0 /torà con fK,.attoi-<6c/ /bzaa (7$?w& UMILISSIMI OSSEQB10S1SS1MI SSRWOBI £ SVDD1TI FEDELISSIMI IL PRESIDENTE ED I SOCJ DELLA REALE ACCADEMIA (U. ^Scienze, S^e/Zere e e/'ts6r/i. PARTE 1/ MEMORIE STORICHE DELLA R. ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE E D' ARTI DI MODENA. Ili CENNI STORICI INTORNO ALL'ACCADEMIA DUCALE DE' DISSONANTI ED ALLA PRESENTE R. ACCADEMIA DI SCIENZE, DI LETTERE E D'ARTI. T5 . J-J origine e le vicende delle Accademie che in varj tempi fiorirono nella Città di Modena furono già illustrate dall'egregio Storico dell'Italiana Letteratura l'Ab. Cavalier Girolamo Tiraboschi (i). Fra quelle perciò venne da lui onorevolmente rammemorata l'Accademia Ducale de' Disso- nanti nata sotto gli auspici dell'Estense Francesco II. Prin- cipe per dottrina e per grand' animo giustamente commen- dato. Ebbe fama di averne promossa l'istituzione il dotto sacerdote Dott. D. Dario Sangiovanni appartenente alla Con- gregazione della B. V. e S. Carlo, siccome modestamente lo accennano i registri ai quali consegnò questa le notizie di parecchi fra i più riputati suoi membri. Non sembra per altro potersi seguire il Tiraboschi ove lo asserì fondatore (•) Vegg. il libro intitolato: Prose e Poesie degli Accademici Ducali Dissonanti di Modena recitate nella solenne adunanza tenuta a i5 di Dicembre 1780 per celebrare il compimento del primo secolo dell'Accademia e l'avvenimento al Trono dH Serenissimo Ercole III. In Modena, 17815 per gli Eredi di Bartolomeo Soliani png. r3 e seg. Biblioteca Modenese. In Modena, 1781 ; presso la Società Tipografica T. I pag. 1 e seg. IV dell'Accademia medesima, quantunque non andasse troppo lungi dal vero persuadendosi che quella sorgesse circa il 1680 (a). Può di fatto meglio determinarsi ciò che riguarda il fondatore non meno che l' epoca della fondazione di essa, la quale probabilmente non ebbe vita prima del 1684. Il Marchese Bonifazio Rangoni, che fiorì a' tempi del memorato inclito Sovrano, da cui ebbe dimostrazioni di grandissima confidenza (3), ed incarichi importanti e gelosi, lasciò fra suoi manoscritti i documenti più antichi intorno all' Acca- demia de' Dissonanti (4). (2) Bìbl. Moderi. T. I. pag. 34. Storia della Letteratura Italiana. Seconda edizione Modenese, 1793; presso la Società Tipografica T. Vili. pag. 60. Anche prima del Tiraboschi il Quadrio sulla testimonianza del celebre Fran- cesco Torti asserì che avanti il 1680 non si conosceva il nome di questa Acca- demia (V. Quadrio. Della Storia e della Ragione d'ogni Poesia. In Bologna, 1789; per Ferdinando Pisarri T. I., pag. 79 ; ed il tomo delle correzioni ed aggiunte alla pag. 17 ). Si vede inoltre come nei tempi posteriori l'Accademia stessa rimanesse all' oscuro in ordine all'epoca precisa della sua istituzione, cosicché non ritraendo verun lume dal libro de' suoi Atti e Partiti, i quali non risalivano a data più antica del 24 Novembre 1768, incaricasse poi nell'anno 1779 nella prossimità del presunto suo centenario l'Accademico Cavaliere Ottaviano Muratori, uno de' Custodi del Ducale Archivio segreto, a raccogliere notizie in proposito, benché ne riescissero infruttuose le ricerche. (3) È questi il Marchese Bonifazio indicato come primo di tal nome nel!' Abregé Historique de la Famille de Rangoni del Moreri, che dal suo Sovrano fu successivamente onorato delle distinte cariche di Cavallerizzo Maggiore, di Gran Ciamberlano, di Governatore di Carpi, di Capitano delle guardie del Corpo ecc; e poscia rimasto vedovo di Donna Maria Camilla Gonzaga abbracciò lo stato ecclesiastico, e nullameno con onorevolissimo diploma fu inalzato all'altra illustre carica di Governatore di Reggio con facoltà accordatagli da un Breve Pontificio di poter eziandio prendere nelle cause criminali quella parte che richiedessero i doveri della sua carica. Nel 1680 mentre aveva il governo di Carpi sembra che rianimasse le due Accademie ivi esistenti, e denominate l' una dei Generosi, e l'altra dei Disuniti, dells quali la seconda ebbe poi comune il titolo con quella fondata a Cremona nel 1776 per opera di Francesco Arisi. (V. Tiraboschi. Bibl. Mod. T. VI. pag. 5; T. I., pag. 33; e Lombardi. Storia della Leu. hai. nel secolo xrm; ediz. in 4-° Modena ; presso la Tip. Cam. 1827-30 T. III. pag. 406 ). (4) Questi manoscritti, i quali aggiungono qualche notizia importante a quelle che ne diede il Tiraboschi intorno all' origine dell' Accademia dei Dissonanti, Da questi primieramente apparisce che nel i683 esiste- vano già progetti per aprirla (5), lungamente discutendosi intorno alla scelta dell' impresa non senza il sussidio dell' erudizione storica e mitologica, e delle sentenze de' classici latini in ogni tempo apprezzate, sicché poi venisse ad adot- tarsi la cetra col motto Digerii in numerimi suggerita molto prohahilmente dal San Giovanni (6). Però semhra do- versene assegnare la prima adunanza al giorno 28 Gennajo 1684 epoca annotata allo scritto autografo di un componi- mento poetico che il Marchese Bonifazio aveva a quella destinato. Vuoisi pur credere sopra egual fondamento che altra radunanza fosse tenuta nel medesimo anno il i3 Marzo, ottavo dal giorno natalizio di Francesco II. (7) per la quale certamente il Marchese già eletto Presidente, o come allor diceasi Principe dell'Accademia, scrisse un elogio del suo Sovrano rammentando l'Accademia, come allor nata, e fa- cendosi a discutere il problema Se la nascita di un grati Principe sia di maggior gloria alla sua Casa o di maggior sono stati gentilmente comunicati alla R. Accademia dal pur esso coltissimo Cavaliere il N. U. Sig. Marchese Bonifazio Rangone Ciambellano di S. M. I. R. A. che li possiede qual discendente per retta linea dal succitato Marchese Bonifazio primo. (5) Dai medesimi manoscritti fra le altre cose rilevasi pure il progetto di varie discipline accademiche, ed il divisamento di problemi diversi da trattarsi nell' Accademia che volevasi istituire. (6) Questa notizia trovasi registrata in una delle private schede del fu chia- rissimo Consigliere Paolo Cassiani, dalla quale insieme risulta, che lo stesso San Giovanni diede pure a questo Collegio de' nobili l'impresa dell'aquila bianca col motto addixit. E qui non devesi passar sotto silenzio, che la notizia desunta dal Tiraboschi (V. Bill. Mod. T. III. pag. 43i ) di un' Apologia dell'Impresa de' Dissonanti scritta da Guido Pagliaroli fece sperare di poter trarre qualche altro lume su di essa impresa : ma disgraziatamente una tale speranza rimase delusa, allorché si seppe non trovarsi più quelF Apologia tra i MSS. Pagliaroli, di cui pure un tempo fece parte , non ostante le accurate diligenze praticate dagli eredi dei medesimi per rinvenirla. (7) L'epoca sopraindicata della nascita di Francesco II. si accorda per l'ap- punto esattamente con quella che si rileva anche dalle Antichità Estensi ed Italiane del Muratori. ( V. la pag. 583 della Parte II. di tale opera pubblicata in Modena dalla Stamperia Ducale nel 1717). VI profitto ai suoi sudditi. Che egli poi fosse pel primo chia- mato a presiedere il Corpo accademico, si rileva da un fo- glio scritto per mano confidente di Lui, nel quale si regi- strarono parecchie deliherazioni de' nuovi Socj, che scelsero a Custode de' loro Atti Gio. Battista Giardini Segretario di Lettere di Francesco IL I nomi di essi s' incontrano ripetuti in diverse schede, e quantunque non sempre notati colla qualità di Accademici, sembrano confermare mirabil- mente la congettura del Tiraboschi, il quale, in difetto di altri indizj non che di prove, giudicò que' medesimi desi- gnati a tale uffizio dalla loro celebrità (8). E certo frattanto che l'Accademia per un quadriennio dall'epoca della sua fondazione si mantenne costante ed attiva nel suo proponi- mento di coltivare l'amena letteratura, alla quale mentre governavasi dallo stesso Capo dedicò spesso oltre ai versi l'oratoria discussione di varj problemi (9). E benché questi per una parte si riferissero a certe sottigliezze morali o più veramente a cavalleresche e non molto importanti questioni, per l' altra parte poterono giovare alimentando in ogni classe di colte persone sentimenti nobili e generosi. Siffatte eser- citazioni d' altronde , che periodicamente si rinnovavano , (8) Tra i nomi dei primi Accademici, che furono in certo modo indovinati dal Tiraboschi (V. Prose e Poesie ecc. succitate pag. 27, 28), nelle memorate schede trovansi quelli di Gio. Battista Boccabadati, di Bernardino Ramazzini, di Francesco Torti e del suddetto Gio. Battista Giardini. (9) Oltre il problema suesposto Se la nascita di un gran Principe sia ecc., in altre adunanze dello stesso anno 1684 furono pure trattati dal suddetto più antico Presidente dell'Accademia Marchese Bonifazio Rangoni gli altri seguenti: Se il mondo migliori o peggiori; Se sia di maggior danno all' uomo V odio, o l' amore. Fu pure da lui discusso altro problema senza annotazione dell'epoca in cui ne fosse prodotta la soluzione, il quale cos'i viene enunciato : Qual sia felicità maggiore, o quella del Padre nell'avere il nuovo erede del Principato, o quella del Figlio che nasce all' Eredità del Principato. "E, tutto ciò risulta dai manoscritti citati nella precedente nota (4), tra i quali avvi inoltre un discorso che il Mar- chese Bonifazio a modo d'introduzione recitò in un'Accademia pubblica tenutasi in questa Chiesa di S. Carlo nel di 17 Aprile 1687. VII ebbero favorevole il purgato giudizio dell' illuminato Sovra- no, il quale, dando luogo nel suo Ducale Palazzo alle adu- nanze accademiche, si compiaceva di decorarle colla sua presenza; cosicché avvenisse al celebre Bernardino Ramaz- zini di esserne udito con benigno applauso, mentre per uffi- cio accademico faceva bella mostra di oratoria non meno che di poetica facondia, alternando 1' uso dell' italiana e della latina favella (io). Intanto dopo il 1687 scomparisce ogni traccia degli studj dell' Accademia certamente per la cagione avvisata dallo stesso Tiraboschi della negligenza con cui tenevansi le me- morie di quei tempi, ne' quali cessando eziandio i Cronisti mancò chi almeno come contemporaneo avrebbe potuto in qualche modo conservarle. Ed a questa spiacevole non meno che singolare oscurità potè forse contribuire eziandio la par- tenza da Modena del Marchese Bonifazio inviato dal suo Sovrano alle Corti di Francia, e di Inghilterra (il). Non vuoisi però dubitare, siccome al contrario tutto induce a far credere, che nell'intervallo in cui riguardo all'Accade- mia de' Dissonanti tace la Storia, essa non continuasse nelle lodevoli abitudini segnate da' suoi Statuti , comunque da (io) Ecco infatti come su tal proposito esprimesi il Dott. Bartolomeo Ramaz- zila nella vita da lui scritta dello zio Bernardino : (( Erat ille hujusmodi implicitus occupationibus ; amoeniores tamen literas « nunquam deseruit. Cam enim in hac urbe dissonantium Academiae albo esset « adscriptus, et singulis fere anni mensibus praesente Serenissimo Francisco II. « Duce, et Aulicorum omnium corona, super designato aliquo problemate Academia « celebraretur, Ramazzinus modo soluta oratione Italica, modo poemate aliquo « pariter Italico aut Latino loquebatur, ac benevolos ut plurimum ac sibi attentos « conciliabat audientium animos; ut autem aliquod ejus Latinae poeseos specimen « habeatur, imo et Italicae, quam aeque bene callebat, inter multa, quae hic « inserere possem, nonnulla selegi, ne millesima pagina surgat, quae partim in « memorata Academia recitavit, partim data opportunitate composuit ». (V. Ber- nardini Ramazzili!. Opera omnia. Neapoli, 1750 T. I., pag. 5). (n) Sotto la data del 28 Agosto 1688 gli furono spedite le istruzioni firmate da Francesco II. colle quali questo Principe lo incaricava de' negoziati diretti a stabilire il divisato suo matrimonio. Vili prima il gusto delle umane lettere potesse ancora parteci- pare allo strano fantasticar del secento che estese la sua contaminazione ai primi anni del secolo posteriore. Però, qual che si fosse il pregio di que' componimenti, valsero essi a dimostrare il virtuoso sentimento che destavano nelP Accademia i casi avventurosi o lamentevoli de' suoi Regnanti. Né avvenne forse mai che colle lor nozze se ne assicurasse quella successione che era il voto de' popoli sog- getti, o in luce apparisse un Erede del Trono, che quanti vi erano ne' Dominj Estensi periti del linguaggio delle muse, non ne usassero a farsi gli interpreti della pubblica esul- tanza. Né principe vi fu seguito alla tomba dall'universale compianto che per essi non ottenesse tributo spontaneo di lodi e di desiderio, o avesse egli sostenuta la gloria dello scettro, o lo splendor della porpora; oppure sdegnando le umane grandezze si fosse ristretto nella pratica delle rigide e nascoste virtù del Chiostro (ia). L'omaggio perpetuo che rese l'Accademia all'Estense Prosapia, a cui in certo modo le sembrò di appartenere anche per P amor del provido reggimento che la distinse, dovette più felicemente espri- mersi quando comparsi ad insignorirsi della fama poetica i Guidi, i Filicaja ed i Redi, gli Accademici col seguirne l'esempio si diedero a battere miglior sentiero, e quando nel novero di essi rifulse il nome dell' immortai Muratori. Alla celebrità del grand' uomo rivolgendo il pensiero l'Ac- cademia Peloritana de' Pericolanti poco stante dal suo na- (13) Troppo lungo sarebbe il far menzione de'tanti Componimenti poetici, e delle tante Raccolte in parte già date alle stampe, dalle quali ben si rileva qual parte onorevolissima prendessero gli Accademici Dissonanti negli avvenimenti straordinarj cbe riguardavano la Casa Regnante. Può valere per tutte un mano- scritto del 1723 esistente nella Reale Biblioteca col titolo di Accademia per la morte della M." R. Madre Suor Maria Francesca dello Spirito Santo Carmelitana Scalza, al secolo Principessa Eleonora d' Este Sorella di Rinaldo I. Duca di Modena, alla cui presenza furono detti i relativi componimenti poetici. Fra essi come i più insigni anche pel nome de' loro Autori si contano quelli degli Accademici Marchese Giangiuseppe Orsi, Girolamo Tagliazucchi, Francesco Torti. IX scere nella città di Messina appoggiossi all'autorità di lui ond' essere aggregata all' Accademia Modenese, la quale colla chiesta comunicazione delle sue Leggi strinse con essa un ■vincolo onorevole di società e di federazione cui più volte in seguito amendue si compiacquero di confermare. Il Di- ploma che adempì il voto dell'Accademia Messinese veniva quindi spedito nel marzo dell'anno 172,8 dal Principe Conte Alfonso Maria Moreni, e dai Censori Galeazzo Conte Fon- tana,, Ippolito Zanelli, Dottor Teologo Ferdinando Gasparoni, e Carlo Cassi per comparire poco dappoi nella luce della stampa in Messina insieme agli Statuti dell' Accademia Pe- loritana (i3). (i3) Ecco il tenore di questo Diploma tal quale insieme colle Leggi Accademiche adottate dalla Peloritana viene riportato a pag. 9 e seg. dell'Opuscolo pubblicato in Messina nel 1729 dall'Accademica Stamperia di Chiaramonte e Provenzano col titolo : Fondazione, e Leggi della Nuova Accademia Peloritana de' Pericolanti confederata a' Dissonanti di Modena, et eretta sotto la protezione dell' Augustis- simo Imperadore Carlo VI. e III. Re delle Spagne, e di Sicilia ecc. il Princeps Academiae Dissonantium Mutinae )). « Ea est Messanensis Urbis antiqua Nobilitas, ea rerum gestarum gloria, ac « in edendis eximiis ingeniis felicitas, ut lubentissime occasionem arripiamus, qua « prodere possimus, quanta in existimatione sit apud Nos illius dignitas, et gloria. « Quare quum Illustris Peloritana Academia ibi constituta Nobiscum inire socie- « tatem, ac foedus excupierit, spe nimirum ducta, fore, ut collatis consiliis Literae 11 enixius utrobique excolantur, et alteri Academiae alterius exemplo novi ad- ii dantur stimali ad procurandum studio ardentiori bonarum Artium incrementum: n Propterea collectis Sociorum Nostrorum laetis, et concordibus votis eandem Pelo- « ritanam Academiam, hoc est universos, ac singulos ipsius Socios, Academiae « Nostrae Dissonantium unimus , et aggregamus, conjunctamque, et sociatam « stabili hoc nostro Decreto sancimus ita, ut tam illius sociis nostro , quam « nostris illius nomine, ac titulo uti imposterum liceat. Leges quoque nostras iis « communes volumus, utrique tamen parti libertate servata adhibendi etiam pro- li prias, et immutandi, ac addendi quidquid prò tempore satius, ac utilius vide- 11 bitur. Datum Mutinae in Aula Academica Anno jErae vulgaris Christi 11 mdccxxviii. quarto Nonas Mensis Martii. ALPHONSUS MARIA COMES MORENOS PRINCEPS. Galeatius Comes Fomtana \ Ippolitus Zahelli f CENSORES. D. Ferdikanuus Gasparo»: S. T. Doctor l Carolus Cassio ) Phibvs Fkjncisccs Doct. Mjsstti Secretahiu». A stabilire una sì onorata riputazione dell'Accademia de' Dissonanti dovette pure contribuire quell'ambiziosa solleci- tudine conservatasi fin presso ai nostri giorni di darle il proprio nome; la quale, o movesse da un più general senti- mento per le bellezze della poesia, o dall' opinione che in certa guisa la facesse riguardare qual ornamento cavalle- resco, stimolava gli stessi uomini di alto affare a meritare una sede nella classe de' Letterati. Da ciò si comprende eziandio come a sostenerla e difenderla in tempi diffìcili dovesse esser pronto anche il soccorso privato specialmente (piando per somma sventura venisse a mancarle il favore e la tutela della Sovrana autorità. Avvenne appunto nel 17.33 che esposta ad esser preda di nemica invasione, disertata e priva di asilo, potesse rinvenirlo in quella ospitalità che le offrì il nobil animo dei due coltissimi fratelli Regolo e Francesco Fontana, i quali con essa associando i loro studj le fecero schermo da quella minacciosa e desolante procella. Ricomposte in seguito le cose politiche, tornò allo stato primiero, e cessando dalla precaria condizione cui erasi prima ridotta, cambiò il sussidio di un privato benché ge- neroso ricovero nelle ripristinate concessioni del Regnante Francesco III., alle quali si aggiunse nel 17S2, (i4) il pri- vilegio onorevolissimo per cui potè intitolarsi Ducale (i5). (t4) V. la pag. iv. delle Costituzioni della Ducale Accademia dei Dissonanti di Modena. — In Modena, 1790; per gli Eredi di Bartolomeo Soliani Stampatori Ducali . (i5) A questo proposito esistendo fra le carte che si trovano presso gli eredi del fu chiarissimo Consiglier Paolo Cassiani uno scritto in foglio volante, il quale quantunque per se non abbia veruna autenticità, concorda mirabilmente in di- versi rapporti con ciò che già d'altronde si sa per irrefragabili documenti, giova qui trascriverne per esteso il contenuto. 11 Nacque la nostra Accademia l'anno 1780 da un' adunanza da noi fatta in « nostra Casa di vani giovani portati dal desiderio di avanzarsi coli' emulazione u all'acquisto delle scienze, e particolarmente delle belle lettere, e furono questi 11 il Sig. Giuliano Cassiani ora Maestro di Poesia nel Collegio de' nobili di « S. Carlo, il Sig. Gio. Battista Vicini, il Sig. Palladio Toni, il Sig. Gio. Battista XI Quindi all'ombra di un pacifico governo riposando nuova- mente nella tranquillità e nella sicurezza vegliò a guardia delle proprie Leggi serbandone eziandio lo splendore agli occhi degli stranieri, che lo vedevano riflettersi da quello del Trono. Veniva essa perciò richiesta del suo voto qua- lunque volta una contesa letteraria agitasse e dividesse i 11 Zuccari, il Sig. Giovanni Tori, il Sig. Avvocato Zuccoli, il Sig. Avvocato, e « fratello Dottor Federzoni, il Sig. Canonico Setti, il Sig. Cesare Frassoni, e noi « due fratelli Regolo e Francesco Fontana. Proseguì Ella così per tre anni dando « sempre prove del di lei avanzamento e profitto nelle scienze; per lo che « venuta appresso la Città in pregio ed estimazione, ed avendo dovuto nei tristi « tempi della guerra del 33 vedersi l'Accademia dei Dissonanti privata per la (( partenza da' suoi Stati del Serenissimo Sig. Duca Rinaldo Protettore di essa (( Accademia dell' onorevole asilo, che dal suddetto Sig. Duca le veniva dato in <( una sala della sua Corte, si vide Ella ben presto anche cresciuta, ed arricchita « di molti valentissimi soggetti del Corpo di detta Accademia dei Dissonanti, i « quali per isfuggire l'ozio, nel quale per la partenza di S. A. Serenissima mi- « seramente giaceva tacita e dispersa, addimandarono di essere alla domestica « nostra Accademia aggregati ed ascritti, e fra questi vantava Ella allora il Sig. il Prevosto Muratori, il Sig. Ippolito Zanelli Poeta allora di S. A., il Sig. Conte il Galeazzo Fontana, il Sig. Marchese Fontanelli, il Sig. Marchese Gio. Battista « Cortese, il Sig. Conte Gaspare Forni, il Sig. Conte Antonio Manzoli, e varii « de' più accreditati Maestri e Religiosi del Collegio de' nobili di S. Carlo, « ed oltre di ciò si vide Ella pure da medesimi onorata, avendo essi voluto alla a medesima accomunare l'Impresa sua medesima, e la medesima sua denomina- ci zione; onde di due Accademie se ne formò una sola con l'Impresa e la deno- « minazione di Dissonanti. Proseguì questa per qualche tempo a raunarsi in no- li stra Casa, ove in ciascun mese coli' invito ed intervento d'altri valentissimi (( uomini si recitava un'Accademia su diversi argomenti ora filosofici, ora mate- il matici, ora sacri, ora piacevoli a genio e a prescrizione del Principe dell'Acca- « demia prò tempore. Venuto poscia al dominio di questi Stati per la morte del il Serenissimo Sig. Duca Rinaldo il Serenissimo Sig. Duca Francesco III. ora il Regnante, dovette Egli pure fra non molto lasciare i suoi Stati, onde sull' ìn- 'i certezza del di lui ritorno, e del quando per conseguenza potesse l'Accademia il ritornare allo splendore della Corte, si procurò alla medesima a suo maggior il decoro un onorevole asilo nella sala del Collegio de' nobili di S. Carlo, dal il quale Ella riconosce il primo suo nascimento, e nel quale ebbe Ella la prima il sua sede. Si fermò Ella qui fino dopo il ritorno dell' A. S. Serenissima ne' suoi (r Stati seguito l'anno 49, la quale ritornata, seguendo posi ia i magnanimi esempj il del Serenissimo suo Antecessore, fu da Essa sotto i Sovrani auspicj suoi nuo- (i vamente nella sua Corte richiamata ed accolta, e della decorosa denominazione il di Ducale Accademia contraddistinta ed onorata. Xlt dotti Italiani ; e gli opposti campioni delle combattute sen- tenze riguardavano facilmente come vittoriosa quella per cui l'Accademia avesse parteggiato. Né altrimenti sentiva il famigerato Girolamo Gigli, il quale inteso a battagliare con- tro l'Accademia della Crusca per iscuoterne siccome dicea il tirannico impero, comunque a fantastica e bizzarra intra- piesa si fosse dedicato, nelP implorare le forze ausiliarie dell'Accademia Modenese a proteggerla, dichiarava di porsi così sotto le insegne di chi meglio potesse all'uopo capita- nare una rivolta (16). Essa intanto già pervenuta a matu- rità di fama vide apparire il memorabil anno 1780, in cui salendo all' Estense Trono de' suoi maggiori il Serenissimo Ercole III. giudicò pure, acquetandosi alle prudenti con- ghietture del Tiraboschi, di poter contare un secolo tras- corso dalla sua istituzione. Celebrando però la presunta coincidenza di quelle due epoche luminose con un serto poetico cui si annodò qualche prosa (17), non paga di averlo animato al cospetto del nuovo Regnante colla viva voce di coloro che 1' intrecciarono, volle pure donarlo al Pubblico per mezzo della stampa affinchè splendessero in esso quai principali suoi ornamenti i nomi di un Tiraboschi, di un Rondinetti, di un Campi, di un Fassi Vicini, e di un Agostino Paradisi. E fu bello allora il vedere come si fosse sempre mantenuta inviolata la fede dell'alleanza fra l'Acca- demia Modenese e la Peloritana, la quale eccitata a pren- der parte in quel nobile assunto a cui l'altra avea rivolto l'animo, non fu meno pronta a fornir l'opera che a mo- strare quanto ne avesse cara ed onorevole la richiesta. Niuna lode di fatto più lusinghiera potea offrire al valor degli ingegni Modenesi la modestia de' Siciliani quanto quella che scaturisce dal pensiero di Giuseppe Romeo, uno (16) V. Tiraboschi. Bibl. Modenese T. I. pag. 24 e seg., e T. VI. pag. 3. (17) V. Prose e Poesie ecc. citate alla nota (1). XIII del bel numero, il quale raffigurando l' Accademia Mode- nese nell' aquila, e nel pulcino di questa la Peloritana. così allora poetando scrivea (18): Aquila altera se augellin sostenne Su l' ali sue, s' ei poggiò in alto tanto, Fu sol mercè di quelle eccelse penne. Poggiarono infatti ad insolita altezza le rime prodotte dal sentimento dell' onor patrio, e dalle grandi speranze che un* avventurosa combinazione di avvenimenti e di remini- scenze avea destate nell'Accademia, la quale poi nell'anno 1792 mentre la reggeva il rinomato Poeta tragico Carlo Al- berghetti Forciroli (19) dilatò la sfera delle sue cure esten- (18) Ibid. pag. 184. (19) Giova qui richiamare la memoria forse dimenticata anche nella stessa sua Patria di questo valente Patrizio Modenese troppo presto rapito all'onore di essa, ed a quello del coturno Italiano. Per farne conoscere i pregi basta ri- produrre il giudizio, che ne pronunciava in proposito della Tragedia intitolata Polibete il celebre Ab. Rubbi, immaginando di dirigerlo a lui già morto, ed in forma di poscritto del tenore seguente : « Vi avea scritto una lettera in data dei 27 ottobre passato (1796) dopo « aver udito tre volte la vostra tragedia il Polibete, animandovi, benché da me « non conosciuto, a continuar sì felicemente la vita tragica per cui mi sembraste « nato ad onor del nostro tragico teatro. All'improvviso con mio dolore intendo « che da due anni voi siete tra gli estinti. Cessa adunque la mia prima lettera, « perchè diretta ad un vivo, ed in sua vece abbiatevi questo P. S. che viene « all' ombra vostra. Voi avete fatti i veri studj, e la vostra Tragedia vi allontana « da tutte le presenti pazzie tragiche, a cui si dà il nome di Spettacoli. Voltaire « che fu il primo ad avere il gusto tragico, come Cornelio fu il primo ad averne « il genio, pensava come voi. La pompa dello spettacolo non è una bellezza, che (( quando fa una parte necessaria del suggetto ; altrimenti diviene una semplice « decorazione per gli occhi del popolo. Gli accidenti non sono un merito, se non « formano l'interesse dell'azione; e le declamazioni sono sempre puerili, sopra « tutto se si espongono con lirico stile. Buon per voi, che siete morto; altrimenti « il vostro merito vi avrebbe creato molti nemici. Vi son sempre degli Aristarchi <( invidiosi nella letteratura. Si dice eh' è necessario, che ci siano delle tignuole, (( perchè i rossignoli le mangiano per cantar meglio. Qui si fa una bella edizione « dai torchi del Palese di tutte le Tragedie dell' Alfieri. Ve la manderò per « mezzo del primo tragico che passi all'ombre. Have, ec. ». XIV dendole allo studio di ogni Letteratura. A questa aprì su- bito uri corso di regolari esercizj eccitata dall' impulso magnanimo di quello stesso Principe, da cui con non fal- lace vaticinio aveva atteso un notabile accrescimento del proprio decoro (ao). Nuovo pregio delle accademiche con- vocazioni divennero quindi i gravi scritti comunicati da que' sommi uomini che pur fiorivano in Modena, fra quali basta rammentare per tutti due luminari del vario sapere, il Tiraboschi ed il Venturi. Questi ed altri valenti per dot- trina contribuivano finalmente non più come per ]' innanzi colla sola celeberità del nome, ma eziandio coli' opera allo splendore dell'Accademia, alla quale immersi in profonde speculazioni più difficilmente avrebbero potuto dedicare scelti Oltre la Tragedia del Polibete, che in Modena forse non fu conosciuta, ne scrisse il Forciroli altre due, cioè il Dario e V Edipo che più volte qui rappre- sentate riscossero costantemente i maggiori applausi. ( V. Il Teatro moderno applaudito , ossia Raccolta di Tragedie, Commedie ecc. corredata di Notizie storico-critiche ecc. Venezia 1797. T. VII. pag. 65 e seg.) (20) Fu appunto il Serenissimo Ercole III. che fece conoscere all' Accademia il suo desiderio di vederla occuparsi anche di cose scientifiche, la quale poi cor- rispondendo al Sovrano munificentissimo eccitamento dopo avere fatto redigere per mezzo di una sua Deputazione il necessario supplemento ai suoi Statuti, potè anche conoscere dalla seguente Lettera di Segreteria di Gabinetto segnata dal Ministro Conte Giambattista Munarini la piena coerente approvazione, e gradimento Sovrano: Foris « Dalla Segreteria di Gabinetto di S. A. S. « Alla Ducale Accademia de' Dissonanti. Intus « Dalla Segreteria di Gabinetto di S. A. S. Modena li nq Giugno 1791- « È stato di pieno gradimento di Sua Altezza Serenissima l'impegno dimo- (( strato dalla sua Ducale Accademia di Dissonanti nel secondare le premure ad « essa fatte in Sovrano suo nome di trovar modo di estendere anche alle Scienze, (( e belle Lettere l'applicazione degli individui che la compongono. Il Piano chele « è stato rassegnato è precisamente quello che pare il più adattato alle odierne « circostanze, e racchiude in se il germe di que' vantaggi che un giorno la Città « e lo Stato ne raccoglieranno, se tutti si animeranno a far buon uso di questa XV e vivaci fiori di amena Letteratura. Perciò anche nella mu- tata condizione di essa giovarono pure a meraviglia inci- tando coli' esempio i valorosi giovani atti ad emularli, a manifestare una forza d'ingegno che altrimenti avrehbe po- tuto rimanersi sterile e sconosciuta. All' incontro lanciandosi « Instituzione. La prelodata Altezza Sua Serenissima approva dunque che la Du-- (( cale Accademia passi ad aggiungere interinalmente alle sue Costituzioni i dodici « articoli proposti dalla Deputazione, che ne ha avuto l'incarico, e ne comanda « la piena osservanza. » (( Fattosi render conto l'Altezza Sua Serenissima dell'Economico della lodata (( Ducale Accademia, e rilevato avendo non aver essa altri redditi fuori di quelli K provenienti da un'annua Colletta, che pagasi dalla maggior parte degli Accade- (( mici aiutanti in Modena in ragione di L. 5 per cadauno, e dalle riscossioni per « le patenti che di mano in mano vengono spedite, ha riconosciuto ineseguibile il « Piano, a meno che non venisse raddoppiata la Colletta e l'importo delle accennate « patenti. Ripugna all'animo suo clementissimo l'assoggettare ad un dispendio « quegli stessi soggetti, i quali sono invitati a dedicarsi allo studio per il commi « bene, e trova giusto che quella Cassa medesima, la cui instituzione è diretta a (( promuovere le Arti e le Scienze, sia quella che accorra in sussidio all'Accademia (( per il nuovo sopraccarico che si è prestata sì di buon animo ad assumere. » « Ferma stante dunque la volontaria Colletta a cui ogni Accademico si obbliga (( all'atto della sua accettazione, e dalla quale non par verisimile che alcuno voglia (( sottrarsi in vista del pubblico bene, che ne deriva, Sua Altezza Serenissima (( assegna fin d'ora incominciando col primo del prossimo mese di Luglio 1791 alla « sua Ducale Accademia de' Dissonanti sulla Cassa del Patrimonio degli studj un' « annua prestazione di lire seicento di questa moneta corrente di Modena da pa- (( garsi in perpetuo di semestre in semestre anticipato per le spese delle due « adunanze scientifiche, e per le stampe che potranno essere giudicate necessarie, « a condizione soltanto che annualmente se ne faccia vedere l'erogazione al Ministro « di Gabinetto e Presidente del Consiglio supremo d' Economia y?ro tempore, come « quello che ha per instituto di rassegnare a Sua Altezza Serenissima i conti di « tutte le aziende pubbliche. » « Rinova l'Altezza Sua Serenissima all' Accademia la sicurezza del Sovrano suo u padrocinio ed assistenza in tutto quello che giudicato verrà utile ed opportuno « per l'incremento di si lodevole Instituto, lusingandosi che ognuno vorrà contri- (( buirvi dal canto suo tanto per il decoro del Corpo degli Accademici, quanto per k far cosa grata ed accetta a Sua Altezza Serenissima. » K II Consiglio di Economia opportunamente avvisato di queste Sovrane deter- (( minazioni darà dal canto suo gli ordini alla Deputazione amministratrice del f< Patrimonio degli studj , onde venga con precisione eseguita questa Sovrana « Mente ». G. B. Ml'NARIKI. XVI parecchi nell'aringo accademico poterono mostrarsi idonei per copia di prudenza e di dottrina a sostenere quegli uffici, che poscia con somma ventura della cosa puhhlica lor si affidarono. Per tal guisa sempre maggiore rendevasi la fre- quenza delle adunanze, nelle quali alcune memorabili dis- sertazioni consecrate alle scienze più severe mostrarono quanto il nuovo Istituto si raccomandasse per l'utilità della buona Filosofia (a i ). Certamente in quel tempo in cui all' (21) Sei furono le adunanze scientifiche date pubblicamente dall'Accademia dall'anno 1792 fino all'anno 1794, dopo cui nel libro degli Atti e Partiti citato alla nota (2) si va fino al 27 Luglio 1808 senza che sia fatto cenno di verun'al- tra di simili radunanze. Le sole prime tre, le quali ebbero luogo nello stesso anno 1792, furono con una prefazione aperte, in mancanza del Principe dell'Ac- cademia, dal Vice-Principe Conte Luigi Bellencini, ed indi chiuse con un com- ponimento poetico dal Segretario Filippo Parozzi o dal Pro-Segretario. I titoli poi di queste prime scientifiche letture seguite in quel periodo di tempo unita- mente alle relative circostanze si rilevano dalla Relazione delle medesime, che ridotta in succinto qui si produce : Adunanza del i5 Marzo 1792. Su i promotori del Sistema Copernicano onorati e beneficati in Roma ; dell'Ab. Cav. Girolamo Tiraboschi. ( Questa Dissertazione fu dall' A. pubblicata nella Storia della Lett. Ital., ediz. 3.* Modena, 1793. T. Vili. V. I. pag. 333 e seg. ) Sopra la terra Cimiteriale ; del Segretario dell' Accademia Filippo Parozzi. Sopra l'origine dei fonti Modonesi; dell' Ab. Prof. Gio. Battista Venturi. Adunanza del 28 Giugno 1792. Sulla miglior forma da darsi ai ripari che si costruiscono nell'alveo de' fiumi; Estratto di una Memoria del sig. Antonio Lombardi (V. Mem. di Matematica e di Fisica della Società Italiana delle Scienze. T. X. P. II. pag. 640 e seg.) Sulla necessità di soccorrere la Pratica con una saggia Teorica nelle Arti Meccaniche ed Idrauliche ; dell' Ab. Giuseppe Contarelli. Memoria tendente a dimostrare, che devesi in un regolato governo restringere i effrenata libertà delia stampa, oppugnando ancora gli opposti principi del Cav. Filangeri ; del sig. Dott. Pietro Schedoni. Dell' utile che alla Società rende la Religione Cristiana contro le censure di Rousseau ; del sig. Avv. Conte Francesco Valdrighi. Adunanza del 3o Novembre 1792. Sul fondamento delle Leggi, ossia sul giusto ed ingiusto; del sig. Dottore Biagio Casoli. XVII antica negligenza era pur succeduta l'accuratezza nella cu- stodia degli Atti, che onora la memoria del colto e diligen- Sulla principale cagione del diseccamcnto degli olmi, a cui è presentemente soggetto il meridionale territorio Modenese ; del Segretario Filippo Parozzi. Adunanza del 7 Marzo 1793. Sopra la condotta de'Tribunali Romani nella condanna del Galileo; dell'Ab. Cav. Girolamo Tiraboschi. (Anche questa dissertazione fu stampata dall' A. nella Storia della Lett. Italiana, ediz. a.a Modena, 1793. T. Vili. P. I. pag. 345 e seg. ) Sulle Commedie popolari; Dissertazione del sig. Dott. Pietro Schedoni. Sopra l'analisi e le proprietà favorevoli al campo, di una terra rinvenuta a Cittanova, Villa posta in vicinanza di Modena ; del Segretario Filippo Parozzi. Adunanza del giorno 11 Dicembre 1793. Dissertazione tendente a mostrare paratamente tutti gli errori che s' incontrano nella nostra coltivazione degli olmi tanto nel vivajo, che riguardo al loro pian- tamelo ; del Principe dell'Accademia Filippo Parozzi. Sulla curva letteraria del Boscovich, ossia sul modo di esprimere colle ordinate di una curva le •vicende della Letteratura ; del sig. Antonio Lombardi. Su i movimenti della Canfora e d'altre sostanze analoghe sull'acqua, dove, esclusa da tale fenomeno V influenza dell' elettricità, coli' analisi delle predette sostanze si dimostra il perchè la soluzione di esse, e il meccanismo conseguente del loro moto non possa effettuarsi se non a fior d'acqua purissima; dell' Ab. Prof. Gio. Battista Venturi. (V. Mèmoires présentées a V Institut des Sciences Lettres et Arts par divers savans et lus dans ses assemblées T. I. Paris, i8o5 pag. ia5 e seg.) Adunanza del 28 Novembre 1794. Sopra il mefitismo dell'aria; del P. Gio. Battista da S. Martino. In tale memoria l'A. dopo di aver ampiamente discussa tutta la Teoria dei gas aeriformi, viene a rintracciare i modi di conoscere i gradi della respirabilità dell'aria, pro- ponendo a tal' uopo un nuovo eudiometro di sua invenzione chiamato a cerino, di semplicità tale che all'esattezza delle indicazioni unisce la facilità del maneggio, e la prontezza nell' indicare gli effetti. In seguito passa ad additare le varie ma- niere di correggere l'insalubrità dell'aria, restringendosi specialmente ai rimedii contro i due gas che possono più depravarla, cioè l'acido carbonico, e l'alcalino. Sopra di una macchina immaginata al fine di ridurre e contenere a luogo le fratture obblique di uno qualunque degli arti; del Dott. Paolo Ruffini. L'A. di questa memoria dopo aver mostrati difettosi i metodi sin' ora praticati nell'eseguire questa chirurgica operazione, passa a descrivere la sua macchina non soggetta, a di lui giudizio, agli inconvenienti additati nelle altre in uso ed applicabile a qua- lunque della estremità anche in istato di mediocre flessione. XVIII dissimo Segretario Filippo Parozzi, ninna delle parti si trala- sciò che valessero ad assicurare all' Accademia la più solida rinomanza. A questa dovea pur giovare il nome del profondo e forbitissimo scrittore Monsignor Francesco Martinetti (aa). che essa nel 1794 scelse a suo Capo coadjuvato dal bene- merito Conte Luigi Bellenc.ini (a3) erudito ed ingegnoso Poeta. Mentre però rallegravasi nella rapidità de' felici suoi progressi sorse improvvisamente ad arrestarli il malaugurato giorno 6 ottobre 1796, in cui caduti in poter de' Francesi gli Stati Estensi, si riconobbe troppo diseguale a resistere alle nuove massime perniciose che invalsero ad un tratto, ripugnanti del pari al suo istituto che alle sue morali affe- zioni. Costretta perciò a tacersi per lungo tempo scema af- fatto di incoraggiamenti non che di mezzi serbò nondimeno quella dignità che deriva dalla costanza ne' buoni proponi- menti, e potè pure sollevar qualche volta la voce non ti- mida negli intervalli della straniera dominazione che sem- bravano meno calamitosi (a4). Furono questi nondimeno simili, per così dire, a' lampi passeggieri atti soltanto a far conoscere che essa quantunque dimenticata esisteva pur tuttavia, né si era discostata dall'antico e puro amor delle Lettere per cui tanto fioriva in tempi migliori. Perciò non cessando ancora la lunga oppressione dell'Italia si confortò (22) Questo distinto Prelato si rese notissimo alla Repubblica Letteraria par- ticolarmente coli' opera di lui avente per titolo: Il Davìdde o sia il Secolo della Santa Nazione; Lezioni settantaquattro con note libere e ragionate a ciascheduna. In Verona; nella Stamperia Moroni 1772. (23) Dal 17 novembre dell'anno 1787 fino al 12 novembre dell'anno 1790 P Accademia ebbe a Principe questo ragguardevole Cavalier Modenese, e succes- sivamente per parecchi anni l'ebbe a Vice-Principe; ed in tali cariche le si rese utilissimo col suo zelo e co' suoi talenti. (24) Dal Libro sopraccitato degli Atti e Partiti dell' Accademia si racco- glie, che due sole furono le adunanze pubbliche date dall' Accademia nell' intervallo compreso tra l'anno 1796 fino all'anno 1814. Di esse l' una fu poetica, e si tenne nel 25 Marzo 1808; e l'altra fu scientifica, ed ebbe luogo nel 27 del successivo mese di Luglio del medesimo anno. XIX colla sola speranza che non le veniva tolta dagli invasori, di potere ancora risorgere alla primiera fortuna. Se non che negli estremi giorni di quelP infausto periodo poco mancò che essa non dovesse assoggettarsi ad una nuova specie di avvilimento condannata a ripudiare le sue leggi, ed a con- fondersi in una multiforme e bizzarra aggregazione (a5). Dileguatosi però col Regno Italiano anche quel tristo fan- tasma non invano sperò di partecipare ai beneficj della ge- nerale ristaurazione annunciata dal magnanimo Principe che conteso da inique vicende ai pubblici voti collocavasi finalmente sul Trono degli illustri suoi Avi. Alla solennità dell'omaggio di prose e di versi che degnata dell'augusta presenza di Lui gli tributò l'Accademia perpetuandone la memoria con tipografico monumento (26), seguirono que' de- creti di Sovrana munificenza, che riponendola nella felice condizione di cui un tempo aveva goduto ne accrebbero eziandio i mezzi in compenso di quelli di che aveala il (a5) Ecco come sopra questo proposito si espressero il Conte Giuseppe Fabrizj ed il Prof. Ab. Giovanni Moreali, l'uno Presidente, e l'altro Segretario dell'Ac- cademia, implorando per essa dai Membri componenti la già stabilita Ducale Reggenza la ripristinazione degli antichi suoi privilegi: iCCELLENZE La Ducale Accademia dei Dissonanti, che quasi da un secolo e mezzo fioriva in questa Città sotto la protezione dei Principi Estensi, perdette in certo modo due anni sono la sua esistenza, quando per ordine del Governo Italiano dovette formarsi con altri stabilimenti in un sol Corpo sotto il nome di Ateneo. Questo Ateneo però non ha mai esistito che di nome, perchè il Governo stesso che lo aveva ordinato non gli diede mai ne forma stabile, ne statuto, né assegni, come avea promesso. Omissis ecc. Modena 3o Aprile 1814. Fabrizj Moreali (a6) Vegg. il libro portante il titolo : Per V Avvenimento di Francesco IV. al Solio Estense Accademia di Lettere. Modena 1814. Co' tipi Soliani. XX precedente governo defraudata (27). Compostasi perciò ad un metodo regolato e costante di più frequenti esercizi , quantunque pur dedicasse qualche volta alle Muse meno severe (28), si rivolse più spesso e con giusta preferenza (27) Le principali beneficenze impartite all'Accademia da S. A. R. il Regnante Francesco IV. risultano dai seguenti documenti : i.° dalla Polizza Ministeriale del 18 Gennajo 1816 segnata N.° 101 Sezione 4.* che porta il Decreto Sovrano relativo alla ripristinazione dell'annua pensione di zecchini 20 a favore dell' Accademia ; a.0 dalle Lettere Ministeriali del 12 Marzo, e del 6 Maggio 1816 N.° 5io, e N.° n58 Sezione 4-S cne annunciano il concentramento nell'Accademia di tutto ciò che prima apparteneva alla già Società d'Arti Meccaniche, per cui venne l'Accademia abilitata alla continuazione dei premj che si davano dall' anzidetta Società mediante un fondo di Cassa da essa lasciato, e fu eziandio provveduta di una Collezione di libri, che uniti poi al deposito di altri appartenenti alla già Società di Agraria ed all' Accademia Atestina di belle Arti, formano ora la sua Biblioteca. Così in forza di questo concentramento ebbe campo l'Accademia di attendere vie meglio al promovimento delle Arti, alle quali non prima del regime del lodato inclito Sovrano aveva rivolti i suoi studj ; 3.° dalla Lettera Ministeriale del a3 Dicembre 1816 segnata N.° ^S3g, dalla quale rilevasi la concessione dell'uso per le pubbliche e private adunanze delle varie sale componenti l' appartamento superiore del locale nelle belle Arti, accor- datale in unione alla R. Accademia Filarmonica, la quale anzi in una lettera da questa diretta nel aa Dicembre 1816 a S. E. il Sig. Ministro di Pubblica Economia ed Istruzione si pregia di essere riguardata come una Sezione della stessa R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti; 4.0 dalla Lettera Ministeriale del 7 Febbrajo i8a4 segnata N.° 3o4 Sezione 4." the annuncia la benefica disposizione di S. A. R. con cui si degnò di consolidare a favore dell'Accademia la somma degli arretrati dell'annua pensione de' 20 zecchini da essa non percepiti dal i.° di Gennajo 1797 fino al 7 Febbrajo 1814, ordinando l' iscrizione sul Monte Estense di una Cartella col frutto del 5 per cento. Il Decreto Sovrano comunicato all' Accademia per mezzo di detta Lettera porta l'espressa dichiarazione di S. A. R. — che ciò è in riguardo di detta Acca- demia onde vieppiù animarla ne' suoi studj e produzioni. — (a8) Oltre la solenne letteraria adunanza cui si riferisce la nota (a6) e che 1' Accademia ebbe l'onore d'umiliare alle LL. AA. RR. in Corte la sera dell'un- dici Agosto 1814, altre sette adunanze pur letterarie diede essa al pubblico dal detto anno 1814 fino al corrente i833, delle quali le varie circostanze si rile- vano dettagliatamente dal seguente Prospetto. Le prime cinque di tali radu- nanze ebbero luogo nel Collegio de' nobili di S. Carlo, prevalendosi in ciò l'Accademia di un inveterato suo diritto ; e le altre due nella sala maggiore del nuovo locale concedutole, come si è detto nella precedente nota (27) dalla Sovrana beneficenza. XXI agli oggetti scientifici ed alla varia erudizione. Ed affinchè Adunanza del io Marzo 1816 onorata dalla presenza di S. A. R. l'augusto Sovrano. Prefazione sullo scopo che si propone V Accademia, quello cioè di custodire i diritti del buon gusto, e sulle regole da seguirsi per osservarle; di S. E. il sig. Marchese Luigi Rangoni Presidente della R. Accademia. Sopra il maraviglioso poetico; Orazione del Prof. D. Giovanni Moreali Segre- tario perpetuo della R. Accademia (V. Moreali. Saggio di Prose e Poesie. Modena, 1820, pag. i35 e seg. ) Per l'arrivo in Modena di S. A. R. l'Arciduchessa Beatrice Madre del Regnante Sovrano; Sonetto del Conte Giuseppe Fabrizj Vice-Presidente della R. Accademia. Il trionfo della Religione; Sonetto della Contessa Giovanna d'Ivrea Manzoli del Monte. Sopra una giovinetta bella e spiritosa; Canzone della signora Teresa Bandet- tini Landucci. Sopra i cattivi giudici in pittura; Capitolo di S. E. il Conte Ferdinando Marescalchi. La Redenzione ; Sonetto di S. E. il Conte Paolo Forni. Incontro di Bruto, Cesare e Nerone nell' inferno; Sonetto dal sig. Prof. Gianfrancesco Cremona. Assalonne; Sonetto di Paolo Baraldi. La battaglia di Waterloo; Sestine del Prof. Dott. Antonio Bazzani. Priamo che si presenta ad Achille; Sonetto dell'Avv. Prof. Luigi Muzzarelli. Sulla lega dei Principi Europei contro la Francia; Ode latina del Mar- chese Gaspare Livizzani. Vaticinio alla tomba dell' Ariosto : Terzine del sig. Prof. Giuseppe Tonelli. Per la guarigione del Prof. Santo Fattori; Sonetto di Lodovico Antonio Vincenzi. Squarcio di traduzione di Lucano in ottava rima; del sig. Avvocato Filippo Cocchi. Cartolano; Sonetto del P. Fortunato Guerra. In lode di Geminiano Montanari ; Sciolti del sig. Marco Molesini Convittore nel Collegio de'nobdi di S. Carlo. Ringraziamento ; Sonetto di S. E. il sig. Marchese Rangoni predetto. Adunanza del 3o Gennajo 1817. Cenni intorno allo stile poetico, ed all'abuso per cui viene traviato dalle norme de' classici, ai quali non sembra doversi contendere come legge invariabile del gusto quella originalità che viene in essi riconosciuta per consenso universale, cui sconsigliatamente si vorrebbe da alcuni contrapporre un tal qual modello di oscura profondità; Prefazione di S. E. il sig. Marchese Luigi Rangoni Presidente della R. Accademia. Sopra i mezzi più efficaci che sono in potere dell' umana società onde rendere vieppiù flloride le scienze, le lettere e le arti; Orazione del Prof. Santo Fattori. XXII non dovessero per l'avvenire mancare le tracce a seguire Sulla notte del Correggio; Terzine del sig. Dott. Giuseppe Lugli. L' umanità ; Canzone del sig. Avv. Gio. Cosimo Medici. La vita rustica ; Sonetto del sig. Giovanni Roncaglia. L' ombra di Spallanzani ; Terzine del sig. Giuseppe Tardini Convittore nel Collegio de' nobili di S. Carlo. Il clima d' Italia ; Versi latini del P. Fortunato Guerra. Giustiniano ; Sonetto dell' Avv. Prof. Luigi Muzzarelli. Algeri; Sciolti del sig. Dott. Giuseppe Riva. Sopra le benefiche disposizioni date da S. A. R. il Regnante Sovrano nella dolorosa circostanza dell' ultima carestia; Ode del sig. Prof. Giaufrancesco Cremona. La fama ; Canzone del sig. Giuseppe Carandini Maggiore del genio. Una novella; del Prof. D. Giovanni Moreali Segretario perpetuo della R. Accademia. Due Sonetti; del Marchese Gaspare Livizzani. Sulla morte di S. E. il Principe Albani; Canzone del Prof. Dott. Antonio Bazzani. Sulla morte di S. E. il Conte Ferdinando Marescalchi; Sonetto di Lodovico Antonio Vincenzi. Sul rinnovamento degli studj poetici ; Canzone di S. E. il prefato sig. Mar- chese Rangoni. Adunanza del 3o Gennajo 1818. Sul dovere imposto all' Accademia di far argine per quanto è da essa alla minacciata corruzione del gusto promossa dall' esempio troppo imponente di alcuni scrittori che aveano già acquistata una giusta riputazione letteraria battendo da prima altro sentiero; Prefazione di S. E. il sig. Marchese Luigi Rangoni Presi- dente della R. Accademia. Cicalata giocosa ; del Prof. Dott. Antonio Boccabadati. L'Educazione; Ode saffica del sig. Prof. Gianfrancesco Cremona Segretario generale della R. Accademia. TI mausoleo di Alfieri; Sonetto del sig. Prof. Giovanni Brignoli de'Btunnhoff. Attilio Regolo; Sonetto del sig. Prof. Avv. Giuseppe Cassiani Ingoni. / poeti Modenesi ; Ode del sig. Prof. Giuseppe Tonelli. Il bombardamento d'Algeri per parte della flotta Inglese condotta da Lord Exmouth ; Ode del sig. Avv. Filippo Cocchi. Per la morte del Conte Filippo Re ; Canzone del Prof. Dott. Antonio Bazzani. Per la morte di Carlo Vellani ; Canzone del sig. Avv. Giulio Franciosi. L' Assunzione di M. V. ; Sonetto del P. Fortunato Guerra. Ode terza d' Anacreonte ; Traduzione del sig. Dott. Giuseppe Lugli. Sesto Pompeo consulta la Maga Erittone ; Sonetto del signor Giuseppe Tardini predetto. XXIII invariato il corso intrapreso, si diede alla riforma de' suoi V ombra della Patria che si presenta a Cesare nel passaggio del Rubicone ; Sonetto del aig. D. Ercole Pio di Savoja Convittore nel Collegio de' nobili di S. Carlo. Ottave bernesche; del Prof. D. Giovanni Moreali. Una Visione ; della signora Teresa Bandettini Landucci Augurio per V Accademia di Scienze, Lettere e d' Arti ; Ode saffica di S. E. il sullodato sig. Marchese Rangoni. Adunanza del 3o Gennajo 1819. Della concordia accademica che stimolando i Socj ad una lodevole emulazione impedisce fra essi le gare invidiose, che pur serpeggiano al di fuori, per le quali i giovani benevoli delle muse si rimangono incerti del cammino cui debbono seguire scoraggiati dall' intolleranza di una letteraria fazione composta ad accoglier sempre con disprezzo 0 con indiscreta critica qualunque letteraria produzione; Prefazione di S. E. il sig. Marchese Luigi Rangoni Presidente della R. Accademia. Elogio delV Asino ; del sig. Prof. Gianfrancesco Cremona Segretario generale della R. Accademia. I fiumi ; Ode del sig. Prof. Giampietro Tonelli. Chirone educatore di Achille; Ode del sig. Prof. Giuseppe Tonelli. La tomba di Michele Araldi ; Visione del Dott. Gio. Battista Spallanzani. Sulla natura dell' acqua ; Ode del Prof. D. Angelo Ficarelli. Sopra l'attrazione universale ; Sonetti due del sig. Prof. Giuseppe Bianchi. La morte d'Orfeo; Elegia del sig. D. Filippo Azzaloni. La Poesìa ; Canzone del sig. Marchese Fassati Convittore nel Collegio de' nobili di S. Carlo. U Italia al sepolcro di Dante ; Ottave del sig. Dott. Giuseppe Lugli. L' ombra di Lucrezia al trono di Giove ; Sonetto del sig. Prof. Dott. D. An- tonio Gallinari. Le isole Borromee ; Ottave del R. Bibliotecario D. Giuseppe Baraldi. II funerale dell'Imperatore Marc' Aurelio ; Sonetto del sig. Avv. Gio. Cosimo Medici. Seguito d'una Novella; Ottave del Prof. D. Giovanni Moreali. I poeti del secolo XVIII ; Terzine di S. E. il sig. Marchese Rangoni suddetto. Adunanza del 29 Gennajo 1820. Prefazione di S. E. il sig. Marchese Luigi Rangoni Presidente della R. Ac- cademia, nella quale confortasi V Accademia a tenersi salda nel proponimento di sostenere la letteraria e poetica dignità, contentandosi di scarsi ma autorevoli suffragi, confidando ad ogni modo nel voto dei posteri, a cui non può aspirare la moderna superficialità, che disprezzando gli studj difficili che servono di fon- damento all'amena Letteratura, si persuade facilmente di potersene insignorire a troppo buon patto. XXIV Statuti coordinandola alla triplice divisione delle Scienze, In lode dell'ignoranza; Cicalata del Prof. D. Giovanni Moreali. Sopra le comete apparse l'anno 1819; Ode del sig. Prof. Giuseppe Bianchi. Una Canzonetta ; del sig. Avv. Giulio Franciosi. Su i Classici Italiani ; Sermone del sig. Domenico Gazzadi. Il sogno di Colpurnia; Sonetto del sig. D. Filippo Azzaloni. Urania; del sig. Oliviero Baccarini Convittore nel Collegio de' nobili di S. Carlo. A Vittorio Alfieri; Ode del Dott. Carlo Bosellini. Traduzione dell'Ode di Orazio Pindarum quisquis studet aemulari ecc.; del sig. Prof. Giovanni Brignoli de' BrunnhofF. In lode della gramigna; Ottave del sig. Avv. Gio. Cosimo Medici. Scherzo poetico ; del Prof. Dott. Antonio Bazzani. Un Sonetto; di Giovanni Generali Segretario generale della R. Accademia. Sulla dignità della Poesia, di cui sono custodi le Accademie Letterarie ; Canzone di S. E. il sig. Marchese Rangoni predetto. Adunanza del 3o Gennajo 1822. Prefazione di S. E. il sig. Marchese Luigi Rangoni Presidente della R. Accademia, nella quale si tiene proposito delle moderne questioni intorno alla lingua Italiana che per una parte, secondo V opinione dell' Autore, non sono di alcuna utilità, e per V altra tendono ad introdurre nuovamente nella lingua medesima vocaboli e frasi che forse per buone ragioni andarono già tempo in disuso ; vocaboli e frasi d' altronde che non adattate ad ogni maniera di stile si adoperano oggimai indistintamente. Sul nulla; Cicalata del sig. Prof. Giovanni de BrunnhofF (V. il libro inti- tolato: Alcuni Trattenimenti Morali e Letterarii. Modena, 1824, pag. 92 e seg. ) Rosmunda; Sonetto del sig. Prof, e Canonico Dott. D. Antonio Gallinari. La fedeltà ; Ode del Prof. D. Giuseppe Baraldi. Achille; Sonetto del sig. Prof. Dott. Giuseppe Lugli. // monumento di Ercole III. nella Cattedrale ; Sonetto dello stesso sig. Prof. Lugli. Ecclisse del Sole — Colombo ; Ottave del sig. D. Filippo Azzaloni. La grotta delle fate ; Ottave del sig. Dott. Giuseppe Riva. Per la morte del Prof. Santo Fattori; Ode del sig. Giovanni Roncaglia. La caccia della balena ; Ottave del sig. Marchese Durazzo Convittore nel Collegio de' nobili di S. Carlo. L'avvicinamento di Venere alla Luna vedutosi in una sera del cadente mese; Sonetto del sig- Prof. Giuseppe Bianchi. ■S. Geminiano ; Sestine del Prof. Dott. Antonio Bazzani. Le belle Arti in Modena; Sonetto del sig. Prof. Dott. D. Pietro RafFaelli Segretario generale della R. Accademia. Le lettere conforto nelle avversità; Ode di S. E. il sullodato sig. Marchese Rangoni. XXV delle Lettere e delle Arti, le quali di recente si erano ag- giunte ad accrescere la materia delle sue investigazioni (29). Adunanza del 27 Febbrajo 1824. Prefazione di S. E. il sig. Marchese Luigi Rangoni Presidente della R. Ac- cademia, nella quale V Autore ricorda con compiacenza le molte ed utili fatiche de' suoi colleghi che stanno già per raccogliersi in un volume, dolendosi nel tempo stesso di un numeroso volgo letterario chiosatore perpetuo de' Classici italiani, e nojoso declamatore in favore dell' ingegno e del nome italiano che con filologiche inezie tende piuttosto ad oscurare. Dante e Petrarca; Discorso in prosa del sig. Prof. Dott. Giuseppe Lugli. Dio manifestato da se: Dio manifestato dalla rivelazione; Sonetti due del Sig. Marchese Tommaso Gargallo. La pace, con allusione al primo ingresso di S. A. R. l'augusto nostro Sovrano ne' suoi felicissimi Domìnj ; Ode del sig. Prof. Giampietro Tonelli. Omero e Dante ; Ode del Prof. D. Giuseppe Baraldi. La secchia rapita ; Sonetto del sig. Giuseppe Carandini Maggiore del genio. I magnani ; Epistola bernesca del sig. Prof. Giovanni Brignoli de'Brunnhoff. II Milone ; Ottave del sig. D. Filippo Azzaloni. Modena cultrice de' buoni studj ; Ode del sig. Prof, e Canonico Dott. D. Pietro RafTaelli Segretario generale della R. Accademia. Sopra il Circolo meridiano di Reichenhach pervenuto di recente alla R. Specola; Ode del sig. Prof. Giuseppe Bianchi. La nascita di Maria Beatrice figlia di S. A. R. Francesco IV. d' Este ; Sonetto del sig. Prof. Dott. Giuseppe Lugli. Per la morte del Re Vittorio Emanuele di Sardegna ; Sonetto del sig. Mar- chese Amilcare Paolucci Convittore nel Collegio de' nobili di S. Carlo. L'amor della gloria; Ode di S. E. il prefato sig. Marchese Rangoni. (29) Ciò si riferisce agli Statuti che uscirono alla luce nell'anno 1817 colla qualificazione in essi di Accademia di Scienze, di Lettere e a" Arti, che poco prima avea adottata questa Scientifica e Letteraria Società. Il loro titolo è il seguente: Statuti della R. Accademia Modonese di Scienze Lettere ed Arti. Modena. Per gli Eredi Soliani Tipografi Reali, 1817. Anteriormente però a questi Statuti correano già per la stampa altre Leggi o Costituzioni che le servivano di norma nelle varie operazioni, quando specialmente era conosciuta colla denominazione di Accademia Ducale dei Dissonanti; ed eccone i titoli : Leggi dell'Accademia de' Dissonanti di Modena di nuovo pubblicate sotto gli auspizj di S. A. Serenissima Rinaldo I. Duca di Modena, Reggio, Mirandola ecc. In Modena 1781. Per Bartolomeo Soliani Stampator Ducale. Costituzioni della Ducale Accademia dei Dissonanti di Modena. In Modena, 1790. Per gli Eredi di Bartolomeo Soliani Stampatori Ducali. A queste Costi- tuzioni venne appresso aggiunta con Sovrana approvazione la stampa di altri dodici articoli. (V. la nota (20)). 5 XXVI Riuscito però alquanto complicato il sistema di tali ordina- menti, malgrado la somma prudenza e maturità che li detta- rono, si ridusse in seguito pe'consigli dell'esperienza a quella maggiore semplicità che l' inceppamento di soverchie disci- pline aveva fatto desiderare (3o). Conobbe l'Accademia, abbandonando 1' idea di una poco sperabile perfezione, do- versi 1' influenza regolatrice concentrare in pochi de' suoi individui sostenuti dalla fiducia degli altri a render più pronto e più sicuro il concorso di tutti nell' attività del Corpo morale. Felice risultamento di questa concordia fu l'abbondanza de' prodotti scientifici e Ietterai], che, lasciando anche da parte quelli che si riferiscono alla sola ragion poetica, furono dagli Accademici somministrati, specialmente nell'intervallo perciò sempre memorabile tra il 1818 ed il 1 833. Molti di essi già videro la pubblica luce in cui non sarebbero apparsi che innestati nel primo volume delle me- morie accademiche, se questo a prodursi prima non avesse incontrati gli ostacoli che sogliono inceppare le intraprese sociali nella Letteratura (3i). L'ampio e ragionato catalogo (3o) Questo è il vigente Statuto, il quale, dopo di aver ottenuto 1' approva- zione di S. A. R. l'augusto Sovrano, fu trasmesso alla R. Accademia con Di- spaccio Ministeriale del io Gennajo 1826 segnato N.° 77, Sezione 4-a Esso segue immediatamente dopo la stampa di questi Cenni Storici ecc. (3i) Assai potrebbe dirsi su questo proposito, recando fra le altre ragioni molte di quelle cbe furono già prodotte in tanti altri analoghi incontri anche da uomini celebratissimi, fra i quali possono ricordarsi i nomi di un Francesco Maria Zanotti e di un Michele Araldi ( V. De Bonon. Scient. et Art. Instit. Commentarli. T. II. P. i.a Bonon. 1745, pag. I e seg.' — Memorie dell' Ist. Naz. Ital. CI. di Fis. e Mat. T. I. P. i.a Bologna 1806, pag. IX. e seg.1 ). Ad ogni modo però il ritardo di cui qui si tratta, il quale trovasi tanto più giustificato dalle circostanze dei tempi ed inoltre dalla natura di questa intra- presa diretta ed assistita da pochi d'altronde occupati in altre gravi incombenze, non ha impedito , che le memorie di questo Tomo I. appena impresse non po- tessero subito divulgarsi e diffondersi ; che anzi a tal fine provvide l'Accademia fin dall' incominciamento di questa stampa seguito nell'Agosto dell'anno i8n5 colla deliberazione, che essa prese ed osservò poscia regolarmente, di offrire in dono un certo determinato numero di esemplari di ciascuna memoria stampati appositamente a parte ai rispettivi e singoli Autori. XXVII degli scritti cui volle l'Accademia dar luogo nello stesso volume, quelli accenna eziandio che quantunque inediti tutt' ora, non potè essa comprendere in una compilazione che dovea stare entro i limiti di una conveniente mole. Quindi avviene però che possano per poco dirsi pronti i materiali di altro volume, con cui l'Accademia sempre meglio attesti l'incessante emulazione de' suoi membri consecrati all'onore della patria Letteratura. STATUTO DELLA REALE ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE E D'ARTI I. L? ... Accademia Reale denominata di Scienze , Lettere e d' Arti si divide in tre corrispondenti Sezioni, delle quali cia- scuna ha il suo proprio Direttore eletto per un triennio in generale adunanza, e che può essere indefinitamente con- fermato di triennio in triennio. Ciascun Direttore ha poi la facoltà di nominarsi fra i Membri della sua Sezione un Se- gretario. IL Le tre Sezioni unite costituiscono il Corpo Accademico, del quale è Capo un Presidente eletto in generale adunanza per un decennio, e che può essere ulteriormente confer- mato. Spetta al medesimo il mantenere in osservanza le di- scipline accademiche, interpretare, decidere e provvedere nei casi urgenti, dubbj, o non contemplati; ordinare e di- sporre, ove gli sembri conveniente ed opportuno, straordi- XXIX narie radunanze, tanto generali, quanto particolari di cia- scuna Sezione; eleggere un Vice-Segretario Amministratore. Ha pure la facoltà di nominare durante la sua presidenza cinque Socj Corrispondenti di scientifico o letterario merito riconosciuto, di cui in appresso ; ed è sempre il Capo di qualunque Speciale Delegazione. III. Si elegge pure in una delle indicate adunanze il Segreta- rio Generale dell'Accademia, il cui ufficio è perpetuo, e singolarmente si riferisce alla redazione e cura degli Atti, all' opportuno caricamento, o scaricamento dei Registri, alla corrispondenza scientifica e letteraria, o amministrativa, ed all'ordinata esposizione, da leggersi all'apertura dell'anno accademico, dei lavori delle tre Sezioni e dei loro Membri neir anno precedente ; come anche all' incarico di comuni- care all' Accademia le nuove disposizioni e proposte che emanano dal Presidente, e di custodire le opere di ragione della medesima. Il Vice-Segretario Amministratore nominato dal Presidente coadjuva il Segretario Generale nelle sue incombenze, ed è principalmente incaricato sotto la dipendenza del Presidente e del Segretario Generale, degli affari amministrativi dell'Ac- cademia : disimpegna inoltre le funzioni del Segretario Gene- rale in caso di suo impedimento. IV. V ha una Direzione Centrale dell' Accademia composta del Presidente, del Segretario Generale e dei tre particolari Di- rettori delle Sezioni. Spetta singolarmente ad essa di esami- nare e predisporre gli oggetti per le generali adunanze, formandone le proposizioni , o per massime e misure da adottarsi, o per elezioni da farsi. Alla Direzione Centrale è XXX inoltre affidata la censura delle produzioni dei Socj da leg- gersi in pubblica adunanza, o da stamparsi ; ma per tale ufficio vi si aggiungono tre individui eletti di triennio in triennio dai voti dell'Accademia e presi rispettivamente da ciascuna Sezione. Nei casi straordinarj, e specialmente per giudicare sulle memorie da essere pubblicate negli Atti dell' Accademia, essa Direzione Centrale privatamente può asso- ciarsi in qualità di Censori tre altri individui, ma per questa sola circostanza ed ingerenza. Il Corpo Accademico si compone di Socj o Membri At- tuali, Emeriti e Corrispondenti. T Socj Attuali debbono essere Sudditi di S. A. R., e do- miciliati negli Estensi Domini : il loro numero per l' avve- nire., e quando siasi verificata la corrispondente riduzione in quello che ora si riscontra, non potrà eccedere i trentasei individui, fra i quali però sieno almeno trenta domiciliati in Modena. Di questi è obbligo 1' intervenire alle private mensili adunanze della rispettiva Sezione cui si trovano addetti, e di leggervi qualche loro scientifica o letteraria produzione, una volta almeno ogni biennio. Gli altri Socj Attuali dimoranti fuori di Modena dovranno presentare all' Accademia qualche lavoro ogni triennio almeno. Mancando gli uni e gli altri a tale loro debito senza ragionevole mo- tivo giustificato presso la Direzione Centrale, il Socio At- tuale cesserà di appartenere all'Accademia. VI. I Socj Emeriti sono quelli, che cessano di appartenere alla Classe degli Attuali o per avanzata età, o per cagione- vole salute, o per altra giusta causa, che loro impedisca di adempiere alle indicate prescrizioni. Sono perciò esonerati XXXI da qualunque obbligo accademico, né debbono più essere nominati a Cariche, o ammessi a deliberazioni, potendo uni- camente intervenire alle private adunanze. Si eccettuano però quei Socj, i quali hanno dato all'Accademia sei me- morie, dovendo essi per onorevole distinzione rimanere nella Classe degli Attuali in qualità di Soprannumerarj . VII. I Socj Corrispondenti si propongono in adunanza generale dalla Direzione Centrale dell'Accademia, e vengono nomi- nati a pluralità di voti : le qualità in essi richieste sono il domicilio in Estero Stato, e un distinto merito letterario o scientifico, nella circostanza singolarmente di avere spedito all'Accademia memorie od opere, che abbiano ottenuto i suffragi della medesima. Vili. Per le elezioni, e le deliberazioni qualunque sieno che spettano all' intero Corpo accademico, si procede sempre a voti secreti^ e la pluralità relativa di questi decide; richie- dendosi però il numero legale dei votanti non minore di dodici , compresi anche i cinque Membri della Direzione Centrale. In parità di voti il Presidente., o in sua mancanza il Direttore della Sezione di Scienze, avrà il voto prepon- derante. Qualunque Carica., o Speciale Delegazione dovrà sempre cadere fra i Membri Attuali dell'Accademia. IX. L' anno accademico s' intende incominciato nel mese di Novembre, e terminato col Giugno. Nel primo mese non ha luogo che l'annua generale adunanza per la relazione del Segretario Generale su i lavori dell'anno precedente, e XXXII pel reso conto dell' amministrazione, come anche per qua- lunque deliberazione di massima, o di provvedimento, che possa occorrere. Le adunanze private di ciascuna Sezione si terranno ad invito del rispettivo Direttore in un giorno d'ogni mese, ed avranno per oggetto la lettura di memorie, o di rapporti accademici spettanti alla Sezione medesima, o di genere misto. Dovrà tenersi ogni due anni almeno un' adunanza pub- blica di belle Lettere, della quale il giorno verrà fissato dal Presidente, ed annunziato un mese prima con invito ai Socj Attuali di concorrervi con loro proprie produzioni : i com- ponimenti da leggersi dovranno essere sottoposti col mezzo del Segretario Generale alla Direzione Centrale per l' appro- vazione, e gli Autori saranno tenuti di uniformarsi a quanto venga loro prescritto in proposito, sotto pena, ove trasgre- discano, di essere immediatamente cancellati dal Ruolo de- gli Accademici. Potrà straordinariamente aver luogo qualche adunanza pubblica di Scienze, di Lettere, o Mista, secondo F opportunità, o la convenienza, che scorgere vi potesse il Presidente, cui sempre apparterrà di fissarne l'epoca, e il modo, osservate riguardo alla Censura le norme, di cui sopra ecc. ELENCO ALFABETICO DE'SOCJ ATTUALI NOMINATI dair anno 1822 a! 1847 MQe Abbati Marescotti Consultore Conte Cav. Paolo Abbati Marescotti Consultore Conte Pietro Amici Prof. Cav. Gio. Battista Amici Prof. Doti. Vincenzo Araldi Prof. Tenente Colonnello Antonio Assalini Ispettor generale Antonio Azzaloni Prof. D. Filippo Baccelli Prof. Liberato Baraldi Mons. Prof. D. Giuseppe Baroni Prof. Bartolomeo Bazzani Prof. Antonio Bergolli Ingeg. Consultore Giuseppe Bianchi Prof. Giovanni Bianchi Prof. Cav. Giuseppe Boccabadati Prof. Antonio Bordò Prof. Francesco Bosellini Dott. Carlo Brignoli de'Brunnhoff Prof. Giovanni XXXVI Cannoli Prof. Luisi Campilanzi Emilio Gampori Marchese Cesare Caranclini Tenente Colonnello Giuseppe Cassiani Ingoili Prof. Avv. Giuseppe Cavazzoni Pederzini Delegato Fortunato Cavedoni D. Pietro Cavedoni Prof. Cav. D. Celestino Cocchi S. E. Filippo Corsi Prof. Carlo Costa Prof. Ingeg. Cesare Cremona Prof. Gio. Francesco Crespellani Dott. Arcangelo (*) Dini Prof. Olinto Doderlein Prof. Pietro Emiliani Prof. Luigi Fabiani Prof. D. Giuseppe Fabriani Prof. D. Severino (*) Di questo Socio corrispondente si nota qui il nome, essendo stata impressa una Memoria di lui negli Atti dell' Accademia. XXXVII Fabriani Prof. Giovanni Ferrari S. E. Mons. Luigi Ferrari Doti. Giuseppe Ficarelli Mons. Angelo Forni S. E. Conte Luigi Forni S. E. Conte Giuseppe Franciosi Avv. Giulio Gallinari Prof. Can. Teologo Dott. D. Antonio Galvani Can. Conte Cav. Dott. D. Cesare Galvani Conte Cav. Dott. Giovanni Gandini Conte Dott. Pietro Gazzadi Domenico Generali Prof. Giuseppe Goldoni Prof. Antonio Gozzi D. Matteo Grimelli Prof. Geminiano Lombardi Ingeg. Antonio Lugli Prof. Giuseppe Malmusi Dott. Carlo Presid. della R. Censura Manfredini Dott. Gio. Battista XXXVIII Manzotti Ing. Giuseppe Marianini Cav. Prof. Stefano Medici Avv. Gio. Cosimo Montecuccoli degli Erri Marchese Luigi Moreali Prof. D. Giovanni Nardini Leonardo Nobili Leopoldo Palmieri Cav. Dott. Filippo Parenti Prof. Avv. Cav. Marc' Antonio Pelloni Ingeg. Gio. Battista Peretti Prof. Antonio Ptaffaelli Monsignor Pietro Rangoni S. E. Marchese Luigi Riccardi Prof. Antonio Riccardi Prof. Geminiano Riva Dott. Giuseppe Roncaglia Giovanni Rubbiani Dott. Nicola Ruffini Avv. Luigi Ruflìni Prof. Paolo XXXIX Savani Avv. Luigi Savani Prof. Alessandro Sellili Prof. Francesco Sola Prof. Giuseppe Spallanzani Doti. Gio. Battista Tarasconi Prof. D. Gio. Battista Tirclli Avv. Luigi Toniaselli Prof. D. Gio. Battista Tonelli Prof. Giuseppe Tonelli Prof. Pietro Traniontini Prof. Giuseppe Valdrighi Conte Mario Vandelli Prof. Francesco Architetto della R. Corte Vecchi Cap. Prof. Giuseppe Venturi Prof. Cav. Gio. Battista Veratti Avv. Cav. Bartolomeo Vincenzi Lodovico Antonio PARTE SECONDA MEMORIE DELLA SEZIONE DI SCIENZE MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DI SCIENZE LETTERE ED ARTI DI MODENA. RIFLESSIONI INTORNO ALLA ECCITABILITÀ, ALL'ECCITAMENTO, AGLI STIMOLI, AI CONTROSTIMOLI, ALLE POTENZE IRRITATIVE, ALLA DIATESI SI IPERSTENICA, CHE IPOSTENICA, ED ALLA IRRITAZIONE. MEMORIA " DEL PROF. PAOLO RUFFINI. PARTE I. RIFLESSIONI INTORNO ALLE DEFINIZIONI BROWNIANE DELL' ECCITABILITÀ , DELL' ECCITAMENTO, DEGLI STIMOLI DELLE MALATTIE, E DELLE DIATESI, ED ALLE SUCCESSIVE DEI CONTROSTIMOLI E DELLA IRRITAZIONE. i . In tutti gli stati della vita , dice Brown ( §. X. Element. medie.) l'uomo e gli altri animali differiscono da essi stessi morti , o da una qualunque altra materia inani- mata per questa sola proprietà, che possono da cose esterne, 0 da certe azioni lor proprie venire affetti in modo , che si producono effetti proprii di essi vivi, cioè le loro azioni. La proprietà, per mezzo della quale le sopraddette cause agisco- no , dicesi Eccitabilità; Potenze eccitanti appellansi le cau- se medesime ; e l' effetto di queste , che agiscono sull' Ec- citahilità, si denomina Eccitamento. (*) Questa memoria fu presentata alla Reale Accademia dieci giorni dopo la morte dell'Autore, cioè ai 20 di maggio 1822. Tom. I. 1 ■2 Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. a. Sono, soggiunge lo stesso Autore , comune effetto delle Potenze eccitanti (5- XV., XVII. Element. medie. ) il senso, il moto , F azione della mente , e F affezione dell' animo , il quale effetto essendo uno e il medesimo , unus idemque , non si dovrà concedere, se non se che una e la medesima sia F azione delle potenze eccitanti , e quindi , che siccome alcune tra queste operano per manifesti impulsi , ed in tutte sembra esistere una certa forza di agire , debbansi tutte ap- pellare stimolatrici. Idem, dice Brown, aliarum effectus ean- dem operìs rationern arguii. 3. L'eccitamento mediocre idoneo costituisce lo stato di salute ; esso accresciuto di troppo , o di troppo diminuito stabilisce lo stato di malattia. Le infermità poi , che proce- dono dall'eccitamento eccessivo si denominano steniche , o ipersteniche ; ed asteniche , od iposteniche appellatisi quelle , che vengono costituite dall'eccitamento deficiente. Lo stato finalmente della macchina , sotto cui si hanno le prime delle ora esposte malattie , o la disposizione alle medesime si dice Diatesi stenica , od iperstenica ; e lo stato , sotto del quale succedono le malattie seconde , o la loro predisposizione si chiama Diatesi astenica, od ipostenica. Da quanto si è ora detto , apparisce , che la prima di queste diatesi viene de- terminata dall' Eccitamento accresciuto , la seconda dall' Ec- citamento diminuito. 4- Le definizioni fin qui (ri.* i, a, 3) quelle sono, che Brown ha attribuito alle parole Eccitabilità, Eccitamento, Stimolo, Diatesi, e Malattie ipersteniche, od iposteniche. Ora simili definizioni non sono state sostanzialmente cambiate dagli scrittori, che han succeduto a Brown. Dunque da essi principalmente dovendosi dedurre le idee, che nelle moderne scuole mediche si danno della Eccitabilità, dell' Eccitamen- to , ec. , ne segue , che coli' esaminare , e col determinare , se tali definizioni sono abbastanza esatte e precise , o se si son rendute tali dalle osservazioni , e dalle interpretazioni che ne hanno fatte i moderni , verremo così a conoscere qual grado di confidenza meritino queste idee. Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 3 5. Prendendo pertanto ad istituire questo esame, comin- cio dall' osservare , che, se l'effetto delle Potenze eccitanti, le quali agiscono sulla eccitabilità non è che l'Eccitamento (n.° i), e se pel (n.°a) l' effetto delle Potenze medesime non è che il senso, il moto, l'azione della mente, e l'affe- zione dell' animo , ne segue , che l' Eccitamento altro non sarà, che o senso, o moto, o azione della mente, od affe- zione dell'animo. Ma si ha sempre malattia iperstenica, quando l'Eccitamento è accresciuto oltre il dovere, e allor- ché questo è oltre il dovere diminuito, si ha infermità ipo- stenia ( n.° 3 ). Dunque avremo sempre un morbo iperstenico ogniqualvolta risulti o il senso , o il moto , o l' azione della mente, o l'affezione dell'animo aumentata di troppo; e ogni- qualvolta una di queste operazioni si effettui troppo debol- mente, ne verrà una malattia ipostenica. Simile conclusione, la quale dai ( n.' i , a , 3 ) tostamente deriva , tutti sanno , quanto sia falsa. Ognun sa , che si può avere un1 affezione più o meno valida dell' ordinario , può eseguirsi un' azione della mente , prodursi una sensazione , un moto più o meno forte del naturale , e non per questo deviarsi dallo stato di salute. Pure concediamo intendersi qui da Brown, quantun- que non venga ciò espresso , soltanto quell'alterazione delle indicate funzioni , per cui realmente manifestami le malat- tie : ma anche in questa supposizione a tutti gli osservatori è noto , che non sempre l'aumento di tali funzioni costitui- sce lo stato stenico , intendendosi quivi con questi nomi di denotare gli stati di aumentato o di diminuito vigore , né la diminuzione l'ipostenico. Dopo per esempio le grandi e- morragie muovonsi frequentemente forti convulsioni, e si ha quindi accrescimento di moto; nelle vere malattie infiam- matorie spesso producesi deficienza del moto peristaltico de- gli intestini. Dunque la precedente conclusione portandoci per le poste definizioni ad asserire , che nel primo di questi casi risulta nei muscoli convulsi uno stato iperstenico, ossia di vigore accresciuto , ed un astenico, ossia di scemato vigore 4 Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. negli intestini nel caso secondo 3 ci conducono a conseguenze evidentemente fallaci. Vero è, che Brown vuole, che il moto convulsivo anche valido, non dipenda da stato stenico, ma da ipostenico, as- serendo , che la forza o quantità di moto è la stessa cosa che la sua facilità, e che dobbiam giudicare dalle cose cer- te , e non dalle apparenti. Vis et facìlìtas motus eadem est. Ex rebus certis, non adparentibus judicandum est. ( Elemen. medie. Part. I. Cap. V. $. I. VII.). Ma dopo che ha egli stabilito, che 1' eccitamento aumentato costituisce lo stato iperstenico (n.°3) e che nel muscolo l'eccitamento non è che il suo movimento ( n.° a ) , ha stabilito ancora , che ogni- qualvolta tal movimento sarà aumentato , si avrà sempre stato iperstenico , e quindi che si avrà tale stato eziandio nelle valide convulsioni , giacché sotto di esse ognun sa , che la contrazion muscolare è non già apparentemente, ma realmente accresciuta; né con la forza o quantità di moto si deve confondere la facilità a muoversi, la quale d'altron- de nelle convulsioni non manca. 6. So non volersi dagli Autori moderni confondere con l'eccitamento le sovraesposte operazioni animali : ma quan- tunque venga tal confusione a concedersi mentre si abbrac- ciano le definizioni Browniane , pure concediamo , che col nome di eccitamento intendasi un primo effetto qualunque sia, che dalle Potenze stimolatrici si produce nella fibra ec- citabile, e che effetto di questo effetto siano poi il senso, il motOj ec. Ciò posto si applichi uno stimolo ad un muscolo; vedesi esso contraersi tostamente. Ora questa contrazione si vuole essa il primo , od il secondo degli effetti accennati ? Se si vuole, che sia il primo, dicendosi poi secondo il mo- vimento del membro , nel quale il supposto muscolo s' inse- risce, allora l'Eccitamento riguardo ai muscoli, altro non essendo, che la lor conti-azione, ne segue che sarà quello eccessivo o deficiente , secondo che sarà questa maggiore o minor del dovere. Ma ciò essendo rinascono le difficoltà e Memoria del Phof. Paolo Ruffini. 5 gli assurdi del (n.°prec. ), e perchè può non rare volte con- giungersi la più valida contrazione muscolare con una vera diminuzione di vitalità, ossia con una vera ipostenìa de' mu- scoli, siccome nello convulsioni da emorragie (n.°prec), e viceversa unirsi una mancanza, od uno scemamento d' azione nelle libre muscolari con una iperstenìa vera, cioè con un vero aumento di vitalità, siccome nella stitichezza per in- fiammazione. Che se si vuole, che la contrazione dei mu- scoli sia P effetto secondo , e che il primo prodotto imme- diatamente nelle sue fibre dalle Potenze eccitanti sia una modificazione consistente forse od in certo movimento , sia questo semplicemente fisico , o sia chimico-fisico delle par- ticelle componenti le fibre medesime , od in un movimento promosso dalle citate Potenze di un principio fluido tenuis- simo etereo in esse fibre contenuto , di quello cioè che ap- pellasi fluido nerveo , o spirito di animazione ( Darwin ) o principio vitale (Richerand) o anima fisica (Virey): allora qualunque sia questo primo effetto , osservo , che essendo esso affatto ignoto , e non potendo F effetto secondo pei principii stabiliti, e costantemente ritenuti dai moderni , che dipenderne pienamente e unicamente , perchè tali principii , comunque riguardisi la cosa, non ammettono mai di esso secondo effetto altri elementi, che il supposto effetto primo, non potrà mai concepirsi tale effetto secondo che proporzio- nale al primo ; e però quando si vegga maggiore la contra- zione del muscolo , non potrà che dirsi più forte il posto ef- fetto primo , che la produce tale , e allorché si vegga con- traersi il muscolo più debolmente , non potrà che stabilirsi in corrispondenza più debole l'indicato primo effetto. Così i Meccanici non conoscendo punto la natura delle forze mo- trici , e dipendendo da queste pienamente e unicamente i movimenti dei corpi , considerano tali movimenti proporzio- nali alle dette forze , e dall' essere nei corpi le quantità di moto maggiori o minori deducono essere le forze che le han- no prodotte , proporzionatamente più glandi o più piccole. 6 Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. Pertanto in questa seconda supposizione venendo dalla più viva o più languida contrazion muscolare a determinarsi la validità del corrispondente Eccitamento , il quale non è che il supposto effetto primo, ne verranno le stesse incongruenze e gli stessi assurdi , che si è veduto risultare nella supposi- zione prima e nel (n.°prec. ). Un discorso simile può eseguirsi rapporto ai sensi; perchè cpiantunque le sensazioni si perce- piscano infine dall'Anima; pure solendo risultare queste più o meno valide, secondochè più o meno valide sono le mo- dificazioni, che in corrispondenza soffrono i nervi ed il cer- vello , o le loro particelle elementari , o il fluido nerveo ivi esistente , e però più o meno validi gli effetti ultimi , che per questo risultano nel cervello stesso , e da cui risultano poi nell'Anima le sensazioni; ne segue, che quanto si è detto superiormente delle modificazioni e delle contrazioni nei mu- scoli , dicesi eziandio delle modificazioni e degli ultimi ef- fetti nel sistema cerebrale. 7. Alle difficoltà esposte sin qui sento rispondersi, che l' eccitabilità e F eccitamento Browniano non riguardano già una o più singole parti della macchina, ma bensì l'univer- sale, e che l'alterazione del moto in un dato muscolo par- ticolare, del senso in un dato nervo si riferisce non già a vizio dell' indicato Eccitamento , ma a ciò che i moderni ap- pellano Irritazione , e che dall' Eccitamento vien distinta. Sia pure per ora, che l'Eccitabilità, e l'Eccitamento Browniano debbano prendersi riguardo all'universale: si pren- deranno quindi rapporto alla macchina intera. Dunque al- lorché si dice essere l' Eccitamento per esempio accresciuto, dovrà intendersi essere questo divenuto tale in tutta la macchina medesima, e però in ciascuna delle sue parti, perchè se qualcuna di esse non si trovasse in simile stato di eccitamento; allora non più tutte le parti componenti la macchina, e però non più la macchina intera si troverebbero in eccitamento aumentato, e questo per conseguenza non riguarderebbe più 1' universale contro della ipotesi. Dovendo Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 7 pertanto sotto il supposto accrescimento di Eccitamento ciascuna delle parti del Corpo trovarsi soverchiamente ec- citata, sarà di troppo eccitato e ciascun muscolo e ciascun nervo, e però ritrovandosi pei (n.'5, 6) sempre aumentati rispettivamente e moto e senso, le difficoltà dei (n.'cit. ) sorgeranno eziandio, allorquando l'eccitamento vogliasi uni- versale. Negli esempi replicatamente indicati (n.! 5, 6) aven- dosi nel caso della perdita di sangue universale ipostenìa, e avendosi nel caso della infiammazione stato iperstenico universale, deggiono questi stati rispettivamente appartenere a ciascuna delle parti della macchina, e quindi per le solite definizioni (n.! 1,2, 3) dovrebbe anche nella presente con- siderazione il moto peristaltico degli intestini nel primo caso sempre accrescersi , e sempre scemare nel caso secondo il moto di ciascun muscolo: ma la cosa va frequentemente al contrario. Dunque ec. Siccome poi tanto la supposta inerzia degli intestini, quanto il supposto movimento convulsivo dei muscoli provengono da cagione universale , non potranno né quella uè questo appellarsi a norma del posto significato irritazione. 8. Nel ( n.° prec. ) ho conceduto, che l'eccitabilità e l' eccitamento Browniano debbano riguardarsi rapporto all' u- niversale; ma, oltreché Brown istesso considera l'eccitabi- lità e l' eccitamento anche nelle singole parti, come apparisce nella Parte 5." de' suoi Elementi di Medicina, dove classifica le malattie locali, riflettiamo poi, che le definizioni date ( n.° 1 ) non esigono punto tale universalità. Infatti pel ( cit. n.° 1 ) si vuole, che l'eccitabilità altro non sia, che quella proprietà, per cui venendo gli animali affetti dalle Potenze eccitanti, si producono le azioni loro, ma simili azioni non sono infine, che i sensi, i moti, ec, e questi moti per ordinario si effettuano attualmente ora da un mu- scolo, ed ora da un altro, le sensazioni si risvegliano così ora per uno degli organi sensorj , ed ora per un altro. Dunque le accennate azioni producendosi da organi parziali 8 Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. si dovranno ripetere dalla eccitabilità degli organi medesimi, e dovrà quindi nell'esame di tali azioni considerarsi un'ec- citabilità parziale. Dall' eccitamento poi pel ( n.° a ) o co- stituendosi ( n.° 5 ) o producendosi ( n.° 6 ) le azioni ora esposte, e queste per quanto si è detto, effettuandosi per ordinario parzialmente, parziale in corrispondenza dovrà es- sere eziandio 1' Eccitamento. 9. Dal ( n.° prec. ) apparisce, che la irritazione, presa questa parola nel significato del ( n.° 7 ), altro non è, che alterazione di un eccitamento parziale. Vero è, che nella irritazione vuoisi, che esista sempre una causa determinata, la quale operi parzialmente, e tolta la quale, la irritazione più o meno sollecitamente si estingua : tal causa è per e- sempio una forza meccanica, che agisce o premendo o di- straendo o togliendo la continuità di una data parte, è una sostanza così detta inaffme alla macchina, la quale per un' azione cliimico-animale distrugge o perverte la composizione o la tessitura di un dato organo, ec; ma qualunque siasi questa causa esterna, che polla lesione, sia essa meccanica, sia chimica, od altra qualsivoglia sopra una parte data; to- stochè si chiama irritazione non già la lesione indicata ma bensì F alterazione del senso, del moto, ec. che da tale le- sione procede, sempre sarà vero pel ( n.° 1 ) che questa ir- ritazione altro non sarà se non se un' alterazione dell' Ecci- tamento della parte supposta, e però sarà un eccitamento parziale viziato. Col nome d' irritazione , o di diatesi irrita- tiva intendesi ancora da illustri Autori ( Rubini, Guani, ec. ) quello stato universale della macchina, il quale o vien pro- dotto dalla diffusione d' azione di un' irritazione parziale, o viene costituito da un perturbamento de' sensi, de' movi- menti, ec. che non può propriamente ridursi né ad accre- scimento, né a diminuzione de' medesimi. Ma qualunque vogliasi che sia F esposta diffusion d'azione o perturbazione, riguardando queste per la ipotesi sempre e i sensi e i mo- ti, ec, ed essendo pel ( n.° a ) questi sempre effetti o me- Memoria del Piiof. Paolo Ruffini. q diali od immediati di Potenze sul l'eccitabilità (n.1 5, 6); in- segne, che anclie in questo significato l' irritazione si riduce ad alterazione di eccitamento, e nell' ultimo degli esposti casi tale alterazione non sarà né un aumento, nò uno sce- mamento, ma una perturbazione del medesimo. io. Proseguendo innanzi l'esame intrapreso, rifletto, che daffli Autori si vuole essere uno ed il medesimo l'eccita- mento in tutta la macchina; ed è forse per questa ragione, clie da Brown si dice urius idemque effectus ( n.° a ) il senso, il moto, l'azione della mente, e l'affezion dell'animo. Que- sta proposizione Browniana troppo è facile a vedersi essere falsa, tanto se si prenda a rigor di termini, perchè in tal caso si asserirebbe essere una e la stessa cosa la formazione di un giudizio, ed il pulsar di un' arteria, una e la stessa cosa 1' amor di un oggetto, ed il moto di un muscolo, ec. asserzioni troppo patentemente assurde ; quanto è pur falsa se si voglia, che Brown con 1' espressione iinus idemque effectus abbia inteso essere gì' indicati effetti, non i mede- simi e identici fra di loro, ma bensì di una istessa natura : imperciocché essendo dai Metafisici dimostrato, che le azioni della mente, e le affezioni dell' animo, come sono il con- cepir le idee, il pensare, il ricordarsi, il volere, l'amare, P odiare non possono immediatamente eseguirsi che da una sostanza immateriale, mentre da sostanze materiali, quali sono i membri , immediatamente si effettuano i movimenti ; chiaramente apparisce, che come di natura tra lor diffe- rente son le sostanze, le quali immediatamente producono questi effetti, essi effetti ancora essere dovranno di natura tra loro pienamente diversi. 1 1 . Gli Autori in seguito indotti forse dalle osservazioni del ( n.° prec. ) hanno trascurata affatto la considerazione dei movimenti nei membri, delle sensazioni, e delle altre azioni dell' Anima, ed hanno posto, essere una e la stessa cosa quella, qualunque siasi, operazione del solido, da cui vogliono essi costituirsi P eccitamento, ossia quella, che nel Tom. I. a io Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. ( n.° 6 ) abbiano detta effetto primo, da cui poi o immedia- tamente o mediatamente derivano il moto, il senso, ec. Ora o si ritiene la prima delle ipotesi colà (n.° 6 ) stabilite, o si ri- tien la seconda. In cpiella l'effetto primo, ossia l'eccita- mento essendo rapporto al moto la contrazione dei muscoli, e l' effetto secondo il movimento dei membri corrispondenti; e relativamente al senso ec. l'eccitamento, ovvero l'effetto primo essendo cpiella modificazione, ossia quel cangiamento che per gli stimoli soffrono i nervi ed il cervello, e l'effetto secondo costituendosi dalle sensazioni, e dalle altre opera- zioni, che quindi l'Anima eseguisce; ne viene, che se l'ec- citamento esser deve sempre uno ed il medesimo, dovrà in questa prima ipotesi essere una e la stessa cosa e la indicata contrazione dei muscoli, e l' accennata modificazione del Cer- vello e de' nervi: ma tale identicità è apertamente falsa, perchè sotto della contrazione loro si osserva, che i muscoli si accorciano, s' ingrossano e s'induriscono, e sotto l'indicato cangiamento dei nervi e del cerebro niuno affatto si osserva de' fenomeni ora esposti. Dunque in questa prima supposi- zione dovrà tenersi falso, che sia sempi'e uno ed il medesimo l' eccitamento. ia. Si ritenga la supposizione seconda del citato (n.° 6.): in tal caso rifletto, che essendoci affatto ignoto non sola- mente qual sia l'effetto primo, che è quanto dire l'eccita- mento, ma di più qual sia la sostanza, da cui questo si effettua ( n.° 6 ), concluder si deve, che il porre tale effetto sempre il medesimo tanto in tutti i muscoli, quanto in tutti i nervi è cosa affatto ipotetica; anzi potendo qualcuno sup- porre, che ne sia diverso, esaminiamo quale di queste due ipotesi sia la più probabile. Osservo perciò in primo luogo, essere i muscoli nelle loro proprietà fisiche differenti affatto dai nervi e dal cere- bro; osservo secondariamente, che l'effetto che diciamo se- condo ( n.° 6 ) in quelli, ossia la contrazion muscolare, è come si è osservato nel ( n.° 1 1 ) pienamente diversa dall' Memoria del Prof. Paolo Ruffini. i i effetto secondo in questi, ossia dalla sovraesposta modifica- zione nei nervi e nel cervello. Dunque se i muscoli ed i nervi, non meno che i rispettivi effetti secondi sono affatto tra lor differenti, non è evidentemente più probabile quella ipotesi, la quale negli indicati organi pone eziandio diversi gli effetti primi, siccome quelli, i quali agendo in parti dotate di proprietà differenti, producono in corrispondenza effetti tra loro essi pur differenti , dell' altra ipotesi , la quale li pone tra loro uguali ed identici ? Si dice , che nella formazione dei muscoli entra molta sostanza nervea, e supponendo l'eccitamento in questa, si aggiunge, che perciò l'eccitamento è sempre il medesimo, e che poi nelle varie parti per la diversa loro organizzazione esso viene soltanto variamente modificato. Per questa proposizione l'eccitamento, ovvero l'effetto primo delle Potenze eccitanti, o quel movi- mento, che abbiamo accennato nel ( n.° 6 ) delle particelle elementari, ossia per la supposizione ora fatta, della sostanza nervea o del fluido nerveo, è dunque variamente modificato negli organi diversi; ma rapporto ad un moto una sua mo- dificazione non può importare che variazione, diversità, qua- lunque poi questa sia, del moto medesimo; dunque questo movimento risultando nei nervi, e nei muscoli differente, disuguale ne sarà ancora l'eccitamento, il quale si vuole da tal movimento costituito; e però come mai, mentre esso si confessa diverso col denominarsi variamente modificato, si può poi nel tempo stesso asserire il medesimo ? Veggo potersi aggiugnere, che nella sovraesposta pro- posizione la varietà della modificazione intendesi riferita agli effetti secondi, e non già ai primi; ma oltreché parlandosi di variazione nell' eccitamento, tale intelligenza non può aver luogo, rifletto poi, che anche concedendola, agevol- mente si trova, che per essa si stabilisce una proposizione erronea. Infatti l'effetto secondo nei muscoli è la lor con- trazione, e nei nervi e nel cervello quel cangiamento qua- lunque, per cui si hanno nell'anima le sensazioni ec; ma i J. Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. tal cangiamento non può dirsi in guisa alcuna modificazione della contrazione; perchè mentre sotto di questa tutto il muscolo si vede coli' accorciarsi ed ingrossarsi ricevere un notabile movimento, sotto di quello non si osserva, che il nervo nell' intera sua estensione si muova punto, ed il niun moto non può dirsi modificazione di un moto. Dunque ec. i3. Ritenendo sempre la definizione dell' eccitamento del ( n.° i ) e la ipotesi seconda del ( n.° 6 ) aggiungo, che sotto una vitalità universalmente accresciuta, o scemata può 1' eccitamento variare non solo, ma divenire ancora nel tem- po stesso maggiore del naturale in alcuni muscoli, ed in altri minore. Si riprendano i soliti esempi della emorragia, e della infiammazione ( n.° 5 ) nel primo de' quali si ha ab- battimento universale, e universale rialzamento della vitalità nel secondo, e si rifletta, che in quella divenuti essendo i polsi piccoli cedenti, il volto pallido, 1' estremità fredde, il moto del musculo cuore, da cui questi fenomeni procedono, è sommamente diminuito, e , però in esso diminuito ancora pel ( n.° 6 ) il corrispondente effetto primo, ossia 1' eccita- mento. Nel tempo stesso i muscoli che abbiamo supposti notabilmente convulsi, e perciò con forza o stabilmente o alternativamente contratti dimostrano pel citato ( n.° 6 ) es- sere in essi medesimi il rispettivo effetto primo, ossia il loro eccitamento cresciuto. Dunque in questo caso dell' emorragia, mentre si ha indebolimento universale, 1' eccita- mento non solo non è il medesimo in tutti i muscoli, ma in alcuni di questi si trova aumentato, in altri all'opposto diminuito. La stessa conseguenza ritraesi evidentemente nel- r altro esempio dell'infiammazione, trovandosi allora per la validità dei polsi il calore e il rossore della macchina, e per la supposta stitticità ( n.° 5 ) 1' eccitamento accresciuto nel cuore, e scemato negli intestini. i4- Come si è mostrato non potersi in alcun modo considerare uno ed il medesimo effetto il moto, il senso, ec, uno ed il medesimo l'eccitamento ( n.à io, ec. i3 ) così è Memoria pel Prof. Paolo Ruffini. i ,S Facile a riconoscersi non potere neppur dirsi inni e la me- désima, come si asserisce nel ( n." ± ) 1' azione di tutte le Potenze, che atte sono a produrre i diversi moti, le varie sensazioni, ec. Chi mai, per poco che conosca i principi
  • ) considerate, e non già la funzione dell'intero organo, perchè questa oltre tali azioni esige in generale, come vedremo in seguito, parecchi altri elementi. 3.° Perciò gli eccitamenti ( n.° ao ) non si deggiono punto confondere con le funzioni degli organi. Memoria del Prof. Paolo Ruffini. io 4-° Nei muscoli, mentre siano stimolati, veggo acca- dere delle contrazioni; riconosco, non per mezzo dei sensi, ina per 1* effetto che ne risulta, accadere nei nervi, e nel cervello alcune modiiicazioni, per le quali si esercitano le varie facoltà dell' anima: simili contrazioni, e simili modifi- cazioni saranno forse i prodotti di altri cangiamenti effettuati prima dalle potenze eccitanti, o nelle particelle minime ele- mentari delle fibre, o in un fluido nerveo che vi si con- tenga ( n.° 6); ma siccome infine devono ad essi conside- rarsi proporzionali le contrazioni, e le modificazioni accennate ( n.° 6 ) ne segue, che volendo tener conto solamente delle cose, intenderemo di considerare come effetti degli stimoli sulle parti solide animali le contrazioni rapporto alle musco- lari, e le esposte modificazioni riguardo alle nervee, e queste perciò sono, che intendiamo di esprimere col nome di ec- citamenti. aa. Ciascuna delle parti solide di un animale vivente deve essere dotata di un certo vigore, il quale atta la renda ad esercitare con facilità, ed opportunamente 1' azione sua propria ( n.° ao ). Ogni uomo in istato di salute sente di possederlo, e sente perciò di poter vincere certe resistenze, di poter produrre certe quantità di moto, e sente di potere con certa attività esercitare le sue facoltà intellettuali. In- dipendentemente ancora da questo sentimento è facile a dimostrarsi 1' esistenza di tal vigore nelle diverse parti mu- scolari; perchè queste nelle loro azioni non fanno, con- traendosi, che superar resistenze, che effettuar movimenti, e le resistenze non si possono mai vincere, e i movimenti prodursi, che col mezzo di forze aventi un vigore corri- spondente : ed esso così si dimostra nelle parti nervee e cerebrali, perchè 1' opportuno esercizio delle facoltà intel- lettuali , e V eccitare al moto convenientemente le parti soggette alla volontà esigono, che le rispettive modificazioni del sistema nerveo si eseguiscano con certa forza. Se esse fossero troppo languide, non si risveglierebbero opportuna- mente né le sensazioni, né i movimenti, ec. ao Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. a3. Denominerò l'esposto vigore vitalità. Non deve esso confondersi con 1' eccitamento; perchè il vigore, ossia pel ( n.° 2.2 ) l'attitudine ad agire con certa forza, può esistere in una parte, ancorché questa parte non sia attualmente in azione ( n.° 20 ). Così io dico robusto, dotato di vigore un uomo, che veggo giovine sano e nerboruto, ancorché egli non si muova, non agisca. L' eccitamento poi, ossia l'azione attuale sarà in generale più o meno forte, secondochè mag- giore o minore è il vigore, o la vitalità della parte : ho detto in generale, perchè vedremo esistere casi particolari non pochi, ne' quali non apparisce, che questa corrispon- denza abbia luogo. Conviene pur anche distinguere il vigore (n.° 2,2) dalla eccitabilità (n.° 20): quest'ultima di fatto non è che quella proprietà, per cui la fibra risente l' azione dello stimolo; ma la forza, con cui può spiegarsi e si spiega 1' eccitamento, essendo un'affezione ulteriore, dipender deve ancora da ulteriori circostanze della fibra. Quindi non do- vremo confondere la vitalità, presa questa parola nel pre- sente significato , con 1' eccitabilità. 24. Tutte le parti della macchina di un uomo sano sono dotate dell' opportuno vigore ; e sotto questo aspetto possia- mo considerare simile proprietà diffusa per la macchina in- tera, e nello stato di salute denominarla naturale o normale. Può accadere, che essa per 1' azione di alcune cause si di- minuisca, o si aumenti oltre il naturale; e se mai questa diminuzione o questo accrescimento sia costante e universale, avremo uno stato della macchina, che diciamo in corrispon- denza diatesi ipostenica od astenica, stenica od iperstenica. Se poi dall' indicato scemamento si produca, come da causa prossima, l'alterazione di qualche funzione, avremo malattia rispettivamente ipostenica od iperstenica ; che se la diminu- zione o 1' aumento esposto non sia già la causa prossima , ma costituisca semplicemente una delle cause proegumene o procatartiche dell' accennata alterazione di funzione, o le sia soltanto concomitante, allora dovrà dirsi nel primo caso Memoria del Prof. Paolo Ruffini. hi essere la infermità dipendente come da una delle sue cause, dall'una o dall'altra delle esposte diatesi, e nel secondo esserne complicata. Se mai 1' aumento della vitalità, o la diminuzione sia in una parte sola della macchina, allora diremo esistere in corrispondenza stenìa od ipostenia par- ziale. 2.5. Osservando il vigore, ossia la vitalità di una parte data, l'esperienza, e l'osservazione c'insegnano dipendere essa i.° Dal libero influsso del principio nerveo, qualun- que questo sia, dal cervello alla parte supposta, e dalla libera attività relativamente ad essa parte del cervello me- desimo. Se questa o quello diminuiscono o cessano, la con- tinua esperienza ci mostra, che neh' indicata parte ancora la vitalità illanguidisce, ovver cessa. a.0 Dalla quantità e qualità dovuta, e dall'afflusso libero dei varj umori, e specialmente del sangue alla parte data. Se ad essa affluisce il sangue o troppo poco, come dopo un'e- morragia, o troppo sieroso, come nei leucoflemmatici, o non liberamente , come in conseguenza di una compressione; allora infatti la parte si riscontra languida e indebolita. 3.° Dal nutrimento opportuno; essendo a tutti noto, quanto i solidi illanguidiscano, allorché quello manca o scarseggia, od è di prava qualità; e quanto al contrario si confortino quand'esso è buono, e in quantità conveniente. 4-° Da un certo grado di coesione tra le molecole elementari della parte supposta, come facilmente si deduce dall' osservare , quanto sia minore il vigor dei solidi di un bambino , e di uno , il quale dopo una malattia sofferta siasi recentemente nutrito, del vigore dei solidi di un adulto, e di uno il quale da lungo tempo sia sano. Conviene però riflettere, che quando questa coesione diventa eccessiva, siccome nei vecchi , allora il vigore nuovamente decresce. 5.° Dalla dovuta chimica composizione delle parti- 'celle elementari. Imperciocché dipendendo in gran parte da •22, Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. questa quella proprietà, che distingue le sostanze animali dalle minerali, e dalle vegetabili, ossia la animalizzazione, dovrà dipenderne ancora la vitalità corrispondente. 6.° Dalla opportuna intima organizzazione, ossia dalla normale disposizione delle particelle integranti: giacché man- cando questa giusta disposizione non potranno le parti agire convenientemente, e quindi con quel vigor che si deve. 7.0 Dall' unione nelF Uomo dell'Anima con il Corpo. 26. Le prime sei condizioni del prec. (n.°a5) se riman- gono alterate relativamente a tutta la macchina, allora si avrà alterazione nella vitalità universale : e sarà l' alterazione parziale, se le condizioni indicate non si alterino, che in una parte determinata. Riflettasi però, che a cagione del consenso che hanno fra loro tutte le parti di una macchina animale , può non difficilmente un' alterazione parziale dif- fondersi e divenir generale. 27. Quantunque le condizioni del ( n.° a5 ) siano tutte necessarie al conveniente vigore delle parti della macchina; non però vi concorrono tutte in egual modo, e per una stessa ragione. La condizione settima è assolutamente essen- ziale perchè da essa nell'uomo, come da prima causa, di- pende la vita. Le condizioni quinta e sesta stabiliscono il materiale e la forma che alle varie parti sono necessarie. La condizione quarta dona loro la consistenza dovuta. Rappor- to alla condizione prima osserviamo, che il principio ner- veo quello è, da cui principalmente dipende la eccitabilità dei nervi, e che da esso misto intimamente alla sostanza carnea precipuamente dipende la eccitabilità muscolare. La condizione terza serve a riparare alle perdite che si fanno per 1' azione della vita, ed a così ridonare alle parti quanto è necessario per soddisfare alle altre condizioni. La seconda infine oltre il recare alle parti il necessario nutrimento , ed il materiale alle varie secrezioni, ed escrezioni necessario, concorre mirabilmente, ed in un modo affatto incognito a sostenere la vitalità. Memoria del Prof. Paolo Ruffini. a3 28. Il principio nerveo lia rapporto ai muscoli soggetti alla volontà, oltre l'accennata nei ( i.° n.° 2,5, n.° 27 ) un' altra azione, quella cioè di essere il loro stimolo naturale, per cui 1' anima contrae quelli tra gì' indicati muscoli, che piace a lei di contrarre. Simile azione manca relativamente agli altri muscoli; essi riconoscono come stimoli naturali altre sostanze; il cuore ha per suo stimolo naturale il san- gue, le libre muscolari degli intestini hanno il chimo, la bile , e le feci, ec. 2,9. Osservando i fenomeni vitali, uno se ne presenta, il (piale ci dimostra esistere nei nervi e nel sistema cere- brale un'altra azione, la quale e per sé, e per le sue con- seguenze è importantissima da sapersi. Fiutandosi per esempio da uno minacciato di deliquio una bottiglia di aceto , be- vendosi da uno indebolito pochi sorsi di vino puro , man- giandosi da uno estenuato per fame piccola porzione di cibo, ec. , si vede sempre succedere un istantaneo sollievo, ossia aumentarsi sempre e istantaneamente il vigore univer- sale della macchina. Questo fenomeno, per la somma celerità con cui accade, è chiaro dover dipendere da uno o più principii, i quali si pongano tostamente in azione, onde 1' indicato accrescimento di vitalità; ma simili principii pei ( n." 2,5, 27 ) esser non possono, che il nerveo ed il sangue; dun- que per l'applicazione alla macchina della supposta sostanza o causa ristorativa dovrà per tutto il sistema nerveo, o per tutto il sanguigno, o per amendue diffondersi un'azione au- mentata. Ora supposto, che tal sostanza sia per esempio un poco di vino, osservo, che questo appena bevuto non fa che poggiare sulla villosa dello stomaco, onde non possono in un modo così sollecito risentirne 1' azione, che le sue papille nervee. Dunque non avendo queste papille consenso con tutto il sistema nervoso ed il sanguigno se non mediante il cervello, non potrà il sovraesposto fenomeno accadere, se non perchè per 1' indicata azione del vino sopra le papille accennate si propaghi per mezzo dei nervi proprii al cerebro a4 Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. una forza , per cui si accresca 1' attività cerebrale , e si sparga quindi per la via dei nervi tutti a tutto il sistema corrispondente, e però a tutte le parti del corpo il principio nerveo in quantità ed energia maggiore. Esso principio re- candosi nello stesso modo e tempo eziandio al cuore, ed ai vasi sanguigni, ne accrescerà la vitalità, e per essa aumen- tata spinto verrà con velocità e forza più grande ancora il sangue nel sistema proprio, e però a tutte le parti. Nella stessa guisa, con la quale abbiam veduto succedere quelF aumento del vigore universale, che si ha per 1' azione del vino, è chiaro che succederà quello ancora che ottiensi dal fiutare l'aceto, dal primo deglutire del cibo, ec. 3o. Come esistono il vino, il cibo, 1' aceto ed altre so- stanze, le quali come abbiamo osservato nel (prec. n.°) ap- plicate alle papille nervee del ventricolo, o delle narici, o di altre parti, portano un' azione al cervello, per cui questo viscere si pone in attività maggiore, e spingendo quindi il principio nerveo o più attivo o più copioso alle varie parti, rende queste più vigorose ; cosi altre sostanze e potenze po- tranno esistere ancora, ed esistono di fatto, le quali applicate nello stesso modo alle indicate papille nervee, portano al cerebro un'azione, per cui l'attività sua viene al contrario diminuita , e propagandosi perciò alle parti diverse il prin- cipio nerveo in copia minore , o meno, attivo , la vitalità delle parti medesime diminuisce : tali sostanze sono per esem- pio F acqua distillata delle foglie del Lauro Ceraso, il Tartaro stibiato, ec. Ecco pertanto quaF è F altra azione dei nervi , che abbiam di sopra ( n°. 2,9 ) accennata , e che necessita molto di conoscere. Per essa , come abbiamo veduto , allorché si applicano certe sostanze o potenze alle papille nervee di qualche determinata parte , propagasi quindi al cervello od una forza che ne aumenta l'attività, od una che la scema, ed in conseguenza di simile accrescimento o diminuzione, si accresce , o si diminuisce nel modo sovraesposto ancora la vitalità universale. Memoria del Prof. Paolo Ruffinl a5 3i. Cliiamerò esaltanti o ristorative quelle sostanze o potenze, le quali agendo nella macchina, ne aumentano la vitalità (n.°29); e chiamerò deprimenti quelle che la di- minuiscono ( n.° 3o ). 3a. La precedente azione (i.°) non deve punto confondersi con quella , per cui , come si è detto nel ( n.° 28 ) i nervi , i quali si portano ai muscoli soggetti alla volontà , li pos- sono stimolare ; quest' ultima non apparisce che rapporto ai muscoli ora citati , l' altra rapporto a tutti ; quest' ultima è la cagione attuale immediata delle contrazioni muscolari di- pendenti dalla volontà ; per la prima si accresce o si scema il vigore , ma non si produce attualmente contrazione. 2.0 L'azione medesima ( n.° 29 ) deve distinguersi dal- l' eccitamento ( n.° 20 ). Imperciocché si- effettua quella ( n.' 29, 3o ) per l'aumento o la diminuzione dell'attività cerehrale , e per la propagazione di questa attività alle varie parti, ed esige perciò necessariamente , che siano queste per mezzo dei nervi in comunicazione col cervello; l'eccitamento poi si eseguisce dalle parti immediatamente in conseguenza dell' eccitahilità ad esse propria , e nei muscoli apparisce anche , mentre siano , purché recentemente , distaccati dal corpo. 3.° Non deve punto confondersi nelle sostanze o po- tenze la forza, che aver possono., esaltante (n.°3i) con la stimolatrice (n.°ao): per l'ultima di queste forze non si fa che produrre sulla parte, a cui si applica immediatamente- o una contrazione muscolare, o una modificazione dei nervi inducente sensazione, od altra affezione dell'anima (4-°n.0ai); per 1' altra si ravviva, come abhiam detto, o si deprime nel modo esposto nei (n.' 29, 3o) la vitalità (n.° 23) senza che si ecciti attualmente alcuna delle contrazioni muscolari, o al- cuna delle modificazioni nervee inservienti alle azioni dell' Anima. È vero, che possono non rare volte queste contra- zioni e queste modificazioni avere esse medesime una forza esaltante; ma neppure in questo caso tal forza sarehhe Tom. I. 4 2,6 Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. identica con le semolatrici :, ne sarebbe semplicemente 1' ef- fetto (n.°2o). È vero inoltre, che per 1' applicazione delle potenze esaltanti , per esempio, per quella del vino, aumen- tatisi molte azioni della macchina, si accresce, per esempio, la contrazione del cuore, e quella delle arterie, come si conosce dalla maggiore vivacità e frequenza del polso; tante secrezioni, ed escrezioni si rendono più libere, ec. ; ma si ridetta, che questo accrescimento di azioni non si produce già perchè il vino agisca siccome stimolo, presa sempre questa parola nel senso dei (n.'a,2,o), giacché il vino non si applica immediatamente né al cuore, né ai vasi sangui- gni, né ai secretorj odescretorj, ec.;ma si produce, perchè aumentatasi nel modo accennato nel ( n.° 29 ) la vitalità di tutte le parti, risentono, e rispondono con maggior forza e prontezza il cuore ed i vasi alla forza stimolante del sangue, gli organi secretorj ed escretorj alla stimolante degli umori proprii, ec. 4-° Finalmente si rifletta, che potranno risultare esal- tanti, o deprimenti quelle sostanze o potenze, le quali an- ziché del cervello, come si è accennato nei ( n.' 29, 3o ) , aumentano o diminuiscono immediatamente l'azione del cuore e dei vasi sanguigni. Imperciocché sotto questo aumento, o questa diminuzione oltreché affluisce alle parti diverse una quantità di sangue maggiore o minore del dovere, quest' afflusso poi accresciuto in corrispondenza, ovvero scemato ancora al cervello , potrà far sì , che anche questo col porsi in maggiore o minore attività tramandi alle varie parti il principio nerveo in quantità od energia più grande o più piccola del dovere, e quindi si avranno nelle parti medesime quelle condizioni stesse, che abbiamo nei ( n.! 2-9, 3o ) osser- vato produrre 1' aumento o la diminuzione del vigore. 33. I controstimoli considerati come gli opposti degli stimoli (n.°2, 20) abbiam veduto non poter esistere (5.°n.° 18). Che se col nome di controstimoli intendasi di esprimere quelle potenze, le quali nel ( n.° 3i ) abbiam chiamate deprimenti, Memoria del Prof. Paolo Ruffini. a1- allora non havvi rapporto ad essi contraddizione veruna ; e la pratica giornaliera ci dimostra, che esistono benissimo; ed i Medici moderni quantunque attribuiscano inconside- ratamente ai controstimoli la definizione, che si è da noi indicata nel ( n.° i4); pure infine vengono in pratica a prenderli in quest' ultimo significato. Noi però a scanso di qualunque equivoco abbandoneremo affatto questa parola di controstimolo. 34. Quando una sostanza o potenza stimolante (n." n ) agisce o con troppa forza, od in una maniera, come dicono, inaffine alla macchina, cioè in una maniera diversa da quella, con la quale agiscono gli stimoli ordinarli; chiameremo allora tale sostanza o potenza irritativa od irritante; ed irritamento od irritazione diremo quell'eccitamento (n.°ao), che da essa si produce nella parte, alla quale viene applicata. 35. Siccome per la definizione data una potenza irrita- tiva, per essere tale, deve agire non secondo le leggi ordi- narie della macchina, ossia come dicesi, normalmente; perciò la irritazione, che ne risulta, dovrà essa ancora non seguire tali l<'ggi, dovrà cioè nella parte, in cui si effettua produrre delle contrazioni muscolari, oppure delle modificazioni nei nervi (4-°n.°ai ) troppo vive, o troppo continuate, od ir- regolari. Da ciò è, che un cibo troppo copioso, o ritenuto di troppo nello stomaco cagiona ivi una sensazion di peso e delle contrazioni spasmodiche, che una spina impiantata in qualche parte vi produce senso di dolore, ed un corrugamento spasmodico nei minimi vasarelli, ec. 36. Allorché si applica ad una parte uno stimolo forte, una potenza irritativa (n.°34); a quella parte la continua esperienza ci dimostra, che affluiscono il principio nerveo ed il sangue, e la linfa in una quantità molto maggiore di prima; e che frattanto questi principj si recano in quantità minore alle altre parti, che meno si suppongono stimolate. E perciò, che.dopo di un lauto pranzo sentesi ordinariamente freddo, le facoltà intellettuali intorpidiscono, e si ama la 2.8 Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. quiete, affluendo allora in abbondanza allo stomaco valida- mente stimolato, e scarso divenendo nelle altre parti il prin- cipio nerveo, ed il sangue. È perciò, che quando uno degli organi sensorj è stimolato con forza, e viva perciò o dolorosa se ne produce nell' Anima la sensazione; le sensazioni, che provengono dagli altri organi risultano languide e quasi nulle. E per ciò, che dai Medici si stabiliscono i così detti punti di controirritazione. Essendo di fatto una parte irritata da uno stimolo morboso, se si ponga in altra uno stimolo, il quale, mentre non altera che lievemente o nulla l'universale, pro- duce poi sulla parte, a cui è applicato, un' irritazione mag- giore di quella, che nella parte prima si effettua dalla causa morbosa ; allontanandosi allora dalla parte affetta e sangue e linfa e principio nerveo, cesseranno ancora, o si diminui- ranno quei sintomi , che dall' afflusso eccessivo di questi procedono. 37. Durante l'applicazione della potenza irritativa con- siderata nel precedente ( n.° 36 ) oltre i fenomeni ivi accen- nati, altri se ne producono nella macchina provenienti da suoi nervi, ed altri relativi alle fibre sue muscolari; dipen- dentemente da quelli si eccitano spesso sensazioni moleste , dolori, ec. ; in queste si producono contrazioni violente, ir- regolari , convulsive. Se pertanto si applichi ad una parte una sostanza acre, per esempio un vescicante, se vi si pro- duca una lesione, per esempio una ferita, se vi si introduca un corpo estraneo, per esempio una spina; si produrrà tosto nella parte supposta un senso di dolore, e le fibrille musco- lari dei vasi arteriosi minimi contraendosi spasmodicamente si corrugheranno, e si restringeranno. Dovendo nel tempo stesso affluire alla parte affetta in quantità ed energia mag- giore di prima, ed il principio nerveo, ed il sangue (n.° 36), quest' ultimo per la copia e la velocità, con cui accorre ten- terà di farsi strada per vasarelli ristretti, ed a forza se la farà di fatto nel principio, e nel corso dei medesimi, e nei laterali benché non proprj ; ma la dilatazione de* vasarelli , Memoria del Prof. Paolo Ruffini. ag che per questo forzato ingresso succede, il dolore, che quindi si aumenta, il sangue stesso per la copia e la velocità ac- cresciuta più irritante, renderanno per una parte più grandi, e più numerosi gli stimoli; per P altra il principio nerveo, il quale sempre più affluisce ai vasarelli così validamente irritati, renderà questi sempre più eccitahili : quindi con- traendosi con forza sempre maggiore le fibrille delle parti loro ulteriori, sempre più forte e insuperabile ne diverrà il restringimento, e il sangue per conseguenza , benché af- fluente con forza, non potrà che con molta difficoltà passare dal sistema arterioso al venoso, e si avrà così nella parte quello stato, che dicesi infiammazione. 38. Per P indicato afflusso di sangue, e del principio nerveo , e per lo stato suo spasmodico diviene pertanto ( n.° prec. ) alterata ed accresciuta morbosamente P eccita- bilità delle pareti de' predetti vasarelli. Ora il principio nerveo, ed il sangue, mentre affluiscono in troppa copia ed energia alle pareti dei minimi, non possono per la vicinanza e. per la continuità non affluire in troppa quantità, e con forza anche alle pareti dei vasi minori, quindi a quelle dei grandi, e così via via fino al cuore. Dunque P indicata al- terazione, e P accennato aumento della eccitabilità si propa- gheranno anch' essi dai vasi minimi fino al centro della cir- colazione. In questa propagazione però conviene riflettere, che nel passare dai vasarelli al cuore, la esposta alterazione, e P aumento della eccitabilità dovranno sempre andar sce- mando ; perchè è ben facile a conoscersi, che nel luogo ove esiste lo stimolo immediatamente, ed ove però l'afflusso del sangue e del principio nerveo è il più grande, ivi P alterazione sia la massima, e che nelle parti contigue, ove questi principj affluiscono in copia e forza maggiore dell' ordinaria soltanto per ragione di continuità, in esse simile afflusso, e però l'alterazione che ne nasce, vadan sempre diminuendosi. Pertanto se essendo mite lo stimolo, leggera sia ancora la infiammazione, che ne succede ( n.° 37 ), e 3o Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. questa esista in una parte esterna, e però lontana dal cuore; allora 1' alterazione precedente non grave nei vasarelli della parte affetta diventa minima nei maggiori, e quasi nulla nei grandi e nel cuore; e però non succede alterazione alcuna nelle funzioni loro: ma se 1* infiammazione sia valida, oppure se attacchi qualche viscere interno onde impegni una parte, con cui il cuore ha più vicina e più importante relazione, allora 1' alterazione e 1' accrescimento morboso della eccita- bilità nel cuore stesso, e nei vasi grandi risultando notabile, farà sì, che essi risentiranno di troppo lo stimolo del san- gue, e si svilupperanno quindi i sintomi costituenti la feb- bre. Avvertasi, che mentre ho quivi tentato di spiegare, come dalle infiammazioni producasi spesso la febbre, non ho già inteso di asserire , che tutte le febbri provengano da flem- massìe : vedremo fra poco, e l'esperienza lo dimostra, che succedono frequentissime febbri senza flogosi. Così alloiv quando nel ( n.° prec. ) ho procurato di spiegare, come da cause irritative si eccitano tante volte infiammazioni, non ho già preteso, che da tutte le potenze irritanti si produ- cano flemmassìe : i purganti, per esempio, irritano la mem- brana interna degli intestini, gli emetici quella dello stomaco; eppure sì gli uni, che gli altri, mentre siano miti, non pro- ducono punto infiammazione. 3q. In conseguenza della confusione erroneamente ( 3.° n.° 3a) fatta insieme con Brown dai Medici moderni della forza stimolatrice ( n.° ao ) con la esaltante ( n.° 3i ), e però della controstimolante ( n.° 14 ) con la deprimente ( n.° 3i ), non poteva considerarsi, che le sostanze, e le po- tenze deprimenti fossero ancora stimolatrici, ossia pei (n.'a, ao) che producessero nelle parti, alle quali fossero applicate, alcuna o contrazion muscolare, o modificazione nervea in- ducente sensazione, ec; ma appunto perchè 1' indicata con- fusione non ha luogo ( 3.° n.° 3a ), la cosa non è così, e continuamente lo dimostra la pratica osservazione. Esistono bensì potenze deprimenti, come per esempio, una piccola Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 3i porzione dell' acqua coobata delle foglie del Lauro Ceraso, una detrazione sanguigna, le quali senza produrre alcuna o sensazione o contrazione nelle fibre muscolose, diminuiscono nell'universale la vitalità; ma esistono ancora moltissime altre potenze, le quali alla deprimente uniscono la forza stimolante, o la irritativa: per esempio il Tartaro stibiato, mentre o per se stesso, o per la sensazione nauseante die cagiona, abbatte 1' universale, eccita poi nelle fibre musco- lari dello stomaco il movimento antiperistaltico ; tanti rimedi purgativi deprimono, anche indipendentemente dalle evacua- zioni, la macchina, e provocano nel tempo stesso ad un maggior moto peristaltico gì' intestini. Molti inoltre fra i veleni acri e corrosivi sono contem- poraneamente e irritanti e deprimenti. Sotto l'azione di fatto di simili sostanze ingojate, mentre i polsi s' impiccoliscono e si abbattono, si producono deliquj, le forze universali van mancando, e tutti si producono i sintomi della più grande ipostenìa generale ; nel ventricolo poi e negli intestini oltre i dolori vivissimi, i vomiti, le diarree, si risvegliano grandi ed estese infiammazioni, le quali passano alla gangrena con una sollecitudine sorprendente. Né dobbiamo prenderci me- raviglia, se vendiamo effettuarsi e dilatarsi una flemmassìa o 7 co nel tempo stesso, nel quale 1' universale si trova in sommo abbattimento : per questa ultima cagione è vero, che il san- gue deve circolare con poca forza, ma dirigendosi a prefe- renza verso la parte fortemente stimolata ( n.° 36 ), ad essa si recherà con forza bensì non grande, ma però a cagione della validità dello stimolo con una forza e copia molto maggiore di quella con cui portasi alle altre parti: inoltre quantunque per la forte azione deprimente del veleno sup- posto , il principio nerveo si tramandi dal celebro alle varie parti in piccola quantità e attività ( n.° 28 ), pure alla parte su della quale esso veleno esercita immediatamente la forza sua irritativa ( n.° 34) dovrà pel ( 11. ° 36) tramandarsi in copia ed energia molto maggiore cbe alle altre, dovrà quindi 3a Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. in essa aumentarsi la eccitabilità, e verranno perciò a con- traersi spasmodicamente i suoi vasarelli arteriosi. Dunque sussistendo in essa ( n.° 3j ) tutte le circostanze, che sono atte a produrre 1' infiammazione , essa si produrrà infatto : anzi in questo caso tali vasarelli quantunque molto eccitati pure restando per 1' indole deleteria corrosiva del veleno alterati nella coesione, nella organizzazione, e nella composi- zione chimica, diverranno inetti a sostenere il circolo, e fa- cilmente però sorgerà la gangrena. Può alcune fiate accadere, che lo stato infiammatorio, che vien cagionato dalla forza irritativa, sia così grande, che superi Pazion deprimente della sostanza venefica, ed allora i sintomi dipendenti dalla infiammazione appariranno violenti pel (n.° 38) anche rapporto all' universale : che se al contrario P azion deprimente sia molto forte, allora si risvegliérà, comedi sopra, P infiamma- zione, e questa fatale, ma per la valida depression generale le forze saranno mancanti, ed i polsi saranno sempre pic- coli, abbattuti, ed insieme per lo stimolo propagato al cuore ( n.° 38 ) frequenti, celeri, e febbrili. Per esempio neh' acido arsenioso le due soprannotate forze appariscono evidentemente. Se questo potentissimo veleno venga esibito in pezzetti grossi, esso in allora non affettando che pochi punti dello stomaco, e non potendo perciò sopra P estesa espansione de' suoi vasi minimi abbastanza sollecitamente spiegare l'azione irritativa, può non produrre ivi ( Orfila Tratt. dei Veleni T. I.°, Art. II.0 ) infiammazione, e frattanto con i sintomi di abbattimento vi- tale produrre subitaneamente la morte. Che se quest' acido venga ingojato ridotto in polvere, o sciolto in un fluido, allora mentre agisce deprimendo, potendo col diffondersi entro lo stomaco, spiegare eziandio la forza irritante sopra P indicata espansione de' vasarelli, insieme col generale ab- battimento, produrrà nel ventricolo violentissima flemmassia e gangrena. I dolori, e quelli specialmente delle parti membranacee , e delle parti ove abbonda la sostanza nervea, possono con- Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 33 siderarsi essi pure e stimolanti e deprimenti : imperciocché da qualunque cagione siano essi eccitati promuovono age- volmente, e la esperienza lo dimostra, contrazioni spasmo- diche e ilogosi nella parte, sulla quale hanno sede; e frat- tanto producono piccolezza dei polsi , deliquj , ed univer- sale depressione delle forze. Il principio nerveo, ed il sangue richiamati al luogo addolorato e però irritato, in copia e con forza maggiore del naturale ( n.° 36 ) potranno in esso effettuare la flemmassìa ( n.° 37 ): non potendo poi questi principii affluire alle altre parti, che assai scarsamente, sì per (pianto si è detto nel ( n.° 36 ), sì perchè sotto la vio- lenza del dolore, e la delicatezza, o la moltiplicità dei nervi che ne vengono attaccati, il cervello entra in una specie di spasmo e di corrugamento, per cui non è più atto a traman- dare alle altre parti esso principio che in piccola quantità, e con poca forza. La gangrena, e quella specialmente delle parti ora con- siderate, ha una validissima forza deprimente ; e ciò evidente- mente si prova e pei sintomi che accompagnano tal gangrena, e pei- la morte sollecita e impensata che la segue, quan- tunque la parte gangrenata non sia immediatamente essen- ziale alla vita. Tom. I. 34 Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. PARTE III. DELLA DIATESI, E DELLE MALATTIE IPEBSTENICHE , ED IPOSTEIUCHE. 4o. JL/a quanto si è detto nel ( n.° 2,9 ) sappiamo, che per l' azione delle sostanze esaltanti aumentasi il vigore della macchina, perchè si accresce 1' attività cerebrale, e quindi il principio nerveo, ed il sangue vengono spinti in copia ed energia maggiore alle varie parti. Il contrario accade sotto 1' azione delle potenze deprimenti. Questa proprietà o legge porta delle conseguenze, e soffre delle variazioni, le quali è troppo necessario, che conosciamo, e le quali perciò andremo presentemente esponendo. 4-1. Suppongasi, che una o più potenze esaltanti vengano per lunga pezza applicate alla macchina supposta prima in istato di salute. In questo caso pel ( n.° 29 ) si porteranno per molto tempo alle varie parti il principio nerveo, ed il sangue in copia, e con energia maggiore dell' ordinaria: ma questi principi oltre il contribuire alla eccitabilità, ed alla vitalità delle parti medesime ( i.°, a.0, n.° 2,5, n.° 28) servono ancora a recarvi il nutrimento, ed a conservarvi perciò la chimica composizione delle particelle elementari, 1* intima organizzazione e la coesione. Dunque agendo essi principii per la ipotesi troppo a lungo, troppo energicamente ed in copia troppo grande, non potranno i risultati delle loro azioni, ossia la coesione, l'organizzazione intima, la chimica composizione, e la eccitabilità delle parti conservarsi natu- rali. Ora queste parti, per esser divenute così alterate, è chiaro che non potranno, se non se in un modo alterato e però non normale, corrispondere agli stimoli proprii. Dunque Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 35 da questa corrispondenza viziosa risultando eccitamenti vi- ziosi, anche le funzioni rispettive (n.° 20) diverranno viziate, 8 si avrà quindi malattia. Siccome poi per essere le potenze applicate esaltanti, può stabilirsi, o almeno è assai probabile, che le alterazioni delle proprietà precedenti siano in più, e che la vitalità che ne dipende ( n.° a5 ) risulti maggior del dovere, perciò potremo almeno con molta probabilità asse- rire, che la infermità, la (piale spiegasi in questo caso, sia d' indole iperstenica. 4^. Se le potenze applicate, come precedentemente, in vece di essere esaltanti siano deprimenti, vedesi, che do- vranno accadere inversamente effetti simili, e però che il male, che quindi risulterà, sarà, almeno assai probabilmente di natura ipostenica. 43. Quanto più forti, di maggior numero, e per tempo più esteso avranno sulla macchina agito le potenze nocive ( n.' 41? 4a )' tanto più valida e pertinace, è chiaro, che do- vrà risultare 1' indicata alterazione dei solidi, e tanto però più difficile a vincersi la malattia corrispondente. 44- Di mano in mano, che si va formando il precedente vizio dei solidi, ancora i fluidi, l'elaborazione dei quali da quelli dipende, dovranno a poco a poco viziarsi essi pure. Potrebbe accadere ancora, che gli umori stessi o per troppa abbondanza, o per soverchia scarsezza, o per altra altera- zione, per quella per esempio, che in essi viene indotta da qualche sostanza inaffine, come di un miasma, introdottasi pei vasi inalanti, o da un principio passato per eredità, ec, agissero inconvenientemente sopra i solidi ; e questi allora si depraverebbero dipendentemente da un vizio dei fluidi preesistente. In amendue frattanto i casi si avrà nello svi- luppo della malattia sì nei fluidi, che nei solidi deprava- zione. 45. Supponghiamo, che in due soggetti diversi agiscano, come nei ( n.' 4.1, ^2) le medesime cause esaltanti o depri- menti. In conseguenza dell' azione di queste dovendo nei so- 36 Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. lidi di entrambi alterarsi eccitabilità, nutrimento, coesione, composizione elamica, ed intima organizzazione ( n.° 41 )■> può accadere, che in uno di loro rimanga alterata più una di queste proprietà, e nelF altro più un' altra, e ciò a ca- gione delle varie disposizioni del sistema loro nervoso, del sanguigno, e delle altre parti solide: ma secondo la varia- zione delle esposte proprietà deggiono evidentemente diversi- ficare anche le corrispondenze dei solidi agli stimoli. Dunque per questa diversità di corrispondenza dovendo variare ezian- dio gli eccitamenti rispettivi ; vedesi quindi come succeda , che le medesime cause morbose esaltanti o deprimenti pos- sano in due diversi soggetti dar luogo a variazioni diverse negli eccitamenti , e però produrre malattie e sintomi diffe- renti. Queste variazioni, che abbiamo ora osservato poter succedere in due soggetti, potranno accadere ancora in un soggetto medesimo in tempi diversi, giacché una stessa parte della macchina può in un tempo trovarsi in una certa dis- posizione, ed in altro in una disposizione differente. 46. Potendo in uno stesso soggetto le varie sue parti essere variamente disposte a ricevere le azioni del principio nerveo , e del sangue mossi o frenati rispettivamente dalle cause esaltanti o deprimenti ( n.' 2,9, 3o ) ne segue, che a norma di simili disposizioni potranno sotto le medesime cause svilupparsi nelle differenti parti diversi gradi e maniere di- verse d' iperstenìa, o di astenìa. Anzi potendo succedere, che per una causa irritante, o per una suscettibilità agli stimoli eccessiva già preesistente in una data parte, il prin- cipio nerveo ed il sangue si portino ad essa in gran copia (n.°36), mentre ad un'altra parte non si recano che in quantità ed energia minore del dovere, e ciò per una pree- sistente inattività de' suoi nervi e vasi; ne segue, poter essere, che in un soggetto medesimo una delle sue parti sia affetta d' iperstenìa, ed un'altra nel tempo stesso d' iposte- nìa. Può ancora accadere, che mentre 1' universale ossia la massima parte della macchina ( n.