MEMORIE DELLA ACCADEMIA DELLE SCIENZE DELL’ ISTITUTO DI BOLOOU SERIE SECONDA TOMO II. BOLOGIA TIPOGRAFIA GAMBERINI E PARMEGGIANI 1862 Mo. B' arden, * . UÙ« DELL’ EPYORNIS MAXIMUS E DEGLI SCRITTI DI MARCO POLO MEMORIA II. DEL PROF. CAV. GIAN GIUSEPPE BIANCONI (Letta nelle Sessioni dell! 6, e 13 Marzo 1862 ). Un’ opera rispettabilissima, e che coll’ aumentare delle cognizioni è cresciuta ogni giorno più di pregio, li viaggi cioè di Marco Polo in Oriente , è stata in più tempi di- sprezzata da molti , che 1’ ebbero in conto di una impostu- ra, e quale impostore spacciarono quei che la scrisse. = Hi- storiam ex Indiis imam, Graecae fidei propriorem subtexe- mus = diceva Scaligero (1) entrando a parlare di qualche fatto narrato dal Polo = Si vera sunt M. Pauli scripta — dubitava Gesnero : e vuoisi che persino a’ suoi giorni e fra’ suoi concittadini il disprezzo passasse al ridicolo, perchè on V appelloit Messer Marco Millioni à cause qu’ il ne com- ptoit que par millions lors qu’ il parloit des rìchesses de V Empire Tatare (2). Nota. Sventuratamente è pervenuta a mia notizia assai tardi un Opera di somma importanza per la presente questione — / viaggi di Marco Polo descritti da Rustaciano da Pisa, tradotti ed illustrali da Vincenzo Lazari Venezia 1847. = Essa mi giunse quando già era presso al suo termine la presente memoria , ed ho potuto utilizzarne soltanto nella parte relativa alla Lezione Ra- musiana. Ove prima mi fosse stata nota, essa mi avrebbe risparmiate infinite ricerche, e sarebbe in minor mole il presente scrìtto , il quale per qualche lato non offre altro interesse che di più abbondantemente provare alcune conclusioni già annunziate dal Sig. Lazari , che con piacere ho vedute conformi a quelle che io avevo tratte nell’ esame delle varie lezioni di M. Polo. Così solo ultimamente mi è pervenuta 1’ altra opera = Die Reisen des Ve- nezianers Marco Polo... von August Biirck. Leipzig 1855. (1) Scaliger. De sublilit. Ex. CXIII. s. 3. (2) Apud Muller. Iudicia. Gian Giuseppe Bianconi 4 Due mali vennero da ciò. Primamente la Scienza non utilizzava tante verità che in quell’ opera erano racchiuse, perchè giudicavansi esagerazioni o falsità : ed in secondo luogo era indegnamente vilipesa ed oltraggiata la riputazio- ne di un Uomo sommo, che ha onorato 1’ Italia nel se- colo XIII. Commisero però un errore di logica coloro che spregia- rono il Veneto Viaggiatore e 1’ opera sua. Imperocché es- sendo stati molti testi , e molte edizioni della medesima per le mani di tutti , e le une dall’ altre assai differenti , ragion voleva che s* indagasse prima e si studiasse quale fra le varie fosse la vera dettatura del Polo, e poscia si giudicasse di lui ; giacché egli è chiaro che ove era discre- panza essenziale di concetto e di dettato, là non poteva essere parto di una sola mente. Cangiarono i giudizj in appresso ; allorquando visitati da’ moderni viaggiatori que’ lontani paesi , che erano rima- sti chiusi per qualche secolo dopo M. Polo , si vide con am- mirazione che quanto questi narrava era vero (1); e co- minciò ad aversi in onore tutta 1* Opera così, che si pas- sò ad accettarne senza molto discernimento or 1* una or 1’ altra lezione. Quindi ne è seguito un altro male contra- rio al primo, essendosi preso a dire che M. Polo assevera tali , e tali cose , anche quando sono esse patentemente favole o scipitaggini. Non è raro pertanto il vedere la fama di questo grande Italiano offuscata oggi stesso da qualche accusa di crassa cre- dulità, o di esagerate imposture, dalla quale non valsero a interamente purgarlo nè i lavori dello Zeno , dello Zurla , del Baldelli , del Marsden , nè quelli degli altri che pur in buon numero vi si adoperarono intorno. E la ragione (1) Pare che la grande opera del Marsden sia dovuta al riscontro eh’ egli fece della narrazione di M. Polo, co’ paesi da se visitati e specialmente con Sumatra come egli stesso attesta pag. XXVII = « A strong per suasion ofthe » fundamental merit and genuine character of thè relation had impresse itself » upon my mind from thè time u>hen I first had occasion ( atout thè year 1780) » to escomine its details on thè subject of thè island of Sumatra .... eie. ». Dell’ Epyornis maximus 5 di ciò è molto piana. Oscillando le opinioni degli eruditi incerte fra diversi testi, ed avendosene qualcuno guasto dalla ignoranza, e dalla ciurmeria, ne è conseguito che so- nosi attribuite a M. Polo parecchie cose false perchè leg- gonsi ne’ suoi libri. L* amore della Scienza , e della riputazione di un illu- stre connazionale , basterebbe forse a giustificarmi se desi- derando io di vedere appurata la quistione ancora incerta del vero dettato di Marco Polo , io recassi alcuni riscontri , ed alcune ponderazioni che mi è occorso di fare su questo proposito ; ma non so se facilmente mi verrebbe perdonato di osare tentarlo colle scarse mie cognizioni , dopoché si adoperarono intorno ai Libri di lui tanti illustri ingegni, quando un altro movente non mi ci avesse tratto in mezzo. E questo si è la richiesta che fecemi già 1’ anno scorso il dotto nostro Segretario , di sapere cioè se , e come Marco Polo parli del grandissimo fra gli Uccelli P Epyornis maxi- mus là ove egli tiene discorso dell* Uccello di Madagascar il gigantesco Ruch. Alla quale inchiesta risposi già in .parte allora , troppo più restandomi a dire sì intorno alla tradi- zione tramandataci dal veneto Viaggiatore , e sì intorno alla quistione zoologica relativa all’ Uccello. Imperocché quel capo appunto dell* Opera del Polo offre gravissime discre- panze nelle varie lezioni : donde nacque allora una consi- derazione che fermò la mia, e credo anche la vostra at- tenzione, Accademici umanissimi, che cioè in alcuni testi de’ viaggi di lui si hanno giuste ed attendibili descrizioni , in altri si hanno esagerati , e balordi racconti. Quindi mi venne necessità di esaminare qual dei testi meritasse pre- ferenza , e maggiore fiducia ; ma troppo poca cosa alla dif- ficoltà , e larghezza del soggetto fu ciò che allora mi ven- ne concesso di indagare. Durante il tempo degli ozj estivi tornai su queste ricer- che , col favore di opere che per P innanzi mancavanmi ; e sembrandomi aver raggiunto un qualche risultato , vengo ad esporlo oggi colla presente Memoria la quale, sempre come preambolo alla quistione zoologica , ha per primario scopo , investigare fra le varie lezioni di Marco Polo qual 6 Gian Giuseppe Bianconi sia la Lectio vera , alla quale ci possiamo attenere per co- noscere ciò che egli narrava, ed infine quali siano le ge- nuine tradizioni da esso lui tramandateci. Una volta fer- mata che fosse tal cosa, si farebbe manifesto quanto la Geografia o la Storia debbano a lui; e su di questa base potrebbesi giudicare con cognizione di causa quale riputa- zione meriti il Polo sotto il duplice aspetto di illuminato osservatore, e di narratore veridico. Preceduto da tanti lavori di uomini eruditissimi sopra il Veneto Viaggiatore, passerò leggermente su alcuni punti, rimettendomi per essi agli scritti specialmente dello Zurla , del Baldelli , e del Marsden : e mi restringerò il più che sia possibile al fondo della questione. A trattare la quale però non è necessario di confrontare fra loro tutti i testi a penna , od a stampa che in buon numero vider la luce (1). Molti non sono che derivati da altri , ovvero compendj , e varianti solo per quel che suol dare la fonte funesta di errori , V opera cioè degli Amanuen- si , della stampa , e de' traduttori da una in altra lingua. Quelli a me noti , e che si contendono qualche titolo di originalità , per comune consenso degli eruditi riduconsi a sei : fra gl’ Italiani 1* Ottimo , ed il Ramusiano , il France- se di Parigi n.° 7367, e tre latini, uno Parigino, il Gryne- ano o Mulleriano , e la versione di Francesco Pipino bo- lognese. Io mi so bene che già si son decisi alcuni eruditi chi per P una , e chi per 1* altra delle Lezioni de’ Viaggi di M. Polo ; e che per altro lato anche le più miserabili stor- piature di quell’ Opera famosa ambirono 1’ onore di esse- re parola del Veneto Viaggiatore (2). I più stanno per la Lezione Ramusiana , e n’ ha dato prova il dotto Marsden collo traslatarla in Inglese , a preferenza delle altre ; e molti (1) Per le varie edizioni, e versioni V. Zurla. Dissertazioni Toro. l.° p. 37. — Marsden The travels of Marco Polo. London 1818. .4.° (2) . . . . per farvi udire le sue parole istesse prodotte nella natia fa- » velia etc. (Prologo della meschina edizione di Trevigi 1640). Dell’ Epyornis maximum accordano a quella il titolo di più corretta po’ nomi topo- grafici , e più ricca per narrazioni e per fatti. Quanto a me ebbi motivi di dubitare che meritasse pre- ferenza il Testo Ramusiano ; e ne esposi alcune ragioni nella Memoria già letta lo scorso anno. Gli studj poi fat- ti in progresso mi hanno prestato validissimi argomenti, se non prendo errore , per rivolgere ad altra parte fuor di Ramusio la mia opinione. Li quali studj pertanto tendono verso due punti, cioè, di distinguere la originale prima dettatura del Polo , e poscia di ravvisare qual altro testo vi abbia , se pure vi ha , che riveduto e ripurgato dal suo Autore ci dia P Opera allo stato più compiuto , più finito , e più sicuro. Pressocchè affatto mancano dati storici che ci guidino in questo cammino; la critica perciò quasi sola ci sarà lume per condurci nelle nostre ricerche. E per servire alla chiarezza insieme ed alla brevità , io stimo miglior partito prendere ad esame uno per uno li sopraindicati sei Testi, traendo da ciascuno quelle partico- larità che valgono a porli in quella luce che loro compete. SI- Codice Francese. La Biblioteca imperiale di Parigi possiede un Codice al n.° 7367 che fu in fama di grande vetustà e pregio, sic- ché quella Società Geografica volle inaugurare la pubblica- zione de’ suoi atti , col consacrarne il primo volume alla edizione del medesimo. Dapprima fu nella Biblioteca dei Re di Francia che era a Blois , donde poi passò nella Pa- rigina (1). Esso è in lingua francese barbara piucchè vetusta, anzi di una singolarità meritevole di somma attenzione (2). (1) Baldelli Storia del Milione Voi. I. p. XIII. (2) Questo giudizio è confermato colla autorità del cel. Abel Rémusat. ( Journ. d. Savants 1818. pag. 646). e del Sig. P. Paris (Bull. Soc. Géogr. Janv. 1833.) il quale inizia le idee qui da me sostenute. 8 Gian Giuseppe Bianconi Ben comprendo che la lingua che correva in antico in Francia, deve notabilmente discostarsi dalla moderna, e che la lezione dell’ antico Codice francese debbe avere voci , e sintassi diversa dalla odierna. Non dato a tal genere di ricerche io non oso porre il piede in questo argomento, ma non so astenermi dallo esporre alcune considerazioni e congetture , che varranno , s’ io non erro , a fare attenti coloro a’ quali e talenti e cognizioni e mezzi sono con- cessi per trattare il difficile assunto. Parmi primamente assai singolare quella mescolanza di voci, s’ io non erro, italiane, che stanno frapposte al det- tato francese , e che s’ incontrano ad ogni linea , voci ta- lora di pretto italiano, ma il più spesso con una desi- nenza e sopravveste francese. Tali si offrono a chiunque, credo , le seguenti , che addurrò per modo di esempio — Olio ne ont d? olive , més il le font de Suzimau , et de noce (p. 45 ) . . . . V en aporte sus le fen e la paie V inverno , cioè , vi si porta sopra il fieno , e la paglia in inverno ( p. 271 ) ... . tous celz que sunt sotopost à lui ( p. 96 ) » . . il montent tant tosto (p. 113).... ongne jor , cioè ogni giorno ( 36 ) ou pius ou mis , o più o meno ( 66 ) ne trop caut ne trop fredo ( p. 38 ) mìllemiaia , cioè mille migliaja ( p. 174); e così le parole bonbace (144) meroles per mi- dolli (194) capare per ostriche (199) finisce (37) leur estré, per la loro strada (10) e mille altre voci di simil conio (1). (1) Ponno pure notarsi la seguenti .... boiler (p. 70) marcare . . . . dementique a scrivre (p. 70 e 78) dimenticato a scrivere . . . longe vite (p. 96) lunga vita . . . cuire (200) cucire . . . pian pas (270) piccolo passo . . . un duchato d' or (173) .. . busel (28) bossolo . . . conce (100) conciati . . . . fructo de la terra (61)... secque (107) zecca... le stroliche (64) lo strolo- go. . . aquiles (207) aquile . . . auquant (6) alquanto . . . emprant (11) im- parando .... V oleo de la lampe du sepolcro (8) . . . cesto oleo (18) .. . Can- fora (195)... il prenent la calcine ... et le poistent meslée con un oleo cf arbres etc. (181) Bastrece (6) ambasciata — nocces d’ Indie (35) noci d’ India — devisce (179) dovizia, ricchezza — . . . de Tonnes il hi ni a si grande devicie qe prò un Venician gros en aurese deus granz. (243 di Tonni egli ve ne ha sì grande abbondanza etc. — aucu dasio ( 245 ) alcun dazio. — jeo prego (259) io prego — menuent civoles (35) mangiano cipolle — hostrige de mer , et en ceste ostrice (199) ostriche etc. curiames (227) Dell’ Epyornis maximus 9 Nè la cosa corre diversamente , per quel pochissimo che posso discernere , quanto alla Sintassi. Quel leggersi ... il ala por ponent , aucune couse moiri ver Garbiti (p. 197), che suona .... si va per ponentè, qualche cosa meno verso Gar- bino ; quel ongne jor au moiri un fois . . . cioè ogni giorno almeno una volta (p. 36.) quel. . . se partirent tuit e quant, e con elz March (9) partironsi tutti quanti , e con essi Marco , e cento altri pajonmi modi affatto propri del no- stro , e non del Francese idioma (1). Perlocchè si offrono naturalmente due considerazioni. Prima : Che 1* Autore del testo francese era poco istrut- to della lingua nella quale scriveva , e non erangli sem- pre alla mano certe voci, d’ altronde ovvie assai, in fran- cese , e ne sostituiva altre italiane , o prettamente tali co- me Olio , Noce 3 Capare , Inverno , ovvero le raffazzonava alla meglio ad un suono francese come ongne , scamper 3 poi- ster 3 dementique. Ma siano esse nell’ uno o nell’ altro mo- do , esse sono tutte , s’ io non erro , di radice italiana , e non partecipano punto, per ciò che mi sembra, del Fran- cese ancorché antichissimo (2). Seconda : che se non avendo pronti convenienti vocaboli francesi fu costretto usare voci italiane , bisogna concluderne che 1’ Autore fu un Italiano , il quale sforzavasi di scrivere in altra lingua , sia per dettare un lavoro originale , sia per corami — ceux qui font la creense (94) coloro che fan la credenza. — de fer Ile (97 ) di farlo. — natege (45 ) natiche. — paschoer (133) pascolare — muert mantinant (134) muore immantinente. — scuz (134) scudo da guerra — grani bochés (136) grandi boscaglie. — f aire si cor ole (136) l’aria sì corrotta — scamperoit (136) scamperebbe. — le tielz espirili, o spirili (137) li tali spiriti — amalaide (137) ammalato — escherne (85) ischerno — encave- strer (126) incapestrare, legare con corda — Il numero delle parole di radice italiana crescerebbe senza dubbio d’ assai collo spoglio generale del te- sto francese, e del suo Glossario che io ho soltanto esaminato quà e là. (1) Aggiungasi. . . il mandoit desant (p. 6 ) egli mandò dicendo — il ne s’en esòdi mie ( 83 ) egli non s’ impaurì mica ... car il hi nia (221) perchè egli ve ne ha. (2) Ho consultato per questi confronti, il Glossario del Roquefort e la = Grammaire de la langue d’ Od., par G. F. Burguy Berlin 1853 — 56. = opere gentilmente indicatemi del Prof. B. Veratfi di Modena , letterato sì dotto anche in questi studj. T. II. 2 10 Gian Giuseppe Bianconi una versione , lo che non cerco per ora. Infatti per un supposto contrario non sarebbe giammai potuto avvenire che un Francese si fosse trovato imbarazzato a scrivere huile , noix, hi ver , froid , voci , come ognun vede, ovvie, e di uso ad ogni momento (1). La Ortografia è altrettanto singolare quanto la lingua. Rarissimo è il que scritto intero ; quasi sempre qe , e spes- so ke e talvolta il vero italiano che . . . for che ( p. 37 ) fuorché ... che ( p. 203 ). . . V en sempre scritto per on ; si voz di , per je vous dis ; . . . non per nome etc. etc. Nella stes- sa pagina e spesso a piccolissima distanza è scritta una stessa parola in due, tre o più modi: ad es. coses , chou- ses 3 couses 3 causes , choses , cosses (p. 12, e p. 62) per indicare la voce tanto frequente cosa ; Canne , Channe 3 e Chane per canna (p. 64), e nella stessa linea mesier , me- ser 3 e mesere ( p. 14) (2) senza poi dire dei nomi di Paesi e di Città variati in modi incredibili. La quale variabilità , o meglio indeterminata maniera di scrivere le voci francesi , o infranciosate , per quanto con- cedasi non essere ancor ferma allora 1’ ortografia di quella lingua , pure non puossi a meno di non attribuirla in gran parte alla somma imperizia dello Scrittore , il quale non conosceva la ortografia del francese che appena in barlu- me (3). Ma s’ apre inoltre 1’ adito ad un’ altra congettura, (1) Per crescere il valore di questo argomento puossi aggiugnere che tal- volta l’Autore ha anche adoperate le stesse voci francesi, ed altra le Italiane; lo che dimostra che non le ignorava (e come può ignorarle chi solo ha tintu- ra di quella lingua?), ma che non le aveva sempre pronte alla memoria pel non uso della medesima. (2) . . . abondanze s e una linea appresso habundanze ( p. 19) faine e roine, Regina (p. 13) Dieu, Diu, Deu (p. 67)... bezogne, beinzogne (p. 68) bufongnoit , bisonz (p. 16) etc. (3) Se una variabilità di ortografia delle parole comuni è giudicala costuman- za di que’ giorni ne’ quali Polo scriveva , non potrassi a meno di non conve- nire che una varietà era pure frutto della imperizia dello scrittore, avendone egli dato prova irrecusabile nella variabilità di scrittura de’ nomi propri di Città , o d’altri. Veggasi ad es. Singuij Tingui , Sugui , e Cingui pag. 166 nome di una sola Città, descritta in un solo capitolo. Dell’ Epyornis maximus 11 e cioè che lo Scrittore prestasse la sua mano a vergare sulla pergamena o sulla carta le parole quali egli le racco- glieva dalla voce di uno che dettava. E poiché il suono delle voci francesi è difficile ad essere rappresentato collo scritto uniformemente senza una convenzione, così quando sia rimesso all* arbitrio di un ignaro scrivente 1* esprimere le voci que , on , chose etc. , egli le avrà espresse secondo- chè o n’ apprendeva il suono, o pareagli che alcune lette- re, ovvero altre formassero meglio la parola rispondente a quel suono. E che questa congettura passi ad essere un fatto, e fors’ anche una verità, parmi di non andar errato se dica che più prove potrebbero addursi. Leggesi ad esempio puis hil che deve significare poiché egli , cioè il puisqu’ il dei Francesi. Ora essendo forse stato pronunziato qual suolsi questo puisqu il, lo Scrittore non seppe meglio porlo in carta che col puis , e col premettere un h all’ il affine di esprimere quell’ aspirato qri . Altrove volendo scrivere che da una notizia un tale n’ ebbe gioia, scrisse not joìe (p. 63); il qual not altro non è che la corruzione della voce ri eut , male intesa dall’ amanuense (1). Così ancora per significare riposano è scritto repoussent, voce guasta dall’ altra reposent ; ma parmi indubitato che colui che sapeva pur tanto di francese da dettare quel Co- dice parigino , s’ egli 1’ avesse anche scritto , non avrebbe mai equivocato reposent riposano , con repoussent che signi- fica discacciano. Infine si legge pure ( p. 59 ) baie invece di Abbaye Abbazia , peres per pierres. Errori ed equivoci che svelano che colui il quale scriveva, operava sotto una det- tatura ; ed imperito qual era della lingua guastava o stor- piava le parole che dovevano corrispondere a voci da lui non ben comprese (2). (1) Aggiungasi car il hi nia (221) perchè egli ve ne ha. Si noti che ad ogni tratto s’incontra il vi scritto con hi . . . il hi naisent buen chevals (17) vi nascono etc. . . . sachiés que il hi se làborent — vi si lavorano . . . encore hi a maintes autres cités etc. (2) Il mutare tre, quattro volte un nome di una città nello spazio di po- che linee non può esser fatto nè di Autore che scrive da se, nè di tradutto- 12 Gian Giuseppe Bianconi Due persone adunque ebbero parte , s’ io mal non m’ ap- pongo , nella redazione del codice francese parigino. Que- sta che scriveva sotto dettatura , 1’ altra che dettava. La prima poco esperta della lingua vacillava nella ortografia; univa, o divideva o mozzava., o scambiava parecchie pa- role. La seconda non aveva uso spedito della lingua , e mancandogli talora delle voci francesi, ne sostituiva delle italiane. Niuna delle due era Francese : e la seconda era senza fallo un Italiano. Bene stà , potrà taluno oppormi ; anche concesso tutto questo , che monta poi infine ? proverebbe tutt’ al più che un ignorante italiano postosi in capo di voltare in francese li Viaggi di M. Polo , n’ abbia dettata la versione ad uno più imperito di lui. La risposta non è difficile ; essendo agevole dimostrare che il Codice parigino non è versione di verun altro , per quanto almeno si conosce oggidì. Ommesso che molte delle stesse cose già dette sopra valgono ancor a provare, che non fu versione ma dettato, originale , si ha poi questo che tutte le lezioni italiane , per quanto è a me noto , sono figlie o derivate dal Fran- cese , come vedremo in appresso ; ed in oltre tutte man- cano di certe cose originali ( spesso bensì di poco valore ) che hannosi nel codice francese. Ma per intrinseche ragioni principalmente viene chiaro che non è una versione dall’ Italiano. Imperocché una notabi- lissima singolarità del Codice è quella di offrire a quando a quando alcuni pentimenti , o ritorni al già detto , o abbando- no di cosa cominciata a dire. Non di rado si legge — Aveva dimenticato di narrarvi ancora ec ed or vi dirò ec (1); Esempio poi sopra tutti rimarchevole si è quello sul finire dell’ opera ove M. Polo si propone di parlare del mar Mag- giore , o Mar nero. Ecco le parole del Testo parigino re- re , nè di copista. È spiegabile solo supponendo uno che scriva udendo nomi sconosciuti e spesso strani , pe’ quali usa ora le une ora altre lettere. Si vegga sopra la nota 3. pag. 10. (1) . . . un autre merveliose mance . . . que je avoie dementique à scrivre (p. 70, e p. 78). Dell’ Epyornis maximus 13 cate fedelmente in italiano = Or noi lascieremo di dire » di Rossia, e conteremo del mar maggiore, così come io » vi ho detto di sopra. Egli è ben vero che vi sono molti » mercanti, e molte genti che lo conoscono, ma ancora ne » sono più assai che non lo sanno, e per questi tali fa » bene mettere in iscritto , e noi vi ci faremo , e comin- » ceremo primieramente dalla bocca dello stretto di Co- » stantinopoli =. Segue poi immediato il Capitolo 219 che dice così. « Contro la bocca dell’ entrata del Mar maggiore dal lato » di ponente v’ è una montagna chiamata il Faro, e do- » pochè noi avevamo cominciato del mar maggiore , noi ci » pentimmo di mettere in iscritto , perciocché molte genti » lo sanno apertamente , e per ciò ne tralascieremo subi- » to , e cominceremo a dire di altre cose , e vi diremo dei » Tartari di Popente ec. » (pag. 273, e 274). Nè guari dissimile è 1’ altro pentimento che s’ incontra al cap. 225. ( p. 269)» .. . adunque noi torneremo ancora » a raccontare della gran Turchia così come voi potrete » intendere apertamente ; ma egli è vero che noi vi abbia- » mo narrato della gran Turchia in addietro ... e perciò » non abbiamo più che contare ; e perciò noi ne partire- » mo per contarvi delle province ... di tramontana ». Or chi potria spiegare, o credere possibili pentimenti di questa fatta se non fosser nel primo getto del lavoro, nella dettatura originale ? Se le prime linee intorno al mar mag- giore e sulla gran Turchia non fossero state scritte sul co- dice stesso che comprendeva già tutto il corpo precedente de’ Viaggi , chi può credere che non fossero state tolte e cassate , giacché nulla valgono ? Qual traduttore avrebbe reputato prezzo dell’ opera di conservarle P E che questo mio supposto sia giusto si conosce dall’ esame di tutte le altre Lezioni a me note dell’ opera del Polo : niuna ha con- servato questi brani , che dicono e si distruggono da se medesimi (1). (1) Meglio avverate queste congetture, e convalidate con accordo di circo- stanze del libro per carattere per emendamenti etc. ne conseguirebbe che il u Gian Giuseppe Bianconi Avvalorano poi la congettura che il Codice francese sia dettatura originale e non versione, altri argomenti, che troppo lungo sarebbe il qui recare ; ma uno da non tra- scurare si è la caratteristica di originalità, e di orale det- tatura che emerge da quel ripetersi di volgari intercalari , o idiotismi sì spesso introdotti, là specialmente ove la nar- razione è giunta al punto più alto di sua importanza = • • • et que voz en diroje ? ( p. 3 , 7 , 9 ) . . . Et por coi voz firoie Ione cont? Sachiez tout voirement etc. (p. 11 e p. 279). Ricordano queste ricadenze gl* idiotismi che conservansi pres- so il nostro popolo , il quale nel suo vivace dialetto bolo- gnese ci dice per es. = che cosa vuol eh’ io le dica? = ovvero parlando di un fragore dirà = Che vuol sentire ? è sembrato il tuono etc. = Or tali modi semplici e triviali s’ accordano bene col concetto che noi ci facciamo di un Viag- giatore , il quale narrando un po’ bonariamente le sue vi- cende , esce in queste frasi , ma non consuonano con un lavoro limato qual sarebbe una scrittura ponderata , od una versione. Ed infatti questi idiotismi sono tutti , o quasi tutti scomparsi nelle altre lezioni de’ Viaggi di M. Polo. Ma torniamo in cammino. Ho detto sopra che colui che dettò il Codice parigino era un Italiano. Ora credo potere aggiugnere di più che era un Veneto. E la ragione si è , che molte voci sparse qua e là nel Codice francese , sono , s’ io non erro, di natura e di forma veneta. Siano alcune ad esempio — Pare (pag. 522) per Padre , sorze oleo (18) per isgorga olio, — Mojer (80) per moglie — zabata e zaba- ter (25) per iscarpe , e calzolajo — cosse (69) per cose Pignole (69) Mester — zintur — caneva — caza — Ca- zaor (507) per caccia e cacciatore — Trinchié (70) per trinciato — pè (25) per piede — eie per esse o loro , e cento altre (1). Sono voci , parmi , per nulla francesi , poco Codice n° 7367 della Biblioteca I. di Parigi, sarebbe il volume scritto per mano di Rustaciano nelle carceri di Genova, e neanche ricopiato, o tutto al più appena passato in pulito. (1) Aggiungasi — orassion (97) — Venesian gros (98) un Grosso veneto, moneta — jorno (25) ed una voce — ziulant (25) scarpa, la cui etimologia credo sia in alcuni dei nostri dialetti, e nel Veneziano stesso, avendosi il zo- ler, legare, allacciare. Dell’ Epvornis maximus 15 italiane , e del tutto venete. Chi dettava adunque tradivasi col lasciare introdursi fra il francese parole veneziane. Pervenuto il discorso a questo punto, ornai si rende trop- po palese che io suppongo che il Codice Francese n. 7367 sia la originale dettatura di Marco Polo , e scritta per ma- no altrui , ma inesperta. La quale supposizione fondata sin qui sul critico esame del Testo, ha altresì un appog- gio in una narrazione storica che ci è conservata dal Co- dice stesso , e da molti altri ripetuta , talché è ormai pas- sata fra le poche memorie certe che ci restano della vita di Marco Polo. In fronte al Codice si legge un Preambolo che ha que- ste parole che reco in italiano = .... E perciò disse Mes- » ser Marco con se stesso che troppo gran male sarebbe » se egli non facesse porre in iscritto tutte le grandi me- » raviglie eh’ egli vide , e eh’ egli udì per la verità , af- » finché le altre genti che non le viddero nè le seppero » potessero conoscerle per mezzo di questo libro. Ed egli » infatti per saper queste cose dimorò nelle diverse parti » e provincie ben ventisei anni , il quale poi dimorando » nelle carceri di Genova fece scrivere tutte queste cose » a messere Rustaciano di Pisa che era in quella medesima » prigione, al tempo che correva delli 1298 anni dalla ve- » nuta di Gesù ( pag. 2.) (1) ». L’ esame critico dell’ Opera, ed il poco che essa ci conserva della propria storia, sono adunque interamente concordi. M. Polo avrebbe dettato in francese, e Rustigia- no , o Rustichelo da Pisa avrebbe scritto , entrambi come meglio sapevano. Come e per quali vicende fosse in carcere a Genova Marco e Rustaciano, il Baldelli ed altri molti n’ hanno scritto, onde io me ne passerò senza più. Ed invece mi faccio ca- (1) La data 1298 è confermata a pag. 81. Capo 77. Sopra Rustaciano di Pisa veggasi la notizia di altra sua opera esistente nella Bibl. Imp. di Parigi, che il Sig. P. Paris offre nel Bullet. Soc. Géogr. 1833 Janv. , recando altresì * introduzione o Prologo della medesima singolarmente simile ed ampollosa quanto quella de’ Viaggi di M. Polo. 16 Gian Giuseppe Bianconi rico di togliere due dubbi che naturalmente si affacciano contro il sin qui detto. Quanto al primo poco basta. Molti de’ fatti ragionamenti riposano sulla natura, o sulla forma delle parole del Co- dice. Or questo io non ho potuto consultare , ma sonomi appoggiato alla edizione fattane dalla Società Geografica. Chi ne può accertare pertanto che la stampa risponda per- fettamente al Codice? non rimane verun dubbio su ciò. Il Sig. Roux incaricato della difficile pubblicazione ci avverte essersi tenuto in debito di pubblicare con ogni fedeltà il testo del Manuscritto; dicendosi persuaso che in Codici di questo genere ciò che essi hanno di informe, e di irre- golare nello stile , dà loro un carattere di verità , cui le correzioni che vi facesse intorno un editore farebbero scom- parire (1). Gli argomenti adunque fondati sopra le parole della edizione del 1824 debbono presuntivamente avere lo stesso valore che se lo fossero sul Codice del XIII , o XIV. secolo. L’ altra difficoltà è, come persuadersi, anzi come ragio- nevolmente supporre che il Veneto Viaggiatore abbia scritto in Francese, piuttostochè in Italiano, in Latino, o in Ve- neziano. Tanto più che la prima lingua non era a lui fa- migliare , se giuste sono le osservazioni recate in addietro. Se ne persuase però , non che il suppose 1’ illustre Bal- delli , il quale con sottile accorgimento argomentò che la prima dettatura del Milione , ossia de’ Viaggi , fosse in Fran- cese (2). Mancando egli della lezione che or qui commentia- mo, non potè recare che poche prove , alle quali avrebbe dato egli pieno sviluppo e migliore di quello che io sap- pia fare , se ne fosse stato possessore , dacché si era posto sì bene in sulla via. E con tutto ciò aggiugne che non dee recar meraviglia che il Polo dettasse in Francese, perchè questa era lingua che egli doveva pur di qualche guisa (1) Recueil de Voyages etc. per la Società Géographiq. T. I. pag. L. (2) Baldelli T. I. Storia del Milione pag. XI e seg. ; ed il Gamba confer- mò questo supposto nel suo Milione T. I. p. XVI. Dell’ Ephyornis maximus 17 conoscere per avere soggiornato nella Palestina, e nella Armenia minore , ove a que’ dì per seguito delle Crociate , era fatta comune. Tal lingua era in uso a Costantinopoli, e in gran parte dell’ Italia ; in essa scrisse Brunetto Latini il suo Tesoro } Aitone armeno il suo libro dei Fatti dei Tar- tari, ed un nostro Bolognese Nicolò da Casola scrisse, circa ai tempi del Polo , un grande Poema; per tacere di altri (1). Ciò vale a provare la possibilità , resta a dire della pro- babilità, e della convenienza, se cioè sia probabile che il Polo usasse della Lingua francese pel primo suo dettato. Intorno a che una notizia storica , giunta fortunatamente (1) V. Baldelli Storia del Milione pag. XI e s. ; e M. P. Paris (Bul- let. de la Soc. Geogr. Janv. 1833, che cita ancora una Cronaca di Amati Monaco cassinese tradotta dal latino in Francese sul principio del XIII. secolo. II Poema di Nicolò da Casola è in due grandi volumi conservato nella Bi- blioteca R. di Modena, del quale reco il principio per saggio della lingua ado- perata da questo scrittore Bolognese. Deu fili la ugen (vergen) , li sauverain criator Yhii crisi uerais, il nostre redemptor Que vii (vini) dou cel in t're (terre) p li pine s folor Et fist Adam nos pere , ond fumee i errar Car p cil peghie , 7 (et ) filz 7 uxor Grant et petit , Iust et pepheor Convint cescun è possibile rilevare a un colpo d’ occhio 1’ importanza delle medesime , e scegliere alcuni pochi capi sui quali istituire per saggio un critico esame , (t) Delle Navigazioni etc. 2.'’ Volume 1559 fol. pag. 7. Dell’ Ephyornis maximus 55 non facendomi carico di esaminare se non quel tanto che può esser concesso entro i ristretti limiti della presente trattazione. Una prima addizione, della quale io toccherò, è quella che si legge presso il fine del Proemio , che non risponde , anzi è in contraddizione col rimanente dettato , e che ha torturato 1’ ingegno di qualche erudito desideroso di trovar pure qualche via di conciliazione. — Nel ritorno dal loro gran viaggio li tre Poli isti tres latini ( leggesi nella latina paris. ) post multum tempus , et post multos labores s per Dei gratiam venerunt Trapesondam s postea Costantinopolim , dein- de Nigropontem ; et postmodum Venetias , ecc. (1) — Nella Ramusiana invece si legge aggiunto = Facendo M. Nico- » lò , Maffio , e Marco questo viaggio intesero come il » Gran Can era mancato di questa vita, il che gli tolse »» del tutto la speranza di poter più tornare in quelle par- » ti , ecc. = Or questo passo fa a’ pugni coll’ altro che rephcatamente si legge nel corpo dell’ Opera , là ove si dice = magni Kcm modo regnantis (2) . . . incepit regnare , jam sunt anni quadraginta duo usque ad praesentem diem3 quo currunt anni domini 1298. Ipse habet bene octoginta quinque annos ecc. (3) Qui dunque Marco parla del Gran Kan come vivente nel giorno in cui scriveva, men- tre n’ avrebbe già appresa la morte, ed annunziatala in precedenza. Di questo luogo ecco due giudizii. Il Signor Lazari presenta la cosa qual è dicendo apertamente = non si » può riguardare questo periodo che come un’ arbitraria » interpolazione , che si oppone all’ intero contesto dell’ o- » pera, dove Marco parla sempre di Cubilai come se fos- » se vivo =. Invece il Marsden ne cava quest’ altro argo- mento = che 1’ opera del Polo fosse principalmente coni- li) pag. 310. (2) Latin, paris. p. 364. (3) Nella prima Francese si ha identico linguaggio = le Grand Kan, que » a orendroit regne = . . . . 1 298 ; « il puet bien avoir d’ aajes quatre yins » et cinq anz ecc. pag. 81. 56 Gian Giuseppe Bianconi » posta dalle note fatte mentre egli era fuor di paese , e » non da susseguenti memorie, è reso evidente da questa » circostanza : eh’ egli accidentalmente parla del Gran Kan » ora regnante ; laddove gli fu comunicata la morte di Cu- » bilai nel suo viaggio dalla Persia a Trebisonda =. Si comprende che Marsden non si accorse che 1* ultima noti- zia non era di Polo. Ommetto le opinioni di altri. Ma non si è forse posto mente quanto occorreva a tutti i lati di questa mutazione operata dal Ramusio. Una volta intrusa quella notizia della morte del Gran Kan, egli do- vette vederne le conseguenze sul restante del discorso : e cercò difendersene. Quel luogo infatti che sì chiaramente precisa che Cubilai regna sino al giorno d’ oggi 1298 , indarno si cerca nella lezione Ramusiana ; eppure dessa si legge , come sopra è detto nel Francese primo , nel latino di Parigi , nell’ Ottimo , e nella Pipiniana. Dunque non po- teva a Ramusio passare incognito ; e perchè lo togliesse io non cercherò. Sebbene poi a sua giustificazione debbo di- re eh’ egli non tolse le parole precedenti = che ora re- gna = le quali bastano a mostrare P errore commesso quando egli inserì la notizia della morte nel Proemio. Singolare è poi che questa stessa intrusione fa a’ pugni ancora colle parole poste poco prima , e che sono parimen- te una interpolazione Ramusiana , mentre si dice che = ve- » dendo il Gran Kan esser molto vecchio , dubitavan che » se morisse avanti il loro partire non più potessino » tornar a casa =. Or se avevan desiderio di andarsene da’ paesi orientali , per rimettersi in patria prima che mo- risse quel Sovrano , come sta il dire che 1’ apprendere la morte di lui tolse loro del tutto la speranza di poter più tornare in quelle parti? Al Capo XXIV ( lat. ) parlando della Georgia il Polo dice che v’ è il mare detto Cechichela , per molte buone ragioni , segnatamente per quelle recate dal Sig. Lazari , ravvisabile pel Mar Caspio. Polo commise 1’ errore di dire che vi sboccava 1’ Eufrate. Ramusio il corresse , ma fece nomarlo a Polo stesso mare Abakù; e gliene fe’ dare lunga descri- zione , traendola egli da tutt’ altra fonte. Similmente fa Dell’ Epyornis maximus 57 aggiugnere una descrizione della Città di Tiflis : e di più una dichiarazione messa in bocca di Polo, che è molto da temere non risponda nè punto nè poco al disegno gene- rale dell’ Opera. Ben più infelici sono altre interpolazioni, le quali gua- stano realmente il dettato. Tale è quella annessa alla bella descrizione che Polo dà dell’ animale che fornisce il mu- schio. Il Veneto viaggiatore dando un cenno della Caccia che si fa del medesimo dice = muscus invenitur per istum modum ; quia quando homo cepit eam (bestiam) invenit inter pellem et camem circa umbilicum unum apostema , et illud in- ciditur cum toto corio et hoc est muscatum . . . = (1) Ramu- sio invece così pose = Nasce a questa bestia , quando la » luna è piena nell’ umbilico sotto il ventre un apostema » di sangue, e i cacciatori nel tondo della luna escono » fuori a prender di detti animali , e tagliano questa apo- » stema , ecc. = (2) Altrove parlando del Tibet M. Polo aggiugne = in illa contrada sunt multae bestiae quae fa - ciunt muscum — (3). E Ramusio invece = Quivi si tro- » vano di quelle bestie che fanno il muschio, e in tanta » quantità, che per tutta quella contrada si sente 1’ odo- » re , perchè ogni Luna una volta spandono il muschio. » Nasce a questa bestia come altra volta s’ è detto , ap- » presso 1’ umbilico una apostema, in modo d’ un bognone » pieno di sangue , e quella apostema ogni luna , per troppa » replezione sparge di quel sangue qual è muschio ecc. » (4-) Neanche una parola della Luna si trova nel Francese, nel Latino paris. nell’ Ottimo, e nella Pipiniana. Perchè dun- que Ramusio si tolse Y incarico di porvelo entro , insieme con altre falsità che si leggono accolte in queste sole po- che linee? (1) Latin, paris. p. 367. e meglio il Francese p. 73. c. LXXII. Si noti di passaggio che nel codice latino paris. si aggiugne che il Muschio vocatur seeundum linguam tartarieam gudderi ecc. voce che manca nel Francese; e ehe i Zoologi odierni riferiscono per relazione dei viaggiatori essere data dai Calmucchi e dai Mogoli al muschio, modificata in Kudari. (2) Ramusio 1669. pag. 16. (3) pag. 399. (4) pag. 34. T. II. 8 58 Gian Giuseppe Bianconi Qualche addizione del Ramusio ha costato rimproveri al Polo. Di due sole dirò. = Non tutti , dice il Baldelli , con- » verranno col Polo che la poligamia aumenti la popola- » zione ecc. = Una insulsa diceria dà giusta ragione al Baldelli di questo rimbrotto. Ma di chi è quella diceria ? Non è di Polo, è del Ramusio (1). Ebbe il Veneto viaggiatore taccia di impostore in pro- posito della grandezza della Città di Quinsai , cui attribui- sce cento miglia di giro , e dodici mila ponti ecc. Ma ben diverso è il modo di esprimersi di Marco nella Francese antica , e nella latina di Parigi = dicam vobis suas con- dictiones secundum quod rex (regina) istius provinciae scripsit ad Bay am qui conquestavit istam provinciam de Mangi ; et iste misit illam litteram ad magnum Kaan } quia sdendo tantam nobilitatem non faceret eam destrui. Et ego compu- tabo vobis per ordinem quidquid scriptum dicebat ; et totum est verum , quia ego Marcus vidi postea eam meis oculis (2). È mutato dal Ramusio così = In questa città M. M. Polo , » vi fu assai volte, e volse con gran diligenza considera- » re e intendere tutte le condizioni di quella descrivendo- » la sopra i suoi memoriali , come qui sotto si dirà con » brevità (3). Ognun vede che quel Ego computabo vobis per ordinem quidquid scriptum dicebat = è stato tradotto pei memoriali scritti da M. Polo stesso. Equivoco non lie- ve perchè quella scriptum era la relazione della Regina di Quinsai , che mandava al Gran Kan. Le conseguenze che vengono dalla prima , ovvero dalla seconda esposizione sono di notevolissima gravità. Imperoc- ché pongasi con Ramusio che M. Polo narri della Città di Quinsai dopo averla visitata molte volte e con gran dili- genza , e dopo averla descritta sopra i suoi memoriali , ne (1) Non dissimile è la opposizione opposta dal Mardsen a proposito del Pa- lazzo Imperiale di Cambaln. Egli ne dice ( pag. 291 ) stravagante la misura di otto miglia di giro del {gran muro di cinta. Ma le otto miglia si leggono nella Ramusiana, laddove nel Francese (pag. 89) nel Latino paris. (p. 371 ) e nell’ Ottimo , si dice solo quattro miglia , cioè un miglio per ogni fronte. (2) Latina paris. pag. 426. Francese pag. 168. (3) pag. 45. Cap. 68. Lib. 2. Dell’ Epyoknis maximus 59 viene che egli è responsabile di tuttociò che dice , e che gli si può affibbiare la taccia di impostore se è corso a qualche esagerazione. Per contrario quando egli si appog- gia alla relazione della Regina, che può credersi con ogni verosimiglianza aver egli avuta in mano alla Corte di Cu- bilai, nè viene l.° che qualche esagerazione nella relazio- ne che faceva la Regina è condonabile , perchè sperò con essa di risparmiare la sua Città dalla ruina , mostrandone la gran bellezza; ed è perdonabile se per tal fine ne am- plifico la grandezza e la importanza. 2.° Quanto a Polo ^enchè dica et totum est veruni, non ha intera respon- sabilità, perchè vedendo una immensa Città ampliata co- me pensano alcuni da sobborghi, e da minori Città di qualche guisa seco congiunte, e vedendo immenso numero di Ponti, egli avrà reputato verosimile la indicazione del- le misure registrate in quella relazione , trovando poi vere la più parte delle altre cose dette nella relazione stessa Chi può supporre eh’ egli facesse la misura del circuito, o che andasse a contare uno per uno i Ponti ? Egli am- mise le misure, e le cifre della relazione, contentandosi di apporre un incirca — environ (1). Anzi esaminando alquanto più attentamente il testo Fran- cese , che ornai può tenersi pel primo originale dettato, tra- spare, s’ io non m’ inganno, che trascrivesse materialmente dalla detta Relazione molte delle cose che diconsi esagerate. Altri ne giudichi : ecco le sue parole (2). « Et adone noz » conteron de sez (di Quinsay) nobilitò selonc qe la roine » de ceste reingne mande por escript à Baian ... et selonc » que en celle escripture se contenoit fu veri té .... Il se » contenoit tuit primermant, la cité de Quinsai gie environ » cent miles et ha donze mille pont de pieres ...» ed ap- presso. « Et encore hi se contenoit que ceste citè avoit dou- » ze arz ec » Questo dunque è trascrizione di ciò che si conteneva in quella scrittura : ma non è tale lo schiarimento eh’ egli interpone fra il primo , ed il secondo periodo , (1) Francese pag. 168. (2) pag. 168. 60 Gian Giuseppe Bianconi quando dice » Et nulz se face rnervoille se il ha tant de » pont , por ce que je vos di qe ceste ville est toute en eve , » et est environ de eve , et por ce convient qe maint pont » hi aie por aler por toute la vie ». Giustissimo avvertimento tutto di Polo, senza il quale ognuno avrebbe gridato mag- giormente alla esagerazione. Dopo di che continua come si è detto. « Et encor hi se contenait ec. » Chiaro dunque apparisce che le cento miglia di giro , li dodici mila ponti , e forse li quattromila bagni , ed il mi- lione e seicentomila case ecc. sono cifre e misure che dava la Relazione : che Marco non se le immaginò per venirle a ven- dere agli Occidentali; che egli non è un impostore, che prese- ro errore quelli che a lui le attribuirono, e che Ramusio com- pì 1’ opera disgraziata col suggello dei Manuscritti di Polo. Ove fosse cosi cribrata tutta 1* opera del Veneto Viaggia- tore , più lucida senza fallo riuscirebbe la sua riputazione. Forse fu su quell’ equivoco che Ramusio fondò la sua narrazione degli Autografi , che Marco dalla prigióne in Ge- nova si sarebbe fatto mandare da Venezia (pag. 7). Il quale equivoco avrebbe trascinato F altro del Baldelli che disse = Merita particolare riflesso ciò che avverte il Polo che » era in uso di scrivere i memoriali de’ suoi viaggi = È ben credibile che M. Polo avrà fatte annotazioni durante il suo soggiorno in Tartaria, e può argomentarsi dalla diffi- coltà di serbare tutto a mente ; ma a provare questo non vale lo svisato luogo della Ramusiana (1). Il mal vezzo che purtroppo in ogni età è stato di blan- dire la immoralità, ha pure dato argomento ad alcune pro- lisse amplificazioni dei racconti di Polo, o ad alcune ag- giunte che leggonsi soltanto nel testo Ramusiano : deplora- bili , e ad un tempo miserabili lavori. Forse M. Polo eb- bele narrate verbalmente in Patria : ma egli avvertitamente aveale forse escluse da’ suoi scritti come indegne di esservi registrate. Alcune giunte del Ramusio vengono senza dubbio da (1) Forse ricerche più estese su questo punto delle Memorie originali redatte su’ luoghi da M. Polo , potrebbero gettare qualche luce sul vario uso di pri- ma e terza persona usate ne’ testi : del che un cenno si ha già dal Marsden pag. XXI. Dell’ Eprotusus maximus 61 questa fonte , la tradizione orale ; del che egli stesso ne avverte in proposito delle cose udite dal Malipiero (p. 7). Ma assai più Rarnusio ne trasse da Scrittori che parlarono de’ Paesi orientali , d’ alcun de’ quali si valse persino Fr. Pipino , come egli ne avvisa nel suo Chronicon : e lo stesso Ramusio ne cita già parecchi nella sua prefazione. Interminabile sarebbe la revisione dei passi da Ramusio introdotti, e delle conseguenze sinistre da essi recate al testo. Meriterebbero certamente speciale menzione que’ re- lativi alla Carta monetata timbrata con cinabro, (1) alle due Isole Maschio e Femmina , alle idee religiose di Cu- blai ; al puerile contrasto per la partenza dei Poli , alla na- tura dei Cani adoperati nell’ ultimo settentrione per tra- durre le Zattere ecc. le quali tutte, insiem colle prime, con- durrebbero alla conclusione, già prima di me dedotta dal Sig. Lazari , che Ramusio pose mano nell’ opera del Polo , si sforzò di occultarne il proprio lavoro , sparse favole e contraddizioni fra una parte e 1* altra del Testo , il quale venne perciò ad esserne assai guasto. Oltre al Testo poliano , alterò Ramusio in un modo a prima giunta inesplicabile anche il Prologo di Francesco Pipino. (2). Egli lo pone in fronte alla sua edizione dei dei Poli ; vi è voltato in italiano spesso con tanta fedeltà che può dirsi la versione in qualche luogo servile: ma in altri passi hannovi differenze di peso notevolissimo. Se la Lezione pipiniana è per cento prove assai prege- vole , se essa fu redatta vivente lo stesso Marco Polo , ognun vede che ove questa diversificasse dalla Ramusiana, ogni scredito andrebbe a cadere su questa, che verrebbe accusata per le arbitrarie intromissioni , per le ommissioni , e per le modificazioni che Ramusio vi faceva. Ora, se non è te- merario giudizio, diro che Ramusio si è premunito colle innovazioni fatte al Prologo pipiniano. (1) « Nessuno aveva avvertito se ne accettai il P. Zorla e me (dice il Bal- » delli Stor. mil. LXXV. ) che il Polo diede la prima indicazione dell’ arte » dell’ incisione due secoli innanzi il Finiguerra ». Ecco uno degli errori ai quali han trascinato le aggiunte Ramusiane, torturando l’ingegno degli eruditi. (2) Consimili mutamenti furono pure fatti al Prologo di Rustichelio, dei quale io tralascio di parlare per brevità. 62 Gian Giuseppe Bianconi F. Pipino dice = Librum prudentis , honorabilis ac fede- lissimi Domini M. Pauli .... ab eo in volgari fideliter edi- tum et conscriptum (1) verìdica et fideli translatione de vol- gari in latinum reducere = Dal che dirittamente discende che il Libro di Polo è opera di Uomo meritevolissimo d’ ogni fede, lealmente redatto , e che una veridica e fedele traslazio- ne della medesima era quella che dava Pipino , la quale per- ciò era la ripetizione in altra lingua dello scritto di Marco. Tutte queste dichiarazioni che attestano il valore della versione , sono dal Ramusio ommesse ; ed esso limitasi a far dire a Pipino = . . . . io tradurrò in lingua latina dalla » volgare il libro del nobile, savio, ed onorato M. M. Polo » gentiluomo di Venezia ». Continua appresso F. Pipino a far conoscere V Autore del libro , con varie testimonianze così = Dominum Mar- cum horum mirabilium relatorem virum esse prudentem , fi- dclem , devotum , atque honestis moribus adornatum , a cun- ctis suis domesticis testimonium bonum habentem. = Ed in questa vece Ramusio dice = M. Polo ... fu uomo savio » fedele^ devoto ^ e adornato di onesti costumi , avendo » buona testimonianza da tutti quelli che lo conoscevano = Se Pipino avesse usato il linguaggio del Ramusio avrebbe dato argomento da far credere che M. Polo fosse già morto quando traduceva : ma egli usa il presente , lo che prova che era vivo , e ciò procaccia al suo libro un valore altissimo. Ed usò bene il passato quando ebbe a parlare di Maffio, e di Nicolò che a quell’ ora erano già defunti. Ribadisce poi Ramusio 1* idea che si parli di tre trapassati ove fa dire a Pipino == Il che avendo io inteso da quelli che gli hanno conosciuti etc. = del che nulla è detto nel latino. Il fine poi del Prologo è mutato così = Liber autem ipse dice Pipino, in tres partes dividitur , quae per propria capitula distinguuntur. Quorum librorum principiis ad faci- liorem contentorum in eis inventionem sunt capitulorum ti- tuli praenotati = La versione ramusiana ha = Qual libro » fu scritto per il detto M. Marco del 1298 trovandosi pri- (1) Quel conscriptum riferito al librum .... in vulgari che Pipino ebbe da tradurre potrà interpretarsi di guisa che non significhi in verun modo una mano speciale che il Polo v’ abbia posto , per predisporre alla versione di Pipino ? Dell’ Epvornjs maximus 63 » gione nella città di Genova , si parte in tre libri , i quali » si distinguono per propri Capitoli =. Mentre io dimanderò con qual diritto Ramusio ha siffat- tamente mutato il Prologo di Fr. Pipino , altri potrà chie- dere se mai tal Prologo possa offrire varianti che conduca- no alle due Lezioni. Facile mi è la risposta. Per buona sorte ho potuto collazionare i Prologhi del Codice Estense della Mulleriana , della Biblioteca di S. Marco (1), del Co^ dice 5235 della Biblioteca di Parigi (2) , porzione del Ric- cardiano (3), e le varianti non escono mai dal carattere di quelle degli amanuensi, che storpiano le parole, ma non introducono cose sì nuove e lontane. Son del tenore di quelle recate da’ PP. Quetif ed Echard. Sicché puossi as- severantemente sostenere che Ramusio ebbe in mano un Prologo qual si legge nella Mulleriana , e negli altri luoghi sovrastati, e che voltandolo in italiano con sottrazioni e cambiamenti fece cosa avvertita, e per un fine. La risposta intorno all’ operato del Ramusio pure non è difficile a indovinare : essa sta nel cui bono. Ramusio volendo impinguare il testo Poliano, e far dire a Marco stesso io vidi, io udii, abbisognava di togliere un termine di confronto, la Pipiniana, che avrebbe degradato il suo lavoro scoprendone le arbitrarie intrusioni, e mutamenti. Per prov- vedere a ciò conveniva porre in testa al Prologo che Fr. Pipino Abbreviò il libro di Polo , tacere che quel eh’ eì traduceva era 1’ opera fedelmente redatta di quell’ Uomo degno d’ ogni fede , che la versione era veridica , e fedele, e far passare che M. Polo non fosse vivente. A questo prin- cipalmente tendono se non erro le mutazioni del Prologo predisponenti le mutazioni del Testo. Dalle osservazioni sin qui fatte, corroborate dalla più vohe citata opera del Sig. Lazari , consegue adunque essere il Testo ramusiano 1’ ultimo come di tempo, cosi di merito. Contuttociò si par manifesto che Ramusio fece innova- li » ì“ 43 9‘ ^chard Scriptores ordin. Praedicat. pag. 539. (3) Baldelh r. 2. pag. 4. Debbo esternare la mia riconoscenza pel favore col quale accolsero le vane mie dimande gli illustri Bibliotecari della I. di Parigi di Berna, della Marciana di Venezia, di Modena, di Milano, di Ferrara, di Bologna e lo stesso Cav. Cicogna di Venezia. 64 Gian Giuseppe Bianconi zioni allo scopo di render sempre più ricca e più chiara la narrazione di Polo , di non permettere che si perdesse alcuna parola di lui ancorché oralmente tramandata ; il fece per lodevole fine : ma egli doveva tenere staccate le ag- giunte dal dettato di Marco , e guardarsi dal porle in bocca di lui. Egli avrebbe reso un servigio alle Scienze se le sue addizioni fossero state di importanza e serbate a parte ; in- vece egli ha suscitato impedimenti , incertezze , e contesta- zioni che riuscirono a danno della verità, e non sempre ad onore del nome di Polo (1). Ma per tornare finalmente là donde partimmo , cono- sciamo ora quali siano le parole di Polo intorno all* uccello Ruch , e quali quelle aggiuntevi. Sul racconto di questo Uccello conviene giudicare per le relazioni che leggonsi ne’ quattro Codici , e nel principio del capitolo ramusiano su tale soggetto. Ma la seconda parte di questo è apocrifa. Intanto è ora ottenuto che secondo le parole di Marco Polo quel racconto è in gran parte verosimile , e può anche es- sere in parte una verità; laddove secondo 1’ addizione ra- musiana è una esagerazione favolosa. Erami necessario giu- gnere a tal risultato. Dopo ciò faccio fine. Ommetto quindi, almen per ora, di dire di tanti punti meritevolissimi di commento che viaggio facendo per queste ricerche sonomisi offerti , e che servirebbero a porre in più chiara luce il nome di questo il- lustre italiano , grande più ancora di quello che da taluno si crede e per la sua oculatezza nell’ osservare , e per la veracità nel descrivere. Ma le ommetto per ripigliare la questione primitiva , dalla quale conosco di essermi sover- chiamente dilungato , se cioè fosse Uccello di rapina , o cor- ridore , od acquatico il Ruch , 1* Epyornis maximus. (1) «... . Au reste Marco Polo a joint beaucoup de fables à la relation » de ses voyages et les débita aree ime franchise , qui lui fait mériler le sur- » nom de Milion ou hableur ». (Formaleoni. Essai sur la Marine ancienne des Vénitiens. Venise 1788 p. 111. — Quanto non hanno contribuito per questa stolta ingiuria , oltre la ignoranza delle cose , anche gl’ inserti Ramusiani ! INTORNO LA TUBERCOLOSI DEL CAV. PROF. CAMILLO VERSARI ANNOTAZIONE PRIMA Letta nella Sessione 28 Novembre 1861. .... Expectandum . ... ut phtiseos aethiologia melius adornetur , et clariori luce ponatur. Richard us Morton. ACCADEMICI PRESTANTISSIMI 1. Gli studii raccomandati a novità di ricerche sopra vecchi argomenti sogliono fuori di ogni dubbio avanzarne le nozioni ; ma possono alcune volte ancora indurre a di- metterne le acquistate dal senno antico. Già ne interven- ne il caso , e troppo minaccia di rinnovarsi per alcuni Neoterici , i quali , preoccupati d* intelletto , presumono ricominciare certe Scienze da capo, e fare, massimamente delle più alte tra le Mediche , tavola rasa. Pretensione rischiosa colla quale Essi , senza accorgersene , nuocono al- la Scienza , a sè stessi , e ad altrui , e che per contrarie- tà de* migliori Maestri , per istoriche comparazioni , e ra- gionamenti appare sin d’ ora falsissima , sì da doverla ri- solutamente respingere; nè solo per ciò, ma anche perchè palesa dispregio a.’ più degni di riverenza, e ingratitudine inverso ai medesimi. Quei che così la pensano non si av- veggono di nuocere alla Scienza, a sè stessi, per l’ ab- bandono di quanto era provatamente saputo profittevole, e per immodestia almeno ; e nè anche si avveggono di nuocere ad altrui col rimuovere il bene di torsi a guida alcun antico esemplare, e col farsi oppositori ad un gran 66 Camillo Versari vero , più che in altre Scienze , riconosciuto in Medicina. Forsechè Essa non risulta dal patrimonio scientifico di tutte le età, dalla castissima osservazione e dal sano in- telletto de* suoi primi più savii Cultori, dai perfezionamen- ti aggiunti per opera dei successivi, tanto da rappresen- tarne la mente le virtù e le ‘fatiche di moltissimi , il cu- mulo de’ tesori raccolti , da costituirne in somma una pre- ziosa eredità , ossia un’ ampia serie di fatti sperimentali , di pazientissime indagini , di trovati positivi , di nobili sacrificii , di lucide induzioni , di prudentissimi ammoni- menti ? (1) E chi non vede come le prime nozioni dispon- gano le seconde , e così via di seguito ? Il dislegare non torna forse a gran danno , posciachè osta al progresso delle Scienze, le quali solamente si perfezionano per la serie continua delle intelligenze osservatrici? Ora che sa- viezza , e prudenza è mai questa di renunziare a tanto be- neficio ? E non potrebbe accadere, che un dì si rendesse loro pan per focaccia , e che mentre cercan del meglio perdes- sero il bene? D’ altra parte le nozioni già raccolte han pure il valore di condurre a nuove , ed anche di perfezio- nare le vecchie. Le cose avvenute non ajutano a giudica- re bene le presenti, e non lasciano antivedere le future? E non giovano quelle a consigliare , e ad ammonire sè stessi, ed altrui? In oltre sono i Libri dei Classici più ricchi di quello che si stima; anzi, quasi come terreno prezioso, racchiudono dovizie e tesori che sarìa bello ed utile trar dalle viscere e mettere in uso. Quante volte a chi troppo spera nelle cose nuove non accade quello che avviene a chi cerca gemme, o preziosi metalli in vergini terréni , ossia che non ce ne trova ? E per contrario nei (1) Fu pure, ed è tenuta rettissima la seguente sentenza di un G. Baglivi « Non in humani profecto ingenii animine sita est Ars prestantissima , quam diligens , accurata et sagax nota naturae atque animadversio peperit ; sed po- tius variis cujusque aetatis laboribus coacervata sapientia dicenda est, homi- numque multorum mens in unum quasi collecta » ( De Praxi Medica Lib. I. Cap. I. ) E pare a me pure rettissima ; e appunto per ciò la riporto , e vor- rei che quei Neoterici la considerassero. Annotaz. intorno LA TUBERCOLOSI 67 terreni già conosciuti preziosi, non cavansi tuttavia altre gemme , altri preziosi metalli ? Se così è , siccome reputo sia propriamente, dobbiamo quel copioso avere accettare ed accrescere, dobbiamo accortamente valercene, dobbia- mo meritar non pretendere, serbare non manomettere; dobbiamo 1 Maggiori piuttosto tenere in pregio che a vi- !e; aggiugnere in vece di struggere; purificare non inver- tere, non isconvolgere ; e quando sian poste in non cale alcune morbose efficienze, a ragione già innanzi conside- rate , dobbiamo richiamarle all* attento esame dei Contem- poranei , farne librare studiosamente 1* importanza , e gio- varcene ; chè, ° » Non minus est virtus, quam quaerere, parta tueri; e perchè di tal modo ancora si può ben meritare del- 1 Umana Famiglia. Confido che questi pensieri siano pur vostri , meritino quindi accoglienza , o possano almeno ser- vire a preliminari della prima Annotazione propostami in- torno la tubercolosi. 2. Ora, affinchè questo vocabolo sia inteso anche dai non Medici tra Voi , m’ è di bisogno premettere : usarsi nella moderna jatro-tecnica nomenclatura ( forse ancora non monda abbastanza da barbarismi ) a significare quel pato- logico processo più o meno occulto nel nascere , lento presso che sempre nei proprii stadii, e facitore di globu- lari escrescenze prive di organizzazione; di volume da un granel di panico o di miglio a quello di un seme di ca- napa, da questo all’altro di un grosso pisello, od anche a maggiore (1), fornite di caratteri particolari , atte a svol- gersi in qualsiasi organico tessuto, spesso sulla libera su- perficie delle membrane mucose, tale volta delle siero- se , a modo d’ esempio in quella de’ bronchi , della lin- gua, delle trombe falloppiane, dell’utero, dell’intestino ileo, o delle meningi, della pleura, del peritonèo, ec., spessissimo ne’ visceri ricchi di vasi sanguigni e linfatici , (I) Ciò principalmente negli organi cerebro-spinali. 68 Camillo Versari come nel fegato e nei pulmoni, in ispecie per entro a questi ultimi, alla parte alta e posteriore de’ lobi dei me- desimi , e massime del sinistro , dette tubercolo, dai Latini , e volgarizzate da Noi colla parola tubercoli. E poiché in grazia di convenzione , sovente osservata , la desinenza in osi s’ accoglie ad esprimere patogenesi del sostantivo an- tecedente , così per F una e per F altra avvertenza Vi si fa chiara F etimologia insieme e la spiegazione del sud- detto vocabolo. 3. I caratteri de’ tubercoli son varii e noti. Variano in relazione al tempo dello sviluppo , alla sede loro , alla strut- tura degli organi sui quali nascono , crescono , indurano , si ammolliscono , e diseccano ; e varian pure in relazione ai climi , all’ età , ai temperamenti , alle diverse offese dei vasi , e per molteplici morbose complicazioni. Nessuno igno- ra essere que’ rotondi corpicciuoli composti di sostanza opa- ca , friabile, alquanto grigia, poi gialliccia, e ciò, secondo i Moderni , in grazia di metamorfosi grassosa. L’ una e F al- tra sostanza dapprima è solida, poi si rammollisce a poco a poco ; e allora somiglia al pus , o alla midollare sostanza del cervello, come scrisse Morgagni; (1) e allora , massime solida, sembra inabile ad essere assorbita, anche quando ella manchi di una sorta d’ involucro. Niuno ignora nem- meno esserne stabiliti tre stadii : chiamarsi crudo il tuber- colo finché è duro , fuso quando o nella circonferenza (2) o nel centro sia trapassato ad essere consistente al pari di crema ; e che al primo stadio fu imposto il nome di cru- dità, di fusione al secondo. Se ne vuole a questi due sta- dii , o periodi , aggiungere un terzo , o il raro e il casuale , che ho pure toccato, che volentieri chiamerei dissecca- mento dei tubercoli , e che comunemente si distingue colla frase tubercoli cicatrizzati. Questo periodo , ove si tratti in ispecie di interni tubercoli, e più di splancnici, è molto (1) De Sedibus ec. Ep. I. 2. Ep. XXII. 19. (2) 1 tubercoli cerebrali cominciano da questa a rammollirsi : accade F op- posto in quelli de’ polmoni. Annotaz. intorno la tubercolosi 69 infrequente, e riconoscibile quasi solo per le necroscopie. Pure pochissime tisi tubercolari guarite , e massimamente se lungo le medesime avvenne espettorazione di piccioli calcoli pulmonari, o si scorse molta materia cretacea negli sputi, ne lasciano concepire il pensiero. Però, checché se ne arguisca , fa d’ uopo pur sempre considerare , come il disec- camento dei tubercoli non possa avvenire che col dissipar- sene per assorbimento, o di qualunque altro modo, le porzioni proprie di siero , di albumina , coll’ addensamento , e coll aridità de’ sali terrei. Ed è pure mestieri avvertire, che nel cadavere si riconosce per la presenza di materia asciutta, gipsea, calcarea, quando cinta da tessuto orga- nico accidentale, raggrinzato a raggi o a stellette, quando no , sempre solido e aderente al parenchima del viscere resosi in quel dintorno più resistente, più colorito, e al- quanto depresso. 4. Veggonsi non rade volte i tubercoli racchiusi entro tenue membranella , disposta a foggia di piccola capsula , o vescichetta , sì da poterli chiamare encistici , o quasi vescicosi. La materia tubercolare altre volte si scorge depo- sta per entro agli interstizii degli organi ; e allora , se la tubercolosi ingenerò piccioli migliariformi corpuscoli; e mas- sime in alcun viscere , andrebbe forse confusa colla così detta granulazione , meglio granigione, di Bayle, di Laènec, e di Chonzel, anch essa sovente pulmonare; o ne potrebbe sorgere il dubbio di complicazione. Se non che varranno, per quanto ne penso , alcuni contrassegni comparativi a preservarne da quel primo abbaglio. Sono opachi i tubercoli , diafani quei granuli. Se questi talora hanno una qualche opacità, 1’ han solo al lor centro; non vien meno adunque la speranza di riescire a distinguerli. Ma potrebbe essere cotale speranza turbata dalla comune ritonda figura; però non sono mini- mi tutti i tubercoli siccome i granuli; e se in quelli ab- bonda la forma sferica, spesseggia in questi 1’ ovale. Poi trovansi i granuli staccati e non molli ; anzi sempre duri , e a durezza cartilaginea ; dove i tubercoli stanno sovente riuni- ti a masse , e là crudi , qui fusi , e disseccati ; ma ciò egli incontra solamente nelle tubercolosi guarite , od in alcune 70 Camillo Veusari lentissime. V’ ha di più : questi adducono ulceri , piccoli ascessi, vomichette , e concamerazioni , esiti che a quelli, per quanto è a mia notizia, non succedono. In generale i granuli differiscono anche pel diametro dai tubercoli ; e in vero 1* hanno i primi minore, di mezza linea ad una, o tutt’ al più a due , men piccolo i secondi , e gli uni appajono offuscati da neri puntini e da nere lineette , di cui. mancano gli altri, od i tubercoli. 5. Anche rispetto a’ sintomi occorrono differenze ; nè so- lamente per la diversa mole degli uni e degli altri, e per la più o meno irritante natura della rispettiva materia ; ma per la tosse , per gli sputi , per la febbre , per la diar- rea , e pei sudori. Attingo da’ miei clinici ricordi : sempre secca, a lunghi e a veementi assalti la tosse de’ compresi da granigione pulmonare. Espuiscono, non espettorano, e solo scialiva e mucosità, non lineata, o vergata in sangui- gno. È in essi tarda e lieve la febbre, a brevi e ad irre- golari esacerbazioni in confronto a quella de’ tisici per tu- bercoli , e alle altre febbri che a poco a poco emaciano il corpo , o a quelle che con greco nome diciamo per ciò etiche, atrofiche , o meglio marasmatiche. I medesimi infermi non patiscono per solito diarrea e sudori colliquativi : quando pure loro si sciolga il ventre, e la secrezione delle glan- dole sudorifere si accresca, interviene a morbo assai inol- trato; e F una e 1’ altra cosa senza molte difficoltà co’ ri- medii si tempera ; che se non ci si riesce , tuttavia non ne segue il pronto esaurimento di forze comune alle altre ti- sichezze. La tubercolosi adunque sarebbe alquanto diversa dalla granigione, il che non toglie si accompagnino ed am- bedue trapassino in tisi ; però la granellosa è sempre meno frequente della tubercolare. Mi consta , e ne persuade 1* ave- re Bayle fra i novecento tisici sezionati da Lui notato non grande il numero di quelli co’ grani menti , mentrecchè al- F opposto verificò grandissimo F altro per tubercoli. A que- ste mie deduzioni si può forse aggiungere un criterio ana- tomico-patologico lasciatoci da Chomel 3 che nei pochi casi a me occorsi riconobbi conchiudente , ed è il difetto di pseudomembrane tra pleure e pulmoni nei mancati per tisi Annota z. intorno la tubercolosi 7 1 granellosa, difetto che per contrario ben di rado si avvera ne’ cadaveri per tisi tubercolare. Da tutto ciò Voi compren- dete che io faccia differenza tra granimenti , grandine tuber- colare, e piccoli tubercoli. Comprendete altresì, che questi potrebbero più di leggieri essere presi per quelli e vice- versa, stantechè i tubercoli nel principio loro appajono granimenti. Però si muore per questi , pei soli primordii dei tubercoli non si muore ; e d’ altra parte le discorse reali distinzioni possono, per mio avviso, bastare a non confonderli insieme, quantunque non siano molte, poche le sintomatiche, da me in iscarso numero notate, senza che allora mi fossi prefisso lo scopo al quale ora mi piace chiamare la vostra attenzione , e benché mi mancasse 1* ajuto del microscopio. 6. L’ uso di questo strumento, sorgente di scoperte, di minute nozioni , di scientifiche delizie , tanto se diretto sopra particelle e sostanze in istato fisiologico, quanto sovr’ altre in istato morboso, potrà fornire ulteriori caratteri differen- ziali fra granuli e tubercoli; e fors’ anche la Chimica orga- nica sarà per soccorrerne. Non me ne pare infondata la fi- ducia ; prego quindi gli avventurati che godono 1’ invidia- bilissimo bene di esercitare in grandi Nosocomii le Arti Salutari ad averci la mira , Essi potendone per eccellenza ed in buon numero cogliere le circostanze tutte che ivi s’ incontrano a meglio e per intero osservare anche i fatti patologici più rari. M’ ebbi di que’ granuli alcun esempio nell’ Ospedale Maggiore del mio Paese senza che ci tro- vassi , e conseguissi i mezzi opportuni a cotali investiga- zioni ; nè poi me ne avvenne verun altro caso ; sicché sono astretto a starmi in aspettazione d’ esserne fatto pago da que’ Confratelli o Colleghi , i quali siano in condizioni migliori delle mie già passate, e presenti, e che senta- no con meco il sacro debito di fare anche per queste aggiunte 1’ Arte e la Scienza Clinica progredire. Se però non mi è consentito recare in proposito osservazioni mie, o d’ altrui, valevoli ad illustrare i granuli, non mi rimar- rò tuttavia dal toccar quelle che abbiamo intorno a’ tuber- coli , parendomi che proprio me ne corra il dovere , al quale io adempio assai di buon grado. 72 Camillo Versari 7. Ha la microscopìa sopra una piccola massa di materia tubercolosa giunta a perfetto prodotto insegnato ed insegna, che questa è composta di materia amorfa, che ci si rap- presenta da nuclei , da cellule atrofizzate , e che manca di vasi. La microscopìa discoperse pure talvolta nella massa me- desima alcuni sali calcarei e granellini : altre volte molle , molecolare sostanza, simile alla encefalica midollare od a pus, forse separata a spese degli organi nei quali si rin- viene ; e discoperse ancora tre elementi ne’ tubercoli : il pri- mo costituito da granuli molecolari , il secondo dalla so- stanza int erglobulare giallo-grigiastra che unisce i granuli al terzo, ovvero ai corpicciuoli , o globetti proprii. 8. Ma donde viene la materia che fa i tubercoli? È ef- fusa dal sangue , o ne traggono gli organi i materiali e li elaborano ? La tubercolosi genera una peculiare emodiscra- sia , o questa emodiscrasia adduce essa la tubercolosi ? Le osservazioni di Bayle , di Rochoaux , di Hingston , di Su- therland, di Baron , di Baccelli , ec., le quali attestarono vascolarità sanguigna ne’ dintorni de’ tubercoli , meritereb- bero mai d’ essere poste a calcolo per ispiegarne 1’ oscu- rissima genesi ? Rockitanski ne accagiona parziali iperemìe e stasi sanguigne; e tiene che alle medesime consegua stravenamento di fibrina alterata nel ministerio della nutri- zione. Però si legge ancora la materia tubercolare compo- sta di albumina e di caseina : si legge che Andrai, e G. Polli trovarono il sangue dei tisici, a morbo avanzato, in au- mento di fibrina e di materiali calcarei; e che Parola vidde nel 2.° e 3.° grado della tisi i vasi pulmonari ipertrofici, infiammati , fibrinoso il sangue , e coagulato, più spesso nei vasi minori. Si può quindi esclamare. Ahi quanto anche per la tubercolosi da Morton fino a Noi le congetture , le teorìe , le osservazioni miseramente repugnano in fra loro ! 9. Pure, se dovessi avventurarmi ad aprire un sospetto, inclinerei , in grazia de’ motivi seguenti , a quello di una patologica secrezione promossa da cagioni diverse (1) l.° per (1) Da ben otto anni proposi dalla cattedra la massima parte di questi mo- tivi vai quanto dire innanzi che Namias pubblicasse un eguale concetto , e mi compiacqui poi dvincontrarmi anche in ciò con questo illustre Medico di Veneri» Annotaz. intorno la tubercolosi 73 esseie quella materia un prodotto innormale , od eterologo. 2. perchè i sintomi di cachessia tubercolare si presentano verso r ultimo stadio della tubercolosi. 3.° per la sopraccen- nata vascolarità , e per le osservazioni di Rockitanscki s di Parola, e degli altri. i.° perchè senza idiopatia non si può intendere la tubercolosi circoscritta a pochi organi, e massime solo ad uno. 5.° pel fatto di scorgersi i tuber- coli quasi sempre cinti da una membranella, o compresi entro minime cisti. 6.° per occorrere tubercolosi a fomite flogistico, o subflogistico» 7.° per non apparire insussistente una specie di analogia tra la membrana piogenica e la sud- detta, e le cisti dei tubercoli. 8.° per una certa corrispon- denza del periodo di crudità tubercolare con quello di lente flogosi non anco passate a suppurazione, e per essere ben di poco la materia tubercolare diversa dal pus. 9.° per si- militudine del rammollimento tubercolare colla piogenesi, e sì pel processo relativo, sì per fisiche e chimiche qua- lità, e per molti sintomi. 10.° per la realtà e consonanza di que’ due periodi. 11.° pei caratteri che la materia tu- bercolare fusa ci offre esaminata negli sputi, negli ascessi, o nelle escavazioni ; posciachè ella in questi casi è in ge- nere o purolenta , o puriforme. 12.° per la frequente con- versione de’ tubercoli in vomiche. 13.° pei depositi di tu- bercoli , o di materia tubercolosa sopra flogistici prodotti , a cagion d’ esempio sovra pseudo-membrane. U.° infine per la non rara consociazione di questi fatti, di vari esiti flo- gistici (empiemi, aderenze, versamenti ec. ) coi tubercoli, e pel non irragionevole valore de* criterii proposti , e de- sunti principalmente dalla tubercolosi dei pulmoni. 10. Comunque si giudichino questi indizii, rimarrà pur sempre fermo: altro i tubercoli non essere che effetto di una serie di azioni dell’ organismo infermo abili a promuo- verli , a svolgerli , a mutarli ; onde ne rimarrà pur chiara una speciale precedenza , e chiaro che essi ne riescono a speciale prodotto. Ma 1’ atto genetico, ed il successivo na- scere e crescere di que* corpicciuoli , e la crudità, e la fusione, e il diseccamento dei medesimi, ossia il processo degli organici e degli umorali cambiamenti a cui soggiac- T. ii. 10 74 Camillo Versari ciono, o la compiuta tubercolosi , devono bene dipendere da cagioni proprie. E 1* esperienza e la osservazione fecero tener conto: che molte ci concorrono; e che tutte sono degne di studio. Pure una di esse, per singolare andazzo de’ tempi , è ornai posta in obblìo , rinnegata fors’ anche per influenza di straniere dottrine, vo’ dire la flogistica oltre il periodo della acutezza, e non giunta a risolversi o ad essere eliminata ; sicché amo di restringermi a que- st’ una. Prima fa duopo però intenderci bene. Io non am- metto la tubercolosi conseguenza necessaria di flogosi ; am- metto invece che quella possa in alcuni casi susseguire a questa , e realmente le succeda , siccome m’ obbligo di mostrare per innanzi a luogo più opportuno. Frattanto mi piace non perdere 1’ occasion di riflettere , che , consentiti questi avvisi per sani , non tornerà senza utile alludere di bel nuovo agli indizii percorsi , ed alla omissione cui dian- zi accennava , e che vorrei non durasse. 11. Un numero assai grande di fatti palesò l’infiamma- zione , sì acuta che cronica , valevole ad alterare le na- turali secrezioni , e a promuoverne pur anche di nnove , la cronica in ispecie. Questo vero di per sé solo , più poi negli individui a cedente costituzione, di temperamento lin- fatico , e nei forniti d’ abito rachitico , dello scrofoloso , ec. , basterebbe a fare con ragionevole presupposto comprendere : che quel gran ceppo di malattie ritiene in sé medesimo la facoltà d’ ingenerare fra le altre anco la tubercolosi. Però mi si potrebbe opporre : il Medico non dee lasciarsi scorgere da mero raziocinio ; chè potrebbe di leggieri trarlo in errore. Si soggiugnerà fors’ anche: i giudizii a priori, e le induzioni tratte da pochi dati non gli si confanno. Muova a posteriori: gli stia a cuore per ogni induzione giovarsi oculatamente de’ fatti : ne posi e osservi buon nu- mero prima di ricavarla : li sottoponga a critica ; e con sobrietà e prudenza si appaghi della qualunque luce intel- lettuale che mandano. Però risponderei : la base indicata non manca a quel presupposto; chè egli è dedotto a poste- riori. Poi le istanze della mente approdano alla osservazio- ne diretta ad interpretare le ragioni dei fatti. Avemmo per- Annotaz. intorno la tubercolosi 75 fino ipotesi prossime a verità, e che valsero a discuoprirla. D’ altra parte bisogna un iudirizzo anche alla mente, ed i metodi sperimentali per moltissimo ne derivano pure. E oh quanta luce non isparsero ! Quanta non ne sparge- ranno? Nè è da escludere che ci possa contribuire un di- screto numero di postulati medici. Ma lasciamo senz’ altro queste cose da lato per venirne al punto. 12. Non è mia la sentenza : un novero grandissimo di malattie procede dalla infiammazione ; e 1* altra nemmeno : alcune tubercolosi ne procedono. Mio è 1* intendimento di ricondurle in campo , affinchè cessino i danni della oblivio- ne loro , e quello singolarmente di vedere qua e là ab- bandonati i mezzi antiflogistici , ed i temperanti ne’ pri- mordii di varie tubercolosi. Però convien eh’ io faccia aperta la verità di queste due sentenze , ed a più ampie e chiare note la seconda , per avere scelta la tubercolosi ad argo- mento di questa prima annotazione. 13. Tanto i Medici che i Chirughi di ogni Nazione s’ av- viddero da molti secoli della prima verità , e l’ annunciaro- no. Le Opere degli uni e degli altri ne dan fede: poi la diedero le Statistiche degli Spedali , e i Libri di Anatomia patologica. (1). Fra gli antichi Medici 1’ illustre di Cappa - docia (2) fissò 1’ assoluto predominio delle malattie flogisti- che. Fu poi un tale giudizio più o meno assentito , è da quattro fra i nostri più chiari, moderni connazionali am- (1) Forster nel suo recenfe Manuale di questa Scienza osserva: » dopo Brous- » sais tutte le alterazioni di tessitura incapaci di spiegazione fuorché per la » flogosi acuta si attribuiscono alla cronica ». (6) .4re P exsudat s’ est tuberculisé (1). Tra le cagioni della tu- bercolosi vuol’ essere a giudizio del Prof. Baccelli ripòsta anche la flogosi , massime lenta (2). Più apertamente sen- tenzia il Prof. Sangalli . Ei riguarda la tubercolosi come speciale infiammazione in grazia dei seguenti analogici cri- terii : iperemìa spesso precedente e successiva : maniera di produzione della materia tubercolare : somiglianza in alcuna sua parte col trasudamento comune ; e caratteri flogistici intorno a’ tubercoli , e bene nel cadavere manifesti. In ol- tre ésclude, che i corpuscoli tubercolari di Lebert abbiano una forma organica primitiva e speciale di questo trasuda- mento, e a rinvalidare la propria suddetta sentenza si giova della esclusione or qui toccata (3). E il Sig. Forget Clinico di Strasburgo, fra gli elementi della tubercolosi pone a terzo la flemmassìa peritubercolosa (4). Anche Pi- raud nella Memoria sulla tubercolosi ecc. premiata dalla Società Imperiale di Medicina di Bordeaux (5) riconosce P infiammazione per una delle sue cagioni. 18. Di Autorità non più, perchè quasi son troppe. Pur m’ era d’ uopo piuttosto abbondarne, e addurle in ordine cronologico per opporle a quell’ Uno (6) che in quest’ anno medesimo ha dichiarato erroneo il concetto da me già da un pezzo sostenuto ; e per far osservare : che nel secolo corrente fu in più tempi , e da illustri Medici in vece rac- comandato. Ora scendo a’ fatti che lo sorreggono. (1) Traduzione del suddetto Manuale. Paris 1853. p. 272. (2) Della origine anatomica ed etiologica del tubercolo. Roma 1858. (3) Punto cardinale nelle attuali indagini anatomico-patologiche ec. N.° 6. e 7. del Giornale di Medicina Militare. Torino 1860. (4) Bulletin général de Therapeutique T. 40. Paris F. Sa?y 1861. Annotaz. intorno là tubercolosi 85 19. E un fatto che nei casi di tubercolosi pulmonare compiutasi con grande rapidità si notarono i sintomi di una pneumonite. È un fatto che le masse tubercolose si tengono significative di neoplasmi giunti ad un certo pe- riodo di metamorfosi retrograda : e che questa spesseggia negli essudati infiammatorii. È un fatto che i tubercoli della mucosa enterica (soliti a prevalere nell9 ileo), siano dessi cronici od acuti, cominciano e procedono co9 sintomi di flogosi , e ne danno poi a vedere i caratteri anatomici. È un fatto che i tubercoli del fegato , in ispecie i bianchi e vasti , occorrono talvolta nei casi di epatite lenta. È un fatto che l9 artrite può ingenerare la tisi. È un fatto che la perfrigerazione e le infreddature sono spesso le prime cagioni di tisi tubercolari : che queste prevalgono negli adolescenti , ne9 giovani, e negli organi più ricchi di vasi sanguigni ; e che F accresciuta proporzione delle tuberco- losi , in Inghilterra principalmente , si attribuisce all9 uso oggi maggiore, e colà più esteso, delle bevande spiritose. E un fatto che i tessuti per entro, o sopra a9 quali trovia- mo tubercoli , scorgonsi quasi sempre infiammati , sia pel processo fattore della materia tubercolare , sia per l9 azio- ne irritante e meccanica della medesima. E in vero Andrai rinvenne tubercoli sopra pulmoni epatizzati , e rinvenne ancora la così detto, polvere tubercolosa ne9 loro lobi infiam- mati a vario grado e modo. Lungo il corso di alcune bo- vine epizoozie furono vedute concrezioni tubercolose di ra- pido sviluppo nel pneumo-parenchima infiammato. Succede non radamente la tubercolosi agli esantemi febbrili, ed in ispecie al morbillo ed alla rosolia. La veloce successione di alcune tisi tubercolari a flogosi traumatiche è pure un fatto da me stesso avverato. Lo viddi per colpi , per ferite al torace in individui giunti a matura età, simmetrici, for- niti di temperamento sanguigno, e prima sanissimi. E ne accagionai quelle flogosi non tanto pei fatti medesimi, quan- to per F osservazione di Alison : « in certe costituzioni, o » in certe circostanze un attacco infiammatorio, quando » non si ripari speditamente, è molto capace di agire come » causa immediata della formazione dei tubercoli, e di con- 86 Camillo Versari » seguente malattia cronica, e quasi disperata » (1). Il gran- Òl Ippocrate , secondo, Areteo, Zacuto Lusitano , Tulpio , e Va - leriola aveano già notata facile la successione della tisi alla pneumonite ; e di questo gran fatto si ebbero ulteriori con- ferme per altri osservati da Morton , da Stoll , da Sims , da Van-smeten , da Lietaud , da Portai , da Hafeland , da me stesso , sì per la tisi in genere , sì per la tubercolare. Della quale mi si offersero casi non solo per flogosi traumatiche e pneumoniti , ma alcuni consecutivi a bronchitide , anche alla capillare; e li raccolsi da consulti per individui non salassati; onde mi tornarono alla memoria i consimili rife- riti da Morton per amenorrea , da Martini (2) per intrala- sciata flebotomia, e gli altri da Portai per pletora commessa alla Natura. Accennai già come molti tisici per tubercoli pulmonari espettorino marcia, e come si trovino nei loro pulmoni ulceri , minimi ascessi , parti epatizzate ; e tra que’ visceri e le pleure aderenze, empiemi , effusioni sangui- nolente , pseudo-membrane , od esiti di preceduta infiam- mazione. Non è infrequente vedere la tisi tubercolare nata anche da angioleucite , e massime dalla scrofolosa. Nè le note differenze tra tnbercoli e scrofola debbono aversi si- gnificative di contraria natura ; chè la desinenza in ite , in itis y in itide suona infiammazione, e questa in modo lento e speciale è propria pure , o si accompagna , anche alla scrofola. Non è raro d* altra parte che la mesenterite tu- bercolare si associi alla tisi omonima. 20. Rimane evidentemente in grazia di questi fatti com- provata possibile non solo, ma vera 1’ origine flogistica di alcune tubercolosi. E tale è propriamente , e tanto da non potermi rieseire disagevole a vie più dimostrarla con altri fatti. Però cadrei in abuso, sicché li lascio stare, e anco- ra per riflettere come nausei P esuberanza , e assai meno (1) Storia della Medicina nella citata inglese Enciclopedìa della Medicina Pratica ecc. Volgarizzamento di L. Miehelolti. Livorno. (2) Sen vegga la Dissertazione nelle Effemeridi de5 Curiosi della Natura. Annotaz. intorno la tubercolosi 87 si condoni il trascorrere in eccessi a chi già li riprese. Poi non è scarso il valore de’ fatti allegati ; e mi obbligai ad alcuno ragionamento. Ora dunque me ne sdebiterò coll’ at- tignere ad altre fonti, e con brevissime considerazioni sul- le malattie affini alla tisi tubercolare. 21. Ben chiari si manifestano gli effetti della perfrigera- zione ; chè il sangue per lei s’ incentra nelle membrane in- terne e nei visceri del torace , così da infiammarli ; e per ciò le infreddature altro appunto non sono che flogosi o membranose , o splancniche. Se dunque per le suddette ca- gioni nascono alcune tubercolosi , non può essere a meno , che queste non sentano di flogistica natura ; chè 1’ indole de’ morbi in gran parte procede dalle loro etiologiche po- tenze e dai primordiali elementi che li preparano. E ciò si avvera anche per le spiritose bevande , le quali , usate in copia , se dispongono e promuovono le tisi tubercolari , non lo possono, che coll’ accrescere le azioni dell’ organismo, e collo stimolarne i nervi , i vasi sanguigni e il sangue per modo che anche in questi casi non manca la realtà di una qualunque flogistica derivazione. Le già toccate ricerche sui vivi e ne’ morti obbligano a conchiudere altrettanto , per confermarne flogistiche le cagioni e flogistici gli effetti, concorrenza assai valutabile per la prova e riprova della causalità alla effettività , e di questa a quella. Una siffatta concorrenza acquista poi maggior peso , quando ne sia poco o nullo il tempo intermedio allo sviluppo del male ; chè allora sen vuole credere più o meno immediata la connes- sione , ed omogenea la natura. I casi di rapide successioni di tubercoli alle flogosi cutanee già nominate nel penulti- mo paragrafo, le pulmonari , e di fegato, ec. , e gli altri di pronte tubercolosi succedute ad infiammazioni traumati_ che legittime potranno persuaderne anche i men facili, e' tanto piu se vorranno riflettere : darsi la mesenterite tu- bercolare , la pleurite , la peritonite , la bronchite , la meningite , e 1’ aracnite omonime , questa principalmen- te ne’ bambini secondo il Dott. Cless di Stuttgard. Però non è rarissima anche nei giovani e negli adulti a testi- monianza di V dlleix , e per pochi casi da me veduti. A Camillo Yersari proposito della meningite tubercolare trovo in oltre ben degno di considerazione: che il Dott. Legendre , (1) ripro- dotti i proprii studii sulla medesima , ne concluse : muover essa da alterazioni infiammatorie e tubercolari ; ed i suoi sintomi in massima prevalenza essere più proprii alla flo- gosi di quello che alla tubercolare granulazione. Concetto a cui si può bene aderire, imperocché la tubercolosi, per quanto si è già toccato , prevale ne9 fanciulli , negli adole- scenti, nei giovani, e preferisce i tessuti ricchi di vasi, vuol dire che è mojbo delle età nelle quali le azioni or- ganiche dispiegano la maggiore energìa ; e degli organi e de9 visceri più infiammabili. E oh come tali sono i pulmo*- ni ! Laonde sì per quella specie di tubercolosi , come per altre , si aggiungono nuovi conforti validi tanto da crede- re , che a date condizioni gli elementi congestivi e flogi- stici abbiano parte, nè poca, nè accidentale, nel produr- re la tubercolosi. 22. Annoveriamo tra le diverse specie di tisi la così detta calcolosa di Bayle , e si tenne sovente consecutiva a pneumonite *da Sgarzi in ispecie, e da Parola . Ora^ se ciò fu affermato della tisi calcolosa , non si dovrà credere vie più di alcune tubercolari ? Tutte le cose fin qui di- scorse autorizzano a fermarne il concetto; e le osservazk*- ni analitiche di Becquerel , e Rodier sul sangue dei pneu- mo-tubercolosi lo rinvalidano , per averne dedotto che egli è fornito di flogistiche qualità. Nè deve fare ostacolo , sic- come potrebbe opporre taluno: che il sangue dei tuberco- losi sottoposto al microscopio lasci vedere i granuli mole- colari , perchè gli stessi granellini furono da Gluge e da Lebert veduti anche nel sangue de9 compresi da pulmonare epatizzazione e da pneumonite cronica. Dissi conforme al vero , che marcia è negli sputi e nei pulmoni dei tubercolo- si; e se ci è, non se ne deve forse arguire flogosi anteceden- te? Senza esitazione sì; posciachè e Medici e Chirurghi accettarono , ed accettano l9 apoftegma : può darsi infiam- (1) Nel Journal de Médecine de Bordeaux 1853. Annotaz. intorno TUBERCOLOSI 89 inazione senza 'marcia , non questa senza quella. Sia pure che in alcune tubercolosi non si verifichi la presenza di marcia; non si vuole tuttavìa pretermettere di tener fer- mo : che in molte ci è ; e che la materia tubercolare per microscopiche comparative osservazioni fu confermata analoga al pus da Lebert , da Castelnau , e da Vogel. E in relazione alle accennate patologiche affinità non si vuole da ultimo pretermettere nemmeno: che esse valgono a so- stenere flogistica la natura di alcune tubercolosi : che ciò viene rafforzato dalla tisi 'tracheale e dalla laringèa , per es- serne ammessa da tutti F indole infiammatoria , dopo che Morgagni e Lìetaud le illustrarono; e che anche tra le fa- miglie delle malattie F omogeneo e le maggiori somiglian- ze si trovano per affinità e diretta successione. I fatti del- F una e dell’ altra classe ne porgono in buon numero le prove , ed evidenti , sì da non parermi lecito di porre , an- che solo per queste, in dubbio la conclusione eh’ io ne ho tratta, e che Vi raccomando; ossiachè in forza di questi, e di altri molti positivi criterii si debba ripetere : nascere alcune tubercolosi, pulmonari in ispecie , da flogistici ele- menti, e da flogosi, acuta o cronica. Ed io la ripeto, an- che pel conforto che me ne diedero i raziocinii a Voi sot- toposti, e le tante allegate rispettabilissime Autorità (1). (I) L’ ultimo foglio di questa Annotazione era già al Compositore tipografo, quando appresi venuta in luce V operetta del Doti. /. A. Villemin intitolata = Du tubercole au point de vue de son siége, de son évolution 9 et de sa nature = (Paris etc. 1861.) Procacciatamene la lettura, veggo, che favorisce il mio an- tico concetto in piò luoghi. A darne fede io mi limito a copiarne due Conclu- sioni generali , la XIX.a e la XXIX.a In quella, dopo aver’ Egli alluso col- la XVIII.a ai processi circoscritti e caseosi che passano sotto il nome di tuber- colo, e avvertito: che ne differiscono gli elementi per sede, per origine, e sviluppo , segue. XIX. « En génèral le plus grand nombre appartieni à la lésion » que P on designe aujourd’ hui du nom d’ inflammation ». E nella XXIX.a re- lativa pure al tubercolo , dice : « Dans le poumon , il siége exclusivement dans » la pleuvre et le tissu conjonctif interlobulaire. Tous les produits accumulés » dans les véscicules, soit sous forme de granulation, soit sous forme d’ infil- » tration, sont dus à des lésions inflammatoires de diverses formes et de di- » verse nature, et rentrent consequemment dans la classe des pneumonies ». 12 ANNOTAZIONE SECONDA Letta nella Sessione dell! 13 Novembre 1862. 23. A/opo essermi toccato F onore d’ intertenervi per alcun poco nel dì 28 Novembre dello scorso anno intorno la tubercolosi , fui lieto e contento di averla prescelta a tema di quel mio Discorso; e sì per la benignità colla quale Vi degnaste ascoltarlo, sì per F adempimento del- F obbligo che mi correva. Indi vie più me ne rallegrai quando mi fu dato leggere non isgradita quella mia pove- ra Annotazione a quattro Illustri Compilatori di Giornali scientifici Italiani (1) benché ne fosse solo escito alla luce un semplice sunto. E questa fu allegrezza, che m’ inani- mò , e m’ incora pur oggi ; tanto da permettermi di tor- nare sull’ argomento, e di compierlo con questa seconda Annotazione , che piacemi raccomandare al vostro patroci- nio affinchè non le manchi. Ve ne prego, e senz5 altro mi volgo al proposito, ossia al più importante che ne ri- mane, al F ardua e incerta cura delle tisi, della tuberco- lare in ispeci© (2) , e più consideratamente di quella, che segue agli elementi, ed alle successioni della flogosi. Però (1) Della Gazzetta Med. ItaJ. Prov. Venete 22 Marzo, delle Effemeridi del- la nostra Pub. Istruzione 24 Marzo, e della Associazione Medica degli Ex- Stati Sardi 12 Aprile. (2) Abbiamo da Laennec ; « La guerison de la phtisie tuberculeuse n’ est » pas au-dessus des forces de la nature , mais nous devons avouer en mème » temps que 1’ art ne possède encore aucun moyen certain d’ arriver à ce bui ». 92 Camillo Versari innanzi di passare a questi due punti , il tempo trascorso , F utilità dell’ intenderci , e F ordine necessario mi consi- gliano a riepilogare le cose più essenziali discorse in quel- la Annotazione. 24. Rammento dunque, come Vi definissi la tubercolosi: ne descrivessi i prodotti ,* e ne raffermassi tre periodi , o quelli di crudità , di fusione s e diseccamento. Ricorsovi : che ne addussi i caratteri: che per molti indizii m’ inge- gnai a distinguere la tubercolosi dalla granigione di Bayle , di Laènnec, di Chomel ; e che (fai confronto dell’ una colF altra emersero alcune, forse non Spregevoli, avver- tenze. Ricordovi , che per buon numero di non vane con- siderazioni sul nascere, sul procedere, sugli effetti della tubercolosi , sovra gli ultimi segnatamente, o sui discoper- ti dalla Anatomìa Patologica , e per Autorità , congetturai non irragionevole , forse anzi retto , pensare : che i tuber- coli derivino da una patologica secrezione , sovente idiopa- tica , apparecchiata da varie diverse cagioni ; e che fra queste siano da valutarsi anche le flogistiche , oggidì poste ornai troppo in non cale. Per ciò ne richiamai al savio vostro discernimento la necessaria ponderazione; e persuasi a me stesso di raggiugnerla col restringermi alF esame della specie di tubercolosi che deve la sua genesi alla in- fiammazione, ed al processo flogistico. Allora io resi ma- nifesto ( e cadeva opportuno ) come il processo mede- simo , acuto o cronico , valga ad alterare le secrezioni , a promuoverne di morbose, anche di nuove; come quindi ne regga quel pensiero, e F avvalorino i fatti di tuberco- losi nate da cause eccitanti , da infiammazione di pulmoni, di bronchi, dalla diatesi flogistica, da altra affine patoge- nica condizione, e dalle conseguenze loro, più poi nei giovani robusti e forniti di temperamento sanguigno. Con che mi si offerse il destro ( e lo colsi per nesso di idee , e in appoggio al mio concetto ) di alludere al predominio della infiammazione, e lo determinai confortandomi del giudizio di Aretéo > e delle sentenze di G. A . Testa 3 di Rasori , di Tommasini , di M. Bufalini , di Bitter , di Du- puytrìn y di Ramadge > e per quel tanto che F osservazione Annotaz. intorno la tubercolosi 93 clinica e anatomo-patologica mi diedero a conoscere con- star chiaramente. E adesso veggo, e considero tutte que- ste cose rassecurate dalla immutabilità della Natura in grande, e dalle leggi proprie all’ umano organismo, dalla cor- rispondenza de* fatti relativi antichi coi moderni, e pur anche in mezzo alle differenze della vita civile, di nuove usanze, di cambiamenti di vitto, di abitudini, di 'tendenze intellet- tuali e morali. Varietà queste di un valore non lieve e positivo , sopravvenute col seguirsi de’ secoli , e per sè stesse conte in grazia delle varie regioni , dei popoli di- versi , e di quanto si collega al mutare dei tempi e de’ co- stumi; ma tali ciò nullameno da non escludere il predo- minio suddetto. Onde mi par lecito inferire non doversi accogliere sì di leggieri le recenti contrarie presunzioni : tornare ali* opposto, comecché conforme ai fatti, credibile la massima già prima accolta da tutti , ossìa che P infiam- mazione , acuta , o cronica , dia origine ai maggior numero di malattie , a molti vizii organici , a molti patologici pro- dotti, fra9 quali per alcune tisi star bene porre i tuberco- li , ed in particolare quelli de9 pulraoni. Escludere da al- cune pulmonari tubercolosi la diatesi flogistica, la prece-' duta infiammazione dei pulmoni , de9 bronchi , della tra- chea, della laringe: escluderne l9 antecedenza non solo; ma ancora le successioni e le deuteropatìe , condurrebbe a ciò che taluni vanno buccinando qua e là , ossìa a dover- ne ributtare il metodo antiflogistico, e tanto nel principio che in seguito delle medesime, e di altre tisi. Ammetto non mancasse P abuso di quel metodo curativo ; che quin- di convenisse accusarne e combattere gli eccessi, e sovra ogni altro quello di ricorrere facilmente a9 rimedii assai deprimenti, e ai copiosi e ripetuti salassi. Però si badi bene , che col rifiutare il salasso , e col porlo in discre- dito, si darebbe adito ad una pubblica e grande calamità « Experta dico, saneteque affirmo » (1). (1) Da Baglivi. 94* Camillo Versari 25. E questo dico ed affermo, nè solo rispetto alla diatesi flogistica , alle diverse infiammazioni già rammentate delle vie del respiro , sì bene ancora per altre malattie ; chè il suddetto abbandono, e la troppa fiducia nella for- za medicatrìce della Natura influirono ed influiscono su molti , e tanto da renderli sovente dimentichevoli ( con danno gravissimo ) del provvido e sano precetto : di osta- re a’ principi! de’ mali, da trasandarne i metodi preserva- tivi, e da lasciare che se ne fugga 1* occasio praeceps del gran Vecchio di Coo ! Ond’ io traggo sospetto , e forte mi dolgo , che l9 abbondanza di tisici ( da alcuni lustri aumen- tata , e più o meno riconosciuta ) possa , fra le sue diver- se cagioni, attribuirsi per non poco alla inerzia di cura introdottasi dopo V accoglienza di que’ principii , per mi- serevole fatalità subentrati agli altri di antica e savia effi- cacia terapeutica. Oh non siano mai tenuti in dispregio i nostri Maggiori; cui tanto dobbiamo, che molto seppero, e gran bene operarono ! E chi fosse per ispregiarli , non tralasci di riflettere : come sia anche di Loro 1’ avviamen- to alle poche giunte, che speriamo aver fatte in prò del- la Scienza e della Pratica. 26. Ma di ciò, se vi è a grado, passiamoci; e si torni all* Epilogo. Dico dunque non poter’ io stare in forse di avervi ampiamente , e di varie guise , comprovata flogisti- ca la natura di alcune tubercolosi ; e che quindi faccia mestieri curarne almanco i primordii col metodo antico. Certo che esso richiede opportunità, temperanza, e saga- cia ; e che della prima cade il caso in sul cominciare del morbo. Si può adempiere alla seconda col farne le debite proporzioni , ovvero appropriando lo stesso metodo con giusta misura ai temperamenti , alle età , alle abitudini , al tempo, al grado, alle fasi, alle complicazióni delle stesse tubercolosi. E Voi, così ben vedete, come la se- conda si accompagni alla terza , la quale per consistere nella abilità a discernere quel che è da farsi , delle due prime si giova , e guida poi ad operare. Laonde il Medico sagace per lo scopo di bene disporre la qualunque cura possibile delle tubercolosi, come quella di altre malattie. Annotaz. intorno la tubercolosi 95 non ommette 1* esame anamnestico , osserva , interroga , di bel nuovo raccoglie, fa dubbi e critiche sulle proprie in- duzioni , libra , considera , poi giudica , e quindi si deter- mina ad agire piu o meno pel grave e delicato dovere di opporsi a quanto minaccia di scomporre V organismo. E per la tubercolosi indaga, se siasi per anche consociata a pulmonari e a pleuritiche congestioni sanguigne, le quali, se pure non riconosce sopraggiunte , sa bene che non mancheranno; epperò ne invigila la sopravvenienza affin di combatterne i perniciosi effetti. E a taf uopo sente 1 obbligo di tentare di antivenire alla medesima , e rivisi- ta il tubercoloso più volte al di, massime alla sera, o alla notte, principalmente quando il morbo sia escito dal suo primo stadio , minacci di estendersi ad altri visceri , proceda con una tal quale vivacità, si esacerbi, e com- prenda, siccome quasi sempre accade, la gioventù. Intor- no a che conviene riflettere : essere veramente innegabile quella sopravvenienza , e la preponderanza ancora di certe malattie in relazione alla età , e che quelle acquistano al- cuna indole propria in forza di questa, il che vuol dire pel nostro stato organico diverso nei diversi periodi della vita , atto per conseguente a ricevere più queste che quel- le impressioni , e di varie guise a reagire a quanto opera su lui, non altrimenti da terreno che per essere vergine, o no , e in grazia di proprie qualità, preesistenti da al- cun tempo, o da poco acquisite, modifica lo sviluppo e la vegetazione dei semi sparsi sovra al medesimo, o me- glio di albero che nutrica le marze innestate per entro i suoi tessuti. E per ciò che nella umana giovinezza, e in quella pur anche degli animali domestici, si scorge torna- re a dati periodi più o meno attiva la reazione degli or- gani alle cagioni morbifere, e quanto nell’ una e nel- ]’ altra spesseggino le tisi. Correggere le condizioni del terreno e dell albero giova in Agronomìa a conseguire che la seminagione renda bene , ed a raccorne buone frutta ; e giova in Medicina opporsi per tempo, e coi mezzi op- portuni, alle organiche differenti disarmonie; sicché pos- 6Ìam antivenirne , o temperarne, o vincerne le conseguenze; 96 Camillo Versari e quindi fra tante anche la tisi. La quale nei giovani, per le vigorose azioni dell’ organismo si palesa ben di so- vente ( tubercolare o no ) d’ indole flogistica , o inchine- vole a flogosi , ed a corso meno lento. Di fatto in gioven- tù non occorrono rare le tisi acute, le floride s le reuma- tiche, altre infiammatorie, o subinfiammatorie, e rapide, nelle donne principalmente , siccome vidde Louis , e viddi io pure , ossia ci accade d’ incontrare ne* giovani esempi non infrequenti di tisi galoppanti ^ o di quelle nelle quali per consenso di una gran mano di Pratici antichi , e di altri da Noi poco lontani fu conosciuto attivo il morbo , e determinata necessaria la cura antiflogistica, forse però più a sollievo , che a fondata speranza di guarigione. Sono per natura ingenuo; e mi piacque e piace pur sempre di esserlo anche per riflessione , poiché stimai e stimo la schiettezza nemica agli errori ed alle superstizioni d’ ogni maniera d’ Arti , di Scienze , e di altro. 27. Senza svagamento ulteriore scendo alla convenienza della cura antiflogistica nel principio- di molte tisi. Già nella prima Annotazione Ve ne discorsi (§ 17 e seg. ), e le cose dettevi or ora ne valgono a rafferma. Pure non v5 in- cresca , se io , a pienezza di prove e pel debito assunto , pongo alcuni cenni sopra altri fatti , che sostengono la cura suddetta. La gravidanza sospende, o tempera i pati- menti delle tisiche in primo o secondo grado. E ciò come possibile, se non per copiose distrazioni sanguigne all’ u- tero lungo il processo di sviluppo dell’ embrione, e di aumento del feto? Così stando, e così proprio stanno le cose, se ne ha un modo naturale di cura temporanea del- la tisi , il quale giustifica i miei pensamenti. Per contrario giovani disposti alle infiammazioni, facili alla sinoca , alla emoptoe , e facili ad infreddarsi , intiSichiscono ad un trat- to. Altri dopo pleuriti circoscritte e consimili pneumome , dopo laringiti , tracheiti , e bronchitidi cadono del pari infermi di tubercolosi, e senza veruna altra cagione rico- noscibile, o cadono pur anche infermi d’ altra maniera di tisi* Quando ciò avvenga, se ne trae pure ragion sufficien- te ad intenderlo; e non sarà giuocoforza quelle e queste Annotaz. intorno LA TUBERCOLOSI 97 tisi giudicare consecutive alle preesistenti morbose condi- zioni ? E non sarà giocoforza crederle d’ identica , o di molto affine natura? Non ne sarebbe, non ne sono anzi, direi quasi, una figliazione? Le malattie secondarie, tali per diretta successione, si tengono pure di fondo eguale, od assai analogo alle precedute da poco; e 1’ Anatomia patologica ne giustifica la deduzione. Spero ne converrete, e siate per concedermi di aggiugnere altri fatti, che col- limano allo stesso concetto. Si danno casi di tisi rapide susseguite ad ira, e a collera. Ne viddi alcuni, e Borsieri, e Broussais pure ne viddero. Questa pronta successione di effetto a cause eccitanti , e la rispondenza di natura tra la effettività e la causalità non riescono a dubbio valore. Nota- telo, e concedetemi ancora che per aderire a pari conclusio- ni Vi accenni, come la soppressione di attive e abituali emorragìe valesse a promuovere tisi tubercolari , e come se ne sviluppassero anche per P irritazione di corpi stra- nieri entrati nelle vie aeree, o nel parenchima pulmona- re. Io stesso ne raccolsi un esempio (1) , Mortori pur uno, varii La Martiniere , Broussais un altro, e negli Annali di Medicina se ne leggono pure (2). La tisi cotonaria (3) tubercolare, o no, è propria a non pochi lavoratori nelle Fabbriche di cotone ; e nasce per la polvere del suo pappo e per gli esilissimi filamenti che nello sbatterlo sorvolano, e s inspirano. Irritano dapprima le vie aeree, le infiam- mano poi; di che bronchiti, pneumoniti , e tisi. Accade consimilmente ai mondatori di cereali assai polverosi, ai mugnai per le farine, ai carbonari per la polvere del car- bone, agli scalpellini, ai gessajuoli, ai canapini, agli ope- rai che dispongono le dorature delle cornici, ecc. per gli atomi del marmo, del gesso, e per altri pulviscoli relativi. Qui de’ casi sopraccennati se n’ebbe pur uno, descritto nel nostro (1) Nel mio — Discorso intorno la supposizione del Contagio tisico. Parte seconda =. Opuscoli di Medicina e Chirurgia pubblicati da questa Società Medico-Chirurgica. Bologna 1832. (2) Aout 1833. (3) Villèrmé. Tableau de V état physique des ouvriers etc. T. II. p. 210. T. n. 13 Camillo Versari Ebdomadario Clinico (1). Or bene chi non terrà consentaneo al vero V attribuirne la genesi dei tubercoli , delle ulceri pol- monari, delle vomiche, delle consunzioni sopraggiunte ad infiammazione primaria, o secondaria dei pulmoni? E al- lora come non ammettere il salasso , nè le coppe , nè le sanguisughe, nè una cura deprimente in sul cominciare di quei processi morbosi? Io certo non sarei alieno dal- l9 usarla senza perplessità e ritardo , però entro i confini della necessaria moderazione. E nè anche sono alieno dal pensare, che qualunque Medico chiamato ad assistere in- dividui nelle circostanze cui questo e quel paragrafo allu- de si conterrebbe di pari modo. Che se mai taluno agisse in contrario , ovvero si rendesse spettatore , oh quali tor- ture di animo non preparerebbe a sè medesimo; che poi dovrebbe di necessità riflettere essersi trovato nel bisogno di azione: averne perduto il tempo opportuno; e quindi consentito libero il corso a male disposizioni , a flogosi , a movimenti flussionarii , a congestioni sanguigne , a cause eccitanti, alla irritazione, e a tutti gli effetti pericolosi di questi patogenici elementi, da combattersi per sè me- desimi ; e tanto più per P età giovanile degli infermi , e per la delicatezza, per la vascolarità , e grande importan- za degli organi del respiro! E non è egli dimostrato, che questi organi sono molto infiammabili , che fissatasi la in- fiammazione nei medesimi passa ben agevolmente ad esiti più o meno fatali e precipitosi, od almeno che gli stessi organi si rendono centri di atti patologici valevoli a svol- gere la non meno fatale tubercolosi, e massime ogniqual- volta non si fu solleciti ad istituirne la cura necessaria? Ci si pensi adunque e di buon’ora; e appunto al fine di premunirsi da crudeli rimorsi , e da vani e tardi pentimen- ti. Ripeto di buon’ ora, anche perchè ne è breve il tem- po della opportunità , e sarebbe senza dubbio perduto 9 se , appena stabilita la tubercolosi , le forze e la nutrizio- ne incominciassero a scemare, e più poi quando la tuber- (1) Se ne vegga il N. 7. Annotaz. intorno la tubercolosi colosi s’ accompagnasse ai sintomi della cachessìa propria , o di quella distinta per ciò col nome di tubercolare . Ma prima che cosi gravi sciagure ne incolgano , uopo è con- fessare ad onore del vero ( per la pratica di molti Osser- vatori già bene riconosciuto ) che un piccolo salasso ne calma , o in parte dissipa i sintomi anteriori ; e che ciò si raggiugne più securamente per 1* applicazione delle san- guisughe e delle coppe scarificate alla regione interscapo- lare, o sotto le clavicole, ecc. Nè mancano fatti, nè Au- torità in sostegno di tali cliniche avvertenze. Ebbi a no- tarne varii nel mio pratico esercizio; ed i Signori Trous- seau e Pidoux ci allusero nel loro Trattato di Terapeuti- ca ecc. (1). Il che trovo tanto più degno d’ essere medi- tato in quanto che Essi , come altri , si opposero al me- todo col quale Bouìllaud suole in genere usare il salasso. Tuttavia intorno a quest’ ultimo Clinico non posso, nè debbo omettere di avvertire , come Ei dichiari : il gran segreto di preservare da moltissime tubercolosi ridursi a curar bene, e a guarire prontamente i reumi coi soccorsi atti a vincere le infiammazioni croniche dei bronchi, dei pulmoni, delle pleure, ossia colle sottrazioni generali e locali , finché le forze lo permettono , indi co’ vesci- canti , ecc. 28. In proposito della cura, ora qui debbo rammentare: che il Dott. Fonssagrives F affida alla prolungata ammini- strazione dell’ emetico, dato secondo la pratica di Rasori> e quando solo, quando prescritto insieme a temperate san- guigne deplezioni. E debbo rammentare , che lo stesso Medico estero dice: una volta abbattuta la febbre, po- tersi ammettere , che la tubercolosi rientri nelle condizio- ni del suo primo grado. Osserva in oltre: allora conveni- re gli olii animali e le acque solforose. Io poi soggiungo : che Rognetta ristrinse il problema della guarigione della tisi alla ricerca de’ mezzi valevoli a prevenire e a combat- tere con efficacia le reazioni organiche , vascolari o spian- ti) Volume primo p. 324. Napoli 1856. 100 Camillo Versari cniche , indotte dai tubercoli , e sempre colla mira di adempiere , per quanto è in poter nostro , alla indicazio- ne di mantenerli nel periodo di crudità. Però, se anche ne fosse dato riescire a tanto, non se ne avrebbe tuttavìa la guarigione desiderata; e in vero il suddetto primo sta- dio della tisi tubercolare gi^ per sè costituisce malattia , e quindi tutt* al più non altro si sarebbe conseguito fuor- ché sospenderne il successivo, o ridurne stazionario il pri- mo, giacché i tubercoli pur sempre rimarrebbero. Di più 1* unica cura , a mio avviso veramente possibile , contro la tubercolosi consiste nella preservativa, o in quella che impedisce la genesi dei tubercoli. Svolti che siano , non si può aspirare ad altro , se non a circoscriverli , e a di- seccarli , siccome dobbiamo interpretare di Rognetta y e forse gli Antichi speravano quando a’ tisici prescrivevano varii balsamici e vulnerarii soccorsi , acque astringenti , e quella di calce , ora di prima , ora di seconda classe. Tisi bene diagnosticata, e a chiare note tubercolare, significa pur troppo marasmo progressivo, e più o meno lento mo- rire , checché Hufeland ne scrivesse in contrario. Ed oggi pure, quantunque la stetoscopìa e la percussione abbiano conseguiti non pochi e grandi perfezionamenti anche in aiuto alla diagnosi de’ tubercoli pulmonari , non ne è smi- nuita per ciò la insanabilità. E oh a quante cose nuove credono i non savii , sebbene indegne di fede! = Oh uma- ne speranze e cieche e false! (1) E Dio non voglia, che quelle esplorazioni mandate troppo in lungo nel verno do- ve non siano stufe, o vi abbiano insufficienti; e le disa- giate attitudini nelle quali si tengono i tisici per ascoltarli e percuoterli, accrescano la gravezza delle organiche alte- razioni che già minacciano di spegnerli ! Bello è precisa- re in vita le stesse alterazioni : bello e soddisfacente ri- trarne indi rafferma per le necroscopìe. Ma « nisi utile est quod facimus , stulta est gloria » (2). Poi non accade ^ (1) Peirarca. Annotaz. intorno la tubercolosi 101 che buon seme s* affidi a terreno , anche colto , e che noi renda ? E non è vero , che » Grandia saepe quibus mandavimus hordea sulcis » Infelix lolium et steriles dominantur avenae » (1)? 29. Mi riconduco alla cura, e per dire della norma principale a cui raccomandarla. Io inclino a sostenere che possa giovare deprimere le azioni organiche promosse da certe tubercolosi, e dalla materia tubercolare atta per sè a destar flogosi , od almeno irritazione , anche quando non ne sia un prodotto. Mugna pei casi di tubercoli passati a rammollimento consiglia di badare a tenere in freno V in- cendio flogistico generale e locale, ed io penso che si deb- ba mirare a ciò ne* primordii della tubercolosi , e nel suo primo stadio. Ma oggi non pochi contraddicono a quei fuoco. Tuttavìa assento al Mugna ; anzi lo precedetti per essermi sembrato da un pezzo di scorgere quel fuoco più o meno acceso , più o meri lento nelle tisi in genere. Di fatto io nella quarta Parte del Discorso or ora citato lo ammisi , e poscia anche nella Giunta all* articolo Etisia nel Dizionario ecc. d 9 Hurtrel d* Arboval (2). Al paragrafo duodecimo della mia prima Annotazione Vi riportai in pro- posito un brano di Areteo ; e nondimeno Ve lo ripeto per- chè qui cade fors’ anche più propriamente a luogo « Si- » mul autem adest et ignis assiduus qui nunquam inter- » mittere videtur , interdiu Iatens sudore atque corporis » frigore ». E si hanno altre gravi Autorità, antiche e moderne, e sentenze, che lasciano interpretare il convin- cimento di quel fuoco consumatore , per istabilire nella cura della tisi necessario il salasso, ossia il mezzo più di- retto , se non ad estinguerlo , a scemarlo , siccome il più acconcio a sminuire la flogosi, e gli elementi che la pre- parano. Celso y dopo avere toccato di varii soccorsi contro la tisi, suggerisce cr Si nihil neutiqarn profìciunt, sanguis (1) Virgilius. (2) Volume 2.° p. 708 e seg. Forlì 1841. 102 Camillo Versari » mittendus est, sed paullatim, quotidieque pluribus die- » bus cum eo ut caetera quoque modo serventur ». Gale- no accolse tanto la pratica del salasso per la cura de’ ti- sici da essere giunto a permettersi F ardito ed inaccetta- bile precetto: « tabidis cor siccare oportet ». Senza una sì grave esorbitanza è in ogni modo fuor di dubbio , che Sydenham, Boerhaave , Mead , Stoll , Hofmann , Louis , Portai , Ramadge , ed altri celebri Autori posero il salasso a rimedio pei tisici. E della tisi si legge nell9 Opera del- 1’ Inglese R. Morton : « neque praecaveri , nec curari nul- » lo modo potest absque tempestivis et repetitis venae » sectionibus, utcumque debilis esse videatur aegrotantis » status ». Al Lib. IL = De Methodo curationis Phthi- seos ecc. = Cap. III. si legge pure da Lui consigliato il salasso; e che « Venaesectio semel, bis, vel ter, debitis » intervallis celebranda est , ecc. Tenne Caccialupi sempre flogistica la tisi pulraonare. G. B. Borsieri nel terzo dei Consulti inediti (or sono cinque mesi, pubblicati àd\Y Ip- pocratico) (1), e quel terzo è per un tisico, dichiara in- torno al salasso : che se fin dal principio del male fosse stato fatto opportunamente , ne avrebbe forse troncato il corso ; e di seguito riflette : che dai più si giudicava inu- tile e dannoso il salasso quando si abbiano indizii, o so- spetti di colliquazione purolenta. Indi continua così: « Ma » non mancano Autori di sperimentata dottrina , i quali » colla osservazione alla mano pretendono che le piccole » e replicate emissioni di sangue porgano nelle tisi, pur- » chè non giunte al terzo grado , il maggiore possibile » vantaggio, sì per risolvere le stasi, e congestioni al pul- » mone ; sì per impedire e moderare le solite e perniciose » suppurazioni che ad esse sogliono conseguire. Io lascierò » a chi da vicino assiste il nobile infermo il decidere , se » egli si ritrova in circostanze che esigano ed ammettano » ancora questo generoso rimedio. Dirò solo , che qualora » i polsi mostrino forza sufficiente vitale , F arteria sia du- (1) 15 Giugno H. 10 ed 11. Annotaz. intorno la tubercolosi 103 » ra e resistente , la febbre si esacerbi con vivezza ed ar- » dorè, il respiro apparisca penoso, il dolore laterale si » aumenti , io avrei bastante coraggio per proporlo ed an- » che replicarlo, purché si osservi tutta la più circospetta » moderazione ». Un altro sagacissimo Clinico, Giuseppe Frank, ove discorre la cura della tisi scrofolosa, che è tra le più lente fra le tisi, ed una delle così dette fredde malattie , scrisse ciò non ostante : » Phtisi scruphulosa sese » evolvente ne methodus antiphlogistica negligatur. Quam- » vis enim haec symptomata non adtnodum urgère videan- » tur , tussicula , dispnaea , et febricula non minus , usum » venaesectionis exposcunt, quam aperta illa signa peri- » pneumonica quae evolutionem phtiseos acutam comi- » nantur ». 30. Gli addotti ammonimenti ben meritano , a mio av- viso, la ponderazione degli Emofobi moderni. A questo fine principalmente io me li sono permessi , e ancora per la utilità loro possibile alla cura delle tisi , ed in ispecie della tubercolare. E sono di tali , e così valutabili per fama , per differenze cronologiche , per quelle di dottrina , de* luoghi , dei climi , e per affinità patologiche , da non doverne credere agevole nè lo spregio, nè la sconsidera- tezza. Non si pensi tuttavìa che io li proponga in modo assoluto; posciachè non reputo tutte le tisi, nè tutte le tubercolosi di origine legittimamente flogistica; e per quel- le che ne derivino , o si consociino a flogosi , reputo possa giovare un piccolo e pronto salasso, fors’ anche ripetuto, e indi più la sottrazione locale dalla generale , ed una cur ra rinfrescante e a lieve grado minorativa, piuttosto che la deprimente assoluta, e la catartica. Secondo me il sa- lasso non si addice già ad ogni tisico, nè a qualunque periodo dei suo male ; e , dopo il primo stadio del mede- simo, se ne avrà V indicazione sol quando sopravvenga alcuna grave flogistica conseguenza. Se i diversi morbosi elementi non elevano ad un certo grado i nostri atti or- ganici , F agire con molta attività conduce a peccare d’im- prudenza, a incorrere in eccessi, e quindi a danni reali. Così la penso ; nè tanto per forza di ragionamenti , quan- 104 Camillo Versari to in grazia di osservazioni e deila esperienza, le quali ammaestrano essere d’ uopo serbare misura, e massima- mente allorché trattasi di malattie che comprendono V in- tera economìa, a poco a poco consumano gli stami della vita, e che in particolare affievoliscono la cardiaca irrita- bilità e la contrattilità de’ vasi , le quali più oltre anche per difetto di sangue vengono meno , e lo si vede appun- to in tutte le tisi avanzate, e in sulla fine delle febbri etiche. Laonde rio sì di leggieri non saprei adattarmi per lungo tempo, e in genere a molti salassi nella cura de’ ti- sici, e nemmeno a prescrivere loro per giorni e giorni la digitale, benché non ce ne manchino recentissimi esempi, nè ignori le tante lodi che si fecero da varii e al salasso e alla digitale contro le tisi , e che quest’ ultima a testi- monianza di Bayle (1) diedesi fino a quaranta grani al dì. A tale dose somministrata e per un pezzo, quanto non dev’ essa abbattere pericolosamente a un tratto , e poi in- fralire e struggere i poteri cardiaco-vascolari? E rallentan- do , siccome fa il circolo di sangue fibrinoso , facile a rap- pigliarsi ( e così è quello di molti tisici ) , non diverrèhbe cagione di morte anticipata per concrezioni polipose, e tanto più per non essere mica rare anche in tisici curati senza digitale? 31. Questi generali riflessi m’ avviano (e già n’ è tempo) ai particolari terapeutici soccorsi in varie età consigliati contro la tisi. Ma ahi come ne è grande la farragine, e considerabile la varietà! E oh quanto esse ne avvisano della insufficienza loro, e della nostra! Come dunque condurci nel tentare di antevenire alla tisi , e nel curarla ? Rispondo a queste due ben gravi domande col proporre innanzi tutto (sendo F origine di moltissime tisi evidentemente mostrata ereditaria) il vecchio mio desiderio, che pur una volta la Polizia Medica , e dovunque , si renda sollecita a distogliere dal matrimonio e quelli e quelle che hanno abito tisico, ed anche lo scrofoloso ed il rachitico , per la grande e ben Annotaz. intorno la tubercolosi 105 nota affinità della scrofola e della rachitide ‘colla tisi. Ri- spondo : si vieti P allattamento a quelle , che per qualun- que ragionevole indizio apparissero fievoli , linfatiche , e più poi se minacciate da tubercolosi. Rispondo : vorrei pron- ta ed ottima cura contro ogni sorta malattie degli organi del respiro , perchè sono le più facili a trapassare in tisi , quando non si medicano a dovere. E vorrei altrettanto con- tro i mali venerei per aver io potuto in proposito verifi- care P osservazione di Mortori e di un G. B. Morgagni 3 cioè che le donne e gli uomini cosi malati , non raramente soggiacciono indi alle tisi. Vorrei che P Igiene intervenisse con tutti i suoi benefìci! , convinto , che essa vale non solo a preservare dalle malattie , ma che per buona parte anche le medica. Vorrei che i soccorsi igienici da porsi in opera , pel fine di vincere la disposizione alla tisi, consistessero principalmente nel vitto di prevalenza animale , nella scelta di un clima puro , piuttosto caldo , e in riva al mare , nella navigazione , nell* uso dei marziali , continuo per mesi e mesi, ora dando il joduro di ferro, ora il lattato di questo metallo , ora il mar te per P idrogeno , e commisti al latte ed al pane. Vorrei che nell’ estate si tenesse la cute difesa da seta cruda , nelle altre stagioni per flanella , e non si tra- scurassero gli opportuni ginnastici esercizii , il moto a ca- vallo, e il nuoto, dove possa farsi, e colle opportune cau- tele, ed in conveniente stagione. E vorrei che cotali pre- sidi fossero avvalorati da ogni temperanza fisica e morale. Tutti questi mezzi rendono forti gli individui , sono racco- mandati dalla ragione , dalla esperienza , dai Medici più savii, e dal vedere che i robusti pressocchè mai intiSichi- scono. Gli ajuti ora proposti riescono a profilattici , e pure a curativi , come ho già detto qui sopra ; sicché tanto più sono degni di accoglienza. 32. Il meglio che il Medico possa fare, e che tomi pro- priamente a sua intera e gran lode è difenderci dalle ma- lattie ; e tanto più se ne rende benemerito , allorquando ci riesce proprio., e principalmente contro quelle che sogliono produrre o gravi discrasie, ovvero vizii profondi, più o meno gravi, ed insanabili di organica compage; siccome accade delle t. il. 14 106 Camillo Versari tisi confermate , ed in ispecie delle tubercolari de’ pulmo- ni. E però ogni volta che ne corre il caso ci fa mestissi- mi ; nè solo per vederne languire la classe più delicata della gioventù , ma per conoscere appunto la fatale pochezza del- V Arte nostra a soccorrerla con salutare successo. E di vero siamo allora in generale astretti a renderci appena attivi , a prescrivere pura 1’ aria ambiente , sana , blanda la nutri- zione, a temperare gli inasprimenti del male con sottra- zioni più presto locali che generali , ad attutire i dolori fìsici con qualche sedativo o calmante , a traquillarne con pietosi inganni lo spirito , o a sostenerne con affettuosa e costante industria 1’ illusoria speranza di guarire, comune al mag- gior numero di quegli infelici , e che per solito non manca nemmeno ai Medici intiSichiti , siccome ebbi anch’ io a notare in varii tra loro , e prima di me avea ricordato Alibert nella sua Nosologia Naturale ; e avvegnaché non ignorasse- ro , che questo sintoma morale è proprio alla malattia che li aveva colti. 33. Veramente al di là di questa nostra compassionevole assistenza poc’ oltre ci rimane a fare, per quello che al- meno mi sembra. E oh come, e quanto è in certe malat- tie delicato, pieno di emozioni e difficoltà il contegno del vero Medico ! Poco si considera , ma Ei ne ha le angustie nel mezzo dell’ anima ; anzi ne sente torture che il volgo sconosce , e che anche molti fuor di volgo non pregiano siccome dovrebbero ; chè il Medico esercita di continuo più o meno le virtù dell’ intelletto e del cuore in prò e a con- forto de’ miseri ! A parte ciò ; ma non a parte Y obbligo di al- ludere ad alcuni sussidii stimati da altri degni di fiducia , e tuttavia non liberi da quelle torture. Il perchè son per dire dell’ aria marittima , della navigazione , e dei nauseanti. I buoni effetti di quell’ aria tepida o calda , e dei non brevi viaggi di mare lungo le coste meridionali furono com- mendati , e assai , e in più tempi , e da si illustri Osser- vatori, da non potere passarmene, sebbene , a dir sincero, non ci confidi gran fatto ^ e sappia che poco giovarono ad alcuni tisici , e nocquero ad altri. Nondimeno , per un mo- mento conceduto che possano giovare a chi sia proprio ti- 107 Annotaz. intorno la tubercolosi sico , sorge naturale il desiderio d’ intendere , e forse è noto già in Voi , come operino ciò ; sicché adempio al do- vere di appagarlo per quanto posso. Le inspirazioni d’aria dolce e temperata medicano gli organi del respiro in grazia della calma alla quale ne conducono la funzione (1), e per la salubrità dei mezzi fisici e chimici che vi conferi- scono. E ciò tanto più si vuol credere dei tisici, quando quell’ aria sia commista a vapori di jodio , e scrofolosa la ti- si ; giacché quella così combinata può vie meglio scemare, e sembra che scemi, gli effetti di alcune tubercolari tisi- chezze , delle scrofolose , e conseguentemente che ne rat- tenga almeno il progresso. Fors’ anche un po’ di bromo , a parere di taluni , vale altrettanto , penetrato che sia nelle vie aeree. Avvisano altri che le navigazioni cooperino a si- mili vantaggi anche per le nausee che sogliono recare a moltissimi , e par vero. La fiducia nelle navigazioni , e la diversità di vita alla quale astringono , massime le prolun- gate , meritano fors’ anche speciale considerazione pei loro molteplici effetti (2). Checché se ne voglia credere, certo è che il mal di mare fu pei disposti alla tisi tenuto alquanto preservativo della medesima ed atto, sotto certi rispetti, altresì a curarla nel suo principio , tantocchè s’ io dovessi raccomandare alcun rimedio ne’ primordii delle tisi, sceglie- rei anche per ciò la ipecacuana , e per le sue note elettive virtù ; per reminiscenza limpida di aver letto in Ippocra - te i e nella Pktisiologia di Mortori utile ai tabidi ed ai ti- sici il vomito; ed utile pure la nausea negli stessi infermi secondo la sentenza di Tommaso Reid , e di Grigan . E rac- comanderei la corteccia della ora nominata radice, e la eme- tina che se n’ estrae , per essermi sembrate degne di essere poste tra i farmaci meno inefficaci contro la tisi. Nè per ciò solo, ma ancora per non ignorare come nella cura dello (1) Giacomo Gregory scriveva nella sua bella Dissertazione inaugurale = De morbis coeli mutatione medendis = « Aer autem temperate calidus respirationi faveti et pulmones roborat. ». (2) Gioverà intorno ai medesimi leggere la Dissertazione di Gilchrist = De navigationis usu medico =. Camillo Versari stesso male altri si fossero attenuti al metodo vomitivo ed al nauseante, ora pel veratro, quando pel chermes mine- rale , o pel tartaro emetico , e come avessero sollevati que- sti rimedii in fama. Al vigesimo quarto paragrafo Vi ho già detto della cura prescelta da Fonssagrives ; e qui torna opportuno ricordare come in certi stadii della tisi , e contro i dolori pleuritici, lungo la medesima non infrequenti, usassero , ed usino molti le frizioni al torace colla pomata di Autentriek > o semplice , o resa più attiva pel deuto-clo- ruro di mercurio in adesione al metodo di Jenner ; che ne dichiararono , e ne ottengono alcun prò sì per nausea e vo* miturazioni non rare e prima e poi di quel terapeutico esantema. Forse per la stessa ragione, cioè per le nausee, o per le vomiturizioni apparve a me e ad altri la gravi- danza valevole a sospendere , o a moderare alcune tisi , non esci te ancora dal primo o dal secondo stadio (1). Questo fatto già avvertito da Bordeu , da Cullen , da Portai da Beaumes , confermato da G. Frank , fu un tempo messo in dubbio da Andrai seniore , che poi se ne disdisse per ul- teriori osservazioni , e concluse : i sintomi della tisi o ri- mangono sospesi , o stazionarii per la gestazione. Un cotale sollievo pel male di mare , pei nauseanti , e per la gravi- danza, riconosciuto nei tisici e nelle tisiche, dipendereb- be mai dall’ abbattimento delle forze , da una specie di ri- brezzo , o da una distrazione delle azioni morbose ? Ovvero queste , più o meno permutate , si trasferirebbero mai dalle vie aeree allo stomaco ed all’ utero ? Sarebbero le suddette azioni forse distolte e fissate, non altrimenti da quanto si giudica de’ rimedii così detti revulsivi ? Abbiasi o no quel sollievo pef una specie di deviamento di moti organici e di umori, o per altri motivi (e certamente varii se ne po- trebbero congetturare, fra’ quali, ad esempio, il rallentarsene del respiro e del circolo , il consecutivo abbassamento della individuale temperatura, difetto di traspirazione e sudori, (1) Accenna Gregory nella Dissertazione or’ ora citata {Edemburgi MDCCLXXVI a pag. 92.) raro, che le donne incinte muojano di tisi pulmonare, ed io l’ho raffermato. Annotaz. intorno la tubercolosi 109 cambiamenti nella traspirazione pulmonare con altri atti or- ganici vicarii , poi periferici , valevoli a liberare in parte gli organi centrali per nuova distrazione, e per le perdite delle materie le quali compongono i gas traspirabili , gli stessi sudori , ec. ) quel sollievo è irrepugnabile, e racco- manda P uso della ipecacuana contro i primordii delle tisi. Inoltre mi sembra dovere nelle tisi flogistiche raccomandare P ipecacuana pei beneficii che P osservazione clinica ne ha palesati contro la flogosi dei bronchi , e dei pulmoni. Aveva già Tommasìni riconosciuti reali questi beneficii della ipe- cacuana, e P avea giudicata deprimente. Ora ne risorge la sentenza, e in grazia di prove sperimentali. Il Sig. G. Pé - cholier ne ha in questi dì fatto molti cimenti sopra conigli e rane ; e , sebbene siano questi animali troppo lontani dal nostro grado bionomico , ne deduce tuttavia : potersi cre- dere , come nei menzionati animali , così in noi : che P uso della ipecacuana rende rare , e deboli le pulsazioni , rari pur anche i moti del respiro, bassa in molte parti del corpo la temperatura: che disperde il glucosi epatico, e scema P innervazione. Di più Egli osservò impallidirsene , ed esan- gui i pulmoni ; e per questi fatti concluse : essere contro- stimolante P azione della ipecacuana (1). Però senza i me- desimi ; e senza concedere troppo valore alla nausea , al ri- brezzo , all’ emesi , ed alle perdite consecutive alla ipeca- cuana per la cute , per lo stomaco , e per P intestino , si tenea già deprimente, oltre che emetica, la virtù della ipe- cacuana ; e che godesse di elettiva facoltà sulle mucose , ed in ispecie su quelle delle vie del respiro. Ma ora ne sarebbe vie più comprovata una tale facoltà, nè solo sulla mucosa de’ bronchi , sì bene anche sul parenchima pulmo- nare. Ad ogni modo tanto nei tisici, quanto negli apoplet- tici non assentirei agli assoluti vomitivi pel ragionevole so- spetto , che i moti antiperistaltici dello stomaco e dei pri- mi intestini facciano risalire il sangue, e però ne cagioni- no rinnovazione di emoptoe, ed anche altri afflussi non (I) Comptes Rendus T. LV. p. 771. e seguenti. no Camillo Versari solo al petto nocevoli , ma anche al capo. Non ignoro che Ippocrate , Mortori, e Fonssagrives , Billez pure, Barthez , Margard , Bayle , Thomas, Devitis , Lanthois , Brichetau , Seuter , Simmons , Marrìat , Carswel , ed altri lodarono gli emetici nella cura della tisi. Nondimeno io più che 1* ar- gomento di autorità tengo in istima la ragione, e le con- troindicazioni. Il vomito d’ altra parte manda non solo san- gue al capo , ma scuote eziandio l’ intera economia , e scon- certa molto più della nausea; e ben lo si vede, e ciascu- no che abbia patita e questa e quella pena sa darne ampia fede a chi non le sostenne. 34. Un altro mezzo terapeutico contro la tisi consisteva nel fare per mesi ed anni abitarne gli infermi entro a’ pre- sepii , e se ne presceglievano i bovini , quelli de3 cavalli , e gli ovili. Daniele Guglielmo Triller , (1) Buchanam , Cle - si us di Heildelberg , May or , Beddoes , ed altri li proposero, e addussero fatti che ne comprovano 1’ uso profittevole. Mes- sane da parte la sconciezza pressoché ributtante di far vi- vere uomini in istalle puzzolenti ( il che sembra fosse la ragione principale di abbandonarne l’uso) non iscon verrà, se, come mi sono comportato pei tre già discorsi sussidii , consacro brevi parole alle interpretazioni fatte dai Medici per ispiegare il bene di questa cura, e pur anche ad al- cun altro relativo argomento. Dico dunque in primo luogo : che fu creduto giovasse per placidezza e costanza di tem- peratura : secondariamente per una discreta quantità di gas acido carbonico svoltosi dalle materie escrementizie e dalla lettiera di que’ bruti , espirato dai medesimi , e prodotto dallo strame e dalla paglia , ec., sicché , scematane la pro- porzione di ossigeno , V aria delle stalle ne acquistasse il potere di rallentare il respiro , la circolazione , e 1’ ematosi. Altri ne valutò la scarsezza o mancanza di ozono (2) in quella atmosfera. Chi attribuì al gas acido carbonico una sedativa virtù , e tenne ne conseguisse una specie di riposo Annotaz. intorno la tubercolosi 11 agli organi, i quali del continuo adempiono alle tre sud- dette insigni funzioni. Questi suppose che per un qualun- que richiamo di moti allo stomaco , al fegato , agli intestini si promuovessero utili cambiamenti di azioni vascolari tra la circolazione media e la addominale. Quello inclinò a cre- dere se ne modificasse la secrezione della bile , e delle per- dite cutanee. In fine si ammise ancora che quell’ aria va- lesse ad impedire la concentrazione a’ pulmoni degli ele- menti della tubercolosi e della materia tubercolare. Si vuole però in proposito dell’ acido carbonico far ragione , come Cormac all’ opposto sostenga , che dall’ atmosfera impura e scarseggiante di ossigeno sorge la tisi, anche la scrofola, e come Rickardson (1) dia per indubitabile: che 1’ un per cento di acido carbonico insieme alla parte di ammoniaca, la quale si svolge nel combinarsi al medesimo , basti ad escludere ogni beneficio di qualsiasi cura , anche nel primo stadio della tubercolosi. Qra accoglieremo Noi giudizii tanto risoluti ? F orsechè , se non falsi , potrebbero apparire alme- no eccessivi? In quante località di purissima atmosfera, e non iscarsa di ossigeno non si annoverano casi di tisi e di scrofola ? E . Priestley , Mach ride , Lepois , Home, Hufeland, Marx , ed altri non dichiararono in vece di avere ottenuti vantaggi dalle inspirazioni di aria commista a gas acido car- bonico ? E Golewehle non disse immuni dalla tubercolosi i cavatori del carbon fossile in Inghilterra ; e gli addetti a quelle miniere ? Checché Vi piaccia risolvere su quelle esclu- sive sentenze , su questi discrepanti e contrarii pareri , tro- verete forse non affatto spregievole la proposta d’ indurre i tisici a vivere nelle stalle, per muovere dalla intenzione di una sorta di cura fondata sulla fiducia in alcun gas me- dicinale, parendo che possa discuoprirsi , e aversi un me- todo pneumatico giovevole contro la tisi dei pulmoni, sì da doverlo cercare, e diversamente e più di quello che siasi fatto sin qui. 35. Mandavansi non ha guari i tisici a respirare aria bas- ii) Gazzetta Medica degli Stati Sardi Settembre 1861. 112 Camillo Versari sa, delle paludi, delle maremme; e Boudin , e Salvagnoli ne ravvivano, da pochi anni, le fallite speranze. In vece non mancan9 oggi altri Scrittori , Gastaldi in ispecie e Borri - hard 3 i quali raccomandano a9 tisici l9 aria de9 monti. Pure non è ella forse a minore barometrica pressione , ed a mi- nore temperatura ? Poi i luoghi montani , e nessuno F igno- ra, soggiacciono ben di sovente a ventilazioni. Come dun- que non nuocerà a chi è tisico? Si: F aria de9 monti può nuocere per questi rispetti a chi è tisico, non pel suppo- sto grado maggiore di ossigeno. Ma in alcun tisico apparve utile la permanenza sui monti, e forse fu per la vegeta- zione di molti licheni , i quali ne possono medicar l9 atmo- sfera per esalare vapori di jodio , e non già per copia del suddetto gas. Intorno al quale non è da scordare , che le sue inspirazioni furono riconosciute dannose ai tisici da Scherer 3 ha Hufeland , da Mailer, da Tiberio Cavallo , da Targioni Tozzetti , da altri; e che quest9 ultimo vidde in un tubercoloso nocevole F ossigeno aggiunto tre volte in più al volume dell9 aria atmosferica. E nè anche vuoisi di- menticare che Beddoes aveva posta la sopra ossigenazione del sangue a causa remota della tisi , e Bennet creduto , che la adducesse l9 alterata nutrizione , è che questa deri- vasse da eccesso di ossigeno. Chi ponga poi consistere la funzion del respiro in una sorta di combustione , non do- vrebbe forse temere , che per considerabile aggiunta di os- sigeno, direi quasi, se ne bruciassero i pulmoni, o te- mere almeno di accrescerne troppo i movimenti , d9 infiam- marne le vie aeree, e massime dei compresi da flogistiche tubercolosi, e dalle tisi galoppanti? Tutto che eccita, che stimola nuoce a9 tisici, e più ogni sostanza abile a rendere, in modo più o meno diretto, frequente il respiro, celere il circolo , violenta l9 ematosi. E i tisici non patirebbero questi tre danni, e le varie e gravi loro conseguenze col far9 ad essi inspirare F ossigeno in alte proporzioni? Queste per sè medesime sono antitesi notabili e lasciano compren- dere il difetto di mezzi al fine. Pure , se vi ha mezzo che possa nella cura delle tisi pulmonari valere al fine , non può forge in altro consistere che in uno diretto alla sede Annotaz. intorno la tubercolosi 113 e contrario alla natura del male ; epperò penserei che a me- dicare con alcuna fondata speranza la tisi de’ pulmoni con- venisse procacciar di comporre un’ aria confacevole e me- dicatrice (1) , per esempio col mescere a quella della ca- mera, e degli Spedali vapori di jodio, o di altra oppor- tuna sostanza; od un qualunque gas trovato proficuo ai bruti domestici tisici , e colle proporzioni conosciute in via comparativa necessarie tra essi e Noi. È d’ uopo anche per ciòr persuadersi una volta , come e quanto la Medicina Com- parata possa alla umana tornare giovevole, e conseguen- temente d’ uopo è attendere alla medesima più che non si suole , ed in ispecie per quelle malattie , la cui guarigio- ne si tiene per disperata dall’ universale. Io penserei an- cora si dovessero fabbricare zigari tali , che fumati dai ti- sici rispondessero alla indicazione di soccorsi idonei alle vie aeree dei medesimi (2). Idee queste che io sottopongo ai Cultori della Chimica Organica, e che accolte potrebbero ad Essi fruttare benemerenza, giacché sono vani gli studii che non approdano a pratiche utili realtà , e ancora perchè dopo la cura profilattica della tisi, non ne sembra attendi- bile altra più ragionevole. Gli alimenti così detti respira- tola da Leibigy gli olii, i grassi preconizzati da un pezzo, si ad uso interno che ad esterno , e anche oggi supposti (1) Questa proposizione non toglie il valore conceduto dal Cavaliere Dot- tor Biagio Gastaldi Torinese al suo pensiero, dal Dottor Jourdanet non ha guari confermato , di rarefare 1* aria per la cura della tisi. Che anzi in parte gli consente , e di più aggiunge l’ idea di tentativi ulteriori. Il pensiero del- 1’ egregio Dottore di Torino ebbe anche alcune prove di fatte , per quanto il Dottor Camperi osservò sulla montagna di Frabosa-Soprana. Certo che 1’ aria de’ monti ha minore pressione barometrica (e lo dicea poc’anzi); e certo, sot- to questo rispetto , può tornare ad alcun beneficio ai tisici di primo grado. Tuttavia io non saprei sì di leggieri porre in non cale le anteriori contrarie avvertenze. Sarebbe poi quel beneficio qualunque da attribuirsi alla maggiore dilatazione degli organi del respiro, siccome congettura il Dottore Jourdanet ? In ogni modo stimo necessario provare e riprovare metodi nuovi contro ogni morbo fino ad ora conosciuto insanabile. Nè io fui, nè sarò mai alieno dal- 1’ accogliere prudentemente consimili , ed altri savii suggerimenti. (2) Gli zigari di foglie di stramonio potrebbero essere del bel numero? E altri non isperimentati nocevoli, o inutili? t. ii. 15 1 u Camillo Versari il gran bene possibile , il decantato ricostituente 3 o 1’ olio di fegato di merluzzo, il brodo di lumache e la elicina, il siroppo di pulmone de’ vitelli ecc. , fecero , e fan pure le misere prove. Si tenti adunque una qualche utile sco- perta , pneumatica segnatamente ; valevole a fornire una cura diretta gazosa, parendo che contro le tisi delle vie aeree sia proprio la più indicata, siccome or ora accennava. 