partie occupata oggi dallo stagno di Pascià Liman. Una leggenda racconta: « In tempi lontani, sull’attuale lago di Pascià Liman sorgeva la città di origine « asiatica, che taluni credono fenicia, di Orico, della quale si intravedono ancora i ruderi « qua e là, nella melma del fondo. Dicesi che un terremoto (fenomeno di bradisismo nega- « tivo?) facesse sprofondare il suolo, formando la grande vallata nella cui depressione mag- « giore si raccolsero, come in un bacino, le acque defluenti dalle montagne. Così nacque « lo stagno che i turchi chiamarono Pascià Liman o Liman Padiscià e i marinai Porto « Raguseo o Porto Poglize (19) ». Resta a vedere, comunque, se i mutamenti, cui la leggenda si riferisce rispondano al vero 0 possano collegarsi anche parzialmente più lontano che ai tempi stessi di Nicandro. Tutta l Albania è piena di leggende; una ne corre abbastanza diffusa nel popolo di relazioni sotterranee fra lo stagno di Pascià Liman e il mare (20); un’altra leggenda riguarda le re- lazioni, pure sotterranee, fra le acque sorgive di Ujftoft (Crionero) e Nizvor o Izvor con il letto della Susciltza, attraverso voragini interne che la fantasia degli abitanti acroceraunici vede dentro la Lungara. Io penso, piuttosto, a questo punto, lasciando ogni riserva geologica per la quale basta l’au- torità del Martelli (21), che se il bosso arrivava ai tempi di Nicandro fino all’agro circostante ad Orico ed oggi la pianta si è ritirata da quei luoghi abbastanza lontano sui monti verso la linea di Ducati ed anche un poco a Sud del villaggio, ciò sia dovuto alla scure, la quale è stata fatale alla bella foresta acroceraunica settentrionale, molto più che il fuoco e 1’ ab- bandono degli abitanti. La distruzione dei boschi in quel territorio deve avere raggiunto in alcuni tempi, anche anteriormente a quanto si è detto, proporzioni favolose, forse ancora più gravi di quelle che abbiano prodotto i danni commessi recentemente da noi ed ai quali sarebbe provvidenziale porre prontamente riparo con una legge energica, per rispettare quel poco che avanza del classico bosso e degli alberi consoci di pino, abete, acero, faggio e via dicendo che con esso convivono. Certo è che a monte di Pascià Liman fino oltre Ducati, il bosso non esiste più da gran tempo. Nessuno ricorda di averlo visto colà all’infuori che in cespugli miseri e rarissimi nella macchia mediterranea (22) che domina sovrana sul terreno a substrato calcare a rudiste e caprinidi; tanto meno deve essere entrato nella boscaglia intorno allo stagno dove — 209 — i terreni sono di formazione recente e allagati la maggior parte dell’anno (la stessa foresta di Valda sorge in mezzo a pantani con giuncheti e canneti che la rendono impenetrabile): là è il regno del frassino, dell’olmo, dell’ontano, del salice, del pioppo bianco e del som- macco la cui corteccia si usa per tingere tessuti. Il sommacco vive anche in questi terreni paludosi, talune aree dei quali sì andavano, ad ogni modo, stabilendo fino dai tempi clas- sici (23). I vecchi ricordano che quel bosco era molto più esteso e più fitto che al presente (anche là la scure ha tagliato più di quanto dovesse), ma nessuno vi sa indicare la presenza di bosso. I canti dicono poco (24) e le memorie del popolo non accennano a nulla di con- creto in riguardo alla distribuzione del bosso nei tempi andati, ricordando però che la fo- resta acroceraunica doveva essere in passato grandiosa, molto più densa e vasta che 1’ at- tuale che noi andiamo distruggendo, e pur senza rimpiangere alcuna cosa, com’è sostume albanese, rammentano qualche nome dei distruttori. Pare a me che sarebbe opera degna pubblicare un'ordinanza severa che ponga fine allo sterminio del bosso in Acroceraunia. Io ho visto con i miei occhi, durante |’ occupa- zione, la distruzione vandalica che si fa senza motivo ragionevole di questa pianta preziosa tenuta dall’antichità fra le più reputate e che i romani avevano ammesso nei giardini delle loro case. La civiltà per la quale si lotta ora anche in Albania otterrà, spero, dopo le attuali devastazioni, che il bosso acroceraunico, di fama millennaria, venga preservato come mo- numento dalla furia della scure e del fuoco del nostro esercito. NOTE (1) F. C. H. L. Pouqueville: Voyage de la Grèce, I, 3, 6, pag. 324-326: Paris, 1826. (2) La prima interpretazione risponde più esattamente al concetto degli antichi geografi che eziandio i moderni seguono generalmente. Fra i recenti, cfr. in rapporto alla nota 5: A. Di Sangiuliano: Lettere dal- l'Albania; Roma, 1903. (3) Tunc qui Dardaniam tenet Oricon. Luce, Phars. Il, 