° 7 ) trovasi in diatesi ste- Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 3? nica, una sua porzione determinata sia in istato ipostenico, e viceversa; imperciocché se , essendo già i vasi ed i nervi di quest'ultima porzione di pochissima attività, agisca siili' uni- versale una causa esaltante, può benissimo succedere, che mentre si produce iperstenìa generale , la vitalità della parte figurataci per la supposta inattività de' suoi nervi e vasi resti esaltata così poco, che rimanga sempre al di sotto della naturale, e però che essa parte resti in istato iposte- nico. Può in egual modo aver luogo il caso contrario. 47- Ho detto di sopra nei (n.' ^i , fo) potersi stabilire almeno con grande probabilità, che dall' azione delle cause esaltanti si producono malattie steniche, e dalle deprimenti infermità iposteniche. Questa proposizione potrebbe credersi falsa, perchè sotto 1' azione di certe cause deprimenti, come sono il freddo, il terrore, alcuni veleni, si osserva svilup- parsi non rare volte morbi iperstenici. Ma si rifletta, che tale proposizione suppone, che le cause precedenti la malat- tia e proegumene e procatartiche siano tutte puramente esal- tanti, o puramente deprimenti, die se non abbiano tutte 1' indole supposta , o se all' azione loro deprimente od esal- tante uniscasi qualch' altra azione; allora concediamo benis- simo, che a causa deprimente possa succedere morbo iper- stenico, e viceversa. Di fatto se in primo luogo abbiano agito in una macchina due cause morbose, una delle quali sia valida ed esaltante, e la seconda di minor forza e depri- mente ; in tal caso potrà benissimo prodursi una malattia stenica; e se frattanto il Medico non abbia potuto conoscere, che la seconda di queste cagioni, allora potrà egli essere indotto a dichiarare la infermità che osserva, iperstenica da causa deprimente ; ma vi sarà indotto erroneamente. Se in secondo luogo alla forza esaltante o deprimente di una causa morbosa uniscasi un'altra forza, che produca nella macchina un' altra alterazione, per questa alterazione nuova potranno prodursi sintomi opposti a quelli, che dovrebbero risultare per la sola forza esaltante o deprimente della causa. Molti 38 Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. tra i veleni corrosivi unendo alla forza deprimente la irrita- tiva ( n.° 3() ), in conseguènza di questa seconda, e di una speciale disposizione della macchina possono non rare volte, come si è osservato nel citato ( n.° 3g ) risvegliare sintomi iperstenici. Così unendosi nel freddo all' azione deprimente l'altra di addensare, e restringere e solidi e fluidi, potrà a cagione di questa seconda in molti soggetti, e in molte cir- costanze accadere, che dall' applicazione del freddo sorgano febbri acute, ed infiammazioni. Che il freddo goda dell' in- dicata proprietà di restringere, come ha il calore quella di dilatare, lo dimostra la continua esperienza in tutti i corpi, né havvi ragione, per cui se ne debbano escludere i corpi animati: anzi è forse per questa ragione sopra tutte le altre, che è necessario alla macchina vivente il calore a quel tal grado, per cui si costituisce il calore animale, perchè esso dona allora ai solidi quella tanta mollezza, ed agli umori quella tanta fluidità, che sono necessarie alla loro vicendevole azione, ed all' esercizio delle varie funzioni. E per 1' accen- nato restringimento, che si spiegano quei fenomeni, che alla prima applicazione del freddo alla superficie esterna della macchina sappiamo accadere. Restringendosi essa di fatto con forza, le papille nervee, che abbondantemente esistono sulla cute, deggiono rimanere altre compresse, ed altre stirate, e quindi si ha quel senso di molestia e di dolore, che accom- pagna il freddo, producendosi e propagandosi a tutta la pelle ed all'universale quest'irritamento delle predette papille, diverrà quella arida ed anserina, si ecciteranno in questo tremori e scuotimenti. Per 1' indicata azione astringente le estremità inoltre e le altre parti del corpo si impiccoliscono , e i vasarelli minimi corrugati impediscono o ritardano per essi il libero corso del sangue, onde risulta il pallore, ed il freddo si accresce. So, che alcuni non riconoscendo nel freddo, che la forza deprimente, vogliono, che per essa i vasarelli divengano inattivi, e per questa inazione diventati essi incapaci al circolo, il sangue più non li penetri, e che Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 3g quindi succedono i fenomeni sovraesposti. Ma se per la sup- posta applicazione del freddo non fosse accaduta in questi minimi vasi, che una semplice mancanza di azione, essi appunto per una tale mancanza non potrebbero presentare resistenza alcuna al sangue sospinto dal cuore e dai vasi più grandi, e da questo perciò si lascerebbero penetrare; non potendo in seguito per la medesima inattività promuo- vere il corso ulteriore di questo sangue penetrato, e che seguita a penetrarvi, dovrebbero dal medesimo che non pro- gredisce più innanzi, o progredisce lentamente, rimanere assai dilatati : ma se i vasi minimi sanguigni di una parte sono eccessivamente dilatati per sangue contenutovi, essa parte deve apparire assai e turgida e rossa, e per nulla corrugata. Dunque questi sintomi essendo affatto opposti a quelli, che provengono dalla prima applicazione del freddo, ne segue esser falso, che per questa applicazione succeda soltanto la inattività dei minimi vasi. Vero è, che molte volte manifestasi sotto del freddo un color livido nelle labbra, nelle ugne ec. , ma si rifletta, che questo colore non potendo provenire punto dal sangue arterioso, perchè allora non sarebbe già livido, ma rosso florido , né dipen- dendo dall' arterioso e dal venoso insieme , perchè allora si avrebbe un rossor naturale, dovrà dipendere solamente dal sangue venoso, e servirà perciò a provare P indicato restringimento; di fatto non potendo per cagion di esso pas- sare il sangue dai minimi arteriosi ai vasi minimi venosi, non potrà neppure spingere innanzi il sangue in essi con- tenuto, e questo perciò ritardatosi nelle parti, ove i va- sarelli sono più apparenti, come nelle labbra, sotto le unghie, produrrà il color livido. Durante il freddo, il sangue, il quale per l'esposto re- stringimento de' vasi minimi più non li penetra, si accu- mula di necessità nei vasi maggiori, e nel cuore, ed i prin- cipii costituenti la traspirazione non potendo escire per le porosità della pelle già chiuse, rimarranno ad imbrattare, 4-0 Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. ed a rendere più irritanti gli umori. Ora se cessi o si dimi- nuisca il freddo esterno, comincieranno i vasarelli e la cute a perdere l'esposto stato di restringimento; nel tempo stesso il sangue e per la copia accresciuta, e per la traspira- zione soppressa fatto più stimolante irrita validamente e i vasi e il cuore ; a questo ed a quelli affluisce perciò in maggior quantità il principio nerveo ( n.° 36 ), e per amendue queste ragioni aumentandosi notabilmente 1' azio- ne del cuore e dei vasi , e contraendosi essi per conse- guenza con frequenza, celerità e forza più grande dell'ordi- naria, spingeranno in corrispondente modo il sangue ai vasi minimi non più ristretti. Quindi comparirà di nuovo, e non ostante 1' azion deprimente del precedente freddo si aumen- terà oltre 1' ordinario il calore universale , il rossore , ed il turgore della pelle ; i polsi appariranno frequenti , celeri , e febbrili ; e se la persona sia per precedenti ragioni predi- sposta in qualche sua parte alla flemmassìa ; ivi per lo sti- molo portatovi dal circolo accresciuto, e dai principj della traspirazione, potrà benissimo prodursi la infiammazione. Avendo così il terrore, oltre l'azione sopra il sistema gene- rale dei nervi, un' azione speciale sulla superficie del corpo, per cui questa si corruga, ed i minimi suoi vasi si restrin- gono ; quei fenomeni, che abbiamo ora osservato provenire dal freddo, possono eziandio succedere ad uno spavento. Vedesi pertanto, che negli esposti esempi I' iperstenìa , che tien dietro alle supposte cause d' indole deprimente, non dipende da quest' indole, ma proviene o da qualche altra forza di cui son fornite esse cause, o da qualche altra ca- gione d' ìndole esaltante ; e concluderemo perciò la verità della sovraesposta proposizione. 48. Allorché per Y applicazione dello stimolo suo proprio una parte muscolare si contrae, per esempio il cuore al contatto del sangue, osservo, che dal principio fino al com- pimento della contrazione deve scorrere un certo tempo. Ora è chiaro, essere questo più o meno breve, secondo che più Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 41 o meno sollecitamente la parte supposta risente e ubbidisce all' azione dello stimolo ; ma il risentimento di quest' azione procede dalla eccitabilità ( n.° ao ), e la eccitabilità nei mu- scoli dipende dal principio nerveo misto alla sostanza carnea ( n.° 2,7 ); dunque potremo stabilire, che tanto più sollecita sarà la contrazione muscolare, quanto nel muscolo è mag- giore l'eccitabilità, e maggiore 1' esistenza, e l'afflusso deli' esposto principio. Per la ragione stessa ( n.° 2.7 ) (pianto è più abbondante e più pronto ad agile questo principio, e però più viva la eccitabilità, tanto più pronte ancora ri- sultar deggiono, come risultano infatti, nell'anima le sensa- zioni, le affezioni, e la immaginazione. Ma questa sola sol- lecitudine di contraerei nei muscoli, di risvegliare rapporto ai nervi la sensazione, indica essa iperstenìa? rispondo che nò. L' aumento infatti della vitalità, che costituisce lo stato iperstenico ( n.° 24 ), pel ( n.° a5 ) dipende non solo dalla quantità, e dall' afflusso del principio nerveo, ma dall' altro eziandio del sangue, dal nutrimento, dalla coesione, dalla composizione chimica , e dall' intima organizzazione delle parti, e 1' esposta vivacità o sollecitudine possiam dire di- pendei'e soltanto, o almeno principalmente, dalla prima delle condizioni notate nel ( n.° a5 ). Dunque la vitalità dovendo procedere ancora dalle altre , non potrà il suo aumento , e però F iperstenìa (n.0a4) venire indicata dalle sole poc'anzi accennate più vive e più pronte azioni nervee e muscolari. Ciò stesso ci viene dùnostrato dall'esperienza: nei bambini, nelle donne, specialmente isteriche, nelle persone delicate, i muscoli si contraggono con somma facilità e prestezza , sotto gli stimoli più miti; le sensazioni, le passioni, e l'im- maginazione sono quali abbiamo precedentemente indicato; e frattanto sappiamo non essere simili soggetti in quello stato di vigore, nel quale si trovano gli adulti, gli uomini, i ner- boruti, ec; e conosciamo dalla delicatezza dei loro nervi, e per la molta loro sensibilità esistere in essi molto principio nerveo, ed insieme esistere poca coesione tra le particelle Tom. I. 6 4^ Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. elementari dei loro solidi, un'organizzazione lassa, una chi- mica composizione , ed un' assimilazione delle molecole ali- mentari non pienamente perfetta. È per questo , che ■ nelle persone di poca età , nelle molli , nelle isteriche il cuore appena viene a contatto con piccola porzione di sangue, che si contrae, e produce quindi un polso celere, frequente e concitato; polso, il quale nei soggetti dell' indicata tempra infermi , o convalescenti po- trebbe indurre agevolmente in errore. È per questo , che essi sono così facilmente affetti da movimenti convulsivi : imperciocché per poco che sotto una causa qualunque, per esempio , di un patema , affluisca una ulterior quantità di principio nerveo ad una , od a più parti , o vi affluisca ir- regolarmente ; crescendo allora in queste parti già troppo sensibili l' eccitabilità , gli stimoli anche ordinarj divengono per esse troppo forti, divengono potenze irritative (n.° 34), e risultano quindi movimenti abnormi , ossia convulsivi , e contrazioni spasmodiche : lo stesso potrà accadere anche al- lorquando , restando nelle citate parti la medesima azione nervea, e però l' eccitabilità , si aumenti al contrario lo sti- molo , e quindi è , che si risvegliano facilmente convulsioni , allorché troppo sangue circola nei vasi dei sovraindicati sog- getti , allorché s' introduce nel loro ventricolo troppo cibo ec. È per questo infine , che in somiglianti persone le cause benché non gravi , che son capaci di eccitare qual- che passione , o di animare la immaginazione , posson pro- durre effetti gravi , e valide convulsioni. Inoltre 1' esperienza ci dimostra , che gli adulti a pre- ferenza dei fanciulli , gli uomini a preferenza delle donne , e le persone ben nutrite e muscolose sono atte a superare più valide resistenze , a produrre quantità di moto più gran- di, e perciò si considerano , e sono più vigorose. Ora nei solidi di questi ultimi esiste molta coesione , un' organizza- zione compatta , il grado di animalizzazione più forte , ed il sangue si trova più elaborato , e più stimolante ; e frattanto Memoria del Pkof. Paolo Ruffini. 4^ la niuna delicatezza di somiglianti soggetti , e la poca loro sensibilità ci dimostrano in essi il principio nerveo non troppo mobile e copioso. Dunque concluderemo di nuovo, che non dalla mobilità, e dalla sovrabbondanza del princi- pio nerveo, ma bensì da tutte le ora esposte proprietà di- pende il vigor delle parti. È anzi per 1' accennata non troppo grande attività dell' indicato principio , che il cuore delle persone robuste risente soltanto lo stimolo di una notabile quantità di sangue, e lo risente non troppo sollecitamente, onde si contrae con lentezza e raramente , e cagiona così un polso raro, lento e non concitato; ed è per la ragione mede- sima , che le persone ora supposte vanno poco o nulla sog- gette a moti convulsivi , ed alle spasmodiche contrazioni. 4q. Se , come abbiamo osservato nel precedente (n.° 48) può il polso divenir frequente , celere e concitato , possono muoversi valide convulsioni e contrazioni spasmodiche, pos- sono eccitarsi sensazioni vivaci in persone dotate di poco vigore ; e se le contrazioni dei muscoli , e le modificazioni dei nervi , che dan luogo agli accennati fenomeni , costitui- scono gli eccitamenti (n.°ai); ne segue aversi non pochi casi , ne' quali possono gli eccitamenti apparire più grandi del dovere, mentre la vitalità ne è minore , e quindi la macchina si trova in istato ipostenico (n.°a4); e potranno così viceversa aversi eccitamenti men validi del dovere in una diatesi iperstenica. Quindi apparisce come ancora dopo le grandi emorragie possono manifestarsi valide convulsio- ni (n.°6) dipendendo queste da un irregolare afflusso del principio nerveo ai varii muscoli; ed apparisce , come vice- versa si produca nelle infiammazioni la stitticità (n.°ó) pro- venendo questa dal corrugamento dei vasarelli minimi e delle fibrille muscolari degli intestini, corrugamento, che producesi dallo stato attuale d' irritazione , o per consenso ; e per cui vien tolto o diminuito il moto peristaltico degli intestini stessi , e scemata la escrezione degli umori en- terici. 44 Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. 5o. Suppongasi, che per le cagioni poste nei ( n.; 41 5 4^) vengasi a produrre in una macchina animale la diatesi iper- stenica 0 Fipostenica. Per l'azione di queste cause dovranno pei citati (n.i4I54a) alterarsi le proprietà ivi indicate, e alterarsi a norma dei ( n/ 43, 4'^ 4^ )• Ora dalla continua esperienza sappiamo, essere tal macchina costrutta in modo, che possono e i solidi e gli umori suoi soffrire certi gradi di alterazione , senza che deviino dallo stato normale gli eccitamenti e le funzioni , e senza che perciò si spieghino malattie; ed è anzi per questo, che si dice aversi dalla sa- nità una certa latitudine. Dunque sebbene si producano dalle cause supposte nelle parti e fluide e solide i vizj ac- cennati, pure nei primi tempi non apparirà infermità alcuna, e comparirà questa soltanto tosto che tali vizj giungono ad oltrepassare i gradi indicati. Quel primo stato della macchina, nel quale le esposte alterazioni esistono bensì, ma non sono giunte a tal grado , onde produr malattia , dicesi stato di disposizione , o di opportunità a questa. Tanto però nell'e- poca della disposizione , quanto nello sviluppo della malattia si avrà nella presente supposizione dipendente dalle cause rispettive la diatesi stenica od astenica. 5i. Supponghiamo , che le alterazioni accennate nei ( n.! 41 5 4a ) giunte siano a quel grado ( n.° 5o ) , onde gli eccitamenti e le funzioni corrispondenti non più si esegui- scano naturalmente , e quindi abbiasi malattia. Risultando questa congiunta frequentemente con febbre , sarà bene che facciamo qualche breve considerazione sopra questo impor- tantissimo , e quanto comune altrettanto oscuro fenomeno , e la facciamo specialmente per quanto riguarda il nostro oggetto , cioè l'apporto all' indole sua diatesica. Osservando i sintomi , che accompagnano qualunque febbre , ognun sa potersi stabilire la sua sede nel sistema irrigatore sanguigno, e potersi dire , che a febbre sviluppata esiste sempre o as- solutamente , o relativamente allo stato attuale dell' infermo un accrescimento di circolo. Ora simile accrescimento , ossia Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 4"> la frequenza , e la celerità assolutamente o relativamente più grande, con cui il cuore, ed i vasi si contraggono, succedono, o perchè si voglia accresciuta l'eccitabilità del cuore e dei vasi, o perchè vogliasi aumentata nel sangue la forza stimo- latrice, o perchè in fine si vogliono accresciute amendue queste forze. Ciò dunque essendo suppongasi in primo luogo, che la febbre dipenda dalla prima delle cagioni ora esposte , cioè dall'aumento della eccitabilità del cuore e dei vasi. Con la eccitabilità accresciuta delle parti congiungesi bensì di frequente nelF universale una vitalità maggior del dovere ( n.° a5 ) ; ma abbiam veduto nei ( n.' 465 4°% 49 ) potersene ancora congiungere una minore. Dunque allorché per l'eccitabilità aumentata del sistema sanguigno si ha feb- bre ; potrà questa risultare iperstenica nel primo dei casi ora indicati, ipostenica nel secondo. Che se con l'accennata eccitabilità troppo grande non si unisca né aumento, né diminuzione di vigore nell' universale , il che dai citati ( n.' 48, 49 ) é facile a vedersi che può accadere; allora la febbre , che si sviluppa , non sarà congiunta né con l' una , né con l'altra diatesi. Se per esempio l'accrescimento della eccitabilità nel sistema brigatore provenga dalla irritazione ( n.' 34, 35 ) o dalla infiammazione in qualche parte ( 11. ; 3y, 38 ); la febbre che ne nasce sarà iperstenica , mentre l' affezione ora supposta producasi, come nei citati (n.'34, 37) da una causa semplicemente irritante, ed il corpo si trovi ben nu- trito , vigoroso , e dotato della debita o di una sovrabbon- dante quantità di sangue. Che se la supposta causa irritativa ' abbia agito in un corpo mal nutrito, debole e depauperato di sangue , oppure se essa causa sia come nel ( n.° 3g ) ir- ritante insieme e deprimente; allora la febbre, che risulta, potrà essere congiunta con una vitalità della macchina mi- nore del dovere , e considerarsi quindi ipostenica. Sia la febbre prodotta per la seconda delle sovraesposte cagioni. Potendo in questa ipotesi essere il sangue divenuto 46 Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. più stimolante , o perchè sia diventato più copioso del na- turale , o perchè siasi prodotta cpialche alterazione nella sua composizione , siccome negli scorhutici , nei celtici, ec. ; per- chè finalmente si sia latta col sangue la miscela di un prin- cipio eterogeneo , per esempio della marcia assorbita da un' ampia piaga; osservo , che la febbre , la quale nei primi due di questi casi si manifesta è d' indole iperstenica ; per- chè 1' abbondanza del sangue , e la copia della fibrina si congiungono sempre col vigor della macchina, e le sangui- gne , ed il metodo antiflogistico possono soli in queste sup- posizioni condurre a guarigione l'infermo. Che se la febbre sia conseguenza di uno degli altri due casi ; essa allora ri- sulterà stenica , od ipostenica , o senza diatesi , secondo che la vitalità è maggiore o minore , od uguale alla naturale. La terza finalmente delle sovraccennate cagioni dipen- dendo dall' unione delle altre due produrrà febbre , la cui diatesi sarà stenica , od astenica , o nulla a nonna dei casi , e delle circostanze , che abbiamo or ora indicate. In con- seguenza poi di quanto si è detto nel (n.°44) potremo stabilire , che nelle febbri , le quali continuano a lungo , esistano sempre qualunque siano le loro diatesi , alterazioni tanto nel cuore e nei vasi , quanto nel sangue. 5a. Prendendo a considerare di nuovo V eccitamen- to ( n.° ao ) di una data parte , osservo poter questo risultare alterato non solo nella quantità , ossia nel più e nel meno , ma ancora nella qualità. Di fatto riflettendo per esempio al cuore , poiché veggo che esso viene stimolato opportuna- ' mente dal sangue , e non dagli altri stimoli , i quali agi- scono convenientemente in altri visceri , come per esempio dalla bile , che opera congruentemente su del tubo intesti- nale , dalla orina , che idoneamente esercita la sua azione sulla vescica, ec, son costretto a concludere, che il musco- lo cuore deve nell' intima sua costituzione avere una qual- che proprietà , la quale lo rende differente nella maniera di sentire dagli altri muscoli. Ora se per 1' applicazione di Memoria del Prof. Paolo Ruffini. Ln cause morbose rimane nel cuore alterata questa proprietà, producesi allora un' alterazione, la quale spiegandosi per la maniera di sentire del cuore , riguarda evidentemente una qualità, e non la quantità dell' eccitamento. Dunque quanto si è detto ora del cuore , trovandosi, che si verifica in simil maniera rapporto alle altre parti , ne segue essere general- mente vero , potere gli eccitamenti rimanere alterati eziandio riguardo alla qualità. Ciò viene confermato dall' esperienza : mentre osservo il polso valido, grande, e resistente, dico essere 1' eccitamento del cuore accresciuto ; dico questo diminuito , mentre quello mi apparisca debole, piccolo, cedente: ma se venga viziato il ritmo del polso , la sua frequenza , la cele- rità, a qual difetto dell'eccitamento del cuore corrisponde- ranno questi vizj ? non procedendo tali proprietà dalla validità , con cui il cuore si contrae ; e potendo anzi la frequenza e la celerità eccessive , o diminuite del polso , e così la sua disuguaglianza congiungersi tanto col polso troppo forte , quanto col debole , ne segue , che queste alterazioni dipenderanno da difetti nella qualità , e non nella quantità dell' eccitamento. Se per affezione del nervo ottico si veg- gono gli oggetti troppo vivaci , o troppo languidi , dirò nel primo di questi casi V eccitamento dell' occhio aumentato , lo dirò scemato nel secondo : ma se questi oggetti si veggono di un colore non proprio, se essendo per esempio tali, che naturalmente si dovessero veder rossi , si veggono per vizio della retina verdi ; allora tal vizio spetterà alla qualità , e non alla forza dell' eccitamento. Mille altri esempi si possono addurre dimostranti in egual modo potere 1' eccitamento rimanere alterato soltanto nella qualità. 53. Quando per 1' applicazione di semplici cause esal- tanti , o di semplici deprimenti si producono malattie pura- mente steniche od asteniche (n.°4i ) (n.°4a); per quanto si è detto nei (il'43, 44' ^ ■> 4*>) si vede dovere in esse anche allora accadere grandissime variazioni, e però non potersi neppure la stessa vitalità (n.° a3) , e le stesse diatesi 48 Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. stenica ed ipostenica (n.°a4) considerare rapporto ai soli gradi di grandezza. Ritenuta per esempio l' ipotesi del (n.°4-5), se nel primo dei soggetti ivi supposti resti sotto 1' azione delle cause applicate alterata per esempio 1' intima organiz- zazione delle parti più che la loro coesione , la chimica composizione , ec. ; e nell1 altro più la chimica composizione, che le altre proprietà ora esposte ; i disordini , che quindi verranno negli eccitamenti di questi due soggetti , dovranno essere affatto disparati tra loro , e il vizio della vitalità , e quindi la diatesi , nella quale si trova il primo soggetto , di- pendendo più dall' alterazione dell' organizzazione , ed il vizio della vitalità , e la corrispondente diatesi , in cui trovasi l'altro, procedendo più dalla alterazione della composizione chimica ; ne segue evidentemente , che questi due vizj della vitalità , e queste due diatesi dovendo essere fra loro diver- se per la differenza , che passa tra 1' organizzazione , e la chimica composizione , dovranno differir fra di loro per la essenza , e non per semplice graduazione. 54- Neil' esercizio di una funzione animale qualunque oltre F eccitamento , che si produce con un determinato vi- gore nelle parti solide inservienti a tal funzione ( n.° 2,0 ) , si esigono, come abbiamo accennato nel (a.0n.°ai) altri ele- menti , lo stato normale , ed il giusto complesso dei quali determina 1' esercizio naturale della funzione supposta. Dunque ogniqualvolta rimane alterato uno di tali elementi , ancorché questo non sia 1' eccitamento , né il vigore , ed ogniqualvolta sconcertato sia il loro complesso , dovendo essa funzione non più esercitarsi normalmente , ed avendosi stato morboso , allorché in una o più funzioni manchi que- sto normale esercizio ; ne segue , che potrà aversi malattia anche indipendentemente dall' alterazione nell' eccitamento , e nella vitalità. Prendendo a considerare una delle funzioni principali, per esempio il circolo, osservo, che all'esatta esecuzione di questo sono necessarie : Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 4') i .° Una determinata struttura, forma, posizione , am- piezza del cuore , dei vasi , e di tutte le altre parti , che servono alla circolazione. 2.° Lo stato normale delle parti , che circondano spe- cialmente i vasi grandi ed il cuore , onde l' azione loro non rimanga impedita. 3.° L'azione libera dei nervi, che al cuore, ed al sistema sanguigno si recano , e di quella parte dell' encefalo, dalla cpiale tali nervi provengono. 4-° L' afflusso libero del sangue, e della linfa alle pareti del cuore , e dei vasi. 5.° Una certa particolare composizione chimica, inti- ma organizzazione , coesione , ed azione nervea , per cui si costituisce la particolare eccitabilità del cuore, e dei vasi, per cui cioè esso cuore , ed i vasi risentono opportunamente lo stimolo del sangue, e non così gli altri stimoli. 6.° Lo stato conveniente di tutte quelle condizio- ni (n.°a5)j dalle quali dipende il necessario vigore. 7.0 La quantità congruente del sangue, che stimola il cuore , ed i vasi , e da questi si sospinge , e si conduce in circolo . 8.° La qualità opportuna del sangue medesimo. Ora essendo tutte queste condizioni siccome tanti ele- menti essenziali alla circolazione, se qualcuna di esse si alte- rerà, resterà viziata eziandio tal funzione. Dunque non ri- guardando tali elementi il solo vigore del cuore e dei vasi , e il solo loro eccitamento , ne segue , che non dalla sola alterazione dell' eccitamento e della vitalità dovranno dipen- dere i vizj tutti della circolazione. Vero è , che le alterazio- ni riguardanti le condizioni i.'e 2,.' non fanno che costituire malattie locali ; ma vero è altresì , che queste quantunque parziali , pure sono frequentemente gravi ; di più , influiscono nell' universale , e spesso ne dipendono ; ed è vero , che le alterazioni delle condizioni 7.* e 8.* riguardano anch' esse tutta la macchina; e possono, come si è riflettuto nel (n.° 44)5 Tum. L 7 5o Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. accadere indipendentemente da vizj preesistenti ne' solidi ; e quando ancora ne derivassero , possono poi sussistere in se- guito insieme con essi , od essendo essi cessati. 55. Dall' esperienza sappiamo , che esistono non poche sostanze e potenze , le quali oltre 1' azione esaltante o de- primente qualsivoglia ( n.° 54 ) sull' universale , ed oltre la stimolante sopra la parte , a cui sono immediatamente ap- plicate , spiegano altre azioni , le quali si dicono speciali sopra alcune parti della macchina determinate . Il vino , 1' oppio , e le sostanze tutte inebrianti , e le narcotiche di- mostrano tale azione nel cervello , le cantaridi la spiegano nelle vie delle orine , il mercurio nelle ghiandole salivari , gli emetici sullo stomaco , i purgativi nel tubo intestinale, ec. ; così per 1' affezione della collera resta specialmente alterato il fegato, per la tristezza lo stomaco, pel terrore la pelle, ec; e così dal miasma del tifo viene affetto il cervello , da quello della rosolia, e del vajuolo la cute, dall'altro della peste le glandole conglobate, ec. Alcune sostanze o potenze esistono ancora, le quali spiegano azione speciale non sopra una parte della macchina determinata , ma sopra 1* univer- sale , e tale è per esempio la Chinachina rapporto alla pe- riodicità nelle malattie intermittenti , tale il Mercurio rap- porto alla lue , tali i così detti antiscorbutici , gli antiscro- folosi , ec. 56. Tra le accennate nel prec. (n.° 55) meritano par- ticolare riflessione per la speciale loro azione le sostanze narcotiche e le inebrianti. Il vino , 1' alcool , e 1' oppio sono fra tali sostanze le più comuni , e si considerano d' indole esaltante riguardo all' universale , e rapporto all' azione loro speciale d' indole stimolante : per esse di fatto appena prese ravvivasi la macchina, le facoltà intellettuali appariscono più vivaci , e affluisce copiosa quantità di sangue al capo. Ma come succedono poi a questi fenomeni gli opposti , cioè il sopore, l' insensibilità, la prostrazione delle forze , che si osservano negli ubriachi ; e come accade , che coloro i Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 5i quali abusano di simili sostanze, s'indeboliscono a poco a poco sommamente, e illanguiditi si rianimano, ricorrendo di nuovo al loro veleno, il quale gì' indebolisce in seguito vie maggiormente ? Per ispiegare questi fenomeni, osservia- mo, che per la forza esaltante delle indicate sostanze pel (n.°2q) deve il in vello porsi in attivila maggiore, e maggior quan- tità di principio nerveo sospingere alle varie parti. Ma que- sta attività del cervello per l'azione speciale irritante del vino, dell'alcool, dell'oppio deve grandemente aumentarsi: dunque venendo da questo viscere ad effondersi alle diverse parti una quantità sempre maggiore del principio nerveo, da esso saranno sempre più animate le parti medesime, e sempre più il cerebro depauperato. In conseguenza di ciò il cuore risentendo vie maggiormente lo stimolo del sangue, lo sospingerà con forza maggiore; e questo, e per tal ragione, e per l'irritamento forte, che l'azione inebriante o narcotica effettua nel cervello , affluirà a questo viscere in copia assai grande ( n.° 36 ): i vasi cerebrali dilatati quindi notabilmente comprimeranno il cerebro circostante, il quale per la effu- sione eccessiva del nerveo principio è già indebolito , e però si susciteranno i sintomi proprj dell' apoplessia , cioè il so- pore , la prostrazione delle forze , e l' insensibilità. Frattanto col cessare l'azione della sostanza ingojata cessando ancora la forza sua esaltante e la stimolante nel cerebro , non più affluirà a questo in troppa copia il sangue , ed i vasi cere- brali non essendo perciò più dilatati , non più con la com- pressione daranno luogo ai sintomi sovraesposti , rimanendo soltanto quel dolore di capo , che è conseguenza della com- pressione preceduta. Ma il cervello pel molto principio ner- veo già dissipato poco potrà allora tramandarne alle varie parti; e diminuita quindi l'azione loro reagente, il cuore sospingerà il sangue con poca forza, onde languidi e pic- coli, da grandi e forti che erano, si faranno i polsi, e la macchina tutta si troverà indebolita. Procedendo questa di- minuzione di vigore dal depauperamento nel cervello del 5a Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. principio nerveo, è chiaro, che, sforzando coli' ingojar nuovo vino o nuovo oppio questo viscere a più viva azione ed a produrre ed a spandere nuovo principio nerveo, si rianimeranno nelF universale le forze : ma la perdita che 1* encefalo perciò soffre, e lo sfiancamento , che in esso ne succede, divengono frattanto sempre maggiori, e più diffi- cilmente riparabili; dunque la debolezza, che come disopra ne proviene, sarà sempre maggiore, e più ostinata. Ho detto, che merita riflessione 1' azione speciale delle sostanze ora in- dicate, e ciò perchè quindi apparisce, come possa accadere la così detta debolezza indiretta di Brown. Si è considerata fin qui 1' azione dell' oppio più forte bensì, ma simile a quella del vino e dell' alcool; ma esami- nando gli effetti di queste sostanze con esattezza, trovasi esistere neh' oppio un' azion' ulteriore, cioè l'anodina, la tor- pente : per essa si calmano i dolori, e questa calma non può già dedursi dall' essere 1' azione inebriante in questa droga assai più forte di quel che sia nel vino, e nell'alcool; perchè se ciò fosse, una dose aumentata di queste ultime sostanze dovrebbe far quietar quei dolori, che calma l'oppio; il che non accade, mentre poi l'oppio dato a piccolissime dosi fa tante volte cessare somiglianti dolori, senza pro- durre segno alcuno di ebrezza. 57. Queste azioni speciali ( n.° 55), come possono, quando esistono nei rimedj, apportare molto vantaggio nel- la medicatura, così esistendo nelle cause morbose , possono recare gravissimi danni, e fatali o difficili complicazioni: questo di fatto si osserva nel tifo, questo nelle infermità, le quali tra le cause loro riconoscono grave e continuato pa- tema d'animo, ec. ( n.° 55 ). I medicamenti poi, che ora si dicono dotati di azioni speciali , vedesi , altro infine non essere, che i così detti cefalici, i pettorali, gli stomachici, i diuretici, i diaforetici, ec. 58. Da quanto si è detto dal ( n.° 20 ) inclusivamente fin qui apparisce, che. Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 53 i .° Devonsi distinguere 1' eccitabilità e 1' eccitamento ( n.° 20 ) dalla vitalità, presa questa parola secondo la defi- nizione del ( n.° a3 ) ; e si deggiono distinguere le forze sti- molanti, ossia gli stimoli ( n.° 20 ) dalle forze, che abbiam dette esaltanti, o ristorative ( n.° 3i 3.°, n.° 32 ). 2.0 Essendo le forze deprimenti opposte alle esaltanti ( n.°3i ), e queste diverse dalle semolatrici ( 3.° n.° 32 ) po- trà benissimo una sostanza medesima essere nel tempo stesso stimolante o irritante e deprimente ( n.° 3o, ). 3.° Conceder si deve, che esistono le diatesi, e le malattie, sì iperste?iiche, che iposteniche ( n.° 24 ): ma que- ste quantunque essenzialmente tali, possono ricevere moltis- sime variazioni, e per la diversità di esaltamento nelle varie condizioni, dalle quali la vitalità dipende ( n." 25,53); e per le complicazioni che indur possono le località prodotte dalle azioni speciali ( nJ 55, 57 ), o dalle irritazioni (n.'S/j-, 35, 36, 3y, 38 ) delle cause morbose; e pei vizj, che si pro- ducono negli umori (n.°44)' e Per ^e alterazioni varie, che nelle diverse parti del corpo può ricevere la vitalità ( n-° 46 )• 4-° In conseguenza di quanto si è detto nel (prec. 3.°) concluder dobbiamo, e l'esperienza lo dimostra, che ancora nelle infermità essenzialmente steniche od asteniche può frequentemente risultare la medicatura lunga, difficile, e complicata; né quando sia iperstenica, tutti i deprimenti, né tutti gli esaltanti, quando sia ipostenica, potranno sem- pre, ed in egual maniera curarla. Quel deprimente od esal- tante, il quale può giovare, quando è alterata maggiormente per esempio 1' intima organizzazione, potrà non recar van- taggio, quando 1' alterazione più forte sia nella coesione, o nella composizione chimica, o nella eccitabilità delle parti. Se una malattia di diatesi iperstenica od ipostenica per la natura e la complicazione delle cause morbose risulti con- giunta con affezioni locali ; dovendo allora la medicatura avere in vista ancora le località, e le sue conseguenze, non 54 Riflessioni intorno alla Eccitabilità ec. basterà che sia solo deprimente o solo esaltante. Se la vita- lità rimanga nelle varie parti del corpo variamente alterata, potrà allora il Medico trovarsi in grande imbarazzo per le indicazioni e le controindicazioni, che gli si presentano con- temporaneamente. I vizj finalmente degli umori, dipendenti essi siano o nò dai vizj dei solidi, potendo accadere, che non vengano distrutti dall' azione di quei rimedi, i quali tendono a riordinare i solidi; è evidente, che la cura sem- plicemente diatesica non basterà allora a produrre la guari- gione: se per esempio sotto le cause esaltanti siasi prodotta una pletora , 1' esibizione di tutti i deprimenti diverrà inu- tile, se non si ricorre al salasso. 5.° Esistono eziandio malattie, nelle quali l' iperstenìa o P ipostenìa non è che concomitante ; ed altre infine se ne danno, le quali sono indipendenti affatto dalle condizioni medesime ( n." a4, 54, 5a ). In questi casi la cura semplice- mente diatesica, è chiaro, che non sarà sufficiente alla lor guarigione. 6.° Per P esercizio di una funzione è necessario, che concorrano tutti gli elementi, dai quali essa dipende (n.° 54). Ora P eccitamento ( n.° ao ) non è che uno di questi ele- menti, e al Medico osservatore presentandosi P esercizio della funzione intera, non può presentarglisi, che il risul- tato degli elementi tutti. Dunque volendo egli dai sintomi morbosi , che appariscono , e però dalle alterazioni delle funzioni, dalle quali questi sintomi procedono, ricavare qual sia il vizio dell' eccitamento, potrà dalla complicazione, e dai vizj degli altri elementi esser condotto con molta faci- lità in errore. Se a cagion d'esempio per una sovrabbondanza di sangue sia il sistema circolatorio grandemente ripieno, quantunque la contrazione, ossia P eccitamento del cuore possa esser valido, pure per la eccessiva resistenza del sangue, e per la somma distensione dei vasi, e però per vizj di altri due elementi della circolazione ( i.°, 7.0 n.° 54) il polso non apparirà né grande, uè valido. In conseguenza Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 55 eziandio di ciò potrà facilmente ingannarsi il Medico, allor- ché per la semplice osservazione dei sintomi vorrà deter- minare la qualità e il grado della diatesi, sia questa stenica od ipostenica: aumentasi poi questa facilità d' errare per quanto si è detto nei ( n.' 4-8 , 49 )• 7.0 Ma se non dipendentemente dai sintomi ( prec. 6.°), potremo poi determinare con sicurezza come vogliono i mo- derni, la natura, e il grado della diatesi dipendentemente dagli effetti, che dai rimedj esaltanti o deprimenti si pro- ducono nella macchina ? Rispondo che nò, e quanto si è detto nei ( prec. 3.°, 4-° ) 1° dimostra abbastanza. Vedesi quindi quanto sia assurdo il denominare gli esaltanti e i deprimenti diatesimetri; e quanto pericolosi i metodi di cura che a questi diatesimetri si appoggiano. 8.° Quantunque però uè le sole cause di una malattia , né i suoi sintomi soli (prec. 6.°), né i soli effetti dei rimedj ( prec. 7.* ) possano condurre il medico al conoscimento della natura della malattia medesima, ed a quello delle diatesi, pure potrà egli giungere ad ottener questi conoscimenti, mentre consideri e combini tutti insieme questi mezzi. 9.0 Scorgesi finalmente, non essere né il conoscimento, né i metodi di cura delle malattie così semplici, e facili a determinarsi, né esse cosi agevoli a guarire, come promet- tevano il sistema di Brown, e quello dei controstimolisti ; e scorgesi insieme fino a qual punto questi sistemi sian veri, e con quali correzioni e modificazioni si deggiono accettare. OSSERVAZIONI INTORNO AL MOTO DEI RAZZI ALLA CONGRÈVE MEMORIA ° DEL PROF. PAOLO RUFFINI. ,1, Ll Razzo alla Congrève , o Razzo incendiario è un cilindro di ferro fuso o battuto di lunghezza e di grossezza assai notabili , il quale è cavo internamente ; termina nella parte anteriore in un cono esso pure di ferro cavo , e tra- forato in più luoghi ; e nella parte posteriore è congiunto ad una o a due verghe destinate a mantenere 1' equilibrio e la direzione come negli altri razzi. 2. Il cavo interno del cilindro , o della teca è ripieno delle solite materie dei fuochi d' artifizio poste a strati per- pendicolari all' asse , e ben battuti. Questi strati si formano di due composizioni diverse, e si pongono nel tubo alterna- tivamente ; F una di tali composizioni nelF ardere sviluppa con celerità delle sostanze aeree gaziformi e vaporose , e forma quindi per esse una forza acceleratrice , la quale so- spinge continuatamente il razzo : la seconda composizione (*) Questa memoria fu presentata alla R. Accademia dieci giorni dopo la morte dell'Autore, cioè ai 20 di Maggio i8aa. Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 57 essendo di poca attività coli' ardere serve principalmente a trasportare il fuoco dall'uno degli strati, attivi all'altro, ed a moderare l' azione troppo repentina di questi ultimi : a cagione del loro effetto nel movimento dirò rispettivamente attivi , ed inattivi simili strati. La cavità del cono è ripiena di sostanze caparbiamente combustibili, e il fuoco di queste accese , escendo dai fori , si appicca tenacemente a quei corpi , contro de' quali il razzo viene diretto , e ne' quali s' impianta. Nella base posteriore del cilindro di ferro esiste un foro , da cui sorte il vapore acceso , e deve esso avere un'ampiezza determinata corrispondentemente alla grandez- za, alla lungbezza del razzo, ed alla robustezza delle sue pareti: se questo foro fosse troppo ampio, le sostanze espan- sili sfogarebbero di troppo , e l'azione loro si dissiperebbe inutilmente; e se fosse troppo ristretto, le sostanze espansili non avendo sfogo abbastanza farebbero facilmente crepare il razzo. 3. Per lanciare uno di simili razzi , non si fa die porlo entro di un tubo , od entro due anelli di ferro uguali paral- leli fra loro , ed aventi i loro centri in una retta poco di- stante e parallela all' asse del razzo , dando al citato tubo , o alla retta ebe unisce i centri degli anelli, e però all' asse del razzo quella inclinazione , che si crede più opportuna ; si dà fuoco nella solita maniera al razzo, e la sola forza di espansione dei gaz accesi , e dei vapori , che si svolgono entro la teca , è quella che sospinge avanti il razzo. Nel suo movimento si osserva , che esso poco dopo di essere sortito dal tubo o dagli anelli , s' innalza alquanto nella parte anteriore , e si abbassa nella posteriore , scorre neh' aria con fragore, innalzandosi fino ad un certo segno; quindi si piega al basso , volge la punta all' ingiù e scorre verso terra con tanta velocità , che in un terreno duro e compatto giunge, quando sia forte , ad impiantarsi fino alla profon- dità di tre piedi. Esso si porta ad una distanza assai nota- bile , maggiore di quella della bomba ; la teca diviene più Tom. I. 8 58 Osservazioni intorno al Moto ec. che candente , e nel tempo in cui s' impianta, accendendosi le materie combustibili , che riempiono il cono estremo , e queste accese sortendo dai fori praticati nel cono appiccano irreparabilmente il fuoco , e fanno danni gravissimi : la na- tura di queste materie fa sì , che nell' ardere si sviluppa da esse un gaz ossigene , e questo mantiene la fiamma , onde ardono, e attaccano il fuoco anche sotto terra, anche senza il concorso dell' aria atmosferica. Dalle osservazioni fatte si trova, che l'angolo dell' asse del razzo coli' orizzontale , sotto cui esso, caeteris paribus, si porta a maggiore distanza, è in- circa quello di 45.° 4. Cerchiamo ora di determinare, quali condizioni deb- bano accompagnare la formazione del razzo, acciocché abbia il movimento che si desidera, e poste le accennate condi- zioni , esaminiamo quali fenomeni presenterà esso razzo nel suo moto, e quali ne saranno le leggi. Si rappresenti dalla GF (fig-° i.') l'asse del razzo; F ne sia 1' estremo anteriore , G il posteriore , e sia O il suo centro di grandezza ossia del volume. Supponghiamo ora , che la verga, o le verghe aggiunte (n.° 1 ) e più le materie, che riempiono il cavo del cilindro facciano risultare il cen- tro di gravità di tutto il sistema , prima dell' accensione , alla parte posteriore , nel caso nostro sinistra del centro di figura O per esempio in M ; e ardendo esse materie , giacché il centro di gravità deve trasportarsi verso O , sup- ponghiamo , che oltrepassi questo punto , fino a trasferirsi , sul fine della combustione , notabilmente alla destra di O verso F, rimanendo esso costantemente sopra l'asse GF . E chiaro essere assai facile montare il razzo nella maniera ora accennata. Dalla nozione poi, che abbiamo della forza espansile dei gaz, e dei vapori , che si sviluppano nell' ac- censione della polve da cannone , è facile a riconoscersi , che , ogniqualvolta il diametro del cilindro sia grande ab- bastanza , potremo aver sempre forza sufficiente a sospingere con notabile velocità il nostro razzo , per pesante che si Memoria del Prof. Paolo Ruffini. So supponga , ed a sostenerlo nel moto. Questa forza espansi le agendo egualmente in tutte le direzioni , agirà secondo i raggi delle sezioni trasversali del cilindro , entro cui si svi- luppa ; ma le pareti del cilindro resistono tutt' all' intorno , giacché si suppongono di robustezza sufficiente ; dunque , mentre la parete per esempio sinistra viene spinta dal di dentro all' infuori , e tende perciò a muoversi in quel senso , la parete destra spinta essa pure dal di dentro all' infuori con forza eguale, tenderà a muoversi in egual modo nel senso opposto ; e distruggendosi per conseguenza reciproca- mente queste due forze , non succederà movimento alcuno. La forza medesima agirà ancora secondo 1' asse del tubo al- l'avanti, e all' indietro ; ma dalla parte anteriore essa trova ove appoggiarsi , perchè il razzo ivi è chiuso , e nella parte posteriore essa , sortendo pel foro i gaz infiammati ed i va- pori , non si appoggia a parte alcuna del razzo. Dunque , mentre la forza espansile di quelli sospinge avanti la parte anteriore di questo , non trovando resistenza alcuna nella parte sua posteriore , questo si moverà realmente verso il davanti con tanta velocità , quanta comporta 1' azione espansile unita alle altre forze , ed alle altre circostanze. Una delle circostanze rimarcabili è la resistenza dell' aria atmosferica alla sortita dei gaz, e dei vapori : questa resi- stenza alla prima accensione del razzo è massima , perchè l' aria atmosferica con tutta la sua densità naturale si op- pone allora immediatamente al foro. In seguito l' azione del calorico rende 1' aria, che circonda la parte posteriore del razzo più rara, e 1' aria stessa squarciata dalla parte an- teriore del razzo, che. vola, non può chiudersi nella parte posteriore, ove esiste il foro; tanto a cagione della velocità concepita dal razzo, quanto e molto più per l'impedimento, che presentano i gaz, ed i vapori, che ne sortono. Dunque in seguito 1' indicata resistenza atmosferica è molto minore di quel che sia stata a principio. Ora questa resistenza at- mosferica presentando un appoggio ai gaz , ed ai vapori 6o Osservazioni intorno al Moto ec. fuori del razzo, non può che rendere più attiva 1* azione loro espansile contro del razzo medesimo. Dunque tale resistenza farà sì, che sotto la prima accensione il razzo si muova con un impeto molto grande ; e quando in progresso 1' aria si è allontanata tanto dal foro per cagione della cor- rente dei gaz, e dei vapori, che la sua resistenza diretta non può comunicarsi fino ai vapori che esistono tuttavia entro la teca , allora 1' impeto del razzo si diminuisce. Ho detto resistenza diretta, perchè all' intorno 1' accennata corrente dei gaz, e dei vapori è sempre circondata dall' atmosfera, la quale premendo essi gaz e vapori, coadjuva moltissimo a mantenerli in forma di corrente, a ritardar quindi la sor- tita loro dalla teca, e però a sostenere 1' azione del movi- mento del razzo. Vedesi finalmente il perchè la teca al cadere, si trovi tanto infuocata. Entro di essa si forma continuamente l' ac- censione di un' aria tonante, di cui sappiamo quanta sia 1' attività, e quanto il calorico, che se ne sviluppa. 5. Nel nostro razzo già posto in movimento sono a con- siderarsi primieramente le forze, che a lui si applicano, ed i movimenti di progressione e di rotazione, che per esse si producono. Le forze sono evidentemente: i .° L' azione di espansione dei gaz e dei vapori , che consideriamo agire secondo GF, e verso F, come si è detto nel precedente ( n.° 4 )• a.° Il peso di tutto il sistema, che si considera rac- colto nel centro di gravità M, e agisce verticalmente dall' alto al basso. 3.° La resistenza dell' aria, la quale si manifesta so- lamente contro la superficie conica F, quando il razzo si muove nella direzione GF, e contro la superficie del cilin- dro, quella delle bacchette aggiunte, e quella del cono, quando il razzo si move in direzione diversa dalla GF. Vi sarebbe a considerarsi ancora l'attrito dell' aria; ma da que- sto prescinderemo, come da forza non molto sensibile. Memoria del Pfof. Paolo Ruffini. 6i Essendo il razzo libero entro 1' aria, ogni qual volta venga ad esso applicata qualche forza, la quale non passi pel centro di gravità M , sappiamo dalla Meccanica, doversi dal razzo concepire nell'istante, nel quale la forza si applica, un moto di rotazione intorno al centro di gravità M, e sup- posto essere NL {fig' a." ) la forza applicata, sappiamo, che risolta questa nelle due NQ, Nq perpendicolare la prima alla FG, e l' altra a seconda della stessa FG, il momento a produr rotazione sarà espresso dal prodotto NQXMN. Delle tre forze poi, che sonosi notate precedentemente, le prime due, cioè P azione espansile dei gaz, e il peso del corpo, passando pel centro M, non possono produrre 1' accennata rotazione; essa può effettuarsi soltanto dalla forza terza, cioè dalla resistenza dell'aria. Nel moto progressivo entrano tutte e tre le predette forze, ed è la prima sempre acceleratrice, la seconda è ri- tardatrice quando il razzo ascende, e acceleratrice quando discende; e la terza è sempre ritardatrice. Rappresentato con la retta verticale ME il peso del sistema intero, se si conduca da E alla GF la perpendicolare Ep, la Mp rappre- senterà quella parte di peso, che agisce in senso opposto alla forza dei vapori, quando il razzo ascende, e nello stesso senso, quando discende. Chiamiamo P il peso di tutto il sistema, E la forza di espansione dei gaz, R' la resistenza dell'aria contro la su- perficie conica nella direzione dell'asse, ed R" la resistenza dell' aria contro il corpo FG; e siccome E, ed R' sono for- ze, che agiscono diametralmente opposte, pongasi per co- modo E — R=F. Vedremo in seguito, come può cercarsi di determinare il valore delle esposte quantità. 6. Esprimasi dalla AB {fig* 3.* ) la direzione del moto, allorché il razzo sorte dal tubo, o dagli anelli, che lo diri- gono ( n.° 3 ) nel primo lanciarsi. Entro del tubo non es- sendo il razzo sollecitato a muoversi, che dalla forza E agente nella direzione dell' asse, non risentirà che la resi- 6a Osservazioni intorno al Moto ec. stenza R', e quindi nell'istante in cui ne esce, sarà animato dalla forza F ( n.° prec. ) ; ma nell' istante medesimo comin- cia ad agire la forza verticale P, la quale essendo applicata al punto M, porta il razzo a discendere verticalmente. Dunque non essendo il centro di figura O nella stessa ver- ticale col centro di gravità M, e la resistenza alla discesa dell' aria sottoposta portando la sua risultante verticalmente contro del punto O, imprimerà al razzo -un moto rotatorio intorno ad M, per cui comincierà subito, per la supposta costruzione del razzo (n.°4), ad innalzarsi la punta F, ad abbassarsi la coda G, ed a prendere per esempio la posi- zione GF. In questa situazione il punto M per la forza già impressa seguiterebbe a muoversi nella direzione AB; ma a cagione della forza F, che prosegue ad agire secondo GF, e del peso P, viene esso M spinto lungo la GF, e tende a di- scendere verticalmente. Dunque dovendo correre secondo la risultante di queste tre forze, supposto che MB' rappresenti la direzione di tal risultante, intraprenderà il suo corso lungo questa MB'. Ora alla discesa verticale del razzo, resiste sem- pre F aria sottoposta avente il centro di resistenza in O; e di più urtando esso l'aria con la superficie GF sotto l'an- golo FMB', incontra dall' aria stessa una resistenza d' ur- to, che per le esperienze del signor Professore Avanzini sappiamo avere il suo centro in quella parte del corpo GF, che precede, nel caso nostro nella MF. Dunque, supposto che ■ la verticale OD rappresenti la forza , con cui F aria spinge all' insù il nostro corpo, e supposto che in N esista il centro di resistenza d' urto, e che la NL parallela al- la MB' rappresenti tal forza; abbassate dagli estremi D,L sulla GF le perpendicolari Dr,Lq; queste Dr,Lq esprime- ranno due forze , le quali fanno ulteriormente ruotare il razzo intorno ad M con i momenti ORXOM, NQXNM, e per cui il vertice F s'innalza vie maggiormente. Divisa la retta ON in i/per modo, che OH'.HN :: NQ'.OR, ed innal- zata da H la perpendicolare HK=QR-*-NQ; poiché si ha Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 63 ORXOM-*r-NQXNM=HKXHM, la presente rotazione di- penderà eziandio dal momento HKXHM, e sarà perciò HK=Rn ( n.° 5 ). 7. Per le esperienze del lodato signor Professore Avan- zini il centro della resistenza d' urto in un fluido tanto più si avvicina al centro di gravità, cjuanto più 1' angolo d' in- cidenza della superficie percuotente, o percossa dal fluido, nella (^g.'3.*) l'angolo FMB\ è meno acuto, e quanto la velocità del corpo è maggiore. Inoltre cpianto più il razzo GF allontanasi dalla orizzontale, tanto minore diviene la forza OR; e finalmente proseguendo 1' accensione, tanto più il punto M si accosta ad O (n.°4)? e tanto più aumentasi la velocità. Dunque per tutte queste ragioni diminuendosi le quantità OR,MO,MN, si diminuiranno le cause producenti la rota- zione sopra esposta, e però V innalzamento del punto F. È vero, che essa rotazione dovrebbe accrescersi per l'aumento della velocità, e però della NL. Ma si rifletta, che col pro- cedere l' azione dell' aria, FG tende ad incontrare I' aria medesima ad angolo retto ; ora mentre quest' incontro fosse normale, allora il centro della resistenza d' urto per le ci- tate esperienze di Avanzini caderebbe in O, e però avreb- besi NO=o, dovendo in seguito il punto M portarsi alla destradi O (n.°4), il che se accadesse, non solamente non coadjuverebbe la rotazione della punta F all' alto, ma la rovescierebbe come vedremo fra poco. Riflettendo finalmente alla resistenza, che presenta 1' atmosfera ai gaz, ed ai vapori, che escono dal foro della parte posteriore del razzo (ii."4); vedesi, che quando si è stabilita la corrente dei gaz e dei vapori, allora, venendo questa corrente premuta tutt'all'intorno dall'atmosfera (n.°4)-> ed avendo una velocità somma, incontrerà dall'aria laterale una resistenza, e questa comunicandosi per mezzo dei vapori continuati al corpo del razzo farà sì, che verrà impedita o almeno diminuita tutta quella rotazione, che doveva proce- dere dal momento HKXHM ( n.° prec. ). 64 Osservazioni intorno al Moto ec. 8. Dalle osservazioni dei due ( n.1 prec' ) apparisce il perchè il razzo al suo sortire dal tubo, mentre abbia la punta F volta all' insù debba da prima innalzarsi con la punta medesima, e abbassarsi con la coda, rotando intorno al punto M, ed il perchè debba poi tale rotazione diminuirsi. 9. Proseguendo innanzi l'accensione, il centro di gravità M non solamente arriva a coincidere col centro di figura O, ma lo oltrepassa, e s'avvia verso F ( n.° 4 )• Dunque mo- vendosi ancora verso N, ne segue, che giunto il punto M, come nella {fig-"4-') a^a destra di O, col seguitare a scor- rere, crescerà sempre più la retta OM, si diminuirà la MN, e potrà lo stesso M coincidere con N , e portarsi ancora alla sua destra. Il momento per conseguenza OR. Xif/O (n.° 6), ove OR è costante, per essere costante il volume del sistema, a cagione del successivo aumento della OM anderà sempre crescendo, e l'altro MNY^NQ a cagione del successivo di- minuirsi della MN fino a poter divenire MN=o, si dimi- nuirà fino a potere scomparire : ma la rotazione dipendente da questi due momenti deve farsi sempre intorno ad M, ed il momento ORX031, per essere M alla destra di O, tende presentemente a far abbassare la punta F, ed innalzare la coda G. Dunque dovendo risultare OR^OM non solamente maggiore, ma molto maggiore di MNX.NQ; ne viene che 1' accennato abbassamento della punta, ed innalzamento della coda del razzo dovrà infine accadere; anzi allorquando il punto M si portasse alla destra eziandio di N; allora ten- dendo anche il momento MiVX NQ a produrre lo stesso rove- sciamento, che tende a produrre l'altro ORXOM, esso succe- derebbe più rapidamente. E vero, che a questo rovesciamento può opporre qualche impedimento la resistenza che risente la colonna dei vapori, e dei gaz dall' atmosfera circondante ( n.° 7 ); ma essendo i vapori, ed i gaz mobilissimi per tutti i sensi, e non formando un tutto solido con la teca del razzo, non potranno neppure giungere ad impedire l'esposto cangiamento di rotazione. Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 65 io. Snpponghiamo che, in conseguenza della continua- zione della t'orza F, il razzo abbia seguitato sempre ad ascen- dere ; che essendo venuto il punto M alla destra di O siasi già cambiata la rotazione ( n.° prec. ); che a cagione di questo cangiamento, discendendo la punta F, ed innalzan- dosi la coda G abbia il razzo primieramente presa la posi- zione della (fig.° 5.* ), poscia l'orizzontale (fig* 6.*), in seguito l'altra inclinata al basso della (fig.° 7.' ) , e che in queste posizioni, per le forze già impresse, tenda esso nel suo moto progressivo tuttavia ad ascendere nella direzione MB' . Finché il razzo ascendeva progressivamente, e la sua punta F nel tempo stesso per la rotazione s'innalzava, allora, come ap- parisce nelle (fig.° 4-\ 5.*), le direzioni MB' dovevano sem- pre rimanere al disotto dell'asse MF; ma tosto che la pun- ta F comincia, per la rotazione intorno ad M rovesciata, ad abbassarsi ; seguitando la direzione BIB a scorrere per la ipotesi dal basso all'alto, l'angolo B' MF diverrà minore, anderà quindi sempre decrescendo fino a diventare zero, e finalmente la MF passerà al di sotto della MB', come nelle [fig." 5.", 6.*, 7/ ). In questi successivi movimenti, accostan- dosi, nelle (fig.' 4-% 5.*, 6.° ) la GF viemaggiormente all'o- rizzontale fino a divenirlo ; la OR anderà in corrisponden- za sempre più crescendo fino a diventare = OD (fig-° 6.*); e nel tempo stesso cresce OM ( n.° 9 ). Dunque il momento ORY-OM crescendo per l'aumento contemporaneo di amen- due i fattori, crescerà notabilmente, e agirà però notabil- mente, onde far vieppiù rotare la punta F del razzo dall' alto al basso. Ma diventando l'angolo B' MF [fig-a 4" ) sempre più acuto, è chiaro, che diventa sempre più acuto eziandio 1' angolo LNM, posciachè NL esprime oltre la grandezza anche la direzione della resistenza dell'urto dell'aria (n.° 6); dunque per questo impiccolimento dell' angolo LNM, e per le esperienze di Avanzini dovendo il punto N portarsi nuo- vamente verso F, si trasferirà nuovamente alla destra di M3 se mai si era trasferito alla sua sinistra ( n.° 9 ), e quindi il Tom. I. 9 66 Osservazioni intorno al Moto ec. momento NQXNM se mai coadjuvava prima l'altro ORX OM nella rotazione dall'alto al basso, ora si opporrà, ponendovi ima remora : ho detto solamente mia remora , perchè il fattore NQ per l' impiccolimento dell' angolo LNM sempre più si diminuisce finché diverrà zero ; ciò accadendo quan- do MF coincide con MB' , e 1' altro fattore MN, quantun- que possa aumentarsi, pure non può mai oltrepassare MF, giacché in F esiste il termine anteriore del razzo; e per conseguenza il momento NQXNM si anderà in progresso sempre più impiccolendo, mentre l' altro ORXOM va sempre aumentandosi. il. Sia per la continua rotazione la parte MF discesa al disotto della MB' (fig.' 5.'). Appena comincia ad aver luogo questa discesa, che la forza d' urto NL comincia ad agire superiormente nel dorso del razzo, e il momento NQXNM si unisce all'altro ORXOM per accrescere la rotazione. Lo stesso seguiterà ad accadere , quando il razzo GF si pone orizzontalmente (fig.' 6.*), e quando ancora s'in- clina al basso (fig" 7-')- mentre però il moto progressivo seguiti sempre , come nella ipotesi presente^ nella direzione MB' verso l'alto, e mentre il punto N rimanga alla destra di M. Se N passasse alla sinistra di M, allora il momento NQXNM si opporrebbe all'altro ORXOM; ma accadendo tal passaggio, i due fattori NQ,NM non potrebbero amen- due che essere piccolissimi, e però sarebbe piccolissimo il momento NQXNM a ritardare la rotazione. Acquistatesi successivamente dal razzo le posizioni delle (fig-' 6.% 7.* ), poiché non avvi più alcuna forza acceleratri- ce, che lo spinga all' insù, e tanto la P, come la forza F tendono in seguito a farlo viemaggiormente discendere , ne proviene , che anche il moto progressivo dovrà finalmente farsi al basso, e la sua direzione MB' si porterà al disotto di MF, come nella (fig." 8.'). In allora anche il centro di resistenza N si trasferirà nella parte sottoposta anteriore del razzo , e mentre esiste alla destra di M, il momento Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 67 NQXNM diminuirà la rotazione, che producesi dall'altro momento ORXOM dall'alto al basso. ia. Sia MB (fig'^-') la direzione, che seguirebbe il razzo in un punto qualunque della sua discesa per le forze applicate; oltre di queste agiscono ancora attualmente la forza P verticalmente, e l'altra F nella direzione FG. Dun- que dovendo il razzo ubbidire alla risultante di queste a- zioni, prenderà un'altra via, che dico MB'. Ora questa MB' non può essere giammai verticale , perchè segna la via di una risultante, delle cui componenti una, cioè la P, è ver- ticale, e le altre noi* sono. Dunque il razzo, ancora quando incontra il terreno, dovrà incontrarlo sotto un angolo ob- b li quo. i.l Essendo gli strati, che riempiono la teca del razzo. altri attivi, ed altri inattivi ( n.° a ), è chiaro, che quando ardono questi secondi , allora la forza E ( n.° 5 ) diventando zero, o quasi zero, può considerarsi, che il razzo non si muova che per la velocità già concepita, e per la gravità; quando poi ardono gli strati attivi , allora alla velocità già ricevuta, ed a quella, che dipende dalla gravità, deve unirsi l'altra, che procede dalla espansione dei gaz, e dei vapori. Da questa disparità di azioni ne segue : i.° Che la curva descritta dal centi-o di gravità del razzo è curva discontinua , diversa essendo la legge del moto, quando esiste il valore £, da quella, quando E non esiste. Chiamati perciò A' , A'\ A"\ ec. gli archi descritti suc- cessivamente, vigente E, ed a', a",a'",ec. gli archi successivi, mancando E, la curva totale sarà=A'-t-a'-*-A"-i-a"-*-A'"-4-a'"-i- ec. , e nel passare da uno qualunque degli archi A al suc- cessivo a, e da questo al succedente A, cambiasi la legge di movimento. a.0 Durante la combustione degli strati inattivi, ces- sando, o essendo di poca attività la sortita dei gaz e dei vapori, l'aria atmosferica può nuovamente chiudersi in vi- cinanza del foro nella parte posteriore del razzo. Passando 68 Osservazioni intorno al Moto ec. in questo stato di cose l'accensione agli strati attivi, la corrente , che di nuovo si forma forte ed impetuosa dei gaz, e dei vapori, nuovamente ritrova, come da principio (n.°4) nella resistenza dell'aria posteriore un appoggio, che rende tosto assai più attiva la forza espansile contro del razzo , e che cessata in seguito la attività della forza espan- sile rendesi minore. In conseguenza di ciò si vedranno nel razzo succedersi gli acceleramenti a salti, forti al primo lor comparire, e poscia minori. Dipendentemente inoltre dall' accennata resistenza dell'aria nella parte posteriore del razzo, ogniqualvolta comincia l' accensione degli strati attivi , può accadere, che il razzo si acceleri di tanto, che esso infine percorra la sua strada più velocemente esistendo nella teca la supposta alternativa di strati attivi ed inattivi , di quello che se fossero essi tutti attivi. i4- E facile a vedersi il perchè i nostri razzi si portino, coeterìs paribus^ ad una distanza maggiore di quella che fac- ciano le bombe (n.°3). In questi abbiamo nella E una forza acceleratrice, che li sollecita continuatamente al moto, e che manca nelle bombe. Da questa medesima E vedesi ancora dipendere unitamente alla gravità la somma forza , con cui essi razzi s' impiantano nei luoghi da loro percossi (n.°3). Finalmente si osservi, che se il razzo si lancia sotto un piccolo angolo d'inclinazione, allora il centro di gravità venendo a portarsi alla destra di O (11.9), e venendo per- ciò il razzo a piegarsi con la sua punta F al basso (n.°io), pi-ima che si sia allontanato notabilmente dal suolo , dovrà ancora cadere a terra, prima di giugnere ad una distanza notabile. Se poi il detto angolo d' inclinazione sia molto am- pio, accostandosi al retto, allora potrà bensì il razzo allon- tanarsi di molto dalla terra ; ma tendendo nell' ascendere a collocarsi in una posizione verticale ( n.° 6 ), il centro di gravità si porterà al disopra tanto del centro di figura O , quanto dell'altro della resistenza d'urto N ( n.° 7 ), e per conseguenza il razzo si volgerà con la sua punta F al basso Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 69 con molta rapidità ( n.° 9 ), e formando con l'orizzontale un angolo ampio; discenderà quindi descrivendo una curva estesa in altezza, ma ristretta sulla base , e però anche in questo caso la distanza , a cui esso giungerà sopra il ter- reno , non potrà essere grande. Dalla considerazione di que- sti due casi vedesi pertanto la ragione per cui il razzo si porti alla distanza massima, mentre venga lanciato sotto un angolo incirca di 45-° ( n.° 3 ). i5. L'azione della forza E (n.°5) rapporto a ciascuno degli strati, che corrispondono agli archi A', A", A'", ec. ( i.u n.° i3 ) sarà pel ( a.° n.° i3 ) maggiore al principio del- l' accensione , minore in seguito. Paragonando poi l'azione medesima tra gli strati diversi , rifletto, che essendo gli strati primi molto vicini al foro da cui escono i gaz, ed i vapori svilnppantisi, questi sortono subito al primo espandersi, e non possono per conseguenza agire sopra del razzo con quella forza, con la quale agirebbero se potessero adunarsi entro la teca in maggiore quantità. Questa maggiore azione avrà luogo sotto l'accensione degli strati ulteriori, perchè sotto di questa esiste appunto nella teca uno spazio suffi- ciente, ove i vapori ed i gaz si adunino. Ma quando l'ac- censione arriva agli ultimi strati verso la punta del razzo , e la cavità del cilindro si voglia ampia , allora a cagion dello spazio troppo grande, che deggiono i vapori, ed i gaz riempire , questi col troppo rarefarsi perdono della loro forza, e imprimono quindi al razzo minore velocità. Vedesi pertanto , che nei razzi grandi deve esistere uno strato , la cui azione rapporto alle azioni degli altri è massima , e che questo è tra gli strati di mezzo. 16. Si formino tanti razzi AB, AB', A"B", ec. , che supporrò di un numero n uguali fra loro, e si pongano fra loro paralleli entro la teca del razzo alla congrève non riempita , come precedentemente , delle materie combu- stibili. Dovrà la teca in questo caso nel luogo ove si collo- cano i cilindri AB, AB' , A"B", ec. essere più ampia op- 70 Osservazioni intorno al Moto ec. portunamente , e quindi potrà non avere la figura cilindrica. Sìa il sistema totale disposto in modo, che il suo centro di figura, che secondo il solito dirò O, esista sulla linea C C C" .... che facilmente si può immaginare descritta , e che divide per metà tutti i cilindri AB,A'B',A"B", ec; ed il centro di gravità esista verso la coda del razzo alla congrève, che dirò razzo principale , alla sinistra della C C C"... ogniqual- volta i razzi AB, A'B',A"B", ec. siano tutti interi, cioè quan- do se ne sia consumato per intero uno, per es. il primo AB ; quando se ne siano consumati per intero due , tre , quat- tro , ec. Ogniqualvolta poi ne sia consumato solamente un mezzo, od uno e mezzo, o due e mezzo, ec, allora il cen- tro di gravità si trovi alla destra della CC'C" ec. , verso la punta del razzo principale. Disposte le cose nel modo ora accennato , e fatto comunicare il primo razzo AB con il secondo AB' mediante il filo incendiario BA', il secondo AB' col terzo A" B" col mezzo del filo B' 'A'1 ', e così di seguito, diasi fuoco al primo razzo AB tenendo la teca orizzontale, o con un minimo angolo di elevazione ad una distanza suf- ficiente da terra. Appena il razzo principale sorte dal tubo conduttore , che la sua punta deve innalzarsi e abbassarsi la coda , per essere il centro di gravità alla parte posteriore del centro di figura O (n.°6); ma quando l'accensione ar- riva in C, allora il centro di gravità è passato alla parte anteriore di O, e più si avanza verso la punta del razzo , proseguendo il fuoco; e d'altronde per essere minimo, o nullo l'angolo di elevazione nella projezione, piccolo deve essere l' innalzamento del razzo sopra l' orizzontale , e però assai piccolo il momento a produr rotazione della resistenza di urto dell'aria ( n.° 6). Dunque per quanto si è detto nei (n/9, io) quando l'accensione arriva in C, o poco dopo, il razzo principale dovrà piegarsi , e scorrere con la punta voltata al basso, e la coda all' insù. Consumato il primo razzo principale, si porta il fuoco al secondo A'B\ essen- dosi portato allora il centro di gravità nuovamente alla parte Memoiua dBB Prof. Paolo Ruffini. 7r jiosteriore di 0, e seguitando il razzo, quantunque abbas- sato, a non deviare, di molto dall'orizzontale, succederà per le stesse ragioni de' ( n.' 6, 9, io) che la punta s'innal- zerà di nuovo, e si abbasserà la coda. Neil' ardere del se- condo razzo, quando il fuoco arriva al punto C, il centro di gravità torna alla parte anteriore di O \ dunque il razzo principale tornerà con la punta a piegare in avanti, e al- borelle questo razzo secondo AB' sarà consumato , essendo allora già tornato il centro di gravità alla parte posteriore diO, si sarà nuovamente abbassata la coda, e innalzata la punta del razzo principale. Così proseguendo si vede, che il razzo principale anderà sempre innalzandosi , e abbassan- dosi, col descrivere una curva serpentina avente tanti in- nalzamenti , e successivi abbassamenti , quanti sono i razzi supposti AB,AB\A"B'\ ec. 17. Suppongbiamo per maggiore semplicità, ebe quando il razzo supposto nei ( n.' 1, a) viene lanciato abbia il suo asse GF in un piano verticale ; suppongasi inoltre , che 1' atmo- sfera, entro cui esso deve scorrere sia omogenea , che sim- metriche ed omogenee siano tutte le parti rispettive che circondano l' asse GF, che l' accensione degli strati si faccia successivamente per veli paralleli all' asse medesimo , onde su di esso si trovi costantemente tanto il centro di figura O, come l'altro di gravità M, e che tolta la verga, o le verghe , che formano la coda del razzo ( n.° 1 ) , venga ad esse sostituito un prolungamento del cilindro, che forma la teca , la cui azione e pel peso e per V ampiezza di super- ficie equivalga all' azione delle verghe. Ciò fatto, presentasi tostamente la riflessione , che la curva descritta dal centro di gravità M del razzo , qualunque essa siasi , deve essere sempre curva a semplice curvatura esistente in quel piano verticale, su cui abbiam supposto esistere l'asse GF da prin- cipio ; perchè non avvi alcuna forza , che spinga il razzo medesimo lateralmente fuori di esso piano. Chiamate per- tanto x , y le due coordinate della curva , o piuttosto dei 72 Osservazioni intorno al Moto ec. diversi archi A\ a\ A", a", A'", a'", ec. (i.° n.° i3) clie si descrivono successivamente, cerchiamo di vedere quali rap- porti si possono determinare tra esse , e le altre quantità date ; ed a tal fine stahiliscansi le seguenti denominazioni O == peso di tutto il sistema GF considerato senza gli strati delle materie combustibili entro il cilindro, a = ampiezza della sezione trasversale interna della teca, e però base di ciascuno strato , r = raggio della base del cilindro , / ira lunghezza del cilindro ora supposto , b = altezza di 'ciascheduno degli strati, che suppongo essere tutti di volume uguale , v = gravità specifica degli strati attivi , y = gravità specifica degli strati inattivi , n = numero degli strati attivi dalla parte destra, o anteriore di O , ri = numero degli strati inattivi dalla parte medesima , ire , m' = numeri degli strati rispettivamente attivi , ed inat- tivi dalla parte sinistra , o posteriore di O prima dell' accensione. Durante l'accensione, suppongasi, che il velo ardente si trovi , cominciando a computare dal punto O nello strato (h-+-i)"im° e alla distanza z dal confine tra gli strati h"im° ed (h-+-i)"im°. Inoltre si supponga, che mentre il punto di accensione trovasi nel luogo ora supposto , il centro di gra- vità del sistema , ossia il punto M si trovi alla distanza t, dal centro O, e sia finalmente e = lunghezza dell'asse del cono retto, che forma la punta del razzo ( n.° i ) , q = l'angolo, che fa l'asse ora detto col lato del cono, p ras 1' angolo d' inclinazione della tangente della curva , che successivamente si descrive con 1' orizzontale, k = l'angolo, che fa questa tangente con l'asse GF del razzo, f = gravità specifica dell' aria, g = gravità naturale entro P atmosfera, Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 73 t = tempo impiegato dal punto M nel percorrere una por- zione qualunque dell' arco, che si ha attualmente in considerazione, v = velocità di M nel luogo, e nella direzione MB' ( fig.' 3." ), che ha attualmente, ossia velocità assoluta di /!/, v' = componente della velocità assoluta nel senso delle .r, v" = componente della velocità assoluta nel senso delle /, li' = velocità impressa al punto M nell' istante precedente immediatamente all' istante attuale, ossia nel senso BM(fig.'S.% ri" = velocità dipendente dal peso P (n.°5), u'"= velocità dipendente dalla forza E (n.°5); sarà evidentemente la v composta delle tre velocità u', u", u'" . Si suppongano finalmente le x, y perpendicolari fra loro, e le x verticali , le / orizzontali. Il centro della resistenza d'urto dell'aria esiste propria- mente sulla superficie esteriore della teca, giacché è que- sta , che si trova a contatto coli' atmosfera ; ma potendosi il lato esteriore del cilindro considerare a piccola distanza dall'asse GF , considereremo per semplicità maggiore, che P indicato centro di resistenza espresso nelle precedenti fi- gure da JV si trovi esso pure sopra P asse ; e si denomini % la sua distanza dal centro O. 18. In conseguenza delle supposizioni, e delle denomina- zioni ora fatte , apparisce , che la distanza del velo attual- mente ardente dal centro di figura O [fig.' 3.*, 4-% ec. ) è = bh-+- z; e la distanza MN fra i due centri M,iV sarà nella {fig- 3.'\ =!-H& nella (fig.' 4." ec. )= | — £• e (piando, porta- tosi il/ alla parte anteriore diO, si fosse N trasportato alla posteriore di M, allora sarebbe M N = £ — %. Inoltre il peso delle materie combustibili , che durante P accensione esistono entro il cilindro, quando il numero h (n.° prec. ) è pari, è Tom. I. io 74 Osservazioni intorno al Moto ec. =za U z->r-b (r+-»))y-4-è(-i -+-«')/), oppure = a l{z-*-b(^-hn')) y' -+-b('±-hn)y I , secondochè il fuoco attuale esiste in uno strato attivo, od in uno inattivo; e nel caso di h dispari , tal peso viene rappresentato dal- l' espressione al(z-hb(h=ì-ì-n))y+b{'^-+-rì)y'\, o dall'altra a l( z-hb (i=-' -§-»')) y'-f-i (~ ■+■ n) y J , secondochè attivo , od inattivo è lo strato attaccato attualmente dal fuoco. Dunque supposto per brevità di scrivere ay, ovve- ro ay' = H; e la precedente Q accresciuta di una delle quat- tro espressioni ora trovate , da cui sia tolto il termine , che contiene z, supposta = L; avremo il peso totale del sistema, ossia pel (n.°5) il valore di P = Hz-\-L. 19. Poiché l'angolo, che fa la OF(fig.a 3.") con l'oriz- zontale è per le denominazioni precedenti =:p-+-k, e poi- ché la OD è verticale, avremo l'angolo ROD=p-\-k, e però la resistenza diretta , che presenta 1' aria nella discesa del nostro cilindro supposto giusta il (n.° 17), ossia il valore della retta OR pei principj d'Idraulica sarà = $■ 2, rifu"* X cos.* {p-\-k). Riflettendo poi,, che la direzione attuale. MB' del moto del punto M esser deve secondo la tangente della trajettoria descritta da M nel punto, ove esso M trovasi attualmente, e però che si ha 1' angolo B'MFss k , porremo ancora = k 1' angolo qNL che fa con 1' asse FG la retta NL esprimente la resistenza d' urto dell' aria contro il ci- lindro, e quindi avremo la resistenza diretta NQ = $ 2 rlfv*y_ sen' k, e però il momento ORXOM = li X zrlf'Qu"* X cos.1 {p-hk), ed il momento NMXNQ = ^X^rlfv* sen.* k mol- tiplicato per una delle quantità £-)-£, | — £, £ — % ( n-° J8)i e siccome si ha R" = ORdiNQ (n.'ó , ec. ) prendendosi il se- gno-i-, oppure il — secondochè NQ risulta dalla parte di Memoiua del Paof. Paolo Ruffini. ^5 OR. come nelle ( fi g' % •* ^* ) •> ° dalla parte opposta come nelle (ftg.' 5.% ò.° ): ne verrà quindi 7T = $JX */#■(«"' co*.' (p-4-k)3z v* sentii). Riguardo finalmente all' urto dell' aria contro la super- ficie del cono, che è annesso alla parte anteriore del raz- zo ( n.° i), terremo conto solamente dell'urto diretto nel senso dell'asse, ossia del valore di R' (n.°5), trascurando l'urto che si ha perpendicolare, come quello, il quale pil- la piccolezza della superficie conica rapporto alla superficie di tutto il sistema, non può di molto alterare il valore del- l' urto contro quest' ultima superficie , e però la resistenza dell' aria al movimento del razzo. Dai principii idraulici sap- piamo porsi R.' = afa'"* seti.* q. no. Sia nella ( fig." 9.*) M'MM" uno qualsivoglia degli archi considerati nel ( i.°n.° 1 3 ) si trovi in 31 il centro di gravità del razzo F3IG; sia AP = x, PM=y, Mfì'= dire- zione del moto del centro 31, e però direzione della tan- gente al punto 31 della curva; si prenda sulla 31 F la por- zione 3IQ, che suppongo esprimere il valore della forza F (n.°5), e sulla orizzontale 31P si conduca la perpendi- colare OH , e si compia il parallelogrammo 31HQL; condu- casi verticalmente al basso la 31S = P (n.°5) e segnata la 31 R, che pongo =R" (n.° 5) , perpendicolarmente alla GF, si abbassi sulla PM prolungata la perpendicolare RK. Ciò fatto, poiché si ha 3IL = F sen. (p -+- k), 31 H = F cos. (p -+- A: ) , e 1' angolo RMK= R'3IH= 900— (/?■+■ k) ; onde RK=R" cos. (p-i-k),MK=R" sen. [p-t-k)\ il punto 31 sarà spinto verticalmente dalla forza motrice il/L=p MS — RK=F sen. (p-\-k) +P — R" cos. [p-\-k), prendendosi il segno superiore , quando il razzo ascende , 1' inferiore quando discende ; e lo stesso M sarà spinto orizzontalmente dalla forza motrice MH— 3IK= F cos. (p-^k)-R" sen. {p-±-k ). . , , ...... . . ddx Ura dai pnncipj della Meccanica sappiamo essere —7-7 =(p ddy "Jp — 'P'y espresse rispettivamente per h- k) — R" seri. [p-+rk)\ àdx _JF sen. (p-j-k)— R" cos. (p-*-k) __ \ 'L—~lF cos- (p-J-k)-R" sen. (p + k)\ e si avrà ancora di {hly — r(F cos. (p + k) — R" sen. (pj±k) di 2. 1 . Supponghiamo , che cominciando 1' azione del razzo , 1' accensione esista nel primo strato. Dovrà in questo essere h = m-\-m' — 1 (n.°i7) ed ai valori della z dallo zero fino al valore b corrisponderà la descrizione del primo arco A' (i.°n.° i3). Ora si rifletta, che progredendo sull'asse GF il punto di accensione , progredisce in corrispondenza , e varia il centro di gravità M; dunque dovrà essere £ ( n.° 17 ) funzione della z, e denotata con la lettera/" tale funzione, dovrà essere £ = f (z) (n.° 17). Inoltre il valore di u" dipende dalla forza E ( n.° 17)56 questa E dipende in parte dalla forza espansile dei gaz e dei vapori , forza determina- hile soltanto dall' esperienza , e in parte dal valore della z (2,.°n.° i3): supposto adunque, che l'esperienza ci abbia fatto conoscere tale forza di espansione , diremo , che ancora E, e per conseguenza u'" sono funzioni della z ; e farò E= f" (z) , 11'" = f" (z); ma la u" dipende dalla gravità del corpo moventesi verticalmente neh' aria , onde pei prin- e*s" — r cipii di Meccanica e Idraulica si ha ?/" = JLXt^ •> es- sendo gi' = UX2r//'co5.3(/»-HA:) . Di più abbiamo l'angolo F31B'=k, il quale proviene dalla rotazione del razzo GF intorno al centro di gravità M , e tale rotazione dipende dai momenti ORX03T-, NQXNM (n.'prec.1) i valori dei quali Memoria del Prof. Paolo Ruffini. nn pel ( ii.° 19) dipendono dalle quantità variabili u'\ v, k, £,, %. Dunque in conseguenza di simile dipendenza dovrà esistere un' equazione tra queste quantità k, u",v, £, £; ma la grandezza della % procedendo dalla grandezza delle quantità V, k, deve essere esprimìbile per mezzo di loro, onde farò 1=7 '" (?>, k) . Pertanto nella equazione ora accennata tra le k, u", Vi £, I collocato in vece delle iti', £, | le fun- zioni, che ne rappresentano i rispettivi valori, ci verrà un'equazione tra Le quantità A, z, t , v, dalla quale po- tremo ricavare il valore di k , e porrò quindi /c = /~" (z, t,v,). 0,2.. Essendo pertanto ddx ( F sen. (p-\-k) — R" cos. (p-^-k) \ ~Jr=S\ p ■*- 7 . ddy / F cos. (p-hk) — R" stìn. (p-t-k)\ , 0 x JF = S{ * 4 " ;) ("■ «>) P = IIz + L (n/5, 18) F=E—R'=f"{z) — afu'"*sen.*q (n/5. 19.) ^"=%X2/-//"(?i',icoj.i(jp-f-/t)±z;15e«.a A) (n.;5. 19.) e'»"— 1 ""= tX e>v,_i_ l (nJ 17,21) *'"«/'"<*) (n.:,7,2I), /;=/" (*,**«•) (n.' 17,21); potremo da queste otto equazioni eliminare le quantità P, F, /?",//", zì'", /e, e restandone due contenenti le quan- . ; i/c/.c r/Vy tlta ^r , jp ■> p ■> z9 *i v •> supporrò ddx ddy dP~ =f'(z-> l> v->P)-> Jt1 =f"(z » t,v,p), ds ma chiamato s l'arco della curva, si ha v= -r , ed ab- 1 . dv marno Tang. p=. ~- . Dunque eliminate col mezzo di que- ste ultime quattro equazioni le quantità v , p , t , ci risul- terà un' equazione differenziale di alto grado , che supporrò essere /"" [x9y, z.) = o. Ora z è una quantità, il cui 78 Osservazioni intorno al Moto ec. valore dipende da principii fisici , e però è determinabile col mezzo solamente dell' esperienza. Supposto pertanto , che con tal mezzo si sia conosciuto cpiale relazione esista tra z ed x , potremo col mezzo di questa , e della equa- zione _/""'" ( x, /, z) = o eliminare la z , e ciò fatto, ci verrà finalmente un'equazione tra le sole x,y, e loro differenziali che supporrò essere la f" ( x, /)= 0 , e questa sarà l'equa- zione della curva domandata. Da tutto il precèdente discorso apparisce , come esista rapporto fra tutte le quantità sopraesposte; ma troppo difficile riuscirebbe la determinazione delle funzioni denotate superior- mente con le lettere /'-,/"■> f", ec, e per conseguenza diffici- lissima la determinazione della equazione ultima f" ( .r,y) = o, la quale anche determinata dovrebbe poscia integrarsi , onde si potesse con maggior' esattezza riconoscere il rapporto tra le x 3 y, e però la natura della curva descritta. a3. Ritrovato così il valore delle quantità che apparten- gono al primo arco A' ( 1 .° n.° 1 3 ) potremo ottenere eziandio i valori degli angoli p , k , e della v , che corrispondono al- l' ascissa x = b ; ora questi valori corrispondenti all' ascissa x = b costituiscono ancora l'angolo d' inclinazione con 1' oriz- zontale , e la velocità iniziale del centro di gravità del razzo nel principio del successivo arco a'. Dunque col mezzo di essi, e di formole simili a quelle de' (11.' prec.) potremo determi- nare 1' equazione tra le coordinate del secondo arco a', la ve- locità nei diversi suoi punti , e 1' angolo d' inclinazione : in questo caso la forza di espansione E dovrà porsi = o , oppure di un valore minimo secondo 1' esperienza. Dall' arco a' si potrebbe in egual modo passare al terzo A" , e così di seguito. A- ■- ■ ' > " \ ■ &/., ■ //smorte dc//a &ea/? ùcademt'a 3i S- > '■ " '/' ,Jr,,e, Ya \^£g&&ic c& ^%&eng? . uuj f. /tft(/> fu FjS 4 Fig #. 'ujy^nc xSsat>. tauca \ DE' PUNTI SINGOLARI DELLE CURVE PIANE MEMORIA DEL SIGNOR PROFESSORE GIOVANNI FRANCESCO CREMONA Letta nell'adunanza del iS. Aprile i8ao. Il chiarissimo Sig. Pietro Paoli nel tomo III.° de'suoi elementi applicò alla ricerca de' punti singolari il calcolo delle derivate insiem con la serie che/(cct/i) rappresenta, essendo a V ascissa , cui corrisponder può uno di sì fatti punti nella curva data dall' equazione y=f(x); metodo che fu di poi seguito dal Sig. Poisson nel giornale della scuola politecnica di Francia (i), il che fece dire al pre- detto italiano geometra : „ Tra le memorie del Sig. Poisson „ si trovano alcune ricerche sopra i punti singolari delle „ curve , dalle (piali ho avuta la compiacenza di vedere „ pienamente confirmate le riflessioni da me fatte sullo stesso „ soggetto , ed inserite nel tomo III.0 de' miei elementi „ d'Algebra, pubblicati sul principio dell'anno 1804 " (2). Rivolgendo io per l' animo i lor pensamenti , e quanto ne scrisse il Sig. Lacroix , mi venne veduto , che la detenni- nazion de' flessi e de' regressi della prima e della seconda specie dipendeva da un metodo uniforme e semplicissimo , (1) Cahier 14.' (a) Memorie della Società Italiana T. XIV. 80 De' Punti singolari delle Curve Piane che tutti poneva in vista sì fatti punti nelle diverse posi- zioni delle tangenti loro. Il perchè inetto fuori questo breve dettato su tale obbietto. Fra i punti singolari noverami i massimi e i minimi, di cui me la passerò facendo solamente osservare , che i valori di x , i quali vi corrispondono , e che d'ordinario ripetonsi dalla sola ecpiazione f [x) = o, possono eziandio esser radici dell'altra ,., , , = o, come rendesi aperto dalle fig.° i .* e a." Nò pur toccherò i punti multipli né gì' isolati , contentandomi di asserire , che que- sti ultimi, siano fuori o su rami di curva, non hanno giam- mai tangente né circolo osculatore; che che ne senta un insigne geometra. Alla determinazione poi degli altri punti singolari mi gioveranno le infrascritte cose. i .° Sia M un punto della linea data dall' equazione /=/"(.r), il quale abbia per coordinate a e /?; se f(a-hh) e f" (a-\-h), derivata seconda di f(a-i- h) presa rispetto alla A, siano del medesimo segno, il ramo alla destra del punto M , per cui h suppostesi positivo, volgerà la convessità all' asse delle ascisse; se di segno contrario, la concavità. Lo stesso vale per f(a — h) e f" (a — h>) che appartengono al ramo che trovasi alla sinistra di 31. a.° Le derivate 7',/", — , nella supposizione x=a, ot- tengonsi colf eseguir successivamente la derivazione riguardo alla h, su f(a-i-h) e porre dappoi ne' risultamenti h=o. Se fosse /(oc — //), avrebbesi/'"'^» — /i)=±/*(m)(a), posto h=o. Se m sia pari, prender debbesi il segno superiore, e se di- spari , F inferiore. 3.° Ordinando la serie, che f{a-\-h) rappresenta, se- condo le potenze crescenti di h, riesce sempre possibile un valore bastantemente piccolo di questa quantità , per cui un termine qualunque della serie stessa superi la somma di tutti i seguenti. Memoria del Sic Pbof. Gio. Francesco Cremona. 8i Da queste aperte verità con agevolezza la determiua- zion derivasi de' punti di flesso e di regresso della prima e della seconda specie. Ed a porlo in evidenza pongasi mente che se/(a-H//) ridur si possa in una serie ove gli esponenti della ìi siano i numeri naturali i , 2, 3, . . . . , non interrotti, la linea si stenderà dall'una parte e dall'altra del punto M senza quivi presentare singolarità veruna, e di conseguenza il punto M non riuscirà singolare. Laonde sì fatti punti ripeter debbonsi dall'essere in difetto la serie di Taylor per /"(a-i-//), o vero dal mancare alcuno de' suoi primi ter- mini. Questa mancanza mette in palese i massimi e minimi, ed anche i punti di flesso. Non conviene però inferire che al prefato difetto corrispondano sempre punti singolari ; avvegnaché ci si offriranno delle circostanze per cui la cor- rispondenza non sussiste. Onde recare a novero i punti di flesso e di regresso di ambedue le specie per qualunque posizione della loro tan- gente, supporremo I.° Che la serie, da cui f(a-\-h) vien rappresentata, non contenga esponenti rotti della h di denominator pari. II. ° Che contenga esponenti rotti della h di denomi- nator pari. Pongasi f(a-hh)=(ì-t-Aha-+-Bh'-+- , ove a , b , . . . . , sono disposti per ordine di grandezza crescente, e che saranno da noi tenuti per positivi; poiché se ve n' avesse de' negativi sarebbe fi=f(a)=oo* cioè il punto M infinitamente discosto dall'origine; nel mentre che ci proponiamo la ricerca de' punti di flesso e di regresso che ne siano a determinata distanza. Nessuno de' coefficienti poi A, B, , può essere immaginario; altrimenti il punto M sarebbe isolato e fuor de' rami della curva. Facendo principio dal I.° fa mestieri osservar prima- mente che veruna delle quantità /za, A4,..., potendo riu- scire immaginaria, qualunque segno diasi alla h, la curva avrà due rami, uno alla destra corrispondente a f(a-i-h), Tom. I. 1 1 8a De' Punti Singolari delle Curve Piane e l'altro alla sinistra, che a f(a — A) corrisponde. L'ordi- nata /? sarà per noi positiva, giacché i ragionamenti non muterebbero se fosse negativa. Ciò posto novereremo sei circostanze del I.° caso m i." Sia a=— -4-A) = ^(^- x\a£~\ onde y = co, e peròy = co. L'ordinata adunque sarà tangente del punto M ; ed avrassi il raggio di curvatura ( i -+-y a ) r co o y" co o Se A è positiva, f"(a-\-h) riesce negativa, ef"(a — A) positiva. Ma le ordinate f(a-4-h) = /?-»- Ah~ .+. . . . . , m f(a — «)=0 — Ah" _|_ . . . 9 per un opportuno valor di A ren- der si possono amendue positive, tale essendo /?, per ipotesi: dunque /(a-t-A) e f" (cc-f-A) hanno segno diverso, e di conseguente nel punto che alla ascissa a-f-A corrisponde, la curva rivolge la concavità all' asse delle ascisse. Avendosi poi f(a — A) e f" (a — A) del medesimo segno, nel punto che ha per ascissa a — A, la convessità guarda l'asse mede- simo. Accaderà il contrario se abbiasi A negativo. Quindi secondo che A è positivo o ver negativo succede un flesso a tangente perpendicolare come nelle fig.' 3.* e 4-' 2,.* Sia ancora a = — < i , ma m numero pari, e cotal n sarà pure m — are, senza che esser possa m — are=o; poiché s'avrebbe m = -in, contro la supposizione. Sarà dunque Memoria del Sic. Prof. Gio. Francesco Cremona. 83 y'=:co,/" = co ed r =— . Dal segno di A dipende quello che è comune a /" ( i , essendo a numero intero dispari , o vero una frazione di numerator dispari , e ne verrà / (a-H/i) = 0-H^/l'-4- , /' ( a-hk ) = aAh— ' -+- , f"(a-hh) = a(a— i) Ah*->-+- . . . . , e quindi y'—o; per cui la tangente del punto M riesce parallela all'asse delle ascisse. Se a > a, , si ha j" = o, se a < a , j" = oo; e corrispondentemente r=co, r = o. Es- sendo \ìoì f" (a-t-h) positiva ef" ( a — h) negativa, quando / è positivo, ed il contrario quando A è negativo, risulta un flesso a tangente parallela all'asse delle ascisse, come nelle fig: 5.' e 6.' Nella supposizione di a numero intero non cessano le medesime cose, benché la serie da cui f (a-ì-h) vien rap- presentata non contenga esponenti rotti di h; il che ri palesa un flesso a tangente parallela all'asse delle ascisse corrispondere alla mancanza de' primi termini della serie anzidetta. Laonde, essendo j'=o, si ha un massimo o un minimo , o vero un flesso ; secondochè la prima delle deri- vate che non diventa zero è d'ordine pari o dispari. 4-* Sia a > i , essendo a numero pari , o pure una fra- zione di numerator pari ; lo che ci dà /' = o , e però la tangente del punto M parallela all'asse delle ascisse. Allor- ché abbiasi a eguale ad un intero, riesce sempre y"=.o. salvo se a=a, cui corrisponde y"—2.A. Quando poi a= — , 84 De' Punti Singolari delle Curve Piane risulta y =o, se — >a, o vero y =co, se — a,oi<2. Saranno poi /" (a-r-A) e f" (a—h) di segno diverso: onde B positivo origina un flesso come nella fig.a q.% e negativo , come nella fig." io." II. ° Quando la serie che rappresenta f(a-ì-h) con- tiene esponenti rotti di h di denominator pari. In questo caso la curva si stende con due rami a cagione del doppio segno del radicale di indice pari , ma da una sola parte del punto M. Suppongasi essere alla destra , essendo f(a-hh) reale e di conseguente /( a — h) immaginaria. Memoria del Sic. Prof. Gio. Francesco Cremona. 85 Questo secondo caso, come il primo, origina sei cir- costanze. I." Sia a — — I, ti essendo pari, e però m dispari; n l , / in ilv i r i 77v - ■ e risulta/ =o ed / = co, se— < a, ed/ =o, se— >a;equin- n n di n=o ed r=co. Il segno di/"' (a-i-h) dipende, come prece- dentemente, dal doppio segno del radicale n"'m° e da quello di A : laonde si ha un regresso della prima specie a tan- gente parallela all'asse delle ascisse, come nella fig.' iì." 3.* Sia a= — i , essendo a numero intero, o pure rotto di denominato* dispari; e si ha/' = oed/"=o, se a>2,/"=co, se tì<2, ed /" = a^, se a = a. Corrispondentemente ri- 86 De' Punti Singolari delle Curve Piane sulta r=oo, r=o ed r = Anche in questa circostanza 2.A L il segno di f" (a-ì-h) dipende da quello di A, che positivo, rende f [a-\-h) ef"(a-\-h) del medesimo segno; e di di- verso, se negativo. Succede adunque nel punto M un regresso della seconda specie a tangente parallela all' asse delle ascis- se, come nelle fig.' i5." e 16.* 772 5.* Sia a= i e b = — , essendo n numero pari; e si ha n * / (a-»-A) = 0-+-^A-KBA"-t-. . . , TI f"(a+k)=™(™-ABm-- n \ n } e pero y = A ed/ =o, se — >a, ed y ==co, se — 2,,r" = co, se— cn^ m°hi addur ne potrei , parmi che ciò conduca frattanto a dimostrare l' analogia di struttura nulla concludere per ispiegare il fenomeno. 5. Che si dirà poi del fatto frequente negli orti bota- nici, e più ne' giardini, di quelle piante identiche di genere e di specie, che variano di odore e di sapore? Io coltivo da vai-j amu ^ Aloisia ( Verbena triphylla. L. Aloysia citrio- clora. Ort. ) che tutti conoscono a odore di cedro , e che invece manda un acutissimo odore di menta ; la Calaminta (Melissa Calamintìia. L. Thymus Calamintha. Willd. Enum.) che ordinariamente spira 1' odore di moscatello , per cui il Tom. I. 14 iti) Sopra la Genesi degli Odori ecc. eh. Pollini la denominò Thymus Moscatella ( PI. nov. v. min. cogn. Hort. et Prov. Ver. p. i5), la quale per lo con- trario fa sentire la canfora : tutti conoscono la varietà di odori che s'incontra nelle identiche specie di Geranj ( Pe- largonia V Hérìt. ) tanto diffusi pe' nostri giardini. Queste piante , se sono della medesima specie debbono eziandio essere medesimamente costrutte, quindi senza andare più oltre cogli esempj ' dovremo conchiudere anche da ciò, che la forma e la distribuzione de' vasi non può essere valevole a farci scoprire la cagione del fenomeno. 6. E stato per taluni sostenuto , che le diverse piante abbiano la proprietà di assorbire dal suolo per le radici , e dall' atmosfera per le foglie e le altre parti molli , que' soli principj , che sono per esse assimilabili , lasciando in disparte quegli altri che non vi confanno ; anzi con questa proprietà si è voluto spiegare il duplice fenomeno che gli antichi denominavano simpatia ed antipatia; ma le sperienze fatte dal cel. Teodoro de Saussure ( i ) hanno fatto cono- scere essere questo un errore ; poiché tutte le sostanze che egli ha presentato alle piante, purché disciolte, sono state da esse assorbite. L' Hassenfratz ( 2 ) riferisce in oltre la sperienza del La-Baisse, il quale vide divenir rosse le piante che avevano vegetato nell'acqua colorata dalla Robbia ( Rubia tinctorum L. ), e del Bonnet che vide annerir quelle che avevano vegetato nella tinta nera. Se dunque le piante, oltre ai soliti principj che nuotano nell' atmosfera , o im- pregnano il suolo, o che vengono somministrati dalle sostanze organiche in decomposizione negl' ingrassi , hanno potuto assorbire ed assimilarsi, giusta la sperienza del de Saussure ( 1. e. p. 255), anche il solfato ed il muriato di soda, il muriato di potassa, l'acetato ed il nitrato di calce, il mu- ( 1 ) Recherches chimiques 6ur la végétation p. a53 et seg. (a) Ricerche sulla nutrizione dei vegetabili p. 47. Memoria del Sig. Prof. Gio. De' Brignoli. 107 riato di ammoniaca, il solfato di l'amo, la gomma e lo zuc- chero; e giusta le esperienze del La-Baisse e del Bonnet , le tinte colorate , io deduco , e panni con tutta ragione , che la proprietà elettiva di assorhire anzi l'un principio che l' altro , sia una vera chimera , e quindi in essa non si possa riporre la cagione efficiente del fenomeno in questione. 7. Se dunque uè il suolo, né il clima, uè 1' atmosfera, ne il calorico , né la luce , né la scelta de' principj , né la forma o la distrihuzione de' vasi non offrono bastevole ar- gomento alla spiegazione di questo interessante fatto fisio- logico, convien cercare altrove la sede della cagione che il produce, il che mi lusingo di avere io trovato col soccorso del solo raziocinio bensì , ma non senza qualche grave ap- poggio di fatti e di autorità. Ma prima di esporre la mia ipotesi , panni necessario di premettere una dichiarazione per togliere di mezzo l'obbiezione che fare mi si potes- se, d'aver io confuso, e considerato per un fatto mede- simo l'odore ed il sapore, non che la virtù medicamentosa de' vegetabili. Le idee vaghe che finora si hanno in propo- sito degli odori e de' sapori, non permettono, a mio giudizio, che si possano separare quanto al considerarli come effetti di una medesima causa fisiologica, giacché medesimi ne sono i risultamenti. La vicinanza e 1' anatomica corrispon- denza che esiste fra i due organi del gusto e dell'olfatto, i quali per mezzo delle loro estremità nervose ricevono l'im- pressione sì degli uni come degli altri , onde ne proviamo la sensazione, fa sì, che queste sensazioni quasi confondansi, il che sembrami provato dalla giornaliera sperienza , men- tre le molte fiate possiamo giudicare del sapore di un cibo dall' odore che ferisce i nostri nervi olfattorii , e viceversa. Hanno gli odori ed i sapori comune la proprietà di para- lizzare l'odorato ed il gusto tutte volte che per la frequenza della esercitata sensazione viene ingenerata l' abitudine. Di fatto così accade a chi beve giornalmente vino che abbia contratto il sapore di muffa , che pochi giorni dappoi non io8 Sopka la Genesi degli Odori ecc. più lo distingue : del pari chi prende tabacco renduto odo- roso con la assenza di rose o con la vainiglia,, non più ne gusta la fragranza se non ne interrompe l' uso con altro odore o con tabacco naturale. I sapori e gli odori hanno eziandio la proprietà comune ad entrambi di generare la noja dopo d' averne fatto un uso continuato : per ciò i cibi più graditi vengono in breve a schifo, e l'odore di un Giacinto di un Giglio di un Narciso ci sembra poco a poco degenerare in un puzzo che alla fine ributta. È pure comune agli odori egualmente che ai sapori la proprietà di rimanere impressi nella memoria , ond' è che siamo in grado di far il confronto di un odore , non meno che di un sapore che ci si presenti, con un odore o un sapore gustato molti anni prima. Ancora , gli odori ed i sapori non affettano con egual forza le narici ed il palato di tutti, ond' è che veg- giamo il Muschio piacere ad alcuni , ad altri dispiacere : l'Assafetida indur nausea nei più , ed essere sommamente gradita ad alcune donne europee T e formare la delizia de' popoli orientali ; come appunto non è raro il trovare in una tavola di quelli che appetiscono un cibo , che altri non può tollerare. ( i ) Dunque siccome i sensi dell'olfatto, e del gusto hanno molti caratteri che loro sono comuni , e le sostanze che li eccitano agiscono quasi egualmente , credo di non avere torto se congiungo gli odori ed i sapori ; tanto più, che, come dimostrerò più sotto, ho ragione di credere essere una la loro genesi ed origine. Per quello poi che spetta alle virtù medicamentose , io osservo non esistere in tutta la odierna Materia Medica né una vegetale sostanza , la quale non abbia un deciso sapore , o un odore più o meno sensibile , tranne le piante mucilagginose , le quali non hanno altra virtù, che quella di agire meccanicamente involvendo ; il perchè tutti que' vegetabili di cui gli antichi ( i ) Questi ultimi caratteri , benché sieno comuni anche ai sensi della vÌ6ta dell' udito e del tatto , servono però a rafforzare il mio argomento. Memoria del Sic. Prof. Gio. De' Brignoli. 109 facevano tanto uso , sono stati esiliati dalle moderne far- macopee , insieme con le perle co' topazj e co' rubini. Parrebbe a dir vero , per giustissima logica conseguenza , potersi dedurre da ciò, die quanto le piante sono più odo- rose e sapide , tanto più energica virtù medicamentosa do- vessero possedere ; il die non si verifica ; ma io qui non voglio, né debbo fare differenza dall' essere odorose e sapide al contenere sostanze medicamentose, giacché tutte le sostanze vegetabili , quali esser si vogliano , odorose od inodore , sa- pide od insipide derivano dalla cagione fisiologica medesima, ed è ben certo , che la loro virtù medicamentosa non può derivare da! tessuto vegetale, ma dalle sostanze che in esso contengonsi ; quindi , benché io conosca che i sapori , gli odori e le virtù medicamentose sono tre cose distinte, pure considerandole , come io le riguardo , per effetti delle mo- dificazioni che la linfa subisce ne' vasi delle piante, io non ho esitato a congiungerle e considerarle come fatti fisiologici derivanti dalla medesima cagione. 8. Premesse queste cose , ecco quale è il mio pensa- mento in proposito. Io credo , e tengo per fermo che in ogni specie vegetale perfetta , siccome produce il suo seme questo non sia altrimenti un uovo, come molti sostengono, fra' quali principalmente il cel. Gaertner ( 1 ) , ma si bene una gemma o bottone , la quale non attenda che le circo- stanze favorevoli per isviluppare le sue parti, e per dare origine ad una nuova pianta analoga a quella da cui é derivato. È vero , che si distingue dalla gemma , sì perchè staccasi dalla pianta madre , si perchè nell' atto del germo- gliamento mette fuori le foglie seminali , o cotiledoni. Col diritto per tanto con cui V Aubert-du-Petit-Thouars ( 2 ) considera le gemme per tanti semi , io posso considerare i semi per tante gemme. Lo stesso Linneo ( 3 ) sembra non ( 1 ) De fructibus et seminibus, in Praefatione. (a) E6sais sur la végétatiou coneideràe dans lex développement des Bourgeons» (3) Philos. Bot. $. 79. ilo Sopra la Genesi degli Odori ecc. avere molto distinto il seme dalla gemma , mentre disse : nova creatio nulla; sed continuata generation cwn Corculum seminis constat parte radicis medullari, il che coincide con ciò che aveva detto poche linee innanzi nello stesso para- grafo ; fibrae medullaris extremitas per corticem protrusa solvitur in Gemmata ecc.; dunque il seme e la gemma erano per esso considerate come produzioni almeno analoghe, giac- ché derivar le faceva entrambe dalla parte midollare. Le posteriori osservazioni anatomiche hanno però reso insussi- stente l'opinion linneana, per modo, che il eh. Sprengel , editore ed illustratore della di lui filosofia botanica , all' indicato paragrafo ( i ) parlando de' tubercoli che costitui- scono le gemme , dovette dire : ex his tuberculis , nec , ut Linnaeus putabat, e meditila sola oriuntur Gemmae, e dopo questo cambiamento ha pure dovuto correggere il citato passo , come segue : nova creatio nulla; sed continuata ge- neratio , cum Corculum seminis, magis autem gemmae, con- stat partibus maternis ; dal che pare che anche il sommo Sprengel non sia alieno dal fare poca differenza tra il seme e la gemma ; anzi nella illustrazione dal §• 1 39 ( 2, ) è co- stretto a confessare che ambìgitur etiamnum de dìfferentia seminum et gemmarum. Non sarò dunque il solo a valermi di questa opinione. Credo inoltre che già nell'embrione del seme esista, direi quasi, lo scheletro o il telajo di tutta la pianta che deve da quello svilupparsi ; e che il susse- guente sviluppo altro non faccia che aumentare il volume di quel telajo , e ( se mi è lecito di così esprimermi ) rive- stirlo dappoi de' suoi muscoli. In appoggio di questo sup- posto viene 1' osservazione del cel. Leeuwenhoek (3), il quale in un seme di Segale vide la pianticella futura con ( 1 ) Caroli Linnaei Philosophia Botanica ecc. studio Curili Sprengel. Halae ad Salam 1809 in 8. p. 79. (a) L. e. p. 159. (3) Epistolae physiologicae. Memoria del Sic Prof. Gio. De' Brignoli. i i i la sua spiga bella e formata. Ammesso ciò, e ritenuto che la pianta si svolga sino alla produzione di tutte le sue parti dilatando , aumentando ed associando nuovi vasi a quelli che esistevano nell' embrione , io dico che que' vasi che vengono generati dai primordiali saranno tutti della natura medesima , ossia della sostanza stessa de' loro gene- ratori. Ora , nella natura delle membrane che costituiscono i vasi, ossia nel loro organismo, cred'io appunto risieda la cagione degli odori , de' sapori e delle virtù medicamentose. Io m' immagino il vegetabile come un essere organico, dotato bensì d'una specie particolare di vita, la quale in esso pro- duce i fenomeni d'irritabilità nelle parti solide, e di movi- mento nelle fluide, il tutto però derivante da sole forze mec- caniche e chimiche, non mai da forze vitali analoghe a quelle dell'animale. Quantunque io conosca doversi ammettere anche ne' vegetabili una vita, perchè i fenomeni della nutrizione , della fecondazione , della digestione , e della propagazione cessano quando la pianta è morta; pure non so indurmi ad accordarvi una vita sensitiva , mentre ne' vegetabili non esiste la menoma traccia di sistema nervoso, né di sensorio comune , come non vi so ravvisare nemmeno un ganglio che sia analogo a quello degli animali imperfetti ; quindi dico che il vegetabile , indipendentemente da ciò che può costi- tuire la sua vita organica, di che parlerò in altra occasione, è un piccolo laboratorio chimico. 9. I vegetabili tutti attraggono per mezzo delle radici dal suolo , e per mezzo delle foglie e delle altre parti molli dall'atmosfera, non altro che idrogene, carbonio, ossigene, ed azoto , e questi soli principj con l' aggiunta di qualche alcali, ed alle volte di qualche ossido metallico solubile, sono quelli che costituiscono la linfa , o sugo , eh' io direi vergine , delle piante prima che sia elaborato , i quali poi uniti combinati o scomposti, formano tutte le varie sostanze che ritrovansi ne' vegetabili conosciute sotto il nome di sughi proprj, di secrezioni, di materiali immediati. Se esa- ila Sopra la Genesi degli Odori ecc. miniamo le varie specie vegetali troviamo , che tutte con- tengono una data quantità di sugo proprio , così detto , il quale altro non è , né può essere , che linfa modificata ed elaborata forse entro a' vasi della linfa stessa e depositata mano mano ne' vasi proprj in istato diversissimo da quello sotto cui avea percorso il primario tessuto; troviamo quindi i sughi colorati , gli olj fissi e volatili, i balsami, le resine., le gomme, le gommo-resine , il latte, la cera, lo zucchero, e tante altre sostanze, che o colano naturalmente, o si pos- sono separare per mezzo delle incisioni, della espressione, della bollitura e de' reagenti chimici. La linfa non ancora elaborata , se la osserviamo quando esce ne' primi giorni in <;ui n' è ridestato il corso , come accade nella vite potata di primavera , la troviamo senza odore , senza sapore , e senza colore ; e se dal eh. Vanquelin fu veduto contenere alcun che di acidi e di sali, io credo, e con fondamento, che quella piccolissima quantità di tali sostanze da lui rin- venute, scorresse dai vasi del sugo proprio, i quali a cagione del taglio trasversale de' rami , dovevano necessariamente avere gli orifizj aperti, e lasciar perciò scorrere fuori alcun che de' principj che contenevano ; non potendo io conce- pire coni' egli potesse raccogliere solo quella linfa che scorre da' vasi del succhio comune , senza che dovesse confondersi con quella, se non del tutto almeno in parte, elaborata ne' vasi proprj. io. Finche la linfa scorre con energia in sul finir dell' inverno e della state , io credo che la velocità del suo mo- vimento non ne permetta la elaborazione ; ma che quando questa velocità si rallenta , incomincino le pareti de' vasi medesimi ad esercitare 1' affinità per quelli fra' principj co- stituenti la linfa , che hanno per esse più attrazione ; anzi le frutta domestiche sembrano dimostrare, che per compiere la trasmutazione de' principj siavi d' uopo di molto tempo, giacché passano per gli stadj dell' acerbità e dell' acidità prima di farsi dolci, ossia prima che sia perfettamente com- Memoria del Sig. Prof. Gio. De' Brignoli. ii3 pinta la elaborazione della linfa ( i ) così nella pianta della Gomma arabica ( Mimosa nilotica L. Acacia vera Willcl. ) si troverà la Gomma, perebè le pareti de' vasi avranno per la loro affinità combinato 5o, 84 parti di ossigene, 42? 4^ di carbonio, e 6, q3 d' idrogene: nella Canna dello Znc- ebero ( Saccliarum officinarum L. ) si saranno combinate 5o , 63 parti di ossigene 4a ■> 47 di carbonio , e 6 , 90 d' idrogene a formare lo Zucchero: nell'Ulivo si saranno com- binate 77, ai di carbonio, i3, 36 d' idrogene e 9 , àfi di ossigene a formare Y olio fisso : nel Frumento ( Triticum aestivum. L. ) 49 •> 68 parti di ossigene , 4^ ■> ^5 di carbo- nio , e 6 , 77 T d' idrogene a formare l'Amido ecc. Potrebbe darsi che la proprietà di combinare , di unire e di scom- porre i principj della linfa fosse inerente ai vasi del tes- suto, o forse ( il che sembra più verosimile ) ai vasi proprj; e che solo allora acquistasse la linfa le opportune modifi- cazioni, che travasandosi per li pori visibili ed invisibili de' varj tessuti rigurgita ne' vasi proprj , il che appunto non può accadere, che quando il corso della linfa è meno rapido e veemente. 11. Con questa semplicissima ipotesi la quale appunto per essere ipotesi non è suscettibile di rigorosa matematica dimostrazione , panni potersi spiegare la genesi e degli odori , e de' sapori , e delle virtù medicamentose de' vege- tabili. Ed eccomi a provarlo. ia. Incominciando dagli odori, io osservo che quanto la temperatura è più innalzata tanto son essi a noi più sen- ( 1 ) la tale opinione ho compagno il celebre Carradori ( Fertilità della terra, p. 5i ) benché egli attribuisca questo fatto a tutt' altra cagione, cioè alla luce; però scrive così: " Le piante giovani contengono più acido che le vecchie, più. „ acqua, e meno parti zuccherine oliose e resinose; e in primavera, cioè nel „ tempo del ringiovanimento delle piante, contengono similmente meno parti „ zuccherine e oleose, che nell'estate e nell'autunno ,, io quindi soggiungo perchè la linfa non è allora stata bastevulmente elaborata. Tom. I. i5 i 14 Sopra la Genesi degli Odori ecc. sibili , ond' è che un Garofano d' estate odora assai più forte che non d' inverno e di primavera ; il Geranio notturno (Pelargonium triste. Willd.) ha più fragranza nelle sere calde che nelle fresche : la Rosa spira molto più soave ne' giorni sereni che ne' nebbiosi : la fragranza della Vainiglia ( Vanilla aromatica L. Willd. ) e dell'Ananasso ( Bromelia Ananas. L.) è molto maggiore in America che in Europa , benché qui si coltivino nelle stufe. Sembra dunque che il calorico attenuando , e forse procurando la disgregazione delle mo- lecole odorose , le renda più diffusive e forse più solubili nell' aria atmosferica. Se noi conoscessimo con esattezza la materia degli odori , potrei avanzare una più ampia spiega- zione , ma siccome non se ne ha una idea adeguata , ed è generalmente ritenuto che l' odore altro non sia fuorché l'olio volatile, o per parlar più antiquato, l' Aroma, io penso che questo sia unicamente un gaz ora semplice , ora com- posto , il quale si sprigioni nell' atto delle varie unioni , combinazioni e scomposizioni de' principi della linfa , ope- rate dall' affinità delle membrane vegetali. Ho detto un gaz o semplice o composto , perchè è possibile che sia saturo di qualche acido o di qualche alcali attenuato sino allo stato aeriforme, o dalla temperatura innalzata, o dalla luce, come pretende il citato Carradori che la vuole un elemento disossigenante e in conseguenza disacidificante ( 1. e. p. 55 ). Senza negare però che la luce possa aver parte anch' essa nel giuoco chimico delle composizioni e delle unioni sud- dette , sappiamo già che le piante sviluppano e gaz ossi- gene, e gaz acido carbonico , e molte volte gaz idrogene anche di notte , quando la luce non può agire in niun modo : e di più osserviamo, che questo giuoco si compie pure di giorno in tutto il tessuto vegetale persino il più interno dove la luce non vi può penetrare ; dunque con- cluderemo piuttosto derivare il fatto dall' esercizio dell' affinità , che dall' azione della luce. Che poi le emanazioni odorose , ossia gli olj volatili , si riducano a poter essere Memoria del Sic Prof. Gio. De' Brignoli. ii5 considerati per veri gaz , mi convince il fatto notissimo della Frassinella ( Dictamnus albus. L.), la quale nelle sere calde della state suole essere circondata da un' atmosfera di un gaz infiammabile ( forse il gaz idrogene ) che tutto si ac- cende allo accostarvi di una candela. Ma il gaz idrogene , ne alcun altro conosciuto, non ha l'odore prossimo a quello del limone che emana dalla Frassinella, dunque convien credere che il gaz in tal caso sia unito ad una qualche altra sostanza aeriforme. E che ciò sia appunto così , mi persuade il fatto , che nelle piante che mandano odori analoghi si sono per l' analisi trovati i medesimi acidi , e valga in prova che l' acido idrocianico si trova egualmente nelle foglie del Lauroceraso ( Prunus Laurocerasus. L. ) nei semi delle mandorle amare ( Amygdalus communis. L. ) e ne' fiori del Pesco ( Amygdalus Persica. L. ). Non potrebbe adunque accadere , che nei fiori della Moluccella laevis. L. nelle glandole del Croton penicillatum. L. che emanano odore di alcool , vi fosse 1' acido carbonico ? nel Garofano ( Dianthus Caryophyllus L. ) nel Garofolo ( Eugenia Caryo- phyllata Willd. ) nel Basilico frutescente ( Ocimum gratis- simum L. ) nel Pepe garofolato ( Myrtus Pimenta L. ) vi fosse 1' acido benzoico , e nella Sterculia platani/olia L. come nella Assafetida ( Ferula Assafoetida L. ) si contenesse l' ammoniaca ? i3. I fatti che ho testé accennato per riguardo agli odori possono valere anche pe' sapori , e per le virtù me- dicamentose. La temperatura più innalzata rende le frutta più saporite, e le piante medicinali sono assai più energiche ne' paesi caldi, che ne' freddi. Di fatto il Papavero dall' Oppio ( Papaver somniferum L. ) che in Egitto e nella Tebaide manda in copia l'oppio di odore acuto , coltivato nel nostro clima, ne manda pochissimo, e di odore molto debole. i4~ A modificare gli odori, i sapori e le virtù medica- mentose può bensì influire non poco anche il suolo. Abbiamo Ii6 Sopra la Genesi degli Odori ecc. il Sedano ( Apium graveoleus. L. ) che quando vegeta spon- taneo nelle nostre paludi è di odore tetro, di sapore disgu- stoso, e avvelenato ; laddove coltivato negli orti è di odore piacevole, di ottimo sapore, ed innocuo. Io credo che questo fenomeno possa spiegarsi con la mia ipotesi molto bene. Nelle paludi il suolo somministra una eccessiva copia d' idro- gene , il quale soverchiando gli altri principj vi predomina; per lo contrario il concime abbondante che si applica negli orti , il quale somministra una copia considerevole di car- bonio , e la poca quantità d' idrogene per la deficienza dell' acqua , obbligano la pianta a variare le proporzioni della sua assimilazione. Questo cambiamento di proporzione per altro non giunge ad isnaturare il fluido che prima vi scor- reva, ma i vasi, che per un soverchio stimolo de' principj che in copia sono dalle piante assorbiti , non possono ela- borarli^ uè alterarli essendo loro stato dalla natura prefisso un termine oltre del quale non possono esercitare la forza di affinità , debbono quindi lasciarli scorrere insieme con la linfa , e a questa copia , ossia a questo predominio de' prin- cipi •> parmi doversi ascrivere il risultamento del fatto sue- sposto. i5. Ognuno che un poco rifletta, trova ragionevole che le piante diverse di classe , di genere e di specie abbiano odori sapori e virtù medicamentose diverse, giacché partendo dall' analogia si osserva anche nel regno animale che il Castor Fiber L. separa il Castoro , il Moschus Moschi- ferus L. separa il muschio , la Viverra Zibethum L. se- para lo Zibetto ecc. e ciò in appositi organi secretorj , come in appositi vasi ed organi secretorj si riscontra ne' nettarj di varie piante che contengono miele, nelle netta- roteche di altre che contengono qualche altro fluido , in fine nelle glandole della maggior parte che vi si rinvengono e gomme , ed acidi , e resine ecc. ma non così facilmente saprà ognuno spiegare come addivenga^ che in una pianta medesima una parte separi un principio e l' altra un altro. Memoria del Sic. Prof. Gio. De' Brignoli. i i 7 lo rispondo non essere nuovo tale fenomeno anche nel re- gno animale. Osservo primieramente nell' uomo che dal legato si separa la hile , dal pancreas l'umor pancreatico, dai reni l'orina, dallo mammelle il latte, dalle glandole scialivali la scialava ecc. Se dunque questi varj risultamene della elaborazione della linfa possono effettuarsi nel regno animale in diverse parti di un istesso corpo, non trovo ragione per contrastare che altrettanto accadere non possa nel regno vegetale. Di fatto se poniamo attenzione alla strut- tura del fegato noi la troveremo diversissima da quella del pancreas e de' reni ; e così trovo diverso un nettario da una nettaroteca e da una glandola nel vegetabile. Ora sic- come già nell'embrione animale conviene credere che esi- stano i rudimenti e del fegato e del pancreas e de' reni ecc. così cred' io , che nell' embrione del seme vegetale esistano i rudimenti de' vasi atti a separare i diversi principi , onde per esempio nel seme del Rabarbaro sia il beccuccio formato di una sostanza atta a separare il principio amaro, o forse il Rabarbarino ; nella piumetta al contrario que' principi in- sipidi delle foglie, e fetidi e nauseanti de' fiori. 16. Potrebbe taluno obbiettarmi che in alcune piante come sono il Geranio notturno ( Pelargoniam triste. l'Hérit), f Erba capj)one ( C estrani Parqui. L. ) la Bella di notte ( Mirabilìs j alappa. L. vel Nyctago hortensis Rich. ) i fiori sono di giorno del tutto inodori, e spirano la loro fragranza solo di notte, mentre in altre o cessano di odorare affatto, o mandano di notte assai meno odore che di giorno. Io credo che ciò si sjiieghi nel primo caso per lo scemamente del calorico , il quale destando soverchia energia nel movi- mento dalla linfa, impedisca l'esercizio dell'affinità durante il giorno , e non possano quindi svilupparsi quei gaz che costituiscono l'odore nei fiori delle piante accennate. Nel secondo caso credo pure v' abbia gran parte il calorico , il quale introducendosi fra le molecole di alcuni fluidi troppo densi procuri così lo sprigionamento dei gaz , e la libera 118 Sopra la Genesi degli Odori ecc. loro diffusione per 1' atmosfera , siccome specificamente più leggieri dell'aria. 17. Le piante innestate potrebbero apparentemente op- porsi alla mia ipotesi, non già quelle a fiori odorosi die siano poste a vivere su d' un soggetto a fiori inodori , che allora ognuno capisce come i fiori odorosi in tal caso deri- vano dallo sviluppo delle gemme della marza o degli occhi già a tal uopo destinati come vediamo accadere ne' nostri giardini , che la Daphne odora Thunb. manda fiori olez- zanti , quantunque sia innestata sulla D. Laureola L. che produce i fiori inodori. Ma quelle piante che fanno fiori odorosi o separano qualche gomma o resina odorosa ne' vasi del tronco, non è facile da spiegare come possano poi non comunicare il loro odore alla pianta sovrapposta che sia per natura inodora. Eppure io ho coltivato un Laurus indica pianta senza odore innestata con le mie mani sull' alloro comune Laurus nobilis. L. che non ha mai contratto T odore del soggetto. Io credo che ciò si spieghi col predo- minio di qualche principio nel Laurus indica atto a neutra- lizzare quel tal altro principio che nel Laurus nobilis pro- duce l'odore. Evvi però il caso in cui il frutto sovrapposto, massime se drupaceo , contrae qualche proprietà del sog- getto nel sapore o nell'odore, ed in tal caso spiego questo fenomeno come quello del Sedano. 18. Un altro fatto che sembra opporsi alla esposta mia ipotesi si è quello dell'odore diverso dal naturale, che al- cuni frutti contraggono dalla vicinanza di piante di grave odore o dal letame fetente , se con esso governinsi. Questo fatto che occorre in molte frutta , è frequente a palesarsi nel vino tratto da uva, le di cui viti sieno concimate colle feccie umane recenti, o appoggiate come nel Polesine ai Sal- ci, o come nel Vicentino ai Noci, o come in un mio fondo ubertosissimo nel Friuli, dove abbonda eccessivamente la cicuta ( Conium maculatimi. L. ) che ne contrae il puzzo. Senza aberrare dalla mia ipotesi parmi che questi due fatti Memoria del Sic. Prof. Gio. De' Brignoli. 119 si spieghino col medesimo principio. Il concime fetente somministra nel primo caso in gran copia il carbonio e l'ammoniaca, e questi principi introdotti nella linfa alte- rano le proporzioni di quelli che potevano essere dai vasi elaborati ed assimilati , onde per impotenza di assimilarsi tutti, rimangono portati in giro senza grave alterazione. Le piante che per la vicinanza comunicano il loro odore e sapore al vino, mandano per la traspirazione insensibile tanta copia di gaz saturi di que' principj che ne costituiscono P odore , che le viti ne debbono assorbire per le foglie in quantità tale da non potere essere di nuovo elaborati, tanto più che forse sono eterogenei a' consueti materiali della vite ; e quindi non potendoli i vasi elaborare si spingono inalterati in circolo insieme con la linfa. Conviene però dire che questi principj sieno tali da rimanere inalterabili anche nel processo della fermentazione , dappoiché questa non vale a distruggerli , e se ne sente la presenza nel vino. 19. Le piante di specie medesima che cambiano o- dore per la coltivazione , come la sovraccennata Calaminta ( Thymus Calamìntha Wìlld. ) né anch' esse non distrug- gono la mia ipotesi; poiché desse non sono già pervenute al cambiamento dell'odore per mezzo della moltiplicazione per barbatella, per margotta, per tallo o per innesto, ma per seme. Ora la copia del carbonio somministrato dal concime de' giardinieri può avere in una prima volta alterato per modo la composizione del sugo proprio , che invece di se- parare i principj del Moscatello, separò quelli della Canfora; e da quelle piante già nel loro seme disposte a tale com- posizione de' principj , si è poscia moltiplicata di barbatella ne' varj giardini. ao. La stessa origine , a parer mio , hanno gli odori che s' incontrano nelle piante ibride , così frequenti ne' giardini. Ed ecco un fatto che ne viene in appoggio. In tutte le collezioni accademiche , ed in molte pri- vate, sogliono i Geranj ( Pelargonìum V Hérit. ) tenersi iao Sopra la Genesi degli Odori ecc. vicini, e quindi fecondandosi l'un l'altro ne sorgono quelle tante varietà che oggi giorno vogliono dirsi specie. Io stesso ne ho ottenute parecchie , ed in alcune si ravvisano mani- festamente i caratteri d'ambe le specie che le hanno pro- dotte. Chi il crederebbe ino ? anche l'odore di questi nuovi muli, ( per servirmi di un' espressione dell' amico mio conte Gallesio ) partecipa d' ambe le specie genitrici. Un ibrido parimenti ottenuto qui in Modena dal Sig. Giuseppe Gui- dotti per la fecondazione accidentale del P. tabulare Willd. col P. adoratissimum Willd. il quale si assomiglia al secondo nelle foglie , ed al primo ne' fiori , benché nato da' semi raccolti sul primo ha le foglie di odore del secondo. Io dico quindi , che per la spuria fecondazione quella parte dello scheletro della futura pianta nell'embrione del seme subì una modificazione per cui fu resa idonea a combinare que' principj che separar potessero il gaz odoroso del P. odora- tissimum , comecché il seme fosse del P. tabulare, il quale è inodoro. ai. A confermare però vie maggiormente la mia ipo- tesi , panni che sovra ogni altro argomento valga il fatto delle piante di classe , di famiglia , di genere e di specie diversa , le quali ci presentano i medesimi odori e sapori ; come p. e. il Nasturzio indiano ( Tropoeolum majus. L. Spianta della famiglia delle Geraniee, ha il sapore medesimo delle Cru- ciate di famiglia e di struttura tanto diverse , ed è di più antiscorbutico aneli' esso come quelle. In quante piante poi non si è per la chimica analisi rinvenuto l' acido acetico? 1' acido citrico fu pure trovato in altre che nel Cedro : 1' acido gallico non solo nelle Galle della Quercia, ma in tutte quasi le scorze dei legni : l' acido malico in quasi tutte le frutta: l'acido ossalico egualmente nelle Oxalis L. che in alcuni Rumex L. ed il Donovan rinvenne nell'agresto dell' uva l'identico acido che trovasi nel Sorbus Domestica ed aucuparia L. cui diede il nome di Sorbico. Dicasi lo stesso di tanti alcali e di tante altre sostanze identiche di che la Memoria del Sig. Prof. Gio. De' Brignoli. lai chimica moderna ci ha fatto dono, estratte da piante d' indole e di natura diversa. CONCLUSIONE. 2,2,. Spero d' aver dimostrato , die la genesi degli odori de' sapori, e delle virtù medicamentose è ima sola, e che questa non potendosi rinvenire nella natura del suolo , nell' indole del clima o dell'atmosfera, nella tempe- ratura, nella luce, nella forma o distribuzione de' vasi , né in quelle supposte proprietà di attrarre piuttosto l'un prin- cipio che 1' altro , non possa quindi risiedere che nella natura delle membrane che formano le pareti de' vasi, sieno emiumi o proprj della cellule, ch'io non ardisco decidere; che queste membrane per solo effetto della loro diversa natura , ossia degli elementi che le compongono , valgono ad esercitare un giuoco di chimica affinità, unendo, com- binando e componendo i diversi principi che costituiscono la linfa. Panni ancora che non distruggano questa mia ipo- tesi né le piante diverse di struttura che separano i mede- simi principj ; né quelle che nelle varie loro parti separano principj diversi ; né 1' odorare alcune di notte , ed altre di giorno ; ne le piante innestate ; né quelle di specie mede- sima che hanno acquistato odore diverso ; né il comunicar degli odori alle piante circonvicine ; né per fine le piante ibride. Che finalmente il calorico e la umidità possano bensì modificare il risultamento del chimico processo , ma non mai cambiarlo in essenza, e solo promovere o para- lizzare alcun poco l'esercizio dell'affinità. Con che spero di aver esaurito ciò che mi era proposto di trattare per quanto il mio intendimento era suscettibile di farlo. Sarò felice , e mi considererò fortunato , se altri di me più istrutto si occuperà nel discutere questo difficile argomento , e giun- gerà, anche distruggendo la mia ipotesi , o ad erigerne una più felice , o a dimostrare il fenomeno , e mi basterà di aver dato l'eccitamento a fare di meglio. Tom. I. 1 6 SOPRA IL DILETTO DEI. TERRORE E DELLA COMPASSIONE NELLE ARTI D' IMITAZIONE SINGOLARMENTE NELLA TRAGEDIA MEMORIA DEL SIC AVVOCATO LUIGI TIRELLI Letta nell'adunanza del a Aprile 1828. Quae ipsi cum molestia a*picimus , eorum imagines affaire factas gaudentes intuemur. Aristot. Poet. Part. 19. Eos qui lamentationes imitantur libenter , qui autem pere lamentantur hos sine voluptate audimus. Diogen. Laerr. in Aristip. Un singolare fenomeno si presenta nelle belle Arti, dette anche imitative , che ha promosso le disquisizioni , e le dispute dei filosofi, e dei retori \ ed è che sieno all' uman cuore feconda ed ampia sorgente di gioconde impressioni le rappresentazioni , ed immagini di quegli oggetti la realtà dei quali cagionerebbe un sentimento penoso. Di' che molte, e varie ragioni hanno celebri scrittori messe più volte in campo affin di porgerne una soddisfacente , o plausibile spiegazione ; ma rimane pur tuttavia questa materia avvolta nell' oscurità di astrazioni metafisiche, d' idee vaghe, di fantastiche ipotesi ; ed è perciò che altri può lusingarsi, ritrattando l' argomento, di riuscire a qualche utile scopo , e di apportar luce , che Memoria del Sic. Avvocato Luioi Tjrelli. \±'.\ serva a diradare il bujo, ove anche non lo disgombri: Tal' è, signori, il mio divisainento di questa sera; e tal la fiducia, che oso concepire interteiiendomi con le mie riflessioni più specialmente sulla tragedia in cui si offre il subbietto , e figurano gli argomenti con maggior risalto ; sì fattamente però che i principi, e le deduzioni applicar si possano in gran parte ad altri generi di eloquenza, come altresì alla pittura, alla scoltura, alla musica, ed alla mimica. E siccome la commozione dalla tragedia prodotta agli affetti precipuamente riducesi di compassione, e di terrore, di questi intendo farvi parola, e su di essi fermar precisamente la vostra attenzione: benché, a vero dire, non sia sostanzialmente il terror tragico differente, e distinto dalla pietà; in quanto lo spettatore sentesi preso dallo spavento meno per sé che pel personaggio offeso, o minacciato. Questo fenomeno è stato, prima che da ogni altro, avver- tito da quell'ingegno speculativo, e profondo di Aristotile nella sua poetica là dove osserva che oggetti insoffribili agli occhi nostri nel vero giungono per l' imitazione ad essere cagione , ed origine di piacere; ed ove, indicando, e sostenendo che il carattere funesto sia qualità essenziale , ed impreteribile della tragedia , soggiugne , che essa produr dee per questo mezzo una specie di piacere a lei tutto particolare. Ma la spiegazione che egli ne adduce non corrisponde, a mio cre- dere, ad altri suoi giustissimi, e nobilissimi concetti, di cui ha dovizia in questo mirabile trattato. Vuole esso che la radice di un tal piacere in altro non consista che nell'in- nato desiderio d'imparare comune a tutti gli uomini, e nella interna compiacenza , che tutti abbiamo della nostra perspi- cacia neh' atto di ravvisare il vero nel finto, che l' imita- zione rappresenta. Intorno a che può ognuno riconoscere , che non è tale argomento così particolare, e proprio del caso da non potersi applicare ad altri oggetti di diversa indole; e che solo, e così esposto non basta a render ragione di un fatto cotanto maraviglioso, e bizzarro. 