36. Però non se ne escluda la generale , e sì per igie- nico rispetto , come pel terapeutico , chè la tisi vizia V intera economìa, onde le tornano necessarie queste due indicazioni , e la cura generale avvalora la diretta. Quasi ogni idiopatìa influisce sull* intero sistema, e le modifica- zioni operate sovra il medesimo coi mezzi igienici e coi rimedii ben possono esercitare influenze in prò dell9 orga- no malato. Ma anche in proposito della dieta pe9 tisici sventuratamente al solito dominarono , e dominano tuttavìa dubbiezze ed opposti pareri. E ahi da quanta scurità an- che in questo è accecata la nostra Scienza! Chi ne vole- va la dieta lattea , chi vegetabile : questi la presceglie animale , e di carni rosse , ed arrostite : quello di mollu- schi e pesci : taluno abbondante , altri piuttosto scarsa : gli uni a pochi pasti , a molti alcun9 altro. Intorno a che è da por mente : essere troppo vero , che se occorre per l9 una parte sopperire alle tante perdite cui del continuo i tisici vanno soggetti , fa d9 uopo per l9 altra considerare eziandio, che col dar loro a mangiare in copia, e più volte al dì , se ne può , anziché guarire , accrescere piut- tosto e complicare la malattia, avendo quegli infelici sto- maco debole, irritabili le intestina, languidi gli organi della assimilazione , a non lieve grado alterati quelli del respiro, della ematosi; e mostrando i tisici d9 essere mol- to, e anche variamente, impressionabili a qualunque seb- bene lieve morbifera cagione. Che più ? col lauto cibo , e col ripeterlo più volte al giorno, si toglie la parte possi- bile di quiete , o di riposo delle funzioni digerenti a9 tisi- ci necessario forse più che ad altri ammalati , sì da esclu- derne il beneficio, e da promuovere nei medesimi un fre- quente orgasmo ai visceri chilopojetici , e tale e tanto da Annotaz. intorno la tubercolosi 115 recare turbe gastriche, enteriche, diarree, e dissenterie, da accrescerne la frequenza del respiro, del circolo, e la febbre, quindi smanie e pene, aumento di pulmonare tra- spirazione, di tosse, di sudore, e di consecutiva debolez- za. Sta bene nutrire i tisici ; e ciò convien fare , a mio avviso, poche volte al dì, e con cibi blandi, gradevoli, opportuni, e meglio colla dieta lattea, quando non sia controindicata per circostanze speciali. Così almeno mi par- ve per la sciagura di averne assistiti non pochi. 37. La dieta lattea può anche valere a parte di cura contro le tisi, però non in tutti i loro stadii; anzi, per mia ed altrui osservazione, nel principio delle medesime solamente. Quand’ ebbi a governare tisici con febbre , vid- di più volte non tollerata la stessa dieta, o riuscire dan- nosa ; sicché rettificai la sentenza del gran Vecchio di Coo (1) « Lac dare convenit tabidis non admodum febri- » citantibus » ed in taluno tisico febbricitante mi accorsi, che pur anche sconveniva per idiosincrasìa. G. B. Borsie - ri ( fosse per esperienza propria , o per adesione ad Ippo- crate ) aveva già ammessa la sconvenienza del latte a’ tisici che abbiano febbre. Tuttavia in alcuni non esciti dal pri- mo stadio, e sebbene offerissero movimento febbrile, il latte mi apparve digeribile ed utile, il che si potrebbe forse a maggior grado avverare , se la vacca , F asina , o la capra si alimentassero con lichene islandico, con edera terrestre, poligala , farfaro, pul monaria , fellandrio acqua- tico , stramonio , petali di rose , ecc. , F uno o F altro di questi vegetabili , e le parti loro presciegliendo a modo di foraggio , e in relazione adattabile alle suddette femmi- ne di bruti domestici, e ai casi diversi. Credo ancora che lo stesso benefico umore si possa pure amministrare insie- me alla china, alla segala cornuta ed al suo estratto, al succo di ortica , di crescione o di nasturzio acquatico , di beccabunga , di fumaria , di scabbiosa , di coclearia al de- cotto di fuco caragèo, ecc. , secondo che più o meno (1) Aforismo 64. Sezione quinta. 116 Camillo Versari prevalga la condizione di febbrile remittenza, F emorragi- ca , la scorbutica , F erpetica , la catarrale , ecc. , per tran- quillarci almeno in una specie di calma , cui molte pre- cedenti osservazioni , e alcune gravi Autorità lasciano spe- rare. Ma il latte , o solo , o così medicato , è fra Noi oggidì meno in uso di prima. Però mi piacerebbe tornasse in onore., e tanto più se ne fosse dato di bene appropriarlo coi mezzi or ora menzionati. Senza ciò riman vero tutta- vìa , che nelle tisi lo commendarono Ippocrate , Aretèo , Celso , Mortori > Cullen , Desault , Bennet , Richardson , ed altri illustri. Io di più sarei per raccomandare , che a5 di- sposti alla tisichezza, ed ai tisici in primo grado si rin- novasse F allattamento per giovane e sanissima nutrice me- dicata con alcuna delle nominate vegetabili sostanze , o che , se pure per varie ragioni non convenisse , si ricor- resse ad ottimo burro fresco , e a panna uguale , o a fiore di latte. Passato il primo stadio della tisi, giacché oltre questo riman poco a riprometterci , potremo secondare i gusti ; e i desiderii de5 tisici , se F appagarli non sia già per esperienza dimostrato nocevole. Che se ne cadesse dubbio , gioverà cedere poco , e solo a modo di saggio. Sfidati quegli infelici dall’ intima medica coscienza , pos- siamo allora permetterci di contentarli prudentemente in alcuna cosa; e sì per ciò, sì allo scopo di antivenirne an- cora alla facile e risicosa fisica e morale inquietudine. Laonde concederei a’ medesimi alcune frutta sane , matu- re , spiccate appena dall’ albero , perchè furono già in prò de5 tisici raccomandate dall’ illustre Muggellano Antonio Cocchi, da Cheyne , da Langrisph, da Richardson , e da altri, e per avere io stesso notato che se ne piacciono.. Non credo però assolutamente vera , nemmeno per la tisi la sentenza d’ Ippocrate: « honum quod sapit ; » quindi ba- derei molto a’ primi effetti delle frutta per essere indi pronto a sospenderne F uso, e massime allorché scioglies- rero il ventre. Sia pure , che a quelli i quali si consuma- no per lenta ed incurabile infermità torni lecito accheta- re lo spirito col soddisfarne le voglie, e sia pure lodevo- le impedirne F anoressìa. Ma la diarrea è funestissima ai Annotaz. intorno LA TUBERCOLOSI 117 tisici; ma fa d’ uopo riparare alle tante loro perdite, ed al marnino cui ne soggiaciono; e quindi più presto che vegetabili sostanze amministrarne di animali, e di facili ad essere bene digerite sì dallo stomaco che dai primi in- testini. Le tisi sono in genere lente malattie; non dimen- ticheremo quindi anche pe’ tisici 1* ammonimento intorno alle lunghe lasciatoci da Ippocrate all’ Aforismo 64 della quinta Sezione; ovvero: che nel corso delle medesime il vitto tenue e pericoloso ; e che tale, e più quello è che non si digerisce. 38. Così per non passare oltre i limiti di uso alle no- stre letture do fine a questa , e anche per la fiducia di averne bastevolmente percorse le maggiori e più salde im- portanze relative alla cura profilattica , alla terapeutica con- in Specie contro la tubercolare. E faccia Iddio che la mia speranza non discordi dal vostro retto gì udì ciò ! ABLAZIONE COMPLETA INTRABUCCALE E SOTTOPERIOSTEA DELLA MASCELLA INFERIORE DEL PROF. COMMENDATORE FRANCESCO RIZZOLI (Letta nella Sessione 20 Novembre 1862.) P 1 ra le grandi operazioni chirurgiche tentate dagli an- tichi, merita in singolare modo di essere rammentata la resezione della mascella inferiore , di cui troviamo me- ravigliosi esempi in Ippocrate, in Rhasez, in Mesue, in Runge , in Goock, in Moscque, ed in Bourlin , la quale operazione sebbene in tempi a noi più vicini non fosse dimenticata da un Fischer, da un Mursinna, e da un Wepfer, però non venne comunemente ammessa se non se dopo il brillantissimo risultato ottenutone nel 1812 dal Dupuytren , il quale aprì l’adito a non pochi illustri chi- rurghi Alemanni , Inglesi , Francesi , Italiani , e dell5 Ame- rica di estenderne l5 applicazione , e di eseguirla ancora in circostanze gravissime con molto arditi, e perigliosi processi. r ° Ma sebbene di tale guisa si riescisse in casi diversi a svellere un male, che minacciava dappresso la vita, doveansi però, a cagione delle estese e profonde incisioni a questo 120 Francesco Rizzoli fine praticate, lamentare ragguardevoli deturpamenti della faccia , ai quali occorreva rivolgere il pensiero , onde se era possibile poterli evitare, e vi riesci il genio chirurgico, avvegnacchè fattosi innanzi il Signoroni , mostrò potersi per avventura non di rado scansare tali brutture , usando di un processo operatorio da esso lui immaginato,, col quale risparmiando le esterne incisioni, è data facoltà al chirurgo disnucleare per la via della bocca, dalla sovra- posta mucosa gengivale , e di staccare dalle adiacenti par- ti , le porzioni ammorbate della inferiore mascella , ed an- che di sgusciarla, e toglierla completamente in un col pe- riostio, perfino dalle sue articolazioni, con che fece egli stupire tutti coloro, che sebbene audacissimi nelle opera- zioni sentenziavano la ablazione totale della mascella infe- riore riunire in se tali , e così gravi pericoli da non potere in modo alcuno essere sanzionabile. La brama ardente però di spingersi anche più innanzi , e di giugnere a quel culmine, che formar dovea il mag- gior trionfo dell’ arte fece sì , che alcuni chirurghi ado- praronsi acciocché di un passo ancora , e gigantesco pro- gredisse in qualche ^aso almeno , questa importante ope- razione , il che si ottenne mercè gli studi fatti sulle aspor- tazioni sottoperiostee delle ossa, coi quali studi avutesi luminose prove, che di tale guisa operando ottiensi la completa riproduzione delle ossa resecate , se ne trasse pro- fitto , dovendo asportare porzioni di mascella , e se ne ot- tenne difatti con meraviglia quella regolare riproduzione che non poteasi sperare , attenendosi agli altri preconizzati processi. Qui per altro occorre, o Accademici, mi permettiate, che io richiami alla vostra mente , che dei risultati stu- pendi ottenuti mercè le resecazioni sottoperiostee non ne dobbiamo gloria , come oggidì vassi proclamando , soltanto ai moderni , i quali a vero dire nuli’ altro fecero che ar- ricchire vieppiù la scienza di osservazioni in gran parte fatte da alcuni nostri insigni predecessori, indegnamente, od appositamente dimenticati. E voi già bene sapete, o Illustri Colleghi, che furono Ablazione della mascella ec. 121 primi a dichiarare il potere che esercita il periostio nella formazione delle ossa, Gabriele Falloppio, Realdo Colom- bo, Marcello Malpighi , ed il Grevio; che Duhamel mag- giormente illustrò questa dottrina, e che in seguito la sostennero Doubenton, De Lassone, Petit, Monrò, e Fouge- roux, e vi è pur noto che la dottrina medesima sarebbe forse del tutto crollata per le opposizioni che vi fece un Detleef, ed un Haller ,.se solennemente, ed all* appoggio di minute, pazienti, e giudiziose esperienze il Troja non fosse riescito a mostrare P insussistenza della teoria di que- sti insigni fisiologi , e non fosse giunto a confermare inve- ce , che specialmente il periostio è il grand’ organo che prepara i succhi per la formazione , per P accrescimento , e per la riparazione delle ossa. Eppure come se il Troja non avesse giammai alzata la voce, le sue dottrine anda- rono cosi dimenticate , e tanto obliate pur furono le pra- tiche applicazioni che dalle medesime emanarono, da fare credere appunto a taluno di avere oggi scoperto ciò di cui quel sommo ne aveva tanto saggiamente, e con tanta modestia ammaestrati. Ma in questa pecca fortunatamente non cadde la scuola nostra , e niuno saravvi che siane preso da meraviglia , se considerazione si faccia al fervor col quale gli studi sulla Osteogenesi, dopo il Troja, furono coltivati fra noi. In que- sta scuola infatti ove già il Bazzani nella metà dello scorso secolo contemporaneamente al Duhamel faceva esperimenti colla robbia somministrata cogli alimenti ad alcuni animali, onde meglio studiare la formazione delle ossa, in questa scuola ove P immortale Galvani nel 1765 colla maggiore avvedutezza, e diligenza ripeteva i medesimi esperimenti, e? ne otteneva i medesimi risultati , in questa istessa scuola P illustre Prof. Medici vittoriosamente combattea la teo- ria dello Scarpa sostenuta pure dallo Speranza, e tendente a distruggere quella del sommo Troja. E lo stesso dottissimo Medici con bella serie di esperienze , confermando i sor- prendenti risultati ottenuti da Lazzaro Spallanzani nel- le Salamandre acquatiche , vale a dire , la riproduzione delle zampe, e della coda di cui erano state mutilate, t. ii. 16 122 Francesco Rizzoli fattosi forte delle interessantissime esperienze ed osserva- zioni dovute al Conte Gio. Benti voglio nostro , ed al Cele- bre Prof. Alessandrini intorno la riproduzione delle coste (1), accresceva così valore alla da lui illustrata dottrina. Ed in questo stesso nostro studio V Illustre Prof. Cav. Marco Pao- lini nell’ anno 1840 imitando V antico concittadino il Baz- zani , fece esso pure bella serie di esperimenti colla robbia nelle galline (2) e li ripetè nel 18.61 in alcuni pesci, sve- lando per tal modo non solo importantissimi fatti di Osteo- genesi, ma dimostrandone ben anco altri di grande inte- resse alla fisiologia ; e di recente il Chiarissimo nostro Ana- tomico Prof. Cav. Luigi Calori con una dottissima sua Me- moria, non mancò anch’ egli di renderci note osservazioni importantissime sulla riproduzione della coda nelle lucerto- le (3) , che spanderanno luce vivissima sulla genesi delle ossa. Mentre fra noi si studiava, e si esperimentava affine di viemeglio conoscere la potenza dell’ organismo nel ripro- durre 1’ ossea sostanza , non poteasi per certo obliare , co- me si è fatto da altri , quanta parte avesse avuta ancora il Monteggia ad illustrare questo ramo così importante di pa- tologia fisiologica , e non poteasi del pari da noi omettere , di fare tesoro di quelle pratiche applicazioni che ci ven- nero intorno le resezioni sotto-perio&tee delle ossa da quel grande insegnate. Gli studi del Monteggia relativi all’ Osteo- genesi , intorno ai quali il dottissimo e venerato mio mae- stro Prof. Gaetano Termanini lungamente trattenevasi dalla cattedra , furono specialmente diretti alla necrosi , giacché questa malattia , egregiamente e meglio di ogni altra si pre- sta a confermare la virtù del periostio nel riprodurre 1’ os- (1) Michaelis Medici. De nova quadam costae reprodnctione observatio. Novi Commentarii Academiae Scientiarum Instituti Bononiensis. Tom. 2. Bo- noniae 1836. (2) Novi Commentarii Academiae Scient. Instit. Bononiens. Tom. 2. pag. 469. Specimen quorumdam eperimentorum de vi Rubiae ad ossa, ovorumque galli- narum putamina calcaria coloranda. Memorie dell' Accad. delle Scienze dell’ Isti- tuto di Bologna Tom. 12. pag. 79. 1862. (3) Memorie deli' Accad. delle Scienze dell' Istituto di Bologna Tom. 9. 1859. Ablazione della mascella ec. 123 sea sostanza, e ad illuminare il chirurgo intorno il partito, che può trarre dal periostio stesso dovendo asportare le ossa. E di vero il Monteggia (1) dopo avere esposto, che le più estese necrosi si osservano nelle falangi delle dita, nella mascella inferiore , nella clavicola , nell" omero , nelle ossa dell’ antibraccio, nel femore, nella tibia, e nella fìbola, si fa con tutta chiarezza a dimostrare, che al morire dell9 osso staccatosi dal medesimo il periostio, fra il periostio stesso e la parte dell9 osso rimasta priva di vita, ed a spese di quello „ formasi una nuova ossificazione a modo di canale, o di tubo , che involge il vecchio osso morto , il quale in- tanto si va separando dalle porzioni ossee ancor vive fin* chè diventa del tutto isolato, e mobile, nel qual caso o è eliminato, o rimane nascosto entro il pezzo osseo di nuo- va creazione , il quale è strettamente ed organicamente riu- nito al conservatosi periostio, è internamente ricoperto da una sottile membrana, e presenta in alcuni tratti delle aperture nelle quali si può penetrare col dito o colla tenta in modo da sentire l9 osso morto , e da poterlo quasi sem- pre estrarre con mezzi però ora semplici ed ora anche molto gravi , se tarda ad essere espulso. Ma sebbene per queste osservazioni il Monteggia avesse tutta ragione di confermare, che il nuovo formatosi osseo cilindro fosse generato dal periostio rimasto bensì separato dal vecchio osso , ma non distrutto , nulladimeno onde viep- più avvalorare la sua opinione fece nuove , ed importantis- sime ricerche , per le quali rimase ad evidenza dimostrato , riprodursi 1’ osso nuovo là dove non era rimasto se non se il periostio , e la ossificazione formarsi contemporaneamente in tratti diversi della sua superficie. Con tutto ciò non escluse e molto avvedutamente il Monteggia che , come aveano opi- nato gli editori del Bertrand i , e lo Scarpa, nuove ossifica- zioni potessero sorgere pure dalle superstiti porzioni ossee tuttora sane , ma a maggiore riprova della prevalente poten- za che ha il periostio a rigenerare le ossa, addusse altre (1) Monteggia Istituzioni Chirurgiche Milano 1802, 1803, 1813, 14, 15, 16. 124 Francesco Rlzzoli importantissime , e concludentissime osservazioni tratte dal- 1* esame di quei tumori sanguigni che formansi talvolta fra il pericranio, ed il cranio dei neonati bambini. Se accade, egli dice, che uno di questi bambini muoja dopo avere portato per alcune settimane il suddetto tumore, si trova , che il pericranio ricuoprente la raccolta sanguigna è alla faccia interna già tutto aspro , e disseminato di punti ossei , i quali non si trovano esaminando gli stessi tumori in istato recente, onde convien dire, che gli umori i quali dove- vano portarsi dal periostio all’ osso , o trassudati per quella poca infiammazione , che il periostio dee contrarre in quello stato morboso di staecamento dall5 osso , fermandosi in parte alla di lui faccia interna, vi incomincino quello stesso pro- cesso di nuova ossificazione , il quale succede in grande nella necrosi , per cui si vedono gli stessi tumori sanguigni fi- nire col formare una esostosi sul cranio. Con queste nozioni di osteogenesi dovea per certo il Mon- teggia entrare nel campo delle pratiche applicazioni con quella avvedutezza che non iseorgo tenutasi sempre dai chi- rurghi moderni. Allorché infatti egli si accinse al tratta- mento della necrosi (pella cura della quale malattia spe- cialmente , oggidì si è avuto ricorso alle resezioni sottope- riostee ) preferì , diversamente da quello che d’ ordinario ora si feccia., di temporeggiare per quanto è possibile a disgiungere 1’ osso morto dal vivo, acciocché quello del tutto si stacchi, od almeno di aspettare finché si rendano manifesti i segni che questa disunione comincia ad ef- fettuarsi. La quale pratica è sorgente di grandi beni , avendo la esperienza fatto conoscere che di troppo sollecitando la re- secazione della parte morta, la necrosi non di rado attacca i monconi superstiti , per non trovarsi ancora i medesimi in quelle favorevoli condizioni che avrebbero potuto evitare questo malaugurato avvenimento, ed essendosi pure reso manifesto che aspettando a togliere 1’ osso morto , oltrec- chè in allora si risparmiano dolorose , e lunghe operazioni , in causa di trovarsi 1’ osso stesso del tutto, o quasi del tutto staccato dall’ ingrossatosi periostio , si ottiene pur an- Ablazione della mascella ec. 125 co , che nell’ atto operatorio il periostio non andando sog- getto a gravi offese , 1* ossea riproduzione ha luogo in un modo più regolare, e completo. Ed indugiando, siccome in alcuni casi si ha di più la fortuna di trovare originato il nuovo osseo cilindro, che deve sostituire F osso colpito dalla necrosi , ne risulta an- che da ciò, che qualora liberato sia un arto, di un tratto più o meno esteso di osso morto, conserverassi nullameno nell’ arto stesso la normale configurazione , lunghezza , e direzione , e si renderà pur anco più pronta e più sicura la guarigione, senza il concorso di quei meccanismi, e di que- gli apparecchi ad estensione permanente , che però a con- siglio dello stesso Monteggia affine di evitare brutti sconci in alcune circostanze rendonsi indispensabili, e precisamente allorquando nel compiere la resezione non si può conser- vale che il solo periostio non essendosi per anco in modo alcuno ordito il nuovo osseo cilindro. La pratica cauta del Monteggia poi è tanto più da ap- prezzarsi , se si ponga niente, che in alcuni casi, sebbene la necrosi sembri manifestissima , ed inevitabile il sacrifizio della parte inferma*, 1* osso morboso invece è ancora capace di reintegrarsi. Tali miracoli della natura , scrive il Monteg- gia , 1 arte dee bene conoscere ed assecondare colla sua inoperosità per non disturbarli e per non esporsi ad eseguire inoportunamente gravi , ed ardite operazioni. Un ragazzo infatti, egli dice, aveva la necrosi al terzo inferiore della fibo- la , una parte d’ osso era scoperta anzi rotta e sporgente mori d’ un’ apertura fatta inferiormente. Non si aspettava la guarigione che dalla separazione , ed estrazione delle due porzioni della fibola necrosate , quand’ esse si nascosero e si ritirarono sotto una nuova granulazione , ed il male guarì senza veruna sensibile esfogliazione. E così pure un altro ragazzo , continua a dire il Monteg- gia, venne allo Spedale col braccio gonfio in tutta la sua estensione, e con una apertura sinuosa piccola nel mezzo onde usciva molta materia con indiziate suppurazioni verso le articolazioni delia spaila e del gomito. Lo stato dello infermo era aggravato, con gagliarda febbre, e fortissimi 126 Francesco Rizzoli dolori. Premessi gli ammollienti, si aprirono le suppurazioni verso le estremità dell’ osso , e si dilatò largamente P aper- tura di mezzo entro cui senti vasi col dito il cilindro denu- dato dell’ omero , e intorno ad esso le carni distaccate , e già incrostate di nuova ossificazione. Cercai , se la parte d’ omero denudata avesse voluto staccarsi ma la trovai fer- ma , onde si prese il partito di aspettare , e intanto man- tenere l9 apertura pervia all9 uscita della materia , ed ai fu- turi mezzi per P estrazione dell’ osso infermo. Restò ag- gravato il malato per alcune settimane , indi andò mi- gliorando, le aperture si restrinsero e non ammisero più che una semplice superficiale medicazione, e finalmente P infermo guarì. Se però P esame attento di questi ultimi fatti influì in modo tale sull’ animo dei chirurghi della nostra scuola da rendere lor pure molto più circospetti di quello che ora altri noi siano, a valersi delle resezioni sottoperio- stee , lo studio pur anco di quei casi , che ne mostrarono la vera utilità, animolli a non risparmiarle, allorché ne fu patente P opportunità. E per darvene qualche prova , vi dirò che in codeste circostanze il Prof. Baroni eseguì nello Spedale Provinciale, e nella sua pratica privata lo svuotamento delle ossa onde conservare non solo il periostio ma ben anco quelle esteriori porzioni di osso che mantenevansi sane , regolandosi in quel- la guisa che consiglia oggi il Sedillot , e che il Prof. Gio- vannini ricorse pure a questa medesima operazione , e la eseguì mediante un cucchiaio di sua invenzione di cui fa parte P apparecchio del suo elegantissimo, ed ingegnosis- simo trapano-sega. Vi ricorderò ancora che il Prof. Alessan- drini riferì a questa nostra Accademia fino dall’anno 1839 la storia di una asportazione di esteso tratto di clavicola , e di tibia, susseguita dalla completa riproduzione dei pez- zi d’ osso asportati, e vi farò notare infine che io in non breve serie di anni ho resecate ed asportate isolatamente, e senza comprendervi il periostio non poche ossa o cana- te, o necrosate fra le quali figurano specialmente la por- zione sternale della clavicola sinistra, tutto intiero il ra- Ablazione della mascella ec. 127 dio, porzione di ulna, di femore, di tibia, quasi tutta la fibola, estesi tratti di coste, buona parte delio sterno, il calcagno, il mascellare superiore, ottenendone la succes- siva riproduzione, i quali pezzi patologici asportati mi fac- cio ora debito di presentarvi. Per tutto quanto adunque sono venuto esponendo seb- bene si renda manifesto, che gli studi sulla Osteogenesi fiorirono per opera singolarmente dei nostri maggiori, e che non piccola parte prese pure al loro progresso la scuo- la nostra , è dovere di giustizia ben anco il dichiarare che a non pochi moderni rimase la gloria di ampliarli e di esten- derne maggiormente le pratiche applicazioni. Ed è anzi per questo , che noi ci inchiniamo con osse- quio ad un Larghi , ad un Marzolo , ad un Parravicini , ad un Borelli , ad un Longhi , ad un De Sanctis , ad un De Cristoforis , ad un Vernicili , ad un Amabile, ad un Capparelli , ad un Frusci, ad un De Paoli, ad un Filip- peaux, ad un Blandin , ad un Flourens, ad un Malgaigne, ad un Lambert, ad un Maisonneuve , ad un Sedillot, ad un Ollier, ad un Barrier, ad un Ghassaignac, ad un Ne- laton , ad un Richard , ad un Jobert di Lambal , ad un Baudeus , ad un Rklilsky , ad un Walter i quali tutti con- corsero a così importante progresso. Ma siccome pegli studi diversi, che ho fatti intorno le resezioni sottoperiostee , ho potuto in modo speciale con- vincermi dei grandi vantaggi che se ne ponno ricavare applicandole, come io notava fin sul principio di questa memoria, ad alcune malattie della inferiore mascella, e ne ho avuti belli esempi in tre individui non è molto da me operati in Clinica, nei quali asportata avendo per la via della bocca, e sotto il periostio la metà della inferio- re mascella presa da necrosi in un coll’ articolare condilo, ho avuta la fortuna di osservarne la completa rigenerazio- ne , così credo acconcio V esporvi ora un tentativo anche più ardito, che pel brillantissimo risultato che ne ottenni sarebbe improprio il tenerlo occultato. Questo tentativo venne fatto in Angelo Zola Bolognese il quale ha ora raggiunta P età di 56 anni. Superò egli Francesco Rizzoli felicemente le malattie infantili, non fu affetto da scro- fola. Da giovinetto si dedicò al mestiere di barbiere , che ha continuato a lungo , avea egli per lo addietro P uso di bere quasi ogni mattina liquori spiritosi , par- co era però nel cibo e nel vino, qualche volta fuma- va , ma non masticò mai tabacco , dedito molto alla pa- lestra amorosa ebbe la fortuna di sortirne senza incon- trare affezione celtica , non ebbe malattie d9 entità. Tre- dici anni or sono applicossi alla fabbricazione dei sol- fanelli fosforici , ma poco o nulla prese parte alia confe- zione dei medesimi, abitava però nella fabbrica. Il di lui carattere intollerante ed iroso procurogli nemici , uno dei quali a tradimento gli vibrò alcuni colpi con palo di ferro nella faccia, fratturandogli così il mascel- lare inferiore a destra e . a tre centimetri del suo an- golo; ciò accadeva il 16 Maggio 1852. La frattura si con- solidò col soccorso di semplici mezzi, e colla perdita di due denti. Da quel tempo in poi il Zola risentì sempre qualche piccola molestia al detto mascellare, ma sul co- minciare del 1860 la molestia si cangiò in dolore, V osso mascellare e le parti molli circostanti si gonfiarono. Per questo venne accolto in Clinica il 14- Aprile 1861 ove at- tentamente esaminato si notò che il mascellare era minac- ciato da necrosi , e si fece per questo un5 adatta cura , non omettendo con alcune punture di dare libera escita alle marcie , che andavano mano mano formandosi. Dopo 52 giorni di trattamento V infermo sentendosi molto solleva- to, volle escire dalla Clinica, il che non gli si potè nie- gare , fu consigliato per altro di ritornarvi onde avere a- datti consigli, lo promise, ma mai più ricomparve. E non fu che sul finire dello scorso Gennaio 1862 che trovan- dosi egli nelle più temibili condizioni venne di nuovo ''nel- la Clinica accolto. L9 infermo era addoloratissimo e ridotto per le perdite abbondanti di pus, che aveano luogo da alcune aperture fistolose sparse nel tumido tegumento che attorniava tutta la mascella, in uno stato d9 avanzatissima emaciazione. Il Zola non poteva che con molto stento sorbire alcune bro- Ablazione della mascella 129 dose minestre, e proferire in modo interrotto poche pa- role. Mancavano in quella mascella tutti i denti, era des- sa in preda a necrosi , i di cui limiti non poteano sta- bilirsi , mostravfìsi però in alcuni tratti manifestamente staccata dall’ ingrossatosi periostio. La inascella era stata alcuni giorni prima divisa da un chirurgo nel suo mezzo , onde tentare di levarne almeno qualche pezzo, ma ad onta di lunghe , e pazienti manovre non vi riesci , dopo di che risvegliaronsi nuovi , e più fieri dolori , e 1* infermo si pose in condizioni tali da costringere a liberarlo con sollecitudine da quell’ osseo guasto , un ulteriore ritardo sarebbe stato veramente condannabile , ed avrebbe per certo indotti irreparabili mali. Ma siccome per quanto ho detto, colle ispezioni che 10 aveva fatte non mi era riescito possibile lo stabilire colla necessaria precisione fin dove estendevasi la necro- si, e rimanevami invece il ragionevole dubbio che quasi tutta la mascella ne fosse compresa , così nella supposizio- ne che se ne potesse rendere opportuna anche la intiera ablazione fu d’ uopo prima di accingersi a questa impresa 11 determinare il processo cui in forza di ciò avrei stimato dover dare la preferenza. Un illustre , ed intraprendente operatore Italiano il Cav. G. B. Borelli , era il solo chirurgo che avesse tentata 1’ ablazione sotto-periostea della mascella inferiore, e lo aveva fatto in un caso analogo a quello che mi si pre- sentava. Era quindi acconcio lo stabilire se dovevo imi- tarlo , o se era miglior partito 1’ esperimentare qualche altro operatorio processo. Ecco il fatto che appartiene al Borelli e che ci viene riferito dal Signor Dottor Augusto Argentier (1). « Maria Matteis d’ anni 21 nativa di Settimo Torinese (1) Necrosi fosforica dell’osso mascellare inferiore. Esportazione sotto-cuta- nea e sotto-periostea dell’ intero osso mascellare. Osservazione compilata dal Dottor Augusto Argentier. Torino 1856. T. II. 17 130 Francesco Rizzoli di temperamento sanguigno misto con predominio linfatico, di costituzione originariamente robusta, e figlia di genito ti sani, mestruata regolarmente fin dall’ età di 13 anni, venne ammes- sa verso ì’undecimo suo anno nella fabbrica dei zolfanelli vul- canici dai fratelli Albani in questa capitale, laddove restò per ben sette anni , occupandosi della bagnatura dello zolfo , vicino ad altro individuo , che attendeva all’ immersione dei zolfanelli nella pasta fosforica. All’ età di 1 8 anni , senza alcuna causa manifesta venne sorpresa da flussione alla guan- cia destra accompagnata da dolore , e rosseggi amento risi- pelatoso. Si fece estrarre un dente molare da quel lato che fu riconosciuto sano. Adoprò pediluvii , cataplasmi emol- lienti ed altri soccorsi per cui potè ripigliare dopo qualche settimana la sua abituale occupazione , sebbene non total- mente sgombra dalla flussione della guancia. È da notarsi la circostanza, che all’ incirca un anno prima di essersi manifestata questa flussione , la Matteis , secondo la più grande probabilità , ebbe a soffrire di sifilide : la quale cosa sebbene dessa abbia costantemente negata , venne però a più riprese assicurata , o confermata da una sua sorella , e da un suo fratello. Dopo altri tre mesi di lavoro , durante i quali il male a ciascuna mestruazione andava esacerban- dosi , crebbe di nuovo la flussione , per cui dovette rico- verare allo Spedale di S. Giovanni laddove le si praticaro- no sei cavate di sangue , ed alcuni sbrigliamenti sull’ ester- no della tumefazione. In tre mesi di cura non ebbe un sollievo rimarchevole , di più erasi aggiunta V amenorrea , e pus icoroso andava colando dalle praticate aperture. Ri- tornata a casa, la Matteis continuò il trattamento mercè cataplasmi, mignatte alle inguini ecc. per cui dopo alcuni altri mesi, ottenuto un leggiero miglioramento, potè ritor- nare di nuovo alla fabbrica, laddove venne impiegata a mettere in pacchi i zolfanelli sempre nello stesso locale in cui si fa la loro immersione nella pasta, ed il loro essic- camento. Dopo breve tempo vide allora farsi più tumida la guancia sinistra, vacillanti i denti della mandibola in- feriore, ed anche cadenti sotto la semplice trazione delle dita. In questo stato avendo la Matteis perdurato circa due Ablazione della mascella ec. 131 anni attendendo sempre alla meglio alla sua occupazione, il male prese proporzioni estesissime quali descriveremo or ora. Finalmente trovandosi a tale mal partito da non potere più nè lavorare nè nutrirsi con cibi solidi venne da noi esortata a ricorrere allo Spedale Mauriziano per sottoporsi alle cure del Dott. Borelli , ed a quella operazione chirur- gica che P esperienza, e la sagacità del medesimo avreb- bero consigliata. La qual cosa appunto avvenne il giorno U Febbrajo 1856 ». « Ecco intanto quale era lo stato obbiettivo della malattia della Matteis. Ella presenta una faccia oltremodo ampia ed allargata, massime nel suo segmento inferiore, e segnata- mente in corrispondenza del gran margine della mandibola ammalata, tutti i tessuti molli che attorniano la mandi- bola inferiore dall’ uno all’ altro orecchio sono ipertrofiz- zati , rigonfi , duri e molto sporgenti particolarmente nelle regioni che corrispondono alle due glandole sotto-mascel- lari. L’ apertura della bocca si è fatta ristrettissima, e non si può dilatare che pochissimo ed a stento , il movimento della mandibola è pure limitatissimo , lunghesso la linea che divide P alto del collo dalla regione mandibolare si scorgo- no a distanze di alcuni centimetri larghi fori fistolosi , fun- gosi , gementi pus icoroso i quali vanno a corrispondere evidentemente ai punti necrotici dell’ osso mascellare, i tes- suti interni della cavità della bocca corrispondenti alla man- dibola inferiore si mostrano pure inspessiti , ipertrofici , pro- fondamente alterati , e sporgenti all’ indietro da occupare tutto il piano della bocca , lateralmente alla lingua sin entro le fauci, nel lato sinistro scorgesi una porzione di mandibola della lunghezza di cinque a sei centimetri, già priva dei suoi denti ed affatto necrotica , nel lato destro con- tansi ancora cinque dènti apparentemente sani impiantati però sopra tessuti profondamente alterati , fistolosi in alcuni punti , in altri fungosi e gementi pus fetido. Le mandibole superiori sono in buona condizione. Nessun ganglio linfa- tico cervicale mostrasi menomamente ingrossato. Lo stato generale dell’ ammalata è piuttosto in buone condizioni , il colorito è naturale, P appetito eccellente, le digestioni buo- 132 Francesco Rizzoli ne , il sonno tranquillo ecc. continua però 1’ amenorrea , ed una semi-calvizie la quale sarebbe cominciata da circa tre anni ». » Appena ricoverata nello Spedale la Matteis venne sotto- messa ad un regime ristoratore ed all’ uso dell5 olio di fegato di merluzzo : ogni giorno praticavasi una medicazio- ne di pulitura, ed il curante andava studiando nei suoi più minuti dettagli la gravissima lesione onde applicarvi a suo tempo un adatto processo operatorio. Finalmente il mattino del 28 Marzo venne stabilito per intraprendere questa imponente operazione ». » Vari metodi operativi presentavansi onde mandarla a compimento. Il Dottore Borelli si attenne però ad un pro- cedimento suo speciale , che credette più adatto al caso , siccome venne poi confermato più tardi, e siccome sarà poi notato più di proposito a suo luogo. Ecco intanto in qual modo ei procedette. » » Preparati tutti quegli strumenti chirurgici che Y arte indica necessari per praticare le resezioni, le disarticola- zioni , e le esportazioni delle ossa non che quelli che po* tessero occorrere per ulteriori bisogni, quali la legatura delle carotidi , l5 infilzamento della lingua , la tracheotomi- ca ec. si collocò nella camera delie operazioni sopra di un letto apposito l5 ammalata supina, col capo appena rileva- to da sottile guanciale. Messa allora in opera la clorofor- mizzazione, ed ottenuta una completa anestesia, il Dottore Borelli , dato di mano ad un bisturi convesso , praticò d5 un rapido tratto una incisione, la quale partendo dal contermine del padiglione dell5 orecchio sinistro , e giù di- scendendo lungo il margine verticale della mandibola, cir- condò tutta la parte anterior-superiore del collo, raggiùn- se il margine verticale della mandibola del lato oppo- sto, ed andò a terminare ai padiglione dell5 orecchio de- stro. Compiuta quest5 incisione , la quale passò direttamente sopra quei cinque o sei fori fungosi, e fistolosi che cir- condavano in quel tragitto l5 altezza del collo, si distac- carono successivamente con lunghi , e ben condotti tagli tutti i tessuti molli che cuoprivano la base , e la parte Ablazione dilla mascella ec. 133 anteriore della mandibola , dando luogo così ad un vastis- simo lembo , il quale nell’ estensione dall’ uno all’ altro orecchio potè rovesciarsi a guisa di maschera sulla figura dell’ ammalata. » «È da notarsi che per quanto fu possibile , I’ operatore cercò ogni mezzo di portare i suoi tagli in modo da di- staccare il periostio dal sottoposto osso ; la quale cosa riu- sciva in molti punti, meno però nelle parti più vicine al- la linea mediana, laddove il periostio era fermamente in- corporato ali’ osso. » « Fin qui non si ebbero ad allacciare le due arterie fac- ciali. Mentre intanto 1’ atto operativo erasi iniziato sotto prosperi eventi essendosi il fin qui esposto eseguito in qualche minuto, ecco comparire in iscena una di quelle complicazioni gravissime , e direi quasi assideranti , che valgono a sconcertare 1’ animo imperterito del più abile operatore. Sciolto lo stato anestesico sopraggiunse uno sta- to sincoptico , o meglio una lipotimia così prolungata , e così aggravantesi ad ogni anche leggier tocco degli stru- menti che si dovette procedere con una tale, e tanta prudenza e lentezza da rimanere dei quarti d’ ora inope- rosi. La cosa giunse al punto che ogni taglio era prece- duto , e susseguito dall’ uso di tutti quei mezzi che ado- peranti nelle lunghe sincopi , quali la ventilazione , gli spruzzi d’ acqua fredda , perfino 1’ ammoniaca sotto le na- rici ec. » oc La cagione di questo fenomeno sembra che debba ripe- tersi non tanto dalla cloroformizzazione che avea prece- duto , quanto dalla debolezza originaria ed acquisita del- 1 ammalata per la lunga astinenza di cibi solidi, e nutrienti, giacché la quantità del sangue sparso era sino allora po- chissima. » v (< Continuando ora la descrizione dell’ atto operativo , il quale per la ragione detta , ebbe a prolungarsi per quasi tre ore, appena rovesciata quella porzione di maschera sopra indicata , per cui tutta la cavità della bocca venne ampiamente scoperta , V operatore con un bisturi più acu- to cercò di distaccare tutti i tessuti molli aderenti alla 134 Francesco Rizzoli faccia posteriore della porzione orizzontale della mandibo- la , passando tra quelli , e l9 osso necrotico , conservando pure come per la faccia anteriore quanto poteva il perio- stio. Nessuna emorragia venne a complicare questa lunga recisione di tessuti, e neppure la lìngua presentò alcun movimento abnorme. » « Scoperta così tutta la porzione orizzontale della mandi- bola , e parte dei suoi lati verticali , rimanevano ad estrar- ne tutti quei larghi pezzi , che dimostravansi affatto ne- crotici. La tessitura ossea però della mandibola , e quella delle parti molli circondanti era talmente alterata e tur- gescente da presentare una massa informe sporgente al- l9 innanzi ed all9 indietro in guisa da lasciar poco campo alla sua risecazione. Tuttavia non senza difficoltà veramen- te grandissima, l9 operatore pervenne a condurre con un lungo ago ricurvo la sega a catenella dietro la mandibola tra la porzione orizzontale e la verticale, per cui potè in questo punto fare in due l9 osso mandibolare colla segatura. Afferrata allora fortemente la porzione destra più breve della mandibola, e date delle forti scosse con trazioni in vari sensi si venne a capo di estrarla intera sino alla sua articolazione ed affatto svestita di periostio. Volendosi al- lora fare un analogo tentativo dall9 altro lato col medesi- mo scopo, ed essendosi rotto il corpo della mandibola per le sue profonde alterazioni verso il suo terzo sinistro si cominciò ad estrarre questo pezzo centrale, quindi, seb- bene sempre con difficoltà gravissime , massime per la con- tinua imponenza sincoptica, si ebbe la sorte di estrarre pure sino alla sua articolazione F intera branca ascendente dal lato sinistro ed affatto sgusciata dal suo periostio. » « Nessuna emorragia come nessun rovesciamento della lin- gua venne più a complicare , o ritardare questi ultimi atti operativi , anzi l9 ammalata stessa a questo punto sembrò animarsi alquanto, e risorgere da quello stato minaccioso di prossima asfissia in cui era stata immersa fino a questo punto. Distaccato allora e reciso qualche frammento di mandibola, che era ancor rimasto in mezzo ai tessuti mol- li , si assottigliarono , e regolarizzarono con adatti tagli 1 Ablazione d»lla mascella ec. 135 tessuti ipertrofici, si ricondusse di nuovo al suo stato na- turale tutta la porzione di maschera che erasi in alto ro- vesciata. » « Si praticarono alla distanza di due o tre centimetri tanti punti di sutura intercisa lungo tutta la circonferenza del- la lunga incisione, vale a dire dall’ uno all’ altro orecchio: si soprappose una medicazione con filaccie spalmate d’ un- guento, contenute da adatto bendaggio alquanto compres- sivo, si mise al pulito 1’ operata, e la si trasportò tutta rinvenuta e contenta in un letto dell’ infermeria. » « La reazione traumatica che si attendeva seguire una sì grave e laboriosa operazione fu leggerissima, e 1’ ammala- ta non solo potè subito dopo inghiottire delle bevande con poca difficoltà , ma pure emettere delle parole anche intelligibili. » > bunt domus eburneae » (1) ; ma anche di ciò trovo spiega- zione nelle scoperte dei disotterramenti di Ninive di recen- te fatti dal Lyard. Nello scavo del cono del Nimrod trovò in una stanza alcune cose lavorate in avorio (2), ma nello scavo del grande palazzo regio N. O. dello stesso Nimrod scopri in una di quelle stanze molti ornamenti in avorio, che poi mandò al Museo Britannico. Questi erano una ta- voletta con due figure , ed un cartello smaltato di materia azurra , le cui figure dovevano essere state coperte d’ oro , perchè quà e là erano ancora vestite di foglie d’ oro, te- stine di umana sembianza poste sopra basse colonne, teste grandi rappresentanti buoi , e tori , altre tavolette intagliate di figure ritte , frammenti di sfingi alate , teste , mani , gam- be , e piedi di forma umana , fiorellini , e ghiribizzi arabe- schi , cose tutte ammirabili per il disegno , e per il lavoro. Il Lyard poi pensa, che queste scolture in avorio fossero servite per ornamento di un trono , o dei muri , o della sof- fitta di quella stanza (3). Pare da ciò , che le stanze di un palazzo regio potessero meritare il nome di domus eburneae senza che tutto il palazzo , o tutta la casa fosse d’ avorio. E se il Duhamel nella nota g al versetto del salmo 44. (4) pretende che le domus eburneae significassero aedes sacra s , cade in una interpretazione stravagante , perchè la reggia non era un tempio, nè il tempio era il guardaroba delle ve- sti regie. Abbiamo stabilito di sopra , che la mirra si ritraeva da una pianta. Ora veggiamo , se gli antichi conobbero questa pianta , o quando si cominciò ad averne contezza. Nè le Divine Lettere , nè Erodoto lo dichiararono , e si può dire lo stesso anche di Teofrasto. Egli parlò dell’ albero della mirra come avente foglie spinose, somiglianti a quelle dell’ olmo, (1) Amos. Cap. 3. vers. 15. (2) Lyard. Scoperte di Ninive . Volgarizzamento del Conte Ercole Malvasia Tortorelh. Bologna 1855. p. 19. (3) Lyard. I. c. p. 242. 243. (4) Duhamel . Bibl. Sacr. Venetiis 1760. ex Typoqrapkia Balleoniana pars prima p. 662. nota al vers. 9. Miscellanea Botanica xxiv. 165 e crespe : « Folium Myrrhae aculeatum , non leve , ulmeo » simile crispum tamen » (1). Aveva imparato queste co- se dai mercatanti navigatori , i quali aggiungevano , che F albero della mirra era simile al Terebinto, ma più sca- bro , e più spinoso , caratteri non veri , come vedremo a suo luogo. Da Dioscoride nulla si seppe riguardo a questa pianta. Plinio ripetè presso a poco le parole di Teofrasto aggiungendovi : « Folium olivae , verum crispius , et acule- » atum » (2) con non minore inesattezza. Adunque è forza venire ai tempi a noi più vicini , quan- do i Botanici Europei cominciarono a visitare le Arabie. Il primo di questi fu il Forskàl , il quale percorse F Ara- bia Felice , ove trovò un albero, cui diede il nome di Amyris Kataf (3) ; non conobbe però , che da esso trasu- dasse la mirra , come si scoprì di poi , disse soltanto , che secondo gli narrarono gli Arabi , esciva da esso una pol- vere rossa fragrante, della quale le donne di Abu Arisch , ove F albero nasceva in abbondanza , aspergevano il loro capo. A9 giorni nostri i Botanici viaggiatori Prussiani Ehren- berg, e Kempick furono nel Dongolah contrada della Nubia nell’ Affrica orientale , quivi trovarono F Amyris Kataf del Forskàl , ed impararono , che da essa si otteneva la mirra , ne riportarono esemplari, dai quali si ricavò la figura data dal Nees sotto il nome di Balsamodendron Myrrha 3 e co- piata dal P. Gultrera nella sua Flora Biblica tav. 17. (4). Dopo questa scoperta non fu più questione sopra F albero della Mirra nelle opere de’ Botanici (5). Quest’ albero appartiene alla Glasse Octandrìa Monogynia del Sistema Linneano , ed alla Famiglia delle Terébintha- (1) Theophr. edit. cìt. p. 974. (2) Plin. Nat. hist. edit. eit . p. 321. (3) Flora JEgyptiaco- Arabica sire Descriptiones plantarum , quas per ASgy- ptum inferiorem , et Araòiam Felicem detexxt 9 illustravit Petrus Forskàl etc. Hauniae , 1775. Ex officina Molleri p. 80. (4) Flora Biblica. Opera del P. D. Paolo Cultrera. Palermo per France- sco Leo. 1861. p. 360. (6) Veggansi Vahl Symb . t p. 28. Wtlld. Sp. pi. S.part. t.p. 334. n. 5. Pers. Syn. pi. 1. p. 414. n. 5. Dietrich. Syn. pi. 2 .p. 1271. n. 6. ed altri. 166 Antonio Bertoloni ceae di Antonio Lorenzo di Jussieu. Il suo legno è bianco, le foglie sono ternate, con foglioline piccole, le laterali minori, tutte obovate, ottuse, all9 apice dentellate, piane, liscie , sostenute da picciuolo comune cortissimo , il ramo , che porta le foglie, è terminato da una spina ritta, lunga quattro in cinque linee. La gomma-resina , che trasuda dall9 albero, è di odore fragrante, particolarmente quella, che ne stilla per la prima. Non bisogna confondere quest9 albero coli9 Amyris Kafal, che il Forskàl parimente trovò nell9 Arabia Felice. Forse egli stesso trasse a questa confusione , perchè le due pian- te gli parvero « Maxime inter se affines , ut differentiam » specificaci determinare non possim » (1). Pure questa differenza v9 è, perchè il legno del Kafal è rosso, le fo- glioline sono piu grandi , e nella loro giovinezza pubescen- ti, il picciuolo comune è lungo, i rami fogliosi all’apice inermi. Esso è l9 albero, che produce l9 Olibano , o Incenso maschio , detto dal Kunth Balsamodendron Kafal Gener-Te- rebinth. p. 16. Resta un9 altra difficoltà da chiarire, perchè il Forskàl attribuisce alf Amyris Kataf i rami inermi, e all5 Amyris Kafal i ramoscelli all’apice un poco spinosi (2), lo che viene ripetuto anche dal Lamarck (3) ; ma la cosa è tutta il contrario , come si può vedere nelle figure riportate dal Cultrera tav. 17. 18. Io penso, che questa diversità sia nata o da che il Forskàl ebbe sott9 occhio esemplari im- perfetti , o dall9 avere esaminato i suoi esemplari con poca diligenza. Era poi facile il conoscere la differenza dei due alberi ponendo attenzione alle- cose dette dagli antichi , e come essi evidentemente distinguessero l9 incenso dalla mirra, sia che li ponessero nativi dello stesso luogo, o nati in luogo Miscellanea Botanica xxiv. 167 diverso, e isolatamente. Erodoto chiaramente dice parlan- do dell9 Arabia : « In qua sola omnium terrarum nascuntur thus , et myrrha » (1). Secondo il Profeta Geremia il Si- gnore sdegnato contro gli Ebrei inveiva contro di loro: « Ut quid mihi thus de Saba affertis? » (2). Isaia così vaticina- va la venuta de9 Magi : « Omnes de Saba venient aurum et » thus deferentes» (3), e questi Magi, i quali erano gli osser- vatori degli astri, gli astrologhi, e perciò i sapienti, od anche i Re: « Apertis thesauris suis obtulerunt ei (al nato Si- » gnore) munera aurum, thus, et myrrham » (4). Il Sal- mista diceva : « Coram ilio procident dEtiopes » (5) , con che si indicava il luògo, donde provenivano i donatori, e i doni : « Reges Tharsi , et insulae munera offerent , Reges » Arabum et Saba dona adducent » (6) , in conferma della provenienza dall9 Affrica Austro-orientale , perchè 1 isola indicata era il Madagascar , situata nelle vicinanze della me- desima, isola grande, e popolata , produttrice delle stesse ricchezze dell9 Affrica vicina. Il Tarsi , o Tarsiseli per le notizie acquistate del Bruce (7) era un regno situato nelle vicinanze dell9 attuale Melinda , e che aveva un porto in- signe nella stessa costa , e nella stessa Affrica Austro- orientale, della quale sono pure l’Etiopia, la regione Sabea, e Saba (8). E qui non posso ommettere di parlare più particolar- mente delle scoperte del Bruce. Egli fu nella Nubia, e nell9 Abissinia, e viaggiando nel paese dei Trogloditi do- mandò a quelli abitanti rami , e corteccia dell9 albero della mirra. Questi gli portarono rami con foglie stritolate, che (1) Herod. edit. cit. p. 250. (2) Jerem. cap. 6. vers. 20. (3) Isaj. Cap. 60. vers . 6. (4) Matthae. Cap. 2. vers. 11. (5) Psalm. 71. ter*. 9. (6) pcnlm . 71. vers. 10. (7) vruce vvyuye V anglais par 1. H. (8) Bruce Voyage Antonio Bertoloni per il poco , che di esse rimaneva , somigliavano alle foglie d’ un’Acacia, e tanto più perchè osservò tra le medesime alcune spine sottili , fragili, e lunghe circa due pollici. Pas- sato di poi nella costa d’ Azab domandò anche a quelli abitanti ratei , scorza , e gomma dell’ albero della mirra , e questi in più volte gli portarono rami dell’ albero del- P incenso , e molta gomma , che gli dissero provenire dal- 1’ albero detto Sassa , e due rami di questo Sassa in buono stato, dai quali trasse il disegno, che poi pubblicò nei suoi viaggi sotto il nome di Mimosa Sassa (1). Qualche set- timana dopo trovandosi a Enfras paese Maomettano, i cui abitanti facevano il commercio della mirra, vide un albero grande coperto di massi di gomma , che lo rendevano de- forme, e seppe, che gli abitanti Io avevano introdotto dal paese della mirra credendo, che la sua gomma fosse la vera mirra. Davano a quell’ albero il nome di Sassa , onde ritenne, che al medesimo appartenessero que’ rami, che aveva avuto collo stesso nome dagli abitanti della costa d’ Azab. Da ciò è evidente , che que’ mercatanti Musul- mani di Enfras vendevano per mirra la gomma del Sassa , la quale non era la vera mirra. Il Brace poi si diede a credere, che questa gomma fosse 1’ Opocalpasum di Gale- no ; ma come mai potè indursi a credere così , mentre Galeno aveva dichiarato , che 1’ Opocalpasum era un fu- nesto veleno, e la gomma del Sassa era sostanza inno- cente? So bene, che egli ricorse al mezzotermine di sup- porre , che Galeno avesse sbagliato le proprietà dell’ Opo- calpasum; ma con quali ragioni avvalorò questa sua opinio- ne? Con nessuna affatto (2). Adunque noi non cercheremo nel viaggio del Bruce notizia alcuna della vera mirra , nè dell’albero, che la produce, contenti soltanto di quello, che dice del Sassa. Ma ritorniam° alla mirra genuina. La prima, che tra- suda dall albero, è quella che nelle Sacre Lettere è detta Miscellanea Botanica xxiv. 169 Myrrha prima electa. Questa era preferita , perchè più pura, e più fragrante , e ad essa si deve pur anche riferire lo Stacte dell’ Esodo per il suo aroma : « Sume tibi aromata , » Stactera et onycha faciesque thymiama » (1). Plinio lo mostra ad evidenza, dicendo che gli alberi della mirra « Sudant sponte prius quam incidantur, Stacten dictura , « cui nulla praefertur » (2). È vero, che Teofrasto, e Dio- scoride assegnano allo Stacte un9 altra derivazione. Teofra- sto dice: « Tusa enim (myrrha) ex ea fluit oleum, quod » quia minutatim stillat, Stacte vocatur, » ed aggiunge poi, che « Alii Stactes confectionem talem esse, myrrham tu- li sam , et in oleo liquefactam balanino igni lento fotam » calida perfundi, eamque cum oleo pessum veluti limum » sidere » (3). Dioscoride poi così si esprime riguardo allo Stacte: « Stacte vocatur pinguedo recentis myrrhae cum » exigua aqua tusae, et organo expressae » (4). Chi non vede, che questi due autori parlano di uno Stacte artifì- ziale , e non del naturale delle Divine Lettere, e di Plinio? Del resto la mirra è una gomma-resina , che stilla dalla corteccia dell9 Amyris Aata/Forsk. La prima, che trasuda, si condensa in tubercoli rotondi ; successivamente sotto alla prima si formano strati densi , donde derivano massi più o meno grossi, e pesanti, e i più pesanti sogliono cadere a terra. Il suo colore è giallo, o giallo-rossigno , alquanto lu- cido. Il suo odore è aromatico più intenso nella prima mir- ra , che trasuda , più debole nella mirra invecchiata , quale è quella del commercio. Messa ne9 carboni ardenti brucia lentamente , e spande un fumo bianco odoroso , come di in- censo, ma meno grato. I droghieri per lo più la vendono mescolata coll9 incenso. Il suo sapore è amaro , e assai di- sgustoso. La sua spezzatura sovente mostra squame a guisa (1) Exod. Cap. 30. vers. 35. (2) Plin. Nat . hist. edit. eit. p. 321. (3) Theophr. in libro De odoribus apnd Budaeum in nota ad Theophr. Hist. pi. p. 981. 982. (4) Petti Andreae Matthioli Commentarti in Dioscoridem. Venetiis ex o/p- fino Valgrisiana 1665. lib. 1. cap . 62. p. 84. T* ik 22 170 Antonio Bertoloni d’ unghie , dalle quali le è venuto il nome di mirra ungui- culata. La sua virtù è antisettica , e preserva dalla corruzio- ne , per ciò i Chirurghi 1’ adoperano negli ulceri con carie delle ossa. Secondo Erodoto gli Egiziani se ne servivano per preparare le mummie ; sventrati i cadaveri , li riempi- vano di mirra pura (1). Anche gli Ebrei adoperavano la mirra per acconciare i cadaveri, e Nicodemo se ne valse per imbalsamare il corpo di Cristo : « Venit autem Nicode- » mus , qui venerat ad Jesum nocte primum , ferens mixtu- » ram myrrhae , et aloes , quasi libras centum . Acceperunt » ergo corpus Jesu, et ligaverunt illud linteis cum aroma- » tibus sicut mos est Judaeis sepelire » (2). Lo stesso fa- cevano anche i primi Cristiani. S. Gregorio Nazianzeno nel- la sua Epistola al Preside Soffronio (3) parlando di Cesa- rio suo fratello morto dice : « Hic quidem exanimis jacet , » ab amicis inops , desertus , miserabilis , exigua myrrha » donatus (si tamen hac quoque) ; » e Prudenzio anche me- glio lo dichiara nel suo Inno decimo intorno alle esequie (4). Candore nitentìa claro Praetendere lintea mos est , Aspersaque myrrha Sabaeo Corpus medìcamine servat. Il nome di mirra viene dal Mor della lingua Ebraica , e dal Murratùm della lingua Arabica, i quali vocaboli si- gnificano quod guttatim ex arbore stillai. Si può anche de- durre dalla radice Ebraica Maràr fluxit 3 stìllavit . (1) Herod. Bist. edit. cit . p. 142. (2) S. Joann. cap. 19. vers. 39. 40. (3) S. Gr egorii Nazianzeni Opera. Parisiis sumpt. Morelli typogr. 1630. tom. 1. in Epistol. p. 781. Qui giova avvenire di uno sbaglio del Padre Col- trerà , il quale nella sua Flora Bibl. p. 366. suppone , che le parole di S. Gre- gorio Nazianzeno da me riportate si trovino nella sua insigne Orazione Decima In laudem Cattarti Fr. , dove certamente non sono. (4) Prudent. Carmina Romae 1788-1789. tom. 1. in Catamerin. p. 365. Hymn. circa exequias. Miscellanea Botanica xxiv. 171 Secondo il Prof. Antonio Targioni-Tozzetti la mirra per mezzo della distillazione somministra un olio volatile senza colore, balsamico, canforato. Essa è solubile in parte nel- 1* acqua , la quale ne prende la gomma , nell* alcool , che ne prende la resina , nell* etere , che ne prende 1* olio volatile. Le soluzioni alcaline la sciolgono bene (1). Per P analisi fattane dal Braconnot , dal Pelettier , dal Thomson , e dal Brandes la mirra è composta di resina , di gomma, d’ olio volatile, e di varii sali; ma il Brandes più particolarmente dice , che la buona mirra risulta da un insieme d’olio volatile, di resina molle, di sottoresi- na , di adragantina, di gomma con traccie d’acido benzoi- co, e malico, di fosfato, e di solfato di potassa, di sali di calce, e di sostanze animali, e vegetabili mescolatevi accidentalmente (2). Nel commercio si ha ancora la mirra nera, o quasi ne- ra, la quale è in masse informi, compatte, e opache, ma nella frattura lucide. Il suo odore, e 1’ odore del suo fumo è più debole di quello della mirra pura già descrit- ta. Essa è certamente mescolata di sostanze eterogenee, è molto meno pregiata, e Plinio dice: » Pessima intus ni- » gra » (3). L’ avidità del lucro trasse i mercatanti navigatori a ven- dere per mirra diverse qualità di gomme-resine. Dioscoride ne novera sei (4-) tra le quali si riconosce la mirra nera da lui detta Caucalia , e che sembra la stessa della mirra nera di Plinio. Dice, che dalle prime due Pediasmos , e Gabi- rea si ottiene lo Stacte , e in maggior copia dalla Gabirea, lo che potrebbe far credere , che o 1’ una , o V altra fos- se la nostra mirra gialla del commercio; ma di ciò non abbiamo certezza , tanto più , che lo Stacte di Dioscoride non era Io stesso del nostro. Plinio ne adduce sette qua- li) Targ. Tozzelt. Corso di Botati. Sfedi co-Farmaceut. Firenze 1847. p. 3&0L (2) Appresso il Targ. Tozz. I. c. (3) Plin. Nat. hist. edit. c. p. 322. (4) Matlh. Comment. in Diose. edit. cit. p. 86. 172 Antonio Bertoloni lità (5), e in esse noi vi riconosciamo la mirra nera, e forse possiamo riferire alla nostra anche la sua Myrrha Sambracena , perchè dice , che fracta candidos ungues habet. Io non vorrei credere, che i medici usando nelle loro ricette le parole di myrrha electa intendano la myrrha pri- ma electa , o lo Stacte delle Divine scritture , e di Plinio , che non si hanno più nel commercio, bensì la mirra co- mune sceverata dalle altre gomme-resine, colle quali i mercatanti ingordi di lucro furono soliti mescolarla, e chiuderò il mio dire, che oggidì poco si adopera la mirra per i medicamenti , e per le sacre funzioni , e che il grande uso, che se ne faceva ne5 tempi antichi, proveniva dalla imbalsamazione de’ cadaveri. Ora passo alla seconda parte di queste mie Miscellanee, nella quale descrivo sei specie nuove di piante provenienti dalle Indie orientali , mandatemi dal Hooker figlio , e dal Thomson. CLASSIS ICOSANDRIA. ORDO POLYGYNIA. Ord. natur. Rosaceae Juss. 1. Rosa Hookeriana : ramis parce aculeatis; foliis quadri- -quinquejugis, foliolis parvis , ovatis, argute serrulatis, glabris Tab. 1. R. macrophylla Lindi. Hook, fil., et Toms non Lindley- Frut. Ex Himalaja boreali in regione temperata ad altitu- dinem 8-11. mill. ped. Rami teretes , potius graciles , leniter flexuosi , prope folia instructi aculeis paucis , tenuibus , subulatis , rectis , pa- tulis. F olia impari-pinnata , quadri-quinquejuga , foliolis parvis, ovatis, obtusis, glabris, superne crebre, et ar- gute serrulatis, brevissime petiolulatis. Petiolus commu- nis tenuis, aculeis paucis, tenuibus, remotis, rectis in- (5) Plin. Nat. hist. edit . eit. p. 321. Miscellanea Botanica xxiv. 173 structus, puberulus, et insuper adspersus setis brevibus, apice glanduliferis. Stipulae segmentis lanceolati , acu- minatis , margine ciliato-glandulosis. Pedunculus pube- scens. Perianthium inferne adhaerens, tubo ovoideo-ob- longo, glabro, limbo libero, laciniis lanceolati, prae- sertim intus pubescentibus , apice subsetosis, terminatis cauda longissima , angusta , apice vix dilatata , corollam subsuperante. Corolla rosea , petalis late obovatis. Rosa macTophylla Lindi. Rosar. monogr. pag. 85. tab. 6. habet ramos inermes, folia lanceolata, acuta, quadruplo longiora , subtus albida , et pubescentia , quae res satis superque demonstrant diversitatem ejus a Rosa Hookeria- na nostra. 2. P otentilla cuneifolw : caule adscendente , erectove ; fo- liis palmato-ternatis , foliolis cuneatis , apice acute tri- dentati Tab . 2. P. ambigua Jacq. Hook . fil. , et Thomson PI. sicc * non Jacq. Perenn. Ex Sikkim in regione subalpina ad altitudinem 9-15. mill. ped. Radix gracili, simplex, vel superne ramosa. Cauli tenui, adscendens , vel erectus , uni-tripollicaris , alterne ramo- sus , hirsutus. Folia palmato-ternata , foliolis cuneatis, inferioribus cum aliqua rotunditate, omnibus apice acu- te tridentatis, dente medio paulo minore, adpresse vil- losi , radicali , et caulina iriferiora conferta , breviter petiolata , suprema brevissime. Stipulae ovatae , aut ova- to-lanceolatae , acuminatae , integrae, hirsutae. Pedunculi uniflori, solitarii, terminales, vel axillares, alii sex-octo lineas longi, alii brevissimi, hirsuti. Flos grandiusculus , diametri semipollicaris. Calycis segmenta lanceolata , acu- minata , hirsuta. Corolla flava , petalis obcofdatis. Nulla Potentilla ambigua Jacq. unquam fuit, sed tantum habetur Potentilla ambigua Gaùd. Helv. 3. p. 391 , auae foliolis inferioribus quinatis , pinnatifidis ab hac nostra prorsus diversa. 3. Potentilla pseudoanserina : caule crasso, brevi, astolo- nifero; foliis impari-pinnatis , supra glabri, subtus seri- 174 Antonio Beetoloni ceo-tomentosis, foliolis parvis, ovatis, oblongisve, argu- te pectinatis , interfoliolaceis lanceolatis , integris Tab. 3, P. anserina Hook . fil. et Thoms. PI. sicc * Ex Thibeto in regione alpina temperata ad altitudinem 6-16. mill. ped. Perenn. Pianta caespitosa , multo minor Potenti Ila anserina L. Gaules breves , crassi , hirsuti , ramosi stolonibus de- stituì. Folia conferta, impari-pinnata , foliolis numerosis, parvis, ovatis, oblongisve; acute pectinatis, plerumque fasciculo pilorum terminatis , supra saturate viridibus, glabris, aut vix pilosis, subtus argentino-tomentosis , in- terfoliolaceis exiguis , lanceolatis , acutis , integris. Pedun- culi uniflori , solitarii , axillares , unguiculares , hirsuti. Flores parvi. Segmenta calycina lanceolata, acuta, hirsuta. Potentilla anserina L. est tota sericeo-argentina , subinde tantum in facie superiore foliorum minus sericea, habet- que folia longiora, foliolis oblongis , multo grandioribus, interfoliolaceis saepe apice incisis. Stolones ejus sunt pedunculiferi , floribusque minoribus praediti. 4. Potentilla bidens : canlibus caespitulosis ; foliis pauci- pinnatis , foliolis parvis , ovatis , aequalibus , glabris , api- ce inaequaliter bidentatis , integrisve ; pedunculis tenui- bus; floribus exiguis Tab . 4. P. biforca L. Hook. fil. , et Thoms.11- non Linn. Perenn. Ex Thibeto in regione alpina ad altitudinem 10-17. mill. ped. Gaules caespitulosi , ramosi , breves , et etiam brevissimi , procumbentes. Folia impari-pinnata , bi-trijuga , foliolis approximatis , parvis , ovatis , aequalibus , apice inaequa- ìter bidentatis, vel integris, subciliatis , viridibus, gla- bris. Petiolus eommunis tenuis, planus , margine ciiiatus, interne nudus. Stipulae ovatae, acutae , ciliatae. Pedun- cu 1 axillares , tenues , unguiculares , uniflori , nudi , et an ubi asi obvallati braeteis femigineis. Flores parvi. Segmenta calycina ovata, obtusa. Corolla flava, calvce paulo longior. Ìnrf°"°gr; Po tentili. p. 33. n. 6. refert ad Po- tentiUam hifurcam L. figurami Buxbaumii Cent. 1. tab. 49- Miscellanea Botanica xxiv. 175 fig. 1. quam Linnaeus in Sp. pi. p. 719. tribuerat Po - tentìllae multifidae , sed postea in Mant. alter, p. 400. monuit , Gmelinum eam traxisse ad Potentillam bifurcam. Sed haec Buxbaumii figura nullimode pértinet ad Potentil- lam bidentem nostram ob caulem longiorem , et ob foliola longa, angusta, lanceolata, acuminata; ideo nostra haberi nequit prò Potentìlla bifurca L. , ut putarunt Hookerus fil. , et Thomsonus. 5. Potentìlla breviscissa: caulibus caespitosis , foliis pinna- to-bijugis , foliolis pinnatifidis , laciniis brevibus , linear i- bus , margine vix revolutis , subtus tomentosis ; floribus parvis, subcorymbosis Tab . 5. P. multifida L. Hook . fil. , et Thoms. PI. sìcc * non Linn. Perenn. Ex Ladak in regione alpina temperata ad altitudi- nem 10-16. mill. ped, Gaules eaespitosi , decumbentes , vel adscendentes , simpli- «ces , subspithamales , adpresse puberali. Folia impari-pin- «ata, bijuga, vel suprema subinde unjuga, foliolis pin- natifidis , laciniis brevibus , linearibus , margine vix re- volutis , apice fasciculo pilorum terminatis , in facie su- periore viridia, pilosa, subtus albo-tomentosa, inferiora plus minus longe petiolata , petiolo tenui , villoso , su- periora brevius petiolata, supremaque sessilia, aut su- bsessilia. Stipulae lanceolatae, acuminatae. Gorymbus ter- minalis , simplex , vel ramosus. Pedunculi tenues , sursum villosuli , bracteola incisa , vel palmata subinde instructi. Flores admodum parvi. Galyx in tubo villosior , segmen- tis lanceolati, aut ovato-lanceolatis , acutiusculis. Corolla lutea, calyce paulo longior, petalis obovato-cuneatis. Equidem proxima Potentillae multifidae 3 quae tamen dif- fert laciniis foliorum longioribus , margine exquisite re- volutis, floribus grandioribus ^ etiam duplo. CLASSIS POLYANDRIA. 0RD0 M0N0GYNIA. Ord. nat. Ranunculaceae Juss. 6. Aconitum pauciflorwn: caule huniili; foliis paucis, par- 176 Antoxio Bertoloni vis, palmato-multifidis; casside convexa , vix rostrata; sepalo inferiore late ovato Tab . 6. A. Napellus L. var. Hook . fil , et Thoms. PI. sicc*... Perenn . Ex Lekkem in regione alpina ad altitudinem 14-16. miti. ped. Caulis septem-octopollicaris, tenuis, erectus, retrorsum pi- losus. Folia parva , palmato-partita , laciniis brevibus , lanceolato-linearibus , acutis , pilosa , supra viridia , subtus pallidiora , inferiora longe , et tenuiter petiolata , petio- lo retrorsum piloso , caulina reliqua pauca , remota , bre- vius petiolata, supremo sessili. Flores duo-tres in caule superiore, axillares, longe pedunculati, pedunculo uni- jfloro, retrorsum hirsuto. Perigoniùm multo minus, quam in Aconito Napello L. , caeruleo-purpureum , extus pilo- sum. Gassis convexa, non elevata, vix rostrata. Sepala lateralia late rotundata, conniventia, integra. Sepalum in- ferius lateovatum, breviter acutatum. Nectaria sub cas- side inclusa , stipite tenui , nectarotheca oblonga , obtu- sa, curva. Statura Aconiti Napelli L. multo major est. Folia grandio- ra, caulina numerosa, approximata. Perigoniùm passim grandius , plerumque saturate caeruleum , cassis elevata , acute rostrata, sepali inferioris segmenta oblongo-lanceo- lata. Longe recedit ab Aconito paucifloro nostro , quod ne varietas quidegi ejus dici potest. I | Kem Ser.2aTom.n. Eerlolom.Miscel.XXTV. Tav.I. r ^*.44, Mem.Ser. 2aTom.ll. Bertoloni . Miscel.XXIY. Tav.IL liti” Casanova Mem.Ser.2f Tom. 11. Ber toloni. Miscel.OT Tav. 111. i Mem.Ser.2fTom.lI. Bertoloni . MisdelJQOy Tav. IV. UtT“ Casanova Mem.Ser.2fToin.il. Bertoloni. MisceLXXIV. Tav.Y Una Siri* Toni II. Krrloloiu Vl.tnr! ,UJV T«r VI * r \ INTORNO 1/ ULCERO SEMPLICE ROTONDO 0 PERFORANTE DELLO STOMACO mimmi DEL DOTT. FERDINANDO VERARDINI (Letta nella Sessione 18 Dicembre 1862.) Lo stomaco, organo nobilissimo e stupendo di nostra macchina, va pur troppo non infrequentemente sottoposto a gravi infermità, le quali sono tanto più temibili e fu- neste , avuto risguardo all’ importanza delle sue funzioni ; sicché può dirsi che scade o vigoreggia la salute dell’uo- mo, a tenore che quelle compionsi, oppur no, ordinata- mente. Egli è perciò che venne sino da’ primi momenti della medicina, posta cura speciale ad indagarne 1 modi varii e tanti di suo infermare, ed a trovarne 1 mezzi piu acconci a porvi riparo. . . Non isgradirete adunque, lo spero, o Accademici Chiaris- simi, che io Vi intrattenga oggi circa ad una strumentale alterazione a cui va soggetto il ventricolo, la quale, oltre ad essere rara, non ha pur dati sicuri per diagnosticarla, e per lo più ne veniamo in cognizione allorquando ne esaminiamo dopo morte le lesioni già compiutesi nel ca- davere. T. II. 178 Ferdinando Verardini La ragione sulla quale m’ affido non siano per tor- nar vane le mie ricerche la deduco da questo , che essen- domi offerta allo Spedale Maggiore, nel mio turno di supplenza , una circostanza per la quale fui guidato a for- mare giudizio durante la vita , che si trattasse di ulcera- zione già avvenuta nello stomaco, come udrete a suo luogo, così mi dispongo a chiarire que’ dati che condussermi a tale diagnostico , ed aggiusto credenza di poter appianare così la via affinchè , appena appena si manifestano que se- gni , pur da altri valutati , il medico sottoponga 1’ infermo a debita cura, la quale potrà forse salvarlo da morte, in- segnandoci 1* anatomia patologica che qualche fiata sonosi rimarginate alcune ulcerazioni di ventricolo, locchè pure vedremo esaminando le preparazioni che Vi presento , le quali fanno parte del gabinetto anatomo-patologico di no- stra Medico-Chirurgica Società , e non per anco illustrate. Stimo poi utile ed opportuno insieme innanzi di narrarvi il fatto che mi appartiene , di riepilogare dapprima la storia relativa all’ ulcero semplice , rotondo , o perforante dello stomaco , che forma tema del mio discorso , affinchè maggiore utilità derivar possa a questo mio scritto, e dar- gli quella forma più conveniente onde Vi si pari davanti con quella decenza che è degna di Voi, e del luogo in che si mostra, per passare poscia da ultimo a conoscerne la sintomatologia , Y anatomia particolare all’ alterazione morbosa , la diagnosi differenziale , la patogenesi sua , e addurne le deduzioni ricavate massimamente da alcune espe- rienze eseguite sopra animali viventi. Vi sarà noto, A. P., come 1’ illustre professore d’Anat. Pat. il Sangalli , che è onore d’ Italia, in un suo prege- volissimo lavoro intorno 1’ ulcero rotondo dello stomaco ( pubblicato negli Ann. Univ. di Medicina, nell’anno 1854 ) nel brano istorico che porge relativamente all’ indicata morbosità , tenga per fermo che soltanto nello scorso se- colo fosse studiato Y ulcero cronico del ventricolo; e di fatto si eprime Egli a pag. 49 , così : « Hunter nel passa- to secolo , e dopo di lui alcuni altri fecero conoscere dei casi d’ ulcerazione delle membrane dello stomaco; ma chi Dell* ulcero semplice ec. 179 pel primo distinse F ulcera semplice dello stomaco , dal- F ulcera cancerosa , fu Baillie nella sua Anat. pat. nell an- no 1812 ». Ebbene, ad illustrazione storica comincierò a raccontare che le mie osservazioni portano ad epoca più remota lo studio de’ medici sopra cotale morbo, e riferirò a Voi Sa- pientissimi come per avventura mi sia venuto fatto rintrac- ciarne più lontane vestigia di quelle avvertite dall’ illu- stre Sangalli ; e ciò fu nel tempo appunto che mi era dato alle indagini opportune , e mentre andava svolgendo le polverose pergamene al fine di rintracciare istorie proprie al- F aneurisma dell’ arteria celiaca , per cui potei poscia compi- lare quella Nota sopra un tumore aneurismatico di quest’ ar- teria , che venne pubblicata nel nostro Bullettino fas. di Lu- glio delF anno 1862. In questa speciale circostanza mi avven- ne trovarmi sott’ occhi nella Medicina Septemtrionalis CoZ- latitia del Boneto ( pag. 514, Parte I.a Lib. III.° Sez. II. Gap. II.° Ginevra 1685) la osservazione che vado a trascri- vere e che mi riconduce a bomba , risguardando essa 1 ar- gomento che ho impreso a trattare oggi stesso e che già da tempo aveva chiamato la mia speciale attenzione , ed il mio studio. Eccola : De foramine ventriculi . « Huic observationi ab Exc. D. Merciino seniore communi- catae, calculum suum subjungit Exc. D. Volcamerus in litter. è Norimberga Uratislaviam ad D. Sachsium datis , quando inquit : in hac istoria ejus fortunae partem mihi quoque accessisse memini , dum circa aegrotum , virum alias in Urbe nostra satis conspicuum occuparet, qui maximis in dorso doloribus diu multumque divexatus, tandem nigra vomuit , de tertio vel quarto die vomitus repetens , inter- dum tres mensuras id quod exiit, adaequabat. Primus ille vomitus membranaceam cruentam particulam secum adduxit, unde mihi de perforato prope lienem ventriculo exorta fuit suspicio. Fuere in re Anatomica male informati , apud quos irrisionem merui, posthabitis utriusque cultrivori. Bohemi unius , alterius Borussi , historiis , male de stomachi perfora- 180 Ferdinando Verardini tione sentirent. Vitali tandem aura privati illius aegroti ca- daver ubi apertura, infima corporis regio omni labe care- bat : in pectore vero sinister pulmo totus corruptus et pu- trefactus citra qualemcumque foetorem apparuit, Lobus ille spinae dorsi firmiter adhaesit , atque per oesophagum , paulo supra superius ventriculi orificium, ruptum , liquorem illum nigricantem in ventriculum congessit , unde per intervalla vomitu ista saburra prodiit ». Al capitolo terzo poi , nell’ opera citata , segue P osser- vazione esatta del Merci ino, che siccome di rilevantissimo interessse, riferisco: « Anno 1654 d. 4. augusti in aperto ad exenterationem prò sepultura cadavere Domini Land- Commendatoris Laudatiss. Ordinis Teutonici, Balliviae Fran- coniae, Dn. G. W. ab Elekershausen , dicti Klùpel, quam- primum intestina , illis et omnibus visceribus adhuc omnino integris, et à cultro sectorio intactis , sunt detecta et de- nudata, illorum superficiei externae, cum liquidiori qua- dam, quam infra notamus, am urea innatabant , et se in conspectum dabant pelliculae crebriores , quasi exustae pru- norum coctorum, quae pridie sub noctem comederet mo- ribundus : id quod mihi non immerito ansam dedit peni- tus indagandi : undenam putamina haec hic conspici pos- sent , ventriculo , et intestinis adhuc solidis et illaesis. Et en ! rimanti , magnitudine nucis avellanae , et cui facile pollicis extremum intrudi poterat , foetidissima scatens amur- ca foramen ipsius ventriculi in sede elatiori , sub sterno ipso , nimirum eo loco , ubi memini hunc Dominum , cae- tera omnino adhuc bene valentem, semper conqueri me audivisse de continuo, non quidetn adeo magno, sed ta- men satis molesto aliquo dolore , a bene multis retro annis se affiggente. Arguentibus autem Nasutulis nonnullis, quod impossibile esset, hominem cum foramine in ventriculo vi- vere potuisse; nec non me cavillantibus , qui hoc asserere non erubescerem , respondi : hoc ipsum illud esse , unde , praeter caetera, obierit aeger, nec opus esse credere, illum cum hoc foramine dia supervixisse : sed simul ulcus istud, seu apostema , forsan longo tempore ibi , cum tot annorum molestia haerens , et a dieta amurca tam demum erosum, Dell* ulcero semplice ec. 181 in foramen hoc dehisceret ; simul aegrum exspirasse : qua in opinione postmodum etiam confirmavit Helmont. dum in illius ignoto hospit. morb. forte fortuna evoluto, inter alia hujus argumenti plura, scriptum inveni , partium in - temarum mortificationem obitus diem non multis passibus an- ticipare. Georg. Abrahami Merclini. Riportati questi, ch’io stimo rilevantissimi documenti, seguo narrando che è poi degno di sapersi ancora come al grande Morgagni non sia sfuggita questa morbosa alte- zione che è V ulcero dello stomaco ; e nella sua opera immortale delle sedi e cause delle malattie, alla lettera 29 cap. 14, si legge come, esaminando uno stomaco che Gli venne presentato da certo Medavia , il quale a Lui si vol- geva per sapere se un foro che riscontravasi in quel ventri- colo era da attribuirsi ad un taglio fatto nel levarlo dal corpo a cui apparteneva , sebbene dichiarasse di avere usata ogni possibile diligenza per non recarvi offesa , rispondesse che quel forame era conseguenza di malattia dello stoma- co , e doveva essere annoverata quale un ulcero , esprimen- dosi del modo seguente : « In quanto a me poi , con tutto che riguardassi come causa poco verosimile che avendo do- vuto rimanere casualmente ferito lo stomaco , avesse potuto ciò accadere per 1’ appunto in quella sede che corrispon- deva al mezzo dell’ ulcera , e quantunque la forma e 1 am- piezza del foro , eh’ avea quasi la capacità di ricevere 1’ apice del dito mignolo, non mi sembrassero tali da poterli di leggieri riferire alla punta od al taglio del coltello , tut- tavia , onde soddisfare al reciproco nostro desiderio di co- noscere il vero , esaminai attentamente le due e le tre volte gli orli del forame ; e veduto avendo che non solo erano callosi, ma anche ineguali, e che quanto più il foro s’ avanzava in fuori , tanto meno di circonferenza abbrac- ciavano, due cose che il ferro (introdotto dal di fuori in dentro) non avrebbe al certo potuto operare, fui di sen- timento che il forame non si dovesse ascrivere al coltello, ma alla malattia. » « Circa poi al non essersi ritrovato stravaso alcuno nel ventre, potea essere ciò seguito perchè, assottigliatasi a 182 Ferdinando Verardini poco a poco 1’ esterna membrana , essa non pervenne al segno di finalmente corrodersi e perforarsi affatto, se non che negli ultimi tempi, cioè a dire allorachè lo stomaco della donna moribonda , contratto e corrugato , non con- teneva più niente , da cui nascere ne potesse uno stravaso. » Questo celeberrimo ed incomparabile osservatore Italiano segue poi a narrare alcuni altri casi osservati da chiari anatomici di varie nazioni, i quali servir ponno a corredo per chi interamente volesse approfondirsi in cotali scienti- fiche investigazioni, e che per non oltrepassare il tempo che è concesso ad una lettura accademica , sono costretto a non riportare. Avviserò bensì che nella lettera 65 di bel fiuovo ed anche con maggiore nitidezza , il Morgagni, di- scorre sulle ulceri del ventricolo, e mette innanzi alcuni fatti che caddero sotto gli occhi di Lui, sicché invito gli studiosi ad esaminarli attentamente, ed a dovere, se vo- gliono rendersi veramente utili alla scienza che professano. Del passato secolo si leggono, nell’ opera Anatomica del- F Hunter > le osservazioni di Lui intorno F ulcero dello stomaco, e si viene in chiaro come Ei ne nominasse il processo morboso, infiammazione ulcerosa . Baillie però nel- F anno 1812, meglio dell’ Hunter si diede a studiare l’ul- cero dello stomaco, e giunse persino a porgerne i caratteri differenziali da quello originato per cancro. Ma per ulteriori ricerche , e pello sviluppo gigantesco che andava acquistan- do F Anat. Pat. Cruveilhier , e poscia Rokitanscky , esamina- rono con molta diligenza questa malattia del ventricolo da potersi affermare che F innalzarono a quel grado in cui presso a poco la riscontriamo anche oggidì. Il primo di questi ne distinse il morbo coll’ epiteto di cronico , o di semplice , sia pella durata del medesimo , come a differen- ziarlo dalle ulceri specifiche, quali ad esempio, la tuber- colare, e la cancerosa ; F altro, il Rokitanscky 9 la chiamò perforante per F effetto che apporta, quello voglio dire di trapassare tutte le membrane che il ventricolo costituiscono. Il Rock pur anco , nella sua patologia , volle assegnare a questa malattia un nome particolare , e lo tolse dall’ a- spetto che offre F ulcero alla vista, e lo chiamò rotondo. Dell’ ulcero semplice ec. 183 A voler pure continuare a dare un’ occhiata alla storia della malattia di cui parlo, è mestieri aggiungere che Jacksh , Brinton , Luton, Bennet , e Constatt , hanno pur essi par- lato assennatamente intorno questo morbo, ma non vi ar- recarono alcun ulteriore schiarimento , almeno per quanto è a mia notizia. Fra’ nostri contemporanei in Italia , primeggia sugli altri il eh. Sangalli 9 e va giustamente per la maggiore. Ed a quanto ho detto in sul principio di questo discorso , mi piace aggiungere come il Sangalli offrisse alla pratica me- dicina alcune interessantissime istorie , e regalasse alla scien- za osservazioni e deduzioni di gran pondo , e tenesse si bell’ ordine nello svolgere 1’ argomento , che mi reputo a gloria di averlo tenuto, come lo . tengo, a fidata scorta. Pur nell’ anno 1854- il nostro operosissimo Corradi in- serì nel Bullettino di cotesta Società Medico-Chirurgica , un sunto di quella parte dell* opera dell’ illustre Cruveilhier ricordata da me superiormente , e che versa circa i’ ulcero semplice dello stomaco ; e per rendere vieppiù interessante quel suo lavoro, unì una breve istoria relativa ad un in- divìduo accolto di quel tempo nella Clinica Medica di Bo- logna , e sul quale il eh. prof. cav. Cornetti si tenne quasi sicuro di poter diagnosticare di ulcerazione dello stomaco , e ciò per la ragione che P infermo presentava a pelo e se- gno que’ fenomeni notati dal celebre anatomo-patologo di Francia che vanno compagni all’ incipiente perforamento del ventricolo. E giova ben chiarire pur anco ad onore del Cornetti , mio veneratissìmo maestro , che quell’ infermo potè liberarsi di suo male con la cura lattea a cui saggia- mente Egli lo sottopose dapprima ; poscia coll’ uso de’ cibi feculenti , e quindi degli azotati , man mano che rinasce- vano le perdute forze digerenti ; e nello spazio di un mese , con questi opportuni mezzi terapeutici adoperati, 1’ infer- mo ricuperò per intero la salute che sembrava dover essere irreparabilmente perduta, ed un anno dopo escito dalla Clinica , continuava a mantenerla florida e rigogliosa. Eh sì che il Cornetti fìi condotto a stabilire quel diagno- stico non già assistito da quei mezzi meccanici, che pur 184 Ferdinando Verardini sono valevolissimi e meritevoli di sommo studio e di grande amore , ma quasi onninamente vi perveniva con quel paziente osservare che guida ad un severo concludere , armonizzando le espressioni morbose coll5 integrità delle funzioni organi- che , e raffrontandole co’ poteri vitali , senza di che non vi potrà mai essere dirittura di consiglio nelle azioni e deli- berazioni del medico, il quale, lasciandole in disparte, perde tutta la nobiltà del proprio mandato, e rimane nudamente un semplice artista. Ma riconduoendomi là donde mi partii , seguirò a raccon- tare che dopo il fatto storico appartenente al eh. Cornétti , è da notare come da poco tempo sia escita dalle stampe una Memoria dell’ Eccellentissimo Signor Dottor Pisano , ( inserita nella Gazzetta degli ospedali di Genova fas. di giu- gno 1862) in cui dopo avere con bei modi, e con molta dottrina sposte le opinioni più sode che si hanno sull’ ul- cero rotondo , vengono narrate tre storie appartenenti ad individui accolti nello Spedale Pammatone in Genova stes- sa , e sono formulate da ultimo alcune conclusioni le quali mostrano quanto 1’ egregio Autore sia addentro negli studii gravi e profondi relativi non solo all’ importante argomento , ma sibbene lo diano a divedere anche coltissimo de’ più importanti rami che risguardano lo scibile medico. A compiere finalmente tutto che spetta alla storia del- 1’ ulcero rotondo dello stomaco dirò breve breve , dei pre- parati anatomo-patologici che presento , ed innanzi tutto de’ tre che appartengono già da tempo non corto , alla no- stra Medico-Chirurgica Società , toccando da ultimo di quel- • lo che mi è proprio. Il vaso segnato col N. 255 contiene una porzione di sto- maco , e mostra un ulcero al piloro che ha corroso la pic- cola coronaria , da cui ne venne tale emorragia che apportò la morte della donna settantenne che ne era affetta. L’ altro distinto col N. 256 capisce in se uno stomaco avente alcune ulceri a bordi rilevati, e due perforamenti. È notabile come alcune di quelle ulcerazioni si mostrino cicatrizzate. Questo pezzo patologico si rinvenne in un ve- terano pontificio morto per tisi polmonale. Dell’ ulcero semplice ec. 185 Nel terzo, N. 337, vi ha uno stomaco con perforamen- to , e scorgonsi pur anco traccie di acuta peritonite con- secutiva. I due primi preparati furono osservati dall’ egregio amico e collega il Prof. cav. Brugnoli, V altro dal eh. Prof. cav. Marco Paolini. Dirò da ultimo che nel quarto vase si vede un ulcero perforante , sito nella grande curvatura del ventricolo , riscontrato da me , e fa parte della storia a cui feci allu- sione , la quale è questa. Nel dì 31 del gennaro di questo anno che sta per ter- minare , venne accolta nello Spedale Maggiore della Vita , Carolina Bellentani Bolognese. Era d’ anni 54 , di profes- sione stiratrice, gracile di costituzione, di temperamento linfatico ; simmetrica però della persona , di lodevoli abitu- dini , e ne posso dar ampia fede per essere stata a me ben nota. Negli anni andati aveva sofferto di Sinoca, di grave Enterite, e più volte di Emoptoe. In grazia dello abbattimen- to in cui trovavasi la poveretta allorachè fu collocata? nello Spedale , a stento si riesci di sapere da lei che , fino alla metà del giorno in cui vi venne accolta, aveva goduto suf- ficiente salute , ed aveva in tutta la mattina soppressato biancheria in casa del N. U. eh. Sig. Conte Comm. Gio- vanni Gozzadini, ove era abitualmente chiamata a giornata, e si seppe ancora che sul meriggio, dopo due ore circa dall’ ingestione di larga porzione di maccheroni ben cuci- nati , era stata presa da fierissimi dolori allo scrobicolo del cuore , e corrispondentemente alla vita ; dolori che si fecero atroci , insopportabili. Narrava che lunghi brividi 1’ avevano per alquanto tempo molestata, e poscia ricordava come estenuata 5i forze, e fra spasmi indicibili era stata costretta farsi collocare in letto. Un medico chiamato a soccorso del- 1’ infelice, propinava una pozione oleosa, che non tollera- ta, diede di stomaco, e recò aumento di mali. Ciò degli antecedenti ; all’ esame diligente fatto dall’ e- gregio e coltissimo Assistente, il Dottor Enrico Benetti , che qui nomino a cagione d’ onore, rilevava le cose se- guenti: giaceva la donna supina, immobile, in letto, col- le gambe a ponte; a volto cereo, rattratto; a pelle lu- 186 Ferdinando Verardini cida , e qua e là in livido marmorizzata ; ad occhi affossa- ti, e con occhiaje, e profonde solcature. Aveva affilato il naso, sottile; le pinne dilatate e polverose. La mascella inferiore sporgente all5 innanzi , coi muscoli contratti , se- gnava un indicibile dolore. La lingua appariva pallida ed umidetta ; puliti i denti ; l5 alito un po’ fetente e freddo. Fioca la voce e spesso rotta da lamentosi sospiri. Un in- tenso algore occupava quasi tutto il corpo, e massime gli arti inferiori che , pel colore , e pel freddo , poteano dirsi simili a marmo. Nulla di anormale al petto ; il cuore pul- sava con battiti profondi , e quasi indistinti ; le pulsazioni dell5 arteria radiale appena percettibili, piccole, contratte, celeri. Scoperto il ventre , sede d5 acutissimi dolori , si rinveniva enormemente meteorizzato , a pareti assai diste- se, ed alla percussione rispondente dovunque un suono timpanico , oseuro. Il meteorismo si estendeva ancora a tutta la regione epigastrica , ma quivi il suono tornava men ‘cupo. La palpazione, benché dolcemente esercitata, riesciva penosa oltre maniera, e persino il peso, certo non grave delle coltri , era intollerabile alla meschina. L5 addome solo manifestava un grado di calore che in mo- do strano contrastava coli5 algore già notato di tutto il re- stante del corpo. Accusava la donna quasi di continuo do- lori intestinali fieri , ed ognor più strazianti , i quali si dipartivano sempre, o quasi sempre, dai punti centrali sopra menzionati. Accusava pure senso di sfinimento, co- nati di vomito , sete ardentissima. Aveavi costipazione, ed anuria. Assai opportunamente l5 esperto Dott. Benetti soccorreva la sfortunata, e con mistura calmante, e con clisteri asfet- tidati ed oleosi , ma tutto invano. A moderare l5 inestin- guibile sete ebbe ricorso al ghiaccio internamente; e per veder pure di rialzare la temperatura tanto depressa , or- dinava senapizzazione volante, ed artificiale riscaldamento. Per moderare poi di qualche guisa al calore, ed alla ten- sione addominale, valeasi de5 bagni freddi e continuati. Neanche da tutti questi soccorsi ritrasse vantaggio l5 in- ferma; e quando io la visitai in sulla sera, se ebbi a Dell* ulcero semplice ec. 187 lodarmi delle cure prestatele, non potei però fermar 1’ a- nimo a speranza alcuna di salvezza. Facea mestieri bensì che ponessi ogni cura per istabilire quale si fosse la causa che con tanta violenza conduceva in fin di vita quell’ in- felice creatura. Datomi quindi a studiare minutamente il fatto, ne de- duceva : nata nello stomaco una rottura , e quindi che per P escita di porzione delle sostanze in esso contenute , que- ste fattesi a contatto della membrana peritoneale , avessero suscitata una mortale peritonite. Le ragioni poi che mi guidarono a questo diagnostico furono principalmente le seguenti : l.° Il dolore lancinante e feroce alla regione epigastrica, e proprio proprio in corrispondenza della cartilagine mucro- nata ; dolore , il quale riflettevasi alla regione delle prime vertebre lombari, e ciò dopo P ingestione di copiosissimo, ed .assai pesante cibo. 2 ° Il conato di vomito, il senso di mancanza, e, si noti , da non poco tempo abituale in questa donna appena cibavasi; il vomito scarsamente verificatosi, e che aumen- tava la dolorosa, e quasi che insopportabile pena alle lo- calità sopra notate. 3. ° Il meteorismo vasto e vastissimo, susseguito presta- mente a quegli sforzi , e la pur dolorosissima sensibilità manifestatasi in tutto 1’ ambito addominale. 4. ° Tutta la sindrome finalmente de’ fenomeni che ca- ratterizzavano la peritonite, e massime posto calcolo, al centro di ardore all’ addome , in mezzo al grande , gene- rale, abbassamento di temperatura del corpo; alla maniera di giacere della donna ; alla espressione della faccia ; al- F offerirla rattratta ; all’ intolleranza del tasto , e del peso il più lieve; alia grande acutezza del male, ed alla rapi- dità con che correa a morte, la quale avvenne di fatto nella notte stessa d’ ingresso allo Spedale. Recatici a tempo debito nella camera mortuaria ^per ispararne il cadavere , ciò che attraeva principalmente 1’ at- tenzione nostra , si era 1’ enorme volume del ventre per la timpanica sua distensione. Ferdinando Verardini Apertone poi il torace, tutti i visceri in esso contenuti apparvero in istato normale. Incise quindi le pareti addo- minali, e penetrati in cavità, ne esciva al solito gran co- pia di gas fetidissimi, e vidersi a colpo d’occhio sulla faccia interna del peritoneo essudati plastici di recente formazione, che la rendevano qua e là aderente alle inte- stina. Tutta la cavità dell’ addome era colma di liquido estravasato, scuro, sanguinolento, in cui nuotavano innu- merevoli bollicine d’ olio. Levate le intestina, che erano a dismisura distese dall’ aria entro chiusavi , ed aperte in tutta la loro lunghezza , nulla offrivano d’ innormale , tran- ne poca iniezione a colore rossastro in varii punti più or meno appariscente. Esaminato lo stomaco, si rinvenne nella sua maggiore curvatura un largo ulcere rotondo , perforato , della gran- dezza all’ incirca di una moneta da 10 soldi. Gli orli di quest ulcero erano tagliati a picco , lisci , rotondeggianti , e che accennavano ( si noti ) a lavoro di non recente pa- tologico processo. Il perforamento adunque che die’ luogo al versarsi delle liquide sostanze nella cavità peritoneale, e che motivò bruscamente la peritonite, si produsse in causa della rot- tura dell esterna membrana dello stomaco , già assottiglia- ta, essendo logore le altre, e ciò nacqne per la forzata distensione del ventricolo dalla ingente copia de’ cibi in- trodottivi. Si abbia bene a calcolo , che la mucosa dello stomaco appariva in generale un po’ rammollita, e maggiormente in vicinanza dell’ avvenuto perforamento , ed iniettata la rete vascolare; del resto nulla più offeriva di morboso. i altri visceri non ci mostrarono alteramento alcuno de- gno di ricordo. Dopo il racconto di questo caso pratico , che fa seguito , e pone termine alla storica esposizione relativa ai fatti più capitali intorno 1’ ulcero rotondo che vennero a mia noti- zia, per essere consentaneo a quanto esposi da principio, e per cercar pure di presentarvi , A. Pe , un lavoro che non sia al tutto indegno di Voi, parrai ora tempo d’ in- Dell5 ulcero semplice ec. 189 noltrarmi , tracciando la sintomatologia propria a questo morbo, indi determinarne i suoi caratteri anatomici, la sua diagnosi differenziale, la patogenesi sua, e finalmente esporre le deduzioni che conseguitano agli studii fatti , ed alle esperienze praticate sugli animali vivi. Gli autori chiarissimi che ho già nominati , tranne poche varianti, vanno però sostanzialmente in accordo intorno la sintomatologia dell’ ulcero semplice dello stomaco , la qua- le è la seguente : mancanza assoluta d’ appetito , oppure appetito strano ; alcune volte gli infermi sono in preda ad una profonda tristezza senza che sia in potere loro di co- noscerne la ragione , in questo stato le digestioni fannosi laboriose, ed un senso di peso comincia ne’ primordii a turbarne la quiete ; poscia la digestione rendesi ognor più difficile , ed un dolore cupo , indi più intenso , finalmente lancinante si fa sentire in corrispondenza appunto della cartilagine mucronata , e si propaga di contro alla colonna vertebrale. Questo carattere è il più essenziale di ogni al- tro, e deve chiamare su di esso 1’ attenzione particolare dei medici, in quanto fo stima ne sia come il sintomo patognomonico , avvertito già dai trattatisti di questo mor- bo', come notai, e da me pienamente verificato nel caso descritto , e riscontrato ancora in altro pure nello Spedale Maggiore, nella sezione Fisica diretta dall’ egregio amico e collega il Brugnoli , il quale ebbe la gentilezza di far- melo osservare. Kd è ben degno d’ essere chiarito come in grazia di ciò si determinasse il Brugnoli stesso a sotto- porre 1’ inferma a savia medica cura, per cui potè libe- rarla dalla morte che sì dappresso la minacciava. Dice il eh. Sangalli parlando de’ sintomi dell’ ulcerazio- ne dello stomaco queste parole « Se si avesse a rimarcare qualche particolare carattere, ei sarebbe quello di confon- dersi i dolori dell’ epigastrio con quelli che esistono al dorso in corrispondenza dello stomaco, o a meglio dire, di vedere propagarsi i dolori deffl epigastrio , in un modo assai violento anche al dorso , e produrre una sensazione dolorosa negli infermi , come se avessero 1’ epigastrio quasi inchiodato contro il dorso. » 190 Ferdinando Verardini A questo dato io ne aggiungerei un altro che reputo va- lutabilissimo, e che studiando attentamente nelle istorie altrui e sulle mie, ho verificato non iscompagnarsi quasi mai dalle sofferenze patite dagli infermi , i quali provano come un senso di sfinimento nell’ atto dell5 introduzione de5 primi cibi nel ventricolo , e che cessa , per rinnovarsi più gagliardo, massime qualora comincia quel viscere ad essere sufficientemente disteso dagli alimenti. Seguono inoltre , ed un notabile impoverimento della nu- trizione , se la malattia prolungasi per un certo spazio di tempo, e nausee, e vomiti, in pria degli alimenti, poscia di materie nerastre , fuligginose , somiglievoli a feccia di caffè , in fine anche di sangue , il quale , se scarso deriva dalla erosione de5 capillari che trovansi nel ventricolo; se abbondante, da grossi vasi, ed allora l5 emorragia può es- sere , e molte volte è , mortale. Compilato così un epilogo de5 sintomi principali che ca- ratterizzano questo morbo, mi par bene scendere ora ad indicarne i caratteri anatomici proprii e specialissimi a que- st5 ulcero. La sua forma è per lo più rotonda, alcune volte può essere elittica, con margini tagliati a picco, lisci, nè, siccome av- visa il Sangalli , ricoperti giammai di pus , della grandezza di un pisello , ma ne può acquistare una maggiore ; prova ne sia 1 ulcero dello stomaco da me osservato. Ha il carattere di approfondirsi dal di dentro al di fuori , e lascia i bordi sì netti che sembrano come formati da un ferro da impri- mere , per dirlo colle parole dell5 ora citato chiarissimo Au- tore, il quale inoltre soggiunge assai bene che « il fon- do di quest5 ulcera è per lo più formato dalla tonaca pe- ritoneale inspessita per strati di tessuto fibroso di nuova formazione : nelle ulceri di non grande estensione e durata esso presentasi concavo, essendo la perdita di sostanza maggiore alla mucosa , un po5 minore alla muscolare , ed ancora più piccola alla peritoneale. La tonaca mucosa del- 1’ organo ne ricuopre i margini , all5 intorno de5 quali tro- vasi aderente. » Nel caso da me descritto è da essere notato che scorge- Dell’ ulcero semplice ec. 191 vasi manifestamente uno stato d5 iperemia attiva della mu- cosa dello stomaco , e più distinta nella rete vascolare , ed in prossimità del forame, e ciò, io credo, per la violenza del male , e per la sollecitudine con che si rese mortale. Quest’ ulcero non è proprio soltanto dello stomaco , ma qualche volta, rara bensi, riscontrasi anche al duodeno; la sua sede ne è varia. Di sovente però in vicinanza del piloro , o lungo la grande curvatura , o alla parete anteriore dello stomaco. È da riflettersi, siccome osservano i tratta- tisti , che spesso P ulcero è unico ; vi farebbe eccezione però il fatto descritto da me parlando del preparato che trovasi nel recipiente segnato N. 256, e raccolto dal Brugnoli 3 e pure alcune poche istorie che lessi negli autori. Questa lesione anatomica adunque per la fenomenologia che offre , non può andare confusa o colla Gastrite acuta , mancando e la febbre , ed il dolore , alcune volte acutissimo per P ingestione anche semplicemente de’ liquidi ; per non offerire neanche smania, insonnio; frequenza di respirazio- ne. Nè si potrà confondere colla cronica Gastrite , massime per lo stato particolare in cui si vede essere la lingua , che ne è rossa ai bordi ed all’ apice , con papille più o meno manifeste; per rutti acidi, per la qualità dei vomiti, che si mostrano sempre dopo il pasto e non prima , e che danno a vedere cibi non bene digeriti, quasi mai sangue, e che lasciano al gusto sentire amarezza ed acredine. Quanto a’ ca- ratteri poi anatomici è manifesto pei già notati da me , che P ulcero perforante non può essere confuso nè coll’ ulcera- zione follicolare semplice, o di natura tubercolare, o per una esulcerazione infiammatoria circoscritta alla mucosa , ostandovi e la levigatezza de’ suoi bordi , e la niuna trac- cia di un trasudamento infiammatorio alla sua superficie o nel tessuto che la confina , e la mancanza assoluta di essu- dato tubercolare. Non può confondersi con quell* ulcerazio- ni che apporta il tifo , sia perchè mai , o quasi mai si ri- scontrano queste nello stomaco , ed occupano quasi sempre ileo e cieco , sicché dice Rokitanscky « le ulceri tifose sono tanto più rare , quanto più la parte dell’ intestino è lontana dalla valvola del Bavino : sia perchè , segue Egli , P ulcera 192 Ferdinando Verardini tifosa piuttosto che distruggere , tende a produrre una so- stanza molle, rossigna, che paragono alla materia di un cancro encefaloideo , la quale , quando viene per un fortuito concorso di circostanze eliminata , lascia una colorazióne ardesiaca nella cicatrice che si forma ». Non può confon- dersi coll’ ulcera cancerosa , perchè i margini di questa so- no duri e callosi, contrariamente alla perforante che non presenta inoltre il tessuto del cancro, e finalmente se ne distingue, per la potissima ragione che in nessuna parte dell’ organismo trovasi traccia alcuna di cancro , e perchè molte volte P ulcero perforante può cicatrizzarsi e si cica- trizza , P altro non mai. Farò notare ancora , come osserva opportunamente il San - galli , che si vuole differenziare l5 ulcero semplice dello sto- maco dalla gastro-malacia , o rammollimento delle membra- ne dello stomaco , perciocché i bordi dell9 ulcero perforante sono, come si disse, tagliati a picco e non laceri, quali ci si presentano pel rammollimento. Stimo in ultimo op- portuno diversificare l9 ulcero da me studiato , da quello che viene pel Mughetto , massime perchè questo non è li- mitato , sibbene diffuso estesamente su molti punti della mu- cosa interna, cominciando per lo più da quella che veste la bocca, la gola, la faringe, e via via; e pel trassuda- mento, per le concrezioni, o pseudo-membrane che nel Mughetto si riscontrano, e per essere questo P effetto, co- me è evidente dalle belle osservazioni di vaij illustri pato- ogi, ed in ispecie per quelle del eh. Dubini , di una crit- togama del genere Sporotrychìum , in quanto che le sue piastre sono formate di muco , di filamenti tubulosi , di spo- re, e di cellule a lamine epiteliche. Toccate di tal guisa anco le cose più rilevanti circa la forma anatomica dell9 ulcero semplice dello Stomaco , e fat- toi^e. un confronto con quelle forme morbose colle quali po- trebbe confondersi , entro finalmente a discorrere della pa- togenesi di questo morbo , innanzi di venire alle conclusio- ni finali. A poche si riducono le più valutabili opinioni intorno a sua patogenia , le quali possono riassumersi colle seguenti Dell’ ulcero semplice ec. 193 parole: Hunter tenne 1* ulcero, effetto d’infiammazione ul- cerosa; opinione alla quale assente il Cruveilhier. Questi vede semplicemente in tale ulcero, un’erosione della mu- cosa per effetto d’ infiammazione ; erosione che adduce poco a poco F ulcero somigliante al sifilitico. Rokitanschy cosi si esprime sull’ origine dell’ ulcero in di- scorso .« Verosimilmente comincia il medesimo da un ram- mollimento rosso, acuto, e circoscritto della mucosa (ero- sioni emorragiche) o da una limitata gangrenescenza della medesima; e più probabilmente ancora può essa dilatarsi per quest’ ultima ragione; nel mentre che il tessuto della base dell’ ulcero , strato per strato si gangrena e si esfoglia. Avendo noi ciò veduto in alcuni rari casi, ci sembra che tal processo presenti molta analogia coll’ escara dei polmoni (gangrena circoscritta dei polmoni). Al contrario, non ci sembra abbastanza fondata 1’ opinione di coloro che fanno dipendere la perdita di sostanza in discorso, da un sem- plice processo d’ assorbimento ; poiché con una siffatta idea non si accorda specialmente la durezza dei tessuti periferi- ci, e la reazione pronunciata sulla base dell’ ulcero ». Engel poi crede che questo morbo dipenda da un* ulcerazione tu- bercolare, ed il Virchow da una necrosi emorragica. Ecco le opinioni che stanno in cima delle altre, e che era debito esporre, affinchè questo scritto riuscisse al mio intendimento , cioè d’ accogliere monograficamente quan- to si studiò sin qui circa 1’ ulcero perforante ; ma innanzi che mi conduca a dichiarare la mia propria opinione su quel proposito , gioverà aggiungere , e pure in succinto , il risultato delle osservazioni esperimentali di due chiarissimi Italiani, il Lussana3 e lo Inzani , pubblicate or ora negli Annali Universali di Medicina , continuati dal Griffini , e pre- cisamente nel fascicolo dell’ ottobre ultimo scorso, a pag. 93. In questo lavoro , intitolato dell’ ulcero perforante dello stomaco, ossia della digestione dèlio stomaco vivo, affer- mano quegli Autori che a nel corso de’ loro esperimenti sulla innervazione del ventricolo , e sul principio acidificante del succo gastrico , sonosi imbattuti in parecchie risultanze sperimentali che (essi dicono) ci dimostravano la poderosa t. ii. 25 194 Ferdinando Verardini azione del succo gastrico sopra i tessuti stessi degli animali viventi , in opposizione a quanto la buona fede nella miste- riosa forza della vita imponeva di credere. Accennavamo a siffatte risultanze (proseguono) alloraquando nei succitati lavori , escludendo la così detta resistenza vitale delle pareti ventricolari contro all’ azione digerente del succo gastrico, ce ne appellavamo al disinganno offertoci dalle larghe fistole gastriche , non che dalle perforazioni spontanee , e dalle ul- ceri croniche dello stomaco ec. ec. ». I sunnominati eh. autori ritengono adunque che la vita, o la forza vitale non entri per nulla affatto nei negozii dell’ organizzazione, e veggono tutto, quale effetto unico delle forze fisico-chimiche; alla quale sentenza certo non mi sottoscrivo, e tra poco ne allegherò alcuni motivi. Pen- sano poi i medesimi, assieme con Bèrard 3 e con altri il- lustri fisiologi , che la sola ragione per la quale il succo gastrico non digerisce le stesse pareti del ventricolo, di- penda esclusivamente dal continuo rinnovellamento dell’ epi- telio e della secrezione del muco, i quali si riproducono man mano che vengono da esso succo disciolti. Se quel rinnovellamento cessa, per una qualche ragione ignota, in uno o più punti delle pareti mucose dello stomaco, allora ha luogo V ulcero perforante dello stomaco medesimo. A provare adunque la pronta rinnovazione degli strati epiteliali (dicono a pag. 118 op. cit. ) aprirono il ventre ad un co- niglio; con un taglio limitato all’ epigastrio, ne trassero fuori porzione del ventricolo , che incisero con sottile bi- sturi bitagliente , penetrandone in cavità. Per siffatta aper- tura introdussero una cannuccia di vetro ritorta ad angolo retto, ripiena di soluzione carica di potassa caustica, ed aperta ad ambe le estremità. Dopo un certo tempo venne ritirata la cannula , fu cucito il ventricolo ed il ventre. Il coniglio sottoposto a tale esperimento durò per una setti- mana ad essere vispo e vegeto. Dopo fu ucciso , e non poterono rilevare traccia alcuna che indicasse alterazione,, distacco, o distruzione dello strato epitelico gastrico. Pro- babilmente, essi conchiudono , prima che lo strato epitelico fosse investito dalla potassa , e venisse a staccarsi dalla su- Dell5 ulcero semplice ec. 195 perficie mucosa, erasi già riprodotto sollecitamente un no- vello e successivo strato , sicché notavasi integro quel tes- suto anche nel punto assoggettato all’ azione della potassa. Un risultamento analogo ottennero introducendo, per la fistola praticata nello stomaco d5 altro coniglio , un pezzetto di pasta cantaridata , ed assicurata all5 orifìzio libero di un tubo di vetro ricurvo. Finalmente in un terzo coniglio, aperto il ventre ed il ventricolo , e rovesciatone all5 infuori un lembo interno , vi passarono sopra, alla distanza di circa un centimetro dalla ferita , un ruvido pennellino di crini , tanto che , mediante un limitato e leggero sfregamento ne venisse staccato l5 epi- telio pel tratto di un fagiuolo. Poi unirono per sutura le ferite del ventre e dello stomaco. Per alcuni giorni il co- niglio parve non avesse sofferto ; il quarto però dall5 ope- razione, improvvisamente morì. In questo caso, oltre molte particolarità che troppo lungo sarebbe di qui enumerare, fu riscontrato dai eh. osservatori alla sezione del cadavere, un ulcero della grandezza di un fagiuolo, che aveva tutti i caratteri di quello descritto da Cruveilhier . Dirò finalmente che a rendere evidente come il succo gastrico sia atto a distruggere le sostanze epiteliali, rifecero Essi le esperienze di Bernard sopra cani vivi, nei quali introdussero per la fatta fistola gastrica una zampa di una rana vivente, e viddero, essi dicono, dopo cinque minuti « la cuticola della parte interna della tibia della rana , aver per- duto il suo liscio aspetto , essere intaccata da parecchi mi- nuti forellini, due o tre dei quali attraversavano quasi per intero lo spessore del cuojo ». Siccome in cose di tanto momento le osservazioni non sono, a mio credere, mai inutili o troppe, così stimai op- portuno tentare alcuni studi sopra conigli viventi , e pregai il eh. prof. cav. Marco Paolini , che mi onora di sua pre- ziosa amicizia, ad essermi compagno. Annuì Egli cortesemente ; e chiamato pure il suo disset- tore , l5 egregio giovane Sig. Dott. Rossi Agostino , ci valem- mo di due conigli vegeti, robusti, e ben pasciuti. Inciso il ventre all5 un d5 essi , discopertone lo stomaco * 196 Ferdinando Verardini pieno d’ alimenti, assicuratolo mediante punti di cucitura ai lati delle pareti addominali , ed indi fatta una incisione penetrante nel ventricolo , introducemmo in esso una zampa di una rana viva, e quivi mantenutala convenientemente per mezz’ ora , indi estrattala , non ci avvenne di riscontrare alcun sensibile cambiamento nell’ epidermide dell’ arto sot- toposto a sperienza. Allora pensammo di mantenere la zampa d’ altra rana vivente, in altro coniglio disposto come il primo, per un’ ora intera. In questo caso vedemmo rammollita, ed as- sottigliata 1’ epidermide di quell’ arto per modo , da lasciar- ne quasi allo scoperto i muscoli sottoposti. Questa esperienza mostra adunque che vi occorre un tem- po non breve , perchè succeda un cambiamento nella so- stanza epiteliale, e conferma le già note del Bèrard , del Lussano,, dello lizzarti, per tacer d’ altri, in quanto chia- risce che il succo gastrico vale a distruggere i tessuti epi- dermoidali; mostra però ancora , almeno per noi, che la vita, o la forza vitale non si oppone all’ azione digerente del succo gastrico. Ed avendo accennato a questa circostan- za, mette bene intorno a tale proposito, sporre la nostra opinione sull’ importanza grande che attribuiamo alla forza vitale , laonde giova più direttamente conchiudere , a nostra sentenza, che se gli strati epiteliali formansi insieme al muco entro lo stomaco , per impedire il logoramento di sue pareti , questo effetto è da attribuirsi alle leggi della forza vitale , e non ad altro. E di fatto , si noti , che i medesi- mi illustri oppositori, per questa forza che vogliono disco- noscere , sono poi costretti a chiamare in lóro ajuto la Prot»- videnza , ciò che da ultimo non sarebbe se non un can- giamento di vocabolo e nulla più, e si esprimono di tal guisa circa il riprodursi della sostanza epiteliale. « La Prov- videnza non ha fatto cattiva scelta per farsene una difesa alla mucosa gastrica. » A maggior prova del nostro avviso, è da aversi a mente che se muoia un individuo nell’ atto che si compie la digestione, ed in cui si trovino ancora accumulati nello stomaco degli alimenti, in allora nasce fa- cilmente , anche a detto degli stessi eh. opponenti , il per- Dell’ ulcero semplice ec. 197 foramento, o la digestione ancora del ventricolo, giusto appunto perchè non è più in atto , diciamo noi , la forza riparatrice vitale. Si noti pure come una sostanza corrodente introdotta nello stomaco di un animale vivente, induca fenomeni ben differenti da quelli che si osservano se la medesima sostanza sia posta a contatto di uno stomaco di un animale già morto. Ragioni tutte queste le quali parmi stiano contro all’ opi- nione sopra notata dei eh. oppositori , e che mi pareva fos- se ragionevole ed utile di qui accennare , se non altro per veder pure d’ indurre una maggiore attenzione su questa importante materia, e quindi determinare un cambiamento nel metodo di studiare ; ed allora tornerebbero a mille dop- pii maggiormente profittevoli le accurate osservazioni ed esperimentazioni , massime fatte da chi , al pari di loro, è in possesso di sì vasta sapienza. Dalle cose poi esaminate sin qui , reputo quindi di po- tere da ultimo dedurre che il foro rotondo dello stomaco abbia ad avere la propria ragione in uno stato patologico speciale , avente sede nella rete vascolare , la quale som- ministra il plasma per la riproduzione delle cellule epite- liali , e per la secrezione del muco ; lavoro che probabil- mente deve essere prodotto da un lento processo infiam- matorio , il quale dee indurre uno stato patologico dei minimi vasi , e determinare poi ciò che assai propriamente viene chiamato dall’ illustre Rockitanscky 9 erosione emorra- gica ; per cui in una o più parti dello stomaco rimane impedita la formazione delle cellule epiteliali e del muco, che sono una conseguenza , per quanto ne penso , secon- daria, e non la ragione prima che induce il perforamento; in una parola , in seguito ad una condizione particolare delle parti sottoposte , e massime della rete vascolare , ne viene tolta quella riproduzione. Ciò parmi anche renduto manifesto dai eh. Lussana ed Inzani , quando per avere con un pennello distaccate le cellule epiteliali e laceratele, ne avvenne poi la perfora- zione del ventricolo che addusse la morte di quell’ anima- le. Ed in vero perchè in tale circostanza non si riprodus- Ferdinando Verardini sero quelle cellule? perchè non avvenne ciò che avevano osservato esperirnentando lo stomaco e colla potassa causti- ca, e colla pasta cantaridata, vale a dire il rinnovarsi di quelle sostanze riparatrici? Se non mi dilungo dal vero, ne troverei la ragione in ciò, che le sostanze distruttrici adoperate non furono va- levoli ad alterare la superficie interna dello stomaco, forse forse perchè a mala pena ne vennero al contatto; ma nel- F esperimento fatto col pennello , la molestia e la grave alterazione recata alla località , valse a suscitare una circo- scritta infiammazione di quella parte di ventricolo strofina- ta dal ruvido pennello stesso , e questa ne impedì la for- mazione dell’ epitelio e del muco. Arroge che la storia anatomo-patologica ci insegna che alcune, anzi non poche ulceri del ventricolo si cicatrizzano , non già solo per la separazione di cellule di muco, ma sibbene per adesione delle parti vicine , e pur qualche fiata per la stessa mem- brana peritoneale , che aderì al punto leso , probabilmente per un lento flogistico lavoro. Eppoi perchè mai nelle intestina, a meno che non ab- bia luogo un processo patologico od infiammazione , non accade F ulcerazione in™ virtù del succo intestinale, che a tenore d* alcune recentissime esperienze del eh. Busche e riferite dal Milne-Edwards nelle sue Lezioni di Fisiologia a pag. 96 , gode esso pure della facoltà di digerire le so- stanze albuminoidi presso a poco come accade del succo gastrico ? Questa la mi sembra invero cosa degna di molto e mol- tissimo studio, e parmi convalidi immensamente la mia propria opinione, vale a dire che F ulcero deve essere determinato , volentieri il ripeto , da un peculiare procedi- mento morboso. Deve essere posto a calcolo ancora che in genere vanno compresi da questa malattia gli abituati a pascersi lauta- mente , sicché per la intensa e ripetuta distensione delle pareti dello stomaco, può non difficilmente accadere un ristagno di sangue nella rete vascolare, che non dissipato, póò produrre in date località a poco a poco, e come ha 199 Dell’ jjlcero semplice ec. detto sopra, quel lento processo, cui poi tien dietro il perforamento. Le storie poste a disamina, la distesa da me, in questa idea mi persuadono, e me ne rafferma il fatto che trovo registrato dal eh. prof. Carlo Speranza ( riferito dai eh. Lussana ed Inzani ) là dove narra la fine del celeberrimo Luigi Frank . Il quale un anno dopo aver presentato (1825 ) al gabinetto dell9 Università di Padova , il pezzo patologico dello stomaco perforato dell9 ufficiale Lesperance , dice che « era ben lungi dall9 immaginarsi che un anno circa do- po , lo stesso ventricolo di Lui , sarebbe stato medesima- mente consegnato allo stesso gabinetto , con un9 ulcera perforante della quale l9 illustre medico periva vittima Es- so pure. » Forse , dopo ciò tutto , taluno potrebbe desiderare da me alcun cenno ancora intorno la cura da usarsi nei pri- mordii del processo ulcerativo dello stomaco, sul quale ho disteso quanto la Scienza di più importante ora ne possiede , e le induzioni che , a mio avviso , sono in proposito di maggiore rilievo. Ma non sempre ne è dato conoscere il vero principio di quei processo , il quale talvolta in modo subdolo e latente esordisce ; tale altra dà fenomeni e sin- tomi vaghi, irregolari, spessissimo di lieve apparenza , sic- ché gli infermi quasi mai in tempo opportuno ricorrono a9 medici ; e quando anco alcun medico ne sia colto , sic- come avvenne dell9 illustre Frank, appena se n’accorgono, lascian passare l9 occasio praeceps d9 Ippocrate ; non sempre anche avvedendosene, ne cade il caso di poter bene dia- gnosticare, per cui da ultimo solo se ne fa chiaro conce- pimento, allora che torna vano ogni nostro soccorso. Tut- tavia siccome non accade sempre così, e per la parte sintomatica già percorsa , si può aver luce bastante a co- noscere la malattia , direi allora che il metodo possibile di cura debba consistere in una grande tenuità di dieta , sì pei cibi , che per le bevande ; nella lattea in ispecie , a piccole e frequenti bevute ; nei decotti di piante muci- lagginose , e nell9 uso del Laudano e dell9 Oppio. Può convenire , in mia sentenza , alcun altro sussidio , e quello 200 Ferdinando Veràrdini principalmente apprezzerei cT indurre il malato alla conve- niente immobilità del corpo , ad astenersi da ogni ventosa sostanza, dai liquori e dal vino. Anche la calma dello spirito potrà contribuire a renderne meno infelice lo stato , e meno rischioso il processo gastro-esulcerativo. Da questi mezzi in fuori non saprei, a dir vero, consi- gliarne altri che possano meritare una fede illuminata dalle ragioni della Scienza , e della osservazione. Direte che la parte più essenziale, che alla fin delle fini si riduce a tentare guarire gli infermi, sia scarsa; ma questo non è forse diffetto mio, che invece appartie- ne all’ arcana genesi di molte , lente , affezioni , ed alla oscurità e tardanza delle loro sintomatiche espressioni. È doloroso per chi ha cuore, conoscere la limitazione della Scienza e dell* Arte ; siccome è anche doloroso il vedere che molte incurabili malattie provengono dalla stessa na- tura , sì da sorgerne non lieve difficoltà a crederla vera- mente per se stessa medicatrice. Forse io m’ inganno , e tanto più in grazia di ciò sciol- go un voto che le poche 'cose mie a Voi, A. P., sotto- poste , ed i progressi continui che possono andare accre- scendo gli acquisti moderni , valgano un dì , o ad eccitare 1 maggiori di me a più decisive ed utili considerazioni, o a qualche reale scoperta che ne consoli , e ripari alle miserie terapeutiche che durano tutt’ ora contro Y ulcero semplice , rotondo , o perforante dello stomaco. SULLE OSSERVAZIONI CIRCUMZENITALI DELLE STELLE MOTA DEL PROF. CAV. LORENZO RESPIGHI (Letta nella Sessione 8 Novembre 1860.) La misura delle distanze zenitali delle stelle al loro passaggio meridiano è senza dubbio una delle più impor- tanti e delle più diffìcili operazioni della pratica astrono- mia; poiché mentre per una parte queste quantità costi- tuiscono un elemento fondamentale ed indispensabile per lo studio dei movimenti dei corpi celesti , e per la risolu- zione delle più delicate! ed interessanti questioni astro- nomiche e geodesiche, d’ altra parte poi molte e gravi difficoltà si oppongono alla determinazione del loro valore, cosicché ben difficilmente può ottenersi in questo il grado di precisione, o di approssimazione necessario al prefisso scopo. Egli è perciò che percorrendo la storia della pratica astronomia noi troviamo gli astronomi continuamente e se- riamente occupati nella ricerca di metodi e di strumenti per ottenere la misura di questo importante elemento col- la dovuta esattezza ; in modo che gli studi da essi fatti in proposito, ed i risultati da questi ottenuti ci si presentano come un ramo speciale di scienza destinato a sussidio del- la pratica astronomia. t. ii. 26 202 Lorenzo Respighi Mirabili senza dubbio sono gli sforzi coi quali gli astro- nomi , specialmente in questi ultimi tempi , hanno cercato di approfittare dei grandi progressi dell’ ottica e della meccanica di precisione per rendere i loro mezzi di osser- vazione proporzionati alle esigenze della scienza; e non può certamente negarsi che T opera loro, coadiuvata dai validissimo concorso di abilissimi ed intelligentissimi co- struttori, non abbia sortito in gran parte il desiderato ef- fetto, portando i metodi e gli strumenti di osservazione ad un grado di precisione già molto vicino alla deside- rata meta. Con tali perfezionamenti mentre si è ottenuto il modo di determinare con grande precisione la posizione ed i movimenti reali ed apparenti dei corpi celesti, e di risol- vere in modo conveniente le principali questioni astrono- miche e geodesiche, bisogna però confessare che fra que- ste alcune ed assai importanti non hanno potuto ricevere che una soluzione approssimativa , e che altre invece, mal- grado i più grandi sforzi degli astronomi , si trovano tuttora in uno stato problematico , dal quale non potranno essere tolte che mediante ulteriori progressi nei metodi e nei mezzi di osservazione. La distanza zenitale degli astri al loro passaggio meridia- no, costituendo uno dei principali elementi necessari alla soluzione di questi problemi , ha specialmente richiamato 1’ attenzione degli astronomi , eccitandoli a tentare con ogni sforzo di superare le gravi difficoltà che si oppone- vano alla sua esatta misura, col procurarsi i metodi più opportuni per la collimazione delle stelle, per la determi- nazione del punto zenitale , per V esatta divisione dei cir- coli, per la valutazione delle più piccole frazioni angolari, pel calcolo delle rifrazioni , e col cercare di eliminare , od almeno ridurre al minimo le influenze delle cause acci- dentali e sistematiche che possono concorrere ad alterare il valore di questo elemento. La prima classe di strumenti destinati alla misura delle distanze zenitali sono i quadranti, i semicircoli, i circoli murali, ed i circoli meridiani, per mezzo dei quali si OsSERV. CI RGUMZENIT ALI DELLE STELLE 203 possono ottenere le distanze zenitali di tutte le stelle dal zenit fino all5 orizzonte. Quantunque la costruzione di que- sti strumenti e specialmente quella dei circoli meridiani sia stata portata in questi ultimi tempi ad un mirabile grado di perfezionamento, quantunque la teoria abbia in- dicati i metodi più opportuni per verificare nei medesimi le condizioni richieste, per constatare gli errori in essi esistenti e per valutare i minimi effetti da questi prodot- ti , cionullameno bisogna confessare che i risultati da essi ottenuti non presentano quell5 impronta di regolarità e di concordanza che sarebbe necessaria per basare sopra di essi la soluzione di quei problemi, pei quali si richiede la conoscenza delle distanze zenitali delie stelle entro i ri- stretti limiti delle frazioni del secondo. Nè ciò deve recare meraviglia qualora si consideri , che a raggiungere tale precisione nella misura della distanza zenitale delle stelle, è necessario che nella costruzione di questi strumenti vengano verificate certe condizioni con precisione quasi geometrica ; e che nulla ostante le grandi dimensioni e l5 enorme peso delle varie masse metalliche da cui sono composti , e nulla ostante l5 impossibilità di dare alle medesime una perfetta simmetria nella loro distri- buzione e nei modo di connessione, è necessario che tali condizioni vengano scrupolosamente verificate in tutte le diverse positure nelle quali debbono usarsi questi strumen- ti, e in tutte le accidentali variazioni di temperatura cui possono andare soggetti durante le osservazioni. Cosicché non è certamente esagerato l5 asserire che in ogni osservazione esistono delle sorgenti speciali di errore , i cui effetti o non sontr soggetti a determinate leggi, od a leggi tanto complesse, che difficilmente possono essere colla dovuta esattezza definite e formulate. Nè a rendere meritevoli della necessaria fiducia i risultati delle osserva- zioni basta il rilevare in essi l5 impronta di regolarità e di concordanza, perchè talora queste possono essere pura- mente accidentali , e perchè malgrado le medesime non re- stano escluse da tali risultati le influenze di sorgenti di er- rore sistematiche e generali. 