187. (4) "Qoizov diuérva, Herod. IX, 92: Iaodkios sa6%s, Seymn. v. 440: Agra dhe “Hasloov t0v Qoixiov Èv ti) Evo, Hecataeus apud Stephanum: Chaoniae civitas, Strab. VII, 316: Ptol. III 13: Pol, VII, 19, 22; "Qoxor, Horicum, Oricum, Orcus, long. 45, lat. 39, 15: Qorxias afus meminit Dyonys. Perieg v. 399: Tit. Liv. XXIV, 40: Plin. (cam Macedoniae attribuit) III, 23 (Oricum a Sallentino Italiae promunturio distat LXXX): Dion. Hist. rom. XLI; celebratur a Virgilio, Aen. X, v. 136: Luce. III, 187. — Cfr. C. Patsch: Das Sandchak Berat in Albanien, K. Akademie der Wissensch. Schriften Ad. Balkancommission, Antiq. Abth., pag. 70: Wien, 1904. (5) “Qoizinv Id vato alav Foeldetar “EX}Ados dog): v. 399. Oriciumque super terram situm est Graeciae initium. (6) Ut te felici praevecta Ceraunia remo Accipiat placidis Oricos aequoribus. Prop. El. I, 8, 19 (7) Nicandro Ther. v. 509-516, dice, parlando dell’Aristolochia, che essa è simile per il colore al bosso di Orico: “Hror dorotoloyeta, maliozios évrdatéorto, Dil}a te x100))evta meoLXAv LIÉVOLO pE00voa: ’Avdea d boyiro Eéveosbderar i dé oi dun Nxidvatar #ufaobvdovoa: uÉcor d' ds ayodda xaosròv Mvuotddos #È 6yvns émoypear i) o ye paxyns. ‘Pila dì IyAvrgons utr ErtorooyyiAietai dvx, "Aooevi d' aù doliyi) te zai du 1vy6ros Ppados toys, IHiE0v dì yootjj 10004 yzios “LQotzioro. Nicandro, medico greco di Colofone (anno di nascita e di morte incerto: pare morisse circa un secolo prima della nascita di Cristo) della scuola empirica, considerato fra i sommi naturalisti e me- dici dell’antichità e rinomato eziandio come grammatico e poeta, fu, secondo quanto si narra, sacer- Soa doie di Apollo a Claro nella Jonia, Egli si occupò molto di botanica e dell’arte dei Semplici, ossia, come si potrebbe dire oggigiorno, di materia medica e di farmacologia botanica: compose le sue opere in versi, ma disgraziatamente la maggior parte è andata perduta. (8) H. Christ: Ueber das Vorkommen des Buchsbaum ete. in Verhandl. d. Naturforsch. Gesellsch. in Basel, Band XXIV, pag. 72-73 (1913) (9) A. Boué: La Turquie d’ Europe, I, pag. 418: Paris, 1840. Le esplorazioni recenti correggono Boué: efr. L. Adamovich: Die Vegetationsformationen Ostserbien in Engler Bot. Jahrb, 26, 2, 163; Beck v. Mannagetta: Die Vegetationsverhaltnisse der illyrischen Linder: Leipzig, 1901; H. Christ: 1 c. (10) Theophrastus IIIJ 15, 5. (11) C. Plin. Nat. hist. XVI, 28, 16: « In primis vero materies honorata buxo est, raro crispanti, nec nisi radice: saetero lenis quies materiae, silentio quodam, et duritie, ac pallore commendabilis: in ipsa vero arbore topiario opere. Tria ejus genera: Gallicum, quod in metas emittitur, amplitudinemque proceriorem. Oleastrum in omni usu damnatum, gravem praefert odorem. Tertium genus nostrates vocant silvestre, ut credo, mitigatum saiu: diffusius, et densitate parietum; virens semper, ac tonsile. Buxus Pyrenaeis, ac Cvioriis montibus plurima, et Berecynthio tractu: crassissima in Corsica, flore non spernendo ;: quae causa amaritudinis mellis Semen illius cunctis animantibus invisum. Haec in Olympo Macedoniae gra- cilior, sed brevis. Amat frigida, aprica. In igni quoque duritia, quae ferro, nec flamma, nec carbone utilis». — Ed oltre a c. 52,30: « Plurima vero buxus. Nam et semen suum, et granum, quod crataegum vocant, et a sepiemtrione viscum, a meridie hyphear: de quibus plura mox paolo. Interdum pariter res quaternas habent Arbores quaedam simplices, quibus a radice caudex unus: et rami frequentes, ut olivae, fico, viti. Quaedam fruticosi generis, ut paliurus, myrtus, item nux avellana: quinimmo melior est et copiosior fructu, in plures dispersa ramos. In quibusdam omnino nullus, ut in suo genere buxo, loto transmarinae ». (12) Et juvat nudantem buxo spectare Cytorum Naryciaeque picis lucos. Virg. Georg. II, 437. (13) Gli usi del legno di bosso nell’antichità erano molti da quanto sappiamo: a) per connettere insieme membri architettonici internamente e per chiavi di volta: %) per mobili, specialmente letti o xAva : c) per oggetti e utensili, come gioghi di carri, impugnature di martelli, trapani, formelle per cacio, tavole per scrivere o per dipingere, carrette, chiamate 7v$/0e5 (pissidi), giuochi per fanciulli, pettini, flauti, chiamati «buxa » dai romani, strumenti a corda e via dicendo. Infine si usava il bosso anche per statue. Di tutti questi usi pare che i più comuni fossero : 1) le tavolette per scrivere (avéis, avÉldior presso i greci), ricoperte di uno strato di cera (tabulae ceratae presso i romani) che diedero luogo alle parole xvÉoyoagstor e tabula; 2) stecche dei pittori per adoperare i colori: 3) specie di trottole (turbo), giuoco dei giovani romani: 4) diversi istrumenti a fiato, fra cui principalmente il flauto (tibia); 5) i pettini (pecter): 6) cassette o pissidi. Sarebbe lunga ed ardua fatica ricordare qui gli accenni che si riscontrano nei classici intorno al bosso: valgano i seguenti : Cat. Dedicatio Phoseli IV, 13: ...et Cytore buscifer.. Virg. Aen. VII, 881: . . +. Stupet inscia turba Impubesque manus, mirata volubile buxum. Virg. Aen. IX, 619: Tympana vox buxusque vocat Berecynthia matris Idaeae... Pers Iole Neu quis callidior buxum torquere flagello. Prop. III, 230. 