1^4 Sopra il Diletto del Terrore ecc. Potrei passare a disamina le diverse opinioni dei moderni, e i diversi principi per essi addotti a spiegare, e dimostrar la natura, e la causa di questo fenomeno ; ma , prevenuto in ciò dal celebre Abbate Cesarotti, che ha trattato di pro- posito l'assunto (più felice però nel discoprire, e notare il debole negli altri che in fondare, e stabilire il proprio giudi- zio ) avviso di dover contenermi a contrapporre la spiegazione da me adottata, e 1' aspetto diverso sotto cui mi sembra aversi il soggetto a considerare. Sbandirò le ipotesi, né mi lascierò condurre , e traportare all' immaginazione , ove è dovuto il freno alla fredda ragione, e trattasi d'illuminar e convincere 1' intelletto. Errore a tutti comune , quanto a me ne pare , è stato quel di volere , secondo la naturai propensione dell' umano ingegno a sempre innalzarsi, ad universalizzare i suoi con- cetti, ed a penetrare l'arduità delle prime cagioni, ridurre la spiegazione ad un principio unico , facendone dipendere , quali conseguenze, gli effetti. Un tal metodo appaga, è vero, l'umana superbia, che tanto si compiace dell' aitimi sapere riprovato dall'Apostolo; e risparmia la fatica, le difficoltà, e la pazienza di un' analisi estesa, e minuta sopra i fatti, e i loro diversi rapporti : ma non si addice , né corrisponde alla limitata capacità delle nostre forze intellettuali, né con- duce con sicurezza alla scoperta della verità. Che se nelle estetiche ricerche ci applichiamo ad investigare, e rintracciare un principio unico, questa causa prima; non possiamo che riuscire al troppo volgare, e insignificante risultato „ che neh' Uomo ciò avviene per essere egli così disposto , e creato , ossia per esser tale la sua natura , ed organizzazione " : il che non può mai costituire lo scopo delle nostre ricerche , né vuol essere dei nostri studi lo sterile compenso. Se adun- que, riconosciuto il fondamento di qualunque piacere delle arti imitative nella nostra organizzazione, e nelle nostre sen- sazioni, vogliamo utilmente progredire, e avanzarci nella cognizione del vero, rischiarando 1' oscurità, e snodando l' in- Memoria del Sic. Avvocato Luigi Tirelli. ia5 viluppo degli oggetti che ne circondano, non ci è dato che di rivolgere l'attenzione ai fatti , analizzandone la natura, le qualità, le relazioni, gli accidenti ; moltiplicità, e varietà di cose, che necessariamente escludono l' indicata semplicità, cui hanno aspirato li autori occupatisi del soggetto medesimo, che io ho impreso a trattare. Moltiplicata, e varietà nelle investigazioni riguardanti le relazioni che si dicono composte quali sono la hellezza , ed il bene ; e nelle circostanze , e condizioni individuali , e sociali : talché i piaceri, e i dolori dell' uomo, in cui soli consiste la sua sensibilità, non sono, e non possono mai essere , né figurarsi oggetti semplici , e indivisibili, ma una, combinazione invece, una mescolanza, una successione, una concatenazione di sensazioni, e d'idee. Più cause pertanto ( intendo le prossime) concorrono, e con- tribuiscono a produrre un effetto morale; ed appariscono quindi a renderne ragione, e a dimostrarne l' estensione , e l'intensità. Ne viene però che in tutte le spiegazioni del fenomeno dai diversi scrittori , e nei diversi tempi addot- te s' incontri qualche cosa di vero ; ma non tanto che renda pago 1' intelletto indagatore , e il collochi in quel grado di quiete, che consegue al convincimento. Aristotile . a cagion d' esempio, ne attribuisce ( i ) la ragione, come si è di sopra osservato, alla compiacenza del riconoscere il vero nel finto : e fra' moderni l'Ab. Dubos (2) allo scuoterci che fa la tragedia dall'inazione; Hume (3) alla trasfusione delle passioni subordinate nella passione, o sentimento dominan- te della tragedia come opera di eloquenza ; Fontenelle (4) al senso che sempre conservasi della finzione di quanto si vede; Cesarotti (5) all'idea del vantaggio dell'istruzione che ricava lo spettatore da un fatto atroce, e compassionevole; Ubaldo Cassina alla causa medesima a un di presso del Fon- ( 1 ) Poet. partic. 19. (a) Riflessioni critiche 6iilla poesia, e la pittura Sez. I (3) Dissertaz. sulla tragedia. (4) Riflessioni sulla poetica 5- 36. (5) Ragionamento sul diletto della tragedia. 1^6 Sopra il Diletto del Terrore ecc. tanelle (i); Blair (a), e Burcke (3) alla natura delle pas- sioni sociali il cui esercizio va sempre accompagnato da piacere. Nelle cpiali idee tutte, che giovami aver indicato, potrà scorgere ognuno, e arguire dall'esame di questa memoria ciò che io ne ahhia ritenuto, e mi sia appropriato, e come io me ne sia valuto all' intento di chiarire il subbietto. E qui nel farmi a rintracciare fra le accennate cause prossime l'origine di questo singolare e maraviglioso senso di piacere, che si ritrae dal dolore, mi richiama, e presen- tasi il principio fondamentale da tutti riconosciuto, ed espe- rimentato del continuo bisogno , che ha 1? uomo di essere stimolato , e scosso dall' inazione. E questa una specie di stagnamento, a così dir, della vita che risulta dall'assenza, o difetto di tutti i motivi efficaci d'azione, un vuoto dell' animo , uno spossamento e rilassamento di forze morali , che toglie ogni vigore all'intelletto, ed alla volontà. Comunque si trovi commosso 1' animo dalle nostre passioni è certo, che gli oggetti cui le medesime si riferiscono divengono con 1* uso famigliari, quindi indifferenti , poi , dopo avere indotto sazietà, ingenerali lassitudine, e tedio con tutto quel corredo, e cumulo di sensazioni moleste, ma indeterminate, e indistin- te, che dirsi possono con molta proprietà, come le ha chia- mate Pietro Verri, dolori innominati ; preso, e ritenuto questo vocabolo di dolore nella più larga estensione di significato. La malinconia, l'abbattimento, una certa desolazione di spi- rito sono la conseguenza della tetra idea che si ha delle cose in questa rilassatezza ; e, se non altro , quel disgusto , e fastidio che è inseparabile dal prolungamento della stessa impressione quantunque già avuta in pregio , e desiderata ; succedendo, e verificandosi che i piaceri continuati mutino natura, e si trasformino, e divengano increscevoli non sola- mente , e importuni , ma eziandio penosi , e odiosi, siccome ( ' ) faggio analit sulla compassione. ( » ) Lezion di retor. e belle lett. lez. 8. T. 3. (3) Del sublime , e del bello P. 1. C. i6. Memoria dei. Sic Avvocato Linci Tirelli. 12- energicamente esprime il rabidamm deliciarum di Sfebéca. Tale è lo stato di sofferenza, che trae l'uomo, e lo spinge al cambiamento, alla distrazione, alla fatica, allo sforzo, all' agitazione affine di sottraisene , e di mettere , e mantenere in esercizio le sue facoltà per impedirne, o scuoterne il languore, e la prostrazione, e toglierle, a cosi esprimermi, dalla nullità. Imperciocché per tal modo ci troviamo formati. e costituiti dalla Provvidenza, con una organizzazione propria della nostra destinazione, e ad essa corrispondente; clic, essendo per noi, e per altrui necessario un frerpiente stimolo di attività, lo stato di riposo, e l'inerzia divengano in breve molesti e insoffribili; senza che rilevi, e possa giovare a rimedio , e temperamento di pena quella che chiamasi indolenza; la (piale consiste piuttosto in una opposizione, o ripugnanza a certa specie di occupazioni , e d' idee che nella propensione, disposizione, e volontà assoluta di rima- nere nello stato attuale. Ed è appunto da tale bisogno, ed impulso di natura che deriva, e dipende il piacere della novità, e della varietà ; indi cpiella tendenza dell' uomo non coltivato, e domo dall'educazione, l'incostanza, fra le prime a svilupparsi nei fanciulli, che, privi del sussidio di matura riflessione, e di abitudini correttoci , guidar lasciandosi al solo istinto, si stancano, e disgustano in breve di tutto, e vanno in traccia di sempre nuove impressioni, e con avidità si apprendono a qualunque oggetto si presenti loro dinanzi ; e ciò non per migliorare , ma cambiando anche in peggio coli' esporsi a scuotimenti , e sforzi, e danni piuttosto che continuare in uno stato non intermesso di quiete, e nel possedimento degli stessi godimenti : dal che la prima affe- zione, e la più semplice, insita nella nostra natura , la cu- riosità sempre vaga dell' alimento di cose nuove : La sete naturai che mai non sazia Se non con 1' acqua , onde la femminetta Samaritana dimandò la grazia. Dante Purgai. I. 21. v. 1. a. 3. ia8 Sopra il Diletto del Terrore ecc. Qualunque oggetto pertanto è atto a stimolare, ed eser- citare le nostre facoltà corrisponde a questa naturale incli- nazione., e potentemente la seconda, risveglia l'attenzione, ed a sé la trae ; soddisfacendo così ad uno dei maggiori bisogni dell'uomo, quello di avere lo spirito occupato. Sem- bra però cbe l'uomo dalla noja, e dall'importuna molestia dell' inazione , e dell' inerzia aggravato potesse liberarsene , procurandosi commovimento , azione , ed esercizio intellet- tuale. Ma è troppo evidente , che , siccome è assai più agevole , e naturale il sentire che il pensare , ed il primo più pronto, e spedito rimedio che il secondo alla capacità, e attitudine della massima parte degli uomini superiore, vol- gonsi presso che tutti, e ricorrono alle sensazioni , e prefé* riscono all' occupazione puramente mentale ciò che serve di pascolo ai sensi , ed al cuore : e se intervenga e concorra l'azione simultanea di più sensi , e molto più l'impressione dei sensi insieme , e del cuore commosso da ciò che v'ha di più interessante negli oggetti, la preindicata soddisfazione riesce necessariamente la più compiuta , ed energica. Al quale riflesso è da aggiugnersi, che nello stato d' inazione, e d'inerzia anzidetto, e cosi di noja, e di mal' essere , sembra quasi mancare l'attitudine, l'attività, e la forza di pensare a checchessia; stato penoso poco diverso da quello ove troppe cose ci si avvolgono , ed affollano, nostro malgrado, per. la mente , e pensiamo trascorrendo rapidamente , e vagamente sugli oggetti , senza poter fissarci a nostra scelta in alcuno di essi. Questa soddisfazione però del riferito bisogno di scuo- timenti, od eccitamento , non può dirsi che derivi ugual- mente da qualunque sorta di rappresentazione. E certo che le idee di dolore , e di pericolo agiscono sulF animo con maggior forza, e destano quindi impressioni più vive, e pas- sioni più potenti \ poiché si riferiscono direttamente alla no- stra medesima esistenza,, ed alla sua conservazione , oggetto, e fine superiore ad ogni altro nella nostra estimazione; sic- Memoria del Sic. Avvocato Luigi Tirelli. 129 come quelle che in sé comprendono, e racchiudono l'immagine della lesione, e della distruzione, dello sconcerto, o deterio- ramento della organizzazione. Al dolore, ed alla sua energica impressione cessando, o menomandosi ogni distrazione sem- bra, che tutte le nostre facoltà concorrano insieme, e co- spirino a questo solo punto, ed effetto, e che tutta l'anima si raccolga in se stessa, e si concentri a sentire, onde l' im- pressione medesima venga a riuscire e profonda e durevole ; tutti quindi gli affetti profondi in dolor si risolvono. E però le idee di pericolo , e di dolore cagionano all' animo quel genere, e grado di commozione, che è il più grande ; e per ciò stesso corrispondono , e meglio , e con maggior efficacia al bisogno soddisfanno che non i sentimenti lieti, e piacevoli, di lor natura più superficiali, e languidi, e più brevi. Da nuli' altro infatti procede , che il tetro spettacolo delle altrui miserie, e sciagure richiami, e alletti l' attenzione della più parte, degli uomini: le risse, i combattimenti, isupplizj , le catastrofi, i grandi e rischiosi sforzi, tentativi, ed esperimenti, e così qualunque oggetto ispiri terrore, e operi, e influisca in maniera analoga a queste impressioni sono sorgente di sommo interesse. È pertanto fuori di dubbio che le perce- zioni dolorose suppongono un' impressione più forte neh' or- gano , che occasiona tali percezioni di quello che sia l' im- pressione occasionante la sensazione di altro genere. Ma se viene questo scuotimento , e stimolo , e questa azione a produrre nella nostra sensibilità una modificazione in sé piacevole, perchè serve all'esercizio dell'attività degli organi, e così delle facoltà dell' animo, ciò accade, e si ve- rifica lino al punto che non arrechi attuai danno, e non giunga alla violenza. Imperciocché lo scopo dell'autor della natura nell' averci fornito della sensibilità altro non è stato , come ognuno scorge manifesto, che di somministrare un mezzo onde poterci sottrarre alle impressioni perniciose; senza di che non avrebbe l'alta sapienza «li lui provveduto alla con- servazione dell'uomo. Se adunane una qualche impressione Tom. I. i y i3o Sopra il Diletto del Terrore ecc. o lacerando le fibre , distraendole , o contraendole , oppure affaticandole e debilitandole, tende a scompigliarne la tessi- tura , e F armonia ; la sensibilità prontamente con la sua ripugnanza ne avverte, affinchè si possa fuggire siccome oggetto, e istromento di distruzione. Bla il dolor fisico ap- porta sempre o in un modo, o nell' altro il danno predetto, e in sé contiene un qualche grado di violenza ; e però questa specie di dolore è meno propria , ed opportuna a soddisfarci in tale bisogno. Serve quindi al diletto, sic- come soddisfa a un bisogno, l'esercizio della sensibilità singolarmente nei dolori morali, ove non si riscontra danno attuale della macchina; e per ciò stesso vi serve, quando il dolor morale per la soverchia forza non arrivi a produrre negli organi, come qualche volta interviene, un'impressione somigliantissima a quella di un grave dolor fisico. Lo ha già avvertito il dotto, e profondo Gravina nella sua Ragion poetica esprimendosi , e notando = che la commozione degli affetti anche dolorosi è sempre mista col diletto quando ci stimola lentamente. = Ciò ripete, e vi fonda suo sistema il Fontenelle in questo stesso argomento. Conchiudasi adunque essere il diletto cagionato da quel dolore, che, ritenendo la sua pro- pria natura, consiste in un' impressione afflittiva, e penosa, la quale risveglia , scuote , ed agita l' animo nostro , mettendo in moderato esercizio le sue facoltà col produrre ciò che appellasi interesse. Questo interesse, ove non è danno attuale, che tenda alla distruzione , o al deterioramento dell' organizzazione , si riscontra nei mali altrui , e non può esistere senza affe- zione ; in modo che non possono disgiugnersi , e quasi distinguersi tra di loro. Abbiamo in odio l'autore, o promo- tore del male, perchè la sua vittima c'ispira sentimenti di amorevolezza, di benevolenza, di propensione ; ed in questi appunto P interesse consiste , e quello precisamente . da cui procedono la compassione , e il terrore ; affetti amendue coesistenti, e indivisi poiché l' altrui patire ci affligge , e 1* Memoria del Sic. Avvocato Luigi Tirelli. i3i altrui pericolo ci spaventa. È legge universale della nostra natura, che tutto (pianto esercita vivamente le nostre facoltà senza attuale offesa, riesca di piacere; derivando dalla loro medesima essenza, e dalla loro destinazione ripeter dovendosi una tale proprietà per la quale sola acquistano sviluppo, incremento, e perfezione: ma questo scopo ottenere si dee molto più, e verificarsi nell'esercizio delle affezioni sociali , e in quelle impressioni , che servono loro di alimento , e lomento. L" uomo è di sua natura socievole; né di argomenti ha bisogno per dimostrarlo, e dame le prove ; quando senza tale principio, ed istinto è manifesto che non sarebbe prov- veduto né alla sua conservazione , né al conseguimento di venni line o naturale, o soprannaturale della sua esistenza. E però non importando altro questa proprietà che tendenza, incitamento, attrattiva (il che equivale a bisogno ) a vivere, e comunicare co' suoi simili, ne viene il mutuo commercio di relazioni, di soccorsi, di servigi, e di affetti, che suppone, ed esige questo stato ; e quindi la compassione per gli altrui disastri tanto necessaria, ed utile a promovere tra gli uomini i vicendevoli uffizj di assistenza, di benefìcj, di riguardi. Cice- rone, e Seneca fra gli antichi, Puffendorf, e Cumberland co' più celebri moderni scrittori di diritto naturale in ciò rico- noscono, e costituiscono il principio fondamentale della loro dottrina; che il maggior bene, cui possano gli uomini aspirare, é la maggior possibile benevolenza ; e che a questa benevo- lenza siam tratti da una disposizione intima dell' animo , da una inclinazione , e compiacenza proprie della nostra natura, e da essa inseparabili. Egli è per la simpatia, prima delle molle, e passioni sociali, che in noi si opera, e sviluppasi il detto interesse, e il sentimento di affezione, e di compassione che ne dipen- de ; altro non essendo la medesima che una specie di so- stituzione per cui entriamo, e ci mettiamo nel luogo degli altri, e ci troviamo quindi turbati, commossi, ed afflitti con loro. Benché però il senso della compassione , e quello del ) 3a Sopra il Diletto del Terrore ecc. terrore, che lo accompagna, contengano sempre in sé l' im- pressione dolorosa, riscontrasi nondimeno una differenza im- portante tra chi n'è affetto, e l'essere che soffre diret- tamente. Avvi in esso una specie particolar di dolcezza, che ne tempera l'amaro; e l'anima se ne compiace come nei moti che più corrispondono, convengono, e si confanno alla sua natura. Siamo partecipi dell' altrui soffrire ; ma , sic- come questa passione ha la sua origine, e il proprio fonda- mento nelT esercizio delle affezioni sociali , per disposizione di Provvidenza accompagnato sempre da diletto , viene a comunicarsele la sua piacevol natura, e a formarsene un sentimento misto , nel quale il piacere va unito , e spesso prevale alla molestia , e alla pena. Per questa medesima simpatia semhra che goder doves- simo dei beni altrui come soffriamo dei mali; onde cosi ri- trarne, e provare anche in essi quel sentimento tanto con- sentaneo alla nostra natura, che è cagion di piacere: ma così effettivamente non succede. Primieramente nella compassione domina molto più, e sviluppasi il principio della benevolenza sociale, che l' Autore della Natura ha nel nostro essere in- nestato , e profondamente scolpito appunto per l' utilità del mutuo soccorso ; onde si fa maggiormente sentire ove mag- giore è il bisogno. Oltre ciò agisce un tale principio di benevolenza nel caso degli altrui mali liberamente senza ve- runa contrarietà, e senza ostacolo che l'urti, e il rintuzzi; poiché, mentre gli oggetti della pietà, e del terrore, eccitando la nostra sensibilità, la ravvivano, e la fomentano, negli oggetti, e rapporti all'incontro, che appartengono agli altrui vantaggi* e godimenti, viene, l'esposto principio da opposti affetti più forti , cioè dall' amor proprio , dal prepotente desiderio del nostro ben essere, e così dall'invidia, travaglio, e tormento del cuore, respinto, e paralizzato. Questo piacer diretto, ed essenziale, che sempre accompa- gna l'esercizio degli affetti di benevolenza nei mali altrui rice- ve poi, ed acquista un accrescimento d'intensione dall'intima Memoria pei, Sic. Avvocato Luigi Tirelli. r3°> compiacenza dell'animo, clic approva gli atti corrispondenti a questo senso di simpatia da cui si genera la pietà. Noi proviamo in noi stessi (pie" sentimenti che ci vengono ispirati, e raccomandati dalla natura, e dalla religione; ed in questa coerenza, e conformità non v'ha dubbio che trovar dobbiamo una pura, e gioconda soddisfazione, e contentezza. Sopra di clie si esprime ben a ragione il Gravina che = compiangendo il male altrui sembriamo giusti, ed onesti a noi stessi; e la riconoscenza della virtù in noi occupa, e lega le nostre po- tenze con un piacere intellettuale, che vince ogni altro. = Il «piai piacere dell'intelletto porta, e seco trae naturalmente quella sincera , e pronta adesione del cuore , che , immune da qualunque siasi turbamento, prende il più delle volte un carattere di profonda inesprimibile dolcezza. Quivi però si oppone, ed affaccia al premesso irrepugna- bile principio una troppo ampia, e comune eccezione ; ed è che in pratica non sembra l'uomo provare, e risentir bene spesso un tale interesse, e diletto di simpatia, e svilupparsi quindi, e spiegarsi questo affetto in favore dell' umanità . e della virtù. La storia, e la giornaliera esperienza il dimostra- no, e ne convincono ad ogni passo con lo stenderci innanzi agli occhi, e schierare nella serie delle umane vicende tanti delitti, e tanti atti di fredda insensibilità, e di squisita bar- barie. Non può il fatto revocarsi in dubbio comunque in manifesta contraddizione col principio ; ma questo non ne viene per ciò a perdere della sua intrinseca verità; che anzi mi fornisce ciò all'uopo di un più forte argomento tutto proprio del mio assunto. Egli è dunque che nei casi di eccezione che si riscontrano in pratica 1' amor di se stesso, affetto pre- dominante cui sempre è ogni altro subordinato, prevale nell'uomo; ond'è che la contraddizione da altro non dipende fuorché dal contrasto delle passioni, le quali intromettono un accidentale ostacolo alla naturale inclinazione. Ne viene quindi, e scorgesì manifesto essere l'interesse nostro personale quello solo che induce I' alterazione, trasnatura l'indole, e l'istinto, i34 Sopra il Diletto del Teriioue ecc. e toglie, o scema vigore, ed efficacia al dolce, e benefico influsso della simpatia, ed alle virtuose affezioni, che l'ac- compagnano. Gli scellerati, dice Pope nel prologo del Catone di Adisson, rimasero sorpresi di sentirsi inteneriti, e di pian- gere allo spettacolo della tragica rappresentazione. Quel tiranno di Fera, di cui la storia greca ci ha conservato memo- ria, si sentì commosso alla rappresentazione di una tragedia di Euripide, e bagnato di lagrime; provando per finti perso- naggi la pietà, e l'affetto, che non aveva pe'suoi concittadini. Egli era adunque umano, e sentiva questo principio di bene- volenza per disposizione di natura ; e solo per accidentali rapporti , e per impulso di proprio interesse era crudele : per il che agiva, ed esercitavasi 1' affezion sua liberamente, e senz'aldina opposizione, a favore di vittime degne di compassione, da cui nulla aveva a temere, uè poteva ricevere sinistre impressioni. E però verificavasi in esso quel che in proporzione, e secondo le diverse particolari circostanze ri- scontrasi in tutti gli uomini, nei quali sembra qualche volta assopita la sensibilità, e presso che estinta. Ciò che dicesi dell'interesse può anche attribuirsi, e appropriarsi a particolari opinioni, idee, ed abitudini, a certe combinazioni , e circo- stanze estrinseche, e così alle tante diverse relazioni incoe- renti, e discordi , che si tramischiano , e reagiscono ora dis- giuntamente or di concerto a modificare, diviare, e fin anche distruggere il senso, e l'affetto della pietà. La natura insomma è uguale a un dipresso in tutti ; e il solo interesse e le pas- sioni ne rendono varie, incostanti, o inefficaci le inclinazioni. L' arte non presenta uè la troppo viva intensità , che ci abbatte ed opprime, né la complicazione di interesse proprio, che estingue , o rintuzza il sentimento. Aristotile nella sua poetica il principal fine della tragedia costituisce nell'operaie il purgamento del terrore, e della compassione ; il che altro non significa, e può esprimere, se ben si riguarda, fuorché purificare , o appurare la natura di queste passioni , repri- merne gli eccessi , e toglierne ciò che offende o disturba ; Memoria pel Sic Avvocato Luigi Tirelli. i3,r> spogliandole di tutto quanto vi si riscontra nella realtà frammisto, e che tendere, e servir possa a pregiudicare il piacere proprio dell' esercizio di tali affezioni. Quella per tanto, che tempera, addolcisce, e digrada opportunamente i tratti del quadro è l'imitazione; la quale col magistero dell'arte esclude dalla sua opera tutto ciò che ritrovasi, e scorgere si potrehhe di ributtante , di violento, o difettoso nella realtà. Si è tenuto, e detto da Aristotile a questa parte ( e prima di esso lo aveva Omero dimostro coli' esempio) che il fine, ed oggetto immediato delle bell'arti è l'imitazione e rappresentazione della natura, cioè della verità; ed in ciò non avvi chi dissenta, e contraddica: che anzi dichiara, e protesta il Dittatore della poesia francese nulla esservi, e poter essere di bello, ed amabile che il vero, eziandio nella favola. Ma l'imitazione non è copia; e la natura non vuole imitarsi qual'è precisamente, e si trova esistere negl'individui. Il vero di Boileau non è il vero esistente, ma quello che può essere; il vero, li di cui ele- menti, e modelli parziali si riscontrano sparsi, dall'arte raccolti, ed uniti, e combinati con industria squisita a for- marne la bella , e scelta natura a somiglianza del Giove di Fidia, dell' Elena di Zeusi, dell' Ercole di Glicone, della Ve- nere di Cleomene. Questa bella , e scelta natura è quella che costituisce ciò, che chiamasi bello ideale^ ove si accop- piano le analoghe qualità, e circostanze nella realtà disgiunte, e si distribuiscono opportunamente, e si assegnano ; e d'onde è tolto , e sparisce tutto quanto scorgevasi nella realtà me- desima d'incoerente, di deforme, e di estraneo : sì fattamente, che, quantunque non si discosti dalla verità, ed anzi gli sia sempre di base, e di norma, può dirsi l'artista, e considerarsi ingegno creatore, poiché pel suo magistero vengono a rice- vere gli oggetti un'esistenza tutto nuova. Gli antichi poeti, ed oratori hanno chiamata la facoltà di vedere , e trovare la bellezza ideale una ispirazione; fingendo, che si fosse 1* artefice innalzato fino alle regioni celesti per rintracciarla , e quivi coglierla. 1 36 Sopra il Diletto del Terrore ecc. E veramente interviene, che, considerati gli oggetti da rappresentarsi, come s' incontrano , ed appariscono qua, e là dispersi, e in tante forme, e combinazioni svariati, la natura si dimostra, come osserva Platone , ripiena di difetti , e d' imperfezioni. Laonde colui che si fa a dipingere, e rappre- sentare la natura medesima sceglie , e si appropria quanto vi discuopre di corrispondente, ed acconcio al suo fine, ed a questo si appiglia, e restringesi : tal che appunto arriva ad interessare, e piacer bene spesso la rappresentazione offertaci dall'aite, quando o ci ributta, o lievemente ci tocca, o ci riesce indifferente la realtà. Correva per ciò presso gli an- tichi il detto : è bello come una statua ; indicando con que- sta espressione quel che pur viene presentemente riconosciuto dai conoscitori , le figure della natura dover' essere posposte a quelle dei Greci scultori. Noi siamo soliti a lodare un bel fiore, o un bel frutto dicendo, che sembrano dipinti. E in questo aspetto , e rapporto volendo Giovenale esprimere , e significare una tempesta, in cui tutto concorra , e si trovi adunato quanto esservi mai può di gravi e spaventevoli ac- cidenti, la chiamò tempesta poetica. Ho detto con Platone, che la natura è piena d'imper- fezioni, molte parti in essa riscontrandosi deformi, e disgu- stose; e non vorrei che fosse un tale concetto per offendere le orecchie troppo inclinate, e facili al sospetto, e allo scru- polo. Come avvien mai che si possa correggere, e migliorare con l' arte , e abbellire , e cosi superar la natura? La Prov- videnza creatrice, e conservatrice di questa natura si formò un disegno immenso d'inconcepibile varietà di generi, di specie, d' individui ; avente però unità, e fine determinato, cui serve qualunque siasi ente, ed è subordinato per una mirabile, ed oltre ogni umana intelligenza concatenazione , e combinazione di mezzi, e di ordigni segreti, di cause sco- nosciute , di effetti palesi. E quindi perfetto , giusta questo suo fine , per l' ordine generale , e per la sua destinazione , un tal magistero , comunque per noi incomprensibile ; ma Memoria del Sic. Avvocato Luigi Tirelli. 1.37 la perfezione non appartiene che al tutto, non mai alle parti, ciascuna delle quali ha il suo intimo grado di eccellenza, e la sua essenziale bellezza rispetto all'indicato fine che è la gloria del suo Autore = universa propter semetipsum ope- ratus est = . Alla bellezza sensibile dei singoli oggetti non ha dunque mirato l'Onnipotenza creatrice; di questa anzi, dopo la colpa di Adamo, ne rimasero appena alcuni vestigj qua , e là sparsi , ed impressi : ma l' uomo , formato a sua immagine, la più perfetta delle sue opere visibili, costituito sovrano della terra per la naturale superiorità della sua ragione, sceglie, migliora, emenda, ricompone, e abbellisce questi oggetti medesimi, dando loro nuovo ordine, e nuova forma, e vita con l' arte ; di modo che senza l' opera di lui non verrebbero a presentare generalmente che un aspetto di squallore, disagio^ selvatichezza, e deformità. Così, essendo di lui intento nei lavori delle bell'arti il piacere, presceglie un campo circoscritto, alle sue foi'ze, ed a' suoi mezzi com- mensurato , e proporzionato , e si adopera di esprimere , e rappresentare in questo ristretto spazio bellezze comprensibili ai sensi, e per sé, ed in se medesime ordinate, e foggiate sulla concepita idea, e norma di perfezione. Siccome dunque il fine delle beli' arti è la bellezza sensibile delle parti, e che perciò P artefice si fa nelle sue opere a concentrarne i tratti qua, e là dispersi affinchè riescano più appropriate, ed ener- gicbe le loro impressioni , e maggiore l' effetto ; ne viene che il bello ideale, creazione dell'uomo, può dirsi, e soste- nersi che veramente superi la natura. E ciò che scorgesi , ed avvera riguardo ai singoli oggetti materiali applicar vuoisi per uguale principio , come osserva Bacone , alle parziali composizioni, e combinazioni di più oggetti, e qualità, ed a qualunque rappresentazione di caratteri, di azioni, di avve- nimenti. Descrivendo pertanto , e rappresentando il poeta trasce- glie, aduna, accumula, e distribuisce a suo arbitrio quelle naturali e vere apparenze, e circostanze diverse le quali con- Tom. I. 18 x 38 Sopra il Diletto del Terrore ecc. correre, e contribuir possono a rinforzare nell'animo l'im- pressione, disponendo, e accomodando il suo soggetto al fine del piacere; e quelle separa, e rimuove, che affievolir ne po- trebbono, o divertirne l'effetto. Per tal modo le arti imitative tolgono alla realtà ciò die essa può avere di odioso , d' in- coerente, d' improprio, d' inverisimile, e ne ritengono soltanto ciò che v'ha d'interessante, aggiugnendo, e innestando quel che altrove discoprono di analogo, e di opportuno. E vera- mente non interviene parecchie volte nelle cose umane che a lato del sublime, del terribile, del patetico, del maravi- glioso si trovi il famigliare, il deforme, lo schifoso, il ridicolo, e che nell' atto stesso di sentirsi il cuore agitato alla tene- rezza, e dolcezza della pietà, sollevata, e trasportata l'anima sopra, e fuori di se, s' incontri, e provi il disturbo, lo scom- piglio di affezioni diverse , le quali scemano , o tolgono il pregio, e l' interesse alla situazione, ci respingono, e rimet- tono allo stato di prima, ed anche più sovente ne riducono ad inferior condizione , e in disposizioni incompatibili con l' effetto della principale impressione ? E così il poeta con levare all'oggetto, o all'avvenimento, in cui dalla pietà, e dal terrore dee nascere il piacere, tutto ciò che possa avere in sé d'indole diversa, e collegandovi nel tempo stesso con artificiosa disposizione quanto , giusta la qualità del soggetto , apparisce altrove in pieno accordo con tali affetti; produce con la rappresentazione quel diletto, che, al dir di Aristotile, è loro proprio ; il che non si verifica, né può verificarsi nella realtà. Qui personaggi indegni, troppo forti; o prolungate impressioni , monotonia , incoerenza , di- sordine, languore, bassezza, assurdità, inverisimiglianza, op- posizione d' interessi ; quando l' arte supplisce , e provvede a tutte queste imperfezioni formandosi un tutto compiuto , armonico, aggradevole , passionato. Aristofane nella sua com- media degli Acamesi si fa beffe a ragione di Euripide pei laceri , e luridi cenci nei quali avea mostrato ravvolto sul teatro il suo Telefo, onde esprimerne più al naturale, ed al Memoria del Sic. Avvocato Luigi Tirelli. i3o, vivo, non da imitatore, ma da copista, la miseria. Né meno è da biasimare lo stesso Euripide nel suo Alceste, ove cerca Admeto di persuadere a suo Padre di morire per lui ; e il vecchio buonamente (con verità, ma senza decoro, e senza nobiltà, e dignità alcuna di sentimenti) se ne difende, e aper- tamente ripugna. Si è detto perciò da Aristotile, che So- focle ha rappresentato gli Uomini come dovrebbero essere, ed Euripide come sono ; ed è per questo appunto che la pubblica censura non perdonò all'ultimo, come scorgesi anche nelle commedie delle Nubi, e delle Rane, di aver deturpato il carattere, e il decoro degli eroi della scena, ed avvilito l'arte col descrivere immagini abbiette, e ributtanti. E infatti massima, e sentenza comune, e fondamentale nelle beli' Arti ( fuori però del genere romantico , che rigetta le regole, e leggi della classica letteratura come ingiusti vincoli, e intollerabile servitù ) che la sola somiglianza col vero non costituisce l' eccellenza dell' imitazione ; che anzi l' esattezza della conformità coli' originale ne toglie il più sovente, o ne scema il pregio : onde non ha l' autore a proporsi di con- servare nella sua opera tutte le vere circostanze, e partico- larità, ma quelle unicamente, che al suo soggetto, ed intento convengono , tali singolarmente che non sieno atte ad av- vilire l' idea, ed il concetto per quella mescolanza di nobile, e di triviale , di serio , e di ridicolo , la quale bene spesso riscontrasi nelle condizioni, e circostanze, nel linguaggio, e nei modi, oggetti, e rapporti delle moderne società. Egli è per questa felice scelta che la pittura } alla quale è dato di congiugnere in una sola vista contemporaneamente più immagini , e circostanze patetiche , cogliendo il punto più interessante nel soggetto , può qualche volta superar 1' effetto della poesia ; la quale non presenta che una succes- sione d' immagini , e di azioni , che l' uno dopo 1' altro sol- tanto , e così F uno senza dell' altro ci lascia scorgere , e rilevare, e gustare gli elementi del bello. Ma è da ciò ap- punto che emerge, e deriva un vantaggio, e pregio importali- i4-o Sopra il Diletto del Terrore ecc. tissimo di quest'ultima, che appartiene pur esso a quell'ar- tificioso magistero pel quale riesce la finta rappresentazione più assai piacevole della realtà. Presenta, è vero, la poesia l' uno dopo 1' altro i suoi quadri ; ma questa stessa condizio- ne, e necessità giova, e potentemente contribuisce in ultima analisi a migliorar l'effetto generale, e rendere più vivace, e grata nel suo pieno l' impressione. Quello infatti , che da sé offende , disgusta , o assale con soverchio impeto , ed urto , o disordine l' immaginativa , ed il cuore può essere così felicemente preparato , e disposto da ciò che precede , o talmente addolcito, temperato, o compensato da ciò, che segue, che, invece dell'impressione dispiacevole, onde per sé, ed isolato ci avrebbe turbato, e travagliato, produca co' suoi accessori , e con queste associazioni il migliore , e più compiuto effetto che possa bramarsi. E la rappresentazione, e il discorso possono in tal modo diriger l' animo, e volger- ne, e regolarne i movimenti, ed ordinare così la successione degli oggetti che un detto , un sentimento anche solo , ri- chiamando altre idee, sia valevole a destare il maggior in- teresse, e la più dolce commozione. Aggiugnesi ai pregi ProPrj •> e(^ agu artificj dell' inven- zione, a rendere sempre più vivo il piacere dell' imitazione , il particolare potentissimo effetto della magia dello stile, la sublimità, la forza, il patetico dei sentimenti, la maestrevol pittura dei caratteri , e del costume , e qualunque dote di esecuzione ; il tutto diretto , ed appropriato al fine di rap- presentare le umane passioni in quell' ordine, in quel lume, e con quella gradazione , che opportunamente disponga , e guidi la nostra attenzione, e commozione, acciocché meglio colpiscano, e penetrar possano il cuore. Vero è, che questa specie di diletto si estende anche nella dovuta proporzione , e secondo la rispettiva natura, e qualità, alla commedia; ma troppo manifesto apparisce essere assai più proprio della tragedia, ove concorrono il mirabile, e il sublime degli og- getti, la nobiltà, e dignità dei personaggi, V energia, e viva- Memoria del Sic. Avvocato Luigi Tirelli. 141 cita delle passioni, e la prerogativa della più splendida elo- cuzione , e dei sentimenti più elevati senza mistura d' idee , ed immagini triviali , ed abbiette , o di deboli , e superficiali sensazioni. Tutto ciò che si riferisce al sublime degli oggetti , e dello stile costituisce il più alto grado cui possa essere l'animo nostro sollevato, quindi la più grande impressione , e il più grande interesse ; e così fornisce il maggior piacere all' immaginazione; ed è per con- seguenza la più copiosa sorgente dei piaceri del gusto. Egli è nelle tragedie che apparisce, e campeggia la bellezza dei pensieri, l'eroismo dei sentimenti; quivi è che trionfa il linguaggio dell' eloquenza : e qui accenti di dolore , tenere , e focose esclamazioni, animate visioni, espressioni veementi, e patetiche , pitture energiche , affettuose , soavi risuonar fanno in ogni cuore le voci d.ella natura portando agli occhi la dolcezza del pianto. Tutto ciò maestrevolmente disposto, e collocato, congiunto inoltre all' attitudine , e abilità degli attori, e alle industrie della scena cagionar dee fuor di dubbio un prepotente incantesimo ; e quindi ridurre la finzione alla realtà, la rappresentazione all'atto; onde all'occhio, e alla fantasia dello spettatore non rimanga più alcuna diffe- renza, se non quanto potrebbe nel vero arrecar nocumento all' impressione quella mescolanza, e quel concorso d'imper- fezioni , che di rado , anzi non mai , più , o meno se ne scompagna. Qual prestigio infatti è mai quello che fa dimenticare allo spettatore se stesso , che gli comunica nuovi sensi, ed affetti, lo investe di incognita energia, e magnanimità, e lo rapisce in tempi, e luoghi diversi? Quale è l'uom colto, o rozzo , qualunque siane il carattere , il genio , la patria , 1' educazione, cui non sembri essere testimonio, e a parte dell' infelice sorte d' Ifigenia, di Andromaca, di Merope, di Brit- tannico, d' Ines, di Zaira ? E come mai potrebbe nella realtà ritrovarsi, e intervenire quel concorso di circostanze tutte opportune , quella serie di immagini, e di quadri e queir 1^2 Sopra il Diletto del Terrore ecc. artificiosa, e pur sempre verisimile, e naturale, combinazio- ne, e gradazione d'impressioni senz' alcun oggetto, o rapporto disgustoso, e ripugnante; quella viva, ma senza danno, ed offesa alcuna, rappresentazione di passioni, che operan questo incanto , e il rendono cotanto piacevole , e caro ? Se nelle ultime due scene del famoso dramma = misantropia , e pentimento = si avessero dinanzi realmente due sposi, per le stesse cause già disgiunti , e nell' atto di rivedersi dopo lunga, e dolorosa assenza, e poi separarsi per sempre, come mai potrebbe darsi uno spettacolo sì tenero , e passionato ? Quanti oggetti, e motivi tenderebbono a disturbare, trasviare, indebolir l'impressione con le memorie del passato, le incon- venienze, e i pregiudizj del presente, con sensazioni, ed idee estranee, incompatibili, odiose, importune, triviali, stucche- voli ? Come mai saprebbero, e potriano questi due sposi con sì mirabile, e nel tempo stesso celato artificio presentare una tal progressione di situazioni, e di sentimenti, onde ec- citare, avanzare , e spingere al suo più alto grado la com- mozione, senza che intervenga , e apparisca checchessia ad arrestarne ,.o alterarne l'andamento? Se riguardisi pertanto all' effetto non ha dubbio che al vero si appose Aristotile pronunciando, e sostenendo la preferenza della tragedia so- pra F epopea , la quale si limita a narrare ; ove F altra ti conduce, anzi ti strascina a mirare cogli occhi proprj i per- sonaggi, e gli avvenimenti = quocumque volent animum auditoris agunto =. Il gran Metastasio pur esso, consi- derando quest'arte = che produce il più squisito di tutti i piaceri mentre rende visibili le diverse nei diversi in- dividui interne alterazioni degli affetti umani , dei quali investito il poeta, ne investe l'animo degli spettatori seco dolcemente trasportandoli , = conchiude assolutamente , e decide , che , avendo la tragedia il vantaggio di cagionare un più vivo, e di lei proprio sensibilissimo piacere , e di conseguire più certamente, e più sollecitamente il suo fine, è dell' epopea indubitabilmente più perfetta. Memoria del Sic. Avvocato Luigi Tirelli. i43 Ma non è egli vero , opporrammi qui alcuno , che ap- punto nel caso di compiuta illusione ci debbono le altrui sciagure toccare alle strette come se fosser reali , produrre la stessa forte impressione, e strappare cpiella specie di velo, che sembra distendere l'imitazione per temperare, e addol- cire i tratteggiamenti del quadro? Se hanno, come non v' ha dubbio, la medesima origine, la medesima natura, le stesse modificazioni la compassione dei mali reali, e cpiella dei mali d'imitazione, non viene ad essere misto al diletto della tragedia quel turbamento , che ne è inseparabile ? Io non negherò certamente cpiesta mescolanza, o partecipazione di dolore nelle impressioni del terrore, e della pietà, che, comunque rattemperate vengano sommamente dall'arte, non se ne scompagnano mai ; ed anzi confesserò , che se la tragedia, spogliando il fatto, e l'oggetto di ciò che ha di violenza , e di eccesso , scema di assai , e disacerba per cpiesto rapporto esso dolore , la separazione , e l' allontana- mento per altro rapporto di ogni circostanza , e idea estra- nea, ed atta a indebolire, trasformare, o deviar l'impressione, nell'atto di aggiugnere all'interesse dello spettatore, ac- crescer pur dee in qualche parte l' efficacia , ed influenza dell'azione penosa. Ma è quivi medesimo, e dalla difficoltà del proposto argomento , che ritrae , e piglia il discorso novella forza , e quel maggior grado di dimostrazione , cui tende. Se l'illusione può riuscire molte volte completa, come ne abbiam l' esperienza, non avvien mai che ella sia conti- nua ; scorgesi anzi, che, se l' impressione piacevole contiene, in quanto la finzione ha l'aspetto di verità, un grado di dolore, che ne turba il godimento, non può questo travaglio dell'animo durar lungo tempo; avendo luogo, ed occupan- doci 1' illusione drammatica soltanto per intervalli. Più cause interne, ed esterne agiscono, e debbono essenzialmente influire nello spettatore, onde risvegliarlo da questa specie di vaneggiamento, scuoterlo dal sogno, e renderlo con una l44 Sopra il Diletto del Terrore ecc. rapida successione accorto dell' inganno ; siccome appunto frequenti , e moltiplica sono sempre le cause medesime , quantunque di varia indole, ed efficacia. Questo richiamo adunque, e ritorno a se stesso, e in se stesso, ed alla realtà, che tratto tratto interviene fa nello spettatore cessare il dolore nelP atto che egli si avvede dell' illusione ; e ciò in modo che vengono a succedersi l' una all' altra queste due impressioni rapidamente. Non possono però essere contem- poranee, poiché l'una esclude essenzialmente 1' altra; quindi non regge, né può sostenersi il principio di Fontanelle , e di Uhaldo Cassina , che le consideran simultanee ; benché nella rapidità della successione riesca malagevole distin- guerne, e determinarne il limite e punto preciso. Si piange per un eroe, dice Fontenelle, e si conosce nel tempo stesso che le sue disgrazie sono finte. Ma come ciò, se il rattri- starsi, il piangere, l'affliggersi per questo personaggio sup- pone che le sue disgrazie ci sembrino vere? Come provar si potriano queste affezioni di terrore, e di compassione se ci fosse di continuo presente all'animo l'idea, e la persua- sione della finzione del fatto, che si rappresenta, né mai ci facesse illusione una tal rappresentazione ? Le immagini di terrore, e di pietà non possono cavarci le lagrime se non in quanto le supponiamo prodotte da mali effettivi, e il finto ci sembra vero. Vengono adunque le indicate affezioni di terrore, e di compassione ad essere accompagnate da un senso doloroso per effetto dell' illusione. Lo spettatore però dalle accennate cause interne , ed esterne richiamato a se stesso si accorge ben presto dell'inganno, e riconosce la finzione; onde ces- sa improvvisamente il dolore come a chi destasi da un sogno afflittivo liberandosi da una tormentosa oppressione. Ma ritorna , e si riproduce questo medesimo inganno con la detta illusione, cui mira incessantemente il magistero dell' arte ; sì fattamente che il dolore , ed il piacere sino all' ultimo si rinnovano , e con una rapida successione si Memoria del Sic Avvocato Luigi Tirelli. i4-5 avvicendano. Nella quale manifesto apparisce dover essere il diletto più intenso in proporzione del maggior grado d' illusione, e della maggior rapidità del riconoscimento; e ciò in qualunque ipotesi , e comunque giudicar si voglia , o conghietturare sulla teoria dell'indole del piacere, e del dolore, sia considerando la rapida cessazione di quest'ultimo come l'unica sorgente e causa del primo, sia ammettendo, oltre di essa , piaceri positivi , e di per sé aventi una tale proprietà. Ed ecco perchè , ove per colpa dell' autore , o per imperizia, e inettitudine degli attori, manchi, o sia dehole 1' illusione , manca pure , o è dehole il piacere ; do- vendo la quantità, o entità dell' effetto corrispondere essen- zialmente all'importanza della causa, cioè alla quantità, o entità del male che rapidamente cessa. La porzione adun- que e il senso di dolore , che resta nella compassione allo spettacolo della Tragedia, si trasforma perciò, e si converte pur esso in piacere ; e tanto più vivo , ed intenso quanto maggiore è stata la forza dell' illusione. L' avvicendamento però , e la rapida successione delle diverse impressioni si verifica sopra tutto in un oggetto , che merita particolare, e distinta riflessione,, siccome quello in cui riunisconsi , e concorrono tutte le premesse cause di piacere, come raggi al foco dello specchio. Parlo della so- spensione che nasce dall' intreccio della tragedia. Essa in altro non consiste che in una continua agitazione, e vicenda di timore , e di speranza ; contiene in sé , sopra ogni altra parte del dramma, eccitamento, e stimolo di curiosità, scuo- timento, e movimento dell' animo, esercizio sempre più vivo di affezioni sociali, sempre più potente incantesimo d' illu- sione, frequente, e rapida cessazione di dolore; onde è fonte precipua di diletto allo spettatore. Le sciagure dei personaggi rappresentati ci rattristano , ed affliggono ; ma fino a tanto che l' azione rimane in sospeso, e spiegato non iscorgesi l'inviluppo, speriamo di vederla riuscire a seconda dei nostri desiderj , e delle nostre idee. Allorché poi il pro- Tom. I. 19 i4^ Sopra, il Diletto del Terrore ecc. gresso, e quindi lo scioglimento non corrisponde all'aspet- tazione , e non si accorda con le inclinazioni del nostro cuore , si fa più intenso il dolore , e diventa alcuna volta per brevi istanti affanno, e presso che ambascia. Ma, succe- dendo il riconoscimento della finzione , ne proviene , e si forma un piacere tanto maggiore quanto più gagliarda è stata F impression dolorosa; e qui si fa anche più intenso , e giugne al suo massimo grado pei molti , e varj punti , e rapporti, che riguardano l'imitazione. Per il che si ar- guisce , e consegue naturalmente , che , senza sospensione , e incertezza non potendosi ottener l' effetto , almeno com- piuto , nelle rappresentazioni altra volta vedute , e di cui si conosca , e si abbia presente V andamento , e l' esito , assai più debole riuscir deve il piacere ; quello restando quasi unicamente che si riferisce ai pregi dell' arte. Lo ha pur osservato Aristotile , ed espresso nella sua poetica = Ad haec , quibus maxime mortalium animos tragoedia delectat, fabulae quidem partes peripetiae, ed agnitiones sunt. = Tutte le premesse cause pertanto si uniscono, e cospi- rano a produrre , accrescere , e perfezionare col magistero dell'arte il diletto della tragedia. Ho detto, e dichiarato sin dapprincipio^ che io non intendeva punto a poter rag- giugnere 1' ultima causa di questo fenomeno , né mi propo- neva di ridurne la spiegazione ad un solo principio , come altri ha tentato; persuaso che allor quando ci inoltriamo al di là delle immediate qualità sensibili delle cose , esponiamo la nostra ragione a vane, e pericolose divagazioni, e, se- condo si esprime il Metastasio, ad un riprensibile dispendio di tempo nel procurare inutilmente d' apprendere gli arcani, e mal sicuri principi di quelle attività , che tutti abbiamo già per natura, e che in altro sostanzialmente non consi- stono fuorché nella propensione, o ripugnanza naturale per certi oggetti , o qualità ; propensione , o ripugnanza la cui esperienza , ed osservazione ha scoperto , e dettato quelle , che chiamansi leggi del buon gusto. Ho creduto di non Memoria del Sic Avvocato Luici Tirelli. 147 aver a prendere, e considerar la qnistione sotto un solo punto di vista aggirandomi Ira le sottigliezze , e i nascondimenti delle astrazioni ; ed ho pigliato quindi le mosse da fatti noti, ed incontrastabili lungi da arbitrarie ipotesi, da in- certe conghietture , da principj vaghi, e controversi, e da spirito sistematico; spiegando, giusta l'insegnamento di un celebre Metafisico , i fatti medesimi con altri fatti , di cui non ha alcuno che non possa render conto a sé stesso ; e sponendo le conseguenze , che spontaneamente ne derivano. Tale , a mio credere , è la vera , e soda filosofia ; naturae judicia, come disse Tullio, non opìnionum commenta; quella che il gran Bacone chiamava = istoria delle facoltà intel- lettuali , istoria delle passioni , istoria del piacere , e del dolore =. E così panni di aver ridotto il proposto tema ad un grado di chiarezza , anzi di evidenza , che valga ad appagare chiunque senza prevenzione si applichi all'esame di questa materia. A questo scopo in soggetto cotanto di- scusso , ma sempre avvolto in sì grande varietà di opinioni, e di giudizj , io ho mirato ; non potendo per altri titoli persuadermi, o lusingarmi d'interessar chi mi ascolta. Del rimanente non intendo io già, che tutto debba sempre avvenire come precisamente ho figurato, ed esposto né più uè meno. Il temperamento , il carattere , il sesso , le abitudini , le circostanze degli spettatori ; 1' apparecchio , e la disposizione dello spettacolo; la perizia, e attitudine degli attori ; singolarmente il merito del soggetto , e quindi la forza , e proprietà dei sentimenti , e dello stile rendono diversa in diversi casi l'impressione, e maggiore, o minore l'effetto. Volendo prendere ad esame, analizzare, e spiegale 1' enunciato fenomeno ho dovuto considerarne la cagione efficiente neh' esser suo proprio, e supporrà quindi spoglia, ed immune da quegli accidentali difetti, che intromettervi possa 1' umana imperfezione , e molto più 1' imperizia , e l'incapacità, a scemarne talvolta, e pressoché distruggerne 1 opera, e la possanza. In proporzione però, e in corrispon- i4-8 Sopra il Diletto del Terrore ecc. denza dei mezzi impiegati sarà sempre vero che dovrà con- seguire il successo, e riuscire l'azione più, o meno poderosa a seconda dei mezzi stessi , e delle disposizioni di coloro sui quali si esercita. Onde sussiste , e riman fermo , e irre- pugnabile il principio ; comunque non possa , né debba essere applicato senza eccezione, e distinzione ad ogni caso. Il diletto adunque , che provasi alla rappresentazione dall'arte offertaci, e messa avanti a' nostri occhi, d'oggetti nella realtà disgustosi , e spiacenti non da una sola , ma vuoisi ripetere da varie cagioni, che più., o meno influiscono a produr questo effetto. Un bisogno essenziale all' uomo è quello di essere frequentemente scosso , stimolato , e inte- ressato ; quinci riscontrasi una sorgente di piacere nella disposizione propria delle sue facoltà morali ; per la quale il bello, e il buono continuato perde anch'esso il suo pre- gio , ed ogni sua attrattiva. Ma se la soddisfazione di questo bisogno è necessariamente un piacere , ove non s' incontri eccesso , o danno attuale dell' organizzazione , molto più in- terviene neir esercizio delle affezioni sociali singolarmente di benevolenza ; tale essendo la natura dell' uomo , e così esigendo la sua destinazione. Questo piacere aumenta poi d' intensione per 1' interna compiacenza, che prova ognuno nel riconoscere in sé consimili tratti di bontà, di umanità, di virtù , che , ove non si frappongano personali relazioni d' interesse , e di passione , si manifestano sempre , e si spiegano in noi alle sciagure , ed ai patimenti dei nostri simili. Queste relazioni però, e pregiudizievoli alterazioni, e perturbazioni, congiunte spesso con l'esposto attuai danno, s' incontrano nella realtà ; ed oltre ciò con esterne imper- fezioni , e circostanze estranee , incoerenti , o ripugnanti concorrono a modificare , sformare , o distruggere la tene- rezza , e dolcezza della commozione , e la piacevole impres- sione : quando non avvi una simile mescolanza, e combina- zione là dove l'arte si studia di eliminarne ogni traccia, affine di escludere tutto quanto non appartiene , e si affa Memoria del Sic Avvocato Luigi TieSlli. j4<) al diletto proprio delle due predominanti affezioni compas- sione , e terrore. Sparisce dunque per 1' arte qualunque difetto, qualunque aggregazione d'improprio, e d'estraneo che più o meno si riscontra nei caratteri , ed avvenimenti reali; poiché In altro non consiste l'imitazione, e rappre- sentazione della natura che nell' adunare, scegliere, e di- stribuire acconciamente quel bello, e perfetto, che si trova in essa disgiunto, disperso, o frammisto. Che se accoppiata al piacere riman sempre una partecipazione di pena , ridu- cendo 1' artificio dello spettacolo alla realtà gli oggetti mediante l' illusione , che alcuna volta , e per intervalli è compiuta; avviene altresì che indi pure ne emerga una sorgente di nuovi piaceri corrispondenti alle rapide cessazioni di dolore , che provengono dal frequente richiamo delle cause interne , ed estrinseche dall' illusione al vero. Una tale spiegazione da verun' ipotesi , o particolar si- stema sull'indole del piacere, e del dolore non dipende; ma a qualunque si adatta, e concorda senza opposizione, o dif- ficoltà. Mi sia però lecito , o Signori , qui sul fine della mia Memoria , soggiugnere a guisa di appendice , una generale osservazione, che intimamente, e immediatamente si collega all'argomento; ed è, che, per quanto mi sia occorso di riflettere sopra me stesso , e su d' una multiplice varietà di casi , considerata nell' attuale suo essere , e quale inces- santemente apparisce , e si manifesta nelle sue operazioni , e relazioni la natura umana , il piacere della tragedia in ultima analisi, come tutti i piaceri delle bell'arti, consiste sempre in rapide cessazioni di dolore. Pietro Verri nel suo opuscolo siili' indole del piacere , e del dolore lo ha con molta chiarezza dimostrato ; sembrami nondimeno che un tale sistema fosse per sé suscettibile di un più grande, più accurato, e più perfetto sviluppo; in modo da renderne evidente l'applicazione. Possono, è vero, i piaceri delle beli' arti considerarsi come rapide cessazioni dei dolori in- nominati , cioè indeterminati , e vaghi , che consistono in i5o Sopra il Diletto del Terrore ecc. un mal'essere indistinto, e, per così dire, indeciso, ed ottuso, come la noja, questo fatale nemico cui niuno può sottrarsi ; ma, investigandone la loro propria natura, e primitiva cagione, hanno sopra tutto a riconoscersi per altrettante modificazioni dell'animo corrispondenti al soddisfacimento di un desiderio, o bisogno , ossia di una tendenza , o propensione della no- stra costituzione, e naturai conseguenza dell'organizzazione. La brama , e tendenza naturale per un oggetto , od una qualità porta di conseguenza un piacere nel secondarla , e mandarla , o vederla messa ad effetto ; e questo piacere altro non è , come ognuno manifestamente arguisce , che una vera e propria cessazione di dolore. Del rimanente è fuoi'i di dubbio , che in ogni luogo , e stato, se non sono con arte soppressi, e dissimulati, odonsi lamenti : uomini travagliati dal bisogno d' essere felici senza poterlo mai essere , inquieti nei piaceri , che appena assag- giati si dileguano, e perdono ogni loro allettamento, e sen- sibilissimi al dolore, cui sempre trovansi in ogni oggetto, che li circonda, esposti, e sempre forzati a cedere; oppressi per le privazioni, ed anche pei godimenti. I beni di questo mondo , dice quell' acuto , e leggiadro ingegno del Cardinal Pallavicino , acquistano alcuna mostra di grandezza col pa- ragone dello stato inferior precedente. Essendo quindi in- cessante , ed invincibile iielf uomo la tendenza a migliorare, e continuo il mal' essere, e l' inquietudine de' suoi desiderj , che vi aspirano ; non può considerarsi il piacere fuorché un desiderio soddisfatto, e così un miglioramento di condizione, o in altri termini una cessazione di dolore; poiché il desi- derio , prima di ottenere soddisfacimento , tien l' animo in uno stato di violenza, e di pena. Intorno all'intensità della qual pena, e violenza è da osservarsi che nel desiderio com- parisce assai maggiore l' immagine, ed è più energica l' im- pressione dell' oggetto che nel godimento ; ove decade , e svanisce in poco d'ora nella sensazione, e nell'estimazione. Lo ha detto Cicerone parlando della sua propria esperienza Memoria del Sic Avvocato Luigi Tirelli. io i che = non tarn id sentiebam cnm fruebar qnam tum care- barn = ; e non v'ha alcuno che non sappia, e non debba confessare a prova che nella realtà non trovasi mai quel bene che si figurava. La difficoltà poi , che s' incontra nel giudicare su di ciò ; per cui sembra presentare il detto principio a prima giunta non poche eccezioni: egli è non farsi attenzione che, siccome dolori, vi sono anche desiderj indeterminati, e vaghi senza certo scopo , ed oggetto, salvo nel mal' essere presente un miglioramento avvenire. Ma un fatto incontrovertibile, che una costante generale esperienza ha costituito in principio, si è che non avvi pia- cere, il quale non riesca insipido, e languido, e non perda, a cosi dire, il suo proprio carattere, ed il nome, ove con 1' abbondanza si trovi , e con la facilità accompagnato. Lo ha già avvertito Charron, che i piaceri facili, e pronti, e quando non vi sia disagio, e difficoltà, sono vili, e meschini. E però a misura, che essi costano, vengono anche ad acqui- stare in proporzione ed importanza, e valore; dimodoché, se la fatica 3 e il travaglio, ossia la pena , e il dolore , non F hanno preceduto, e preparato, appena è che si possa aver godimento ; non potendovi essere in questo caso cessazione di dolore. Così ghigne ad un grado di straordinaria inten- sità , qual si racconta di Archimede , il piacere di un Ma- tematico nella soluzione di un problema dopo lo sforzo di una lunga , e grave applicazione ; ed avviene così molte volte , che l'uom si procuri , e cerchi la soddisfazione di un soave riposo con la stanchezza di un passeggio protratto , e la- borioso. Diversi oppositori però ha trovato la premessa teoria, la cui verità è apparsa agli occhi di tanti uomini sommi ; allegandosi che abbianvi , ed esister debbano piaceri posi- tivi, e tali veramente di loro origine, e natura: il Sig. Gioja soprattutto, scrittor multiforme, che per acume d' ingegno , ed estesa , e varia erudizione è atto a sostenere ugualmente , o combattere con sottile dialettica qualunque i52, Sopra ìl Diletto del Terrore ecc. sentenza , è quegli , che , ultimo di tutti , e più forte cam- pione , ha posto cura ad impugnarla di proposito. Egli però questa volta , a mio avviso , ha smentito sé stesso , e spin- gendosi fino a contradir 1' evidenza , in difetto di prove , e di ragioni , si è appigliato al più facile partito , e metodo di supporre,, ed affermar come vero ciò che era il soggetto della quistione. E che può dirsi di lui , quando , contra 1' universale opinione , ed esperienza , arriva al punto di negare in un suo recentissimo trattato d'ideologia (i), che la cessazione improvvisa di un acerbo dolor fisico , come lo spasimo dei denti, col mezzo di qualche rimedio, o la fe- lice riposizione di un osso al suo luogo , o F estrazione di una spina non dieno. alcun piacere ? Sembra certamente che simili . paradossi non possano essere attribuiti ebe ad una distrazione, ed alla precipitazione di una fantasia preoccu- pata di un sistema favorito ; che non si è mai posto in dubbio se 1' improvvisa cessazione del dolore sia un pia- cere, ma unicamente se ogni piacere sia un' improvvisa cessazione di dolore. Del rimanente erronea senza molto riflettere , ed argomentare apparisce , e insostenibile la conseguenza , che ricavar pretende dalla contiguità che può darsi di alcuni piaceri ; il che pare a primo aspetto sovvertire , e abbattere il sistema ; poiché realmente , otte- nutosi il primo piacere con la rapida cessazion del dolore, non potrebbe aver luogo un secondo piacere immediato ; supponendosi non esservi intervallo di dolore da poter ces- sare. Una sola osservazione però basta a dileguare questa apparenza d' irresistibile argomento ; ed è che al piacere può coesistere un qualche dolore, ossia con una sensazione dilettevole, e grata ritrovarsene un'altra disgustosa, e mo- lesta. Ed è ciò , che sempre avviene , e si avvera in questa Assai più oscura ebe serena Vita mortai tutta d' invidia piena, ( i ) Tom. II. Part. 6. Cap. 3. Memoria del Sic Avvocato Luigi Tirelli. i 53 ove non si riconoscono piaceri perfetti ; come niuno ha mai potuto , o può arrivare una perfetta felicità, e la piena sod- disfazione di ogni desiderio. Si aggiugne, che solo in parte può cessare un dolore , e produr così un piacere, che lasci luogo ad altra contigua cessazione di dolore. Ad un piacere adunque ne succede senza difficoltà un altro consistente nella cessazione di un dolore diverso da quello , che cessò anteriormente , oppure di una parte , o quantità di dolore , anche dello stesso genere, conservatasi, e rimasta viva. Di fatti l'esempio addotto dal Sig. Gioja a dimostrazione, e in prova del suo assunto mette esso pure in chiaro la verità del principio ; che una sensazione , o idea piacevole non esclude la coesistenza di altra sensazione , o idea disaggra- devole. Uno, dice egli, dopo lauto pranzo allegro, e ridente sente piacer da un profumo , da una tazza di caffè , da un canto armonioso , da un bel quadro. Nulla più agevole della risposta ad una tale obbiezione. Allorché altri ha largamente mangiato , e bevuto ad un lauto pranzo non ha con ciò soddisfatto a tutti i suoi desiderj , e bisogni di qualunque genere , né sono cessati tutti i suoi dolori fisici, e singolar- mente morali ; ne possono anzi restare , e ne rimangono d' indole diversa: ed oltre ciò la stessa ottenuta soddisfazione ne ingenera per sé dei nuovi , di cui prima non esisteva traccia. Così la sazietà neh' uomo che si è riempiuto lo stomaco di cibi , e di liquori non è capace di portare con sé una piena contentezza , e la rimozione di qualunque siasi impressione spiacente ; essendovi altri desiderj , e bisogni cui poter soddisfare fra mezzo , e dopo i piaceri della tavola. Non v' ha egli il bisogno di essere scosso dall' indolenza , dall'inerzia, dalla noja, dalla monotonia delle impressioni; il bisogno di esercitare , e mantenere in un moderato eser- cizio le facoltà intellettuali ; la curiosità , e le affezioni tutte che si riferiscono o a noi medesimi, o alla società? Dopo lauto pranzo non vi'può essere il piacere della novità, della varietà, della bellezza, tutti quelli che si chiamano piaceri del gusto? Tom. I. 20 i54 Sopra il Diletto del Terrore ecc. Non può darsi per diversi rapporti , e in diversi aspetti soddisfazione d' amor proprio , oppure , senza sortire dall' ordin fisico , di altri sensi ? D' altra parte non può egli un gran pranzo arrecare, dietro la sazietà, gravezza, avversione alle vivande , all'odore dei cibi, e dei vini, oppressione di capo, sonnolenza , inettitudine della persona ? Anzi se a lauto pranzo si gusta un piacere , terminato il medesimo , questo piacere più non esiste , poiché nasce dall' atto della soddisfazione del bisogno ; mentre poi compariscono , e si danno a sentire gì' incomodi per cui si espresse già Seneca = si vis ciborum volnptatem contemnere exitum expecta =. Si arguisce aduncpie , e si rende manifesto da tali osserva- zioni , che il profumo , e la tazza di caffè , e la musica , e il bel quadro soddisfanno ad altri bisogni, che sono altri dolori coesistenti alla sensazione aggradevole dei cibi , e dei liquori , ed anche della giocondità del convito , oppur derivati da questo stesso ultimo godimento. Il profumo ap- paga l'odorato stanco , e nauseato dalle prolungate , e varie esalazioni del pranzo singolarmente al suo termine ; una tazza di caffè toglie la gravezza , dissipa la sonnolenza rav- vivando l' azione della macchina, e l' intelligenza , conforta lo stomaco , giova alla digestione , e procura un assoluto , e manifesto miglioramento di condizione ; un canto armo- nioso , un bel quadro formano una gioconda distrazione , servono a far cessare i dolori innominati , e corrispondono a que' bisogni , e desiderj , cui non ha potuto appagare la tavola. Il senso tutto materiale dei sapori ha conseguito la propria soddisfazione ; ora l' anima riceve ugualmente la sua. Non v' ha circostanza , o situazione alcuna , in cui si trovi piena contentezza senza alcun misto di dolori , o sen- sazioni moleste , se non altro indeterminate , indistinte , e mal conosciute, da potere in un modo , o nell'altro cessare, e di cui non si ami la cessazione = nihil est ab omni parte beatum =. Ed è stato detto a ragione , che il solo stolto può chiamarsi , e considerarsi perfettamente felice. Salo- Memoria del Sic Avvocato Luigi Tirelli. 1 55 mono consapevole a se stesso niuno mancargli degli ele- menti, ed oggetti 3 che concorrono a procurare la maggior possibile felicità, ricchezza, sanità, gloria, sapienza, dopo la prova di tutti gì* immaginabili godimenti, e la soddisfa- zione d'ogni desiderio ss omnia rpiae desideraverunt oculi mei non negavi eis , nec proli ibui cor meum quin omni voluptate frueretur = ; sclamava , e protestava , costrettovi dalla propria sperienza, e dalla forza della verità = taedet me vitae meae videns cuncta vanitatem , et afflictionem spiritus =: come il grande Agostino a Dio volgersi gri- dando ss irrequietum est cor nostrum donec requiescat in te =. Se nell' immortai vita avvenire sarà il piacere e posi- tivo, e assoluto, e pura., e perfetta la felicità nella visione, e godimento di Dio , ciò non potrà verificarsi che per una modificazione dell' attuale esser nostro , quando per quell' essenziale cambiamento di stato di cui parlasi in Giobbe , e nell'epistola di S. Paolo a' Corintj = donec veniat im- mutalo mea = omnes resurgemus sed non omnes immutar bimur =, non vi sarà più luogo pei giusti a dolore, e per conseguenza a piacer negativo ; conservando i reprobi la stessa, ed anzi acquistando maggiore suscettibilità al patire senza speranza di veruna possibile cessazione di dolore. Di fatti verrà ad essere questa mutazione sì grande che potrà dirsi piuttosto un rinnovellamento, una nuova natura, tanto che , dove il testo della volgata si esprime in Giobbe ss donec veniat immutatio mea = spiega quel dei settanta = donec rursus fiam =: vale a dire un passaggio dallo stato presente di corruzione, di passibilità , di pena a quello d' Incorruttibilità, d'impassibilità, di godimento perfetto, e perpetuo senza mistura , od ombra , e traccia di timore di evenibile, e possibile deterioramento. Ritorneremo così, ma con indicibile vantaggio , a quello stato in cui venne dap- prima collocato l'uomo dal Creatore; onde siamo pel fatale disastro della prima colpa scaduti col ridurci appunto a 1 56 Sopra il Diletto del Terrore ecc. quella suscettibilità al patire, e condizione di vita travagliosa, e dolente, che costituiscono la pena espressa dalla Divina irrevocabil sentenza = multiplicabo aerumnas tuas = in laboribus comedes = maledicta terra in opere tuo =. Il piacere adunque di cpiesta nostra vita in altro non consiste che nella privazione, o cessazione rapida del dolore, che è il primitivo , e principale elemento della natura , e condizione dell'uomo, la predominante di lui sensazione , il fondo delle sue passioni, il movente generale delle sue azioni ; dolore , io dico , di tante , e sì varie forme , e gradazioni , che gli sta sopra , e lo assale , e preme in qualunque stato e tempo , tra i godimenti , e al loro seguito. Così è che il piacere coesiste al dolore , e al dolore sempre confina ; lo ha veduto Lucrezio, che = medio de fonte leporum surgit amari aliquid quod in ipsis floribus urget = , e Cicerone che = omnibus in rebus , voluptatibus maxime , finitimum fastidium = , siccome ha 1' Eterna Sapienza pronunciato nei Proverbj , che = extrema gaudii luctus occupat = : onde se ne procaccia indarno difesa, e scampo, e libero ne vien riputato, ed immune il ricco, il potente, il filosofo, l' idolo del bel mondo. Le afflizioni dello spirito , le amarezze del cuore van cercando l' uomo , e il raggiungono eziandio nel colmo della sua pretesa beatitudine; e sempre nuovi desiderj ora determinati, e fissi, ora vaghi, ed incerti, e spesse volte chimerici, o contraddittori sono per esso ine- 5auribil sorgente di turbazione, di travaglio, d'inquietudine, di scontentezza. Saggio colui, che, fermo, e immobile nella sua fede , si attiene , e stringe a quella perfetta immutabil Legge di santità , e di grazia , la quale col munirne , e custodirne gli aditi , frenarne l' impeto , e 1' incostanza , re- golarne i movimenti , e prevenirne i traviamenti , e i peri- coli , sola difende , e salva in questo mar procelloso dal fatale naufragio ! Saggio chi cerca la quiete dell' intelletto in questa fede , e la pace del cuore nell' adempimento di questa legge ! SAGGIO DI ASTRONOMIA ANALITICA MEMORIA DEL SIG. PROF. GIUSEPPE BIANCHI Letta nell'adunanza del 19 Febbrajo 1820. , Ritrattazione di una Scienza ricca, d» l' Astronomia , di molte e grandi teoriche varii metodi pos- sono essere trascelti e adoperati : uno però di essi gode assai di vantaggio sugli altri, ed è quello a mio avviso cui suggerisce lo spirito della moderna analisi matematica. L' uniformità infatti dei criterii e dei processi da seguirsi nelle indagini scientifiche , e che hen risponde all' unità dell' oggetto generalmente proposto nel definire la Scienza ; l'estensione amplissima che le indagini stesse ne acquistano, legandosene tuttavia con ordine strettissimo e semplice i risultamenti ; e il confine che sempre e chiaramente può scorgersi tra quello che è stato eseguito e quello che rimane da farsi ; questi caratteri e pregi appartengono al detto metodo analitico eminentemente. Ma nasce il duhhio , se un tal metodo uniforme sia poi applicabile alle diverse parti e dottrine dell' Astronomia , la quale neh' argomento fondamentale delle osservazioni sembra dover tenersi al 1-58 Saggio di Astronomia Analitica linguaggio trigonometrico ; divenuta poscia un ramo della Fisica nella disamina delle osservazioni per dedurne le leggi dei movimenti celesti e il sistema del mondo ; sollevata quindi al rango più sublime della Meccanica,, mediante il dimostrato principio della universale attrazione ; discesa di nuovo a verificar le conseguenze delle formole astratte al confronto delle osservazioni ; e intenta da ultimo a perfe- zionare or 1' una or 1' altra di queste parti. Egli è forse in considerazione di tanti differenti oggetti nell'Astronomia che gì' illustri Autori dei Trattati di questa Scienza hanno giu- dicato di usar pure i diversi metodi che sembrano più con- venienti e conformi a ciascuno in particolare degli oggetti stessi ; e nondimeno è forza confessare che rimane tuttora a desiderarsi un ordine più perfetto nella completa esposi- zione delle dottrine astronomiche. Parvenu pertanto che un filo vi sia , somministrato anzi dalla natura medesima delle cose , dal seguire il quale tutte meglio se ne congiungano le varie accennate cognizioni , e possa infine risultarne dell' Astronomia una Scienza Fisico-analitica. È mio scopo di additarne in questo scritto il pensiero , e d' intraprenderne ancora qualche sviluppo. a. Incominciamo dal primo studio astronomico , da quello che riguarda alle apparenze celesti. Nel moto comune a tutte le stelle da Oriente in Occidente le osservazioni sta- biliscono che ciascuna stella si muove in un piano , muo- vendosi poi le varie stelle in piani differenti e paralelli all' equatore. Il sole , oltre la diurna rivoluzione delle stelle, ha un movimento proprio, e questo movimento pure si effet- tua in un piano , qual è 1' ecclittica. La luna ci offre la stessa circostanza nel girar che essa fa rapidamente intorno all'osservator terrestre, cioè anch'essa muovesi di movimento proprio in un piano. Si raccoglie da alcuni fenomeni che il sole e la luna sono due corpi sferici , e si ravvisa in en- trambi una rotazione,, per la quale ogni punto di tali globi rispettivamente si rivolge in un piano , e i diversi punti Memoria del Sig. Prof. Giuseppe Bianchi. i~><) d'uno stesso globo si aggirano perciò in piani paralclli. Ma le annunziate leggi non risultano esattamente dalle osserva- zioni, quando non si tolga dalle osservazioni stesse l'effetto della rifrazione , della aberrazion , della nutazione riguardo alle stelle , e quello inoltre della paralasse rispetto al sole ed alla luna. Queste piccole variabili deviazioni sono però soggette ad un regolare andamento, die non è difficile rico- noscere con un'attenta disamina delle osservazioni le quali, poiché ne siano corrette, confermano i precisi movimenti suddetti degli astri ne' rispettivi piani. Passando ai pianeti, e satelliti ed alle comete l'osser- vazione continuata di tali astri conduce a risultati ben diversi dai precedenti , né si trova eh' essi girino intorno alla terra in piani , né le divergenze loro dal moto in un piano si spiegherebbero colle tenui quantità di rifrazione , di paralasse, o di aberrazione. Dunque o i naturali principii de' moti celesti sono complicati e molteplici, o le apparenze nascondono un altr' ordine e sistema di moti reali. Si am- mettano le rivoluzioni planetarie , compresa la terrestre , intorno al sole; quelle de' satelliti, compresa la luna, intorno ai rispettivi pianeti primarii; e quelle delle comete intorno al sole. Si trasportino le posizioni osservate dalla superficie terrestre ai centri di movimento de' rispettivi astri; e allora ognuno di questi corpi vaganti per lo spazio apparirà muo- versi in un piano , clie passa pel centro della sua rivolu- zione ; laonde si conchiuderà generalmente la prima legge di Keplero. Determinate allo stesso modo le altre leggi Ke- pleriane se ne dedurrà, per forza di meccanica dimostrazione, la gravitazion universale. Ammesso inversamente, come ipotesi fisica, il Newtoniano principio dell' attrazione e applicate le dinamiche leggi ai moti celesti, con brevissima analisi si seuopre tosto la geo- metrica proprietà che il corpo di minor massa si aggira intorno al maggiore in un piano che passa per entrambi. Questo semplice caso di due sole masse attraentisi non è 160 Saggio di Astronomia Analitica però il caso della natura, e nel planetario sistema si hanno a considerar le attrazioni di molti corpi; quindi l'accennata proprietà non sussiste a rigore : tuttavia le forze perturba- trici , poc' anzi trascurate , sono assai tenui in confronto delle principali, che si contemplarono; il perchè l'ottenuto risultamento è una forte approssimazione alla realtà. Che se ricerchisi 1' esattezza, sarà il problema ridotto a determinare le piccole deviazioni dal piano di movimento dovute alle attrazioni perturbatrici. All'oggetto, che mi son prefisso , io non parlo qui se non della superficie , in cui si effettua il movimento ; converrebbe estendere il discorso e le conse- guenze agli altri elementi del moto , quando si trattasse inoltre dell' orbita descritta dal pianeta intorno al corpo maggiore. Infine rivolgendo le considerazioni alla Scienza pratica, a quella cioè dell'osservatore astronomo, quivi pure si scorge che ogni stromento e l'uso di esso ad una condizion gene- rale si riferisce, ed è che l'ottica linea di collimazione dee trovarsi in un piano invariabile. Gli stromenti meridiani, a cagion d'esempio, sono tali che l'asse del Canocchiale deve giacere per tutte le posizioni sul piano del meridiano ; così nelle macchine paralattiche si assoggetta con opportuna co- struzione il Canocchiale a muoversi , o nel piano di un paralello, o in un circolo di declinazione; e così dicasi degli altri stromenti, che nelle osservazioni si adoperano. Ma pei difetti meccanici e ottici non può soddisfarsi precisamente la detta condizione ; è duopo quindi correggere le osserva- zioni dalle deviazioni dello stromento , le quali nondimeno risultano quantità picciole , atteso il grado sommo di perfe- zione,, a cui l'arte in questo genere è pervenuta. Siffatte deviazioni poi altro non sono, in geometrico linguaggio, che gli scostamenti dell'asse o linea di collimazione dal piano, sul quale essa linea dovrebbe ognora esser posta. Da questi rapidi cenni si vede che la natura ci offre sempre ne' movimenti celesti un proprio e rispettivo piano, Memoria del Sic. Phof. Giuseppe Bianchi. 161 variabile per piccole variazioni, e che perciò u questo solo punto di vista ridurre si possono e ordinare le cognizioni tutte astronomiche , fin dove non trattasi delle distanze de' corpi e delle dimensioni delle orbite planetarie. Il seguire un tal ordine sembrami che assai convenga alla Scienza, la quale non è che la Dinamica del cielo, e che deve conse- guentemente indagare , per prima relazione di moto , la su- perficie in cui si muovono i corpi. Oltre i vantaggi che se ne hanno di stabilire , congiungere e compendiar meglio, per generalità di metodo, le stesse vastissime cognizioni , riesce poi bello il discuoprire per simil guisa e ammirare la sem- plicità o economia della natura in tanti fenomeni diversi, assoggettati dalla Sapienza del Creatore ad una legge co- mune geometrica; però con picciole differenze esse pure geometricamente soggette ad altre leggi secondarie. Ecco pertanto, se non m'inganno, l'anello dell'Astronomia ele- mentare colla celeste meccanica sublime. 3. Quanto al metodo e ai criterii del calcolo da impie- garsi nello sviluppo delle successive cognizioni astronomiche, il principio medesimo testé avvertito li suggerisce , e ne rende 1' analisi uniforme in ogni parte. Riguardati i corpi celesti ne' loro centri di figura , ossia considerandoli come punti, se ne riferisca la posizione istantanea qualunque per coordinate rettangole a tre assi arbitrariamente fissati. Queste coordinate saranno funzioni del tempo e variabili con esso dipendentemente dalle leggi del moto in questione. Si prenda ora 1' equazione , che neh' accennato sistema di assi , rap- presenta un piano geometrico nello spazio , e nella quale generalmente si hanno tre costanti arbitrarie. Egli è chiaro che , applicando tal equazione a tre date posizioni istantanee del corpo celeste , si determineranno le tre costanti del piano, che necessariamente passa per quelle, e che per una quarta posizione qualunque , ossia per quante posizioni si vogliano, risultando verificata l'equazion medesima si potrà conchiudere a posteriori che l' astro muovesi nel detto piano Tom. I. ai 162 Saggio di Astronomia Analitica già determinato. Fin qui non si è ottenuto che la prima approssimazione al caso della natura : convien inoltre sod- disfare alle deviazioni tenui dal piano , che realmente sus- sistono , e delle quali si hanno a rintracciar l' andamento e le cagioni. Giova all'uopo riflettere, che le indicate picciole perturhazioni affettano eziandio la determinazion precedente delle costanti arbitràrie del piano; quindi le trovate quantità non sono realmente costanti , ma variabili. A render più facile il problema si può fissare che la sola immediata va- riabile è il tempo, del quale sono funzioni le coordinate, e si può indi trattar separatamente la variazione delle costanti arbitrarie , in questa operazion rinchiudendo tutto F effetto delle cause perturbatrici , e considerando che le costanti stesse sono funzioni delle coordinate. Un somigliante artifizio e procedimento d' analisi fu immaginato e applicato dall' immortale Lagrange al calcolo delle perturbazioni planetarie, mediante la variazione delle sei costanti arbitrarie, che rap- presentano gli elementi elittici di un pianeta , e che sono portate dalla integrazion definita delle note equazioni diffe- renziali di second' ordine. Si sente che un pari metodo è praticabile ancora , quando semplicemente si discute l'equa- zione di un piano perturbato^ e quindi ad ogni astronomico argomento. Non mi occuperò nel presente scritto della variazion delle costanti arbitrarie di un piano, al qual calcolo si possono riferire le ricerche sulla rifrazione, sulla parafasse, sulF aber- razione e nutazione , e sugli errori pratici degli stromenti e delle osservazioni ; potrà essere questo il soggetto di altra memoria; ma intanto perchè veggasi, come vantaggiosamente si presta l' equazione del piano alla ricerca de' principii fon- damentali, mi propongo di esporre con tal mezzo la teorica elementare del moto diurno apparente del cielo; e a rimuo- vere di più l' opposizione di taluni, che il diretto linguaggio della scienza è diverso dall'analisi proposta, dedurrò dall'ana- lisi stessa la sferica trigonometria; su di che mi lusingo anche di aggiungere qualche forinola e considerazione alle conosciute. Memoria del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi. i63 CAPO I. Fenomeni del moto diurno apparente del cielo. 4- Suppongo accpiistata già dall'osservatore una prima ini perfetta nozione del moto diurno; al qual oggetto basta quasi uno sguardo meno che attento al cielo stellato du- rante la notte. Suppongo pure premesse le definizioni di orizzonte, di zenit, dei quattro punti cardinali, di azzimut, di altezza o distanza al vertice , di poli , di meridiano , di equatore , di declinazioni; vocaboli tutti facilmente derivati e che facilmente s' intendono dopo l'anzidetta nozione. Mio scopo non è che di ben dimostrare e stabilire quelle pro- prietà e leggi che imperfettamente innanzi si discuoprirono. Io supporrò anche fornito l'osservatore dei necessarii mezzi per istituire le sue osservazioni,, e consisteranno i suoi stra- nienti in un orologio e in circoli graduati orizzontali e verticali. Ciò posto vengasi al seguente Problema I. Determinare le circostanze generali del moto diurno delle stelle. 5. Per un istante qualunque di osservazione siano x,y, z le coordinate rettangole di una qualunque stella ; e a mag- giore facilità si prendano per piani coordinati l'orizzonte, il meridiano , e il primo verticale che passa pei punti Est , Ovest. Sia l'orizzonte il piano delle x, /, il meridiano quello delle a:, 3, e sarà il terzo quello delle j, z. Ora se la stella , considerata come un punto luminoso , muovesi da oriente in occidente sopra un piano , le sue coordinate do- vranno soddisfar l' equazione generale del piano Àx -4r By ■+> z. ■+? D = 0 . . . (1 ) 164 Saggio di Astronomia Analitica Non trattasi dunque che di determinar A, B, e D. Siano per tre posizioni osservate della stella x\y\ z'; x",y", z"; x'",y"\ z" le rispettive coordinate ; ripetendosi per ciascuna di queste posizioni l' equazion ( \) , si troverà colla eliminazione y\z'"-z") -*-y"(z'-z"')+/"(z"-z') Ji—y,(x" — x",)-*-yn{x'" — xì) -+-/" {x' — x") x'\z" — z") + x"(z'" — z')-i-x"'(z' — z") B— y\x" — x" )■+■?' (x"' — x' )-*-/" {x' — x") -"l2/ y'{z"x"'—z"'x")-*-y"(z"'x'—z'x'")+y'"(z'x''--z"x') -y'(x" — x") +/,.(/'-i') -+- y"'(x' — x") Sostituiti questi valori delle costanti nella equazion (i) , sarà per essa rappresentato il piano, che passa per le tre osservate posizioni della stella; ma inoltre si verifica l' equa- zione stessa, divenuta cosi particolare, dalle coordinate^,/, z, cioè per una quarta osservazione qualunque, o per quante osservazioni si vogliano ; dunque il moto della stella da oriente in occidente si effettua sopra di un piano. 6. Non si hanno immediatamente dalle osservazioni le coordinate rettangole x,y,z; ma per semplici relazioni di piana trigonometria facilmente se ne derivano. Rappresenti ( fig. i . ) OMEN F orizzonte, MN l'intersezione dell'orizzonte col meridiano, EO la linea d'Est-Ovest, posta ad angoli retti con MN. Sia una stella in S coli' azzimut a, coli' altezza b e colle coordinate rettangole x,y, z. Si cali S T perpendicolare all' orizzonte , si conduca per T il raggio orizzontale CP e si tirino PR, TQ perpendicolari ad MN. Riflettendo che ST e CT sono rispettivamente il seno e il coseno dell'altezza £, PR e CR il seno e il coseno dell' azzimut a, e istituite le proporzioni dei triangoli simili CTQ, CPR si ha tosto ST = z — sen. b \ TQ = y = sen. a cos. b > . . . (3) CQ = x = cos. a cos. b ) Saranno così espresse le coordinate rettilinee per gli elementi diretti delle osservazioni a e b; avvertendo solo che gli azzimut si prendono positivi a partire dal punto Sud M Memoria del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi. iG5 verso il punto Est E, e perciò negativi nel contrario senso. Scorgesi poi che dai precedenti valori (?>) viene soddisfatta l' equazione alla sfera di raggio i , cioè «■+/ + #a I ...(4) come dev' essere , giacché fino a tanto che mancano i cri- terii per giudicar della distanza delle stelle si riferiscali esse ad una comune distanza arbitraria , che si pone per 1' uso delle Tavole = i, e questa è il raggio della sfera celeste. (*) 7. Ogni stella movendosi in un piallo^ come si è di- mostrato , e sempre riferendosi essa alla superficie concava della sfera celeste , nel suo moto diurno apparente essa percorrerà una circonferenza di circolo della sfera medesima. Ora determiniam colle osservazioni le quantità costanti A^ B e D per molte stelle quali si vogliano. Si troverà pra- ticamente che A conserva per ciascuna di tali stelle un immutato valore ; che B è uguale allo zero per tutte ; e che D varia sensibilmente dall'una all'altra stella. Dalle prime due circostanze consegue la seconda proprietà del moto diurno , cioè il paralellismo dei piani , sui quali muo- vonsi le stelle rispettivamente. Infatti — A , per la qualun- que stella del n. 5, è la tangente trigonometrica dell'angolo che fa coli' asse delle x V intersezione del piano della stella col piano delle x, z, ossia col meridiano. Dunque le inter- sezioni o traccie dei piani delle differenti stelle sul meri- diano sono paralelle. B similmente è la tangente trigonome- trica dell'angolo che fa colf asse delle/ la traccia del piano della stella sul piano delle y, z. Trovandosi 2? = o, anche il detto angolo sarà = o; l'asse delle / sarà quindi para- lello alla traccia testé indicata. Dunque le intersezioni dei (*) N. B. Si potrebbe tenere indeterminato il raggio della sfera e rappre- sentarlo con r : l'equazione alla sfera ne sarebbe ugualmente soddisfatta, e i valori di A , lì riuscirebbero indipendenti da r; ma si pone r ~ i onde poter calcolare in numeri D, e verificarne pure in numeri, con una quarta osserva- zione, l'equazione (\). i66 Saggio di Astronomia Analitica piani delle differenti stelle col piano delle y, z saranno esse ancora paralelle. Intersezioni paralelle con due almeno dei piani coordinati non possono generarsi che da piani paralelli. Dunque le varie stelle tutte si muovono in piani paralelli. 8. Dal trovarsi costantemente B = o, dall'essere cioè le intersezioni dei piani o circoli delle stelle col piano delle /, z paralelle all'asse delle /, si trae l'altra conse- guenza che i suddetti piani sono perpendicolari al meridiano. Le intersezioni dei medesimi coli' orizzonte saranno cpiindi perpendicolari alla linea meridiana orizzontale. Il paralellismo di tali intersezioni è una conseguenza del paralellismo dei piani di movimento ; ma dall' avvertita ultima circostanza risulta di più che l'azzimut nel nascere o spuntare di una qualunque stella uguaglia l'azzimut nel suo tramontare. Ciò altresì confermasi direttamente dalle osservazioni : il cel. Delamhre parti anzi da questa circostanza osservata per esporre gradatamente le leggi del moto diurno. Viceversa risulta necessariamente 1' equazione B = o, quando suppon- gasi P azzimut al nascere uguale all'azzimut del tramontare. Si ponga infatti = a l'azzimut al nascere , = — a quello al tramontare di una medesima stella ; ne sia 3 P altezza meridiana. Suppongasi che le tre osservazioni per deter- minar le costanti A, B, D siano fatte al nascere , al pas- saggio pel meridiano , e al tramontar della stella. Per le forinole (%) si ottiene z' = o z" = seri, 3 z'" = o l y = sen. a y" = o y'" = — sen. a > . . . (5) x' == cos. a x" = cos. @ x" = cos. a ) Sostituendo questi valori nelle forinole (2) ricavasi sen. (3 \ cos. a — cos. 8 \ //- , D = — A cos. a ) Si faccia ==71' inclinazione dei piani delle stelle all'orizzonte. Memoria del Sic Prof. Giuseppe Bianchi. 167 sen. /? I. Sarà ftv»£. / = — yi = „ '-, " qual valore di ° cos. p — cos. a l taii«. I, ossia della cotangente della latitudine geografica fu pure trovato, ma con altro metodo, dal Delambre. 9. Immaginiamo nella sfera celeste tutte le circonferenze paralelle descritte nel moto diurno delle stelle da oriente a occidente. Fra tali circonferenze una sola può essere di circolo massimo, e sarà questa l'equatore: le altre forme- ranno di qua e di là dall'equatore due serie uguali con raggi decrescenti dall' unità fino allo zero. Li due punti o circoli di raggio zero sono i Poli , e m essi non trovasi alcun movimento; ma intorno ad essi le stelle si muovono e compiono quelle rivoluzioni, che imperfettamente dap- prima si riconobbero. io. Resta da considerarsi un altro elemento del moto diurno, la celerità ossia il rapporto del tempo allo spazio. Quanto al tempo suppongasi ]' orologio , fornito di pendolo a compensazione, regolato dall'osservatore in modo che passino esattamente 24 ore nelP intervallo fra due consecu- tive posizioni di una qualunque stella nello stesso punto del cielo. Ripetendo P osservazione in altri giorni e per altre stelle si troverà sempre che nel detto intervallo passano le a4 ore precise. Sarebb' egli il movimento diurno uniforme? Non abbiamo ancora un sufficiente criterio per esserne sicuri. Quanto allo spazio misureremo gli archi percorsi dalle stelle, ne' tempi corrispondenti, sull'equatore o su i proprii paralelli. Riprendiamo le tre osservazioni di una qualunque stella , che servirono a determinar A, B, D. Sia inoltre da t' rap- presentato P intervallo di tempo fra la prima e la seconda osservazione, da t" quello fra la seconda e la terza. Le distanze fra il primo e il secondo punto di posizione e fra questo e il terzo essendo indicate con r , r" avremo r''=/(xWT+(/'-/,r-H^-;'")T''fiy i68 Saggio di Astronomia Analitica Ora chiamato ni l' arco percorso dall' astro nel tempo t\ m" quello percorso nel tempo t", è chiaro che si ha ( posto = R il raggio del paralello della stella ) r = a R sen. \ ni '; r" = 2 R sen. \ m". Ma facilmente si vede che il raggio R è il coseno della de- clinazion della stella. Quindi chiamata d tale declinazione si conosceranno m\ m" in arco di cerchio massimo per le forinole r r sen. i ni. = -> ; sen. i m" = -, . . . (?>) 2 2 cos. a 2 2, cos. a ' ' nelle quali non si avrà che a sostituire per r , r" i valori (1). Si troverà così che le osservazioni soddisfanno alla relazione ni m" t , - = —■■■(9) Si facciano altre osservazioni della stella , e se ne tentino tutte le combinazioni a tre a tre , come or ora ; si troverà sempre verificata la relazione precedente fra il tempo e lo 1 a spazio. Prendasi anche —7 per una qualunque stella , —jr per un'altra stella qualunque : non cesserà di sussistere l'equazio- ne (q). Dunque le osservazioni dimostrano, che la velocità angolare di ciascuna stella e di tutte è invariabile ; dunque il moto diurno apparente è uniforme. 1 1 . Poiché le stelle si muovono in tanti circoli paralelli di un movimento angolare uniforme e comune a tutte , le mutue loro distanze debbonsi conservare inalterabili in qua- lunque tempo. La differenza di azzimut al nascere di due stelle sarà la medesima quando esse tramontano , e quando successivamente ricompariscano sull'orizzonte, e ne ricadano: così pure la differenza o Y intervallo de' loro passaggi al meridiano sarà in tutti i giorni costante. Simili altre con- seguenze si ricaveranno , le quali trovandosi conformi alle osservazioni confermeranno a vicenda le principali ricono- sciute proprietà del moto diurno. Questi ultimi fatti , che abbiamo avvertiti , si assumono in alcuni Trattati d'astro- Memoria del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi. 169 bornia come fondamento, per dedurne e stabilirne i caratteri del moto diurno ; egli è però manifesto che tali caratteri appartengono all'intima cpialità generale del movimento, e che le altre notate circostanze ne sono i casi particolari. 12,. Le stelle appariscono varie una dall'altra nella intensità del loro lume. Brillano alcune di esse nella volta cerulea vivacissime, altre splendono debolmente , molte anche non si posson discernere, se non col sussidio di forti cannocchiali e telescopii ; insomma si riscontrano apparente- mente nelle stelle tutte pressoché le innumerevoli gradazioni della intensità luminosa. In altri esterni caratteri sono pure le stelle fra loro diverse. Molte appariscono vicinissime una all'altra, e formali dei gruppi; altre all'occhio nudo insiem si confondono, e offron l'aspetto di nebbie o di fumi bian- castri , e tali sono le così dette nebulose e la via lattea. Qualche parte del cielo per lo contrario si direbbe (piasi una immagine di deserto e di solitudine per le poche stelle, e assai distanti in apparenza, che vi si veggono. Considerata bene tanta varietà , come si potrà poi accordare che cia- scuna stella si mova con uniformità costante e comune a tutte le altre, secondo le generali proprietà del moto diurno che abbiam dimostrate ? Sarà egli probabile che le stelle abbiano una comune angolare velocità invariabile , e che le vere velocità variino per le differenti stelle nel rapporto dei raggi delle circonferenze descritte ? Per ammetterne la supposizione , converrebbe figurarsi che il Supremo Autore della natura avesse impiegate ed impresse tante forze par- ticolari e distinte , quante sono le stelle che si muovono in differenti paralelli. Non è ciò per avventura contrario a quella economia del minimo numero dei mezzi atti a pro- durre il massimo numero di effetti diversi , per la quale ci si appalesa la potenza e sapienza infinita del Creatore ? Concepiamo invece che le stelle siano immobilmente attac- cate alla superficie concava della sfera celeste, e che questa ruoti in ù.\ ore precise intorno all'asse dei poli. Ne risul- Tom. I. aa 170 Saggio di Astronomia Analitica teranno i fenomeni e le proprietà del moto apparente di ciascuna stella , quali furon poc' anzi ravvisate. Giova dun- que ammettere , come più semplice , 1' ultima ipotesi , la quale se poi vien tolta nel progresso delle cognizioni , non è che per sostituirvene una più semplice ancora. Epilogando la soluzione del nostro Problema ne rimane stabilito: che ogni stella si move da oriente in occidente: che ogni stella si move in un piano : che i piani del moto diurno delle stelle sono tutti paralelli fra loro e paralelli all'equatore: che il moto diurno è uniforme per ogni stella, ed è a tutte comune angolarmente , ossia negli archi di equatore corrispondenti : che le stelle sono immobili e che la sfera celeste gira in 24 ore precise da oriente in occi- dente con movimento uniforme di rotazione intorno all' asse del mondo. i3. Atteso il moto diurno la posizione delle stelle ri- spetto all' orizzonte dell' osservatore è variabile ad ogni istante , e in un istante solo essa è pure diversa nei diversi luoghi della superficie terrestre. Neil' ipotesi però assunta della rotazion della sfera celeste la posizione delle stelle rispetto all' equatore non cangiasi per cangiare di tempo ; imperciocché si deve concepire, che in un colla sfera girino eziandio l' equatore e i paralelli. Si sente da ciò l' utilità di tradurre il linguaggio delle osservazioni , che riferisce le stelle all'orizzonte, in quello che all'equatore le riferisca. Ci proponiam a quest' oggetto il seguente Problema II. Trasformare le posizioni delle stelle dall' orizzonte all' equatore o viceversa. i4- A nonna dell' analitico spirito fin qui seguito è chiaro , che nelF esposto quesito domandasi di passare da un sistema di piani coordinati ad un altro. Per maggiore Memoria del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi. 171 facilità li due sistemi si assumano ortogonali. Siano, come poc'anzi, x, y, z le coordinate di una qualunque stella riferite per un istante qualunque all'orizzonte e al meri- diano. Per l'istante medesimo siano X, 1 , Z le coordinate della stella riferite all'equatore ed al meridiano, preso 1' equatore per piano delle X, Y e il meridiano per quello delle X, Z; laonde il terzo piano coordinato sarà delle Y, Z. In generale volendo passare dal sistema di coordinate ortogonali x,y, z all' altro di coordinate pure ortogonali , e aventi lo stesso punto d'origine X, Y,Z, si hanno dalla Geometria le seguenti relazioni X = a'x -+- a"y -+- a'"z J Y = 0'jk -+- P"y -+- P"z ! ... fio; Z = y'x -+- y"y -+- y'"z ) nelle quali a', a", a'" sono i coseni degli angoli che l'asse delle X fa rispettivamente con quelli delle x, delle y e delle z; (}', P", /3'" sono i coseni degli angoli fatti dall' asse delle Y cogli stessi assi delle x,y, z; e parimente y\ y", y'" sono i coseni degli angoli fatti dall'asse delle Z con quelli delle x,y, z. Fra queste nove quantità, che rappresentano la mutua posizione dei due sistemi, tre solamente sono arbitrarie, giac- ché debbono soddisfarsi le sei note equazioni a ? a a 0" 7h P" = I a a /'-*- 7'" = I ' -+- a"0" ~ 0 ' ■+- a'"y'" B= 0 (") $f.*.(ìY+l0H'yT = 0 Tali equazioni applicate alle relazioni precedenti fra le coor- dinate soddisfanno poi e rendono identica V equazione alla superficie sferica ** +f ■+- z* = X2 -+- V -t- Z* ... (1-2) 172 Saggio di Astronomia Analitica i5. Le riferite generali trasformazioni notabilmente si semplificano nel nostro caso, poiché uno dei piani coordi- nati , il meridiano , è comune ai due sistemi. Si ritenga 1' inclinazion reciproca dell' orizzonte e dell' equatore = /. E facile a vedersi che emergono i seguenti valori a! = cos. I ; /?' = o ; y' = — seti. I ì a"= o ; §T = i ;/'= o ...fi3; a'"= sen. I ; &"' = o ; f'= cos. I ) Sostituendo nelje (io) sarà X = x cos. I ■+■ z seti. I \ Y=y l'--M) Z = — x sen. I -4- z cos. I ) Si moltiplichi la prima di queste equazioni per cos. I, e se ne sottragga la seconda moltiplicata per sen. I. Dipoi aggiungasi alla prima moltiplicata per sen. I la seconda moltiplicata per cos. I. Si otterranno così le altre equazioni x = X cos. I — Z sen. J ] y = Y ...fis; z = X sen. I -+- Z cos. I ) Per mezzo delle equazioni (ì^) conosceremo la posizione della stella rispettivamente all'equatore, quando siane data la posizione rispetto all' orizzonte. Serviranno le (i5) nel caso inverso. 16. A rendere visibili le trasformazioni or ora eseguite immaginiamo che ZERO ( fig. a. ) rappresenti il meridiano, HKO l'orizzonte, EKQ l'equatore, ZKN il primo verticale e PKR il circolo di declinazione che passa per K, punto d' intersezione comune degli ultimi quattro indicati circoli , e polo trigonometrico del meridiano , coni' è chiaro per le definizioni de' circoli stessi. CH sarà 1' asse delle x , CK quello delle y e delle Y, CZ quello delle z , CE quello delle X, e CP quello delle Z. L' arco EH sarà manifesta- mente = I = Cfo° — EZ = ZP = 900 — PO. Le quan- tità di posizione a', a", ec. ec. si riscontreranno tosto con- formi ai valori (i3) per la sola ispezione della figura. Memoria dfx Sic. Prof. Giuseppe Bianchi. 173 17. Giova notare che la trasformazion precedente di coordinate orizzontali in equatoriali , o viceversa , è appli- cabile ad altri casi in astronomia, quando si considerino altri sistemi di piani coordinati. Purché i nuovi piani siano ortogonali , ed abbiali l' origine al centro della sfera celeste, ossia neir osservatore , si potrà sempre far uso delle generali forinole fio^, le quali potranno pure semplificarsi nel- le (i^)-> (i5) colla condizione che ne' due sistemi di assi coordinati si prenda un asse comune. Così nei tre sistemi di piani, orizzonte, equatore, ed ecclittica, sarà facile e noto per le stesse forinole il passaggio dalla posizion data di una stella rispetto ad uno di tali sistemi alla posizione di essa rispetto agli altri due; dati cioè per un istante qualunque o l' azzimut e V altezza , o l'ascension retta e la declinazione, o la longitudine e la latitudine di un astro, si determineranno gli altri quattro di questi sei elementi ; sempre però che si conosca la relazione o posizion reciproca degli assi, 1' inclinazione cioè dei piani delle x,y nei sistemi che si considerano. Questa generalità di soluzione di un Problema , che sotto differenti nomi di quantità date sem- bra offerire aspetto diverso, doveva essere avvertita. 18. Come si è praticato rispetto all'orizzonte (num.° 6), si possono sostituire in modo analogo rispetto ali' equatore le trigonometriche alle coordinate rettilinee. L' intersezione dell' equatore col meridiano terrà luogo di quella dell' oriz- zonte col meridiano , si cangerà V azzimut a in un arco u di equatore contato da .Everso K (fig. 2.) positivamente, e l'altezza b si cangerà nella declinazione d. Avremo così Z = seri. d. \ Y = sen. u cos. d. \ ... (ì6) X = cos. u cos. d. ) Si dedurranno poi con somma facilità le note forinole Z = sen. d = sen. b cos. I — cos. a cos. b sen. I \ X T tang.bsen.l \>--(\l) — = cot. u = cot. a cos. I -f- 2 I ' l/ Y sen. a 174 Saggio di Astronomia Analitica z = sen. b = seri, d cos. I ■+- cos. u cos. d sen. I x _ = cot. a = y sen. cot.ucos.I- tang.dsen.I \...(i%) sen. u i u cos. d = sen. a cos. b . . . (i<)) La quantità u è variabile, attesa la rotazion diurna della sfera celeste: essa è eguale all'ascension retta della stella di- minuita della così detta ascension retta del mezzo del cielo. Chiamasi u in astronomia angolo orario. Non è qui il luogo di esporre i metodi pratici per determinare il principio delle ascensioni rette , sia riferendole ad una stella data qualun- que , sia appoggiandosi alle osservazioni del sole. Basta che si comprenda, come si può conoscere, mediante la quantità variabile u sommata con una seconda variabile quantità, 1' invariabile posizione della stella qualunque rispetto all' equatore. Si vuole avvertire inoltre, che date tre in gene- rale fra le cinque quantità u, d? a, b, I il determinar le altre due non è opera che di eliminazione , avendosi all' uopo le forinole (17 ), (18), fioj. Il Problema delle trasfor- mazioni non ci ha fatto considerare che le più semplici delle combinazioni fra le quantità date e le incognite ; ma potrebbe proporsi di trovare uno degli elementi rispetto all' equatore e l' altro rispetto all' orizzonte , dati gli altri elementi di posizione. Non ci occuperemo al presente di ciò , dovendo ritornar in breve sulle ultime forinole ot- tenute. Passeremo invece al seguente Pro B L E M A III. Trovare i movimenti rispetto all'orizzonte, dati quelli rispetto all' equatore 0 viceversa. 19. Sia t l'intervallo di tempo siderale per la quantità di movimento in questione , e per tale intervallo siano d',d",d'" le differenze delle coordinate orizzontali z,y,x rispettivamente, e A', A", A'" le simili rispettive differenze Memoria del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi. 17.5 delle coordinate equatoriali Z, Y, X. Convien avvertire pri- mieramente che la declinazione della stella essendo inva- riabile dovrà sussistere A' = o. Si avrà poi dall'equazioni (i5), differenziandole V" =Anl cos. I d" = A" \...(ao) (*) d' = A'" seri. l\ e similmente dall' equazioni (1^) A"' = d'" cos. I ■+- d' seri. I A" =d" j ... (*i) o —d' cos. I — Ò'" seri. I) Queste semplici relazioni fra le differenze delle coordinate risolvono il Problema. Facciamone l'applicazione ai valori trigonometrici. 2,0. Nel tempo t sia il movimento in azzimut = i, e quello in altezza =3 k. Il tempo t ridotto in arco, a ragione di i5° per un' ora, sarà il movimento equatoriale , ed è chiaro che si dovrà prendere t col segno conforme a quello che si è convenuto di prendere per gli archi u di equatore. Fatto a = u = o al fine del tempo t ( nel qual caso si ha b = 8) (**) risulta dalle (2.0) (dividendo la prima per la seconda opportunamente e risolvendo immediatamente la terza ) cos. 8 — 2 cos. d cos. I seri.1 £ t \ cot. i = -. ■=- 1 cos. a seri, t [ . t . —cos.Q±\/ cos.'8-t-Acos.dten- Jsen.^^ t(sen. 8—cos.dien.Jsen.'^t)l ' niscn. 8 — cos. dsen. i sen.* it) i (*) N.B. Pel teorema di Taylor queste equazioni non sussisterebbero, se non nel caso rhe gli aumenti delle coordinate fossero abbastanza piccoli da po- terne trascurare i termini della serie oltre la prima potenza. Ma rifli-ttendo rhe è A' ~ o ; e che le altre differenze appartengono immediatamente alle rispettive coordinate, le dette equazioni sussistono anche per differenze finite, come la semplice sottrazione nelle formole (i^) e ('$) fa vedere. ( ** ) Si noti che al principio di t è b = (ì — k 176 Saggio di Astronomia Analitica Al principio di t avendosi manifestamente a = i, u = t, la prima delle ottenute formole sarà una ripetizione della seconda delle (18); dal confronto dell' una coli' altra si deduce subito cos. (1 = cos. d cos. I — sen. d. sen. I e quindi (3 = / -+- £?, come d'altronde era facilissimo a ve- dersi. Facciasi d = 0 , sia cioè la stella sull' equatore. Dalle precedenti si dedurranno le formole cot. i = cos. I cot. t \ — cot. I ± i/^TM + m* t \...(ù3) COS. 2 * Per una stella che passa allo zenit , ossia ponendo /5 = 90°^ si troverà cot. i = — cos. I tang. \t ì T , sen. I sen. ^t > /oA) tang. I k = ± »-—■?• • • M) Queste formole hanno luogo, quando comincia o finisce t all' istante del passaggio della stella pel meridiano. Suppo- niam in vece che t cominci o finisca , quando la stella è a 900 di equatore dal meridiano ; per esempio essendo t = 0 , abbiasi u = 900, l' azzimut = a e 1' altezza = b ; per la fine di t siano le quantità rispettive u\ a, b' ; e corri- spondente a t sia il moto della stella in azzimut = ì = a — a! ; quello in altezza k' = b' — b. Sostituiti i valori trigonome- trici delle coordinate rettilinee nelle (so), si trasformeranno queste nelle seguenti ( avvertendo che u' = 11 — t = 900 — t ) cos. a cos. b' — cos. a cos. b = cos. d cos. I sen. t \ sen. a' cos. b' — sen. a cos. b — — a cos. d sen." | t ì ... (2,0) sen. b' — sen. b = cos. d sen. I seri, t ' Dalla prima moltiplicata per sen. a si sottragga la seconda moltiplicata per cos. a; indi alla prima moltiplicata per cos. a si aggiunga la seconda moltiplicata per sen. a; divisi uno per l'altro tali risultamene e risolvendo poscia la terza delle precedenti equazioni si avrà Memoria del Sic Prof. Giuseppe Bianchi. 177 cos. b-\-cos. d(cos.acos. Jscn. t^2sen.asen.'^t) • COt. I =- cos. d (sen. <( cos. I sen. t-i-2.cos.rt seri.' ir t) ... cosbd—t/ cos/ b — cos.(lsen.lsen.t()±,sen.b-\-cos. ± I rappresentano tutte quelle stelle che o non declinano mai , né vanno sotto l'orizzonte, nel qual caso diconsi con proprio nome stelle circompolari, o che non ispuntano mai nell' emisfero visibile. Finalmente i valori , che soddisfanno l'altra condizione d < ±: / convengono a tutte quelle stelle che spuntano e tramontano , e per le quali la rispettiva durata del corso visibile è maggiore o minore di iah, secondo che si prende nella suddetta relazione il segno superiore o V inferiore. 2,3. Il sole, come ognuno sa, partecipa al moto diurno della sfera celeste ; ma esso ha inoltre il moto annuo ap- parente , pel quale cambiano del continuo le sue declina- i8o Saggio di Astronomia Analitica zioni. Il calore de' suoi raggi è necessario fisicamente alla vita e conservazione degli animali e de' vegetabili , e con- corre alla produzione di molti fenomeni. Ora il maggiore o minor calore dei raggi solari, che provasi alla superficie terrestre, dipende insieme e dalla maggiore o minore altezza, alla quale ascende il sole sulF orizzonte , e dal maggiore o minor tempo della presenza del sole sull' orizzonte ; ossia dalle due quantità @ ed 5. La doppia ragion fisica di ciò è abbastanza conosciuta. Per un medesimo istante qualunque, ossia per la stessa declinazione del sole saranno generalmente (3 ed 5 diverse pei diversi punti della superficie terrestre , e saranno pure (3 ed 5 diverse per lo stesso punto della superficie terrestre e per le varie successive declinazioni del sole. Nel primo di questi casi d sarà costante , / varia- bile ; nel secondo sarà d variabile ed / costante ; in questo dunque la prima e terza delle forinole (3 1 ) rappresenteranno il periodo annuo delle stagioni che si avvicendano ; e le stesse forinole in quello rappresenteranno le tre posizioni di sfera paralella , obbliqua , retta ; cioè le variazioni suc- cessive dei climi. Così riesce 1' analisi a racchiudere in espressione brevissima le variazioni e circostanze tutte di un fenomeno naturale, a prima giunta sì moltiplice, e sor- gente di altri fenomeni in gran numero. a/j.. Dalle formole superiormente stabilite risultano ezian- dio le proprietà del meridiano relative al moto diurno ap- parente , e ognuno può dedurle , bastando a me di accen- narle. i.a L'altezza meridiana di una qualunque stella è massima o minima fra le altezze della stella sopra 1' oriz- zonte, a.' Avvicinandosi la stella al meridiano, il suo moto in altezza è pressoché insensibile , e nel meridiano è sensi- bilmente orizzontale, avuto riguardo però alla declinazione. 3." A intervalli di tempo uguali, prima e dopo il passaggio della stella pel meridiano, gli azzimut e le altezze corrispon- denti dell' astro sono uguali. Per ultimo discendono dalle lormole stesse dimostrate i pratici metodi più diretti Memoria del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi. 181 per determinar la latitudine dell'osservatore, ossia il com- plemento di essa = /. Eccone riunite per ordine le espressioni sen. ,9 , z — Z X—x _ d' tans- I= cos.p-cos.a ; tan$- S I = x-^x=z^rz' tan$- I== F sen, Ijr; „fr&i-#-(*&W(* /== p — d ; sen. I = i.d cos. a ;cot. 1= — cos.S cot.d t nelle quali fi' , fi" rappresentano le altezze meridiane di una stella circompolare osservate sopra e sotto il polo. Resta cosi compiuta , con metodo puramente analitico, la teorica del moto diurno della sfera celeste. Gioverà ora produrne un esempio. a5. Nella notte i gennajo i8ì5 suppongo osservati a Modena , con opportuno stromento, gli azzimut e le altezze di tre stelle assai fulgide e distinte. Sebbene tali osserva- zioni in realtà non siano state instituite , tuttavia panni lecito assumerne ad esempio le quantità , conformi precisa- mente a quelle che in fatto si troverebbero. GÌ' istanti delle osservazioni sono dati da un orologio, nel quale passano 24 ore mentre si compie una rotazione della sfera celeste. 1. Stilla. 2. Stilla 3 Stilla d'Ili alienazioni azzimut a alt ■ :r i b /«forili dilli outriazioni azzimut a attizza b Istanti dille Olla. azioni azzimut a h 1 ri 0 ' 0 ' li ' T 0 1 0 1 h 1 n 0 ' 3. 7. 41 -+- io3. 28 70. 0 I. 40. 54 -1- 74- "7 25. 3o I. 42. 14 -1- «7- 3 4- 7- "8 -+- loi. 39 80. 0 4. 38. 54 -V- 26. 19 5o. 0 4. 7- '0 -1- 38. 28 5 3. 46 0. 0 91. IO 8. 19. 34 — 53. 38 4o. 0 6. 37. 26 0. 0 « 25. 54 — no. 17 55. 0 9. 3a. 5o — 70. 4* 28. 3o 11. 32. 38 — 67. 3 altezza b O 0. 0 20. 0 28. Sa 0. 0 Per le forinole (%) calcolando le coordinate della prima stella nelle successive osservazioni si avrà z =-+-0,93970;/' = -t- o, 33a6i ; x = — 0,07965 z =-+-0,98480;/ = -+- o, 17007 ; x = — o, o35o7 z" = -t- o, 99980 ; y" = o, 00000 ; x" = — o, 02o36 z'" = -+-0,819 '4 > /'"= — o, 538oi; *'" = — o, 19884. i8a Saggio di Astronomia Analitica Impiegate quindi le osservazioni prima, terza e quarta si trova dalle formole (a) A— — i, 0126; I? = -4- o , ooooi ; £) = — ijOao4; laonde risulta/ = 4-5.° 22'; e dalla formola (1) colla seconda osservazione si ha Ax -+- z -t- D = — 0,00009. Passando alle formole (1^) si na X =-+-0,61275; Y' =-+-0,33261 X = -+- o, 67502 ; Y =-+- oy 17007 Z = -+- o, 71688 X" = + o, 6965i; Y" = o *"' = -+- 0,43672; F"= — o, 538oi quindi per le formole (1 i)u' = -f- 28.0 3o' = -t- 1 .h 54-' o" u =-+-14. 8 =-+-0. 56. 32 ^ = -+-45.° 48' u" = 0.0= 0.0.0 u"'=— So. 56 =—3. 23. 44. E infine dalle (3i^ risultano /? =91.° io', a ed 5 immagi- narli; cioè la stella non declina mai sotto l'orizzonte; essa è dunque circompolare ; nei cataloghi viene denominata a di Auriga o Capella. Per la seconda stella si ha dalle formole (3) nelle os- servazioni successive z = -+- o, 42998 ; y = -4- o, 86908 ; x' = -4- o, 2445 1 z" = -+- o, 76590 ; y" = -+- o, 285o5 ; x" = -+- o, 57631 z =-t-o,64253;j = — o, 61 701 ; a; = -f- o, 45444 z'" = -+- o, 47670 ; y'"= — o, 82968 ; x'"= -+■ o, 29066. Applicando alle formole (2,) i valori della prima, seconda e quarta osservazione si ottiene A = — 1, 0124; B = o, 00000; _D = — o, 18247; e per lafi^ si ha Ax -+- z -+- D = — o, 00004. Le coordinate equatoriali risultano dalle (l^) come segue r= + o, 47777 ; r = ■+■ o, 86908 X" = -+• o, 94993 ; r" = -+- o, 285o5 Z = -+- o, 12809 X =-1-0,77651; F = — 0,61701 X'"— -+- o, S4344 ; Y"'= — o, 82968 quindi per le (iy) u' = -+- 6i.° 12' = -+- 4-h 4-' 4°"' u" =-h 16. 42 ==■+■ 1. 6. 48 i) . . . 11' . »•+- 73.° a6' = -+- 4.h 53.' 44" u = -t- 37. 34 = ■+■ a. 3o. 16 c? = — 16.0 7' &" = 0.0= 0.0.0 u'" — — 73. a6 = — 4. 53. 44. E finalmente dalle ($1) . . . fi = ag.° i5'; a = 67.0 3'; 5 = 7 3.° a6'; la stella è visibile, sta cioè sopra l'orizzonte per 9.'' 47-' ao>" dell' orologio, ed è invisibile muovendosi inferiormente per i4-'' ia.' 3a"; essa chiamasi ne' cataloghi a del cane maggiore , oppur Sirio. In tutti questi risultati, e negli altri che se ne pos- son dedurre , è facile riscontrar le leggi e conseguenze del moto diurno esposte precedentemente. Solo per la terza delle stelle citate si vede qualche piccola differenza dalle leggi stesse ; ma ciò è dovuto alle rifrazioni medie , delle quali sono affette le supposte osservazioni, e che influiscono soprattutto nelle posizioni all'orizzonte. L'Astronomia non formandosi che per successive approssimazioni ai valori esatti della natura , la teorica prima e fondamentale del 184 Saggio di Astronomia Analitica moto diurno non poteva stabilirsi altrimenti. Dalle avver- tite differenze procederà , per via di osservazioni e di criterii analitici, la seconda indagine astronomica sulle cagioni per- turbatrici ; ma riserbandomene l' argomento ad altra occa- sione, sarò pago di averne ora solamente indicato il prin- cipio. CAPO II. Considerazioni analitiche di sferica Trigonometria. a6. Per l'ipotesi del num. la le stelle si hanno a ri- guardare come altrettanti punti immobili nella superficie della sfera celeste , la quale si ravvolge intorno all' asse del mondo , supposto nel centro l' osservatore. Segue da ciò che la trigonometria sferica è il naturai mezzo di calcolo per istituire e combinare le osservazioni delle stelle. Discen- dono però ancora le forinole trigonometriche dall' analisi pre- cedente , e il trovarle per tal modo aggiunge , per quanto mi sembra , un nuovo pregio all'uso dell'analisi stessa in astronomia. Ora io mi estenderò a determinarne le principali forinole della trigonometria sferica; il che farò con brevità e prevalendomi in parte di una memoria dell' immortale Lagrange pubblicata nel 6.° Cahier del Giornale della scuola Politecnica ( pag. 270 e seguenti ) , alla quale tuttavia mi permetterò di apporre alcun riflesso e cangiamento. Problema I. Determinare le proprietà generali de' triangoli sferici. 27. Un triangolo sferico qualunque s'intende formato da tre archi di circolo massimo, che s' intersecano a vicenda. Le sue proprietà, che saranno generali avendolo supposto qualun- que debbon consistere nelle relazioni essenziali fra i suoi elementi, fra i suoi angoli cioè e i suoi lati. Ora perchè tali Memoria del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi. i85 relazioni siano essenziali è necessario che il triangolo risulti costante e determinato per gli elementi, che nelle relazioni stesse si considerano : ma è facile a vedersi, che tre fra li sei elementi del triangolo sono arbitrarli; giacché si possono formare infiniti triangoli diversi con due soli elementi, con due lati , con due angoli , oppure con un angolo ed un lato. Dunque le relazioni o proprietà generali più semplici avranno luogo fra quattro elementi del triangolo sferico : queste proprietà saranno per conseguenza tante quante sono le combinazioni a quattro a quattro delli sei elementi, cioè il loro numero sarà = q — j— = 1 5. Alcune però di siffatte combinazioni riusciranno simili, ossia esprimeranno una stessa proprietà del triangolo sferico. Si comprende subito che le combinazioni o proprietà diverse non possono essere che quattro, cioè i/o fra li tre lati ed un angolo: a/ o fra due angoli e i lati ad essi opposti : 3/ o fra due angoli e due lati die forman uno di essi : 4-* ° ^ra h" *re angoli ed un lato. Di qui si vede perchè non più di quattro siano i canoni tri- gonometrici. a8. Se congiungansi con tre archi di cerchio massimo a due a due li tre punti dello zenit , del polo dell' equa- tore, e della posizione istantanea qualunque di una qualunque stella , si avrà un triangolo sferico in genere. Sia per esem- pio (fìg. 3. ) A lo zenit, A' il polo, A" la stella; ne risulterà il qualunque triangolo sferico celeste A A' A", del quale s'in- dichino gli angoli con A.,A\A" ed i lati rispettivamente opposti colle lettere C\C",C". Confrontando questi elementi colle quantità a, b, u, d, I del num. 18. si vede tosto essere ^'=i8o°— a;A' = u;C'=()o0— d;C"=qo°— b;C"=I .... (33) Sostituiti questi valori nella prima delle forinole (ì'j), op- pure nella prima delle fi8j, e permutati gli accenti delle lettere , per esprimere la stessa relazione nelle altre com- binazioni degli elementi ( giacché A può supporsi indiflè- Torn. I. a4 i86 Saggio di Astronomia Analitica mitemente o lo zenit, o il polo dell' equatore, o la stella )„ si ottengono le seguenti cos. C = cos. C" cos. C" ■+■ cos. A sen. C" sen. C" cos. C" = cos. C cos. C" -t- cos. A" sen. C sen. C" ì ... (3^) cos. C" = cos. C cos. C" -f- cos. A'" sen. C sen. C" ) L'ordine tenuto nelle permutazioni è chiaro per sé, e devesi a Lagrange d'averne introdotto l'uso, che tanto risparmia di operazioni. Del pari sostituiti i valori f33^ nella forino- la (ìq), e permutati gli accenti per le altre combinazioni risulta sen. A' seri. C sen. A" sen. A' sen. A"' sen. A" sen. C" sen. C sen. C" sen. C" f35; .(36) sen. A'" sen. C" Fatte da ultimo le sostituzioni e permutazioni nella seconda delle ^17^, o nella seconda delle (1 8), emergono le seguenti sen. A' coi. A" = sen. C" coi. C" — cos. A cos. C" sen. A' cot. A'" = sen. C" cot. C" — cos. A' cos. C" sen. A" cot. A = sen. C" cot. C — cos. A" cos. C" sen. A" cot. A" = sen. C cot. C" — cos. A" cos. C sen. A" cot. A = sen. C cot. C — cos. A" cos. C" sen. A" cot. A" = sen. C cot. C" — cos. A" cos. C In questa ultima relazione le combinazioni simili sono evi- dentemente sei di numero , corrispondendone due ad ogni angolo compreso da due lati. Ritenuto l' angolo compreso A nelle due prime (3b)? si permutano gli apici fra le altre quantità come precedentemente. Passando poi dalla prima alla terza si è cangiato 1' angolo compreso dai lati , e per tale riguardo si è fatta la permutazione degli apici alla stessa maniera. La permutazione così riesce doppia, ma non cangia di legge. Le forinole (3^), (35) e (36) ci of- frono li tre primi canoni trigonometrici da noi accennati ( num. prec. ) : non resta che determinare il quarto , cioè Memoria del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi. 187 una relazione fra li tre angoli ed un lato. Si potrebbe subito determinarlo , come pratica il Lagrange , mediante il triangolo supplementare: si vedrà però meglio lo spirito ragionato dell' analisi nel modo seguente. Non trattasi cbe di combinare alcune delle precedenti relazioni tra due angoli e due lati in guisa che sparisca , o si elimini uno de' lati , e invece s'introduca il terzo angolo. A quest'oggetto divi- dendo la terza delle (36) per la prima, onde si tolga cos. C"\ viene cos. A" sen. C" cot. C — sen. A" cot. A cos. A' ~ sen. C" cot. C" — seri. A' cot. A' nella cpiale , se pongasi per sen. C" il suo valore dalla seconda delle (35), e per cot. C" il suo valore dalla sesta delle (36), si ha manifestamente la cercata relazione. Risulta infatti per le sostituzioni accennate _ sen C sen. A'" ,,, cot.L 7; — sen. A cot. A cos. A sen . A cos. A' ~/cos. A" cos.C'-+-sen.A'"cot.A"\ sen. C sen. A'" I — 79 )• Ti — sen. A' cot. A" \ sen. C ) sen. A Convien soltanto render più semplice questa equazione : eccone il calcolo cos. A" cos. C sen. A'" — sen. A" cos. A' cos. A' == sen. A"' cos. A"' cos. C -i-l^.* A" cot. A" — J^T.1 A' cot. A" sen. A" sen. A'" cos. C — ~.a A" cos. A' 1 > sen.A"sen.A'"cos.A'" cos.C" -ì-sen." A'" cos. A" — ien.*A'cos.A e togliendo i denominatori sen.A"sen.A'"cos.A"cos.A'"cos.C'-h7^:iA"''^I.1A"—7^.\4'c~\l" = sen. A" sen. A" cos. A' cos. C — Tèn.1 A" cós.' A . Di nuovo riducendo sen. A" sen. A" cos. C (cos. A" cos. A" — cos. A ) — ÌZ& A c~.a A" — m? A" c77.' A — 7^.' A" ™.* A" — ( 1 _™.»^')( i —msj")—m. %A"w.*J'—( 1 —w.% A")™? A" — 1 _ w.*A — w.'A" — ^7. >A" ■+- oSZ * A" ~. >A" = ^s.1 A"™.* A" — TU!.* A = ( cos. A" cos. A" -+- cos. A ) (cos. A" cos. A" — cos. A); 1 88 Saggio di Astronomia Analitica e tolto il fattor comune , e permutando al solito gli apici per le altre combinazioni simili cos. A' =cos.C sen. A" sen. A" — cos. A" cos. A" ) cos. A" =cos.C" sen. A' sen. A" — cos. A cos. A" \...(3,j) cos. A" = cos. C" sen. A sen. A" —cos. A cos. A" ) Le forinole (o^), (35), (36), (3y) sono quindici di numero, come dovean essere (num. prec. ) ; ma non esprimono che le quattro avvertite proprietà generali del triangolo sferico, nelle quali però tutte le altre si comprendono. Da Lagrange si dimostra la sola prima di esse , che può dirsi quindi 1' unico e fondamentale teorema della trigonometria sferica; le altre se ne deducono per calcolo. Praticando invece la trasformazione delle coordinate rettangole colle forinole (io), ( 1 1), (i3), (\\) si ottengono immediatamente,, e senza dimostrazione sintetica , li tre primi canoni trigonometrici a un tempo : laonde mi pare che nell' aspetto più analitico la sferica Trigonometria abbiasi a definire una trasformazione di coordinate rettangole riferite a due sistemi , che hanno comuni l' origine, e uno de'piani o un asse. Nel nostro caso il piano comune è stato il meridiano , ossia ebbesi per asse comune la linea orizzontale Est-Ovest. Così la sferica Trigo- nometria in certa guisa discende astronomicamente dal con- siderare la qualunque posizione istantanea di una stella qualunque rispetto allo zenit, e al polo dell'equatore. Problema II. Assegnare le proprietà de' triangoli sferici in particolare. 2,9. Tutti i casi particolari debbonsi comprendere nelle forinole generali , e si ha l' espressione di quelli introdu- cendone in queste la data condizione. Facciasi A = 0 nelle quindici generali equazioni del numero precedente , e om- mettendo le relazioni o proprietà ripetute per combinazioni simili^ si troverà tosto Memoria del Sic. Prof. Giuseppe Bianchi. 189 cos. C = cos. C" cos. C" sen. C = sen. C sen. A" cot. C = cos. A' cot. C"' cot. A'" = cot: C" sen. C" I cos. C = cot. A" cot. A'" cos. A" == cos. C" sen. A" Queste sono tutte le proprietà diverse di un triangolo sferico rettangolo, ne altre potrebbero assegnarsene, che da queste non derivino. Il Lagrange seguì lo stesso metodo per de- terminarle; ma non avendo egli posto per ognuno de' quattro, canoni trigonometrici, fuorché una sola equazione ( pag. 284 nel citato Cahier), per dedurne le sei f38j suppose retto^ prima uno degli angoli, e poscia un altro. Non si ha bisogno di cangiar l'angolo retto, considerando le i5 fondamentali combinazioni, e così vien tolto un picciol difetto all'analisi di quel sommo Geometra ; il quale poi non si trattenne più oltre ne' casi particolari , come avrebbe potuto far di leg- gieri. Se il triangolo abbia non uno , ma due angoli retti , ciò si esprimerà ponendo A' = A" = 90. ° Risulta in questo caso dalle prime due delle (34) cos. C = cos. C" cos. C" ; cos. C" = cos. C cos. C" e perciò ^P C = ^7.' C"; onde cos. C = cos. C" ; e C = C" . Dalla terza poi e dalla quarta delle (3>d) viene sen. C" cot. C — 0; cot. A" = sen. C cot. C". Non potendo essere sen. C" = 0, si avrà C = C" = 900; e per la seconda precedente A" = C". Dalle altre generali equazioni si ripetono le stesse conseguenze o proprietà. Il punto d'intersezione degli archi C',C" si appella il polo trigonometrico del cerchio , di cui è arco C". Il polo di un cerchio massimo è dunque un estremo del diametro della sfera perpendicolare al piano di tal cerchio : tutti i circoli massimi perpendicolari ad un dato circolo massimo s' in- contrano colle periferie al polo di questo , e fra questo e il suo polo tutti gli archi intercetti di quelli sono ciascuno igo Saggio di Astronomia Analitica di 900 : infine un arco qualunque di cerchio massimo è misurato dall' angolo corrispondente al polo , e viceversa. 3o. Facciasi C = 900; introdotta questa condizione, nelle quindici generali equazioni e ommesse le ripetizioni di una stessa proprietà , si ottiene COS. J' SS — cot. C" cot. C" cos. C" = cos. A" sen. C" seti. A" = sen. A' sen. C" ^ cot. A' =—cot.A" cos.C") ••• ( cot. C" = cot. A" sen. A" cos. A' = — cos. A" cos. A'" e tali sono tutte le proprietà diverse di un triangolo retti- latero : si osserverà facilmente l' analogia di queste con quelle del triangolo rettangolo, ciascuna delle (3q) avendo la sua corrispondente e simile fra le (38); la quale analo- gia è una conseguenza facile a vedersi delle stesse forinole generali, per le funzioni simili e similmente disposte degli angoli e dei lati che in esse riscontransi ; da ciò poi si deduce analiticamente la considerazione del triangolo sup- plementare al dato. Se abbiasi C = C" = 900, si troverà tosto A' = A" = qc°, e A'" = C", onde si conchiudono le stesse proprietà, o sieno retti due angoli, o sieno retti due lati: che se fosse C'=C"=C" ', risulterebbe A' = A" — A'", e viceversa. 3i. Sia il triangolo isoscele; ne ravviseremo i caratteri ponendo C = C" nelle generali equazioni. Dal confronto delle prime due (34) emerge cos. A' = cos. A" ; e perciò A' = A". Ciascuna poscia delle dette due formale sommi- nistra tang.\ C" = cos. A' tang. C . Dalla terza delle ("5^) si trova sen. ^ C" = sen. | A'" sen. C. Avendo pertanto ri- guardo alle f38^, si vede che l' arco di cerchio massimo, il qual divide per metà F angolo al vertice del triangolo , divide altresì la base per metà, ed è alla stessa perpendi- colare. Dalle (35) si ripetono relazioni già note: così pure dalla prima e terza delle f36), identiche una all'altra; ma Memoria del Sic Prof. Giuseppe Bianchi. 191 dalla quinta e sesta delle medesime si ottiene cos. C = cot. A' cot. % A", novella relazione che è poi ripetuta dalle prime due fòl); infine dalla terza C&7 ) si deduce cos. \ A'" = cos. \ C" sen. A'. Raccogliamo le proprietà varie del trian- golo isoscele tang. \ C" = cos. A' tang. C \ sen. JC" — sen.\A" sen. C I cos. C = cot. A cot. I A" [•' ' 4°' cos. \A'" = cos.\C"sen.A ) alle quali si aggiungono C" = C" per ipotesi , e A' = A". Il numero delle (\o) essendo minore di quello delle (%Z) , come pure delle (3<)), si dee riguardare il triangolo isoscele analiticamente più semplice del triangolo rettangolo e del rettilatero. Che se il triangolo sia equilatero , abbiasi cioè C = C" = C", risulterà esso altresì equiangolo, trovandosi A' = A" = A'"; e fra gli angoli e i lati esisterà la proprietà unica ed elegante a sen. \A — sec. \ C . . . (\\ ) Da ultimo supposto A' = A", oppure A — A' =A'" si avrebbe rispettivamente C' = C", ovvero C = C"=C"; laonde sus- siste inversamente, che il triangolo è isoscele se abbia due angoli uguali, e che il triangolo equiangolo è ancora equi- latero. 3a. Consideriam' ora qualche particolare condizione fra lati ed angoli, e sia la prima C" = A'". Le ultime due (35) danno tosto sen. A — sen. C; sen. A" = sen. C" : inoltre dalla seconda e quarta delle (36) si ha cos. A cos. C" = cot. C" {sen. C" — sen. A' ) cos. A" cos. C = cot. C" (sen. C — sen. A"). Sommando le quali risulta cos. A' cos. C" -+- cos. A" cos. C = 0. Se dunque abbiasi A = C", sarà A" = 1800 — C", o vice- versa ; ma non potrà essere insieme A' = C", A" = C"; op- pure A'= 1800 — C", A" = 1800 — C". La stessa conseguenza si ottiene, confrontando per ordine ciascuna delle (34) con ciascuna delle (3^), ovvero due a due convenientemente 5 192. Saggio di Astronomia Analitica paragonando le altre equazioni (36), avuto riguardo però sempre alla indicazione delle (35). Non sussiste dunque il teorema inverso dei num.' 2,9. 3o. , cioè essendosi dimostrato in detti numeri che, posto A'=A" = 90°, oppure C'=C"=9o0,, si ha A'" = C", inversamente non si ha C = C" = 900, oppure ^' = ^" = 90°,, quando pongasi A'" = C". In quest' ultimo caso l'origine dell'angolo A'" non è il polo di C" e nemmeno il vertice di A' è polo di C", né A" di C" . Il triangolo tuttavia, che ammette l'accennata condizione, gode , per ciò che si è dimostrato , semplici e singolari proprietà , onde potrehh' esso appellarsi triangolo semi — supplementare. Per un esempio numerico si ponga C = 92.° 41.' a3", 8;^" = 67.°3.'4i", 5 ; C" = io3.° ia.' 4", a; e si troverà A' = 87.0 18.' 36", a; C" = 67.0 3.' 41", 5; A'" = io3. ia. 4? o. Sia in secondo luogo C" = A." Dalla seconda delle (34), dalla prima delle (35), dalle terza, quarta e sesta (36) e dalla prima (3^) risultano per ordine le seguenti cos. C" = cos. A" {seri. A" seri. C" -hcos. C") 7Tn* A" = sen. A' sen. C" m& A" cot. A' = cos. A" (sen. C" — sen. A" cos. C") _^ sen. A" sen. (A'" -C") >...(4*) COì- * — sen. A'" sen. C" HZ1 A" cot. C" — cos. A" (sen. A'" -+- sen. A" cos. A'") cos. A' = cos. A" (seti. A" sen. A'" —cos. A"') Se fosse inoltre C" = A'", si avrebhe per la quarta di tali forinole cos. A" =. 0 ; e quindi C = A" =s 90°-, donde facil- mente si deduce che sarebbe pure C" = A' = 90.0 Aggiungo da ultimo che non può essere simultanea- mente C =■ A'\ e C" = A' , a meno che non sussista A" = 900; nel qual caso si avrebbe C = A" = C" = A' = 90. ° Pongasi infatti C ■= A", e C" = A', e non si accordi A" = 90.0 La prima e la sesta delle (4^) precedenti somministrano cos.. A" (cos.C"'-+-cos.A"' + sen.A"(sen.C" — sen.A'")\ = o; Memoria del Sic Prof. Giuseppe Bianchi. ig3 e poiché non si vuole cos. A" ' = o , sarà cos. C" -+- cos. A'" -+- aeri. A" (sen. C" — sen. A'" ) = o che riducesi a sen. A" = cot. \ (A'" — C"). Similmente la terza e la quinta (fa) danno cos. A" tsen.C" — sen. A" — sen. A" {cos. A"' -+-cos.C"))=o; e perciò sen. C" — sen. A'" — seri. A" (cos.C" -+-cos. A'") = o, la quale del pari si riduce a sen. A" '= tang. \ (C" — A'"); dunque tang. \ (C'"—A") = cot. | ( A'"— C"'),ossia {{C— A'") = 90°— \{A'" — C"') = 9o°-HÌ(C"' — A"')', il che è assurdo palesemente : dunque sarà A" = 90.0 Riuscirà facile esten- dere la soluzione del Problema a.° ad altri casi particolari. Bastando a noi di aver considerato i principali , passiamo al seguente Problema III. Risolvere in tutti i casi un qualunque triangolo sferico. 33. Affinchè un triangolo sferico qualunque sia deter- minato , e sia quindi possibile il risolverlo debbono aversi di necessità per dati tre de' suoi elementi , lati ed angoli. I casi tutti di risoluzione da proporsi saranno dunque di 6- 5. 4. . ... ., numero — ■ — ^— = 2,0 ; ma in questo numero si ripeterà il metodo pratico di soluzione per le combinazioni simili. Scorgesi tosto che i casi differenti da contemplarsi a quattro soli si riducono e sono : 1 .° quando sono dati i tre lati : a.0 quando sono dati i tre angoli: 3.° quando sono dati due lati ed un angolo : 4-° quando sono dati due angoli ed un lato. Gli ultimi due casi si voglion pure distinti o suddivisi ciascuno in due casi differenti , secondo che nel terzo 1' angolo dato è compreso dai lati dati , oppure opposto ad uno di essi , e nel quarto caso potendo il lato dato essere intercetto fra i due dati angoli , oppure opposto ad uno di essi. Fissati così il numero e la qualità de' casi da risol- Tom. I. a5 194 Saggio di Astronomia Analitica versi, per effettuare il risolvimento è chiaro che non si avrà se non a trattare opportunamente le formole, che rap- presentano le generali proprietà di un triangolo sferico ; e di questa guisa Lagrange nella citata memoria determinò gl'incogniti elementi del triangolo in funzione dei dati. Ma qui pure io reputo che lo spirito del metodo analitico sia suscettibile di una maggiore semplicità non avvertita, men- tre dimostrate le formole che risolvono il triangolo nei due primi casi accennati, si ha in esse la soluzion eziandio degli altri quattro casi. Io chiamo pertanto casi fondamentali quelli , ne' quali sono dati i tre lati , oppure i tre angoli ; casi alterni ed inversi quelli, ne' quali si conoscono due lati e l'angolo compreso, oppure due angoli ed il lato intercetto; casi ambigui gli ultimi , ne' quali sono cogniti due lati ed un angolo opposto , oppure due angoli ed un lato opposto. Nelle formole stesse, che sono per esporre., apparirà il motivo di siffatte denominazioni. 34. Siano dati i tre lati C, C", C". Si dedurranno dalla prima (3^) immediatamente, e dalle prima e seconda (36), coli' introdurre in esse rispettivamente due angoli ausiliarii (pi cot. C" . ,, coi. C" \ ,,„, cot- * =J37^?; couf=7^T -W3) cot. ; = cot.*se,,(C'-4,) A,„ _ co,.A'sen.{C:-f)) sen.