204 Lorenzo Respighi Che anzi ad alterare i risultati delle osservazioni, oltre alle imperfezioni degli strumenti, concorrono altre sorgenti di errore inerenti a ciascun osservatore, dipendentemente da quei criteri individuali su cui egli basa la lettura degli archi e la collimazione delle stelle, criterii non solo va- riabili da un osservatore all* altro, ma variabili eziandio il più delle volte nello stesso osservatore a seconda delle va- rietà delle condizioni proprie di ciascuna osservazione. Gli astronomi persuasi, se non della impossibilità, almeno della grande difficoltà di ottenere dalle osservazioni fatte agli strumenti meridiani le distanze zenitali delle stelle colla precisione necessaria per la risoluzione delle più de- licate questioni astronomiche e geodetiche, cercarono di raggiungere questo intento col limitare le loro osservazioni a quelle stelle, che transitano pel meridiano a piccole di- stanze dal punto zenitale. Confinate in questo modo le os- servazioni delle distanze zenitali ad una piccola porzione di cielo, e precisamente in quella nella quale sono meno temibili gli errori degli strumenti e le influenze atmosferi- che, si otteneva il vantaggio di sostituire ai quadranti, ai semicircoli ed ai circoli meridiani dei semplici settori zenitali di pochi gradi , ai quali si potevano dare dimen- sioni gigantesche e suscettibili perciò di graduazioni mol- to più minute e perfette, mentre poi si potevano appli- care ad essi cannocchiali a grande distanza focale per ren- dere più preciso il modo di collimazione, e lunghi fili a piombo per determinare più esattamente la direzione della verticale. I grandi settori zenitali furono principalmente^ applicati alla geodesia per la misura delle differenze di latitudine; furono però applicati anche a ricerche puramente astrono- miche , e specialmente alla ricerca delle costanti dell’ aber- razione e della nutazione. Per queste ultime ricerche però potendosi limitare le os- servazioni sopra quelle stelle che passano alla distanza dal zenit di pochi minuti , si è trovato superfluo 1* uso dei set- tori graduati, potendo bastare alla misura delle distanze zenitali un semplice cannocchiale munito di micrometro. OSSERV. CIRCUMZEN ITALI DELLE STELLE 205 Infatti se noi supponiamo fissato verso il zenit un can- nocchiale munito di un micrometro, se una stella nel suo passaggio meridiano passerà abbastanza vicina ai zenit per essere compresa nel campo del cannocchiale, la sua di- stanza zenitale potrà essere misurata senza bisogno di ar- chi graduati , coli’ uso del solo micrometro , per mezzo della distanza angolare di due fili perpendicolari al meri- diano , uno dei quali fissato sulla verticale , e 1’ altro col- limato sulla stella. La condizione essenziale , che si richiede per questo modo di osservazione, è quella di poter fissare uno dei due fili sulla verticale, a meno che non si ricorra all* uso del ro- vesciamento del cannocchiale, con che può ottenersi la di- stanza zenitale della stella dalla metà della distanza ango- lare percorsa dal filo mobile portato sull9 immagine della stella prima e dopo il rovesciamento del cannocchiale, as- sicurandosi però per mezzo di un filo a piombo, o di un li- vello, che in questo rovesciamento il cannocchiale abbia compito una mezza circonferenza attorno alla linea verticale. Un cannocchiale costituito in queste condizioni dicesi tubo o cannocchiale zenitale , e diconsi osservazioni circum- zenitali le osservazioni con esso effettuate. Il più famoso strumento di questo genere è quello che fu costrutto da Troughton per F Osservatorio di Greenwich per le osservazioni della y del Dragone. Malgrado le gi- gantesche dimensioni di questo strumento, nel quale il cannocchiale aveva la distanza focale di 25 piedi inglesi , e malgrado gli ingegnosissimi artifici coi quali l9 Astrono- mo Airy ha cercato di facilitare il rovesciamento , e di perfezionare il modo di constatare la verticalità dell9 asse di rotazione, pure i risultati delle osservazioni fatte col medesimo non si trovarono più concordanti di quelli otte- nuti dal circolo murale. Dagli studi fatti su questo stru- mento è posto fuori di dubbio, che l9 inesattezza dei risul- tati delle osservazioni dipendeva specialmente dalla imper- fezione del modo di determinare la verticale per mezzo del filo a piombo. Riconosciuta F impossibilità di eliminare da questo stru- 206 Lorenzo Respighi mento le varie sorgenti di errore, e specialmente quella dipendente dalla incertezza di determinare 1’ esatta direzio- ne della verticale per mezzo del filo a piombo , Airy ne abbandonava totalmente F uso , rivolgendo le sue cure alla ricerca di un cannocchiale zenitale, nel quale la distanza delle stelle dal zenit potesse ottenersi senza F uso del filo a piombo , e senza il bisogno di determinare direttamente il punto zenitale; e nel 1849 si proponeva la costruzione di uno strumento di questo genere, al quale dava il nome di Tubo Zenitale a riflessione. Tale strumento è appoggiato sulle seguenti considerazioni. Abbiasi un obbiettivo di un cannocchiale collocato col suo asse verticale, e supponiamo che una stella passi al meridiano assai vicina al zenit. È evidente che i raggi provenienti dalla stella, attretraversato F obbiettivo , formeranno un cono con- vergente , colF asse inclinato sulla verticale di un angolo eguale alla distanza zenitale della stella : se ora sotto F ob- biettivo, ad una profondità poco minore della metà della sua distanza focale, verrà collocato un orizzonte a mercurio, il cono luminoso riflettendosi sopra di questo ritornerà all’ ob- biettivo, ed attraversando il medesimo verrà a formare F im- magine della stella al di sopra di questo , in un piano ad esso vicinissimo , e in un punto la cui distanza dalF asse dell* ob- biettivo dipenderà soltanto dalla distanza zenitale della stella e dalla lunghezza focale dell’ obbiettivo stesso. Ciò posto , quantunque non si possa fissare la direzione dell’ asse del cannocchiale e quindi quella della verticale, è facile però di vedere che la distanza dell’ immagine della stella all’ asse stesso può ottenersi nel seguente modo. Nel piano dove si forma 1 immagine della stella siavi un micrometro col filo mobile perpendicolare al meridiano, e supponiamo tale mi- crometro connesso coll’ obbiettivo ; portato il filo mobile sulla immagine della stella , è evidente che se noi faremo girare 1 obbiettivo col micrometro attorno alla verticale di un angolo di 180°, F immagine della stella rimanendo im- mobile si troverà dopo questo rovesciamento distante dal filo mobile, anteriormente su di essa collimato, di una quantità doppia della distanza deli’ immagine della stella OSSERV. CIRCUMZENITALI DELLE STELLE 207 dall* asse del cannocchiale, o dalla verticale con esso per ipotesi coincidente. Cosicché collimando nuovamente al filo mobile sopra V immagine della stella, si avrà dalla metà della distanza da esso percorsa la misura della distanza del- 1* immagine stessa dalla verticale. Determinato convenien- temente il valore angolare del passo della vite micrometri- ca , è evidente che si potrà ottenere dalla medesima la di- stanza zenitale della stella. La coincidenza poi del filo colla stella viene ottenuta per mezzo di un apparato consistente in un prisma , che riflettendo i raggi orrizzontalmente li porta all* occhio dell’ osservatore attraverso ad un oppor- tuno oculare. Per ottenere con questo strumento la distanza zenitale della stella non è poi necessario che sia soddisfatta la con- dizione che Y asse dell’ obbiettivo coincida colla verticale, bastando all’ uopo la condizione che 1’ obbiettivo nel ro- vesciamento giri attorno ad una verticale, il che viene ve- rificato per mezzo di un livello parallelo ai meridiano, con- nesso coll’ obbiettivo e girante con esso. Che anzi la teoria mostra , che anche non essendo soddisfatta rigorosamente questa condizione, non ne possono risultare nel valore della distanza zenitale che piccoli errori e facilmente deter- minabili. Questo ingegnosissimo strumento venne costruito e messo in opera nell’ Osservatorio di Greenwich fino dal 1852, ma i risultati delle prime osservazioni si mostrarono poco soddisfacenti a cagione della sfavorevole sua collocazione , per la quale specialmente durante il giorno il mercurio soggetto a continui tremiti ed oscillazioni presentava 1* im- magine della stella osservata, e cioè la y del Dragone, mal definita e troppo oscillante. Collocato in seguito lo strumento in luogo più indipen- dente dai tremiti e dai rumori, ed applicati all’ orizzonte a mercurio gli artifìci opportuni per estinguerne i tremiti e le oscillazioni, si trovarono i risultati delle osservazioni molto più regolari e concordanti. Ciò nulla meno però esaminando i singoli risultati di queste osservazioni, e i medi di questi distribuiti in gruppi Lorenzo Respighi corrispondenti ad un certo numero di successive osserva- zioni, bisogna confessare che la loro regolarità ed il loro accordo sono inferiori a quelli che la teoria di questo strumento faceva sperare : e si ha ragione di temere che anche i risultati da esso attendibili non siano portati al grado di precisione richiesto per la completa soluzione delle questioni alle quali venne F uso del medesimo de- stinato. Ritenendo pure insensibili gli spostamenti e le deforma- zioni prodotte nell’ immagine della stella dalle diverse parti dell’ obbiettivo, attraverso alle quali passano i raggi luminosi dopo la loro riflessione sull’ orizzonte a mercurio , si può forse riconoscere la causa di tali irregolarità e di- scordanze nella difficoltà di mantenere in questo strumen- to invariabile il piano focale, e nella necessità di effettua- re sulla immagine della stella, ottenuta per riflessione, una doppia collimazione in un breve intervallo di tempo. In fatti la posizione del piano focale dipende dalla pro- fondità delia superficie riflettente del mercurio sotto 1’ ob- biettivo; e perciò la prima non può mantenersi invariabile, se tale ancora non si mantenga la seconda ; ma siccome 1’ orizzonte a mercurio non solamente è indipendente dal- F obbiettivo, ma di più esso è sostenuto col noto appara- to a liste di caoutchouc per estinguere, o diminuire le oscillazioni del mercurio , così si ha ragione di temere che, o per effetto di temperatura, o per effetto di oscillazioni verticali nell’ apparato di sospensione del mercurio, varian- do durante le osservazioni la distanza della superficie di livello di questo dall’ obbiettivo, non ne provenga un sen- sibile spostamento nel piano focale , e quindi un’ altera- zione nella distanza zenitale della stella misurata nel piano del micrometro. Per ottenere la distanza zenitale assoluta della stella sono in ogni osservazione necessarie due collimazioni, una prima e l’ altra dopo il rovesciamento, e di più per mag- giore precisione è necessario che tali osservazioni si facciano, per quanto è possibile , in prossimità al passaggio meridiano. Quantunque il celebre inventore di questo strumento abbia OSSERV. CIRCUMZEN1TALI DELLE STELLE cercato con opportuni artifici di facilitare il rovesciamento dell9 obbiettivo e dei micrometro , e di facilitare le colli- mazioni per mezzo di due distinti fili , antecedentemente collocati in prossimità ai luoghi dove viene a formarsi F immagine, pure è facile di vedere che l9 osservatore non avendo disponibile per ogni collimazione che un breve tempo , difficilmente può effettuarla in quei momenti nei quali F immagine della stella si presenta nella migliore condizione di forma e di stabilità, e cioè più indipenden- te dagli effetti di scintillazione, e dalle oscillazioni xlella superficie riflettente del mercurio , nel quale anche i più ingegnosi sistemi di sospensione possono diminuire ed abbreviare i moti oscillatorii , ma non mai interamente estinguerli. Oltre al tubo zenitale di Airy altri strumenti dello stesso genere, basati sopra principii diversi, furono proposti da Porro, Babbage ed altri; ma nessuno di essi, sia per sem- plicità di teoria, sia per facilità di pratica attuazione , sem- bra potersi ritenere superiore al primo. Per l9 osservazione delle stelle, che passano al meridia- no a piccola distanza dal zenit dalla parte del Sud , furono già da molto tempo applicati gli strumenti dei passaggi disposti nel primo verticale ; e specialmente F astronomo di Pulcova Struve ne ha fatto grande uso nella misura delle differenze di latitudine, e per l9 osservazione delle va- riazioni della declinazione delle stelle. Questo strumento presenta il vantaggio di poter esten- dere le osservazioni a qualche grado di distanza dal zenit , ma la determinazione del punto zenitale o della verticale ottenendosi indirettamente per mezzo del rovesciamento, i risultati delle osservazioni sono interamente appoggiati sul- le indicazioni del livello , e quindi affetti da tutte le in- certezze ed anomalie di questo. Oltre di che poi per de- durre la distanza zenitale delle stelle è necessario di co- noscere con sufficiente approssimazione il valore della loro declinazione , o quello della latitudine del luogo. Senza dubbio gli strumenti, che si presentano più adat- ti alla misura delle piccole distanze zenitali , sono i can- t. ii. 27 210 Lorenzo Respighi nocchiali o tubi zenitali, nei quali mentre possono venire eliminate le principali sorgenti di errore, si ottiene poi P importante vantaggio di far dipendere tale misura dal- P uso del solo micrometro. Se non che nella applicazione di questi strumenti si incontra un grandissimo ostacolo , ed è quello di determinare in essi la verticale, o il punto ze- nitale, colla dovuta precisione. Riconosciuta P impossibilità di ottenere questo fondamentale elemento colla necessaria esattezza per mezzo dei fili a piombo e dei livelli , si so- no proposti varii ed ingegnosi artifici per ottenere nei tu- bi zenitali la determinazione della verticale per mezzo del- la riflessione dell’ immagine delle stelle, o dei fili del mi- crometro sulla superficie orizzontale del mercurio , o sulle superficie di livello di altri liquidi : ma con tali artifici P uso del cannocchiale zenitale , tanto semplice in se stesso , si presenta assai complesso e difficilmente attuabile, per la grande difficoltà di verificare in pratica le condizioni dalla teoria assegnate. Essendomi proposto nella fine dello scorso anno alcune ricerche relative all’ aberrazione della luce , allo scopo di risolvere sperimentalmente alcune questioni intorno alla possibilità di ottenere fenomeni ottici dipendenti dal moto annuo della terra, e principalmente in riguardo alla influenza del moto dei mezzi rifrangenti sulla direzione dei raggi lumi- nosi da cui sono attraversati , mi trovai nella necessità di procurarmi uno strumento atto alla misura delle piccole distanze zenitali con una precisione superiore a quella che può ottenersi dagli ordinari circoli meridiani , e special- mente da quello di cui trovasi fornito il nostro Osservato- rio , che è un circolo meridiano di Ertel , che oltre al non poter somministrare direttamente le distanze zenitali che coli’ approssimazione dei 2", trovasi poi collocato in condi- zioni di stabilità non abbastanza favorevoli , per poter ot- tenere con sicurezza in tale misura questo grado assai li- mitato di approssimazione. In questa circostanza sembrami di avere trovato per la misura delle distanze zenitali delle stelle , che culminano assai vicine al zenit, un metodo speciale, che applicato in OSSERV. GIRCUMZENITALI DELLE STELLE 211 opportune condizioni potrà condurre in tale misura ad un grado di approssimazione superiore a quello procurato da- gli altri metodi, fino ad ora usati in questo genere di os- servazioni. Il nostro circolo meridiano trovasi collocato sopra una robustissima torre, alla elevazione dal suolo di circa qua- ranta metri. Questa grande elevazione del circolo, congiun- ta alla sfavorevole circostanza di avere i piloni, su cui poggia P arco che sostiene i pilastri a cui sono fissati i cuscinetti che portono lo strumento , esposti durante il corso della giornata a vicende termometriche assai diver- se e variabili , produce specialmente nella stagione estiva nell’ asse del cannocchiale e nel circolo piccoli movimenti diurni in orizzontalità ed in azimut , tali da influire in mo- do sensibile sui risultati delle osservazioni, tanto delle ascen- sioni rette che delle distanze zenitali, qualora non si ab- bia la cura di determinarne ed applicarne le opportune correzioni. Egli è appunto da questo difetto del nostro circolo me- ridiano, di essere cioè collocato ad una grande altezza dal suolo , che ho potuto trarre profitto per ricavare dal can- nocchiale meridiano una specie di cannocchiale zenitale , che per la semplicità del suo uso, e per la sicurezza dei risultati che se ne potranno ottenere , sembrami potrà emulare i migliori strumenti destinati alla misura delle piccole distanze zenitali nella risoluzione delle più delica- te questioni della pratica astronomia. Fra i diversi modi, con cui viene determinata coi can- nocchiali meridiani la direzione della verticale, senza dub- bio il più sicuro è quello della coincidenza del filo equa- toriale colla sua immagine riflessa dall’ orizzonte a mercu- rio , con che si ottiene di fissare questo filo sul nadir. Supponiamo ora che il cannocchiale sia collocato a note- vole altezza dal suolo, e che sotto la parte centrale del medesimo sia praticata nel sottoposto fabbricato un’ aper- tura conveniente per poter collocare 1* orizzonte a mercurio ad una notevole profondità sotto di esso. È evidente che se noi fisseremo un filo equatoriale del micrometro sul na- 212 Lorenzo Respighi dir , facendolo coincidere colla sua immagine ottenuta per ri- flessione dal sottoposto orizzonte a mercurio , e se una stella nel suo passaggio meridiano passerà abbastanza vicina al zenit , perchè i raggi da essa trasmessi rasente il cannoc- chiale e attraverso alla sottoposta apertura , riflettendosi sull5 orizzonte a mercurio siano diretti all5 obbiettivo, in modo da venire a formare P immagine della stella nel cam- po del cannocchiale , lasciato immobile nella detta posizio- ne , collimando su questa un Alo mobile equatoriale , o parallelo a quello già fissato sul nadir , si potrà ottenere la distanza della stella al zenit dalla distanza di questi due fili, e perciò col semplice uso del micrometro, senza biso- gno di circoli graduati. In questo modo lo strumento dei passaggi è trasformato in un vero tubo o cannocchiale zenitale, nel quale colla massima facilità ed esattezza può rendersi l5 asse ottico ver- ticale. La sola condizione che si richiede è questa , che l5 orizzonte a mercurio sia posto ad una profondità suffi- ciente , perchè i raggi provenienti dalle stelle , che posso- no essere comprese nel campo del cannocchiale , siano ri- flessi sull5 obbiettivo di questo. Tale condizione poteva attuarsi nel nostro strumento me- ridiano, il quale, come già si è accennato, trovasi elevato dal suolo di circa quaranta metri , e quindi in tali circo- stanze da poter collocare l5 orizzonte a mercurio ad una profondità sufficiente per vedere riflesse nel campo del can- nocchiale le stelle che culminano alla distanza di pochi minuti dal zenit. Se non che gli usi speciali, cui sono destinati gli am- bienti inferiori , sottoposti allo strumento , non permetteva- no di utilizzare tutta questa altezza col praticare la neces- saria apertura in tutte le sottoposte volte fino al suolo; e perciò volendo ridurre nel modo sopra indicato questo strumento a cannnocchiale zenitale , trovavami costretto a limitare per ora la distanza dell5 orizzonte riflettente dall5 ob- biettivo a circa 20 metri, profondità sufficiente per poter osservare le stelle distanti dal zenit 8' o 10', e molto com- modamente poi P a del Cigno , distante dal nostro parallelo OsSERV. CIRCUMZENITALI DELLE STELLE 213 di circa 17', stella che pel suo splendore può distintamente vedersi anche durante il giorno. Di più per non recare danno alla stabilità dello stru- mento mi trovava costretto a limitare convenientemente le dimensioni dell5 apertura, specialmente nell’arco su cui quel- lo si appoggia , con che mi trovava nella necessità di limi- tare F apertura suddetta in modo, che non potesse servire altro che all5 osservazione delle stelle che culminano dalla parte del Nord. Dopo gli opportuni rilievi fatti in proposito , nel princi- pio del corrente anno mandai ad effetto questo divisamen- te , facendo praticare nel grand5 arco e nelle volte dei tre piani sottoposti allo strumento un5 apertura elittica di suf- ficienti dimensioni, per ottenere libera la riflessione dei fili del micrometro e dell5 immagine delle stelle nel modo so- pra descritto dall5 orizzonte a mercurio , posto alla profon- dità di circa 20 metri sotto l5 obbiettivo. La mancanza però di un micrometro a fili illuminati non mi ha permesso di intraprendere alcuna osservazione fino al mese di Giugno p. p., nel quale soltanto mi venne spedito dal costruttore Ertel un tale micrometro. Preparato così lo strumento, io mi proponeva di instituire in via di esperimento alcune osservazioni sulla distanza ze- nitale dell5 a Cigno , specialmente allo scopo di vedere quali difficoltà presentava la pratica attuazione di questo metodo, e il grado di fiducia da esso meritato. Prima di tutto però era necessario di determinare la di- stanza angolare dei fili fissi del micrometro e il valore delle * parti del passo della vite micrometrica del filo mobile , e ciò si è cercato di ottenere colla massima accuratezza per mezzo di una serie di passaggi meridiani della polare. Il micrometro è formato da sette fili fissi, paralleli e pros- simamente equidistanti ed abbastanza sottili , con un altro filo fìsso ad essi perpendicolare , e con due fili mobili uno parallelo ai primi , l5 altro parallelo a quest5 ultimo. Le- viti micrometriche presentano un movimento abbastanza regolare e la loro testa porta un circolo diviso in 60 parti , che cor- rispondono ciascuna al sessantesimo della lunghezza del passo della vite. 214 Lorenzo Respighi Il micrometro può applicarsi al cannocchiale in modo che i sette fili paralleli possono disporsi tanto secondo il meridiano, che perpendicolarmente ad esso. Un opportuno apparato ser- ve per ottenere questi fili convenientemente illuminati. Quantunque nel suo complesso il micrometro sia lavorato con molta precisione, pure trattandosi di doverlo appli- care ad osservazioni tanto delicate , sarebbe stato necessa- rio in esso un maggior grado di sensibilità , sia per riguardo alla grossezza dei fili che per riguardo alla grandezza del passo delle viti micrometriche, e sia finalmente in riguardo al modo di illuminare i fili. Per determinare il valore angolare delle parti della vite micrometrica, che porta il filo mobile parallelo ai sette fili fissi, sui quali può scorrere V oculare, e per determinare la distanza di questi fili, si è applicato il micrometro al cannocchiale coi sette fili fìssi paralleli al meridiano ; quindi si è instituita una serie di osservazioni sulla polare nei passaggi meridiani, e dagli angoli orari ottenuti nel pas- saggio della stella a ciascun filo, còl noto valore della declinazione della medesima si è dedotta per ciascun pas- saggio la distanza angolare dei fili. I risultati delle sin- gole osservazioni si sono trovati in conveniente accordo per poter ritenere nei loro medii con molta approssimazione rap- presentati i valori delle distanze relative dei fili suddetti. Cognite queste distanze, dal numero delle rivoluzioni com- pite dalla vite micrometrica del filo mobile, per trasportarlo in coincidenza di ciascun filo, si è dedotto il valore delle di- visioni del micrometro , e da ripetute esperienze si è otte- nuto il valore di ogni divisione in 0", 374594. Conosciute così le distanze relative dei fili e il valore delle parti della vite micrometrica , si è fatto girare il mi- crometro di un angolo retto, portando con tutta la possibile accuratezza il filo fisso , perpendicolare ai sette sopra accen- nati , nel piano del meridiano , con che questi ultimi rie- scivano disposti normalmente a questo. OSSERV. CIRCUMZENITALI DELLE STELLE 215 Con tale disposizione del micrometro si otteneva il cam- po del cannocchiale nel senso del meridiano abbastanza esteso per potere misurare anche col massimo ingrandimento la distanza zenitale dell’ a Cigno, che come già si è accennato dista dal nostro parallelo di oltre 17'. Con ciò lo strumento trovavasi pienamente accomodato alle osservazioni , ed altro non mancava che di provvedere al- F orizzonte a mercurio. Non avendo potuto fino ad ora il no- stro Osservatorio provvedersi di un apparato di sospensione pel mercurio , atto ad estinguere , o ad abbreviare ed impic- ciolire in esso in moti vibratori , prodotti specialmente dai tremiti del fabbricato, pel passaggio dei carri nelle circonvici- ne strade e per altre analoghe cagioni , mi sono trovato nella necessità di far uso di un comune orizzonte a mercurio , al quale si è cercato di dare una sufficiente estensione , per ottenere la riflessione dei raggi sulla parte centrale, a con- veniente distanza dalle pareti del vaso , per escludere qua- lunque dubbio di curvatura nella superficie riflettente. Per ottenere con maggiore precisione e facilità la distan- za zenitale della stella ho creduto opportuno di fissare sulla verticale il filo II del micrometro, con che ottenendosi l’im- magine della stella prossima al VI filo si poteva ricavare la sua distanza zenitale sommando la nota distanza di questi fili , colla distanza del filo mobile , collimato sulla stella al suo passagio, dal suddetto VI filo, cercando sem- pre di soddisfare questa condizione, che tanto nel portare il filo mobile sulla stella, che nel portarlo in coincidenza del filo fisso a lui vicino, il moto della vite si effettuasse costantemente nel medesimo senso, per evitare le incertez- ze che potevano derivare nell’ inversione di tale movimento. Era mio desiderio, onorevoli Colleghi, nel darvi communi- cazione di questo modo di osservazioni, di sottoporre alla vostra considerazione i risultati di una abbastanza numero- sa serie di osservazioni, nella speranza che in essi avreste potuto avere argomento di riconoscere la fiducia da esso meritata : ma purtroppo un complesso di sfavorevoli circo- stanze, e specialmente le condizioni atmosferiche in questi ultimi mesi quasi sempre contrarie alle osservazioni astro- 216 Lorenzo Respighi nomiche , e la mancanza di un orizzonte a mercurio for- nito degli opportuni artifici per effettuare le osservazioni anche durante il giorno, non mi hanno permesso che dì eseguire poche osservazioni sull9 a del Cigno, che io ho prescelto a questo oggetto, perchè una delle stelle fon- damentali, e perchè facilmente visibile anche durante il giorno. Queste osservazioni , benché poche di numero, mi sem- brano però abbastanza concludenti ; perchè quantunque fatte in condizioni sfavorevoli, e senza il soccorso di quei particolari artifici che tanto possono concorrere a renderne più esatti i risultati , pure presentano fra loro un accordo, che difficilmente potrebbe ottenersi anche dai migliori cir- coli meridiani. Prima di riferire i risultati di queste osservazioni farò notare che la maggior parte di queste sono state fatte nelle prime ore della notte, nelle quali continuando tut- tora nella nostra città un notevole movimento di uomini e di carri , e dominando tuttora il suono delle vicine campane , ne risultavano nell9 orizzonte a mercurio continui moti oscillatori, che rendevano l9 immagine della stella non ben definita e sensibilmente oscillante. Nel seguente specchio sono riportati i risultati delle osservazioni fatte sulla distanza zenitale dell9 a Cigno , e cioè le distanze zenitali osservate corrette della rifrazio- ne, non che le declinazioni relative date dall9 Almanacco Nautico di Londra, e le differenze fra le prime e le se- conde , che prescindendo dall9 incertezza del valore assolu- to della declinazione della stella, somministrano il valore della nostra latitudine geografica. OsSERV. C1RCUMZENITALI DELLE STELLE 217 Osservazioni soli* a Cigno fatte nel 1 860. Data Distanza zenitale Declinazione Differenza Giugno 11 N. 0°. 16'. 62",90 N. 44°. 46'. 48",27 N. 44°. 29'. 66",37 » 16 63,62 49,81 66,19 » 18 64,61 60,41 66,90 » 20 66,44 61,01 64,67 Agosto 27 78,80 73,14 66,34 Settemb. 11 82,11 77,00 64,89 » 16 83,20 78,06 64,86 » 22 84,96 79,21 64,26 » 23 84,26 70,44 66,18 » 26 83,94 79,96 66,01 » 28 84,70 80,33 66,63 Ottobre 1 86,93 80,76 64,82 Il medio delle differenze trovate nelle dodici osserva- zioni risulta di U°. 29'. 55", 25: e questo sarebbe secondo le osservazioni stesse il valore della nostra latitudine, qualora fosse esatto il valore as- sunto per la declinazione media dell’ a Cigno. Ma il numero di queste osservazioni è troppo piccolo per poterne dedurre un valore per la nostra latitudine me- ritevole di fiducia ; e le ricerche relative a questo ele- mento verranno instituite sulle osservazioni già fatte in proposito con altri metodi , e su quelle che si spera di effettuare in seguito col metodo in discorso, in circostanze e con mezzi più opportuni per ottenere risultati più esat- ti e meritevoli di maggiore fiducia. Esaminando questo specchio si rileva che i risultati delle singole osservazioni oscillano attorno al loro medio generale entro i limiti di 1" in più ed in meno, e deter- minando V errore probabile delle medesime si trova, mal- grado la ristrettezza del loro numero, ridotto già a tale 218 Lorenzo Respighi piccolezza da poter competere con quello che può otte- nersi nelle osservazioni fatte ai buoni circoli meridiani. Dimodoché si ha ragione di sperare che moltiplicate le osservazioni nelle circostanze più opportune , usando tutti .i mezzi atti a diminuire le influenze delle varie cause per- turbatrici, si potranno ottenere risultati spinti ad un grado molto più avanzato di concordanza e di esattezza. Cosicché mi sembra potersi a ragione sperare, che ap- plicando questo metodo di osservazione nei luoghi meno soggètti a rumori ed ai tremiti del suolo , ed usando oriz- zonti a mercurio con convenienti apparati di sospensione, o fomiti degli altri opportuni artifici atti ad estinguere in esso i moti oscillatori, ed impiegando cannocchiali a grandi di- mensioni provveduti di eccellenti micrometri , si potranno ottenere le distanze zenitali col grado di approssimazione richiesto per risolvere le questioni relative all’ aberrazione, alla nutazione ed alla parallasse delle stelle, in modo più soddisfacente di quello che può ripromettersi dagli altri strumenti e metodi di osservazione fino ad ora applicati a queste delicatissime ricerche. Con questo metodo, mentre vengono in gran parte elimi- nate le sorgenti di errore dipendenti dalle imperfezioni della struttura e della collocazione degli strumenti , e dalle accidentali alterazioni cui possono i medesimi andar soggetti, si raggiungono poi i seguenti vantaggi. 1. ° La distanza zenitale è determinata coll’ uso del sem- plice micrometro, e quindi con quel maggior grado di pre- cisione, che questi possono procurare in confronto di quella che può sperarsi dai circoli, o dai settori graduati. 2. ° Il cannocchiale rimanendo immobile nella stessa po- sizione , tanto nella determinazione del Nadir che nella os- servazione della stella , la misura della distanza zenitale as- soluta di questa si riduce ad una semplice osservazione dif- ferenziale. 3. L osservazione della stella e la determinazione del Nadir potendosi in generale effettuare quasi contemporanea- mente, vengono eliminati gli effetti dipendenti dalle varia- zioni di temperatura e dalla instabilità dello strumento , od OsàERV. CIRGUMZENITALl DELLE STELLE 219 almeno si possono facilmente constatare e misurare tali in- fluenze , se per avventura si presentassero. 4. ° La determinazione della verticale ottenendosi per mez- zo della riflessione dei fili sull’ orizzonte a mercurio , si può raggiungere in essa quel maggior grado di precisione, di cui è suscettibile questo metodo in confronto a tutti gli altri che possono a tale operazione applicarsi. 5. ° Per la collimazione della stella avendo 1’ osservatore disponibile un sufficiente intervallo di tempo , può approfit- tare nell’ effettuarla dei momento in cui questa si presenta nelle migliori condizioni di forma e di stabilità , ed avere una verifica dell’ esattezza di essa collimazione nella conti- nuata coincidenza della parte centrale dell’ immagine col filo. 6. ° Nell’ osservazione della stella e nella collimazione sul Nadir richiedendosi nell’ osservatore una positura quasi iden- tica e molto commoda, si possono ritenere eliminate le sor- genti di errore dipendenti dalla diversità di condizioni, nelle quali generalmente la persona e 1’ occhio dell’ osservatore suddetto viene applicato a queste due distinte operazioni. A questi vantaggi poi è da aggiugnersi quello della grande facilità e speditezza colla quale si ottiene direttamente la distanza zenitale delle stelle , senza bisogno di altre corre- zioni , che quella piccolissima richiesta dalla rifrazione at- mosferica. Nè certamente è da disprezzarsi poi 1’ altra favorevole circostanza di avere durante 1’ osservazione 1’ orizzonte a mercurio difeso dall’ influenza del vento , e dalle altre cau- se di oscillazione, che generalmente si presentano nella camera di osservazione, qualora siasi costretti di collocare in essa 1’ orizzonte suddetto. A questi vantaggi si oppone però un inconveniente, ed è quello di avere la . parte del cielo più vicina al zenit co- perta dal corpo del cannocchiale; il che limita il campo delle osservazioni ad una certa distanza dal zenit; dimodo- ché a seconda delle dimensioni della montatura del cannoc- chiale , e della profondità alla quale può sotto il medesimo collocarsi 1’ orizzonte a mercurio , 1’ osservatore è impossi- bilitato ad osservare le stelle che passano al zenit, od alla distanza di pochi minuti del medesimo. 220 Lorenzo Respighi A questo inconveniente però si può in gran parte prov- vedere col dare al corpo del cannocchiale la forma più con- veniente per ridurre al minimo la parte di meridiano da esso coperto attorno al zenit, e col collocare questi strumenti nei luoghi dove si possa ottenere una sufficiente distanza tra P obbiettivo e P orizzonte a mercurio. Lo strumento dei passaggi può essere collo stesso metodo usato per determinare con molta facilità e sicurezza il tem- po nei luoghi di latitudine geografica inferiore ai 40° o 45°, pei quali anche le stelle culminanti presso il zenit hanno un moto apparente abbastanza rapido, per potersi determi- nare colla dovuta approssimazione P istante del loro passag- gio meridiano. Infatti facendo coincidere il filo medio o meridiano colla sua immagine riflessa dall’ orizzonte a mercurio, lasciando lo strumento immobile in questa posizione si potrà osser- vare il passaggio della stella riflessa dalP orizzonte stesso a ciascun filo del micrometro , e dedurre quindi coi soliti metodi P istante del passaggio meridiano, il quale riescirà indipendente dagli errori della linea di fiducia, di azimut e di livello, e da tutti gli altri errori dipendenti dalla ine- satta costruzione delle parti fondamentali dello strumento. È poi focile di vedere che , tanto per le osservazioni delle distanze zenitali quanto per la determinazione del tempo nel modo sopra indicato, non è necessario lo strumento dei passaggi, potendo a ciò bastare un semplice cannocchiale munito di piccoli movimenti secondo il meridiano e secon- do il primo verticale. Se non che lo strumento costrutto a modo di quello dei passaggi sembra prestarsi più conve- nientemente per ottenere una maggiore stabilità , un modo più facile di rettifica , e maggiore speditezza di uso per le osservazioni delle stelle , tanto dalla parte del Nord quanto da quella del Sud. Volendo dare allo strumento la forma di strumento dei passaggi, se ne potrà rendere però la costruzione più leg- gera e snella di quella degli ordinari strumenti meridiani, non essendo in esso temibili gli effetti di flessione nel tu- bo, dovendosi usare il medesimo in direzione verticale, o prossimamente verticale. OSSERV. CIRCUMZENITALI DELLE STELLE 221 Lo strumento, costruito in questo modo, potrà applicarsi alle osservazioni per riflessione delle distanze zenitali delle stelle , collocandolo a guisa di strumento Est-ovest ; ed anzi in questa nuova disposizione potrà usarsi anche per le os- servazioni delle stelle che culminano al zenit , a vicinissime ad esso. Infatti verificata nei fili del micrometro la perpendicola- rità al meridiano, se uno di essi si farà coincidere colla sua immagine, si otterrà nello strumento la posizione del nadir; e se una stella, vicina al suo passaggio meridiano, riflessa dall9 orizzonte a mercurio , posto secondo il solito a conveniente profondità, entrerà nel campo del cannoc- chiale , collimando su di essa il filo mobile , tenendo conto dell’ angolo orario , ovvero del tempo che ancora manca al passaggio meridiano, si potrà colle note formole ricavare la pìccola variazione che nella distanza zenitale si produr- rebbe nel tempo stesso , ed applicandola alla distanza ango- lare del filo mobile al filo fissato sul Nadir, si avrà dalla loro differenza la distanza lenitale della stella al passaggio meridiano. Quando l’ immagine della stella, dopo il passaggio meridiano , ricomparirà nel campo del cannocchiale si potrà poi ripetere 1’ osservazione , ed ottenere cosi una nuova de- terminazione della cercata distanza zenitale. Per questo mo- do di osservazione tornerebbe però opportuno che il movi- mento dell’ oculare si potesse effettuare nel senso del pri- mo verticale, per ottenere secondo il medesimo maggiore estensione nel campo del cannocchiale, onde potere più facilmente osservare la stella prima e dopo il passaggio meridiano. Nel modo secondo cui viene generalmente usato lo stru- mento del primo verticale si richieggono due inversioni in ogni osservazione per eliminare la distanza di ciascun filo dal primo verticale e per ottenere indipendentemente da questa , e col solo dato degli angoli orari corrispondenti al passaggio della stella per ciascun filo , il valore della lati- tudine del luogo per mezzo della nota declinazione della stella, o viceversa il valore di questa, quando sia noto quello della latitudine. 222 Lorenzo Respighi Senza tener conto degli inconvenienti , che difficilmente si possono evitare nel rovesciamento delle macchine molto delicate e di grandi dimensioni , si può a ragione temere deli’ esattezza dei risultati, essendo questi interamente ap- poggiati sulle indicazioni del livello, alle quali difficilmen- te si può accordare il grado di fiducia richiesto da queste delicate ricerche. Ad escludere dalle osservazioni nel primo verticale l’ uso del livello, Airy proponeva di osservare la stella in cia- scuno dei due passaggi nel primo verticale prima diretta- mente, e poscia per riflessione sull’ orizzonte a mercurio, invertendo ad ogni osservazione lo strumento. Ciò eviden- temente richiede tre inversioni e grandi movimenti nel cannocchiale, in forza dei quali si rendono più temibili delle alterazioni nella forma e nella posizione dello stru- mento, senza lasciar modo di constatare se nei risultati delle osservazioni si debbano per questo riguardo applica- re correzioni ed in quale misura. Con questa proposta Airy però non intendeva che a togliere nell’ uso dello strumento nel primo verticale uno dei principali inconvenienti , senza pretendere poi di eli- minare le altre sorgenti di errore, che egli principalmen- te ha fatto rimarcare nell’ uso ordinario di questo stru- mento. Il cannocchiale zenitale, costrutto nel modo superior- mente indicato, e disposto secondo il primo verticale, po- trebbe essere utilizzato come strumento del primo verticale, col vantaggio di rendere le osservazioni indipendenti, tanto dalla pericolosa operazione del rovesciamento , quanto dal- F incertezza delle indicazioni dei livelli , determinando di- rettamente per mezzo del micrometro la distanza del primo verticale ai fili ad esso paralleli attraversati dalla stella. Infatti supponendo il micrometro fornito di più fili fissi e di uno mobile, paralleli al primo verticale, e supponendo misurate le loro distanze relative, diretto il cannocchiale sull’ orizzonte a mercurio, si potrà ottenere la determina- zione del primo verticale facendo coincidere il filo mobile colla sua immagine riflessa dall’ orizzonte suddetto, e si OsSERV. CIRCUjVTZENITALI DELLE STELLE 223 potrà quindi dalla sua distanza coi fili fissi ottenere la distanza di questi dal primo verticale. Ciò fatto, dirigendo convenientemente il cannocchiale per osservare la stella per riflessione nel suo passaggio sulla parte centrale di ciascun filo, e determinato per mezzo dell’ orologio 1’ an- golo orario corrispondente a questo passaggio , si avranno tutti i dati necessari per ottenere colla osservazione a cia- scun filo la latitudine del luogo pér mezzo della nota de- clinazione della stella, e viceversa questa quando sia no- ta la prima. Usando in questo modo lo strumento, escluse le principali sorgenti di errore, le altre che tuttora po- trebbero in esso supporsi sarebbero comuni anche agli strumenti del primo verticale usati nel modo ordinario. L’ immobilità dello strumento durante le osservazioni , o i movimenti che per avventura potessero in esso pro- dursi, si potrebbero constatare e misurare, determinando nei momenti opportuni la posizione del nadir colla rifles- sione del filo mobile sul mercurio. Senza pretendere di considerare questo modo di osser- vazione al primo verticale, come il più opportuno, mi sembra però che esso presenti, su quelli finora usati , van- taggi non dispregevoli , e tali da far sperare nei risultati delle osservazioni un maggior grado di approssimazione. Pag. 216 lin. 26 dall’Almanacco Nautico e Tavole di riduzione di Wolfers Errata Corrige di Londra Astr. Jahrbnch 1861 ) DI TRE CELOSOMI UMANI ( CELOSOMIENS ISID. GEOFFROY SAINT-HILAIRE ) NOTABILI PER RISPETTO ALLA T0C0L0GIA ED ALLA D1STRIRUZ10NE TERATOLOGICA DI COTALE FAMIGLIA DI MOSTRI wmm DEL PROFESSORE CAV. LUIGI CALORI (Letta nella Sessione 6 Novembre 1862.) Argomento all* odierno mio favellare hanno dato tre mo- stri Gelosomi umani nati nel verno del 1858, il quale come ognun sa, fu appo noi rigidissimo ed universalmente avverso alla salute degli uomini , massime poi delle parto- rienti e delle puerpere , non essendovi per confessione de- gli Ostetrici state fra queste se non poche che non aves- sero avuto più o meno gravi sconcerti , e pericolosissime ed anche mortali infermità, e fra quelle quasi veruna, cui non fossero stati necessari gli ajuti dell’ arte. Sicché le in- cinte se n’ erano ragionevolmente messe in apprensione, la quale più e più cresceva in grazia de’ casi funesti onde si andava vociferando , e pef 1’ apparire che pur di qjiando in quando facevano de’ mostri , che il volgo, non dissimil- mente che ne’ tempi più superstiziosi , mostravasi inclinato a credere derivassero dal maligno aspetto di alcun pianeta , e se ne conturbava la mente , molto più che tali portenti , per quanto mi è a contezza , non mai , siccome allora , spes- seggiarono nella nostra Provincia. De’ quali mostri il mag- gior numero fu degli Unitari , pertinenti alla famiglia degli t. ir. 29 Luigi Calori Aneneefalici e degli Exencefalici, e tre a quella de’ Celo- somi, i soli che mi è parso meritino particolare menzione non tanto rispetto alla mostruosità in se stessa , quanto ri- spetto all’ Arte Ostetrica , ed alla distribuzione degli esseri che ne compongono la famiglia stabilita dal Signor Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire nella sua Teratologia (1). E innanzi tratto dirò che i tre celosomi de’ quali terrò proposito , appartengono alla seconda sezione della predetta famiglia , ed a ciascuno de’ generi che tale sezione compon- gono, cioè uno al genere Pleurosomo e gli altri due al Celosomo , genere cosi denominato come per eccellenza. Il Pleurosomo è , oltre la Pleurosomia , singolare per un volu- minoso tumore nel lato sinistro del cranio , e per due trombe nasali aperte al di sopra delle orbite : lo che mi suggerisce un epiteto per contrassegnarlo , e lo chiamerò Pleurosomus dirhinus. I due Celosomi poi sono di quelli che V Illustre nostro collega Antonio Alessandrini denominò imperfetti (2), ma tali che alla semplice ispezione esterna rassembrano due Agnesomi. Questo accopiamento dei caratteri di due generi mostruosi pertinenti V uno alla prima , V altro alla seconda sezione della famiglia dei Celosomi, è senza fallo un gran difetto , cui però le altre distribuzioni metodiche non sop- periscono. E per verità quella del Gurlth che oggi è una delle più in onore , non ne giova certamente all’ uopo ; im- perocché nel genere Schistosomi^ , sotto il quale cade il S. Schistoepigastrico-Sternalis che corrisponde ad un Celo- somo perfetto (3) , vengono da lui compresi anche i sem- plici sventramenti e le altre aperture anormali del tronco, e quantunque egli indichi e delinei alcuni altri Celosomi, non ne distingue tuttavia la famiglia che è pur distintis- sima. Nè di maggiore ajuto ci è la sontuosa opera di Adolfo Guglielmo Otto (4), comechè in essa non pochi Celosomi (2) Novi Commentarli Acad. Scient. Instit. Bonon. Tom. Vili. p. 25. (3) Leherb. der Path. anat. der Haus-Saeugethiere Tom. II. Berlin 1832. {4) Monstrorum sexcentornm descriptio anatomica. Vratislavi» 1841. Di tre Celosomi umani 227 siano descritti e dimostrati. Laonde è giuocoforza attenersi alla classificazione dell’ autor parigino , nella quale poi quel difetto avvegnaché imbarazzante e svantaggioso, può non- dimeno convertirsi in utilità; imperocché dall* accoppiamento del genere Agnesomo col Celosomo , o sì vero da una rag- guardevole anomalia strettamente legata coi vizi costituenti il primo de’ generi indicati , si trae facilmente un aggiunto per distinguere la specie. E nel caso nostro P Agnesomia è in uno di que’ due Celosomi consociata ad imperfetta extrofia della vescica orinaria, nella quale oltre P uretere mettono capo gli intestini , e s’ impiantano le parti genitali , però atretiche , sicché vi ha una specie di cloaca ombellicale ; e nell’ altro P Agnesomia è congiunta ad assoluta mancanza de5 naturali orifizi del tronco. Dalle quali particolarità si ha bene onde differenziarli , perchè ne farò due specie distin- te, alla prima delle quali imporrò la denominazione di Celosomus cloacarius ed alla seconda quella di Celosomus Atretostelecus. Ciò premesso, vengo subito alla particolare descrizione dei tre mostri divisati. Specie l.a Pleurosomus dirhinus nobis. (Tav. 1 alla 4 inclusive) L’ Eccellilo Sig. Dott. Cesare Belluzzi m’ inviava addì 20 Febbraio 1858 questo mostro, ed in appresso la storia, che qui mi faccio a recitarvi. = Fui chiamato (così il Belluzzi) addì 16 febbraio cor- rente a 9 ore di notte da una giovane primipara in sopra- parto , la quale aveva da 20 ore circa le doglie preparato- rie che allora appunto cominciavano ad essere discrete. Fatto il debito esame col dito introdotto in vagina, ed esplorato P addome e colla mano e colla vista, ebbi subito conosciuto essere la bocca dell’ utero molle , ma poco dilatata , il collo quasi scomparso, niuna delle membra fetali per ancora ri- scontrabile, ed il volume di esso utero non di gravidanza a termine, ma di settimestre od ottimestre, siccome già i computi della donna tuttavia confermavanlo. Il feto poi senza Luigi Calori ci fosse angustia di pelvi r sporgeva nell’ imo ventre sopra il pube alquanto più non sarebbe convenuto, massime a rispetto dell5 indicato periodo di gestazione , ed ascoltando ad ultimo sotto 1’ ombellico percepivasi il doppio battito del cuore del feto, battito però assai debole, ma nessun soffio della placenta. Continuando le contrazioni uterine, e dilatatasi conve- nientemente la bocca dell’ utero, formossi la borsa delle acque , ma il feto non pertanto avanzava ; lo che metteva- mo in sospetto di un impedimento per mala posizione di lui. Insorte poscia quelle contrazioni con maggior vigoria, ecco le acque fluire, non però in molta copia, e rinforzan- do anche più le contrazioni medesime ecco alla fin fine il capo del feto nella escavazione. Il quale capo essendo pic- colo non davami ragione di quel suo tanto indugiare a di- scendere ed aggiungere il dito che erane andato in traccia. Ma volendo pur conoscere qual parte del capo rispondesse alla punta del coccige siccome a centro del fondo del baci- no conforme gli insegnamenti del dottissimo ed espertissimo Collega Cav. Prof. Giambattista Fabbri (1) , mi accorsi con sorpresa che in luogo delle regolari suture e fontanèlle tro- vavasi nel vertice di quel capo una grande lacuna per dif- fetto delle ossa. Essendovi in questo parto qualcosa fuor dell’ ordinario, allorché il vertice fu tra le grandi labbra , scuoprii la donna per seguir anche colla vista 1’ ultimo periodo della espul- sione del capo medesimo , il quale dopo alquante contra- zioni si mostrò fino ai sopracigli col diametro fronto-occi- pitale corrispondente al trasverso del distretto inferiore della pelvi , e con la fronte volta alla destra coscia della madre. Fra la tempia sinistra del feto e V angolo formato dalla com- messura inferiore della vulva osservavasi poi, e meglio sen- tivasi col dito una tumidezza unita sorgere dal capo stesso, la quale tumidezza mediante il dito introdotto nel retto (1) Memorie dell’ Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna Tom. VII. pag. 133. Di tre celosomi umani 229 riscontravasi di grande e ragguardevole volume, e ripiena come di liquido. Incalzando le contrazioni uterine uscì finalmente il ca- po , le cui mostruosità non so dire come mi fossero mara- vigliose , ma il tumore rimaneva dentro , ed erane causa il non essere ben pieno , ed il sorgere eh’ esso faceva dal capo con base stretta , onde a questo era stata fatta abilità di avanzarsi pel primo , e svilupparsi completamente. Intanto a strigare anco il tumore, poneva un dito al di sotto della nuca ed un altro sotto il mento, e con facilità lo condu- ceva fuora, e trovavalo di mole se non superiore, sì cer- tamente eguale a quella della testa cui era annesso. In po- che altre contrazioni uterine esci il tronco , mostruoso an- eti’ esso , poi gli arti inferiori insiem colla placenta. Io non istarò a descrivere le mostruosità di questo feto , lasciando questa parte tutta a carico di lei , che già le ha sotto gli occhi. Dirò solo , che quantunque siano straordi- narie e piene di maraviglia , lo sono tuttavia poco in con- fronto dello stupore e del quasi ribrezzo che fecemi il ve- dere la vita manifestarsi in un ammasso così informe con movimenti e conati di respirazione per circa 20 minuti, durante i quali la mano applicata alla regione cardiaca non mi avvertì di alcun battito , ed il tumore del capo non mi presentò nè pulsazioni , nè quei movimenti , che nella in- spirazione è detto effettuarsi nell’ encefalocele. L’ interesse non lieve di questo fatto mi fece ricercare con diligenza 1’ anamnesi all’ oggetto di scoprire , se fosse stato possibile , alcuna ragione della mostruosità. Ecco quan- to credo a proposito di notare. La giovane primipara non aveva ancora compiuto il quinto lustro, ed era di statura piccola anzi che nò; ma nessun vizio della colonna vertebrale, nè della pelvi ella aveva. A tredici anni diventò pubere , e la mestruazione , benché non avesse mai reso molto abbondevol mente , corse tuttavia regolare, da sei mesi infuori, che fu soppressa in grazia di una tosse pertinacissima, che quantunque fie- ramente la travagliasse, non pertanto la costrinse mai a cessare da’ suoi servigi che erano di cameriera. 230 Luigi Calori Da due anni aveva abbandonati questi servigi , ma qual- che giorno della settimana recavasi quando in una quando in altra casa a stirare e soppressare biancherie, pel quale uffizio dovendo stare lungamente in piedi, e molto affati- candosi ne aveva risentita , massime nella state , grandissi- ma molestia. Del resto lungo la gestazione non fec5 ella veruna caduta , nè riportò alcuna percossa sull5 addome , circostanze molto valutate in simili casi. Non tacerò che il padre del mostro, avendo un braccio ed un occhio di- fettoso in grazia del vaiuolo, eh5 egli aveva patito da fan- ciullo , non fu mai a lei di disgustosa impressione , tanto che non avrebbesi potuto sospettare che il feto avesse da ciò ricevuto nocumento. Lo che poi veniva confermato dal considerare , eh5 egli da altra donna , di cui alcuni anni innanzi era rimasto vedovo , aveva già avuto una fanciulla , che nessuna menda offeriva nel suo corpo, ed era piena di vita e di salute. Ebbe la sua ultima mestruazione nel Giugno del 1857 e da indi in quà sospettò di essere gravida. Da principio provò le solite nausee, i soliti vomiti ec. : appresso dolori all5 ipogastro , e tale una lassezza di tutto il corpo , eh5 era costretta a giacere: negli ultimi mesi ai travagli dello sto- maco si aggiunsero granchi. Sentì sempre i moti del feto avvegnaché languidi , nè mai le crebbe il ventre a gran volume. Non mancò ne5 primi mesi il turgore e l’aumento delle mammelle, d5 onde poi un gemitio d5 umore che ba- gnavate la camicia. Finalmente il puerperio della giovane corse regolare. Da questa storia, che alcuno reputerà forse troppo lun- ga, traesi: 1 . ° « che il tumore del capo fu cagione onde il feto sporgesse dallo addome più di quello sarebbe convenuto , atteso il poco sviluppo del feto medesimo. 2. ° « che esso tumore operò che il capo indugiasse trop- po a rendersi sensibile alla esplorazione interna , essendosi presentato al distretto superiore con diametri maggiori a quelli della pelvi » 3. « che l5 esplorazione per l5 ano siccome approda la Di tre Celosomi umani 231 diagnosi delle presentazioni nel parto, così col dito esplo- ratore ivi introdotto può recare qualche aiuto alla donna nell’ ultimo periodo della espulsione del capo ; senza che in certi casi patologici come nel descritto , è valevolissi- ma a farneli meglio conoscere , ed in fine può agevolare lo sgravio ». Il Pleurosomo di cui ho riferita la storia tocologica, è delineato grande al vero nelle Tav. 1 , 2 , 3. È maschio e veramente piccolo per essere ottirnestre, e tutto piegato col tronco a sinistra , sicché ne appalesa una forte scagliosi del dorso. I visceri chilopoetici ed una parte degli uropoe- tici offronsi a nudo, essendo 1’ addome largamente aperto a destra ; apertura che si estende pure al torace del me- desimo lato fino all’ ascella. I quali visceri sembra non siano mai stati ricoperti da nessun velame chè per alcuna ragione siasi lacerato e distrutto; imperocché gli orli che circoscrivono quell’ apertura , non ne mostrano il più pic- colo indizio ; che anzi ne fan fede del contrario presentan- dosi regolari , senza lacerazioni , lisci. L’ addome è angusto e corto; e similmente il torace, il quale è per soprappiu spinto a destra, e così adimato a sinistra che colla sua base tocca quasi 1’ anca corrispondente. Al lato destro del torace è conglutinata la regione bracchiale dell’ estremità superiore destra , la quale è meno lunga e più gracile del- la sinistra, ed ha 1’ avambraccio piegato e sollevato, e la mano stretta applicata contro 1* occhio. Alla regione brac- chiale anzidetta ed. alla spalla che le appartiene, aderisce F amnio mediante la grande briglia e3 e, e Tav. 1, 2. Nella estremità superiore sinistra non vi ha di anomalo che la grande depressione della spalla , effetto della sco- gliosi e dei vizi del torace, ed hannovi le dita medio ed anulare lateralmente piegate colle ultime falangi, e so- prapposte. Gli arti inferiori offrono i piedi torti allo in- dentro, e sono lunghi egualmente, benché appaia esser- lo meno il sinistro, e ciò perchè la pelvi da questo lato sale alcun poco verso la base del petto. Quanto al ca- po , criptocefalo è il mostro , e porta 1’ enorme tumore 25 Tav. 2, in un colle particolarità della volta del era- 232 Luigi Calori nio divisate nella storia surriferita. Nella faccia Tav. 1, 2, 3 la bocca è piccola , ed aperta col labbro superiore in su tratto, e si para innanzi la lingua: punto di naso se non è il leggier tubercolo 19 , da5 cui lati muovono due pieghe cutanee che ascendono alla fronte , ed ascendendo diver- gono, e prolungansi allo esterno sopra le orbite descriven- do un arco , e convertendosi nelle due trombe 20 , 22 , aperte in 21, 23. La tromba sinistra 22 è più lunga e più angusta della destra 20, e mediante il cordone cuta- neo 24 si reca alla base del tumore, dalla parte superio- re della quale sorge 1* appendice cutanea 246 in forma di dattero schiacciato , cui quel cordone congiugnesi. Queste due trombe sono come due nasi rovesciati e tratti in al- to, e posti da ciascun lato della fronte al di sopra degli occhi , e costituiscono una mostruosità che è perfettamen- te il contrario di quella de’ Rinocefali. Gli occhi sono pic- coli ed alquanto più laterali dell’ ordinario , colle palpebre chiuse, e prese da fimosi. Finalmente il funicolo ombeli- cale f Tav. 1 , 2 , è brevissimo sì che tiene la faccia fetale della placenta applicata al mostro , ed in contat- to coi visceri a nudo ; il quale funicolo si compone poi nel groppo o nodo libero g Tav. 2, lungo da due pol- lici , nel quale per essere turgide di materia iniettata rilevano le torsioni de’ vasi ombelicali , onde tal grop- po o nodo è formato. L’ amnio come mostra la Tav. 1 abbraccia in una sua duplicatura il principio del funicolo, la quale prolungandosi alquanto oltre il funicolo stesso di- vide come in due grandi cellule fra loro comunicanti la cavità dell’ amnio medesimo, una delle quali cellule sem- bra data per ricetto ai visceri chilopoetici a nudo ed agli arti inferiori , e V altra al restante del corpo. Esso amnio, come notai , aderiva alla spalla ed al braccio destro , e passava nell’ ascella per penetrare nel torace ed attaccarsi al pericardio. La placenta era bastantemente voluminosa a rispetto della età del mostro. Stando a quanto appariva allo esterno e senza dissezione di sorte, non si sarebbe giudicato di mostro Pleuroso- mo, ma tagliati i comuni integumenti e levati i muscoli Di tre Celosomi umani 233 addominali , come nella Tav. 3 , la cosa cambiava di fac- cia; perocché nella regione toracica si vedeva subito il cuore v trasportato a destra nell9 ascella , non protetto nè da ossa nè da muscoli , e sol coperto dalla pelle e separa- to dallo addome per il diaframma 12. Esso cuore v era avvolto nel suo pericardio, al quale aderiva la larga bri- glia amniotica e 3 e, recantesi nell9 ascella per aggiugnerlo. Il cuore coèì spostato aveva tratto seco lui la glandola ti- mo 9 , e nascondeva il polmone destro spinto contro la colonna vertebrale ed a sinistra ; il quale polmone era pic- colo , rosso cupo , ed ingorgato di sangue , nè mostrava di avere non dirò respirato, ma neppure iniziata la respira- zione. Il polmone sinistro , di cui apparisce una porzion- cella in 8, era più voluminoso, men rosso e meno turgido, portato in avanti e verso destra. Per prove fattene parve che esso altresì non contenesse aria. Lo che non cessa però che il mostro non avesse eseguiti que9 moti o conati di respirare, dei quali fu discorso superiormente. La cavi- tà dello addome era quasi ridotta a niente, e non racchiu- deva che il retto, il rene sinistro 2, la vescica orinaria 3, i reni succenturiati , il testicolo sinistro 5 situato davanti al rene anzidetto, e presso la grande apertura addominale, ond9 erano esciti lo stomaco, il fegato, la milza, l9 in- testino tenue ed il crasso, non che il rene destro t Tav. 1 , cui è soprapposto il particolare corpo w, il quale sem- bra tener luogo del testicolo destro mancante, e che mi- croscopicamente studiato ne ha offerto molte cellule adipo- se, e qualche tubolo da aversi come residuo degli intesti- noli ciechi dei corpi di Wolff. Noterò infine che l9 ap- pendice vermiforme ì Tav. 3 si appicca all9 orlo sinistro ed anteriore & Tay. 2-3 dell9 indicata apertura mediante la briglia m proveniente dal suo apice. Quanto ai vasi san- guiferi, non ci era di anomalo che la brevità degli ombe- licali, il loro groppo o nodo di cui si è già parlato, e l9 esistenza di una sola arteria ombelicale che era la de- stra 14, 14* Tav. 3. Quest9 arteria, date le iliache primarie, prolungavasi nell9 aorta discendente , da cui nascevano nor- malmente tutte le arterie de9 visceri chilopoetici , degli t. ii. 30 234 Luigi Calori uro-poetici e del testicolo sinistro , non che le lombari e le intercostali ec. L9 origine dell’ aorta dal cuore era pur normale, e similmente dell’ arteria polmonale, ed amen- due queste arterie comportavansi nel loro corso e distribu- zione come di solito. Dal cambiamento di posizione in fuo- ri il cuore non presentava altro di notabile, e nulla di particolare scorgevasi nelle vene. Il voluminoso tumore 25 Tav. 1,2,3 sorgente dal lato sinistro del cranio era di un colore rossastro , elastico e fluttuante, ma di fluttuazione oscura e profonda. Apertolo come nella Tav. 3 trovavasi del sangue effuso e rappreso sì entro lui come tra le membrane , che il comprendevano , e che se ne erano altresì imbevute. Questo tumore appariva dunque essere sanguigno, ma rimossa una parte dei grumi avvisavasi tosto non essere del tutto tale, chè dalla base fin oltre la metà mostrava un’ altra natura siccome quello che era encefalocefalico , ed idrocefalico ad un tempo. La parte sanguigna veniva specialmente costituita dal grosso gru- mo 31 , e da un velo che copriva la grande vescica 30 che rappresentava la parte encefalo-idrocefalica, formata da una sottile membrana di sostanza encefalica assai molle ed ap- pena coerente piena di un umore o linfa torbida. Questa vescica per un’ ampia apertura del lato sinistro del cranio comunicava con la cavità del medesimo e continuavasi col- P emisfero cerebrale sinistro. Per la stessa apertura erano esci te le meningi ad avvolgerla, in un col grumo suddetto e la dura madre 27 era in contatto colla pelle 26 del tu- more, ed amendue avevano in comune i vasi sanguiferi. Dietro tuttociò il tumore non poteva essere significato che per un’ ernia encefalica con accompagnamento di un9 enorme idropisia, e con effusione sanguigna, e in grazia di que- sta non meno che di quella era desso cresciuto a tanto vo- lume. E benché fosse idrocefalico , non dee recar maravi- glia , se cotal tumore non pulsazioni , non cangiamenti nelle inspirazioni com9 è detto nella storia riferita, mostrasse ; im- perciocché è anco notato in quella essere stati impercetti- bili i moti del cuore , e per la necroscopia si è fatto f>a- lese che il mostro non aveva veramente respirato ; le quali Di tre Celosomi umani 235 due condizioni come ognun sa sono indispensabili , onde si mostrino que9 fenomeni. Aperto poi il cranio trovavasi la massa encefalica piccola. Il cervello propriamente detto ol- tre la picciolezza , era notabile per essere assimetrico , e senza circonvoluzioni : la sostanza n9 era più dell9 ordinario molle. L9 emisfero cerebrale sinistro giaceva obliquo , massime po- steriormente ov9 era anche più piccolo, e rassembrava una vescica a pareti più sottili di quella del destro ; ed insi- nuato entro l9 anomala apertura del cranio suddivisata an- dava a continuarsi colla vescica idrocefalica del tumore. Amendue gli emisferi erano fluttuanti, ma vieppiù il sini- stro ; lo che unito alla maggior sottigliezza delle pareti di questo faceva vedere essere l9 idrocefalo stato maggiore nel lato del tumore. I ventricoli laterali molto dilatati, massi- me il sinistro, contenevano de9 plessi coroidei grossi, pol- posi e pallidi , e come sospesi nell9 abbondante umore che quelli capivano. I corpi striati erano piuttosto piccoli, e meno, e più conformi a volume normale i talami ottici. Il corpo calloso era posteriormente incompleto, e le pro- minenze quadrigemine , qui bigemine , assai grandi e rag- guardevoli, ed altresì discoperte. Largo il terzo ventricolo, che lor rimane davanti , come pure l9 acquedotto del Silvio. Quanto al cervelletto, alla midolla allungata, al nodo ec. nulla di notabile , se non era una certa picciolezza del pri- mo. Rispetto poi ai nervi cerebrali, mi fu impossibile rav- visare gli olfattorii , e trovai gli ottici normali , quantun- que il bulbo degli occhi fosse piccolo, il quale però dalla picciolezza infuori non aveva niente d9 insolito, se non era la pupilla ancor chiusa da una membrana pupillare così svi- luppata e vascolosa come nel feto quinquemestre. Finalmente le due trombe nasali avevano una cavità tubolare piuttosto stretta , che terminava a fondo cieco verso il canto interno dell9 occhio , ed era soppannata da una membrana mucosa molle , fra cui e la pelle trovavasi nella tromba sinistra esternamente ed anteriormente una cartilagine ripiegata a mo9 di doccia , mentre nella destra non ci era sostanza car- tilaginea che intorno al suo orifizio. La muscolatura del Pleurosomo presentava altresì qual- 236 Luigi Calori cosa di anormale. Mancavano affatto i muscoli addominali destri , e solo in corrispondenza della regione iliaca ed in- guinale del medesimo lato occorreva una robusta aponeu- rosi che inferiormente formava l5 arcata crurale , e conti- nuavasi colla guaina aponeurotica del muscolo retto addo- minale sinistro descrivendo un arco all* orlo anteriore del- l5 apertura, onde i visceri chilopoetici, ed uropoetici de- stri esci vano di cavità. I muscoli addominali sinistri esi- stevano ed erano assai grossi e robusti, ma corti come retratti. In questo lato stesso il muscolo psoas 13 Tav. 3 era di enorme grossezza, ma breve, e similmente il qua- drato dei lómbi, mentre dall5 altro lato erano questi stessi muscoli gracilissimi, ma molto più lunghi. A destra non mi fu dato di scorgere veruna traccia del muscolo gran dorsale, del serrato posterior inferiore, non che la metà inferiore circa del cuculiare, e rimaneva scoperto il mu- scolo romboideo grande. Non grande serrato, non piccolo pettorale , non succlavio , e di grande pettorale la sola por- zione 1 1 rinvenivasi , la quale traeva dal manubrio dello sterno e dalla clavicola. I muscoli anteriori del braccio e dell5 avambraccio destro erano retratti. Non meno anomalie nè mancamenti offriva il sistema osseo. La colonna vertebrale fig. 4 Tav. 4 era nella regione del dorso fortemente piegata a sinistra descrivendo un arco colla concavità volta da questo medesimo lato, per la quale scagliosi le costole corrispondenti si accostavano oltremodo fra loro, ed ancora toccavansi, massime nella parte supe- riore posteriormente, e sì venivano meno gli spazi interco- stali, e per conseguente ivi pure i muscoli del medesimo nome , e la parete toracica o costato sinistro riusciva cor- tissimo. Anteriormente le costole erano a debite distanze fra loro e salivano , e le vere colle loro cartilagini di pro- lungamento andavano ad inserirsi nello sterno. Queste co- stole non mostravano tutta la dicevole obliquità, ed arcua- zione ma tendevano ad essere orizzontali , e dritte. Lo ster- no si era portato tutto a sinistra, ed era assai corto ed imperfetto, constando del manubrio, e di una porzione di corpo, la quale appariva triangolare, e ne rappresentava Di TRE CELOSOMI UMANI 237 la sua metà sinistra. Nel manubrio si era formato un nu- cleo osseo vicino al cor{>o ed al suo lato destro. Le costole destre erano quasi tutte monche al loro terzo posteriore circa, massimamente le vere e le spurie superiori, nè ve- runa aggiugneva lo sterno , ma colla loro estremità esterna od anteriore articolavansi insieme. Il quale diffetto, e in un quello della muscolatura suddescritto originava un gran vano od apertura coperta anteriormente dai comuni inte- gumenti soltanto , la quale apertura metteva nelP ascella destra e continuavasi con quella dell’ addome. Col manubrio dello sterno erano articolate le due clavicole, la destra delie quali era un po’ più lunga della sinistra, ma le altre ossa della estremità superiore destra erano tutte un po’ men lunghe e più gracili di quelle della sinistra. Darò fine a questo cenno osteologico toccando alcuna cosa del teschio. Il quale è piccolo ed assimetrico, massi- mamente nella regione cranica , alla sinistra di cui , e pre- cisamente nella metà posteriore dell’ osso parietale corri- spondente occorre 1’ ampio forame a fig. 5 Tav. 4, dal quale esciva 1’ emisfero cerebrale sinistro avvolto dalle meringi a formare il tumore descritto. Questo parietale a differenza del destro era saldato col frontale. Anche le due metà del fron- tale b , b> fig. 4 Tav. 4 erano in gran parte insieme riunite sulla linea media. La porzione lambdoidea s fig. 6, 7 Tav. 4 dell’ occipite era irregolare ed inclinava a destra. Tra que- sta porzione s , i frontali b 3 b > ed i parietali d, e, ci era un grande spazio membranoso, triangolare nella metà de- stra, romboideo nella sinistra, nel mezzo del quale risie- deva il Wormiano *. Nella base del cranio era aperto un forame attraversante da parte a parte il corpo v fig. 7-8, Tav. 4 dello sfenoide posteriore, il quale corpo era saldato col corpo y dell’ anteriore, e colle piccole ale. Il corpo sfenoidale anteriore y si prolungava in un robusto processo che spingevasi in avanti nello incavo & originato dalla man- canza della lamina cribrosa dell’ etmoide e del labirinto etmoidale , e chiuso nel fondo dal processo palatino de’ ma- scellari superiori e dalle porzioni orizzontali delie ossa pa- latine e sui lati dalle ossa z, z, che altro non erano che 238 Luigi Calori residui delle ossa plana in parte riunite alle porzioni orbi- tali de’ frontali , nella destra delle quali porzioni occorreva una sutura armonica ond’ era partita in due piastre ossee, ,]’ anteriore delle quali era più piccola , e distinta per la medesima sutura dalla porzione frontale , tanto che la detta piastra formava come un Wormiano od una isoletta. Il de- scritto incavo era affatto separato dalla cavità del cranio mediante la dura meninge , che gli era tesa sopra a simili- tudine di opercolo o diaframma, dalla cui parte media, non che dal processo del corpo dello sfenoide anteriore , sorgeva la gran falce cerebrale che inclinava a sinistra. Nella regione facciale del teschio, notabilissimi sono i mascellari supe- periori i , k fig. 4 Tav. 4 per 1’ enorme larghezza delle loro apofisi nasali che erano sulla linea media insieme articolate per cartilagine interposta, sicché aveasi una sinfisi o sin- condrosi in luogo della sutura con cui elle si articolano col lembo esterno de’ nasali , i quali in grazia di quell’ anomala articolazione venivano esclusi dal loro posto , e trasportati sopra le indicate apofisi nella regione inferiore della fronte ove li vedi in m , />* nuovo sito corrispondente al cieco fine delle trombe nasali superiormente descritte. Oltre i na- sali , a destra particolarmente , aveanvi i frammenti ossei n pertinenti alla tromba del medesimo lato. Non vomere poi, non turbinati inferiori mi fu dato di rinvenire , onde che di scheletro nasale non ci erano che le parti ossee divisate. Ma non più parole intorno a questo teschio; chè a vie meglio particolareggiarlo bastano le figure che ne ho date ad illustrazione; dalle quali pur traesi, quanto fossero scarsi i suoi diametri a comparazione di quelli del teschio di un feto normale della medesima età , sicché avrebbesi agevol- mente potuto operarsene il parto senza 1’ intervento della mano chirurgica, quando non ci fosse stato 1’ ostacolo di quell’ enorme tumore come già nella storia premessa a que- st’ anatomia fu dichiarato. E detto a sufficienza del Pleu- rosomo dirino , passerò alla descrizione delle altre due spe* eie di Gelosomi superiormente indicati. Di tre Cklosomi umani 239 Specie 2.* Celosomus cloacarius nobis. (Tav. 5 , 6) * Ebbi questo Celosomo addì 8 Febbraio 1858 dal Chia- rissimo Collega Cav. Prof. Francesco Rizzoli, cui fu inviato dalla Mezzolara coll’ accompagnamento di una lettera dal- 1’ Eccellilo Sig. Dott. Carlo Frascari chiamato ad assistere la partoriente, e giunto sul luogo a parto già compiuto. Si coglie da quella lettera, che il mostro era nato due giorni innanzi poco prima della mezza notte ; che pur due giorni innanzi la nascita erano scolate le acque , ma la donna non partoriva ed era presa da convulsioni ; che aven- do la balia fatta 1’ esplorazione aveva riscontrata una po- sizione trasversa ; che ella perciò mandato prestamente pel chirurgo , in quella che egli accorreva , il parto non ostante effettuavasi pei soli provvedimenti di natura , essendo il mostro escito ripiegato col tronco lateralmente, sicché amen- due i piedi trovavansi in uscendo applicati alla tempia de- stra, ed era escito morto insieme colle secondine; che era novimestre, mal sviluppato e cresciuto; che fino allo scolo delle acque la madre ne aveva ben sentiti i movimenti, e che quindi la morte erane seguita dopo quello scolo. Ho poi saputo , eh’ eli’ era certa N. Albertazzi contadina , di 35 anni circa , robusta e sana , madre di altri figli tuttora vivi e ben conformati, e che in questa ultima gravidanza nulla aveva provato di differente dalle altre capace di far- nele presentire una simile disgrazia. Il mostro co’ suoi inviluppi è ritratto nella fig. 9 Tav. 5. È desso fortemente ripiegato col tronco a destra sì che Y anca del medesimo lato sembra portata verso Y ascella già depressa in un colla spalla dell’ arto toracico corrispon- dente ; ond’ è chiaro che anche in questo mostro vi ha scagliosi come nel Pleurosomo descritto. Il tumore ernia- rio i è enorme, e volge e cade a sinistra. Questo tumore riceve a destra sopra 1’ incavo k, il funicolo ombelicale e s e sorgente dalla placenta a di mediocre grandezza, il quale funicolo è corto e assai magro , non mica libero e nuotante 240 Luigi Calori insiem col mostro entro la cavità dell’ amnio, ma protu- berante entro quest^ stessa cavità non altrimenti che il le- gamento rotondo del fegato , o dell’ utero protuberano en- tro il sacco del peritoneo , e ritenuto dall5 amnio mediante la piega f, (vedi anche fig. 10 Tav. 5) paragonabile ad un legamento sospensorio o falciforme. Dall5 altro lato l5 a- mnio manda il prolungamento o larga briglia g fig. 9 Tav. 5 che si attacca al sacco erniario e lo trae a sinistra. Vedesi nel medesimo sacco in h, h s un5 altra porzione mem- branacea lacerata , la quale è altresì una pertinenza dell5 am- nio che si continua colia pelle. Nella parte inferiore destra del sacco apparisce l5 incavo k, che trovi delineato sepa- ratamente nella fig. 10 Tav. 5, colla porzione di funicolo che gli corrisponde , portata in alto. Tale incavo e la ve- scica orinaria extrofica m3 m, la quale sembra partecipare alla formazione del sacco erniario ; si è a questo conglutinata colla sua parete posteriore ; e F extrofia non è completa , sendo che non manca affatto la parete anteriore di essa ve- scica , e la porzione esistente corrisponde al basso fondo ed al collo di lei continuo con una lunga uretra percorsa dallo specillo **, F orifizio cutaneo della quale apparisce in l. Questo orifizio è V unico che ci abbia , imperocché quelli delle parti genitali e dell5 ano mancano. Nella parete poste- riore della vescica occorrono i due larghi orifizi n, r? 3 i quali a rispetto dell5 apertura che mette nel basso fondo , sono inferiori. Questi due orifizi sono circondati da una cresta ru- gosa nerastra piuttosto lussureggiante , e l5 orifizio » è la foce della estremità inferiore dell5 intestino ileo , dalla quale esce un meconio verde ; l5 orifizio n? quella del cieco , dalla quale punto o poco esce di meconio , il quale poi non è ver- de, ma grigio. I due meconii non avevano potuto confondersi, ostandolo le foci separate dei due intestini; e del verde n5 era escito assai ; imperocché ne erano imbrattati gli in- viluppi ed il mostro, il quale altresì contenevane entro la bocca e la faringe, non che nelle fosse nasali, penetratovi certo anzi la nascita mediante il liquore amniotico, unico veicolo che potesse entro quelle cavità trasportarlo. Sempre nella parete posteriore delia vescica medesima in corrispon- Di tre Gelosomi umani 241 denza del basso fondo si apre un uretere solo , sicché detta vescica rappresenta una specie di cloaca ombelicale , confor- me fu detto , nella quale però non mettono capo ma sempli- cemente aderiscono i condotti genitali, secondo che si vedrà più innanzi. La testa e gli arti del mostro sono normali, se ne eccettui i piedi che sono alcuna cosa torti allo infuori. A questi esteriori caratteri facilmente si avvisa un Agne- somo, ma aperto il sacco erniario come nella fig. 11 Tav. 6, si riconosce subito un Gelosomo ; imperocché con tale apri- mento non solo mettonsi in vista i visceri addominali, ma una parte eziandio de’ toracici , e particolarmente il cuo- re ed il polmone sinistro. Il cuore 37 è avvolto nel peri- cardio che vedi tagliato in croce in 38, e tirato in basso ed a sinistra dal fegato & , & , z , cui è unito mediante il peritoneo, non essendoci quivi il diaframma, che va sen- za quasi tutta la porzione costale sinistra. Esso cuore pe- netra nel sacco erniario con una gran parte della porzione ventricolare , ed il polmone menzionato con circa la sua metà inferiore 22, la quale piega a sinistra sopra il cieco fondo dello stomaco q, e termina in una sottile estremità biforcata 23 , che coi capi o rami del biforcamento con- trae aderenza coll’ orlo dell’ ampia apertura addominale onde i visceri si sono fatti erniosi. Fuori del torace si trova an- che una porzioncella di gianduia timo in 20. Nella cit. fig. 11 Tav. 6 apparisce il fegato , che è voluminosissimo , e forma la maggior parte del tumore , e ne determina la figura , il quale viscere è dal legamento falciforme 3 distinto in due masse assai disuguali , una piccolissima z che corrisponde al mag- gior lobo , o lobo destro , altra molto grande & , & , che corrisponde al minore o sinistro. Questo è come diviso in due porzioni presso che simili di mole mediante il rilie- vo 1 , la sinistra delle quali è alquanto depressa e cava , essendovi una vescica 2 avizzita e vuota dell’ umore eh’ ella conteneva , formata da una sola membrana , e non racchiu- dente echinococchi di sorta , caratteri che chiaramente la dimostrano una semplice idatide o come dicono un’ acefa- locisti o idatide sterile. Dalla quale idatide , o piu esatta- mente dal peritoneo che la copre , parte la briglia x2 , come 242 Luigi Calori dal rilievo sunnotato 1 la briglia più robusta x3, che corri- sponde alla esteriore g dimostrata nella fìg. 9 Tav. 5 , per le quali due briglie il fegato è strettamente unito al sacco erniario e tirato a sinistra. Della milza , del pancreas e dello stomaco nulla di notabile , ma F intestino duodeno offre nel suo principio F enorme dilatazione s fìg. 1 2 Tav. 6 che gli dà veramente F apparenza di un secondo stomaco. Nor- male è il restante del tenue. Dissi già come F estremità inferiore dell’ ileo , ed il cieco aprivansi nella parete po- steriore della vescica orinaria extrofica. Dell9 intestino cras- so oltre il cieco % , e l9 appendice vermiforme ond9 esso è fornito, occorre solo la porzione arcuata y , che somiglia il cieco di un roditore ; sicché manca quasi tutto il colon , ed il retto, mancamento che secondo ha posto il Sig. Isi- doro Geoffroy Saint Hilaire, non converrebbe coi Gelosomi della seconda sezione , ma sì bene cori quei della prima. Due briglie legano il mesenterio al sacco erniario , ed una si vede in asterisco nella fig. 1 1 Tav. 6 , l9 altra pure in asterisco nella fig. 12 Tav. 6 , la quale ultima briglia sem- bra un residuo dei vasi onfalo-mesenterici. Nel mesenterio poi nulla ci ha che meriti annotazione. Il grande omento di cui apparisce una porzione attaccata alla grande curva- tura dello stomaco ed un9 altra al predetto rudimento di colon , era largo , assai robusto , ma corto , per forma che essendo esso rudimento conglutinato al sacco erniario face- va che lo stomaco, in un coi visceri cui è connesso, fosse tirato in basso ed a sinistra. Rispetto agli organi uro-genitali , non vi ha che il rene 8 fig. 12 Tav. 6 dond9 esce F uretere 9 che va a sboccare nel basso fondo della vescica m3 sopra il quale rene giacciono però due capsule atrabilari o reni succenturiati 6,7, ab- bastanza sviluppati. Quantunque non s9 incontri il più pic- colo vestigio di parti genitali esterne, non mancano tutta- via le interne , le quali sono doppie. Trovansi quindi due uteri 10, 11, 12, 13 molto lunghi, affatto separati, e al- lontanati fra loro, attaccati alla parete posteriore della ve- scica orinaria extrofica ed atretici nel loro osculo, sicché nessuna comunicazione avevano con essa vescica ; che se Di tee celosomi umani 243 T avessero avuta, sarebbesi in questo mostro verificata una completa cloaca ombelicale. La loro porzione inferiore 10, li, può essere significata per vagina, benché aperti per lo lungo, siccome ben pervii , non mi abbiano mostrata alcuna distinzione, alcun vestigio dell9 os tincae, ma solo una ragguardevolissima piega palmata che da un capo al- F altro tutti percorrevali : ciò non di manco sono di avviso che elli non siano veramente solo gli uteri , ma che sian loro aggiunte le vagine come sarà provato più avanti. Un orifizio tubario solo poi occorre al fondo di essi; perocché non ci ha in ognuno che una tromba faloppiana 16 , 17. L9 utero destro solamente va fornito dell9 ovario 18 fig. 10 Tav. 6 assai piccolo ed affatto rudimentario , ed il sinistro in luogo dell9 ovario porta le lacinie o filamenti 19, 19 , fig. 11 Tav. 6, nascenti non solo dal lega- mento lato, ma ancora dall9 utero. Questi filamenti non sono tubolati ; ciò non pertanto i superiori potrebbero venir considerati come residui degli intestinuli ciechi dei corpi di Wolff; ma gli inferiori ricorderebbero mai i con- dotti, che Malpighi e Gaertner osservarono ai lati dell9 u- tero de9 ruminanti e del sus scropha? Ogni utero final- mente ha un legamento rotondo solo. Dall9 esposto si trae di leggieri , che i due uteri descritti altro non sono che le due metà primitive di un utero solo rimaste divise in grazia della interposizione de9 visceri erniosi , degli intesti- ni in ispecie, e costituenti quell9 anomalia o duplicità co- nosciuta sotto la denominazione di utero bipartito. Il sistema vascolare sanguifero del mostro presenta le seguenti particolarità. Sonovi due soli vasi ombelicali, l’ar- teria 39 fig. 11, fig. 12 Tav. 6 , e la vena 25 ibid. Questa s9 immerge nel fegato e si comporta come di co- stume compartendo rami al fegato stesso , e comunicando colla vena porta epatica e colla cava ascendente median- te il ductus venosus Arantii. Nella porzione venosa 26 della porta , formata come di solito dalla meseraica mag- giore 28 e dalla vena splenica 27 , non ci ha la mese- raica minore, e ciò è in accordo col mancamento dello intestino cui essa appartiene. E per simile ragione manca- 244 Luigi Calori no eziandio le vene coliche della meseraica maggiore. La vena cava ascendente 29, 29, radendo il diaframma che incompletamente 1* abbraccia , si reca al cuore mettendo foce nei seno venoso destro , e niente offre di particolare; non così la vena cava discendente 36, 36, che è doppia, ed apresi con due distinti orifizi nel seno medesimo. La vena cava discendente destra è un po’ più capace del- la sinistra e riceve la vena azigos 31. Le vene polmonali e coronarie del cuore sono secondo norma, ed il cuore 37 è qual si conviene a feto novimestre , e da esso sorgono le due principali arterie non confuse nella origine, ma di- stinte. L9 aorta nella sua distribuzione non offre anomalie che nello addome, e due sole arterie manda alla porzione sottodiaframmatica dell9 apparecchio digerente come negli Agnesomi e negli Aspalosomi, e cioè l9 arteria 41 che è una celiaca a tronco assai allungato , e la 42 che è la mesenterica superiore, la quale fa un lungo tragitto prima di somministrare rami. Manca la mesenterica inferiore. Mol- teplici sono le arterie renali, due delle quali penetrano per l9 hilus, e le altre per altri punti nel rene unico. Vi hanno due arterie ovariche , quantunque non esista l9 o- vario sinistro , e due arterie uterine , una per ciascun utero. Lo scheletro finalmente fig. 13-14 Tav. 6 presenta la colonna vertebrale un po9 contorta sul proprio asse e for- temente ripiegata a destra. Nella parte inferiore della re- gione lombare e nel sacro vi ha lordosi e di più spina bifida posteriore, per la quale però non aveva avuto ef- fetto un tumore idrorachidico , sendo che n9 era chiusa l9 apertura da una grossa e robusta membrana fibrosa tesa da un capo all9 altro degli annelli vertebrali incompleti. Codesto caso di spina bifida senza tumore idrorachidico od altro che la manifesti, non è infrequente nella regione sacra posteriore e va per solito senza sinistri successi. Il torace è molto più lungo e men largo, massime nella ba- se , di quei convengasi a feto novimestre ; anzi non ritiene la forma fetale. Non si annoverano che undici costole a destrà. Assai breve n9 è la parte anteriore per essere lo Di tre Celosomi umani 245 sterno imperfettissimo nel corpo e per cosi dire mozzo, e privo dell’ appendice xifoide , circostanze tutte in pieno accordo coll’ essere il cuore disceso quasi per intero nel- P addome. Molto divaricate sono le ossa innominate , e ruotate specialmente cogli ilei in addietro , tanto che que- sti colle loro spine posteriori assai fra loro si accostano, mentre i pubi non si sono uniti a formare la sinfisi , ma sonosi invece allontanati, insinuandosi nella parte superio- re del vano che risulta da cotale separazione , il sacro spintosi in avanti ; disposizione che appunto consente col- P extrofia vescicale suddiscorsa. Specie 3.a Celosomus Atretostelecus nobis. ( Tav. 7, 8 ) Addì 11 Marzo 1858 io riceveva dall9 Eccmo Sig. Dottor G. Ferrari questo Celosomo, eh9 egli insieme con altro suo Collega aveva estratto da una bracciante del Comune di Galliera , donna di 25 anni, robusta, che figliava per la seconda volta, ed era di poco entrata nel nono mese di gravidanza. Anche questo mostro si presentò con una po- sizione trasversa , la quale fu sinistra , o per dir più esat- to colla spalla sinistra ; ma qui non ebbe luogo una ver- sione ed una evoluzione spontanea come nel Celosomo cloacario poc9 anzi descritto , e fu mestieri dell9 aiuto della mano chirurgica che condotto il mostro a conveniente po- sizione lo trasse agevolmente fuora per la testa, ed esso uscendo traeva alla sua volta la placenta che coprivalo davanti. Il mostro era morto , e pare che la morte seguisse poco dopo lo scolo delle acque avvenuto 24 ore circa in- nanzi l9 operazione. La madre poi ebbe un puerperio infe- lice , siccome quella che soggiacque ad uua metrite puer- perale e fu in gran pericolo , ma la buona natura di lei , e l9 arte trionfarono della minacciosa infermità. Ricercata infine che ella potesse accagionare di un cosiffatto caso mostruoso, non altro ne fece sapere che, quantunque gra- vida , si era non poco affaticata lavorando ad opera nei 246 Luigi Calori campi e nelle risaie siccome accostuma la gente di sua condizione. Ritraggono questo celosomo in due vedute anteriore e posteriore le fig. 15, 17 Tav. 7, 8. Neil’ anteriore il mostro si para innanzi unito alle secondine, che io ho portate a destra dietro lui, unica parte in cui collocandole venisse fatto di lasciar scoperta interamente questa veduta. Esso mostro è piccolo, massime se si contempla dalla' regione lombare in giù , la quale piega fortemente a destra , e con esso lei trae gli arti inferiori nella medesima direzione, no- tabili per F attitudine e la brevità, non che per essere senza natiche, massime a sinistra, e per avere i piedi torti allo indentro. Per cotale ripiegamento il mostro fa del suo corpo un arco laterale a convessità sinistra, e F anca destra si reca in su a contatto del torace verso F ascella , e la gamba e la coscia del medesimo lato sono sì fattamente piegate , che a volerle raddrizzare ed estende- re falliscon la prova, e tanto sol levansi che col ginocchio si oppongono al braccio ed all’ avambraccio destri. L’ arto inferiore sinistro, già più breve, è in forzata estensione, nè si piega, e resiste a volerlo condurre in flessione, ed il piede più che torto, come F altro, n’ è cavallino. Non parti geni- tali esterne , non meato orinario , non ano appariscono. Il torace è ristretto, massime inferiormente, e depresso nella regione sternale. L’ addome è altresì stretto ed anche cor- to, e la sua cavità è angustissima, largamente aperta, ed i visceri eh’ ella dovrebbe racchiudere ne sono fuori ed a nudo. Pare però che essi fossero contenuti in un sacco erniario formato dall’ amnio e dal peritoneo , non che dal tessuto connettivo sottosieroso ; sacco laceratosi ed in gran parte distrutto , dei quale occorre un residuo tutto intorno ali’ apertura addominale nella membrana fra- stagliata attaccata al bordo dell’apertura medesima, e continua esternamente coll’ amnio del funicolo , interna- mente col peritoneo parietale e colle pleure. A questo sacco doveva aderire il funicolo ombelicale siccome quel- lo che ai lati offre due lembi continui e coll’ amnio che lo inguaina e col peritoneo che soppannava il sacco suddetto. Di tre Celosomi umani 247 Questo funicolo poi è magro e breve tanto da non aggiugnere ai quattro pollici di lunghezza, motivo per cui la placenta era tenuta contro la faccia anteriore del mostro, e non era che rompendo il sacco suddetto eh* ella potesse con- dursi nella posizione in cui si è rappresentata nella fig. 15 Tav. 7. Essa placenta a era di mediocre volume, e rice- veva verso il suo orlo l’ inserzione del funicolo c; V amnio non offriva briglie che potessero far credere che avesse avuto aderenze col sacco lacerato , o col mostro. I visceri sventrati non sono semplicemente gli addomi- nali, ma una parte eziandio de’ toracici ; imperocché oc- corre il cuore 2 , che era avvolto nel pericardio 3 , il quale è stato aperto , ed il ^orpo 1 , che è una porzione del lo- bo inferiore del polmone sinistro. Questi due visceri , il cuore soprattutto, sono penetrati nell’ addome non tanto per essere manchevole il diaframma nella sua porzione co- stale, massime sinistra, quanto perchè trattivi dal fegato e portati in un collo stomaco, e gli intestini in basso ed a sinistra. Lo stomaco e è di volume normale, ma giace verticalmente come ne* primordi di sua formazione , ed è tutto fuori di cavità non altrimenti che il tenue intesti- no /*, il quale è di non poco men lungo del solito ina più grosso. Esso stomaco mediante la produzione perito- neale cava £, fig. 17 Tav. 8, paragonabile a un grande epiploon, si congiugne col mesenterio dell’ intestino crasso e con questo stesso, che è brevissimo, siccome quello che riducesi ad un cieco piuttosto dilatato e ad una por- zioncella di colon pur essa dilatata molto più , e chiusa nella sua estremità terminale. Questa porzione di colon apparisce in g, ed essa pure è connessa colla produzione peritoneale z; circostanza che avvalora la significazione od il paragone fattone con il grande epiploon. La milza /, ed il pancreas sono normali, ma il fegato k fig. 15 Tav. 7 è piccolo, e sembra girato in guisa da offerire alla vena ombelicale 4,41’ incisura e il solco del medesimo nome in alto e a destra subito sotto il cuore. Nel suo lembo infe- riore presenta un’ altra incisura che si biforca ascendendo, e da questa e dalla incisura superiore anzidetta è desso 248 Luigi Calori diviso nella sua faccia convessa ne’ due lobi principali , il sinistro de’ quali è più piccolo ed inciso nel suo bordo sinistro. L’ incisura inferiore degenera nella faccia concava in una fossa che contiene la cistifellea. In questa medesi- ma faccia, benché esista il solco che dovrebbe accogliere la vena cava ascendente , questa però ivi non trovasi , come pure non apparisce il dutto venoso di Aranzio. Fuori di cavità occorre altresì la capsula soprarenale n, ed il rene sinistro p fig. 17 Tav. 8. Sotto il rene p giace F utero sinistro v ; chè anche qui 1’ utero è bipartito come nel Gelosomo extrofico. L’ utero destro u fig. 15, 16 Tav. 7 giace presso 1’ orlo della grande apertura addominale, e so- pra lui nell’ addome il rene succenturiato destro m , ed allo interno e sotto , il rene corrispondente situato nella pelvi. Ciascun utero termina in un cordone pel quale aderisce al suddetto orlo, ed ha un fondo stretto, un corpo più largo, un legamento rotondo, una tuba fallopiana ed un ovario poco sviluppato. La cavità è tutta percorsa longitudinalmente da una ben espressa piega palmata fig. 16 Tav. 7, ed ha pareti piuttosto grosse, nè offre alcun rilievo trasverso che la distingua in uterina e vaginale. Nella parte inferiore di lei mettono capo gli ureteri ry q 9 i quali sono larghi anzichenò , massime sopra la loro foce. Questa parte è in- dubitatamente una vagina. Al descritto sventramento si accompagnava il voluminoso tumore lombo-sacro 28 fig. 17 Tav. 8, il quale estendevasi più a destra , e discendeva confondendosi colla natica del medesimo lato. Era desso tondeggiante , ma non sì eh’ egli non lasciasse scorgere una tendenza alla forma lobulata ; ave- va una larga base , ed era duro , elastico , fluttuante e tra- sparente. La pelle , che ricoprivalo , non era tinta diffe- rentemente da quella del restante del corpo , nè mostrava di essersi molto assottigliata. Per la pressione non dimi- nuiva , nè si aveva verun indizio , che P umore in esso con- tenuto refluisse nella teca vertebrale, ed il palpamento non ne approdava, perchè la larghezza della base e V al- tezza del tumore impedivano il poter sentire se ivi la spina fosse aperta. Sicché rimaneva dubbio , se si trattasse di idro- Di tre Delusomi umani 249 rachia , o di tumore idrorachidico come a prima giunta avreb- be a chiunque parso che idrorachidico avesse dovuto essere cotale tumore. Ma apertolo e vuotatolo del liquido che desso capiva , il sospetto di tumore idrorachidico veniva meno, o si affievolava d’ assai, sendo che la cavità di lui non comu- nicava punto colla teca vertebrale , o col grande confluente spinale del fluido encefalo-rachideo e colla midolla, sicco- me sogliono i tumori idrorachidici , quantunque si scorgesse che largamente aperta era quella teca nelle regioni lomba- re e sacra. Gonciossiachè nel fondo della cavità del tumore appariva la doccia 33 fig. 18 Tav. 8 , i cui margini rile- vati erano costituiti dalle sporgenze delle estremità interne degli archi vertebrali incompleti secondo che ne fa fede la fig. 21 Tav. 8. Ma 1’ apertura prodotta dalla incompleta formazione di questi archi veniva chiusa da tessuti fibrosi o legamentosi tesi da un capo all9 altro degli archi mede- simi , ed ingeneranti come un ponte velato dalla membrana che soppannava la cavità del tumore ; e la membrana in cor- rispondenza di questo ponte o della doccia prefata non che mostrasse alcuna soluzione di continuità, neppure porgeva indizio, che una tale soluzione fosse esistita, e che dipoi fossesi saldata , non mancando un qualche esempio di que- sta saldatura od obliterazione dell’ orifizio onde i tumori idrorachidici comunicano col suddetto confluente spinale. Ol- tre la doccia descritta occorrevano nella cavità del tumore tre sacchi ciechi 30, 31, 32 fig. 19 Tav. 8, due de’ quali erano Su- periori , uno al di quà , V altro al di là della regione lombare e della parte inferiore della dorsale , ed il terzo inferiore era il più capace , e discendeva sotto il sacro e si adimava nella natica destra, la quale sembrava perciò esistere siccome quel- la che si elevava e tondeggiava in grazia di cotale sacco , che però più che a questa natica , era dato a ricevere la colonna lombo-sacra. Questi tre sacchi poi non venivano originati , nè distinti per briglie come talvolta osservasi ne’ tumori idro- rachidici a forma lobulare , ma erano separati da rilievi for- mati dalle ossa sottoposte, ed in ispecie dalle creste degli ilei , e dalla colonna predetta. Rispetto alla struttura delle pareti del tumore, 1’ esterna o posteriore veniva costituita T. II. 32 250 Luigi Calori semplicemente dalla pelle e da una membrana sottoposta, la quale era di tessuto connettivo o cellulare , coperta di epite- lio poliedrico , avendomene fatto fede 1* esame microscopico. La parete anteriore od interna era formata dalla membrana anzidetta , dalle ossa e dai tessuti sottoposti , i quali erano tutti fibrosi, conciossiachè in corrispondenza di questa pa- rete non trovavasi niente di muscolare , vale a dire non ci era gran dorsale, non serrato posterior inferiore, non sacro-lombare, non multifido , non quadrato lombare, non grande gluteo , massime a destra. Essa membrana interna era qui pure provvista di epitelio. Aperta longitudinalmente la doccia descritta di sopra , e penetrato nel cavo della spi- na, come nella fig. 19 Tav. 8, non si parava innanzi la midolla spinale , ma solo de5 filamenti attaccati alla dura meninge, i quali appartenevano alla coda equina. La mi- dolla spinale poi cominciava solo alla nona vertebra dorsa- le , ed era gracile , e così continuava fin sopra la metà del dorso. Di questa atrofia alcuna cosa pure informavansi i nervi che originavano dalla detta porzione di midolla, non che i filamenti summenzionati. Onde che ci aveva una certa corrispondenza tra la mancanza dei muscoli divisati e si aggiunga degli addominali , e le anomalie descritte della midolla e dei nervi. Finalmente nella cavità del tumore contenevasi uno siero di colore citrino , e non affatto acquo- so , ma alquanto denso per sopracarico di albumina. Dall’ esposto sembrami chiaro e provato, che il tumore di questo Celosomo non era idrorachidico , quantunque ci fosse spina bifida. Questa, secondochè ne ha mostrato il Celosomo cloacario, può esistere senza verun tumore idro- pico comunicante colla teca vertebrale, o col grande con- fluente del liquido encefalo-rachideo, o senza tumore idro- rachidico. Cotal caso sarebbesi ripetuto nel Celosomo atre- tosteleco, con V accompagnamento però di un tumore di altra indole , di una cisti cioè di nuova formazione , o di un igroma svoltosi sulla spina bifida. Già Velpeau e Olivier avevano notato che nella idrorachia occorrevano talvolta delle cisti tra la pelle e la dura madre del tumore ; ma 1’ avere il Trowbridge osservato che il sacco ond’ era costi- Di tre Celosomi umani 251 tuìto il tumore , si era affatto separato e reso indipen- dente per la chiusura del foro di comunicazione colla teca vertebrale , o col grande confluente spinale del liquido ce- falo-rachideo , e F avere altresì il Malgaigne notato , che pel progresso dell’ età e per F infiammazione poteva avere effetto cotale chiusura , si è dubitato se quelle cisti fossero una cosa diversa, od estranea al tumore, accidentalmente aggiuntagli , oppure se elle avessero avuto una medesima origine e si fossero appresso separate , e fatte indipendenti. Io sono ben lontano dal negare questa chiusura e questa separazione, avendone io stesso veduto e notomizzato un belF esempio, a dir vero non della spina, ma della prima vertebra cranica , vo’ dire dell’ occipitale ; esempio che ri- ferirò in nota a calce di questa scrittura (A) ; sono pur lon- tano dal negare che la cavità del tumore non possa con- formarsi in due , una internantesi nella teca vertebrale e costituente un tumore intrarachideo , ed altra costituente altro tumore fuor della spina od extrarachideo; e che in oltre per briglie di nuova formazione non possa essa cavità dividersi in più sacchi o loculi , alcuni de’ quali possono affatto separarsi e divenire indipendenti a somiglianza della vaginale propria del testicolo che si isola perfettamente dal peritoneo , checché dicano in contrario della origine di que- sta vaginale E. E. Weber ed O. Funke (1). Ma concesso (!) E. E. Weber poggiato ad osservazioni di Anatomia comparativa più che di Anatomia umana (Vedi manuale di Anat. topogr. di G. Hyrtl. traduzione italiana del Dottor Francesco Roncati Milano 1858 Tom. 1 pag. 447) ha posto che la vaginale propria del testicolo non sia già una produzione del peritoneo resasi indipendente, ma che venga formata da una particolare bor- sa mucosa situata in parte entro lo scroto ed in parte entro 1’ addome fino al testicolo, patentissima soprattutto negli animali, nei quali i testicoli rien- trano nella cavità addominale nel tempo degli amori, e che il peritoneo che avvolge il testicolo, si trasformi nell’ albuginea. Discendendo il testicolo nello scroto , la porzione addominale della detta borsa s’ introverterebbe nella scro- tale presso a poco come 1’ esocardo o pericardio viscerale nel libero, ed il testicolo rimarrebbe provveduto e vestito della sua vaginale solo entro lo scro- to, o nello entrare che fa in questo. Io ho esaminati ventidue feti umani da sei ad otto mesi per pur scoprire la borsa mucosa indicata dal Weber ^ nè mai mi è venuto fatto d’ incontrarla. Io non ho trovato che del tessuto con- 252 Luigi Calori pure che tali obliterazioni e separazioni talvolta avvenga- no , "non è però di nessuna guisa provato che le cisti de- scritte dal Velpeau e dall’ Olivier non possano avere altra origine dalla divisata; chè il sito eh’ elle tengono tra la dura madre e la pelle del tumore idrorachidico , ne induco- no a pensarlo. E qui non voglio dissimulare 1’ obbiezione che mi si pa- ra innanzi , ciò è che le fibre della dura madre possono di- varicarsi ed anco smagliarsi e che nel divaricamento o nella smagliatura può insinuarsi 1’ aracnoide a formare ernia e produrre un tumore che per lo strozzamento di quelle fi- bre divaricate sarà posto in condizioni attevoli a separarsi, e rendersi indipendente. Ma oltre che questa supposizione è assai difficile ed oscura , non può fare a meno che quan- do avesse avuto effetto una tale contingenza, non ne fosse rimasto , ov’ ella si fosse nella dura madre attuata , un qual- che indizio , che certo non sarebbe sfuggito ai sullodati Au- tori. Ma nè di divaricamento, nè di smagliamento è da loro stato fatto il menomo cenno : il perchè convien dire , che le fossero cisti aggiunte , ripetenti la loro origine da tutt’ altro che dal sacco del tumore idrorachidico. Noi sappiamo che sulle parti prominenti fisiologiche e patologiche, dure o molli che siano , possono svilupparsi borse mucose. Noi sap- nettivo lasso. In un feto però seltimestre mostruoso ed ascitico , in cui ci ave- vano reni sì voluminosi che emulavano quelli di un fanciullo di tre in quattro anni , ed in cui i testicoli atrofici erano situati ancora molto in alto entro 1’ addo- me , vidi delle piccole borse mucose entro lo scroto , come pure nella regione pubica e nella inguinale, ma quelle di questa ultima regione non si intromet- tevano nel canale del medesimo nome, nè penetravano nello addome a somi- glianza delle scrotali che non si estendevano oltre lo scroto stesso. Il canale inguinale poi era assai largo in amendue i lati , e in esso sprofondavasi un di- verticolo nuckiano , o processo vaginale sì ampio che avrebbe permessa V in- troduzione del mignolo di una mano femminile. Nelle altre osservazioni io non ho avuto se non se una conferma e riconferma della comune maniera di spie- gare T origine e la formazione della vaginale propria del testicolo , maniera che è per me V unica conforme al vero. Quanto alla albuginea , essa piuttosto che dal peritoneo , sembra formarsi pel condensamento e indurimento del tessuto connettivo sottosieroso ipertrofico che avviluppa immediatamente il testicolo, e si converte in tessuto fibroso. Di tre Celosomi umani 253 piamo altresì che borse mucose qualche volta rinvengonsi lungo la spina laddove ha più di frequente luogo V idro- rachia , come nella regione lombare e sulla faccia posteriore del sacro. Io ho veduto in un Emiacefalo umano tutta la po- steriore regione del collo occupata da due borse mucose soprammodo dilatate e distese per idropisia. Or bene se ne luoghi divisati che sono quelli per lo appunto nei quali suole mostrarsi V idrorachia , occorrono talfiata borse mu- cose , parmi non si abbia molto ad errare per rinvenire una spiegazione delle cisti che il Yelpeau e 1’ Olivier trova- rono sui tumori idrorachidici tra la pelle e la dura menin- ge. Gotali cisti altro non potevano , nè dovevano essere , giusta il mio avviso , che le accidentali borse mucose di quelle regioni. Se non che P andar provvista di epitelio la superficie interna del tumore del Celosomo atretosteleco , e F esserne di norma sprovvedute le borse mucose , ne im- pedisce di accogliere fidatamente la divisata congettura, a meno che non si voglia credere che per malattia non possa altresì nelle cisti degli igromi formarsi un epitelio. Il perchè alcuno starà fermo nella persuasione che esso fosse in origi- ne un tumore od una cisti aracnoidea separatasi come nel soggetto della Nota A. Io però penso il contrario , concios- siacchè in quelle regioni occorrono altri organi vescicolari che a differenza delle borse mucose sono di necessità co- perti nella loro interna superficie di epitelio , i quali organi sono possevoli a dilatarsi e convertirsi in tumori cistici. Uno di questi ci è stato disvelato, non ha guari, dal Luschka, e consiste in una gianduia sacciforme coccigea eh’ ei dà per frequentissima. Ora quando si rifiuti la suesposta spiegazione in grazia dell5 epitelio , onde trovammo soppannata la cavita del tumore pertinente al Celosomo in discorso , ci soccorre F esistenza di cotale gianduia che per malattia si sarà dila- tata ed avrà formato un tumore cistico distesosi , siccome quello che non incontrava verun ostacolo , alle natiche , alla regione sacra e lombare. E nessuno potrà ciò contraddire considerando essere da mille fatti comprovato andar soggette le glandule tegumentali a cosiffatti ampliamenti e conver- sioni in cistite molto più facilmente questa del coccige, la 254 Luigi Calori quale è glandola sacciforme tutta chiusa. Per le quali cose io credo che il tumore di questo Celosomo non fosse nè in origine , nè appresso idrorachidico ; ma che avuto riguardo alle qualità ond’ era singolare , fosse se non un idrope od un igroma della borsa mucosa lombare , o della sacra o di amen- due insieme , un tumore cistico idropico di quella gianduia. Egli non è improbabile che il tumore col premere eh’ ei dovea di necessità le parti sottoposte muscolari , nervose ed ossee ne abbia , se non ancora formate , impedita la for- mazione, o se questa iniziata, arrestato il loro sviluppo; oppure se formate , sia stato cagione della loro atrofìa e della loro scomparsa : onde che il non essersi potuto com- porre o perfezionare gli anelli delle vertebre lombari e sa- cre o la spina bifida sarebbe in questo caso stato P effetto della compressione esercitata dal tumore. Non è d’.uopo dire, chè troppo chiaro ed evidente è per se, quanto co- tali casi abbiano ad essere attesi dalla chirurgia pratica ogni qualvolta che in neonati si presentino tumori idropici nelle prefate regioni. II sistema vascolare sanguifero di questo Celosomo si mo- stra così. Non vi sono che due vasi ombelicali , una vena cioè ed un5 arteria. Questa 27 fig. 15 Tav. 8 penetra nell’ad- dome a destra, discende alquanto e corre un breve tratto verso la spina descrivendo un arco fig. 16 Tav. 8, ed ag- giugne all’ aorta addominale colla quale si continua. Que- sta dà , nel ricevere che fa P ombelicale , le due arte- rie 26 che sono le iliache primitive , le quali non rassem- brano più una biforcazione dell’ aorta , ma due rami origi- nanti dall’ ansa, che formano P ombelicale e P aorta ino- sculandosi insieme. Appresso P aorta dà una lunga renale 24 che si divide in due rami , uno per ciascun rene , e suc- cedevolmente P arteria 23 che è la mesenterica superiore molto grossa , e P arteria 22 che è la celiaca già più sot- tile come di solito. Nulla di notabile offre P aorta nel petto. Quanto alle vene, P ombelicale 4, 4 fig. 15 Tav. 8 penetra nel fegato senza prima comunicare esternamente col- la vena porta , ma solo per entro la sostanza del viscere comunica largamente coi rami di questa vena, non che colle Di tre Gelosomi umani 255 vene epatiche, e cotali anastomosi interiori tengono luogo della esterna , e del condotto venoso di Aranzio , che come notai di sopra, non esiste. Le vene epatiche uscendo dal fegato si riuniscono in un grosso tronco 5 fig. 16 Tav. 8 che va a mettere foce nel seno venoso destro del cuore. Quella porzione di vena cava ascendente che dalle renali prolungasi sotto il fegato ov? è accolta in apposito solco, manca, e la ve- na aziga 9, 9 ne fa le veci ricevendo le iliache , le lombari , le emulgenti ec. e conducendo il sangue refluo dagli arti inferiori, dal sacro, dai lombi e dall5 apparecchio genito-ori- nario nella cava discendente. Nella porzione venosa della porta non ci era la vena meseraica minore, come non ci era P arteria mesenterica inferiore , mancanza che corrispon- deva a quella dello intestino cui tali vasi appartengono. Ad ultimo il cuore 2 era lungo , stretto e ripiegato a somiglian- za di navicella in grazia dell’ essere parte fuori , parte den- tro il petto , ed essersi dovuto accomodare alla incisura to- racica sottosternale. Dall’ angustia infuori, i ventricoli non offrono altro di notevole, e così i seni venosi. La valvola di Eustachio parte così la cavità del tronco 5 che ha aspetto di vena cava ascendente, presso alla sua foce nel seno de- stro che il sangue è costretto di dividersi in due colonne e di percorrere due vìe una che lo mena direttamente al- P orifìzio auricolo-ventricolare , P altra al forame ovale od interauricolare. Il sistema osseo finalmente presenta aneti’ esso non po- che anomalie. La colonna vertebrale è deforme per scogliosi lombo-dorsale e per lardosi sacra specialmente fig. 20 e 21 Tav. 8 , e va senza P appendice coccigea. L’ osso sacro è più presto convesso anteriormente che concavo, e spin- to in avanti e un po’ girato sui suo asse da destra a sini- stra ; rotazione di cui risentesi tuttavia la regione lombare. Questa e in un il sacro sono largamente aperti nella re- gione posteriore per essere oltremodo difettivi gli archi vertebrali fino all’ ultima vertebra dorsale , la quale offre il suo processo spinoso , già cartilagineo , bifido. Il torace segue P inclinazione della colonna , ed è tutto piegato a destra ed è lungo e stretto, in contatto a destra con la cresta dell’ ileo. Veduto anteriormente fig. 20 Tav. 8, 256 Luigi Calori scorgesi più presto configurato a barile che a cono ; chè non è così cospicua la differenza di larghezza tra la base e V apice , come in istato normale. L’ incisura inferiore anteriore non forma un angolo aperto, ma acuto anzi che nò , ed è lunga , non interrotta nella punta dall’ appendice xi- foide che manca, ed ha il suo margine sinistro concavo, massime inferiormente. La regione sternale è depressa , ed il corpo dello sterno oltramodo sottile. La regione costale sinistra apparisce più estesa e rotondata che la destra , la quale è anzi lateralmente piana. Nella veduta posteriore fig. 21 Tav. 8 , il torace si offre molto meno esteso a sinistra che a destra, ove la sua forma piatta laterale è anche meglio manifesta. Undici sole vertebre appartengono a questo torace , ed undici sole costole altresì , sette vere, e quattro spurie. Gli archi delle costole destre , soprat- tutto inferiormente , tendono a prendere una forma sigmoi- de. Finalmente la pelvi è ampiamente aperta nella regio- ne anteriore, essendo le ossa innominate diritte, e non ripiegate colle regioni pubiche ed ischiatiche in ispecie, le une contro le altre per riunirsi e formare la sinfisi del pube e V anello pelvico, ma girate dallo interno allo esterno sì che le superficie onde i pubi si articolano, le faccie interne delle porzioni discendenti degli ischi , e le interne degli ilei guardano anteriormente, ed i forami ot- turatori sono aperti dallo esterno allo intento, e non più dallo avanti allo indietro. Notasi ancora una obbliquità da sinistra a destra delle ossa innominate particolarmente al di sotto degli acetabuli nelle porzioni ischio-pubiche, Gli ilei hanno una debole e lassa articolazione non solo coi lati del sacro, ma eziandio colla faccia posteriore del me- desimo coprendo la porzione corrispondente degli orli del- la grande incisura od apertura posteriore delle regioni sa- crale e lombare, o della spina bifida. I tre Celosomi descritti non sono i soli che io abbia veduti dacché appartengo a questo Istituto anatomico ; chè quattro altri ho avuto occasione di osservare , e due di essi furono inviati all’ Istituto medesimo avrà intorno a venti anni , ed altri due in questo stesso anno. I primi Di tre Celosomi umani 257 furono notomizzati , uno dal Prof. Gioacchino Bariili, l’al- tro dal Prof. Antonio Alessandrini. Quello del primo era complicato a Pseudencefalia , quel del secondo presentava negli inviluppi anomalie consimili a quelle che abbiamo vedute nel Gelosomo cloacario. Nel marzo del corrente anno ne ho avuto un novello dallo Spedale della Vita , partorito innanzi termine da una donna che dubitava di essere incinta , e che fu accolta per malattia in quello Spedale. Era entrata in questo dubbio , dappoiché i moti del feto, eh’ ella assai di rado sentiva, erano deboli e ta- li da riuscirgli diversissimi dai provati in altre tre gravi- danze, e non sapeva a che compararli, sicché erale nato il sospetto di avere qualche gran malore nel basso ventre; ma non passarono molti giorni dal suo ingresso nello Spe- dale, che ella ben conobbe la vanità del suo sospetto, espellendo con tutta facilità il feto mostruoso, che uscì per la testa, vestito de’ suoi inviluppi. In questo Gelosomo la placenta era applicata e aderiva all’ addome , o sì vero al grande sacco che racchiudeva i visceri sventrati. Io non dirò più oltre di questo mostro , non avendomi 1’ anatomia fatte palesi cose degne di particolare menzione, da una scogliosi dorsale infuori, che era a destra, e lo rassembra- va agli altri Gelosomi descritti. Finalmente un Gelosomo perfetto femminino novimestre ho, non è guari, ricevuto dall’ Egregio Assistente della Clinica Chirurgica Sig. Dott. Federico Romei. Questo Gelosomo è il frutto di una terza gravidanza , piena di molestie , ed accompagnata da un enorme volume del ventre, e pochi giorni innanzi lo sgra- vio, da un forte dolore della regione epico, lica sinistra, la quale gravidanza fu sostenuta da certa Rita Grillini, gio- vane di 29 anni, ben conformata e robusta, che ottime aveva avute le altre due gravidanze e così i parti, e che tuttavia aveva vivi e sani i due pargoletti da lei dati in luce perfettissimi ne’ loro teneri corpicciuoli. Coglie vanla le doglie ai primi del corrente mese, e dopo 24 ore sco- lavano le acque in copia strabocchevole' ( idramnio ), ma non succedeva il parto, bensì una spaventevole emorragia. Onde subito mandato pel Romei , subito accorreva , e svuo- t. n. 33 258 Luigi Calori tava F utero del sangue rappreso, ed in quella s’ incontra- va in una spalla del mostro, e riconosceva essere il dorso alla parete anteriore dell’ utero, F addome alla posteriore: s’incontrava dipoi nei visceri sventrati, specialmente ne! fegato, e trovava ad un tempo la placenta situata a lato della bocca dell’ utero : donde F emorragia. Svuotato F u- tero de’ grumi sanguigni , estraeva il mostro per i piedi , il quale non opponeva ostacolo ad essere tratto fuori, quan- tunque avesse un enorme idrocefalo interno , e col mostro escivano anche le secondine. Io F ho fatto formare in ce- ra in un con queste dall’ abilissimo modellatore anatomico Sig. Cesare Bettini e vel presento, o Signori, insieme collo scheletro e coll’ anatomia de’ visceri sventrati. Il cor- po per essere di feto novimestre è piccolo anzi ché nò , e un po’ edematoso. Unito alle secondine non giugne a pesare sette libbre bolognesi. Ha una forte scagliosi dorsa- le colla concavità a sinistra : una scagliosi , ma molto me- no espressa s’avvisa pure al collo , la quale è in direzione contraria. Il torace è brevissimo nella regione sternale e costale sinistra, la quale tocca F anca corrispondente che sembra recarsi in alto verso quella. L’ apertura dond’ esco- no i visceri addominali ed il cuore, è a destra, ed occupa la metà destra della zona epigastrica e della ombelicale. I visceri sventrati sono lo stomaco, gli intestini tenui, la maggior parte del crasso , il fegato , la milza , il pan- creas, ed il cuore, il quale è bifido, portando i due ven- tricoli separati fin presso la base , ove congiungonsi coi seni venosi od orecchiette insieme unite e largamente co- municanti fra loro in grazia d’ imperfetto sviluppo del set- to intèrauricolare. Questi visceri erano accolti in un sottile sacco che erasi lacerato , ed a cui aderiva fino alla pla- centa un funicolo piuttosto grosso, ma assai breve inserito in un punto della circonferenza della placenta medesima, che era di volume ordinario , e normale. Niente offerivano d’insolito le membrane , e l’amnio era continuo col sacco suddetto. A differenza degli altri Celosomi vi avevano in questo due arterie ombelicali. Nulla nei visceri noti sven- trati, se non che la glandola timo era piuttosto piccola, Di TRE CeLOSOMI UMANI 259 mentre la glandola tiroide era assai voluminosa. Terminerò coi notare che il piede sinistro era varo equino , e che la testa o per dir più esatto il cranio era assimetrico ed ave- va una circonferenza di 35 centimetri con larghissime fon- tanelle , meno le laterali ridotte quasi a niente , e con frammenti ossei staccati dai lembi interni de’ parietali. Io ho voluto anche commemorare tutti questi Celosomi umani l.° perchè in trentadue anni, che è quel tanto di tempo che io esercito 1’ Anatomia in questa Università, all’ Officina anatomica della quale solevano essere mandati tutti i mostri che nascevano entro la Città, e fuori nella Provincia Bolognese, e spesso anche i più singolari delle Pro- vincie finitime, sette Celosomi soltanto si sono avuti; il quale numero in sì lungo spazio di tempo dimostrerebbe non essere troppo frequenti appo noi cotali mostri. Negli animali pe- rò , e ne’ bovini in ispecie , sarebbene occorso un maggior numero, perchè oltre i sei che furono illustrati dal lodato Prof. Alessandrini nel Tom. Vili de’ Novi Commentarii , altri di poi se ne sono osservati , e tutti in un minor cor- so di anni ; onde che la frequenza della Celosomia sareb- be stata in questi luoghi maggiore nei bruti che nell’ uo- mo : risultato perfettamente contrario alla comune opinio- ne che i Celosomi più spesseggino nella specie umana che negli animali. 2.° Perchè sia meglio manifesto nascere que- sti mostri quando a termine , quando nò , e innanzi anco- ra il nono mese di gestazione , e nascendo non presentar- si ordinariamente per l’ addome come è stato detto (1); chè cotale presentazione sarebbe impossibile in que’ casi, e non sono rari, nei quali la placenta è applicata ed at- taccata all’ addome del feto, a meno che però essa pla- centa non fosse situata alla bocca dell’ utero. Nel caso poi che la placenta sia dilungata dall’ addome del feto , la presentazione può essere tutt’ altra che per 1’ addome , e noi abbiamo veduto il Pleurosomo dirino essersi presen- tato per la testa , il Gelosomo atretosteleco per la spalla 260 Luigi Galc sinistra, il Celosomo del Romei pure per una spalla, il Celosomo avuto dallo Spedale della Vita per la testa ; il Celosomo cloacario con una posizione trasversa : forse per F addome ? lo chieggo non essendone stato fatto cenno nella relazione del Medico , nè avendone potuto sapere niente da lui interrogato di ciò a voce. Degli altri due Celosomi menzionati, quello cioè del Barilii e dell’ Alessandrini , nulla mi è a contezza di questo impor- tantissimo particolare. 3.° Perchè sia vieppiù comprovato andare la Gelosomia se non sempre , sì certo spessamente colla complicanza di anomalie degli inviluppi fetali, come a dire di brevità del tralcio ombelicale , di aderenze del- V amnio e della placenta al corpo del mostro. 4L0 In fine perchè ben emerga il fatto dell’ altra complicanza , che suole trovarsi colla Gelosomia , di scogliosi dorsale e lom- bare , e di lordosi sacra o sacro-lombare o sacro-lombo-dor- sale , onde le cavità dell’ addome e del torace fannosi molto meno capaci, anzi ristringonsi in tutte le direzioni, o diminuiscono grandemente i loro diametri, e le ossa in- nominate sono girate allo esterno ed .allo indietro, sicché essendo lor tolto di congiugnersi colle regioni pubiche, non può più avere luogo un anello pelvico. Queste due complicanze della Celosomia possono valere a spiegarne la produzione. Alcuni hanno creduto che a cotale produzione bastar dovessero semplicemente le divi- sate anomalie degli inviluppi. E certamente hann’ elleno ad operare in ciò grandissima efficacia ; ma concesso pure che le siano tanto possevoli, come si è presupposto, nes- suno però vorrà negare, che la sproporzione tra le parti contenenti e contenute non abbia a riuscire di pari , se non maggior valore. Egli è di tutta evidenza che essendo F addome privo della parete anteriore , e per ciò non più cavità , i visceri che dovrebbero normalmente in esso rin- chiudersi , rimarranno allo scoperto ; egli è altresì evidente che avendovi una lordosi della regione sacra , od in un medesimo della sacra e lombare, o della lombo-dorsale, i visceri a nudo verranno anche spinti, innanzi ; ci ha di più che' inclinando la spina, a destra i visceri stessi protrusi Di tre Celosomi umani 261 volgeranno e recherannosi a sinistra. Finalmente questi vizi della spina disguisando il torace ed angustiandolo ed impedendolo nello sviluppo massime della regione anterio- re, saranno cagione di spostamento de’ visceri eziandio to- racici; spostamenti giovati e fatti maggiori da quelli dei visceri addominali, del fegato in ispecie , il quale gravi- tando in basso ed a sinistra trarrà seco lui il cuore non impedito di seguirlo dal diaframma in tutto o in parte de- ficiente, e col cuore la gianduia timo ed i polmoni. Tutto ciò hanno sì chiaramente mostrato i Celosomi da me no- tomizzati che non può sorgere il menomo dubbio. Po- niamo che le suddette viziose inclinazioni della spina si siano effettuate in quel periodo di sviluppo , nel quale il torace non è per ancora anteriormente chiuso , almeno in totalità , e la pelvi è altresì largamente aperta nella re- gione pubica , ed una parte de9 visceri addominali è accol- ta nella guaina della base del tralcio ombelicale , certa co- sa è che a codesti visceri non verrà mai dato poter ri- trarsi dalla detta guaina , ma sarà loro fatta forza di rima- nerci dentro ; i quali visceri poi ivi svolgendosi, e pren- dendo incremento ognor più , impediranno sì colla pres- sione , come per lo interporsi alle due meta laterali delle pareti dello addome od alle rispondenti porzioni delle la- mine ventrali in rudimento , lo sviluppo e 1’ augumento di queste pareti , o di queste lamine ; donde la grande aper- tura addominale, la mancanza di un anello pelvico, 1 in- completa formazione della regione sternale inferiore , e da tutto ciò lo sventramento de9 visceri addominali , 1 a- gevolezza al cuore ed ai polmoni di slogarsi , la diversa , imperfetta ed anco nulla formazione , ed evoluzione delle parti nella pelvi contenute , o la scomparsa di alcune delle medesime. Ed intorno a questi ultimi effetti non si vuol lasciare , che i visceri sventrati , come il fegato e gl9 inte- stini, interponendosi ai condotti di Muller sono stati ca- gione che questi condotti non abbiano potuto venire a con- tatto colle loro estremità inferiori ed unirsi ; e deprimen- do essi visceri nella parte media quella porzione di seno uro-genitale la quale forma la vagina, e della formazione 262 Luigi Calori dell’ utero partecipa, cotale porzione si è di necessità di- visa in due pertinenti 1’ una all’ una, 1’ altra all’ altra delle anzidette estremità di quei condotti, e per tal modo si è avuto 1’ utero bipartito e la bipartita vagina sì nel Celoso- mo cloacario , come nel Celosomo atretos teleco. Questa di- visione della detta porzione di seno uro-genitale è inconte- stabile, dappoiché si vede nell’ ultimo menzionato Celosomo metter foce gli ureteri in vagina; e ne porg’ ella un fatto concludentissimo contro 1’ opinione che la vagina sia un pro- ducimene de’ condotti Miillerani ; opinione recata in mezzo per ispiegare la conformazione della vagina in due canali in grazia di un setto perpendicolare medio longitudinalmente diretto. Ma quando la vagina fosse veramente una produ- zione di que’ condotti , sarebbe troppo grande errore d’ in- serzione quello degli ureteri , se in essi condotti si aprisse- ro ; che la natura non è niente vaga di questi errori , anzi li fugge , e in mezzo alle maggiori trasformazioni , ed alle maggiori confusioni, che sono più presto apparenti che vere , conserva sempre i rapporti essenziali delle parti , sic- ché gli ureteri non potrebbero metter capo nelle trombe faloppiane o nell’ utero se questo è veramente ingenerato dai condotti di Mùller, ma solo in vagina, o in vescica, sic- come parti che procedono dal seno uro-genitale cui è pure connesso 1’ allantoide. A proposito del quale si vuole at- tendere, che nel Celosomo medesimo la sua porzione per- manente manca , e che questa mancanza pare non derivi dal non essersi formata , ma dall’ essere venuta meno per la pressione de’ visceri su lei , non essendo presupponibile che abbia avuto luogo la formazione della porzione decidua e non della permanente , essendo quella un prolungamento di questa. Ma nei Celosomo cloacario la porzione perma- nente esiste , nè ha potuto conseguire tutto il suo svilup- po , anzi è rimasta di molto imperfetta , ed ha accolte le foci della estremità inferiore dell’ intestino ileo , e del prin- cipio del crasso. Considerando il quale fatto in un colle sue concomitanze per innanzi attese , paransi alla mente due congetture , una che la cloaca che ne’ primissimi tempi of- fre P embrione , siasi resa ombelicale in grazia del non Di tre Celosomi umani 263 essersi formata la pelvi ; 1* altra che il peduncolo della ve- scichetta ombelicale non avendo potuto allontanarsi molto dall’ ombelico per la brevità del tralcio ombelicale sun- notata, ed essendo perciò rimasto pervio e largo come da principio, venuta quella vescichetta a distruggersi in- sieme col suo peduncolo fino all’ intestino cui è conti- nuo , sarà di necessità seguito , che nella continuità , o foce del peduncolo stesso in quell’ intestino sia rimasta un’ apertura , un ano ombelicale. E poiché fra i vari pun- ti di cotale continuità o foce indicati dagli autori ci è quello della estremità inferiore dell’ ileo immettentesi nel cieco , due parti degli intestini che in un certo periodo em- brionale si trovano situate all’ ombelico , facil cosa è 1’ a- vere onde intendere in questo Gelosomo 1’ apertura delle due divisate parti intestinali , e perchè in queste e non in altre la si è formata. La loro contiguità poi con quella por- zione di allantoide , la quale in vertice o fondo della ve- scica orinaria comporrassi , ne fa vedere 1’ opportunità di unirsi e confondersi delle dette parti intestinali e loro aper- ture nella menzionata porzione allantoidea. La congettura fin qui ragionata parmi preferibile all’ altra, in quanto che non si era formato 1’ ultimo segmento del crasso intestino , segmento che colla sua porzione inferiore concorre anch’ esso alla composizione della cloaca embrionale. Ei non vi ha dub- bio che lo sventramento del Pleurosomo non abbia esso al- tresì per cagione la ristretta capacità dello addome spro- porzionata al volume de’ visceri cui doveva contenere , ma 1’ essere stata P apertura toracico-addominale tutta destra, cotale cagione non è sufficiente , anzi non vale a farcelo intendere , e qui soccorronci le anomalie degli inviluppi , e specialmente del tralcio ombelicale e dell’ amnio in un colla viziosa inclinazione della spina, onde i visceri chilo- poetici, ed il cuore soprattutto, sono stati spinti, e tratti a destra, ove hanno fatt’ ernia e sventramento. Ma se le ca- gioni pur mo’ divisate ci giovano a spiegare la cosa, non così rispetto alle abnormità onde il Pleurosomo è dirino. La conformazione del naso in due condotti o trombe che ascendono divergendo nella regione frontale al di sopra delle 264 Luigi Calori orbite ove apronsi col loro orifizio esteriore , non saprebbesi derivar certo da aderenze dell’ amnio , sèndo che con que- sta membrana non hanno quelle trombe verun nesso. Egli sembra piuttosto che cotale conformazione convenga colla criptocefalia, e riconosca per cagione una forza estrinseca, poni premente , per la quale le regioni mascellari superiori sonosi oltramodo addotte ed hanno esclusa la nasale che dovea fra loro rimanere , le parti costituenti della quale essendo doppie le une destre, le altre sinistre, ed altresì distinte , impedite dallo svolgersi nella propria sede , hanno preso 1’ andare e lo svolgersi allo insù, siccome quelle che a ciò fare non incontravano ostacoli , e siccome distinte , sonosi conformate in due canali o trombe che non avreb- bero più potuto servire alla funzione respiratoria , ma solo all’ olfattiva , avendo perduta ogni comunicazione colla por- zione superiore o nasale della faringe. Non è improbabile che P encefalocele di questo Pleurosomo dirino abbia pur esso avuto per cagione una violenza esteriore, forse del ge- nere di quella onde si procreò P anomalia del naso. Ma nulla cogliesi dall’ anamnestico , che recitai di sopra. La criptocefalia infine è senza fallo derivata dall’ encefalocele , o sì certamente è stata da questo colla maggiore efficacia giovata nella sua genesi ; perchè posto che P encefalocele abbia precedute le altre anomalie del teschio , non può a meno che successione di lui non sia stata una diminuita capacità del cranio con accompagnamento di conformazione abnorme, e ritardata ossificazione e quindi criptocefalia, dalla quale poi debb’ essere di necessità seguita una mala con- formazione e direzione ed un mutato sito ancora delle varie parti della faccia , e più precisamente delle ossa della ma- scella superiore , donde P essere stato il Pleurosomo dirino. Ma se la produzione di quest’ anomalia può considerarsi come effetto della criptocefalia operante sulla regione fac- ciale del teschio , altra cagionò dee pure avere agito di con- serva con lei , perocché noi veggiamo de’ criptocefali nei quali quella singolare conformazione di naso offertaci dal Pleurosomo non esiste. Una compressione se non altro quella del tumore dell’ encefalocele , avrà contribuito a viemeglio Di TRE CkLOSOMI UMANI 265 avvicinare fra loro, e recare a contatto sulla linea inedia le porzioni nasali de’ mascellari superiori, ed a respingere quindi dalla loro sede le parti costituenti il naso , ma 1’ es- sere le due metà di esso rimaste separate , anzi più e più fra loro allontanate e portate nella regione frontale, sup- posto uno stiramento , un distraimento operato dal tumore non varrebbe , perocché desso non avrebbe potuto agire che da un lato solo , e per conseguente non in contraria direzio- ne. È per me inesplicabile quest’ ultima parte dell’ anomalia. (A) NOTA Di un encefalocele occipitale con idrope saccato dell’ a- racnoide (Tav. 9 Fig. 22-23). Nell’ Agosto 1848 il Chiarissimo Collega Cav. Prof. Fran- cesco Rizzoli facevami vedere una bambina di circa sei me- si, la quale portava un enorme tumore nella regione oc- cipitale. Questo tumore aveva una circonferenza di 32 cen- timetri , nè presentava irregolarità , ma era uniforme , e ras- sembrava una cucurbita o ventosa applicata a quella regio- ne. Era trasparente , fluttuante , nè faceva sentire veruna pulsazione arteriosa ; compresso non diminuiva punto ; nes- sun cambiamento mostrava sotto la respirazione , neppure quando la bambina gridasse o vagisse. Il lodato Collega vi aveva per tre volte praticata la paracentesi , ed erane spic- ciato uno siero , com’ acqua , limpidissimo, e salso. L’ ulti- ma volta volle eseguire 1’ operazione in mia presenza, accioo» 266 Luigi Calori chè , vuoto il tumore , 1’ esaminassi e m’ ingegnassi di sco- prire qual parte di cervello contenesse; perocché alla base o piede di esso tumore aveva egli incontrato un corpo sodo il quale alquanto rilevava attraverso uri* ampia apertura della porzione lambdoidea dell’ occipite. Anche questa fiata si ebbe uno siero singolare per limpidezza e salsedine che pe- sato riuscì di otto oncie circa. Palpando poi il vuoto tu- more riconobbi subito F apertura ed il corpo suddetto il quale era globoso, e compreso nell9 apertura stessa donde sporgeva, e falliva ogni prova che facessesi per ridurlo in cavità. Giudicai che questo corpo fosse o il lobo posteriore di uno degli emisferi del cervello, ovvero il cervelletto, ed atteso il sito corrispondente alla porzione inferiore del lambda occipitale , piuttosto quest’ ultimo fattosi ernioso. Dalla evacuazione dello siero la bambina di vivace eh’ el- F era , facevasi mesta , impallidiva , dava di stomaco , e ve- niva colta da qualche tremito convulsivo. Per alquanti gior- ni durava questo stato di languore , lungo i quali non cer- cava di poppare, o se alcun poco di latte suggesse, ben tosto il receva ; a poco a poco rinveniva , ed il tumore riem- pievasi e rigonfiava ; il quale poi cresciuto a maggior vo- lume causando sintomi minaccianti da vicino la vita, in- vano posti in opera gli espedienti che F arte e la ragione suggerivano , la trasse alla perfine a morte. Istituii nel gior- no apresso F autopsia, e conobbi subito che erami male apposto ; imperocché non il cervelletto, ma il lobo posteriore dell’ emisfero cerebrale sinistro era quello che attraverso F anomala apertura della porzione Jambdoidea dell’ occipite si era fatto ernioso. Al quale lobo non era impedimento alcuno a discendere a quell’ apertura b fig. 22 Tav. 9 ed escire per lei; sendo che mancava il tentorio ed il cervel- letto era piccolissimo, rudimentario sì che F avresti detto di un feto quadrimestre. Senza che la gran falce cerebra- le f al principio dell’ anomala apertura del lambda occipi- tale , principio che corrispondeva alla tuberosità occipitale interna, biforcavasi in rami, uno destro g, h , maggio- re, continuazione della falce stessa, l’altro sinistro i3 appena indicato ; i quali due rami discendevano dapprima Di tre Celosomi umani 267 sul labbro interno dell’ orlo dell’ anomala apertura della porzione lambdoidea divergendo , poi più e più fra loro al- lontanandosi correvano in avanti ai lati del grande foro oc- cipitale, e vicin vicino la sutura mastoido-cond iloidea , e raggiugnevano la parte media della faccia posteriore delle apofisi petrose, sul cui margine superiore salivano, e ne percorrevano la metà interna e andavano a terminare ai processi clineoidei dello sfenoide. Per la quale disposizione il forame ovale del Pacchioni soprammodo ampliavasi , e faceva perciò facoltà al lobo posteriore dell’ emisfero cere- brale sinistro di passare per esso per aggiugnere all’ ano- mala apertura della porzione lambdoidea , ed escire del cranio. Altrettanto non avrebbe potuto fare il lobo poste- riore dell’ emisfero cerebrale destro , per essere questo lobo sostenuto dal ramo destro della falce cerebrale reso per la sua larghezza e robustezza possevole a prestargli cotal ful- cro, e quindi ad impedirgli V ingresso nello ampliatissimo forame Pacchioniano. Il solo lobo posteriore dunque dell’ e- misfero cerebrale sinistro non trovando ostacolo nel ramo sinistro della falce cerebrale aveva facile ed espedito 1’ adito al detto forame ed all’ anomala apertura della porzione lam- bdoidea, ed esso solo poteva in grazia di tale meccanica necessità uscire. E di fatto era uscito coperto dalla pia madre e dall’ aracnoide viscerale, la quale per infiamma- zione , di cui pure avvisavasi traccia , aveva contratte ade- renze coll’ aracnoide soppannante la dura meninge del sacco erniario , e queste aderenze corrispondevano al collo del sacco medesimo (Vedi fig. 23 Tav. 9) ed erano fortissi- me e tutto intorno, così che questo sacco veniva affatto separato dal restante della cavità della sierosa aracnoidea. Comprendesi di leggieri che 1’ umore in lui contenuto non era fluido cotugniano od encefalo-rachideo, trovandosi que- sto tra 1’ aracnoide e la pia meninge, ma una morbosa effusione di siero in un particolare sacco dell’ aracnoide , od un idrope saccato di questa da considerarsi certo quale effetto d’ irritazione o di flogosi. La quale osservazione ol- treché conferma quelle di Trowbridge e di Malgaigne, di- mostra eziandio potersi nell’ encefalocele accompagnato da 268 Luigi Calori idrope verificare quella stessa contingenza che talvolta si attua ne9 tumori idrorachidici. Ed a sugellare la verità delle cose poste a pag. 251 , il fin qui detto basti , ma a comple- mento di questa osservazione anatomico-patologica si vuole aggiugnere il restante della dissezione, che per non recar noia farò il più brevemente possibile, molto più che al difetto delle parole possono supplire le figure per più par- ticolari. Dirò dunque che il sacco erniario e idrocefalico ad un tempo oltre la dura madre e, fig. 23 Tav. 9 già velata dall’ aracnoide parietale, che ne descriveva T am- bito interno, era coperto ai lati ed al suo collo dai muscoli complessi , splenii e cucullari , e nel fondo dalla espansione fibrosa b , assai resistente , che apparteneva ai cucullari medesimi , ed i comuni integumenti che rive- stivanlo, eransi soprammodo assottigliati nel fondo e qui- vi avevano altresì acquistata una tinta paonazza. L9 ano- mala apertura b fig, 22 Tav. 9 della porzione lambdoi- dea c, c, dell9 occipite era ovale ed estendevasi dal luogo della tuberosità occipitale esterna fino al grande foro oc- cipitale , col quale dopo essersi ristretta circa della metà continuavasi , onde unitamente considerati questi due fori rendevano una figura paragonabile all9 otto di cifra. Misu- rata poi l9 anomala apertura descritta riusciva lunga tre centimetri e sette millimetri, e nella sua maggior larghez- za dieciotto millimetri. Quanto al cervello , era desso in- gorgatissimo di sangue venoso e un po9 più molle del con- sueto ; ingorgatissime del pari ed infiammate erano le me- ningi. Abbondante era il fluido encefalo-rachideo, massime ne9 ventricoli e nel grande confluente spinale, il quale fluido, come si disse, era affatto separato dallo siero che il sacco del tumore ernioso e idropico racchiudeva. Fu già notato che il cervelletto era piccolissimo, la quale picciolezza era stata indubitatamente effetto della pressione del lobo posteriore dell9 emisfero cerebrale sinistro disceso ad occupare il posto di esso cervelletto, e gravitante su questo. L’atrofia del cervelletto si estendeva alquanto sul- e sue gambe, e sulla protuberanza anulare; ma negli al- tri processi di lui non scorsi una corrispondente atrofia. Di tre Gelosomi umani 269 Non vidi niente di anomalo nelle altre parti del cervello, nè nelle origini dei nervi. I visceri toracici e addominali non scostavansi dai normale , se ne traggi le capsule sopra- renali oltramodo piccole. Le parti genitali erano benissi- mo sviluppate , e facevano contrasto coll’ atrofia di que- ste capsule che Vaisalva e qualche moderno vogliono , ab- bian’ elleno convenienza colle dette parti ed operino nella generazione; e contrasto altresì facevano coll’ atrofia del cervelletto, posto mente alla graude influenza da Gali e da altri concessa a questa parte encefalica sugli organi ge- nitali e la facoltà generativa. 270 Luigi Calori SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA 1. Fig. 1. Pleurosomo dirino in un co9 suoi inviluppi veduto dal lato destro. TAVOLA 2. Fig. 2. 11 medesimo Pleurosomo in un cogli inviluppi dimostrato dalla parte anteriore. TAVOLA 3. Fig. 3. Lo stesso Pleurosomo veduto pur di prospetto. Le membrane del- P uovo sono state levate lasciando la sola placenta rappresentata dalla faccia fetale. L9 addome è stato aperto oltre l’ orlo anteriore della grande apertura donde sono usciti i visceri, per dimostrare quali parti sono ri- maste in detta cavità. È pure stata levata la pelle che copre la regione anteriore e le laterali del torace , massime a destra per far manifesto che il cuore è tutto spinto a destra e fuori del torace verso la regione ascel- lare del medesimo lato. Le figure di queste tre tavole rappresentano gli oggetti di naturale grandezza. In tutte poi le medesime lettere indicano le medesime parti. Inviluppi a , placenta. b, caduca. e, e, e, grande piega dell’ amnio attaccata al braccio ed alia spalla destra non che alla regione ascellare , per la quale piega là cavità dell’ amnio è co- me divisa in due. f9 funicolo ombelicale brevissimo cui è adesa la grande piega e, e9 e9 on- d’ esso non ha di libero che il groppo o nodo g. Visceri sventrati hy stomaco. h, intestino tenue. ì , cieco^ che coll’ appendice vermiforme « } si attaeea mediante la briglia m , all5 orlo anteriore x della grande apertura onde i visceri addominali sì sono sventrati « Di tre Celosomi umani 271 0 , il restante deli9 intestino crasso , meno una brevissima porzione del colon discendente ed il retto che sono collocati entro 1' addome. p, q, fegato. r, milza. s, borsa omentale. t , prominenza formata dal rene destro. w, corpo giallastro posto sul rene destro, il quale corpo sembra tener luogo della gianduia genitale mancante da questo lato. v , cuore spostato a destra e collocato nell9 ascella , il quale fa parte dei vi- sceri sventrati : il pericardio è stato aperto e se ne veggono de’ lembi in *, *. x , orlo anteriore della grande apertura onde i predetti visceri si sono sven- y9 orlo posteriore della medesima. Dissezione delle pareli dell’ addome, e della pelle della regione anteriore e laterali del torace come si è indicato di sopra, e visceri rimasti in cavi- tà , più o meno spostati. z , tegumenti e muscoli addominali sinistri tagliati ed in parte levati, tegumenti del torace tagliati ed in parte asportali. 1 , porzione del sigma colico continuantesi nell’ intestino retto. 2, rene sinistro. 3, urocisti. 4, uraco. 5, testicolo sinistro e suo epididimo. 6, gubernaculum Hunteri. 7 , processo vaginale. 8, polmone sinistro. 9, gianduia timo. Muscoli messi in vista mediante la dissezione suddetta. 10, grande pettorale sinistro. 1 1 , grande pettorale destro assai ridotto , il quale muscolo è il solo che da questo lato esista, de7 muscoli larghi che coprono il torace. 12, diaframma. 1 3 , grande psoas sinistro. Vasi sanguiferi ombelicali 14, arteria ombelicale destra ed unica. 1 4b, grande ansa tortuosa che dopo aver descritte più anse secondarie va a diramarsi nella placenta : quest’ ansa corrisponde al groppo o nodo su- periormente menzionato. A. sinistra non occorre che 1’ arteria vescicale 15. 16, vena ombelicale grossissima. 17, 17, ansa tortuosa più complicata e più lunga formata dalla detta vena in corrispondenza del groppo anzidetto. 18, la medesima vena che passa pel fegato. 27 2 Luigi Caiajki Anomalie della testa complicanti la Pkurosomia. 19, prominenza che dovrebbe corrispondere al naso. 20 , tromba nasale destra. 21 , suo orifizio. 22 , tromba nasale sinistra. 23 , suo orifizio. 24 , briglia cutanea che congiunge V orifizio 23 col corpo a mo’ di datte- ro 246 formato da una duplicatura derraoidea. 25 , voluminoso tumore del lato sinistro del cranio , tumore sezionato nella fig. 3. 26, pelle del tumore tagliata e rovesciata. 27 , dura madre del tumore longitudinalmente tagliata. 28, pia madre ed aracnoide viscerale di pari modo tagliate. 29, sangue effuso tra le meningi. 30 , grande vescica idrocefalica formata di sostanza nervosa pertinente all’ e- misfero cerebrale sinistro. 31 , grande grumo sanguigno ond’ era in gran parte coperta la detta vescica. TAVOLA 4. Fig. 4. Scheletro del Pleurosomo dirino veduto di faccia. Fig. 5. Teschio del medesimo veduto di profilo a sinistra. Fig. 6. Lo stesso teschio rappresentato dalla parte superiore. Fig. 7. Base di questo teschio mostrata esternamente. Fig. 8. Faccia interna della base del cranio. Tutte queste figure sono di grandezza naturale. In tutte lè medesime lettere in- dicano i medesimi oggetti. a, grande apertura anormale della regione parietale sinistra. y frontale, la cui porzione c pertinente all’orbita è a destra divisa, o, parietale sinistro mostrante 1’ apertura anomala a. e , parietale destro. f> f> porzione squamosa dei temporali. 9, g , quadro del timpano. La porzione petrosa e la mastoidea appena delinea- ta occorrono in u, «. hj porzione basilare dell’occipite, il quale mostra in i, t, le porzioni condi- loidee, ed in s la lambdoidea. v> corpo dello sfenoide posteriore. x» x3 grandi ale. y, corpo dello sfenoide anteriore in un coi processi ingrassiali. Tra il corpo e lo sfenoide anteriore e quello del posteriore occorre un foro anomalo , sella a|lraversa k ^ase del cranio in corrispondenza della parte media della ossa plana dell’etmoide. > grande apertura nata dalla mancanza della lamina orizzontale dell’ etmoide. y %» mascellari superiori. L m, nasali. ", frammenti ossei forse pertinenti al labirinto etmoidale destro? Di tre Celosomi umani 273 0, p, jugali. q, palatino destro. 1 , palatino sinistro. 2, mandibola. da 3 a 4 colonna vertebrale deformata per scogliosi lombo-dorsale, da 5 a 6 costole destre brevissime e mozze siccome quelle che sono private dei due terzi anteriori circa de’ loro archi, dalle spurie infuori. Le vere colla loro estremità anteriore si congiuugono insieme per cartilagini da 7 a 8 costole sinistre molto appressate fra loro ed orizzontali. 9, sterno mancante di una parte del corpo a destra, e del processo mucronato. 10, 11, clavicole. 12, 13 scapole. 14, 15, omeri. 16, 17, ossa dell’avambraccio. 18, 19, ossa del carpo affatto cartilaginee. 20, 21, metacarpi. 22, 22, 23 , 23, falangi delle dita. Si vede a prima giunta che le ossa dell' arto superiore destro sono un po’ più corte di quelle del sinistro, se ne traggi però la clavicola 11. 24, osso sacro. 25 , 26 , ossa innominate. 27, 28, femori. Il destro è un po' più corto del sinistro. 29 , 30 , rotule affatto cartilaginee. 31 , 32 , tibia e fibula un po’ contorte e ruotate dallo interno allo esterno mas- sime a sinistra. 33, 34, tarsi. 35 , 36 , metatarsi. 37, 37, 38, 38, falangi delle dita. Non importa dirlo essendo chiaro per se che i piedi sono torti allo indentro. TAVOLA 5. Fig. 9. Veduta anteriore del Celosomo cloacario unito a' suoi inviluppi. Fig. 10. La cloaca ombelicale del predetto Celosomo. TAVOLA 6. Fig. 11. Rappresenta il Celosomo cloacario dalla parte anteriore col tumore erniario aperto. Fig. 12 I visceri del medesimo Celosomo tratti fuori di sito, e loro vasi sanguiferi. Fig. 13 Scheletro del tronco di questo stesso Celosomo, rappresentato dalla parte anteriore. Fig. 14. La pelvi in un colle ultime vertebre lombari veduta dalla parte po- steriore. Le figure dì queste due Tavole porgono tutte gli oggetti che esse ritraggono, grandi al vero. In tutte poi le medesime lettere indicano gli oggetti medesimi. t. ii. 35 2U Luigi Calori Inviluppi, tumore erniario, e cloaca ombelicale. a 3 placenta. 5, c, corio e caduca. d, d2, amnio. e, e, funicolo ombelicale. f, piega dell’ amnio abbracciarne il funicolo anzidetto. g, larga briglia attaccata al tumore erniario. h, h_, due lembi che erano uniti all9 amnio. », tumore erniario. k, cloaca ombelicale. l , orifìzio cutaneo dell9 uretra. *, *, specillo introdotto per questo orifizio , il quale specillo riesce nella vescica orinaria extrofica. m 3 m, la detta vescica. n, orifizio della estremità inferiore dell9 ileo. n2, orifizio conducente al cieco. Visceri rinchiusi nel sacco erniario , e questi stessi visceri in un coi toracici tratti fuori di sito. o, o 3 o, lembi del sacco erniario aperto. p, esofago. q , stomaco. r , ansa duodenale formante nel suo principio presso lo stomaco la dilatazione s. t, u, digiuno ed ileo. », estremità dell'ileo aperta nella vescica extrofica. x, cieco aperto pur esso nella detta vescica. y , porzioncelia di colon. z , z, &3 &*, fegato cui vanno ad attaccarsi le due briglie x 2, x 3. 3, legamento sospensorio del medesimo. 4, milza. 5 , pancreas. 6, 7, reni succenturiati. 8 , rene unico. 9, il suo uretere che mette capo nella vescica extrofica m. 10, 11, vagine nel loro osculo atretiche attaccate alla vescica extrofica. 12, 13 , uteri. 14, 15, legamenti rotondi. 1 6 , 17, tube faloppiane. 18, rudimento dell’ovario destro. 19, 19, filamenti impervii: forse residui dei canali di Malpighi? 20, gianduia timo. 21 , trachea. 22 , polmone sinistro che mediante la briglia 23 aderisce al sacco del tumore. 24 , polmone destro. 25, vena ombelicale. 26 vena porta formata dalla 27 vena splenica e dalla 28 vena meserai- ca maggiore. Di tre Celosomi umani 27* > 29 , 29 , vena cava ascendente. 30, 30, vene ilìache primarie. 31, vena aziga. 32, vena jugulare interna sinistra. 33, vena succlavia sinistra. 34, vena succlavia destra. 35, vena jugulare interna destra. 36 , 36 , vene anonime , o piuttosto due vene cave mettenti separatamente nel seno venoso destro del cuore. 37, cuore, il cui pericardio tagliato in croce apparisce in 38. 39 , 39 , arteria ombelicale. 40 , 40 , aorta. 41 , celiaca. 42, arteria mesenterica superiore. 43, carotide destra. 44, succlavia destra. 45 , succlavia sinistra. 46 , carotide sinistra. 47, un’ arteria capsulare aortica. 48, 48, arterie renali accompagnate dalle lor vene. 49 , arteria vaginale uterina. 50 , gruppo dei vasi ovarici. Si è trascurato di apporre lettere a tutti gli altri vasi per non generare confusione. TAVOLA. 7. Fig. 15. 11 Celosomo atretosteleco in un co' suoi inviluppi rappresentato dalla parte anteriore. La placenta eh’ era posta davanti ai visceri sventrati , è stata portata posteriormente per mettere in vista i medesimi visceri. Fig. 16. Apparecchio uro-genitale, e sistema vascolare sanguifero del prefato Celosomo. TAVOLA 8. Fig. 17. Il Celosomo atretosteleco mostrato dalla regione dorsale, ove appari- sce un tumore fluttuante che occupa i lombi, il sacro e le natiche. Fig. 18. Il detto tumore aperto. Fig. 19. Lo stesso tumore aperto con una sezione longitudinale delle membra- ne che coprono la spina bifida lombo-sacra. Fig. 20. Scheletro del tronco del Celosomo atretosteleco, veduto dalla regione anteriore. Fig. 21. Il medesimo scheletro dimostrato dalla parte dorsale. Le figure di queste due Tavole sono tutte di grandezza naturale , ed in tutte le medesime lettere indicano i medesimi oggetti. 276 Luigi Calori Inviluppi, e visceri addominali. a, placenta. b , b , membrane dell9 ovo. c, tralcio ombelicale. d, lembo della membrana del sacco contenente i visceri sventrati. e, stomaco. f, intestino* tenue alquanto dilatato. g, intestino crasso. h, sacco nel quale termina il predetto intestino. i, grande epiploon. k, fegato. l , milza. m, n, reni succenturiati. o, p, reni. q, r, ureteri che mettono capo nelle vagine. s, t> vagine atretiche nella loro estremità esterna od inferiore. a, o, uteri. » y , trombe faloppiane. 6-, ovaja. Visceri toracici e vasi sanguiferi. 1 , porzione del polmone sinistro la quale è fuori di cavità, 2, cuore conformato a mo’ di navicella. 3,3, pericardio libero tagliato. 4, vena ombelicale. 5, vena formala da! condotto renoso di Acanzio e dalle vene epatiche , la quale Per specie di setto dirisa in due canali, setto continuo colla ,™ t Enstach.0 Questa rena non è a rigore la cara ascendente, ^f.!w?r°D aCC°g ,e ' T™e deIle caPsule soprarenali , dei reni, delle parti genitali, e ne manco quelle .degli arti inferiori, ec. ma la rena on- tato-mesenterica , ramo di coi è l’ ombelicale. 6,7, vene iliache primarie. 8, rena cara ascendente continuantesi nell’ aliga 9, 9. la! la! rene «psn'lat CÌaSC011 la'° rÌCmn° h Yene 0Yari<;he “■ 1 3 , vena emiaziga. 1S ’ arteria* polmon^e™*6 " ,nale riC"' r“iga ,rasforraa,a ÌB cava a5cenden'c- 16, 16, rami tagliati, che andarano ai polmoni. 17, condotto Botavano, od arterioso. P >o, 19, vene polmonali. 20 , 20 , aorta. 21 ’ rotide'sinLira* T80”0 ,da"’ arc° aorriro> <** ■’ arteria anonima, 1. ca- rotide sin stra e la succlavia sinistra. 22 > arteria celiaca. 23, arteria mesenterica superiore : l’inferiore manca. Di tre Celosomi umani 277 24, grossa arteria renale che dispensa rami ad amendue i reni, agli organi genitali, ed alle capsule soprarenali. 25 , arterie capsula» aortiche. 26, arterie iliache primarie. 27, 27, arteria ombelicale. Tumore della regione lombo-sacra esteso alle natiche. 28, il detto tumore. 