8: Vulgari buxo sordida cera fuit. Ibid. TV, 8.41: Nanus et ipse suos breviter concretus in artus, Iactabat trauncas ad cava buxa manus. Stat. Theb. II, 73: . «+ + Tyriis ea caussa colonis Insomnem ludo certatim educere noctem Suaserat: effusi passim per tecta, per agros, Serta inter vacuosque mero crateras anhelum Proflabant sub luce deum: tum plurima buxu aeraque taurinos sonitu vincentia pulsus. Ibid. VII, 168: Adde, quod imbellis rarisque exercita castris Turba mea acies, mea tantum praelia norunt, Nectere fronde comas et ad inspirata rotari Buxa: timent thyrsos nuptarum et praelia matrum. Mart. Epigr. XIV, 25: p Pectines. , Quid faciet nullos hic inventura capillos Multifido buxus quae tibi dente datur? Claud. Raptus II, 130: Si buxus inflare velim, ferale gemiscunt. Juv. XIV, 190-194: MERA CCIPENCeras: Sceribe, puer, vigila, causas age, perlege rubras Maiorum leges aut vitem posce libello. Sed caput iniactum buxo naresque pilosas Annotet et grandes miretur Laelius alas. O vid. Fasti VI, 228-230: Donec ab Iliaca placidus purgamina Vesta Detulerit flavis in mare Thybris aquis: Non mihi detonsa crinem depectere buxo, Non ungues ferro subsecuisse licet... Ibid. 697-698: Prima terebrato per rara foramina buxo, Ut daret, effeci, tibia longa sonos. Ibid. Ex Ponto I, 45: En, ego pro sistro Phrygiique foramine buxi Gentis Iuleae nomina sancta fero. Ibid Metam. XIV, 535-587: Cum memor has pinus Idaeo vertice caesas Sancta deum genitrix tinnitibus aéra pulsi Aeris et inflati complevit murmure buxi. Ibid. IV, 310-311: Sed modo fonte suo formosos perluit artus, Saepe Cytoriaco deducit pectine crines. Hor. Serm. I, 1, 70: ..congestis undique saccis Indormis inhians et tanquam parcere sacris Cogeris aut pictis tanquam gaudere tabellis. Hor Serm. 1,6, 74: ..qui macro pauper agello Noluit in Flavi ludum me mittere, magni, Quo pueri magnis e centurionibus orti Laevo suspensi loculos tabulamque lacerto, Ibant octonis referentes Idibus aera. Vitr. De architectura VII, 3: Cum ergo camerarum postulabitur ratio, sic erit faciundum. Asseres directi disponantur inter se ne plus spatium habentes pedes binos, et hi maxime cupressei, quod abiegnei ab carie et ab vetustate celeriter vitiantur. Hique asseres, cum ad formam circinationis fuerint distributi, catenis ad contignationes, sive tecta erunt, crebriter clavis ferreis fixi religentur. Faeque catenae ex ea materia comparentur, cui nec caries nec vetustas nec umor possit nocere, id est e buxo, iunipero, olea, robore, cupresso ceterisque similibus praeter quercum cum ea se torquendo rimas faciat quibus inest operibus... Hom. Iliad. XXIV, 265-270: ‘Qs #&pad', oî d'doa matoòs dbroddeloartes 6uoxki)r, È) x >» = MERCE >’ IRREAIAe RENZO éx uèv duasar deloar eUTooYov 1utoveir, AO 7 OE VEL SA zali, tomrorayta asiovida dè dijoav és adrijs, VR RANGE FA zùò d' darò maocalogpi Cvyor ijogor Yuoretor, miÉwvor, dupaloer, sÙ oDjxecon doyods, x de Ii È, Ma: 07 x d &peoor Cvyodeouor Gua Tvy@ évreadmyv. Luce. Asin, 14: 1) dè dugortous taîs yeo00ì tvypauérn) tò 1000Mstror, TAhatva, eùmer, ty, uéya eloyaouar xax6r, omevouca yùo ijuaotov év t}} 6uodtnii TOv avildor xal dilnv #hafor odyzi tijv tà atE0d puovoar ... (14) Bliùmner: Technologie und Terminologie der Gewerbe und Kinste bei dem Griechen und Romern, II, pag. 252-254, 1879. — Cfr. Dictionnaire der antiquités grecques et romaines .. sous la direction de MM, Ch. Daremberg, Ed. Saglio, I, pag. 756: Paris, 1877. (15) A. Baldacci: Memorie della Società Geografica italiana, 1896, pag. 404 (pag. 65 dell'estratto); Bollettino della Società Geografica italiana, pag. 685 (1900): Rivista della Collezione botanica fatta nel 1892 in Albania, pag. 71; Genova, Malpighia, 1894: cfr. anche: Itinerari Albanesi, pag. 85 e 152; Roma, 1917. (16) A. Baldacci: Itinerari albanesi, pag. 151; Roma, 1917 (17) Notizie raccolte in parte direttamente in Himara e a Ducati e in parte avute dal prof. Mingas di Vallona. (18) Pouqueville: L e. in nota: « C° est de là qu’ on tire le buis qu’ emploient les tourneurs de l’ Albanie... » (19) KG. Piatisicihistbite. (20) A. Martelli in litt. « Tu sai quanto la fantasia dei più incolti Albanesi si sbizzarrisca nell’ ampliare ogni fenomeno che attrae la loro attenzione: la tendenza ad esagerare le impressioni di ogni fatto na- turale è appunto una precipua qualità delle menti orientali. meno evolute Anche a me, durante le mie escursioni nei dintorni di Vallona, i pastori della Lungara e della Himara, indicavano le frequenti caverne e le profonde fenditure delle formazioni calcaree come pau- rosi abissi inesplorabili e infiniti: ma non mi sembra che alcuno affacciasse l’ipotesi o ripetesse la supposizione di comunicazioni fra il lago di Pascialiman e il mare oltre il Caraburun... Molte volte, sia pure in germe, le tradizioni locali hanno in sè delle verità che solo col tempo si possono svilup- pare e conoscere, e certamente la pretesa comunicazione può essere stata suggerita alle menti degli indigeni dalla frequenza di grotte e caverne in tutta la regione calcarea acrocerauna. Tu sai che nelle masse calcaree della regione dinarico-albanese, le acque di pioggia e superficiali, che scompaiono nel- l'interno attraverso alle fratture e alle doline, ritornano all’esterno dopo un capriccioso percorso sot- terraneo fra le discontinuità e le grotte, dapprima favorite dalle azioni meccaniche derivanti dalla orogenesi e poi ampliate anche dall'azione erosiva e chimica delle acque stesse. Mi sembrerebbe per altro più attendibile un’ asserzione che sostenesse la possibile comunicazione fra la costa e l'interno della baia di Vallona attraverso irregolari cavità sotterranee, che non fra il lago di Pascialiman e il mare aperto. Invero, la depressione del Caraburun fra Ravena e Vasilio è così ristretta in superficie che non sorprenderebbe molto l’esistenza di fenditure irregolari: ma continue 0 comunicanti, a mezzo delle quali fosse possibile un rapporto sotterraneo fra le due coste. Anzi, se si pensa che, mentre nel Caraburun cambia di frequente la inclinazione stratigrafica delle formazioni, proprio fra Ravena e Vasilio dovrebbe passare l’asse di una piega anticlinale, non sarebbe impossibile l’esistenza di una cavità irregolarmente prolungata in corrispondenza del nucleo della piega calcarea: ma ammesso anche ciò come possibile in linea di massima, male potrebbe sostenersi pel caso parti- colare perchè l'entità del fenomeno carsico è nel Caraburun molto ridotto, nè le condizioni stratigra- fiche del calcare, ovunque dislocato e inclinato, faciliterebbe l’esistenza di caverne praticabili, e s910) tutt'al più, una circolazione delle acque di pioggia e, direttamente, marine. Con maggiore sicurezza si può invece escludere l’esistenza di comunicazioni fra il lago anzidetto e il mare Jonio. Tutta la pianura di Pascialiman è acquitrinosa perchè ha un fondo impermeabile de- terminato sia dai prodotti argillosi derivanti dal disfacimento superficiale dei calcari circostanti, sia dai materiali che costituiscono le collinette arenacee e marno-argillose attorno a Pascialiman stesso. La natura calcarea del sottosuolo profondo non impedisce l’esistenza di terreni paludosi di Pascialiman, appunto perchè sul calcare di per sè stesso idrivoro e cavernoso, incombono i rilevanti depositi argil- losi impermeabili del terziario, i quali, oltre a ricolmare il fondo della conca, obliterano pure le beanti fratture dei calcari sottostanti. In altri termini, il fondo immediato del bacino di Pascialiman è arenaceo argilloso come le collinette vicine e viene poi ulteriormente ricoperto di materiali argillosi di disfa- cimento ed impermeabili. Per le stesse ragioni, per cui le acque vengono così trattenute sul fondo del bacino, è certo che esse nemmeno possono pervenirvi dal sottosuolo, tanto più che in linea di prin- cipio sarebbero sempre le acque del continente che scenderebbero verso il mare — loro naturale livello di base — e non viceversa. (21) A. Martelli: Osservazioni geologiche sugli Acrocerauni e sui dintorni di Vallona in Memorie della R. Acca- demia dei Lincei, serie 5, vol. IX (1912). 