    e — > ; quindi > 2è 2i zìi 2i il C-+-C" C'-¥-C" 1 ■ , il che è assurdo ; dunque si avrà neces- C'-*-C" C C'+C" C" . ,.- ,t ■« sanamente > — ; > — ; lo stesso direbbesi a a a • ■ a riguardo ai simili valori irrazionali di sen. \ A", e sen. | A'"; dunque in un qualùnque triangolo sferico due lati presi in- sieme sono maggiori del terzo. Similmente considerata la prima delle f44Ane^a cIuale sen. A" sen. A'" è una quantità positiva, si vede tosto dover (A'-hA',-^A",\ (A"-hA'" A'\ A. . essere cos. I I cos. I I di valor negativo , affinchè sen. \ C sia quantità reale. Ora se fosse A-*- A"-*- A" . ., ., A"-+-A'" A' < 90 , molto più sarebbe — <9<5 , e l'accennato prodotto dei coseni riuscirebbe positivo. Dun- A '-t- A' '•+> A'" que sarà > 90. ° Ciascuno poi degli angoli A', A", A" è minore di due retti per se ; quindi la somma dei tre angoli di un triangolo sferico è maggiore di due retti e minore di sei retti. Da ultimo la formola ^35^ dei seni esprime la proprietà geometrica di un triangolo sferico qualunque , che cioè al maggior lato sta opposto il maggior angolo e viceversa. Ana- loghe proprietà, anzi le stesse, fuori della seconda, sussi- stono, come dimostra la Geometria elementare, fra i lati, fra gli angoli , e fra i lati e gli angoli di un qualunque triangolo rettilineo. Intorno ad altre somiglianze de' triangoli ig8 Saggio di Astronomia Analitica piani co' triangoli sferici nulla aggiungiamo, ognuno potendo vederle facilmente : veggasi anche ciò che ne disse il La- grange ( mera. cit. pag. 291 e seg. ), avendo egli accennato di più, come dalla Trigonometria sferica possa ottenersi ana- liticamente la piana. Egli a questo proposito conchiude , che il dedurre e stabilire in tal modo le proprietà de' trian- goli rettilinei „ non avrebbe utilità, se non per servire d' „ esercizio di calcolo , poiché ciò sarebbe dimostrare il „ semplice, dal composto " (pag. 20.3); al quale avvertimento conviene unir l' altro , che il teorema fondamentale della Trigonometria sferica dimostrato da Lagrange , cioè la pro- prietà espressa dalle Ci^), è appoggiato all'analogo teorema fondamentale, ivi supposto, della Trigonometria piana; onde propriamente Lagrange ricava dalla piana la Trigonometria sfe- rica ; e qualora senz' altro cangiamento da questa si volesse quella desumere, si cadrebbe in un circolo vizioso. , //,„<,,,.■ ,/?//,, '/,/t ■ '/f;A„,, /./,t /'■"/,:„„, ,/, .'/.,.„-, .'.,,///"/„>,/ /pc? Ft /■;„ / /;„ i t //r //t,'r/./ . S/f,, //, ■ ' '■■■ u- -/„,„, .%! // ^rZctntirt* ,K // , / ■; /// , F<„ /( ,-.. ^#™<-r., --• - /.; ■■■ ../ . /■■-. .,; . /- - />y /?* I) ( r/ - Stanze, -S'rMrrr f . '.'..,/. .'■■■./■ /./,,.,,, ,/, >...-,,-_- -S'. -■',,. .. ■/ fr/t /, Memoria del Sic. Pkof. Giovanni Batista Amici. 2.2.1 a un tubo solo delle quali ho fatto cenno. Ciò servir potrà almeno di guida agli amatori nella scelta della pianta più idonea a mostrare la circolazione del succhio ogni qual volta desiderassero o per curiosità o per istudio di contemplare questo singolare fenomeno. Nel primo luogo collocherò la Chara elastica, la quale supera tutte le altre per la diafanità de' suoi tubi, che da niuu incrostamento terroso son rico- perti: anzi la membrana loro si presenta all'esterno talmente liscia che, stringendone un fascetto colla mano, sembra toc- carsi una sostanza oleosa; come non dissomigliante sensazione si prova nelf atto di raccogiere uri pugnuolo di qualche specie di conferva. A questa lperfetta limpidezza de' vasi si accoppia la limpidezza del succhio, il quale trasportando alcuni corpicciuoli bianchissimi, di forma sferica, e di gros- sezza piuttosto considerabile appalesa col mezzo dei loro giri la direzione e la velocità della corrente in modo da poterla colla vista facilmente seguire in ogni tratto della cavità che percorre. Dopo di questa viene la Chara ulvoides, e quindi la Chara cortiana, la quale sebbene sia molto trasparente nei luoghi di sua naturale vegetazione, non riesce però tutta così limpida quando sia conservata in un piccolo vaso. I suoi tubi nello stentato sviluppo si vestono di una sottilis- sima crosta bianca, che non si estende mai per tutta la loro lunghezza, ma bensì periodicamente si ripete in forma di alti anelli, i quali danno allapianta un aspetto screziato Le altre specie di Chara per regola di diafanità si succedono cosi: Chara fasciculata, Chara exìlis, Chara f arcata, Chara spinosa. OSSERVAZIONI SUL MORATO DI CALCE E SULLA NATURA DEL SUGO CONTENUTO NEL GELSO MO RUS ALBA DEL LINNEO MEMORIA DEL SIC PROFESSORE BARTOLOMMEO BARANI Letta neW adunanza del giorno 19 Maggio 18 19. Il Dott. Thompson visitando nel Settembre del 1800 il giardino botanico di Palermo., s'avvenne in una delle piante dette dal Linneo Morus alba0 il tronco della quale presen- tava un tratto della sua corteccia tinto di color non suo proprio ; e mosso quindi a curiosità d' investigare la causa di questo diverso colore, rilevò dipendere da una sostanza deposta sulla esterna superficie dell' epidermide. Offriva la deposta materia un aspetto granelloso alcun po'stallatiforme, di colore in alcune parti giallo carico, in altre fosco bruno, e tale nel suo complesso,, che potè, siccome spesso accader suole ai dotti studiosi della natura, pei quali nulla avvi di spregevole ne' fenomeni che essa presenta, destare in lui la brama di conoscerne l'intima composizione. A tal fine rac- colse egli quanto potè della osservata sostanza, ed a meglio render paga la sua curiosità spedilla al Chimico di Berlino Memoria del Sig. Prof. Bartolommeo Barani. 22,3 Klaproth, siccome quello che a buon dritto erasi già acqui- stata la fama di esimio analizzatore, pregandolo di sottoporla alla chimica analisi. I seguenti risultameiitì di questa analisi furono poscia pubblicati nel i8o3 nel giornale di Scherer. Posta dal Chimico Prussiano la ricevuta sostanza, mista a qualche frammento della corteccia entro 1' acqua vi si disciolse, e la colorò in giallo tendente al bruno. Esplorò quindi la natura della disciolta materia, ed avendo rilevato, che oltre la sostanza capace di colorar P acqua, eravisi pure disciolto un sale, a questo sale diresse egli principalmente Ile sue ricerche. Queste condussero 1' esperto analizzatore nella cognizione di tali proprietà, che andò persuaso non doversi il rinvenuto sale confondere con alcuno dei già co- nosciuti, ed attribuì la distinta singolarità de' caratteri suoi, all' acido che vi scoprì combinato colla calce. E poiché aveva ritrovato contenersi il nuovo acido in una sostanza raccolta sopra di un Moro, lo denominò acido morico. Ignoro se fra i chimici dell' Europa Meridionale siasi alcuno occupato di andar in traccia di una concrezione si- mile alla raccolta sul gelso Siciliano, onde ripeterne P ana- lisi, e verificare così la scoperta del Chimico di Berlino, so- pra una sostanza di analoga natura. Ignoro pure se alcun altro chimico abbia portate le sue ricerche immediatamente sul sugo, con qualche industria raccolto dai gelsi. A me è sol- tanto noto che il Professor Brugnatelli dopo di aver dato un cenno nel suo trattato di Chimica generale dell'acido scoperto da Klaproth, ed averne esposta la preparazione ed i carat- teri conchiude che = Non essendosi trovata la sostanza sa- lina che somministra questo acido, se non se una sola volta, sopra la corteccia del gelso comune ( Morus alba ) la si deve riguardare come un accidentale prodotto, forse indipendente da' principi componenti la corteccia del gelso, e comune forse con altre diversissime piante ( * ) =. (*) Trattato Element. di Chim. Gen. - Pavia 1810 Tom. 11. pag. 148. 224 Osservazioni sul Morato di Calce ecc. Confesso il vero che sulle prime fui sorpreso da un sì assoluto decreto del chiarissimo Chimico, con cui senz'altro esame e' impone di risguardarej siccome accidentale un sif- fatto prodotto, né mi sembra da valutarsi molto , l'ad- dotta ragione del non essersi trovata che una sola volta la salina sostanza che lo somministra. E fra me stesso dissi , se qualcuno occupandosi di ricercare una simil deposizione nei nostri gelsi, lo facesse inutilmente, non avrehbesi perciò un dato sicuro, per dichiarare accidentale il prodotto rac- colto sulla corteccia del gelso di Palermo. Ma se all' oppo- sto si rinvenisse nei nostri gelsi una materia identica, la supposizione di sua formazione accidentale, dovrebbe neces- sariamente dirsi erronea. Il clima di questa parte dell' Italia per molti rapporti diverso da quello di Palermo, la decadenza in cui per le passate politiche vicende, era presso noi caduta la coltiva- zione dei gelsi, potevan farmi dubitare del felice esito delle ricerche che bramava d' instituire, per determinare se il Morato di calce fosse o no da annoverarsi fra le produzioni proprie del gelso. Incominciai quindi dall' osservare se esistesse sulla cor- teccia dei gelsi qualche traccia di una sostanza, la quale avesse una qualche analogia con quella raccolta sul gelso Siciliano, e nel caso che non fossero inutili le mie osserva- zioni, mi era già proposto di usare la per me possibil di- ligenza nell' investigare quali circostanze avesser verosimil- mente esercitata una qualche influenza nella formazione di quella sostanza. La stagione che riputava la più acconcia per instituire le propostemi osservazioni, era quella della state, la situa- zione mia non mi permetteva però di occuparmene , e le copiose pioggie dell' autunno asportando dai gelsi tuttoché si fosse in essi deposto di materia salina, reser per qualche anno inutili le mie ricerche. Memoria del Sic Prof. Bartolommeo Barani. aa5 L' infelice esito delle mie prime osservazioni, non mi fece però deporre il pensiere di rinnovarle, e sono già tra- scorsi ben sette anni dacché potei osservare^ e raccogliere sulla corteccia di un gelso, picciola quantità di una sostan- za, cui per gli esterni caratteri suoi^ m'indussi a sospettare simile a quella, che fu il soggetto dell' analisi di Klaproth. La materia depostasi sulla corteccia del gelso da me osservato, era situata inferiormente ad una ferita fatta da uno stromento tagliente, circostanza dalla quale argomentai che potesse procedere dal sugo sortito dai lacerati vasi della pianta, che per il calor della precedente stagione si fosse reso denso e solido. E nella ipotesi, che la osservata mate- ria contenesse il Morato di calce, m' immaginai di poterne dedurre la conseguenza, che 1' ora nominato sale fosse una sostanza propria del sugo dei gelsi. Ma per quanto mi sembrassero verosimili le idee sug- geritemi dalle circostanze, alle quali supponeva doversi at- tribuire la formazione di una materia apparentemente simile a quella del gelso di Palermo, non mi illudeva però al se- gno, da non iscorgere^ che non doveva attribuire alle mede- sime alcun valore, prima di esser certo, che il sugo del gelso contenesse un sale della natura di quello, che m' im- maginava esistere nella osservata materia. Raccolsi quindi con diligenza la osservata deposizione , e quella che potei rinvenire in qualche altro gelso, e per tentar di conoscere se il Morato di calce sia una sostanza propria del sugo di dette piante , traforai con un succhio gli strati corticali, e parte pur dell' alburno di alcuni gelsi. Ai fori praticati in diverse parti del tronco di dette piante applicai tosto un proporzionato cannello, destinato a versare quel sugo che fosse per sortire dalle fatte ferite, entro a quei vasi nei quali voleva raccoglierlo. Avendo disposte le cose nell'ora descritta maniera , non trascurai di visitare più volte al giorno i traforati gelsi, sol- lecito di raccoglier tutto quel sugo che fosse sortito dalle Tom. I. 29 aa6 Osservazioni sul Morato di Calce ecc. fatte ferite, per riporlo nei vasi destinati al di lui svapo- ramento, svaporamento che feci in vasi di ampia superficie esposti all'azione diretta dai raggi solari , e dal quale a capo di alcuni giorni ricavai picciola quantità di sugo condensato alla consistenza di molle estratto, che aveva un color bruno. Quantunque non fossi riescito a procurarmi, che una scarsa quantità sì dell' una che dell' altra materia, volli se- paratamente tentarne 1' analisi, e tanto dall' una, che dall' altra ottenni tale risultamento da poter conchiudere che amendue contenevano quel sale scoperto da Klaproth nella sostanza che fu raccolta sul gelso di Palermo. Osservai cioè che quella materia solida granellosa, che possiam raccogliere sulla corteccia dei nostri gelsi contiene un sale più solubile nell'acqua calda che nella fredda, dalla cui soluzione convenientemente svaporata si può ottener il sale conformato in cristalli aghiformi di color lionato. Os- servai inoltre che unendo con detta soluzione acquosa, una conveniente quantità di un carbonato alcalino, si precipita tosto una materia solubile negli acidi nitrico ed idroclorico con evoluzione di gas acido carbonico ; e che le soluzioni dei composti sali congiunte cogli acidi ossalico e solforico formarono due sali insolubili, risultamenti dai quali argo- mentai, che il precipitato prodotto dagli alcali carbonatati, fosse un carbonato di calce. Unii pure colla più volte no- minata soluzione i nitrati di argento e di mercurio , e gli ossidi di questi metalli associandosi coli' acido in essa con- tenuto, formarono dei composti insolubili, proprietà tutte che furono osservate da Klaproth nella soluzione del Morato di calce speditogli da Thompson. Dalle ora riferite osservazioni doveva come ognun vede ritenere, che la raccolta deposizione ed il sugo estratto dai gelsi contenessei'o il Morato di calce, volendo però dare alla cosa ogni evidenza possibile, conveniva procedere alla se- parazione dell' acido dalla sua base, e per far ciò seguii gì' insegnamenti dell' illustre Scopritore di questo acido. Memoria del Sic Prof. Bautolommeo Baiiani. 227 Decomposi cioè il Morato di calce coli' acetato di piombo ; poscia scomposi il formatosi Morato di piombo con acido solforico allungato con tre volte il proprio peso di acqua, e svaporato con blando calore il liquore dal quale aveva separato il solfato di piombo, ottenni 1' acido morico. L'esito non isfavorevole dell'esame instituito sulla ma- teria depostasi nella corteccia dei gelsi, mi determinò a sottoporre alla stessa analisi quel sugo condensato ottenuto dalle stesse piante. Neil' analisi del sugo seguii 1' altro de' metodi usati da Klaproth, mi servii cioè di acido solforico diluito con acqua per decomporre il Morato di calce, sva- porai il liquore introdotto in una storta di proporzionata capacità , e quando l' acqua fu passata dalla storta nell' ap- postovi recipiente, vidi formarsi verso la parte superiore del ventre di essa storta dei non ineleganti cristalli di acido morico. La prontezza colla quale si può condurre al suo termine la operazione, e la purezza dell' acido che se ne ricava, mi fecer credere che potesse preferirsi all' altro, quantunque Klaproth dica che una qualche porzione dell' acido possa scomporsi. Col primo metodo i cristalli dell' a- cido per lo più riescono alquanto coloriti, e quindi non esattamente immuni da sostanza straniera ; col metodo che seguii in secondo luogo si ottengono cristalli bianchissimi , che conservansi in tale stato; inalterabilità che sempre non si osserva negli acidi che possiam separare dalle sostanze vegetabili. Non potendo più dubitare della esistenza del Morato di calce nel sugo dei gelsi , avrei desiderato di raccoglier quello, che suol manifestarsi in maggior copia nelle piante dopo che sortite sono da quello stato di torpore in esse prodotto dal freddo delP inverno., ma non essendomi per- messo di farlo dalla situazion mia., ho dovuto limitare le mie osservazioni a quel sugo che coli' indicato metodo fu da me raccolto nel declinar della state, e deporre il pen- siere d' instituirne un esame comparativo., onde rilevare, se 2,a8 Osservazioni sul Morato di Calce ecc. come mi sembra verosimile, essi unicamente differiscono per un più od un meno di acqua. Occupandomi nuovamente della raccolta del sugo de' gelsi, giudicai di dover tentare di conoscerne un po'meglio le proprietà, e la composizione. Quindi incominciai dall' osservare se questo sugo al momento che sortiva dai fori praticati col succhio sui gelsi , alteri le tinte usate dal Chimico per giudicare dell'acidità, od alcalinicità dei corpi, e vidi che questo sugo non alterò il color proprio dei pe- tali delle violette, oppur quello della lacca muffa; sostanze che conservaron il proprio colore, anche quando furon po- ste a contatto collo stesso sugo conservato per più giorni, ed eziandio per mesi rinchiuso in boccia. Né credo d' in- gannarmi, se dico, che il sugo de' gelsi conservato per più mesi non soggiace ad alcun cangiamento. Una data quantità di questo sugo custodita per cinque mesi entro boccia chiusa con soveroj non offrì nell' indicato tempo alcun indicio di alterazione, ed analizzato presentò tutte quelle proprietà, che aveva osservate nel sugo all' atto di estrarlo. Il color del sugo che sorte dai fori fatti nella corteccia del gelso, è molto simile al color lionato, esposto all' aria in una temperatura di più 18 in 2,0 gradi del termometro detto di Reaumur, un tal colore gradatamente divenne più carico , ed alla di lui superficie si formò una sottil pellicola di Morato di calce, pellicola che proseguendo la lenta sva- porazione dell'acqua acquistò maggior spessezza, e frattanto il color del sugo si fece più carico ; sono questi i cangia- menti osservati nel sugo nel tempo del lento svaporamento. La niiuia disposizione di questo sugo a fermentare, doveva allontanare da me ogni sospetto che contener potesse ma- teria zuccherosa, od una sostanza vegeto-animale, come dai fatti tentativi non seppi riscontrarvene veruna traccia. L'alcool a 35 gradi dell'areometro di Baumè unito col recente sugo dei gelsi, quantunque sul principio non si ma- nifestasse alcuna reciproca azione fra questi due liquori, a Memoria del Sin. Prof. Bartolommeo Barasi. 229 capo di qualche tempo vi produsse intorbidamento, e poco a poco si depose una materia polverosa, nien colorata del liquore; sedimento che mi offrì la proprietà del Morato di calce. Non credo di dover rammentare li diversi tentativi per conoscere, se il più volte nominato sugo oltre al Morato di calce ed alla materia che lo rende colorito contenesse qualche altra sostanza,, tentativi coi quali non seppi in esso ravvisare l'esistenza di verun' altro corpo. Contuttociò sono alieno dallo stabilire, che le ora nominate due sostanze di- sciolte nell' acqua, siano le uniche esistenti in detto sugo, <* riflettendo alla deliquescenza riscontrata nel sugo con- densato alla consistenza di molle estratto, allorché sia a contatto di aria umida, mi nasce il dubbio, che siavi in esso una materia deliquescente, della quale non sono riè* scito a conoscere la natura. La quantità della materia ricevuta dal Chimico di Ber- lino, non permise al medesimo di estendere le sue ricerche sulle combinazioni dell' acido morico colle basi salificabili, che ad un ristretto numero di esse, e potè soltanto osser- vare che dalla unione dell' acido morico colla potassa, colla soda, e coli' ammoniaca ne risultano sali di una solubilità nell' acqua superiore a quella del Morato di calce. Avendo io pure preparati questi sali, ho non solo riconosciuta esatta F asserzione del lodato Chimico, ma ho inoltre osservato non esser essi né efflorescenti né deliquescenti, ed ho pure unito F acido morico cogli ossidi di bario e di stronfio. Thenard riferendo nella seconda edizione dell'eccellente suo trattato di Chimica le osservazioni di Klaproth sull' a- cido morico, affidato forse all'analogia, che, rapporto alla solubilità nell' acqua, suol riscontrarsi fra li sali che hanno per base gli ossidi di calcio, stronfio e bario, ha detto che verosimilmente i Morati di strontita, e di barita avranno una solubilità nell'acqua simile a quella del Morato di cal- ce. Ma dalle mie osservazioni risulta esser essi in confronto 2,3o Osservazioni sul Morato di Calce ecc. del Morato di calce più solubili, e che la solubilità del Morato di barita, è superiore a quella del Morato di strontita. Il sapor di questi sali può in qualche modo dirsi salso, con un non so che di piccante, sapor salso piccante, che è più rimarchevole nel Morato di ammoniaca. Avendo preparati alcuni saggi degli ora nominati sali, volli tentare di conoscer la forma dei cristalli ottenuti colla lenta svaporazione delle loro soluzioni, avendo però agito su picciole quantità di materia, gli ottenuti cristalli furono sì piccioli da non poterne ad occhio nudo determinar la figura, circostanza che mi fece ricorrere alla gentilezza del dotto mio collega ed amico il signor Professor D. Giambat- tista Tomaselli, il quale non solo si compiacque di sommi- nistrarmi i mezzi opportuni ad appagare il mio desiderio, ma mi fu pur compagno nelle osservazioni. Mancherei all' amicizia se ommettessi di parlare della obbligante maniera colla quale mi favorì, e se non gli dichiarassi pubblicamente la sincera mia gratitudine per il ricevuto favore. Osservando i cristalli dei diversi già preparati sali non tardammo ad accorgersi che presentavano altri quattro ed altri sei faccie. Apparivan tetraedri regolari i Morati di ba- rita, di strontita, e di ammoniaca, ed i cristalli dei Morati di potassa, e di soda avevan per lo più la forma del prisma esaedro, prismi che nel Morato di potassa eran nella loro estremità libera terminati da una piramide, la quale sì per la picciolezza dei cristalli, e per non esser essi isolati non diremo che fosse assolutamente esaedra, ci sembrò però che avesse tutta 1' apparenza di esser tale. Qualcuno però dei cristalli isolati di questi ultimi Morati era formato da due piramidi esaedre insiem riunite mediante le loro basi. Il tenue lavoro che vi presento, Socj Ornatissimi, ha non poche imperfezioni, procedenti per la maggior parte dalla scarsezza delle mie cognizioni, ed in parte ancora dal non esser riescito a procurarmi la quantità di acido morico Memoria del Sic Prof. Bartolommeo Bakani. 23 i necessaria per instituire un più completo esame delle pro- prietà dei sali risultanti dalla unione di detto acido colle differenti basi salificabili; vorrei però lusingarmi di poter un qualche giorno, minorare alcun poco crnest' ultimo di- fetto (*). ( * ) Quando stesi questo scritto era intenzion mia di proseguire ad esaminare le proprietà dei diversi sali, che posson formarsi unendo 1' acido morico cogli os- sidi metallici, ma per le difficoltà di procurarmi una sufficiente quantità di detto acido, e per altre cagioni , che non giova di rammemorare , posteriormente non ho unito l'acido morico, che coli' ossido di Lithion. Il Morato di Lithion è un sale solubile nell' acqua al pari dei Morati di potassa e di soda , ed il sa- por suo offre non poca analogia con quello dei sunnominati sali. I cristalli otte- nuti dal lento svaporamento della sua soluzione furono tenuissimi, e come dir si suole aghiformi, e li direi piramidali, se non temessi, che quel aspetto di quattro faccie che mi parve di riscontrare in alcuno di essi potesse dirsi un' ottica illu- sione. SOPRA UN SAGGIO DI CONFUTAZIONE DEL DUPUIS nell'opera intitolata ORIGINE DI TUTTI I CULTI MEMORIA DEL SIG. PROF. D. GIUSEPPE BARALDI Letta nell'adunanza del i5 Marzo i8ao. \Juella Scienza, che dal Montucla ( i ) si considera pres- soché la prima fra tutti i popoli, e la quale occupandosi nella cognizione del cielo, solleva, al dir di Seneca, e dilata il cuore, e degno il rende di salire al consorzio stesso di Dio (2,); quella che con sicurezza contemplando il nascere e il tramontar degli astri, e di dolce compiacenza confortando lo spirito, per ciò solo ne porge argomento di sua nobile e divina natura ; quella che giusta le espressioni di Tul- lio ( 3 ) nella varietà, ricchezza, economia maravigliosa di tanti corpi celesti sforza ogni uom ragionevole a ricono- scervi il domicilio della Divinità , e appaga l' obbietto di ( 1 ) Hist. de la Mathém. T. i. (a) Nat. quaest. 1. i. praef. (3) De nat. Deor. 1. a. e. 6. Memoria del Sic. Piiof. D. Giuseppe Baraldi. 2.33 lunghe ricerche, cominciando a far ivi conoscere e veder Dio: quella che più da vicino scandaglia e misura il magistero animi rahile di chi fu detto a ragione geometrizzasse dall'e- ternità; quella che ne' costanti armonici movimenti di tanti corpi sì hel campo offrendo a suoi coltivatori di religiosa e sublime sorpresa investì il Keplero, che facendo suo il bel detto di Galeno cominciò un' opera colle seguenti pa- role : sacrimi sermonem, hymnum Deo conditori verissimum ordior (4); sì questa scienza medesima nella piena luce dello scorso secolo, e neh' epoca de' suoi più belli trionfi, dopo tanta perfezione di mezzi, e tante scoperte, figlie della paziente analisi, e di lunghe e replicate sperienze, giunse a soffocar la voce della natura, dell'evidenza, del sentimento, e cangiando in isterilì, aride e digiune speculazioni le su- blimi, profonde, dolcissime contemplazioni, discese essa pure nella miseranda lotta della falsità contro la verità a servir la causa dell' empietà e della irreligione. Fra quelli che sventuratamente abusarono di questa divina scienza, il Du- puis portò al colmo la stravaganza del delirio, e l' eccesso dell' impudenza : né fia esagerato o maligno l' asserire che il suo stile, il suo sistema, il suo libro fu degno, e solo paragonabile a quei giorni di orrore e di sangue, che il videro nascere, e che ai più lontani secoli porteranno lunga e infausta memoria di lutto e di sventure. Dupuis fabbricò un sistema , compose un romanzo , e mosse acerba guerra ad ogni verità. Nella sua informe e voluminosa Orìgine di tutti i culti bestemmia e distrugge ogni culto, nel suo ro- manzo astronomico-allegorico fanciulleggia, e avvera in se il leggiadro confronto del Grisostomo, che i sistemi de' falsi filosofi fin da suoi dì trovava ne' piccoli castelli e nelle ca- sipole, che di carta o di creta architettano i fanciulli : nel- l'esame poi malizioso ed empio delle parti del vero culto, (4) De liarmonicis motibus planetarum. Tom. I. 3o a-34 Sopra un Saggio di Confutazione del Dupuis ec. discende ad una scurrilità, impudenza e laidezza, cui non pareggiano né Lucian, né Petronio. Egli è di quest'empio Sofista, che mi propongo tenervi parola nell' incarico onore- vole,, quantunque ben a ragione temuto, di parlar da questo luogo, a sì degno consesso, e dopo tanti valenti accademici, professori dottissimi nelle discipline istesse, sulle quali tanto vaneggiò il Dupuis. Se in voi la gentilezza e la bontà non uguagliassero il saper e la dottrina, ben veggo che in ar- gomento sì vasto e difficile, non incontrerei sorte diversa da quell' importuno saccente , che ardì di militar disciplina sermoneggiare alla presenza d'Annibale. Non è da me l'ac- cingermi ad una confutazione troppo superiore e alle mie forze, e all' angustia del tempo, e alla misura di questi no- stri accademici esercizj ; limiterommi quindi ad un semplice saggio, a poche linee, che bastino a far conoscere il sistema di Dupuis : e senza ingolfarci nell' ampio novero delle con- traddizioni , assurdità ridicole, e indecenti scurrilità \ e senza entrar nel labirinto intralciatissimo di mille allegorie, e di un ammasso il più informe e indigesto di erudizione intem- perante, afferriamone alcuni tratti : accipe nunc insidias, et crimine ab uno disce omnes. Tutto il sistema di Dupuis consiste nel trovar nell' astro- nomia la spiegazion, la ragione, la chiave di tutta la mito- logia non solo, ma ben anche d' ogni culto, inclusiv amente al nostro. Dal 1779 al 1781 cominciò egli nel Journal des Savans a pubblicar alcune lettere o memorie sull' origine astronomica delle Favole, e apertamente poi nell'Origine di tutti i culti manifestò l' intero sistema di spiegar tutto col- 1' astronomia. Armato egli d'allegorie e allusioni ingegnose nella costel- lazion che sorge a Oriente, la favola gli fa uccider l' altra che contemporanea tramonta all' Occidente ( 5 ) : e se due (5) Bailly hist. de l'Astr. Mod. T. Ili p. 275. Memoria del Sic. Prof. D. Giuseppe Baraldi. a.'J", si levano e successivamente scompaiono o son fratelli, o l'ima è figlia dell'altra. Non può dirsi inventor in tal sistema il Dupuis, mentre prima di lui Court de Gebelin avea molto concesso a queste spiegazioni allegoriche ; e Rabaut de Saint Etienne col prender tutto nelle metamorfosi, com'egli s'espri- meva, a rovescio, non vide né trovò che fenomeni e accidenti naturali nelle finzioni poetiche, e nelle prime memorie sto- riche. Portando oltre cpiesto sistema perdesi ogni filo di sto- ria, ogni traccia di tradizione, e si cade nell'assurdo della più ributtante empietà. Infatti non dubita il Dupuis di inse- gnare ; che tranne un pìccol numero ci' ingrati o sognatori , che han parlato d'un Padre ignoto, tutti hanno adorato il Sole e in lui la Natura ( 6 ). Né trattiensi dal produrre l'Eternità del mondo, e laddove dice che per antica che pongasi l'origine dell' idolatria, sarà essa sempre moderna in confronto della durata infinita de' secoli ( 7 ) che la prece- derono , e dove dice che il mondo è sempre vivo , sempre mosso, e sempre movente (8), e dove con Ocello distingue P essere eternamente costante dall' essere eternamente can- giante, fissandone la linea di divisione nel circolo che de- scrive la Luna. Per dir pur qualche cosa a scoprire la speciosa falsità del sistema di Dupuis, massime sull'apparato di teorie astrono- miche, sul nascere e tramontar eliaco delle Costellazioni, sul sistema a lui sì caro de' Paranatelloni, e sugli zodiaci, parmi che ricusar non si possa, né ritener in verun modo mal prevenuto il sentimento di Bailly. Egli (pialifica unica- mente per ingegnosa l'idea del Dupuis, e riconosce che le spiegazioni da lui date alle favole non possono essere che unicamente legate a un'epoca e ad un clima (9). Pensa egli (6) Orig. des Cultes T. I. p. 42. (7) Ib. p. 44. ( 8 ) Ib. p. 57. (9) Hist. de l'Astr. Mod. T. III. p. 3i3. a36 Sopra un Saggio di Confutazione del Dupuis ec. che potendosene trasportare un gran numero e pel tempo e pel luogo, ove una parte di tali spiegazioni non potesse più reggere., se ne trarrebbe conseguenza, ch'ei ritiene verissima, che cioè tutte le favole non hanno la medesima origine. Queste sono nate nel corso della tradizione : vi si dee perciò rinvenire ciò che alla medesima affidato venne, e ciò che seco porta e strascina cpiesto fiume ingrossato da tante di- verse sorgenti. Esse son l'opera de' secoli, il prodotto della follia o della saggezza degli uomini, e nel corso de' secoli hanno cangiato più volte climi, abitudini e idee. Fin qui lo storico dell'Astronomia. E venendo sull'esame degli Zodiaci (io) poteva egli igno- rare che gli antichi non conobbero che undici Segni, occu- pandosi dallo Scorpione colle sue Chele o zampe due posti, e che la Costellazion della Libra o Bilancia di cui tanto si prevale ne' suoi planisferi ( 1 1 ) nelle romanzesche sue allu- sioni, e nel produr sì spesso il ia, il 36, il 73 conseguenze e aliquoti della division duodecimale del mondo, è affatto recente , malgrado gli sforzi da lui datisi per istabilirne l' antichità ? Ciò è tanto vero che il Montucla inclina a credere che lo stesso Zodiaco possa considerarsi posteriore alla sfera, e che tal circolo venisse piuttosto condotto sulle Costellazioni segnate, anziché queste inventate fossero a marcarne e distinguerne la divisione. Né più felice fu il Dupuis ne' suoi sogni sulla pretesa antichità dell' Egiziano Zodiaco di Dindara, antichità trionfalmente combattuta da Testa contro Burchardt, e da Visconti contro Dupuis stesso. Checché ne sia, gli argomenti che il Montucla impiega a distruggere il sistema di Warburton e di Pitiche, che sull'idea di Macrobio V origine e la spiegazione de' nomi Zodiacali trovavano ingegnosamente nelle produzioni della campagna, (io) V. Montucla T. I. p. 76. (11) Orig. des Cultes T. I. p. 57. Memoria del Sic. Prof. D. Giuseppe Baraldi. 237 sistema rinnovellato da Gebelin, possono tutti e con più ra- gione rivolgersi contro quello di Dupuis, che l'origine e la storia vi legge di tutti i culti. Che diverranno tanti bei sogni applicati alle Costellazioni greche,, quando un antico com- mentator di Arato (1:2) c'insegna che né il Dragone, né Ce- feo, né Cassiopea, né altre Costellazioni trova vansi nelle sfere degli altri popoli ? che questi diversamente conformati aveano i loro segni^ e che i Greci imposero alle stelle i nomi de' loro Eroi ? che diverranno dopo il rapido esame, che il Montucla istituisce sui caratteri di tre sfere Italiana, Persiana, straniera o come i Greci diceanla Barbarica colla greca^ tutte varie di figure, di nomi, di gruppi? Potrebbe farsi naturalmente qui luogo a ciò che anche sul rapporto mitologico con tanta sicurezza da lui si produce, che allegorica e favolosa pone l' esistenza di Bacco, di Er- cole, degli altri Eroi della Grecia, e allegorica e favolosa pur tutta quanta la storia di Troja. Potrebbesi col Banier distinguer meglio e separar nelle favole la parte storica dall' allegorica : col Bitaubè difender Omero,, e conservargli in non piccola parte il bel vanto di primo storico : col Bianchini mediante belle autorità di Platone e di Cice- rone (i3) mostrar potrebbesi quella verità che il medesimo Freret dovette confessare, in omaggio de' nostri sacri libri^ che cioè dalle tradizioni veramente storiche, antiche, insiem collegate separando le favolose, si trova il principio di tutte le nazioni (14) nell'epoca a un dipresso, in cui la cronolo- gia biblica mostra già da più secoli popolata la Terra. Al sistema seducente del Dupuis potrebbesi opporre col- T Jaucourt nell' Enciclopedia, che tra le diverse cause delle Favole a ragione si colloca V ignoranza della fisica, men- ti'egli versatissimi ne vuole nell' astronomia i primi inven- (12) Montucla ib. p. 84-85. (i3) Stor. univ. p. 102. (i4) Lecons d'hist. T. I. p. 35o. 2,38 Sopra un Saggio di Confutazione del Dupuis ec. tori, e che poi non si può, come riflette il dotto Gerard (i5) attribuir loro con verosimiglianza l' invenzione di allegorie sì ingegnose, sì combinate e difficili , che appena sonosi potute accozzare e ideare dai nostri moderni filosofi. Su questi e molti altri punti si passi, e si osservi solo venir dal suo sistema l' autore strascinato agli assurdi del mondo eterno, del mondo- Dio. Lasciam distruggere a lui medesimo nelle sue contraddizioni la prima di queste empietà , né v' incresca di seguirlo un momento nel tenebroso labirinto delle sue prime parole. Havvi, egli dice, l' universalità del culto della natura in amendue i continenti, e nelF ipotesi di scoprir nuove terre si troverebbero gli uomini nello stato di pura natura e in una felice infanzia (16) che originalmente è stata quella di tutti i popoli. Se però vi si trovasse il culto della natura, la separazion loro giudicar si deve re- cente, perchè il culto non può esser mai che un' invenzion moderna nell'eternità. Protesta di credere che il popolo ateo, se esiste sia il più antico ; indi aggiunge non esservi un an- golo solo di mondo noto, che privo sia di culto. Più sopra avea detto non abbisognar comunicazione tra l' antico e il nuovo mondo, essendovi tutto di una medesima antichità, cioè tutto eterno. Crederei di offendere la ragione, e la bon- tà vostra, se mi studiassi con più parole a mostrar le con- traddizioni di questo solo passo d'un Autore, che il primo di tutti conobbe egli stesso l' irragionevolezza e il delirio de 'suoi principii coll'umiliante confession seguente (17) avrei scritto io mai, se ad ogni passo mirato avessi alle conse- guenze? Veramente non sarebbe stato gran danno, se non avesse scritto, o se dopo averlo fatto in un modo sì oltrag- gioso alla verità e alla morale, non ne avesse dalle fiamme salvato il libro una moglie, cui lo dedica, e la quale non (i5) Le^ons d'hist. T. II. p. 377. (16) Orig. des Cultes T. I. p. 41. (17) Pref. p. IX. Memoria del Sic. Prof. D. Giuseppe Baraldi. a3t) crede di poter commendar meglio, che ricordandola entu- siasta ammiratrice di quel Voltaire, genio immortale, son sue parole di cui la natura non offrì mai che questo solo esempio. Circa il secondo assurdo di metter Dio V universo, ne attribuisce egli la dottrina a Mosè, ad Isaia e a quelli che chiama spiritualisti (18), e dicendosi poi da questi, che la Divinità non può venir racchiusa e circoscritta da un tem- pio, e cose simili, fertile nelle contraddizioni li trasforma in Materialisti, facendo loro insegnare, che il mondo e la Divinità non sono che una sola cosa. Quindi ora seguace di un pretto Spinozismo, ora vaneggiando co' Manichei e col duplice principio, tesse un catalogo de' gentili scrittori, che annunziarono l'unità di Dio, e altrove poi attribuisce que- sto medesimo Dogma ad una moderna astrazione, ad una nuova idea. In vece di fermarmi su queste palpabili con- traddizioni, osserverò di passaggio, che mal a proposito, a mio credere, il Lambert, acre confutator del Dupuis pensa di dover negargli., che tanti Gentili filosofi pensassero bene dell'unità di Dio. Egli non dubita di considerarli, e tenerli tutti atei per la ragion sola, che malgrado la confession di un tal Dogma e nelle opere loro, e più nella loro condotta parlarono e sentirono indegnamente di Dio, il che secondi» lui equivale al negarlo. Quest'argomento ha il difetto di provar troppo, e nessuno meglio dell' Apostolo seppe dipin- gere e giudicar questi filosofi : compresero eglino, conobbero benissimo la natura di Dio, ma poi come tale noi glorifica- rono, tenendo schiava di un reprobo senso la conosciuta verità. Questo non toglie, che i loro detti non siano auto- revoli, e che non si deggiano escludere affatto dal novero degli atei, i quali nella loro vile e ignominiosa solitudine avranno sempre un forte pregiudizio contro le loro opinioni. (18) Orig. des Cultes T. I. p. 44. a4o Sopra un Saggio di Confutazione del Dupuis ec. I sublimi e decisivi passi di Cicerone, di Seneca, di Plinio e di Plutarco, per tacer degli antichi Poeti, e dei seguaci delle due più fiorite Scuole la Ionica, e l' Italica, i tanti monumenti che e presso gli Egizii nell'iscrizione del Tempio di Sais, e presso i Persiani nel Tempo senza confini superiore ai due gran G-enj Ormusd, e Ahriman, e presso i Caldei nel primo principio d'attività universale da loro ammesso, anche in ciò dai Fenici imitati, sono espressioni, come dice Lat- tanzio, che partono dal fondo stesso de' cuori : son testimoni ', aggiunge Tertulliano, d'anime naturalmente cristiane, ein essi interroga Minuzio Felice, abbiamo noi il grido di natura, o quel di fede ? Ingiusto ed infelice travaglio sarà sempre perciò, come s' esprime il Fabricio il rilegare nella società degli Atei ì rari genj di tutta V antichità, e il confondere l'ateismo e lo spinozismo col gentilesimo ; o a dir meglio sarà un artifizio qual lo chiama il Gerdil per dare con sì bei nomi agli Atei un presidio contro V estrinseca autorità della Religione. Lo spirito di sistema è il nemico più pericoloso di chiun- que cerca e spiega la verità, quindi abbracciato una volta da Dupuis il rovinoso sistema di spiegar l'origine d'ogni culto con allegoria, non avvi mezzo che non impieghi a sostenerlo, e difenderlo. Trovar volendo tutto nel Sabismo, ossia nel culto del sole e degli astri, non è solo Ercole, le di cui portentose fatiche si spiegano tutte ne' segni zodiaca- li: non sono solo i dodici Dei maggiori che presiedono alle di- visioni della sfera delle fisse presso i Persiani, metà d'Oromase principio buono, metà d' Arimane principio maligno ; ma tutta la storia de' primi capi del Genesi per lui diviene al- legorica : e ne cava la conseguenza per lui trionfante, che non può essere che allegorica la riparazione d' un fatto allegorico (19). Nei dodici Apostoli, come già nei dodici figli (19) Orig. des Cultes T. III. p. 37. Memoria del Sic. Prof. D. Giuseppe Baraldi. 241 di Giacobbe egli richiama i dodici segni zodiacali, che molti- plicali ritrova ne' 72 discepoli, nelle 72 palme del Deserto, ne' 36 governi o nómi d' Egitto, nelle 36 decadi del Calen- dario egiziano sotto i Decani, e in Gesù Cristo non vuol riconoscere che il Sole. Ecco quai sono le più belle scoperte fatte a nostri giorni, come non si vergogna di tali chiamarle il Briuiet autore d' un prolisso, e immensamente erudito parallelo delle religioni (20) : ecco ciò di cui Dupuis stesso tanto vantavasi. Non v'incresca il sentirne l'umile e modesto racconto. = (21) Passai per ardito, quando nel 17(80 dubitai dell' esistenza di Ercole, e aggiunsi : È questi il solo, sul- l' esistenza del quale siasi in inganno? Io potrei .... Fin d'allora io scavava i fondamenti delle antiche storie' mara- vigliose, e segnava anticipatamente la favola del Dio - Sole dei Cristiani da me già scoperta ; e che la Rivoluzion sola potea mettermi in istato di sviluppare e produrre in Francia col mezzo della stampa =. Grazie alla Rivoluzione noi gu- stiamo e conosciamo sì utili frutti, e se alcuno osasse dubi- tarne, sappia dall' autor medesimo che = la filosofia di un sol uomo, in questo caso, prevale all'opinione di più migliaja d'uomini, e di più generazioni. Il popolo crede, e il filosofo ragiona e giudica = (22). Ci permetta però il Dupuis di opporre a quest'epigrammatico epifonema un semplicissimo e naturai principio. Il popolo trattandosi di fatti vede al pari del filosofo. Un punto di storia (28) non è come un punto di morale, in cui senza comunicarselo possono gli uomini incontrarsi, e se tutto ci parla della genesi del mon- do, della caduta del primo uomo, vorrem persuaderci di aggirarci sempre nella terra delle allegorie ? Questo ini pò- (20) Parallèle des Relig. T. III. p. 1084. (ai) Orig. des Cultes T. I. p. 54*. (22) Ih T. I. p. 35a. (23) Brunet. T. III. p. 199. Tom. I. 3l a4a Sopra un Saggio di Confutazione del Dupuis ec. tente sforzo dell'empietà, chiamollo saggiamente il Bacone (2.4) vanità antica e frequente , deridendo Crisippo, che nelle antiche favole sognava di scorgervi tutte le opinioni stoiche, e gli Alchimisti, che negli scherzi de'poeti le esperienze vi rintracciavano de'fornelli, e le trasformazioni dei corpi. Che non avrebbe poi detto il gran Cancellier d'Inghilterra del- l'impudenza del Dupuis, egli che dalle favole studiossi di cavar anzi massime e fondamenti di morale e religione? Il Dupuis questa volta però, o dubitando della sua causa, o volendo pure ostentar sicurezza ricorre al presidio delle autorità, e cita favorevoli al sistema di tener allegorico tutto il principio del Genesi S. Agostino, Origene, e Lattanzio. Nessuno fra i quattro testi di S. Agostino con rara baldanza portati da Dupuis, gli è favorevole : in uno costui non ha presa e fatta sua che un'obbiezione di Fausto Manicheo, non curandosi di leggere, né di citar la risposta del Santo : negli altri il San- to o condanna l'allegoria usata da alcuni, o mostra che tra i vari sensi scritturali havvi pur l'allegorico, ma fa riflettere chiaramente, che tutto deve e può considerarsi primo secun- dum historiam, dein secundum prophetìam (a,5). D'Origene si prevale Dupuis, ma chi non sa che tra gli errori, cui s'ab- bandonò un sì raro e robusto ingegno, fuvvi forse più d'ogni altro l' abuso delle allegorie ? fra gli otto errori d' Origene opposti da S. Epifanio a Giovanni di Gerusalemme, il sesto come scrive S. Girolamo era = quod sic paradisum allegorizet ut historiae auferat veritatem:=. Tale autorità dà poco peso a Dupuis, uè potria darglielo anche in altro caso, mentre poco dopo egli stesso trattando i Padri come la Scrittura (2,6) tiene Origene per un entusiasta, e uomo lo chiama da rive- lazioni, e da sogni. Di Lattanzio cita un testo adulterino, e (24) De sap. veter. praef. p. 1246. (a5) De Civ. Dei 1. 2. e. 3. (26) Orig. des cultes T. III. p. 190. Memoria del Sic. Prof. D. Giuseppe Baraldi. a43 che porta l'error de' Manichei, dal quale lontanissimo fu sempre Lattanzio, testo che sulla fede di molti codici fu levato dalle migliori edizioni, quindi nulla può giovare al- l'intento. Avvezzo a citar sul falso altrove altera un passo d' Eusehio, ove parlando dell'opinione invalsa in molti della cognizion d' un Dio spirituale , intelligente , superiore alle opere tutte dell' universo, che tutto dirige e conserva il creato, traduce che questi immaginarono lina sostanza intel- ligente, mentre per tutto quel capo (27) non havvi vocaholo che spieghi immaginare, ma sihbene stimare? pensare? con- getturare? scoprire? tale essendo la spiegazione del verbo imoXai-ifiavQ , e del participio diavoyàqvTes, che usa Eusebio. Qual fede può meritar un autore, qual carattere mostra un uomo, che si permette di tradur così, citar in falso, cor- rompere, adulterare i passi ? Egli è più felice e più sicuro nel citare, anzi nel copiare a lungo le assurdità de'Manichei esposte con acrimonia dal protestante Beausobre, così nel lodare e citare gli elogi e le difese che dell'idolatria scrisse l'apostata Giuliano. Terminerò questo rapido esame delle falsità di Dupuis con una delle più temerarie che impiega a fragile appoggio del suo sistema. Per voler allegorico Cri- sto, né voler fuori dell' Evangelo chiamato ora monumento sedicente istorico? ora finzion d'una leggenda? (28) trovar testimonianze straniere, dissimulando le autorità incontra- stabili di Tallo, di Flegonte? quelle di Lucìan, di Porfirio e di Plinio? anelli tradizionali di secolo in secolo, ricusa l'autorità ài Tacito? e capricciosamente la spiega: vuole che un secolo dopo siasi aggiunto e fabbricato il nome di Ponzio Pilato? di cui gli Atti esistevano presso gl'Imperatori, e che dai Martiri e dagli Apologisti rinfacciavansi loro sin dal primo secolo, e con mirabile franchezza decide supposto il celebre passo di Giuseppe Ebreo sovra Gesù Cristo, aggiun- (27) Euseb. praep. evang. 1. 7. e. 3. (a8) Orig. dea Cultes T. III. initio. a44 Sopra, un Saggio di Confutazione del Dupuis ec. gendo per prova, che tutti i dotti ne convengono (29). E vero che da alcuni pochi, dal Blondel, le Fevre, e dal Gil- let traduttor di questo storico qualche duhhio s'è pur mosso contro un tal passo, perchè si pretende che non ahhia avuto luogo stanile nell'opera dello Storico Ebreo; ma oltreché simil argomento poco decide, e le autorità in contrario sono immense, 1' inglese Daubuz con due libri prò testimonio Flaviano ne ha difesa trionfalmente l'autenticità, e a questo bel lavoro neh' edizione d' Havercamp s' uniscono e una prefazione di Grabe, e trenta lettere filologiche ed isteriche con tutte le antiche e recenti testimonianze in proposito : e a tutte le prove estrinseche il Daubuz accoppia pur quella d'analizzare a parola per parola il testo controverso, e trovarvi lo stile, le maniere, e persili gl'idiotismi familiari a Flavio. Se nell'opera del Dupuis considerata sinora come sistema si offrono tanti caratteri di falsità, e di assurdo , non si mostreranno raen decisi quelli di chimera, e di puerilità, considerandola come romanzo. Né si giudichi impertinente quest' appellazione, dopoché Bailly stesso non vi trovò che ipotesi seducenti, e ne conchiuse decisamente: basta a questo sistema d' essere ingegnoso, e in questo far deve onore al suo autore (3o). Non si negherà ingegnosa un'allegoria felice, che quadri bene col soggetto, e che gli sia così propria come lo è l'ombra al corpo, il simbolo all'oggetto espresso ; ma quando ad ogni costo si torce V allegoria, che un' etimologia, una parola diviene un argomento, e che a un tempo stesso diver- se e disparate allegorie si raccolgono dal medesimo fatto, panni che allora non ingegnosa, ma sia tutta ridicola e vana. Spessissimo Dupuis cade in questo difetto, e malgrado l'ap- parato imponente con cui l' annunzia, non è F intero suo (29) Orig. T. III. p. i5o. (30) Hist. de l'Astr. Mod. T. III. p. 273. Memoria del Sic. Prof. D. Giuseppe Baraldi. a4-5 sistema altro che un romanzo. Accennai più sopra come prima di lui allegorizzasse tra gli altri il Gebelin (3i). Non contento questi di trovar in Omero da per tutto il corso del Sole, per cui Circe è Tanno, le quattro Ninfe che la corteggiano sono le stagioni : e di veder personificate le settimane ne' cinquanta figli d'Ercole, nelle cinquanta Tespiadi, ne' cinquanta Pallautidi cugini di Teseo, nelle cin- quanta Danaidi, ne'cinquanta Eroi imbarcati sull'Argo, nelle cinquanta nuore di Priamo, lo scudo d'Achille diventa un Calendario greco, e se quello di Enea non presenta allego- rie astronomiche, e merita perciò dal corrucciato Gebelin la taccia d'ignorante nell'arti a Virgilio, o di adulatore d'Au- gusto, Enea gli richiama il Sole presso gli Albani, Romolo e Remo i Dioscoridi, ossia il Sol d'estate e il Sol d'inverno : e così Elena è la Lrina, e il sono pure nelle sue fasi le Gorgoni. Ma egli è sullo zodiaco che di pari passo cammina col Dupuis. Amendue ritengono per Ercole il Sole (3a) : amendue ne' segni zodiacali vi trovano le dodici sue famose fatiche, ma dove Gebelin tutte le spiega relative alle cure campestri, Dupuis le riferisce tutte alle successioni del na- scere e tramontar delle stelle- S'aggiunga, che come variano gli antichi sopra uno o più Ercoli, contandosene tre da Diodoro, sei da Cicerone, quarantatre da Varrone ec, l' or- dine stesso delle dodici fatiche non è il medesimo presso tutti, e fra Diodoro e Pausania si notano variazioni. Tutte dunque le allegorie sono sistematiche, più ingegnose, che sicure, e fra i due romanzi più fecondo o più ingenuo mo- strasi Gebelin, che si propone di dar fin due spiegazioni diverse dello stesso soggetto invece d'una sola, in quella guisa clie i ciurmadori offrono di replicar, di variare i loro giochi ad ogni inchiesta. (3i) Brunet Parali, des Rei. T. I. p. 793-816. (32) Le<;on d'hist. T. II. p. 421- 246 Sopra un Saggio di Confutazione del Dupuis ec. Primeggia però Dupuis nel mostrar tutta allegorica la Genesi. Egli presenta un planisfero da lui ideato, che tutta ne contiene l'economia. Già lo stato d'innocenza, l'Eden ridènte., la felicità sta ne' primi sei segni dell' Impero d'Or- musd : il serpente (33), il frutto vietato, la colpa comincia coli' inverno negli altri sei segni dell'Impero di Ahriman. L'agnello su di cui Dupuis fa scolpire il Sole, secondo lui simbolo di Cristo, sta alle porte dell'impero del bene e della luce, e la Bilancia a cpielle dell' impero del male e delle tenebre . Ne'primi sei segni zodiacali nota la verzura de'cam- pi, i fiori, i lunghi e caldi giorni, il bel sereno, le bionde spiche, la vendemmia : negli altri sei segni i pomi che l'uo- mo comincia a raccogliere, origine di sua sventura, il freddo, la neve, i ghiacci, le tenebre e le lunghe notti, le pioggie ed i venti. L'albero fatale della scienza è un'allegoria inge- gnosa del tempo, il Cherubino è Perseo. Sui confini dell' im- pero del male havvi la costellazione del Drago, che custo- disce i pomi delle Esperidi, attortigliato all' albero, come il serpente tentator d' Eva. S' inoltra franco il Dupuis, e tro- vando che il Sole nell'ottavo segno assorbe tra i suoi raggi la Vergine (34) , spiega in questo passaggio V Assunzione che noi festeggiamo in Agosto : dopo tre settimane, mentre questa costellazione si libera dai raggi solari, vi spiega la Natività di Maria al principio di Settembre. Il medesimo segue questa costellazione istessa che ai a5 Dicembre pre- siede alla nascita di Cristo ; s' inoltra nel suo romanzo alle- gorico, e fin nelle gotiche chiese vedendo scolpiti i segni zodiacali, spiega curiosamente quelli della Cattedral di Parigi, e avrebbe trovati più decisi quei d' una delle porte del nostro Duomo, e si compiace di trovar per tutto un sì mi- rabile e singolare accordo. (33) Orig. des Cultes T. III. p. ia-35. (34) Orig. T. IH. p. 48. Memoria del Sic. Prof. D. Giuseppe Baraldi. ufo Più ridicolo ancora e puerile diviene il romanzo, laddove confrontando il nostro Calendario con quello de' Gentili , trova simbolici ti favolosi i nomi di tanti Santi (35). Nega perciò P esistenza de' Martiri Demetrio , Dionigi , Bacco, ed Aura tratti secondo lui dal Calendario Ateniese. In S. Giorgio riconosce Perseo, da una bella stella della Corona tien presa 5. Margherita, dalla favola 5. Ippolito. Tiene immaginarii e tratti dai verbi rogare e clonare i Santi Rogaziano e Ro- gato: Donaziano, e Donato, e ciò cbe è veramente singo- larissimo dalla forinola latina perpetnam felicitatem vuol cavare le due Sante Perpetua e Felicita. Lasciam pascersi di questi sogni stravaganti e cbimerici col Dupuis chi da lui iniziato, qual vantasi (36), nel secreto della sua teorìa, in un' opera empia e maligna sulle Feste e Cortigiane della Grecia tesse un lungo catalogo di sciocche allusioni ; e chi più ardito e più antico ancora del Dupuis, e idolatra sino alla follìa dell'idolatria istituì parecchi di tali confronti nel suo Saggio sulla religione degli antichi Greci (3^) ; e riflettiam solo di passaggio, come il Dupuis, i Chaussard, i Septchénes eitati, sì curiosi investigatori d'allusioni e allegorie in tutto ciò che riguarda la pura e celeste religion nostra, nulla si permisero contro V Islamismo, che colle orientali idee del- l' Alcorano, col viaggio notturno sulla Luna di Maometto, colla Egira, coli' Angelo che ogni anno gli compariva, colle sue dodici mogli, col suo sepolcro in Mecca (38) offrendo campo vasto d'allegorizzare, non riscosse che elogi, e ritratti seducenti e gloriosi dall'Olandese Golio, dall'Inglese Sale, da Savary, e da quanti uscirono dalle tenebrose scuole della moderna incredulità, la quale a guisa del Cavallo di Troja scandit fatalis machina rnuros - Poeta armis. (35) Orig. T. III. P. II. p. i5i. (36) Fétes et Courtisanes de la Grece. (37) Brunet T. III. p. 923. (38) Ibid. p. 157. 248 Sopra un Saggio di Confutazione del Dupuis ec. E come questa macchina medesima che dal bugiardo Sinone si fece credere un compenso del violato Palladio, un voto pel ritorno, e che dai creduli Teucri in aria di trionfo e di canti si accolse dentro le mura ; mentre non era poi che macchina militare, gravida d'armi e d'armati a eccidio di quella misera città; così tutta l'opera del Dupuis col- V apparato astronomico si produce qual nuovo Palladio, do- mito, exitiale Minervae ; s'insinua e cerca di sedur, di piacere con vaga comparsa di smisurato e leggiadro destriero instar montis equum se non anche più propriamente come la figu- ra grottesca immaginata da Orazio., ma poi in fine fatale e minacciosa ferro e fuoco e guerra medita e conduce minans ìllabitur . . . armatos fundit. Poco occorrerà qui ag- giungere onde mostrare come pericoloso, ed empio sia il libro del Dupuis. Dal fin qui detto il conoscemmo anche troppo., e pochi altri cenni tratti qua e là da sì impuro fon- te ne confermeranno l' idea. Dupuis medesimo lo confessa, e dà il segnale di questo attacco, e dopo aver mostrato che fra le religioni la nostra è quella, che ha saputo soffrire e vincere altri cimenti, facendo credere di dubitare che vit- toriosa uscir possa anche da quello, ch'ei già porta alle sue sacre finzioni, e a suoi dogmi oscuri ; in aria di trionfo così insulta e bestemmia: Spoglierem Cristo delle sue due nature a un tempo istesso. Il popolo ne fa un Dio e un Uomo : il filosofo ne fa un Uomo : noi non ne faremo né un Dio, né un Uomo, ma il Sole (39). Ogni fondamento, ogni certezza storica vien atterrata dall'abuso delle allegorie, e si apre la via al più stolido pirronismo. Vedemmo allegorica tutta la genesi dell' uomo, e allegorici quei due grandi avvenimenti che soli spiegano, e sostengono l' uomo, la caduta cioè e la riparazione : alle- gorico o naturale egli decisamente pone quanto di maravi- (39) Orig. des Cultes T. III. avant. propos. Memoria del Sic. Prof. D. Giuseppe Baraldi. a49 glioso e di stupendo segna le epoche più grandi di religione e di società. Il Diluvio non è per lui che pioggia d'inver- no (4°)ì cne comincia d'autunno, e termina a primavera. La pubblicazione della Legge sul Sina (4-i) non è che un fuoco d'artifizio preparato da Mosè. Il Pentateuco di cui sì vanta V antichità, non è che una raccolta di novelle arabe. La Pasqua non è che il passaggio del Sole per l'equinozio. Intorno l' esistenza di Mosè. medesimo sparge dubbia né teme di chiamarlo sovente il preteso Mosè, e di unirne la non esistenza con quella di Mercurio. Allegorico è per lui lo stesso Cristo di cui tutta la storia a suo credere fondasi nella finzion d'una leggenda, e di cui ne fa il Sole; né contento di tale alle- goria, giunge a paragonarne la morte (4^) a quella di Bacco, e di Adone, trovando anzi questa ne' versi di Teocrito più poetica e più spiritosa. Che un simile pirronismo voglia in- trodursi in tutto, il mostra egli stesso, dicendo chiaramente che il Sole, la Luna e le stelle figuravano come re nelle storie e dinastìe, per cui la Principessa egiziana Nitocrì da lui si trasforma nella costellazione di Neith , o Minerva vittoriosa (43) ; per cui trova il corso del Sole nelle conqui- ste di Sesostrì pretesa favola sacerdotale, appoggiato al grande argomento d'un verso di Lucano venit ad occasum, mundique extrema Sesostris (44) contraddetto dalla Storia, che mostran- do questo conquistatore moversi d'Egitto per l'Arabia e per l' Asia, lo fa anzi andar ad Oriente. In questa sua romanzesca origine di tutti i culti, mani- festa la sua prevenzione anzi un odio deciso contro l'unico culto veramente ragionevole e degno dell'uomo e di Dio, cioè il nostro, e a tanto giunge^ che per condannar questo (4o) Brunet T. II. p. 167. (4i) Orig. T. II. p. 118. (4*) Ivi T. IH. p. 70. (43) Brunet. T. I. P. II. p. io35. (44) T. m. P. in. Tom. I. 3a a5o Sopra un Saggio di Confutazione del Dupuis ec. sulle traccie del ' fanatico Septchénes ne giustifica e loda ogni altro per infame o bizzarro che sia. Non è contento dopo un' affettata e bernesca pittura del nostro culto, in aria di confutar le obbiezioni che vi si facessero, e dopo aver recati in campo gli idoli più strani e ridicoli del politei- smo (4-5) di concludere, che dobbiamo ragionarne allo stesso modo, e scorgere nelle immagini qualunque siausi de' loro idoli, le loro idee teologiche; che difende il culto stesso reso agli animali come la parte più ingegnosa e più dotta delle antiche religioni (46) ; e ciò facendo esclama ; vendichiam la scienza dalle calunnie dell' ignoranza. Giunge a giustificare persino i riti secreti della Dea Bona troppo al naturale ritratti da Giovenale, e vi trova ed applica lo sviluppo della terra in Maggio per l' azion del Sole di primavera, e della Luna. Tutta poi la sua bile irreligiosa sfoga in un ridicolo ed empio commentario dell'Apocalisse (47)> in cui tranne alcune bestemmie che anche troppo s'intendono, sfido l'autore a spiegarci che cosa abbia inteso di dire e di provare, tanto e tale è l'inviluppo, il guazzabuglio, il disordine che vi regna. Bossuet e Newton che il commentarono, quantunque in sen- so e con esito diverso, abbisognano, secondo Dupuis, di tutta la grandezza dei loro nomi per ottener perdono del loro fallo. E in che consiste poi fallo sì imperdonabile ? Neil' aver creduto ispirato l'Apocalisse, giacché è assioma del Dupuis, che non havvi punto opera ispirata, ne libro havvi che opera non sia degli Uomini. Questo commentario gareggia in im- pudenza, e forse supera quello della Bibbia finalmente spie- gata dell'empio di Ferney, e piena l'idea di gentilesche profanità, e il discorso di motteggi indecenti chiama questo divino libro un'opera Frigia, e un trattato completo d'ini- ziazione che conduce sino att Autopsia, o veduta intuitiva (45) Orig. T. II. p. 256. (4^) ib. p. 260. (47) T. III. P. 187. Memoria del Sic Prof. D. Giuseppe Baraldi. 201 dell'increata luce. Tirisi un velo sull'esame, ch'egli istituisce de' misteri e per chi siffattamente oltraggia ogni pudore, usiam noi quello di non riprodurne e diseppellirne le infamie. Ben volontieri tacerei d' altre empietà che sulla rcligion tratto tratto si permette, se purtroppo simili massime e dottrine non l'ossero quelle eziandio, die non finisce di perpetuare fra noi un' epoca infausta e ahimè prolungata troppo di calamità, di errori, e di delitti. Non si denunzie- ranno mai troppo al mondo ingannato questi pubblici cor- ruttori d'ogni verità, questi implacabili nemici d'ogni bene, questi mostri, che tanto fino a suoi dì raccomandava di conoscere e smascherare il gran Verulamio. Se non si conosce, così scriveva egli, a fondo la natura de* malvagi, la virtù sarà interamente priva dì difesa e di appoggio (48). Si sappia adunque, che le massime tanto applaudite, e con menzogneri e bugiardi nomi ora pur predicate e difese, stratagemma che ai campioni dell' incredulità è riuscito meglio, che non al misero Corebbo : mutemus clypeos . . . dolus an virtus quis in lioste requirat? eran pur quelle di Dupuis, e d'altri suoi colleglli. In lui si legge l'empia massima = La natura ci fece liberi e buoni ; ì Re ci han fatti schiavi, e i Preti ci han resi viziosi (49). In lui si eccita odio e rivolta al preteso patto tirannico che lega i Preti e i Re. In lui le eterne declamazioni contro le ricchezze del Clero, contro i Religiosi. (5o), e dove finge di perdonare alle istituzioni re- ligiose, perchè concorrono a stabilir fra gli uomini V'impero della giustizia e delle leggi, con una correzion scellerata si disdice tosto esclamando : sarebbe un oltraggiar la giustizia V appoggiarla coli' impostura. Chiudiamo ì Santuarj ove tutto è prestigio e illusione, e cavìam le idee d' ordine e di sag- (4") De augni, scient. 1. 7. e. 2. (49) Orig. T. II P. II. p. 109. (5c) Ong. T. II. P. II. p. i55. a5a Sopra un Saggio di Confutazione del Dupuis ec. gezza dalla contemplazion dell'universo (5i). È tale l'in- fluenza del fanatismo irreligioso in Dupuis, che non arrossiva nel 1794 e i° Parigi chiamar ancora sanguinaria e perse- cutrice una religione (5a), che di sangue andava bensì tutta intrisa, ma sangue de'propr] figli vittime della persecuzion più crudele e più raffinata, che mai vi fosse : e temerla quale orribile spettro che sempre gli si affaccia, che agita crudeli catene; che sempre cammina circondato da carnefici e da preti .... (53). Buon per Dupuis se questo spettro qualche salutevol rimorso gli avesse gettato in cuore ! ah questo spet- tro era l' ombra di Abele, che per tutto inseguiva a tormento e non a salute lo snaturato fratricida. Né qui si ferma il Dupuis : ripetendo le cantilene di Voltaire, di Raynal, e d' altri mille. Ivi sta? dice egli, il mostro che armato di sanguinoso pugnale scannò tante migliaja di vittime nel S. Bartolomeo, che divorò gli abitatori del nuovo mondo, die ora pure accende i roghi di Madrid e di Goa> che ci ha data la Vandea ... e questo scrivevasi da un Convenzionale, su d'un terreno rosseggiante ed ebbro del sangue de'suoi Re, del san- gue di tanti martiri, in mezzo a uomini-tigri, cui corruppero il cuore, aizzarono la rabbia, sfrenarono le passioni, affilarono i pugnali e le armi le dottrine omicide, le sanguinarie le- zioni d' un' incredula e dominatrice empietà ! Ma da immagini sì funeste, da espressioni sì ributtanti e odiose ricompongasi qui almen sul fine a idee più tran- quille, a sentimenti più nobili e di noi degni questa mia qua- lunque siasi accademica esercitazione. Deploriamo un tanto funesto abuso della scienza, e per usare le forti ed eloquenti espressioni di Laharpe, che francamente pronunciò nel 1 796 all'apertura del Liceo Repubblicano, e che termineranno il (5i) Orig. p. a5g. (52) Ibid. p. 163. (53) Ibid. T. III. P. IL p. i5a. Memoria del Sic. Prof. D. Giuseppe Baraldi. a53 mio dire (54) con lui, deploriamo = quei giorni di una de- gradazione totale e inudita della natura umana, che sono anche sotto i nostri occhi, che gravitano sull'anima nostra, e che vengono spontanei e frequenti sulle nostre penne. Il dolore dell' uom sensihile è come la fiaccola religiosa e soli- taria che veglia accesa presso le tombe, e chi sarà mai sì barbaro d'estinguerla? E poi non bisogna illudersi : tutte le verità sono insiem strette e congiunte con vincoli più o meno palesi., ma però sempre reali, e ben lungi, che la vera morale porti nocumento al buon gusto, e al raro talento., essa anzi appura e arricchisce vieppiù l'uno e l'altro. Non si cessi per noi di notar, di confutare coloro, che ostinata- mente si sforzano di separar la terra dal cielo, perchè il cielo li condanna, e perchè voglion essi invader la terra, e niun di loro arrivi mai a toglierci uè l'orror del male, né la speranza del bene. = (54) V. Annal. Cathol. T. III. p. 88. SULLA DECOMPOSIZIONE E TRASFORMAZIONE DELLE FUNZION I ALGEBRICHE FRAZIONARIE MEMORIA DEL SIG. MARCHESE LUIGI RANGONI Letta nell'adunanza del 2.3 Luglio 182.7. A niuno fra gli iniziati nella scienza del Calcolo può essere ignota l'utilità dei metodi immaginati a decomporre una frazione in altre più semplici ad essa equivalenti nella lor somma. Il Calcolo differenziale, e l'integrale, non che quello delle differenze finite , abbisognano continuamente di questo sussidio onde pervenire a que' risultamenti che ne sono lo scopo. Sentirono di fatto questa necessità i Ma- tematici , che intesero e contribuirono al perfezionamento dell' Analisi sublime , e rintracciarono non senza successo quelle regole , che sciogliendo in parziali espressioni una formola troppo complicata, somministrassero così la facoltà d' integrarla negata per altra via. Non sembra per altro che gli artificj ^n T1* a^' U0P° rinvenuti , e che per la massima parte si debbono all'illustre Eulero (*), vantar pos- ( * ) V. Euler. s Introductio in Analysin infinitorum. Cap. II. Institutiones Calculi Differentialis. Cap. XVIII. Acta Acad. Scient. Imp. Petropolitanae - prò anno 1780 Part. I. pag. 32 e seg. Mémoires de l'Acadé. Imp. des Scien. de St. Pétersbourg - pour les années i8o3-i8o6. pag. 3. e seguenti. Memoria del Sic. Marchese Luigi Rangoni. a55 sano quella generalità a cui non isfugge verini caso par- ticolare, né sieno del tutto esenti dal difetto di una non necessaria prolissità. Oltracciò le nonne segnate da quel grand' uomo,, e da altri valenti indicano piuttosto le ojiera- zioni da eseguirsi pei la decomposizione delle funzioni frazionarie nei casi particolari , anziché stabilire le forinole generali, che facilmente si applichino a ciascuno di essi. All' oggetto di evitare o diminuire almeno tali inconvenienti sono dirette le ricerche delle quali trattasi nella presente Memoria, nella (piale proponendomi di fissare una più chiara, più ordinata, e forse più generale dottrina intorno alla decomposizione delle funzioni frazionarie, espongo le considerazioni , che mi hanno guidato anche qualche volta col soccorso del metodo delle funzioni generatrici alla de- terminazione di espressioni generali, che, per quanto credo, altrove non si rinverrebbero, e alla dimostrazione più semplice, e ridotta al dominio dell'Algebra finita di alcune singolari proprietà che da esse derivano, delle quali se riguardo ad alcune ho potuto verificare essere state da altri avvertite , non mi è noto che lo stesso possa dirsi egualmente di tutte. i . Considero primieramente una frazione il cui numeratore sia 1' unità , ed il denominatore sia il prodotto di quanti si vogliano fattori i — at, i — a! t, i — a" t , . . . i — a^'H tutti disuguali, essendo le specie a, a, a", . . . aln~*) sempre quan- tità note , razionali o irrazionali , reali od immaginarie. Ciò posto suppongo il caso più semplice in cui i fattori del denominatore siano due, e cerco quindi di decomporre la frazione -, n r\ in altre due, le quali abbiano per (i — at)(i— a t) A x rispettivo denominatore uno de' fattori i—at, i — at. Essendo pertanto i w n = ( i-t-at-+-a.*t*-+-ec.) (i-+-a' t-+- a t -+- ec. ) si rileva facilmente,, che il secondo membro di questa equa- 256 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. zione , e quindi anche il primo^ è una serie infinita , la quale rappresenta la funzione generatrice di ,_a \7TT~I)__a_ a +.a a -*-a a -+-ec \-a = : = ,'a+— — •a- a a-a a -a a Ma le funzioni generatrici di a , a sono rispettivamente ìque ■• Dunque si ha ■at i — at i a i a i (i — at) (i — at) a — a 1 — at a! — a i — a't come si cercava. Se ora si supponga che i fattori nel denominatore della frazione proposta sieno tre, è evidente essere i a i i a! i i (i—at)(i~a't)(i—a"t) a— a i—ati—a't a— a i—ati — at a a i a a i a a i + -4- a— a' a— a" i—at a— a a'— a ì—d't a'— a a'—a" i—àt a a i a i a i a'—a a —a i-à't (a—a')(a—a") i—at (a'—a)(a'—a") i—a't a"' (ri \ / " '\ ti. a —a) [a —a ) i —a t Ora questa espressione che ne dà decomposta in tre altre la frazione proposta, la quale contiene nel suo denomina- tore tre disuguali fattori, ottenendosi dipendentemente dal- l' altra che fu stabilita in ordine alla frazione contenente nel suo denominatore due soli fattori , potrebbe a vicenda condurre a quella che appartiene alla frazione che analoga- mente ne contiene quattro. Siccome però in tal caso le operazioni di riduzione riuscirebbero assai prolisse e bri- gose , meglio è l' arrestarsi alla legge , che manifestamente seguono i coefficienti delle frazioni parziali nella testò tro- vata espressione , per inferirne secondo una fondata indù- Memoria del Sic Marchese Linci Ranconi. 2.5j zione la regola generale della loro composizione anche nelle espressioni che nascono da una frazione, il cui denomina- tore risulti da un qualunque numero di analoghi fattori. Quantunque però questa regola si prevegga già per indu- zione , conviene dimostrarla rigorosamente come può farsi mediante i raziocinj da esporsi nel seguente articolo. 2. L' analogia dedotta dallo sviluppo della frazione , — r-n m fa ritenere , che una frazione della (i— at) [i—at) (i—a t) forma -. — r— - 77— ; ,_,, , il cui denomina- (i—at)(i—at)(i—at)... (i—a^'t) tore risulta dal prodotto di n fattori si decomponga in altret- A A A' tante frazioni semplici delle forme , r> rr*' 1 1 — at 1 — at 1 — a t ~~ » nelle quali le A, A', A", AK"~l) rap- presentino rispettivamente la potenza (n — i)"*"" della let- tera a coli' apice corrispondente divisa pel prodotto di tutte le differenze che nascono sottraendo dalla stessa lettera cia- scuna delle altre; ed è questo appunto il teorema che vuoisi dimostrare. Se perciò si suppone 1 £^ i_ (i-at) (ì-a t) (i-a" t)...(i-a[n-''ty~ (a-a')(a-a")...(a-a{°-'))i-at a l ■ o~ ec. (a'—a)(a'—a"). . . .(a— a{n~l)) 1 —at (a^'>—a) (a<"->—a).. ..(a^—a^) i—a^S cioè se si parta dall' ipotesi che questa equazione sussista quando il denominatore della proposta frazione risulti dal prodotto di n fattori, ne sussisterà una perfettamente ana- loga cpiando il numero de' fattori sia «-Hi, vale a dire sarà 1 a" 1 {i-at){i-at)(i-a^)..\i-a^'^){i~awt)~(a-a')(a-a')...(a^aM)'ì^ai Tom. I. 33 a58 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. a i (a'—a)(a'—a") . . . (a'—aM) i—a't ec. av (')• (a™— a) (aw—a!) . . . (&<"'— a<"-") i—é'H Pertanto siccome consegue dalla premessa supposizione , e dall'art.0 precedente essere {i—at)(i—at) (i—a"t)...(i—a(°-'>t) ( i— «<"'*) «^ i (a — a) (a — a")... (a — a{*-l>) ' (i— at) (i—aMt) a i (a— a) (a— a")... (a— ««"-'>) (i— cut) {i—aMt)' 7(— )M •ec... a1' a" i «' i (a — a')(a — a").. .(a — a1"') i — at (a'—a)(a—a")...(a—ai"1) i — at a'—1" i ec. (a«"-,)— «X^"-0— a') . . . (a(—"— aw) i — a("-"É ■( n-t (») , "-> (n) a a a * a (a-a')(a-a")...(a-a^)(aw-a) (d-a)(a,-a")...(a-a"'-l))(a^-a') a"-1»""' a<"> \ i_ si vede facilmente, che l'assunta dimostrazione si riduce a provare., che sia la) . . a"°* a- V*> (a"»— a)(aw— a') . . . (a1"'— a1"-") — (a— a')(a— « :") . . . (a— a<— ') (a("> —a) Memoria del Sic Marchese Luici Rangoni. a5o, n— I (») a a . „„ (a— «)(a'~ a"). ..(a1— a("-'>)(a<">— a) flc-)""' g(-> "^(a»— >— a)(a("-' )_a')..(a<— '— a<^»j(a("'— a1-1')" Siccome pertanto l'equazione (i), che, ritenuto per A, A'... A^~,y> il solito significato, ed esprimendo per B^ il coeffi- ciente di r-r-, si riduce all' altra forma i— al"'t i A A' AP~* B& !■ r.H-éC....+ (i-a/j(i-«7)...(i-a("^) i-ai' i-a'i '"" i-a^'H \-a^)t> nasce da una supposizione , la quale riferita alla frazione ; 7Ci r\ : ■ ,, , è però comune all' altra (i—at)(i—at)...(i—aS—')t) l -, m rr-r -, rrr per uno sviluppo analogo a quello (i — at)\\ — at)...(i — a(°>t) l rr di assunto per la prima , così moltiplicandola per si ot- terrà in conseguenza un'equazione simile alla (i), nella quale i coefficienti di , t-t- avranno reciprocamente la i — at i — a>"'t stessa forma, rimanendo tutti gli altri ideatici a quelli che contiene il secondo membro dell'equazione (i). Quindi indi- cando per B , ed A{n) rispettivamente i coefficienti di ed 7-7- , si vedrà , che sottratto 1' uno dei valori di , — e-, ■ r-r— dall' altro , dev' essere (i—at)(i—at)...(i —a{"H ) A B™ B A™ = o, i — at 1 — aHi i — at i — a(n)t ossia ^-B=(^_Bw).J_£^, a6o Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. equazione, la quale comparando una quantità costante ad una variabile non potrebbe sussistere quando non fosse A = B, jM = B.in> Essendo questa seconda equazione identica all'equazione (2), rimane perciò provato il proposto teorema. 3. Verificandosi pertanto la supposizione dell' art.0 pre- cedente quando nella frazione -. rj r-, — ; ; — rr sia * (1— at)(i— a't)...(i— a<-°-l)t) n=3, ovvero n = 4 , cioè quando il numero de' fattori nel denominatore sia di due o di tre, come si è veduto all' art.° 1., essa si verificherà generalmente nel caso di n fattori qualunque sia n, e si avrà perciò 1 A A A' A{"~1) + rH rr +ec...-h {i-at){i-at)...{i-a<-'>t)~-i-at' ì—at" i-a"t i—a^t' essendo i coefficienti A, A', A",... A{"~'} della forma sup- posta nello stesso art.° precedente. Supposto poi t = o nasce 1' altra equazione i=A-+-A'-t-A"-*-ec... -+-A(n~l) cioè (3). . . a (4)- {a— a)(a— a). ..{a— a("-'>) (a— a) {a— a") ...(a'— a«—>) +(a"-a){a"-a')..{a '-a<°->) ' eC"+(a^-a){a^-a)..{a^-a^)~i ' la quale segna un'interessante proprietà che sarà utilmente applicata in seguito. E poiché si è dimostrata sussistere an- che F equazione (2) dell' art.° precedente, se ne deduce quindi , fatte le convenienti riduzioni, e dopo averla divisa per a(n) n — I ti — I a a Ce* • • • (a— a')(a— a")...(a— a«) (a'—a){a'—a")...(a—a{°>) ' ' {al°-'>-a)(a^'>-a)..(ai'-')-al'>) ' (a^-a){a^-a'). . (a<" W*->) Tn=o, Memoria del Sic. Marchese Luigi Rangoni. a6i d'onde si conosce un'altra singolare proprietà dimostrata fin qui, per quanto ritengo, col solo mezzo del calcolo infi- nitesimale, la quale dà luogo a dimostrarne un'altra più generale che può indicarsi coli' equazione (5) 2 , óT («— «')(*- a")...(a-a«"J) (a'-a){a'—a")...(a'~a^) 7" ec' ' ' ■ a^2 £T (^,,-«)(«l-lt-fl1),..(fll-LfflC))+(fflW.fl|(a(.Ltó')„.(a(.)_fl|M)|=0, nella quale r può essere qualunque numero intero, positivo non > n. Per dar luogo a rendere evidente la sussistenza della me- desima, si ponga primieramente Vo = {a—a') (a— a") .... (a — a{°>), V, = (a— a) (a— a") .... («'—«<">), V, = {a -a) {a!'-a') .... (a"—a% V» = (a,"'-a)(af"W). . . . (a<"W-'>), ed inoltre V' = V° rr' -- V' — > __Va *. V»-. . e se si supponga l'equazione -j\ a a! a" ai ce. Vo V. ' V, " ~" Vn ~ ° ' che è identica all' equazione (5) , si proverà anche essere . -t- -J _1_ €C _L- Vo v. v» v» purché però si supponga n — r— i>o. (8). a6a Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. Di fatto la premessa supposizione abbraccia anche 1' altra per cui si abbia n — r — i n— r— i — r— I - .n— r— I a a a a>n~') ec -+■ : = o, v0 v. V» v. poiché essendo n indeterminata, ed esprimendo nell' equa- zione (6) il numero de' fattori meno uno, quando il numero di questi è n, in luogo di n si dee porre n — i nell'espo- nente di ciascuna delle lettere a, a', a" ec. come appunto si verifica neh' equazione (8). Ciò posto sottraendo questa dalla (6) si ha subito a— fl(">)fl— g' — (a'_ a(»))fl' fl" _ (a"_flH)a" V0 V. V» av -)"--(Q(-)-fl("))a(—)'-r-1 d W V»-- — -t- V» ossia -ti.— r— X a"-'-1 a' 1 !_ a"™ f- ec. . H H = o = o, V0 Vi V» V«— V» che è l'equazione (7) come appunto dovea dimostrarsi. Pertanto siccome l'ipotesi dell'equazione (6) si verifica posto r= ì , come si ha dall'equazione (4), si verificherà anche nell'equazio- ne (7) dimostrata dipendentemente da essa, nella supposizione medesima di r=i. Potrà quindi stabilirsi con certezza r=2 nell'equazione (6), che pure in tal modo si verificherà insieme nell'equazione (7), da cui poi similmente si ricava potersi porre nella (6) anche r=3; e così successivamente, finché si pervenga ad r=n — 1. Allora le due equazioni (6), (8) divengono r " Ini a a a a> ' 1 1 H ec. . . . ~\ = o , Vo V- V> V» ,111 I ed — | — 1 r H r -t- ec. . . H \ — = o , V o V 1 V » V — . Memoria del Sic Marchese Luigi Rangoni. a63 dalle quali pure si ricava ìli i 1 h hec H = o ; Vo V« V» V» dunque in qualunque ipotesi del valore di r, purché intero, e positivo e non >«. , sussiste generalmente l' equazione (5), come doveva dimostrarsi (*). 4- La dimostrazione di una parte delle proprietà rilevate nelP articolo precedente può darsi in un modo anche più semplice volendosi seguire il metodo usato dal Sig. Niccolò Fuss in una sua Memoria inserita fra quelle dell' I. Acca- demia delle Scienze di Pietroburgo per l'anno 1777. Egli però non potè liberare dalla considerazione dell' infinito che il solo metodo della decomposizione della frazione ; — r-, i ,,__., \ da lui supposta risoluta (1— at) (1 — at) ( 1— a('~l)t) l r . . A A' A(n~l) nelle parziali , r- , . . . ■ . ,. , ove A, A\. . . 1 i—at i—at l—av~*U . . . A[*~l) sono costanti da determinarsi. Poiché dunque si suppone P equazione 1 A A' A" A^-') H r.n rr + ec. {i-at){i-at)...{\-a^-')t) i-at ì-a't i-a' t i—a^-'h' moltiplicandola per 1 — at nasce l'altra A'ii—at) A"(i—at) (i—at){i—a"t)...{i—a(*-l)t) i—a't i—a"t (*) L'idea di questa dimostrazione mi fu suggerita dal Chiarissimo mio Col- lega nella Società Italiana Signor Conte Pietro Abbati Marescotti , ed altra mi fu pur comunicata dal nobile ed egregio giovane Sig. Dott. Pietro G-andini Aggiunto alla Consulta del Ministero di pubblica Economia ed Istruzione, e Socio Attuale della R. Accademia di Modena. 2,64 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. e dovendo qifesta sussistere qualunque sia il valore di t, se i . , si pone t = — si ha i 2£ Quindi è facile inferirne che con analogo artificio si troverà A '— (a'—a)(a'—a") . . . (a'— et*-*) r,n-I A<<— 2 A — (a"—a){a,,—a') . . . {a"— a<—>) ' A[" °= (a("-')_fl)(at»-0_a') . . . (a<;— >_a<-»>) ' valori, che sostituiti nella proposta danno quella stessa equazione che fu supposta all' àrt.° a. , cioè , ritenendo i simboli adottati nel precedente art.0 3. i __ a"-' i a i (i— ai) (i— alt). . .(i—a{n~l)t) '" y^ ' i— at v'« ' i— o'< a""" i qt-'»-' i ovvero posto t = o, a a a" a{a~l) i = —7 h -— ; 1 —, i-ec. . . -h —, ; V o Vi V » V >— ' ed avendosi parimente a" a' a" «<•>" i = -i 1 h ec. . . n , V0 Vx V» V» Memoria del Sic. Marchese Luigi Rangoni. a65 se si sottrae la prima di queste equazioni dalla seconda si ha come per lo innanzi ,n — I ,.n — I ■ *n — I a— a' a" a(n) ec:... -+- =0; Vo v. V> cioè un'equazione identica alla (4) dell'art.0 suddetto, da cui si passerebbe nuovamente alla dimostrazione già data della (5) nell'articolo medesimo. 5. La risoluzione in frazioni semplici della frazione i r-, —, ; ,. ,1 ; operata colle regole accennate (i— at){\— at).. .(]— a'°-'k) l ° negli articoli precedenti si applica pure facilmente alla riso- luzione della frazione , ; — — r~ ; / ìa ove ^e ( c-hbt ) ( e-r-dt ) ( s-ì-rt ) quantità e, b, e, d , . . . . s, r possono essere razionali o irra- zionali , intere o fratte , reali o immaginarie come si sono supposte le a, a', a" , . . . . <2("~°_, ina come queste non mai nulle né eguali. Pertanto se si ponga - = — a, - = — a , -= — aia~'\ ce s supponendo n il numero dei fattori del denominatore della nuova frazione proposta, sarà {c-*-bt){e->rdt) ...(s-hrt) ' c.e...s' (i—at)(i—a't) ... (i— a'*-'^)' di cui si ha, come è evidente, la richiesta decomposizione per le cose già dette, siccome altrettanto vale anche per la frazione a-i-fli -4- y<" + ^i3 + ec. + ^f' il cui denominatore è il prodotto di fattori disuguali della forma c-ì-bt, e-*-dt ec, i quali, quando si conoscano, la rendono perciò decomponibile in altrettante frazioni sem- plici. Tom. I. 34 2Ó6 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. Segue da ciò , che quando siensi trovate le frazioni sem- plici nelle quali può decomporsi la frazione C-t- C t -f- C" t* -f- e e. . . . -+- C<— '><*- i-*-0t ■+- yt* ■+- dt3 -H ec. ... -+- (ptn ove le C, C, C"., . . . . C'"- ° sono quantità costanti e pos.sono eziandio esser nulle per supposizione, e la più alta potenza di t nel numeratore è minore almeno di un' unità della potenza il'"™ nel denominatore o ciò che è lo stesso del numero de' fattori , si sarà eziandio trovato il metodo per decomporre qualunque frazione propria,, in cui il numeratore e il denominatore sieno polinomj in t, e non divisibili per la stessa t. Ciò posto essendo i -+-/?£ -+- yf-+-dt3 Hf-ec. ... -+- (pt" = (i—at)(i—a't)...(i—a{n-,)t), cioè riducendosi il primo membro di questa equazione ad un prodotto della forma indicata dal secondo , la frazione proposta da decomporsi sarà usando delle notazioni adot- tate nel precedente art.° 3. (i — at){\ — at)...{i — a{n,'t) v 'A a i a! i «'"-> i \ _i . -4- ec . . . -+- • — —— I, V'„ i-at v'« «-*'* V'— « i—a^tj espressione, che sviluppata in serie ordinata per le potenze di t, dà (*) per coefficiente di f l'altra seguente: n I e?-1, a* a' .a al"~'] . a0-1' \ C I . ^_ . — . -+- ec. . . . -+- . I \ Vo v'« V»-i / (*) Veggasi l'Estratto di due Memorie sulle funzioni generatrici inserito nel bimestre VI. 1826 del giornale di Fisica ec. di Pavia. Memoria del Sic Marchese Luigi Ranconi. 2,07 -r-P'f a ]a -fr* i£L-i-/— '_ Ca'-'-t-C'a'-'-i-ec. . .h-C'"'' # j_ (i-at)(i-a't)-i-ec...-^(i-a{n~')tf~ v0 1_ai C a'*4* ■+- C a'"~* ■+■ ce. . . -4- ic*" } r H ! • TI "+- ^ Vi * at -, t xn—t . .n — 2 (ri— l) forinola che dà la richiesta decomposizione in frazioni sem- plici coi numeratori costanti. Per verificarla altramente torna qui opportuno, seguendo in qualche modo lo spirito del metodo esposto da Eulero (*), di supporre c-4-C7-4-c"^-f-ec...+c'"-}r-_c-i-c>-4- Ce -*-ec....-^c(n->hn-1 [i— at)(i— a' t)...{i— a<-^t)~{i—at)(i+(}'t-ì-y'f-±-ec. ..-*-$' r'Y essendo 1 -+- @'t •+- y'f -+- ec. . . -+- (p't~l il prodotto degli n — 1 fattori che rimangono, escluso 1 — at: si ponga inoltre C+Ct+Cf+ec.+ Ci'-'W-^ A A' A" A("-'} -ec... {i-at)(i+0't+yY+ec... + (p't~t) i-at i-dt i-a"t i-a^H' (*) V. Introductio in Analysin infinitorura. Lib. I. Cap. a. $. i\i. 268 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. ove A, A', A" , . . A(~~lì sieno quantità costanti da deter- minarsi. Si osservi prima di tutto , che questa supposi- zione è giustificata pel riflesso che levando dai due mem- bri della relativa equazione le frazioni si ha : C-hC't-hC"f-+-ec...-hC{°-'h"-' = A(i— at)(\— a"t)...(i— À—'H) ■+-A'(i-at)(i-a"t)...(i-a<"-'>t)+ec...*A{n-1)(i-at)(i-a't)...(i-a^MH), ove si hanno tante incognite quante equazioni per deter- minare in vaioli costanti le A, A', A", . . Al*~'> col metodo de' coefficienti indeterminati. È pur facile a vedersi che la proposta frazione equivale ad A 31, i— at i -h(i't -h'y'f-+-ec....-+-(p,t"-' ' ove 31, rappresenta una funzione intera di t, ossia un polino- mio nel quale la più alta potenza di t è inferiore di un' unità al massimo esponente di t in i -+- @'t -+- y't? -+- ec... -+- fp't"~', locchè si scorge riducendo sotto un comune denominatore le frazioni A' A" A*—* i—dt ' i— a"t ' i— ai°-'h" Ciò posto P equazione C+Ct-t-C'e+ec. + O—h"-' A A' AW = • -\ r. -4-CC...-4- (i — at)(i-ì-P't-ì-yt*-+-ec...-h(p'tn-') ì-at i-a't i-a("%)t moltiplicata per i — at, e fatto poscia t = — , dà C+C. --hC". -, -*-ec..+-C<—>. -£r a a a A =■■ i-H?' i a ■+■ 7' i -t-ec ..-¥■ f. i an~ I C«"-'-f- C'a i— a ■+- C'a' -3-+- ec. . . ■+- Cc"-,) a"~l -h/3' a"~* -+- y'a"~ì->r- ec. . . ■+- (a— a) (a— a") (a— a("-lj) Memoria del Sic. Marchese Luici Rangoni. 269 a cagione di 1 +$'t+yf+ ec...+-hec...-t-fit"-) si conosca uno solo dei fattori del denominatore^ per esem- pio 1 — at, si ha nondimeno la frazione parziale apparte- nente al medesimo generalmente espressa per CaT-1 -+- C'a-* ■+• C"a"-3 ■+■ ec. ■ ■ •+- Cc"- j a"-' -+- /?' a"~> ■+- y'ar-3 -f- ec... ■+■ fi 6. Le osservazioni fin qui fatte intorno alla frazione C -4- C't -+- Ce -4- ec. . . ■+- Q—'h"-' (i—at) (ì—a't) .... (1— aS°-lH) ed all'altra (1— at) (i—a't) ... {i — é-'H)' la quale, come è evidente,, non è che un caso particolare della prima , non si estendono al caso in cui uno de' fattori del denominatore di esse sia t. Perciò volendosi dar luogo an- che a questa considerazione si supponga primieramente la frazione 1 (1— at)t' che ridotta in serie ordinata secondo le potenze di t, riesce / 2,70 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. — (i-^at-*-a't'-*-a3tì-f ec.)——+a-ha3t+a3t:'-*-ec. =— -+■ a . , t x ' ' t t 1 — at nuova espressione per cui la proposta resta come si vede decomposta in due frazioni semplici colla separazione de' fat- tori del suo denominatore t, ed 1 — at. Ciò premesso facilmente si scorge essere ,n — 1 1 a ' 11 ali t{i-at){i-a t) . . . ( 1 -a<-"*) — vV 7 ' ì^àt ~*~~V7'7' T^Tt "*" 6C' a'"— »""" i _i /a-' a'""' a"""' af-^Vi a- 1 a" 1 I — I — t- — i — I i — hec.n i I— H r. H r- — i \Vo V- V» V»-. /* Vo *-rf* v. *-« a"" 1 a'"-"" 1 H r • rr. • -+■ ec. . . H : — . — — - . = V» i—at v'„_t i—a^-^t 1 a" 1 a 1 a" 1 a""0" 1 £ V'o I_ "af V'i 1— «'* V'»'I_ a"* V'«-i 1~a * come si rileva da quanto è stato dimostrato nell'art.0 4- Ora è manifesto, dipendentemente dalle premesse cose, che la frazione C-*-C't-hC't* -4- ec. . . . -4- C<— "f- t(i—at)(i—a't)(i—a"t)...(i—ain-1)t)~ Ca"-< -4- C' a"-a ■+■ C" a"~} +tc •+■ CM 1 V'o '*(i-a*) Ca'"~' ■+■ C a'""' -f- C'a'""* -4- gc -4- Cc"-> _i i? V'. *i(i-fl7) Ca("->""-+-C'a("->"'Vc"a'"-"'"3-f-ec...-+-C("-,) 1 V— t{i-aS"-'h) Ca" ■+■ C a"-' -4- C" a"- -4- ec -4- C*—' » a _i V'o ''-fli Memoria del Sic. Marchese Luigi Rangoni. aji Ca'% + Cfl°"+C"ffl""Vec.... + Cl"-"a' i ■ ec. . . ■+> Ca("-,)"+C'a("-,,n",+C"af"-,^%ec...-HC("-,)«'-') i E riesce quindi dimostrata anche questa formola secondo ciò che si è provato nel presente articolo e nel 3.° Da ciò si deduce pure che aumentando di un'unità la massima potenza di t nel numeratore della proposta frazione^ cioè ponendo che essa sia C-^-Ct-tr- C'f -+- ec. . . -f- C— 'f"-'-t-C'")r t (i—at)(i—a't) (i— d'-'t) ' per averne l' espressione decomposta non si avrà che ad aggiungere alla testé trovata per la prima quella di On)r cmf-z t [t—at) (i—a't) . . . (i—a^-'t) ' ~~ (i—at) (i—a't) . . . (i— «<—"*) " C("> i C« i C(n) i ec. V0 i—at 7, i— at V»-i i—al''t Così pure si trova C+C't + C"t + ec...+C{nH"_Can+C'ar-1 -t-CV'*"- gc.-C*0 i *(i-a*)(i-«'*)...(i-a(n— >£) — V'o '*"<* Ca'n-+-CV/~VC"«'""Vec...-4-C'") i H i . r -4- ec Vi i — ut Cai"-' )'-,- c'a(— >""' -4- CV— )"~V ec. . . -t- Cw i C Lo stesso risultato si ottiene ponendo C-hC't-i-C"t>-i-ec...-+-0',)tn_B A A A' t{i—at){i—at)... (i—a^-"t)~ t^ i-at~*~ i-dt'*' i-a"t~*~6C' A-'> "*" i—a^-'t' a7a Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. ove B, A, A', A", . . . A{"~1) sono costanti da determinarsi. In tal caso moltiplicata l' equazione per t viene subito B=C, e moltiplicata per i—at, poi fatto t= — , si ottiene c — — £11 . a * a**eC"'~*~ a" _ Ca"+C'a"-'+C"a'-*+ec...+Ci',) ~ (a-a)(a-a") ... («-«<"- >)' a\ a]\ a I \ ai d'onde si vede, che trovandosi questo coefficiente identico a quello che si è trovato con altro metodo, si troverebbero pure analogamente identici i coefficienti di r, —,-■• („_,j ■, e quindi rimane ancora sempre più dimostrato che una frazione, il cui numeratore, ed il denominatore sono due polinomj in t, può decomporsi in altrettante frazioni semplici coi numeratori costanti, quanti sono i fattori di primo grado , e disuguali dai quali soli risulti il denomina- tore della data , anche quando uno di essi è £, sempre che però la più alta potenza di t nel numeratore della mede- sima sia almeno minore di un' unità della più alta potenza di t nel denominatore. Per mostrare intanto la facile applicazione delle trovate formole ai casi particolari giova scegliere un esempio som- ministrato dall' Eulero nel capo de transformatione functìo- num della citata opera nella frazione !-+-**__ i-f-^ t — t%~ t(i-*-t)(i — t) ' Essendo qui C=i, C" = £<">= i , C'=C" . . . = 0"~1)=o, n=i, a= — i , à=. \ , la frazione semplice col denominatore t è 1 11 i i . , i-f-r i x ■; quella col denominatore i — t e t ' ^~ — I — I * I-Hi~ 1-+-*' e finalmente quella che ha per denominatore i — t è 1-4-1 i i I-M ' i — t i — t Memoria del Sic Marchese Luigi Ranconi. 2.7.3 7. Per proseguire ordinatamente nelle indagini il cui scopo è di stabilire le forinole che assicurino la decomposizione generale della frazione propria " r(i— ar)p{i— a't)1 . . .{i—a^-'t)' ' la quale, come facilmente si scorge , abbraccia tutti i pos- sibili casi, tra epiesti si trascelga uno de' più semplici, ben- ché diverso da cpiello considerato negli articoli precedenti, cioè si supponga m=o, p=q= . . . =s= 1 ,a=a'=a"= ...= «("-",C=i , C'=C"= ... =C(n-"=o, e si tratterà di decomporre la frazione 1 ( 1 — aty ' E qui è d'uopo osservare, che condurrebbe ad un assurdo il supporre tanto A A A' dnì 1 -t-ec , 1 — at 1 — at 1 — at 1 — at (1 — at)" quanto A A' A" A-'' 1 ec . 1 i—at (i-atf [i-atf (i~at)" (i—at)" qualora si volessero le A, A\ A",. . . A"~' quantità costanti. Di fatto quanto alla prima di queste equazioni , essa darebbe A -+- A ■+- A" -t-ec. . .H- A{n-'>= . I—r^-7, (i-ai)"-" cioè una quantità costante eguale ad una variabile ; e rispetto alla seconda, ne risulterebbe l'altra A[i— aty-'-+- A'(i— aÌ)n-ì^-A"[i-at)"-ì-r-ec...-^A^-^=i egualmente impossibile per la stessa ragione. Per dimostrare quindi come si decomponga la frazione 1 Tom. I. 35 (E) ay4 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. in altrettante quanti sono i fattori eguali del suo denomina- tore., si supponga n=3 ; e ridotta in serie ordinata secondo le potenze di t la frazione i essa diviene generatrice di ( ar-l-2, ) ( x-¥- 1 ) ( x-h i)xa' -ri L ■ a = s ' -+- xa' -ha' i.a i . a come provai all'articolo 20 della prima delle citate due Me- morie sulle funzioni generatrici. Quindi siccome la funzione generatrice di (.r-f-2) (x-*-i )a' 1 .2 deve essere la somma delle generatrici di (x-h 1 ) xa' 1 .2, così risalendo dai coefficienti alle funzioni generatrici si ha: 1 at at 1 (1— atf [i—atf (t—at)% i—at' Ciò conduce a dimostrare generalmente l' equazione 1 at at at at ec...-h {i-atf (i-ai)" (i-at)'-' (1-at)* {i-uty 1-at1 supposta l'altra 1 at at at at 1 -h ce. . .-h : TT-f- (1-at)"1 (i-at)"-1 [i-aty* [i-ut)-* " (i-at)" i-at E poiché moltiplicando questa per si ha 1 at at at at 1 ^a7y~(Pal)" ^(i-at)** "*" '{i-at)~~~*~ CC' ' ' "*" X^if~*~(^~alf' ove ; equivalendo ad . ; H , locchè è faci- (i—aty l (i—aty i—at lissimo a vedersi anche per le cose dette, si rende mani- festa la dimostrazione proposta nella fatta supposizióne, la quale verificandosi come si è veduto nel casodire = 4> ren- Memoria del Sic Marchese Luigi Rangoni. a^5 derà quindi contemporaneamente vera V equazione (E), e quindi generalmente nelle successive ipotesi di n=5, n=6 ec. Vuoisi qui intanto notare come osservazione di molta im- portanza, e che potrà essere utile in seguito come nell'equa- zione (E), fatto per maggiore semplicità assi, e prendendo i rispettivi coefficienti di t" nelle funzioni generatrici di ciascun termine ne' due membri della medesima, si ha (x-i-n — i) (x-i-n — a) (.t-hi)_ i . a . 3 . . . . (n — i ) (x-+-n — 2.)(x-\-n — 3) ... x (x-i-n — 3)(.r-+-/z — A)---x K '\ — j '-z Hv £ — -. -*£ hec...-hx+i, i . a . d ... (/z. — i) i.a.3...(/z — a) onde si ha la somma della serie finita, che costituisce il secondo membro di questa nuova equazione. 8. Se, ritenute tutte le altre supposizioni intorno all' e- spressione generale (A) della frazione algebrica propria adot- tata nel precedente articolo, si varii solamente quella che riguarda 1' esponente di t nel numeratore della detta espres- sione in cui si ponga essendo r un numero qualunque intero, potrà cercarsi lo sviluppo di t' (i— ■«*)"'* che si ottiene con semplice artificio. Di fatto si ha i-f-i-B L-r(t-at)+r-t=IÌ {l-at)> - ^fo {l-atf a' (i—at) \ v ' i . a v ' i . a . 3 v ' -+- ec ■+- (— i)r [i—aty\ = a^"6 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. L / L_- r ./M t T(r-i){r-a) i_ ar'\(i-at)' {i-aty-1 i.n'{i-aty- i.ai.3 ' (i-at)— ì ^;,hq Se si suppone quindi r==n — i^ l'espressione •ec. r resterà decomposta in altrettante frazioni quante sono le unità nell'esponente n, essendo il rispettivo denominatore di ciascuna di esse una delle potenze di i — at dalla prima fino alla n.",ma inclusivamente per amendue, ed il numera- tore una quantità costante già determinata. Se si supponesse f r=7i,- sarebbe una frazione impropria, poiché 1' ul- timo termine dello sviluppo già trovato sarebbe allora rt i. In qualunque altra ipotesi di r*—_ A A (i—aty ~ (i— at)a~Jr{ i— at)"-1 ec . (ì — at )"_i i —at essendo A, A', A", A{"~1) quantità costanti. Di fatto per le cose testé dimostrate si ha C-'f" _ £,„_,, j_ / _i QH-i \ (M(*-a) L_ (i-at)" ' ari\{i-aty (i-at)"'1 i .a ' (i-at)n i-at y (n-i)(n-z)(n-3) i VHfr , Hi i . a . 3 (i-at)~* (i-aty H-l Memoria del Sic Marchese Luigi Rangoni. 277 c(..»r, _ i_/_! (/z-a).i (n-a)(ra-3) l (i-at)" ~ 'qr\{y-aty {i-at)"-1 ' 1,2 ' (1— a/) („_2)(^_3)(;Z-4) 1 HQ &**>£*_ J_/__! (»-3).i (n-3)(M) ^ (i-a/)" " " a-*\(*-a*)" (i-^)*"1 1.2 '(1— at) (/z_3)(„-4)(ra-5) 1 , (~i)"-3\ 1.2.3 "(i—a*)"-3 "1~{^atffì «— » C'"*3 _ „ 1 / r 3 3.a 1 1 \ (i-af)* '" 'a3\(i-«£)" (i-at)"" 1.2 ' (i-a^)"-2 {i-at^r C"t" ' ,; Jt / 1 ?__. _L__\ (i— ai)" " "aa\(i— af)" (i— «*)""' {1—aty-3) Ct _c U 1 1 \ #—' a * a"-3 a C<— \ — ("— Q("--a) _^_ c(^a) _£_ (n — 2)(?z — 3) ..n — 1 t£~ 1 . 2 a"-' 1 . 2 ^c^-i.MM^.^ hLS", a*-3 1.2 a1 ' a"-' 1.2.3 ' «""* 1.2.3 TI-') T («— 3)(/z— 4)(/z— 5) _ '#" A» a 3 1.2.3 a Hf8 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. CI Cb CU le quali siccome abbracciano l'intero sviluppo della propo- sta frazione, e non contengono nel primo membro rispettivo che quantità costanti, rendono dimostrato il teorema enun- ciato, che sotto altra forma in altro modo e divisamento dimostra pure 1' Eulero all' articolo 4a e seguenti del citato Capo de transforinatìone fwictionum. 9. Prendasi ora a considerare l' altro caso dell' espressione generale (A) delle frazioni algebriche, nel quale gli espo- nenti m, p dei fattori £", (1 — at)r del denominatore sieno un qualunque numero intero, essendo poi q = . . . = s = o, ed il numeratore conservi la stessa forma generale limitandosi soltanto ad m-\-p — 1 il massimo esponente di t nel nume- ratore. Sarà allora da considerarsi il modo di decomporre la frazione C-4-C't-+-C"t'-+-ec -i-c,^**-'tr**-' VAi—atf E qui è facile a scorgersi che per risolvere questo nuovo problema tutto si riduce a trovare il metodo di decomposi- con- zione della frazione più semplice — ; s- , giacché 1 \ tm { ì—at)p & siderando la proposta come divisa in frazioni parziali della Cw f forma — r^, se si supponga r=.m-+-n, essendo sempre L 11 ' ' 'U/L I C(,) t* m->t-n < m-^-p, si tratterà di decomporre la frazione -. -p- , che ritorna al caso considerato nelF articolo precedente. Se Memoria del Sic. Marchese Luici Rangoni. 279 che è la poi si supponga r forma — : r moltiplicata per una costante. tm(i—at)p * l Ciò posto si supponga primieramente p=l,esi ha suhito — -^ — i =— (i+at+a'f+aìt3+ec...-*-amtm+ec...+am+'t"-"->-ec.)= tm(i-at) r\ ! f" t t tm~3 1 a a* a3 a"~' am _i 1— 1_ L- pr . -+- 1— t~ r-1 r-3 t"*-3 t \—at espressione dotata delle richieste condizioni. Se ora si supponga j? = 2_, si ha — ; s-=s 1 1 :-+-ec...H \-(m-*-i)am-*-(m->-2.)a^ t +(m-^3)ar*-:it*-t-ec...-+-(m-+-x-*-i)am-*-'t'-i-ec.= 1 2a 3a* mam~' 1 1 --H : -H-z^-Hec. . . H \-mam. --+-am. . — . Così pure posto p = 3 si avrà : 1 1 / 3.2, 4-3 . . 5.À 3 ■ fn&H)iM _, _.\ r(i-a/)3 r\ 2 a 2 2 / (m-^2)(/?7-i-i) (to-v-3)(t?2-»-2) „j_, (/n+ar-»-a)(w-t-a--*-i) ,_, . ■+-Ì - '. am+ '- '. aT+'t+ec. .+■ - '. aT+T+ec. 1.2 1 .2 1.2 Ora risolvendosi facilmente (m-ì-x-¥-i){m-^x-\-A . (m-i-\)m . . (.th-2)(x-hi) * ' in v ■ H mlx-+-\)-+- - -, 1 . 2 2 v ' 2 s'inferisce risalendo dai coefficienti alle funzioni generatrici : a8o Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. i i 3.2 a 4-3 «a (m-+-\)m am~' (m-\-i)m am mcT am 2 i— at (i—atf (i—atf i Sa 3.4 a1 3.4. 5 a3 3.4-5. ..(3-wrc — 2) am~* tr f *.T 2 r-1 2.3 tri. 1.2.3... (in— 1) " t (m-+-i)m am mam am 2 ' \—at (i—aty (1—atf La legge pertanto di questo sviluppo conduce a ritenere per induzione, che essa si estenda anche al caso di j»=4, così che si abbia 1 1 4-3.2 a 5.4.3 a* (m-y-2)(m-*-ì\m a"*1 r(i-aty r 2.3 'r- 2.3 f~ 2.3 ; t (m+2)(m->-j)m a" (m-<-i)m am mam am 2.3 " i—at~* 2 'Jy-atf (i—atf (i—a£f locchè si dimostra anche in modo analogo allo sviluppo della frazione —. -j , usando qualche industria onde ap- ir I 1~™ m Ci/ L ì parisca (m-f-ar-t-3) (m-¥-x-\-2,)(m-t-x-i-i) 1.2.3 (m-*-2)lm-*-\)m (m-*-\)m . . mix-t-z) (x-h) (x-*-3)(x-*-2,)(x-*-ì) I Q , i f_ v !— (x-ì-i) H ! '- ■' ■+- v ^ Jr L ■ 2.3 2 V ' 2 I .2.0 io. Dovendosi ora dimostrare in generale la formola dello sviluppo di —. — è opportuno il premettere il seguente lemma, con cui si prova, che, essendo /?, m numeri interi qualunque, sempre sussiste l'equazione (p+i)(p-+-21)...(p-h?n— 1) _i_+_ P(p+i) _^_ PÌ£±2)ÌE±3 1.2.3 ... (m — 1) ■ 2 i.2.3 ec. p[p-*-l) f/H-&) {p-\-m — 2) 1.2.3 ... . (m — 1) Memoria del Sic. Marchese Luigi Rangoni. 281 Di fatto essendo -. r— - = -. - . , e cruindi (1— tf** (i—ty i—t i 1 \ (a>-*-0(«-»-2.) , (p-*-i)(p-^2,)...(p-i-m-i) , i+»+it+^ — '-& >tì+ec... + y-!- — A/ J ,yy . — V" 'H-ec.= 1 ' i.a i.a.o...(//z-i) 1.2.3 .. . (in — 1) )• se si prendono i coefficienti di tm~* nelle due serie pel- le quali si costituiscono i due membri di quest' ultima equa- zione, si ha l'altra (g£lM£*g| (;M-m-i) _ />(/*■ 1) , 7?(/H(/*• 0 (/*+-a) (/?+/tt-a) i.a.3 . . . (m— 1) (m+p— a) (?n-hp— 3) (m-+-i)/n a™ 1. a. 3 ... (p— 1) 1— ai (m-\-p— 3) (m-hp— 4) (ra-n)?re am 1.2 . 3 . . . (/>— 2) "(i— ai)1 (m+i)m a" am am .... 4. _ . ji-a^,_ -+- /». j£^p + (i-ai)'' espressione perfettamente simile a quella che fu trovata per lo sviluppo di — ; -,, si tratta di mostrare chela stessa 11 t ""(i— aty Tom. I. 36 .a—f^A 2,82 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. forma attribuitale competerà pure allo sviluppo di - , che diverrà lo stesso di quello di — - r cambiato soltanto 1 t (ì-aty p-4rì in p. Quindi se si divida la supposta espressione di i v i — -, -T- per i— at, sarà dimostrato avere — ; r — 1' asseri- tm(i—at)p r tm(i~-at)F-i-1 ta forma, quando venga a provarsi essere ±(1^.F.at^飱2). a-e+rfr+'^.M+ec t \ J 2, i.a.3 ■ />(/*« Q(/H.a). (p+mr-z) ra_A i _ ì.a.o . . . (in— i) / i—at — ' i-m M- 1 ). ai -H - ^ /. a*t'-h - iii- — ^£- - . at f \ i.a i . a . 3 , (/H-i)(/H-a)(;H*3) (/M-;?z~i) _«'«'\ ì.a.o ... (w— i) / (m-hp — i) (w-H/> — a) (m-*-i)m am 3-+-ec... i . a . 3 . . .p ì — at Per mostrare pertanto il primo membro di questa equazione identico al secondo, giova primieramente osservare, che qua- lora si compia lo sviluppo di detto primo membro scioglien- do in serie la frazione , i coefficienti delle potenze di t non moltiplicate ancora per — fino a i"*-1 inclusivamente sono V r i.a 1.2.3 i.a.3 ...(ra-i) / i quali si riducono pel lemma testé dimostrato ad Memoria del Sic Marchese Luigi Rangoni. a83 ,, ( )fl> (/h-i)(/^) (P*>Hi*»UP+3)ai ec v^ ' i.a i. a. 3 > (/;+i)(/;+a) (/7+to-i) ^_, r.a. 3 . . . (ra— i) Inoltre nella stessa serie ordinata secondo le potenze di t non diminuite per la moltiplicazione di — -, le potenze supe- riori a t™~1 coi loro coefficienti si hanno tutte dalla forrnola /, . , p{lM) , gHfej) , ._ , /?(/H-i)(/?-Ha)...(/M-;«-a)\ y \ r i.a i.a.3 i.a.3...(^-i) / A (a™ r-haT*-' F*1 -h a""^^-*^ -+-a"-M r*1 -+• ec. ) = (p+i)(p+2,){p+3) (p+m— i) cTtr _ i.a.3...(m — i) i — ai (m-t-p — i)(m-+-p — a) (m-hi)??i amtm i .a. 3 . . . p ' i — at' essendo (p-hi )(/7H-a)(/;-t-3) (7?h-77z— i) i.a.3 . . . (/«— • i) ( t?z -+-/> — i ) ( ra -J-/? — a ) (w+i)w i.a, 3 . . ./? espressioni identiche del coefficiente di jf-' in/j ; — , , 1' una presa secondo la regola ordinaria dell'innalzamento del bino- mio a potenza negativa, l'altra determinata per la forrnola dell'articolo io della prima Memoria sulle funzioni generatri- ci (*). Pertanto riassumendo tutte le cose fin qui dichiarate si raccoglie finalmente, che la forma supposta per lo sviluppo di — -. r- conviene egualmente a quello di — ; — - , co- t"(i—at)p ° 1 r(i— an- sicene essendosi già dimostrato, che la forma supposta si O V. Memorie della Società Italiana delle Scienze T. XIX. p. 2Ó3 e seg. (II) 2,84 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. verifica nel caso di /?=3, siccome anche di /?=2, /?=i, essa si verificherà pure per qualunque alti-o valore intero di p. 1 1 . L' equazione ( I ) dell' articolo precedente ora già di- mostrata può mettersi anche sotto la forma =— ( i+p. at-h « ,J- . a*f+ y£- — /v% w . a3 13+ ec... i—at)p tm\ 1 1.2, i.2.3 ar~l t"-1 \ ( m-\-p — 2 ) ( m-4-/7 — 3 ) ( 7?z-f-i ) m 1.2. 3 . . . (/7— l) ( m-t-p—2, ) ( m-^-p— 3 ) ( m-t-i )m am i.2.3... (/7— i) 'i-at + (m-H/;-3)(w-H/7— 4) (m-4-i )/rc g t gg i.2.3... (p— 2) ' (i-a£)* 2 "(i-a^-* (i~a^- (i-^y Allora posto ra=i si ha i i a a a a a t{i-aty ~ 7 + T^i + (^tf +ec'" +(7^7p + (7-~^p +(7^p ' Questa formola si applica molto opportunamente ad un esempio proposto dal P. Vincenzo Riccati nelle sue Istitu- a6 zioni analitiche (*). Propone egli la frazione^ rj- da decom- porsi in due, ciascuna delle quali abbia per rispettivo deno- minatore x ed (x—ay. Ponendo qui al solito t in vece di x si ha a6 -a a i i x i i :KF * -? (-9' ('-!) H)' (-1) fatto nell' espressione generale di —, — j»=5, e posto in essa — in luogo di a ; e quindi (*) V. Institutiones Analyticae a Vincentio Riccato et Hieronymo Saladino rollectae. Bononiae 1767. T. II. p. 125. Memoria del Sic. Marchese Luigi Rangoni. a 85 a6 a \ af \ a) \ a) \ ' a ) __ (t-aft-~t (i~-V " 5 za a ~"w(('~")4+ ('"**)*• H#) * {t—af = a a t*-~ Sa1 13+ 1 o a3 ?— i o a4 t-hSa* "t (t—atf ' risultato identico a quello cui pervenne il Riccati pure con metodo intralciato, e con lunghissimo calcolo. Intanto non vuoisi trascurare di notare una proprietà rimarchevole che nasce dal confronto di due diverse espres- sioni della frazione — - . Se in essa si ponga per maggiore semplicità a—\ oltre al valore, dato dall' equazione (II), si ha r(i—t)p tm\ r i.a l.a.3 ^ (TO+77-a) (m+p-3) (mrhi)m ^B_I i.a.3. . .(p-~i) (wHf-i) (ra+p-a) (w+a) (m+i) i.a.3 . . . (/?— j) (m+x->-p-\) (m+x+p-o) . . , . (m+^-*-a)(/72-4-x+i) \ i.a.3...(/7-i) / Quindi prendendo il coefficiente di f tanto nella serie che costituisce il secondo membro di questa equazione, quanto in quella che nasce sviluppando ulteriormente il a86 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. secondo membro dell' equazione (II) col volgere in serie infinita le potenze i r i i—at ' (i—ai)' ' (i~aty posto inoltre a=i, si ha (m->c-x->r-p— i ) (ffl-+-aH-/7— 2) (»;+i+a)(;»+.r+i)_ 1. a. 3 . . . (j7— 1) (m-+-p — a) (m-+-p— 3) {m-\-ì)m 1 . a . 3 . . . (/;— 1 ) (tohhp— 3) (to-i-p— 4) (im-i)m , , H i.a.3...(/>— a) • [X~i~ì' (m-+-p — 4) (m^-p — 5) (ro-t-i)m (aH-a)(.*H-i) i.a.o . . . (p— 3) i.a {m-\-\)m {x-¥-p — 3)(.r-t-/> — 4) (aH-i) 1 . a 1 . a. 3 . . . (y;— 3) _^_ ^ (an-p— a) (x-*-p— 3) (a;-Hi) r.a. 3 . . . (/>•— a) (af-+-/? — 1) (x-hp — a) (x-+~l) i.a. 3 . . . (p— 1) Quantunque non sia difficile l' applicazione di questa for- inola ai casi particolari, essa però richiede l' avvertenza di escludere tutti que' termini ne' quali secondo 1' ipotesi s' in- trodurrebbe un fattore < /?z, o si avrebbe una frazione col denominatore zero, essendo inoltre secondo la natura della sua derivazione la serie indicata dal secondo membro dell' equazione di soli p termini, cosicché gli identici pe' quali potrebbe di leggieri sembrar maggiore un tal numero non debbono contarsi che per un solo. Memoria del Sic Marchese Luigi Rangoni. 287 Sia per esempio x=jj=m=3, e si avrà dalla tornio la 8.7 _ a8 . _ 4js .V4 54 a aia' essendo in cpiesto caso lm+p-Z){m+-p-4)...{m*-ì)m . . _ (*-4-/?-a)(aH-/*-3)...(a>i) i.a. 3 ... (^— 2) '* ' ' i.a.3... (/>-2) un solo e medesimo termine. ia. L' espressione generale (A) dell' articolo 7. sommini- stra un altro caso da cui come si vedrà in seguito molti altri dipendono., e che conduce poi facilmente ad esaurirli tutti. Si suppone perciò in tale espressione m = o, siccome pure nulli gli esponenti dei fattori binomiali del denominatore tranne di due, ed inoltre C = C" = . . . = C*»4**1*"1— M-1)=oJ C=i; onde trattasi di decomporre una frazione della forma (i—a'ty(i—aty'> e (fuindi cominciando dal caso più semplice di p=.\ si lia 1 1 1 (i—a't) (1— at)* " {i—a't) (\—at) ' (i—at)"-1 ' 14~. -L- +-?-,. -±-\ . * \a — a 1 — at a — a 1 — at f (1 — at)"~l come si ha dall'articolo primo. Quindi fatto — a, -=/3, a — a a — a è pure 1 __ / a g \ 1 _ (t—at) (i—atf " \ i—àt * i—atj'(i—at)"-' ' \x—at i—at {i—atff (ì—aty-* 288 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. \i—at i—at {i—aty (i—atf) (i—at)" e posto «=3 viene i a3 a*8 a3 8 (i—a't){i—aif "" i~a't \—at (i—atf (ì—atf Ciò posto se si suppone i a—1 a?-*B a*-3/? a8 8 H - + -, -~+ec...- {ir-dt)(i-at)—M i-at i-at (i-atf '" (i-at)™ (i-at)"-' si vede che sarà per conseguenza i a"-1 a—»/? a"-33 (i~a'f)(i-a*)" ~ (i~a't)[i~at) + {i-^at)* + {i-atf *** 6C a8 8 ( ì—at)"-' (i~at)" i. ■+■ -, -7» 4- eC. i—a't i — at (l'-aty (i—at)^1 (i— ai)"' Ma la supposta forma si verifica per r- r^ quando rc = 4? come si è veduto; dunque si verificherà in qualunque altro caso. Prima di procedere innanzi è opportuno di osservare, che essendo 1 / i i" * r3 i \ / n(n-hi) . . (i-a ^(i-a^)" v 7\ a ?z(rc-<-i)(/z-H2) ,, (a:-t-?z-i)(^-»-re-a)... (x+i) _„ \ a.o i.a. o ... {n-i) ) se si prendano i coefficienti di tx tanto dal secondo mem- bro di questa equazione, quanto dal secondo membro ridotto in serie dell' altra testé trovata dalla quale si ha una diversa espressione di. m r»si avrà 1 (i~dt){i—aty Memoria del Sic Marchese Luigi Rangoni. 289 tr+na a-*—± 'a a* 4-- «-* - ar*$\ or1 3* i—at i-at li-atY li-atf ec. a"B aT'p aT'B* a^B1 3* -H — -f- a- : _i_ : -upr i i-a't i-at (i-aty "*" (i-a*)3 (i-tó)"-f^'*-t i-at*^ (i-aty £*.' (i-a*)3' +ec"-r- (,-aty Segue da ciò essere i a" nanB n a—.1 3% (i—aty(i—aty ~ (t—aty {i—a'ty (i—a't) [i — at) (n~i)a"->3* (ra-a)OF -ec...-H 0" a (*-«'*) (i-^*)' '7"(i^fl'/)(i-fl^"rc,",,"p(M'f)(t-flf)'~(i- aY)3 n «7? rea*/?* na"-'/3J (i-tì^)* i_ «7 ì —at " (n~i)aTp (;z-i)a"-/93 (ra-i)q-'/?3 i— «7 i— a? (i— a^V" (/?~3)a»/?a (rt~a)a— ' /?3 (rc-a)Q33 (tt-a)q-3ft3 i— at i-~at ' (i—aty (i-«f)3 -+- ec. ove è facile a vedersi che esaurito lo sviluppo della for- inola proposta dipendentemente da ciò che si è dimostrato precedentemente si tratterà di sommare i termini,, che com- pongono i rispettivi coefficienti di i—a't' i — at' (i-ut)*9 {i-at)' Memoria del Sic. Marchese Luigi Rajngoni. 201 Ora i coefficienti numerici che moltiplicano r- ed i — a t i — at .. . (n~+-i)n formano la sene n + n—'i ■+-«■— 2 -t-ec. -+• 1 = ■ — ..espres- sione dalla quale, posto in essa successivamente n—\, re— a ec. 1 in luogo di n, si ha la somma dei coefficienti analoghi di (Tiby- ' (Tzbj3 ec-' duuci,ie si avrà 1 a" a" fi (n-hi)n a"/?1 ( ,_„7 y ( , -.aty " (JZ^Tf + "• (i_a7)* + ~ - T^tit (n-i)n q-'ff3 t n(n-i) a^/33 (n-i)(n-z) a"-3 ff3 it)* a (1— a, /35 -j- — - i. . . m|J - — i - . — -i- ££ 2, i-a£ 2, (i-a£)' a (1— atf (i-ai)" i3. Prima d'inoltrare nelle ricerche per lo sviluppo della frazione ;— — : J; giova qui richiamare 1' equazione f\ , (x-¥-n— 1) (.r-t-/ì— a) (-tH-i) _ i.a.3 . . . (/i— 1) 1 Q = '- H V ^ 7 fr hCC.-+-*+I 1 . a . 0 . . . (n— 1 ) 1 . a . d . . . (/&— a) per notarne 1' identità coli' altra m w(/m-t)(/7-H2) (ra-H.r — 1) n(ra-f-i)(n-<-2) (n-hx — a) 1.2.3 . . .x i.a.3... {x-i} (n—\ ) « (/?-)- 1 ) . . . (rc-Kr— <3) (n— a)(ra— 1 ) n . . . (ra-Kr-4) t-ec. ..-h, i.a.3 ... (.c-i) 1.2.3 ... (x-\) giacché i corrispondenti termini di amendue sono i coefficienti di rin -^...e di ^-in ^ , ^fe^- $ presi ao,a Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. nelle due diverse maniere notate anche all'articolo io. Ciò posto per ciò che si è dimostrato neh" articolo precedente si ha r _ g* a"/? (n-hi)n a"/?1 (i-a't)*{i~at)n ~ {i-a'tf + "" ( i-at f + ~ a ' (i—a't)' (nrhi)?i g""^3 n{n— i) et"-'/?3 a (i— ai) (i— at) a "(i — a7) (i — aty (n-i) (n-a) a-3/?3 ff3 a (i— a?) (i— a*)3 (i— a7)(i— a?) Ora essendo anche per ciò che si è veduto all'articolo la i _ a 0 (\—dt)(i—at) '" i— a't (i—aty i _ a" aft ff (t— «V)(i— «*)a ~ i— a't i—at (i—at)* ' i g3 g3/? g/3 ff (i— «'£)(!— a;)» — i—a't + i— ai + (i—uty^^—atf ed in generale i a" a*-1/? g*-3/? g—3/? 3 ^at)(i~aty ~ i-a't i-at (i-at)^ (i-atf (i-aff nello sviluppo dell'espressione; f-^t r potranno aversi ir ^ (i— dt)\i— atf v separate le potenze di ■- da quelle di , e sarà i—at i—at /(/z-t-iW n(n-i) (ìi— \){n— a) \ « \ a a a / il coefficiente di — , ed i—at ((n-hi)n n(n-\) (n— i)(n~ a) \ . _„, a a a / Memoria del Sic Marchese Luigi Rangoni. 29.0) miello di , e così 1 1 — at I njn-i) (a-i)(*-a) (n~*)(n-$ + ^ +A**fo \ a a a / / (rt-.,)(,z-.a) + (,z~a)(;z~3) (/i-3)(n^4) ec : + , \ ^ \ a a a / ™ . . ,. i 1 sono rispettivamente 1 coeincienti di r. , , rs , 1 (1— at) (i—at) perlocchè si rileva la legge de' coefficienti di ciascuna delle potenze di . E poiché (n-hi)n n(n-~i) (/z— 1) (tz— a) n(n-hi)(n-ha.) a 2 a a.o come si rileva ponendo nella formola (G) a: =3 3 e quindi n(n — 1) In — i)(/z— 2) (n— i)n(n-hi) — - - + " ' +ec -H 1 = v i-ig s a a j.a.o ("-')H j. (»-a)(/z-3) (n-3)(rc~4) (zz-a)(/z-i)/z a a a 1 .a. 3 ec. ec. essendo tutte queste serie derivanti dalla prima, in cui si ponga successivamente n-~ 1, /z~a, ec. in luogo di ra, si conchiude facilmente essere 1 a" q-ft (zz-n)zz a"^ (i-a'ty(i-aty ' (i~a't)4 ' (i-a'tf a '{ì — a'tf {n+a)(n+i)n q"/?3 (/z+a)(zzt-i);z q— fi4 (/z-i)n(w-i) q"-'/?4 i.a.3 'i-a't i.a.3 '1— ci i.à.3 '(1— at)* n(n~i)(n— a) a""3/?4 tf4 i.a.3 * {t-at)3^" ^ {i-at)'' 20,4 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. i4» Per F andamento osservato negli sviluppi eseguiti ne' precedenti articoli è quindi lecito supporre i a" ar(3 (n+i)n a'p i.a.3 '(i-fl'^"4 i.a.3...(/?-a) "i-ai (/M-jg-3)(/n-/^-4)...ra a-'/y-' (n^-4)(n+/;-5)...(/z-i) a"'/?*" i.a.3...(/>-a) ' i-at i.a.3...(/?-a) (i-atf ec (i—at)n Quindi ammettendo questa supposizione, la quale, come si è veduto, si verifica quando /?— 1 = 1 , ovvero =2, ovvero =3, ovvero =4, si prova facilmente, che una forma analoga con- viene generalmente ad . rr— ; r- . Dipendentemente 6 (i—at)r(i~ at)" S pertanto da tale ipotesi si ha 1 a" a"(ì (b+i)b a" P {i~-at)p{i-aty~ (i-ut)''*"" (i—at)'-1'*' a '(i-a^)'-a (/2-t-a)(/M-i)/z oc"/?3 («+;?-3)(«-t-/7-4)-.-re a"/?'*-* + ì"^3 " (T^Tp +ec-4- i.a.3...(^-a) (^ZF)1 i.a.3...(/>a) ' (i — a£) (1— a7) i.a.3...(/»-ii) '(1— a'*)(i — aiF "* (1— a't)(i— at)" ' A compiere ora l'annunciata dimostrazione non si ha che a ritrovare i coefficienti di ili 1 i-a'i' 1— at ' (1— «^ 6C' (1—^)," ' Memoria del Sic Marchese Luigi Rangoni. è§5 nella decomposizione delle frazioni contenute nella prece- dente espressione, nelle quali i—a't trovasi in moltiplica con una delle potenze di i— at. Intanto a rendere più sem- plice la dimostrazione stessa se si pone (/z-t-/>— 3) (n-\-p— 4) n i.a.3...(^) ~A' cosicché per ^„_, , y/_a ec. s' intenda la stessa espressione cambiata soltanto n in re— i, n— a ec.^ nasceranno le seguenti equazioni : (i-a't) (i-at) " i-a£ " i-at a'-y-' g'^1 q-1^ q-— /p "■' (i-at) (i-atr ~ -'i-a't* "■' i-at* T' (i-^)1 ""(t-à7*) (i--^)3"^ i-a'^""* i-at ^(i-atf* "-'b^t? E poiché la serie di tali equazioni termina con questa &-1 q"^- q-'/y q~/P q— 8/y (i-«7) d-«/)" i-a'i \-at \\-at)" (i-at)* ■ ec 0 } (i-atr e d'altronde 4, +^I + ^_1 + ec... + i = ""-nyi », i.a.o...(/?-i) i.a.3 ...(/?-i) ed in generale ^ i J_ + 4_ + ce. . . + i = (^^^a)(^-r-3)... (iw) i. a. 3 ... (/?-i) sempre in dipendenza dalla formola (G), facilmente se ne deduce (H). aqò Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. i a" a"8 (re-M)re a" 8* (i—at)p{i—at)" Ji— a'i)' ['. (i—a't}*-' a (1— dtf-' (re-+-2)(re-M)re a" 3* (n-\-p~ 3)(n-hp—- 4) ... re a'S"-* **" 1.2.3 "(i-a'^-3+eC***4' i.a.3...(j»-a) 'Kfr («-+■/?— a) ( re-t-/?— 3 ) ... re a"/?'-' (re-t-/?— a) («►+-/?— 3) ... « a"' /? i.a.3...(y»-i) ì— a'* . i.a.3 ...(/?-i) i— ai (re+p— 3)(re-+-p— 4) . . . (re— i) a—*/?' i.a.3 . . . (/>— i) (I— ai)1 (rc+p— 4) (re+p— 5) . . . (re— a) gggf _ /?f i.a.3... (^-i) (i— ai)3 (i— ai)" i5. Ottenuta la forinola generale dell' articolo precedente, è facile a vedersi, che dipendentemente da essa il coeffi- ciente di una potenza qualunque r."in" di r- è general- mente rappresentato, fuori però del caso di r=p, per (n*-p— (H-i))(ra-t-/7— (r-t-a)) re ce" g*^ i.a.3...(y?-r) (i-a'i)'' siccome il coefficiente di una potenza qualunque q."!"a di anche pel caso di q = i può generalmente espri- mersi per (re-+-^— (a+i ))(re-+^— (fl+a)) . . . ( re— a-w ) a'-q8r i.a.3...(^-i) [i-aty' Quindi dovendo per la natura del problema risoluto nell'ar- ticolo precedente essere perfettamente analoga la forma del coefficiente di ■. r— e quella del coefficiente di (i— ut)' ~ V1 ~T" * (i— ai)»' e d' altronde essendo pure per ciò che si è notato sul fine dell'articolo io Memoria, del Sic Marchese Luigi Rangoni. 297 ( ti -hp — ( r-+- 1 ) \ ( 11 -+-/> — (/--+- 2 ) ) ìi 1.2..Ì... (jJ-r) (n-hp — ( r- 4- 1 )\ ( n ■+■]> — {r->r 2,) \ (p— r-Hi) 1.2.3... [11- 1 ) come si rileva dall' osservare che i due membri di questa equazione non sono amendue che il coefficiente di t'~' in -, se ne inferisce, che i coefficienti delle potenze di (i-t) * e di - nell' espressione (H) dell' articolo pre- 1 — at i — a t * v ' l cedente si hanno tutti dalle due espressioni HI) (ti+p-(q+i))(n+p-(q+*)) (n-Q+i) 1.2.3... (p— 1 ) ' IV) (/i+p~(r+i))(n+/H^-a)) (77-r+i) r ■ i.2.3... (n-i) 'P a ponendo in esse rispettivamente «7=1, ^=2, ec. q=n, ed r=i, t-=2, ec. r=p. Ciò posto si rende chiaro come possa svilupparsi la frazione r(i— a't)p{i— atf colla separazione delle potenze di — , , , 1 t ■ ì — at i—at' giacché di altro non trattasi come facilmente si comprende che di eseguire lo sviluppo dichiarato all'articolo ic sopra le espressioni (»+/'- (r-hì))(n-hp-{r+ù.)) (f-r-hi) 1 i.2.3... («-!) 'al> ' rii-atf Tom. I. 38 ag8 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. ed K/H^0)Q"-Mg*»)) • • • . ( n-y+i) , ; i_ ^ i.a.3... (/j— i) P tm(i-aty'' cioè sopra r ed ' i"(i— dt)' r(i — aty il quale poi, dando i successivi valori ad r, q, rispettiva- mente da i a p., e da i ad ?^, somministra tutti i termini in che si decompone i tn(i—a't)p{ i ~at)n' Con ciò rimane quindi risoluto un altro caso dell' espres- sione generale (A) delle frazioni algebriche notata all' arti- colo 7, per cui ritenute le altre supposizioni dell'articolo ia., si cambia solamente quella che riguarda l'esponente m po- sto qui > o. Per le formole stabilite nell'articolo precedente si passa pure a determinare lo sviluppo dell' espressione generale (A) quando essa prende la forma C + C't + C'f+ec ■+- C*""*-" <*+"-. {i—à t)p(ì.-~at)n problema, il quale come è evidente si riduce a quello per cui cercasi lo sviluppo di ( 1 — a't)p [1— ut)" ' essendo m numero intero > 1, e n, poiché supposto anche il massimo valore di m secondo l' i- potesi cioè m=p~\~n~i, potrà farsi i=p — iì r= n, ed il pro- dotto delle due frazioni t' t' {i—atf (l — aty Memoria, del Sic. Marchese Luigi Rangoni. 299 rispettivamente sviluppate secondo la forinola data al prin- cipio dell' articolo 8 sarà tr _ v r (i—aty(i—at)n ~ (i—a'iy ' (i—atf a \{i-u \i t)" {i-a'ty-' i.a '{1-aty-1 ual '(i-aty-' a'\(\-c + (i-atyj A r.(-i)' | /-(r-O (-,)» ^(r-,)^ (-1) #£)" ' (i-a/)""' i.a (1— w^)""" i.a.3 ' (i-at)" r3 + ec. _M1\ fr-**)"!"/ d' onde si vede che la proposta espressione ; , , ". r- 1 l v {i—at)p{i—aty può subito decomporsi in altre della forma ■> 1 r (1— at)'( 1— aty essendo A una costante ed s, s numeri interi positivi il cui li- mite rispettivo è s=p, s'=n, potendo anche essere j'=:onel caso di ra=r, ed .s=o quando p=i, le quali perciò si sanno decom- porre in frazioni più semplici, il cui denominatore sia una delle potenze di r- , cogli stessi limiti secondo ciò che r \—at i—at ° è stato dimostrato nell' articolo precedente. Siccome però il decomporle attualmente richiederebbe un calcolo assai pro- lisso, e condurrebbe ad una nuova espressione di -. rn ;■ r (i—at)p(i—at) assai complicata, giova il segnare in qualche modo col soc- corso della forinola (K) il termine generale dei coefficienti delle potenze di r , introducendovi le espres- 3oc Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. sioni dei termini generali dedotti dalla fiorinola (H) dell' ar- ticolo precedente e notati nel presente (III), (IV). Ciò posto, nel prodotto che costituisce il secondo membro dell' equa- zione (K) si consideri primieramente il prodotto parziale r(-i) r(r-i) (-1)» fejLg) (-1) ! / i r(-i) r(,-i) (-1)' Jm)H M (i-fl'^'V(i~«?)" (i-a*)"' r.a "(i-af)"-"*" i.a.3 '(wtf) (-0r 3 £3 (i—a*)" f> ed in esso si cerchi il coefficiente totale di . r-r, , espri- ( i — a t) l mendo al solito s qualunque numero intero x, 71—2., n—S, n—r in luogo di n si ha il richiesto coefficiente dato dall'espressione L v ^ -L .p-aT 1.2.3 ... (/Z-~l) 1.2.3 ... (ìi—a.) , fcj) (,l)a (^~(^-3))(»+^~(*+4))- ••(/>-*+') „,-,„,-, ».a '' i.a.3...(w~3) fjfTHÙfr-a}. («+^-(^+4))(«-f-7^-(w-5))...(/>^s4-i) 1.2.3 V ' 1.2.3 ... (/i— 4) +(- 1 )r(?z+/?~(^H)(^^-(^-t-a))...(;w+i) ^^ 1.2.3... («— r— ì ) Memoria del Sic Marchese Luigi Rangoni. 3oi ove è d' uopo notare, che nel caso di rc=r, qualora non sia anche s=p0 svanisce necessariamente il termine ultimo della trovata espressione, poiché lo sviluppo del prodotto (— 0' • ; r~r non può, come eia si è veduto, dare una v ' ((— city * ° serie con coefficienti costanti delle potenze di r- . Quando poi si abhia n=r+i , cioè r=/z-i, allora avendosi nel prodotto i / i /(-O rjr-i) (-1)' (r-lV \ \i-a'tY'\{i-aty'+'(i-aty-+ i. a ' (i-at)^ + €°' ' ' * (i~at)"-j per ultimo termine • 7— —7 , il coefficiente parziale 1 (1— aty(\— at) ' r corrispondente di - ;— ricavato immediatamente dalla formola (H) dell'articolo precedente è (— 'i)r. §F~'a:, l'ultimo termine però della formola (L) non dà come sembrerebbe dovere questo valore., giacché nell'ipotesi di n-~ i=ressadà in vece una quantità infinita. Convien dunque sostituirvi in questo caso l' espressione identica in ogni altro, come si è osservato, cioè - -~~ (n-/-+H^'))("-^HH) • • • • (rc~r) ; ^ 1 . 2, . 3 . . . (])~s) la quale nella stessa ipotesi dà appunto (r-s)(p~S-l)..... I ( p~a=cMrp-.a, • ' i.a.D ... (/>■-.$) - ) A più sicura traccia delle applicazioni che possono farsi della formola (L) è anche opportuno di notare, che quando p = s, cioè quando trattasi di determinare il coefficiente totale di -. j—rj nello sviluppo del prodotto (M), esso ri- sulta, ponendo nella medesima s=p, 3oa Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. a"+r(_I)a-.+ rÌ!rl).(_^,^ il coefficiente totale di T—r-i nell' altro prodotto parziale _! / i r(-i) r(r-i) (-1)' r(,-i)(r-a) (-,)' {i-dty-l\[i-aty (i-at)"-' i.a * (i-at)^ j.a.3 '(i-^)""3- (i— ai)"-'/ sarà la stessa espressione (L) in cui siasi sostituito p—i a p, cioè s' indicherà per Fp_lintr, siccome potrà indicarsi per -f^-2 n . il coefficiente totale di - r-r nel prodotto ' ' ' (i—at)' r \_ I i r(-i) r(r-i) (~i)a (-i)r \ (wft'^' Ui-^^ii-fl^r1^ La * {i-aty^60' ' ' * +(i-a^-J' e così successivamente fino al coefficiente totale di '. r-r. in (i—at)' (i-aV)"-'V(i-«o - (i-tfn>l, cosicché il coefficiente totale di in r-r-; w? ° nell' equivalente espressione (i—a'ty {i—a't)p(i—at) data dalla forinola (K), sarà : Memoria del Sic. Marchese Luici Rangoni. 3o3 a'- a' {***#% ')y *—.+ — H F— +A^/(-')3//,,,,- + ec -M-O'^,*). Per trovare poi in ^^^ il termine generale dei coefficienti delle potenze di i~at, ossia il coefficiente di (i-at)'" SÌ SCOrge facilmente; che esso si otterrà in modo analogo a quello con cui si è rinvenuto il corrispondente di (,_a7)«-Quindi primieramente applicando 1' espressione (III) si trova il coefficiente totale di j~~ nel prodotto par- ziale dedotto dalla forinola (K) espresso da • (n+P~ (^OX»^- (J'+a)) • • • feg*jgj ar-sp i . a . 3 . . . (y;— 2, ) 1,2 i.2,. 3... (^-3) P i.a.3... (/>-i-i) 3o4 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. L' ultimo termine di questa forinola allorché i ottiene il valor massimo/*— i si riduce a (— i)' a"~''0 quantunque ciò per la medesima non si rilevi, ma come apparisce anche dallo sviluppo diretto dato nell' art. la della frazione ; — ; . ri (i— at){i~at)n Pertanto se l' espressione (N) s' indichi semplicemente per F„fPil, ripetute tutte le osservazioni che condussero alla determinazione del coefficiente totale di pr- nello svi- (i — a ty t" luppo di , j-— ■. -, si troverà similmente il coefficiente 11 (i—at)f{i—at)n totale di -, -, nello sviluppo espresso per (i— at) 111 i (VI)..._L_./p< +w-i)F ,+^UYF , + Ì^i'y'F , , + ec + (-i)' FMìtil. J, ove è evidente, che se si supponga in una variazione qua- lunque di Fn,r,4 per la sola n n—q, nel qual caso si ha pure A ^f-i,«,. - °? poiché la decomposizione di p— ^infra- zioni più semplici non può darne veruna in cui il denomi- tore sia una delle potenze di i— >a't^ e di i— at rispettiva- mente maggiore di p o di n. Ciò dimostrato per confermare con un esempio la pre- messa dottrina sia proposta la frazione e » > d~ty(i+tr d~ty u-hj onde ra=3, ìi=i, r=a, a'=r, a==— i, u=/z=a, a= — , /?= — ; e perciò primieramente dall' espressione (V) e poi dalla (L) Memoria del Sic. Marchese Luigi Rangoni. 3o5 ponendo in amendue ,s=a oltre i valori dati dalla presente supposizione, si ricava il coefficiente di -p- espresso da AA i V4 a / 4 Così il coefficiente di risulta i — t i r. p \ l * ' J r x ? I.(-F.,».i -fw ) = a. - . 7— a. -. '-7-+-a- i= • v ' ' w ' a 4 2 2 4 a a Similmente coli' uso delle due espressioni (VI) ed (N) si tro- vano i coefficienti di ■- , — - , i quali rispettivamente sono — ihìh-'f j p' n I I r I I I ed F1M— a/^'=a. -.7~-7 — a.7+a.-==-, w a 4 4 4 a a e quindi £3 ili (i-^n-^-^i-f)» a(i-f) 4(1-+-*)* a( i-ht) come può facilmente verificarsi. 16. Passando alla considerazione dello sviluppo di (t-a'ty{i-aty(i-a"ty' che, ritenute le altre supposizioni dell'art.0 i a, contiene sol- tanto nel denominatore un fattore di più, il quale risulta dalla potenza q.'"ma qualunque di \-~a"t, si vede facilmente, che decomposta secondo la formola (H) dell'articolo 14 la frazione I 7W iw.» questa» compendiando per maggiore semplicità sotto il simholo di una quantità costante ciascuno dei coef- ficienti delle potenze di i— a't, i — at, prende la forma Tom. I. 3g 3o6 Sulla. Decomposizione e Trasformazione ecc. A A _ A" A*-1* p-i ""■" / ™ i > i\p— a *■" "*"• (i-«'^ M' ec. (i—a't)q (i-*dty-' (i—di)*-' i—dt P" ec. )(—) ^(i-a("-V)' (i~a<"->t)— (i~a<"-'>t)-> j-a<"-'i' ove le A, A, ec. B, B\ ec P, P' ec. sono quantità costanti. Resta a dimostrarsi che questa stessa forma com- pete anche alla frazione (1— fl*)'(i~a'*)* .... {i—a(n-l)t)'3 qualora però sia m q, ec. s non >,?. Col metodo dell'articolo prece- tp'~t~q' dente riducendosi , r-, r-r alla forma (0), in cui cia- (1— at)p(i— at)q v " M scun termine può in questo caso rappresentarsi per -. -»s N o per r-rs ove / prende i valori da 1 a p, e g quelli da 3o8 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. 1 a a, se ne ricaverà la stessa forma (0) per - ■—. j-—. »-. 1 v n (i—aty{i—a't)q{i~a"t)' dipendendo essa dalla risoluzione di termini della forma Me' , Ne' • ,• j. , -, rr, rrr-i ea- ; rrr, rrr, ■> l quali a causa di /• non >• r si risolvono pure col metodo dell' articolo prece- dente. Proseguendo con analoghe osservazioni facilmente si vede, che qualunque sia il numero de' fattori nel denomi- natore della proposta frazione, essa può sempre ridursi alla forma (O) col metodo dell' articolo precedente trattandosi nei successivi sviluppi frazioni, nelle quali due essendo i fat- tori del denominatore l' esponente di t nel numeratore è sempre inferiore almeno di un' unità al massimo esponente della stessa t nel denominatore. E d' altronde evidente, che essendoli limite di ni determinato da p + q + ec. ... -+-5— 1, si può sempre supporre m=p'+q'-hec. .. . -w', in cui p' <,p, q non > q, r non > r, ec. s non > s. La dimostrazione del presente teorema riesce anche più semplice se si rifletta, che ponendo per ipotesi,, che la frazione (i-aty(i-aty{i-a,,ty (i-cp-'hy1"'* possa ridursi alla forma (0) quando sia almeno di un'unità m