29, 29, 29, 29, i quattro lembi del medesimo tumore tagliato in. croce. 30, 31 , 32, cieche insaccature della cavità del tumore. 33, doccia in corrispondenza della spina bifida lombo-sacra. 34, membrana interna soppannante la cavità del tumore predetto. 35, questa membrana aperta per lo lungo in corrispondenza della linea media della doccia 33. 36, membrana fibrosa sottoposta pure egualmente tagliata, la quale era tesa da un capo all* altro degli anelli vertebrali incompleti. 37, dura madre, essa altresì di pari guisa tagliata. 38, teca vertebrale. 39, nervi appiccati alla faccia interna della dura madre già velata dall’epite- lio aracnoideo. TAVOLA 9. Fig . 22. Dimostra il teschio osseo di una bambina semestre, la quale portava un enorme tumore congenito nella regione occipitale; tumore ernioso del pari e idrocefalico. La metà destra della volta del cranio è levata non che il cervello lasciando la dura madre , e ciò sì per vedere 1’ anomala apertura occipitale che era attraversata dalla punta del lobo posteriore dell’ emisfero cerebrale sinistro , come per vedere il modo onde si com- porta la grande falce, mancando il tentorio. Si è pure lasciato il sacco dell’ idro-encefalocele. Dimensioni naturali. а , il sacco dell’ idro-encefalocele. б, apertura anomala nella parte media della metà inferiore della porzione lambdoidea dell’ occipite , apertura continua col grande foro occipitale. c, c, detta porzione lambdoidea. ft falce messoria, o grande falce cerebrale, che alla parte superiore dell’ano- mala apertura b biforcasi in rami, uno destro g, h, maggiore, conti- nuazione della falce stessa, l’altro », A assai poco sviluppato. Amendue questi rami vanno ad appiccarsi ai processi clinoidei dello sfenoide, ed insieme col clivus di quest' osso circoscrivono un forame Pacchioniano am- plissimo, mancando il tentorio. I , dura madre reduce dal sacco dell’ idro-encefalocele continua a quella che dal grande foro occipitale discende pel canale della spina. Fig. 23. 11 medesimo teschio mostrato dalla parte posteriore in un col sacco dell’ idro-encefalocele aperto. Dimensioni naturali. a, tegumento del sacco predetto circolarmente tagliato, una metà circa del quale è stata asportata. 278 Luigi Calori b , membrana fibro-cellulosa molto resistente, la quale sembra appartenere ai muscoli cucullari. e, dura madre ed aracnoide parietale che soppannano il detto sacco. d , aracnoide viscerale pertinente alla punta del lobo posteriore dell’emisfero cerebrale sinistro. e, e , aderenze dell’ aracnoide viscerale d all’ aracnoide parietale della dura madre del sacco dell’ idro-encefalocele. Per queste aderenze onde tutto intorno 1’ aracnoide viscerale è conglutinata alla parietale, ha luogo un sacco che non comunica col restante della cavità dell’ aracnoide ; il per- chè P idrope che accompagnava 1’ encefalocele , era un idrope , od un idrocefalo saccato. f, f9 parietali. <7, Wormiano di Blasius od epactale. h, porzione mastoidea del temporale. i , porzione lambdoidea delP occipite. ERRATA Tav. 6 fig. 11 x CORRIGE Pleurosomus dirtinus -Calori _lav:l. Mem.Ser.2*Toni.lL Pleurosonras didiinus _Calori _Tav.Il Mem.SctKTom.II. L£fc.l'“ Casanova Mem.Ser.2fTom.il P leurosomus Jirhi nus .Calori . Tav 1IL lil7“ Casanova Pleuro somus diriiinus - Calori Jlarc: W. Mem.SerXToni.il. Mem.Ser,2fTomM . Celosomus cloacarius * Calori» TarT. Mem.SerrTom.il. Peloso mus rloaarius.Calori.Tav.VL 0 Nannini diaìalycrD &Mi lu. dii 1 Oéttim 3i». in piiba lit P L* Citinovi - - ■ Mem.Ser.2. Totti.II. Celosomus afretosteìecus Calori _Tav Vili. Ll.FfC.ui.ava INTORNO L’ INFLUENZA DEL MOTO DEI MEZZI RIFRANGENTI SULLA DIREZIONE DEI RAGGI LUMINOSI NOTA DEL PROF. CAV. LORENZO RESPIGHI (Letta nella Sessione 11 Aprile 1361.) Una grave, interessantissima questione, di pertinenza non tanto dell* ottica quanto dell’ astronomia , trovasi an- cora nello stato di incompleta soluzione , malgrado le pro- fonde ricerche teoretiche e sperimentali su di essa intra- prese. Risguarda tale questione V influenza esercitata dal moto dei mezzi rifrangenti sulla direzione dei raggi lu- minosi , o delle onde luminose da cui sono attraversati. La risoluzione di questo problema, mentre per una par- te interessa grandemente la teoria della luce, in quanto che dipende dalla medesima la conoscenza delle modifica- zioni da apportarsi alle leggi generali dei principali feno- meni ottici, in rapporto al moto dei mezzi in cui essi si producono , interessa poi per altra parte non meno la scienza dei fenomeni celesti, per determinare le modifica- zioni prodotte sulla direzione dei raggi luminosi provenienti dagli astri dai movimenti della terra , a cui partecipano i mezzi rifrangenti attraverso cui riceviamo tali raggi; per caratterizzare compiutamente il fenomeno dell’ aberrazione 282 Lorenzo Respighi Di più la questione proposta dal Boscovieh veniva com- piutamente risoluta dal Foucault dietro la via indicata dal- l5 Arago , per mezzo di un esperimento da cui riuscì incon- testabilmente dimostrato che la luce si propaga più veloce- mente attraverso all5 aria che attraverso all5 acqua. L’esperienza del Boscovieh però, se devesi ritenere inutile in riguardo allo scopo cui egli la destinava , a quanto mi pare, essa presenta una grande importanza per rispetto alla questione superiormente annunciata dell’ influenza del moto dei mezzi rifrangenti sulla direzione dei raggi lumi- nosi che li attraversano, ed anzi sembrami di vedere nella medesima un mezzo opportuno per ottenere dati molto utili alla sua soluzione. L’ esperimento proposto dal Boscovieh consiste nel de- terminare la posizione apparente delle stelle per mezzo di un cannocchiale ripieno di acqua dall’ obbiettivo fino al micrometro, o al fuoco, in modo che le immagini delle stelle vengano formate da raggi propagantisi dall’ obbiet- tivo sino al fuoco, non già attraverso all’ aria, come suc- cede negli ordinari strumenti astronomici , ma attraverso all’ acqua. Secondo il modo di vedere del Boscovieh la posizione apparente delle stelle, così determinata, doveva risultare affetta da un’ aberrazione diversa da quella ottenuta cogli ordinari strumenti a riflessione o rifrazione, e cioè sensi- bilmente maggiore o minore di questa , secondo che la luce si fosse propagata nell’ acqua meno , o più velocemente che nell’ aria. Ammettendo il Boscowich che 1’ aberrazione della luce sia data dal rapporto tra la velocità del tubo perpendicor lare al suo asse, e la velocità della luce nel mezzo che riempie il tubo , ne deduceva secondo il sistema dell’ ema- nazione ohe osservando le stelle nel cannocchiale ad acqua la loro aberrazione avrebbe dovuto riescire minore di quel- la ottenuta col metodo ordinario di circa, per essere la velocità della luce nell’ aria a quella nell’ acqua nel rap- porto di 3 a 4- circa. Secondo poi il sistema delle ondula- zioni la prima doveva riescire maggiore della seconda di -J Sul moto dei mezzi rifrangenti circa , per essere la velocità della luce nell’ aria , secondo questo sistema, a quella nell’ acqua nel rapporto di 4 a 3. Conseguentemente la costante della aberrazione nel can- nocchiale ad acqua sarebbe risultata, vero il sistema delle emanazioni, non già di 20", quale risultava dalle osserva- zioni astronomiche, ma di 15" circa, e vero il sistema delle ondulazioni, di circa 27". Il Boleovich nel proporre questo esperimento indicava il modo con cui si sarebbe potuto costruire il cannocchiale ad acqua, ed il metodo col quale avrebbe potuto essere applicato all’ osservazione delle stelle per rendere sensibile questa variazione nella costante dell’ aberrazione ; e di più proponeva di modificare 1’ esperienza per renderla di più facile esecuzione. Prima però di procedere all’ esame di queste modifica- zioni, credo opportuno di analizzare il principio su cui è basata 1’ argomentazione del Boscovich, per vedere se pos- sano ritenersi esatte le conseguenze che ne venivano dedotte. Primieramente supponiamo di avere un tubo ripieno di acqua , o di un altro mezzo qualunque diafano , e suppo- niamolo chiuso ad una delle sue basi con una calotta sferica di vetro a parete sottilissima , e supponiamo che da un punto luminoso lontanissimo provenga su questa superficie sferica un fascio di raggi che supporremo paralleli e diretti secon- do V asse del tubo. È evidente, supponendo nulla la gros- sezza della calotta di vetro, che questi raggi saranno resi convergenti sulla direzione del raggio passante pel centro di curvatura di questa, in un punto alla distanza A dalla medesima, data dalla formola nella quale r rappresenta il raggio di curvatura della calotta sferica, ed n 1’ indice di rifrazione dell’ acqua relativamente all’ aria; ed è in questo punto che verrà a formarsi 1’ im- magine dell’ oggetto luminoso lontanissimo. Suppongasi inol- tre che su questa immagine si faccia coincidere un reticolo a 284 Lorenzo Respighi croce , e che per mezzo di un opportuno oculare possa os- servarsi tale coincidenza. L’ asse ottico dal cannocchiale resterà così determinato dal reticolo e dal centro di curvatura dell’ obbiettivo. S’ im- magini ora il tubo mosso perpendicolarmente a quest’ asse con una velocità Pj e facilmente si vedrà che P immagine del punto luminoso , invece di coincidere col reticolo , verrà a formarsi sul piano del medesimo nella direzione del moto del cannocchiale, ad una distanza h da quello, data dalla formola chiamando Vf la velocità colla quale la luce si propaga nel mezzo di cui è riempito il tubo. Volendo ora dedurre lo spostamento angolare dell’ imma- gine sull’ asse ottico del cannochiale, ossia P angolo A di aberrazione , avremo tang A = V'(A — r) V od anche per essere A un angolo piccolo / \ A nv (a) A = — Boscovich invece di misurare P angolo di aberrazione al vero centro ottico dell’ obbiettivo , ossia al centro di cur- vatura della superficie sferica rifrangente, lo misurava sulla superficie stessa , e perciò ne deduceva , vA v ~ FÀ — r ’ e per conseguenza P aberrazione dipendente, tanto secondo 1 sistema delle emanazioni quanto secondo quello delle on- Sul moto dei mezzi rifrangenti dulazioni, dalla velocità della luce nel mezzo rifrangente di cui è ripieno il tubo del cannocchiale. Ammettendosi poi nel sistema delle emanazioni che la velocità V della luce nell’ acqua è prossimamente eguale a £ della velocità V della luce stessa nell’ aria, ne risul- tava nel cannocchiale ad acqua Y aberrazione v 3 v e cioè di un quarto minore di quella che si ottiene nei cannocchiali ad aria , e perciò la costante dell’ aberrazione delle stelle di 15" circa, e non già di 20", 5 come risulta dalle ordinarie osservazioni astronomiche. Ammettendosi poi nel sistema delle ondulazioni che la velocità V della luce nell’ acqua è circa i f della velocità V nell’ aria, Boscovich ne inferiva pel cannocchiale ad acqua e cioè ls aberrazione in questo caso maggiore di -J- di quel- la ottenuta coi cannocchiali comuni, e quindi la costante dell’ aberrazione delle stelle di 27" circa, invece di 20",5. Tali sono i risultati che secondo Boscovich si dovrebbe- ro ottenere dalle osservazioni delle stelle per mezzo del cannocchiale ad acqua in conformità dei due sistemi am- messi dai fisici sulla natura della luce; perciò verificandosi col fatto o 1’ uno di essi o 1* altro , si avrebbe una prova decisiva in favore di uno dei sistemi stessi. Se non che, dovendosi valutare 1’ aberrazione nel can- nocchiale ad acqua colla forinola (a) , è facile vedere che i risultati delle osservazioni debbono essere assai diversi da questi. Infatti secondo il sistema delle emanazioni avendosi fra la velocità V della luce nel mezzo che riempie il tubo, e la velocità V nell’ aria la relazione r = nV, Lorenzo Respighi sostituendo nella (a) il valore di V 1 si ottiene a-JL-1 nV~ r* e cioè F aberrazione nel cannocchiale formato con qualun- que mezzo rifrangente identica a quella ottenuta nei can- nocchiali ad aria. Secondo il sistema delle ondulazioni avendosi invece la formola (a) somministra Da cui si deduce che nel cannocchiale formato con un mezzo rifrangente di indice n rispetto all9 aria F aberrazio- ne, secondo il sistema delie ondulazioni, sarebbe proporzio- nale al quadrato delF indice di rifrazione , e che perciò nel caso del cannocchiale ad acqua la costante dell9 aber- razione delle stelle diventerebbe prossimamente eguale a 16 — X 20",5 = 36",4. Nel dedurre questi risultati si è però tacitamente am- messo col Boscovich, che i raggi luminosi, attraversando i mezzi rifrangenti in movimento, si uniformino pienamente alle leggi ordinarie della rifrazione , senza risentire nel lo- ro modo di trasmissione alcuna influenza dal movimento del mezzo rifrangente , essendosi considerate le direzioni dei raggi rifratti, quali si sarebbero ottenute nel caso di perfetta immobilità del mezzo attraverso a cui si ritene- vano propagati. Sul moto dei mezzi rifrangenti Ma questa supposizione devesi ritenere come totalmente arbitraria , tanto in rapporto al sistema delle emanazioni quanto in rapporto a quello delle ondulazioni , mancando i dati tanto sperimentali quanto teoretici necessari per po- tere riconoscere in essa alcun carattere di verità non so- lo , ma nè anche di verosimiglianza o di probabilità. Che anzi, considerando che la materia ponderabile agisce potentemente sulla trasmissione dei moti luminosi, varian- done notabilmente, a seconda delle circostanze, le velocità e le direzioni , siamo naturalmente condotti a sospettare , se non ad ammettere, che queste modificazioni siano su- bordinate allo stato di quiete o di moto dei mezzi attra- verso cui ha luogo la propagazione della luce ; e che per- ciò all’ osservazione ed all’ esperienza si debbano chiedere in proposito le necessarie dilucidazioni. Conseguentemente non possiamo a priori stabilire , nè basandoci sul sistema delle emanazioni , nè su quello delle ondulazioni, quali debbano essere le differenze fra 1* aber- razione della luce, e in particolare di quella delle stelle, determinata col cannocchiale ad acqua » e quella ottenuta cogli ordinari strumenti astronomici. Essendosi però calcolate tali differenze nell* ipotesi che T influenza del moto del mezzo rifrangente sulla propaga- zione dei raggi luminosi sia nulla , eseguendo 1* esperimen- to del Boscovich si potrebbe avere nei risultati del mede- simo , se concordi coi già calcolati , la dimostrazione della verità di tale ipotesi , o in caso contrario i dati necessari per valutare convenientemente questa influenza. Quando Fresnel, appoggiandosi sui principii del sistema delle ondulazioni, si propose di risolvere teoreticamente questo problema , non potendo stabilire a priori le rela- zioni tra il movimento dei corpi e quello dell’ etere in essi contenuto , si trovò nella necessità di far uso dei se- guenti postulati. 1. ° Che la densità delF etere in un mezzo, il cui indi- ce di rifrazione rispetto al vuoto è n , sia misurata da n 2. 2. ° Che il mezzo in movimento non trasporti seco che quella porzione dell* etere, in esso contenuto, che costi- Lorenzo Respighi tuisce 1* eccesso n% — 1 della densità di questo su quella dell’ etere circostante , o dell’ etere nel vuoto. 3.° Che la velocità di propagazione della luce , che si comporrebbe con tutta la velocità del mezzo , se tutto F e- tere fosse trasportato dal mezzo stesso, si componga sol- tanto con una parte di questo moto, e cioè con quella che esprime il movimento del centro di gravità dell’ etere* All’ appoggio di questi dati può calcolarsi 1’ influenza del moto dei mezzi rifrangenti sulla propagazione dei rag- gi luminosi , e pel caso delle osservazioni delle stelle si trova, che la costante dell’ aberrazione è determinata dal rapporto della velocità della terra alla velocità della luce nel vuoto, e che perciò è totalmente indipendente dal po- tere rifrangente del mezzo attraverso cui viene osservata. In relazione a ciò potrebbe stabilirsi che il risultato dell’ esperimento del Boscovich deve essere negativo, e cioè che F aberrazione dedotta col cannocchiale ad acqua deve riescire identica a quella ottenuta coi comuni stru- menti astronomici. Quantunque i postulati, su cui si basa Fresnel per ri- solvere questa questione, presentino un certo carattere di verosimiglianza , e quantunque questo celebre propugnatore del sistema delle ondulazioni abbia procurato ai medesi- mi per mezzo di opportuni esempi F impronta di una gran- de probabilità , ciò Rullamene F importanza della questione è tale da far ritenere non solamente opportuno, ma neces- sario di convalidare e confermare le deduzioni teoretiche coi risultati dell’osservazione e dell’esperienza. L’ esperienza di Fizeau sullo spostamento prodotto nelle frangie di interferenza dal moto dell’ acqua attraversata dai raggi interferenti, tuttoché molto ingegnosa, non sembra però, avuto riguardo alle molte cause perturbatrici che ne potevano alterare i risultati , ed alla specialità del caso a cui veniva applicata, abbastanza concludente per po- ter servire di conferma alla verità dei postulati ammessi da Fresnel intorno F influenza del moto dei mezzi rifran- genti sullo stato dell’ etere in essi contenuto. L esperimento del Boscovich ravvisato sotto questo punto Sul moto dei mezzi rifrangenti 289 di vista mi è parso molto opportuno; e quindi la sua esecuzione mi è sembrata di non lieve interesse alla teo- ria della luce. Infatti supponendo superate le difficoltà di costruzione del cannocchiale ad acqua , e posto questo nelle condizio- ni opportune per misurare la distanza zenitale delle stel- le con quella esattezza che può ottenersi dai nostri stru- menti meridiani , le differenze dei risultati delle osserva- zioni, fatte con quello e con questi, ci somministrerebbero i dati necessari per calcolare 1* influenza del moto della terra, di cui è investito il cannocchiale ad acqua, sulla propagazione dei raggi luminosi che lo attraversano; e co- sì potremmo ottenere nelF identità di tali risultati una nuova e concludente conferma alla teoria di Fresnel. L’ attuazione però di questo progetto di esperienza pre- senta grandissime difficoltà, tra le quali emergono le se- guenti ; e cioè di ottenere il cannocchiale ad acqua acro- matico e di sufficiente ingrandimento , di potervi applicare un grande settore zenitale per la misura esatta delle di- stanze zenitali, di determinare il punto zenitale, e final- mente di assicurare 1* immobilità e P invariabilità nell’ ap- parato di osservazione. Il Boscovich suggerisce in proposito le norme a seguir- si per vincere queste difficoltà, ma esse lasciano tuttora grandi dubbi sulla possibilità di metterle in atto , e di ot- tenere con esse un apparato atto alla misura delle distan- ze zenitali assolute delle stelle colla precisione richiesta da queste delicate ricerche. Il Boscovich , appoggiandosi sugli stessi principii , trovava modo di semplificare il suo esperimento , e di ridurlo a meno difficile esecuzione , mostrando come a rendere sen- sibile la differenza tra P aberrazione della luce nei cannoc- chiali ordinari e quella nel cannocchiale ad acqua, non fosse necessaria P osservazione delle stelle , ma bastasse invece P osservazione di un oggetto terrestre lontanissimo ; poiché secondo il suo modo di argomentazione un oggetto terrestre lontanissimo, osservato con un cannocchiale ad acqua , invece di mantenersi costantemente fisso nel campo di questo, t. ii. 37 290 Lorenzo Respighi dovrebbe invece durante la rotazione della terra descri^ vere una piccola elisse nel senso di oriente in occidente od in senso opposto , secondo che la luce si fosse propagata conformemente alt’ uno od all’ altro dei due sistemi dai fisici ammessi sulla natura della medesima. Infatti, se noi supponiamo diretto un cannocchiale ad un oggetto terrestre lontanissimo, si fa evidente, che durante la rotazione della terra 1’ asse ottico del cannocchiale pren- derà , rispetto alla direzione del moto di traslazione di que- sta, inclinazioni successivamente diverse, in forza delle quali 1’ oggetto osservato andrà soggetto ad un5 aberrazione con- tinuamente variabile, sia nella grandezza, sia nella direzione. Queste aberrazioni però nei cannocchiali ordinari sono rese insensibili a cagione dell’ essere il moto del cannocchiale comune anche all’ oggetto osservato, il quale perciò si pre- senta immobile rispetto all’ asse di questo. Ma qualora 1’ oggetto venga osservato col cannocchiale ad acqua, secondo il modo di vedere del Boschovich, la sua immobilità non può aver luogo ; perchè esso viene affetto da un aberrazione eguale alla differenza esistente tra 1’ aber- razione della luce nell’ aria e quella nell’ acqua ; cosicché durante la rotazione della terra variando continuamente quest’ aberrazione nella direzione, nel senso e nella gran- dezza, P oggetto deve presentare un moto apparente diur- no , dipendente dall’ epoca dell’ anno in cui viene fatto 1 esperimento, e dall’ inclinazione dell’ asse del mondo sull asse ottico del cannocchiale. Per comprendere più facilmente il concetto del Bosco- vich e per vedere come possa determinarsi la natura e la grandezza di questo moto apparente dell’ oggetto terrestre , s immagini diretto verso un punto qualunque del cielo un cannocchiale comune, e si supponga il medesimo del tutto immobile durante un giorno siderale. È evidente che, pre- scindendo dalla rifrazione atmosferica, durante la rotazione li terra 81 presenteranno successivamente sull’ asse ottico ca.n”°cch\a,e tutti i punti del parallelo celeste determi- nato dall inclinazione dell’ asse stesso sull’ asse del mon- to, e perciò ciascuna delle stelle poste su questo parai- Sul moto dei mezzi rifrangenti 291 lelo andrà soggetta, per effetto del moto di traslazione del- la terra , ad una aberrazione speciale , dipendente dalla sua ascensione retta e dalla sua declinazione. Se ora immaginiamo posto sulla direzione dell’ asse otti- co un oggetto terrestre lontanissimo , partecipando questo al moto di traslazione del cannocchiale non presenterà du- rante la rotazione della terra alcuna aberrazione, e si man- terrà perciò costantemente fisso sull’ asse stesso. Ma se queste osservazioni si faranno invece con un can- nocchiale ad acqua P aberrazione di ciascuna stella si ren- derà maggiore o minore dell’ antecedente dipendentemente dal valore della costante di aberrazione nell’ acqua, e perciò la sua posizione apparente riescirà diversa da quella deter- minata nel primo cannocchiale, presentando uno spostamento eguale alla differenza delle due aberrazioni, corrispondenti ai due diversi mezzi attraverso cui viene osservata. Gli spostamenti successivamente presentati dalle stelle passanti sul cannocchiale ad acqua saranno partecipati anche all9 oggetto terrestre , e perciò questo, invece di rimanere immobile sull’ asse del cannocchiale descriverà attorno al medesimo una curva che sarà il luogo geometrico delle nuove posizioni apparenti di tutte le stelle corrispondenti ai di- versi punti del parallelo che durante la rotazione della ter- ra passano per 1’ asse ottico del cannocchiale. È poi evidente che a rendere sensibile questo moto ap- parente dell9 oggetto terrestre si può del tutto prescindere dall’ osservazione delle stelle. Da queste premesse il Boscovich , ammettendo sempre nulla 1’ influenza del moto del mezzo rifrangente sui raggi luminosi , deduce che 1’ oggetto terrestre durante la ro- tazione della terra descriverà nel campo dei cannocchiale una piccola elisse , le cui dimensioni saranno massime nel- l9 epoca dei solstizi , e minime in quella degli equinozi. E così egli trova, che nell9 epoca dei solstizi l9 asse mag- giore di quest9 elisse sottenderà un angolo eguale al dop- pio della differenza tra la costante dell’ aberrazione nel can- nocchiale ad acqua e quella dedotta cogli ordinari strumenti astronomici’, e perciò eguale conformemente al sistema delle 292 Lorenzo Respighi emanazioni a 10" circa, e nell’ epoca degli equinozi eguale invece a questa quantità moltiplicata pel seri 66°. 32' ossia pel coseno dell’ obliquità dell’ eclittica, e perciò di 9",2 circa. A questi risultati però egli perviene deducendo sempre P angolo di aberrazione nella tacita supposizione che il cen- tro ottico del cannocchiale ad acqua si trovi sulla superfi- cie obbiettiva, e non già al suo centro di curvatura; e per- ciò i medesimi non possono ritenersi esatti. Valutando in- vece nel debito modo P angolo di aberrazione nel cannoc- chiale ad acqua , ammessa sempre nulla P influenza del mez- zo rifrangente , si perviene ai seguenti risultati. Primieramente, posto vero il sistema delle emanazioni, P oggetto terrestre non deve presentare durante la rotazione della terra alcun moto apparente nel cannocchiale ad acqua ; perchè come superiormente si è mostrato la costante del- P aberrazione in questo cannocchiale è eguale a quella ot- tenuta cogli strumenti astronomici , e perciò la loro diffe- renza è nulla. Secondariamente , posto vero il sistema delle ondulazioni , essendosi trovato in questo caso , prescindendo dall’ influen- za del moto del mezzo rifrangente, che la differenza tra le due costanti di aberrazione è di 1 5", 9, ne risulta che P og- getto terrestre nel cannocchiale ad acqua deve descrivere durante il giorno un’ elisse, il cui asse maggiore sottende nell’ epoca dei solstizi un angolo di 32" circa , e nell’ epo- ca degli equinozi di 29" circa. Dal che si deduce che il secondo modo di esperimentare proposto dal Boscovich può applicarsi non meno utilmente del primo , se non a risolvere la questione alla quale egli lo destinava , a verificare però se il moto dei mezzi rifrangenti influisce, e con quali leggi, sulla propagazione dei raggi luminosi da cui sono attra- versati. Che anzi in tale modo dall’ esperimento vengono escluse certe condizioni difficilmente verificabili , richieste nella pri- ma esperienza , e viene perciò reso il medesimo di meno diffìcile esecuzione. Infatti riducendosi questo all’ osser- vazione del moto apparente di un oggetto terrestre, visto urante il corso del giorno nel cannocchiale ad acqua , tale Sul moto dei mezzi rifrangenti 293 movimento può essere più facilmente constatato e misurato , che non le differenze di aberrazione delle stelle , per otte- nere le quali si richiederebbe V uso di circoli graduati e di un buon micrometro oculare, difficilmente applicabile al cannocchiale ad acqua; oltre di, che le osservazioni del- P oggetto terrestre si potrebbero instituire nelle ore più opportune per determinarne gli spostamenti, ciò che diffi- cilmente si potrebbe ottenere nell’ osservazione delle stelle. Ciò non pertanto restano tuttora a vincersi per la rie- scita dell’ esperimento gravi difficoltà, tra le quali merita- no speciale considerazione le seguenti , e cioè quella di ot- tenere il cannocchiale ad acqua della dovuta precisione , quella di poter osservare durante il corso del giorno un og- getto terrestre lontanissimo e ben distinto, e finalmente quella di assicurare P immobilità dell’ asse ottico del can- nocchiale per tutto il tempo di osservazione. Queste difficoltà sono tali, che difficilmente si potrebbe sperare di superarle , qualora venisse attuato 1’ esperimento nel modo indicato dal suo inventore; ed è probabilmente questa la ragione per la quale esso , malgrado la sua impor- tanza, tanto per rispetto alla scienza della luce quanto per rispetto alla scienza degli astri , non venne fino a questi giorni, per quanto io sappia, mandato ad esecuzione. Verso la fine del 1859 avendo intrapreso alcune ricerche relativamente all’ influenza del moto dei mezzi rifrangenti sulla direzione dei raggi luminosi, specialmente in rapporto alla questione della possibilità di ottenere fenomeni ottici di- pendenti dal moto annuo della terra, presi in esame il progetto di esperienza dei Boscovich; ed essendomi per- suaso che esso avrebbe potuto tornare utilissimo alla que- stione in discorso, fin d’ allora mi proponeva di mettere tale progetto in esecuzione , abbenchè mi vedessi di fronte gravissimi ostacoli perla buona riescita del medesimo, spe- cialmente per la circostanza di non potermi giovare del- P opera di un macchinista abbastanza abile per costruire V apparato di osservazione colla necessaria perfezione. Dopo di avere fatti alcuni tentativi per mettere ad ef- fetto 1’ esperimento nel modo, indicato dal Boscovich, ho Lorenzo Respighi dovuto convincermi dell9 impossibilità di riescirvi ; ma sen- za rinunciare al primo proposito, mi sono deciso di ricer- care un qualche modo di semplificare ulteriormente questo esperimento , senza lederne la parte sostanziale , procuran- do di eliminare le principali difficoltà che si opponevano alla sua conveniente esecuzione. La prima difficoltà, che si presentava in questa ricerca era quella di trovare un oggetto lontano abbastanza picco- lo e luminoso, per ottenerne nel cannocciale ad acqua T immagine della piccolezza e distinzione necessaria per rilevare in essa i più piccoli spostamenti. A questa difficoltà trovai che si poteva arrecare un op- portuno rimedio, col sostituire ali’ oggetto lontano un col- limatore analogo a quelli che si usano per rettificare gli strumenti meridiani ; collocando nel fuoco dell’ obbietti- vo due fili a croce sottilissimi e fortemente illuminati, o un altro qualunque piccolo oggetto splendente; con che poteva riferirsi 1’ oggetto osservato ad una distanza infinita. La seconda difficoltà che io incontrava , era quella di ottenere e constatare con tutta la possibile precisione l’ in- variabilità nella direzione dell’ asse ottico del cannocchia- le. A questa difficoltà mi parve si sarebbe arrecato un opportuno rimedio col dirigere 1’ asse del cannocchiale ad acqua e quello del collimatore lungo la verticale, secondo la quale veniva eliminata la flessione del cannocchiale,, e si procurava una più conveniente disposizione per ottenere e verificare la stabilità e la verticalità dell’ asse. Un’ altra difficoltà, ed assai più forte, 1’ incontrai nella costruzione di un cannocchiale ad acqua , col quale si po- tesse osservare distintamente 1’ immagine di un piccolissi- mo oggetto, e rilevarne e misurarne i più piccoli movi- menti ; il che richiedeva nello stromento un perfetto acro- matismo, un notevole ingrandimento e un buon apparato micrometrico. E per vero dire questa difficoltà mi avrebbe fatto ab- bandonare il progetto , se non mi si fosse presentato T ar- tificio di stabilire il cannocdhialef ad acqua come collima- Sul moto dei mezzi rifrangenti 295 tore, sostituendo ad esso nelle osservazioni il cannocchiale ad aria, con che si invertivano gli effetti dell5 aberrazione, senza alterarne la sostanza e la grandezza. Modificato in tale guisa il concetto dell’ esperimento, tro- vai modo di convenientemente realizzarlo in un opportuno apparato applicato al circolo meridiano di questo Osserva- torio. Sotto la parte centrale di questo circolo trovasi pra- ticato per una profondità di circa 20 metri un’ apertura, per le osservazioni circumzenitali delle stelle col metodo di che io già esposi nel principio del corrente anno accade- mico : tale apertura mi permetteva di collocare il collimatore ad acqua nella direzione della verticale sotto il circolo meri- diano, con tutta la desiderabile comodità e stabilità sul pia- no del sottoposto ambiente alla profondità di 8 metri cir- ca. Mentre poi poteva servirmi per le osservazioni del can- nocchiale meridiano , che per la sua sufficiente stabilità per 1* ingrandimento di cui è suscettibile , e per la facili- tà di potere verificare V immobilità del suo asse ottico , si prestava mirabilmente a questo genere di delicate os- servazioni. Fissato così il piano di osservazione , la prima operazione che dovevasi eseguire era quella di costruire un buon can- nocchiale collimatore ad acqua, e dopo molti tentativi giunsi a comporlo nel seguente modo. AH’ estremità di un tubo metallico ben consistente ho applicato un obbiettivo acromatico di 62"”" di apertura , e in modo da chiudere con esso ermeticamente il tubo col- la sua superficie anteriore rivolta verso la parte interna del tubo stesso , rimanendo 1’ altra estremità di questo to- talmente aperta e libera. Con opportuno meccanismo ve- niva questo tubo stabilmente fissato sopra un solidissimo portante, in modo però da potere essere innalzato od ab- bassato, e secondo il bisogno convenientemente inclinato. Sotto il tubo veniva collocato un grande vaso di cristallo di figura conica a parete molto grossa, col fondo di ottone a cui era innestato un tubo cilindrico egualmente di otto- ne; cosicché la totale lunghezza del vaso col fondo me- tallico riesciva di oltre un metro. Questo vaso si appog- 296 Lorenzo Respighi giava colla sua base sul fondo di una grande e robustissi- ma cassa di legno, aperta nella sua parte superiore, e nel fondo della quale erasi praticato un foro per dar pas- saggio al tubo od appendice del vaso. La cassa appoggia- vasi stabilmente sul piano della camera sottoposta al cir- colo meridiano , facendosi coincidere il tubo sporgente dal suo fondo coll’ apertura già praticata nella sottostante volta per le osservazioni circumzenitali. Per rendere stabile il vaso e la cassa in cui era conte- nuto, riempivasi il vano lasciato in questa dal vaso con sabbia asciuttissima, la quale colla sua pressione e coi suo peso dava tanto alla cassa quanto al vaso una completa stabilità. Riempito questo vaso fino ad una certa altezza con acqua distillata, si abbassava il tubo sovrastante, finché P obbiet- tivo, che ne formava la base, veniva a porsi colla superficie posteriore a contatto completo coll’ acqua , rimanendo del tutto asciutta la superiore difesa dalle pareti dei tubo. L9 apparato si disponeva in modo da fare prossimamente coincidere l9 asse di figura dell’ obbiettivo, posto a con- tatto dell9 acqua , coll9 asse ottico del cannocchiale meri- diano diretto sul nadir; cosicché con questo potevasi os- servare attraverso a quell9 obbiettivo ed all9 acqua la par- te centrale del fondo del vaso. Per mezzo di un lume , posto superiormente alla super- ficie di livello a qualche distanza, si rischiarava il fondo del vaso, concentrandovi la luce per mezzo di una lente convergente, e si abbassava quindi od innalzava l9 obbiet- tivo a contatto dell9 acqua, finché col cannocchiale meri- diano si poteva vedere colla massima distinzione il fondo così rischiarato, ed i piccoli oggetti posti nel suo centro. In tale modo si veniva ad ottenere una specie di colli- matore ad acqua abbastanza acromatico nella parte centra- le , ed altro non restava che applicare ad esso i fili od altro piccolo oggetto per la collimazione. Per ottenere nel piano focale di questo collimatore un oggetto fisso , ben distinto e piccolissimo, per fissare la posizione ed i movimenti apparenti della sua immagine Sul moto dei mezzi rifrangenti 297 per mezzo del micrometro del cannocchiale meridiano si incontrarono non poche difficoltà. Dopo molti tentativi si raggiunse in parte questo intento , stabilmente collocando sul fondo del vaso in opportuna cavità molti piccolissimi globetti di mercurio, che presen- tavano nel cannocchiale altrettante immagini piccolissime del sovrapposto lume, a guisa di piccole stelle. Se non che durante il giorno le sferette di mercurio, oscillando leggermente pei tremiti dei fabbricato, rendevano un po’ vacillanti le immagini , e perciò incerta la loro po- sizione ; di più essendo il lume troppo vicino a queste sfere le oscillazioni della fiamma, quantunque difesa dalle correnti di aria, contribuivano anch’ esse a rendere vacil- lanti le sue immagini ; mentre poi la superficie del mer- curio, perdendo troppo presto il suo potere riflettente, presentava le immagini del lume molto deboli ed indici- se, per cui si trovò anche questo metodo non adatto al- P uopo. Da ultimo si pensò di rendere trasparente il fondo del vaso con una grossa lastra di vetro , cospersa di piccolissi- me bolle; e di collocare un lume sotto al medesimo, alia profondità di oltre 10 metri , essendo ciò permesso dalle aperture già praticate nelle volte dei sottoposti ambienti per le osservazioni circumzenitali delle stelle. Con ciò si ottenero nel fondo del vaso delle immagini piccolissime del lume sottoposto , ben distinte , assai lumi- nose e stabilissime ; le quali presentavano ai cannocchiale meridiano una specie di cielo ad acqua cosperso di brillan- tissime e piccolissime stelle, quali appunto erano necessarie ad effettuare P esperimento. Scegliendo tra queste una delle più piccole e ben de- cise, e portando su di essa i fili mobili del micrometro me- ridiano , e cioè tanto quello parallelo al meridiano , quanto quello ad esso perpendicolare , se ne poteva determinare con molta esattezza la posizione, e misurare i più piccoli movimenti , ai quali avesse potuto andar soggetta. Ridotto 1* apparato in queste condizioni, nei mese di Giu- gno 1860 si intrapresero le osservazioni, e si eontinuaro- t. ii. 38 Lorenzo Respighi no per più giorni, determinando di tre in tre ore la po- sizione apparente di una delle indicate immagini. Per otte- nere risultati indipendenti dai piccoli spostamenti del can- nocchiale meridiano, si determinavano questi movimenti più volte al giorno per mezzo della riflessione dei fili so- pra V orizzonte a mercurio. Nelle prime osservazioni si trovarono nell’ immagine dei piccoli spostamenti; ma si rilevò che questi non avevano relazione alcuna col moto diurno della terra , e che piuttosto dipendevano da instabilità dell’ apparato, e da alterazioni in esso prodotte delle grandi variazioni della temperatura am- biente. Questi movimenti vennero in gran parte eliminati col rendere più stabile la montatura dell’ obbiettivo posto a contatto dell’ acqua; ma non si poterono eliminare gli ef- fetti ancora abbastanza sensibili delle variazioni termome- triche. Fino però da queste prime osservazioni mi pareva si po- tesse dedurre che i piccoli movimenti dell’ immagine erano puramente accidentali , e che non potevano ragionevolmente attribuirsi alla causa ottica assegnata dal Boscovich ; ed anzi fin d allora ne traeva la convinzione che , escluse tutte le cause perturbatrici , V immagine dell’ oggetto visto nel- 1 acqua avrebbe dovuto conservarsi durante la rotazione della terra immobile sul micrometro. Trattandosi però di una questione tanto importante e delicata, prima di venire a questa conseguenza , ho creduto opportuno di ripetere 1’ esperienza nei mesi autunnali od invernali , nei quali tanto nello strumento meridiano , quan- to nell apparato di collimazione, sarebbero state meno te- mibili le influenze di temperatura. Alla fine di Ottobre vennero perciò riprese le osserva- zioni, usando tutte le possibili cure per renderne i risul- tati meritevoli di piena fiducia, e si ripeterono interpola- tamente per varii giorni nei mesi seguenti fino all’ epoca del solstizio invernale, cioè fin verso il 21 Decembre , epo- ca nella quale avrebbe dovuto ottenersi secondo il Bosco- vich il massimo moto apparente nell’ immagine dell’ oggetto visto attraverso all* acqua. 299 Sul moto dei mezzi rifrangenti Come per lo addietro di tre in tre ore veniva osservata al cannocchiale meridiano, con un ingrandimento di 150 volte circa, una delle piccole immagini ottenute dal collimatore ad acqua, e se ne determinava la posizione apparente per mezzo dei due fili mobili del micrometro. Le ore di osser- vazione venivano poi regolate in modo che corrispondessero ad esse i tempi, nei quali i supposti spostamenti dell im- magine dovevano rìescire massimi. Il cannocchiale meridia- no nei giorni di osservazione si manteneva fisso verso il collimatore ad acqua , e si verificava 1’ immobilita della li- nea di fiducia per mezzo della riflessione dei fili sull oriz- zonte a mercurio, che nelle ore più opportune veniva col- locato sotto il cannocchiale sull’ arco che porta i pilien dello strumento. Per le osservazioni si sceglievano le giornate nuvolose nelle quali si poteva liberamente usare lo strumento meri- diano, e nelle quali riescendo insensibili le variazioni di temperatura nella camera del collimatore, non erano per questo rapporto a temersi nel medesimo sensibili alterazioni. I risultati ottenuti da queste osservazioni si possono com- pendiare nel seguente modo; e cioè 1’ immagine dell ogget- to osservato nel piano focale del collimatore ad acqua si manteneva durante V intera rotazione della terra immobile nel piano focale del cannocchiale ad aria, ossia sull in- tersezione dei fili del micrometro del cannocchiale meri- diano , o talora presentava delle oscillazioni attorno a que- sta di 1" o 2" e rare volte di 3"; in modo però del tutto irregolare , sia nel senso che nella direzione , e non avente certamente alcuna relazione o corrispondenza col moto ro- tatorio dalla terra, ossia colla posizione della verticale ri- spetto alla direzione e senso del moto di traslazione del nostro globo. I piccoli movimenti che talora si sono osservati nell im- magine, non avendo alcun carattere di periodicità e di re- golarità, si possono considerare come semplici effetti di cause perturbatrici accidentali, che è quasi impossibile di tota- mente escludere da questi delicati esperimenti; e perciò sembrami potersi a tutta ragione conchiudere che 1 imma- 300 Lorenzo Respighi gine stessa, escluse tutte le cause di perturbazione, si conserva immobile sul micrometro. Per conseguenza resta provato , contro le previsioni del Bo- scovich, che V immagine di un oggetto terrestre lontanissimo, osservato col cannocchiale ad acqua, si mantiene immobile sul micrometro , come se venisse osservato col cannocchiale ad aria , ossia coi cannocchiali comuni ; e che perciò V aberra- zione della luce nel cannocchiale ad acqua è eguale a quella ottenuta col cannocchiale ordinario , e che in generale l9 aber- razione è indipendente dal mezzo che riempie il tubo o cannocchiale con cui si effettuano le osservazioni. Il risultato negativo , ottenuto da questa esperienza, po- trebbe Conciliarsi col sistema delle emanazioni , facendo però l9 improbabile supposizione che il moto del mezzo rifran- gente non eserciti alcuna influenza sulle molecole luminose che lo attraversano ; dimodoché queste si debbano trasmet- tere attraverso ai corpi colle stesse leggi, tanto nel caso di quiete come di movimento di essi corpi, e qualora non fossimo costretti per tanti argomenti in contrario ad ab- bandonare questo sistema. Rinunciando perciò a questo modo di interpretare il ri- sultato ottenuto , vediamo come esso possa plausibilmente accordarsi coi principii del sistema delle ondulazioni. Qualunque siasi il concetto che noi possiamo formarci sul modo di esistere dell9 etere nell9 interno dei corpi , e sul modo di agire della materia sull9 etere stesso , non pos- siamo certamente dispensarci dal ritenere, non solo possi- bile , ma probabile , che il movimento di un corpo possa esercitare una qualche influenza sulla propagazione dei raggi luminosi che lo attraversano , in modo da dare ai medesi- mi una direzione diversa da quella che loro competerebbe, se il corpo fosse nello stato di quiete ; e l9 effetto che più naturalmente ci si presenta in proposito è quello di uno spostamento delle onde luminose nel senso del movimento del corpo, e perciò una deviazione dei raggi luminosi nel medesima senso. In relazione a ciò, mentre il risultato negativo ottenuto dall esperienza di Boscovich , posto vero il sistema delle Sul moto dei mezzi rifrangenti ondulazioni , ci somministra una prova concludentissima di questa influenza del moto dei mezzi rifrangenti sulla dire- zione dei raggi luminosi , e si presta poi molto opportuna- mente per determinarne la natura ed il valore. Difatti siccome supposta nulla questa influenza ne ab- biamo legittimamente dedotto, che V aberrazione della luce in un mezzo rifrangente, di indice n rispetto all5 aria , sa- rebbe stata ^ , chiamando v la velocità del mezzo stimata perpendicolarmente alla direzione dei raggi luminosi, e con V la velocità della luce nell’aria, mentre l’aberrazione nell’ aria istessa sarebbe stata — ; così ne potevamo dedurre , che determinando 1’ aberrazione nei due modi avrebbe do- vuto risultare la differenza Ora se tale differenza non si presenta , se cioè 1’ aber- razione determinata in entrambi i modi è la stessa, ne dovremo evidentemente dedurre , che i raggi luminosi at- traverso all’ acqua , od a quel mezzo qualunque che riem- pie il cannocchiale, siano deviati od inclinati sulla loro primitiva direzione in modo da compensare questa diffe- renza di aberrazione; e perciò da questa condizione po- tremo ricavare i dati per valutare convenientemente la cercata influenza del moto del mezzo rifrangente. Nell’ esperimento superiormente descritto ci eravamo proposto di rilevare la differenza tra 1’ aberrazione delia luce, prodotta dal moto annuo della terra nei cannocchiali ad acqua, e quella prodotta nei cannocchiali ad aria ossia nei cannocchiali comuni; e questa differenza doveva ren- dersi sensibile nei movimenti apparenti, che si sarebbero osservati nell’ immagine dell’ oggetto luminoso osservato nel piano focale del collimatore ad acqua: ma essendosi trovati nulli questi movimenti , ne dovremo necessariamente 302 Lorenzo Respighi inferire che i raggi luminosi, attraversando il cannocchiale ad acqua, sono stati deviati dalla loro direzione naturale nel piano di aberrazione, in senso opposto all* aberrazione stessa, e di un angolo a dato dalla formola Difetti la deviazione dei raggi luminosi , dovendo com- pensare la differenza delle due aberrazioni, dovrà effet- tuarsi nello stesso piano ed in senso opposto, e di più dovrà soddisfare a questa condizione che lo spostamento lineare dell’ immagine nel piano focale , prodotto dalla de- viazione dei raggi luminosi , riesca eguale allo spostamento lineare? dell’ immagine stessa corrispondentemente alla dif- ferenza di aberrazione. Dal che si deduce chiamato h que- sto spostamento h = Aa , dovendosi considerare la deviazione dei raggi luminosi per tutta la lunghezza del cannocchiale ad acqua : ed k = (A r) ( rc* — 1 ) X dovendosi misurare la differenza di aberrazione dal centrb di curvatura della superfìcie obbiettiva del cannocchiale ad acqua: da cui si ricava il surriferito valore di h. Essendosi trovato che I’ aberrazione della luce nel can- nocchiale ad acqua è eguale a quella che si ottiene nel cannocchiale ad aria, ne possiamo inferire che essa è in- dipendente dal mezzo in cui viene determinata; e che per- ciò 1 aberrazione delle stelle misurata dagli astronomi è dipendente dal vero rapporto tra la velocità della terra e la velocità della luce nel vuoto. Lo spostamento angolare dei raggi luminosi in forza del moto del mezzo rifrangente, ossia la loro deviazione. Sul moto dei mezzi rifrangenti 303 comprovata dall* eseguito esperimento , può considerarsi co- me effetto della composizione della velocità di propagazio- ne della luce, quale compete al mezzo rifrangente in quie- te , con una seconda velocità prodotta in questa dal moto del mezzo, e precisamente con una velocità nella direzione e senso di questo movimento , espressa dalla quantità nella quale , come sopra si è stabilito , v rappresenta la velocità del mezzo , ed n V indice di rifrazione di questo rispetto al vuoto. Qualora poi la velocità del mezzo non fosse perpendi- colare alla direzione dei raggi luminosi, facilmente si rileva che la deviazione angolare dei medesimi sarebbe espressa da chiamando con o T angolo formato dai raggi luminosi colla direzione del movimento del mezzo. Le principali conseguenze, che sembrano naturalmente derivare dal risultato negativo ottenuto dall’ esperimento proposto dal Boscovich , possono poi riassumersi nel seguen- te modo. 1 . ° I? aberrazione della luce è determinata dal rappor- to della velocità dell’ osservatore alla velocità della luce nel vuoto , indipendentemente dai poteri rifrangenti dei mezzi attraverso cui viene determinata la direzione dei rag- gi luminosi. 2. ° L’ aberrazione delle stelle , determinata cogli ordinari strumenti astronomici, rappresenta il vero rapporto della ve- locità della terra , o de’ suoi diversi punti , colla velocità della luce nel vuoto. 3. ° La velocità di propagazione della luce nei mezzi ri- frangenti in movimento si compone con una parte della velocità di questo movimento, espressa dau^— ^ essendo 304 Lorenzo Respighi v la velocità del mezzo in movimento, ed n I* indice di ri- frazione del mezzo stesso rispetto al vuoto. 4.° I raggi luminosi nei mezzi rifrangenti in movimen- to sono deviati dalla direzione , che loro competerebbe se questi mezzi fossero in quiete , di un angolo espresso da — (— \ sen g> , essendo V la velocità della luce nel V V n / vuoto ed G> F angolo formato dalla direzione del moto del mezzo rifrangente con quella dei raggi luminosi, quando però la velocità v del mezzo sia piccola in confronto di quella della luce. 5. ° La deviazione dei raggi luminosi ha luogo nel piano determinato dalla direzione dei raggi , e da quella del moto del mezzo rifrangente, e si produce nel senso di questo movimento. 6. ° Per questo spostamento delle onde luminose, o per la corrispondente deviazione angolare dei raggi luminosi , i fenomeni di rifrazione alla superfìcie terrestre sono resi indipendenti dai movimenti dalla terra, e si producono colle stesse apparenze come se la terra fosse nello stato di quiete. Queste conseguenze, mentre rendono ragione dei risultati negativi ottenuti dalle varie esperienze finora instituite per mezzo della rifrazione , e dei fenomeni luminosi da essa dipendenti, allo scopo di ottenere oltre 1’ aberrazione delle stelle altri fenomeni ottici comprovanti il moto di rivolu- zione della terra attorno al sole , sembrano poi lasciare po- ca speranza di rendere sensibile per tale mezzo , non tanto questo movimento del nostro globo, quanto quella del no- stro sistema solare. UTILITÀ DELL’ OSTETRICIA SPERIMENTALE PROF. CAV. GIAMBATTISTA FABBRI (Letta nella Sessione del 15 Gennaio 1863. ) « N os iris denique manibus in rerum natura » quasi alteranti naturam efficere conamur ». . Cicero. In quell’ erudito compendio della storia dell’ arte, col quale il Velpeau diede principio al suo Trattato di Oste- tricia, il Monteggia è menzionato con parole onorevoli fra gl’ italiani del nostro secolo. Il merito che si attribuisce all’ illustre lombardo , è quello di avere compreso prima di ogni altro, e di avere pel primo dimostrato col mezzo degli esperimenti il meccanismo di un parto, che è spon- taneo, ma che non lascia per questo di essere molto stra- vagante. Voglio dire quel meccanismo pel quale , essen- dosi il feto affondato di molto con una spalla nella ca- vità del piccolo catino, può, in alcune fortunate congiun- ture , continuare così ( contro le regole consuete ) il suo viaggio e venire alla luce , in guisa che quella spalla sia la prima delle sue membra che si disnoda dal seno della madre. Maniera di parto conosciuta col nome di evoluzione spontanea . Il dotto Francese ha fatto spiccare quest’ unico tratto di bravura, ma chi abbia letto la prefazione che il Mon- teggia compose pef la sua traduzione dell’ Arte ostetrìcia t. ii. 39 306 Giambattista Fabbri di G. G. Stein (1) (che è appunto il lavoro citato dai Velpeau ) si sarà accorto come in quelle poche pagine T abbondanza e sodezza della dottrina vinca V angustia dello spazio. Quante quistioni, e tutte gravi, non vi sono toccate con vera maestria ? — E poi v’ è un altro pregio. — Quello scritto che è tutto disteso con una semplicità, che la maggiore non può darsi , è proprio 1’ immagine viva e parlante del carattere scientifico e morale dell’ Autore. Nè credo che alcuno possa leggerlo senza che gli succeda quello che succede a me stesso ogni volta che vi torno sopra ; chè ad ogni poco sono costretto a ripetere dentro di me : questa è soda esperienza ; questa è lealtà vera verso i colleghi , e scrupolosità nelle indagini , e brama sincera e viva che si studi a dovere e che si diffonda il sapere. = Osservare e sperimentare = sono i due cardini del suo insegnamento. È il metodo puro e schietto col quale i nostri grandi italiani iniziarono il moderno progresso delle scienze naturali. Eppure ( mi pesa il dirlo e vorrei essermi ingannato ) il libro del professore di Marburgo , che il Monteggia non ebbe per troppo umile fatica di volgere nella nostra favel- la , ha invecchiato , e invecchiando ha fatto patire eguale oltraggio alla prefazione del suo traduttore. — Tutti co- noscono Monteggia come autore di chirurgia ; assai po- chi, come autore di ostetricia. Il suo metodo di esercitare (com’ egli diceva) 1* ostetricia nei cadaveri è disusato qua- si da per tutto. Chè , nelle scuole dove abbondano le parto- rienti, si è facilmente disposti a credere che gli scolari abbiano nella donna viva sufficiente occasione di addestrar- si al riscontro ; e credesi comunemente che le manualità operative si apprendano bene abbastanza maneggiando fan- tocci nelle macchine artificiali. Ma se quelli che sono di tale avviso s’ inducessero per una sola volta ad una serie di esperimenti condotti colle norme del nostro Autore , anè che toccherebbero con mano la differenza che vi si trova; (1) Àrie Ostetricia di G. G. Stein. Trad. dal tedesco da G. B. Monteggia. Venezia 1800. Dell’ Ostetricia sperimentale 307 e forse sarebbero costretti a confessare che ii seguire P an- dazzo in cose di questa fatta è meno perdonabile di una semplice leggerezza. E troverebbero motivo di ammirare e lodare 1’ industria del solerte lombardo , che da un lieve cenno fatto da Pietro Camper (1) prese occasione di apri- re la strada ad una nuova maniera d’investigare sperimen- tando molti fatti dell’ ostetricia. 10 m’ ebbi già occasione di toccare un’ altra volta in que- sto luogo questa medesima corda, ma fu di sfuggita, perchè il tema del mio discorso era quel dì alquanto diverso (2). Oggi vorrei, o Accademici prestantissimi, che non vi fosse greve ascoltare le poche cose che ho raccolte in questo scrit- to , col quale vengo a darvi contezza di una maniera che ho imaginata per accrescere il numero degli esperimenti oste- trici, e per poterli molto facilmente applicare allo studio di certi fatti , che ( per quello che io ne conosco ) non hanno sino ad ora consentito di essere riprodotti speri- mentalmente ogni volta che il desiderio ne fosse venuto. 11 metodo di cui tanto si compiacque il Monteggia per istudiare materialmente la parte meccanica dell’ ostetricia , non richiede per se che un cadavere di donna e uno o più corpi di feto. I quali ultimi possono anche per lungo tempo conservarsi a questo fine nello spirito di vino. Dalla cavità dell’ addome del primo conviene levare le intestina , eccettuato il retto, di cui si attacca il capo superiore alle vertebre lombari. Dal catino poi si toglie via la vescica , P u- tero, e la vagina, recidendo quest’ ultima rasente il muscolo elevatore dell’ano. Torna bene conservare il retto, affinchè il perineo si mantenga più facilmente illeso , nell’ atto che il feto è condotto a passare per forza attraverso P apertura di uscita. Un corpo di feto collocato nel vacuo ventre della donna, e presentato a proprio grado in tutte le possibili maniere, dà tutto P agio che può mai desiderarsi di edu- care le dita al riscontro e di addestrare la mano a trattare (1) Camper. Sur les accouchements laborieux etc. etc. Mémoires de l’Acad. Roy. de Chirurg. T. 5. pag. 729. Paris 1774. (2) Vedi la mia Memoria : Della molta importanza della chirurgia sperimen- tale nello studio delle lussazioni ec. ec. Memorie dell’ Accad. delle Scienze dell9 Istit. di Bologna. T. X. pag. 41. 1860. 308 Giambattista Fabbri le membra del feto e i vari strumenti onde le conviene talora di armarsi. Intanto V occhio tien dietro all5 opera delle mani o dei ferri , e la mente nota e scrive i diversi atteggiamenti che prende il corpo della creatura , e i meccanici impedimenti che incontra, e le rivoluzioni che di necessità compie per superarli , trascinato com’ egli si trova attraverso di una pelvi vera, vestita di vere parti molli, nelle quali, se manca la vita, non manca la forma naturale, e si mantiene pure molta parte di sodezza e di elasticità. — Così il Mon- teggia studiava attentamente l5 estrazione del feto pe5 piedi, e con bell5 accorgimento ne dilucidava alcune fasi , e ne traeva buone regole per eseguirla meglio nella donna vi- va. — Prova ne sia il passo del suo libro che qui trascrivo. « Supponiamo per es. che il feto si presenti colle natiche » all5 apertura superiore , il corpo sia rivolto in avanti o » indietro , e i piedi si trovino poco sopra del pube o del » sacro, per essere le gambe piegate nelle ginocchia al- » l5 ingiù. In questo caso pigliando i piedi e volendoli ti- » rare abbasso, bisogna che la coscia si scosti dal ventre » del feto , e per abbassarsi descriva un grand5 arco di cer- » chio , nella quale evoluzione l5 estremità inferiore della » coscia ossia il ginocchio viene facilmente ad urtare con- » tro le ossa tlel pube , o contro il promontorio del sacro » che fortemente il trattiene. Per rimuovere dunque un tal » ostacolo bisogna procurare che quella evoluzione della co- » scia sì faccia , non nella direzione del piccolo, ma in quel- » la del gran diametro , cioè da un ilio all5 altro per così » approfittare dello spazio maggiore. A quest5 oggetto io so- » glio far girare nell5 utero per un quarto di cerchio l5 e- » stremità del feto che ho in mano , o anche tutto il feto » medesimo , sicché dopo questo rivolgimento in giro si rie- » sce a tirar giù i piedi con minore difficoltà e senza pe- » ricolo di frattura; il che per altro non si può fare cosi » facilmente ed è anche impossibile , allorché le acque so- » no colate da un pezzo (1) ». (1) Op. cit. pag. 14. Dell9 Ostetricia sperimentale Il nostro Autore studiava altresì (come fu detto da bel principio ) il meccanismo dell’ evoluzione spontanea , e non contento di conoscere la cosa per se stessa , combinava i risultamenti della sua pratica con quelli degli esperimenti fatti , e ne ricavava utili nozioni per 1’ esercizio dell’ arte. In fatti egli riesciva a concbiudere in questo modo : « Dunque un feto che presentasi col braccio, quando » non si possa estrarre col rivolgimento ordinario , pup usci- » ^ addoppiato per le natiche , o di fianco , e verisimil- » mente non mai in senso contrario. E tale uscita può av- » venire spontaneamente, siccome nelle osservazioni di Den- » man , e successivamente di altri ; ovvero può procurarsi » artificialmente col tirare sul braccio stesso , o sopra il » petto per mezzo dell’ uncino , o sul ventre col laccio » alla maniera di Peu , ovvero colla mano solamente. Final- » mente ci fu qualche caso , che tirando sopra un braccio » venne fuori la testa ; ciò mi disse una volta essergli ac- » caduto il nostro Sig. Riboli, e un altro esempio simile » è riferito dal Sig. Meyer. Tutti i suddetti mezzi straor- » dinari però , ancorché abbiam creduto pregio dell’ opera » il contemplarli con qualche attenzione, resta sempre da » avvertire non essere dessi in sostanza che estreme e pre- » ternaturali risorse, e un infelice supplemento all’ ordina- » rio rivolgimento , il quale è di gran lunga preferibile do- » vunque si possa eseguire (1) ». Meno importanti non sono le osservazioni e gli esperi- menti da lui fatti intorno all’ uso degli uncini , e le con- clusioni pratiche che ne ricava. Tra le quali non parmi da tacersi la proposta di « aggiungere alla cassetta ostetrica » una tanaglia che fosse atta a schiacciare frangendo, ossia » ridurre forzatamente a minor larghezza la base del cranio » ed anche la faccia, dopo lo svuotamento del cervello (2) ». Non sarà chi non vegga in queste parole il concetto del forcipe cefalotritore , della cui invenzione porta il vanto Baudelocque il juniore. Strumento per altro che 1’ ostetri- ci Op. cit. pag. 21. (2) Op. cit. pag. 26. 310 Giambattista Fabbri eia ha posseduto un5 altra volta in tempi antichi, come lo prova il libro d’Albucasis riportato dallo Spachio nella sua raccolta, e la figura benché rozza dell’ arabo strumento Almisdach , al quale si appone V indicazione « quo conterìtur » caput magnum (1) ». Col ripetere in moltissime circostanze le prove e gli esercizi de’ quali vi tengo parola , io m’ accorsi che , oltre alle cose accennate sino ad ora, e che si riferiscono più che altro alla parte operativa, si poteva, in modo poco diverso, studiare e dimostrare il meccanismo del parto spontaneo; sia che il feto si presenti col vertice o colla faccia , sia che si avanzi colle natiche. Bastava infatti com- primere il feto d’ alto in basso , come fa Y utero , contro il fondo del catino; invece di tirarlo dal di dentro al di fuori colle mani o cogli strumenti introdotti per la vulva (2). Siccome però una gran parte dei movimenti che costitui- scono i diversi meccanismi dell’ espulsione del feto si com- pie nella regione più profonda e sul piano perineale del catino , da ciò deriva la necessità che ha lo sperimentatore, che il perineo si mantenga per lungo tempo illeso. Se ac- cadesse il contrario non sarebbe più concesso di vedere nè quella sua meravigliosa distensione , che precede 1* uscita della parte che si avanza per prima; nè lo spostamento all’ in- nanzi della vulva, che a poco a poco si dilata ; nè la reazione di tutte le parti molli che chiudono lo stretto inferiore , e che colla loro elasticità, anche neh cadavere, in molte maniere diverse, e tutte somigliantissime a quelle che ac- cadono nella partoriente , modificano ( a seconda delle varie presentazioni e posizioni ) 1’ uscita definitiva del feto. Chi ha veduto partorire e vede queste esperienze , non può desiderare maggiore somiglianza tra questa imagine di parto e il parto vero. — Il celebre prof. Paolo Dubois , volendo diciferare il meccanismo del parto pel vertice in posizio- ne occipito-posteriore , ricorse agli sperimenti ostetrici , ap- (1) Gyneciorum . . . libri . . . editi opera et studio Israelis Spachii. pag. 446. Argentile. MDXCVII. P (2) V. una mia lettera nel Bullettino della Soc. med. chir. di Bologna: Aprile 1839 pag. 274. Dell’ Ostetricia sperimentale 311 profittandosi dell’ occasione che gliene offeriva il cadavere di una donna morta di emorragia quasi subito dopo il parto. Egli conchiuse nel modo che segue : Ces expérien- ces ont cela de curieux qu3 elles soni tout à fait d? accord avec les phénomènes observés sur la nature vìvante (1). Ma poiché mi è tornato a proposito di appoggiare le mie as- serzioni anche coll’ esempio e colle parole molto autorevoli del Clinico di Parigi, mi permetterò di fare una digres- sione, giusto in risguardo di quel medesimo meccanismo , che egli si propose di dilucidare in una maniera , che egli stesso reputa incontrovertibile , voglio dire col soccorso del- P ostetricia sperimentale. Già il diligente e sagace Clinico di Eidelberga aveva annunziato che quando si presenta il vertice coli’ occipite voltato ad una delle due sinfisi sacro-iliache ( e massime ver- so la destra , che è il fatto più frequente ) in progresso di parto, e in grazia di un estesissimo movimento di rotazio- ne interna, P occipite per lo più si porta in avanti, e cosi la posizione posteriore primitiva si tramuta in un’ al- tra posizione molto più favorevole (2). Il Dubois, indagando la cagione di questo movimento, credette giusto riporla nella combinazione di molti elemen- ti, i quali sono , da un lato , il volume, la forma e la mobilità delle parti che sono espulse ; dal? altro lato , la capacità , la forma e la resistenza del canale che è percor- so. E tale è V influenza di questa combinazione, che le parti del feto si collocano nelle condizioni più favorevoli al loro passaggio. Se un grave impedimento si oppone loro in un punto, elleno vi si sottraggono e cercano un luogo piu spazioso e più libero. La mobilità delle parti che passano e il molto lubrico della strada rendono agevole la cosa, e facile da intendersi (3). Tali sono , tradotte nella nostra lingua , le parole del Dubois. Ora se il fatto dalla parte del feto è magnificamente 108. Dee. 1834. 312 Giambattista Fabbri spiegato», non parmi possa dirsi altrettanto per la parte che concerne la strada da lui percorsa. Imperocché il Du- bois arriva a stabilire che, quanto più sono resistenti e il perineo e la vulva, tanto più è facile che si verifichi la conversione della posizione da occipito-posteriore in occi- pito-anteriore. Ei parrebbe che dovesse essere il contrario. Se il feto si muove più facilmente verso quelle parti del catino che sono più spaziose e meno resistenti , come po- trà 1’ occipite recarsi in avanti, ed essere anzi invitato a ciò dalla molta sodezza delle parti molli che chiudono lo stretto inferiore ? Questa difficoltà mi fu motivo di ricorrere agli esperi- menti, che ho poi ripetuti più e più volte. Io ho sempre veduto che (disposto il tutto come si conviene) se nell’atto di spingere vigorosamente il feto gli s’ imprima nel tronco un moto di rotazione , che ne volti il dorso all’ innanzi ; allora 1’ occipite si volta egli pure per la stessa direzione; ma se questo non si faccia, e invece si comprima il tron- co direttamente contro il fondo del catino, allora l’occi- pite va a collocarsi nella concavità del sacro; e proseguen- do 1’ esperimento, percorre la doccia perineale e viene fuori pel primo. Se non che , quando il perineo è molto floscio e la testa del feto proporzionatamente piccola , suc- cede talvolta ( come nella donna viva ) che la presentazio- ne del vertice si trasmuti in presentazione delia faccia , poco prima che la testa oltrepassi 1’ apertura della vulva. Imperocché quando 1’ occipite , strisciando lungo la parete posteriore del catino, ha sorpassato la punta del sacro , e trovasi applicato al coccige, e il vertice si trova applicato al perineo, e la fronte è contro la vulva; se il perineo, inve- ce di una doccia resistente , offre alla testa un seno molto cedevole ; non può non accadere che , sotto 1’ urto della testa, il perineo si lasci approfondare e distendere. Così formasi una nicchia che accoglie tutta quella regione del capo che si stende dall’ occipite alla fronte. — Anzi la parte della testa che più vi si affonda è la sommità della fronte la quale è più mollemente sostenuta ; e meno vi si affonda 1’ occipite , che trova maggiore sodezza nel sottoposto Dell9 Ostetricia sperimentale 313 coccige. Per questo accade che , mentre il vertice e la fronte s9 insaccano nel perineo, la faccia discende a poco a poco e viene a presentarsi contro il vano dell9 angolo del pube. Ora sarebbe da ricercare se (come negli esperimenti da me allegati ) sia fattibile nel vivo e nel parto vero , che il tronco del feto concepisca , ora sì ora no , quel tal movi- mento di rotazione intorno al proprio asse , che è cagione del tramutarsi la posizione occipito-sacro-iliaca , in posizione occipito-anteriore. — A me pare che la cosa sia possibile ; ed ecco in quale maniera. Quando il feto s9 avanza colla te- sta in posizione occipito-sacro-iliaca, è molto probabile che il dorso del feto , invece di guardare sempre perfettamente all9 indietro e appoggiarsi alla colonna vertebrale della ma- dre,, sia per lo più voltato alquanto di lato. In quest9 ul- timo caso , quella sua spalla che guarda posteriormente, si troverà da quel lato della colonna vertebrale della madre, che risponde alla sinfisi sacro-iliaca a cui è rivolto l9 occi- pite. Venuto il momento che le spalle entrino nello stretto superiore , la spalla che è all’ indietro , impedita dal pro- montorio del sacro , dovrà trattenersi sopra la sinfisi sacro-i- liaca che è in rapporto coll9 occipite ; e intanto la spalla anteriore , non arrestata da ostacolo veruno , ubbidendo al- P impulso dell9 utero, si volgerà sempre più all9 innanzi , sino a che abbia raggiunto la parete cotiloidea opposta diametral- mente alla sinfisi dianzi nominata. Nè questo potrà accadere senza che il tronco giri intorno al proprio asse , e conse- guentemente anche la testa si volti coll’ occipizio alla metà anteriore del catino. — Se per converso , la spalla posteriore si trovasse già da principio dall’ altro lato della colonna vertebrale materna; in tal caso, nel momento d9 entrare nell9 ingresso del catino, le due spalle s9 impegnerebbero contemporaneamente e in rapporto col diametro trasversale o coll9 obbliquo di lui. Per ciò, mancando il prefato moto di rotazione del tronco, l9 occipite si manterrebbe ali9 in- dietro e andrebbe a collocarsi nel concavo del sacro. Questa maniera di concepire, sia il meccanismo della con- versione delle posizioni occipito-posteriori obblique in oc- cipito-anteriori ; sia il loro farsi posteriori assolute, può t. ii. *0 314 Giambattista Fabbri molto facilmente applicarsi alla spiegazione del fatto consi- mile , per cui le posizioni mento-posteriori della faccia si mutano costantemente o con pochissime eccezioni , in po- sizioni mento-anteriori. Dalle quali considerazioni si potrebbe forse ricavare co- me giusta conseguenza che , quando il feto si presenta in una delle predette posizioni posteriori o dei vertice o della faceti, sarebbe conducente a favorire la conversione, il fare che là donna giaccia piuttosto di fianco di quello che supina. Ma è tempo che io torni là donde mi sono partito, e racconti le diligenze che sono da usarsi per ottenere che? nell’ atto di sperimentare , il perineo mantenga più a lun- go che si possa la sua integrità. A questo fine io aveva preso per uso di conservare bensì il retto, ma di levare la vescica (come si è detto) anche' per potere recidere la vagina in grande prossimità del suo prin- cipio , e di ripulire con qualche attenzione il fondo del ca- tino. Poi invece di appigliarmi tantosto al cadaverino d’ un feto nonimestre , ne sceglieva un altro che fosse immaturo , e asciugato e spalmato bene di olio tanto la cavità del ca- tino quanto il corpo della piccola creatura , ne faceva lenta- mente l’estrazione per i piedi una o due volte, oppure la faceva anche passare per la testa usando il forcipe. Le parti preparate da questa prima dilatazione, più facil- mente e per più tempo si prestavano ad ulteriori esperimenti. In seguito ho tenuto un altro modo , che meglio riesce a serbare il perineo intatto. Egli consiste nell’ incidere il mez- zo dell’ orlo superiore dell’ osculo vaginale. Se poi m’ accorgo che questo non basti , fo due intacche trasversali a mezz’ al- tezza dell’ orlo delle due grandi labbra ; press’ a poco come da molti è raccomandato che si faccia nella partoriente , quando il perineo corra grande rischio di lacerarsi. Con queste piccole avvertenze è tolto V inconveniente di perdere troppo pre- sto 1’ opportunità di continuare e ripetere gli esercizii ope- rativi , e le esperienze che rappresentano al vivo i mecca- nismi del parto spontaneo in tutte le sue specie e varietà. Ora, quand’ anche i benefizi concessi dai metodo sperimen- tale si limitassero a quelli di cui ho fatto menzione sino Dell’ Ostetricia sperimentale 31 S a questo punto, vede ognuno che non è scarso nè di poco momento il frutto che se ne può raccogliere. — È giusto per conseguenza che questo metodo sia conservato e pre- murosamente raccomandato. Ma lo sarà a molto miglior di- ritto , se potrà allargarsi la sua sfera di azione , come di fatto si può. Chi pratica 1* ostetrìcia, massime nelle grandi città, o in que’ luoghi poco salubri dove le deformazioni dello schele- tro sono frequenti, s’ abbatte con maggiore o minore fre- quenza a que’ parti ove P angustia di un catino deforme pone impedimento alla discesa del feto. E dico discesa, perchè per solito la deformità principale siede nello stretto superiore , come lo schiacciamento dal sacro al pube è quel- lo che si presenta un maggior numero di volte. Onde può credersi che questa sua frequenza fosse la vera cagione per cui il nostro Giulio Cesare Aranzio , che primo di tutti indicò la deformità del catino come motivo d’ impedimento al parto, parlò solo di questo schiacciamento antero-poste- riore, e tacque del trasversale e dell’ obbliquo come ancora delle altre viziature , che per essere conosciute dimandarono molti e molti anni, e le accurate ricerche di molti (1) — . Fatto sta che le deformità dianzi accennate danno molto che fare , e le operazioni che vogliono essere eseguite a tanta altezza e in uno spazio minore del naturale , sono senza paragone più difficili. È indubitato che, a lungo an- dare, il pratico acquista anche in esse una destrezza che è proporzionata al numero de’ casi che gli si sono presen- tati. Ma le prime volte come va la bisogna? — L’ Ostetri- cia sperimentale potrebbe agevolare il cammino ; ma v è una circostanza che si oppone , ed è la difficoltà di avere a sua posta un cadavere col catino deforme per ripetere quan- to è necessario gli esercizi relativi — • A questa difficoltà, che non è un difetto del metodo, ma dipende da circo- stanze estranee , è lieve cosa il provvedere quanto basta — Eccovi in poche parole il modo col quale ho conseguito (1) Julii Cesaris Arantii, de hmnano foetu Liber — Veoetiis 1687 (e nello slesso volume): Anatomicae observationes pag. 106. Cap. 39 . Diffiditi partus praecipua causa redditur. 316 Giambattista Fabbri r intento , sì che quelli tra* miei Colleghi che hanno assi- stito alle prove che ne ho fatte mi sono stati cortesi della loro approvazione. Apro nel cadavere il torace, e l9 addome ; ne tolgo tutte le viscere ed anche il diaframma. Il catino è preparato nel modo consueto. — Fatto ciò, prendo delle strisele di piom- bo ridotto in lamina di una discreta grossezza , le quali strisele cerco che siano lunghe quanto lo è la colonna dor- so-lombare e la metà superiore del sacro. Le applico una sopra F altra contro la colonna e contro il sacro, piegan- dole dove passano sopra il promontorio. Quante più ne ado* pero tanto più il promontorio si fa sporgente e s9 avvicina al pube. Le prime striscie sono larghe due dita : la più superficiale è alquanto più larga e più lunga , affichè , cur- vandosi ai lati a modo di doccia lunghesso la colonna, possa abbracciare tutte le striscie sottoposte ad essa , e di più possa coprire quelle che sono applicate al sacro. E se, dove risponde al promontorio , voglia levarsi lo spigolo che nasce dalla sua piegatura, per formarne una prominenza tondeg- giante che meglio somigli al promontorio vero ; basta il farvi un tagliuzzo trasversale dalle due parti e piegare indietro , uno sotto F altro , i quattro lembetti che ne derivano. A rendere stabile questo apparecchio , in tre diversi punti fra se distanti , con un ago diritto io attraverso la teca verte- brale, passando pe9 forami di conjugazione , e le tre funicelle condotte dall9 ago le annodo con forza sulla piastra più super- ficiale. — Anche l9 estremo lembo inferiore di questa vuol rendersi immobile. Perciò , aperti in prossimità de9 suoi due angoli due pertugi (uno per parte), a ciascuno di questi si affida un lungo laccio , il cui capo , con un ago che passa per la grande incjsura ischiatica sì a destra che a sinistra, viene condotto fuori e didietro dal catino , dove amendue sulla cute della regione sacrale , insieme robustamente si allacciano. Noi siamo dunque padroni di rendere sporgente a pia- cimento nostro l9 angolo sacro-vertebrale; e possiamo in pari tempo scemare , oppure colmare del tutto , la conca- vità naturale della parete posteriore. E se ce ne venis- Dell’ Ostetricia sperimentale 317 se talento , non potremmo anche schiacciare in dentro la metà anteriore del catino ? Tal cosa sarebbe ottenu- ta solo che si disponessero a cavallo dell’ orlo superiore dei pubi lamine di piombo , che verrebbero mantenute salde con lacci passati pe9 forami ovali. E forse , variando la disposizione dell9 apparecchio , si potrebbe riescire a mentire deformità diverse da queste. Benché il processo che vi ho descritto produca effetti che appagano , m9 è venuto pensato ad un altro , i cui ri- sultamene sono forse più esatti e ( se è lecito il dirlo ) più eleganti. Ho preso uno scheletro di bacino di giusta grandezza e regolare di forma, al quale erano unite naturalmente le tre ultime vertebre lombari. — Fatta quindi una pasta di scagliuola (ossia gesso finissimo) intrisa con semplice acqua, ne ho steso uno strato che copriva l9 angolo sacro-lomba- re , il corpo delle tre vertebre contigue , le ali del sacro , e la terza parte superiore della faccia concava di quest9 os- so. — E come lo scopo era di fare che il promontorio sbalzasse in fuori tanto da ridurre il diametro retto dello stretto superiore, o ingresso del catino, a tre soli pollici; così lo strato aveva la maggiore sua grossezza di contro al promontorio ; e andava poi assottigliandosi in tutte le altre direzioni. — Questo pezzo di gesso che a guisa di corazza vestiva le parti dianzi nominate , mi ha servito di forma per modellarvi sopra un grosso foglio di guttaperca am- mollita nell9 acqua calda. È noto come questa sostanza col raffreddarsi, indurisca mantenendo V esatta configurazione che le venne data quan- do era calda e molle come pasta. — Ed è appunto per questa sua rara prerogativa che i chirurgi se ne sono giovati per improvvisare apparecchi da frattura i più esatti, e di- rei anzi i più attillati che mai possano desiderarsi, e che in pochi minuti acquistano solidità meravigliosa. Ora questa piastra o corazza di guttaperca , tolta dalla forma di gesso, può applicarsi al catino del cadavere che deve servire agli sperimenti, e per fissarla bastano le so- lite due funicelle attaccate all9 estremo suo lembo inferiore Giambattista Fabbri e passate con un lungo ago per le grandi incisure ischia- tiche , affine d’ allacciarle insieme sul dorso del sacro ; e di più, altre due funicelle che, passando per due delle ultime paia dei fori di coniugazione della colonna verte- brale, abbracciano e il corpo della vertebra e la veste di guttaperca a due diverse altezze. — Se mai , in qualche cadavere , quella parte della piastra che a guisa di doccia deve applicarsi alla colonna lombare ne rimarrà distante, questa cosa non farà difetto , perchè Io spazio vuoto si può riempire con un cencio piegato a molti doppi. — Se poi invece della guttaperca faremo foggiare una grossa la- mina di ottone o di rame adattandola alla solita forma di gesso, ne avremo una piastra senza confronto più solida e di maggiore durata. Dopo immaginato 1* apparecchio di guttaperca, nel mio laboratorio non si è più parlato delle prime lamine di piom- bo. Ora poi si è già preparata la piastra d’ottone, che alla sua volta farà dimenticare la guttaperca. — Ad ogni modo ho voluto raccontare queste diverse maniere di fare per norma di chi , volendo ripetere gli esperimenti , si troverà d’ avere alle mani piuttosto 1’ una che l’ altra del- le predette materie. — E non voglio neppure tacervi che la prima volta che pensai a queste cose , per accorciare 1’ ingresso del catino, mi valsi d’ un mezzo alquanto stra- no , e che non di meno fece il suo effetto a sufficienza. E questo mezzo fu lo sterno colle unitevi cartilagini costa- li , già tolti dallo stesso cadavere per aprirne il torace. — Questa fetta di parete toracica , capovolta e piantata nel catino, applicandone la faccia concava contro il promontorio, mi permise di cominciare una serie di esperimenti, che ho poi continuati deformando il catino ne’ modi più esatti che vi ho raccontati. — A qual fine tendessero gli espe- rimenti che qui accenno , io spero di significacelo con un altro lavoro , prima che si chiudano le nostre sessioni del presente anno accademico (1). Deli/ Ostetricia sperimentale 319 Ora dall’ essere in nostra balia che un cadavere abbia il catino viziato per ristrettezza, massime nello stretto su- periore , ognun vede quanta utilità se ne possa impromet- tere chi ha in pregio questa sorta di esercizi. Le quistio- ni a questo proposito sono numerose. — Una volta p. e. non era buona regola quella di ricorrere al rivolgimento per i piedi quando il feto , presentandosi colla testa , non aveva potuto impegnarsi nell’ ingresso del catino che fosse meno ampio di quello che conviene. Oggi si dà il precetto contrario ; ben inteso che V angustia sia di primo grado ; vale a dire che la lunghezza del diametro retto non sia, in genere, minore di tre pollici pel caso di un feto a termine e vivo. Il precetto- antico era la conseguenza di un puro ragionamento ; il precetto moderno è il frutto della pratica. Si è di fatto osservato più volte che quella testa che , o incalzata da vigorose contrazioni dell’ utero , o afferrata e tirata dal forcipe , non aveva potuto varcare 1’ ingresso, aveva poi potuto insinuarvisi e passar oltre (o facilmente o con difficoltà non soverchia) dopo che si era tentato 1’ azzardo del rivolgimento. Alla quale operazione si è pure ricorso utilmente alcune volte dopo la cranioto- mia , quando cogli altri mezzi non si riusciva nell’ intento di trascinar fuori il corpo della creatura. Quel potere esercitare le trazioni sul tronco che è usci- to è un vantaggio molto calcolabile. Da un altro lato è molto probabile che, anche la testa non tocca da cranio- tomo, si riduca meglio e passi più facilmente per la trafi- la della pelvi quando vi si insinua col mento e colla fac- cia, e intanto 1’ anello osseo del catino quasi circolarmente e grado grado la comprime dalla base verso il vertice ; di quello che quando, la testa medesima coi suo ovato su- periore urtando nel contorno dell’ ingresso , accade che le mobili ossa, invece di sormontarsi reciprocamente coi lo- ro margini, tendono a curvarsi maggiormente, e con ciò ad accrescere la lunghezza dei diametri trasversi di tutto il cranio. . . Può essere ancora che qualche volta siasi avuto che fare con un catino obbliquo, o almeno non simmetrico e 320 Giambattista Fabbri che il rivolgimento sia riuscito a bene, perchè (mutando utilmente i rapporti tra la testa e il catino) ha condotto la prima a passare principalmente da quella parte ove que- st9 ultimo offeriva spazio maggiore. Tali ed altre simili ragioni sono state addotte per Spie- gare i fatti empirici che sono il fondamento del moderno precetto. Comunque sia la cosa , ei non può cader dubbio che dessa può essere chiarita dagli esperimenti meglio che meditando e immaginando. Io poi non voglio trattenermi dal farvi notare , che il nostro Monteggia , quando nelle scuole s9 insegnava il con- trario, metteva con premura innanzi agli occhi de9 suoi lettori due fatti di questa specie , e soggiungeva che seb- bene l9 operazione del rivolgimento « in questo caso sia con- ia traria alle regole ordinarie di Ostetricia y è però riuscita , » e non sembra per ciò da lasciarsi in obblio ». E nel me- desimo luogo si trovano pure le parole seguenti : c< trovo » altronde notato in Bernstein un riflesso analogo a fatti da » me osservati y cioè che la testa si schiaccia più facilmentè » nel parto per i piedi che quando viene innanzi la prima (1)». L9 onesto Italiano non celava il merito degli stranieri ! ! ! Un9 altra questione, fra le altre molto grave, è quella deli9 uso del forcipe allo stretto superiore. — I pratici san- no per prova come F applicazione di questo strumento, nella circostanza indicata , sia difficile , e non di rado im- possibile ; e come possa intervenire che non giovi , quan- d9 anche ( come insegnava il Flamant ) prima d9 introdurre il forcipe, si riesca ad inclinare ed abbassare la regione occipitale così fattamente , che le cucchiaie dello strumento possano poi afferrare la testa , piuttosto nella direzione del diametro sotto-oceipito-bregmatico , che in quella veramente del diametro occipito-frontale (2). Il fatto è che G. L. Bau- delocque. Paolo Dubois ed altri uomini insigni non sono stati talvolta più fortunati degli altri, e dopo tentato il (1) Op. cit. p. 24. il libro dell* Autore tedesco citato dal Monteggia è dal medesimo indicato così: Praktisches Handbuch fiir Wundàrzte 3. TheiL W Jonraa* Complémentaire du Diction. des Sciences Médicales Tom. 30. Dell’ Ostetricia sperimentale 321 forcipe , non sempre senza danno delle madri e de’ feti , sono stati costretti ricorrere al rivolgimento oppure alla craniotomia. Ora, intorno alla natura degl’ impedimenti che in quelle tali circostanze si sogliono incontrare, le idee degli oste- trici non sono in ogni caso ben definite , cosicché sia tol- ta di mezzo ogni controversia. Certo è però che se si potesse penetrare cogli occhi in quei luoghi nascosti dove si compiono questi fatti, la verità verrebbe scoperta e tutti si troverebbero d’ accordo. — Quando si tratta di un catino sommamente ristretto ; la cosa è chiara. Il dissenso nasce quando in sostanza vi sarebbe a rigore spazio sufficien- te ( come il rivolgimento in seguito lo dimostra ) e non- dimeno , se la testa s’avanza per la prima, quantunque sia in una posizione normale, non può penetrare nell in- gresso o almeno non può varcarlo. Non giovano le contra- zioni dell’ utero; e vi si stancano indarno col forcipe due o tre operatori. — Qui il fatto è tutto meccanico; e lo studiarlo appartiene in tutto e per tutto all’ Ostetricia sperimentale. — Io andrei troppo per le lunghe, se pren- dessi a innoltrarmi in tale argomento. Basta bene che io accenni essere questi i casi ne’ quali per avventura è più che mai ragionevole 1’ uso della leva adoperata come stru- mento di trazione, anziché come leva di primo genere. La Scuola di Parigi che ha sì grandemente influito nelle idee e nei precetti che hanno corso in Italia , si è proba- bilmente allontanata molto dal vero in risguardo alla leva; posto che veggiamo che opere venute di recente da quelle parti o ne parlano appena, o non ne fanno parola. Miglior consiglio sarebbe tornare di proposito su tale questione, e tenere gran conto dei concetti e delle osservazioni del- Y illustre prof, fiammingo G. L. Boddaert, e degli altri suoi colleghi, che da molto tempo sostengono il decoro della Scuola ostetrica di Gand (1). (1) De F usage rationnel du Forceps et du Levier. par J. L. Boddaert. Gand 1869. .. t. li. I 322 Giambattista Fabbri Ma per seguitare a sostenere il mio punto principale, parmi opportuno soggiungere quello che ora dirò. L’ ostetricia si è arricchita nei nostro secolo di due strumenti , che per la mole vincono tutti gli altri , come ne hanno in più occasioni superato 1* utilità. V’ accorgete che io parlo dei cefalotritore del Baudelocque, e del for- cipe-sega del Van Huevel. Il primo è già stato ridotto a grandezza e a forma più maneggevole; e tra i perfeziona- menti che ha ottenuti , massime nel suo apparecchio com- primente, quello che si deve al nostro illustre clinico Prof. Francesco Rizzoli è sicuramente il migliore , perchè ad una grande agevolezza nel metterlo e nel levarlo d* o- pera, congiunge una robustezza che nessun altro possiede maggiore. Il forcipe-sega è stato perfezionato dal Nestore degli ostetrici italiani il prof. De Siili. Il bel partito che egli e il suo assistente nella R. scuola di Milano , Y egregio dott. Francesco Agudio , hanno saputo ricavare da tale strumento, lo vedrà chiunque legga la Memoria che que- st* ultimo ne ha pubblicata qui di recente (1). Contutto- ciò , nelle 34 applicazioni che ne hanno fatte, hanno po- tuto accorgersi che il forcipe-sega dimanda perfezionamen- ti ulteriori. Tanto il cefalotritore, quanto il forcipe-sega e per la loro grandezza e per la qualità della loro costruzione, so- no strumenti che meritano un’attenzione particolare; e per applicarli colla destrezza che pur si richiede, è neces- sario esercitarvisi non poco. Ora, se si ricorra agli esercizii sperimentali nei cadaveri muniti di pelvi deformate, si avrà tutta 1* opportunità di applicarli proprio allo stretto superiore, e di acquistare in- torno ai medesimi quelle pratiche cognizioni che condur- ranno a farne un uso conveniente nella donna viva; e forse ancora a correggerne i difetti. Dopo tutto quello che ho detto a favore del metodo (1) Del Forcipe-Sega. Mera, di concorso del dott. Agudio. Milano 1862. Dell9 Ostetricia sperimentale 323 sperimentale applicato allo studio della meccanica ostetri- ca, io converrò volentieri che, come il cadavere supera per molti riguardi tutte le macchine che sono state imma- ginate per le scuote , così alcune di queste hanno un qualche pregio che nel cadavere non si trova. — Per me è un pregio quello di essere munite di un utero artificiale. È vero che P arte non potrà forse arrivare a comporre un utero che colle sue contrazioni si opponga all* avanzamento della mano del- Y ostetrico, e che stringendone il braccio col suo orifizio, tolga alle dita il senso e la forza. — — Ciò nondimeno si può fare un utero elastico; e sarà sempre molto utile che gli studenti acquistino sensibilmente l9 idea della presenza del segmento inferiore dell9 utero, il quale, posto di mez- zo fra lo stretto superiore ed il fondo del catino , modera la discesa del feto, e qualche volta l9 impedisce a lungo, perchè tarda di molto a compiersi la dilatazione del suo orifizio. Da un altro lato trovando lo stesso segmento nel- l9 ascendere colla mano dal fondo verso P ingresso, gli studenti si avvezzano a condurre come si conviene gli stru- menti dentro P utero colla scorta della mano che difende P orlo della bocca uterina , e così scansano il pericolo di andare ad urtare co9 ferri nella volta della vagina. Riconoscendo , com’ è evidente , questo difetto che è nel cadavere , io pensava fra me se fosse fattibile il rimediarvi in un modo abbastanza plausibile e che fosse facile e pronto. Il segmento inferiore dell’ utero che cosa è in fatto ? — E un diaframma concavo , aperto nel mezzo e collocato tra P ingresso e il fondo del catino. Questo diaframma io P ho composto e senza molto studio o fatica ; e il materiale me lo ha fornito la parete anteriore del bassoventre. Quando il cadavere abbia i comuni integumenti soppan- nati di molta pinguedine, io ne taglio un gran lembo qua- drilatero che dalla regione epigastrica e dai lati corrispondenti del torace si distacca da’ muscoli sottoposti sino a livello della spina antero-superiore dei due ilei. In questo caso i muscoli addominali, non solo si fendono per aprire la cavità, ma se ne recidono le inserzioni all’ orlo anteriore del catino e all’arcata 324 Giambattista Fabbri crurale per allontanameli affatto. Se poi il cadavere fosse smun- to e scarno, e però avesse integumenti troppo sottili; allora nel fare il lembo bisogna lasciare la cute e le carni attac- cate insieme. Vedrete incontanente perchè sia necessario che il detto lembo abbia una grossezza discreta. Preparato che abbia il cadavere nel modo che già conoscete (deformando o no il catino , a seconda dello scopo che mi prefiggo ) il lembo che è rimasto attaccato alla regione anteriore del catino che è compresa tra le due spine anteriori e superiori degl’ ilei , ed è libero in tutto il resto , io lo distendo so- pra P ingresso del catino e lo affondo qualche poco nella scavazione per modo che formi una superficie concava. Ciò che sopravanza del lembo, necessariamente viene ad appli- carsi contro le vertebre dei lombi. A queste poi lo fisso con un punto, passando sempre la funicella didietro al corpo delle vertebre per mezzo dei forami di conjugazione. — Ed ecco il lembo mutato in una specie di diaframma concavo situato tra lo stretto superiore e il fondo della sca- vazione , e però simile al segmento inferiore dell’ utero. Resta solo da praticarvi un’ apertura nel mezzo che ram- menti la bocca dell’ utero. Si faccia dunque, e le si dia quella diversa ampiezza che più si crede. Se si abbia 1’ av- vertenza di spalmare di olio la superficie superiore o cu- tanea di questa concavità; le membra del feto che vi si pone sopra e che è unto egli pure , potranno sdrucciolare più facilmente ed imboccare 1’ apertura che schiude loro la via per discendere a nudo nella sottoposta cavità del- la pelvi. Eccovi , o Accademici umanissimi , quello che ho saputo trovare in questi ultimi tempi per apportare ulteriori per- fezionamenti ad un metodo sperimentale , che era già per se stesso feracissimo di utili risultamenti anche nella sua prima semplicità. Io vorrei sperare che fosse ornai dimo- strato , che il cadavere preparato nel modo che vi ho de- scritto, è da preferirsi alle macchine ostetriche le meglio architettate. Ma se taluno fosse pure di contrario avviso , questo almeno dovrebbe concedermi che, le macchine mi- gliori , essendo di gran costo , da pochi possono possedersi Dell* Ostetricia sperimentale 325 e in pochi luoghi trovarsi; mentre che, seguendo le re- gole che avete udite, si possono fare sperimenti ed eser- cizi ostetrici in qualunque luogo e da tutti. Ma qui, prima di dar termine al mio lavoro, mi è caro ricordare che 1’ istruzione sperimentale alla maniera del Monteggia è oggirnai antica nella nostra Scuola. Io me ne valsi, è vero, privatamente per me nella mia giovinezza, e poscia in pubblico nella scuola delle Levatrici in Ra- venna, ed in quella dell’ Università di Camerino: ma nel- 1’ Università nostra fu primamente introdotta da quell’ esi- mio professore che fu Paolo Baroni ; e dopo la sua par- tenza, con molto senno e premura fu mantenuta dal Ch. Prof. Francesco Rizzoli, per tutto il tempo che gli durò 1* incumbenza d’ insegnare Ostetricia. Ora io mi auguro questo solo, che, più delle mie pa- role, 1’ esempio del Monteggia, e quello degli uomini autorevoli che ho nominati , valga a vincere la renitenza o la freddezza di coloro, che indugiano tuttavia questa uti- lità non bugiarda alla gioventù studiosa. DESCRIZIONE ANATOMICA DI UNA NUOVA LUSSAZIONE TRAUMATICA DELL’ AVAMBRACCIO SULL’ OHEBO DEL COMMENDATORE PROFESSORE FRANCESCO RIZZOLI (Letta nella Sessione S9 Gennaio 1863.) Ì^e lo studio attento della struttura anatomica dell’ ar- ticolazione radio-cubito-omerale dà ragione della resistenza, che questa giuntura quasi sempre oppone alle violenze che tendono ad alterare o cambiare i rapporti delle parti che la compongono, e ad: originarne le lussazioni, quello stu- dio anatomico istesso, quantunque coadiuvato da esperi- menti fatti sui cadaveri , perchè non sorretto da innecce- zionabili cliniche osservazioni , fece ritenere impossibile la lussazione anteriore radio-cubito-omerale sull’ omero , purché contemporaneamente non rimanesse spezzato 1* olecrano. Ed è ciò tanto vero, che anche di recente quello sti- mabilissimo chirurgo, che fu il Vidal, nella seconda edizio- ne del suo trattato di patologia esterna e di medicina operatoria , mentre non esitava ad ammettere quest ultima , relativamente alla prima, non avendo della medesima pie- no convincimento, lasciò scritta questa sua dichiarazione. « Quando pubblicai la prima edizione di questa mia opera, passai quasi sotto silenzio codesto genere di lussazioni, 328 Francesco Rizzoli perchè secondo quello che io credeva, la di lui ammis- sione non era motivata , che su delle esperienze cadaveri- che, e su di una osservazione, che io credeva incompleta. Nel determinarmi ad ammettere simili lussazioni intesi imi- tare in certa guisa quegli scrittori d’ altronde commende- voli, che alle medesime accennarono, sebbene dichiarassero che non erano state mai osservate ». « Ma quantunque oggidì la Clinica sia venuta in soccorso della Chirurgia sperimentale , vi è però venuta con due osservazioni, che per me non sono di natura tale da dar- mi campo a cambiare i miei dubbi , e se le faccio co- noscere, mi vi ci induco, perchè esse hanno preso posto in un ben ponderato, e completo lavoro sulle lussazioni del cubito del Sig. Debruyn (1) il quale ne espone il meccanismo in una maniera assai commendevole ». Ora però noi non possiamo più rimanere in questa esi- tanza, avvegnacchè il sig. Denucé in una sua importantis- sima tesi , ed all* appoggio non solo della esperimentale chirurgia, ma ancora di osservazioni cliniche ben consta- tate , ha mostrata la possibilità non solo delle lussazioni anteriori dell’ avambraccio sull’ omero senza rottura del- F olecrano , ma ben anco di altye lussazioni di quest’ ar- ticolazione necessarie a distinguersi in pratica. Ed invero quattro fatti egli espone di slogamenti ante- riori dell’ avambraccio sull’ omero senza frattura dell* ole- crano osservati da Monin, Velpeau , James Prior, e Flaubert figlio , facendo però notare che queste lussazioni sono ac- compagnate da guasti considerevoli delle parti molli, ed in ispeciale modo da ferita della regione posteriore del braccio, attraverso cui può sporgere la troclea. In queste lussazioni, tanto la testa del radio, che 1’ olecrano, dopo essere passati sotto F estremità omerale , si spingono al davanti dell’ omero a varia altezza , per cui il membro ri- mane accorciato , rendendo palese un infossamento note- (1) Annales de la Chirurgie. Tom. IX. pag. 18. Di una nuova lussazione traumatica 329 vole in corrispondenza della cavità olecranica, ed un rialzo angoloso allo innanzi. Oltre le indicate lussazioni complete lo stesso signor Denucé riferisce pure tre osservazioni di slogamenti incom- pleti in avanti, e dovute ai signori Leva d’ Anversa, Colson , e Guyot. Queste lussazioni differiscono anatomicamente dalle pre- cedenti in ciò, che 1* olecrano è posto al di sotto della troclea, ove è tenuto fermo dai muscoli del braccio, che trovansi in istato di tensione; rotti poi essendo tutti i legamenti, il radio collocato al di sotto del suo condilo, ve ne rimane discosto, in causa del rialzo fatto dall’ ole- crano. Il braccio trovasi quindi allungato, e fa mostra di una depressione in corrispondenza del cavo olecranico. La lussazione delle ossa dell’ avambraccio in avanti può essere pure contemporaneamente secondo il sig. Denucé laterale all’ infuori. Di questa lussazione non se ne conosce che un latto pub- blicato dal Sig. Ghapel di Saint-Malo in cui in modo ma- nifesto apparisce che il radio , ed il cubito eransi realmente portati davanti T omero e contemporaneamente al di fuori. Mancava ad osservarsi la lussazione delle due ossa del- T avambraccio sull’ omero allo innanzi , e nel medesimo tempo lateralmente allo interno , e questa è stata di recente constatata da me. Trovavasi nell’ Ospizio di Maternità , parecchi mesi or sono, una giovane contadina, di buona derivazione , la quale giovane, quantunque non mostrasse segni di rachitide , era però di statura molto piccola misurando in altezza M. 1. 8. Offriva essa una marcata insellatura della colonna lombare , non che una doppia lussazione congenita dei femori, per cui F incesso suo non era perfetto , portava ella le spalle in addietro, ondeggiava nel passo, e nel camminare diri- geva la punta dei piedi allo interno. A queste imperfezioni un’ altra se ne aggiugneva , e a dir vero non meno importante, costituita da una marca- tissima deformità del braccio sinistro , cagionata da un an- tica lussazione dell’ avambraccio non riposta. T. II. 42 Francesco Rizzoli In una delle consuete visite da me fatte a quello stabi- limento 1’ onorevole sig. Dott. Cesare Belluzzi che ne è il Medico Ostetrico Direttore , per quella gentilezza che gli è tutta propria mi presentò quella giovane , ed accortomi che la antica lussazione cui era soggetta presentava delle parti- colarità singolari, mi proposi di studiarla , ed in ciò trovai tutta la condiscendenza del lodato sig. Dottor Belluzzi il quale anzi mi fornì ancora le seguenti notizie. La giovane aveva riportata quella lussazione dieci anni prima del suo ingresso nell’ Ospizio di Maternità. Sali- ta essendo ella un dì su di una scala che poggiava con- tro un ramo di un albero, avvenne che portatasi così in alto da oltrepassarlo , facendo essa leva in un colla sca- la, precipitò dal lato opposto dell’ albero contro terra. Non ricordava come percuotesse sul terreno , però un di lei fratello riferì, che nel cadere pose avanti le mani, ma non distinse poi come colle braccia urtasse contro il suolo. Ambedue rammentano poi , che all’ istante videro il brac- cio sinistro più corto, e che la pelle non si lacerò in al- cun punto, nè per la caduta, nè per fatto delle estremità articolari sporgenti. Il Chirurgo che visitò la giovane fece qualche trazione sul braccio, senza però che esso acqui- stasse la naturale lunghezza , e lo avvolse di fascia , che lasciò sul medesimo 50 giorni , ma levata che fu la fascia- tura, mostrossi la pelle in più punti escoriata disnodo che vi vollero più di 15 giorni a guarire, rimanendo il braccio assai più corto. In seguito la giovine cominciò a poco a poco a tentare di servirsene, nel qual modo dopo un anno acquistò nel medesimo forse altrettanta forza che nell’ al- tro; ma sebbene potesse anche fletterlo, non giunse però mai a portare la mano fino alla bocca. Non molti giorni dopo aver fatta io la indicata visita alla Maternità , quella giovane fu presa dai dolori del parto, e finì per sgravarsi spontaneamente, sebbene dopo un tra- vaglio molto penoso , in seguito di che fu presa da perito- nite, che a morte la condusse nel breve periodo di dieci giornate. Di una nuova lussazione traumatica 331 Il Dottore Belluzzi si valse del cadavere di quella mi- sera , onde fare quelle diligenti osservazioni sulle lussazioni congenite dei femori in essa notate, che potevano riescire in modo speciale di importanza Ostetrica, e mandommi in un col normale il braccio lussato onde potessi ispezionarlo. Avendo avuto occasione di parlare alcune giornate inan- zi di questo importante caso col Chiarissimo anatomico', e nostro Collega Prof. Leonida Berti, appena questi ebbe da me contezza che io possedeva quel braccio lussato gentil- mente si offrì ad eseguirne la dissezione. I risultamenti della medesima sono rappresentati in alcu- ne tavole, in modelli fatti colla scagliola, ed in una pre- parazione conservata a secco, che mi faccio o Accademici un dovere di presentarvi , nel tempo stesso che dei risul- tati anatomici istessi passo a darvi la descrizione. Esaminato allo esterno 1’ arto lussato si mostrava piu corto del sano ed atrofico , la cute non aveva subita alte- razione nel colore , era però un poco assottigliata nella re- gione posteriore del cubito ; 1’ avambraccio era semiflesso , non potevasi condurre a completa flessione, od estensió- ne , e permetteva soltanto limitati movimenti di pronazio- ne , e di supinazione. In corrispondenza alla articolazione cubito-omerale era rimarcabile un tumore a varie prominenze, che aumentava di circa un terzo i diametri antero-posteriore , e trasversa e di questa articolazione. Le singole prominenze non aderenti alla cute , dure, anzi ossee , corrispondevano alle prominenze delle ossa lussate sottostanti ; la posteriore di loro o mag- giore era costituita dallo sporgere che faceva la estremità in- feriore deir omero priva di olecrano , F interna che prò un- gavasi al davanti, era il rialzo della testa dell una, e e radio portatesi entrambe in alto allo interno, ed a o in- nanzi; finalmente la prominenza esterna corrispondeva al- V epicondilo , che sporgeva solo , in causa dell essersi atta più grande la sua distanza dal radio , essendosi questo por- tato internamente. , . « L’ antibraccio il cui asse era manifestamente deviato al o interno, aveva il suo lato radiale, che offriva nel terzo 332 Francesco Rizzoli superiore una curva a concavità esterna, dovuta allo slo- gamento interno del radio , mentre il lato cubitale dal car- po ascendeva in linea retta, fino alla grossezza o tumore di cui è stato detto. All’ antibraccio susseguiva la mano senza offrire particolarità di sorta. Venendo ora alle parti sottogiacenti alla cute, nulla è a dire di particolare delle vene superficiali e nervi sottocu- tanei ; ma è bensì a notarsi , come 1’ aponeurosi brachiale aderisse all’omero in corrispondenza della fossetta olecranica ove esisteva una piccola borsa mucosa avventizia. Svestiti i muscoli della loro comune aponeurosi brachiale, non pochi di essi si appalesarono cangiati nei loro rapporti. Infatti il tendine inferiore del muscolo bicipite aveva una direzione dall’ esterno all’ interno , e si vedeva inserirsi su- perficialmente alla tuberosità bicipitale del .radio , trattosi come si è detto allo innanzi e allo interno ; altrettanto è a dirsi del capo inferiore del brachiale anteriore , che paralel- lamente al tendine del bicipite si era portato allo interno per raggiugnere 1’ apofisi coronoide del cubito ; se non che a dif- ferenza di quello , egli aveva contratta una stretta aderen- za colla testa del radio. Il terzo superiore del supinatore lungo , e breve , pendevano al lato esterno del radio spo- stato, e cuoprivano colla loro faccia posteriore la faccia anteriore dell’ epicondilo , e condilo restato privo del capi- tello radiale. Il corpo muscolare che è origine comune dei muscoli cu- bitali, palmari, pronatore rotondo, e flessore superficiale delle dita , era spinto un poco in alto e all’ interno , e forse era stato staccato dall’ epitroclea , e lacerato nell’ atto della lussazione , e cuopriva in gran parte la testa dell’ ulna. L’altro corpo muscolare, che, si attacca al condilo ester- no dell’ omero , si era tutto ridotto allo esterno , o a lato del radio. Il supinatore breve per lo stiramento cui sog- giacque nell’ atto della lussazione , allontanandosi il radio al quale si inserisce , era lacero in parte , ed atrofizzato per r inazione. L’ anconeo aveva una direzione quasi oriz- zontale , il tendine inferiore del tricipite brachiale erasi di molto accorciato , e lasciava scoperta la faccia posteriore Di una nuova lussazione traumatica 333 dell’ estremità inferiore dell’ omero in causa dello sposta- mento dell9 olecrano , che 1’ aveva tratto con se , per cui 1* omero in quella sua porzione veniva coperto dai soli te- gumenti. Relativamente ai vasi e nervi l9 innormalità esisteva in principal modo nella porzione inferiore dell’ arteria brachia- le , vene satelliti , e nervo mediano ; non che nei nervi cubitale , e radiale. L’ arteria brachiale , rispettive vene e nervo mediano erano stati spinti allo interno, e si trova- vano fra il tendine del bicipite e pronatore rotondo in cor- rispondenza ad un solco, formato ai capi del radio, e del- P ulna. Il nervo cubitale , dalla faccia posteriore dell’ epi- troclea , ove è normalmente collocato , vedevasi spostato allo innanzi ed in alto, e si trovava decorrere tra i muscoli del lato cubitale dell’ antibraccio , passando al davanti ed allo interno del capo superiore dell’ ulna. Relativamente ai vasi e fili nervosi secondari, distribuentisi ai muscoli vicini nulla vi era di anormale. Ma la preternaturale disposizione delle ossa da cui deri- vavano e la mala conformazione dell’ arto e gli innormali rapporti sì muscolari che vascolari , consistevano in questo , che le due ossa dell’ avambraccio erano deviate allo interno dell’ asse dell’ omero , e portate in alto e al davanti della sua estremità inferiore , ove rimanevano unite mediante una massa legamentosa , che ornai non ricordava più nulla della forma fisiologica, ma che però si potè riconoscere costitui- ta dai legamenti anteriori, posteriori, e laterali rotti e sfian- cati, quindi modificatisi nel lungo periodo di tempo , che era trascorso dalla riportata lussazione. Restava intatto 1* annulare del radio, e scorgevansi altri legamenti di nuova formazio- ne, dei quali ultimi darò cenno , nel tempo stesso che de- scriverò la disposizione delle ossa con cui avevano rapporto. Passando quindi a notare colla dovuta esattezza la posi- tura ed i rapporti anatomici di ciascuno di quegli ossi , che furono compresi nella lussazione, comincierò a dire dell’ estremità inferiore dell’ omero, la quale oltrecchè aveva mutati i suoi rapporti di contiguità si era anche al- terata in se stessa; diffatti nella sua faccia posteriore la 334- Francesco Rizzoli fossetta olecranica era pressocchè del tutto scomparsa, e vi corrispondeva come si disse una borsa mucosa. La tro- clea formava quasi tutto un piano col vicino condilo, e non vi si osservava che una leggera ed ineguale concavità, in una parola 1' estremità inferiore dell’ omero era atrofica. L’ epitroclea pochissimo prominente aveva perduto nel suo diametro trasversale , e guadagnato nel verticale , pre- sentando al suo bordo interno delle ineguaglianze , che denno ripetersi da una frattura ed asportazione dell’ epi- troclea , come si dirà meglio nell’ interpretare il mecca- nismo "di questa lussazione. Alla sua faccia anteriore in corrispondenza della fossetta coronoide , si osservava un rialzo osseo a piatta forma , alto tre millimetri di figura elissoide , lungo due centimetri , largo un centimetro e mezzo, con un diametro obbliquo dall’ alto al basso, dal- 1’ esterno all’ interno , a superficie piuttosto scabra , coper- ta da una molle cartilagine d’ incrostazione, e da una sierosa sinoviale , che si ripiegava sulla testa del radio ta- gliato in isbieco, con cui questo rialzo si articolava pre- stando in pari tempo inserzione per la sua circonferenza ad una capsula fibrosa, che ve la teneva in intimo con- tatto. L’ omero aveva pure strette aderenze colla testa del- 1’ ulna. Essa ulna offeriva un notabile spostamento*, invece di articolarsi alla troclea con la sua estremità superiore , pog- giava con porzione della sua faccia radiale al davanti di quello spazio che è subito sopra alla faccia anteriore del- 1’ epitroclea, e vi restava fissa per solidi legamenti di nuova formazione , esistenti tra il bordo interno dell’ ome- ro e 1’ esterno del cubito od ulna , la quale aveva dunque dovuto per giungere nella suddetta posizione, soffrire un forte accavallamento e portarsi dall’ esterno all’ interno , dal basso all’ alto e un poco al davanti. La sua apofisi olecranica si era innalzata per più di tre centimetri dal livello della fossetta posteriore dell’ omero. L’ incisura sigmoidea rivolta al davanti e un poco al di fuori appari- va più piccola e meno profonda; avendo nello stesso tem- po perduta la levigatezza che le è propria, e abbracciava Di una nuova lussazione traumatica 335 col suo bordo esterno una specie di sesamoideo, o corpo osseo accidentale, di cui presto diremo attesa la sua im- portanza. L’ apofisi coronoide ottusa , e rugosa prestava in- serzione colla sua faccia esterna al legamento coronario. Il radio sebbene rispettivamente all' ulna si trovasse nei naturali rapporti, deviava però da questi in relazione alla inferiore estremità dell’ omero; dalla sua posizione normale si era portato internamente per quasi tre centimetri ed innalzato altrettanto al davanti di essa estremità omerale. Aveva la sua testa tagliata in isbieco dall' alto al basso e dall’ avanti all’ indietro , cosicché ne risultava una superfi- cie piana, obbliqua, che coperta da cartilagine d’ incro- stazione e da sinoviale si articolava col rialzo elissoideo notato in corrispondenza della fossetta anteriore dell’ ome- ro. Al dissopra di essa testa e internamente si trovava il sesamoideo accidentale che ho ricordato , e alla faccia anteriore si inseriva un anormale prolungamento del bra- chiale anteriore , mentre alla faccia posteriore prendeva attacco un lungo e robusto legamento che nasceva dal segmento anteriore e superiore della troclea e condilo ome- rale. Il collo era circondato dal legamento annulare che si impiantava al lato esterno dell’ apofisi coronoide. Le due teste del radio, e dell’ ulna, accavallate sul- 1' omero nei nuovi rapporti acquistati , erano di guisa unite che i lati cubitali dell’ apofisi olecranica e coronoide, non che la faccia pure cubitale della testa del radio , erano disposte su tre linee in modo da costituire un triangolo isoscele , il cui vertice avrebbe corrisposto alla punta in- terna dell’ apofisi coronoide e la cui base sarebbe stata formata da una linea tirata dalla testa del radio al lato interno dell’ apofisi olecranica. Era nel bel mezzo di questa linea ove si osservava il corpo osseo accidentale, che in questa lussazione dissi essere di grandissima importanza. Questo piccolo osso della grossezza di un’ avellana, di forma irregolarmente piramidale, a base in alto, era dun- que situato e compreso precisamente nell’ incavatura del bordo esterno dell’ incisura sigmoidea , appena al dissopra e un po’ all’ interno della testa del radio, precisamente 336 Francesco Rizzoli nel punto dove il bordo interno dell’ omero comincia ad espandersi per incorporarsi nell’ epitroclea. Tre briglie le- gamentose lunghe un centimetro circa lo fissavano al bor- do interno dell’omero, e all’esterno dello olecrano , e apofisi coronoide dell’ ulna. Egli è per 1’ attento esame di queste particolarità ana- tomiche, che noi possiamo ora agevolmente interpretare il meccanismo di questa lussazione. Sebbene diffatti non ci sia noto il modo preciso col quale la giovane pereuotè col braccio sul terreno, nulladimen© può ritenersi che la lussazione si effettuasse pel concorso ed immediata successione di due tempi, e moti distinti. Nel primo tempo è a credersi che, fissatosi 1’ omero , le due ossa dell’ antibraccio per la forza che tendeva a scomporle venissero spinte dallo esterno allo interno in modo da co- stituire una lussazione laterale interna incompleta , o ciò che vale lo stesso 1’ ulna spostata e spinta internamente abbracciasse P epitroclea posteriormente colla sua incisura sigmoidea rivolta allo innanzi , mentre il radio essendo stato tratto per la medésima forza in egual senso , si andasse a collocare al dissotto della concavità trocleare dell’ osso del braccio , e che così essendosi disposte le indicate ossa sia av- venuto di poi immediatamente , che per Y azione di una seconda forza anche più energica della prima agente sul- P antibraccio dallo indietro allo innanzi siano state costrette le due ossa dell’ antibraccio a passare necessariamente al da- vanti dell’ omero ed a salire , superando P ostacolo che loro opponeva P epitroclea abbracciata dalla incisura sigmoidea della testa dell’ ulna col fratturarla e trarla davanti a se ; costituendo così quel corpo osseo accidentale che dovrebbe essere quindi riconosciuto per un frammento dell’ epitroclea fratturata dall’ olecrano ; del che ne danno ancora convin- zione le ineguaglianze e la piccola prominenza del residuo di epitroclea restata al suo posto, non che i pochi guasti avvenuti nelle parti molli circumambienti , che avrebbero pur dovuto essere molto di più alterate di quello che mo- stravansi , ove il meccanismo di lussazione si fosse compiu- to diversamente da quello che vi ho riferito. Di una nuova lussazione traumatica 337 Questa minuta relazione anatomica fu da me esposta non solo coll’ intendimento di fare conoscere una lussazione del- lo avambraccio sull’ omero non per anco da alcuno osservata e descritta, e che intendo chiamare radio-cubito-omerale anteriore superiore , e laterale interna , ma a questo mi in- dussi ben anco per altro, ed importante motivo. Se la chirurgia sperimentale diffatti ci può dare ragione della maniera d’ agire di quelle cause violente, che produ- cono le traumatiche lussazioni , se può rendere agevole il conoscere il meccanismo di loro formazione, e lo stabilire le norme a seguirsi onde debitamente ricomporle, se può ben di sovente renderci palesi i guasti estesi e profondi che in alcune circostanze avvengono nelle diverse parti che com- pongono le offese giunture , e se con ciò non solo si pon- ilo avere norme opportune onde stabilirne le differenze , e non confonderle con altre lesioni di assai diversa natura; tutti questi beni per altro non sono sempre attendibili dalla sola sperimentale chirurgia , e ciò a motivo delle molte non determinabili complicazioni che alle lussazioni si ponilo as- sociare immediatamente, od in causa pure delle successio- ni morbose , che a seconda della diversa natura o gravezza della lesione , collo scorrere del tempo , man mano avven- gono nelle parti lussate, ed attigue. Sorgenti furono queste complicazioni, e successioni di gravi errori che commisero non solo volgari , ma dottissi- mi , ed espertissimi chirurghi , i quali o lasciarono incurate alcune lussazioni perchè non le conobbero , od usarono mez- zi impropri o violenti onde tentare di ridurne alcune ad altre lesioni complicate, o ricorsero a lacci , od a macchine per forzare le estremità articolari deviate dalla loro natu- rale sede a riprendere il proprio posto, ove poi per le al- terazioni in esse avvenute col tempo, non era piu possi i e il poterle riporre , con che aggravarono di molto le condi- zioni della parte offesa , e produssero ancora m alcuni casi temibilissime , o mortali conseguenze. Vero è, che di molto concorsero a perfezionare que- sti studi le più accurate cliniche osservazioni , ma anche con queste non si evitarono molti errori , imperocché ie Francesco Rizzoli cliniche osservazioni non giungono sempre a farci conosce- re tutti quei mutamenti che per fatto delle lussazioni av- vengono non solo nelle parti più esteriori , ma nelle più recondite delle giunture. Non è dunque che V anatomia patologica la quale possa rendere completi questi importantissimi studi, è dessa che addentrandosi nei tessuti e negli organi più nascosti può additarci quei cambiamenti di cui sono suscettibili le parti, dal momento che rimasero lussate fino ad epoche le più remote, e porre intorno a ciò sull5 avvertita il chirurgo; è dessa che a preferenza ci rende palesi i casi in cui la riduzione può riescile facile , può richiedere soccorsi gra- vi , o può rendersi impossibile , è dessa che ci fa conoscere i difetti che in alcuni casi ponno susseguirne anche quan- do la riduzione sia stata fatta nella maniera più facile e brillante , è dessa che ci insegna i modi diversi con cui natura si adopera affine di rendere meno imperfetto l5 u- so dell5 arto in quelle circostanze in cui la ricomposizio- ne dello slogamento non potè effettuarsi, è dessa infine che dà lumi ai chirurgo , acciocché colla sua potenza in questi ultimi casi nel modo migliore coadiuvi natura. Ma siccome sono pochissime le occasioni nelle quali l5 anatomia patologica in tanto bisogno ci si possa offerire cortese , e farci dono di sue grazie , così è , che siccome sarebbe veramente degno di spregio colui, che offertasegli la opportunità , non sapesse approfittarne , e fare tesoro di quanto le proprie indagini valsero ad illuminarlo , non ho voluto per questo nascondere nel silenzio la osservazio- ne anatomo-patologica a me occorsa , ben persuaso che nel comunicarvela , sarà da voi accolta con quella benignità che è propria di coloro i quali amano di conoscere quei minuti particolari, i quali nei momenti i più difficili, han- no virtù di togliere il pratico da quelle penose incertezze , che dannosissime ponno riescire agli infermi. Di una nuova lussazione traumatica 339 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA i. Fig. 1. Articolazione del cubito lussata veduta dal lato anteriore. Fig. 2. La stessa articolazione veduta dal lato posteriore. TAVOLA 2. Fig. 1. Questa figura rappresenta specialmente lo strato muscolare superficiale e profondo non che i vasi, e i nervi. 1. Muscolo bicipite. 2. Aponeurosi bicipitale sollevata. 3. Tendine del bicipite. 4. Muscolo brachiale anteriore spostato internamente dalla lussazione. 5. Muscolo supinatore lungo stirato in fuori. 6. Muscolo radiale lungo. 7. Muscolo radiale breve. 8. Alcune fibre del supinatore breve lacerato ed atrofico per l' inazione. 9. Muscolo cubitale interno. 10. Muscolo palmare gracile. 11. Muscolo palmare grande. 12. Muscoli flessori superficiali, e profondi delle dita. 13. Muscolo pronatore rotondo. 14. Estremità inferiore dell’ omero. 15. Testa del radio. 16. Nervo mediano. 17. Nervo radiale, e suoi rami. 18. Arteria omerale superficiale, e sue vene satelliti. 19. Plesso venoso profondo della piegatura del braccio. Fig. 2. Rappresenta le parti relative della stessa lussazione veduta dal lato esterno. 1. Estremità inferiore dell' omero. 2. Estensore comune delle dita. 3. Muscoli radiali. 4. Muscolo supinatore lungo. 5. Muscolo brachiale anteriore. 6. Estremità inferiore del muscolo bicipite. 7. Muscolo pronatore rotondo. 340 Francesco Rizzoli 8. Plesso venoso profondo. 9. Arteria brachiale e suoi rapporti venosi, e nervosi. TAVOLA 3. Fig. 1. Rappresenta la stessa lussazione veduta dal lato posteriore. 1. Omero. 2. Olecrano. 3. Tendine del tricipite brachiale. 4. Borsa mucosa avventizia ove aderiva 1’ aponeurosi brachiale. 5. Muscolo supinatore lungo. 6. Muscoli radiale lungo, e breve. 7. Massa muscolare dell’ estensore delle dita. 8. Muscolo cubitale esterno. 9. Muscolo cubitale interno. 10. Estremità inferiore dell’omero deformata nella superficie articolare, e co- perta dall’ aponeurosi d’ origine dei muscoli dall’ antibraccio. 11. Inegualianze , e piccola prominenza formata dal residuo di epitroclea ri. masta in sito e non compresa nel pezzo di epitroclea che rimase fratturato. Fig. 2. Rappresenta la medesima lussazione veduta dal lato cubitale od interno. 1. Estremità inferiore delP omero, e suo condilo interno. 2. Olecrano dell’ ulna. 3. Tendine del tricipite. 4. Ulna. 6. Muscolo brachiale anteriore. 6. Bicipite. 7. Aponeurosi bicipitale tagliata. 8. Muscolo estensore comune delle dita. 9. Muscolo cubitale esterno. 10. Muscolo cubitale interno. 11. Massa muscolare del lato interno ed anteriore dell’antibraccio. 12. Nervo cubitale spostato internamente e che trovasi hi rapporto coll’ olecrano. 13. Briglia legamentosa dell’aponeurosi brachiale. 14. Arteria brachiale e sue vene satelliti. 15. Nervo mediano. TAVOLA 4. Fig. 1. Rappresenta la lussazione yeduta dal lato anteriore ed esterno. 1. Omero. 2. Radio. 3. Ulna. 4. Tendine del bicipite. 5. Muscolo brachiale anteriore che ha prese solide aderenze coll’ estremità superiore del radio. fa. Tomo H. Eizzoli - Lussazione dell’ arambraccio . Tai. I. ' 0. Barami lis! lai vm e m pi%4- Mem. Tomo I. •0. Nannini Jis* dal yers t in pitta . la. &.Wmk. Mem. Tomo. I. Rizzoli, lussazione dell’ avambraccio Tay.I. 0. Barami fa' t! «ro e in pietra Lit. 6. Wtsk . lem. Tomo H. Rizzoli _ Lussazione dell’ avambraccio Tav. IV. 0. Nannini &• Jal vett t in pietra Li INenk. Di una nuova lussazione traumatica 3 il 6. Estremità o porzione inferiore del muscolo tricipite. 7. Legamenti omero-radiali abnormi. 8. Capsula e borsa legamentosa di nuòva formazione , e che contorna la falsa articolazione che si è determinata fra la testa del radio., e la fossetta anteriore dell’ omero. Fig. 2. Lussazione veduta dal lato posteriore. 1. Omero. 2. Ulna. 3. Radio. 4. Tendine del tricipite. 5. Impronta ove aderiva V aponeurosi brachiale ed erasi sviluppata una pic- cola borsa mucosa avventizia. Fig. 3. Rappresenta la lussazione veduta dal lato interno. 1. Omero. 2. Ulna, e olecrano. 3. Radio. 4. Inserzione del tricipite nell’.olecrano. 5. Tendine del bicipite. 6. Tendine del brachiale anteriore e sua stretta aderenza colla testa del ra- dio, aderenza accidentale, e conseguenza della lussazione. Fig. 4. Rappresenta la lussazione veduta dal Iato anteriore, e spoglia dagli attacchi muscolari. 1. Omero. ^ 2. Radio. ^ 3. Ulna. 4. Fossa sigmoidea dell’estremità superiore del cubito alquanto deformata. 3. Grosso sesamoideo o corpo osseo accidentale costituito dal frammento del- F epitroclea fratturata dall’ olecrano ed esistente fra 1’ estremità inferiore anteriore dell’ omero , e la superiore dell’ ulna tenuto in sito da due bri- glie legamentose una inferiore , e 1’ altra superiore. 6. Capsula articolare avventizia aperta ove vedesi la falsa articolazione che si è formata fra 1’ omero ed il radio. L Legamentose fibre fra il condilo esterno dell' omero, ed il radio. SULLA DUPLICITÀ CONGENITA DELLA MILZA »0*A DEL PROF. CAV. U H.l CALORI ( Letta nella Sessione 22 Gennaio 1863. ) Aderendo allo invito fattomi, otto giorni sono, dal- 1* illustre nostro Preside di riempiere il vuoto , che oggi sarebbe rimasto nelle nostre esercitazioni accademiche per mancanza del sortito disserente , io aveva sperato di poter finalmente sciogliere 1’ obbligo contratto col prestantissimo Collega ed amico Prof. Cav. Gaetano Sgarzi dando la Splancnologia deli5 Uromastyx spinipes Meremm a compi- mento del suo dotto lavoro chimico sugli escrementi di questo Saurio. Ma varie circostanze congiunte alle esigenze della pubblica istruzione avendomi tolta la maggior parte del tempo che io doveva impiegare nello esame dei visce- ri del detto rettile, mi hanno impedito di condurre a ter- mine queste mie ricerche, che a Dio piacendo non tar- derò tuttavia molto ad esporre davanti a Voi, Colleghi umanissimi. Intanto io supplirò con altro piccolo scritto intorno ad un5 antica osservazione non so se mi dica affatto dimenticata o non giustamente valutata dagli anatomici, la quale ho avuto occasione di due volte verificare, e risguar- da la duplicità congenita di un organo, forse il più oscuro di tutti rispetto la sua importanza nell5 organismo , vo5 di- re la milza; scritto che mi pongo subito a recitarvi. 344 Luigi Calori Fra le parti non appaiate od uniche del corpo umano e degli altri vertebrati quella che più di leggieri ama il molteplice, ed è vaga di satelliti che le facciano coda, si è certamente la milza. Del quale satellizio vano sarebbe il fermarsi ad esibire le prove ; chè chiunque abbia aperto anche non molti cadaveri , può offerirsene come testimonio di veduta, sì frequente è 1* anomalia appo noi. I moderni non meno che gli antichi scrittori di cose anatomiche so- no stati solleciti di notare non semplicemente il fatto , ma altresì le varietà del medesimo ; e sappiamo dall’ Haller che quantunque di que’ satelliti che lieniculi , o milze succenturiate od accessorie si appellano, uno o due soli d’ ordinario ci abbiano, non pertanto elli possono aumen- tare di numero, ed essere quando tre, quando quattro, quando cinque e così multiplicare da aggiugnere fino a dodici, secondo che ebbe già osservato il Tyson in un Tursione (1) ; avvegnaché però Giorgio Cuvier non ne scorgesse dippoi nel Marsuino che sette, i quali erano sì piccoli che insiem riuniti non avrebbero equiparato il vo- lume della milza di un quadrupede ed il maggiore non superava il volume di una castagna, ed era indubitatamente la milza principale (2); ma Siebold e Stannius ci dicono di averne veduti un molto maggior numero in questo Del- fino, cioè a dire diecisette con una milza principale assai voluminosa e sferica (3). E di vantaggio anche può occor- rerne, conciossiachè leggiamo averne 1’ Otto trovati nel- F uomo fino a ventitré. Gotali milze satelliti o succentu- riate sono sempre molto più piccole della milza principale, e per quantunque grandi e ragguardevoli elle siano , non sorpassano mai il volume di una noce ( Baillie } o di un grande ovo colombino ( Morgagni ) od un pollice di dia- metro ( Huschke ) , ma sono per Io più minori ed anco di (1) Elementa Pbysiol. corp. ham. Alidore Alberto V. Haller. Tom. VI. Liber. XXI. § II. Numerus. Berne 1764. (2) Le$ons d’ Anat. Compar. Tom. deuxieme. Bruxelles 1838. Vingt e* uniéme le?ons. Sect. V Artide V. de la rate. — A. pag. 410. (3) Non ve a u Manuel d’ Anat. comp. Tom. deuxieme. Paris 1850 pag. 4 Sulla duplicità cong. della milza 345 assai , e minime sì da paragonarsi ai semi di lente ; e giammai quando siano molteplici, offrono eguale grandez- za. Son’ elleno di solito olivari o rotonde, e trovansi come a dire appese alle diramazioni de* rami dell’ arteria e vena splenica al di sotto o al di dietro della estremità inferiore o posteriore della milza nell’ omento gastro-colico e lungo la curvatura maggiore dello stomaco , o presso 1’ hilo liena- le nel legamento gastro-splenico come Morgagni aveva già notato (1) , nè mai se ne ebbero vedute al di sopra , o al davanti della estremità superiore od anteriore altrimen- ti detta testa della milza, per forma che Meckel (2) ed Huschke (3) hanno posto come di legge , che le milze sa- telliti o succenturiate tengano sempre quelle sedi , nè mai al di sopra, o al davanti della milza principale vadano a collocarsi. E considerano una coincidenza a vero dire at- tendibilissima , e questa è che le milze satelliti od acces- sorie corrispondono al margine anteriore od inferiore della milza principale , il quale margine presenta assai di fre- quente al di sotto della testa di lei, nè mai in essa testa, dei solchi o delle incisure , cui hanno non senza molta ragione per un primo grado dell’ anomalia di quelle ; sol- chi e milze satelliti che occorrerebbero massimamente quan- do F arteria splenica in molti rami dissolvesi. Mi era necessario esporre brevemente quanto gli anato- mici avevàno osservato ed escogitato intorno ai lienicoli o milze satelliti , acciocché meglio si facessero chiare ed aperte le differenze che passano tra il caso che sono per narrarvi, di duplicità congenita della milza ed i registrati da essi. Ma avanti che io discenda a questa narrazione, reputo conveniente significare che cosa abbia ad intendersi per tale duplicità. (1) De sedibus et caosis morborum per anatomen indagatis. Epìst. XXXVII — 30 — XXXVIII - 34 — LXIV — 2 — LXVII — 11 — Vedi an- che Adversaria HI. animad. XIX. (2) Mannaie di Anat. gener. descrit. e patol. del corpo amano di G. F. Meckel versione di G. B. Caimi. Tom. 4 pag. 330-31. Milano 1826. (3) Encyclopedie anat. Tom. V. Splanchnologie pag. 176-77. Paris 1845. t. ii. 44 346 Luigi Calori Per duplicità lienale congenita si ha ad intendere resi- stenza , in un individuo solo , di due milze che ne abbiano veramente la configurazione, siano cioè piatte anzi che nò, concavo-convesse, terminate da due margini e da due estremità, provviste di un hilo o porta longitudinale nella faccia concava ed attaccate o al cieco fondo dello stoma- co, od al grande epiploon mediante il peritoneo. Debbono essere di una grandezza molto superiore alla massima sud- divisata de’ lienicoli , o milze satelliti, ed essere fra loro od egualmente voluminose o non molto differenti di volume; debbono in oltre avere una grossa arteria , nata o diretta- mente dalla celiaca, o dal tronco della splenica, dividen- tesi più o meno lontano dalla origine in due rami princi- pali , accompagnati da due vene provenienti dalle milze medesime e confluenti o separatamente , o riunite in un tronco comune nella vena porta. Debbono infine amendue presentare la struttura intima propria della milza. Questa definizione sembrerà ad alcuno troppo prolissa, essendo nelle definizioni raccomandata la brevità. Lo so, ma chieggo venia se meglio di descrizione che di defini- zione ha ella sembianza ; ma faceva mestieri ben intendersi intorno al significato della denominazione di duplicità fie- nale congenita; imperocché gli autori con tale espressione vollero generalmente indicare , come rilevasi dall5 Haller (1) che ne dà ampia contezza, 1’ aggiunta di una milza acces- soria o satellite alla principale ; lo che viene escluso dalla ì m‘a definizione , siccome caso che manca dei caratteri di vera duplicità, ed in oltre gli scrittori di anatomia pato- logica pongono non essere congenitamente duplice la mil- za che nei mostri doppi (2) e questa sola esserne la vera duplicità. Ma questa per ver dire non è che duplicità ap- parente, sendo che le due milze non appartengono ad un individuo solo, ma a due che sonosi riuniti, ciascun dei l tP\CU* L,b- ***'• cit* § fi* Vedi la nota h. Twiti • * conJP,eto di Anat. Palo!, di Carlo Rokitanski traduzione dei Dottori Richetli e Fano. Venezia 1853. T. III. pag. 414 Sulla duplicità cong. della milza 3Ì7 quali include la sua milza, non altrimenti che gli altri visceri addominali, in una cavità viscerale comune. La data definizione dunque non comprende questi casi , e soltanto si riferisce ad un individuo normalmente costituito che ab- bia doppia milza. Certa cosa è che i moderni scrittori intorno alle anoma- lie della organizzazione, quelli almeno che noi possediamo, e che ho avuto agio di consultare come G. F. Meckel (1) ed Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire (2) , ai quali possono ag- giugnersi Cruveilhier (3) , Blandin (4) , Huschke (5) , Mùl- ler (6), Rokitanski (7), Forster (8) ec. non hanno fatta menzione di cotale contingenza ; ma non perciò io mi pen- so debba sorgere il menomo dubbio che la si possa avve- rare , e mi . fa maraviglia che siasi creduto essere i soli mostri doppi singolari per cosiffatta duplicità. E la mia maraviglia muove da questo che fin gli antichissimi ebbe- ro notato il fatto , ed Aristotele parlando delle cagioni onde si generano gli animali mostruosi, lasciò scritto che se erasene uno veduto tiene carens , se ne era pur veduto altro duplicem habens lienem (9). E Gerardo Biasio confer- mava la sentenza aristotelica , descrivendo e figurando una milza doppia , e per soprappiù ne significava di avere più volte veduto un simile fatto = in muliere illa ( così egli ), cujus suo loco mentio facta , quae lienem monstrosae figu- rae , miraeque magnitudini, circa pudenda haerentem, no - bis exhibuit , alium pomi magnitudinem habentem , inveni - mus ; hìc locum illum qui tieni ordinarius , occupabat , sub - (1) Op. cit. Tom. IV. pag. 330. (2) Histoire génér. et partic. des anomalies de I* organisation etc. Tom. prem. pag. 730. (3) Traité d* Anat. descript. Paris 1852. Tom. troisiéme pag. 442. (4) Nouveaux élém. d’ anat. descript. Paris 1838. Tom. second. pag. 220. (5) Encyclopedie anat. Tom. cit. pag. cit. (6) Manuel de Physiologie traduit par Jourdan. Paris 1845. Tom. premier pag. 484-85. (7) Op. cit. Tom. cit. (8) Manuel d’ anat. pathol. Paris 1853. pag. 348. (9) De generatione Liber IV. Cap. IV. 348 Luigi Calori stantia debita, vasisque omnibus ex debito instructus . Simile exemplum in viro notavimus , imo in muliere uterino ex ulcere demortua de qua Part. IV. Observ. V. Lienem divi - sum vidimus , cujus delineatio habetur Tab. V. Fig. Ili = (1). Se non che contemplando questa figura non ne sorge nel- Y animo il pieno convincimento trattarsi di due vere milze affatto indipendenti, 1’ una soprapposta all’altra, ma na- sce il sospetto che piuttosto si tratti dell’ anomalia indi- cata da G. F. Meckel, consistente in un solco trasversale più o meno profonda esteso su tutta la superficie esterna della milza medesima (2) , per forma che essa milza sa- rebbe meglio divisa in due lobi , o bilobata , come ne’ Mo- notremi, di quello che doppia. Ciò nondimeno la prima osservazione contenuta nel testo surriferito sembrerebbe provare, che veramente il Biasio avesse trovate due mil- ze, ma anche qui rimane il dubbio se la milza che man- tenevasi nella propria sede , non fosse un lienicolo o milza satellite divenuta pur essa ipertrofica. Altri anatomici an- tichi hanno ripetuto di aver vista duplicata la milza sì nell’ uomo come negli animali, ma le loro testimonianze non hanno valso appo i moderni, e dirò anche gli anti- chi, a stabilire 1’ anomalia della milza doppia in un indi- viduo solo, sia che ellino non abbiano trovate abbastanza esatte , o non ben particolareggiate le osservazioni che alla contingenza di cotale anomalia prestano fondamento , sia che abbian’ eliino creduto che le pretese milze doppie ad altro non si riducessero che alla esistenza di una milza principale e di altra succenturiata , o satellite. E che ef- fettivamente abbiano opinato così, traesi dal maggior nu- mero degli autori che notarono quella duplicità , e dallo intendimento dell’ Haller, il quale non dubita di confon- dere le osservazioni del Biasio , e le consimili con quelle di molti altri e di Morgagni in ispecie , il quale ovunque descriva 1’ anomalia , sempre ne convince che dessa consi- steva nel trovarsi una milza principale accompagnata da (1) Gerardi Blasii amstelodamensis observationes medicae rariores etc. Am- stelodami MDCLXXV11. Obseryatio XXII. Lien duplex pag. 56. (2) Op. cit. Tom. cit. pag. 331. Sulla duplicità cono, della milza 349 un1 2 * * 5 accessoria o satellite. Laonde poste da Landa , anzi in obblio le asserzioni del Biasio e degli altri che convennero nelle medesime , altro generalmente gli anatomici ed i fisiologi non attesero, nè attendon tuttavia che il fatto di una milza principe, e di un lienicolo concomitante. Lo che però non è, secondo che io avviso, possevole a ri- muovere qualunque sospetto che fra quelle antiche osser- vazioni in generale troppo brevemente riferite non abbia potuto esserne alcuna che accennasse a due vere milze giusta la definizione superiormente proposta ; e per questo solo avrebbero dovuto essere molto più circospetti nel sentenziare coloro che semplicemente ai mostri doppi dop- pia milza hanno conceduta : assoluto sentenziare mai sem- pre pernicioso, che costringe la natura entro termini sì angusti quanto sono quelli della mente umana. Dico impertanto che G. Guvier ebbe trovata doppia la milza in un Orso bruno (1) e quantunque egli non accen- ni che di volo 1* anomalia, nota però una circostanza che ne toglie di confonderla col fatto della esistenza di un lienicolo e di una milza principale, e la circostanza è, che una delle milze , benché più piccola , era anteriore , e T altra benché più grande, posteriore. Se si fosse trattato di una milza succenturiata , e di una principale, quella non sarebbe stata mai al davanti o al di sopra di questa, ma al di sotto o al di dietro, conforme già fu detto su- periormente avere osservato il Morgagni , il quale vide sempre i lienicoli o nel grande epiploon , o nel legamento gastrosplenico ed anche nella membrana adiposa del rene sinistro (2); osservazione da molti e molti confermata, e stabilita in principio da G. F. Meckel , e da Huschke che tali lienicoli o milze satelliti risieggano sempre al di die- tro o al di sotto della milza principale. (1) Op. cit. Tom. cit. ibid. (2) De sedibus etc. Epistole cit. Un lienicolo o milza satellite situata nella capsula adiposa del rene potrebbesi dire milza vaga. Una di queste milze vaghe piccolissima mi è occorsa in un Uromastyx spinipes di sesso femminino, ed era a destra presso il margine ottuso od anteriore del fegato , appiccata per un robusto peduncoletto al peritoneo. 