22) Oggi il bosso scende dall’ Acroceraunia fino a mezz'ora circa di strada da Ducati. (23) A proposito del sommacco, le donne valacche della regione di Colonia usano anche oggi, come nell’ anti- chità, la corteccia per tingere gli indumenti: questo impiego è similmente diffuso fra le Valacche della pia- nura del Musachià che emigrano nell'estate sul Grammo per la transumanza (24) I canti e le tradizioni sul bosso sono scarsissimi e inconcludenti. Una nenia che ho sentito a Ducati è la seguente segnalatami pure dal prof Mingas: « 0 Kogi Sinan luléja Ku do gjendet kopéja? Mbushur dushe, mbushur bredha Né méris kéndon qyqéja ». « 0 Kogi Sinan, o fiore, dove si troverà il gregge ? Pien di bosso, pien d’abeti, al rezzo canta la civetta ». ii i nni inni siria SUL COMPORTAMENTO DELL’ AMMONIACA NELL’ ORGANISMO Oa MEMORIA Prof. LODOVICO BECCARI letta nella Sessione del 7 Maggio 1917. Metodo per la determinazione degli equivalenti acidi e basici dell’ orina. I rapporti fra la secrezione urinaria dell’ammoniaca e la eliminazione degli acidi sono ormai bene stabiliti, e in una nota precedente (1), riferendo ulteriori risultati sull’ argomento relativi agli erbivori, ho brevemente riassunto i dati e le questioni, che si riferiscono a questo importante capitolo del ricambio. Nel presente lavoro ho tentato di precisare meglio alcuni punti nell'intento di penetrare più addentro nel meccanismo di questo processo, assai più complesso di quanto possa apparire nel suo aspetto generale. Come ho già asserito, l'elemento essenziale, che regola tale rapporto, deve risiedere nelle diverse condizioni di equilibrio dei gruppi basici ed acidi contenuti nel sangue, che circola nel rene; e l indagine diretta su questo punto sarebbe la più propria a portar luce sull’ argomento, se essa non fosse più di ogni altra ardua per difficoltà tecniche e sperimentali. Ma anche lo studio dell’ orina serve, sebbene meno direttamente, a indagare il fenomeno: dagli effetti, che in essa possiamo riscontrare con | analisi, tentiamo di risalire alle cause, che regolano 1’ escrezione dei vari componenti. È logico pensare, che una conoscenza completa ed esatta dei rapporti fra i vari gruppi acidi e basici dell’ orina e dei loro cangiamenti a seconda di diverse circostanze potrebbe essere di grande aiuto, ed io ho cercato di recare un qualche contributo a questa ricerca. I metodi ordinari di titolazione della reazione orinaria, com’è ben noto, non danno risultati attendibili per tali questioni. È necessario conoscere con precisione la somma delle valenze acide libere, appartenenti in massima parte ai fosfati o ad altri sali acidi del- (1) Sulla eliminazione dell’ammoniaca nei grossi erbivori. Mem. R. Acc. d. Scienze dell’ Istituto Bologna 1917, pag. 253. Serie VII. Tomo IV. 1916-1917. 33 — 214 l'orina, per stabilire con esattezza quali rapporti esse abbiano con l’ ammoniaca, che si rinviene nell’ orina. Ora il metodo proposto già da Maly e da Hofmann (1) risponde- rebbe perfettamente allo scopo, se esso non avesse in sè cause di errori così gravi, che l'hanno faito bandire dall’ uso. Com’ è noto questo metodo si basa sul seguente principio : se ad una soluzione contenente fosfati mono- e bi-acidi si aggiunge una soluzione titolata di soda caustica in lieve eccesso, tali fosfati vengono convertiti in sali neutri (cioè tri- metallici, detti comunemente basici o normali); aggiungendo allora una soluzione perfet- tamente neutra di BaC/, in quantità sufficiente, tutto | acido fosforico viene precipitato come fosfato di bario; nel filtrato si titola la soda, che ancora vi resta di quella primiti- vamente aggiunta, e la diminuzione, che si riscontra, corrisponde alla quantità di soda ch'è stata necessaria a trasformare i fosfati mono- e bi-acidi in fosfati normali, cioè ci dà la misura della somma degli atomi d’ idrogeno ancora sostituibili con elementi metallici. Conoscendo poi la quantità complessiva di acido fosforico della soluzione si può facilmente calcolare la quantità del fosfato biacido, che è quello che impartisce la reazione acida all’ orina. Senonchè Lieblein (2) ha fatto conoscere 1’ errore grave, che intacca questo metodo, dimostrando, che quando si aggiunge il cloruro di bario ad una soluzione alcalina di fosfati non precipita soltanto il fosfato di bario normale, Baj (PO,),, come teoricamente si ammette, ma si forma pure fosfato basico contenente maggiore quantità di barite, come il seguente 2Ba,(P0,). Ba(0H). Per tal modo viene fissata una quantità di alcali superiore e si ottengono valori più alti per il fosfato acido. L'errore varia notevolmente da caso a caso e probabilmente sta in rapporto con le proporzioni diverse di barite, che viene fissata nei fosfati basici precipitati; di questo ho potuto accertarmi con molte prove variate e diligenti su soluzioni titolate e nelle quali gli errori variarono da un minimo di 3,6 ad un massimo di 35 e più per 100. Per tali ragioni il Lieblein consiglia di determinare direttamente il fosfato biacido