    q("~'\ Di fatto moltiplicando ciascun termine dell'espressione (0) per e" rr~ non si avranno che prodotti della forma (i-a^t) — -, essendo g, f due numeri cogniti ma in- (i-a<^)/(i-a<*";)<<"~ Memoria del Sic. Marchese Luigi Rangoni. 3eq determinati, ed a)— a,...i. Essendo pertanto la for- tm ma predetta la stessa che quella della frazione-; r-r-, r 1 * {i—a t)p(i~atf dell' articolo precedente moltiplicata per la costante M, si risolverà essa nella forma (0) secondo il metodo ivi spiegato. Quindi resta dimostrato l' assunto : e poiché V ipotesi am- messa può restringersi al caso che due soli sieno i fattori nel denominatore della proposta frazione., cioè supporsi che essa tm sia- r—, — tt« in cui m a cagione di m+q'-hD"tì + ec -+■ D(f>t'){i-aty~ (i-aty B+B't+B"t1+B"'tì-H?c. . .^B^f-^B'^f-'^B^t'^ec. . .+&*+*-*ttr+*-a+&-+'*,ìtr**< (D+D' t+D" f+D"'tì+ec...+Dwt'){i-aty-1 nella quale le C, C, C", C"\ C(^",,J e le D, D\ D\ £>'", .... If*} sono quantità note, e possono essere zero nella rispettiva classe e ad eccezione di una., essendo però sempre il massimo esponente di t nel numeratore della frazione che costituisce il primo membro della equazione proposta al- meno inferiore di un'unità al massimo esponente di t nel denominatore,, e le B, B\ B'\ B'", Bw, ed A sono co- stanti da determinarsi. Tale equazione levando le frazioni dà l'altra C -h C'è + C"t -h C" ' tl -h ec . . . . -h c^4*-8 ì£^s~* + c<"-*-,)r-f•'-, = B{i-at)+B\i-at)t+B'\i-at)e+ec...+B*-1\i-at)t^s+B(r\i-àt)t* *B^){i~atY**+B<***y(i-atY+*+ec -h B^p'*} (i-at)?-*" + AD+AD't ■+■ AD'f-hAD"? +ec. . . ,+AD^t'-1 + ADPv, da cui, confrontando gli omologhi coefficienti delle potenze di t, si ha B = C-AD F é C+{C-AD )a-AD B'' = C"-+- (C -AD' )a -4- (C-AD )a' - AD' B"= C% [C"~AD")a + (C'-AD'y 4- (C-AD)a* - ^Z>"' ; ce. ec. ec. Memoria del Sic Marchese Luigi Rangoni. 3 1 1 e da ciò s' inferisce, che in generale, quando r sia un nu- mero non >/>, si avrà 5(',=C<" + (C('-»-^Z)<'->-»-(C(r-1,-^Z)<'-3>)a1+(C('-3)-^D('-3,)a3 -t.ee -H (C~AD)aT ~ AD>'\ Questa espressione può considerarsi come il termine ge- nerale dei coefficienti B'} B'\ B"\ .... Blp) quando si cono- sca A, il cui valore d'altronde si determina indipendente- mente, come si vedrà, dal metodo de' coefficienti inderminati; ma i coefficienti i?,i"t",, jBùh*) ec., B("~l'p~:') non potendo più paragonarsi con alcun termine esprimente il prodotto di A per una qualunque D{,) come accade ne' precedenti, otter- ranno una forma diversa. Si ha di fatti equazione, che determina B{r+l) dipendentemente dalla legge dei precedenti coefficienti, per la quale B'p) può considerarsi come nota. Pertanto essendo pure fle-4-" = C^'-t- C^'to -h B{p)a% BP+*1 = C^-h C^a -h C* V -t- ZW, ec. ec. generalmente se ne inferisce B^'^C^-*- C'^'-'a-*- C-"-a)aV C+^a* + ec-M-C^V" - B^a' finché però sia r A ~ „ D' D" D"' £><" D-\ 1 — 7--+- — r+ec H r- Cap + Co?-' + C"ap-ì-hec...-h C^-l h — — h<" 5 valore che sostituito opportunamente nelle espressioni di B, B', B" ■> . . . Bin^p~:i) rende pienamente determinata la fra- zione B-hB't + B"t*: + B'"tì+ ec >+• I^^lÌZ (D+D't-hD"t*+D'"tì-h ec -t- DiF>tp){i-at)°-' ' che potrà egualmente decomporsi in altre due, l'una delle quali abbia per numeratore un nuovo polinomio in t la cui più alta potenza non superi t"^p~ì. ed il denominatore sia simile in tutto a quello della (P) sostituito soltanto in A' essa (i— atY~l ad ( i — at)"~' , e l' altra abbia la forma; ; — . v ' \ l » (i—aty-1 La prima di esse potrà ancora decomporsi in altre due si- mili e, se si voglia, simmetriche ad A B -t- B't -4- B"f -+- B'"t3 + ec....-h ff^-y^-* (i-ut)" ' e (D-hD't+D"f + D'"ti + ec....-H D*>P){i-at)"-'9 A" delle quali 1' una avrà la forma . — , e l'altra avrà per 1 (i—at) . numeratore un polinomio in t la cui massima potenza sarà Memoria del Sic Marchese Luigi Rangoni. 3 1 3 /•+P-4 e per denominatore ( D -+- D't -¥ D" f ->r D"' tl ■+• ecc. . . . -+- Dtr)tr)(l—aty~i. Così proseguendo finché si giunga ad una delle frazioni risultanti dalla successiva decomposizione espres- A{*~1) sa da , verranno determinate tutte le frazioni parziali cor- i—ai rispondenti pe' rispettivi denominatori alle potenze (i—at)", (i — at)°~'} (i—at)"~l, ecc i—at. Giova intanto recare qui qualche esempio a migliore di- chiarazione dell' uso di dette formole. Sia proposta la frazione t* + a* i t*-ha* (t-uay^+na3) &V " V aa'/V ^aì e si cerchi di determinare le frazioni parziali che risultano nel decomporla, le quali abbiano per rispettivi denominatori (i ) •> i — — • \ 2,a/ uà t^ + a* Riferendo 1' espressione 1 — ^ alla generale (P) V aa / \ za} testé considerata, si ha ressa, P = 3, C=a\ C' = C"=C'"=o, Q"-^')= C"= i, D=i,D' = D"= o, Z>*>= £>'"= —, , aa ed osservando che nelle formole generali già trovate deve pel presente caso sostituirsi — ad a, si ottiene primiera- mente a a 8 l7a V A = s= ' ; e quindi B -C-A-cà- UÈ. - ,2a4 Tow. /. 4o 3i4 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. 6a3 \ 5 / za onde risulta ma*-h6a3t+3a*e zar 17 a* cosicché resta determinata la frazione parziale che ha per denominatore (1— — I . Per determinare 1' altra, che deve avere per denominatore 1 — — basta porre i2.ai+6a3t-h3a!ie nat* \ 2#7 \ a«/ 4' = M,+ ■■> 1 — aa ove Mt rappresenta quella qualunque frazione parziale, che A aggiunta ad equivale al primo membro della supposta 1— <■ 2.a equazione, e che è inutile di determinare per conoscere^'. Di fatto moltiplicando l'equazione stessa per 1 — — , e fat- to fe2«, viene A'= — 1 i6a4 "a5~ e così rimane pure determinata l' altra frazione parziale che ha per denominatore i—at. Memoria del Sic Marchese Linci Rangoni. 3i5 Giova ora mostrare la coincidenza di questi risultati con quelli che ottenne il Padre Riccati (*) prendendo ad esem- t4 •+• cà pio la stessa forinola . — 7-5 sr per risolverla in due r (£— aa)*(r-Haa8J ' sole frazioni coi rispettivi denominatori (£~2«)% i3-4-aa3, e determinare particolarmente la prima di esse. Essendo pertanto per ciò che si è trovato A A1 1 7 a4 1 1 1 6a4 1 I7a a5 ' _£ \ aa/ aa, \ aa/ (i7a4 n6a4 58fl3j?\ i_ / Sia4 58a3A 1 5 "" a5 +^5~/ / __£_\"~ \ "aT^^aT"/" / ^\a' V aa/ \ ~*aa/ risultamento che moltiplicato per -^-5 produce appunto (— 3ia aqi\ 1 , , _ , „. — 7: — -4- -4-I-; r, j come trovo lo stesso Padre Riccati 5o a5 / (t— aa) usando della # in vece della £ e con altro metodo più lungo. Sia ancora la frazione x+t ~i-* B + B't+B"tì + B'"tì A Qui si ha pertanto C=C'=-i,C"=C'"=C"=ecc.=o^=a,?z=3,a=i,Z?=I>'=o,Dfr'=Z)"=i, e quindi A=~23 5=3-1, B's-a, 5"=s5"'=35*w*-^o; dunque -i-£ -i-a£ a (*) V. Imtitut. Analyt. sopracciò T. II. p. 104. 3i6 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. — I— 2,t Se ora si consideri la frazione — , e si tratti co- r (i—t) me la proposta, nel riferirla alle formole generali ritrovate, si ha C= -i , C'= - a, C"= C'"= #"**->, n=p=z, D=D'=o, £>"=D*W,a=i, e quindi ^ = -3, 5=-i, F=~3, 5" =#<"-*-»= o-, dunque -i-ut -i-3f 3 Se ora si pone -i-3ì _ M, _£_ *a(i-*) - e "*" i-i" moltiplicata l'equazione per i— i, e fatto fcri, viene A=— 4; onde si raccoglie, che le frazioni parziali derivanti dalla de- composizione della proposta, e corrispondenti ai denominatori (i-t)\ (i-t)\ i-t -a -3 -4 sono (i-t)»' (i-£)a J i-t Lo stesso risultato si ottiene applicando alla frazione pro- posta 1' equazione (I) dell'articolo io in esso supposta e di- mostrata. Con ciò si ha -\-t p\1'***) ,_, (i-*)*~ (i-*)3~ * I_i'~(I_^~(I_?) ove le frazioni parziali già considerate si trovano le stesse di prima, ed inoltre si trovano. facilmente identiche a quelle Memoria del Sic Marchese Luigi Ranconj. 3 i 7 che ottenne anche col mezzo del calcolo differenziale, che non semhra d'altronde di molto vantaggio nella risoluzione di tali prohlemi, l'Autore del VI fra gli opuscoli matematici della scuola di Fergola (*). 18. Colle premesse considerazioni ritengo bastantemente, dichiarata la materia assunta per quanto il consentono i limiti di una memoria. Le forinole stabilite abbracciando tutti i casi dipendenti dalle particolari supposizioni, che possono farsi intorno all'espressione generale (A) dell'arti- colo 7, dispensano perciò nella loro applicazione ai casi stessi da ogni operazione che non si riduca a pure sostitu- zioni. Si può anche travedere per gli esempj lecati come possa dipendere dall' industria dell' analista il trascegliere fra i diversi metodi quello che più facilmente conduca alla decomposizione di una data frazione, giacché frequentemente diversi sono i modi pe' quali essa si ottiene, i quali non si riducono forse ad un solo che nel caso in cui rimanga ignoto qualche fattore del denominatore di una frazione qualunque che venga proposta a risolversi. La difficoltà, che allora s' incontra, la quale però non toglie che si pos- sano determinare le frazioni parziali in relazione ai fattori noti , è però insuperabile generalmente in riguardo alla completa decomposizione della frazione proposta qualora il denominatore di essa contenga un fattore che ecceda il quarto grado. Quindi al perfezionamento dell'analoga dottrina siccome a quello di tanti altri rami della scienza Matema- tica osta la pressoché ormai riconosciuta impossibilità della generale risoluzione delle equazioni superiori al quarto grado. Indipendentemente però da tale ostacolo potrà forse aggiun- gersi qualche cosa ai metodi sopra spiegati, e renderli anche più semplici pel caso specialmente in cui 1' espressione ge- nerale della frazione da risolversi si determini nella suppo- (*) V. Opuscoli Matematici della scuola del Sig. N. Fergola. Napoli 1811. p. 83. 3i8 Sulla Decomposizione e Trasformazione ecc. sizione che il suo denominatore contenga oltre a due fattori binomj di primo grado innalzati a qualunque potenza. A ciò possono forse condurre, benché non mi sia avvenuto di poter ottenere niente di più semplice dell'esposto fin qui, nuovi confronti tra le funzioni generatrici soltanto in apparenza diverse, le quali dimostrate identiche scoprono rispettiva- mente negli analoghi coefficienti una serie algebrica finita, ed una espressione più compendiata che deve essere la som- ma della stessa serie. INTORNO ALLA DEFINIZIONE DELLA VITA ASSEGNATA DA BROWN MEMORI Ap DEL PROFESSORE PAOLO RUFFINI 1 coltivatori delle scienze naturali, e tra questi i fisiologi principalmente, nell' osservare le funzioni, che si esercitano dagli esseri organizzati mentre sian vivi, hanno in tutti i tempi cercato di determinare i principj, da' quali l'esercizio dipende delle accennate funzioni, e di stabilire insieme in che consista quello stato^ che appellasi vita. La varietà delle opinioni e de' sistemi ha fatto sì, che i differenti autori e le diverse scuole hanno diversamente sentito su di tale ar- gomento, ed altra perciò è la sentenza degli Stahliani, altre sono quelle de' meccanici, de' chimici, dei solidisti, ed altre ne pronunciarono e ne sostennero altre scuole. Tanta va- ( * ) Questa memoria fu dall' illustre autore prima letta nell'adunanza tenutasi dalla sezione di scienze della R. Accademia il i5 Aprile 1819; e sebbene com- parisse poscia al pubblico nel giornale l'Amico d'Italia ( voi. II. pag. 5f, voi. IV. pag. 269, Torino i8aa-i8a3) viene però dall' Accademia riguardata come se fosse tuttora inedita, giacché la stampa di essa venne eseguita disgiuntamente in due articoli, nei quali occorsero eziandìo parecchi errori alteranti più o meno il vero senso del testo originale. Questi inconvenienti furono tolti nella presente edizione per cura del chiarissimo signor Dottore Giovanni Bianchi Professore di Fisiologia in questa R. Università degli studj, e Socio Attuale della R. Accademia, il quale Eia voluto accrescerne vieppiù il pregio corredandola di alcune note. 32,o Intorno alla Definizione della Vita ecc. rietà di opinioni non è già stata contemporanea; ma il più delle volte le une dopo aver regnato per un certo tempo hanno ceduto il luogo alle altre, innalzandosi queste sopra la mina di quelle. Il solidismo quello è, che domina presen- temente. Appena nel passato secolo apparve in Iscozia il famoso novatore o piuttosto ristoratore del lasso e dello stretto degli antichi, che la maggior parte de'fisiologi e de' patologi, specialmente italiani, allettati forse dalla semplicità del sistema, e giudicando di riscontrare in esso le leggi vere ed invariabili della natura, lo abbracciarono tosto, ed altamente lo proclamarono. Tale sistema incontrò ancora non pochi e valenti oppo- sitori ; malgrado però gli sforzi di questi ultimi, protetto esso validamente dai primi tuttavia sostienesi con vigore ; ma si sosterrà poi sempre ? Le molte e notabili variazioni, che in breve giro di anni ha sofferte, fanno gravemente temere, che sovrasti ad esso pure il destino degli altri si- stemi che lo precederono. Nel suo primo nascere, qualunque sostanza venga applicata alla fibra , dicevasi , che agisce stimolando ; ora si parla molto diversamente, e copiosissima si vuole la classe dei controstimolanti e degli irritativi. In qualunque sostanza eccitante riguardavasi a principio soltanto un' azione universale ; in molte sostanze adesso riscontrasi un' azione speciale verso qualche singola parte od organo della macchina. Gli stimoli, che da prima in diffusivi si distinguevano ed in permanenti, ora si dice non ammettere simile distinzione. Brown da prima asseriva, che di cento malattie novantatrè sono asteniche ; ma il linguaggio e il metodo di cura, che si usano alla giornata, mostrano regnare in adesso un'opinione opposta. La debolezza indiretta, tanto da Brown proclamata, ora più non si vuole. La diatesi stenica e l' astenica costituivano da prima esse sole lo stato d' infermità; la natura di questo stato in adesso non può più stabilirsi, se insieme con la diatesi non si considera se- condo alcuni la condizione patologica ; ed anzi non poche Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 3ai malattie si riscontrano senza diatesi, quali sono le irrita- tive (i). Ma se hanno anche presso i solidisti così notahilmente variato tanti fra i principj, che da Brown si erano stabiliti, non ha cangiato però egualmente la definizione, che lo stesso autore presentaci della vita. Anzi « non è questa, dice un « celebre fisiologo, ( Tommasini Lezioni critiche di Fisiologia « Tom. I. pag. 1 3 1 ) definizione filosofica, e robusta altret- « tanto, quanto è tratta dal seno della cosa stessa e del « fatto ? Chiamate questa definizione a qualunque confronto « vi piaccia : — corrisponderà sempre al vostro assunto, e « non ismentirà mai la precisione filosofica, che la distin- « gue. — Quegli stessi, soggiunge egli in altro luogo ( pag. « i45 Tom. I.), che sulle adunate scoperte hanno travagliato « un qualche corso, un qualche prospetto di Fisiologia, o « non hanno presentata alcuna idea generale della vita, o « hanno confessata la grandezza e la verità della definizione ;< di Brown, o ne hanno almeno adottate, benché copren- te dole di un ingiusto silenzio, le idee principali (2) ». Ora tale definizione merita in realtà encomj così magnifici ? È dessa così filosofica, così grande, così vera come l' illustre fisiologo la dipinse ? Diremo, che non sarà mai, siccome gli altri sovraesposti principj, per essere variata, negletta o (1) Nel moderno riformato Brownianismo, oltre alla diatesi e alla condizione patologica, alcuni considerarono altresì la forma come parte essenziale dello stato di malattia ; e rispetto poi alle malattie irritative, altri le volle diatesiche di diatesi propria, altri non diatesiche; e infine rispetto a' rimedj fu richiamata ed ammessa, oltre all'azione locale ed elettiva, anche l'azione specifica. (2) A giustificazione dell'assunto di questa memoria giova il ricordare, che la definizione Browniana della vita fu tenuta come vera certa e dimostrata anche dopo il 1802, epoca della pubblicazione delle citate lezioni critiche. Basti il vedere la Prolusione alle lezioni di Clinica medica nella P. Università. Bologna 1817 pag. 3. E malgrado altresì li più recenti gagliardissimi attacchi mossi contro la stessa definizione, questa pur continua presso molti a servir di base generale alle dottrine della Fisiologia e della Medicina. Tom. I. 4r 322 Intorno alla Definizione della Vita ecc. rigettata ? Ecco ciò, che ci proponghiamo di determinare nella presente dissertazione. i. La vita, secondo Brown, altro non è se non ciò, che egli chiama eccitamento, ossia l' effetto delle potenze eccitanti applicate alla eccitabilità (Tommasini pag. i3i Tom. I. ). Ora affine d' istituire un giusto esame di questa per vero dire semplicissima definizione, converrà in primo luogo, che riconosciamo qual sia e quanto esatta la deter- minazione di quella forza, che il nostro autore denomina eccitabilità. 2. In tutti gli stati della vita, dice Brown, l'uomo e gli altri animali differiscono da essi stessi morti, o da un' altra qualunque inanimata materia per questa sola proprietà, che possono da cose esterne o da certe azioni lor proprie venir affetti in modo, che si producano effetti proprj di essi vivi, cioè le loro azioni. La proprietà, per mezzo della quale le sopraddette cause agiscono, dicesi eccitabilità: po- tenze eccitanti appellansi le cause medesime: e l'effetto di que- ste, che agiscono sulla eccitabilità, si denomina eccitamento. Sono, soggiunge lo stesso autore , comune effetto delle potenze eccitanti il senso, il moto, l'azione della mente e l'affezione dell'animo. Il quale effetto essendo uno e il medesimo, unus idemque , non si dovrà concedere se non se, che una e la medesima sia l'azione delle potenze ecci- tanti ; e quindi che, siccome alcune tra queste agiscono per manifesti impulsi ed in tutte sembra esistere una certa forza di agire, debbansi tutte appellare sti molatrici ; perchè da un medesimo effetto di alcune cose deve arguirsi una egual maniera d'agire, idem aliarum effectus eamdern operis rationem arguit. 3. Chiamandosi quivi da Brown unus idemque effectus il senso, il moto, l' azion della mente e l'affezione dell' animo, sembra a rigor di termini doversi nel suo sistema considerare siccome una stessa cosa il movere un piede, ed il formare un qualche giudizio; la stessa cosa la rimembranza Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 3a3 di un oggetto e la pulsazione di un' arteria. Ma troppo patente essendo 1' assurdità di queste proposizioni, esser potrebbe, che con l'espressione unus idemque effectus abbia l'autore voluto, benché inesattamente intendere, che gli esposti effetti sono della medesima natura. Ma essendo già dai metafisici dimostrato , che le affezioni dell' animo e l' azione della mente, come sono il pensare, il ricordarsi, il volere, l'amare, o l'odiare qualche cosa, non possono immediatamente eseguirsi, che da una sostanza immateriale, mentre dai muscoli, e però da sostanze materiali immedia- tamente eseguisconsi i movimenti; vedesi chiaro, che come le sostanze efficienti immediatamente questi effetti son per natura affatto tra loro diverse, di natura affatto tra loro differente esser dovranno anche gli effetti medesimi ; e però F esposta espressione dovrà dirsi assurda eziandìo sotto que- sta seconda interpretazione. 4- Ponghiamo, che col nome di senso, di affezione dell' animo e d' azion della mente vogliansi quivi intendere, non già queste funzioni prese nel vero loro significato, ma bensì quelle operazioni di sostanze materiali, di cui l'anima al corpo unita abbisogna onde esercitare le funzioni medesime ; e sotto questa nuova significazione veggiamo, se tali ope- razioni ed i movimenti dei muscoli si possano appellare cose della stessa natura. Si applichi perciò una causa irritante, per esempio una spina, ad un muscolo: veggo quindi esso muscolo contraersi e muoversi veggo il membro corrispon- dente. Pingasi poscia sulla retina dalla luce riflessa la fi- gura di un qualche obbietto; affetti da ciò rimangono il nervo ottico, la parte di cerebro rispettiva, e V anima vede. Ma la puntura della spina è un'operazione affatto diversa dal di- pingersi un oggetto; le parti rispettivamente affette, cioè il muscolo ed il nervo ottico, sono riguardo alle proprietà fi- siche pienamente dissimili fra di loro; gli ultimi effetti infine, cioè il movimento del membro e la percezione dell' oggetto nell'anima sono operazioni fra loro affatto etero- 3a4 Intorno alla Definizione della Vita ecc. genee (3). Dunque esistendo nel posto esempio una piena assoluta diversità, e tra le prime cause eccitanti, e tra le parti del corpo da esse affette, e tra gli ultimi risultati, che se ne ottengono rispettivamente ; non sarà lecito in alcun modo asserire, che l'affezione; la quale soffre in que- sto caso il nervo ottico, sia della natura stessa con l' affe- zione, che soffre il muscolo. 5. Potrebbe qualcuno asserire, che da Brown uno e il medesimo effetto si dicono tanto i movimenti, quanto le affezioni dell'animo da ciò solo, che sì queste, come quelli si eccitano per mezzo di potenze stimolatrici; che nell'eser- cizio tanto de' primi, quanto delle seconde sotto la conti- nuazione dello stimolo la forza della fibra, ossia l' eccitabilità, consumasi od illanguidisce ; e allorché questa forza sia con- sunta pienamente, le potenze stimolatrici non risvegliano più nò il senso per mezzo de' nervi, nò per mezzo de' mu- scoli il movimento. Ma da quanto dice Brown (n.° a) può facilmente conoscersi non essere nella significazione ora esposta, che egli chiama il moto e le affezioni dell' animo, uno ed il medesimo effetto ; se difatti ciò fosse, come de- durrebbe egli dalla presupposta indicata identicità e dall' os- servare, che alcune tra le potenze eccitanti agiscono sti- molando, che ancora tutte le altre appellare si deggiono stimolatrici ? Che se pure si voglia doversi nel senso ora accennato intendere l'asserta identicità tra i sensi, l'azione della mente (3) Sarebbero forse nel citato confronto due cose uguali o della stessa natura, malgrado le rispettive differenze delle proprietà fisiche de' due organi diversi, i due effetti vitali rispettivamente prodotti nel nervo ottico e in un muscolo ? Anche ciò si dimostra falso : perocché, quantunque con un solo stimolo, in es. colla spina, ci sia dato di movere un nervo alla sensazione e un muscolo alla contrazione, e sebbene sia in nostro arbitrio il variare comunque la dose dello stimolo, il nervo è sempre eccitato alla sensazione e giammai alla contrazione,, e il muscolo lo è sempre alla contrazione e giammai alla sensazione.. Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 3a5 e il muoversi de' muscoli : allora io dico, che con i movi- menti animali, con i sensi, e con le affezioni e le azioni dell'anima deve asserirsi uno e il medesimo effetto anche il moto di un elastro. Difatti ancora J'elastro si eccita al moto per un impulso, e quindi per uno stimolo, giacché vuoisi da Brown, che impulso e stimolo siano la cosa stessa (n.° a); inoltre, continuando il moto, l'elasticità, ossia quella proprietà per cui 1' elastro eccitato dallo stimolo oscilla, si consuma; e consunta essa pienamente, niun im- pulso è più atto a produr nell' elastro oscillazione. 6. Dunque se, in qualsivoglia modo s'interpreti la espres- sione Browniana, risulta sempre assurdo , che uno e il medesimo effetto, unus idemque effectus, siano i moti dei membri, e le operazioni dell' anima ; ne segue , che sarà eziandìo cosa assurda o almeno inducente con facilità ad errore il considerare, sotto il puro nome di eccitabilità, come una sola identica forza, e quella per cui i membri diversi si muovono, e l'altra per cui si eseguiscono le facoltà in- tellettuali. Ora questa considerazione è fondamento alla definizione della vita, che Brown assegna ; poiché per lui la vita altro non è che l'effetto delle potenze esterne sulla eccitabilità (n.° i ). Dunque erronea ed inesatta almeno essendo simile considerazione, erronea od inesatta eziandìo risulterà la definizione, che vi si appoggia. 7. Se in tale definizione niun altro vizio si riscontrasse, che l'esposto sin qui, non avrebbe essa per vero dire quel carattere di precisione e di robustezza filosofica, che le si attribuisce ; ma pure potrebbe ancora rettificarsi col sem- plicemente distinguere fra loro l'eccitabilità, che spetta ai muscoli ; l' altra, che è propria delle membrane ; e quella , che appartiene al puro sistema nervoso e cerebrale. Ma altri vizj assai più gravi accompagnano la definizione medesima; vizj, a cagione de' quali vedremo risultare essa inutile, od incongruente; e la vedremo inoltre essere causa troppo facile di altri e più gravi errori. 'Ó2Ò Intorno alla Definizione della Vita ecc. 8. Esaminando difatti con esattezza quanto Brown asse- risce nello stabilire i fondamenti della sua definizione ; poiché osservo dirsi da lui, che l' uomo e gli altri animali (n.° 2.) differiscono dalla materia inanimata e da essi me- desimi morti per questa sola proprietà, che possono da cose esterne o da certe azioni loro proprie venire affetti in modo, che si producano effetti proprj di essi vivi, cioè le loro azioni; e poiché rifletto soggiungersi, che la proprietà per mezzo della quale le sopraddette cause agiscono , dicesi eccitabilità, che potenze eccitanti appellansi le cause mede- sime, e che l'effetto di queste, le quali agiscono sulla ec- citabilità si denomina eccitamento; concludo evidentemente stabilirsi da lui, altro non essere l'eccitabilità, che quella sola proprietà per cui gli esseri viventi possono da certe cause esterne o dalle azioni loro proprie venire affetti ; ed altro non essere 1' eccitamento, che la produzione degli effetti proprj degli esseri vivi, ossia l' esercizio delle azioni proprie di questi esseri vivi. Ma Brown pone, che la vita altro non è che l'eccitamento (n.° i ). Dunque collocando invece della parola eccitamento 1' espressione equiva- lente = esercizio delle azioni proprie degli esseri vivi, ossia degli esseri dotati di vita =; ne segue che, tolto il giro delle parole, Brown nella sua definizione viene in fondo ad asserire, che la vita è l'esercizio delle azioni proprie degli esseri dotati di vita. Ora nella espressione dotato di vita, o si vuole dal nostro autore che la parola vita espri- ma l' attuale esercizio delle accennate azioni, o si vuole che significhi la facoltà soltanto di esercitarle. Nel primo di questi casi venendo l' esposta definizione a dirci infine, la vita è la vita, nulla ci dice ; ed è quindi affatto inutile : nel caso secondo poi colla stessa parola vita esprimendosi nel tempo medesimo, e la facoltà solamente di esercitare certe azioni, e l'attuale esercizio delle medesime, essa de- finizione è affatto incoerente. Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 32,7 9. Proseguendo l'intrapreso esame, rifletto essere bensì vero, che il significato delle parole è arbitrario ; ma però quando una qualche parola è stata già nel comun parlare accettata sotto una certa significazione, tale significazione non è più lecito di cambiare ; poiché altrimenti potrebbero di leggieri insorgere delle ambiguità e quindi degli errori. Ciò posto, la definizione della vita secondo Brown conviene essa con l'idea, che alla parola vita viene volgarmente ap- plicata? Osserviamolo. Se dal solo eccitamento si costituisce la vita, tosto che quello manca, mancherà questa ancora, ossia vi sarà morte, giacché lo stato contrario a quello della vita dicesi morte. Ora l' eccitamento altro secondo Brown non è, che -l'effetto delle potenze eccitanti sulla eccitabilità, e comune effetto delle potenze eccitanti, aggiunge lo stesso autore ( n.° a ), è il senso, il moto, le affezioni dell'anima e l'azione della mente. Costituendosi adunque da queste funzioni P eccitamento ; se qualcuna tra esse non si eserciterà, man- candone l'eccitamento corrispondente, vi sarà morte rispettiva; e se taceranno tutte, mancando l'eccitamento intiero, vi sarà morte universale. Se un occhio preso da amaurosi transitoria nulla risenta l'azione della luce, esso per la posta definizione dovrà, riguardo alla facoltà visiva, dirsi morto-; poiché allora in esso, riguardo alla visione, niuno è l'eccitamento. Dovrà quindi un albero nella stagione rigida considerarsi morto, giacché in tale stagione niun eccitamento in esso apparisce. Ma questa interpretazione della vita e della morte non corrisponde per certo- all' idea, che di simili parole si ha volgarmente. Giusta l'idea comune, acciocché un corpo dir si possa privo di vita, fa d'uopo, che in esso il moto, il senso, le affezioni e l' azione della mente manchino uni- versalmente e perpetuamente. Niuno quindi nel comune parlare dice morto, anche riguardo alla sola visione, l'occhio, che non vede per la supposta amaurosi ; sì perchè tal'occhio, guarita l' amaurosi, nuovamente vede : sì perchè le altre sue funzioni, come sono la nutrizione, il circolo ecc. esercitami 3a8 Intorno alla Definizione della Vita ecc. tuttavia. Niuno così, giusta il cornuti modo d" intendere, considera nell'inverno morto quell'albero, che al sorger di primavera vegeta nuovamente. Morti si dicono, e l'albero, e l' occhio, mentre in essi siano cessate le funzioni tutte, e cessate pienamente e irreparabilmente. Chiameresti tu, dice un celebre autore sostenitore della definizione Browniana, vivo il Rotifero in tutto quel tempo nel quale secco rimane e contratto quasi un' arida pergamena ? Ma io con proprietà e verità maggiore risponderò : chi mai tra la comune morto dirà il Rotifero, in qualunque stato si truovi, mentre umet- tato con acqua vegga, che esso muovesi nuovamente ? Dirà, che da prima era apparentemente e non realmente morto ; morto veramente lo direbbe, mentre, qualunque mezzo si adoperasse, non potesse più il Rotifero eccitarsi all' esercizio delle funzioni proprie della vita (4)- Dunque non convenendo l'esposta definizione con l'idea comune della vita, dovrà per questa parte dirsi per lo meno inopportuna e inducente con facilità in inganno. io. Acciocché la definizione di qualche parola sia esatta e determini precisamente la cosa, che vuoisi con essa espri- mere, deve tal definizione convenir tutta alla cosa stessa. Ma quando con Brown consideriamo essere sì gli alberi, che gli animali dotati in egual modo di vita : quindi senza distinzione diciamo costituirsi la vita dall'eccitamento, e poscia aggiungiamo essere F eccitamento l' effetto dello sti- molo sulla eccitabilità, e questo effetto essere moto, senso, azion della mente ed affezioni dell'animo; noi così stabi- (4) Quand'anche sulle asserzioni di alcuni recenti naturalisti ammetter non vogliami le osservazioni di Spallanzani rispetto al Rotifero, altri fatti si possano citare in prova, che la vita comunemente intesa sussiste indipendentemente dall' attualità delle funzioni ossia dall'eccitamento. Tale è la vita dell'individuo ca- duto in completa asfissia, pure suscettibile di essere richiamato all'esercizio delle funzioni j tale quella del seme vegetabile e dell'ovo animale, atti, l'uno al ger- mogliamento, l' altro allo sviluppo, prima d' essere confidati il primo al terreno, il secondo alla incubazione ecc. Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 329 liamo una definizione, la quale tutta alla vita degli alberi non conviene, giacché a questi né i sensi appartengono, né le affezioni dell' animo, né V azione della mente. Dunque 1' esposta definizione della vita è ancor per questa parte viziosa. A togliere simile obiezione, si risponderà di certo esservi sempre eccitamento, ogni qualvolta una soltanto si eseguisca di quelle funzioni, le quali sotto il solo vocabolo di eccitamento vengono da Brown comprese ', ogni qualvolta cioè per l'azione di uno stimolo nella eccitabilità abbiasi o un solo moto, o un solo senso, od una sola tra le varie azioni ed affezioni della mente; ma da questa spiegazione vedremo nella definizione insorgere un altro vizio, cagione infausta di più gravi errori. ir. Pongasi, che ad un uomo di recente ucciso si applichi il galvanismo. Per 1' azione di questo sulla sostanza nervea e la musculare, produconsi in quest'ultima delle contrazioni, e quindi dei movimenti più o meno irregolari, più o meno validi in varie parti del corpo. Dunque in quest'uomo effet- tuandosi de' moti per 1' applicazione di uno stimolo sulla eccitabilità, in conseguenza della posta definizione saravvi vita. Ma da esso partissi già quella sostanza immateriale, che diciamo anima ; si perchè in lui manca affatto qualunque potenza a più sentire ed a più esercitare alcuna delle fa- coltà intellettuali ; e sì perchè queste medesime contrazioni, che dal galvanismo si osservano, possono effettuarsi e si eseguiscono di fatti ancora in un semplice muscolo dal corpo recentemente staccato, nel quale per certo 1' anima non esiste. Dunque secondo la definizione Browniana può nell' uomo essere vita, senza che esistavi anima : ma nella comune interpretazione della vita è questo un assurdo., poiché giusta tale interpretazione non può nell'uomo esser vita senz'anima: dunque, mentre con la parola eccitamento esprimasi come si è detto di sopra o un solo moto, o un solo senso, o una sola delle azioni, o delle affezioni dell' animo, dalla esposta definizione viene a trascurarsi una sostanza quale è l'anima, Tom. I. 4a 33o Intorno alla. Definizione della Vita ecc. essenziale giusta il comun pensamento alla cosa definita; e per conseguenza sotto questa seconda significazione dell'ec- citamento, essa definizione diviene più gravemente inesatta. 12. L' eccitabilità secondo Brown è sempre una sola proprietà. Dunque un solo ed uno medesimo sempre esser deve il principio, da cui 1' eccitabilità deriva : ora 1' eccita- mento producesi sempre dalla applicazione degli stimoli alla eccitabilità ; dunque prescindendo dagli stimoli 1' eccitamento ancora proverrà da un medesimo e solo principio ; e se tal principio è sempre il medesimo e solo, sarà esso necessaria- mente lo stesso, sì nell5 uomo recentemente ucciso, che ab- biamo di sopra supposto, come in un uomo non ucciso; ma nell' ucciso l'anima, come si è già notato, manca, onde in esso F eccitamento si ha senz' anima, e però non dall' anima. Dunque eziandìo nelF uomo non ucciso F eccitamento, e però, giusta la definizione Browniana, la vita non si avrà dall' anima. Ecco quivi un argomento, mediante il quale, ammessi i principj di Brown e la sua definizione della vita, o venghiamo indotti a negare nell' uomo vivente F esistenza delF anima, e venghiamo così indotti al materialismo, il quale dalla Religione non solo, ma dai metafisici ancora è per argomenti evidentissimi riprovato ; oppure deve F anima considerarsi, non come il principio principale della vita, ma come un semplice stimolo agente sulla eccitabilità, consi- derazione, la quale, oltre che lede la dignità dell' anima ed il fine per cui l'Onnipotente ha creato l'uomo, agevol- mente poi dimostrasi essere falsa. Mentre difatti F anima eseguisce le proprie operazioni, deve bensì servirsi del ce- rebro e dei nervi, come d'istrumenti per ora alla sua azione necessarii, e su di questi agisce, come prima causa ecci- tante : ma anche gli ultimi effetti delle esposte operazioni, io dico, che non si possono concepire, che da lei medesima : imperciocché se ciò non si volesse, non si potrebbe volere, se non che essi fossero concepiti dal cervello, o dai nervi, o da altra parte qualunque essa si voglia del corpo; ma tali Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 33 i ultimi effetti altro infine non sono, che idee, giudizj, voli- zioni ecc. : dunque verrebbe così a volersi, che dal cerebro, o dai nervi, o da altra parte della macchina fossero conce- pite le idee, le volizioni, i giudizj ecc., e quindi cadrebbesi nuovamente nel materialismo. Pertanto essendo 1' anima non solo causa prima delle proprie operazioni, ma il soggetto ancora dal quale gli ultimi effetti delle medesime si conce- piscono ; assurdo sarà il considerar lei, come puro stimolo. Effettuandosi pertanto dall' anima non solo, ma nell' anima ancora, molte delle principali funzioni della vita, quali sono le idee, i giudizj, le volizioni ecc., dobbiamo necessariamente concludere, essere V anima nell' uomo cagione non solo, ma sede ancora principale della vita (5). Dall' altra parte poi osservo, che in essa non può aver luogo l'eccitabilità Brow- niana, perchè questa è propria soltanto della materia or- ganizzata, e 1' anima non può essere materia né organizzata, né bruta. Dunque neppure alcuno eccitamento , siccome quello, che è sempre effetto di un qualche stimolo sulla (5) Un illustre fisiologo italiano scrisse non ha guari : « il tacciare Brown di materialismo è calunnia delle calunnie )) ( Martini Lezioni di Fisiologia. T. II. Torino, 182,6, pag. 287 ); e tale sentenza non saprebbesi invero conciliare, dopo i ragionamenti esposti nella presente memoria, colla proposizione di Brown: « che il moto, il 6enso, le affezioni dell' animo e 1' azione della mente sono effetti identici )). Indi si giustifica il divisamento del chiarissimo autore della memoria, e quello dell'Accademia nel pubblicarla. Potrebbe soltanto a taluno sembrare, che il chiarissimo autore non affatto esattamente si esprimesse dov' egli conclude (( essere 1' anima cagione non solo, ma sede ancora principale della vita ». Intorno a che vuol già tenersi, anche pe' ragionamenti esposti dall' autore in questo e ne' §§. antecedenti , che 1' anima è certamente una condizione essenziale della vita permanente dell' uomo, e che per essa indubitatamente ed in essa succedono i fenomeni intellettuali, essendo provato che la sola materia, avvegnaché organiz- zata, è incapace di questo genere di fenomeni. Il chiarissimo Ruffini non adottò però giammai espressamente la sentenza Stahliana, che attribuiva all' anima la causa generale e il principio unico di tutti i fenomeni della vita dell' uomo ; sentenza , che resta esclusa specialmente da' fenomeni caratteristici di vita osser- vabili negli individui decapitati, e contro alla quale sta altresì 1' osservazione, che 1' anima non partecipa colla sua coscienza al maggior numero delle funzioni proprie dell' uomo vivente. 33a Intorno alla Definizione della Vita ecc. eccitabilità, potrà mai aver luogo o sede nelF anima ; ma la vita non è secondo Brown che eccitamento : dunque secondo Brown non potrà l'anima nell'uomo essere in guisa alcuna sede della vita. Ora questa conclusione opponendosi alla precedente, è necessariamente assurda ; come assurdo è il considerare 1' anima come semplice stimolo. Dunque an- cora la Browniana definizione della vita^ poiché porta a simil conseguenza^ dir si dovrà essa pure assurda, o almeno gravemente capace di condurre in errore. i3 Poiché finalmente le decomposizioni, le composizioni e le attrazioni, che si eseguiscono nelle grandi opere della digestione^ della sanguificazione, della nutrizione e delle se- crezioni, non si possono effettuare se non se dall' animale vivente, ed entro delle sue viscere^ dipenderanno esse ne- cessariamente dall' azione della vita, mentre la vita prendasi in quel senso generico, che si vuole dai moderni fisiologi. Dunque in una esatta definizione della vita, dovendo com- prendersi tutto ciò, che alla vita necessariamente appartiene e che senza vita non può eseguirsi ; concluder dovremo, che anche per questa parte inesatta è la definizione Brow- niana ; perchè mentre da essa appellasi vita 1' eccitamento, tutte le operazioni ora esposte, le quali non sono per certo eccitamento, rimangono escluse. Affine di proteggere la de- finizione in quistione il sopra mentovato illustre autore ( Tommasini : Lez. crìt.ecc. Tom. I. pag. 217) denomina le accennate funzioni piuttosto processi della vita preparatori , ed asserisce, che esse per se non riguardano né l'atto della vita, né la vita stessa, quantunque ad essa subordinate. Concedo agevolmente, che le esposte funzioni possonsi dire processi preparatorj della vita, giacché per esse eseguisconsi la nutrizione de' solidi, la riparazione delle forze e la rige- nerazione degli umori ; ma non concedo egualmente l' asser- zione ulteriore : imperciocché se queste operazioni eseguir non si ponno indipendentemente dall' azione della vita e sono ad essa subordinate, come potrà mai dirsi, che non riguardino né 1' atto della vita, né la vita stessa ? Memoria del Prof. Paolo Ruffini. 333 i4- Se tale pertanto è la definizione che Brown assegnaci della vita, quale 1' abbiain riscontrata in conseguenza delle riflessioni fin qui eseguite; lungi dal potersi essa considerare veramente esatta, robusta e incapace a qualunque confronto si appelli di smentire quella precisione filosofica da cui si pretende die venga distinta, vedesi, che dovremo al contrario riguardarla, siccome atta gravemente ad indurre in errore, e degna per conseguenza di essere rigettata. Ma se è da ricusarsi la definizione Browniana, quale altra definizione potrà formarsi della vita meritevole di essere ricevuta ? Finattantocbè vogliasi considerare la vita troppo genericamente, e prendere si voglia, come pure pretendono di fare i moderni fisiologi, siccome una cosa sola la vita de' vegetabili, 1' altra de' bruti e quella dell' uomo; oso asserire, che mai si giungerà a stabilirsene una definizione esatta, precisa e incapace di condurre in errore. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NELLA f E II* PARTE DEL TOMO PRIMO Offerta delle Memorie alla R. A. di Francesco IV. Parte Prima Cenni storici della R. Accademia pag. Ili Statuto « XXVIII Elenco Alfabetico dei Socj Attuali « XXXIII Parte Seconda Memorie della sezione di Scienze Ruffini Paolo — Riflessioni intorno alle definizioni Brotcniane dell' Eccitabilità, dell' Eccitamento, degli Stimoli, delle Malattie, e delle Diatesi, ed alle successive dei Contro- stimoli e della Irritazione pag. 1 Ruffini Paolo — Osservazioni intorno al moto dei Razzi alla Congrève ( con una tavola ) '(56 Crkmona Gio-Francesco — De' punti singolari delle curve piane ( con ima tavola. ) « 79 336 Parenti M. Antonio — Sulla dottrina della Indipendenza naturale dell' Uomo pag. 89 De' Brignoli di Brunnhoff Giovanni — Sopra la Genesi degli odori, de' sapori e della virtù medicamentosa ne' vege- tabili « 101 Tirelli Luigi — Sopra il diletto del Terrore e della Compassione nelle Arti d' Imitazione singolarmente nella Tragedia « 122 Bianchi Giuseppe — Saggio di Astronomia Analitica ( con una tavola ) « 1 57 Amici Giovanni Battista — Descrizione di alcune specie nuove di Giara , ed Osservazioni Microscopiche sulle medesime ( con cinque tavole ) « 199 Barani Bartolomeo — Osservazioni sul Morato di Calce e sulla natura del Sugo contenuto nel Gelso Morus Alba del Linneo « 222 B araldi D. Giuseppe — Sopra il Saggio di Confutazione Del Dupuis nell' opera Intitolata Origine di tutti i culti ... « 232 Banconi M. Luigi — Sulla decomposizione e trasformazione delle funzioni Algebriche frazionarie « 254 Ruffini Paolo — Intorno alla Definizione della vita assegnala da Brown « 319 «ai. *&y MODENA DALLA REALE TIPOGRAFIA EREDI SOLIANI »pr ■f ns> V 4 n tu. MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE E D ARTI DI MODENA TOMO I. Parte III.' e IV.a Vitti, ~ % ' san 8 57 "/^.^cxp MEMORIE DELLA REALE ACCADEMIA D I SCIENZE, LETTERE E D'ARTI TOMO I. Qù-vido cri ac&a/à» pag- 47° spiega la quantità e le condizioni dei predetti premj. (3) De Legìbus L. a. e. 5. n. 14. e. 6. n. i3. XIII filosofo da lui combattuto che « sebbene la ragione sia facoltà propria dell' uomo, <( tuttavia il lume della ragione non è cosa che appartenga all' uomo, ma è dall' uomo « distinta, cosa infinitamente maggiore dell'uomo, al tutto divina; e indi è che « procede V obbligazione morale, che s' impone all' uomo. » II Socio attuale sig. Conte Paolo Abbati Marescotti, Guardia Nobile d' Onore di S. A. R., recitò un Carme Alla Pace ( pubblicato nell' Albo, pag. 43 )• Il Socio attuale sig. Prof. D. Giovanni Battista Tarasconi lesse un suo Epigramma latino in morte del P. Carlo Odescalchi d. C. d. G. ex-Cardinale ( già pubblicato nella Cuntinuaz. delle Memorie di Religione N. 35. T. XII. pag. 36o ) ; ed un Sonetto del Socio attuale sig. Prof. Giuseppe Tonelli : Un pensiero della vecchiezza ( pubblicato nell' Albo, pag. 73, e ripubblicato con alcune varianti nella Necrologia del predetto sig. Prof. Tonelli , stampata nell' Appendice del Foglio di Modena N. l36, 20 ottobre 1842 ). Da ultimo il prelodato sig. Prof. Giuseppe Lugli lesse un Saggio di una versione poetica della satira prima di Giovenale zz Motivi e pericoli della satira z= del Socio attuale sig. Avv. Prof. Filippo Cocchi, Procuratore Fiscale presso il Tribunale di Giustizia di Reggio. Adunanza pubblica del 2 dicembre 1841. Il Socio attuale e Direttore della Sezione di Lettere sig. Avv. Prof. Marc' Antonio Parenti, in una sua breve Introduzione alle accademiche esercitazioni, osservò come « Nella repubblica letteraria, le colpe che troppe volte ottengono la tolleranza « anzi 1' applauso de' presenti, sono da' posteri giudicate con un rigore che supera n d' assai quello de' tribunali istituiti per contenere in ordine la civil compagnia. D Né solo s' intende a far giustizia del demerito: ma addebitando i vizj de' singoli alla generalità de' contemporanei, sono avvolti inesorabilmente nella condanna le generazioni intere ed i secoli. Cusì fu presso di noi del secento, i cui ampollosi antesignani e maestri precipitarono ben presto nell' obblivione o furono riservati a seguo tale di vitupero e ludibrio nel secolo susseguente, che questo non avrebbe consentito a porgere orecchio a qualsivoglia apologista o escusatore. Eppure alcune corone debbono rimanere intatte e riverite al secento, ed ormai ogni ragiono il consente. E qui il nostro Socio parlò di que' grandi che ne' campi delle lettere rac- colsero palme non isfrondate ddl tempo, fra' quali (per nominare qui soltanto coloro che crebbero sotto la paterna dominazione degli Estensi) il Graziani, il Testi, il Tassoni, e ne' suoi primordj il T.igliazucchi. Da queste rimembranze gloriose fu condotto il nostro socio a « rammentare alla (( docile e generosa gioventù, dalla quale speriam consolati, anche ne' buoni studj. « li tempi di ristorazione e di pace, che que' nomi illustri intanto si procacciarono « titoli all' immortalità, in quanto seppero ritirarsi dalle viziose consuetudini del « loro secolo, e meritare il suffragio dei posteri, con successo tanto più mira- li bile, quanto maggiori furono le preoccupazioni e la severità de' giudizj contro « un' età pervertita. Anche al presente fa d' uopo del loro senno e del loro corag- <( gio nel resistere al torrente che trascina gì' ingegni per vie, quanto men faticose. <( tanto più lubriche e disperate d' onorevole riuscimento. » Il Socio attuale sig. Conte Paolo Abbati Marescotti, recitò una nuova sua Tra- XIV gedia intitolata Sant' Ermenegildo, (stampata in Modena nel 1842, coi tipi Eredi Soliani ). Il Socio attuale sig. Marchese Cesare Campori, Ciambellano di S. A. R., lesse uua Dissertazione intorno al Dramma lirico, ( pubblicata nel Giornale Letterario Scientifico Modenese N. 32, T. VI. pag. n3 ). Il Socio attuale sig. Avv. Giulio Franciosi di Carpi lesse per saggio d' un suo Poema in terza rima intitolato 1 tre Tempi, un frammento in cui è trattato il Ri- tiro delle vergini nel tempio di Salomone ( forma il canto 6 del Libro I stampato in Modena nel 1842, per Vincenzi e Rossi). Relazioni dell' anno 1842. Adunanza della Sezione di Scienze nel 27 gennajo 1842. Il Segretario Generale dell' Accademia Socio attuale permanente Prof. Geminiano Riccardi lesse la Memoria, da lui presentata nell' adunanza del 5 agosto 1841, svi- luppando 1' argomento propostosi coli' ajuto del calcolo. Qui si dà solo questo corto cenno di tal lettura, perchè la materia fu riassunta dal Socio disserente nel preac- cennato suo Cenno di studj intorno al principio delle velocità virtuali, spogliandola d' ogni apparato di calcolo e riducendola a stretto raziocinio filosofico, per adattarla all'indole dell'opera in cui venne poscia inserita ( v. Albo pag. 204). Il Segretario della Sezione di Scienze Socio attuale sig. Prof. Giuseppe Generali lesse, un breve rapporto di alcune opere mediche offerte dai loro Autori in dono alla R. Accademia : e presentò uno strumento chirurgico per 1' estirpazione delle tonsille proposto dal sig. Dott. Giuseppe Baldacini. L'esame di questo strumento viene affidato ad una Commissione composta del Socio attuale permanente sig. Prof. Giovanni Bianchi, e di esso sig. Prof. Generali. Il Socio attuale N. U. sig. Consultore del Ministero di Pubblica Istruzione ed Economia, Dott. Pietro Gaudini prese a dichiarare alcune sue idee circa all' equi- librio di un sistema di forze rigorosamente simmetrico, tanto riguardo alle rette dalle quali esse sono rappresentate, quanto riguardo ai punti a cui trovansi applicate. Le vedute del nostro Socio sopra tale argomento danno motivo di tenere che, qual- ora esse sieno estese ulteriormente, possano tornar di vantaggio nell' insegnamento delle Meccaniche discipline ; avendo egli intanto con facilità dimostrato il teorema dell' equilibrio di quattro forze rappresentate dai lati di un qualsivoglia parallelo- grammo ed applicate due all' uno, e le altre due all' altro dei vertici opposti del medesimo: dal qual teorema deduconsi poi tutte le altre proposizioni che si riferi- scono alla composizione delle forze disposte comunque in un piano. Il Socio attuale sig. Prof, e Cav. Stefano Marianini comunicò la soluzione di al- cuni problemi di magnetismo (pubblicati nell' Albo pag. 47)- XV Adunanza della Sezione di Lettere nelV 8 febbrajo 184^. Il Socio attuale sig. Conte Giovanni Galvani lesse una sua prosa sopra 1' Ori- gine dei Trovatori dai Dardi, e per occasione dei Troverri dagli Scaldi ( pubbli- cata nell' Albo pag. 1 ). Il Socio medesimo lesse poi da parto del Socio attuale sig. Capitano Fortunato Cavazzoni - Pederzini una Visione del mondo futuro intorno agli anni duemila. In essa 1' A. mediante filosofiche e morali, ma tutte scherzevoli immaginazioni di quello che sarà per avvenire, induce a conghietturare che, non ostante qualsivoglia effetto del progresso nel 6apere e nella civiltà, i nostri posteri non saranno per avventura punto più felici di quello che siamo noi vivi nella età presente. Adunanza della Sezione d' Arti nel 3 marzo 184». Il Socio attuale permanente e Direttore della Sezione d' Arti sig. Prof. Giovanni de' Brignoli lesse una breve Nota intorno alla migliore coltivazione delle piante grasse (pubblicata dall' A. in lingua tedesca nell' Albo pag. 199, e riportata in lingua italiana nel ragguaglio che di questo libro ha dato il Giom. Letter. Scient. Modenese N. 3i T. VI. pag. 20 ). 11 Socio attuale permanente sig. Ing. Antonio Lombardi presentò il disegno di una fornace a riverbero da mattoni, fatta costruire dal N. U. sig. Luigi Corbelli di Reggio. Questo disegno fu consegnato al Socio attuale e Censore per la Sezione di Arti sig. Prof. Cesare Costa affinchè, unendolo ai disegni delle altre consimili fornaci dirette a produrre un risparmio nel combustibile, le quali sonosi costruite sotto la sua direzione, possa poi presentare alla Sezione una relazione più partico- larizzata e completa, siccome assunse 1' incarico di fare. Il Socio attuale permanente sig. Prof. Giovanni Bianchi lesse il sunto di una Memoria del 6Ìg. Francesco Selmi di Vignola, Chimico e Farmacista in Modena (ed ora Socio attuale della R. Accademia), intitolata Studj sopra V Albumina. In- dagini intorno la combinazione che forma il cloruro mercurico coli' Albumina, (pub- blicata negli Annali di Fisica , Chimica e Matematiche diretti dal Prof. Gio. Ales- sandro Majoccbi, quaderno di aprile, 1842, pag. 3. ). Il medesimo Socio comunicò poscia a nome dello stesso sig. Selmi 1' annunzio d' altra sua Memoria da stampare in breve e diretta a provare, « che sostituendo all' acqua 1' albume d' ovo quando si fanno reagire i cloruri alcalini sul mercurio dolce per decomporlo, 1' azione decomponente viene renduta più energica », (stam- pata poi nell' appendice al Foglio di Modena N. n5, 8 agosto 1842). Il Socio attuale sig. Assessore Dott. Carlo Malmusi lesse una Prosa con Poesia intorno allo Stipo di Barbara d' Austria, (pubblicata nell' Albo pag. 118). XVI Adunanza della Sezione di Scienze nel 3o Marzo 1842. Il Direttore della Sezione Socio attuale permanente sig. lng. Antonio Lom- bardi comunicò la versione italiana del Rapporto fatto nel 29 dicembre 1839 a"a Imperiale Accademia delle scienze di Pietroburgo dal sig. Kupffer intorno alla grande impresa dell' erezione di Osservatore magnetici , eseguita di concerto fra le Na- zioni Russa, Germanica, Inglese 0 Francese sovra molti punti del Globo terracqueo. Il nostro Socio da questo Rapporto prese occasione di manifestare il suo desiderio che gli Scienziati Italiani si applichino con amore anche a queste osservazioni da cui è lecito sperare, che siano per trarre un giorno incremento le Cognizioni fisiche e meteorologiche. Il Segretario della Sezione sig. Prof. Generali lesse Alcune considerazioni intorno alla coagulazione dell' Albumina del prelodato sig. Francesco Selmi ; ( se ne trova un sunto nel Diario della quarta Riunione degli Scienziati Italiani a Padova N. i5, 29 settembre 1842). Il medesimo sig. Prof. Generali lesse ancora il sunto di una Memoria del sig. Dott. Luca Antonio Tosi di Vignola intorno alla necessità della Rivaccinazione. La Sezione incaricò una Commissione composta dei Socj attuali signori Professori Antonio Goldoni, Giovanni Bianchi e Giuseppe Generali a farne rapporto. Adunanza della Sezione di Lettere nel 14 aprile 1842. Il Socio attuale permanente e Direttore della Sezione sig. Prof. M. A. Parenti comunicò una lettera del Socio attuale sig. Prof. Luigi Emiliani, in cui è trattato della importanza grande e convenienza di uno studio « sopra il modo e le regole (( da seguire perchè si possa quinc' innanzi procedere colla maggior possibile sicurezza « nell' osservare, e conoscere ad un tempo a quali dati finalmente possa il Medico « tenersi certo di avere ben osservato. E tutto ciò collo scopo eziandio, che vengano (( conosciuti gli errori, spesso fatalissimi, che dalle false osservazioni provennero, ad « effetto di liberarne il patrimonio della Medicina. » Il Socio attuale sig. Dott. Bartolomeo Veratti lesse una Cronica inedita di Marco Guidelli da Casalgrande, ove è narrato l'assedio che quel Castello sostenne nel i55^ contro 1' esercito Spagnuolo. Ed a tal Cronica fé' precedere alcuni ragguagli intorno quel castello, ed alla guerra che occasionò quell'assedio; (stampata nel Giorn. Leu. Scient. Modenese N. a5-26. T. V. p. 45)- Il Socio attuale permanente e Censore della Sezione di Lettere, sig. Prof. Giu- seppe Lugli lesse una Dissertazione nella quale parlando in prima della poesia pa- storale, ed in ispecie dell' Idillio, s' apre la via a ragionare del carme latino di Aulo Settimio Severo, poeta Falisco, intitolato Moretum, rispondente ad Agliata. A dilu- cidazione del qual componimento, tocca de' Falisci, popolo etrusco, di lor prodezza nelle armi, del loro amore all' Agricoltura, non meno che degli usi e costumi loro. Istituisce un confronto del componimento medesimo coli' Idillio di Bernardino Baldi, chiamato Celeo 0 1' Orto, e conferma l'asserto di Giambattista de Velo, traduttore di quello in versi italiani, che il Baldi si modellò sopra il poeta Falisco. Conchiude XVII col mostrare la più evidente imitazione della natura nell' uno e nell' altro dei due poemetti; ma forse non sempre scelta e piuttosto servile nel carme latino, e sempre elegante ed aggraziata nell'italiano; in guisa che la copia e per l'ordine e per 1' affettuosa soavità vince 1' originale. Adunanza della Sezione d' Arti nel 19 Maggio 1843. Il Socio attuale permanente sig. Antonio Lombardi comunicò alla Sezione un processo grafico per la trisezione dell' angolo, proposto da Giuseppe Soprani di Fab- brico, artista addetto a questa R. Armeria. Il Socio attuale permanente 6Ìg. Prof. Giuseppe Lugli lesse, per parte del Socio attuale sig. Capitano Fortunato Cavazzoni-Pederzini, la Biografia del Cav. Dott. Domenico Ferrari di Piacenza. La propensione di questo medico illustre verso le Arti utili, e la stima eh' ei facea delle Arti belle e dei loro coltivatori, benché a paragone dei tanti suoi meriti e come Medico e come Cittadino non trovassero in questo scritto che un posto secondario, valgono però a giustificarne la lettura in un' adunanza dedicata specialmente alle Arti. ( Questa Biografia è stampata nella Continuazione delle Memorie di Religione T. XIII pag. 196 e ristampata dall' A. in un Volume di Dialoghi filosofici con altre prose minori, Modena, 1842. Tipogr. Camerale ). Adunanza della Sezione di Scienze nel 9 luglio 1842. La Commissiono incaricata nell' adunanza del 3o marzo precedente di riferire in- torno alla Memoria del Sig. Dott. Luca Antonio Tosi sulla Rivaccinazione, pre- sentò il suo Rapporto che venne letto dal Socio attuale permanente sig. Prof. Gio. Bianchi, membro Relatore di essa Commissione. In tale Rapporto si espone come il Big. Dott. Tosi ha confermato con fatti osservati da lui, quanto dal Gregory e da molti altri fu osservato intorno alla riuscita ed all' utilità del rivaccinare gì' indivi- dui già da parecchi anni vaccinati, per preservarli dal vajuolo arabo. Commendando lo zelo del sig. Dott. Tosi per questo oggetto importante,'la Commissione manifestò il desiderio che in simili sperienze siano fermati d' ora innanzi con maggiore cer- tezza i criterj per istabilire se negl' individui per la prima volta e da parecchi anni vaccinati, la vaccinazione avesse avuto pieno e regolare successo: concluse meritare il Dott. Tosi dall' Accademia un suffragio di onorevole eccitamento a proseguire 1 opera sua in si importante argomento. ( La Memoria del sig. Dott. Tosi fu poi stampata in Modena nel 1842, pei tipi della R. D. Camera.). Il Socio attuale permanente sig. Prof. Giuseppe Bianchi partecipò all' adu- nanza di avere trovato coli' osservazione nella mattina del giorno precedente (8 lu- glio) il principio dell' ecclisse solare a ìy^ 26.' n," 6 ed il fine a 19. h 24. l3," 8 in tempo medio astronomico a Modena, e a contare dal mezzodì del giorno innanzi : riserbandosi poi di pubblicare quanto prima una estesa relazione del fenomeno; (stampata poi nell'appendice ai Foglio di Modena N.' 109 e no, 18 e ai luglio 1842). 3 XVIII Il Socio attuale sig. Ing. Giuseppe Bergolli, Assessore del Ministero di pubblica Economia ed Istruzione, lesse la a.a parte di una sua Memoria sopra le serre, di cui avea letta la parte i.a nell'adunanza della Sezione di Scienze del i.° giugno i83o. In questa il nostro Socio si propone di dimostrare la gran difficoltà, spesso 1' impossibilità e il dispendio sempre enorme dei tentativi per abilitare gli alvei de- gli influenti in Po a contenere le piene senza i frequenti disordini di tracimazioni e di rotte. Perciò egli consiglia 1' impiego delle serre in quelle aste ove cessando ne' fiumi 1' azione dello scavamento si dispongono a quella del colmeggiamento, e sono torrenti-fiumi. Presi ad esempio li due fiumi della provincia di Modena Pa- naro e Secchia, accenna le località per tre ordini di serre per ciascuno d'essi: ne propone la forma come perforata, di facile costruzione, con materiali non troppo costosi, e da compirsi in tre anni, dopo V esperienza dei quali il nostro Socio si ripromette il rallentamento di quella prodigiosa velocità colla quale, scendendo al piano, le acque s' ingorgano e fanno piene spaventevoli. Il Socio attuale permanente sig. Prof. Giuseppe Lugli lesse un'accademica eser- citazione sopra gli Ecclissi ( pubblicata nel Giorn. Letter. Scientifico Modenese N. 3o T. V. pag. 460. ). Adunanza della Sezione di Lettere nel 14 luglio 1842. Il Socio attuale permanente sig. Prof. Giovanni de Brignoli lesse un Invito ai Naturalisti Italiani e di tutte le altre Nazioni a valersi della lingua latina nelle opere loro (stampata in Modena nel 1842 per gli Eredi Soliani). Il Socio attuale permanente e Censore della Sezione di Lettere, Sig, Prof. Giu- seppe Lugli lesse 1' Elogio di Francesco Maria Molza, già da lui recitato nel so- lenne aprimento delle Scuole della R. Università nostra il dì 3.5 novembre i833, ed ora riveduto ed ampliato in qualche parte dall' A. Esso Elogio comparirà quanto prima alla pubblica luce nel T. II delle Memorie Accademiche. Il Segretario generale della R. Accademia Prof. Geminiano Riccardi passò a sottoporre ad un breve esame critico la nota prodotta dal sig. Arago nel Rapporto da lui presentato alla camera dei Deputati di Francia nell' adunanza del 16 mag- gio 1842 intorno alla convenienza di una ristampa delle opere di Laplace ( V. V Institut, journal universel des sciences ecc. 1.'" section. Sciences Mathématiques ecc., N. 439-, 26 mai 1842, pag. 190 ). Questa nota trovasi espressa ne' seguenti termini : « On nous demanderà peut-ètre « pourquoi nous placons Lagrange parmi les géomètres frannais. Voici en deux mots (( notre réponse : (( Celui qui s' a ppelait Lagrange Tournier, les deux noms les plus franc,ais qu' il « soit possible d' imaginer; celui qui avait pour mère mademoiselle Gros; celui dont « le bisaieul était un officier francais, né à Paris; celui qui n' écrivit jamais qu' en « frangais, et fut revètu dans notre pays de hautes dignités pendant prés de trenta « années, nous semble, quoique né à Turin, devoir ètre considéré comme Francois. » Ora il Prof. Riccardi, dopo di aver con facili ed ovvie considerazioni, renduta irrefragabilmente palese 1' insussistenza delle ragioni addotte dal rispettabile Segre- tario della R. Accademia Parigina delle Scienze per togliere all'Italia la gloria di XIX essere la patria naturale di Lagrange, crede di poter fondatamente stabilire, che questo sommo uomo debbasi riputare di nazione Italiana: i. perchè essendo egli nato a Torino, città Italiana, e generato e derivato da padre Italiano non solo, ma ben anche da avolo Italiano, pai conosciuti ed univer- salmente abbracciati principj del diritto civile Romano gli viene di conseguente assegnata l'Italia per sua patria naturale. Anzi è da questi stessi principj, che gli scrittori di Biografie o di storica Letteratura traggono la norma onde risolvere le quistioni, le tante volto promosse intorno alla patria degli Autori delle opere sopra cui 6ono8Ì dovuti trattenere (4)5 a. perchè una moltitudine di scrittori per ogni titolo autorevolissimi, di nazioni diverse ed anche della Francese, tra i quali può additarsi 1' illustre Montucla nel Tomo III della sua Storia delle Matematiche, a.1 edizione, hanno riguardato La- grange di patria Italiana ; 3. e parimente 1' hanno riconosciuto di patria Italiana molte celebri Accademie di Europa, tra cui riscontrasi eziandio la R. Accademia delle Scienze di Parigi, la quale, quando 1' aggregò a 6è medesima, avendolo qualificato col titolo di Mem- bro straniero, non poteva non considerarlo che Italiano; 4. e cosi pur anche la stessa nazione Francese lo riguardò come straniero, e quindi Italiano, allorché per un decreto da essa emanato, sono ormai dieci lustri, sarebbe egli stato costretto ad uscire del suolo francese, se per continuar quivi la sua dimora non si fosse sottomesso a trattare una quistione teoretica che tornasse di qualche vantaggio alla pratica; la quale quistione, secondo quanto ne hanno la- sciato scritto Guyton-Morveau e Poisson, riferivasi alla Teorica de'projetti; 5. finalmente, perchè il medesimo Lagrange espresse il compiacimento che pro- vava di appartenere alla nazione Italiana, fin quando trovavasi a Berlino Direttore di quella R. Accademia per le scienze Fisico-Matematiche, in una sua lettera scritta in lingua italiana, e da lui indiritta il 5 luglio 1776 al dottissimo Matematico Mode- nese P. Odoardo Gherli, ( V. di questo benemerito Domenicano gli Elementi Teorico- Pratici delle Matematiche pure. Tomo VII, Modena, 1777, pag. xii ). Pose poi termine il Prof. Riccardi al suo esame col soggiungere: « Del restola « nota del sig. Arago piglia di mira una depredazione di un genere affatto singo- « lare e trascendente, ed ha 1' aspetto di un novello attentato ordito per avventura « dallo straniero a fine "di privare la comune madre nostra Italia del glorioso e « ben meritato titolo di maestra delle Nazioni; per lo che molto acconciamente (( può dar luogo ad un articolo di più da aggiungersi agli altri onde in più occa- « sioni io ebbi 1' onore di trattenere questa R. Accademia (5), con animo di con- (4) Forse per mera inavvertenza di queste regole, 0 per altra innocente svista, anche in una re- cente storia della Università di Bologna è qualificato per bolognese l'ili. Prof. Antonio Alessandrini, che noi a buon diritto annoveriamo fra' nostri compatriotti. ( IV. d. Compii. ). (5) A queste accademiche esercitazioni si riferiscono i sunti delle Note concernenti alla Memo- ria sugli studj e sulle opere di Legendrcj all'articolo del sig. A. D. L. R. relativo al Discorso sopra alcuni progressi delle scienze M atematiche in Francia dopo il i83o del Barone Carlo Dupin; ed all'altro articolo, che fa parte della Relazione dei lavori prodotti dalla R. Accademia di Brussel- Ics nell'adunanza del l5 dicembre 1839. Il primo di tali sunti fu da prima pubblicato dal n." 47 del Messaggere Modenese, la giugno, l833; e poco dopo riprodotto nello stesso anno dal giornale XX » tribuire in qualche piccola parte a condurre ad effetto, ed ora perciò anche ad <( ampliare, almeno per quanto concerne alle Matematiche discipline, il disegno « che un tempo fu già concepito dal celebre Vincenzo Monti, di fondare cioè, (( ovunque le Scienze si coltivano, una scientifica Polizia, la quale attenta vegliasse « sul prezioso deposito delle nazionali invenzioni, e ne denunziasse al gran pub- « blico gli usurpamenti ». Adunanza della Sezione d' Arti nel 27 luglio 1 842. Il Socio attuale sig. Prof. Alessandro Savani lesse la parte i.a di una Memoria nella quale sono esposte le sue ricerche chimico-tecnologiche sopra la lignite di Garfagnana. L'aumento progressivo del prezzo de'combustibili vegetabili negli Stati Estensi ha promosso la ricerca dei fossili nelle nostre montagne; e diversi saggi ne sono stati spediti al laboratorio chimico della R. Università. Benché finora non siasi rinvequto vero carbon fossile, ma soltanto lignite, non doveasi né si è voluto rinun- ciare all'idea di trarne partito. E perchè il peso della lignite, la qualità delle strade ne' luoghi alpestri, ed il puzzo- che emana dalla sua combustione possono ostare al trasporto ed all'uso di essa nel suo stato naturale, si è proceduto, dietro proposta della R. A. del Regnante Sovrano, a compiere artificialmente la carboniz- zazione della lignite sui luoghi medesimi dove viene scavata, riducendola così a più comoda maniera di trasporto e d' uso, espellendone i prodotti piro-genii liquidi e gazzosi. 11 carbone per tal modo ottenuto è stato sottoposto a varie prove per iscandagliarne la qualità, e determinarne un' utile applicazione alla domestica eco- nomia ed alle arti. Tali prove hanno confermato pienamente la preconcepita aspet- tativa : e sebbene ne' fornelli comuni sia d'uopo coadjuvare e mantenere la com- bustione del carbon di lignite col mescolarvi J, e talora }, di carbone vegetabile, non è men vero però che per molte arti chimico-meccaniche, e per l'uso domestico, ove non occorre un calore molto al di là del rosso-scuro, e spesso ancora non ec- cedente il grado dell'ebollizione, si potrà sempre con risparmio del carbon vege- tabile adoprare quello di lignite; il quale poi ha sopra il primo il vantaggio ben calcolabile di una maggiore durata, ed uniformità di temperatura. Estendendone 1' uso anche alla fucina ed a' fornelli a mantice, il fatto prova eh' esso non diffe- risce gran che dal carbon di castagno, di cui fanno tanto uso i fabbri ferraj : e con tal carbone di lignite si è potuto saldare il ferro portando il calore all'incan- descenza, e comporre e rifondere molte leghe, quelle principalmente che sono di maggior uso nelle arti. francese L'Institut, e dal giornale tedesco Oesterreichisches Archio. ecc. cioè Archivio Austriaco di Storia, letteratura ecc. n.° 93. Gli altri due sunti poi vennero pubblicati dal supplemento al n.Q 1407 della Voce della Verità, 4 agosto 1840. A questo stesso uopo potrebbero eziandio servire acconciamente le Considerazioni relative ad un Teorema, che intendevasi di annunziare come nuovo, sopra una curiosa proprietà de' numeri impari, le quali furono prodotte nel!' anno 1808 dalla stessa Voce della Verità e precisamente nei nn.' 1019, 1034, lo3a. XXI Verificata per tal modo l'utilità che ragionevolmente è da riprometterti dall'uso della lignite carbonizzata per cataste col metodo comunemente praticato dai nostri alpigiani, fu data opera all' incarbonimento in vasi chiusi, lavorando sopra due dello principali varietà (la compatta e la lamellare) della lignite di Garfagnana ; e tenendo conto de' prodotti piro-genii anche per rapporto al modo di utilizzarli, il nostro Socio rinvenne di notabile: i. un liquido alcalino per quantità variabili di carbonato di ammoniaca, che agevolmente fu convertito in cloruro ammoniaco di molto uso nelle arti e nella Medicina ; a. un catrame molto analogo per caratteri fisici e chimici a quello che si ot- tiene dalla distillazione secca del legno; 3. un gas idrogene carburato, al minimo al principio ed al termine della ope- razione, ed al massimo nel tratto intermedio fra' nominati estremi: il quale miscu- glio gazzoso introdotto ed infiammato nel focolare serve di combustibile; e così l'ap- parecchio è alimentato in parte da sé. Estratto poi il carbone dai cilindri e paragonato a quello che fu preparato per cataste all'aperto, vi si è riscontrata costantemente quella superiorità che non può essere negata al carbon vegetabile preparato in vasi chiusi sopra quello che si prepara all' aperto. Queste preliminari sperienze sembrano giustificare il progettato incarbonimento. risultandone, oltre gli annoverati vantaggi per 1' uso domestico e delle arti, una conseguente minorazione ai danni che reca una prematura spogliazione dei boschi. Riconosciuta poi la somma di tali vantaggi è ragionevole congettura, che al difet- toso metodo di carbonizzazione par cataste venga sostituito in appresso quello de' vasi chiusi per distillazione secca, e quindi sia tratto profitto ancora dai prodotti piro- genii, specialmente dal gas e dal catrame. Il prelodato sig. Prof. Savani comunicò poscia all' adunanza una Lettera di chimico argomento diretta dal sig. Francesco Selmi al Dott. Jacopo Attilio Cene- delia, (e già stampata nell' appendice al Foglio di Modena N. 94, 27 maggio, 1842). Il sig. Capitano Giuseppe Vecchj, già professore d' Artiglieria, proseguendo (6) a partecipare alla R. Accademia i risultamenti de' suoi studj diretti a facilitare al soldato l'esecuzione del fuoco vivo, presentò all'adunanza una pistola ed una ca- rabina montate in guisa che, mediante un semplice meccanismo da lui ideato e con- dotto anche ad effetto, le ordinarie capsule da caccia vanno successivamente ad applicarsi al cilindretto sopra del quale si effettua la percussione, sicché tanto dalla pistola, quanto dalla carabina possono ottenersi 70 colpi consecutivi, senza che il soldato abbia bisogno d' inescare per ogni colpo ciascuna di quelle due armi. Lo stesso sig. Capitano assicura inoltre che per mezzo di tale artificio può inescarsi il fucile d'infanteria in modo da produrre sino a 120 colpi successivi; ed espone altro artifizio pel quale si potrebbero avere dalla carabina fino a i5o colpi, colla sola operazione pel soldato di montare il cane dell'acciarino percussore, adoprando senza esporsi a pericolo, come egli dice, una materia fulminante di composizione non molto elaborata, invece delle capsule ordinarie; locchè potrebbe per avventura tornar di rilevante vantaggio nelle manovre militari. (6) Vedi sopra 1' adunanza de) 14 luglio 1841. XXII Da ultimo il prefato Segretario generale della R. Accademia Prof. Geminiano Riccardi, richiamando il processo grafico proposto dall'abile artista Giuseppe Soprani per risolvere il problema della trisezione dell' angolo, e che fu comunicato alla Se- zione di Arti nell' adunanza dal 19 maggio p. p., fece osservare, che siccome un tale processo nel fatto pratico trovasi unicamente appoggiato all' uso del compasso e della riga, così non avrebbe potuto in tutti i casi possibili soddisfare esattamente all'uopo, essendo già noto dalla Geometria, che il problema della trisezione dell'an- golo circino et regula, è di assoluta impossibilità. (V. fra le varie dimostrazioni prodotte dai Geometri a prova di questa impossibilità, quella data dall' illustre e benemerito Cav. e Prof. Vincenzo Flauti, la quale venne anche riportata a pag. 175 e seguenti degli Elementi di Trigonometria rettilinea e sferica, che formano parte dell' aureo di lui Corso di Geometria elementare e sublime, edizione 6.% e che furono stampati a Napoli nel 1819). Fondandosi poi sopra la ben accertata impossibilità cosi di questo come di altri problemi di consimile natura, non lasciò il Prof. Riccardi di dichiarare esser saggio divisamento, che 1' Accademia nostra non si dovesse in verun modo occupare delle soluzioni di siffatti problemi, che potessero per avventura venirle sottoposte ad esame, attenendosi perciò alla ben nota deci- sione abbracciata in proposito dalla pluralità dei Geometri, la quale fu poi anche solennemente sanzionata da una delle principali Accademie di Europa. Relazioni dell' anno 1843. (7) Adunanza della Sezione di Scienze nel 14 gennajo 1843. La perdita del Consigliere Biagio Casoli, Avvocato generale di questo Supremo Consiglio di Giustizia, seguita il dì 9. giugno 1842, è stato uno di que' luttuosi avvenimenti che la R. Accademia non poteva lasciar trascorrere senza una speciale considerazione, avuto riguardo al raro concorso delle molte qualità virtuose ed emi- nenti che 1' adornavano, e che in lui tutti pure riconoscevano, mentre poi anche essa pregiavasi di poterlo additare nell' albo de' suoi membri fin dal 19 novembre 1793, e tenea ricordo, tra le altre sue accademiche produzioni, di una dotta disserta- zione Sìd fondamento delle leggi ossia sul giusto e sull' ingiusto da lui letta in pubblica adunanza nel 3o successivo dello stesso mese, allorché 1' Accademia, animata dai benefici impulsi di Ercole III di gì. r., oltre alle lettere aveva, singolarmente per opera de' Tiraboschi, de' Venturi ec, incominciato ad estendere le sue esercitazioni anche alle scienze. Per tutte queste particolarità 1' Accademia con animo ricono- scente, appena succeduta la perdita del Casoli, concepì il pensiero di rendere al benemerito uomo un tributo di laude: e tale pensiero venne condotto ad effetto dal socio attuale permanente sig. Avvocato Luigi Tirelli che ne lesse in questa adunanza un elogio, il quale è stampato nel Tomo II delle Memorie accademiche pag. 81. (7) In queste Relazioni, come fu fatto per quelle dei due anni antecedenti, si dà un sunto de' la- vori non pubblicati: ma di quelli che sono venuti alla luce si accenna soltanto il titolo, e dove sieno stampati. JKXIII Il Socio attuale permanente sig. Prof. Giovanni Bianchi lesse una lettera diret- tagli Hai valente giovane modenese sig. Dott. Giovanni Muzzioli, nella quale gli dà conto di un'amputazione ischio-femorale da lui felicemente eseguita nel pubblico Ospitale di Modena a di a4 dicembre 1842. Premessa la narrazione dello stato mor- boso dell' infermo, il quale per carie sviluppatasi nel femore destro trovavasi a tal punto che per salvarlo da una morte certa e non lontana, non altro mezzo rimaneva fuorché 1' amputazione da tentare, 0 sull' articolazione ischio-femorale o sotto il gran trocantere; il sig. Dott. Muzzioli espone che per la somma difficoltà di precisare il punto in cui si limitasse 1' alterazione dell' osso e suo periostio, gli convenne pensare ad un metodo atto sì all' una che all' altra delle predette operazioni, per non asportare oltre 1' uopo parti sane, né lasciarne delle infette. Studiati perciò i varj metodi a tal uopo proposti, scelse quello che prescrive la formazione di un sol lembo dal di fuori al di dentro colle parti molli anteriori ed interne della som- mità della coscia, e di recidere poi le posteriori ed esterne circolarmente; colla sola modificazione di far cadere il taglio circolare sotto la natica ed un buon mezzo pol- lice al di sotto del gran trocantere ed indi condurlo all' angolo superiore ed esterno del lembo suddetto. Non occorreva premettere 1' allacciatura della femorale al di sotto dell' arcata crurale, mentre nell' individuo da operare potevasi assai bene ar- restare il corso del sangue comprimendo quell' arteria contro la branca orizzontale del pube « La qual maniera di operare ( osserva il sig. Dott. Muzzioli ) oltre al f( prestarsi, come agevolmente si vede, al doppio scopo suddetto, è poi anche di « facile e sollecita esecuzione, e, ciò che più monta, espone a minori inconvenienti « l'infermo: giacché non tagliandosi le glutee che nelle loro ultime diramazioni di rt molto si minora 1' emorragia, che massime in un soggetto debole, sebbene non (( copiosa, può essere fatalissiraa. )) Non avendo pubblicata finora il sig. Dott. Muzzioli la storia di questa sua ope- razione, ne soggiungeremo qui la narrazione con le parole medesime della sua lettera. (( Fatto trasportare I' infermo in apposita camera, e collocatolo nel modo mi- H gliore sul letto operatorio, disposti gli assistenti, alla presenza dell' ili. sig. Dottor rt Antonio Riccardi professore d' Istituzioni Chirurgiche in questa R. Università e « sig. Dottor Giuseppe Cervi chirurgo primario di questi ospitali, coadjuvato dal « M. R. P. Francesco Maria Bagalli vicario di questi Fate-bene-fratelli, giovine di <( profondo sapere teorico e pratico in chirurgia e medicina, situatomi all' infuori (( del membro affetto conficcai la punta di un coltello lungo stretto e bitagliente (( nella metà dello spazio che separa la spina superiore anteriore dell' ileo dal gran (( trocantere, e spingendolo dall' alto al basso dall' esterno all' interno lo feci pas- « sare sopra la superficie anteriore ed interna del collo del femore e sortire quindi « anteriormente ed in vicinanza della tuberosità ischiatica; abbassandone di poi il « manico e rivolgendo il tagliente inferiore un po' all' infuori, formai un lembo della « lunghezza di ben tre pollici cercando che all' esterno avesse la maggiore esten- « sione possibile. Deposto il coltello arrovesciai in alto il formato lembo, e tosto « mi diedi ad allacciare le arterie recise, nel che fare, perchè la compressione impe- « diva totalmente il circolo del sangue nelle diramazioni della femorale, incomin- (( ciai da due rami situati nella parte interna della fatta ferita mandanti sangue e « forse provenienti dall' otturatoria e dalla interna pudenda, indi passai all' allaccia- li tura della femorale profonda, di poi della superficiale, finalmente della perforante. » XXIV (f Premunitomi così contro 1' emorragia presi un coltello comune da amputazione « e colla mano libera stirata in alto il più possibilmente la cute delle natiche feci « il taglio semicircolare delle parti molli posteriori ed esterne nel luogo e nella ma- le niera 6ovraindicata, indi con un secondo taglio circolare terminai di dividere le « carni più profonde, ed il periostio alla base del gran trocantere. Esaminandosi « in quel punto il femore e da me e dai medici sullodati, presenti all' operazione, « appariva sano: ma non appena lo ebbi diviso colla sega che m'accorsi essere (( alterato e guasto il midollo, il periostio interno infiammato ed in alcuni punti « esulcerato, 1' interna lamina cariata, e nella lunghezza del canale midollare vidi (( raccolta non poca marcia. Per lo che stimando nullo anzi dannoso il fin qui fatto « se non si asportava il rimanente del femore, dato di piglio colla destra ad un « bistorì a lama retta robusta, e fissa in manico, ed afferrato colla sinistra il gran « trocantere, ne portai il tagliente sulla capsula articolare, e la incisi nella sua « parte interna ed anteriore; e spintolo nell'abduzione tagliai il legamento rotondo, « di poi stiratolo in basso fra la sua testa ed il cercine fibroso dell' accetabolo ne « lo introdussi di piatto col tagliente all' infuori, e divisi il restante della capsula, (( finalmente abbassandolo giunsi ai tendini dei glutei che recisi vicinissimo al gran » trocantere. Se si eccettua una piccola arteria mandante poco sangue, proveniente f( forse da una delle glutee esistente vicino alla parte tendinea dei glutei stessi <( e che pensai bene di allacciare, min ebbi alcuna emorragia e nel taglio se- fi micircolare suddetto, e nell' asportazione della testa del femore. » a Né abbondevole fu la quantità di sangue perdutosi dal paziente in. tutt' in- u tiera la suddescritta amputazione, giacché poteva montare a sei o sette oncie, né « alcun inconveniente venne a sospendere od a ritardare il proseguimento, di modo « che in meno di quaranta minuti essa era non solo terminata, ma pulita ben anco (( e fasciata la risultatane ferita, e 1' infermo rimesso nel letto che da prima occu- pi pava » (8). (8) Nella persuasione che debba interessare ai cultori della chirurgia di conoscere 1' esito della operazione sopra descritta, crediamo bene di presentarne in questa nota la relazione, che fu rias- sunta colla scorta di uno scritto esibitoci, dietro nostra ricerca, dal prelodato sig. Dott. Muzzioli. a cui giusta lode amiamo di render palese ch'egli dalla munificenza del providenlissimo Sovrano ha ricevuto onorevole contrassegno della Reale soddisfazione. Ai decimo giorno dell'eseguita operazione più soddisfacente non poteva essere lo stato dell' ope. rato: giacché !a febbre traumatica era quasi del tutto scomparsa, e la piaga si mostrava cicatriz- zata dagli angoli fin verso il mezzo, e la discreta quantità di pus che tramandava era di buona qualità. Se non che due giorni dopo insorgeva un' angioitide accompagnata da versamento sieroso sotto- cutaneo all' arto addominale che in seguito si estendeva al dorso, per cui al ventunesimo giorno, allorquando fu scritta dal Dott. Muzzioli questa lettera, incerta rimaneva la prognosi di tale in- fermo; imperciocché quantunque il male lossesi dietro un'energica cura diminuito, non lo era però in modo proporzionato all' attività di essa, e d' altronde depauperato era lo stato di nutrizione, ed assai rilevante era la debolezza dell' ammalato. Esacerbandosi in seguito nel trentesimo giorno 1' angioitide, aumentandosi ed estendendosi l' anasarca al torace, al volto ed alle mani, facendosi sempre più grande la diminuzione dell' appetito, più marcata la consunzione e la perdita delle forze, prossimo si manifestava il fine letale. Di fatto la mattina del trentesimo quarto giorno biso- gnò sospendere la medicatura della piaga ornai ridotta ad un foro di quattro linee di diametro, perchè vicinissima si scorgeva la perdita dell' infermo, che di fatto spirava alle ore dieci anteme- ridiane di quel giorno, dopo avere per tanto tempo tenuto sospeso l'animo dell' operatore fra l'an- sia di poterlo condurre a lieto fine ed il timore di perderlo. XXV Il Socio attuale sig. Prof, e Cav. Stefano Marianini ragguagliò 1' accademia di alcuni studj sperimentali da lui fatti nelle scorse -vacanze. Questi si aggirano su tre argomenti tra loro affini, quali sono le magnetizzazioni operate dalla boccia di Leida, dalla pila e dalla calamita. Quanto al primo. Gli effetti spesso differenti, e talvolta ancora opposti prodotti dalla 6tessa corrente leida-elettrica sul ferro magnetizzato, sia poi manifesto o no il suo magnetismo, indussero 1' Autore a studiare 1' azione delle dette correnti sul ferro d' ogni magnetismo spogliato. Ed il risultato generale delle sperienze da lui istituite su tale argomento fu che, qualora il ferro non abbia né polarità magnetica, né magnetismo (9), esso si calamita sempre nel medesimo senso, ove la scarica della boccia di Leida vi circoli attorno nello stesso verso. La capacità della boccia, la ten- sione, il più 0 meno imperfetto conduttore che 1' elettrico deve attraversare per cir- colare attorno al ferro, circostanze tutte le quali possono far variare il verso della magnetizzazione in altre circostanze, per nulla valgono ad alterarlo, se il ferro è affatto privo di magnetismo. Questo fatto impegnò 1' Autore ad esaminare di nuovo le analogie da lui sco- perte tra le azioni inducenti e le magnetizzanti delle correnti leida-elettriche, e vide che quelle analogie stanno; purché s'intenda ( rome nella memoria sulle dette analogie aveva già fatto osservare ) che le azioni magnetizzanti si esercitino su ferro calamitato. Diresse in secondo luogo il Prof. Marianini le sue esperienze a indagare se la pila fosse 0 no conforme alla macchina elettrica nel magnetizzare. Le principali analogie da lui osservate tra queste due azioni sono le tre seguenti. i.a Se si magnetizza ripetutamente in un dato senso un ferro mediante la boccia di Leida o la calamita, e poi venga spogliato della polarità agendo su di esso o colla boccia 0 colla calamita in senso opposto, l' Autore ha già da qualche anno dimo- strato, che quel ferro è più suscettibile di magnetizzarsi nel senso in cui già lo è stato. Altrettanto si osserva quando il ferro venga magnetizzato mediante la corrente voltaica. a.a Egli ha del pari osservato che il ferro alterato con altri mezzi nella sua su- scettibilità a magnetizzarsi, se venga poi sottoposto all' azione della corrente volta- ica, si magnetizza più fortemente che non facesse nello stato naturale, qualora la corrente circoli attorno ad esso in modo da magnetizzarlo nel senso nel quale lo Se infausto fu l'esito di una sì ardua operazione, non potrà accusarsi il giovine chirurgo di te- merità per averla il primo qui eseguita; uè si vorrà effetto di mala cura consecutiva supporne la morte- Imperocché intraprendevala egli dietro il voto del chiarissimo sig. Cav. Dott. Giovanni Rossi Prof, di chirurgia in Parma, meritamente dalla fama collocato fra i primi chirurghi che onorano la nostra Italia, il quale congiungendo gentilezza pari al sapere non isdrgnava pregato di portarsi in questo spedalo onde visitare il suddetto infermo ; e lo stesso esimio Prof, de^navasi di approvare tutto quanto fu fatto nella cura consecutiva, e quella additava come unica via da bat- tersi ondo cercare di giungerò a lieto termine, allorquando rivedeva l'infermo ventiquattro giorni dopo eseguita 1' amputazione. (9) L'Autore ha dimostrato, nella VI memoria sopra l'azione magnetizzante delle correnti elet- triche momentanee, che il ferro e le altre sostanze suscettibili di calamitarsi possono contenere il magnetismo sebbene non appajano dotate di veruna polarità, né di altra propiietà magnetica. XXVI era stato fortemente. Nel che 1' elettromotore comportasi pure come la boccia di Leida e la calamita. 3a La corrente leida-elettrica e la calamita, quando operano sul ferro magne- tizzato (e non alterato nella sua suscettibilità a magnetizzarsi) fanno più. effetto quando tendono a diminuire, che non quando tendono ad accrescere il magnetismo. Ed altrettanto si osserva facendo circolare la corrente voltaica attorno al ferro magne- tizzato. Sono tre eziandio le discrepanze più notabili osservate dall'Autore fra l'azione magnetizzante della corrente voltaica, e quella della boccia di Leida. i." La magnetizzazione prodotta dalla corrente voltaica svanisce per la massima parte non sì tosto che essa corrente cessi di circolare attorno al ferro ; laddove il magnetismo generato nel ferro dalla scarica della boccia rimane tutto quanto, come quello prodotto dalla calamita. a.a La corrente leida-elettrica agendo sopra un fascio di fili di ferro produce una magnetizzazione molto più forte, che non quando opera su di un sol filo eguale in massa al fascio e di pari lunghezza. L' elettromotore al contrario magnetizza allo stesso grado e il ferro unico, e un aggregato di fili tutti lunghi com' esso, e tutti insieme pesanti quanto lo stesso filo unico. 3.a Se il ferro è circondato da un involucro metallico, esso viene magnetizzato dalla corrente leida-elettrica più debolmente che quando manca di quell' involucro. Ma la corrente voltaica produce lo stesso effetto e quando il ferro è nudo, e quando è circondato da un tubo metallico anco di così grossa parete, che la boccia di leida non valga a produrre in esso il menomo indizio di magnetizzazione. Crede 1' Autore che quest' ultimo fatto convalidi la spiegazione da lui data delle induzioni volta-elettriche, facendole dipendere dalla tensione di cui è inve- stito il filo metallico congiungente i poli dell' elettromotore. Avverte inoltre che nelle sperienze sull' azione magnetizzante degli apparati voltaici, non fece uso fin ora che di una sola coppia di rame e zinco allestita con acqua salata o acidula. Rispetto poi al terzo argomento, cioè all' azione magnetizzante delle calamite, il nostro Socio si era proposto di indagare la causa del fenomeno eh' egli accenna nella nota al §. xix della citata VI memoria sull'azione magnetizzante delle correnti elettriche. Se un ferro magnetizzato viene sfregato da un capo all' altro sul polo d' una ca- lamita debole (cioè non atta a comunicargli una forza magnetica eguale a quella che già possiede ), e la fregagione si eseguisca come si farebbe per magnetizzarlo nel medesimo senso, il ferro perde della forza. Questo è il fatto. Ecco ora la spie- gazione che ne dà 1' Autore dopo di avere con molte sperienze verificata la gene- ralità del fatto stesso, e con molte altre dimostrata la generalità di altro fatto già qui sopra ricordato, cioè che una data azione magnetizzante fa più effetto quando tende a distruggere, che non quando tenda a rinforzare il magnetismo. Allorché un ferro scevro di magnetismo viene sfregato col polo d' una calamita, se uno scorra solamente dall' estremità al suo punto di mezzo, nasce in esso ferro una polarità contraria a quella che si ottiene con una fregagione fatta nel medesimo senso, ma incominciando dal mezzo, e terminando all' altra estremità. Se pertanto il ferro è magnetizzato, e lo sfreghiamo da un capo all' altro sul detto polo, la prima metà di questa operazione tenderà a distruggere la polarità che in esso esiste, e XXVII nella seconda metà tenderà a rinforzarla. Ma 1' operazione che tende a distruggere fa più effetto di quella che tende ad avvalorare la polarità; dunque la forza ma- gnetica del ferro dovrà diminuire ogni qual volta il polo 6ul quale viene sfregato non valga da se ad eccitare una magnetizzazione egualmente forte, o superiore a quella che il ferro già possiede. Il Socio attuale sig. Prof. Geminiano Grimelli, che ha atteso da molto tempo a studj concernenti le attinenze e relazioni fra il calorico e 1' elettrico negli esseri viventi, lesse una Memoria nella quale trascelse alcune sue osservazioni e sperienze intorno a tali argomenti, riducendole succintamente alle seguenti conclusioni: i.a Gli animali a sangue freddo, come le rane, sottoposte a varie temperature in aria chiusa e satura di vapore acquoso per impedire la varia evaporazione e diseccazione de' loro tessuti organici, e al tempo medesimo sottoposte a diversi ci- menti galvanici, addimostrano che la temperatura più opportuna alla produzione de' fenomeni fisiologici elettrici loro proprj è la media annua e meteorologica del mezzo ambiente in cui vivono. A tale temperatura, che presso di noi è di dieci gradi del termometro ottantigrado, il sig. Prof. Grimelli ottenne in ogni stagione e costantemente le contrazioni tanto nel chiudere quanto noli' aprire il circuito, sia adoprando 1' elettromotore voltaico su detti animali, e spenti e preparati galvani- camente, e vivi ed assopiti col versar loro sopra un po' d' alcool, sia formando il semplice circuito nerveo musculare coli' addurre la sezione, trasversale de' nervi crurali recisi presso la colonna vertebrale ad immediato contatto della seziono tras- versale de' muscoli corrispondenti recisi presso 1' articolazione del piede, nelle rane preparate alla galvanica (io). a.a Negli animali a sangue caldo, come ne' conigli e nell' uomo stesso, la tem- peratura ambiente più opportuna alla produzione dei medesimi fenomeni fisiologici elettrici per mezzo della pila di Volta si è la media fisiologica propria di simili ani- mali cioè di 15." R. Osservò pertanto il nostro Socio che nelle stagioni e nelle ore delle giornate più calde, quanto più la temperatura si elevava oltre i ao.° tanto meno efficaci riescivano le scariche a provocare le contrazioni musculari nei predetti animali, non che in alcuni infermi di paralisi di moto; che anzi le scariche mede- sime, e più specialmente le correnti continue, lasciavano oltremodo spossati ed in- fraliti i muscoli con sequela di copiosa traspirazione cutanea o sudore nelle parti elettrizzate. Dedusse da tutto ciò il sig. Prof. Grimelli doversi combinare la più acconcia temperatura colla conveniente azione dell' elettromotore voltaico quando lo si ap- (io) Il nostro Socio Prof. Grimelli già fin dall'anno p. p. pubblicò l'ora accennato semplicis- simo suo metodo per ottenere le contrazioni negli atti tanto del chiudere quanto dell' aprire il pretto circuito nerveo-musculare della rana galvanica, dimostrando fin d'allora opportuna alla pro- duzione di simili contrazioni la detta media temperatura dei io gradi ( Lettera elettrico-fisiologica al eh. ili. Prof. Cav. G. B. Amici, Foglio di Modena n. 124, 9 settembre 1842); così pure fin dal 1839 pubblicò l'altro non meno semplice suo metodo per ottenere, al favore della stessa tem- peratura, le contrazioni nei momenti del chiudere e dell' aprire il circuito dell' elettromotore vol- taico applicato alle rane viva ed assopite coll'alcool, restando così quanto sensibili all' elettrico, al- trettanto insensibili agli ordinar] stimoli meccanici e chimici ( Elettricità fisiologico-medica pag. 70, Modena 1839). XXVIII plichi o qual mezzo terapeutico, mercè le sue scariche, contro le affezioni paraliti- che, o qual presidio curativo, mercè le sue correnti, contro le affezioni convulsio- narie spasmodiche. Ed avvertì che in queste ultime affezioni le correnti continue elettriche riescono tanto meglio a sciogliere o calmare lo stato convulsivo nevrolo- gico quanto più promovono le secrezioni ed escrezioni attorno alle parti affette; come il madore o sudore alla cute soprastante alle parti convulse, o la salivazione e il ptialismo nei casi di odontalgia, in tal guisa utilmente trattate con le correnti elettriche continue. Finalmente il Segretario generale Prof. Geminiano Riccardi partecipò alla Se- zione alcune tra le molte lettere indiritte alla R. Accademia nella contingenza della pubblicazione da essa fatta 1' anno scorso dell' Albo offerto agli sposi eccelsi Francesco Ferdinando d' Austria à" Este e Adelgonda Augusta di Baviera; per le quali si ha una luminosa prova dell' alto aggradimento e favore con cui quest' opera è stata accolta non solo dagli Augusti Principi nostri, ma ben anche da altri Prin- cipi protettori essi pure insigni così delle gravi come delle amene discipline, da cospicue Accademie italiane ed estere, e da scienziati e personaggi per ogni titolo ragguardevolissimi. Adunanza della Sezione dì Lettere nel 9 febbrajo 1843. Il Socio attuale permanente e Censore della Sezione sig. Prof. Giuseppe Lugli lesse una Esercitazione accademica sopra Anacreonte, nella quale ricordando quanto si conosce della sua vita, per opera specialmente del cel. Cav. Andrea Mustoxidi, espone il carattere ed i pregi delle sue poesie, e ne riporta parecchie, alcune delle quali tradotte da lui ed altre giusta i volgarizzamenti di accreditati scrittori ( è stata stampata nel fase. 33-34 Tom. VI. pag. 177 del Giorn. Letterario-Scientifico Modenese, coli' aggiunta di parecchie note e di alcune osservazioni intorno ai metri ed al dialetto di Anacreorite dell' altro nostro Socio attuale Prof. D. Giuseppe Fabiani ). Il Socio attuale permanente sig. Prof. Giovanni de Brignoli lesse alcuni tratti di lettere scritte dal sig. Giovanni Apparuti modenese alla sua famiglia da varie parti della terra, in cui si è recato ne' suoi viaggi: dalle quali lettere apparisce il non comune criterio e la singolare acutezza dell' Apparuti nell' osservare, descrivere e giudicare oggetti svariatissimi anche scientifici; (questo scritto fu stampa nel topre- detto Giornale Tom. VI. fase. 3a pag. ioa). Il Socio attuale sig. Prof. D. Giuseppe Fabiani comunicò all' adunanza una sua illustrazione del vers. 7 del cap. xvi dell'Evangelista S. Marco; (stampata nella Continuazione delle Memorie di Religione, fase. 44- Tom. XV. pag. 2.^2.). Da ultimo il Socio attuale sig. Capitano Fortunato Cavazzoni-Pederzini rallegrò 1' adunanza con una sua Lezione scherzevole, nella quale rappresentando la comu- nità degli animali concorrenti alla formazione di un impero che voleano costituire sopra tutto il genere de' bruti, venne indicando per figura quali passioni governino gì' individui e le adunanze intere degli uomini, e quali fatti più di frequente si notino nell' andamento pratico del Mondo. XXIX Adunanza della Sezione d' Arti nel 24 febbrajo 1843. intitolato Modena nel tS^2- Considerazioni popolari di un reduce dal Nuovo Mondo. Finge l'A. che un modenese dopo un soggiorno di quarantanni in America, ritorni in patria, e descriva le nuove cose ch'egli vi osserva. Lo scritto è diviso in tre parti corrispondenti a' tre giorni che il reduce modenese impiega ad osservare la patria rinovellatasi durante l'assenza di lui. Nella prima, entrando egli per la Porta di S. Agostino, loda il pensiero che trasse il Municipio a decorarla, benché non compitamente, di marmi ; augura di veder riprodotta la statua che la pubblica gratitudine eresse a Francesco III d' Este nella piazza di S. Agostino, e nella Chiesa di questo Santo fa voti perchè si onori con monumento la tomba del Muratori: poi si mette per la contrada della Cerca e, benché quasi del tutto mutata in me- glio, vi ritrova tuttora il suo tugurio natale. Proseguendo poi le sue osservazioni, risaluta l'antica cattedrale e la patria torre, e la Chiesa votiva, né inosservata gli sfugge veruna delle grandiose fabbriche costrutte dopo la sua partenza, né de' pub- blici stabilimenti scientifici, 0 di educazione, o di beneficenza. E perchè gli operati miglioramenti sono motivo a bene sperare di altri che pur si desiderano, s'informa de' progetti elio si van maturando, fra'quali quello d'una nuova porta da aprire nella contrada delle Stimmate, la quale, per esser larga e decorata di qualche buona fabbrica, darebbe ottima prospettiva ad un arco trionfale; ed espone ancora qualche progetto suo suggeritogli dall' amore della sua patria, ed in parte ancora da qualche disgraziuccia incorsagli nelle sue passeggiate per la citta, per colpa dei portoni delle botteghe e delle incomode grondaje. Trovato un cugino suo, ascolta da lui parecchie notizie patrie, e le lodi compartite a diversi istituti, e gli ragiona alla sua volta de' sobborghi che un tempo ornavano la nostra città, e che egli con piacere vede risorgere, specialmente fuori di Porta Castello, ove non avea lasciato di osservare la D. villa delle Pentitorri che vagamente per gentil cura delle RR. Principesse si vien ristaurando. Il Socio attuale sig. Ingegnere Assessore Giuseppe Bergoli! presentò i modelli dei lavori da praticarsi nel suo progetto delle Serre, tendente a temperare la furiosa velocità dei fiumi in piena, progetto, che sebbene fosse stato da lui partecipato l'anno scorso alla Sezione di Scienze nell'adunanza del 9 luglio, viene tuttavia per tal modo a conseguire una più ampia e manifesta spiegazione. Il Socio attuale sig. Capitano e Professore Giuseppe Vecchj fece conoscere alla Sezione due suoi artifizj adattabili ai tubi di cristallo delle ordinarie lucerne ad olio, onde con lasciar sussistere i vantaggi che esse apportano sia in riguardo alla luce viva che diffondono, sia al discreto consumo di olio, risulti il loro costo molto minore di quello che corre oggidì nel commercio. In fine il Segretario generale della R. Accademia Prof. Geminiano Riccardi, con intendimento di fissar data, presentò alla Sezione una Memoria del Socio attuale sig. Francesco Selmi, Sostituto alla cattedra di Chimica Farmaceutica in Reggio. intorno agli acidi anidri, agli idratati, all'ufficio che compie l'acqua nelle com- binazioni coi medesimi e cogli ossidi in genere, ed al modo col quale si può risguar- dare la costituzione del tartaro emetico, memoria la quale è indiritta in forma di XXX lettera al chiarissimo sig. Professore e Dottore Bartolomeo Bizio, Vice -Segretario dell'I. R. Istituto Veneto, uno dei XL della Società Italiana delle Scienze ec. ( stampata nel Tomo II.0 delle Memorie della R. Accademia pag. 106 ). Adunanza della Sezione dì Scienze nel aa Marzo 1843. Il Segretario generale della R. Accademia Prof. Geminiano Riccardi nel presentare alla Sezione quattro opuscoli di medico argomento, che le sono stati offerti in dono dal sig. Dott. Ignazio Penolazzi di Montagnana ( nel Padovano ), lesse la lettera con cui questi ne accompagnava la trasmissione, e per la quale sotto forma di quesiti invi- tava 1' Accademia a somministrargli dei lumi intorno al morbo migliare. A tal fine la Sezione incaricò una Commissione, composta dei Socj attuali sigg. Professori Gio- vanni Bianchi, Giuseppe Generali, Pietro Dorderlein e Geminiano Grimelli, ad in- teressarsi onde venissero possibilmente adempiute le ricerche fatte dal sig. Dott. Penolazzi. Seguì poscia la lettura della Memoria intorno ai movimenti delle piante consi- derati in rapporto alle fasi del giorno dell' egregio giovane modenese sig. Dott. Aniceto Moreali, Sostituto alla cattedra di Botanica nella R. Università degli Studj. In tale memoria, che fu presentata alla Sezione di Scienze nell' adunanza del 14 gennajo p. p. dal Socio attuale permanente sig. Prof. Giovanni de' Brignoli, 1' A. prende ad impugnare le teoriche concernenti ai fenomeni denominati dal Linneo veglia e sonno delle piante, che furono proposte dal Dutrochet e dal Raspail; e passando poi anche a discutere quella del Decandolle, si accorda con questo illustre botanico nell' ammettere la disposizione al movimento periodico inerente al vege- tabile, ma non così nel riguardare per essenziale, 1' azione della luce. Il Socio attuale sig. Prof. Pietro Doderlein lesse una Memoria concernente l'ori- gine del fenomeno geologico de massi erratici. L'A. espone in essa da prima i tratti caratteristici di questo fenomeno quanto alla forma, al volume, alla natura, alla posizione, all' accumulazione, alla distribuzione geografica ed alla lontananza dei massi dal luogo ove ebbero la primitiva loro giacitura. Passa quindi in rassegna le varie ipotesi ideate dai naturalisti per rendere ragione di tal fenomeno, e si ferma ove più ove meno alle circostanze che dimostrano inammissibili tali ipotesi. Svol- gendo poscia i proprj pensamenti, ricorda le veraci parole del sacro storico circa 1' avvenimento di un universale diluvio sulla terra in epoca non molto lontana da noi, e precisamente dopo che i continenti del nostro pianeta ebbero presa 1' attuale loro configurazione. Ed osserva nel tempo stesso, che per tutti i dati avuti finora in Geologia, dovea esistere nell'epoca diluviana sulla superficie della terra una temperatura atmosferica, se non al tutto simile, almeno di poco maggiore a quella che regna attualmente nelle diverse contrade del globo, sicché le alte vette de' monti, ed i poli doveano trovarsi in allora, come oggidì, coperti in parte da ghiacciaie e da nevi eterne. Ciò posto, fa riflettere che nella irruzione d' una massa d' acqua che sopravvanzò di i5 cubiti le più alte montagne, i ghiacci alpini scossi da' marosi e dalla temperatura maggiore delle acque circostanti, dovettero sconnettersi e poi distaccarsi dalle sottostanti montagne, trascinando con se que' dirupi petrosi che na- turalmente trovavansi compresi nelle loro masse; ma contrabbilanciando in sul XXXI principio colla propria leggerezza il peso de' contenuti macigni, dovettero pure alcun tempo galleggiare sopra l'universale oceano in balia delle correnti, deponendo que' massi ove il sussulto de' flutti e le circostanze esteriori di temperatura, poterono determinare il loro completo disgelo. Cosi ebbero origine i massi erratici. Esposta questa sua idea, passò il nostro Socio a mostrare, come essa regga ap- puntino a quanto notarono i recenti geologi nello studio delle ghiacciaie alpine, e nella formazione delle successive morene; come si concilii colla possibilità, già riscontrata dal celebre Venturi, ne' ghiacci fluttuanti di trasportare massi petrosi delle più enormi dimensioni; come venga avvalorata dal quotidiano rinvenimento ne' mari settentrionali di numerosi ghiacci vaganti che trasportano seco rocce schian- tate e massi a forma perfettamente analoga agli erratici; ed infine come si presti nella sua applicazione a render ragione di tutti i fatti geologici già indicati, che accompagnano tale fenomeno nelle diverse regioni conosciute della terra. L' idea che enormi dirupi trasportati da ghiacci alpini abbiano alcun tempo viaggiato sopra le onde de' mari geologici sino al punto ove caddero al loro fondo, fu concepita nel i8i3 dagli inglesi Wrede e Hall; la riprodusse più tardi il Ven- turi, ed anche più di recente l'adottò e la svolse il sig. Lyell, cui fecero eco varj naturalisti viventi ; ma ( osservava il nostro Socio ) nessuno finora pensò a connet- tere con questa idea l'apparizione di quella violenta catastrofe narrataci con tanta sapienza e precisione da Mosè, la quale imperversò sopra la terra nell'epoca tras- corsa, e ad attribuirle il distacco delle ghiacciaie e il loro galleggiamento sull' acque. In questo novello ravvicinamento della scienza alla storia sacra il sig. Prof. Doder- lein trova una prova ulteriore per convincersi, che tanto più consoni alla Genesi debbano riuscire i fatti geologici, quanto più essi vengano studiati immediatamente «opra le montagne, e quanto meglio giungano ad essere apprezzate le cause che li produssero e li abbandonarono sopra la terra quali monumenti delle antichissime catastrofi. Il Socio attuale permanente 6ig. Prof. Giuseppe Lugli cominciò la lettura di un sunto ragionato del Compendio di Geografia compilato dal chiarissimo sig. Cav. Adriano Balbi. In questo sunto, che si riferisce all'edizione del Compendio fatta a Torino nel i834in due tomi, il nostro Socio ha preso a dimostrare come il Cav. Balbi abbia adottato, secondo i principj di Strabone a mano mano riferiti, quel metodo il quale è proprio dell' istituto del geografo, e come ad un tempo siasi studiato a sciogliere il quesito proposto dalla Reale Società geografica di Londra concepito ne' termini seguenti: i.° Determinare i confini della scienza del geografo; a.0 Mostrare tutto ciò che fin qui si conosce di positivo in Geografia ; 3.° Indicare tutto quello che è dubbioso; 4-° Additare quanto ci resta ancora da conoscere. Da parte del Socio attuale sig. Francesco Selmi, Sostituto alla cattedra di Chi- mira Farmaceutica in Reggio, venne fatta la seguente comunicazione Sopra alcuni cloroamiduri di mercurio. <( Allorquando si fa agire 1' ammoniaca liquida concentrata sul mercurio dolce, si ha ossido nero di mercurio e cloroidrato di ammoniaca ed un prodotto che rimane sciolto nel liquido, fino a questo punto dai chimici non avvertito, e che io scopersi nell' anno scorso. Diffatto lasciando evaporare il liquido feltrato , collo svolgersi XXXII e dileguare dell' alcali apparisce intorno alle pareti del vaso ove è contenuto il li- quido ed alla superficie di questo, una sostanza bianca cristallina, in quantità piut- tosto tenne. Siccome i cristalli sono piccoli, esaminati colla lente appajono irregolari, disposti a guisa di tanti denti di un pettine, con sembianza stallatitica, ed i denti si presentano come formati da globi irregolari addossati l'uno sull'altro. « Lavati lungamente perdono la bianchezza primitiva che è paragonabile a quella del precipitato bianco, e diventano alquanto giallognoli: i lavacri prolungati per varii giorni, ed assaggiati col nitrato d'argento, danno sempre indizio uniforme di contenere in soluzione debole proporzione di un cloruro; colla potassa caustica manifestano odore ammoniacale, e col solfidrato ammonico non reagiscono. « Scaldati con acqua fino alla bollitura diventano gialli, l'acqua si carica di molto cloridrato ammonico e di pochissimo cloruro mercurico, la formazione del quale può essere evitata, digerendo il corpo a temperatura inferiore agli 8o.° di R. « Da ciò si vede che il corpo bianco cristallino è una combinazione chimica di cloridrato d'ammoniaca col corpo giallo, combinazione distruggibile dall'acqua lentamente a freddo, vigorosamente a caldo. (( Il corpo giallo non dà vapori nitrosi coli' acido nitrico, a caldo, il che lo fa diversificare dal cloro amiduro di Ullgreu; sublimato in cannello di vetro fornisce nitrogeno, ammoniaca, protocloruro di mercurio annerito dall'ammoniaca, un corpo giallognolo che si decompone pure in ammoniaca, protocloruro e mercurio metallico in debole dose. Questa decomposizione, indicando che esso appartiene alla serie dei cloroamiduri, lo dimostra differente dal precipitato bianco comune e da quello di Vòhler. « Se invece di lasciare svaporare il liquido ammoniacale dal quale cristallizza il corpo bianco, si fa subito bollire fino alla scomparsa dell'odore dell'alcali, si vede il liquido, col dileguarsi di quello, intorbidarsi e deporre una polvere bianco- giallognola, insolubile, che può essere di natura diversa secondo la quantità di mercurio dolce adoperato per la operazione. t( Se il cloruro mercuriale è in buona dose, la polvere, scaldata in cannello, si decompone in ammoniaca, poco azoto, ed in polvere gialla che fornisce protoclo- ruro di mercurio, altra ammoniaca e molto mercurio fluente; il liquido, da cui si separò la polvere cosi cimentata, contiene sale d' alembrot, riconoscibile alla cristal- lizzazione ed ai reagenti, ed arrossa debolmente il tornasole. « Se il cloruro mercuriale è in tenue dose, la polvere che si ritrae colla bol- litura è piuttosto cinerea che giallognola; sublimata non fornisce mercurio metallico, ed il liquido non agisce come acido ma sebbene come alcali, contiene però clori- drato d'ammoniaca e cloruro mercurico. « Il sublimato corrosivo abbandona all' ammoniaca liquida un corpo in soluzione che collo svaporarsi dell' alcali, cristallizza in piccoli prismi uniti insieme per una estremità a foggia di stelle. « Il joduro mercuroso ed il joduro mercurico abbandonano metallo pure all'am- moniaca. « Di questi composti come anche degli altri designati di sopra e ricavati col calomelano sto istituendo ora 1' esame per definirli bene e determinare la loro na- tura, la causa del loro nascimento ec. H Come pure farò indagini sull'azione dell' ammoniaca liquida, sopra gli ossidi di XXXII 1 mercurio, e sopra i cloruri e joduri suddetti, quando sia stata caricata preventiva- mente di cloridrato e di jodidrato d'ammoniaca. )) Il Socio attuale sig. Prof. Geminiano Grimelli presentò una sua Memoria avente per titolo: Esposizione di un metodo sperimentale mercè il quale si dimostra la sensibilità animale dei nervi intercostali oltremodo controversa dai recenti fisiologi; ed Esperienze intorno alle contrazioni musculari di flessione degli arti promosse coli' irritazione della estremità cefalica del midollo spinale, e intorno alle contra- zioni di estensione degli arti stessi promosse coW irritazione dell'opposta estremità addominale del midollo medesimo, negli animali tanto a sangue freddo quanto a sangue caldo, (Nel Giornale Letter. Scienti/, di Modena, fase. 3a, pag. i36). Adunanza della Sezione di Lettere nel 3o Marzo i8.|3. Il Socio attuale signor Conte Giovanni Galvani con una Lezione, che forma il settimo de' suoi Preludj alV istoria delle lingue volgari d' Italia, intese a dimo- strare le utilità che per l'istoria predetta si possono ricavare dall'antica lingua d' oilz, e ciò per modo teorico coli' appoggio delle autorità, e per modo pratico coli' esperi- mento degli esempj e dei confronti tra le due lingue Oytana ed Italiana; (stam- pata nella Continuazione delle Memorie di Religione ecc. Tom. XV, pag. 184). Il Socio attuale Vice-Segretario generale della R. Accademia sig. Dottor Barto- lomeo Veratti lesse un cenno biografico intorno al fu nostro Socio Prof. Giovanni Fabriani, che si è dato la sollecitudine di compilare in rammemorazione dei varj titoli di benemerenza con cui in vita si distinse il lodato Professore, il quale fu sventuratamente tolto ai vivi nel momento che da lui si attendeva la pubblicazione di un lavoro attinente ai suoi prediletti studj di Botanica ; ( stampato nel Giorn. Letter. Scientif. di Modena, fase. 32, pag. 146). Il Socio attuale permanente sig. Prof. Giovanni de' Brignoli rallegrò l'adunanza con una Cicalata toccante alcuni particolari del gusto presente della Letteratura in Italia ed in Francia. Adunanza della Sezione di Arti nel 6 aprile 1843. Sul fondamento di una lettera del M. R. sig. Gio: Battista Mordini, Rettore e Vicario Foraneo di S. Andrea Pelago ( nel Frignano ), il Segretario generale della Reale Accademia Prof. Geminiano Riccardi partecipò alla Sezione la costruzione di una gamba di legno e di un fucile eseguita da Gio: Battista Baldini armaiuolo in Pieve Pelago; i quali due lavori, qualificati come nuove invenzioni, fu detto che 1' artista si prefiggeva di sottoporre all' esame dell' Accademia. Il Socio attuale permanente sig. Prof. Giuseppe Lugli lesse un sunto delle os- servazioni fatte sopra i quattro cavalli della Basilica di S. Marco in Venezia, sunto XXXIV da lui compilato in via di dialogo tra il Conte Leopoldo Cieognara, il Cav. Andrea Mustoxidi, il Bibliotecario Jacopo Morelli e il Conte Girolamo Antonio Dandolo; (sarà quanto prima stampato nel Giornale Letter. Scienti/, di Modena). Il Socio attuale permanente sig. Prof. Giovanni de' Brignoli lesse alcuni cenni intorno a due dotte dissertazioni spettanti alla coltivazione degli olmi nel modenese, scritte fin dagli anni 1793, 1793 dal fu Filippo Tarozzi benemerito Segretario per- petuo di questa Accademia. Tali cenni tendono pertanto a notare tutto ciò che quelle dissertazioni contengono di più utile per la modenese agricoltura nello stato attuale della scienza. Il Vice Segretario sig. Dott. Bartolomeo Veratti lesse la biografia dell' illustre letterato ed esimio conoscitore di arti belle Marchese Tommaso Gargallo, da poco tempo passato al numero dei più, e che questa R. Accademia pregiavasi di poter ad- ditare fra i suoi Membri corrispondenti, tanto più che in essa prese parte attiva nella pubblica adunanza del 27 febbrajo 1824 colla recita di due applauditi sonetti intitolati, 1' uno Dio manifestato da se, e 1' altro Dio manifestato dalla Rivelazione; ( stampata nel Giorn. Letter. Scientif. di Modena fase. 3a, pag- 148 ). Da ultimo il Socio attuale sig. Capitano e Prof. Giuseppe Vecchj partecipò alla Sezione un altro nuovo miglioramento che egli si è proposto di apportare alla sua invenzione attinente alle armi da fuoco ( V. i Rapporti delle adunanze della Se- zione di Arti del 14 luglio i84r, e del 27 luglio 1842), pel quale miglioramento possono esse farsi servire e all' antico metodo e al nuovo della percussione senza avere bisogno di alterarle in verun modo nelle parti che le compongono. Lo stesso Socio passò di poi a montare il tubo di cristallo di un' ordinaria lucerna ad olio conformemente agli artifizi da lui descritti nell' adunanza del 24 febbrajo p.° p.° rendendo per tal modo sempre più palese il pratico loro uso. Adunanza della Sezione di Scienze nel 29 aprile 1843. Il Socio attuale permanente sig. Prof. Giuseppe Lugli prosegue e compie la lettura, a cui diede incominciamento nell' adunanza del 22 marzo p.° p.°, del sunto ragionato del Compendio di Geografia compilato dal celebre sig. Cav. Adriano Balbi. Continuando il nostro Socio in questa sua lettura il riscontro di Strabone col metodo seguito dall'autore del Compendio, ha fatto vedere come questi abbia cercato di ri- solvere gli altri punti del quesito proposto dalla R. Società geografica di Londra, e da esso annunziato nella introduzione dell' opera prelodata. Ha poi posto termine al sunto colle parole medesime del Balbi, le quali accennando ai progressi della predi- letta sua scienza precorsero con felice presagio di ulteriori incrementi della stessa, e lo zelo e il fervore a' nostri giorni di proteggerla e di coltivarla ; mostrando eziandio che di questo zelo e fervore sono testimoni e partecipi anche gli avventurosi Estensi Domini colla gran mappa di tutto lo Stato, la quale venne, non ha guari, rilevata dai valenti Topografi del R. Corpo del Genio in Modena. Il Socio attuale permanente sig. Prof. Giovanni de' Brignoli comunicò alla Se- zione un tratto di lettera, non ha guari diretta da Pietroburgo, dal sig. Carlo Adolfo XXXV Mayer al sig. Prof. Mattius in Monaco, col fine di render palese la grande attività che oggigiorno ivi domina per le ricerche di Storia Naturale, tanto al Nord quanto al Sud. 11 Socio attuale Vice-Segretario generale della R. Accademia sig. Dott. Bartolo- meo Veratti lesse una Memoria intorno al Trattato dei difetti della Giurisprudenza dell' immortale nostro Muratori. Questo Trattato, che forma coi tanti altri un titolo di gloriosa benemerenza dovuto al grand' uomo, viene dal nostro Socio riguardato come uno dei fonti del Codice Estense : ( da stampare nel tomo II." delle Memorie accademiche ). Il Socio attuale sig. Prof. Geminiano Grimelli lesse una Memoria tendente a mostrare parecchie analogie anatomiche fra la membrana retina e la congiuntiva corneale, non che alcune comunanze fisiologiche di sensibilità cosi ottica come tat- tile fra simili parti, e le loro corrispondenze di ufficj psicologici nella funzione della visione. I principali argomenti addotti dal Prof. Grimelli a dimostrare le analogie ana- tomiche fra le accennate membrane oculari furono da lui ridotti ai seguenti; i.° gli animali inferiori multiocnlari ossia ad occhi moltiplici, come gì' insetti, presentano ogni loro occhio precipuamente costituito da una espansione profonda o rete ner- vosa corrispondente alla retina, da una soprastante laminetta esagona diafana corris- pondente alla cornea, da una esterna finissima membrana distesa su tal laminetta corrispondente alla congiuntiva, e in ognuno di simili occhi riscontransi le particolari loro foggie di retina e congiuntiva costituite da un comune tessuto mucoso o cellu- ioso, dai medesimi vasi, dagli stessi nervi; a." negli animali superiori poi e nell'uo- mo si rinviene entro il globo oculare, sulla commissura della sclerotica colla cornea, un particolare organo a forma di anello, detto perciò anello cigliare, che è il mezzo di immediata comunicazione cellulo-vascolare-nervea fra la membrana retina e la congiuntiva corneale; infatti simile anello risulta propriamente da un intreccio gangliforme dei tessuti procedenti dal contorno cigliale della retina, non che dai vasi e dai nervi conosciuti sotto il nome di cigliari, e manda attraverso la commis- sura della sclerotica colla cornea le sue produzioni vascolari-nervee alla congiuntiva corneale; 3° simili immediate relazioni fra la retina e la congiuntiva, oltre l'es- sere addimostrate dalle più diligenti osservazioni anatomico-zoologiche instituite su tali parti, sono altresì confermate dalle affezioni della retina, come le amaurotiche, conseguite ben presto da un particolare ammortimento della congiuntiva, mentre le irritazioni della congiuntiva stessa, come quelle promosse da corpicelli intrusi sotto le palpebre, esaltano immediatamente la sensibilità della retina fino alla fotofobia. In ordine poi agli argomenti fisiologici dimostrativi la sensibilità così ottica come tattile tanto della retina quanto della congiuntiva, questi vennero dal nostro Socio riassunti nei seguenti; i.° varia osservazioni ed esperienze addimostrano nell'oc- chio umano la sensibilità ottica e tattile combinate e contemperate in guisa che nella retina quanto supera la ottica sulla tattile, altrettanto nella congiuntiva supera la tattile sulla ottica ; s' arroge che le impressioni ottiche della retina sono risentite in ragione piuttosto della loro forza che della lcro estensione, mentre le impressioni tattdi della retina stessa sono piuttosto in ragione della estensione che della forza sentite alla loro maniera ; viceversa le impressioni della luce sulla congiuntiva sono invece risentite in ragione della loro estensione, e quelle per azione de' corpi pou- XXXVI derabili in ragione della loro forza; a.° quindi la retina impressionata dall'apice del luminoso cono oculare esercita il suo ministero sensorio ottico promovendo i re- lativi moti dell' iride, mentre irritata colla punta di un ago resta impassibile fino a tanto che insorga lo stato irritativo flogistico, il quale per la sua diffusione pro- voca le sensazioni tattili più o meno moleste, e i più spiegati moti iridei ; d' altra parte la congiuntiva impressionata dalla base del luminoso cono oculare ne risente l'azione cooperando al ministero sensorio ottico, in guisa che al compimento di simile ministero necessita ogni sensibilità della congiuntiva stessa; per tale sensibi- lità avviene appunto che fissando gli oggetti intensamente sfolgoranti di luce, come il disco solare, si suscita siffatta irritazione sulla congiuntiva che diffondendosi per le più prossime vie nervose alla glandola lacrimale e alla membrana pituitaria, ne consegue la lacrimazione e lo starnuto; 3.° stanti gli accennati particolari modi di sensibilità della congiuntiva corneale occorre alla perfine, che le varie impressioni ottiche e tattili esercitate sulla medesima occasionano i più vivaci moti dell' iride coi più pronti ristringimenti e dilatazioni della pupilla; così è che la luce diffusa sulla congiuntiva, e che un picciolo leggier corpicello toccante un sol punto della medesima, valgono parimenti ad occasionare i moti dell' iride e della pupilla. Comune officio psicologico della retina e della congiuntiva è quindi di operare, mercè le rispettive loro impressioni ottiche e tattili, sul principio senziente per 1' e- sercizio e la funzione dell' organo della visione, per le sensazioni e le percezioni della luce e dei colori, delle figure e delle forme, delle grandezze e delle distanze, della quiete e del moto degli oggetti esterni; in proposito dei quali argomenti ci limiteremo pure a riferire le seguenti conclusioni del prelodato nostro Socio; i.° i raggi luminosi operando a forma di cono o conoide sul globo oculare impressionano coli' apice di tal cono la retina e colla base del medesimo la congiuntiva, promo- vendo così le sensazioni della luce e dei colori tanto più chiare e distinte quanto più sono integre le particolari maniere di sensibilità della retina e della congiun- tiva; a.° per simili combinate impressioni della retina e della congiuntiva si per- cepiscono le figure e le forme degli oggetti esterni nella naturale loro posizione ob- iettiva; 3.° stante la dimensione e l'intensità delle impressioni stesse si giudicano le grandezze e le distanze degli oggetti, al quale ultimo giudizio concorre eziandio la successione delle impressioni occasionate dai raggi o dalle onde luminose proce- denti dagli oggetti esterni all'organo sensorio; 4-° dietro la quiete o il moto delle impressioni in discorso sulla retina e sulla congiuntiva si giudica della quiete o del moto degli oggetti, e ciò tanto più sicuramente quanto più fermo od immobile sia il globo oculare; 5.° dietro simili poste fondamenta concernenti l'esercizio sensorio dell' organo della visione, ricevono gli schiarimenti più opportuni e le più utili di- lucidazioni i varj fenomeni della visione binocolare e unicolare, della presbiopia e miopia, della ambliopia ed emiopia, della nictalopia ed emeralopia. Adunanza della Sezione di Lettere nel 18 maggio 1 843. Si aprì 1' adunanza colla lettura di un Discorso inviato dal Socio attuale sig. Avv. Giulio Franciosi di Carpi, nel quale 1' A. lamentando in genere sopra le cause XXXVII clie contribuiscono a contaminare odiernamente il buon gusto della poesia in Italia, addita anche il modo di evitare il pessimo loro influsso, producendo all' uopo qual- che saggio poetico, di ragione particolarmente di carpigiani scrittori dell' età pre- sente, ove egli riscontra quella dolcezza ed utilità che furono tanto raccomandate dal Venosino. Il Socio attuale permanente sig. Prof. Giuseppe Lugli lesse poscia un Ragiona- mento inedito sopra la Morale di Omero del fu Prof. Giuseppe Tonelli, con cui intese questi a rispondere gentilmente, volge ormai un anno, agli eccitamenti avuti dal Segretario generale della R. Accademia, inviandoglielo perchè fosse inserito nel Tomo II.0 delle Memorie accademiche, or sotto stampa. Ebbe poi luogo questa let- tura con animo di tener sempre più viva tra noi la memoria del perduto beneme- rito nostro Accademico. Adunanza della Sezione di Arti nel i.° giugno 1S43. Il Direttore della Sezione sig. Prof. Gio. de' Brignoli, nella qualità di Relatore di una Commissione composta dei Membri della Direzione centrale della R. Acca- demia, dei Censori della medesima e del Socio attuale Prof, di Fisica sperimentale in questa R. Università degli studj, lesse un Rapporto sopra il Panarmonico di re- cente costruzione del valente nostro artista sig. Lodovico Gavioli. Dopo un minuto ed accurato esame istituito sotto ogni aspetto intorno a questa macchina musicale, la Commissione non ha esitato di giudicarla per la più grandiosa e perfetta di quante altre macchine consimili finor si conoscono, avuto singolarmente riguardo a quanto operano in essa i due cilindri, e i tasti o chiavi di cui trovasi fornita, dei quali il numero ascende a 240. E come la Commissione esaminatrice, nel conside- rare questo Panarmonico dal lato della meccanica, ne ha riconosciuta la costruzione eseguita con indicibile maestria e perfezione, avendo anche avuto campo di notare, particolarmente per ciò che riguarda al modo con cui procedono le varie specie di movimento e per ciò che spetta alla forma dei singoli stromenti da fiato, che imita con tutta precisione, diverse nuove ed assai utili ed ingegnose invenzioni : e come pure, nell' udirne 1' effetto musicale, si eccitarono nella detta Commissione delle impressioni sommamente aggradevoli che non lasciavano dubbio di procedere secondo le più squisite regole dell' arte armonica ; cos'i il proferito giudizio pigliando più vigoria, le conohiusioni del Rapporto non potevano che tornare a lode singolaris- sima dell' abile fabbricatore di questa macchina maravigliosa. Anzi è a dirsi con animo pieno di esultanza e di gratitudine come 1' A. R. dell' Augusto nostro So- vrano, che in unione dell' A. R. del fratello Arciduca Massimiliano e di tutta la R. Famiglia aveva già onorato di una visita la macchina stessa presso il lodato sig. Gavioli, fatta consapevole delle conchiusioni surriferite, si degnò ben tosto di decre- targli il premio straordinario di una medaglia d'oro del valore di 400 lire italiane; pel qual onorevole mezzo, mentre la prefata A. S. manifestava la soddisfazione prò- xxxvni vata per questa artistica produzione, porgeva nello stesso tempo all' esimio suo cos- truttore un nobile stimolo d" incoraggiamento (ti). Il Socio attuale permanente sig. Prof. Giuseppe Lugli lesse una sua Epistola indiritta al Segretario generale della R. Accademia sopra la scuola pittorica mode- nese, e Io studio del dipingere diffuso virtuosamente a' nostri giorni in questa do- minante ; traendo occasione da ciò di favellare di un quadro del rinomato nostro pittore sig. Prof. Adeodato Malatesti e di una copia che ne fu ricavata dal N. U. sig. Assessore Ferdinando Tarabini Castellani. Successivamente venne partecipata alla Sezione una lettera indiritta al prefato Direttore sig. Prof, de' Brignoli dal sig. Dott. Paolo Gaddi prof, d' Istituzioni Ana- tomiche in questa R. Università degli studj, la quale offre la descrizione e indica i pregi del miscroscopio costruito nella fabbrica del sig. Plóssl di Vienna, di cui per (ir) Crediamo opportuno di riportare qui in forma di nota i seguenti Cenni descrittivi della macchina del Gavioli, dati dall' egregio giovane modenese Sig. Ing. e Dott. Antonio Araldi, che sommamente onora le nostre scuole di Matematica da cui non ha «nari è uscito co* maggiori ap- plausi, in un volumetto di prose e rime pubblicato in questa città a lode del Gavioli. a 1/ aspetto esteriore di questa macchina sorprendente rappresenta un intercolunnio a pilastri di maniera composita sovrapposto ad un magnifico basamento vagamente intaglialo a bassirilievi dorati} e gli ornamenti della trabeazione di gusto squisito, e gli emblemi lungo i pilastri, e Ì capitelli, il tutto dorato ed intagliato ugualmente, formano sul fondo bianco un complesso abbagliante a prima vista, e che nulla perde della sua bellezza nel minulo esame delle parti. et All'aprirsi della macchina ti si presentano i cilindri musicali, le tastiere, le canne sonore, le ruote dentate, i tornii e gli altri meccanismi, che dan moto al sistema, di fino ed accurato lavoro, in bell'ordine disposti, in guisa, che niun miglior partito potea trarsi dello spazio dalla macchina Occupato. Dugento quaranta tasti rendevano una sola tastiera estremamente lunga, ed il Gavioli la divise in due partì uguali, mosse ciascuna da un cilindro musicale, e con ingegnoso artifizio man- tenne uguali rispettivamente ed uniformi le velocità di rotazione dei due cilindri, facendo che la ventola regolatrice del moto serva di freno ad ambedue, e che si trovino ciascuno nelle stesse cir- costanze rispetto alla forza motrice. < Nulla poi passò inosservato di quanto poteva esser causa alla macchina d' alterazione, o di consumo alla forza: gli attriti ridotti al minimo con idonee combinazioni di metalli, e forme di perni, le grossezze delle ruote proporzionate agli sforzi che debbono soffrire, le forme dei denti adattate a diminuire l'attrito, e ad estendere l'ingranaggio, l'artifizio bellissimo posto in opera per avvolgere regolarmente le funi sostenenti i pesi ai verricelli, che trasmettono il moto al sistema, fanno chiara piova dell' accuratezza, e perspicacia con cui il nostro valente Gavioli si applicò a tanto lavoro. '7'j r9a ) ffa cu> una nuova specie estinta di Delfino, scoperta nel Maryland da F. Markoe, e descritta da R. Harlan ( pag. 195 ). Per la Geologia, le osserva- zioni e descrizioni di T. A. Conrad ( pag. 171 ), di S. Webber (pag. 197), e del Capitano Hugues ( pag. 33, 49 )• Finalmente la determinazione pratica della diversa forza riscaldatrice di varie specie di combustibili di Gualtiero R. Johnson (pag. i65); 1' invenzione di un Telegrafo da terra e da mare, diurno e notturno di Enrico Ro- gers di Baltimore ( pag. 154 ), ed un Nefeloscopio di Giacomo P. Espy di Filadel- fia, coli' ajuto del quale egli ha stabilita una teoria dai temporali meritevole dell'at- tenzione de' Meteorologhi ( p. 142 )• » Il Socio attuale sig. Capitano e Prof. Giuseppe Vecchj ritornando sopra il mi- glioramento, che si propose di apportare alle armi da fuoco ( V. 1' adunanza del 6 aprile p.° p.° ) fece conoscere un artifizio diretto a togliere il dubbio che sempre rimanevagli, che cioè taluna volta per qualche impreveduta eventualità il soldato si trovasse impegnato a non poter rendere il fuoco continuato, locchè tornar po- trebbe a grave suo pregiudizio. Nello stesso tempo il lodato Socio presentò alla Se- zione un altro meccanismo applicato ad una pistola a percussione, pel quale si possono dalla medesima prontamente ottenere fino a 75 colpi successivi, venendo poi questo meccanismo nella spesa plausibilmente compensato dal tempo. Introdotto all' adunanza 1' egregio giovane modenese sig. Dott. Giuseppe Sandon- nini, lesse alla medesima una Nota sopra un metodo a" inargentatura e doratura, elettrica meritevole per la sua semplicità ed economia di essere proposto ai nostri artefici^ domandando che l'Accademia s'incaricasse di esaminarla per proferirne poscia un giudizio. La Sezione, secondando i desideri del prefato signor Dottore no- minò a tal uopo una Commissione composta dei Socj attuali signori Professor e Cav. Stefano Marianini, Prof. Alessandro Savani e Prof. Geminiano Grimelli. In fine il Socio attuale e Censore della Sezione sig. Prof. Cesare Costa, con- forme a quanto si era riserbato di fare nell' adunanza del 14 luglio 1841 discor- rendo sopra le fornaci a riverbero divisate alla cottura dei mattoni con economia di combustibile, presentò il disegno di una di siffatte fornaci corredato di tutte quelle più utili modificazioni attinenti alla lor forma e grandezza da introdursi nelle ordinarie e più conosciute, che egli ha potuto dedurre dagli esperimenti appo- sitamente istituiti nel corso di due anni sulle fornaci fatte costruire per patrio zelo in villa Collegara da S. E. il Conte Claudio Bentivoglio, e profittando anche dei tentativi precedentemente operati intorno a questo argomento dagli altri benemeriti possidenti nello Stato ili. signori Commendatore Luigi Corbelli, Colonnello Agostino S accozzi e Maggiore Ignazio Forghieri. Indicò poscia il lodato nostro Socio gli eie- XLV1I menti principali da aversi in vista, e le avvertenze da praticarsi onde questa cot- tura ottenga la riuscita migliore; notando con molta opportunità che una parte del calore, la quale rimano perduta in questa operazione, può utdmente impiegarsi nella cottura eziandio della calce e del gesso; e dichiarando da ultimo di aver rilevato dai replicati esperimenti eopra le fornaci di Collegara, che si possono con un sol carro di legna cuocere assai bene due mila mattoni e quattro mine fra gesso e calce; pel quale risultamento rendesi in un modo determinato manifestamente palese l'utilità che può attendersi dall'introduzione e dall' uso di queste fornaci, in ordine segnatamente all' economia del combustibile. PARTE TERZA MEMORIE DELLA SEZIONE DI LETTERE ELO GIO<*> LODOVICO ANTONIO MURATORI DEL SIC PROF. GIUSEPPE LUGLI. Sebbene il Secolo , mancato da pochi lustri , lasciasse di sé una fama incerta ne' periodi estremi , nientemeno vi ha ragione di crederlo memorabile, forse più de' trapassati, presso le venture generazioni. E veramente chi bene con- sidera quanti e quali Ingegni ei produsse, e la fiamma del genio, che arse nel loro petto, non potrà non salutarlo fe- licissimo secolo pei lumi , ond' eglino lo illustrarono sovra le altre età. Fra tutte però le colte provincie della Europa è forza distinguere la nostra Italia, madre di figli, che sep- pero ritrarre in sé le virtù degli avi. Il perchè, tralasciando io di recare qui la. serie di coloro , i quali annobilirono la comune patria, fermerò il pensiero su di un solo, che vinse per avventura gli altri tutti nella vastità del senno e nella europea nominanza. E a prescegliere questo in argomento di debita laude e di egregia emulazione concorrono e giu- stizia e pubblico interesse e con loro un senso, malagevole a frenarsi, di patria carità e gratitudine. Commendisi dun- ( * ) Questo Elogio, che fu dall'Autore recitato nell' apriraento delle Scuole della R. Università di Modena il giorno 2.S Novembre dell'anno i8a3, fu dall' A. istesso presentato alla R. Accademia il giorno ao Gennajo 1824- Tom. I. A 2 Elogio a Lodovico Antonio Muratori que il Critico , il quale a sottile intelletto sottopose gli obbietti più augusti, la Religione per conoscerla, la Natura per consultarla , 1' Uomo per riformarlo : che a maggiore ammaestramento dell'uomo, col dischiudere alla propria me- moria i campi della Erudizione, trasse dall' obblio una Storia ignorata : e che se l'animo ebbe libero a propagare le scoperte verità, leale pur l' ebbe a conformarvi se stesso. Sieno que- ste le poche linee , che la patria riconoscente in un giorno dedicato dall' Estense consiglio a solenne laudazione aggiunga alle altre , le quali onorano la pietra sepolcrale di Lodovico Antonio Muratori. Giusta il metodo per tanto de' prenotati suoi pregi sarà mio intendimento, Ascoltatori, di esporvi (i) l'ordine meraviglioso della dottrina e degli eruditi scovri- menti dell' uomo esimio ; i quali, se pure non erro, vi par- ranno di sapienza e di verità sì gravi , che sarebbe soverchio , ove cagione legittima di onore non chiedesse altramente , 1' afforzarli dell' altrui autorità , e i quali abbracciando il giro dello scibile, lo scorrono pressoché tutto quanto di un critico sguardo. Io quasi immaginerò, che il Muratori colla ingenuità del filosofo , modesto e semplice vi ragioni di se stesso , e di quel retaggio , che a' posteri intendea di tra- mandare. La quale immagine rivolgendo l'attenzion vostra alla contemplazione di sua dottrina , come la distorrà dall' aspetto di mia insufficienza , così forse sarà la sola , che ineriti di venire effigiata al cospetto del Magistrato , che alla presente inaugurai pompa presiede , del consesso de' Padri e della corona de' cittadini. (i) Anche il Thomas si' propose nel suo Elogio a Cartesio di tessere la storia de" pensieri di quel Filosofo , come io stabilii di mostrare nel mio lavoro l'ordine degl'insegnamenti e delle erudite scoperte del Muratori. Nella quale imitazione mi pregiai di secondare il consiglio di persona dotta ed amica, giacché, adope- rando altro divisamente, non era possibile alle deboli mie forze di ridurre alla necessaria unità la vasta e disparata materia , che avea fra mano. Nulla ostante ognuno potrà scorgere quanto sia diversa presso di amendue la parziale divisione del soggetto, e diverso il modo di trattarlo. Del Sic. Professore Giuseppe Lugli. 3 Neil' encomio degli uomini illustri male si addice ad un animo grato il trapassare sotto silenzio coloro , i quali coltivaron con ogni cura quelle speranze della patria. Ripe- teremo perciò con tenerezza di affetto quanto il Nipote (2) registrava ne' Fasti dello Zio incomparabile col farne aperto, come i Gesuiti educarono il Muratori alle lettere e alla pietà : come il Dottor Girolamo Ponziani , di scienza e di facondia fornito, lo introdusse alle Leggi, nelle quali con- seguì nella materna Università il fregio d'onore poco in- nanzi all'Ordine sacerdotale conferitogli in Milano; e come il Padre Giovan-Domenico Guidotti seppe aprirgli dentro le vie del Peripato i misteri d'una inoltrata filosofia. Se non che un maestro più sublime ei sortiva in quel Genio , che il volea grande. Questo gli sveglia la mente ad inquieta curiosità , gli affina il gusto colla conversazione di colti ingegni , tra' quali il Marchese Giovanni Rangoni ; lo inna- mora delle bellezze classiche collo studio de' latini Poeti ; il solleva all'ammirazione di virtù segnalate, inducendolo a tessere elogio a Luigi Decimoquarto; lo avvezza ad austero meditare colle opere di Seneca , di Epitteto e di Amano ; con quelle di Giusto Lipsio lo invaghisce della profana erudizione , indi addestralo nella lingua greca ; in breve tempo gì' interpreta le vecchie cifre sulle pergamene del Capitolo Modonese , e nell' arringo , che a percorrere il de- stina , gli dà a guida quel lume dell' Ordine Cassinense , Benedetto Bacchini. L'amicizia del Marchese Giuseppe Orsi e dell'Arcidiacono Anton-Felice Marsigli, uomini letteraris- simi , e la protezione del Conte Carlo Borromeo gli apersero l' adito alla Biblioteca Ambrosiana , primo teatro di sue glorie ; in appresso la voce del proprio Principe , l' amore della patria e de' congiunti il chiamarono alla Estense , (a) Vita di L. A. Muratori descritta dal Proposto Gian-Francesco Soli suo Nipote, Edizione d'Arezzo, pag. 3. 4 5. 6. 7. 8. il. la. 19- ao. e ai. 4 Elogio a Lodovico Antonio Muratori dove Prefetto di questa e dell' Archivio Ducale , cui pa- ziente ricompose, in teatro maggiore, dimorò sin che visse. Se il Cartesio venne a scuotere il Secolo con una nuova dottrina, e addirizzò gli animi al sano filosofare, il Muratori comparve a compiere l' opera di una universale riforma. Ma dove il Francese avea conceduto un campo troppo largo alla libertà degP intelletti, l'Italiano appigliossi a miglior partito col volere che agli stimoli andassero congiunti de' freni. Tanto richiedea da lui la forza dell' ingegno temperata dal criterio, abbonendo in ogni cosa il difetto e l'eccesso, e il vero dal falso disceverando. La Scienza della Religione , eh' Egli appara dalle Scrit- ture , dalla Tradizione e dai Padri , chiama le sue medita- zioni. La contempla nella sua purezza , perchè puramente si creda, ne abbatte le calunnie a difenderla, a non iscor- gerla abusata ne condanna le corruttele , ne manifesta le pie pratiche e gli effetti di carità per renderla amabile , e a rallegrare i fedeli dell' augusto deposito la rischiara nelle origini dei riti e delle antichità. Concetto immenso , e eh' Egli delinea , colora ed avviva. Per la qual cosa interroga (3) il proprio cuore sull' indole del Vero , e gli è risposto che lecito è indagare questo vero, onesto l'apprenderlo ; ond' è che il suo spirito rimpenna P ale , e si lancia nel seno della Divinità. Ma quale delle tante verità arrogherassi il primato ? Quella , che in- duca neh' animo la scienza e la persuasione. Quella dunque, cui ragione e autorità fiancheggino. La Religione ha domìni e misterj rispetto a Dio , motivi di credenza rispetto all' uomo. L'autorità farà quindi che l'uomo sappia, e la ragio- ne , che P uomo creda. Ma questa ragione conturbasi all' aspetto della propria infermità, e l'umile preghiera la in- vigorisce. Ed ecco P implorata sapienza disvelarsi , ed esibire (3) De Ingeniorura moderatione in Relìgìonis negotio lib. i. e ». Del Sic. Professore Giuseppe Lugli. 5 alfa ragione umiliata per fondamento primario del suo cre- dere il volume delle Scritture. La ragione si arrende a quan- to si contiene nelle carte ispirate : nulladimeno una sacra caligine gliene adombra l'intelligenza, per cui non tarda a sentirsi profana per penetrare nel sacrario del Verbo. Chi per conseguente ne fia l' interprete visibile sulla terra ? Una Chiesa. E quale immune da errore ? Quella, a cui la Sapien- za divina conversante tra gli uomini il promise, e quella, a cui raffermarono un tanto privilegio vetustà di dottrina , moltitudine di credenti, tradizione incrollabile. Oliai1 altra Chiesa perciò se non la Cattolica ? Segnata è la linea , che divide il mondo Cattolico dal Protestante , che legittima 1' uno e condanna l' altro , perchè quello è seguace della unità, che il conserva, e questo della varietà, che il distrug- ge , non avendo a duce che il senso privato d' una ribelle ragione. Che se per l'una parte la libertà del pensare in- genera Eresie , per l' altra la schiavitù del pensare medesimo può traboccare gl'ingegni in alterate opinioni. Ei distingue pertanto dottrina da dottrina, dogma da disciplina, disciplina da fatto. Dichiara immutabile il dogma, variabile talvolta la disciplina, e infallibile il fatto allora solo, che divina od apostolica (*) decisione lo fermi. Nella dottrina profana senta l'uomo ciò che gli aggrada, purché assolva costante dall'errore o dalla menzogna le sagre carte. Dopo diche il grido invocato di sua coscienza riassicura il Muratori essere nell'uomo eguale al diritto d'investigare il vero quello pure d' annunziarlo imperterrito. Avverta soltanto l' uomo che nel predicare il vero, ove non sia certo del vero stesso, né a ciò lo autorizzi una missione legittima , esso mancherà alla giu- stizia , come alla prudenza , se indiscreto ne svegli al male ( * ) Il Muratori, come risulta chiaro dal contesto delle sue Opere, ammet- teva, eil era ben di ragione, l'infallibilità della Chiesa Cattolica, e quindi non putea non dissentir* da que' Teologi , che tengono ancora infallibili i fatti dog- matici definiti dalla Chiesa medesima. 6 Elogio a Lodovico Antonio Muratori nel muovere al bene ; e alla carità, se adoperila calunnia o la frode per sorreggere i suoi sofismi. Tali si appalesano gì' insegnamenti dell' inarrivabile Cri- tica nel Trattato , nel quale all' onesta naturale libertà de- gl' ingegni si vuole accoppiata la cristiana moderazione ; Trat- tato rilevantissimo per la dovizia delle materie appartenenti alla Polemica , per la severità del metodo, pel latino dettato , che ne mostra l' Autore degno della patria dei Sadoleti e dei Cortesi, e per le regole di quell'arte, che, ponderando le cose , sequestra le buone dalle prave. Queste regole, eh' Egli svolge con franca mano , armi gli sono potentissime a sconfiggere sin negli ultimi ripari il Sociniano le Clerc, (4) il quale, sotto il nome di Ferepono, assalse con agro morso la dottrina ortodossa, lacerando quella di Agostino. Né l' arrogante Censore poteva vilipendere un Padre , di cui fosse più tenero il nostro Polemico , essendo noto , che in ossequio di sua dottrina sulla Grazia ei premise bel- lissimi Prolegomeni ( 5 ) ai Trattati di Celso Cerri e di Fran- cesco Dirois , maestri in Divinità , onde ammutolisse alla fine il Giansenismo. Felice l' uomo , qualora saldo in sua credenza attenda in pace il premio del suo operare ! Non dubbia , né lontana è la ricompensa del Giusto, speranza che disarma di terrore la morte , e desiderabile anco la rende. Col gregge degli Arminiani Tommaso Burneto rinnovò l' errore di Cerinto e di Papia sul regno Millenario. Laonde alla temerità dell' in- glese delirante, che a soccorrimento de' perfidiosi disegni tra- volse i luoghi più insigni delle Scritture e de' Padri , oppone il Muratori (6) i Decreti gravissimi della Chiesa e gli ora- (4) De Ingeniorum moderatione in Religionis negotio lib. 3. ( 5 } Prolegomena in Lescii Crondermi elucidationetn de Divina Gratia. (6) De Paradiso, regnique coelestis gloria non expectata corporum resur- rectione a Deo conlata adversus Thomae Burneti Britanni librum de Statu Mortuorum Del Sic Professore Giuseppe Lugli. 7 coli dei due Testamenti ; mercè de' quali il convince , am- mettersi oltre al finale altri occulti giudizj , e che il regno de' Millenarj fu sogno della ebraica frenesia. Nella qual circostanza mal può astenersi dal rimproverare al Burneto medesimo un' ignoranza colpevole, perchè nel suo declamare aggravi di calunnia il Concilio fiorentino opponendo a questo, che per turpe lucro introducesse, e non per voce di religione assodasse il dogma della beatitudine de' Santi. Sotto a nube spessissima di testimonianze irrefragabili oppri- me il Muratori l' avversario , e il forza ad apprendere dalle Chiese e d' Egitto e d'Africa e di Gallia e di Spagna defi- nito molti secoli prima il dogma contrastato. E che più si resta a condannare quel senso di orgoglio che si fa giudice delle verità dell'Altissimo? E il condanna Lodovico in lettera lunghissima (7) da sé composta a nome di una inglese cattolica. Ivi la regola del privato giudizio è rigettata, ivi è sostenuta vittoriosamente l' infallibilità della Chiesa Romana, ed ivi è tolto ai due astiosi sofisti Tillotsoh e Barbeyrac il sostegno di Rabano Mauro scrittore da essi o non inteso o almen contraffatto, onde voleasi attribuire al secolo nono l' introduzione del Dogma dell' Eucaristia, spac- ciandone per autore Pascasio Ratberto Abate di Corbia. Di tale momento è il sottomettere ad un rigido esame qualunque novità s' incontri nel deposito della Fede ! Una siffatta cautela ne rende inoltre accorti a discernere fra le due sentenze dell' Aquinate e dello Scozzese, oracoli delle famiglie Domenicana e Serafica, ciò che la Fede imponga a credere assolutamente quale dogma e quindi a sigillarlo colla vita, e ciò, cui semplicemente consigli un tenero af- fetto ben dovuto alla Vergine Madre col tenerla immacolata nella sua Concezione. Ed era questo il criterio, che regolava i termini, a cui Lodovico riduceva la controversia non an- (7) Vedi Tom. IV. pag. 347. Ediz. d'Arezzo delle Opere Muratoriane. 8 Elogio a Lodovico Antonio Muratori cora decisa dal Vaticano, e per cui la segregava con raro avvedimento dalla quistione clamorosa del Voto sanguinario da esso impugnato. E poiché questi termini Egli avea già definiti nel Trattato della Moderazione degT ingegni ( 8 ) , e nelF altro Trattato , dove esamina quanto è vietato di oltrepassare nel cattolico esercizio della religione ( 9 ) , così li confermò in un coli' intrapreso assunto ne' Dialo- ghi (io), che sotto il nome di Ferdinando Valdesio pub- blicò in risposta alle fattegli obbiezioni. Il non comporre infatti se stesso alla norma di quella Chiesa , che si regge sulla pietra angolare , ella è incom- portabile ambizione d' ingegno. Maestra di quanto le fu ri- velato, la Chiesa procede cautissima, conserva intatta la santità di sua dottrina, e immutabile nelF universale com- mutamento delle cose, di nulla ne fa periti, che la Tradi- zione non tramandasse dal Verbo agli Apostoli, dagli Apo- stoli a noi. Chiunque però audace chiamasse a sindacato la Chiesa presente, quella pure vi chiamerebbe de' secoli tra- passati. Rinfaccia Ernesto Windeimo ( 1 1 ) corruttele alla Chiesa Cattolica ? Oppur vuole nascondere sotto a titoli in- vidiosi i donimi, che nelF ultimo Concilio Ecumenico sono insegnati ? Non nega il Polemico modenese, che nel campo mistico non ispunti talvolta frammezzo alle spighe la zizza- nia; e querela i tempi ne' quali, cresciuta quella di troppo, venne raccolta dal mietitore una messe infelice. Nientemeno è lavoro di suo criterio lo scoprire i mali, che impiagano il seno, ma non rimordono il cuore della madre; poiché argo- mento di contraddizione non consente , che essendo ella ( 8 ) De Ingeniorum moderatione lib. a. cap. 6. pag. 268. Ediz. d'Arezzo. (9) De Superstitione vitanda. (io) Ferdinandi Valdesii Epistolae , seu Appendix ad librura de Super- stitione vitanda. (11) De Naevis in Religionera incurrentibus , sive Apologia Epistolae a SS. D. N. Benedicto XIV. P. M. ad Episcopnm Angustanuin scriptae. I Del Sic Professore Giuseppe Lugli. 9 infallibile per essenza , abbia ad essere in uno cagione di pravità e di rettitudine. I quali principj lo conducono ad informare il Fedele della verace pietà (12,). La fiamma del suo affetto lo faccia vicino a quell' Ente., che increato lui creò, uno e trino in podestà, iti sapienza e in amore. Rialzato dalla speranza creda ed operi in esso. Guardi la legge che nelle sue mem- bra contrasta alla ragione ; la rintuzzi ne' sensi implorando ajuto nel silenzio del tempio. Conceda forza a sua fralezza il perdono, che sotto alle grandi ale di Dio lo aspetta, e le lagrime del pentimento e il sangue della Vittima glielo im- petrino. Sulle tombe de'Confessori giuri d'imitarne gli esempi, onde ne riporti valevole il patrocinio. Ma V onore, eh' ei presti alle reliquie e alle immagini non finisca in quelle, trapassi in Dio, che ne'suoi servi dev'essere adorato. La sua salvezza può venirgli agevolata e da loro e assai più dalla Vergine; pure nella sua devozione riconosca un solo Dio, un solo mediatore. Se il labbro non mentisce il desiderio del cuore, la pietà è sincera; è illuminata, se interesse, o malizia non l'ottenebra; è sentita nell'intimo dell'animo, se dall' animo si tolga il verme del vizio, che lo rode. Sopra le quali fondamenta da sagro Tribunale scrupo- losissimamente visitate per ordine del Romano Gerarca, e ritenute con assenso unanime salde, perchè pie, e cattoli- che (i3), costruì Lodovico un altro edificio, cui non crolla soffio di vanità e d' orgoglio, ma più forte il sostenta effica- cissima virtù, la cristiana Carità ( i4)- Soave alito dell'Eter- no, la Carità vivifica il tutto, assomiglia la creatura al Crea- tore, e colla grazia afforzando i nodi, cui strinse la natura (12) Della regxUta divozione de' Cristiani (i3) Vedi nell'Appendice II. alla citata vita del Muratori pag 4°6 il Moniti della sacra Congregazione dell' Indice- (14) Trattato della Carità Cristiana in quanto essa è amor <\A Prossimo. Tom. 1. B io Elogio a Lodovico Antonio Muratori tra uomo e uomo, forma del mondo una fratellevole società. Obbediente al precetto, seconda pure il consiglio : ordinata dispensa il culto al tempio, al defunto il sagrificio, il pane al poverello ; e prudente avverte quando un atto prevalga all' altro, come più accettabile a Dio. Sagace in discernere non tollera 1' infingardo, caccia il vagabondo, impiega il va- lido mendico. Benigna istruisce, generosa perdona, paziente sopporta, corregge modesta, ospizia benefica, premurosa rac- coglie, visita, riscatta, nudre, veste, sostiene, e al materno seno recandosi 1' orfano ed il pupillo, asterge di sua mano le lagrime della vedova, e 1' orbo padre consola. Così non fosse questa regina delle virtù combattuta sovente dal cieco amore di noi stessi, che nemico della quiete pubblica e privata, armò un tempo le destre a tron- car le liti col ferro, e attizzò il fuoco non ispento della di- scordia ! Pietoso ufficio considera Lodovico il prendere ca- rico di Mediatore di pace (i5). Difficoltà- noi rimove dall' accordare i fatti fra loro, ed ai fatti le leggi ; e sì tenendo a consigliere la natura e la morale ei prescrive le regole sicure dell' onore amico sempre della pace. Ah che sulP amore è fondata la Religione ! Deh chi gli appresenta le anime cui investe quest' aura di carità? Smanioso ne va in traccia, onde stenderne il grido e la beata memoria. Per lo che non tarda ad offerirci il modello dell' ottimo pastore in Benedetto Giacobini Proposto di Va- rallo (16), e dell'apostolico ministro in quel Paolo Segneri Juniore, luce cara della Compagnia di Gesù (17), del quale raccolse gli ammonimenti ed espresse il metodo praticato negli Spirituali Esercizj. Di tale dolcezza lo ricolmava quella (io) Introduzione alle Faci private. (16) Vita dell'umile Servo di Dio Benedetto Giacobini Proposto di Va- rallo. (17) Vita del P. Paolo Segneri Juniore della Compagnia di Gesù, e gli Esercizj Spirituali secondo il metodo del medesimo Padre. Del Sic. Professore Giuseppe Lugli. i r popolare eloquenza, che di questi è condimento squisito, e de' cui pregi non lasciò di ordinare un facile Trattato ( 18). E certo che la cattolica Religione non tanto avviva il fervore dello spirito nelle cristiane città, quanto lo crea con inaudito prodigio ne'più barbari lidi. Non lunghezza di naviga- zione, non pericoli d'ignote procelle, non calme angoscio- se, non clima straniero la rattengono. Chiama a compagni della magnanima impresa i figli d'Ignazio; e questi dimentichi per Lei del bel cielo Europeo e dei dolci parenti ed amici, generosi la seguono, e salutano con essa le incognite piagge. Ella non arma loro d' altra cosa il braccio e la mano, che di picciol libro vergato di pie note, e d' un bastoncello, sulla cui cima rifulge il segno di redenzione. Scarso numero di convertiti selvaggi li precede colle scuri , onde sboschire l' intralciato cammino. Aspre montagne , profonde lacune , larghi fiumi mettono indugi travagliosi a'ior passi. Sul terren nudo il rezzo delle piante copre i loro sonni, o pendula rete adagiata su rozzi pali da' morsi a stento li sottrae delle fiere e de' serpenti. Silvestri frutta acquetano la lor fame, e breve stilla di fuggevol rugiada ristora la lor sete. Orribile silenzio aggrava d' ogn' intorno natura. Gridano, se pur voce umana risponda, e un fremito par che ascoltino di belve, che tra boscaglie s'aggirino, o per entro alle caverne de'monti. So- spirano i campioni di Cristo, soccorso invocano, e l' impeto dell' acceso cuor secondando, l'invocano con un tenero canto. Vedi qua e là sbucare da' covaccioli i barbari, e con atto- nito occhio trarre verso quelli, che d' un cenno o d' uno sguardo gì' invitano. E già il lor numero crebbe, in un sol luogo s'accolgono, e all'ombra di quella Croce, che baciano, compongono di poveri tuguri la nascente Colonia, cui di ridu- zione si dà il nome. Dianzi erano lupi rapaci, orsi freme- bondi, ora miti agnelli e colombe innocenti : dianzi ignora- (18) Pregi dell'Eloquenza popolare. 12 Elogio a Lodovico Antonio Muratori vano il vero Dio, ed or V adorano : selvaggi erano, ed or sociali : famelici prima di umane carni, ed ora di cipressi e di palme circondano amorosi il cenere de'trapassati. Questo è 1' omaggio, che il Muratori tributa alla Reli- gione (19): questo il monumento, ch'Egli erige a difesa della Compagnia di Gesù, e sotto il quale, a conferma del vero, riferisce con istorica imparzialità il Decreto di Filippo Quinto il Cattolico. Se non che questa Religione, di cui Lodovico assai prima del Visconte di Chateaubriand ( 20 ) descrisse con amabile candore i trionfi nelle contrade del Paraguay , e di cui spiegava l' unzione e le estasi con divote parafra- si (ai) e sino dai pergami con fervorosi discorsi (2,3), di- mandò ed ottenne di essere nobilitata da lui nelle antichità, sui sacri avanzi delle quali seggono i secoli a custodirne la dottrina. I Novatori segnarono di odiosa nota le età apostoliche col privarle delle Chiese. Premette il Muratori ( a3 ) delle varie lor significazioni adoperate dagli Apostoli quella ap- punto di Tempio, siccome in appresso di Basilica, di Memoria e di Martirio. Smaschera la loro fallacia mostrando che gli Apostoli stessi ebbero Chiese, benché in abituri angusti e se- creti a schermo della gentilesca persecuzione : che ivi fra calde preci si celebrava P Eucaristico Misterio, finché per- messo il fabbricar templi, ne sorsero innumerabili innanzi a (19) II Cristianesimo felice nelle Missioni de' PP. della Compagnia di Gesù nel Paraguay. (ao) Vedi il Genio del Cristianesimo di questo celebre Scrittore, il quale si giovò non poco della Prima parte del Cristianesimo del Muratori tradotta in francese fin dall'anno I7&4' (21) Affetti Divoti verso Dio cavati per la maggior parte dai Salmi e da altri luoghi delle sacre Scritture Tom. VI. pag. 333. e segg. Ediz. d' Arezzo. (22) Discorsi in preparazione del Natale; Sette Discorsi spettanti agli Ec- clesiastici. Vita del Muratori pag. 39. ( i3 ) Diesertatio de primis Christianorum Ecclesiis. Del Sic Professore Giuseppe Lugli. i'ò Diocleziano, dal quale atterrati, si rilevarono più splendidi sotto a Costantino. E poiché lode non minore ridonda dal reintegrare le cose vetuste, che dal produrne di nuove , a promovere la Storia Ecclesiastica e i donimi della Fede, vendica dalle ingiurie degli anni gli scritti venerahili de' Padri. E fu dai te- sori dell'Ambrosiana, eh' ei trasse inestimahili aneddoti Latini e Greci (2,4). Ben è dicevole che dei tanti io v'indichi i Poemetti di Paolino Vescovo di Nola per le copiose note e dissertazioni sulle sacre suppellettili contrastate dai Novatori; 1' opuscolo di Bacchiano testimonio della fede di questo filo- sofo, e della verità ortodossa fino dal secolo quarto; i versi del Nazianzeno, che oltre alle venustà di una musa casta danno chiarezza alla storia de' tempi; le disquisizioni sui banchetti de' primi Fedeli, figura della cena del benedetto Agnello, a' quali si assettavano con ilare carità; e quel frammento, cui fausta ventura serbò a condanna del Manicheo. E perchè la Liturgia si avvantaggiasse di sua perizia ne' sacri Annali , egli assembrò ( a5 ) i tre Romani Sacramentar j de' Pontefici Leone e Gelasio Primi, e Gregorio Magno, coi quali prova non mai variata l'Ecclesiastica tradizione del sagrificio incruento; al che facendo eco il consenso delle altre Liturgie e de' Padri, ravvisa enorme il delitto de' Set- tatori, che si dipartirono dal dogma dell'Eucaristia, mostran- dosi in ciò sfrontatissimi il Bingham ed il Basnagio. Dalla Divinità il Muratori discende alla Natura, la quale è specchio, che riflette l'onnipotenza di quella. Tosto ei ne disamina la parte, che si appressa maggiormente al bene (34) Anecdota, quae ex Ambrosianae Bibliothecae Codicibus nane primum eruit , notis et disquisitionibus auget L. A. Muratorius. — Anecdota Graeca , quae ex Mss. Codicibus nunc primum eruit, Latio donat, notis etn. (aó) Liturgia Romana vetus tria Sacramentaria complectens, Leonianuro sci- licet , Gelasianum et antiquum Gregorianum. De rebus Liturgicis Dissertano Cap. 8. II. :a. e l5. i4 Elogio a Lodovico Antonio Muratori dell'Umanità col raccogliere le cautele della Politica, gli aforismi della Medicina e i soccorsi della Chiesa a scampo , a rimedio e a conforto comune nella minaccia o nella fe- rocia di un morbo desolatore (26). La Pestilenza o consista in ispiriti che pregni di sottile veleno corrompano il sangue , o si generi dall' aria infetta ; vada peregrinando pel mondo , oppure si avventi d' improv- viso alle popolazioni , appigliasi per contatto , e orribilissimo n'è il danno e l'aspetto. Essa è un nemico tanto più im- placabile quanto più si pasce di vittime e acquista di terreno, per cui dalle sue trame può solo preservarne una diligenza, la quale sia guardinga di tutto. Gagliarda lega coi popoli confinanti gli assiepi il varco , o almen gliel contenda. Fedi sanitarie, sospension di esterno commercio e triplicati trin- cieramenti siano le barriere da opporglisi qualora soverchj o rompa le prime circonvallazioni ; e qualora il morbo riesca a penetrare nella trepidante città, l'investire quello dentro il recinto delle case o della contrada o del quartiere infetti lo sopisca ed affoghi. Fuggasi però dinanzi ad un nemico, che non conosce tregua né patto ; e imperturbate lo aspettino le persone alla Repubblica necessarie. Prudenti , rigide co' sequestri , co' lazzaretti , co' suburbani cimiterj , colla vigil custodia delle carceri e degli spedali tengano salde le ul- time rocche , onde campare dalla furia sterminatrice. Siffatto è il Governo Politico della Peste , a cui dietro all'esame de' sintomi, delle cure, e de' religiosi sovvenimenti accompagnasi dal Muratori il Governo Medico ed Ecclesia- stico. Opera a sì profonda esperienza raccomandata , che 1' Europa rammentando Messina e Marsiglia , l' accenna ancora qual egida di sua sicurezza, e ripiena così di medico sapere, che ne dà a conoscere non essere il componitore di essa profano nel tempio di Esculapio , ma sì degno di collocarvi (a6) Governo della Peste Politico, Medico ed Ecclesiastico colla Relazione della Peste di Marsiglia. Del Sic Professore Giuseppe Lugli. i5 l' immagine dell' Ippocrate Modenese , ( 27 ) siccome ei fece colla vita e colla sepolcrale iscrizione di Chi applicò alle intermittenti ima speciale Terapeutica. Senzachè iniziato in altri arcani di Natura il palesano abbastanza le due Dissertazioni sulla pozione del vino cal- do ( 28 ), e sulle cause, per cui s' innalzi o si abbassi il baro- metro (29). 'Né io vorrò, che luogo se gli neghi fra i se- guaci di Teofrasto e di Plinio, de' quali imitò nel suo Cristianesimo Felice la candida semplicità. Chi più breve dermi e distinse quel paese, cui serrano il Brasile, i monti Peruviani e Chilesi, e bagnano le riviere di Marignone e di Piata ? Chi meglio istoriò di rapido cenno dietro a relazione oculare tanti oggetti naturali e tribù , e costumanze ? Chi più schietto pianse gli orrori della Europea ingordigia su popoli selvaggi e innocenti ? Che se non lo prese talento della Scienza di Archimede e di Pappo , non fu però schivo di appropriarne il rigore e 1' aperta chiarezza negli scritti suoi, e seppe collo spirito di Baco- ne (3o) incitare quella e le altre severe discipline ad ulteriori imprendimenti : poiché non lontano vedeane il processo col guardo medesimo, col quale ei scorgeva (3i ) l'ampiezza futura del Russo impero e l'ultima età dell'Ottomana dominazione. Se l' Uomo neh' ordine fisico riepiloga in se stesso l' uni- verso , neh" ordine morale esso adombra la Divinità , che il fece immortale. Nulla più eccellente dell'uomo, o pensi, od operi , od imiti , e nulla che più dell' uomo meritasse le con- siderazioni del nostro Critico. (27) Francisci Torti vita. (a8) Dissertatio de potu vini calidi. (29) Dissertazione latina indirizzata al P. Bacchini. Vedi vita del Muratori pag. 1 1. e iì. ( 3o ) Vedi i Capitoli II. ti. e i3. della Pubblica Felicità oggetto de'buoni Principi, e la prima parte del Buongusto cap. i. e 7., e la seconda parte cap. ra. (3i) Vedi sul fine la prima Dissertazione sopra le Antichità Italiane nel compendio volgarizzato , che ne fece il Muratori. io Elogio a Lodovico Antonio Muratori Vuol Egli dapprima , che l' Uomo senta la dignità della propria elevatezza nelle forze del suo intendimento, non la viltà d'una Scettica debolezza (3a). Che se Daniello Uezio andrà disseminando essere l'umana ragione inetta a cono- scere il vero , e tutto avvolgersi nella incertezza e nel dub- bio , il Muratori confonderà il discepolo di Pirrone e l' in- cauto trascrittore di Sesto Empirico colf esani» di se stesso. Nel materiale suo corpo Egli scorge sensi, che sono messag- gieri all'anima degli obbietti esterni, e nella mente il razio- cinio , che assiste ai sensi medesimi , perchè riportino la impronta delle cose. L'evidenza il certifica tali essere queste quali le concepì l' intelletto, e dietro al principio del Carte- sio afferrata l' evidenza stessa non gli sfugge il criterio della verità. Poderose del pari avvisa le forze della Fantasia ( 33 ) stanziata nel cerebro , e punteggiata a foggia di mappa geografica delle vestigia de' corpi recate ad essa dall' a- zione de' sensi , e per via dello astrarre fatta ricca di altre idee più eminenti ; a tal che nel comune sensorio l' anima ha il suo seggio , per ministri tenendo i sensi , per libro la fantasia , per consigliera la meditazione. Con vaghezza filo- sofica si trattiene sulla smisurabile copia delle specie, di che Fantasia è capace , tra gli effetti della divina sapienza mi- rabilissima cosa, e che ogni pensiero trascende. Ne schiara i fenomeni strani e ridevoli, dorma o vegli l'uomo, posi o cammini ; le diverse malattie , tra le quali va lamentando P umore melanconico di quel Tasso , di cui tentò altrove di svelare i motivi, che a caso tristissimo il condussero ( 34) ; i danni e i vantaggi di lei nelle Scienze e più nelle Arti , e annumera gì' idoli , che , sebben fatali , sono a lei cari, il ( 3a ) Delle forze dell'Intendimento umano, ossia il Pirronismo confutato. (33) Della forza della Fantasia umana. (34) Lettera sui motivi, pe' quali Torquato Tasso fu chiuso nello spedai di S. Anna. Del Sic. Professore Giuseppe Lugli. 17 primario de' quali, che di continuo ne sta innanzi, e cui meno paventiamo , è F amore di noi stessi. Ad infrenare quindi Fuso intemperante di Fantasia ri- corre a quella facoltà , che della ragione è moderatrice , e più ancora all'altra, che sa scrutinare il cuore dell'uomo (35 ). L' amore di noi stessi essendo appunto la molla , che tutto F ingegno degli appetiti volge e raggira, la morale Filosofia governa con tale impero siffatto amore, che, senza violen- tarne la volontà, lo assoggetta alla ragione e al discreto det- tame della coscienza. Laonde, fugati al lume della certezza e della verità l'ignoranza, l'errore e la vagante opinione, l'anima conosce riposare la virtù nella bellezza dell'ordine, e nella deformità del disordine appiattarsi il vizio, ed es- sere la virtù coli' adempimento dei doveri il mezzo a rag- ghigliela quella ilarità, che è parte di beatitudine pel Saggio. Dalla Morale si deriva la Giurisprudenza ; e sopra di essa ( 36 ) non lascia il Critico di gettare F occhio riforma- tore. S' Egli ne avverte la necessità in ben composta Re- pubblica, non ne dissimula i difetti. Impacciata la rende il carico de' commenti ; inefficace in gran parte la mutazione de' costumi e de' governi ; confusa la quantità delle ecce- zioni ; malferma ne' tribunali il giudizio pratico e non lo scientifico; eterna la lunghezza delle liti. Ridurre lo studio delle leggi al puro testo , riciderne le erudite superfluità , trascegliere le conclusioni importanti , rimettere i Giudici alla ragione più che all' autorità , troncare i maliziati dif- ferimenti , ecco i rimedj , eh' Ei suggerisce ; rimedj che già desunse da una propria latina Dissertazione indirizzata al Monarca dell' Alemagna , nella quale colla prudenza di Li- curgo e di Solone meditava F idea di un nuovo codice ( 37 ). (35) Filosofia Menta (-16) Pei Difetti 'iella Giurisprudenza. (37) Dissertazione diretta all'Imperatore Carlo VI. col titolo — He Codine Carolino , sive He Novo L. guru Codice istituendo — Vedi vita H.