350 Luigi Calori Ma si dirà che F osservazione del Cuvier non è abba- stanza specificata , e che ella non prova quelle fossero veramente due milze , e tutto al più costituirebbe una ecce- zione alla regola o principio suddetto. Convengo quanto alla prima obbiezione, non in quanto all5 altra, e sostengo che la non è una eccezione, ma un fatto diverso , e che quelle erano veramente due milze. Questo linguaggio vienimi det- tato dall5 aver veduto il somigliante di ciò che vide il Cuvier, nel sus scropha, in cui per la prima volta mi si parò innanzi la vera duplicità fienale congenita. Delle due milze una era appiccata al cieco fondo delio stomaco, l5 altra al grande epiploon. Amendue ne avevano esatta- mente la forma, ed apparivano lunghe, strette, navicola- ri , e distavano due in tre dita trasverse fra loro. La pri- ma era anteriore ed alquanto men voluminosa dell5 altra che era posteriore. Tutte e due insieme riunite superava- no l5 ordinaria grandezza di una milza suina comune. In ambedue scorsi un hilo longitudinale. Non mi fu dato di maggiormente internarmi nello esame delle medesime ; ma ciò che mi fu negato allora , ebbi tutto F agio di farlo appresso in un cane famigliare. Era questo un giovane cane maschio di razza inglese, di corporatura vantaggiosa ed isnella , che l5 egregio Clini- co Veterinario Sig. Dottor Gotti mi aveva fatto avere dal pubblico canile , gentilmente secondando la premurosa in- chiesta , che avevagliene fatta , allo scopo di ripetere una fina iniezione de5 vasi sanguiferi dei tubo digerente. Com- mettevane la dissezione ai Signori Dottori Attilio Urbinati ed Ulisse Grossi, nè guari molto andava che essi mi ve- nivano chiamando a vedere che i visceri del torace m questo cane non erano sani ed offerivano una curiosissima anomalia. Già la cavità toracica sinistra oltre che erasi trovata molto depressa , ne appariva anche quasi allatto vuota ; chè il polmone raccoltosi tutto in avanti , rimane- va ivi costretto da una robusta membrana di nuova for- mazione che tutto attorno cingevalo ed impedivagli potersi distendere ; distensione alla quale sarebbesi forse prestato siccome quello che era tuttavia crepitante. Lo che tutto Sulla duplicità cong. della milza 351 dimostrava che questo cane aveva sofferto di pleuritide sinistra susseguita da idrotorace egualmente sinistro , e quantunque questo fosse scomparso, era stato niente per- chè il polmone avesse potuto riprendere le sue naturali dimensioni e rioccupare il suo naturale posto. Ma la cu- riosità era che sembrava a prima giunta ci fossero due cuori toccantisi coll’ apice sì che rendevano 1’ immagine di un orologio a sabbia e 1’ un d’ essi era maggiore ed anteriore , ed era il vero cuore , 1’ altro minore e poste- riore attaccato al diaframma , il mentito cuore. Non si pe- nò certo molto a venire in chiaro che cosa fosse quest’ ap- parenza di un secondo cuore, e videsi tosto che era un’ er- nia diaframmatica di un lobo epatico protuberante entro il pericardio. Questo lobo era quello che a sinistra costeg- gia la cistifellea , e che si era fatto strada per un parti- colare spiraglio o foro nato nel diaframma per un divari- camento delle sue fibre in corrispondenza del lobo inferiore del centro frenico. Esso lobo epatico aveva tratto con se il peritoneo che ne costituiva il sacco erniario raddoppiato dalia sierosa del pericardio libero , e tratto pure in avanti la cistifellea che trovavasi presso allo spiraglio anzidetto. Del resto il fegato, dal descritto spostamento in fuori, non presentava altro di morboso, o di anomalo, ed aveva volume proporzionato e figura conveniente alla normale. Finalmente occorrevano nella porzione di esofago soprap- posta al cuore due tumori laterali sinistri distanti dal pas- saggio di detto canale pel diaframma tre in quattro dita trasverse circa , i quali tumori avevano la grossezza di una piccola noce , ed erano cavi ed aperti per uno stretto ori- fìzio entro 1’ esofago medesimo. La loro cavità non era semplice, ma sembrava un labirinto di vie, o meati tutti fra loro communicanti , veri cunicoli ne’ quali annidavansi degli entozooi dell’ ordine de’ Nematodi, ed erano spiropte- re. Nulla dirò dell’ apparecchio uro-genitale, del centro circolatorio , e nervoso , non che delle capsule soprarenali e della gianduia tiroide ; perocché queste tutte parti od or- gani non erano di nessun modo singolari per qualche anoma- lia, o vizio di conformazione vuoi congènito, vuoi avventizio. 352 Luigi Calori Ad alcuno forse sarà sembrato superfluo che io avanti di venire alla descrizione delle due milze osservate in codesto cane , abbia voluto minuziosamente notare tutte le divisate particolarità , sendo che non son’ elleno che alterazioni ac- cidentali , non aventi probabilmente veruna convenienza coll5 anomalia delle due milze, siccome pare lo dimostri il caso riferito dal Guvier , il quale non accenna altre ano- malie concomitanti , ed altresì quello da me veduto nel sus scropha, di cui però non sortii di avere contezza esatta dello stato degli altri visceri. Ma erarni necessario notarle, acciocché ne si facesse anche a questo rispetto meglio chia- ra la differenza tra quest’ anomalia e quella de’ lienicoli o milze succenturiate , le quali quando sorpassano il numero ordinario, e più e più si moltiplicano come nei casi registra- ti da Baillie e da Otto, sogliono andare di conserva con altre anomale conformazioni tutte connate. Ma eccomi ornai alla descrizione delle due milze , V una delle quali segnata A nella Tavola , è anteriore e minore , V altra B è posteriore e maggiore , come n.el caso indicato da Guvier , e nell’ altro da me veduto nel sus scropha. Queste milze erano tuttadue a sinistra, e distavano fra loro quanto misura la lunghezza di due centimetri. Amen- due erano di un color rosso bruno , piatte a mo’ di schiac- ciata e un po’ vizze e di consistenza pastosa. L’ anteriore 0 minore A giaceva obliqua sopra il cieco fondo dello sto- maco , cui era avvinta mediante il grande epiploon , ed era ovoide ; onde che le si addiceva la similitudine , che soglia- mo usare in descrivendo la figura della milza umana , della metà cioè di un uovo gallinaceo perpendicolarmente taglia- to lungo il suo maggiore diametro. L’ estremità più grossa dell’ ovoide era in avanti e a destra , la più sottile in ad- dietro e a sinistra. Delle due faceie Y esterna o superiore era leggiermente convessa , P interna o inferiore leggiermente concava , o concavo-convessa , nella quale ultima era aperto un hilo o porta estesa dall’ una all’ altra delle indicate e- stremità , da’ bordi del quale hilo moveva il peritoneo che legavaia allo stomaco, e pel quale hilo passavano i vasi ed 1 nervi splenici , che le appartenevano. I margini circoscn- Sulla duplicità cong. della milza 353 venti le due faccie erano acuti , nè offerivano verun solco od incisura. La lunghezza di questa milza fu trovata di 85 mill. , la larghezza misurata nella parte media di mill. 37, la maggiore grossezza di 10. La milza maggiore o posteriore B era situata dietro lo stomaco ed appiccata al grande epiploon. Aveva sembianza di mezza luna o meglio di stivale col piede volto poste- riormente , sicché questa milza aveva la estremità più lar- ga in addietro, là più stretta in avanti. Le faccie ed i margini erano noii altrimenti che nella milza anteriore , se non che quanto agli ultimi, P esterno o superiore solo era convesso , mentre P inferiore ed interno era concavo. Il solito hilo , che era ben lungo , percorrevane la faccia interna secondo il diametro od asse longitudinale di lei , i bordi del quale hilo prestavano inserzione alle lamine pe- ritoneali del grande epiploon , o in altri termini questo a quelli attaccavasi. La lunghezza di questa milza posteriore riuscì di 21 mill. maggiore della lunghezza della milza an- teriore, ciò è dire di centimetri 10 più 6 mill., la mag- gior larghezza di mill. 45 , dunque 8 mill. di piu della lar- ghezza dell5 altra; la grossezza misurata nella parte media fu di 12 mill., dunque di due soli più grossa della milza minore. Donde segue essere stata questa men voluminosa di un quinto circa di quella. Non ho poi potuto dare il peso delle due milze , calendomi di conservarle nelle loro con- nessioni e rapporti colle parti circonvicine e di potere di- mostrare P anomalia. Ho confrontata la lunghezza comples- siva delle due milze con quella della milza di altro cane di corporatura consimile , ed è risultata di quasi quattro centimetri superiore della lunghezza delP ultima , ma cotale differenza non vuol essere molto attesa, essendo la milza un viscere variabilissimo anche sotto questo rispetto. Per larghezza e grossezza nulla di notabile. Le due milze descritte hanno un indumento peritoneale ed uno proprio fibroso come di norma ; sollevato il quale ne apparisce il parenchima splenico simile in tutte e due le milze, e costituito da una trama fibrosa trabecolare e dalla polpa onde è solito comporsi , di molti vasi e veseic- t. ii. ^5 354 Luigi Calori chette o glandulette Malpighiane ; sicché non corre veruna differenza tra esse ed i lienicoli o milze satelliti le quali hanno la stessa stessissima struttura e tessitura della milza principale. Ma se in questo non ci ha la menoma differen- za , la ci ha bene rispetto ai vasi sanguiferi che recansi alle due milze ; conciossiacchè trovasi una cospicua arteria lienale comune h che a tre centimetri di distanza dalla sua origine in due grossi rami dividesi , uno anteriore i alquanto ascendente e minore, F altro posteriore / maggiore e di- scendente, ciascun de’ quali s’ invia alla volta della milza che gli appartiene , e tali rami sono , come ognun vede , due arterie spleniclie principali. Il tronco comune h ha un dia- metro di 5 mill., F arteria splenica anteriore i di 3, e la posteriore l di 4. Le due arterie spleniche presso F hilo dividonsi in due rami, i quali suddivisi in tre o quattro penetrano per F hilo ed entro le milze diffondonsi , e sono accompagnati da’ rami venosi che esciti dall’ hilo in mag- giori confluiscono e questi in due grosse vene spleniche , F anteriore m delle quali ha il diametro di 4 mill. , la po- steriore n di 5 ; le quali due vene spleniche mettono capo in una vena lienale comune o s il cui diametro misura poco più di 6 mill. Noterò ad ultimo che con questi vasi tro- vansi de’ filamenti nervosi intrecciati i quali costituiscono come due plessi splenici uy v9 che in corrispondenza del- F arteria e della vena splenica comune riunisconsi come a cePP° °d origine ad un plesso maggiore t (1). (1) A questo termine del mio discorso qualcuno si aspetterà che io sponga 1 esame microscopico del sangue della vena splenica comparato a quello delle raeseraiche , delle iliache ec., e gli numeri i globili rossi e bianchi che il san- gue di quella e di queste conteneva. Ma non mi è stato concesso cotal esame sendo che il cane svenato nella scuola veterinaria , fu subito dopo sottopposto alla mjezione de’ vasi sanguiferi dell’ addome , come dissi di sopra , e non fu che terminata l’ infezione, e tratti di cavità i visceri, che mi accorsi dell' ano- raaha. Quand’ anche fossi venuto in cognizione della esistenza di lei avanti mjezione, forse dalP esame comparativo che allora avrei potuto istituire sul sangue delle prefate vene, non sarebbene seguito verun risultamento favorevole o contrario alle opinioni testé dibattute dai fisiologi circa i cambiamenti, che Sulla duplicità cong. della milza 355 Per questa, e per le altre due osservazioni innanzi rife- rite egli è posto fuor di dubbio che oltre il fatto di una milza principale e di una o più milze succen turiate o sa- telliti , ci ha pur quello della milza doppia congenita non già ne* mostri doppi (chè in questi è duplicità lienale ap- parente) ma in un individuo solo. Quest’ ultima, che uni- camente esprime la vera duplicità congenita della milza, dovrà da qui innanzi ottenere ne’ libri di Teratologia e di Anatomia Patologica , un posto distinto fra le anomalie di numero, e vorrà essere considerata dagli Organogenisti ; im- perocché da lei potrebbero discendere grandi lumi a schia- rimento della formazione deli’ oscurissimo e misteriosissimo degli organi , qual’ è la milza. La milza è viscere od or- gano che ad evoluzione compiuta , ci apparisce laterale ed unico , ma primordialmente è centrale o medio , e si attie- ne al lato che diventerà la grande curvatura dello stomaco, posto contro la colonna vertebrale. Egli non è improbabile che essa milza a somiglianza di tutti gli organi medi ed unici, o come dicono impari, sia nei principio doppia, formata cioè di due parti situate 1’ una al di quà , 1’ altra al di là del suddetto lato dello stomaco, o meglio forse 1’ una superiormente od anteriormente , 1’ altra posterior- mente od inferiormente, e fra loro vicinissime. Lo che ol- tre il persuadernelo che fa Y anomalia stessa della mil- za doppia congenita , ne vien pure suggerito dal vedere che 1’ arteria splenica avanti di giugnere all’ hilo lienale suole non altrimenti che 1’ epatica , dividersi in due rami principali , che suddivisi in un maggior numero penetrano per quell’ hilo. Ma si dirà che questa regola patisce soventi eccezioni, non essendo raro che 1’ arteria splenica entri tripartita , ed anco dissoluta in molti più rami nella milza. Convengo in ciò , ed aggiungo che 1’ arteria epatica si offre essa altresì non di rado tripartita, ed ancor di più molti- supponesi la milza operi sulle particelle solide del sangue , ovvero circa la for- mazione, o la distruzione o metamorfosi delle medesime ad essa stessa attri- buite , sendo che ciascuna delle due milze separatamente presa era lontana dal- 1’ avere il volume di una milza ordinaria. 356 Luigi Calori plicata ne’ rami che vanno a diramarsi nel fegato massime quando questo è diviso In molti lobi , senza che da tali anomalie possa inferirsi, che il detto viscere non è pri- mordialmente costituito da due masse principali, o metà laterali secondo il tenore seguito dagli organi che svolgon- si sulla linea media. Il* dividersi dell’ arteria splenica in rami lienali più numerosi dell9 ordinario non toglie che la milza siccome organo medio da principio , si formi per due parti o masse principali , ma indica che queste saranno com- poste di parti minori , o , come dicono , di lobuli ; di che sembrano porgere le prove i casi di milze molteplici os- servati nell9 uomo da Baillie , Otto, Gruveilhier, ed altri, e quelli altresì osservati ne9 Delfini da Tyson , Cuvier , Sie- bold e Stannius. Ponendo dunque che la milza sia in ori- gine composta di due parti distinte e vicinissime , e pres- so che simili fra loro a similitudine di tutti gli organi me- di , che formansi per due metà laterali , se per una causa qualunque venga a quelle parti fatto impedimento di po- tersi unire e fondere in una , seguirà necessariamente che l9 organo alla cui composizione son9 elleno date , in luogo di riuscir semplice , riesca doppio , e quindi avremo due milze , come talvolta abbiamo due cuori , due uteri , due peni, e così va discorrendo. Onde che l9 anomalia della milza doppia congenita consisterebbe in un arresto, come dicono , di sviluppo , o meglio in una disgiunzione di parti che avrebbero dovuto essere normalmente congiunte , e quin- di a questa categoria del pari e a quella delle anomalie di numero apparterrebbe. Perchè poi la milza anteriore o su- periore sia alquanto più piccola della posteriore od inferio- re, potrebbe da legge di compensazione ,o di, equilibrio derivare ; conciossiacchè la milza essendo opposta al fegato, ed essendo il fegato più sviluppato nella sua metà destra che nella sinistra, viene di conseguenza, che quella parte di milza , che corrisponde al lobo epatico destro , abbia ad essere minore , ma questa parte non potendo essere che l9 anteriore o superiore della milza medesima, sendo che nel volgimento e posizione obliqua che va prendendo Io stomaco a mano a mano che si sviluppa , essa parte rimane Sulla duplicità cong. della milza 357 sempre più verso destra, segue che nella congenita milza dop- pia la milza anteriore o superiore debba in grazia della sud- detta legge di compensazione o di equilibrio essere meno vo- luminosa. E di qui potrebbe muovere una nuova legge tutta contraria a quella che dal Meckel e dalP Hushke fu posta rispetto ai lienicoli o milze succenturiate , che laddove que- ste sono sempre situate alla parte inferiore o al di sotto della milza principale , nè mai al di sopra , nella congenita milza doppia la milza minore sarebbe sempre anteriore o superiore. Ma sì pochi sono i casi ben comprovati di vera duplicità lienale congenita, che temerario sarei a ragione reputato non dirò a stabilire, ma a proporre anche solo una legge cui 1’ anomalia dovesse obbedire. Finalmente quan- to alle cagioni , ei si conviene ammettere innanzi tutto uno impedimento alla riunione e fusione delle due parti o masse primordiali della milza; in secondo luogo il potere ciascu- na di queste masse svolgersi e conformarsi in una milza indipendente. Egli è soprammodo difficile, se non anco im- ppssibile , dire precisamente quali siano stati gli ostacoli on- de fu tolto a quelle due masse di fondersi in una. Consi- derando le convenienze che elle hanno cogli organi vicini, non è improbabile, che un volgimento un po’ troppo rapido dello stomaco a fin di prendere la sua postura definiti- va, il dilatarsi un po’ più precocemente che non suole il cieco fondo del medesimo viscere , una leggier trazio- ne del grande epiploon in grazia del collocarsi che fa tra- sversalmente il colon trasverso sotto lo stomaco stesso, un leggiere e fugace interporsi del pancreas fra le due masse prefate possano essere gli impedimenti alla unione o fusione di queste masse. Ma confessiamolo di buon gra- do ; altri potrebbero esserci affatto inescogitabili nello stato attuale delle nostre cognizioni : onde il vero perchè di co- tale disgiunzione ci è sempre oscuro. Più aperto e chiaro ci è quello per cui le due masse sonosi svolte e cresciute in due milze separate , P una indipendente dall’ altra , e desso è riposto nella divisione dell’ arteria splenica presso la sua origine dalla celiaca in due grossi rami equiva- lenti a due arterie lienali maestre. Essendo la milza organo 360 Luici Calori SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA La Figura che questa Tavola contiene, rappresenta due milze trovate in un individuo solo, e delineate nei loro rapporti collo stomaco e col grande epiploon. Dimensioni naturali. A , B , le due milze suddette. a , porzione inferiore dell' esofago la quale attraversa il diaframma b per an- dare ad immettersi nello stomaco. c, c, stomaco veduto dalla faccia superiore o posteriore. d, porzioncella di duodeno. e, e, porzione del grande epiploon. /*, arteria celiaca. g , ramo epatico di quest’ arteria. h, ramo splenico della medesima, o tronco splenico maestro, o comune. i, ramo di questo tronco, il qual ramo io chiamerò arteria splenica superiore od anteriore, che è minore- l , altro ramo del tronco predetto, il quale ramo è l’arteria splenica inferio- re, o posteriore che è maggiore. m, vena splenica superiore od anteriore la quale è minore. n, vena splenica inferiore o posteriore la quale è maggiore. o, vena splenica comune o maestra. p, q, vene meseraiche. r 3 tronco della porzione venosa della vena porta, s, ganglio semilunare sinistro. t3 plesso splenico comune dividentesi in u, plesso splenico superiore od anteriore, ed in v3 plesso splenico inferiore, o posteriore. I . Calori-Duplici tà lienale congenita.Tav.I. lem.ScrTTom. 11. INTORNO ALLE CONICHE DI NOVE PUNTI E AD ALCUNE QUISTIONI CHE NE DIPENDONO sota DEL PROF. EUGENIO BELTRAMI In un articolo inserito nel nuovo Giornale di Matema- tiche che si stampa a Napoli , il chiar. sig. prof. Trudi ha richiamato |* attenzione degli studiosi sopra alcuni assai eleganti teoremi relativi a quel che chiamasi circolo dei nove punti, ed ha manifestato il desiderio di vederne una dimostrazione semplice e concisa, qual sembra che man- chi finora. I teoremi a cui alludo vengono generalmente attribuiti a Steiner , che li enunciò dapprima negli Annali di Ger- gonne ( tomo XIX , 1 828 ) , dappoi , generalizzandoli , in una Memoria pubblicata a Roma nel 1844- ed inserita nel Giornale Arcadico . Lo stesso Steiner però, nel suo opusco- lo intitolato: Die geometrischen Konstructionen mittelst der geraden Linie und eines festen Kreises (Berlino, 1833 ), dichiarò che uno di essi era già stato enunciato da Feuer- bach , prima ancora eh’ egli , senza sapere d’ essere stato prevenuto , lo avesse pubblicato negli Annali di Gergonne. t. ii. 46 362 Eugenio Beltrami Alcuni di questi teoremi vennero poi riprodotti nel 1812 dal compianto Terquem , nel primo volume de’ suoi Nuovi Annali, e più recentemente ancora ridimostrati, come nuo- vi , dall’ illustre Hamilton , come pure da Hart , Salmon e Casey ( veggasi il Quarterly Journal , volume IV ). Ne trattò con somma eleganza anche il chiar. sig. prof. Battaglini, nei Rendiconti della Reale Accademia di Napoli ( Settem- bre 1862 ). La dimostrazione che ne ha data da ultimo il sig. Trudi , benché breve ed elegante, non si applica che ad un caso particolare dei teoremi enunciati dallo Steiner nella Me- moria del 1811, e però nel presente breve lavoro mi propongo di ripigliare nuovamente quest’ argomento , con- siderandolo nella sua generalità e traendone occasione per esaminare alqùanto da vicino la natura e le proprietà di una trasformazione geometrica che si offre quale spontanea conseguenza dei teoremi precedentemente dimostrati. La discussione di un caso speciale di questa trasformazione mostrerà F intima conhession sua con altre assai conosciu- te e di uso frequentissimo nella geometria. I. Cominciamo dallo stabilire alcune formole che ci saran- no utili in seguito. Abbiasi in un piano un triangolo ABC i cui lati BC , CA , AB sieno rispettivamente rap presenta ti dalle equa- zioni x — 0 7 — 0 , z = 0 , e sieno at , 6t , yt ; a2 , 62 , y2 le coordinate trilineari di due punti M ed N esistenti nel piano stesso. Ogni volta che occorra fissare il significato di queste coordinate, suppor- remo eh’ esse sieno proporzionali alle lunghezze delle per- pendicolari condotte dai punti M ed N ai tre lati del triangolo. Ciò premesso , proponiamoci di determinare le coordina- te del punto P , conjugato armonico rispetto al segmento Intorno alle coniche di nove punti MN di quell’ altro punto Q nel quale la retta MN è in- contrata dalla trasversale Ix -+- my H- nz = 0. L’ equazione della retta MN è ( 6J% — ) x ■+■ (r.a* — r,«i ) y ■+• ( “A — «A ) * = 0 ; dunque le coordinate del punto (? , in cui essa incontra la trasversale , son date dalle forinole x = a2( rn6t -\-nyx) — a, ( md2 *+» ny2 ) 9 7 = 6, («y, -1- /a,) — 6,(717, -+- la,), z = y, { lat -+- m6t) — yt (la, -t -m6,), ossia , ponendo le Cj -+- /Tidj -+- nyx = \ , /a2 -H t?z62 H- rey2 = h2 , dalle seguenti : a: = A,a2 — A2a, , y~ht62 — , z = A,72 — A2yt , dove il segno = indica che le x,y^ z sono quantità sem- plicemente proporzionali ai secondi membri delle prece- denti equazioni. Ne risulta che le equazioni delle tre ret- te AM , AN9 AP sono rispettivamente : yt y — 6tz = 0 , y,y — 6,z = 0 , ( hj, — h,7, ) y = ( hA — V. ) z- Scrivendo 1’ ultima di queste sotto la forma K ( W — <*,z) — A, ( VJ — 6,2) = 0 , si vede subito che la conjugata armonica della retta da 366 Eugenio Beltrami corrono le tre rette che congiungono ciascun punto col centro armonico degli altri due rispetto alla trasversale medesima. Quando m = 4 esse danno le coordinate del centro ar- monico di un sistema di quattro punti , ossia le coordinate di quel punto nel quale concorrono le quattro rette che congiungono ciascuno dei punti dati col centro armonico degli altri tre, ovvero le tre rette che congiungono il centro armonico di ciascuna coppia di punti, col centro armonico dell9 altra. Ecc. ecc. Torniamo ora alla quistione propostaci. II. Sieno dati in un piano quattro punti, che indicheremo coi numeri 0,1,2, 3 : il sistema costituito da questi quattro punti e dalle sei rette che li congiungono a due a due, è ciò che si chiama quadrigono completo . Volendo investigare le proprietà di questa figura, con- viene riferirla ad un sistema di assi coordinati che sia disposto simmetricamente rispetto alla figura stessa. Tale è il sistema delie tre rette che congiungono a due a due i punti d9 intersezione delle tre coppie di lati opposti. In- dicheremo con A , B , C questi tre punti ed assumeremo il triangolo da essi determinato come triangolo fondamen- tale , rappresentandone i lati BC 3 CA , AB rispettivamen- te con x— 0 , j = 0, 2=0. In conseguenza di questa scelta dei triangolo fondamen- tale è facilmente veduto che , indicando con a , b , c tre quantità i cui rapporti sono determinati dalla forma del quadrigono, i quattro vertici di questo possono essere rap- presentati dai seguenti quattro sistemi di valori dei rap- porti x : y : z vertice 0 » 1 b Intorno alle coniche di nove punti 367 Infatti il punto 1, per esempio, è V intersezione delle due rette AO e Bì , la seconda delle quali è, per le note proprietà del quadrigono completo, conjugata armonica di BO rispetto a BA ed a 5C: le equazioni delle rette AO e B\ sono dunque da cui si cava , pel loro punto d5 incontro , x : y : s = — a : b : c , come qui retro si è indicato. Ciò premesso, conduciamo nel piano una trasversale qualunque (1) Ix -4- my -i- nz == 0 , e determiniamo i punti conjugati armonici di quelli in cui essa sega i sei segmenti rettilinei determinati dai quattro punti 0 , 1 , 2 , 3 presi a due a due. A ciò servono le formole (a) dell’ art. precedente. Se per es. si considera il segmento 01 , si ha at 6t yt -= et : b : c , e quindi, ponendo la -4- mb -+- nc ' =■ h , si trova hy—h, — h — Dunque le coordinate del centro armonico di quel segmen- to sono date dalle formole x : y : z = — la* : b(h — la) : c(h — la ) , ossia dalle seguenti 368 Eugenio Beltrami Procedendo analogamente si troverà che i punti armonici esistenti rispettivamente nei segmenti 01, 02, 03, 23, 31, 12 sono definiti dai rapporti seguenti : mb -+- nc mb% b : né 1 la -+- mb le? , mb2 c,— a:-- r : mb — nc nc — la nc 2 la — mb. Ora è facilissimo verificare che queste sei terne di valori soddisfanno all’ equazione che rappresenta una conica circoscritta al triangolo fonda- mentale. Denomineremo questa conica : conica dei nove punti corrispondente alla trasversale (1) , o semplicemente : conica corrispondente alla trasversale (1). Abbiamo così il teorema : Se nel piano di un quadrigono completo si conduce una trasversale 3 ed in ciascuno dei sei lati di esso si determina il punto conjugato armonico di quello in cui il lato è in- contrato dalla trasversale medesima , i sei punti così deter- minati giacciono in una conica , che passa anche per i tre punti c? incontro dei lati opposti del quadrigono completo . III. Le quattro rette 02, 03, 12 ed 13 sono rappresentate rispettivamente dalle equazioni ex — az — 0 , bx — ay = 0 , bx -+» ay = 0 , ex az = 0 , dunque il sistema delle coniche circoscritte al quadrigono 0123 potrà rappresentarsi coll9 equazione (bx — ay) (bx-t-ay) -4- h( ex — az) (cx-t-az) =0 Intorno alle coniche di nove punti 369 ( b* -+- hi ? ) x 2 — a2(y2 -+- hz*) = 0 , dove k è il parametro arbitrario. Indicando dunque con k una indeterminata , il polo della trasversale (1) rispetto ad una qualunque di queste coniche sarà determinato dalle equazioni : b*x h- hc*x *4- kl = 0 , — c?y +k = 0, — hc?z -+- kn = 0 , da cui eliminando h e 4, si ottiene: quale equazione del luogo geometrico dei poli della trasver- sale (1) rispetto alle coniche circoscritte al quadrigono. Quest5 equazione concorda con quella della conica di nove punti , dunque : Il luogo geometrico dei poli di una retta qualsivoglia ri- spetto al sistema delle coniche circoscritte ad un quadrigono è la conica di nove punti corrispondente a quella retta . Notiamo che fra le infinite coniche circoscritte al qua- drigono, due sono tangenti alla trasversale (1), per cui il polo di questa trasversale rispetto a ciascuna di quelle due coniche è il punto di contatto rispettivo. Ma la conica dei nove punti contiene i poli della trasversale rispetto al si- stema delle infinite coniche circoscritte al quadrigono , dun- que essa contiene anche quei due punti di contatto. Ram- mentando quindi che le coppie di punti in cui una tra- sversale qualunque è incontrata dalle coniche circoscritte ad un quadrigono formano una involuzione quadratica , pos- siamo formulare il seguente teorema : I punti doppj dell involuzione che le coniche circoscritte ad un quadrigono determinano su di una trasversale qualun- que , sono i punti in cui questa è incontrata dalla conica di nove punti ad essa corrispondente. T. II. 47 370 Eugeni© Beltrami Importa osservare che le proprietà precedentemente di- mostrate si potrebbero dedurre semplicemente dal teorema che le polari di un punto rispetto alle infinite coniche cir- coscritte ad un quadrigono passano tutte per un medesimo punto. Infatti , in virtù di questo teorema , basta conside- rare due sole coniche del sistema , e per semplicità si pos- sono adoperare a quest’ uopo due coppie di lati opposti del quadrigono , per es. quelli che concorrono in A ed in B. Ora, la polare di un punto rispetto ad una coppia di rette è una retta unica ed individuata che passa pel loro punto di concorso; e reciprocamente, data nel piano una trasver- sale , non esiste in questa che un punto unico ed indivi- duato il quale abbia per polare una data retta , passante pel punto di concorso anzidetto. Dunque mentre il punto si muove sulla trasversale, le sue due polari generano due fasci projettivi , e quindi s’ intersecano lungo una conica passante per i punti A e B. Questa conica passa anche per C9 giacché essa avrebbe potuto essere generata egual- mente dalle due coppie di lati opposti che concorrono in B ed in C. Consideriamo specialmente in questa conica i punti che corrispondono a quelli nei quali la trasversale è segata dai lati del quadrigono. La retta 01 ossia A\ sega la trasver- sale in un punto Q, epperò la polare di questo punto ri- spetto alla coppia di rette A\ , A2 coincide colla stessa A\- È chiaro dunque che il punto d’ incontro delle due polari di Q è il conjugato armonico di Q rispetto al segmento 01 : dunque la conica passa per questo punto conjugato ar- monico. Lo stesso evidentemente si può dire d’ ogni altro segmento analogo. Le proprietà dimostrate nel precedente articolo ed al principio di questo sono dunque una facile ed immediata conseguenza del teorema surricordato. IV. La conica di nove punti incontra la trasversale (1) due punti E ed E' pei quali passano infinite altre coni- Intorno alle coniche di nove punti 371 che. Sia K una qualunque di queste. Se rappresentiamo coll’ equazione (3) lx -+- py -+- vz = 0 la seconda corda comune ad essa ed alla conica dei nove punti , F equazione di K sarà (4) la^yz -^-mb^zx -+- n c^xy -f- (Ix -+- my -+- nz) (Àx -\-{iy-\- vz)=0. È poi evidente che se la conica K dovesse essere tan- gente alla conica dei nove punti , basterebbe che quest’ ul- tima fosse toccata dalla retta (3), al che si richiede che sia soddisfatta la condizione (5) a j/7A -4- b |/ myi -+- < j/ nv = 0. Ciò posto è noto che fra le infinite coniche K passanti pei punti fissi E ed E sono , in generale , quattro che toc- cano i tre lati del triangolo 123, ossia le tre rette rap- presentate dalle equazioni siccome dunque queste quattro coniche devono , per siffatta loro proprietà, potersi rappresentare con equazioni della forma così le L, My Ny A, yb, v potranno sempre determinarsi in modo che le due equazioni (4) e (6) risultino fra loro 372 Eugenio Beltrami identiche , ciò che consegue anche dal fatto che il numero di queste quantità è eguale a quello delle condizioni cui esse devono soddisfare. Supponiamo dati effettivamente alle anzidette sei quantità i valori atti a rendere identiche le due equazioni (4) e (6) : dal confronto dei coefficienti di x2, j2, z 2 in queste due equazioni si otterranno allora le seguenti relazioni identiche : Ora in virtù di queste relazioni 1’ equazione (5) è sod- disfatta identicamente , dunque le quattro coniche K pas- santi per i punti E ed E ed inscritte nel triangolo 123 sono toccate dalla conica dei nove punti. È chiaro che lo stesso ha luogo per i tre altri sistemi di quattro coniche passanti per gli stessi punti E, i? ed inscritte nei triangoli 023, 031, 012. Dunque: Le sedici coniche passanti per i punti comuni ad una retta arbitraria ed alla conica dei nove punti corrispondente ad essa ed inscritte nei quattro triangoli formati dai sei lati del quadrigono completo , sono tutte toccate dalla conica dei nove punti (*). V. Le coordinate X 9 Y9 Z del centro armonico dei quattro vertici del quadrigono rispetto alle trasversale (1) sono dati, in forza delle eq. (b) dell’ Art. I , dalle formole (*) È questo il teorema che, per il caso particolare del quadrigono orto- gonale e della trasversale a distanza infinita, era stato dato da Feuerbach pri- ma che da Steiner. Intorno CONICHE DI NOVE PUNTI 373 dove hQ, ht, \ , hz sono i valori che riceve il trino- mio Ix -+- my -4- nz per la sostituzione delle coordinate dei punti 0, 1 , 2, 3. Ponendo H = \\\ -+- hQ(h2h3 H- h%\ -H , si possono alle forinole precedenti sostituir^ queste altre X=a — 2A„ (A,— 2mA)( A0 — 2rac) j, Y = b 2A0 (A# — 2«c )(A0 — 2/a)j, Zac j# — 2A0 (A, — 2/a ) ( h0 — 2/nA)j. Ora si trova facilmente H= — 2hso -+■ 8 hQ(mb . nc nc . la la.mb) — 8Z« . . ne; dunque sostituendo si ha anche X = 4/a5 [ao (A0 — 2/a) — 2mA . ne j , Y = 4raA2| A, (A0 — 2/nA) — 2nc . la | , Z = 4 ne* | A0 ( A0 — 2/jc) — 2/a . mb | , ossi^ X = la 2 (— ZV -+- ttc2Z>2 -+- reV ), Y = mb* ( Z2^2 — m*b* -+- ra2c2y, Z = «c2 ( Pa2 + mV — n* Z' = tjc2 ( l2a2 -+- 7 n2b2 — n2c 2 ) . L’identità di queste forinole colle precedenti ci porge il seguente teorema : Il polo di una retta del piano rispetto alla conica che ad essa corrisponde è il centro armonico dei quattro vertici del quadrigono rispetto alla trasversale medesima . VI. Supponiamo che la trasversale (1) sia la retta a distanza infinita: cioè poniamo l : m : n = senA : senB : senC. In questo caso la conica dei nove punti risulterà rappre- sentata dall’ equazione ^ a2senA ^ b2senB c2senC ^ x y z inoltre i sei punti armonici esistenti nei sei segmenti di- verranno i rispettivi loro punti di mezzo ; il polo della tra- sversale rispetto a qualunque conica del piano diverrà il centro di questa , e finalmente le sedici coniche di cui si è parlato nel § IV, avendo in comune colla conica dei nove punti due punti situati a distanza infinita, diventeranno simili e similmente poste rispetto ad essa. Quindi le pro- prietà precedentemente dimostrate si modificheranno in cor- rispondenza e daranno luogo all’ ultimo dei teoremi ripor- tati dal sig. Trudi alla pag. 32 del citato Giornale di Napoli. Se inoltre si supporrà a = b = c , il quadrigono diven- terà ortogonale , perchè i suoi vertici saranno i centri delle Intorno alle coniche di nove punti 375 quattro circonferenze inscritte nel triangolo fondamentale. L’ equazione (7) assumerà allora la forma ossia rappresenterà la circonferenza circoscritta al triangolo fondamentale; e siccome i punti comuni ad essa ed alla trasversale saranno i due punti circolari all’ infinito , punti ehe apparterranno pure alle sedici coniche inscritte , cosi queste si trasformeranno in altrettante circonferenze, e si avranno per tal guisa i teoremi relativi al circolo dei nove punti, teoremi che ci dispensiamo dal trascrivere qui. Dal teorema dimostrato nell’ articolo precedente , nelle ipotesi fatte or ora sui valori di l3 m 3 n, a, b , c si de- ducono , come corolla rj , questi altri : Il centro della conica luogo dei centri di tutte le coniche circoscritte ad un quadri gono è il centro di gravità dei ver- tici di questo. Il centro del circolo circoscritto ad un triangolo è il cen- tro di gravità dei quattro centri dei circoli inscritti nel me- desimo triangolo. Se si supponesse # = £ = c senza supporre in pari tempo limine sen A : sen B : sen C , si avrebbero dei teoremi relativi al quadrigono completo ortogonale , più generali di quelli enunciati dal sig. Trudi nel luogo citato. Si può anche osservare che, lasciando arbitrario il qua- drigono, cioè lasciando indeterminati i rapporti a : b : c, si possono sempre determinare i rapporti l : m : n in mo- do che si abbia la* : mb* : nc 2 = sen A : sen B : sen C , il che è quanto dire che , qualunque sia il quadrigono completo che si considera s esiste sempre una retta i cui po- li rispetto alle infinite coniche circoscritte al quadrigono 376 Eugenio Beltrami stesso stanno nella circonferenza circoscritta al triangolo determinato dai punti di concorso delle tre coppie di lati opposti. Per costruire* questa retta, la quale è rappresen- tata dall’ equazione sen A sen B sen C 0, si dividano esternamente i lati BC , CA9 AB del triangolo fondamentale nei punti A', B\ C' rispettivamente, in mo- do che BA':AC^= — c2:b\ CE: B'A = — a2 : c\ AC': C'B=-b*:a\ I punti A\ B\ C' così determinati risultano, pel teorema di Ceva, situati in linea retta e si dimostra facilmente che questa linea retta è precisamente quella rappresenta- ta dall’ equazione precedente. Il secondo teorema dimostrato nell* art. Ili dà luogo esso pure ad interessanti corollarii. Indichiamo con E , E'- i punti in cui la conica dei nove punti incontra la trasversale, e con H , K quelli in cui questa medesima retta è incontrata da una qualunque del- le coniche circoscritte al quadrigono. Per il teorema invo- cato i punti E ed. E' sono conjugati armonicamente coi punti H e K, per cui la retta polare di H rispetto alla conica dei nove punti passa per K e la retta polare di K passa per H. Denominiamo I il punto d’ incontro di que- ste due rette polari e quindi anche delle tangenti a que- sta conica in E ed E . Il triangolo IHK è conjugato a sè medesimo rispetto alla conica dei nove punti. Conduciamo inoltre le due tangenti in H e K alla conica circoscritta al quadrigono e denominiamo / il loro punto d’ incontro ( che giace nella conica dei nove punti , per essere il p°“ lo della trasversale rispetto alla stessa conica circoscritta ). Ciò posto trasportiamo la trasversale a distanza infinita. II punto I diventerà il centro della conica dei nove pun- ti, e le due rette IH , IK diventeranno due diametri coniugati della medesima. Così il punto J diventerà il Intorno alle coniche di nove punti 377 centro della conica circoscritta, e le rette JH , JK, tan- genti ad essa nei due punti eh’ essa ha a distanza infinita, diventeranno i suoi assintoti. Per la proprietà dunque che hanno i punti H e K della trasversale di appartenere, P uno alle rette IH e /i/, V altro alle rette IK e JKX è resa manifesta la verità del seguente teorema : Gli assintoti d’ ogni conica circoscrìtta ad un quadrìgono sono paralleli a due diametri conjugati della conica luogo dei centri di tutte le coniche circoscritte al quadrìgono stesso . Ma ha luogo anche un’ altra proprietà che è come la reciproca della precedente. Conduciamo infatti le rette JE e J E , che risultano con- iugate armoniche rispetto alle /iJ, JK. Quando la trasver- sale passa a distanza infinita , queste due nuove rette , essendo conjugate armonicamente coi due assintoti della conica circoscritta , diventano due suoi diametri conjugati. Ora , essendo i punti E , E' quelli in cui la conica dei nove punti è toccata dalle tangenti condotte ad essa dal punto /, queste due tangenti, quando la trasversale passa all’ infinito, diventano i suoi assintoti, epperò le rette JE, JE diventano allora parallele a questi assintoti medesimi; dunque: Le due rette condotte dal centro di ciascuna delle coniche circoscrìtte ad un quadrìgono parallelamente agli assintoti della conica luogo dei centri di tutte le coniche analoghe 9 sono due diametri conjugati della conica cir- coscritta. Ossia , in altre parole : Ciascuna delle coniche circoscrìtte ad un quadrìgono ha una coppia di diametri conjugati paralleli agli assintoti del- la conica luogo dei loro centri . VII. Dalle cose esposte precedentemente risulta che, dato in un piano un quadrìgono completo, ogni altra retta del piano stesso dà luogo ad una corrispondente conica, cir- coscritta al triangolo formato dai punti d’ incontro delle tre coppie di lati opposti del quadrìgono; e , , reciproca- t. u. 48 378 Eugenio Beltrami mente , che ogni conica circoscritta a questo triangolo può considerarsi come corrispondente ad una retta unica ed individuata del piano. Le equazioni (1) e (2) insegnano a trovare 1’ equazione della conica quando è data quella della retta, o V equazione della retta quando è data quel- la della conica. Inoltre è facile dimostrare che quando una retta gira intorno ad un punto fisso, anche le coniche corrisponden- ti passano tutte per un medesimo altro punto fisso. Infatti, se la trasversale (1) va girando intorno al punto (a, d,y), le quantità ra, n varieranno continuamente rendendo sempre identica F equazione la -+- md -h ny = 0. Ora quest5 identità può scriversi nel modo seguente le? mi ? nc2 e questa , paragonata coll5 equazione (2) , mostra appunto che le coniche corrispondenti passano tutte per il punto ^ — , — , — D5 altronde, avendo queste coniche già in comune tre punti , non possono avere altre intersezio- ni. Nello stesso modo si dimostra che quando più co- niche circoscritte ai triangolo fondamentale hanno tutte in comune un quarto punto ( a , 6 , y ) , anche le ret- te corrispondenti passano tutte per un medesimo punto &?•?)• Abbiamo qui dunque una correlazione di punti la quale procede con questa legge , che ad ogni punto del pia” no corrisponde un altro punto unico ed individuato de piano stesso, e ad ogni retta corrisponde una unica ed Intorno alle coniche di nove punti 379 individuata conica circoscritta ad un triangolo invariabile di forma e di posizione , e reciprocamente. Questa corre- lazione rientra in quella più generai© che venne già di- scussa da parecchi geometri , in particolare da Steiner ( Systematische Entwickelung der Abhàngigkeit geometrìscher Gestalten von einander , Berlino 1832 ), da Magnus ( Gior- nale di Creile, tomo Vili, 1832 ), e più recentemente dal chiar. sig. prof. Schiaparelli ( Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, serie 2a, tomo XXI, 1862 ). Noi qui ne ricercheremo direttamente le principa- li proprietà. Rappresentando con a , 6 , y ; a\ 6\ y le coordinate di due punti corrispondenti, le forinole per la trasformazione sono le seguenti semplicissime : (7) aa : 66' : yyf : = a2 : b* v c2 , e la retta congiungente i due punti anzidetti è rappresen- tata dall’ equazione (8) a (tfy* — 0*6*) x -h 6 (cV — a*y *)y -+- y (a 262 — ù2»2) z = 0 . Dalle equazioni (7) si deduce innanzi tutto che i soli punti del piano che corrispondano a se medesimi sono i quattro vertici del quadrigono dato. Per questo motivo que- sti quattro punti potranno anche denominarsi punti doppj della trasformazione. In ogni linea retta non può esistere più d’ una coppia di punti corrispondenti ( reali od immagina^ ). Essi infat- ti , dovendo giacere tanto nella retta quanto nella conica ad essa corrispondente, non possono essere che quelli in cui la retta medesima è incontrata dalla conica, punti dei quali uno è il corrispondente dell’ altro. Ciò posto, se la retta avesse la proprietà speciale di essere toccata dalla conica corrispondente , in essa esisterebbero due punti cor- rispondenti raccolti in un solo , ossia essa conterrebbe un punto corrispondente di sè medesimo. Ma questa proprietà non appartiene che ai vertici del quadrigono, dunque: Eugenio Beltrami Affinchè una retta del piano sia toccata dalla conica che le corrisponde , è necessario ( e sufficiente ) cti essa passi per uno dei quattro vertici del quadrigono 3 nel qual caso il contatto ha luogo in questo medesimo punto . Ciò risulta anche dall’ osservare che la condizione per tale contatto si deduce dall9 equazione (5) ponendo k = /, p = m , v = n , epperò è ± aliti bm ±cb = 0, la quale, perchè sia soddisfatta, richiede che la retta (1) passi per uno dei vertici del quadrigono. La tangente nel punto ( #0 ? JK0 5 ) alla conica corri- spondente alla trasversale (1) è rappresentata dall9 equa- zione ! nG 2 .j-H— = 0. Se dunque supporremo che la trasversale passi per il pun- to ( a , 6 , y ) , e che quindi la conica corrispondente passi per il punto ^ — , —, — l9 equazione della tangente a questa conica in quest9 ultimo punto sarà m m6 8 Se ora noi consideriamo questa retta come una nuova trasversale, è chiaro che ad essa corrisponderà una conica passante per il punto (a, 6, y), e l9 equazione della tan- gente a questa conica in questo medesimo punto si rica- verà dalla precedente mutando l9 m , n9 a9 d, ¥ ordina- , la 2 m6 2 ny2 a 2 b2 c2 . . , 1 rri_ tamente in —5 , -~t- , — r , — , — , — . Si ritorna m tal mo- a2 b2 c2 a 6 y do ad ottenere la retta Ix «4- my nz tssz 0, Intorno alle coniche di nove punti cioè la stessa trasversale primitiva. Dunque: Se nel piano si fissa un punto (a , 6, y), e per esso si fa passare una retta qualunque , la conica corrispondente passa per il punto corrispondente di (a, 6,y), ed ha ivi per tangente una retta alla quale , considèrata come trasversale, corrisponde una conica passante per il punto (a, 6, y) e tangente in esso alla trasversale primitiva. È manifesto che questa seconda conica è sempre la stessa qualunque sia il quadrigono i cui lati opposti si incontra- no nei tre vertici del triangolo fondamentale, poiché do- vendo passare per quattro punti dati, e dovendo in uno di questi toccare una retta data, essa risulta pienamente determinata. Infatti dalla (9) deducesi facilmente che la sua equazione è la2 m62 ny 2 ^ x y z dove non entrano' punto le a , b , c. Se si riflette che nel teorema precedente il punto (a,6 ,y) può essere uno qualunque di quelli della trasversale primi- tiva , dal teorema stesso si deduce facilmente il seguente : Se le infinite tangenti di una stessa conica circoscritta al triangolo fondamentale sì riguardano come altrettante tra- sversali, ad esse corrispondono infinite coniche tutte tangenti ad una medesima retta , che è quella cui corrisponde la co- nica data. Come caso particolare di' questo teorema citeremo il se- guente. Alla retta a distanza infinita corrisponde , come ab- biamo veduto , la conica cdsen A b2sen B c2sen C ^ x ^ y ^ z Dunque alle infinite tangenti di questa curva corrisponde- ranno infinite coniche che saranno tutte toccate dalla retta 382 Eugenio Beltrami a distanza infinita, ossia che saranno tutte parabole; nè è difficile dimostrare che alle rette che incontrano questa cur- va in due punti reali e distinti corrispondono iperbole , mentre a quelle che non la incontrano corrispondono ellissi. I due fasci di rette formati , 1’ uno dalle infinite trasver- sali condotte per il punto ( a , 6 , y ) , P altro dalle infinite / a 2 c2 \ IT’ ~) alle tangenti condotte per il punto che corrispondenti , sono evidentemente projettivi. Dunque il luogo geometrico dei punti d5 incontro dei raggi corri- spondenti di questi due fasci dev5 essere una linea di se- cond* ordine. Per averne V equazione è manifesto che ba- sterà eliminare / , m 3tl , fra le equazioni lx my h- nz = 0 , la h- m6 -+- ny = 0 , la prima delle quali è quella della tangente , la seconda quel- la della trasversale , mentre la terza esprime che quest5 ul- tima retta passa costantemente pel punto (a,6,y). Il ri- sultato dell5 eliminazione è il seguente: fio) tt(*v— c*gy . 6(c*« WyV» ( r(aV-i'aV_ft x y z _ ’ equazione che rappresenta evidentemente la conica corri- spondente alla retta (8). Dunque: Le infinite trasversali passanti per un punto fisso sono in- contrate dalle tangenti condotte s nel punto corrispondente , alle coniche che loro rispettivamente corrispondono > in una serie di punti il cui luogo geometrico è la conica corrispon- dente alla retta che congiunge il punto fisso col suo corri- spondente. Intorno alle coniche di nove punti 383 Vili. La proprietà più importante della presente trasformazio- ne è la seguente. Abbiamo già rammentato che le rette polari di xin mede- simo punto rispetto al sistema delle infinite coniche circo- scritte ad un quadrigono passano tutte per un medesimo altro punto. Ed il luogo dei poli di una retta rispetto al sistema anzidetto è una stessa cosa col luogo dei punti in cui concorrono le infinite polari dei punti della retta stes- sa , siccome si dimostra facilmente colle forinole dell’ Art. III. Ora fra le infinite coniche che si possono circoscrivere ad un quadrigono sono da annoverarsi le tre coppie di rette che costituiscono i lati opposti del quadrigono stesso. Dunque : Se da un punto del piano si conducono le rette ai tre punti di concorso dei lati opposti del quadrigono , e di que- ste si determinano le conjugate armoniche rispetto ai lati passanti pei rispettivi punti di concorso , le tre nuove rette così ottenute passano per un solo e medesimo punto , che è il corrispondente del primo. Se il primo punto si muove nel piano descrivendo una retta , il punto determinato nel modo anzidetto descrive una conica circoscritta al triangolo fondamentale , e questa conica non è altro che la conica corrispondente a quella retta (*). Tutti i punti di una retta condotta per il punto di con- corso di una coppia di lati opposti del quadrigono hanno i loro corrispondenti in un ’ altra retta , passante per il mede- simo punto e conjugata armonicamente colla prima rispetto ai due lati del quadrigono . Sieno ora M, M' due punti corrispondenti del piano, e conducansi le rette AM, AM' che li congiungono con uno dei vertici del triangolo fondamentale. Dal precedente teo- (*) Da questa proprietà risulta, per es. , il seguente teorema, quando il quadrigono è ortogonale e quando la retta è a distanza infinita: Se per i tre vertici di un triangolo s* conducono tre rette parallele, indi tre nuove rette formanti colle bissettrici degli angoli del triangolo angoli ri- spettivamente eguali a quelli delle precedenti , queste tre ultime rette si incon- trano in uno stesso punto, situato nella circonferenza circoscritta al triangolo. Eugenio Beltrami rema consegue che tutti i punti della retta AM hanno i loro corrispondenti sulla retta AM' e reciprocamente ; esse inoltre sono conjugate armonicamente rispetto ai due lati del quadrigono concorrenti in A , dunque : Se uno qualunque dei vertici del triangolo fondamentale si congiunge mediante rette con un numero qualsivoglia di punti del piano , corrispondenti fra loro a due a due , si de- termina un fascio in involuzione . Le rette doppie di questa involuzione sono i due lati opposti del quadrigono concor- renti in quel punto , e sono rette corrispondenti di essa quelle che passano per due punti corrispondenti. In altre parole le rette doppie sono quelle che vanno dal vertice del triangolo ai quattro punti doppj del piano, punti che sono a due a due in linea retta col vertice medesimo. Mediante il teorema precedente si vede facilmente quali sieno i punti corrispondenti di quei punti del piano per i quali una o due delle coordinate son nulle, ciò che non bene risulta dalle formole (7). È chiaro infatti che : 1 . ° ) A ciascun punto di uno dei lati del triangolo fon- damentale corrisponde il vertice opposto , giacché Y angolo di due lati del triangolo è diviso armonicamente dai due lati del quadrigono concorrenti nel suo vertice; 2. °) A ciascun vertice corrisponde un punto arbitrario del lato opposto. Da ciò segue che ad ogni retta passante per un verti- ce A del triangolo fondamentale corrisponde propriamente il sistema di due rette. Una è quella che si menziona in un precedente teorema, V altra è il lato BC , opposto al vertice A per il quale è condotta la retta. Ma siccome que- sta seconda retta non è che il luogo dei punti corrispon- denti all’ unico punto A , così se si fa astrazione da que- sto , si può ritenere che il luogo dei punti corrispondenti ai punti della retta sia una retta unica, determinata come s’ è detto. IX. In virtù del teorema relativo alF involuzione delle rette condotte da un vertice del triangolo a più coppie di punti Intorno alle coniche di nove punti 385 corrispondenti, diventa sommamente facile risolvere qua- lunque problema relativo alla trasformazione che abbiamo di mira. Ed intorno a questa fa d’ uopo osservare primieramente eh’ essa può considerarsi sotto due aspetti , secondo che la si riguardi come generata geometricamente coll’ ajuto del quadrigono, o come definita analiticamente dalle equazio- ni (7). Tanto nell’ una ipotesi quanto nell’ altra essa dipen- de da otto costanti arbitrarie che sono, nel primo caso le coordinate dei quattro vertici del quadrigono , nel secondo i parametri delle rette che si assumono come lati del trian- golo fondamentale e i due rapporti a2 : £2 : c2. Noi prescinderemo ora dalla considerazione del quadrigo- no, che abbiamo fin qui tenuta di vista, e supporremo che la trasformazione sia determinata dalla natura del trian- golo fondamentale e da due punti del piano assunti come reciprocamente corrispondenti. Le coordinate di questi pun- ti individuano infatti , per mezzo delle (7) , i valori dei rapporti a2 : b 2 : c2. Osserveremo anzi che in tale ipotesi si ha una trasformazione più generale della prima , in questo senso che, se le a2, b *, c2 risultassero avere valori nega- tivi , la trasformazione stessa non si potrebbe ottenere da un quadrigono reale. Chiamiamo E, Er i due punti assunti come corrispon- denti , A , B , C i tre vertici del triangolo fondamentale. Le rette AB, AC, AE , AEr determinano un’ involuzione di cui si possono determinare i raggi doppj (se reali). Al- trettanto dicasi delle rette BC , BA , BE , BE' . Le quattro intersezioni di questi raggi doppj saranno i quattro vertici del quadrigono generatore della trasformazione. La condizione che deve aver luogo affinchè il detto qua- drigono sia intieramente reale è che tutti e tre i lati del triangolo fondamentale, prolungati se occorre, incontrino la retta EEf nel tratto compreso fra E ed E' , o che nes- suno di essi la incontri nel detto tratto. Negli altri casi , delle tre involuzioni una sola ha i raggi doppj reali , men- tre le altre due li hanno immaginarj. Perciò il quadrigono generatore ha sempre almeno due lati ( opposti ) reali : ma t. ii. 49 Eugenio Beltràmi i suoi vertici o son tutti reali o son tutti immaginar). Tutto ciò è una facile conseguenza dei noti criterj relativi alla reciproca disposizione delle coppie di raggi corrispondenti nei fasci in involuzione. Supponiamo ora dato nel piano un punto F. Il suo cor- rispondente F sarà pienamente individuato. Per trovarlo si conducano le rette AF 3 BF e si determini il punto d’ in- contro della sesta retta dell’ involuzione AB, AC, AE 3 AE', AF colla sesta retta dell’ involuzione BA 3 BC 3 BE3 BE’ 3 BF. Questo punto d’ incontro sarà il cercato punto F. Abbiansi due coppie di punti corrispondenti : E ed E' 3 F ed F. Conduciamo le rette EF 3 EF che si incontrano nel punto O, e le rette EF3 E'F' che si incontrano nel punto O'. Otteniamo così un quadrilatero completo i cui lati sono EF 3 EF, O’F, OF. È noto che tirando da un punto qualunque P le rette che vanno ai sei vertici di questo quadrilatero, si ottiene un fascio in involuzione, i cui raggi corrispondenti sono le tre coppie di rette PE e PE'3 PF e PFr, PO e PO , che vanno dal punto P alle tre coppie di vertici opposti del quadrilatero. Se si fa dunque coincidere il punto P suc- cessivamente con due vertici del triangolo fondamentale , si vede chiaramente che O ed O' sono punti corrispondenti. Da ciò segue che dei sei vertici del quadrilatero com- pleto in discorso, tre situati in linea retta hanno per cor- rispondenti i tre rimanenti. Ma i tre primi, appunto per essere in linea retta, devono avere i loro corrispondenti in una conica circoscritta al triangolo fondamentale; dunque. Date due coppie di punti corrispondenti , congiungendo ciascuno dei punti di una coppia coi due punti delV altra, si hanno quattro rette ìntersecantisi in due nuovi punti. Que- sti due punti sono fra di loro corrispondenti , e ciascuno dei triangoli formati da tre delle quattro rette anzidette è inscn- vibile in una conica circoscritta al triangolo fondamentale , che ha per corrispondente la retta rimanente. Supponiamo descritta la conica che passa per i tre pun- ti Ef 3 0'3 F' e per i vertici del triangolo fondamentale , os- sia, in altre parole, la conica corrispondente alla retta OEr . Intorno alle coniche di nove punti 387 Se, tenendo fissa quest9 ultima retta, si farà ruotare la OE'F intorno al punto 0, f punti E', Fr muteranno , del pari che i loro corrispondenti E ed Fm, ma le rette EF , EF pas- seranno costantemente per il puntò O', in forza del teore- ma pocanzi dimostrato. Così per determinare i punti Es F corrispondenti dei punti d9 intersezione E s Fr della segante mobile colla retta fissa, basterà condurre, per ogni posi- zione della segante mobile, le rette E O' s F'O fino ad in- contrare la retta fissa nei punti cercati E ed F. Si può anche supporre che la segante mobile EF giri intorno al punto E , corrispondente di E. Allora , per avere il punto corrispondente di O, intersezione di essa segante mobile colla retta fissa, basterà condurre la F'E , che se- gherà la conica nel cercato punto O , e per avere il punto corrispondente di F', sua intersezione colla conica fissa, basterà condurre la E'O' che incontrerà la retta fissa nel cercato punto F. Sieno E, F, G, H quattro punti in linea retta; E', F, G', H' i loro corrispondenti , situati in una conica circo- scritta al triangolo fondamentale. Le quattro coppie di rette AE ed AE', AF ed AF, AG ed AG', AH ed AH' sono raggi corrispondenti di un9 involuzione, e però il rapporto anarmonico delle quattro rette AE , AF, AG , AH è eguale al rapporto anarmonico delle quattro rette AE' , AF , AG', AH' . Poiché dunque A è un punto della coni- ca in cui stanno i quattro punti E, F ', G', H' possiamo formulare il seguente teorema: Il rapporto anarmonico di quattro punti situati in linea retta equivale al rapporto anarmonico dei quattrq punti corrispondenti , situati nella conica che corrisponde alla retta. Da queste varie osservazioni emerge ornai chiaramente la legge di corrispondenza fra i punti di una retta e gli omologhi della conica corrispondente. X. Procediamo ora ad indicare le costruzioni geometriche lineari, mediante le quali si possono tracciare per punti i luoghi corrispondenti a luoghi dati nel piano. Eugenio Beltrami E primieramente supponiamo che si voglia costruire la conica corrispondente alla retta che passa per due pnnti dati , E ed E\ fra loro reciprocamente corrispondenti. Il teorema dimostrato alla fine dell5 art. VII si può enunciare anche nel modo seguente : Se E ed E' sono due punti reciprocamente corrispondenti } K' un punto qualunque della conica che passa per A , B , G , E ed E' , la conica corrispondente alla retta ICE è quella che passa per A , B , C e che tocca in E' la retta ICE', e viceversa la conica corrispondente alla retta ICE' è quella che passa per A , B , G e che tocca in E la retta K'E. Queste due coniche sJ incontrano in un punto K della retta EE', il quale è il corrispondente del punto IC. Da ciò risulta per converso che : Dati due punti E ed E', fra loro reciprocamente corri- spondenti, ed un punto qualunque K della retta che li unisce , il punto IC, corrispondente di K, è V intersezione delle due tangenti condotte in E ed E' rispettivamente alle due coniche circoscritte al quadrinone ABCK e passanti , V una per il punto E , V altra per il punto E'. Ciò posto sia ABC il triangolo fondamentale, E ed Er i due punti assunti come corrispondenti , K un punto qua- lunque della retta che li unisce. Sia inoltre L il punto in cui la retta EE' è incontrata dalla retta AB. Or ecco come si costruirà il punto corrispondente di K • Si tirino le rette AE , AEr che incontrano in N, Nt la retta CK. Dal punto L si tirino le rette LN , LNt che incontrano in M, Mt la retta BC . Finalmente si ti- rino le rette ME , MtEr , che s9 incontrano in K' . Que- st’ ultimo punto è il cercato. Facendo percorrere al punto K la retta EE\ il punto K descriverà la conica corrispon- dente a questa retta. Per provare V esattezza della precedente costruzione, basta dimostrare che le rette EK\ E'K' sono tangenti in E, E' alle coniche descritte rispettivamente per i punti A,B,C,K,E e per i punti A^B^C^K^E'. Per tal uopo si consideri la figura ABCKE come un esagono in- scritto in una conica , esagono del quale due vertici sieno Intorno alle coniche di nove punti 389 raccolti nel punto E . Allora Ir è il punto cP incontro dei due lati opposti AB, KE ed N è quello dei lati opposti CK ed AE ; quindi la direzione del lato infinitamente pic- colo che si suppone esistente in E deve, per il teorema di Pascal, incontrare il lato opposto BC in un punto del- la retta LN. Ora M è il punto d* incontro di questa col lato BC , dunque la retta ME rappresenta la direzione del lato infinitamente piccolo anzidetto, ossia è la tangen- te in E alla conica passante pei cinque punti A , B , C, K,E. Analogamente si dimostra che MtEr è la tangente alla co- nica ABCKE'. Per costruire il punto corrispondente di un . punto Kr situato fuori della retta EE , si immagini tracciata la co- nica ABCEÈ ', e condotte le rette K'E , E E’ che incon- treranno la curva in due nuovi punti P e Q. Si tirino le rette PEr , QE. La conica circoscritta ad ABC e tangente in E' alla retta PEr è , come abbiamo dimostrato , corri- spondente della retta PK\ e la conica circoscritta ad ABC e tangente in E alla retta QE è del pari corrispondente della retta QK . Dunque il punto K in cui s’ intersecano queste due coniche è evidentemente il corrispondente di K'. Di qui consegue , reciprocamente , che , se si circo- scrivono al quadrigono ABCK due coniche , V una passan- te per E, F altra per E, le loro rispettive tangenti in E ed E' incontreranno di nuovo la conica ABCEE in due punti Q e P tali , che le rette PE e QE andranno ad intersecarsi nei cercato punto K\ corrispondente di K. Da ciò emerge una costruzione analoga alla precedente, benché più complicata , per determinare il punto K'. Sieno Ir , H , Ht , i punti d’ incontro del lato AB colle rette EE , KE , KE . Si tirino le rette AE , A Er che in- contrano la CK in N ed Nt , poscia le HN , HiNi che incontrano BC in M ed Mt rispettivamente. Le ME, MXE sono le cercate direzioni delle tangenti in E ed E. Ciò si dimostra collo stesso ragionamento di pocanzi. Per determinare sulle due rette così ottenute i punti P e Q, si tirino le rette LM , LMX , che incontrano CE, CE in i? èd Rt rispettivamente. Il punto Q sarà Y inter- 390 Eugenio Beltrami sezione di ME con AR , ed il punto P quella di M%E con ARt , per cui condotte le PE\ QE il loro punto d9 in- contro K' sarà il cercato. Infatti consideriamo , per esempio , il punto Q. Questo punto dev9 essere l9 intersezione della retta ME colla co- nica ABCEE'. Ora nell9 esagono inscritto in questa conica ed avente cinque vertici nei punti A , B , C, E, E ed il Sesto vertice in un punto della retta ME, i due lati op- posti AB ed EE' s9 incontrano nel punto L , gli altri due lati parimenti opposti BC ed ME si incontrano nel pun- to M . Dunque anche il lato CEr dev9 essere incontrato dal sesto lato passante per Av di cui è incognita la dire- zione, nel punto R in %cui esso incontra la retta LM . Ne risulta che il lato incognito è AR, ed il sesto verti- ce Q è il punto in cui AR sega la retta ME. Per conse- guenza Q è il punto comune alla retta ME ed alla conica passante per i cinque punti A, B, C , E ed Er, — Nello stesso modo si dimostra la proprietà analoga per il punto P. XI. Mediante la costruzione precedente si potrà , data nel piano una curva d9 ordine qualsivoglia , descrivere linear- mente per punti la curva ad essa corrispondente. È facile dimostrare che, se la prima curva è dell’ or- dine n, la seconda non può essere d9 ordine maggiori di 2 n. Infatti sieno p , q , ri massimi gradi a cui entrano le x, y, z rispettivamente nell9 equazione della curva data. Se , dopo aver sostituito in essa — , — , — al posto di x y z x, y, z si moltiplicherà l9 equazione trasformata per xpy9zr è chiaro che tutti i divisori scompariranno e che il risul- tato sarà del grado p -+- q -4- r — n. Ora il massimo valore degli esponenti p,q,rèn, dunque il massimo grado di p q r — n è 2 n. Ma per meglio vedere da che propriamente dipenda l’ or- dine della curva trasformata è opportuno ricorrere alle se- guenti considerazioni. Intorno alle coniche di nove punti 391 Sia r la curva data dell’ ordine n, R una retta qualun- que , r la curva corrispondente di T, R‘ la conica ( circo- scritta al triangolo ABC) corrispondente di R. Siccome il lato BC ha n punti comuni con T , a ciascu- no dei quali ( art. Vili ) corrisponde A , così la curva F' passa n volte per A. Altrettanto si dica degli altri due ver- tici del triangolo fondamentale. La curva T è incontrata da R in n punti , ai quali cor- rispondono altrettanti punti comuni a T' ed a R. Ma que- ste due ultime linee passano per ciascun vertice del trian- golo fondamentale 1’ una n volte , 1’ altra 1 volta , dunque i vertici di questo triangolo tengono luogo di 3 n interse- zioni di T' con R!. Dunque il numero totale delle interse- zioni di queste due ultime linee è 3/i -4- n = kn , ed es- sendo R! di 2.° ordine, T1 sarà dell’ ordine 2 n. Supponiamo che la data curva T passi a volte per A, 6 volte per B , y volte per C. Allora la curva V si decom- porrà in a rette coincidenti in BC y 6 rette coincidenti in CA s y rette coincidenti in AB > ed una curva dell’ or- dine 2 n — (a-h^ + y). Il Iato BC incontra la curva V in n — ( 6 -4- y ) punti , se si fa astrazione dai punti mul- tipli B e C3 ed a questi tl — (é + j') punti corrisponde il punto A y come punto multiplo dell’ ordine n — (1ì è principalmente nella misura di questo elemento che 1’ astronomo si procura in certo modo un termine di confronto per apprezzare il grado di precisione che può sperare nei risultati delle sue osservazioni, rinvenire le molteplici cause di inesattezza e di errore dipendentemen- te dalla natura degli strumenti adoperati, dalle condizioni di loro collocazione, dalle influenze atmosferiche e dalle personali qualità ed attitudini di ciascun osservatore. A primo aspetto nulla di più facile della determinazione o misura dell’ angolo formato dall’ asse del mondo colla linea verticale o colla orizzontale; ma qualora si rifletta che il valore di tale angolo deve ottenersi con rigore qua- si geometrico, che la direzione di queste linee deve per- ciò* realizzarsi sui circoli graduati colla precisione inerente agli astratti concetti della scienza dell’ estensione, che questi circoli debbono essere divisi e suddivisi nelle mini- me parti colla matematica esattezza, m modo che anche quelle minime differenze, che sembrano sfuggire al domi- nio dei nostri sensi , bastano a falsare i risultati delle osser- vazioni, si troverà senza dubbio una tale operazione, quan- tunque in astratto semplicissima , in atto pratico pero di assai difficile esecuzione. . E di ciò resterà tanto maggiormente convinto chi con- sideri, che oltre alle imperfezioni degli strumenti, ed alla grande difficoltà del loro esatto maneggio, concorrono^ ge- neralmente molte altre cause di errore indipendenti dalla struttura degli strumenti e dalla abilità dell’ osservatore, le influenze delle quali non possono valutarsi che in modo più o meno approssimativo, quali sono 1’ azione del ca ore sulla posizione e sulle disposizioni delle varie parti dello strumento , la rifrazione atmosferica ec. ec. Cosicché ”on deve recare meraviglia il vedere, se malgrado gli straor ma ri progressi della meccanica di precisione e dell ottica Sulla latitudine geografica 399 pratica, malgrado i grandi sussidi della teoria, non siasi ancora raggiunto nei mezzi e nei metodi di osservazione il grado di precisione richiesto per F adequata risoluzione di questo importante problema della pratica astronomia; e se perciò i risultati delle nostre ricerche su questo soggetto si debbano tuttora ritenere come dati soltanto approssimativi , da assoggettarsi a nuove verifiche e correzioni, mano mano che si faranno più potenti ed esatti i modi di osservazione. Analizzando però i diversi valori ottenuti per la latitu- dine geografica dei principali osservatorii nelle diverse epo- che , troviamo che mentre nelle epoche a noi lontane questi valori oscillavano fra limiti molto distanti , in que- sti ultimi tempi le loro oscillazioni o differenze si sono successivamente ristrette in limiti sì angusti, da far rite- nere che 1* astronomia trovasi già in possesso di mezzi di osservazione assai potenti e tali da farci sperare che i ri- sultati , attualmente ottenuti sul valore delle latitudini geo- grafiche , non riceveranno nelle epoche di maggiore perfe- zionamento che modificazioni o correzioni ristrette nei li- miti di pochi decimi di secondo. Fra tutti gli osservatorii quello di Bologna può darsi il vanto di avere per primo spinto le osservazioni sulla lati- tudine geografica al maggiore grado di approssimazione; in quanto che è fuori di dubbio che il primo luogo della terra, nel quale è stato con maggiore approssimazione de- terminato il valore di questo importantissimo elemento geo- grafico-astronomico, è l’osservatorio di Bologna, di modo che mentre negli altri osservatorii il valore della latitudi- ne oscillava ancora nell’ incertezza di alcuni secondi , in Bologna esso era già determinato con tale precisione da non ricevere nelle epoche posteriori fino a’ nostri giorni che la piccola correzione di pochi decimi di secondo. E reca certo meraviglia il vedere come in epoche, nelle quali F ottica e la meccanica di precisione avevano appe- na cominciato a somministrare all’ astronomo pratico il lo- ro efficace concorso per la determinazione esatta delle po- sizioni e movimenti dei corpi celesti , siasi potuto fin d’ al- lora determinare questo elemento con quella precisione 400 Lorenzo Respighi che sembrava dover essere riserbata soltanto a quell’ epo- ca, nella quale la pratica astronomia avesse potuto giovarsi dei più perfezionati metodi e strumenti di osservazione. Se non che tale meraviglia scema quando si considera che nell’ astronomia, come in tutte le scienze di osserva- zione , F esattezza dei risultati dipende non tanto dalla potenza dei mezzi , quanto dallo zelo , sagacia e sapere di chi li maneggia; e la nostra meraviglia deve cessare quan- do si rifletta che le osservazioni sulla nostra latitudine erano fatte da un Eustachio Manfredi, da un Eustachio Zanotti. Le prime ricerche sulla latitudine geografica di Bologna meritevoli di rimarco rimontano all’ epoca della costruzio- ne di quei mirabile monumento astronomico che tuttora ammiriamo nel grandioso tempio di S. Petronio, la meri- diana del Cassini, che quasi sola fra i monumenti di que- sto genere ha reso realmente degli importanti servigi alla astronomia, somministrando utilissimi dati per le questioni relative all’ obliquità dell’ eclittica, alle tavole solari, alle tavole delle rifrazioni ec. ec. Fu appunto in quella circostanza che il Cassini col Ric- cioli si accordarono per determinare la latitudine geografica in due diversi punti di Bologna , e trovarono 1 uno indi- pendentemente dall’ altro risultati pienamente concordanti. Sul finire dell’anno 1655 il Riccioli con Grimaldi per mezzo di due sestanti, uno di sette piedi di raggio, V al- tro di 12, ottennero dalle altezze orizzontali della polare nei passaggi meridiani superiori ed inferiori 1’ elevazione del polo, o la latitudine della chiesa di Santa Lucia di 44°. 30'. 9"; mentre il Cassini nel principio del 1656 ot- teneva dalle altezze meridiane della polare, ad un gnomo- ne di 20 piedi di altezza nel palazzo Malvasia, la latitu- dine di 44°. 30'. 22"; risultato che, avuto riguardo alla distanza del parallelo del palazzo Malvasia a quello della chiesa di S. Lucia, concordava perfettamente col risultato ottenuto dal Riccioli col Grimaldi. Nello stesso anno il Riccioli con nuove osservazioni , fat- te sulla polare ad un gnomone di 74 piedi bolognesi di Sulla latitudine geografica 401 altezza nella suddetta chiesa di S. Lucia, otteneva P altez- za del polo in 44°. 30'. 10", risultato che differiva dal- P antecedente di un solo secondo. Quantunque a que’ tempi fosse universalmente ammessa la rifrazione atmosferica e la sua influenza sulle altezze apparenti degli astri, ciò non ostante ritenevasi general- mente che tale influenza diventasse insensibile alle altez- ze maggiori di 40°; e perciò il Cassini senza avere riguardo ad essa stabiliva la latitudine del gnomone del palazzo Malvasia in 44°. 30'. 22", quale risultava dalle sue os- servazioni , in riguardo anche al perfetto accordo riscon- trato colla latitudine della chiesa di S. Lucia misurata dal Riccioli. La latitudine geografica era uno dei dati fondamentali su cui dovevano appoggiarsi le osservazioni astronomiche cui era destinata la meridiana di S. Petronio; perciò il Cassini la dedusse da quella del palazzo Malvasia dimi- nuendola di 2", dopo di avere riconosciuto che questa e- ra la distanza dei due paralleli corrispondenti ; cosicché la latitudine del detto gnomone venne stabilita in 44°. 30'. 20". Se non che le osservazioni fatte sulle distanze zenitali del Sole alla meridiana suddetta , si trovarono in sen- sibile disaccordo colle altezze calcolate, senza riguardo alla rifrazione, su questo elemento e sulla obbliquità dell’eclit- tica da esso dedotta ; e in tale disaccordo e nelle anoma- lie successive che si riscontrarono nelle variazioni di quelle distanze zenitali , il Cassini ebbe occasione di riconoscere che P effetto della rifrazione atmosferica si estendeva in modo sensibile anche alle altezze maggiori di 45°. Onde appoggiandosi specialmente su questi disaccordi ed anoma- lie, intraprese la discussione delle rifrazioni atmosferiche, e dietro ingegnosissime vedute teoriche arrivò a compilare quella famosa tavola delle rifrazioni astronomiche , che po- co diversifica dalle tavole delle medie rifrazioni presente- mente usate dagli astronomi. Secondo la tavola del Cassini il valore superiormente trovato per la latitudine della meridiana di San Petronio 402 Lorenzo Respighi doveva essere diminuito di 1' circa , onde ne risultava 1* altezza del polo alla meridiana stessa di 44°. 29'. 20". quale appunto venne poscia dal Cassini ammessa. Le posteriori e più recenti osservazioni concordano nel- F assegnare alla meridiana di San Petronio la latitudine di 44.° 29'. 39": onde si vede che il Cassini ed il Riccioli non ostante F imperfezione dei metodi e degli strumenti di osservazio- ne si erano già non poco accostati al vero valore di que- sto elemento. Nel 1694 , all* occasione del restauro fatto alla meridiana suddetta, il Cassini determinava nuovamente la latitudine per mezzo di un ottante col passaggio superiore della Po- lare al Meridiano , e la trovava maggiore di un minuto di quella trovata da lui e dal Riccioli nel 1656. Questa discordanza fra i risultati ottenuti nell9 altezza del polo nell9 intervallo di circa 40 anni diede origine, o piuttosto accreditò presso gli astronomi bolognesi una que- stione, alla quale siamo principalmente debitori delle esat- te misure che vennero poscia instituite sulla nostra la- titudine. All9 epoca della costruzione della meridiana di S. Petro- nio era molto divulgata l9 opinione della mobilità del me- ridiano , opinione nata dalla diversità trovata fra le dire- zioni dei meridiani terrestri segnati nelle antiche carte geografiche, e quelle constatate dàlie posteriori ricerche, e così pure dalle notevoli deviazioni riscontrate iu alcune meridiane, e specialmente nell9 antica meridiana costrutta dal P. Ignazio Dante in San Petronio nel 1576, che dal Cassini fu trovata inclinata nel 1655 di otto o nove gradi dalla vera meridiana. L9 immobilità del meridiano a que9 tempi non poteva essere dimostrata a priori per mezzo della teoria , Y osser- Sulla latitudine geografica 403 vazione sola doveva constatarla; non è quindi a meravigliare se uomini sommi di quell’ epoca, appoggiati su tali appa- renze , sospettarono nella meridiana astronomica una libra- zione od oscillazione analoga a quella osservata nella me- ridiana magnetica. Il Cassini nella circostanza superiormente accennata prese ad esaminare F orientazione della linea meridiana da lui co- strutta già 40 anni prima, e la trovò come all’ epoca della sua costruzione perfettamente coincidente col meridiano ; on- de ne inferì che durante questo lungo intervallo di tempo il meridiano erasi conservato invariabilmente fisso sulla su- perficie della terra. Un tale risultato , ottenuto da una meridiana che per le sue dimensioni avrebbe dovuto rendere sensibili le minime deviazioni, bastò a decidere la questione in favore del- F immobilità del meridiano; e le discordanze dei meridiani delle antiche carte geografiche con quelli delle moderne, e così le deviazioni constatate nelle orientazioni delle an- tiche meridiane vennero a ragione giudicate come effetti della imperfetta loro costruzione. Mentre colla costanza nella orientazione della meridiana di San Petronio veniva distrutta F opinione della oscilla- zione del meridiano , còlla differenza trovata nell’ altezza del polo veniva però messa in campo un’altra questione, o piuttosto la questione della librazione del meridiano ve- niva trasformata in una questione più delicata , ed era quella della librazione od oscillazione dell’asse del mondo nel meridiano stesso, questione specialmente discussa da- gli astronomi bolognesi. Misure posteriori , prese sulla latitudine geografica dal Cas- sini , dal Guglielmini e da Eustachio Manfredi e da altri, con- tribuirono colla discordanza dei loro risultati a confermare questa opinione, quantunque vi si opponessero gravi dif- ficoltà, fra le quali principalissima era quella, che una variazione nell’ altezza del polo nel meridiano di Bologna doveva necessariamente portare uno spostamento del meri- diano negli altri luoghi della terra , ciò che dal fatto era assolutamente contradetto. 404 Lorenzo Respighi Eustachio Manfredi scemò 1* importanza di questa obbie- zione ; poiché egli ammettendo , se non certa , probabile la variazione dell’ altezza del polo, coll’ esattezza delle sue misure ridusse tali variazioni in limiti molto ristretti; e mostrò come esse, anziché spiegarsi quali effetti di una oscillazione o librazione dell’ asse del mondo, si dovessero spiegare invece come effetti di librazioni od oscillazioni locali della verticale nel piano del meridiano. Ridotta la questione a questi termini , la sua risoluzione non poteva ottenersi che da osservazioni molto precise fatte sulla latitudine geografica in diverse epoche; ed il Manfredi vi contribuì molto efficacemente ^raccogliendo in proposito sulla latitudine di Bologna un materiale prezio- sissimo di osservazione , all* appoggio del quale il Zanotti ha potuto constatare dopo un lungo giro di anni la inva- riabilità di questo importantissimo elemento. Due sono i metodi coi quali il Manfredi intraprese la misura della latitudine geografica ; e cioè per mezzo delie altezze solstiziali del sole osservate alla meridiana di San Petronio, e per mezzo delle altezze di stelle circumpolari^ nei loro passaggi meridiani. Nel primo metodo la latitudine veniva dedotta dal com- plemento della semisomma delle altezze del sole in due solstizi successivi ; e da una serie di tali osservazioni risul- tarono nei valori dedotti per la latitudine delle variazioni, che indussero il Manfredi ad ammettere la librazione od oscillazione del polo rispetto alla verticale. In quell’ epoca erano ancora sconosciute le leggi della variazione dell’ obbliquità dell’ eclittica, non erano ancora constatate le notevoli differenze , che anche alla stessa elevazione possono presentarsi nella rifrazione atmosferica degli astri, per effetto della diversità di pressione e di temperatura dell’ aria, perciò egli non poteva attribuire a tali cause le anomalie osservate nelle diverse misure del- 1’ altezza del polo ; tanto più che per una sfavorevole com- binazione egli aveva trovato per alcuni anni il valore della latitudine dedotto dalle altezze solstiziali coincidente con quello trovato colle osservazioni delle stelle circumpolari. Sulla latitudine geografica 405 Pertanto la conseguenza dedotta dal Manfredi si trova pienamente logica avuto riguardo allo stato in cui trovavasi allora la scienza, ed ai molteplici risultati delle osserva- zioni da cui essa veniva dedotta. Nè può quindi farsi carico al medesimo di avere soste- nuto con molta prudenza e riservatezza la librazione o va- riazione dell’ altezza del polo; tanto più che qualora si riduca tale variazione al concetto dei Manfredi , e cioè ad una piccola oscillazione o librazione della verticale^ basta renderne i limiti convenientemente ristretti, per ottenerli pienamente conformi ai principii della meccanica. Omettendo di parlare dei valori della latitudine dedotti dal* Manfredi dalle altezze solstiziali osservate alla meri- ridiana di San Petronio, a cagione dell’incertezza in esse prodotta dalle variazioni dell’ obbliquità dell’ eclittica e dalla rifrazione atmosferica , mi limiterò ad accennare i risultati da esso ottenuti per la latitudine stessa dalle os- servazioni delle stelle circumpolari. Nel Dicembre del 1703, nel privato osservatorio dell’Il- lustre Conte Luigi Ferdinando Marsili , il Manfredi unita- mente allo Stancari intraprese con un quadrante di tre piedi di raggio una serie di osservazioni sulle altezze della polare nei suoi passaggi meridiani , e trovò la latitudine del luogo di osservazione di 44°. 29'. 26"; che ridotta al gnomone di San Petronio dava per esso la latitudine di 44°. 29' . 34", quantità inferiore di pochi secondi a quella che presente- mente viene ammessa. Nel 1706 nello stesso osservatorio con un semicircolo murale ripeteva le sue ricerche sulla altezza del polo per mezzo delle altezze meridiane dell’ a orsa maggiore, e ne inferiva la latitudine del suddetto gnomone di 44°. 29'. 38". 406 Lorenzo Respighi Finalmente nello stesso luogo, nello stesso anno e collo stesso strumento dedueeva dalle osservazioni di varie altre stelle circumpolari la suddetta latitudine in 44°. 29'. 43". Il medio dei risultati di queste tre serie di osservazioni assegna alla meridiana di San Petronio la latitudine dì 44°. 29'. 38", 3 risultato che può contendere in precisione con quelli delle più recenti osservazioni. Nel 1 723 la fabbrica dell* attuale osservatorio trovavasi già abbastanza avanzata , per potersi intraprendere in questo alcune osservazioni astronomiche; ma solamente nei 1728 il Manfredi potè effettuare la misura delia latitudine. Uni- tamente ad Eustachio e Francesco Maria Zanotti, e ad altri cultori dell’ astronomia, si propose il Manfredi di determinare V altezza del polo osservando con tre diversi strumentile cioè con due quadranti e con un semicircolo murale, le altezze meridiane della polare; e per una serie di tali osservazioni si ottennero dai tre strumenti risultati quasi identici, i quali portavano la latitudine del nuovo osservatorio a 44°. 29'. 52", risultato spinto già ad un forte grado di approssimazione. Eustachio Zanotti, succeduto nel 1739 al Manfredi nella direzione di questo stabilimento, pose sollecita cura nel determinarne in diverse epoche la latitudine geografica, allo scopo principalmente di risolvere la questione relativa alle sue variazioni. . Nel 1743 il nostro osservatorio veniva fornito di nuovi strumenti di costruzione inglese, e specialmente di un quadrante murale di Sisson, di quattro piedi di raggio, strumento a que’ giorni di molto pregio. Sulla latitudine geografica 407 La prima ricerca, alla quale il Zanotti applicò questo strumento, fu quella della misura delP altezza del polo, de- ducendola dalle altezze osservate nella polare al suo pas- saggio superiore ed inferiore , e trovò la latitudine del- P osservatorio di 44°. 29'. 54". Ripeteva egli la stessa operazione nel 1774, e ne otteneva il risultato quasi identico di 44°. 29'. 53". Il Zanotti deducendo da questi risultati la latitudine delf gnomone della meridiana di San Petronio , trovò la medesima di 44°. 29'. 40" 44°. 29'. 39"; mentre nel 1777 dalle altezze solstiziali alla meridiana stessa 1* ottenne di 44°. 29'. 38", 3. Ponendo questi dati a confronto con quello dal Manfre- di trovato nel 1695 dai solstizi osservati alla meridiana suddetta subito dopo la sua restaurazione, e coll’altro da questo dedotto dalle osservazioni fatte nel 1728, formava il seguente specchio, indicante la latitudine del gnomone della meridiana misurata in diverse epoche : 1695 . .... 44°. 29'. 40'' 1728 . .... 44 . 29 . 38 1743 . 44. 29. 40 1774 . 44. 29. 39 1777 . .... 44. 29. 38,3. Da ciò egli giustamente inferiva che la latitudine du- rante questo periodo di 80 anni circa non aveva subito sensibili variazioni , dovendosi attribuire le piccole dif- ferenze, che presentano queste diverse misure, a quegli errori od inesattezze che sono sempre inevitabili in questo Lorenzo Respighi genere di delicatissime osservazioni. E con ciò egli veniva a comprovare F invariabilità della elevazione del polo, od almeno a restringerne le variazioni entro limiti più ristret- ti di quelli che potevansi raggiungere coi mezzi di os- servazione in allora posseduti. Mentre il Zanotti con queste sue preziosissime osserva- zioni accertava la costanza della latitudine geografica, no- tizia di tanta importanza per F astronomia , la geografia e la nautica, spingeva poi il suo valore a tale grado di pre- cisione, che non solamente a quell’ epoca, ma anche al presente non pochi osservatori! non vi sono forse ancora pervenuti. Dopo le osservazioni del Zanotti non sembra siano state intraprese altre ricerche sulla nostra latitudine prima del- F anno 1808, nel quale il Barone di Zach instituì nel no- stro osservatorio per mezzo di un ottimo circolo ripetitore di Reichenbach una serie di osservazioni sulle altezze cir- cummeridiane del Sole, da cui dedusse la latitudine in 44°. 29'. 54", 33; ed una serie di osservazioni sulle altezze circummeridiane della polare nei suoi passaggi superiori ed inferiorità cui risultò la latitudine stessa di 44°. 29'. 54", 27, risultato pienamente in accordo coll’ antecedente , e che differisce di pochi decimi di secondo da quello trovato nel 1743 dal Zanotti. Nella fine del 1814 e nel principio del 1815 il Catu- regli effettuava per mezzo di un circolo ripetitore di Rei- chenbach una numerosa ed assai pregevole serie di osser- vazioni sulle altezze circummeridiane della polare, da cui otteneva per risultato la nostra latitudine di 44°. 29'. 53", 7. Il numero totale delle osservazioni, che ho trovato nei Sulla latitudine geografica 409 manoscritti di questo osservatorio registrate e calcolate dal Caturegli intorno alla altezza della polare nei suoi passaggi meridiani, è 776; delle quali 400 appartengono al passaggio superiore e 376 all* inferiore. Nei risultati parziali di queste osservazioni si trovano sensibili discordanze, le quali perciò accennano ad un er- rore probabile piuttosto forte ; ma ciò devesi attribuire alle piccole dimensioni dello strumento usato dal Cature- gli, in forza delle quali non ostante la sua estrema dili- genza e somma perizia nell* osservare, non gli era possi- bile di ottenere risultati contenuti in limiti di approssi- mazione più ristretti. Onorato nel 1855 della direzione di questo stabilimento, che da alcuni anni trovavasi in possesso di un circolo meridiano di Ertel di ultima costruzione, procurato allo stabilimento stesso per cura del Chiar. Prof. Ignazio Ca- landrili , credetti necessario di applicare primieramente questo strumento alla determinazione della latitudine geo- grafica, nell’ intendimento di ottenere nel valore di questo essenziale elemento quel maggiore grado di approssimazio- ne, che poteva sperarsi dallo strumento stesso. Avendo avuto occasione in antecedenza di usare e studiare questo strumento, mi trovava già in cognizione delle sue principali prerogative e delle condizioni poco favorevoli della sua collocazione; cosicché mi erano già in gran par- te note le norme speciali, secondo le quali doveva usarsi lo strumento stesso per eliminare o almeno determinare le influenzò, che le piccole imperfezioni del medesimo, e le circostanze della sua ubicazione potevano esercitare sui risultati delle osservazioni. Ciò nulla meno prima di intraprendere le delicate ri cerche sulla latitudine, stimai opportuno di instituire un nuovo e più accurato esame sulle diverse parti dello stru- mento, per determinare con tutta la possibile esattezza gli elementi dei quali dovevà tenersi conto nel calcolo delle singole osservazioni. Le parti dello strumento, che a questo proposito ri- chiedevano di essere più accuratamente studiate, erano la T. II. 52 410 Lorenzo Respighi flessibilità dell’ asse ottico del cannocchiale meridiano, la forma e disposizione dei perni attorno cui gira il cannoc- chiale stesso, la graduazione del circolo, e la posizione e stabilità dell’ alidada o del circolo portante i nonii. Oltre di che restavano a studiarsi i piccoli movimenti cui poteva andar soggetto lo strumento per mancanza di stabilità nella fabbrica su cui è appoggiato. In quanto alla flessione del cannocchiale non potendosi per mancanza di spazio far uso di collimatori disposti oriz- zontalmente o con varie inclinazioni , non potevasi deter- minare nè il coefficiente di flessione , nè la legge seguita dal valore della medesima secondo le diverse altezze ; e perciò non potevano direttamente determinarsi le correzio- ni da applicarsi in rapporto a questo elemento alle distan- ze zenitali osservate. La forma però del tubo a doppio tronco di cono, e la sua robustezza e simmetria mi facevano ritenere poco sen- sibili gli effetti della flessibilità del medesimo; e di ciò rimasi tanto maggiormente persuaso, quando ebbi costan- temente verificato, che fissando il cannocchiale prossima- mente in direzione orizzontale, e collimando uno dei fili equatoriali prontamente sopra un oggetto di mira ben di- stinto e lontano, tanto al Nord che al Sud, il filo si manteneva immobile sopra V oggetto pel lungo tempo du- rante il quale il cannocchiale veniva lasciato in tale po- sizione, e che tale immobilità si otteneva non solamente quando il cannocchiale veniva passato prontamente dalla posizione verticale, in cui era rimasto per lungo tempo, alla orizzontale , ma anche quando veniva portato dalla posizione orizzontale verso il Nord alla orizzontale verso il Sud , e viceversa da questo a quello. Infatti nei tubi costrutti di questa guisa, se può pro- dursi flessione, non sembra probabile che questa si pro- duca all’ istante in cui il tubo prende una determinata inclinazione colla verticale , senza presentare negli istan- ti successivi alcun incremento; mentre anzi sembra assai probabile che la flessione si produca gradatamente , e che perciò continui per un tempo più o meno lungo ad ac- Sulla latitudine geografica 41 1 crescersi , anche dopo che il cannocchiale trovasi già fissa- to nella voluta direzione. E questo aumento graduato nella flessione è poi a ritenersi tanto più probabile nel caso, in cui il cannocchiale è trasportato dalla direzione orizzontale verso il Nord a quella verso il Sud e viceversa , dovendo in quésto passaggio cambiare il senso della flessione stessa. Quantunque questi fatti mi conducessero nella persua- sione che nel tubo del nòstro cannocchiale meridiano o non esistesse^ flessione , o che gli effetti della medesima fossero sensibilmente compensati dagli opposti incurvamenti dei due tronchi del tubo ; cionullaineno trattandosi di una ricerca tanto delicata, come era quella della latitudine, non ho creduto conveniente di trascurare questo elemento. E siccome non poteva sperarsi di determinare nel debito mo- do 1’ influenza che esso avrebbe potuto esercitare nei ri- sultati delle osservazioni , mi proposi di scegliere nella mi- sura della latitudine quei processi , nei quali fossero o totalmente , od almeno in gran parte eliminati gli effetti della flessione del cannocchiale. La forma, le dimensioni e le disposizioni dei perni, da cui è determinato 1* asse di rotazione del cannocchiale , vennero studiate per mezzo del livello dell’asse stesso, dopo di avere con tutta la possibile accuratezza determi- nato il valore delle sue parti o divisioni , e dopo di avere accertata 1* esattezza delle sue indicazioni. Per ottenere il valore di ogni parte del livello in arco od angolo, si fissava il livello stesso nei debito modo sul- Y alidada, e per mezzo della vite che serve alla rettifica di questa , si davano all’ alidada ed al livello diverse in- clinazioni , che vinivano misurate sul circolo graduato man- tenuto immobile, leggendo ad ogni inclinazione le divi- sioni corrispondenti alle due estremità della bolla. Da una numerosa ed accurata serie di tali osservazioni si è dedot- to che il valore della parte del livello in tutta la divisio- ne del medesimo può ritenersi molto prossimamente equi- valente a 0",846 , e su tale valore si sono basate le ricer- che relative ai perni. Primieramente appoggiato il livello sui perni si faceva 412 Lorenzo Respighi girare il cannocchiale, disponendolo col suo asse in varie inclinazioni coll’ orizzonte, leggendo per ogni inclinazione le divisioni terminanti la bolla; e da varie serie di osser- vazioni fatte in diverse epoche si è constatato, che durante la rotazione del cannocchiale la bolla rimaneva immobile o pressoché immobile, non presentando che piccolissimi spostamenti, che rare volte superavano una divisione , senza mai oltrepassarne due. Con. ciò veniva provato che i perni del cannocchiale ave- vano la figura prossimamente cilindrica , e che i loro assi di figura erano molto prossimamente coincidenti sulla stessa linea. Restava però a verificare se i loro raggi erano egua- li , o se avevano qualche differenza e quale fosse il valore di questa. A questo scopo, disposto il cannocchiale in direzione prossimamente orizzontale , veniva per mezzo del livello de- terminata P inclinazione del suo asse di rotazione, dedu- cendola col solito metodo dell’ osservazione del livello di- retto ed invertito; poscia colle debite cautele si invertiva la strumento, e si determinava nuovamente per mezzo del livello P inclinazione dell’asse. Questa operazione, ripe- tuta molte volte coll’ obbiettivo rivolto ora al Nord ora al Sud , ed in quelle circostanze nelle quali si poteva garan- tire P immobilità dei cuscinetti su cui poggiano i perni, ha condotto a questo risultato, che il perno posto dalla parte del circolo e dell’ alidada ha un diametro di piccolissi- ma quantità maggiore di quello dell’ altro perno ; essendosi trovato che il livello si mantiene più alto dalla parte del circolo di circa 3g,ll;iiche porta la linea d’ appoggio del livello sui due perni inclinata sull’ asse comune di questi di un angolo corrispondente ad ld,56 ossia di 1",32. Con questo dato e colla distanza dei due punti medi di appoggio dei perni misurata in 0m,8910 si deduce la differenza di raggio nei medesimi di 0OT, 0000061 ; cosicché il perno unito al circolo deve ritenersi di altrettanto più grande del raggio dell’ altro. La piccolezza di questa differenza, mentre attesta^ la grande esattezza con cui sono lavorati i perni , ci autorizza Sulla latitudine geografica 4-13 poi a ritenere che per riguardo alla forma e disposizione di questi non si abbiano a temere sensibili influenze nelle osservazioni delle distanze zenitali. La graduazione del circolo è fatta sopra un lembo d’ ar- gento di 3' in 3'; e per mezzo di quattro nonii disposti alla distanza di 90° si può ottenere la misura degli ango- li di 2" in 2". Le divisioni sono molto nitide, di modo che si può col nonio stimare la loro coincidenza anche di 1" in 1". L’ esattezza della graduazione nelle singole parti non ha potuto essere constatata con metodi diretti per mancanza dei necessari apparati , e per la grande difficoltà di farne la opportuna applicazione. Le letture fatte ai quattro nonii presentano qualche sensibile differenza secondo le varie altezze a cui è diretto il cannocchiale , e di ciò è senza dubbio causa il non es- sere il lembo graduato perfettamente piano, ed il non conservarsi totalmente centrata I* alidada durante la rota- zione del cannocchiale. Per valutare convenientemente le influenze che queste cause, congiuntamente a qualche possibile imperfezione nella graduazione del circolo, avessero potuto produrre nelle misu- re degli angoli, si è primieramente ricorso alla misura della differenza di declinazione di stelle fondamentali, e princi- palmente poi all’ osservazione diretta e per riflessione della medesima stella, determinando nella stessa notte e nelle cir- costanze più opportune, il principio di numerazione con una serie di stelle tanto dalla parte del nord quanto dalla parte del sud, dalle maggiori alle minori altezze. Più tardi quando lo strumento venne provvisto di un micrometro a fili illuminati si intrapresero serie di confronti tra il prin- cipio di numerazione determinato colla riflessione dei fili, e quello determinato dalle osservazioni dirette e per rifles- sione di stelle prese a varie altezze. Quantunque da tali confronti siensi ottenute general- mente delle differenze abbastanza piccole, ristrette sempre entro i 2", ciò nullameno avendosi a temere per questo lato una qualche influenza nelle distanze zenitali , si è 414 Lorenzo RespigUi creduto necessario di scegliere nella misura della latitudi- ne quel sistema di osservazione, in cui meno sensibili rie- scissero tali influenzerò in cui più probabilmente si potesse ottenere fra le medesime una conveniente compensazione. I pilastri che portano il circolo meridiano sono innestati sopra un robusto arco a sesto piuttosto acuto , impostato verticalmente, da una parte sopra uno spigolo esterno della torre che costituisce 1’ osservatorio, e dall’ altro sopra un grosso muro interno, ad un’ altezza di circa 40 metri dal suolo. L’ enorme altezza alla quale trovasi collocato il circolo meridiano , se per una parte procura il vantaggio di avere il meridiano interamente libero fino all* orizzonte dalla parte del nord e coperto soltanto per 2° circa dalla, parte del sud per le circostanti colline, ed il vantaggio di un cielo più puro e trasparente specialmente nella stagione inver- nale, per altra parte però arreca il notevole danno di to- gliere allo strumento la necessaria stabilità. Quantunque la torre su cui poggia il circolo, per la grande estensione della sua base, per la sufficiente gros- sezza dei muri esterni, e per io stabile concatenamento di questi per mezzo di robusti muri interni, che ne ripar- tiscono la capacità in otto diversi ambienti , venga a co- stituire un corpo di fabbrica di grande stabilità e robu- stezza, poco soggetto a tremiti ed oscillazioni, ciò nulla- meno è fuori di dubbio che le diverse parti della medesima, e specialmente quella su cui poggia il circolo meridiano, vanno soggette per effetto di temperatura durante la gior- nata, massime nella stagione estiva, a piccoli movimenti, che si rendono sensibili dai livelli e dalla mira di questo strumento ; dai quali è constatata una oscillazione diurna nell’ asse di rotazione tanto in azimut che in altezza, non che una piccola oscillazione nell’ alidada. L’ oscillazione verticale dell’ asse è la più sensibile , mentre nella stagione estiva può arrivare fino ai 6", e ta- lora agli 8" nelle circostanze di improvvisi cambiamenti di temperatura; con che si rende necessaria la frequente determinazione dell’ errore di orizzontalità, per renderne in- dipendenti i risultati delle osservazioni. Sulla latitudine geografica 415 I movimenti del circolo in azimut e quelli dell5 alidada sono meno sensibili, ma più incomodi a determinarsi, in quanto che F uso dei collimatori , anche quando se ne potesse fare F applicazione, riescirebbe inefficace, perchè sarebbero anche questi soggetti a simili movimenti. Due sono le cause che sembrano principalmente con- correre a produrre questi movimenti , e cioè la differenza di temperatura cui sono esposti durante il giorno i due piloni che sostengono F arco, e la differenza di tempe- ratura dei pilastri e dei cuscinetti che sostengono lo strumento. Uno dei piloni, essendo formato dallo spigolo della torre che guarda all’Ovest, nelle ore pomeridiane va soggetto ad un forte aumento di temperatura; mentre l’altro es- sendo formato da un muro interno mantiene per tutta la giornata una temperatura pressoché costante. È probabil- mente questa la causa principale per la quale si produce nelle ore pomeridiane un innalzamento nel perno occiden- tale dello strumento, seguito poi nelle ore posteriori fino a notte avanzata da un successivo abbassamento. La camera meridiana è molto angusta ; e perciò il pila- stro col cuscinetto occidentale, trovandosi poco lontani dalla parete fortemente riscaldata dal sole nelle ore pomeridia- ne , possono andar soggetti ad una temperatura sensibil- mente più elevata di quella dell’ altro pilastro e dell altro cuscinetto, e quindi concorrere in tal modo colla causa, dianzi accennata, a produrre F oscillazione osservata nel grand’ asse dello strumento, tanto in orizzontalità quan- to in azimut, non che i piccoli movimenti osservati nel- F alidada. Se nella collocazione di questo strumento si avesse avuto riguardo all’ influenza dell’ irraggiamento solare durante la giornata sulle diverse parti della torre, certamente si sa- rebbe trovato per esso una ubicazione più conveniente del- F attuale ; poiché invece di collocarlo nell’ angolo occi- dentale della torre , si sarebbe collocato nell angolo o- rientale, nel quale tali influenze di temperatura si sareb- bero ottenute nelle ore antimeridiane, e non già come al 416 Lorenzo Respighi presente nelle ore più opportune alle osservazioni , e cioè nelle ore della sera e della notte; poiché in allora al so- praggiungere di questa lo strumento sarebbe già ridotto allo stato normale, o pressoché normale. Per queste sfavorevoli condizioni 1’ uso di questo strumen- to riesce molto gravoso , richiedendo , specialmente quando trattasi db osservazioni assolute , frequenti verifiche nel- Y orizzontalità , nell’ azimut e nel principio di numerazio- ne , ed obbligando 1’ osservatore alle più scrupolose caute- le per ottenere risultati meritevoli della necessaria fiducia. Questi inconvenienti però si presentano per lo più nella stagione calda e nei subitanei cambiamenti di temperatu- ra , mentre poi o non si presentano affatto od in grado molto debole nella stagione fredda, nella quale o lo stru- mento si conserva nella dovuta stabilità per intervalli di tempo bastantemente lunghi , od almeno i piccoli movi- menti cui va soggetto sono più regolari , e facili a de- terminarsi. Allo scopo di evitare, od almeno di ridurre al minimo le sinistre influenze, che queste varie sorgenti di errore avrebbero potuto esercitare nella determinazione della lati- tudine, anziché basarmi per la misura di questa sopra i risultati di un copioso materiale di osservazioni , ho cre- duto invece opportuno di limitarmi alla discussione di quelle osservazioni, che per la natura loro e per le favo- revoli circostanze in cui vennero fatte promettevano risul- tati meritevoli di maggiore fiducia , e più probabilmente e- senti dalle incertezze dipendenti dalle imperfezioni dello stru- mento e dalle sfavorevoli condizioni del suo collocamento. In relazione a ciò si è stabilito di dedurre il valore della latitudine per mezzo del circolo meridiano con tre distinte serie di osservazioni, poco numerose è vero, ma meritevoli di molta fiducia, perchè fatte con tutte le debite cautele per renderne i risultati indipendenti dai piccoli difetti del- lo strumento, dall’ effetto di instabilità, e dalle incertezze nella determinazione della rifrazione atmosferica. La stella fondamentale a del Cigno essendo vicinissima al parallelo di Bologna , e la sua declinazione essendo del- Sulla latitudine geografica 417 le meglio conosciute , è stata scelta come oggetto della prima serie dì osservazioni , nelle quali il valore della latitudine veniva dedotto dalla differenza tra la nota de- clinazione della stella e la sua distanza zenitale misurata col circolo al passaggio meridiano. La culminazione di questa stella essendo vicinissima al zenit , restava esclusa -dai risultati ottenuti nella misura della sua distanza zenitale , qualunque influenza di flessio- ne del tubo , e qualunque incertezza nella correzione vo- luta dalla rifrazione. Per la determinazione del principio di numerazione non si è creduto opportuno di ricorrere al metodo dell’ inver- sione dello strumento, perchè questa incomoda operazione avrebbe dovuto ripetersi quasi ad ogni osservazione a ca- gione della instabilità dello strumento stesso , senza la spe- ranza poi di ottenere il punto zenitale colla necessaria esattezza per le anomalie che spesso si verificano nelle in- dicazioni dei livelli sulle quali essa è interamente appog- giata, e per la probabilità di piccoli spostamenti dei cu- scinetti su cui viene ad ogni inversione appoggiato coi perni il peso totale dello strumento. Non potendosi usare il metodo della riflessione dei fili per mancanza di micrometro a fili illuminati, si è usato quello delle osservazioni delle stelle tanto direttamente che per riflessione sull’orizzonte a mercurio, deducendo il princi- pio di numerazione dalla semisomma dei due archi letti in entrambe le osservazioni. E per rendere il punto zenitale cosi determinato più indipendente dalle possibili inesattezze di graduazione, si è sempre cercato di dedurlo dal risultato me- dio di tali osservazioni fatte sopra stelle a varie altezze, tanto dalla parte del nord quanto da quella del sud. Di più si è sempre procurato di eseguire questa operazione poco tempo prima e poco dopo 1* osservazione della stella , per renderla indipendente dai movimenti dello strumento , quantunque si avesse ragione di ritenerli generalmente insensibili; perchè in queste osservazioni si sceglievano le epoche dell anno e le ore della giornata in cui lo strumento si mantiene ordinariamente immobile o pressoché immobile. 418 Lorenzo Respiohi Finalmente allo scopo di rendere i risultati di queste osservazioni sempre più indipendenti dalle imperfezioni del- lo strumento, o piuttosto per ottenere più probabilmente compensate le influenze di queste , si è creduto opportuno di usare io strumento col circolo graduato ora all* est ora all* ovest , ma nell5 uno e nell* altro modo si sono trovati risultati quasi identici. Quantunque la declinazione dell’ a Cigno si possa rite- nere come una delle meglio accertate, ciò non ostante potendo tuttora rimanere nella medesima una qualche in- certezza, che tutta verrebbe a scapito dell’ esattezza del valore della latitudine da essa dedotto , si è creduto neces- sario di ricavare colla seconda serie di osservazioni il va- lore della latitudine indipendentemente dal valore assoluto della declinazione delle stelle, deducendolo dalle distanze zenitali di stelle circumpolari nei loro passaggi superiore ed inferiore. A questo oggetto si è scelta la polare, i cui passaggi meridiani, tanto superiore che inferiore, effettuandosi a con- veniente altezza non lasciavano temere ragionevoli dubbi sul calcolo della rifrazione ; perchè meglio che nelle altre stelle circumpolari si potevano sperare le distanze zenitali indipendenti dagli errori dello strumento e dalla sua insta- bilità, e perchè rimanendo la stella per lungo tempo nel campo del cannocchiale si potevano su di essa in ogni pas- saggio prendere molte collimazioni circummeridiane, che ridotte al meridiano somministravano col loro medio un valore più probabile della cercata distanza della stella al zenit. Anche in queste osservazioni nella determinazione del principio di numerazione si è creduto conveniente di ri- correre al metodo delle osservazioni dirette e per rifles- sione sul mercurio, anziché a quello più incomodo e per noi almeno meno esatto dell’ inversione ; e per rendere 1 risultati delle osservazioni indipendenti dai movimenti, che per avventura avessero potuto prodursi nell’ alidada nel- 1’ intervallo compreso dall’ istante dell’ osservazione a quel- lo della determinazione del punto zenitale od orizzontale, Sulla latitudine geografica 419 si è creduto opportuno di effettuare questa durante le os- servazioni della stella e coll’ uso della medesima, facendo alternativamente le collimazioni circummeridiane una di- retta e V altra per riflessione. Volendosi però seguire questo metodo , tanto pel passaggio superiore quanto per 1* inferiore, necessariamente ne con- seguitava che tali osservazioni dovevano limitarsi a quel- T epoca dell’ anno, nella quale entrambi i passaggi si effet- tuavano durante la notte, per potere convenientemente os- servare la stella per riflessione. Tale circostanza si presentava specialmente nei mesi di Novembre e di Dicembre , nei quali se si aveva lo svan- taggio di potere eseguire poche osservazioni pel tempo nuvoloso e nebbioso in allora assai probabile nel nostro clima , si aveva però in essi la favorevole condizione di una quasi assoluta stabilità dello strumento, e quindi la fiducia di ottenere i risultati di queste indipendenti dalle principali sorgenti di errore. In queste osservazioni poi si rendevano meno temibili le influenze di flessione nel tubo , perchè in entrambi i passaggi tanto nelle osservazioni dirette che nelle osserva- zioni per riflessione, 1’ asse del medesimo si manteneva prossimamente alla stessa inclinazione colla verticale. Così pure gli archi letti nell’ osservazione diretta e per riflessione corrispondendo prossimamente alla distanza di 90°, si rendeva più probabile una compensazione nelle ine- sattezze di graduazione; tanto più che si è cercato di combinare una serie di osservazioni fatte col circolo al- 1* ovest con una serie di osservazioni fatte col circolo al- 1* est,i risultati delle quali si sono trovati in conveniente accordo. Quantunque nelle due suaccennate serie di osservazioni si siano usate tutte le possibili cautele per renderne i ri- sultati non influenzati , uè dalle imperfezioni delle parti principali dello strumento , nè dalla instabilità del mede- simo, ciononostante avuto riguardo alla moltiplicità delle sorgenti di errore , ed ai varii modi con cui queste pote- vano concorrere a produrre nella misura delle distanze 420 Lorenzo Respjghi zenitali delle stelle inesattezze , che quantunque piccolis- sime per se stesse, pure non sono trascurabili nelle ri- cerche relative alla latitudine, il cui valore deve essere spinto al massimo grado di approssimazione , poteva tutto- ra rimanere un qualche piccolo dubbio sull’ esattezza dei risultati in proposito ottenuti, e restava perciò il deside- rio di procurare a questi una valida conferma con risultati ottenuti da osservazioni che potessero ritenersi assolutamen- te indipendenti da queste sorgenti di errore. Nel 1859 studiando i diversi modi coi quali si potreb- bero ottenere le distanze zenitali delle stelle, che passano al meridiano assai vicine al zenit , senza 1’ uso di circoli o settori graduati , ma col semplice uso del micrometro, e senza 1’ uso poco sicuro della inversione del canqocchia- . le , trovai che potevasi trarre profitto dai grave difetto della grande elevazione dal suolo , a cui trovasi collocato il nostro circolo meridiano, per ridurlo con una sempli- cissima modificazione a funzionare anche come un cannoc- chiale zenitale, atto a somministrare la distanza al zenit delle stelle circumzenitali col solo uso del micrometro , e senza bisogno di determinare il punto zenitale, nè coll’ uso di livelli, nè coll’ uso dell’ inversione, ma col solo metodo della riflessione de’ fili sull’ orizzonte a mercurio. Quantunque in una Nota relativa io abbia di già fatto conoscere verso la fine del 1860 a questa Accademia ta- le modo di osservazione, ed i vantaggi da esso attendibili , ciò nulla meno credo necessario di darne anche qui un breve cenno, perchè venga convenientemente giudicata la terza serie di osservazioni da me instituite sulla nostra latitudine. Nel grand’arco, a cui sono innestati i pilastri del cir- colo meridiano , e precisamente sotto la parte centrale del- lo strumento, senza arrecare il menomo danno alla stabi- lità del medesimo , si è praticata un’ apertura elittica coll’ asse maggiore secondo il meridiano ; e lo stesso si e fatto nelle volte di tre ambienti sottoposti, in modo che venne così praticato , per una profondità di circa 20 metri sotto 1’ asse del circolo , un foro dittico verticale , pel quale Sulla latitudine geografica 421 il cannocchiale meridiano, rivoltò verso il nadir, poteva trasmettere sopra un orizzonte a mercurio, posto all* estre- mità del foro a 20 metri circa sotto V obbiettivo, i raggi luminosi dei fili del micrometro convenientemente illumi- nati; cosicché facendo coincidere un filo equatoriale colla sua immagine si otteneva dal medesimo il nadir o la di- rezione della verticale. Diretto così il cannocchiale sul nadir, rimanendo del tutto libera la parte settentrionale del foro, le stelle che culminavano dalla parte del nord alla distanza di pochi minuti dal zenit, potevano essere osservate per riflessione sul mercurio sottoposto, senza bisogno di muovere il can- nocchiale; onde collimando sull’ immagine delle medesime un filo equatoriale mobile, si otteneva la sua distanza dai nadir dalla distanza del filo mobile a quello fissato sulla verticale. In tale modo la distanza della stella al zenit veniva misurata coll’ uso del solo micrometro, senza bisogno del circolo graduato, e quindi con tutti quei maggiori vantag- gi che il primo può presentare in confronto dell’ ultimo. Il micrometro a fili illuminati, di cui è fornito il nostro circolo, è di buona costruzione, ed è formato di sette fili fissi prossimamente equidistanti e paralleli al meridiano, con due fili equatoriali vicini e parimenti fissi , con due fili mobili , uno parallelo ai primi T altro agli ultimi. Le viti micrometriche dei fili mobili presentano un movimen- to abbastanza regolare, e la loro testa porta un circolo di- viso in 60 parti. Questo micrometro può applicarsi al cannocchiale tanto nel modo ora indicato , quanto in direzione perpendicolare, e cioè coi sette fili perpendicolari al meridiano; ed appun- to nelle osservazioni superiormente accennate veniva data al micrometro quest’ ultima disposizione, per ottenere più esteso il campo del cannocchiale nel senso del meridiano, onde osservare per riflessione le stelle culminanti anche a distanze maggiori di 15', e specialmente per osservare Va del Cigno distante dal nostro parallelo di circa 17'. Con questo metodo è stata instituita la terza serie di 422 Lorenzo Respighi osservazioni sulla nostra latitudine, deducendo il valore di questa dalla differenza tra la declinazione nota dell’ a Cigno e la sua distanza zenitale misurata col micrometro senza 1’ uso del circolo. Con questo metodo di osservazione sembrami ragionevole Io sperare di raggiungere i seguenti vantaggi. 1. ° La distanza zenitale è determinata coli’ uso del sem- plice micrometro , e quindi con quel maggiore grado di approssimazione che questi possono procurare in confronto di quello che può ottenersi coi circoli o settori graduati. 2. ° Il cannocchiale rimanendo nella stessa posizione, tanto nella determinazione dei Nadir quanto nell’ osservazione della stella, la misura della distanza zenitale assoluta di que- sta si riduce ad una semplice osservazione differenziale. 3. ° La collimazione sul nadir e l’ osservazione della stella potendosi d’ ordinario effettuare quasi simultaneamente , vengono eliminati gli errori dipendenti dalle variazioni di temperatura , e dall’ instabilità dello strumento , od almeno si possono facilmente constatare e valutare nel caso che per avventura si presentassero. 4. ° La determinazione della verticale ottenendosi per mez- zo della riflessione dei fili sull’ orizzonte a mercurio, si può raggiungere in essa quel maggior grado di precisione , di cui è suscettibile questo metodo in confronto di tutti gli altri che possono a tale operazione applicarsi. 5. ° Per la collimazione della stella, avendo 1’ osservatore disponibile un sufficiente intervallo di tempo, può approfit- tare nell’ effettuarla del momento in cui 1’ immagine di questa si presenta nelle migliori condizioni di forma e di stabilità ed avere una verifica dell’ esattezza di essa colli- mazione nella continuata coincidenza della parte centrale del- 1’ immagine coi filo. 6. ° La distanza zenitale, così misurata, è indipendente dalla flessibilità del cannocchiale, rimanendo questo in direzione verticale. A questi vantaggi poi deve aggiugnersi quello della gran- de facilità e speditezza colla quale si ottiene direttamente la distanza zenitale della stella , senza bisogno di altre cor- Sulla, latitudine geografica 423 rezioni che quella piccolissima richiesta dalla rifrazione at- mosferica. Che se in questo modo di osservazione gi richiede che la stella, invece di essere osservata direttamente, lo sia per ri- flessione sul mercurio, ciò per altro è fatto in condizioni assai favorevoli , perchè 1’ orizzonte a mercurio può essere conve- nientemente difeso dall’ influenza del vento e delle altre cause di oscillazione, che generalmente si presentano nella camera di osservazione , qualora siasi costretto di collocare in essa V orizzonte suddetto , oltre di che si possono al me- desimo facilmente applicare quegli apparati che valgono a distruggere , o ad impicciolire ed abbreviare le oscillazioni ed i tremiti cui può essere soggetta la superficie riflettente. La coincidenza dei risultati ottenuti dalla serie di os- servazioni fatte sull* a Cigno, e la piccolezza dell’ errore probabile ricavato per le medesime ha pienamente giusti- ficato le speranze da me concepite su questo metodo di misurare le distanze zenitali , e mi ha condotto nella per- suasione, che applicando il medesimo con cannocchiali di grande portata, forniti di eccellenti micrometri, ed usando gli opportuni artifici per rendere stabile la superficie riflet- tente del mercurio, si potrà conseguire nella misura della distanza zenitale delle stelle quel grado di precisione che è necessario per le più delicate ricerche di astronomia e di geodesia. L5 a Cigno distando dal nostro parallelo di oltre a 17', si è trovato necessario di determinarne la distanza zenitale nel seguente modo. Disposto, come sopra si è indicato, il mi- crometro in guisa che i sette fili fissi riescissero precisa- mente equatoriali si determinava il nadir col II filo, e collimando il filo mobile sull’ immagine della stella riflessa, si determinava in ogni osservazione la distanza di questo al VI filo che riesciva da esso poco distante; sommando quin- di la distanza nota del II al VI filo con quella del filo mo- bile al VI , applicata la piccola correzione voluta dalla ri- frazione , si otteneva così la cercata distanza della stella al zenit. Per maggiore sicurezza si è talora creduto opportuno. 424 Lorenzo Respighi specialmente quando la stella passava al meridiano nelle prime ore della sera , nelle quali difficilmente si poteva de- terminare in antecedenza il nadir in causa della instabilità del mercurio, nel quale non si avevano apparati da estin- guere ed impicciolire le oscillazioni , si è credulo opportu- no dico di collimare invece sull’ immàgine della stella il filo VI, e di determinare poscia il Nadir col filo mobile , che riesciva perciò vicino al II filo; cosicché misurata la sua distanza a questo , e sommandola colla distanza nota dal filo II al VI colla correzione di rifrazione, si otteneva così la distanza zenitale della stella. L’ esattezza dei risultati di queste osservazioni essendo interamente appoggiata sulla conoscenza della distanza ango- lare del filo II al VI, e sulla conoscenza del valore delle parti della vite micrometrica del filo mobile , si è posta la massima cura nel dedurre questi dati , i quali sonosi ri- cavati da numerose ed apposite serie di osservazioni fatte ai passaggi meridiani della polare. Disposto il micrometro nel modo voluto per le ordinarie osservazioni meridiane, e cioè coi sette fili fissi paralleli al meridiano, rettificato colla massima diligenza lo strumento, si osservava il tempo del passaggio della polare ai sette fili e si ottenevano perciò gli angoli orarii ad essi corrispon- denti, col valore dei quali e colla nota declinazione della stella si ricavava poi la distanza angolare dei fili stessi. L’ accordo trovato fra i singoli risultati di queste osser- vazioni ci assicura della grande approssimazione con cui si potevano ritenere determinate queste distanze, cognite le quali, si è dal numero delle rivoluzioni della vite del filo mobile, loro corrispondente, dedotto il valore in angolo di ogni rivoluzione e quello delle sue parti o divisioni. Non è poi a tacersi come nell’ accordo constatato fra le di- stanze rispettive dei fili ed il numero della rivoluzioni della vite alle medesime corrispondenti, sia stata comprovata la regolarità del movimento della vite micrometrica. Accennato cosi il metodo tenuto nelle tre serie di osser- vazioni instituite sulla nostra latitudine, vediamo ora quali siano i risultati dalle medesime ottenute. Sulla latitudine geografica 425 Le osservazioni sull’ a Cigno per mezzo del circolo me- ridiano furono intraprese nella fine dell’ Agosto 1 855 e con- tinuate sino al principio del Dicembre stesso anno , con varie interruzioni causate dalla contrarietà della stagione e da altre circostanze che qui tornerebbe superfluo F accennare. In ciascuna di queste osservazioni il principio di nume- razione è stato determinato colla massima accuratezza, per mezzo dell’ osservazione diretta e per riflessione di stelle a varie altezze, tanto dalla parte del nord quanto dalla parte del sud, deducendolo dal medio dei risultati parziali otte- nuti da ciascuna stella. I risultati di queste osservazioni sono contenute nel se- guente specchio , nel quale sono riferite le distanze zenitali della stella corrette dalla rifrazione , colle declinazioni corri- spondenti alla, medesima , che sono quelle date dal Nau- tìcal Almanac pel 1855, non che i valori da esse risultati per latitudine dell9 osservatorio. t. il. 54 4-26 Lorenzo Respighi SPECCHIO I. Osservazioni dell’ a del Cigno. Data Distanza ze- nitale Declinazione Latitudine 1855 Agosto 26 N.0°. 16'. 7",0 N. 44°. 46'. 1",0 N. 44°. 29'. 64", 0 29 8,5 1,8 53,3 Seti. 4 11,0 3,3 62,3 5 9,5 3,6 64,1 7 8,6 4,0 55,4 8 9,0 4,3 4,5 55,3 9 11,3 53,2 10 10,5 4,7 54,2 11 9,2 5,2 56,0 13 9,8 5,4 65,6 15 11,0 5,8 54,8 17 11,1 6,3 65,2 23 13,4 7,4 54,0 24 14,7 7,6 62,9 26 13,3 7,9 54,6 27 13,4 8,1 54,7 28 12,7 8,3 55,6 Ottob. 3 14,1 9,0 54,9 5 15,2 9,2 64,0 13 15,6 10,0 54,4 14 15,7 10,1 54,4 20 14,9 10,6 65,7 22 14,9 10,7 56,8 Nov. 27 15,1 9,1 54,0 28 14,5 8,9 64,9 Die. 5 12,7 7,8 55,1 Medio = N. 44°. 29'. 64",66 Da questo specchio si deduce che„ P errore probabile di ogni osservazione e di 0",637 ; e che T errore probabile del valore medio ottenuto per la latitudine e di 0",125, dal quale sarebbe determinato il grado di approssimazione con cui si potrebbe ritenere nota la latitudine del luogo dove è collocato il nostro circolo meridiano, se potesse conside- Sulla latitudine geografica 427 rarsi come esatto il valore assunto per la declinazione del- F a Cigno , e se i risultati delle osservazioni potessero ri- tenersi esenti dall’ influenza di sorgenti di errore sistema- tiche e costanti. La declinazione della stella osservata essendo senza dub- bio una delle meglio accertate, e le cautele usate nelle os- servazioni essendo tali da farci sperare, se non escluse tutte le sorgenti di errore , almeno ridotte in limiti molto ristretti le loro influenze, sembra ragionevole 1’ ammettere che il valore trovato per la latitudine sia molto vicino al vero, e tale da non andare soggetto nelle ulteriori determinazioni che a piccole correzioni. La seconda serie di osservazioni , cioè le osservazioni sulla distanza zenitale della polare nei suoi passaggi meri- diani superiore ed inferiore furono cominciate nel 1855 al principio del Novembre , epoca nella quale la stella poteva essere osservata tanto direttamente che per riflessione sul mercurio in entrambi i passaggi. Rettificato lo strumento, e posta la massima cura nel rendere il filo di collimazione per le distanze zenitali esat- tamente equatoriale,, ad ogni passaggio meridiano si osser- vava la stella un certo numero di volte prima e dopo il passaggio stesso , collimando sulla medesima il filo equato- riale, notando F istante della collimazione, e leggendo sul circolo a ciascuno dei quattro nonii F arco corrispondente. Queste collimazioni venivano fatte alternativamente sulla stella e sulla sua immagine riflessa dal mercurio; e si procurava che le medesime riescissero per quanto era possi- bile vicine al meridiano ; non omettendo, quando le circo- stanze lo permettevano, di farne presso a poco un egual numero nell’ uno e nell’ altro modo, e di fare corrispon- dere prossimamente gli angoli orarii delle prime a quelli delle seconde. Queste osservazioni furono continuate, con quella mag- giore regolarità che la stagione permetteva, sin verso la fine del Dicembre 1855; si dovettero quindi sospendere pel cattivo tempo sopraggiunto. In quasi tutte queste osserva- zioni il circolo si è mantenuto coll’ alidada alF ovest, Lorenzo Respighi mentre soltanto nel giorno 13 Dicembre se ne fece F in- versione, dopo la quale non furono possibili che poche os- servazioni. Prima di utilizzare i risultati di queste osservazioni per la determinazione della nostra latitudine , era mio desiderio di procurarmene una seconda serie di quelle fatte col cir- colo invertito , ossia coll’ alidada all’ est ^ per ottenere maggiore probabilità di compenso fra i piccoli errori che tuttora si potevano temere prodotti dalle piccole imperfe- zioni dello strumento, e specialmente dalle piccole irre- golarità riscontrate nelle letture fatte ai quattro _nonii. Ma essendo breve in ciascun anno il tempo durante il quale tali osservazioni potevano effettuarsi , e di più cor- rispondendo il medesimo all’ epoca meno propizia alle os- servazioni astronomiche per la nuvolosità del cielo , non mi è stato possibile di mettere ad effetto questo divi- samente prima della fine dell’ anno scorso, perchè allora soltanto ho trovato la stagione abbastanza favorevole per ripigliare e continuare queste osservazioni per un certo nu- mero di giorni, e per ottenere così una serie di risultati che combinati cogli antecedenti avessero potuto arrecare maggiore fiducia al valore dedotto per la latitudine del nostro osservatorio. Gli archi letti in ogni collimazione tanto diretta che per riflessione venivano ridotti al passaggio meridiano colla correzione zt: r" relativa all’ angolo orario per mezzo di una tavola costrutta sulla forinola /' = 0",9817 t 2 sen 2 p nella quale t rappresenta F angolo orario in minuti, e p la distanza polare della stella. La semisomma del medio degli archi così ridotti per le osservazioni dirette, con quello degli archi ottenuti nelle osservazioni per riflessione, dava il principio di numerazione, da cui poi si otteneva la distanza zenitale al passaggio meri- diano dietro la correzione voluta dalla rifrazione atmosferica. Sulla latitudine geografica m La collatitudine è stata dedotta dalla distanza polare, data dal Nautical Almanac, separatamente per ciascun pas- saggio osservato, allo scopo di determinare separatamente P errore probabile per le osservazioni fatte al passaggio su- periore, e per quelle fatte al passaggio inferiore, onde poi tener conto del loro peso nel determinare il valore della collatitudine stessa; non potendosi attribuire alle une ed alle altre lo stesso peso, perchè fatte in condizioni diverse. Siccome però le osservazioni fatte al passaggio superiore sono presso a poco dello stesso numero di quelle fatte al passaggio inferiore, e corrispondono tutte alla stessa epo- ca , dal medio generale dei risultati ottenuti dalle due serie si può ritenere eliminato il valore assoluto della de- clinazione della stella, e quindi ritenere il valore dedotto per la collatitudine indipendente da qualunque incertezza di cui si potesse ritenere affetta la declinazione suddetta. Nei seguenti specchi sono riferite le distanze zenita- li della stella corrette dalla rifrazione, colle rispettive di- stanze polari date dai Nautical Almanac, congiuntamente ai valori da esse risultanti per la nostra collatitudine : sono pure dati i numeri delle collimazioni, tanto dirette che per riflessione, fatte sulla stella in ogni passaggio. Il primo di questi specchi risguarda i passaggi superiori , il secondo gli inferiori. 430 Lorenzo Re spighi SPECCHIO IL Osservazioni sulla polare al passaggio superiore. Data Numero delle osser- vazioni Distanza zenitale Distanza polare Collatitudine dirette | per rifles- sione 1855 Ott. 30 4 j 4 44°. 2'. 3 8", 5 1°. 27'. 26", 9 45°. 30'. 5",4 Nov. 2 4 i 3 39,3 25,8 5,1 7 5 ! 3 41,8 24,0 5,8 » 8 9 6 42,3 23,6 5,9 » 24 4 3 45,3 18,2 3,5 » 25 5 4 46,6 17,9 4,5 D 27 6 ! 3 47,9 17,4 6,3 Die. 4 5 ! 4 49,0 15,5 4,5 5 4 4 49,1 15,2 4,3 » 6 3 3 49,3 14,9 4,2 » 9 6 6 50,9 14,1 5,0 » 10 3 3 50,1 13,9 4,0 » 12 5 51,4 13,5 4,9 13 7 6 52,4 13,2 5,6 2 14 7 5 53,9 13,0 6,9 » 15 4 4 53,2 12,8 6,0 j) 16 5 4 52,7 12,6 6,3 19 4 3 63,0 12,0 5,0 » 20 4 4 52,6 11,8 4,4 1861 Die. 24 4 4 ' 44°. 4f. 58", 6 1°. 26'. 8", 2 6,8 » 28 5 fi! 69,5 7,6 7 ,1 » 29 6 7 58,1 7,5 5,6 » 30 4 4 68,1 7,4 6,5 1862 Genn . 2 10 9 69,3 7,3 6,6 » 5 13 10 59,0 7,0 6,0 » 6 11 6 58,9 7,0 6,9 7 12 9 57,4 6,9 4,3 Sulla latitudine geografica 431 SPECCHIO III. Osservazioni sulla polare al passaggio inferiore. Data Numero delle osser- vazioni Distanza zenitale Distanza Collatitudine polare dirette 1 per rifles- sione | 1855 Ott. 31 6 6 46°. 67'. 30", 4 1°. 27'. 26", 4 45°. 30'. 4",0 Nov. 1 5 4 30,9 26,0 4,9 » 2 4 4 29,7 25,6 4,1 » 7 10 7 30,3 23,8 6,5 » 24 3 3 22,2 18,0 4,2 » 25 3 3 22,3 17,8 4,5 » 26 4 ! 3 23,0 17,5 5,5 Dee. 4 4 ! 4 21,4 15,4 6,0 » 5 3 i 3 20,4 16,0 4,4 » 8 4 4 18,4 14,3 4,1 » 9 3 3 19,0 14,1 4,9 » 10 4 4 19,5 13,8 6^7 » 11 3 3 18,0 13,6 4,4 » 12 5 4 17,8 13,3 4,5 » 13 3 3 19,6 13,1 6,5 » 14 6 5 19,1 12,9 6,2 » 15 4 4 18,1 12,7 5,4 » 16 5 4 18,0 12,5 5,5 » 19 4 3 16,8 11,9 4,9 1861 Dee. 24 6 4 46°. 55'.f13",8 1°. 25'. 8",1 6,7 » 28 6 6 ' 14,0 7,5 6,5 » 29 10 10 13,0 7,4 6,6 » 30 11 6 11,9 7,3 4,6 1862 Gene. 1 7 g 12,0 7,2 4,8 » 5 10 7 13,7 8,1 5,6 » 6 12 7 12,0 8,2 3,8 432 Lorenzo Respighi Il medio dei valori ottenuti per la collatitudine dalle osservazioni fatte al passaggio superiore è 45°. 30'. 5", 31 coll’ errore probabile di 0",626 per ogni osservazione , e di 0",120 pel risultato medio. Il medio dei valori ottenuti per la collatitudine dalle osservazioni fatte nei passaggi inferiori è di 45°. 30'. 5",11 coll’ errore probabile di 0",561 per ogni osservazione, e di 0",110 pel risultato medio. L9 errore probabile di ogni osservazione , ottenuto pel complesso delle osservazioni tanto dei passaggi superiori che inferiori, è di 0",606, e l9 errore probabile del loro medio generale è di 0",0S3. La grandezza dell9 errore probabile delle osservazioni, specialmente di quelle fatte nei passaggi superiori della stella , sembra doversi principalmente attribuire alla circo- stanza di non essersi potuto ottenere sempre nella superfi- cie riflettente del mercurio la necessaria stabilità, in forza dei rumori e tremiti dominanti nell9 ora di osservazione. Applicando ai risultati speciali delle due serie il peso teorico corrispondente al loro errore probabile , si ottiene il valore della collatitudine di 45°. 30'. 5", 20, da cui si ha il valore della latitudine dei luogo dove è collocato il circolo meridiano di 44°. 29', 54", 80. L9 ultima serie di osservazioni, cioè quella delle distanze zenitali dell9 a Cigno osservata per riflessione colf uso del solo micrometro , fu intrapresa verso la metà del Giugno 1860; ma per motivo della stagione poco favorevole, e della necessità di usare lo strumento meridiano in altre operazioni, non si pQterono fare che poche osservazioni, le quali vennero sospese nel principio dell’ Ottobre se- Sulla latitudine geografica 433 guente; perchè cominciando la stella a passare al meridia- no durante il giorno, non era possibile ottenere nella su- perficie riflettente del mercurio la dovuta stabilità, non essendo a questo applicato alcun apparato atto ad estin- guerne, o ad impicciolirne le oscillazioni. Furono poi riprese queste osservazioni nel Luglio del- F anno seguente, e continuate con qualche interruzione sin verso la metà del Settembre successivo. In ogni osservazione, come già si è accennato, veniva colli- mato il filo VI del micrometro sui nadir, e quindi al passag- gio della stella si portava sulla sua immagine riflessa il filo mobile *, quindi si misurava la distanza angolare di questo al II filo. Quando però tornava più opportuno di osservare prima il passaggio della stella, si collimava sulla sua immagine rifles- sa il II filo, poscia si determinava il nadir col filo mobile, e si misurava la sua distanza dal filo VI. Si otteneva cosi la distan- za zenitale della stella dalla distanza nota del II filo al VI, sommata nel primo caso con quella del filo mobile al II , e nel secondo caso con quella del filo mobile al VI; applican- dovi però la correzione voluta dalla rifrazione. La distanza del filo II al VI, come già si è detto, venne determinata per mezzo di una serie di osservazioni fatte nei passaggi della polare , e si ottenne per le prime osser- vazioni nel 186(1 tale distanza di 876", 20; e nello stesso modo risultò il valore di ogni rivoluzione della vite di 22",4756. Per le osservazioni fatte nell’ anno seguente si ottenne la distanza del II filo al VI 876", 60 e il valore di ogni rivoluzione della vite di 22", 4762. Per maggiore sicurezza si è ripetuta questa misura alla fine delle due serie di osservazioni, e si sono trovati ri- sultati quasi identici agli antecedenti , non presentando con essi che differenze insensibili. Nei seguente specchio IV sono riferite le distanze zeni- tali così ottenute per la stella , unitamente alla sua decli- nazione , ricavata dalle Tavole di riduzione di Wolfers ( Astr. Jahrbuch 1861 ) col valore risultante per la lati- tudine. 434 Lorenzo Respighi SPECCHIO IV. Osservazioni sull’ a Cigno. Data Distanza zenitale Declinazione Latitudine 1860 Giugno 11 N. 0°. 16'. 52", §o! N. 44°. 46'. 48",27 N. 44°. 29'. 55", 37 16 53,62 49,81 56,19 18 54,51 50,41 55,90 20 56,44 51,01 54,57 Agosto 27 17.17,80 17.13,14 55,34 Settem. 11 22,11 17,07 54,96 16 23,20 18,06 54,86 22 24,96 19,21 54,25 23 24,26 19,39 55,13 26 23,94 19,95 56,01 28 24,70 20,33 55,63 Ottob. 1 25,93 20,75 64,82 1861 Luglio 17 20,60 15,44 54,84 18 20,14 15,77 65,63 19 21,32 16,13 54,81 21 22,27 16,81 54,54 23 22,77 17,49 54,72 24 22,77 17,83 55,06 26 23,27 18,16 54,89 26 23,31 18,50 55,19 30 24,28 19,85 55,57 31 24,78 20,18 55,40 Agosto 3 26,12 21,17 55,05 4 26,66 21,50 54,84 26,76 21,83 55,07 6 27,23 22,16 64,93 7 27,52 22,49 54,97 8 27,88 22,82 54,94 9 28,00 23,14 55,14 11 28,92 23,77 54,85 12 29,32 24,08 54,76 13 29,55 24,38 54,83 14 29,60 24,70 55,10 15 30,02 25,01 54,99 20 30,97 26,49 55,52 25 32,88 27,93 55,05 Settem. 18 38,76 33,88 55,12 Medio . . . N. 44°. 29'. 55", 10 Sulla latitudine geografica 4-35 Esaminando i diversi valori ottenuti da queste osserva- zioni per la nostra latitudine , si trova che oscillano tutti entro i due estremi 44°. 29'. 54", 25 44°. 29'. 56", 19, e che le massime differenze dei medesimi col loro medio generale arrivano appena al 1". Deducendo il valore della latitudine dal medio dei risul- tati di queste osservazioni , si trova il medesimo di 44°. 29'. 55", 10 coll9 errore probabile di 0",276 per ogni osservazione, e di 0",045 pel loro medio. Questi risultati, messi a confronto con quelli ottenuti dalle altre due serie di osservazioni, confermano manifestamente la superiorità di questo modo di determinare la distanza ze- nitale delle stelle, e mostrano quanto grande sia la preci- sione che dal medesimo può attendersi, qualora venga ap- plicato in condizioni più favorevoli, e con istrumenti di maggiore forza e precisione di quella del nostro circolo meridiano. Quantunque i risultati ottenuti con questo metodo pre- sentino un accordo molto superiore a quello trovato nelle osservazioni della polare , cionullameno non può inferirsene che il valore da essi assegnato alla latitudine sia da pre- ferirsi a quello ricavato dalle osservazioni della polare stes- sa; in quanto che esso è interamente dipendente dalla declinazione attribuita all9 a Cigno , e quindi soggette a quelle incertezze in cui può versare la declinazione me- desima. Essendo però questa stella una delle meglio determinate di posizione, non sono a temersi nella sua declinazione che piccoli errori, e perciò si può con molta probabilità am- mettere che il valore da essa dedotto per la nostra latitu- dine sia molto vicino al vero. 436 Lorenzo Respighi , Combinando i risultati ottenuti dalla due serie di osser- vazioni fatte sull’ a Cigno colla proporzianalità del peso teo- rico loro corrispondente, si ottiene per risultato medio la nostra latitudine di 44°. 29'. 54", 99; mentre dalle altezze del polo , ottenute dalle osservazioni della polare indipendentemente dalla sua declinazione , si ricava invece 44°. 29'. 54", 80. Se il primo risultato merita maggiore fiducia del secondo, pel migliore accordo presentato dalle singole osservazioni, ha però lo svantaggio di essere appoggiato sul valore della declinazione della stella. Ritenendo questi due risultati di eguale peso, si deduce dal loro medio la latitudine del- 1* Osservatorio di 44°. 29'. 54" 90. SUL BONIFICAMENTO DELLE PALUDI DEL PROF. COMMENDATORE MAURIZIO BRIGHENTI ( Letta nella Sessione del 19 Febbraio 1863. ) 1. Ija cagione principale della mal aria (salvo qualche rara eccezione ) , che genera le febbri endemiche delle paludi, è .tutta riposta nella stagnazione delle acque poco profonde, e specialmente distese in veli sottili. Comunque sia prodotta questa stagnazione , o dalla mancanza dei condotti di scolo, o dalle disuguaglianze naturali del suo- lo abbandonato, o dalla giacitura troppo bassa rispetto al recipiente ove recapitarle ; il fatto è che il suolo così ba- gnato , o anche solamente inumidito impaluda, e imputri- disce , come la esperienza costante dimostra d’ ogni paese. 2. Accrescono la potenza di nuocere ai terreni paludosi le acque contenenti sostanze minerali saline, come accade quando alle acque dolci si mescolano le salse del mare, o le polle minerali del suolo ; e senza ciò quando il suolo sottoposto agli stagni sottili contiene elementi minerali salini solubili, o sostanze animali e vegetabili putrefatte, e quando anche la umidità permanente del terreno, in ap- parenza asciutto, mantiene la disposizione a sciogliersi e vaporare , degli indicati elementi minerali o delle putredi- ni organiche , le quali abbondano in alcune marne , come 438 Maurizio Brighenti le salmastraje, e i mattajoni notati dall’ Illustre Prof. Paolo Savi , e in molte parti il suolo dell* Agro Romano , e del Volterrano in Toscana. 