col metodo di Freund (3); anche questo metodo presenta alcune cause d’ errore, che però sono abbastanza costanti e possono permettere una correzione. Il fosfato biacido ci dà così una misura più fedele della acidità dell’ orina. Ma io ritengo, che riescirebbe più utile la misura della totalità degli equivalenti acidi dell’ orina (fosfati mono- e biacidi, urati acidi ecc.) come appunto teoricamente dovrebbe fornire il metodo di Maly. L'importanza di questo è tale, che mi è parso utile tentare di eliminarne le cause di errore. La modificazione, che ho adottato e che mi ha dato buoni risultati, è basata sul fatto seguente: In una soluzione di fosfato monoacido, il BaC?, forma un precipitato di fosfato monoacido di bario, ma contemporaneamente in piccola parte si forma anche fosfato di bario normale (trimetallico) insolubile e fosfato biacido di bario, che resta in soluzione e che dà reazione acida al liquido. Infatti, mentre la soluzione di fosfato bisodico si colora (1) R. Maly. Zeische. f. an. Ch. Bd. 15 — F. Hofmann. Arch. f. Heilk. Bd. 17. (2) V. Lieblein. Zeitsch. f; physiol. Ch. Bd. 20, pag. 68, 1894. (3) Cbl. f., med. Wiss. 1892, pag. 689. Cfr. Neubaner e Vogel.Analyse d. Harns, 1898, pag. 733. — 215 — lievemente con la fenolftaleina, appena aggiunto il BaC?, la colorazione scompare. Ho osservato, che se ad una simile mescolanza si aggiunge piccola quantità di soda cau- stica fino a fare riapparire la colorazione rosea, questa, agitando, tosto scompare, cioè si ripete la trasformazione parziale del fosfato monoacido in fosfato normale e fosfato biacido; e questo fatto sì rinnova ad ogni cauta aggiunta di soda caustica, finchè tutto il fosfato sia convertito in sale trimetallico o normale; allora la colorazione della fenolfialeina diviene persistente per il minimo eccesso di soda caustica. È possibile in questo modo precipitare tutto l’ acido fosforico allo stato di fosfato di bario normale evitando la formazione di fosfati basici. Ho modificato perciò il metodo Maly nel modo seguente: In un matraccio tarato da 100 cc., a 50 cc. di orina si aggiungono 20 cc. di soluzione satura di BaC?, e una goccia di soluzione alcoolica di fenolftaleina; indi da una buretta graduata si fa cadere, a piccole MES LENC, . du porzioni, una soluzione Ò di soda caustica pura, agitando vivamente, finchè si oltenga il più leggero colorito roseo persistente anche dopo qualche minuto. Si porta a 100 ce. il volume con acqua, si mescola e si filtra tosto per carta asciutta; su di una parte aliquota dei filtrato si determina | eccesso di soda caustica presente, e per differenza la quantità di essa fissata dai sali mono- e bi- acidi. Ricerche su soluzioni titolate di fosfati mi hanno sempre fornito valori esattamente corrispondenti a quelli calcolati. L’esaitezza del metodo dipende principalmente dalla precisione del dosamento della soda caustica residua nel filtrato; e poichè i metodi acidimetrici con gli ordinari indicatori danno risultati assai incerti su liquidi come |’ orina, così per questo dosamento ho avuto ricorso ad un metodo indiretto molto più sicuro. Esso consiste nell’ aggiungere alla solu- zione alcalina da titolarsi una quantità sufficiente di solfato o cloruro di ammonio puro e nel determinare l’ammoniaca, che si mette in libertà in ragione degli alcali fissi pre- senti; la determinazione dell’ ammoniaca venne sempre fatta con la distillazione nel vuoto e la titolazione jodometrica. In questo modo si hanno risultati veramente sicuri e precisi. Nell’ applicazione di questo metodo ho potuto inoltre osservare l'influenza di altre circostanze, che possono alterare i risultati. Una delle più importanti e frequenti è data dalla presenza di acido carbonico (sia libero che combinato), poichè, in tal caso, come è tosto evidente, in presenza di cloruro di bario e di soda caustica si formerà carbonato di bario insolubile, e verrà così sottratta una corrispondente quantità di alcali, riferita poi erroneamente a residui acidi fissi (ac. fosforico, urico ecc.). l'alehè un’ orina contenente carbonati o bicarbonati (e quindi con funzione alcalina più o meno spiccata) potrà risultare anche neutra o persino acida. Infatti se si considerano le due equazioni seguenti : (1) Na,C0, + BaC1, + 2NaOH = BaC0, + 2NaCl + 2Na0H (2) NaHCO, + Ball, + NaOH = BalO0, + 2NaCl + H,0 — gl6 — sì vede, che in presenza di carbonato sodico (1) questo viene integralmente trasformato in carbonato di bario e quindi viene eliminata la sua funzione alcalina, mentre |’ alcali libere aggiunto (soda caustica) compare integralmente nel filtrato: la soluzione primitiva (che aveva proprietà alcaline) risulterebbe neutra. Nel caso di un bicarbonato (2) poi si vede, che per la formazione del carbonato di bario non solo viene eliminata la funzione alcalina del bicarbonato ma viene anche fissato un equivalente di soda caustica, sì che la soluzione primitivamente alcalina risulterebbe acida. In se stesse queste reazioni non sono causa di errore, poichè stechiometricamente considerati il carbonato di sodio e il bicarbonato di sodio sono appunto sali rispettiva- mente neutro e acido. Così sì dica per il CO, libero, che dà un acido bibasico. Il metodo anzi è, sotto questo aspetto, esattissimo perchè serve a dosarli. Ma nell’ organismo ani- male ì carbonati e i bicarbonati funzionano per la loro alcalinità potenziale in luogo degli alcali veri e propri, che non vi potrebbero esistere liberi; e nei rapporti con i radicali acidi fissì del corpo essi rappresentano altrettanti equivalenti alcalini. Perciò il metodo descritto ci indurrebbe in errore, poichè le quantità di barite fissate dagli equivalenti del- l'acido carbonico sarebbero riferite ad equivalenti di acidi fissi, che soli abbiamo necessità di conoscere. Conviene quindi eliminare |’ anidride carbonica (libera o combinata) dall’ orina prima di eseguire il dosamento della reazione col metodo di Maly. Per evitare il riscaldamento, che potrebbe causare alterazioni dell’ orina, io procedo nel modo seguente: ad un volume noto (50 cc.) di orina aggiungo una determinata quantità di soluzione n di ACI sino a dare una reazione acida spiccata, indi pongo la miscela sotto una campana in presenza di soda o potassa caustica solida e pratico il vuoto; dopo qualche ora tutto | acido carbo- SIE mar n i E, nico è stato eliminato. Nel dosamento susseguente col BaCl?, e la soluzione TI di NaOH la quantità di ZC/ aggiunta viene detratta nel calcolo della soda saturata. Anche nell’ orina acida si trova sempre una piccola quantità di l0,, sia disciolto sia come bicarbonato (Lieblein, 1. c.), talchè è necessario eliminarla per avere risultati precisi. Riporto qualche esempio di analisi comparative prima e dopo la eliminazione dell’ acido carbonico. Orina umana. — Orina della notte di reazione acida spiccata. La determinazione degli equivalenti acidi eseguita col metodo Maly modificato, dopo eliminazione dell’ acido carbonico, ha dato gr. eg. 0,0571 per 1000 (= gr. 2,284 Na0H); la stessa determinazione fatta senza eliminazione dell’ acido carbonico ha dato gr. eg. 0,0634 p. 1000 (= gr. 2,538 NaOH), cioè un eccesso di gr. eg. 0,0063 (= gr. 0,254 di NaOH), differenza non indifferente. Come è noto l’ acido carbonico combinato cresce nell’ orina col divenire questa neutra e alcalina, perciò l’importanza della correzione diviene in questi casi sempre maggiore, anzi indispensabile per evitare errori gravissimi. Riferisco due esempi : Orina di Cavallo. -- Apparisce neutra al tornasole, ma per aggiunta di Z7C! e riscal- damento svolge bolle di gas. RI La determinazione degli equivalenti acidi eseguita senza eliminazione dell’ acido car- bonico corrispondeva ad orina acida con gr. eq. 0,0219 per 1000 (= gr. 0,876 NaOH); invece dopo eliminazione dell’ acido carbonico la stessa orina risultò in realtà lievemente alcalina con gr. eq. 0,00335 (= gr. 0,134 NaOH). Si ebbe cioè la notevole differenza di 0,0252 gr. eq. (= gr. 1,010 NaOH) dovuto alla presenza di carbonati e bicarbonati. Orina umana. — Raccolta circa un’ ora dopo l'introduzione di alcuni grammi di bicarbonato di sodio. A/calira, reagisce anfotera al tornasole; con 20 svolge bollicine di gas. La determinazione degli equivalenti acidi o basici col metodo indicato dopo elimina- zione di tutto |’ acido carbonico dimostrò, che | orina era alcalina, e che tale alcalinità corrispondeva a gr. eq. 0,0471 (= gr. 1,884 NaOH) per 1000. La stessa determinazione fatta senza eliminazione dell’ acido carbonico combinato faceva al contrario apparire acida \’ orina e dava una acidità di gr. eq. 0,0478 (= gr. 1,914 NaOH) per 1000. Questo risultato è molto interessante, poichè, come si vede, le due determinazioni hanno daio pressochè la stessa cifra in gr. eq. ma nell’un caso acidi, nell’ altro basici. La cosa è facilmente spiegabile quando si conderi la formola (2) sopra riferita, che indica il modo di comportarsi dei bicarbonati alcalini col Bal, e la NaOH; ogni molecola di bicarbonato si comporta o come un equivalente basico o come un equivalente acido a seconda del metodo di determinazione; col primo metodo esso funziona come alcali, col secondo come acido e perciò il risultato