-1 Muratori p. 60. Tom. I. C i8 Elogio a Lodovico Antonio Muratori Benché non in ciò soltanto si esalta il legale criterio di Lodovico, quanto nelle memorabili controversie di Co- rnacchie e del Ducato Ferrarese ( 38 ) , ove sia vero , a dubitarne impossibile , che in esse dispiegasse i talenti di Avvocato espertissimo. Quali avvertenze di critica, quale occhio perspicace nella erudizione , quale vigoria or di plausibili conghietture , or d' inconcusse ragioni non risplen- don nelle Carte , che tutelano i diritti Imperiali ed Estensi contro il Fontanini e il Zaccagni? Qual corredo di prove, quale sottilità di dialettica, peso, nerbo, facondia, celerità in quella Scrittura, che in prò de' Sovrani d'Este vi parla del dominio di Ferrara, o contrapponga ai Capitoli di Paolo III. l'Investitura, di che Alessandro VI. fu liberale ad Ercole I., o dimostri discendente legittimo di Alfonso I. il Duca Cesare , prostrando così V Achille degli Avversarj ( 3q ) ? E niuno negherà , che fonte della pubblica Felicità non sia l'amministrare santamente la giustizia (4°)- Ogni Stato forma una Repubblica, della quale è capo il Principe, e membra cooperatrici sono i soggetti , tra cui , non altra- mente che frammezzo a due estremi , 1' armonia di un buon governo collocò i Ministri : ritratto, giusta un Bonald, della società di famiglia , in cui fra il padre ed i figli fu posta da Natura la madre, che la paterna severità e la fi- lial licenza con un misto di tenerezza e di autorità rattem- (38) Osservazioni sopra una Lettera intitolata: Il Dominio temporale della sede Apostolica sopra la Città di Comaccbio. Supplica di Rinaldo I. Duca di Modena alla Maestà dell' Imperadore Giusep- pe I. per le controversie di Comacchio. Quistioni Comacchiesi. Piena esposizione dei diritti Imperiali ed Estensi sopra Comacchio. Ragioni della Serenissima Casa d' Este sopra Ferrara. Disamina d' una Scrittura intitolata : Risposta a varie Scritture in proposito delle Controversie di Comacchio. (39) Vedi pure il Tomo II. delle Antichità Estensi cap. 14- (40) Trattato della pubblica Felicità oggetto de' buoni Principi. Del Sic. Professore Giuseppe Lugli. 19 pera e compone. L' Educazione prepari il Ministro ed il Suddito ; e al primo uopo una particolare Accademia di nobili Giovani , corse già le scuole , gli avvezzi a pubblico reggimento ; ed al secondo le scienze e le Aiti indirizzate a verace scopo conducano gli animi di tutti a promuovere il ben sociale. Intanto Lodovico fonda la sublime scuola , ove per politico avvedimento brilleranno gì' intelletti dei Caliani , dei Beccaria e dei Carli. Tra le Arti , Ei vi dirà , serbi il primato l'Agricoltura, onde la terra abbiasi al pos- sibile eulta e ferace. Intelligenza quindi e attività nel co- lono, istruzione, libri ed esperimenti rurali, macchine multiplicanti le braccia, premio all'industria, scelta del meglio, vigilanza di maestrati. Le Manifatture introdotte e provvedute d' utili ritrovamenti col modificare e ingentilire le greggie materie accrescano di queste il pregio, e schian- tino dallo Stato quel tarlo, che sordamente nel consuma, il mendicare dallo straniero quanto potrebbe allignare nel proprio suolo. L' interno Commercio ed esterno cambiando o trasportando i prodotti della terra e delle arti incoraggi ogni genere di lavoro col prospetto della ricchezza. Peso , bontà , proporzione tra il valore intrinseco ed estrinseco raccomandino la moneta, che del corpo economico è il sangue e la vita. Giusto ripartimento de' Tributi mantenga e perpetui la difesa e la cura dello Stato, serva di scolo a'ristagni, d'incentivo all' industria. Represso venga il lusso dell' individuo, che diserta le famiglie, e promosso quel della classe , che in dicevole pompa e dignità le conserva. Onesti giuochi intertengano il popolo, lo alleviino dalle fa- tiche , e pulitezza ed eleganza , che ovunque si risparge , rallegri i suoi passi co' ben architettati edificj dall' emula gara de' cittadini o rabbelliti o inalzati. Gioisca il buon Prin- cipe, il cui Trono sorreggono la Pudigione , e la Giustizia, dilla Felicità a' popoli suoi procurata, glorioso di venir con Tito e Marco Aurelio salutato Padre e Benefattore della umanità. E il nostro Economista, che tanta felicità augu- ao Elogio a Lodovico Antonio Muratori ravasi di vedere avverata , presagiva il regno di Francesco Quarto (4-1 )• Il senso dell' ottimo , che il Muratori metteva ad ogni cosa , lo guida a riprodurre il Buongusto nelle Scienze e nelle Arti (4'2)? e Pm nelle ultime, che non poco senti- vano delle onte del Secentismo. Ma chi sa dirne quale prin- cipio semplicissimo , comechè non avvertito , comprenda , informi e perfezioni tutti quanti i parziali sistemi dei Gusti ? Arrestasi 1? acume di Lodovico alla difficoltà del problema metafisico : pure non dispera di soggiogarlo. Distende il pensiero nientemeno, che alle svariate province del sapere, e sempre riscontra la verità tra 1' eccesso e il difetto ; tal- ché nel Giudizio possente a coglierla illesa di mezzo ai due estremi raffigura quel Gusto, che d" ogni disciplina sacra o profana , amena o severa è principio. Questa è la chiave , che n' è data da Lui a disserrare il segreto di sua Critica, la quale ei voleva adattare alla divisata Riformazione. E non sia meraviglia se con tale principio ei venga a ral- largare di troppo i confini del Gusto. Il Muratori non usa in ciò un linguaggio , che dissenta da quello de' sommi uomini , i quali sono soliti nelle loro idee approssimare all' infinito. Materia e Forma disse Aristotele, e segregando con questi due vocaboli 1' essenza dall' accidente negli esseri creati , lesse pel primo i caratteri degli esseri stessi : Vero e Certo soggiunse dopo tanti secoli Giambattista Vico , e discernendo con questa distinzione ciò che vi abbia di eterno ne'principj delle cose e di variabile ne'fatti giudicò innanzi a! Barone di Montesquieu la natura comune delle Nazioni. Eccesso e Difetto gridò il Muratori, e definendo così i ter- mini assoluti del Decoro convenienti a qualsivoglia verità, (40 Sono già noti all'Italia i tanti utili Stabilimenti istituiti Ja questo sario e benefico Sovrano per la riforma specialmente della pubblica Istruzione , dirigendola così a quello scopo che 6Ìno da' suoi tempi desiderava il Muratori* (42) Riflessioni sopra il Buongusto nelle Scienze e nelle Arti. Del Sic Professore Giuseppe Lugli. ai divenne il Legislatore del Gusto universale. Tale fu sempre l' indole del Genio, travalicare ogni spazio intermedio onde posare sublime siili' estremo confine. Nell'archetipo ideato Egli affisa il Bello, che del Vero, o di ciò che il somigli è un lume soave. (4-3) Il Bello, cui la Poesia rappresenta, il direte la dipintura di quanto ella possa per fantasia colorare nei tre regni naturali , Celeste , Materiale ed Umano. Dalla quale vastità di subhietto e di oggetto ne conseguita che le Scienze considerano il vero per saperlo, e la Poesia per imitarlo. E qui vedreste , Ascolta- tori , la Critica Muratoriana segnare di grande orma le re- gioni del Verisimile, del Meraviglioso, dell'Artificio, della Immaginativa e del Giudizio nelle azioni, nelle favole, ne' costumi e ne' sentimenti , che si addicono all' Epica , alla Drammatica e alla Melica Poesia, e non paventare nel cam- mino l'incontro degli Aristoteli, de'Tnllj, de' Longini e de' Fabj , che pur tutte discorsero le mentovate regioni coi loro precetti. Voi la vedreste , a scorno dell' ahborrita mediocrità, ravvicinare sovente i Genj delle Nazioni il maggior Greco e il Ferrarese , il cantor di Enea e di Goffredo , il cigno di Tebe e di Savona ; esser rapita dal Corneille ove non decla- mi , e dal Racine ove non concettizzi ; condannare il dram- ma se schiavo della musica ; bramare più austero il coturno, meno licenzioso il socco, e unirsi al Bossuet, che non assolve da certe macchie il Molière ; incoraggire chi imita , ammi- rare chi crea , e del proprio entusiasmo scaldare il giovinetto secolo , che ridesto all' invito del Bello attendeva la Merope Maffejana, accelerava i Metastasj, apparecchiava gli Alfieri e voleva i Canova. Svolge quindi Lodovico le vicende della volgare Poesia , ne rivendica all' Italia l' origine , V ascolta vagire nelle antichissime Romane cantilene , modularsi dal dorico labbro Siciliano e poscia dal Provenzale, adottarsi dal (43) Della Perfetta Poesia. ai Elogio a Lodovico Antonio Muratori Lombardo, e addolcirsi dall'Etrusco. Rimprovera al Bouhours, al Rapin, al Fontenelle, importuni censori della Musa Italica, i furti a lei fatti dalla Francese , e anziché confessare quella corruttrice del gusto , la mostra corrotta da questa , e rin- tuzza i motteggi del Boileau ricordandogli il bizzarro Des-Ac- cords applaudito dalla Francia, come il Lope de Vega dalla Spagna innanzi che comparisse un Marini , cui la Francia stessa accolse e premiò. Frutto delle ammesse teoriche è 1' annunziarvi ch'ei fa la Poesia qual'Arte subordinata alla Morale e alla Politica , affinchè oltre al diletto ragguardi al- l'altrui giovamento. Dietro le quali doti, che rendono perfetta la Poesia, potè il Muratori sentenziare del merito di Pier Jacopo Martelli , e di altri, e riscontrare le stesse doti conseguite lodevolmente dal Maggi e dal Lemene ( 44 ) > l' uno pieno di sentenze e l'altro abbellito da grazie; per cui fu presto a pubblicarne le vite, e (4^) pianse ancora in versi la morte del primo. Seb- bene un esemplare più grave in nostra lingua Egli viene sug- gerendo nell'Alighieri, (4b ) poeta cittadino nel senso che già bramava il Maestro dell' umana ragione, e di cui raccomanda non meno il poema sacro , che le rime Liriche , cotanto sembrano a lui avvenenti e sugose , ond' è che promette una bella gloria a chi se ne faccia espositore ; benché in parte le comentasse il Poeta medesimo nelle severissime Prose. E si prevale delle parole di quel Divino , indarno contrastate dal Varchi, ad invogliarci della materna favella, Italica e non Toscana,. e ribattendo il Salviati, che restrinse al solo Trecento V aurea età della lingua , consiglia ad apprenderne (44) Estratto dei Versi e Prose e del Teatro Ji Pier Jacopo Martelli. Art. i3. Tom. 5. Giornale de'Letterati d'Italia. Lettera al Sig. Conte Giuseppe Maria Imbonati in lode di Francesco Puricelli Milanese. Vita e Rime di Carlo Maria Maggi ; Vita di Francesco Lemene. (45) Poesie del Minatori. (46) Vedi il lib. i. cap. 3. a il lib. 3. cap. 8. della Perfetta Poesia. Del Sic. Professore Giuseppe Lugli. 2,3 la purezza da quel secolo, e da quello di Leone la copia e la maestà. Rammemora perciò il Bembo, che rialzò la decaduta favella colle regole e coli' esempio , e difende e loda quel Tribunale, cui spettava a Firenze di erigere, come possedi- trice del dialetto più leggiadro, perchè guardasse l'integrità del Volgare illustre. Non venera così Dante, che più non lo trasporti il Petrarca, del quale amò di essere biografo ( 47 ) ' ma desidera che il criterio riconosca anche in lui que' difet- ti , che lo fanno mortale. Sottopone infatti al Canzoniere , oltre un parziale commento alle tre Sorelle (4^)? 'e pro- prie considerazioni (49 )•> e le condisce di festività con quelle di uno Spirito sagace, che sotto lo scherzo, (e il manifesta nelle memorie (5o), che di esso compilò) , ascose più volte filosofia non comune. E che mai diverrebbe il regno delle lettere senza questa donna dell' intelletto ? Ben Egli sei vede, e in prova ne dà, colla vita ( 5 1 ) corroborata da forte apo- logia ( 5a ) contro Chi suscitava di nuovo le calunnie del Caro, riordinate e corrette le Opere di quel Castelvetro, che allo studio filologico il criterio del filosofo sottilissimamente congiunse. Le anime eccelse non cumulano tesoro di sapienza sol per se stesse , ma sì per diffonderlo libéralissime, e mirando ai secoli avvenire, perpetuarlo. Il perchè gli cade lo sguardo sulla Italia ( 53 ). Con dolore ne scorge volta in fondo la gloria , colpa di un ozio vile , onde la dormigliosa da chi notricò di suo latte lasciossi rapire la maggioranza. Né già che abbietta invidia incapace di annidare nel petto di (4?) Vita di Francesco Petrarca. (48) Vedi il lib. 4. della Perfetta Poesia. (49) L* rime di Francesco Petrarca colle considerazioni di Alessandro Tas- toni, di Girolamo Muzio e del Muratori. (50) Vita di Alessandro Tassoni. (5i) Vita ed Opere critiche di Lodovico Castelvetro. (5a) Primo Esame dell'Eloquenza Italiana di Monsignor Foutanitii. (53) Vedi la Parte prima cap. i. del Buongusto. ^4 Elogio a Lodovico Antonio Muratori Lodovico ( il che testimonia abbastanza col Commentario de' suoi studj (54) diretto al Conte Artico di Porcia ) lo attristi de" progressi letterarj fatti dalle genti straniere ; che anzi asseconda di reiterata commendazione gli sforzi , che sul mare Fiulandico eseguiva il Grande della Casa di Ro- manow (55), e che oggi fra la gara de' Potentati del Notte raddoppia nelle piagge Iperboree il Nipote di Catterina. Patrio zelo bensì , che lo mosse a fondare adunanze di Ec- clesiastica erudizione in Milano, di Lettere e di Morale nel palagio Borromeo , e ad animarvi quella de' Faticosi ( 56 ) colle primizie di sua mente , ora il forza a deplorare le Ac- cademie tralignate fra noi dagli utili Statuti e gì' ingegni sparsi e divisi per mutue gelosie, ond' è che il frutto di lor fatiche risponde di rado a comune intenzione. Privato Egli e semplice cittadino osò alzare la voce, destare gli animi dal ver- gognoso letargo, e un pensiero concepire ardito e regio e tale che sempiterna la sua memoria per nazionale benemeren- za (S7). Assunti pertanto i nomi di Antonio Lampridio e di Lamindo Pritanio, che ascondevano in parte il proprio, ond' ebbe all' uopo un libero epistolare commercio col nobile Veneto Bernardo Trevisano (58)^ va Egli divisando un general collegamento degli spiriti più culti, ove mostrati vi sarebbero un Magliabecchi e un Gravina , i quali sotto il titolo di Arconti compongano a guisa di Ottimati una letteraria Re- pubblica. Ne crea gran Protettore uno de' Principi Italiani; la munisce con accortezza di leggi e di ministri; senza fasto ne prescrive i doveri , e con dolce entusiasmo espone le concorrenze lodevoli d'una coli' altra delle cinque Province, (54) Vedi l'Appendice prima della Vita del Muritori pig. 3o5. (55) Vedi i capi 3. e 7. della pubblica Felicità (56) Vita del Muratori pag. 18. Anche prima di portarsi a Milano, avea il Muratori recitate in Modena Sette Dissertazioni Accademiche sopra varj argomenti- (57) I primi disegni della Repubblica Letteraria rubati al segreto, e donati alla curiosità degli altri eruditi d3 Lamindo Pritanio. (58) Vita del Muralori pag. »3. Del Sig. Professore Giuseppe Lugli. a5 in che brama partito l' ideato Reggimento. Esimio scopo dello sforzo concorde, al quale ne stringe con preghiere e con lacrime , sia la riforma e l'incremento delle Arti e delle Scienze a beneficio della Cattolica Religione , a splendore d' Italia , a prò del genere umano. Chi crederebbe ( 59 ) de- riso da parecchi quale chimerico , ripudiato dai più valen- ti (60) quale borioso e puerile in modo che poi abbisognasse di umile Epistola apologetica (61) l'egregio consiglio? Non al tutto però si giacque negletta l'idea del Muratori; poiché vi ebbero anime sollecite a custodirla. E tu, spirito av- venturato di Anton Mario Lorgna ( 62, ) , ben più che un Ferdinando Marsigli col Bolognese Istituto , la grande idea ravvivasti: tu autore, tu padre della Italiana Società delle Scienze monumento caro ed illustre del senno di nostra Nazio- ne. Protetta essa, come Lodovico desiderava di sua Repubbli- ca, da larghissimo Principe, da inclito Preside governata, di pellegrini trovati arricchita, e rispettabile alla Europa coi no- mi degli Spallanzani, de'Ruffini, de'Volta, degli Scarpa, degli Oriani, degli Amici , e de' Piazzi, contempla giuliva la ognora crescente sua fama, e la venerazione che dai posteri aspetta. Fin qui il Critico Italiano si mise dentro il secreto della mente divina , rischiarò e difese la Religione , inter- rogò la Natura , riformò l' Uomo. Tantosto spazierà Egli per que' campi immensurabili , cui prodigiosa memoria gli schiu- derà innanzi illuminata da intelletto non men prodigioso. Laonde armato per lei degli strumenti più adatti, esperto (63) ( 5q ) Vita del Muratori pag. a3. (60 ) Vedi la Risposta di Monsignor Francesco Bianchini al Muratiri sul pro- posito della Repubblica Letteraria del Pritanio. Vita del Muratori Appendice i. n. 3. (61) Lettera apologetica indiritta da Lamindo Pritanio nel 1705 ai generosi e cortesi Letterati d'Italia. Vita del Muratori Appendice 1. p.ig. 340. (6a) Vedine il bellissimo Elogio scritto dal Palcani. Leggi ancora la Dedira a 8. A. R. Francesco IV. premessa al T. 18. p. a. della Società Italiana delle Scienze residente in Modena. (63) Vita del Muratori pag. 309. Tom. I. D 20 Elogio a Lodovico Antonio Muratori nelle lingue dotte , maestro della Greca (64), ove l'udiate a ragionarne dell' uso e della eccellenza , e a compian- gerne tra noi la non curanza : versato ( 65 ) ne' precipui idiomi d' Europa : agguerrito ad ogni letterario cimento , o con eloquente Esortazione (66) intenda a restaurare il me- todo degli studj nelle italiche religiose Congregazioni , o vi dimostri ( 67 ) quanto di vero e di probabile spetti alla musica del Teatro Greco , o del suo Marchese Orsi , del quale poi stese la vita (68), mantenga le riflessioni su di un verso ( 69 ) di Lucano , o vi favelli ( 70 ) degli antichi Servi e Liberti , o del Placito (71) tenuto in Ravenna da Silvestro Secondo e da Ottone Terzo , o vi disveli ( 72, ) l'origine della corona ferrea coi varj riti delle incoronazioni, e le prerogative , che per quelle pretendevano Monza , Pa- via, e Milano, ovvero consulti (73) Filone Ebreo, onde coli' esempio della nazione Giudaica vi accerti potersi nei dì concessi dalla Chiesa congiungere col digiuno l' uso delle carni , oppure vi proponga ( 74 ) i motivi , per cui credeva , (64) Dissertalo de Graecae Linguae usu et praestantia. Vedi pure due Let- tere del Muratori al Signor Giuseppe Pecci. Napoli i743« ( 65 ) Vita del Muratori pag. 209. ( 66 ) Lettera esortatoria di Lamindo Pritanio ai Capi, Maestri, Lettori, ed altri Ministri degli Ordini Religiosi d'Italia. Vita del Muratori Appendice 1. pag. 248. (67) Dissertazione intorno a ciò , che possa dirsi o conghietturarsi sulla que- stione se le Tragedie e Commedie antiche non solo ne' Cori, ma ancora negli Atti si cantassero interamente e con musica vera. È citata dallo stesso Muratori nel cap. 5. lib. 3. della Perfetta Poesia. (68) Vita del Marchese Giangiuseppe Orsi. ( 69 ) Lettera in difesa del Marchese Orsi sul verso di Lucano — Victrix causa Diis placuit, sed vieta Catoni — (70) Dissertazione sopra la condizione dei Servi e Liberti antichi. (71) Placitnm Ravennae apud Classerà habitum a Sylvestro li. P. M. et Ottone III. Augusto , et a Muratorio illustratum. (72) Commentarius de Corona Ferrea, qua Imperatores in Insubribus corona- ri solent. Tom. 11. part. 3. pag. 255. Ediz. d'Arezzo. (73) Giudizio o Voto di Lodovico Antonio Muratori intorno alla Dissertazione del Proposto Alessandro Mantegazzi di Piacenza — De Jejunio cum esu carnium conjungendo — (74) Motivi di credere tuttavia ascoso e non iscoperto in Pavia l'anno 1695 il sacro corpo di S. Agostino, Del Sic. Professore Giuseppe Lugli. 27 pendente il decreto del Vaticano, nascosto ancora in Pavia il corpo del santo Vescovo d' Ippona, o vi rischiari ( 75 ) un vetusto documento, che risguarda il Cenobio dell'Avellana: prestante nell'Antiquaria qualora e vi dicif'eri (76) le lapide di Spello e di Frejus, e vi stenebri (77) la forinola dell' Ascia sepolcrale, e v'illustri (78) l'Obelisco di Campo Marzio e la Tavola ( 79 ) pertinente a' fanciulli alimen- tar] di Trajano , insigne bronzo della Velleja Parmense : altro Grutero poi col nuovo Tesoro (80) di diciotto mila e più assai Iscrizioni , un' esuberante messe di erudizione Gre- ca, Latina., e Cristiana in venticinque Classi vi distribui- sca, nelle quali ora vi si appalesi conservatore di quello , che più campò dal tempo, che dalla incuria cittadina, col pubblicare, mercè del Bianchini, la masserizie già raccolta da un Albani in copiosissimo Museo , e coli' aggregare le proprie alle Collezioni del Gori , del Malvasia , del Rossi , del Doni, di Filippo del Torre, del Vignoli, del Volpi e del Maffei , onde così coi marmi attinenti a Deità e a Sa- cerdoti , a Re ed a Cesari , a Magistrati e a Decreti , a Collegj, ad Officj , a Ludi, a Fabbriche, a Città , a Co- lonie, a Municipj e a Sepolcri, e all'affetto vicendevole di padre, di patrono, di marito , di fratello, di congiunto e di amico si compiacesse la Lapidaria di più completo ap- parato ; ora vi si discuopra vindice delle schede inedite del Ciriaco, di Fra Giocondo Veronese, del Reggiano Ferrarmi e del Tolomei , le quali involò da invide latebre ; ora scru- tatore delle iscrizioni dubbiose o spurie, ed ora restitutore (75) Dissertazione indirizzata dal Muratori al Proposto Anton -Francesco Gori intorno a un Documento spettante al Monastero dell'Avellana. Vita del Murat. p. 70. (76) Dna Dissertazioni sopra due Iscrizioni di quelle Città. (77) Dissertazione sopra l'Ascia sepolcrale. (78) Lettera al Signor Ab-Ue Angiul Maria Bandini sopra 1' Obelisco di Campo Marzio fatto scoprire da Benedetto XIV. (79) Dissertazione su questa Tavola dissotterrata nel Territorio di Piacen/.a l'anno 1747. (80) Novus Thesaurus veterum Inscriptionum. 28 Elogio a Lodovico Antonio Muratori di quanto deluse la ricerca, circoscrisse lo sforzo, stancò il coraggio del Sigonio , del Panvinio , del Pighio , del Pagi , del Gerson , del Noris , dello Stampa , del Relando , del Tillemont , del Petavio col darvi de' Fasti Consolari intero prospetto elaboratissimo : raro per ultimo ( 8 1 ) nella Diplo- matica e unico nella Critica, miratelo in adesso dall'altezza di questi mezzi , eh' Egli adunò , elevarsi sopra il secolo che ne stordisce , e coli' aspetto delle prische vicissitudini aprire all'uomo da lui riformato una scuola di ancor più certo insegnamento. La romana potenza (82), benché si vantasse eterna sulla terra, veniva dall'occulta forza de' casi tratta a ruina. Dei tanti avvenimenti però, di cui dodici Età furono spet- tatrici da Romolo sino ad Onorio , terribilissimo , non ha dubbio , fu l' abbattimento di mole sì vasta. Una gente vissuta sotto orrido cielo, mal difesa ne' tugurj da verno perpetuo, selvaggia, errante, di tutto scema fuorché d'una indomita gagliardia, inasprita dalle angustie e dalle offese, spregiata da' Romani, e a rilento cresciuta, allora solo die a conoscere se stessa quando già era formidabile. L' Unno feroce muove dalle frontiere della China, e con empito tempestoso , quasi come orribile cosa , urtala e percuote ; dal quale sospignimento agitata la moltitudine de' Barbari di Europa, abbandona le natie grotte, a più torrenti si riversa sul mezzogiorno , e calpestando siili' Elba i tro- fei di Druso , e sul Visurgo evocando l' ombra d' Arminio ( 81 ) Vedi la Dissertazioue 34- delle Antichità Italiche del medio evo — de Di- plomatis et Cartis antiquis dubiis aut falsis. — (82) Vedi la Dissertazione prima delle Antichità Itali del medio evo — De exteris Gentibus, quae post declinationem Romani Imperii Italiani afflixerunt, aut sibi subjecerunt — Giordano Vescovo di Ravenna de rebus Geticis cap. 5. e 24. Procopio de bello Gothico lib. 1. cap. 12. lib- 2 c.ip. i4- l'h. 4- caP ^* 4- **• e Paolo Diacono de gestis Langobardarum lib. 1. cap. 1. a. lib. 2. cap. 1. 7. — Tom. r. par. I. Rerum Italicarum; e soprattutto la Tavola metodica delle Province Romane, e quella dei popoli settentrionali, che le invasero presso il le Sage nel suo Atlante Storico. N. 7. 8. Ediz. di Firenze 1806 e l'introduzione del lib. 1. delle Storie Fiorentine di Niccolò Machiavelli veduta al certo dal le Sage. Del Sic Professore Giuseppe Lugli. 29 trafitta l' Istro ed il Reno e la barriera sormonta , che il mondo barbarico dall' incivilito disgiunge. L' Anglo ed il Sassone sottentrano ai trionfi d'Agricola, il Franco alle con- quiste di Cesare ; l' Ertilo , V Ostrogoto e il Longobardo si dividono le opime spoglie dei Re e le corone dei Consoli e dei Dittatori; l'Alano, lo Sveco, ed il Vandalo rove- sciano le insegne vittoriose degli Scipioni , né meu dispet- tosi atterrano quelle di Paolo Emilio, di Metello e di Tra- iano il Gepido e l'Avaro. Quanto in somma di spazio serrano il Tamigi ed il Tigri , il Boristene ed il Nilo è già fatto preda de' popoli Boreali , che sulle reliquie dello imperio dicrollato gettano le fondamenta dell' Europa moderna. I monumenti della latina grandezza , che dalle mise- rande mine dissotterrò la paziente industria degli Eruditi , non tennero in più lunga opera il Muratori; ch'Egli sde- gna di calcare un sentiero ornai noto , ed è impaziente di segnalarsi con istrepitosa scoperta. L'esempio di Carlo Sigo- nio , del quale delineò ( 83 ) dottamente la vita , se per un istante il fa ( 84 ) pensoso , diventa per lui una fiamma , che fra poco lo accende in una maggiore. Quel Varrone dell' Italia dopo la luce , che sparse sulla Greca , Latina ed Ebraica erudizione sospinse il guardo per entro all' abisso de' tempi di mezzo. Primo fu Egli ( 85 ) colla Storia spe- cialmente del Regno Italico ad affrontare quella notte, e colse frutti meritevoli di perpetua ricordazione dall' inau- dito tentativo. Pure a' suoi intendimenti troppi ostacoli si opposero ; talché fuggitogli quasi 1' animo dovette retroce- dere , glorioso più presto del cammino per lungo spazio (83) Vita Caruli Sigonii. (84) Vita del Murat. png. 16. (85) Vedi il Murat. vita del Sigonio pag. 9. Tom. t. delle Opere Sigoniane Edi». Milanese; la Prefazione di lui alle Antichità Italiche Tom. r. pag. 3. il Ti- rab.ischi Storia della Letteratura Ital. Tom. 7. parte 3. pag. 838. e la Biblioteca Modenese di questo, Tom. ó pag. ioa. 3o Elogio a Lodovico Antonio Muratori arrischiato , che interamente percorso. Il Muratori succede al Sigonio, come il Newton al Galilei: seconda (86) il pro- pizio invito e del naturai Principe e della Maestà Britannica: visita gli archi vj, che dal tempo, dal ferro e dalla barbarie furono risparmiati : ne trae suppellettile doviziosissima di documenti : inordinata la ricompone, la depura colla critica , l' anima col genio , e all' attonita Europa appresenta un quadro religioso , politico e morale di dieci secoli , che se- polti nella obblivione Egli solo a vita revocò. Le preclare imprese procedono di rado a maturità su- bitanea ; che più spesso le prepara da lungi una serie for- tunata di meravigliosi successi. Eseguì adunque Lodovico innanzi a questo altri disegni , e furono d' investigare la vera origine della prosapia Estense, e di assembrare in ge- nerale Raccolta gli Scrittori delle cose italiche. Per conto del primo ( 87 ) intento , di cui divise la rinomanza ( 88 ) col Platone della Germania , al quale in- viò a tale uopo ( 89 ) due Lettere anzi Dissertazioni latine, non vi aspettate, che quel metodo ei segua di Genealogia, a cui si appiglia la mediocrità , ma quello bensì , che i valentissimi praticarono in ogni cosa, ove posero l'ingegno. Comincia dal disordine, perchè a meglio riescagli l'ordine: irregolare cammina , perchè da via regolata gli si affacci la verità : dal noto sale all' ignoto , da quanto susseguì a quanto precede. Mette pertanto (90) indubitato ascendente degli Estensi il Marcliese Alberto Azzo nato sul chiudersi del secolo undecimo, e congiunto per nozze a Cunegonda de' Principi Guelfi Conti di Altorf e signore di Stati flòri- (86) Vita del Murat. pag. 34. (87) Antichità Estensi. (88) Giitil'redo Guglielmo Leibnizio coll'Opera — Scriptorurn Brunswicentia illustrantìum — (89) Vedi la Prefaz. del Murat. alle Antichità Estensi pag. ai. Le due Let- tere trattano — De connexione Brunswicensis familiae oum Estensi — (90) Antichità Estensi part. I. cap. 1. Del Sic Professore Giuseppe Lucli. 3i dissimi nella Svevia. In Guelfo III. (91) fratello di Cune- gonda, Duca della Carintia e Marchese di Verona, mancata la linea maschile de'Guelfoni, la rinovellò il cielo in un figlio di Azzo e di Cunegonda, erede e del nome del Zio materno e dell' ampio patrimonio de' Guelfi. In cpiesto ben augurato rampollo trapiantato nell'Alemagna l'Estense Ge- nealogista inchina al progenitore della Elettorale casa di Brunswich , che ora modera l' equilibrio europeo dal soglio d'Inghilterra; e in Folco I. (92), frutto delle seconde nozze di Azzo con Garsenda principessa del Maine, riverente va- gheggia il prezioso ramo di quel lignaggio , a cui la ma- gnanimità (93) di Azzo VII., la prudenza (94) di Obizzo, le doti pacifiche (95) di Leonello, l'equità (96) di Borso, la splendidezza e bontà (97) degli Ercoli, il senno, la mu- nificenza e la santità (98) degli Alfonsi, la mansuetudine (99) di Cesare , il valore del I. Francesco , il decoro e la gran- dezza (100) del II. e del III., e la Religione difesa, e le Muse allegrate, e le Scienze e le Arti protette procaccia- rono chiarissima nominanza sui Troni e di Ferrara e di questa inclita patria. Dal prenotato Azzo ramo certissimo della pianta, dal cui tronco il Muratori si partì per risalirne alle cime, fassi poscia a digradarne sin verso alle ultime radici col discendere (101) ad Azzo I., indi (102) al II. ed ( io3) (91 ) Antichità Estensi part. i. cap. a. (92) Ivi cap. 3. Vedi pure la Tavola 2. dei principali Personaggi della Casa d'Este premessa alla parte i. (93) Ivi cap. 42- e part. a. cap. 1. (94) Part. a. cap. a. (95) Iv (96) Iv cap. 8. cap. 9. (97) Ivi cap. io. e ia (98) Ivi cap. 11. i3. i5. e 17. (99) Ivi cap. 14. (100) Ivi cap. 16. 18 ed ultimo. (101 ) Parte 1. cap. 11. ( ica ) Ivi cap. ia. ( ic3) Ivi cap. i5. 3a Elogio a Lodovico Antonio Muratori al I. degli Oberti, donde passando ( 104 ) ad Adalberto III. Marchese e Duca di Toscana e nipote (io5) d'un Guido, prole di Adalberto il Ricco, perviene ( 106) ad Adalberto I. che portandolo a Bonifazio II. lo arresta (107) in Bonifazio I., Conte di Lucca , il quale si trasferì di Baviera in Italia nel secolo nono. Già il preme notte Longobardica , e là tra i lauri e le palme collo Scudo Lorenese , colla Croce Sabauda e col Giglio Borbonico (108) vede occultarsi la stirpe di Ateste. Terminato l'un disegno applica l' animo infaticabile all' altro (109) arduo non meno e ammirando. Né cause più orrevoli vel possono spronare (110), che il lustro d'Italia, un' emulazione magnanima, e un giusto disdegno. Duramente gli grava , che a Lei manchi un pregio , di cui altre Na- zioni (111) vadano superbe , e che a doppio scorno lo straniero le presti (iia) quel chiarore d'erudizione, il quale doveasi ad essa da' suoi. E benché l' opera di una universal Collezione degli Scrittori delle cose italiche appaja sforma- tissima ed erculea , pur Egli cercherà di corredarla da un confine all' altro di storiche , biografiche , apologetiche , diatribiche , cronologiche , bibliografiche , sinottiche e poli- tiche Prefazioni , tutte energia , filologico fiore , posato giudizio , e modellamento d'un filosofare incontaminato : raf- fronterà ( 1 13 ) i Codici, fatti già di pubblica ragione, co' (104) Antichità Estensi part. t. cap. ai. ( io5 ) Ivi cap. aa. ( 106 ) Ivi cap. a3. (107) Ivi pag. aao. Vedi ancora la Tavola i. Genealogica della Gasa d' Este premessa alla parte t. (108) Ivi cap. io pag. 76. (109) Rerum Italicarum Scriptores ab anno D- Aerae Christianae ad ammiri cioio. Mediolani. (no) In Scriptores Rer. Ital. Praefatio Tom. i. par. i. pag. 3. e 9. (ni) Ivi pag. 1.3. e 9. ( na) Ivi pag. 3. ( 1 13 ) Ivi pag. 8. e Tom. a. parte 1. pag. 1. Tom. 4 Pag- •■ Tom. 8. p. i53. Tom. io. pag. 1. Tom. ia. pag. 757. Rerum Italie. Del Sig. Professore Giuseppe Lugli. 33 Manoscritti, e d'innumerevoli note (ii4) dilucideralla , di somme, d'osservazioni e di varianze elucubratissime : nella penuria dei Documenti additerà ( 1 1 5 ) i fonti, onde sup- plire al difetto: saprà (116) eleggere nella copia, e accorto resecare (117) ciò che v'abbia di soverchio, col pretermet- tere i favolosi primordj : farà che all'uopo o si riproduca o si ammendi quella immane serie di monumenti , su cui travagliarono (118) i Mabillon, (119) i Grozj, (120) i Lei- bnizj , (121) i Lambeci , (122) i Papebrochj , (i2,3) i Freeri, (124) gli Ughelli, (i25) i Bacchini, (126) gli Ec- cardi, (127) gli Osii, (128) i Valesj, (129) i Baluzj, (i3o) i Maurini, ( i3i ) e i Bollandisti; e colla edizione perfettis- ( 1 14 ) Rerum Italie. Tom. i. part. a. pag. 285.319. 5a5. Tom. 2. part. i. pag. 1. 476. Tom. a. part. a. pag. 1. 159. 387- 695. Tom. 4- pag* i-H- Tom. 5. pag. 335. Tom. 9. pag. 57. (n5) In Scriptores Rer. Ital. praefatio pag. 4- ( 116 ) Ivi pag. 4- 5. (117) Ivi pag. 5. Rer. Ital. Tom. 7. pag. 1. 97. Tom. 14. pag. 771. Tom. 28. pag. 591. (118) Tom. 1. part. a. pag. i85. 1093. Tom. 3. part. 1. pag. 278. 314. T. 3. part. a. pag. 67. 78. 89. 116. 118. a83.. 286. 287. 291. 394. 307. 324. T. 23. pag. 2o3. (119) Tom. 1. part. 1. pag. 240. 379. (120) Tom. a. part. i.pag. 371. Tom. 4- pag- 1. Tom. 5. pag. 24 i . 335. 387. ( 121 ) Tom. a. part- a. pag. 83. Tom. 3. part. a. pag. 73. Tom. ao. pag. 609. (laa) Tom. 3. part. 1. pag. 6i3. Tom. 7. pag. io55. (ia3) Tom. 1. part. a. pag. 181. (ia4) Tom. a. part. 1. pag. aao. Tom. 2. part. a. pag. 767. Tom. 6. pag. 97. Tom. 7. pag. 85 1. 963. Tom. 8. pag. 489. ( ra5) Tom. 1. part. 1. pag. 1 Tom. 5. pag. 337. ( 126) Tom. 3. part. a. pag. 33i. 335. 338. 342. 344- 346. Tom. 9. pag. 97. (127) Tom. 8. pag. 1. 67. 95. 117. i35. i53. 661. Tom. io. pag. 1. 56i. Tom. ta. pag. 757. (128) Tom. a. part. t. pag 371. Tom. 24. nell'Appendice pag. 635. (139) Tom. 3. part. 1 pag. -\?. 592. Tom. 3. part. 2. pag. 4^' '--'■ S5o. 589. 610. 645. 73o 868. Tom. 6. pag. 609. Tom. 8. pag. 781. Tom. 9. pag. 883. Tom. io. pag. 91.3. (i3o) Tom. 1. part. i. pag. 187. Tom. 5. pag. 279. Tom. io. pag. 801. (i3i) Tom. a. part. 1. pag. 490. Tom. a. part. 2. pag. io35. Tom I. E 34 Elogio a Lodovico Antonio Muratori sima ( 1 3a ) del Diritto Longobardico farà inoltre , che non si rammentino più come soli nel rassettare Editti un Giu- liano , nel compilare sterminato corpo di Legislazione un Triboniano , nell' ornarlo di forinole vetuste un Brisson, e nelF interpretarlo un Cujacio. Il perchè sarà Egli l'anima, che agiti ed informi la gran mole e col piano ( 1 33 ) che stenderanne misurando di uno sguardo i secoli barbarici, e col sistema , a cui ridurrà strabocchevol farragine di Storie e Decadi , di Annali e di Cronache , di Paralipomeni , di Commentar], di Atti e di Sinodi, e di libri Pontificali e di Bolle, di Miscelle, e di Opuscoli, di Effimeridi, e Memorie, di Catalogi e Diarj , di Vite, di Epitomi, di frammenti e Spicilegi, di Orazioni, ed Epistole, di Carmi e rozzi Poemi; talché se ne crei ( 1 34) bene ordinata Biblioteca, la quale avanzandosi con piena progressiva dal Goto narratore al Longobardo , dal Franco al Germanico, dall'Unnico al Normanno, e span- dendosi per ogni argomento e per ogni città, isola, stato e famiglia ricerchi e comprenda la vastità della bassa Eru- dizione. Ma l'uomo ha dei limiti, cui può soverchiare bensì coli' idea, non già coli' esecuzione ; poiché gliel contende necessità di natura. Laonde il Muratori, avvisandosi impo- tente ad imprendere da sé solo un lavoro di sì ampio tessuto, implorò il sussidio degli altri Italiani, e non indarno per questa volta. Alla voce di lui scuotesi l'Atene dell'Insubria, che approva il grandioso progetto; una società ( 1 35) d'in- gegni svegliatissimi , che in seno a quella si aduna, lo av- I i ri ) In Leges Langobardicae Praefatin Ludovici Antonii Muratorii - Leges Langobardicae secuudum ordinerà, quo Singulae prodierunt, digestae, et ad co- dices raanuscriptos Mutinenses , et Ambrosianae Bibhotecae diligenter exactae ac ettiendatae. Aceedunt nunc primigeniae ad easdem Praef.itiones, tum aliquot Le- ges . et formulae veteres non antea editne una cum variis lectionibus et noti» Ludovici Antonii Muratorii - Tom t. pnrt a. pag. i. Rer. Ital. ( i33) In scriptores rerum Ital. Praefatio pag. a. ( 1 34 ) Ivi pag. io (135) Ivi, e il Tirabojchi Biblioteca Modenese Tom. 3- pag H6. Del Sic. Professore Giuseppe Lugli. 35 valora , e ( 1 36 ) nei due Sassi Antonio e Girolamo e nelP Argelati sorgon nuovi Manuzj e nuovi Stefani, che a com- pierlo si accingono. Il divisamento Muratoriano risguardasi inen come Italico , che Europeo ; ond' è che versano i ri- posti loro tesori non tanto le Bihlioteche Ambrosiana , Estense, Strozziamo Laureiiziana , Vaticana e Barberina, quanto le più famose di Alleniagna, di Francia e di Spagna, la Cesarea , la Paolina di Lipsia , la Parigina e quella dell' Escuriale. Il moto del pubblico zelo propagasi alle altre città d'Italia, ai Capitoli più arredati, a' più ragguardevoli Monasterj di Bobbio, di Cava, di Nonantola, di Fossanova, di Cassino, di S. Apollinare in Classe, di Polirone; e tutti, i Privati ancora, ambiscono fregiare delle proprie ricchezze 1' intrapresa Raccolta. E perchè onore cumulatissimo suggelli l'autorità dell' uom singolare ( 1 3 7 ) , la maestà dell'Imperio, 1' Estense e Farnese magnificenza , 1' amorevolezza de' Gon- zaghi , la religione e lo splendore de' più dotti Porporati, il nome d'invitti Capitani, il consiglio d'intemerati Mini- stri, la prestanza di Nobiltà cospicua, l'amplitudine di Senati gravissimi , la Genovese , la Veneta e Lucchese Li- bertà Auspici e Mecenati si dichiarano di un' Opera , che rimembra ed eterna i Fasti della Italica virtù. Il Muratori colle Antichità Estensi e colla Raccolta degli Scrittori già padroneggia quel campo (i38), che di percorrere intende. Reso ardito perciò dalla stessa infinità dell' impresa, ritrosa invano alla forza della sua mente che per intero se la suggetta , Egli impugna la fiaccola , cui la Critica gli accese, e rompe con essa e dirada e dissipa le tenebre, che orrende, immense ed ostinate coprivano la faccia d'Europa; e nell' istante dal baratro, che di fitta caligine a ( 1 36 ) In script Rer Irai. Praef pag. II. (1S7) Vedi le elegantissime Dediche di Filippo Argelati premesse ad ogni Volume della Raccolta. ( 1 38 ) Antiquitates Italiese Medii Aevi. Ediz. Milanese. 36 Elogio a Lodovico Antonio Muratori guisa di ferreo muro la vallava , ad insperato giorno fa sor- gere l'Italia. A lui non riesce Ella meno cara, né minor riverenza gì' inspira, perchè la veda ingombra di barbariche spoglie. Sollecito anzi ne misura (139) i confini: osserva Pavia centro d' amplissimo regno : nota il Ducato di Bene- vento, che su gli altri primeggia: distingue l'Esarcato, il Romano Dominio e le Città lungo il mare Tirreno obbe- dienti all' impero Greco , e in disparte Vinegia , che libera cresce sulle accpie , pensosa sui futuri destini. Con occhio erudito discorre e ferma gli obbietti di sue critiche medita- zioni, culto, leggi, arti e costumi; e di tutto ritrarrà effigie fedele, talché se ne appaghino la Storia e la Filosofia. Am- mira ( 140) dapprima lo zelo e poscia il decoro nel culto: ( 1^.1 ) descrive, (142.) calcola, (i43) discute quanto l'uno (i44) Pro~ (i3q) Dissertat. a. de regno Italiae, ejusque finibus. Tom. i. colonne 56. 61. 62. 63. 66. 69. 70. (140) Dissertat. 56. De Religione Cbristianorum per Italiani post annum Christianae Epochae quinquagesimum Tom. 4- c°l* 7^3. e seg. 773. 777. e seg. 81 5. e seg. ( 141 ) Dissertat. 64. de vario Statu Dioeceseon Episcopalium. Tom. 5. col. 3. e seg. Dissertat. 57. de ritibus Ambrosianae Eccleslae. Ivi e Tom. 4- col. 338. Dissertat. 74. de Paroeciis et Plebibus. Tom- 6. col. 35g. e seg. 4°8. 4J3- (14^) Dissertat. 71. de Episcoporum , Abbatum, al iorumq uè Ecclesiastici rum potentia. Tom. 6 col. 5. e seg. $4' e seS- ^2 "9" Dissertat. 6g. de Censibus ac Reditibus olim ad Ecclesiam Roraanam spectan- tibus. Tom. 5. col. 798. e seg. 804. 808. e seg. (t43) Dissertat. 67. de modis , quibus olim Ecclesiae, Episcopi, Canonici, Monasteria , atque aliae hujusmodi Universitates sacrae terrenis opibus et com- modis auctae sunt. Tom. 5. col. 58g. e seg. 598. 606. 6i3. 619. 6»5. 627. e seg. 634- 644. 653. 660. Dissertat. 70. de Cleri , Ecclesiarum immunitatibus, privilegiis ac oneri- bus post invectas in Italiani Barbaras Gentes. Tom. 5. col. 9a3. 936. 980. ( i44) Dissertat. 58. de Christianorum veneratione erga Sanctos post de- clinationera Romani Imperii. Tom. 5 col. 3. e seg. Dissertat. 65 de Monasteriorum erectione , et Monachorum institutione. Tom. 5. col. 363. e seg. 38a e seg. 389 e seg. Dissertat. 66. de Monasteriis Monialium. Tom. 5. col. 49^. e seS* ^a4- ^40, 552. 571. 582. Dissertat. 75. de piis Laicorum Confraternitatibus , earumque origine. Tom. 6. col. 5. e seg. 24. 26. 63. 69. Del Sic. Professore Giuseppe Lugli. 37 mosse e l'altro (i4-5) istituì: vi riscontra ( 146) abusi, e (147) non li tace. Dal culto la passaggio (i4^) al governo e ne dise- gna la forma e ne appalesa i diritti. Penetra (149) nelle Corti Longobarde e ne scopre l'economia. Nei Rettori di Province e di Città vi addita (i5o) i Duchi maggiori e minori, indi ( r 5 1 ) i Marchesi ed i Conti, e, riputatissimo tra que- sti ( i5a), il Conte del sagro Palazzo. Ne' loro Fedeli v'in- (l45) Dissertata 61. de Cardinalium institutione. Tom. 5. col. i55. 187. i65. e seg. Dissertat. 69. de Canonicis. Tom. 5. col. 186. e seg. 190. 200. e seg. Dissertat. 63. de Advocatis Ecclesiarum et Vicedominis. Tom. 5. col. 275. e seg. 278. 285. 290. 297. ( 146) Dissertat. 56. Tom. 4- col 83o. Dissertat. 58. Tom. 5. col. 9. e seg. i3. 16." 41- ^7. Dissertat. 89. de Superstitionum semine in obscuris Italiae Saeculis. Tom. 5. col. 65. e seg. 68. 70. Dissertat. 60. Quaenam Haereses Saeculis rudibus Italiani divexarìnt. Tom. 5. col. 81. e seg. 89. e seg. (147) Dissertat. 64. Tom. 5. col. 33o. 354- Dissertat. 71. Tom. 6. col. 71. e seg. Dissertat. 62. Tom. 5 col. 214* Dissertat. 20. de Actibus mulierum Tom. 2. col. 44°^ Dissertat. 65. Tom. 5. col. 384- Dissertat. 66. T. 5. col. 534. Dissertat. 72. de Causis imminutae olim Ecclesiasticorum potentiae. Tom. 6. col. 193. 197. 2o3. 2i3. 228. 271. Dissertat. 73. de Monasteriis in benefichili concessis. Tom. 6. col. 3oi.3o3. • geg. 339. (148) Dissertat. 18. de Republica , Parte publica , et Ministris Reipublicae antiquis temporibus, et an Civiuoi Coinmunitates , uti nunc , ita et vetustis saeculis fuerint in Civitatibus Italicis. Tom. 1. col. 987. 990. 996. 1004. 1007. Dissertat. 3. de Imperatorum Romanorum , ac Regum Italicorum electione. Tom. 1. col. 78. 89. 1 14')) Dissertat. 4- di: OfHciis domus Regiae. Tom. 1. col. 118. e seg. (i5o) Dissertat. 5. de Ducibug ac Frincipibus antiquis Italiae. Tom. t. col. 149. e seg. ( i5i ) Dissertat. 6. de Marchionibus Italiae. Tom. 1. col. 268. e seg. Dissertat. 8. de Comitibus et Vicecomitibus. Tom. 1. col. 399. 4oa- 4°4- 418. 433. e seg1. (i5a) Dissertat. 7. de Comitibus Palatii. Tom. 1. col. 353. e seg. 38 Elogio a Lodovico Antonio Muratori dica ( 1 53 ) i Vassi e i Vassalli, e in Corrado I. chi regolò il Feudale sistema. Viene ( 1 54) alle Leggi, e vi parla della Dieta che le stabilisce, agli uomini e n'esamina ( 1 55 ) la condizione, alla giustizia e ne manifesta ( 1 56 ) l'ordine. Dappertutto lo accompagna però quello spirito critico, che del suo intelletto è la parte altissima. Deplora l'ignoranza de' tempi ( 1 5 7 ) nelle purgazioni, ( 1 53 ) nelle rappresaglie e (159) ne' duelli , e il rende circospetto (160) la natura de' diplomi, (161) de' sigilli e più quella (162) degli auto- grafi e delle copie. Nella selva delle cose (1 63), che pronto (i53) Disertat. II. de Allodiis , Vassis , Vassallis , Beneficiis , Feudis , Ca- gtellanis etc. Tom. i. col. 548. 553. 555. 578. e seg. 587. 610. 614. 6a3. (154) Dissertat. aa. de Legibus Italicorum et Statutorum origine. Tom. a. col. a33, a35. e seg. 364. (i55) Dissertat. i3. de Hominibus liberis et Arimannis. Tom. 1. col. 713. 7i5. 7»i. 7^4- e 7-33. Dissertai. 14 de Servis ac Hominibus de Masnada. Tom. 1. col. 705. 758. 0 *fg' 778- 795- 79"- e seS- Dissertat i5. de Manumissionibus Servorura ac de Libertis, Aldiis, ac Aldia- nis Tom. 1. col. 841. e seg. 847. e seg. 864. (i56) Dissertat. 9. de Missis Regiis, seu Iudicibus extraordinari is. Tom f. col. 453 e seg. 4^9* Dissertat. io de Minoribus Iustitiae Ministris , hoc est de Iudicibus , Scabinis , Sculdasriis , Castaldis, Decanig , Silvanis etc. Tom. 1. col. 4^7- 49^- 5i3. 5i6. 5i8. 5a3. 53o. e s«g. Dissertat. 3:. de Flacitis et Mallis. Tom. a. col. ga8. e seg. o,4a. 958. 9'jì. 968 e 983. {157) Dissertat. 38. de ludiciis Dei, sire Experimentis veterum ad scru- tandum Hominum crimen, sive innocentiam. Tom. 3. col. 61 1. 6i3. 618. 6ao. e seg. (i58) Dissertat- 55. de Rapresaliis. Tom. 4- col. 74.' ■ e seg. (169) Dissertat. 39. de Duello, ejusijue origine ac usu. Tom. 3. col. 633. e seg. (160) Vedi la cit;ita Dissertaz. 34. de Diplomatis. (i6t) Dissertat- 35. de Sigillis Medii Aevi. Tom. 3. col. 85. 89. 90. e seg. isa. e seg. ( 162) Dissertat. la. de Notariis. Tom. 1. col- 659. e seg. 669 e seg. 674- (i63) Vedi nuovamente la Dissertaz. 34 de Diplomatis et chartis anti- quis dubiis aut falsis. Tom. 3. col. 5. n. i5. 17. ar. 28. e seg. 3o. 34- 36. e seg. 74 e la Dissertat. pur citata aa. de Legibus- Tom. a. col. a85 lettera Ej come pure la Prefaz alle Leggi Longobarde. Tom. 1. part. a. pag. 4- Rerum Italicarum. Del Sic Professore Giuseppe Lugli. 3o ei diviluppa e nella moltitudine delle altre , che avveduto cribra , qua toglie l' assenso all' errore , là il sospende al dubbio, dove il nega alla frode, e dove l'accorda alla ve- rità. Ei legge il Decreto di Vitaliano per l'erezione del vescovado Ferrarese, e lo rigetta: ei guarda la Bolla di Gre- gorio I. che all'Arcivescovo di Ravenna convalida il possesso ottenuto dagl' Imperadori, e la tralascia : considera la Carta di Cesario Console e Duca pel Cenobio di Subjaco , e la riprova; l'altra di Lorenza Regina d'Aquileja, e la dispregia. Con lance minuta libra il privilegio del minore Teodosio per l'Archiginnasio di Bologna, e lo rifiuta: non rinviene l'Editto di Lottarlo IL, che autorizza il Romano diritto, abolito il Longobardo, e lo combatte: esclude la vecchia dote di Costantino, dubita della posteriore di Lodovico Pio, e riconosce e collauda la donazione di Pipino e di Carlo Magno, che decorò del diadema la podestà delle Chiavi. In altra parte lo chiamano (164) i procellosi rivolgimenti del mondo civile. Libere ( 1 6 5 ) le città Italiche, Egli, nuovo Polibio, considera (166) la Lega Lombarda e la giu- dica, scandaglia (167) il politico Trattato di Costanza, che la rafferma, rintraccia (168) l'origine della rabbia Guelfa ( 164) Dissertat. tfi. de assumpta a Civitatibus Italici» Reipublicae forma , atque origine liheitatis. Tr>m. 4. col. 5 e seg. 3o. e seg. (165) Dissertata 46 rie Civitatum Itiluarum Magistratibus. Tom. 4. col. 49- e seg. 65. 128. i3j. e seg. Dissertata 47' de amplificata Civitatum Italicarum dominatione ac potentia. Tom. 4- col. 160. e seg- 182 e seg. (166) Dissertat. 48- de Societate Lombardoruro, aliaque Civitatum Italicarum, »er\.mdae bbert.itis caussa, et de Pace Veneta et Coustantiensi. Tom. 4- col. a5o. 360. e seg. 278 20 r. 294. 3o6. e seg Dissertat. 49* de Civitatum Italicarum Fuederibus ac Paribus. Tom. 4 col. 340. e ji'g. (107) Dissert.it. 5o. de Libertate, Immunitatibus ac Privilegiis Civitatum, •e Principini) Italicorum. Tom. 4. col. 465. e seg. 4^7- e 8e?- (168) Dissertat. 5i. de origine et prugressu in Italia Gibellioae et Cuel- pliar Pactionum. Tom. 4 col. 6o5. e seg. 609. e seg. 644 Dissertat 62. de Regimine ac divisione Nobilium et Plebi*: in Civitatiba» Libens halite. Tom. 4 col. 65 ( ■ e seg. 660. 4o Elogio a Lodovico Antonio Muratori e Ghibellina, che la distrugge, e applaude ( 1 69 ) all'Aquila Estense , perchè la prima ad essere dalle genti invocata. Gira intanto lo sguardo (170) alla popolazione , e lo com- movono (171) i tanti luoghi pii , che la soccorrono ; all' Agricoltura , e sente grado (172,) a' Monaci operosi , che la migliorano; alle Manifatture, e ne reca innanzi (173) i lavori. Lo invitano (174) * Tributi, e (175) delle specie loro n'ammaestra; (176) le Monete, e di tutte novera (177) le officine, l'uso, il valore, le alterazioni; i Contratti ^ e ne divisa (178) il carattere; (179) il Commei-cio, e saluta l'Italia signora dei Mari. Discende (180) alla Milizia, e le ordinanze ne spiega , i riti , le armi , il guanto sfidatole , e (169) Dissertat. 54- de Principibus Italiae. Tom. 4- col. 700. 702. 718. 720. e seg. (170) Dissertat. ai. de Italiae Statu , Habitorum affluentia , de Agrorum cultu, mutatione C'.vitatum , felicitate ac infelicitate temporibus barbaricis. T. a. col. 147- e seg. 184. e seg. (171) Dissertat. 37. de Hos pi tali bus Peregri norma , Infirmorum , Infan- timi! , Expositorum etc. Tom. 3. col. 553. e seg. 563. 576. e seg. 687. (172) La citata Dissertat. ai. Tom. 2. col. i5o. e seg. i63. i65. (173) Dissertat. a5. de Textrina et Vestibus Saecnlorum rudium. Tom. a. col. 400. e seg. e la Dissertaz. 3o. Tom. 2. col. 895. e seg. (174) Dissertat. 17. de Fisco et Camera Regum , Episcoporum , Ducum , atque Marchionum Italici Regni. Tom. 1. col. 917. e seg. (175) Dissertat. 19. de Tributis , Vect'galibus, aliisque oneribus publicis Medii Aevi. Tom. a. col. 3. e seg. 5i. 53. 67. e seg. (176) Dissertat- 27 de Moneta, sive jure cudendi Nummos. Tom. a. col. 548. 564- 569. 577. 58i. 589. 611. 617. 619. 6a3. 643. 654. e seg. (177) Dissertat. a8. de diversis Pecuniae generibus , quae apud Veteres in usu fuere. Tom. a. col. 769. e seg. 784. 786. 788. e seg. 792. 801. 804- 806. e seg. 817. (178) Dissertat. 16 de Foeneratoribus , Iudaeis etc. Tom. 1. col. 888. e seg. 8g5. e seg. La citata Dissertat. 20. de Actibus Mulierum. Tom. 2. col. ita. e seg. Dissertat. 36. de Emphyteusibus, Precariis , et Laicorum Decimis. Tom. 3. col. i44- e seS J9^- (179) La citata Dissertat. 3o. de Mercatibus et Mercatura Saeculorura ru- dium Tom- 2. col. 865. e seg. 881. 884- e seg. 887. e 905. (180) Dissertat. a6. de Militia Saecul'>rum rudium. Tom. a. col. 449, e seg. 452. e seg. 460. 474. 484. 487. 489. 493. 498. e 5o8. Del Sic Phofessore Giuseppe Lugli. 41 la celebrata macchina di Eriberto , donde quasi da Palladio traggono i combattenti Iena ed ardire. Attende al modo , con cui si assalgono città e fortezze , e con dilettevole or- rore contempla le rocche , le quali incoronano minacciose il colle ed il piano. Bello è il seguirlo ( 181 ) nelle indagini sul cavalleresco istituto , da cui si derivano i sagri Ordini militari e gli Stemmi. Ma instancabile è già trascorso (182) alle Lettere , e nel silenzio de' Cenobii trova chi paziente ed industre trascrivendo Codici le preserva da imminente naufragio. Separa (ib"3) le Arti di necessità da quelle di comodo e di piacere , e ne chiarisce che , non cessate le prime , cessò per le seconde quel gusto , per cui sono gen- tili : quindi l' Architettura ostentare ne' palagi , ne' templi e nelle torri smisurate pesantezza, vastità, terribilità : quindi nelle miniature, ne' bassi rilievi, ne' musaici , ne' pavimenti storiati reggersi con disegno deforme la Pittura e la Statua- ria. Il sorprendono però alcuni ingegni capaci di egregie invenzioni se al papiro e alla pergamena surrogarono (184) la carta dj lino, se arricchirono la Musica del canto Gre- goriano, dell'organo e delle voci armonizzate dal contrap- punto, se conobbero il mezzo di fare il vetro, il segreto di colorarlo , se all' Ottica fecero dono delle lenti , alla Mec- canica di orologi notturni e di molini a vento, all'Artiglieria di mine ( i85 ) di bombarde e ghiande di bronzo lanciate con lungo scoppio, alla Navigazione dell'ago calamitato, e al mondo antico di Continenti novelli. Pur timide e son- (181) Dissertati. 53. de Instùutione Militum, quos Cavalieri appell.imus , et de InsigniÌ6 , (juae nunc Arme vocantur. Tom. 4' c°l« 677. e «eg. 683. c-85. e seg. Ó89. 691. (182) Dissertat. 4^ ^P Literarum statu, neglectu , et cultura in Italia post BjrlianiB in eara invectos. Tom. 3. col. 809. e seg. 814. 8(6. 829. 83a. 834. 836. 841. (i83) Dissertat. 24. de Artilins Italicorum post inclinationem Romani Imperli. Tom. a. col. 349 35o. 353. e seg. 356. 358. e seg. 3gi. e seg. (184) La citata Dissertat. 43. Tom. 3. eoi. 8ji. (i85) La riportata Dissertat. a6. Tom. 3. col. 5i4- Tom. L F 4-2 Elogio a Lodovico Antonio Muratori nacchiose vede ( 1 86 ) le Scienze e le Lettere nel giro an- gusto del Trivio e del Quadrivio ; vede la Medicina ravvolta in veste arabica, e inabile a divellere dai corpi umani morbi spaventevoli , l' ascolta dettare aforismi corteggiata dall' Al- chimia e dall'Astrologia. Nulla ostante allarga l'animo a speranza : presente un destino migliore alle lettere, cui non tarda a scorger risorte (187) colle scuole instaurate e colle erette Università. Ed è in quell'epoca (188), ch'Egli ode svilupparsi, non più balbettante, la nostra favella, sulla quale se per amore di lei vi aggrada interrogarlo, risponderà che impossibile cosa è l' indicarvi quel secolo , in cui l' idioma latino si confondesse cotanto nelle voci, nelle frasi e nella sintassi,, che un altro idioma si formasse ; che opera di lun- ghi secoli fu l'alterazione che sofferse, cui poscia accrebbero i Barbari con vocaboli nuovi, col mutar più di prima la pro- nunzia e la desinenza delle dizioni del Lazio , e coli' intro- mettervi gli articoli ; che tuttavia dagli antichi Italiani chia- mavasi latino il rustico loro linguaggio , siccome i Franchi diceano romano il proprio volgare ; che in tale sermone ru- stico o romano appajono parole somiglianti alle nostre ; che i più rimoti vestigi ne li rinvenne sin dal secolo nono, fin- ché nel mille prevalse di tanto la parte rustica, che affatto scostossi dalla lingua latina e prese le fattezze di un' altra favella, ma non sì diverse^ che non traspirasse da' suoi linea- menti la sembianza della madre. E qui non trapassa (189) i principi della rima, e (190) i fonti, donde scaturirono le (186) Dissertat. 44- de l'terarùm Fortuna in Italia post annum Christi MC. et de Acaderoiarum sive Gymnasiorum erectione. Tom. 3. col. 884. 911. e 6eg. 929. e seg. 944' 9^5. e la citata Dissertaz. 16. Tom. 1. col. 906. 911. (187) La riferita Dissertat. 44' Tom. 3. col. 893. 903. e seg. (188) Dissertat. 3a. de origine Linguae Italicae. Tom. a. col. ioi3. e seg. (189) Dissertat. 40, de Rhytmica veterum Poesi , et origine Italicae Poeseos. Tom. 3. col. 703. e seg. (190) Dissertat. 33. de origine, sive Etymologia Iulicarum vocum. Tom. a. col. ro84' e seg. Del Sic Professore Giuseppe Lugli. 43 voci italiche : poche dalle lingue Ehraica e Greca, alquante dai primitivi abitatori d' Italia, moltissime dai Latini, e più di quello si pensi da' Settentrionali. Vien meno il tempo a riferire le sue ricerche (191) sui nomi e sui cognomi, e su quantità disorbitante ( 1 92) di peregrine etimologie, ed Egli vi attende per tratteggiarvi (193) i costumi. Fieri e rustici ve li descrive ne' Longobardi , benché rammorbiditi in ap- presso dal clima d' Ausonia : pieni di marziale ardimento ne' Franchi : tollerabili sotto a' Carlovingi : orridi per rapine e stragi , quando arse fra' Duchi Guido e Berengario guerra atrocissima : aspri e feroci sotto gli Ottoni : frodolenti e cru- deli per simonia e per private vendette nel decimo secolo: lussuriatiti nel decimoterzo. Non gli sfuggono ( 194) i teatrali rudimenti, sia nelle mimiche azioni, sia nelle strane rap- presentanze: non i giuochi e gli spettacoli, consistano questi in battaglie simulate, o nel correre il drappo, o ne' Tornei, o nelle Corti bandite ricreate dalla canzone di Orlando. Vi espone ( 195) candidi riti e quando vi accenni il pallio be- nedetto, argomento di bella verecondia, disteso sopra gli sposi a pie dell' ara e le ghirlande piramidate , di che il sano ministro infiora il loro capo ; e non teme di turbare il vo- stro cuore se vi rivolga da lieti a tristi oggetti per narrar- vi (196) le cerimonie delle pompe funeree. (191) Digsertat. 4'- de Nominibus et Agnommibus Antiquorum. Tom. 3. col. 721. 728. 768. Dissertat. 4a de Cognominimi, origine. Tom. 3. col. 771. e seg. 774 e seg. (19») Catalogus complurium vocum Italicarum , quarmn origo investigatili-. La citata Dissert. 33. Tom. a. col. nai. e seg. (193) Dissertat. a3. de moribus Italicorum post arreptam a Barbari: Italiae 'l"miri. itioncni. Tom. 2. col. 29S. 297. 3oa. 3o6. 307. 3i5. ( 194) Dissertat. 29. de Speotaculis et ludis publicis Medii Aevi. Tom. a. col. 83a. 834 836- e ^g. 844. 847. e seg. 85o. 853. (195) La riferita Dissertat. ao.de Actibus Mulierum. Tom. a. col. ni. (196) La riportata Dissertat. a3. de Moribus Italicorum. Tom. a. col. 33a. e seg. 44 Elogio a Lodovico Antonio Muratori Il Muratori promise e il secolo aspettò: attenne e sorprese. Il Quadro de' bassi tempi, ben degno che venisse offerto a Federico III. di Polonia e alla regia sua Prole, è compiuto, e con esso è stabilito il vero trionfo di Lui. E tanto ne sentenzia- va ( 197) un giudice inappellabile, lo Storico della italiana let- teratura. E di vero che nelle Antichità de' Secoli di mezzo, le quali Egli (198) abbreviò d' avvantaggio nel voltarle in volgare, voi sapreste mal decidere, se più meraviglia vi cagioni o quel filo continuato, sebbene impercettibile alle volte, di suo raziocinio, che pei laberinti della Diplomatica si aggira, e si ripiega e pur n' esce, o lo sforzo costante di reggerlo e non ismarrirlo. Chi avrebbe creduto che lacere membrane, atti e strumenti polverosi, inaspettati avanzi d'anni voraci, ei trasformasse in un subito in sembianza nitidissima, la quale ne rassegnasse tempi, che ornai senza nome ivano a sommer- gersi nella obblivione irreparabilmente ? Come qui più che altrove la sua Critica è sagace e nobilmente imperiosa a di- sgregare ovunque 1' apocrifo dal sincero , il probabile dal certo ! Come qui più che altrove internasi nelle età che furono per addottrinar quelle che verranno ! Come non em- pie di riverenza quel suo Tribunale, da cui si partono cor- retti non solo un Fontanini, un Menagio, un Ughelli e altri infiniti , ma un Sigonio , un Du-Cange , e chi vedea pur si profondo in antichità , un Maffei ! Se non che la mia considerazione trasportami in parte dove la fantasia man- ca all' intelletto. Dicasi invece , che l' Italia esultò , e con essa 1' Europa , da stupore compresa , la quale per lui rannodò la catena degli avvenimenti, cui non senza appren- sione paventava rotta per sempre. Dicasi che la Storia antica potè attraverso di quella , che ombra avea di tanta oscurità , raccostarsi alla moderna e non sembrar più stra- niera. Dicasi che le Arti e le Scienze, la Politica , e i Co- stumi , la sacra e la profana Erudizione levarono plauso a ( 197) Il Tirabojchi Biblioteca Modenese Tom. 3. pag. 3a5. 33o,. (198) Dissertazioni sopra le Antichità Italiane. Del Sic. Professore Giuseppe Lugli. 4-5 colui, che lanciatosi con fronte impavida per entro al bujo de' secoli mirò da presso le origini, e a tutti i rami del sa- pere con felicissima audacia ridiè quel capo, che la barbarie aveva nascosto. Già il pregiudizio e la favola videro turbate sin dall' imo le proprie sedi , astretti a cederle una volta a quel solido vero, che poi le menti più elevate, commosse dall'insolito esempio, affrettaronsi a investigare. Già discepoli di lui nei molteplici argumenti dell' età media ne addita la Francia gli autori del primo corpo di sua Storia civile, l'In- ghilterra fra i tanti un Robertson col Prolegomeno ai Fasti di Carlo Quinto , e questa Italia ne schiera allo sguardo i Denina, gli Affò, i Tiraboschi, i Verri, i Napioni, i Rosmini e i Perticali. E non fu Egli ingegno creatore ? E non parte i suoi vanti con coloro, che della umanità meritarono? por- tentoso col suo trovamento non meno che fosse il Colombo con quello d'un mondo sconosciuto? Certo è da porre, ch'Egli viva, e con quelle anime viva, cui natura destinò a sospin- gere di gagliardissimo urto il secolo, e la faccia a tramutare delle cose. Ond' è che l' Italia interprete del voto concorde dell' Europa salutollo Padre della Storia del medio Evo; e per- chè a titolo sì glorioso ne avesse ad aggiugnere un altro al par lusinghiero, rivolta a lui: scrivi, Ella disse, gli Anna- li (199) della tua Italia, arbitra un tempo del mondo, caduta in appresso di seggio , indi risorta a splendore , ma che sempre suo decoro sostenne e nella prosperità e nell' infortunio. Dipingi l' imperio mio sotto a' Cesari, temperato in Augusto, dispotico in Commodo, ricomposto da Aureliano, da Diocleziano indebolito , diviso da Costantino , sconvolto da'Successori, avvilito da Onorio, minacciato da' Barbari, git- tato nell'anarchia dopo Valentiniano, e invaso alla fine dall' Erulo. Rispetta Odoacre fondatore del Regno Italico, e am- mira l' anima di Teodorico, che non dimenticò la mia gran- (199) Annali d'Italia dal principio dell'Era Cristiana fino all'anno 1749- 46 Elogio a Lodovico Antonio Muratori dezza. Medita siili' impresa di Belisario e di Narsete , che , sfolgorato il Goto, dischiuse il varco al Longobardo. Pon- dera le cagioni che rivoltarono il dominio Greco - Romano contro 1' Orientale imperio, e campo diedero a Carlo Magno di rinnovellare l'Occidentale. Narra le discordie orrende, che dal Franco il traslocarono nel Germano, e l' inoperosa assen- za , che vacante il fece dopo il secondo Federico. Apri le vicende tutte quante delle nascenti Repubbliche e de' Prin- cipati, il braccio straniero invitato, le guerre, le leghe, le paci, i fatti memorabili, i casi illustri, le calamità, le fazioni, le scisme spaventose , i Concilj onorandi. Sii grato a' Pon- tefici, che la mia dignità rialzarono e coli' animo eccelso e co' disegni vastissimi , e sublima que' Principi , che dal pri- stino squallore me sollevarono alla presente fortuna. Ma nello svolgere la serie degli eventi esplora i recessi del cuore : ritraggi l'uomo qual è onde tu compia d'ammaestrarlo, e più presto che menzogna e adulazione ti stia innanzi verità; talché se in altri io possegga Livio, mi torni a lode F aver Tacito in te. Tanto eseguì Lodovico, e divenne l'Annalista Italiano. Qui ha termine il corso de' suoi insegnamenti e delle sue scoperte, e quello ha principio di sue virtù. Ampio pelago a tentarsi, e la lingua mia non avrebbe facondia, che ridi- cesse quanto l' animo ne ragiona. Onde io crederei di ser- bar fede al mio tema , ove affermassi , eh' elleno risposero perfettamente ai tre grandi obbietti da esso meditati ; av- vegnaché s' ei conobbe la Religione, con atti eroici la pra- ticasse, e se ricevè da natura doni singolarissimi, ne met- tesse a parte l' universo per brama di vederlo felice , e se pose studio sull' uomo, riformasse prima se stesso. E certamente eh' Egli apparve ( aoo ) al Sacerdote , al Letterato e al Cittadino un antico miracolo di pietà , di sapienza e di virtù. Questo Clero, ch'Esso edificò coll'assiste- (aoo) Vita del Muratori dalla pag. 35. sino alla pag. 5o. e dalla pag 168. sino alla pag. 179. Del Sic Professore Giuseppe Lugli. 47 re a laboriose missioni, e collo zelo, onde le introdusse fra noi , oltre l' ornamento del canto fermo , e il distintivo im- petrato ai Parrochi, gli deve l'uso degli Esercizj Ecclesiastici. Di quanti beni a lui pervennero da'proprj sudori , col rifab- bricare e arredar le Chiese di Ferrara e di Modena sotto i titoli di S. Agnese e di S. Maria di Pomposa , delle quali , ricopiando in se medesimo Timoteo, fu , secondo la scienza , Priore e Proposto, e coli' istituire la Compagnia di Carità e il Monte pio, si valse a perpetuare il suo amore alla Religione ed alla Umanità. E forse che il Pastore dell' ovile Cattoli- co (201 ) non lo disse la pecorella più diletta al suo cuore sino a gioirne al nome, e a dichiararne poscia con oracolo autorevole buona la memoria ? E fu spettacolo, che intenerì i vostri Avi lui vedere diffuso in volto e negli atti di tutta mansuetudine visitare il tugurio della povera famigliuola, e l'orridezza del carcere, e piangendo al pianto degl'infelici spargervi come unguento odoroso il soccorso e il conforto , e fatta la sua casa un ostello di quotidiana beneficenza ri- storarvi il famelico assiderato , e con esso fraternamente il desco dividere. Se non che in cima del pensiero ebbe la sua Italia, e il contristarono sopra modo ( 2,oa ) le calamità della patria. Fu pago bensì di averle giovato, e quando standone lontano il Principe ne custodì ( 2,o3 ) suddito geloso il pegno dei figli e dello Stato, e quando chiamato a deliberare con lui presente della somma delle cose, ne ottenne ( 2,04 ) Editti a guardia e a rimedio del costume, e quando fra lo strepito d' armi nimiche venuto al cospetto del Sovrano di Piemon- te ( ao5 ) col perorare per la patria afflitta amò che l' alto Guerriero cupidissimo di vedere e di ascoltare il famoso (aoi) Ivi pag. 219. e pag. 216. (aoa) Ivi pag. 181. (ao3) Ivi pag. aia. (204) Ivi pag. 41. (ao5) Ivi pag. 181. aat. 48 Elogio a Lodovico Antonio Muratori Letterato, vedesse e ascoltasse invece l'umile cittadino. Ebbe 6anta F amicizia, e meno gli fu acerba V offesa, che accetta la pace, e così riabbracciava (206) il Porporato di Bre- scia ( 207 ) dopo il contrasto per la diminuzione delle Feste. Rigido mantenitore dell' equo e del vero aspirò al voto de' posteri, e rimeritò di grata menzione i contemporanei e quelli ancora , che avvisarono riprenderlo di errore , mortificando la malignità col silenzio, cui ruppe solo, ad esempio di Gi- rolamo, qualora fu ardita a incolparlo di oltraggiata religione. Che se ricercate dei suoi onori , non eh' egli li spregiasse , anzi li detestò, e più presto ambì la qualità del vero Filo- sofo, considerare cose altissime, e nella propria picciolezza disconoscere se medesimo. Pur quella fama e quel suffragio ( ao8 ), che è premio delle azioni mirabili , a lui non mancarono. Benedetto De- cimoquarto , alle cui Decretali ( 209 ) ei già si fé scudo in favore della Chiesa Lusitana , lo richiede di gravi consigli e coli' appellarlo il decoro della nostra Nazione ne gloria la dottrina : lo rispetta il Protestante , e pensa di riunirsi al Cattolico: Rinaldo I. suo Signore, del quale ridisse (aio) a parte le gesta , affidagli l' Erede del Trono , come a se- condo Aristotele : a testimonianza di bontà e di giustizia lo rimunerano sommi Imperadori e Re potentissimi: lo invitano le Università , e le Accademie , e coi segni di onorificenza che gli decretano , onorano se stesse : i Marchesi Filippo e (ao6) Vita del Muratori pag. i33. (207) Lettera del Muratori all'Eminentissimo Querini in proposito delia Co- munione nella Messa e della Dirninuzion delle Feste. Difesa di quanto ha scritto Lamindo Pritanio in favore della diminuzione delle troppe Feste. Lettera del Muratori al Sig. Conte Ferdinando Scotti sopra la Comunion nella Messa. (ao8) Vita del Muratori pag. air. e seg. (209) Lusitanae Ecclesiae Religio in administrando Poenitentia Sacramento. (aio) Vita Rayn.ildi I. Mutinensis Ducis. Di questo Sovrano avea già in- serita un'altra vita nel Tom. 2. delle Antichità Estensi. Del Sic Professore Giuseppe Lugli. 4'» Litici Coccapani gli sono larghi (he l'eccellenza, dove salirono le arti del disegno dal Pontificato di Giulio II. fino a quello di Pio IV. , fosse il termine oltre al quale niuno speri , per quanto siasi ardi- mentoso ingegno , di poter trapassare , è sentenza già con- traddetta dal fatto. Imperciocché l' età nostra vede rinovate le meraviglie della greca Scultura, per mano principalmente di quel Felicissimo (a), il quale negli italiani fasti delle beli' arti darà il proprio nome al secolo decimo nono. Tuttavia non è da negare che dalla gloria di un' epoca tanto illustre sieno poi quelle arti medesime tutte insieme grandemente scadute, né mai più tutte al pristino loro splendore insieme risorte. (i) Recitato dall'Autore nel giorno a5 Novembre dell'anno 1821 , per 1' inaugurazione solenne degli Studj , e dato alla Reale Accademia il giorno 21 Gennajo i8a4' (a) Il Marchese Antonio Canova morì in Venezia il giorno i3 Ottobre dell' anno i8aa, cioè undici mesi circa dopo che fu recitato quest'elogio. 5a Elogio di Giacomo Barozzi Della qual cosa non tanto io soglio maravigliare come in pensando che delle tre compagne , la Scultura , la Pit- tura, e l'Architettura, questa che per la gravità dell'ufficio suo, e di quelle discipline colle quali sì strettamente è con- giunta, sembra che meglio preservar si dovesse dal volubile arbitrio delle opinioni, ciò non di meno prima dell'altre scese dalla propria dignità, con incredibile detrimento di tutte le parti che risguardano la bellezza, ed ella sola fu tanto debole contra la forza o la seduzione dell'errore, da lasciarsi tirare con rapido precipizio fino alla miseria lacrimevole del delirio. In fatti non vide no più Italia i bei giorni di Raffaello, di Vinci, di Michelangelo, del Correggio, del Tiziano, spenti che furono que' supremi lumi della Pittura. Ciò nulla ostante non si dirà degenerata quell'arte nobilissima finché ha potuto vantare i Carnicci , lo Zampieri , e Guido , e il Guercino , e il Robusti, e i due Paoli, e Ricci, e Albani, ed altri molti , eh' or non è d' uopo noverare : e il potè quasi per tutto il secolo decimo settimo. E sebbene più scarsi furono i vanti della Scoltura, pure per altrettanto tempo valsero a mantenerla meritamente in onore l' Ammanati , 1' Algardi , il Bernini , e le floride loro Scuole ; che per quanto da infelici vicende afflitte fossero con tutte le buone arti quelle due facoltà nei sopravvenuti tempi sì poco fausti alla pace e agli studj , né allora , né poi per lunga pezza mancarono produzioni , se non di ma- raviglia , certamente degne di amplissima lode. Ma in fatto di Architettura , quando sia vero , come pur si confessa dai più riverenti verso del Buonarroti , che le sue mani stesse aprirono l'adito ai capricci sovvertitori delle rette massime circa 1' Euritmia , e la Simmetria , uni- che fonti d'ogni bellezza in Architettura, por dovremo nel mezzo dello stesso decimo sesto secolo incominciata la de- cadenza di quest' Arte. Del Sic. Prof. Giuseppe Tramontini. 53 Che se quel portentoso ingegno ha potuto assai volte felicemente trasvolare i contini di quanto lice all'arbitrio del Gusto, quali l'ossei- gli effetti dell'ardito esempio manifestasi nello stile di molte Fabbriche insigni erette a quei tempii nelle quali veggiamo come veniva a noja la modesta gravità già tanto raccomandata da Vitruvio, e dall'Alberti, alla quale pur mirarono con tanto studio il Sammicheli , il Tatti, il Peruzzi , e che ultimi sostennero il Barozzi , e il Palladio , coinè essenziale carattere d'ogni perfetto edifizio. Chi poi, senza essere compreso da melanconico stu- pore , farsi può a misurare 1' immenso spazio nel breve corso di cinquant' anni frapposto tra lo stile di Giacomo Barozzi e quello di Carlo Maderno ? Qualche raggio di luce sfolgorante dalle opere dello Scamozzi, del Bernini, e di altri pochissimi rallegra sì alcuna volta lo spettacolo triste che presenta l'Architettura del suo stato nel principio del secolo decimo settimo. Ma al vedere già soperchiata dalla temerità la prudenza, la scienza dal capriccio, l'eleganza dalla fatuità, geme il cuore all'Artista filosofo, che porta lo sguardo sconsolato sui testimonj a mano a mano vie de- teriori di quel pervertimento , sino allo scandaloso trionfo delle Borrominesche frenesie. Ma da queste considerazioni declini il mio ragionare : eh' io le toccai solo in quanto parevami aver mestieri di ricordare a quali cangiamenti volte erano le Scuole degli Architetti in Roma nel mille cinque cento cinquanta , o in quel torno , e gli effetti che ne seguirono e prima , e tosto dopo la morte di Giacomo Barozzi da Vignola , accaduta nell'anno mille cinque cento settanta tre. Dal quale insigne Architetto, è mio proposito esporre, quanto a me sembra che sia stato operato ad utilità della sua Professione , tentando almeno di soccorrerla , se dato non gli fu di salvarla dall' inevitabile detrimento in cui la vedeva sospinta. 54 Elogio di Giacomo Barozzi Ritornò il Barozzi la seconda ed ultima volta a Roma nel mille cinque cento cinquanta, a' servigi di Giulio III, salito quell' anno stesso al Pontificato. Dal sentimento di Michelangelo , riverito meritamente siccome oracolo , pendeva in Roma 1' opinione de' Grandi e del Pubblico , la fama degli Artisti , il pregio delle opere loro. In quel tempo medesimo incominciavano ad apparire frequenti abusi in Architettura , dei quali o diede Egli i primi Esempj , o dobbiam credere che ne approvava e con- firmava la pratica , non meno colf opera , che mettendo fuori quelle massime, le quali negli scritti del Vasari, Disce- polo ed Amico suo più che altri intrinseco, e della gloria sua tenerissimo , veggiamo come titoli di onore, e di merito commemorate ( i ). Ma che al Barozzi dovessero andare a grado cotali novità; ch'Egli col suo finissimo gusto confirmar le dovesse ed ammettere per propria norma ed altrui, noi penserà chi ( i ) Giorgio Vasari , parlando delle cose ordinate da Michelangelo per la Sagristia de' Medici in S. Lorenzo a Firenze, si esprime così „ . . . perchè nelle „ novità di sì belle cornici, capitelli, e base, porte, tabernacoli, e sepolture ,, fece assai diverso da quello che di maniera, ordine, regola facevano gli uomini „ secondo il comune uso, e secondo Vitruvio., e le antichità, per non volere „ a quello aggiugnere. La quale licenza ha dato grande animo a quelli che „ hanno veduto il far suo di mettersi a imitarlo, e nuove fantasie si son vedute „ poi alle grottesche piuttosto che a ragione , e regola conformi :...." Vasari Vite — Milano — dalla Società Tipografica — anno 1811 Voi. XIV. pag. 129. e più sotto „ onde gli artefici gli hanno infinito, e perpetuo obbligo, avendo Egli ,, rotti i lacci , e i legami dulie cose. " Ancora nella pag. ao6 luog. cit. parlando pure di Michelangelo. „ . . . Fece- „ gli fare (Giulio III) un modello d'una facciata per un Palazzo, che S. S. de- ,, siderava fare allato a S. Rocco che non si può vedere per disegno „ di facciata né il più vario, né il più ornato, né il più nuovo di maniera né „ d'ordine, avvengarhè come s'è visto in tutte le cose sue eh' e' non s'è mai ,, voluto obbligare a legge, o antica, o moderna di cose d'architettura, come „ quello che aveva ingegno atto a trovar sempre cose nuove e varie ecc. ,, Vedi pure la vita di Marcantonio Bolognese — Voi. X. pag. 229 ediz. citata. Del Sic. Prof. Giuseppe Tkamontini. 55 esaminato abbia gli studj da lui fatti per tutto il corso,, non solo della gioventù , ma dell' intera sua vita , e consi- deri la solidità de' suoi ammaestramenti , lo stile delle sue fabbriche , e quel rispetto grandissimo che attestò sempre e colf opinione, e coli' opera verso le dottrine e gli esem- plari degli Antichi. In quell' età , nella quale i giovinetti , ancorché d' in- dole felice, sogliono essere alieni dalle severe applicazioni , il Barozzi , iniziato che fu appena in Bologna nella pratica del disegno , coli' intendimento di avviarsi alla professione della Pittura, diessi a meditare sopra le reposte ragioni della Prospettiva , e guidato non per altro indirizzo fuorché la propria inclinazione , pervenne a trovare ingegnosissime regole di quell'arte, a tal perfezione riducendole, cui niuno arrivò mai col pensiero prima di luì. Tanto afferma il P. Egnazio Danti , il quale ne scrisse succintamente la vita , e pubblicò quelle regole dopo la morte dell' Autore , dottamente illustrandole. E sì meditato avevano e scritto sopra lo stesso argo- mento , dopo di Pietro della Francesca , parecchi uomini chiarissimi , de' quali basterà eh' io nomini due sommi , Leon Battista Alberti, e Leonardo da Vinci. Tali frutti portava il giovine ingegno del Barozzi non pervenuto forse all' età di venti quattro anni , giacché reg- gendo Bologna Francesco Guicciardini per Clemente VII , che mancò l' anno mille cinque cento trenta quattro , il Barozzi, nato nel mille cinque cento sette, era già stabilito in gran fama di eccellente prospettivista, tanto che il Guic- ciardini richieselo di alcuni disegni, perchè fossero traspor- tati in lavoro di tarsìa dal celebre Fra Dannano , i quali a Firenze, che è quanto dire in Atene a' tempi di Pericle, furono sommamente applauditi. Ma quegli studj , sebbene da noverarsi allora fra i più difficili ed elevati, non occupavano soli la mente del Barozzi. Quanti avanzi di Antichità meritevoli di studio gli venivan 56 Elogio di Giacomo Barozzi trovati , Egli facevane soggetto di disegno e di plastica , sopra tutto nelle cose di Architettura ponendo I' animo ; e quelle, da espertissimo com' Egli era nella prospettiva, rap- presentar soleva in diversi aspetti , e le cagioni delle appa- renze varie , nella distanza , nell' altezza , nel lume , nel confronto de' circostanti oggetti sagacemente investigando , chiare e certe ordinava nella sua mente le nozioni e le leggi di quel magistero , che Vitruvio accenna sotto al nome di temperamento : sottil dottrina : tenuta per essenziale da- gli antichi : trasandata da que' volgari artisti , a' quali giova disprezzare le cose che ignorano, anzi che forzare con labo- riose meditazioni 1' accesso dentro ai secreti dell' arte loro. Ed ecco nuova luce invita il Vignola, nuovo amor di sapere più innanzi nella facoltà prediletta lo rinfranca. Già dismessi gli esercizj di pittore figurista , e dato il cuor tutto allo studio di Vitruvio , ne aveva alla mano le dottrine, ma non bastava a tanta brama di cognizioni, e di cogni- zioni perfette. Voleva Egli vedere con gli occhi propri nelle vive reliquie dell'antichità, raffrontarle con quelle dottrine, osservare nelle grandi opere i grandi effetti , e chiarir come questi rispondano alle teoriche. Così nobile desiderio spin- geva il Barozzi la prima volta a Roma. Potentissima forza del Genio ! Quale ostacolo vincerà la costanza e l' ardore di quelle menti che tu scorgi ed inspiri ? Non povertà , non disagio o impedimento di famiglia , non difficoltà e lunghezza di studj da intraprendere, non che che altro di molesto fosse da temere in tempi, come allora correvano, di perturbazioni e di sospetto ripieni; queste cose tutte non isbigottirono il Barozzi : che quell'animo as- suefatto a combattere fin dall' infanzia coli' avversità non mancavagli al maggior uopo , nell'occasione di compiere 1' onorata carriera degli studj con tanto frutto sino a quel dì coltivati. Del Sic Prof. Giuseppe Tramontini. 67 E dissi fin dall'infanzia; perciocché vi ricorda che gli fu Padre Clemente Barozzi , Nobile Milanese, il quale, sic- come pare , dopo 1' estrema caduta di Lodovico Sforza fu costretto a ricovrarsi esule dalla patria nel Marchesato di Vignola , dove in remota casa, e sottilmente vivendo il breve ( 1 ) resto d' una vita infelice , ebbe Giacomo suo ( 1 ) Occupato il Milanese dalle armi 'li Luigi XII Re di Francia nel i4<)9 , Lodovico Sforza, detto il Moro , Duca di Milano, ricoverò in Germania, e di là scese ben tosto con sufficiente esercito ricuperando quasi tutti i suoi stati. Ma i solleciti rinforzi venuti di Francia , e la defezione degli Svizzeri dalla causa di Lodovico, spinsero nell' ultima calamità cotesto fraudolento ed infelice Principe. Egli cadde in mano di Luigi della Trimouille, Generale delle armi fran- cesi, e fu mandato a morir prigione in Francia. Ciò accadeva nell'anno i5co. Clemente Barozzi, Padre di Giacomo, fu ridotto (son parole del Danti ) ,, a sì „ estrema necessità, che gli convenne per le discordie civili abbandonare Milano „ sua Patria, dov'Egli era nato d'assai nobile Famiglia, ed eleggere per sua „ stanza Vignola , Terra , che per esser Capo del Marchesato è però convene- „ volmente nobile, e di civili abitatori ripiena. Dove nel dì primo Ottobre del „ i5o7 gli nacque Jacomo , suo primo figliuolo, di madre tedesca, figlia di un „ principal condottiero di fanterie. Una casa rurale, che tuttavia porta ab antiquo il nome di Case dei Barozzi è nel mezzo della campagna al nord ovest di Vignola, e distante quasi un miglio di là. Quella è tradizione che fosse il domicilio della Famiglia Bsrozzi. La struttura della fabbrica ne attesta 1' antichità, e dal compartimento pri- mitivo, che ancor si ravvisa, è chiaro com'era 6tata ordinata ad uso di famiglia più presto civilo che rustica. Per altro non vi apparisce vestigio di abitazione che fosse agiata un tempo. Né la tradizione volgare, né i registri civili ricordano o nome, o sito di alcun podere appartenente ai Barozzi : forte indizio per confirmare che quella Famiglia quivi dimorò in povertà, come ci informa il Danti. Raccogliendo ora gli esposti indizj , siamo condotti a congetturare che quel cenno delle discordie civili non sia da riferire ad altro fuorché ai partiti insorti dopo il 1599, uno per la nuova dominazione francese in Lombardia, ed uno pel Duca Ludovico cucciato da' suoi Stati, giacché prima d'allora il dominio, benché precario, di Ludovico Sforza non era stato turbato da commozioni civili. Dunque Clemente Barozzi che ricovrò a Vignola nel principio del Secolo XVI, come accenna il Danti, e si raccoglie da parecchi altri argomenti, doveva essere del partito sforzesco. Sta in oltre per questa conclusione la circostanza che la moglie era tedesca, e figlia d' un principal condottiere dì fanterie. Ma vale sopra tutto l'altro argomento, cioè che, durante l'occupazione francese , Clemente Barozzi , benché stretto dallo necessità che abbiamo veduto ; benché nell'esiglio non avesse trovato modo di rialzarsi dall'estrema povertà, o noti cercò, o non ottenne di rimpatriare. Tom. L H 58 Elogio di Giacomo Barozzi primo Figliuolo , e quivi morendo il lasciò fanciulletto con alcun altro fratello e la Madre, tutti diserti d'ogni ben di fortuna. Non è da dire quali stenti durar dovesse l'orfanello Barozzi tirando innanzi la sua prima «istituzione in Bologna^ dove tosto dopo la morte del padre fu trasferito ; ma ben potrà ognuno stimar dall' effetto quanto ferma in lui fosse la tempera dell'animo, e come fervido e perseverante 1' amor del sapere, vedendolo fra tanti chiari ingegni, di che ricca era a maraviglia quell' età , emergere in fama di va- lent' uomo , passata appena l' adolescenza , non ostante e le proprie angustie domestiche , e i pubblici disastri , i quali per ben vent' anni dopo la morte di Leon X tennero in agitazione, e in angoscia la misera Italia, e specialmente gli Stati Pontifizj. Così alla prova dei geli e delle buffère cresce la nobil pianta del cedro , succhiando a stento dall' arida balza na- tiva una vita quasi incorruttibile , che dovrà vincer l' invi- dia dei secoli. A Roma non vide il Barozzi mutarsi tosto il tenore di sua ventura. Penar dovette alquanto, non però lungamente. Imperciocché alcuni mesi dopo il suo arrivo fu aperta quell' Accademia di Architettura , la quale prese a racco- gliere ed illustrare gli avanzi degli antichi edifizj , e spe- cialmente ad interpretare i più difficili passi del testo di Vitruvio. Quella Società illustre , cui dirigevano come principali il Cervino j che fu poi Papa Marcello II, il Maffeo, il Man- zuoli : fiore di Letterati, richiese il Vignola dell'opera sua, per ritrarre in disegno , e spiegare le anticaglie di Roma. Se a compimento di quél commendevole assunto mi- glior soccorso non era da augurare che quello del Barozzi, a questo non poteva occorrere più felice opportunità per soddisfare al suo desiderio. Del Sic. Pkof. Giuseppe Tramontini. 5o, Quivi pertanto te diurne , quivi le notturne meditazioni ponendo assidue per ben due anni, terminò quella serie di studj, già nell'animo suo divisata per instituirsi Architetto. Quivi stabilì le sue massime, e i dettami del proprio gusto. Quivi con lunghe, faticose indagini fermò sull'autorità degli antichi monumenti , tenuti in ogni tempo sopra tutti ec- cellenti , le simmetrie de' cinque ordini di Architettura , le quali più tardi poi ridusse a termini tanto semplici, e pub- blicò negli ultimi anni della sua vita. Quivi finalmente, per dir tutto in uno, divenne, e sentissi capace di adeguare coli' opera i pensieri magnifici di Francesco I , Re di Francia , a' servigi del quale condusselo il Primaticcio. Io pongo che solamente in quell' epoca , cioè non più tardi del mille cinque cento quaranta tre, né prima del mille cinque cento trenta sette, incominciasse il Vignola a professare Architettura. Imperciocché ito a Roma o poco prima, o dopo il mille cinque cento trenta quattro, per motivo di studio, come ricordammo sulla fede del suo Bio- grafo , ivi dovette procacciare alcun tempo il sostentamento proprio e della famiglia col non geniale esercizio del pen- nello , dando intanto i soli momenti liberi all' oggetto della sua predilezione, eh' era lo studio delle antiche fabbriche. Pare adunque che primi a conoscere la virtù di lui in Architettura sieno stati quei valenti uomini institutori e corifèi dell'Accademia romana. Da un altro canto se dopo le cose fatte per quell' Accademia fu condotto alla Corte di Francia, per ordinare gli Edifizj comandati da quel Monarca , e se , trascorso forse nemmeno un biennio , fu di là chiamato , come sap- piamo , a Bologna con pressanti istanze dal Conte Filippo Pepoli , espressamente per la fabbrica di S. Petronio , con- verrà dire che prima della sua partita per la Francia era tenuto per egregio Architetto , e le cose colà operate hanno confirmata e grandemente accresciuta cotesta riputazione. 6o Elogio di Giacomo Barozzi Conchiudo perciò che il Barozzi era abilissimo in Ar- chitettura quando si dedicava all' uffizio conferitogli dall' Accademia Romana , e tuttavia non incominciò ad operare in qualità di Professore se non terminati , o pure avanzati assai , gli studj che fece in quell' uffizio. Dalla quale osservazione sono condotto ad affermare eh' Egli deliberatamente non annunziossi al Pubblico per Architetto se non dopo aver acquistate le cognizioni tutte, che riputava necessarie a sostener degnamente un tal nome, segnalando così l'incominciamento della sua professione con ammirabile esempio di prudenza non meno che di rara modestia. Chi si prepara in tal modo, e con tale animo a qual che siasi liberal professione , non solamente non può fallire a piena e gloriosa riuscita , ma in oltre io sono d' avviso che per ciò solo abbia di già gran parte acquistato di quel merito , che non suol essere apprezzato , e talvolta neppur noto , se manchi la felicità delle occasioni. Imperciocché siccome F effetto alla sua causa , cosi quel merito che delle opere d' un valent' uomo a ciasche- duna in particolare appartiene , riferir deesi massimamente alla diligenza , ai sudori , all' elevato intendimento , con che nella giovenile sua instituzione Ei si rese capace di tutte in universale. Per tanto sia questa la prima parte dell' onore dovuto alla memoria di Giacomo Barozzi, che ammirisi fin nel suo tirocinio un esempio illustre di rara maturità nella scelta e nell' ordine de' suoi studj , di generosa costanza nel segui- tarli a traverso a tante , e tutte durissime difficoltà, di singolare modestia nell' uso del proprio ingegno , di rettitu- dine integerrima ne' suoi sentimenti ; onde in lui può la storia additare vivo e operante quel modello che Vitruvio imaginò e descrisse nel primo Capo del suo dettato , pro- ponendolo a norma di tutti i Giovani Architetti. Del Sic Prof. Giuseppe Thamontini. 6i Ma questa medesima parte di lode non sarà piena- mente espressa, se non in quanto si aggiunga che il Barozzi, fin dal tempo delle sue dotte esercitazioni in servigio dell' Accademia Romana, fervidamente operava per mantenere in onore le antiche dottrine ; che , tale essere stato il suo costante proposito, ne fa testimonio la qualità degli studj, ai quali dedicò la gioventù , anzi la vita intiera, e vie più splendide prove ne troveremo ragionando sull' intenzione de' suoi scritti, e sullo stile delle sue fahhriche. Non disse vero, a mio parere, chi volendo lodare l'o- peretta del Vignola sopra le regole de' cinque ordini di Architettura , affermò contenersi in quella i precetti più im- portanti , e come il codice dell 'arte ( i ). Sopra del qual giudizio tanto è più da dolersi , che può indurre , e pur troppo induce parecchi ad avere assai torte nozioni di ciò che importi l'Architettura. Chiunque mirò, anche d'un solo colpo d'occhio, sui veri principj di quest'arte, conosce chiaramente esser dessa una perpetua applicazione delle scienze fisico-matematiche, e di altre discipline, che l'Architetto indirizza ad ottenere la sicurezza, il comodo, e quando che sia, le delizie , l' or- namento , lo splendore nelle abitazioni , tanto private delle Famiglie , quanto pubbliche dei Popoli interi. Al quale intento , niuno si darà a credere che basti 1' esercizio del disegnare gli ordini architettonici , con tutt' al più la povera giunta di alcuni canoni circa le Simmetrie de' principali membri d' un Edifizio. Ma ben più solidi , perchè veri, motivi di lode troviamo in quell' operetta del Barozzi, avvertendo coni' ella in assai piccola mole contiene il prodotto di lunghe e diligenti fa- tiche, felicemente riuscite a scuoprire, e spiegare con bella facilità le leggi fondamentali delle Simmetrie, che ammiriamo ne* più cospicui monumenti della romana magnificenza. (r) Ved. Ti^aboschi — Biblioteca Modene6e T. i pag. 170. 6a Elogio di Giacomo Barozzi Nel qua! benefizio a me sembra cbe due specie di utilità si congiungano. Una è in pio dei filosofi , e dei più dotti coltivatori dell' Architettura , ai cpiali già informati per le dottrine di Vitruvio circa il sistema delle Simmetrie nelP arte fiorente presso dei Greci , pone sott' occhio il Vi- gnola un saggio delle mutazioni che quella ricevette tra- sportata a Roma , servendo alle opinioni , agli usi , all' opu- lenza, al fasto di un Popolo, stato poi sì lungamente domi- natore della terra. L' altra specie , di utilità , che è tutta a comodo degli artisti pratici , e degli studenti , non meno che degli ama- tori superficiali dell' arte , consiste nella semplicità delle regole. La quale chi non vorrà credere che abbia sommamente contribuito a mantener nelle scuole e nel pubblico viva almeno, se non sempre osservata e seguita, la notizia delle buone proporzioni , e dei caratteri architettonici ? Negheremo forse che quel libro , appunto per cagione della sua facilità reso familiare, operasse efficacemente colle altre cause , le quali ricondussero in credito gli antichi det- tami, quando la filosofia mandò pure alcun raggio sopra le arti del disegno , richiamandole ai principj che un tempo le resero sì feconde di maravigliose produzioni ? I quali meriti io veggo divenire più manifesti, allorché vo esplorando le condizioni e particolari dell'Autore, e ge- nerali del tempo in cui fu pubblicata quell' opera , cioè dal mille cinque cento cinquanta nove al sessanta cinque , quanto durò il Pontificato di Pio IV. Splendeva allora il Vignola nella maturità del suo va- lore , sul punto di succedere , o fors' anco succeduto nelP uffizio che aveva in S. Pietro il Bonarroti , il quale mancò nel mille cinque cento sessanta quattro. In quel tempo medesimo vedevasi per tutta P Italia cispadana malmenata l'Architettura dal goffo gregge dei se-dicenti imitatori di Michelangelo , i quali, disprezzati Del Sic. Prof. Giuseppe Tramontine 63 gli antichi esempj , non meno che gli studj più importanti che a quella professione conducono , peggioravano nei po- chi, ma fatali difetti di (mei gran Genio, pervertendo in pessimo senso fino i prudentissimi suoi aforismi. Se in tali circostanze non fu spontanea risoluzione del Vignola di porre , per quanto era da lui , qualche freno a cosi miserahil disordine; se almeno a questo fine non mi- ravano i consigli , e gli eccitamenti, coi quali fu vinta la sua modestia da molti dottissimi e gravissimi Personaggi , i quali per amore di lui, dell'arte sua e della gloria dell' età loro , lo indussero a dar fuori quel libro , troppo inve- rosimile accidente sarebbe che uscisse al pubblico, portando in fronte il nome di così grande Architetto , appunto nell' urgenza di quel bisogno, e tuttavia senza l'intendimento di provvedervi , una collezione di regole , tutte rigorosamente cavate dall' antico : e ciò vai come dire un bando solenne contra gli abusi allora correnti. Né si opponga che il Vignola non abbia dichiarata cotale intenzione ; perciocché il breve ma sostanzioso proe- mio di quell' operetta , sebben porti ogni termine misurato con delicata modestia, e tutto il dettato pieno di circospe- zione, e di rispetto verso d' altrui, ciò non di meno spiega abbastanza l' amareggiato animo , ed il fine precipuo dell' Autore , singolarmente in quel luogo dove risponde alle obbiezioni dei preveduti Avversarj. Dopo quella, non dedotta per congettura, ma positiva e splendida prova, tratta dall' espressione dell' animo suo . parmi tolto ogni dubbio che l'intenzione benemerita, nel dare al pubblico quel libro, non fosse di tentare il rimedio del male nella radice. Tentativo non coronato da piena felicità dell' esito : che al buon genio, pur troppo, lungo tempo ancora il tristo prevalse. Pur , valga il vero ! tardi sì , ma diede al fine il suo frutto quell'ottimo seme, ad onta della maligna stagione, in cui non felicemente fu sparso. 64 Elogio di Giacomo Barozzi Delle regole di Prospettiva trovate dal Vignola non mi farò a ragionare di nuovo , dopo quello che innanzi fu detto intorno al merito di esse , apprezzato coi debiti rispetti e alle dottrine che precedettero quella invenzione , ed allo stato della scienza geometrica in quei tempi. Solo panni a questo luogo pertinente il ricordare che sebbene Egli fosse eccellentissimo nella pratica di quelli ar- tifizio, come fece conoscere in Bologna, ed a Roma, e più in Francia, ma sopra tutto nella stupenda Villa di Caprarola, dipingendovi parecchie cose di Architettura che illudono gli spettatori, ancorché prevenuti, pure non tanto a quell'uso di ornamento volgeva i suoi studj della scienza Prospettica, quanto alla perfezione delle dottrine concernenti la Simme- tria, in benefizio dell'Architettura. Dell' avere il Barozzi mirato particolarmente a questo scientifico modo di applicare la Prospettiva^ oltre alle prove già ricordate , abbiamo in testimonio la sua propria dichia- razione in fine del citato proemio. Ivi l'obbiezione di coloro i quali negavano potersi dar ferma regola di proporzioni , perchè appariscano queste sempre diverse dal vero secondo i casi , che sono varj senza fine , con queste parole vali- damente rintuzza , cioè che determinata la proporzione ap- parente qual esser debba , a determinare la reale si procede con belle regole di Prospettiva, eh' egli promette di pub- blicare ben tosto. E se morte non troncava la bella impresa , con quelle regole pubblicate pur avrebbe il Barozzi altre cose maggiori, ivi stesso promesse, sopra il medesimo argomento delle Sim- metrie. Né dubitar possiamo che un uomo tanto versato nello studio dell' antico , tanto esercitato a scrutare nell' intima sostanza delle cose alla sua professione spettanti , con naturale discernimento sì acuto , e da lunga , varia , diligentissima esperienza sulle proprie , e siili' opere altrui squisitamente affinato , non dovesse in quella combattuta materia spargere gran luce , da far palese , e fors' anco Del Sic Prof. Giuseppe Tramontine 65 dissipare la tenebrosa vertigine, che già rapiva la massima parte degli Architetti-, perciocché, al certo, se per bellezza di esempj , se per gravità di scienza era sanabile quel de- lirio , a chi meglio che al Barozzi spettar doveva il merito di salvar 1' arte sua ? Quei pensieri perirono , o non commessi distesamente dall'Autore alla scrittura, o sventuratamente non custoditi dai supèrstiti. Ma non perirono i più chiari monumenti del suo va- lore : voglio dire quegli edifizj , nei quali perpetuamente vive, non so se più segnalata la gloria del suo nome, o il biasimo degli artisti, i quali deviarono da così nobili esem- pli posti sugli occhi loro. Imperciocché o il calor dell' assunto , e più veramente il consenso universale de' più autorevoli giudizj m' illude , o quel carattere che si vede nelle opere del Barozzi è un hneamento della perfezione. Ed in vero, quando ogni opera, sia di natura o dell' arte, tanto sembra a noi bella, quanto è il diletto che pro- viamo contemplando le condizioni dell' esser suo , nelF ar- monia delle quali par che consista 1' unità , qual sarà perfetto modo di architettare , se quel non è del Vignola , dove e appalesasi al primo aspetto con gratissima evidenza l'unità della composizione, e vieppiù cresce il diletto, che da quella proviene, quanto più diligentemente esaminiamo le fabbriche di quel sommo Maestro. Il qual pregio se considerare vogliamo nell'artifizio della struttura , così maravigliosamente esso vi riluce , che pur solo basterebbe a render celebri le fabbriche del Barozzi , e degne di servire ad esempio al par delle antiche. Ma ogni qual volta 1' esame nostro dalla materiale strut- tura s'innalzi discorrendo sopra l'accordo della Simmetria coli' Euritmia, onde nasce la perfezione delle forme, e dove intendiamo principalmente consistere f unità della composi- Tom. I. I 66 Elogio di Giacomo Barozzi zione , quivi sì che ammirar possiamo nel più gran lume i veri caratteri della bellezza in Architettura , e misurar quanto valga il naturale ingegno, moderato che sia dalla prudenza, e dalle necessarie dottrine soccorso. Primo è quel massimo effetto d'ogni ben ordinata com- posizione , cioè la sincera , manifesta corrispondenza dell' esteriore conformazione coli' interno , la quale nelle opere del Barozzi al primo aspetto palesa l'indole, l'uso, l'ordine di tutto F Edifizio , e per entro vi guida il pensiero con gioconda facilità, quasi direi come quella fisionomia la quale con un retto animo si trovi accordata, schiettamente le in- terne qualità di esso nell'attitudine estrinseca fa comparire. E discendendo di mano in mano a considerare Pop- portunità dei compartimenti , la scelta delle proporzioni , il ragionato variar delle forme , il pronunziare assegnato dei legamenti, o dirò pur coli' Alberti, dei nervi dell' Edifizio, ed in fine la sobrietà prudentissima nell' uso degli orna- menti accessorj , F elegante significato di ciascheduno , il concorso evidente di tutti al proposto fine , secondo F in- dole dell' opera , come cresce continuamente la soddisfazione dell' intelletto, che ad ogni passo discerne alcuna parte dell' ingegnoso magistero ; come a se medesimo applaude sco- prendo nel consenso di tutte quelle condizioni formarsi F accordo della Simmetria coli' Euritmia : quella che regola F armonia delle dimensioni : questa che assegna il numero e il sito di tutte le parti ! Né v'abbia per avventura chi sospetti essere prestigio di prevenzione, se noi veggiamo in quell'accordo l'origine precipua delle bellezze applaudite nelle invenzioni del Vi- gnola , e il carattere proprio del suo stile. Imperciocché ove fosse d'uopo ricorrere all'autorità di validissime testimonianze , qual più solenne che la prefe- renza data con pubblica scrittura da Giulio Romano , e da Cristoforo Lombardo, al disegno del Barozzi per la facciata di S. Petronio , in concorso degli Architetti più chiari a Del Sic. Prof. Giuseppe Tramontini. 67 que' giorni, fra i quali non è da tacere che ainioveravasi un Palladio ? E il principale motivo dell' attribuire la palma al Ba- rozzi fu l' unità della composizione , trovandosi il suo pen- siero sopra tutti gli altri grandioso per la semplicità del compartimento , e più accordato coli' indole dell' interna Architettura. Ma qual richiedere si potrebbe testimonio più illustre del consiglio dato dal Cav. Martirano , personaggio dottis- simo, e nelle arti del disegno in singoiar maniera perito, a Filippo II Re delle Spagne, sopra la fabbrica dell' Escu- riale ? Avendogli quel Monarca comunicati i suoi pensieri , il Martirano che non poteva interamente approvarli , lo per- suase a sospendere i suoi decreti su quella materia, tanto che Egli ritornato, come sarebbe tosto in Italia, raccogliesse da' migliori Maestri i lor disegni su quello stesso argomento, e recatili tutti al Vignola , da lui ricavar ne facesse un compitissimo : tanto promettendosi dal suo raro discerni- mento , e dalla candidezza dell' animo suo. E ben venti due ne portò ad esso , e fra quelli uno pur del Palladio. Onde al giudizio del Martirano fra quanti egregi Maestri impegnati aveva in tal gara , spettava al solo Barozzi dar l'insieme a quel Reale Edifizio, nel modo stesso in cui Zeusi le sparse grazie delle trascelte Vergini compose in un perfetto modello di bellezza ideale. Né dalla proposizione, espressa sopra il carattere preci- puo nello stile del Barozzi, rimuovermi potrebbe l'obbiezione che in ognuna delle sue Fabbriche più rinomate non sono né tutte, uè sempre fino all' eccellenza perfette le condi- zioni onde nasce quel!' accordo, più volte già memorato. Imperciocché le differenze medesime , non piccole , di me- rito per rispetto all' unità , che sono nelle opere di quel Maestro, a me pajono altrettante prove in confirmazione del mio sentimento. 68 Elogio di Giacomo Barozzi E parranno pure ad altrui , sol che voglia por mente all' ordine dei tempi , col quale vedrà passo passo procedere . le invenzioni del Barozzi sempre più innanzi verso quella unità , che sola contiene tutti i pregi necessari ; ma dov' élla manchi, profusione d'ornamenti, preziosità di materia, grandezza di mole , potranno fare bensì ricco e suntuoso un Edilìzio : bello non mai. Sia prova di tal progresso il tempietto di S. Andrea a ponte molle, paragonato ad altri che il Barozzi architettò in Roma e fuori, prima di quello. Ma in paragone di esso, dove fra le debite lodi , il severo Milizia trovò pur tante ■ cose da riprendere, niuna parte Ei censurò del disegno dato alquanto più tardi per la Chiesa del Gesù, benché sien da notare alcune licenze , forse scusate dalla necessità di ser- vire prudentemente ai tempi , e senza dubbio pretermesse dalla Critica in grazia della maestosa unità in cui mirabil- mente consentono le parti tutte di quel grande concetto : che dir non posso di quelP Edilìzio , perchè P esterno non fu condotto sul disegno del Barozzi. E per qual altra cagione, se non per la concordia data a tante parti e circostanze che parevano inconciliabili , vien ricordato con singolare applauso il Palazzo de' Banchi in Bologna, quando collettivamente, o con poche distinzioni particolari, lodatisi dalla storia molti Edifizj ordinati dal Ba- rozzi in tempi precedenti quello dell' opera predetta , la quale appartiene al Regno di Pio IV ? Ma per non essere troppo lungo , verrò a quelP ultima fatica , la qual rese immortale il nome del Barozzi , quella che mosse da lontani paesi^ ad ammirarla fra le rupi di Caprarola, i più illustri amatori dell'Architettura in quel tempo, e nelle età posteriori, e che, al giudizio di Daniel Barbaro , supera le relazioni della fama colla presenza. Quanto di magnifico ed elegante imaginato aveva il Barozzi fino allora , e pei Monarchi di Francia e delle Spagne, e per la villa di Giulio III., tenuta superiore agli Del Sig. Prof. Giuseppe Tramontimi. 69 orti di Nerone, e per la Reggia dei Farnesi in Piacenza, che il Danti solleva sopra qualunque edifizio di siniil ge- nere e di altro Architetto veduto Egli avesse , tutto fu vinto dalla villa di Caprarola. Di quell' Edilìzio unico 3 ogni parte, ogni circostanza è singolare e nuova come il pensiere del Cardinale Alessandro Farnese, illustre ingegno, e cele- berrimo fautore d' ogni beli' arte , dal quale quell' opera fu comandata. Siede la Fabbrica sopra un colle scosceso, che, tutto cinto di scogli e di precipizi , sorge dal fondo, e guarda 1' ingresso d'un vallone circondato da monti alpestri. L'orrida solitudine e il silenzio del sito fanno contrasto coli' animato prospetto estesissimo che presenta il sottoposto paese a' risguardanti per le fauci della valle. In due vaste piazze , l' una sopra dell' altra elevata , alle quali fanno ala a destra e a sinistra due grandi fab- briche per uso di Scuderie , e dell' infima famiglia, è scom- partita l'erta del colle ; e per due scale magnifiche, ciasche- duna in capo ad una piazza , leggiadramente varie nelle forme loro , per compiere l' aspetto di un magico anfiteatro, salendo di piano in piano, si arriva a pie del palazzo. È base ad esso un castello pentagono regolare , cui muniscono gii angoli altrettanti bastioni, conformati appunto secondo le regole che circa trent' anni prima trovate furono dal sublime ingegno di Michel Sammicheli , Architetto Ve- ronese , primo e vero Autore del nuovo modo di fortifica- zione ( 1 ). ( 1 ) Lo afferma espressamente nella vita dello stesso Sammicheli il Vasari, suo strettissimo amico. Ma più solennemente lo afferma il Bastione detto delle Maddalene, (Li lui fabbricato in Verona, verosimilmente tosto dopo di aver com- piuto il Bastione rotondo della Baccòla (se pur sussiste che sia stato opera sua). In quel Bastione delle Maddalene si conosce all'evidenza l'immediato pas- saggio che fece la Fortificazione dall'antica maniera de' Bastioni rotondi alla moderna dei Bastioni angolari. 70 Elogio di Giacomo Barozzi Sopra di che non debbo trascorrere senz' avvertire , come acconciamente si alluda con quella forma ai progressi, che allor taceva stupendi, la scienza della nuova Architettura militare , singolarmente promossa dal favore e dalla perizia di quell' Eroe del secolo decimo sesto , Alessandro Farnese Duca di Parma , il Compagno di D. Giovanni d'Austria nella memoranda Vittoria di Lepanto , l' Espugnatore di Anversa , l' Emolo in guerra di Enrico IV di Francia. Un lato del pentagono si affaccia all'ingresso della valle , dominando ampiamente le inferiori pendici e la sog- getta pianura , e gli angoli opposti a quel lato son volti cóntra le gole delle montagne , come in atto di custodirle. Al cordone , dove confina la scarpa, è il primo piano, e a quell' altezza termina la seconda delle mentovate scale esterne , la quale per una vaga terrazza mette al ponte le- vatojo , e questo all' unico ingresso., passando sopra la fossa condotta intorno alla Fortezza. Sopra quel piano tramutasi , ma rimanendo la forma pentagona , in ridente aspetto di principesca deliziosa abi- Quell' opera porta scolpita la data MDXXVII sotto lo stemma Veneto. Vede va usi pure in Verona, non ha molt' anni , e restano tuttavia, benché rotti e sconcj dalle ultime rovine , gli esempj reali de' primi e rapidi progressi fatti dall' arte sotto la mano del Sammicheli , fino a quel segno oltre del quale fu poi condotta dal Vanban ecc. Francesco Marchi reclama il merito della prima invenzione contro di emoli suoi contemporanei, cioè posteriori al Sammicheli, in quanto all'epoche delle produzioni. In fatti confessa Egli di aver incominciato a studiare cotesta materia nel iò^iì (*), e più d' un'opera militare della nuova maniera: specialmente il Ba- stione delle Maddalene , aveva già esposto al sole da lungo tempo il Sammicheli. (*) Vedi Memoria intorno alla Vita ed alle opera del Capitano Francesco Marchi ecc dal Cav. Giambatista Venturi Modena 1816. A' B. Di recente, cioè nel i8a3 fu pubblicata in Verona una raccolta diligente e magnifica delle fàbbriche civili, ecclesiastiche) e militari di Michela Sammicheli, da poterei con utilità e piacore consultare. Del Sic Prof. Giuseppe Tramontini. 71 tazione l' austerità della militare sembianza : non però con sì repentina metamorfosi, che fin dalla scarpa non incominci la gradazione per mezzo di opportuni legamenti, i quali uniscono destramente la militare ed il prim' ordine rustico della civile composizione. Jonico è il second' ordine , Corintio il terzo ; che tre sono gli ordini e i piani. Dentro dà luce, ed aria, e facili comunicazioni a tutte le parti una vaghissima loggia circolare, concentrica al poli- gono , compartita in due ordini corrispondenti a' due primi piani delle stanze , e terminante in terrazza all' altezza del terzo piano. E sebbene l'interno raggio di quel poligono non sia più lungo che cento quaranta quattro palmi romani , pur nello spazio tra le esterne faccie e la loggia, capiscono in ciascheduno dei due primi ordini due splendidi appartamenti , volti alle opportune plaghe per le diverse stagioni , e ben cento minori stanze distribuite nel terz' ordine. Rettangole sono tutte le stanze ; coperte con volte reali di squisito magistero son tutte quelle dei quattro apparta- menti , e le loggie ; né vi ha ritaglio di spazio che rimanga ozioso , perchè negli angoli son collocate e le minori scale interne, e gabinetti, e stufe, e bagni, e qual altra siasi comodità, o delizia conveniente ad abitazione signorile. Ma potrei forse riferir con parole i più cospicui , non che tutti i pregi di ciascheduna parte principale ? Come rappresentare la sorprendente scala a chiocciola, e l' elegantissima Cappella rotonda , poste negli angoli della fronte , e la loggia che le divide , sopra al vestibolo mae- stoso, decorata da una viva fontana, ed aperta contra due scene vaghissime, naturale una all'esterno, l'altra artefat- ta , che è l' interiore cortile ? Che dirò della gran cisterna , delle celle , dei bassi uffizj , ne' quali ogni sordido servigio è sottratto alla vista . ed ogni parte avvedutamente aperta alla luce ed all' aria , 7^ Elogio di Giacomo Barozzi benché sia tutto scavato nel vivo sasso , sul quale s' alza la fabbrica, e sotto la piazza pensile interposta alle scale esteriori ? In qual maniera esprimerò la disposizione dei giardini in piani l'un su l'altro eminenti, e gli aditi, e le scale, e i viali che vi conducono ; le fontane , le grotte , i recessi , le statue , le allusioni particolari , che di ciaschedun com- partimento formano uno spettacolo distinto , e direi quasi un poema? Ben potrò, senza temere la taccia di Enfatico, dir che le Muse assistevano al divisamente di quell' opera mirabile; perciocché con Annibal Caro , con quel lume splendentis- simo della Letteratura e della Poesia fu ogni pensiere , fin sopra le pitture e gli ornamenti minori, consultato dal saggio Architetto ; il quale , per condurre sì bella impresa , era e delle cose tutte bisognevoli copiosamente provveduto , e munito di pienissimo arbitrio sopra gli artisti cooperatori , come conviensi alla dignità, ed al libero Uffizio di vero Arcbitetto. A questa rara ventura massimamente io stimo di dover ' attribuire quel pregio dell' unità, che tanto eminente am- mirasi nell'Edilìzio di Caprarola, sopra tutte le bellezze, benché sceltissime , di ciascheduna sua parte. In fatti, oltre all' essere ogni intrinseco membro di pro- porzioni quanto dir si possa opportune e alla venustà dell' aspetto , e al comodo dell' uso , ciaschedun ornamento o di pitture , o di statue , o di stucchi ha ingegnosa espressione di senso nobile e peregrino, dove esponendo i fasti della Casa Farnese, dove accennando alle virtù più lodate nel Si- gnore del luogo , o negli antenati e ne' Congiunti che quella resero illustre e potente ; e qua eruditi simboli di festivo argomento invitano all' ilarità compagnevole , colà emblemi pieni di dottrina e di alto senno consigliano raccoglimento e meditazione. Del Sic. Prof. Giuseppe Tramontini. 7;? Onde, in ogni punto di quella incantata Reggia, una perpetua delizia occupa la vista , e in dilettevoli pensieri ed affetti trasporta 1' animo. Ciò nulla ostante quanti eruditi uomini ed esperti nelle arti del disegno visitano la villa di Caprarola, uscendo pieni di contentezza dall'esame degli interiori suoi pregi, sentonsi da una soave l'orza trattenuti a considerare di nuovo il prospetto intero , per la contemplazione del quale vie più cara diviene la reminiscenza delle vedute bellezze, tanto artifiziosamente armonizzanti coli' esterna disposizione , sic- come quella che sembra dire allo Spettatore : vedi cosa della Gente Farnese; di quella Casa, la cui grandezza, cumulata per ogni maniera di gloria, confirmasi sul fondamento della virtù militare; il cui genio benefico veglia sopra l'incre- mento di tutte le buone arti, e della munificenza, della cortesia, degli studj fa sapientemente sua delizia, e princi- pale sua gloria. Tanto può sull'animo nostro la ben intesa unità, forse in ogni genere di composizione, ma senza dubbio in quelle di Architettura; poiché in essa veggiamo un Vignola aver posto il massimo studio , e per quella risplendere di tanta bellezza agli occhi di tutti le opere sue. Lode sia dunque alla memoria di Giacomo Barozzi , il quale e nei primi suoi studj fu esemplare luminoso a tutti i Giovani artisti, che sono chiamati dal Cielo ad illu- strare la loro professione, e diede ne' proprj scritti istruzioni degne che per esse salvata fosse l'Architettura dalla cor- ruzione prevalente in quei tempi , e mostrò negli edifizj di sua invenzione la sorgente precipua della vera bellezza nelle opere di quest'arte. Pervenuto al termine di questo ragionamento , non parmi di poter soddisfare all' assunto contentandomi dei pochi cenni già dati intorno alla eccellenza dei costumi , per la quale il Barozzi meritò fra gli uomini onestissimi un Tom. I. K 74 Elogio di Giacomo Barozzi grado tanto eminente , come è quello che gli appartiene fra i sommi Architetti. E qui non intendo di dover raccontare le cose a tutti già note sopra 1' ingenuità dell' animo suo , cui né ombra pur di menzogna contaminò giammai , né sopra la magna- nimità, che lui proveduto di appena comodo sostentamento in Roma consigliò a ricusare i larghi emolumenti e gli onori offerti dalla Corte di Spagna , anzi che dalla sede delle arti belle, e dal servigio degli antichi suoi Signori allontanarsi. Né celebrerò V altezza di sentimento , e la vera pietà che, in una vita travagliatissima , sostennero il suo cuore sempre elevato sopra tutti gli infortunj , e pieno di serena fiducia in quella Previdenza, che illesi guida sopra l'aspide e '1 basilisco i passi del Giusto. Ma bene io reputo che al mio tema strettamente ap- partenga esaltare, con quanto applauso per me si possa, il raro esempio di prudenza insieme e di modestia dato dal Barozzi, opponendosi al decadimento dell'arte sua, ma ri- spettando nel tempo stesso gli Autori di quello. Poiché verso il mille cinque cento sessanta prevaleva in Architettura il partito degli innovatori , non però senza qualche contrasto, quanti fraudolenti maneggi, quante scan- dalose contese macchiarono la storia de' romani Architetti ! Sopra tutto l'invidia contra il gran merito del Buonarroti, (piante cabale suscitò; a quali temerarie speranze ergevansi i detrattori sul cadere dell'età sua, e con quante molestie amareggiarono gli anni estremi di quel Nestore venerando ! Ma fra tanti combattitori : in nome per decoro ed in- cremento dell' arte : in fatto per avidità 3 o presuntuosa ambizione, e più spesso per ambedue queste pessime cause, come pochi pensarono, con gravi produzioni di scrittura, o di fabbrica, a sostenere validamente quel che il Barozzi an- dava operando con savio e modesto provedimento ! Intanto nelle memorie d' allora spettanti all'Architettura non vi ha traccia ove nascer possa il sospetto che il nome Dei. Sig. Pxiof. Giuseppe Tramontini. ^5 del Barozzi, nò con aperto favore, uè con secreta conni- venza, insignisse alcuno di quei partiti. E mentre i Contenziosi , altri sfacciatamente contra- riavano il Buonarroti, senza conoscere, né saper degnamente combattere i suoi veri difetti , altri del suo nome abusavano con astuzia per sostenere le nuove fantasìe , il Barozzi , os- servantissimo verso di tutti , conosceva , e sinceramente riveriva il merito di Micbelangelo ; ma alle inen castigate massime di lui , ed alle strane licenze de' suoi mal destri seguaci opponeva , senza ostentazione , dottrine conflrmate dal consenso delle anticbe età più celebri per coltura d' ingegno, ed invenzioni sempre meglio corrette dall'espe- rienza e dalla diligenza. In questa maniera è glorioso, non die lecito, conten- dere coli' ingegno. Così trattansi dai vevi virtuosi uomini gli studj e le arti , concesse dal Cielo per consolazione di questa misera umana vita , e per decoro delle civili società. Così adopra- rono il Barozzi , e pochi suoi pari , osservando concordia , o rispetto almeno cogli Emoli , modestia , e fede illibata con tutti. Imperciocché dove alle doti dell' ingegno manchi la verecondia , e l' integrità dei costumi , anzi che sussidj ed ornamenti, sono esse più veramente titoli d'infamia, e pub- bliche calamità. La qual massima siavi altamente impressa nel cuore o Giovani valorosi, che in questo sacro luogo, alla presenza e coi voti di questo onorando Consesso , oggi con solenne rito imploraste dal Dator d' ogni bene il fausto principio agli studi vostri, e l'ajuto per compierli felicemente. In voi sono riposte le pubbliche speranze, e da voi dipende la felicità della sorgente generazione. Venturata la Patria, e. Voi benemeriti! se con generoso desiderio di emulare tanti onorati esempli dei trapassati vostri Concittadini, e quelli non meno illustri, che voi 76 Elogio di Giacomo Barozzi ecc. stessi vedete somministrare alla storia dai Viventi , vi ac- cingete a rispondere degnamente all' amore ed alla munifi- cenza dell' ottimo nostro Sovrano , ai voti ed alle cure paterne dei preclari Magistrati , i cpiali con tanta sollecitu- dine, e sapienza ministrano i suoi benefizj. DELLE MONETE ANTICHE IN ORO UN TEMPO DEL MUSEO ESTENSE DESCRITTE DA CELIO CALCAGNINI INTORNO ALL'ANNO MDXL MEMORIA DELL' ABATE SIC D. CELESTINO CAVEDONI UNO DEGLI AGGIUNTI NELLA K. BIBLIOTECA ESTENSE Letta nell' adunanza del i3 Maggio del i8a5. E Ln Italia, madre d' ogni bello studio , prima che al- trove, si raccolsero ed illustrarono gli antichi monumenti, ed in particolare le antiche monete ; donde poi e le mo- nete raccolte e lo studio di esse si trasmisero alle altre colte nazioni ( i ). Francesco Petrarca pel primo fino dall' anno i354 si era formata una collezione di antiche monete imperiali in oro ed in argento, e ne presentava l' Impr- radore Carlo IV, che mostrò di gradire un simile dono più eh' altro mai. Nel secolo dopo i privati , non che i Principi tutti d'Italia, come dimostra il Tiraboschi, si die- ( i ) Nec vero suas (scrivea lo Spanhemio nfl 16-1 ), quus ppssidet etiamnum , opes invidebit nobis diutius horum, studiorum parens et procreatali Italia : non diligente! UH custodes gazae, pitta aut Mediceae, aut estehsis, aut Farnesiae , etc. ( De praest. et usu Numism. in Praef. j 7 8 Delle Monete Antiche in Oro ecc. dero a raccogliere antiche monete ( i ), parte delle quali tuttora formano un ornamento di varie città del nostro bel paese , e parte per la l'orza delle umane vicende passarono in altre più ricche o potenti contrade. I Principi d' Este come nel raccogliere altre antiche rarità , così nel formarsi e un Museo di antiche monete non furono certamente degli ultimi. Avanti il i4-3o fece Leonello raccolta di corniole e d' altre gemme intagliate e di medaglie e di pitture , come si ha dai dialoghi di Angelo Dicembrio ( Polit. litt. 1. VI. p. 68. — Maffei, Veron. illustr. P. III. col. ao3/ Questa notizia sfuggì al Tiraboschi, il quale perciò scrive così degli Estensi e del loro Museo di antichità. „ Non abbiamo, die' egli ( T. VII. 1. I. e. 5. n. 2,3 ), monumenti che ci di- ,, mostrino chi fosse tra essi il primo a formarlo. E assai „ probabile che Borso e Leonello ed Ercole I comincias- „ sero a far ricerche di antichità, ed è certo che a' tempi „ di Ercole II erane già raccolta gran copia. Ne abbiamo „ un saggio nel Catalogo delle antiche medaglie d' oro che „ erano presso a quel Duca , fatto da Celio Calcagnali , „ che si ha in un codice di questa Biblioteca. 11 lor nu- „ mero giugne fin presso a novecento: ed è verisimile che „ non solo di tali medaglie essi fossero andati in traccia , „ ma che vi avessero aggiunte quelle di argento e di bronzo, „ delle quali parimenti si vede tuttora in questo Museo un „ assai ragguardevole numero " ( a ). (i) A'Principi da lui ricordati si vuole giugnere Alfonso Re d'Aragona e di Napoli , del quale così scrive Antonio Panormita. Namìsmata illustrium Impera— forum , sed Caesaris ante alias , per universam Italiani summo studio conquisita , eburnea arcula a Rege , pene dixerim religiosissime, asseroahantur ; quibus , quo- niam alia eorum simulacra iam vetustate collapsa non exstarent, mirum in modum sese deleclari et quodammodo inflammari ad virtutem et gloriarti inquiebat ( De dictis et factis Alphonsi Regis Aragonum, l. II. e. ra J. (a) Leonello potè avere alcune delle medaglie d'oro da Ciriaco Anconitano, poiché si sa che questi fu da lui accolto nel i449j e crle firca il ì^io avea nel suo viaggio in Grecia acquistato fra l'altre alcune medaglie d'oro di Filippo, di Alessandro e di Lisimaco ( Tirab. T. VI. 1. i. e. 5. n. 5. e 9 ) : e desse si tro- vano fra le descritte dal Calcagnini. Memoria dell'Ab. Sic D. Celestino Cavedoni. 79 Molto importante ci sembrò questo scritto di Celio Cal- cagnini , per riguardo al contenuto ed al tempo in che tu dettato; il perchè dopo alcuni cenni sullo stesso e su l'au- tore, indicheremo i vantaggi che ne ponno derivare alla Numismatica, e ne pubblicheremo le cose di più rilievo. Il titolo del Manoscritto è il seguente : Aureorum Numismatum Illustrìssimi Herculìs Se- cundi , Ducis Ferrariae Quarti , Elenchus. Vi si legge premessa una lettera del copiatore allo stesso Ercole II, che, per le notizie che ne dà dell'autore e dello scritto , giova qui riportare per intero. Havendo il q. M. Celio Calcagnino mio padrone de bona memoria, a instantia de V. Ex. fatto certo raccordo delle medaglie d'oro di quella (sic), con proposito di co- modamente farne uno ordinato indice , con la expositione de' roversi loro, e sopravenuto da morte non havendo potuto farlo ; io , come fedele servo suo , conscio della voluntà de detto mio padrone , piuttosto ho voluto così tronco tran- scriverlo , che lassarlo perire. Tale quale è adunque , con quella più humile reverentia die io posso, lo presento a V. Ex. pregandola che non meno voglia esser liberale in accettare , non dirò V Indice , qual come cosa imperfetta è assai debole, ma V animo grande dell' Autore , sempre prontissimo in farli cosa grata : di quello lei sia sempre stata in gratificarlo ( sic ). E se degni havere me per quello fidelissìmo servo che li sono. Di V. III.-' S. fidelìss.' servo Zan Hierony.0 Monferrato. Giangirolamo Monferrato fu educato e cresciuto alle lettere dal Calcagnini , e lo amò e servì come padrone per ben 28 anni, e adunò tutte le opere di lui con intenzione di stamparle in un raccolte e dedicarle ad Ercole II, fra le «piali è probabile che dovesse avere luogo V Elenco delle 80 Delle Monete Antiche in Oro ecc. Monete d' oro ( V. Barotti, Lett. Fcrr. T. I. p. 3oo ). Ciò eh' egli non fece faremo noi , e spero non senza vantaggio della Numismatica , ed in poche pagine, giovandoci del riscontro de' libri stampati , e specialmente del Morell e del Catalogo del Museo Cesareo. Ma prima di tutto si vuole accennare il sapere del Calcagnini anche nell' antiquaria, e poi gli schiarimenti che pel suo scritto ne vengono alla scienza delle monete anti- che. Celio nacque nel i479 e niorì nel i54i in Ferrara (i ). Egli , se altri mai , ne' suoi studi e negli scritti abbrac- ciò ogni maniera di cognizioni umane , al che dovette pur giovarlo F avere cercato tante contrade d' Europa , fino alla Vistola ed al Boristene. Ch' egli studiasse anche nella Nu- mismatica ne fanno fede alcuni tratti delle sue opere stam- pate ( Vid. Epist. I. IH. p. 4^- etc. ) , ma vie più V Elenco delle Monete Estensi. Nelle sue descrizioni si scorge per lo più una esattezza ed un lume di buona critica, che al- lora non era per certo cosa comune. Così descrivendo un aureo di Caligola ( Tab. XLIV. n. i ) osserva come prae- ter consuetudinem voces omnes sunt interpunctae: ed in ciò neppure il diligentissimo Morell fu sempre esatto, aggiu- gnendo i punti tra voce e voce nelle epigrafi segnatamente degli aurei, ove gli archetipi non ne hanno vestigio. Al- trove Celio , come poi l' Eckhel , notava le due diverse acconciature de' capelli di Sabina ( Tab. XXXIII. n. 4- 5 ) , e la diversa età degF Imperadori che si mostra ne' loro volti sulle medaglie. Usò pure vocaboli propri ed eleganti , e ( i ) Le notizie di Celio si ponno vedere presso il Barotti, il Tiraboschi , e nella vita che ne pubblicò l'anno 1818 in Roma Mons. Tommaso Guido Calca- gnini. Di questa non ho veduto che 1' estratto fattone nella Biblioteca Italiana ( T. XII. p. 3a8 J ma non troppo esatto. In particolare vi si nota che il Cata- logo delle monete , fi conserva 0 si conservava nella Biblioteca di Ferrara , come ragguaglia V autore sulla fede del Tiraboìchi: ma il Tiraboschi intese evidente- mente la Biblioteca Estense in Modena, ove in effetti si conserva tuttora quel Manoscritto. Memoria dell'Ab. Sic. D. Celestino Cavedoni. 8l alcuni clie furono poi adottati generalmente, p. e. habitus pacificatorius , hasta pura , prò tome ed altri molti. Seppe dubitare della sincerità delle antiche monete., e taluna ne dan- nò come spuria , p. e. quella di M. Agrippa coli' epigrafe ecoris ( sic in mss. ) hic omnipotens ( Tab. XXXV. n. io), descritta la quale, soggiunge: hae lìtterae indicant esse novi artificis opus ( Vid. Rasche , T. I. p. 99. et Eckhel , T. I. p. CX1X ). E fu meno accorto Guillielmo de Choul, ben- ché di molto posteriore al Calcagnini, che la recò incisa e la dichiarò, senz' alcun sospetto (De la Relig. des anc. Rom. p. 109/ Celio, per rendere ragione della Sfinge segnata sulle monete di Augusto, osserva ( Tab. XXII n. 12. ) che con essa Augustus litteras signabat. Lo Schlegel ed altri pensarono che la Sfinge vi simboleggiasse 1' Egitto ; ma 1' Eckhel lor contradice, e tiene per vera la sentenza del Calcagnini ( T. IT. p. 98. lao •). Ma si vuole pure qui riportare un tratto delle descrizioni di Celio , pel quale si appalesa la diligenza di lui e cognizione in altre parti dell'archeologia. Dopo avere descritto un aureo di Adriano ( Tab. XXXIX. n. 7 ) con la figura dell' Imperatore a ca- vallo ( Mus. Caes. n. 149 ) soggiunge : In eo non agnoscitur habitus pacificatorius , sìcut neque in ìlio qui olim erat in area Laterani , nuper a Paullo III. Pont. Max. in aream Capitola perductus et instauratus , qui manu prolata sìlen- tium potìus quarn pacem videtur indìcere ( 1). Certe infestimi illum pollicem ad aurem non portendit , ut quidam asse- ruerunt (n). ( 1 ) Qui accenna manifestamente alla celeberrima statua equestre di Marco Aurelio, che fu traslocata l'anno iS38. ( Fea , Rov. di Roma, JVinkelm. T. III. p. ^iS J : Homle si pare, che Celio si pose a scrivere V Elenco dopo 1' anno me- desimo. Non so se d'altronde si sapesse che quella statua fu anche restaurata da Papa Paolo III. (a) Vedi Quintiliano, 1. XI. e. 3. Tom. I. L 8a Delle Monete Antiche in Oro ecc. Riguardo poi a' vantaggi che si ponno trarre dall' esame dell' Elenco del Calcagnini , due principalmente ne accen- neremo. I. Si definisce chiaramente per esso che la Contro- marca moderna di un'Aquiletta, che si trova in molte an- tiche monete ora esistenti in varii Musei d' Europa, è indizio che le monete medesime appartennero un tempo al Museo Estense e non al Gonzaga. II. Si mostra che il Golzio non sempre finse di suo capriccio le monete che dopo lui non si sono più viste , ma che fu egli ingannato alcuna volta prendendo per sincere delle monete spurie ; e che la mala arte di fingere o contraffare le monete stesse incominciò fino dal principio del secolo XVI e fors' anche dall' ultima metà del precedente! La contromarca dell' Aquiletta incusa ha dato luogo a lunghi dispareri per più di un secolo : onde non sarà sì poco di cosa il potere finalmente averne una definita e certa sentenza ; massimamente che tali dispareri sono tra uomini sommi , fra quali basta ricordare il Maffei ed il Visconti. Due sono pertanto le opinioni degli eruditi su questo particolare, altri cioè chiamarono Estense queìV Aquiletta ed altri Gonzaga. Gonzaga la vogliono l'Havercamp, il Vaillant, il Liebe ed altri, senza però recarne a prova ragioni od autorità ( Haverc. ad Morell , p. 247. — Liebe , Gotha num. p. 2,9. i35. — Vaillant , Praef. ad num. Fani. §. XII ). Non così può dirsi di Ennio Quirino Visconti -, il quale , nel descrivere un Contorniato di Omero ( Iconogr. Gr. Pari. I. e. I. §. /• nota ) , ne dà questa definitiva sentenza: „ 1/ aquila d' argento contromarcata sul medaglione mostra „ la collezione dalla quale deriva , cioè quella dei Gonzaga „ Signori di Mantova ( Liebe , Gotha num. p. 2,9 / Giu- „ seppe Pelli istorico della Galleria di Firenze ( Voi. I. „ p. 268, e seg. ) ha dimostrato con argomenti cronologici, „ che il Marchese Maffei si è ingannato dove ha preteso ,, ( Veron. illustr. Part. III. p. 2o3 ) che quest'aquila fosse „ lo stemma degli Estensi, e quindi che la medesima avea Memoria dell'Ai?. Sic. D. Celestino Cavedoni. 83 ,, appartenuto al Museo del Duca di Modena " . Recheremo (juì le parole del Pelli , perchè hene scorga il lettore la forza degli accennati argomenti cronologici. Egli adunque , dopo riportate le parole del Marchese Maffei , così prosegue : „ Un sì franco decidere m' invogliò „ d'interrogare un amico, da cui potevo lusingarmi d'essere „ sopra di questo informato , ed ebbi in risposta , che non 11 vi era in Modena memoria alcuna , presso quelli i quali „ potevano averla , delle circostanze per cui il gabinetto 11 era rimasto spogliato delle medaglie d'oro, e che l'opinione „ comune era che Rinaldo le vendesse quando nel 1710 .„ volle acquistare la -Mirandola, che gii costò 175 mila ,1 doppie (1). Se è così, le medaglie contrassegnate con la „ piccola aquila non possono essere quelle della casa d'Este, „ mentre stavano prima di questo secolo in vari gabinetti. „ Io non ho saputo mettere in chiaro il tempo in cui per- „ vennero in quello di Firenze , ma ho ben giusto motivo ,1 per credere che vi fossero più di cento anni addietro „ (il Pelli scriveva nel 1779^; onde sono nella ferma opi- „ nione che tali medaglie o fossero distratte da Carlo Gon- „ zaga Duca di Nevers allorché dovette prepararsi alla „ Innesta guerra per difendere la successione al trono di „ Mantova, alla quale si opponeva l'Imperatore Ferdinando II, „ o dopo che l'anno i63o il dì 18 Luglio cadde quella „ infelice città in mano dei Tedeschi . . . con essere stato „ messo a sacco il palazzo ducale, ove gli antichi principi „ avevano nei tempi antecedenti radunata gran copia di „ cose preziose " (2,). ( 1 ) Ho sottosegnate le voci che mi 6embra contengano alcuna contraddizione, e che mostrano insieme che la cosa dovette succedere più verisimilmente prima del 1710, non restandovi nel 1779 erre una opinione senz'aldina memoria certa. Il Muratori scrittore contemporaneo avrebbe pur accennato quella vendita se tossa stata fatta per l'acquisto della Mirandola. Da ciò che siamo per provare, si parrà chiaramente che un tale sospetto sopra Rinaldo è falso ed ingiusto (a) Nel 6acco dato al palazzo durale l'Altringer, «prevenuta la l'uria de" soldati , s' impadronì del Tesoro e delle altre cose preziose ( Ziliolu . p. 121 ) , 84 Delle Monete Antiche in Oro ecc. Ora veggiamo le autorità e le ragioni dell' altra sen- tenza che tiene FAquiletta incusa per un contrassegno del Museo Estense. Il Marchese Scipione Maffeì, conoscente del pari nelle cose antiche e nelle moderne , nella Verona il- lustrata ( P. III. col. ao3 ) in parlando del Museo Estense, scrive così. „ Quanto ricco tesoro fosse cotesto in altri tempi, „ non si può bene intendere da chi non abbia osservato , ,, come per tutta Europa si sparsero gran tempo fa le sue „ spoglie ; il che si può riconoscere per l' Acpiiletta d' ar- „ gento che fu già incastrata nel campo di molte delle sue „ medaglie , col qual contrassegno i più scelti scrigni d' „ ogni parte alcuna ne conservano. -Spanemio, Vaillant, ed „ altri supposero veramente , che tal marca indicasse il „ Museo di Mantova : ma quell'Aquila è la Estense non la „ Gonzaga, come è noto nella Corte di Modena, ben sapen- „ dosi ancora in qual modo gran quantità ne passasse per „ certa occasione in altra Città d'Italia ".-Il Maftei scriveva così circa l'anno 1782 cioè 60 e più anni prima del Pelli, e perciò più vicino ai tempi della dispersione delle medaglie Estensi : era quindi a portata di averne più certo d' assai quel poco che se ne poteva sapere per fama. E se egli potè dire gran tempo fa , la dispersione non avvenne certo nel 17 io, cioè aa anni prima del tempo in cui egli scriveva. Perde adunque ogni sua forza l' argomento cronologico del Pelli, al quale se die molto peso il Visconti , fu solo per- chè inteso ad altre cose non dovette bene considerare le ragioni dell'uno e dell'altro scrittore. La sentenza del Maffei, nonostante le opposizioni del Pelli e l'autorità del Visconti, ond'è verisimile che, se le medaglie in questione fossero state allora distratte, anzi che in Francia, sarebbono passate in Germania. Di più non è verisimile che non fossero insieme depredate anche quelle d' argento : d' altra parte , come vedremo, quelle del Museo di Parigi e di Firenze contrassegnate con l'Aquiletta sono tutte in oro. Memoria dell'Ab. Sic. D. Celestino Cavedoni. 85 non cadde del tutto; anzi fu seguita a questi tempi dal Ch. Sestini, principe dei numografi viventi, e dal Cav. Mioniiet (i). Ma ciò non era forse bastante a mettere una tale sentenza fuor d'ogni dubbio, se non si giugneva alle altre una prova di fatto , die ora ne presta il mss. del Calcagnila. Undici sono le monete di Famiglie Romane che nelle tavole del Morell mostrano nel diritto la contromarca di un' Aquiletta ( 2, ). Egli ne trasse i disegni dal Museo del Re di Francia negli anni che corsero dal 1680 al 1690 ( Vid. Morell. Specim. epist. cleclìc. et Bandi/ r. Bill. Num.), ove esistevano prima almeno del i663 quando le vide e le pubblicò pel primo Carlo Patin. Ora tutte queste monete antiche, niuna eccettuata , si trovavano nel Museo Estense prima del 1 54-i - poiché tutte sono descritte nelP Elenco che ne fece il Cal- cagnini morto appunto in quell'anno. Sono nel Museo Fio- rentino, come mi accerta il Ch. Ab. Zannoni, molti aurei di Alessandro, di Filippo e di Lisimaco; e ve n'ha pure altri degl'Imperatori Romani da Gallieno fino a Teofilo, come si vedrà più distintamente a suo luogo ; tutti con la ( 1) Sestini (Lett. Numism. 2. Nov. T. IV. p. io) nel descrivere una moneta di bronzo inedita del Chersoneso Taurico, nota che dietro la figura di Achille si mostra: Aquila argentea D. E. cusa : e soggiunge: Proviene questa dal Museo una volta dei Duchi d' Este. Mionnet ( Descr. T. VI. p. 5o,7 ) ove descrive un aureo inedito di Re Iuha, osserva che: Oli volt derrière la téle la contre-marque moderne du Cabinet de Modène. Il Ch. Ab. Zannoni R. Antiquario in Firenze è dello stesso parere , come cortesemente mi scriveva ; e similmente S. E. il Duca di Bl.icas, tanto conoscente in questi studi, coinè intesi da lui quando nel i8a5 onorò di sua presenza questo R. Museo; e diceva di averne di molte con la contromarca dell' Aquiletta nel suo raro e dovizioso Medagliere II Ch. Bartolomeo Borghesi mi accerta, che il padre suo, diligentissimo nel tener dietro al passaggio delle monete consolari da un luogo all'altro, gì' insegnava che I' impronta dell Aquiletta si è un segno che il nummo esisteva una volta nella collezione «Id Duca di Modena; e che dello stesso parere è pure il Ch. Ottavio Cattaneo Custode dell'I, e R. Museo di Milano. ( a) Vedi . Antonia, Tab. n. n. I. Arria. n. 5. Cassia. Tab. ». n II Cestia, n. i. a. Cornelia, Tab. 5. E. Livineia , Tab. a. n. V. Norbana. n. I. V Sem- pronta, Tab. i. n. V. Servilia , Tab. a. n. II. Sulpicia , Tab. I. n. V. Villa , Tab. t. n. II. 86 Delle Monete Antiche in Oro ecc. contromarca moderna di un' ' Aquiletta. Ed aurei simili agli accennati erano pure nel Museo di Ercole II d'Este, come si pare dall'Elenco suddetto. Questo riscontro mostra evidente- mente che tali monete derivarono dal Museo degli Estensi in quello del Re di Francia e in quel di Firenze; e che perciò la contromarca dell'Aquiletta incusa è un indizio del Museo Estense e non del Gonzaga. La forza poi di questo argomento si cresce di molto, considerando che le sovraccennate monete sono tutte rarissime, sì che altre simili alle prime non ne vide né Fulvio Orsino né altri prima che il Patin le pubblicasse dal Museo del Re, ed alcune sono forse uniche, come quella di Marco Antonio col riverso del leone che stringe un pu- gnale nella destra branca. Tale è pure l' aureo del Re Iuba esistente nel Museo di Parigi, e P altro di Metaponto che si conserva in quel di Firenze, ambidue con la contromarca dell' Aquiletta , e testé pubblicati dal Mionnet ( Descr. T. VI p. 597 — Suppl. T. I. p. 3oi ): ed ambidue descritti nell' Elenco del Calcagnini. Un altro argomento per la nostra sentenza si ha dal vedere che tali monete , esistenti ne' Musei di Parigi , di Firenze e d' altre città , sono tutte d' oro: e monete antiche d'oro non esistevano più nel Museo Estense in Modena nel 1782, quando scriveva il Maffei ( l. e. Veci, anche Voyage d' un Francois en Italie , fait dans les années 1765, 1766, Tom. I. p. 543;, 544^-' e se tanta copia ve n' ebbe un tempo , non può essere andata dispersa altrimenti,, che venendo ad arricchire tanti altri Musei. Infine si rifletta che nell' antica raccolta Estense ( come si vede da quel poco che si conserva tuttora ricu- perato dopo lo spoglio de' repubblicani Francesi ) le monete in bronzo hanno l' Aquiletta d'argento e quelle in argento P hanno cT oro: e la stessa particolarità si osserva pure nelle monete esistenti negli altri musei con quella contro- marca. Così quella del museo di Milano in bronzo, pubbli- cata dal Sestini, ha P aquiletta d'argento: d'oro l'hanno le monete d' argento vedute dal Liebe , e d' argento quelle Memoria dell'Ab. Sic. D. Celestino Cavedoni. 87 di oro (Le); d'oro l'ha pure un denario della Cordia esi- stente nel Museo Hederveriano ( T. II. p. ai ). Ma per amor del vero noteremo due opposizioni che si potrebhono fare alla nostra sentenza. La prima si è che alcuni degli aurei descritti dal Calcagnine p. e. quello della gente Furia, non si trovano nelle Tavole Morelliane. Si potrebbe rispon- dere che non è necessario supporre che tutti gli aurei di Famiglie Romane passati siano nel regio Museo di Parigi ; pure mi pare più verisimile che vi passassero e che il Morell li vedesse , ma non ne ritraesse il disegno perchè gli paressero non sinceri. La seconda opposizione è che , al dire del Maffei ( l. e. col. ao4 ) )? di un gran numero di ,, rari quinarii Consolari d' oro , che si trova nel Regio „ Museo di Francia , attestò il Vaillant ( in Praef. ad „ Fornii. ) portare V Aquiletta inserita ie : e di tali quinarii d' oro non ne trovo la descrizione nell'Elenco del Calcagnini. Il Vaillant parla della prima moneta d'oro coniata in Roma, cioè dei denari! , e segue a dire : Prodiere simul et quinarii aurei, iique seinper ex auro probatissimo , quo factum est ut paucissimi ad nos pervenerint et fusorìum foculum eva- serint. Hoc certe plus 3Iantuanis Ducibus debemus , qui plurimos tantillae molis nummulos olim collegere. Evaserunt UH feliciter communem urbis cladem , suntque etiamnum in Regio Cimelio, insignes prae caeteris, liabent quippe impres- sa//! a/gentea/n aquilani Blantuanae gentis insig/ie ( l. e. §. XII ). Il Ch. Bartolomeo Borghesi ( di cui non saprei dire qua! sia maggiore la gentilezza ola dottrina ) al quale proposi questo mio dubbio, cosi mi risponde. „ I detti del „ Vaillant non devono poi incuterle spavento , avendo egli „ scritta l'opera De Familiis in somma fretta, ond' è spesso „ convinto d' inesattezza e di contraddizioni , ed avendo „ usato uno stile cosi incolto e confuso , che molte volte „ non intendesi cosa abbia voluto significare ( 1 ). Cosi mi (r) È dunque da perdonare al Maffei se, non intendendo bene lo parole del Vaillant, scrisse le sovra citate cose. 88 Delle Monete Antiche in Oro ecc. „ pare che gli sia avvenuto nel luogo da lei citato „ Imperocché è certo eh' egli non cita alcun quinario au- „ reo nella sua opera, né alcuno ne esiste dei segnati coli' „ aquila nel Museo di Francia; onde consta eh' egli per ,, lo meno ha voluto far dipendere V iique semper ex auro „ probatissimo tanto dagli aurei quinaria quanto dagli aurei „ interi ; e veramente nel Museo del Re Cristianissimo ve „ ne sono molti di questi ultimi che hanno servito di pro- „ totipo ai disegni del Morell. Il Tesoro di Francia possiede „ di quinarii consolari in oro quello della Fufia, pubblicato „ dal Barthelemy ( B. L. T. XXX p. 372 ; ; ma il Mion- „ net nella sua Rareté ( p. Su) ci ha avvisato eh' è falso. „ Quest'ultimo ne ha ora edito un altro ( p. 55 ) conosciuto „ dall' Eckhel , e non desiderato da me, che volgarmente „ si attribuisce alla Veturia , ma è assai più probabile 1' „ opinione del Numismatico Tedesco , che fosse coniato „ nella Campagna o nella Magna Grecia, ov'era già cognita „ la divisione dell' oro. L' unico quinario adunque di Fa- „ miglia di questo metallo , che sia sincero e di cui abbia „ notizia, è quello della gente Munazia che ho veduto „ nel Museo di Milano , di cui altre ripetizioni sono state „ pubblicate dallo Schellershein ( p. 6 ) dal Catalogo del „ Museo Lefroyano ( p. 9 ) e dal Catalogo del Museo Van- „ damme ( p. 2,3 ) " . Ora diremo più brevemente dell' altra utilità che ne viene alla Numismatica dall' esame dell' Elenco del Calca- gnini. Alla Tavola XXIX n. 4 egh descrive un aureo come segue : Caput ad laevam respiciens cum redimiculo, ad cervicem lituus 3 litterac ante faciem DIVI IVLII. A tergo: Imago humi sfrata, tergo haerens monti, tem- plum ruens et proclinatum habeus in ter suras : supra aquila ferens coronam rostro eam offert vel Tibri, vel Genio Urbis. Questo aureo è in tutto simile al denario d' argento pubblicato dal Golzio , e poscia ripetuto dal Morell fra le Memoria dell'Ab. Sig. D. Celestino Cavedoni. 89 monete Consolari ( Tab. XX. n. 12, ). L' Havercamp ne avverte di avere veduto un simile denario in argento , ma lavoro di un falsario, L'Eckhel ( T. VI. p. i3 ) parlando di altri numi spurii li dice : a falsariis secundum iconìsmos Golzianos effigiatos. Ora in veggendo che l'aureo veduto e descritto dal Calcagnoli fu coniato da un falsario, tanto tempo prima che il Golzio ne desse il disegno di quei éerìario affatto simile all'aureo medesimo, se ne argomenta con certezza , che alcuna volta si può invertere la propo- sizione dell' Eckhel , e dire che il Golzio disegnò alcune monete secondo le opere de' falsarii. E con ciò si toglie , almeno in parte , al Golzio la brutta taccia d' impostore , e gli si muta in quella di meno sperto nel discernere nelle monete l'antico dal moderno ed il vero dal falso: jjleiqv yap ama , come disse Pindaro ( i ). ' E per riguardo alle medaglie finte o falsificate note- remo che P Eckhel , seguendo il Beauvais , non indicò esempio di falsificazione più antica di quella di due monete ( i ) Si vuole qui dichiarare un dubbio proposto dall'Eckhel su le medaglie Golziane. Egli, con supporre che l' Erizzo pubblicasse il suo Discorso nell'anno i55o, (ove s'indicano come già pubblicati i disegni delle monete Consolari del Golzio), e non trovando altra edizione dei Fasti più antica di quella del i566, non sa comprendere come l' Erizzo abbia potuto rimettere il lettore alle Tavole dei Fasti, e dichiararle; e conchiude così : Ex quo consequitur aut vetustiorem ali- quam exstitisse Fastorum Goltzianorum editionem, aut alibi esse erratum, in quoti nunc inquirere non vacat. Ma ecco donde nacque il dubbio dell' Eckhel ( T. I. p. CLIII). Quattro almeno sono le edizioni conosciute del Discorso dell' Erizzo, e solo la quarta (così intitolata nel frontispizio) contiene la dichiarazione delle monete antiche ( cioè delle consolari), e questa è senza data di anno, ma la dedica del Ruscelli a Sigismondo Re di Polonia porta 1' anno i559, come in tutte le altre. L'Eckhel credette adunque che questo fosse l'anno della edizione; ma queét anno si deve posticipare di molto. Il Crevenna ( T. V. p. a38, 23o,y ne ricorda una quarta edizione del iSyi, ed altra senza data. Io non ho veduto che questa ultima, e la credo fatta anche dopo il i57i , poiché l' Erizzo sulla fine della dichiarazione ( p. a8a ) cita dal libro di Fulvio Ursino le prime parole sulla gente Sergia f Famil. Rom. p. *%9): e le Famiglie dell'Ursino furono per la prima volta stampate l'anno iS??. Pertanto se 1' Erizzo scrisse certamente dopo Pan. iS^o, si vede chiaro, come potesse rimettersi ai Fasti del Golzio stampati nel 1 566.- Tom. I. ' M 90 Delle Monete Antiche in Oho ecc. pubblicate da Guillelmo de Choul nel i-58i (Disc, sur la Rei. etc. Eckhel , T. I. p. CXIX ): ma dall' Elenco del Calcagnini, scritto prima del i54-i, vedremo che molte più medaglie erano già state falsificate o finte dagli artisti italiani. Onde la mala arte di falsificala le monete antiche si prova esser nata nel principio del secolo XVI, se non anche nella seconda metà del precedente. Segue l'indicazione delle monete descritte dal Calca- gnini ( i ). I. MONETA POPVLORVM, VRBIVM, REGVM. i. metafontvm Lucaniae. Calcagn. Tab. IV. n. ia. = Mionnet, Suppl. T. 1. p. 3oi n. 677. Téte casquée et barbue , à droite $. meta. Deux épis; dans le champ, à gauche , 'une fourmi. PI. XI. n. 3 AV. i\ i?.8 F** — 4co. fr. Cabinet du Grand-Due de Toscane , à Florence (1). ( 1 ) Il Manoscritto nella Biblioteca Estense si trova segnato Mss. VI. B. 3o. Il numero preciso delle monete d'oro 0783. Il Tiraboschi, che lo fece ascendere fin presso a 900, pare ne computasse i5 per ognuna delle LVI Tavole: ma dal riscontro fattone trovo che in XI di esse il numero è sempre minore del i5. (a) Nell'incisione a diritta della testa si vede PAquiletta in contromarca. Il Mionnet medesimo nella Descrizione avea notato che le medaglie di Metaponto in oro sono R.8 F.