3. Perchè la stagnazione delle acque divenga più o meno nociva nelle suindicate condizioni, occorre un certo grado di calore, atto a promuovere P evaporazione delle sostanze organiche, o minerali con esse naturalmente mescolate o chimicamente combinate ; e questo grado di calore sembra la condizione , sine qua non dello svilupparsi il miasma paludoso , la cui essenza è tuttavia un mistero. Difatti nei terreni paludosi i più pestilenti si vive P inverno senza pericolo,, e le febbri non regnano ordina- riamente che dal Giugno all’ Ottobre ; che se in qualche altro mese dell’ anno per andamento straordinario delle stagioni , allora solo che alla umidità si congiunge un in- solito calore. Si osserva ancora: « Che nei paesi delle zone temperate ? esposti ai venti meridionali, il miasma è più intenso e pestilenziale che in quelli esposti ai venti settentrionali, come a cagion d’ esempio fra noi , lungo la costa meridionale del Medi- terraneo , a petto della settentrionale Adriatica. Forse per- chè in questa i venti affrici portano al mare , in quelle entro terra. « Che nei paesi freddi , come nella Svezia , nella Norvegia , nell* Olanda ec. si vive tutto V anno sulle gron- de degli stagni , quanto sulle terre alte. « Che in alcuni paesi aperti e ventilati , quantunque circondati da paduli , gli abitanti ne sono preservati , come ad Orbitello, a Livorno, a Comacchio , a Venezia ec. , onde 1* azione del vento libero sembra efficacissima a di- sperdere i miasmi , sebbene non basti in alcuni altri , ove le paludi siano salmastrose, come a Follonica, a Casti- glione ec. , esposti anch’ essi ad ogni vento in riva al mare. 4. Da queste considerazioni discende che la malsania delle paludi deriva da circostanze molto varie, e si com- pone di molti elementi , non bene determinati ancora , e che sarebbe follia il pensare , che riuscendo a liberare un Sul bonificamento delle paludi 439 padule da uno solo dei detti elementi si ottenesse di sa- nare il paese ; mentre ciò non potrebbe accadere che quando 1* elemento eliminato fosse il solo che la cagionas- se. Per contrario V eliminazione di uno , o anche più dei tanti elementi dai quali la malsania si produce potrebbe riuscire insufficiente a mitigarla , quando i rimanenti fos- sero per se bastevoli a generare il miasma che uccide, o troppo gravemente affligge la salute dell* uomo. Quindi è che lo studio delle scienze deve rivolgersi ad eliminarli tutti, o quel maggior numero che basti a preservare la sanità : e poiché la stagnazione delle acque poco profonde , e soprattutto diffuse in sottili falde è senza dubbio , come abbiamo notato , la cagione più generale della malsania dei terreni paludosi, conviene innanzi ad ogni altra cosa rivolgere V attenzione a rendere possibile lo scolo pronto delle acque siano delle pioggie , o di na- turali sorgenti , che mantengono il suolo bagnato , o sem- pre umido , e ciò s’ appartiene direttamente alla scienza e alla pratica della condotta delle acque. 5. La Toscana, che dopo i secoli bui fu la culla del risorgimento di ogni maniera di arti, e di sapere in Eu- ropa , precedette alle altre nazioni anche nelle migliori pratiche pel risanamento delle terre palustri , cagione in ogni tempo di pubbliche cure per le umane infermità che ne derivano , e per lo squallore che le domina. L5 Alighieri e il Boccaccio deploravano gli Spedali delle Chiane , di Sardegna i mali , e le pestifere maremme lun- go il lido del mare Etrusco , ove una volta sorgevano città popolate e famose per antichissima civiltà. Di presente si veggono trasformate in ridenti fertilissime e salubri le terre delle Chiane., e sanate lungo il littorale la maremma Lucchese , e la Pisana ; e le pianure di Cecina e Vada selvose ed inospite , trent5 anni sono , convèrtite in belle campagne con case e abitatori crescenti , nè più con- dannati a migrare per Y aria letale dei mesi estivi. 6. È un lagrimevoie fatto, che dalla Spezia a Gaeta (tra- lasciando di parlare di molte altre parti d’ Italia, e delle sue isole) la spiaggia sottile marina siasi poco a poco rial- 440 Maurizio Brighenti zata per le terre trasportatevi dalle acque delle circostanti montagne e forse anche, in grado minore, per la torba che si crea e rigonfia nei luoghi paludosi abbandonati, o per qualche sollevamento terrestre parziale, e sia ingros- sata senza regola e modo tanto da invadere la gronda dei mare , e convertirla in paludi e macchie sempre più esi- ziali , fino ai di nostri inospite , o con rari e malsani abi- tatori. Il fatto è lagrimevole ma troppo vero , e le paludi Mi- turnesi , le Pontine , le Talamonesi , di Grosseto , di Scarli- no, di Follonica, sono anche oggi sopra le altre per la mal’ aria vitande, e di mala voce. Nè si può dire , che da quando cessarono le abborrite feudalità , i Governi che vi succedettero abbiano mancato di desiderio e di sollecitudini per sanarle. In questa To- scana i Granduchi vi diedero opera più o meno continua; ma solo negli ultimi ottant’ anni si fece manifesto, e pro- gressivo il bene , che oltre 1’ inavvertita opera della natura, dalle meditazioni de’ sapienti e dalla esperienza maestra doveva scaturirne e scaturì. 7. Vittorio Fossombroni chiamato dal l.° Leopoldo a pro- porre il da farsi pel bonificamento delle Chiane , col pro- fondo sapere , e col tatto pratico che aveva delle cose d’ arte e di Stato, fece capitale della sentenza pronunciata due secoli prima dal Torricelli « non potersi le Chiane redimere che rialzandone il suolo » e suggerì di metterla in atto col- V opera dei Torrenti tributari che vi versavano le loro pie- ne, sopratutto dei maggiori 1’ Esse, la Foenna, e il Salar- co dalla gronda meridionale alla settentrionale , portando una fetta di terra più grossa all’ origine verso Chiusi, e ma- no mano più sottile discendendo verso la Chiusa dei Mo- naci , il cui salto doveva gradatamente abbassarsi secondo il progredire della col inazione. Questo magistrale concetto , dottamente e diffusamente esposto nelle sue memorie sulla Val-di-Chiana , fu attuato sul principio da Lui medesimo ; e in seguito da’ suoi successori ; fra’ quali merita particolare menzione il Sig. Commendatore Alessandro Manetti, che prima eseguì per nove anni i la- Sul bonificamento delle paludi 441 vori in qualità cT Ingegnere, poi n’ ebbe dal 1838 la di- rezione generale fino al 1859. Fu tale il successo conseguito sin qui da potersi dire quasi perfettamente sanata quella famosa e vastissima palude (lunga Miglia 25, larga 3), la quale « per vendemmia festante , ed oliteti » è già divenuta il granajo della Toscana, e popolata quant’ altra mai. 8. Leopoldo II. bramosamente inteso a vantaggiare ogni parte della Toscana, oltre avere seguitate le opere intra- prese dal Padre e dall’ Avo nelle Chiane, e altrove, rivolse con grande animo le sue cure alle Maremme del Littorale, e specialmente alla Grossetana di 34 miglia quadrate di estensione, ricorrendo ai consigli dello stesso insigne Idrauli- co Fossombroni. Questi esultante del grande risultamento ot- tenuto colle colmate nelle Chiane per tanti secoli pestilen- ti, suggerì di valersi delie torbide straordinariamente co- piose deli’ Ombrone per sanare anche la Maremma di Gros- seto mediante due o tre diversivi , senza trascurare le tanto minori della Bruna e della Sovata che già le versavano a foce aperta nella parte settentrionale. Fortificò il suo sug- gerimento colle dotte e splendide dimostrazioni e coi par- ticolari , che si leggono nel suo discorso pubblicato dal Tar- tini nel 1838, e lo persuase al benefico Principe si forte- mente, che senza esitazione si accinse alla grande opera, affidandone la direzione allo stesso abilissimo Sig. Manetti , il quale dal 1829 al 1859 lo mandò ad effetto colle cure indefesse, e colla cognizione che lo resero tanto onorato da tutti gl’ intendenti. In questi 30 anni ottenne coi due diversivi , il primo delle Bucacce aperto superiormente a Grosseto, il secondo inferiormente a quella Città di colmare 24 miglia quadrate del detto padule che comprendono una grandissima parte del lago di Castiglione , i cui bassi fondi sono i più remoti dalla imboccatura dei due diversivi , e che teneva colle acque stagnanti infestata, per dirlo col Fossombroni, quasi cadavere putrescente , la mediana e infima parte dello stesso padule. Non ha P Italia, nè forse l’Europa più grandiosa col- mata di questa di Grosseto , e fu uno stupore a chi 1’ ebbe T. II. ^6 4-4-2 Maurizio Brighenti recentemente osservata tanto innanzi, e in tempo sì bre- ve , con immancabile e non lontano risultamento di vederla trasformata in una popolata ,■ e fertilissima contrada , da non invidiare alle più ricche e lodate. 9. Nondimeno sembrerebbe da non credere , che coi ri- sultamenti delle Chiane sott’ occhi , e con tanto evidente e grande risultamento della colmazione Grossetana, potesse nascere il dubbio , che quel modo non fosse V unico possi- bile e conveniente , e che guardando a certi fatti speciali si sia da tre anni in quà pensato a sospenderne, o dimi- nuirne gli effetti , sostituendovi ( a gravissimo costo ) quasi principale ed eroico rimedio la precauzione, in se, utilissima, di separare mediante cateratte a bilico le acque dolci dalle marine , che specialmente a mar-grosso s5 introducono nelle più basse parti del padule. Ma quelle cateratte, mentre impediscono la miscela delle acque salse colle dolci , lascia- no intero il padule, e non potrebbero sanarlo dopo mille secoli , sussistendovi la causa primaria delle infezioni , e la impossibilità di coltiyarlo , per la stagnazione delle ac- que (1) reggasi la nota in fine. 10. Il fatto speciale a cui si guardò è stato che Bernar- dino Zendrini ebbe le mille benedizioni dai Lucchesi , quan- do nel passato secolo suggerì di separare le acque dolci dalle marine colla cateratta alla Burlamacca , perchè videro pron- tamente diminuirsi le febbri endemiche intermittenti, che travagliavano nelle stagioni estive , specialmente calde e piovose , la popolazione campestre , e crescere rapidamente il paese di Viareggio per lo innanzi scarsissimo di abitatori a cagion dell* aria insalubre. Le burrasche , e le maree invadevano prima i piani bassi aderenti al lido di superficie disuguale , e con qualche sta- gno d’ acqua dolce sottile; e nel ritirarsi lasciavano quà e là inzuppate le terre di un velo d’ acqua marina , e nei laghetti rimaneva la salsa mescolata alla dolce. Periva quin- di su quei piani ( nel resto per natura sani ) la vege- tazione delle erbe domestiche , e per gli ardenti raggi del sole in quel clima meridionale da esse terre e specialmente dagli stagni si generava una vaporazione conosciuta ab an . fico nociva alla salute umana. Sul bonificamento delle paludi 443 Impedita colla cateratta principale , e colle minori po- ste in seguito a tutti gl’ ingressi dell’ acqua marina , e con ogni maniera d’ ostacoli la mescolanza delle due acque, ca- gione accidentale della malaria, si ottenne una grande di- minuzione delle solite endemie , le quali disparvero, si può dire affatto , quando gli agricoltori più sicuri poterono li- vellare e scolare le loro terre , e specialmente dopo l’ atter- ramento dei boschi dai quali erano ingombrate in varie parti. E lo Zendrini consigliava e propugnava , oltre la sepa- razione delle acque dolci dalle salse , questo diboscamento con argomenti invincibili , convalidati dalla grave autorità del Poleni , e superando le calde e ostinate difficoltà che gli si mossero contro , dichiarava in modo risoluto la loro utilità immancabile , e non potersene temere alcun pericolo. Furono difatti atterrate, e diradate le macchie che in- gombravano quei piani ; ed or si veggono livellati e ventila- ti , che prima coll’ impedimento degli alberi al libero corso deli* aria , e colle disuguaglianze del terreno che vi si ge- nerano al piede, e colle ombre, mantenevano più lungamente F evaporazione delle foglie e degl’ insetti putrefatti del sot- toposto suolo acquitrinoso , ed erano un fòmite principale delle ricorrenti infermità annuali. 1 1 . Non credo che possa esser dubbio alcuno. Nelle terre pianeggianti 1’ ingombro delle macchie ( utilissime , e tal- volta necessarie nei monti) è una delle cagioni più efficaci a generare la malaria , onde vediamo nell’ insalubre agro Romano ivi essere più micidiali le febbri, ove lussureggia- no i boschi , come avvertiva il Brocchi. E s’ intende subito dalle indicate cagioni : perchè gli alberi a bosco permanente alzano colle radici il terreno intorno a se , e fanno tanti tumuli che tolgono la possibilità alle pioggie di scolare; esse stagnano quindi in veli sottili, e si corrompono len- tamente nelle regioni meridionali per lo dominio dei venti caldi, vaporando esseri organici putrefatti, sia dalle foglie che cadono al loro piede , sia dagl’ insetti che vi si anni- dano, ed accartocciano. Considerando inoltre che ove sono acque sottili sta- gnanti di qualunque natura siano , ivi domina sempre più Maurizio Brighenti 444 o meno la malsania come avvertirono gli antichissimi filo- sofi, e concordemente tutti i successori fino a noi, sareb- be contraddire alla osservazione, e alla continua esperien-, za di tutti i tempi il credere indifferenti, non che gio- vevoli le macchie nelle terre pianeggianti a mantenere la salute , particolarmente dei climi caldi come il Toscano dalla Spezia a Gaeta. Non ho insistito sull* impedimento che fanno al corso libero dei venti d’ ogni rombo, sebbene ognuno sappia che la ventilazione giova a disinfettare i drappi infetti dei Laz- zaretti , e le Cliniche degli Spedali , nè sui coni nebbiosi che sorgono di buon mattino-dalie macchie, più alti e per- severanti delle aperte campagne ^he^ le circondano. Queste secondarie cagioni d’ infermità derivano sopratutto dalla sta- gnazione delle acque , e però accrescono il copvincimento della necessità di estirpare i boschi nelle pianure per risa- narle , procacciando il corso libero ai venti da ogni lato. 12. È stato osservato che le acque in moto si manten- gono di temperatura più bassa delle stagnanti in veli sot- tili, probabilmente per la mutazione dei punti di contatto, e forse nel muoversi impediscono o mitigano le composi- zioni e decomposizioni chimiche dalle quali derivano gli effluvi generativi del miasma paludoso. Il certo è che vi bisogna un tale grado di calore a pro^ durli, e che si vedono costantemente svilupparsi sotto la sferza del sole cocente le malattie maremmane più o meno letali , come notammo di sopra. Sembrerebbe quindi un’ assai utile e però degna ricerca il fermare colle osservazioni termometriche il grado di ca- lore, dal quale ha comincialo ento il pericolo delle morbose esalazioni sia dei terreni apparentemente asciutti , come nell’ agro Romano , sia de’ paludosi di ogni paese ; e quanto cresca al crescere di ogni grado di calore la copia dei malefici effluvi, ed ogni loro fase. Le dotte discussioni e le meditazioni di filosofi sapien- tissimi hanno dato lume a questa oscura e disputabile ma- teria ; e nondimeno convengon tutti concordemente , celarsi nel mistero 1’ essere de’ miasmi. Quanto alle cagioni non Sul bonificamento delle paludi 44-5 potersi dubitare che dipendono dal grado di calore delle terre bagnate, o umide, sopratutto se sono mescolate alle acque sostanze saline solubili , cadaveri animali , o vegeta- bili e in modo particolare di alghe marine , come osservava lo stesso Professore Savi , notando specialmente, con altri fisici , che le morbose esalazioni di cui si tratta sono ordi- nariamente accompagnate dallo sviluppo del gas idrogene solforato. 13. Senonchè è ancor troppo poco a trovar modo di pre- servarsene , e questa parte della fisica abbisogna di altre ed altre investigazioni, e osservazioni. Ciò peraltro che la esperienza ha posto fuor di contrasto, il ripetiamo volen- tieri , è che ove le pioggie e le sorgenti abbiano pronto lo scolo , ivi generalmente parlando P aria è sana. E quanto a me credo fermamente che l’Agro Romano (e ogni altro simile) sul quale in amplissime estensioni non si veggono acque stagnanti , se fosse appianato , livellato , ove occorre diboscato, e munito di regolari condotti di scolo parziale e generale, non sarebbe tanto micidiale come si deplora, e diverrebbe a poco a poco coltivabile e popolato. Vediamo ivi quel suolo vulcanico tutto tumultuoso, ondeggiato e generalmente arido, senza tracce di scolo generale e parti- colare; il che fa credere non essere mai stato che parzial- mente coltivato, come oggi si pratica a rotazioni lunghe di cereali quà e là , ove lo strato coltivabile è più profon- do nelle parti più depresse; essendo sottilissimo nell’ ele- vate ed atto solo al prato, o al pascolo stabile. Le pioggie che vi cadon sopra in copia si radunano nel fondo delle bassure , lasciando in asciutto le più alte parti , in queste bassure si mantiene lungamente l’umidità, anche nella stagione estiva, germogliandovi più fitte le gramina- cee, e tutte le pratensi, le frutticose e i rovi ec. ec. ivi per P abbandono, oltre la natura del terreno in molti siti misto a sostanze minerali , si annidano e marciscono inset- ti , e vegetabili , e il solleone li fa putrefare , e vaporare abbondantemente si, che P aria ne rimane appestata. Cer- tamente la copia dei vapori è tanta che nelle prime e nelle ultime ore del giorno si vede la campagna romana sepolta 44 6 Maurizio Brighenti nella state in un mare di nebbia da chi la guardi dai colli alti , coni* è avvenuto a me più volte. Onde mi pare che ove quelle terre fossero livellate , ap- pianate e munite di condotti di scolo, e forse anche di fo- gnature ( che oggi dicono con vocabolo strano drenaggio ) diminuirebbero le infezioni dell’ aria, e potrebbero grado grado coltivarsi rimestandone spesso coll’ aratro la superfi- cie e per 1’ altezza del solco il fondo , che le pioggie annue abbondanti laverebbero, e purgherebbero fino a renderle del tutto sane. Ricordo che il Brocchi riferiva essere 1’ America prima della scoperta incolta, selvosa, generalmente malsana, colla popolazione scarsa , infermicela , e con deboli animali. Co- minciate dopo la scoperta la distruzione delle foreste , e le coltivazioni colla regolare condotta delle acque essere poco a poco risorta , ed oggi toccare il colmo di prosperità ma- teriale e di popolo sano e robustone di civiltà da non in- vidiare alle più lodate parti d’ Europa. 14. Il Fossombroni considerando che a Roma si vive sanamente in ogni stagione nei quarti più frequentati, e si ammala d’ estate ne’ luoghi dalla parte centrale remoti, attribuiva principalmente alla popolazione maggiore o mi- nore il tanto diverso grado di salute che vi si gode. Nè al fatto si può contraddire : ma la maggior popolazione del cuor di Roma, sebbene contribuisca probabilmente alla mag- giore salubrità, mi sembrerebbe sul principio un effetto piuttostochè una cagione. Nel centro i palazzi altissimi , le strade nette e bene selciate, le acque pure e immonde condotte prontamente sotterra, impediscono del certo 1’ esalazioni del suolo mal- sano ; e i venti di fuori , se infetti , da qual parte venga- no , corrono lungo le vie incanalati fra le alte mura dei fabbricati che le fiancheggiano, onde la malsania propria e delle campagne circostanti portano lontana ne’ luoghi mal difesi , che sono appunto i più remoti della città , con fabbriche più rare, e ville frequenti, e campi aprichi, e colli, e boscaglie. Insegnò la esperienza ai Romani di te- nersi raccolti nella meglio riparata parte della Città. E ere- Sul bonificamento delle paludi 447 do bene anch’ io che il loro continuo movimento, i fuochi, T andare e venire dei carri e delle carrozze concorrano a mantenervi meno disuguale la temperatura fra le prime e le ultime ore del giorno e le mezzane, e forse a miglio- rare F aria ; non meno che F abbondanza dell" eccellente acqua potabile concorra a mantenervi la longevità. Ma le ville isolate intorno alla Città, e le case nella campagna si abbandonano nella state, ancorché fornite in copia di ottima acqua potabile; e nei piccoli e rari paesi sparsi qua e là gli abitanti si tengon riuniti e riparati per guardarsi quanto è possibile dalla mal-aria ; si osserva qual- che coltivazione permanente delle terre livellate e scolate intorno a quei paesi ; ma tuffati in un ambiente d’ infe- zione generale non possono preservarsi abbastanza; pure riescono in parte a salvarsi. Il che a me pare possa venire in ajuto , e confermare ; lo scolo e la cultura del suolo essere il più potente rimedio contro la malsania; e quan- do fosse universalmente praticato nell’ agro Romano riusci- rebbe a mitigarla sul principio, e finirebbe col fugarla interamente. 15. Ho parlato dell’ agro Romano più lontano dal mare, e suscettibile di scolo. Le paludi Pontine, a cagion d’ e- sempio, hanno tali difficoltà che solo l’andare dei secoli potrà vincere. Sono più di 70 anni che il grande animo di Pio VI, do- po di avere speso un millione e seicentomila scudi del pub- blico erario per liberare la via Appia e F agro Pontino dalle acque e dalle infermità, decretava di affidarne la cura agl’ interessati enfiteuti , parendogli conseguito F in- tento principale. Ciò fermava di poi il Governo Francese succedutogli , decretando sui terreni della bonificazione ese- guita la tassa di uno scudo per rubbio, il 12 vendemmia- le dell’ anno settimo. Ma nè F una nè F altra disposizione ebbe effetto per F opposizione degli interessati , quantun- que le successive amministrazioni dei lavori pubblici ab- biano sempre insistito fino agli ultimi anni affine di man- darla in atto. Ciò perchè quella bonificazione è beji lungi dall’ essere compiuta , sebbene colle opere eseguite eransi 44$ Maurizio Brighenti conseguiti fino dal 1810 sessanta Kiiometri quadrati di seminativi, stabilmente conquistati sulle acque, e ottanta di buoni pascoli oltre i vallivi : ma vi dura la malaria. Ho voluto toccare questa parte di storia di quel fa- moso bonificamento, che diede occasione alla dotta opera del Prony des marais pontini per mettere in aperto che gli sforzi dei Governi, degli scienziati, e dei pratici non ottengono prontamente lo scopo, quando le condizioni na- turali son ritrose ostinatamente alla umana volontà. 16. Principale ostacolo alla perfetta sanazione delle pon- tine è la mancanza delle torbide, colle quali rialzare il suolo basso e acquitrinoso posto a livello dell’ ordinario pelo del mare che le costeggia. Dalla grande sistemazione di Pio VI , e dalla cura costante de9 successori si sono ot- tenuti grandissimi profitti , ma a benefizio dei possessori del suolo , ai quali toccherà per giustizia la spesa del mantenimento , finora sostenuta dallo Stato. Ma la salubri- tà non vi è abbastanza avvantaggiata. E quand9 anche si corregga l9 error capitale di aver .sottoposta la Linea ( reci- piente generale degli scoli ) ai rigurgiti dei due fiumi in- feriori l9 Uffente e l9 Amaseno , e si risolva la deviazione delle acque di Sermarreta e del Teppia dal circondario interno , mentre sarà allora conseguita la maggior possibile facilità di scolo di quelle terre, la malaria non ne verrà sensibilmente mitigata. Vedete nella qui unita pianta altimetrica, commessa agli allievi della scuola degl9 Ingegneri di Roma, e diretta da quel solenne Maestro che fu Giuseppe Venturoli , come apparisca a colpo d9 occhio l9 impedimento allo scolo delle parti inferiori per rigurgiti dell9 Uffente e dell9 Amaseno che a pelo ordinario arrivano alla milliaria 53, e in tem- po di piene al foro Appio, 20 miglia lontano lungo il canale della Linea . Il che vi confermerà quanto importi alla Idraulica la esatta, e minuta cognizione dei fatti, e l9 obbligo singolare che si deve a quell9 insigne nostro col- lega e concittadino vostro per aver potuto ordinare e di- rigere quella rete di punti livellati sui pelo basso del ma- re , che mostrano alla prima occhiata la prevalenza d9 ogni Sul bonificamento delle paludi U9 punto della superficie del suolo , sulla superficie infima del mare, e il modo di provvedervi, quanto è possibile, portando 1’ ultimo tronco del canal della Linea unito al canal della Botte a sboccare nella foce in mare del porta- tore di Badino. Nè vi maraviglierete, che ai sommi idrau- lici che v’ interloquirono, al Prony penultimo, neppure al Venturoli ultimo (mancato a’ vivi prima che quel pre- zioso tipo altimetrico fosse compito ) sfuggisse di rilevare quell* errore che dovetti avvertire io , e suggerirne il ri- medio, considerando che in quella vastissima pianura di 303 Kilometri quadrati, con tante acque di sorgenti, di fiumi , di fosse di corso lento o stagnanti , non vi bastasse 1* osservazione sul luogo, ma vi occorresse di sottoporre agli occhi raccolto ogni particolare per abbracciarne col- la mente le vere condizioni , e giudicarne con intera co- gnizione. Questo sin qui dimenticato monumento di gloria del Venturoli ho voluto richiamare alla vostr’ attenzione, e fare che sia onorevolmente conservato fra gli atti della nostr’ Accademia. Ho tralasciato di unirvi la simile carta altimetrica del circondario esterno , per P ordinamento del- le acque del Teppia e di Sermoneta , come tanto meno importanti a quelle del circondario interno, e perchè avrei in animo di parlarvene in un* altra tornata. 17. Ho qui sopra ripetuto, che non basterà il regola- mento degli scoli per cacciare la malsania , e rendere pos- sibile la cultura permanente delle terre. Fra il mare e il fiume Sisto, che determina il circondario interno a mez- zodì , vi sono amplissime pianure colle macchie di Cisterna e Terracina, con larghi stagni, e terreni incolti e non li- vellati e scolati , dalle quali emanano in copia malefici effluvi , che i venti meridionali dominanti vi trasportano , e divengono letali nella stagione estiva. Il livellare , dibo- scare, scolare, e colmare quanto si potrà quella vastis- sima estensione, e le parti più depresse dello stesso cir- condario interno colle scarsissime torbide dei tributari che vi si versano, è opera necessariamente lentissima da mi- surarsi più colle centinaja, che colle decine degli anni. 450 Maurizio Brighenti Ivi sarà utile d’ impedire la miscela delle acque dolci col- le salate del mare , ovunque avvenga in falde sottili , la- sciandola seguire liberamente ne’ canali profondi comuni- canti coi mare ne’ quali non nuoce, e anzi giova pel continuo movimento che vi si opera, a mantenere netto dalle piante palustri il fondo dei canali medesimi. Ma insisto a dire che non saprei contare sopra risul- tamenti rapidi; e la naturale impazienza dei viventi non lascia sperare una cooperazione premurosa per i beni fu- turi. Nondimeno ini vo confidando che la costanza del Governo vi supplirà, e che tutto il suolo Pontino se non tornerà sollecitamente alla incerta prosperità da qualche grave istorico celebrata , renderà la massima parte di quel- le terre ( in se fertili ) abitabili costantemente , d’ onde ne seguirà poi il compito sanamento. E volentieri mi sono , forse troppo , diffuso sulle par- ticolari condizioni delle Maremme Toscane e Pontine per dedurne, che a mio sommesso parere importano princi- palineute al bonificamento delle paludi d’ ogni paese le osservazioni e le pratiche seguenti : CONCLUSIONE 1. Lo scolo pronto delle acque è la condizione essen- ziale, conosciuta in tutti i tempi , della salubrità dell’aria, e della cultura permanente delle terre. Si adempie a questa condizione , quando vi sia la pendenza necessaria nota a tutti i pratici, coi condotti di scolo parziale , e generale, e coll’ appianamento del suolo, ove sia impedito dalle naturali disuguaglianze della super- ficie ; siano queste cagionate dalle acque torbide vaganti , e sparse irregolarmente, o dallo spontaneo nascere e mo- rire delle piante che germogliano nel suolo abbandonato, o dalle macchie , o da qualche avvallamento e sollevamen- to parziale recentemente notato dai Geologi. 2. Ove la naturale giacitura bassa del suolo non consenta di ottenere lo scolo pronto colle affossature e coll’ appia- namento, conviene rialzarlo regolarmente dall’ alto al basso Sul bonificamento delle paludi 451 colle torbide dei fiumi. Questo rimedio è di esito infallibile, di effetto generalmente assai lento a petto della umana im- pazienza, e sempre proporzionato alla copia più o meno abbondante delle torbide medesime. Le torbide dei fiumi sono generalmente sanissime, per- chè lavate e rilavate nelle acque correnti ; ove più ove meno fertilizzanti , sempre sicure pel fine principale di ren- dere possibile lo scolo delle terre. 3.° Ove manchino affatto, o siano scarsissime le torbide dei fiumi come nell’ agro Pontino, e nelle maremme To- scane fra P Osa e il confine Romano e altrove, conviene colla livellazione del suolo e con ampie fosse di scolo ri- durre le acque al più basso luogo possibile, ivi contenerle in cavi o bacini artificiali a sponde pressoché verticali , tanto che vi stagnino profonde oltre a un metro sotto P in- fima superfìcie, nel tempo della massima siccità estiva. Siffatti bacini lungo i lidi sottili del mare potranno ordinariamente condursi sul cordone littorale presso le dune o tomboli cavando larghe e lunghissime fosse della detta profondità arginandole colla terra dello scavo dalla parte della campagna interna, colle foci degli scoli superiori mu- nite all9 ingresso nel bacino di cateratte in bilico , o ferme secondo le circostanze. Se queste fosse o bacini potranno mettersi in comu- nicazione continua col mare, sicché vi entri e vi esca nelle maree, e nelle burrasche, senza soverchiare l* argi- natura verso terra, le aque dolci del recipiente costrette a stagnare, saranno allora tenute in perenne movimento, e la miscela delle acque dolci colle salate riuscirà innocua alla salute, e anzi utile a impedire la vegetazione delle piante palustri, la cui estirpazione riesce di costo grave, e ricorrente ogni anno. Ove poi non si possa conseguire il qui accennato mo- vimento continuo dalla comunicazione libera del bacino col mare , potrà essere utile 1* applicazione delle macchine idro- vore a mantenere costantemente vuoto il recipiente , o con tale profondità d’ acque che impedisca le nocive esalazioni. Nelle qui indicate località e nelle simili, non dovrebbero 452 Maurizio Brighenti mai trascurarsi le colmate , sebbene scarsissime, della parte superiore, contenendole in angusti recinti da venirsi am- pliando grado grado, e queste piccole colmazioni colle af- fossature , e cogli appianamenti contribuiranno ad affrettare il bonificamento compiuto. 4.° Sempre ove segua 1* accidentale miscela delle acque dolci colle salse del mare, dovrà impedirsi colle cateratte in bilico, e condurre le acque minerali delle sorgenti in- terne separate dalle dolci, e solo permettersi quando si possa esser certi di mantenere la miscela in movimento continuo con profondità sufficiente sia per opera del natu- rai corso delle acque interne, sia del va e vieni delle acque marine. A queste considerazioni fui tratto dalle calorose que- stioni mosse in Toscana per la bonificazione delle marem- me, che dal 1859 al 1863 diedero tanta materia alla stam- pa , e agli esperti , quantunque si trattasse di osservazioni , e di pratiche universalmente conosciute. Nè mi farete debito di avervi ripetute cose notissime, pensando che vi presi parte per ordine del Governo, e che T ufficio comandato era di tornare in via le opinioni disviate con troppo grave risentimento pubblico, e dell9 erario. NOTA Quando cessò la vecchia Direzione delle Acque e delle Strade, e vi fu nel 1859 sostituita la nuova, il Governo Toscano vi unì una Commissione a capo della quale fu posto il distinto Idraulico Comm. Gaetano Giorgini. Da quella Commissione fu stabilito , che si curasse con ogni diligenza la separazione del- le acque dolci dalle salate del mare, senza però sospendere o diminuire la colmazione. Su di che pienamente convenne il Chiarissimo Presidente succeduto io quella Direzione. E ciò volentieri noto, dolente però che nella esecuzione siasi poi in realtà fatto prevalere alla massima stabilita di non sospendere o diminuire le colmazioni di Grosseto , quella di servire all’ impedimento della miscela suddetta, proclamata come eroico rimedio: giacché fu di fatto sospesa per lungo tempo 1’ azione dei due diversivi , ed oltreciò chiuso di poi 1* inferiore Emissario di S. Leopoldo , con grave danno , e richiamo del popolo malcontento. Nè di ciò potrebbe trovarsi altra cagione in un animo nobilissimo, che l’amor dei sistemi tanto fatale in ogni tempo ai progressi del sapere. E noi, non ab- biamo veduto la Medicina dianzi briaca per gli stimoli di Brown , poi esangue per le contrarie dottrine ? e con quanto maggior danno della sospesa , o impe- dita colmazione di Grosseto! DELL’ USO RAGIONEVOLE DELLA LEVA NELL’ OSTETRICIA MEMORIA DEL PROF. CAV. GIAMBATTISTA FABBRI (Letta nella Sessione del 9 Aprile 1863.) Aguzza qui, lettor, ben gli occhi al vero; Chè’l velo è ora ben lènto sonile. Certo che ’l trapassar dentro è leggero. Dante. Purg. Cant. Vili. c V4orre appena la voce d’ un9 invenzione, che pregio acquista di maggiore utilità a cose già conosciute ; ed eccoti qualcuno là pronto a venir fuori col poco benevolo : Facile inventis addere. Eppure la facilità del nuovo trovato, d’or- dinario, è apparente ma non reale. Centinaia e migliaia di persone videro , ed ebbero per le mani le cose com’ erano prima : perchè dunque non passò pel capo o non venne fatto ad alcuno di aggiustarle con quel niente , che le fa essere più gradevoli , o più vantaggiose ? Eh ! forse 1’ indovina chi ha quel proverbio più spesso per un lenitivo de’ pruriti del- l’ amorproprio , che per un dettato sincero della persuasione. In grazia delle continue punture del bisogno, la stu- penda potenza empirica dell’ uomo partoriva le arti ; da queste nascevano le scienze; e le une e le altre si giova- vano d’ aiuti scambievoli per crescere e andare innanzi. Contuttociò 1’ arte dell’ inventare non ha precettori; e il far del nuovo non è faccenda da ogni dì. Ora , se tutte le arti e le più nobili discipline colla lentezza de’ progressi attestano delle difficoltà che le hanno 454- Giambattista Fabbri impedite ad ogni passo; fermamente P Ostetricia non è stata tra le più fortunate; chè ben sapete. Colleglli umanissi- mi, come solo nel cinquecento abbia cominciato a uscire di fanciullezza. È vero che quello che ha poi guadagnato in questi' tre secoli, e specialmente in quest’ ultimo seco- lo e mezzo, contrasta a meraviglia colla povertà in cui si giacque da Ippocrate sino a Pareo. Contuttociò i suoi progressi non sono tutti il prodotto di trovati veramente nuovi di pianta. I più non sono che perfezionamenti o giudiziose applicazioni di cose adopera- te, o dette da molto tempo, e che nondimeno hanno stentato per arrivare ad essere quello che sono. E valga il vero. Quando Pareo colla parola e coll9 esempio (1) fece che si accettasse la regola di rivolgere ed estrarre per li piedi il feto vivo ; questa operazione era conosciuta da secoli (2). Unica differenza era, che stimavasi buona soltanto pel fe- to già morto. Quando Sigault propose (1768) e poscia eseguì ( 1777) il taglio della sinfisi del pube ; l9 operazione era già ac- cennata in Galeno ; se n9 era veduto l9 effetto nel cadavere di donne deformi , morte senza che avessero potuto par- torire (3); e forse si sapevano casi di rottura di quella sinfisi, accaduta da se e molto a proposito tra le doglie di un parto difficile. Quando i medici di Londra proposero il parto precoce artificiale , e Maculay lo intraprese pel primo (4) , si co- ll) Thesaurus Chirurgiae per Petrum Uffenbachium. Francofurti An. 1610. pag. 513. Op. Ambrosii Parei. De hominis generatione Lib. 23. Cap. 26. De foetus , tum vivi , tum morlui chirurgica ab utero exlraclione. (2) A. Corn. CeJsi Medicinae libri octo, ex recensione Leonardi Targae Fa- lavii Typ. Semin. 1769. Lib. 7.° § 29. pag. 467. In altre edizioni Cap. 29. Qua ratione partus emortuus ex utero excutiatur. (3) Velpeau. Trailé compiei de Pari des accouchements. Bruxelles pag. 444. Symphyséotomie. n (4) An introduction to thè practice of Midwifery. by thè late Thomas ve - man. London 1832. pag. 318. Secondo quest’autore la risoluzione favorevole a questa pratica data dal 1756. Deli/ uso della leva nell* ostetricia 455 noscevano di certo due cose: il modo di rompere il corso alla gravidanza; e il benefizio di un parto precoce spon- taneo in donna mal conformata di catino. Quando alcuni anni prima vennero fuori il fòrcipe e la leva; leve e tanaglie non erano ordegni sconosciuti alle arti. La stessa Chirurgia ne aveva. L ’ uncus che Celso de- scrive dove insegna di cavare la pietra (1) è, in piccolo, una leva ostetrica molto curva; e la pietra è per la ve- scica e pel tramite della ferita, quello press’ a poco che, per 1’ utero e pel canale della vagina, è il corpo e massi- me il capo del feto. Da un altro lato, non solo possedeva la Chirurgia ta- nagliette a branche separate da introdurre una per volta nella ferita dove s’ annida un corpo estraneo (2) ; ma gli Arabi , prima (3) , e molto più tardi il Rueff (4) avevano già parlato e dato le figure di lunghe tanaglie di varie maniere , per tirare il feto alla luce. Di che può ben dirsi che fa stupore come il forcipe e la leva abbiano badato tanto tempo a comparire. E noi dobbiamo proprio dolerci del lungo ritardo, posto che alla presenza loro era serba- to che P Ostetricia mutasse sostanzialmente di forma. È vero che P Arte ( stata sovente condannata o a quella prudenza che confina coll’inerzia, o alla dura necessità de’ mortiferi uncini e tiratesta ) fatta un bel giorno pa- drona di ordegni cosi poderosi , diventò attiva e faccendie- ra all’eccesso. Ma la Scienza, per lei cresciuta, non tar- dò guari a raggiungerla, e in due parole le compendiò le norme da seguire : Festina lente. E qui io desidero che non vi rechi sorpresa. Colleghi (1) Op. cit. Lib. 7.° § 26. n. 2. In altr. ediz. Cap. 26. n. 2. Calculosis quae curatio adhibeatur . (2) Bartholomei Maggii de vulnerum sclopetorum et bombardarurn caratione tractatus = nel libro intit. Chirurgia. De chirurgia scriptores optimi. Tiguri. per Andream Gessnerum. Au. 1556. a cari. 284. vi sono tre figure col tito- lo: Aliud instrumentum ad globulos evellendos. (3,4) Gyuaeciorum . . . libri editi etc. . . . opera et studio Israelis Spachii. Argentinae an. 1597. pag. 446. e 47. e pag. 179. 456 Giambattista Fabbri egregi, se mi avete udito pareggiare nella medesima frase Y indispensabile Forcipe, e la rejetta e ornai dimenticata Leva. Se vi piacerà di porgermi benigna attenzione, giu- dicherete Voi stessi, dopo la presente lettura, se a torto o a ragione io abbia pronunziato quelle parole. § 1. RICORDI STORICI. Era l’anno 1733 quando l’inglese Chapman rendeva pubblica 1’ invenzione del Forcipe (1). Chi 1’ aveva imagi- nato era stato un altro inglese della famiglia dei Gham- berlen , la quale, per alquanti anni, fatto ne aveva un secreto. Il nuovo strumento, dallo Smelile in Londra e dal Le- vret in Parigi, ebbe ben presto perfezionamenti e muta- zioni nella forma, nella lunghezza e nella congiunzione delle sue due parti o branche. Ambedue lo allungarono , e 10 curvarono ne’ margini ; ma il francese , più ; 1’ inglese , meno. Là giuntura a semplicissimo incastro adottata dallo Smellie, anche a’ dì nostri, è per avventura la migliore. Mentre il forcipe si divulgava, e cresceva per ogni dove 11 grido de’ professori che lo avevano migliorato, e che in- segnavano alla folla degli accorrenti la maniera di porlo in opera; nella Capitale dell’ Olanda cresceva ognora più la fama d’ un altro strumento, che era adoperato di nascosto da’ pochissimi , i quali a carissimo prezzo , e colla promessa di non isvelarlo , ne avevano comperato il secreto. Se non che per la munificenza e carità dei due riguardevoli me- dici olandesi Giacomo de Wischer e Ugo Yan de Poi, nel- l’anno 1753, cessò quel vergognoso e disumano monopolio; e tutti , venti anni dopo il forcipe , conobbero non senza stupore la semplicissima e tanto vantata leva o spatola del Roonhuysen (2). (1) The principles and practice of. Obstetric medicine and snrgery etc. by Francis H. Ramsbotham. 4. Edit. London 1856. pag. 716. (2) Traité snr divers accouchemens laborieux et sur les polypes de la Ma- trice par M. G. Herbiniaux. Bruxelles 1782. Tom. I. pag. 17. 457 Dell* uso della leva nell’ ostetricia La Scuola di Parigi non fece buona cera al nuovo orde- gno. Levret pel primo (1) e dopo luì i suoi due allievi De- leury e Baudelocque si mostrarono persuasi, e vollero per- suadere agli altri, che la leva fosse tale argomento di cui, senza danno veruno, si potesse fare di meno. Tanto più che, all* occorrenza , una branca del forcipe curvo del Levret era. al caso di farne le veci. E 1’ occasione di ricorrere alla leva la ravvisarono nel caso che la testa del feto si rimanesse con ostinatezza malamente inclinata, e che 1* opera della nuda mano non fòsse sufficiente per ridurla ad una posi- zione giusta e sincera. Per questo unico e special fine il Baudelocque pensò con- venisse impiegarla. Egli anzi propose quella che Pean ebbe foggiata a modo di cucchiaja di forcipe; ma la fece più concava , e con molta piegatura nel manico ; rappresentan- dola poi messa in azione (come egli 1* intendeva) nella ta- vola XII.a della sua Arte ostetrica (2). Se non che, dopo fattale la concessione molto sobria che s’ è detta, volle che i suoi leggitori sapessero che , nella sua pratica molto este- sa, non ebbe mai trovato, neppure una volta, il caso in cui la leva fosse veramente necessaria (3). In progresso di tempo , ripetendosi sempre nella Scuola di Parigi quegli stessi ammaestramenti , e passando dal- 1* una all’ altra generazione , siamo arrivati al punto che gli ultimi libri, che ci sono di là pervenuti, non ne parlano punto (4); quasiché della leva gli ostetrici non avessero mai e poi mai tenuto discorso. E badate che in questo lasso di tempo , quella dottrina è stata combattuta , non solo in altri paesi, ma nella stessa Francia, da pratici e scrit- tori di merito e molto riputati. Nè questo ha giovato. Im- (!) Suite des Observations sur les causes et les accidens de plusieurs ac- couchemens laborieux. pag. 148. dell’ edizione del 1770. (non avéndo potuto vedere questa edizione ^ prendo la presente citazione dall’ op. di Herbiniaux T. l.° pag. 24). (2) L’art des àccouchements par feu J. L. Baudelocque. 5. edit. Paris 1815. (3) Op. cit. T. 2. pag. 212. § 1888. (4) Pénard. Guide pratique de P Accoucheur. Paris 1862. T. il. 58 4-58 Giambattista Fabbri perocché gli allievi di una Scuola che , a buon diritto , per molti altri rispetti gode molto credito, di leggeri si per- suadono che tutte quelle , che quivi ascoltano e veggono , siano il non plus ultra delle ottime maniere di pensare e di fare. Paghi di un presente che ferisce loro V orecchio e cade sott5 occhio ; il passato , è un fastidioso rancidume ; le dottrine e le usanze d5 altre scuole , sono travvedimenti e stravaganze. Del resto, la dottrina del Levret e de’ suoi successori rispetto alla leva , ha fatto fortuna anche in molti altri paesi fuori di Francia, per la semplice ragione che gli alunni della Scuola di Parigi non erano tutti francesi. Il fatto è che la cosa passò diversamente in altre parti d’ Europa. All’ autorità del Levret, del Deleury e del Bau- delocque non tutti piegarono il capo; e il brussellese Her- biniaux vi oppose buone ragioni e buoni fatti, dimostran- do (non sempre con tutta calma) che il campo della leva ha confini molto meno augusti di quelli che si era pre- teso di assegnarle (1). S’ ingegnò senza meno il Baudélocque di confutare V an- tico condiscepolo belga, e vi adoperò assai pagine delle nuove edizioni del suo libro ; ma gl’ ingegnosi argomenti , se valsero per quelli che mai non videro adoperare a propo- sito e maestrevolmente la leva , per quelli che videro que- ste cose , ebbero meno valore. Tanto è vero che dagli olan- desi e dai fiamminga non fu abbondonata mai ; e molti pra^ tici se ne giovarono di frequente a preferenza del forcipe , non per raddrizzare ma per tirare la testa. E alcuni arri- varono persino a dismettere del tutto P uso del forcipe. La quale Ultima risoluzione evidentemente è degna di biasimo. Il forcipe ha prerogative preziose che il solo fanatismo può contrastargli ; ma tra i due eecessi di condannare alla rug- gine o la leva o il forcipe , v’ è un punto di giudiziosa e savia temperanza. Di questa per 1’ appunto ci danno 1’ esempio a’ nostri dì alcuni ostetrici della Fiandra ; tra5 quali vuoisi da me (1) Op. cit. T. t.c Dell* uso della leva nell* ostetricia 459 Dominare per tributargli onore il eh. Prof. Boddaert , che nella città di Gand è da quarant’ anni ostetrico della Ma- ternità. Quest’ uomo ricco di vera esperienza , e però lon- tano dalle eccedenze di ogni maniera, ha raccolto in tre Memorie i suoi pensieri circa 1’ uso ragionevole del forcipe e della leva (1). Per questi scritti, dopo ben sedici lustri, è di bel nuovo e con bella moderazione sostenuta l’antica tesi dell’ Herbiniaux; e, a mio senso, è sostenuta vittorio- samente. Così P ostetrico fiammingo, che da giovane imparò da’ suoi vecchi a non barattare temerariamente la buona pratica del paese colla fallace moda forestiera, nell’ età ma- tura è maestro alla gioventù di precetti che la sua lunga esperienza ha purgati da mende e confermati coll’ esempio. Rivive per questi e per altri consimili lavori (2) la memo- ria del benemerito Herbiniaux ; e la leva dimenticata quasi nel Belgio torna ad esservi in pregio. A questo passo , ben volentieri io m’ interrompo per far- vi sapere , che dell’ aver avuto contezza de’ predetti utilis- simi lavori, ne ho debito all’ egregio amico e collega brus- sellese Dottore Eugenio Janssens. Il quale della nostra Bo- logna e della nostra Scuola, dove egli dimorò e fece il corso de’ suoi studi medici, serba (come suole chi ha l’animo gentile ) cara memoria ; e non solo non pretermette , ma cerca le occasioni di essere, tra noi e gli Scienziati della sua Nazione, premurosissimo promotore e mantenitore di relazioni. Ora (seguitando) chi abbia solo un poco di buon senso dovrà stimare di qualche peso , come argomento generico (1) J. L. Boddaert. De P nsage rationnel du Forcèps et da Levier daos Pari des Accouchements r= Gand 1859 = (Sono tre memorie presentate in diverse epoche alia Società di Medicina di Gand, e seguite dal rapporto fat- tone a quell’ Accademia dai Signori Coppée, Lesseliers e Fraeys. (2) Coppée. Quelques considerations pratiques sur P emploi du Levier dans Pari des Accouchements. Gand 1858. — Deux accouchements par la face, terminés au moyen du levier. Gand 1862. — De P emploi du Levier après la sortie du tronc, la téle seule restant dans la cavité pelvienne — 1 862. Gand. Beydeler = de P emploi du levier dans l’art des accouchements Gand 1869 Emploi d* un levier en Bufile dans la pratique des accouchements Gand 1861. 460 Giambattista Fabbri comprovante P efficacia della leva, quel vederla molto ado- perata da uomini di vaglia, e passare da una generazione all’ altra per più di un secolo. E oggi (nel tempo di un progresso dell’ ostetricia comprovato per tanti versi ) essere proposta di nuovo, e cominciare ad essere di nuovo riaccetta- ta nei luoghi donde era stata sbandita; forse per l’unica ragione , che, quivi erasi per caso interrotta la catena di tradizione da’ vecchi a’ giovani. La quale , senza rifiutare il nuovo che ha garanzia di durata,/ è la più sicura e ad un tempo la più naturale e facile salvaguardia delle giu- ste idee , e di quelle savie usanze che hanno radice in una lunga e vera esperienza. Questa perenne conservazione della leva nelle parti d’ O- landa e di Fiandra potrebbe forse in taluno muovere il so- spetto , che 1’ eccessivo amore per una invenzione nata nel paese , abbia mantenuto gli animi renitenti alla piena ado- zione di uno strumento anche migliore , ma venuto di fuo- ri ; quale appunto noi possiamo stimare che sia il forcipe. Per vero io non so, se tra gli uomini di que’ paesi , 1’ orgoglio nazionale abbia dato altri segni di esorbitanze di tal sorta ; ma so benissimo che essi non hanno il forci- pe per invenzione forestiera, come quelli che ne attribui- scono la prima idea e il primo saggio al Paifino, che era dei loro. Ma gli olandesi e i fiamminghi non sono soli nel fare molto conto della leva. In Inghilterra , dove P opinione più comune e alcuni pre- gevoli documenti concordano ad ammettere la vera origine del forcipe ; e dove molti concorrevano alla Scuola dello Smellie per vederne Y uso ( tra i quali fu Pietro Camper che di là recollo nel 1749 ad Amsterdam) in Inghilterra, dissi, la leva ebbe tutt’ altra accoglienza da quella che s’ ebbe tra’ francesi. Per sincerarsene , basta gettar P occhio su quelle pagine del libro di Tommaso Denman dove parla- si della storia della leva ; e in quelle dove si fa il confronto tra essa ed il forcipe. Nel primo de’ due paragrafi sono citati i nomi de’ principali Ostetrici di Londra, che ten- nero il primato della pratica dopo la morte dello Smellie; Dell’ uso della leva nell’ostetricia 46! e de’ quali si racconta senza ambagi , che anteponevano la leva al forcipe. Nel secondo paragrafo, 1’ Autore afferma, avére bensì conosciuto parecchi uomini riguardevoli , che abbandonarono assolutamente il forcipe per appigliarsi uni- camente alla leva ; ma di non averne mai veduto alcuno , che acquistata destrezza colla leva, l’ abbia abbondonata per adottare il forcipe (1). Il concetto favorevole della leva che hanno gli ostetrici inglesi , si raccoglie altresì dal libro di Burns (2) e da quel- lo di Samuele Meriman (3). E che duri, anche nell’ epoca presente , lo mostra il manuale del Churchill là dove per minuto viene annoverando i casi ne’ quali è commendevole il farne uso (4). E ripeterò che nella stessa Francia la leva ha avuto fau- tori. Il Velpeau (5) e il Jacquemier (6) riconoscono che la scuola di Baudeloque non diede nel segno ; ma prima di (1) Denman op. cit. Sect. 8. pag. 289 — Vedi ancora: Manuel de P Ac- coucheur ou Aphorismes sur 1’ application et 1* emploi du Forceps et du Le- vier etc. etc. par Th. Denihan , et André Blake. pag. 84. (2) Trailé des Accouchements etc. etc. par John Burns. Trad. de l’ anglais sur la 9. Edìt. panie en 1837. Paris 1840. Livre 2. Chap. VI. Sect. 1. Des cas qui admettent V application dii forceps ou dii levier. (3) A Synopsis on thè various kinds of difficili! parturition. London 1820. pag. 154. 155. e la trad. italiana del Grotanelli. Siena 1825 pag. 142. 143. (4) On thè Theory and practice of Midwifery by Fleelwood Churchill. Lon- don 1850 — pag. 273. (5) Op. cit. Art. du Levier. pag. 427. Tra gli Autori francesi più recenti il Velpeau è forse quello che tratta l’argomento della leva meglio degli altri. (6) J. Jacquemier. Manuel des Accouchements eie. etc. Paris 1846. du Le- vier. pag. 418. L’ A. che non è certo fautore appassionato della leva, termina nel seguente modo il suo articolo «c Mais ne devrait-on pas , après V introduction » de la première branche du forceps , essayer , dans les cas oà la téle n’ est pas » solidement arrélée , de la fair e avancer en tirant sur le manche et n’ ap- » pliquer la seconde qu * après s’ étre assuré que ce moyen est peu sur ou in - » suffisant ? Car un des danger du forceps , .. ..c’ est de serrer la téle trop » violemment 9 et de ly extraire trop promptement ; de sorte que V enfant est » exposé à perdre la vie , et la mère à avoir le périnée déchiré. Avec le levier , » il n* y a pas de lésion dangereuse à craindre , et V on observe forcément une » lenteur plus en rapport avec la marche naturelle de V expulsion , et la di- » stension des parlies molles se fait de manière à prévenir leur déchirure ». 462 Giambattista Fabbri loro, con assai più di possesso, furono favorevoli alla leva il Desormeaux , ed il Flamant. Autore il primo dell’ Articolo Leva del Dizionario delle Scienze Mediche ; Clinico il se- condo nella Facoltà di Strasburgo. Più avanti io ne riferi- rò, non già le nude opinioni, ma i fatti pratici. Fatti che sono d’ un ordine ben diverso da quello, nel quale il Le- vret e i suoi seguaci ebbero la pretesa di confinare la leva. E basti oramai questa rassegna delle vicende toccate allo strumento in discorso. Benché sfiorate di volo , parmi che queste reminiscenze bastino perchè non possiamo appagarci della dottrina , che V antica Scuola di Parigi promulgò , e che molti accettarono e mantennero con molta docilità, ma non con molto discernimento. E parmi ancora che, come conseguenza di ciò che ho premesso , debba nascere il de- siderio di ricercare un po’ addentro quale sia 1’ uso più ra- gionevole della leva e conseguentemente anche del forcipe; giacché , sino da questo momento , tutto porta a credere che nell’ assegnare gli uffizi , siasi, con questo, peccato di prodigalità, mentre con quella si è peccato di avarizia. 10 mi accingo di buon grado a tale ricerca , e do prin- cipio col riandare alcune cose che spettano alla natura in- trinseca dei due prefati strumenti; i quali non debbono nò contendersi un primato esclusivo, ma debbono cospira- re a benefizio della povera partoriente. § 2. FORCIPE. 11 forcipe è una grande tanaglia , la quale fa quello che farebbero due mani, qualora fossero più lunghe, gracilissime, robustissime: E in fatti , Mani chiamò Paifino quel suo stru- mento , d’ onde alcuni avvisano che ci sia derivato il Forcipe. Le due branche del forcipe sono articolate insieme per so- vrapposizione ed incrociatura, in un punto mediano tra i manichi e le cucchiaje. Cosi disposte, le dette due branche rappresentano due leve di primo genere , che fanno forza P una contro P altra. Da ciò , la robusta presa che possono fare ; anzi il pericolo che v* è , che la testa ricevuta nel seno offertole tra le cucchiaje, possa patire una compres- Dell’ uso della leva nell’ ostetricia 463 sione eccessiva , ( non ostante F abilità e la posatezza di chi maneggia la tanaglia) in grazia delle vigorose e ripe- tute , se non continue trazioni , a cui si è costretti da- gl’ impedimenti gravi che qualche volta s’ incontrano. Il forcipe dritto serve bene nello stretto inferiore del catino, ossia nella parte più bassa della scavazione, per- chè F asse dello strumento si fa combinare con sufficiente esattezza coll’ asse della strada da percorrersi dalla testa. Il forcipe curvo è specialmente destinato ad arrivare verso lo stretto superiore ed anche a sormontarlo, con una por- zione delle sue cucchiaie. Affinchè poi quest’ ultima cosa sia fattibile nel modo più conveniente, bisogna che le due branche siano condotte e collocate lungo i due Iati del catino. In alcuni casi, una peculiare deformità di que- sto fa sì che una delle branche sia costretta di tenersi un poco più all’ innanzi , e F altra un poco più all’ indie- tro , senza che questa apparente mancanza di parallelismo impedisca la facile congiunzione od articolazione loro. In altri casi il parallelismo manca realmente, e l’articolazione delle due branche non può ottenersi che a stento ; o non si ottiene a verun patto. Quando poi si tentasse di applicare il forcipe curvo allo stretto superiore con una branca didietro al pube , e col- F altra lungo la faccia concava del sacro, la curva de’ mar- gini dello strumento non avrebbe più alcuno scopo. Egli andrebbe in complesso dallo stretto inferiore al superiore nello stesso modo che farebbe un forcipe dritto ; il quale, non solo troverebbe impaccio nella speciale incastellatura delle ossa , ma lo troverebbe eziandio nella sodezza e re- sistenza delle parti molli , e massime del perineo. Conse- guentemente, è tanta la difficoltà incontrata in questa sor- ta di tentativi, che gli Ostetrici o di buon grado vi hanno rinunciato per massima, o malgrado loro sono costretti ri- nunziarvi nel fatto pratico. Nella scavazione è possibile applicare il forcipe diritta- mente, ossia dal pube al sacro, e molto più in direzione ob- bliqua. Ma quando vogliasi applicare in questo modo, il for- cipe dritto sarebbe forse più opportuno. E la ragione che se 464 Giambattista Fabbri ne può addurre è questa: che il forcipe dritto, applicato di- rittamente, prende la testa adattandovi bene le sue cucchia- ie nella direzione del diametro , che va dal vertice alla base ; mentre il forcipe curvo ( se non siasi ben attenti di pie- garne i manichi verso la coscia a cui guarda 1* occipite del feto ) colf estremità delle cucchiaie , piega facilmente più del bisogno verso 1* occipite , e però V applicazione diventa meno esatta , e meno solida. L’ uffizio del forcipe è di afferrare la testa in quel modo che la trova, e di tirarla, senza imprimerle altro moto ( tranne quello di avanzamento ), nella direzione per la quale è tirato egli stesso dalle mani deli’ operatore; op- pure d’ imprimerle un movimento di rotazione, se 1’ ope- ratore dà questo moto allo strumento. Non può negarsi che qualche volta ( quando si applica il forcipe dalla fronte all’ occipite ) nell’ atto di articolare le due branche e di stringere i manichi, succede che la testa subisce un movimento di flessione , per cui 1’ occipite si abbassa più della fronte. Ma questo movimento è al tutto accidentale, nè potrebbe 1’ operatore, volendo, ot- tenerlo ogni volta immancabilmente. Incontra pure che , presa la testa obbliquamente da una bozza frontale all* opposta regione occipito-inastoidea , nel progredire dell’ operazione, si trovi poi che la testa ha rotato entro il seno del forcipe; onde le due cucchiaie vengono allora ad essere collocate con più o meno di esattezza ai due lati della testa. Ma anche questo movimento di rota- zione è puramente casuale. Imperocché , ora succede nell’ at- to stesso di congiungere le due branche; ora succede più tar- di. In quest’ ultimo caso, ben lungi dal derivare direttamen- te dagli atti operativi e dalla volontà dell’ ostetrico , nasce dalla speciale configurazione del canale cui la testa è forzata percorrere. E forse non si compie nel tempo che la tana- glia stringe e tira la testa ; ma piuttosto in quegli spazi di sosta e di riposo, che gli operatori più esperti ( non per Spossatezza , ma avvedutamente ) concedono , più che a se, alla donna e al feto. Egli è allora, che per opera delle doglie accade il movimento di rotazione, come acca- Dell’uso della leva nell’ostetricia 465 drebbe, se la testa fosse sola nella scavazione e il forcipe non vi fosse. Tranne dunque il caso dell’ imprimere pensatamente un movimento di rotazione alla testa, le altre modificazioni di posizione, che si possono conseguire coll’ uso del for- cipe, sono mere accidentalità, sulle quali l’ostetrico non può , con sicurezza di non essere deluso , fare fondamento. Ciò che egli può impromettersi è di afferrare la testa co- me trovasi, e trascinarla nella direzione dello strumento, qualora non vi si oppongano impedimenti insormontabili. Onde conchiuderemo che il forcipe è soprattutto vantag- gioso allorché vi concorrono le condizioni che seguono. 1. a Che tra il volume della testa e 1’ ampiezza della pelvi, e la dilatazione della bocca dell’ utero, e dilatabi- lità della rimanente via che deve il feto percorrere, siavi tale proporzione che il passaggio possa aver effetto. 2. a Che la posizione della testa sia giusta e sincera, o se qualche vizio vi sia, sia piuttosto «lieve , o che possa correggersi con un movimento di rotazione. Ciò si confer- ma quando , arrivata la testa in fondo alla scavazione , ella si mantiene ostinatamente obbliqua o trasversale ; oppure quando, in una presentazione della faccia, il mento guar- da il sacro e la fronte è voltata al pube. 3. a La terza condizione favorevole al forcipe si è che egli possa essere tirato proprio nella direzione dell’ asse di quel tratto della strada che rimane alla testa da fare. Questa proposizione allude in fondo a due circostanze. Nell’ una il forcipe fa egregiamente la parte sua; nell’ al- tra, o non riesce che a fatica o fallisce del tutto. Quella in cui ottimamente adempie il suo uffizio, è quando la testa è scesa nella scavazione , e collocatasi in attenenza giusta collo stretto inferiore , le resta solo da varcare que- sto stretto, da percorrere la doccia perineale, e da sor- montare il passo della vulva. Allora il forcipe applicato ai lati della testa soddisfa senza meno 1* obbligo suo , perchè égli stesso può esattamente essere trascinato nella direzio- ne dell’ asse dell’ anzidetta porzione di strada. Vi saranno resistenze da vincere grado a grado ; vi si dovrà impiegare t. ii, 59 466 Giambattista Fabbri più o meno di tempo; bisognerà condursi con maggiori o minori cautele a seconda delle varie posizioni , e massime verso il fine deli’ operazione , per evitare a tutto potere una estesa lacerazione del perineo; ma, infine, nessuna parte della forza impiegata verrà a disperdersi per colpa di non buona direzione seguita dal forcipe. La circostanza sfavorevole si presenta allorché porta il caso che si debba lavorare intorno ad una testa , che si è a mala pena impegnata nello stretto superiore. In tale congiuntura ( dato ancora che la posizione sia a pieno re- golare ) ciò che trattiene la testa suol essere un qualche grado d’ angustia antero-posteriore dell* ingresso del catino. Suppongo pei momento che si presenti il vertice e che il forcipe possa applicarsi, conducendolo (s’intende bene) a destra e a sinistra del catino. Sarà sempre vero ( per quanto sia maneggiato destramente ) che non potrà otte- nersi mai e poi mai che la testa sia esattamente tirata d’ alto in basso. La quale direzione è proprio quella del- 1* asse dell’ ingresso e della scavazione; posto che il detto asse, togliendosi dal mezzo dello stretto superiore, arriva alla punta del coccige , che nel fondo del catino segna il punto centrale (1). La costruzione curva della strada bat- tuta dal forcipe e la resistenza del perineo, che vieta ai manichi di portarsi all’ indietro quanto sarebbe necessario, fanno sì che la testa non può mancare d’ essere tirata an- cora dall’ indietro all’ innanzi ; e che , appoggiandosi più o meno forte contro il pube , ne nasca un attrito che con- suma molta parte della forza adoperata. Se il catino nel suo ingresso non peccasse di molta ristrettezza, le cose an- drebbero diversamente. Imperocché , mentre la parte della (I) V. la mia Memoria « Alcune considerazioni ostetriche intorno la pelvi » nel Voi. VII. delle Memorie dell’Accad. delle Scienze dell’ Istituto di Bolo- gna. An. 1856. La stessa Memoria fu riprodotta per esteso nella Gazzetta Medica toscana, nel Bullettino delle Scienze mediche di Bologna, nel Racco- glitore Medico di Fano, e nell’ Esculapio napolitano; e parimenti (tradotta dal Sig. Dolt. E. Janssens ) nel Journal publié par la Société des Sciences mèdie, et natur. de Bruxelles., 1858. Dell* uso della leva nell’ ostetricia 467 testa che tocca il pube sarebbe da lui trattenuta , la par- te contraria che guarda il sacro, ubbidendo meglio alle trazioni di va e vieni, e dall’ uno all’ altro lato, scende- rebbe giù dal promontorio, e trovato spazio nel concavo del sacro, scemerebbe o anche cesserebbe 1’ attrito dalla parte del pube. Ma quando 1’ angustia dell’ entrata è più che mediocre , il detto benefizio non può più ottenersi ; o non vi si arriva che a grandissimo e lungo stento e con danno manifesto del feto , e non sempre senza danno del- la madre. Rammemorate così le circostanze più favorevoli all’ uso del forcipe , come ancora la principale cagione che lo rende meno utile nell’ ingresso del catino ; parmi che sia bastan- temente dichiarata la natura de’ servigi che egli può ren- dere. Dovremo fra poco tornare all’ argomento toccato qui da ultimo ; e allora parleremo d’ alcuni altri motivi che ren- dono anche meno vantaggiosa la sua applicazione alla testa, che nel primo ingresso del catino trovasi trattenuta. § 3. LEVA. La leva , senza la quale non potrebbero esistere le arti , è di un uso quasi continuo nella stessa vita domestica. Da Roonhuysen sino a noi, la leva ostetrica ha mutato molte volte di figura. Da una semplice lista di acciajo che fu da principio , lunga un piede , la^a un pollice , grossa una linea e mezzo , e curvata per quel tratto della sua lun- ghezza che deve adattarsi alla testa ; è diventata simile ad una branca di forcipe dritto; munita perciò della sua cuc- chiaja finestrata , sostenuta da un’ asta o collo , che s’ in- figge in un manico. Anche a’ nostri dì alcuni ostetrici di nome prediligono quella a spatola, sebbene 1’ altra a cuc- chiaja finestrata faccia di sua natura uria presa più salda, e sia meno soggetta a sdrucciolare ed abbandonare la te- sta (1). Gli Atlanti ostetrici moderni rappresentano una grande varietà di leve, ma in fondo si possono ridurre {!) Herbiniaux op. cit. Tom. ]. pag. 410. 4-68 Giambattista Fabbri a due tipi; uno ha la cucchiaja insensibilmente curva e poco larga; V altro la possiede fornita di maggiore curvità e (qualche volta) di larghezza maggiore (Tav. l.a). Ma qui non trattasi di dare la descrizione di uno strumento che in molti libri è rappresentato e descritto. Ciò che più preme è di fermarci a considerare la maniera d9 azione che gli si deve far eseguire dall5 ostetrico. E dico ciò necessario , per la ragione che coloro che non se ne sono mai occupati di pro- posito, hanno, intorno a questo punto, idee che s9 allontana- no molto dal vero. E le cagioni di tale abbaglio sono pa- recchie. La prima è che, quando si dice Leva , corre tosto al pen- siero quella di primo genere , che negli usi piu comuni più comunemente soccorre alle necessità nostre. Gredesi perciò assai di leggeri che l9 ordegno degli ostetrici sia dun- que una leva di primo genere, la quale dopo di essere stata insinuata destramente tra il pube e la testa ferma- ta nel suo viaggio, debba prendere il suo punto d' ap- poggio sotto la sinfisi del pube, Gredesi che tutta la ma- nualità consista in questo , che la mano che impugna il manico altro non debba fare che alzarlo , con diversa for- za, verso il ventre della madre; acciocché, abbassandosi d9 altrettanto la cucchiaja applicata alla testa , la testa si trovi spinta d9 alto in basso e costretta ad avanzarsi verso l9 uscita. « A destare e mantenere questa bugiarda persuasione nel- l9 animo degl9 inesperti , ha contribuito pure assai il linguag- gio medesimo di alcuni partigiani della leva , i quali , nel descrivere le loro operazioni , non hanno parlato d9 altro , che d9 introdurre la leva e d9 alzare il manico , appoggian- do il collo dello strumento o sotto la sinfisi del pube , o contro uno dei rami ischio-pubiali. Il che se hanno pur po- tuto fare qualche volta con buon successo, per certo deb- bono aver avuto alle mani casi d9 impedimento assai legge- ro, ne9 quali (più dell9 arte) ha operato, per fare avanzare ed uscire la testa , la naturale contrazione dell9 utero , invita- ta ad essere più efficace dall9 introduzione e dalla presenza dello strumento. Dell’ uso della leva nell5 ostetricia 469 Un5 altra cagione di quel falso concetto s* incontra in molti libri di ostetricia, ne’ quali (forse per conciliare le controversie) si è correntemente affermato quello che in pratica non è sempre esattamente vero. In fatti ; molti Au- tori insegnano che la leva può adoperarsi in due maniere; o come leva di primo genere , oppure come strumento traen- te, e quasi come uncino ottuso ; assomigliandola in questo all’ Unciis di Gelso per P estrazione della pietra. La verità del fatto è questa: che la leva ostetrica, ma- neggiata puramente come leva di primo genere ( la quale si faccia punto d’ appoggio del pube) può fare molto dan- no, ammaccando le parti molli frapposte, ma non ha azione utile per fare progredire la testa ; a meno che la difficoltà non sia lievissima. E io intendo di asserire questa cosa, tanto per la testa che è ferma nel primo ingresso , quanto per quella che trovasi già in grembo alla scavazione. Al più al più si possono così ottenere alcnni movimenti di flessione della testa che è vicina a varcare lo stretto peri- neale ; ma anche questi si possono procacciare colla mano- vra più ragionevole che fra poco sarà descritta. Io però non debbo contentarmi di asserire j debbo pro- vare la mia asserzione. A tal fine non m’ è d5 uopo invocare l5 ajuto della geo- metria. V’ è un altro genere d’ argomenti che persuade V in- telletto parlando agli occhi e facendosi sentire alle mani. Prendete una pelvi che abbia lo stretto addominale alquanto schiacciato dal sacro al pube. Fate che vi s5 introduca a mala pena la parte superiore del cranio d5 un feto nonime- stre morto da poco tempo, o conservato bene nello spirito di vino. La testina, per meccanica necessità, dovrà trovarsi in una posizione trasversale. Allora, passate la cucchiaja tra il pube e il parietale che lo tocca, collocandola sulla regione mastoidea ; e poi cominciate a farla lavorare come leva di primo genere. Vedrete che la testa sarà premuta contro il promontorio del sacro , ma non spinta d5 alto in basso nella cavità sottoposta. E se voi accrescerete la forza, o si schiaccerà la testa, o si schianteranno le ossa del catino. Se poi la testa sia nello stesso modo collocata nella sca- 470 Giambattista Fabbri vazione , e si operi come dianzi; la testa sarà cacciata con- tro la parte inferiore del sacro , rimanendovi tanto più salda quanto sarà maggiore la forza che viene impiegata. Che se la testa posta colla fronte all* indietro, avrà l’oc- cipite nascosto dalla sinfisi del pube; introdotta la leva tra questa e quello, nell’ atto d’ alzare il manico, l’occipite s’ abbasserà; ma seguitando a' quel modo, l’estremità sfug- ge , senza che la testa abbia progredito gran fatto. La maniera veramente ragionevole e utile di metterla in opera fu già insegnata dall’ Herbiniaux, dal Burns e da altri valenti pratici e maestri; ed è la seconda maniera indica- ta da quegli Autori che ne ammettono due. Io sono per- suaso che quei medesimi pratici , che parlano diversamente (quando hanno operato in caso di vera necessità, e sono riu- sciti nel loro intento ) , hanno adoperato la leva in questo stesso modo , senza quasi avvedersene , e per un certo buon senso pratico stimolato dalla necessità presente. Ora, affinché lo strumento in dicorso faccia buon frutto, deve essere adoperato in una maniera che si compone di più azioni ad un tempo. V* ha da essere 1’ azione di leva di primo genere, quella di leva di terzo genere, e di più Y azione traente. Ed ecco in quale maniera. Applicata la cucchiaja o la spatola alla testa, la destra mano impugna il manico dello strumento, e la sinistra ne im- pugna il collo, nella maggiore prossimità della vulva. Da quel momento le due mani lavorano d’ accordo in due direzioni contrarie. La sinistra impugna, tiene saldo e deprime il collo come per fare ella stessa il punto d’ appoggio d’ una leva di primo genere, e impedire quanto mai può che , punto d’ ap- poggio diventi il pube. La destra solleva alquanto il manico e rappresenta la potenza. Ma quando questo manico è solle- vato abbastanza, allora la destra lo mantiene fermo a quel punto , perchè diventi punto d* appoggio d’ una leva di terzo genere, in cui la potenza è rappresentata dalla mano sinistra, la quale tiene in pugno e deprime il collo della leva come dianzi s’ è detto. Quando, per 1* azione bene com- binata e abbastanza vigorosa delle due mani, l’ostetrico può credere che lo strumento sia applicato a dovere , allora Dell9 uso della leva nell’ ostetricia 4-7 1 lentamente, con attenzione, e secondando le contrazioni e i riposi dell’ utero, tira a se; ma le due mani non ces- sano dalle azioni di prima. Sono cose , che io non so dire senza la noja di molte paro- le; e per impararle , quando si veggono , basta un’ occhiata. Qui poi è opportuna questa riflessione. Se la parte cur- va è poco concava ; la trazione non riesce , se non a patto che F azione di leva sia alquanto vigorosa ; e tanto più se , invece di essere fatta a cucchiaja finestrata , avesse la sem- plicissima foggia di una spatola. Quando poi la cucchiaja è molto incavata , un minor grado di forza nell’ azione di leva è sufficiente, perchè la cucchiaja stessa non lasci la presa nel tempo delle trazioni. Onde parrebbe naturale con- chiudere , che le leve molte curve, e spezialmente quelle che sono munite di ampia finestra, siano le migliori. La pra- tica trova nondimeno un difetto in quelle di siffatta ragio- ne ; ed è lo stento che talvolta prova 1’ operatore nel farle passare per condurle al luogo che si deve. E la difficoltà può essere tanto grande che riesca insuperabile. Per questo le leve a leggerissima curva non possono abbandonarsi, e servono mirabilmente in tutte quelle congiunture, in cui lo strumento a fatica si apre il passo tra,, la testa e la contigua parete del catino. Certo che, quando il passaggio è più agevole, la cucchiaja molto concava giova maggiormen- te. Anzi per dare un sentore di ciò che Ja pratica fa co- noscere , soggiungerò che quelle foggiate a lievissima curva sono vantaggiose per lavorare nello stretto superiore ; come le molto concave riescono generalmente assai bene nella cavità della pelvi e nello stretto inferiore. E dirò pure che la regione del capo che deve sostenerne il contatto , non è sempre la medesima in qualunque caso. I primi scopritori, e i primi che celatamente l’adoperavano, ebbero per principio: potentìa vectìs agii in occipite . In progresso di tempo le cose mutarono. Camper, pel primo, fece conoscere l’utilità di ap- plicarla di lato, e cioè dall’ occipite al mento (1). Herbi- (1) Camper, sur les accouchemens laborieux par 1’ enclavement de la tète, et sur Pusage du lener de Roonhuysen dans ce cas. (V. Mémoires de P Aca- démie R. de Chirurgie T. 5. pag. 729. Paris 1774. 472 Giambattista Fabbri niaux preferì i lati dell’ occipizio, o la regione mastoidea (1). Flamant comunemente F applicava proprio all’ occipite , ser- vendosi però d’ una cucchiaia molto concava e dotata di finestra molto ampia (2). Altri hanno dato F esempio d’ ap- plicarla in altre parti. Progredendo nel nostro lavoro, faremo conoscere il motivo di queste differenze , le quali , più che da libera volontà dell’ operatore , derivano dalla varia na- tura dei casi che si offrono nell’ esercizio dell’ arte. Frattanto , avendo già significato quale sia in genere la maniera migliore di servirsi dello strumento, ragion vuole che si accenni (parimenti in modo generale) di quale qua- lità siano i movimenti che desso è capace di far ' subire al- la testa. Il Burns propose già di mutare il nome di leva o vectis in quello di tractor (3), ammonito sicuramente dalla pra- tica , che questo ordegno , in mano dell’ Ostetrico , non è meno traente di quello che lo siano nelle mani de’ chirur- gi altre leve, quando se ne giovano per tirar fuori i corpi estranei dal canale uditivo , dalle cavità nasali , dalla fos- setta navicolare dell’ uretra. Accade il somigliante in cento occasioni a chiunque. Chi usa con destrezza la stretta lama d’ un coltello per cavare il tappo ad una bottiglia senza spezzarlo , usa una leva. La spilla adoperata per cavar fuori lo spino conficcato in un piede, non è che una leva. Io spero che in appresso vi persuaderete , o Signori , che la leva ostetrica può conseguire lo stesso fine. Ma sino da que- sto momento possiamo trovare motivo d’ inclinare ad am- mettere la virtù traente della nostra leva. Consideriamola nel suo doppio tipo di grande concavità , e di lievissima incurvazione. Le prime , e massime quelle che hanno fine- stra più spaziosa , applicate alle regioni più convesse della testa, vi fanno quello che farebbe una robusta mano. La quale , non solo sarebbe padrona di muovere la testa in va- li) Op. cit. Tom. l.° pag. 389. (2) Flamant. Mémoire sur le Ievier des Accoucheurs (Journal complémen- taire du Dictionnaire des Sciences médicales. T. 39. pag. 3 a 21. Paris 1831. (3) Op. cit. I. c. Dell* usò della leva nell’ ostetricia 473 rie guise senza toglierla da quel posto ; ma la costringe- rebbe a seguirla , se la mano facesse opera di trascinarla. E la parte che più prontamente ubbidirebbe, sarebbe quella che fosse dalla mano immediatamente toccata. Rispetto alle leve assai meno curve e meno larghe, esse fanno quell’ uffizio che farebbero due dita molto lunghe e robustissime, che potessero insinuarsi tra la testa e le par- ti circostanti, e che, curvandosi un poco, si applicassero fermamente alla regione che toccano; e poi, traendosi ver- so 1’ uscita , cercassero di far sì che la testa non le ab- bandonasse. Non regge forse il paragone? Quante volte le dita de’ chirurgi non fanno altrettanto per estrarre corpi estranei? E, senza essere chirurgi, non sa chiunque che con due dita introdotte in un vaso se ne può cavar fuori un corpo tondeggiante, solo che lo si tenga applicato alla pare- te, mentre le stesse dita, quasi distese, lo trascinano seco? La differenza tra il caso ostetrico e questi casi volgari e facili , consiste nel diverso grado di resistenza che i corpi debbono superare per uscire dal luogo di loro dimora. Ed è appunto per questo, che dove la mano e le dita, orga- ni naturali , sono troppo deboli e non bastano ; 1* umana industria, con queste membra artificiali , soccorre alla natu- rale fiacchezza della mano. Mandati innanzi questi pochi cenni intorno al concetto fondamentale, che parmi si debba avere sì del forcipe che della leva ; ora farò che il mio discorso pieghi a particolari considerazioni riguardanti le varie specie de’ casi , ne’ qua- li i due predetti strumenti possono venire impiegati. La mia intenzione è di porre in chiaro i motivi della prefe- renza che il pratico, in diverse congiunture, deve conce- dere con tutta ragionevolezza quando all’ uno e quando all’ altro. § 4. POSIZIONI INCLINATE DELLA TESTA. Qualunque sia il luogo che nel catino occupa la testa , quando una qualche posizione inclinata non si corregge spontaneamente ( o col semplice progredire dei parto, o collocando la partoriente in una giacitura creduta confa- t. ii. 60 474 Giambattista F abbri cente a togliere o a menomare una eventuale obbliquità dell’ utero o del feto , e la nuda mano non basta per con- durre la posizione al punto della voluta giustezza) si con- viene generalmente che questo sia il caso che la leva si metta alla prova. Il luogo della testa, al quale devesi al- lora applicare la cucchiaia, è quella regione che è rimasta più lontana dal posto, che in buona regola dovrebbe oc- cupare. Così, sarà un parietale, nelle inclinazioni laterali della presentazione del vertice ; sarà 1’ occipite, nell’ inclinazione frontale; sarà per converso la fronte, nell’ inclinazione oc- cipitale che fosse veramente eccessiva. Ciò non toglie che alcuni più lievi gradi delle predette inclinazioni non si correggano anche nell’ atto di unire le due Franche del forcipe, che per altre più gravi emergenze fosse per avventu- ra da preferirsi. E parimenti, il forcipe maneggiato a dovere può, allo stretto perineale , far sì che l’occipite rimasto ca- sualmente troppo alto didietro alla sinfisi del pube, si abbas- si e compia quel movimento di flessione della testa che tutti sanno essere necessario. Ma ciò andrà bene qualora la presenza del forcipe sia indispensabile per occorrere ad una complicazione di maggiore gravità ; non quando tutta la difficoltà consìste nella pura mancanza di quell’ abbassa- mento della regione occipitale. In verità non vi sarebbe il prezzo dell’ opera di far patire alla donna un’ applica- zione di forcipe, quando la semplicissima leva, passata tra F occipite ed il pube, fosse più che sufficiente a levare ogni impaccio. D’ accordo su questo punto, passiamo agli altri che so- no tuttora materia. di controversie di gran momento. §5. TESTA ARRESTATA NELL’INGRESSO DEL CATINO IN PRESENTAZIONE DEL VERTICE. Se la testa che s’ affaccia allo stretto superiore gode tuttavia di molta mobilità , e nondimeno sia pressante F in- dicazione di vuotare F utero ad arte ; la regola che più universalmente seguesi, è quella d’andare in traccia dei Dell* uso della leva nell9 ostetricia 4-75 piedi e di fare il rivolgimento. Nè si distolgono attualmente gli ostetrici da tale operazione , quand9 anche abbiano ri- scontralo un primo grado di ristrettezza del catino , essen- dosi, ogni dì più, confermato quello che il Monteggia aveva conosciuto e detto; vale a dire, che la testa si riduce e passa meglio per un catino viziato, quando le tocca (in un parto pe9 piedi) d’uscire per ultima; di quello che quan- do in un altro parto, ella si fa innanzi per prima (1). II quale risultamento era d9 altronde prevedibile, solo che si fosse considerata la forma della testa , la sua costruzione e il modo che segue per entrare nel catino in quelle due diverse maniere di parto. Infatti; quando il tronco è già fuori, la testa entra da principio con qualche facilità nello stret- to superiore, penetrandovi col mento e colla regione fac- ciale, poi colla base del cranio dalla parte della fronte : tutte regioni che presentano i diametri minori. Intanto non manca di cominciare a farsi sentire nelle parti più basse della volta craniale la compressione prodotta dall9 angustia del passo; e quella compressione, accostando di più i margini delle suture, o cagionandovi un qualche accaval- lamento, ne segue di necessità una certa preventiva di- minuzione di quei diametri , che non si sono ancora vera- mente impegnati nell9 apertura del catino. Aggiungi a tutto questo, che in caso di estrazione manuale, il tronco che è già fuori dà facoltà all9 ostetrico di giovarsene ( colla duvuta discretezza) per agire utilmente sulla testa. Le pre- dette propizie circostanze mancano qualora la testa debba penetrare la prima in quello stretto addominale. Del resto , il rivolgimento e l9 estrazione del feto per i piedi , in caso d9 angustia mediocre, è poi tanto più ragio- nevolmente da tentarsi, se (essendo il catino più spazioso in un lato che nell9 altro) la testa, per cattiva sorte, col- locata si trovi coll9 occipite rivolto a quella metà dove l9 angustia è maggiore. In quella congiuntura si può spe- li) Osservazioni preliminari del Monteggia alla sua traduzione dell’ Arte Ostetricia di G. G. Stein. Venezia 1800. Toro. l.° pag. 24. 476 Giambattista Fabbri rare che il rivolgimento conduca alla fine V occipite da quel lato dove lo spazio è più abbondante. Ora il caso nostro considera che la testa siasi almeno di tanto inoltrata nell5 ingresso, quanto è sufficiente, affinchè non si allontani e sfugga ad ogni menomo contatto della ma- no o degli strumenti. Di più ammettiamo che o per insuffi- cienza delle doglie , o per ristrettezza del catino , o per altra cagione non possa scendere nella scavazione ; mentre invece alcune circostanze non permettono di confidare più a lungo nelle risorse naturali dell’ organismo. Le condizio** ni della bocca dell’ utero sono favorevoli al passaggio della creatura; e l’angustia del catino (che suol essere la più comune cagione dell’ impedimento ) non è tale da esclu- dere qualunque ragionevole tentativo di estrazione , con- servando al feto tutta T integrità delle sue parti. Ciò posto, la grande maggioranza degli Ostetrici della presente età propone l’alternativa del rivolgiménto o dell’ap- plicazione del forcipe. Qualora poi nè T uno nè l’altra sia fattibile o non possa riescir bene , resta per ultima risorsa la craniotomia con tutte le sue varietà (1). A feto morto quest’ ultima operazione sta benissimo. Anzi converrebbe appigliarsi subito e per prima cosa a questo partito ; a meno che ( potendo prevedere molta difficoltà nell’ estrazione consecutiva) non si stimasse meglio seguire il Dugès col fare , prima il rivolgimentc^ e la craniotomia in ultimo. Il corpo del feto diventa in tale maniera lo stru- mento di trazione più sicuro e più innocente che possa mai immaginarsi, e però è preferibile al forcipe, che non fa (t) L’egregio Sig. Dott. Domenico Tibone, nella sua Tesi di concorso per f Aggregazione Forcipe e rivolgimento nelle ristrettezze pelviche = pubblicata in Torino nell’ aprile del corrente anno, a pag. 47 e 48 ha il passo che segue Provata V impotenza della natura , ed esaurita quella del forcipe , è stretto dovere V attuarla (la craniotomia) per non lasciare spossare la donna in vani e dannosi dolori. Se si rimprovera /’ inglese inumanità per la creatura , per la troppa prontezza a decretarne V uccisione ; gli ostetrici di Francia e d* Italia meritano forse la taccia di crudeli nello stare inerti spettatori di un travaglio fatale alla madre , per la tema di portare micidiale islrumento in cervello vivente ». (Nota aggiunta prima della stampa — fi Luglio 1863). Dell* uso della leva nell’ostetricia 477 sempre buona presa quando il cranio è vuoto , ed è preferi- bile anche agli uncini , massime acuti. Quando poi la morte del feto sia incerta, e incalzi la ne- cessità di terminare il parto, lo spediente, a cui si volgo- no comunemente gli ostetrici, è per vero molto grave. Al- cuni fanno la craniotomia con qualche sollecitudine (per massima e senza scrupolo) per provvedere quanto più si possa alla salute della madre. Altri la fanno più tardi e a malincuore, procurando persuadersi che pel lungo patire o la creatura è morta, o ad ogni modo non potrebbe so- pravvivere, quand’ anche, per fortuna uscisse dall’ utero viva e in tutta la sua interezza. Intorno a tale maniera di condursi e alla sua convene- volezza, si possono muovere due dubbi. — È egli ben di- mostrato che la craniotomia sia sempre 1’ ultimo compenso, quando il rivolgimento ed il forcipe hanno fallito? — È egli sicuro che un feto rimasto molto tempo nelle angustie del passaggio , non possa venire alla luce perfettamente vivo , e continuare a vivere in appresso? = Nel progresso di questa memoria si troverà la risposta alla doppia dimanda. Dunque, senza aggiunger altro per ora, esaminiamo una dopo F altra le due operazioni incruente , dalle quali per comune consentimento è debito prender le mosse. Art. l.° RIVOLGIMENTO. Volendo o dovendo ricorrere al rivolgimento , sarebbe ot- tima cosa , per lo meglio della madre e del feto , che fosse sempre dato d’ intraprenderlo assai per tempo , e cioè su- bito che lo stato di mollezza e di dilatazione della bocca dell utero consentissero di farlo. Queste però non possono essere in pratica le piu frequenti condizioni del caso per noi supposto. Ghè anzi è per lo più tutto il contrario. L’ utero vuoto di acque da lungo tempo , ha per lungo tempo fa- ticato indarno , per cadere poi nella spossatezza e nell’ iner- zia. Dalla quale non è difficile che sia riscosso per en- trare in uno stato di contrazione spasmodica, che al me- nomo contatto della mano s’ inasprisce con quella veemen- 478 Giambattista Fabbri za , che bisogna provare per crederla possibile. Questa è la cagione per cui 1’ Ostetrico, chiamato le ore e le ore dopo la rottura delle membrane, dovendo scegliere tra le due operazioni, trovasi di sovente in grande perplessità. Ed è di gran peso quella sentenza d’ Antonio Dubois : che è raro che in questa sorta di casi V ostetrico non debba poi aver rammarico della scelta che avrà fatta (1). Conchiudiamo dunque ripetendo cose che sono da tutti perfettamente conosciute , e cioè : che il rivolgimento fatto in sufficienti condizioni, dà buoni risultamenti : che, mu- tate in meno buone le condizioni di prima , la stessa ope- razione diventa difficile per V operatore , pericolosa per la madre, e cagione di morte quasi inevitabile pel feto: e finalmente , che può anche diventare ineseguibile in grazia della violenta contrazione spasmodica dell’ utero. Noterò per ultimo che, generalmente parlando, una cir- costanza meno favorevole pel rivolgimento è quella di es- sere costretti a tentarlo dopo sperimentato inutile il forcipe; o quando non riesce di condur fuori il feto benché siasi vuotato il cranio. È vero che non è sempre interdetto di riuscire a buon fine in mezzo a tante difficoltà ; ma è mag- giormente vero che un buon successo non è la regola ge- nerale. Pur troppo, molte volte, non se ne coglie altro frutto che quello di cavar fuori dall’ utero un cadavere ; e che la donna muoja in puerperio , invece di morire in soprapparto. Art. 2.° USO DEL FORCIPE. Assai di buon’ ora il forcipe curvo fu allungato colla spe- ranza che riuscisse ad impadronirsi bene della testa arre- stata nell’ ingresso , o appena affacciata al medesimo. Ma lo stesso Smellie ebbe ad accorgersi delle gravi difficoltà e dei pericoli che accompagnano siffatte operazioni, specialmente quando il catino è viziato. « Dans des bassins étroits , ? clì » quelquefois trouvé la téte de V enfant tellement dè jettee (\) Boddaert. Memoria l.a pag. 31. Dell’ uso della leva nell* ostetricia 479 » en avant pardessus les os pubis , à cause de la saìllìe de » V os sacrum et de la dernière vertebre des lombes , qu il n> ne rri ètoit pas possìble de porter les manches des forceps » assez en arrière pour saisir entre leurs tiges la téte dans sa » grosseur . Pour obvier à cet inconvénient , jy ai faìt faire » une paire de Forceps plus longue , courbe cU un cóté et » convéxe de V autre ; mais on ne doit jamais s' en servir , » exceptè lorsque la téte est petite : car comme nous V avons » déja observé ci-dessus > lorsque la téte est grosse , et qu* el- la le demeure en plus grande partie au dessus du bdssin , les » parties de la femme seroient sujettes à s’ enflammer et à » étre contuses si V on y faisoit trop de violence (1). Dal tempo dello Smellie sino a5 nostri giorni, degli uomini che giustamente confidavano nella propria destrezza, o dei te- merari, che con poca coscienza si espongono a’ pericoli, ( ne’ quali nòn pagano essi la pena della propria imperizia) di tanto in tanto si sono messi all’ azzardo d’ applicare il forcipe ad una testa che non era abbastanza ferma nello stretto superiore , quand’ anche fosse possibile praticare il rivolgimento. È vero che la riuscita è stata qualche volta fortunata ; ma i casi avversi evidentemente debbono essere stati molto maggiori di numero, se (come si è già accen- nato) è passato (almeno per molti) in precetto, che deli- basi preferire 1’ andare in traccia de’ piedi. Il fatto de’ partigiani del forcipe è stato più ragionevole quando si sono indotti a dargli la preferenza per essere la testa maggiormente impegnata dentro il contorno dello stretto superiore. E infatti il buon successo ottenuto non di rado , tanto rispetto alla madre che al feto , ha giustifi- cato la loro intrapresa. È vero che le cucchiaje non pos- sono adattarsi ai lati della testa , e che una delle due deve trovarsi più o meno applicata alla fronte ed alla faccia. Ma se le difficoltà da vincersi non sono grandi , e 1’ ostetrico lavora con calma , e non aspira alla gloriuzza di farsi am- (1) Traité de la ihéorie et pratique des Accouchemens. trad. de 1* anglais de M. Smellie par M. de Preville etc. etc. Paris MDCCLIV. pag. 272, e 273. 480 Giambattista Fabbri mirare per la stupenda rapidità delK operazione , la madre andrà immune da contusioni e da lacerazioni di rilievo; e il feto potrà passarsela con qualche lividura di poco mo- mento. Mutano le cose di aspetto quando V estrazione del feto non è richiesta da mera e troppo lunga impotenza delle doglie, o da un emergente che non concede dilazione. Po- niamo che la cagione che trattiene la testa nell5 ingresso del catino sia quella , che è più ^comunemente , cioè una ristrettezza del medesimo catino. Non una di quelle che tolgono ogni speranza di far passare il feto intiero per le vie naturali , ma però abbastanza notevole. Potrei dire più chiaramente ; che il diametro retto non fosse, in genere , mi- nore di tre pollici ; ma mi tengo più volentieri ad espres- sioni più generiche. Nei libri è facile stabilire i diversi gradi di angustiale gli ultimi confini di ogni grado ; e dire : qui (a feto vivo) vuoisi adoperare il rivolgimento o il for- cipe; là, il taglio della sinfisi, o P operazione cesarea. E pa- rimenti , a feto morto , assegnare quando bastino e quando nò le operazioni che ne scemano il volume. == Al letto della partoriente le regole assolute hanno minore padronanza. Ogni caso vuol essere considerato nella sua singolarità; e la diversa attitudine che ha la testa di ridursi a minore estensione in certi suoi diametri, è tal cosa che, misurando e palpando, non si può statuire quanto sarebbe necessario. Un qualche lume si può ricavare esaminando V effetto che sino a quel punto vi hanno prodotto le contrazioni dell5 utero ; ma dopo il più accurato riscontro, dopo fatta con ogni diligenza la pel- vimetria , il più delle volte l5 ostetrico , per esser certo del fatto suo , dovrà ricorrere anche alla prova di tentativi usati con quella discretezza, che è inspirata dall’ antico precet- to ; si non juves , saltem ne noceas. E deve farli , perchè in atto pratico riesce talvolta ciò che , ragionando , non sembrava fattibile. Ammesso dunque che il caso sia di angustia non lieve, ma probabilmente superabile, per lo più si tratterà di schiac- ciamento antero-posteriore ; un po’ meno frequente è lo schiacciamento obbliquo più o meno simmetrico. La vera Dell* DELLA LEVA NELL* OSTETRICIA 481 obbliquità ovale di Naegele è anche molto più rara. Ra- rissimo è lo schiacciamento trasversale , massime nell’ in- gresso. Nella deformità più comune , 1’ eccessiva sporgenza dell’ angolo sacro-vertebrale prevale d’ ordinario alla depres- sione dei pubi ; e la soverchia inclinazione del catino ag- giunge bene spesso gravità alla stessa angustia (1). Ora, la forma che ha 1’ ingresso nella più comune vizia- tura della pelvi, costringe, per se stessa, la testa che vi si presenta col vertice, a collocarsi in una posizione o as- solutamente o press’ à poco trasversale ; e però una delle grandi regioni temporali sarà collocata di dietro e sopra il pube. Qui , se vogliasi adoperare il forcipe , bisogna (e s* è già detto) collocarne le cucchiaie ai lati del catino. E se il ca- tino nella sua deformità è perfettamente simmetrico, e la bocca dell’ utero è ben dilatata, le due branche si potran- no mantenere 1’ una proprio di contro all’ altra in senso trasversale. Se manca la simmetria nel bacino, le due bran- che non potranno forse corrispondersi che obbliquamen- te (2). E potrà anche darsi che, collocata la prima, la se- conda ricusi d’ andare al posto che converrebbe ; oppure che avendole anche introdotte ambedue , ( o per colpa del (t) Gli ostetrici che preparano le pelvi deformi pe’ loro musei, comunemente usano di serbare la sola pelvi, o al più vi lasciano unite due o tre vertebre. A questo modo è tolto di conoscere quale fosse la vera inclinazione loro. — Noi possediamo nel nostro Museo dell’ Università un’ antica preparazione del- 1’ immortale nostro Galvani ( che fu anche professore di Ostetricia ) ed è una pelvi con angustia postero-anteriore e con simmetrica depressione vistosissima delle due pareti cotiliodee. La colonna vertebrale affetta da cifosi è conservata tutta. Le ossa sono unite per legamenti naturali. Manca qualunque inclinazio- ne, anzi il promontorio è più basso dell' orlo dei pubi. = Con quest’esempio innanzi agli occhi, io ho fatto conservare, quando ho potuto, e tutta la co- lonna e bene spesso anche i due femori, uniti ai catini deformi che mi sono capitati nei cadaveri. (2) In un caso di bacino obbliquo-ovale , il Danyau non potè articolare il forcipe finché fu applicato da un lato all’ altro. Quando lo applicò obbliqua- mente , anzi dall’ avanti all’ indietro, la cosa riuscì facilissima. (V. Encyclo- graphie des Sciences Médicales. Bruxelles T. 162. Serie 6. Tom. IV. avril 1845. pag. 40). T, XI. 61 Giambattista Fabbri catino, o per colpa dell’ utero o del suo orifizio) restino così di sbieco, che non sia possibile per conto alcuno di articolarle insieme. Stiamo però al caso che F applicazione laterale , avvegna- ché indaginosa,, colle note industrie, arrivi a farsi. Egli è evidente che le due cucchiaje non potranno trovarsi ai due lati della testa , essendo questa press’ a poco trasversale nel- F ingresso. Baudelocque ad imitazione di Smellie , per poter prendere la testa da un lato all’ altro , aveva dato il precetto di condurre una branca di dietro al pube e F altra lungo la faccia del sacro; ma se il precetto era ammissibile a parole, in pratica non lo era così di leggeri. La famosa Levatrice della Maternità M.ma Lachapelle ce ne fa buona testimonianza (1). È dessa che ci racconta la storia d’ un fatto in cui F illu- stre Autore dovette allontanarsi da’ suoi propri precetti e contentarsi , suo malgrado , d’ applicare il forcipe alle parti laterali del catino. E dopo d’ averlo applicato, per quanto vi- gorose fossero le trazioni, non ei fu verso che la testa scen- desse nella scavazione. Bisognò dunque di necessità ricorrere al rivolgimento. E qui pure fu osservato, che quella testa che prima non aveva potuto a nessun patto varcare l’ingresso, lo varcò senza moltissima fatica quando, preceduta dal tron- co, ella venne per ultima. Il feto era già morto da qualche tempo. Quale fosse la sorte della donna, non si è potuto sapere per F inesattezza dei registri. = Un caso, simile, ac- caduto nella Clinica del Ch. Prof. Paolo Dubois, è raccon- tato nel Journal de Médecine et de Chirurgie pratique. sept. 1854 (2). Se non che, non avendo potuto riescire ad ap- plicare il forcipe dal pube al sacro, e non volendo appro- fittarsi dell’ applicazione trasversale (stante la grande aper- tura che il forcipe presentava per aver preso la testa dal- F occipite alla fronte ) si preferì di aprire e vuotare il cranio. (t) M. Lachapelle. Pralique des Accouchements Tom. l.° pag. 356. n.° 83. Paris 1821. (2) Questa citazione è presa dalla Mem. 3.a del Boddaert. pag. 142, dote il fatto è raccontato alla distesa. Dell* uso della leva nell* ostetricia 483 Anche dopo questa operazione, ci fu molto da fare per aver fuori il feto. — L5 angustia del bacino non doveva però essere delle più vistose , giacché la donna aveva partorito altre volte ; e il Professore ebbe da prima per qualche tempo la speranza di arrivare a salvare colla madre anche la prole. Ho citato questi due fatti perchè , oltre all5 essere bene autenticati, appartengono alla pratica di due luminari di quella Scuola, che sino da bel principio si chiarì poco pro- pensa all* uso della leva. Vedremo fra poco che la circo- stanza, in cui si trovarono il Baudelocque e il Dubois, è appunto quella in cui dalla leva dobbiamo aspettarci i ser- vigi più grandi e più utili. Ma senza anticipar nulla, ri- prendiamo il discorso di prima. Costretti dunque come si è di collocare le due branche del forcipe ai due lati del catino , torna sempre in campo il fatto, che una cucchiaia si adatta alla regione occipi- tale, e V altra alla regione della fronte e della faccia. Per quanto si voglia ammettere che , nello stringere le due branche, la testa si metta in flessione (cosa che non ac- cade sempre ) la faccia non può andare esente dall’ essere compressa. E la pressione, nel caso in discorso, non può essere mediocre. Lo prova ciò che abbiamo detto da principio circa il difetto che ha il forcipe di non poter tirare la testa pro- prio nella direzione dell’ asse dell* ingresso e della scava- zione; e circa 1’ attrito che, per quel difetto del forci- pe, inevitabilmente nasce tra il pube e la testa. Il quale attrito, essendo necessariamente maggiore quando avvi di- fetto di spazio tra il pube e il sacro, diventa cagione che Y ostetrico , più a lungo e con forza proporzionatamente maggiore, debba faticare per veder pure di venire a capo del suo intento. Questa è la spiegazione del fatto; ma il fatto empirico è noto da molto tempo. E il nostro Monteggia ammaestra- to dall’ esperienza lo affermava con queste parole: « Del » resto la difficoltà che si trova nelY estrazione della testa » (quando è già fuori il tronco) alt apertura inferiore, » suol essere incomparabilmente minore di quella che s’ in - 484- Giambattista Fabbri » contro, nel tirarla giù dall’ apertura superiore . La quale » differenza nel passaggio della testa per le due aperture » della pelvi si osserva frequentemente anche nell’ estrazione » col forcipe (1) ». La pressione che le cucchiaie fanno patire alla testa, e che è tanto più forte, quanto più vigorose e prolungate sono le trazioni eseguite dall’ operatore , oltre al maltrat- tare più o meno gravemente la faccia , producono anche un altro effetto. La volta del cranio compressa dall’ occipite alla fronte, tende di sua natura ad allargarsi dall’ uno all* altro parie- tale. Questo fenomeno non può andare scompagnato da un accrescimento della difficoltà di passare tra il pube e il promontorio del sacro, la cui poca distanza è quella che impaccia la testa ne*l suo passaggio. Che il forcipe produca realmente quest9 effetto di allun- gare la testa nel senso contrario a quello in cui egli la comprime, non lo negò formalmente neppure il Baude- locque. E se questo autore procurò di persuadere che convenisse afferrare la testa dai due lati , piuttosto che dall9 occipite alla fronte, ei lo dovette fare appunto per una certa tal quale convinzione di quell9 allungamento e del danno che ne deve di necessità provenire (2). Gonchiudendo intorno a quésto punto, diremo, che dalle cose discorse intorno all9 uso del forcipe quando la testa, presentando il vertice, è arrestata nello stretto supe- riore , si deduce : 1. ° Che P applicazione dal pube al sacro, se non è assolutamente impossibile in ogni caso, tale può (in ge- nere ) ritenersi quando vi è deformità di catino, e spe- cialmente quando avvi schiacciamento dall9 avanti all9 in- dietro o dall9 indietro all9 innanzi. 2. ° Che anche l9 applicazione lungo i due lati della pel- vi, sebbene riesca facile alcune volte , può presentare (t) Op. cit. pag. 13. 12) Baudelocque op. cit. Tom. 2. pag. 171, e 172. § 1821. Dell’ uso della leva nell’ ostetricia 4.85 molta difficoltà alcune altre volte. E può persino essere impossibile collocare a dovere la seconda branca dopo in- trodotta la prima; per quanto avvedute e magistrali siano le industrie adoperate dall’ ostetrico. 3.° Che la presa dall’ occipite alla faccia non è mai ve- ramente buona. È tollerabile ne’ casi di lieve difficoltà da sormontarsi ; ma quando trattasi di angustia non mediocre della pelvi , ai pericoli che corre la madre nell’ applica- zione del forcipe e nei tentativi d9 estrazione , vanno ag- giunti i gravi danni che ne patisce il feto. A proposito di che noteremo , essere stato riferito che col forcipe non si salva che una metà dei feti , mentre col rivolgimento se ne salvano due terzi (1). 4-.° Che dopo 4 dan t>t -ycrffc rti — da 1 — foto , dopo- i perieoi»- corsi dalla madre, può facilmente darsi il caso che deli- basi ricorrere al rivolgimento, o alla craniotomia; se P oste- trico è del numero di quelli che ( eccettuati questi due ) non hanno fiducia in verun altro provvedimento o metodo operativo. Art. 3.° USO DELLA LEVA. Egli è appunto nella congiuntura che la testa sia trat- tenuta allo stretto superiore, e per lo più in presentazio- ne del vertice , che la leva ha conseguito ( come fu ac- cennato poco sopra) i successi più luminosi. Anzi, l’essere stati, per buona ventura, testimoni di qualcuno di questi fatti ( quando specialmente il forcipe aveva fatto pessima prova ) è stato il motivo pel quale alcuni ostetrici che erano mal prevenuti contro di lei (in tempi e luoghi di- versi ) si sono ravveduti incontanente. Novella prova che il linguaggio de9 fatti è più eloquente della rettorica. L9 Herbiniaux nel secolo passato sostenne questa preziosa opportunità della leva. I suoi argomenti gli erano dettati da quella persuasione che aveva attinta dalla stessa sua (t) Boddaert op. cit. pag. 30. 486 Giambattista Fabbri pratica. Denman , Burns , Churchill, si mostrano persuasi essi pure che, in quell’ incontro, possa la leva essere molto efficace. — Desormeaux, che dal proprio padre ave- va imparato a giovarsene, racconta due casi ne’ quali, applicando una branca di forcipe a modo di leva alla te- sta situata e trattenuta sopra lo stretto superiore, in posi- zione trasversale , ottenne un esito felice. « In uno di » questi due casi , la testa patì tale pressione , attraversando » il distretto superiore , che il parietale sinistro presentava y> una depressione longitudinale profonda prodotta dalla pro- » tuberanza sacro-lombare ». Questo Autore rimprovera il Baudelocque e il maggior numero degli ostetrici presenti dell’ avere limitato di troppo T ufficio della leva. Inoltre affici um cho una branca di forcipe non può, sempre como- damente farne le veci (1). — Flamant nella memoria che pubblicò nel 1831 dice espressamente che egli se n’ è valso più spesso per la testa situata sopra I’ ingresso, che per quella che era prossima all’ uscita del catino (2). — Il prof. Ant. Federico Hohl , nella recentissima seconda edi- zione del suo trattato ostetrico, trae dal Busch e riferisce il caso di una testa ferma nell’ ingresso , che due ostetrici erano in procinto di sottoporre alla craniotomia , essendo riuscito vano 1’ uso del forcipe. Il Busch le applicò la le- va ; con questa la tirò giù nella scavazione; e allora pren- dendola col forcipe, condusse alla luce un bambino" che era tuttora pieno di vita (3). La fortunata pratica del Boddaert è ricca di fatti del genere di quelli del Desormeaux e del Busch ; tanto che nelle Memorie da esso lui presentate all’ Accademia di Gand potè inserirne alquante storie, le quali vennero espres- samente confermate a pieno coro dai Signori Coppée , Lesseliers, e Fraeys; ostetrici incombenzati da quei dotto (1) Dizionario Classico di Medicina interna ed esterna. T. 19. Venezia 1835. pag. 357. (2) Op. cit. pag. 9. (3) D.r Anton Friedrich Hohl. Lehrbuch der Geburtshtilfe. zweite umgear- beitete Auflage. Leipzig. 1862. pag. 82 9. Dell’uso della leva nell’ostetricia 487 Consesso dell’ esame e della relazione di quegli utilissi- mi lavori. Lo stesso Coppée e il Beydler pubblicarono essi pure lavori proprii sul medesimo argomento ; ne’ quali ; narrando i felici successi del loro esercizio pratico, trovarono facile occasione di ricordare con espressioni onorevoli le dottrine sostenute coll’ esempio e colla parola dal Boddaert. E che le osservazioni pratiche e gli argomenti logici di questo riguardevole Professore, circa la preferenza che allo stretto superiore la leva si merita sul forcipe, abbiano co- minciato a trovar favore fuori di Fiandra ; lo conferma il Manuale d’ Ostetricia del Hyernaux, pubblicato da pochis- simi anni in Bruxelles sotto gli auspici dell’ illustre clini- co Prof. Van Huevel (1). Maggiore testimonianza 1’ abbiamo poi dalla dottissima Memoria che 1’ egregio Prof. Hubert dell’ Università di Lo- vanio presentò nel 1860 alla R. Accademia di Medicina del Belgio. Questo espertissimo Ostetrico concede di buon grado che, quando il bacino ha nella coniugata tre soli pollici, o tre e un quarto, la leva merita la preferenza sul forcipe; mentre questo si può preferire, se la conjugata sia più estesa. Il che è quanto dire , che sebbene 1’ Autore sia molto pro- penso a servirsi del forcipe , concede nondimeno che si ado- peri la leva nei casi più difficili. E qui giova che ascoltiate le parole colle quali egli stesso commenta la sua sentenza, e che io fedelmente trascrivo « Nous restreìgnons peut-étre » trop les indications de ce derider instrument (la leva) car » on change difficilement sa manière de voir et de faire » après 25 ans de pratique. Cependant la pari que nous lui » faisons est encore très-helle > puisque nous reconnaissons » que dans des cas donnés 9 et qui sont loins cC étre rares , » il peut rendre des Services d’ autant plus prècieux que le » forceps est devenu dangereux pour la mère , souvent funes- » te pour V enfant , et parfois mime insuffisant (2). » (1) L. Hyernaux. Manuel pratique de l' Art des Àccouchements. Bruxelles 1867 pag. 273. (2) Mémoires de PAcad. R. de Méd. de Belgique T. IV. Fas. 6.- Bruxel- les 1860. Notes sur V équilibre du Forceps et du Levier etc. etc. parie Doct. L. J. Hubert, prof, à 1’ Univ. de Louvain. 488 Giambattista Fabbri Dopo queste gravi autorità d’ uomini di tempo e di na- zione diversi , parrebbe cbe si possa venire a sostenere con animo sicuro e baldo , che la leva è buona per tirar giù nella scavazione la testa, che presentando il vertice, è ferma all* ingresso del catino. E non solo che è buona, ma che, senza confronto, è a gran pezza migliore del forcipe. Nello stendere la quale proposizione, come ben v* accorgete, io sono più andante del rispettabile Collega di Lovanio che ho nominato dianzi. E non pàrmi essere dal torto. Chè se la leva, per sua confessione , è ottimo struménto nelle arduezze più aspre , non veggo ragione di paventarla o di rifiutarne i’ aiuto quando la bisogna è più agevole. Contuttociò io non intendo di arrestarmi a questo pun^ to , e di contentarmi se quelli che per avventura legge- ranno questo scritto, potranno ricavarne una cognizione generica del fatto. Nell* ostetricia , come in tutte le arti scientifiche, V intelletto è la mano vogliono ciascuno la parte sua. Quindi , non basta essere persuasi che la leva è opportunissima ; bisogna in oltre 'Conoscere il modo di metterla in opera nella circostanza che abbiamo contem- plata sino ad ora. Già s’intende che, prima di accingersi all’operazione deve curarsi che la vescica ed il retto siano vuoti ; che la donna (generalmente parlando) sia collocata supina, come se si volesse applicare il forcipe; che lo strumento sia in- tepidito , e che sia spalmato d’ oliò nella sua faccia con- vessa. Molti sono di parere che non convenga adoperare la leva senza intelligenza della donna e della famiglia. Però da questo savio consigliò qualcuno si è allontanato anche a’ nostri dì, e fra gli altri (almeno per una volta) il Flamant (1). Sono eccezioni , che solamente in parità di circostanze ( voglio dire costretti dalla necessità ) 'po- tranno prendersi ad esempio ed essere imitate senza biàsi- mo. Ma il principio cbe l’ ostetrico deve seguire scrupo- (1) Op. cit. pag. 8. Dell* uso della leva nell* ostetricia Ì89 losamente in questa come in tutte le altre operazioni, sa- rà sempre di ascoltare i dettami di quell’ Ostetrìcia aspettan- te , che ha per divisa; nec temere , nec timide . Veniamo al fatto. Allo stretto superiore può adoperarsi o una branca del forcipe, o una vera leva. Della branca del forcipe se n’ è giovato talvolta lo stesso Smellie, come appare chiaramente dal passo , che qui trascrivo. « Il arrive quelquefois lors- » que la téle reste , ou qu 9 elle est trop -pressèe contre la pa- ia rois antérieure ou laterale du b assiri , soit À son boro ou » À sa partie inférieure , qu efi ìntroduìsant urie des bran - » ches du forceps on la fasse descendre plus bas , pourvu » que les douleurs soient fortes et que V on ai de cette opé- » radon uvee les dùigts de V autre main , qu il faut appU- » quer au coté opposé de la téte (1) ». Se dunque 1* ostetrico si decide di adoperare una sem- plice branca del forcipe , egli sceglierà una branca del forcipe curvo, che il fatto mostra adattarsi meglio di una branca del forcipe retto, nel caso presente. Da prima l’in- trodurrà dal lato ov’tè la faccia, e poi con bell’ arte farà che a poco a poco arrivi tra il pube e la regione tempo- rale, procurando, per quanto può, che 1* estremità della cucchiaia si arresti contro la regione mastoidea. Questa esattezza d’ applicazione presuppone una certa esattezza quanto alla diagnosi della posizione della testa. E la diagno- si precisa della posizione può contribuire al buon successo. Nondimeno forò osservare che, se il manico della branca del forcipe curvo piegherà alquanto verso quella coscia a cui è voltato il margine concavo della cucchiaia, la cuc- chiaia stessa si troverà naturalmente applicata in direzione longitudinale al Iato delia testa che guarda il pube ; e non piegherà nè verso 1’ occipite, nè verso la fronte. —Di più; qualora la cucchiaia si trovi proprio didietro alla sin- fisi, si può essere quasi certi che risponderà con sufficien- te esattezza alla regione della testa a cui cercasi di ap- plicarla. (!) Op. «rii. pag. 272. 62 490 Giambattista Fabbri Se invece della branca del forcipe 1* ostetrico abbia in pronto la leva, questa sarà o delle curve appena, o di quelle che sono molto concave. L’ una e F altra può ser- vire, ma la meno curva, in questo caso, è da prescegliersi più spesso. Quanto poi al modo di applicarla, egli è di due maniere. La prima maniera non è guari diversa da quella tenuta per la branca del forcipe. Nella seconda; colla scorta di due dita dell’ altra mano, che precedono la leva dentro la bocca dell’ utero, ella si fa penetrare direttamente dal basso all* alto , tra il pube e la testa , arrestandola sempre sulla regione mastoidea (Tav. 2. fig. 1). Ma per riuscire con questa maniera, è necessario che la curva sia leggerissima, e che la parte inferiore del catino sia più che mai sporgente dall’ orlo del letto. Senza que- st’ ultima condizione, il manico non può andare tanto al- F indietro quanto occorre da principio, affinchè l’estre- mità della cucchiaia si presenti sotto 1’ orlo del pube in modo di potere ascendere paralellamente al dorso delle due dita che le servono di guida. Qualora poi piacesse di usare quella del Flamant, che ha grande concavità e grande finestra , questa dovrebbe es- sere diretta all* occipizio, e la finestra dovrebbe accogliere nel suo vano la parte che più sporge. Là dove si parlò in modo generale della leva , si disse a sufficienza della maniera di farla lavorare. Qui aggiunge- remo solo, che le condizioni , che dal canto della madre stimansi opportune, sono: un sufficiente grado di dilatazio- ne e di mollezza della bocca dell’ utero e del suo contor- no ; e la presenza , almeno a un lieve grado , delle contra- zioni uterine. Lo stesso atto operativo, e il contatto della cucchiaia colle parti materne hanno per effetto consueto di dare o di restituire ben presto alle doglie quell’ energia, che per avventura o non avevano per anche raggiunta , o che per istanchezza era venuta a mancare. Nè questo animarsi delle doglie per simile cagione è fatto nuovo o attribuibile alla leva come sua proprietà. L’ olandese Deventer per acuire le doglie possedeva un secreto , che alla perfine palesò per mero scrupolo di coscienza. Tutto il secreto consisteva nel- Dell* uso della leva nell’ ostetricia 491 F introdurre o alcune dita, o tutta una mano in vagina, e nel premere col dorso di quelle il fondo della cavità del bacino (1). Adoperando la leva come fu detto , e secondando a tem- po a tempo la forza espellente dell’ utero , accade più o meno presto che la parte occipitale più direttamente ubbi- disca ; e cioè che la testa a poco a poco si fletta , e nell’ atto di flettersi varchi F ingresso, e scenda ad occupare la sca- vazione. A proposito della quale flessione della testa non è forse vana la riflessione che segue. Quando quello che trascina la testa, dall’ ingresso nella cavità sottoposta, è il forcipe ; la testa , presa dall’ occipite alla fronte , per uscire dalla bocca dell’ utero , ha bisogno che questa bocca sia dilatata di molto per non trovarvi un grave intoppo. Quando invece la testa è trascinata dalla leva, ella si presenta alla bocca uterina colla sua punta occipi- tale ; la quale, avendo una circonferenza minore, ha evi- dentemente bisogno di un minor grado di apertura per co- minciare il suo ingresso nel canale della vagina. Una volta che la testa abbia varcato lo stretto superiore, almeno colla massima parte del suo volume , e trovisi già accolta nella scavazione, e il parto s’ incammini spontaneo al suo termine; Y arte non ha più luogo, e qualunque or- degno è soverchio. Ma se il cfaso della donna fosse pressante, e la natura abbisognasse d’ ajuto ulteriore , potrà moltissi- me volte prestarlo la leva medesima , maneggiata coll’ arte ohe si deve. E se non potrà proprio riuscirvi ; il parto sarà da terminare col forcipe; come vedemmo poch’ anzi che fece il Busch. E qui mi pare che convenga sostare un poco per rian- dare quello che si è detto , e cominciare a mettere i due strumenti a confronto fra loro. l.° Il forcipe (composto com’ è di due parti, che deb- bono a molta altezza introdursi una dopo 1’ altra, e poi incrociarsi e congiungersi) presenta nella sua applicazione (t) Henrici Deventer, Ars obstetricandi etc. etc. pag. 122. Lugdani Batavo* m MDCCXXXlll. 492 Giambattista Fabbri una complicazione di atti successivi, che addimandano assai più tempo e bravura di quello che richiede per se stessa la semplicissima leva. — Con questa , 1’ applicazione è ter- minata quando la cucchiaia è arrivata al, suo destino; e invece , coll’ altro , le difficoltà più serie cèminciano quan- do si è al punto d’ introdurre e collocare a dovere la se- conda branca. E le difficoltà possono essere insormontabili anche per gli uomini più esperti : nè i tentativi che si debbono pur fare , prima o di riescire e di desistere , sono sempre innocentissimi. 2. ° La presa che fa il forcipe allo stretto superiore non è mai veramente lodevole riguardo al feto ; e se la pelvi è angusta,' gli è dannosa in proporzione dell’ impedimento che l’angustia fa nascere. Di più ; il forcipe applicasi talvolta con tanta imperfezione, che nel più beilo del tirare lascia improvvisamente la presa. — La leva è assai meno dannosa pel feto, adattandosi non alla faccia, ma (dai più) alia regione mastoidea ; da qualcuno , all’ occipite. — Se la leva sfugge, ih danno che può averne la madre è incomparabil- mente minore di quello che può avere, quando all’ impen- sata e ad un tratto sfugge il forcipe : e d’ altronde è più facile che 1’ operatore attento s’ accorga quando la leva sta per abbandonare la testa. 3. ° Col forcipe si prende la testa come si trova; e se non accade in essa per fortuna un movimento di flessione , noi ci esponiamo a farla passare col suo diametro fronto- occipitale ; cosa che in un catino deforme , o*per una bocca d’utero non dilatata a pieno , può essere di molto danno. — La leva bene applicata flette di sua natura la testa, e fa che s’ avanzi per primo 1’ occipite ; stabilendo così , tra essa e le parti che deve attraversare, relazioni più vantaggiose. 4. ° Mentre il forcipe, comprimendo la volta del cranio dalla fronte ali’ occipite, produce (con molta probabilità) il danno d’ allungare 1’ opposto diametro bi-parietale ; la leva non produce nulla di somigliante, se è applicata all occipite come usava il Flamant; e se invece è applicata alla re- gione mastoidea (pome praticarono 1’ Herbiniaux, il Desor- meaux, il Boddaert ed altri pratici) in tal caso produce Dell* uso della leva nell* ostetricia 493 effetto contrario al forcipe — Infatti , il cranio compresso tra la cucchiaja e il contorno posteriore dell’ ingresso , bi- sogna che dall’ uno all’ altro parietale scemi di estensione. La quale riduzione a minor grossezza lo prepara meglio che mai a passare la stretta dell’ ingresso della pelvi. 5.° Per ultimo, il forcipe è incapace di tirare la testa attraverso lo stretto addominale senza condurla a dare nel pube e a trovarvi un inciampo , che può riuscire ad osta- colo insormontabile ^ se il catino pecca d’ angustia. — In- vece di questo, la leva (spingendo la testa all’ indietro, e applicandola alla parete posteriore prima di tirarla in basso) non solo scansa lo scoglio del pube , ma nell’ appoggio che presta il sacro alla testa , trova un aiuto per condurla pro- prio nella direzione dell’ asse dell’ ingresso e della cavità del bacino. Io vorrei lusingarmi che questo confronto sia per sem- brare agli altri , come sembra a me, naturale e giusto. E se la mia lusinga non sarà fallace , allora potrò soggiungere questa naturalissima interrogazione , che prendo da una delle Memorie del Boddaert : « pourquoi , du moment qu’ il » existe un instrument aussi sur et aussi convenable, ne » l’ emploirez-vous pasP » (Mem. l.a pag. 31). Non è da pretendere che quegli che non ha mai adoperato la leva , alla prima circostanza d’ un parto di questa fetta , abbandoni di botto qualunque tentativo di rivolgimento, o di forcipe, per ricorrere a lei senz’ altro, come farebbe il più esperto degli ostetrici fiamminghi. Ma se il rivolgimento non si potrà fere colia voluta sicurezza ; se il forcipe non si potrà applicare, o applicato tornerà inutile ; perchè disdegnare an- che allora l’ esempio dato da tanti ostetrici di vaglia ? E piuttosto che dar di piglio al vecchio strumento , colla pro- babilità di cavare dall’ utero una creatura viva ; correre in- vece al craniotomo, al cefelotritore , oppure al forcipe-se- ga , che non ti portano alla luce altro che un cadavere mutilato ? Ma gli oppositori si sono andati scusando col porre in- nanzi una seria obbiezione. La leva (dicono essi) ha bisogno di appoggiarsi contro 494 Giambattista Fabbri il pube e massime contro P orlo inferiore della sinfisi. Non può quindi (a loro detta) la parte anteriore della vagina e il canale dell’ uretra sottrarsi ad una proporzionata com- pressione ed ammaccatura , con tutte le tristissime conse- guenze che ne possono derivare. Tale obbiezione sarebbe veramente seria, se nel caso proposto , il forcipe fosse di un uso innocentissimo , si che e P utero e la vagina e la vescica e l9 uretra non avessero mai a patirne offesa, quand’ anche la tanaglia sia maneggiata da mani maestre — L’ esperienza però ha provato non ra- rissime volte il contrario : e quello che è peggio, lo ha pro- vato forse maggiormente quando il forcipe, dopo aver pro- dotto quei danni, ha dovuto cedere il posto a qualcun’ al- tro dei mezzi operativi che abbiamo nominati. Ma quella che abbiamo data non è la risposta che qua- dra veramente. Sino da bel principio si è dimostrato che la leva , ado- perata come leva ffT primo genere , nuoce molto e non gio- va punto al irne di fare avanzare la testa — Che se qual- che volta è pur sembrato che anche a questo modo rag- giungesse lo scopo ; senza fallo alcuno P impedimento do- veva essere leggerissimo e derivava, più che da altro, dalla inefficacia delle doglie. Le quali, eccitate poi dall’ applica- zione di questo strumento , hatìno fatto sì che i suoi fautori gli attribuiscano quella buona riuscita, che in realtà era dovuta alle contrazioni dell’ utero fatte più vigorose. Que- sta giusta riflessione , agli oppositori , non era sfuggita. Ma è evidente che la poca difficoltà incontrata in questi casi non poteva dar luogo a grave contusione delle parti molli. Io concederò che i primi che ne fecero uso , ebbero idee false circa la vera natura dello strumento e circa la manie- ra di servirsene. Non dobbiamo però dimenticare che nella prima descrizione della leva ( che leggesi nella traduzione francese del libro di Smellie , ed è del 1754) e già inse- gnato di operare tirando piuttosto che sollevando. Quando poi il Burns ha proposto che la leva ostetrica si chiami tractor , egli ha ristretto in una parola la dottrina che la riguarda; e P obbiezione del punto d’ appoggio preso sotto Dell5 uso della leva nell* ostetricia 495 il pube si dilegua in un attimo. Tutti i buoni pratici , massime dell’ Herbiniaux sino al presente , I* hanno ado- perata come strumento traente, in cui P azione principale è dunque la trazione ; e il moto di leva, mista di primo e terzo genere , ha per unico line quello di mantenere la presa fatta dalla cucchiaia. Ora , sebbene il moto di leva di primo genere vi abbia la sua parte, e quando fosse solo nuo- cerebbe alle parti molli; combinato col moto di leva di terzo genere, o viene eliso 0 viene così scemato, che la vagina e P uretra non possono patirne offesa considerevole. Certo , che quando parlo a questo modo , intendo riferirmi alle operazioni che hanno fatte o che faranno gli uomini che sanno il conto loro. L5 imperizia dell5 operatore non deve giustamente volgersi a biasimo d’ uno strumento, cui egli non sa maneggiare come si conviene. Ciò posto, si può con- chiudere che , se adoperandolo allo stretto superiore , le parti molli saranno talora esposte a patire compressione più che mediocre , questo si avvererà solamente quando la testa dovrà con troppo stento passare tra il sacro ed il pube. Egli è la grossezza un po’ eccessiva della testa, che fa quel danno ; e lo farebbe eguale, se fosse tirata giù dal forcipe e non dalla leva. Anzi Io farebbe maggiore, perchè verrebbe tratta ad appoggiarsi, più gravemente e per più lungo tempo, contro il pube. Del resto, avvedutezza e prudenza debbono guidare l5 ostetrico perchè non pretenda dalla leva quello che non è veramente ragionevole ; e non è ragionevole pretendere che la testa del feto attraversi senz5 altro l5 in- gresso del catino , quando tra P ampiezza dell5 uno e il volume dell5 altra il divario è troppo. Tutte le cose che ho discorse per procurare di esporre chiaramente Io stato della quistione , erano già state dette da altri; e in questi ultimi tre lustri ne ebbe parlato a lungo il Boddaert, aggiungendo agli argomenti trovati col raziocinio quel vigore che deriva dalle osservazioni pra- tiche. Anzi fece realmente il contrario. Imperocché egli prima operò, adoperando la leva per imitazione di quello che aveva veduto fare a9 suoi vecchi ; e per lungo tempo le sue osservazioni e le sue riflessioni non furono palesi 496 Giambattista Fabbri che per la privata conversazione tra’ colleghi , o pel pub- blico insegnamento. Da ultimo, comunicò all* Accademia di medicina del suo paese gli ottimi risultamenti della sua pratica e la dottrina dedotta da quella , la quale è una efficacissima ed evidente dimostrazione dei princìpi che 1’ Herbiniaux non potè fare che trovassero da pertutto, come in Inghilterra, 1’ approvazione che meritavano. Il coscienzioso Boddaert sapeva ottimamente che certi spiriti ritrosi abusano spesso del proprio ingegno, oppo- nendo cavilli e sofismi agli argomenti più ragionevoli e sinceri ; e che i fatti raccontati non hanno per essi mag- giore importanza di un artificioso sillogismo. Per questo, a9 suoi lavori egli appose un suggello che attesta quanto il suo convincimento sia verace e profondo. Agli avversari della leva e fautori eccessivi del forcipe egli offerse una scommessa, della quale a loro stessi diede facoltà di assegnare il valore. Egli viene a competere con loro e pone questo patto: che il premio sarà guadagnato da quello , che collo strumento di sua predilezione potrà riuscire ad effettuare il passaggio della testa , dopo che il competitore collo strumento da se prediletto avrà per- duto la prova. Ai fatti, alle ragioni, all* invito dell’ Ostetrico di Gand, udite ora come risponde in un suo libro molto accredita- to un Ostetrico di Parigi. Egli comincia così : « MS Bod - » daert qui s* est fait en Belgi que le dèfenseur du levier , » dii V avoir employè avec succès dans quelques cas de vi - » ces de conformation du b assiri 3 qui tous ont été terminés » sans peine par le levier 3 après que le forceps eut ètè em- » ployè vainement . Là où d’ autres croient recourir à la » craniotomie , il extrait le foetus vivant à V aide de cet » instrument . Dopo questa narrativa tutta favorevole al Bod- daert , egli conchiude secco ; « Nous croyons , avec MS Van » Huevel 3 que le levier ne saurait remplacer le forceps ou » la version dans les rétrécissements du bassin (1) ». (1) Traité théoriqne et pratique de 1* art des accouchements etc. ete. par P. Cazeaux. 6.c Edit. Paris 1858. pag. 856. Dell5 uso della leva nell* ostetricia 497 Il Boddaert che ebbe contezza di questo passo di quel libro, all* autocrazia di quel Nous croyons , piantato là senza premesse, non potè dare risposta; perchè altro è il cre- dere, altro è T argomentare. Ma alla citazione ausiiiaria del puro nome autorevole del Van Huevel , contrappose senz9 al- tro le parole chiare e nette dello stesso Van Huevel ; traendole da una nota , che questo rispettabile Clinico aveva già applicata a un passo di quell9 opera, che, dopo un9 edizione antecedente a quella da me veduta e citata , era stata ristampata a Bruxelles. Quelle parole mostrano chiaramente con evidenza che il professore belga, chiamato in aiuto, pensa tutto al contrario del professore francese. Ec- cone le parole : « Quant au dètroit supérieur , où le rétrécisse- » ment antero-postérieur est le plus ordinaire , et V axe dirige » de haut en bas, et dy avant en ar rière, le levier convient bien » mieux que le forceps , qui comprime la téle transversalq- » ment, V allonge en sens opposè et V attire eP arrière en avant » contre le pubis (1) ». Converrete meco, onorevoli Colle- ghi, che la disinvolta moderazione dell9 Ostetrico fiammin- go è proprio sorprendente. Per dimostrare la bontà della mia tesi io mi sono valu- to sin qui di gravi autorità, di fatti autentici e di ragio- ni meccaniche facili e chiare, che non ho neppure trovate io, ma che sono ammesse generalmente; come avete po- tuto accorgervi da più d9 un luogo di questa stessa me- moria. — Con voi. Colleghi egregi, che state ad ascoltare sine ira et studio, un po’ di breccia, io spero che le mie parole l9 abbiano fatta. Non ispererei la stessa cosa , se qui fossero quegli uditori che si lasciano zuffolare negli orecchi dall9 amorproprio. Allora dovrei aspettarmene o noncuranza , o arguti sofismi ; e per ultima conseguenza , I9 immutabile ostinatezza. Costoro , bisogna prenderli alla spicciolata ; mostrare a ciascuno la leva in opera : e se , ali9 evidenza del fatto , la loro volontà ( buono o mal grado ) non si piega , altro non rimane che mandarli con Dio. Ora, non sia chi reputi questi mia proposta un ridevole (1} Boddaert. Ména. 3.e pag. 187. T. II. 63 498 Giambattista Fabbri paradosso. Nò , o Signori , non lo è. Anzi è più facile da eseguirsi che non lo sia la disfida del Boddaert. Qui la quistione è di pura meccanica. Non si tratta d’ altro che d5 una pelvi angusta ; di una testa di feto ar- restata nell5 ingresso ; e d5 una leva che potrà o non potrà TIRARLA Giù NELLA SCAVAZIONE. Se le questioni meccaniche della chirurgia operativa si sciolgono nel cadavere; se Camper, se Monteggia poterono concludentemente deciferare nel cadavere altre quistioni di meccanica ostetrica ; non potrà cogli stessi mezzi non de- ciferarsi anche la quistione presente. Per dimostrare falsa la mia conclusione bisognerebbe dimostrare, che il trasci- nare una testa pel canale della pelvi, coll5 opera della le- va o del forcipe, non è un fatto puramente meccanico ; o se lo è quando la donna è morta , non lo è più quando la donna è viva. Ma un teorema dì questa fatta , ferma- mente non sarà mai proposto da senno. Ei fu appunto riflettendo alla quistione in discorso che mi vennero pensate le cose delle quali vi diedi ragguaglio colla Memoria, che Voi benignamente ascoltaste nella no- stra tornata dei 15 Gennaio di questo medesimo anno (1863) (1). Il perchè Voi già sapete come sia facile ren- dere angusto a piacimento, dal sacro al pube, il catino anche il più normale di un cadavere (2). Sapete in oltre. (!) V. la mia Memoria intitolata: « Utilità delV Ostetricia sperimentale ». Mem. dell’ Accad. delle Scien. dell’ Istit. di Boi. Serie 2.a Yol. 2.° pag. 305. (2) Dopo la pubblicazione della precedente Memoria , ho migliorato 1’ appa- recchio destinalo a rendere angusto il diametro sacro-pubiale. II fatto mi ha mostrato che non bastava in qualunque cadavere quella semplice piastra metal- lica, che copre il promontorio del sacro , le sue ali e la parte superiore della sua faccia concava , e si estende in alto sopra i corpi delle tre ultime verte- bre lombari. Per questo , ho fatto foggiare altre due piastre di grossezza diversa e che si adattano alla prima ; non tutte e due in una volta , ma or P una or l5 altra a norma del bisogno. — E le due piastre secondarie scendono meno in basso e s’allargano meno della piastra principale ; essendo unico uffizio loro quello d’ ingrossare anteriormente il promontorio. — L’ unione dei due pezzi sovrapposti P uno all’ altro è di questo tenore. Da quella parte della piastra maggiore che copre i corpi delle vertebre , sorge nel mezzo e per lungo una cresta , stretta e molto sporgente. La piastra che va sopra la prima, ha invece Dell’uso della leva nell’ostetricia 499 come si possa mentire ad arte , nello stesso cadavere , quella specie di concavo diaframma aperto nel mezzo che, tra F ingresso e il fondo del catino, nella donna parto- riente è rappresentato dal segmento inferiore dell* utero. Di questi argomenti sperimentali e pratici io mi sono servito per acquistare sensibilmente cognizione piena del fatto, e per veder modo di chiarire lodevolmente questa antica controversia. Un feto era collocato in presentazione del vertice nell’ an- gusto ingresso del catino. Applicavo il forcipe; e presa la testa dalla fronte all’ occipite, qualche volta non ha po- tuto passare ; colpa 1* impedimento che nasceva dall’ ap- poggiarsi forte, eh’ ella faceva, di dietro al pube, e dalla mancanza di spazio tra lei e F angolo sacro-vertebrale. Quando poi finalmente arrivava pure a passare, ciò non si otteneva che a grandissima fatica e maltrattando molto la faccia del feto. Qualche altra volta , da una cagione diversa , nasceva una difficoltà di altra specie. L’ apertura che nel cadavere pre- parato per gli sperimenti , rappresenta la bocca dell’ utero più o meno dilatata , era rotonda e grande cosi , che a mala pena concedesse alla testa di passare. Introdotto ed appli- cato il forcipe come dianzi s’ è detto, la grande distanza delle due cucchiaie, misurata dal diametro fronto-occipitale, mutava la rotonda apertura di prima in un’ apertura tra- sversalmente allungata, e alquanto stretta. Quella forma, e soprattutto que’ margini tesi opponevano gravissimo ed an- che insuperabile contrasto alla testa trascinata dal forcipe. Accadeva proprio quel medesimo che accade nell’ ope razio- nila stretta e lunga finestra , per la quale quella cresta passa con giustezza. Se non che, 1’ orlo di sopra della cresta, essendo tondeggiante, e quello della fine- stra essendo tagliato di sbieco ; possono là disopra le due piastre separarsi I9 li- na dall’altra, senza che si scompongano inferiormente. E questo giova per ottenere che il finto promontorio sbalzi in fuori qualche linea di più, solo che mettasi là in alto una zeppetta tra F una e 1’ altra piastra. Tutto P apparecchio è mantenuto saldo al suo posto mercè d' una funicella che, passando per nn paio di fori di coniugazione della colonna vertebrale, viene ad annodarsi sul- l’orlo della cresta sporgente dalla finestra della seconda piastra; il quale orlo è tutto dentato, affinchè la funicella non isfugga. Le tre piastre, per maggio- re economia , si sono fatte di zinco fuso . e Don costano che sei lire italiane. 500 Giambattista Fabbri ne della pietra , quando questa è presa per un diametro che soverchia di troppo 1’ ampiezza della ferita, e la cedevolezza delle parti molli. In tutti i predetti esperimenti , collocata la testa nel luogo di prima, e applicata la leva tra il pube e la regio- ne mastoidea , alle trazioni che si sono fatte la testa ha dovuto ubbidire ed è passata, tanto per lo stretto addominale quanto per la mentita bocca di utero , con una facilità che bisogna vedere per esserne persuasi. Costantemente il pas- saggio ha avuto luogo coll’ abbassarsi della regione occipi- tale ; come il Baddaert ha espressamente notato che accade nel vivo (1) ; motivo per cui anche la mediocre apertura della bocca dell’ utero non ha più offerto 1’ impedimento che offeriva , quando era il forcipe carico della testa che ne tentava il varco. Coli’ occasione di questi esperimenti abbiamo verificato più volte, che quando 1’ unico impedimento alla discesa della testa è la bocca dell’ utero , dilatata sì , ma non del tut- to ; allora il movimento di leva di primo genere vince senza fatica tutta la difficoltà, che allora è lieve; ma abbiamo anche osservato di nuovo il nessun buon effetto che si produce, adoperando la leva come leva di primo genere solamente, se 1’ ostacolo sia costituito dall’ angustia del catino. Nel qual caso, operando nella maniera che si deve e che ab- biamo già descritta, si vede che la leva non è un mero strumento modificatore della posizione , come si volle af- fermare nell’ antica Scuola di Parigi ; ma è un valido mezzo di trazione, come sostennero nel secolo passato i suoi fau- tori , e come sostiene di presente il Boddaert , d’ accordo (1) la uno degli esperimenti, essendo la testa in posizione trasversale occi- pito-iliaca sinistra , volli applicare a modo di leva la branca sinistra del forci- pe curvo tra il pube e la testa, mantenendo in fine il manico diretto longi- tudinalmente. La cucchiaia si applicava a molta estensione , e andava dalla regione mastoidea sino al lato della faccia. Quando si fecero le trazioni , la testa varcò V ingresso con più difficoltà ; e invece di flettersi e avanzarsi coll’ occipite , si avanzò proprio col vertice, conservandosi la fronte e 1’ occipite alla medesima altezza. Dell’ uso della leva nell’ ostETRiciA 501 co’ suoi concittadini , e d’accordo col Burns, col Désor- meaux , col Flamant, col Velpeau e con molti altri. Esperimenti dello stesso genere mi han'no servito per istudiare tutti gli altri fatti particolari , che si riferiscono a questa medesima quistione della leva, e dei quali farò parola tra breve. Siccome poi mi premeva molto di veder chiaro ciò che possa la leva di sua natura , e al tutto senza quell’ aiuto che nel parto le può venire, e anzi le deriva dalla con- corde azione delle doglie; perciò, nel tempo degli accen- nati esperimenti mi sono preso cura che nessuno degli as- sistenti calcasse colle mani nel tronco del feto, per imita- re quello che fanno le contrazioni dell’ utero. Cosi si è toccato con mano che nel caso che abbiamo investigato sino al presente , 1’ efficacia della pura leva è veramente pode- rosa e sorprendente. In altri casi poi , dei quali parlerò qui appresso , e nei quali la leva è meno per se stessa efficace; un piccolo aiuto che le si dia (premendo un poco all’ ingiù il corpo del feto, e imitando 1’ azione di una doglia non molto ener- gica) ha manifestamente bastato perchè arrivasse a produr- re quell’ effetto che ci eravamo proposto di ottenerne. Parecchi de’ nostri Colleghi , e molti studenti della nostra Facoltà hanno già più e più volte assistito a queste mie espe- rienze , e alcuni le hanno ripetute da loro , nel mio Labora- torio e fuori. Le dubbiezze si sono dileguate , e qualche con- trarietà si è mutata in favore. Qui non trattavasi di essere puramente colpiti da un resultamento finale; come quando, in un vero parto , fu veduto un esperto maneggiatore di leva (un Herbiniaux, un Boddaert , un Busch) condur fuo- ri una testa, che il forcipe non aveva potuto liberare dalle angustie di un bacino deforme : fatti , che converti- rono alla leva parecchi increduli. Si trattava invece che P occhio, dal principio al fine, teneva dietro alla leva o al forcipe : li vedeva arrivare , notava il modo di applicarsi , il modo d’ agire, ne valutava gli effetti. = Per gli uomi- ni che sono capaci d’ investigare le cose dubbie con sin- cerità di cuore e colf animo di conoscere la verità, non 502 Giambattista Fabbri col fermo proponimento di cercare i puntelli ai pregiudi- zi ; questi esperimenti , che concordano a capello co’ fatti simili osservati nella vera pratica dell* ostetricia , avranno sempre e dapertutto molto peso. Nè io dico questo perchè pretenda che mi si creda sulla parola. La mia intenzione è molta diversa. Posto che un uomo che senta il proprio decoro non oserebbe accogliere o rigettare definitivamente le esperienze d’ un chimico, d’ un fisico, d’ un fisiologo senza avere o veduto o ripetuto quelle esperienze , che dovessero a lui premere grandemente ; io chieggo se gli esperimenti ostetrici dovranno fare eccezione , sì che possa tollerarsi che altri ostetrici ne diano giudizio conoscendoli appena di puro nome. Io diriggo dunque agli oppositori un invito semplicissimo : Ripetete gli esperimenti. E un invito che non potrebbe essere rifiutato altro che da coloro (se pure vi sono) i quali, per una singolarissima stravaganza, soste- nessero, che 1’ ostetricia possa senza molto danno passar- sene; mentre non potrebbero negare, senza negare la luce del sole , che 1’ industria degli sperimenti è stata ed è la principalissima cagione dei progressi stupendi di tutte quelle scienze che hanno potuto avvalorarsene. = Confidiamo dun- que che qualcuno o per vero amore dell’ arte , o per cu- riosità , o per cortesia vorrà tenere 1* invito. Quando poi i non repugnanti ne avranno veduto co’ propri occhi , e sen- tito colle proprie mani gli effetti, ne lascieremo il giudi- zio alla loro coscienza. Allora si vedrà, se nei loro libri il capitolo della Leva sarà trattato colla solita leggerezza; e molto più , se in pratica , e nel caso che abbiamo studiato , passeranno di buon animo a squarciare il cranio del feto senza tentare, almeno allora, la leva, quando il rivolgimento non è fattibile, e il forcipe ha deluso la loro speranza. Dai giovani ostetricanti io mi riprometto molto di più, perchè non sentono ancora ì’ influenza dell’ abitudine , e 1’ amor proprio non ha motivo di farli recalcitranti. A que- sti però io dico più francamente , che per acquistare la destrezza che è necessaria , non bisogna aspettare di diroz- zare la mano nel corpo della povera partoriente. Intanto per conchiudere intorno a questo primo e prm- Dell* USO DELLA LEVA NELL* OSTETRICIA 503 cipalissimo punto del mio lavoro, dirò: che i risultameli pratici di molti ostetrici di vaglia, e le ragioni meccani- che, e gli esperimenti condotti nel cadavere colle norme indicate in questa e nella precedente mia. Memoria , sono concordi nel provare che la leva, adoperala nella maniera indicata superiormente, è strumento traente adattissimo per fare discendere nella scavazione la testa arrestata nell’ in- gresso della pelvi; e che, nei casi più ardui, deve antepor- si al forcipe. Per casi più ardui intendiamo, in genere, quelli ne’ quali il diametro retto si tiene fra i tre pollici e i tre pollici e mezzo. § 6.