presente dimostra che in quella orina la reazione era quasi esclusivamente determinata da bicarbonato. Il metodo, che ho così descritto in tutti i suoi particolari, è il solo quindi che possa fornirci, con l’ approssimazione massima, la somma degli equivalenti acidi o basici del- l’orina. Quindi esso può essere impiegato utilmente anche nel dosamento dell’ alcalinità delle orine. Per le orine acide poi, tolte le cause di errore del primitivo metodo di Maly, noi possiamo sempre caicolare |’ acidità reale o effettiva dell’ orina, cioè quella dovuta ai fosfati biacidi, determinando contemporaneamente | anidride fosforica totale dell’ orina con un metodo abbastanza esatto. Ma per la questione, che riguarda il meccanismo di eliminazione dell’ NZ7,, non credo che basti determinare, come si è fatto dai più, la così detta acidità reale, dovuta ali fosfati biacidi, ma bensì credo che occorra tener calcolo di tutti gli equivalenti acidi o basici dell’ orina per potere valutare i possibili rapporti fra i diversi componenti, che stu- diamo. Il fosfato monoacido, che pure ha debole reazione alcalina, concorre esso pure col suo idrogeno acido a costituire quella somma-di equivalenti, che possono spiegarci le variazioni dell’ammoniaca e di altri componenti dell’ orina. Perciò ho tenuto conto anche di esso e nelle ricerche, che fanno seguito, la reazione dell’ orina esprime sempre la somma totale degli equivalenti acidi o basici determinata col metodo descritto. Come si vedrà, i risultati per ora non sono ancora tali da chiarire la questione nel suo complesso mecca- nismo. In compenso ho potuto dimostrare o precisare meglio altri fatti non privi d° in- (eresse. Il: Rapporti dell’'ammoniaca e dell’ acido fosforico con gli equivalenti acidi dell’ orina. Le numerose ricerche eseguite nell’ uomo hanno senza dubbio dimostrato un certo parallelismo fra 1’ acidità dell’ orina e la escrezione di ammoniaca ed anche di acido fosfo- — 218 — rico; esse si riferiscono per lo più alle orine delle 24 ore. Per chiarire i rapporti, che determinano tale parallelismo, importa specialmente stabilire quali variazioni presentano i diversi componenti quando vari |’ elemento a cui li riferiamo (reazione dell’ orina o meglio escrezione di equivalenti acidi). Ora in un lungo periodo, quale è quello di 24 ore, le sin- gole variazioni possono in qualche modo compensarsi e sfuggire alla nosira osservazione. Bisognerebbe potere cogliere i rapporti dei vari elementi nell’ atto stesso della secrezione e seguirne le modificazioni successive ; allora soltanto potremmo avere una conoscenza esatta e sicura dei reali rapporti quantitativi, che legano fra loro tali elementi nel pro- cesso secretivo. Non potendo fare ciò, ho cercato di avvicinarmi a tale scopo esaminando la composizione delle orine di un uomo sano in vari periodi successivi della giornata, per osservare le oscillazioni e i reciproci rapporti dei componenti, che ci interessano. Per potere poi confrontare fra loro le singole quantità dei diversi componenti, che conside- riamo solo sotto l’ aspetto della reazione dell’ orina, cioè come elementi capaci di saturare valenze acide (V4,) o basiche (P,0.), ho calcolato sempre dai valori quantitativi assoluti le quantità equivalenti esprimendole in gr'amuini -— equivalenti per 1000. In tal modo si possono subito confrontare i valori ottenuti per la reazione (che viene espressa in 97. di Na0OH per 1000) con quelli riguardanti l’ NZ, o 1° P,0,; si può tosto stabilire, ad es:, se l’ NH, trovata potrebbe saturare tutte le valenze dell’ acido fosforico e soltanto quelle dei fosfati mono- 0 bi- acidi; e via dicendo. Raccolgo nella seguente tabella i risultati relativi ad alcune di tali ricerche : OL00 ‘0 1810 ‘0 VASZIONO “ 2, » VS vi } _) >) ) ) $- di) > JD): DI: 2) I) 2) ))) >» VS ID » > 0) ) » i) È DD ) )) )) DIDID ) 3 ) )) DID ) wi > D, DO) ) de À di )) -8- > DÒ 3 PI A e » o DI II » ] IDIZEZZA PPP _PID}?)dP > MID i» DI PID): D_J» no ») > -PI: 7 A 30 RED PI) ) 2 dP_1D ). ) } ))) PP ) Bè D 0 2) È PDI 30 CECI NANA ASA 1 N, : ) jb ] ‘») Je» o. ) } 4 ; 5 DI) PLa DION DD) DIIMDP IA) TI DÒ D 2 DR moi = » ws Qi ) dg do PIP ID I 3) PD (IP) D AR 4 20] 4 ) si >_D -D I») 5% 3 3 $P v>_SD 22 2 II I 2 Mb PD )ppr 33 mo D 202 ZL LL SILA 3), pò e )) | OIL È VE > DD). 5- DD ) PIU) DID) 3 0). Di > Di») LR DD n D 0 )) BI») > i PD) ) I > iI). P)) IDPI D D_bb DID) È >. 5) )) d _ ® O DD) » PPP mm» I p i I. DD) ) JAZZ >3P PID!» Piram)» è pp) > ii i ela >. D ) > )o _D >» ))I È > cd 1) 3 Do rd. ) ) 0: ) LD dd. 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