* Moyen module , 400 fr- Sestini (Class, gen. Fior. 1831 ) riconosce per sinceri gli aurei di Metaponto, e ne denota la rarità col segno R.RR : e ognuno sa quanto vaglia il giudizio di lui in questo particolare. L' Eckhel non conobbe altri aurei di Metaponto, che que'di Golzio, (T. I. p. i56 ). Ed in effetti Golzio ne ha uno in parte simile al nostro, ( Sicil. et Magn. Graec. Tal. XXX, n. IX (} ). L' Eckhel vide presente il Museo del Gran Duca, e se non fece conto di questo aureo , forsp ciò fu pel sospetto che gli metteva il vedere che non altri che Golzio riconobbe fin allora monete di Metaponto in oro. Ora si vuol qui recare la descrizione del Calcagnini : Caput galeatum barbatum. A tergo: Duo bene erpressae spicae , undique aristatae ; ad dexteram appensa est formica: subscriptae sunt litterae meta. Questa Descrizione, e la particolarità dell'Aquiletta, mostra evidentemente che la moneta veduta dal Calcagnini è 1' identica che Mionnet diede descritta e disegnata, come esistente nel Museo del Gran Duca. Memoria dell'Ab. Sic. D. Celestino Cavedoni. 91 a. velia Lucaniae. Tab. XXVIII, n. nlt. Unum aar^ov, idest sine titillo , quod tamen vel Philippe» vel Alexandre» simile videtur: iuvenis scilicet impubis et egregie galeati, et in ipsa galea pegasus sculptus videtur. A tergo : ingens leo prostratimi cervum , adhuc elata cornila habentem , dentibus in tergum fixìs , tenet (\). 3. panormvs Siciliae. Tab. IV. n. 1 — 6 = Mus. Caes. n. 6. — Sex simile s. 4- syracvsae Siciliae. Tab. IV. n. io. Caput. A tergo: Instrumentum ignotum ; in ambitu AI&N SYPAK Csic) (2.). 5. REGES SICILIAE. hiero II. Tab. IV. n. 8 = BIus. Caes. n. 1. a. 6. REGES THRACIAE. LT8IMACHVS Tab. XXVIII. n. io — 14 = Mionnet,Descr. n. 2. — seq. Quinque similes. 7. REGES MACEDONI AE. (1) L'Eekhel non riconosce altre monete d'oro di Velia, che le Golziane ( T I. p. i65 y , Mionnet le dice false ( Descr. T. I. p. i?3 ) e di conio mo- derno ( Suppl. T. I. p. 3a5y; sebben ne descriva una pubblicata dal Sestini , e ne dia la stima di 200 fr. Sestini ( Descr. Num. Vet. et Class. Gen. j ne descrive per sincera una con epigrafe in caratteri paleografici : ma questa è molto diversa da quella descritta dal Calcagnini. Golzio ne disegnò tre in oro f Tab. XXIV. XX F. ) ma parimenti diverse dalla nostra. L'Harduin descrisse un aureo di Velia colla testa di Pallade coverta d'elmo, sul quale lesse AIYICTIfi con presso una Vittorietta in quadriga f ad Plinium T. I. p. 1 5y ) , ed è la stessa che dal Mionnet, anche in argento, è riputata di conio moderno (Suppl T. I. p. 328 J : ma 1' Harduin non ne descrive il rovescio, e Mionnet ne dà uno diverso da qu Ilo descritto dal Calcagnini. Ad ogni modo, se la moneta descritta dal nostro Celio è da tenersi per falsa, la sua descrizione fatta circa l'anno t54<3 mostra l'epoca di tale falsificazione molto antica, e forse più di quello che altri avrebbe riputato. Nel resto il Calcagnini prese abbaglio attribuendo la moneta ad Ales- sandro, quando i tipi sono propri di Velia; ma la Numismatica era a' suoi giorni tuttor bambina; e poi era facile tale scambio in una moneta anepigrafa, ed avente un diritto quasi simile a quello degli aurei di Filippo e di Alessandro. (a) È chiaro che si dee leggere SYPAKO-IÌÌN : e forse lo strumento ignoto al Calcagnini sarà un polipo ( V. Mionnet , Descr. T. I. p. 292. n. 718). 92 Delle Monete Antiche in Oro ecc. philippvs II Tab. XXVII. = Mionnet , n. 3o. — Tre- decim sìmìles. 8. ALEXANDER III MdgTlUS. Tab. XX. = Mionnet n. 99. — Quindecim simìles (\). — Tab. XXVIII. = Mionnet , n. i45. — Quinque simìles. — Tab. XLVII. n. i5. = Mionnet, n. 11 5. 9. philippvs Aridaeus. Tab. XXVIIT. n. 7. 8. 9. = Mionnet, n. 65a. 655 (a,). 10. demetrivs I Poliorcetes. Tab. IV. n. 7. Rostrum liburnìcae super quo fortunae imago alata , dextra tenet bucinam ori admotam , qua ' canit , seu bu- cinatur. A tergo: Egregia imago foeminae dextra hastampor- tendens ; laeva clypeum ; ante se habet hoc signum ( Mion. monogr. 499 ) • Htterae a tergo et infra AHMHTPIOY BA2IAE&2 (3). I I . REGES BITHYNIAE. prvsias I. Tab. XXVIII. n. 1. Regìs Prusiae unum (nomisma), in inferiore mento barbatavi . ( 1 ) Il Calcagnini non trascurò di notare anche i monogrammi differenti ; fra' quali riscontro quei di Mionnet n. i3. 344- 389. 358. 168. ( a ) Nota come dovettero fin d' allora abbondare di più gli aurei di Filippo padre di Alessandro, e meno que' di Filippo Arideo. E ciò conferma l'opinione dell' Eckhel che attribuisce i primi a Filippo II, il quale abbondava certamente più di ricchezze , che Filippo Arideo. (3) Questo aureo fu per la prima volta pubblicato ed illustrato dall' Eckhel, che lo dice di singolare eleganza. Ei lo prese dal Museo del Gran Duca ; e non pose l' Aquiletta nella incisione; ma forse ei la trascurava come giunta mo- derna ( Num. Vet. p. 84. Tab. VI. n. 9 j. Ma certamente , non conoscendosene finora altro simile, se non questo del Museo di Firenze, e sapendosi che altri aurei dall'Estense passarono in quello, ragion vuole che si tenga per l'identico descritto dal Calcagnini. Errò il Calcagnini nel chiamare Fortuna la figura colla tromba : ma non è a meravigliarne, poiché lo stesso Eckhel prima la chiamava una Vittoria ( l. e. J,e la disse poscia una Fama ( D. N. V. T. II. p. 120, iai/ Mionnet lo descrive attenendosi alle Tavole dell' Eckhel, e ne fa ascendere il valore a 1,000 fr. Memoria dell'Ab. Sic. D. Celestino Cavedoni. 93 A tergo : Imago palliata , sinistra hastam , dextrà ( sic ) in altum porrigens, quasi indicans et verta faciens : litterae utrinque IIPOY2IOY BA2IAES2 ( 1 ). 12. REGES MAVRETANIAE. ivba I. Tab LV. n. 1. — 6. Caput hominis senis macilenti, prominente mento ac barba, reticolo capillos includi t: in humero haeret telum, ad cuius cuspidem vexillum pendete bandum vocat (sic); ante faciem litterae rex ivba. A tergo : Templum quatuor utrinque columnas habens, et supra in medio breve fastigium ; ad basim inferiorem in medio scansiles gradus: ad dexteram templi, litterae RXX. — Sex adsimiles (2.). (1) L'Eckhel ne descrisse uno simile del Museo Cesareo attribuendolo a Prusia II ( n. i ) : ma nella Dottrina poi con buone ragioni lo restituiva a Prusia J ; e lo disse di sommamente elegante lavoro, senza movere alcun dubbio 8U la genuinità ( T. ir. 441 )■ Un altro simile fu prima descritto e pubblicato dal Begero nel Tesoro di Brandeburgo ( T. I. p. 269 ). Mionnet , non ostante l'autorità dell' Eckbel , condanna gli aurei di Prusia I, come di conio moderno. Sestini fu più discreto chiamandoli sospetti (Class. Gen. p. 71 J. L'Eckhel descrisse pur come sinceri gli aurei di modulo massimo di Lisimaco Re di Tracia ; ma i posteriori numografi non si stettero contenti all'autorità di lui; « Mionnet li disse senza più falsi, e Sestini non ne fece verbo. (a) Uno di questi dovette passare nel Museo del Re a Parigi, come si pare dalla seguente desrrizione di Mionnet ( Descr. T. VI. p. 5q7 — 98 y. rex ivr.\ Tétc diadémée de Iuba I à droite , la chevelure bouclée de toutes parti, la chlamyde sur la poitrine , et un sceptre sur l èpaule droite (*). y. Inscrìption numidiquefig. (PI. XXX. n. 18 J. Tempie octostyle. AV. ^~ R* F.* — 1,200 fr. Riguardo poi alla sincerità di questo sì raro ed elegante aureo, il Mionnet, avendolo apprezzato i,aco franchi, avverte in nota, Je souppose la médaille an- tique, sans cependant la garantir. Eckhel ne cita uno simile del Museo Pembrock ( clie Beauvais dice preso dal Museo di Parigi ), ma non pare prestargli tutta la fede, anche perchè i caratteri punici sono male incisi: Sestini non ammette fra le monete di Giuba Re veruno aureo. E parmi che ai dubbj di questi grandi conoscitori di monete, si possa giugner peso, dal vedere che sei di tali aurei affatto simili si trovavano nel Museo Estense fino dal i54o, e che dopo non se ne sia mai più scoperto altro simile, anche dopo i viaggi di tanti nella Maure- (*) On voit derrière la telo In contre-mttrque moderni du cabinet de Modène. 94 Delle Monete Antiche in Oro ecc. i3. Incertum. Tab. IV. n. g. Caput iuvenis. — A tergo: Duo colluctantes in terram geniculati , quorum alter alteri incumbit capite superiminens illumque opprimens (i). II. MONETA ROMANORVM. Tab. IV.n.n. = Eckhel (D. N. V. T. V.p. 44. n. ij.(x) Numi Familiarum. 1 . aria. Secundus. Tab. XXXV. n. 14 = Morell, n. 5. Addito Aquilae sigillo. 2. cassia. C. Cassius Imperator. Tab. XXXV. n. 5. 6. = Morell, Tab. 2. n. IL Addito Aquilae sigillo. — Tab. XXXV. n. 12. = Morell, Tab. 3 , n. IV. tania. Ma è molto pregevole ad ogni modo la memoria fattane dal Calcagnini , perchè mostra che tale aureo venne falsificato, forse sulle tracce delle monete in argento simili, ma più picciole , fino dal principio del secolo XVI. ( 1 ) Il Calcagnini nel descrivere questo rovescio pare che abbia avuto dinanzi una copia del celebre gruppo dei due Lottatori della Galleria di Firenze. E po- trebbe altri di leggieri sospettare che (siccome non si conosce, eh' io mi sappia, un simile tipo in alcuno aureo antico) quello descritto qui sia di conio moderno, e copia del gruppo dei due Lottatori. Ma non so se prima dell' anno 1540 quel famoso gruppo fosse per anche scoperto e conosciuto dagli artisti. Flaminio Vacca ne racconta che fu scoperto a sua memoria ( Montf. Diar, Ital. p. i3o, ) : e scri- vendo egli che nel i5g4 erano 56 anni che raccoglieva memorie di ciò che ve- deva 0 sentiva scoprirsi d' antico in Roma ( ibid. p. io5 j , pare che la scoperta del gruppo suddetto si debba fissare all'anno i538 al più presto. Dunque sup- posto anche che la moneta in questione sia lavoro di un falsario del secolo XVI, essa è notevole, poiché mostrerebbe come gli artisti di que' felici tempi sapevano conoscere ed imitare le più eccellenti opere antiche. (2) Il Calcagnini ritrasse esattamente la forma della nota numerale; nel (he peccò lo stesso Morell ponendo nell' incisione VX , e notando come di bronzo ( M. ) la moneta che certo è un aureo f in numis roma, Tab. I. n. VI )■ Ma V archetipo veduto dal Morell forse era l'anima di un aureo suberato : onde non lo dovea troppo per ciò riprendere 1' Eckhel ( T. V. p. éfi j. Memoria dell'Ab. Sic. D. Celestino Cavedoni. 95 3. cestia. L. Cestius Pr. Tab. IX, n. i3. = Mordi, Tab. unic. n. a. Add. Aquil. sig. — Tab. XLVIII. n. 9. io. 11. = Morell , n. 1. Add. Aquil. sig. ( 1 ) 4- clavdia. P. Clodius M. F. Tab. XLVII. n. 12. Tab. XLVIII. n. 1. 2. 3. = Morell, Tab. 1. n. Vili. — C. Clodius. C. F. Tab. XLVIII. n. 4- = Similes denario argenteo Mo- relliano , Tab. a. n. III. (2.) 5. Cornelia. L. Sulla Imp. Tab IX. n. 14. = Morell, Tab. 4. n. VI. (3) — Cri. Lentulus. Tab. XXXV. n. 7. = Morell, Tab. 5. lìti. E. Add. Aquil. sig. 6. dvrmia — M. Durmius III Vir. Tab. XXXV. n. 11. = Morell, n. V. 7. fvria. 31. Fourius L. F. Philus. Tab. LIV. sex omnino similes. Similes denario argenteo Morelliano ( Tab. unica . n. III). (4) ( 1 ) Caloagnini lesse EX. S. C : ma tutti i numismatici hanno solo S. C. (a) Un aureo simile è nel Museo Cesareo, e dall' Eckhel è segnato RRRR. e valutato da Mionnet 400 f'~- ( V- anche Borghesi, Dee. XIV. Oss. io ). ( 3 ) Il Morell avendo qui posto sotto un tipo solo il disegno dell'oro e dell' argento ( AV, AR ), si può credere che abbia ommesso la contromarca dell' Aqui- letta, sebbene vi fosse nell'aureo da lui veduto, perchè altri non credesse che la contromarca istessa spettasse all' uno ed all' altro metallo. Lo stesso si dica dell' incisione sua dell'aureo della Claudia (Tab. i. n. Vili). (4) Il Vaillant, La-Nauze e Bartelemy ( B. L. T. XXX, p. Zf>l ) parlarono di questo aureo, come sia antico e sincero: e 1' Eckhel parve non dubitarne per la riverenza che aveva segnatamente a Bartelemy ( D. N . V. T. V. p. 3i ) sì ac- curato ed esperto. Ma ne dubita il Mionnet ( Rarité, etc. p. 33 ) , e ne dà la stima di 3oo fr. supposant le medaille antique. Ora in vedere che sul principio d<-l secolo XVI, quando le antiche monete erano anche più rare che non al presente, si trovavano sei di tali aurei della Furia nel solo Museo Estense, e che dopo non se né più visto dissotterrare altro simile; in veder ciò, dico, parmi 96 Delle Monete Antiche in Oro ecc. 8. ivnia K028N. Tab. XLVII. 14. = Mordi, Tab. 1. liti. E, (1) 9. Licinia. P . Crassus M. F. Tab. XXXV. n. 9. = Similis denario argenteo Mo- relliano Tab. I. n. VII. (a) 10. livineia. L. Regulus. mi. vir. a. p. f. Tab. XLVII. n. 6. = Morell, Tab. a. n. V. Add. Aquil. sig. ( 3 ) — Tab. XXXV. ri. 8. Regulus Pr.-=Mus. Pembrock. ( Tab. XI. 3 ). (B. L. T. XXX. p. 376 ). (4) 11. mvnatia. L. Plancus. Pro. Cos. che si cresca forza al dubitare del Mionnet, ed alle ragioni del grande Echhel, colle quali si oppose al sistema del La-Nauzè, circa la monetazione dell'oro in Roma a' tempi della Repubblica. Di que' sei aurei della raccolta Estense uno pare probabile sia quello del Museo di Parigi, che forse non fu inciso dal Morell con gli altri segnati coli' Aquiletta, perchè non gli sembrasse di lavoro antico: altro potrebb' essere quello del Museo Bentinck accennato dal Rasche nel supplemento: e ognuno sa dall' Eckhel che codesto Museo raccolto e descritto da quella celebre Contessa conteneva di molte cose assai sospette ( D. N. V. T. I. p. CLXXVII ). ( 1 ) E degna di osservazione 1' accuratezza del Calcagnini , che nella sua de- scrizione pose K02UN , come hanno veramente gli archetipi, mentre il diligen- tissimo Morell qui errò incidendo KiXSiìN ; e quel primo Q. diede grande molestia all' Haverca'mp, finché poi l'abbaglio del Morell fu osservato e corretto dall' Eckhel ( T. VI. p. a3 ). ('a) Se questo aureo fosse veramente antico, sarebbe cosa rarissima; e non so che altri 1' abbia mai pubblicato o veduto Ma non sapendosi ove sia al pre- sente , nulla saprei definire sulla sincerità d' esso. Se ne può dubitare anche perchè il Morell, se pur lo vide, non ne tenne conto. (3) La figura nel rovescio sedente e con asta e scudo, fu presa per Roma dal Calcagnini, ma il Ch, Borghesi Ila dimostrato che è Anteone figlio di Ercole, per alludere all'origine della gente Antonia ( Decad. VII. oss. i j. Per altro è da scusare l'abbaglio del Calcagnini, poiché anche lo stesso Eckhel non seppe pronunciare sentenza certa su questa figura. (4) Un altro simile è descritto nel Museo Teupoli ( T. I. p. 58 ), ma con la giunta del prenome L nel diritto. Si noti l'esattezza del Calcagnini che rettamente ricopiò le lettere PR. come attesta l' Eckhel leggersi negli archetipi, laddove il diligente Morell, ed altri e nelle incisioni e nelle descrizioni qui errarono in- terpungendo queste due lettere, leggendo quindi Pater Reguli , in vece d'tPRaetor. Memoria dell'Ab. Sig. D. Celestino Cavedoni. 97 Tab. XXXV. n. 2. 3. = Pembrock , Tab. XII. n. 5. (*) 12. MvssiiniA. L. Mussidius Long7is. Tab. XLVIII. n. 12. i3. 14. = Mordi, Tab. 1. n. 1. — Tab. XXIII. n. 1. a. 3. 4. = il/ore//, 7aZ>. 2. ». ///. i3. sempronia. Ti. Sempronius Gracchus. Q. D. Tab. XVII. n. 9. 11. = Morell, Tab. 1. n. V. Add. Aquil, sig. i4- servili a — C. Serveilius. M. F. Tab. XXXI. = Morell, Tab. 1 . n. HI. — Duodecim sìmiles. ( ** ) i5. svlpicia. L. Servius Rufus. Tab. XXXV. n. i3 = Morell, Tab. 1. ri. V. Add. Aquil. sig. (***) (*) È simile affatto al denario disegnato dal Morell ( n. III." ) La-Nauze ne descrive due simili uno che pesa i53 'fu gr. ed altro men conservato che pesa 149 7/z gr. ( p. 38a ). Il Morell, il Liebe, l'Eckhel ed altri non hanno conosciuto o non approvato questo aureo: il Mionnet all'opposto lo descrive come non molto raro, poiché lo stima 4° fr- Un altro simile, tranne che nel rovescio in vece di prò. cos leggesi imp. iter, era pubblicato in oro ed argento anche dal Patin, dal Vaillant, e dal La-Nauze. Questi numografi ritrassero probabilmente il secondo aureo dal Museo del Re ; che se v' era a' tempi del Patin , lo dovette osservare anche il Morell: o s' ei non ne fece ricordo, né nella gente Antonia né nella Mun.i/.u , pare che non lo tenesse per antico e sincero. Anche il Ch. Borghesi , che ha si dottamente interpretate codeste monete, non ricorda che il denario d'argento { Dead. XIII. Osserv. 1 ). (**) L'Eckhel segna questo aureo RRRR, e non lo mostra cognito che dal Museo Pembrock; ma il Morell l'aveva pubblicato molto prima sotto un tipo solo col denario analogo. Il Mionnet lo stima 3oo fr. e poi ne avverte che : // faut prendre garde au coin moderne. Il vederne raccolti 12 nel solo Museo Estense prima dell'anno 1540 mi fa sospettare assai, che quelli fossero di conio moderno. (***) Di questi aurei non ne furono resi pubblici, ch'io mi sappia, che soli tre: uno da Fulvio Orsino, altro dall'Autore del Museo TV upoli , ed altro dal Morell colla contromarca dell'Aquiletta che perciò dev'essere quello della raccolta Estense , trasportato nel Museo del Re di Francia. Tom. I. N q8 Delle Monete Antiche in Oro ecc. 16. vibia. C. Vìbius. Varus. Tab. XLVHI. n. 5. 6. 7. 8. = Morell , Tab. 1. n. II. Add. Aquil. sig. ( * ) (*) E qui giova emendare un errore delle Tavole Morelliane, il quale ha poi data occasione di abbaglio ad altri insigni nuraografi. Nella incisione per- tanto del Morell questa moneta è segnata solo come d' argento col monogramma AR. ma credo che certamente il Morell intendesse d' indicarla come d' oro e di apporvi il monogramma AV. Primamente in questa incisione vi è aggiunta V Aquiletta , e dessa non si trova presso il Morell segnata che negli aurei. In se- condo luogo il Morell nella lettera al Perizonio dice che : In tabulis aereis ordo et numerus Patinianus servatus est , ita tamen ut iìs semper fuerint insertae ac- cessione! novorum numorum qui suis notis distinguantur . Or bene Fulvio Orsino , Patin, e Vaillant nelle loro incisioni di questa moneta segnarono prima del Mo- rell il monogramma AV, a mostrarla cioè un aureo. Il Morell adunque se avesse veduta questa moneta in argento l'avrebbe almeno segnata con i due monogrammi dell'oro e dell'argento: altrimenti in vece di seguire ad aumentare le Tavole del Patin, le avrebbe qui aumentate per una parte e per altra diminuite. Final- mente io dubito assai che questa moneta non esista altrimenti in argento, poiché si vede che non la conobbero altro che in oro i primi illustratori della moneta di Famiglie Romane, cioè l'Orsino, il Patin, il Vaillant ed il Liebe. Il Rasche la cita in argento presso Gessner , con la stima di quattordici scudi: ma il Gessner fu tratto in inganno dalle Tavole Morelliane. Anche nel Museo Teupoli ( T. I. p. 104 ) è descritta senza indicazione di metallo, onde s'intende che sia d'argento; ma è manifesto che il segno Aur per un trascorso di stampa è posto di rincontro al denario di Vibio Varo con il panterisco nel rovescio ( che non si conosce che in argento), e dovea invece stare di rincontro alla descrizione della moneta che ha per rovescio la Venere collo specchio. Ma vedi come da un errore ne nascano altri più, e maggiori. Scrive l'Eckhel, peraltro sì certo nella più parte d^'suoi giudizj , che: Numus prirnus aureus ignotus Morellio in hoc metallo , et omnibus qui praecessere, exstat in Museo Caesareo , et editus etiam est a Liebeo ex Museo Saxogothano. Dalle cose fin qui discorse è chiaro che non si può dire che al Morell fosse ignoto l' aureo in questione. Ma egli è poi asso- lutamente falso che sia stato ignoto a que' che precedettero il Morell medesimo ; poiché si dovea dire tutto l'opposito, che cioè quei che precedettero il Morellio conobbero e pubblicarono come d'oro, e niuno come d'argento. Un altro errore commette l'Eckhel dove per segno di rarità di questo aureo pone RRRR , e pel denario corrispondente pone R : e lo stesso dicasi del Mionnet che suole accostarsi in questa parte ai giudizi dell' Eckhel senz'altro esame. L'aureo non credo che sia tanto raro, se fu noto fin dal principiare di questi studi all'Or- sino, e poi fu descritto in molti Musei: ma la stessa moneta in argento, torno Memoria dell'Ab. Sig. D. Celestino Cavedoni. 99 Numi Imperatorum , Augustorum , Augustarum. (*) e. ivlivs caesar = Mus. Caes. re. 18 ( 81 ). 2,7 (28,/. 5i. a ripetere, dubito assai che sia tanto rara, che anzi niuno l'abbia veduta in al- cuno Museo. Ed ora me ne rende certo l'autorità del Ch. Borghesi, che mi •crive così : „ Sono io pure del di lei avviso, che per un equivoco sia stata posta „ la marca d'argento invece di quella d'oro alla medaglia della gente Vibia , ,, e ne è gravissimo indizio la marca dell' Aquiletta che nel Tesoro Morelliano ,, non vedrebbesi che in questo solo denario. Non so infatti che si trovi in ar- ,, gento presso alcun collettore, mentre all'opposto l'ho io osservata replicata- „ mente nel metallo più prezioso, ed una anche ne fu trovata in questi miei „ paesi, di cui era entrato a contratto, ma fu presentata al Card. Castiglioni. „ Certo è intanto che, riguardo questa medaglia, se vuol assolversi il Morell da „ una sbadataggine, converrà condannarlo di negligenza; poiché ancor che l'avesse „ veduta in argento non potea dissimulare che avevasi anche in oro, essendo ,, che in questo metallo avevanla pubblicata molti altri prima di lui , e 1' aveva „ segnatamente riferita tanto l'Orsino quanto il Patin ". Si conferma quanto abbiamo detto, osservando che altri simili errori s'incontrano nelle Tavole d'»l Morell, non ostante la singolare diligenza di quel grande numografo. Nelle tavole notate boxa Tab. I. n. VI. è incisa una moneta come di bronzo yE, la quale per altro non esiste che in oro AV ( Eckhel, T. V. p. à?> ). Per l'opposito nella Caninia ( n. Al il Morell segnò colla nota dell'oro un denario che non si conosce dagli altri che in argento , e dal Morell medesimo fu segnato colla nota dell'argento nella moneta imperiale ( Aug. Tab. a, n. t\). Anche il Mionnet cadde in simile errore ove descrivendo il pregio e la rarità delle monete dei Triumviri di Augusto ( p. 78^ ne dà come d'argento 1' aureo di L. Aquilio Floro collo scorpione nel rovescio ; e lo apprezza 14 franchi. Ma che sia un aureo basta l'autorità del Morell che lo dà col segno dell'oro nella moneta delle Famiglio Romane ( n. io ) e di nuovo nella moneta di Augusto ( Tab. XII n. lì), dove non v'ha luogo a sospettare di abbaglio come in quello di Vibio Varo, perchè in ([nella Tavola sono disegnati a parte gli aurei di Augusto. Ma il Mionnet fu tratto in errore dalVaillant, che nelle sue tavole pose la nota AR in vece dell' altra AV ( V. Rasche T I. p. 1001 / (*) D'ora in avanti per amore di brevità porremo solo i numeri del Museo Cesareo, od altre citazioni di Numoginfi, senza i corrispondenti del Mss : ma porremo pur questi per più di certezza ove s' incontri alcuna cosa nova, o meda- glie inedite. E con numeri tra parentesi noteremo quante medaglie simili a quelle accennate esistessero nel Museo Estense : e con ciò si avrà un nuovo principio per giudicare della rarità delle antiche monete. ioo Delle Monete Antiche in Oro ecc. — Morell, Fam, lui. Tab. 5. n. Ili fio). (*) Tab. XXIX. n. ò. Caput defuncto simile collo gra- cili , a cervice astrum cimi orto radìis , litterae ante faciem DIVVS IVLIVS. A tergo : Caput caesis capillis sine corona. ( ** ) — Tab XXII. Quindecim omnino umilia. Caput tortili corona praecinctum gracili vultu ac modesto , cincinni a corona propendent , occuli superne re- spiciunt , nasus aduncus, qualem amant Persae , ante fa- ciem litterae caesar. A tergo: Vir nudus , ut mihi videtur , bene torosis cruribus ac lacertis , senem involutum amiculo , et operto capite, sinistro humero gerìt , dextra gerit instar trophaei et quasi imagunculam , cui in summo galerus vel apex, in medio parma rotunda , infra desinit in vestem tortilem ac circumductani: per medium parmae transit basta. Verisi- mile est hunc Aeneam esse Anchisem gerentem et Deos Penates. A tergo , litterae ivlivs. Sed obstat quod T'irgilius tradii Penates Deos non manu Aeneae sed Anchisae gesta- tos : et in tergo anum veld potius quam senem oculi fìdem faciunt. (***) ( * ) Il Calcagnìni lesse, o così scrisse il copiatore, cos qvinq ; e così pure l'Eckhel ( T. VI. p. 8 ) ed il Morell ( lui. Tab. III. n. 22 ) : ma l'Agostino, il Patin, il Morell medesimo (Fam. lui. I. e. ). il Pedrusi e forse altri hanno qtjbc, cioè QviNCrum, che credo sia la vera lezione, che trovo pure in un simile aureo da me osservato nel Museo di S. A. R. l'Arciduca Massimiliano d' Este. ( ** ) Non trovo altro aureo simile a questo fra i pubblicati : del resto ha molta somiglianza con una moneta di bronzo così descritta dall'Ennery n. 44^- divos. ivlivs Caput Caesaris — Caput Augusti JE. I. (***) I tipi di questo aureo sono gli stessi che que'del denario di Cesare ( Mus. Caes. n. 3. 4 ) ■ cioè la testa di Venere , ed Enea che porta Anchise ed il Palladio. Ma quel denario non si conosce che in argento; e riguardo alla epigrafe non vi si legge che caesar nel riverso. Eppure se ve n'erano quindici simili nel Museo Estense fin d'allora, 1' aureo non dovrebbe essere altrimenti raro. Come dunque non se ne sono più veduti , si può sospettare ragionevol- mente che tali aurei fossero lavoro di qualche falsario ad imitazione del suddetto denario. Memoria dell'Ab. Sic. D. Celestino Cavedoni. ioi m. antonivs. = Mus. Caes. Antonia p. 12,. n. 4- io. 14. 16. Tab. XXXV. n. 1. Genius. P. R. militari statu , dextera Iiastam erectam , sinistra flosculum habet : litterae m antonivs m f m n avc ( idest augur ) imp te (in nexu). A tergo : Leo humi sursum repens, pede dextro priore ensem tenens , supra terga astraili octiradium : in ambita, litterae 111 vir r p c cos oesc iter et tert. Plutarchus hoc symbolum tribuit Pompeio. (*) (*) Questo aureo singolarissimo è certamente quello stesso che videro il Patin, il Vaillant ed il Morell (Tab. XI. n. I. ) , poiché nell' incisione del Morell v' è l'Aquiletta , e perfino la stella ha precisamente otto raggi, come nella descrizione del Calcagnini. È vero che fra la descrizione di Celio e la incisione del Morell vi sono due picciole ma importanti differenze nella epigrafe: cioè il Morell ha nel diritto imp ite, e desio nel rovescio. Il Mionnet, che probabilmente vide nel Museo del Re lo stesso archetipo che il Morell, legge desc come il Calcagnini, ed imp ter , come pare che intendesse il Calcagnini col monogramma te. E potè il Morell incorrere in qualche inesattezza nel disegnare questo aureo, poiché, al dire dell' Eckhel, ^ T. V. p. i\^ ) : cetera diligentissimus, paucos tamen numos non satis adattate depin.cit. Cosi in altro luogo il Calcagnini fu più accurato del Morell leggendo rn, e rettamente interpretando vv.aetor, ove il Morell ( L'wineia Tab. i. n. ///. IV. ) pose un punto fra quelle due lettere, e diede perciò occasione ad altri di strane interpretazioni. Dopo scritte queste cose mi sono avvenuto a leg- gere l' Osservazione ilei Gli. Bartolomeo Borghesi su quest'aureo medesimo testé pubblicata ( Giorn. Arcad. T. XXF. p. 74. — Decad. XII. Osserv. a ) : e giova qui riportare l'interpretazione ingegnosa del pari e certa ch'egli ne dà di que' tipi singolari. Osserva ci pure le particolarità degli otto raggi della stella Giulia , e segue poi dicendo: ,, Niuno sarà per negarmi, che questi due simboli ( del „ leone ensi/ero e dell' astro Giulio ) siano proprissimi per denotare i due partiti, ,, cesariano e pompeiano, ne' quali era allora divisa la repubblica: il che essendo „ io penso che siano stati riuniti su questo rovescio per alludere alla sospirata ,, pace fra Ottaviano e Sesto Pompeo conchiusa con tanta allegrezza di Roma ,, nella primavera del 715 a Pozzuoli, per opera principalmente di M. Antonio „ a conseguire il fine di quella pace avendo contribuito non solo la sua ,, forza terrestre, che rendevalo potente verso Cesare, ma molto più la sua forza „ navale che facevalo formidabile a Pompeo .... Cosi acconciamente sarà egli „ stato scolpito nel diritto in atteggiamento pacifico, è vero, ma che però attesta „ questa sua duplice potenza , mischiandosi nella sua figura i simboli e le atti- ,, tudini che dir si solevano a Marte e a Nettuno ". Il Ch. Autore opina che il Morell ed il Mionnet abbiano descritto quest'aureo secondo due diversi archetipi; ioa Delle Monete Antiche in Oro ecc. l. antoni vs. Triumviri Frater. Tab. IX. n. ia. = Si- milis argenteo Morelliano , Fani. Antonia. Tab. i. n. I. (*) avgvstvs = Mus. Caes. n. 6 (i). 2,9 (8). 5a. 120 f3^. 129. i38. i43. i85. 198. 209. a8a. ed io gli proposi il seguente mio dubbio per cui sospettava che ambidue avessero avuto sott' occhio un solo e medesimo aureo. L'aureo, diceva io, delle Tavole Morelliane per la particolarità del nesso delle due lettere te, e più per la con- tromarca dell' Aquiletta , mostra sia lo stesso descrittto dal Calcagnini e trasmu- tato poi dal Museo Estense in quello del Re di Francia: e parimenti l'aureo descritto del Mionnet ( p. 70 ) dovrebb' essere lo stesso che già descrisse il Cal- cagnini, poiché ambidue vi hanno letto quell'errore del monetiere nella voce desc o desg che sia. Or' ecco ciò che mi risponde il Gh. Borghesi. ,, Non è im- ,, possibile che tutte le medaglie di M. Antonio col leone ensifero siano simili fra ,, loro : ma per altro ciò non potrà essere se non che supponendo negligenza ,, in alcuno de' descrittori. Intanto la medaglia del Morell è esattamente simile „ a quella pubblicata prima dal Patin coli' imp ite; e le accorderò facilmente ,, che quella del Calcagnini sia l'altra del Mionnet coli' imp ter. Per l'una sta „ la conosciuta diligenza del Morell , per 1' altra 1' autorità di uno scrittore vi- „ vente. Dire che il Morell e il Patino si sono sognati due 1 che non erano nel ,, nummo, 1' uno in desio 1' altro in ite, parmi un poco troppo ardito, avendo ,, ambidue dato abbastanza saggio di accuratezza nel notare il monogramma te. (a) „ Qual forza avrebbe il suo ragionamento se si supponesse che il Museo Estense ,, avesse posseduto ambedue queste medaglie ? Del resto una tale differenza non ., essendo in opposizione con la storia, ed anzi facilmente conciliandosi, io non „ mi sono creduto abbastanza in diritto di dare una mentita ad alcuno " . Gli è vero che nel museo Estense, quando lo descriveva il Calcagnini, non v'era che un solo di questi aurei; ma altro facilmente vi se n'aggiunse dappoi ; e perciò anche mi accheto alle ragioni del Ch. Archeologo di Savignano. Dirò di più che si può sospettare un'altra diversità tra' due aurei , cioè che in quello descritto dal Calcagnini e dal Mionnet v'avesse invece del parazonio un aplustro; e cosi il Calcagnini più di leggieri lo potè scambiare ad un fiore. (*) Non trovo ricordato questo aureo neppur dal Visconti: e v'è luogo a sospettare che fosse di lavoro moderno , e forse fuso sulla forma del denario accennato. (a) Una simile incertezza di lezione tra le voci ter ed iter si ha in un aureo di Augusto esistente nel Museo Hederveriano ed in quello di S. A. R. L'Arciduca Massimiliano d' Este, edito già nel 1 8 1 3 dal Principe di Viczay: ed ivi la vera lezione è iter, e rimane incerta a prima vista, perchè la 1 è addossata così di traverso alla t. Nel resto l'editore dice testa di Augusto quella laureata e con l'astro alla fronte; ed altri potria dubitare che fosse più presto di Giulio Cesare. I lineamenti nell'archetipo ben considerati mi paiono que' di Giulio Cesare: la laurea pure è della forma che suole avere quella di Giulio ben diverta da quella di Augusto, eh' è pili tenue ed ha le vitte pendenti sulla cervice. Memoria dell'Ab. Sic. D. Celestino Cavedoni. io3 Tab. XXIX. n. 6. = Mus. Caes. n. 12,7., sed imp. xi. caiv3 et lvcivs caesares. = Mus. Caes. n. 1 fi 9/ caivs solus. = Mus. Caes. n. 1 fa/ drvsvs Senior. = Mus. Caes. n. 6. antonia Drusì Senioris. = Mus. Caes. n. 1. tiberivs = Mus. Caes. n. 3. 49 (%l)- — Tab. XXVIII. n. ìi. Tab. XLIII n. 12. 4. = Mus. Caes. n. 6, sed tr. fot. xvii. caivs, vulgo caligvla. = Mus. Caes. n. 1 . — Morell , Tab. 3. n. 7. ti. clavdivs = Mus. Caes. n. 9. 16. 5o. 59. 77. — Tab. VI. n. 6. = Mus. Caes. n. 3a, sed tr. pot. uh. — Tab. VI. n. 8. = Similis Argenteo Mus. Caes. n. rj\. agrippina Claudii. = Mus. Caes. n. 1 f3/ nero clavdivs. = Mus. Caes. n. 3. a4 fa/ a5 fa/ 33 f3/ 49 fa/ 5i f4/ 64 f4/ 68 f3/ 6q fa/ 8a (5). 84 f4/ 88 f3/ 94 fa4/ 97. i3i fa/ i35 /*/ (*) SER. SVLP. GALBA. = Mz/S. CaeS. U. 80 f3/ a. vitellivs. = iJf«5. Cae.?. /z. 54. fl. vespasianvs. = Mus. Caes. n. 3 f3/ 18 fa/ ao. al. 39. 49 fa/ 99- jao. J37 fa/ aa3. 7a£. LII. n. 3. = Mus. Caes. n. 1 36, sec? cos. ira. cen Tab. LII. n. 10 = Mus. Caes. n. 64, sed. r. m. tr. p. _Tab. LII. n. 1. 7. 8. = Morell, Tab. VI. n. 14, W COS. IH. 7tì£. LII. n. 4. = itfore/7, Tab. V. n. 8. 7a£. XL. n. 5. io. = f Adversa in certa) — A tergo. Foemina stans , amicta instita , Zaeca ge«£ copiae cornu , dextra caput serpentis , he : imp. caes. domit. avo. CÉrm; p. vi. tu. p. vi. Tab. V. n. 6. = Simili s argenteo Mus. Caes. n. 1 3g. Tab. V. n. 12. = Simi/is arg. Morelliano, Tab. IX. n. 22. nerva. = Mas. Caes. n. 4- Tab. XLV. n. 8. = Simi/is argenteo Mus. Caes. n. \\ . ( Aureum edidit Mediobarba, p. i44/ traianvs. = Mus. Caes. n. 1. 7. 12, (2). 4' (4-)- 11 (4)- io3. 118. i3o. aói. 271. 276. 2,85. 2g5. 2,99 (2.). 3a3 (2). Aurei adsimiles argenteis Mus. Caes. n. 85. 2-5 1 aòS. 27<). 344. matidia cum plotina. = Mus. Caes. n. 1. hadrianvs. = Mus. Caes. n. 34 (2). 106. i45 (5). i5i (?,). 327. 353. 419. 423 (2). 43o (2). 432. 555. Tab. Vili. n. 7. = Simili s arg. Mus. Caes. n. 32,. Tab. Vili. n. i5. = Similis arg. Mus. Caes. n. S'jb. Tab. XLVI. n. i3. i5. = Similis arg. Mus. Caes. n. 449. Tab. XXXIX. n. n. i5. = Oisel. Tab. XXXV Ili. n. 8. Tab. XXXIX. n. 8. = Gesner. Tab. LXXXIV. n. 6. Tab. XXXIX. n. 1. 5. 12. = Vaillant , Tom. II. p. 44 — 45. l. aelivs Caesar. = Mus. Caes. n. 3 (4)- sabina hadrianj. = Mus. Caes. n. 12. Tab. XXX III. n. 4- = Similis argenteo Mus. Caes. n. /\.i. antoninys pivs. = Mus. Caes. n. w^(x). a55. i~ 1 ('$). 27q. 348. 362. Itili. 3 1. 11. 14. = VIus. Caes. n. a33, sed p. p. iwp. i i. Tab. A A IV. n. 6. = Mu£. Caes. n. 378, sea1 tk pot xx. Tab. XX IV. ri. 8. sa Rasclie , Tom. IV. p. 1618. TaZ». XXIV. 11. 4- = ///'/j' simi/is, sed ir por xxi cos un. io6 Delle Monete Antiche in Oro ecc. Tab. XXIV. n. q. = 3fus. Teupolip. 184. iovi statori. Tab. XI. n. 4. = Cim. Vìndob. Tab. II. n. i3. Tab. XI. n. 8. = Cim. Vìndob. Tab. II. n. io. Tab. XI. n. 5. = Similis aur. Mus. Caes. 118, sed epigraphe antoninvs avg pivs p p — cos m des mi. Tab. XI. n. 1 . antoninvs imp ter p p avg. Caput nu- dimi — trib pot cos des ii concord. Foemina in solio sedens, et dextera orbem (se. pateram ) porrigens. (*) favstina Senior. = Mus. Caes. n. 36. 39. 117. i36. Mus. Farnes. Tab. XIV. n. 8. be', avrelivs. = Mus. Caes. n. 58 (3). 88. 100 (a). Tab. XXXIV. n. \\ = Similis arg. Mus. Caes. n. 2,^.2. Tab. XLII. n. ia. i5. = Mus. Caes. n. 71, sed tr pot x cos 11. Tab. XLII. n. g. 1 1. = Similis argenteo Mus. Caes. n. 25. 5i. Tab. XLII. n. 8. = Thes. Brand. IL p. 673. Tab. XLVII. n. 11. m. antoninvs armen p. m. Caput laur. — tr. p. xviii. cos. ih. Victoria super stìpite scutum in morem trophaei adornans ( Vid. Khell, Suppl. p. 86. ex M. de France ). favstina Lunior. = Mus. Caes. 16 (2.). 87. ice. Tab. XXXVI. n. i^>. — Rasche T. IL P. IL p. 11 65. ex Mus. Archot Tab. 3o. /. 2. Tab. XXXVI. n. i5. = Similis argenteo Mus. Caes. 63 (**). n (*) Un aureo simile si trova nel Museo di S. A. l'Areici. Massimiliano d'Este, ma nel diritto si legge imp t ael caes astokisvs ; e forse così leggevasi anche in quello descritto dal Calcagnini , che non dovea essere ben conservato. Nella Tavola XI. n. 6. il Calcagnini descrive il raro e singolare aureo col rovescio laetitia co3 mi, riportato dall' Eckhel ( T. VII. p. ai ) sulla fede di Tristano e di Mezzabarba ; ma il Calcagnini non intese bene quel rovescio, come nep- pure altri , prima che il Visconti ne desse quella sua sì ingegnosa spiegazione (Mus. P. CI T. I. p. 95/ (**) Pare che questa moneta in oro sia inedita, poiché l' Eckhel non mostra di conoscerla che in argento ( T. VII. p. 78 ). Memoria dell'Ab. Sig. D. Celestino Cavedoni. 107 Tab. XXXVI. n. 3. 4- 8. Caput matronae ; in am~ /'iti/ FAYSTINA AVO. A tergo: Imago stans stolata capite vittato , Dia- nam puto , d. sagittam s. arcum: in ambita, avgvsti pii FIL. (■•) l. vervs. = Mas. Caes. n. 1. 41- 7^- ^4- commodvs. Tab. XXX IV. 11. i5. = Mus. Farnes. T I. Tab. XI fi. n. 4. (**) l. septimivs severvs. = Mas. Caes. 11. ao4- Tab. XXVI. n. 2. = Similis argenteo Mus. Caes. n. 224. (***) ivlia domna. Tab. XXXIII. n. 2. = Vaillant , T. II. p. 2.33. AETERNIT IMPERI. ALEXANDER SEVERVS. = MllS . CaeS. il. 27 . 74- Tab. XXVI. n. 4- 1MP sev alexand avg. Caput laur. — Figura milìtaris d. hastam, s. tropaeum. ( Anepigraphus ) . Similis argenteus cnm epigr. virtvs avg. Mus. Caes. n. 209. ivlia mamaea. Tab. XXXIII. n. 9. = Similis argenteo Mus. Caes. n. 8. gordianvs pivs. = 3Ius. Caes. n. 5 1 . 1 94. Tab. XLVII. n. i3. = Similis argenteo Mus. Caes. n. 139. philippvs Pater. Tab. XXVI. n. 9. = Similis argenteo Mus. Caes. n. 22. m. otacilia. = Mus. Caes. n. 1 . (*■) Un simile ne descrive Gusseme ( ?■ III. p. ai47 raa sena» citarne il Museo: onde col nostro si accerta l'esistenza di questo aureo ( Vici. Eckhel T. I. p. CLXVIII ). ( ** ) E molto che gli Estensi nel i54o avessero trovato pur un roto aureo di Commoilo ; che anche al presente cinque o sei hastano per l'ornamento di un ricco Museo (Eckhel VII. 1.34/ ( *** ) Pare che l' Eckhel non conoscesse questa moneta che in argento (T. VII. p. iti,}. 108 Delle Monete Antiche in Oro ecc. GALLIENVS. = BanduTlUS , T. I. p. 1 54- SECVRIT. ORDIS. Ex Mus. 31. Ducis. (■*) postvmvs. = Bandur. T. I. p. 286. felicitas avg. Ex Mus. Reg. et Brand. probvs. = Bandur. T. I. p. 444- conservat avg. Ex Mus. 31. D. — hi. p. 445- victoriae avg. Ex 3Ius. M. D. nvmerianvs. s=s Bandur. T. I. p. 5i4- veneri victrici. Ex Mus. M. D. — ibid virtvs avgg. Ex Mus. M. D. ( *) Da Gallieno in avanti mi giova d'indicare gli aurei del Museo d'Ercole II d'Este, con citare le descrizioni del Bandurio, per mostrare come la maggior parte confrontano con quelli veduti dal Bandurio medesimo nel Museo di Firenze: dal che se ne trae un altro argomento, a provare che molti aurei dal primo Museo si trasmutarono nel secondo. Che poi i corrispondenti aurei di questi Imperatori veduti dal Bandurio nel Museo di Firenze abbiano aggiunta la contromarca mo- derna dell' Aquiletta, me ne assicura il Ch. Ab. Zannoni, che così mi scrive : Eccole il novero dcgl' Imperiali , incominciando da Gallieno , secondo che ella m' interroga. Esso ne ha i coli' Aquiletta impressa; Postumo non ne ha; Probo ne ha 2 ; i ISumeriano ; 5 Diocleziano ; 3 Massimiano ; i Cloro ; i Licinio padre ; i Costantino ; i Costante ; i Magnenzio ; 3 Costanzo ; a Giuliano Apostata ; i Gìoviano ; 6 Valentininno ; 5 Valente; 3 Teodosio ; 4 Arcadia ; 3 Onorio; a Teodosio giuniore ; 2 Valeniiniano III; 1 Leone I ; ^Anastasio ; 1 Giustiniano ; 1 Maurizio Tiberio; 1 Costantino Pogonata ; 1 Niceforo ; 1 Teofilo. Se altri si piaccia solo di fare il riscontro di questo novero con le indicazioni nostre delle monete descritte dal Calcagnini; m'avviso che perciò pure si persuaderà che la contromarca dell' Aquiletta è indizio del Museo Estense. Sappiamo dal Noris , che il C;ird. Leopoldo volse ogni cura a raccogliere segnatamente le monete anti- che di Augusti , di Re e di Colonie ( Duplex Dis. in ded. ) : e di queste serie sono appunto quelle del Museo di Firenze che hanno la contromarca dell'Aqui- letta. Inoltre si consideri che nelP aureo di Diocleziano col tipo delle l'arche, e l'epigrafe fatis victricievs, v' è l 'Aquiletta impressa, nome mi avverte distin- tamente il sullodato Ch. Ab. Zannoni; e questa moneta è si rara che l'Eckhel non ne conobbe che due archetipi , uno cioè del Museo Cesareo ed altro di quello del Granduca di Toscana ( T. Vili. p. 6 ). Altrove poi l'Eckhel mede- simo (Mus. Caes. Diocl. n. 1SJ ne avverte che 1' aureo del Museo di Firenze è alquanto diverso da quello del Museo Cesareo, perchè il primo ha di più al di sotto delle figure le lettere s e : sicché 1' aureo del Museo di Firenze con 1' Aquiletta impressa è probabilmente unico. Se dunque uno affatto simile ne ser- bava un tempo il Museo Estense, non si può dubitare che l' Aquiletta mede- sima non sia la Estense. Quest' aureo è degno di speciale considerazione anche perchè ne mostra veri.imilmente il tempo in che passò, insieme con gli altri d'Imperatori, di Città e di Re , dal Museo Estense iu quello del Granduca. Memoiiia dell'Ab. Sic. D. Celestino Cavedoni. 109 ivlianvs Tyrannus. = Bandur. T. I. p. S^o. libertas pvnLicA. Ex Mus. Brand. DIOCLETIANVS. = Baìldur. T. II. p. 8. IOVI CONSERVATORI orbis. Ex Mus. M. D. Beg. et Brand. — ib. p. 7. iovi conservatori , in imo s. e. Ex Mus. Beg. ( duo similes ). Tab. XVIII. n. a. Caput lemniscatum, in ambita litterae imp c c val diocletianvs avg. A tergo : Tres nymphae seu Deae , quarnm quaelibet liabet cornucopiae : in ambitu , fatis victricibvs : sub pe- dibus s, e. = Bandur. T. II. p. 6. VAL. maximianvs. = Bandur. T. II. p. 5i. vurrvs avgg. Hercules certuni cornibus retinens. — Hercules Centaurum arripiens. Ex Mus. 31. D. Lo Spanhemio pel primo pubblicò quest'aureo nell'anno 1671 traendolo dal medagliere del Cardinale Leopoldo de' Medici. E forse lo vide fin dal :66r quando fu a Firenze (Pelli, T. II. p. 201 ) (de Praest. etc. ed 1671, T. II. p. 838 J : ed avea altrove ( Dedìc. sub fin. ) avvertito che il Cardinale mede- simo gli fece sapere ch'ei non avrebbe trascurata: oblatam continuo facultatem Museum suum nova scelectissimorum numismatum accessione subinde locupletando „ Ricchissimo poi, al dire del C. Magalotti, e rarissimo, e forse superiore a „ quello ammassato in tanti anni dalla magnificenza di tanti Granduci», era „ quello ( studio ) che ha lasciato ( il Cardinale Leopoldo ) delle medaglie d'oro " ( Targhiti Tozzetti , Notiz. degli Aggrand. ecc. T. I. p. 4?° — l1 )• Se il Mag dotti lece le meraviglie per la collezione sovra tutto delle medaglie d'oro, bisogna dire che il Cardinale avesse l'opportunità di crescerne il suo medagliere con una raccolta di già formata; e d'altra parte avendo avuto secondo ogni verisimiglianza il suddetto aureo di Diocleziano dal Museo Estense, ragion vuole che in un con questo gli pervenissero pure quelle tante monete d'oro, che ora sono nel Museo di Firenze con 1* Aqudetta impressa. E ciò si rende via più verisimile perchè intorno a questo tempo altri aurei passarono dal Museo Estense in quello del Re Cristianissimo (Vedi sopra , p. i85 ). Nel resto dal confronto del novero se ne trae eguale argomento, per la nostra sentenza, anche riguardo «gli aurei dei Re della Macedonia. Questi nell1 Elenco del Calcagnini sono 3y : ed il Pelli scrive, eh' ei nel Museo di Firenze ne contò 3o contrassegnati con l'Aquilett a , senza i duplicati ( T. I. p. 270 ). Il Pelli poi perorò cos'i sbadata- mente la sua causa, che nella nota al passo da noi citato ( p. 83 J, pose una notizia che contraddice il suo asserto: cioè die da un inventario mss. delle rarità esistenti nel palazzo ducale di Mantova del l63l si ha, che depo il sacco del i63o si conservava in una stanzi del detto palazzo, tra l'altre antichità, anche medaglie d'oro e d' argento ( T. II. p. 200 ). Ed il Pelli stesso avea sup- posto che queste medaglie d'oro fossero state distratte nel sacco del i63o, od anche prima. no Delle Monete Antiche in Oro ecc. CONSTANTIVS CHLORVS. = Banclur. T. II. p. 91. HERCVLI cons caes. Ex Mus. M. D. licinivs Pater. = Bandur. T. IL p. 182. sic x sic xx. Ex Mus. M. D. ( sed Calcagninus legit ìaeb, Bandmius SMNB ). constantinvs m. = Bandur. T. II. p. 2,5 1. votis v mvltis x. Ex Mus. M. D. ( sed Calcagninus in imo habet PER pi'O PMR ). constans I. = Bandur. T. II. p. 35 1. victoriae dd nn avgg — vot x mvlt xx ; in ima parte tr. Ex Mus. M. D. constantivs II. = Bandur. T. IT. p. 371. Victoria avgvstorvm — vot xxx \ infra smani. Ex Mus. Regio. = Ban- dur. T. II. p. 3^1. VICTORIA AVGVSTORVM VOT XV MVLT XX, infra smani. Ex Mus. M. D. = Bandur. T. II. p. 369. gloria reipvblicae — vot xx mvlt xxxj in imo smanp. Ex Mus. M. D. MAGNENTIVS. = Bandur. T. II. p. 4oi- VICTORIA AVG LIB romanor. in imo tr. Ex Mus. M. D. ivlianvs II. = Bandur. T. II. p. 4^7- virtvs exerc gall ( * ) ; in imo lvg. Ex Mus. M. D. iovianvs. = Bandur. T. II. p. 44'^* secvritas reipvblicae — vot v mvlt x ; in imo conss. VALENTINIANVS I. = MuS. CaeS. 22. 25. 58. AIÌUS Ut 22. sed smtes. — Alius ut 25. sed consta: — alius item sed rtr. Tab. VII. n. io. = ut apud Bandur. T. II. p. 4-57- VICTORIA AVGVSTORVM VOT X MVL XV \ in ilUO ANT. Qllì- narius. valens. = Mus. Caes. n. a. sed PANOBr. — Alius ut n. li, sed anto* . — Alius ut n. i4-. sed tr. theodosivs I. = Mus. Caes. 35 ( 2 ). 40. arcadivs. = Mus. Caes. n. 29. 3a (^). (*) Nel Mss. rlel Calcagnini, forse per sbadataggine del copiatore, si legge ceb per g\ll, con manifesto errore, come pare; poiché V Esercito Germanico di Giuliano contraddirebbe la storia. Memoria dell'Ab. Sic. D. Celestino Cavedoni. i i i Tal. XLIX. n. n. = Mus. Caes . n. 5. sed vot. x. jivi.t xx. (Forte anecclotus. Vici. Eckhel T. Vili. p. 168 / iionouivs. = Mus. Caes. n. 18 (5). ao (S). theodosivs II. = Mus. Caes. il. I. I 5. PLAC. VALENTINIANVS. = MllS. CaeS. TI. \. AllUS , Sed in area m. d. leo I. = Mus. Caes. n. i (2,). zeno. = Mus. Caes. n. 3. anastasivs. = Mus. Caes. n. 7 (<)). i5. Quinar. ivstinianvs I. = Mus. Caes. n. 3. \ (3 ). Alius^ sed avgggb. TIBERIVS II. CONSTANTINVS. = Baildur. T. II. p. ÒSj . Ex M. Reg. mavricivs tib. = M/is. Caes. ri. i , sed in imo OB-hM. constantinvs IV. =. Mus. Caes. il. 1. nicephorvs II. = Banditi: T. IL p. 710. Ex Mus. M. D. THEOPHiLvs curri filììs. = Mus. Caes. u. 3. III. MONETA MEDII AEVI. i. Undecìm aurei Frìderici II. = Vergara, p. i3. n. 6. i. Duo aurei Caroli I. Begis Siciliae. = Papon , liist. Ceri, de Prov. T. II. Tab. 5. ti. la (*). (*) Molto raro dev'essere quest'aureo, poiché non so che altri prima del Papon lo ricordasse, ed egli ne ebbe il disegno da uno del Museo Cesareo: ed il Torremuzza .nelle Zecche della Sicilia mostra di non conoscerlo ( Opusc. Sicil. T. XVI) e uè manco il G. Carli ( Oper. T. V. p. 90 ), sebbene sulla fede del Pegolotti ricordi il Carlino, come moneta d'oro coniata in Napoli nel principio del secolo XIV. Il Vergara poi non riporta veruna moneta d'oro né di Carlo I né di Carlo II. Il Papon 1' attribuisce più probabilmente a Carlo I , perchè non ▼ i si legge che il titolo di Re dì Sicilia ( l. e. p 5j6 ). A questa ragione del Papon altra ne aggiugnerò , cioè che Carlo I rinvenne in Capova il Tesoro di Re Manfredi quasi tutto in oro ( Ricord. Malaspina , cap. 181 j. Nel resto l'aureo veduto dal Calcagnini pare non sia quello che si conserva nel Museo Cesareo, perchè nel primo era intera la voce bex, e nel secondo si vede quasi del tutto logorata. ila Delle Monete Antiche in Oro ecc. Porremo fine a questa Indicazione con riportare la descrizione di un curioso aureo , come la si legge nel Mss. del Calcagnini , con la quale termina egli pure il suo Elenco. E questo ci sembra di lavoro moderno , sì perchè non se ne trova indizio negli scrittori delle antiche mo- nete ; sì perchè la composizione del rovescio è tanto com- plicata , che assai si dilunga dall' aurea semplicità degli antichi. Caput iuvenis crispum; litterae sub capite vajiiXiov, A tergo : Vir nudus procero corpore , humero laevo fert cervum , pedibus super conversis , capite antependulo : a tergo duae imagines , viri s. nudi et nudi Sileni ( sic enim appello senem Satyrum , auctoritate Pausaniae in Attica ) : ad partem priorem puer nudus laeva tencns alani ai>is vel quid simile quod puer nudus Cupidini persimilis manie af- fectat : tum post priorem puerum vir, ut coniectamus , pe- nulatus sese ex postremo ambita depromit plus minus dimi- diatum. Alterum numisma superiori persimile utrinque. INDICAZIONE DI UN MANOSCRITTO INEDITO CONTENENTE LA VITA DI S. PIER DAMIANO SCRITTA DA GIOVANNI BOCCACCIO MEMORIA DELL' ABATE SIG. DON CELESTINO CAVEDONI UNO DEGLI AGGIUNTI NELLA R. BIBLIOTECA ESTENSE Letta neW Adunanza del 27 Aprile i8aa. O. Pietro Damiano fu sì chiaro per tutte virtù e per singulare dottrina, che , a tacere di altri molti , di altissime lodi lo meritarono le due prime glorie delle italiane lettere, Dante e Petrarca ; anche prima eh' egli venisse da Chiesa santa giunto al certo e glorioso numero di cpielli che eterni con Dio sono divenuti e beati. Dante nella visione del Paradiso, venuto al settimo splendore, si vede scendere in- contro il Santo, che gli si dà a conoscere con queste parole (Par. XXI): Tom. I. P n4 Indicazione di un Manuscritto Inedito ecc. Tra' duo liti d' Italia surgon sassi ( i ) , E non molto distanti a la tua patria, Tanto eh' e troni assai sonan più bassi : E fanno un gibbo che si chiama Catria, Di sotto al quale è consecrato un ermo j Cbe suole esser disposto a sola latria. Così ricominciomnii il terzo sermo ; E poi continuando disse : Quivi Al servigio di Dio mi fei sì fermo , die pur con cibo di liquor d' ulivi Lievemente passava caldi e geli, Contento nei pensier contemplativi .... In quel loco fu5 io Petro Damiano, E Petro Peccator fu ( 2, ) ne la casa Di nostra Donna in sul lito Adriano. ( 1 ) Questi versi, eccetto il penultimo, stanno qui secondo la lettera del più antico mss. Estense, con qualche varia lezione. (a) Per confermare questa lettera, che è adottata anche nell' ultima edizione di Padova, ci piace di porre qui alcune autorità e ragioni. Ai codici ricordati nella detta edizione se ne devono giugnere quattro della Estense (fra quali per altro non evvi il più antico), ed uno posseduto dalla nobile famiglia Seghizzi di Modena ( Ved. Annoi, al Dizion. ecc. P. III. p. uà}, nel quale a questo luogo si legge la seguente postilla di un anonimo scritta nel buon secolo : Questo fu frate di quella medesima regola ed ordine ; ma fu. conventuale di S. Maria di Ravenna. Quanto poi alla verità storica, il Pennotto, seguito da' più accurati critici moderni, ha dimostrato che l'istitutore della Congregazione de' Canonici di S. Maria di Ravenna in Porto, fu Pietro degli Onesti e non già S. Pier Damiano. Ciò chia- ramente egli prova e per la lettera di conferma data da Papa Pasquale II nell' anno 1116 o 1118 a Pietro priore di quella Congregazione, che certo non poteva essere il Damiano morto nel 1072: e pel seguente epitafio , che anche a' dì del Pennotto si leggeva nella Chiesa della detta Congregazione: Hic situs est Petrus Peccans cognomine dictus, Cui dedit hanc aulam meritorum condere Christus. Anno mìlleno centeno debita solvit, In decimoque nono defunctus cor por e , dormii. Da questa memoria pubblica si pare che Pietro degli Onesti era volgarmente detto Peccatore, ma di S. Pier Damiano solo si sa ch'ei si soscriveva nelle lettere Pietro Peccatore. Per Dante adunque tornava lo stesso il dire Pietro degli Onesti, 0 Pietro Peccatore; ma pure avrà detto più presto Peccatore, per opporsi alla Memoria dell'Ab. Sic. D. Celestino Cavedoni. i i •", Francesco Petrarca ( che tanto si piacque , come il Santo, di vita nascosta e sola) inviò fin di Valchiusa chi venuto al monastero di Fonte Avellana gli riferì, sulla fede di que' buoni solitarii , che S. Pietro Damiano, e prima e dopo le sue dignità, passò sua vita ne' chiostri , ove non minus gloriose latuìt , quam innotuerat priinum Romae . . . Vir haud (Ugni tate clarior, quam lingua (De Vita Sol. I. II. sect. 3. e. 17 ). Giovanni Boccaccio (che pure dopo Dante e Petrarca ottenne i terzi onori) si vuole ora giu- gnere agli encomiatori del Santo : e ciò per un suo scritto rimaso, come credo, finora ignoto. In un manuscritto Esten- se (3), dopo due operette del Petrarca ( ciò sono i Salmi Penitenziali ed il libro De Otio Religioso), si legge un com- pendio della vita di S. Pier Damiano, a cui è premessa una epistola del Boccaccio che mostra lui autore della vita stessa, ed è intitolata a Francesco Petrarca. Noi riporteremo la detta epistola per intero , perchè contiene di molte no- tizie riguardanti non meno Boccaccio e Petrarca che il Santo ; e poi due Capitoli della vita , per saggio di questo scritto del Boccaccio, scegliendo quelli che hanno qualche falsa opinione di chi confuse insieme i due Pietri. E sì che questo errore fu molto antico, poiché v'incorse anche il Boccaccio, come vedremo; e Benvenuto da Imola, sendone preoccupato, non rettamente interpretò quel verso dell'Ali- ghieri. Giova qui riportare un passo dell' Henschenio, perchè mostra in una eie ragioni della vera sentenza e l'origine della falsa. Aìius est Petrus Damianus , alius Petrus de Honestis. Uterque Ravennani patriam habuit , uterque Peccatori* nomen assumpsit ; sed Uh se Petrum Peccate-rem Monacbum, iste Petrum Pecca- torem Clericum suhscribere epìstolis solebat. Uterque Prior fuit , Me Monachorum fontis Avellanae, iste Clericorum seu Canonicorum Regularium in Ecclesia B. Ma- riae in agro Ravennate, quibus et constitationes praescripsit. . ■ . Jflortuus denique est Petrus de Honestis in suo Portuensi coenobio anno 11 19, idest post obitum R. Petri Damiani annis quadraginta septem (Com. in Vit. S. Petri Damiani §. II. n. io,y. Quasi le stesse cose avea detto Girolamo Rossi, accurato ed elegante storico di Ravenna ( ad an. ino/, che torse pel primo tra' moderni scrittori retta- mente lesse ed intese il verso di Dante: Quodque, scriv'egli, ìtac ratione interse differrent , Dantes de Petro Damiano scribens videtur testari. Dum enim Petrum Damiani loquentem inducit . se Petrum Damianum fuisse inquit , Petrum autem Peccatorem in domo D. Mariae Virginis, ad littus Hadrianum, commoratum. (3) Segnato ( Mss. IV. D. 26 ) : è cartaceo e pare scritto nella prima metà del XV secolo. ii6 Indicazione di un Manuscritto Inedito ecc. cosa non notata nella Vita del Santo scritta da Giovanni Laudense, e da molto tempo stampata in diversi libri (4). „ (Diarissimo Viro, atque Praeceptori (5) Optimo, Domino Francisco Petrarchae, Poétae laureato, Ioannes de Certaldo (6) salutem. Opinaris, virorum egregie, ut nuper cura fide retulit noster Donatus Grammaticus ( 7 ), Petrum Ravennatem cum Damiano unum ed idem , cupiscpie Vitam, et si qua ejus reperiantur Opuscula (8): et quia Ravennas fuerit, arbitraris penes Ravennates baec omnia plenius quam alibi reperiri ; meque , qui apud eos infortunio meo morer ( 9 ) , sollicitas (4) Nel nostro mss. questa Operetta è imperfetta, ed è divisa in XIII Ca- pitoli, l'ultimo de'quali corrisponde al X delia Vita scritta da Gio. Laudense: ma dopo il detto cap. XIII si legge la rubrica sola di un altro; dal che si vede che è rimasa cos'i imperfetta per difetto del copiatore e non dell'Autore. (5) Praeceptori Optimo. Che. di questo titolo il Boccaccio onorar solesse il Petrarca, si potrebbe provare da molti tratti delle sue opere, ma basti il seguente: Agnovi Franciscum Petrarcam optimum venerandumque praeceptobem meum, cuìus monita mihi semper ad vìrtutem calcar exstiterant (De V'ir. III. I. Vili in pro'cm. ) ; e poco prima lo dice virenti laurea insignitimi. Vedi anche Petrarca ( Senil. I. b). (6) Ioannes de Certaldo* Nel titolo delle opere del Boccaccio mauuscritte, per lo più egli è detto Ioannes Boccacius de Certaldo. Così Donato degli Albanzani più spesso è detto da Casentino dal luogo natio, senza che se ne ricordi il suo cognome. (7) Donatus Grammaticus. Poco dopo lo dice amico. Questi è certamente Donato degli Albanzani, detto anche da Casentino. Egli insegnò Grammatica in Venezia per molti anni , e poi fu maestro e infine Cancelliere di Nicolò III da Este Signor di Ferrara. Il Petrarca lo conobbe e seco strinse amicizia probabilmente in Venezia l'anno 1 36 1 : e nel i363 scrivendo al Boccaccio gli ricorda il nostro Donato dall' Jpennino (Senil. I. 3. ep. i ). Vedi Tiraboschi ( T. V. P. II. I. 3. e. 4 n. i) e Baldelli ( Vit. Petr. p. 242 J. ( 8 ) Al Petrarca dunque ed al Boccaccio si convengono in parte le lodi che Papa Paolo V diede a Costantino Gaetani, perchè pel primo si pose a raccogliere le Opere di S. Pier Damiano. Il Petrarca poi nei libri sulla Vita Solitaria dice di aver veduto fra le Opere del Santo una intitolata De Vitae Solitariae laudi- bus, restando per altro dubbio se fosse di S. Basilio o del nostro Santo ( l. I. ex). (9) Il Boccaccio fu in Ravenna più volte; cioè nel i347 e poi nel i35o rome ambasciatore, e di nuovo nel 1 353 per visitare il Signore di quella città. Ed è probabile che più altre volte vi si recasse, poiché egli amava tanto quelle contrade, che il Petrarca scrivendogli rammenta a lui i suoi Ravennati (Senil. V. 1 ). Vedi anche Girolamo Rossi ( Hist. Rav. p. 8 ). Né altri mai dubitasse che lo scrittore di questa Vita potesse essere un altro Giovanni, cioè Giovanni Raven- nate, alunno del Petrarca e tanto a lui diletto} che ciò non può stare colle parole: Memoria dell' Ab. Sic. D. Celestino Cavedoni. 117 ut copiam ex omnibus sumptam tihi Mediolanmn trans- mittam. Satis adverto nil invisum nil indiscussum praeter- mittere velis si possis equidem tanto viro commendabile plurimnm reor (sic). Verum unum mirarer ( si de particula- ribus integra possit exhiberi doctrina), te scilicet^ duos ho- mines pluriusa saeculorum lapsu ac etiam patria et fere dignitate dispares, unum et eundem arbitrari. Sane quoniam credibile est, pauperem et inertem bubulcum Hesiodum vel Maroiiciiij quem maius (l. seti qnem mavis ) ex tam magnis agricuhiirae doctoribus , de Jecunditate aut sterilitate ali- cuius a se cogniti soli , seu qualiter circa effodiendam vitem aut arbusto plantanda ducendus sit Ugo, vel boves ut in rectum sulcus evadat , facile posse docere ; ac etiam certis- simum solius Dei esse cognoscere singnla : absque tui oris seu animi rnbore patieris , si ego minimus ex auditoribus tuis unus , bona semper cum pace tua , erroris buius ne- bulam, antequam ad ulteriora progrediar, paucis absolvam. Satis quidem esse compertum volnnt quidam bis in partibus honesti homines, tam aetate quam et dignitate venerabiles, non unum sed duos ( ut iam praetactum est ) et longe di- versos bos^ quos dixi unum putabas^ fuisse Petros. Nam cui cognomento Ravennas est (io) non a patria, cum qui apwl eos infortunio meo morer, le quali mostrano uno lontano della patria ; e quel Giovanni era cittadino di Ravenna. E poi quell'incostante garzone visse col Petrarca, e quando l'abbandonò, nel diversi* paese elle corse, non trovo che mai si ricordi la sua patria. Si consideri inoltre che il Petrarca si giovò anche altre volte dell'amicizia e diligenza del Boccaccio in simili inchieste: e da lui ebbe un testo della Divina Commedia, i due poemi di Omero, varie opere di Ci- cerone, e l'esposizione de' salmi di S. Agostino (Variar. XXII, etc). (io) Quattro Vescovi col nome di Pietro ressero la Chiesa di Ravenna dal «ecolo IV al VI : Pietro I , detto Antistes dal 396 al 425 ; Pietro li , Crisologo dal 433, od anche dopo, al 449 > Pietro III detto Iuniore, dal 494 a' •>!(); e Pietro IV, detto Seniore, dal 569 al 574- Il Pietro Ravennate qui ricordato è certamente S. Pier Crisologo, che nacque e morì in Imola; e nella serie de' Ve- scovi, rappresentata in un musaico nella Cattedrale di Ravenna, sotto la sua imagine si leggeva appunto il nome Petrus Ravennas [Amadesi, Antist. Raven. Chronot. T. I , p. 85/ Non è poi a far meraviglia se qui il Boccaccio errò seguendo una fama incerta , poiché anche dappoi diversi egregi critici hanno preso in ciò abbaglio, ed alcune cose restano tuttora oscure dopo le fatiche e la diligenza dell' Amadesi. n8 Indicazione di un Manuscritto Inedito ecc. Imolensis fuerit oiigine , sed a praesulatu Ravennatium maximo , quem circa trecentesimum et quinquagesimum Christi annum gessisse demonstrant, iniunctum asserunt : in- super affirmantes in natali patria eum diem nltimum clau- sisse , ac ibidem in basilica Cassiani Martyris eius sepul- ci'um sacris bonoribus ab incolis venerar! : esto velint alii eum , Gregorii Papae ( sic ) post sexcentesimum annum a quo Verbum caro factum est, una eum eodem vixisse Pontiiice , et eiusdem tamquam collocutoris sui in suo Dialogo fieri tam crebra mentio (sic) ab eodem ( 1 1 ). Sed ad hoc alias. Damianus autem origine vere exstitit Raven- nas , uti ea quae de gestis eius leguntur ostendunt , et ex lieremo Fontis Avellanae , cui tunc tam sanctitate quam etiam praeerat officio Prioratus., a Stephano Nono Pontifico Summo ad apicem Ostiensis Episcopatus et Cardinalatus insigne promotus est (12,). Qui quidem Stepbanus (sic) post millesimum annum, a quo Deus natus est homo, Pontifica- tum tenuisse quorumdam testantur annales. Habes ergo , qui unum sortiti sunt nomen , tempore , patria , dignitate et cognomento fuisse diversos. Nuiic, ut studiis tuis et laudabili exercitio satisfactum sit, ad reliquum veniendum est. Dum igitur Damiani, circa quem amici relatu potissime angebaris, acta inter Raven- nates ab ipsis Ravennatibus instanter perquiro, non aliud penes illos invenio, praeter sancti hominis nomen; quasi exstremos Hispanos de gestis aut moribus Indorum inter- rogem : et , quod turpius est , ut de reliquis sinam , dum ipsos suos , non dicam urbanos , heremitas sed suos (sic) percunctor , non aliter stupidos video verba suscipere , ( 1 1 ) I critici moderni mostrano, che Pietro Diacono interlocutore nel Dialogo di S. Gregorio è ben diverso da qualunque de' suddetti Vescovi di Ravenna che ebbero il nome di Pietro. L'errore potè nascere dalla confusione di essi, e per l'età dell'ultimo che presso a poco conviene con quella di S. Gregorio Magno. (ia) Stefano IX nell'an. io57 dichiarò S. Pier Damiano Vescovo Ostiense, e in una l'insigni della dignità cardinalizia. Memoria dell'Ab. Sig. D. Celestino Cavedoni. iiq quam si de quo velis Thebaidis solitudinis, kilt antiqiiissimo beremita., perquirerem. Stupeo et ego tam conspicuum reli- gione virum inter concives, et vestium tantum non operimi successores, et in coenobio quod secus Adriaticum litus (i3) suo opere constructum est^ et in quo ipse primus suae professionis beremitas instituit , Peccatorisque cognomen assumpsit , non aliter cognitum cernens, quam a Mauris Lucerianum, Bellovagensem , seu Armenum Basilium (i4)i vel quem vetustiorem et exsternum magis dicas incognitum. Iain , fateor , stomacbans tam suorum nionacborum desidiam, quam inertiam ci V rara damnans, a proposito desistebam. Et ecce senex afTuit ipiidam dicens : Amice , raemini , nisi fallor, audivisse iamdudum (piod viri buius vitain, de quo quaeris solnmmodo domi babere debeam ; quam si cupis , perscrutemus et babeas. Notavi quod diceret ; et tu, quanta celebritate tam sacri bominis monimenta servaverit, potes advertere. Quid multa ? imus et introducor : paratur illieo congeries maxima inutilium scriptorum fumosis egesta sac- culis : quas ( 1. quos , vel quam), dum me ipsum quasi credulum nimis riderem, et quidquid prò volumine rebar esse quod quaerebani, ( f. cum ) inspicerem; fortuna tua, arbitror, factum est ut quaternus ex papyro (i5) veniret in manus; (i3) Secus Adriaticum litus. Queste parole accennano chiaramente a quelle di Dante: In sul Vito Adriano. E da questo particolare narrato dal Boccaccio, se ne trae una conferma della vera sentenza nell'interpretazione di quel verso dell'Alighieri. Se l'autore di quel convento presso Ravenna fosse stato S. Tier Damiano, il Boccaccio vi avrebbe trovato viva la memoria del Santo, come ne la trovò il Petrarca presso i monaci di Fonte Avellana ( Fit. Solit. II. 3, ir). E con tale considerazione si toglie pure, od almeno si diminuisce, la taccia di trascuranza data qui da Mes. Giovanni ai Canonici Portuensi. (14) Lucerianum, forse da Luceres, e Bellovagensem da Bellovacum — .Basilio Armeno potrebh' essere il figlio di Leone Armeno Imperatore, che fu barbaramente mutilato ( Baron. Ann. 8ao^. (i5) Non saprei definire se la voce papiro si debba qui prendere nel suo vero significato, oppure stia per carta qualunque, come presso il Petrarca: pa- pero et calamo reiectis ( Senil. V. 6). Diversi codici in papiro sono annoverati da Gaetano Marini, ma tutti di data molto antica ( Papir. Diplom. p. XI II e teg.J. Per altro egli dice, che „ a Ravenna sola evenuto fatto di poter conservare „ più papiri che parlano di lei, che tutte le altre città d'Italia e d'altronde i] insieme ,, (Ivi, p. XII). 120 Indicazione di un Manoscritto Inedito ecc. queni et vetustate et incuria fere corrosum , et mille seu aquae seu spurcissimi liquoris altius ( f. alias) notis asper- sum video ( f. curri video ) , abiicere invisum volui : nec multimi abterruit (sic), tum cum torvis oculis prima eius in pagina inscripti operis titulum reiecturus aspicerem : Vitam Petri Damiani. Laetus ergo eventu et cum quaterno in camerulam meam recessi , reperique ante omnia illam a Ioanne quodam compositam , et Liprando cuidam tunc Priori heremi Fontis Avellanae transmissam : eius vero Ioannis nulluin nec praenomen nec agnomen nec cognomen erat , hoc praeter quam se penes eundem Petrum in hereino et in praesulatu fuisse liquido fatebatur^ et quaedam in his quae scribebat vidisse etiam testabatur (16). Attamen dum intentus cuncta legendo perquiro , nedum sinamus prò me- ntis reverendissimi viri , sed nec ingenio tuo satis digno ( l. d'igne vel digna ) conscripta comperio. Quinimo tanta et incomposita abundantia supervacaneoruni verborum exun- dantem aspicÙD, ut milii etiam legenti inferret fastidium (17). Quamobrem , ratus illam tibi, demptis superfluis, cariorem ( f. fare ) , nil ex substantialibus praetermittens , paululum lepidiore sermone Ioannes Ioannis scribens vestigia imitatus (16) Questi è Giovanni Laudense , cioè da Lodi di Lombardia, detto pure Grammatico. Nacque nel 1026, e fu raccolto nel monastero di Fonte Avellana da S. Pier Damiano. Nel 1084 fu fatto Priore del monastero medesimo, e nel no5 fu eletto Vescovo di Gubbio; ed ivi dopo la sua morte fu venerato come Santo. Scrisse la Vita di S. Pier Damiano suo maestro, e la dedicò a Liprando Priore di Fonte Avellana : e questa per la prima volta fu data alle stampe in un con le Opere del Santo dal Gaetani , che la trasse da due codici, uno di Faenza, ed altro di Ravenna che anche potrebbe credersi quello stesso che vide il Boccaccio. Non ostante le opposizioni di Guido Grandi, il Suyskeno ritiene che il Laudense sia veramente autore della Vita di S. Pier Damiano ( Act. San- ctor. Septembr. T. III. p. i5i, seq. ) (17) A questo severo giudizio del Boccaccio, si vuole soggiungere quello dell'eruditissimo Suyskeno, che dopo avere difeso al nostro Giovanni il sopran- nome di Grammatico, che in que' tempi valeva quanto letterato, conchiude: Observo tantum, ea, quae de S aneti litterarum studiis, scicntia, scribendique peritia ex eius Vita , et B. Petri Damiani supr,i attulimus , huic cognomento apprime respondere fi. e. p. i5^J. Memoria dell'Ab. Sic D. Celestino Cavedoni. lai sum , ut tibi transmittam ( f. ipsam transmittam ). Si quod tibi gratuni sit feci, bene se habet: si originalem illam , muliercularum conventibus quam disciplinato bombii aptio- rem , volueris , scribito : ego ut habeas curabo solerter. Et cum ni! aliud ex eo hucusque compertum sit, verbis finem facio. Vale, Praeceptor eximie. Scripta in cloaca fere totius Galliae Cisalpinae (18): ini Nonas Ianuarii „ (19). (18) Cloaca fere totius Galliae Cisalpinae. Dapprima dubitai che con questa vaga circolocuzione il Boccaccio volesse accennare Venezia ch'egli altrove dice: d'ogni bruttura ricevitrice ( Decamer. G. IV. nov. a ) (*): come in senso morale Roma fu detta quasi sentina da Tacito (Ann. XV, 44 ) e c'a Sallustio ( Catil. e. 39^. Ma considerando poi che sul principio ha detto il Boccaccio ch'ei dimorava in Ravenna , crederei, che Ravenna stessa fosse qui detta Cloaca di quasi tutta la Gallia Cisalpina, secondo ciò ch'egli altrove scrisse ( De Fluviis, i>. PadusJ: Iterum in duos dwidituT fluvios : qui a dexlris est recto tramite Ravennani petit, et fere usque Mutinam et inde aliquantisper usque Imolam , maxìmis factis paludibus, et aliquibus susceptis fluviis , haud longe a Ravenna ingreditur mare. ( 19 ) In più altre lettere del Boccaccio si legge come qui la data del giorno e del mese, senza quella dell'anno. Per quanto mi sia studiato di cercare in quale anno egli scrivesse questa lettera, e perciò la vita del Santo, non trovo cosa certa e definita. Il Petrarca nel lihro de Vita Solitaria, cui diede compimento nell'anno i3Ó2, dove parla di S. Pier Damiano, mostra di non avere avuto queste notizie raccolte per lui dal Boccaccio; e da ciò pare certo che dopo quell' anno il Boccaccio medesimo le abbia descritte, e quindi dopo la sua conversione che avvenne 1' anno i36i. Ciò si conferma dal sapersi che Donato Grammatico , che dal Boccaccio si ricorda come amico suo e del Petrarca , non fu conosciuto ed amato dal Petrarca probabilmente prima del i36i ( Tirab. I. e. ). Dalle cose dette in diversi luoghi della lettera nostra, si vede che questa fu dettata in un anno in cui il Boccaccio andò a Venezia , ove parlò con Donato ( retulit noster Donatus ), e p»i a Ravenna, mentre il Petrarca attendeva la risposta di lui in Milano ( tibi Mediolanum trasmittam). Trovo che nel i368 (" ) Mi sia qui permessa una breve digressione. In questa novella, poco prima delle parole citate, si legge un passo che diede molto che fare ai moderni illustratori delle Cento Novelle, lenza che ne potessero dare una buona interpretazione; e dice cosi: Un frate minore non miga giovine, ma di quelli che de' maggiori casesi era tenuto a Vinegia. Chi lesse casesi, come il Rolli, spiegò che ama di stare in casa, oppure casista, derivando la voce da caso: chi poi lesse Cassesi , derivando tal voce da cassa, l'intese de' frati riputati quasi arche di senno e di santità, come il Dionigi. Ma queste pur sono ciance: ed Alessandro degli Uberti (Ragionamento sopra al- cuni luoghi di Dante , ecc.) avea intravveduto il vero per congettura, eh' io godo di poter confermare per l'autorità di un buon testo manu scritto. Egli dunque lesse c'a scesi , e intese che ha Scesi o Ascesi, cioè Assisi. Il mss. Est. ha dasisi, e separando le lettere si ha D* Asisr. Leggasi pertanto d' Astsr , o d'ascesi, o te si vuole anche e* ha scesi; e le ne avrà un senso chiaro e bello, cioè dei maggiori o più vecchi che dimoravano in Assisi o venivano d'Assisi. E con questa nuova lezione si toglie quella irregolarità di costrutto, che pose già alla prova l'ingegno del Ch. Editore del Decamerone stampato in Parma nel l8o3. Tom. I. Q 122 Indicazione di un Manuscritto Inedito ecc. Lodi della vita solitaria ( Cap. VI). „ Iam uti, mediis in urbibus, dissoni multitudinis mo- res, motus assidui, familiaris rei et persaepe publicae cura, impediunt, et splendores mundanorum fallacesque cupidines etiam fortium bominum mentes uncis adamantinis retrabunt, retractasque falsis suasionibus detinent, implicant laqueis ; sic urget in contrarium solitudo. Ibi quidem , caelo teste , inter apricas umbras et antra natalia^ piena cum libertate vivitur , solutisque saecularium curis , vagatur impune ; et , quod optimum est^ dum solum herba viridi et floribus va- riis picturatum (20) conspicis , dum argenteos fontes rivosque per decliva sonoros intueris , per frondosa nemora garulas aves voculis , et modulamine quodam incognito musicis , audis cuncta complentes , baccisque silvestribus et fontano liquore reficeris ; eo , etiam si nolis, traheris, quo pia mens cupit, ut eorum scilicet auctori famuleris : imo, dum eidem famularis , certissima libertate frueris , necnon relieto inter speleas ( l. spelaea ) corpore, nonnunquam usque ad divi- nitatis eius solium traberis, eius gloriam perspecturus ". Colloquio di S. Pier Damiano tuttora secolare con due Monaci di Fonte Avellana (Cap. VI). „ A quibus cum vix posset avelli , nec longiusculam potuisset impetrare moram, dimissurus (f. eos), eisdem ar- genteum attulit vasculum, oravitque ut illud donum Abati il Boccaccio in Venezia vide Donato ( Bald. I. III. n. 35 ) , mentre il Petrarca era partito per Pavia , donde poi passò a Milano, per assistere alle nozze di Violanta Visconti ( Tirai . I. e. n. 35} nel mese di Giugno. È probabile che il Boccaccio da Venezia si recasse alla sua diletta Ravenna; ma, come la presente sua lettera fu scritta nel mese di Gennajo , non so se il Petrarca fosse tuttora in Milan-i nel Gennajo del i36g. ( 20 ) Anna natalia. Natale per natio usa il Boccaccio anche in volgare. — Floribus variis picturatum. Questa locuzione è similissima a quella delle Cento Novelle ; Prato dipinto tutto forse di mille varietà di fiori ( G. III. proem. ). Memoria dell'Ab. Sic. D. Celestino Cavedoni. ia3 suo , si liberet , offerrent. li vero , quibus iam solida cae- lestium divitiarum voluntas ( sic ) erat , mentemcpe sui superioris agnoverant , placidis verbis dicere : Se tanti pon- deris vas non posse deferre : ille instare ; cui Deo dicati homines postremo dixere : Si tanta tibi cura est , ut tui intuiti] alicpiid patri deferamus nostro, praebe aptius nostrae professioni munusculum. Qui ad se rediens , et generosita- tem mentium istorum considerans , ac videns eos, quae plurimum mortales appetunt, audere contemnere , iam divi- nuin animimi pectoribus gestare , ut affectionem suam por- tarent rogavit : nec absque lacrimis , quae discerptum cor a visceribus asportarent, abeuntes dimisit in pace " (ai)* Egli mi pare certo ed evidente, cbe la lettera ed il compendio della Vita del nostro manuscritto sia opera del Boccaccio , o si riguardi il contenuto ed il dettato, o si riguardi quanto si è per noi osservato nelle note. Ma perchè strano potria ad altri sembrare , che l' Autore delle Cento Novelle abbia posto tanto studio e tempo in ricercare e ripulire a suo modo la Vita di un Santo ; giova pure os- servare che non v' era cosa che non avesse voluto adoperare per compiacere al suo maestro e benefattore , Francesco (ai) Ut affectionem sunm portarent , etc. Questa risposta del Santo non si legge nella Vita scritta da Gio. Laudense ( Cap. IV ) , ed è verisimile che il Boccaccio l'aggiugnesse di proprio sentimento, sendo anche assai conforme alla sua maniera >1 i>e blandiloquus viderer, dilectissime fra ter, nitro multa in tui nominis laudem venientia volens omisi , hoc tantum dixisse contentus : Vicisti longo labore tuo invidentium sti- mulos, et arma eloquentium contrivisti, adeo ut ipsum tuum nomen egregium, quod aliquandiu inter Venetos tantum, Aemilianosque Gallos detentum est, superatis celsis Apennini verticibus in Tuscos usque maximo cura fulgore devenèrit, et (*) Questa lettera si trova in un Ms. in foglio del secolo xiv Magliabe- chiano, segnato n. 108 pai. 4) appartenuto al Senatore Carlo Tommaso Strozzi nel 1670. Il copista vi fece molti errori; ed in varie carte, guaste all'estremità inferiore per aver patito l'umidità, il carattere è dove affatto svanito, dove non più leggibile. L' ignoranza del copista ha scritto nella intitolazione per Ioanne Boccaccio., onde ho sostituito Ioannes de Certaldo. In fine si legge Ioannes Boccaccius , e così l' ho trascritto , ma lo credo messo da più moderno copista invece di Ioannes de Certaldo , od almeno Ioannes Boccaccius de Certaldo , come i copisti più antichi solevano scrivere. Il Mehus ne puhblicò alcuni brani ( Vita Anibr. Camald. p. col )^ ripetuti poi dal Bandini ( Cod. Bill. Laur. T. III. p. 736. n. vi. et Suppl. T. II. p. égli, n. xxiv ). Nel primo dei due Ms. della Laurenziana, che fu della Gaddiana, è intitolata : Ioannìs Boccaccii epi- stola Magistro Petro Bononiensi grammaticae Professori ; e nel secondo, che fu della Strozziana : Insigni viro Magistro Petro de Rhetorica per Boccatium. Di questo Pietro, che si cognominò da Muglio , e fu celebre Lettore di Rettorica nel secolo suo , parlano a lungo il Tirabotchi ( T. V. 1. in. e. -f n. 5 ) ed il Fantuzzi (Scritt. Bologn. T. VI. p. 127 seg. ). Tom. I. U 1 54 ArPENDICE ALLA MEMORIA SUL Ms. DI GlO. BoCC. inter eruditos homines celebre factum sit. Hinc est ut non- nullos scholasticos juvenes in desiderium videndi audien- dique te traxerit , tantoque fervore compulerit^ ut patria, necessariisj amicisque relictis, iter, ut ad te venialità intra- visse jam senserim^ quorum ego consilium commendandum censeo. Quid enim melius , quam se meliorem efficere , hac in misera lacrymarum valle mortalium exoptari potesti Hos inter duo juvenes, qui, relictis Tuscorum studiis , ad te usque^ quocumque fueris , ut te videant , te audiant , sub te militent , et tuis monitis, doctrinaque tua meliores fiant, de proximo iter adsumpturi sunt. Verum^ etsi amici sunt ambo , non tamen ambobus est aequa conditio j nam alter eorum, ut milii dicturus (sic) Ioannes de Senis, qui jam dudum grammaticae praeceptor apud nos scholas regere consuevit , instructus egregie, judicio meo., circa gramma- ticam positivam, ut tu longe melius et cito cognosces. Hujus, ut arbitror, animus ad auctores illustres audiendos, et rheto- ricam totus est. Et quoniam grandes sunt studentium sum- ptus, et ipsius tenues facultates in substentatione sui, ut tecum diutius esse queat, cupit, opere tuo, si fieri possit, babere sub repetitione sua aliquos rudiores. Quaeso igitur per fidem tuam, ut circa hoc illi favorenti tuum impendas. Honestus quidem juvenis est , et mansuetus , tum moribus commendabilis plurimum ut videbis ; praeterea amicus meus est, et mei honoris amator et cultor ; et ob id, quod illi boni feceris, mila factum putes. Alter Àngelus dicitur Canonicae Sancti Michaèlisj et Iacobi de Certaldo venerabilis Prior, Flo- rentinus patria, nobilis genere; mihi, si ad dignitatem intuear, pater et dominus ; nani ex parochianis suis unus sum : si ad aetatem et dilectionem inspexero, filius meus est. Hunc ego cum cernerem nimia liberalitate sua in cervum fere ut Acteonem (sic) conversum, multis longisque exhortationibus hieme praeterita, vi ab accipitre canibusque subtractmn, in scholas grammaticalium impuli, in quibus , etsi parum ad- irne profecit^ generoso tamen animo yerecundatur , ni in dell' Ab. Sic. Celestino Ca\ f.doni. i 55 finem venerit exoptatum : et ob id, curii inulta de te au- diverit, tui nominis delectatione affectus, ut quod optat plenius et citius consequatur, magistrum suum ad te ve- nientem sponte sequitur sua. Cui , quoniam prò te nunc paternos exivit lares, precor per amicitiam nostrani , et per venerabile caput Francisci Petrarchae praeceptoris nostri, adsis, eique Consilio et opere faveas circa quaecumque ei- dem opportuna cognoveris, vel ipse monstraverit , eunique non solum in scholarem , sed in filium tuum submitto: et doctrina instrue , et mores eius , si oportuerit, objurgatio- nibus frena, ut aliquando ex aucupatore venatoreque ex nianibus tuis possim dicere literatum hominem suscepisse. Amico nimia dieta sunt; sed sic afFectus grandis inadver- tentes impellit. Ego autem nondum satis certuni babeo numquid de proximo Patavium venturus sim. Si venero te visitabo; sin autem, ubicumque sim, tuus sum. Vale. IOANNES BOCCACCIUS. ELOGIO DEL CONSIGLIERE PAOLO GASSIANI SCRITTO DAL SIG. MARCHESE LUIGI RANGONI E Ietto dai medesimo alla Reale Accademia neW Adunanza del 3 Luglio 1828. Cui piidor et justitiae soror Incorrupta fides nudaque veritas Quando ullum invenient parem? ^uel soave benché patetico sentimento che spirano I versi del Venosino quando lamenta sulla fredda spoglia del suo Quinti lio volontieri si associa alla memoria di coloro , che mostrati sol di rado alla terra pur fecero in se mede- simi apparire il candido costume e le virtù amabili di quel- l' antico. Che se V immagine morale di lui tramandata dal sommo poeta alla commossa posterità veggasi talvolta rin- novata in chi l'adorni eziandio co' più sublimi doni dell'in- telletto , nello splendore di che si ammanta non avvien mai che al togliersi per morte all' altrui vista essa non lasci dopo se le tracce di vivissima luce. Nel ristretto novero di uomini per siffatta guisa privilegiati sui quali sembra che la morte non eserciti fuorché una parte dell' ordinario suo potere ha giusta sede il nome di Paolo Cassiani ricordato ancora nella voce dell' età nostra a guisa del più splendido Scritto dal Sic. March. Luigi Rancori. l5f esemplare cui ornassero a gara la forza dell'ingegno e la purezza dell' animo. Nato questi in Modena da onorarissimi Genitori ( i ) nel vigesimo sesto giorno di Settembre dell' an- no J743 accennò ben presto in se stesso il mirabile colle- gamento di quelle doti ebe prenunciano il vero filosofo ele- vato del pari sopra gli altri pel vigor della mente, ebe per l'affetto ai gravi studi, e per cpiella modesta semplicità, la (piale da cbi ben mira vuoisi riguardare come fregio lumi- noso della sebietta dottrina. Non fu vago perciò di quel- l'istruzione ebe potesse offrirgli una terra straniera qual che si fosse ben contento a ragione di quella copia di ammaestra- menti , ebe gli apriva nella patria un Collegio Gesuitico oltre- modo fiorente per maestri preclari e celebrati. Compiea già con sì fàusti auspici il corso de' filosofici studi , e ne rac- cogliea l' onore serbato a pochi dalla severità di quell' antica scolastica disciplina, quando si volse alla provincia dell'eru- dizione presosi a guida il dottissimo Francesco - Antonio Zaccaria , altro lume di quella benemerita Società ed in- sieme della serie degli illustri Estensi Bibliotecarj. Potò in tal guisa il valoroso e maturo filologo lusingarsi di veder ricalcate felicemente le sue orme, ed emulato il suo esem- pio da un discepolo ben presto addestrato a chiarire difficili punti di storia letteraria, che già nella luce de' suoi tempi meglio che per l' innanzi si discutevano con sana critica, e con sicura e disinvolta dialettica. Gli studi che allettarono entrambi per la speranza di ricca messe nell' immenso campo aperto e misurato dall' immortai Muratori non indicavano (1) Furono questi Francesco, e Luigia di lui cugina come appartenente ad nitro ramo della famiglia Cassiani, da cui pure era uscito il valente Poeta, e Professore di Eloquenza nell'Università di Modena Giuliano Cassiani. Dallo stesso matrimonio nacquero gli ancor viventi e cari a tutti per ereditaria probità signori Giuseppe, ed Alessandro Cassiani; de' quali il primo fu dal Serenissimo Ercole III impiegato come Direttore della Zecca, ed è attualmente Ispettore, e Direttore dell' Economato Militare Estense. 1 58 Elogio del Consigliere Paolo Cassiani allora il presagio di dover declinare sì presto a quelle ste- rili investigazioni, che sembrano essere il più comune ben- ché infausto retaggio dell' età nostra. Che infatti le vigilie alle quali eccitavansi i nobili ingegni per l' esempio di quel grand' uomo a ben altro tendevano che a produrre biogra- fiche frivolezze , a suscitare aride questioni intorno alle origini ed alle bellezze della lingua, comunque vogliasi ita- liana o toscana, non che a svegliare il mal vezzo di decla- mare,, e sognar vanamente intorno al poema dell' Alighieri. Erano per lo contrario tuttavia in onore quelle spinose disamine , che tanta luce diffusero sulla storia dell' uman genere , e l' antica sapienza civile , e l' ecclesiastica compo- sero in un sublime , e maestoso edilìzio che tenea lontano dalla speranza di ampliarlo , e di abbellirlo chiunque non fosse dotato di un forte criterio , senza cui anche fra il perpetuo confronto di libri , e di codici peregrini non av- vien sovente di raccogliere che remote o fantastiche con- ghietture. Aspirando il Cassiani alle prime palme nella dif- ficil palestra trovò nuovi stimoli neh' opportunità di una letteraria adunanza , che fra le domestiche sue mura acco- glieasi da un privato gentiluomo (a), al cui lodevole inten- dimento assai giovò prendendo ad illustrare le antiche me- morie de' patrj studi. Si conobbero allora per le accademi- che esercitazioni di lui le scuole modenesi de' tempi più remoti, e gli uomini che nelle età susseguenti diradarono da prima, e poscia dissiparono le tenebre della generale ignoranza , la quale però mai non tolse che le lettere avvi- lite, ed oppresse dalle barbariche irruzioni ricoverandosi in parte ne' chiostri , non trovassero eziandio nelle pie cure de' Vescovi una più immediata tutela all'ombra del Santua- (a) Il Marchese Sigismondo Gualengui Foschieri modenese, uomo coltissimo ed elegante Poeta. Scritto dal Sic March. Luigi Rangoni. i5o rio (3). A quello stesso convegno filologico consacrò egli pure altra fatica di più ampia e sottile discussione, colla (piale gli riuscì di determinare V origine precisa dell' aite tipografica , subbietto di molte e per lungo tempo indecise controversie. Rivaleggiavano noli' attribuirsi il merito di quella invenzione le due città di Strasburgo, e di Magonza , men- tre l'illustre Tiraboschi ad una terza cioè ad Harlem troppo facilmente lo concedette, abbagliato forse dal prestigio di speciosi ragionamenti con che un dotto uomo (4) dominato da soverchio amor patrio intese a sostenerne le mal fondate pretensioni. Nella profonda meditazione dell'argomento di- stingue il Cassiani l'impronta generata da caratteri immo- bilmente connessi ad una tavola dalla stampa propriamente detta, che si produce per le infinite combinazioni di mobili tipi, dimostrando che se di quella che a moderna invenzione non può riferirsi perchè conosciuta in qualche modo dai Romani , e da' Cinesi ebbesi da prima un saggio da Stras- burgo , dell' altra può affermarsi esser nata in Magonza pel- le prove talora divise , e talor congiunte del Guttemberg . (3) In questa inedita dissertazione il Cassiani trattando l' argomento delle an- tiche scuole di Modena dal secolo di Augusto fino al principio del secolo xiv ha principalmente passate in rivista quelle che furono tenute da' Giureconsulti nel secolo XIII. Da un cenno però da esso dato in uno de' suoi manoscritti, che dal suddetto signor Giuseppe Cassiani furono gentilmente rilasciati all'autore del presente elogio sembra ricavarsi, che sottentrato egli al P. Zaccaria nella pre- sidenza della ricordata adunanza letteraria presso il Marchese Foschieri prendesse a continuare la storia delle scuole modenesi ne* susseguenti secoli xiv, xv, xvi. Riesce quindi sommamente rincrescevole lo smarrimento avvenuto per singolare concorso di circostanze dell' anzidetta dissertazione insiem con altre pure inedite, e da lui composte fra gli anni 1761 , 1764 o in quel torno, sull' origine della stampa, sulle prime stamperie in Italia, e su i primi stampatori di Modena, delle quali si dirà frappoco sull' appoggio di estratti che ne furono compilati fin dal 1 lì 11, il. 1 cui nondimeno bastantemente apparisce la luce che esse spargevano intorno a quanto in ordine ai sovraccennati argomenti ha scritto posterior- mente il Tiraboschi nella Biblioteca modenese , nella Storia della Letteratura Italiana, e nel Prodromo della nuova Enciclopedia Italiana. (4) Il Consigliere Gherardo Meerman nella sua opera intitolata Origine* Ty- pographicae stampata all'Aja nel 1765. ióo Elogio del Consigliere Paolo Cassiani del Fust, e dello Schoeffer. Ciò pure meglio accerta to- gliendo ogni fondamento alla singolare opinione in favore di Harlem col muovere gravissimi dubbj intorno all'esistenza di quel Lorenzo Costerò , il quale riguardato da preclari inge- gni come un essere ideale nella storia della Tipografia, pur fu tenuto da altri qual solenne tipografo , per assicurare a quella città l'onore del male ambito primato. E le prove da lui addotte a sostegno di un' opinione posta oggimai fuor d' ogni dubbio valsero pure ad ottenerle 1' assenso dello storiografo dell'Italiana Letteratura (5), il quale, abban- donata la prima sentenza , di esse si giovò quando scrisse cooperando nel saggio di una nuova e nazionale Enciclope- dia sapientemente divisata da un uomo raro (6) per inge- gno , e per santità di principj , cui la morte immatura non consenti che il destare di se le più alte speranze. Restava che, dopo aver fermata l'origine della Tipografia in Europa, F autor felice di questa critica scoperta spinto dal senti- mento delle glorie nazionali e patrie, si facesse ad indagare come quella si stabilisse nell'Italia, e quando pure in Mo- dena se ne cominciasse l'esperimento. A questa importante appendice soddisfece egli appunto con ottimo risultamento consegnato a due separate dissertazioni , comprovando per F una di esse come dal monastero di Subiaco uscissero le prime edizioni italiane per opera di tipografi allemanni , i quali o ivi si conducessero al seguito de' cavalieri teutonici dimoranti in quella beata solitudine , o vi fossero chiamati da monaci della stessa nazione , segnarono ad ogni modo un nuovo beneficio fra i molti diffusi nella civil società (5) V. Tiraboschi. L'Artic. « Invenzion della Stampa » nel Prodromo della nuova Enciclopedia Italiana stampato in Siena nel 1779 a pag. 175 e seg. Idem. Storia della Letteratura Italiana. Seconda ediz. modenese 1790 T. VI. Par. I, pag. 161. (6) Il Ch. Ab. Alessandro Zorzi veneziano, che in età d'anni 3a soltanto e non ancor compiuti , mentre stava appunto sul finirsi la stampa del sopraccitato Prodromo ecc., fu infaustamente rapito alle Scienze od alle Lettere. Scritto dal Sic. March. Luigi Ranconi. 161 dalle claustrali congregazioni (7). Dichiara nelF altra disser- tazione tutto ciò che appartiene all' introduzione dell' arte tipografica in Modena , ove non sì tosto comparvero per primi i tipi del Rococciolo , e del Miscomino , che dalla generosa sollecitudine de' providi reggitori del Comune si vollero impiegati a render di pubhlica ragione il sistema degli utili e commendati loro provvedimenti (8). Rallegravasi intanto la patria per queste prove di bella erudizione già risplendente in un figlio, che qual altro suo lume parea destinato a donarle nuova copia di storiche, e filologiche dovizie, siccome sempre inteso a farne tesoro, quantunque avesse rivolta una parte delle sue cure allo studio della civile Giurisprudenza (9), che doveva scorgerlo all'onore delle magistrature, ed a quello del Diritto eccle- siastico, de' cui oracoli divenne ben presto pubblico inter- prete (io). Però quelle speranze ad un tratto fallirono com- (7) In questa dissertazione sulle prime stamperie in Italia il Cassiani mostra di non essersi lasciato abbagliare, come ad altri era pure accaduto, dalla falsa data del Decor puellarum stampato da Niccolò Jenson in Venezia. Combatte egli al- tresì con qualche ragione , oltre le addotte dal Tiraboschi nella storia della Letteratura Italiana, l'opinione del Dottor Sassi in favor di Milano circa l'edi- zione della storia Augusta : ed accorda alla stamperia del monastero di Subiaco nella campagna di Roma l'anteriorità di tale intrapresa in Italia, se non pel Donato del i465, certamente poi per l'edizione del Lattanzio colà eseguita nello stesso anno. (8) Questa dissertazione su i primi stampatori di Modena offre se non tutto precisamente, almeno però la massima parte di quanto in ordine a tale argomento scrisse posteriormente il Tiraboschi nella Biblioteca modenese T. IV, pag. 367 e seg. all'artic. « Rococciolo )) : se non che fra le altre diversità, recando il Cas- siani un epigramma di Francesco Rococciolo stampato insiem col poema di Gua- rino da Domenico Rococciolo, non esita egli a ritener il primo fratello del secondo, mentre il Tiraboschi nell' articolo relativo a Francesco dichiara di non aver indi- ciò onde provare fra essi verun grado di parentela. (9) Nel dì 22 Febbraio 1764 il Cassiani fu annoverato tra gl'individui com- ponenti il Collegio degli illustrissimi signori Avvocati. ( Vedi il Registro degli statuti di detto Collegio presso questa illustrissima Comunità). (io) Ciò si riferisce alla lettura del Diritto canonico nella patria Università , che il Cassiani sostenne nella verde età di circa anni ai in luogo del Professore D. Pietro Ferrari nobile modenese , Canonico Teologo della Cattedrale , Consul- tore del S. Officio ecc. Tom. I. V ióa Elogio del Consigliere Paolo Cassiani mutate bensì in altre di forse maggiore , e certamente non preveduto decoro, giacché il Cassiani probabilmente inteso dopo il ragunamento di numerosi materiali ad impiegarli nella storia della Modenese Letteratura , contento che il Tiraboschi se ne giovasse (u) a se chiamando l'impresa, inaspettatamente si volse agli studi severi delle Matemati- che. Come poscia a questi unicamente si dedicasse, e come fornito de' soli sussidj , che poteano trarsi da volumi ispidi per riposta dottrina , aggiungesse in breve tempo quell' al- tezza di pensieri che appartiene ai sommi geometri, mal suprebbesi altrimenti spiegare , che accagionando di questa specie di prodigio una straordinaria forza d' ingegno che lo spinse a procacciarle il proporzionato esercizio. Né i rapidi progressi di lui nella scienza del Calcolo poterono essere disturbati dal pubblico insegnamento del criminale Diritto affidatogli (ia) dal patrio Consiglio municipale, e da lui sostenuto pel corso all' incirca di un lustro , sicché non compito ancora 1' anno trigesimo dell' età sua ebbe fama di valentissimo matematico. E fu in quel tempo che ampliata, e sorta a nuovo splendore la modenese Università per la regia munificenza dell'Estense Francesco III (i3), nell'il- lustre ceto de' nuovi Professori ^ fra i quali contavansi pa- recchi sommi uomini condotti dal di fuori con larghe con- dizioni , il voto universale fu pago di veder compreso il Cassiani. Quindi la provincia assegnatagli fu come esser dovea l'Analisi matematica (i4)> e quindi a lui toccò di i (n) V. Tiraboschi. Biblioteca modenese. T. I. Modena 1781, pag. xvm. (ia) Dagli Atti di questa illustrissima Comunità si rileva, che nel 3i Luglio 1767 li signori Conservatori in considerazione dei conosciuti meriti del signor Avvocato Cassiani , di unanime voce, e sentimento elessero e destinarono il medesimo alla cattedra a" Istituta Criminale ecc. (i3) Nel 1772 da questo Sovrano fu notabilmente accresciuto il numero delle cattedre, e stabilita una nuova e generosa dotazione a favore dell'Università. (14) Nel 1774 all'insegnamento affidatogli delle Matematiche fu unito l'altro delle Istituzioni Filosofiche, che pure disimpegnò fino al compimento dell'anno Scritto dal Sic. March. Luigi Rangoni. 1 63 esporre i principj più sublimi di quella scienza segnando un'epoca luminosa nei patrj fasti, e suscitando quell'ardore per le geometriche speculazioni, che rese poi immortali gli studj di altri valentuomini, fra i quali basti rammentare un Raffini. E fu egli il primo, cui venisse dato di svelare a' suoi concittadini gli arcani di una scienza, che di quei giorni quasi soli rendea chiari in Italia i Boscovich , i Ric- cati , ed i Frisi , ed accennava forse per tutti neh' oltre- monte gli Alembert , gli Euler , i Lagrange , ed i Laplace. Battendo però la via aperta da quello fra essi , che sovra ogni altro volò come aquila riformatore maraviglioso di una dottrina che tanto per lui si distese, diessi sollecito a di- vulgarne i felici discoprimenti , specialmente in riguardo alla vasta teoria delle equazioni , penetrando sagacemente nello spirito di quell'uomo straordinario. Fu allora che da una cattedra della modenese Università, e prima forse che da altra in Italia, si enunciarono que' sublimi, e mirabili teoremi , che insieme collegati e ridotti in un corpo di dottrina in massima parte nuova, insinuandosi per così dire in ogni adito del Calcolo ne misurano in certo modo il potere ed i confini. A cattivare più presto gli ingegni a questa poderosa generalità di principj si rese utile la scuola del modenese analista , per cui le verità già stabilite da Lagrange apparvero fregiate di una più facile evidenza, e di quella maggiore semplicità che non a torto suole dai matematici denominarsi eleganza. Già manifestavasi allora la povertà forse non prima avvertita di parecchi trattati della scienza analitica , i quali ad un tratto si riconobbero pe' trovati più recenti , scemi nella sostanza , e riprensibili per inesattezza , e per inutile prolissità. Perciò il Cassiani scolastico nel 1786, essendo già prima, e precisamente nel 1780, divenuto Presi- dente della Classe Filosofica nella Ducale Università. Conservando questa carica passò egli nel 1788 nel novero de' Professori emeriti a cagione delle nuove ed importanti incombenze, delle quali venne allora incaricato. ] 64 Elogio del Consigliere Paolo Cassiani stringendo l'abbondanza delle cose nuove nel giro di poclie fondamentali dimostrazioni in parte da se ritrovate , di esse principalmente si valse ad ordinare 1' intero , e generale sistema delle equazioni algebraicbe determinate. Giovandosi di questo incomparabil lavoro si discostò nelle sue Istitu- zioni dalle tracce del benemerito Saladini , che pure spesso non isdegnava di seguire, riempiendo così un'ampia lacuna, che scorgevasi ne' dettati di lui già fatti di pubblica ragione per una imperfetta idea di quella teoria sorretta eziandio dal non geometrico , e spesso fallace appoggio dell' indu- zione. Ed è pur fama avvalorata dalla testimonianza di un esimio suo collega (i5) che egli tanto addentro penetrasse nelle ricerche di Lagrange rivolte a confermare o a dile- guare almeno la speranza della risoluzione generale delle equazioni oltre il quarto grado che fornisse de' criterj all' uopo migliori chi dovea poi riuscire glorioso a dimostrarne 1' insolubilità. L' egregio discepolo per così fatta guisa com- posto a tentare qualunque più ardua intrapresa potè giun- gere colla forza di una profonda meditazione a segnare i confini di quella primaria provincia analitica, mentre ad un tempo non meno giusto che riconoscente verso del maestro sdebitandosi di ciò che per esso possedea , lo additava al (i5) V. Venturi. Memoria intorno alla vita del Marchese Gherardo Rangone Letta al Cesareo-Regio Istituto di Scienze in Milano nel dì 19 Dicembre 1816 : stampata in Modena per gli Eredi Soliani 1818, pag. i5 e seg. Veggasi pure nel Voi. I. delle Memorie dell' Imp. Reg. Istit. del Regno Lom- bardo Veneto. Milano, dall' Imp. R. Stamp. 1819, la pag. 5a dell'articolo neero- logieo di Paolo Cassiani, che fu steso dallo stesso Cav. Gio. Battista Venturi. E non in questi due soli, ma in più altri incontri ha manifestato il Venturi 1' altissima sua stima verso il Cassiani, che nella sua edizione delle poesie scelte di Matteo Maria Bojardo rammenta come socio in diverse gravi ed onorevoli in- combenze insieme sostenute per comando superiore; e fra queste nella formazione del piano d'imposta per i lavori occorrenti agli argini de' fiumi nell'antico di- stretto modenese, il quale fu adottato per legge; e nella composizione di un progetto per la costruzione di due ponti sulla Secchia, e sul Panaro. Scritto dal Sic. March. Luigi Rangoni. i65 pubblico onde fregiarlo della non ambita celebrità ( i(>). Questi all' incontro non curante della gloria, di cui sono talvolta i dotti sovercbiamente cupidi fino a divenire cu- stodi gelosi di qualunque proprio divisamento , fu pago di comunicare ad altri il potere cbe avea di ampliare il patri- monio delle Matematiche quasi riposandosi all' ombra degli allori cbe quelli per se ne derivassero confortati da' suoi ammaestramenti. E a dir vero come avrebbe egli potuto meglio, e più generosamente servire all'intendimento delle scienze troppo combattuto dalle cure difficili cbe a se il chiamavano del civil reggimento ? sempre di fatto invidiollo alla repubblica Letteraria il governo dello Stato mal soffe- rente che all' amministrazione delle cose pubbliche , di cui fu peritissimo mancasse la tutela di un probo ed illumina- tissimo maestrato. Da questo conflitto derivò nondimeno il felice temperamento dell'affidarsi al Cassiani principalmente quelle ragioni di pubblica economia, che de' congiunti lumi si giovano del matematico e del giureconsulto. Collocato egli parecchi anni prima che la gallica violenza invadesse (16) Il eli. Prof. Paolo Ruffini a pag. 34 c seg.' della Parte I." della sua Teoria generale delle equazioni stampata a Bologna nel 1799 reca del Cassiani una semplice ed elegantissima dimostrazione della formola generale , da cui deduconsi i cosi detti Teoremi Newtoniani nella Teoria delle equazioni. Questa dimostra- zione trovasi poi riportata in altri posteriori trattati di Analisi senza verun cenno dell' inventore. Nella sopraccitata opera a pag. 57 e seg.' riporta lo stesso A. altra semplicis- sima dimostrazione dovuta essa pure al Cassiani del seguente teorema : (( Se nell'equazione yzixm-+-Axn-'- Un anno circa dopo la morte del Cassiani (1807), il lodato Prof. Ruffini gli rese pure altra onorevolissima testimonianza di stima e di affetto, la quale può vedersi nel discorso preliminare alla sua Algebra, che fa parte del Corso di Matematiche ad uso degli aspiranti alla scuola di Artiglieria , e Genio esistente allora in Modena. 1 66 Elogio del Consigliere Paolo Cassiani F Estense sovrano retaggio in uno de' primi seggi della pa- tria municipale magistratura, reggea nell'arduo incarico (17) di Relatore la provincia, in cui è d'uopo sovente di attem- perare ai principj dell' Idraulica le sanzioni della naturale e civile Giurisprudenza. Niun contrasto riesce forse più mala- gevole a moderarsi di quello che insorge fra il pubblico ed il privato interesse nell' economia di un elemento spesso indocile, cui la sagace industria dell'uomo seppe rivolgere in suo prò ad una molteplice e varia utilità. Quindi le con- troversie difficili e complicate tanto per quella che appel- lasi da giureconsulti incertezza del fatto , cui talvolta mal può escludere la miglior perizia delle leggi idrauliche , quan- to per l'ambiguità del diritto spesso oscurato da una mol- titudine di privati contratti , e di speciali consuetudini. Si aggiunge ad accrescere le difficoltà nel governo delle acque l'inquieta avidità degli uomini, che le assoggetta ad un tempo a svariati , e per poco non conciliabili uffici ripe- tendone F alimento alla fertilità de' campi , mentre pur le costringe ad animare pressoché ogni maniera di necessario o di utile lavoro , ed a servire con perpetuo impulso ai commerciali movimenti. Sdegnano esse perciò si immoderata schiavitù , e cercando di rompere i loro confini segnati spesso da improvidi ordinamenti o da private usurpazioni , non si riducono a nuova tolleranza che dai più meditati e validi presidj di un' arte non sempre sicura. Trovossi il Cassiani per proprio istituto a fronte di questi pericoli da prima in minor campo ristretti, quantunque tali che d'uopo fosse per vincerli di avveduto e maturo consiglio , ove una (17) Per quattro volte, e precisamente negli anni 1779, 1781 , 1783, 1784 il Cassiani coperse la carica di Priore Legale del Comune di Modena. Dagli Atti della Congregazione d' acque e strade esistenti presso questa illustrissima Comu- nità rilevasi pure, che nel 1780 fu dal Supremo Consiglio di Economia nominato Sopraintendente ai pubblici labori; ed indi nel 1781 conseguì la carica di Rela- tore stabile presso la detta Congregazione. Scritto dal Sic. March. Luigi Rangoni. 167 moltitudine di canali di origine diversa entro la città stessa di Modena, e per lungo tratto all' intorno si dirama, e si intreccia , sicché ad infrenarne il corso , e regolarne gli usi spesso contrastati debba molto innanzi penetrare 1' accorta sollecitudine dell' autorità moderatrice. Atto egli però a fornire cose maceiori non difettò de' mezzi acconci a ben Do sostenere un incarico assai più grave , quando divenuto uno dei consiglieri del suo Principe vide in se ridotta la somma delle cose appartenenti al governo delle acque, e delle pubbli- che vie per tutto ove stendevasi l'Estense Dominazione (18). In questa parte di importantissima amministrazione , che da lui richiese il divisamento , e 1' esame di nuove e tal- volta grandiose costruzioni a pubblico vantaggio dovea pure lottare cogli ostacoli che ad una giusta ripartizione de' con- seguenti tributi ad ogni passo affacciavano la troppo mi- nuta divisione territoriale, il contrasto delle varie ed emule giurisdizioni , e la moltiplichi de' privilegi municipali e ma- gnatizj. A superare ogni difficoltà lo avvalorò quella pru- denza , che ove la natura delle cose il comporta si attiene alle antiche consuetudini, le quali oltreché esprimono sem- pre una conciliazione di interessi diversi , meglio pure che le leggi scritte si osservano, siccome fiancheggiate dalla forza del- l'abitudine cui spesso si rende eziandio pericoloso il resistere. Da queste ed altrettali massime , che additano i mezzi migliori da abbracciarsi nella varietà de' casi che non con- sentono la stretta applicazione del diritto non torse egli (18) Negli Atti della medesima Congregazione di acque e strade presso questa illustrissima Comunità relativi specialmente alla sessione del 4 Febbraio 1786 si fa menzione di una polizza derivante dal Supremo Consiglio di Economia, dalla quale risulta, che S. A. Serenissima informata della capacità, talenti, e meriti non meno che delle ottime qualità del signor Avvocato Paolo Cassiani, si è de- gnata di sostituirlo al defunto signor General Maggiore Pietro Giardini nell' impiego rimasto vacante per la di lui morte di Ministro nel Consiglio d' Economia colla sovrintendenza alle acque e strade ecc.; e come tale per l'appunto intervenne in quella sessione assumendo la qualità di Presidente dell'anzidetta Congregazione. 1 68 Elogio del Consigliere Paolo Cassiani nemmeno durando nello stesso incarico dopoché l'invasione dell'Italia al declinar del secolo decimottavo avea già dato il segnale di ogni più perniciosa innovazione. E dal suo proponimento non si rimosse per quanto le discipline atte- nenti al nuovo , e sì diverso governo de' popoli , ed i va- riati spartimenti territoriali gli permisero di seguirlo , non abbandonando cpielle redini di civil reggimento , che gli erano da lungo tempo commesse. Se non che tacendo in mezzo ai cangiamenti politici , alle guerre disturhatrici , ed alle popolari commozioni la maggior forza delle leggi, e delle utili istituzioni^ dono de' pacifici tempi , dovettero le cure di lui ristringersi nell' intendimento comechè assai difficile a conseguirsi in quella dura stagione, di preservare da un generale sovvertimento gli ordini da prima stabiliti. Però la spiacevol condizione a cui lo sottoposero le politi- che vicende parve ridonargli ozio bastante a ripigliare l'interrotto esercizio delle cattedre, e ristorar primamente e per alcun tempo il pubblico danno coli' insegnamento della Fisica sperimentale , da cui veniva allora allontanato il non men dotto che facondo Venturi (19). Sorgevano intanto a que' giorni in mezzo allo strepito guerriero , che incerta rendeva , e variò più volte la fortuna d' Italia , nuovi ben- ché sovente instabili ordinamenti, e nuovi Istituti che largo favore sembravano promettere alle scienze Fisico-matematiche. Fluttuante il Cassiani fra la tutela della cosa pubblica , e la dignità delle scienze, che pure gli si imponeva di soste- nere , ad entrambe fu astretto di consecrare le divise sue cure, mentre ciascuna cercò allora di rapirlo a se con rara violenza. Perciò appena sorta in Modena un' ampia scuola che all'istituzione, ed all' erudimento de' giovani destinati alla milizia facea servire il più esteso insegnamento delle Matematiche sì pure che applicate , a lui quella parte se (19) Negli anni scolastici 1798-99, 1799-1800. Scritto dal Sic March. Luigi Rangoni. 169 ne volle addossata che ancor potea riguardarsi come la pi u ardua siccome nata poco innanzi dalle sublimi speculazioni del sommo geometra Monge (ao). Come egli soddisfacesse ad un tal magistero , la pubblica voce lo attestò narrando la mirabile facilità con cui seppe penetrar nello spinto, e porsi per così dire a fianco dell'inventore, la forza dell'im- maginazione con cui sostenne le complicate combinazioni di linee , di piani , e di ogni maniera di superficie divisate da rpiel celebre oltramontano,, la perspicacia infine con cui discoprì le poche mende , od inesattezze di una dottrina d'altronde splendente per originale eccellenza. Né fu meno felice neh' interpretare a prò de' suoi alunni quella dottrina per cui tanto rifulse il sommo acume degli antichi geome- tri , i quali considerando le quantità nei loro limiti per poco non aprirono la via al moderno calcolo indicando con sot- tile metafisica 1' arduo passaggio del finito all' infinitesimo. Questa utilissima e forse ultima come non del tutto com- piuta fatica dell' uomo benemerito , conformata mercè le cure di un egregio depositario (2,1) de' pensamenti di lui alle prescrizioni normali di quella scuola, vide poi la pub- blica luce ne' volumi , che registrarono il metodo concate- nato de' primi studj che ad essa aprivano l'ingresso (aa). E non vuoisi infine tacere come questi stessi volumi si arricchissero pure dal Cassiani di un trattato col quale ser- vendo alla utilità meglio conosciuta , e finalmente abbrac- ciata della divisione decimale ridusse al sistema metrico la (20) Fin dal s3 Aprile 1798 dal Ministro della guerra gli fu notificato essere stato nominato Professore di Geometria Descrittiva, e d' Idrodinamica nella scuola militare del Genio e d' Artiglieria da aprirsi in Modena col primo giorno dell' anno seguente; ma per le vicende de' tempi se non dopo il a3 Settembre 1800 potè dar corso alle sue lezioni. (ai) Il eh. signor Prof. Giuseppe Tramontini. (aa) Vedi nel T. II del Corso di Matematiche ad uso degli aspiranti alla scuola d' Artiglieria e Genio di Modena. Modena, presso la Società Tipografica 1806, alla pag. 341 e seg.' il' Saggio elementare sul metodo dei limiti. Tom. I. X 170 Elogio del Consigliere Paolo Cassiani moltitudine de' pesi , e delle misure per tutto varie tra i confini di quella riunion di provincie che prese il nome di Regno Italiano (ii3). Celebrato egli perciò con plauso ge- nerale e spontaneo degli stessi suoi colleghi ne' molteplici uffici da lui sostenuti, richiesto per lo scioglimento d'ogni dubbio che alla civile amministrazione , o alle scienze si riferisse (24) , potè facilmente essere giudicato meritevole eziandio delle più splendide onorificenze (a5) , le quali se ordinariamente vanno fra molti divise in lui pressoché tutte si cumularono. Accolto poi in un illustre consesso (26) , che meditò e discusse per lunga pezza i principj e la pra- tica della scienza Idraulica onde impor leggi salutari a que' grandi fiumi , che bagnano le provincie per le quali costituivasi allora in Italia un ampio stato, concorse coll'au- torevol suo voto in quel molto senno , da cui furono com- battute e vinte alcune strane opinioni oltramontane favorite pure e sostenute da acuti^, e quindi più pericolosi novatori. (23) V. nel Corso sopraccitato la pag. X del T. I, ed il Breve Trattato delle misure posto in fine. (24) Per accennare pure qualcuno fra i tanti dubbj risguardanti argomenti scientifici dileguati dal parere del Cassiani , veggansi il T. XIV alla pag. 237 e seg.', ed il T. XXI alla pag. 172 e seg.' della Continuazione del nuovo giornale de' Letterati d' Italia pubblicato in Modena presso la Società Tipografica. (a5) Nel 1778 fu acclamato socio della Ducale Accademia detta allora dei Dissonanti, e divenuta poscia di Scienze, Lettere ed Arti. Nel 1789 per unanime voce dei componenti l' illustrissimo Consiglio dei Conservatori presso questa Co- munità entrò a far parte della Nobiltà Modenese, essendo stato ascritto al Libro d'Oro. Nel 1790 divenne socio ordinario dell'Accademia Atestina di Belle Arti. Con decreto del 5 Ottobre 1802 fu nominato membro pensionario dell'Istituto Nazionale Italiano: e nel i8o5 fu fregiato dell'ordine della legion d'onore. (26) Ciò si riferisce alla Commissione istituita in Modena dal governo con decreto del 17 Luglio i8o3, e coli' incarico, di prendere in profonda disamina tra i vari importantissimi argomenti relativi tutti all'Idraulica anche la celebre qui- stione dell'immissione di Reno in Po. In tale Commissione, detta perciò Idraulica, egli ebbe fra gli altri a benemeriti colleghi i chiarissimi Bonari , Guglielmini , Masetti, Stratico, ed il Dottor Antonio Assalini Segretario pure di essa, Ispettore generale di acque , strade e ponti ne' Dominj Estensi ora defunto con grave danno dell'Idraulica pratica. Scritto dal Sic. March. Luigi Rangoni. t^i Furono questi i modi coi quali un tal uomo si raccomandò alla gratitudine della posterità , né con altri più segnalati potea egli adoprare astretto a consecrare interamente i suoi giorni all'immediata utilità de' suoi contemporanei. E fu appunto da essi che egli ottenne quelF universal voto, a cui si rende quasi vano l'aspirare nell'età nostra, nella quale suolsi con insensibilità ignota ai nostri maggiori di- sprezzare ciò che dai più non si intende , dannandosi ad una ingiusta oscurità chiunque rifugga dal dare il nome ad una delle tante fazioni , che conturbano ed infestano il regno delle Lettere. A questa ignominiosa condizione non sarebbesi certamente piegato il Cassiani tra perchè essa non può che meritare lo sdegno di un animo virtuoso , tra per non essere atta a procacciare , non curato pure il bia- simo de' saggi, che un'effimera e momentanea rinomanza. Egli però in tempi di men fluttuanti opinioni sicuro di quella che il riguardava non ebbe d'uopo di affaticarsi per far tacere innanzi a se la torbida invidia , la quale rispet- tando la superiorità dell'ingegno, ed una rara modestia non turbò per lui il cammino agli onori non chiesti , e forse non mai desiderati. L'iniquità dei tempi e degli uomini neir avvicendarsi di reggimenti oltremodo per indole diversi niun potere ebbe sopra di lui, sempre costante in un mede- simo tenor di vita, e sempre fermo del pari nella prudenza che non irrita le altrui passioni anche le più fervide , che in quell'equilibrio per così dire dell' animo , il quale non si scuote alle lusinghe dell' amor proprio quanto si voglia adescato , e blandito. Nella qual dote particolarissima il confermarono mirabilmente la tenacità delle private, e do- mestiche abitudini, l'amor degli ozj letterarj, ed una chiara e spregiudicata idea del vero pregio di ogni letteraria fa- tica. Più presto avrebbe egli di fatto compianti che ap- prezzati gli studi che allo scopo non s' indirizzano di alcu- na reale utilità , troppo ben sapendo d' altronde discernere e sceverare nelle opere dei dotti i giusti titoli che li ren- rya Elogio del Consigliere Paolo Cassiani dono benemeriti da ciò che appartiene talvolta a vana pompa di erudizione , ad intemperanza di sottigliezze , o a polemica iracondia. Non avaro perciò di lodi e non prodigo sdegnò del tutto que' reciproci uffici di letteraria adulazio- ne , che ora tant' oltre si allargano da taluni per salire in qualche fama,, e straniero ad ogni ambizione conseguì ciò che avrebbe avuto di che lusingare l'amor proprio di ogni uomo anche il più superbo ed indiscreto. Tanto potè egli col solo splendore dell' ingegno , e delle sue virtù , e col- F esempio di una vita preziosa giunta ben troppo presto al suo termine con universale compianto. La lunga , e trava- gliosa malattia, che lo spense in età ancor valida (27), la quale congiunta a robustezza sembrava promettergli una verde e prolungata vecchiaja , non offuscò la serenità del- l' animo di lui , che con mirabile tranquillità vide appres- sarsi F estremo suo istante. Sollecito però di provvedere alla miglior parte di se avealo già molto innanzi prevenuto, affor- zandosi de' conforti celesti, ultimo suggello delle cristiane massime , e delle religiose abitudini , alle quali non era in alcun tempo venuto meno. La memoria di lui che sempre viva conservasi nelF animo di chiunque il conobbe si tras- mette ai nepoti per la testimonianza che ancora ne ren- dono coloro che hanno a gloria di averlo avuto a maestro. Il nome del Cassiani consegnato ai fasti letterarj viverà del pali negli atti della patria magistratura per richiamare so- vente F estimazione , e la riconoscenza de' posteri co' carat- teri dell'insigne dottrina, e dell'antica probità. (27) La morte di lui, che segui in Modena nel giorno 3 Febbrajo dell'anno 1806 fu riguardata come una specie di pubblica calamità: del che fanno non dubbia fede le solenni, e spontanee testimonianze, che gli furono rese in diversi luoghi. ( Veggansi il n. vi del Messaggiere Modenese per l'anno 1806: il n. 41 del Giornale Italiano stampato in detto anno a Milano : e l' Articolo necrologico sopraccitato che trovasi inserito nel Voi. I delle Memorie dell' I. R. Istituto del Regno Lombardo-Veneto. Milano 1819 ). PARTE QUARTA MEMORIE DELLA SEZIONE DARTI DEL TRIGLIFO ORNAMENTO DELLA CIVILE ARCHITETTURA MEMORIA DEL SIC INGEGNERE GIUSEPPE BERGOLLI Letta nell'Adunanza del 2 Luglio 182,4. 1. J-Ja magnifica opera delle Dissertazioni sulle mine di Pesto ( Pesti rudera ) ( * ) del celebre P. Paolo-Antonio- Paoli Lucchese, già Presidente della Accademia Ecclesia- stica di Roma, e noto alle lettere per le sue scoperte di Cuina, di Baja , e di Pozzuoli, e più poi la dottissima di lui lettera sull'origine, ed antichità dell'Architettura ( 1 ), e per la novità dell'impresa, e per li principi da obbliare, e li pregiudizj da vincere, a che ne mira, diedero argo- mento di animate contese fra gli eruditi, e gli architetti sul finire dello scorso secolo, alla esposizione delle quali conviene premettere : 2. Che 1' antichissima Posidonia, o Pesto è situata ad un miglio e mezzo italiano dal lido del golfo di Salerno, ( * ) Ruine della città di Pesto detta ancora Posidonia ( Pesti rudera ) Roma 1784 in foglio presso il Pagliarini Testo Italiano e Latino con belle Tavole - Dis- sertazioni VI. ( 1 ) Vedi Winkelman Tomo 3.° pag. i3i Roma per il Pagliarini 1784- Tom. I. a a Del Triglifo Ornamento della Civile Architettura e circa a quattro poste da Napoli. Ivi il vasto recinto quasi rettangolare di metri 2170 pel lungo, e di metri 1375 pel largo cinto di mura,, coronato di sette torri agli angoli, ed aperto da tre porte presenta il suolo di grande città , nella quale esistono tuttora , e sfidano i secoli gli avanzi di tre fabbriche sontuose oltre una delle porte; due di esse fabbriche sono Tempj, la terza sembra una Pale- stra, o come opina il P. Paoli, un atrio o Toscano edilìzio, per uso di commercio, o per trattarvi pubblici affari ( a ). Codesti avanzi meravigliosi con quello di Girgenti in Sici- lia, e col Panteon di Roma sono al dire di Winkelman ( 3 ) i più conservati della antichità. E ben sorprende come, solo da circa 60 anni, o 70, siansi cominciati ad osservare ruderi così magnifici, che pur doveano richiamare l'attenzione di tanti dotti viaggiatori, e scrittori amanti delle prische glorie Italiane. 3. La struttura, considerata nell' insieme, e nelle parti, e l'aspetto di tali monumenti fece sospettare all'eruditis- simo Paoli, che fossero anteriori alla Greca Architettura, e ne ragionò fondatori gli Etruschi, traendo nella sua opinione colla scorta delle più estese cognizioni storiche, e colla critica più severa l'erudito antiquario Ab. Fea, cui diresse la citata lettera, o a meglio dire, Dissertazione studiatissima. 4- Contro i profondi ragionamenti, e la vasta erudi- zione del Paoli si mossero gli artisti, e cultori tutti della Architettura, che si trovarono di qne' tempi in Roma, e nel foglio periodico mensile dall' Agosto al Dicembre del 1 78.5 delle Memorie per le Belle Arti in ottanta pagine di nuli' altro si studiarono, che di confutarne l'opinione difen- ( a ) Il primo Tempio è lungo metri 85, e largo metri 35 : il picco] Tempio è lungo metri 47 > largo metri 24 : •! terzo 0 sia Palestra 0 Basilica è lungo metri 74, largo metri 33. (3) Winkelman - Storia delle Arti del Disegno - Roma 1784 presso il Fa- gliarmi Tomo 3.9 pag. 4. Memoria del Sic Ingegnere Giuseppe Bergolli. 3 derido per greche le fabbriche Pestane, temendo di vedere sconvolta dai fondamenti 1' Architettura, se veniva a con- fondersene gli ordini, e la storia (4)- I loro discorsi ebbero tale prestigio, che fecero ricre- dersi 1' Ab. Fea del partito in che dapprima si era posto a favore del Paoli, e contro d' esso si decise perfino il nobile Estensore degli Elementi della Architettura Lodoliana, che sebbene lietissimo di trovare in un altro regolare il com- pagno del Filosofo Architetto Fra Carlo de' Conti Lodoli Veneziano, ed encomiato l'ardire nella novità dell'impresa, a cui si accinsero cpiasi contemporaneamente due claustrali l' uno all' altro ignoti, con tutto ciò sul finire dell' opera pur egli non si mostrò persuaso delle ragioni del Paoli (5). 5. Adunque nelle citate memorie scritte però da dotta penna ( 6 ) si crede di avere confutata l' opinione del Paoli, e di aver assicurato alla Grecia il merito, e 1' onore delle fabbriche di Pesto in quantochè queste non si confanno col testo di Vitruvio, ove al Lib. IV. Cap. 7. tratta de' Tempj Toscani, ed in quantochè hanno tutti li caratteri di quelP ordine Greco detto Dorico, sia i.° per la proporzione delle colonne, sia 2.0 per esservi il fregio nella Trabeazione, e sia 3.° perchè il fregio stesso è decorato di Triglifi (7), ed è da qui dove prendon lena, avvegnaché dicono, il Triglifo è il più solenne contrassegno dell'ordine Dorico (*), ed era ignoto agli Etruschi che non 1' hanno mai posto in opera ; che affatto manca nei precetti dell' ordine Toscano lasciati da Vitruvio (8), di modo che soggiungono, ogni ragazzo, che abbia un poco disegnato , a colpo a" occhio avrebbe ve- ( 4 ) Memorie suddette in fine png. 209. ( 5 ) Elementi dell' Architettura Lodoliana - Roma 1786 pag. 218, e 219. ( 6 ) Il signor Cavaliere Boni di Siena. ( 7 ) 11 signor Ab. Fea nel Tomo 3." del suo Winkelman edizione suddetta pag. 479, 481. ( * ) Memorie per le Belle Arti nov. 178.5 pag. clxxvii. ( 8 ) Vitruvio del Guliani - Napoli 1-Ó8 lib. 4 r;'P- 7 4 Del Triglifo Ornamento della Civile Architettura cinto, che quelle sono ci' ordine Dorico, e non Toscano , loc- chè tra gli Architetti non è mai stato un problema. Così nella Lettera di Bajocco a pagina XV. (9), e così T anti- quario ricreduto signor Fea a pag. ùft\ ove dice: le regole di Vitruvio non si possono adattare ai Tempii di Posidonia perchè questi hanno i Triglifi. — E indubitato , che secondo Vitruvio il Triglifo è un distintivo proprio assolutamente dell'ordine Dorico (io). 6. Di tal guisa si contendeva al declinare dello scorso secolo, né più alcuno, che io mi sappia, è comparso a pren- dere le difese del Paoli ( 1 1 ), che al sentire degli architetti Romani avrebbe dunque traveduto, e che vaghezza di ar- dita impresa qual'è di strappare alla Grecia non solo la invenzione dell' arte pel solido , e pel comodo , ma quella delle grazie ancora della decorazione Architettonica, il ren- derebbe minor ci' un ragazzo predicando per Etnische le fabbriche di Pesto , che i moderni architetti riconoscono per Greche, e del Greco ordine Dorico. 7. Se non che io credo, che ad onta di tanto clamore non sia stata confutata per questo la opinione del detto Paoli ; né credo, che per le prove addotte abbiano gli Ar- tisti, quantunque esimii, ottenuto il fine di assicurare alla Grecia il merito della invenzione del Bello in Architettura, e meno perciò ritengo, che siano a valutarsi per Greca in- ( 9 ) Lettera di Bajocco al signor Ab. Fea - Cosmopoli 1786. (io) Winkelman edizione suddetta pag. 481. ( 11 ) Non mi è riuscito di avere né da Roma, né da Bologna l'ordine Dorico del signor Antolini nella di lui esposizione del Tempio di Cora, o Cori presso Vel- letri. Conosco però il modo di architettare di questo artista , come lo conosceva di persona, e non ho sospetto, che abbia diversamente pensato dagli altri mo- derni architetti. Vedi Winkelman Tomo 3.° edizione suddetta pag. 5i, e 5a. Nelle citate Memorie delle Belle-Arti al Fascicolo di Novembre 1785 è inserita una lettera di esso signor Antolini data da Pesto il 22 Settembre dello stesso anno 1785, nella quale pieno di ammirazione per que' monumenti numera per così dire tutti i Triglifi che vede nel Tempio maggiore. Memoria del Sic Ingegnere Giuseppe Bergolli. 5 venzione le fabbriche di Pesto, qualunque poi essere ne possa la nazione edificatrice, purché ai Greci anteriore. Tal' è 1' argomento del presente Articolo Accademico diretto a sostenere il parere del Paoli, che amor dell'arte ne suggerisce, e che studierò d' illustrare con semplici fatti, e pochi raziocinj per non ismarrirmi fra i laberinti dell' An- tiquaria, che ne trasporterebbe ai tempi eroici, ed ante- Trojani. 8. L' argomento degli oppositori desunto dal non essere conformi i precetti di Vitruvio pe' Tempj Toscani con le maniere de' Tempj di Pesto , quantunque il Paoli si sforzi di trovarle consimili, non può escludere, che questi non siano di più antico tipo : Vitruvio vissuto quasi contempora- neamente al principio dell'Era Cristiana potrebbe non avere veduta Pesto, città già a quell'epoca antichissima, e che non nomina ; o se ancor veduta , non parlando di que' Tempj , potrebbe pur essere, che scostandosi essi dalle ragioni Do- riche, Ioniche, e Corintie, né avendo del Toscano la sem- plicità, o quasi diremo la rozzezza, non sapesse sotto quale de' mentovati ordini classificarli, e li avesse per incertezza passati sotto silenzio, poiché infine non dà un catalogo di Tempj, ma i precetti dell'arte: così l'altro argomento tratto dalla proporzione delle colonne de' Tempj Pestani è, a dir vero, assai vago, ed incerto. Forse perchè le colonne Pe- stane sono assai più corte delle colonne Greche di ordine Dorico si vorrà dunque, che siano inventate dai Greci, e non piuttosto d' una maniera orientale trasportata, e prati- cata poi dagli Etruschi? Credono gli architetti, che i primi a fabbricare in Grecia fossero i Dori : Vitruvio ci dà le mi- sure dell' ordine ; ma esistono monumenti antichissimi di misure affatto diverse dalle leggi Vitruviane. E non si do- vranno dire di una nazione primogenita, e della Greca più antica ? E perchè ancora non si potrà argomentare, che gli Etruschi fabbricassero que' Tempj con quella misura di co- 6 Del Triglifo Ornamento della Civile Architettura lonne, che tornava loro più acconcia al luogo, alla esten- sione, al dispendio, che probabilmente avranno calcolato prima della costruzione? Secondo li disogni fatti levare dal signor Conte Gazola di Piacenza, riveduti sul luogo dal P. Paoli e fatti incidere dal signor Ab. Fea nel tomo 3.° del suo Winkehnan, 1' uno de' Tempj di Pesto ha le colonne alle quattro diametri e mezzo ; 1' altro cinque diametri ; e nel Tempio di Girgenti le troviamo di cinque diametri ed un terzo ; ed in Modena forse non vi sono colonne, sebbene con diversi capitelli (ia) di misure differentissime secondo il bisogno, e l' uso diverso, cui sono destinate (i3)? Hanno la colonna ( dirò con un Artista Filosofo ) inven- tata gli Egizj e di misure pesanti, e tozze, come grevi, ed enormi erano i inassi de' marmi, che v'impiegarono: l'hanno ingentilita i Greci, che scarseggiavano di grandi cave di pietre, e più frequente era per essi 1' aspetto degli alberi: non però li secondi si diranno gì' inventori, come chi per- feziona un lavoro, non potrà mai chiamarsi il primo autore di esso. 9. Il secondo argomento, che affacciano contro il P. Paoli lo traggono dall' avere li Tempj di Pesto il fregio nella Trabeazione, fondati, che Vitruvio non si esprime chiaramente sulla esistenza di codesto membro nelP ordine Toscano, che dal Palladio, e dal Barbaro viene disegnato senza fregio. E qui pure è ben strano il modo di argomentare degli artisti ; imperocché nella descrizione data da Vitruvio dell' ordine Toscano può intendersi espresso ancora il fregio; ed ( ia ) Dico di diversi capitelli, e non di ordini diversi, poiché altrove esporrò le idee del chiarissimo Lodoli intorno alla distinzione degli ordini, che mi sem- brano, preferibili alle comunemente ricevute. ( i3) Qual differenza per esempio non avvi fra le colonne del Portico del Palazzo Livizzani, e quelle della nuova Sala Filarmonica nel Palazzo della Co- mune? Gli usi, i bisogni diversi consigliano il diverso modo di architettare. Memoria del Sic Ingegnere Giuseppe Bergolli. é il signor Marchese Galiani lo trova chiaramente, ove al Libro 4-° Gap. VII.0 il Latino Autore dice supra trabes, et supra parietes trajecture mutulorum proiciantur intendendosi quel supra parietes debba significare, che sopra il fregio abbiano a disporsi i mutuli, ossiano i modiglioni, o pun- toni. Che se il Palladio nella sola prima Tavola dell'ordine Toscano non pone il fregio, mentre poi lo disegna nelle altre, ciò giustificherà al più che nel paese, da cui trassero gli Etruschi, non eravi bisogno di tetto, perchè nell'Oriente, O di rado o non mai piove; ma per questo non verrà già che in altri climi si possa coprire una fabbrica, e decorarla, senza che nella sua Trabeazione vi apparisca il fregio, o un membro corrispondente al luogo del fregio. Se le fabbriche saranno scoperte, come i portici d'at- torno ad alcuni Tempj antichi, che sembrano avere avuta la cella scoperta, quali sarebbero quello di Giove Olimpico in Atene, ed il più grande di Posidonia, e come ne sembra la parte posteriore dei Propilei d' Atene, si potrà allora ter- minare la fabbrica anche col solo architrave sulle colonne. Così le terminavano gli Egiziani, che abitatori di regioni secche, o di poche o veruna pioggia, immaginarono le loro fabbriche spianate sopra, e coperte al solo fine di ripararsi dal sole cocente, dalle serpi, e difendersi dai malvagi. Ma qualora avremo a fabbricare in paesi umidi per pioggia, grandinilo neve, bisognerà necessariamente coprire la fabbrica con un tetto, che scoli dal mezzo alle estremità; bisognerà assoggettarsi all' Architettura Lìgnea, ed esprimere la configurazione del suo tetto, come disegno alla figura I.' e IL* Laonde que' popoli orientali, che primi vennero ad abitare la Magna-Grecia volendo a Pesto erigere un Tempio, cioè in paese, che trovarono soggetto alle pioggie, avranno dovuto esprimervi il fregio, quantunque anche con lastre di pietra ne coprissero il tetto, e codesta espressione di fregio avranno fatta in guisa da imitare quello stile, ed 8 Del Triglifo Ornamento della Civile Architettura indole di decorazione, che praticavano nel paese loro na- tivo, da cui erano partiti, che avevan sempre presente nelle loro idee, ad onta di variare di clima, giacché a fatica di- mentica l'uomo le impressioni prime, le abitudini contratte. Tutti gli architetti sistematici della origine della Ar- chitettura dalla Capanna, o Filosofi. dell'Architettura Lignea, non possono esimersi dalla rappresentazione del fregio. Come si vorrà., che gli Etruschi o altri qualsiansi popoli quando fabbricarono in Italia potessero farne senza? Sì, lo ripeto, quegli architetti medesimi , che fabbricando in Egitto sop- presseroj anzi non sognarono mai il fregio, che nei Tempj e Monumenti Egiziani punto non riscontriamo, quegl'istessi trasportati in Italia, dovendo impiegare un tetto nelle nuove costruzioni loro, e questo esprimere; il fecero con caratteri figli dell' arte, che coltivarono in Egitto; per questa espres- sione di tetto appare il fregio : per altro vi scolpirono cose che derivano assolutamente dalla Architettura Lapidea, come azzardo di provare nell'esame seguente della terza objezione al Paoli nostro. io. Si è avvertito di sopra, che la esistenza dei Tri- glifi nei Tempj di Pesto è il terzo argomento ed il più for- te, che si opponga al Paoli, siccome dicono essere il Tri- glifo membi-o di Architettura Greca , perchè conseguenza ( proseguono ) ed espressione legittima dell' Architettura Li- gnea, di quella Architettura, che generata dalla osservazione delle parti costituenti una capanna, seppero da quella i Greci per i primi trarne profitto, e nella espressione delle di lei parti ricavarne le bellezze della decorazione Architet- tonica delle fabbriche,, e dei Tempj loro. Alla confutazione di codesto specioso argomento pre- mettere si vuole la definizione del Triglifo, poiché siamo ben lungi che se ne abbia finora una chiara, e distinta idea. 1 1 . Chiamano Triglifo gli architetti , gli eruditi , gli antiquarj quell' ornamento nella Trabeazione Dorica , che esprimo colla lettera A nella figura seconda, e colla B nella Memoria del Sic. Ingegnere Giuseppe Bercolli. q terza ( i4 ) e Sl pone nel fregio di quest' ordine componen- dolo secondo Vitruvio (i5) di tre pianuzzi, due canaletti intieri, e due semicanali ai fianchi, di un regoletto sotto il pianuzzo dell' architrave, e di sei goccie, o cpiasi goccie o campanelle pendenti ( 16 ). Leon Battista Alberti lo fa di quattro pianuzzi e col regoletto ( 17 ), da cui spenzolano sei chiodi (sono sue pa- role ) confitti dal disotto del regolo perchè vadano a rite- nere i correnti. Francesco Milizia conserva li tre pianuzzi di Vitruvio, ma vuole, che dal mutulo partano le cannellature, e che discendano giù pel Triglifo, nel quale vadano a terminare in gocciole ( 18 ). 12,. Il Triglifo, che ho descritto si ritiene in Architettura per una parte integrante della decorazione Dorica; ed in- sieme alla Metopa D ( figura seconda ) ne forma, per cosi dire, la caratteristica. Ogni edifizio che ne venga ornato chiamano Dorico, volendosi, che primi fossero i Greci Dori ad inventarlo, laddove se ne mancasse, facilmente si con- fonderebbe con quell'altro ordine più semplice, che i nostri artisti dicono Toscano. Ora divisamento di questo Articolo Accademico si è di provare , che siamo invece ben lontani dal conoscere con precisione di verità, cosa rappresenti in Architettura il Tri- glifo, e d'indagare la di lui origine, e natura sin qui troppo ipoteticamente, come dimostreremo, per non dire malamente desunta dagli architetti, discendendo da Vitruvio sino a noi. ( 14 ) Figura a., e 3. ( i5 ) Vitruvio del Galiani - Napoli 1785 tavola IV. e XI. lib. 4- c»P- 2. pag i35. (16) Sene hanno parecchi esempj in Modena al Palazzo Valentini, al fianco della Dogana, alla Casa Pignatti , ed altrove, ma più palesamente nell'esteriore della Porta Castello, ed in un Sepolcro in Duomo, di cui forse non vi è altro simile che quello di Scipione Barbato in Roma. ( '7) Figura 3. -Alberti Bologna 1782 lib. 7 pag. fjt. (18) Principj di Architettura Civile - Bussano 1786 Toni. I. pag. 79, e 80. Tom. I. b io Del Triglifo Ornamento della Civile Architettura i3. Pretendono gli architetti, che il Triglifo rappre- 6 , cne il i rigato rappi senti la testa di quelle travi di un tetto, che diciamo cor- renti, o catene, e che segno colle lettere bb nella figura prima ed A, «, a nella figura seconda. Vitruvio così ne parla (19) ,', Perchè gli antichi fab- „ bricatori edificando in un certo luogo, poiché ebbero si- „ tuati i travi che sporgevano anche fuori, empirono „ di fabbrica lo spazio rimaso fra travi , e sopra vi fecero „ le cornici indi segarono a linea ed a piombo ,, delle mura tutte quelle punte di travi, che sporgevano „ in fuori. E perchè parve poi brutto quelP aspetto, affis- „ sero sulle teste tagliate delle travi , delle tavolette a „ quella foggia che si fanno ora i Triglifi, e le dipinsero „ con cera turchina , acciocché i taglj de' travi rimanendo „ coperti non offendessero la vista. Così le segature de' „ travi coperte a figura di Triglifi vennero a formare nelle „ opere Doriche la Metopa, ed il Triglifo ". Dunque, se- condo Vitruvio il Triglifo non è la testa di un trave, ma la coperta della testa colla imitazione di altra qualsiasi cosa, che poi non definisce, ma indica di costumanza, Ta- bellas ita formatasi liti mine fiunt Trigliphi, e chi sa di quale rappresentazione o di qual uso fossero : e perchè mai di quella forma longitudinale e non piuttosto tondeggiante, o a rosa ad imitazione del taglio di un legno, le di cui fibre si palesano andare attorno in giro ? E perchè le co- prirono di cera turchina, colore che non doveva bene ac- cordare in una fabbrica : nemmeno ( e qui prego di notare ) trovasi in Vitruvio il regoletto sotto, e li coni, o pirami- dette, o goccie, o campanelle spenzolanti, cose tutte, che i Commentatori vi hanno immaginate, ed aggiunte anni dopo, come si vede alla figura IL," perchè Vitruvio non ne parla, né ci lasciò i disegni. ( 19 ) Vitruvio suddetto del Gaìiani pag. i35. 11 li 1) i: i 13 li 11 11 11 1 1 Memoria del Sic. Ingegnere Giuseppe Bercolli. i i Leon Battista Alberti., non combina con Vitruvio sulla natura del Triglifo, die trattando di questo membro, e della Trabeazione Dorica di tale guisa ne parla : I Dorici adunque feciono il loro architrave non punto men grosso, che la metà della colonna da basso, et in esso posono tre fascie sotto la prima di sopra delle „ quali sono distesi alcuni regoletti da qual s' è 1' uno de' , quali spenzolano sei chiodi confitti dal disotto del regolo perchè vadino a ritenere i correnti sopra l' archi- trave posono per fregio i correnti , le teste de' quali fatte di rilievo a piombo escono in fuori una meza parte ne la fronte dinanzi di questi correnti s' in- tagliano per lo lungo tre solchi in fra loro con spazj „ uguali incavati con angoli in isquadra Et i canti vivi , dalle bande si scantonano per la metà d' una delle dette „ parti i vani si riempiono di tavole in queste vi „ intagliano dentro teste di Tori, Bacini, Ruote, e cose „ simili ecc. (20 ). In questa sua descrizione l'Alberti esclude l'idea delle tavolette Vitruviane, vuole anzi lavorale la testa delle tra- vi (Z>Z>), e ben lontano dal pensiere delle goccie immagina, che quelle piramidette troncate ( gg ) ( figura terza ) siano chiodi che vadano a ritenere i correnti B ( in qual modo poi, se lo immagini chi può), tanto poco essendo il risalto della trave corrente sull' architrave. E meno poi intende- remo, che sia quel regoletto da cui spenzolano i chiodi, ed a qual uso venga destinato. Gli architetti moderni male soddisfatti di vedere nella espressione del Triglifo, ora una copertura turchina della testa del trave, ora la lavorazione di questa testa, ma con la frangia di chiodi, de' quali non si può concepire l'uso, ricorsero al sistema dell' Architettura nata esclusivamente ( ao ) Leon Battista Alberti - Bologna 1783 lib. 7. pag. 171. 12. Del Triglifo Ornamento della Civile Architettura dalla Capanna, ed il signor conte Algarotti nel suo Saggio sull'Architettura (21), ed il signor Milizia (2,2) veggono in- vece 1' effetto delle pioggie nel Triglifo ; così quest' ultimo la discorre : „ Siccome cpiest' ordine è il più antico di tutti ^ perciò „ ritiene più di qualunque altro l'immagine della primitiva „ struttura. Quindi il suo fregio è mirabilmente espresso „ con i Triglifi rappresentanti le teste de' travi, che sono „ a traverso sopra 1' architrave ; e poiché questi Triglifi „ sono scanalati , come strisciati da goccie di acqua, era „ ben necessario, che i cantieri, ossiano puntoni rappre- „ sentati dai mutuli fossero scanalati anch' essi per far „ vedere che 1' acqua scolando pel gocciolatojo strisciasse „ per i mutuli , e indi per li Triglifi, ne' quali terminasse „ in goccie. „ Queste goccie adunque non anderebbero espresse a „ guisa di piccioli coni, o di piramidi troncate, ma come „ vere verissime goccie ,,. E più sotto : ,j Ecco, come da una triviale operazione della natura „ si è ricavato un ornamento tanto piacevole quanto e- „ spressivo ". Ma io domanderò al signor Milizia, ed al signor conte Algarotti, se piovendo contro la testa esposta di un trave sarà possibile, che quella testa venga solcata per diritto con canaletti perpendicolari, e fra loro paralleli, mentre^ come è segata a piombo, presenta alla pioggia la naturai superficie delle sue fibre tutte curvilinee, e ricorrenti in giro ad un nucleo centrale in guisa^ che strisciando l'acqua, e penetrando nelle parti tenere del legno, e queste infraci- dendo dovrebbe produrre di esse altrettante solcature con- ( 21 ) Algarotti - Saggio suddetto 1^6. ( 32 ) Principj di Architettura Civile - Bassano 1780 Tom. 1. Part. I. pag. 79, e 80. Memoria del Sic Ingegnere Giuseppe Bergolli. i3 centriche, come dalle parti dure dovrebbero risultarne sca- brezze e prominenze, e quindi riescirne un confuso di so- stanza lignea, marcita bensì, ma imitante però l'ingenita costruzione dell' albero, e quindi piuttosto una brutta rosa come in a della figura seconda, anziché il supposto tessuto di linee parallele a piombo. Domanderò, che sia quel regoletto rr, che gli archi- tetti , ad eccezione di Vitruvio , pongono sotto il pianuzzo dell'architrave nella dirittura soltanto de' Triglifi, e da quello fanno spenzolare le goccie o campanelle : imperocché se fosse vero, che l'acqua strisciata giù per la testa del trave cade in goccie , queste dovrebbero spenzolare dalla benda , e pianuzzo dell'architrave, che ha un aggetto, oppure do- vrebbe la pioggia continuare a strisciar giù per 1' architrave, e solcarlo pur esso, e generare un secondo Triglifo sotto del primo, alla qual triviale operazione, come decanta il Milizia, concorre anzi opportunamente il regoletto rr, che vi pare collocato, onde l'acqua meglio lambisca, e discenda attraverso per solcarne 1' architrave bagnandolo. E perchè, domanderò in fine al signor Milizia, i mutuli debbono, se- condo lui, essere scannellati,, o, a più chiaro dire, che uffi- zio farà adunque nella Trabeazione il gocciolatojo ? Egli, che cogli altri tutti, e più colla necessità del tetto alle fabbriche nei climi umidi ravvisa anzi nel gocciolatojo quella più importante paite della cornice, che allontana l'acqua da tutta la Trabeazione di un ordine qualunque , la fa ca- dere in goccie all' infuori , e salva per tal maniera dal ba- gnarsi le mura ; ma se devono secondo lui scannellarsi i mutuli, se deve cioè l'acqua scorrere dietro di essi, quan- tunque posti sotto, e più addentro del gocciolatojo, questo membro principale presterà adunque , al dir di Milizia , il suo uffizio ora sì ed ora nò ; agirà cioè alternativamente sopra le Metope, allontanerà le goccie dell'acqua, e sopra i Triglifi ve le lascierà strisciare ; rovinerà dunque tutta la fabbrica. i4 Del Triglifo Ornamento della Civile Architettura i4- Laonde se Vitruvio non sa da quale tipo sia ge- nerata quella sua tavoletta per impedire,, che non marcisca la trave ; se Alberti non dice perchè si abbia a lavorare in canaletti perpendicolari la testa di essa torve, né può giustificare punto, come configgere que'suoi chiodi rappre- sentati dalle campanelle , o quale fermezza arrechino alla testa della medesima: se Algarotti, Milizia, ed i moderni tutti conducono alle più marcate inconseguenze colla loro ipo- tesi dell' effetto delle pioggie ; se è manifesta la contrad- dizione fra loro de' maestri sul rappresentato dal Triglifo, che nemmeno da tutti viene ugualmente disegnato, potrà a ragione dubitarsi, che vi sia errore quando si ritiene, che ci rappresenti la testa dei correnti, o catene del tetto. Che anzi argomentando dalla collocazione del Triglifo nelle fabbriche, cresce assai più il dubbio, che possa esso mai rappresentare le teste di quelle travi. Imperocché lo vediamo i.° disegnato frequentemente, cioè non tanto sul vivo delle colonne, ma anche sul falso degli intercolunnj ; 2,.0 perchè si disegna indifferentemente nei fianchi come nel prospetto dei fabbricati, e nei frontoni. E facendoci a riguardare, come a piccola distanza fra loro verrebbero poste le travi, se i Triglifi ne esprimessero le teste , muove sorpresa, come nelP impalcatura di un tetto si abbia bisogno di porre i correnti o catene tanto fra loro vicine, che ne verrebbe di esse quasi un bosco, e quindi un peso e sopraccarico ai muri senza bisogno, di- venendo allora inutili i legni minori del tetto, che Vitruvio chiama Tempia, Paradossi li Commentatori, e noi comune- mente Bezzole. Maggiore è la maraviglia quando veggiamo i Triglifi dise- gnati in tutti i frontoni de'Tempj antichi antichissimi Greci, Romani, e Moderni: come può stare in un frontone la testa di un trave che si vuole essere il corrente o catena, e che forzatamente per la natura del cavalletto del tetto si colloca attraverso i muri laterali, e paralleli della fabbrica? Si Memoria del Sic Ingegnere Giuseppe Beucolli. i5 prenda sott' occhio un frontone qualunque, e vi si scorgerà o il muro , che si alza fino alla configurazione del tetto , o un corrente posto longitudinalmente, non mai in testa; però se in una facciata., o frontone potessero porsi, e perciò fi- gurarsi le teste de' correnti, Insognerebbe che le travi stesse fossero incrocicchiate^ ed incastrate fra loro ad angolo retto, e formassero quel tessuto delle impalcature o soffitti^ che si chiamano a cassettoni; ed in tale strana ipotesi, ove sa- rebbe più la solidità del tetto con le travi tagliate non meno della metà della sua grossezza in sì spessi luoghi , come vicini sogliono impiegarsi i Triglifi nelle decorazioni, che fino a due si pongono negli intercolunni j oltre quelli corrispondenti al vivo delle colonne? Ove la semplicità, la leggerezza , ove sarebbe la economia nella costruzione dei tetti ? Riescirebbe ciò affatto contro senso anche de' più rozzi fabbricatoli. i5. Siamo dunque necessariamente condotti ad argo- mentare la natura del Triglifo da tutt' altro che da quella Architettura Lignea., che prende per archetipo la capanna. E se ciò è vero , come mi lusingo di avere dimostrato , ne viene di conseguente, che la esistenza de' Triglifi nelle fab- briche di Pesto ( per tornare donde partimmo ) non è la decantata ragion sufficiente per contraddire al P. Paoli, e per provargli Greche quelle fabbriche, che egli tanto dot- tamente ha dimostrate anteriori alla Architettura de' Greci. 