° TESTA FERMATA NELLA SCAVAZIONE PRESENTANDO IL VERTICE. Qui intendiamo parlare delle posizioni normali o sincere della detta presentazione , avendo già significato in altro luogo, che le posizioni inclinate più ribelli appartengono alla leva senza contrasto. Ora , comincieremo dunque dall’ ammettere francamente col Boddaert , che il forcipe è lo strumento da preferirsi (generalmente parlando) quando la testa è arrivata nella scavazione, non colla sola volta del cranio, ma tutta quan- ta. Anzi diremo più chiaramente -ohe il forcipe, non solo è ottimo quando la testa ha già fatto quel suo movimento di rotazione, per cui nelle posizioni occipito-anteriori , e spessissimo anche nelle posteriori , P occipite si volge al- 1*. innanzi ; ma è utilissimo anche prima che lo abbia fatto. Sino da principio abbiamo notato che il forcipe, come qua- lunque tanaglia comune, potendo ubbidire al movimento rotatorio intorno al proprio asse, poteva comunicare lo stesso movimento alla testa accolta nel proprio seno. Egli è a questo fine che, sino da’ suoi tempi, lo Smellie in- segnò d’ applicare le cucchiaie ai due lati della testa, con- ducendone una lungo la parete pubiale della pelvi , e l’ al- tra lungo 1’ opposta parete sacrale. E Pietro Camper re- duce da Londra fece vedere al Boom questa operazione nel cadavere d’ una donna morta in soprapparto. E 1’ occasione di tale sperimento (che forse è il primo di cui si abbia 504 Giambattista Fabbri contezza) fu che il Boom, durante il parto di quella don- na , non aveva potuto riuscire a far fare alla testa il mo- vimento di rotazione , servendosi della leva , della quale possedeva il secreto (1). Aggiungerò ancora che per adoperare il forcipe allo stretto inferiore non è necessario aspettare che la testa abbia com- pito il movimento di flessione. Imperocché questo movimen- to manca d9 ordinario sino a che la testa non prema forte e distenda la regione perineale. Il che è quanto dire che 1’ occipite si abbassa nell’ angolo del pube , quando F estre- mità occipitale sta per varcare lo stretto inferiore (2). Que- sto è ciò che accade nel parto più normale ; e non intendo negare che accada diversamente, allorché, incontrando la testa qualche ostacolo nel suo tragitto, è costretta dagli accidenti della strada a piegarsi fuori dei consueto , per accomodarsi meglio alle angustie di quel varco. Nè qui voglio ommettere di ripetere che, trattandosi di lavorare nella scavazione , un forcipe lungo e curvo non è necessario. Assai più comodo da maneggiare è il forcipe corto usato tuttora dagl’ inglesi , il quale o è tutto diritto o ha una curva leggerissima. Che se il forcipe è utile assai nelle posizioni occipito-an- teriori , lo è maggiormente nelle occipito-posteriori , che per se stesse , non rade volte , diventano cagione del par- to artificiale. Non è però da credere che la leva vada esclusa irre- missibilmente da questi casi , che sono in modo speciale devoluti al forcipe. Mai nò. In quella guisa che il forcipe, negl’ incontri meno disastrosi non è bandito dallo stretto superiore , dove la leva ha il predominio ; cosi , quando le difficoltà che il parto incontra non dimandano lVuso d9 una forza molto poderosa, la leva ha servito egregia- mente nella scavazione, nello stretto inferiore e nel passo della vulva (3). (!) Camper op. cìt. (2) V. la mia Memoria. Alcune Considerazioni ostetriche intorno alla pelvi* (3) Joseph-Alexis Sloltz. Considérations sùr quelques points rélatifs à V art des acconchemens. Strasbourg 1826 pag. 44. Dell* uso della leva nell5 ostetricia 5 05 Gli avversari hanno volato dire, che i vantaggi raggiunti da lei nei luoghi anzi detti, sono stati prette illusioni; e che , meglio che all5 azione diretta di lei , vogliono ascri- versi alla maggiore alacrità e forza acquistata dall5 utero nel contrarsi per l5 irritazione in lui suscitata dal contatto di quello strumento. — Fosse anche vera quest5 asserzio- ne, non potrebbe negarsi che l5 averlo messo in opera riuscì profittevole; e che sarà da uomo savio fare altret- tanto in circostanze d5 egual sorta. E in vero ; se per la diuturnità del soprapparto , e per la fiacchezza a che , do- po tanta fatica , sono venute le doglie , si presenta e in- calza il bisogno di por termine ad un patire inutile e pe- ricoloso; perchè dovrò appigliarmi al forcipe, se la cede- volezza ed altre favorevoli condizioni delle parti mi danno ragionevole lusinga che la leva possa bastare? C5 è para- gone tra un5 applicazione di questa ed un5 applicazione di forcipe? E quand5 anche ella non facesse altro bene che di rinvigorire le doglie , e bastasse solo per quésto all5 uo- po della donna, perchè dovrei ostinarmi a prendere il forcipe e a lasciar lei ht - disparte ? Forse non è più vero quel detto : Deux suretés valent mìeux qi£ une ; et le trop en cela n est jamais perdu ? Ma l5 asserzione degli avversari è un ingegnoso supposto, che non ha altro fondamento tranne quello della loro incredulità. Invece si può dimostrare con esperimenti simili a5 pre- cedenti , che la leva è capacissima d5 imprimere da se sola il moto di rotazione alla testa, e anche di condurla alla vul- va, e cavarla fuori dalla vulva, qualora le resistenze che s5 incontrano non siano sommamente gravi. Che se questo si ottiene nel cadavere senza che alcuno spinga il feto verso l’uscita; nella donna viva, col concorso delle doglie anche piccole, e per se stesse inconcludenti, la leva sor- monterà impedimenti anche maggiori di quelli che da se sola sormonta nel cadavere. Nelle circostanze delle quali cade presentemente il di- scorso , il modo d’ applicarla è diverso da quello di prima. Direi poi che le circostanze di adoperarla siano principal- mente queste tre: o si vuole far eseguire alla testa il T. II. fil- 506 Giambattista Fabbri movimento di rotazione : o , compiuto questo , si vuole estrarre la testa che è in posizione occipito-anteriore ; o, per ultimo, si vuole aiutare 1* avanzamento e 1* uscita del- la testa che è in posizione occipito-posteriore. Spendiamo alcune parole intorno a ciascuno de’ tre casi proposti. l.° Per imprimere alla testa il movimento di rotazione, Flamant applicava sopra la protuberanza della regione oc- cipitale la sua leva molto concava e a finestra molto gran- de ; e mentre tirava innanzi l’occipite colla mano corri- spondente a quel lato e che impugnava il manico; aiuta- vano quest’ azione 1’ indice e il medio dell’ altra mano spingendo la fronte verso la concavità dell’ osso sacro ; e intanto il pollice e le due altre dita della mano stessa, abbracciando il collo della leva, venivano a far sì che, mano e leva unite insieme , rappresentassero una specie di tanaglia. Colla leva più curva disegnata nella tavola qui annessa ( Tav. 1 . fig. 2. ) , si può ottenere la stessa cosa seguendo un altro tenore. La cucchiaia deve andare ad applicarsi in traverso sulla parte più bassa dell’ occipite (quella con cui s’ innesta la sommità del collo ) proprio in quella gui- sa che farebbero due dita, colle quali s’intendesse d’ac- chiappare quella più bassa parte deli’ occipizio ( Tav. 2. fig. 2 ). E per riuscire a ciò, il meglio è forse di con- durre la cucchiaia , prima di lato ( sempre colla scorta d’ alcune dita deli’ altra mano ) ; poi di farle sormontare bel bello la protuberanza della detta regione , sino a che arrivi sul luogo indicato e vi faccia buona presa. Impugna- to allora lo strumento nella maniera consueta , con ambe- due le mani si tira 1’ occipite all1 innanzi. In questo caso F innalzamento a più riprese del manico è più che mai necessario, affinchè 1’ estremità della ^cucchiaia, sdruccio- lando ogni volta al di là del punto tpccato da principio, rinnovi tratto tratto la presa , e così possa evitarsi che la leva sfugga nell’ atto di tirare. — Certamente colle sem- plici parole è difficile indicare a puntino tutto il da farsi; nè col leggere esattissime descrizioni di processi operatorii Deli/ uso della leva nell* ostetricia 507 si potrebbe mai acquistare quella destrezza che occorre all* operatore. Usus te plura docebit , è un assioma che è buono per tutte le arti. Ed è per noi buona ventura che il primissimo tirocinio dell* ostetricia operativa si possa fa- re nel cadavere a tanta somiglianza col vero ! 2.° Ma passiamo al secondo punto = Qui trattasi di condur fuori una testa , che bello e compiuto ha il movi- mento di rotazione coll’ occipite all* innanzi. Se 1’ occipite fosse mai nascosto in gran parte di dietro al pube, e non convenisse aspettare che le contrazioni uterine lo facessero discendere , bisognerà prima di tutto abbassarlo quanto basta , facendo agire la leva introdotta direttamente dal basso all’ alto tra P occipite ed il pube. E qui non è inopportuno osservare per trascorso, che quell’ essere nascosti P occipite e la piccola fontanella di dietro alla sinfisi del pube può derivare da due diverse cagioni; e cioè, o dall’essere la testa rovesciata all’ in- dietro per una certa inclinazione frontale; o dall’essere molto basso il catino ( almeno nella sua metà anteriore ) e quindi mancante d’ altezza P angolo del pube. In questo ultimo caso, è necessario che tutta la regione perineale abbia conveniente cedevolezza di parti molli , affinchè si presti, oltre P usato, alla pressione della testa; la quale ( come è noto ) solo col deprimere assai il perineo , può trovare spazio sufficiente alla sua uscita e al suo passaggio sotto l* orlo inferiore del pube. Se le parti molli presen- tassero una sodezza non proporzionata allo straordinario bisogno della testa , occorrerebbe probabilmente P uso del forcipe, e non basterebbe P abbassamento dell’ occipite prodotto dalla leva; come basterebbe senza meno se si trattasse puramente di una inclinazione frontale. Non è poi difficile distinguere un caso dall’ altro , massime se il sacro non sia offeso da quella deformità che scema di molto la sua concavità naturale. Quando il sacro è norma- le, la testa, dopo fatto il movimento di rotazione interna, si trova colla fontanella anteriore proprio sopra il coccige (1). (1) V. la mia Memoria citata dianzi. 508 Giambattista Fabbri E però, se la testa sarà rovesciata verso il dorso, esplo- rando per la vagina (o meglio ancora pel retto), si troverà che la fontanella anteriore è situata al di quà della punta del coccige ed è in rapporto col perineo; se invece la colpa del non sentirsi la fontanella occipitale nel campo dell’ an- golo del pube è da attribuirsi alla poca altezza del detto angolo , la fontanella anteriore si troverà collocata sopra il coccige. Ottenuto che siasi il movimento di flessione della testa, ossia V abbassamento dell* occipite, la leva non può più fare buona presa in quel luogo; e qualora vogliasi collo stesso strumento continuare ad ajutare V espulsione della testa, converrà condursi in tutt’ altra guisa. Già s’ è di- 4 mostrato in altro luogo che in questo caso 1’ azione di leva di primo genere altro effetto non avrebbe che quello di spingere la testa contro la parete posteriore e più bassa della cavità della pelvi. Bisognerà pertanto adattare lo strumento ad altra regione del capo. E qui viene a pro- posito mettere in pratica quello che Pietro Camper ebbe insegnato , dimostrando nel cadavere a’ suoi scolari come poteva tornar utile la leva per cavar fuori la testa del feto dal seno pudendo della madre (1). A questo fine , la cuc- chiaia più concava deve essere applicata di lato, lungo la regione temporale, e dall’ occipite al mento; a un di pres- so come si farebbe con una branca del forcipe (Tav. 2. fig. 3). Le trazioni debbono essere fatte nel modo con- sueto, voglio dire con ambedue le mani, e nella direzio- ne dell’ asse dello stretto inferiore prolungato sino alla vulva. Qui pure il Flamant usava di tirare ij manico colla destra ; e coll’ indice e il medio della sinistra , prendere la testa dal lato opposto; intanto che il pollice 1’ anulare e il mignolo, cingendo il còllo della leva, venivano in certo modo a mutarla in una specie di forcipe. Io sono persua- so che questa maniera di fare non sia per riuscire a tutti gli operatori, sembrandomi, per le prove che ne ho fatte. (1) Op. cit. Dell* uso della leva nell* ostetricia 509 che richiegga una lunghezza e robustezza delle dita che tutti non posseggono. Del resto, nel promovere con questo mezzo I* uscita della testa, F operatore non deve dimenticare quelle avvertenze che si danno per salvare possibilmente F integrità del pe- rineo, quando insegnasi di adoperare.il forcipe. I giovani ostetricanti ricorderanno, non essere necessario che la cuc- chiaia si mantenga applicata e accompagni sempre la testa sino all’ ultimo. Quando la vulva minacciasse lacerazione alla sua commessura inferiore , invece di affrettare la ter- minazione del parto, converrebbe ritardarla. E però alcune volte sarà ben fatto abbandonare a se la testa togliendo via lo strumento ; come usano già molti buoni pratici serven- dosi del forcipe. Qualche intaccatura fatta ne’ margini laterali della vulva potrà talvolta produr bene ; ma prima si vorrà se- guire il precetto del Flamant , che è di tirare verso la vul- va , colle due mani aperte , la cute delle regioni circostanti. Questa cosa la può eseguire un assistente, qualora F oste- trico fosse occupato nel maneggiare la leva. Che se, dopo che si fosse tolta via la leva , tardasse poi di troppo F e- spulsione del capo ; potrà bastare in certi casi o il pre- mere colla palma della mano il perineo disteso dalla testa, in modo che ella sia più facilmente condotta a passare la vul- va ; o F introdurre uno o due dita nel retto , e con quelle premere la testa dall* indietro all5 innanzi. Questi facili e semplicissimi spedienti saranno da tentarsi, prima di ri- solversi di nuovo all’ uso degli strumenti artificiali. 3.° Diremo in terzo ed ultimo luogo come si possa aiu- tare colla leva F espulsione della testa , quando F occipite pel movimento di rotazione interna si è condotto nella concavità del sacro. 'Questo è uno dei casi che più di qua- lunque altro, anche dagli stessi partigiani della leva sti- masi devoluto al forcipe. Vi sono nondimeno alcune osser- vazioni pratiche, le quali provano che il diritto del forci- pe non è assoluto, per guisa che la leva debba assoluta- mente esserne esclusa. Di tali osservazioni io ne rammen- terò due; una è del Flamant (1), l’altra è del Bod- (1) Op. cit. pag. 9. 510 Giambattista Fabbri daert (1). L’ uno e 1’ altro ebbe la soddisfazione di con- durre alla luce un feto vivo, benché operassero con un processo diverso. Flamant fece scorrere la cucchiaia tra il fondo della cavità e la sommità della testa, conducendola più che potè verso 1* occipite; Boddaert invece la insinuò di lato , applicandola dalla fronte all’ occipite ; maniera di applicazione che a me pure è sembrata preferibile (Tav. 2. fig. 4). Quest’ultimo Autore nota che prima dell’ opera- zione, le doglie erano onninamente cessate. Non occorre dire che le trazioni vogliono essere fatte nella direzione dell’ asse dello stretto inferiore e della vulva, e per modo che F occipite sia comunemente il primo ad uscire. Quest’ ultima cosa accade necessariamente seguendo il processo del prof, di Strasburgo; ma imitando 1’ ostetrico di Gand , si è meglio a portata di secondare le peculiari disposizioni e -tendenze della natura. Imperocché è noto che la posizione posteriore deli’ occipite può mantenersi tale sino all’ ultimo (nel qual caso 1’ occipite percorre tutta la doccia perineale e si mostra pel primo all’ esterno); e può invece tramutarsi in una presentazione della faccia col mento al pube, poco prima che la testa si presenti al passo della vulva. La quale differenza di meccanismo finale dipende ( non v’ha dubbio) dal diverso volume della testa; e dalla di- versa resistenza che presenta il perineo. In un caso, il pe- rineo cede, e permette d’ infossarvisi all’ occipite, che ha sorpassato il contorno posteriore dello stretto inferiore ; e così la faccia ha modo di scendere e venire ad occupare il campo dell’ angolo del pube : nell’ altro caso , il perineo resiste, e costringe la testa a progredire mantenendosi in uno stato di flessione ognora più forzata. Questa resistenza è talvolta così ostinata che 1’ utero non arriva a domarla ; e può anzi rimanerne svigorito del tutto. In tali congiun- ture 1’ ostetrico è costretto di ricorrere agli strumenti. (1) Op. cit. pag. 99. Dell’ uso della leva nell’ ostetricia 511 § 7. PRESENTAZIONI DELLA FACCIA. L’ ostetrico può essere richiesto dell’ opera sua nelle presentazioni della faccia o quando la testa è ferma nell’ in- gresso del catino, o quando è già discesa nella scavazione. Se si dà la prima di queste due circostanze e siavi as- soluta necessità di terminare, o almeno di aiutare efficace- mente il parto; egli è evidente che il forcipe non può trovar luogo. Una cucchiaia dovrebbe applicarsi al sincipite e F altra davanti alla gola del feto; e vede ognuno la scon- venienza di siffatta applicazione. Resta dunque o di fare il rivolgimento , respingendo la testa e cercando un piede o anche tutti e due, se il primo non basta ; o di ricor- rere alla leva. Del rivolgimento non occorre fare altre parole, adattandosi al proposito presente quello che ne fu detto in occasione delle presentazioni del vertice. Rispetto alla leva, lo scopo della sua applicazione può essere doppio. E cioè, o di mutare la presentazione della faccia in quella del ver- tice, o, mantenendo la presentazione della faccia, tirare la testa nella scavazione. La mutazione della presentazione della faccia in quella del vertice fatta colla mano , è operazione più difficile di quello che si pensa, e (a detta del Goppée) tentata an- cori molto per tempo, riesce di rado. Può poi non riu- scire, anche adoperando la leva , massime se la faccia sia già molto impegnata e tutta la testa abbia volume più che mediocre. Perchè dunque possa ottenersi quella mutazione di presentazione della faccia in presentazione del vertice, applicando la cucchiaia molto concava al vertice stesso ( co- me ebbe insegnato il Baudelocque e come vedesi rappre- sentato nella sua Tavola XII) bisogna- che vi sia un suffi- ciente spazio. E questo vi sarà , se la testa è piuttosto piccola e le sue suture sono cedevoli ; oppure il catino per buona fortuna pecca per eccesso di ampiezza. Senza il concorso di tali circostanze non sarebbe ragionevole osti- narsi ne9 tentativi , giacché non può a meno che succeda un impedimento gravissimo nel momento in' cui, da un lato , F occipite sta per entrare nell* ingresso del catino ; 512 Giambattista Fabbri mentre dal lato opposto il mento s* impunta al disotto del- r orlo dell’ ingresso medesimo. Il fatto sarebbe molto diverso, se si avesse a fare con una presentazione intermedia , ossia con una posizione o della faccia o del vertice alterata per inclinazione frontale. In tal caso la fronte essendo al centro dell* ingresso e più inoltrata del mento, questo, collocato fuori dell' orlo dello stretto addominale, non potrebbe puntellarsi contro la pa- rete della scavazione , e così servire di ostacolo all* entrata della parte posteriore del capo nel vano dell5 ingresso del- la pelvi. Quando poi la presentazione della faccia sia schiettamente sincera , allora , per fare che la testa discenda coir opera della leva , bisogna che la presentazione si mantenga tal quale. La cucchiaia della leva poco curva va introdotta tra il pube e quel lato della testa che è più voltato all5 innanzi ; e però la cucchiaia stessa trovasi naturalmente applicata di lato alla testa e nella direzione di una linea che corre dalla fronte ali5 occipite (Tav. 2. fig. 5). Operando nello stesso modo che fu indicato dove si tenne parola delle presenta- zioni del vertice, la testa scenderà nella scavazione presen- tando sempre la faccia. Il quale mantenimento della pre- sentazione di prima dipende , non solamente dalla discesa della testa, ma ancora dal movimento di flessione che la testa eseguisce nel discendere. Imperocché (non essendo i due stretti del catino fra loro paralelli , ma quasi perpen- dicolari Y uno all5 altro) se la testa non eseguisse quel gran movimento di flessione, non potrebbe colla faccia presen- tarsi all5 ingresso del catino, e colla faccia pure presentarsi allo stretto perineale e alla vulva; come accade almeno nelle posizioni mento-anteriori. Onde tutto il meccanismo del parto, in queste posizioni, consiste in un grande movi- mento di flessione complicato da quello di rotazione, che conduce il mento sotto il pube. Se non che, oltre al fare discendere la testa pare che la leva produr possa un altro vantaggio , ed è quello che ora dirò. Tanto nelle posizioni mento-cotiloidee , quanto nelle po- sizioni mento-sacro-iliache , la leva tenderà a spingere la 513 Dell* uso della leva nell* ostetricia regione del vertice verso la parte posteriore del catino, nell’ atto stesso che trascina in basso tutta la testa , massime se P operatore aggiunga alla trazione un conveniente moto rotatorio impresso al manico. Di questo felice effetto della leva si può avere un esempio nell' osservazione che il Bod- daert riporta a pag. 103 della sua 2.a Memoria. Diremo dunque che quando si tratterà di posizione rnento-cotiloidea, sarà facile che, nello scendere, la testa faccia il suo mo- vimento di rotazione interna , voltandosi , più o meno per- fettamente , col mento al pube ; e che , nelle posizioni men- to-posteriori , cominci nello scendere della testa , e per opera della leva, quel movimento di rotazione più esteso, che suole (quasi senza eccezione) tramutare spontaneamente le posizioni posteriori in anteriori, come fu già osservato da M.raa Lacha pelle. Onde in questo caso lo strumento preste- rebbe alla natura un doppio soccorso ; quello di fare pro- gredire il feto , e P altro di secondarla nelle sue tendenze più consuete^ di tramutare una dannosissima posizione men- to-posteriore , in una molto propizia posizione mento-coti- loidea. Sperimentando nel cadavere, mi è accaduto più volte che, mentre io cercava di mutare una posizione mento-sa- cro-iliaca destra in mento-cotiloidea destra (applicando al destro lato della testa già entrata nella scavazione la cuc- chiaia della leva più concava , e imprimendo al manico dello strumento il moto rotatorio indicato poc* anzi ) è ac- caduto, dissi, che la primitiva posizione della faccia si è tramutata in una posizione occipito-sacro-iliaca sinistra del- la presentazione del vertice. È da notare che il feto del quale io mi serviva aveva una testa , se non piccola , al- meno molto mediocre rispetto all* ampiezza della scavazio- ne. — Dato che nel vivo si conseguisse questo effetto, ei sarebbe sempre meglio del mantenersi la primitiva po- sizione mento-posteriore della faccia. Qualora poi si dovesse secondare 1* espulsione definitiva della testa, dopo compiuto il movimento di rotazione nel modo più normale , per cui il mento è già sotto 1* orlo inferiore del pube; la cucchiaia delia leva più concava si t. ix. 65 514 Giambattista Fabbri applicherà di lato, dal mento all’ occipite ma sempre in guisa che la cucchiaia afferri col suo concavo la parte più sporgente della regione occipitale (Tav. 2. fig. 6); e le trazioni si faranno secondo T asse dell’ uscita. Che se ; fatto che abbia la testa il movimento di rotazio- ne 1’ ostetrico s’ avvegga che il mento si mantiene con ostinatezza nascosto didietro al pube, e siavi bisogno di applicare la leva per cavar fuori la testa ; in tal caso con- verrà prima di tutto insinuare la cucchiaia didietro al pube e con destrezza abbassare il mento quanto è necessario. Così abbiamo dutnri:utto di seguito come nelle presen- tazioni della faccia possa 1’ osterrico valersi della leva, cominciando dal primo entrare della testa nello— stretto superiore, sino all’ultimo momento dell’ uscita di lei dal seno pudendo. In questo modo abbiamo voluto servire alla maggiore speditezza dell’ esposizione. Soggiungiamo però incontanente che come il forcipe non può adoperarsi bene e con agevolezza nell’ ingresso , così nella «Scavazione e nell’ uscita si merita la preferenza, ogniqualvolta la posi- zione non sia viziata, e le difficoltà da vincere per estrar- re la testa siano grandi. Chiaro è dunque che possono essere trattati dalla leva i casi meno ardui tra quelli che non conviene abbandona- re alle forze naturali della partoriente. Starà all’ avvedu- tezza dell’ ostetrico il giudicare nell’ atto pratico quando, per la felice disposizione delle parti , non occorrerà servirsi del forcipe , la cui applicazione dimanda tanto più tempo, cagiona tanto più dolore , e fa un’ impressione tanto più penosa nell’ animo della partoriente e degli astanti. La regola generale per condursi nella scelta fra i due strumenti è quella che abbiamo testé significata, e nondi- meno per essere esatti dobbiamo menzionare che in alcuni casi di non mediocre angustia trasversale dello stretto in- feriore, o di singolare ristrettezza della vulva* la regola ha dovuto di necessità essere violata. La testa non poteva uscire, e spazio non v’ era per introdurre il forcipe. La leva maneggiata con maestria ha giustificato la fiducia che se n’ era concepita. Dell* uso della leva nell’ ostetricia 515 Considerati i quali risultamenti , non farà maraviglia, se il Coppée dopo avere adoperato questo strumento con ef- fetto fortunatissimo e quasi non isperabile in parecchie presentazioni della faccia, conchiudeva come segue: « Nous » CToyons pour notre part que le levier est le seul instru - » merit qui devrait étre employè dans les présentations de » la face , pour faire passer à la téte le détroit supérieur, » et pour dégager le mentori d’ au-dessous de V arcade des » pubis ». ( Extrait du Bulletin de la Société de Méd. de Gand. 1862 ). Un caso di pertinenza assoluta del forcipe è quello, alquanto raro, d’ una presentazione della faccia col mento voltato alla concavità del sacro, qualora il rivolgimento non sia più eseguibile , in grazia della totale discesa della testa. In alcuni casi, presa la testa dai due lati, col tirarla di- rettamente all’ innanzi, si è venuto a capo d’ averla fuori. Ma pare ragionevole ammettere che , in que’ casi , più circostanze favorevoli abbiano dovuto cospirare al felice ri- sultamento ; e cioè la piccolezza assoluta o relativa della testa, anzi di tutto il feto; e la molta cedevolezza del pe- rineo. La prima circostanza è da ammettersi in quanto che la testa situata a quel modo non può avanzarsi nello stret- to inferiore , senza che la sommità del torace e le due spalle penetrino molto addentro nel catino in compagnia della testa, che essendo in una estensione così forzata si applica al dorso con tutto 1’ occipite. — Bisogna poi ammet- tere anche la straordinaria cedevolezza del perineo per la ragione che , quando il mento ha superato la punta del coccige , egli pel primo e poi tutta la faccia , a poco a poco s’ infossa grandemente nel perineo che si distende ; e questo, col cedere e col prestarsi all’ abbassamento della faccia, fa sì che il vertice, che era nascosto di dietro al pube , scenda anch’ egli ; e dopo il vertice , scenda 1’ oc- cipite ; il quale arriva finalmente ad occupare il varco del- 1’ angolo del pube. Cosicché , prima che la testa venga fuori, la presentazione di prima trovasi tramutata in una presentazione dell’ occipite; ossia in una posizione occipi- to-anteriore del vertice, arrivata all’ ultimo stadio. Il mec- 516 Giambattista Fabbri nanismo del parto spontaneo in quelle posizioni mento-po- steriori delta faccia che si sono mantenute tali, è conforme a quello che abbiamo descritto togliendolo dal Ghailly (1). Più e più volte ci è stato possibile riprodurlo a puntino ne’ nostri sperimenti. Volendo pertanto cavar fuori la testa tirandola direttamente col forcipe all’ innanzi , bisognerà che 1’ ostetrico vi si uniformi , e che operi con molta len- tezza, perchè il perineo non si squarci. Meno pericoloso pel feto e per la madre è forse 1’ altro processo insegnato dallo Smellie , che consiste nel prendere la testa col forcipe e nel farle descrivere un mezzo cerchio , affinchè il mento venga da ultimo a trovarsi sotto il pube. In questa operazione 1’ uso del forcipe corto e diritto è preferibile. Con una sola applicazione di questo si può compiere tutta la rotazione; mentre, col forcipe curvo, è necessario applicarlo due volte. Colla prima applicazione trasversale si prende la testa dai due lati; e quando il forcipe, rotando intorno al proprio asse, è arrivato ad avere una cucchiaia sotto il pube e l’altra lungo il sacro, di necessità bisogna fermarsi e levarlo ; chè altri- menti ( col seguitare la rotazione ) il margine concavo verreb- be a trovarsi voltato all’ indietro. — Intanto , avendo la te- sta compiuto un movimento rotatorio d’ un quarto di cer- chio, ella trovasi ora posta trasversalmente nel catino. Per terminare 1’ operazione, è d’ uopo riapplicare il forcipe di- rettamente, ossia dal pube al sacro, ma in un senso che è contrario a quello in cui era collocato la prima volta. Bisogna cioè voltare il concavo de’ margini al lato cui risponde il mento ; perchè il mento è quello che deve trovarsi per ulti- mo sotto il margine inferiore del pube. Fatto ciò , si torna al moto di rotazione nella stessa direzione di prima ; e così la testa compie il suo movimento di mezzocerchio che dianzi dicevamo essere necessario. — Negli esperimenti che ho fatti e ripetuti molte volte nel cadavere, mettendo in opera il (1) Traité pratique de 1’ Àrt des Aceouchemeots par Chailly-Honoré 4.e Edit. Paris 1861. pag. 778, 779. Mem.Tomo H. Gio. Batta-Fabiri - Dell'uso ragionevole della Leva Tav. I. dioBatla- Falbri ■ Dell" uso ragionevole della Leva Tav. II. Dell5 uso della leva nell’ ostetricia 517 metodo di Smellie, mi è spesso accaduto di ottenere che la posizione mento-posteriore della faccia si trovasse in ul- timo tramutata in posizione occipito-posteriore del vertice. Nondimeno altre volte, sia col forcipe retto, sia colla leva più curva aiutata da alcune dita dell* altra mano , sono riuscito a mutare precisamente in mento-anteriore la posi- zione mento-posteriore della faccia. Che se il mento rima- sto nascosto didietro al pube impediva di cavar fuori la testa, ed esso non potevasi abbassare tirando col forcipe all’ in- giù; tornava facilissimo abbassarlo colla leva insinuata per poco didietro al pube. E poiché mi sono avanzato in questa digressione , aggiungerò cosa da me veduta in pra- tica , ed è che qualora la presentazione della faccia fosse viziata per grande inclinazione del mento , e di più la testa e gran parte del collo fosse digià approfondata molto nel catino ; in tal caso nè leva nè forcipe offrono più speranza di buona riuscita. La sola decollazione è possibile. E il me- todo del nostro Asdrubali parmi da anteporsi. Il quale non consiste già nel troncare affatto il collo colle forbici lun- ghe e robuste ( come affermava il Dugès ) ; ma bensì nel tagliare quanto basta le parti molli per arrivare alle verte- bre cervicali e dividerle ; lasciando intatto un lembo di carni e cute che mantenga dall’ altra parte la testa unita al tronco (1). § 8. TESTA TRATTENUTA NEL CATINO DOPO L’ USCITA TOTALE DEL TRONCO. Se intervenga che , uscito il tronco e le braccia , una vi- gorosa e permanente contrazione spasmodica della bocca dell’ utero, stringendo il collo, non permetta nè la disce- sa della testa , trattenuta allo stretto superiore, nè 1* intro- duzione delia mano; non sarà questo per certo il caso di avere ricorso agli strumenti de’ quali ci siamo occupati sino ad ora. Ho veduto in pratica che questa spasmodia può durare delle ore. Il feto allora muore inevitabilmente , (!) Manuale clinico di Ostetricia di Francesco Asdrubali. Roma 1826. T. 2. pag. 132. 518 Giambattista Fabbri e F ostetrico , armandosi di pazienza , deve ripromettersi dagli ammollienti e dagli antispasmodici insinuati nella va- gina ed applicati all’ addome ; dal salasso , se sia consenti- to; dal bagno generale 6e possa aversi in pronto; da qual- che oppiato, e soprattutto dal tempo; deve, dissi, ripromet- tersi i migliori effetti. È altresì molto probabile che nel frattempo debbasi procacciare il vuotamento del retto, con semplice clistere; e quello della vescica, col cateterismo. Il forcipe e la leva possono solamente giovare quando siavi angustia del catino , o se , anche senza questa, le contrazioni dell’ utero o i premiti della donna non secondino, come sa- rebbe necessario , l’ opera dell’ ostetrico. In tal caso quali siano i motivi della preferenza da darsi all’ uno o all’ altra; quale sia il modo di metterli in opera; non è difficile rica- varlo dalle cose discorse intorno alle presentazioni della fac- cia , e intorno a quelle del vertice. Bisogna però possedere una cognizione esat iissiiraer delle varie maniere che tiene la testa nel presentarsi dopo uscito il tronco ; e delle varie ma- niere di meccanismo che si verificano in ciascuna di quelle posizioni quando il parto è spontaneo. L operatore deve ad arte ripetere ciò che riesce a fare la natura da se , quando ha forze che bastino. Nozioni fondamentali saranno poi sempre queste. — La te- sta di un feto maturo , nell’ uscire del tronco , si deve porre obbliquamente ò trasversalmente, e così varcare 1’ ingresso. Lo varcherà poi approfondandosi col mento, se è (come lo è d’ ordinario ) in istato di flessione ; oppure , avanzandosi coll’ occipite , se è rovesciata verso il dorso ; cosa che in- contra assai rare volte. — - Allo stretto inferiore le cose non mutano d’ aspetto. La testa è sempre un corpo ovoide che percorre la sua strada avanzandosi coll’ una o coll’ altra delle sue due punte ; è 1’ uliva d’ Ippocrate , che non può che per punta, venir fuori dalla caraffa che ha il collo stretto. Conseguentemente la testa del feto maturo esce dalla vulva, dopo il tronco, o coll’ occipite o col mento; ph* spesso con quest’ ultimo. •— * L’ ostetricante deve favorire 1’ uscita di quella delle due punte dell’ ovoide testa* che trovasi più inoltrata e quindi è già più vicina all’ ultimo passaggio. Dell* uso della leva nell* ostetricia 519 Ora , ecco le conseguenze. Se, uscito il tronco, il chirurgo ostetricante s’avvede che la testa è trattenuta sopra F ingresso perchè non si è posta in buona relazione co’ diametri obbliqui o col trasver- so ; ve la condurrà egli colla mano ; e con questa pure la condurrà per tutta la strada che rimane, dirigendola con- venientemente* Se la testa non potrà varcare F ingresso j quantunque vi si trovi collocata o in senso obbliquo o trasversale ; farà abbassare maggiormente il tronco verso il sacro della ma- dre, e introdotta la leva tra il pube e la regione tempo- rale , operando nella maniera solita , farà che la testa di- scenda , e nel discendere si metta in istato di flessione. Giunta nella scavazione colla faccia nel concavo del sacro, se avvi bisogno di aiuto e la mano non sia sufficiente, si potrà (alzato il tronco) applicare il forcipe ai lati della te- sta. Ma invece del forcipe , si potrà ( molto più spedita- mente) applicare la leva più concava ad uno dei lati della testa, e così condurla fuori tirando nel tempo della doglia, e nella direzione dell’ uscita (Tav. 2. fig. 7). Qualora poi il tronco uscito dalla vulva avesse il petto voltato al pube , e F occipite si fosse collocato nel conca- vo del sacro; in allora possono darsi due casi. O la testa è rovesciata all’ indietro; e allora F occipite è la punta del- F ovoide , che è più prossima all’ uscita , e il mento ne è più lontano. Quello , ( sollevato il tronco ) si può facilmente sentire nella concavità sacro-perineale ; questo , applicato come trovasi alla parte più alta della sinfisi del pube , non si raggiunge col dito, o non vi si arriva che a fatica. Oppure la testa è in istato di flessione; e allora F occi- pite rimane altissimo , intanto che il mento, essendo la pun- ta più avanzata dell’ ovoide , trovasi già a livello , o anche più basso , dell’ orlo inferiore del pube. Nell’ uno e nell’ altro degli anzidetti due casi , se vi sia bisogno d’ aiuto più efficace di quello della semplice mano, il forcipe può prestarlo. Se F occipite è più avanzato poste- riormente , si fa tenere alzato il trónco , e didietro a questo si applica il forcipe: se invece il mento è più dell’ occipite 520 Giambattista Fabbri avanzato anteriormente ; il tronco del feto viene abbassato e portato all’ indietro , e rasente il suo petto , viene applicato il forcipe .ai lati della faccia, e nella direzione dal mento al- l’occipite. In questo caso, per condur fuori la testa, i mani- chi del forcipe non debbono innalzarsi, come nel caso prece- dente; ma invece debbono abbassarsi , affinchè la faccia possa essere la prima a venire fuori della vulva. In tutti questi casi il piccolo forcipe dello Smelile è di un uso assai più comodo e soddisfacente del forcipe francese, che molti ado- prano senza distinzione. Queste operazioni di forcipe sono proposte dagli autori ed eseguite dai pratici. Nondimeno bisogna convenire che non sono agevoli , e che quando è fuori il tronco, se il feto è vivo e c’ è bisogno del soccorso degli strumenti , la vita non si mantiene che a patto di es- sere, non già precipitosi, ma piuttosto solleciti nell’ operare. Una compressione del cordone troppo a lungo protratta, P uccide. Per questo motivo alcuni ostetrici, e fra questi il Co ppée , hanno trovato utilissimo di anteporre la leva al forcipe. E però nel primo dei due casi, alzato il tronco, applicano la leva di lato all’ occipite (Tav. 2. fig. 9); e nel secondo , abbassato il tronco, introducono la cucchiaia tra il pube e la fronte , per fare che la faccia scenda tutta nel campo della vulva (Tav. 2. fig. 8). Ne’ miei esperi- menti ho veduto che può con vantaggio introdursi la leva anche di lato , e nella direzione dal mento all’ occipite. La prima maniera però è sanzionata dalla giudiziosa e fortunata pratica del Coppée. Io ho citato più volte questo distinto ostetrico fiammingo, il quale tra le altre cose ha scritto una memoria sull’ uso della leva dopo 1’ uscita del tronco. Di questo lavoro che è corredato di pratiche osservazioni molto pregevoli, pia- cerai riportare il passo che segue: « Le levier est un in- » strument très-intelligent. Il exécute à merveille les volontés » de celui qui le guide ; et si le praticien est bien pènétrè » du rnécanisme de V accouchement naturel , / il connait » exactement la position à laquelle il a affaire , cet in - » strument lui permet de substituer une manoeuvre à une » autre , et de tirer ainsi parti de toutes les particularités » qui se présentent. ( pag . 10 ) ». Dell’uso della leva nell’ostetricia 521 § 9. CONCLUSIONI. Dopo le quali considerazioni , parrai che la più fonda- mentale sostanza del mio discorso possa presentarsi com- pendiata nelle sette proposizioni che ora dirò: |.» La leva è buona, non solo a raddrizzare la testa nelle posizioni inclinate, ossia come strumento modificato- re; ma è buona altresì come strumento traente per trasci- nare la testa lungo la strada che deve battere. 2. a La sua virtù traente si mostra preferibile a quella del forcipe, quando la testa, presentando o il vertice o la faccia , è trattenuta nell’ ingresso del catino; e massime se siavi un’ angustia di primo grado. 3. a Nella scavazione e nell’ uscita della pelvi, il forcipe dispiega una efficacia, che supera quella della leva; sem- prechè la posizione non sia grandemente viziata per in- clinazione. 4. a Gontuttociò , la leva in cento e cento casi trovasi utile a preferenza del forcipe , tanto nella scavazione quanto nello stretto inferiore; e sono in genere que’ casi in cui gl’ impedimenti non sono gravissimi, e le doglie, sebbene assai deboli, non tacciono del tutto. Sarebbe allora so- verchio ricorrere al forcipe, perchè la leva può bastare; e bastando , si ha il vantaggio di una operazione più faci- le, più spedita, meno dolorosa, e meno pericolosa. In qualche raro caso, la leva è preferibile nello stretto inferiore, quando il diametro trasverso è tanto angusto da non consentire 1’ applicazione del forcipe. — Un fatto so- migliante può dipendere da eccessiva ristrettezza della vulva. 5. a Dopo uscito il tronco, se occorre estrarre la testa e la mano sola non è sufficiente , la leva può per avventura soddisfare all’ uopo meglio del forcipe, in grazia della spe- ditezza e semplicità della sua applicazione. In queste con- giunture la vita o la morte del feto dipende in gran parte dal pronto e destro , o dal tardo e male apprestato soccorso. 6. a La leva poco curva merita di essere preferita per lavorare nello stretto superiore , quando debba introdursi t. ii. 66 522 Giambattista Fabbri con qualche difficoltà tra il pube e la testa : la leva a grande concavità è vantaggiosa molto più della prima , quando debba adoperarsi nella cavità e nell’ uscita del ca- tino ; e, in genere, quando possa comodamente adattarsi all’ occipite, ai lati della testa, alla fronte, o àlla faccia. 7.a Nell’ uso dei due strumenti molto si deve alle intrin- seche loro qualità ; ma la molta perizia di chi gli adope- ra fa che riescano a produrre effetti che agli occhi de’ me- no esperti sembrano poco meno che prodigiosi. Da ciò , la grande utilità di acquistare per tempo, e con ambedue de- strezza più che volgare , giovandosi a tutto potere anche delle agevolezze e de’ vantaggi che offrono gli esperimenti e le esercitazioni fatte nel cadavere (t). A dì 21 Agosto dell’anno 1826, innanzi alla Facoltà Medica di Strasburgo, un egregio Candidato, che divenne poi Clinico in quella Scuola (lo Stoltz) chiudeva la sua Tesi di Laurea con queste memorabili parole = Le levier MÈRI TE DONC PLU8 D* ATTENTION Qu’ ON NE LUI EN DONNE DANS L1 * * * * * * * 9 ÉTAT ACTUEL DE LA SCIENCE ; ET QUaND ON l’ AUllA PLUS SOU- VENT MIS EN USAGE , ON LUI RECONNA1TRA DES AVANTAGES QU* ON LUt REPUS E ÀCTÙELLEMENT =5* Coetaneo di Laurea dell’ illustre Professore , dopo quasi 40 anni, io chiudo questa Memoria colla medesima senten- za , avvegnaché possa taluno averla in conto di un presagio fallace, che i fatti abbiano già bello e smentito. Per una parte, mi assicura il pratico esempio di Ostetrici valorosi; per l’ altra , confido fermamente nella bontà degli argo (1) Qui poi noD sarà inopportuno notare come l’illustre Flamant, che ab- biamo più volte nominato , fu pure d’ avviso , che la leva meno curva potesse applicarsi ad altre regioni del feto fuori della testa. E queste sono le spalle e le natiche. — Se, dopo uscita la testa , le spalle non s’ impegnano nello stret- to superiore per essere poste trasversalmente; egli insegna di condurre, lungo il collo e colla scorta d’ un dito , la leva per applicarla ad una spalla e spin- ger questa verso una sinfisi sacro-iliaca, ove sarà più facile uncinarla per condurla fuori. — Similmente , quando le natiche discese nella scavazione non eseguiscono la loro rotazione, egli vorrebbe che s’applicasse la leva alla na- tica destra, spingendone anzi l'estremità sino alla scapola, affinchè tra una doglia e 1’ altra si potesse tentare di volgere all’ indietro quel lato del feto. Dell’uso della leva nell’ostetricia 523 inenti sperimentali ; base principalissima del mio presente lavoro. — Dal quale sento che non debbo distaccarmi senza che io volga le parole a’ nostri Colleglli d’ Italia, e che li preghi istantemente perchè vogliano tornar sopra e studiare con amore il tema del mio discorso, contuttoché il maggior numero degli ostetrici sia d’ avviso che da lun- go tempo, e con giusta sentenza, sia passato tra le cose giudicate. Avvezzi quali noi siamo a vedere come, non meno delle cose, le idee forestiere e nuove siano per lo più ricevute appo noi di buona voglia, e spesso con sicurezza troppo fretto- losa; potrebbesi mai temere che una questione sì grave, e che arriva pur ora d’ oltr’Alpi, sia per essere accolta con fredda indifferenza o con deliberata contrarietà? — È vero che non l’accompagna il prestigio di muovere da una na- zione di prim’ ordine ; ma questa non e macchia che ne debba scemare V intrinseco valore, postochè lo schietto sa- pere non cerca malleveria dalla possanza orgogliosa. E già in antico fu detto , che nella gara nata fra due grandi pote- stà ; quella che fuori dalla terra far potè che balzasse il ve- loce e guerresco cavallo, non ebbe corona. La quale invece fu a lei conceduta, che il pacifico ulivo seppe suscitare, per nutrimento di quelle lucerne , la cui virtù fece che le buone Arti , ubbidienti al nocturna versate manu , avessero poi a stupire delle meraviglie che produssero. Quanto a’ nostri Colleghi della Fiandra e del Belgio, io avrei molto a caro che fosse di loro piacere V accogliere benignamente quel metodo, che dimostra con esperimenti veritieri la meccanica ostetrica ; e che , adoperato in prima da Pietro Camper, oggi torcerebbe volentieri ne’ luoghi dove nacque, dopo di essere tra noi cresciuto per V ope- ra del Monteggia , e per V amore col quale io pure ho seguito le pedate del nostro benemerito lombardo. INDICE Introduzione pag. 453 § 1. Ricordi storici » 456 § 2. Forcipe in generale » 462 § 3. Leva in generale » 467 § 4. Posizioni inclinate della festa » 473 § 5. Testa nelV ingresso ; presentazione del vertice . » 474 Art. l.° Rivolgimento » 477 Art . 2.° Uso del Forcipe » 478 Art . 3.° Uso della Leva » 485 § 6. Testa nella scavazione ; presentazioni del vertice . » 503 § 7. Presentazioni della faccia » 511 § 8. Estrazione della testa , uscito il tronco. . » 517 § 9. Conclusioni » 521 SULLA SPLANC1V0L0GIA E SUI VASI SANGUIFERI CHE LE APPARTENGONO NON CHE SUL SISTEMA LINFATICO DELL’ UROMASTYX SPINIPES MERR. wmmu DEL PROF. CAV. LUIGI CALORI ( Letta nella Sessione dei 30 Aprile 1863.) lf engo a sciogliere 1* obbligo contratto coll’ illustre Collega ed amico Prof. Gaetano Sgarzi di dare la Splancno- logia dell’ Uromastyx Spinipes Mer. ad illustrazione e con- ferma de* corollarii che spontaneamente discendevano dalle analisi chimiche da lui istituite sugli escrementi di detto Saurio , i quali furono dalla antichità avuti in conto di medicinali e di cosmetici (1). In questa congiuntura espor- rò altresì alcune osservazioni sul sistema vascolare di lui e specialmente sui vasi linfatici. SPLANCNOLOGIA APPARECCHIO DIGERENTE. Nelle labbra occorrono le solite gianduia labiali, le in- feriori c fig. 1. Tav. I. più sviluppate delle superiori, e ricoperte di una espansione aponeurotica in cui si avvisa (1) Vedi il Tom. XII. delle Memorie dell’Accademia delle Scienze del- P Istituto di Bologna pag. 437. 526 Luigi Calori qualche fibra muscolare. Quest’ espansione muove sottile ma robusta dalla punta della mandibola, e aderisce molto al- le dette glandule ch’ella deve comprimere, ed agevolare F escrezione od espulsione dell’ umore da esse separato nel vestibolo della cavità orale, ove veggonsi le foci di quelle in d fig. 2. Tav. 1 . Dei denti e dell’ osso ioide tenni proposito in una Nota impressa nel Tom. XII. delle Memorie della nostra Accade- mia (1), sicché dovrei affatto passarmene; ma avendomi 1’ Illustre Collega ed amico Cav. Prof. Giuseppe Bianconi procurata una femmina dell’ Uromastyx gravida di ova ben grosse, ma un po’ più piccola del maschio, ed avendone osservata la dentatura, ho trovato qualcosa degna di an- notazione massime rispetto al dente impari dell’ interma- scellare; il quale dente non è più unico e complesso, co- me dimostrai nel maschio, che mi servì per lo scheletro, ma triplo , secondo che apparisce in e fig. 2. Tav. 1 ; im- perocché ci ha un dente medio più largo, e due laterali più stretti e piccoli, obbliqui allo infuori, i quali hanno aspetto di essere impiantati in quello. Duméril e Bibron (2), R. Owen (3) ci hanno insegnato che il dente complesso trilobato dell’ intermascellare è nei giovani formato di due o quattro denti minori che saldansi e confondonsi in uno. Non muovo dubbi su ciò , ma convienmi notare che i due denti laterali sembrano prole del dente medio, e quando così fosse , la genesi del dente complesso diversificherebbe alquanto ; chè i figli nel genitore fonderebbonsi. Da un altro canto la femmina da me esaminata per quanto gio- vane si voglia considerare , eli’ era certamente adulta , ar- gomentandosi e dal particolare di essere piena di ova molto sviluppate , e dallo avere i denti anteriori della mascella superiore insieme uniti e fusi in un gran tagliente, come si vide nel maschio; tagliente così anchilosato coi processi (1) Vedi la pag. 144 del Tom. cit. e la Tav. 2. annessa alla delta Nota. (2) Erpetologie Tom. IV. Paris 1837 pag. 534. (3) Odontograpliy etc. Voi. II. pag. 339. London 1840-45. Sulla Splancnologia ec. 527 alveolari da non scernersi traccia di distinzione. Non dis- simulo F obbiezione, che potrebbemi venir fatta , cioè che quella femmina era più piccola del maschio, e eh’ ella doveva anco crescere. Convengo , ma codesto non toglie niente a quanto ho avanzato , ed altro mi penso non voglia dire che dessa non aveva ancor attinta F età nè F incre- mento del maschio. Aggiugnerò poi che potrebbe essere che nella femmina fosse più tardiva la fusione di quei denti, ovvero, che fosse, ciò che è forse troppo azzardato, un carattere di sessualità. Ma checché sia , mi è parso bene di dover ritrarre la descritta disposizione, non avendola F Owen rappresentata con figure nella sua Odontografia. I muscoli masticatori non diversificano da quei degli Stel- lionidi e degli Agamidi, e sono robustissimi, massime il muscolo temporo-masseterieo. La lingua g fig. 2. Tav. 1., fig. 3-3WtTav. 2-2M* è larga, piatta , di mediocre lunghezza coperta di villi o papille molli salvo che nella punta , la quale è poi leggiermente bifida. Bifida ne è pure la base, ed i rami della biforca- zione sono villosi , e tra essi giace uno spazio triangolare medio il quale è liscio. Ai lati della lingua sorgono quat- tro creste papillose , le posteriori delle quali sono maggiori. Queste creste offrono le loro papille o villi disposti in linee trasversali. Fra queste creste e i lati della lingua ho cercato invano degli orifizi glandulàri. I muscoli della lingua e dell’ osso ioide, da qualche dif- ferenza in fuori, sono come nei mammiferi. Sollevando la pelle della regione inferiore del collo s’ incontra innanzi tratto un sottile muscolo membraniforme aderentissimo a lei, formato di fascetti trasversali , il quale mediante un’a- poneurosi pur sottile , ma resistente si appicca al corpo ed alle corna medie dell’ osso ioide. Sopra questo muscolo ne giace un altro che dalle ossa della spalla, e specialmente dalla clavicola va ad inserirsi al corpo ed alle predette cor- na ioidee. Questo muscolo è unito sulla linea media con quello dell’ altro lato, ed è F analogo dello sternoideo e del- F omoplataioideo. I due muscoli descritti sono stati levati , e non si vede dell’ ultimo che F attacco all’ osso ioide in h, fig. 1. Tav. 1. 528 Luigi Calori Al davanti dell’ osso ioide trovasi il muscolo miloioideo di cui ho lasciato a sinistra semplicemente F inserzione i nella mandibola, mentre tutto il restante è stato tolto per met- tere in vista i muscoli sovrapposti spettanti all’ ioide, e primieramente ci ha Il muscolo genioioideo k delineato solo a sinistra, il quale genioiodeo è di figura piramidale e schiacciato, e muove dal corpo ioideo per terminare con un sottile e piatto tendine a lato della sinfisi mandibolare nella parte interna o posteriore della mandibola. Allo esterno de’ genioioidei occorrono i muscoli stiloma- scellari, uno de’ quali è ritratto in l a sinistra. Questo mu- scolo è molto esteso e robusto, e confina nella sua inserzio- ne alla mandibola con il muscolo pterigoideo interno f Detratti i genioioidei e gli stilomascellari, come a destra, cade sott’ occhi il muscolo stiloioideo m s il quale riempie lo spazio che separa le corna medie dalle corna anteriori , alle quali tutte corna è attaccato. I muscoli della lingua poi sono II genioglosso n , il quale nasce dalla faccia posteriore della porzione anteriore dei rami mandibolari, e va a ter- minare nella lingua. Questo muscolo non è applicato a quel- lo dell’ altro lato ; chè fra ambidue i muscoli genioglossi giacciono i due muscoli o grossi fasci muscolari p,qs che costituiscono F ioglosso. Il fascio q nasce dal corpo dell’ osso ioide, e prolungan- , dosi in avanti si ripiega obbliquamente verso il compagno a cui si unisce , ed amendue questi fasci destro e sinistro abbracciano la cartilagine (stiliforme della lingua o cartila- gine entoglossa comprendendola come in un astuccio. Questo fascio q è evidentemente F analogo del muscolo basio-glosso. Il fascio p procede dalle corna ioidee anteriori e termi- na nella lingua al lato interno del muscolo miloioideo. Co- tale fascio ritrae il condroglosso ed il ceratoglosso dei mam- miferi. Finalmente si vuole distinguere il muscolo o> o, il quale nasce dalle corna ioidee medie allo interno dello stiloideo, e corre in avanti al lato esterno del genioglosso , col quale Sulla Splancwologia se. 529 confonde una parte delle sue fibre. Questo muscolo è lo stiloglosso. Non mancano nella lingua delle fibre longitudinali e tras- verse , le quali ultime sono assai cospicue alla parte ante- riore della lingua , e sembrano date a produrre il ravvicina- mento dei due apici, o delle due piccole corna del suo apice bifido. L’ azione di tutti i divisati muscoli, è troppo chiara, per- chè io vi debba spendere sopra molte parole. Certamente i muscoli ioidei posteriori analoghi allo sterno ed omoplata ioidei debbono portare V osso ioide allo indietro, ed agen- do da un lato solo anche da questo, e possono altresì fis- sarlo, acciocché il miloioideo , il genioioideo, e lo stiloma- scellare che portano V osso ioide in avanti, invertano la loro azione ed agiscano sulla mandibola ed in oltre lo stilo- ioideo fissi le corna anteriori , e punto fisso abbiano il con- dro ed il ceratoglosso. Fisso poi 1’ osso ioide per V azione di tutti i muscoli ioidei, F intero ioglosso, e lo stilo glosso agiranno sulla lingua traendola in basso ed in ad- dietro. Il genioglosso per avere una origine molto estesa dalla faccia posteriore dei rami mandibolari, e pel sito, che egli occupa, non può che poco, o punto valere a por- tare la lingua in avanti. Questa esposizione dei muscoli ioidei e linguali si scosta non poco dalla generalmente ricevuta (1), e sarà alcuno per avventura che vorrà tacciarmi di avere con essa troppo innovato. Questa taccia però non potrà venirmi applicata tosto che si consideri la significazione che io attribuisco alle corna ioidee anteriori e medie, o le loro analogìe colle corna stiloidee, e colle ossa stiloidee dei mammiferi. Di fatto le anteriori ritraggono le prime, cioè le qorna stiloi- dee, le medie retraggono le ultime, cioè le ossa stiloidee, o come si esprimeva Geoffroy Saint-Hilaire , quelle corri- ti) Vedi G. Cuvier Lecons d’Àoat, Compar. Tom. 2 pag. 138-179, e le aggiunte di Duvernoy, Bruxelles 1838. Vedi altresì G. F. Mechel Traité compiei d' anat. compar. Tom. huitieme Paris 1838 pag. 132-35 fino alla 141. t. ii. 67 530 Luigi Calori spondono agF apophyiali e ceratohyali , queste agli stilhya- li* Poste queste analogie spero che quella esposizione verrà trovata ragionevole (t). Tra i muscoli della lingua non ho incontrate quelle glan- dule linguali occorsemi in altri saurii, e che ho vedute sviluppatissime soprattutto ne’ Varanidi. La faringe non si differenzia in niente da quella degli altri saurii e così V esofago. Se nella faringe non si avvi- sano le amigdale concesse solo al Coccodrillo, appariscono bene ai lati di lei molti orifizi di glandule mucipare , che ne sopperiscono alla mancanza , quantunque esse , cioè le amigdale, si abbiano oggi in conto di organi linfatici. Lo stomaco u è molto lungo, ed oltrepassa di non poco il lobo sinistro del fegato. È conico , un po’ arcuato , e più largo dell(I) * * * 5 esofago. Ripiega a destra colla sua porzione pi- lorica^ ed alquanto ascende. Questa porzione è più stretta del restante di lui. Ha desso pareti robuste ed assai mu- scolose. La sua mucosa forma delle pieghe longitudinali più rare, ma maggiori di quelle dell5 esofago. Il suo orifizio pilorico è munito di una valvola in gran parte membra- nosa , e tutto intorno pieghettata. Nella fig. 1. Tav. 1. non si parano innanzi gli intesti- ni tenui che rimangono nascosti dal fegato, e dall5 enorme cieco £. Questi intestini sono chiusi dentro un sacco, di cui appare una porzione in 16, collocato al davanti della grande cisterna del chilo , sacco formato dai peritoneo che dal cieco stesso e dallo stomaco si reca alla faccia concava del fegato. Una disposizione consimile sembra sia stata os- servata dall5 Owen e dal Martin nei Coccodrilli. Nella parete (I) La descrizione da me data de’ muscoli ioidei e linguali è applicabile ad altri saurii, p. e. all'Agama Colon. Dandin, all’ Agama aculeata Merr. , ai Phrynosomidi ec. e consente con quella che il Prof. Antonio Aiessandrini ha fatta de’ medesimi muscoli nelle Testuggini (Vedi Novi Commentar» Acad. Scient. Instimi. Bonon. Tom. I. pag. 63. De testudinum lingua atque osse liyoideo). Consultando questo Opuscolo si troverà che i motivi che spinsero il lodato Prof, a significare di cotal guisa i prefati muscoli, sono gli stessi che hanno tratto me a significarli egualmente nell’ Uromastyx ed in altri saurii. Sulla Splancnologia ec. 531 di questo sacco a sinistra rinyiensi il fascio dei vasi perti- nenti al fegato, vale a dire il tronco della vena porta, P arteria epatica ed il coledoco. Poste le divisate particola- rità s’ intende di leggieri che cotale sacco rappresenta gli epiploon nella cui cavità sono accolti gli intestini tenui. Vedesi aperto questo sacco in 4 fig. 19. Tav. 4, dal quale ho tratto fuori codesti intestini per dimostrare i vasi lattei o chiliferi compresi nel loro mesenterio. Gli intestini tenui fig. 3-3M# Tav. 2-2bit possono dividersi in tre anse, una del duodeno vs P altra del digiuno x, e la terza dell’ ileo y. La prima è un po’ più larga nel suo prin- cipio, ma non forma quel seno duodenale così pronunziato come in altri saurii ; la seconda è d’uniforme grossezza; la terza è meno grossa e tanto più ingracilisce quanto più si avvicina al cieco entro cui s’ immette. Questi intestini quantunque richiusi entro la cavità degli epiploon , ciò nondi manco non è loro tolto di eseguire i loro movimenti, essendo provveduti di un mesenterio che certo non pecca di troppa brevità; anzi confrontato con quello di altri saurii che non offrono la descritta disposi- zione , P ho trovato di eguale lunghezza , ed a comparazio- ne di alcuni anco maggiore. Ciò mi ha mostrato una fem- mina del Varanus arenarius Dumeril eBibron, mentre un rapporto inverso ho veduto nel Varanus elegans. La membrana muscolare degli intestini tenui non pre- senta niente di notabile , e la mucosa offre le solite pieghe longitudinali increspate a ino’ di collare, e frequentemente unite insieme da pieghe trasverse così che ha luogo una conformazione cellulare od alveolare. Il bordo libero delle pieghe longitudinali è singolare per una moltitudine di in- cisure , le quali sono così spesse e vicine nel principio del duodeno che rendono cotal bordo denticolato , ma irregolar- mente, non essendo le incisure egualmente profonde, nè i dentelli egualmente lunghi , lasciando anche da parte stare la profondità delle incisure. Io ho voluto esaminare al microscopio sotto un ingrandimento di 60 diametri una porzioncella di queste pieghe longitudinali della prima por- zione del duodeno presa a non molta distanza dal piloro, 532 Luigi Calori ed ho veduto che quei dentelli altro non erano che villi parte semplici, parte composti fig. 4. Tav. 2. I sempli- ci 1 , 1 , 1 , erano minori e maggiori , ed avevano quando la forma papillare o conica, quando la digitale o cilindrica. I composti 2 erano piu larghi e terminavano dividendosi in due o tre papille , donde argomentavasi constare essi di più villi semplici. Nel restante del duodeno e nelle altre due an- se summenzionate i dentelli delle pieghe longitudinali erano molto più larghi ed avevano un apparenza di frappe , o di foglie quando discrete e rotonde come in 3, 3, quando confluenti e riunite come in 4 , 4. Anche queste frappe voglionsi considerare come villi paragonabili agli incipienti degli embrioni o de’ feti de’ vertebrati superiori. Una bella rete capillare arterioso-venosa si avvisa in questi villi , e cotal rete è similissima a quella che presentano i villi dei vertebrati superiori , onde sotto questo rispetto non ci ha dubbio alcuno eh’ elli non sieno veramente tali. Osservati questi villi ad ingrandimenti più forti non solo vi ho scorto F epitelio che li ricopre, ma spogli di questo vestimento ancora delie fibre muscolari liscie. Quanto ai chiliferi, non li ho potuto chiaramente vedere che alla loro base , inter- rotti , ma con la direzione loro verso V apice , ed erano molteplici, da’ villi semplici infuori, ne’ quali uno solo occor- revano. Per le quali tutte cose parmi che la significazione che io ho data di villi ai dentelli o frappe delle pieghe longitudinali , non si dilunghi dal vero. Se poi negli altri saurii sia altrettanto , risponderò che sì rispetto ad un certo numero , ed aggiugnerò che nel Camaleonte affricano il trin- cio dell’ orlo libero delle pieghe longitudinali è già stato dagli anatomici riconosciuto , e che nel duodeno soprattutto vi sono state ammesse delle vere villosità. Nel centro dell’ addome trovasi V enorme cieco globoso z fig. 1. Tav. 1, fig. 3-3é** Tav. 2-2w* munito della sua appendi- ce od intestinulo vermiforme & , unico esempio per quanto mi è a contezza , delia esistenza di una tale appendice nei saurii. Noi troveremo questo cieco e la sua appendice ol- tramodo protuberanti entro la grande cisterna del chilo, e la superfìcie protuberante ne sembrerà a prima giunta far Sulla Splancnologia 533 parte della parete di questa cisterna. Troveremo questa su- perficie altresì attaccata per molte briglie ai vasi sanguiferi che sembrano dentro la cisterna , e specialmente all* arteria mesenterica anteriore. Dalla parte anteriore è questo cieco unito all’ ileo , e a destra ed inferiormente si continua col colon. Aperto il cieco , come nella fig. 6 , Tav. 2. si vede che F ileo y assai ristretto vi penetra dentro costituendo la valvola ileo-ciecale 5 tutta intorno pieghettata, e circoscri- vente col suo labbro circolare un angusto orifizio. Non è d’ uopo dire che questa disposizione di pieghe indica F at- tezza , ed il potere dato alla valvola di chiudere e di dila- tare questo orifizio. Ad una distanza presso che eguale dalla valvola descritta , e dal foro di comunicazione con il colon occorre la grande apertura 6 , che è la foce dell’ appen- dice vermiforme. Questa foce non è munita di una vera valvola ; chè una piega circolare assai poco rilevata F attor- nia, e non potrebbe impedire F ingresso delie materie discese nel cieco dentro F appendice. Il cieco non è velato dal pe- ritoneo che nella sua faccia inferiore, e neppure in tutta questa faccia. A sinistra e superiormente è insieme coll’ ap- pendice vermiforme coperto dalla membrana interna oltremo- do assottigliata della cisterna del chilo , entro la quale egli protubera^ ed è legato ai vasi sanguigni percorrenti la ci- sterna per numerose briglie come fu detto superiormente. La membrana muscolare di questo enorme cieco è robustissima, e la membrana cellulare o vascolosa è assai ricca di vasi. La mucosa finalmente non offre pieghe , e presenta alquan- te chiazzine nere circolari o stelliforrni vascolosissime 7. ibid. 7, fig. 7 Tav. 2. Dentro il cieco descritto racchiudevasi una grande sciba- la di un verde cupo formata di residui vegetabili , e che il Collega Prof. Sgarzi ha riconosciuta identica agli escre- menti , o meglio alla materia bruna da lui chimicamente cimentata degli escrementi dell" Uromastyx, e F ha trovata quasi per intero composta di clorofilla. Questa scibala aveva la forma del cieco ed era duretta anzi che no , e ben coe- rente , ed inodora. L’ appendice vermiforme non conteneva niente di tale materia. 534 Luigi Calori L’intestino colon 9, 10 fig. 1. Tav. 1. fig. 3-36i< Tav. 2-2*" è ripiegato ad uncino ed unito col retto 1 2 forma un tutto sigmoide. Comincia largo dal cieco , rna a poco a poco re- strignesi , ed offre la maggiore strettezza in quella sua por- zione 10 che dal ripiegamento si estende al retto, ed al pun- to di unione 11 è stretto al massimo, ed a questo punto in- ternamente corrisponde un rilievo circolare valvoloso. L’ in- testino retto è lungo, e largo, massime posteriormente, e presso al suo termine od alla cloaca. Ambidue questi in- testini hanno un mesenterio che è più lungo al colon , meno al retto ove tanto più si abbrevia , quanto è più po- steriore. La membrana muscolare vi è robustissima. Della vascolare non ci è niente a dire. La mucosa oltre la piega del rilievo valvoloso situato all’ unione del colon col retto forma nella parte posteriore di quest’ ultimo intestino , per- tinente alla cloaca , delle grandi pieghe oblique o trasver- se 14, 14 fig. 8. Tav. 2, che possono considerarsi esse altresì valvolose , le quali pieghe non percorrono tutto quanto 1’ ambito interno di detta porzione d’ intestino, nè s’ incontrano colle loro estremità , ma una di esse termina fra due opposte riunendosele , e costituendo così delle con- camerazioni o seni che vogliansi appellare , entro i quali in- nicchia vansi de’ calcoletti biancastri grossi come un pisello od un grano di frumentone con molti altri frammenti della medesima natura, e tanto erane il numero che riempivano cotal porzione d’intestino. Il lodato Collega Prof. Sgarzi, cui li mandai onde chimicamente cimentasseli , li avvisò subito simili alla materia bianca degli escrementi da lui per innanzi analizzati dell’ Uromastyx, e li rinvenne com- posti quasi per intero di acido urico. Per quanto si deter- gesse quella porzion di mucosa rimanevano sempre de’ pez- zetti bianchissimi di quell’ acido, e vidi eh’ essi per un corto peziolo erano a quella attaccati e rassembravano tanti acinetti quando periformi , quando ovoidi quando romboi- dali come apparisce in 15 fig. cit. Tav. cit. Staccati alcuni di questi acinetti, li sottoposi al microscopio, e provandoli coll’ acido nitrico non troppo diluito , ne nacque efferve- scenza , ed essi dopo non molto si sciolsero e scomparvero Sulla Splancnologij 535 e non rimase che P inviluppo oncP erano costretti , che io ravvisai per cellulare ed epiteliale, produzione certamente della mucosa. In alcuni de* pezioli poi scorsi de’ vaselli- ni sanguiferi rossi per materia entro injettatavi , e vidi in uno manifestamente che essi vasellini prolungavansi anche nel detto inviluppo , di modo che questo era a riguardarsi come un organetto particolare dato alla secrezione di quel- P acido , il quale organetto o doveva andarsi via via stac- cando, o doveva fendersi per eliminare il prodotto di se- crezione in esso capito (1). Finalmente nella porzione ante- riore del retto, e nel colon eravi della materia verde bru- na simile a quella della grossa scibala contenuta nel cieco, ma più molle e sciolta , composta essa altresì in gran parte di clorofilla. La lunghezza del tubo digerente fin qui descritto misu- rata dalla punta del muso fino alla cloaca appena aggiunse i sessanta centimetri, quaranta de5 quali appartenevano agli intestini, mentre la lunghezza totale del saurio era poco più di 35. Quanto agli organi glandulari del tubo gastro-enterico , ho trovato esaminando la membrana mucosa dello stomaco , che ella era piena di minutissimi fori i quali non altro erano che le foci delle numerose glandulette mucose e tubolate di Galeati , o glandule come dicono pepsiniche. Di orifizi con- simili ed anco più esili era altresì piena la mucosa dell’ in- testino crasso e questi orifizi erano gli sbocchi delle glan- dulette di Lieberkuhn o meglio di Malpighi che pel pri- mo le indicò. Nella mucosa finalmente dell’ intestino tenue non mi è venuto fatto , per quante diligenze mi abbia ado- perate , di scorgerli ; non però è concesso di negare P esi- stenza di organi glandulosi in lei , a meno che non si vo- li) Schreibers aveva già osservato che tra gli escrementi di ramarri e seps che conservava vivi, ci erano dei pezzetti bianchi come fossero di creta, di forma ovale, o conica, od anche informi o tubercolosi ch’egli conobbe com- posti di acido urico, ed ebbe per 1’ urina di que' sauri. Lo stesso è stato os- servato nel Cameleonte (Vedi Gilbert’ s Anual. der Physick. Tom. 43. pag. 33 — Meckel’s archiv. Tom. VI pag. 348-49. — Cuvier Le$ons etc. ediz. cit. Tom. 3. pag. 344. 536 Luigi Calori glia ritenere col Leydig che ne tengano le veci gli avval- lamenti a rno’ di alveoli cicoscritti dalle pieghe longitudi- nali , de’ quali feci parola superiormente. Ho cercato in vano quegli organetti di natura non per anche ben definita (!) quando sparsi per la mucosa intesti- nale quando raccolti ed aggregati, detti nel primo caso fol- licoli sporadici o solitari, e nel secondo follicoli agm inali, o plessi glandulari del Severino (2) o del Peyer. Io aveva a prima giunta creduto di aver trovato qualcosa di simile a questi plessi nelle chiazzine nere del cieco, ma dopo esami microscòpici ripetuti non ho potuto aver la convin- zione che ci fossero vescicolette chiuse, e dico semplice- mente eh’ elle erano formate di pigmento e di un fitto in- treccio o rete vascolare , secondo che si avvisa nella fig. 7 . Tav. 2. Il fegato 17,18, fig. 1 . Tav. 1. , fig. 3-3** Tav. 2-2**, è piuttosto voluminoso, assai prolungato dalla parte destra in addietro. Consta di due lobi principali laterali ed uno intermedio visibile soprattutto inferiormente. Il lobo destro si produce in una sottile ala o penna che voglia chiamar- si , la quale aggiugne il testicolo destro ed accoglie la vena cava posteriore. Il lobo sinistro è più corto, ma più largo , e non ricopre tutto lo stomaco ; chè più di due centimetri rimangono scoperti della lunghezza di questo viscere, ed offre delle piccole incisure nel suo bordo acu- ii) Alcuno forse sì maraviglierà che io scriva così dopo i lavori di Brilcke, i quali hanno fatto rivivere l’opinione dì G. Muralto, ed accettata dai più, che i follicoli solitari ed agminati degli intestini , non che i follicoli chiusi oc- correnti in altre parti , siano organi dati all’ opera dell’ assorbimento e di spet- tanza del sistema linfatico paragonabili ai ganglii di questo sistema e non or- gani secernenti siccome volle Peyer. Ma è tutt’ altro che provata la continuità di tali follicoli coi vasi linfatici o chiliferi e solo se ne può avvisare la conti- guità, nè si sa ancora se tali vasi contengano maggior numero che gli altri, di corpuscoli linfatici ec. Neppure è stato securamente mostrato fin qui V orifi- zio che il Peyer ammetteva in que’ follicoli ; anzi sembra non ci abbia. Ecco il perchè della loro natura non ben definita. (2) M. A. Severini Zootomia Democritea etc. Norimberg 1645. 4. c. fig. pag. 299. 537 Sulla Splancnolocia eg. to. Il lobo intermedio è il più piccolo e il più profonda- mente inciso. Nella faccia concava offre i soliti solchi , ed è tutto vestito dal peritoneo che abbandonandolo si con- forma nei legamento sospensorio, e nelle duplicature che lo legano allo stomaco , agli intestini, duodeno cioè e cieco , al mesorchio , od al testicolo destro ec. La sua struttura è così chiaramente lobulare , come nel sus Scro- pha. Un grosso condotto epatico formato dalla unione di tre minori condotti esce da lui, e va a congiugnersi col cistico proveniente dalla voluminosa ed in gran parte li- bera cistifellea 19. Il coledoco pur grosso va a mette- re foce nel duodeno ad un centimetro circa di distanza dal piloro. Il pancreas 22, fig. 3-3w‘ Tav. 2-2**' situato nel mesogastro è assai lungo , ma molto schiacciato e sottile. Mi è parso che il condotto Wirsnngiano metta capo nel duodeno pres- so la foce del coledoco. La milza 23 finalmente è piccola, e di forma allungata che ha qualcosa del navicolare con però uno stringimento pel suo terzo anteriore circa, che tenderebbe a renderla bilobata. Ho trovato nella femmina alla parte destra della estremità anteriore della cavità addominale o viscerale un corpicciuolo bruno pedunculato , che si univa col suo pe- duncolo a quel fornice che fa il peritoneo ripiegando sul fascio vascolare nervoso che appartiene all’ arto anteriore. Questo corpicciuolo aveva una grandezza intermedia a quel- la di una lenticchia, e di un grano di miglio. La sua struttura era simile a quella della milza , che in quella femmina stessa trovavasi nel suo posto ordinario, e di vo- lume normale. Quel corpicciuolo era, secondo il mio av- viso, una piccola milza accessoria vaga. APPARECCHIO RESPIRATORIO. I polmoni 42, 43, fig. 1. Tav. 1. , fig. 3-36t* Tav. 2-2ftt so- no larghi e corti, ma di pressoché eguale lunghezza fra loro e periformi. Brevi pur sono i bronchi, ma hen lunga la trachea 45, lo che è di norma; la quale trachea misura 68 538 Luigi Calori 4 centi m. più 6 iniJl. Nella trachea ho contato 50 anelli cartilaginei che sono come di solito completi, ne’ bronchi 5 presso che membranacei nella loro regione dorsale non altrimenti che i posteriori di quella. Dinanzi la trachea occorre la laringe 44 , rigonfiata , munita dell’ epiglottide e ricevuta in parte nel cavo della radice della lingua frap- posto alle corna della biforcazione posteriore della lingua medesima. Quanto alla costruttura della laringe , ho vedu- te le stesse cartilagini che si osservano negli altri Sauri , e le cartilagini scutiformi o tirio-cricoidi unite all’ ento- glossa per una corda legamentosa robustissima , bifida nella sua origine da quelle cartilagini che ne sono per così di- re inferiormente abbracciate. La corda poi divenuta sem- plice corre sotto la mucosa linguale tenendo la linea me- dia della lingua e approfondandosene a poco a poco tra la muscolatura fino al terzo posteriore di quest’ organo. Non ho rinvenuti che i due muscoli laringei consueti, il dilatatore cioè sviluppatissimo , ed il compressore che lo è assai meno. Non punto corde vocali , nè ventricoli. La mucosa offre attorno P epiglottide , e la parte anteriore delle aritenoidi molte papillette le quali si estendono anche alla mucosa faringea che copre la faccia superiore del- P organo. I bronchi penetrando nei polmoni si comportano presso a poco come nella lacerta ocellata , vale a dire che essi prolungatisi lungo la faccia interna del loro lato interno sotto la forma di una listerella o doccia cartilaginea , che mette lateralmente de’ cordoncini o filamenti solidi che formano come a dire uno scheletro polmonale dato a so- stegno delle principali cellule. Essi polmoni infine sono ovunque cellulosi. Esiste una glandola tiroidea 46 fig. 1. Tav. 1. stretta, ma trasversalmente allungata, e lobulosa, applicata alla faccia inferiore della trachea e della faringe ai davanti de- gli archi carotidei, la quale gianduia in un coi vasi arte- riosi che le appartengono, sembrava rinchiusa, come ap- presso si vedrà, dentro un seno linfatico situato davanti il cuore e aderentissimo ai muscoli sternoioidei. Oltre la Sulla Splancnologia ec. 539 tiroidea sonovi le due glandule vescicolari o sacciformi 47 poste davanti il pericardio cui aderiscono e sugli archi aortici e carotidei. Queste vescichette glandulari tutte chiu- se sono probabilmente residui della gianduia timo. APPARECCHIO URO GENITALE, E CLOACA. I reni 24 , 24 fig. 3-3** Tav. 2-2** sono collocati molto in addietro e si estendono nella base della coda, e sono vo- luminosi , lunghi e stretti nella loro estremità posteriore colla quale si fondono insieme, sì che ricordano la forma a ferro di cavallo o meglio a V. Nella parte superiore della porzione fusa ci ha un solco longitudinale medio che accoglie V aorta che va a divenire arteria caudale , solco che altro non è se non una continuazione della porta od hilus assai largo ed aperto anteriormente ed inferiormente. La loro struttura è lobulata ed i lobuli sono secondo 1 usato partiti da solchi trasversi. Gli ureteri sono brevi e metto- no capo in 24** fig. 8 , 9 , Tav. 2. nel seno uro-genitale 30 della cloaca al di dietro della foce 28 dei condotti deferen- ti, e delle glandule sacciformi 29, 29. La vescica orinaria o meglio allantoidea 24*r fig. 1. Tav. 1, è molto grande, arrotondata, un po’ depressa nel vertice. Ella è semplice ed ha pareti sottili salvo che nel collo il quale è muscoloso, e con questo si apre nella regione inferiore e posteriore della cloaca di lunge dagli ureteri coi quali non ha comunicazione, almeno diretta, (Vedi 31 fig. 8. Tav. 2). Ai lati della descritta vescica occorrono i corpi lutei 41% i quali sono piccoli, schiacciati e aderi- scono alle principali radici delle vene addominali, e sono coperti di un velo tinto di nero pigmento, onde è piena la porzione parietale del peritoneo massime in corrispon- denza della regione dorsale. Questi corpi in un col vertice della vescica ed i principali vasi sanguiferi che loro appar- tengono , non che le suddette radici , sono connessi ad un grande seno linfatico trasverso che altresì li avviluppa; del quale seno si parlerà più innanzi trattando del sistema lin- fatico. 540 Luigi Calori Si trovano i reni succenturiati 25 fig. 3-36" Tav. 2-2w* molto lontani dai reni, e compresi per così dire tra i testicoli ed i condotti deferenti. Cotali reni sono piccoli, di forma allungala e sembrano due fettuccine. Nel loro interno ap- pariscono granulosi. I testicoli 26 , 26 sono ovoidi , voluminosi , posti subito dietro allo stomaco ed al cieco , e vanno senza epididimi. Sono legati alla porzione dorsale dell9 addome mediante il peritoneo e nulla offrono di particolare nella loro struttu- ra. I condotti deferenti 27 sono collocati colla loro estre-r mità anteriore anco più in avanti dei testicoli, e da essa parte un filamento capillare * che ho seguito fino all9 om- bellico , e che non saprei ben dire che cosa potesse esse- re. Questi condotti sono tortuosi , passano al lato interno ed inferiore dei reni correndo tra questi ed il retto, e colla loro porzione più posteriore costeggiano il lato inter- no dei sacchetti glandulari 29, 29 ai quali aderiscono, ed entro ai quali protuberàno ( vedi fig. 9. Tav.. 2. ) , e mettono foce nel seno uro-genitale in 28 subito dietro le bocche 29* dei sacchi prefati. Questi sacchi 29 , 29 oc- corrono ai Iati della estremità posteriore dei reni sopra la parete superiore della cloaca e del retto e sono peri- formi. Esternamente sono formati da una robusta membra- na cellulosa , internamente da una mucosa alveolare o re- ticolata, i vani della quale rete altro non sono che lacune glandulari od orifizi di glandule. I sacchi descritti voglionsi porre coi sacchi anali che si osservano negli Ofidi e nei Cheloidi , ovvero atteso il posto eh9 eli* occupano od i rapporti coi condotti deferenti, possono anche considerarsi come un analogo delle vescichette seminali. Quanto agli organi eopulatori sono non altrimenti che i testicoli ed i condotti deferenti simili a que9 degli altri sau- ri, onde potrà bastare la spiegazione delle figure a di- chiarazione de9 medesimi. Egli è a notare che tra le aper- ture 33 , 33 dei due peni 32 , 32 trovansi molte glandu- lette 34 piene di una sostanza bianca analoga ad uno smegma. La cloaca finalmente fig. 8,9, Tav. 2. ha una forma allungata , ed a lei appartiene quella porzione di retto sin- Sulla Splancnologia ec. 541 golare per pieghe obblique e trasverse , della quale si tenne proposito superiormente. Alla parte posteriore della mede- sima ci è F ano, dinanzi cui nella regione inferiore è aper- to F orifizio 31 della vescica allantoidea. Sopra questo ori- fizio nella parete dorsale della cloaca medesima sta il se- no 30 circoscritto da due labbra, uno anteriore, l’altro posteriore, il quale ultimo per una leggier piega si porta inferiormente verso il meato allantoideo 31. Presso il lab- bro posteriore apronsi gli ureteri 24.M' e al davanti ed un po’ allo esterno di questi presso il labbro anteriore i con- dotti deferenti , sopra T apertura de’ quali ci hanno le boc- che 29* dei sacchi glandulari 29 ragionati per innanzi. Si vede da ciò che quel seno si merita a ragione la qualifica di uro-genitale. Fuori della cloaca finalmente stanno gli ori- fizi e pieghe 33 , 33 che s’ introflettono per comporre in un coi corpi cavernosi i peni 32 , 32. Il fin qui notato intorno agli apparecchi viscerali del- F Uromastyx , quantunque poco a proporzione del molto che avrebbesi potuto dire, torna però soprabbondante per il proposito onde mi sono accinto a questa splancnologia , vo’ dire per vedere quali possano essere le convenienze tra F organizzazione di questo saurio , e le sostanze che pre- valgono ne’ suoi escrementi , secondo che ne ha colle sue analisi chimiche dimostrato F espertissimo e dottissimo Col- lega Prof. G. Sgarzi. Tutti sappiamo che egli in questi escrementi distinse due materie una bruna e F altra bian- ca ; e che nella prima trovavasi in eccesso la clorofilla, nella seconda F acido urico e gli urati di calce e di ma- gnesia, con in amendue della colesterina, della sostanza cereo-resinosa, dei .fosfati e solfati alcalini, dei cloruri, ed a particolarità ulteriore della bianca del sesquiossido di ferro, e della bruna, del fosfato di calce e della cellulosa (1). Certa cosa è che una parte delle sostanze divisate si tro- vano negli alimenti che prendeva F Uromastyx , ma un’ al- 5*2 Luigi Calori tra parte aveva convenienze colla economia di lui ed in gran parte dipendevane. Io non vorrò fare un lungo ragio- namento su ciò ; che tratto 1* argomento come anatomico , e da un altro canto m’ incalza la materia che ho per le mani. Onde restringendo il discorso alle principali sostanze summenzionate dico, che 1’ abbondanza della clorofilla aveva senza fallo sua ragione nel vitto vegetabile onde faceva usò il saurio , il quale poi mescolavalo coll’ animale, cibandosi altresì di ova lessate senza preferir queste a quello , come ne ha fatto pur fede la grossa scibala verde scura racchiu- sa nel cieco , e la sostanza* verde scura contenuta nel colon. E qui si para innanzi una questione ed è , che essendo questo rettile in gran parte erbivoro , ond’ era che esso poi aveva un tubo alimentare sì corto da neppur misurare il doppio della lunghezza totale del suo corpo? Questa bre- vità era da carnivoro ; chè gli erbivori hanno quel tubo più lungo, e le materie più a lungo dimorano in esso, o per meglio dire, attesa la maggior lunghezza, impiegano più tempo a fare il loro passaggio. Ma la natura ha prov- veduto , compensando la brevità con una enorme dilatazio- ne del principio del crasso , cioè col grande cieco munito di appendice vermiforme , onde va così singolare 1’ Uroma- styx. Nelle specie carnivore, come nella Lacerta viridis , nel Monitor niloticus , nel Teius monitor , ameiva , cya- neus etc. (1), punto ci ha di cieco, od appena un rudi- mento. Ei non è dubbio alcuno , che il detto cieco non dovesse nell’ Uromastyx essere cagione di indugio alle ma- terie in esso discese dall’ ileo , e che per tale indugio e per la grande estensione della superfìcie di lui non seguis- sero quegli effetti medesimi che sarebbero venuti da un tubo digerente più lungo. I quali effetti consistendo in un ulteriore separazione de’ principi nutrizii ed in un assorbi- mento quindi di maggior copia di essi o maggiormente este- so , e di più nella preparazion delle fecce , consentono ap- puntamele cogli uffici! che il cieco presta nella economia secondo che insegnano i fisiologi; i quali uffici erano poi (1) Cuvier Op. cit. Tom. 11. pag. 312. Sul sistema vascolare ec. 543 nell* Uromastvx esercitati in una maggiore estensione per P enorme volume, che il suo cieco aveva aggiunto. Quanto alla seconda delle' sostanze prevalenti negli escrementi di questo Saurio , vale a dire P acido urico e gli urati , P es- sere voluminosi i reni e P andar provvisti di un numero oltregrande di arterie come vedremo più avanti , ne dareb- be sufficiente ragione ; ma qui abbiamo di più che la por- zione posteriore o cloacaria dell’ intestino retto ne separa essa ancora in copia. Il ramarro che altresì espelle colle sue fecce una sostanza bianca che per la massima parte è acido urico cristallizzato , secondo che già aveva osservato molto innanzi lo Schreibers, e confermato colle analisi chi- miche il Davy e lo Stoltze non mi ha discoperta se non una sorgente di tale acido, vo’ dire che non ho potuto ri- conoscere, che la mucosa della porzion posteriore del retto o mucosa cloacaria essa pure ne separasse, ma sembra che solo dai reni provenisse , e così in altri sauri. Ond’ è a cre- dere che nell’ Uromastyx tale sia P eccesso di acido urico, che i reni, quantunque voluminosi, non bastino a liberarne l’organismo, e che siano necessari altri organi coadiutori attigui a compiere la secrezione ed escrezione di così fatto superfluo. L’ anatomia in fine avendoci dimostrato un fegato piuttosto grande con vie biliari ben capaci ne spiega il perchè la quantità della colesterina frammista agli escre- menti non fosse piccola , e ciò unito allo uffizio assunto dalla suddetta mucosa di separare acido urico ne spiega tut- tavia perchè la materia bianca contenesse pure della cole- sterina. SISTEMA VASCOLARE CUORE. Del cuore de’ Sauri è stato così dottamente parlato dal Corti (1) e dal Brucke (2) che si faranno le maraviglie che (1) De systemate vasorum Psammosauri grisei etc. Viodobonae 1847 pag. 10 alla 18. (2) Denksehriften der kaiserschen Akademie der Wissenschaften etc. dritter Band-Wien 1852 pag. 344 C. Eidechsen. Tav. 20-2! fig. 7, 8, 9, 10. 544 Luigi Calori io ne voglia trattare di nuovo descrivendo il cuore dell’ Uro- mastyx ; concioèsiaccbè questi due celebri autori non solo hanno illustrato anatomicamente e fisiologicamente quello del Psammosaurus griseus , ma il Brucke altresì di altri sauri , dell’ Uromastyx in ispecie (1), nel quale nota alcu- ne differenze di struttura paragonandolo al cuore del detto Psammosauro , ed appresso al cuore della Lacerta viridis, del Platydactilus guttatus Cuvier, del Bipes Pallasii (Oppel.) etc. Le quali differenze con quel del Psammosauro consistono nell’ essere il ventricolo meno arrotondato inferiormente, la punta foggiata a triangolo ed unita per un legamento al pericardio , e nello interno P avere questo ventricolo un setto o tramezzo non così formato come in quello, ma solo di semplici trabecole e cunei carnosi accumulantisi, non altrimenti che nell’ Emys Europaea, nel prolungamento delle pareti dell’ orecchietta in modo da costituire una pa- rete composta restringente la cavità del ventricolo, così che per la caduta delle valvole atrio-ventricolari durante la dia- stole delle orecchiette resta distinto pienamente il cavum venosum dal cavum arteriosum. D’altra parte, prosegue egli, il cuore dell’ Uromastyx differisce solo da quello del Psammosaurus, perchè la divisione anteriore del cavum ve- nosum è notabilmente grande come pure la lista muscolare dell’ apertura^ interventricolare è disposta in guisa che una ràgguardevole quantità di sangue venoso si getta nell’ ar- teria polmonale. E rispetto alle differenze cogli altri sauri sumenzionati , ne fa conoscere che una sola ve ne ha ve- ramente, ed è posta nell’ essere il setto che separa il ca- vum venosum dall’ arteriosum assai incompleto. Ammette in fine i soliti tre orifizi arteriosi, quello dell’ arteria pol- monale e gli altri due pertinenti alle aorte destra e sinistra. A queste poche nozioni quasi semplicemente comparative riducesi quanto si sa dal cuore dell’ Uromastyx , e nessuna figura possediamo ad illustrazione di tale organo. Alla quale pochezza io cercherò di sopperire con una descrizione ed (1) Op. cit. pag. 34&. Sul sistema vascolare ec. 545 una dimostrazione il meglio particolareggiata che mi fìa possibile. Aperto il pericardio 48 fig. 1. Tav. 1. si para innanzi il cuore 49, 51, 52 il quale è voluminoso ed occupa quasi tutto il torace ed ha al di dietro di se il fegato , e al da- vanti la base del collo e le glandule vescicolari o saccifor- mi 47. Il pericardio P avvolge per intero, e cosi i grossi vasi che gli sono connessi , massimamente le arterie , e ri- ceve P inserzione del legamento 50 che si parte dall apice della sua porzione ventricolare 49. Questa, che il Briicke chiama ventricolo, è conica colla base in avanti e coll’ api- ce posteriore, e non è a dir vero così prominente e ton- deggiante nella sua faccia inferiore come nel Psammosauro, ma descrive una curva più dolce, e nella faccia superiore o dorsale fig. 11. Tav. 2 è anche più piano con una ca- rena o rilievo longitudinale presso la linea media, così che osservata la porzione ventricolare da questa faccia rassem- bra la punta di un coltello bitagliante. Angoloso n’ è P api- ce , ed acuto ; e il margine sinistro è più curvo , ed un po’ sigmoide. La base è separata dagli atrii od orecchiette dal solito solco coronario o circolare ; le quali orecchiette 51, 52 poste dinanzi alla porzione ventricolare sono assai voluminose e così ravvicinate sulla linea media inferiore che quasi si toccano , e coprono i tronchi arteriosi maestri nascenti dalla porzione ventricolare. Si sono queste orec- chiette artatamente allontanate per mettere in vista code- sti tronchi nella fig. 1. Tav. 1 , nella fig. 10 Tav. 2. L o- recchietta destra 52 è più voluminosa della sinistra 51, e questa riceve una sola vena , la polmonale , quella tre vene che sono le due cave anteriori e la cava posteriore, le quali tre cave mettono foce nel suo seno. Aperto il cuore nella regione ventrale od inferiore, come nella fig. 12, Tav. 2. si para innanzi nella porzione ventricolare il ventricolo de- stro 54, e non è che approfondando la dissezione dalla parte sinistra che si può giugnere ad un altro cavo più piccolo 59, nel quale introducendo uno specillo elastico si fa riuscire nelP aorta destra 72 , e questo cavo è il ventri- colo sinistro o superiore. Il Brucke , secondo che vedemmo, t. ii. 69 546 Luigi Calohi chiama cavum venosum il ventricolo destro, ed arteriosum il sinistro , denominazioni non troppo proprie, poiché anche P orecchietta sinistra può dirsi cavità o cavo arterioso , e la destra cavità o cavo venoso. Onde a scanso di equivoci userò la comune denominazione di ventricoli, molto piu che anche al Corti è parso bene di conservarla nella de- scrizione eh’ ei fà assai particolareggiata, del cuore del Psammosauro grigio. Il ventricolo destro dunque od inferio- re 54 è lungo e strettoie sembra lo stesso canale dell’arteria polmonale insinuato entro la porzione ventricolare del cuo- re , e percorrentela , il quale giunto alla punta oltremodo re- stringendosi ripiega a sinistra ove si perde fra le colonnette o trabecole dell’ enorme setto interventricolare 53 , orizzon- talmente od obliquamente situato e continuo con tutta quel- la porzione di parete ventricolare inferiore che in basso non chiude il canale del destro ventricolo. Questo canale è cir- coscritto a sinistra dal lato destro del setto interventrico- lare, a destra dalla lista muscolare 56 cosi detta dal Briicke, la quale comincia tra P orifizio arterioso 57 munito di due valvole semilunari e conducente all’arteria polmonale 70, e P orifizio arterioso 60 pur esso di due valvole semiluna- ri provvisto, il quale mette nell’aorta sinistra 71, e co- tal lista aderisce intimamente all’ orlo destro del primo de- gli orifizi divisati. Questa lista portandosi allo indietro s’ in- curva alquanto ed obbliqua a destra e si ramifica e si ap- picca coi rami alla parete destra e superiore del ventrico- lo* ma presso il suo principio fin sotto al tubercolo od in- grossamento 55 della parete ventricolare non dà rami ed è libera da attacchi , perchè ne nasce il foro 58 situato subito dietro P orifìzio dell’ aorta sinistra , il quale foro al- tro non è che il seno medio di Cuvier, o lo spatium in- terventriculare Corti , pel quale spazio i due ventricoli co- municano insieme. Il ventricolo sinistro 59 fig. 13, Tav. 2. non si mette bene in vista se non levando una porzione del septum ventriculorum , e levando altresì P arteria pol- monale e V aorta sinistra, a meno che non si adoperi alla maniera di Briicke sezionando il cuore dalla regione dor- sale ; lo che non erami concesso e per non avere che un Sul sistema vascolare ec. 547 solo individuo da notomizzare e molto più per conservare le parti che più m’ importavano delle orecchiette. Io ho dunque levato quel setto e quelle arterie , come nella fig. cit. ed ho scoperta la cavità 59 del prefato ventricolo, la quale è alla base della porzione ventricolare sopra la por- zione anteriore del ventricolo destro nella regione dorsale dell’ organo. Ella a prima giunta sembra più che mai stretta ed irregolare, ma non la è poi tanto, quando siansi ta- gliate le molte colonnette del suo lato sinistro ed inferio- re principalmente, e la forma potrebbesi ridurre alla trian- golare colla base estesa dall’ orifizio dell’ aorta destra 61 all’ orifìzio auricolo , od atrio-ventricolare sinistro 67. In questo ventricolo oltre lo spatium interventriculare Corti, che da quindi innanzi chiamerò foro interventricolare , oc- corre subito a sinistra dell’ orifizio arterioso 61 P orifizio 66, che è P atrio od au ri colo-ventricolare destro munito della sua valvola 68 , di cui veggonsi due linguette dirette verso il forame interventricolare , la destra delle quali può in grazia della sua direzione opporsi ali’ orifizio 61 munito già di due valvole semilunari che dicemmo essere P orifizio arte- rioso che mette nell’aorta destra; ed affatto a sinistra occorre P orifizio 67, fornito della sua valvola 69, il quale è Pa- trio od auricolo-ventricolare sinistro. Una moltitudine di colonnette , o di trabecole , o di cunei muscolari formano intrecciandosi in corrispondenza del setto interventricolare, sopratutto posteriormente , molti altri vani o fori , per al- cuni dei quali si può riuscire all’ apice della porzione ven- tricolare del cuore ed al ventricolo destro, ma questi vani intertrabecolari debbono essere assai male acconci per le vie oblique e torte in cui mettono , a far si che il sàngue di un ventricolo comunichi con quello dell’ altro. Le cavità delle orecchiette sono molto ampie , e la loro ampiezza fa contrasto coll’ angustia delle, cavità de’ ventri- coli. Le loro pareti sono piene di lacerti carnei per lo più arcuati, ramificati ed intrecciati assai cospicui anche allo esterno e molto rilevati internamente. Le dette cavità sono distinte da un setto completo 62, che sembra formato dall’ orecchietta sinistra 51 , od almeno questa orecchietta 548 Luigi Calori che è come applicata alla destra, lo forma per la massima par- te. In questa orecchietta non ci ha che la foce 67° della vena polmonale fig. 13. Tav. 2. vicinissima al setto e munita di una specie di sfinctere. L’orecchietta destra 52 come più vo- luminosa , offre così una cavità più ampia, e nel suo seno occorrono tre foci ; la 63 presso alla faccia destra del set- to interauricolare, la quale foce è della vena cava anterio- re sinistra ; la foce 63* posta al Iato destro della preceden- te, da cui è separata per un rilievo intermedio, appartiene alla cava anteriore destra ; finalmente la foce 63c che è quella della vena cava posteriore. Queste due foci sono provvedute di una valvola 64, 65 conformata a modo di due palpebre connesse a destra, le quali oppongonsi col loro margine libero , e possono con questo toccarsi e separare dal restante della cavità dell’ orecchietta il seno delle ve- ne prefate. La piega posteriore della valvola si prolunga fino al setto interauricolare siccome fa la valvula di Eu- stachio, e diventa per così dire comune anche alla foce della vena cava anteriore sinistra. Molti fascettini di fibre muscolari appariscono in queste due pieghe valvolose , i quali fascettini sono arcuati ed assecondano il diametro trasverso di esse. Vedesi un fascetto muscolare libero alla commessura suddetta , il quale era già unito alla parete interna della orecchietta, e che è rimasto tagliato nel levare la metà inferiore dell’ orecchietta medesima. Ei non ci ha dubbio che la valvula descritta, penetrato che sia il sangue nell’ orecchietta destra, non debba impe- dirne lungo la sistole di lei il riflusso nel seno venoso delle cave divisate, per la contrazione delle fibre arcuate trasverse osservate nella valvola stessa , le quali hanno da agire a modo di sfinctere. Il sangue non potendo retroce- dere è necessitato a farsi strada per 1’ orifizio aurieolo-ven- tricolare destro e passare ne’ ventricoli. Contemplando la fig. 13. Tav. 2. si trova che questo orifizio è assai vicino al foro interventricolare o comunicatorio dei due ventrico- li , e ci ha di più che le linguette della valvola atrio-ven- tricolare corrispondente sono dirette verso cotal foro. Stan- do così le cose è chiaro , che nella diastole della porzione Sul sistema vascolare ec. 549 ventricolare il sangue venoso spinto in lei dalle contrazio- ni dell’ orecchietta destra trova agevole il passare nel ven- tricolo destro pel forame interventricolare , il quale avuto riguardo alia disposizione ricordata potrebbe di qualche modo considerarsi come una continuazione o meglio una porzione disgiunta od una ripetizione dell’ orifizio aurico- lo-ventricolare suddetto. Ma questo ventricolo -non può ri- cevere tutto il sangue venoso trasportato al cuore dalle cave in grazia della sua poca capacità in armonia colla più ristretta superficie respiratoria onde sono singolari i rettili ; perchè ne rimane una parte nel ventricolo sinistro la quale si commescola col sangue arterioso che contem- poraneamente aveva spinto entro lui 1’ orecchietta sinistra in sistole. Ciò tutto operatosi succede la sistole ventrico- lare , ed il sangue contenuto ne’ ventricoli non potendo refluir nelle orecchiette per 1’ obice che oppongono le valvole atrio-ventricolari agli orifizi dei medesimo nome , dee prendere la via degli orifizi arteriosi. E qui si vuole avvertire cosa che non consente punto col vero, riguar- dante le migliori figure del cuore de’ Sauri aperto, nel- le quali si veggono 1’ uno dietro 1’ altro questi orifizi in un colle loro valvole semilunari , quando sian’ elli- no dimostrati dalla parte inferiore, quasi che fossero so- pra una linea diritta. Ma quegli orifizi non sono sopra una linea orizzontale diritta, ma curva colla concavità rivolta a sinistra ed in alto , sicché aprendo il cuore e quegli orifizi dalla parte inferiore non si possono vedere tutti e tre , ma se ne vedranno due appena. All’ estremo inferiore della curva suddetta vi ha 1’ orifizio arterioso 57 fig. 1 2. Tav. 2. che conduce all’ arteria polmonale ; al- F estremo superiore F orifizio 61 fig. 13. Tav. 2. apparte- nente all’ aorta destra : tra questi due orifizi , e come a cavaliere dei due ventricoli davanti il forame interventri- colare l’orifizio 60 fig. 12, il quale orifizio mette nel- F aorta sinistra. Quest’ orifizio , o meglio le sue valvole semilunari si veggono forse un po’ troppo, ma questa pic- cola licenza era necessaria per dimostrarle amendue, e d’ altra parte è tale che non può ingenerare nella mente 550 Luigi Calori veruna idea falsa. Laonde è chiaro che , 1* orifizio del- F aorta destra non si può vedere che levando le arterie polmonale ed aorta sinistra come nella Fig. 13, e che male hanno adoperato quelli che lasciando queste arterie F hanno pur voluto nella dissezione inferiore del cuore rappresentare insieme cogli altri due orifizi arteriosi. Lo che fermato, dico che il sangue contenuto nel ventricolo destro passerà certamente nell5 arteria polmonale che lo condurrà ad ossigenarsi ne5 polmoni, ma non è inverosimile che una porzioncella del medesimo possa altresi passare nel- F aorta sinistra siccome quella che comunica con ambidue i ventricoli. E ciò mi viene suggerito dallo esperimento del Briicke, il quale ha veduto, che ferite le tre arterie che nascono dal cuore del Psammosauro grigio , un debole schizzo di sangue nero egli aveva dall5 arteria polmonale, ed uno forte dalle due aorte , il quale era di sangue ver- miglio. Quando tutto il sangue del ventricolo destro pe- netrasse nell5 arteria polmonale, non avrebbe dovuto es- servi tanta differenza ldi gettito quanta ei nota. Ma coni5 è, si domanderà, che dalle altre due arterie spicciava fuori egualmente un sangue vermiglio? Quanto all’aorta destra non ci ha verun dubbio eh5 eli5 avesse a contenere di que- sto sangue integro qual5 è nel ventricolo sinistro, nascendo da questo ventricolo, e non avendo veruna comunicazione diretta col destro, ma la sinistra che direttamente comu- nica con tutti e due i ventricoli, non poteva a meno di riceverne da entrambi, scemandosi anche per questo modo la quantità del sangue che recasi ai polmoni : onde io in- clino a pensare che oltre il commescolamento del sangue venoso coll5 arterioso operatosi nel ventricolo sinistro , altro se ne operi nell5 arteria aorta sinistra , il quale com mesco- lamento sarà di una piccola quantità di sangue venoso , e di una maggiore di arterioso. E che questo ultimo com- mescolamento debba avere effetto , me lo prova l5 osser- vazione del Briicke , il quale nota un certo che di acido nel sangue dell5 aorta destra , molto meno espresso , anzi non manifesto in quello dell5 aorta sinistra. L5 aorta destra poi dà le carotidi e le succlavie, ed appresso si riunisce Sul sistema vascolare ec. 551 alla sinistra, donde si genera 1* aorta dorsale che dispensa i suoi rami ai visceri addominali , agli arti posteriori , alla coda ec. : per lo che un sangue più aderizzato od ossige- nato spargesi per la testa e gli arti anteriori, meno ossi- genato nelle altre parti. Il Brucke non sembra fare questa distinzione, e forse è questa la principale differenza che passa tra la mia maniera di considerare e la sua. I dotti vedranno da quale parte stia la verità. Noterò ad ulti- mo che il Brùcke , sempre concorde colle sue idee, ha dimostrato nella fìg. 8. Tav. 20. il ventricolo destro, o cavum venosum del Psammosaurus griseus tanto capace, che bisognerebbe supporre un troppo grande volume o massa di sangue penetrasse nell’ arteria polmonale , e che questo Saurio avesse una superficie respiratoria molto più estesa che non Y hanno gli altri Sauri. Ma ciò non è, ed avendo pur io osservato il cuore del Psammosauro ho tro- vato quel ventricolo meno capace. VASI SANGUIGNI. Non è mia mente di dare una minuta descrizione dei vasi sanguigni, ma mi limiterò alle cose principali, ed a parlare di quelli specialmente che si diffondono pei visce- ri , non però descrivendoli partitamente in tutte le loro singole e più minute diramazioni , opera già maestrevol- mente eseguita dal Marchese Alfonso Corti nel Psammo- sauro grigio (1), ma solo indicandoli; conciossiachè non mi rimanga a notare se non le differenze che possono passare tra V Uromastyx e gli altri Sauri servendomi del detto Psammosauro , che io pure ho avuto occasione di esaminare, non che del ramarro, siccome termini di con- fronto. Comincierò dalle arterie. ARTERIE. Le tre arterie che nascono dalla porzione ventricolare del cuore , sono per un certo tratto dalla loro origine ine- (f) Op. cit. 552 Luigi Calori stricabilmente unite insieme senza però sia 1’ una aperta nell5 altra, e formano così quello che il Corti ha appella- to cono arterioso. L’ arteria aorta destra 72 fig. 10. Tav. 2. subito al da- vanti la sua origine dà un ramo che bipartito va a dira- marsi pel cuore e fa da coronarie di questo viscere. Poi insieme coll5 aorta sinistra 71 prolungasi in avanti, e dis- giugnesi dalla compagna, ed ambedue ripiegansi ad arco portandosi nella regione dorsale , e recandosi esse poste- riormente passano sopra il bronco del lato rispettivo , e convergono ed abbracciano 1’ esofago, ed alla perfine riu- nisconsi dando origine alla grande arteria 80, 80, che è 1’ aorta dorsale, o addominale come il Corti P appella. In questo tragitto l’aorta destra mette le carotidi 73, 74, non riunite nella origine, ma semplicemente contigue, sic- ché nell’ Uromastyx non vi è veramente un tronco caroti- deo comune come nel Psammosauro. La cosa però varia forse da individuo ad individuo ; perocché il Brùcke am- mette questo tronco comune anche nell’ Uromastyx (1). Comunque sia, le due carotidi si ripiegano esse pure ad arco , e corrono al davanti le aorte assecondandone il tra- gitto e ciascuna dividesi in tre rami , il primo dei quali 75 , 75 , è il più sottile e va a distribuirsi alla gianduia tiroidea , al timo , non che ai muscoli dell’ ,osso ioide * della lingua , a quest’ organo stesso , alle labbra ec. , e questo ramo altro non è che una carotide esterna ( vedi fig. 1. Tav. 1): il secondo ramo 76, 76 è la carotide interna fig. 10. Tav. 2; il terzo finalmente 77, 77, fig. 11. Tav. 2, fig. 3 ibid. -fig. 36<* Tav. 2bit si reca allo indietro, e quello della destra carotide si inoscula nell’ aorta destra e quei della sinistra nella sinistra ; disposizione similissima alla descritta dall’ Hyrtl nel ramarro. L’ arteria aorta destra avanti di riunirsi alla sinistra porge altresì le due succla- vie 79w*, 796’*, di cui nella fig. cit. non apparisce che 1’ ori- gine , e che nella fig. 1 . Tav. 1 . veggonsi associate alle (t) Op. cit. Sul sistema va9coeare ec. 553 rene del medesimo nome ed ai nervi del plesso bracchiale. 10 non ho seguite queste arterie siccome estranee al sog- getto propostomi. Corti descrive e dimostra nel Psammosauro grigio che 1’ aorta sinistra nella sua anastomosi colla destra dà un ar- teria esofagea eh’ ei chiama ricorrente, e V arteria mesen- terica comune così detta, perchè diffonde i suoi rami sì al tenue come al crasso intestino (1). In un Psammosauro grigio femmina, in cui aveva, alcuni anni sono, iniettato 11 sistema vascolare sanguifero, io ho trovato che le cose 9tanno diversamente ; perocché dall’ aorta sinistra un po in- nanzi la sua unione colla destra ho bensì veduto derivare un’ arteria esofagea la quale co’ suoi rami onde diramavasi, ascendeva e discendeva per distribuirsi non solo all eso- fago ed alla faringe, ma alla porzione anteriore dello sto- maco ancora, per la quale ultima distribuzione contraeva anastomosi coi rami stomacali dell’ arteria celiaca ; ma se dalla detta aorta sinistra derivava quest’ arteria , non ne derivava altresì l’arteria mesenterica comune, la quale nel mio esemplare nasceva dall’ aorta dorsale o addomina- le a sette milL circa di distanza dalla unione delle due aorte. Io non avrei fatto gran caso di questa varietà di origine se il Corti non avesse pensato, che il nascere del- V arteria mesenterica comune dall’ aorta sinistra fosse prov- vedimento di natura, acciocché il sangue quasi affatto ve- noso che detta aorta conduce, non si mescolasse che in piccolissima quantità col sangue quasi affatto arterioso con- dotto dall’ aorta destra, e se egli inoltre avendo divisi gli organi della digestione in tre parti, anteriore composta dell’esofago, faringe ec. , media composta dello stomaco del duodeno, del fegato, pancreas e milza, ed inferiore composta degli intestini , non avesse considerato la media essere, perchè formata di visceri più nobili, percorsa da un sangue più ossigenato, sondo che ella trae i suoi rami dall’ arteria celiaca , unica propagiue data dall’ aorta dor- (1) Op. ci», pag. 22. Tab. I. Fig. t. T, II. 70 554 Luigi Calori sale al tubo digerente, e le .altre due essere, perchè di parti men nobili costituite, attraversate da un sangue mol- to meno ossigenato , anzi quasi venoso del tutto , riceven- do tali parti le loro arterie dalla esofagea e mesenterica comune suddiscorse, le quali a suo dire procedono amen- due dall5 aorta sinistra (1). La quale supposizione, come ognun vede, invanisce per l5 allegata varietà di origine dell5 arteria mesenterica comune. Arroge che in altri retti- li, p. e. ne5 chelonii, un’arteria consimile, detta celiaco- mesenterica, non procede più dall5 aorta sinistra, ma dalla destra (2), e che nella Lacerta viridis e nell5 Agama colo- norum Daud. F arteria data alla porzione media e poste- riore del tubo digerente nasce dall’ aorta dorsale molto lunge dall5 anastomosi delle due aorte , e quest5 arteria è una celiaco-mesenterica simile a quella della rana comune, con questo però che in cotale amfibio l5 origine è alla unione delle due aorte. Anche nell5 Uromastyx le arterie che appartengono alla porzione addominale dell5 apparec- chio digerente, nascono dall5 aorta dorsale. Onde che il nascere o dall5 aorta sinistra o dalla destra una mesenterica comune, od una celiaco-mesenterica, od una celiaca sem- plicemente non per altro sarà dato, secondo che conside- ra il Guvier (3) , se non perchè l5 impulso del cuore si faccia sentire di più sul sangue arterioso circolante pei visceri dell5 apparecchio digerente, e quindi il moto di esso sangue sia più energico. Ma facciamoci a divisare le suddette arterie porte dall5 aorta dorsale all5 apparecchio digerente , e innanzi , siccome l5 Ordine vuole , diciamo dell5 unica arteria che l5 aorta sinistra dà pur nell5 Uroma- styx alla porzione anteriore del tubo alimentare. (1) Op. cit. pag. 38. (2) Ma intorno a ciò sì potrebbe rispondere essere indifferente il nascere della indicata arteria dall’ aorta destra o sinistra sendo che ne5 Cheioni non sono le dette aorte distinte nella origine dal cnore, ma provengono da questo con nn tronco comune, o se sono distinte, ha luogo nel ventricolo il mesco- lamento completo dei due sangui in uno circolante per il corpo. (3) Le$ons d’ Anat. comp. Tom. trois. Bruxel. 1840. pag. 68. Sul sistema vascolare ec. 555 1. ° Questa è un arteria esofagea o faringo-esofagea 79 fig. 3-3w* Tav. 2-2w' che come nel Psammosauro nasce dal- P aorta sinistra presso la sua anastomosi colla destra , la qua- le^esofagea si dirama per la porzione superiore dell’ esofago e per la faringe. Dall’ aorta dorsale poi nascono 2. ° Le quattro esofagee indicate da 81 a 81. L* ultima o posteriore di tali arterie dispensa pur rami alla porzione anteriore o cardiaca dello stomaco e contrae anastomosi coi rami diramati a questo viscere dall’ arteria celiaca non che coi rami delle esofagee superiori. Osservasi presso a poco il somigliante nel Ramarro. 3. ° L’ arteria 82, che io chiamerò arteria mesenterica an- teriore, e che diversifica dalla mesenterica comune del Psam- mosauro in quanto che essa non dà rami all’ intestino te- nue, ma semplicemente al crasso, ed è analoga alta mesen- terica inferiore dell’ uomo e de’ mammiferi. Quest arteria discende per la grande cisterna del chilo , e si reca al cie- co z, a cui dispensa rami ed altresì all’ appendice vermi- forme &, non chetai colon 9, 10, ed alla parte anteriore del retto 12. 4. ° L’ arteria 83 che è la celiaca, siccome quella che spar- ge i suoi rami allo stomaco u s alla milza 23, al pancreas 22, al duodeno ed al fegato contraendo anastomosi colla esofagea posteriore , e coi rami dell’ arteria mesenterica posteriore. 5. ° L’ arteria mesenterica posteriore 84 va a consumarsi nell’ intestino tenue inviando pure un ramo al cieco (arte- ria ileo-ciecale ). Quest’ arteria è simile alla mesenterica su- periore dell’ uomo e de’ mammiferi, salvochè ella va senza i rami colici ceduti alla mesenterica anteriore. Le tre arterie divisate muovono nella Lacerta viridis da un ceppo comune che , come fu detto , è 1’ arteria celiaco- mesenterica. Dopo un breve cammino quest’ arteria si divide in tre rami , uno anteriore , uno medio e 1’ altro posterio- re. Il primo è maggiore, e siccome diffonde i suoi rami alla milza, allo stomaco, al duodeno, al pancreas ed al fegato , così merita V epiteto di celiaco. Il secondo che e di mediocre grossezza, appartiene all’ intestino tenue, ed è 556 Luigi Calori simile perciò all’ arteria mesenterica posteriore dell’ Uro- mastyx 9 e può paragonarsi all’ arteria mesenterica superio- re dei mammiferi. Qui veramente è una vera arteria me- senterica anteriore priva però de’ rami colici. Il terzo ramo è il più sottile e si dirama nell’ intestino crasso. È una vera arteria mesenterica posteriore che ritrae quella dei mammiferi. 6. Le due arterie 85 che sono ad un tempo arterie sper- matiche ed arterie capsulari , essendo che distribuisconsi ai testicoli 26 , 26 ed alle capsule soprarenali 25. Questa co- munanza del tronco delle arterie capsulari e testicolari e F essere le dette capsule connesse coi dutti deferenti po- trebbe invocarsi come argomento favorevole alla opinione di Valsalva , che le capsule medesime abbiano piuttosto, at- tenenze cogli organi genitali di quello che coi reni. 7. L’ arteria 86 che è un altra eapsulare , che dispensa un ramuscelk) al dutto deferente 27. Quest’ arteria nasce da un ceppo comune sorto dall’ aorta e si divide nei due rami pertinenti a dette parti. Si è levato il destro di co- desti rami per non ingenerare confusione cogli altri sotto- posti del colon. 8. ° L’ arteria 87 che pur nasce con un tronco comune dall’ aorta e che va a consumarsi nel dutto deferente. An- che qui si è levato il ramo destro per la medesima ragione. 9. ° Le arterie indicate da 88 a 88 che sono tre emor- roidali , F anterior delle quali si anastomizza coll’ arteria rettale od emorroidale della mesenterica anteriore. Trovansi queste medesime arterie nel Ramarro e in altri Sauri. Dopo aver date le tre emorroidali F aorta mette due grossi rami laterali 89, 89, che sono le arterie iliache, dalla destra delle quali parte un’ arteria renale che divisa in tre rami penetra nel rene destro , e da amendue le iliache un ramo 90 che si distribuisce ai corpi lutei , alla vescica orinaria ed alle pareti addominali. Al di sotto poi F aorta 91 s’ingracilisce ed entra nella base della coda acquistando il nome di arteria caudale. Codesta porzione ingracilita del- 1 aorta od arteria caudale che voglia chiamarsi , corre tra i reni , ed è accolta in un solco medio della parte poste- riore della loro faccia dorsale : in questo tragitto manda Sul sistema vascolare ec. 557 10.° Le arterie renali segnate da 92-92, le quali sono m numero di undici , e queste arterie sono di ineguale gros- sezza, essendo più grosse le anteriori, molto meno le po- steriori, Questo enorme numero delle renali , numero inso- lito nei Sauri e proprio ai Batrachi , addimostra la molta at- tività secernente dei reni, e consente colla espulsione che F Uromastyx fa dì tanta copia di urina, o ciò che è qui un medesimo dire, di acido urico siccome fu detto per innanzi. Io non ho notate le arterie intercostali , essendo come estranee al soggetto propostomi. Ma non lascierò F arte- ria 93 fig. 1 . Tav. 1 , ramo dell5 iliaca interna , il quale sparge le sue diramazioni alla cloaca , ed al pene del lato rispettivo» , ed è un5 arteria pudenda comune. Si è già detto dell’ arteria polmonale 70 fig. 11. Tav. 3, trattando del cuore. Non è da aggiugnere altro che ella per- venuta sopra il seno delle cave si parte nei due rami 70*, 70*, che distribuisconsi al polmone rispettivo. VENE. Io non farò che un brevissimo cenno delle vene non pre- sentando elle cose veramente molto notabili. Occorrono le due vene cave anteriori & fig. 11 Tav. 2, formate dalle iugulari p e dalle succlavie y e la vena cava po- , steriore % come di solito. Nelle anteriori mettono altresì foce le due vene a, a, che ricevono rami dalla lingua, dalla faringe e dalla trachea. Noi abbiamo veduto che le tre cave mettono foce separatamente nel seno dell’ orecchietta de- stra fig. 13. Tav. 3. Vi ha una sola vena polmonale v fig. 1 1 • Tav. 3. for- mata dai due rami venosi che escono dai polmoni, il destro de’ quali rami è alquanto più lungo del sinistro. Sbocca nell’ orecchietta destra in 67* fig. 13. Tav. 3. La vena caudale e fig. 3. Tav. 2. giunta presso 1 estre- mità posteriore dei reni si biforca, e ciascun ramo della bi- forcazione riceve la vena 0 proveniente dagli organi copula- tori e dalla cloaca , cui circonda costituendo una specie non so se dica di seno o di tessuto erettile che vedi in i fig. » , 558 Luigi Calori Tav. 2. I due rami poi si prolungano nei reni e costitui- scono le vene renali afferenti y, o vena porta renale. Dai reni escono le vene efferenti che unisconsi in un seno x fìg. 3-3M' Tav. 2-2*”, dal quale muòvono le due grosse vene A, A che recansi in avanti lungo il lato interno dei condotti de- ferenti , e ricevono le venuzze di questi condotti , le vene capsulari e le vene testicolari, massime la sinistra. Le due grosse vene prefate riunisconsi insieme al di dietro dei te- sticoli e formano la vena cava posteriore §, che viene su- bito accolta in un solco della lung’ ala del lobo destro del fegato e che a poca distanza dal suo ingresso in questo solco riceve la vena intervertebrale o. Questa cava percor- rendo il fegato accoglie molto in avanti una vena esofa- gea ed un’ altra p che s’ insinua nel legamento sospen- sorio, e che proviene dalle pareti toracico-addominali , e fi- nalmente le epatiche ; dopo di che si rende libera e si getta nel seno venoso destro del cuore. Io non ho potuto vedere la vena porta delle capsule so- prarenali che Eker scoprì negli Ofidi e che Corti ha de- scritta pure nel Psammosauro. Forse che P Uromastyx ne manca ? Finalmente il sistema della vena porta g dell’ apparec- chio digerente non è formato soltanto dalle vene che tra- sportano il sangue refluo dagli intestini , dallo stomaco, dal pancreas e dalla milza, ma altresì dalla vena addominale r fìg. 1. Tav. 1. che mette nella porta epatica, e che riceve le vene delle pareti dell’ addome , le véscicali , le lutee , le pelviche e quelle degli arti posteriori. VASI LINFATICI. Notomizzando 1* Uromastyx maschio di cui vi ho data, o Signori , la splancnologia e la parte di sistema sanguifero che si appartiene ai visceri, mi era incontrato in canali e ricettacoli o sacchi enormi corrispondenti ai vasi e visceri descritti , e che indubitatamente costituivano il sistema linfàtico viscerale. Ma sollevando la pelle e la muscolatura m incontrava in canali e ricettacoli consimili , i quali non Sul sistema vascolare ec. 559 ricordava gli autori avessero mai descritti ne5 Sauri. Onde che affrettavano con molto calore a proseguirli, ma le dis- sezioni precedenti fatte senza alcun riguardo ad essi me li avevano in gran parte guasti, perchè non valeva ingegno nè pazienza a venire a capo di qualche cosa soddisfacente. M’ era quindi necessario un altro Uromastyx , e dopo un anno di ricerche ho alla perfine avuta la femmina di che vi parlai, la quale quantunque fosse stata immersa nell’ al- cool jaer conservarla, e ciò mi fosse sfavorevole, non mi è stato tuttavia d’ impedimento a riuscire in alcune inje- zioni tentate sui vasi sanguiferi e linfatici , e quanto a que- sti ultimi poter metterne in vista i principali tronchi e se- ni ,«*o ricettacoli o sacchi che si appellino, e poterne ad ultimo studiar le convenienze , eh’ elli hanno coi nervi , coi vasi sanguiferi ed altri organi che sembrano a prima giunta lor dentro rinchiusi. Panìzza è anche il solo Autore che abbia trattato ex pro- fesso del sistema linfatico de’ Sauri (1) e 1’ ha dimostrato nel Coccodrillo Lucio, e quanto a’ Sauri ordinarli, nella Lu- certola verde. Nè in questa nè in quello ha parlato dei linfatici sottocutanei. Gli scrittori che il precedettero , nè quelli che di poi toccarono del sistema linfatico di tali rettili ne hanno fatto il più piccolo cenno. Non già che si debba inferire da ciò , eh’ essi , e in un il Panizza abbiano cre- duto non ci fossero linfatici sottocutanei , che non sarebbe verosimile ; ma io mi penso che abbiano pretermesso di in- vestigarli per aver forse presupposto eh’ essi vasi non potes- sero presentare alcun che di notabile. Ma se la cosa può per avventura essere così nella Lucertola verde (non dirò nel Coccodrillo menzionato , cui non ebbi mai occasione di notomizzare ) , ben altrimenti è nell’ Uromastyx spinipes , il quale ha linfatici sottocutanei capacissimi , e tali da ri- cordare i seni o spazi linfatici sottocutanei della Rana escu- lenta, e così disposti che ritraggono assaissimo della por- zione sottocutanea del sistema linfatico dei pesci. (ì) Sopra il sistema linfatico dei rettili ec. Pavia 1833. pag. XIII alla XVI , e Tav. IV, Tav. VI fig. 1V-V. 560 Luigi Calori Di fatto occorre sui lati del tronco dell’ Uromastyx , lad- dove la regione dorsale confina colla ventrale , il grosso tron- co o seno a , a, fig. 14 Tav. 3 esteso dalla scapola o dal- F ascella alla base della coda, od alla regione ischiadica della pelvi. Questo seno o tronco che voglia appellarsi , è similissimo al vase linfatico sottocutaneo laterale de’ pesci , non che al seno o spazio linfatico sottocutaneo situato a lati del corpo della rana verde (1). È desso un canale schiac- ciato , o piano, non altrimenti che una vena vuota, costeg- giante il lembo inferiore del muscolo gran dorsale , cui è aderentissimo, ma meno che alla faccia interna della pelle ond’ è ricoperto , cui segue, come si vede nella cit. figura ov’ ella è tratta di lato. È largo circa un centimetro, e quando non sia disteso da materia iniettata, o da aria sof- fiattagli dentro , rassembra un nastro o fettuccia ; ma modi- camente disteso da quelle si fa cilindrico, e poiché è sti- rato dalla pelle, conforme rappresenta la figura, nè è so- verchiamente pieno, apparisce un cilindro piatto con bozze però od otri siccome dicono, e con avvallamenti. Questi ven- gono , generalmente parlando , ingenerati dallo attraversar che fannolo da parte a parte i filamenti nervosi cutanei f,f, propagini de’ nervi costali , mentre le bozze od otri lo sono dalla distensione. Non ne ho trovata la larghezza eguale nella femmina e nel maschio, chè in questo era alquanto minore. La quale differenza doveva nascere probabilmente dall’ essere la femmina più giovane , conciossiachè ha osser- vato il Valentin che i linfatici de’ rettili sono tanto più grossi , quanto n’ è più giovine Y individuo (2). Riceve dei (1) Vedi Jacobson oelF Isis 1848 pag. 96-97. Dice questo autore parlando delia terza differenza tra i linfatici de* rettili e quelli de’ vertebrati superiori che ne’ batrachi occorre a lati del tronco un seno sul quale si espande un grosso strato di fibre muscolari. Di questo seno sotto il nome di spazio lin- fatico laterale aveva già innanzi pure parlato G. Mailer Philosophical Tran- sactions etc. 1833 Pari. I. pag. 89. Jacobson però ha aggiunto che nei serpenti esiste un consimile canale esteso dalla testa al principio della coda , ma non fa che indicarlo. (*) Moller’ s archiv fur Anat. und Physiol. 1839 pag. 176. Sul sistema vascolare ec. 561 rami linfatici segnati da d3 a d, e da e ad e, provenienti dalla pelle, e dalla muscolatura finitima , ed in corrispondenza del- P ascella o della scapola si continua nel sacco linfatico b , c , fìg. 15 Tav. 3, il quale rimane strozzato * e come diviso in due dalla estremità anterior inferiore del muscolo gran dorsa- le che va ad inserirsi nell’ omero; estremità ad esso sacco aderentissima, ed entro lui protuberante in quella guisa che P urocisti , o meglio i suoi legamenti protuberano nel- P uomo entro il peritoneo. Le due porzioni onde rimane diviso il sacco, comunicano largamente fra loro, ed una si sta allogata nel cavo dell5 ascella , e P altra giace sopra la scapola: onde che esso è ad un tempo e scapolare ed ascel- lare. Injettato dell5 olio di trementina colorato col cinabro nel sistema venoso dell5 Uromastyx maschio si era altresì riempito il sacco ed in parte anche il seno laterale ed altri vasi linfatici che mettono foce in quello ; il perchè io era entrato nei pensiero eh5 esso comunicasse o colla vena ascel- lare , o con alcuno de5 suoi rami , ma apertolo e diligente- mente esaminatolo non mi è venuto fatto di scoprire cotale comunicazione. Forse che quell5 olio di trementina così arros- sato ci era pervenuto per la via del condotto toracico , il quale pur contenevane in non piccola quantità? Ripetuto questo esame nell’^JmmastysL femmina non ini ha scorto a migliore risultamelo. Gli Autori parlando de linfatici della regione ascellare e scapolare de5 Sauri menzionano semplicemente dei plessi linfatici ascellari nei quali entrano i linfatici degli arti toracici, nè punto nè poco commemo- rano dei sacchi, i quali poi occorrono nelle rane, ove sono in comunicazione coi cuori linfatici anteriori , ed occorrono altresì ne5 pesci sotto la cintura ossea che sostiene le pinne pettorali, nei quali sacchi vanno a mettere foce i tronchi linfatici laterali analoghi ai seni o tronchi linfatici laterali dell’ Uromastyx, e la divisione anteriore del linfatico me- dio ed i linfatici provenienti dalla testa. Nella rana ver e io ho più e più volte riempiuti quando di una soluzione di colla forte colorata in rosso , quando di essenza di tre- mentina egualmente colorata i sacchi linfatici ascellari e in quella i cuori linfatici scapulo-cervicali ancora , spingendo 562 Luigi Calori P iniezione ora nei seni o spazi linfatici laterali, ora nei seni o spazi linfatici crurali. E già il Jacobson (1) aveva detto che codesti seni laterali delle rane comunicavano con tutti gli altri ricettacoli linfatici sottocutanei e per conse- guente anche con quelli delle ascelle , non che colle cavità linfatiche interne, e G. Muller (2) aveva innanzi lui detto altrettanto e di più aggiunto che V aria soffiata lor dentro passava pure nel sistema vascolare sanguifero (3). Chiaro è perciò, che i descritti sacchi linfatici dell’ Uroìnastyx ritrag- gono moltissimo dei sacchi ascellari e dei cuori linfatici anteriori della rana; con questo però che la porzione sca- polare dei predetti sacchi dell’ Uromastyx, la quale potrebbe alcuno per avventura paragonare ai cuori menzionati , è più presto sovrapposta che sottopposta alla scapola ; nè può comunicare con un ramo delle vene jugulari , siccome fanno cotali cuori , sendo che queste vene vi sono molto di lun- ge ; e posto che avesse comunicazione con qualche ramo ve- noso , non la potrebbe avere che con uno o più pertinenti alla vena ascellare ; comunicazione che , come dissi di so- pra, non mi è venuto fatto di verificare. Questo sacco poi scapulo-ascellare dell’ Uromastyx oltre essere continuo col seno o tronco linfatico a, a, fig. 14. fig. 15. Tav. 3. ri- ceve il grosso linfatico profondo u delle pareti del tronco , i linfatici v , v * dell’arto anteriore, il grosso linfatico 3 formato dai linfatici auricolari disposti a modo di seno cir- colare attorno il meato uditivo esterno, nel qual seno met- tono capo i linfatici mascellari 2,^, i temporali y , gli occi- pitali x, e finalmente dal linfatico profondo cervicale 2. Nel (1) Op. cit. I. c. (2) Op. cit. I. c. (3) Iniettando con una soluzione di colla forte colorata col cinabro i seni o spazi linfatici laterali del tronco della rana verde per nno dei seni o spazi linfatici crurali ini è una sola volta riuscito di far passare la materia injettata nou solo nella vena iugulare e sue diramazioni , ma altresì nelle vene cutanee del tronco le quali sembravano derivare dai seni o spazi linfatici laterali roede- suni. In altre vene non era penetrata l’injezione, nemmeno in quella de* cuori ischiadici, o posteriori, e nemmeno io questi, essendo però benissimo penetrata negli anteriori. r v Sul sistema vascolare ec. 563 che regge meglio Y analogia coi pesci che colle rane , concios- siacchè in questi anfibi non si sono potuti dimostrare de’ lin- fatici provenienti dalla testa e dagli arti toracici in connes- sione coi sacchi suddetti , anzi nelle dette regioni neppu- re sonosi potuti discoprire , secondo che scrive nella sua son- tuosa opera sui linfatici de’ rettili il Panizza (1). E per verità iniettando vuoi per la grande cisterna linfatica ed an- che per 1’ otre esofageo o ricettacolo periesofageo vuoi per gli spazi o seni linfatici suddetti , mai mi è riuscito di mettere in vista alcun linfatico della testa ; e quei piccoli vasi che talvolta ho scorti sì nella regione ioidea come nella superiore del cranio e nella pelle non altro erano che de- licatissime diramazioni venose nelle quali era penetrata la materia della iniezione. Negli arti anteriori però ho trovato nella regione bracchiale un assai largo canale , che abbrac- cia codesta regione, e poscia prolungasi alla piegatura del cubito tenendosi al lato interno di quella regione ed avvi- luppando i vasi sanguiferi omerali. Questo canale è conti- nuo tanto col sacco ascellare, quanto col seno laterale del tronco , ed ottiensi iniettato e per questo seno e per la grande cisterna linfatica , qualora si spinga la materia della iniezione dallo indietro allo avanti. Il detto canale giunto alla piegatura del cubito non si arresta, ma prosegue il suo cammino lungo la faccia interna o palmare dell’ avam- braccio , e termina nella palma della mano , mantenendosi sempre molto largo. In corrispondenza del carpo riceve un canaletto trasverso della regione dorsale del carpo stesso , nel quale canaletto altri ne mettono foce, due dei quali escono dagli spazi intermuscolari della parte inferiore della faccia dorsale dell’ avambraccio , ed uno di questi è satel- lite de’ vasi cubitali , e tre provengongli dal dorso della mano e rassembrano linfatici interossei. Nella palma poi il grande canale descritto accoglie altrettanti vasi digitali pal- mari , quante sono le dita, i quali vasi non sono doppi, ma semplici in ciascun dito, e coprono i tendini dei mu- (1) Op. cìt. pag. XXX. 564 Luigi Calori scoli flessori , nè ricevono rami , salvo che sembrano ana- stomizzarsi coi canaletti somiglianti a’ vasi interossei. No- terò ad ultimo che questo largo canale è aderentissimo in tutta la sua lunghezza alla faccia interna della pelle , e così pure i rami che in lui mettono capo, nel che non si dif- ferenzia punto dai seni o spazi linfatici laterali del tronco, nè dagli spazi , o ricettacoli linfatici degli arti posteriori , come pure nelle sue pareti, essendo elleno identiche a quelle dei seni e ricettacoli menzionati. Laonde parmi di non andare errato dal vero ponendo che quel canale e i pochi rami che accoglie , rappresentino i linfatici degli arti anteriori; linfatici molto meglio formati di quelli de’ po- steriori, nei quali riduconsi semplicemente ai suddetti ri- cettacoli , non avendomi fin qui le iniezioni più e più vol- te ripetute fatto palese soprattutto nel piede e nella mem- brana interdigitale alcuna cosa che avesse sembiante di ca- naletti linfatici. Ma ritornando da questa digressione ai linfatici sottocuta- nei dell’ Uromastyx, dico che il seno o tronco laterale a, a fig. 14 Tav. 3 dividesi posteriormente in tre porzioni , una posteriore i, altra media h, e la terza anteriore g. La pri- ma si continua col sacco ischiadico k , il quale giunto alla parte posteriore della pelvi o della sommità della coscia al- quanto ristrignesi e piegasi per riuscire di superiore che era , inferiore ed interno prolungandosi ai lati dell’ orifizio della cloaca, ove si continua con il grande seno cloacario n3 o fig. 16. Tav. 3, ed innanzi questa continuazione comuni- ca col seno caudale r. Questa disposizione non è mai che io sappia stata osservata ne’ Sauri ; ma vi ha di più : nella Lucertola verde non sonosi potuti mediante le iniezioni di- mostrare per confession di Panizza neppure i linfatici de- gli arti posteriori (1), nè mi è a contezza eh* essi lo siano (1) Vedi Pop. cit. di Panizza pag. XV-XVI. Questo autore neppure ha po- tuto negli arti anteriori scoprire linfatici, quantunque dica di averne veduto il ceppo, ma in grazia forse di qualche valvola il mercurio non ha potuto pas- sare in essi. Sul sistema vascolare ec. 565 stati di poi in alcun altro Saurio ordinario. Nell5 Uroma- styx però si lasciano agevolmente iniettare spingendo la materia della iniezione nel seno laterale verso il sacco ischia- dico , e s’ iniettano pur facilmente nel Varanus elegans pei sacchi ischiadioi stessi. Veggonsi ritratti in l, l, fig. li. Tav. 3. questi vasi linfatici degli arti posteriori dell5 Uro- mastyx, e sono cilindrici e grossi ed hanno pareti sottilis- sime, e si approfondano tra la muscolatura di molto allar- gandosi. Godesti linfatici in un con alquanti superficia- li m , m della regione dorsale e laterale della coda mettono capo nei sacco ischiadico. Questo finalmente nella parte in- feriore restrignesi e penetra nella pelvi avvolgendo i vasi crurali, e comunicando con nna vena pertinente alla cru- rale. Il perchè è desso il cuòre linfatico posteriore , l5 uni- co concesso ai Sauri. Penetrato nella pelvi comunica colla grande cisterna linfatica addominale , siccome far suole il cuore prefato. , La divisione o porzione media h fig. 16. Tav. d. del seno laterale è la più piccola delle tre, ed è continua alla dilatazione anteriore del seno cloacario. Riceve i lin- fatici *, * che sono tagliati, e provenivano dai muscoli addominali pur ossi tagliati inserentisi nella pelvi. Comu- nica per brevi rami colla divisione anteriore g, cui prima di farmi a descrivere vuol l5 ordine che io dica del seno cloacario e de5 seni caudali. È il seno eloacario un largo canale circolare od anulare che attornia l5 orifizio della cloaca, e che anteriormente soprammodo dilatasi in una specie di sacco nei quale av- visasi alcuna traccia di divisione media longitudinale, di- latazione che rassembra come la gemma dell5 anello. Questo seno fig. 16. Tav. 3. accoglie i due linfatici caudali superficiali /?, i linfatici clitoridei q , quei della cloaca e delia regione inferiore delia pelvi, e come antenormen e è continuo colla divisione media i cosi P^tenorm^te lo è sui lati co’ prolungamenti suddescritti de sacchi ischia- tici coi due grandi seni caudali inferiori pro- fondi r i quali giacciono a lato de5 processi spinosi mfe- S e sonoq coperti superiormente dai processi trasversi. 