16. Il Triglifo tiene a mio credere la sua derivazione più naturale dalla Architettura Lapidea, e monumentale de- gli Egiziani , e da questi passata ai Fenicj , o qualsiansi altri popoli, che come del grandioso , così delle parti della decorazione Egizia vedutone il buon effetto , avranno in Grecia trasportato quel modo di costruzione adattandolo al diverso clima ( * ) e quelle decorazioni conservando, di ( * ) Chateaubriand Itinerario da Parigi a Gerusalemme ecc. - Milano presso Sonzogno 1821 Tom. 3. pag. i6a. Io inclino a credere, che tutte le Architetture, i6 Del Triglifo Ornamento della Civile Architettura che avevan la mente imbevuta^ e perciò ancora il Triglifo, ed ecco come io suppongo. Nei Tempi di Pesto non si vede che un Triglifo solo, e questo in un frontone, motivo per cui di cpiei Tempj non ho esposta che la facciata del piccolo , in cui questo solo Triglifo esiste : nei fianchi di esso e negli altri edifizj Pestani non si veggono Triglifi, abbenchè gli architravi e i fregj siano conservati. Ma ne esistano pur' anche nel Tempio maggiore., e con grande frequenza sebbene non visti dal Paoli, e solo dal signor Anto-lini (2,3) ammirati; che ciò anzi tornerebbe a maggior prova della remotissima antichità di quei monumenti. Ma attenendoci all'autore, ei ne assi- cura., che quel Triglifo è di una pietra sottile incastrata nel fregio a giudicare dalle vestigia degli incastri di altri , che dovevano ornare il fregio del frontone istesso. Questo Triglifo poi è diverso da quelli , che disegnano gli architetti., segnatamente i moderni, e più si accosta a quello di Vitruvio; manca cioè del regoletto., e delle goccie, e si ferma nudamente sul piano dell' architrave. Non presentando che delle cannellature invece della te- sta di un trave, cui quei solchi rettilinei non possono mai convenire j panni invece di vedervi espresso l' aspetto delle anche la Gotica, siano venute d'Egitto: nulla è venuto dal Nord tranne il ferro, e la devastazione. Ma questa Architettura Egizia si è modificata secondo il genio de' popoli. Non cangiò gran fatto presso gli Ebrei, ove non fece, che liberarsi dai Mostri, e dagli Dei dell'idolatria. In Grecia, ove fu introdotta da Cecopre ed Inaco si purificò, e divenne il modello di tutti i generi del Bello. Pervenne a Roma col mezzo de' Toscani, che erano Colonia Egizia, e vi conservò la sua bellezza, ma non vi toccò giammai alla perfezione come in Atene. Alcuni Apo- stoli accorsi dall'Oriente la portarono ai Barbari del Nord Prese infine tra gli Arabi quel carattere, che abbiamo accennato Potrei appoggiare la mia opinione ad un milione di fatti storici, potrei dimostrare, che i primi Tempj della Grecia, come quello di Giove in Onga presso Amiclea erano veri Tempj Egizj ; che la Scultura, era Egizia in Argo, a Sparta, in Atene, ai tempi di De- dalo, e nei Secoli Eroici. ( a3 ) Memorie per le Belle Arti - Novembre 1785. Memoria del Sic. Ingegnere Giuseppe Bergolli. 17 unioni o commessure fra loro delle pietre minori, che credo si frapponessero dagli Egiziani fra le maggiori, le quali co- stituiscono il secondo membro, o finimento de' loro edifizj immensi , e che posa sull' architrave de' slargati loro in- tercolunnj. Bastava agli Egizj di avere, e potere collocare sulle grosse colonne che ergevano le pietre immani, che poste a vicendevole contatto sul mezzo di esse colonne, ne co- stituissero gli architravi. Per il second' ordine di pietre, che già da quelle dell' architrave erano sostenute, non faceva d'uopo del dispendio, e della fatica per il penoso collocamento là su ove termi- nava, e riceveva la fabbrica la sua corona di moli uguali: minor lunghezza di marmi poteva bastare , e la intercape- dine poteva riempirsi di pietre minori senza pregiudizio della solidità, ed anzi con qualche vantaggio della decora- zione, venendo a disporsi esse minori pietre con simmetria, e con garbo, in quella guisa che può intendersi dalla sola ispezione della figura V.* lettere t, t. 17. Gratuita, e forse un sogno potrebbe dirsi questa mia spiegazione, se non fossi assistito dalle memorie, che ci rimangono de' sorprendenti Monumenti dell' Architettura Egiziana. Io devo anzi questi pensieri alla profonda impressione, che mi fece la magnifica opera de' Viaggi in Egitto del signor Denon; opera recente che non verrà dunque contrad- detta , e degna poi a larga mano di encomj, perchè oltre i meriti dell'illustre autore raccoglie le pazienti fatiche di tanti altri uomini seco lui celebri , del Generale And reossi , dei Generali Dugna e Begliart, dell' Astronomo Novet, del Ma- tematico Quesnot , del Chimico Berthollet, degli Architetti Rigo, e Jacotin , di Norrij, degli Ingegneri Girard, e Gro- sbert; opera, che adunque di sommo pregio, ben meritava in Italia un cospicuo Mecenate, sulla scelta del quale gli editori fiorentini non ebbero ad esitare, che a tutta ragione Tom. I. e 18 Del Triglifo Ornamento della Civile Architettura dedicarono nel 1808 al prestantissimo della Società Italiana , e dell' Accademia nostra Presidente , S. E. Marchese Luigi Rangoni. In questa edizione alla pagina 81 del Tomo I. ed alla stampa N. 44 trovasi descritto il Peristilio del Tempio di Karnak, forse compreso nella antica Tebe, di cui le colonne di granito hanno il diametro di undici piedi parigini, equi- valenti a metri 3, 56, nostre braccia 6, oncie io. Le co- lonne di questa fatta sono quaranta: lascio che altri pensi, come lo feci lungamente , sulla prodigiosa magnificenza di questo Monumento che esiste nella sua integrità dopo tanti, e tanti secoli, e se fermiamo per poco la nostra attenzione su quell' architrave , troveremo , che nella supposizione del più stretto intercolunnio , per esempio di un diametro ed un quarto, ed anche meno di un quarto, la pietra che ri- corre da mezza a mezza colonna deve essere lunga almeno venti quattro piedi di Parigi, metri 7, 78, braccia modonesi i4? oncie 1. Alla pagina io5 e tav. 59 del Portico del Tempio di Ermopoli , F architrave è composto di sole cinque pietre di ventidue piedi di lunghezza ciascuna, metri 7, i3, braccia modonesi i3, oncie 8, e tanto lunghe, e non meno, devon' essere , poiché le colonne si misurano del diametro di otto piedi, e dieci pollici; e l'intercolunnio così non giunge bene ad un diametro , e mezzo. Alla pagina 186, e stampa N. 12,2 del Peristilio del Tempio di Tentira, le colonne si misurano esattamente (pro- testa Denon) di piedi sette , ma 1' intercolunnio di mezzo è largo piedi 14 \ ; bisogna unire a questa misura i due semidiametri o raggi delle due colonne vicine, o (che è lo stesso) il diametro di una colonna per avere l'intera lun- ghezza della pietra , che nel]' architrave si congiunge alle laterali da centro a centro di colonna. Verremo per tale guisa ad accostarci alla lunghezza de' pietroni di Ermopoli , e precisamente a metri ó, 97, braccia i3, oncie 5. Memoria del Sig. Incegnere Giuseppe Bercolli. io, Che gli Egiziani avessero, e lavorassero pietre anche maggiori non è a stupirsi ; oltre la colonna ili Pompeo di un sol pezzo di granito di piedi parigini sessant' otto, me- tri 22, braccia 4^5 misurata da Denoiij e suoi colleghi, gli Obelischi in Roma ce ne farebbero testimonianza: ma che gli Egizj stessi portassero colà su a posare sopra co- lonne colossali si enormi pezzi di marmi per costituire gli architravi di que' Monumenti invincibili dai secoli, e dalla barbarie Ottomana , è ciò che forma lo stupore di chiunque seriamente vi consideri, e somma venerazione dovrà pre- starsi a quelle genti de' primi tempi, che tanta avean dunque perizia nella Statica, e nelle Meccaniche. 18. Sopra degli architravi e per corona dei loro edifizj posarono gli Egizj un secondo membro per lo più a sgu- scio, terminato da un listello, e v'impiegarono pure il loro consueto marmo granito ; ma siccome esso cornicio- ne, dirò così, veniva sostenuto dall'architrave, né portava vermi peso , non avean perciò bisogno ( vado come diceva immaginando) di tanto lunghe pietre, e tutt' al più tanto che posando si accostassero al fulcro, ossia al capitello delle sottoposte colonne, come adunque nella figura V.* Ciò, che mancava a riempire il vuoto fra un pietrone, e l'altro di questo secondo membro o cornice, potevan com- piere con minori pietre, e più sottili, e ciò avranno fatto con facilità; e perchè poi dal numero di esse sottili pietre, e dalla connettitura fra loro , e colle grandi vicine , ne na- sceva un' interruzione gradevole al monotono, che presenta una linea retta prolungata per tutto l'edilìzio, e vedendo che di tal guisa operando replicavano nelle cornici quella scannellatura delle colonne, alla quale erano già accostumati e dava loro grazia , si avvisarono di ripetere questa interru- zione di linea sull'appiombo di ogni colonna, e così dal ri- sparmio di fatica, e di lavoro ne nacque presso gli Egiziani un ornato, dal quale ripetere si deve l'origine del Triglifo. ao Del Triglifo Ornamento della Civile Architettura ig. Apransi i libri de' viaggi di Denon, e sfido, che si trovi un solo Tempio, un solo Monumento che non ci pre- senti il Triglifo nel secondo ed ultimo membro del corni- cione Egizio nel posto preciso del fregio della Architettura Greca, e Romana. Ne riporto un abbozzo nella figura VI.,* che è il magnifico Portico del Tempio di Tentila con tanta accuratezza disegnatoci dal nostro valente artista. Tutti gli aspetti de' Tempi sono di tal modo decorati (2,4)5 e& anzi è tanto vero, che la ideata collocazione delle minori fra le maggiori pietre della cornice piacrpie agli architetti Egizj , che ne figurarono collo scalpello la frequenza maggiore; e tal lavoro disegnarono negli intercolunnj , cosicché i Triglifi Egizj si veggono frapposti nel falso ancora di essi interco- lunnj, come lo manifesta la figura VII.* che è la veduta del portico del Tempio di Latopoli o Esnè; dirò anzi, che così spessi sono i Triglifi in tutti i Monumenti di quel popolo, che soltanto in quello riportato alla suddetta figura VI." gia- ciono sul vivo delle colonne : e non solo de' Tempj _, ma de' Palazzi, e Monumenti tutti di quel venerando paese sono le cornici egualmente lavorate , per modo che ripugna ri- petere d'altronde, che dalla Egiziana Architettura, l'origine e la natura del Triglifo copiato da' Greci, e ricopiato dai Romani artisti ( a5 ). (24) Da 1"al capanna avran copiato il Triglifo gli Egiziani? Da quali fab- briche avran preso motivo di esprimere le teste delle travi? Essi che scarseggiano di alberi, mentre abbondano di granito, e di marmo fecero tutte le fabbriche loro? Essi che non abbisognano di tetto, ma che con sole terrazze spianano la sommità de' loro edifìzj? Se la accomodino gli Algarotti, i Milizia, gli Estensori delle Memorie sulle Belle Arti , mentre io non saprei come idearne un' ipotesi plausibile. (a5) La signora Petralba , o meglio il signor Ingegnere Architetto Pia- cenza nel libro della Origine della Greca Architettura: Milano 1818 al §. 49- e Seguenti rileva, che Vitruvio stesso confessa, che i Greci dovevano il tutto in Architettura all'Egitto, ed all' Italia, con che ( prosegue al §. 54. ) resterà pro- vato quanto mal a proposito si abbia voluto attribuire alla Greca nazione il pre- zioso ritrovato della buona Architettura e non piuttosto la sola sua conserva- zione e trasmissione fino a noi per opera di Vitruvio. Memoria del Sic. Ingegnere Giuseppe Bergolli. ai ao. Qual ragione si aveva adunque per contraddire alla sentenza del P. Paoli, e per rinfacciargli, che trovandosi nelle fabbriche di Pesto i Triglifi nel frontone dovevano valutarsi per Greca invenzione e costruzione? Appunto per- chè nei Tempj di Pesto abbondavano i Triglifi, appunto perchè esistono ancora nel frontone, abbiamo ragionato, che i Tempj Pestani devono attribuirsi ad una Architettura più assai antica della Greca, ed appunto perchè sono lavorati colla prima semplicità senza regolo, senza goccie, ed alla Egiziana maniera : il P. Paoli non conosceva della storia delle Arti di Egitto apparente dai Monumenti che il poco, che ci hanno lasciato uomini per altro coraggiosi, e bene- meriti, quei viaggiatori isolati, e spesso dalla superstiziosa ignoranza e barbarie degli Arabi, e dei Turchi impediti di fare quelle pacate indagini o ricognizioni che V importanza delle cose esigeva. Che se nel 178.5 quando nelle avvisate Memorie delle Belle Arti, e nella lettera di Bajocco si rinfacciava al Paoli l'ignoranza degli ordini architettonici, avesse egli avuto il corredo di notizie, che uomini dotti, e scortati da poderosa armata poterono nel 1799, e 1800 quietamente instituire in Egitto, e riunire nella preziosa raccolta di Denon che or possediamo, qual forse unico frutto di quella temeraria spe- dizione, non si sa a chi avrebbe toccata la marca d1 i 2:110- Oggetto poi del libro della signora Petralba essendo di provare che la gentile Architettura degli ordini Jonico e Corintio è di inspirazione, e d'insegnamento Divino, parlando dell'ordine Dorico più pesante, opina bensì, che i Greci pos- sono avere quésto pure appreso dagli Ebrei, e particolarmente dal Monumento dei Maccabei, ma ritiene, che non già di Divina, ma di umana invenzione sia quest' ordine, e che i Greci abbiano del Dorico apprese le simmetrie dagli Orien- tali : ond' è ( citato §. 54. ) che i Greci dovettero apprendere in Italia quello che visibilmente non conobbero in Egitto. E discorrendola sul Monumento di Simone Maccabeo, e sulli teschj di Toro, emblema acconcio ad ornare la robustezza della Architettura Dorica e sostituito dai Greci nel cornicione di quell'ordine, conclude, che i Greci stessi abbiano appresa dagli Orientali anche V Architettura Dorica. %% Del Triglifo Ornamento della Civile Architettura ranti: fin d'allora, e Lodoli, e Paoli avrebbero fatto scom- parire quel tanto invalso pregiudizio di tutto ripetere 3 e tutto ammirare nel Greco sapere : il sistema della Architet- tura Lignea., effigiata nelle Greche costruzioni sarebbe ca- duto dalla penna degli Algarotti, dei Milizia., e de' seguaci suoi. ai. E tale fu l'oggetto di questo (forse troppo -lungo) Accademico Articolo , che se le occupazioni di mio istituto ne concederanno agio bastevole per la serie dei disegni , che abbisognano, tenterò di sostenere tutta insieme la Tesi del rinomato Paoli, ove nella lettera dottissima sull' ori- gine della Architettura ragiona, che non dal legno., ma bensì dalla pietra deriva il solido ^ ed il comodo, non tanto, ma il bello ancora di quest'arte importantissima: ragiona, che l'Architettura Lapidea degli Orientali è il tipo,, dal quale i Greci ricopiarono la loro : dopo le fatiche di Denon, e de' suoi dotji colleghi codesta Tesi riuscirà di facile dimostra- zione, e chiaro vedrassi, che non dall'albero, e dalla ca- panna traggon la loro origine le colonne, e le decorazioni delle fabbriche. Discendendo ai minuti dettaglj potremmo vedere e- spressi nei capitelli Egizj le volute, ed i caulicoli ^ senza avere bisogno di ricorrere alle favole delle acconciature femminili nel Jonico, e del canestro di Callimaco nel Co- rintio capitello ( 2.6 ) ; si potrà render ragione persino del colore turchino della tavoletta di Vitruvio, con che ci dice celarsi la trave, e formarsene il Triglifo, e così delle goccie, o campanelle dal Triglifo pendenti, siccome di cose aggiunte o incastrate dai Greci, e Romani nelle loro fabbriche, ma tolte dai Monumenti eterni dell' Egitto ( 27 ) ; di quel paese, (26) Veggasi Denon Tom. r. pag. i63. Tav. 98, Vignetta I. ( 37 ) Suddetto pag. 81. Tav. 44- del Tempio di Ramale, ed ivi alla Nota a.; ivi pure pag. 82. Nota r. ohe fuori dfgli Egizj niun popolo eresse degli Obeli- schi ; ed i Romani, volendone pur essi avere, invece di costruirne de' nuovi, fecero sotto Augusto venir dall'Egitto i due, che Stsostri aveva posti a decora- zione di Eliopoli di cubiti 120. Memoria del Sic. Ingegnere Giuseppe Bergolli. a3 da cui non solamente i Greci, ma tutte le altre nazioni ereditarono le scienze, e le arti (28); di quel paese, ove un solo fiume scorrendo attraverso di nude, e spogliate rupi calcaree, e granitiche, ha potuto formare di un suolo are- noso, che seminava condannato alla desolazione, alla steri- lità, ed al silenzio, la contrada più fertile, la più abitata della terra, la più celebre nella storia de' popoli. Nota del i5 Maggio i8a5. Di questo articolo già da molto compilato , e riveduto ne erano pur anche disegnate le figure sino dell' 8 Aprile scorso, quando nel successivo giorno 14 il dotto signor Ab. Cavedoni mi die notizia di un' opera siili' Architettura Civile del signor Wiebeking : ignaro io affatto della lingua Tedesca ebbi ricorso all' esimio Bibliotecario della Estense Signor Lombardi membro, e Segretario della Società Ita- liana, e Direttore della Sezione di Scienze dell'Accademia nostra, che forni dell' opera stessa un distinto personaggio, di quella lingua esperto come in ogni letteratura perito, dal quale con foglio del 7 corrente Maggio fui assicurato, che Wiebeking1 si pronunzia contro 1' opinione che la co- struzione Lignea abbia fornito il tipo di quegli ornamenti che fregiano la marmorea, traendone V argomento dalla man- canza di legnami presso i popoli della Nnbia, dell' Etiopia , e dell' Egitto: codesto principio generale, che è conforme ai sistemi di Lodoli, e di Paoli, che ho sin qui difesi, Wiebeking non può che averlo desunto dai Monumenti Egizj che ci offre Denon, moltissimi de' quali egli riporta nelle copiose tavole della sua opera : e quand' anche fosse stato prevenuto in favore de' Greci, era forzato a cambiare d' avviso dopo le fatiche dei dotti della spedizione. ( a8 ) Do Baillou Geograf in Denon Tom. i. pag. i. a4 Del Triglifo Ornamento della Civile Architettura Discendendo il Tedesco autore nei dettaglj , e perciò ancora al Triglifo, mi si assicura sostenere egli die i Monu- menti Egizj confutano V opinione di Vitruvio, che il vuole derivato da un ornamento delle teste dei travi , e che i Greci altro non fecero che impiegarlo anche nel fregio : sentenza che perfettamente coincide con l' assunto di questo mio Di- scorso,, se non che le ragioni ne sono diverse; imperocché il signor Wiebeking vede la effigie del Triglifo soltanto in alcune colonne a Tebe , e desume che esser possa un' allu- sione , un misticismo , o simbolica e misteriosa allegoria qualsiasi Egiziana. Laddove a me sembra di avere dimo- strato, che dal bisogno, e dal risparmio nella edificazione sia nata quella disposizione di pietre minori fra le maggiori del cornicione Egizio, che somministrò la prima idea, e forma anche oggidì il noto Triglifo. Ninno de' simbolici caratteri, geroglifici o dipinture esi- bitici da Denon, niuno ci offre, anche lontana la immagine del Triglifo, mentre gli altri emblemi sono ripetuti con molta frequenza ; e quelle colonne che 1' architetto Tedesco vede a Tebe colla figura di questo membro nel capitello, non mi sembrano convalidare la di lui supposizione, perchè que' ca- pitelli non sono che la continuazione delle cannellature della colonna , o piuttosto quelle colonne non hanno capitello, o esso non è , tutt' al più , che la entasi della stessa colonna bizzarramente formata colassù alla di lei sommità. Ciò non pertanto ne torna a conforto d' incontrare nel signor Wiebeking quel primo autore, a mia notizia , che abbia stampato in favore delle Tesi Lodoliana e Paolina. L'interesse che nutro per i progressi della Civile Architet- tura ragionata, non mi lascia perciò sentire quel dispiacere, che si desta nel trovarsi da altrui, anche in parte preve- nuto ; e così la presente nota ( già prima comunicata ai rispettabili membri dell' Accademia nostra) non per altro qui aggiungo , che per allontanare da me ogni leggier so- spetto di plagio, o letteraria frode. i^rfe morti i/e//,? ■ 4s,i/ /•//"//, l'c/'J//,lì< (r/pirc/t ■ 7ba II 'raoecn V M'-'hi/L^ .'■'■><* ry-/*, y. ~-&,air„a .s-,m /\ ^„om y, ^ 6* _y-, /x *■'/>■*■** f '/' ^^ -l//fv/^»« //u Sane tniuA détti f,,r,,//r/fc Xt . %ttt Aa'.Il' a a L 1, à 4 j ( ' C ( yy,<. i blutncrt I otberu ' tmnc ( afeam r.t. 'iniàtit 7 tfffrfy u i ' iw in. ve (or,-*/??' o Ca/èm 1 \ . ■ I ijjr&oecruont ytÀ//7rai r suo o/rtttiwtt. .>/.,- A a • e e e 1) , yuachr/a Alia riessa Tram >> . iena rov/o o // bone iv/xo v mtc/est-mo '%cà C '>"'" ' ' ■"jl"'"1. A// 'fiMefia o'/w Stria ■ -....■- • . ■ '<"■" /,/// .'.//., ytfs/' ^w^w -^ ->fy^y,. _gj ^ii*iU, *&* y-^iya /■ //,,/„„ y„„y,.,„.//r ,/„„„„„,,,■, ./■■•;'.,/„,/;,„,.,,. . />,,,,„ .<-/;.,,.,.„,,„, '//tt ,/ ,. ■<;.■/,,/• ì %•/£ '-«<'./■'/:/„„< '"' L / . y . . ''' '"■■■/"/-,/, r,,/„ ■/'„/, „„,„„,/„, ,/.,.,„„/.,,„,/,,.,/,//„ V-'/" "■/" i/W, '« '///a/m,j , I y„/,/„„„ ;,//„„/,„ .■ 34a=/>" - //■■■/."■ //s//>,>s-s.z i&eryerfb -^i-' SS' ■ -le*&4* ' 't<±4HC£"iAU, i/t • '< . r . z/p&o j&jZst riva /£/■- rac m. /a&&za ,/, : ZorCTia. C remi a//,eVr <£ &//, /, livrjS//,,^/,, ' ^OÀ iJtétZt 'i/* , . c-V^. Iffl c_y £rr£/£s- etti ••' 'r/nvt, r// -_S a/*'/ir/ 'da ^. ''■' "" ",'/A /'" DESCRIZIONE DI UN NUOVO CIRCOLO RIPETITORE IN ALTEZZA ED IN AZIMUTH DEL SIC PROF. GIOVANNI BATISTA AMICI Letta nell'adunanza del 26 Marzo 1822. J? ra i maggiori e più interessanti servigi resi in questi ultimi tempi alla Geodesia si annovera giustamente il prin- cipio della ripetizione degli angoli, introdotto con varie forme e modificazioni negl' istrumenti che escono dalle officine de' più abili e rinomati artisti. Con un Cerchio o con un Teodolite ripetitore, di soli otto pollici di diametro, si pren- dono ora gli angoli di posizione degli oggetti terrestri con tanto accordo di risultamento che tale appena potrebbe spe- rarsi dall'uso d' istrumenti incomparabilmente più voluminosi, di assai diffìcile ed incomodo trasporto, cui non fosse appli- cato il meccanismo della ripetizione. Un tal grado di esat- tezza che ottiensi facilmente nella misura degli angoli oriz- zontali si credè da prima poterlo conseguire in egual modo adoperando il medesimo artifizio di ripetizione, nelle osser- vazioni di altezza. Ma l'esperienza non ha molto tardato a dimostrare delle anomalie di qualche minuto secondo che non di rado in questo caso s' incontrano , senza che la sa- gacità di valentissimi osservatori abbia potuto sin qui as- segnarne la vera cagione. Tom. 1. d 2.6 Descrizione di un nuovo Circolo Ripetitore ecc. Chi ha attribuiti questi errori ad un giuoco troppo libero degli assi di rotazione dei cerchj , chi all' elasticità de' cerchj stessi quando i loro perni., soffrendo molto attrito, presentano una sensibile resistenza a muoversi ; chi alla flessione del cannocchiale, o all'imperfetta azione delle ta- naglie che fermano il nonio ed il lembo ; chi infine alla troppa scioltezza delle viti di trasporto de' circoli , od a qualche altra sorgente che sarebbe superfluo qui riferire. In generale si è più insistito sull' azione , e sulla ricerca delle cause di errori costanti che sopra l'effetto di quelle, la cui natura è suscettibile di compenso come sarebbe 1' errore di appuntazione (pointé) , e l'errore del livello. Contuttociò se si riflette che non solo è accaduto ad osservatori diversi con diversi cerchj di trovare dei risultati differenti nella determinazione della latitudine assoluta di un medesimo luogo, sebbene le serie particolari delle osservazioni di ognu- no si accordasse!- fra loro; ma che questo è avvenuto ezian- dio ad uno stesso osservatore che si è servito replicatamele del medesimo istrumento, del medesimo metodo di osserva- zione, e delle medesime stelle: conviene pur confessare che le supposte cause di errori costanti non sono costanti esse stesse , e che molta incertezza rimane tuttavia sull'origine di quei piccoli sbagli, ai quali vanno soggette le osservazioni di distanza al zenit. Per verità tutte le indicate sorgenti, o parte di esse, possono aver contribuito a produrre delle differenze nelle misure d' altezze ; ma quanto è facile il riconoscere la pos- sibilità della loro influenza , altrettanto è difficile ed anzi impossibile il voler decidere se piuttosto a queste o ad altre ignote cagioni attribuir si debbano le discrepanze. Trattandosi di piccoli istrurnenti di conveniente robustezza e da abile artista costruiti, io porto opinione che nessuno degli errori costanti della natura indicata abbia a temersi , quando si usino le dovute cautele, e si operi con agio. Mi pare anzi che la precisione de' risultati da altro limite non sia circo- Del Sic. Professore Giovanni Batista Amici. 2,7 scritta che dal grado di forza del cannocchiale, e più ancora dalla necessità di adoperare un livello. Alcuni astronomi hanno già riconosciuto della irregola- rità nei migliori livelli ,« e il celebre Piazzi loro accorda sì poca fiducia che ad istanza di lui la Reale Accademia delle Scienze di Napoli nel suo Programma pel premio da darsi nel 1820 alla descrizione del miglior cerchio Astronomico, impose la condizione che le verificazioni non dipendessero da qualsiasi livello a spirito. Per altro deve considerarsi che se mezzi diversi possono esser con vantaggio sostituiti ai livelli nelle verificazioni dei grandi circoli collocati stabil- mente in un osservatorio, si verrebbe a rinunziare ad una preziosa comodità, senza gran compenso nella precisione, se si volessero del tutto escludere negli strumenti portatili. Applicando in un modo robusto dei buoni livelli ad un telescopio di considerabile ingrandimento, e collimando con esso ad un oggetto terrestre, nel mentre che la bolla segna per esempio zero, io mi sono accorto che coli' abbassare od alzare il telescopio, e col rimetterlo poscia al suo punto di mira, la bolla non ritorna sempre alla divisione primiera. E cosi reciprocamente se la bolla si riconduce allo zero, il telescopio spesso manca di segnare l'oggetto cui preceden- temente stava appuntato. Questo difetto proviene dal tempo considerabile che occorre affinchè la bolla si restituisca al suo posto ; e talvolta si giudica che essa sia ferma quando in realtà lentamente si muove per ricondursi al suo giusto equilibrio. Si deve dunque tanto più temere questa imper- fezione quanto minor tempo si conceda al livello per ricom- porsi. Or ciò è appunto quello che accade neh' uso dei cerclij ripetitori. Destinati questi istrumenti a trovar l'al- tezza di un astro, il tempo delle osservazioni che vi si può impiegare, necessariamente è ristretto a pochi minuti ; ne' quali volendo pur profittare del vantaggio delle ripetizioni degli angoli, convien passar senza indugio da un'osservazione alla successiva. Niuna meraviglia adunque che angustiati 2,8 Descrizione di un nuovo Circolo Ripetitore ecc. dalla mancanza di tempo , si giudichi erroneamente della posizione della bolla del livello, e che si trascurino alcune di quelle precauzioni nel maneggio dell' istrumento , che possono contribuire alla maggiore esattezza delle misure. So bene che essendo l* errore del livello di un genere non costante, la sua influenza colle moltiplicate ripetizioni se non si annichila, deve almeno riescire insensibile. Tale com- penso però essendo l1 effetto di pura probabilità, resterà sem- pre dubbioso dopo le poche osservazioni eseguibili nell'in- tervallo di alcuni minuti ; e parmi che mal si apporrebbe colui che trovando due misure differenti di una medesima altezza , negasse che neh' errore avesse parte alcuna il li- vello , perchè la regolarità delle serie ì-ende ciò poco pro- babile. La probabilità del contrario non esclude la possibilità del fatto , e i difetti riconosciuti nei livelli bastano a farne temere la cattiva influenza^ quando non venga positivamente dimostrato che ad altre cagioni debbano attribuirsi gli errori. Comunque sia io ho creduto che si potessero evitare le difficoltà immaginando un nuovo artifizio colf ajuto del quale la ripetizione degli archi facendosi indipendentemente dalle osservazioni degli astri;, e dal loro movimento, fosse permesso di prolungare a piacere le ripetizioni di altezza senza essere astretti ad un tempo limitato. Or questa mia idea essendosi già da me praticata, ho stimato non immeri- tevole di descrizione il nuovo mio istrumento , il quale al vantaggio di cui si è fatto menzione ne unisce pure alcuni altri, e particolarmente quello che per dar compimento a qualunque osservazione basta una sola persona., mentre due se ne richiedono per 1' uso degli ordinar] cerchj ripetitori. La figura disegnata in prospettiva mostra la costruzione del circolo ripetitore in altezza ed in azimuth, che serve al doppio uso astronomico, e geodetico. Il circolo azimutale interno che porta i nonj è attaccato stabilmente ad un ro- busto asse d'acciajo AB, il quale s'introduce in una co- lonna di bronzo che fa parte del piede. Del Sic. Professore Giovanni Batista Amici. ao, Nella porzione conica C di quest'asse si aggira il cer- chio esterno azimutale D in cui sono segnate le divisioni, e può col nonio aver comune il movimento di rotazione, oppure mediante una tanaglia T restar fermo nel mentre che esso nonio si muove. Per tale distribuzione di parti i sostegni dell'asse oriz- zontale F, i quali appoggiano sul cerchio interno, vengono ad acquistare maggior solidità di quella che avrebbero se il cerchio lembo fosse fissato all' asse verticale, ed intorno a lui collo sfregamento su breve cono, come ho veduto praticarsi da qualche artista, girasse il cerchio nonio che deve portar maggior peso. Una costruzione analoga si è adottata riguardo ai cir- coli verticali. Il cerchio nonio G che porta il cannocchiale rimane vitato all'asse F, il quale nell'altra estremità riceve il contrappeso, cui va unito il livello L. Così il cerchio lembo H, oltre il movimento comune coll'asse F, ruota an- che intorno all' asse medesimo, e può fermarsi coli' ajuto della tanaglia S attaccata ad un braccio del cerchio intemo azimutale, e che si ripiega in basso : infine una molla M. che poggia sul centro A sostiene gran parte del peso cari- cato sull' asse orizzontale, impedisce la sua flessione, toglie il troppo sfregamento sugli appoggi di lui, e fa che il cer- chio azimutale non abbia a piegarsi. Con questo istrumento una persona sola può fare qua- lunque osservazione d' altezza senza che alcuno V ajuti a situare il livello ed a notare i tempi dell' orologio. La ripe- tizione delle altezze si eseguisce infatti come segue. Si mette a zero il nonio e girando i cerchj uniti si colloca la bolla nel centro del livello ; quindi si ferma il cerchio esterno e si mira col cannocchiale all'orsetto, ruotando il solo cerchio interno ; e così si ha l' arco semplice. Di nuovo i due cer- chj si girano insieme finché il livello si riconduca alla prima posizione, locchè stabilisce un secondo punto di partenza per far nella stessa maniera la seconda osservazione d'ai- 3o Descrizione di un nuovo Circolo Ripetitore ecc. tezza. In tal guisa 1' angolo si duplica e successivamente si triplica, e quadruplica ecc.., sempre seguendo la progres- sione aritmetica de' numeri naturali. Se 1' oggetto osservato fosse in moto 1' artifizio per ri- durre ad un' epoca sola le osservazioni d' altezza ripetendo l'angolo per un tempo arbitrario, consiste in un microscopio composto Q applicato con un piede al cerchio nonio azimu- tale, e mobile in un piano parallelo al cerchio verticale, indipendentemente da tutti gli altri movimenti della mac- china. Questo microscopio può dirigersi ad un finissimo se- gno fatto in un dischetto di cristallo che aderisce al tubo del cannocchiale, e che si illumina colla luce, la quale passa attraverso l'altro dischetto 2V a lui contrapposto. Da ciò pertanto risulta che fatta la prima osservazione d' altezza dell' astro , notato il tempo dell' orologio , e portato il mi- croscopio a collimare col seguo marcato nel dischetto del cannocchiale, la ripetizione dell' angolo non esige più la presenza dell' astro ; ma essa si compie coli' uso del micro- scopio, il quale rimanendo al suo posto fa le veci dell'astro stesso^ e lo rappresenta costantemente a quelF altezza in cui si trovava all' epoca già notata della prima osservazione. Si potrebbe forse opporre che mirando una sola volta all' oggetto si viene a rinunziare al vantaggio di un proba- bile compenso degli errori di appuntazione. Per verità se il cannocchiale mal sia diretto da principio, l'errore commesso rimane tutto intero nel risultamento finale,, poiché col nuovo metodo di ripetere esso si rinnova nello stesso senso ad ogni osservazione. Ma non per questo la ripetizione eseguita col microscopio parmi che sia da posporre all' uso del can- nocchiale ; imperocché non essendo sollecitati dalla ristret- tezza del tempo, si può impiegare tutta l'attenzione nell'os- servazione primitiva, e scegliere quell' istante in cui l' astro si mostra più tranquillo e meglio coincidente coi fili del micrometro. Inoltre compita una serie di osservazioni d'al- tezza appartenenti ad un dato tempo se ne possono formare delle altre per tempi diversi, e poscia insieme combinarle., Del Sic Professore Giovanni Batista Amici. 3i onde tutte concorrano a produrre una maggiore precisione. Se la forza del cannocchiale rende sensibile, per esempio, un angolo di tre minuti secondi, noi potremo esser certi di non commettere nella prima osservazione un errore più grande di questo limite; e ciò basta per giungere ad un' eguale esattezza nella lettura delle divisioni, ripetuto che sia l'arco per mezzo del microscopio quante volte si creda necessario. Non mi fermerò molto a descrivere i mezzi di rettifica- zione dell' istrumento, poiché agli intelligenti basta anche la sola ispezione del disegno. Un livello a staffa V serve a collocare l'asse F ad angolo retto con l'asse BA e a met- tere quest'ultimo nella verticale. La linea di collimazione del cannocchiale rispetto al piano del circolo H si corregge col movimento del reticolo R, e l'errore si può conoscere in due maniere: o servendosi delle divisioni del circolo azi- mutale guardando un oggetto lontanissimo col cannocchiale diretto, e poscia rivoltato ; oppure levando da' suoi appoggi l'asse F con le sue attenenze, ed invertendolo come si fa degl' istrumenti de' passaggi. Questa seconda maniera però riesce più incomoda, poiché fa d'uopo togliere il contrappeso che non può uscire per l' anello , attorno cui si muove il microscopio composto. Il livello L è corredato degli oppor- tuni movimenti onde la bolla segni zero quando la linea di collimazione del cannocchiale si trova parallela all'orizzonte. L'errore a ciò relativo si può molto esattamente valutare prendendo una serie d'altezze di un oggetto col lembo a levante, ed un'altra serie col lembo a ponente, dovendo la loro somma in caso di perfetto aggiustamento formare 180 gradi. L' esperienza mi ha poi dimostrato che fatto una volta questa verificazione, ristrumento di cui si parla, e che ha ambi i circoli di otto pollici di diametro, si conserva ret- tificato per lungo tempo. Rispetto all'uso che di lui si fa nella misura degli angoli sottesi da due oggetti terrestri, apparisce chiaramente che esso si può adoperare come un ordinario teodolite, avvertendo di correggere col calcolo i 3a Descrizione di un nuovo Circolo Ripetitore ecc. risultati affetti dall' errore dovuto alla eccentricità del can- nocchiale; o meglio se ne può servire in maniera che la ripetizione dell' angolo si eseguisca or col cannocchiale a de- stra, ora a sinistra alternativamente, colla quale operazione si viene ad eliminare l' errore che dall' eccentricità del cannoc- chiale dipende. Infatti X ed Y rappresentino (nell'altra Figura) i due oggetti terrestri e sia C il centro del circolo. Se si suppone in B il cannocchiale diretto ad X, e poscia trasportato, col movimento del solo cerchio nonio azimutale, in B' ove col- limi con Y, si avrà nel lemho marcato l'angolo BCB'. Ruo- tandosi adesso tutto il sistema attorno all' asse verticale, in modo che il cannocchiale si possa, dapprima pervenuto in D, appuntare ad X, e movendo come precedentemente il solo cerchio nonio; condurre in D' nella direzione Y; egli è chiaro che nel lembo si sarà percorso un arco eguale alla somma dei due angoli BCB' e DCD\ la cui metà eguaglia preci- samente F angolo al centro XCY. Io non prolungherò di più la descrizione del nuovo cerchio doppiamente ripetitore già abbastanza sviluppata, ma non debbo lasciare di avvertire, che F artifizio del mi- croscopio atto a rappresentare la posizione invariabile di un astro, servir può ancora con grande vantaggio a render ripetitore un circolo meridiano collocato stabilmente fra due pilastri di marmo. Se si riguarda questa nuova idea tanto dal lato dell' economia, che da quello dell'esattezza, e della facilità della costruzione, panni che per ognuno di questi titoline venga i-accomandato l'eseguimento. Imperocché con un cerchio di soli otto pollici di diametro diviso di io" in io" e con un cannocchiale di cinque piedi di distanza focale, si può giungere ad una precisione maggiore di quella che ci procurano cerchj incomparabilmente più larghi, più costosi, e più difficili da costruirsi. Per sentire la superiorità della costruzione che propongo basta riflettere che per quanto ben fatte si suppongano le Sem / ^,o„. .A . V,,, .^t. jqz ^ j£ ^ 7", emona -_ 'Ss,,, ai,' cetitctt Del Sic. Professore Giovanni Batista Amici. 33 divisioni di un circolo, la lettura delle medesime non giunge mai a ([nel grado di esattezza di cui è suscettibile l'appun- tazione con un perfetto cannocchiale, anche di soli quattro pollici di apertura. Se comunemente si la ascendere ad un minuto primo l'angolo minore visibile ad occhio nudo, si potrà vedere un angolo di un terzo di minuto secondo con un ingrandimento di cento ottanta volte prodotto dal can- nocchiale delle dimensioni indicate. Ora nei nostri migliori e più grandi cerehj chi può ripromettersi di leggere Parco con altrettanta accuratezza ? Ma io voglio anche ridurre la forza del cannocchiale al limite di un intero secondo, poiché la distinzione col mezzo de' vetri non eguaglia mai quella dell'occhio disarmato, ed il pennello luminoso non abbraccia che piccola parte della pupilla; ciò non pertanto quali sono quelle divisioni che possono sostenere un siffatto paragone ? Il mezzo della ripetizione finora è il solo che possa giungere a quell'esattezza; e se come ho detto il circolo meridiano non abbia che otto pollici di diametro e sia esattamente diviso in io" basterà ripetere dieci volte 1' angolo per met- tersi del pari col grado di forza del cannocchiale. L'errore del microscopio composto inserviente alla ripetizione potrà sempre esser ridotto a meno di un minuto secondo, col ser- virsi di un'amplificazione considerabile, e col fissare verso l'estremità del tubo del cannocchiale il dischetto di vetro sopra cui sta scolpito il finissimo segno al quale si deve collimare. Del rimanente io non entrerò a spiegare la par- ticola]- forma da darsi ad un cerchio meridiano costruito sul principio che ho accennato onde ricavarne il maggior pro- fitto. Ora mi basta l'averne di passaggio fatto conoscere l' idea. Tom. I. SOPRA UNA NUOVA SPECIE DI CARTA TRATTA DALLA DAPHNE LAUREOLA DEL LINNEO MEMORIA DEL SIG. PROF. GIO. DE' BRIGNOLI DI BRUNNOFF Letta in diverse adunanze dell'anno 1822. J? ra le manifatture che più onorano l'industria dell' uomo , il quale seppe in questi ultimi tempi perfezionare a segno da non potersi desiderare un raffinamento maggiore y si è quella della carta. Lascierò agli eruditi la cura di darvi notizia intorno all'inventore di questa, né mi farò ad esporre la immensa utilità che ne possa essere derivata con perpetuare la memoria de' fatti e degli utili scuoprimenti , poiché rimane, a mio avviso, ancor dubbio se sia maggiore il danno provenuto dalla soverchia moltiplicazione de' libri, ove specialmente si consideri 1' abuso che per le stampe si è fatto di tante opere disutili, o vuote di cose, non che di quelle molte che tendono a pervertire la morale ed il co- stume: oppure la utilità che per essa ne derivò, sì con as- sicurare i diritti e le proprietà de' cittadini, come con fa- cilitare il commercio e le relazioni fra' diversi popoli della terra, e lo avanzamento delle scienze e delle arti. Memoria del Sic Prof. Gio. De'Biugnoli ni Brunnoff. 35 Prima die fosse ritrovata la carta di che ci serviamo, cioè appena che furono inventati quelle di tiglio ( 1 il/a europoca. L.), quelle di noce (Juglans regia L. ), e la suddetta ginestrella. Tutte queste carte hanno però il difetto d' essere di tinta più o meno scura, e poco durevoli; anzi alcune di esse sono fragilissime; il perchè sembra che le cure del celebre Dott. Schaeffer abbiano recato poco., o nullo vantaggio. Lo studio principale di coloro che di tali cose si occupano , panni, se non prendo errore, eh' esser dovrebbe la durevo- lezza della carta, e segnatamente la ricerca di renderla in- combustibile, e inattaccabile dal così detto tarlo de' libri, che in breve tempo distrugge i documenti più importanti, e le più rare edizioni. Furono varj i tentativi da me fatti onde trovare una preparazione che valesse a rendere incombustibile la carta, ma tutti finora mi riuscirono vani. Fui bensì fortunato nel rinvenire un vegetabile , il quale ha la prerogativa di som- ministrare una finissima carta, ottima da scrivervi sopra, senza bisogno di unirvi la colla, che molto si rassomiglia a quella della China, ed è appunto dotata della proprietà di non essere attaccata dal tarlo. È questa la carta eh' io vi presento, Colleghi ornatissimi, fatta eseguire in una cartaja di Reggio, con la pasta, che il già mio discepolo, ora far- macista, signor Bernardo Jori, compose secondo le mie istru- zioni, traendola da un vegetabile indigeno di questi monti, d' onde me ne procurai una discreta quantità mediante un rizotomo. Ma prima che vi esponga il metodo che si è seguito per ottenerla, conviene che vi tenga parola della fortunata combinazione per cui vennemi in pensiero di fare questo tentativo. Nell'Agosto dell'anno 1 8 1 g il signor Cavaliere N. Wallich Danese , direttore dell' orto Botanico della compa- gnia delle Indie stabilito in Calcutta di Bengal, mi favorì della spedizione di i5o specie di rarissime sementi vegeta- bili, e con quella gentilezza che gli è propria, volle ac- compagnare questo primo invio col dono prezioso di due 46 Sopra una nuova specie di Carta ecc. suoi opuscoli molto interessanti, stralciati dai volumi XII. e XIII. degli atti di quella Accademia di Scienze, intitolati: Asiatic Researches (4^)- Nel secondo di questi opuscoli evvi fra le altre piante descritta una specie di Timelea ( Daphne ) che l'autore dubbiosamente propone per la Daphne canna- bina del Loureiro (44)- ^a descrizione latina n'è assai am- pia, e corredata della figura incisa in rame, non che di una serie di notizie interessanti riguardanti F uso di tal vegeta- bile nella fabbricazione della carta, e di un saggio della carta medesima con essa formata, su cui è pure impressa la figura della pianta in questione ; le quali notizie scritte in inglese, ho pensato poter essere per avventura da voi, ornatissimi Colleghi, gradito di udirle trasportate in italiano. „ Fra le copiose e metodiche comunicazioni di piante e sementi da Napaul, diche l'orto botanico (di Calcutta) va debitore alla liberalità del signor Eduardo Gardner re- sidente a Katmandu, esistono ancora degli esemplari e delle piante del Paper-shrub, o frutice dalla carta (Set- Burooa degli Indostani, Bliulloo-Soang de'Napalesi), che quel gentiluomo mi avvisa crescere comunissimo in co- deste contrade, e spirare dal fiore una squisita fragranza. Di esso incontransi costì due varietà, una a fiori bianchi del tutto, l'altra a fiori rossetti; ed entrambe sono usate per ornamento non meno che per la manifattura della carta, di cui presento al museo de' saggi di varia dimen- sione e consistenza. La misura della carta comune è gene- ralmente di circa due piedi quadrati : quella della finis- sima è di dieci piedi in lunghezza e di quattro in lar- ghezza, e viene principalmente lavorata in Dotee, provincia del quartiere orientale di Kamoon. Questa carta e per la morbidezza e per la grandezza si accosta a quella che fab- (4^5) Descriptions of two new species of Sarcolobus, and of some other Indian plants - with 4- plates. Descriptions of some rare Indian plants-with i3. platea. (44) Flora Cochinchinensis, edit. Willdenow. T. i. pag. 291. <1 Memoria del Sic Prof. Gio. De' Brignoli di Brunnoff. 47 bricasi nella Cina, e none improbabile, che quest' ultima sia tutta prodotta dallo stesso materiale. Asserisce il Lou- reiro, che nel limitrofo regno della Cochinchina la carta „ si tragga dalla scorza della sua Daphne cannahina, la „ quale sembra differire soltanto dalla mia nell' avere le „ foglie opposte, circostanza che forse dipende dalla colti- „ vazione. È questa vicinissima alla Daphne odora del Thun- „ berg, e alla Daphne. ìndica dell' Osbeck, la quale (al- „ meno secondo la descrizione della Flora Coclrinchinensis) „ è dal Dott. Sims molto opportunamente proposta come „ una varietà della prima. La questione intorno alla iden- „ tità o differenza di queste tre piante potrà solo essere ,, decisa da coloro che hanno i mezzi di confrontarne gli „ esemplari . „ Vado debitore della notizia circa al modo di prepa- „ rare la carta con la corteccia di questo frutice elegante, „ e di alcune parti della descrizione di esso, alle indica- „ zioni datemi dal signor Luogotenente H. R. Murray, ed „ alle seguenti note estratte dalla corrispondenza d' ufficio „ di quel gentiluomo col Consiglio militare di Calcutta. „ Il Set-burooa, o frutice della carta, rinviensi ne' siti „ aprichi delle montagne, segnatamente più elevate e co- „ perte di neve, per tutta la provincia di Kamoon. Traver- „ sando le foreste di quercia fra Bheemtah e Ramgur, po- „ scia da Almora a Chumpawat, e più giù verso il fiume, „ potè lo scrittore di questa relazione ben tosto osservare, „ che il frutice dalla carta piospera e lussureggia soltanto „ dove alligna la quercia ; talché non è probabile possa al- „ Ugnare nel piano. Esso è robusto, ed attinge 1' altezza „ di cinque a sei piedi : fiorisce in Gennajo e Febbrajo, e „ matura il suo frutto rosso ed acre verso la fine di Apri- „ le. La carta preparata con la sua corteccia è utile sin- „ golarmente per cartocci, essendo forte, consistente, non „ soggetta ad iscrepolare o a lacerarsi, ancorché la si leghi „ strettissimo, o la si pieghi : fa prova contro al tarlo ; e 48 Sopra una nuova specie di Carta ecc. „ non riceve la umidità ne' cambiamenti di tempo : resiste „ inoltre per un tempo discreto se bagnata o tenuta nelF „ acqua, rimanendo asciutta. Essa è costantemente usata „ in tutto 1' alto Kamoon, ed assai ricercata in molte parti „ del piano perle scritture de' Nnsubmani (sorta di Nota] ), „ per memorie genealogiche, atti, ecc. a cagione della stra- „ ordinaria sua durevolezza. È questa generalmente grande ,j di un braccio (yard) quadrato allo incirca, e di tre di- „ verse qualità. La migliore mettesi in commercio al mi- „ nuto in ragione di 4° fogli la risma (rupee) ordinaria, „ e all' ingrosso di 80. La seconda è venduta al minuto in „ ragione di 5o fogli la risma, ed all' ingrosso di 100. La „ terza, di molto minor dimensione, si vende al minuto „ in ragione di 140 fogli la risma usuale, ed all' ingrosso „ da' 160 a' 170. „ Ecco il processo semplicissimo della manifattura di „ questa carta. Raschiata 1' epidermide, o superficie della „ scorza, che si sarà levata, si fa bollire il tutto nell'acqua „ con una piccola quantità di cenere di quercia, ingrediente „ necessarissimo, che fa 1' effetto di ripulire ed imbiancare „ la materia. Dopo la bollitura lavasi, ed immediatamente ,, riducesi in pasta con de' piccoli martelli di pietra: que- „ sta poscia si agita in un tino con acqua bollente sin che „ acquisti 1' apparenza di un mescuglio di farina ed acqua. „ Allora gettasi nelle forme , o telaj , tessuti di comune „ bambù. Da questa relazione s' intende come la Daphne canna- bina è prossima, se pure non è identica, alla Daphne odora del Thunberg. Siccome io coltivo quest' ultima nel!3 orto botanico di questa R. Università, ed il sapore caustico di essa è simile affatto a quello della Daphne mezereum. Linn., pianta comune ne' monti subalpini d' Italia, la quale pro- duce altresì i suoi fiori dell' odore medesimo, pensai , la carta che con questa si fabbricasse, dovesse per avventura essere dotata delle medesime proprietà di quella di Kamoon. Memoria del Sic. Prof. Gio. De' Brignoli di Brunnoif. 4f) Perciò commisi ad un rizotonici che me ne portasse una certa quantità, ina questi invece rccomini un gran fastello di Daphne Laureola. Limi, adducendo, che qui non ritro- vasi la Daphne Mezereu/n, che veramente né anch' io non ho mai potuto rinvenire ne' monti Estensi, e vidi però fre- quente india limitrofa valle Toscana, detta de' Mandroinini. Dapprima supposi t che con la Daphne. Laureola non avrei potuto ottenere il mio intento, siccome pianta che forse non conterrebbe i medesimi principj della Daphne Mezereum, e il mio dubbio era fondato sulla mancanza di odore nei fiori; ma considerando che la tessitura della corteccia, ed il sapore del sugo proprio hanno molta analogia fra loro , non esitai di farne l'esperimento, riserbandomi, in caso di contrario riuscimento, di ripetere la sperienza con la Daphne Mezereum. E senza seguire con iscrupolosa servitù il processo degl'Indiani, feci fare dal già mio allievo signor Bernardo Jori l'operazione, che in seguito esporrò. Risulta dalla suc- citata relazione del Cavaliere Wallich essere essenzialissimo ingrediente la cenere di quercia; ma noi non abbiamo le quercie degl' Indiani , né inoltre sappiamo di quale specie di querelasi tratti: d'altronde, il clima assai più caldo che il nostro non è , può influire moltissimo onde ivi le quercie contengano alcuni principj che qui cercherebbonsi invano. Premesse queste tutte cose, passo ad accennare il metodo seguito onde ottenere la carta, che forma il subbietto di questa Memoria. Per imitare almeno in parte il processo Indiano era d' uopo prima d' ogni altra cosa di separare 1' epidermide dalla corteccia ; e per ciò fare, onde rendere esatta la ope- razione, e per quanto si poteva insieme sollecita, era pure mestieri di fare parecchj tentativi, e sceglier indi quel me- todo che riescisse più facile e migliore. Conveniva in pari tempo cercare di spogliar la corteccia della Daphne di una gran parte del principio colorante, e della inueilaggiue so- verchia. Ad esempio degli abitanti industriosi di Lodève in Tom. I. g 5o Sopra una nuova specie di Carta ecc. Francia, che preparano i virgulti di ginestra per trarne filo, il signor Jori fece un fastello de' rami di Daphne eh' io gli mandai: li ammaccò longitudinalmente, e li tenne in digestione per 24 ore nell' acqua entro ad un adattato recipiente. Il gonfiamento che ne derivò, la facilità con cui certi pezzi di scorza separa vansi dal legno, lo staccarsi naturale di alcune striscie di epidermide,, furono di buon presagio intorno al riuscimento della operazione, ed il coloramento avvenuto nell' acqua finì di palesare essere questo il mezzo più atto ad ottenere 1' intento. Immersi poscia per altre 2,4 ore i rami stessi in nuov' acqua, ed essendo per la stagione cal- dissima la temperatura molto elevata, parve al signor Jori di scorgervi un principio di troppo inoltrata fermentazione. Il perchè, estratti tosto dall'acqua, li mise in compressione per otto giorni successivi sotto a de' mattoni s immergendoli però una volta al giorno nell' acqua, affine di mantenere la fermentazione incominciata. Preso nel seguito uno di que- sti rami, osservò, che sbattendolo contro al muro, l'epider- mide separavasi con molta facilità, e la corteccia abban- donava la sua aderenza col legno. In conseguenza di ciò il Jori operò nel modo stesso sugli altri rami, ma vide che la separazione facevasi molto irregolare, forse per la soverchia aderenza dell' alburno con gli strati corticali, essendo che le piante erano state colte in estate avvanzata, o forse anche per essere le piante stesse troppo disseccate innanzi dell'ope- razione, mentre erano state tenute per più di un mese nella mia cantina, atteso che non trovava per le molte mie occu- pazioni l'opportunità di servirmi delle cartaje di Modena, le quali sono troppo distanti dalla città. Abbandonò egli quindi alcuni rami alla disseccazione spontanea: altri ne volle mec- canicamente scortecciare; il che riuscì male, essendosi ac- corto di avere spesso intaccato nel legno ; laddove i primi vennero naturalmente scortecciati, e scevri di qualunque rimasuglio di epidermide. A questi diversi modi praticati nello scortecciamento deve attribuirsi quella piccola quan- Memoria del Sic. Prof. Gio. Diì' Brignoli di Brunnoff. "Si titù d'ineguaglianze e di macchiette che scorgonsi nel saggio. che qui deposito. Benché però la corteccia della Dapluie incominciasse per mezzo delle accennate macerazioni a perdere non poco del suo principio niueilagginoso, e con esso gran parte di materia colorante, pur nondimeno palesava essa il proprio tessuto avviluppato da sostanze eterogenee, le quali rende- vano le sue fibre inette a quolP intima adesione che si ri- chiede a costituire una buona carta. La maggior parte di tali sostanze mostrossi refrattaria alla forza dissolvente dell' acqua, e parvero quindi doversi considerare di natura resi- nosa. Ora, siccome 1' acqua alcalizzata modera la fermenta- zione, e possiede la proprietà di separare da' vegetabili i principj resinosi, fu quindi dal signor Jori con molta ragione applicata a preferenza di altre sostanze , onde spogliare la corteccia della Daphne delle sostanze eterogenee. L' effetto corrispose pienamente a' suoi desiderj, e fu quindi a più riprese immersa la corteccia neh' acqua alcalizzata, finché apparì quasi senza colore. Credo nondimeno, che se il Jori avesse allora conosciuto la pratica delle farmacie di Francia, che adoperano 1' aceto per ispogliare la corteccia della Da- phne della sua epidermide, avrebbe con molto minore fa- tica ottenuto l'intento; ed è forse da credere, che l'acqua alcalizzata nel processo da lui seguito avrà disciolto una gran parte della sostanza alcalina, che naturalmente contiene quella corteccia , mentre 1' aceto punto non l' attacca. Altro indi non rimase da fare al Jori, che di compiere 1' operazione col pigiare la corteccia della Daphne, e ri- durla in una specie di pasta, immergerla nell'acqua calda, ed agitarla, finché ridotta alla consistenza di salda si po- tesse raccogliere sul telajo. È da fare avvertenza, che la pasta con questo mezzo ottenuta è mai sempre di un colore tendente al verdastro, il qual colore è dovuto per avventura ad una sostanza al- calina, da cui principalmente, e forse unicamente sembra 5a SorRA una nuova specie di Carta ecc. dipendere la proprietà che ha questa carta di resistere al tarlo. Sarebbe facilissimo, volendo ridurla a bianchezza, di ottenere 1' intento, facendo uso di qualche acido, e segna- tamente dell' idroclorico ; ma siccome gli acidi tutti neutra- lizzano gli alcali, è da temere non si tolga alla carta in quistione F eminente sua prerogativa di far prova contro al tarlo. Altro vantaggio di questa carta si è quello che senza aggiunta di colla è impermeabile all'inchiostro, e nel tempo stesso dotata di una rimarchevole consistenza, che difficil- mente prende le piegature, ed ha inoltre quell' apparenza argentina, o rasata per cui sono tanto ricercate le carte della Cina. La cagione della impermeabilità all' inchiostro panni, se mal non mi appongo, che ascrivere si debba alla non accaduta disorganizzazione delle fibre vegetali, e forse ancora alla materia resinosa che non del tutto con la indi- cata operazione si elimina; laddove nelle carte di stracci, derivati da canape e da lino, le fibre vegetali e per l'uso e pe' reiterati bucati che hanno subito sono quasi affatto disorganizzate. L' apparenza" argentina, o meglio per servirmi di una espressione mineralogica, la lucentezza di perla, non che la consistenza, sembrami doversi ascrivere alia copiosa mucilaggine di che questa pianta è dotata. Rimaneva per fine da sapersi, se questa carta avesse veramente la proprietà della Indiana di non essere corrosa dal tarlo; e per assicurarmene la esposi all'attacco di parecchj insetti. Aveva io fra'miei libri un Ovidio corredato di com- menti dell' edizione di Venezia del i58o legato in pelle sul dorso, e coperto con due tavolette tutte tarlate: lo visitai nella primavera del 1822 e vi rinvenni tre larve AélYAearus pruditus. Limi, una delle quali aveva il suo nido nella tavo- letta posteriore, e le altre due avevano già incominciato a rodere le ultime 34 carte del libro. Ebbi cura di contor- nare d' inchiostro tutti i fori esistenti sì nell'asserella, come sull'ultima carta a quella contigua, e vi collocai mezzo fo- Memoria del Sic. Prof. Gio. De' Brignoli di Brunnoff. 53 glio della mia carta frammezzo : feci indi altrettanto fra V ultima carta intatta e la prima bucherala del libro, e lo ri- misi nello scaffale così. Nella primavera del susseguente anno i8a3 fu grande la mia sorpresa nelP osservare cbe nelle 34 carte, ove risiedevano già due larve del citato insetto, erano stati praticati 19 nuovi fori fino all' ultima carta,, e che quella di Daphne era rimasta illesa: così accadde nell'asse- rella, in cui rinvenni cinque nuovi fori, ed intatta la carta che la combaciava. Volli, quasi contemporaneamente all'ac- cennata sperienza, far prova se la mia carta fosse per av- ventura attaccata dall'insetto che distrugge gli erbarj ( An- threnus musaeornm. Fabric), e a tal fine presi un esem- plare di Raphanus Raphanìstrum del mio erbario già in parte distrutto dall'insetto stesso, e lo collocai entro ad un foglio di questa carta, abbandonandolo senza cura: in breve tempo 1' esemplare fu intieramente consunto, e la carta non fu menomamente danneggiata, mentre cbe il foglio di carta comune in cui stava prima la pianta, era stato dall'insetto medesimo molto maltrattato. Non ancora contento de' citati sperimenti dubitai non forse la larva della Phalaena Tinea /'e/ionella. Linn. la intaccasse : e a tal uopo scelsi un pez- zetto di una pelliccia di mia moglie in cui aveva già il bilico incominciato a dar guasto, e lo involsi nella mia iurta, la quale anche in questo sperimento rimase illesa. Dai quali tutti sperimenti sembrami incontrastabilmente es- sere dimostrato, che la carta fatta con la corteccia della Daphne Laureola possiede la medesima proprietà di essere inattaccabile dal tarlo, che viene attribuita a quella fatta con la Daphne cannabina nelle Indie orientali. Quale sia però la cagione di siffatta proprietà io confesso di non lo sapere; e tanto più emmi difficile l'argomentarlo, (pianto che ho veduto più volte attaccate le piante di Daphne Laureola, e Mezereum, e quasi ridotte in polvere dagl' in- setti, nelle scatole delle antiche spezierie ; checché dunque ne sia, basti d' avere accennato, e provato che così è. 54 Sopra una nuova specie di Carta ecc. A maggiore illustrazione di quanto ho detto finora, e per far conoscere quanto il diligente signor Jori operò nel fare questa carta, trascrivo per ultimo alcuni passaggi della relazione eh' egli mi diede da Reggio in data de' 16 Aprile 1822. „ Un pezzetto della Dafnea carta masticato produsse „ un senso tale d' irritazione nelle mie fauci, e in quelle „ del signor Gaetano Bianchi 3 da non lasciare alcun dub- „ hio sulF esistenza del principio acre, e siccome fu riscon- „ tratto da Vauquelin di natura resinosa, così credetti op- „ portuno il cimentare la carta summentovata colf alcool „ ad oggetto di spogliamela. „ Preso a tal uopo un pezzetto di essa carta, e ridotto „ in fettucce, fu immerso nell'alcool a 34 gradi dell' Areo- „ metro di Cartier : dopo 48 ore di calda macerazione fu „ separato 1' alcool dalla carta con accurata filtrazione : „ questo apparve colorato in giallo-verde : evaporato con- „ venientemente fino a secchezza, lasciò nel vaso una ma- „ teria verdastra, amara ed acre nel tempo stesso ; lavata „ coli' acqua pura, si dovette ben presto concludere, che j, aveva abbandonato all' acqua stessa un principio alcalino „ dall' alterazione in verde che questa produsse nella tin- j, tura di viole : principio sul quale non si potè fissare „ esatta attenzione per la tenue sua quantità : restò indi- „ sciolta una materia verde resinosa, che assaggiata mostrò „ di avere poco perduto di sua primitiva acrezza. „ La carta che aveva fornito questo resinoso principio „ disseccata mostrò di avere acquistato bianchezza. „ Questo primo esperimento venne susseguito da un „ altro forse anco più persuasivo. „ L' alcali volatile allungato colf acqua fu creduto „ sommamente idoneo a tale chimica ricerca, come quello „ che distaccando il più sottile principio resinoso aderente „ alle fibre, se non vogliamo anzi dire in certi vasi anni- „ dato , dovealo pure abbandonare inalterato coli' evapo- „ razione. Memoria del Sic. Prof. Gio. De'Bricnoli di Brunnoff. 55 ,, Messo alla prova 1' alcali ammoniaca diresse la sua „ energica azione sulla carta rompendone il tessuto in mo- „ do, che si vedeva galleggiare nel liquido una gran quan- „ tità di sottilissime libre. Dopo la digestione di questo „ mestruo sulla carta per 24 ore, fu passato per feltro, e ,, presentossi sommamente latteo. Portato alla evaporazione, „ quando cessò lo sviluppo dell' impiegato alcali, comparve „ sul liquido una non leggiera pellicola: levato il vaso dal „ fuoco., e raffreddato, si vide non senza sorpresa, formata „ una densa mucilaggine, che aveva tutto l' aspetto di una „ gelatina: era dessa tremula, trasparente, colorata leggier- „ mente, ed inodora: in mezzo ad essa si vedevano mani- „ Pestamente piccoli bianchi cristalli, i quali raccolti colla „ massima diligenza , e sottoposti al microscopio, parvero „ avere la figura lamellare : erano dessi deliquescentissimi, „ perocché ove si vedeva un cristallo in un minuto compa- „ riva una gocciola. Sarebbe mai questa la materia cristallina „ particolare rinvenuta da Vauquelin nelle sue analisi della „ D api in ? „ La surriferita gelatina fu lavata coli' alcool onde se- ,, parare tutto che contenesse di resinoso: filtrato il liquore „ si trovò pure leggermente colorato in giallo-verde : eva- „ porato a secchezza, diede una sostanza giallo-scura: pic- „ cola quantità di essa applicata alla estremità della lingua „ manifestò energicamente la sua facoltà irritativa intolle- ,, labile : lavatane una porzione coli' acqua, e con questa „ cimentata la tintura di viole, alterossi in verde: l'altra „ porzione lasciata esposta all'aria dimostrò sensibilmente di „ avere in sé una sostanza deliquescentissima, quella stessa „ cioè, che fu esaminata nello stato di cristallizzazione „. Fin qui il signor Jori, il quale sembra attribuire nel rimanente della sua relazione a quella sostanza cristallizza- bile, che poscia fu denominata Daphnina, la singolare pro- prietà di questa carta di non essere attaccata dal tarlo. Credo non vi sarà discaro, Ornatissimi Colleghi, che da quanto ho detto finora, e da quanto poi più diffusamente 56 Sopra una nuova specie di Carta ecc. ha trattato il Jori nella sua relazione, io qui restringa i principj ai quali deve ridursi 1' operazione per ottenere questa utilissima carta. i.° A riunire i rami della pianta e i teneri suoi fusti in tanti fascetti dopo d1 averli alquanto contusi. a.° A sottoporli alla macerazione per lo spazio di ù,\ ore in acqua stagnante, e di ^.?> ore in acqua corrente. 3.° A comprimere poscia questi rami leggermente. 4-° Ad immergerli nell'acqua comune una volta al gior- no, per 8 o to giorni consecutivi, avendo specialmente riguardo alla età loro, e allo stato della temperatura, riino- vendoli ove la fermentazione fosse troppo rapida. 5.° A sbatterli contro un qualche corpo duro perchè si stacchi l' epidermide. 6.° A porre i rami così preparati alla disseccazione af- finchè la corteccia si disgiunga dal legno. 7.0 A far subire alla corteccia stessa la macerazione nell'acqua alcalizzata con ceneri di vite e di quercia, fin- ché si vedano bene separate le particelle resinose. 8.° Finalmente a pigiare questa corteccia e ridurla allo stato di pasta; immergerla nell'acqua calda, agitarla per alcun poco, e ridotta alla consistenza di salda, stenderla sui consueti telai. Non aveva io appena letta questa Memoria, che spedii alcuni saggi della mia carta all'egregio mio amico signor maggiore Roselli, che allora dimorava in Monte Santo Vito nella Marca d'Ancona, il quale ne cede una porzione al signor Dott. Sebastiani Chirurgo, e fratello dell' insigne Professore di Botanica in Roma, cui morte non ha guari ha rapito con sommo dolore de' buoni, e degli amici. Questi convien dire ne li mostrasse al Reverendo P. Abate Generale de'Monaci Camaldolesi, già D. Filippo, ora D. Albertino Bellenghi, dottissimo ed egregio amico mio, il quale già da parecehj anni delle utili applicazioni della Chimica e della Storia Naturale occupandosi, aveva in que' giorni fatto una carta Memoria del Sic Prof. Gio. De' Brignoli di Brunnoff. 57 buonissima da scrivere dalla segatura di pioppo comune (Populus nigra. Linn.), e si compiacque, scrivendomi in data del 9 Maggio i8ai su d' un foglio della sua carta, inandarmi le sue congratulazioni per la mia. Quei saggi medesimi che d'una in altra mano per Roma girarono, ven- nero alfine fra le mani del signor Carlo Campioni proprietario di una insigne Cartaja in Fabriano, ed ora Direttore della Gartaja Camerale in Roma. Questi annunziandomi in data del 26 Giugno 1822 di aver fatto ostensibile un pezzo della mia carta a Monsignor Tesoriere Generale, asserì che quel degnissimo Prelato gli ordinò di fare alcune sperienze nella Cartaja da lui diretta, e mandommi parecchj saggi di carte ottenute da sostanze vegetabili, fra' quali vidi pure quella di Daphne Laureola, riuscita molto più tersa ed elegante della mia , ma troppo trasparente e sottile , si che servire potrebbe anzi a dilucidare disegni che a scrivervi sopra. Nondimeno il lavoro è riuscito della più grande perfezione. E poiché ho fatto cenno de' saggi che la cortesia del si- gnor Campioni volle comunicarmi , è mia intenzione di at- testargli pubblicamente la mia riconoscenza col farne qui l'enumerazione. N.° 1. Carta tratta dalle foglie di Frumentone (Zea Mayz. Linn.)= il colore è giallo olivastro alquanto carico, ed è ottima da scrivere. „ 2. Dalle barbe del Formentone (ossia dai pistilli) = è scura color di caffè carico, e come marmorizzata più chiaro: può servire per imballaggio. „ 3. Dalle foglie di Canna (Arando Phragmites. Linn.)= di un verde-giallastro : buona da scrivere. „ 4- Sotto questo numero evvi cinque sorte di carta tratta dalla paglia del grano ( Triticum hybemum. L. ) = secondo i diversi gradi di cottura, risulta che la più cotta è la mi- gliore : il colore è giallo in tutte, più o meno intenso, e si scrive bene su tutte. Tom. I. h 58 Sopra una nuova specie di Carta ecc. „ 5. Dalla radice di Malva {Malva officinalis. Linn.) nella parte esteriore = è bianca e tersa, se non che sparsa di piccioli punti bruni : vi si scrive bene. „ 6. Dalla parte interiore della radice medesima = è alquanto meno bianca^ meno tersa , e meno consistente : vi si scrive meno bene. „ 7. Dall'Alga palustre [An Conferva? Linn.)= è di colore olivagno cupo^ alquanto ruvida: ma vi si scrive bene. „ 8. Dalla Daphne Laureola , corteccia esteriore = è di color leonino, punteggiata di bianco e di scuro: vi si può scrivere sopra, ma è migliore per far pacchetti. „ 9. Dalla stessa , corteccia interiore = è la mia , di cui si è parlato testé. „ io. Dai Baccelli de'Fagiuoli (Phaseolus communis. Linn. ) = è di un bianco giallognolo, non molto tersa, ma vi si scrive bene. „ ir. Dalla corteccia di Gelso (Morus alba. Lìnn.)=è di color leonato chiaro, e punteggiata., alquanto ruvida, però vi si scrive bene. „ 12. Dalla corteccia di Noce (Iuglans regia. Linn.)=. è di color di cioccolate., un po'ruvida., ma forte e consistente, ottima per imballar merci. Sarebbe qui luogo di ragionare su di altri tentativi fatti altrove in questi ultimi tempi, con altri vegetabili, fra' quali merita d' essere lodato quello del Signor Paolo Barbieri Custode del R. Orto Botanico di Mantova, che trasse una carta abbastanza buona dall' Hibiscus roseus. Thore; ma troppo lunga riuscirebbe la presente memoria, già tale divenuta, che può avere stancato la vostra sofferenza. SOPRA LA FORMA DEI DENTI DELLE RUOTE DEI MULINI MEMORIA DEL SIC PROF. CAP. GIO. BATISTA PELLONI Letta nell'adunanza del i Giugno i8aa. -Hi osservazione volgare delle persone addette alla cura e all'uso dei mulini, che le ruote di queste macchine vanno per lungo tempo soggette a logorarsi nei loro denti, prima che possano prendere un movimento abbastanza regolare, qual si richiede per P utilità cui sono destinate . Ed in fatti un mulino fabbricato senza particolare at- tenzione circa la curvatura, secondo la quale hanno ad es- sere conformate le superfìcie dei denti, deve muoversi con differenti gradi di velocità, prima che questa giunga al suo massimo ; onde le parti del meccanismo esercitando le une sopra le altre or più or meno di pressione sono costrette a logorarsi prima di esser giunte alla perfezione, con perdita notabile nel prodotto, che è sempre proporzionale alla quan- tità di moto. Per esempio: se alla ruota di un mulino si ap- plichi una forza costantemente eguale, perchè la macchina sia perfetta, e prodùca conseguentemente il massimo effetto, bisogna che i denti di questa ruota agiscano sopra le fuselle 6o Sopra la forma dei Denti delle Ruote dei Mulini della lanterna in guisa, che il momento di rotazione di essa sia sempre il medesimo, ohe ciascun dente raggiunga la cor- rispondente fusella in quell'istante medesimo, in cui il pre- cedente cessa la sua azione contro quella che da esso ha ricevuto il movimento , e che la pressione che queste due parti esercitano vicendevolmente l' una sopra dell' altra si mantenga costantemente la medesima durante quel hreve tempo nel quale l'una viene accompagnata dall'altro. Man- cando a queste condizioni la macchina cammina per dir così a salti, succedono degli urti e dei contrasti, e tutto ciò a danno della quantità di moto , e della durata della macchina stessa. Mossi da queste considerazioni, e nell'intenzione prin- cipalmente di ottenere l' uniformità del movimento degli oro- logi * meccanici hanno stabilite delle regole per configurare convenientemente i denti delle ruote e le alette dei roc- chetti . De La Hire, che pubblicava il suo trattato delle Epi- cicloidi nel 1 694, sembra essere il solo , che abbia studiato intorno alla figura dei denti delle ruote ingranate con altre ruote , rocchetti e lanterne nella vista di farne l' applica- zione ai mulini e ad altre grosse macchine. Egli ci avverte nella prefazione , che venti anni prima aveva dimostrato in una maniera semplicissima , che i denti delle ruote debbono avere la figura d' una epicicloide ; ma con tanta premura dell' accademico Francese per assicurare a sé il merito della novità non ha egli potuto far tacere Leibnitz , il quale la- sciò scritto che Roèmer, non De La Hire, fu il primo ad applicare le matematiche all'ingranaggio, e ad iscoprire la vera forma dei denti ( 1 ) . ( 1 ) V. Bossut — Essai sur 1' Histoire des mathéraatiques. Tom. II. pag. i5i. = BrTthoud — De la mésure du tems. Memoria del Sic. Prof. Cap. Gio. Bat. Pelloni. 6i Utili e insieme curiosi sono i molti casi , che si consi- derano nel trattato delle epicicloidi . Dimostra primieramente De La Hire, che la figura dei denti di una ruota che in- grana le fuselle di una lanterna è determinata dalla epici- cloide avente per base la circonferenza della ruota, e per generatrice quella della lanterna , nel caso in cui i due assi di rotazione siano fra loro paralleli, e le fuselle siano tante linee rette prive di grossezza; oppure, ma ciò benché pos- sibile è egualmente inutile per la pratica , che le fuselle di forma e grossezza determinata presentino all' ingranaggio uno spigolo tagliente. La curva teoretica essendo così determi- nata , e volendo pure De La Hire trovare cpiella che sod- disfa al caso pratico, ove le fuselle sono tanti cilindri a base circolare , procede egli nel modo che segue ; da tutti i punti della epicicloide come centri descrive delle circon- ferenze eguali a quelle che formano le basi delle fuselle^ e la linea curva tangente a tutte queste circonferenze dalla parte della concavità , che risulta per dir così parallela alla epicicloide , e che egli chiama curva formata sopra la epi- cicloide, è quella da esso lui prescielta per configurare i denti della sua ruota. Considerati in seguito diversi altri casi, i quali si rife- riscono tutti al precedente degli assi di rotazione fra loro paralleli , e sciolti alcuni problemi, de' quali non è certo poco interessante quello che riguarda l' alzamento dei pestelli del mulino a polvere , termina De La Hire la sua applicazione delle epicicloidi al movimento delle macchine. Ma sembra che egli stesso siasi accorto, che restavagli a trattare un argomento assai più difficile ed egualmente im- portante , quale è quello che concerne la costruzione dei denti di quelle ruote , che sono destinate a cambiare come suol dirsi la direzione (e che meglio sarebbe detto il piano) del movimento , poiché ne parla in un avvertimento che si legge in fine del trattato delle epicicloidi . 6a Sopra la forma dei Denti delle Ruote dei Mulini Senza entrare in lunghi dettagli si limita egli a dire „ che „ un tale cangiamento si opera col mezzo di una ruota den- ,, tata e di una lanterna , gli assi di rotazione delle quali „ incontrami sotto un determinato angolo , che per lo più „ è di 90 gradi . „ Quante volte gli assi intorno ai quali si opera la ro- „ tazione non sono fra loro paralleli si riduce , prosegue De „ La Hire , il movimento ad altri due che lo compongono ; „ e per conseguenza si ponno ancora compoi're le figure dei „ denti con due altre figure , cioè a dire che la faccia del ,, dente della ruota , che incontra le fuselle non deve in „ questo caso essere terminata da una superficie cilindrica „ perpendicolare al piano della ruota avente per base una „ epicicloide , od un' altra curva formata sopra la epicicloi- „ de , come quando gli assi sono fra loro paralleli , ma sib- „ bene da una superficie generata con tutt' altra legge, col ,, mezzo di tante epicicloidi o di curve formate sopra le „ epicicloidi . „ E prendendo ad esempio i denti di una ruota che „ ingranano le fuselle di una lanterna per cambiare un mo- ,, vimento orizzontale in un altro verticale , e viceversa , dice „ che ponno essere formati colle evolventi della circonferenza i, della ruota convenientemente disposte sul piano stesso della ,, ruota , e con delle cicloidi eguali e simili applicate sopra .,, delle superficie cilindriche aventi per asse quello della ruota, „ descritte pei punti delle evolventi anzidette ; e queste ci- „ cloidi avranno per circolo generatore quello che ha per „ raggio la distanza fra 1' asse della lanterna ed il punto della „ medesima lanterna che agisce contro i denti della ruota; „ e coli' avvertenza che queste linee perpendicolari al piano „ della ruota saranno cicloidi solamente quando i denti agi- „ ranno sopra delle linee rette parallele all'asse della lan- „ terna, che staranno in luogo delle fuselle , altrimenti sa- „ ranno linee curve formate , come egli dice , sopra le ci- ,, cloidi . Memoria del Sic. Pjiof. Cap. Gio. Bat. Pelloni. 63 ., Prosegue ancora De La Hire : la figura del dente della „ medesima ruota può essere formata in un'altra maniera, „ cioè col mezzo di una cicloide applicata sopra una su- „ perfide cilindrica , che ha per raggio quello della ruota;, „ e con delle epicicloidi tutte simili applicate contro la oi- „ cloide sopra diversi piani paralleli al piano della ruota ; ,, e se le fuselle della lanterna presentano ai denti, invece „ di una sola linea retta parallela all' asse, una determinata „ superficie , non serviranno più le cicloidi e le epicicloidi „ anzidette , ma delle linee curve formate sopra di esse come „ ha insegnato quando si trattava degli assi paralleli . Ecco tutto quello che ho trovato scritto intorno ad un problema, che meritava a mio credere maggiori schiarimenti, massimamente dopo che si è tanto parlato sopra la figura dei denti delle ruote ad assi paralleli , le quali poi in fine non entrano quasi mai nei mulini , e nelle altre grosse mac- chine, che agli usi della vita civile servono per lo meno tanto quanto gli orologj . Né io so comprendere come Camus, il quale ha trattato la materia ( i ) più accuratamente di tutti gli altri, non siasi nemmen avvisato di far cenno del caso, di cui qui si tratta. Tutto occupato della sua epicicloide sferica, ha veduto in quella una elegantissima risoluzione del problema , senza riflettere che le lanterne coniche colle fuselle parimenti co- niche esigono per la loro costruzione delle cognizioni supe- riori di molto alla capacità de' nostri Mugnaj , e ben anco a quella dei Fabbricatori dei mulini. Per ciò quanto la epi- cicloide sferica è propria per configurare i denti della co- rona degli orologj , altrettanto sembrami poco conveniente ai mulini e alle altre grosse macchine . D' altra parte sem- brami che Camus, massimamente dopo quei cenni che ho ( i ) Mémoires présentées à 1' academie ai Fèvrier 1733. — Cours de Mathé- matiques 1752. 64 Sopra la forma dei Denti delle Ruote dei Mulini riferiti di De La Hire, avrebbe dovuto dir qualche cosa ancbe sopra i denti della corona, nel caso che questi ingra- nino le fuselle di una lanterna cilindrica . Dal silenzio di lui sono quasi indotto a credere che egli non li abbia giudi- cati suscettibili di quella perfezione che si attribuisce ai denti delle ruote ad assi paralleli , e a quelli della corona medesima configurati secondo l' epicicloide sferica per l' in- granaggio con una lanterna conica . Egli è in conseguenza di queste riflessioni, che io mi sono persuaso che non avrei impiegato senza qualche utilità il tempo studiando intorno alla migliore figura da darsi ai denti delle ruote de' mulini, e mi confirmo in questa opi- nione osservando che Belidor, al quale si suole sempre ri- correre quando si ha per le mani il progetto di un qualche edilìzio idraulico, dopo di avere colla chiarezza propria di lui dimostrato, che tutte le figure che sogliono darsi alla faccia del dente che incontra le fuselle non servono egual- mente bene alla regolarità del movimento , stabilisce coli' au- torità di De La Hire , la epicicloide essere la migliore . Egualmente si sono comportati gli Autori della Enci- clopedia ed il Berthoud ; riportandosi i primi al De La Hire ed a Camus hanno dichiarato essere la epicicloide la mi- gliore delle curve per configurare i denti della ruota ad assi paralleli , e per le ruote a corona la cicloide; ed il secondo, dopo di aver da eccellente artista insegnato il modo ( i ) di tagliare i denti delle prime, rimanda per le ruote a corona i suoi lettori alle opere di sopra citate. ( i ) Essai sur V Horlogerie 1763. T. II. Cliap. V Memoria del Sic. Prof. Cap. Gio. Bat. Pelloni. 65 PARTE I. analisi dei diversi metodi proposti per la configurazione dei denti. §. i . vJhiamano i Meccanici col nome d' Ingranaggio la maniera, colla quale i denti di una ruota entrano fra i denti di un' altra, agendo sopra di questi per far girare la seconda ruota . La più grande conserva in generale il nome di ruota, e la minore si chiama rocchetto ed anche lanterna . I rocchetti hanno generalmente parlando i loro denti , che più propriamente ricevono il nome di alette, attaccati all' asse o sia alhero col quale formano un solo pezzo , e le lanterne si compongono di due dischi paralleli uniti insieme con diversi hastoni disposti in una superficie cilindrica o co- nica ; questi bastoni, cui si dà propriamente il nome di fu- selle , tengono il luogo dei denti . §. a. Serve 1' ingranaggio per cambiare la velocità di un movimento permanente, o per cambiare il piano ove si fa il movimento, o per cambiare l'una e l'altro insieme. Quando semplicemente al cambiamento della velocità si mira, gli assi delle due ruote , o per meglio dire l' asse della ruota e quello del rocchetto o della lanterna sono fra loro pa- ralleli; e sono poi in un medesimo piano bensì, ma incli- nati sotto un determinato angolo , che per lo più è di 90 gradi, quando l'ingranaggio ha per oggetto di trasportare il movimento da uno ad un altro piano . §. 3. Da ciò si vede, che due sole sono le combina- zioni essenzialmente differenti che ponno aver luogo nel)' in- granaggio . Quando gli assi sono paralleli , se i denti della Tom. L i 66 Sopra la forma dei Denti delle Ruote dei Mulini ruota maggiore saranno nel piano stesso della ruota perpen- dicolarmente alla sua periferia o comunque ad essa inclinati, quelli della ruota minore potranno essere egualmente dispo- sti per rapporto al di lei piano , nel qual caso sarà essa un rocchetto ; ovvero perpendicolarmente al detto piano , ed allora diventerà una lanterna ; ma sì nel!' un caso che nell' al- tro , il diverso modo di agire della ruota sopra il rocchetto, o sopra la lanterna , dalla forma dei denti e non da altro di- penderà , e la loro figura sarà sempre determinata da super- ficie piane o cilindriche aventi per direttrici delle linee rette o curve , e per generatrici delle rette parallele agli assi di rotazione . Quando poi gli assi formano fra di loro un angolo qua- lunque , si potranno disporre i denti della ruota maggiore sopra la periferia parallelamente al suo piano, ovvero so- pra il piano medesimo inclinati comunque all' asse ; ed in corrispondenza l' altra ruota avrà i proprj denti sopra la peri- feria o sopra il piano , e potrà essere conformata a guisa di rocchetto o di lanterna. Ma in ogni una delle accennate combinazioni , supposto che i denti della minore ruota siano terminati da superficie cilindriche , le cui direttrici siano linee rette o curve giacenti nel piano della medesima , e le generatrici una linea retta parallela al suo asse •, quelli della ruota maggiore non potranno essere formati nella stessa guisa : che anzi la superficie loro avendo per direttrice una linea curva posta nel piano della ruota sarà la sua genera- trice un' altra curva perpendicolare al piano stesso. Se poi i denti della minore ruota si vogliono formati con delle superficie coniche o conoidali , tali dovranno pur essere anche le superficie, dalle quali vengono terminati i denti della ruota grande. §. 4- H° voluto mostrare, che due soli sono i modi essenzialmente diversi per combinare insieme una ruota con uri rocchetto o con una lanterna, perchè avendo il Belidor assegnate quattro di queste combinazioni, potrebbe taluno Memoria, del Sic. Prof. Gap. Gio. Bat. Pellonl 67 credere, che dipendentemente dalla posizione rispettiva degli assi , quattro e non due fossero i differenti modi di agire della ruota sopra la lanterna. 5. 5. Il Circolo ABX (Jìg. 1. ) rappresenti una ruota dentata, e l'altro circolo ACY tangente in A il circolo ABX , rappresenti un rocchetto o lanterna messa in azione dalla ruota . XM Sia la curva, secondo la quale sono configurati i denti della ruota , ed YM quella che determina la forma delle fuselle della lanterna, o delle alette del rocchetto. Se le due circonferenze anzidette agiscono l'ima sopra dell' altra comunicandosi il movimento di rotazione col sem- plice contatto , oppure col mezzo di denti infinitamente pic- coli , in guisa che il viaggio AX descritto da un punto qualunque della circonferenza della ruota, risulti eguale al viaggio AY del punto corrispondente del rocchetto o della lanterna, è facile vedere, che la rotazione potrà continuare per un tempo indefinito, indipendentemente da qualunque rapporto fra le due circonferenze . Ma se la ruota comu- nica il suo movimento di rotazione al rocchetto col mezzo dei denti configurati secondo la curva XM , e frattanto susisster debba l' eguaglianza degli archi AX, AY, è necessario che le due circonferenze AXG, AYH siano proporzionali al numero dei denti rispettivi . Per ciò le medesime si chia- mano circonferenze proporzionali, e con linguaggio più tecnico circonferenze primitive . La linea BAC, che unisce i centri, si chiama linea dei centri . §. 6. Il peso P mediante una funicella PG, avvolta intorno alla circonferenza AXG, tenda ad aggirarla intorno al centro B, ed un altro peso Q faccia il medesimo uffizio per rapporto alla circonferenza AYH, procurando di farla ruotare da Y verso A. Ciò posto, è evidente che la ruota ABX comunica la sua forza di rotazione alla lanterna o rocchetto ACY col mezzo del dente XM , il quale urtando 68 Sopra la forma dei Denti delle Ruote dei Mulini contro la fusella YM tende a farla proseguire nel movimento di rotazione da A verso Y , che vai quanto dire, che il peso P col mezzo del dente XM, si oppone acciò il peso Q non faccia retrocedere il rocchetto da Y verso A . Si conduca la retta DMN normale alle due curve nel punto di loro contatto M, e dai centri B , C siano ad essa condotte perpendicolarmente le BD , CE. Potremo supporre, che rimosso il dente XM, si ponga in sua vece la verga inflessibile MD poggiata contro il raggio BD, il quale vuoisi attaccato immobilmente al piano della ruota. La pressione che i due denti XM , YN esercitano scam- bievolmente l' uno contra l' altro nel punto di loro contatto , sia designata colla linea MN=p, e colle lettere p',p",p'", ec. si rappresentino le pressioni che gli altri denti X M', YN', ec, i quali si trovano contemporaneamente in contatto , eserci- tano gli uni sopra gli altri . Si ponga ancora: AB = a , AC = b, i bracci di leva come BD = m , tri , ni' , ec , e gli altri bracci come CE = n, n , n" , ec. , il coefficiente d'attrito = h, ed i suoi bracci di leva come DM = k, k' , k" , ec. Bisogna ora considerare lo stato prossimo al moto , e dare per conseguenza al peso motore P tutta quella inten- sità che è necessaria per vincere 1' attrito , e preparare la macchina ad entrare in azione. Perciò il peso P dovrà essere tale, che coli' aggiunta di un qualunque minimo pesetto3 vin- cer possa l'equilibrio sollevando il peso Q, e si dovranno verificare le seguenti due equazioni in qualunque periodo del movimento a P =.pm -hp' ni -*-p" m" ■+■ ec.-^-p h k-*-p' li h'-hp" h k" -t-ec. b Q ■=.pn -*-p' rì -+-p" n" -+- ec. Memoria del Sic. Prof. Cap. Gio. Bat. Pelloni . 69 Finora le due circonferenze AXG, AYH, dalle quali dipende il rapporto dei pesi P,Q, non sono state assog- gettate ad altra condizione, fuorché a quella di rappre- sentare sul piano del movimento i due subbj , intorno ai quali sono avvolte le funicelle che sostengono i pesi P,Q, e all' altra di essere fra loro in contatto . Si potrà dunque supporre, che il punto A sia quel medesimo, nel quale si toccano i denti X3I, YN , quando il punto del loro con- tatto passa dal disotto al disopra della linea dei centri BC. Ciò essendo;, i due pesi P , Q debbono essere eguali fra di loro nel momento in cui succede il passaggio del punto di contatto, che d'or innanzi io chiamerò punto attivo o punto d? azione , per la linea dei centri : e siccome la bontà dell' in- granaggio richiede per prima condizione, che i due pesi P,Q mantengano un rapporto costante l'uno a riguardo dell'al- tro in tutti i periodi del movimento , così nell' assunta ipo- tesi, con cui restano fissate le grandezze dei due subbj , dovranno i pesi P , Q essere eguali fra loro e costanti . E di più l' arco AX dovrà essere eguale in lunghezza all'arco AY, perchè in caso diverso, un peso P solleverebbe in un dato tempo un peso eguale a se medesimo ad un' al- tezza maggiore, o minore di quella, da cui sarebbe esso disceso nel medesimo tempo . Da ciò si rende manifesto, che in un ingranaggio qualsivoglia vi sono sempre due circonferenze primitive , e che queste sono anche proporzionali al numero dei denti rispettivi di ciascuna ruota . Pertanto le condizioni di un perfetto ingranaggio con- sistono, nella suddetta eguaglianza degli archi AX , AY, e nelle due equazioni che seguono a P =pm -+- p m' -t-p" m" -4-ec.-+-phk-¥-p' hk' -*-p" hk" -+-ec- b P =pn -+-p' ri -*r-p" n" -+- ec . §. 7. Al dente XM corrisponde la pressione p nella posizione attuale della figura , ma durante il tempo, nel quale 70 Sopra la forma dei Denti delle Ruote dei Mulini il medesimo dente agisce contro la fusella Fili" deve esso pas- sare successivamente per tutte le posizioni ora occupate dai denti X'M' , ec, che trovansi in azione , ed ai quali corrispon- dono le pressioni p\p"ip" ec; deve quindi necessariamente esercitare nei diversi periodi del suo movimento or l'una, or l'altra delle pressioni p' , p" , p" ec. ; e siccome si cerca una fi- gura che si conservi lungamente inalterata, anche sotto Fuso, così tutti i punti del dente X3I, quando diventano punti attivi, soffrir debbono una eguale pressione; e conseguente- mente sarà p = p = p" = p'" = ec , o sia + ph(k-*-k' + k" + ec.) a P = P (m -f- m -hm" -+- ec ) b P = P (n H-rc' -i-n" -+- ec ) §. 8. Le quali due equazioni unitamente alla condi- zione , che prescrive l' eguaglianza degli archi primitivi AX, AY, ed all' altra che si mantengano costanti i due secondi membri delle medesime equazioni , servono a dimostrare che i metodi tenuti da La Hire , e da coloro che hanno cam- minato dietro le traccie di lui , non sono atti a sciogliere completamente il problema, con cui si ricerca la curva del perfetto ingranaggio . Imperocché De La Hire, lasciando all'arbitrio del costruttore la scelta di una delle due curve per esempio la YM, determina l' altra in modo che la retta DMN, che si conduce perpendicolarmente alle due curve, nel punto attivo M, sia obbligata a passare costantemente, benché con diversa direzione , pel punto A. Si dimostra, che una curva obbligata a questa condizione , e all' altra dell' e- guaglianza degli archi primitivi AX , AY, è una epicicloide, tanto se invece della curva YM si ponga un punto solo F, quanto se la medesima curva si trasforma nel raggio CY; una parallela alla epicicloide, quando la YM è un circolo avente il centro sulla circonferenza AYH ; ed una curva dipendente con certa legge della epicicloide in ogni altro caso . Memoria del Sic. Prof. Cap. Gio. Bat. Pelloni. 71 Ma queste curve della famiglia dell' epicicloidi , 0 da essa dipendenti non ponno soddisfare a tutte le condizioni, che ho dimostrato essere necessarie per ottenere il perfetto ingranaggio. Infatti qualunque sia la direzione della DM, sarà sempre a : b = m: re , = to': ri , = m": re", = m'":ri", ? e per ciò ancora a : b = m -+- to' -+- m" -+- ec: re ■+■ ri -t- re" ■+• ec; ma le due equazioni del §. 7 danno l' altra a m ■+- m'-f- m"-4-cc. h ( k ■+- k' -t- k" ■+- ec. ) , b n -+■ ri -H ri' -+- ec. n -+- ri -+- ri' -+- ec. la quale non può sussistere unitamente alla proporzione a: b = m -+- to' -+- tri' -f- ec. : n -+- ri -+- re" ■+- ec. , se non se nel caso in cui si voglia trascurare l'attrito ht o per meglio dire il suo momento h ^ + jt' + r + ff.j n -+- re' ■+- re" -+- ec. di esso molto maggiore per essere le k, k', k", ec. sempre più grandi delle re, ri, ri', ec. 5. 9. Né si creda che l'enunciato metodo possa con- durre alla soluzione completa del Problema, quando (volendosi tener conto del discapito che soffre la forza movente P in virtù dell'attrito) si fosse anche d'accordo nel rinunziare all'eguaglianza della pressione sopra tutti i punti della curva XM: poiché sussistendo sempre la proporzionalità a : b = ni: re = to' : ri = m" : re" = ec , le due equazioni generali del § 6 si trasformano , mediante la sostituzione e divisione , nella seguente a _ pm ■+■ p to' -+- //' ni" -t- ec. h(ph-+-p k' -+-ec.) b b b . , , b „ „ b b , , —p m ■+- - p'm -h — p'rn -*-ec. ~P ™ + -^« + ec. a a1 a r a a 72 Sopra la forma dei Denti delle Ruote dei Mulini o sia h ( p k ■+■ p' k' -+- ec. ) /> m -+-p in -ì-p m -+-ec. la quale dimostra che il metodo in discorso prescinde asso- lutamente dall' attrito . E poiché sopra la linea retta DM deve sempre trovarsi il punto attivo M, il quale nel suo passaggio dal disotto al di- sopra della linea dei centri coincide col punto A ove si toc- cano le due circonferenze primitive, ne consegue che la stessa retta D M, se deve tagliare sempre la linea dei centri in un medesimo punto , questo non potrà essere che il punto A. Resta dunque dimostrato, che il metodo di far passare la linea DMN costantemente per un punto della linea dei centri, non può condurre alla soluzione del prohlema fuori del caso in cui si prescinda dall' attrito . 5- io. Non mi è noto se alcuno siasi mai avvisato di allontanarsi dai metodi proposti da La Hire,, perfezionati in seguito da Camus e da altri valenti meccanici ; se non che trovo negli Annali delle Arti e Manifatture ( 1 ) una forma di dente , la quale in vero si riferisce ad un caso particolare derivante dai principj che servono di fondamento ai metodi anzidetti , benché venga presentata come un nuovo trovato atto ad assicurare una perfetta uniformità di azione . Consiste esso nel fissare invariabilmente la posizione della linea D31E, facendola passare pel punto A, prescindere dalle circonferenze primitive AXG , AYH, descriverne altre due coi raggi BD , CE e centri 5, C, e per conseguenza tan- genti la linea DE, e conformare i denti delle due ruote colle evolventi delle rispettive circonferenze ora descritte. Ognun vede che questa costruzione non può servire alla uniformità del movimento senza prescindere dall'attrito (§-9-)? ! ( 1 ) Annales Jes Arts et Manufactures T.«s XVI, XVII. Memoria del Sic. Prof. Cap. Gio. Bat. Pelloni . ^3 come altresì è evidente che essa toglie al macchinista co- struttore la libertà di scegliere a suo talento la figura YM dei denti del rocchetto o delle fuselle della lanterna . In compenso ne offre il Vantaggio delle pressioni costanti, l'altro di poter fare agire i denti lungo tutta la linea DE, e conse- guentemente anche nella posizione M'X'Y' prima della linea dei centri, come ancora il terzo di poter far agire in uno stesso tempo più denti della ruota contro un egual numero di denti del rocchetto, anzi in questo caso il numero dei denti che agiscono simultaneamente è doppio di quello che risulta dai metodi di La Hire . §. il. Sehhene con quei modi di costruire i denti che esigono la mohilità della DE intorno al punto A non possa conciliarsi l'eguaglianza delle pressioni p, p,' p" ecc., e l'in- granaggio cominci generalmente parlando dopo la linea dei centri, pure componendo le figure XM, YM ciascuna con due linee , si può ottenere l' ingranaggio anche prima della linea dei centri , e si possono avere più denti in azione nel medesimo tempo. Mi semhra che l' Autore della memoria riportata dagli Annali delle Arti e Manifatture per molti titoli commende- volissima sia caduto in errore coli' asserire, che De La Hire voleva eliminare dagl'ingranaggi le ordinarie lanterne a fu- selle cilindriche, e che con tali lanterne nelle diverse situa- zioni dei denti in azione la linea DM cambia continuamente la sua intersezione colla linea dei centri BC . Ed infatti rile- vasi dal trattato delle epicicloidi stampato in Parigi 1' an- no 1694 unitamente ad altre memorie di Matematica e Fisica, che De La Hire applica primieramente la epicicloide alla formazione dei denti di una ruota nel supposto che debba ingranare una lanterna a fuselle infinitamente sottili, e po- scia si occupa della determinazione della curva parallela alla epicicloide pel caso delle fuselle cilindriche di diametro finito; e al riferito trattato come ancora alle opere di Camus io credo che si debba prestar fede quanto ad una memoria Tom. I. k ?4 Sopra la. forma dei Denti delle Ruote dei Mulini del 1668 che trovasi secondo il citato Autore, negli atti dell' Accademia di Parigi . Quanto poi all' altra osservazione che la linea MD cam- bia continuamente la propria intersezione colla BC , si prova facilmente il contrario . Anzi la condizione che la linea DM passi costantemente pel punto A è la base del metodo di De La Hire. §. 12. Poiché adunque questo metodo non è inferiore a quello che suppone invariabile la posizione della linea MD, se non in quanto che non somministra le pressioni p,p', p" ecc. costanti, e poiché di gran lunga è migliore dell'ultimo, per- chè lascia al meccanico fabbricatore la scelta della figura delle fuselle; e poiché infine la superficie del dente che è in azione ruzzola , e striscia sopra la superficie, della fusella, e che vi sono dei casi , ( come quando la superficie delle fuselle si cangia in un piano diretto all' asse C ) nei quali la superficie del dente non fa che ruzzolare sopra quella della fusella , o per meglio dire dell' aletta del rocchetto , e resta conseguentemente tolto Y attrito ; così io sono d' avviso che si debba dare la preferenza al primo metodo , e riguar- dare anzi il secondo come un caso particolare di esso . Memoria del Sic. Prof. Cap. Gio. Bat. Pelloni . y5 PARTE II. APPIICAZIOSE DEL METODO DI LA HIRE AI DENTI DELLE HUOTE DEI Ml'LIHI . §. i3. Il modo che si adopera comunemente nei mulini e nella maggior parte delle grandi macchine per trasportare il movimento da uno in un altro piano è così semplice che io stimerei superfluo farne qui la difesa, se non fosse per provare che è suscettihile di tanta perfezione , quanta se ne attribuisce a quei macchinamenti più complicati che ad esso si vorrebbero sostituiti . §. i4- Consiste 1' ordinario meccanismo in una ruota dentata che ha per lo più l' asse di rotazione orizzontale , la quale ingrana in una lanterna cilindrica coli' asse verticale. I denti di questa ruota , che si chiama con nome proprio Rodino o Scudo, sono impiantati perpendicolarmente nel di lei piano che è quello del movimento. Le due basi della lanterna sono di legno cerchiate di ferro , e le fuselle cilindriche tutte parallele all' asse di ro- tazione sono pure di ferro , e qualche volta di legno. L' asse della lanterna incontra ad angoli retti l' asse del rodino, ed il piano verticale, che pei medesimi immagino passare, può essere distinto col nome di piano degli assi. §. i5. Se il piano degli assi rotando intorno all'asse del rodino trasporta con se la lanterna e il suo asse, questo si troverà successivamente in diverse posizioni inclinate all' orizzonte e potrà anche diventare orizzontale ; ma non pertanto cambierà la posizione rispettiva del rodino e della lanterna , e conseguentemente neppure il modo di azione che i denti esercitano sopra le fuselle. 76 Sopra la forma dei Denti delle Ruote dei MuLiNr Un'altra maniera di combinare insieme il rodino e la lanterna si ravvisa in tutti i casi., ne' quali gli assi di rota- zione s'incontrano sotto un angolo diverso dal retto , ed una terza combinazione ha luogo quante volte gli assi siano fra loro paralleli . 5. 16. Di quest" ultima combinazione^ che serve alcune volte a trasferire il movimento da uno in un altro piano ad esso parallelo , ma più spesso al cambiamento della velocità di rotazione, ho divisato di non farne parola, avendo già stabiliti nella prima parte di questo scritto i principi gene- rali, che conducono immediatamente alla soluzione di tutti i problemi relativi, ed avendo anche fatta l' analisi dei diversi metodi che sono stati adottati in proposito . La riferita prima maniera di combinare insieme il ro- dino e la lanterna , cioè quando i due assi di rotazione si tagliano ad angoli retti non è veramente che un caso par- ticolare della seconda , ma per non escire dai limiti che io mi sono prefisso , e perchè la seconda rare volte si pone in opera , e perchè finalmente la soluzione di un pr-oblema par- ticolare conduce quasi sempre con poche mutazioni alla ri- soluzione generale., così del solo caso praticato ordinariamente nei nostri mulini farò qui menzione . 5. 17. La circonferenza AYH (fig. a.) rappresenti la pro- iezione orizzontale di quella superficie cilindrica ove sono posti gli assi delle fuselle della lanterna , YMBYl una fu- sella, ZM la sezione fatta con un piano orizzontale nel dente del rodino, e inoltre la circonferenza AXG sia la projezione della circonferenza primitiva del rodino fatta sopra un piano verticale perpendicolare all' asse , XTT la sezione fatta da questo piano nella superficie del dente, ed A AH la comune intersezione fra il piano degli assi e i due piani coordinati. In questo caso si chiamano circonferenze primitive^ due circonferenze parallele rispettivamente al piano del rodino e alle basi della lanterna, le quali hanno un punto comune, ed è quello ove succede il contatto fra il dente e la fusella Memoria del Sic. Prof. Cap. Gio. Batt. Felloni 77 nel passaggio pel piano degli assi . Prendasi AYBH per circonferenza primitiva della lanterna , ed osservato che la superficie cilindrica della insella è in ogni sua posizione vel- licale, ne viene che la normale., la quale si conduce alla su- perficie della fusella ed a quella del dente pel punto attivo proiettato in 31 sarà sempre orizzontale , parallela ed eguale alla sua projezione A31B; e supposto che 31' rappresenti la projezione del punto attivo sul piano verticale, la ret- ta M'L' parallela ad AZ sarà la projezione sul detto piano verticale della normale 31N. Il peso P mediante una funicella avvolta ad un cilin- dro avente per asse quello del rodino , e per base il circolo primitivo AFA'G tenda a far girare il rodino stesso da A' verso X, ed un altro peso Q similmente con una funicella avvolta al cilindro che ha comune V asse colla lanterna , e che ha per base la circonferenza primitiva AYBH eserciti col mezzo di una puleggia la sua azione per far girare la lanterna con moto rotatorio intorno all'asse C da Y verso A. §. 18. Il dente del rodino esercitando in 31 contro la fusella una pressione rappresentata da MN, tende a far gi- rare la lanterna col momento 31NX.CE , ma a questa rota- zione si oppone il peso Q col momento QX.AC , dunque 1' equilibrio sarà determinato dall' equazione (1) 3INXCE=ACXQ; e questo sussister deve tanto nel caso in cui la fusella mediante l' azione del peso resistente Q si opponga all' avan- zamento del dente Z31, come se rimossa la fusella o l'azione della resistenza Q si sostituisca invece una forza eguale ed opposta alla pressione MN. Questa esercitando la propria azione contro il dente Z 31 dovrà fare equilibrio al peso P , che tende a promovere la rotazione della circonferenza A'XG ; ma una sola parte della pressione 3'IN viene impiegata ad impedire la detta rota- zione , ed è questa la 31 L risultante dalla decomposizione della 31 N in due ML, 310 orizzontali , e rispettivamente 78 Sopra la forma dei Denti delle Ruote dei Mulini parallela e perpendicolare al piano del rodino ; avremo in conseguenza (2) PXAA' = MLXZT. Pongasi ora AA' — a,AC = b,B31 = c,CE =n TZ =m, MN=p , ML = M'L = X, e la projezione AMN della normale si supponga passare costantemente pel punto A; si avrà sostituendo nelle equa- zioni ( 1 ), ( 2, ) / o \ a P-=.m X [ ' bQ=np. I due triangoli simili LMN, ECA danno MN:ML — AC:CE, ossia p : X ss b : re, ed X = — , e però le equazioni (3) diventano p mnp (4) -" ~' b Q = n p. 5. 19. Ora egli è evidente che allorquando il punto d' azione M si trova nel piano degli assi, i due pesi P, Q sono precisamente nel caso di due forze opposte applicate ad un medesimo punto, le quali si fanno equilibrio, e perciò i detti due pesi debbono essere eguali fra loro , e siccome la perfezione dell' ingranaggio richiede che si mantenga fra la potenza movente, e la resistenza , ossia fra i pesi P, Q un costante rapporto , qualunque sia la posizione del punto attivo M, così dovranno detti pesi sempre essere eguali fra loro ; si ricava quindi dalla divisione delle ultime due equa- zioni, nell'ipotesi di P = Q a m ~b~~b* e però m = ossia *- 4. . \ x — sen (p (2 b sen fy-=ss b (p — e — cos (p ( a b seri {-2b—x)— '2 r>+zr\/,->-i-ti b x\ (/• ± [/V-t-ì36.v), ove si debbono esperimentare tutte le combinazioni dei segni. §. 22. A scoprire le proprietà e la natura della curva MZ potrei valermi indifferentemente delle equazioni ( 5 ) o della ( 6 ) , ma trascelgo le prime , perchè queste conducono più speditamente alla soluzione del problema . E primieramente per dimostrare che la ZM è perpen- dicolare in M alla corda AB , osservo che la normale forma dy coli' asse delle ordinate un angolo che ha per tangente -j- : te .e ora dalle equazioni ( 5 ) si ricava dy = sen.

    : dx cos.

    -2 Sopra la forma dei Denti delle Ruote dei Mulini posto immobile la curva Z M colla linea retta AZV,e frattanto il circolo A B H ruzzoli sopra la stessa AZVàa V verso A e Q in maniera che l'arco A Y B sia eguale alla AV, il punto B descriverà una cicloide. Ora è proprietà di questa linea , che le corde , le quali si conducono dal punto generatore B al punto di contatto A sono perpendicolari alla curva in B ; dunque la curva Z 31 e la cicloide VB hanno sempre comune la normale B M A , e la porzione B M di essa normale intercetta fra le medesime è costante ed eguale al raggio della fusella . Queste curve che hanno comune la normale sogliono chia- marsi parallele , ed hanno fra loro tali relazioni che le pro- prietà e la forma di una qualunque di esse ajutano a facil- mente scoprire le proprietà e la forma di tutte le altre. §. r>4- Mentre svolgesi la normale BA dell'evoluta della cicloide V B per descrivere col punto B la stessa cicloide , anche il punto M descrive la curva Z M ; ed il punto II diametralmente opposto ad M descrive anch' esso una curva parallela alla cicloide , la quale è rappresentata dalle equa- zioni ( 5 ) , ( 6 ) quando si prendono i segni inferiori . §. 2,5. Sopra la base Aa (fig. 3.) siano descritte le cicloidi eguali e simili VBD , Vbd, colle rispettive evolute VC, Ve, e colle parallele interne ed esterne Z'ZM , z P' P , z z m, Xp. È manifesto che il filo PBM Ravvolgendosi allaCrF per descrivere le curve MZ ,B B\ PP' termina la descrizione della M Z' in tempo che gli rimangono ancora da descrivere gli archi B' V, P ' x . Ma questi vengono descritti dai punti B' , P mentre pro- seguendo il filo nel suo movimento trovasi successivamente in contatto colla evoluta C V nei punti che si accostano ognor più al punto V, ed in questo intervallo il punto ge- neratore M retrocedendo da Z' in X descrive l'arco Z' X , il quale rivolge la sua concavità alla cicloide V B' B , ed appartiene non già alla parallela esterna Xp, ma sibbene alla interna Z'ZM. Tali archi Z' X e VB descritti dalla Memoria del Sic. Puof. Cap. Gio. Bat. Felloni. 83 tangente Z' B' in tempo che essa ha dovuto avvolgersi suc- cessivamente all'arco dell'evoluta Z' V sono veramente pa- ralleli fra loro , perchè hanno comune la normale, e epiesta è di grandezza costante, ma presentano l'uno all'altro la propria concavità. Questo è uno di quegli accidenti che presentano le curve parallele, il quale inerita di essere con- siderato per la sua singolarità, e perchè si allontana di molto dalle comuni idee del parallelismo che si acquistano dalla considerazione delle linee rette . 5- 2,6. L'arco Z'Iè inutile per la costruzione dei denti del rodino, ma non è così dell' arco Z'Z; imperocché mentre la porzione ZM della curva serve al movimento dopo il piano degli assi, l'altra porzioncella ZZ' può essere utile, (piando si voglia che il dente raggiunga e muova la fusella prima del piano degli assi . Per determinare a quale distanza il punto M incomincia la sua azione contro la fusella prima di arrivare al piano degli assi , prendo a designare nella fig. 4- colla circonfe- renza ABKH la circonferenza primitiva della lanterna, e coli' altra BM K la fusella . Il punto M ove la corda AB incontra la circonferenza della fusella è quello dove succeder deve il contatto fra essa e il dente. Quando il centro B è sul piano degli assi, cioè in A, la corda A B si confonde colla tangente AE, e di mano in mano che il centro B si allontana dal punto A per andare verso K, anche il punto HI, ove la corda AB taglia la circonferenza della fusella, si va scostando dalla DE per tornare poscia ad avvicinarsi alla medesima , e hen anco a raggiungerla, come succede quando la corda AB diventa eguale al raggio B M della fusella . Vi è dunque un valor massimo della MS, e questo cor- risponde nella fig. 3. al punto Z'; l'arco XZ' {fig. 3.) appar- tiene a quel periodo di movimento in cui il punto di con- tatto si trova fra E ed M (fig. 4-)' e l'arco Z'Z corrisponde alle posizioni del punto di contatto che si trovano fra M ed A. t°>4 Sopra la forma dei Denti delle Ruote dei Mulini Ritenute le denominazioni precedenti, cioè AC = b,BM=r, e l' angolo D AB = — 2 arc- s^n- °? 0841) =£(2?i-9.04o'), e però - 45.° -+- Q.° 4o' 0 ,

    seri.

    e di più gli spazj A Y percorsi dalla fusella sono sempre eguali ai corrispondenti viaggi A 'X del dente. Ma questo stesso metodo, di cui se ne riscontra una traccia , senza però alcuna sorta di dimostrazione nel trattato delle epicicloidi di De La Hire, prescinde dall'attrito, né soddisfar puote a quella condizione con cui si prescrive che la pressione BIN si mantenga costante. Sembrerebbe adunque che coloro, i quali volevano sosti- tuire alle lanterne cilindriche le lanterne coniche,, o i roc- chetti pure conici , avesser dovuto procurare ai loro mac- chinamenti quelle perfezioni, che non sono combinabili colla semplicità di una lanterna cilindrica, cioè a dire la consi- derazione dell' attrito e la pressione costante ; ma niente di tuttociò. Il Sig. Camus coli' ideare la sua lanterna conica , e col disporre i denti della corona sopra una superficie co- nica, nuli' altro ha fatto che ridurre l'ingranaggio delle ruote di canto a quei medesimi principj dai quali dipende il me- todo di La Hire detto anche il metodo delle epicicloidi per le ruote ad assi paralleli che agiscono in un piano ; ed io ho dimostrato nella prima parte che con tale metodo non si può tener conto dell'attrito, né può la pressione esser mai costante . Perciò la lanterna conica di Camus, la quale è molto più complicata della lanterna cilindrica, poiché debbono in quella essere coniche anche le fuselle , non ha sopra il metodo, di cui ho data la dimostrazione altri vantaggi fuori dei se- guenti : I.° Che adoprandosi per gli orologi una macchina si ponno più facilmente tagliare i denti della corona seguendo una superficie conica che ha per direttrice una epicicloide sferica //,„.,,, .///, ■ •'/.:,/, /■;./ $ . Ai-mVi* &*&>*£ Memoria del Sic. Piiof. Cap. Gio. Bat. Pelloni. 89 di quello che configurarli conforme alla conoide a chiocciola prescritta dianzi. II.0 Che col metodo di Camus i denti della corona toc- cano costantemente le fuselle della lanterna conica in una linea retta, mentre col metodo della lanterna cilindrica il contatto segue in un sol punto che varia poi in ciascun- istante durante il movimento. Ma, io lo replico, questi vantaggi sono un nulla quando si riferiscono ai mulini ed alle altre grosse macchine, dove più di tutto si apprezza la facilità di costruire e riparare all'occorrenza l'edifizio, e questa è la proprietà delle lan- terne cilindriche. Lo stesso dicasi del metodo delle evolventi proposto negli annali delle arti e manifatture, il quale benché abbia sopra il metodo di Camus il vantaggio di rendere costante la pres- sione, non mi sembra tuttavia da adottarsi in vista della difficoltà di poter costruire tanto i denti delle ruote, come le alette dei rocchetti o le fuselle delle lanterne sopra su- perficie coniche, e con superficie coniche aventi per diret- trici le evolventi dei circoli. Per le quali cose io sono d'avviso che il migliore ingra- naggio pei mulini e per le altre grosse macchine si ottenga colle lanterne cilindriche configurando i denti nel modo che ho dimostrato, e che il miglior servigio che si possa fare all' arte sia quello di procurare dei buoni modelli pei denti, insinuando ai falegnami che lavorano nei nostri mulini a prevalersene, ed inculcando loro di non essere mai paghi dal canto dell'esattezza ; e stimo pure util cosa insegnar loro quella regola che prescrive che il numero dei denti del ro- dino sia primo col numero delle fuselle della sua lanterna, la qual regola servendo a conservar lungo tempo, ed egual- mente tutti i denti, può correggere il difetto della disugua- glianza della pressione. Tom. I. in LA GENESI DELLE QUANTITÀ COL MEZZO .DI DUE MECCANICI STRUMENTI DIMOSTRATA MEMORIA DEL SIGNOR CAPITANO ANTONIO ARALDI Presentata all' Accademia nel dì 29 Febbrajo 1828. l^/uantità è tutto ciò che dalla mente umana può essere valutato cui confronto ad una cosa della medesima specie costante e determinata che chiamasi unità : e generansi le quantità, procedendo dallo zero, o da una quantità di dato valore (*), per aumento, o per decremento, il che può con- cepirsi prodotto in due modi: per addizione e sottrazione o continuamente. La Matematica, cioè la scienza che tratta della valutazione delle quantità, distinguesi perciò in ele- mentare , ed in trascendentale secondochè si possono le quantità, qualunque sia la loro genesi, risguardare prodotte nel primo modo, oppur debbonsi considerar generate nel secondo. Egual distinzione ammettono le quantità secondo- (*) Le quantità algebraiche ponno sempre considerarsi come procedenti dallo zero, e le integrali da una costante indipendente dalla legge di generazione espressa dalle quantità poste sotto i rispettivi segni integrali. Memoria del Sic. Cap. Antonio Araldi. 91 che le loro espressioni ricordano soltanto la generazione per addizione e sottrazione , come quelle propriamente dette algebraiche, oppnr traggono con se 1' impronta di una ge- nerazione avvenuta continuamente, come le integrali, che includono le circolari, le logaritmiche e le esponenziali. Tentasi con questa memoria di rendere per così dire intuitiva la genesi delle quantità colla esposizione di mec- canici o vogliam dire gralìci strumenti mediante i quali si possano quelle intendere generate. E cominciando dall' organica generazione delle quantità algelnaiche, descriverò da prima uno strumento da me in origine destinato per la risoluzione delle equazioni alge- braiche, dal quale, oltreché si producono la maggior parte di quelle quantità, trae 1' origine il meccanismo concepito all'uopo di rappresentare la genesi di tutte le dette quan- tità algebraiche. Questo strumento s' intende composto di elementi, come quelli in appresso descritti, in numero, nel caso della risoluzio- ne di un'equazione, uguale al grado di questa aumentato di un' unità. Ciascun elemento intermedio è formato da un quadra- to A (Fig."i, a) orizzontale di metallo, o di legno ben compatto, come l'ebano, e ben secco, il quale ha sopra uno de' suoi lati una scala metallica 5, il cui zero sta nel mezzo del lato stesso. Lungo e paralellamente a questa scala il qua- drato ha una scannellatura RR per la quale può scorrere un nonio N che superiormente porta un perno fisso p in forma di cono rovescio, e dall' altra parte del quadrato, ove è la scala s del nonio, si muove in questo, paralellamente al lembo della scala, un' asta metallica R, che porta anch' essa un perno conico p", e che però deve essere assicurata preventivamente al nonio stesso con viti nella posizione data dal problema da risolversi. Al centro C del quadrato avvi superiormente un perno più robusto P conico, attorno al quale gira una leva oriz- zontale LL, che ha il suo centro di gravità nel perno stesso, 92 La Genesi delle Quantità ecc. e che è inoltre scannellata nel senso della sua lunghezza per modo che la linea di mezzo della scannellatura rr passi per F asse del perno suddetto P. Dall' uno dei lati di que- sta scannellatura scorre il perno p del nonio del nostro ele- mento, dall' altro si move il perno p" dell'asta dell'elemento successivo. Il perno della leva deve essere adattato a vite nel centro del nostro elemento, ed avere dall' altra parte, cioè al disotto dell' elemento , una testa quadra t , onde potere con una chiave alzare la leva, perchè la sua scannellatura abbia un preciso contatto coi perni corrispondenti. Il primo elemento, o l'inferiore, differisce dall'intermedio in questo che il nonio non ha asta alcuna^, poiché non ri- ceve nessun movimento da leva precedente, ma solamente una vite V per fissare il nonio alla scala tri una data posi- zione quando la macchina è in movimento. L' ultimo elemento., ossia il superiore, manca di leva, ed ha soltanto il nonio che scorre lungo la scala durante l'azion della macchina. Prima che la macchina agisca gli elementi si trovano tutti disposti 1' un sopra l'altro in modo che tutti i loro centri sono in una stessa verticale, ed i lembi delle scale in due piani verticali paralelli (F/g."a,3): e ciò perchè gli elementi stessi si dividono in due sistemi, l'uno formato dagli ele- menti dispari, che hanno le scale dall' una parte in un piano, P altro dagli elementi pari aventi le scale dall' altra parte anch' esse in un piano. Quando la macchina è in azione, locchè si ottiene me- diante la vite U, il secondo sistema si separa dal primo scorrendo orizzontalmente, ed in modo che il . piano verti- cale che passa pei centri degli elementi, e pei zero delle scale non cangi di posizione, e i due piani delle scale si scostino rimanendo fra loro paralelli. La macchina poi è per tal modo composta che la separazione dei due strumenti non può oltrepassare la distanza CH eguale per tutti gli elementi, fra i centri C di questi e le rette HK percorse Memoria del Sic. Cap. Antonio Araldi. o3 ne' rispettivi elementi dai centri dei perni p dei nonii cor- rispondenti. Siccome non vi ha che il primo nonio che sia fermato alla sua scala, così egli è facile da vedersi che ciascuno degli altri nonii accpjisterà sulla sua scala un movimento dipendente dalla posizione primitiva del nonio stesso, e da quelle di tutti i nonii precedenti. Noi esamineremo la na- tura della curva la cui ascissa sia misurata dalla separa- zione ZX dei due sistemi notata sulla macchina da una scala particolare S' (Fig."3) di cui è munito ciascuno degli elementi estremi : 1' ordinata poi sia determinata dalla po- sizione del nonio appartenente all' elemento nesimo sopra la scala corrispondente. Supponghiamo la Chi (Fig."i) costante per tutti gli ele- menti = i ("'/ 1' ordinata XO della curva che corrisponde all' ele- mento nesimo D (Fig."*2,). e-y l' ordinata KH (Fig."i) che appartiene all'elemento (n—i) esimo A. x V ascissa ZX comune alle due curve. wa la distanza primitiva OY fra 1' asse o (Fig."a) del perno del nonio nesimo, e l'asse y del perno por- tato dall'asta del nonio stesso. Mb la distanza primitiva fra il nonio nesimo N, e lo zero della scala dell' elemento corrispondente, '"'/-'"'a sarà la distanza YX fra il perno dell'asta n, ed il piano dei zero delle scale corrispondente all'ascissa x, il cui valore sarà compreso fra i limiti o, ed i. Quando i due sistemi descritti si saranno separati della distanza XZ, si avranno due triangoli simili CHK, CXY ret- tangoli racchiusi dalle projezioni orizzontali HK, XY delle jette percorse ne' loro elementi dai centri dei perni p',p" del nonio n— i, e dell'asta re, da quella ZH del piano che passa pei zero delle scale, e finalmente da quella della linea di mezzo KY della leva re— i; dal che ricavasi l'analogia 94 La Genesi delle Quantità ecc. CH;HK::CX:XY, ossia i:("-y:: i-k<; :("y -<*>«, e da que- sta proporzione si ha la seguente formola fondamentale (i) . . . <"y=:<— 'y-c+o— y+i")a. Siano 'a, " = '«, "y=z'ax 4- '«-+-"«, '"y=:'ax*-h(2.'a-h"a)x -\~'a-+-"a-+*'"a, 'y ss 'ax3 -+- (3'a-\-"a)x''-+- (3'a-\-2,"a-¥<"'a)x -h'a-h "a+ '"a ■+■ '"a, y= 'ax* -h (4'a+"a)x3-h (6'a+3 W'a)**-+-(4 W3 ' Wa "W '"a)x a-\-"a->r" a-h"a-^-"a. Da queste formole vedesi che le curve esaminate sono altrettante parahole, il grado di ciascuna delle quali egua- glia il numero degli elementi precedenti a quello cui ap- partiene la curva stessa. Le equazioni di queste parabole espresse per le 'b,"b,'"b,ec, riduconsi poi alle seguenti Memoria del Sic. Cap. Antonio Araldi. o,5 (V) . . . y=z'bx*+{3'b-h"b)x>-h{3'b+z"b+'"b)x>-h('b-h"b+'"b+"b)x+-'b, •y='bx3-h(2'b-h"b)x'+{ W "b+"'b)x + *b, "'y = 'bx>+\ 'b+"b)x + '"b, "y = 'bx-h"b, che si sono disposte in ordine inverso al precedente onde mostrare, che date di esse la prima si deducono agevol- mente le susseguenti, e quindi le posizioni primitive "b, '"b^'b, "b,'b, da assegnarsi ai diversi nonii perchè la macchina in movimento determini col nonio 5.° la parabola di un' equa- zion data di quarto grado della forma delle precedenti fra i valori o, ed i della x ; avvegnaché il primo coefficiente 'b è lo stesso in tutte le equazioni suddette, e gli altri si de- terminano ordinatamente col sottrarre dal coefficiente supe- riore dell' equazion precedente quello già determinato del termine posto a sinistra di quello del coefficiente richiesto. A rendere più semplici le formole (IV) gioverà assumere per ascissa delle nostre curve la CX uguale all'unità CH aumentata della separazione ZX dei due sistemi, per lo che si dovrà porre nella (IV) x— i in luogo di x, e si avranno le formole (VI) ... 'y = 'a, n / = ax •+• a, '"y sa 'ax' -h "ax + '"a, 'y = 'ax3 -h "ax" -+- "'ax -+- "a, y = 'ax4 -h "ax3 ■+> '"ax* -h '"ax -t- "a, nelle quali il valore di x sarà dallo strumento ristretto fra i termini i, e a. Data pertanto un'equazione y = 'ax4 -h "ax3 -+■ "'ax* -h f,ax -H "a si potrà collo strumento descritto determinare i valori delle ordinate y corrispondenti alle ascisse comprese fra i , e a ; 96 La Genesi delle Quantità ecc. poiché ricavati dalle forinole (III) i valori delle posizioni primitive da assegnarsi ai nonii, non si avrà che a collocar questi, ed a mettere la macchina inazione; durante il mo- vimento della quale il nonio quinto segnerà sulla scala rispettiva le ordinate corrispondenti alle ascisse contempo- raneamente determinate sulla scala 5', nella quale segnasi la separazione dei due sistemi. E vero che tanto i valori delle 'b,"b,'"b, ec, quanto quelli delle '/, "/, ' '/, ec, cor- rispondenti alle ascisse frapposte ai limiti 1, e 2 potrebber riuscir maggiori dell' unità, e quindi non essere determina- bili dalle scale S: ma è da osservarsi che qualora trattasi soltanto di concepire la genesi delle y debbonsi tanto quelle scale, quanto le leve che muovono i nonii riguardarsi pro- lungate indefinitamente, come pure indefinita potrà rite- nersi la quantità ZX, della quale possono immaginarsi se- parati i due sistemi^ onde nella concezione della genesi delle quantità prodotte dal nostro strumento vengano tolti que' limiti , che non si possono nella pratica applicazione dei teorici principj evitare. Si è nel disegno limitata la lunghez- za delle scale delle y affinchè le leve non possano formare coli' asse delle/ un angolo maggiore di 45° che produrrebbe un' attrito troppo grande , il quale potrebbe alterare, od arrestare l' effetto dello strumento. Ciò non pertanto si po- trà con questo., qualora le 'Z>, "b, ec, '/, "/, ec, riescano troppo grandi, determinare i valori delle "/ in una scala più piccola, la cui unità sia un suinmultiplo — dell' unità ' 7 Ff 7 I II v 1 11 i-«» ..-.bb y y y delle x : dinatti sostituendo , ec, -~ , — , ec. - — io* io» io» ' io» ' 10* ri a a quindi — , — , ec, in luogo delle 'b, "b, ec, '/, "/, ec.,'/, 'a, "a le forinole (VI) non cambiano. Il medesimo discorso si deve applicare alle forinole (IV), ed alle seguenti (VII). Memoria del Sic Cap. Antonio Araldi. 97 Suppongasi ora che in luogo di fermare sulla sua scala il primo nonio prima di dar moto alla macchina si assi- curi l'ultimo mediante la vite V (Fig."a) al rispettivo ele- mento. Messo lo strumento in movimento colla vite perpe- tua U i diversi nonii determineranno delle curve delle (piali ("'y — '"'a si avranno le seguenti equazioni per la forinola <"_,y = che, supposto CX=x, si deduce dalla (I) col porre x—i in luogo di x (VII)... y= *b = ->rec... + {"}A. Non si avranno che a determinare i valori delle 'b,"b,'"b,ec, o secondo le formole (VI), o secondo le (IV) per avere dallo strumento i valori delle y corrispondenti ai dati della x compresi fra o, ed i, se facciasi uso delle (VI), o fra i, e 2., se delle formole (IV). 5.° Somme delle formole algebraiche della forma y = 'Ax~' * '",j£* + "'Ax-' ec. Queste quantità che sono della forma delle (VII) potranno determinarsi col nostro strumento fra i limiti i, a delle x. Che se si volessero quei valori delle y, che possono venir segnate dalle scale rispettivamente ai valori di x, minori dell' unità converrebbe dar moto alla macchina in senso op- posto al descritto in modo che i piani delle scale, in luogo di scostarsi, si avvicinassero. 6.° Radici delle Equazioni Algebraiche. Si è veduto come col nostro strumento si possano deter- minare le ordinate della parabola dell'equazione y=z'ax4+"axì-¥-'"ax2 + "ax ■+- "a loo La Genesi delle Quantità ecc. corrispondenti ai valori della x compresi fra i, e a, onde ogni qualvolta il nonio quinto passasse per lo zero, l'equa- zione precedente riuscendo o = 'ax4 -+• "ax3 4- " W + '"ax -h "a, nella scala della x si avrebbe notata una radice di questa equazione, di modo che se essa avesse tutte le sue radici comprese fra i , e a si potrebbero determinare i valori tutti delle medesime. Ma se desse non esistessero tutte, o non esistessero d' al- cun modo fra que' limiti converrà con delle operazioni suc- cessive cercar quelle che possono trovarsi fra o e i ; fra a e 3; fra 3 e 4- ec, e così per riguardo alle negative. Per determi- nare le radici della proposta comprese fra ae3 si fisseranno . sopra le loro scale i nonii estremi nella posizione ove si trovano, quando la scala delle x dà x=a, e rese le aste in- dipendenti dai loro nonii, si chiuderanno i due sistemi, rimet- tendoli al primitivo loro posto. Quindi si trasformerà l'equa- zione data col porre ìc'-hi =x, onde 1' ultimo termine della trasformata, il quale deve dare la quantità ora segnata dall' ultimo nonio, offrirà una prova dell' esattezza dell'opera- zione eseguita precedentemente dalla macchina. Con questa si potranno determinare le radici x della trasformata com- prese fra i e a , onde si avranno quelle della data fra i limiti a e 3. Finalmente si opererà per determinare le radici della trasformata frapposte fra a e 3, ossia quelle della data fra 3 e 4- Così in progresso, e riguardo alle radici poste fra i termini o e i, ed alle negative. Onde evitare questa specie di tasteggiamento gioverà deter- minare a principio due limiti —1,-hL fra i quali restin comprese tutte le radici positive e negative della proposta, e trasfor- mar questa col porre x= io"('a;— >i)— l , ove ri sia tale che Memoria del Sic. Cap. Antonio Araldi. ioi Z+ L ~<.i- La trasformata avrà tutte le sue radici comprese fra i e a, e colla macchina si potranno determinare le pri- me cifre di esse, e delle radici quindi della proposta equa- zione. Allora noi ci potremo occupare di cadauna radice separatamente, poiché chiamato r.ic* il numero espresso dalla prima cifra r di essa radice, trasformata la data col porre x=(x'-+-r—i)iop si avrà un' equazione di cui una radice sarà composta dell' unità seguita dalle cifre stesse della cercata radice susseguenti alla r, le quali potranno rintrac- ciarsi col nostro strumento. Se l'unità delle x è di dieci pollici, potrà la medesima dividersi in 1000 parti, e queste suddividersi dal nonio in io, onde ottenere collo strumento le prime quattro cifre decimali della radice della trasformata. Chiamato r il nu- mero dalle medesime rappresentato si potrehhe tentare di determinare le cifre seguenti col trasformare di nuovo l' ul- te"—0 tima, ponendo x'= j— -w'j ed operando sulla nuova tra- sformata come precedentemente. Se non che effettuando queste trasformazioni le nuove 'b, "b, '"b ec, riusciranno di un numero disparato di cifre, di modo che non tutte con eguale esattezza potranno venire segnate dalle rispettive scale, anzi facile è a vedersi, che la "b conterrà quattro cifre decimali di più della 'b, otto la "b, e così di seguito, mentre dalle scale delle y non possono rendersi visihili che le prime quattro cifre decimali delle corrispondenti 'b,"b,ec. Ciò nuli' ostante, tuttoché le susseguenti cifre non cadano sotto i sensi, mostrerò con un esempio come può concepir- sene segnato un maggior numero sulle scale delle y. Si collochino i nonii in modo che segnino 7> = c, i49 •> "b — c, 5ai; '"b=:c, 3a5; '"b = c, ^S'-, ,b = c,3-i5. Si fissi il primo nonio alla sua scala, il secondo all'asta. Aprasi lo strumento finché x = ; il secondo nonio segnerà icoo D 102 La Genesi delle Quantità ecc. "y—-L— i-i-i-o, 5ai =o,5an49- Reso il secondo nonio indi- * 1000 pendente dall'asta, e supposto fissato alla scala, chiudasi la macchina, indi fermato il terzo nonio all' asta, si riapra fin- ché di nuovo x ss : il terzo nonio segnerà il numero 1000 °- -ti -+-o,3a5 = o,3a55f2i iÌQ- Cosi continuando si otterrà IOOO che il quarto nonio segni sulla sua scala il valore 0,475325521x49, ed il quinto l'altro o,32547532552i i4g. Vuoisi vedere come tutti i nonii posson segnare questo nu- mero di i5 cifre? Fermisi il quinto alla sua scala al posto o, 325475325521 i49o liberimi gli altri dalle aste, chiudasi lo strumento, portinsi i nonii i.°, 2.°, 3.*\, 4-° allo zero ri- spettivo, ed assicurinsi alle aste. Si trasporti quindi il nonio quinto allo zero,, e gli altri nonii indicheranno tutti il nu- mero suddetto. La macchina descritta rende palese la genesi delle quan- tità razionali, ma non soddisfa allo stesso oggetto rapporto a tutte le irrazionali, venendo per essa determinate quelle poche che dipendono dalla risoluzione di un' equazione al- gebraica. A questa mancanza vuoisi supplire col progetto di una nuova macchina della quale la prima non è che l'ele- mento destinato a descrivere con un sistema di leve una qua- lunque curva geometrica, ed a determinare i valori di qualsivoglia quantità algebraica irrazionale. Suppongasi che la macchina descritta segni una radice dell' equazione o = 'ax4+ ' 'ax3 ■+• " 'ax* -^'"ax-h'a, e si immagini che, assicurati entrambi i nonii estremi alle loro scale, una delle 'a,"a,'"aec. venga da qualche conge- gno obbligata a variare successivamente. È manifesto che questo cambiamento perturberà la posizione di tutti i nonii mobili, ed obbligherà la scatola ad aprirsi, o chiudersi Memoria del Sic Cap. Antonio Araldi. io3 ( purché sia tolta la vite U, la quale impedirebbe quest' ef- fetto) e perciò la nostra macchina darà a ciascun istante una radice di una nuova equazione. Si concepisca ora che tutte le "a, "a, '"a, "a variino secondo le seguenti leggi 'a = ,A\ "a^^'z +UA»S '"a=A",zt+ilA'"z *• ulA", "a = 'a'-z* h- hA"z* -+- uA'rz -t- iyA", 'a = iA"zl> + 'UA- z3 -+- ltiA* z* -+- ,,Ayz -+• ,A\ dimodoché esse vengano determinate da altrettante mac- chinette, quella delle "a composta di due elementi, di 3 quella delle '"a ec, le quali siano obbligate ad aprirsi della medesima quantità s — i continuamente variabile con tal artifizio, che cadauna delle macchinette possa liberamente scorrere lungo il lembo della scala corrispondente della mac- china principale, affinchè resti libera l'azione delle leve di questa e vicendevolmente e sugli estremi nonii fissi, per la quale azione la macchina principale verrà obbligata ad aprirsi, e chiudersi, ed a segnare i valori delle x corrispondenti alle z dell'equazione c = A'x\ -h(,A" z + nA" )x3, + (lA'"z>+l,A'"z + lllA"')x\ ■+• ( A'*z3 + ,,^'V + inA'-z + lVA'*)x, ■+• ( A'zA + uA-z3 + nA'z* + lxA"z + ,A'). Se or concepiscasi alla macchina principale adattato un nonio, che scorrendo lungo una scala, od una punta che segnando su di una carta, determini gli aprimenti delle macchinette secondarie, movendosi in direzione perpendico- lare all' asse delle se, la punta descriverà la curva geome- Io4 La Genesi delle Quantità ecc. trica dell'equazione suddetta, e il nonio segnerà sulla scala i valori delle z corrispondenti ai dati delle x. Da ciò scorgesi che con un numero di leve si può concepire formato uno strumento, che descriva qualunque curva geometrica, rappresenti qualunque legge, ossia ese- guisca qualunque operazione algebraica. Noi chiameremo algebraico questo strumento, ancorché vogliansi considerare il problema della risoluzione generale delle equazioni, e l'altro da questo dipendente della de- scrizione organica delle curve geometriche , cui lo strumento soddisfa, quali problemi trascendentali (*). (*)Inuna equazione di un grado qualunque m, per esempio 4-°> della forma 'ax4-h "axì -h '"ax* -t- '"ax -+> "a =o equivalente alla -a +fdx £Ta+fdx(si "'a-hfdxfi.2. "a+/(4.3.aa'J.t))))=o ; ove a, a,z o,3.a a, ee. sono le costanti dalle quali procedono i susseguenti inte- grali (nota*), le radici, che determinano i punti, ove una parabola del grado m (4-°) interseca l'asse delle x, dipendono dalla relazione che hanno fra loro gli andamenti di una serie di parabole già esaminate dai Newton, Taylor, Bonati ec. diverse da quelle presentate dal primo strumento descritto. Esse non sono , che le curve, che qui appresso chiamo differenziali dei diversi ordini della parabola suddetta, e sono con questa e fra di loro vincolate col principio delle quadrature, per cui le quantità debbono considerarsi prodotte per generazione continua. Ecco il perchè pare che debba ritenersi trascendentale il problema della risoluzione generale delle equazioni, che ai seguenti termini geometrici può essere ridotto. Determinare i valori delle ascisse di una prima parabola ( del grado m-i ) ri- spetto alle quali le aree sono uguali ad un'area data. Egli è vero che quelle parabole sono curve quadrabili, vale a dire che le espressioni delle loro aree corrispondenti a date ascisse riduconsi a formole alge- braiche ; ma ciò non toglie che il problema inverso prima enunciato sia trascen- dentale, tanto più che a determinar quelle espressioni, fu necessario far uso del principio delle quadrature, considerando quelle aree prodotte per generazione continua. Il problema soltanto della risoluzione delle equazioni di secondo grado ridu- cendosi alla quadratura di mìa retta dipendente dalla Geometria Elementare per cui non è necessaria la considerazione della generazione continua, dovrebbe risguar- darsi come problema algebraico. Memoria del Sic Cap. Antonio Araldi. io5 Rimane ora a conoscere un meccanismo che renda palese la genesi delle quantità che possono risultare dalle ricerche della matematica trascendentale. Se ne offre un saggio nello strumento rappresentato dalle figure 4» 5 destinato a trac- ciare sulla carta la linea integrale II {Fig.™ 4) di una data linea geometrica, od irregolare DD, cioè a descrivere quella linea, le ordinate della quale rappresentano le aree della linea data DD. Questa poi per rispetto alla integrale II dicesi differenziale, perchè le ordinate di essa esprimono le differenziali, o le flussioni, o vogliam dire le funzioni deri- vate delle ordinate corrispondenti della 77, e vengono espresse dalle tangenti trigonometriche degli angoli che coli' asse delle ascisse formano le toccanti la curva // all' estremità delle corrispondenti ordinate. Nelle figure 4? 5, P rappresenta un piatto piano circolare, che muovesi in un dato senso continuamente, ed equahilmen- te attorno al suo centro nel mentre che la tavola TT, su cui è segnata la data curva DD, scorre con moto uniforme a dritta paralellamente all' asse AA delle ascisse. Il piatto ruotasi nel senso opposto, quando la tavola muovesi verso la sinistra. Esso ha poi un altro movimento indipendente dal primo, e perpendicolare all' asse A A suddetto, di modo che una punta B fissa ad una distanza costante al piede del piatto mantengasi sulla data linea DD. Al di sopra del piatto, e nel piano verticale che passa pel suo centro, ed è perpen- dicolare all'asse AA, evvi l'asse di una vite perpetua pa- ralella al piatto, gli estremi, od i perni della quale non cangian giammai posizione. Questa porta da un estremo un anello //, che tocca continuamente il piatto, ed è così situato, che quando la punta B è sull'asse delle ascisse A A della data linea DD , l'anello tocca il piatto nel centro, onde, tuttoché il piatto si muova, l' anello non riceve né comunica alla vite perpetua movimento alcuno . Che se la punta segna un' ordinata positiva , 1' anello acquisterà, e comunicherà alla vite perpetua, e, mediante Tom. I. o l o6 La Genesi delle Quantità ecc. questa, ad una punta C un movimento, la cui velocità è espressa dalla distanza dell' anello al centro del piatto, ossia dall' ordinata della data DD, e la punta C segnerà sulla carta, la quale, come si è detto, scorre paralellamente all' asse delle x, una nuova curva 77, proprietà della quale si è che le velocità di incremento, ossia le flussioni delle sue ordinate sono proporzionali alle ordinate della DD, e però da queste rappresentate. E dunque la curva descritta dalla punta C l' integrale richiesta. Non è qui luogo di annoverare i varj accidenti nella for- ma dell' integrale prodotti dal diverso corso della curva dif- ferenziale, i quali tutti deduconsi dalle seguenti due fonda- mentali proprietà, che stabiliscono i rapporti, che incontransi negli andamenti delle due curve, e che ricavansi dalla geo- metrica definizione della curva differenziale per ultimo dianzi riferita. i.° Supposte positive le ordinate superiori all'asse delle ascisse, negative le inferiori : ad ogni ramo della differenziale superiore all' asse delle ascisse corrisponde nelF integrale al crescere delle ascisse positive un ramo ascendente ; un di- scendente ad ogni ramo della differenziale inferiore all'asse suddetto. Viceversa al decrescere delle ascisse. a.0 Ad ogni ramo della differenziale ascendente al ere- scere delle ascisse corrisponde nell* integrale un ramo infe- riormente convesso; un ramo rivolto col concavo al basso ad ogni ramo discendente della differenziale. Viceversa al decrescere delle ascisse. I principali de' mentovati accidenti sono segnati nelle curve della (Fig.'a4)-> ove è da rimarcarsi che il nostro strumento non potrà descrivere, che fino ad un certo limite, il tratto dell'integrale, che corrisponde ai rami della differenziale, i «piali accostansi ad un assintoto UD paralello alle ordinate, per lo che l' uso dello strumento è difettoso, dipendentemente dalla causa medesima , là dove cade pure in difetto la for- inola di Taylor. Memoria del Sic. Cap. Antonio Araldi. 107 In D si ha un circolo, che supporremo espresso dall'equa- zione (y~byz=t*~x\ di cui l'integrale rappresentata dalla •y=fdx{bWf~x%) vedesi tracciata nella /'/', e questa por- ge un'intuitiva dimostrazione della impossibilità della geo- metrica quadratura del circolo. L' integrale seconda del cerchio ,D, e prima della /'/', espressa dall' equazione Jdx Jdx {bW?~x>)t è figurata nella l'I', della quale scorgesi ni /'" /"' 1' integrale dell' equazione fdxfdxfdx (b+[/7^x>), la quale si dovrà chiamare integrai terza del circolo. D. Le forme di queste curve deduconsi successivamente, in- dipendentemente dalle rispettive equazioni, dalla figura della curva ,£>, e dalla posizione degli assi A A, ab d' integra- zione colla scorta dei due precetti or ora premessi. Onde parmi che possa convenientemente applicarsi alla nostra curva integrale quanto Leihnitz annunziò della sua linea medianica geometricae vicarìa destinata a supplire a quella curva, che cioè habet hunc usimi, ut de linearum possibili- tate, forma, et natura, multa etiam ante veram solutionem cognoscere possimus (*) ; di modo che per le nostre inte- grali compiesi la seguente promessa di quel sommo, cui esso non potè adempire : quae ad tangentium conversam de caetero meditati sumus, alio loco Deo volente proferemus : multa enim diversissima itinera non sìne successu exploravi- mus, tametsi prosegui satis non vacet. (**) Molte leggi trascendentali non per anche esaminate da'ma- tematici possono dichiararsi dal nostro strumento, tale sareb- be l'integrale della 77' rispetto ad un asse di integrazione ab' inclinato all'asse A A; della qual curva facile per gli esposti principj è il riconoscere l'andamento. (***) (*) Acta Erudit. Lips. 1694. De curva isochrona Paracentrica. D a* ("¥) Facile è a vedersi che lo strumento integrale, descrivendo colla punta differenzia l'intero perimetro di una figura, ne dà l'area col viaggio percorso dalla punta integrale, il quale può venir segnato da un nonio su di una scala, io8 La Genesi delle Quantità ecc. È poi manifestamente impossibile l'immaginare uno stru- mento, che con moto continuo descriva la differenziale di una data linea. Avvegnaché 1' ordinata della differenziale determina bensì da se sola la direzione della curva integrale nel punto corrispondente: ma l'ordinata dell'integrale, che può essere prodotta da un' infinità di differenziali dipendenti da leggi diverse, non potrà servire a determinare la dire- zione della curva differenziale. Per ciò la differenziale rap- presenta la legge di generazione dell'integrale, e non può, rigorosamente parlando, riguardarsi come derivata da questa. Di modo che, se vogliasi costruire la differenziale di una data curva geometrica, sarà necessario determinar prima col calcolo la sua equazione, e costruir poscia collo strumento algebraico la curva. Ciò nullostante dalla definizion data della curva differen- ziale di una data linea, facile è a concepirsi la grafica co- struzione della medesima col mezzo delle tangenti, e questa operazione è per se sufficiente a dare una chiara idea delle quantità differenziali. Indicheremo ora con pochi esempj come, mediante la combinazione dei due strumenti ideati, F uno algebraico, F altro trascendentale , possa rendersi palese la genesi di molte quantità trascendentali. Vogliasi a cagion d'esempio descrivere la curva le cui ordinate esprimano gli archi di una data curva espressa dall'equazione f(x,y)=o. Trovisi la differenziale di questa f'(x,y,y')=o ove y è la cly, fatto J.r=i, ed eliminando le y.y dalle f(x?y)=o, f(x,yvy')=o, s '=\/ y'2-i-i espressione ge- nerale della differenziale dell'arco di una curva, si giugnerà ad un'equazione s'=(p'(x). qualunque sia la posizione della figura rispetto all'asse di integrazione. Possono pertanto da questo quadratore eseguirsi esattamente quelle operazioni che si fanno approssimatamente col Tachimetro del signor Cairo, il quale strumento può rappre- sentare il metodo di determinare per approssimazione gli integrali definiti. Memoria del Sic. Cap. Antonio Araldi. 109 Collo strumento algebraico intendasi costruito il luogo geometrico dell' ultima equazione facendo sì che la punta, la quale determina le s' dia moto alla punta B dello stru- mento integrale, la cui tavola TT è tratta ad aprirsi dalla medesima causa, che apre lo strumento algebraico, la pun- ta C dello strumento integrale descriverà la curva domandata dell'equazione s = (p(x). Nel circolo dell' equazione x* •+ y* — \ , essendo x = sen. s, 1' operazione accennata condurrà alla descrizione di un arco spettante alla curva dei seni. Sia richiesto il luogo geometrico delle equazioni x'=aìy, y-L±x (*) supposto a base del sistema logaritmico rappresentato dalla Le seconda equazione, onde per entrambe si abbia /'= — , es- sendo e base del sistema iperbolico, e xy = Le. Collo strumento più semplice da principio descritto, e rappresentato dalle Fig." 1 , 2,, 3, fatto '"b delle formole (VII) = Le, "b indeterminato, costruiscasi l' iperbole dell' equazione yx'=Le, facendo in modo che il nonio, che percorre quella curva, regoli il movimento della punta B dello strumento integrale, che si apre egualmente dello strumento precedente. La punta integrale C descriverà il luogo geometrico delle #2=aar, y=L3zx. Finora si è supposto che il piatto P, e le due porzioni della tavola TT, sull'una delle quali è tracciata la curva differenziale, e sull'altra disegnasi dalla punta C l'integrale, movansi uniformemente colla comune velocità dx. Facciasi ora che 1' una di quelle tre parti dello strumento, o due, o tutte e tre, invece di moversi colla velocità dx, derivino il lor movimento dalle punte integrali di uno, due, 0 tre stru- (*) Il confronto di queste due equazioni porge una modificazione all'ordinaria definizione dei Logaritmi, che si è creduto richiedersi dalla legge di continuità. i io La Genesi delle Quantità ecc. menti trascendentali simili al descritto, le punte differenziali de' quali percorrano delle curve date. Considerando fra i supposti il caso più complicato, che gli altri comprende, chiameremo X dx la velocità della porzione della tavola TT, su cui è disegnata la curva DD dell'equazione j==/"(z), os- sia, la velocità di incremento dell'ascissa z=fXdx; X dx la velocità del piatto P ; X'dx la velocità dell'altra parte della tavola. La punta C descriverà una curva la cui ordinata è espressa da/Y Xdxf(fXdx)\, mentre l'ascissa è rappresentata da/X"dx; e, quando X"=i , l'equazione di quella curva sarà Y=f(X'dxf(fXdx))- Camhieranno poi questi risultamene in varie guise secondo che 1' una, o più delle parti poc' anzi distinte derivino il lor movimento da strumenti algebraici invece che da trascenden- tali. Cosi nelP ultimo caso se il piatto sia mosso dal nonio di uno strumento algebraico, il qual nonio determini l'ordinata X' di una curva geometrica, si avrà in allora Y=X'f(/Xdx). A più complicate forme di quantità trascendentali si giu- gnerebbe se si volesse che le tre indicate parti di un nuovo strumento trascendentale fossero mosse da tre composti stru- menti trascendentali,, come l'ultimo organizzati, o da un sistema di tali meccanismi e di algebraici, di modo che non saprebbesi rinvenire una funzione di una variabile, cui non corrisponda una combinazione de' strumenti descritti atta a dimostrarne la genesi. Mal si apporrebbe però chi ritenesse, che questi ideali stru- menti potessero rappresentare le operazioni tutte dell'analisi trascendentale, mentre non si ha avuto in animo che di indi- care come si possano sinteticamente intendere prodotte le quantità che derivano dalle decomposizioni analitiche. Memoria del Sic Cap. Antonio Araldi. ih E di vero i meccanismi che possono immaginarsi potranno servire soltanto a costruire delle linee di determinata figura, ed a rappresentare bensì 1' integrazione di un' equazione della forma f(x, dx, dy) = c, ove dx è costante, perchè que- st' equazione è per se bastante a stabilire la figura di una curva integrale, e non lascia indeterminata che la posizione dell'asse ab delle ascisse, la quale viene fissata dalla costante: ma non cosi potranno integrare l' equazione /( x,y, dx,dy)=o, cui corrisponde un infinito numero di curve di forma, e d' ordinario di natura diversa. Sol quando le variabili siano separabili in un'equazione della forma Xdx=Ydy potran- no collo strumento trascendentale descriversi le due curve integrali z-fXdx, z = C+/Ydy, onde dedurre i valori della y relativamente alla x col con- fronto delle ascisse di quelle due curve corrispondenti alle medesime ordinate. Rimane perfino ad osservarsi, che siffatti mezzi sono limi- tati ad un sol genere di variazione, per cui il Problema riducesi a descrivere con continuità di moto 1' area di una curva mediante un' ordinata variabile, ma non potranno esat- tamente rendere sensibile la genesi di quantità espresse da funzioni di più variabili indipendenti. E ciò è manifesto anche nel caso più semplice, di quelle quantità, cioè, che dipendono da due variazioni, per le quali soltanto si hanno ancor simboli geometrici onde rappresentarle, e per rispetto a cui farebbe d'uopo con continuità di moto percorrere la solidità di un corpo mediante una superficie variabile, il cui contorno, contro la supposta continuità, converrebbe ad ogni istante ricostruire. ' . 51 //.,„..„. .///., /;.;>/■ /...<,/■„,„? ,/..'/.:„■„■„. :;,//, „. ,,/. /,A y, //^^ ,,- _ f % ^ ^ ,— A// /! //,,„, Irta //,>/