566 Luigi Calori e dai muscoli ad essi interposti, inferiormente da uno strato molto robusto di piatti fasci aponeurotici estesi in direzione obbliqua dallo avanti allo indietro dai processi spinosi anzidetti ai trasversi , i quali fasci gli formano una membrana inferiore avventizia robustissima , essendo che la parete linfatica è tenuissima , aracnoidea , e direi ridot- ta alla sola tonaca interna, siccom9 è delle vene pertinenti ai seni della dura madre. Io ho potuto seguire tali seni molto lunge verso P apice della coda, ed ho trovato eh’ es- si sono da principio stretti e divisi in due canali soprap- posti. A poco a poco ingrossano, e poc* oltre la metà po- steriore della coda sono grossissimi. Non è d’ uopo dire, che tali seni ricevono i linfatici profondi della regione che occupano. La divisione anteriore g del seno laterale è la più grande e ragguardevole delle tre , e puossi considerare come la continuazione del seno medesimo. Subito dopo P origine attraversa ella i muscoli addominali dai quali ricevè un ramo ; poi si reca verso la linea media correndo tra il pe- ritoneo , e i detti muscoli , ed in questo tragitto avvolge i corpi lutei ed i vasi sanguiferi rispondenti , e soprattut- to i rami precipui che mettono foce nella vena addomi- nale ; parti tutte che sembrano dentro la cavità di codesta divisione anteriore g . Giunta al vertice o fondo della ve- scica allantoidea od urocisti aderisce intimamente a questo fondo, e ricevene de’ ramoscelli , e termina sulla linea me- dia inosculandosi con la divisione omonima dell’ altro lato. Anche nella rana verde i due seni laterali del tronco van- no davanti al pube a riunirsi insieme , e comporre un seno comune , con queste differenze però che in cotale amfibio questo seno comune non è situato tra il peritoneo ed i muscoli , ma tra la muscolatura e la pelle , e diret- tamente comunica coi ricettacoli linfatici delia coscia. Nel punto di unione delle divisioni anteriori g del seno late- rale dell* Uromastyx ha luogo una dilatazione nella quale s’ inserisce il grosso linfatico medio t fìg. 16. Tav. 3, il quale avvolge la vena addominale , riceve rami dalla pare- te inferiore dell* addome e prolungasi fino al fegato. Nella Sul sistema vascolare ec. 567 Lucertola verde occorre pure questo linfatico, ma è dop- pio (1). Nell’ Uromàstyx è semplice come nella rana sud- detta, ove sembra formare altresì una guaina alla vena addominale. Questo linfatico parietale medio dell’ addome potrebbesi paragonare al linfatico medio addominale de5 pe- sci descritto da Hewson e Monro , qualora avesse comuni- cazione se non diretta, mediante almeno i linfatici mam- mari o toracici col seno succlavio o ascellare. Ma non avendo cotale comunicazione , F analogia mal corre , sen- do che il linfatico medio dei pesci diviso anteriormente in due rami va direttamente a metter foce, come fu detto, ne’ ricettacoli linfatici situati sotto la cintura ossea che sostiene le pinne pettorali. Finalmente la descritta divisio- ne anteriore del seno laterale mediante una moltitudine di rami che si intrecciano in una rete linfatica profonda, comunica ripetutamente colla dilatazione che il seno cloa- cario fa dove congiugnesi colla divisione media del seno laterale. In questa esposizione della divisione anteriore del seno laterale dell9 Uromàstyx racchiudesi un fatto che mi è parso di qualche importanza , e che io voglio alquanto discorrere. Questo fatto è il nesso o stretto rapporto della parte media di quell9 anterior divisione col vertice o fon- do della urocisti , o meglio vescica allantoidea. Tutti san- no che nei rettili codesta vescica non è più data all* uf- fìzio di serbatoio dell9 urina , conciossiachè non riceve gli ureteri, e F urina è, generalmente parlando, solida, e si ha sotto forma come a dire di calcoli di acido urico che soffermaci nella cloaca e sono espulsi colle fecce intesti- nali : di che ci ha dato prove convincentissime 1 Uroma- styx, ed altri Sauri e tuttodì ne danno gli Ofidi. Ma se ella non partecipa più alla formazione dell9 a uro-poetico, se ella non è più il serbatoio, nè «mente F organo espulsivo dell9 urina, quali sai que le funzioni eh9 ella adempierà nell9 organismo. pparecchio per cole- ranno dun- (1) Vedi Panizza op. cit. pag. XVI. 568 Luigi Calori scica non è che la porzione permanente dell* allantoide , il quale è organo di secrezione o di esalazione sierosa abbondantissima, onde vengono nel feto deviati i liquidi dai reni non atti ancora alla secrezione delle urine. La vescica dunque posta nelle divisate condizioni non avendo potuto assumere 1* uffizio eh’ ella ha preso ne’ mammiferi , conserverà naturalmente quello dell9 organo primitivo di cui è parte residua , e sarà o una gianduia sacciforme si- mile ai sacchi o glandule anali, che pur ci sono occorse nell9 Uromastyx , od un organo di abbondantissima esala- zione acquea o sierosa ; e questo liquido eh’ ella a se at- trae ed entro lei stessa accoglie, verrà sottratto , come nel feto, ai reni, donde in questo Saurio , come in molti altri rettili, una orina solida. E che la vescica possa essere organo di cosiffatta natura , lo prova la sua grande vasco- larità non punto minore di quella della porzione decidua dell’ allantoide. Conciossiachè in essa abbondano e vene ed arterie, e quest9 abbondanza di vasi sanguiferi si avvisa bene nella vescica dell’ Uromastyx, ma non è proprietà sola della vescica di lui, bensì di altri 'rettili ancora p. e. delle rane , delle salamandre , dell’ anguis fragilis , e dei chelonii. L9 umore poi separato od esalato può venire espul- so od assorbito. ci abbia soperchiò di liquido nell9 or- ganismo ne si farà per lei l9 espulsione , e quantunque non sia provvista di fibre muscolari se non nel collo , ella potrà tuttavia effettuamela in grazia della sua troppa pie- nezza , della pressione de’ visceri e della contrazione dei muscoli addominali. Ma se i liquidi non saranno soper- chievoli , od avranno d’ uopo 1’ organismo , allora ne av- verrà l9 assorbimento , il quale opererassi mediante le vene ed i linfatici; e di quelli e di questi ha dovizia la vesci- ca, e chiunque abbia praticate iniezioni sul sistema va- scolare de9 rettili poco sopra nominati ne avrà avuta piena fede, siccome pur ne la fanno pienissima le belle figure portene da Panizza (1) e da Rusconi ^2). Si aggiunga che (1) Op. cit. Tav. II. -Tav. V. Fig. V. - Tav. VI. Fig. Vili. (2) Riflessioni sol sistema linfatico dei rettili. Pavia 1845. Tav. I. Fig. 10-11. In quest9 ultima figura rappresenta solo le vene. Sul sistema vascolare ec. 569 se la vescica può essere organo secretore od esalante siero od umore acqueo, può anche essere organo che tragga dal di fuori e dentro lui stesso introduca ed acqua ed aria per sovvenire al difetto che ne potesse avere l’organismo, secondo che il Towson ha già dimostrato specialmente nel- le testuggini. Poste le quali cose io dico , che se V Uro- inastyx è provvisto di un’ oltragrande vescica allantoidea, questa dev’ essere, secondo che io penso, stata a lui data pe’ divisati uffizi , ma attesa la sua grande capacità era pur mestieri che fossele aggiunto un grande recipiente, nel quale potesse scaricare il liquido o dentro lei separato od esalato , o da lei aspirato dal di fuori. Ora questo grande recipiente è formato dalla divisione anteriore del seno lin- fatico laterale del tronco di questo Saurio , la quale, là dove si unisce sulla linea media con quella del lato op- posto , si dilata , e colla dilatazione soprattutto aderisce a detta vescica. Alle quali congetture non lascierò di aggiu- gnerne un’ altra suggeritami essa altresì da quel nesso, ed è che stagnando la linfa nel detto recipiente per so- prabbondanza che abbiavene nell’ organismo , la linfa me- desima potrà per avventura passare per imbibizione o en- dosmosi nella vescica stessa per essere di nuovo forse as- sorbita vuoi dalle vene vuoi dai linfatici minori, od essere eliminata dal corpo siccome umore superfluo ed inutile. Finalmente se è vero ciò che eminenti anatomici e fisio- logici hanno opinato , che il sistema linfatico, ed in ispecie quello de’ rettili, assorba direttamente aria per recarla in giro e diffonderla ovunque nejla economia che ne è po- vera in grazia della poca estensione della superficie respi- ratoria concessa a questi vertebrati , esso sistema non solo ne assorbirà dalla superficie dell’ apparecchio digerente , ma altresì da quella della vescica , la quale aspirando entro se acqua aspira in un medesimo aria a quella commista , o anche forse separata , la quale aria potrà mediante la superficie vescicale interna passar ne’ linfatici , e special- mente nella dilatazione della divisione anteriore del se- no linfatico laterale , ad essa vescica conglutinata. Chiaro è da tutto ciò, che molteplici sarebbero gii uffici della T. ii. 72 570 Luigi Calori vescica , e che per quanto vari essi possano apparere , ri- duconsi però sempre a secrezione od esalazione di liquidi, ad espulsione allo esterno, o ad introduzione de’ medesimi nuovamente nell’ organismo per opera de’ vasi e specialmen- te de’ linfatici ; ad attrazione od aspirazione di acqua ed aere dal di fuori per sopperirne 1’ economia che trovassesene in difetto : ben si vede che questi uffici in gran parte consentono con quelli che nel feto adempie 1’ allantoide. La porzione sottocutanea del sistema linfatico dell’ Uro- mastyx , è' come di questo sistema in genere , divisibile in superficiale e profonda. Se subito sotto la pelle giace il seno linfatico laterale del tronco , esso però accoglie in- ternamente ed inferiormente de’ grossi rami linfatici che provengongli dalla muscolatura , e ci ha di più il grosso linfatico u che ne è come a dire una ripetizione , ed esso altresì esce dalla muscolatura e va a mettere foce nella porzione scapolare del sacco scapulo-ascellare. Veggonsi pu- re al collo de’ rami superficiali e profondi comunicanti col grosso linfatico che va ad inoscularsi nella porzione sca- pulare del sacco anzidetto. La divisione anteriore del seno linfatico laterale è profonda, superficiale la media, e la posteriore è affatto sottocutanea , e così è il seno cloaca- rio, ma sopra di lui ci ha una rete linfatica pure alla cloaca pertinente , la qual rete ne rappresenta la parte profonda. Ad ultimo nella coda la parte superficiale viene costituita dai linfatici sottocutanei che veggonsi tagliati nelle succitate figure, ai quali potrebbono aggiugnersi i linfatici delle clitoridi , ma questi formano piuttosto uno strato intermedio. La parte profonda vuoisi vedere nei due grandi seni linfatici caudali. Se alcuno domandasse, se negli altri Sauri si trova una disposizione consimile ne’ linfatici sottocutanei * risponderei che noi so; imperocché le iniezioni tentate sul sistema linfatico della Lacerta viridis non mi hanno condotto a ver un risultato soddisfacente. Quelle che ho praticate sui sacchi ischiadici del Varanus elegans mi hanno bensì di- scoperti dei linfatici del tronco, ma questi linfatici era- no esilissimi , massime a confronto de’ seni suddescritti Sul sistema vascolare ec. 571 dell’ Uromastyx, nè ho potuto conoscere eh’ essi avessero comunicazione con quei dell’ascella, con quei della re- gione pubica, ipogastrica, caudale ec. , nè quelli di que- ste regioni avevano nulla che fare colla disposizione linfati- ca osservata nelle medesime regioni dell’ Uromastyx. Onde io dico, che codesta è forse disposizione tutta propria al sistema linfatico sottocutaneo di questo Saurio , o se ve ne hanno di analoghe , queste dovranno ricercarsi nei ge- neri e nelle famiglie affini , negli Stellioni cioè , nelle Agame , ne’ Phrinosomidi e via discorrendo. E qui sembravami aver posto fine alle mie osservazioni sulla disposizione e sul numero de’ grossi seni o canali com- ponenti la porzione sottocutanea del sistema linfatico del- 1’ Uromastyx , quando riandandone 1’ analogia che ci aveva scorta con quella del sistema linfatico dei pesci , sovveni- vano che Siebold e Stannius avevano pur parlato di due vasi linfatici longitudinali che corrono a lati de’ processi spinosi dorsali della colonna vertebrale de’ pesci medesi- mi, e specialmente de’ Siluri e de’ Chiozzi. Ponevamene dunque alla ricerca nell’ Uromastyx , e non andava molto che m’ incontrava nei due larghi canali 6 , 6*, fìg. 16 Tav. 3 costeggianti i processi spinosi delle vertebre, estesi dal- 1’ occipite fin dentro la regione dorsale della coda. Questi canali al di dietro dell’ occipite fondevansi insieme , ed aveva- no un inviluppo aponeurotico robustissimo nella regione superiore e laterale esterna che serviva come di astuccio al muscolo semispinale ed agli altri muscoli che riempiono le doccie vertebrali. Soffiata dentro loro dell’ aria essi in- turgidivano e tondeggiavano , e 1’ aria soffiata in uno entro 1’ altro agevolmente passava , ed una volta passò altresì nei linfatici superficiali della regione superior posteriore del te- schio : dico una volta , perocché essendo nata una piccio- lissima rottura nella porzion cervicale di questi canali l’ aria che via se ne andava per lei , sì la dilatò che non più mi venne ripetuto il fenomeno. Senza che essa aria insufflata penetrava nel tessuto cellulare intermuscolare del tronco e sollevavami anche il sacco scapulo-ascellare. Perchè entro quei canali feci una iniezione di glutine colorato in rosso, 572 Luigi Calori ma la materia iniettata non si sparse che per quel tessuto. L’ iniezione non aveva veramente riempito che uno solo di que’ canali. Allora apersi per lo lungo V altro che poca contenevane , lo detersi di quell’ alquanta materia eh’ esso racchiudevano, e diedemi ad esaminarlo. Trovava una mem- branella tenuissima, aracnoidea adesa inestricabilmente allo strato aponeurotico ond’ era ricoperta , ed appena coerente e cribrosa a’ lati ove abbandonava il detto strato per recarsi sui muscoli sottoposti e coprirli. Soffiata dell’ aria entro que- sto cribro penetrò agevolmente e diffusesi sotto la muscolatu- ra , e sollevò specialmente il muscolo gran dorsale , passò sotto il grande pettorale , e s’ insinuò anche tra i muscoli ad- dominali. Levai questi muscoli , e trovai un tessuto connetti- vo cribroso conformato quà e là in sacelli massime presso al sacco linfatico scapulo-ascellare , col quale non mi riuscì di scoprirne veruna certa comunicazione , quantunque alcu- no di tai sacchi cellulosi aderisse al predetto sacco, e sembrasse con lui si confondesse. G. Mùller ha nelle rane altresì incontrati di cosiffatti sacchi cellulosi ne’ quali rin- venne un umore similissimo alla linfa , eh’ ei per tale pur definì ; e quantunque non fosse certo delle comunicazioni loro coi linfatici , li ebbe tuttavia come pertinenze del si- stema linfatico (1). Esplorando quei canali nella regione cervicale non sono giunto a maggiore certezza , non essen- domi venuto fatto di sincerarmi , se la comunicazione coi vasi linfatici della testa fosse un effetto degli ingegni ado- perati per metterla in vista , oppure cosa naturale. Laonde sono rimasto molto dubbio intorno la natura de’ canali de- scritti , potendo esser eglino una semplice pertinenza della muscolatura, che nulla avesse che fare col sistema lin- fatico; conciossiacchè non ripugna il considerarli come un astuccio formato dall’ aponeurosi del muscolo gran dorsale, e dalla fascia lombo-dorsale insieme fuse, e la membranella (1) Philosoph. transaci. 1833. Pari. 1. pag. 89. On thè Existence of four Distìnct Hearts , having regular pulsations , connected witb thè lymphatic System, in certeio Amphibious animals pag. 90. Sul sistema vascolare ec. 573 interna una guaina sierosa muscolare. Quindi son io stato a lungo in forse , se qui ne avessi dovuto tenere propo- sito , ma alla fin fine mi sono determinato di farne parola , acciocché altri che amasse per avventura di ripetere le mie osservazioni sulla porzione sottocutanea del sistema linfatico dell’ Uromastyx, non trascuri lo studio di tai ca- nali , e ne stabilisca definitivamente la significala. Fatte queste osservazioni restavami 1* esame de’ rapporti tra i nervi attraversanti il seno linfatico laterale del tron- co , e questo seno, non che Pesame dello interno del sacco scapulo-ascellare. Apriva dunque longitudinalmente co- tale seno a poca distanza dalle fossette od avvallamenti che i ramuscelli cutanei de* nervi costali facevano nel loro in- gresso in lui , e ciò compiuto una parte del seno rimane- va chiusa, ed altra aperta e distesa come nella fig. 17. Tav. 3. Contemplando questa figura si scorge subito che tali rami nervosi f \ non corrono a nudo per entro la ca- vità del seno , ma rinchiusi nelle guaine tubolari e, e, for- mate dalla parete del seno medesimo , e che perciò non son’ ellino bagnati dalla linfa. Codeste guaine per così dire diramansi ogniqualvolta che quei rami nel percorrere che fanno la cavità del seno , entro questa pur essi diraminsi ; e quando tali vagine volessersi considerare come formanti una specie di setto pettineo , fra’cui denti passassero grandi vani, e per conseguente il seno laterale come distinto in due canali largamente e ripetutamente comunicanti tra lo- ro , le strette cavità delle vagine potrebbero avere la signi- ficanza di anguste isolette quando semplici, quando ramifi- cate, secondo che semplici rimangono, o si ramificano i ner- vicciuoli nello attraversare il seno. E posto che questa spie- gazione non a pieno soddisfacesse , potrebbesene proporre un’ altra, e cioè che i nervicciuoli prefati dovendo trapas- sare il seno per recarsi alla pelle ove consumami , e non potendo perforare la parete del seno stesso, la spingono davanti essi loro , ed ella ivi si avvalla , e s’ introflette a ino’ d’ imbuto protuberante dentro la cavità del seno tanto che giugne presso alla parete opposta, la quale essa al- tresì "corrispondentemente s’introflette, e forma un altro 574 Luigi Calori imbuto che coll’ apice tronco all’ apice del primo che gli viene incontro , si salda , e nella saldatura le cavità dei due imbuti si fondono; e cosi hanno effetto le vagine tubolate che comprendono e separano affatto que* nervicciuoli dalla cavità del seno, le quali vagine per un meccanismo consi- mile, quando fia d’uopo, pure ramificherannosi. In una parola questa disposizione è simile a quella del vasellino che dalla unione de’ legamenti alari va alla fossa intercon- diioidea dell’ articolazione del ginocchio; il quale vaselli- no non è già a nudo entro la cavità articolare, ma vestito dal legamento mucoso della medesima articolazione , il quale è una produzione della membrana sinoviale che in corri- spondenza di tale legamento si conforma in un tubo che racchiude quel vasellino. E in quella che io faceva que- st’ osservazione , altra sortivamene di fare non meno rile- vante, ed era che essendo i vasi sanguiferi epigastrici ester- ni h , e toracici lunghi g satelliti del seno laterale , questi vasi sanguiferi mi apparivano generalmente fuori del seno, ma con alcune porzioni loro indicate in i, ^ sembravanmi a otta ad otta dentro, ed uniti per briglie alla superficie interna del seno. Ma guardando 1* ingresso e 1* uscita di cotali porzioni , si conosceva , anche con un esame super- ficiale, che la parete del seno comprendevale , tutto attorno sorgendo a rivestirle e separarle dalla sua cavità per forma che neppur esse erano bagnate dalla linfa. Appresso face- vano ad aprire dal lato dorsale il sacco scapulo-ascellare , e pulitolo diligentemente di alquanta materia d’ iniezione ond’ era imbrattato , ed esaminatolo per ogni dove nella sua interna superficie , e nelle parti che sembrava contenere , lo ritraeva un po’ più grande del vero , siccome il rappre- senta la fig. 18. Tav. 3. La lettera g indica la porzion sca- polare , la f 1’ ascellare del sacco , amendue aperte. Il seno linfatico laterale a, e gli altri linfatici d, e , e, che met- tono capo entro il sacco , veggonsi pure aperti. La porzione anteriore h, h, del muscolo gran dorsale è stata tagliata e tratta ai lati , e chiaro è essere dessa abbracciata da una piega della parete dorsale o superiore del sacco stesso, non altrimenti che 1’ uraco, a cagion di esempio, è abbracciato Sul sistema vascolare 575 da una piega del peritoneo parietale. In k occorre il forarne onde si penetra in un canale che mette nel torace, entro cui esso canale si continua con il condotto toracico corrispon- dente. Nella parte anteriore del foro comunicatorio apparisco- no i grossi vasi sanguiferi r , il vase i è l’arteria ascellare la quale è avvolta da una guaina membranosa continua colla parete del sacco; guaina che si prolunga a vestire F arteria o, q, che ne è continuazione, il ramo arterioso r, e sue diramazioni. Dalla parte posteriore questa guaina manda i due larghi legamenti membranacei u, w, i quali si attaccano alla guaina della vena tì, n , che nel recarsi che fa al tronco /, si rende libera entro il sacco, e libe- ro è altresì questo tronco venoso /, però sol fino al suo ingresso nel sacco, nel quale luogo viene questo tronco abbracciato dalla parete del sacco stesso che per piccolo spazio vi sorge attorno e F inviluppa. La porzione ^libera del tronco /, e della vena n > re, non è rugosa com’ esser suole la superficie esterna de’ vasi sanguiferi, i quali cor- rono per il tessuto cellulare che loro fa come a dire un letto, e aderisce, ma è liscia e splendente a somiglianza della faccia interna di una sierosa. Ho potuto distaccare dalla porzione libera di dette vene un branello della loro tonaca esteriore e F ho esaminata al microscopio , e F ho trovata constare di tessuto fibrosa connettivo dal quale e mediante la pressione e F acido acetico sonosi staccate delle cellule o piuttosto de’ nuclei radi simili a quelli dell’e- pitelio del sacco , e de’ linfatici in generale : perche sembra che questa specie di tonaca avventizia che i vasi sanguiferi prendono dai linfatici , quando essa di molto si assottiglia , riducasi quasi al semplice epitelio, e ciò ha luogo altresì nelle sierose; e diffatto F aracnoide che soppanna la faccia interna della dura madre, è ridotta al solo epitelio. L’arteria r e la vena m , p corrono in gran parte libere entro il sacco, ma nella loro origine hanno un inviluppo comu- ne che intra loro due forma la piega , che vuoisi pan- nare ai legamenti membranacei w, u. V inviluppo al di la della piega si conforma in due tubi, o guaine tubolari . di- ramate che racchiudono i due vasi r, m, p, e loro dira- 576 Luigi Calori inazioni. La guaina della vena m, p> si connette per le molteplici briglie &, &, alla superficie interna dei sac- co, e cotali briglie sono dilatate sì nella origine dalla guaina della vena come nella inserzione alla superficie in- terna del sacco, e sono in parte tubolate, in parte lega- mentose e contengono quando de’ ramuscelli venosi , quan- do nò, e son elleno altrettante continuazioni della guaina della vena colla parete del sacco. Non altrimenti si com- porta la guaina dell’ arteria x, la quale guaina si congiu- gne in oltre colla parete del sacco mediante la piega corrispondente al lembo anteriore della porzione tagliata A, h, del muscolo gran dorsale. Il ramo y dapprima se- parato dalla sua vena satellite è di poi rinchiuso in una guaina comune attaccata alla superficie interna del sacco per briglie non dissimili dalle divisate. Finalmente i vasi toracici lunghi t sono egualmente avviluppati ed invagina- ti, ma la porzione s ne sembra a nudo entro il sacco; ella però non V è, e vi ha la stessa stessissima disposizione che ci è occorsa rispetto ai medesimi vasi entro il seno linfatico laterale. Queste tutte osservazioni mi allontanavano di assai dalla opinione che i vasi linfatici racchiudano i vasi sanguiferi in quella guisa medesima che una vagina involge una spa- da, e che la linfa li bagni come 1’ acqua bagna i pesci che dentro lei guizzano. Questa opinione che fu già di Fohmann (1) e di Ed. Weber (2), trovò un caldissimo propugnatore in M. Rusconi (3), il quale sì d’ argomenti la puntellò che fece venir meno in moltissimi 1’ opinione contraria promulgata e difesa da B. Panizza (4) il quale (1) Das SaugadeFsystem der Wirbelthiere etc. Vilnae 1819 — Erstes Heft: das Saugadersystem der Fische Heidelberg und Leipsig 1827. (2) Ueber das lymphherzen einer Riesensehlaoge (Pyton tigris ) nei Mailer ’s archiv. 1835. Osserva anche le fig. 5-6 Tav. 13. (3) Op. cit. (4) Op. cit., non che sul rapporto tra i vasi linfatici e sanguiferi nei ret- tili Lettera del Prof. Cav. Bari. Panizza al Prof. Cav. Antonio Alessandrini. Milano 1844. Sul sistema vascolare ec. 0 i / aveva insegnato, che quello apparire de’ vasi sanguiferi dentro ai linfatici non era realtà, ma che quelli erano avviluppati da questi , non altrimenti che il cuore lo è dal pericardio, e gl’ intestini dal peritoneo, non altrimenti che la carotide interna, il sesto nervo cerebrale, ed i fili rispondenti del nervo gran simpatico lo sono da un pro- lungamento della membrana interna del seno cavernoso, il quale avviluppa tutte le dette parti che sembrano in lui contenute, e le separa dal sangue che esso seno rac- chiude , conforme aveva il Bichat pronunciato. Tutti sanno la grande contesa insorta fra questi due Illustri anatomici italiani, e come la questione non sia veramente ben de- cisa ancora , rimanendo non pochi tuttavia sospesi a quale delle due opinioni debbano dare 1’ assenso. Quando fossero sufficienti le narrate osservazioni , chiaro è, che la questione sarebbe risoluta in favore dell ultima opinione. Ma il Rusconi non contende già che le relazio- ni fra il sistema sanguigno ed il linfatico non siano (dalle rane però in fuori ) negli arti , ed io aggiugnerò , secondo che ho dimostrato per innanzi, anche nel tronco, a un di presso come negli animali di sangue caldo (1); ma contende soltanto intorno quelle dell’ aorta e delle ramifi- cazioni sue che si diramano per i visceri addominali ; con- ciossiachè ei pone che 1’ aorta sia dentro il dutto toraci- co , come Bojanus pel primo notò nella testuggine europea ; eh’ essa aorta sia avviluppata in questo dutto , ma non di un modo medesimo in tutti i rettili, nè sia al contatto immediato della linfa e del chilo; alla quale regola sem- brangli formare un’ eccezione il camaleonte , il ramarro . le rane ed alcuni altri rettili. Pone in oltre, che le arte- rie mesenteriche in alcuni rettili siano rinchiuse ne vasi chiliferi ed al contatto del chilo, in altri invece, come negli uccelli. 73 578 Luigi Calori sono le testuggini di terra, siano avviluppate ora più ora meno ne’ vasi chiliferi, ma non al contatto immediato del chilo : che però i minimi vasi sanguigni , chiliferi e linfa- tici camminino isolatamente, e solo in qualche caso i mi- nimi vasi chiliferi si accostino ai ramuscelli arteriosi e vi formino sopra una guaina che è un tronco linfatico, il quale si continua dai rami ai tronchi, e va finalmente a sboccare nella cisterna del chilo. Pensa ad ultimo, che nelle salamandre non essendosi potuto scoprire fino ad ora una comunicazione diretta fra il dutto toracico e le vene succlavie, e nelle rane fra la grande cisterna e queste ve- ne , ed essendo in codesti amfibi i vasi sanguigni mesen- terici rinchiusi nella cisterna e ne’ vàsi chiliferi; pensa, dissi , che il chilo passi nel sangue per virtù di un’ en- dosmosi organica e particolare (1). Io ho voluto riferire un’ po’ a disteso questa opinione del Rusconi per ricordarla a coloro che scrivono tuttavia, e vanno proclamando, come io stesso li ho uditi, che nei rettili i vasi linfatici inguainano i vasi sanguiferi, e che questi sono Lagnati dalla linfa , non avvedendosi eh’ essi erigono in regola generale una eccezione, e che appongono al Rusconi un errore eh’ egli a tutt’ uomo ha cercato di evitare. Grandi passi si fanno per la via del semplice ge- neralizzare, ma assai piccoli per la via della esatta osser- vazione; onde che per quella correndo si giugne tropp’ ol- tre , e si è costretti a retrocedere , per questa non già. Il (1) Op. cìt. pag. 72-73, ove trovansi le conclusioni alle quali l’hanno condotto le sue osservazioni. Vedi pure la lettera dedicatoria di quest’opera a G. Hvrll , non che nella confutazione della lettera succitata del Panizza le pag. 32-33-35-40-51. Io non cito che quest’ opera; perocché negli scritti an- tecedenti del Rusconi sul medesimo argomento pubblicali nel Giornale dell’ Isti- tuto Lombardo Tom. I. V. VI, in quello delle Scienze medico-chirurgiche di Pavia Tom. XIII. XV. ec. , hannovi alcune mende ch’egli ha tolte in que- sto suo ultimo e definitivo lavoro sui linfatici dei rettili dato in luce nel 1845. Egli stesso scrive che qualunque cosa avesse detto ne’ suoi scritti precedenti contraria a queste sue ultime conclusioni, la rifiuta come non sua. Ognuno poi sì sarà accorto che io ho riferita questa opinione colle parole stesse del suo Autore. Sul sistema vascolare ec. 579 Rusconi stesso retrocesse, e chiunque si brighi paragonare i primi scritti di lui sul sistema linfatico dei rettili cogli ul- timi, ne avrà pieno convincimento, e troverà di più che nel sunto della sua opera maggiore sul detto sistema ( sunto eh’ ei stesso fece e indirizzò sotto forma di lettera al Prof. Weber) venne nel dubbio, che le arterie mesenteriche della salamandra terrestre fossero semplicemente comprese da una piega delle pareti dei chiliferi , non altrimenti che 1’ aorta P è da una del dutto toracico e della cisterna (1). Forse eh’ egli avrebbe in progresso di tempo retroceduto anche di vantaggio? Ma che che sia, egli è chiaro che la que- stione non è cosi universale come alcuni si avevano presup- posto, sendo che ella non abbraccia già tutto il sistema sanguifero e linfatico , ma si limita ad una parte , cioè al- 1’ aorta ed ai vasi sanguiferi pertinenti ai visceri addominali , agli intestini in ispecie , non che alla cisterna , al dutto toracico, ai vasi chiliferi ed a qualche altro linfàtico; nè ri- guarda tutti i rettili, ma alcuni soltanto, essendo in que- sta classe di vertebrati , e nei vari ordini e famiglie e spe- cie che la compongono , numerosissime le differenze da es- sere se non d’ impossibile, di soprammodo difficile riusci- mento il poter stabilire massime generali , secondochè il Ru- sconi stesso ebbe già profferito. . La questione dunque perde quel gran prestigio d impor- tanza col quale si era presentata, e così posta si travaglie- rebbe intorno, direi quasi, ad una semplice anomalia , la quale poco o punto avrebbe di momento, quando a lei non fosse legata la congettura, che essendo que’ vasi san- guigni a contatto del chilo , riuscisse a questo di passare in quelli per opera di una endosmosi organica e particola- re, e ciò compensasse la mancanza di una comunicazione tra il dutto toracico e le vene succlavie. Di che pure si avvidero i due celebri contendenti sullodati Pamzza e Ru- di Lettera del Doti. M. Rusconi al Sig. Emesto-Enrico Weber, Prof, di Anali nella Università di Lipsia, sopra i vasi linfatici de. remi, (con una ta- vola ) Pavia Tipografia Fusi e comp. 1847. 580 Luigi Calori sconi, ma ciò non valse ad impedire le acerbe polemiche che tutti conoscono. Non è mia mente di mischiarmi, nè il dovrei, di questa lite, e molto meno di sentenziarne. Sarebbe presunzione incomportabile la mia, se avessi inten- dimento di ciò , e recherei offesa ai due valorosi combat- tenti. Io non avrei neppure ricordata la questione , se le osservazioni surriferite non mi ci avessero spinto , nè mi avessero in un medesimo eccitato ad investigare ancora la porzion viscerale del sistema linfatico dell’ Uromastyx ; e se le indagini fatte su questa porzione non mi avessero con- dotto a scoprire alcuni particolari non men degni di anno- tazione che atti e valevoli a spargere alcuna luce su tale questione. E poiché 1’ occasion vuole che io parli anche de’ linfatici interni , non vi aspettate , o Signori , che io tutti li noveri e distesamente discorra ; che così adoperan- do riuscirei superfluo , e non farei che ripetere le molte cose , che con tanta accuratezza e maestria ne scrisse e di- . mostrò in altri Sauri il Panizza ; ma restringerò il mio dire semplicemente a quelle parti che mi è parso meglio illu- strino le relazioni de’ suddetti linfatici cogli organi vicini. Queste parti sono la grande cisterna del chilo, i vasi lat- tei o chiliferi ed il seno o cisterna linfatica giugulare che per le attenenze che ha colla ghiandola tiroidea istituendo un analogia con quelle dei corpi lutei e della divisione an- teriore del seno linfatico laterale del tronco, mi ricondur- rà a considerare ed illustrare, se fia possibile, anche le at- tenenze delle ultime parti commemorate. Aperta la grande cisterna a, a, b fig. 19 Tav. 4 , e di essa soltanto la porzion maggiore a , a , detergevane con uno spillo di acqua la materia rossa che io aveva iniettata ne linfatici. Allontanati i lembi deli’ apertura si parava su- bito dinanzi 1 enorme cieco d colla sua appendice vermi- forme fy non che 1’ aorta ed altri vasi sanguiferi che sem- brava occupassero la cavità della cisterna medesima. Sareb- besi detto che il cieco partecipasse alla formazione delle sue pareti, e che P appendice vermiforme vi fosse dentro. E quest apparenza acquistava più verità dal vedere i ro- busti fasci della sua tonaca muscolare così rilevati e netti Sul sistema vascolare ec. 5$] come fossero scoperti, e il loro decussarsi ed intrecciarsi e i vani che da ciò nascevano, e i fori pei quali insinua- vansi i vasi sanguiferi del cieco stesso, nei quali fori era penetrata alquanta materia rossa della iniezione. Ma la su- perficie esterna di questa porzione di cieco protuherante entro la cisterna era levigata e lucente, e così la superfìcie esterna dell’ appendice vermiforme. Le quali due particola- rità estranee alla membrana muscolare degli intestini non potevano dipendere che da un velame avventizio sommini- strato o dal peritoneo, o dalla membrana interna della ci- sterna. Ma il peritoneo avrebbe dovuto penetrare dentro questa per velare la superficie della detta porzioue di cie- co e la sua appendice: lo che eragli impossibile, ed esso peritoneo d’ altra parte non copriva che la fàccia inferiore del cieco, e di poi recavasi in avanti a comporre il sacco che conteneva 1* intestino tenue ; sacco che ho aperto in h per trarne fuori il detto intestino g3. Rimaneva dunque, la parete della cisterna , la quale là dove il peritoneo abban- donava il cieco , ripiegavasi tutt’ attorno a questo sopram- modo attenuandosi, e vestivaio colla sua tonaca interna nella faccia superiore , e in un P appendice vermiforme. Questa tonaca in corrispondenza de^fori suddivisati , alcuni de’ quali appariscono in ©, insinuavasi dentro questi fori accom- pagnando ed avvolgendo i vasi sanguiferi , e questi prolun- gamenti della tonaca prefata entro quelli non erano che i linfatici del cieco, i quali a fior della sug superficie supe- riore mettevano capo nella cisterna. La disposizione descritta sembrami affatto nuova ne5 Sauri, almeno non conosco al- cuno che ne abbia fatta menzione. Forse che nello Sinco Schneideriano o Ciprio, il quale ha esso altresì una enor- me dilatazione ciecale , ne presenta una consimile ? Lo ve- dranno coloro cui sarà fatta opportunità di fare P anatomia di codesto Saurio. L’ aorta c per quanto possa apparir libera e a nudo en- tro la cisterna, e il dutto toracico, non la è però, ed una osservazione anche superficiale addimostra, eh’ ella è rin- chiusa in una guaina , la quale comincia anteriormente lad- dove le due aorte penetrano nella divisione che il dutto to- 582 Luigi Calori racico fa anteriormente, e prosegue ad involgere V aorta dorsale , quella appunto che apparisce nella citata figura. Nello ingresso delle due aorte la parete dei dutti non è perforata , ma s’ introflette applicandosi tutt’ attorno quelle , le quali poi sono avvinte alF esofago ed alla region dorsale del dutto toracico mediante due pieghe. L’ aorta dorsale che nasce dalla unione delle due aorte predette , si svin- cola da legami di pieghe colla parete dorsale di esso dutto ed anche della porzione più capace e massima della cisterna , e può venir sollevata colle mollette sì che ne sembra den- tro. Il dutto toracico si comporta coll’ esofago in quella guisa stessa che la cisterna col cieco , e 1’ aorta dorsale è legata all’ esofago per una moltitudine di briglie o di fila- menti legamentosi resistenti ed elastici. Nella cisterna offre la medesima disposizione , se non che oltre le solite briglie che appiccansi alla parete interna della cisterna , ve ne hanno altre che vanno ad attaccarsi alle arterie pertinenti ai visceri ; anzi vi hanno come a dire delle falde o larghe pieghe, che dalla detta guaina passano alle dette arterie , conforme si vedrà più innanzi. Sì al davanti che al di dietro della origine delle arterie intercostali osservasi una piegolina membranacea, e queste piegoline sono producimenti della guaina aortica , i quali si conformano in tubi che comprendo- no quelle arterie : lo che tutto rende una figura che ricorda il legamento denticolato della midolla spinale. Entrando P aorta dorsale nella porzione posteriore e più stretta della cisterna resta attaccata alla parete dorsale di questa , e ve- desi come compresa fra due lamine, sicché ivi è patentis- sima la guaina di detta arteria. Solo aleuno potrebbe rima** nere sospeso nel credere, che in quella porzione di aorta dorsale estesa dal di dietro dell’ unione delle due aorte alla porzione più angusta della cisterna ci fosse una vera guai- na. Ma io ho potuto sollevare in più luoghi da tale porzio- ne di aorta la guaina indicata e vederla continua colla pa- rete linfatica, non che colle briglie e larghe pieghe suddet- te , onde non ho verun dubbio sulla esistenza di lei , nè sulla continuazione sua colle pareti del dutto toracico e della cisterna. Già Panizza aveva osservato ciò in altri ret- Sul sistema vascolare ec. 583 tili p. e. nel Coluber flàvescens, nella Testuggine greca, e nella Salamandra terrestre,, nei quali rettili ha altresì dimostrato con figure come la parete linfatica si ripieghi sul- F aorta , e la comprende in una specie di tubo , ed ha ag- giunto che da questo tubo contenente F aorta partono nu- merosi filamenti che lo tengono alla regione dorsale delia cisterna, e costituiscono come un mesenterio (1). Mi ha preso desiderio di ripetere in qualche altro rettile F osser- vazione fatta sulle relazioni dell5 aorta dell5 Uromastyx colle pareti del dutto toracico e della cisterna, ed ho prescelti il ramarro e la rana tanto perchè essendo rettili comuni appo noi se ne possono avere a piacimento, e ripetere le tante volte che uorn vuole la stessa osservazione, quanto perchè sono due dei tre rettili sunnominati, ne’ quali si crede che F aorta giaccia a nudo entro il dutto toracico e la grande cisterna del chilo, e sia quindi ad immediato contatto del chilo e della linfa. Nella Lacerta viridis come nell5 Uromastyx , le due aorte penetrano nella divisione anteriore del dutto toracico, ma non la perforano, e solo ne spingono la parete davanti loro, la quale è costretta d’introflettersi abbracciandole. Le due aorte così inguainate entro il dutto offrono pure due pieghe lunghe da cinque in sei millimetri , per le quali connettonsi colla parete dorsale del dutto stesso e colla pa- rete esofagea del medesimo ; chè anche qui il dutto aderi- sce all5 esofago e lo veste nella sua circonferenza superio- re. L5 aorta dorsale nella sua origine apparisce chiaramente involta da una guaina la quale è un prolungamento di quelle delle due aorte che unisconsi in lei e la compongo- no , e questa guaina forma inferiormente una piccola piega lunga quattro in cinque mill. , continua colle pieghe infe- riori delle aorte predette , la quale piega lega l5 aorta dor- sale all’ esofago, o meglio alla parete esofagea del dutto. (1) Vedi la lettera succitata pag. 8 alla 13 non che la Tavola annessale. Vedi anche la grande opera sul sistema linfatico dei rettili pag. !X,eTav. IH % vi. 584 Luigi Calori Al di dietro di questo legame P aorta dorsale si fa libera e sciolta entro il duttp e la cisterna, e non ha attacchi colle loro pareti se non è mediante un qualche scarso filo tenuis- simo più che capillare appena attendibile e le arterie in- tercostali; ma al di dietro della origine dell* arteria celiaco- mesenterica presenta maggior numero dì briglie e più gros- se , che di vantaggio si moltiplicano presso i testicoli , in corrispondenza dei quali P aorta dorsale aderisce alle pareti della cisterna , che evidentemente la invaginano. La por- zione di aorta dorsale estesa da queste maggiori briglie ed invaginamento posteriore alP anteriore ed alla piega che P unisce alla parete esofagea del dutto toracico, sembra affatto sprovvista di guaina ed essere in contatto immediato colla linfa. E per verità coi mezzi ordinari non mi è riu- scito poter distaccare niente dalla superficie esterna di que- sta porzione di aorta senza apportare lesioni alle altre mem- brane della medesima ed alla integrità del suo tubo. La levigatezza ed omogeneità sua però, e P apparirmi meno densa ai lati ( chè P aorta vuota che sia , non si offre roton- da in questo e in altri molti rettili, ma schiacciata e piana) m* inducevano di leggieri nel sospetto che ci fosse qualcosa che la velasse , e cignessfela tutto attorno , onde per accer- tarmene staccava alcuni pezzetti del tubo aortico, e li po- neva tra due vetri, ed esaminavane i bordi al microscopio sotto ingrandimenti variabili dai cento ai trecento e più diametri, e facendo scorrere P un su P altro i due vetri, e comprimendo il pezzetto di arteria che io esaminava e trat- tandolo pur coll’ acido acetico mi riusciva scoprirne il so- spettato invoglio , e distaccarne de’ brani , e scioglierli , e trovava che dessi componevansi non già di tessuto connet- tivo , ma di cellule , e di nuclei epitelici e ne staccava di più dalle origini delle arterie intercostali e della porzione di que- ste stesse sita nel dutto o nella cisterna : perchè la sud- detta porzioue di aorta aveva una guaina semplicemente epiteliale continua cogli invaginamenti anteriore e posteriore suddivisati; invaginamenti che si erano già riconosciuti ad occhio anche non armato di lente produzioni delle pareti del dutto toracico e della cisterna. Se non che esaminando Sul sistema vascolare ec. 585 gli invaginarli enti delle due aorte e le pieghe donde proce- devano non che altri pezzetti dell’ aorta dorsale cui fossero appiccate delle briglie, occorreva di più un tessuto con- nettivo ed elastico che tali briglie e piegoline componeva , espandentesi e confondentesi da un lato coi tessuto della tonaca esterna delle prefate arterie e dall’ altro colla parete del dotto e della cisterna ; ma anche da questo tessuto onde quelle briglie e piegoline erano formate, staccavansi delle cellule e de’ nuclei epitelici. Confrontava poscia queste ap- parenze microscopiche con quelle che ne porgeva 1’ aorta della Salamandra acquaiuola in cui si ritiene essere la detta arteria indubitatamente invaginata dalla tonaca interna del dutto e della cisterna, e trovava sostanzialmente la cosa medesima, se non che in lei meglio discoprivasi il detto epitelio per essere più ricco di cellule , e per essere il più di queste piene di granuli di pigmento, circostanza che agevola- va lo scorgerlo , mentre il pigmento era scarsissimo nel Ra- marro , e le cellule molto dilatate mettevano talvolta in forse se 1’ epitelio ci fosse, ed in suo luogo non ci avesse che una membrana anista , ma il vedere qualche grosso nucleo quà e là sparso in pezzetti di aorta stati previamente immersi in una soluzione di carmino, ed il poterli svolgere dalla loro esterna superficie , mi rendevano certo della esistenza di quello. Non era dunque una realtà , ma una mera appare- scenza 1’ essere cotal porzione di aorta dorsale a nudo entro il dutto e la cisterna, e quindi sembrava , ma non era dessa effettivamente ad immediato contatto della linfa e del chilo. Se è vero ciò che si è asserito aversi nell’ aorta del Ca- maleonte affricano le stesse relazioni col dutto toracico e colla cisterna del chilo, che in quella del Ramarro, è chia- ro che anche nel Camaleonte 1’ aorta sarebbe involta in una guaina linfatica , e non sarebbe in immediato contatto della linfa nè del chilo , siccome è sembrato. Io non ho avuto disponibile verun Camaleonte per sincerarmene. Non tacerò tuttavia che in altri Sauri come nell’Agama colonorum Daud., nel Monitor terrestris Cuv. le relazioni dell’ aorta col dutto toracico e colla cisterna sono presso che simili alle descritte nella Lacerta viridis , e nell’ Uromastyx. T. II. 586 Luigi Calori Adducesi la Rana esculenta L. come quella che porge il più luminoso esempio dell* essere le due aorte e F aorta posteriore rinchiuse nella grande cisterna addominale, ed essere immediatamente bagnate dalla linfa e dal chilo. Io ho sparato più e più rane per vedere codesto e mi sono convinto che quelle arterie non sono a nudo , nè quin- di immediatamente bagnate nè dall’ uno nè dall’ altra. Aper- ta con una sezione trasversa la grande cisterna addominale dalla parte inferiore, e rovesciatine i lembi anteriormente e posteriormente, scorgonsi da ciascun lato della estremi- tà anteriore di lei penetrare le due aorte, ed alcun poco più indietro ed allo esterno due nervi che accompagnano le aorte medesime fino alla loro unione nell’ aorta dorsale, e che insieme convengono alla detta unione delle due ar- terie od alla origine dell’ arteria celiaca , o celiaco-mesen- terica ; nervi che io ho per i splancnici , e che così ap- pello con E. E. Weber, quantunque egli per non avere notato questo rapporto colle due aorte ne lasci un po’ in dubbio, se per splancnici abbia voluto intendere i nervi accennati, o qualche altro filamento (1). Ma comunque sia guardando dalla parte interna 1’ ingresso di questi nervi e di quelle arterie , si vede chiarissimo che la parete della cisterna s’ introflette , e gli uni e le altre invagina , e poi- ché in principio sono distanti fra loro , ed appresso si ac- costano, F intervallo triangolare originato da quella distan- za è occupato da una piegolina pur triangolare così sottile da vincere una ragnatela, piegolina trasparentissima, ed assai facile a rompersi , la quale per la base è continua colla parete delia cisterna , e pei lati colla guaina del nervo splancnico e dell’ aorta corrispondente. A mano a mano che il nervo e 1’ arteria recandosi posteriormente e verso F origine dell’ arteria celiaco-mesenterica, più e più fra loro si avvicinano , e quasi F una sull’ altro si applica , (1) Vedi Anat. compar. nervi sympat. Lipsìae 1817 pag. 48. Ho emesso questo dubbio , perocché al detto nervo splancnico giungono più indietro due fili che lo rinforzano , e che muovono da due gangli del tronco del simpatico. Sul sistema vascolare ec. le due vagine pel cessare che fa a poco a poco la suddet- ta piegolina che insieme legavaie, vengono conm a fon- dersi in una guaina comune, la quale alla unione delle due aorte si unisce con quella dell* altro Iato, poi prose- gue ad involgere F aorta dorsale in un coi nervi simpatici che V accompagnano. La membranella che forma le de- scritte guaine veduta al microscopio si mostra composta di cellule che contengono granuli pigmentari quando in maggiore quando in minor numero, e che sono coerenti fra loro mediante un cemento trasparentissimo. Una par- te di queste cellule si raccoglie in gruppi assai fitti, ed un’ altra è distesa in piano , e queste ultime hanno un’ ap- parenza intermedia alle cellule epidermoidali con nuclei oscuri , ed alle cellule di pigmento. Non è d’ uopo dire che da questa membranella dipende 1’ essere le arterie ed i nervi , e le piegolìne onde sono insieme avvinti , chiaz- zate in nero. La continuazione dell’ aorta dorsale al di dietro delle molteplici arterie renali offre ai lati due pie- ghe robuste ond’ è invaginata ed è unita alla parete dor- sale della cisterna tra la quale ed il cocige ella poi passa correndo finalmente al di sopra della parete indicata. Non lascierò F argomento risguardante le relazioni tra F aorta e la grande cisterna addominale senza riferire un’ altra osservazione fatta a tale proposito nella Rana Bu- io. In una grossa femmina di questa specie di rana apersi come nella Esculenta, quella grande cisterna , ed ebbi nel- F aprirla vedute molte, briglie o fili quando semplici, quan- do diramanti , tutti assai robusti ed elastici , che andavano dall’ un lato all’ altro della faccia interna della sua parete inferiore , massime in corrispondenza della porzione inter- posta alle ovaia. Le relazioni delle due aorte colla parete dorsale della cisterna non erano dissimili dalle descritte nell’ ultima rana menzionata. E di fatto esse aorte pene- trando in quella venivano rivestite , e chiuse in una in- troflessione tubolata della sua parete dorsale ; introflessione rinforzata da briglie o fili che partivano dalla superficie interna della cisterna, e a detta introflessione appiccavansi facendo un tutto continuo con lei. Qui però i nervi splan- 588 Luigi Calori cuici non avevano verun nesso colle vagine delle due aorte ; chè dall’ origine al loro termine intorno al tronco deli’ arteria ciliaca o celiaco-mesenterica rimanevano sem- pre molto discosto da quelle arterie. Le guaine delle due aorte là dove queste anastomizzavansi per comporre l’ aor- ta dorsale , fondevansi in una , che inguainava quest’ ulti- ma arteria , e non aveva che poco o punto di briglie. Di queste guaine soltanto la parte posteriore dell’ ultima era veramente chiazzata di nero pigmento. L’ esame microsco- pico davami qui una comprova di quanto aveva veduto nel Ramarro. Se alle osservazioni che ho riferite si aggiungano quelle fatte dal Panizza negli Ofidi in confutazione di Fhomann , di Ed. Weber e di Jacobson , che volevano 1’ aorta fosse a nudo entro la cisterna e bagnata dalla linfa e dal chilo; se pure si aggiungano le altre del Panizza stesso sulle relazioni dell’ aorta della Salamandra terrestre e dell’ acqua- iola col dutto toracico e colla cisterna ; se infine si ag- giungano quelle del Bojanus e del Panizza ancora sui rap- porti dell’ aorta cogli indicati centri linfatici delle Testug- gini, non si avrà in veruno degli ordini componenti la classe dei rettili verun esempio che provi essere 1’ aorta a nudo entro il dutto toracico e la cisterna: quindi è che sarebbe assurdo voler persistere nella credenza che l’ aorta sia ad immediato contatto del chilo e della linfa. Ciò fermato dico ripigliando ad esaminare le relazioni trai vasi sanguigni e linfatici nell’ Uromastyx, che non so- lo 1’ aorta è invaginata da produzioni della parete dorsale del dutto toracico e della cisterna, ma che ne sono altresì invaginati i rami che da lei nascono, e che sembrano dentro la cisterna stessa. E di fatto queste guaine possono in brani è vero, ma pur sollevarsi, massime poi dov’ elle ricevono aggiunte, le quali sono quando di briglie o fila- menti, quando di pieghe più o meno larghe che muovono o direttamente dalla parete interna della cisterna , o dalle guaine de’ vasi sanguiferi circonvicini. Se noi guardiamo la guaina aortica, ci si para subito innanzi la larga pie- ga i, fig. 19. Tav. 4. ond’ ella è congiunta colla guaina Sul sistema vascolare ec. 589 deli’ arteria celiaca , e soprattutto con quella dell* arteria mesenterica anteriore e. Quest’ arteria fin oltre 1* origine dell’ arteria mesenterica posteriore o è più o meno ade- rente alla parete interna della cisterna , e da questa ade- sione prende augumento per la sua guaina, e riceve per soprappiù dalla parete interna della cisterna stessa la pie- ga m , la quale come le fosse superflua, tutta non la ri- tiene, ma dall’ altro lato manda, come si vede in n3 alla guai- na dell’ arteria mesenterica posteriore, la quale guaina ne fa suo prò nel medesimo mentre che mettesi in istretto com- mercio colla largitrice. L’ arteria mesenterica posteriore di già tutta invaginata corre di poi come libera entro la cister- na cui è sol connessa per qualche filo, e si dirige alla volta dell’ intestino cieco : presso 1’ appendice vermiforme f si di- vide in due rami, uno anteriore unito al cieco per molti filamenti , ed un altro posteriore che va a distribuirsi al colon. L’ arteria che si consuma nel cieco , cammin fa- cendo su questo si accompagna con un ramo della vena meseraica t di già inguainata, e tra questi due rami di- varicati posteriormente giace la grande piega triangolare r, che congiugne la guaina del ramo arterioso a quella dei venoso e fa loro da legamento. Io non saprei ben dire se questa grande piega proceda dalla guaina del ramo arte- rioso o dalla guaina del ramo venoso, ma ei pare piutto- sto da questa per essere dessa più vicina al luogo di sua origine , mentre quella della guaina del ramo arterioso ne è molto discosto, onde che questa guaina se ne avvantag- gierebbe. Il ramo posteriore pertinente al colon , è attac- cato alla cisterna mediante le due briglie z ed alla vena meseraica t mediante la piega n, che congiugne la guaina di questa vena con quella del detto ramo arterioso , la quale ultima guaina poi trovandosi nelle stesse condizioni della guaina del ramo arterioso consumantesi nel cieco sembra che pur essa debba dalla piega prefata trarre un rinforzo. L’ arteria mesenterica posteriore o, non dissimil- mente che F anteriore , è inguainata da una produzione della tonaca interna della cisterna, o meglio dalla guaina aortica e dalla piega n. Quest’ arteria davanti il cieco si 590 Luigi Calóri accompagna colla vena meseraica 2, e amendue aderiscono insieme, ed alla parete interna della cisterna dalla quale adesione prendono augumento le loro vagine. Noi abbiamo veduto che la guaina della vena t è continua per le pie- ghe u, colla guaina dell’ arteria mesenterica anteriore. Arrogi che posteriormente la stessa vena t non è libera entro la cisterna , e che laddove si scioglie da legami col- la interna parete di essa, riceve la grande piega s che ne corrobora oltremodo la guaina. Dopo di che si inosculano in lei le vene intestinali alle quali indubitatamente ella partecipa della sua guaina che in tanti tubi conformasi quante sono quelle vene. E così è pure dei rami intesti- nali arteriosi. Per la quale esposizione è chiaro che tutti i vasi sanguiferi che a prima giunta crederebbonsi a nudo dentro la cisterna, non vi sono a nudo in realtà, ma so- no in quelle attenenze colla cavità di lei , nelle quali si trovano i vasi sanguiferi toracici lunghi ed epigastrici esterni ed i nervicciuoli sottocutanei col seno laterale e col sacco sca puio-ascellare da principio esaminati. I quali vasi sono separati dalla linfa e dal chilo mediante produ- zioni tuboliformi della membrana interna della cisterna; produzioni che si ramificano e racchiudono i rami onde quei vasi sanguiferi sono diramati. Io ho voluto pur vedere se negli altri Sauri sunnominati, nelle serpi e nelle rane le cose andassero quanto ai rami diramati dall’ aorta dorsale entro la grande cisterna del chi- lo, come nell’ Uromastyx ; imperocché se è vero che ri- guardo ai rettili non si possono stabilire massime generali , ma tutto è individualità , la conclusione alla quale m’ han- no condotto le osservazioni fatte su quello, non potrebbe esser vera che rispetto a lui , e non rispetto alla classe, anzi neppure all’ ordine (e che dico all’ ordine?) neppure alla famiglia cui appartiene. Prendendo dunque ad esame pel primo il Ramarro, non ci erano veramente da investi- gare in questo se non le relazioni dell’arteria celiaco-me- senterica colle pareti della cisterna. Cotale arteria sembrava libera e a nudo entro la cisterna istessa, non altrimenti che la porzione di aorta donde nasceva, e così era de’ ra- Sul sistema vascolare 591 mi suoi, dal posteriore infuori , che aderiva alla parete de- stra della cisterna e n’ era patentemente inguauiato. Gli altri rami connettevansi colla detta parete mediante sottili briglie o filamenti, ed erano lisci, omogenei, come 1’ an- zidetta porzione di aorta dorsale. Il microscopio sì in essi che nel tronco celiaco-mesenterico che erane ceppo, di- scoprivami un velo sottilissimo affatto simile a quello che involgeva la porzione libera della più volte nominata aorta . Altrettanto trovava nell’ arteria celiaco-mesenterica e snoi rami esplorati nell’ Agama colonorum Daud. Nel Monitor terrestris poi, o Psammosauro grigio, si aveva un bellissi- mo esempio delle guaine in esame pertinenti alle arterie diramate all’ apparecchio digerente. E innanzi tratto noterò qui ciò , che per innanzi non dichiarai , ed è , che le due aorte correndo dentro la divisione anteriore del dutto toraci- co, o meglio entro due dutti distinti, non molto larghi e tanto più divaricati quanto più anteriori, aderiscono alla parete interna dei dutti medesimi , ma diversamente dal- 1’ un lato e dall’ altro. Posta da banda la consueta intro- flessione di detta parete al loro ingresso ne’ dutti, 1’ aorta destra trovavasi attaccata a quella dalla parte interna e su- periore, ed esaminando questo nesso riconoscevasi ben to- sto essere formato da una piega introflessa del dutto, che abbracciava 1’ arteria in quella guisa che il mesenterio rac- chiude un’ ansa del digiuno o dell’ ileo. Dall’ altro Iato poi non ci era questa specie di mesenterio , ma de’ fili o bri- glie ne tenevano luogo, le quali dalla faccia interna del dutto andavano ad appiccarsi alla guaina dell’ aorta sini- stra; guaina somministratale per la semplice introflessione anteriore suindicata. Questo fatto è di non lieve momento siccome quello che dimostra aver le briglie la medesima si- gnificanza della specie di mesenterio descritta. Noi abbiamo veduto che dall’ aorta sinistra parte 1’ arteria esofagea. Ora quest’ arteria resta inguainata da una produzione della guai- na dell’ aorta anzidetta, ed escita del dutto sembra lasciar- la per avvilupparsi di tessuto connettivo. A sette mill. di distanza dall’ anastomosi delle due aorte nasce dall’ aorta dorsale o addominale 1’ arteria mesenterica comune, la quale 592 Luigi Calori come si disse , procederebbe secondo Corti , dall* aorta sini- stra ; lo che non si accorda col mio esemplare ove origina donde ho superiormente notato. Quest’ arteria mesenterica comune subito dopo la sua origine dall’ aorta dorsale dividesi in due rami, uno anteriore, minore, l’altro posteriore, mag- giore. Questi due rami per la lunghezza di un centimetro sono applicati 1’ un contro 1’ altro e connessi ed involti in una guaina comune , prolungamento di quella dell’ aorta dor- sale. I due rami alla perfine separansi, e la loro guaina si con- forma in due che proseguono ad avvilupparli. Il ramo po- steriore dato alla porzione anteriore dell’ intestino tenue, innanzi che si ramifichi , aderisce mediante briglie e pieghe che ne rinforzano la guaina, alla destra parete della cister- na, poi passa sopra e a destra della vena meseraica attac- cata a detta parete, e di già inguainata , e in ciò fare le due guaine aderiscono insieme. L’ altro ramo si divide su- bito in due, 1’ uno anteriore e 1’ altro posteriore, dati al restante intestino tenue ed al crasso, e questi due rami a somiglianza de’ primi sono per la lunghezza di nove mill. F un all’ altro applicati e rinchiusi in una guaina comune eh’ essa altresi in due componesi al disgiugnersi che fanno que’ rami. Questi poi aderiscono più o meno alla cisterna, e di tali adesioni avvantaggiansi le loro guaine. Esistono in fine i medesimi rapporti che sonosi notati , della guai- na del ramo posteriore , con quella della vena meseraica. Quanto all’ arteria celiaca , esce ella dall’ aorta dorsale un- dici millimetri più in dietro della mesenterica comune. Non vi ha dubbio eh’ ella pure non sia inguinata in una vagi- na procedente da quella dell’ aorta predetta , ma questa guaina della celiaca ha assai poche connessioni con 1’ in- terno della cisterna , essendo scarsissime le briglie che ad essa la legano. Io non proseguirò a dire degli altri rami che nascono dall’ aorta dorsale entro la cisterna, concios- siachè si trovan ellino nelle medesime condizioni della me- senterica comune e della celiaca, ma passerò agli Ofidi. Gli Ofidi , come fu detto per innanzi , sono i rettili che hanno data origine all’ opinione che le aorte, F aorta dor- sale, ed i rami che ne derivano, siano a nudo entro i dutti Sul sistema vascolare ec. 593 toracici e la cisterna del chilo , e ci ha di più , che i pro- pugnatori della contraria opinione hanno pensato, che essi Ofidi si prestino più difficilmente a dimostrare che nè le aorte , nè F aorta dorsale , nè i suoi rami sono veramente a nudo , ma inguainati da produzioni di quei dutti e della cisterna. Io per me credo che tale dimostrazione offra mag- giori difficoltà ne’ Sauri superiormente esaminati che negli Ofidi , alméno nel Colùber atro-virens che mi è stato più volte concesso di studiare a questo oggetto. Non vi sia di- scaro, o Signori, che io dica in prima qualcosa special- mente dell’ aorta dorsale. Questa è per sì gran numero di briglie connessa colla parete interna della cisterna che nep- pure il millesimo ne occorre ne’ Sauri. Queste briglie quan- tunque d’ordinario sottili, sono però resistenti e di tale trasparenza che direbbonsi ialine o vitree. Certa cosa è che elle si espandono sulla detta aorta, la quale è sì inguauiata che in certi luoghi sembra dentro un linfatico poco più largo di lei. Cinque o sei centimetri innanzi la cloaca, le briglie sono assai vicine e spesse e larghe a mo’ di pieghe più o meno estese e prossimissime , che tanto dalla parte superiore che inferiore della guaina aortica dipartonsi con base molto larga , e con estremità molto più strette si at- taccano alla cisterna continuandosi colla sua tonaca interna per forma che sembra 1’ aorta avere come due pieghe epi- ploiche dorsale e ventrale frequentemente pertugiate, fra le quali ella giace come lo stomaco fra gli omenti gastro-epatico e gastro-colico. Più avanti 1’ aorta è applicata e aderente colla sua guaina alla parete destra della cisterna. Le aorte che sem- brano a nudo entro i dutti toracici , sono legate per briglie alla parete interna de’ medesimi , i quali in troflettonsi la dove vengono penetrati da quelle arterie sì che ne riman- gono chiaramente involte in una guaina. E se non temessi di divagar troppo dal principale subietto, aggiugnerei che anche le cave anteriori o iugolari , la destra m ispecie , sembra a nudo dentro il dutto toracico , alla cui interna parete sono connesse mediante molte briglie , ma per poco si guardi, chiaro apparisce, che tali vene sono inguauiate , e che quelle briglie non fanno che corroborare la guaina 594 Luigi Cai onde sono rinchiuse e separate dalla linfa. Finalmente quan- to ai rami che procedono dall’ aorta dorsale ed appartengo- no ai visceri, soprattutto ai digerenti , dirò che tali rami allontanandosi dalla origine traggono seco loro la porzione corrispondente di guaina aortica e se ne vestono , vestitura sottilissima e trasparentissima, la quale presso il suo co- m in eia mento dalla guaina aortica è resa più robusta dall’ ag- giunta di qualche piegolina o briglia non meno trasparente e sottile. Quasi tutti questi rami sono applicati alla super- ficie interna inferiore della cisterna , dalla quale superficie assai di rado prendono augumento i loro inviluppi. Ad ultimo ne’ batrachi come nella Rana esculenta e nella Rana Bufo , non manca la guaina all’ arteria céliaco- mesenterica, ed agli altri rami che sembrano a nudo entro la cisterna. Nella prima cioè nella Rana esculenta la guai- na è sì sottile che appena scernesi ; anzi non scernerebbe- si , se due circostanze non ne giovassero ad avvisarla , ed una è il nero pigmento ond’ è chiazzata, l’altra è che dessa è comune ai nervicciuoli simpatici che abbracciano 1’ arteria. Cercando di separare questi nervicciuoli apparisce chiaro un velo tenuissimo continuo colla guaina aortica e che avviluppa come in un fascio e questi e quella. Ho ve- duto di più una piegolina che dal tronco di detta arteria recavasi al ramo renale anteriore destro. Nella Rana Bufo la guaina dell’ arteria celiaco-mesenterica riceve delle bri- glie dalla parete interna della cisterna ed una robusta pie- ga dalla guaina della vena cava posteriore. In questa rana poi tutti i rami che provengono dall’ aorta addominale e che sembrano a nudo nella cisterna, sono già inguainati in una maniera chiarissima, e sono di più avvinti alla interna superficie di lei da numerose briglie. In fine ho voluto esaminare ancora le arterie de’ visceri , ed in particolare quelle dell’ apparecchio digerente della Salamandra crista- ta , ed ho trovato che esse nella loro origine e nel loro ulteriore decorso sono nelle medesime condizioni dell’ aorta dorsale, ricevendo una guaina produzione di quella dell’ aor- ta o della parete interna del dutto toracico e della cister- na. Le quali tutte osservazioni confermano la conclusione Sul sistema vascolare ec. 595 cui fummo superiormente condotti dietro il semplice esame de’ vasi sanguiferi dell’ Uromastyx percorrenti la cisterna e il dutto toracico , che cioè essi non trovansi a nudo en- tro > detti ricettacoli della linfa e del chilo nè sono per conseguente bagnati da questi umori, ma involti inguaine che ne impediscono^!’ iromedTàTtr~ciniTatt07^ che vengon formate da produzioni tubulrfbrmi della tonaca o parete interna di que’ ricettacoli ; produzioni che si ramificano per racchiudere i rami onde i vasi sanguiferi medesimi sono diramati. Questa conclusione ne agevola a scioglierci dallo invilup- po della parte più intricata dell’ argomento, la quale verte sulle relazioni de’ vasi sanguiferi intestinali o mesenterici coi vasi chiliferi del mesenterio. Nell’ Uromastyx queste re- lazioni sono tali da non sostanzialmente diversificare da quelle de’ medesimi vasi delle Rane suddette e della Sala- mandra. Ho fatta ritrarne la disposizione nella fig. 20 Tav. 4. Se si paragona questa figura colla fig. 2. Tav. 1- non che colla fig. 2. Tav. 2. dell’ Opera del Rusconi (1) si ha una conferma di quanto ho asserito. E per verità in tutte e tre queste figure i vasi sanguiferi mesenterici od intestinali che si appellino , appariscono dentro i vasi lattei o chilife- ri, se non che nell’ Uromastyx ci ha quasi sempre una vena ed un’ arteria dentro i grossi vasi lattei compresi fra le due lamine del mesenterio, e di rado una vena sola, od una sola arteria, mentre nella Rana esculenta come la fig. 2. Tav. 1. del Rusconi dimostra, ci ha quando una vena sola, quando una vena ed un arteria insieme, e nella sa- lamandra comune secondo che rappresenta la fig. 2. Tay. 2. del medesimo autore, vengono delineate dentro a chiliferi mesenterici le sole arterie del medesimo nome derivanti quasi tutte separatamente dall’ aorta. Nell’ Uromastyx non altrimenti che nella Rana suddetta, tutti i lattei mesente- rici l, sono lungo il margine mesenterico dell’ intestino ana- stomizzati insieme per grosse arcate chilifere, nelle quali oc- li) Riflessioni sul sistema linfatico dei Rettili ec. 596 Luigi Calori corre talvolta una qualche isola, e queste arcate anasto- motiche generano come un gran canale m che seconda il margine mesenterico dell’ intestino , e che chiamerò grande canale chilifero marginale. In questo canale racchiudonsi le arcate anastomotiche de’ vasi sanguiferi mesenterici , che nella rana , giusta Rusconi , sono così disposte che quelle delle vene sono più discosto , quelle delle arterie più pros- sime al margine mesenterico dell’ intestino , mentre il con- trario si avvisa negli altri Rettili. Nell’ Uromastyx non si * avrebbe verificata del tutto quest’ ultima proposizione , pe- rocché talora le arcate venose, talora le arteriose sono piu vicine al predetto margine intestinale e talora sono amen- due ad una medesima distanza da esso. Nel canal margi- nale poi mettono foce i tronchetti chiliferi n formati dal con- corso de’ minimi vasi chiliferi dell’ intestino , e cotali tron- chetti sembrano racchiudere come in altrettante vagine, i tronchetti delle piccole arterie dell’ intestino medesimo; i quali tronchetti muovono dalle arcate anastomotiche delle arterie mesenteriche , e diffondono i loro ramoscelli nelle tonache intestinali. Questi ramuscelli non si trovano più coi minimi vasi chiliferi in quelle stesse relazioni che i tron- chetti, dai quali provengono, coi tronchetti chiliferi; chè i minimi vasi di questo nome , ed i minimi vasi sanguigni sono separati. Ed il somigliante ha veduto e descritto Ru- sconi nella rana (1). Io aveva fatta una iniezione di mate- ria gialla nella vena porta, di materia scura nelle arterie mesenteriche , e di rossa ne’ vasi chiliferi. La materia ros- sa per quanto avesse riempiuti codesti vasi , non aveva mai valso colla sua replezione a nascondere completamen- te i vasi sanguiferi , massime le vene , anche quando si adoperasse la pressione per farla scorrere su di esse, le quali essendQ gialle per lo trasparir che facevane il gial- lore della materia iniettata, traevano dal contatto del ros- so maggior splendore nella loro tinta, ed apparivano su- perficiali ed attaccate tutto lungo una linea longitudina- li) Op. eie. pag. 74-75. Sul sistema vascolare ec. 597 le della parete interna de’ chiliferi mesenterici. Rusconi ha altresì veduto ciò nella rana (1) e discorrendo egli di questo nesso, ha opinato che in qualche caso i vasi sanguiferi non corrano dentro un chilifero veramente, ma intra due chiliferi satelliti di tratto in tratto insieme col- legati da rami trasversi anastomotici. Avendo io svuota- ta in gran parte della materia rossa ancor semiliquida al- cuni vasi lattei del mesenterio ed avendovi soffiata dentro dell’ aria , ed avendo ciò fatto ripetere da altri per meglio osservare 1* aspetto eh’ essi prendevano nel gonfiarsi , ve- deva in generale che sollevandosi la parete chilifera , trae- va ella seco lei anco i vasi sanguiferi, soprattutto le vene, e solo in qualche caso rimanevano esse alquanto avvalla- te, pel rigonfiare che ai lati faceva il chilifero, il quale sembrava perciò constare di due. Elle però, e aggiungasi anche le arterie, non mostravano di essere insinuate fra due canali , ma dentro un canale solo, essendo in qualche punto la parete del chilifero sollevata uniformemente. Non lascierò un’ altra osservazione, che in quella sortivami di fare , ed era che quell’ alquanta materia rossa eh’ era ri- masta dentro il chilifero , essendo sospinta dal soffiamento arrestavasi a lati specialmente delle vene , e descriveva una linea non diritta ma ondulata in corrispondenza delle me- desime e talvolta anastomizzata per sottilissime e brevissi- me linee rosse trasverse con quella dell’ altro lato ; lo che m* indicava che tra la parete interna del chilifero ed esse vene ci era un legamento , una specie di mesenterio quando tutto continuato , ma con finissimi pertugi , ciò che era più frequente, quando in alcuni luoghi interrotto e tal fiata per non breve tratto ; il quale mesenterio in passando sulle vene doveva comporsi in picciolissime piegoline circoscri- venti de’ piccoli seni o lacune, nelle quali andava ad innicchiarsi la materia rossa, e da ciò 1’ aspetto ondato della linea rossa suddetta. Mai poi mi è venuto di scorgere che la materia rossa iniettata ne’ lattei e negli altri linfa- fi) Op. cit. pag. 73-61. 598 Luigi Calori tici di questo Saurio lor desse tale un* apparenza che mentisse una rete; ma poca essendo la materia rossa che il chilifero conteneva, raccoglievasi d’ ordinario a lati di lui , ed essendovene della sparsa entro lui stesso non assu- meva la sembianza delle reti linfatiche. Le arterie erano più libere entro ai chiliferi , e rimanevano molto piu velate dalla materia rossa , ed anche affatto nascoste, sicché in esse non potevasi supporre quella specie di mesenterio che le vene indicavano. Aperti finalmente i lattei mesenterici per lungo , veniva ben presto verificando quanto di fuori n’ era apparso ; imperocché trovava il legamento o specie di me- senterio suddiscorso, che dalla parete interna di quelli mo- veva per solito con brevi e spesse briglie di varia larghez- za, le quali univansi in una piega continua colla tonaca od inviluppo esteriore delle vene intestinali, e cotal spe- cie di mesenterio non era lungo queste tutto continuo, ma interrotto, e non di rado neppure alla intera loro lunghez- za esteso. E variava di vantaggio, perocché presso la loro foce nella vena meseraica erano di sovente legate alla pa- rete interna de’ chiliferi per una o più pieghe semplici, tal- volta sì sottili da dirsi aracnoidee. Dalla quale varietà di unio- ne aveasi di leggieri onde spiegare le varie apparenze che s’ ingeneravano dietro la pressione e soprattutto dietro il sof- fiamento di aria né’ chiliferi medesimi. Ma oltre questo le- gamento o mesenterio ci avevano ancora delle briglie finissi- me onde le vene non solo , ma le arterie ancora erano le- gate alla interna parete de’ chiliferi , così che la disposizio- ne era quivi la stessa che ci ebbero offerta i vasi sangui- feri percorrenti la cisterna del chilo. Una cosa notabilissi- ma poi era che là dove le arterie intestinali biforcavansi , o le vene del medesimo nome ricevevano rami , Y angolo rientrante della biforcazione delle prime veniva non di rado occupato da una esiguissima piegolina triangolare , che coi lati si univa ai due rami cui era interposta e colla base guardava 1’ intestino, onde quell’ angolo ne veniva tronco; éd alla inserzione de’ rami nelle seconde , spesso ne occor- revano due , una a ciascun lato de’ rami inosculantisi , le quali tutte piegoline vedevansi centinue coll’ involucro este- Sul sistema vascolare ec. 599 riore levigatissimo e splendente de’ predetti vasi sangui- feri intestinali , ed aveva aspetto di maggior crassezza e minor aderenza nelle vene, e massime dove in esse s’ inse- rivano de5 rami , e di un’ estrema sottigliezza e pari ade- renza nelle arterie. Il quale involucro non poteva essere una delle tonache pertinenti a’ vasi sanguiferi, perocché F esteriore composta di tessuto connettivo è rugosa , e las- samente aderisce alla media o fibrosa la quale non offre la levigatezza e lucentezza mentovate. Da un’ altro canto nè la tonaca esteriore , nè la media si conformano mai in pie- ghe che leghino fra loro per alcun tratto dalla origine i rami di un’ arteria biforcata, nè per alcun tratto dalla in- serzione i rami che mettono foce in una vena , a questa stessa. Non era dunque questo involucro esteriore de’ vasi sanguiferi intestinali riferibile ad una delle loro consuete tonache, ma era come a dire una tonaca forestiera e pel- legrina, che li involgeva a mo’ di tubo, e che in passando da essi a’ rami ne’ quali diramavansi, o che ricevevano, si componeva nelle piegoline frapposte o laterali descritte, non altrimenti che le dita di un guanto, onde sia già vestita la mano, s’ elle s’ aprano e si allontanino, F angolo acuto rientrante frapposto alia loro base vien meno, sollevandosi ivi la pelle od altro consimile tessuto che lo compónga , e conformandosi in pieghe tese dall’ una all9 altra base delle singole dita del guanto medesimo. La quale nuova veste o meglio guaina de’ vasi sanguiferi intestinali connet- tevasi per le briglie e specie di mesenterio suddivisate colla tonaca o parete interna de’ chiliferi mesenterici, e trovavasi continua con quella de’ vasi sanguiferi mesenterici maestri percorrenti la cisterna del chilo. Il perchè ella non n’ era, a propriamente parlare, che un prolungamento, ac- cresciuto e rinforzato dalle briglie e pieghe a foggia di mesenteri date dalia tonaca interna de’ lattei mesenterici. Per le quali cose è chiaro che le arterie e le vene intesti- nali venivano a somiglianza de’ vasi sanguiferi che sembra- vano a nudo dentro la cisterna, sottratte all’ immediato con- tatto del chilo, e le vene vieppiù per avere, come si dis- se . una guaina più sviluppata; circostanza che vuol essere 600 Luigi Calori attesa avuto riguardo alla supposizione , che esse vene per una endosmosi organica e particolare assorbono il chilo, donde uno dei principali motivi perchè vuoisi corrano dentro ai chiliferi sprovviste di qualunque velame estraneo (1). Ma se le relazioni tra vasi sanguiferi e lattei stanno così nel- 1’ Uromastyx , non le stanno , dirà taluno , del pari in al- tri rettili ; al che risponderò che le stanno egualmente. Poniamo da Landa il Ramarro e gli altri Sauri ne’ quali non torna malagevole mostrare la descritta disposizione , e pren- diamo uno de’ rettili genuini o tipici a tale rispetto, p. e. la salamandra o la rana comune, ma meglio quest’ ultima siccome non offesa per ancora da verun’ ombra di dubbio. Si proseguano i vasi sanguiferi mesenterici , aprendo i lat- tei mesenterici, e sen vedranno le relazioni Stessissime che nell’ Uromastyx, e poiché questa operazione riesce nella rana comune assai penosa e diffìcile , potrà servire con egual frutto e meno fatica una grossa Rana bufo femmina ove i chi- liferi mesenterici sono piu larghi, ed assai meno trasparenti e i vasi sanguiferi più grossi , conciossiachè le due nominate specie di rana non diversificano punto fra loro a questo ri- guardo. Altrettanto è a dire delle relazioni tra le arcate ana- stomotiche de’ vasi sanguiferi intestinali , e il grande canale chilifero che seconda il margine concavo dell’ intestino e che sembra comprenderle, e così pure di quelle fra i tronchetti chiliferi ai quali concorrono le reti chilifere del- le tonache intestinali, ed i vasi sanguigni corrispondenti. Ed intorno a questi tronchetti chiliferi noterò cosa non senza importanza pel proposito nostro, ed è che là dove sembrano da essi escire i vasi sanguigni o le piccole arte- rie che vanno a diramarsi separatamente per le tonache intestinali, i tronchetti chiliferi agglutinati alle arteriuzze che li abbandonano, non stringonsi attorno a queste, nè (1) A vero dire alcuno non potrebbe capacitarsi affatto di questa supposi- none , perchè questa endosmosi od imbibizione non che non possa avere effetto anche tra grossi vasi, ma pare ch’ella debba meglio effettuarsi tra i minimi, vale a dire fra le minime vene ed i minimi linfatici per avere amendue pareti più sottili, ma questi minimi vasi corrono separatamente. Poniam nondimeno cfte tra essi si open , a che prò io allora i vasi lattei più grossi e la descritta Sul sistema vascolare ec. 60 i si conformano in coniche estremità siccome dovrebbero per essere le arteriu zze medesime più sottili, e quando queste corressero veramente a nudo entro essi , ma non scemano ivi punto di loro larghezza , e pieni che siano di un liquido iniettato, rigonfiano tutti attorno all" egresso di quelle , e in corrispondenza di questo egresso si avvallano ; avvallamento che indica una introflessione della parete chilifera , la quale va a continuarsi colla guaina di quella porzione delle arteriuzze, che ha percorsi i tronchetti chi- liferi divisati. La quale disposizione è apparentissima nella rana comune, ma soprattutto nella Rana bufo, e non di- versifica punto dalla descritta nel seno linfatico laterale dell’ Uromastyx rispetto ai nervicciuoli sottocutanei onde quel seno è attraversato. Gonchiudo da tutto il fin qui esposto, che 1* eccezione che si è voluta vedere ne’ Retti- li, che i vasi sanguiferi corrano a nudo entro i linfatici, non esiste veramente , od almeno le osservazioni fin qui narrate non la comprovano. Solo nel maggior numero di essi rettili ci ha una curiosa disposizione del sistema lin- fatico , e specialmente della sua parte interna , la quale disposizione consiste nel ripiegarsi della tonaca o parete interna de* vasi che compongono questo sistema, entro lei stessa a somiglianza de’ sacchi sierosi più complicati , e nel conformarsi della porzione reflessa di cotale tonaca per lo più in tubi tutti continui e ramificati racchiudenti i vasi sanguiferi compagni del detto sistema , i quali per tal modo vengono separati dall’ immediato contatto della linfa e del chilo. E chi volesse dare una figura esprimen- te F esposto concetto, alla ideale portane dal Rusconi, che è la fig. 6. Tav. 1. della sua Opera (1), converrebbe recarje questa modificazione ed aggiunta , che la guaina aortica somministrata dalla porzione reflessa della parete o tonaca interna del dutto toracico e della cisterna, non fosse già perforata dai rami che dall’ aorta procedono , per entrare essi a nudo entro a’ linfatici , ma ivi punto non (1) Riflessioni sul sistema linfatico dei Rettili ec. t. ir. 76 602 Luigi Calori soffrisse soluzione di continuo, ed invece proseguisse ad involgere quei rami e loro ramificazioni fin dove queste abbandonano i vasi linfatici medesimi. La quale disposi- zione tien luogo delle reti linfatiche attorniami i vasi san- guiferi ne’ vertebrati superiori , ed altresì in certi rettili come nel Coccodrillo e nella Testuggine caouana ; anzi sono inclinato a credere eh’ ella altro non sia che il prin- cipio di una rete, o se vuoisi, una rete sconciata com- presa in un coi vasi sanguigni entro un inviluppo comune. Un linfatico , poniamo un chilifero mesenterico, ove ciò che sono per dire è meglio conosciuto ed espresso , è un canale condotto in giro attorno al vase od ai vasi sanguigni che gli corrispondono, non altrimenti che V otre o gozzo de- scritto da Panizza nella Rana esculenta (1) e detto da C. Ro- bin ricettacolo periesofageo (2), attornia V esofago (3). Se que- st otre si prolungasse a circondare anche lo stomaco e gli in- testini non che i condotti escretori del fegato e del pan- creas, noi avremo l’immagine fedele di un chilifero me- senterico e suoi rami; se non che aprendo 1’ otre non ci occorre entro lui veruna complicanza, e veggiamo che 1’ esofago non fa parte della sua parete, come 1’ intestino cieco dell’ Uromastyx non fa parte della parete della ci- sterna del chilo, secondo che già notammo per innanzi, ma è vestito tutto attorno dalla parete dell’ otre istesso , vestimento che il prelodato Robin ha meritamente para- gonato alla porzione viscerale di una sierosa. Ma aprendo un chilifero mesenterico incontriamo la complicanza delle briglie e delle pieghe suddiscorse , le quali dividono la cavità del chilifero come in tanti spazi vacui continui gli uni agli altri in grazia di larghissime comunicazioni. Quando queste briglie e pieghe vieppiù si allargassero, quei spazi vacui convertirebbonsi in una rete di cellette, e queste allungandosi in una rete di canali, e così si avrebbe la (1) Sopra il sistema linfatico dei Rettili pag. XXIX. Tom. VI. Fig. VII. (2) L’ fnstitot etc. Tom. 14. an. 1846 pag. 35-54-205. (3) Rusconi non vuole che ci abbia 1’ esofago nella Rana , ma al davanti dello stomaco il canale si restringe, e questa porzione ristretta circondata dal- I otre i quella appunto che può chiamarsi esofago. Sul sistema vascolare ec. 603 disposizione propria ai chiliferi mesenterici della Testuggi- ne caouana e del Coccodrillo. Ma si accolga o si rigetti questo pensamento, poco cale; quel che importa, si è 1’ essere , se vel non coprami 1* intelletto , per le osserva- zioni recate innanzi già provato, che dentro a’ linfatici in genere ed a’ lattei mesenterici in ispecie non corrono a nudo i vasi sanguiferi. Ciò fermato veniamo all’ ultimo punto che sonmi proposto di esaminare, vertente intorno ai rapporti tra la gianduia tiroidea e sua arteria col seno linfatico della base del collo, o seno iugulare. Nella fig. 19. Tav. k. si vede sotto la trachea e la fa- ringe davanti il cuore o i vasi maggiori che da lui nasco- no, il largo vase o seno linfatico 7 aperto, nel quale è situata la gianduia tiroidea 5 e sua arteria 6. Questo seno rimane coperto dai muscoli sternoioidei , cui è aderentis- simo , e cui volendo levare , tanta n’ è 1’ aderenza che esso si lacera : in tale seno mettono capo i due grossi linfatici 8, 8, 9, 9, e scorgonsi posteriormente due fori pei quali comunica col dutto toracico. Osservando il luo- go ov’ entra F arteria 6 , è così chiaro il ripiegarsi su lei e F introflettersi della parete del seno per involgerla, che non può rimanere la più piccola dubitazione, che detta arteria non sia invaginata da quella parete , la quale guai- na va .poi essa cedendo alla gianduia a mano a mano che si ramifica ne* suoi lobetti , i quali per questo velame acquistano una levigatezza e lucentezza che non è propria alla tiroidea. Questo velame od involucro a lei giunto me- diante i vasi sanguiferi che le appartengono, è poi rin- forzato da numerose briglie che dalla membrana interna del seno iugulare vanno ad appiccarsi alla gianduia stessa e ai suoi rami arteriosi. Una consimile disposizione si avvisa nella divisione anteriore del seno sottocutaneo laterale del tronco dell’ Uromastyx rispetto ai corpi lutei. Quale significanza ab- biano questi rapporti non è facile il dirlo. Tuttavolta quan- to a quelli della gianduia tiroidea, potrebbesi congetturare, che siccome questa gianduia è composta di vescichette chiuse simili alle spleniche," e paragonabili a’ follicoli de’ gangli lin- fatici , e siccome va pure a dovizia provveduta di vasi sangui- 604 Luigi Calori gni , lo stretto rapporto tra lei ed il seno linfatico iugulare fosse dato, acciocché P umore che supponesi separar essa del continuo dal sangue, trapelasse più agevolmente e pronta- mente nel sistema linfatico ; con che verrebbesi ad ascrivere questa glandola nella classe delle linfatiche , secondo che vol- le l’Astruc (1), la quale poi avrebbe naturalmente il mede- simo uffizio ad esse attribuito dai moderni , di dar opera cioè alla formazione di un maggior numero di corpuscoli linfatici. Io non trovo verun altro perchè più plausibile del rapporto divisato. Avrebbe mai una consimile significazione quello de’ corpi lutei colla divisione anteriore del seno lin- fatico laterale? Nell’ Uromastyx i corpi lutei sono formati di lobetti ad aspetto glanduloso , non mica gialli a somiglianza del grasso, ma carnei come il pancreas, lisci, splendenti per ciò stesso che P è la gianduia tiroidea, appesi ai vasi san- guiferi e specialmente alle principali divisioni della vena addominale pertinenti agli arti posteriori. Un grosso ra- mo arterioso comune alla véscica allantoidea lor vicina ri- cevono dall’ epigastrica interna, ed hanno dovizia di vene che vi formano una fitta rete, e che mostransi, tagliando que’ lobetti , con una moltitudine di boccucce aperte non altrimenti che ne’ tessuti erettili , per esser elleno aderen- tissime allo stroma fibroso che percorrono. Le loro pareti sono sottilissime, e lo stroma è di tessuto connettivo ed alquanto di elastico. De’ corpuscoli che hanno apparenza di nuclei , e di granuli e qualche vescichetta di grasso vi sono immersi, ed occorrono altresì delle cellule piatte, an- golose che sembrano appartenere , almeno in parte , allo in- voglio linfatico de’ corpi in esame. Di tutti i divisati ele- menti que’ che prevalgono, sono le vene e lo stroma. Io son d’ avviso che cotali corpi siano organi vascolari spe- cialmente venosi, e li paragonerei alle branchie accesso- rie di quei pesci che le hanno lobulate od anche alle reti mirabili delle vene iliache dei Delfini. Quale rapporto fun- zionale poi si abbiano col sistema linfatico , altro non po- trei conghietturare , che essi s’ imbevessero della linfa sta- ti) Vedi Haller Elementa Pysiol. Lib. IX. Sectio I. S XII. / Sul sistema vascolare ec. 605 gnante nella divisione anteriore del seno laterale , e la re- cassero a contatto delle sottilissime pareti venose , le quali alla loro volta imbevendosene la lascierebbero infine trape- lare nel torrente della circolazione sanguigna, ovvero che indugiando il sangue in quella rete venosa de’ corpi lutei perdesse di sue parti liquide, e soprattutto dello siero che trapelerebbe attraverso i detti corpi e le pareti della di- visione anteriore del seno laterale penetrando in questo stesso a rifacimento ed augumento della linfa. Nulla di me- glio ho saputo pensare a spiegar di qualche guisa il perchè dello stretto rapporto tra i corpi lutei , e la divisione an- teriore del seno prefato. Darò termine a questa lunga diceria coll’ indicare le ra- gioni onde ho rappresentati i linfatici di quel modo con che si offrono nelle mie figure. A tutti è nota la que- stione insorta fra9 moderni intorno alla forma da darsi ai linfatici delineandoli. Una parte vuole che si rappresen- tino gozzuti , nodosi , otriformi , moniliformi ; un9 altra par- te cilindrici derivando i gozzi o gli otri dalla distensio- ne e dalle rotture operate dal mercurio, cui per ciò pro- scrivono siccome cagione della falsa idea che si ha della forma de9 linfatici, ed a cui sostituiscono liquidi colorati coagulabili o non per iniettare cotali vasi e metterli in vi- sta, allegando che con questi liquidi si scansano tutti gli inconvenienti di quello. Certa cosa è, che il mercurio può ingenerare apparenze non vere , e so per prova eh9 esso talvolta produce una dilatazione là dove poc9 anzi era una bella rete, e rende in generale più grossi che non sono naturalmente que9 vasi , e di più ne fa grossa la parte eh9 es- ser dovrebbe più sottile e viceversa, secondo che da que- sto o da quel lato la preparazione inclina. Ma all9 esperto anatomico non deve riuscir malagevole guardarsi dall9 er- rore. Da un altro canto ci hanno casi , e non sono rari , ne9 quali que9 liquidi non valgono a sostituire il mercurio, massime quando gli oggetti sono grandi o si ha d9 uopo di vincere lentamente una resistenza ec. Una iniezione a mer- curio riuscita bene non partorisce poi tutti que9 gran danni che le si sono apposti , e ne dà quell9 apparenza che veg- 606 Luigi Calori giamo ne’ linfatici pieni e distesi da’ gas svoltisi entro loro per la incipiente putrefazione, o da aria entro soffiatagli. Di che ognuno che il voglia, potrà di leggieri accertarsi sopra qualche viscere di un mammifero domestico, poniamo la milza del bue. I vasi linfatici che compongono la bella rete che gli indicati mezzi fanno apparire alla superficie esterna del detto viscere , sono bensì cilindrici , ma mostra- no ancora qualcosa di gibbo, di otriforme , di varicoso che invano ricercasi ne’ vasi sanguigni. Le iniezioni di acqua colorata , di acqua ragia, o di una soluzione di glutine pur colorata, quando li riempiano a dovere, e non forzatamen- te , vi producono il medesimo aspetto. Onde parlili non sia da imputare il mercurio, se i linfatici pieni di materia in- iettata così appariscono , ma voglionsi accagionare essi stes- si che qualcosa racchiudono , per cui distesi che siano da materia entro loro iniettata, così appariscono. Vuoti poi, o contenenti sì poca materia da essere niente il distenderli neppure a grado lievissimo , non sono cèrto nè rotondi nè gibbi, nè altro offrono che ricòrdi o de’ gozzi, o degli otri o de’ nodi ec. ma sono schiacciati , piani come le vene , e rassembrano nastri a margini diritti. Rusconi ha preferita questa forma come ognuno potrà vedere dalle sue figure, e i posteriori che hanno delineati de’ linfàtici , 1’ hanno generalmente imitato: altri invece hanno scelta quella di canali pieni , tondeggianti con leggiere dilatazioni , o con tendenza alla forma gozzuta, otricolare, o varicosa, la quale quando di troppo venga espressa , cade senza fallo in vizio. E restringendo il discorso a’ linfatici de’ rettili , questa for- ma ne viene spiegata dalla struttura interiore , e già tutti sanno che gli otri, i gozzi, le varicosità sono un effetto dello stato di replezione che non importa sia grande nè for- zata, ma basta sia anche solo moderatissima, per ingenerarli, avendomene fatta fede il seno laterale dell’ Uromastyx e la grande cisterna del chilo di un Varanus elegans riempiuta di ictiocolla tinta in rosso. I quali otri , o gozzi o varicosità si mostrano poi sotto la replezione , perchè ci hanno inter- namente de’ freni o briglie che si appellino, le quali im- pediscono alla parete linfatica di sollevarsi ov’ elle sono Sul sistema vascolare ec. 607 appiccate; onde che fra gli otri, o i gozzi o le varicosità nascono delle depressioni o fossette od avvallamenti. Non tutti però questi avvallamenti dipendono da quelle briglie , ma dall’ ingresso eziandio de’ vasi sanguiferi e de* nervi avendolo provato il seno laterale dell* Uromastyx stesso , ed aggi ugnerò anche la grande cisterna del suddetto Va- ranus ove a sinistra vedevasi la vena efferente renale del medesimo lato, penetrare in quella per andare ad unir- si colla cava posteriore. Della quale spiegazione ognuno sarà pienamente capace quando consideri, che la forma goz- zuta , ot ricolare o varicosa non apparisce in que’ linfatici , anco forzatamente distesi, i quali o non hanno nel loro interiore i freni o le briglie prefate o le hanno molto lun- ghe, ma essi inturgidiscono uniformemente come le arterie e le vene felicemente iniettate. Lo che si avvisa specialmen- te negli arti. Per le quali cose io penso che non possa am- mettersi una legge invariabile nel delineare i linfatici ; pe- rocché ciò eh5 esser potrebbe errore in un luogo o in una regione, potrebbe riuscir verità in un’ altra. Io ho preso per dimostrarli consilium in arena, come suol dirsi, e li ho rappresentati secondo che mi apparivano , talvolta cilin- drici , talaltra con leggieri bozze , od otri ed avvallamenti ; nè credo che alcuno vorrà imputarmene, se così li ho espressi , ma la natura , che me li ha dimostri di varia forma rivestiti; dico la natura e non V arte, non avendo adope- rato il proscritto mercurio , ma una soluzione di glutine colorato ed il soffiamento di aria , nè mai con violenza , ma sempre colla maggiore misura a scanso d’ incovenienti che anche senza mercurio avrebbono cotali mezzi pur valso a produrre. ; . . Dalle cose fin qui discorse intorno al sistema linfatico dell’ Uromastyx e di altri rettili discendono queste con- clusioni 1 .° Che nell’ Uromastyx vi ha una porzione sottocutanea del sistema linfatico, la quale simiglia moltissimo quella de’ pesci , e ricorda il sistema de’ ricettacoli linfatici sot- tocutanei della rana esculenta L. ; porzione consistente in un gran seno o vase linfatico situato a lati del tronco , 608 Luigi Calori da cui riceve rami , e continuo anteriormente col sacco scapulo-ascellare, nel quale mettono capo i linfatici supe- riori del collo e della testa non che degli arti anteriori ? posteriormente col sacco ischiadico , coi seno cloacario , e mediante questo coi grandi seni della coda. Cotale porzio- ne cosà foggiata come nell5 Uromastyx, sembra non esista negli altri Sauri, almeno nella Lacerta viridis e nel Vara- nus elegans. Forse eh5 ella potrà trovarsi in generi o fa- miglie all’ Uromastyx affini? Le osservazioni avvenire con- vertiranno in fatto o invaniranno questo sospetto. 2. ° Che i vasi sanguiferi ed altri organi giacciono bensì dentro a’ vasi ed ai grandi ricettacoli e sacchi linfatici , ma che è assai lunge dall* essere provato che vi giacciano dentro a nudo e siano ad immediato contatto della linfa o del chilo; che per contrario dall’ esame dei rapporti dei vasi sanguiferi di questo Saurio , e di molti altri ret- tili si ha che essi vasi sanguiferi sono rinchiusi in una sottilissima guaina che li separa dalla linfa o dal chilo ; guaina somministrata dalla parete o tonaca interna de* lin- fatici, la quale entro a’ linfatici medesimi ripiegandosi si conforma in imbuti o in tubi che si ramificano, e sono rinforzati da pieghe , o da briglie che procedono dalle pa- reti linfatiche , e che adempiono 1’ uffizio di legamenti o di mesenteri compartendo ad un tempo le cavità de’ lin- fatici in ispazi o celle largamente comunicanti fra loro, e che allargandosi e moltiplicandosi di vantaggio tendereb- bero a convertire le dette cavità in una rete come a dir cellulosa attorniante i vasi sanguiferi , massime del me- senterio. 3. ° Che per tale disposizione si complica oltremodo il sistema linfatico e di questo Saurio e degli altri rettili; complicazione consistente nel comportarsi di esso rispetto ai vasi sanguigni ed agli altri organi in quel modo che tengono le membrane sierose più complicate rispetto agli organi ed ai visceri da loro avviluppati. 4. ® Che non vuoisi sbandire affatto il rappresentare leg- giermente gozzuti, otriformi o varicosi i vasi linfatici , per- chè è ben vero che essi quando siano Vuoti , appariscono Sul sistema vascolare ec. 609 piatti come nastri a margini dritti , e che moderatamente distesi da materia iniettata rassembrano tubi schiacciati , e sotto una maggior distensione rotondi , ma è vero altre- sì che molti di essi vasi convenientemente gonfi e non forzatamente gonfiati , offrono leggieri gozzi od otri , tal fiata anco spessi , ciò dipendendo dalla struttura loro in- teriore e in parte pure dai vasi sanguigni e dai nervi che li attraversano , ed allora rappresentandoli tali è conforme natura che costretta dall’ arte fa di fuori apparire quei che dentro si asconde. 5.° Finalmente che avuto riguardo alle strette relazioni tra la vescica allantoidea e la divisione anteriore del seno linfatico laterale, tra questa divisione ed i corpi lutei , non che tra il seno o cisterna linfatica iugulare e la gianduia tiroi- dea , ei pare che nell* Uromastyx questi tre organi debbano avere un rapporto funzionale col sistema linfatico , rap- porto che probabilmente consisterà nel rifare di materiali la linfa, o sottrargliene, potendo forse la vescica allantoi- dea e i corpi lutei adempiere quando 1* uno quando 1 al- tro degli indicati uffici. Quest’ ultima conclusione incontrerà certo molti opposi- tori , ma non meno ne incontreranno le tre che la ^prece- dono , intorno alle quali io nutro però fiducia che 1’ esatta osservazione ed una più accurata ponderazione dei fatti le faranno prevalere. r. ii. 77 610 Luigi Calori SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA 1. Fig. I. Rappresenta un Uromastyx spinipes maschio aperto longitudinalmente sulla linea media della regione ventrale per dimostrarne i visceri in sito. Fig. 2. Teschio colla bocca aperta di una femmina dell’ Uromastyx detto. TAVOLA 2-2 w*. Fig. 3-3bts Visceri tratti di sito dell’ Uromastyx maschio veduti dalla parte dorsale, e vasi sanguiferi che loro appartengono. Fig. 4. Villi della mucosa dell’ intestino duodeno coi loro vasi finamente in- iettali, e copiati al microscopio sotto un ingrandimento di 60 diametri. Fig. 5. Piega della mucosa della porzione media dell’ intestino tenue coi vasi sanguiferi iniettali, copiata al microscopio sotto un ingrandimento di 60 diametri. Fig. 6. L’ intestino cieco aperto dalla faccia dorsale. Fig. 7. Una delle chiazzine nere del cieco coi vasi sanguiferi iniettali copiata al microscopio sotto un ingrandimento di 50 diametri. Fig. 8. Cloaca longitudinalmente aperta dalla parte inferiore. Fig. 9. Una porzione della preparazione precedente , nella quale è stato lateral- mente aperto il seno uro-genitale, e levato quasi tutto il retto onde apparisca- no le glandnle o sacelli anali che veggonsi pur essi aperti per Io lungo. Fig. 10. Cuore coi principali vasi sanguiferi tratto fuori di sito e dimostrato dalla regione inferiore o ventrale. Fig. 11. L’antecedente preparazione rappresentata dalla regione dorsale. Fig. 12. Cuore coi principali vasi aperto dalla parte inferiore. Fig. 13. Sezione più profonda del medesimo cuore , dal quale sono stati aspor- tati tutti i vasi arteriosi che sorgono da esso. Queste due figure rappresentano gli oggetti ingranditi del doppio. Da queste medesime poi e dalle tre microscopiche suddette in fuori, le altre tutte offrono gli oggetti di grandezza naturale. Nelle figure delle divisate Tavole le medesime lettere indicano i medesimi oggetti. APPARECCHIO DIGERENTE. a, b, labbra fig. 2. c, glaodule labiali fig. 1. d , orifizi de’ condotti escretori di queste glandule fig. 2. e, dente incisivo medio a cui lati sono impiantati altri due piccoli incisivi che sembrano come figliare da esso. f , muscolo pterigoideo interno (fig. 1 ) , il solo de’ muscoli masticatori che apparisca nelle figure. Sul sistema vascolare ec. 611 g, Iberni lati elevansi le prominenze villose o papillose *, * fig. 2, h_, muscolo sterno-omoplata-ioideo tagliato ed asportato per la massima parte fig. 1. *-> porzioncella di muscolo miloioideo pur esso levato per la massima parte. kj muscolo genioioideo. l, muscolo stilomascellare. m, muscolo stiloioideo. », muscolo genioglosso. 0, p, muscolo siiioglosso. q , muscolo ioglosso. r, faringe. s, muscolo stilofaringeo tagliato e in gran parte levato, f, esofago fig. 3-36i®. u, stomaco. v, x , y , le tre anse dell’intestino tenue. z9 cieco enorme protuberante entro la cisterna del chilo fig. 1 , 3-3w% fig. 19. Tav. 4. Nella fig. 3-36?s e nella fig. 6 il cieco è come capovolto, e mostra perciò l’inserzione dell’ileo la quale è posteriore, mentre è anteriore di natura. & appendice vermiforme fig. 3-3b!s. 1, 1, 1, villi semplici digiiiformi, mammillari, o piramidali della mucosa dell’ intestino duodeno fig. 4. 2 , grande villo complesso , trifido della mucosa del medesimo intestino. 3.3, due villi fogliacei dell’ ansa del digiuno fig. 5. 4.4, altra forma pure fogliacea de’ villi del medesimo intestino. 5 , immissione dell’intestino ileo y nel cieco z;si vede che P ileo è ricevuto nel cieco per intususceptio ^ e che la valvula ileo-ciecale è fatta da questa in- tususceplione , attorno a eòi ci hanno delle leggieri pieghe longitudinali : 1’ hiatus poi della parte intususcepta è stretto, ma per le pieghe indicate dee essere suscettibile di allargamento fig. 6. 6, larga foce dell’ appendice vermiforme nel cieco. 7 , chiazzine nere della superficie interna del cieco fig. 6 , le quali sono forma- te da una fitta rete di vasi e da pigmento fig. 7. 8, ingresso al colon 9,10 fig. 6 , fig. 3-3Ws La porzione 10 del colon è me- no grossa, ed unendosi al retto 12 I’ è anche meno: nel ponto di unio- ne col retto ci ha internamente un rilievo vaioloso circolare. 13, porzione del retto la quale appartiene alla cloaca: ella è aperta ed offre delle pieghe trasverse od obblique 14, 14 che si aoastomizzano insieme e formano dei seni, che contenevano una grande quantità di urina solida formata come a dire di calcoli di acido urico fig. 8. 15, uno de’ corpiccinoli ond’ è disseminata la mucosa della predetta porzione di retto. Questi corpiccinoli sono di solito periformi, bianchi, solidi, appesi per un brevissimo pezìolo alla mucosa medesima, nel quale pezio- lo ci sono de’ vasi sanguigni. Constano di acido urico rinchiuso in un sacchettino, la cui membrana sembra semplicemente formata di cellule. 16, sacco formato dal peritoneo, situato davanti la cisterna del chilo, il qua- le sacco contiene l’intestino tenne fig. 1. Si vede questo sacco in 4 aperto nella fig. 19 Tav. 4 per trarne fuori l’ intestino detto. 612 Luigi Calori 17 , 18 , i due lobi principali del fegato coll’ intermedio 17* fig. 1, fi». 3,3^». 1 9 , voluminosa cistifellea. 20, dutli cistico ed epatico fig. 3-36l>. 21 , coledoco. 22 , pancreas. 23 , milza. APPARECCHIO URO-GENITALE E CLOACA. 24, 24, reni fig. 3-36,s. 24^*, foce degli ureteri che sono brevissimi, nel seno uro-genitale 30 della cloaca. 24ter, vescica allontoidea fig. 1, fig. 3-3Ws. 25, capsule soprarenali. 26, 26, testicoli. 27, 27, dutli deferenti. Dalla estremità anteriore di essi partiva un filamento sottile e resistente come un capello che ho potuto seguire fino alP orabel- ,,c°. E indicato a destra in * il principio di tale filamento fig. 3-3w*. 28, foce de dutli deferenti nel seno uro-geniiale 30 al davanti di quella degli ureteri, e al di sotto dello sbocco 29* pertinente ai sacchi anali. 29, questi sacchi. 30, seno urogenitale circoscritto da due labbra uno anteriore e l’altro poste- nore: sotto questo seno apresi in 31 il collo della vescica allantoidea. 32 , 32 , organi copulato» maschili. 33 , 33 , pieghe della mucosa della cloaca che s’ introflettono concorrendo alla composizione dei due peni 32, 32. 34 » “J®aCgC8li orifizi del,e numer°se glandule sebacee di questa regione della 35, pori femorali che sembrano glandule accessorie dell’apparecchio genitale. 36 , muscolo sfinctere della cloaca. 37, porzione muscolare che abbraccia esternamente i peni e che contraendosi all j3110 T^3 C°*)U^a deve' csc*1* c^e s*ano> comprimerli, e in pari tempo 38, muscolo retrattore anteriore e adduttore dei peni. 39, guaina aponeurolica o fascia dei peni aperta. 40 , muscolo retrattore proprio 0 posteriore de' peni. 41 , porzione del muscolo che porta in avanti i peni. 41*, corpi lutei. APPARECCHIO RESPIRATORIO, E GLANDULE ACCESSORIE. 42 , 43 , polmoni fig. 1-3-36**. 44, laringe. 45, trachea. *,*, bronchi. 46 , gianduia tiroidea. 47, vescichette tutte chiuse, che sembrano residui della gianduia timo. Sul sistema vascolare ec. 613 CUORE E PRINCIPALI VASI SANGUIGNI PERTINENTI AI VISCERI. , pericardio aperto in croce fig. 1. , porzione ventricolare del cuore fig. 1, fig. 10-11. legamento che dall’ apice del cuore va alla faccia interna del pericardio alla quale si appicca. Questo legamento è cavo e contiene una piccola vena. , orecchietta sinistra, orecchietta destra. setto interventricolare assai grosso , tagliato in corrispondenza della parete ventricolare inferiore fig. 12, e levalo in parte nella fig. 13 per mettere in vista la cavità del ventricolo sinistro, non che 1* orifizio e le valvole dell’ aorta destra o superiore , e gli orifizi e le valvole auricolo-ventricolari. ventricolo destro , o polmonale, che rispetto al sinistro è inferiore. Questo ventricolo è da Brttcke denominato cavum venosum : ha la forma di un canale curvo colla concavità a destra, e sembra essere come la continua- zione del canale 70 dell’ arteria polmonale, se non che a destra è tatto aperto per Io lungo oltre la lista 56 , alla destra di cui ci ha un solco che conducendosi in avanti termina nello spazio interventricolare 58 così detto da Corti , limitato a destra dalla prominenza 65 , e a siuistra dal prin- cipio della lista 66 : per questo spazio o hiatus comunicano i due ventri- coli fra loro. Al davanti di detto spazio od hiatus occorre l’orifizio 60 dell' aorta sinistra 71. , ventricolo sinistro od aortico, che a rispetto del polmonale è superiore o dorsale, e che come quello non giace parallelo all’asse longitudinale del cuore, ma è obliquo o trasverso. È da Brucke detto camm arteriomm. Questo ventricolo è meno capace del polmonale , ed introdotto uno specillo nel medesimo e spintolo dolcemente verso i fori arteriosi riesce nell’ aorta destra 72 come si vede nella fig. 12. E per verità a questo ventricolo non corrisponde veramente che l’orifizio arterioso 61 fig. 13 che mette nell aorta destra indicata , mentre 1’ orifizio dell’ aorta sinistra corrisponde piuttosto allo spazio interventricolare che insieme al solco sunnotato costituirebbe una specie di terza cavità ventricolare secondo alcuni autori , od almeno tale orifizio è per così dire a cavaliere tra il veptricolo aortico e polmonale. orifizio arterioso del ventricolo sinistro munito di due valvole semilu- nari fig. 13. , setto interauricolare. , foce della vena cava anteriore sinistra. », foce della vena cava anteriore destra. foce della vena cava posteriore. . , , , 65, due pieghe valvolose, la posteriore delle quali si prolunga hno al setto 5 interauricolare, ed è la valvola di Eustachio: a destra queste due pieghe congiungonsi ad angolo dal quale parte un fascette muscolare , che si at- tacca alla parete interna dell’ orecchietta. Le foci 63 , e 63 sono separa da un rilievo longitudinale che in un colla piega 64 impedisce al sangue condotto al cuore dalla cava sinistra di deviare verso destra, e mettere inciampo al corso del sangue versato nella orecchietta dalla cava anterio- re destra. Luigi Oausri 66, orifizio auricolo-ventricolare destro situato al di sopra, e un po’ a sinistra dell' hiatus del setto de’ ventricoli, o dello spazio interventricolare di Corti: vi ha in 68 porzione della sua valvola diretta verso il detto hiatus. 67a, orifizio della vena polmonale nel seno venoso sinistro 61 , il quale orifi- zio è a lato del setto ioterauricolare ed in parte nascosto da questo: da tale orifizio parte una specie di doccia che termina al forame 67 che è 1’ auricolo-ventricolare sinistro provveduto esso altresì della sua valvola che vedi tagliata e rovesciata in 69. 70, arteria polmonale, all’origine di cui ci hanno due valvole seroilunari 67. Quest’ arteria bipartita ne’ rami 70*, 70*, va a consumarsi ne’ polmoni fig. 10-11-12. 71 , aorta sinistra provvista pur essa di due valvole semilunari 60 nella sua origine. 72, aorta destra avente nella origine le due valvole semilunari 61 fig. 12-13. 73, 74, carotidi primitive, ciascuna delle quali si parte in tre rami. fig. 10-11-12. 76, primo ramo della carotide primitiva il quale si dirama nella gianduia ti- roidea e timo , nei muscoli dell’ osso ioide e della lingua , e dà 1’ arteria auricolo-occipitale e mascellare esterna. 76, secondo ramo della carotide, il quale dà la mascellare interna, le tempo- rali , e come carotide interna si distribuisce all' occhio ed al cervello. 77, terzo ramo che va a mettere foce nella porzione superior posteriore delle due aorte fig. 3-3friS. 78, 78, le due aorte dopo aver ricevuto il ramo ricorrente anastomotico delle carotidi. 79Ws, arterie succlavie nascenti dall’ aorta destra. 79, arteria esofago-faringea o farìngo-esofagea nascente dall’aorta sinistra. 80 , 80 , aorta dorsale o addominale. 81 , 81 , arterie esofagee. 82 , arteria mesenterica anteriore diramantesì nell’ intestino crasso. 83 , arteria celiaca distrihuentesi allo stomaco, duodeno, fegato, pancreas e milza. 84, arteria mesenterica posteriore data all'intestino tenue. 86, arteria spermatica, dalla quale prende un ramo il rene succenturiato cor- rispondente. 86 , arteria capsulare. 87 , arteria del dotto deferente. 88, 88, tre emorroidali aortiche. 89, 89, arterie iliache. 90, arteria epigastrica interna. 91 , arteria sacra media continuantesi in caudale. 92 , 92 , arterie renali procedenti dall’ arteria anzidetta. 93, arteria renale procedente dall’iliaca destra. 94, arteria pudenda comune fig. 1. vene costeggiarti la trachea, e riceventi rami da questa non che dalla fa- ringe , dalla lingua ec. , le quali vene concorrono alla formazione delle vene cave anteriori fig. 1. fig. 11. 0, vena iugulare. 7, vena succlavia. *, 9 > yeDe cave anteriori che mettono foce nel seno venoso destro 52* del cuore. Sul sistema vascolare ec. *, vena caudale fig. 3-36w. £ , due rami ne' quali dividesi. rt3 vene renali^afferenti. e , vene provenienti dalla cloaca e dagli organi copuialori plesso venoso, o tessuto erettile i fig. 8-9. seno delle vene renali efferenti fig. 3-3w*. A, vene renali efferenti, vena testicolare, vena capsulo-deferente. vena cava posteriore, vena intervertebrale, vena esofagea. vena del legamento sospensorio del fegato fig. 1. vena porta del fegato fig. 3-3ftl*. vena addominale fig. 1. vena polmonale fig. 10. TAVOLA 3. Fig. 14. Dimostra la porzione sottocutauea del sistema linfatico nei lato destro di un Uromastyx femmina. Fig. 15. Metà anteriore della porzione sottocutanea del sistema linfatico del lato destro veduto nella regione dorsale. Fig. 16. La parte posteriore della porzione sottocutanea del medesimo sistema veduta dalla regione ventrale. Queste tre figure rappresentano gli oggetti di grandezza naturale, ed in tutte le stesse lettere indicano i medesimi oggetti. a a grande seno linfatico sottocutaneo situato a lati della porzione toracico- addominale del tronco, nel quale seno occorrono bozze od otri, e fossette od avvallamenti , la maggior parte de’ quali è data al passaggio de ner- vicciuoli che vanno a disperdersi nella pelle. A primo aspetto rassem- bra una rete formata di canali largamente ed ispessamele comunicanti tra bra una rete formata di canali largamente . loro* e riceve i linfatici sottocutanei e muscolari indicati da d ad, e ad e, non che il grosso linfatico dente dall’ arto anteriore. aderente al gran pettorale e proce- *; portone scapolare’ del sacco linfatico scapulo-ascellare , con cui anteriormente comunica il seno suddetto fig. 15. . , , , u ahi , triplice divisione posteriore del seno linfatico laterale del iroWjl* ^divisione anteriore , è la più grossa , e si dilata dosi con quella dell’altro lato fig. 16. In questa dilatazione mette capo il linfatico t che accompagna ed involge la vena addominale. Nella fig. 19 Tal. 4 si rede come questa divisione anteriore aderisce alla vesciMallan- toidea ed avvolge i corpi lutei ed i vasi sanguiferi vicini : finalmente q sta divisione anteriore comunica per molti rami colla media e co zione anteriore del seno cloacarw; e si continua nel fino predetto: la divisioni posteriore < finalmente termina nel sacco ischia- dico k fig. 14. 616 Luigi Calori k questo sacco, il quale posteriormente restringendosi piega sulla articolazione coxo-femorale per andare a congiugnersi col seno cloacario. l, 1, due grossi linfatici pertinenti all5 arto posteriore : il posteriore di questi linfatici approfondandosi tra la muscolatura mostra di essere oltremodo ca- pace, come lo è effettivamente. m, m, linfatici cutanei che mettono foce nella divisione posteriore del seno laterale e nel sacco ischiadico. n , o , seno linfatico cloacario che riceve i linfatici della cloaca , i linfatici sot- tocutanei p della regione inferiore anterior della coda, i clitoridei q che corrono a lato delle clitoridi * tagliate , ed il grande seno linfatico cau- dale fig. 16. r, questo seno. s , s , due linfatici soprapposti confluenti nel seno caudale cui sembrano formare. t, linfatico medio dell5 addome , compagno della vena addominale. w, grosso linfatico intermuscolare dei tronco; linfatico che mette foce nella porzione scapolare c del sacco scapulo-ascellare fig. 15. v , v *, linfatici dell5 arto anteriore che mettono foce pur essi nella anzidetta porzione di sacco scapulo-ascellare. x, linfatico occipitale. y, linfatico temporale. z , linfatico sottorbitale o mascellare superiore. & , linfatico mascellare inferiore. Questi tutti linfatici della testa concorrono in un col linfatico cervicale superiore profondo 2 al seno 1 circondante il meato uditivo esterno. 3 , grosso linfatico plessuoso , che discende alla porzione c del sacco scapu- lo-ascellare, nella quale mette capo. In questo linfatico mettono pure de' lin- fatici profondi de5 lati del collo. 4®, porzione di muscolo gran dorsale non tagliata, aderentissima al sacco scapulo-ascellare e protuberante nel medesimo, e dividentelo in porzione soprapposta in parte alla scapola 5, o porzione scapolare c, ed in por- zione ascellare b in gran parte coperta dalla porzione 4b tagliata ed aspor- tata di esso muscolo. 4 c, altra porzione di gran dorsale aderentissima al linfatico u. 6, canale che potrebbe avere una qualche analogia col linfatico dorsale dei pesci, ma di cui non si è potuta verificare una comunicazione certa col sistema linfatico. 6*, il medesimo canale aperto colla sua parete aponeurotica rovesciata allo esterno. 7 , muscolo semispinale e multifido. Fig. 17. Il seno linfatico laterale a rappresentato nelle figure precedenti, il quale è stato longitudinalmente aperto vicino allo ingresso de5 filamenti nervosi sottocutanei f, f per istudiare le relazioni loro colla cavità del seno medesimo. Appariscono ad un tempo le relazioni de5 vasi sanguigni toracici lunghi ed epigastrici esterni colla stessa cavità. Questa figura ri- trae gli oggetti maggiori del vero. a , porzione anteriore del detto seno chiusa , la quale sembra costituita co- me da due canali aperti V un dentro F altro pei lati onde sono fra lo- ro insieme applicati. b , porzione aperta e distesa del seno a destra delF ingresso de5 nervi f, f. Sul sistema vascolare ec. 617 c, altra porzione corrispondente alla b, rimasta chiusa. d, d, linfatici tronchi che mettono foce nel seno. da’ e ad e guaine formate da introflessione della parete del seno corrispondenti agli avvallamenti inbutiformi della superficie esterna del medesimo , le qua- li guaine contengono le diramazioni de* nervicciuoli indicati da f a f. * vasi sanguigni toracici lunghi che parte sembrano entro la cavità del seno, ' * parte nò , e che sono , non altrimenti che le diramazioni nervose , pur essi inguauiati da producimenti della parete interna di esso seno. h, vasi sanguigni epigastrici esterni che rispetto la cavità del seno trovansi nelle medesime relazioni dei vasi toracici lunghi. k, porzioni vascolari che sembrano più delle altre a nudo entro il seno, e che per briglie o piegoline aderiscono al medesimo. I , briglie intermedie alle guaine involgenti i rami nervosi. Fiq. 18. Il sacco scapulo-ascellare aperto nella regione dorsale, e relazioni de’ vasi sanguiferi ascellari colla cavità del sacco. Anche questa figura rappresenta gli oggetti un po' maggiori del vero. a, porzione anteriore del seno linfatico laterale aperta, entro la quale protu- berano i rami b, c de’ vasi sanguigni toracici lunghi. d, grosso linfatico aperto segnato u nella fig. 15 il quale mette foce nella porzione scapolare g del sacco scapulo-ascellare. e, e. estremità di due linfatici che provengono dagli arti anteriori pur esse aperte ed inosculate nella predetta porzione g, del sacco scapulo-ascella- re. Questi due linfatici corrispondono ai u, v* della fig. 16. f, porzione ascellare, g scapolare del sacco scapulo- ascellare. . h ,h, porzione del muscolo gran dorsale tagliala. 1 due lembi della sezione sono stati allontanati , e veggonsi questi lembi vestiti da una piega nel sacco scapulo-ascellare ; piega che segna il limite della porzione scapolare ed ascellare del sacco medesimo. i , arteria ascellare. ,, „na l, vena ascellare, la quale insieme coll’ arteria * penetra nell ascella pei «n specie di forame segnato k. La vena ascellare è libera entro ,1 sacco « vi sembra a nudo, ma esaminando la continuazione sua n, n, si > scorge che là dove a lei aderiscono le pieghe «, u, prende “ ' ™™f*e ché la parete interna del sacco; invoglio che prolungasi sul tronco 1, e che ner le nies-he u, u, si continua colla vagina dell’ arteria ascellare i, « sua continuazione o, q. Le guaine di questi vasi maestri s, producane . di- ramandosi sui rami che loro appartengono, e s. veggono * "gU £ nate 1» arteria r diramata in y, x, c la vena m, (««menti ' , guaine del tronco di questi due vasi sono legate per 1 ®sceI' l il ramo arterioso « è unito alla tonaca interna del saccoscapulo ascel tri ,, ^JTt“ ' mm — ‘I— " ,, unaaC^°rzione di questi vasi che sembragli giacere dentro a nudo. Luigi Calori TA.VOLA. 4. Fin 19 Ouesta figura è data a dimostrare le relazioni de’ vasi sanguiferi 1=1 chilo, non che della gianduia tiroidea e de’ corp. Iute, coi gròssi seni o cisterne linfatiche che a questi e a quella cornspond.no. a, a ^'porzione an'ten!rè più capace della cisterna del chilo aperta. b * porzione posteriore della medesima chiusa. ...... ,, interna * aorta addominale incolta in una gua.na sommm.s rat Uh ^on»ca ■ £na della cisterna, e legala a questa tonaca non che a, ”S, *a"g“TuI per briglie e per pieghe conlinne e colla guaina e colla tonaca . detta. d, intestino cieco protuberante nella ciste.ua sì ^ j ’ sua metà superiore, e formarne una gran par e della parete ventrale. f . appendice vermiforme che pur sembra dentro alla cisterna. 0 t* ai._ ' arteria mesenterica anteriore percorrente la cavità della cisterna Quest a ’ teria al par dell’aorta è dessa altresì inguauiata dato la cisterna, e colla sua guaina si congiugne med““*e "V p 8 un traUo teria celiaca •: poscia si reca indietro tortuosa aderendo^ un ^raUo alla parete interna della cisterna: rendesi libera ma poco PP - del. nuovo ad aderire a quella per mezzo della piega m ; p re la piega n aderisce alla guaina dell’ arteria mesenterica pos » infine ^sciolta da legami al cieco se per6 si eccettuano e sul cieco manda rami che lo compenetrano e nel e pe , di questi rami occorrono le bocche de' linfatici del cieco naturalmen^ aperte nella cisterna, due delle quali bocche fflgp»" ™ la guaina di quest’ arteria eongiugnesi con quella della v mediante la piega triangolare r. romp si o arteria mesenterica posteriore essa altresì inguamata e vide per la piega « alla guaina della mesentere aulen^Duve . as socia nella rena consorella, aderisce alla parete della c,sle™a’e * J™ vasi sono fino alla radice del mesenterio come dentro una 8"a,na ne: entrano poi nel confluente de’ vasi chihfen mesenterici cui percorro I, vena meseraica di già inguainata che si fa libera al davanti della piega ». q, il detto confluente de’ vasi chiliferi mesenterici. . inerme 9gl vasi chiliferi mesenterici che vi mettono foce, e .. i amistm «..zzano insieme al margine concavo dell" intestino tenue g3 seguendo gli archi anastomo tici de’ vasi sanguiferi intestinali e costituendo il canale che assecon A, grosso linfatico del margine concavo delio stomaco A2, il vH^nàn- raccoglie non solo i linfatici dello stomaco, ma della milza 1 , P creas, e del fegato A, poi mette foce nella cisterna. . /, grosso linfatico del colon i2, il quale linfatico mette foce nella cisterna presso il cieco: posteriormente è continuo coi linfatici del retto. ■ p, n, linfatici dell’ovario j»4. Tra le ova corre 1’ enorme linfatico p , dilatatosi in grazia del grande sviluppo delle ova medesime , d q linfatico traspaiono i vasi sanguiferi ovarici che sembrangh dentro. q , q , linfatico dell* ovidutto g2, g2. Sul sistema vascolare 619 &, &, linfatici del polmone &3 : il posteriore di questi linfatici è il più gros- so e mette nel principio del dutto toracico -+■, gli anteriori sono più sottili e mettono pur essi nel dutto menzionato. 7 , cisterna o seno linfatico iugulare aperto , il quale seno è situato alla base del collo davanti il cuore 2. Entro questo seno occorre la gianduia tiroidea 6 , e T arteria tiroidea 6 amendue unite alla faccia interna del seno per nu- merose briglie. Quantunque e la gianduia e V arteria detta paiano a nudo entro il seno, ne sono però separate e vestite da un velo sottilissimo eh’ esse ricevono da una introflessione della parete interna del seno me- desimo. 8.8, linfatici provenienti dalla regione sottomascellare e tracheale, i quali met- tono foce nella parte anteriore del seno iugulare. 9.9, altri linfatici procedenti dalle regioni mandibolari , i quali mettono foce nella divisione anteriore del dutto toracico ai lati del seno predetto , ed anche in questo stesso. 10, linfatico compagno della vena addominale. 1 1 , divisione anteriore del seno linfatico laterale sottocutaneo del tronco la ’ quale aderisce al fondo della vescica allantoidea e colla porzione 12 forma come un tutto insieme coi corpi lutei y che in un colla detta por- zione sono avvolti in una tonaca comune. Aprendo la descritta divisione sembra che il corpo luteo sia dentro come la gianduia tiroidea nel seno o cisterna iugulare, ma ne è di pari modo separato. « 13, divisione media del seno laterale. 14 , un linfatico dell'arto posteriore che vi mette foce. 15 linfatici tagliati che procedevano dai muscoli addominali. Fig. ^O.^Refazioni dei vasi sanguigni intestinali coi lattei del mesenterio nel- 1’ Uromastyx. Grandezza molto superiore della naturale. 1 6 , seno cloacario. 17 * li?falici° superficiali della regione inferiore della coda che mettono nel seno la porzione i. U , arterie e vene intestinali. lattei mesenterici. m , canale marginale che nasce per le anastomosi de’ chiliferi mesenterici al n, tronchetti chiliferi che \ mettono foce nel canal I. Calori-Uro mastyx Spimpes Merrem. Tav. II. Mem.Ser.^Tom.H. jgÉ ìm 1 unii li». dal CJeUini dis m pietra UU.Wmk Mem.Scr.2f Tom.ll. I.talori Jrouiastjx Spinipes Merreni lav.!!1”* è ; CBettitii dia. in pietra Mem Sei. '2 * TohlU. I.Calon.Uromastyi Spinipes Merrem.Tar.E SULLE TRASFORMAZIONI GEOMETRICHE DELLE FIGURE PIANE. MEMORIA DEL PROF. CAV. LUIGI CREMONA (Letla nella sessione 7 maggio 1863). I signori Magnus e Schiaparelli , 1’ uno nel tomo 8.° del giornale di Grelie , Y altro in un recentissimo volume delle Memorie dell5 Accademia scientifica di Torino, cercarono le forinole analitiche per la trasformazione geometrica di una figura piana in un’ altra pur piana , sotto la condizio- ne che ad un punto qualunque aell5 una* corrisponda un sol punto nell5 altra ? e reciprocamente a ciascun punto di questa un punto unico di quella ( trasformazione di primo ordine ). E dall5 analisi de5 citati autori sembrerebbe dover- si concludere che f nella più generale ipotesi, alle rette di una figura corrispondono nell5 altra coniche circoscritte ad un triangolo fisso (reale o no); ossia che la più generale trasformazione di primo ordine sia quella che lo Schiapa- relli appella trasformazione conica. Ma egli è evidente che applicando ad una data figura più trasformazioni coniche successive , dalla composizione di queste nascerà una trasformazione che sarà ancora di primo ordine, benché in essa alle rette della figura data corrispon- derebbero nella trasformata, non già coniche, ma curve d5 ordine più elevato. - 622 Luigi Cremona In questo breve scritto mi propongo di mostrare diret- tamente la possibilità di trasformazioni geometriche di figure piane y nelle quali le rette abbiano per corrispondenti delle curve di un dato ordine qualsivoglia. Stabilisco dapprima due equazioni che devono aver luogo fra i numeri de’ punti semplici e multipli comuni a tutte le curve che corrispon- dono a rette. Poi dimostro come , per mezzo di raggi ap- poggiati a due linee direttrici , si possano projettare i punti di un piano sopra un secondo piano , e cosi trasformare una figura data in quello , in un’ altra figura situata in questo. SULLE TRASFORMAZIONI DELLE FIGURE PIANE. Considero due figure situate 1’ una in un piano P, V al- tra in un piano P\ e suppongo che la seconda sia stata de- dotta dalla prima per mezzo di una qualunque legge di trasformazione: in modo però che a ciascun punto della prima figura corrisponda un solo punto nella seconda , e re- ciprocamente ad ogni punto di questa un solo punto in quella. Le trasformazioni geometriche soggette alla condizione or ora enunciata sono le sole eh’ io miri ad esaminare in questo scritto : e si chiameranno trasformazioni di primo ordine (f) , per distinguerle dalle altre determinate da con- dizioni diverse. Supposto che la trasformazione per la quale le figure proposte sono dedotte V una dall’ altra sia , tra quelle di primo ordine , la più generale possibile , domando : quali linee di una figura corrispondono alle rette dell’ altra? Sia n l’ordine della linea che nel piano P' (o P) cor- risponde ad una qualsivoglia retta del piano P (o P ). Siccome una retta del piano P è determinata da due pun- (*) (*) Schiapàrelli : Sulla trasformazione geometrica delle figure ed in parti- colare sulla trasformazione iperbolica ( Memorie della R. Accademia delle scien- ze di Torino, serie 2% tom. XXI, Torino 1862). Sulle trasformaz. geometriche ec. ti a9 b , così i due punti corrispondenti ar b' del piano P basteranno a individuare la linea che corrisponde a quella retta. Dunque le linee di una figura corrispondenti alle rette dell5 altra formano un tal sistema che per due punti dati ad arbitrio passa una sola di esse; cioè quelle linee for- mano una rete geometrica dell5 ordine n (*). n (n-*- 3) Una linea dell5 ordine n è determinata da condizioni; dunque le linee di una figura corrispondenti alle rette dell5 altra sono soggette ad n (n - 1- 3 ) 0 ( 71 ^ X n condizioni comuni. 2 2 Due rette di una figura hanno un solo punto comune « , da esse determinato. Il punto d9 corrispondente di a, ap- parterrà alle due linee di ordine n che a quelle due rette corrispondono. E siccome queste due linee devono indivi- duare il punto dy così le loro rimanenti r? — 1 intersezio- ni dovranno essere comuni a tutte le linee della rete geo- metrica suaccennata. Sia il numero de5 punti (multipli secondo r) co- muni a queste linee ; siccome un punto ( r)p o comune a due linee equivale ad r* intersezioni delle medesime, cosi avremo evidentemente (1) x, 4*, -+- 9*, . • • • ■+• (n — 1 = n1— 1 • Gli x -+- x -+- x punti comuni alle linee della rete' costituiscono le ( " ~ ^ condizioni che la de- terminano. Se una linea deve passare r volte per un punto dato, ciò equivale ad condizioni; dunque: n(n — 1) _ (»—!■)(»-»-<) (2) a:, -+- 3x,-h 6*3 ... -t <, **-. — 2 (*) Vedi la mia Introduzione ad una teoria geometrica ielle curve piane , p. Ti. 624 Luigi Gremonj Le equazioni (1) e (2) sono evidentemente le sole con- dizioni alle quali debbano sodisfare i numeri interi e po- sitivi slV*2, *3,...*^ (*). Esempi. Per tz = 2, le equazioni (1) e (2) si riducono all’ ùnica : *4 = 3> cioè alle rette di una figura corrisponderanno nell’ altra curve di second5 ordine circoscritte ad un triangolo costante. E questa la così detta trasformazione conica considerata da Steiner (**) , da Magnus (*** (****)) e da Schiaparelli (««). Per n = 3, si ha dalle (1) , (2) : *» = 4 » = i (*) Non si ottengono nuove equazioni, quando si prendano a considerare le cur- ve che nel piano P' corrispondono a linee di un dato ordine fi nel piano P. Infatti egli è evidente che ad una linea d’ordine fi situata nel piano P cor- risponderà nell' altro piano una curva dell’ ordine fin passante (ir volte per cia- scuno degli xr punti multipli comuni alle curve corrispondenti alle rette del piano P. Quindi per le intersezioni comuni a tutte le curve d’ ordine (in , cor- rispondenti alle linee d’ordine fi nel piano P , avremo l’equazione: f^x{ -+- ( Vfifx 2 -k (3^)2% . . . -+- n — 1 ) (^ xn~{ =^2n2 — ji2> la quale non è altro che la (I) multiplicata per ^2. Siccome poi gli 2,+^.. . -+■ xn~{ punti multipli comuni costituiscono le condizioni a cui sodisfanno in comune le dette curve d’ ordine fin, e siccome il numero di queste condizioni comuni deve essere eguale al numero delle con- dizioni che determinano una curva dell'ordine fin y diminuito del numero delle condizioni che determinano la corrispondente curva d’ ordine fi , così avremo : P (p- •+• I ) 2 fi ( 2 fi -KI ) i{n — l) (fin — fi -i- 1) equazione che si può anche ottenere sommando la (1) moltiplicata per colla (2) moltiplicata per fi. (**) Systematische Entmckelung u. $. w. Berlin 1832, p. 251. (***) Giornale di Creile, t. 8, p. 51. (****) 1 loco citato. Sulle traspormaz. geometriche kc. 625 cioè alle rette di una figura corrisponderanno nell’ altra curve di terz’ ordine aventi tutte un punto doppio e quattro punti semplici comuni. Per n = 4 , le (1), (2) divengono : xt ^xì *+" $xs = ? -i- 3x2 •+• 6^3 = 12, le quali ammettono le due soluzioni : 1 .a = 3 , x2 = 3 , x9 = 0, 2.a ^ = 6 , *2 = 0, x3 = 1 • E così di seguito. Eliminando xt dalle equazioni (1) e (2) si ottiene que- st’ altra : dalla quale si scorge che xm_t non può avere che uno di questi due valori : xn_t = 1, xm_t = 0 , e che nel caso di xnmmì = 1 , si ha necessariamente : x2 = 0 , *3 = 0, *.-2 = 0, e in virtù della (1) : = 2 ( » — 1 ) • Io mi propongo di provare che la trasformazione corrispon- dente a questi valori di xt , x2 . . • . xn_t è , per un dato valore qualsivoglia di w, geometricamente possibile. Supposte situate le due figure in due piani distinti P, P' 9 affinchè a ciascun punto del primo piano corrisponda un unico punto del secondo, e reciprocamente a ciascun T. II. ^ 626 Luigi Cremona punto di questo corrisponda un sol punto di quello, ima- gino due linee direttrici tali che per un punto arbitrario dello spazio possa condursi una sola retta ad incontrarle entrambe ; e considero come corrispondenti i punti ne’ quali questa retta incontra i piani P e P\ Siano p s q gli ordini delle due linee direttrici , ed r il numero dei punti ad esse comuni. Assunto un punto ar- bitrario o dello spazio come vertice di due coni , le di- rettrici dei quali siano le due linee anzidette, gli ordini di questi coni saranno p, q, epperò avranno pq genera- trici comuni. Del numero di queste sono le rette che uni- scono o cogli r punti comuni alle due linee direttrici; e le rimanenti pq — r generatrici comuni ai due coni sa- ranno per conseguenza le rette che da o si possono con- durre ad incontrare sì 1’ una che 1’ altra linea direttrice. Ma le rette dotate di tale proprietà voglionsi ridotte ad una sola ; dunque dev’ essere : (4) pq — r = 1 . D’ altronde , ad una retta qualunque R situata in uno de’ piani P, P', dee corrispondere nell’ altro una curva d’ ordine n; cioè una retta mobile che incontri costante- mente la retta R e le due direttrici d’ ordine p s q3 deve generare una superficie gobba d’ ordine n. Si cerchi adun- que P ordine della superficie generata da una retta che si muova appoggiandosi sopra tre direttrici date, la prima delle quali sia una retta H, e le altre due, d’ ordine p 3 q, abbiano r punti comuni. Il numero delle rette che incontrano tre rette date ed una linea d’ ordine p è 2 \p : tanti essendo i punti comuni alla linea d’ ordine p ed all’ iperboloide che ha per diret- trici le tre rette date. Ciò torna a dire che 2 \p è P ordi- ue di una superficie gobba le direttrici della quale siano due rette ed una linea d’ ordine p. Questa superficie è incontrata dalla linea d’ ordine q in 2 \pq — r punti non situati sulla linea d’ ordine p. Dunque P ordine della superficie gobba che ha per di- Sulle trasformàz, geometriche ec. 627 rettrici una retta e le linee d9 ordine p , q , aventi r pun- ti comuni , è 2 \pq — r. Epperò dovremo avere : (5) ìpq—r = n. Dalle equazioni (4) e (5) si ricava intanto : (6) pq = n— 1 , r — n 2. Supposta la retta R situata nel piano P, consideriamo la corrispondente curva d9 ordine n posta nel piano P\ cioè F intersezione di questo piano colla superficie gobba d9 or- dine 2 pq — r dianzi accennata. La curva , della quale si tratta , avrà : p punti multipli secondo q: essi sono le intersezioni dei piano F colla linea direttrice d9 ordine p ( infatti da ogni punto di questa linea si ponno condurre q rette ad incontrare l9 altra linea direttrice e la retta R , ossia la linea direttrice d9 ordine p è multipla secondo q sulla su- perficie gobba ) ; q punti multipli secondo p , e sono le intersezioni del piano F colla linea direttrice d9 ordine q ( perchè analo- gamente questa è multipla secondo p sulla superficie gobba ); pq punti semplici nelle intersezioni della retta comune ai piani P, F, colle rette che dai punti ove la direttrice d9 ordine p sega il piano P, vanno ai punti ove l’altra direttrice sega lo stesso piano. Questi p -+- q ■+■ pq punti non variano, variando R, cioè sono comuni a tutte le curve d9 ordine n , del piano F, corrispondenti alle rette del piano P. Dunque avremo : xt = pq , xp = q, xq=P e gli altri x saranno eguali a zero : cosi che le equazio- ni (1) e (2) daranno, avuto riguardo alla prima delle (6): p q = n. E questa combinata colla medesima prima delle (6) , som- ministra : p = n — 1 , q = L Luigi Cremona Ciò signi Ica che delle due direttrici, V una sarà una curva dell5 ordine n — l e l5 altra una retta, le quali ab- biano n — 2 punti comuni. Questa condizione può essere verificata da una retta e da una curva piana d5 ordine n — • 1 (non situate in uno stesso piano) , purché questa abbia un punto multiplo secondo il numero n — 2 , e la retta direttrice passi per questo punto multiplo. Del resto , la direttrice dell5 ordine n — 1 può essere una curva gobba ; perchè , a cagion d5 esempio , sulla su- perficie di un iperboloide si può descrivere (*) una curva gobba K dell5 ordine n — 1 , la quale sia incontrata da ciascuna delle generatrici di uno stesso sistema in n — 2 punti ( e per conseguenza da ciascuna generatrice dell5 al- tro sistema in un solo punto). Potremo dunque assumere tale curva gobba ed una generatrice D del primo sistema come direttrici della trasformazione. In questa trasformazione, ad ogni punto <2 del piano P corrisponde un solo punto d del piano F e reciprocamente. Il qual punto à si determina così. Il piano condotto pel punto a e per la retta D incontra la curva K in un solo punto, all5 infuori della retta medesima D : questo punto congiunto con a somministra una retta che incontra il piano P' nel richiesto punto a . Se R è una retta qualunque nel piano P, la superficie gobba (d5 ordine n) che ha per direttrici le linee K,D,R, sega il piano F secondo la curva (d5 ordine n) corrispon- dente ad R. Tutte le curve che analogamente corrispondono a rette hanno in comune un punto multiplo secondo n — 1 e 2 (n — 1) punti semplici, cioè: l.° il punto in cui D incontra il piano F ; 2.° gli n — 1 punti in cui il pia- no F è incontrato dalla direttrice K ; 3.° gli n — 1 punti in cui la retta comune intersezione dei piani P, Fj, è in- contrata dalle rette che uniscono il punto comune alla ret- ta D ed al piano P coi punti comuni alla curva K ed allo stesso piano P. (*) Comptes rendus de l’Acad. de France, 24 juin 1861. Sulle trasformaz. geometriche ec. 629 In altre parole : le superficie gobbe analoghe a quella le direttrici della quale sono K3 D 3 R, hanno tutte in co- mune : l.° la direttrice D ( multipla secondo n — 1, epperò equivalente ad ( n — 1 )2 rette comuni ) ; 2.° la direttrice curvilinea (semplice) K; 3.° rc — 1 generatrici (semplici) situate nel piano P . Tutte queste linee, insieme prese, equi- valgono ad una linea dell’ ordine (n — 1 )2 2 (n — 1 ). Quindi due superficie gobbe ( dell’ ordine n) determinate da due rette R, S 3 nel piano P , avranno inoltre in co- mune una retta; la quale evidentemente unisce il punto a d’ intersezione delle R3 S col corrispondente punto d3 co- mune alle due curve che nel piano P' corrispondono alle rette Ry S. Se la retta R passa pel punto d in cui D incontra il piano P , è evidente che la relativa superficie rigata si de- compone nel cono che ha il vertice in d e per direttrice la curva K, e nel piano che contiene le rette D3 R. Se la retta R passa per uno de’ punti k comuni al pia- no JP ed alla curva K, la relativa superficie rigata si de- compone nel piano che contiene il punto k e la retta D, e nella superficie gobba d’ ordine n — 2 , avente per di- rettrici K 3 D3 R. Se la retta R passa per due dei punti k , la relativa su- perficie rigata si decomporrà in due piani ed in una su- perficie gobba d’ ordine n — 2. Ed è anche facilissimo il vedere che una curva qualun- que C3 d’ ordine fi 3 data nel piano P3 dà luogo ad una superficie gobba d’ ordine nfi 3 per la quale D è multipla secondo fi(n — i) e K è multipla secondo fi. Quindi alla curva C corrisponderà nel piano P' una linea d’ ordine nfi, avente : l.° un punto multiplo secondo fi ( n — 1 ) , sopra D; 2.° n — 1 punti multipli secondo fi 3 sopra K; 3.° n — 1 punti multipli secondo fi3 sulla retta comune intersezione dei piani P, Pf . Applicando alle cose dette precedentemente il princi- pio di dualità , otterremo due figure : 1’ una composta di rette e di piani passanti per un punto o ; T altra di rette e piani passanti per un altro punto o ■ E le due figure 630 Luigi Cremona avranno fra loro tale relazione , che a ciascun piano del- V una corrisponderà un solo piano nell’ altra e viceversa; ed alle rette di una qualunque delle due figure corrispon- deranno neir altra superficie coniche della classe », aven- ti in cortiune xt , x2 . . . xn-t piani tangenti semplici e multipli. I numeri x2 . . . xn_t saranno connessi fra lofo—dalle stesse equazioni (1) e (2). In particolare poi , per dedurre una figura dall9 altra potremo assumere come direttrici una retta D ed una su- perficie sviluppabile K della classe n — 1 , la quale ab- bia »— 2 piani tangenti passanti per D . Allora, dato un piano qualunque ti per o, il quale seghi D in un pun- to a; per questo punto passa (oltre agli n — 2 piani per D ) un solo piano tangente che segherà n secondo una certa retta. Il piano ri determinato da essa e dal pun- to o è il corrispondente di n. Segando poi le due figure rispettivamente con due pia- ni P e Pr , otterremo in questi due figure tafiche ~ a cia- scuna retta dell9 una corrisponderà una sola retta nell9 altra e viceversa ; mentre ad un punto dell9 un de9 due piani corrisponderà nell9 altro una curva della classe n , avente un certo numero di tangenti semplici e multiple, fisSe. ERRATA CORRIGE . 557 liti. 14 Tav. 3 Tav. 2 » » 27 Tav. 3 .... . Tav. 2 » » 28 Tav. 3 Tav. 2 » » 31 Tav. 3 Tav. 2 » » 32 fig. 3 Tav. 2 . . . fig. 3-36'* Tav. 2-2Wl 633 INDICE Gian Giuseppe Bianconi. Dell ' Epyornis maximus , e degli Scrìtti di Marco Polo . . Pag- Camillo Versari. Annotazioni intorno la Tubercolosi. » Francesco Rizzoli. Ablazione completa intrabuccale e sottoperiostea della mascella inferiore ... « Marco Paolini. Sul movimento intestinale * Antonio Bertoloni. Miscellanea Botanica XXIV ; coti 6 tav r Ferdinando Verardini. Intorno V Ulcero semplice, ro- tondo o perforante dello stomaco .... » Lorenzo Respighi. Sulle Osservazioni circumzenitali del- le Stelle » Luigi Calori. Di tre Celosomi umani notabili per ri- spetto alla Tocologia , ed alla distribuzione Tera- tologica di cotale famiglia di mostri ; con 9 tav. » Lorenzo Respighi. Intorno V influenza del moto dei mezzi rifrangenti sulla direzione dei raggi lumi- nosi V Giambattista Fabbri. Utilità dell Ostetrìcia sperimen- tale r» Francesco Rizzoli. Descrizione anatomica di una nuo- va lussazione traumatica dell avambraccio sul - V omero ; con 4- tav * T. II. «0 3 65 119 ni 161 177 201 225 279 305 327 634 Luigi Calori. Sulla duplicità congenita della milza ; con 1 tav. . * Y-V* •' .... Pag. 343 Eugenio Beltrami. Intorno alle coniche di nove pun- ti, e ad alcune quistioni che ne dipendono . » 361 Lorenzo Respighi. Sulla latitudine geografica dell 3 Os- servatorio di Bologna . » 397 Maurizio Brighenti. Sul bonificamento delle Paludi. » 437 Giambattista Fabbri. DelV uso ragionevole della Leva nell ’ Ostetricia ; con 2 tav 3? 453 Luigi Calori. Sulla Splancnologia e sui vasi sanguife- ri che le appartengono , non che sul sistema lin- fatico dell U romastyx Spìnipes Merrem ; con 4 tav » 525 Luigi Cremona. Sulle trasformazioni geometriche delle figure piane 33 621 ■. %